Theodor W. Adorno. Biografia di un intellettuale 8843027123, 9788843027125

In un'epoca segnata dagli specialismi e dalla frammentazione del sapere, ripercorrere la vicenda biografica di Theo

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Italian Pages 916/941 [941] Year 2003

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Theodor W. Adorno. Biografia di un intellettuale
 8843027123, 9788843027125

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Saggi 22

Questa biografia è dedicata a mia figlia Anna-Maximiliane, spe­ rando, grazie alla presentazione della vita e dell'opera di Adorno, di poter mantenere in vita per le future generazioni qualcosa di quel pensiero che fu così influente per il mio orientamento intel­ lettuale.

Stefan Muller-Doohm

Theodor W. Adorno Biografia di un intellettuale

Carocci editore

Traduzione di Barbara Agnese Titolo originale: Adorno. Eine Biographie ©Suhrkamp Verlag, Frankfurt am Main t3

2003

2003 2003 by Carocci editore S.p.A.,

edizione italiana, novembre

©copyright

Finito di stampare nel novembre

Roma

2003

per i tipi delle Arti Grafiche Editoriali Srl, Urbino ISBN

88-430-2712-3

Riproduzione vietata ai sensi di legge (art.

171 della legge 22 aprile 1941, n. 633)

Siamo su Internet:

http:/ /www.carocci.it

Indice

Premessa PARTE I

13 LE O RI GI N I : FAM I GL IA, I N FANZIA E GIOVI N EZZA . GLI

A N N I DI S C U O LA E D'U N IV E R S IT À N ELLA C ITT À I N RIVA AL M EN O 15 Contrappunti di un'eredità familiare

2 3

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Jean François alias Giovanni Francesco : il nonno corso 1 7 I l maestro d i scherma Calvelli-Adorno nel sobborgo francofortese di Bockenheim 21 Wiesengrund: l'eredità ebraica del romantico nome paterno 27 Un padre generoso e due madri di grande talento musicale 30 Tra Sachsenhausen e Amorbach 41 Esperienze scolastiche di un bambino precoce 49 Interessi filosofici di un animo musicale: l'influsso di Kracauer su Adorno 56 Éducation sentimentale 75 Una relazione d'amore e alcune avventure 79 PARTE I I

CAM B I O DI C ITT À : T RA F RAN C O F O RTE, VIENNA E

B E RLI NO . M O LT E P L I C I T À D EGLI I NTERES S I I NTELLETT UA LI

Al confine tra filosofia e musica 5

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Contro corrente: la città di Francoforte e la sua università 93 Primo incontro con Max Horkheimer all'istituto di psicologia del­ la Gesta/t 99 Un uomo ricco di qualità filosofiche nell'ambiente musicale vien­ nese: esperienze nella metropoli sul Danubio 1 1 1 Apprendistato presso i l " signore e maestro " 113 Alla ricerca di una vita professionale 129 Nessun aut-aut tra la filosofia e la musica 136

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Critica musicale e pratica di composizione 149 Autoconferma teorico-musicale circa il metodo dodecafonico. Il dibattito tra Adorno e Krenek 1 56 Approssimandosi ad una teoria dell'estetica 161 Qualcosa di più un saggio di capacità pratiche in filosofia 169 Un secondo elemento d'eccezione a Francoforte: l'Istituto per la ri­ cerca sociale 179 Due prolusioni 182 Libero docente all'ombra di Walter Benjamin 197 La " Rivista di scienza sociale" e l'analisi della musica in base alla critica dell' ideologia di Adorno 204 Il patto con Horkheimer contro la nascita di un secondo tipo di so­ ciologia nello stesso edificio 210 Progetto per un'opera lirica: Il tesoro di ]oe l'indiano 217 PARTE I I I

GLI A N N I D E LL'EM I GRAZ I O N E : L'ES I S TEN ZA D I U N

227 Un doppio esilio: la condizione intellettuale di un senza patria come destino biografico 227 I NTE LLETTUALE ALL'ESTERO

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L'uniformazione della comunità del popolo tedesco e l ' emigrazio­ ne titubante di Adorno 233 Aspettare con decenza che passi la burrasca 244 Tra questioni accademiche e questioni real i. Il docente di filosofia diventa advanced student a Oxford 251 Il bastone e la carota 261 Un'avversione duratura: la musica jazz. Un eccesso tollerato 266 Insuccessi. . . 273 . . . e lutti privati 2 78 Scrivere lettere come rassicurazione filosofica. Controversie con Benjamin, Sohn-Rethel e Kracauer 287 Una doppia liaison: Gretel e Max 303 Learning by doing. La via di Adorno verso la ricerca sociale 32 5 Presso l'lnstitute of Social Research sulle Morn ingside H ights 342 Nuovamente in sospeso: il lungo cammino da New York a Los Angeles 358

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Fortuna nella sfortuna: gli anni californiani di Adorno 367 Messaggi in bottiglia, ovvero come fare chiarezza sull' Illumini­ smo 374 Meriti conseguiti nella ricerca sociale. Gli studi sulla personalità autoritaria 386 Sensibilità morale in tempi immorali 399 Il "consigliere segreto ": Adorno e Thomas Mann 416 PARTE IV

PE NSARE L'I NCO N D I Z I O NATO E S O P P O RTA RE I C O N-

D I Z I O NAM ENTI 431 La forza dirompente di dire no

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Cambio di scena: visita ad un campo di macerie 43 5 Collaborare con la Germania del dopoguerra ? 447 Di nuovo in America: l'analisi dell'astrologia e le ricerche sulla te­ levisione 463 Alla luce del sole: Kafka, Beckett, Holderlin 470 Affermare il valore della teoria critica. Le attività di Adorno negli ultimi anni cinquanta e nei primi anni sessanta 487 Nuotare contro corrente 498 Parlare della corda nel paese del boia 506 Crisi del soggetto: autoconservazione senza Io 516 Per che cosa vivere: comprendere il linguaggio della musica 522 Vivere rettamente ? Luoghi, persone, amicizie 530 Il pane della riflessione. Un a teoria consumata dal pensiero 549 Il Positivismusstreit (La disputa sul Positivismo) . Il cammino di­ scorsivo verso la Scuola di Francoforte 561 Contro il vecchiume tedesco 573 La bambina grassa 578 In quale società viviamo ? L'analisi adorniana del presente 588 Con le spalle al muro 597 Un parricidio soltanto rinviato 609 L'inutilità di difendere una teoria come prassi 613 Momenti di felicità, nonostante tutto 621 L'essenza scissa dell'arte 627 La morte 633 Epilogo 643 Pensare contro se stessi Ringraziamenti

653

643

APPENDICI

657

Genealogia della famiglia 658 Cronologia 661 Lezioni universitarie e seminari tenuti da Adorno Adorno a Francoforte - una cartina 682 Composizioni musicali 685 Note

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Bibliografia

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Referenze fotografiche Indice dei nomi

883

885

Indice delle opere di Adorno

905

675

Scrivere storia significa conferire alle date la loro fisionomia Walter Benjamin

Prem.essa

La curiosità è il principio di piacere del pensiero

1

L'atto di scrivere una biografia di Adorno può immediatamente solleva­ re la seguente obiezione: si tratta di un tipo di operazione che da parte di Adorno non veniva tenuto in gran conto. Anzi, egli nutriva notevoli riserve sul fatto di produrre opere artistiche o filosofiche concerne n ti la vita di un autore o di un'autrice. Anche per quel che riguardava la sua persona aveva affermato di nutrire la speranza che venisse data la prece­ denza ai suoi scritti piuttosto che all'accidentalità della sua esistenza. Certo, Adorno aveva letto e fatto uso di varie biografie, ad esempio in relazione a Richard Wagner. Tuttavia non si stancava di mettere in guardia chi volesse cercare in composizioni musical i o in opere letterarie tracce di vita vissuta, intenzioni soggettive o moti dell'animo dell'auto­ re. Proprio questi elementi, però, costituiscono un tratto estremamente allettante negli scritti di Adorno. In molti passi dei suoi testi, infatti, troviamo esplicite asserzioni autobiografiche, ricordi concernenti i felici giorni d'infanzia e nomi bizzarri di località site nei dintorni di Franco­ forte. Per Adorno, non era questo genere di reminiscenze a costituire un elemento decisivo per la conoscenza; quel che gli stava a cuore era, piut­ tosto, l' interdipendenza tra il contenuto oggettivo dell'opera e la sua ubicazione storica, vale a dire quel che egli ha defi nito il campo di forze determinato dalla posizione storica del soggetto autoriale, dalla vita e dall'opera di questi. Tale massima funge da filo conduttore di questa mia biografia che ha per oggetto Adorno e che sono riuscito a portare a termine quaran­ t'anni dopo la sua morte e nell'anno in cui egli avrebbe compiuto cento anni. Nel corso del mio lavoro di ricerca, durato più di sei an ni, sopra la mia scrivania avevo appeso, incorniciata e bene in vista, una citazione 13

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tratta dagli scritti di Adorno: «Anche la persona singola nella sua biogra­ fia è una categoria sociale, determinata solo nella correlazione vitale con altre persone, che costituisce appunto il suo carattere sociale; solo in questa correlazione la sua vita, in condizioni sociali date, acquista un senso)) 2 • Questa biografia si accinge a ricostruire la correlazione presente tra la vita di Adorno e quella di altre persone. Il corpus di fonti su cui si basa è costituito dalle pubblicazioni di Adorno, dalle sue lettere pubblicate e da quelle conservate in archivio, da vari appunti e trascrizioni delle sue lezioni e di sue conferenze e da interviste con persone che lo hanno co­ nosciuto. In essa mi sono avvalso anche di un gran numero di fonti ulte­ riori e di testi di intellettuali amici di Adorno . Malgrado l'enorme quan­ tità del materiale analizzato e visionato occorre tener conto del fatto che alcun i documenti non sono stati ancora archiviati oppure non sono ac­ cessibili per via di disposizioni testamentarie. Anche le lettere di Adorno non sono archiviate nella loro totalità; alcuni carteggi sono addirittura inaccessibili, come ad esempio quello, importantissimo, tra Adorno e Siegfried Kracauer, che è conservato nel Deutsches Literaturarchiv di Marbach. A volte le biografie si distinguono per un certo pathos della distanza dal­ l' oggetto di cui trattano, cosa che nel mio caso non sarebbe giusta, per­ ché tanto da liceale che da studente universitario ho avuto la fortuna di poter esperire di persona il fascino e la carica intellettuale di questo pro­ tagonista della teoria critica. «Il solo rapporto della coscienza alla felicità è la gratitudine: ed è ciò che costituisce la sua dignità incomparabile)) 3 •

PARTE PRIMA

Le origini: famiglia, infanzia e giovinezza. Gli anni di scuola e d'università nella città in riva al Meno

Contrappunti di un'eredità familiare Questa riflessione porta a concludere che l'idea di felici­ tà che possiamo coltivare è tutta tinta del tempo a cui ci ha assegnato, una volta per tutte, il corso della nostra vita. Walter Benjamin

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Ogni essere umano impara in modo del tutto personale ad affrontare la casualità degli eventi storici. Le biografie individuali, inoltre, ricadono sotto l'i nfluenza di ciò che ad ogni bambino che faccia la sua comparsa sulla terra le fate buone e quelle cattive danno in dote, fin dalla nascita, tramite la cultura del proprio tempo. Le cose non furono diverse per quel Theodor Ludwig Wiesen­ grund-Adorno che venne al mondo a Francoforte sul Meno venerdì 1 1 settembre 1903; intorno alla sua culla si accumularono abbondanti doni di varia natura. Tale copiosità ebbe inizio già col fatto che sua madre, una Calvelli-Adorno, accarezzava l' idea che il figlio, accanto al nome paterno Wiesengrund, portasse anche il suo nome da ragazza. Fu così che, fin dall'inizio, quel neonato battezzato con rito cattolico, visse la presenza dell'urto tra due tradizioni culturali. Da una parte le origini ebraiche del non no e del padre, ebreo assimilato: Oscar Alexander Wie­ sengrund, che esportava vini con ottimo successo e si identificava con quella borghesia imprenditoriale di stampo liberale che a Francoforte 15

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assumeva caratteri cosmopoliti. Dall'altra parte, ad influenzare forte­ mente il bambino, figlio unico, c'era la concezione del mondo marcata dall'ideale della realizzazione artistica di sé che aveva la madre, la quale era anche cattolica praticante. Maria Calvelli-Adorno della Piana, prima del matrimonio con Oscar Wiesengrund, avvenuto relativamente tardi, si era fatta un nome come cantante. Del fatto di essere stata cantante li­ rica all'Opera imperial-regia di Vienna andava estremamente fiera ed Agathe, la sorella minore che le fu sempre molto vicina, era nota per es­ sere anche lei una brava cantante e pian ista ed aveva un grande interesse per la letteratura. Maria era la primogenita di una coppia franco-tedesca che certo, a quei tempi, doveva essere fuori dell'ordinario: la madre, an­ ch' ella ricca di doti musicali, era figlia del proprietario di un negozio di sartoria, una borghese di Francoforte che aveva ricevuto una buona educazione; il padre era un ufficiale e maestro di scherma corso trasferi­ tosi in Germania il quale aveva grande esperienza del mondo. È dunque probabile che nella sua biografia siano reperibili elementi appartenenti ad uno stile di vita un po' bohémien nel quale si facevano sentire in­ fluenze culturali molto eterogenee. Che cosa, infatti, potrebbe risultare più antitetico dell'avventurosa vita da viaggiatore di un patriota corso da una parte, e dell'attitudine caratteristica di una borghesia imprendi­ toriale e colta, di un commerciante ebreo nazional-liberale che da due generazioni faceva affari nella metropoli commerciale e industriale in riva al Meno ?

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Jean François alias Giovanni Francesco: il nonno corso

Nel XIX secolo la Corsica era estremamente marcata dalle proprie tradi­ zioni. Ciò non venne minimamente intaccato dal fatto che durante la monarchia costituzionale di Luigi Filippo, re della borghesia, sull'isola fossero state costruite strade e praticate estensioni dei porti. Anche N a­ poleone I I I, il nipote di Napoleone salito al potere nel 1851 tramite un colpo di Stato, praticò una politica favorevole alla Corsica perseguendo lo scopo di venire a capo dell' isola e della sua ribelle popolazione. Il fatto che il carattere corso, la caparbietà degli abitanti dell'isola e le loro faide esercitassero un certo fascino proprio sulla Francia imperia­ listica del Secondo impero, è dimostrato da uno degli autori più popola­ ri del decennio della monarchia di luglio, Prosper Mérimée. La sua no­ vella Colomba, pubblicata nel 1840, inizia con il ritorno in Corsica del tenente Orso della Rebbia, «povero di speranze, povero di denaro» . Sul suolo natio egli rivede la propria sorella, Colomba, che, con il suo aspet­ to esotico, incarna la realtà dell'isola. Una volta che a questa riesce di far passare dalla sua parte, con l'astuzia, il proprio fratello, fedele all'ordina­ mento giuridico civile, i due vendicano dopo anni la morte del padre, addossandone la colpa alla famiglia Barricini, del loro stesso paese e con la quale hanno un legame di amicizia. Quando la società francese di quel periodo, in cui il tono dominan­ te era dato dall'aristocrazia industriale di origine borghese interessata precipuamente alla propria prosperità ( «enrichissez-vous») 1, si allietava alla lettura di questa storia esotica, basata sul riuscito contrasto tra lo spirito selvaggio e la civilizzazione, Jean François aveva poco più di ven­ t'anni. A quell'epoca era sulla buona strada per intraprendere una car­ riera simile a quella del tenente Orso della Rebbia nella novella di Méri17

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mée. Anche nell'aspetto fisico era possibile trovare qualche somiglianza tra i due: «il viso abbronzato, gli occhi neri, vivi, ben tagliati, l'aria fran­ ca e arguta» \ questo per quel che riguarda Orso della Rebbia, il perso­ naggio di fantasia. Ma chi era, in carne ed ossa, quel corso Jean François Calvelli che, come il suo sosia nel mondo della letteratura, tentò di far fortuna nell'esercito francese e che in seguito avrà sicuramente letto ed apprezzato il pittoresco racconto di Mérimée ? Il personaggio di Jean François, affascinante se considerato da vici­ no, ci interessa qui non per una questione di evidente coincidenza tra la realtà e la finzione, bensì perché egli è uno dei nonni di Theodor W. Adorno. J ean F rançois Calvelli nacque il 14 aprile 1820 3 • Il suo villaggio na­ tale in Corsica, Ma, faceva parte del comune di Bocognano, situato a 650 m slm ed è oggi un paesino circondato da boschi di castagni ai piedi del Monte d'oro, a circa 40 km da Ajaccio . Il ritmo di vita degli abitanti era segnato dal variare delle stagioni e dalla disponibilità dei pascoli per i greggi di capre e di pecore. Ma era poco più di un paese, un gruppo di case che, insieme ad altre, dava luogo ad una comunità in senso religio­ so, ad una pieve. La famiglia dei Calvelli aveva preso domicilio ad Afa alla fine del XVI I I secolo, costruendovi una torre, simbolo evidente di modesta garanzia materiale e di stabilità di dimora. È in quella piccola abitazione in pietra che venne alla luce J ean F rançois, unico figlio ma­ sch io del pastore Antoine Joseph (1 787-1822) e di Barbara Maria, nata Franceschini (1790-1846) 4. Sull'atto di nascita, nel municipio di Ma, il nome è registrato con ortografia italiana: Giovanni Francesco Calvelli . I genitori si erano sposati tredici anni prima della nascita del figlio; due anni prima di lui era nata una figlia, Agatha. La madre, Barbara, aveva diciott'anni quando si sposò con Antoine Joseph, il quale discendeva da una famiglia che godeva di una certa stima nella regione. Sua suocera, Angela Orso la Calvelli, all'epoca era già vedova. Essendo Boldrini il suo nome da ragazza, per lei era ovvio esser fiera della propria famiglia d'ori­ gine, che vantava strette relazioni soprattutto con la famiglia di Napo­ leone Bonaparte, il quale nel t8o6 aveva nominato il fratello di lei capi­ tano dell'esercito francese. Ella era presente al matrimonio, insieme ad altri parenti stretti, così come vuole la tradizione. Probabilmente, fra di loro i legami familiari e di parentela, come è d'uso in Corsica, erano molto forti, e su di essi deve aver fatto affidamento in modo particolare il giovane J ean F ranço is. Suo padre, anch'egl i un acceso bonapartista, infatti, morì quando lui aveva solo due an ni. Il certificato di morte non 18

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JEAN F RA NçO I S ALIAS GIOVAN N I F RANCE S C O : IL N O N N O C O R S O

stabilisce se quel trentacinquenne fu accoltellato, se venne condannato per motivi politici o se morì di morte naturale. Fatto sta che fu la giova­ ne vedova, Barbara, ad accollarsi la responsabilità di crescere i due bam­ bini. L'educazione scolastica, però, rientrava nei compiti del parroco del paese, al quale il prefetto francese aveva dato l'incarico di istruire i ra­ gazzi del luogo, e dunque anche lo sveglio Jean François. A vent'anni Jean François fece domanda di entrare nell'esercito francese ad Ajaccio, a quanto pare con successo, perché cominciò la sua carriera come " Chasseur 2ème classe" nel 11 reggimento di fanteria. Dopo un breve periodo trascorso da soldato a St. Omer, nel dicembre del 1845 venne trasferito in Africa. I n seguito alla conquista dell'Algeria da parte della Francia, negli anni trenta, avevano avuto luogo delle ri­ volte capeggiate da Ab d el Kader volte a contrastare la colonizzazione del paese. Al fine di sedarle, vennero inviate truppe nelle colonie; anche il corso Calvelli partì ed in seguito, su quel periodo della propria vita, non mancò di raccontare con grande colore storie delle più avventurose che giunsero anche alle orecchie del nipote. Dopo quel servizio militare di due anni trascorso in Algeria durante il quale probabilmente aveva contratto la malaria, venne dimesso dall'e­ sercito, ad Ajaccio, e secondo il regolamento allora vigente, considerato un ufficiale a mezza paga, proprio come il suo alter ego letterario Orso della Rebbia. I dati segnaletici personali raccolti alla conclusione dei set­ te anni di servizio militare di Calvelli ricordano quella figura di sottote­ nente dai tratti distinti: " bonne conduite" è il voto ricevuto per il pro­ prio comportamento: «altezza 1 ,66 m, volto ovale, fronte ampia, occhi marroni, naso e bocca di taglia media, mento rotondo, capelli e soprac­ cigl ia molto scuri» 5 . Fatto ritorno in patria, sulla propria isola, fu costretto a prendere atto che la madre e la sorella erano morte poco prima. Che cosa, ormai, lo tratteneva ancora in Corsica ? Negli anni a seguire, dunque, egli cam­ biò continuamente il proprio domicilio, passando - per quanto sia pos­ sibile seguire le sue tracce - dall' Italia alla Francia e addirittura alla Spa­ gna. Gli eventi politici della rivoluzione di febbraio a Parigi (Luigi Fi­ lippo fu costretto ad abdicare per via delle dimostrazioni di massa e del­ le barricate) forn irono a Calvelli il motivo per lasciare il paese. Ciò si potrebbe vedere come un segno che il bonapartista corso non vedesse di buon occhio i movimenti rivoluzionari del 1848 a Parigi. Probabilmente sarà stato invece favorevole alla salita al potere del dispotico Luigi Bona­ parte. Un'eccellente analisi dell'eliminazione, causata da quel cambia19

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mento di governo, delle condizioni parlamentari repubblicane è stata fornita dalla testimonianza di uno dei contemporanei più acuti dell'e­ poca: Karl Marx. Dopo che il proletariato rivoluzionario aveva abban­ donato la scena fu possibile leggere per quali cause sociali e politiche si fosse giunti ad una dittatura plebiscitaria, nella serie di articoli dal titolo

Il diciotto Brumaio 6 . Cos'era accaduto ? N el dicembre del 1848 il nipote di Napoleone era stato eletto presidente della Repubblica francese tramite elezioni genera­ li. G ià nel 18 51 aveva disperso gli organi parlamentari con un colpo di Stato facendosi incoronare imperatore. All'epoca in cui Calvelli voltò le spalle alla Francia, in teoria la sua strada avrebbe potuto incrociarsi con quella dell'autore del Diciotto Brumaio. Nell'anno della rivoluzione, in­ fatti, quando Marx fu espulso da Bruxelles, in febbraio soggiornò per un po' a Parigi e poi a Colonia. Supponiamo che a Calvelli fosse capita­ to tra le mani il Manifesto del partito comunista: certo avrebbe sentito molto lontano quel testo. Probabilmente gli sarebbero riuscite più gra­ dite le riflessioni di Heine espresse in De l'Allemagne, uno scritto che il poeta, in esilio a Parigi ormai dalla rivoluzione di luglio, aveva compo­ sto espressamente per il lettore francese, non in ultimo per correggere l'immagine idealizzata della Germania data da Madame de Stael. Con esso Heine intendeva far comprendere la complicata situazione degli in­ tellettuali tedeschi, ma anche mettere in guardia dal pericolo che la re­ staurazione si eleggesse a erede del movimento romantico. Se soltanto si compara la storia della Rivoluzione francese con la storia della filoso­ fia tedesca si è portati a credere che i francesi nel frattempo [ ] abbiano invitato ...

noi tedeschi a dormire e a sognare per loro e che la nostra filosofia tedesca non sia nient'altro che il sogno della Rivoluzione francese

7•

Mentre l'illuminista Heine dimetteva a poco a poco le proprie speranze a Parigi e l'apolide Karl Marx era costretto ad emigrare in Inghilterra per motivi politici, Calvelli, trentenne, si sobbarcò la fatica comportata dai viaggi e dal continuo cambio di luogo, per guadagnarsi la vita come maestro di scherma. Dal momento che aveva l'ambizione di lavorare per famiglie stimate e benestanti, per lui probabilmente contava molto avere un buon nome. Il suo biglietto da visita doveva essere sufficiente­ mente attraente da potergli permettere di accedere alle migliori famiglie dell'aristocrazia. Come nella novella di Mérimée il tenente Orso, che apparteneva alla nobiltà, si era guarnito dell'appellativo " della Rebbia", 20

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JEAN FRANçO I S ALIAS GIOVAN N I F RANCE S C O : IL N O N N O C O RS O

J ean F rançois abbellì i l proprio cognome aggiungendovi "della Piana" . Questo "della " s i riferisce a d u n paese i n Corsica che Calvelli riteneva il proprio paese natale o che faceva passare per tale 8• Come spiegare, tut­ tavia, l'ulteriore nome Adorno ? In base a quel poco che ci è stato tra­ mandato, fu Genova o forse anche Torino il luogo in cui egli si imbatté in tale nome. Aveva avuto la fortuna di poter impartire le proprie lezio­ ni di scherma per un periodo piuttosto lungo presso una certa "Villa Adorno " in una di queste due città, o presso una famigl ia dell'Ital ia del Nord che portava quel nome 9. Comunque le cose siano andate nei par­ ticolari, quando, nel 18 59-60, con una raccomandazione di Nicolaus Wertheim, con il quale era entrato in contatto a Stoccarda e che sarebbe in seguito diventato console russo, arrivò a Francoforte, città libera del­ l'impero, ciò avvenne con un nome di grande effetto: Calvelli-Adorno della Piana. Dal momento che Francoforte, nel periodo post-napoleoni­ co, disponeva nuovamente del suo antico status di libera città dell'impe­ ro e di conseguenza era pol iticamente autonoma, le condizioni d'entrata nell'esiguo territorio della città erano relativamente restrittive. Fu per questa ragione che il maestro di scherma corso-francese prese alloggio in un sobborgo situato ad ovest della città, a Bockenheim, che si trovava sotto la sovranità del Kurhessen-N assau. Bockenheim fu per tutto il XIX secolo una città autonoma con una crescente impronta industriale. Sol­ tanto nel 1895 venne integrata nella metropoli.

Il maestro di scherma Calvelli-Adorno nel sobborgo francofortese di Bockenheim Le relazioni intrattenute con la stimata famiglia Wertheim contribui­ scono a far sì che gli venga offerta una stanza nella casa di Nikolaus Henning ( t8ot-1871 ) , onorato proprietario di una sartoria, e di sua mo­ gl ie Maria Barbara (1801-1872) . È lì che fa conoscenza con la loro figlia, la quale parla francese ed ha doti musicali. La cosa prende una piega estremamente romantica. Elisabeth e Jean François si innamorano, a quanto pare, a prima vista. Malgrado le resistenze opposte dalla famiglia del sarto, che con animo un po' piccolo borghese pensa al proprio buon nome e ripone tutte le proprie ambizioni nel futuro della figlia, che è portata a cose elevate, i due si sposano già nel febbraio del 1862. I docu­ menti di stato civile che il corso richiese da Bocognano non erano suffi­ cienti per un matrimonio a Francoforte. Per questo motivo fu deciso 21

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che le nozze venissero celebrate a Londra. L'unione è infatti registrata all'ufficio di stato civile del distretto di Pancras, nella contea di Middel­ sex a Londra. La professione di Calvelli-Adorno riportata nei registri è fencing master, maestro di scherma. I testimoni erano Victor Alexander ed Henriette von Erlanger i quali, per parte loro, discendevano da una stimata famiglia della borghesia finanziaria e commerciale ebraica di Francoforte. Al matrimonio civile si aggiunse, nel febbraio del 1865, quello religioso, nel duomo di Francoforte. Elisabeth aveva dato alla luce due bambini, i quali, tuttavia, nell'anno del matrimonio religioso erano già morti. Quando ebbero luogo le nuove festività nel duomo del­ la città, Elisabeth andò all'altare nuovamente in attesa. In settembre diede alla luce la figlia Maria. L'anno seguente nacque Louis, al cui nome francese i genitori aggiunsero, al battesimo, il nome proprio di Mérimée: una prova del fatto che i coniugi apprezzavano particolar­ mente i libri del letterato parigino. Negli anni seguenti, caratterizzati da una vita chiaramente difficile dal punto di vista materiale, nella città sul Meno che ormai si ritrovava di n uovo sotto il dominio prussiano, Elisabeth Calvelli-Adorno della Piana mise al mondo altri quattro figli, tra i quali soltanto la figlia Aga­ the, che portava il nome della sorella di J ean F rançois, sopravvisse. Qua­ si come se quel nome, dato alla bambina nata nel 1868, avesse segnato tutta quanta la sua esistenza, tra lei e la sorella Maria nacque un legame fortissimo che durò per tutta la loro vita, anche quando la sorella mag­ giore si sposò, nel luglio del 1898 . Assicurare il sostentamento di una fa­ miglia di cinque persone certo non era cosa facile per il maestro di scherma, che parlava soltanto francese e italiano. I cinquemila fiorini di reddito an nuo che dovevano essere documentati per poter godere di tutti i diritti di libero cittadino, Calvelli, in tutti quegli anni, non riuscì mai a racimolarli. Si dava tuttavia da fare in ogni modo per assicurare alla famiglia una sussistenza adeguata. Quando il viceré d'Egitto si trat­ tenne in cura nella vicina Bad Homburg, Calvelli-Adorno si offrì di en­ trare a servizio presso di lui come maestro di scherma. Si rivolse anche a Luigi Napoleone Bonaparte, nel 1867, presentando una lettera di sup­ plica 10• Nella lettera al capo di Gabinetto dell 'imperatore, Calvelli fa ri­ ferimento, all'inizio, alle buone relazioni intercorse in passato tra la sua famiglia e quella del destinatario. La descrizione della propria attuale precaria situazione finanziaria viene quindi unita ad una richiesta di ap­ poggio. Egl i si dich iara pronto a recarsi a Parigi per un colloquio perso­ nale in cui rendere conto dei suoi meriti di patriota francese. Cita come 22

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testimone della lealtà della propria persona l'ambasciatore d i Sua Mae­ stà in Italia, Monsieur Nigra. Nello scritto indirizzato all'imperatore che, in quanto nipote di Napoleone I, nel dicembre 1852 aveva fondato il secondo impero francese, il corso descrive minuziosamente gl i ami­ chevoli legami familiari che sarebbero esistiti tra la stirpe dei Bonaparte e la sua famiglia. Al tempo in cui la Corsica era occupata dagli inglesi, i Bonaparte si erano trovati in difficoltà e quando avevano chiesto aiuto alla famiglia Calvelli questa l'aveva fornito con generosità. Da quel mo­ mento in poi il legame tra le due famiglie si era fatto sempre più stretto. Napoleone I, che si fermò in Corsica dopo la campagna d'Egitto, aveva promesso alla famiglia Calvelli, per i suoi meriti, alcune proprietà e il ti­ tolo di conti. Dal momento che suo padre era stato bonapartista per tutta la vita ed in quanto tale era stato anche a capo del partito bonapar­ tista in Corsica, Luigi XVI I I aveva ordinato, dopo la cattura di Napoleo­ ne Bonaparte, che anche lui venisse imprigionato e condannato a morte come sostenitore dell'imperatore. La lettera si conclude con la descrizio­ ne della propria difficile situazione attuale in Germania, una situazione tale da spingerlo a far riferimento a quei meriti di cui la sua famiglia an­ dava fiera 11• Una risposta da Parigi a questa istanza non ci è stata tramandata; ed è improbabile che l' impero francese si sia davvero dimostrato generoso, perché le condizioni di vita dei Calvelli-Adorno, dal punto di vista fi­ nanziario, restarono problematiche come prima. Elisabeth, tuttavia, la moglie del francese, fece la sua parte per dare un miglioramento alla si­ tuazione, impartendo lezioni di canto ed accettando di tanto in tanto alcuni ingaggi come cantante. Questo il motivo di alcune tournée di concerti, come per esempio quella di Bruxelles, nella quale fu accompa­ gnata dal marito, il cui passaporto necessario al viaggio dovette essere ri­ lasciato dal consolato francese di Francoforte. I connotati ivi registrati sono i seguenti: occhi marroni e carnagione scura, capelli e barba briz­ zolati, altezza m 1, 72. Cosa avrà provato quel corso, fondamentalmente legato all' ambien­ te culturale francese, quando nell'estate del 1870 scoppiò la guerra fran­ co-tedesca ? Benché la famiglia fosse al contempo un peso, un vincolo e una responsabilità (o forse proprio per questo) egli decise, da patriota quale era, di partecipare alla guerra dalla parte dei francesi. Il passaporto che si fece rilasciare a tale scopo dal consolato nel giugno del 1870 con­ tiene l'annotazione: «Pour se rendre directement e n France». I suoi figli, in seguito, tramandarono l'aneddoto che per raggiungere l'esercito in 23

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Francia avesse viaggiato travestito da contadino. Il nipote raccontava che il proprio nonno, ufficiale di carriera, nel 1870 era stato gravemente ferito nei pressi di Lille 12• Alla fine della guerra, gli otto anni che gli restarono da vivere tra­ scorsero anch'essi, a quanto pare, all'insegna della povertà materiale di cui l'ostinato esperto nell'arte di arrangiarsi cercava di venire a capo in­ sieme alla moglie ed ai figli. Ciò non sempre avveniva in un modo civi­ camente corretto . Calvelli-Adorno venne condan nato dal Regio tribu­ nale supremo, per aver derivato l'acqua dalla conduttura del vicino. Fu per banali problemi quotidiani di questo genere, e forse per qualche af­ fitto non pagato, che la famiglia cambiò casa otto volte ? All'ufficiale corso erano legate varie leggende che alimentarono la sua fama anche presso le generazioni successive. Si dice, per esempio, che con un colpet­ to del suo bastone egli abbia calmato un cavallo che, sfuggito al suo pa­ drone nel centro di Francoforte, era imbizzarrito. Amava sostare nel Caffè Milani, un caffè italiano in centro; ed è possibile che proprio in quel locale abbia scritto le annotazioni confluite nella sua brochure sul­ l' arte della scherma. Al proprio unico figlio maschio Louis Prosper era legato in modo particolare. Mentre le due figlie avevano tratto vantag­ gio dalle doti musicali piuttosto fuori del comune della madre ed una si era presto fatta un nome come cantante, il figlio fece tesoro delle buone relazioni che intercorrevano tra il padre e la famiglia dei banchieri von Erlanger. Fece carriera nella loro banca, che in seguito venne rilevata dalla Dresdner Bank, potendo così dare economicamente una mano alla famiglia, soprattutto quando mancava il sostegno del padre. Quando J ean F rançois morì, nel maggio del 1879 (la lapide, nel ci­ mitero di Francoforte, ricorda la nascita in Corsica ed il grado di " capi­ tano " nell'esercito francese) aveva da poco compiuto 59 anni. Dopo la morte del marito, Elisabeth cercò di migliorare la propria situazione finanziaria con dei concerti che diede a Franco forte insieme ai suoi bambini Maria, Agathe e Louis, ancora piuttosto piccoli. Se­ condo gli articoli che apparvero sui giornali, questi venivano conside­ rati veri e propri bambini prodigio, di cui c' era soltanto da augurarsi che il talento venisse accortamente sostenuto in futuro. Nelle pagine culturali della " F rankfurter Zeitung" del 21 novembre 1878 Maria, al­ lora tredicenne, venne espressamente lodata per le sue «straordinarie doti canore» in relazione alla sua «esecuzione dell'aria della vendetta della Regina della Notte, delle variazioni di Proch [ . . . ] e della cabalet­ ta finale della Sonnambula. La giovanissima cantante dà in effetti adi-

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to alle più grandi aspettative per il futuro, perché, a giudicare dal tim­ bro eccezionale della sua voce [ . . . ] e dalla sua maestria, già ora impres­ sionante, nella coloratura, la sua candidatura ad un posto tra le mi­ gl iori stelle del bel canto [ . . . ] non dovrebbe essere difficile da ottene­ re» . Anche le due sorelle insieme vennero lodate dai giornali per le loro prestazioni. Il dodicenne Louis «ci ha offerto, alla fine della sua aria dalla Sonnambula un trillo e nella serenata dal Barbiere [ . ] uno staccato di cui potrebbe andar fiero un adulto . Anche Agathe ha can­ tato con grande abilità un'aria della Sonnambula: Tutto è gioia». Nel­ l' edizione della sera della "F rankfurter Zeitung" del 24 febbraio 188o si ha nuovamente un resoconto concernente i «tre bambini prodigio per eccellenza» e la loro madre, la straordinaria maestra di canto Cal­ velli-Adorno. Con tali premesse, non è per nulla sorprendente che Maria Calvelli, con la sovrintendenza di una madre piena di ambizio­ ni musical i e sotto la sua guida, abbia fatto una considerevole carriera di cantante . Il debutto della signorina Adorno allo Hof-Operntheater, nell'opera di Giacomo Meyerbeer Gli Ugonotti, era pur sempre parso degno allo " Illustriertes Wiener Extrablatt " di un resoconto a propo­ sito delle sue prestazioni vocal i. In quest'opera interpretava il ruolo del paggio della regina di Navarra ( mezzosoprano) . Nell'edizione del 14 agosto 1885 si legge: .

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la giovanissima artista, all'inizio della sua carriera, che abbiamo già avuto modo di ascoltare in ruoli come quello del pastorello nel Tannhiiuser e dell'uccellino di bo­ sco nel Siegfried, ha affrontato con molta risolutezza il ruolo del paggio Urban su­ perando felicemente tutti gli ostacoli e le insidie di un'aria densa di colorature. [ . . . ] La voce della signorina Adorno risulta forte ed equilibrata [ . . . ] .

Anche la "Wiener Allgemeine Zeitung" espresse lodi all'indirizzo della signorina di Francoforte, per lo meno per quel che riguardava le capaci­ tà del suo «organo sonoro» di cui lei, «padrona della propria voce» aveva dato una prova. «Se la signorina Adorno diventerà padrona anche delle sue braccia e delle sue gambe [ . . . ] la sua presenza in scena non potrà che colpirci ancor più piacevolmente» . In seguito, quando Maria era già scritturata allo Stadttheater di Riga, i giudizi sulle sue capacità artistiche risultavano addirittura entu­ siastici: «Il volto fresco, lo sguardo rapido e vivace ed ogni movimento incarnavano in tutto e per tutto la gioventù, tanto da esser portati a sup­ porre che questa cantante abbia iniziato a praticare una tale ginnastica 25

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della voce già nell'infanzia, con la sua arte dello staccato, del gorgheggio e dei salti d'intervallo sorprendentemente ampi» . Questa critica estre­ mamente benevola termina osservando che la signorina Adorno è un «uccello canoro» che suscita molte aspettative, perché per di più è anche canna. La madre di questa figlia attraente e che riscuoteva successi nelle sale da concerto visse soltanto diciotto anni in più del marito. Morì il 28 no­ vembre 1897. Per Maria risultò ovvio, data la sua educazione rigidamen­ te cattolica, che il proprio matrimonio avesse luogo l'estate seguente, dopo un adeguato periodo di lutto. Quando sposò Oscar Alexander Wiesengrund, di cinque anni più giovane di lei, aveva già trentatré anni.

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Wiesengrund: l'eredità ebraica del romantico nome paterno

Quando, verso la fine del XIX secolo, la famiglia eb rea Wiesengrund, proveniente dalla località di Dettelbach in F ranconia, si stabilì a F ran­ coforte, gli abitanti della città sul Meno erano soliti bere il loro sidro; ma non c'è dubbio che il consumo di quella bevanda acidula non era certo l'unico piacere a cui la società borghese della città libera dell' impe­ ro si dedicasse, aperta com'era a tutte le gioie terrene. Anzi, si sapeva trarre vantaggio dal fatto di essere cittadini di un grande centro a cui fa­ cevano da cornice, ad ovest e a sud-est, due regioni in cui i vigneti erano e sono ancor oggi una tradizione. Mentre dalla Rheingau venivano le bottiglie di Riesling dal collo lungo, dai pendii dell'ansa del Meno nei pressi di Wiirzburg arrivava il Sylvaner, in fiaschi panciuti. Per un com­ merciante cresciuto in queste region i vinicole era dunque ovvio guada­ gnarsi la vita con il Riesling o il Sylvaner. In origine, la fondazione della casa Wiesengrund (nel 1822) a Det­ telbach sul Meno, nelle vicinanze di Wiirzburg, sede vescovile e città di residenza della Baviera, si deve a Beritz David Wiesengrund. Questi, in­ sieme al fratello Abraham David, che era di sei anni più anziano, fece la sua comparsa nel comune di Dettelbach intorno al t 8oo, ed iniziò la sua attività vinicola là dove già verso la fine del XV I secolo gl i ebrei si erano dati operosamente al commercio 1 • I due fratelli avevano entrambi fon­ dato una famiglia ed accresciuto le proprie considerevoli proprietà: pos­ sedevano immobili, si erano dedicati dapprima al commercio di bestia­ me, in seguito a quello immobiliare ed erano arrivati solo in seguito al commercio di vini. In base ad una disposizione del vescovo principe di Wiirzburg emanata nel 1817 tutti i cittadini ebrei erano sollecitati a cambiare il proprio nome: il nome David diventò Wiesengrund 2• Il fi­ glio maggiore, Bernhard, imparò il mestiere di bottaio e rilevò dal padre il negozio di vini Wiesengrund nel 1837. Il figlio minore, David, ereditò 27

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la grande casa d'abitazione paterna, ma si trasferì a Wi.irzburg e lì morì prematuramente, nel t86t. Al ben avviato commercio di vini del giova­ ne mercante e mastro bottaio Bernhard Wiesengrund (t8ot-t87t ) si apriva un futuro commerciale manifestamente positivo . Giacché aveva saputo accrescere l'eredità, già cospicua, che aveva ricevuto, e di conse­ guenza poteva dirsi agiato, e dal momento che in città c'erano troppi commercianti di vini in concorrenza tra loro, insieme alla moglie Caro­ line, nata Hoffmann (1812-t889), abbandonò quanto prima l'ambiente angusto della cittadina sul Meno in F ranconia per trasferirsi nella rocca della libertà per il commercio e le professioni: Francoforte, l'importante città sul Meno sede di fiere. L'energico com merciante era stato suffi­ cientemente accorto da stab ilirsi, nel t867, in uno dei quartieri più pri­ vilegiati di Francoforte: all'indirizzo Schone Aussicht n. 7 (Bella vista n. 7) che faceva onore al proprio nome tanto quanto era imponente l' edifi­ cio classicistico a quattro piani in cui avevano sede il negozio e le canti­ ne per i vini. Benché la Schone Aussicht, legata dal punto di vista topo­ grafico al centro storico della città, fosse una zona esclusivamente resi­ denziale in cui c'era assenza assoluta di qualsiasi rumore potesse prove­ nire da aziende e simili, fu proprio lì, in quel quartiere signorile, che Wiesengrund insediò il proprio commercio di vini. Egli trovò le condi­ zioni ideali allo scopo in un palazzo il cui lato posteriore dava su un va­ sto cortile interno e che disponeva di una cantina con un soffitto alto tre metri 3• In una foto dell'epoca, che dev'essere stata scattata intorno alla volta del secolo, si vede il negozio e davanti a questo il proprietario in­ sieme a tre bottai o capo-cantinieri, i quali sono riconoscibili per via dei grandi grembiuli in cuoio; della foto di gruppo fanno parte anche due collaboratrici e due altri impiegati. La via, che corre sulla sponda nord del Meno, era larga e spaziosa, orlata, da un lato, di alberi e dall'altro di una fila di luminose case borghesi. In una di queste, al n. 1 6, aveva abi­ tato Arthur Schopenhauer negl i anni che aveva trascorso a Francoforte. In quella accanto era stato ospite Felix Mendelssohn-Bartholdy nel lu-

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glio del 1836: «La vista è davvero invidiabile; ora, con questo magnifico clima estivo, guardiamo giù verso il corso del Meno, con tutte le gru, le zattere e le navi, e, verso l'altro lato, l'altra sponda, tutta piena di colo­ ri>> 4. La dimensione dei caseggiati, alla Schone Aussicht, era, fonda­ mentalmente, unitaria; a seconda dei casi vi abitavano da una a più fa­ miglie. Tali palazzi, modernamente attrezzati e realizzati secondo i prin­ cipi di costruzione del Classicismo, edifici con una semplice facciata a intonaco, scanditi orizzontalmente da cornicioni, a tre piani, con fine­ stre strette e alte e una mansarda, ospitavano per lo più commercianti, sensali, banchieri e diplomatici. Il fatto che proprio accanto ai Wiesen­ grund avesse il proprio atelier l'allora famoso pittore F riedrich Wilhelm Delkeskamp, al quale si debbono varie vedute della città di Francoforte, costituiva soltanto una piccola eccezione 5• Ai tempi in cui David Theodor Wiesengrund, che era nato il 3 lugl io 1 838, dopo il trasferimento del com mercio del padre, crebbe a questo indi rizzo dalla vista invidiab ile, il piccolo mondo sul Meno doveva più o meno assomigliare a quello descritto da Mendelssohn­ Bartholdy. Il figlio maggiore del fondatore del negozio di vini di Francoforte rilevò, una volta adulto, il co mmercio ben avviato. Il fra­ tello minore, Benedict (1 843-1903 ) , in quanto secondogenito, si ritro­ vava in una posizione tradizionalmente peggiore. Sposò J ohanna Of­ fenbach, nata a Man nheim e di nove anni più giovane di lui, la quale gl i diede tre figli. La famiglia visse dapprima nella casa accanto a quella paterna, alla Schone Aussicht n . 13, in seguito si stabilì nella regione del Wi.irttemberg; Benedict morì presto, a sessant'anni, la­ sciando soli moglie e figli. L'ultimo di questi, la figlia Panni, nata nel 1846, sposò nel 1 867 un uomo di Wi.irzburg ed insieme em igraro no poi in America. Il primo dei tre figli era certamente quello che aveva avuto più fortuna. David Theodor si sposò a trent'anni, nel 1868, con Caro l in e Mayer (1 846-1894) , la figlia di un banchiere originaria di Bechtheim nel Basso Reno. Dal loro matrimonio nacquero sei figli, tre ragazzi e tre ragazze, uno dei quali morì a tre anni. A succedere al padre nella ditta fu destinato Oscar Alexander, che in negozio dovette natural­ mente adattarsi al " senior", anche se questo era spesso assente. Con quali sentimenti si fece carico di questa eredità al posto del fratello più vecchio Paul Friedrich ( 1869-18 86) ? Questi, infatti, morì a dicias­ sette anni ed il fratello minore Bernhard Robert ( 1 871-1 935) emigrò in Inghilterra sub ito dopo aver terminato gl i studi di ingegneria . Si 29

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era laureato a Rostock con una tesi sulla tecnica del freddo ed aveva lavo rato, inizialmente, per varie grandi imprese tedesche, finché nel 1 907 non fondò una sua propria azienda nei dintorni di Londra. Set­ te an ni più tardi, insieme al la moglie Helene, nata Richter, ed ai loro tre figli, ricevette, in quanto influente uomo d'affari, la cittadinanza britannica 6 •

Un padre generoso e due madri di grande talento musicale Oscar Alexander Wiesengrund gestì i propri affari con grande slancio negli ultimi anni della cosiddetta Rivoluzione industriale tedesca, espor­ tando vini in Inghilterra e in America e fondando anche una succursale della ditta a Lipsia. Aveva una partecipazione alla società per il commer­ cio di vini F riedrich Daehne srl. Questa ditta era registrata dal maggio del 1 923 ed aveva avuto diverse sedi nel centro della città. Gli ammini­ stratori che risultano registrati dal 1923 erano Oscar Wiesengrund e Cari Feuchter, residenti entrambi a Francoforte sul Meno 7. La famiglia Wiesengrund aveva inoltre alcune proprietà terriere nel comune di See­ heim, nell'Odenwald. Il catasto di Seeheim certifica che Oscar Alexan­ der Wiesengrund era proprietario di una casa negli anni 1918-38 8• Il successo economico che l'impresa di esportazione di vini ebbe sotto la direzione di Wiesengrund creò una solida base per il matrimonio. Quando quel commerciante di orientamento cosmopolita, dopo un lungo soggiorno a Londra, si decise a fare questo passo borghese, non aveva ancora trent'anni. A rendergli la cosa ancor più facile contribuì il fatto che sua sorella Alice Betty (1873-1935) aveva fatto un eccellente matrimonio proprio un anno prima. Era diventata la moglie di Paul Ep­ stein, matematico e in seguito professore all'università di Strasburgo, appartenente ad una famigl ia molto ragguardevole della borghesia colta di Francoforte. Da questa unione nacquero quattro figli, tra i qual i un musicologo ed uno storico. L'altra sua sorella, Jenny (1874-1963 ) , sposò Anton Villinger. Le nozze furono celebrate nello stesso anno di quelle di Oscar, il 1898. Dal momento che prendeva parte con grande attenzione alla vita culturale della città, caratterizzata spesso da concerti e rappresentazioni di opere liriche, Oscar aveva fatto la conoscenza di due signore, un poco fuori del comune, della buona società di Francoforte. Non c'era evento musicale, in città, al quale quelle due sorelle inseparabili che portavano 30

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il raffinato, seppure un poco enigmatico nome di Calvelli-Adorno della Piana, non prendessero parte, ed erano elle stesse musiciste apprezzate. Che reazione può aver scatenato nella famiglia di Oscar l'annuncio del matrimonio con un'artista non più giovan issima, un'unione fuori del­ l' ordinario per un ambiente puramente borghese di commercianti ebrei ? Devono certo esserci state obiezioni e riserve, dato appunto il background di valori della borghesia commerciale. Oscar fu comunque abbastanza uomo per riuscire ad imporre la propria decisione ed in que­ sto fu probabilmente appoggiato dalle sorelle. La sua forza e determina­ tezza devono essere state davvero grandi, perché del nuovo nucleo fami­ liare non avrebbe dovuto far parte soltanto la sposa, Maria, ma anche la sorella minore di questa, Agathe, che fin dall'inizio fu uno dei membri della nuova famiglia Wiesengrund. Come se non bastasse, oltre al fatto che invece di una soltanto arrivassero in casa addirittura due artiste, ri­ spettate in società ma quasi nullatenenti, ci furono complicazioni anche a livello delle formalità da espletare in vista del matrimonio. Maria Cal­ velli-Adorno della Piana, infatti, questo è certo, portava un cognome che faceva sensazione 9. Formalmente, da un punto di vista legale, non era cittadi na tedesca, ma francese, perché il padre corso, in tutti gli anni passati a Francoforte, non era mai riuscito a creare i presupposti econo­ mici necessari per venire riconosciuto come cittadino regolarmente re­ gistrato della città imperiale. Questo fu il motivo esterno che spinse i due fidanzati a scegl iere la stessa via già percorsa dal padre corso e dalla madre di Bockenheim. Venne istituita un'originale tradizione familiare e i due, dopo un adeguato periodo di fidanzamento, si sposarono, nel­ l' estate del 1898, nello stesso posto in cui si erano uniti in matrimonio i genitori della sposa: l'ufficio di stato civile di St. Pancras a Londra. Prima di poter avere una discendenza, i due dovettero pazientare ancora quasi cinque anni. Soltanto venerdì 11 settembre 1903 giunse il giorno in cui, il mattino presto verso le cinque e mezza, venne alla luce un figlio. Com'era allora in uso, il parto ebbe luogo in casa. In che modo fu accolto il felice evento dai componenti della famiglia ? Certa­ mente con una gioia particolare, dato che tre anni prima Maria aveva dato alla luce un bambino nato morto 1 0 • Davi d Theodor, il nonno ses­ santacinquenne del neonato, vide probab ilmente nel nipote il successo­ re predestinato del proprio figlio nella loro ditta di successo, colui che avrebbe portato avanti la tradizione di famiglia. Oscar era certamente contento e sollevato che la propria moglie non più giovanissima avesse superato bene il parto e che fosse nato un figlio maschio. Le due donne, 31

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non in ultimo Agathe, che non si sposò mai, accolsero con gioia la nuo­ va sfida costituita dall'educazione di quel rampollo di così belle promes­ se, prendendosi a cuore, naturalmente, anche la sua formazione musica­ le ed intellettuale. Fin da piccolo, il ragazzo crebbe in un mo ndo di mu­ sica. La madre o la zia, per farlo addormentare, gli cantavano Guten Abend, gute Nacht di Brahms, ed il suo sonno era protetto dalla «cortina davanti al lettuccio a padiglione» . Indimenticabile restò per lui il fatto che lì sognava «"fi nché la vacca varrà un baiocco", come si dice in Assia» . Ed anche la ninna nanna «Schlaf in guter Ruh', l tu die Auglein zu, l [ . . . ] . Bettler lauft der Pforte zu, l schlaf in guter Ruh'» [Dormi in santa pace, l chiudi gli occhi [ . . . ] il mendicante alla porta è già arriva­ to, l dormi in santa pace] gli rimase impressa nella memoria. Molti anni più tardi ne parlerà nei propri appunti. Questi due versi, che devono aver fatto tornare in mente ad Adorno una pregnante interpretazione di Ludwig von Zumbusch dal Canzoniere di Schott (1900) , che la famiglia possedeva, avevano un'enorme significato per lui. Egli aveva l' intenzio­ ne di elaborare una teoria su di essi 11 • Il figlio dei con iugi Wiesengrund fu battezzato con rito cattolico nel duomo di Francoforte il 4 ottobre 1 903 . Questo stato di fatto risulta dai documenti personali di Franz Calvelli-Adorno e dal registro battesimale del 1903 della parrocchia di Sankt Bartholomaus (p. 99, n. 739) 12 • Men­ tre per la madre viene indicata l'appartenenza alla religione cattolica, per il padre è stato annotato nel registro: Oscar Alexander Wiesen­ grund, commerciante, israelita. La cerimonia battesimale venne celebra­ ta dal cappellano del duomo, Perabo. La madre di Adorno, che è sempre andata fiera delle proprie origini, secondo la tradizione familiare pare desiderasse integrare il cognome pa­ terno del figlio col nome addizionale della madre: Adorno. Il fortunato bambino conserverà anche da adulto la coppia di nomi Wiesengrund­ Adorno facendone uso a partire dall'inizio della propria carriera pubbli­ cistica ed accademica. Questa combinazione di nome si è imposta, tut­ tavia, in forma leggermente variata, e cioè all'epoca in cui Adorno, in esilio in California, quando si trattò di essere formalmente naturalizzato americano, rinunciò al nome Wiesengrund scritto per esteso e da allora in poi pubblicò con il nome Theodor W. Adorno. Tale decisione, che andava contro il nome ebreo Wiesengrund a tutte lettere ed a favore del nome Adorno, riconducibile all'Italia del Nord e che il nonno corso aveva adottato per fare colpo, fa comprendere chiaramente quali fossero le inclinazioni personali del futuro compositore, musicologo e filosofo. 32

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Che il nome materno Calvelli-Adorno della Piana, in effetti, abbia subi­ to cominciato ad esercitare un certo fascino sul figlio una volta adulto (il quale aveva una chiara propensione verso le famiglie dotate di un ti­ tolo nobiliare) , è testimoniato da Peter von Haselberg nei suoi ricordi dedicati al coetaneo insieme al quale faceva volentieri musica. Una volta conosciutisi un po' meglio, il libero docente appena abilitato aveva rac­ contato con orgoglio a von Haselberg che gli antenati di sua madre era­ no stati dogi di Genova ed erano imparentati con i principi Colonna. «Non entrò mai nei dettagli [ . . . ] . Una volta che mi ebbe raccontato di questa sua origine e che io gli risposi che allora doveva discendere per li­ nea diretta da Giove, perché era da questo dio, ad ogni modo, che trae­ vano origine i Colonna, il suo stupore e la sua gioia, appena appena dis­ simulata, furono senza limiti: " questo non lo sapevo ", mi disse» 1 3• Resta da vedere se egli non avesse piuttosto un atteggiamento ironi­ co verso l'origine etimologica del nome Adorno, che in italiano è sino­ nimo di "o rnato, abbell ito " . Da adulto era perfettamente conscio delle proprie debolezze personali e non ne faceva mistero, così come non fa­ ceva mistero dell'inesauribile impulso comunicativo che aveva, della sua vanità, che rasentava il narcisismo, e del compiacimento che provò, in seguito, per il fatto che il nome dell'autore "Theodor W. Adorno " fosse assurto a simbolo di un pensiero che era divenuto noto come "teoria critica" sviluppando una durevole influenza in filosofia, nel campo della sociologia, della musicologia e della scienza letteraria. I due nomi di battesimo del neonato, Theodor Ludwig, alludono ri­ spettivamente a quello del fratello della madre e a quello del nonno da parte di padre. Con questi nomi, al bambino veniva posta nella culla l'e­ redità di diverse tradizioni familiari: da un lato l'aspirazione alla sicurez­ za che aveva il padre, commerciante che puntava sulla stabilità e la cal­ colabilità, dall'altro, la capacità di immedesimazione della natura d'arti­ sta della madre, che si affidava alla creatività e alla spontaneità. Che l'a­ dolescente abbia avvertito, nel suo intimo, quale eredità fosse implicita in tale genealogia ? Tanto poco è possibile dare una risposta a questa do­ manda, tanto più si spiega il fatto che Adorno, per tutta la vita, abbia preferito la forma affettuosamente abbreviata del proprio nome. Da bambino, da ragazzo e anche da adulto si faceva chiamare, di preferen­ za, " Teddie" ed amava concludere le sue lettere con la formula " il tuo vecchio Teddie" . U n a volta che l a famiglia s i era accresciuta d i u n membro risultò ov­ vio cambiare casa, passando dalla Schone Aussicht alla Seeheimer 33

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Strage n. 19. Questa si trova a sud del Meno, in un sobborgo di Franco­ forte e cioè nel comune di Oberrad, che all'inizio del Novecento era sta­ to inglobato nella città, ma che mantenne per lungo tempo il suo carat­ tere rustico. Fu lì, a Dribbedebach 14, che nel 1914, poco dopo lo scop­ pio della Prima guerra mondiale, la famiglia si installò in una casa di proprietà a due piani in una tranquilla strada laterale; poco lontano c'era una fermata del tram e con la linea 16 si arrivava facilmente in centro. Chi entrava nella casa della Seeheimer S traBe ad Oberrad, nella quale [Adorno ] aveva trascorso l'infanzia e la giovinezza, entrava in contatto con un ambiente che potrebbe a ragione essere definito infanzia protetta. Le tradizioni che si erano fuse insieme nella casa parentale, lo spirito del commerciante ebreo di Francoforte Oscar Wiesengrund e lo splendore della cantante, che avvolgeva la madre Maria [ . . . ] , il brillio negli occhi della sorella di questa, Agathe, che era per lui come una seconda madre, si sono conservati intatti [ . . . ] nel pensiero e nella sensibilità di Adorno

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Il contesto famil iare in cui crebbe il giovanissimo Wiesengrund si pre­ senta altrettanto sfaccettato quanto lo erano le costellazioni materna e paterna. Lo stile di vita esteriore del padre Oscar era marcatamente an­ glosassone, anche per via dei contatti con il fratello Robert a Londra. A ciò era venuto ad aggiungersi un lungo soggiorno in Inghilterra, prima del matrimonio. Malgrado il commerciante fosse un ebreo completa­ mente assimilato, cosa che era riuscita perfettamente grazie alla tradizio­ ne liberale di Francoforte, l'assimilazione fu certo anche per lui un com­ pl icato processo interiore di distacco, soggettivamente delicato . Perché prendendo le distanze dall'ebraismo Wiesengrund rinunciava anche ad una parte della propria identità 1 6 • Si può forse spiegare così la sua evi­ dente avversione per tutto ciò che fosse intenzionalmente ebreo. Tale definizione si riferiva, all'epoca, in primo luogo ai cosiddetti ebrei del­ l'Est che in seguito ai pogrom russi e polacchi erano in fuga dai loro paesi e di solito abitavano nella zona est della città. Anche il figlio " Teddie ", come testimonia lui stesso, non era esente dalla «presunzione dell ' assi­ milato nei confronti degli ebrei dell'est)) 17• Siegfried Kracauer, che in seguito rivestirà una certa importanza nello sviluppo intellettuale di Adorno, descrive questa sfera nel suo romanzo Ginster: «Lisce facciate di case e, dietro, cortili da cui sgorgavano a frotte gl i ebrei . Portavano caf­ fettani e barbe fluenti, parlavano a due a due, come se andassero in fila 34

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per quattro. Erano talmente perfetti, questi ebrei, da sembrare imitazio­ ni» 1 8 • A contraltare di questo milieu si ergeva lo stile di vita della società elegante dello Weste n d di Francoforte, della quale la famiglia Wiesen­ grund riteneva di far parte, benché non abitasse in quel quartiere. La consapevolezza di appartenere ad una classe relativamente benestante e ad un ceto socialmente elevato concerneva in particolar modo Oscar Alexander Wiesengrund, l' uomo d'affari di successo. Egli era, come ri­ corda Peter von Haselberg, «Un tipo piccolo, snello e tenace, che possia­ mo senza difficoltà immaginarci come qualcuno che è stato ossessionato tutta la vita da un'entusiastica anglofilia; occorre tuttavia aggiungere che questo genere di passione era largamente diffuso a Franco forte pri­ ma della Prima guerra mondiale, ed era anche chic come leggera riserva nei confronti dello spirito prussiano» 1 9• Il padre, all'interno del conte­ sto familiare di esperienza del figlio, incarnava quell'individualismo ti­ pico della città commerciale e di com mercianti che si basava sul capitale privato e l'apertura sul mondo. La coscienza di sé che ne risultava, asso­ ciata alla tolleranza, sembra essersi comunicata al figlio come un'ovvie­ tà. Anche una sorta di atteggiamento sobriamente secolarizzato nei ri­ guardi di qualsiasi fenomeno rel igioso, ed in particolar modo di quelli ebraici, è stato trasmesso dal padre al figlio. Come il padre, anche il fi­ glio non sviluppò una relazione stretta né con la religione mosaica né, in generale, con altre religioni, anche se a periodi aveva accarezzato l' idea di entrare a far parte del cattol icesimo, forse per simpatia nei confronti della madre 20 • Il Lehrhaus ebraico, la cui influenza a Francoforte era estremamente forte, gli rimase sempre estraneo 21 • Una volta apostrofò i suoi amici Leo Lowenthal ed Erich Fromm, che fornivano la loro colla­ borazione nell' insegnamento, con l'appellativo "ebrei di mestiere" . Nei confronti dei grandi eruditi ebrei Franz Rosenzweig e Martin Buber si teneva ostentatamente a distanza e addirittura, sollevando il raccapric­ cio di tutti coloro che erano ben disposti verso questo genere di imprese culturali, inventò per il secondo, come racconta Peter von Haselberg, l'epiteto di " fanatico della religione " . Le sue Leggende chassidiche furono parodiate da Wiesengrund con il titolo «Le storie del Rabbi M isje Schmal in forma di arguzie insulse - prodotti che si collocano approssi­ mativamente tra Peter Altenberg, Robert Walser e Martin Buber» 22• Nei primi anni d'infanzia di " Teddie" la relazione padre-figlio era stata gestita dal padre con grande indulgenza ed estrema benevolenza. Il figlio, durante la pubertà, vide probabilmente nel padre un rappresen­ tante della borghesia, il commerciante orientato verso l'efficienza eco35

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nomica ed il profitto con il cui modo di vivere non voleva avere niente a che fare. In questo senso, l' identificazione con il padre e con i suoi ideali di vita dev'essere stata piuttosto scarsa, ma ciò avvenne, tuttavia, senza che in alcun modo il figlio escludesse un riconoscimento rispettoso nei confronti del capofamiglia. Anche perché c'era più di un motivo per nutrire stima nei suoi confronti. L'attaccamento di Oscar Alexander, infatti, era senza riserve, nei confronti della moglie e della sorella di que­ sta così come nei confronti del figlio, delle sue attitudini artistiche e del­ le sue precoci ambizioni intellettuali. La generosità addirittura prover­ biale del commerciante di vini è attestata dalle sue lettere sempre parte­ cipi indirizzate ai membri della famiglia, ma anche dalla sua disinteres­ sata disponibilità ad aiutare finanziariamente ed anche moralmente il fi­ glio fino all'emigrazione di questo negli Stati Un i ti. Questa relazione padre-figlio letteralmente priva di qualsiasi com­ plicazione è un segno del fatto che il padrone di casa, all'interno della famiglia, rimaneva in secondo piano . In qualità di commerciante non soltanto era tutto il giorno fuori casa, ma spesso anche impegnato in viaggi d'affari che richiedevano molto tempo. Oscar Wiesengrund non soltanto aveva successo economicamente come esportatore di vini; la sua ditta contava molti cl ienti anche nell'ambito della città di Franco­ forte. Nel 1912 presentò i suoi vini migliori alla festa per il cinquantena­ rio della società di tiro a segno: bottiglie provenienti dal Reno, dal Pala­ tinato, dalla Saar e dalla Mosella; ai membri della società di tiro a segno vennero serviti pure vini pregiati della regione dello Champagne. «Il commercio di vini a Francoforte ha soddisfatto magnificamente tutte le aspettative, giacché i numerosi tipi offerti erano tutti di ottima quali­ tà» 23• Per il piccolo Adorno, le cantine a più piani del negozio di vini del padre erano luoghi in cui si poteva giocare «rabbrividendo di piace­ re», anche «insieme ad un compagno di scuola proveniente dal mondo di osterie e risse di Sachsenhausen» 24• La funzione di Oscar Wiesen­ grund era quella di assicurare la base economica necessaria per la realiz­ zazione di uno standard di vita da classe medio-alta. Funzione che egli assolveva pienamente. Era del tutto evidente che Oscar Wiesengrund traeva un personale diletto dai concerti domestici, i frequenti inviti e le vivaci discussioni che avevano luogo in casa sua, per esempio riguardo alle rappresentazioni teatrali che erano al momento in programma allo Schauspielhaus o «l'interpretazione, questa volta purtroppo estrema­ mente discutibile» del concerto per violino di Beethoven nel quadro dei concerti del museo nella Saalbau, o ancora riguardo al programma della

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rinomata Opera di Francoforte. In queste discussioni il figlio, piuttosto precoce, era uso intervenire: più diventava grande e più aumentava la sua curiosità. N ella sua passione per la musica, nella predilezione per l'arte e nella sua precoce curiosità era appoggiato totalmente dalla ma­ dre e, con tali ambizioni, trovava una benevola ascoltatrice anche nell'a­ matissima zia. Maria Calvelli-Adorno, dopo il matrimonio, aveva avuto un'ascesa sociale e tale successo deve averla certamente resa più sicura di sé. Ella, con il suo forte cattolicesimo italo-francese, costituiva una buona misce­ la di romanticismo e di passione idealistica. In quanto ex cantante nella metropoli imperiale austriaca, Vienna, e a Riga, incarnava l'irrequieta natura dell'artista che doveva aver avuto anche qualche tratto da bohè­ me. Nel salone della casa della Seeheimer Strage, nel quale si ricevevano con piacere ospiti in ogni momento e in cui dunque spesso c'erano visi­ te (anche perché la domestica Annetta cucinava bene) , si trovava ovvia­ mente un grammofono, cosa che a quel tempo, in realtà, era piuttosto malvista dalla borghesia colta 2 5• Della famiglia in senso stretto faceva parte fin dall'inizio la sorella di Maria, Agathe, della quale il nipote parlava affettuosamente come della propria " seconda madre " . Ella contribuiva in modo essenziale al fatto che in casa fosse viva la passione per la musica: dal mattino alla sera si cantava o si eseguivano al piano brani di Bach, Mozart e Beethoven. Anche frequentare concerti era un'ovvietà per Adorno fin da quando aveva solo dieci anni e questi primi incontri con Mozart, Beethoven o Mahler gli restarono nella memoria anche da adulto 26• Agathe Calvelli non si prese cura soltanto dell'educazione musicale del nipote, ma an­ che di quella letteraria. Poche delle lettere che i due si scrissero si sono conservate, ma esse testimoniano con tutta chiarezza quanto la loro rela­ zione fosse profonda e basata su una fiducia senza riserve. Adorno ama­ va molto le due donne, la madre e la zia. Ricordava che da ragazzino aveva assistito «ad un concerto di beneficenza in cui sua madre aveva cantato. Poiché, come egli diceva, si identificava completamente con lei, alla fine degli applausi si era arrampicato sul podio e aveva comin­ ciato a declamare poesie, senza essere stato minimamente incoraggiato a farlo. Le proprie capacità retoriche egli le definisce "capacità di concen­ trazione", e l'impulso lo chiama esibizionismo» 27. Per la formazione della personalità di Adorno si può a buona ragio­ ne supporre che la struttura fondamentale sia derivata da una generale sensazione di sicurezza materiale ed emozionale, insieme al fatto di sen37

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tirsi in buone mani, sicuro, nella sfera della musica. La musica è stata il primo mezzo tramite il quale si realizzò, all'interno della famiglia, il le­ game tra Adorno e le due donne. Al contempo, il fatto di occuparsi di musica in modo approfondito costituì, per l'adolescente, una prima sor­ gente di successi personali. « Il fanciullo che crede di comporre quando brancola sulla tastiera del pianoforte, attribuisce a ciascun accordo, a ogni dissonanza e ad ogni passaggio sorprendente un significato straor­ dinario. Ascolta i suoni con la freschezza di chi non li conosce, come se quel rumore non fosse mai esistito, e ciò anche se si tratta di formule correnti, come se queste fossero di per sé caricate di tutto ciò che in quel momento passa nell'immaginazione del fanciullo» 28• In famiglia non si nutrivano dubbi sulle doti, confermate dai successi scolastici, del ragazzo, il quale, sul piano intellettuale, era nettamente superiore ai suoi coetanei. I legami familiari, dunque, durante gli anni d'infanzia e quelli dell'adolescenza di Adorno, furono caratterizzati in primo luogo dall'approvazione reciproca. Il figlio, con il suo comportamento da ra­ gazzo precoce e le sue qualità artistiche, sembrava corrispondere ai desi­ deri soprattutto della madre ed era così riuscito a sviluppare una certa sicurezza di sé, necessaria per diventare quella persona che egli intende­ va diventare. Certo, anche la vita avventurosa del padre di queste " due madri" deve aver avuto una certa importanza per l'immagine che il bambino aveva di sé e del mondo. Il leggendario nonno materno, l' ufficiale dell'e­ sercito francese proveniente dalla terra di Colomba, il soldato che, du­ rante gli anni passati in Algeria, si era difeso dagli arabi, l'uomo che ave­ va viaggiato nei paesi dell' Europa del Sud e che portava un nome dal magico suono italiano, si aggirava certamente nei panni di eroe fiabesco nei sogni infantili di quel ragazzo, già di per sé molto dotato di fantasia. Le " due madri " dovevano aver, per parte loro, contribuito non poco perché si continuassero a raccontare le avventure dell'eroe; Adorno, in­ fatti, parlava sempre con ammirazione di quel suo nonno. Che ruolo ebbe l'altro nonno, quello da parte di padre, col quale " Teddie " ebbe a che fare fino all'età della maturità ? In quanto apparte­ nente alla generazione della cosiddetta Rivoluzione industriale tedesca, questi probabilmente si identificava con l' imperatore e con l'impero più degli altri membri della famiglia. Non sappiamo se e in quale misura David Theodor si attenesse alle regole del modo di vivere ebraico. Certo però, se qualcuno vi si attenne nella famiglia, questi non poteva essere che lui, il quale certo si vedeva come ebreo riformato, ma al contempo

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sapeva comunicare l'impressione delle pratiche e dei dettami religiosi del suo popolo, della sua idea di unicità. E con l'esempio della propria persona ha fatto sì, forse nel modo più autentico, che il nipote si for­ masse un' idea di quali fossero le tensioni che si collegavano all' emanci­ pazione degli ebrei: il conflitto tra l'esigenza illuministica e libertaria dei cittadini attivi nel mondo economico ed assimilati dal punto di vista sociale, da una parte, e le tradizioni religiose che spesso sopravvivevano a lungo, come l'osservanza dello Shabbat, la circoncisione, le norme ali­ mentari . Della famiglia allargata dei Wiesengrund facevano infine parte di­ verse zie e zii di "Teddie", i quali vivevano per la maggior parte in con­ dizioni agiate, come Alice Betty Epstein e Jenny Villinger, che abitava­ no a Francoforte, o lo zio Robert di Londra, la cui famiglia ricoprì una notevole importanza quando Adorno, dopo la conquista del potere da parte del nazionalsocialismo, fu costretto a intraprendere nuovi studi universitari a Oxford. Ma di questa fase della sua vita avremo ancora modo di parlare. Il sistema di relazioni familiari in cui il bambino diventò grande e che sia quand'era ragazzo, sia da adulto costituì un elemento importante dell'orizzonte della sua esistenza, un sistema che coincideva con una certa visione del mondo, risulta composto di fattori insolitamente mul­ tiformi e di conseguenza interessanti: un insieme discontinuo di model­ li socioculturali di comportamento e di idee del mondo eterogenei. La capacità di tenuta di questa rete familiare molto estesa Adorno l'avrebbe messa alla prova tre decenni più tardi, e forzatamente, quando, per via del verdetto che lo bollava di una cosiddetta " origine ebrea per il 50 per cento ", il che equivaleva, sotto Hitler, alla disoccupazione, fu dipenden­ te da una fiducia senza riserve e dall'aiuto disinteressato e privo di torna­ conto. Benché Adorno, in seguito, nelle sue analisi sociologiche, abbia criticato il nucleo familiare borghese definendolo una «relazione natura­ le irrazionale», non si è tuttavia lasciato portare verso il disconoscimento dell'umanità di questa forma di vita primaria minacciata dalla disgrega­ zione. «In condizioni estreme e nei periodi conseguenti a queste, per esempio per i profughi, la famiglia si è dimostrata, malgrado tutto, for­ te, dando frequentemente prova di essere il centro di forza della so­ pravvivenza» 2 9.

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Tra Sachsenhausen e Atnorbach «Quando si è giovani, infinite sono le cose che vengono percepite come una promessa della vita, come un anti­ cipo di felicità [ ] » ...

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«In una sera di tristezza desolata e inconsolabile mi sono sorpreso ad adoperare il congiuntivo goffamente erroneo di un verbo che non è nemmeno propriamente tedesco corretto, una forma che appartiene al dialetto della mia città natale. Non mi era più accaduto di udire, e tanto meno di usare, quel solecismo famil iare fin dal tempo dei primi anni di scuola. La malinconia, che scendeva irresistibilmente nell'abisso dell'in­ fanzia, aveva ridestato, sul suo fondo, l'antico suono, in cui trovava espressione un desiderio impotente)) 2 • Tracce di ricordi d'infanzia come queste non soltanto portavano ad esperire direttamente ciò che era andato definitivamente perduto, ma hanno esercitato al contempo un ruolo ispiratore per tutta la vita nel pensiero di Adorno. In altre pa­ role: la sensibilità artistica e l'intelletto critico di Adorno traevano la propria materia da due fonti principali. Da un lato, non si considera mai in tutta la sua estensione l'estrema importanza che hanno avuto le esperienze felici risalenti all'infanzia e agli anni della giovinezza. La famiglia in cui era cresciuto corrispondeva esattamente, per molti tratti, all'immagine della famiglia borghese che Ma:x Horkheimer, nel suo saggio Autorità e famiglia, così avrebbe in se­ guito descritto : «In quell'unità, ciò a cui si tendeva era la possibilità d'e­ spressione e la felicità degli altri. Da questo clima si generava una situa­ zione di opposizione tra il nucleo familiare ed una realtà esterna ostile; la famiglia tuttavia non corrispondeva ad un'autorità borghese, bensì creava il presagio di una condizione umana migliore)) 3• Di tale presagio, avuto durante l'infanzia e negli anni giovanili, Adorno tornò spesso a parlare, quando si presentava l'occasione di ricordi biografici. Così ave­ va risposto, per esempio, alla domanda rivolta ad indagare perché fosse tornato in Germania, malgrado la barbarie nazionalsocialista che l'aveva obbligato ad abbandonare il paese: «Volevo semplicemente tornare là 41

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dove avevo trascorso la mia infanzia, alla fin fine perché sentivo che quel che si riesce a realizzare nella vita non è qualcosa di molto diverso dal tentativo di recuperare l' infanzia trasformandola)) 4• Dall'altro lato, il particolare clima sociale, culturale e politico che in quella fase degli anni venti fino all'emigrazione forzata era stato predo­ minate nella sua "città natale" non aveva comunicato soltanto un senti­ mento di appartenenza e di naturale sicurezza, così come si indovina dall' annotazione sul " congiuntivo sbagliato " (probabilmente kreechste, da kriegen) che aveva scritto durante gli anni d'esilio in America. Quella cultura specificamente cittadina aveva inoltre stimolato anche lo svilup­ po di un'autonomia spirituale e di pensiero. Adorno trascorse gli anni dell'infanzia fino allo scoppio della Prima guerra mondiale nell'ambiente aperto di una grande città, caratterizzato da molteplici contrasti. Da un lato, non era ancora terminata l'epoca dei reggimenti della guardia, delle manovre imperiali e delle parate na­ val i. Al contempo, tuttavia, nell'impero german ico dell'età guglielmina, insieme all'ascesa economica seguita alla guerra franco-prussiana e all'i­ nizio del nuovo secolo, si diffondeva la coscienza collettiva di una fama mondiale del paese. Questo atteggiamento non risultava ovvio soltanto per la vecchia e nuova élite al potere, come gli ufficiali, i latifondisti, i banchieri e i grandi industriali, ma era tipico anche della categoria degli alti funzionari e della borghesia pervenuta al benessere. Dall'altro lato, proprio nell'animo dei cittadini di vedute liberali impegnati nell' econo­ mia e nella cultura, i quali a Francoforte potevano richiamarsi ad un passato di città libera, andava facendosi strada - contrariamente alla mentalità corrente - un certo scetticismo riguardo alla megalomania na­ zionale. N o n di rado era possibile imbattersi in attitudi ni liberal i e so­ ciali vicine alla posizione del pastore francofortese F riedrich N aumann e del suo circolo social-nazionale 5, un atteggiamento mentale che soprav­ visse alla disfatta della Prima guerra mondiale ed ha probabilmente faci­ litato l'identificazione con la democrazia parlamentare della Repubblica di Weimar 6• Nel suo romanzo Ginster, pubblicato nel 1928, Siegfried Kracauer, il quale a quell'epoca lavorava nella redazione delle pagine culturali della rinomata " Frankfurter Zeitung" e al quale il giovane Wiesengrund era legato da stretta amicizia fin dai suoi anni di liceo, ci fornisce una de­ scrizione scaturita proprio dal sentimento di appartenenza a quel tem­ po, la descrizione di quella 42

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grande e storica città, sulla riva di un fiume, in mezzo ai Mittelgebirge come altre città F. usava il suo passato per incrementare il turismo. Incoronazioni imperiali, congressi internazionali e una festa nazionale degli Schi.itzen venivano regolarmen­ te ospitati fra le sue mura, che già da tempo erano state trasformate in giardini pubblici . (Al giardiniere era stato dedicato un monumento.) Alcune famiglie cri­ stiane e ebree di F. vantavano un'origine antica. Ci sono anche famiglie senza li­ gnaggio che hanno dato vita a istituti bancari in rapporto con Parigi, Londra e N ew York. I luoghi di culto e gli uffi ci della borsa sono divisi solo topografica­ mente

7•

Il processo di industrializzazione si era affermato tardi e in modo esitan­ te nella libera città di Francoforte del XIX secolo. C'erano le barriere di una tradizione che derivavano dalla funzione economica della città e dali' immagine culturale che essa aveva di sé: essere un centro di servizi soprattutto per le banche ed il commercio 8• Di conseguenza fu ai capi­ tal i d'esercizio e ai capitali finanziari che per lunghi periodi si diede la precedenza, rispetto ai capitali industriali. Questa particolarità marcò ancora per lungo tempo la struttura della città alla sua base e nel suo aspetto. Di quest'ultimo facevano ancora parte, nella prima infanzia di " Teddie ", i carri a cavalli e le vetture di piazza. Era appena arrivata la corrente elettrica per quel che riguarda i mezzi pubblici: al posto dei tram a cavalli o a vapore stava arrivando il tramway. Il traffico delle auto cominciò via via ad aumentare di pari passo con il pulsare della vita pro­ prio di una metropoli. L'immagine della città era caratterizzata soprat­ tutto dalla presenza di uomini d'affari e commercianti, più da garzoni di artigiani che da operai di fabbrica, e inoltre da scolari che frequentavano gli oltre dodici licei, le otto scuole medie, le trenta scuole elementari e le quattro scuole private ebraiche; c'erano poi, naturalmente, le signore della buona società le quali, elegantemente vestite, passeggiavano lungo le strade più nobili della città con i loro copricapo arrivati direttamente da Parigi, le massaie, e la gente che in costume regionale arrivava in città dalla campagna soprattutto nei giorni di mercato. Nell'intrico di stradi­ ne intorno al Romerberg, alla Schirn e al duomo c'erano posticini ed angoli in quantità in cui ci si poteva fermare a chiacchierare in quel dia­ letto di Francofo rte di cui Adorno ebbe per anni una padronanza per­ fetta e che di quando in quando usava anche. Le aree costruite, che an­ davano aumentando intorno al centro, erano vaste, ogni quartiere della città aveva il suo proprio carattere originale. La mattina il trasportatore di ghiaccio, annunciandosi con la sua campanella nelle abitazioni, con43

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segnava pesanti blocchi per i frigoriferi dei benestanti. In estate le donne dei monti del Tanus e dello Spessart venivano ad offrire i loro mirtilli lodandoli a squarciagola, ed i contadini della Wetterau le loro patate, spesso riuscendo ad avere la meglio sulle grida degli stracciaioli, che era­ no particolarmente abili a farsi notare con insistenza: «Ferri vecchi, ossa, stracci, bottiglie, carta !)). Il lattaio faceva le sue consegne ogni mattina così come il commerciante di generi alimentari 9. Le condizioni abitative dei Wiesengrund erano al di sopra della me­ dia, anche se non da alta borghesia come nelle ville patrizie del quartiere del Westend, vicino al " giardino delle palme " . La casa che si erano co­ struiti nella Seeheimer Strage, tuttavia, con le sue finestre dalle cornici in arenaria, corrispondeva all'elevato tenore di vita degli esportatori di vini. Con due piani e mezzo a disposizione, la famiglia poteva vivere co­ modamente in grande stile ed in estate fare anche uso del giardino situa­ to dietro la casa, nel quale il bambino, giocando, poteva dar seguito alle proprie fantasie. Non pochi stimoli a fantasticare doveva aver fornito anche l'arredamento della casa, che, secondo il gusto del tempo, era co­ stituito da mobili «negli stili dei più svariati periodi)) i quali andavano a costituire una tale mescolanza da rappresentare quel che Walter Benja­ min chiamava «il carnevale degli stili» 10 • Architettonicamente, la casa dei Wiesengrund era organizzata per esercitare una doppia funzione, tipica del modo di vivere borghese: da un lato garantiva una certa intimità al suo interno, dall'altro mostrava all'esterno, con intenti rappresentativi, un certo tipo di vita familiare. C'erano infatti, accanto alle stanze di servizio e alla cucina, gli spazi pri­ vati e le stanze da letto; a ciò venivano ad aggiungersi le stanze pubbli­ che, e cioè la sala di soggiorno, che come d'obbligo era ornata di dipinti quali ad esempio, come Adorno ricordava, L 'isola dei morti sopra il buf {et, e la sala da musica con il pianoforte al centro. Non è certo se gli og­ getti d'arredamento, «per rispetto nei confronti degli strumenti musica­ li, venissero tenuti ad una certa distanza, e se nei pressi del pianoforte [ . . . ] potessero intrattenersi soltanto persone» che, come dice Kracauer, «si accostassero con rispetto)) alla vita emotiva che veniva destinata a quello strumento 11 • In casa Wiesengrund, comunque, il pianoforte non aveva affatto la funzione di pura decorazione e non era neppure il sim­ bolo dell'interesse, sempre limitato per questioni di tempo, che le perso­ ne attive nel mondo economico dedicavano al mondo musicale. Il pia­ noforte era parte integrante di una vita in cui fare musica quotidiana­ mente appariva qualcosa di naturale. Per Adorno, che frequentava già le 44

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sale da concerto, era naturale anche >, a Francoforte fosse stato realizzato un ma­ gnifico programma comprendente ben sette concerti di musica da ca­ mera. L'unica cosa di cui rincrescersi è il fatto che per via delle compli­ cazioni politiche che caratterizzano il rapporto con il paese con cui la Germania confina a ovest, la moderna musica francese non sia rappre­ sentata nel programma. Il pubblico, tuttavia, è stato risarcito di questa mancanza con l'esecuzione di composizioni di Schonberg, Schreker, Stravinskij , Bart6k, Busoni, Delius e Hindemith. «Infatti, tutto ciò che avrebbe potuto ridurre l'attenzione obiettiva, e cioè il lusso della bella società, la capacità numerica di una moderna orchestra, il culto del vir­ tuosismo del direttore d'orchestra, fu escluso. Bisogna ringraziare Her­ mann Scherchen [ . . . ] se questo festival ha avuto luogo e si è limitato a condurre una discussione su temi seriamente artistici, senza fare conces­ sioni a quella concezione volgarmente godereccia della musica propria di una gran parte del pubblico» 55• Come abbiamo già constatato, in quest'atteggiamento non soltanto risulta degna di nota la critica alle aspettative di carattere confortevole-culinario del pubblico nei confron61

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ti della cosiddetta musica seria, ma anche l'attitudine ascetica del giova­ ne autore. Alla base di essa può esserci il biasimo di un certo stile di vita che, dopo la riforma valutaria nell'autunno del 1923 ed il cosiddetto " m iracolo del marco tedesco ", era caratteristico delle grandi città come Berlino e Francoforte. Ad Heilbrunn rimase impresso nella memoria che «la gioia per il risanamento dell'economia [ . . . ] si [esprimeva] con un impulso intensificato a voler godere della bellezza e delle gioie del mon­ do . I balli e le feste della stagione invernale fecero dimenticare con qual i sacrifici il nuovo ordine delle cose era stato ottenuto» 5 6. Denunciare questa spensieratezza ostentata come la prova della depravazione del mondo borghese era un atteggiamento tipico della cerchia degli intellet­ tual i di sinistra. Adorno non era dunque solo quando si indirizzava con­ tro la prosecuzione della tradizione musicale classica borghese in nome della classicità ed attaccava la superficialità del divertimento. Dalla mu­ sica pretendeva serietà umana, forma severa, ed il superamento dell'abi­ tudine tramite l'atonalità. Questo tour d'horizon musicale dello studente di filosofia, in occa­ sione della settimana della musica da camera nel difficile anno 1923 , re­ stò all'epoca inedito. Il manoscritto può nondimeno essere letto come una testimonianza della sua personale percezione dell'atmosfera intellet­ tuale del tempo. In esso, così come anche in altri testi, il giovane autore vede e giudica ogni fenomeno culturale in relazione alle particolari con­ dizioni degli anni del dopoguerra, alla miseria che affliggeva il paese; ma esprime al contempo in modo abbastanza chiaro la speranza nell'avven­ to di altri tempi. Adorno auspicava una cesura, rifletteva su qualcosa che fosse radicalmente altro proprio nell'ambito dell'arte, della musica e della letteratura. L'immagine che Wiesengrund-Adorno aveva di sé era quella di un intellettuale: non quella di uno spirito necessariamente solitario, ma di qualcuno che assumeva su di sé il rischio della provocazione. Annove­ randosi già presto, da liceale, tra gli individui interessati all'erudizione e alla cultura, si comportò, parlò e scrisse in modo conforme all' immagi­ ne di questo gruppo di persone. Autodefinirsi un intellettuale corri­ spondeva ad una propensione giovanile allo snobismo di cui egli non fa­ ceva mistero. A simbolo di questa tendenza c'era «il fatto che egli non voleva portare un orologio da polso e che già allora, esercitandosi nel ge­ sto del vecchio zio di una passata generazione, di quando in quando estraeva dalla giacca il suo orologio d'oro a ripetizione e faceva rintocca­ re l'ora e il quarto d'ora al meccanismo dell'orologio; non c'era bisogno

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di sollevare il coperchio del quadrante, era sufficiente il segnale acustico che dispensava dalla lettura delle lancette: e così facendo soleva qualche volta darsi il nome di Dapsul von Zabelthau, il mago del racconto di E. T. A. Hoffman n)) 57• Il suo gradevole modo di comportarsi era quello del colto figlio di una famiglia borghese che sapeva condursi ammodo ed educatamente, e cioè che conosceva perfettamente le convenzioni del suo milieu sociale. Proprio grazie a ciò, a quell'intellettuale adolescente che si considerava un fautore delle Avanguardie riuscì ad imporre l' ese­ cuzione, all'interno di circoli privati, delle opere della Seconda scuola di Vienna da parte del quartetto del violinista Rudolf Kolisch, che perso­ nalmente egli riteneva eccellente. E se le sue iniziative avevano risonan­ za, il suo impegno, allora, non aveva limiti. Già da liceale dedito a tutto ciò che avesse a che fare con la sfera intellettuale non si lasciava sfuggire nessuna occasione per avviare una discussione sulla filosofia o la lettera­ tura. Siegfried Kracauer è soltanto una delle persone, ma una delle più importanti, tra quelle con cui egli faceva filosofia già ai tempi della scuo­ la. «Per anni)) ' avrebbe raccontato in seguito Adorno, «egli lesse con me, regolarmente, di sabato pomeriggio, la Critica della ragion pura. Non esagero nemmeno un po' se dico che devo più a questa lettura che ai miei professori d ' università)) 58 • Tramite tale constatazione Adorno di­ chiara apertamente che durante gli anni del liceo ed i primi anni di uni­ versità era stato fortemente influenzato dalla concezione del mondo di Siegfried Kracauer. Questo intellettuale, che come il suo discepolo non rispettò mai la separazione convenzionale tracciata tra gli ambiti intel­ lettuali e le singole scienze, era nato nel 1889 ed era il figlio di un mode­ sto commerciante ebreo. Era cresciuto presso uno zio che insegnava al Philanthropin, il ginnasio riformato della comunità israelitica e che, nel quadro di questa attività, aveva raccolto una documentazione sulla sto­ ria degli ebrei di Francoforte. Per assicurasi una tranquillità materiale e professionale Kracauer aveva studiato dapprima architettura a Darm­ stadt ed in seguito anche filosofia e sociologia a Berlino, dove entrò in contatto con Georg Simmel. Tra Siegfried Kracauer e il suo protetto c ' era una differenza d'età di quattordici anni. Eppure questo fatto non costituì mai un problema in quell'amicizia che durò per una vita intera, pur attraversando talvolta fasi di difficoltà. Il loro carteggio, che copre quasi quattro decenni, do­ cumenta in modo a volte quasi imbarazzante che tra i due amici, mal­ grado l ' attaccamento reciproco, si verificavano continuamente dei con­ trasti e dei conflitti scatenati da gelosie; offese e divergenze d'opinione

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facevano sì che periodicamente il contatto si interrompesse. Tali diver­ genze, naturalmente, avevano ben poco a che fare con la differenza d'età che intercorreva tra quei due cervelli estremamente caparbi, bensì, ap­ punto, con il rispettivo persistere nel proprio punto di vista. In un arti­ colo dal titolo Sull'amicizia Kracauer riflette sulla simpatia sussistente tra persone di età diversa: «Il giovane che è ancora in piena evoluzione cerca nell'amico una conferma dei suoi progetti e del suo atteggiamento spirituale. Egli trova appoggio nell ' amico più anziano anche quando questi lo contraddice, poiché nel suo animo non ancora intimamente disciplinato il fatto di incontrare dei limiti definiti produce un effetto benefico. [ . . . ] Egli apre il suo cuore, esprime le sue idee in lunghi mono­ loghi [ . . . ] ; si pone al centro dell'interesse)) 59• Per il più anziano, invece, le insistenti domande del giovane rappresentano una sfida continua che «mantiene vivi il suo spirito e il suo cuore, lo libera dai vincoli quotidia­ ni e lo riconduce costantemente alle fonti che scaturiscono dal suo ani­ mo, al centro del suo essere)) 60 • L'oggetto di quelle fondamentali di­ scussioni tra Kracauer e Adorno aveva principalmente a che fare con questioni estetiche. Si trattava di valutare il rapporto (conciliabile o in­ conciliabile) che sussisteva tra la cultura di massa e l'opera d'arte auten­ tica. Quando Adorno, alla metà degli anni venti, si occupò di questo ar­ gomento prendendo come esempio la musica, tra i due si instaurò per la prima volta un rapporto concorrenziale che finì per mettere in luce in modo sempre più netto le differenze tra i due modi di accostarsi a forme estetiche della quotidianità, orientati rispettivamente verso la critica della cultura ed un taglio più specificamente sociologico. È risaputo che Kracauer e Adorno, negli anni venti, si vedevano re­ golarmente per studiare insieme a fondo alcune opere filosofiche. Dap­ prima si era trattato delle Critiche di Kant, in seguito furono le opere di Hegel e di Kierkegaard ad essere discusse. In quest'attività, il più giova­ ne era anche l'apprendista, chi imparava; e fu per lui, come egli stesso ebbe a dire in seguito, che l'altro aveva "fatto parlare" la filosofia. Aveva interpretato per lui i testi filosofici come se fossero una «specie di scrit­ tura cifrata dalla quale si poteva leggere per estrapolazione lo stato stori­ co dello spirito)) 61 • La prospettiva seguita dalle loro discussioni conside­ rava le diverse filosofie come campi di forze: «Senza che io avessi potuto rendermene completamente conto)) ' constata retrospettivamente Ador­ no, «fu grazie a Kracauer che compresi il lato espressivo della filosofia: dire ciò che ti nasce dentro)) 62 • Ciò aveva luogo durante quello che l' in­ terlocutore di Adorno chiamava un dialogo fecondo. In un saggio del

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marzo 1923 per la " Frankfurter Zeitung" Kracauer scrive, usando una formula leggermente ricercata, che la verità viene cercata nella «lotta delle forme» . Si perviene così ad «atti di generazione spirituale» . Dopo il dialogo, nessuno dei partecipanti «è lo stesso di prima [ . . . ] i frutti che ne risultano sono generati da quell'evento, da quell'unione esistenziale [ . . . ] , il dialogare diventa con-vivere ed entrambi gli individui, esercitando re­ ciprocamente un'azione maieutica, avanzano uno grazie all'altro nella loro esistenza)) 63. Della cerchia di amicizie di Kracauer faceva già a quel tempo parte Leo Lowenthal che tramite questi fece la conoscenza di Adorno proprio nel periodo in cui stava terminando la maturità 64• La descrizione che egli ne dà, ricordandosi dell'allora diciassettenne, è quella di una persona «che corrisponde all'immagine classica del poeta, ha un modo raffinato di muoversi e di parlare)) 6 5• Anche Lowenthal, che era nato a Francoforte sul Meno nel novembre del 1900, proveniva da un milieu familiare simile a quello di Adorno, che era più giovane di lui di tre anni. Contro il volere del padre, che era medico, il figlio, dopo un esame di maturità in sessione straordinaria nel 1918, studiò (a Fran­ coforte, Giessen ed Heidelberg) quasi tutto, eccetto medicina. Il suo orientamento pol itico socialista non gl i impedì di partecipare, già du­ rante gli studi, alle attività del libero Lehrhaus eb raico di Francoforte, «una sorta di università popolare ebraica i cui padri spirituali erano Franz Rosenzweig e Martin Buben) 66 . Nel 1923 si laureò all'università di Francoforte con una tesi sulla filosofia sociale di F ranz von Baader. Poco tempo dopo che Kracauer e Adorno avevano fatto conoscenza a Francoforte, Kracauer pubblicò il suo studio gnoseologico Sociologia come scienza, che aveva iniziato nel 1920 . Uno dei pensieri che più fre­ quentemente vi compaiono e che concerne la situazione storica dell'e­ poca, esprime la convinzione che, di fronte alla dissoluzione dei legami di senso in un mondo caotico, il soggetto, solitario, possa trovare soste­ gno soltanto in se stesso : «Il dileguarsi del senso causa la caduta dell'es­ sere umano nell'inferno del tempo storico; il senso, che in passato era dato, viene ora cercato da singole persone [ . . . ] in diversi modi)) 67. Per­ ciò è necessario che la sociologia, il cui compito è quello di penetrare nella concreta massa dei fenomeni, «ritrovi la strada per la sfera della realtà individuale)) 68• Queste formulazioni hanno chiaramente colpito molto Wiesengrund che, studente al primo semestre, stava familiariz­ zando con l'università e la cultura accademica. Lo stesso anno, infatti, in cui Krakauer pubblicò quello scritto, Adorno scrisse in una delle sue recensioni musicali le seguenti frasi, che si avvicinavano molto alle ri-

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flessioni dell'amico: «Soltanto a partire dall'Io e dagli effetti delle sue decisioni è possibile superare l'Io, noi non siamo contenuti in un invo­ lucro oggettivo, dobbiamo costruirci la nostra casa da soli» 69• Questa formulazione potrebbe essere l'epigrafe per la posizione in­ tellettuale, sviluppata in modo sorprendentemente chiaro e di conse­ guenza dai contorni ben definiti, di quello studente in filosofia che oltre ai suoi studi di composizione al conservatorio Hoch redigeva instanca­ bilmente recensioni e critiche musicali e di concerti e cercava di pubbli­ carle. Come podio per queste attività aveva a disposizione una serie di rinomate riviste specializzate, come ad esempio la " Zeitschrift fiir Mu­ sik", i " Neue Blatter fiir Kunst und Literatur" e più tardi anche i "Mu­ sikblatter des Anbruchs " e " Pult und Taktstock ", che venivano pubbli­ cati a Vienna. Quel che c'era di fuori dell'ordinario in quelle critiche su esecuzioni musicali degli anni venti era per prima cosa l'estrema sicurez­ za di sé nella presa di posizione, profondamente elitaria e molto diffe­ renziata nell'analisi, riguardo alle opere musicali e alla loro esecuzione nel quadro, ad esempio, delle " giornate di musica da camera contempo­ ranea alla società per il teatro e la cultura musicale " che all'epoca aveva­ no luogo regolarmente, nell'ambito dei "concerti della Società del mu­ seo " ed anche all'Opera. Le sue prese di posizione e i suoi commenti sulla vita musicale in città sono un indizio del fatto che il giovane di rado perdeva un concerto o la rappresentazione di un'opera lirica. S ullo sfondo di queste esperienze egli prendeva decisamente posizione in rela­ zione a ciò che era stato musicalmente prodotto da compositori quali Schonberg, Hindemith, Jarnach, Bart6k, Krenek e Stravinskij , ma an­ che da personalità meno famose, come Weill, Hoff, Sekles e Wolpe. Il castello di Barbablù di Bart6k, ad esempio, viene giudicato distruttiva­ mente con le parole «tarda fioritura di un " impressionismo dell'ani­ ma "» 70, mentre alla sonata per pianoforte e violino dello stesso compo­ sitore viene conferito il titolo di migliore sonata da camera contempo­ ranea. Chi si sentiva in grado di pronunciare valutazioni così nette, non aveva neanche timore di giudicare quale, ai suoi occhi, fosse buona o cattiva musica. In effetti, il critico musicale tracciava un confine netto in questo ambito. Da una parte c'era la musica come artigianato artisti­ co, come creatrice di atmosfere, la musica intrisa di cattivo pathos e di sentimentalismo che corrisponde al livello degli amici del " piacere mu­ sicale". Dall'altra era possibile trovare quelle rare, ma significative ecce­ zioni, le quali scaturivano da un modo di comporre non convenzionale 66

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e radicalmente moderno ed il cui comune tratto stilistico era la rinuncia alla successione armonica nella tonalità. Questa musica delle Avanguar­ die - il riferimento è a Schonberg, Hindemith, Bart6k, Jarnach, Krenek ecc. -, sempre secondo Adorno, risulta convincente tramite la coerenza della costruzione compositiva che «fa fronte al tempo tramite la for­ ma)) 7 1 • A questo tipo di costruzione razionale Wiesengrund opponeva, in molti passi delle sue critiche, l' «opera d'arte puramente organica, come inganno degli animi ciechi)) 72 • Egli si rifiutava, naturalmente, di elargire il proprio plauso ad ogni pezzo musicale che intendeva annoverarsi tra i Moderni, che cercasse di essere contemporaneo, per esempio tramite una ritmica diversa e nuovi temi: «La fede nell' incessante progresso artistico deve essersi affievolita anche in coloro che nella lotta contro un rigido esercizio dell'arte posso­ no sentirsi, con qualche ragione, dei portatori di progresso)) 73• Egli di­ mostrò certo chiaramente di essere un protagonista delle Avanguardie, ma seguì anche le tracce delle incoerenze della modernità musicale, ten­ tando di mostrare che la mera prosecuzione della tradizione porterebbe alla strada senza uscita della classicità, della musealizzazione. Il fatto che entrambi questi elementi possano coesistere, egli lo dimostrò per la pri­ ma volta nella critica di un concerto dell'agosto del 1923 prendendo come esempio Stravinskij , un compositore verso il quale in seguito e permanentemente sviluppò un atteggiamento polemico e di rifiuto. Si trattava dell'esecuzione, a Francoforte, di L 'Histoire du soldat, un'opera in cui Wiesengrund non trovò neanche un tratto positivo; cosa che ac­ cadde, del resto, anche due anni dopo, nella critica di varie esecuzioni avvenute nel quadro di un festival dedicato alla musica di Stravinskij . Secondo Adorno, il compositore certo tenta di superare le forme tradi­ zionali, ma tale superamento non viene compensato nell'elaborazione di una creazione che sia convincente come alternativa: «Le vecchie for­ me sono distrutte, l'animo privo di forma si ristora delle rovine. Vive Stravinskij, vive Dada: ha demolito il tetto e adesso la pioggia gli cade direttamente sulla testa calva. Questo genere di Modernità si esaurisce nella mera esteriorità delle feste di artisti parigini, nel fumo delle sigaret­ te e nell' épater le bourgeois; come triste burla da bohémien, passi, ma presa sul serio non è che letteratura sulla civilizzazione musicale)) 74. Così come il giovane critico non aveva peli sulla lingua quando si trattava di dare una valutazione pubblica di un compositore e di un vir­ tuoso internazio nal mente stimato, allo stesso modo questi non si lascia­ va impressionare dall' industriosità della vita musicale di Francoforte, di

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cui egli era parte. Nella critica di un concerto del dicembre del 1924 tro­ viamo un'affermazione lapidaria secondo la quale ci sarebbe poco di po­ sitivo da riferire sulle attività concertistiche di Francoforte, anzi, per quel che concerne la musica da camera c'è proprio poco da stare allegri, e l'Opera - come attesta una superfi c iale messa in scena del Flauto magi­ co - è scesa al livello di un mediocre teatro di provincia. Perché tanta de­ solazione nella cultura musicale cittadina ? Perché questa, a Francoforte, « [è orientata secondo] ciò che già esiste e che è l' unico vero potere qui al quale deve sottomettersi chiunque voglia restare» 75• Si ha, tuttavia, qualche caso eccezionale che il critico musicale fa en­ trare sempre nel discorso, prima di tutto Hermann Scherchen, che in qualità di direttore dei concerti dell'orchestra della Società del museo conquista per la sua " seria oggettività". Oppure il direttore austriaco Erich Kleiber, che si è messo in luce nella veste di responsabile dell 'or­ chestra scolastica del conservatorio Hoch, «affine a Bruno Walter come tipo di diretto re d'orchestra, possiede, come quello, una naturalezza leg­ gera e un amore cristallino per il dettaglio, ma pare più duro, e non esal­ tato e tenero. Se un tale modo di dirigere viene dalla routine, allora non si dovrebbe dir niente di male della routine» 7 6• Anche direttori d'orche­ stra oggi dimenticati come Reinhold Merten ed Ernst Wendel incontra­ vano il favore del critico, così come i solisti del Rebener-Quartett, dello Amar-Quartett e del Lange-Quartett. Un tratto tipico delle critiche ai concerti e alle opere liriche compo­ ste dal giovane Adorno non si esauriva soltanto nella chiarezza delle pre­ se di posizione in questioni musicali; infatti, egli mostrava, tramite i concetti che usava, di nutrire anche ambizioni filosofiche oltre ad inte­ ressi musicali. La tendenza ad indirizzarsi verso temi appartenenti al­ l' ambito della critica della cultura, certamente ancora poco marcati nel­ l'autore, il quale peraltro si trovava soltanto all'inizio della propria for­ mazione universitaria, era comunque ravvisabile nell'uso (che talvolta dà l'impressione di essere posticcio) di immagini oscure quali «assenza di vincoli», «condizione apolide dell'anima», «epoca disperata in cui l'essere umano viene al mondo». In questo trovava espressione anche un'attitudine piuttosto diffusa tra gli intellettuali dell'epoca, secondo la quale i valori religiosi erano ormai crollati ed occorreva rinunciare non soltanto ad ogni speranza di trascendenza, ma anche ad un'etica sostan­ ziale. Perciò qualsiasi promessa di una nuova metafisica non poteva che rivelarsi ingannevole: «Non si può costruire una cattedrale se non c'è una comunità che ne avverte ardentemente il bisogno)) 77• Tali riflessio68

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n i sulla condizione storica dell'essere umano si mescolavano ad elementi di una filosofia della vita che lo studente di fil osofia non doveva soltanto alla lettura, per esempio, di Nietzsche, Kierkegaard e Schelling. L'in­ flusso che qui sembra farsi maggiormente sentire è quello del suo pro­ motore spirituale Siegfried Kracauer, il quale in quel periodo aveva for­ mulato un'aspra critica in relazione alla recente pubblicazione di Vom Ewigen im Menschen (L'eterno nell'uomo) da parte di Max Scheler, nonché al volume di Ernst Bloch Thomas Miinzer. La conseguenza esi­ stenziale, infatti, che Kracauer traeva dal caos del mondo da lui diagno­ sticato - come aveva scritto in un articolo delle pagine culturali della " Frankfurter Zeitung" del marzo 1922 - consisteva in un'attitudine di «attesa» concepita come «aprirsi esitante)) 7 8 • Tale atteggiamento di atte­ sa derivava, secondo Kracauer, da una insicurezza generale nella visione del mondo. Un a siffatta incertezza, a sua volta, era causata dalla soffe­ renza provata dagli individui responsabili per l'assenza di senso dell'esi­ stenza e l'isolamento: «La mancanza di legami con l'assoluto e l' isola­ mento si sviluppano in un relativismo spinto all'estremo. Poiché a questi individui mancano punti d'appoggio e fondamento, il loro spirito va alla deriva, è di casa dappertutto e in nessun luogo)) 79• Da questo sradi­ camento spirituale non c'è via d'uscita che conduca ad una qualche evi­ denza. Anche cercare rifugio in tradizioni di fede ormai superate risulta­ va una via impraticabile, così come non poteva esserci salvezza in dog­ matiche pseudo-religiose, neanche se della qual ità, per esempio, delle idee di uno Stefan George o di un Rudolf Steiner; anche nel messiani­ smo proveniente dal partito comunista non poteva dirsi insito alcun tipo di salvezza. Kracauer, tuttavia, non intendeva accontentarsi del modo di reagire tipico dello scettico per principio e del desperado intel­ lettuale. Per questa ragione, all'inizio degli an ni venti, si era dichiarato a favore della sobrietà e della disillusione, parlando della «capacità di resi­ stere)) di una sorta di «coraggio di fronte allo sgomento del vuoto dila­ ' gante)) 80• Poche settimane dopo aver pubblicato questo saggio programmati­ co, Kracauer trascorse le vacanze di Pasqua ad Amorbach insieme al suo amico Wiesengrund-Adorno. Può essere che i due abbiano intrapreso da lì il loro viaggio alla volta di sperdute località dello Odenwald. N el maggio del 1923 , Kracauer aveva pubblicato sulla " Frankfurter Zeitung" un resoconto sulle impressioni suscitate in lui dal paesaggio e le espe­ rienze vissute in quel viaggio. Nel «susseguirsi emotivo di quella strada

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di montagna» egli racconta che i viaggiatori si sentivano come se stesse­ ro camminando per i sentieri della Provenza o della Toscana. «Perché lì eravamo nel S ud, in un vero e proprio sud in cui ci ad­ dentravamo sempre più, eravamo personaggi in un dipinto, nel quale procedevamo con fiero incedere. Fresche stanze scherma te da veneziane si aprivano davanti a noi e più tardi sedevamo ad un grande tavolo nel giardino dell'albergo, sorpresi soltanto del fatto che il cameriere non parlasse ital iano» 8 1 • L'accompagnatore del narratore, che come questi era estasiato dalla regione e dall'atmosfera, portava un nome italiano, Gianino; quando vide un pianoforte in un caffè non poté «resistere, iniziò a suonare le amate melodie e con il contrappunto del tintinnar delle tazze fece sgor­ gare allegria dai neri tasti riempiendo di note quel mondo quasi estin­ to» 82 . Dal momento che non c'era nulla che i due amici facessero più vo­ lentieri di litigare in merito a questioni filosofiche, non c'è dubbio che il più giovane conoscesse perfettamente sia i libri, sia gli articoli del suo mento re, anche quand'erano ancora in forma di abbozzi manoscritti. Ciò vale specialmente per un testo di Kracauer che rivela il suo partico­ lare interesse per un genere della letteratura popolare. Il soggetto certo insolito al quale aveva dedicato il proprio interesse intorno al 1922 era il romanzo poliziesco, che entrambi apprezzavano in egual misura come lettura serale. Ma per loro non si trattava soltanto di un divertimento, al contrario, questo genere letterario Kracauer lo considera a partire da una prospettiva insolita, e cioè da un punto di vista filosofico, come la­ scia intendere il sottotitolo del trattato. Egli lo dedica «All'amico Theo­ dor Wiesengrund-Adorno» che, in quel periodo, aveva iniziato a studia­ re filosofia ed aveva scritto quelle aspre critiche teatrali e pubblicato quei resoconti musicali di cui abbiamo parlato . Al centro delle riflessio­ ni di Kracauer si trova l'intreccio di relazioni esistente tra il detective, la polizia e il criminale . «Senza essere opera d'arte pura, il romanzo poli­ ziesco mostra ad una società privata di realtà il suo vero volto, più au­ tentico di quanto essa non l'abbia mai visto. In esso [romanzo polizie­ sco] gli esponenti e le funzioni della società prendono coscienza di se stessi e rivelano il loro significato recondito)) 8 3 • Del personale piacere insito nella lettura di tale letteratura il trattato di Kracauer non fa quasi cenno. Già dalle prime pagine, infatti, l'interpretazione si muove all'in­ terno dell'astratto dominio della filosofia della religione, e niente meno che quella di Seren Kierkegaard, i cui scritti, spesso aspramente polemi70

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ci, come per esempio Il concetto dell'angoscia: la malattia mortale, Timo­ re e Tremore, Aut-Aut, avrebbero dato ancora molto da pensare a colui al quale Kracauer aveva dedicato il proprio trattato filosofico. Per l'este­ tica di Kierkegaard, in effetti, lo studente di filosofia Adorno nutrì un forte interesse fin dall'inizio della sua carriera accademica come libero docente e lo scelse come tema della sua tesi di abilitazione, incoraggiato probabilmente da formulazioni presenti in Il romanzo poliziesco, come ad esempio: Il peccato, che nelle sfere superiori è una determinazione dell'essere, il pericolo che minaccia simbolicamente dall'esterno, il segreto che interviene dall 'alto: tutto ciò che spezza la sicurezza momentanea viene rappresentato unitariamente nelle regio­ ni inferiori dalle incarnazioni dell'illegalità, le quali dominano uno spazio vuoto (dello spirito e del senso) allargato infinitamente dalla ratio e praticano le loro atti­ vità tra gli atomi che si muovono in modo regolare. [ . . ] I personaggi che fanno .

parte del mondo legale non si accorgono che è nell'infrazione della morale che l'e­ ticità, che era stata scacciata, può manifestarsi, che l'omicidio può non essere sol­ tanto omicidio bensì può significare anche l'eliminazione dell'ordinamento uma­ no da parte del segreto superiore

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La prima pubblicazione di Adorno in forma di libro, la sua tesi di abili­ tazione, nel 1931, aveva come oggetto la filosofia dell'esistenza di Kierke­ gaard. Quando il volume, che portava il titolo La costruzione dell'esteti­ co, uscì presso l'editore } . C. B . Mohr (Siebeck) , l'autore colse l'occasio­ ne per sdebitarsi della dedica che gli era stata fatta sei anni prima: sulla prima pagina dell'opera fu scritto «Al mio amico Siegfried Kracauer)) . Anche dal punto di vista tematico c'erano dei punti di contatto; per esempio la dottrina delle sfere di Kierkegaard e la sua concezione dell'es­ sere umano come "essere intermedio " . La condizione precaria di tale creatura consisterebbe nel fatto che essa è lontana sia dallo stato di natu­ ra, sia dall'unicità di Dio, avendo però una relazione cosciente con la propria esistenza. Quando Kracauer scrisse il suo Romanzo poliziesco, mise a profitto la propria lettura di Kierkegaard, ma non poteva minimamente prevedere l'influenza ispiratrice che avrebbe avuto sul suo zelante discepolo. Del suo ampio trattato, Kracauer poté pubblicare soltanto un piccolo estrat­ to, nella raccolta di saggi La massa come ornamento: il capitolo La hall d'albergo, che è forse la parte più originale. La hall dell'hotel è per Kra­ cauer il pendant della casa di Dio e il luogo deputato in cui il detective 71

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che è egli stesso, in quanto rappresentante della ragione superiore, una figura simile a Dio - fa la sua apparizione. Degne di nota erano alcune form ulazioni nella parte finale del Romanzo poliziesco, nelle quali veni­ vano sviluppati argo menti che, manifestamente, sono confluiti nella cri­ tica di Adorno della cultura popolare. Kracauer constatava che il finale di ogni storia poliziesca era sempre una «fine senza tragicità», «ma per­ vasa da quel sentimentalismo che è un elemento costitutivo del kitsch. Non c'è romanzo poliziesco in cui il detective non faccia luce su faccen­ de poco chiare e non dia una conclusione ai banali fatti senza lasciare la­ cune; e solo pochi, alla fine, non uniscono una qualche coppietta» 8 5• Nella prima testimonianza dell' interesse di Adorno per la cultura popolare, le Schlageranalysen (analisi delle canzonette) che egli pubblicò nel numero del marzo 1929 della rivista "Anb ruch ", non si serve soltan­ to del concetto di "commessa" , introdotto da Kracauer nel proprio stu­ dio sugli impiegati. Anche le sue osservazioni sul Kitsch hanno un'evi­ dente affinità con le tesi che erano state portate avanti da Kracauer nel Romanzo poliziesco. Le promesse di felicità delle canzonette rappresenta­ no un «Kitsch preservante» col quale le commesse si identificano e arric­ chiscono la loro vita quotidiana. Ma tal i sono solo in apparenza, dal momento che l'arricchimento si rivela essere immaginario, perché le commesse che ascoltano le canzonette vengono defraudate del possibile mantenimento di quelle promesse in una realtà in cui «un individuo pieno fa più parte di questa vita» 86• La vicinanza, dal punto di vista in­ tellettuale, di questa critica musicale alla critica sociale di Kracauer ri­ sulta inconfondibile, ad esempio, quando nell'analisi fatta da Adorno della canzone Valencia si legge: «Dal momento che agli uomini è ormai sfuggita la concretizzazione del proprio sé, e le giornate degli impiegati si rassomigliano tutte, senza più registrare una differenza tra i sei giorni passati alla macchina da scrivere e i fine settimana con la fidanzata, gli uomini sono costretti a cercare il concreto fuori di sé, senza che sia pos­ sibile viverlo)) 87. Una fetta simile di realtà, la ritroviamo rappresentata nell'immagine Kitsch di Valencia, sia nel testo, sia nella musica. Quel nome è segno della nostalgia per i luoghi esotici e lontani nutrita «da una borghesia chiusa, immiserita, distrutta)) la quale nell'epoca succes­ ' siva all'inflazione tentava nuovamente di farsi una posizione. A questo desiderio di sicurezza tradizionale, di convenzione e di ordine si rifà an­ che la popolare canzone !eh kusse Ihre Hand, Madame (Le bacio la mano, signora) : «Solo così molte persone hanno imparato che è possib i­ le baciare la mano; questa manifestazione di rispetto di tipo feudale è 72

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stata resa del tutto democratica dalla canzonetta. Ma la democrazia del baciamano [ ] è solo apparente, perché i nuovi borghesi baciano la mano soltanto per essere considerati [ ] persone superiori)) 88• Chi, in­ fatti, non vorrebbe essere considerato migliore ? Questo tipo di ambizio­ ne non era forse una caratteristica anche del giovane Wiesengrund­ Adorno, che, quanto a sé, ancora non sapeva bene che cosa lo riguadasse di più, se le sue ambizioni artistiche o gli interessi filosofici ? Indipen­ dentemente dalla soluzione di tale questione, che in fondo, per tutta la vita restò sempre aperta, Adorno, all'epoca, doveva ancora diventare quella persona per la quale, oltre alla musica e alla filosofia, non c'era niente di più bello che baciare la mano alle signore. . . .

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Éducation sentimentale «Don't forget Manette !»

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L'inverno dell'anno 1923 si era annunciato straordinariamente gelido. Nel mese di dicembre era sopraggiunta un'ondata di freddo ancora più brusca. Così agli abitanti di Francoforte, già provati dalle aspre condi­ zioni economiche e scossi da una situazione politica quantomeno con­ fusa, si aprì la vista rara del Meno coperto da un massiccio strato di ghiaccio. Agli occhi del pittore Max Beckmann, questa singolare espe­ rienza invernale nel pieno della città si rivelò talmente impressionante da fissarla in un suo dipinto dal titolo Eisgang (Ghiacci alla deriva) , una delle molte opere dell'artista che prendevano a tema una veduta di città. In modo simile a quanto aveva già fatto per esempio in La sinagoga, un quadro dipinto quattro anni prima o nella nota raffigurazione del ponte sul Meno, Eiserne Steg, nelle sue vedute urbane Beckmann voleva co­ gl iere il carattere inconfondibile di quel luogo in cui, dal 191 5 al 1933, si trovavano la sua casa e il suo atelier. Negli anni venti il pittore era uno dei personaggi più sorprendenti della vita culturale di Francoforte, al­ l' interno della quale il giovane Wiesengrund-Adorno cominciava a gua­ dagnarsi sempre più rilievo come osservatore critico - anche e soprat­ tutto presso la " Frankfurter Zeitung" . Si può ben capire come Benno Reifenberg, che proprio in quel periodo era in procinto di rilevare il noto giornale, si lasciasse prendere dalla tentazione di descrivere il qua­ dro invernale di Beckmann: La città si rannicchia come fosse sul punto di gelare, sgomenta di paura dinanzi alla forza del fiume, quasi si tendesse al proprio interno sotto un inesorabile cielo fred­ do e grigio. Il duomo di Francoforte riposa in una luce rossa dietro le case. Il ponte si tende come acciaio azzurro da una riva all'altra, sotto i rami spogli il verde brullo e nudo. Ma i lampioni ricurvi altalenanti, imbellettati di blu e cinabro, sono pari a vagabondi notturni che si dirigono barcollando verso casa con il colletto rialzato. Com'è grigio il mondo, com'è freddo e tetro. Il mattino imbiancato assorbe la fal-

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ce della luna. Faticosamente un pallore striscia sui tetti, che, concatenati in una li­ nea nera, congiungono crudeli la città alla terra. Lungo la corrente scura scivolano i lastroni di ghiaccio. Quali pesci strani dal dorso ampio e dalle teste allungate. Sgorgano dai meandri del Meno. Muti, spinti da una forza remota, scorrono di­ nanzi alla città. Sfiorano appena la banchina rossastra. Emanando uno scricchiolio simile ad un ghigno malvagio

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Il tono volutamente espressionista di questa descrizione si conformava perfettamente alle tendenze estetiche dell'epoca: un espressionismo - al quale Wiesengrund guardava in modo sì attento ma anche critico - che non soltanto dominava la letteratura, ma costituiva anche lo stile impe­ rante nella pratica quotidiana della cultura. Una miscela di protesta, de­ siderio ed esaltato dispiegamento del proprio ego, che aveva tanto la funzione di opporre una caparb ia reazione nei confronti dei problemi economici quanto di esprimere quella novità di cui si attendeva arden­ temente l'avvento nella fase successiva alla riforma valutaria. Che a Franco forte la vita pulsasse e si sapesse come unire al piacere l'assidua, e redditizia, occupazione della critica sociale, condotta con mezzi letterari ed estetici, lo dimostrano le molte opere - quadri, litografie e incisioni ­ di Ma:x Beckmann prodotte in questo periodo. «Viviamo dall'oggi al domani)) 3• Con questa frase egli concludeva l'autoritratto da lui pubbli­ cato nel marzo del 1923 sulla " Frankfurter Zeitung". Come si viveva, però, negli ambienti ai quali riteneva di appartenere Adorno ? Così come Siegfried Kracauer non si era semplicemente limi­ tato a recepire La stella della redenzione di F ranz Rosenzweig e a criticar­ la come una «filosofia dell'apoteosi [ . . . ] che comincia con il Nulla e si conclude con " il possesso del sole nel cuore")) 4, allo stesso modo Wie­ sengrund-Adorno non si limitò affatto a preparare la sua relazione sulla «critica kantiana dalla psicologia razionale)) per poi esporla durante un seminario. Anche per questi due intellettuali Francoforte offriva nume­ rose occasioni di divertimento. Un intero capitolo del romanzo di Kra­ cauer intitolato Georg era dedicato alla descrizione della gioia sfrenata a cui gli abitanti di Francoforte, nonostante tutte le ristrettezze del mo­ mento, si lasciavano andare durante festini notturni in costume. Così il narratore del romanzo viene coinvolto in prima persona in un turbine di rumori assordanti e colori violenti, «e nel pieno di quella confusione fragorosa, splendente e ondeggiante ballava al suono dell'orchestra jazz un groviglio umano che trascinava con sé i lampioncini, i colori, il fra-

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gore così impetuosamente che alla fine l'intero locale girava senza fine su se stesso» 5• Georg, il protagonista di questo romanzo decisamente autobiografico, si lascia andare a tale folle movimento per provare a se stesso di essere capace di concedersi ai piaceri della vita, pur essendo un intellettuale immerso in un lavoro spirituale distaccato dal mondo. Egli è affascinato dall'attrazione emanante da donne avvolte in abiti eccitanti e seducenti, vestite da squaw, da negre, da prostitute, da clown . Alla fine di una notte trascorsa a ballare, il narratore, che è redattore del giornale più importante del luogo, accerta con soddisfazione di essersi ingiusta­ mente considerato fino ad allora come un uomo inibito e impacciato. Era stato capace, infatti, di abbandonarsi del tutto al corso delle cose. Così si era arricchito di una nuova esperienza. Ora conosceva la sensa­ zione altalenante delle avventure erotiche in cui si era lasciato trascinare durante le ore notturne del ballo in maschera. Anche prima di quest'e­ sperienza, però, Georg aveva cominciato ad assaporare qualcosa di quel­ le pene che possono scaturire non già dai rapporti leggeri e superficiali, ma dalle relazioni intense e gravi con gli altri. Infatti, ciò che accade nel romanzo rivela in tutta sincerità quanto straordinariamente grande sia l'attrazione esistente tra Georg e " F reddie", il suo amico di quattordici anni più giovane di lui. Tale vicinanza può essere messa alla prova nei viaggi in comune di diversi giorni o intere settimane, intrapresi dai due protagonisti, soltanto per rivelare, con amara disillusione, quali compli­ cazioni comporti la promessa di un'amicizia senza riserve. Ad un certo punto, Georg e Fred dividono lo stesso letto per potere ancora chiac­ chierare un po' prima di andare a dormire ognuno nella propria stanza, nel modesto albergo della Foresta Nera in cui alloggiano. Il letto era stretto e facevano fatica a tenere separati i corpi. Particolari difficoltà creavano loro le braccia, che prendevano troppo spazio. Poiché non potevano se­ garsi le membra che li disturbavano, si toccavano in continuazione loro malgrado. Con un chiacchierio animato, che a loro stessi appariva senza senso, cercavano di attenuare il pericolo di quegli urti, ma il calore del letto non tardò a indebolire i di­ scorsi artificiosamente suscitati, le parole si addormentarono via via e infine si ba­ ciarono . Come prima . . . - > 2• Nelle analisi che Adorno pubblicò sui "M usikblatter des Anbruchs" a partire dal 1 928 e in seguito sullo "Anbruch ", egli si concentra piutto­ sto sul procedimento tecnico-compositivo di Schonberg, definendo la tecnica dodecafonica un mezzo per preformare il materiale musicale, un

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mezzo, secondo lui, di cui occorre sempre tener presente il valore asso­ luto 3• L'articolo Nachtmusik (Musica notturna) , pubblicato sul primo numero dell"'Anbruch " del 1929, trattava di tutt'altro argomento; la domanda che l'autore si pone all'inizio è come sia possibile richiamare oggi alla mente in modo adeguato i contenuti di opere facenti parte del­ la tradizione, nelle quali si manifesta una storia passata. Infatti, non è possibile presupporre un ascoltatore comprensivo e non si ha neanche a disposizione un criterio un iversale ed eterno per il modo in cui occorre trattare l'interpretazione musicale. Parallelamente al fatto che non esiste più un pubblico dotato di buona cultura musicale, è andata dissolven­ dosi, nella società attuale, l'unità della musica. Mentre la cosiddetta " musica seria" viene gustata come m era decorazione dalla classe sociale predominante, la musica leggera si presta ad un uso improprio, e cioè a ingannare le classi oppresse riguardo alla loro reale situazione sociale grazie al suo carattere sentimentale e di intrattenimento brillante. Che senso può dunque ancora avere, su questo sfondo, la tradizione musicale ? Essa non consiste, secondo Adorno, in «tratti dell'opera asto­ ricamente eterni e di invariata naturalezza» . Il contenuto di verità dell'o­ pera va trattato, piuttosto, nella prospettiva delle tecniche di composi­ zione, che sono attualmente avanzate, tramite la comprensione di come sia costituito il " materiale storicamente preformato ". «Quel che v'è di eterno in un'opera è soltanto ciò che viene manifestato qui e ora con forza, e quel che fa saltare in aria l'apparenza dell'opera)) . Per questa ra­ gione risulterebbe addirittura reazionario contestare il decadimento del­ le opere musicali all'interno del processo storico; anche perché il carat­ tere di verità dell'opera è «legato proprio al suo decadimento)) . Tale de­ cadimento, tale disgregazione trova espressione in modo particolare nel fatto che la musica che rispecchi puramente la semplice interiorità sog­ gettiva ha perso credibilità. Nella situazione storica data, soltanto «1' e­ steriorità della musica, la pura forma, è duratura)) 4. In relazione a tale stato di cose Adorno aveva introdotto il concetto di " materiale musicale " . Quel che intendesse con tale espressione lo chiarì in un altro articolo, Zur Zwol.fiontechnik (Sulla tecnica dodecafo­ nica) , pubblicato sull"'Anbruch " in autun no . Tramite la tecnica dode­ cafonica ven iva reso possibile un modo nuovo e storicamente prodotto di trattamento del materiale, un trattamento puramente costruttivo. Il fondamento di tale tecnica di composizione non è soltanto costituito dal fatto che Schonberg abbia dissolto il moto cadenzale del basso ed abbia liberato il cromatismo dalla tonalità. Anche il fatto che la sua tec-

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nica di composizione eviti il ripetersi della stessa nota all'interno della serie non è di importanza decisiva per il carattere di novità di questa musica. Il vero tratto innovativo è costituito molto più dal processo di variazione-costruzione, dalla variazione totale dei contesti tematici e dei motivi, «dal fatto che lo stesso evento musicale non compare quasi mai due volte: e infine che tutto ciò - e questo è decisivo - non ha luogo in superficie [ . ], bensì dietro le quinte» 5• Durante questa fase delle sue analisi filosofico-musical i, Adorno aveva in mente un concetto specifico di materiale musicale, un concetto che si sarebbe rivelato di grande importanza per lo sviluppo futuro della teoria musicale 6• Il materiale musicale, secondo Adorno, non avrebbe sue qualità naturali, neutre. Dal momento che esso è determinato prin­ cipalmente dalla dialettica di un processo storico contingente, non si danno procedimenti di composizione e mezzi musicali obbligatori per tutti. Piuttosto, quel che fanno i compositori è lavorare con ciò che cia­ scuno di loro ha a disposizione di quel materiale, che varia storicamen­ te, allo scopo di «realizzare», su questa base, «la consonanza dell'opera, la cui possibilità è insita oggettivamente nell'opera stessa» 7• N eli' artico­ lo Reaktion und Fortschritt formulò un concetto di progresso fatto valere in tutti i campi dell'estetica, che prendeva le mosse dall' «adeguatezza storica» dell'arte, la quale si mostra nella validità delle singole opere. Va­ lida sarebbe l'unità ottenuta in modo costruttivo, un' unità che deve es­ sere ricavata dalla molteplicità del materiale. Tale materiale era, per Adorno, il teatro d'azione del progresso nell'arte. La libertà degli artisti che compongono musica non risulta dunque essere una pura idea cer­ vellotica, quanto piuttosto, come egli scrive, un carattere facente parte della dialettica del materiale. Soltanto quel compositore che «si sotto­ mette all'opera ed in apparenza non intraprende nulla, se non seguirla là dove essa lo chiama, aggiunge qualcosa di nuovo, tramite le sue risposte e le sue realizzazioni, alla costituzione storica dell'opera, seguendo ne le domande e le richieste, qualcosa di nuovo che non deriva soltanto dalla forma storica dell'opera; e la forza di raccogliere la severa domanda del­ l' opera rispondendole severamente, questa è la vera libertà del composi­ tore» 8• Alla fine di questo contributo per la rivista "Anbruch " Adorno constata che, certo, l'epoca contemporanea non ha prodotto composi­ tori della dignità di un Bach o di un Beethoven, ma che non per questo è lecito parlare di un regresso, perché il materiale musicale «è diventato più chiaro e più libero essendosi sottratto per sempre ai mitici vincoli numerici, come quelli che dominano l'armonia tonale» 9. . .

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L'articolo Reaktion und Fortschritt fu pubblicato soltanto nel 1930, e nasce da una controversia con Krenek; la riflessione, invece, concernen­ te la questione se la musica possa essere allegra, è da ricondurre ad una di­ scussione con il critico musicale Hans Heinz Stuckenschmidt. Questi aveva polemizzato con Adorno in particolare rimproverandogli il fatto che la sua idea di musica moderna prevedesse fondamentalmente sol­ tanto una musica pessimista. Adorno aveva reagito a questo attacco con poche pagine, nelle quali riassumeva i postulati fondamentali della pro­ pria teoria estetico(-musicale) accentuando, contro l'idea romantica della creatività spontanea, il fatto che il processo di lavoro, durante la composizione, sia primariamente razionale e materiale, e sottolineando dunque l'aspetto costruttivo dell'arte. Anche le composizioni di Mo­ zart, anzi, proprio le composizioni di Mozart non sono nate perché in quel momento la musa gli era particolarmente propizia, bensì ci fu biso­ gno di dare forma, con difficoltà, al materiale musicale naturale. E co­ munque, così proseguiva Adorno nella sua replica: non c'era «oggettiva­ mente nessun motivo per essere allegri» 1 0• Con tale riferimento sociolo­ gico si riallacciava ad uno schizzo dal titolo Die stabilisierte Musik, re­ datto già nel 1 928, ma che, ovviamente, non aveva ancora potuto o vo­ luto pubblicare. Per semplificare, diremo che egli faceva derivare la mu­ sica stabilizzata (stabilisierte Musik) dalla società del periodo imperiali­ stico, la quale si stava stabilizzando economicamente. Discerneva due tipi di musica stabil izzata: la musica classicista e la musica folcloristica, riconducendo entrambe a gruppi sociali di interesse. Il classicismo ri­ spondeva, con il suo " carattere giocoso ", al bisogno di lusso della nuova borghesia; d'altra parte, le varianti della musica folcloristica potevano venire usate indebitamente in favore di ideologie nazionaliste 1 1 • In quale misura Adorno riuscì a mettere in pratica nella propria atti­ vità di compositore le idee e i postulati che iniziavano a conferire alla sua filosofia della musica un profilo sempre più chiaro ? Dopo aver ter­ minato il suo apprendistato presso Berg, si era riproposto di dare sem­ pre la precedenza alla composizione, rispetto a qualsiasi altra cosa. Il ci­ clo nato in quel periodo, i Sei pezzi brevi per orchestra op. 4, deve aver probabilmente avuto, per lui, proprio lo scopo di mettere la sua teoria alla prova della prassi musicale, con la quale si era esposto in modo piut­ tosto chiaro. Con questa nuova composizione osava, per la prima volta, lanciarsi in una composizione per orchestra 12 • Di cosa è costituita tale composizione, in più parti , per orchestra ? 1 3 Ascoltandola per la prima volta, o comunque dando un'occhiata alla 1 53

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struttura compositiva, si nota l'avvicendarsi, alternatamente, di tre mo­ vimenti mossi e di tre molto lenti, due dei quali sono caratterizzati dalle tradizionali denominazioni di " giga" e "walzer" . I tempi sono talvolta estremamente brevi, due sono di sole dodici battute e quello denomina­ to walzer è costituito in tutto da 29 battute. In quest'opera strumentale si nota chiaramente che il compositore si rifà sia a Schonberg, sia anche a Berg. Adorno, tuttavia, non si è attenuto in tutti i movimenti, in modo ortodosso, alla tecn ica seriale dodecafonica. Oltre ad un uso non rigido della serialità, la caratteristica di queste sei miniature è la densità concentrata e la riduzione del materiale musicale ai suoi più scarni ele­ menti. La prima di tali composizioni, dal tono altamente drammatico, attira momentaneamente su di sé l'attenzione dell'ascoltatore per via dell'attacco " forte" di quasi tutti gli strumenti. Questo culmine eruttivo precipita già dopo quattro battute. Alla fine della parte centrale, che è fortemente articolata dal punto di vista melodico-tematico, il gesto drammatico iniziale si ripete. In totale contrasto con questo inizio, il se­ condo movimento, suddiviso in prologo ed epilogo, apre un'ampia pro­ fondità spaziale che è dovuta, in particolare, al differenziato raggruppa­ mento sonoro di voci principali e secondarie. In primo piano non è l'or­ chestra, quel che domina è un raffinato gioco d' insieme dei solisti. Il terzo movimento è vivace e strutturato da opposte forme di movimen­ to. Le dodici battute della quarta composizione mostrano una rigida suddivisione in tre parti ed una sensibile strumentazione. Uno sviluppo motivico è quasi inesistente; tutte le melodie principali si limitano a motivi di due suoni; melodia e accordi si completano reciprocamente fino a formare un campo dodecafonico completo. Tale parte, tuttavia, dal punto di vista compositivo, non si attiene del tutto alla sistematica della forma pura. Questa constatazione vale anche per il quinto movi­ mento, denominato walzer, che conta il numero più alto di battute. Al centro di esso si trova una melodia dodecafonica di walzer eseguita dal clarinetto, la quale determ ina tematicamente il prosieguo, ma in modo che la passata forma del walzer venga evocata come qualcosa che è ormai andato in rovina per sempre e in modo che al contempo la struttura or­ dinata venga annullata e si formi qualcosa di nuovo. Nell'ultimo movi­ mento, molto lento e di nuovo estremamente breve, le caratteristiche ri­ scontrate sono la semplicità della forma musicale e la comparsa di accor­ di tonali, di triadi, che tuttavia, nell' insieme, trasmettono l'impressione di essere elementi estranei montati nella composizione per suscitare per l'appunto questo sentimento. 1 54

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Tale opera strumentale, a cui Adorno ha lavorato in diversi periodi, tra il 1920 (ultimo movimento) e il 1929 1 4, risulta esemplare, nel suo in­ sieme, del suo modo di comporre, e questo per due motivi. Da una par­ te, si rilevano in essa, così come anche in altre composizioni di questo periodo, momenti espressivi ricchi di esplosioni e di spontaneità. Dal­ l' altra, si nota che il compositore tende verso una certa rigidità atonale, a cristallizzare la tecnica dodecafonica. Tal e tendenza la si ritrova anche nei Due pezzi per quartetto d'archi op. 2 del 1925-26, che sono nati in parte sotto la supervisione di Berg e comunque sempre previa consulta­ zione del maestro. Oltre alla strutturazione differenziata dei motivi, ciò che caratterizza il secondo movimento, scritto ancora a Vienna, è la se­ rie di suoni del tema, tema che comprende dodici variazioni, elaborate secondo il modello originale, retrogrado, inverso dell'originale, retro­ grado dell'inverso. Benché dunque compaia una serie dodecafonica, lo schema viene rotto, perché alcuni suoni della serie vengono ripetuti, contravvenendo alla regola. Anche per quel che riguarda il primo movi­ mento, composto in seguito a Francoforte, e definibile come forma o rondò, Adorno aveva fatto uso della tecnica seriale. La melodia al violi­ no delle prime venti battute è, con i suoi ampi intervalli, una serie dode­ cafonica classica. Vengono usati i dodici suoni della scala cromatica, senza mai ripeterne nessuno prima che tutti gli altri non siano stati suo­ nati 1 5• Nel movimento iniziale ci sono quattro diverse serie dodecafoni­ che, una serie principale e tre serie secondarie. Per questo quartetto d'archi, tuttavia, va detto che la serie ha un'importanza in primo luogo in quanto idea precedente la composizione. Il contesto musicale viene creato tramite i timbri e il fraseggio 1 6 . La tendenza a relativizzare la tecnica dodecafonica e l'impostazione tramite il timbro e il fraseggio sono caratteristiche che ritroviamo anche nei Lieder per voce e pianoforte di Adorno. Dal punto di vista quantita­ tivo, essi sono in primo piano all'interno dell'insieme delle sue creazioni compositive: si tratta di un genere che lo ha interessato già a partire dal­ la prima giovinezza e di cui continuò ad occuparsi anche quand'era più avanti con l'età, cosicché in tutto sono stati portati a termine cinque ci­ cli classificati con un numero di opus. A ciò viene ad aggiungersi un nu­ mero almeno doppio di composizioni per voce e pianoforte, che si tro­ vano nelle opere postume inedite, e l'adattamento di sette canzoni po­ polari francesi per voce accompagnata al pianoforte. I testi su cui si ba­ sano i Lieder per voce e pianoforte differiscono molto poco tra di loro dal punto di vista stilistico : sono poesie di Stefan George, Georg Trakl, 155

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Georg Heym, Else Lasker-Schi.iler, Theodor Daubler, Oskar Kokosch­ ka, F ranz Kafka, Bertolt Brecht, ed inoltre versi di F riedrich Holderlin e Theodor Storm . Nei diversi Lieder composti durante questa fase piuttosto produtti­ va di Adorno, tra il 1925 e il 1929, è possibile rilevare alcuni tratti pecu­ liari, quali il principio della polifonia, un trattamento progredito della molteplicità di voci, una ritmica complessa e la tecnica dodecafonica. Un a particolare importanza, in questi Lieder, va accordata inoltre al principio dell'armonia complementare 1 7. Senza tracciare in questa sede un quadro completo, per esempio, dei George-Lieder op. 1, oppure dei Quattro Lieder per voce e pianoforte op. 3, occorre comunque sottolinea­ re le concordanze dal punto di vista compositivo, tra essi e le opere stru­ mentali 1 8• Quel che è peculiare delle composizioni di Adorno è un rap­ porto di tensione 1 9: tra la completa autonomia dell'atonalità libera e il rifiuto di rinunciare alla vitalità dell'espressione 20 , da una parte, e, dal­ l'altra, l'allineamento secondo le leggi del metodo dodecafonico . Così come il compositore, in realtà, non ha mai applicato in modo ortodosso la tecnica dodecafonica, che prevede un insieme fisso di regole elemen­ tari, allo stesso modo il critico , quasi nello stesso periodo, stigmatizzava in tono sempre più determinato, nel quadro delle sue pubblicazioni, tutte le forme di ortodossia dodecafonica 21 •

Autoconferma teorico-musicale circa il metodo dodecafonico. Il dibattito tra Adorno e Krenek Gli elementi da cui prende le mosse la critica di Adorno alla tecnica do­ decafonica sono particolari considerazioni filosofico-musicali le quali, al contempo, documentano anche il fatto che egli, con i suoi testi dell'ini­ zio degli anni trenta, da critico concertistico e di composizione va tra­ sformandosi in teorico musicale che, in quest'attività, non manca di in­ globare anche riflessioni sulle proprie esperienze concernenti il processo di composizione 22• Nell'articolo Zur Zwolftontechnik, cui già si è fatto cenno, pubbl icato nel 1929 sul numero di settembre/ottobre della rivista "Anbruch ", egli espone il seguente pensiero: così come in una storia, che proceda in modo contingente, della modernità non possono esserci certezze metafisiche e valori vincolanti, allo stesso modo la musica con­ temporanea deve liberarsi di tutte le tradizioni prescritte. Il ricorso a forme del passato come nel neoclassicismo, per esempio, di Igor Stra-

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vinskij e Arthur Honegger, è, sempre per Adorno, semplicemente rea­ zionano. La storia della musica in quanto arte legata al tempo viene ricostrui­ ta da Adorno in quanto processo di disgregazione, nel cui corso fu ne­ cessario rinunciare dapprima alla fuga e alla sonata, poi alla tonalità e con essa alle strutture armoniche dei suoni e alla funzione della cadenza, che un tempo costituiva un quadro fisso di riferimento nella composi­ zione. In considerazione della dinamica del progressivo razionalizzarsi, una dinamica che ha portato alla liberazione della coscienza umana dal­ l' obbligo dei legami mitici, l'atonalità si è rivelata essere l'assoluta novi­ tà, e l'unica cosa valida, dal punto di vista storico 23• Per fare sì, tuttavia, che la novità dell'atonalità non diventi anch'essa vecchia, occorre, in tutta coerenza, che venga praticato uno «stile musicale della libertà»; il punto verso il quale tale stile tenderà non potrà che essere la variazione continua del materiale musicale facendo uso degli strumenti della «CO­ struzione in base alla fantasia)) o della «libertà della fantasia costrutti­ va)) 24• Per poter variare il materiale sonoro in un processo costruttivo occorrono gli strumenti della tecnica dodecafonica. In questa fase della fondazione della sua teoria Adorno intendeva, per tecnica dodecafonica, un modo di procedere razionale di natura tec­ nica e materiale, ma non estetico-musicale. Operava dunque una distin­ zione tra la tecnica e l'opera. In quanto unico metodo attuale per p re­ formare il materiale, la tecnica dodecafonica non contribuisce però allo scopo dell'espressione poetico-musicale. Quel che non si stancava di ri­ petere, all'epoca, è che usare tale tecnica come sistema di riferimento analogo alla tonalità significa cadere in un grave equivoco. Un uso della tecnica dodecafonica basato su un fraintendimento è praticato anche da coloro che si attengono alla dodecafonicità in senso matematico. Ador­ no, che nella prassi compositiva non era un compositore ortodosso di musica seriale, stava diventando sempre più incerto anche nel campo della teoria musicale in proposito al carattere vincolante della tecnica dodecafonica. Particolarmente influente per la sua posizione concer­ nente la tecnica dodecafonica, una posizione che tra il 1925 e il 1935 va­ riò e si precisò molto, si rivelò, oltre alle analisi puramente teorico-mu­ sicali, il carteggio che intrattenne, a partire dall' inzio del 1929, con il compositore Ernst Krenek. Krenek, che era nato nel 1900 a Vienna, aveva fatto la conoscenza di quel «giovanetto iperarticolato)) come usava defi nirlo, già nel 1924, a ' Francoforte, dove si trovava per seguire le prove della sua opera comica 1 57

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in tre atti Der Sprung iiber den Schatten op . 1 7 . Krenek non fu immedia­ tamente colpito dal «temperamento critico» di Adorno, dalla sua «acu­ tezza» e dall' «originalità delle sue formulazioni», ma riconobbe ben pre­ sto queste caratteristiche che am mirò poi con costanza 2 5• Il " giovanet­ to " aveva ascoltato la musica di Krenek già un anno prima del loro in­ contro, quando, nel quadro del " Festival dei musicisti " di Kassel, del quale aveva scritto un resoconto sulla rivista " Die Musik", era stata ese­ guita la Seconda Sinfonia op. 12, dalla quale Adorno era ri masto piace­ volmente sorpreso . L'opera di Krenek in due parti ]onny spie/t auf del 1925, composta in uno stile che anticipa il Mahagonny e L 'opera da tre soldi di Weill, lo aveva reso noto da un giorno all'altro, anche per via de­ gli elementi j azz che conteneva. Adorno la conosceva per averla ascolta­ ta nel dicembre del 192 7 a Francoforte. Nella sua critica si legge che benché «in Krenek ci siano energie demoniche a sufficienza per sferrare un attacco generale [ . . . ] a Jonny [ manca] quella violenza dell'assurdità che aveva fatto risuonare un fortissimo dai toni terribili alla fine della se­ conda sinfonia» . Sospetto, inoltre, risulta, nel contenuto dell'opera, il fatto che «l'America [venga] stilizzata come l' ideale delle future socie­ tà» 26 . Negli anni che seguirono, gli incontri tra i due furono sempre più frequenti. Adorno aveva fatto conoscere al viennese sia Kracauer, sia Benjamin. Le comunanze e le differenze in proposito alla bruciante questione dell'attualità della composizione musicale, dopo il dibattito condotto sullo "Anbruch ", che aveva prodotto i due articoli, portavoce di opinioni contrapposte, sulla questione della " reazione " e del "pro­ gresso ", erano state oggetto di una discussione alla radio, la quale era poi stata pubblicata sulla " F rankfurter Zeitung" nel dicembre del 1930. Adorno colse l'occasione per tornare a chiarire la sua idea di progresso musicale: la novità progressista si manifesta storicamente nel materiale musicale. Il compositore ha il compito, in comunicazione con il mate­ riale, di estrarre e far venir fuori da esso la sua storicità immanente. «Se parlare della lotta affannosa condotta dai grandi artisti [ . . . ] può essere qualcosa di più di una retorica esaltazione del genio, allora tale espres­ sione può riferirsi soltanto al fatto che l'artista si trova a confrontarsi con il materiale, da cui risulta, talvolta, la validità 27• Un altro aspetto di questo dialogo concerneva il lato sociale della musica. Dei momenti sociologici della musica si può andare alla ricerca soltanto nel materiale musicale, sottolineava Adorno non concordando con Krenek: esso è la sfera in cui si sedimenta concretamente la realtà

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che cambia storicamente. Un'analisi della musica che voglia essere orientata sociologicamente deve perciò essere un' interpretazione dell'o­ pera che abbia a sua volta il compito di indagare il significato sociale della musica a partire dal materiale. Le argomentazioni di Adorno nel quadro di questa discussione contenevano un chiaro accenno al fatto che quando ci si focalizza sulle interpretazioni dell'opera, le esperienze storiche delle condizioni sociali date non dovrebbero mai essere lasciate da parte. Come già nel suo schizzo sulla Stabilisierte Musik, infatti, egl i non faceva mistero degli «attuali rapporti di potere» presenti nella socie­ tà strutturata capitalisticamente, i quali non permettono un «impegno socio logico dell'arte, e a maggior ragione di un'arte che abbia un conte­ nuto di verità>> 28• Questa impostazione della problematica, specifica­ mente orientata verso la sociologia della musica, sarebbe andata sempre più spostandosi verso il centro degli interessi di Adorno . Mentre in quella discussione trasmessa alla radio era stato il concet­ to, per Adorno piuttosto importante, di materiale musicale a trovarsi in primo piano, i motivi che diedero luogo allo scambio di corrispondenza che ebbe inizio nel 1929 tra lui e Krenek erano, piuttosto, questioni con­ cernenti l'atonalità e la tecnica dodecafonica. Proprio all'inizio del car­ teggio, nell'aprile del 1 929 , Adorno pone l'accento sul fatto che la neces­ sità stringente di un modo atonale di comporre non è una decisione soggettiva del compositore, bensì la conseguenza che emerge dal mate­ riale musicale «una volta che esso non è più preformato ed io non posso più mettere mano alla sua preformazione considerandola data, senza, così facendo, falsificare ciò che il materiale esige da me» 29• Ed il mate­ riale, per una composizione che sia radicalmente indipendente, libera, non esige necessariamente ed esclusivamente musica dodecafonica. La tecnica dodecafonica non è un canone vincolante del comporre, non è «una nuova casetta in cui rifugiarsi una volta che il tetto della tonalità è crollato». Adorno proseguiva dicendo: «lo non ritengo neanche, per esempio, che la tecnica dodecafonica sia l'unica forma possibile di ato­ nalità, anzi, penso che sia possibile fare musica in modo del tutto sensa­ to anche indipendentemente da un tale vincolo e spero di poter dimo­ strare questa mia affermazione in un futuro non lontano» 3 0 • Cinque anni dopo, Adorno tornerà nuovamente sulla tecnica dode­ cafonica in una lettera. Benché egli stesso ne faccia uso componendo, nutre scrupoli in proposito, soprattutto allorquando essa, in quanto tec­ nica di composizione, diventa percepibile ed udibile. Nella lettera a Krenek del 28 ottobre 1934 egli precisa in modo definitivo e incontro1 59

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vertibile la sua opinione. In quell'occasione si giunge anche per la prima volta ad un chiaro attacco alla prassi compositiva, allora così attuale, di Schonberg: «Oggi la tecnica dodecafonica non è nient'altro che il prin­ cipio dell'esecuzione e variazione dei motivi, così come la sonata lo ha formato, elevato a principio di costruzione in assoluto più esteso: innal­ zato a forma a priori, ma facendo questo, sottratto dalla superficie com­ positiva» . Il pericolo concreto insito nel restare legati alla tecnica dode­ cafonica è quello di «un certo impoverimento, come ho esperito tramite il mio stesso lavoro» 3 1 • Il passo citato da questa lettera mostra molto chiaramente che, mentre si dedicava all'attività di compositore, Adorno non aveva osservato in modo teorico-musicale, per così dire dall'alto, soltanto se stesso, scrutando quel che aveva scritto sul proprio foglio di musica dalla torre d'avorio del teorico musicale, ma che i problemi della tecnica dodecafonica sui quali aveva riflettuto in modo astratto si riper­ cuotevano su quelle composizioni che egli scriveva per precisare la pro­ pria filosofia della musica.

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Approssimandosi ad una teoria dell'estetica

Imparare come si compone e scrivere partiture era una cosa; un'altra, invece, erano le riflessioni su problemi di teoria della musica ed i testi che ne risultavano. Ad una teoria musicale di alto livello dal punto di vi­ sta filosofico Adorno aveva cominciato a lavorare con intensità sempre crescente almeno a partire dal 1 928. Lascia un po' meravigliati il fatto che nella corrispondenza intrattenuta con Alban Berg questo specifico argomento venga sì di quando in quando toccato, ma che non abbia mai dato seguito ad una discussione in cui i due avrebbero potuto occu­ parsi più lungamente, ad esempio, del "concetto di materiale musicale", del " nominalismo della tecnica seriale" oppure di " tecnica e forma" . Per questo genere di problemi specifici di natura teorico-musicale fu Ernst Krenek a rivelarsi l'interlocutore, se non più competente, certo più inte­ ressato. Egli non soltanto aveva accumulato esperienze in quanto com­ positore di musica contemporanea, ma era anche pubblicista in materia. Prima che tra Adorno e Krenek si stabilisse un contatto epistolare, vari saggi di entrambi gl i autori contenenti riferimenti reciproci erano stati pubblicati in parte nell' undicesima e in parte nella dodicesima annata dei "M usikblatter des Anbruchs ", durante i pochi mesi in cui Adorno aveva potuto determ inare in modo più marcato la storia redazionale della rivista 1 • A questa serie di articoli fece seguito, ai microfoni della radio di Francoforte, la controversia sui problemi che si presentano du­ rante il lavoro di composizione. Tale questione, la quale si diceva di rilevanza essenziale per i com­ positori contemporanei, costituiva invece soltanto un insieme di pro­ blematiche di cui Adorno, ventisettenne, cercava di venire a capo. Ma anche altri onerosi problemi di natura diversa lo attendevano, e cioè tut­ te le difficoltà presentate da una teoria filosofica dell'estetica. Egli spera­ va di svilupparne i tratti fondamentali a partire dagli scritti di Kierke1 61

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gaard. Dall'epoca della sua tesi di laurea, che risaliva a quattro anni pri­ ma, e dal fallimento della sua prima tesi di abilitazione, le problemati­ che propriamente filosofiche erano passate in seconda linea, lasciando il posto agl i interessi di teoria musicale. La filosofia, tuttavia, era un ele­ mento rimasto costantemente presente, anche perché Adorno aveva tentato di sviluppare le fasi iniziali della sua teoria musicale alla luce di prospettive decisamente filosofiche. Proprio tale sintesi di teoria musi­ cale e filosofia aveva costituito la ragione per cui egli era arrivato a gua­ dagnarsi, nel vero senso della parola, una posizione ben definita proprio in questo campo, malgrado alcune riserve iniziali relative al fatto che le sue analisi apparivano poco comprensibili ed eccessivamente complesse dal punto di vista linguistico . Le sue critiche giovanili ( riguardanti con­ certi e composizioni) ed i suoi articoli di teoria musicale, le sue prese di posizione e i suoi interventi della fine degli anni venti lasciavano indovi­ nare chiaramente il profilo di una teoria filosofica della musica contem­ poranea ed alcuni elementi fondamentali che di tale teoria costituivano la base. Tra questi è possibile annoverare la massima secondo la quale la verità musicale dipenderebbe dalla costruzione compositiva particola­ reggiata, ed il principio secondo cui l'espressione musicale deve opporsi agli obblighi imposti dalla tradizione. Da ciò risultava che i processi ar­ tistici e lo sviluppo sociale si troverebbero in una relazione dialettica in cui rinvierebbero reciprocamente gli uni agli altri. Questa filosofia della musica era molto lontana dalla giustificazione di una filosofia con la qua­ le Adorno avrebbe potuto essere identificato. Già prima dei suoi studi di filosofia, e poi nel corso della formazione accademica, si era occupato in modo piuttosto approfondito di Kant e dell'idealismo tedesco nel suo insieme. N el quadro della sua tesi di laurea, con un primo approccio certo aveva cominciato a familiarizzare con la filosofia di Husserl. E ov­ viamente aveva letto Hegel, Feuerbach e Marx, come testimoniano i ri­ ferimenti al loro pensiero e la densità concettuale delle sue numerose pubblicazioni nel campo della filosofia della musica. Egli era in grado di giustificare le riserve che inizialmente aveva nutrito nei confronti di Schopenhauer e di N ietzsche, aveva a disposizione la metodologia e la terminologia della psicoanalisi e conosceva le diverse correnti della filo­ sofia contemporanea, sulle quali tranciava giudizi piuttosto netti. Mal­ grado tale vasta cultura filosofica, non è tuttavia per falsa modestia se Adorno, ora, dichiara ripetutamente ad Alban Berg di ritenere seconda­ rie le proprie ambizioni accademiche rispetto alla composizione musi­ cale. t 62

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Durante i mesi in cui aveva investito le sue energie da una parte nel­ la discussione con Krenek, per via epistolare o a viva voce, e dall'altra nella nuova strutturazione redazionale della rivista "Anbruch ", Adorno, che certo finora non era stato risparm iato dalle delusioni, aveva dovuto incassare due ulteriori sconfitte. La più facile da mandare giù era stata quella legata al fatto che, esattamente dopo un anno, era nuovamente andata a monte la possibilità di ottenere un posto di redattore presso la " Berliner Zeitung am Mittag", quotidiano edito da Ullstei n. In una let­ tera del 29 aprile 1929 Adorno aveva nuovamente pregato Berg di dargli il suo sostegno a tale proposito, aggiungendo che il suo principale con­ corrente era Hans Heinz Stuckenschmidt, sul quale cadde alla fin fine la scelta. E così, anche questa volta la sua lunga permanenza a Berlino (in quelle settimane aveva alloggiato presso la pensione "Violetta", nella Joachimsthaler Strage) era rimasta priva di frutti, per lo meno per quel che concerneva la prospettiva di una professione che desse di che vivere. Adorno, tuttavia, a quell'epoca, doveva davvero farsi delle preoccupa­ zioni finanziarie ? Pare che oltre ai compensi, certo piuttosto esigui, che riceveva come critico musicale, egli potesse sempre contare sull' appog­ gio finanziario dei genitori. Quando fece domanda per il posto a Berli­ no suo padre gli scrisse da Francoforte, alla metà di maggio, che non aveva da preoccuparsi per le questioni di ordine materiale e che poteva assolutamente contare su di lui. Quel che era più importante per lui, per il padre, era di stare il più sovente possibile in compagnia del figlio. Con un linguaggio che non celava la sua prossimità alla sfera militare, lo in­ vitava a richiedere «rifornimenti» al «quartier generale», nel caso ne avesse la necessità 2• Dal momento che ben presto fu chiaro che la decisione, presso Ull­ stein, sarebbe stata procrastinata per mesi, Adorno era sempre meno motivato a badare seriamente ai propri interessi in quella città. Egli ave­ va scritto a Berg che non pensava di avere «ancora qualche chance, se qualcuno ha letto anche soltanto una riga scritta da me. [ . . . ] Ma di do­ ver essere all'altezza di Stuckenschmidt, che ha tutte le caratteristiche (anche quelle positive) di un imbroglione, questo mi risulta più che dubbio» 3• Mentre in questo caso Adorno era disposto ad accettare il proprio insuccesso relativamente a cuor leggero, certo il suo atteggiamento non fu lo stesso di fronte alla delusione che gli portò l'ottobre del 1929. Hans Heinsheimer, che presso la U niversal-Editi o n era responsabile dell' am­ ministrazione per la rivista "Anbruch ", in una lettera del 1° ottobre 1 929

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gli comunicava, senza troppi preamboli, che «nella forma attuale, una direzione in un certo qual modo autonoma, da parte Sua, della redazio­ ne della rivista)) non poteva più essere mantenuta; era necessario revoca­ re l'impegno stretto con lui che gli assicurava un compenso di 100 mar­ chi per ogn i numero. Per quest'ultima decisione, Heinsheimer adduce­ va motivi precipuamente economici, come ad esempio il calo del nume­ ro degli abbonati. In questo egli leggeva tuttavia un segno del fatto che la linea filosofico-musicale sostenuta da Adorno non corrispondeva al­ l' effettivo sviluppo della musica contemporanea e non andava assoluta­ mente incontro alle aspettative dei lettori. «Non c'è proprio ombra di dubbio, stimatissimo Sig. Wiesengrund, che la " stabilizzazione" della musica contro la quale Lei, certo comprensibilmente, combatte si è rea­ lizzata in un modo che soltanto un anno fa non sembrava neanche pen­ sab ile)) 4• Questa sorta di affermazioni poteva ancora essere tollerabile per Adorno, il quale era perfettamente in grado di trattare la maleduca­ zione palese con ironia. Ma certo egli dovette sentirsi profondamente offeso dal fatto che Heinsheimer gli scrivesse che «Schonberg e la sua cerchia più stretta)) nutriva notevoli riserve nei confronti dell'orienta­ mento contenutistico che lo "Anbruch" aveva assunto a partire dalla strutturazione redazionale impressa da Adorno, e in particolare nei con­ fronti degli obiettivi filosofico-musical i che egl i si proponeva. Per Adorno non era difficile individuare nello stesso Schonberg l'autore di questa dichiarazione di riprovazione. Proprio Schonberg, la cui musica egli aveva instancabilmente difeso come l'unica giusta, pro­ prio lui ora lo assaliva alle spalle. Queste le parole che, pieno di sdegno, scriverà a Berg: «Ci troviamo di fronte ad un caso di quella "superiorità" stupida e solipsistica che crede di essere dispensata da qualsiasi obbligo dal punto di vista umano in virtù delle proprie geniali prestazion i)) 5• Pregò espressamente Berg di comunicare del tutto chiaramente al pro­ prietario della Un iversal-Edition, Emil Herzka, e a Heinsheimer, che la cerchia di Schonberg nella sua totalità non aveva in alcun modo preso partito contro di lui. Questa lettera documenta in modo molto autenti­ co che Adorno si era fatto l'idea che tutti gli sforzi da lui messi in campo sia per la ristrutturazione redazionale della rivista, sia anche quelli in qualità di pubblicista musicale, fossero stati completamente inutili. Gli costò parecchio, e furono necessari soprattutto i buoni consigli di Berg, perché egli, dall'oggi al domani, non troncasse tutti i contatti con l' edi­ tore viennese.

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In una lettera del 23 ottobre 1929 già scriveva a Berg: «Di una "capi­ tolazione" da parte mia non se ne parla neanche. [ . . . ] Ho [ . . . ] insistito per una posizione redazionale, perché volevano relegarmi in una sorta di funzione di consulente, in cui io avrei dovuto mettere a disposizione le mie idee senza alcuna garanzia che queste venissero realizzate come si conviene» 6 • Nei confronti del gabbato Adorno l'editore viennese aveva poi fatto, certo, qualche concessione - si era probabilmente ben co­ scienti delle sue qualità di musicologo. La vertenza, tuttavia, si protrasse per tutto il 1930 finché Adorno, in novembre, non si sciolse definitiva­ mente da ogni incarico di responsabilità nella redazione. Le sue dimis­ sioni vennero comunicate ufficialmente agli " egregi lettori " dello "An­ bruch " nel primo numero del 1931 . Non dunque il fatto che formal­ mente fosse finita la collaborazione redazionale con lo "Anbruch" , in fin dei conti, aveva ferito Adorno; quel che gli dava del filo da torcere era piuttosto l'atteggiamento di Schonberg, che tornava a orientarsi come in passato, e in cui egli vedeva un vero e proprio tradimento della causa comune. Questa delusione non si affievolì e pesò sempre come un' ipoteca sulla relazione tra i due, anche durante gli anni d'esilio negli Stati Un i ti, quando abitavano molto vicini e si incontravano spesso. È un tratto tipico di Adorno che, malgrado tutte queste offese, non si possa certo parlare di lacrimevole rassegnazione da parte sua. Già nel­ la lettera inviata a Berg in ottobre, nella quale descriveva l' intero scan­ dalo dal proprio punto di vista, egl i accennava, in chiusura, al molto la­ voro che aveva da sbrigare e che gli impediva di comporre. Quel che in­ tendeva con " molto lavoro " non era altro che la sua seconda tesi di abi­ litazione, che egli ora usava chiamare, alla buona, " il mio libro su Kier­ kegaard " . Naturalmente, con Adorno, l a filosofia n o n vivacchiava, cioè non rimaneva mai nell'ombra. Egli portava avanti, in un quadro ben regola­ mentato sia dal punto di vista temporale sia di contenuto, quello che aveva comunque continuato a fare negli ulti mi anni. Certo doveva esse­ re risultato piuttosto propizio per la concentrazione necessaria al libro su Kierkegaard che proprio in quel momento il progetto di ottenere un posto di redattore a Berlino fosse andato a monte e che, per di più, a Vienna fosse stato deciso, senza tanti ringraziamenti, di fare a meno del­ la sua collaborazione. Ma anche un altro fatto, dell'autunno 1929, pare propizio, o meglio gli fornisce una sorta di ispirazione. Fu in quel periodo, infatti, che Walter Benjamin presentò per la prima volta il proprio singolare pro-

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getto: un enorme studio di indirizzo filosofico-storico sui passages di Pa­ rigi, il cui impianto si orientava verso la teoria della cultura. Già tra il 1927 e il 1929, in seguito a lunghi soggiorni a Parigi, aveva iniziato a re­ digere vari appunti, anche insieme al letterato berlinese Franz Hessel , che come Benjamin era molto influenzato dal surrealismo francese. A Konigstein, Benjamin lesse parti dei suoi schizzi in presenza di una cer­ chia ristretta di persone, tra le quali, oltre a Horkheimer e Adorno, si trovavano Gretel Karplus e Asj a Lacis 7. Adorno era rimasto affascinato dal progetto di Benjamin, che prevedeva di scrivere una pre-istoria, una storia originaria ( Urgeschichte) del XIX secolo servendosi dei passages del­ la metropoli parigina. «Non si tratta che in minima parte di una fantasia retrospettiva se dico che fin dal primo momento ho avuto l'impressione che Benjamin fosse una delle persone più significative che io abbia mai incontrato. [ . . . ] È come se, soltanto con quella filosofia, avessi davvero compreso che cosa la filosofia dovrebbe essere se dovesse mantenere quel che pro­ mette» 8 • Oltre a molte altre idee, quel che risultò particolarmente vali­ do ai suoi occhi fu un postulato di Benjamin contenuto negli abbozzi di cui aveva dato lettura: «Nessuna categoria storica senza la sua sostanza naturale, nessuna categoria naturale senza il suo filtraggio storico» 9. Stimolato dai pensieri di Benjamin, Adorno, verso la metà del 1929, riuscì ad imporsi di accettare un'offerta di Paul Tillich, che gli propone­ va di intraprendere sotto la sua guida un'abil itazione alla libera docenza con un lavoro su Kierkegaard. Aveva appena iniziato a raccogliere il ma­ teriale e a stendere qualche schizzo, che già partiva con Gretel Karplus per le vacanze estive. Con lei festeggiò, all' Hotel Genazzini di Bellagio, sul lago di Como, il proprio ventiseiesimo compleanno. Ma perché aveva scelto proprio la filosofia di Kierkegaard come tema della tesi di abilitazione ? Adorno si era occupato del pensiero del filosofo danese già quando era molto giovane, e, in particolare, come egli stesso si era espresso, era «tornato " kierkegaardianamente " con insi­ stenza» sul problema della «personalità e dell'interiorità del " singo­ lo "» 1 0 • Inoltre, da una lettera risalente a molti anni prima che Kracauer aveva scritto a Lowenthal nel dicembre del 1923, si deduce che Adorno aveva studiato approfonditamente testi di Kierkegaard fin dall'epoca del liceo . Kracauer scriveva: «Se un giorno Teddie farà una vera dichiarazio­ ne d'amore [ . . . ] per uscire dalla condizione peccaminosa dello scapolo, la strutturerà in modo così complicato che la giovane alla quale la indi­ rizzerà [ . . . ] dovrà aver letto [ . . . ] tutto Kierkegaard per riuscire a capir166

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lo» 1 1 • All'inizio degli anni venti si ebbe inoltre un vasto interesse per la discussione di termini quali " angoscia", " interiorità", " scelta" , " salto "; in generale, questa forma fondamentale di filosofia esistenziale esercita­ va un certo fascino, in antitesi all'Idealismo e alla filosofia della storia di Hegel. Il personale interesse che Adorno nutriva per Kierkegaard risulta chiaro leggendo la premessa del suo volume sul filosofo: con Kierke­ gaard ecco offrirsi l'allettante occasione di dare una lettura del tutto di­ versa di una filosofia orientata fondamental mente verso problematiche esistenziali e teologiche, una lettura innovativa che ne metta in evidenza i contenuti teorico-estetici piuttosto che quelli teologici e concernenti la filosofia della religione. Per Adorno, Kierkegaard, il «capostipite di tutta la filosofia dell'esi­ stenza» 1 2 , era (insieme a Schopenhauer e Nietzsche) un pensatore filo­ sofico che nutriva qualche riserva nei confronti della filosofia accademi­ ca del suo tempo. Egli avrebbe reagito al fatto «che la filosofia esercitata come specializzazione non ha più nulla a che fare con gli uomini)) 13• In questa prospettiva, in Kierkegaard trovano espressione impulsi filosofici in relazione ai quali Adorno provava una forte simpatia, ma rispetto ai quali (come nel caso di Husserl ed Heidegger) doveva dunque distin­ guersi ritagliandosi una propria posizione. Per Adorno, il pensiero di Kierkegaard faceva parte di un piano per una filosofia dell'estetico estremamente fuori del comune. È tramite questo pensatore che egl i tenta di dare concretezza alle proprie idee sulla filosofia dell'arte e di portar!e avanti. Ed era proprio lo stile letterario ri­ cercato in cui Kierkegaard scriveva, pervaso da una sottile ironia, quello stile che egli stesso chiamava «attività di scrittura estetica)) che esercita­ ' va un'estrema attrazione per Adorno. Si trattava di un"' esistenza esteti­ ca" che questi aveva già molto presto preso idealmente a modello per la propria, un modo di esistere che Kierkegaard aveva tuttavia concepito, per sé, come forma poi non così stabile da opporre alla mentalità picco­ lo borghese e alla collettività della massa. I punti di partenza che risulta­ vano importanti per Adorno, comunque, erano soprattutto le tesi di Kierkegaard sul sé in quanto struttura fondamentale del soggetto mo­ derno e gli stimoli antisistematici forniti dalla sua filosofia. E ciò valeva anche per il Kierkegaard pensatore del paradosso. Adorno aveva appena cominciato a leggere Kierkegaard focalizzan­ do la propria attenzione su tali temi, che già diceva che il lavoro, a pri­ ma vista, gl i piaceva parecchio, ma che lo affaticava molto di più dell' at­ tività praticata fino a quel momento, e cioè la redazione di articoli per

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riviste musicali di cui si ha sempre una visione d'insieme. Tuttavia, pre­ metteva già che, per un verso, intendeva ricostruire la filosofia di Kier­ kegaard con lo stesso procedimento adottato da Benjamin nel suo libro sul Dramma barocco tedesco. In quel volume era stato sviluppato un principio di conoscenza basato sull'allegoria: il contenuto di verità del dramma barocco doveva essere reso accessibile tramite un processo in­ terpretativo che prendeva le mosse da singoli elementi, in apparenza se­ condari 14• Per un altro verso, Adorno intendeva appropriarsi dell'analisi strut­ turale dialettica di Lukacs, col cui ausilio questi aveva cercato di risolve­ re l'enigma della forma della merce. Un ruolo di rilievo doveva assume­ re, in particolare, la riflessione secondo cui «nella struttura del rapporto delle merci era contenuto l'archetipo di tutte le forme di oggettività e di tutte le forme di soggettività ad esse corrispondenti)) 15• Un'importanza centrale, per Adorno, aveva anche la teoria dell' intérieur. Egli interpreta l' intérieur come modello dell'interiorità kierkegaardiana ed intende an­ che, naturalmente, fornire un'analisi fondamentalmente critica del " concetto di esistenza " 1 6 . Per poter procedere meglio, e senza essere disturbato, nella raccolta degli estratti e nella stesura dei propri appunti, a partire dalla primavera del 1939 Adorno si era ritirato in una piccola località idilliaca di nome Kronberg, ai margini dei monti Taunus, non lontano dal centro di Francoforte. Nella solitudine campagnola lavorava in " totale isolamen­ to " alla stesura del manoscritto e vi lavorava giorno e notte tanto inten­ samente che all'inizio di agosto - come leggiamo in una lettera a Berg ­ ebbe «un crollo totale; cosa che non mi era mai successa in tutta la mia vita)) 1 7• Anche tenendo conto della natura sensib ile e piuttosto debole di Adorno, il mancamento certo non avvenne per caso: era la conse­ guenza del lavoro ininterrotto concentrato sulla tesi di abilitazione lega­ to ad una molteplicità di altre attività. Infatti, malgrado l'intenzione di ritirarsi in tutta tranquillità a Kronenberg, nella locanda " Frankfurter Hof' , continuava a frequentare anche lì, inevitabilmente, una serie di persone; Horkheimer e Pollock abitavano nello stesso paesino ed egli ri­ ceveva spesso visite da Francoforte. Per le vacanze di Pentecoste era arri­ vata anche G retel Karplus da Berlino. A ciò si aggiungevano veri con­ certi, per i quali occorreva recarsi a Francoforte. E da quando Ernst Schoen 18 , un vecchio amico di Benjamin, aveva avuto un contratto come redattore culturale presso la radio di Francoforte, Adorno si dava da fare in modo sempre crescente anche in quella sede, come quando la 168

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cantante H ilda Crevenna-Bolongaro interpretò alcuni Lieder di Ernst Krenek. Un elemento scatenante, per il crollo nervoso di Adorno, fu certo anche il fatto che oltre ai suoi studi su Kierkegaard egli produceva molti altri testi. A Kracauer, con il quale si era spesso lamentato di sof­ frire di insonnia per periodi prolungati e di forti palpitazioni per via del­ l' eccesso di lavoro, inviava spesso, per esempio, piccoli trattati in minia­ tura nati dal lavoro che stava conducendo su Kierkegaard, pregandolo, in qualità di redattore delle pagine culturali della " Frankfurter Zei­ tung", di esercitare la sua influenza in modo da pubblicarli su quel quo­ tidiano. Le premure di Kracauer diedero i loro frutti ed il 6 giugno, sul­ la "F rankfurter Zeitung", venne pubblicato il Beitrag zur Geistesge­ schichte (Contributo sulla storia dello spirito) , un confronto molto ori­ ginale tra Kant e Nietzsche, scritto in uno stile piuttosto divertente 19. Oltre a tutto ciò, Adorno continuava a scrivere contributi di critica mu­ sicale, proprio secondo il proverbio che ebbe sempre presente tutta la vita: " il lupo perde il pelo, ma non il vizio " . Di questo genere di produ­ zione facevano parte i suoi saggi per la rivista "Anbruch ", brevi critiche di concerti ed un ritratto di Arnold Schonberg per l'opuscolo del pro­ gramma della Kroll-Oper. Già precedentemente aveva inoltre redatto una nuova interpretazione del Wozzeck di Berg che era stata pubblicata, in occasione dell'esecuzione dell'opera ad Essen, nell'opuscolo Der

Scheinwerfer - Blatter der Stadtischen Buhnen.

Qualcosa di più di un saggio di capacità pratiche in filosofia Oltre agli scritti di Kierkegaard, come ad esempio Aut-Aut, Timore e Tremore, Il concetto dell'angoscia, Briciole difilosofia, Adorno si basava su un numero piuttosto limitato di testi di letteratura secondaria. N elle note, oltre a Kant, Hegel e Husserl, veniva fatto riferimento soltanto a qualche filosofo contemporaneo, come Georg Lukacs, Ernst Bloch, Martin Heidegger. In considerazione della filosofia di Kierkegaard, il titolo Costruzione dell'estetico era certo un riferimento preciso al fatto che si trattava di un'interpretazione non convenzionale. Nella teoria delle tre sfere, infat­ ti, tra la sfera estetica, etica e religiosa, la prima era la forma di esistenza meno vincolante e meramente esteriore. Contrariamente a ciò, Adorno perseguiva un programma che tendeva a salvare l'aspetto estetico 20• La

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provocatoria questione che si poneva era se non fosse proprio la sfera dell'estetico quella in cui la verità si mostra. Nel primo capitolo , Esposizione, egli presenta, in piena rispondenza con il titolo, le parti principali su cui si baserà il processo interpretativo dei sei capitoli seguenti; e, in questo processo interpretativo, il lettore viene coinvolto fin dalla prima pagina. L'autore lo confronta infatti sen­ za indugi con la problematica principale, chiedendosi cioè se per gli scritti di Kierkegaard si possa in effetti parlare di filosofia o se non si tratti piuttosto di letteratura. Per articolare una risposta fondata Adorno esplicitava i propri criteri introducendo una sua propria definizione di filosofia: «Le leggi formali della filosofia esigono di interpretare il reale in un'armonica concatenazione dei concetti. Né la man ifestazione della soggettività del pensato re, né la pura compattezza dell'opera in se stessa decidono dell'avere essa carattere di filosofia; bensì soltanto se un dato reale è entrato nei concetti, si legittima in essi e conferisce loro un chia­ ro fondamento» 2 1 • A partire dalla prospettiva di tale descrizione defini­ toria, Adorno vedeva la filosofia di Kierkegaard come un pensiero rigo­ rosamente soggettivo. Oltre al suo tratto fondamentale, speculativo, scrive Adorno, questo pensiero si differenzia dalla letteratura perché fa uso dello strumento della formulazione dialettica dei concetti. Al centro del lavoro si situa la domanda: quale tipo di costruzione dell'estetico troviamo nell'opera di Kierkegaard ? In considerazione della triplice se­ mantica dell 'estetica in quanto qual ificazione del dominio dell'arte nella sua totalità, in quanto atteggiamento personale, in quanto forma di co­ municazione volutamente soggettiva, Adorno affermava che la teoria del bello in Kierkegaard - contrariamente all'intenzione dello stesso fi­ losofo - era costituita idealisticamente, cioè definita soltanto dal mo­ mento della soggettività. In opposizione a ciò, egli insisteva sulla tem­ poralità e sul particolare come centro dell'opera d'arte che giunge ad espressione nella loro " figura" e non nella generalità delle idee. In forma succinta, Adorno spiegava il metodo del suo approccio in­ terpretativo. Il principio metodologico da lui praticato consistente nel distinguere tra un senso letterale e un significato metaforico-filosofico (cui si perviene tramite la critica) corrispondeva al rapporto tra com­ mento e critica delineato da Benjamin nel saggio sulle Affinità elettive di Goethe. Tale metodo, rigorosamente immanente, prevedeva un proces­ so interpretativo a due livelli: prendeva le mosse dagli scritti dell'autore, e non dalla sua personalità. «Ma la personalità deve essere evocata uni­ camente in relazione alla sostanza intima dell'opera, la quale non si 1 70

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esaurisce nella personalità come questa non si esaurisce nell'opera» 22• Il postulato metodologico di tale formulazione deteneva un carattere piut­ tosto vincolante per tutta quanta la teoria gnoseologica di Adorno. Ciò vale anche per l'ob iezione principale mossa da Adorno, e cioè quella se­ condo cui la soggettività, in Kierkegaard, non possederebbe alcun peso proprio perché fungerebbe unicamente da teatro per le strutture genera­ li dell'ente. Adorno giungeva alla conclusione che Kierkegaard rifletteva sull 'interiorità senza un oggetto, nella misura in cui «l'lo viene respinto su se stesso dalla strapotenza del non lo». Il mondo degli oggetti non sa­ rebbe che un'occasione per l'azione. Dal momento che gli «oggetti con­ tenenti essere» sono stati eliminati, ci sarebbe «soltanto una soggettività isolata, racchiusa dall'oscuro non-lo;> 2 3• Da un lato, il fiuto interpretativo di Adorno circoscriveva e metteva in evidenza il tentativo andato fallito intrapreso da Kierkegaard, e cioè quello di prendere congedo dalla filosofia dell' identità 24• Dall'altro egl i era attirato dal concetto di dialettica. Ma soltanto per poi constatare con delusione che in Kierkegaard la dialettica viene concepita come pri­ va di oggetto, che essa si limita ad un movimento della coscienza dei singoli in opposti. La sua conclusione, che possiamo considerare anche come caratteristica di fondo dell 'intero libro, è: «Kierkegaard non ha af­ fatto " superato " il sistema hegeliano dell'identità; egli ha assimilato He­ gel nel suo intimo» 2 5• Anche con la storia in quanto «unicità irreversibi­ le e irriducibile del factum storico» 26 Kierkegaard non coglie nel segno, e ancor di più quando sminuisce la storia descrivendola come il male ra­ dicale e la minaccia universale rivolta all'interiorità. Per il concetto di si­ tuazione, definito come scelta ad opera dell'essere umano completa­ mente rimandato a se stesso e fondamentale nel suo pensiero, secondo Adorno egli non fornisce alcuna soluzione. Anzi, la situazione sarebbe l'immagine speculare della «reificazione della vita sociale, dell'alienazio­ ne dell'uomo da una realtà che gli viene proposta ormai soltanto più come merce» 27• Anche questi due concetti, " reificazione " e "forma del­ la merce", costituiranno una costante nella teoria sociale di Adorno. Al punto cruciale del suo regolamento di conti con Kierkegaard si giunge con la categoria di " intérieur", all' interno della quale tutti gli og­ getti avrebbero soltanto un valore di espressione simbolica. L' interiéur, per Adorno, non è altro che il simbolo del carattere apparente della so­ cietà basata sullo scambio e perciò si rivela inadatto ad essere contrappo­ sto al fallimento della storia. Egli consolida tale critica chiarendo i con­ tenuti socio logici e mi t ici dell' intérieur. Con l'espressione " sociologia

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dell'interiorità" Adorno interpreta qui il contesto costituito dalle asser­ zioni scritte di Kierkegaard e dalla sua situazione economica. Adorno concordava con la negazione dell'antologia idealistica (l'Io puro di Fichte, l'Io oggetto di Hegel ) praticata da Kierkegaard, pren­ dendo tuttavia le distanze da un'assolutizzazione dell'esistenza soggetti­ va in nome di una costruzione trascendentale del senso. La vera e pro­ pria pietra dello scandalo, per Adorno, era il focalizzarsi sui singoli esseri uman i: «Il sé, ricettacolo di ogni concrezione, si ritira a tal punto nella sua unicità che non si può più porre di lui alcun predicato: esso si capo­ volge nella massima astrattezza; dire che solo il singolo sa cos'è il singolo è semplicemente una parafrasi per dire che non lo si può assolutamente sapere» 28 • In conclusione, Adorno tornava a connettere alcune delle sue forme interpretative più centrali, per mostrare che l'estetico, in Kierkegaard, rappresenta il genius foci di un certo modo di fare filosofia. Ciò risulta chiaro, quando Kierkegaard postula che «l'esperienza originaria del cri­ stianesimo rimane [ . . . ] legata all'immagine» 29• Dal momento che in esso sono andate in rovina tutte le immagini precedenti e future, tale declino si rivelerebbe la salvezza dell'estetico. «La speranza insita nell'e­ stetico è quella della trasparenza di figure decadenti>> 3 0 . Ciò significa che nella caduta delle figure storiche balena il totalmente altro della sto­ ria, anche se solamente come un barlume di speranza. A questo punto Adorno sviluppa l'idea di riconciliazione nell 'arte, che già allora si rivelò essere un elemento fondamentale della sua teoria estetica, e tale rimase. Lo stesso vale anche per l'idea che la speranza scaturisca dai segni fram­ mentari lasciati dalla storia, «che svaniscono all'occhio inondato di la­ crime, nel cui pianto tuttavia si confermano; nel pianto della disperazio­ ne, nel quale appaiono dialetticamente, in quanto commozione, il con­ forto e la speranza, corporei, in figure luminose» 31 • Adorno seguiva Kierkegaard per quel che concerne la concezione se­ condo la quale la verità esiste soltanto come qualcosa di «cifrato e reso inaccessibile» e che «si rivela» soltanto tramite la «'' rottura" con i rap­ porti umani fondamentali» 3 2 • La fantasia, dalla quale Adorno pretende­ va l'esattezza 33, è un organo tramite il quale sfuggire dalla fatal ità del corso della storia e rendersi conto della possibilità di riconciliazione. «Gli attimi della fantasia sono i giorni festivi della storia» 34• Alla fi ne, Adorno interpretava la dottrina esistenziale come filosofia negativa della storia che capovolge quella dell' idealismo. La direzio ne di tale inversio­ ne, egli la indicava rifacendosi a Benjamin: l'intera storia fino ad oggi

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sarebbe storia resasi colpevole nei confronti della natura. Un a volta che questo processo fatalmente legato alla storia naturale sarà giunto alla sua fine, germoglierà una speranza messianica. Per questo motivo la riconci­ liazione ( Versohnung) dipende dalla rovina di ciò che è. Per mettere per iscritto in forma compiuta e per concludere questa tesi di abilitazione molto personale quanto ai temi e al metodo e conte­ nente una molteplicità di formulazioni piuttosto artistiche, ad Adorno furono necessari poco più di dodici mesi. Come era riuscito a venire a capo di un tale lavoro che richiedeva un programma quotidiano estre­ mamente intenso ? Gli era stato possibile unicamente grazie ad un cre­ scente entusiasmo che gli faceva riempire una pagina dopo l'altra. Con la sua critica a Kierkegaard era convinto di aver sferrato un colpo decisi­ vo anche ad Heidegger. A Berg Adorno scrisse che nel suo modo di oc­ cuparsi di Kierkegaard c'era «qualcosa di nuovo e di originale», perché con la sua critica, stavolta, non si era minimamente preoccupato di aver riguardo del parere dei professori della facoltà che avrebbero giudicato il suo lavoro. Fu per questo che si ebbero varie obiezioni riguardanti la tesi di abilitazione ? Con Berg, Adorno liquidò in poche parole la critica che gli era stata rivolta, definendola insignificante: per lui aveva lo stesso senso che avevano le riserve che si potevano nutrire nei confronti della musica moderna. I pareri espressi dai due professori, Paul Tillich e Max Horkheimer concordarono, in conclusione, per un giudizio positivo . Tillich, da un lato sottolineava il fatto che tramite un atteggiamento critico nei con­ fronti della filosofia esistenziale fosse stata aperta una nuova prospettiva nella ricezione di Kierkegaard. Dall'altro lodava la capacità di avere «al contempo astrazione massima e concreta chiarezza» , il fatto di saper «classificare un concetto in rapporto all' insieme dei concetti ad esso vi­ cini e a quello dei concetti ad esso opposti» e i riferimenti programmati­ ci ad una filosofia «la cui verità è data dall' interpretazione di dati di fatto minimi in un momento storico)) 35• Wiesengrund non pensa «in modo topologico, bensì come se ordisse una trama)) il pensiero viene «tessuto ' dall' inizio alla fine senza particolari interruzioni)) . Horkheimer, nelle sue «osservazioni in merito all'abilitazione del dott. Wiesengrund)) si unì fondamentalmente a Tillich per quel che concerne la valutazione, facendo tuttavia espressamente notare che i temi peculiari della tesi di abilitazione, e cioè " speranza e riconciliazione" stavano in relazione con convincimenti teologici fondamentali che erano contrari al suo proprio pensiero. «lo so, tuttavia, che dietro questo lavoro non c'è soltanto una 1 73

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forte volontà di verità filosofica, bensì anche l'energia necessaria a pro­ muovere la filosofia in punti importanti» 3 6 • Gli amici di Adorno che non facevano direttamente parte dell'uni­ versità, in particolare Walter Benjamin e Siegfried Kracauer, reagirono in modo più differenziato alla Costruzione dell'estetico. Benjamin, una volta viste le bozze del libro, in una lettera ad Adorno del dicembre 1932 usò toni euforici per esprimere il proprio giudizio: «Che io mi ritrovi a leggere la rappresentazione dei motivi barocchi in Kierkegaard, o l' ana­ lisi epocale dell'intérieur, le magnifiche citazioni che lei trae dal tesoro tecnico di allegorie del filosofo, la descrizione della situazione economi­ ca di Kierkegaard, l'interpretazione dell'interiorità come roccaforte o dello spiritualismo come valore limite dello spiritismo - la ricchezza del modo in cui Lei esamina le cose, ma anche l'acutezza del Sua valutazio­ ne, mi colpiscono sempre» 3 7 • Benjamin si rendeva perfettamente conto che il libro su Kierkegaard doveva molto al pensiero e al metodo inter­ pretativo che egl i aveva sviluppato in numerosi saggi e volumi, in parti­ colare quelli sulle Affinità elettive di Goethe e L 'o rigine del dramma ba­ rocco tedesco. Evidentemente era d'accordo che Adorno avesse preso vari motivi in prestito da lui, e scriveva soddisfatto: «Allora esiste ancora quella che si potrebbe chiamare collaborazione» 38• Kracauer aveva ricevuto da Adorno il primo capitolo del Kierke­ gaard, sotto forma di manoscritto, già nel settembre del 1930. Non ave­ va dato che un'occhiata alle prime pagine che già si dichiarava a prima vista positivamente colpito da quel che aveva letto. Per Adorno, che si trovava a pochi giorni dalla consegna del lavoro, fu certo un buon inco­ raggiamento. Il vero e proprio libro su Kierkegaard, che Adorno pubbli­ cò presso l'editore Mohr-Siebeck nel marzo del 1933, «lo stesso giorno in cui cominciò la dittatura di Hitler» 39, non era identico alla tesi di abili­ tazione in virtù della quale al ventiseienne Adorno nel febbraio del 1931 era stata conferita la venia legendi in filosofia all'università di Francofor­ te. La versione originale era stata totalmente rielaborata in vista della pubblicazione. Come aveva detto Krenek, nella prima erano state usate tutte le pietre a disposizione, ma nella versione da pubblicare non era ri­ masta pietra che non fosse stata rivoltata. Era nata dunque una versione radicalmente nuova in cui la forma della rappresentazione poteva essere definita «costruita con precisione in tutte le sue parti» . Per questa nuova costruzione la versione originale aveva soltanto la funzione di abbozzo, di b rutta copia. Anche per questa accurata rielaborazione c'era molto poco tempo a disposizione. N el giro di nemmeno due mesi, nell' autun1 74

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no del 1932, Adorno aveva approntato il volume da pubblicare, soggior­ nando ora a Francoforte, ora a Berlino. Non appena il libro uscì, Benjamin e Kracauer si diedero subito da fare, nonostante gli autodafé organizzati dai nazisti, redigendo varie re­ censioni per presentare l'autore come un nuovo filosofo al quale in futu­ ro anche i lettori delle pagine culturali della "Vossische" e della " Frank­ furter Zeitung" avrebbero rivolto la loro attenzione. Gli eventi storici che seguirono l'ascesa al potere e la dittatura di Hitler vanificarono dal­ l'oggi al domani tutti quegli sforzi. Nondimeno, alcuni esemplari del volume vennero venduti durante quei bui anni della Germania. All' epo­ ca in cui la recensione di Benjamin venne pubblicata, questi era già sta­ to costretto a lasciare la Germania nazista. La dettagliata recensione scritta da Kracauer venne ancora composta, nella tipografia della "F rankfurter Zeitung" e anche le bozze vennero corrette, ma il testo non fu pubblicato. Kracauer, intellettuale ebreo di sinistra, dopo l'in­ cendio del Reichstag del 28 febbraio 1933 era fuggito con la moglie a Pa­ rigi, confidando nella promessa di un posto di corrispondente, una pro­ messa che il direttore della " Frankfurter Zeitung", Heinrich Simon, si era già rimangiato solo quattro settimane dopo 40 • I fatti davano dun­ que ragione ad Adorno, il quale aveva da tempo dato un giudizio am­ monitore sulla linea politica di quel giornale che già prima del 1933 evi­ tava qualsiasi tipo di confronto diretto col regime. Quando il redattore delle pagine economiche, Arthur Feiler, che aveva un orientamento di sinistra, venne licenziato, Adorno, come ricordava Ernst Bloch, aveva commentato laconicamente il provvedimento con la frase: «le navi ab­ bandonano il topo che affonda» 41 • Benjamin aveva costruito la propria recensione intorno ad un aspet­ to decisivo. Il merito principale dall'autore era quello di aver collocato la filosofia di Kierkegaard all'interno di un preciso orizzonte storico-cul­ turale e della storia del pensiero, così che l'elemento mistico della filoso­ fia esistenziale veniva ricondotto al mondo delle immagini del XIX seco­ lo. Benjamin concludeva la propria recensione con una considerazione finale quasi chiaroveggente: «Nel presente libro sono presenti molti spunti, concentrati in poco spazio; sarà facile che i prossimi volumi di quest'autore scaturiscano proprio da questo testo» 42 • Sul fatto che egli abbia avuto ragione con questa prognosi torneremo in seguito, quando presenteremo le pubblicazioni filosofiche di Adorno degl i anni sessanta, ed in particolare il suo opus magn um, la Dialettica negativa. 175

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Lo stesso Adorno ebbe apertamente a riconoscere, in un articolo del 1966 avente per oggetto il proprio libro su Kierkegaard, che in esso era­ no presenti tracce che sarebbero poi state seguite una per una nel corso del suo lavoro filosofico. In quella breve ricapitolazione egl i riassumeva nuovamente le proprie obiezioni nei confronti della concezione del sin­ golo in senso assoluto e nei confronti della ontologizzazione (sublimina­ re in Kierkegaard) della verità soggettiva. In tale poscritto, egli accen­ tuava inoltre in modo più marcato che nel libro i fraintendi menti kier­ kegaardiani relativi alla categoria di mediazione. «In Hegel la mediazio­ ne si realizza attraverso gli estremi [ . . . ] Kierkegaard, tuttavia, sottovaluta semplicisticamente la mediazione hegeliana considerandola come un elemento medio tra due concetti, come un compromesso di stampo moderato» 43. Al contempo metteva in risalto, in quel testo, che la filo­ sofia di Kierkegaard si rivela vera nei confronti di Hegel «nella misura in cui essa attribuisce un diritto superiore al momento del non-identico, a ciò che non si risolve interamente nel suo concetto» 44• Inoltre segnalava che in Kierkegaard l'assolutezza del singolo costituisce un momento im­ portante: in essa, infatti, si rispecchierebbe il carattere assoluto di una falsa totalità. Nella conclusione, quasi riconoscendo un proprio tratto personale, Adorno dichiarava: «Anche se per lui il Tutto in quanto tota­ lità e sistema era un assoluto inganno, [Kierkegaard] si è comunque messo in competizione con quel Tutto nel quale egli era immerso, al pari di ogni altro. E ciò è del tutto esemplare per lui» 45• Ma tale era an­ che per chi aveva scritto queste parole. Quando Kracauer stese la propria recensione, dal momento che pre­ sentava diffusamente proprio il volume di Adorno, dovette per prima cosa giustificare il fatto che si riteneva in grado di assumere la posizione del critico, benché il libro gli fosse dedicato. Certo, la «cricca [ . . . ] , quel­ lo spirito di gruppo che si basa esclusivamente sulle relazioni personali», era qualcosa di decisamente deleterio; egli riteneva comunque necessa­ rio, tuttavia, «che persone che han no lo stesso orientamento o un orien­ tamento simile nel lavoro dimostrino realmente la propria prossimità e affinità» 46. Si trattava di una dichiarazione chiara, in un'epoca in cui la solidarietà era tutt'altro che ovvia, come lo stesso Kracauer provò di per­ sona non da ultimo nella relazione con il proprio datore di lavoro, la " Frankfurter Zeitung". Come Benjamin, anche Kracauer si concentra­ va sulla ricostruzione dell'analisi critica che Adorno aveva dato della in­ teriorità in Kierkegaard, un'analisi che, secondo lui, era stata condotta alla luce di nozioni sociologiche. Il ripiegamento sull' interiorità vi veni-

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va spiegato «riferendosi alla situazione caratteristica dell'inizio dell'era capitalistica, nella quale tutti gli oggetti e i contenuti si mercificano sempre più)) . Da un punto di vista filosofico, risultava chiaro che l"' inte­ riorità priva di oggetto " di Kierkegaard non poteva «riguardare gli og­ getti mercificati>>, ma veniva a ragione decifrata come interiorità natura­ le e mistica. Kracauer faceva espressamente notare che, dal punto di vi­ sta metodologico, il giovane autore era stato profondamente influenzato dalla modalità filosofico-storica tipica del pensiero di Benjamin. Retro­ spettivamente, si ha l'impressione che con questa recensione, allora ri­ masta inedita, Kracauer abbia voluto anche celatamente fornire un commento esplicativo a posteriori della prolusione accademica che Adorno, già nel maggio del 1931, aveva tenuto, in qualità di libero do­ cente, all'università di Francoforte. Vedremo il contenuto di tale prolu­ sione e il modo in cui si svolse (che fece in qualche modo scalpore) sullo sfondo dello sviluppo della situazione all'interno dell'università di Fran­ coforte a partire dall'inizio degli anni trenta ed in particolare in relazio­ ne alle opinioni, che erano all'epoca oggetto di discussione, riguardanti le cause della crisi delle scienze e il futuro di una filosofia di orientamen­ to critico.

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Un secondo ele111 ento d'eccezione a Francoforte: l'Istituto per la ricerca sociale

L'Istituto per la ricerca sociale ( Institut fiir Sozialforschung) , di cui Max Horkheimer aveva assunto la direzione nel 1931, all'epoca esisteva già da più di sei anni, ed era un istituto di ricerca che godeva di uno statuto particolare e faceva parte dell' università. Come era del tutto tipico nel­ l'ambito dell'università di Francoforte, l'istituto era nato da una fonda­ zione del facoltoso commerciante all'ingrosso Hermann Weil 1 • Il figlio di questi, Felix José Weil, che era nato in Argentina nel 18 98 e viveva a Franco forte da quando aveva nove anni, durante i propri studi si era oc­ cupato in modo particolare di problemi di economia mondiale e in ge­ nerale di questioni economiche. Contrariamente al padre, tuttavia, che era di orientamento liberale e conservatore, egl i si collocava decisamente a sin istra, ed i suoi interessi scientifici e politici erano rivolti al marxi­ smo 2• Malgrado il differente orientamento in campo politico, il figlio era riuscito a convincere il padre ad impegnarsi, con il proprio sostegno finanziario, per il progetto di un istituto di ricerca di per sé autonomo, ma annesso all'università, sul modello dell' Istituto per il traffico maritti­ mo e l'economia mondiale di Kiel. Le trattative tra l'economo dell'università e il ministero competente in relazione all'allestimento di un Istituto per la ricerca sociale sulla base di una fondazione privata avevano avuto inizio già nel 1 922. Le consul­ tazioni che ebbero luogo tra i donatori, l'economo dell'università ed il ministero furono alla fine coronate dal successo. Il ministero e il consi­ glio di amministrazione dell'università conclusero un contratto con la Fondazione Weil per la creazione di un istituto autonomo di ricerca, il cui finanziamento doveva essere interamente assicurato dalla Società per la ricerca sociale (associazione registrata) 3• Il sostegno finanziario inclu1 79

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deva la costruzione e l'arredamento dell'edificio preposto ad ospitare l'I­ stituto, il versamento annuale della somma di 120.000 marchi, nonché il finanziamento di una cattedra il cui titolare sarebbe stato chi al momen­ to fosse direttore d'istituto alla Facoltà di scienze economiche e sociali. Le proposte per la definizione delle competenze di una tale istituzione, unicamente a servizio della ricerca, furono formulate da una cerchia esclusiva composta da una ventina di giovani intellettuali di tendenze di sinistra, tra i qual i, oltre ad alcuni marxisti di spicco quali Georg Lukacs e Karl Korsch, si annoveravano anche F riedrich Pollock e Felix We il. Nel periodo di Pentecoste del 1923 questo gruppo 4 organizzò una co­ siddetta "settimana marxista di lavoro " durante la quale si sarebbe do­ vuto deliberare in merito alle finalità ed all'indirizzo di ricerca dell' isti­ tuto di Francoforte. Tutte queste persone, tra le quali si trovavano molti iscritti all'us P D o al KPD 5, erano accomunate dal rifiuto tanto delle va­ rianti riformiste quanto delle interpretazioni dogmatiche di Marx; ciò che li univa era il comune intento di rinnovare dal punto di vista filoso­ fico un marxismo che si stava irrigidendo nell'ortodossia 6 . Weil e Pol­ lock erano già in relazione di amicizia prima dell'incontro di Penteco­ ste; entrambi si erano laureati all'università di Francoforte in economia politica. Già per via delle loro esigenze accademiche si adoperavano con grande impegno per favorire la creazione dell'istituto; Pollock aveva l'intenzione di condurre le proprie ricerche proprio in quella sede 7. Kurt Albert Gerlach, che in quanto socialdemocratico di sinistra era ben disposto verso questioni concernenti l'economia marxista, venne no­ minato professore all'università di Francoforte nel 1922. Felix Weil gli aveva offerto subito la direzione del futuro istituto. A causa della morte inaspettata, nell'ottobre di quello stesso anno, del direttore designato, i fondatori dell'istituto si trovavano nella delicata situazione di dover trova­ re un'alternativa da proporre per la carica di direttore. Dopo che le tratta­ tive intraprese con lo storico berlinese Gustav Mayer fallirono per via di una differenza di opinioni in merito alle competenze del finanziatore We il 8, per la direzione dell'Istituto si ottenne piuttosto in fretta l' accon­ sentimento di Cari Gri.inberg, " marxista cattedratico ", professore di eco­ nomia politica all'università di Vien na, il quale era internazionalmente noto in quanto curatore della rivista "Archiv fi.ir die Geschichte des Sozia­ lismus und der Arbeiterbewegung" (Archivio di storia del socialismo e del movimento operaio) 9. Quando si assunse l'incarico di dirigere l'istituto francofortese, ottenne al contempo una cattedra alla Facoltà di scienze economiche e sociali. Nell'estate del 1924, l'anno in cui Adorno si laureò, 180

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tenne il discorso ufficiale in occasione dell'inaugurazione della costruzio­ ne, appena terminata, che avrebbe ospitato l'Istituto per la ricerca sociale. Al n. 17 della Viktoria-Allee l'architetto Franz Rodele aveva progettato un edificio di quattro piani nello stile della Neue Sachlichkeit (nuova oggetti­ vità) , nel quale, oltre agli ambienti destinati allo studio del direttore e al­ l' amministrazione, trovavano posto una biblioteca, quattro locali atti a te­ nere seminari e oltre una dozzina di stanze da lavoro più piccole. I locali al pianterreno e al primo piano erano stati messi a disposizione della Facoltà di scienze economiche e sociali. Gri.inberg, nel suo discorso di apertura, si soffermò in particolare sulla necessità di portare avanti una ricerca scienti­ ficamente fondamentale, una ricerca che difficilmente poteva trovare espressione all'interno delle università. Egli dichiarò del tutto apertamen­ te che, per il lavoro che si prevedeva di produrre in quell'istituto, in primo piano avrebbe dovuto essere tenuto il metodo marxista di ricerca, il che per lui equivaleva a dire che il fondamento teoretico era la concezione marxista della storia. Essa non doveva, tuttavia, essere erroneamente in­ terpretata come un insieme rigido di norme corrispondenti a verità eter­ ne, bensì doveva dare prova di sé tramite il proprio contenuto esplicati­ vo 10 • G ri.inberg, tuttavia, per via delle sue precarie condizioni di salute, du­ rante la fase di creazione dell' Istituto poté praticare la logorante attività di direttore soltanto in modo ridotto. All'inizio del 1928 ebbe un ictus che gli impedì in modo permanente di prendere parte all'organizzazione e al la­ voro scientifico, così che nell' Istituto le iniziative restarono principalmen­ te una prerogativa dei collaboratori più giovani. Le ricerche ivi condotte durante quei primi anni di esistenza si erano orientate verso problemati­ che marxiste. In primo piano si ponevano questioni quali la crisi dell'eco­ nomia capitalistica, la socializzazione dell'economia, il funzionamento dell'economia pianificata ecc. Conformemente all'orientamento, la mag­ gior parte dei collaboratori dell'Istituto abbracciavano le opinioni marxi­ ste. Certo, all' interno dell'istituto il dogmatismo della seconda e della ter­ za internazionale aveva sollevato varie critiche e Gri.inberg si era dichiara­ to a favore di una forma aperta di marxismo. Numerosi collaboratori del­ l'Istituto, invece, come per esempio Karl August Wittfogel, Richard Sor­ ge, Henryk Grossmann e Franz Borkenau, ma anche i due membri del consiglio direttivo della Società per la ricerca sociale, e cioè F riedrich Pol­ lock e Felix Weil, erano convinti che il socialismo e il comunismo fossero modelli di un ordine sociale più giusto che storicamente si sarebbe impo­ sto con necessità oggettiva rispetto al capitalismo. La maggior parte degli 181

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assistenti che lavoravano presso l'Istituto per la ricerca sociale alla metà degli anni venti erano formalmente membri dell' usPD o del KP D oppure simpatizzavano con il movimento comunista. Su questa linea si collocava anche l'attualissima iniziativa di Pollock e Weil di dare vita, all'interno dell'Istituto, ad una casa editrice di testi marxisti. Entrambi cercavano di attuare il progetto di creare, nel quadro dell'istituto, una società editrice privata, progetto che ben presto portò ad un marcato conflitto con l'uni­ versità. Tal e società avrebbe dovuto avere la funzione di un "archivio Marx-Engels" . I due ideatori avevano l'intenzione di pubblicare un'edi­ zione integrale critica delle opere di Marx ed Engels, in cooperazione con l'Istituto Marx-Engels di Mosca, il cui direttore era David Rjazsanov, che a sua volta era in contatto con Grtinberg 11 • Ad una collaborazione tra l'i­ stituto moscovita e quello di Francoforte si arrivò davvero, ma essa ebbe fine in seguito agli sviluppi stalinisti verifìcatisi in Russia e al conseguente esilio di Rjazsanov all'inizio degli anni trenta. Parallelamente a ciò, molti membri dell'Istituto cominciarono a nutrire un crescente scetticismo in proposito al fatto che la classe dei lavoratori, malgrado l'oppressione eco­ nomica e la miseria sociale, avrebbe mai potuto farsi portatrice del rove­ sciamento rivoluzionario. Sullo sfondo della situazione di quel periodo, Max Horkheimer ten­ tò si stendere una sorta di bilancio di teoria sociale nel suo scritto del 1930 dal titolo Gli inizi della filosofia borghese della storia. Esso, nel capi­ tolo intitolato L 'u topia, contiene alcune frasi pregnanti che bene espri­ mono il clima storico dell'epoca, in una prospettiva che la quasi totale maggioranza dei membri dell'Istituto deve aver condiviso : essi avevano infatti anche prescelto Horkheimer come successore di Grtinberg. «Che la storia abbia realizzato una società migliore da una meno buona, che nel suo decorso essa ne possa realizzare una ancora migliore, è un dato di fatto; che la via della storia conduca attraverso le sofferenze e la mise­ ria degli uomini è però un altro dato di fatto. Tra questi due dati di fat­ to vi è tutta una serie di connessioni esplicative, ma non un senso che costituisca una giustificazione» 12 •

Due prolusioni Nel 1 930 Max Horkheimer, che fino ad allora era libero docente in Filo­ sofia, venne nominato professore ordinario di Filosofia sociale (lo stu­ dio Gli inizi della filosofia borghese della storia, pubblicato quello stesso

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anno, era stato certo utile per favorire quella nomina problematica) . L'anno seguente gli fu possibile diventare formalmente direttore dell'I­ stituto per la ricerca sociale. Sotto la sua guida si ebbe anche un notevo­ le cambiamento per quel che concerne i punti principal i su cui focaliz­ zare il lavoro. Egli aveva l'intenzione di fare un uso più marcato, rispet­ to a quanto fosse stato fino a quel momento, delle possibilità teoretiche e metodologiche che venivano offerte dalle scienze sociali moderne. Il discorso pubblico che Horkheimer tenne in occasione dell'assunzione della carica di direttore dell' Istituto nel gennaio del 1931 esprimeva un cambiamento di prospettiva nella ricerca già nel proprio titolo: " La si­ tuazione attuale della filosofia della società e i compiti di un istituto per la ricerca sociale" . Le argomentazioni di Horkheimer toccavano in alcu­ ni punti lo stesso tema che Adorno, tre mesi più tardi, avrebbe preso come spunto per la propria prolusione. Per questo sarà interessante esa­ minare i punti di incontro e le differenze tra i due discorsi. Quali erano, per il filosofo sociale che ora aveva a disposizione l'apparato di ricerca di un intero istituto, le questioni di maggior rilie­ vo, e qual era il modo in cui immaginava di organizzare il processo di ricerca ? Nel corso delle proprie argomentazioni aveva dato una defi nizione del campo di oggetti di quella ricerca, all'interno delle scienze sociali, alla quale l'Istituto si sarebbe dedicato in futuro. Il loro interesse cono­ scitivo tendeva verso il «problema della connessione che sussiste tra la vita economica della società, lo sviluppo psichico degli individui e i cambiamenti che hanno luogo nelle sfere culturali in senso stretto - alle quali non appartengono solo i cosiddetti contenuti spirituali della scien­ za, dell'arte, della rel igione, ma anche il diritto, il costume, la moda, l'o­ pinione pubblica, lo sport, le forme di divertimento, lo stile di vita ecc.» 13• L'argomento portante della futura ricerca da condursi nell' isti­ tuto fu individuato, da un lato, nei fattori psichici soggettivi della for­ mazione della coscienza degli atto ri, dall'altro, nel lato culturale e istitu­ zionale della società, includendo nel contesto della ricerca anche i cosid­ detti fenomeni di sovrastruttura. Ad Horkheimer stava a cuore, oltre al­ l' esame critico del contenuto esplicativo della teoria material istica, effet­ tuare " ricerche concrete applicate agli oggetti", i cui risultati avrebbero dovuto rappresentare un importante correttivo rispetto al proliferare selvaggio, nelle scienze, di visioni ideologiche, e rispetto ai vari concetti di realtà che venivano postulati. N ella futura relazione tra la filosofia e le singole scienze la questione centrale non sarebbe più stata il primato

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dell'una rispetto alle altre; per Horkheimer, avrebbe potuto darsi soltan­ to la via di una " compenetrazione " di ricerca empirico-fattuale e di ri­ flessione filosofica. Importante era «organizzare, sulla base dei problemi filosofici attua­ li, ricerche a cui partecipino filosofi, sociologi, economisti, storici, psi­ cologi)) formando un gruppo di lavoro costante 14• La finalità di una ri­ cerca sociale indirizzata filosoficamente veniva chiarita da Horkheimer tram ite l'esempio di un oggetto d'analisi che gli stava particolarmente a cuore, in considerazione degli indizi di crisi del movimento operaio, e che rappresentò effettivamente un campo di studio di importanza cen­ trale per l'attività dell'Istituto, allora e nei tempi a venire: l'analisi della connessione tra la condizione di classe e la coscienza, cioè tra la posizio­ ne sociale e le disposizioni soggettive. Egli era convinto che fosse possi­ bile far luce su questo nesso soltanto tramite il materiale empirico. Per pervenire ai dati empirici necessari proponeva di far uso di non meno di sei strumenti metodo logici: oltre all'analisi di statistiche e perizie, egli riteneva assolutamente necessario intrattenere discussioni con esperti, praticare un'analisi dei contenuti dei media politicamente e cultural­ mente influenti nella formazione dell'opinione pubblica e della volontà della collettività, ed effettuare un'analisi dei documenti. Inoltre, era a favore di un'ampia ricerca sul campo in analogia con la moderna socio­ logia americana e per l'uso, in tale contesto, dell'indagine condotta tra­ mite lo strumento del questionario . «Ognuno di questi metodi, da solo, è assolutamente insufficiente, tutti insieme, dopo anni di ricerca pazien­ te ed estesa, potranno forse dare buoni risultati per la problematica ge­ nerale che ci interessa)) 15. Questo programma interdisciplinare che prevedeva, al contempo, l'applicazione di molteplici metodi non ebbe soltanto effetti determi­ nanti per il lavoro condotto dall' Istituto negli anni che seguirono. Esso aveva già preso forma in progetti di ricerca in sociologia empirica che erano stati realizzati con il crescere dell' influenza di Horkheimer all' in­ terno dell'Istituto. Il nuovo orientamento di ricerca ottenne ulteriore sostegno con l'arrivo dello studioso di letteratura Leo Lowenthal 16, di Erich Fromm 17 che si occupava di psicologia analitica sociale, e, più avanti, di Herbert Marcuse 18, il quale era un ex allievo di Heidegger ed era giunto in Istituto su suggerimento dell'economo dell'università Kurt Riezler. Pochi mesi dopo il disco rso programmatico tenuto da un Horkhei­ mer trentacinquenne ora direttore dell'Istituto per la ricerca sociale, al-

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l'università si ebbe un altro discorso dal tono altrettanto programmati­ co, e cioè la prolusione che Adorno tenne nel febbraio di quell'anno, quando ottenne la libera docenza in filosofia. L 'attualità della filosofia, questo il titolo. Qualora il pubblico accademico, che in entrambi i casi dev'essere stato composto all'incirca dalle stesse persone, abbia fatto at­ tenzione ai tratti comuni e alle differenze presenti nelle due argomenta­ zioni, dev'essere giunto con stupore alla conclusione che Adorno era piuttosto scettico nei confronti dell' idea di ricerca sostenuta da Hork­ heimer, il quale prevedeva una ricerca sociale dall'indirizzo filosofico so­ ciale 19• Osservando la posizione di Adorno in modo superficiale, il suo scetticismo poteva sfuggire; da un lato, infatti, Adorno condivideva molte delle opinioni di Horkheimer e delle problematiche che questi prendeva in esame. Egli, per esempio, nel suo ampio tour d'horizon at­ traverso la filosofia contemporanea, si associava alla critica di Horkhei­ mer che vedeva la specializzazione caotica delle discipl ine come un fe­ nomeno di crisi dell'attività scientifica moderna, un fenomeno che an­ dava superato. Entrambi, inoltre, erano scettici nei confronti del poten­ ziale rivoluzionario del movimento dei lavoratori. Erano anche d' accor­ do sul fatto che né una variante ortodossa né una revisionista del marxi­ smo, né la varietà delle filosofie predominanti, dalla fenomenologia al positivismo agli indirizzi metafisici, potevano indicare una via d'uscita dalla crisi delle scienze. N ella recente disciplina delle scienze sociali, tut­ tavia, Adorno, differenziandosi in questo dalla posizione di Horkhei­ mer, non vedeva rinascere l'araba fenice dalle ceneri. Egli notava critica­ mente che l'aspetto formale della sociologia predominante all'epoca del­ la Repubblica di Weimar aveva prodotto, per il momento, soltanto con­ cetti astratti. Mentre le forme ideal istiche di pensiero della filosofia si li­ brano al di sopra degli oggetti, la sociologia corre il rischio opposto, e cioè quello di distillare i propri concetti troppo concretamente dalle realtà esistenti finendo per riprodurre semplicemente i dati di fatto, proponendo cioè un mero raddoppiamento: «quel che resta è un grande e incoerente insieme di determinazioni empiriche puntuali» cui è im­ possibile dare un'organizzazione tramite delle cognizioni e che non for­ nisce più alcun tipo di criterio critico 2 0 • Già nel 1931 Adorno aveva tro­ vato da ridire su questo genere di sociologia, che si «inserisce in una sor­ ta di relativismo generale» , che dimette categorie come quella di classe e ideologia per servirsi di concetti generici di tipo puramente formale, come per esempio relazione sociale, forma sociale, differenze di grado sociale, gruppo sociale, organizzazione sociale.

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Nella sua prolusione (e Horkheimer deve essersela presa a male) egli definiva i sociologi dei «ladri che si arrampicano su per le case» , riferen­ dosi ad un concetto che aveva evidentemente preso in prestito da Hei­ degger. Il sociologo, "arrampicandosi su per le facciate delle case", ten­ terebbe di salvare gli elementi di valore dell'edificio eretto sì dai costrut­ tori della grande filosofia, ma oramai abbandonato perché pericolante. All'epoca della prolusione, la modalità sociologica del pensare non era per nulla estranea ad Adorno, anzi, egli conosceva piuttosto bene le cor­ renti principali della sociologia contemporanea. Nondimeno, la socio­ logia restò in secondo piano in quella sua dichiarazione di obiettivi pri­ mariamente filosofici : gettare luce sull'enigma del mondo tramite l'in­ terpretazione di singoli fenomen i. Cosa si intendeva con ciò ? La tesi di partenza della sua prolusione era che occorre abbandonare l' illusione di poter afferrare col pensiero l'interezza di un mondo pre­ sentato come sensato. Per questo sono destinati al fallimento tutti i ten­ tativi di impadronirsi dell'empiria tramite una differenziazione sempre più precisa dei sistemi filosofici. Dal momento che la realtà resta enig­ matica in linea di principio, il compito che il filosofo teoretico dovrebbe porsi sarebbe di risolvere un enigma dopo l'altro all'interno del processo interpretativo. Fintantoché la filosofia viene stimolata dalle «figure enig­ matiche dell'ente» 21 a fornire delle interpretazioni, essa è anche, secon­ do Adorno, estremamente attuale all'interno di una modernità ormai disi ncantata per via del razionalismo delle singole scienze. Tentare di ri­ solvere tali enigmi tramite il ricorso a interpretazioni non significava, per lui, rintracciare una qualche verità misteriosamente nascosta, un'es­ senza posta dietro il mondo dei fenomeni che spieghi ogni cosa perché sta ontologicamente alla base di tutto . La «funzione dell'attività di risol­ vere enigmi» consiste piuttosto nell' «illuminare come un lampo la for­ ma dell'enigma» 22 • In tale attività, caratterizzata dallo scorgere momen­ taneamente, il processo interpretativo ha successo circoscrivendo le que­ stioni poste dall'enigma tramite varianti di risposta che abbozzano solu­ zioni in via sperimentale. Adorno, in questo passo che risulta di centrale importanza per la fondazione del suo modello cognitivo, afferma che i modelli filosofici di interpretazione devono essere praticati in «costellazioni variabili» . E tali «disposizioni sperimentali variabili» devono essere applicate «finché esse non si imbattono nella figura che appare leggibile come risposta, e a quel punto la domanda scompare» 23• Conoscenza significa qui, per Adorno, il quale a questo punto propone la propria idea di dialettica, 186

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che la peculiarità di una data interpretazione si esaurisce lavorando a quella di un'altra. Il contenuto di verità, che ha sempre e soltanto una natura provvisoria, si mostra nell'improvviso balenare dell'evidenza di ciò che è stato finora pensato. Conformemente a ciò, le interpretazioni filosofiche potrebbero pretendere di essere appropriate nella misura in cui le loro costruzioni interpretative si dimostrano ricche di conseguen­ ze ai fini di una migliore comprensione. Già nel testo della prolusione, che all'epoca non fu pubblicato, Adorno cerca di chiarirsi le idee su come la modalità cognitiva della cri­ tica potesse essere definita in quanto processo dialettico . Egli considera­ va tale processo come un procedimento di costruzione razionale. Tali costruzioni sono per lui costituite da una serie di modelli di pensiero che variano, i quali vengono collocati in un contesto di relazioni tra co­ stellazioni variabili. Tali modelli di pensiero relazionati gli uni agli altri all'interno di costellazioni plasmano in nuove forme la materialità stori­ ca del sociale - e cioè gli «scarti del mondo dei fenomeni)), come egli li definiva citando Freud 24. All'interno di questo fine conoscitivo specificamente filosofico, il giovane libero docente circoscriveva una logica autonoma della ricerca; anche questo era uno dei temi della sua prolusione. Egli diceva che la ri­ cerca era cosa che spettava alle singole scienze che avessero una legitti­ mazione metodologica; tra queste egli annoverava anche la sociologia. Il rapporto di interdipendenza tra la filosofia e la ricerca sociologica, rap­ porto che egli promuoveva con insistenza, doveva essere garantito tra­ mite la "comunicazione dialettica". Con questa espressione egli inten­ deva dire che lo scopo della diagnosi filosofica sull'epoca attuale su vasta scala consiste nel «costruire le chiavi tramite le qual i si apre la realtà)> 2 5• Per tradurre in pratica questo scopo conoscitivo occorre fare uso della " fantasia esatta ", la quale tuttavia viene messa al riparo dalla mera spe­ culazione soltanto se «resta rigorosamente all'interno del materiale che gli scienziati le offrono)) 26 . In tale caso la sociologia riceve una sua fun­ zione accanto ad altre discipline delle scienze sociali: essa rende accessi­ bile il fattuale con l'ausilio dei suoi metodi di ricerca. Il grande quadro tematico che Adorno tracciò nella sua prolusione era paragonabile, dal punto di vista della portata programmatica, a quello che Horkheimer aveva delineato nel suo discorso in occasione della nomina a direttore dell'Istituto . A parte questo tratto esteriore, tra le due prolusioni sussistevano pochi punti comuni, cosa particolarmen­ te evidente se si considera la questione, trattata da entrambi, dell'inter-

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disciplinarietà e l'importanza delle singole discipline e della loro relazio­ ne con la filosofia. Per Horkheimer la filosofia della società - un altro modo per dire teoria della società - era, in fin dei conti, la regina di tutte le scienze, perché si indirizzava verso " l'universale generale", " l'essenziale ", essen­ do dunque in grado, grazie alla propria " intenzione " teorica, «di fornire impulsi vivifi canti alle ricerche particolari» 27. Al contempo egli sostene­ va un'idea di interdisciplinarietà di cui motivava la produttività scienti­ fica dicendo che solo e soltanto tramite la cooperazione delle singole scienze è possibile raggiungere il grande traguardo di una «teoria del corso storico dell'epoca contemporanea», di una «teoria della società nella sua totalità)) 28• Adorno invece, fin dall'inizio della sua prolusione, aveva espresso un certo scetticismo riguardo a questo tipo di obiettivo. Riteneva inutile l'interdisciplinarietà, perché di fronte a un mondo sociale ormai andato in pezzi appare del tutto vano voler comprendere la "totalità del reale" . Egli n o n soltanto criticava, tramite l'argomento secondo cui l a realtà era diventata caotica, il programma di una conoscenza totalizzante, ma ten­ tava anche di scardinare il modello che prevede una correlazione tra filo­ sofia e scienza. La logica delle singole scienze è assolutamente inconcilia­ bile con il concetto di verità della filosofia: tra la ricerca e l'interpretazio­ ne vi è una frattura incolmabile. Con questa constatazione Adorno assu­ meva una sua propria posizione rispetto all'interdisciplinarietà su base fi­ losofica sostenuta da Horkheimer, una posizione, tuttavia, che egli era in grado di definire soltanto metaforicamente parlando di "fantasia esatta" . All'epoca, Adorno aveva una propria idea, differente d a quella di Horkheimer, a proposito della relazione tra teoria della società e trasfor­ mazione pratica del mondo sociale. Mentre Horkheimer, allora, pren­ deva le mosse dal fatto che far luce dal punto di vista teorico sull'irrazio­ nalità del complesso sociale e sulle sue contraddizioni interne poteva condurre ad una prassi differente, la critica di Adorno non metteva in primo piano i contenuti di una teoria della società, i suoi oggetti più pro­ pri, come per esempio gli antagonismi di classe, i risultati sostanziali de­ rivanti dallo studio dei meccanismi di sfruttamento di natura economi­ ca o i dati della ricerca sociale. Egli partiva piuttosto dal fatto, invece, che sarebbe stato possibile risolvere le immagini irrigidite della realtà soltanto tramite un " modo " diverso di compenetrarle reciprocamente, un modo che doveva assumere una forma concreta nella costruzione di modelli di pensiero. Il nome di questo diverso metodo di riflessione era, 188

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naturalmente, dialettica. Ma Adorno, nel quadro delle sue argomenta­ zioni, lasciò aperta la questione di dimostrare chiaramente, prendendo ad esempio un oggetto della ricerca, a quali evidenze il pensiero dialetti­ co fosse effettivamente in grado di condurre 29. Pare che alcuni fra i presenti abbiano notato il deficit contenutistico della prolusione, e cioè il fatto che non sia stato mostrato quanto il me­ todo dialettico nell'analisi fosse fruttuoso. Quando, per esempio, Willy Strzelewicz, che all'epoca ricopriva un posto di assistente presso l' Istitu­ to per la ricerca sociale, aveva parlato con Horkheimer, durante un viag­ gio in treno, della prolusione di Adorno, Horkheimer si era espresso in modo addirittura sprezzante in proposito: «N o n si capisce a cosa serva­ no le opinioni di Ado rno». Tale reazione era un chiaro indizio della «di­ vergenza d'opinioni che c'era tra i due» 3 0• A parte la reazione distaccata di Horkheimer, al termine della prolu­ sione erano state espresse apertamente varie critiche riguardanti il modo in cui il pensiero era stato illustrato. Kracauer, invece, in una lettera ad Adorno del 7 giugno 1931, lodò espressamente la parte introduttiva della prolusione di Adorno, nella quale questi aveva criticato le filosofie con­ temporanee del presente, facendo riferimento ad una versione scritta del discorso che aveva ricevuto a Berlino . Dopo le lodi, controbatteva tutta­ via dicendo all'amico che certo sarebbe stato meglio «compiere una pic­ cola analisi davvero dialettica» piuttosto che presentare un programma filosofico a livello astratto 3 1 • Kracauer, inoltre, in vista del futuro lavoro universitario in qualità di libero docente, gli consigliava di far uso del­ l"' intelligenza tattica" , una qualità massimamente incoraggiata dalla teoria del marxismo . Probabilmente ti sei messo a giocare a rimpiattino per nascondere il punto di vista dal quale avresti dovuto parlare. Volevi dichiararti apertamente, ma non potevi farlo. In effetti, dichiarare la propria adesione al marxismo subito dopo aver otte­ nuto l'abilitazione e in un'occasione così ufficiale non era possibile. E sarebbe an­ che stato inopportuno, perché avresti subito dato l'idea a tutti i docenti di aver aspettato giusto il momento di avere in mano l'abilitazione per rivelarti aperta­ mente. Probabilmente è per evitare di dare la sgradevole impressione di esserti comportato in modo sleale che hai mascherato la cosa in questa maniera

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Un' impressione del tutto diversa dello " scandalo " ci viene data a poste­ riori da Peter von Haselberg, il quale quarant'anni dopo aveva ancora ben presente alla mente la situazione di cui era stato testimone: «Fu una

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vera e propria prolusione, polemica nei confronti di tutti i filosofemi dominanti [ . . . ] . Ma con la prolusione assistemmo, al contempo, anche alla lettura di un'opera di notevole stile letterario, interpretata da un oratore di ril ievo; non un timido e giovane erudito, neanche l'ombra di tutto ciò, al contrario: uno studioso pieno di passione che aveva reso al meglio il proprio testo, ecco colui che, alla fine, scese dal podio come un applaudito solista» 33• Fu quest'entusiasmo per i propri argomenti la ra­ gione delle riserve nutrite da alcuni ascoltatori ? Certo, uno dei motivi fu il fatto che Adorno, con la prolusione, aveva dimostrato quanto, in fondo, egli prendesse le distanze dall'attività accademica, dalla filosofia che veniva professionalmente praticata nelle università e che egli, già al­ lora, riteneva priva di contenuti e meramente formale, che vedeva come una disciplina molto specifica, «come una scienza specializzata al di là delle scienze specialistiche» 34• Chi guardava con occhio così critico alla prassi accademica della disciplina filosofica esprimendo per di più aper­ tamente che cosa pensava dell'università, aveva ovviamente il dovere di fornire un'alternativa alla filosofia vecchio stampo: cioè chiarire quel che intendesse lui con filosofia. In quale misura gli riuscì di dare realtà, nelle proprie lezioni, alle proprie argomentazioni implicite ? Già prima della prolusione, cioè della prima lezione in qualità di li­ bero docente, Adorno era stato incaricato da Tillich di tenere dei semi­ nari all'università. E fu così che egli, volente o nolente, venne sempre più coinvolto nell'i nsegnamento accadem ico. Di questi primi seminari di filosofia Peter von Haselberg ci dice che erano lezioni piuttosto esclu­ sive e che «una delle componenti di quelle riunioni» era costituita da una «certa tendenza ad imbrogliare». Nel primo seminario di estetica era stata trattata, tra l'altro, la filosofia di Kierkegaard, di cui il responsa­ bile del seminario faceva una parafrasi libera 35• Il seminario di estetica del semestre invernale 1931-32, il primo che egli tenne autonomamente, si concentrava soprattutto sul System der Asthetik del filosofo J o han n es Volkelt, un'opera in tre volumi pubblicata nel 1905 che aveva per ogget­ to una sistematizzazione, oggi caduta nell'oblio, della filosofia dell'arte. Per questo corso, il ventisettenne che lo teneva si era accuratamente pre­ parato, come documentano vari appunti che sono stati conservati 3 6 • Per ogni singola lezione Adorno redigeva un manoscritto dettagliato e articolato in modo sistematico . Egli intendeva sviluppare in modo im­ manente la propria critica al sistema estetico: tramite la prova fondata secondo cui l'estetica pura fallisce per via della propria astrattezza. Infat­ ti (questa la posizione del libero docente) «gli oggetti ed i problemi este-

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tici si possono riconoscere in quanto storicamente prodotti. Il fatto che nascano storicamente è, per così dire, il marchio di autenticità di tutti i problemi estetici» 37. Da questi appunti ci si può fare un' idea, per lo meno a grandi linee, dei punti fermi più importanti del suo pensiero che egli aveva già in par­ te espresso in altri scritti, come le pubblicazioni di teoria musicale o la tesi di abilitazione. Si pensi, ad esempio, alla posizione secondo cui le opere d'arte sono il prodotto di una costruzione; in esse, inoltre, trove­ rebbero attuazione leggi formali; esse anticiperebbero, nel loro modo di presentarsi, una riconciliazione, ed in esse il progresso troverebbe espressione nella configurazione del materiale. Egli si opponeva alla classificazione dell'arte moderna come arte astratta facendo notare l' «ambiguità del concetto di fondamento sensoriale dell'arte stessa, un'ambiguità che viene intesa come costruzione di oggettività, talvolta isolata sensisticamente, talvolta invece a ragione come tale» 38• Al con­ tempo si dichiarava contrario ad una antologia dei sensi, i quali hanno fondamentalmente una natura storica. Negli appunti per l'ottavo in­ contro di seminario sottolineò come punto più importante il seguente: «lo sconvolgimento che proviamo quando ci imbattiamo in un odore già incontrato in passato, la commozione che possiamo provare nella stessa situazione in relazione al cibo, è la promessa di una vera e propria arte, una promessa che finora l'arte non ha ancora mantenuto e che for­ se potrà essere mantenuta soltanto al prezzo del declino dell 'arte. Tutta­ via, questa via non è praticabile [ . . . ] in modo arcaico, bensì solo dialetti­ camente, portando avanti fino al suo ribaltamento l'arte dei sensi supe­ riori» 39• L'oggetto degli appunti dell'ultimo seminario è costituito dall'in ter­ pretazione della poesia di Goethe So laj mich scheinen, bis ich werde il cui argomento si riallaccia alla vita della piccola mendicante Mignon negli Anni di apprendistato di Wilhelm Meister. Il personaggio di M i­ gnon viene interpretato da Adorno come «un modello storico di storia originaria, al pari di ogni grande personaggio della letteratura; e solo alla sua storicità è legata l'idea dell'apparire. [ . . . ] Ogni incontro con M i­ gnon ha quel carattere tipico del ritrovare qualcosa, del riscopri re, per­ ché in questa figura storica, così come anche in altre, si riscopre quella componente storica originaria che altrimenti resta nascosta» 40• Con questa tesi Adorno preparava già con destrezza il passaggio al tema del seminario di estetica del semestre seguente: aveva l' intenzione di occu­ parsi del volume di Walter Benjamin Il dramma barocco tedesco ed in

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particolare della sua Premessa gnoseologica, scritti che avevano avuto un'importanza centrale sia nella prolusione, sia nel libro su Kierke­ gaard. Benché Adorno fosse uso prepararsi meticolosamente per i suoi cor­ si, pare che ciò non sempre lo preservasse dal dare adito a clamorosi ma­ lintesi fra i partecipanti al suo seminario, cosa che lo confermava sempre più nel proprio convincimento che «la filosofia attirasse in modo irresi­ stibile i pazzi» . Von Haselberg si ricorda di un signore che era andato precocemente in pensione, il quale, a quanto pare, steno­ grafava le lezioni parola per parola e al quale Adorno aveva chiesto una copia di quegli appunti. Tra le molte cose, del tutto inesplicabili, che si trovavano in quelle pagine c'era anche la seguente frase: "Volkelt tende ad estremizzare con grande fa­ cilità", mentre in realtà, il docente si era dato molta pena nel leggere l'estetica di Volkelt, che all'epoca era considerata ancora un classico, e nello smascherare lo psi­ cologismo in essa contenuto come un procedimento che non poteva in alcuno modo condurre a giudizi oggettivanti

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Natural mente, diamo per scontato il fatto che il comportamento del pensionato fosse tutto fuorché rappresentativo per la reazione della maggior parte degli studenti nei confronti del loro insegnante. Uno di loro, Kurt Mautz, molti anni più tardi ha descritto le sue personali im­ pressioni di allora in un romanzo dal titolo Der Urfreund, in cui trovia­ mo un ritratto di Adorno per metà inventato e per metà autentico. Questi ha una parte di rilievo nella trama del romanzo: è un docente di nome Amorelli: Amorelli aveva fatto per la prima volta la sua comparsa all'università proprio in quel semestre. Nel seminario principale di Paulus [in realtà Tillich] , sotto la dire­ zione del quale aveva ottenuto l'abilitazione alla libera docenza, egli sedeva a fianco del professore. In qualità di libero docente teneva dei corsi su problemi di estetica, per gli studenti dei primi semestri . Kreifeld ed io, insieme ad un piccolo gruppo di altri studenti, avevamo fatto la sua scoperta, come se si trattasse di una stella scono­ sciuta. Nel suo pensiero ci appariva ancor più coerente, più critico e più radicale di Paulus . E tutto ciò che diceva pareva già bell'e pronto per essere stampato. Con ogni frase sembrava che dicesse: le cose stanno così, e non in un altro modo. [ . . . ] Teneva i suoi seminari di estetica fuori dell'edificio dell'università, nella biblioteca degli studenti . Situata in una tranquilla villa del quartiere del Westend, arredata in modo confortevole, una fondazione, evidentemente, quella biblioteca di letteratu-

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ra moderna era una vera oasi in cui noi spesso andavamo a rifugiarci per sfuggire dallo squallore delle aule e dalla desolazione della casa dello studente. Lì, in una sa­ letta per le conferenze, ci riunivamo il giovedì sera intorno ad Amorelli: eravamo non più di una dozzina. Questi sedeva ad un capo del tavolo da conferenza. Con quel suo viso rotondeggiante coronato da capelli neri ricciuti, un inizio di calvizie ed i grandi occhi scuri dietro gli occhiali dalla montatura di corno, aveva qualcosa del rospo. A volte veniva in compagnia di una giovane donna con i capelli di un biondo dorato, gli occhi bruni e la carnagione rosata, che si sedeva accanto a lui come la principessa nel racconto del re dei ranocchi e non diceva una parola per tutta la sera. I partecipanti al seminario non avevano vita facile. Amorelli dava molta impor­ tanza al fatto che per ogni seduta venisse redatto un protocollo e prendeva molto sul serio ciò che vi veniva scritto e il modo in cui ciò veniva formulato . I protocolli­ sti erano sottoposti ad una critica severa, a volte pure ironica e caustica, nessuno voleva fare una brutta figura. Quando Amorelli, all'inizio del seminario, chiedeva: «Chi redige oggi il protocollo ?» per lo più i dodici apostoli guardavano fisso davan­ ti a sé, in silenzio

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Un' impressione analoga ci viene trasmessa dai ricordi di un altro stu­ dente del periodo precedente la Seconda guerra mondiale: Wilhelm Emrich, il quale in seguito diventerà un importante esperto di letteratu­ ra e uno studioso di Kafka, e svilupperà una propria idea di interpreta­ zione delle opere. A lui restarono impresse nella memoria le discussioni con Adorno riguardanti la "pre-istoria dello storico ", ed inoltre «L 'uomo dal cavallo bianco e Regentrude di Storm - entrambi miti caratterizzati da un singolare scontro tra tendenze regressive e progressive; l' isola spartitraffico presso lo Schauspielhaus di Franco forte a mezzanotte, in quanto simbolo allegorico degli ingorghi esplosivi e del vuoto negletto della società moderna; il Tom Sawyer di Mark Twain; la mistica dell' in­ cendio e del fuoco della borghesia [ . . . ] ; i traumi dell' interiorità in Jo­ hannes Brahms ecc.)) 43• Ernst Erich Noth era entusiasta dei suoi "semi­ nari notturni " al Caffè Laumer, i quali hanno contribuito più delle le­ zioni universitarie ufficiali al percorso di formazione degli studenti 44. Queste testimonianze dell'epoca sulla vita intellettuale di Adorno durante gli anni trenta vanno a comporre l'immagine di una persona estremamente colta in campo letterario e molto vivace intellettualmen­ te. Il suo anticonformismo andava di pari passo con una marcata ten­ denza a discutere delle correnti ideologiche e delle concezioni più recen­ ti. Dal momento che l'università di Francoforte, all'epoca, era un centro 193

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in cui erano confluiti opposti indirizzi di pensiero, coloro che avevano fiuto per le posizioni intellettuali controverse e che seguivano con oc­ chio vigile i disaccordi ideologico-politici venivano esortati a prender partito in questa o quella direzione. I confini tra i raggruppamenti erano certo elastici e c'erano numerosi punti d'incontro, tuttavia i socialisti re­ ligiosi ( Paul Tillich, Cari Mennicke) erano differenti dai cosiddetti " Georghiani" (Ernst Kantorowicz, Ma:x Kommerell) e questi si teneva­ no nobilmente distanti dalla cerchia di persone che gravitava intorno al­ l'Istituto per la ricerca sociale ( Felix Weil, Fritz Pollock) . Era con parti­ colare diffidenza che si guardava a quei colleghi dediti allo studio di tale " scienza alla moda", la sociologia, i quali abbracciavano tutti l'idea di una critica, ma che non erano d'accordo tra loro. Al di sopra di tutte le fazioni si collocava la cerchia dell'amministratore Kurt Riezler, il quale si attribuiva la funzione di fare da elemento integratore 45• Non che il tradizionalismo unito allo spirito elitario della cerchia di Stefan George corrispondesse alle tendenze di Adorno, tuttavia anche il gruppo fran­ cofortese dei seguaci di George, di cui facevano parte come figure pre­ dominanti il critico letterario Max Kommerell e lo storico Ernst Kanto­ rowicz, esercitava una certa attrazione su di lui. Egl i non si perse per nulla al mondo la prolusione di Kantorowicz, che fu un evento monda­ no all'interno dell'università, tanto che Karl Korn, in seguito noto gior­ nalista ed anch'egli presente alla conferenza, aveva creduto erroneamen­ te che quel giovane «dallo sguardo insol itamente intenso e brillante d'intelligenza facesse parte del circolo di Stefan George» 46• Molto più che dai " sostenitori di George " Adorno si sentiva attratto dalla posizio­ ne opposta, da quei filosofi e sociologi che si consideravano critici radi­ cali dell'ordine sociale e intendevano assolutamente attenersi alle con­ quiste della modernità culturale. Adorno, già prima di ricevere la bene­ dizione accademica tramite l'abilitazione, godeva del privilegio di essere invitato a partecipare a quei " ritrovi" di intellettuali impegnati e dalle idee di sinistra i quali si incontravano più o meno regolarmente al Caffè Laumer per discutere di problemi culturali di attualità, ma anche per parlare di nomine accademiche, di nuovi libri, di decisioni politiche sbagl iate del comune ecc. Le personalità predominanti del gruppo era­ no Kurt Riezler, Paul Tillich, Max Horkheimer, F riedrich Pollock, il sociologo appena nominato Karl Mannheim, l'esperto di economia po­ litica Adolf Loewe ed il pedagogista Cari Mennicke. N e i suoi ricordi, Adorno vede questo gruppo di discussione come un fenomeno tipico della Francoforte degli anni venti: «Spesso ci azzuffavamo come animali 1 94

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feroci, con una franchezza difficile da immaginarsi che non si tratteneva minimamente dagli attacchi più caustici: l'uno tacciava l'altro di essere ideologico, o di pensare cose inaudite e chissà che altro ancora, ma tutto ciò sempre senza che l'amicizia [ . . . ] ne patisse danno)) 47• Durante que­ sti attacchi reciproci si formavano, certo, diversi fronti, ma ben presto Mannheim si ritrovò nell' infelice situazione di stare agli antipodi rispet­ to agli altri, fornendo dunque costantemente il fianco ad ogni genere di attacco. Il suo libro Ideologia e utopia, infatti, come ricorda von Hasel­ berg, «era un'opera che faceva seriamente concorrenza alla filosofia so­ ciale cui Horkheimer intendeva dar vita e contenuto)) 48• In relazione alla sociologia della scienza di Karl Mannheim, il quale dal gennaio del 1930 era professore di ruolo di sociologia alla facoltà di Economia e Scienze sociali, Adorno aveva messo chiaramente le carte in tavola: egli non soltanto condivideva le riserve che Horkheimer aveva nei confronti del concetto di ideologia del nuovo collega, ma tentava anche di formu­ lare obiezioni critiche in modo più radicale. Anche nel corso di un seminario che ebbe luogo nell' inverno 1931-32 all'università, dopo la lezione di Horkheimer, la strategia di Adorno fu quella dell'attacco . Si trattava di un seminario particolare ri­ servato esclusivamente a studenti avanzati, dottorandi e assistenti. Alle accese discussioni settimanali che avevano luogo nel corso di questo se­ minario ed erano ispirate da problematiche affrontate da Horkheimer nel proprio corso, oltre ad Horkheimer e Adorno partecipavano, tra gl i altri, anche Peter von Haselberg, Leo Lowenthal, Cari Dreyfus, Willy Strzelewicz e Kurt Mandelbaum 49. In queste discussioni Adorno insisteva particolarmente su due que­ stioni principali. Primo: cosa significa conoscenza vera nelle scienze ? Se­ condo: che utilità ha la teoria sociale nell'interpretazione del presente ? Per prima cosa, aveva messo in discussione il fatto che le varie filosofie in concorrenza le une con le altre fossero adatte a spiegare le cause della crisi della scienza. Da un lato, tale crisi sarebbe da addossare proprio alle filosofie, cioè al loro grado massimo di astrazione; dall'altro, le cause del fallimento della scienza andrebbero cercate nel fatto che essa è inglobata nella società e da questa controllata e diretta. Per via dell' integrazione della scienza nella società, la scienza viene sottoposta ad un processo di crescente divisione del lavoro e non è più in grado di fornire «la quintes­ senza della realtà generale)) . Essa si limita a «conoscenze parziali, che non hanno alcuna relazione con la totalità della nostra esistenza)) . La va­ lidità dell'unità della scienza moderna si è fatta incerta, perché la pro195

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spettiva che si apre sulla sua genesi rende manifesto il fatto che le condi­ zioni di conoscenza sono dettate dalla società. N el corso del seminario particolare, Adorno si spinse ancora più avanti nel suo tentativo di spiegare la situazione della scienza partendo dalla situazione della società: via via che si comprende che la società for­ nisce una rete di condizioni per qualsiasi tipo di conoscenza, diventa chiaro che la pretesa di autonomia espressa dalla scienza è un'illusione. Aver capito questo, tuttavia, non deve diventare un pretesto per rinun­ ciare alla validità del postulato della libertà. Adorno metteva in guardia con grande enfasi dal pericolo «di tramutare la dialettica materialistica in una sorta di spirito oggettivo)) . Con i suoi contributi portati alla discussione dimostrava di essere capace di muoversi con competenza nel campo di forze della fi l osofia contemporanea. Egli, per esempio, nel corso delle argomentazioni criti­ che nei confronti dell'idealismo da lui esposte, si era chiesto quale fosse il contenuto esplicativo di modi di pensare alternativi quali, in partico­ lare, il materialismo storico. In un contributo dedicato a tale questione esponeva il suo modo personale di intendere la cosa portando esempi tratti dalle tecniche della composizione musicale. Lo sviluppo di queste tecniche è un processo di tipo progressivo composto da soluzioni del problema che derivano dal materiale precedente. La soluzione di tali problemi dipende dal livello storico-sociale raggiunto dalla capacità tec­ nica. Non bisogna tuttavia pensare alle relazioni tra il modo di compor­ re e la società come ad un'armonia prestabilita o come semplice analo­ gia. Occorre piuttosto «mostrare tramite piccoli fatti, ad esempio trami­ te una nuova tecnica artistica o scientifica, che in essa [sono] contenuti elementi sociali)) 50• Adorno proponeva di ricostruire la storia della filo­ sofia in questa prospettiva, per dimostrare che nei vari tentativi filosofi c i di trovare una soluzione, tentativi diversi a seconda dell'epoca, trovava­ no espressione i mutamenti sociali. Sarebbe possibile mostrare, per esempio, che la relazione istituita da Marx tra essere e coscienza, tra struttura e sovrastruttura, non verrebbe interpretata in modo appropria­ to se la si intendesse in senso meccanicistico e non dialettico. Da questi protocolli di discussione è possibile dedurre, da un lato, che Adorno si interessava del materialismo storico come metodo di co­ noscenza. Egli faceva una rigorosa distinzione e non considerava il ma­ terialismo come una mera visione del mondo, e, al pari di Horkheimer, non opponeva semplicemente in modo antitetico questa visione del mondo all' idealismo . La critica all' idealismo era diretta contro una filo-

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sofia «che attribuisce semplicemente l'essere allo spirito, o subordina ogni essere, se già non è spirito, allo spirito». Dall'altro lato, questi dieci dibattiti stenografati fanno emergere un Adorno apertamente impegna­ to, in prima linea e pronto a fornire spunti essenziali all'interno del pro­ cesso di discussione, ed il quale pretende di poter dare un giudizio in merito ai limiti e al raggio d'azione di diversi indirizzi filosofici di pen­ siero, da Kant, Fichte e Hegel fino a Marx e Freud. Per quanto le di­ scussioni fossero pretenziose, per quanto questo genere di filosofia da se­ minario fosse astratto e per quanto anche la velleità di far colpo con la propria retorica possa aver avuto sotto sotto un ruolo importante, non c'è alcun dubbio sulla serietà che muoveva i protagonisti di quelle sedu­ te. Mentre Horkheimer rivendicava una certa autorità interpretativa, Adorno faceva la parte del creativo generatore di impulsi: era la forza che mandava avanti le cose, colui che formulava in continuazione nuo­ ve tesi.

Libero docente all'ombra di Walter Benjamin Dei due seminari di estetica di cui Adorno era responsabile in prima persona nel semestre estivo del 1931 e in quello invernale 1931-32 esisto­ no protocolli relativi alle sedute che erano state dedicate al volume di Benjamin Il dramma barocco tedesco 5 1 • Da questi fogli è possibile farsi più o meno un'idea di quali argomenti fossero stati al centro di quei do­ dici incontri, a cui Kurt Mautz fa riferimento nel romanzo che abbiamo citato. Quali sono gli argomenti affrontati nel volume di Benjamin sul dramma barocco, un libro che affascinava Adorno altrettanto quanto il saggio sulle Affinità elettive di Goethe ? Al centro della Premessa gnoseolo­ gica a Il dramma barocco tedesco, troviamo la questione della verità. Per Benjamin, il linguaggio è il mezzo tramite il quale la verità si mostra. Egli opera una distinzione tra la verità scientifica, che ha come scopo la trasparenza del mondo dei fenomeni e si basa sul linguaggio del giudi­ zio, e la verità che tende a dare rappresentazione alle idee incorporate nei fenomen i. Mentre il primo tipo di verità rientra nella modalità della "proprietà", la seconda è una verità che deve essere posseduta, «seppure in via trascendentale, nella coscienza» 5 2• Tramite questa distinzione, Benjamin intende mostrare che «I' oggetto della conoscenza non coinci­ de con la verità» 53• La verità, secondo lui, è «un essere in intenzionale 197

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formato di idee» 54• Tale definizione della verità come qualcosa di legato alle idee porta a sospettare che la verità sia ottenibile soltanto tramite la riflessione della coscienza, e dunque, come per Kant, sia raggiungibile soltanto attraverso la riflessione trascendentale propria delle condizioni a priori della conoscenza. Benjamin argomenta contro questa motiva­ zione facendo riferimento al fatto che la verità è rappresentabile fonda­ mentalmente soltanto tramite il linguaggio. Questa tesi tende a mettere in ril ievo due punti centrali. Dal momento che la verità esprime un es­ sere idealmente privo di intenzioni, essa è al di là del soggetto, al di là del suo potere discrezionale. Questo è il lato teologico di Benjamin, quando egli vede un'analogia tra la verità e la rivelazione. La verità non è rappresentabile in toto. Essa fa la sua comparsa in quanto rappresenta­ zione, mai come cosa da rappresentare. Per questa ragione, la verità non scaturisce dalla deduzione scientifica o dall'induzione di accertamenti empirici sicuri, bensì dalla «configurazione» . Non sono i fenomeni che contengono le idee, bensì la loro significativa rete di relazioni. All' in­ terno di tale costellazione si hanno tre momenti: la rappresentazione delle idee in quanto essere privo di intenzioni; il fatto che i fenomeni vengano salvati «raccogliendoli concettualmente» sulla base della loro «appartenenza» ideale; ed infine la salvaguardia dell'elemento «singolo e disparato» tramite !'«elaborazione micrologica» . Secondo Benjamin, il contenuto di verità può essere afferrato soltanto immergendosi, con la massima precisione, nei dettagli di un dato stato di cose. L'intento filo­ sofico della Premessa gnoseologica fi nisce per conferire alla filosofia un compito di riconciliazione, che si oppone alla visione idealistica basata su «nessi» 55• Adorno, al più tardi a partire dalla stesura della prolusione, ha fatto suo l'intento benjaminiano di definire la verità come essere inintenzionale. Portando avanti la propria filosofia, in seguito, si darà da fare per precisare questa posizione, che si oppone alla filosofia della co­ scienza e all'empirismo, e per elaborarla in quanto teoria di un' esperien­ za non sottoposta a riduzione 56• Quel che gli interessava, in relazione al concetto di verità, era con­ centrare la conoscenza, in quanto correttivo della filosofia idealistica, su ciò che l ' oggetto significa di per sé nella sua singolarità. Invece che par­ tire dal soggetto conoscente e dalle categorie dell'intelletto per arrivare a spiegare concettualmente la cosa, Adorno (contro il primato idealistico del soggetto) intendeva proclamare il primato dell'oggetto . Nella costi­ tuzione dell'esperienza, occorre in qualche modo accordare all'oggetto dell'esperienza la possibilità di esercitare il diritto di contraddire l' attri-

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buzione di categorie e di intenzionalità da parte della coscienza. L'unico modo per avere una conoscenza dell'essere privo di intenzioni è la com­ prensione della limitatezza della conoscenza, vale a dire la riflessione, ad un metal ivello, esercitata dalla conoscenza sui propri processi; ciò che Adorno, nella sua opera filosofica più importante, chiamerà «pensare contro se stessi)) 57. Il testo vero e proprio del volume sul dramma barocco costituisce in sé l'esempio tramite il quale mettere alla prova la teoria della verità esposta nella premessa. Per Benjamin il dramma è un'allegoria barocca. Essa fa riferimento a quello che è il crollo, ormai presente alla coscienza, dell'ordine medievale del mondo. L'allegoria del dramma porta ad espressione la malinconia causata dal declino dell'ordine divino di sen­ so, mostrandone nella fattispecie la frammentazione e rappresentando l'ordine del mondo ormai andato in pezzi. All'allegoria del lutto, del de­ clino nel mondo, corrisponde una speranza: la redenzione che irrompe come " rovescio della medaglia " nella desolazione della condizione terre­ na. Più l'immanenza terrena produce la perdita della speranza di salvez­ za che si nutriva in passato, più balena, in mezzo ai momenti allegorici del decl ino, il momento opposto della redenzione. Riassumendo: nel volume sul dramma barocco si evidenziano tre argomenti centrali del pensiero di Benjamin . Il primo è quel processo dialettico, nel quadro del mezzo artistico dell'allegoria, in cui l'allegoria unisce in sé due oppo­ sti, e cioè il decl ino e la redenzione, in modo da rendere percepibile un movimento di svolta. Il secondo è l'uso del frammento, che viene intro­ dotto come parte di una totalità di senso originaria, e nel quale resta presente ex negativo l'apparire della salvezza. Nel frammento, infatti, non è conservata soltanto l' idea del nesso originario, ma anche il conte­ nuto utopico di verità che è insito nell'idea del bello assoluto. Il terzo concerne lo stesso processo allegorico, che chiarisce il passato alla luce del presente. Considerando il modo in cui Adorno affrontò il volume sul dram­ ma barocco nel suo seminario, quel che salta agli occhi, anche in questo caso, è il modo di procedere attenendosi rigorosamente al testo. Facen­ do riferimento direttamente al libro vennero trattati vari punti chiave, come la defi nizione di lutto, il concetto di allegoria, di intenzione, di espressione, di malinconia, rendendoli oggetto di piccole relazioni ad hoc. N elle discussioni che ebbero luogo tra il responsabile del seminario ed i partecipanti venne chiarita l'importanza che, in Benjamin, ha il motivo del frammento, così come anche il significato dialettico delle 199

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immagini mitiche o il ruolo, nella poesia barocca, dell'assenza del futu­ ro. Nella seduta del 13 maggio, l'argomento centrale del seminario fu il metodo interpretativo usato nel volume sul dramma barocco. A quanto pare, i vari modi di considerare i problemi di critica della conoscenza e le discussioni e le controversie che nacquero furono tali e tante che oltre al solito protocollo ne vennero stesi altri due, da Wilhelm Emrich, che allora era studente. Quando si arrivò a trattare la tematica inerente al silenzio del prota­ gonista nella tragedia, Peter von Haselberg disse: «Il protagonista è co­ stretto a tacere, perché non comprende più il mondo, e perché il mondo non lo comprende più. Il silenzio come esito di un ammutolimento è al contempo gesto di rifiuto e produzione di una critica della collettivi­ tà» 58 • Questa interpretazione registrata nel protocollo merita di essere sottolineata perché Adorno, nella teoria dell'arte che elaborerà in segui­ to, ha portato avanti e precisato questa tesi. Adorno aveva tentato più volte di invitare Benj amin ai suoi semina­ ri di estetica - un gesto che per la Facoltà presso la quale insegnava de­ v' essere equivalso ad un affronto, così come, del resto, anche il tema scelto per il corso . Il critico letterario berlinese, infatti, sette anni prima, aveva presentato proprio quel testo sul dramma barocco per ottenere l'abilitazione alla libera docenza, l'aveva fatto all'università di Franco­ forte e la cosa aveva avuto un esito negativo a causa dell'atteggiamento sfavorevole di Hans Cornelius e Franz Schulz. Forse Benjamin non ave­ va ancora dimenticato quell'offesa quando scrisse di essere molto spia­ cente, ma che non poteva accettare l'invito per via di altri impegni. Cer­ to, la lettera in cui Benjamin racconta a Scholem con quale intensità Adorno faccia costantemente riferimento ai suoi scritti non è scevra di sfumature polemiche. Egli scriveva che il caso era talmente complicato che non si poteva riassumerlo in poche parole. Complicato, dal punto di vista di Benjamin, lo era perché Adorno in molte occasioni si appro­ priava del suo pensiero e delle sue opinioni, ma troppo di rado faceva espressamente riferimento alla fonte 59• Anche la lettera che Benjamin scrisse nel luglio del 1931, dopo aver letto il testo della prolusione di Adorno, ha lo stesso tenore: in caso di pubblicazione, pregava che venis­ se fatto espresso riferimento all'introduzione del suo volume sul baroc­ co, perché era in quelle pagine scritte da lui che veniva fondato per la prima volta il programma «di interpretare la realtà inintenzionale» 60 . Adorno si difese dicendo che certo c'erano fondamental i tratti in comu­ ne tra lui e Benjamin, che non si potevano negare. Quanto alle cose pre200

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se in prestito, a parte il caso della prolusione, che restò inedita, Adorno rinviò sempre a Benjamin nelle sue pubblicazioni di argomento filosofi­ co, come per esempio nel libro su Kierkegaard. Quel che Benjamin aveva esaminato a fondo nell'opera di Goethe e individuato come tratto mitico fondamentale, venne trasformato da Adorno in modo tale che nel suo libro si parla, in relazione a Kierke­ gaard, di costruzione miti ca dell'estetico. Il punto di partenza della cri­ tica, in entrambi, era costituito dal rapporto tra mito e verità. Entrambi concordavano sul fatto che mito e verità si escludono a vicenda. En­ trambi consideravano criticamente il concetto di mito: il mito è antite­ tico rispetto alla ragione. La critica filosofica di Adorno è una critica al mito indomito dell'autonomia dello spirito . In modo analogo, la critica di Benjamin si indirizza contro il fatto che nell'opera d'arte la verità venga contraffatta tramite la mitizzazione. Comune ad entrambi era an­ che l'intenzione di collegare la critica con la categoria dell'apparenza. Mentre in Benjamin l'apparire della bellezza era un " involucro " in cui la verità si mostrava " avviluppata", nel libro di Adorno su Kierkegaard l'apparire è qualcosa di falso nella misura in cui non si incontra con la realtà storica. Non soltanto nel libro su Kierkegaard, ma anche nella prolusione c'erano evidenti punti in comune con Benjamin, al quale Adorno aveva intenzione di dedicare la versione in forma di pubblicazione, che però non fu mai realizzata 61 • La distinzione che Adorno fa nella sua prolusione tra conoscenza e verità è un'idea che deve a Benjamin . Così come Benjamin collegava il mantenimento di una promessa con la redenzione messianica, Adorno partiva dal presupposto che la verità fosse possibile soltanto se il sogget­ to conoscente dispiegava dal punto di vista sociale e storico le sue piene capacità di esperienza. Per entrambi, la verità fungeva da orizzonte sullo sfondo del quale la realtà e l'interpretazione vengono messe in relazione una con l'altra. Naturalmente, e qui si trova un'importante distinzione, in Benjamin questa costellazione concerne ancora gli opposti legati alle idee (caducità e redenzione) che sono contenuti nel fenomeno della realtà. Rispetto a lui, Adorno vedeva tale costellazione in modo più ma­ terialistico, poiché gli elementi del reale dovrebbero, in quanto scevri di intenzione, essere aggregati in modo tale da diventare immagini inter­ pretabili del reale. Egli considerava l'interpretazione un processo co­ struttivo che doveva portare a concetti «che rendano accessibile la real­ tà)) . Per Adorno, l'interpretazione filosofica non doveva soltanto risolve201

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re l'enigma del reale, ma anche restituire ai suoi elementi più infinitesi­ mali e scevri di intenzione il linguaggio della loro vera condizione socia­ le e storica. Egli collocava l'interpretazione filosofica nel contesto della fondazione di una teoria material istica della conoscenza, la quale si pre­ figgeva un'interpretazione della realtà ed una trasformazione della prassi come finalità di una scienza illuministica. Nel quadro della conferenza che tenne su invito della Società kan­ tiana di Francoforte nel lugl io del 1 932, Adorno ebbe l'occasione per ci­ tare Benjamin come figura di riferimento e vera e propria fonte d'ispira­ zione per le argomentazioni che egli espose con il titolo Die Idee der Na­ turgeschichte (L'idea di storia naturale) di fronte ad un pubblico dei più qualificati. L'argomento - il rapporto tra la natura e la storia - era stato abilmente scelto, perché all'epoca a Francoforte era in corso un'accesa disputa concernente la concezione della storia da parte di fenomenolo­ gia e materialismo storico. Il concetto di storia naturale, inoltre, compa­ riva anche in un piccolo contributo che Adorno in quel periodo aveva scritto per i " Blatter des Hessischen Landestheaters " di Darmstadt 62 . Le riflessioni di filosofia della storia contenute in questo articolo, estre­ mamente originali, in proposito, per esempio, ai paragrafi intitolati "Applauso ", " Galleria", " Platea", " Palco ", erano scritte in tutto e per tutto nello stile del volume di Benjamin sul dramma barocco : un nuovo tentativo di Adorno di fare sua la prospettiva allegorica di Benjamin, fatto di cui quest'ultimo prese atto positivamente, come si deduce dalla sua reazione contenuta in una lettera 63• Non soltanto da lui, tuttavia, Adorno aveva preso in prestito qualcosa per la sua conferenza filosofica: oltre al Dramma barocco tedesco, egli faceva riferimento anche alla Teo­ ria del romanzo di Georg Lukacs. Come già era avvenuto nel libro su Kierkegaard, egli tentava di ricavare la sua propria idea di storia naturale mettendo in relazione le due filosofie della storia e sottoponendole ad una correzione reciproca. Iniziò le sue argomentazioni chiarendo, per prima cosa, il concetto di storia naturale: a prima vista una strana con­ nessione di categorie, categorie che tradizionalmente venivano pensate come antinomiche. Muovendo contro la tradizione, Adorno perseguiva lo scopo di «abolire l ' antitesi tradizionale di natura e storia» 64. La natu­ ra non è intesa in modo corretto se la si considera come mera " fatticità", e la storia non dovrebbe essere considerata semplicemente storia univer­ sale dello spirito, andamento del progresso, processo evolutivo, come si faceva nell' Illuminismo. Adorno si opponeva in questo modo ad un pensiero filosofico che ipostatizzava l'essere e la storia in modo ontologi202

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co-esistenziale. Come esempio di ciò, citava la categoria heideggeriana di " storicità", contro la quale sollevava due obiezioni. Con la storicità intesa in senso antologico non è possibile risolvere il problema della contingenza storica. Infatti, per evitare il pericolo di accordare all ' Essere la dignità di un carattere assoluto e definitivo, viene improvvisamente data priorità al carattere progettuale dell'essere storico, al quale i dati di fatto storici devono assoggettarsi. Tale tentativo di soluzione, che all'e­ poca era al centro del dibattito filosofico a Francoforte, secondo lui non era nient'altro che una riedizione di elementi idealistici. Egli obiettava, in proposito, che la tradizionale idea di identità di soggetto e oggetto tornava in questo modo a ripresentarsi come identità tra l'essere storico inteso soggettivamente e la storia fattuale. Per fondare la sua propria posizione filosofico-storica - l'idea di sto­ ria naturale - egli riprese il concetto marxista di " seconda natura" di Lukacs. Questi aveva introdotto tale concetto, diceva Adorno, per defi­ nire l' idea secondo cui il mondo viene prodotto storicamente, per defi­ nire un mondo concreto divenuto storicamente estraneo all'uomo. Adorno non si limitava a classificare il mondo concreto come storia fos­ silizzatasi in natura, ma si adoperava perché gli oggetti reificati del mon­ do venissero " interpretati filosoficamente " come cifre di una storia na­ turale fossilizzata. Ed anche questo programma, già sostenuto nella pro­ lusione, teso verso un'interpretazione filosofica di un mondo concreto composto di segni da decifrare, si basa sul co ncetto di allegoria di Benja­ min. N eli' allegoria, la relazione tra i fenomeni storici rappresisi in natu­ ra e il loro significato tradotto in segni da decifrare viene vista come una costellazione in cui si intrecciano l'essere naturale e l'essere storico. Il programma di Benjamin, secondo cui il compito dello storico sarebbe quello di «passare a contropelo la storia», viene ripreso da Adorno e col­ legato con la sua prospettiva dialettica. In questo modo risulterebbe possibile, secondo Adorno, superare l'ipostatizzazione antologica della storia o i costrutti sto rici epocal i. L'aspetto essenziale di questo pensiero concernente la storia naturale consisteva in una concezione della storia vista come intricata opposizione tra mito arcaico e novità storica. «La storia è tanto più mito, quanto più è storia» 6 5• Non che la storia con­ temporanea e il mito pre-istorico si presentino in questo modo, cioè che il mito pre-istorico semplicemente faccia ritorno; è la storia contempo­ ranea che si trasforma in qualcosa di mitico in senso storico-naturale. È questo capovolgimento che Adorno ha in mente quando afferma: «la dialettica storica non è mera assunzione di materiale pre-istorico, sog203

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getto a un'interpretazione di volta in volta nuova, ma il materiale stori­ co stesso si trasforma nel mitico e in storia naturale» 66 . L'attitudine di Adorno ad orientarsi verso il pensiero di Benjamin, attitudine che in questa conferenza tornava a farsi decisamente eviden­ te, traspariva anche da tratti comuni per quel che concerne la forma lin­ guistica. Lo stile di Adorno a quell'epoca aveva già un carattere tutto suo. La sua prosa, tuttavia, ed il modo di presentare le sue tesi in forma saggistica, ricordava il modo di scrivere e di procedere del modello. Quando Benjamin fece per la prima volta una lettura pubblica, in casa di Ernst Schoen, di brani tratti dal suo manoscritto Infanzia berline­ se 67, Adorno rimase affascinato dalla ricchezza di immagini dell' espres­ sione linguistica, dal modo in cui l'autore aveva messo per iscritto i ri­ cordi dei suoi giorni d'infanzia trascorsi nella capitale, nella borghese casa paterna.

La " Rivista di scienza sociale" e l'analisi della musica in base alla critica dell'ideologia di Adorno Il nuovo orientamento che il direttore aveva cominciato ad imprimere all'Istituto per la ricerca sociale aveva sostituito la rivista "Archiv fiir die Geschichte des Sozialismus und der Arbeiterbewegung" (Archivio di storia del socialismo e del movimento operaio) , che era curata da Griin­ berg, con una nuova rivista fondata da Horkheimer, la " Zeitschrift fiir Sozialforschung" (Rivista di scienza sociale) . A partire dal 1932 fu que­ sto l'organo ufficiale su cui venivano pubblicati gli studi di teoria della società e di ricerca sociale dei quali erano responsab ili i membri dell'isti­ tuto. La rivista conteneva inoltre una sezione particolarmente estesa de­ dicata alle recensioni, alla quale, oltre alla cerchia ristretta dei responsa­ bili principal i dell'Istituto, collaboravano studiosi molto più giovani, ma anche figure importanti del mondo accademico dell'università di Francoforte. Il redattore responsabile era Leo Lowenthal . Tutti i ma­ noscritti presentati, prima della pubblicazione venivano discussi nei dettagli dai membri dell ' Istituto e rispediti più volte agl i autori perché li rivedessero 68• Lowenthal aveva definito la rivista come il denomina­ tore collettivo di quel programma scientifico che l'istituto portò avanti negli anni. Gli argomenti trattati nella prima annata erano il riflesso degli obiettivi cui puntava Horkheimer, che durante i nove anni di esi­ stenza della rivista funse da spiritus rector di questa: pervenire, tramite 204

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la connessione di una costruzione teorica ricca di contenuti dal punto vista storico e della ricerca empirica, all' «ambita conoscenza del corso assunto dall'epoca attuale per quel che concerne la totalità dei fenome­ ni sociali» 69. L'ampiezza dei temi trattati dalla rivista, che Horkheimer aveva an­ nunciato, fu dimostrata dal fatto che già nella prima annata solo tre contributi su undici erano dedicati a questioni strettamente sociologi­ che, come per esempio la trasformazione dell'immagi ne borghese del mondo, il sistema partitico americano e l'organizzazione del tempo libe­ ro. Mentre due contributi, uno di Henryk G rossmann e l'altro di F rie­ drich Pollock, trattavano problemi inerenti alle teorie economiche di Marx, occupandosi della teoria marxiana della crisi e di alternative al ca­ pitalismo basate sull'economia pianificata, Erich F rom m schizzava un panorama di tentativi per integrare il marxismo e la psicologia analitica sociale, in modo metodologicamente vantaggioso e dal punto di vista della teoria della società. Oltre a ciò, Leo Lowenthal elencava i compiti della sociologia della letteratura. Wiesengrund-Adorno faceva ricorso alle proprie competenze nel campo della teoria musicale e cercava di svi­ luppare una nuova sociologia della musica di approccio critico-marxi­ sta. Horkheimer apriva il primo numero con l'editoriale Bemerkungen iiber Wissenschaft und Krise (Osservazioni sulla scienza e la crisi) che, in alcuni punti, riprendeva intuizioni di Adorno espresse durante le di­ scussioni che avevano avuto luogo al seminario speciale del semestre in­ vernale del 1931/32 70. Malgrado le relazioni che aveva con Horkheimer, Pollock, Lowen­ thal e F rom m, che erano per un verso d'amicizia e per l'altro un legame tra colleghi, Adorno non fu membro ufficiale dell'Istituto per la ricerca sociale né prima né dopo la propria abilitazione alla libera docenza. Al­ l' epoca aveva opinioni ancora decisamente differenti su questioni fon­ damentali, rispetto a Horkheimer e alla maggior parte dei collaboratori dell'Istituto. Tuttavia, fin dal primo numero pubblicò vari articoli sulla rivista edita dall'Istituto, a qualche distanza l'uno dall'altro ma abba­ stanza regolarmente. Fu con queste pubblicazioni fatte nel corso degli anni trenta che si presentò per la prima volta in modo esplicito nelle ve­ sti di sociologo: guardando a questa disciplina, egli produsse i fonda­ menti concettuali e metodologici di un'analisi musicale che non pren­ deva le mosse dalle intenzioni compositive dei singoli artisti, bensì cer­ cava di mettere in luce i contenuti sociali della loro opera. In questo modo, rifacendosi a Max Weber, contribuì a conferire alla sociologia 20 5

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della musica lo statuto di un particolare genere di sociologia. Di queste pubblicazioni di sociologia della musica sulla " Zeitschrift fiir Sozialfor­ schung", nella sua prima fase, fanno parte il saggio dal titolo Zur gesell­ schaftlichen Lage der Musik (Sulla condizione sociale della musica, 1932) , il testo pubblicato quattro anni dopo dal titolo Ober jazz (Sul jazz) ed il saggio Ober den Fetischcharakter in der Musik und die Regression des Ho­ rens (Il carattere di feticcio in musica e il regresso dell'ascolto) del 1938 al quale avrebbero fatto seguito, un anno dopo, i Fragmente uber Wagner. Nella sua ampia analisi della dimensione sociale della musica con­ temporanea Adorno prende le mosse da una premessa principale: ogni tipo di musica, nella società capitalistica contemporanea, porta in sé le tracce dell'alienazione e fa le funzioni di una merce che deve realizzare il proprio valore di scambio sul mercato. Su questo sfondo, quel che deci­ de dell'autenticità o della non autenticità dell'opera musicale è se essa sia assoggettata alle condizioni del mercato o vi si opponga, portando ad espressione, tramite le dissonanze, le contraddizioni sociali. La musica che non nasce seguendo le leggi della produzione della merce paga il proprio carattere esclusivo con l'isolamento sociale, che essa non riesce a sopprimere di sua propria iniziativa e in un modo del tutto interno alla mus1ca. Al centro di quel saggio ricco di materiali e linguisticamente denso si colloca la questione riguardante il condizionamento sociale della pro­ duzione, riproduzione e ricezione musicale. «Non soltanto la coscienza del pubblico dipende dal cambiamento delle condizioni sociali; non sol­ tanto quella dell'interprete dipende dalle condizioni musicali generali: anche le stesse opere hanno la loro storia e cambiano se stesse in essa» 7 1 • Questo processo di formazione e di mutazione della musica viene illu­ strato da Adorno discutendo del passaggio dalla prassi musicale precapi­ talistica, nella quale, tramite il modo di fare musica a cui si era tradizio­ nalmente abituati, si aveva un'interazione diretta tra la composizione e l'ascolto dell'opera, all'avvento della produzione musicale capitalistica. Caratteristica di quest'ultima è una composizione dal testo fisso che non lascia mai al virtuoso, sia egli il direttore d'orchestra, sia egli un musici­ sta alle prese col proprio strumento, la libertà di un'elaborazione inter­ pretativa, come invece avviene nella società di individui autonomi. «Ora lo spartito è definito fino all'ultima nota, fino alla più impercetti­ bile sfumatura esecutiva, e l' interprete diventa l'esecutore della chiara volontà dell'autore» 7 2 • Adorno legge in questo un segno del fatto che la concatenazione tra l'espressione soggettiva nella musica ed una società 206

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determinata da individui è spezzata. È questa frattura che la musica au­ tentica prende volutamente a tema, tramite l'atonalità, elaborando sul piano della composizione le patologie della vita sociale. Ciò avviene esclusivamente in una musica moderna non ornamentale, quella che viene composta da Schonberg, Berg e Webern. Essa ha «abolito la musi­ ca espressiva dell'individuo privato borghese, ed ha collocato al posto di quella un'altra musica alla quale certo non vengono conferite dirette funzioni sociali, che sì ha tagl iato l' ultima comun icazione con gli ascol­ tatori, ma che per qualità musicale immanente e per la chiarezza dialet­ tica del materiale si lascia alle spalle ogni altro tipo di musica del tempo ed offre una costruzione razionale così compiuta che essa è assolutamen­ te inconciliabile con l'attuale situazione sociale» 73 • Rispetto alla musica atonale, per Adorno tutte le altre forme musi­ cali, dalla musica popolare, all'operetta, al jazz, non sono arte, bensì ar­ tigianato artistico. La loro funzione ideologica consiste nel distrarre dal­ le contraddizioni sociali di classe. Alla visione fascista del mondo corri­ sponde la musica collettiva piccolo borghese. «Ci si serve dell' organicità contro la meccanicità, dell'interiorità contro il vuoto, della personalità contro l'anonimato». Questo genere di musica è reazionario, da un punto di vista internamente musicale, perché «respinge l'avanzare dia­ lettico del materiale musicale considerandolo " intellettuale" o " indivi­ dualistico "» 74. N elle sue Oberlegungen zur Soziologie der musikalischen Reproduk­ tion ( Riflessioni sulla sociologia della riproduzione musicale) , tramite le quali poteva riallacciarsi alle sue prime tesi su questo tema risalenti al periodo viennese, Adorno, prendendo ad esempio il " grande direttore d'orchestra " o la " personalità dell'interprete", chiarisce in quale modo tale figura, proprio col suo apparente soggettivismo, si faccia portavoce di esigenze sociali oggettive. N ella prospettiva generale del saggio, indi­ rizzata verso una critica dell'ideologia, si colloca anche l'analisi sociolo­ gica del consumo di musica, il quale si focalizza su valori consolidati di prestigio della merce musicale che viene offerta sul mercato, o su ciò che è comunemente accettato e richiesto. Tale carattere feticista del consu­ mo musicale viene a galla nel modo più evidente con i prodotti della musica leggera, che possono «essere come si vuole e avere il suono che si vuole, hanno comunque " successo ", la gente non può fare a meno di cantarli» 75• Anche il jazz, per Adorno, fa parte della musica leggera. Il fatto che esso pretenda di vivere sulla libera improvvisazione non è che qualcosa di ornamentale e dunque di apparente. «Sotto la ricca superfi207

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cie del jazz ritroviamo invariato, spoglio e chiaramente leggibile lo sche­ ma armonico-tonale più primitivo, articolato in cadenza imperfetta e cadenza autentica, legato ad una metrica e ad una forma altrettanto pri­ mitiva>> 7 6 • Adorno porta criticamente alla luce anche i contenuti ideo­ logici del surrealismo musicale di un Kurt Weill e della musica progres­ sista proletaria di comune consumo di un Hanns Eisler. Il fatto che questa musica si orienti verso valori di efficacia collettiva, che si indirizzi verso il livello di coscienza della classe dei lavoratori, si rivela essere una catena che pesa sull'energia produttiva musicale. Quando la prima parte della sua sociologia della musica era già usci­ ta, Adorno spedì una serie di estratti, tra gli altri anche a Berg e Krenek; quest'ultimo rispose sub ito con una lunga lettera, nel marzo 1 932. Ador­ no dev'essere rimasto non poco sorpreso che il suo corrispondente criti­ casse il taglio critico fondamentalmente sociologico-musicale, osservan­ do che questo lato sociale in fondo era un lato esteriore della musica, che la musica andava considerata come «fondamento dell'esistenza di se stessa» 77. Krenek, inoltre, obiettava che il carattere di merce della musi­ ca non era il motivo determinante del suo uso sociale, perché le opere musicali sono sempre state scambiate, e il compositore e il musicista sono sempre stati pagati dal pubblico che li ascoltava. Di importanza molto più decisiva sarebbe il fatto che nel capitalismo, con la distruzio­ ne della dignità umana, l'interesse per la musica autentica sostanzial­ mente è venuto meno. Krenek polemizzava anche, facendo riferimento all'energia creatrice del compositore, contro il concetto di Adorno di le­ gittimità del materiale, che troverebbe realizzazione nella composizione riuscita. Adorno prese posizione rispetto agli argomenti di Krenek oltre sei mesi dopo, perché a quell'epoca era molto occupato a completare la ver­ sione del suo libro su Kierkegaard da pubblicare. La sua replica, redatta il 30 settembre 1932 a Berlino, fu estremamente approfondita. L'indiriz­ zo del mittente che compare sulla lettera è Prinzenallee 6o; a quanto pare abitava presso Gretel Karplus. In risposta alla prima critica egli re­ plicava che il fine di un'analisi socio logico-musicale deve consistere nel rintracciare, all'interno dei vari modi di impostare la composizione, la forma storica specifica delle antinomie sociali. Questo interesse conosci­ tivo è molto distante dalla problematica volgarmente sociologica con­ cernente la funzione che la musica ricopre nella società contemporanea. Adorno precisava inoltre la propria concezione della musica quanto al rapporto di scambio, mettendo in campo l'esame del contesto di vita ca208

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pitalistico nel suo insieme: «Il carattere di merce dell'arte e la distruzio­ ne della "dignità umana" come rispettivamente lato oggettivo e lato soggettivo si equivalgono e non possono essere scissi l' uno dall'altro» 78. A proposito della questione del superamento della reificazione nel capi­ talismo è interessante osservare che egli fa ricorso all'idea di Kierkegaard della «disperazione come malattia mortale [ . . . ] , al fatto che, dialettica­ mente, la malattia è al contempo un farmaco» 79. Per finire, Adorno di­ fende il proprio concetto di materiale musicale, che racchiude in sé quei problemi che il compositore deve risolvere nel quadro di ciò che è stori­ camente possibile. Comporre è, per Adorno, «una sorta di decifrazio­ ne» 8 0 . Adorno, verso la fine della lettera a Krenek, ammette che sia pro­ prio dell'arte e dunque anche della musica avere in sé qualcosa di orna­ mentale, di apparente, attaccando al contempo la tesi secondo cui la musica sarebbe superflua in una società senza classi. Ci si può attendere l'eliminazione dell'arte soltanto tramite il compimento immanente di essa. Non soltanto questa fondamentale analisi sociologico-musicale, bensì anche i successivi scritti riguardanti forme stilistiche musicali ven­ nero elaborati secondo una prospettiva metodologica basata sulla critica dell'ideologia. L' intento di Adorno, in opposizione al modo di conside­ rare la musica proprio della storia delle idee era di effettuare un'inter­ pretazione sociologica dei generi musicali esistenti tramite le categorie del material ismo storico . In questo modo egl i si ritrovava a muoversi, con le sue argomentazioni, nel contesto di un'interpretazione materiali­ stica di fenomeni di sovrastruttura, una prospettiva che egli in realtà considerava insufficiente, poiché meccanicistica. Da un lato, Adorno re­ stava fedele al suo ideale di elaborazione riflessiva di una teoria in quan­ to costruzione strutturata razionalmente; all'intenzione, «contro l' ordi­ ne delle cose» 8\ di fare in modo che un proprio linguaggio (formale) trovasse espressione nei vari generi artistici, nella filosofia e nella sua re­ lazione con le scienze. Dall'altro, nei testi di questo periodo Adorno fa uso in misura crescente di concetti propri del materialismo storico, come per esempio della categoria della reificazione e della falsa coscien­ za. Ciò si colloca in un rapporto in qualche modo di tensione rispetto al suo concetto epistemologico di interpretazione filosofica (postulato nel­ la prolusione) . Non che scrivendo di sociologia della musica egli lo avesse completamente gettato a mare. Dal momento, tuttavia, che egli praticava la sua sociologia della musica come critica dell' ideologia dei contenuti interni alla musica, ecco che il concetto di ideologia fa la sua 209

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comparsa nell'orizzonte degli interessi filosofici di Adorno, all'interno del quadro di riferimento rappresentato dal materialismo storico e insie­ me alla concezione della dialettica su base economica, al concetto di so­ vrastruttura ideale- intellettuale, di essere e coscienza sociale. Elaborare teoreticamente, ma soprattutto rendere fruttuoso, dal punto di vista analitico ed empirico, questo concetto di ideologia in quanto apparenza socialmente necessaria era, ovviamente, uno degli scopi programmatici che sia il sociologo della musica Adorno, sia il direttore dell 'Istituto per la ricerca sociale Horkheimer perseguivano. Mentre gli interessi di Adorno relativi alle finalità di una critica dell' ideologia in primo luogo andavano alla questione concernente il modo in cui questa fosse impie­ gabile per l'analisi sociologica di forme di espressione di fenomeni cul­ turali, Horkheimer si sentiva obbligato a difendere la propria idea di analisi della società orientata empiricamente prendendo come filo con­ duttore la critica di Marx al capitalismo e opponendosi ad una figura piuttosto importante, una personalità che si trovava all'interno del suo stesso mondo accademico e gli faceva concorrenza: Karl Mannheim, il quale si occupava di sociologia della conoscenza. Con la sociologia della conoscenza Mannheim perseguiva un concetto suo proprio di analisi dell'ideologia, che appariva estremamente moderno. Così, la questione che si poneva era: cos'è una corretta analisi dell'ideologia ?

Il patto con Horkheimer contro la nascita di un secondo tipo di sociologia nello stesso edificio Malgrado le differenze che sussistevano tra il metodo interpretativo di Adorno, indirizzato verso una critica del linguaggio, ed il materialismo interdisciplinare di Horkheimer, i due giunsero a stringere un'alleanza. Tramite questa coalizione Adorno, che, per quel che riguardava il pro­ prio pensiero filosofico, aveva fortemente subìto fino ad allora l' influen­ za di Benjamin, ora, in veste di teorico della società, si serviva sempre più di concezioni proprie di Horkheimer, adattandole, naturalmente, come sempre, secondo il suo stile personalissimo. L'alleanza tra i due si fece sempre più stretta via via che Adorno, nella disputa tra le varie so­ ciologie che aveva le sue radici in diverse posizioni ideologiche, si schie­ rava dalla parte di Horkheimer. In questo modo egli si opponeva anche a Karl Mannheim, al quale già la prolusione di Adorno non era piaciuta. Cosa di cui non c'è da stupirsi, dal momento che verso la fine Adorno 210

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era partito all'attacco contro la sociologia " nominalistica" di Mann­ heim, nella quale il concetto, per esempio, di ideologia, viene portato all'estremo «definendolo formalmente come correlazione tra determina­ ti contenuti di coscienza e determinati gruppi, senza considerare più la questione della verità o della non verità dei contenuti stessi. Questo tipo di sociologia rientra in una sorta di relativismo generale)) 82 • Malgrado questa critica, la tesi fondamentale di Mannheim, quella di un generale legame del pensiero con l'essere continuò ad interessare Adorno. Solo così si può spiegare il fatto che egli, negli anni che seguirono, abbia con­ tinuato ad occuparsi in modo approfondito dei fondamenti della socio­ logia della conoscenza 83• Argomento principale della disputa sorta tra le due diverse prospettive sociologiche era nientemeno che la seguente questione: qual è il modo giusto, dopo il tramonto delle grandi tradizio­ ni filosofiche, per fondare una teoria della società adeguata all' esperien­ za moderna della crisi ? S ia Horkheimer sia Mannheim abbracciavano l' idea che non rimanesse altro da fare che praticare la via critica. Di con­ seguenza, dal momento in cui il libero docente di Heidelberg era stato nominato professore alla Facoltà di scienze economiche e sociali, si ave­ va la coabitazione di due sociologie nella stessa città, anzi nello steso edi­ ficio, due sociologie in competizione, che pretendevano entrambe di praticare una scienza critica, o, per essere più precisi, una scienza indi­ rizzata verso la critica dell'ideologia. L'Istituto di sociologia, di nuova creazione, diretto da Man nheim in qualità di rappresentante di una so­ ciologia moderna e scevra di giudizi di valore, si trovava ospitato all'in­ terno dell'edificio dell'Istituto per la ricerca sociale. La presenza fisica di Mannheim e dei suoi collaboratori, quali per esempio N orbert Elias e Gtinther Stern, non veniva per nulla percepita dagl i influenti colleghi dell'Istituto come una possibilità di cooperazione. Al contrario, la pre­ senza di Mannheim stimolò Horkheimer a formulare, per così dire a mo' di benvenuto pronunciato in onore di un giovane professore ordi­ nario detentore di una delle prime cattedre di sociologia esistenti in tut­ ta la Germania, una critica estremamente violenta indirizzata contro la categoria centrale della concezione della scienza propria del nuovo colle­ ga. Tale critica, dal titolo Un nuovo concetto di ideologia ? 8 4, prendeva Mannheim di mira in modo frontale, rimproverandogli di aver fatto una riedizione del tutto insufficiente del concetto di ideologia espresso da Marx. Da un lato, argomentava contro Mannheim dicendo che que­ sti aveva trasformato i concetti fondamental i del materialismo storico nel loro opposto, poiché si limitava a riprendere solo qualche elemento 211

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di quella teoria. Dall'altro lato, sosteneva polemicamente che fosse una " follia idealistica" ricondurre ogni forma intellettuale ad un sistema di concezione del mondo. «Se ogni pensiero è necessariamente ideologico, è chiaro che " ideologia" - come " particolarità" - non sign ifica altro che l'inadeguatezza alla verità eterna» 85• Dal momento che Mannheim con­ cepisce la verità come legata, per principio, all'essere, egli mette in conto uno svuotamento della categoria di verità. Horkheimer gli rimprovera­ va inoltre di soffermarsi sulle pecul iarità di stile del pensiero, invece di analizzare le condizioni materiali concomitanti con la creazione di for­ me di coscienza. Il legame con l'essere resta poco chiaro finché questa categoria centrale non viene messa in relazione con la struttura di potere fondata economicamente e organizzata politicamente. Questa accesa critica si spiega col fatto che la tesi di Mannheim fon­ data sul carattere ideologico generale di ogni tipo di conoscenza minac­ ciava di sottrarre i presupposti all' intento di Horkheimer di portare avanti una teoria della società intesa universalmente, e che doveva mira­ re al mutamento pratico del suo oggetto . Nella misura in cui il concetto di ideologia espresso da Mannheim, in linea di principio, sospettava an­ che il marxismo di essere ideologico, il suo sviluppo ulteriore nel quadro della teoria della società portata avanti dall'Istituto per la ricerca sociale doveva tenere conto di questa riserva. Ed è proprio opponendosi a ciò che Horkheimer pronuncia le proprie argomentazioni, facendo valere una sorta di diritto esclusivo di praticare l'analisi dell' ideologia. I pro­ getti di ricerca che erano in corso nel suo Istituto e che venivano previsti per il futuro, infatti, avevano in primo luogo a che fare con la seguente questione: in quale modo si compiono i processi di mediazione della fal­ sa coscienza in una società organizzata capital isticamente ? S i trattava dello stesso problema di fronte al quale si trovava Adorno con la sua sociologia della musica. Era una questione del tutto aperta, constatava Adorno nella sua prima pubblicazione di argomento stretta­ mente sociologico, il modo in cui funzionavano i meccanismi concreti della mediazione di musica e società, il modo in cui la determinazione della funzione della musica in quanto ideologia si impone a livello so­ ciale 86. Per i due avversari Horkheimer e Mannheim la controversia non riguardava soltanto il concetto di ideologia, ma anche la questione relativa al giudizio di valore nella teoria della società. Mentre Horkhei­ mer pretendeva che la condizione di verità della teoria della società non fosse il suo contenuto esplicativo astratto, che la verità della teoria do­ vesse mostrarsi piuttosto nel mutamento delle condizioni sociali, que21 2

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sto, per Mannheim, equivaleva a contravvenire al postulato della libertà dei giudizi di valore e a pretendere troppo dalla capacità di previsione della disciplina. Secondo lui, la sociologia in quanto scienza particolare, doveva accontentarsi di mettere a disposizione «Un adeguato orienta­ mento per la vita degli esseri umani nella società industriale», «anche se resta ancora aperta la questione riguardante il fatto se questa società sarà organizzata su basi capitalistiche o socialiste» 87. Egli deduceva tale de­ terminazione della funzione da due risultati. Da un lato, dalla diagnosi del presente: la modernità, dopo la scomparsa di interpretazioni del mondo tramandate e universalmente valide, si trova in una crisi, in una generale perdita dell'orientamento, la cui conseguenza è un estremo bi­ sogno di istruzioni per il comportamento in campo politico. Dall'altro da un dato risultante dalla storia delle idee in base al quale la sociologia dovrebbe intraprendere una missione illuministica che esiga, al posto del dogmatismo ideologico, la correzione autoriflessiva dei sistemi di conoscenza e di pensiero esistenti. Che la sociologia dovesse sottoporre qualsiasi concezione del mon­ do al sospetto di essere ideologica e al contempo dovesse offrire un orientamento per l'azione ed il sign ificato, era la tesi del libro di Mann­ heim Ideologia e utopia (1929) , che aveva riscosso un notevole successo. In questo testo veniva formulata la seguente domanda: «Com'è possibi­ le per l'uomo continuare a pensare e vivere in un tempo in cui i proble­ mi dell'ideologia e dell'utopia sono affrontati in tutte le loro implicazio­ ni?» 88. Con questa domanda il libro toccava esattamente il punto ne­ vralgico della situazione intellettuale dell'epoca. Varie posizioni ideolo­ giche combattevano una contro l'altra per l'esclusività della spiegazione del mondo che ciascuna di esse forn iva. L'ambiziosa sociologia dispen­ satrice di sapere sociale orientativo si divideva in un conflitto tra conso­ lidamento materialistico o idealistico. Sullo sfondo di questa situazione Mannheim suggeriva, nel suo libro, di rendersi conto di quanto la con­ correnza sia produttiva in campo intellettuale, perché la rivalità intellet­ tuale mette in evidenza il pregiudizio storico e sociale delle diverse con­ cezioni del mondo ed in questo modo relativizza le diverse dottrine. N el suo saggio critico su Mannheim al quale lavorò, con grandi in­ terruzioni, fin dall'inizio degli anni trenta, Adorno critica da un lato l'e­ quiparazione, problematica, di concezione del mondo ( Weltan­ schauung) e ideologia (Ideologie), dall'altro le carenze del metodo di pensiero appl icato. Nel novembre del 1934 scrisse a Benjamin che era il suo «scritto più fortemente marxista)) 89. Egli faceva riferimento in pri213

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m o luogo all'opera L 'u omo e la società in un 'età di ricostruzione (Mensch und Gesellschaft im Zeitalter des Umbaus) uscita nel 1935 dopo che Mannheim aveva lasciato la Germania nazista. Le tesi che venivano svi­ luppate in quel testo erano già state presentate da Man nheim in una conferenza a Londra, alla fine del 1934, alla quale Adorno aveva assistito. A proposito di tali tesi questi aveva scritto un commento critico che ave­ va poi presentato personalmente a Mannheim il quale, a detta di Ador­ no, come si legge in una sua lettera a Horkheimer «aveva perso per la prima volta le staffe» 90. In modo simile ad Horkheimer, Adorno torna­ va a rimproverare a Mannheim la scarsa radicalità della sua critica della società e una certa neutralità nella concezione del mondo, due cose che erano legate al suo intento di limitarsi ad un «modo di descrivere socio­ logico-formale». Invece di chiarire le leggi antagonistiche dei movimen­ ti sociali tramite concetti dialettici e basandosi su fatti centrali quali le differenze di classe sociale o la creazione di monopol i, Mannheim inse­ risce i suoi concetti all'interno di «un sistema definito di coordinate» . In questo modo, le leggi dinamiche della società appaiono «come alcunché di contingente o di accidentale, come mere "differenziazioni " sociologi­ che» . La sociologia general izzante, sempre per Adorno, avrebbe l'effetto di un insulto alla realtà 9 1 . L'interesse di Adorno per Mannheim culmi­ nò in un rifiuto in blocco che seguiva in tutto e per tutto la resa dei con­ ti generale di Horkheimer: mentre con sociologia, all'origine, si intende critica dei principi della società, la sociologia della conoscenza si accon­ tenta della riflessione su illustri fenomeni sociali 9 2• La critica di Adorno a Mannheim non fu pubblicata, come invece era stato previsto, sull'ultimo numero del 1937 della " Zeitschrift fiir So­ zialforschung". Ciò era dovuto anche al fatto che Adorno non aveva gran che di veramente nuovo da dire sulla sociologia della conoscenza rispetto alla critica di Horkheimer al concetto di ideologia di Mann­ heim, una critica che risaliva a sette anni prima. Adorno metteva nuova­ mente in rilievo le divergenze fondamentali che sussistevano tra le due varianti di critica dell'ideologia invece di andare avanti con l'argomen­ tazione in modo da arrivare ad una controversia produttiva tra le posi­ zioni. Questo tipo di discorso deve, a quell'epoca, aver corrisposto agl i interessi di Horkheimer più di una nuova, marcata distinzione con le relative suddivisioni in schieramenti intellettuali. Che Adorno, con l' implacabilità della sua critica, tentasse di mantenere ostentatamente le distanze rispetto a Mannheim aveva forse a che fare anche col fatto che egli avvertiva di avere delle affinità con lui: non soltanto era possibile 214

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istituire un parallelo nell'habitus intellettuale, ma in comune c'era anche lo sguardo dell' outsider scientifico. Mannheim, nelle sue riflessioni sul ruolo dell'intellettuale, aveva indirettamente espresso la speranza che si potesse giungere ad un avvicinamento tra i vari raggruppamenti: « Noi, quella massa dispersa su tutti i punti della terra, siamo gl i unici miseri rifiuti internazionali senza terreno sotto i piedi: siamo quelli che scrivo­ no libri, li leggono, e che scrivendo e leggendo sono interessati solo dal­ lo spirito» 93. In effetti, entrambi erano intellettuali i quali, scrivendo, si avvalevano di mezzi saggistici di rappresentazione. In questa libertà di stile, che per l'uno era espressivo-musicale e per l'altro più riservato, tro­ viamo un tratto comune tra i due. Entrambi reagivano a proprio modo, con un'ampia critica, alla condizione della modernità: Mannheim con gli strumenti della critica della coscienza, Adorno con quelli di una cri­ tica dialettica della società. All'epoca in cui Adorno, dopo vari rimaneggiamenti, portò a termi­ ne questo «lavoro puramente marxista» sul «sociologismo borghese» di Mannheim 94, esso da un lato non era più del tutto attuale e dall'altro non si addiceva più al programma della rivista e dell'istituto di Hork­ heimer verso la fine degli anni trenta, quando a questi, emigrato a New York, stava tra l'altro anche a cuore di trovare una sua collocazione al­ l' interno della ricerca sociale americana e dunque di cercare eventual i possibilità di cooperazione e di farne realmente uso. Quando Hork­ heimer, a New York, lesse la critica di Adorno e constatò che in molti punti coincideva con la sua concezione di un tempo, si espresse positi­ vamente a riguardo in una lettera, senza tuttavia accettare di pubblicare il testo. Adorno non aveva molta comprensione per un comportamento ambivalente di questo tipo. Era del tutto convinto di aver sferrato cor­ rettamente il suo attacco e deve essersi effettivamente sentito ingannato dal fatto che Horkheimer motivasse le proprie obiezioni alla pubblica­ zione del testo dicendo che, nell'insieme, il saggio appariva troppo posi­ tivo 95. Adorno si difese a stretto giro di posta giustificandosi tramite il suo metodo immanente al testo: «prendere in considerazione seriamen­ te le più grandi stupidaggini e sforzarsi di dimostrare che sono davvero stupidaggini [ . . . ] - ma accollare tutto l'onere polemico della prova a lui [Mannheim] , cioè [ . . . ] farlo parlare e distruggerlo tramite la citazione)) , Che la sua critica avesse centrato il punto nevralgico della sociologia della conoscenza, continuava Adorno, lo si vedeva dalla reazione di Mannheim, espressa in una 21 5

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lettera assolutamente fumante di rabbia, ma del tutto inefficace. [ ... ] Non è stato in grado di ribattere neanche ad una delle argomentazioni e si è tratto d'impiccio dicendo che gli errori che gli rimprovero non hanno a che vedere col metodo, ben­ sì con l'applicazione. Come se fosse questa la cosa importante; come se si potesse separare il metodo dalla cosa diversamente che alla maniera di Heidelberg. No, credo davvero che il su avis modus abbia solo messo più marcatamente in luce il profilo della res severa

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Horkheimer non si lasciò in nessun modo convincere e tanto meno ac­ colse il suggerimento di aprire, sulla rivista, un dibattito pubblico sulla sociologia della conoscenza, per «poter fare tranquillamente a pezzi» 97 Mannheim, come afferma Adorno esultante. Anche un altro argomento addotto da Adorno, e cioè che la sua critica a Mannheim andasse giusto bene per presentarlo, all'interno della rivista, non più come un sociolo­ go della musica, bensì, invece, come un cervello competente su tutto il fronte della teoria della società, non venne accolto dalla redazione. Egli si lagnò con Horkheimer definendosi un «capriolo ferito»; uno degli «elementi vitali dello scrittore» è quello di «vedere pubblicate le proprie opere», altrimenti «anche nel caso della persona più controllata e serena di questo mondo» può succedere che «si presentino i sintomi di una pa­ ralisi» 98• N o n si può certo dire che nel caso di Adorno si sia arrivati a un tale fenomeno di paralisi. Egli accettò, anche se digrignando i denti, che il saggio non fosse pubblicato, nella misura in cui la cosa era legittimata da motivi tattici interni all' Istituto. Per lui personalmente, quel testo conservò tuttavia un' importanza particolare. Lo si comprende, tra l'altro, dal fatto che quasi quindici anni dopo lo pubblicò in due sedi diverse: sulla rivista "Aufklarung" (1953 ) e nella sua raccolta di saggi Prismi (1955) . Di conseguenza restò per così dire fedele alle distinzioni delle due sociologie che facevano uso della critica ideologica. Facendo riferimento al proprio concetto di so­ ciologia egli, nella critica a Mannheim del 1937, aveva iniziato a chiarire un problema di metodo : come era possibile fondare una sociologia che non prendesse le mosse dalla somma degli individui e delle loro azioni, una sociologia il cui interesse conoscitivo si di rigesse a sondare la sociali­ tà dei dati di fatto all'interno del mondo sociale, di rintracciarne la ge­ nesi e il valore ? Come si spiega e che significato ha il fatto che " la socie­ tà " si crea da sé, come «un sistema rigidamente coerente [ . . . ] fondato sull 'irragionevolezza e la mancanza di libertà più totali» ? 99• Di fronte a queste rimarchevoli affermazioni sorge spontanea la seguente domanda: 216

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Adorno avrebbe potuto formulare questa frase senza aver fatto l' espe­ rienza storica del fascismo ? Senza cioè la vittoria del nazionalsocialismo, l'imposizione della dittatura di Hitler, la visione razziale del mondo e l'em igrazione obbl igata dell'autore, che lasciò la Germania, quel paese che si era rivelato essere, nei fatti, un sistema dominato dall'irragionevo­

lezza e dalla mancanza di libertà le più totali. Progetto per un'opera lirica: Il tesoro di foe l'indiano Il poter disporre magicamente dell' infanzia è la forza dei deboli 1 0 0 •

Quante saranno state le ore di una normale giornata di lavoro di Ador­ no ? La sua enorme produttività nei campi più disparati documenta piuttosto bene che egli, già ambizioso in gioventù, era un lavoratore estremamente disciplinato. Per tutta la vita, in effetti, egli si dedicò a ciò che era importante per lui, per la sua esistenza, e lo fece arrivando al li­ mite dell'esaurimento e della massima sollecitazione nervosa. Già nelle lettere del giovane Adorno, possiamo leggere diverse frasi in cui egli si lamenta di non aver tempo a sufficienza ed enumera strapazzi fisici e psichici. Anche se al contempo, insieme alla passione della volontà, si suppone una capacità di concentrazione fuori del comune e una severa suddivisione del tempo, resta comunque difficile comprendere come riuscisse, parallelamente all'attività di scrittore, a far fronte alla molte­ plicità delle sue incombenze. Da quando era libero docente aveva cre­ scenti impegni accademici, da un lato in quanto assistente di Paul Til­ lich, dall'altro essendo in prima persona insegnante alla Facoltà di filo­ sofia. E non lavorava solo in quella sede, bensì partecipava attivamente, e non come abusivo, alle discussioni di quei sociologi che, all'Istituto per la ricerca sociale e sotto l'egida di Horkheimer, lavoravano ad una teoria sul corso storico dell'epoca contemporanea. Il fatto di rientrare nella sfera dell'Istituto implicava anche la disponibilità a pubblicare sul­ la " Zeitschrift fi.i r Sozialforschung" che Horkheimer curava, e che per Adorno costituiva uno fra i molti impegni di pubblicista. In primo luo­ go vanno ricordate le varie riviste musicali per le quali scriveva ( ''An­ bruch ", " Pult und Taktstock", " D ie Musik", " Der Scheinwerfer", " 23 " ecc. ) . Oltre agli articoli che firmava s u quotidiani quali la " Frankfurter Zeitung" e la "Vossische Zeitung" e su periodici come i " Neue Blatter 217

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ftir Kunst und Literatur", sempre più sovente, in quegli anni, egli tene­ va conferenze alla radio di Francoforte. Oltre a tutto ciò, c'erano le con­ ferenze pubbliche dedicate a temi sia musicali sia filosofici. All'epoca, egl i redigeva più testi di quell i che in realtà poteva pub­ blicare o voleva rendere noti ad un'ampia cerchia di lettori. Alcune delle cose che scriveva avevano la forma di appunti provvisori dettati dalla spontaneità: materiali che sparivano nel cassetto per essere eventual­ mente usati in futuro. Mentre alle annotazioni a mano erano riservati vari quaderni in ottavo 101 che a seconda del tema trattato portavano nomi speciali, come per esempio "libro nero", "libro colorato ", " libro verde", i manoscritti formulati pienamente e che intendeva pubblicare li scriveva, all'epoca lui stesso, a macchina, con la sua U nderwood. In seguito, tuttavia, dopo il matrimonio con Gretel Karplus, passò alla det­ tatura - un'attività che ben presto trovò preferibile - e che era seguita dalla rielaborazione frase per frase, in varie fasi di lavoro, dei testi battuti a macchina. Già soltanto le oltre cento critiche di opere liriche e concer­ ti e le oltre cinquanta critiche di composizioni musicali che Adorno re­ dasse nei dodici anni che precedettero la sua emigrazione erano una tale quantità che i pubblicisti musical i di professione solo in rarissimi casi potevano eguagliarla. Nei testi prodotti, a parte il lato quantitativo, quel che salta agli occhi è anche la molteplicità delle forme letterarie impie­ gate. Oltre alle recensioni, spesso polemiche, dedicate a concerti, e che avevano un pecul iare stile, egli si cimentava anche nel genere dell'afori­ sma e del saggio, ed oltre alle features per la radio, che talvolta erano combinate con esempi musicali, produceva anche lunghi saggi mano­ grafici su determinati movimenti musicali e su compositori. Dal punto di vista qualitativo, queste critiche, sia quelle brevi, sia le più approfondite, possono essere ritenute, insieme ai numerosi articoli, dei frammenti di un'autonoma teoria musicale che l'autore si riservava di fondare e portare avanti negli anni a seguire. Malgrado il loro carattere frammentario, questi generi letterari for­ malmente divergenti avevano una cosa in comune dal punto di vista del contenuto: stavano a testimoniare in misura crescente della coscienza fi­ losofica dell'autore, il quale, al più tardi all'epoca della prolusione, per­ seguiva uno specifico programma di interpretazione filosofica. Ciò ave­ va come conseguenza che Adorno non analizzava la musica in primo luogo isolatamente e in quanto disciplina, come genere artistico, consi­ derando il timbro, la melodia, il ritmo ecc. Egli si interrogava, invece, sui contenuti intellettuali dei fenomeni musical i cercando di compren21 8

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derli e di chiarirli partendo dal contesto storico e culturale. Il filo rosso di queste analisi filosofiche dettagliate di opere musicali era costituito da due questioni principali: la prima era quella della storicità del materiale musicale; la seconda era quella della costituzione della forma musicale nella quale trova espressione la validità dell'opera. Opere d'arte compositive, secondo lui, scaturivano dalla cosciente strutturazione del materiale musicale, in modo corrispondente al livello storico di sviluppo . Nella costruzione della forma musicale si esprime­ rebbe un contenuto di verità oggettivo e valido sovraindividuale. Il po­ stulato di Adorno era: se la musica vuole essere arte, deve essere storica­ mente vera, e ciò significa che deve possedere qualità conoscitive nelle quali possano trovare espressione i momenti estetici del bello e del buono. Autore estremamente produttivo, ed in un modo, certo, fuori del comune, Adorno lavorava instancabilmente (anche nel senso letterale della parola) per rendere plausibile il proprio progetto filosofico tramite analisi concrete. Certo, rendere plausibile tale progetto all'interno del processo dell'interpretazione musicale restò, fino alla fine degli anni venti e all'inizio degli anni trenta, a livello di movimento esplorativo, anche se talvolta si può restare ingan nati, in proposito, dal tono impa­ ziente ed apodittico dei testi. Scrivendo di musica parallelamente alla sua crescente produzione filosofica egli si fece via via sempre più sicuro in relazione a ciò che intendeva esprimere. La sua crescente sicurezza lo incitava a redigere ulteriori critiche musicali e ad intervenire in modo più pregnante nel dibattito filosofico. Tenendo conto delle sue prestazioni giornaliere di scrittura è diffici­ le im magi narsi che egl i riuscisse a praticare l'attività di musicista paral­ lelamente alla faticosa attività di pubblicista, docente e conferenziere. Eppure, oltre a tutto il resto, all'inizio degli anni trenta egli si rimise con nuovo vigore a comporre. Certo non gli pioveva dal cielo. In una lettera ad Alban Berg della fine di settembre del 1931, infatti, appena cinque mesi dopo la prolusione e poche settimane dopo le vacanze trascorse a Berchtesgaden e Salisburgo, Adorno, ventottenne, si lamenta, dicendo di essere sprofondato in una crisi assoluta come compositore: «negli ul­ timi due anni e mezzo non sono riuscito a portare a termine niente di importante. [ . . . ] Non so dirLe quanto la cosa mi pesi; mi avvelena com­ pletamente l'esistenza e mi riempie di odio nei confronti dell' università, che mi ruba tutto il tempo» 1 02• Il motivo che, con un movimento auto­ critico, egli adduce per tale stagnazione è quello di avere troppo poco 219

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coraggio, è il fatto che gli manchi l'ispirazione, cosa che, ovviamente, ha a che fare con «lo sconfortante orizzonte» nel quale si era costretti a vive­ re in Germania, «che distrugge in me qualsiasi genere di libertà e dun­ que anche ogni autentica produttività» . Il docente di filosofia continua affermando che, malgrado la mancanza di fiducia in se stesso in quanto compositore, egli «non può che considerarsi un compositore» e scriven­ do che non vede l'ora di mandare al diavolo tutto il resto 1 0 3• Quel che fece fu il contrario. In quella stessa lettera a Berg elencava con compiacimento i vari impegni e le cose fatte nelle ultime settimane: discussioni radiofoniche e conferenze, proseguimento degli aforismi e delle critiche musicali ecc. Malgrado egli, sempre mosso dalla curiosità e in preda all'inquietudine attiva, lottasse per venire a capo di tutto que­ sto carico di lavoro, gli riuscì subito di ritornare a comporre secondo i criteri che egl i stesso poneva. Si era messo a lavorare nientemeno che ad un'opera. Dal soggetto del racconto di Mark Twain Le avventure di Tom Sawyer aveva ricavato il quadro d'azione per un Singspiel dal titolo Il tesoro di joe l'indiano. Aveva scritto il libretto tra il novembre del 1932 e l'agosto del 1933 ed in quel periodo aveva anche cominciato a musicar­ ne alcuni brani. Tuttavia, aveva terminato di comporre soltanto i Zwei Lieder mit Orchester (Due Lieder con orchestra) 1 04. Il motivo del fatto che questo Singspiel restò a livello di frammento non dipese soltanto dall'incertezza esistenziale nella quale Adorno, che aveva un orientamento di sinistra ed era un cosiddetto ebreo per metà, si ritrovò sprofondato a partire dall'inizio del 1933 nella Germania na­ zionalsocialista. A questo si era aggiunta la reazione al libretto avuta da una precisa persona il cui giudizio stava particolarmente a cuore ad Adorno. Appena terminato di scrivere il libretto, egli aveva colto l' occa­ sione e ne aveva letto alcuni brani di fronte a una cerchia molto ristret­ ta. Indi, nell'estate del 1933, aveva fatto avere una copia del testo a Wal­ ter Benjamin . Questi, in quanto pensatore che si opponeva al regime, fu fra i primi ebrei a cadere vittima della salita al potere dei nazionalsociali­ sti . Fuggì dapprima ad lbiza e poi emigrò a Parigi 1 0 5• A causa delle con­ dizioni di vita estremamente difficili in cui si trovava, impiegò molto più tempo del solito ad esprimere un parere sujoe l'indiano. Gretel Kar­ plus dovette esortarlo più volte per lettera a scrivere finalmente a " Ted­ die " su questo argomento, perché l'amico aspettava impaziente la sua valutazione 1 0 6 • Malgrado tutto quello spronare, Benjami n, nel quale Adorno vedeva il lettore ideale del suo libretto, si espresse in proposito 220

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solo nel febbraio del 1934. Usò una serie di frasi delle più diplomatiche, ma in sostanza disapprovò decisamente il progetto. In generale, aveva da ridire sulla scelta del tema: la storia dell'amicizia tra due ragazzi nella campagna americana alla metà del XIX secolo. Inoltre, criticava aperta­ mente la «riduzione all'idilliaco» che, secondo lui, era in contraddizione con le intenzioni dell'autore del Singspie/ 1 07. Era giustificata questa critica globale del tentativo, da parte di Ador­ no, di comporre un'opera ? Il compositore aveva pur sempre intrapreso il progetto di elaborare, con gli strumenti musicali e testuali del sing­ spiel, un'esperienza storica che gli si imponeva: l'esperienza dell' ango­ scia. Da quest'esperienza sono marcati il modo di agire ed i dialoghi dei due giovani protagonisti, testimoni di un omicidio commesso da J oe l' indiano, il quale, per vendetta, vuole addossare il suo atto ad un altro vagabondo. Tom ed Huck, i due testimoni nascosti, tacciono per paura della vendetta: una cosa che li impaurisce ancor di più dal momento che sono coscienti della propria vigliaccheria. Che l'omicidio sia il tema centrale del Singspiel è chiaro già dal pri­ mo quadro : Tom Sawyer si lamenta per la morte del proprio gatto, di cui è egli stesso responsabile, dal momento che gli ha somministrato una medicina che avrebbe dovuto prendere lui. Il secondo quadro è una scena ambientata al cimitero, a mezzanotte. Tom e il suo amico Huck assistono, da un nascondiglio, alla lite tra Joe l'indiano e Muff Potter da una parte e il dottor Robi nson dall'altra, i quali si sono dati appunta­ mento a quell'ora inusitata della notte per derubare la salma del "vec­ chio Williams " che è stato appena seppellito. Durante la lite, che ha per oggetto il bottino, J oe uccide il dottore con una coltellata al ventre. Alla fine della scena Tom e Huck interpretano la Canzone di chi sta a guar­

dare: TOM:

uno è morto, nessuno ha visto, nessuno è colpevole. H U C K:

uno è morto uno ha visto, uno è colpevole.

221

T H E O D O R W. ADO RNO TOM:

uno è morto, due hanno visto, entrambi sono colpevoli. HUCK:

colpevole, quando uno è morto, uno lo diventa soltanto se c'è un altro che ha visto. I N S IEME:

uno è morto, qualcuno lo ha ammazzato, due hanno visto, tutti sono colpevoli, C O N E N FAS I :

fintantoché non parlano

108 •

Il punto culminante della scena seguente è la canzone di Muff Potter in prigione. Nel testo di questa canzone si trovano alcuni motivi che Ador­ no riprenderà e rielaborerà più tardi nei Minima Moralia. Muff Potter canta dal cuore della torre dove viene tenuto prigioniero: Ne l bosco, nel bel bosco verde, è magnifico, là il sole splende, e splende la luna e non vogliono tramontare. Là vanno a caccia, i cacciatori, là corrono le lepri e i caprioli. E vengono uccisi, cosa che spiace ai cacciatori. Là la neve si posa su un campo verde, là fa così caldo e così freddo, così silenziosa è la natura, quando alto risuona il corno da caccia. Una fanciulla dorme nella fitta boscaglia, il mendicante è già arrivato alla porta,

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io la sveglio in fretta e furia, dormi dormi in santa pace

109.

La canzone di Muff Potter, che deve essere impiccato, contiene elemen­ ti che sono altrettanto estranei alla storia originale scritta da Mark Twain quanto il dialetto di Francoforte, un dialetto in cui alcuni degli attori, secondo il libretto, avrebbero dovuto parlare. Per questa Canzone dell'i nnocente Adorno ha utilizzato alcuni versi tratti dalla Ninna nanna di Wilhelm Taubert, che già in passato, scrivendo a Walter Benjamin, aveva definito la sua «canzone preferita», per via del motivo del mendi­ cante 1 10 • La canzone di Muff Potter fa raggelare il sangue nelle vene a Huck e Tom, i quali sanno che è innocente. Essi, perciò, non gli stanno vicini solo moralmente, anzi, Tom Sawyer si decide a deporre in tribunale come testimone. La quarta scena si svolge sull'isola di Jackson, in mezzo al Mississip­ pi, sulla quale i due amici, dopo aver salvato Potter, si sono rifugiati per sottrarsi alla temuta vendetta del perfido Joe l'indiano. I punti più im­ portanti sono, qui, la Canzone della morte inutile cantata da Tom ed i canti alternati nel primo finale, quando i due fuggitivi, per timore dei pericoli della vita avventurosa, decidono di tornare a casa. TOM:

Dobbiamo tornare a casa, qui non abbiamo fortuna, qui siamo liberi da ogni peso, non ci cerca nessuno che provi odio per noi, ma non abbiamo avventure, ad Hannibal siamo più liberi, è una vecchia tiritera, ma dobbiamo tornare a casa

111•

Il quinto quadro mostra la famosa casa degli spettri di Hannibal, in cui H uck e To m vanno alla ricerca del tesoro. Essi tornano ad essere testi­ moni dei sinistri propositi di Joe l' indiano, il quale è sfuggito alla sua pena ed ora è entrato in possesso di un tesoro che ha trovato vicino al camino della casa abbandonata. N el momento in cui egli tenta di na­ sconderlo nelle vicine grotte si arriva ad un confronto tra i tre protago­ nisti. Joe l'indiano, il criminale, avventandosi su Tom scivola e rimane a 223

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terra, morto. Nell'emergenza più totale, ed in piena oscurità, i due ami­ ci scoprono fortunatamente una fessura attraverso la quale penetra la luce del sole ed in questo modo trovano la via d'uscita. Nell'ultima sce­ na, Tom ed H uck vengono acclamati legittim i proprietari del tesoro dall'onorata società di Hannibal. Mentre Tom, titubante, finisce per ac­ cettare il suo nuovo ruolo di adulto, Huck si sottrae alle costrizioni di una vita ordinata. Il tema del secondo finale, alla fine del Singspiel (che è al contempo il motivo conduttore di tutta l'opera) è l'inutilità: il rifiuto di H uck è il­ lusorio quanto la decisione di Tom di sacrificare i sogni d'infanzia di una vita avventurosa in nome della sicurezza borghese. «Non riusciamo ad uscirne l da questa vecchia casa l [ . . . ] l e se per paura scappiamo da qualche parte l ci ritroviamo sempre lì dentro l e la cosa ci fa orrore e paura l non riusciamo ad uscir ne» 112 • In relazione al rifiuto in blocco dell'adattamento del tema espresso da Benjamin, Adorno si difese dicendo che «con l'esempio dei ragazzi [erano state dimostrate] cose molto serie», e che quel che in particolare lo interessava era la « rappresentazione dell'angoscia» 11 3• Benjamin non reagì con alcun tipo di commento alle spiegazioni del suo corrisponden­ te. Dall'incomprensione incontrata in relazione al suo Singspiel la con­ clusione che Adorno trasse fu di tentare di chiarire le proprie intenzioni ad altre persone. Nel novembre del 1 934 mandò il libretto a Ernst Kre­ nek, a Vienna, spiegando espressamente, questa volta, i temi central i dell'opera e sottolineando il fatto che Tom Sawyer si libera dalla forza irrazionale del giuramento così che, in questo modo, si ha una sorta di " demitologizzazione". Adorno continuava scrivendo che la storia di Tom Sawyer lo aveva interessato perché essa mostra in modo esemplare in che modo «ciò che è morale, nel vero ed umano senso della parola, [scaturisce] da una sorta di immoralità psicologica», e che questa «in­ tenzione originaria» era stata confermata dal libro di Richard Hughes Un ciclone sulla Giamaica, «uno dei romanzi più interessanti che mi siano capitati sotto gli occhi negli ultimi anni» 11 4• Egli, inoltre, spiega­ va concretamente a Krenek il proprio progetto dal punto di vista com­ positivo. Soltanto le parti in versi del testo avrebbero dovuto essere cantate. Mentre progettava che Huck fosse una parte da soprano, che fosse cioè interpretata da una ragazza, per la parte di Tom prevedeva un tenore 11 5• Purtroppo, nell'estate del 1 933 Adorno riuscì a portare a termine solo due canzoni del primo quadro, in forma di partitura scritta a 224

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mano

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. Entrambi questi Lieder per voce e orchestra, la Canzone di en­ trata in scena di H uck e il Canto funebre per un gatto di To m, vennero

composti fondamentalmente su una serie dodecafonica unita a una libe­ ra atonalità. Nella canzone di Huck, per esempio, ogni nota usata ap­ partiene alla serie dodecafonica, anche se questo metodo compositivo è mascherato dalla costruzione musicale globale. Il canto funebre di Tom è strutturato seguendo il tipo della canzone per bambini ed è molto marcato da elementi ritmici. Da entrambe queste composizioni è possi­ bile dedurre che per il suo Singspiel Adorno prevedesse un'orchestra sin­ fonica media. Dal libretto risulta che Ado rno programmasse di inserire cori e intervalli musicali e che avesse anche l'intenzione di comporre due fi nali e una fantasia 1 1 7 . Quando Adorno, a causa degli eventi politici del 1 933, fu costretto a lasciare la Germania, mise agli atti tutto quanto il progetto, non soltan­ to perché i suoi abbozzi operistici non erano stati accolti in modo inco­ raggiante, ma soprattutto per via del fatto che il futuro di un intellettua­ le " non ariano " nella comunità popolare nazionalsocialista era ormai di­ strutto . Certo è anche possibile che l'esperienza dell'angoscia imposta storicamente e con essa il trauma di una reale espulsione abbiano ogget­ tivamente assunto dimensioni talmente enormi per cui gli strumenti espressivi estetico-musicali dell'opera si rivelavano ormai del tutto ina­ deguati.

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PARTE TERZA

Gli anni dell'emigrazione: l'esistenza di un intellettuale all'estero

Un doppio esilio: la condizione intellettuale di un senza patria come destino biografico Non c'è più altra patria che un mondo in cui nessuno più venga espulso, il mondo di un'umanità completa­ mente liberata \

Disgustato dalle atrocità, Adorno restò senza parole quando, a Berlino, assistette ai tetri eventi dei primi mesi del 1933. Dalla parte dei vincitori, la gente, presa dall'ebbrezza, gridava all'unisono "H e il H itler" e inneg­ giava alla vittoria con la canzone di Horst-Wessel; un mare soffocante di bandiere con la svastica, di adunate di massa, di giuramenti e di mo­ menti solenni si accompagnavano ad atti antisemiti e roghi di libri in molte città universitarie tedesche. Dalla parte dei perdenti, i cittadini ebrei fuggivano presi dal panico ed anche uomini politici di orienta­ mento di sinistra ed intellettual i che si opponevano al regime cercavano di passare il confi ne del Terzo Reich , spinti a farlo dalle ondate di arre­ sti, dalle torture praticate nei seminterrati della polizia segreta e dal tota­ le arbitrio che regnava nei primi campi di concentramento delle SA (squadre d'assalto) 2 • Il fatto di essere totalmente indifeso rispetto all'atroce commedia che stava avendo luogo per Adorno si associò ad un senso di vergogna che non soltanto lo paralizzò; la sua distanza dagli eventi, piuttosto, lo metteva nella condizione di registrare quel «momento di mortale tri­ stezza» che derivava dal presentimento che qualcosa di funesto stava per accadere. Per lui era chiaro che non soltanto le monumentali messe in 227

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scena organizzate dai nuovi politici, ma anche lo slogan della comunità popolare tedesca non erano altro che strumenti per coprire il nascente sentore della catastrofe imminente. Dietro gli sfarzi già si sentiva in lon­ tananza il sordo rimbombare del tuono. Per capire fino in fondo il ca­ rattere distruttivo insito nella politica di potere del nazionalsocialismo «tutti erano troppo sciocchi [ . . . ] e, allo stesso tempo, nessuno lo era» 3• A posteriori, più d i dieci anni dopo - perché questo è i l lasso d i tem­ po intercorso tra quel ricordo ed il trionfo della stoltezza collettiva - ri­ sultava più facile riconoscere quelle avvisaglie rispetto al momento in cui si era sottoposti alla violenza delle impressioni che si susseguivano nell'immediatezza dell'osservazione diretta. Di fronte alla minaccia espressa dal Reich del dittatore, ad Adorno, "ebreo per metà", non ri­ mase altra scelta se non quella di prenderne coscienza con occhio atten­ to. La speranza di poter ritirarsi a vita privata e di comporre musica, una speranza che nutrì per breve tempo, si rivelò illusoria. Alla sua ingenuità di persona che guardava alla politica con un atteggiamento in primo luogo da intellettuale, alla sua fiducia nel permanere di almeno un mini­ mo della forma di vita civile, presto venne a mancare il terreno sotto i piedi . Umiliazioni qual i, ad esempio, la perdita della venia legendi, era­ no pur sempre tollerabili, per quanto degradanti ed invalidanti per la vita professionale. Il motivo determinante per cui Adorno lasciò la Ger­ mania nell'autunno del 1934 fu il fatto che, oltre alle discriminazioni, si tentava di ridurlo al silenzio . Essere condannato a non esercitare alcune influenza ! Fu questo a fargli decidere di emigrare, come lo stesso Ador­ no dichiarò. La minaccia presente in Germania e l'allontanamento dal paese fu­ rono esperienze che lo toccarono nel profondo. L'arbitrarietà, realmente esperita, che gli si presentava come un esempio della decadenza dell'or­ dine borghese, rafforzò sempre più, nel tempo, il suo spirito d'opposi­ zione. Anche quando, più tardi, dopo aver trascorso più di quattro anni a Oxford e a Lo ndra e più di due a New York, in iziò infine a prendere dimora più definitivamente sulla costa occidentale degli Stati Un i ti, vi­ cino a Los Angeles, con la sua critica della società, che in considerazione delle catastrofi storiche dell'epoca si faceva sempre più decisa nella sua negazione dell' irrazionalità sociale, rimase comunque un senza dimora, un outsider. Adorno conservò la sua integrità, malgrado tutte le stigmatizzazioni che un emigrante deve sopportare, ed evitò tutte le trappole in cui un intellettuale in esilio avrebbe potuto incappare se si fosse lasciato indur228

PARTE TERZA

re a chiudere gli occhi davanti alla propria posizione extraterritoriale: «Ogni intellettuale nell'emigrazione è - senza eccezione - minorato, e anziché cercare rifugio nel senso del proprio valore, farebbe bene a rico­ noscerlo subito da sé, prima di apprenderlo duramente a proprie spe­ se» 4. Da un lato, tale processo di coerente conoscenza di se stesso gli aprì gli occhi sul fatto che un esiliato resta sradicato anche quando rie­ sce ad assimilarsi nel nuovo ambiente: «Espropriata è la sua lingua, e li­ vellata la dimensione storica da cui la sua conoscenza atti ngeva ogni energia» 5• Dall'altro, le sue riflession i sul suo essere un outsider lo mise­ ro nella condizione di vedere nell'esilio il simbolo di un'intera epoca, nella quale al critico viene richiesto di essere un estraneo anche per quel che riguarda la vita pratica. Quando Adorno descrive se stesso come un «senza patria di professione» 6 porta ad espressione il proprio convinci­ mento secondo cui l'esperienza di estraneità, certo amara, dell'esilio coincide con la generale condizione di outsider dell'intellettuale. Egli prendeva le mosse dal fatto che «la solitudine più scrupolosa è la sola forma» 7 possibile per l'intellettuale che intenda mostrare alla società come essa sia. «In altre parole» come scriveva a Thomas Mann, «non si è più a casa da nessuna parte, e certo, su questo fatto, chi per mestiere si occupa di demitologizzazione non dovrebbe lagnarsi troppo» 8• Chi si addossa il critico compito di praticare la demitologizzazione è condan­ nato a vivere nell'instabilità, a metà tra una cosa e l'altra. Per l'intellet­ tuale, che in linea di principio è un senza patria, «lo scrivere può diven­ tare una sorta di abitazione» . Ma per il critico della società, che si muo­ ve all'interno dello strumento del linguaggio, non è nemmeno più «concesso di abitare nello scrivere» 9. Anche se Adorno, nella prima fase della dittatura, dopo il 1933, ri­ mandò per mesi la decisione di lasciare il paese, la situazione pratica quotidiana dell'esiliato non costituiva mentalmente per lui qualcosa di sorprendentemente nuovo . Rendendosi sempre più conto degli intenti del proprio pensiero, verso l'inizio degli anni trenta, gli fu infatti chiaro anche il carattere di inappartenenza del proprio programma di interpre­ tazioni dialettiche, il quale non era riconducibile né alla tradizione delle discipline storico-umanistiche, né allo scientismo. Trami te Lukacs, egl i conosceva già da tempo la categoria della erraticità trascendentale; e con­ cordava con Benjamin sul fatto che la storia non fosse altro che una " storia di sciagure". Il filosofo Adorno era convinto della contingenza del divenire storico: la crescita naturale della società era ai suoi occhi un'apparenza. L'esperienza dell'estraneità, fatta sulla sua propria pelle 229

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durante gli anni dell'emigrazione, era già una componente sotterranea del suo modo di pensare e di vedere il mondo. Già prima di essere scac­ ciato dal luogo in cui era nato gli erano ben presenti esperienze quali la solitudine dell'individuo e l' isolamento e marginalizzazione dell'intel­ lettuale. Il doppio esilio di Adorno non fu dunque costituito soltanto dai due paesi culturalmente molto diversi in cui fu costretto ad emigra­ re; prima l'Inghilterra e in seguito gli Stati Un i ti. Il suo posto era già da sempre in una sorta di zona indefi nita; l'esperienza straniante dell'esilio si ritrovava in sintonia con l'esperienza intellettuale. Adorno riassumeva nella propria persona che cosa significasse essere un outsider esistenziale e intenzionale 10 • E così, lo sguardo dell'esiliato sull'andamento funesto della storia, trovò una propria espressione caratteristica in meditazioni fatte parten­ do da una vita offesa. Tali meditazioni traevano il loro materiale in gran parte dalla situazione di " senza dimora" e dalla distanza impl icate dalla vita all'estero. Malgrado il punto di partenza del tutto soggettivo ed il tono personale di questi tentativi di accertamento della propria colloca­ zione da parte di un intellettuale sradicato, il motivo per cui furono scritte non fu, in primo luogo, né il fatto di aver provato sulla propria pelle che cosa significasse essere scacciati dal proprio paese, né il fatto che Adorno abbia vissuto lo shock di doversi necessariamente adattare ai dati di fatto sociali e culturali dei paesi in cui trovò rifugio . Egli, per­ ciò, si era dato la seguente norma morale: «vietarsi l'abuso ideologico della propria esistenza e - per il resto - condursi, nella vita privata, con la modestia e la mancanza di pretese a cui ci obbliga, da tempo, non più la buona educazione, ma la vergogna di possedere ancora, nell'inferno, l'aria per respirare>> 11 • Questa defi nizione che vede metaforicamente la società borghese come un inferno rinvia al punto di vista generale di Adorno, che considera il mondo disperato . Anche se per tale concezione non era necessaria l'esperienza dell'esilio, l'esilio fu una situazione della vita quotidiana nella quale si rispecchiò l'espressione con cui Adorno diede una definizione di sé in quanto intellettuale: la contemporaneità di dentro e fuori 12 • Questa posizione intermedia non è una condizione sufficiente, ma è quantomeno necessaria per l'intransigenza del suo stile di pensiero che si è condensato in forma di aforismi: «Il valore di un pensiero si misura sulla sua distanza dalla continuità del noto, e dimi­ nuisce obiettivamente col diminuire di questa distanza; quanto più si avvicina allo standard prestabilito, e tanto più sparisce la sua funzione antitetica; e solo in questa funzione, nel rapporto patente col suo oppo230

PARTE TERZA

sto, e non nella sua esistenza isolata, è il fondamento della sua veri­ tà» 1 3 . Con una grande sensibilità, che solo pochi suoi contemporanei eb­ bero, nei Minima Moralia Adorno si rese conto della perdita culturale e linguistica di cui si fa esperienza all'estero, dove si è «sempre un noma­ de, un vagabondo» 1 4• Al contempo egli era conscio del privilegio del suo status di intellettuale emigrato che, dopo una pianificazione accura­ ta e avvalendosi dell 'appoggio materiale dapprima dei propri genitori e dell'Academic Assistance Council, e in seguito dell'Istituto per la ricerca sociale di Horkheimer, aveva potuto lasciare la Germania nel 1934 e l'Europa nel 1938, ancor prima che scoppiasse la guerra. Questa fortuna avrebbe tuttavia avuto il suo prezzo, perché colui che «è sottratto all' on­ ta del livellamento immediato, reca, come segno caratteristico, la sua stessa esenzione, e conduce un'esistenza apparente e irreale nel processo vitale della società» 1 5• Non soltanto per questo motivo, ma anche per un altro la condizione vissuta nell'esilio americano, quella di trovarsi so­ speso a metà tra la sicurezza e l'estraneità, rappresentò per Adorno, a trentacinque anni, una cesura: era la sua identità di intellettuale che ve­ niva messa a dura prova. E oramai era costretto ad assicurare l'esistenza materiale sua e di sua moglie con le sole proprie forze 16 . E non, questo è l'elemento decisivo, in qualità di critico musicale indipendente o di filo­ sofo protetto dal privilegio accademico della libertà d'insegnamento, bensì come ricercatore impiegato le cui prestazioni dovevano affermarsi in un sistema scientifico in cui non soltanto vigevano specifici criteri di efficienza, ma venivano anche praticate forme di cooperazione all'inter­ no di un sistema di valori di cui egli doveva appropriarsi. Egli si dedicò a tutto ciò con una prospettiva molto professionale, anche se in un modo tutto suo: e cioè con intransigenza, in senso stretto. Restò la per­ sona che era. Al contempo, tuttavia, la sua capacità di immedesimazio­ ne lo mise in condizione di elaborare in modo produttivo le varie e den­ se esperienze all'estero. Durante gli anni d'esilio il suo stile acquisì i trat­ ti che fecero di Adorno uno degli scrittori più particolari del xx secolo. La filosofia di Adorno raggiunse quella forza intellettuale e quello spes­ sore teoretico che trovarono espressione negli scritti di quei quindici anni d'esilio, come per esempio la Filosofia della musica moderna (1940-41) e la Dialettica dell'illuminismo. Fu in questo periodo, quando lavorava soprattutto nell'ambito della ricerca sociale, che Adorno pose le fondamenta per il suo caratteristico concetto di sociologia in quanto scienza della riflessione 17• Il suo pensiero antitetico raggiunse tutta la si231

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gnificatività di una particolare critica dialettica della società soltanto dopo che egli, in Inghilterra e in America, si affrancò dalla fenomenolo­ gia sociologica di Kracauer, ma anche dall'anticipazione utopica di Ernst Bloch e dall' interpretazione storico-filosofica benjaminiana della rivelazione. Ed infine la non identità territoriale fu certo anch'essa un contenuto di esperienza che andò a depositarsi nella sua principale ope­ ra filosofica, la Dialettica negativa ( 1966) , al cui centro Adorno avrebbe collocato l'idea della non-identità.

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L'uniforlll azione della colll unità del popolo tedesco e l'emigrazione titubante di Adorno

La democrazia di Weimar, su cui pesava l'eredità dello stato autoritario dell'epoca imperiale tedesca, era, com'è noto, una creazione politica cronicamente instabile. Durante gli anni della sua esistenza, tra i1 1918 e il 1933, in cui si susseguirono ventidue governi, fu continuamente mi­ nacciata da crisi economiche e politiche, e fu per questo che alla fine andò in rovina sfociando nel totalitarismo del sistema di potere nazio­ nalsocialista. Il fallimento della Costituzione di Weimar non trova ori­ gine soltanto nell'inflazione, nella crisi economica mondiale, nella di­ soccupazione, nelle difficoltà in cui versavano le finanze dello Stato, nel­ l' estremismo politico e nelle aspirazioni separatiste, ma anche nel fatto che a partire dalla fine degli anni venti venne a crearsi una situazione di crescente tensione strutturale tra la democrazia dei partiti da un lato e l'istituzione autocratica del presidente della Repubblica dall'altro. L'i­ gnoranza politica di Paul von Hindenburg, generale feldmaresciallo e presidente della Repubblica, aveva provocato già la nascita di semi-dit­ tature come quelle rappresentate dai tre gabinetti presidenziali diretti ri­ spettivamente da Briining, von Papen e Schleicher, che avevano dete nu­ to il potere prima della vittoria di H itler 1 • Decisivo, tuttavia, per l' in­ staurazione dello stato totalitario tramite una progressiva distruzione del parlamentarismo fu probabilmente il fatto che nella Repubblica di Weimar c'era carenza di repubblicani convinti. Adorno, all'epoca, si rendeva conto di tale deficit della mentalità de­ mocratica ? Certamente era al corrente della simpatia che certi suoi con­ temporanei nutrivano per soluzioni autoritarie quali la " rivoluzione conservatrice " e dell'i nclinazione generale per ideologie nazionaliste e razziali. Negli ambienti dell'alta borghesia, che egli talvolta frequentava, 233

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come ad esempio la casa di Georg von Schnitzler, direttore delle vendite nel gruppo industriale IG-Farben, spesso i toni nazionalisti e conserva­ tori prevalevano. Egli, irritato, ne prendeva atto, ma coltivava la speran­ za che le tradizionali élite aristocratiche e della borghesia colta, grazie alla loro sensibilità artistica, si opponessero a tendenze inumane in poli­ tica. Egli pensava che la musica di un Gustav Mahler, ad esempio, fosse a tal punto convincente che chiunque fosse in grado di coglierne il con­ tenuto sarebbe stato al riparo dall'influenza della propaganda antisemi­ ta. «La musica crea un minimo indistruttibile di moralità che si afferme­ rà anche di questi tempi» 2 • Malgrado la sua indifferenza, per non dire ignoranza, rispetto alla sfera istituzionale della politica, e malgrado il suo disinteresse nei confronti delle manovre politiche dei partiti, della loro demagogia e del fanatismo dei loro sostenitori, un disinteresse do­ vuto all'avversione per questo genere di cose, egli era un contemporaneo ed un osservatore delle condizioni sociali sufficientemente critico per potersi fare un' idea abbastanza precisa dei timori della piccola borghe­ sia. Tali timori favorivano una ricaduta in posizioni totalitarie, come già Kracauer aveva dimostrato nel suo studio sociologico sugli impiegati, ed intralciavano qualsiasi impegno in favore delle conquiste della democra­ zia parlamentare. Non soltanto partiti estremisti come il KPD e il N S DAP erano stati ostili fin dall'inizio alla forma statale del 1918; il risentimento antidemocratico era comune anche nell'esercito, nella giustizia e nel­ l'amministrazione. Tali raggruppamenti si adoperavano contro la de­ mocrazia con lo scopo dichiarato di superare il " sistema di Weimar" tramite forme dittatoriali. Il tratto più evidente dell'odio da essi nutrito nei confronti della libertà, della tolleranza e di forme di vita democrati­ che era costituito dagl i atti di violenza che accadevano nelle strade, come nel caso del Reichstag, durante i quali si combattevano ed elimi­ navano i propri avversari politici . L'ascesa dei nazionalsocialisti era diventata inarrestabile dopo la perdita di consenso da parte della maggioranza al Reichstag ed il falli­ mento della grande coalizione, e divenne più che palese a partire dalle elezioni del settembre del 1930. Mentre in quell'anno il numero degli elettori del N S DAP era salito da 8oo. ooo a 6,4 milioni, il partito di Hi­ tler, il 31 luglio del 1 932, aveva raggiunto il 37,8o/o superando così di più del doppio l'esito precedente e rappresentando, da quel punto in poi, la frazione più forte del Reichstag. N o n appena i nazionalsocialisti entrarono a far parte del Reichstag, Horkheimer e la stretta cerchia dei suoi collaboratori cominciarono se234

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riamente a pensare all'eventualità che fosse necessario emigrare 3• Ven­ nero fatti vari preparativi per poter lasciare in fretta il paese; il capitale dell'Istituto venne trasferito in Olanda e fu creata una succursale a Gi­ nevra: la Societé lnternationale cles Recherches Sociales. Per Horkhei­ mer non erano stati soltanto gli eventi politici, come la crescita dell' elet­ torato del N S DAP, a rappresentare un chiaro avvertimento. I suoi timori riguardanti il fatto che si potesse arrivare ad accettare ed infine anche ad appoggiare il potere assoluto di Hitler erano stati confermati dai risulta­ ti di uno studio empirico condotto nel 1929-30, il quale aveva come og­ getto la coscienza politica degli operai e degli impiegati. Il carattere illu­ minante di questa ricerca, che era stata diretta da Erich Fromm ed alla quale aveva partecipato Hilde Weiss, era dovuto al fatto che intrapren­ deva il tentativo di scoprire, con l'ausilio di uno strumento innovativo, e cioè dell'intervista in profondità, quali disposizioni inconsce fossero alla base delle opinioni, delle forme di vita e delle tendenze di operai e impiegati 4. Le interviste in profondità venivano effettuate basandosi su un'inchiesta scritta. Il questionario conteneva direttive di risposta poco standardizzate; proponeva invece una serie di insiemi di domande for­ mulate come test proiettivi , le cui risposte avrebbero dovuto rendere possibile un'interpretazione psicoanalitica. In sede di analisi delle inter­ viste venne studiato a fondo anche l'atteggiamento degli operai e degli impiegati nei confronti dell'autorità. Ne risultò che persone che erano vici ne ai partiti di sinistra della Repubblica di Weimar spesso avevano una fissazione per l'autorità altrettanto forte quanto quella nutrita dai borghesi o da simpatizzanti del nazionalsocialismo. Questo risultato rese con forza coscienti Horkheimer e i suoi collaboratori, prima del 1933, dell'autoritarismo latente dei lavoratori e degli impiegati. Era chia­ ro e prevedibile che soltanto una minoranza avrebbe opposto resistenza alla vittoria dei nazionalsocialisti. Tali dati empirici di dirompente im­ portanza vennero tenuti sotto chiave perché per ragioni politiche, come in seguito avrebbe ricordato Herbert Marcuse, non si voleva suscitare l'impressione che gli operai tedeschi già da sempre avessero avuto una certa propensione verso l'ideologia nazionalsocialista 5, ma costituirono la base di dibattiti interni all ' Istituto a proposito del futuro della demo­ crazia parlamentare in Germania. Qual i erano i fattori sociali responsa­ bili del divergere tra l' indirizzo politico di sinistra e l'orientamento bor­ ghese nel loro commercio quotidiano ? Come si poteva spiegare il fatto che la classe oggettivamente oppressa non comprendesse soggettiva­ mente la propria condizione sociale ? Ci si formò la convinzione che se 23 5

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la classe lavoratrice non si opponeva ai propri oppressori, ma anzi si sot­ tometteva ad essi, sarebbe stato difficile arrestare il nazionalsocialismo in quanto forma politica corrispondente al capitalismo monopolistico. L' idea centrale della teoria rivoluzionaria marxista, secondo la quale la classe lavoratrice sarebbe presentata come portatrice di innovazioni so­ ciali, cominciò a risultare sempre meno convincente agli occhi di Hork­ heimer a partire dal momento in cui parti del proletariato si rivelarono pronte ad abb racciare il nazionalsocialismo. Già nel giugno del 1932 egli scriveva ad Adorno: «Un a sola cosa è certa: l'irrazionalità della società ha raggiunto un grado tale che si possono fare soltanto previsioni delle più nere» 6 • Adorno, all'epoca, pubblicava sulla " Zeitschrift fiir Sozialfor­ schung", ma ufficialmente non faceva parte dell'Istituto e per questo aveva partecipato solo saltuariamente alle discussioni aventi per oggetto l'atteggiamento della classe operaia tedesca. Della conseguenza pratica decisiva derivata da quello studio empirico, e cioè della risoluzione presa da Horkheimer di aprire succursali estere dell'Istituto, Adorno non era stato informato 7. Lowenthal, in seguito, affermò che i risultati di quella ricerca sugli operai e gl i impiegati contribuirono in modo sostanziale alla possibilità di prevedere la sciagura imminente. Disse che in Istituto ci si aspettava che presto o tardi i nazisti salissero al potere, e che la resistenza, soprattutto nei partiti democratico-liberali e socialdemocratici e nei sindacati di indirizzo cristiano e socialdemocratico, era talmente poco svilup­ pata che, in caso di vittoria del fascismo, questi non sarebbero stati minimamente in grado di opporsi. Nei confronti dell'Unione Sovietica e del movimento comu­ nista internazionale eravamo sempre più delusi e pessimisti; dapprima ciascuno di per sé e poi durante le discussioni che avevamo all'interno del nostro gruppo. Poi cominciammo ad essere sempre più preoccupati ed inquieti per via degli sviluppi della situazione nella Repubblica di Weimar. Certo, avevamo una letteratura e un teatro d'avanguardia, ma in fin dei conti non si trattava che di fenomeni marginali. Anzi, a partire dalla metà degli anni venti era proprio nella cultura che si notava quanto la Germania stesse diventando conservatrice, se non addirittura reaziona­ ria 8 •

All'epoca in cui i membri dell' Istituto per la ricerca sociale cominciaro­ no a rendersi conto del pericolo insito nelle tendenze conservatrici e rea­ zionarie, Adorno, in una lettera ad Alban Berg scritta dopo i risultati elettorali del settembre del 1930, affermava che i tedeschi «erano caduti

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in preda ad una stupidità demoniaca» . Il motivo che adduceva per spie­ gare il fatto che in quel periodo non riuscisse a comporre nulla era la mancanza di prospettive che, nella Germania dell'epoca, lo privava di qualsiasi energia creativa 9• A metà degli anni venti, scrivendo al suo maestro di composizione, non aveva fatto mistero della simpatia che al­ l' epoca nutriva per le posizioni politiche dell'ala democratica del movi­ mento comunista, di cui tuttavia vedeva con occhio estremamente criti­ co la politica di partito 1 0 • Anche il tema dell'antisemitismo è presente nella corrispondenza giovanile di Adorno, ma in nessuna sua lettera di quel periodo si accenna ad esperienze personali in relazione all' antisemi­ tismo. Finché non si trovò direttamente confrontato con gli abusi del Terzo Reich egli riuscì a mantenere il suo abituale modo di vita; per esempio, non si fece dissuadere dal proposito di trascorrere le vacanze di Pasqua nella cittadina di Amorbach, nell'Odenwald, come d'abitudine. Nell'agosto del 1933 partì come al solito in vacanza con Gretel Karplus; i due trascorsero alcune settimane a Binz, sul mar Baltico, dove si incon­ trarono con i coniugi Paul e Hannah Tillich 11 • E addirittura nel marzo del 1934, quando aveva già preso contatto, a Londra, con le persone con cui suo padre era in relazione, in modo da vagliare quali possibilità gli si aprissero in campo accademico, fece ritorno in Germania per godersi le vacanze estive sulle Alpi. Cercò di affrontare la nuova situazione conti­ nuando ad occuparsi dei suoi personali interessi dando nell'occhio il meno possib ile; ma le difficoltà aumentarono. Nella primavera del 1933 soffriva di persistenti disturbi di stomaco e di forti mal di testa. Le con­ tinue ansie per il futuro ed il fatto di essere gravato da un eccesso perma­ nente di lavoro non restarono privi di conseguenze, nonostante il tenta­ tivo di far finta di nulla dinanzi alla gravità della situazione. Kracauer lo ammonì, dicendogli che non doveva fare violenza a se stesso, che dove­ va assolutamente ridurre il programma di lavoro e prendere eventual­ mente in considerazione un soggiorno in sanatorio 12 • Per quel che con­ cerneva il nazionalsocialismo, che guadagnava terreno di giorno in gior­ no, all'inizio Adorno non pensava che fosse in grado di rivelarsi un peri­ colo a lungo termine per la costituzione democratica e per la libertà po­ litica in German ia. La sua avversione andava in primo luogo a tutto ciò che era etnico-razziale, compresi i discorsi di propaganda ideologica sul " Blut und Boden " . Nel corso dei suoi viaggi in Italia aveva già osservato vari elementi caratteristici del fascismo piccolo-borghese ed antisociali­ sta della dittatura del "duce " Benito Mussol ini e si era già confrontato con l' idea di " stato totalitario " . Spontaneamente il suo atteggiamento 237

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era inequivocabilmente contrario al totalitarismo e ad uno stato mono­ partitico 1 3• Tale sua avversione, tuttavia, non lo preservò da valutazioni erronee in proposito al vasto successo dell'hitlerismo, all'attrattiva esercitata su gran parte della popolazione tedesca dall'ideologia di chi aspirava ad avere un Fiihrer. Egli pensava che la primitiva dottrina razzista ed un antisemitismo irrazionale prima o poi avrebbero avuto un effetto am­ mon itore, come era accaduto nel caso degli atti di violenza perpetrati da una plebaglia scatenata in camicia bruna, dell'ondata di arresti che ave­ va seguito l'incendio del Reichstag avvenuto nella notte tra il 27 e il 28 febbraio 1933, del boicottaggio dei negozi ebrei il 1° aprile e dei roghi pubblici di libri in maggio. Gli sembrava inimmaginabile che alla lunga il nazionalsocialismo potesse stabilizzarsi in modo duraturo facendo uso del terrore per eliminare coloro che si opponevano agli scopi del Terzo Reich. Aspettarsi che i nazisti, alla fin fine, fallissero o che comunque fosse­ ro costretti a scendere a un compromesso, all'epoca non era per nulla qualcosa di campato in aria. Infatti, benché dopo l' incendio del Reich­ stag fosse stata ab rogata la libertà di opinione, di stampa e di riunione in modo da ostacolare i partiti concorrenti, il N S DAP, alle elezioni del 5 marzo, ottenne un numero di voti non sufficiente a raggiungere la mag­ gioranza assoluta. Probabilmente, dal punto di vista di Adorno e della sua famiglia, da questo risultato si poteva evincere che la maggioranza dell'elettorato tedesco era ancora lontana dall'essere schierata compatta a sostenere il " Fiihrer" . In effetti, un terzo degli aventi diritto al voto continuava a sostenere politicamente i partiti della coalizione di Wei­ mar. Il potere di cui disponeva Hitler, tuttavia, fu sufficiente per fargli ottenere l'approvazione, il 23 marzo 1933, della " Legge delega" (o dei pieni poteri) , tramite la quale gli era ormai possibile governare senza parlamento. Il partito socialdemocratico ed i sindacati liberi si dimo­ strarono troppo deboli e non riuscirono a difendere i diritti della sovra­ nità democratica. Dopo che Hitler aveva messo definitivamente la parola fine agli ul­ timi resti di democrazia e dello stato di diritto, non ci fu più alcun rite­ gno e si passò ad epurazioni su larga scala, epurazioni che erano già co­ minciate da tempo anche all'interno delle università. In seguito a prime misure intimidatorie messe in atto dalle associazioni studentesche na­ zionalsocialiste e da altri gruppi di estrema destra, alcune un iversità era­ no già state " uniformare " (per esempio Tubinga e Friburgo in Brisgo-

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via) . Anche Adorno era stato colpito dalle misure repressive, misure che il personale accademico aveva accettato in gran parte senza opporre resi­ stenza; e fu così che cominciò ad accorgersi del pericolo in cui anche la sua persona versava. Il segno più chiaro di minaccia e di annientamento materiale della sua esistenza fu la perdita della libera docenza all'univer­ sità di Francoforte. In una lettera ufficiale dell'8 settembre 1933 - per il semestre estivo si era avvalso del suo diritto di chiedere una licenza dal­ l'insegnamento - «il ministro prussiano per la Scienza, l'Arte e l' Istru­ zione popolare» gli comunicava che «in base al § 3 della Legge per il ri­ pristino dei dipendenti pubblici, con la presente Le viene ritirata l'auto­ rizzazione all' insegnamento all'Università di Francoforte sul Meno» 1 4. Che egli abbia reagito con un commento ironico a questa misura deci­ samente lesiva, dicendo «più libero docente di cosÌ. .. », è comprensibile soltanto sullo sfondo del fatto che già prima di lui, in seguito alla " uni­ formazione " e all"' epurazione" dell"' università eb reo-marxista ", era sta­ to dimesso l'amministratore Kurt Riezler e i nuovi personaggi al potere avevano licenziato per motivi razziali e politici un gran numero di colle­ ghi 1 5 , come Max Horkheimer, Paul Tillich, Franz Oppenheimer, Karl Mannheim, Adolf Lowe, Gottfried Salomon, Max Wertheimer 16 • Anche il lavoro portato avanti presso l'Istituto per la ricerca sociale ebbe fine, quando il 13 marzo, lo stesso giorno in cui sul Romer, l' edifi­ cio del municipio, fu issata la bandiera con la croce uncinata, venne per­ quisito da un drappello della polizia giudiziaria e venne temporanea­ mente chiuso. Grazie ai risultati delle loro ricerche sulla coscienza poli­ tica degli operai e degli impiegati i collaboratori dell'Istituto, che aveva ricevuto l'epiteto di " Caffè Marx", erano stati in grado di valutare cor­ rettamente la pericolosità dei rapporti politici di forza già prima che Hi­ tler diventasse cancelliere del Reich. Horkheimer non aveva dubbi sul destino cui il paese andava incontro 17• Nel febbraio del 1933 aveva ab­ bandonato la propria casa ed era andato a stabilirsi in un hotel nei pressi della stazione centrale. In seguito, ci fu un'occupazione illegale da parte delle SA dell'abitazione privata di Pollock e Horkheimer a Kronberg, il cosiddetto "piccolo chalet". A partire dal mese di febbraio entrambi proseguirono il loro lavoro di ricerca, insieme a Lowenthal, Fromm e Marcuse, a Ginevra; altri colleghi dell'Istituto si erano dati alla clande­ stinità o soggiornavano all'estero. Per Adorno, la faccenda non si concluse con l'allontanamento dal­ l'insegnamento universitario; in lugl io vi fu una perquisizione nella casa della Seeheimer Strasse. Oltre a ciò, egli aveva fondato motivo di crede239

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re che la sua posta venisse controllata. Quando, per assicurarsi un reddi­ to, pensò di sostenere l'esame da maestro di musica, gli fu risposto che avrebbe potuto insegnare soltanto a " non ariani". Come se ciò non ba­ stasse, pochi mesi dopo il presidente della Reichsschrifttumskammer comunicò a Theodor Wiesengrund che la sua richiesta di ammissione, che egli, nel novembre del 1933, aveva comunque ritenuto necessario in­ viare 1 8, era stata respinta, dal momento che l'ammissione era riservata esclusivamente a «con nazionali fidati, a persone che appartengono al popolo tedesco in virtù del legame profondo costituito dalla specie e dal sangue. In quanto non ariano Voi siete inabile ad avvertire e riconoscere tali obblighi. Firmato: Suchenwirth. Certificata l'esattezza: N owot­ ny>> 1 9• Per Adorno, questo provvedimento fu molto più che una delle tante vessazioni della burocrazia nazista, perché la stigmatizzazione anti­ semita che conteneva lo obbligava d'un tratto a confrontarsi diretta­ mente con il lato ebreo della sua esistenza. E così, quel borghese colto prese coscienza, tramite la persecuzione e l'allontanamento dal suo pae­ se, di avere una relazione biografica con quell' ebraicità cui aveva sempre guardato con scetticismo e addirittura con scherno 20 • A posteriori, Adorno ammise in tutta franchezza che nel 1933 il suo giudizio sulla situazione politica era stato del tutto sbagliato: durante i primi mesi che seguirono la nomina di H itler a cancelliere del Reich, una nomina avvenuta legalmente, anche se certo legata a una serie di in­ trighi politici, si era illuso, pensando che il Terzo Reich sarebbe stato di breve durata data l'incompetenza in materia economica del governo 21• Questo errore di valutazione risulta avere ancor più peso per il fatto che Adorno poteva vedere con i suoi propri occhi ciò che stava realmente succedendo. Nel 1933 Arnold Schonberg aveva lasciato il suo posto di professore all'Accademia prussiana delle Arti a causa dell'antisemitismo dei nazisti ed era stato costretto ad abbandonare la Germania. L' esecu­ zione pubblica di opere delle Avanguardie, come per esempio le compo­ sizioni di Anton Webern, le opere di Alban Berg, la musica di Kurt Weill e di Hanns Eisler erano vietate, e, in generale, la musica di tutti i compositori ebrei era stata messa " sotto tutela " . Max Horkheimer, F ritz Pollock, Leo Lowenthal, Herbert Marcuse ed Erich Fromm non erano stati gli unici che erano riusciti a prevedere con grande anticipo che cosa avrebbe riservato il futuro. Anche altre persone molto vicine ad Adorno come Siegfried Kracauer, Ernst Bloch, Ernst Schoen e Walter Benjamin avevano voltato le spalle al proprio paese per evitare di essere arrestati dalla Gestapo. Reazioni di questo genere, che avevano portato a fare le 240

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valige di fronte alle minacce di uno Stato hitleriano, i cui rappresentanti comunicavano apertamente la propria intenzione di perseguitare i dissi­ denti e di eliminare gli ebrei in quanto " uomini inferiori ", erano tutt'al­ tro che casi isolati. Migliaia di intellettuali, scrittori, gio rnalisti ed artisti andarono in esilio. E coloro che abbandonavano il paese erano proprio le persone che, per Adorno, contavano di più. Malgrado fosse testimone di persona di quell'esodo e delle crescenti discrimi nazioni pubbl iche, egli sperava di trovare un angolino da qual­ che parte in cui poter aspettare che l ' assurda dittatura di H itler volgesse a rapida fine. «Questo fatale errore di valutazione era stato commesso, all'epoca, anche da emigranti di rilievo i quali all'inizio, e pure per un lungo periodo, si erano sistemati in hotel a Parigi, Praga e Vienna aspet­ tando, senza neanche disfare le valige, di far presto ritorno a casa. [ . . . ] Non tutti intuirono di primo acchito cosa fosse quel regime del terrore, né capirono a quali pericoli mortali si stavano esponendo» 22 • Come al­ tri suoi contemporanei, in Hitler Adorno vedeva «una caricatura sem­ pre peggiore [di se stesso] e di un vero dittatore (e di un ariano, uomo di stato e condottiero)» 23 , un personaggio dubbio che non era possibile prendere sul serio, già soltanto per via dei suoi strani discorsi e dei suoi gesti bizzarri. Che il movimento nazionalsocialista, malgrado i tratti ca­ ricaturali del suo " Fi.ihrer", costituisse una minaccia reale, era un fatto che Adorno aveva potuto facilmente apprendere tramite uno dei suoi amici più intimi, S iegfried Kracauer. Questi, infatti, si era occupato già dal 1932 di quei fenomeni che facevano presagire una prossima sciagura. Per la " Frankfurter Zeitung", ad esempio, aveva scritto un articolo estremamente critico sul periodo di lavoro volontario ed i campi di la­ voro, dicendo che questi, benché pretendessero di essere apolitici e di avere scopi puramente pedagogici, in realtà erano «cellule di formazione politica» e una «prefigurazione della comunità popolare tedesca» . In seguito, quando era ancora possibile, su quello stesso giornale Kracauer attaccò il nazionalismo totalitario di Friedrich H ielscher defi­ nendo le dottrine propagate dalla sua rivista " Das Reich " i battistrada dell'ideologia dello stato totalitario . Ancora all'inizio del 1933 Kracauer aveva effettuato un'analisi sociologica concernente le cause della vittoria elettorale dei nazionalsocialisti ed i ceti di cui era composto il loro elet­ torato, analisi che tuttavia non era più stata pubblicata su quel quotidia­ no di cui egli fu redattore fino alla primavera del 1933. Dopo il suo per­ spicace saggio su Gli impiegati, del 1 929, egli scrisse che l' interesse del ceto medio per il movimento di Hitler derivava dalla sua proletarizza241

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zione. « Il nazionalsocialismo» tuttavia, scriveva Kracauer, era cresciuto «grazie al sostegno finanziario dell'industria» . Per quel mondo, era stato determinante l'odio per i sindacati, mentre l'alta borghesia, alla fine, aveva accettato la presa del potere da parte di Hitler per paura del co­ munismo. «L'antisemitismo, che molti cittadini troppo ottimisti tende­ vano a sottovalutare considerandolo semplicemente un piccolo difetto, in realtà è una delle assi ideologiche portanti del movimento. Per questo viene meticolosamente coltivato . Ecco la sua vera missione: sovrapporsi alla realtà della lotta di classe fino a farla sfociare in odio razziale» 24. È improbabile che ad Adorno possa essere sfuggita questa analisi, ma se gli sfuggì, aveva pur sempre ricevuto una serie di avvertimenti per lettera. Già nell'estate del 1 9 3 0 Kracauer gli aveva scritto molto chiaramente: «In Germania la situazione è più che seria. [ . . . ] Su questo paese incom­ be una sciagura ed io so di per certo che non si tratta soltanto del capita­ lismo. Che questo possa farsi brutale non è un fatto riconducibile sol­ tanto a motivi economici. [ . . ] Dal momento che una rivoluzione, da noi, non metterebbe in moto un [ . . . ] "popolo " non logorato, io non credo neanche alle virtù terapeutiche del rovesciamento» 25• N o n ci sono state tramandate reazioni di Adorno a proposito di questo giudizio espresso da Kracauer. Egli si tratteneva dall'esprimere un parere sugli sviluppi della politica in Germania. Una testimonianza eloquente dell'inconsapevolezza politica di Adorno ci è fornita dalle sue discussioni con Peter von Haselberg a Berlino. Quando si arrivò a parla­ re dell'attuale situazione politica, egli propose all'amico la tesi secondo la quale tutto quel parlare di > 27. Una successiva lettera a Krenek dell'ottobre del 1934 ci fornisce in­ formazioni più particolareggiate sui tentativi di Adorno di «far passare la burrasca» del Terzo Reich. Malgrado le sanzioni dei nuovi personaggi al potere, che lo avevano toccato di persona, gl i riusciva estremamente difficile decidersi a partire per l'emigrazione. «Davanti ai fatti accaduti in Germania, ai quali ho assistito in gran parte a Berlino, U nter de n Linden (anche il 1° aprile 1933 ) , inizialmente sono rimasto senza parole, ripiegandomi completamente sui miei interessi. Il mio lavoro all'univer­ sità era cessato già nei primi mesi del 1933; la venia legendi l'ho persa già nell'autunno dello scorso anno, per il mio trentesimo compleanno. Nel­ l'estate e durante l'autunno del '33 mi sono dedicato principalmente a completare il testo del mio Tom Sawyer» 28• A Krenek Adorno raccon­ tava, inoltre, di aver preso contatto, tramite un amico di Krenek, Frie­ drich T. Gubler, che era stato il responsabile delle pagine culturali della " Frankfurter Zeitung" e in seguito della "Vossische Zeitung", con la re­ dazione del quotidiano berlinese, al quale aveva potuto mandare alcuni articoli nella prima metà del 1933. Una gran parte di quei manoscritti accettati dal quotidiano non fu, ovviamente, pubblicata. Adorno si aspettava anche di ottenere un posto fisso da redattore, aggirando la leg­ ge sulla stampa, ma anche questa speranza andò presto delusa. N el corso di quell'anno la pubblicazione del quotidiano fu sospesa del tutto, co­ sicché Adorno perse un'ennesima possibilità di lavoro, uno degli ultimi fili di speranza ai quali si aggrappava disperatamente; come egli stesso affermò, infatti, tentava «di restare in Germania a qualsiasi costo» 29. Malgrado tutte le restrizioni esistenti, ce l'avrebbe fatta «tranquilla­ mente a resistere materialmente in Germania» e, come scriveva in quella lettera, «non avrebbe avuto scrupoli politici; sarebbe stato tuttavia ta­ gliato fuori da qualsiasi possibilità di esercitare un'influenza» 3 0 • Così come era affetto da cecità politica, Adorno si astenne anche dal pronun­ ciare pubblicamente qualsiasi sorta di critica concernente le misure im­ piegate dai nazisti per erigere lo stato di potere della grande Germania. Senza dubbio aveva un atteggiamento fondamentalmente contrario nei confronti della rivendicazione di potere totalitario, dell'antisemitismo e dell'anticomunismo militante. Anche nella corrispondenza privata, tut­ tavia, fino alla metà degli anni trenta è possibile trovare soltanto descri243

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zioni generiche, tinte di toni pessimisti, ma nessuna presa di posizione netta a proposito della situazione politica. Nelle lettere scambiate con Benjamin, Berg e Krenek la politica non contava un gran che, benché ognuna di quelle persone fosse direttamente toccata nella propria vita dalla politica di Hitler. Può darsi che l'opinione di Adorno sulla possibi­ lità di esprimere una critica in relazione alla situazione politica fosse si­ mile a ciò che richiedeva programmaticamente alla musica d' avanguar­ dia: «Non le serve fissare la società con raccapriccio incessante: essa as­ solve alla sua funzione sociale in modo più preciso se porta ad espressio­ ne con il suo proprio materiale e con le sue proprie leggi formali i pro­ blemi della società, problemi che essa include in se stessa fin nelle cellule più profonde della sua tecnica. Il compito della musica in quanto arte risulta avere una certa analogia con quello della teoria sociale» 3 1 • Fu sol­ tanto quando percepì l'intera portata della barbarie portata dalla ditta­ tura in Germania, quando comprese le dimensioni dell'accaduto, che Adorno cominciò a parlare di politica ? Tutta la sua coscienza politica egli la esprimeva nelle sue analisi di critica della cultura; in quanto a ciò, il suo scetticismo nei confronti degli eventi che si stavano producendo non restava al livello di disagio estetico. Le conclusioni politiche, tutta­ via, che il filosofo e critico musicale ne trasse non lo portarono ad arti­ colare pubblicamente la propria opposizione nei confronti dello stato totalitario.

Aspettare con decenza che passi la burrasca Sperando di poter «attendere la fine della burrasca» , Adorno si trovava in b uona compagnia: molti scrittori erano convinti che il regime sareb­ be presto crollato e consideravano la loro fuga all'estero come un prov­ visorio soggiorno in «sala d'aspetto» (Lion Feuchtwanger) . Anche una gran parte della popolazione di origine ebraica credette di non avere niente a che vedere con le vittime cui il regime mirava, e che queste non fossero che quei bolscevichi e comunisti ortodossi e orientati verso l'u­ nione sovietica i quali si erano fatti politicamente notare o avevano par­ tecipato attivamente ad attività illegali o cospirative. Del resto, Hitler, all'inizio della sua dittatura, malgrado il suo dichiarato antisemitismo, si era adoperato per trasmettere l'impressione che gli atti perpetrati contro gl i ebrei non fossero altro che casi isolati, sortite dell"' anima del popo­ lo " sfuggite al controllo e propugnate esclusivamente dall'ala radicale 244

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del N SAD P . Una dimostrazione di come si trattano gli estremisti la diede il 30 giugno del 1934, con la messa in scena del cosiddetto "putsch di Rohm " e l'annientamento del gruppo delle SA, le quali, agli occhi della popolazione, erano responsabili del cl ima di terrore che si era instaurato nelle strade. Che questo modo, adottato dal " Fi.ihrer" per auto-erigersi a istanza deputata a portare ordine, sia risultato efficace, è dimostrato so­ prattutto dal fatto che anche «le più insignì personalità della comunità ebraica tentarono di nascondere la preoccupazione dietro una facciata di fiducia: nonostante tutte le difficoltà, sul futuro degli ebrei di Germa­ nia non incombeva alcuna minaccia letale)) 32• A favorire valutazioni sbagliate di tal fatta, per esempio nel mondo degli artisti, contribuì an­ che l' unione culturale degli ebrei tedeschi (Kulturbund der deutschen ju­ den) , di cui Adorno aveva fatto personalmente esperienza. Si trattava di un' unione tollerata dai nazionalsocialisti che si occupava di assicurare agli ebrei un'attività culturale autonoma. Era stata creata nel maggio del 1933 da Kurt Singer, ex vicedirettore della Stadtische Oper di Berlino, era composta da ebrei di tutte le parti della Germania e si dedicava so­ prattutto all'organizzazione di concerti e di opere liriche. Tra queste ini­ ziative vi fu anche la presentazione, a Francoforte, di una scelta di opere di Schonberg, in occasione del sessantesimo compleanno del composi­ tore. Quando Adorno, favorevolmente colpito da quell' in iziativa, fece richiesta di entrare a far parte dell' unione culturale, ottenne una rispo­ sta negativa perché «per quel che concerneva la razza, era ebreo per me­ tà)) ed era di confessione cristiana 33• Così come Adorno rimandava una decisione definitiva riguardante il proprio futuro, anche le persone che facevano parte della stretta cer­ chia di Leo Baeck, e che erano relativamente ben informate, ancora nel 1 934 mettevano in guardia dai rischi politici e dalle conseguenze mate­ riali, rese particolarmente aspre dalla tassa " di emigrazione dal Reich ", di una partenza affrettata per l'esilio. Queste erano le cause e le motiva­ zioni della "carenza di solerzia" registrata ovunque per quel che concer­ neva l'abbandono di un paese «in cui segregazione, umiliazione e un'ampia serie di misure vessatorie acquisivano carattere sempre più ac­ centuato [ . . . ] . La gran parte degl i eb rei pensava di aspettare che la tem­ pesta passasse restando in Germania>> 34. Di questi " resistenti " faceva parte la famiglia - imparentata con ebrei, secondo la classificazione na­ zista - di Oscar Wiesengrund, il quale credeva di godere di un qualche privilegio perché aveva partecipato alla Prima guerra mondiale 35• Aveva pur sempre ricevuto la croce al merito " in nome del Fi.ihrer e del cancel245

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liere del Reich " - un'onorificenza che il presidente Paul von H inden­ burg aveva creato poco tempo prima della propria morte. Nei primi anni della dittatura nazista vari ebrei che avevano partecipato alla guerra ed avevano ricevuto quell'onorificenza godettero di una certa protezio­ ne. Dal momento che Adorno liquidava l'ideologia razzista come alta­ mente folle e non riusciva ad immaginare che la borghesia, come egli stesso era uso esprimersi, si facesse governare da «capibanda» 3 6 , si aspet­ tava da un giorno all'altro il crollo di quello Stato basato sull' illegittimi­ tà, il cui Fi.ihrer gli pareva «un misto tra King-Kong e un parrucchiere di periferia» 37• In quanto cittadino di Francoforte, infine, Adorno aveva anche po­ tuto fare esperienza che una comunità con un microcosmo locale costi­ tuito da una marcata cultura borghese e da istituzioni culturali private come per esempio lo Stadelsches Kunstinstitut, il Deutsches Hochstift, e la Società Senckenberg per la ricerca nelle scienze natural i, disponeva di rifugi per quegli ebrei che praticavano la scienza o l'arte. La notevole importanza rivestita dai cittadini ebrei all'interno della vita culturale di Francoforte ed una cultura dovuta soprattutto all'iniziativa privata of­ frirono, per lo meno per un certo periodo, una protezione efficace dalle pressioni del sistema nazionalsocialista, che livellavano drasticamente la cultura 38 • Ancora a metà aprile del 1 934 Adorno espresse i propri dubbi sul fat­ to che lo Stato nazista potesse durare a lungo in una lettera a Benjamin, che era emigrato in Francia: «Benché infatti io sia lontano dall'essere ot­ timista e mi aspetti, per il futuro, una sorta di anarchia di destra [ . . . ] , o semplicemente una dittatura militare o una specie di regime alla Doll­ fug, i segni del declino cominciano ad aumentare a tal punto che non c'è più bisogno di far finta di non vederli per paura che si tratti di un pensiero generato dal desiderio» 39• Ragionamenti di questo genere si trovano anche in una sua lettera scritta poche settimane dopo a Leo Lo­ wenthal, in cui si legge che l'assassinio di Rohm e Schleicher avrebbe destabilizzato e compromesso il regime «indebolendolo a tal punto, per via dell'eliminazione delle SA (delle quali resterà soltanto una piccola traccia) , che non vedo come potrà venire a capo di difficoltà serie que­ st' inverno. Credo che ci sarà un gran putiferio e che le forze armate del Reich faranno la parte del salvatore». In caso di un conflitto militare nel paese, Adorno, del tutto ingenuo dal punto di vista politico, si aspettava lo scoppio di una rivoluzione. «Ne vedo la possibilità, una possibilità più concreta di quanto non fosse 15 anni fa. Ma riuscirà ? Ho quasi pau-

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ra che le cose vadano troppo in fretta e che la dittatura si sgretoli prima che un'organizzazione di raccolta dei lavoratori sia riuscita a costituirsi, e che il capitalismo finisca per vincere la corsa» 4°. Durante i mesi che precedettero e che seguirono l'inizio della ditta­ tura di Hitler, fino al periodo in cui fu advanced student al Merton Col­ lege dell'università di Oxford, Adorno continuò a dedicarsi alla propria attività di scrittore e di compositore. Dal momento che per il semestre estivo del 1 933 aveva già chiesto formalmente un permesso al decanato della sua università e che a partire dal semestre invernale gli fu revocata l'autorizzazione all'insegnamento, usò quel periodo per dedicarsi al suo progetto di opera lirica Il tesoro di ]oe l'indiano. A margine di quell'atti­ vità recensì un gran numero di nuovi libri di argomento filosofico sulla " F rankfurter Zeitung" e la " Zeitschrift ftir Sozialforschung", tra i quali Das Problem des geistigen Seins (Il problema dell'essere spirituale) di N i­ colai Hartmann, uno scritto commemorativo in onore di Ludwig Kla­ ges, una monografia sulla filosofia di H egel. N ello stesso periodo in cui uscì il suo libro su Kierkegaard, la " Frankfurter Zeitung" pubblicò i brani surrealisti che aveva scritto insieme a Cari Dreyfus. Di un certo peso, anche dal punto di vista quantitativo, sono gli articoli di argomen­ to musicale, scritti per riviste special izzate, su Bach, Schubert, Brahms, Schonberg, Webern e Berg. N el fascicolo 7 della " Europaische Revue", che era edita a Berlino e curata dal principe Karl Anton Rohan , Adorno pubbl icò la recensione di una messa in scena dei Maestri cantori di Richard Wagner che aveva avuto luogo nell'ambito del festival di Berlino con la direzione di Wil­ helm Furtwangler. Questi Appunti su Wagner sono la prima presa di po­ sizione dettagliata concernente il compositore, il quale all'epoca ven iva acclamato dai nazionalsocialisti come il profeta di una nuova religione dell'arte tedesca. Adorno, nel suo saggio, da una parte difendeva il com­ positore dagli attacchi di Nietzsche, dall'altro prendeva espressamente le distanze da quell 'inneggiare ufficiale a Wagner; egli poneva l'accento sulla dimensione puramente musicale dell'opera, che per l'ascoltatore risulta «al contempo estranea e familiare, come i sogni dell'infanzia» , perché questa musica suona ora estremamente strana, ora del tutto fa­ miliare. Il suo segreto è racchiuso nella tecn ica compositiva del cromati­ smo. Mentre Adorno, musicalmente, individuava nei Maestri cantori «lo scoppio della forza motrice dell'ordine borghese», constatava nel Tristano elementi compositivi innovativi che avevano contribuito a li­ berare la musica dalla «gabbia dell'espressione individuale» . «Far emer247

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gere il rischiaramento del mondo dai meandri delle sue profondità in­ consce [ . . ] : a questo tende la musica di Wagner. La demitologizzazione in virtù del mitico: è questo ciò che si è scelto come segreto del suo fa­ scino artistico» 41 • In questi appunti Adorno operava una differenziazio­ ne tra il carattere musicale dell'opera ed i suoi effetti politici e riusciva a fornire un'immagine generale positiva del compositore, prescindendo dal fatto che la musica e la persona di Wagner venivano sfruttate politi­ camente dai nazionalsocialisti . In modo più differenziato e più critico si sarebbe espresso in seguito, nel suo lungo saggio su Wagner. Diversa era la sua posizione in relazione ad un altro tema che affron­ tò, anch'esso, sulla " Europaische Revue " . Nel fascicolo 5, sempre del 1933, fece una glossa alla direttiva appena emanata, in seguito alla quale alle stazioni radiofoniche tedesche era vietato diffondere il "jazz negro " . Il suo commento a questo divieto concernente l a «musica estranea alla razza» non era direttamente favorevole. Egli fece tuttavia l'assurda affer­ mazione secondo cui il decreto non faceva che sanzionare a posteriori ciò che, dal punto di vista musicale, si era già compiuto: «la fine della stessa musica jazz» . Nel jazz, scriveva Adorno, non c'era niente che fosse degno di essere difeso o salvato, il jazz si trovava «da tempo in disfaci­ mento, in fuga verso marce militari e folklore vario» 42 . Per via della propria " stupidità " il jazz scompariva dalla scena della produzione arti­ stica autonoma. Con l' autodissoluzione del jazz «non viene eliminata l' influenza musicale della razza negra su quella nordica e neanche il bol­ scevismo culturale, bensì un pezzo di cattivo artigianato musicale» 43. Può darsi che Adorno, con questa sua formulazione, tentasse di reagire in modo sarcastico a quel divieto nazista di per sé assurdo. La termino­ logia - eliminare, razza, bolscevismo culturale - non è molto distante dal linguaggio ingiurioso usato da Goebbels 44. Adorno si è reso colpevole di una negligenza analoga nella scelta dei termini anche quando, nel 1934, recensì positivamente sulla rivista " Die Musik", subito " un ifor­ mata" dai nazisti, i cori maschili del compositore Herbert Miintzel, scritti sulla base di poesie di Baldur von Schirach, comandante della Gioventù hitleriana. Per descrivere tale musica corale, che attinge «al­ l'antico canto popolare tedesco polifonico del XVI secolo», egl i fa riferi­ mento al termine " realismo romantico ", attribuito a Goebbels 45 . Anni dopo, nel semestre invernale 1962-63, il giornale studentesco di Francoforte " Diskus " pubblicò questa recensione per iniziativa dello studente Claus Chr. Schroeder 46 , il quale, in una lettera aperta, chiede­ va ragione al professore universitario del suo agire: «Come è noto, dopo .

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la guerra ha sempre condannato tutti coloro che nel 1934 e in seguito si erano resi corresponsabili degli sviluppi avutisi in Germania. (Rinvio, ad esempio, alle sue argomentazioni contro Heidegger.) Perché fi nora ha [ . . . ] taciuto la patern ità dell'articolo qui ripubblicato, apparso nel giugno del 1934 su una rivista di orientamento del tutto antisemita e nazionalsocialista ?» 47. Adorno giustificò il proprio atto sul numero seguente della rivista studentesca, affermando di non aver mai avuto l' intenzione di accatti­ varsi le simpatie di chi allora deteneva il potere, e che ciò risultava già chiaro dalla difesa, da lui intrapresa, di quella musica che i nazisti bolla­ vano come " degenerata" . «Le espressioni, di cui mi si può accusare, nel­ la situazione in cui ci si trovava nel 1 934, a qualsiasi letto re ragionevole dovevano apparire come chiare captationes benevolentiae, che mi per­ mettevano di esprimermi in quel modo. Il vero errore è stato la valuta­ zione sbagliata della situazione)) 48 • La sua cecità in politica è attestata dai ricordi di von Haselberg. Quando Adorno, durante la dittatura di Hitler, trovandosi in una situa­ zione di totale isolamento, in esilio in Inghilterra, cominciò a scrivere le annotazioni personali che avrebbero costituito il nucleo di base dei Mi­ nima Moralia, pubblicati anni più tardi, si era reso conto del carattere contraddittorio della propria reazione. La sua ingenuità gli aveva impe­ dito di cogliere subito la barbarie insita nel regime instaurato da Hitler, offuscando in questo modo il suo giudizio politico . Al terrore nazional­ socialista egli era tuttavia preparato per via della sua "predisposizione angosciosa " . Che all'interno della società tedesca covasse la catastrofe lo aveva intuito, «e spesso, nel mio sciocco spavento, era come se lo stato totale fosse stato inventato proprio contro di me, per infliggermi final­ mente quel male da cui ero stato relativamente immune nel passato mi­ tico: nella mia fanciullezza» 49. La predisposizione angosciosa di cui parlava Adorno gli ha salvato la vita. Aveva consol idato un punto di vista che andava facendosi più reali­ stico, la convinzione che nella Germania nazista non poteva esserci un futuro per un intellettuale di sinistra. Non gli restò altro da fare che compiere finalmente il grande passo e partire per l'estero. Ma per dove ? Per breve tempo aveva preso in considerazione Costantinopoli. Più ov­ vio sembrava dirigersi verso la capitale austriaca, riprendendo le proprie relazioni in campo musicale e filosofico. Dal momento che, per di più, Paul Karplus, uno zio di Gretel Karplus, deteneva la cattedra di Neuro­ logia all'università di Vienna, Adorno si diede da fare per far riconoscere 249

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formalmente la sua abilitazione in quella università. Le prospettive di riuscita in questo intento non erano tuttavia molto promettenti. La sua università, ormai " uniformata", non lo appoggiò, e l'università di Vien­ na non era interessata alla sua persona e agli argomenti che proponeva per l' insegnamento. Nell'ottobre del 1934 Adorno riconosceva in una lettera a Krenek il fallimento del suo tentativo: «Vorrei inoltre farLe sa­ pere che, naturalmente, mi sono dato da fare per far riconoscere la mia abilitazione a Vienna; ma senza successo. Il signor Gomperz, infatti, che si è occupato della mia richiesta, nel mio libro su Kierkegaard ha trovato interessanti, in realtà, soltanto le citazioni, ed ha giudicato che quella mia pubblicazione non poteva essere giudicata superiore alla media; e così, Vienna non mi è stata accessibile» 50• Dopo che fu trattato con freddezza dall'Università di Vienna, entrò seriamente nell'ordine di idee, verso la metà del 1 934, di recarsi presso un'università inglese con l'aiuto dell'Academic Assistance Council. Oscar Wiesengrund incoraggiò fortemente il figlio a fare questo passo. Gli garantì l'appoggio finanziario necessario di cui aveva bisogno per poter realizzare il progetto di ottenere, ad Oxford, un titolo accademico riconosciuto in Gran Bretagna. Benché vedesse prospettarsi all' orizzon­ te una serie di difficoltà linguistiche (all'epoca conosceva l'inglese sol­ tanto a livello elementare; la lingua parlata e scritta la imparò nel corso degli anni) , Adorno era "contento " di avere trovato una nuova prospet­ tiva all'estero 51 •

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Tra questioni accademiche e questioni reali. Il docente di filosofia diventa advanced student a Oxford

Pur avendo cominciato ad avvertire di persona le angherie dei nazisti, Adorno non aveva lasciato la Germania da un giorno all'altro. La sua esitazione non dipendeva soltanto da un errore di valutazione politica, ma era anche legata alla preoccupazione di dovere voltare le spalle alla Germania senza disporre di un minimo di sicurezza in campo professio­ nale. Se non poteva essere attivo nell'ambito universitario, egli voleva almeno lavorare come critico musicale e poter continuare a coltivare le proprie ambizioni di compositore, tra le quali la possibilità che le pro­ prie opere venissero eseguite pubblicamente. Adorno fu spinto dal padre a tastare finalmente il terreno in Gran Bretagna. Questo consiglio di Oscar Wiesengrund può essere stato mo­ tivato dalla sua anglofilia, ma ancor di più, certo, dal calcolo razionale: nella sua qualità di esportatore di vini, per tradizione aveva intrattenuto rapporti com mercial i con clienti inglesi 1 e suo fratello Bernhard Wie­ sengrund, con la moglie Helene (nata Richter) , viveva in Inghilterra da trent'anni 2 • Questi, che era ingegnere elettrotecnico, già precedente­ mente alla Prima guerra mondiale aveva fondato una ditta di successo, la Power Plant Company, guadagnandosi una certa stima come uomo d'affari . Viveva con i suoi tre figli (la figlia maggiore, Lina, e i due figli Bernhard Theodore e Louis Alexander) in una confortevole villa sita nel quartiere londinese di Finchley. Era diventato cittadi no britannico già nel 1914 ed aveva cambiato nome, adottando Robert come nome pro­ prio e Wingfield come cognome 3 • G razie a i legami d i parentela che esistevano tra i Wiesengrund e i

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Wingfield il padre di Adorno venne a sapere piuttosto presto che un'or­ ganizzazione privata inglese sosteneva gli emigranti che intendevano mettersi in contatto con le università anglosassoni. Si trattava dell'Aca­ demic Assistance Council (AAC), che era stato creato nel 1 933 su iniziati­ va di Sir William Beveridge, direttore della School of Economics and Politica! Sciences di Londra. L' AAC venne ribattezzato nel marzo del 1936 e si chiamò Society for the Protection of Science and Learning 4. Il lavoro dell' AAC consisteva soprattutto nell'organizzare un servizio di in­ formazioni di tipo accademico, raccogliere sovvenzioni per garantire il sostentamento di scienziati partiti in esilio e contributi per viaggi o tasse universitarie ed inoltre - cosa particolarmente importante per Adorno ­ di occuparsi dell'assegnazione di maintenance grants 5• Quando Robert Wingfield venne a sapere di quella nuova organizzazione di soccorso si rivolse subito al segretario di questa per informarsi se sussisteva la possi­ bil ità, per suo nipote Fritz Epstei n, libero docente in storia, anch' egli deposto dal suo incarico dai nazisti, di trovare un impiego presso un'u­ niversità inglese. Fritz Epstein, nato nel 1898, era il figlio maggiore della zia di Adorno Alice Betty Wiesengrund e del matematico Paul Epstein ed aveva intrapreso la carriera accademica in ambito storico lavorando con Richard Salomon all'Istituto di storia dell'Europa dell'Est dell'uni­ versità di Amburgo 6• Quando lo zio si occupò di contattare l'AAC , F ritz Epstein aveva due bambini da mantenere, di nove e sette anni, e la mo­ glie Herta (nata Bertelsmann) , che non era ebrea; il loro matrimonio ri­ cadeva nella definizione di " matrimonio misto " ed ella doveva sottosta­ re ad umilianti disposizioni legali. Era dunque comprensibile che i Wingfield, per l'appoggio e l'aiuto, dessero la precedenza al figlio della sorella rispetto a quello del fratello, il quale per di più era di cinque anni più giovane e non era ancora sposato. Senza l'aiuto dell'AAC non sarebbe stato possibile né per Adorno né per Epstein trovare una sistemazione in Inghilterra. Dal momento che continuava a vigere lo Aliens Restriction Act, sull' isola veniva praticata una politica rigida in questioni di asilo. Il Foreign Office, inoltre, fino al settembre del 1939, aveva seguito una politica dell'appeasement nei con­ fronti del Terzo Reich, la quale a sua volta incrementò l'isolazionismo degli inglesi. Il Primo ministro inglese Chamberlain si adoperava per trovare un accordo con Hitler; ufficialmente, gli emigranti tedeschi ve­ nivano dunque trattati con atteggiamento di riserva 7. Anche la situa­ zione dell'economia inglese aveva una certa parte nella cosa: la disoccu­ pazione era relativamente alta e gli inglesi temevano di perdere il pro-

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prio posto di lavoro in seguito ad un afflusso di stranieri. La condizione necessaria per potersi trasferire in Inghilterra - e ciò valse anche per Adorno - era che si disponesse di mezzi finanziari propri e della garanzia di un finanziatore privato . Gli emigranti erano tenuti a presentarsi rego­ larmente presso la polizia. Quando Adorno allacciò un contatto con l'AAC gli tornarono utili le amichevoli relazioni che suo padre aveva con lo studioso di politica eco­ nomica J oh n Maynard Keynes, professore di economia. Questi aveva già parlato a Sir William Beveridge del caso del libero docente di Fran­ coforte in una lettera scrittagli il 28 settembre 1933: «Non conosco per­ sonalmente il signor T. L. Wiesengrung, ma ho avuto modo di conosce­ re suo padre per alcuni anni, sebbene superficialmente. A giudicare dai suoi saggi, sembra che egli possieda un talento piuttosto fuori dal comu­ ne, in grado di combinare la filosofia, principalmente la teoria estetica, con doti e competenze musicali eccezionali» 8 • E così, Adorno non risul­ tò un perfetto sconosciuto quando, nel novembre e nel dicembre del 1933, si rivolse per lettera al segretario generale dell'AAC per comunicar­ gli le referenze necessarie allo scopo di ottenere un aiuto. Fece il nome dell'economista Adolf Lowe, del sociologo Karl Mannheim, del filosofo Ernst Cassirer e di Edward Dent, presidente della Società internazionale per la musica. Eccetto lo studioso di musica, gli altri erano tutte persone emigrate esse stesse in Inghilterra. Adorno non era in stretta relazione con nessuno di loro. Per ottenere che il musicologo inglese redigesse per lui un attestato il più possibile positivo Adorno aveva scritto a Berg già nel novembre del 1933 pregandolo insistentemente di intervenire in suo favore presso il professore di musica. Dal momento che Berg conosceva bene Dent, fece tutto quello che poteva per il suo ex studente. Ancora in novembre redasse una lunga lettera in cui descriveva diffusamente al­ l' influente professore inglese le doti filosofico-musicali e compositive di Adorno. Questi ebbe una reazione a dir poco di difesa e non scevra di antisemitismo. Dopo quell"' indicibile lettera" Adorno non cercò più di entrare in contatto con Edward Dent 9. Inoltre, Adorno era sufficientemente sicuro di sé per dare per scon­ tato che con una qualificazione supplementare rico nosciuta in Gran Bretagna avrebbe presto trovato un posto presso un'università inglese che corrispondesse alla sua libera docenza a Francoforte. Quanto era realistica questa sua aspettativa ? Cassirer, che era stato interpellato dal­ l' AAC, si era dichiarato pessi mista in merito alle possibilità accademiche che potevano aprirsi per il giovane collega di Francoforte. Scrisse al se253

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gretario generale dell'AAC : «Se Lei, esattamente come me, considera pre­ matura questa speranza [di trovare un posto] - almeno a Oxford, a giu­ dicare dai risultati delle ricerche che ho fatto finora - forse sarebbe me­ glio per l' AAC tornare nuovamente a presentargl i [ad Adorno] un qua­ dro chiaro della situazione, in modo da non deludere poi le sue aspetta­ tive)) 10 • La fiducia che Adorno nutriva e che gli faceva pensare di poter accedere almeno a una modesta carriera accademica in Inghilterra si fondava su un' idea fondamental mente sbagliata che si era fatto del siste­ ma universitario inglese. Una carriera universitaria cominciava, di rego­ la, lavorando come tutor per gli undergraduates, finché non si otteneva una regolare lectureship. Dopo aver chiesto consiglio al professar J oh n Macmurray dello U niversity College di Oxford, l' AAC gli scrisse sugge­ rendogli di acquisire un degree presso un college rinomato per poi, con il tempo, entrare a far parte del mondo accademico inglese 11 • Verso la fine di maggio del 1 934 il segretario generale dell' AAC , Walter Adams, scrisse a Macmurray che ad Adorno era stato consigliato di iscriversi ad Oxford e di prendere contatto con il professar Harold H . Joachim, che avrebbe potuto essergli d'aiuto nella scelta del college adatto 12 • Adorno si attenne esattamente alle istruzioni dell'AAC . Dopo essersi fatto u n a vaga idea, per l o meno i n base alla corrispon­ denza intrattenuta con l'AAC , del modo in cui occorresse procedere, nel­ l'aprile del 1934 lasciò Francoforte per Londra, dove inizialmente abitò presso la famiglia di suo zio. Dopo poco più di una settimana prese una camera all'Albemarle Court Hotel, che si trovava vicino ad Hydepark, in Leinster Gardens nella zona di Bayswater, e che restò l'hotel in cui avrebbe soggiornato ogni volta che si fosse recato a Londra, cosa che ac­ cadde piuttosto spesso. Ovviamente, durante queste settimane passate nella capitale inglese, si recò più volte presso gli uffici dell'AAC . Il lavoro di mediazione praticato dall' AAC cominciava raccogliendo, tramite un questionario, una serie di dati riguardanti la situazione di chi aveva de­ posto richiesta. In tale questionario Adorno indicò come potenziali re­ ferenze un'ulteriore serie di persone (come ad esempio Max Horkhei­ mer e Paul Tillich) diverse da quelle che aveva elencato nella domanda. A proposito dell'importo delle sue entrate egli, probabilmente per moti­ vi tattici, indicò i 1 200 marchi che fino al 1933 aveva percepito per i corsi tenuti all'università. Oltre a ciò, il suo sostentamento era assicurato dai genitori, presso i quali viveva e nella casa dei quali era residente anche ufficialmente. Alla domanda riguardante la sua conoscenza della lingua inglese rispose: « l am able to read also difficult philosophical writers as 2 54

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Brudley» (sic) . Era in grado di parlare a livello accettabile, ma non senza errori, mentre il suo inglese scritto era ancora insufficiente. Nella do­ manda indicò come scopo dei suoi studi il raggiungimento del titolo di doctor ofphilosophy, per poter poi ottenere l'abilitazione all'i nsegnamen­ to della filosofia. Il colloquio personale che Adorno avrebbe desiderato avere con il filosofo Ernst Cassirer negli uffici londinesi dell' AAC non ebbe luogo. Di conseguenza, Adorno fece totalmente affidamento sui consigli di Harold H. Joachim, che deteneva una cattedra di Logica al New College e stava per andare in pensione. In maggio ebbe con lui una lunga conversazione, a Oxford, dove restò per diverse settimane, in modo da farsi un'idea in prima persona di quell'università inglese d ' éli­ te; abitava al n. 47 della Banbury Road, in subaffitto presso Mrs. Ney in un «appartamento del tutto passabile», come egli stesso aveva detto 1 3• Evidentemente aveva a disposizione un pianoforte. Alla metà di giugno Ado rno poté finalmente iscriversi come advan­ ced student in filosofia al Merton College. La scelta del Merton College in particolare dipese probabilmente dal fatto che suo cugino Bernhard T. Wingfield, più anziano di lui, aveva studiato lì. Malgrado il successo personale di aver superato tutti quegli scogli burocratici, la sua nuova si­ tuazione era estremamente curiosa ed inopportuna per una persona di oltre trent'anni, laureata già da dieci, che aveva ottenuto da poco l'abili­ tazione alla libera docenza e per di più vantava pubblicazioni considere­ voli. Quando, all'ora dei pasti, si ritrovava insieme agli altri studenti nella sala da pranzo del college saltava subito agli occhi che Adorno era fuori dell'ordinario, per il modo che aveva di comportarsi, di parlare ecc. Sia ad Alban Berg, sia ad Horkheimer l'advanced student aveva scritto che per lui !'«incubo di dover tornare a scuola, in breve il prolun­ gamento del Terzo Reich» era diventato realtà 1 4. Al segretario generale dell'AAC scrisse: «Qui [a Oxford] il mese di giugno è delizioso e sto co­ minciando a sentirmi nuovamente umano; un genere di sentimento che avevo perduto in Germania lo scorso anno» 1 5• Nei confronti di Berg in­ sisteva perché questi si recasse subito a Oxford, dicendo che la città po­ teva «essere paragonata soltanto con Venezia» 1 6• Per Adorno reazioni diametral mente opposte come queste non erano strane; quando scriveva una lettera rifletteva con attenzione, talvolta con calcolo strategico, sulla persona alla quale si indirizzava, e su cosa questa persona si aspettava di sentirgli dire. L'euforia di quella lettera non durò molto a lungo. Quando Ador­ no, dopo la pausa estiva che aveva trascorso in Germania, tornò a Ox255

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ford per l'inizio del nuovo anno accademico (1934) 17 , era nuovamente all'oscuro sulla propria posizione all'università e sulle proprie prospetti­ ve future. A quanto pare, prese coscienza per la prima volta di che cosa potesse significare essere in esilio: isolamento e solitudine. Alcuni colle­ ghi di Oxford lo rifiutavano decisamente, altri non lo prendevano trop­ po sul serio . Il filosofo Alfred Ayer ricorda che si rideva di lui per via del suo comportamento da snob, del suo aspetto da dandy e perché si preoc­ cupava sempre di accertare se godeva di riconoscimento da parte degli altri. I suoi interessi per la teoria della società e per l'estetica trovavano poca risonanza nella cerchia filosofica di Oxford 1 8 • Tra i tanti oneri imposti dalla vita all'estero un problema costante era costituito dalla crescente difficoltà che si aveva nel trasferire valuta dalla Germania alla Gran Bretagna. Tale problema era reso ancor più incalzante dal fatto che per il proprio sostentamento Adorno dipendeva dai versamenti regolari che gli faceva il padre. La compl icazione era do­ vuta alla circostanza che le autorità tedesche avevano vietato i versamen­ ti esteri. Anche per l'accettazione del maintenance gran t dell' AAC , grazie al quale veniva pagata una parte delle tasse universitarie, Adorno neces­ sitava dell'autorizzazione dell'ufficio dei cambi. Quando finalmente, su pressione del proprio avvocato, si occupò della faccenda, l'Ufficio cambi volle sapere con quali mezzi si fosse mantenuto nel periodo precedente. Adorno fu costretto a fare una dichiarazione non corrispondente al vero, dicendo che fin dall'inizio aveva ricevuto la sovvenzione dell' AAC per i suoi studi, ma che non sapeva che per riceverla occorreva avere un permesso delle autorità. Gli venne comunicato che la questione sarebbe stata risolta con un procedimento e con il pagamento di una multa, op­ pure che si sarebbe finiti dinanzi a un tribunale di polizia. Quest'ultima misura avrebbe potuto comportare gravi conseguenze per lui, da un lato, come si legge in una lettera di Adorno a Walter Adams del 14 otto­ bre 1935, perché la questione avrebbe potuto concludersi con una pena detentiva, dall'altro, perché Adorno voleva a tutti costi rin novare il pro­ prio passaporto, che scadeva nel gen naio del 1937. Senza un passaporto tedesco valido non avrebbe potuto né viaggiare né esercitare una profes­ sione all'estero; e per via dei genitori e di Gretel Karplus era personal­ mente importante per lui poter rientrare in Germania quando voleva. Il funzionario dell'Ufficio cambi di Francoforte, dopo aver sentito le mo­ tivazioni di Adorno, propose l'ammenda, il cui pagamento sarebbe am­ montato a 1 50 marchi. Adorno pregò Adams, nei cui confronti nutriva ormai fiducia, di redigere una lettera in cui fosse confermato il mainte-

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nance grant per il periodo in questione ed in cui si chiarisse che gli im­ porti relativi erano stati direttamente versati sul conto dell'università e non gli erano stati corrisposti in pagamento di qualche lavoro, «di modo che essi ne ricavino l'impressione che io non disponga di denaro, se non in minima quantità» . In seguito a tale richiesta, Adams gli fece avere una lettera estremamente esauriente e formulata in modo molto diplo­ matico, accompagnata, non ufficialmente, dalle seguenti parole, «sono disposto a dire qualsiasi cosa Lei desideri in queste circostanze» 1 9• Uno dei motivi per via dei quali Adorno, durante i quattro anni passati a Oxford, continuò a recarsi regolarmente in Germania, non sol­ tanto per brevi visite, ma anche per soggiorni più lunghi, era dunque quello di procurarsi mezzi finanziari. Certo il viaggio in Germania lo la­ sciava inorridito: «Il paese è diventato davvero un inferno, anche nelle piccole cose quotidiane» 20 • D'altra parte, era «terribilmente preoccupa­ to» per i propri genitori e per G retel Karplus, che continuava a mandare avanti la sua attività a Berlino 21 • Oltre al desiderio di vedere la propria famiglia a Francoforte, egli si accollava il rischio di compiere quei viaggi per poter trascorre i periodi in cui non c'erano lezioni all'università con Gretel Karplus, la quale, come scriveva Adorno, dal momento che aveva una partecipazione alla fabbrica di pelletterie Georg Tengler, «subiva re­ lativamente meno le vessazioni imposte agli ebrei» . Tuttavia, fin dal maggio del 1935 egli aveva l'intenzione di far venir via la propria fidanza­ ta dalla Germania 22 • Questo suo progetto dimostra che Adorno, nel frattempo, si era fatto un'idea molto più realistica del dispotismo nazi­ sta e della strada che la politica tedesca aveva preso. La necessità di la­ sciare il paese e l'esperienza della vita all'estero avevano fatto sì che Adorno sviluppasse fortemente il proprio lato politico, il che si rispec­ chia nelle sue prese di posizione espresse nelle lettere risalenti a quegli anni. Nell'inverno del 1935 scrisse a Horkheimer che in Germania si era condannati a condurre una «vita da ghetto»; per quel che concerneva la politica estera, inoltre, definiva la situazione sconfortante: «H itler fini­ sce per ottenere tutto ciò che vuole e alla fine probabilmente gli daranno anche la Russia [ . . . ] . Mi risulta oscuro che cosa possa ancora tenere una persona in vita, oltre alla paura animalesca di togliersela. Non nutro più alcuna speranza per la Germania» 23 . Con grande lungimiranza, alla fi n e del 1934 aveva previsto che una volta falliti i tentativi dei paesi democratici di trovare un'intesa con la Germania nazista la guerra sarebbe stata ineluttabile, una guerra dopo la quale «non si sa che cosa rimarrà, una guerra che più tardi comincerà, 257

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tanto più sarà terribile» . Circa un anno dopo avrebbe poi previsto che la Germania avrebbe attaccato la Russia, «la Francia e l'Inghilterra reste­ ranno fuori della cosa, per via dei trattati che hanno sottoscritto, e a quel punto nulla più potrà intralciare il " risanamento " defi nitivo del mondo ad opera dei tedeschi. La situazione è disperata» 24• Il progetto di Adorno, che intendeva portar via Gretel Karplus dalla Germania, non era per il momento molto realistico nelle condizioni che si davano a Oxford. Lo advanced student non aveva un proprio reddito fisso sicuro ed inoltre era sotto pressione, perché doveva terminare il proprio lavoro sulla fenomenologia di Husserl entro i termini stabiliti. A questo scopo avevano regolarmente luogo degli incontri con un super­ visor indicato dall'università, il quale, durante questi tete à tete doveva fornire assistenza ed incoraggiamento, e svolgere opera di critica. Il rela­ tore della tesi di dottorato di Adorno era Gilbert Ryle, che, all'epoca, era ancora tutor in Filosofia al famoso Christ Church College. Gli inte­ ressi filosofici di Ryle andavano primariamente alla filosofia analitica; oltre a ciò, si era occupato in modo approfondito di fenomenologia, di Husserl e di Heidegger. Ciò costituiva una buona base perché l' incon­ tro tra i due filosofi di indirizzo intellettuale del tutto diverso risultasse produttivo. Adorno stimava Ryle ritenendolo un interlocutore estrema­ mente competente; e colui che in seguito sarebbe diventato l'autore del famoso The Concept ofMind (Lo spirito come comportamento) e che leg­ geva le opere dei classici della filosofia tedesca in lingua originale, aveva modo di accedere alla critica ad H usserl di Adorno. Oltre che con Ryle, Adorno era in contatto con altri colleghi, come ad esempio con Alfred Ayer, uno degli esponenti del Neopositivismo logico, con Isaiah Berlin, lo storico delle idee, con il filologo classico Cecil Maurice Bowra e con l'economista Redvers Opie, che insegnava al Magdalen College. Quel che Adorno e Ryle avevano in comune dal punto di vista filo­ sofico erano le obiezioni di principio che muovevano alla fenomenolo­ gia. Entrambi vedevano nel pensiero di Husserl una tensione antinomi­ ca tra intenti sistemici e anti-sistemici, tra gli elementi idealisti e quelli realisti della teoria della conoscenza. Concordavano sul fatto che il suo progetto dovesse essere sottoposto ad un'ampia critica la quale avrebbe dovuto avere come oggetto le contraddizioni interne delle argomenta­ zioni fenomenologiche. Occorreva mostrare che, ad H usserl, il supera­ mento dell'Idealismo e dell'Empirismo non era del tutto riuscito. Con questo intento Adorno fu in grado di allacciarsi al metodo della filosofia analitica quando, per la sua critica a Husserl, si concentrò sull'analisi dei

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concetti rinunciando ad argomentazioni aggiuntive di stampo storico­ filosofico 2 5• Il titolo provvisorio che lo stesso Adorno aveva scelto per la sua ricerca era: Die Phiinomenologischen Antinomien. Prolegomena zur dialektischen Erkenntnislehre (Le antinomie fenomenologiche. Prolego­ mena per una dottrina della conoscenza dialettica) . Di conseguenza, egli tornò ad occuparsi di quel filosofo che era già stato l'oggetto della dissertazione con la quale aveva concluso i suoi studi di filosofia, quasi dieci anni prima. N el suo dissertation proposal redatto per il Board ofthe Faculty ofLiterae Humaniores, egli sottolineò il fatto che non intendeva produrre né un commento alla fenomenologia di H usserl né una critica mossa da un preciso punto di vista filosofico. Quel che intendeva fare era, piuttosto, portare alla luce le antinomie insite nel pensiero fenome­ nologico . Oggetti della sua analisi critica sarebbero stati, tra l'altro, il principio dell'atteggiamento fenomenologico, l' idea della visione del­ l'essenza ( Wesensschau) e le contraddizioni dell'antologia 26 • Adorno prese molto sul serio il fatto di tornare ad occuparsi di scrit­ ti di Husserl, ora non più sul terreno dell' idealismo trascendentale, ben­ sì nella prospettiva della filosofia dialettica e materialistica. Dopo alcune riserve iniziali che egli, con una certa civetteria, comunicò a Benjamin, il suo entusiasmo per quel tema gnoseologico piuttosto " arido " andò aumentando. Ad Horkheimer parlò di quale «compito emozionante» fosse «far scaturire dalla filosofia, proprio là dove essa si comporta nel modo più astratto, la scintilla della concrezione storica>> 27• A Krenek a Vienna scrisse con compiacimento della propria posizione a Oxford: Il Merton College, il più antico ed uno dei più esclusivi di Oxford, mi ha accettato come member e advanced student, ed ora vivo qui, immerso in una indescrivibile pace e godendo di condizioni esterne di lavoro estremamente gradevoli; ci sono ov­ viamente, delle difficoltà oggettive, dal momento che è praticamente impossibile rendere comprensibili agli inglesi le cose di cui effettivamente mi occupo in filoso­ fia ed io sono dunque costretto a ridurre il mio lavoro, in un certo senso, ad un li­ vello molto semplice, per restare comprensibile - il che comporta una scissione del mio lavoro, tra questioni accademiche e questioni vere e proprie, per la quale in realtà mi reputo troppo vecchio - ma devo accettarlo, ed esser contento di poter la­ vorare indisturbato

28.

Quel che Adorno scrisse nelle sue lettere all'inizio del primo semestre regolamentare ad Oxford non tornò più a ripeterlo, con questo tono sprezzante, una volta che, nel corso del tempo, conobbe meglio le posi259

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zio n i della filosofia di Oxford e Cambridge. Alla tradizione dell' empiri­ smo inglese e alla scuola di Bradley si era già dedicato a Franco forte ed ora coglieva l'occasione per occuparsi della filosofia analitica moderna, di quella di George Edward Moore ad esempio, e di storia della logica. Se se ne occupò in modo approfondito, è una questione che resta aper­ ta. Con Wittgenstein, che all'epoca era fellow al Trinity College a Cam­ bridge, non entrò in contatto personalmente. Un punto di partenza per trovare un legame con la filosofia anglosassone era costituito dal fatto che sia il materialismo, sia la filosofia analitica si opponevano all'ideali­ smo assoluto. Adorno non si barricò per nulla all'interno della sua co­ struzione filosofica di pensiero, anzi, si lasciò guidare, come sempre, dalla sua curiosità prendendo parte alle serate di conferenze organ izzate da diverse associazioni filosofiche come la J owett Society e la Philoso­ phical Society, ed intervenendo nelle discussioni 29• Nell'ottobre del 1934 entrò a far parte dell'Oxford Un iversity Musical Club, il cui vice­ presidente all'epoca era Redvers O pie, ed assistette ai concerti che que­ sta associazione musicale organizzava nelle Holywell Music Rooms: concerti da camera in cui vennero eseguite opere di Bach, Mozart, Stra­ vinskij , Prokof ev e addirittura un concerto tenuto dall'illustre chitarri­ sta spagnolo Andrés Segovia. A tre serate tenute nella prima metà del 1935 Adorno, in quanto membro a tutti gli effetti dell'associazione, si recò portando con sé degli ospiti. Dalla biblioteca ben fornita della so­ cietà musicale prese in prestito una serie di spartiti, di opere di Brahms e di Ravel per esempio. Inoltre, nel quaderno in cui venivano annotati i desiderata, cioè le opere da acquistare, scrisse i nomi di una serie di com­ positori moderni tra i quali, naturalmente, Schonberg e Webern, ma anche Bart6k e Debussy 3o. E così, nel corso del trimestre successivo, nel quadro dei tre anni in tutto che avrebbe passato all'università in Inghilterra, Adorno cominciò ad ambientarsi e a prendere piede a Oxford. La sua attitudine fonda­ mentalmente cosmopolita gli facilitò anche il compito di orientarsi a Londra, una metropoli che inizialmente gli era sconosciuta. Dopo poco tempo che si trovava nel paese si sentiva già quasi come a casa e, in par­ ticolare, amava spostarsi sovente tra l' idilliaca cittadina di Oxford e l'ambiente urbano di Londra: questi due fatti trovano testimonianza in molte delle sue lettere inviate a Berg. Quando questi, nella primavera del 1935, intendeva recarsi a Londra per assistere ad una esecuzione del Wozzeck (che poi non fu realizzata) , Adorno gli promise di fargli visitare tutti i quartieri della città che nel frattempo conosceva bene: «dalle stra2 60

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de di Whitechapel, dove Jack incontrò Lulu, ai bei ristoranti di Picca­ dilly, da Bloody Tower a Hampstead, la Hietzing di Londra» 3 1 • Anche quando Adorno cominciò via via ad abituarsi alla sua situazione all'este­ ro sperando di poter esercitare da lì la professione di critico musicale e di filosofo, i ricordi legati ai tempi di Franco forte non cessavano di ri­ presentarsi alla sua mente: A Londra si è realizzato un sogno ben preciso della mia infanzia, troppo tardi e in un modo quasi doloroso . L'autista dell'autobus, come il merciaio di Hauff, mette­ va in vendita biglietti di mille colori, ben ordinati su un ripiano: quelli più a buon prezzo erano bianchi, in un crescendo di policromie sempre più care. Nel mio pae­ se, all'epoca, c'erano solo tre colori, il bianco, il rosso, e, più di rado, il verde. Niente era paragonabile alla beatitudine di maneggiarli, se non il desiderio che fa­ cevano nascere, e che ora veniva soddisfatto, in quell'epoca incerta e beffarda: che la scala dei colori volesse essere portata avanti all'infinito. Di fronte a questi bigliet­ ti so che se si fossero mantenuti i tre colori della mia infanzia, invece di sacrificarli in nome del bianco della carta da stampa, si sarebbero evitate tante disgrazie, e se addirittura si avesse avuto il coraggio di darsi alla pienezza dei colori londinesi, al­ lora tutto ora andrebbe per il meglio. Ma da salvare, oggi, rimane ormai così poco, altrettanto poco quanto i colori di Londra possono restituirmi la felicità e i desideri dell'infanzia

32•

Il bastone e la carota Adorno aveva appena cominciato ad apprezzare l' «indescrivibile pace» che gli permetteva di portare avanti il proprio lavo ro filosofico, quando, all'improvviso, alla fine di ottobre del 1934 arrivò una lettera di Max Horkheimer. Le poche frasi che c'erano scritte evidentemente riapriro­ no una vecchia ferita e, comunque, fecero sobbalzare Adorno nel suo isolamento. Da mesi non aveva più scambiato lettere con Horkheimer, l'ultima conversazione l'avevano avuta nel marzo del 1 9 3 3 . Su questo sfondo, per il destinatario, la lettera che arrivava a Oxford da New York equivaleva già di per sé a un segnale. Horkheimer veniva subito al dun­ que: doveva sfogare tutto il rancore che aveva accumulato nei confronti di Adorno. Gli rimproverò di non avergli fatto avere sue notizie per mesi, lasciandolo totalmente all'oscuro di quali fossero i suoi progetti concreti. Da questa ammonizione carica di rimprovero passava subito ad intonare una lode: «Se oggigiorno esistono relazioni tra persone che

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portano avanti un lavoro teoretico, relazioni che possono dare buoni frutti, tra queste vi è la collaborazione regolare tra Lei e l'Istituto. Lei aveva il dovere di restare in contatto con noi. Non potevamo certo pro­ porLe di lasciare la Germania per venire da noi, perché sarebbe stata una cosa che avrebbe dovuto fare a proprio rischio e pericolo. Ma si sa­ rebbe certo trovato un modus vivendi)) 33 • Non senza una punta di gelosia Horkheimer rinfacciò ad Adorno di essersi consigl iato con Ernst Cassirer a proposito del proprio futuro, piuttosto che con l'Istituto: un fatto di cui Horkheimer poteva essere informato tutt'al più per sentito dire, probabilmente tramite Tillich, e che non corrispondeva al vero. Messo di fronte a questa nuova alleanza Adorno-Cassirer, Horkheimer rifiutò di pubblicare sulla " Zeitschrift ftir Sozialforschung" una recensione dell'introduzione alla psicologia della Gestalt di Walter Ehrenstein che Adorno aveva inviato alla reda­ zione; per non parlare poi di pubblicarla sotto pseudonimo, con il nome di Charles de Kloes. La lettera term inava con un appello: «Non c'è al­ cun dubbio che la carenza di relazioni tra Lei e l'Istituto rappresenta un danno per quest'ultimo, perché Lei è parte necessaria del nostro grup­ po. D'altra parte, questa separazione avrà delle conseguenze anche sul Suo proprio sviluppo. Sono molto dispiaciuto per entrambi questi fat­ ti)) 34• Come avrà preso Adorno questi rimproveri giuntigli durante un periodo tanto difficile della sua vita, nel quale doveva trovare un nuovo orientamento per il futuro ? Lo si accusava di qualcosa di cui non aveva la responsabilità. Il direttore dell'Istituto trascurava inoltre il fatto che Adorno si trovava, oggettivamente, nella posizione del più debole. In fondo, era stato Horkheimer, il direttore, che lo aveva lasciato all'oscuro dei piani dell'Istituto. Dipendente dalle sovvenzioni paterne e per il re­ sto essendo abbandonato a se stesso, Adorno si era dovuto preoccupare di lasciare la Germania e di ambientarsi in Inghilterra. Horkheimer, dopo essere fuggito dalla Germania, aveva discusso a lungo a Ginevra insieme a Pollock e agli altri membri dell'Istituto, per decidere quale fosse il luogo migliore in cui portare avanti il lavoro. Grazie alla propria lungimiranza politica si era curato di trasferire per tempo all'estero i capitali che erano a disposizione dell' Istituto, ed aveva istituito delle succursali a Ginevra, Londra e Parigi. Con questa misura precauzionale aveva fatto sì che l'Istituto potesse continuare ad esistere per tutta la durata dell'esilio, e cioè per quasi vent'anni. Grazie alle suc­ cursali e ai contatti che tram ite esse erano stati instaurati con varie uni­ versità europee, il direttore dell'Istituto si ritrovava nella felice situazio-

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ne di poter disporre di varie opzioni per poter portare avanti il lavoro di ricerca. Una volta che il collaboratore di F ritz Pollock, J ulian Gomperz, che era nato in America, ebbe stretto contatti personali a New York con la Columbia Un iversity ed ebbe riscosso un grande interesse accompa­ gnato da benevolenza presso il presidente di quell'università, Nicholas Murray Butler, ed i famosi sociologi Robert S. Lynd e Robert Maclver, Horkheimer si decise piuttosto velocemente per gli Stati Uniti. A tutta prima, gl i semb rava piuttosto sorprendente che a New York si volesse offrire ai collaboratori dell'Istituto la possibilità di continuare le loro ri­ cerche 35• Horkheimer aveva un permesso di soggiorno illimitato valido per la Svizzera, ma Pollock, Lowenthal e Marcuse erano in possesso sol­ tanto di un visto turistico valido per un periodo limitato. Inoltre, la si­ tuazione per gli emigrati ebrei in Svizzera non era molto semplice. Per questo motivo e soprattutto perché Horkheimer subodorava che in Eu­ ropa sarebbe scoppiata la guerra, ci si decise senza troppa difficoltà a la­ sciare il continente e ad andare a New York, dove il lavoro poté prose­ guire in una propria sede, al 429 della 117a strada ovest, che portava il nome di lnternational lnstitute of Social Research affiliated with Co­ lumbia University 3 6 . Negl i usA l' Istituto si adoperò, per quanto lo per­ mettevano i mezzi finanziari, che stavano diminuendo, per appoggiare vari esiliati commissionando loro dei lavori, conferendo loro borse di studio, proponendo contratti di ricerca ecc. A partire dal 1936 i membri dell'Istituto, i quali, in quanto gruppo, miravano a mantenere la loro indipendenza nell'indirizzo della ricerca scientifica, cominciarono a te­ nere lezioni e seminari alla Columbia U niversity 37• Adorno attese poco meno di una settimana prima di rispondere ad Horkheimer. Nella sua lettera del 2 novembre prese diffusamente posi­ zione riguardo ai rimproveri che gli erano stati rivolti lamentandosi del fatto che, nei suoi confronti, tutti i membri dell' Istituto, e soprattutto Leo Lowenthal, si erano avvolti nel silenzio: «Del vostro trasferimento [di Horkheimer e dell'Istituto per la ricerca sociale] a New York non sa­ pevo nulla. Il Suo sarcasmo a proposito della mia fiducia in Cassirer sbaglia totalmente il bersaglio. È un imbecille conformista, oggi come sempre, ed io non gli ho mai chiesto consigl io; la sua funzione consiste­ va nello spiegare la mia situazione al Council. Ad Oxford l'ho visto una sola volta [ . . . ] e ci siamo limitati a scambiarci alcuni romanzi polizie­ schi» 38• Adorno continuava scrivendo che, dal momento che da parte dell'I­ stituto non gli era mai stato seriamente proposto di diventare un colla-

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boratore fisso, egli non aveva potuto esporsi al rischio di lasciare la Ger­ mania in modo precipitoso, perché c'era pur sempre il pericolo che gli venisse ritirato il passaporto. Che Horkheimer avesse preferito altre per­ sone a lui, era evidente. Concludendo, alla fine della sua lettera Adorno fece un piccolo gesto di riconciliazione esprimendo il proprio entusia­ smo per la raccolta di aforismi Dammerung. Notizen aus Deutschland ( Crepuscolo. Appunti presi in Germania 1926-1931) che Horkheimer ave­ va appena pubblicato a Zurigo, con lo pseudonimo di Heinrich Regius. Difese anche la propria scelta di usare lo pseudonimo di Charles de Kloes per la recensione (rimasta inedita) della Einfuhrung in die Gestalt­ psychologie (Lipsia, 1934) di Walter Ehrenstein: disse che si trattava di un personaggio di fantasia: « [Charles de Kloes] è un po' debole di men­ te, le sue uniche relazioni sono un bambino e un branco di gazzelle» 39• Nelle lettere che seguirono, durante gli anni 1934-3 5, in cui entram­ bi si adoperarono per fugare tutti i malintesi che si erano creati, Adorno arrivò a parlare di un argomento che per lui era molto importante: «L'ultimo punto che deve essere messo in chiaro tra di noi concerne molto semplicemente la fiducia e la lealtà dell' Istituto nei miei confron­ ti. Infine, mi sembra del tutto intollerabile che in una relazione in cui, in fin dei conti, si presuppone che da entrambe le parti vi sia un'effettiva solidarietà, una parte rimanga all'oscuro di comportamenti estrema­ mente importanti dell'altra» 40• Adorno sospettava, non senza motivo, che «l' Istituto avesse una politica segreta)) nei suoi confronti. Era ri ma­ sto disorientato dal fatto di essere stato l'unica persona appartenente alla cerchia dell'Istituto, che, dal suo punto di vista, non aveva ricevuto of­ ferte d'aiuto per potersene andare dalla Germania. Affermava, inoltre, di sapere che le resistenze nei suoi confronti non venivano da Horkhei­ mer, ma da altri, e cioè Pollock e Lowenthal. Criticò il fatto che non gli fosse stato offerto di dirigere la succursale londinese dell'Istituto. Per es­ ser certo della sua collaborazione, Horkheimer non avrebbe dovuto esi­ tare «e mandar via [dall'Istituto] chi c'era da mandar via, per assicu rar­ mi quel posto)) 41 • Di fronte alla pretesa, quasi offensiva, di Adorno di ottenere una posizione stabile all'interno dell'organizzazione europea dell'Istituto, Horkheimer si tirò d' impaccio spiegandogli che si faceva un' idea sba­ gliata delle loro possibilità finanziarie. La succursale londinese si limita­ va ad un posto, poco interessante, di collaboratore scientifico, occupato da Jay Rumney, il quale dava una mano nella distribuzione dei questio­ nari e in lavoretti vari. Horkheimer continuava su questa linea:

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Così come per l'idea che Lei ha dell'ufficio di Londra, anche per parecchie delle cose delle quali si lamenta Lei sembra fare riferimento ad una sua idea un po' trop­ po ottimistica delle attività dell'Istituto. Siamo un gruppo di persone che cercano di portare avanti la teoria basandosi sulle proprie debolissime forze. L'apparato or­ ganizzativo, di cui fanno parte anche le varie rappresentanze, ha un'importanza molto relativa. Lei ha sempre attribuito troppo valore al cosiddetto inquadramento ufficiale

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Horkheimer rinfacciava, non senza motivo, ad Adorno di non aver sa­ puto prevedere gli sviluppi politici e di essersi fatto delle illusioni sulla propria «vita futura in Germania o su un'altra carriera accademica, così che Lei si aspettava delle garanzie da parte dell'Istituto nel caso avesse dovuto rinunciare a queste possibilità. Ma tali garanzie noi eravamo del tutto impossibilitati a dargliele» 43 • Tuttavia, dimostrava una certa ac­ condiscendenza nei confronti di Adorno; gli propose di tornare a colla­ borare con l' Istituto in modo più attivo che in passato, per potersi fare un'idea precisa del lavoro che attualmente vi veniva svolto. Lo invitò inoltre a recarsi a N ew York il più presto possibile, per poter discutere nei dettagl i sui progetti di ricerca e sul futuro della rivista. Per vari motivi, questo viaggio in America venne rimandato di mese in mese e di anno in anno: Adorno doveva recarsi in Germania per via delle difficoltà che aveva con il cambio; aveva dovuto sottoporsi ad una delicata operazione all'uretra, praticata dal suo medico di fiducia a Francoforte, e infine doveva adempiere ai propri impegni accademici a Oxford. Alla metà di maggio del 193 5 , però, ebbe luogo a Londra un in­ contro chiarificatore tra Adorno e Fritz Pollock. All'inizio di dicembre Adorno si incontrò brevemente con Horkheimer a Parigi all'hotel " Lu­ tétia" , famoso tra gli esiliati; e a metà gennaio del 1936 i due si ritrovaro­ no per un'intera giornata ad Amsterdam, dove finalmente ebbero un colloquio approfondito 44• Durante questi incontri vennero elimi nati gli ultimi contrasti così che alla fine ricominciò una fitta corrispondenza concernente varie questioni dell'Istituto, articoli per la rivista e autori potenziali. Adorno era convinto che prima o poi gli sarebbe stato offerto un posto fisso all'Istituto senza che si dovesse arrivare ad «atti crudeli nei confronti di chi dovesse essere licenziato». Da lì al suo arrivo a New York, del resto, avrebbe «parlato perfettamente» inglese; «il suo libro di logica era a disposizione dell'Istituto». Con questa prospettiva egli avrebbe potuto realizzare il progetto «di sposare Gretel, se non altro per farla uscire da quell'inferno» . Era una cosa alla quale era «in fin dei conti

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obbligato». Ciò che per Adorno era più importante era la prospettiva di poter presto tornare a collaborare con Horkheimer, l'unica persona con la quale sapesse di andare «d'accordo su molte cose» 45. Horkheimer gli confermò che poteva entrare a far parte dell'Istituto, una volta che, come era sensato, avesse ottenuto il suo diploma inglese 4 6 . Egli venne via via integrato già prima. Su incarico dell'Istituto, nell'autunno del 1936 Adorno si recò per una settimana a Parigi, mentre faceva ritorno in Inghilterra da Berlino e Francoforte dopo la pausa estiva. A Parigi si oc­ cupò del progetto che riguardava la pubblicazione in lingua francese di un volume di saggi di Horkheimer dal titolo Essais de philosophie maté­ rialiste, presso l'editore Gallimard. Ebbe inoltre una serie di colloqui con intellettuali francesi e discusse lungamente con Benjamin i progetti di pubblicazione che questi aveva per la " Zeitschrift fi.i r Sozialfor­ schung" . Infine si incontrò con Kracauer, che definì in una lettera ad Horkheimer «un caso estremamente difficile» 47; un'osservazione che era del tutto fuori luogo, soprattutto in una lettera a Horkheimer, se si considerano le difficili condizioni in cui Kracauer viveva, ma che mostra chiaramente in che modo Adorno si sia comportato nei confronti del suo vecchio am ico (e cioè malignamente) in una situazione gravosa. Dopo quel soggiorno a Parigi Adorno ebbe la sensazione, una volta tor­ nato a Oxford, di essere davvero addentro alle questioni dell'Istituto e di poter avere voce in capitolo. Le lettere ad Horkheimer che seguirono erano dunque piene di proposte per progetti futuri. Di questi facevano parte uno studio sul concetto di decadenza ed un'estesa ricerca sulla "fi­ losofia del nazionalsocialismo ", il cui scopo era di mostrare che «pure i nazisti non riescono ad avere un' ideologia, e che al posto della teoria dissimulante viene fuori la menzogna più grossolana» 48•

Un'avversione duratura: la musica jazz. Un eccesso tollerato Della tranquillità della città universitaria inglese Adorno non approfittò soltanto per dedicarsi ai suoi studi su Husserl, ma anche per lavori del tutto diversi. Nacquero una serie di articoli di teoria della musica che egli pubblicò sulla rivista musicale viennese " 23 ", il cui curatore era il musicologo Willi Reich 49• Questi era in ottime relazioni con Alban Berg, che aveva creato il titolo della rivista. Reich era molto interessato a conquistarsi la collaborazione costante di Adorno alla rivista, la quale spezzava una lancia in favore delle avanguardie. Al numero di dicembre 266

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egli contribuì con un piccolo saggio sulla Forma del disco (Die Form der Schallplatte) . Nei confronti di questa innovazione tecnica Adorno non aveva particolari riserve di tipo elitario, non praticava critica della cultu­ ra. Sottolineava piuttosto il fatto che tramite la fonografia si sarebbero aperte nuove dimensioni per l'arte contemporanea che nessuna protesta estetica contro la reificazione avrebbe potuto piegare. Anzi, proprio at­ traverso la reificazione, si legge in quell'articolo di Adorno, «viene ripri­ stinata un'antichissima relazione ormai caduta nell'oblio, ma certo sicu­ ra: quella tra la musica e la scrittura» 5 0 • La musica perde, certo, il pro­ prio carattere di immediatezza nelle incisioni su disco, ma assume la for­ ma di una nuova scrittura, che «sarà leggibile in quanto " ultima lingua di tutti gli esseri umani" dopo la costruzione della torre di Babele)) , In questo modo l'" essenza simbolica" della musica si risolve in puro suo­ no. Alla fine del saggio egl i solleva inoltre una questione speculativa; si chiede, cioè, se le opere d'arte non trovino forse il loro vero linguaggio soltanto una volta che in esse sia dissolta l' «apparenza del vivente)) 5 1 • In un altro articolo, sulla Crisi della critica musicale (Zur Krisis der Musik­ kritik) , pubblicato nel marzo del 1935 e dal quale Adorno in seguito avrebbe preso le distanze, egli riconduceva il basso livello della critica musicale al fatto che al critico musicale di quell'epoca mancavano le premesse educative necessarie, le quali non potevano essere fornite né da studi musicologici, né da una formazione al conservatorio . D'altro canto, la crisi della critica musicale rispecchiava «il dato di fatto fonda­ mentale costituito dall'alienazione)) il quale ha come conseguenza che il critico e il compositore non hanno alcuna relazione l'uno con l'altro. A tale mancanza di relazione non si ovvia dandosi da fare per organizzare legami comunitari musicali 5 2• A questa profonda avversione nutrita contro la formazione di grup­ pi e di comunità di artisti e di amanti dell'arte vanno ricondotte anche le motivazioni critiche che trovarono espressione nell'articolo Sul jazz ( Ober jazz) che Adorno aveva scritto nel corso del suo terzo anno a Ox­ ford. Terminato nella primavera del 1936 e pubblicato sulla " Zeitschrift ftir Sozialforschung" con lo pseudonimo di Hektor Rottweiler, può es­ sere non male come esempio del decadimento della critica musicale, un decadimento che in questo caso andava ricondotto ai pregiudizi del cri­ tico 53 • Occorre considerare, a giustificazione dell'autore, che egli, dal momento che non considerava le forme popolari del j azz, vale a dire le canzonette e la musica da ballo, un innocente in trattenimento musicale,

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non le ignorava come dati di fatto trascurabili, bensì tentava di prender­ li sul serio - in modo strettamente sociologico - in quanto jàit social. Fino a quel momento, nessuno aveva ancora tentato di produrre un'analisi socio-musicologica di quel genere musicale contemporaneo, di cercare, cioè, nella struttura musicale del jazz, gli elementi sociali, il riflesso di contraddizioni sociali 54• Adorno non sosteneva un punto di vista elitario da borghese colto, vale a dire non si serviva della musica " seria" superiore contro la musica leggera d' intratten imento . Dedicarsi agli «scarti del mondo dei fenomeni» era necessario per motivi sistema­ tici; infatti, dal punto di vista dialettico, nel carattere esteriore della mu­ sica leggera si rispecchia una verità. Chi liquida come secondaria l'e­ spressione musicale costituita dalla canzonetta cade proprio in quella trappola che ogni canzonetta tende all'ascoltatore, suggestionandolo e facendogli credere di essere un innocuo divertimento. Se si considerano le canzonette un effimero fenomeno quotidiano e un semplice intratte­ nimento e dunque non si ritiene che siano rilevanti dal punto di vista sociologico, allora si rinuncia alla possibilità di riconoscere, nelle mace­ rie della cultura ormai decaduta, la verità sulla società, una verità che si mostra in tutti i prodotti dell 'artigianato artistico. Nella sua trattazione sul j azz, di conseguenza, Adorno metteva l'accento sul fatto che «questa musica è determinata socialmente» e procedeva nella sua analisi appli­ cando il metodo " immanente" . Egli tentava cioè di mostrare che il ca­ rattere sociale del jazz, ormai reso popolare, non si mostrava in primo luogo nel fatto che negli Stati Un i ti e in Europa questo fenomeno di moda si fosse esteso alle grandi masse e fosse molto apprezzato. Adorno vedeva come punto chiave della questione il rintracciare i meccanismi sociali insiti nelle caratteristiche armoniche, melodiche, ritmiche e stru­ mentali del suono di questa musica popolare. Cominciava con la descri­ zione di tratti specificamente musicali che saltavano agli occhi: il fatto che nel jazz coesistessero in contemporanea caratteri stereotipi e indivi­ duali. Tale caratteristica veniva quindi messa in relazione con la situa­ zione storica del soggetto che consuma il prodotto musicale di artigia­ nato artistico. Partendo da una prospettiva di critica del capitalismo egli sviluppava dunque il concetto di "consumatore forzato " tramite il quale intendeva portare ad espressione il fatto che questo tipo di musica arti­ gianale fosse «pseudo-democratico in un senso determinante per la co­ scienza dell'epoca: la posa della sua immediatezza, definibile tramite un rigido sistema di stratagemmi, inganna a proposito delle differenze di classe. Come attualmente avviene nel campo della politica, anche in 268

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campo ideologico con questo genere di democrazia va a braccetto la re­ azione» 55• Nella sua interpretazione del carattere apparente della musica legge­ ra egli approfondiva la questione concernente i meccanismi d'azione che stanno alla base degli schemi di questa musica popolare. Il suo effet­ to è dovuto, secondo lui, ad un'abile sintesi di musica da salotto e mar­ cia: «la prima sta a rappresentare un'individualità che in realtà non è tale, bensì soltanto l'apparenza, prodotta socialmente, dell'individuali­ tà; la seconda, rappresenta un carattere comunitario altrettanto fittizio, che si crea soltanto tramite il raddrizzamento di atomi dovuto ad una forza che si esercita su di essi» 56• Il fanatico di jazz rappresenta un carat­ tere sociale storicamente specifico. Il soggetto, consumando la musica che predilige, ottiene l' impressione di avere una sovranità emozionale, un' impressione suggerita dagli elementi che fanno parte dell'improvvi­ sazione. La struttura compositiva, tuttavia, estorce sostanzialmente la sottomissione allo schema ordinativo del pezzo musicale: «Obbedire alla legge, e tuttavia essere diverso. Questo tipo di comportamento viene adottato dallo " hot" soggetto, rinunciando gradualmente ai tratti di su­ periorità esecutiva e di diversità liberale» 57• Alla fine del proprio saggio Adorno avanzava la tesi temeraria secondo la quale la forma musicale del jazz avrebbe un'affinità con il fascismo: «In Italia viene particolar­ mente apprezzato, come anche le arti applicate cubiste. Il divieto che lo concerne, in German ia, ha a che vedere con quella tendenza alla facciata che fa ricorso a forme feudali e precapitalistiche di immediatezza chia­ mandole socialismo. È piuttosto chiaro, tuttavia, che questo divieto non ha alcuna efficacia» 58 • Nel saggio dal titolo Addio a l jazz (Abschied vom jazz) , che aveva pubblicato sulla " Europaische Revue " nel 1933, Adorno affermava che il decreto anti-j azz dei nazisti era irrilevante, perché quel genere musicale si trovava comunque in pieno processo di decadimento . A distanza di tre anni, tuttavia, come spiegarsi il fatto che Goebbels e i suoi camerati facessero propaganda contro una forma musicale di espressione che, se­ condo lui, per via della propria funzione formativa, avrebbe avuto un'affin ità, all'i nterno della musica, con la concezione dall'arte che ave­ vano i nazisti ? Tentava di dimostrare che i nazisti consideravano il jazz "degenerato " soltanto per motivi razzisti, perché lo identificavano con la musica originale dei neri. Uno dei punti principali dell' argomentazio­ ne nel saggio del periodo di Oxford era che Ado rno tentava di provare che il jazz, divenuto popolare, aveva ormai perso da tempo la caratteri-

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stica di essere una forma di espressione musicale autentica dei neri d'A­ merica. La sua critica al jazz sconvolgeva i giudizi razzisti che si avevano a proposito di questa musica 59• Prendeva le mosse dal fatto che il jazz originale, nel frattempo, era entrato a far parte della musica da ballo e della musica leggera, venendo così inglobato nel suo genere e perdendo d' importanza. Pare dunque che Adorno abbia scelto un titolo sbagliato per il suo saggio, perché egli, infatti, non conduceva in esso un'analisi del jazz, bensì della trasformazione di questo in musica da ballo e musi­ ca leggera, alla quale il jazz era giunto nel corso della popolarizzazione del blues e del ragtime. Senza dichiararlo esplicitamente, si riferiva al cosiddetto ball-room-jazz. N o n c'è da stupirsi che nella sua analisi non venga quasi mai fatto il nome di musicisti che avrebbero potuto essere un esempio della forma originale di questo genere musicale. Menziona soltanto Duke Ellington; per il resto, fa il nome dei Revellers, un grup­ po americano al quale si erano ispirati i Comedian Harmonists. Anche se, in questa prospettiva, non aveva operato una distinzione sufficientemente chiara tra il jazz autentico e le canzonette, trattandoli insieme, non si può accusarlo di non avere avuto una sua propria opi­ nione del jazz. A Francoforte e a Berlino, ed anche durante i suoi viaggi, aveva avuto occasione di conoscerlo; e dopo essere emigrato in Inghil­ terra entrò ancora maggiormente in contatto con le varie tendenze stili­ 6 stiche del jazz 0 . Aveva avuto la maggior parte delle informazioni necessarie per la sua analisi del jazz da Matyas Seiber, che conosceva dai tempi di Fran­ coforte. Questi, ungherese di nascita e allievo di Kodaly, a partire dal 1928 aveva diretto quel famoso corso di jazz che era stato istituito al con­ servatorio Hoch. Nel 1933 i nazisti proibirono quell'insegnamento e Sei­ ber emigrò in Inghilterra, dove spesso si incontrò personalmente con Adorno, non in ultimo per fargli ascoltare sul grammofono varie regi­ strazioni jazz. Egl i aveva inoltre steso una serie di appunti che riassume­ vano le sue esperienze personali con la sfera del jazz. Queste Osservazio­ ni sulle condizioni del mercato del jazz le aveva spedite contemporanea­ mente sia a Horkheimer, sia ad Adorno. Quest'ultimo le aveva lette nel­ l' estate del 1936 trovandovi la conferma delle sue proprie tesi e aveva 6 proposto di «fondare» insieme un «archivio sociologico di jazz» 1 • Alle varie informazioni che Seiber aveva fornito oralmente e per iscritto per il saggio Sul jazz, Adorno fa espressamente riferimento e le ricorda in una premessa che aveva fatto precedere alla versione pubblicata.

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La collaborazione tra Adorno e Seiber sarebbe proseguita su scala più vasta e per un lungo periodo 6\ perché Horkheimer, durante l'in­ contro di Parigi, aveva proposto ad Adorno di effettuare una ricerca em­ pirico-sociologica più vasta sul jazz. Questa iniziativa era stata probabil­ mente motivata dal fatto che Horkheimer vedeva varie relazioni tra i ri­ sultati del grande Studi sull'autorità e la famiglia che l' Istituto per la ri­ cerca sociale aveva appena terminato a New York, e le tesi di Adorno sulla struttura pulsionale del fanatico di jazz fissato con l'autorità, le quali per molti versi si riallacciavano all'interpretazione psicoanalitica dell'autoritarismo nella famiglia borghese effettuata da Erich F rom m 63• Adorno si infervorò subito quando Horkheimer accennò al fatto di rite­ nere interessante procedere ad uno studio collettivo sul jazz. Adorno, alla fine del 1935, durante le feste di Natale che trascorse in parte a Fran­ coforte e in parte a Berl ino, redasse una prima esposizione di un proget­ to di grande respiro, dal titolo jazz: schizzo per una ricerca sociale (jazz: Exposé einer gesellschaftlichen Untersuchung) 64• In questo progetto del gennaio del 1936 egli espresse per la prima volta quelle tesi che intende­ va formulare con più precisione nel saggio Suljazz che aveva intenzione di scrivere. Vi indicava, come caratteristici del jazz, il principio sonoro del vibrato e la crescente semplificazione degli schemi armonici, come per esempio l'eliminazione dell' improvvisazione. Scriveva che il genere jazz era diffuso nelle grandi masse, che la sua ricezione si estendeva a tutte le classi e a tutti i ceti sociali, e che perciò la musica jazz era adatta a mascherare le differenze di classe nella sfera culturale. La diffusione del jazz, completamente commercializzato ormai da tempo, era mano­ vrata da imprese monopolistiche dell'industria dei divertimenti che conferivano ad esso un'immagine specifica, quella, cioè, di uno stile di vita moderno e di una certa libertà sessuale. Il prototipo dell'entusiasta del jazz che Adorno indicava era l' excentric che mette in scena il proprio anticonformismo e che, malgrado semb ri diverso in apparenza, si con­ forma alle aspettative della società. Partendo da una prospettiva psicoa­ nalitica Adorno enunciava la sorprendente tesi secondo la quale l' orche­ stra jazz, considerata nella sua formazione e per quel che concerne l' ese­ cuzione, sarebbe paradossalmente al contempo una macchina da castra­ zione e da coito 6 5• Egli interpretava inoltre la funzione della sincope nel jazz come espressione di un orgasmo con eiaculazione precoce, dovuto ad angosce di impotenza, come l'espressione di qualcuno che viene troppo presto 66. 271

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Adorno inviò il suo abbozzo sia a Horkheimer, sia a Seiber, pregan­ do quest'ultimo, in qualità di esperto, di fargli avere un commento criti­ co in proposito. Questi soddisfece la sua richiesta e nell'autunno del 1936 gli consegnò un testo formulato con circospezione, ma contenente in definitiva una chiara critica alle tesi che Adorno aveva formulato sul jazz 6 7• Tramite spiegazioni ed esempi Seiber tentava di correggere l'i­ dea distorta che Adorno aveva del jazz: la tesi concernente la particolare importanza degli strumentisti nella jazzband, come per esempio del sas­ sofonista e il suo dilettantismo musicale, non è corretta così come non è corretta la diagnosi fatta da Adorno, che vede una tendenza a sacrificare elementi ritmici in favore della ballabilità e a rinunciare all' improvvisa­ zione in favore dell 'arrangiamento. Anche l'idea di un'ampia pianifica­ bilità dei successi commerciali di un j azz standardizzato non è sostenibi­ le. Egli rimproverava infine ad Adorno di stabilire una falsa analogia tra teorie psicoanalitiche e impressioni soggettive concernenti la prassi del jazz, e gli consigliava di ascoltare alla radio o su disco le nuove produzio­ ni provenienti dall'America. Non sappiamo come Adorno abbia preso questa critica che concer­ neva sia il suo schizzo per il progetto di ricerca, sia il saggio Suljazz che aveva appena pubblicato. Indubbiamente restò dell'opinione che il jazz fosse una sottospecie della musica fatta dagli strimpellatori, una musica che egli rigettava con energia dalla sfera dell'alta cultura. Pochi mesi dopo aver letto le obiezioni di Seiber, Adorno gli scrisse che Horkhei­ mer e l'Istituto si erano dichiarati contrari al finanziamento di quel va­ sto progetto sul jazz, perché al momento tutti i mezzi finanziari e i ricer­ catori erano concentrati sul lavoro che avrebbe permesso di concludere gli Studi sull'autorità e la famiglia. Egli aggiungeva inoltre di avere scrit­ to ancora alcune integrazioni della sua teoria del jazz, «senza alcuna in­ tenzione di pubblicarle, solo per il nostro archivio» 68 • Si trattava di ap­ punti che avrebbe pubblicato soltanto nel 1964 nella raccolta di saggi Moments musicaux 69• Da queste brevi annotazioni che l'autore aveva intitolato Appendici oxoniensi si deduce che Adorno non si era fatto impressionare seriamente dalle obiezioni di Seiber. Non si ostinava a perseverare nel suo atteggiamento di rifiuto, bensì inaspriva la propria critica. In questi appunti Adorno dava sfogo a tutte le sue invettive al­ l'indirizzo del jazz. Scriveva ad esempio, con una franchezza rivelatrice: «mi ricordo chiaramente che rimasi atterrito quando lessi per la prima volta la parola jazz. Potrebbe essere plausib ile che derivi dalla parola te­ desca " Hatz" (battuta, inseguimento) e designi la caccia e l'inseguimen272

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to di un animale più lento da parte di una muta di bracchi. In ogni caso, la scrittura semb ra contenere la stessa minaccia di castrazione trasmessa dall' immagine dell'orchestra con il coperchio del pianoforte a coda aperto)) 70• Da questa affermazione all'ipotesi speculativa secondo la quale il jazz e il pogrom siano fenomeni dello stesso tipo, il passo non è lungo. Adorno credeva di poter osservare, in pezzi jazz popolari, il coesistere di tratti sentimentali e com ici e da ciò deduceva che ad esso corrispondes­ se, « nel pogrom, il modo di comportarsi che trasforma lo scherzo in atrocità)) 71 • Con l'articolo Sul jazz Adorno aveva ripreso la parola sulla " Zeitschrift fiir Sozialforschung" dopo un silenzio durato quattro anni. Anche questa volta si trattava di un saggio di musicologia nel quale Adorno riteneva di essere riuscito «a decifrare davvero il jazz e a definir­ ne la funzione sociale)) 72 . Egli non comunicò soltanto a Benjamin que­ sto giudizio orgoglioso del proprio saggio, ma anche a Krenek. In lui ve­ deva la persona che possedeva «un sapere sulle cose più segrete della mu­ sica quale non constatai mai in nessun altro)) 73• N el loro carteggio, tut­ tavia, non si fa quasi mai cenno alle varie analisi del jazz prodotte da Adorno, cosa piuttosto sorprendente, perché proprio il compositore dell'opera ]onny spie/t auf, nella quale c'è un'elaborazione dell'idioma del jazz, avrebbe potuto essere un interlocutore ideale per Adorno. Ben­ ché non permettesse che si parlasse male del suo saggio, a Krenek, evi­ dentemente, tenne segrete le sue tesi sul jazz.

Insuccessi . . . Con i l saggio sul jazz Adorno era tornato a dar segno della sua presenza sulla " Zeitschrift fiir Sozialforschung" tramite una pubbl icazione di musicologia, come già era avvenuto nel caso del contributo Zur gesell­ schaftlichen Lage der Musik (Sulla condizione sociale della musica) . Per non essere costretto a condurre un'esistenza a margine, come esperto di musica, gli stava particolarmente a cuore di pubblicare una critica alla sociologia della conoscenza di Karl Mannheim che aveva continuato a rimaneggiare e a migliorare negli ultimi due anni a Oxford. Tramite questo scritto intendeva farsi un nome come teorico della società. I frut­ ti del suo lavoro su Husserl non soltanto dovevano aiutarlo a procurarsi il degree inglese, ma dovevano anche sortire l'effetto di dimostrare, nel 273

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contesto della rivista, che egli era un fi l osofo di professione. La sua delu­ sione fu dunque particolarmente amara quando Horkheimer rifiutò di pubblicare sia l'articolo su Mannheim, sia il lungo saggio su Husserl . La redazione di New York era andata avanti per mesi, con estremo fastidio di Adorno, a soppesare i pro e i contro dei due lavori. Mentre la sua aspra critica di principio al " sociologismo " di Mannheim era stata in fondo rifiutata, da parte dell'Istituto, come fu detto, per motivi tattici, a proposito del saggio su Husserl, anch'esso respinto, Horkheimer scrisse che certo «rappresentava un'enorme prestazione intellettuale», ma che presupponeva troppe conoscenze per risultare comprensibile ai lettori della rivista. In una dettagliata presa di posizione dell'ottobre del 1 93 7 inviata all'autore egli motivava le proprie riserve: Nessuno dei Suoi tentativi di dimostrare l'impossibilità dell'intuizione categoriale è davvero convincente. [ . . . ] In quale misura Lei, nella Sua critica, abbia davvero reso giustizia a tutti i livelli della fenomenologia statica e dinamica e a tutti i livelli di significato delle analisi di Husserl, non è possibile distinguerlo nel Suo saggio, per il motivo che esso non inizia con una esposizione esplicita delle teorie che Lei critica. [ . . . ] Per quanto io mi immerga nelle Sue dimostrazioni, non riesco a trova­ re conferma della sua fede appassionata nel fatto che la critica alla fenomenologia di Husserl in quanto forma estremamente avanzata di filosofia borghese coincida con il superamento dei più importanti temi di pensiero che portano all'ideali­ smo

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Poiché il conto di Adorno non tornava, vale a dire non era riuscito a provare la propria competenza di sociologo e di filosofo con questi due saggi, egli reagì con prostrazione e malumore ai due rifiuti che dovette mandar giù a breve distanza l'uno dall'altro. Ad Horkheimer fece notare che dal punto di vista dell' «economia delle forze» era difficilmente soste­ nibile l'idea di far finire in un cassetto quei due saggi su Mannheim e su Husserl. Era pur sempre stato speso tempo e lavoro per i due testi. En­ trambi risultavano importanti per il programma di teoria della società dell'Istituto, dal momento che nel saggio su Mannheim era riuscito a delimitare precisamente la loro posizione rispetto alla sociologia della conoscenza, e nel saggio su Husserl era stata «seriamente avviata la criti­ ca dell'Idealismo» 75• Questa descrizione dei propri intenti, molto sicura di sé, si riferiva in primo luogo alla versione che Adorno aveva preparato per la " Zeitschrift flir Sozialforschung": un'ampia trattazione di oltre cento pagine a stampa, dallo stile un po' enigmatico e recante il titolo 274

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Zur Philosphie Husserls (Sulla filosofia di Husserl) che eventualmente sa­ rebbe potuto uscire a puntate su vari numeri della rivista. Si trattava del­ la versione abbreviata di quello che Adorno definiva il librone su Hus­ serl, il quale nel corso del tempo era cresciuto fino a raggiungere le quat­ trocento pagine dattiloscritte 76• Questa immersione negli scritti di Husserl, la Logica formale e trascendentale e le Meditazioni cartesiane, era stata per Adorno un mezzo per raggiungere uno scopo: la vedeva come «una sorta di preludio critico-dialettico ad una logica materialistica» 77• Ponendosi questo obiettivo specifico, come si avvicinò Adorno alla fenomenologia di Husserl ? Egli non andava alla ricerca in primo luogo di inconsistenze logiche della fenomenologia, bensì la esaminava basan­ dosi sul filo conduttore della dialettica. Il punto di partenza della sua critica era la pretesa della fenomenologia di portare avanti la tradizione di una prima filosofia, cioè di praticare una filosofia le cui premesse teo­ retiche sono determinate da uno «schema gerarchico di un Primo fon­ damentale e di un successivamente da esso Dedotto>> 78• Rimproverava ad H usserl di fissare un principio primo fondato soltanto tramite il pen­ siero, a partire dal quale si potesse comprendere la totalità del mon­ do 79• Allo stesso tempo si volgeva contro l'eredità idealistica di una filo­ sofia che poneva al suo centro il soggetto. Anche se H usserl, con la co­ scienza intenzionale, ha creato una nuova base per la relazione soggetto­ oggetto, la distinzione " soggetto-oggetto " è un «soggetto camuffato» 8 0 • Adorno si spingeva talmente avanti da muovere una critica all' intera fi­ losofia a partire da Cartesio, sostenendo che questa avesse sempre pre­ supposto un fondamento ultimo immutabile. In questo ha luogo il «ri­ torno di soggetto e oggetto nel bel mezzo della soggettività, la duplicità dell'Uno, [ . ] in due tipi di teoria della conoscenza, ciascuno dei quali si nutre dell'inattuabilità dell'altro. Detto in due parole, la gnoseologia del razionalismo e quella dell'empirismo» 8 1 • L'intenzione critica della fenomenologia di Husserl resta ferma a metà strada: «Il concetto di immanenza pone una barriera alla critica immanente» 82 • Nei confronti di esso, la dialettica non nega soltanto l' unità di oggetto e coscienza, bensì fornisce la prova che il «processo vi­ tale reale della società [è] il nocciolo del contenuto logico stesso» 8 3 • In questa affermazione raggiungono il culmine le obiezioni principali, di orientamento materialista, che Adorno muove a Husserl. L'unica alter­ nativa alla fenomenologia, secondo Adorno, è la dialettica. Soltanto il pensiero dialettico, infatti, è in grado di portare alla luce la mediatezza del mondo fenomenico ed in questo modo di caratterizzare la preforma. .

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zio ne sociale dell'esperienza individuale contingente. All'interno di tale concezione di dialettica, non bisogna intendere scorrettamente la dialet­ tica stessa come «asserzione positiva sull'essere», bensì piuttosto come «una direttiva data alla conoscenza a non fermarsi a tale positività» e in sostanza «1' esortazione a condurre avanti la dialettica concretamente» 84. La dialettica non rifiuta la gnoseologia (teoria della conoscenza) in ge­ nerale, essa solleva un'obiezione contro una conoscenza monistica gui­ data dal principio di identità la quale ritenga di essere di per sé priva di contraddizioni e di conseguenza vera. Una conoscenza che totalizza se stessa in questo modo non è altro che «feticismo della conoscenza» 85• Nella sua critica ad Husserl Adorno faceva costantemente riferi­ mento alla storia della filosofia, per mostrare che la fenomenologia si colloca all'interno della tradizione e non rinuncia alle cause ultime. Del­ la teoria di Husserl riguardante la costituzione della coscienza egli accet­ ta che il limite della coscienza sia rivelato a priori. Laddove, tuttavia, nella fenomenologia si parla della " cosa stessa ", i suoi concetti si trasfor­ mano «in invenzione» che sbarra il «ritorno alla fatticità» 86 • Ciò si ma­ nifesta anche nel fatto che il linguaggio della fenomenologia è metafori­ co, di stile floreale e puramente ornamentale. L'aura del concreto rico­ pre completamente i concetti, benché questi siano soltanto "etichette " della coscienza 8 7• Per illustrare il carattere apparente della visione del­ l' essenza egli faceva uso dell' immagine del «fotografo vecchia man iera [ . . ] , il quale avvolto segretamente dal panno nero e dicendo, come for­ mula di scongiuro, che intende mantenere ogni cosa inalterata, alla fine produce ritratti di famiglia del tipo di quelli che vengono conservati nel patrimonio di esempi della fenomenologia pura» 88. Adorno concludeva dicendo che la fenomenologia di Husserl rimaneva all'interno dell' idea­ lismo, della sua concezione monadica dell'individuo. Tale concezione del soggetto in quanto unità chiusa e priva di finestre potrebbe essere eliminata «solo se finalmente la coscienza avesse il dominio su quell' Es­ sere che, solo esprimendo una non-verità, essa affermava sempre fon­ darsi nella coscienza» 89. I n questo scritto, così come nel saggio su Mannheim, Adorno si fece guidare da quella prospettiva materialistica tram ite la quale vengono analizzate forme storiche di coscienza in relazione a strutture economi­ che di produzione. In una lettera ad Horkheimer del dicembre 1 9 3 5 egli confessava pure: «più mi sprofondo in questioni logiche, più le mie opi­ nioni si fanno " ortodosse" . Oggi sono convinto che in generale tutta quanta la posizione assunta dalla filosofia soggettiva dell'immanenza è .

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l'espressione, in realtà, di una coscienza della proprietà [ . . . ] . Non ho quasi più dubbi sul fatto che tutta quanta la nostra logica [ . . ] è formata sul modello delle norme giuridiche le quali, a loro volta, sono destinate alla preservazione di determ inati rapporti di produzione» 90 • Già prima che Adorno delineasse, in varie versioni, la sua critica alla fenomenologia, aveva raccolto i primi appunti per un progetto molto particolare concernente un libro. L'idea risaliva a Horkheimer, sebbene Adorno solo indirettamente si fosse fatto incitare da lui. Sulla scia delle forti impressioni ricavate dalla lettura del volume di aforismi di Hork­ heimer dal titolo Crepuscolo 91 , Adorno aveva cominciato a produrre egli stesso frammenti di testo di quel tipo. Nei suoi aforismi Horkheimer aveva scelto come tema, in modo del tutto non sistematico, questioni di morale, problemi riguardanti il carattere, la metafisica, il movimento dei lavoratori. Il titolo, come indicava l'autore stesso, alludeva al tra­ monto dell'epoca liberai-borghese e all'inizio del total itarismo, a quella " notte dell'umanità" di cui si aveva un presentimento. Il punto di riferi­ mento di quelle riflessioni di critica della società era costituito dall' idea di un socialismo umanistico che tramite l'eliminazione dello sfrutta­ mento econom ico e la liberazione delle capacità umane potesse condur­ re ad un'organizzazione ragionevole della società. Un tratto caratteristi­ co dell'atteggiamento di Horkheimer è quel che egli scrive nell'annota­ zione dal titolo La bassezza è premiata 9 2• Una volta presa coscienza della propria situazione di emigrante, Adorno aveva iniziato a redigere le sue annotazioni. Aveva già avuto modo di sperimentare il genere letterario dell'aforisma, nel quadro delle sue critiche musicali; ora si proponeva di fare uso di quella forma di prosa per riflettere su esperienze storiche. In una lettera ad Horkheimer del febbraio del 1935 Adorno scrive che alle sue riflessioni non si può rimproverare di avere un «linguaggio poco chiaro». Ad Horkheimer an­ nunciava il manoscritto di un libretto di aforismi che «tratta la situazio­ ne dell'epoca del fascismo compiuto. Titolo: il buon compagno. [ . . . ] Ol­ tre a Lei, nessuno conosce l'esistenza di questo progetto. È già parecchio avanzato» 93 • Ciò di cui Adorno parlava in quella lettera sarebbe diven­ tato, deci ne di anni dopo, il suo libro di maggior successo. Già verso la metà degli anni trenta aveva avuto l' idea di scrivere un volume di afori­ smi di quel tipo; nelle annotazioni messe insieme in più parti dieci anni dopo e raccolte in un plico dal titolo Minima Moralia, si trovava un ap­ punto provvisto espressamente della data 1 9 3 5 : Il cattivo compagno (Der bose Kamerad) . Il titolo faceva allusione alla poesia di Ludwig Uhland .

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Der gute Kamerad (Il buon compagno) . In quest'aforisma Adorno inter­ pretava alcune sue esperienze di gioventù, fatte in classe al ginnasio di Francoforte, come anticipazione della brutalità dello stato totalitario. Altri testi di quest'insieme avevano a loro volta una relazione con la vita di Adorno a Oxford, per esempio l'aforisma dal titolo Tough baby, nel quale riflette sul fatto che «l'ideale dei rapporti umani» è diventato il club, «la sede di un rispetto fondato su una riguardosa mancanza di ri­ guardi». Ado rno scriveva che ad Oxford «si distinguono due specie di studenti: i tough guys e gli intellettuali; questi ultimi, nell'antitesi, sono praticamente equiparati a femminucce. Tutto lascia supporre che il ceto dirigente, nella via verso la dittatura, si polarizzi in questi due estre­ mi» 94. Anche l'osservazione riguardante il modo di comportarsi degli intellettuali che, per via dell'esilio, si ritrovavano forzatamente nella po­ sizione di «postulanti rivali» 95, allude a situazioni che Adorno aveva co­ nosciuto in Inghilterra. Il fatto che durante gli anni di Oxford non ab­ bia potuto portare avanti il progetto di scrivere un libro di aforismi non aveva a che vedere soltanto con l'eccessiva quantità di lavoro che doveva svolgere, per via dei suoi impegni accademici e delle sue numerose pub­ bl icazioni. Durante il suo primo anno di esilio in Inghilterra egl i aveva dovuto anche superare due shock, le cui conseguenze andarono a riper­ cuotersi sui suoi personali progetti di lavoro .

. . . e lutti privati Nei mesi in cui annotava i primi appunti di tipo diaristico in uno dei suoi soliti quaderni colorati, in modo da fissare la propria esperienza personale (vale a dire il fatto di essere messo al bando nel proprio paese di nascita e di essere visto, all'estero, come un outsider) mentre era a Ox­ ford Adorno ricevette la notizia che la sua " seconda madre " era stata colta da un colpo apoplettico e stava molto male. Egli fece subito ritor­ no a casa a Francoforte, per far visita, finché questa era in vita, alla zia Agathe Calvelli-Adorno, che aveva sessantasei anni. Naturalmente, Adorno era informato in tutti i particolari sullo stato di salute della so­ rella della madre, la quale fin dall'inizio aveva sempre vissuto in casa con i Wiesengrund nella Seeheimer Stra!Se. Sapeva, ad esempio, che Agathe, già in maggio durante un soggiorno ad Amorbach, aveva subìto un col­ po apoplettico leggero al quale erano seguite serie logopatie. In seguito si verificarono un' insufficienza cardiaca e nuove disfunzioni del cervel-

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lo. I genitori di Adorno lo avevano immediatamente messo al corrente della criticità della situazione. Quando, infine, egli arrivò a Francoforte, la zia era «già totalmente distrutta e aveva quasi incessantemente la mente offuscata o confusa)) . In seguito, scrisse ad Horkheimer di essere rimasto vicino a lei fino all'ultimo: «La morte [il 26 giugno] è stata cau­ sata da una polmonite, cosa che in questi casi di solito si presenta in se­ guito alla paresi della deglutizione e delle funzioni respiratorie)) 9 6. L'annuncio mortuario che venne pubblicato il 1° luglio 1935 sulla " Frankfurter Zeitung" esprime quel che Agathe Calvelli-Adorno aveva significato per la sua famiglia: «Quel che lei ci ha dato, con la profondità e la forza delle sue qualità, in una vita segnata dalla bontà d'animo, non può essere espresso in parole)) . La cremazione ebbe luogo alla presenza dei soli familiari; i Wiesengrund pregarono di astenersi dalle visite di condoglianze. La morte della zia fu per Adorno la dolorosa perdita di una persona alla quale era legato, quasi come a nessun altro, da un rap­ porto estremamente personale basato su una fiducia estrema. Egli de­ scrisse in modo molto chiaro la profondità della sua relazione con Aga­ the in una lettera a Ernst Krenek, nella quale ringraziava l'amico per le sue condoglianze: «Non riesco a dire che cosa significhi per me questa perdita: non la morte di un parente, ma della persona che fra tutte mi era più vicina, del mio amico più fedele, di una creatura naturale presso la quale avevo sempre la possibilità di rigenerarmi . Sono totalmente sconvolto e solo molto lentamente com incio a farm i un'idea di come io possa continuare a vivere. Suona tremendamente esagerato, ma, mi cre­ da, in quello che dico non c'è neanche un pizzico di esagerazione o di sentimentalismo)) 97. Pochi giorni dopo i funerali della zia, Adorno, in­ sieme a sua madre Maria e a Gretel Karplus, trascorse tre settimane nel­ la Foresta nera, nella zona di Hornberg, alla pensione " Baren ", per cer­ care di riprendersi dallo sgomento. Durante quei giorni di vacanza, benché costretto a usare la macchina da scrivere difettosa della locanda, redasse una lunga lettera a Walter Benjamin nella quale si dedicava ad un esame critico del promemoria in cui Benjamin tratteggiava a grandi linee il progetto della sua ricerca sui passages di Parigi. Oltre a ciò, redas­ se en passant un saggio su Gustav Mahler 98 che, pur risultando poco chiaro dal punto di vista linguistico, venne pubblicato sulla rivista musi­ cale viennese "23 " nel maggio del 1936. Già nella prima frase, Adorno metteva in relazione la comprensione profonda dei Kindertotenlieder di Mahler con la propria esperienza, molto personale, e cioè con la morte di una persona cara. Come ogni ricordo, anche il ricordo musicale di 279

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qualcuno che è scomparso da poco tende «alla salvezza del possibile, e cioè di quel possibile che non è stato» . Un tratto caratteristico dell'opera sinfonica di Mahler, sempre secondo Adorno, è la tendenza alla frantu­ mazione e al contempo a un uso libero e costruttivo del tema come ma­ teriale musicale. Un altro punto che veniva sottolineato era il motivo della riconciliazione in una condizione di disperazione. Per questo «ogni composizione di Mahler, dai Lieder eines fohrenden Gesellen alla Nona sinfonia [è] [ . . . ] come un congedo)) 99. Il saggio in cui venivano posti in primo piano i Kindertotenlieder mostra nuovamente in modo molto chiaro quanto Adorno avvertisse la perdita di quel parente stretto, al quale era affezionato senza riserve, come un avvenimento estremamente importante della sua vita privata. Quando, cinque mesi dopo, gli giunse la notizia del tutto inaspettata della morte improvvisa di Alban Berg, egli si ritrovò nuovamente con­ frontato con un evento catastrofico, e ciò sia per quel che concerneva la sua vita personale, sia in relazione alla sua identità di compositore e di teorico della musica. Per via dello scambio di opinioni che i due conti­ nuavano ad intrattenere frequentemente per lettera, Adorno sapeva che Berg era affetto da una foruncolosi fin dall'estate precedente, che il mae­ stro aveva trascorso nella sua amatissima «casetta nel bosco)) ad Auen sul lago Worther, e che questi cercava di curarsi con rimedi casalinghi, sen­ za l'aiuto di un medico 1 00 • Berg, probabilmente, faceva a meno delle cure mediche per motivi economici; in seguito alla politica nazionalso­ cialista di proscrizione, infatti, come leggiamo in una sua lettera ad Adorno, le cose per lui andavano sempre «peggio finanziariamente)) 1 01 • Dopo l'avvento al potere dei nazisti la musica di Berg era stata proibita, perché " degenerata ". Per questo Wilhelm Furtwangler aveva rifiutato di allestire a Berlino la prima rappresentazione della sua nuova opera, Lu­

lu 1 0 2.

Comunque, qualsiasi fossero i motivi determinanti per cui Berg si rifiutasse di consultare un medico, quella trascuratezza avrebbe avuto amare conseguenze. Soma Morgenstern, l'amico comune di Berg e Adorno, racconta che la moglie del compositore «dopo aver sterilizzato un paio di forbici facendole bollire, aveva lei stessa aperto la pustola e fatto uscire il pus)) 103• Pochi giorni dopo questo sconsiderato procedi­ mento si erano presentati i primi sintomi di setticemia e Berg, nella not­ te del 17 dicembre 1935, era stato ricoverato all'ospedale, al Rudolfsspi­ tal . Le trasfusioni di sangue che gli vennero praticate furono inutili; la speranza di Berg, il quale superstiziosamente pensava che il 23 la sua si280

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tuazione avrebbe cominciato a migliorare, non si realizzò 1 04• «Circa dieci minuti dopo mezzanotte Helene [Berg] , con il viso stravolto e tor­ cendosi le man i, venne alla porta insieme alla sorella la quale, in piedi per le scale, annunciò [ai molti amici di Berg che stavano aspettando] " è finita")) 10 5• Alban Berg, per il quale Anna Mahler aveva realizzato l a ma­ schera funebre, venne tumulato nel cimitero di Hietzing nel primo po­ meriggio del 28 dicembre. Pochi mesi prima aveva ancora potuto festeg­ giare il proprio cinquantesimo compleanno. La sua seconda opera, Lu­ lu, un'elaborazione musicale delle tragedie di F rank Wedekind, Lo spiri­ to della terra e Il vaso di Pandora (sulla cui trama la sua attenzione era stata richiamata da Adorno, ma anche, evidentemente, da Morgen­ stern ) , restò incompiuta 1 06• Berg aveva portato a termine la composi­ zione dell'opera, ma non aveva ancora completato la strumentazione; parti del terzo atto erano disponibili soltanto in forma di abbozzo. Nel­ l' anno della sua morte, Berg aveva ancora portato a termine il Concerto per violino, una composizione commissionata dal violinista Louis Kra­ sner, la quale sarebbe diventata il suo requiem. Come Adorno ricordava, il compositore, facendo dell'autoironia scherzosa, aveva in un certo sen­ so " anticipato " la propria morte precoce durante varie passeggiate, quando si divertiva a comporre necrologi fittizi che, nelle loro lodi, lo definivano «un compositore nullatenente, ma di molto valore)) . Tornato da Oxford per le feste di Natale del 1935, Adorno si trovava a Francoforte quando Ernst Krenek lo informò di quel tragico evento. E così egli rispose all'amico di Vienna: «Non riesco a dirLe quanto mi ab­ bia colpito quest'ennesima disgrazia)) . La lettera continua considerando la grottesca circostanza in cui una malattia relativamente innocua possa d'un tratto portare alla morte; ma un pensiero continuava a tormentare Adorno: «Che la morte di Berg è stata causata dalle sue condizioni ma­ teriali. Basta cercare di farsene un' idea concreta: se non avesse voluto ri­ sparmiare sarebbe andato, pur con qualche timore, dal medico. Il fatto che non si sia deciso ad andarci dovendo pensare ai soldi è stato letale. L' idea che oggi l'esistenza di un'intell igenza produttiva come quella di Berg dipenda da questo genere di cose è già più che sufficiente perché si traggano le conseguenze più radicali dal mondo che ci circonda)) 10 7• Il fatto che Berg sia morto per una malattia di cui non ha saputo giudicare le conseguenze e che ha trascurato, il fatto che egli non abbia voluto «vedere il pericolo o [ abbia voluto] im maginarlo legato alla data del 23 , numero fatale della sua singolare mistica, fu l'ultima cupa finzione di

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un'esistenza che solo come finzione di un disperato poté mantenersi per mezzo secolo tra il sonno e la morte nella musica» 10 8• Nella sua lettera a Krenek, Adorno faceva allusione al fatto che en­ trambi erano a conoscenza dell' «oscuro segreto» che era legato alla mor­ te di Berg. Ricordava i colloqui confidenziali che avevano avuto a Ox­ ford nell'estate del 193 5, quando Krenek aveva soggiornato per qualche tempo in Inghilterra 109• Nella sua risposta del gennaio del 1936 Krenek torna sull'allusione fatta da Adorno mettendo in relazione quel segreto con il tema della Lulu: quel che vi è di fatale nella bellezza femminile, la sua forza di seduzione, il lato distruttivo della [emme fatale. Le parole che concludono il prologo dell'opera ne riassumono l' idea: «Creata per diffondere sventura, l per sedurre, adescare, avvelenare . l per uccidere senza dar nell'occhio !». Uno dei segreti che circondava la morte di Berg era legato al rim­ provero che Morgenstern avrebbe sollevato trent'anni dopo, secondo cui Helene Berg sarebbe stata in parte responsabile del fatto che suo ma­ rito avesse avuto una scepsi, dopo quell'operazione casalinga con le for­ bici 1 10 • L'altro segreto era la lunga relazione amorosa, appassionata ma piena di rinunce e per questo infel ice, che il compositore aveva con Hanna Fuchs, una sorella di Franz Werfel che dal 1917 era sposata con l'industriale Herbert Fuchs-Robettin e viveva a Praga. A quell'amante segreta Berg fece pervenire un esemplare a stampa, a lei dedicato e pieno di an notazioni meticolose, della sua Suite lirica che aveva composto per lei nel 1925-26. Nelle fervide lettere che Berg scrisse ad Hanna Fuchs tra il 1925 e il 1934 egli esprimeva la sua grande disperazione, causata dal fat­ to che ai due fosse vietato di vivere il loro amore. Nella lettera del di­ cembre 1928 leggiamo : «E sento in modo sempre più chiaro, soprattutto negli ultimi tempi, che per me va sempre peggio. Sotto tutti gli aspetti ! O per lo meno in tutti quegli aspetti che potrebbero ancora farci appari­ re la vita sopportabile. E non sarebbe neanche naturale: sappiamo benis­ simo quando, in realtà, è finita questa mia vita - cercare di forzarla a continuare come prima è stato soltanto un tentativo» 1 11 • Il segreto che, secondo Krenek, era già nascostamente presente come motivo nel Wozzeck, ma in particolare nella Lulu, si svelò con la morte di Berg: si trattava dell'impossibilità di condurre una vita nella ri­ nuncia. Berg aveva parlato ad Hanna in modo piuttosto chiaro, in quel­ la lettera, della sua sensazione che non ci fosse alcuna via d' uscita. In essa leggiamo che egl i viveva «sepolto» nella sua casa della Trauttmans­ dorffgasse 11 2• A quanto pare, Adorno e Krenek si erano accorti di que.

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sto stato d'animo così cupo 1 1 3• Per questo erano convinti che non sol­ tanto le Suite lirica, ma anche le grandi opere liriche di Berg, seppure in modi differenti, fossero l'elaborazione, il prodotto della sua solitudine, della sua disperazione. Nella prima recensione, del 1 936, del brano sin­ fonico tratto dalla Lulu che Adorno pubblicò sulla rivista musicale " 23 " , s i dice, per esempio, della forma retrograda dell'ostinato : «Il tempo scorre e ritorna su se stesso e nulla indica in che modo uscirne se non il gesto di chi ama senza speranza>> 11 4. Adorno aveva appena cominciato a elaborare il lutto per la morte del maestro e dell'amico, naturalmente nella forma che più gli si addice­ va, vale a dire redigendo un ricordo scritto dello scomparso e un'inter­ pretazione della sua musica; e tutto ciò lo faceva, nel rivolgersi a Krenek, difendendo in modo singolarmente critico il proprio modo tutto perso­ nale, e ancora allo stadio di sviluppo iniziale, di fare un elogio funebre di Berg 11 5• Egl i si rivolgeva a Krenek perché questi, agl i occhi di Adorno, era l'interlocutore più competente tra coloro che erano responsabili del­ l'impostazione del numero speciale progettato da Willi Reich in occa­ sione della morte di Berg. Dal momento che era del tutto certo del suo amore per Berg e che per lui non c'era alcun dubbio sulle sue prestazioni in quanto compositore e in quanto autore di opere liriche, poteva anche «cercare gli errori» del defunto. «Non per difenderli», queste le parole di Adorno, «ma perché non esiste amore che non risieda negli errori, e per­ ché anche il ricordo, tuttavia, dev'essere così autentico da poter pren­ derne coscienza in ogni momento senza vergogna, anche davanti agli er­ rori. Parlare degli errori di una persona cara è l' ultimo atto d'amore che si può compiere nei suoi confronti» 11 6• Alla fine di questa giustificazio­ ne, in realtà superflua, del fatto che al suo necrologio potesse essere mossa la critica di «mancare di trasporto e di tono panegirico», Adorno tornava a parlare dell' «oscuro segreto» di cui lui e Krenek erano al cor­ rente, senza però volerlo rivelare. A parte la frase, infatti, in cui si sugge­ riva di decifrare la configurazione compositiva del tempo musicale nel pezzo sinfonico tratto dalla Lulu come «gesto di chi ama senza speran­ za», nei due contributi di Adorno per la rivista musicale viennese si tro­ vavano solo poche altre allusioni nascoste agl i anni difficili del composi­ tore, i quali in effetti erano lacerati e divisi tra un sentimento di dispera­ zione e la speranza di poter realizzare i propri desideri . Soltanto in un te­ sto scritto in seguito Adorno si occupò della relazione, trattata a livello drammaturgico nell'opera, tra il personaggio del compositore Alwa (che ha tratti autobiografici di Berg) e Lulu: l'amore proibito che Alwa nutre

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per Lulu, sposata con suo padre, è, per Adorno, la prospettiva dalla qua­ le Berg ha composto la propria musica, la quale «si dona» al personaggio principale «come alla Bella l'artista votato alla morte» 11 7. A proposito della passione di Berg, Adorno si espresse in modo de­ cisamente più chiaro in un'altra lettera; prima di scriverla egli fece però passare più di quattro mesi e infine la indirizzò alla vedova, a Vienna. Con espressioni piuttosto cavillose vi parlava delle ispirazioni poetiche alle quali si doveva la Suite lirica 11 8 • Ad Helene Berg dichiarava di non aver potuto prescindere da esse nell'interpretazione dell'opera. Dal tono di quella lettera traspare il fatto che non gli era riuscito facile scrivere quell'ammissione nei confronti della moglie di Berg. Nella sua interpre­ tazione egli definiva pur sempre il secondo quartetto d'archi «un virtuo­ sismo della disperazione». Il «personaggio musicale cui nascostamente si allude» nella Suite lirica è, in modo analogo alle due grosse opere Woz­ zeck e Lulu, colei che «non domina il mondo estraneo nell 'amore)) 11 9• Per caratterizzare l'allegro misterioso del terzo tempo scomodava un'asso­ ciazione poetica. In quanto «ansante poesia sonora)) ' di solito composta sul ponticello e col legno, fa pensare ad «una scena disperatamente ap­ passionata, ma sussurrata trattenendosi, che a tratti osa esplodere, per poi tornare a chiudersi in un sussurrio febbrile)) 1 20 • Berg, nella lunga lettera con la quale confessava ad H anna Fuchs che la Suite lirica era l'e­ spressione del loro amore le spiegava anche che l'allegro misterioso de­ scriveva «la misteriosità e il sussurrato del nostro stare insieme, nei qua­ li, come un trio estatico è avvolta la prima breve esplosione dell'amo­ re)) 1 21 • Molto fa pensare che Berg, allora, abbia comunicato al proprio allievo quella sua intenzione musicale e che questo, in seguito, abbia fat­ to uso di ciò che era venuto a sapere. N ella sua lettera a Helene Berg Adorno le rivelava di essere stato a conoscenza fin dall'inizio di quel segreto di suo marito . Forse per con­ solare la vedova affermò, benché sapesse che non era vero, che Berg aveva avuto bisogno di un desiderio inappagabile «per poter scrivere la Suite lirica e non aveva scritto la Suite lirica per amore)) 122 • Infine arri­ vò addirittura ad affermare che quella relazione d'amore non era stata altro che un «errore romantico)) , Hanna Fuchs (di cui nella lettera no­ minava solo le iniziali H . F.) era «una bo rghese in tutto e per tutto, la quale era stata sfiorata dalla possibilità di essere diversa, ma non era stata in grado di realizzarla)) 123• Alla fine della lettera egli sconsigliava addirittura la destinataria di lasciare ad Hanna Fuchs la partitura origi­ nale della Suite lirica. Quella partitura non andava degradata a «pezzo

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da museo», non bisognava «sacrificarla in modo sbagliato», era «troppo bella per andare a soddisfare il narcisismo di una signora che si annoia­ va a morte» 124• La lettera testimonia che ad Adorno premeva molto non soltanto mantenere e coltivare la relazione che aveva con Helene Berg, ma anche mettersi in luce come persona di fiducia. E non lo fa­ ceva senza un secondo fine. Già allora aveva in mente di trovare e di proporre un compositore che potesse completare la strumentazione della parti mancanti della Lu­ lu. Egli pensava, del tutto giustamente, che la sua forma frammentaria ne impedisse la rappresentazione nei teatri dell'opera del mondo intero, dove invece quel capolavoro del dramma musicale avrebbe dovuto esse­ re di casa. E dal momento che un'opera non è un " testo sacro ", una per­ sona pratica del modo di comporre di Berg avrebbe potuto completare la parti tura secondo le intenzioni di chi l'aveva creata. Adorno si preoc­ cupava di come si sarebbe dovuto procedere in quel caso e, sulla scia di questi pensieri, si sprofondò nell'opera di Berg: «Sto studiando con lui per la seconda volta» 12 5, scrisse a Krenek da Oxford. Egli dichiarava che questo modo di dedicarsi alla cosa era il suo tentativo di venire a capo del lutto . All'am ico viennese scrisse nel febbraio del 1936: «Con il lavoro sto superando lentamente la morte di Berg» 126 . Quella perdita, tuttavia, restò presente: nel maggio del 1936 aveva ascoltato, a Londra, il concer­ to in ricordo di Berg trasmesso dalla radio, durante il quale era stato ese­ guito anche il concerto per violino, con Louis Krasner come solista e sotto la direzione di Anton Webern. Ancora un anno dopo, Adorno, in una lettera a Horkheimer, rifletteva sulla morte e sulla «speranza nell'al­ dilà che hanno i cattolici» . Contro la critica di Horkheimer alla dottrina cristiana egli esprimeva la sua convinzione secondo cui non si può pen­ sare «alla morte di una persona cara, al fatto di averla perduta per sem­ pre, senza nutrire un speranza, per coloro che hanno subito un'ingiusti­ zia, quell'enorme ingiustizia che è la morte» 127. Su iniziativa di Willi Reich si tornò sull'idea di pubblicare una mo­ nografia su Berg contenente una scelta dei suoi scritti, alla quale, oltre a Ernst Krenek, avrebbe dovuto partecipare anche Adorno, con dei con­ tributi di analisi musicale. Egli non si fece pregare per collaborare ad un libro che avrebbe dovuto difendere la causa delle opere di Berg 128 . Mal­ grado tutti gli impegni che aveva, Adorno si mise all'opera e scrisse la maggior parte dei saggi che vennero raccolti nel volume curato da Willi Reich e che uscì a Vienna nel 1937 129• Dal momento che egli aveva scritto quelle otto analisi compositive con l'intenzione di mostrare la

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complessità dell'opera di Berg, i testi erano tutt'altro che introduttivi. A Krenek aveva scritto, un po' malignamente, che in quel libro non si do­ veva «in nessun caso respirare quell'aria asfittica da panegirico che gene­ ralmente circola nelle monografie)) 1 30 A lui importava molto di più get­ tar luce sull'opera compositiva attraverso varie analisi di orientamento metodologico diverso, in modo che le «tendenze contrarie)) nello svilup­ po della musica di Berg diventassero chiare. Se si richiama alla mente il numero di lavori scientifici di natura dif­ ferente che Adorno riuscì a scrivere fino alla metà del 1 936, malgrado il fardello personale di aver perduto due persone importanti, è difficile immaginare che la sua macchina da scrivere Undetwood abbia mai fatto una pausa. È comprensibile che in una lettera a Horkheimer compaia anche la frase: «Sono completamente esausto per la fatica estrema degli ultimi tre mesi)) 1 3 1 • Dell'eccesso di lavoro si lamentò anche con Benja­ min, in una cartolina che gli mandò nel gennaio del 1936 da «un Caffè totalmente buio, nel cuore della city di Londra, circondato da sensali dello zucchero che giocano a domino - un posto che non vorrei mostra­ re a nessuno oltre che a Lei)) 1 3 2 • Aveva tutti i motivi di mandare un gran sospiro, per via della fatica estrema dovuta anche soltanto ai testi di na­ tura diversa che egli produceva parallelamente e che voleva o doveva ter­ minare quasi allo stesso tempo. A questa instancabile attività di pubbli­ cista veniva ad aggiungersi una corrispondenza sempre più ampia, che proprio in quel periodo richiese tutta la sua attenzione.

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Scrivere lettere cotne rassicurazione filosofica. Controversie con Benjamin, Sohn- Rethel e Kracauer

Mentre Adorno, ad Oxford, si lamentava per il troppo lavoro che egli, ovviamente, si era per la maggior parte autoimposto, faceva anche tutto quello che era in suo potere per aiutare Walter Benjamin, il quale , in esilio a Parigi, si trovava in una situazione molto difficile dal punto di vista finanziario. Dal 1934 Benjamin, la persona che era intellettual men­ te più vicina ad Adorno, viveva ai limiti della sussistenza e, all'inizio, era stato costretto ad alloggiare in semplici camere d'albergo poco costose 1 • Adorno non intercedette con energia soltanto presso il direttore dell'I­ stituto per la ricerca sociale affinché facesse in modo di migliorare la tri­ ste condizione materiale di Benjamin. A questo scopo egli mobilitò an­ che persone che facevano parte della sua cerchia privata più stretta, come ad esempio Else Herzberger, che era una facoltosa donna d'affari ed un'amica di vecchia data della famiglia Wiesengrund, la quale non si mostrava sfavo revole ad aiutare temporaneamente dal punto di vista fi­ nanziario intellettuali ed artisti che erano stati costretti ad emigrare. An­ che G retel Karplus, da Berlino, faceva tutto il possibile. I pagamenti regolari che l'Istituto per la ricerca sociale versava a Benjamin dal 1934 erano legati ad incarichi di ricerca e a pubblicazioni. Di queste faceva parte, all'inizio di quella collaborazione che presto di­ ventò fissa, uno studio sullo storico del costume Eduard Fuchs che Ben­ jamin continuava a rimandare, e soprattutto la continuazione della ri­ cerca sui passages di Parigi 2 che egli aveva progettato come una storia originaria del XIX secolo. Parigi avrebbe dovuto essere il luogo in cui Benjamin - ormai obbedendo a costrizioni esterne - aveva intenzione

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di portare a termine il suo Passagenwerk 3• Un passo in questa direzione era stato fissare per iscritto la suddivisione per argomenti dello studio, nella forma di un exposé dettagliato che egli aveva redatto per l'Istituto per la ricerca sociale. Mentre la ricerca precedente, che Benjamin aveva iniziato verso la metà degli anni trenta insieme allo studioso di letteratu­ ra Franz Hessel, era stata provvisoriamente intitolata Una fantasmagoria dialettica; il titolo del nuovo progetto, dall'orientamento sociologico, era Parigi, la capitale del XIX secolo. Quando Ado rno venne a conoscen­ za, per lettera, del fatto che Benjamin recentemente aveva l'intenzione di procedere in quella sua ricerca partendo da una prospettiva fonda­ mentalmente storico-sociologica, ebbe qualcosa da eccepire quanto a quell'obiettivo, dicendo che da Benjamin ci si aspettava molto di più, e cioè una « teoria filosofica» la quale «può trovare la sua dialettica solo nella polarità di categorie sociali e teologiche» 4• Adorno nutriva il so­ spetto che quella limitazione del lavoro sui passages, che sembrava rifarsi ad un'analisi sociologica, fosse una concessione alle aspettative di Hork­ heimer e dell'Istituto per la ricerca sociale, dal quale Benjamin dipende­ va finanziariamente. Nella sua lettera a Benjamin del maggio del 1 935 Adorno aveva sottoli neato con insistenza: «Consideri il lavoro sui passa­ ges non solo come centro della Sua filosofia, ma anche come la parola decisiva che oggi può essere detta dalla filosofia; come impareggiabile chefd'feuvre e dunque decisivo in tutti i sensi [ . . . ] , al punto che qualsiasi riduzione dell'intima amb izione del lavoro e quindi necessariamente ogni rinuncia alle sue categorie adeguate mi sembra una catastrofe» 5 • Le categorie per l'interpretazione dei fenomeni sociali, come ad esempio la galleria commerciale o il grande magazzino, andavano ricavate dall' ana­ lisi immanente del materiale e non introducendo categorie già date. Così facendo, infatti, sussiste il pericolo che «i concetti marxisti [si pre­ sentino] alquanto astratti e isolati [e fungano] da dei ex machina» 6 • Adorno confessava all'amico di aver fatto egli stesso, nel proprio lavoro, l'esperienza di quella carenza; può darsi che dicendo questo si riferisse al vecchio saggio Sulla condizione sociale della musica, il quale in parte con­ teneva modelli interpretativi marxisti ortodossi, secondo lo schema fon­ dato sulla base eco nomica e la sovrastruttura culturale. Ora affermava di essere convinto «che siamo tanto più reali quanto più profondamente e coerentemente restiamo fedeli alle origini estetiche, e che diventiamo estetici soltanto quando le rinneghiamo» 7. All'inizio di giugno Adorno ebbe per la prima volta tra le man i il progetto del nuovo exposé del lavoro sui passages, scritto su proposta di 288

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S C RIVERE LETT E R E C O M E RAS S I C U RAZ I O N E F I LO S O F ICA

F ritz Pollock. La sua reazione fu piuttosto contenuta. In quell' exposé Benjamin forniva un prospetto, suddiviso in sei brevi parti, contenente i temi e gli oggetti che intendeva trattare nel voluminoso libro che pro­ gettava. Si trattava del primo tentativo di ordinare la grande quantità di materiale che da anni andava raccogliendo, costituito da innumerevoli citazioni, riflessioni e commenti. Come l'autore stesso dichiarava, il suo punto di riferimento era la categoria marxista del «carattere di feticcio della merce» 8. Essa gli serviva come categoria informatrice, per spiegare gli effetti dell'economia capitalista - «I' intronizzazione della merce» 9 sulla cultura tradizionale. Benjamin aveva in mente di analizzare il ca­ rattere di valore di scambio delle merci là dove esse vengono adorate come feticci: nelle vetrine delle gallerie commerciali o nei templi dei grandi magazzini parigini. Intendeva rendere chiaro che in quei luoghi i valori di scambio della merce vengono glorificati come patrimonio cul­ turale. Benjamin voleva elaborare la descrizione della «fantasmagoria in cui l' uomo entra per lasciarsi distrarre» 1 0 all'interno di una teoria stori­ co-filosofica del sogno della collettività. N e i sogni «la collettività cerca di eliminare o di trasfigurare l'imperfezione del prodotto sociale, come pure i difetti del sistema produttivo sociale>> 11 • Per via del loro carattere al contempo eliminante e trasfigurante Benjamin definiva i sogni im­ magini dialettiche. L'ambiguità, la caratteristica generale dell'epoca, era «I' apparizione figurata della dialettica, la legge della dialettica nell' im­ mobilità. Questo arresto, o immobilità, è utopia, e l'immagine dialetti­ ca un'immagine di sogno. Un'immagine del genere è la merce stessa: come feticcio» 12 • Dopo aver studiato attentamente questa e altre formulazioni talvol­ ta apocrife dell'exposé, all' inizio di luglio, Adorno espose le sue obiezioni e le sue riserve in una lunga lettera che scrisse nell'agosto del 1935 duran­ te le vacanze che trascorse nella Foresta nera. In questa lettera detta la "lettera da Hornberg" Ado rno, in toni come sempre amichevoli, criti­ cava il modo in cui Benjamin aveva introdotto il teorema dell'immagi­ ne dialettica, e cioè come trasposizione del feticismo della merce nella coscienza collettiva. Adorno si ostinava a dire che il feticismo della mer­ ce - il fenomeno, cioè, per cui le relazioni sociali tra gli esseri umani vengono esperite come rapporti tra oggetti - non è per nulla un «dato della coscienza», bensì «è dialettico nel senso eminente che esso produce coscienza. Questo significa però che la coscienza - o l'inconscio - non è in grado di riprodurlo semplicemente come sogno» .

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Ancor più nettamente egli rigettava il concetto di coscienza colletti­ va che Benjamin aveva adottato, dicendo che «la coscienza collettiva è stata inventata soltanto per distrarre l'attenzione dalla vera oggettività e dal suo correlato, ossia la soggettività estraniata» 1 3. È possibile comprendere quanto fosse importante per Adorno spie­ gare la categoria della merce secondo il significato attribuitole dalla teo­ ria economica sviluppata da Marx, se si osserva che egli aveva affrontato quel punto dolente già nella sua prima, ed ancora provvisoria, presa di posizione a proposito dell' exposé. Benjamin, secondo Adorno, conferi­ sce un carattere troppo generale alla categoria di merce per poter poi, tramite essa, «schiudere in specifico il XIX secolo; e non sarà sufficiente definirla più precisamente da un punto di vista solo tecnologico - in termini di "prodotto industriale"» 1 4• Adorno non risparmiava Benja­ min neanche per quel che concerneva la formulazione storico-filosofica secondo la quale il nuovo storico si compenetra col vecchio. Secondo Adorno era "adialettico " mettere in correlazione l'arcaico con l'immagi­ ne della società senza classi. Occorreva considerare che «il più nuovo, in quanto apparenza e fantasmagoria, è esso stesso il vecchio». Di conse­ guenza «la categoria in cui nella modernità l'arcaico si risolve [è] non tanto l'età dell'oro quanto la catastrofe» 1 5• Adorno non condivideva as­ solutamente la rappresentazione speculativa secondo la quale occorreva aspettarsi un risveglio nella storia futura non appena i fondamenti eco­ nomici del XIX secolo fossero tramontati. Adorno non aveva avuto peli sulla lingua nell'esporre le riserve che nutriva nei confronti dell' exposé, che alla fine Benjamin rielaborò più volte, ma che finché visse non pubblicò mai, né nella versione tedesca, né in quella francese 16 , e con la stessa franchezza si espresse anche a proposito di un altro saggio dell'amico. Si trattava di L 'opera d'arte nel­ l'epoca della sua riproducibilità tecnica, che insieme agli studi su Baude­ laire sarebbe dovuto andare a far parte dei futuri passages. Benjamin aveva messo su carta quel saggio sull'opera d'arte 1 7 durante i mesi in cui Adorno aveva lavorato alla sua critica della musica jazz e ai sette contributi per il volume su Alban Berg. Benjamin ed Adorno, anche se da prospettive differenti, si occupavano dunque di problematiche rav­ vicinabili; il loro interesse era rivolto ai mutamenti della forma e del contenuto delle diverse manifestazioni dell'arte moderna, della loro produzione e ricezione nella società post-borghese 1 8. Mentre l'esiliato a Parigi intendeva «i ndividuare il carattere nascosto della struttura nel­ l' ambito dell'arte attuale» 1 9, le riflessioni del borsista di Oxford erano

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guidate dal timore che le conquiste estetiche dell'arte radicale d' avan­ guardia cadessero vittime dei meccanismi integrativi della cultura di massa. Al centro dell'analisi benjaminiana del rapporto tra arte e riprodu­ zione tecnica si trovava il concetto di " aura" 20 , che era la caratteristica principale dell'opera d'arte tradizionale. Secondo Benjamin, per via del­ la riproduzione in massa delle immagini che avviene con l'ausilio della fotografia e del cinema l'arte perde, insieme al suo aspetto tramandato, anche la sua qualità auratica primitiva: Ciò che vien meno nell'epoca della riproducibilità tecnica è l'" aura" dell'opera d'arte. Il processo è sintomatico; il suo significato rimanda al di là dell'ambito arti­ stico. La tecnica della riproduzione, così si potrebbe formulare la cosa, sottrae il ripro­ dotto dall'ambito della tradizione. Moltiplicando la riproduzione, essa pone alposto di un evento unico un a serie qu antitativa di eventi. E permettendo alla riproduzione di venire incontro a colui che ne fruisce nella su a p articolare situ azione, attu alizza il ri­ prodotto . Entrambi i processi portano a un violento rivolgimento che investe ciò

che viene tramandato - a un rivolgimento della tradizione, che è l'altra faccia della crisi attuale e dell'attuale rinnovamento dell'umanità

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Il centro dell'argomentazione di Benjamin consisteva nel fatto che egli trovava un lato buono nella «liquidazione del valore tradizionale dell'e­ redità culturale». Egli approvava dunque la «distruzione dell'aura)) ed il venir meno del criterio «di autenticità nella produzione dell'arte)) 22• Dal momento che l'opera d'arte, nel passaggio dal XIX al xx secolo, vie­ ne determinata dal suo «valore di esponibilità)) ' ecco che la funzione so­ ciale dell'intero dominio dell'estetica cambia. Invece di orientarsi teolo­ gicamente secondo il rituale, ecco che le si presenta il compito rivolu­ zionario di liberare i potenziali creativi repressi delle masse. Prendendo ad esempio la tecnica di montaggio del film muto delle avanguardie de­ gli anni venti Benjamin cercava di dimostrare che, con il rivolgimento storico del modo di produrre e di recepire esteticamente, l'arte per la prima volta nella storia poteva essere un mezzo della rivoluzione politi­ ca: nella «ricezione collettiva simultanea)) delle scene filmiche, nella «ri­ sata collettiva)) del pubblico, quest'ultimo organizza e controlla se stesso e diventa competente tramite un esercizio costante di ricezione. Tale effetto emancipante di un'arte di massa privata di aura era un mezzo, secondo Benjamin, da usare contro l'«estetizzazione della politica))

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operata dal fascismo, alla quale egli opponeva la «politicizzazione del­ l' arte» 23 • S u queste tesi, che Benjamin aveva concepito come una sorta di pendant a Parigi, la capitale del xrx secolo 24, Adorno non concordava per niente. Dal marzo del 1936 aveva in lettura una versione tedesca ed una francese del testo. In quello stesso mese rispose con una critica ge­ nerale di cui egli elencò i motivi in una lunga lettera. Dal suo punto di vista non era assolutamente accettabile definire l'opera d'arte autonoma tramite la sua «aura magica», era molto più il magico che si intrecciava con il «segno della libertà» 25• Il momento della libertà dell'arte consiste­ va tuttavia, principalmente, «nell'osservanza della legge tecnologica» dalla quale risulta il suo carattere costruttivo. Per Adorno si trattava di carenza di pensiero dialettico quando Benjamin paragonava l'arte auto­ noma e l'aura, e così facendo conferiva dunque indirettamente all'arte una «funzione controrivoluzionaria» 2 6 • Adorno rifiutava decisamente la tesi secondo la quale un presunto effetto emancipante del cinema pote­ va contribuire a far sì che il proletariato prendesse coscienza della pro­ pria posizione di potenziale soggetto storico e che in questo modo si po­ nesse freno al suo imborghesimento ormai da tempo avvenuto. Adorno controbatteva intransigente nei confronti di Benjamin dicendo che «la risata degli spettatori cinematografici non era né buona né rivoluziona­ ria, bensì piena del peggiore sadismo borghese» 27• L'idea secondo la quale «il reazionario, tramite la sua competenza di fronte a un film di Chaplin, si trasforma in personaggio d'avanguardia» non è altro che un'illusione, «una totale romanticheria» 28 • Anche un film come Mo­ dern Times era ben l ungi dall'essere all'avanguardia. Anzi, esso traeva i suoi effetti da un'apparenza auratica che viene prodotta nell'insieme dalla cultura di massa. Con questo riferimento alla cultura di massa ve­ nivano toccati argomenti che Adorno aveva trattato in modo più preci­ so nel suo saggio sul jazz, scritto in quello stesso periodo; circa dieci anni dopo egli affronterà questi argomenti in tutta la loro portata elabo­ rando la teoria dell'industria culturale. In molti passi di quella lettera Adorno metteva in guardia il proprio corrispondente dal pericolo di un ' influenza troppo marcata da parte di Bertold Brecht, e così facendo non soltanto prendeva le distanze dall' in­ terpretazione del marxismo che Brecht forniva, ma discuteva anche sul modo in cui questi impegnava l'arte in politica. Una concezione dialet­ tica dell'arte e della cultura di massa - «una dialettica tra gli estremi» era possib ile soltanto al prezzo di una totale «eliminazione dei motivi

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brechtiani» 29. Il modo in cui Benjamin tentava di unire il materialismo di Marx con una sorta di messianismo filosofico agli occhi di Adorno ri­ sultava estremamente sospetto. Egli defin iva questo tipo di materiali­ smo " antropologico " ed accusava Benjamin dicendogl i che per lui «la misura della concrezione [era] il corpo dell'uomo». Tale ontologia adia­ lettica del corpo era una concezione «a cui non poteva prestare ubbi­ dienza» 30• Le accese discussioni tra Adorno e Benjamin di cui troviamo chiara testimonianza nel loro carteggio risalente agli anni 1935 e 1936, sono un segno del fatto che il più giovane dei due cercava di differenziarsi dal più anziano e che cercava di trovare una propria posizione. Lo studio approfondito della fenomenologia di Husserl, il fatto di aver ripreso a occuparsi di Hegel e, in seguito, la lettura di alcune opere di Marx 31 avevano, evidentemente, incrementato l'autonomia del suo modo di fare filosofia. La critica alle tesi fondamentali di Benjamin, che aveva formulato nelle sue lettere e che aveva esposto durante gli incontri con l'amico, per Adorno aveva anche lo scopo di proteggere la sua idea di dialettica antitetica da una commistione con categorie teologiche e po­ litiche e con figure di pensiero messianiche ed escatologiche, tutti ele­ menti che comparivano nell'opera di Benjamin. Proprio questi furono i temi più importanti affrontati nei loro incontri a Parigi degli anni 1936-37. I due amici si ritrovavano o nell'hotel preferito di Adorno, il " Littré", o in uno dei famosi Caffè di St. Germain. Dal momento che Benjamin conosceva perfettamente la capitale francese, che anche Adorno amava molto, non c'era nessun problema a trovare sempre luo­ ghi piacevoli non soltanto per i colloqui personali, ma anche per gusta­ re le specialità culinarie che Parigi aveva da offri re. Oltre a ciò, Ado rno apprezzava molto i musei parigini, ed il J eu de Paume in particolare lo aveva molto colpito. Era lì che aveva imparato a vedere le differenze tra il conciliante Impressionismo tedesco e la corrente più scioccante del­ l'Impressionismo francese. Era affascinato tanto dai paesaggi innevati di Sisley quanto dalle nature morte di Monet e Cézanne e non gli sfug­ giva la spettacolarità dei quadri di van Gogh, mentre la sua avversione per Toulouse-Lautrec cresceva 32• La lettura critica che Adorno faceva di Benjamin, la quale non escludeva l'approvazione entusiastica, come nel caso del volume Uomini tedeschi, che Benjamin aveva pubblicato nel 1 936 in Svizzera con lo pseudonimo Dedef Holz 33, si indirizzava con chiarezza crescente contro ogni forma di im mediatezza. La sua cri­ tica mirava alle false mediazioni 34. La pietra dello scandalo era costitui293

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ta dal «tratto mistificante» del pensiero di Benjamin 35• Ciò concerneva soprattutto, nel 1936, la mistificazione del movimento operaio e della rivoluzione proletaria. Adorno dunque, in una lettera ad Horkheimer, scrisse che Benjamin aveva la tendenza - e in questo subodorava nuo­ vamente l'influenza deleteria di Brecht - a fare affidamento «sul prole­ tariato come su un cieco spirito universale». Una speranza del genere, secondo Adorno, era adialettica, e Benjamin somigliava per qualche verso «ad un membro dell 'associazione Wandervogel ormai impazzi­ to» 3 6 . In questo modo Adorno prendeva con ostentazione le distanze da alcuni pensieri filosofici di Benjamin, ma al contempo si dava da fare per misurarsi con la grandezza intellettuale dell'amico cercando di discutere con lui. Questo comportamento ambivalente era certamente dovuto al fatto che Adorno sapeva molto bene con quale velocità egli fosse in grado di appropriarsi di idee filosofiche originali e che dunque doveva fare molta attenzione a che, malgrado l'elaborazione produttiva di pensieri di altre persone, l'autonomia della propria posizione non andasse perduta 37. Questo problema si poneva anche in relazione alle riflessioni alta­ mente speculative di Sohn-Rethel, con il quale Adorno era in contatto per lettera in quello stesso periodo. Per prima cosa, egli era del tutto af­ fascinato dagli ampi progetti per una teoria materialistica della cono­ scenza che Sohn-Rethel gli aveva spedito dalla Svizzera, dove era emi­ grato provvisoriamente per sfuggire alla Gestapo. L' idea fondamentale di quel lavoro teoretico scritto in otto mesi consisteva nello spiegare le forme astratte di pensiero proprie della conoscenza basandosi sulla astrazione reale della " forma della merce" . Egli tentava di mostrare che la "forma della merce ", che si basava sulla generalizzazione dello scam­ bio di equivalenti per tramite del denaro, era legata ad una doppia astrazione: da un lato all'impiego concreto della merce, che veniva pro­ dotta separatamente, sia nel tempo sia nello spazio, dall'atto dello scambio; dall'altro al lavoro concreto che sta alla base del valore d' uso della merce 38• Adorno e Sohn-Rethel si conoscevano personalmente fin da quei giorni in cui, nei dintorni di Napoli, avevano discusso di questioni filo­ sofiche insieme a Walter Benjamin e Siegfried Kracauer, alla fine dell'e­ state del 1925. In seguito si rividero regolarmente a Francoforte e a Berli­ no . I due si erano poi incontrati brevemente poche settimane prima del­ la lettura dell' exposé, quando Adorno nell'ottobre del 1936 aveva trascor­ so qualche tempo a Parigi, dove, insieme a Benjamin, in una discussio294

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ne che era durata sette ore, avevano disquisito appassionatamente sulle tesi di Sohn-Rethel 39• Adorno, dunque, non fu troppo sorpreso ad Ox­ ford quando, nell'autunno di quello stesso anno, ricevette da Parigi l' in­ tero progetto, che era lungo centotrenta pagine ed era intitolato Teoria sociologica della conoscenza. Sohn-Rethel, tramite questo saggio sulla ge­ nesi del pensiero astratto, sperava di poter collaborare più strettamente e da un punto di vista istituzionale con l'lnstitute of Social Research, o per lo meno di poter ottenere un incarico di ricerca. Capitava molto di rado, ma nel caso dell' exposé di Lucerna di Sohn-Rethel Adorno si arrese davanti alla complessità e all'astrattezza delle argomentazioni di teoria dell'economia. Tuttavia, Adorno era disposto a redigere una perizia per Horkheimer concernente quel progetto 40• Per questa ragione egl i pregò Sohn-Rethel di stendere uno schizzo più riassunto del proprio ragiona­ mento comunicandogli al contempo di essere convinto che sussistesse una lunga serie di punti comuni tra il proprio studio di critica della co­ noscenza centrato su Husserl ed il tentativo di Sohn-Rethel di portare avanti l'analisi della merce condotta da Marx. Adorno si aspettava da Sohn-Rethel niente meno che il «superamento dell'antinomia tra genesi e val idità» e vedeva un legame con la «logica dialettica pianificata in co­ mune da Horkheimer e da me» . Con ottimo fiuto egli certo vedeva an­ che il pericolo di «fare della dialettica materialistica una prima philoso­ phia (per non dire una antologia) 41 • La reazione di Sohn-Rethel non si fece attendere a lungo. Già pochi giorni dopo egli riassunse il suo progetto in una lunga lettera ad Ador­ no, che iniziava con un'interminabile esposizione di quelli che erano i veri fini del marxismo. I concetti principali con i quali operava erano quello di " forma della merce " e di " socializzazione funzionale ", che egli faceva discendere dallo stato di cose elementare dello sfruttamento. La genesi delle " forme di essenza" come, in particolare, l' idea di soggettivi­ tà, veniva procurata tramite la «dialettica storica della socializzazione funzionale)) , Di conseguenza la soggettività doveva essere vista come «il correlato inscindibile per lo sviluppo della forma-denaro del valore)) 42• Una volta che Adorno ebbe studiato a fondo la lunga " lettera di Nottingham ", scrisse con moto spontaneo all ' autore che le sue argo­ mentazioni avevano provocato «il più grande sconvolgimento intellet­ tuale che ho provato in campo filosofico dal mio primo incontro con il lavoro di Benjamin - e quello avvenne nel 1923 ! Questo sconvolgimen­ to registra la grandezza e la potenza della Sua concezione - ma registra pure la profondità di una concordanza che va incomparabilmente al di 29 5

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là di quanto Lei potesse immaginare» 43. Domenica 22 novembre i due corrispondenti si incontrarono ad Oxford per discutere di persona e per chiarire le profonde questioni legate alla storia originaria della logica la­ vorando intensamente per tutta la giornata 44. Immediatamente il gior­ no dopo, Adorno scrisse una lettera ad Horkheimer a N ew York nella quale gli comunicava il proprio atteggiamento decisamente positivo per quel che concerneva il progetto di Sohn-Rethel. Nello stesso modo in cui egli procedeva nella sua critica a Husserl, Sohn-Rethel intraprende­ va il tentativo di «minare l' idealismo dall'interno, sulla base delle sue proprie premesse. [ . . . ] La sua tesi è [ . . . ] la seguente: che il " senso " della sintesi in senso kantiano (in quanto concetto centrale dell'idealismo) è esso stesso sociale ed è riduci bile al dato di fatto dello sfruttamento)> 45• Malgrado la sua approvazione entusiastica, Adorno esprimeva una riser­ va, dicendo che il lavoro, nella forma che aveva attualmente, non era ancora sufficientemente sviluppato. Dal momento che esso poteva na­ scere soltanto in «assoluta solitudine», a volte era caratterizzato da «una struttura di pensiero monologica e spesso monomaniaca» 46 • Egli consi­ gliava tuttavia con insistenza che quella ricerca di teoria della conoscen­ za venisse appoggiata dall' Istituto: «Nella misura in cui sia necessaria, la mia collaborazione critica è ovviamente a vostra disposizione. A partire dalla fine di gennaio Sohn sarà privo di qualsiasi mezzo di sussistenza. [ . . ] E certamente riuscirebbe a cavarsela con un introito modesto» 47• Per Adorno era certo che c'era da dare la precedenza a questo progetto rispetto, ad esempio, alle proposte di Kracauer. Horkheimer fin dall' inizio aveva preso atto in modo molto più pa­ cato delle tesi di Sohn-Rethel che consideravano l'astrazione dello scam­ bio come un a priori della pura attività dell'intelletto. A ciò egli replica­ va che era altamente problematico «tornare ad un sistema eterno par­ tendo dalla teoria critica» 48 • Nei confronti di Adorno Horkheimer arri­ vò al punto di accusarlo di essersi «semplicemente fatto sedurre dalla grande intelligenza» di Sohn-Rethel. Si prese dunque la briga di elenca­ re uno per uno tutti quelli che dal suo punto di vista, erano gli infiniti punti deboli dell' exposé, concludendo con la seguente considerazione: «Trovo l'assicurazione che Sohn-Rethel fa continuamente secondo la quale occorrerebbe fornire non so quali prove dalle quali risulti che non so quali " genesi " nate dall'essere o dalla storia o dallo sviluppo dell'esi­ stenza dell'uomo o dalla profonda radice dell'essere dell' uomo nella sua storia sono equivalenti al problema della verità della coscienza o alla .

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questione del valore della conoscenza o alla prassi della società, infinita­ mente stancante e priva di interesse» 49. Insieme a questa critica di principio Horkheimer cercava di tirare Adorno dalla sua parte: «Certamente anche Lei non nutre una partico­ lare simpatia per tali formulazioni esageratamente idealistiche. Ricorda­ no quelle parti della filosofia dell'identità di Schelling alle quali si riferi­ sce la frase di H egei sulla notte in cui tutte le vacche sono nere» 50• Per Adorno, quello fu un segnale ch iarissimo. E così come tendeva a fare propri singoli aspetti delle obiezioni di Horkheimer nei confronti di Walter Benjamin, allo stesso modo adottò, per lo meno in parte, le ri­ serve critiche che il direttore dell'Istituto aveva espresso in proposito alla pretesa di Sohn-Rethel di far derivare il soggetto trascendentale dalla " forma della merce " . La distanza leggermente ironica che Adorno aveva assunto rispetto alle dimostrazioni altamente astratte e prolisse del " caro Alfred" venne a galla anche in un'espressione da lui usata in una lettera a Benjamin, in cui lo chiamava So 'n -Ratsel (Che enigma !) 51 • Adorno restò fedele ai risultati centrali dell'analisi di Sohn-Re­ thel 5 \ secondo i quali il processo di scambio dei valori della merce me­ diato dal denaro comportava un processo oggettivo di astrazione il qua­ le a sua volta costituiva la condizione per l'astrattezza del pensiero con­ cettuale, ma fece rilevare ad Horkheimer di essere cosciente dei punti deboli che c'erano nella dimostrazione presentata in quella forma. Ov­ viamente persisteva nell'affermare che «sotto tutti quei detriti» riusciva a «vedere un pensiero estremamente fruttuoso» . E così, da un lato difen­ deva il progetto di Sohn-Rethel dal verdetto generalizzante di Horkhei­ mer, mentre dall'altro si consolava e consolava anche Horkheimer di­ cendo che occorreva accettare il fatto «che dobbiamo portare avanti i nostri lavori per così dire facendo conto solo su noi stessi» 53 • A parte tutto ciò, Adorno si rivolse ripetutamente al direttore dell'Istituto pre­ gandolo con insistenza di contribuire con il pagamento di un compenso per gli exposé che Sohn-Rethel aveva redatto, a far sì che questi riuscisse a far fronte alle difficili condizioni di vita che l'emigrazione gli impone­ va. Adorno parlò anche con Walter Adams, il segretario generale dell'A­ cademic Assistance Council, ottenendo un buon successo. Quando Sohn-Rethel, infatti, alla fine di settembre del 1937 si trasferì da Parigi a Londra, ottenne una borsa dall' AAC alla quale in seguito contribuì an­ che l' Istituto per la ricerca sociale 54. Mentre con i due esiliati Benjamin e Sohn-Rethel Adorno intratte­ neva frequenti contatti personali ed epistolari, aveva ridotto al minimo 297

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le sue relazioni con Siegfried Kracauer. Anche quest'ultimo, in condi­ zioni estremamente difficoltose, tentava di trovare qualche mezzo di sussistenza nella capitale francese. Viveva a Parigi con la moglie Lili già dal febbraio del 1933; inizialmente era stato corrispondente della " Frankfurter Zeitung", ma il redattore capo, Heinrich Simon, lo aveva licenziato dopo sole quattro settimane. Spinto dalle necessità della vita, Kracauer da allora si era dato da fare per ottenere un impiego a lungo termine presso varie istituzioni, come l'I nstitute of Social Research o la New School for Social Research. Cercava anche, allo stesso tempo, di portare a termine il romanzo Georg, che aveva iniziato nel 1929, incorag­ giato dal fatto che l'altro suo romanzo, Ginster, era uscito da Gallimard nella traduzione di Clara Malraux. Oltre a ciò, stata raccogliendo il ma­ teriale per una biografia sul compositore francese di operette Jacques Offenbach. Alla fine del 1936 Adorno, nel quadro delle sue varie iniziative, aveva suggerito che Kracauer scrivesse il progetto di una ricerca sul tema Mas­ sa e propaganda per l'Istituto per la ricerca sociale. Horkheimer aveva accettato questa proposta senza pensarci due volte, poiché aveva in mente un vasto progetto concernente il sistema di potere fascista e gli effetti della propaganda nazista 55. Il suggerimento di condurre un'analisi della propaganda non era il primo invito che Kracauer riceveva dall' Istituto; già in precedenza era stato pregato di prendere parte all'impostazione della rivista e a vari pro­ getti di ricerca che si prevedeva di realizzare. A Francoforte, sua moglie Lili aveva lavorato sei anni come bibliotecaria dell'Istituto . Malgrado i propri problemi finanziari, Kracauer dimostrava un certo ritegno nei confronti degli incarichi di lavoro dell'Istituto. A quanto pare temeva di diventare troppo dipendente da Horkheimer, del quale sapeva che nu­ triva sentimenti ostili nei suoi confronti . Probabilmente questo dissidio aveva a che fare col fatto che Kracauer nel 1932, quando era ancora re­ datto re della " Frankfurter Zeitung", benché Horkheimer lo avesse pre­ gato di farlo, si era rifiutato di redigere una replica a difesa dell'Istituto per la ricerca sociale che avrebbe dovuto cercare di tacitare l'accusa se­ condo la quale l'Istituto si sarebbe trovato nelle mani dei comunisti 5 6 • Kracauer, per parte sua, forse invidiava Horkheimer per il privilegio che aveva, in quanto direttore dell'Istituto e in una situazione sicura dal punto si vista materiale, di potersi dedicare ai propri interessi di teoria della società; e sospettava che in questo modo sacrificasse gli scopi mar­ xisti originari della ricerca.

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A ciò veniva ad aggiungersi il fatto che certamente Kracauer inten­ deva evitare il più possibile di finire sotto l'egida di Adorno, il quale in effetti, su incarico dell'Istituto, coordinava una parte dei progetti di la­ voro e delle pubblicazioni legate alle succursali in Europa. Raramente la relazione tra i due vecchi amici era stata priva di conflitti, e in quel pre­ ciso periodo certo le cose non andavano per il meglio in quell'amicizia. E così, Kracauer di solito si rifiutava di avvalersi dei tentativi di media­ zione tra lui e Horkheimer che Adorno, certo non sempre neutrale, metteva in atto. Come aveva dichiarato in modo esplicito, egli voleva essere espressamente pregato dall'Istituto, e non essere lui a chiedere. Quel che poi gli risultava del tutto insopportabile era vedere che Ador­ no assumeva compiaciuto la posa del sostenitore generoso. Può essere che egli continuasse a vedere in Adorno, senza esserne cosciente, il suo ex discepolo al quale in passato aveva voluto aprire gli occhi sulla filoso­ fia di Kant. In realtà, già da tempo era avvenuto uno scambio di ruolo; Adorno non si sentiva forse intellettualmente superiore rispetto all'ami­ co più anziano, ma guardava alle sue pubblicazioni e ai suoi lavori con occhio sempre più scettico . Nella costellazione delle sue relazioni intel­ lettuali Kracauer occupava ormai per Adorno un posto sempre più mar­ ginale. La cosa arrivò a un punto tale che Adorno scrisse malignamente ad Horkheimer che lui e Benjamin erano d'accordo: in realtà bisognava " interdire" Kracauer, salvarlo da se stesso. Adorno continuava, con for­ mulazioni arroganti, dicendo che in fin dei conti «il suo talento [era] talmente notevole [ . . . ] , che di lui potevano farsene qualcosa» 57• Propo­ se di usare Kracauer perché scrivesse un contributo di sociologia della letteratura sul romanzo poliziesco, che poteva andare a far parte di una raccolta di saggi nella quale sarebbero stati compresi il lavoro di Benja­ min su L 'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica, uno stu­ dio (di Siegfried Giedion) sull'architettura che ancora doveva essere re­ datto, e l'analisi del jazz fatta da Adorno. Il titolo del volume, che avreb­ be dovuto essere accompagnato da un 'introduzione di Horkheimer, sa­ rebbe stato: L 'arte del consumo di massa. Né quel volume né il saggio di Kracauer che avrebbe dovuto farne parte furono realizzati. Questi, però, scrisse il progetto su Massa e propa­ ganda richiesto e retribuito dall' Istituto. Si trattava di un abbozzo che cercava di chiarire a grandi linee in che modo l'autore intendeva analiz­ zare, nel quadro di una futura ricerca di più ampio respiro, il «legame che sussiste tra il terrore e l' influenza sul pensiero», la quale, secondo lui, era diventata il vero e proprio centro della politica fascista. Obietti299

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vo dello studio era di paragonare tra loro le varie forme di propaganda politica descrivendone le rispettive funzioni nel sistema fascista, in quel­ lo sovietico e in quello democratico 58• Quando ad Adorno fu chiesto da parte di Horkhei mer di prendere posizione a proposito della ricerca di centosettanta pagine dal titolo La propaganda totalitaria in Germania e in Italia che era stata condotta sulla base del progetto presentato, questi non soltanto accorciò radicalmente il testo, ma pure lo riscrisse, così che Kracauer decise di proibirne la pubblicazione sulla " Zeitschrift flir So­ zialforschung" . Ad Adorno comunicò questa sua volontà in una lettera del 20 agosto 1938, chiarendo che quella versione totalmente rielaborata non era più il suo testo. Diversamente dai suoi intenti originari, che era­ no di spiegare la nascita del fascismo e la sua relazione con il capitali­ smo, nella versione riscritta da Adorno il fascismo appare «una cosa data [ . . . ] , che può essere classificata e compresa al cento percento. Tu lo identifichi fin dall'inizio con la controrivoluzione, vedi i suoi interessi come diametralmente opposti rispetto a quelli della maggioranza e met­ ti da parte l'ambiguità della sua relazione con il capitalismo. [ . . . ] Devo confessarti)), continuava Kracauer, «che in tutta la mia carriera letteraria non mi è mai capitato di vedere un rifacimento di qualcosa contrastare a tal punto con qualsiasi usanza legittima; figurarsi poi se mi è capitato di essere io personalmente, con la mia attività, ad essere in gioco in questo modo nel testo di qualcun altro)) 59. Prima di questo conflitto, peraltro molto serio, a gravare notevol­ mente sulla relazione personale tra i due amici dei tempi di Francoforte era stata anche la critica di Adorno al volume ]acques Offenbach e la Pa­ rigi del suo tempo che Kracauer aveva pubblicato nell'aprile del 193 7 . In una recensione per la "Zeitschrift fur Sozialforschung" Adorno aveva completamente distrutto quel volume al quale l'autore aveva lavorato per due anni e tramite il quale sperava di migliorare la propria situazio­ ne finanziaria. Qual era il motivo della disapprovazione di Adorno ? In primo luogo riteneva totalmente inopportuno trattare della vita di un compositore sullo sfondo della storia francese del secondo impero senza occuparsi seriamente della sua musica. Quel che Krenek, a questo pro­ posto, defi niva la «biografia di un musicista senza la musica>> 60 era esat­ tamente il punto dolente che veniva rilevato anche da Adorno . Oltre a ciò, egli criticava il fatto che la teoria della società era stata lasciata mol­ to da parte e che l'autore aveva scelto di fare uso di una forma di rappre­ sentazione puramente descrittiva. Per finire, si scagliava contro il modo in cui la musica veniva fatta discendere dalla società; egli sosteneva che 300

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non era possibile accettare che una «biografia sociale» si limitasse ad «analogie e relazioni vaghe» tra la musica di Offenbach e le condizioni sociali dell'epoca. L'autore, ingiuriato in quella forma, il quale aveva ca­ pito benissimo che gl i ven iva ri mproverato il fatto che la sua analisi del­ la società era troppo superficiale perché non era stata condotta avvalen­ dosi delle categorie materialistiche, era passato immediatamente a di­ fendersi. Aveva scritto ad Adorno che i suoi pregiudizi gli impedivano di vedere che cosa venisse fatto davvero nel libro su Offenbach, e cioè la descrizione dell'ascesa e della caduta della repubblica borghese in Fran­ cia. Kracauer ribatteva al suo critico che da quell'analisi storica «risulta­ va che il secondo impero era stato effettivamente una farsa nata dalla paura e dall'evasione» . L'accusa secondo la quale l'autore sarebbe stato d'accordo con quella società di cui mostrava gli sviluppi problematici, era totalmente assurda 61 • Adorno non si era lasciato per nulla impressionare dalla difesa di Kracauer. Nella sua recensione del libro apparsa sull'ultimo numero del 1 937 della " Zeitschrift ftir Sozialforschung", egli ripeté le sue obiezioni: «Lontana dal materiale di Offenbach, tuttavia, la descrizione si avvicina appunto al genere della biografia romanzata individualizzante)) . Per lui Kracauer aveva trascurato di studiare a fondo l' «effimera leggerezza)) del­ l' operetta e quella che al contempo era la sua «rigidità da cliché), man­ cando dunque di scoprire la sua caratteristica più vera, l' «origine del kitsch)) 62• Kracauer in effetti si era concentrato sulla descrizione dei fe­ nomeni sociali e culturali del secondo impero e su Offenbach in quanto personalità artistica tipica di quell'epoca. Dal momento che la società parigina di quel periodo del XIX secolo, durante il regno di Napoleone I I I , era stata una società «da operetta)) essa poteva trovare la propria ' espressione rappresentativa nella musica di Offenbach. Tale tentativo di fare il ritratto di un'epoca tramite i suoi caratteri modello, vale a dire descrivendo fenomeni quali il boulevard, il quoti­ diano, le esposizioni universali ecc., era un'impresa che per qualche ver­ so somigliava ai passages di Benjamin ed in particolare allo studio su Charles Baudelaire che aveva progettato. Benjamin era forse d'accordo con Adorno nel suo fondamentale rifiuto di Kracauer perché spinto da ovvie ragion i di concorrenza ? Dai colloqui che aveva avuto con Kra­ cauer a Parigi egli era a conoscenza del suo progetto ed aveva espresso fin dall'inizio la propria diffidenza in proposito. Le sue riserve avevano trovato in Adorno terreno favorevole: questi aveva dichiarato in tono apodittico, parlando con Benjamin, che certo non aveva bisogno di es301

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sere convinto: «No, se Kracauer si identifica davvero con questo libro, si è cancellato definitivamente da solo dal numero delle persone da pren­ dere sul serio; ed io sto riflettendo molto seriamente se non sia il caso di rompere le relazioni con lui» 63• Benjamin, per parte sua, nel suo atteg­ giamento di rifiuto si riferiva al carattere apologetico del libro su Offen­ bach: «la cosa è del tutto palese in quei punti che concernono le origini ebree di Offenbach. L'ebraismo, per Kracauer, resta qualcosa di legato alle origini. Non gli viene neanche in mente di rintracciarlo all'interno delle opere» . Anche la teoria dell'operetta era un'apologia: «Il concetto di ebbrezza che circonda questa teoria per come si presenta qui non è nient'altro che una sporca scatola di dolciumi» 64. Se Adorno e Benjamin, tra di loro, si esprimevano in toni estrema­ mente sprezzanti su Kracauer, ciò poteva essere ancora considerato un processo di conferma reciproca del proprio atteggiamento negativo. Nei confronti di Horkheimer, tuttavia, sarebbe stato necessario, in ogn i caso, molto più ritegno di quanto Adorno fosse disposto ad avere. An­ che ad Horkheimer, infatti, egli scrisse che riteneva il libro conformista ed arretrato. Ed arrivò fino al punto di chiedere al destinatario della sua lettera se una collaborazione duratura con Kracauer fosse ancora possi­ bile 65. Quella assoluta mancanza di calma nei confronti di un libro di un comune amico, un libro che in fin dei conti nel 1938 uscì in traduzione inglese negl i Stati Un i ti con il titolo Orpheus in Paris e venne accolto positivamente, non era soltanto un indizio del fatto che la comunicazio­ ne tra gli esiliati aveva cominciato ad assumere tratti idiosincratici, ma anche che si stava consolidando la tendenza a punire, a volte in modo meschino, quelle che parevano trasgressioni rispetto ad un consenso di gruppo piuttosto vasto, tramite minacce di esclusione. Nelle condizioni di vita implicate dall'emigrazione avevano forse disimparato che c'era una differenza tra le relazioni personali e l'orientamento adottato in questioni di teo ria della società ? In ogni modo, l'elemento un ificante costituito dall'odio comune per la tirannia di H itler non era sufficiente ad impedire che il dissenso nelle questioni teoretiche si trasformasse in rivalità tra le persone, una rivalità che agli interessati rendeva la vita an­ cora più difficile di quanto già non fosse. Il destino comune dell' emargi­ nazione e i disagi dell'esilio erano un terreno fertilissimo per la nascita di continui litigi. La rete degli intellettuali emigrati che si opponevano al regime si indeboliva dunque dall'interno, per via delle coalizioni tatti­ che che andavano formandosi e del crescere delle inimicizie. Ecco dun302

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que che, influenzata dalle condizioni di vita, la capacità di riflettere con autocritica sulle conseguenze delle proprie azioni talvolta veniva meno proprio tra coloro che, per usare le parole di Horkheimer, intendevano considerarsi soggetti «dal comportamento critico» 66• Benché per molti versi ciascuno fosse vittima di un difficile destino di esiliato, si faceva astrazione proprio da questa menomazione esisten­ ziale. La presunzione, accresciuta tra l'altro dall'orgoglio ferito di chi era stato scacciato dal proprio paese, era enorme; così come tanta era l'invi­ dia che si nutriva per gli altri e tante le invettive che reciprocamente ci si lanciava. In seguito, Adorno si renderà conto di quanto questo modo di reagire fosse poco dignitoso, quando constaterà che ogni intellettuale, nell'emigrazione, è minorato 67• Alle deformazioni tipiche dell'esilio ve­ niva ad aggiungersi il fatto che gli intellettuali costituivano una sorta di società chiusa all'interno della quale «si fronteggiavano reciprocamente, in continuazione, nella posizione più indegna e più umiliante che si possa immaginare, quella di postulanti rival i)), In questo modo era quasi inevitabile che si rivolgessero «a vicenda i loro lati più ignobili)) 68 • Fu proprio questo quel che fece Adorno quando, per via della biografia so­ ciale di Kracauer, gli venne la malaugurata idea di organizzare un'in izia­ tiva comune sulla quale tutti concordassero ed alla quale avrebbe parte­ cipato, oltre a lui e Benjamin, anche Ernst Bloch. Per fortuna, l'iniziati­ va non ebbe alcun seguito perché i tre non erano dello stesso avviso. Benjamin, che conosceva perfettamente le difficoltà dell'esilio, non in­ tendeva attaccare pubblicamente Kracauer e causargli ulteriori proble­ mi, vista la triste situazione in cui si trovava. E Bloch aveva comunque un'opinione diversa sulla faccenda e si faceva beffe dell'energico rifiuto che Adorno aveva per il libro su Offenbach .

Un a doppia liaison: Gretel e Max Nelle molte lettere che Adorno scrisse durante gli anni di Oxford, dal Merton College o dai viaggi che spesso faceva, a Londra, Parigi, Franco­ forte e Berlino, parlava sempre più spesso della situazione politica della Germania. Ciò era per lui un'occasione per riflettere su quello che, dal suo punto di vista, era «l'andamento catastrofico del mondo)), Già all'i­ nizio del 193 5 egli vedeva crescere il pericolo di una guerra per l'I nghil­ terra e la Francia, nel caso la Germania nazionalsocialista avesse avuto la megl io sulla Russia 69. Di fronte all'avanzare del fascismo in Europa egli 3 03

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consigliò con insistenza a Horkheimer di mobilitare i collaboratori del­ l' Istituto perché si occupassero di sviluppare una teoria sulle origini e il funzionamento del fascismo. Il giudizio sempre più critico che Adorno dava della situazione internazionale includeva anche gl i ultimi sviluppi all'interno dell'Unione Sovietica ai quali egli guardava con estremo scetticismo già a partire dai processi stalinisti di epurazione, dalle con­ danne a morte e dal culto della personalità. In conclusione in una lettera dell'ottobre del 1936 chiedeva ad Horkhei mer: «Questo pianeta è davve­ ro caduto totalmente in fondo all'inferno ?» Poco tempo dopo constata­ va con rassegnazione che «la situazione sembrava effettivamente un ot­ tenebramento totale dal quale non c'è via d'uscita; si vorrebbe fare come Wotan nel Crepuscolo degli dei: sedersi e stare a guardare in silenzio. Uno dei motivi più seri per i quali mi rallegro profondamente di colla­ borare strettamente con Lei [Horkheimer] è che credo che insieme avremo la forza di guardare in faccia l'orrore senza che quel poco di ra­ gione che resta nel mondo, e che si è rifugiata presso di noi, vada per­ so» 70 . Per via della situazione politica internazionale, che valutava molto negativamente, e per via delle concrete misure antisemite del regi me del terrore che era al potere in Germania, Adorno si preoccupava in misura sempre maggiore della sua compagna, che continuava a vivere a Berlino. Già alla fine del 193 5 temeva che Gretel in Germania sarebbe presto sta­ ta costretta a condurre una "vita da ghetto " . Questa supposizione non era campata in aria, perché egli si era potuto fare un quadro realistico del mutamento delle condizioni che c'era stato nel Terzo Reich. Con orrore di Horkheimer, infatti, faceva ritorno regolarmente in Germania durante le vacanze. Durante i suoi soggiorni a Francoforte e a Berlino aveva fatto direttamente esperienza del dispotismo nazionalsocialista ed anche delle concessioni che Martin Heidegger e molti altri professori che si conformavano al regime avevano fatto ai nazisti. Aveva anche do­ vuto prendere atto del successo di autori quali Hanns Johst (al quale ap­ partiene una frase che Adorno aveva erroneamente attribuito a Goeb­ bels: «Quando sento la parola cultura, tolgo subito la sicura alla m ia Browning !») 7 1 , Ernst J Unger, Ernst Wiechert, Gerhart Hauptmann, Werner Bergengruen, F rank Thieg, Wolfgang Weyrauch e Hans Ca­ rossa. Della realtà quotidiana del Terzo Reich facevano parte anche atti di propaganda come l'esposizione itinerante Entartete Kunst (arte dege­ nerata) , che era stata allestita anche al museo Stadel di Francoforte. Nel­ la mostra ideata dal sovrintendente Hans Severus Ziegler dal titolo En-

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tartete Musik (Musica degenerata) alle composizioni di Adorno era stato riservato addirittura un "posto d'onore", come Adorno stesso raccontò in seguito 7 2 • Certo, in una città per tradizione liberale di sinistra come Franco­ forte, nella quale Adorno ufficialmente era ancora residente e risultava registrato, si verificarono qua e là degli atti di resistenza nei confronti della politica di uniformazione del borgomastro nazionalsocialista F rei­ drich Krebs, che si definiva un "vecchio combattente " del movimento nazionalista. Alcuni professori dell'università di Francoforte, per esem­ pio, come il botanico Martin Mobius, il microbiologo Max N eisser o lo storico Ernst Kantorowicz, si opposero pubblicamente alla caccia agli ebrei messa in atto dai nazisti. Tra gli studenti, tuttavia, la resistenza contro l"' uniformazione " dell'università e contro il divieto di iscrizione per gli studenti ebrei, era quasi inesistente. Del tragico destino di Liesel Paxmann, un'ottima studentessa che aveva seguito i corsi dell'Istituto per la ricerca sociale ed aveva un orientamento che si opponeva al regi­ me, Adorno raccontò in una lettera ad Horkheimer: «Non si sa neppure se si è uccisa da sola [ . . . ] oppure se è stata assassinata» . Anche altri ex studenti dell'Istituto erano stati arrestati o si erano resi irreperibili 73• Insieme al crescere della propaganda antisemita, che si ridusse sol­ tanto momentaneamente durante i giochi olimpici dell'estate del 19 3 6, la vita borghese dei cittadini tedeschi di famiglia ebrea veniva distrutta passo passo secondo i piani. Dal momento che il padre di Adorno e la sua futura moglie Gretel erano direttamente soggetti alle leggi discrimi­ natorie, la stigmatizzazione sociale e l'esclusione economica, tutte cose alle quali gli ebrei si vedevano esposti negli anni del consolidamento del dominio nazionalsocialista, Ado rno non poteva più farsi troppe illusio­ ni sulle umiliazioni che in futuro lui e i suoi più stretti familiari avreb­ bero dovuto patire. Dal momento in cui egli aveva iniziato a giudicare realisticamente la situazione, si era dato da fare per far venire G retel Karplus a Oxford da Berlino, per poi poterla sposare in Inghilterra 74• La relazione tra i due andava avanti ormai da più di dieci anni. L'inten­ zione di sposarsi corrispondeva a quanto pare ad un desiderio di en­ trambi. Nel maggio del 19 3 6 il padre di Gretel era morto , a Berlino. Da allora, lei si era industriata di vendere la sua partecipazione alla fabb rica alla ditta Tengler, per poter lasciare la Germania il più presto possibile. Sua sorella Liselotte viveva già da qualche tempo in America. I progetti di matrimonio, tuttavia, com inciarono a concretizzarsi soltanto all'inizio del 1937, quando la difficile vendita della fabbrica

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poté dirsi definitivamente conclusa. Nella primavera di quell'anno Adorno e la sua futura moglie visitarono le città della F ranconia, dove l'oppressione esercitata dal fascismo si avvertiva meno rispetto alle gran­ di città. In una lettera ad Horkheimer si legge che avevano visitato la zona del Reichspartei, il luogo in cui, nel settembre del 1935 , erano state emanate le " leggi razziali di Norimberga " 75. «Non c'era anima viva [ . . . ] ; l'insieme ha un aspetto piuttosto cadente e misero, per nulla aere perennius. Curioso: nelle costruzioni l'imago della prigione è quella che prevale» 7 6 • Dopo che il matrimonio fu dato per certo, Adorno scrisse ad Hork­ heimer che Gretel aveva iniziato ad occuparsi di economia domestica un chiaro indizio del fatto che nel matrimonio tra i due ci sarebbe stata una divisione del lavoro secondo il modello tradizionale 77. In effetti, Adorno non pensava neanche lontanamente di prender parte all' orga­ nizzazione della casa e alla sua conduzione, di occuparsi dell'acquisto degli oggetti d'arredamento ecc. Le questioni pratiche quotidiane sareb­ bero state tutte nelle mani di Gretel. In seguito le cose arrivarono al punto che per il marito lei ordinava anche gli abiti al sarto. Sempre in quella lettera, Ado rno esprimeva anche il desiderio che Horkheimer fa­ cesse da testimone al matrimonio, in Inghilterra. Questa richiesta molto personale aveva un suo significato simbolico . Insieme al legarne formale che avrebbe stretto con G retel tramite il ma­ trimonio, in Adorno si faceva sempre più seria l'i ntenzione, per il futu­ ro, di orientarsi, in modo ancor più marcato di quanto già non facesse, in direzione di Horkheimer entrando a far parte dell'lnstitute of Social Research di New York. La posizione che Adorno aveva in Europa, quel­ la di collaboratore fi s so dell'Istituto, era sicura e confermata per iscritto già dal 1935 . In relazione a questo primo passo verso un'integrazione nell'Istituto, Adorno aveva cominciato ad abituarsi all' idea di vedere il proprio futuro professionale non in Europa, bensì negli Stati Un i ti; e questo anche perché nel frattempo poteva valutare le proprie possibilità di carriera in Inghilterra in modo molto più realistico che all'inizio dei propri studi a Oxford. Ancora nell'ottobre del 19 3 6, per via della sua contravvenzione rela­ tiva alle questioni di valuta, aveva considerato l' idea di stabilirsi definiti­ vamente in Francia. Dal momento che suo nonno era stato uffi c iale di carriera nell'esercito francese e che sua madre aveva dunque origini francesi, egli aveva motivo di sperare che «in qualità di insegnante uni306

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versitario perseguitato dai nazisti» gli fosse possibile ottenere «rapida­ mente, se non addirittura immediatamente, la naturalizzazione france­ se>> 7 8 . Pregò dunque Benjamin per lettera affinché prendesse delle infor­ mazioni e verificasse se ci fossero buone prospettive per quest'idea, ma dopo aver appreso quali sarebbero state le reali complicazioni di quella naturalizzazione Adorno non diede più alcun seguito a quel progetto. Quell'idea, comunque, non era stata altro che una sorta di fantasia, per­ ché a quell'epoca già si apprestava a fare i primi preparativi per la realiz­ zazione di una prima lunga visita ad Horkheimer, per farsi sul posto un'idea più precisa dell' Istituto e delle condizioni di vita e di lavoro a New York. L'intenzione di compiere quel viaggio venne rafforzata dal fatto che Oscar Wiesengrund, all'inizio del 1937, si recò negli Stati Uniti oltre che per sistemare una serie di questioni d'affari anche per verificare se ci fos­ sero le possibilità, per la sua famiglia, di trasferirsi nel N uovo mondo. Anche se non aveva ancora avvertito in modo troppo drastico sulla pro­ pria pelle le misure che il Terzo Rei c h metteva in atto per " epurare" l'e­ conomia dagli ebrei, era sufficientemente realista per capire che difficil­ mente un commerciante eb reo avrebbe potuto, alla lunga, conservare la propria attività autonoma. Vedeva avvicinarsi il pericolo di diventare oggetto indifeso delle misure arbitrarie della dittatura. Per questo moti­ vo intendeva vendere a poco a poco le proprietà immobili che aveva a Franco forte e a Seeheim e cedere inoltre la propria partecipazione alla ditta di Lipsia 79• Su espresso desiderio del figlio, durante la propria visi­ ta negli Stati Un iti avrebbe dovuto anche prendere contatto con Hork­ heimer. A quest'ultimo Adorno scrisse: Uno dei suoi [di Oscar Wiesengrund] obiettivi principali in questo viaggio è quel­ lo di discutere con Lei sulle questioni, anche di natura economica, che concernono me e Gretel [ . . . ] . Vorrei qui far riferimento soprattutto ad una cosa: come Lei sa, i miei genitori dispongono ancora di un cospicuo capitale in Germania, e lo stesso vale per la madre di Gretel. Sarebbe dunque di una certa importanza (e mio padre prende seriamente in considerazione la cosa) sapere in che modo occorrerebbe comportarsi affinché, nel caso tali proprietà ci arrivassero in eredità, queste non ci vengano sottratte in qualche modo dai nazisti; e in modo che, se la somma si tro­ vasse su un conto vincolato, questo possa essere portato all'attivo senza troppe perdite 80.

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Questa fiducia nei confronti del direttore dell'Istituto mostra chiara­ mente che Adorno, per il proprio futuro professionale, intendeva met­ tersi in tutto e per tutto nelle sue mani. Il progetto a lungo covato di la­ vorare in stretta collaborazione con lui a quel punto avrebbe potuto re­ alizzarsi. Horkheimer senza dubbio prese atto di questa disposizione da parte del suo ostinato compagno e si comportò responsabilmente, anche se, per qualche verso, in modo ambivalente. In relazione alle questioni fi­ nanziarie private e di eredità si rifiutò, in modo educato ma con fermez­ za, di fornire ad Adorno o a suo padre qualcosa di più di consigli pratici generali. La cosa, probabilmente, era dipesa anche dal fatto che Hork­ heimer aveva avuto l' impressione che Oscar Wiesengrund non fosse an­ cora del tutto sicuro di voler lasciare per sempre l'Europa e di quando farlo. Horkheimer, nella sua lettera del febbraio del 1937, faceva presen­ te ad Adorno che per lui, oltre all'America, anche l'Inghilterra e la Fran­ cia potevano costituire la possibilità di una collaborazione con l'Istituto - in entrambi i casi, tuttavia, avrebbe dovuto farsi una posizione con le sue proprie forze. In America, invece, con un P h. D . di Oxford, poteva avere buone possibilità di fare una carriera universitaria, ad esempio alla Harvard U niversity di Boston: «A prima vista, la cosa più naturale da fare sembra questa, che Lei, dopo un ragionevole periodo di transizione in Inghilterra, si trasferisca qui, se là non Le si aprono delle prospettive 8 particolarmente favorevoli» 1 • Poiché era in grado di immedesimarsi nel destinatario della sua let­ tera e di condividerne le inquietudini, Horkheimer indicava anche la somma sulla quale Adorno poteva contare nel caso di una collaborazio­ ne su contratto dell'Istituto. Concludeva la trattazione di questo argo­ mento scrivendo che con quei 3 50 dollari «potrete vivere entrambi tran­ 8 quillamente» 2 • Parlando volutamente al plurale nei suoi calcoli egli considerava dunque il matrimonio cosa fatta, avendone avuto tra l'altro anche notizia dal padre di Adorno. Quel che gli stava a cuore, era che la produttività e la creatività di Adorno andassero a beneficio, in modo ot­ timale, dei futuri progetti di ricerca e del futuro lavoro teorico dell'Isti­ tuto. Di questo progetto facevano parte anche i rinnovati inviti ad Adorno, affinché facesse loro visita a New York; un'offerta che il di ret­ tore dell'Istituto avrebbe rivolto con quella generosità soltanto a Walter Benjamin. Non c'è dunque da stupirsi se Adorno non si fece pregare a lungo. Ad Horkheimer rispose con entusiasmo : «Il mio desiderio di col­ laborare direttamente con Lei viene prima di ogni altro: Le assicuro che 308

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questo mio desiderio non è in qualche modo alterato dall'ambizione ac­ cademica, neanche in forma sublimata» 83• La noiosa faccenda del passa­ porto tedesco scaduto era riuscito a risolverla senza troppe complicazio­ ni a Francoforte. E con suo grande sollievo, grazie all'aiuto dell' AAC la sua richiesta deposta presso lo Home Office di un permesso di soggior­ no illimitato in Gran Bretagna ebbe esito positivo 8 4. Oltre a ciò, aveva ottenuto anche un visto per la Francia valido due anni. Nei quattro mesi che restavano fino alla sua visita a New York, nel mese di giugno, da Oxford si recò per qualche giorno a Parigi, verso la fine di marzo del 1937, su incarico dell' Istituto. Lì continuò ad occuparsi della traduzione francese dei saggi di Horkheimer che questi intendeva pubblicare e par­ lò con Benjamin, Sohn-Rethel e Kracauer dei loro progetti per l' Istitu­ to. Alla fine, gli restò soltanto il tempo per visitare una mostra al M usée des Arts Décoratifs dedicata al disegnatore ed acquarellista Costantin Guys. Appena sbrigati i suoi vari appuntamenti, partì per la Germania, per far visita ai genitori e a Gretel . Per il trimestre estivo fece ritorno a Ox­ ford ad aprile inoltrato, viaggiando in macchina insieme al suo amico inglese Redvers Opie, che era venuto a trovarlo a Francoforte 8 5• Da Londra, cercò quindi di organizzare il previsto viaggio in nave negli Sta­ ti Uniti . Anche durante quelle settimane febbrili, naturalmente, non mancò di dedicarsi ai suoi studi filosofici e di teoria musicale, in modo da po rtare a term ine i manoscritti, o almeno da portarli avanti il più possibile. Anche se presto avrebbe visto di persona i collaboratori fissi dell'ln­ stitute of Social Research, non mancò di criticare aspramente nelle sue lettere gli scritti più recenti di Leo Lowenthal, Herbert Marcuse ed Erich Fromm. Mentre nei confronti di Horkheimer, tuttavia, si serviva di espressioni pur sempre diplomatiche per illustrare le proprie obiezio­ ni 86 , nelle lettere a Benjamin esplodeva letteralmente, senza alcun tatto come nelle sue prese di posizione nei confronti di Kracauer, scrivendo che quei «seguaci» costituivano un «vero e proprio pericolo. Ma quanto sia difficile difendersi proprio da quelli che ti imitano, lo so fin troppo bene da [Dolf] Sternberger e [Peter von] Haselberg)) 8 7. Per Adorno non esisteva alcun dubbio sul fatto che non c'era da tenere in gran con­ to gli studi di sociologia della letteratura che Lowenthal aveva scritto sui 88 drammaturghi Strindberg e Ibsen e sui romanzi di Knut Hamsun , e che ancor meno valevano gli studi di psicologia sociale di F rom m Zum Gefiilhl der Ohnmacht (Sul senso di impotenza) dell'individuo, per non

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parlare poi di Uber den affirmativen Charakter der Kultur (Sul carattere affermativo della cultura) di Herbert Marcuse 8 9, tutti saggi che erano stati recentemente pubblicati sulla " Zeitschrift fi.i r Sozialforschung". Dal momento che si confidava in questo modo con Benjamin discuten­ do con lui sulle carenze delle pubblicazioni degli altri, egli portava ad espressione la stima particolare che nutriva per lui. Anche se certo la sua preferenza andava a lui rispetto agli altri intellettuali, Adorno non legge­ va i testi di Benjamin con occhio meno critico rispetto ai testi di Lo­ wenthal, Fromm e Marcuse. Il suo atteggiamento nei confronti di Ben­ jamin, tuttavia, era chiaro: «Ritengo Benjamin uno dei migliori cervelli che abbiamo» scrisse ad Horkheimer poche settimane prima di fargli vi­ sita a New York, «e conferendogli il posto giusto ci si può aspettare enormemente tanto da lui. Ritengo perciò che sia davvero sostenibile, nel nostro interesse oggettivo, che questo fatto abbia un'influenza anche sulla sua posizione esterna» 9 0 • Tale presa di posizione, che è soltanto una tra le molte, mostra molto chiaramente che Adorno era ben lungi dall'escludere Benjamin. Anzi, gli fu sempre fidatamente vicino nella sua situazione solitaria e piuttosto precaria dal punto di vista finanziario e, malgrado le crescenti differenze che sussistevano tra i due in una serie di questioni di teoria della società, fu sempre solidale con lui, anche sul piano pratico 9 1 • Dal momento che prima del viaggio negli usA aveva ancora alcuni appuntamenti a Parigi, dove tornò ad inco ntrarsi con Benjamin ed al­ lacciò vari contatti con i filosofi Jean Wahl e Pierre Klossowski e con il Collège de Sociologie, che era stato fondato da poco ad opera di Roger Caillois, George Bataille e M ichel Leiris, decise, per la traversata dell'A­ tlantico, di viaggiare sul " Normandie" della French Line. I biglietti, in tourist class, erano stati pagati dall'Istituto. Il 9 giugno del 1937 il piro­ scafo salpò da Le Havre alla volta di N ew York. Ad Adorno stava molto a cuore ottenere una cabina singola, perché era terrorizzato «all'idea del mal di mare con spettatore» 92 • Appena arrivato a New York avrebbe dovuto prendere parte al lavoro quotidiano dell'Istituto, a conferenze, discussioni ecc. Egli era assolutamente d'accordo: «Così viene esaudito un mio desiderio di vecchia data, !'" inserimento ", lo stesso desiderio dell'agrimensore di Kafka. E sono proprio contento che l'Istituto non sia il castello» 93• Le aspettative di Adorno non furono deluse. Era alloggiato in modo confortevole al Barbion Palace Hotel, al n. 101 della 58 a strada ovest, a Centrai Park South ed Horkheimer in persona si occupava premurosa310

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mente dell'ospite. N ella lettera di ringraziamento si legge: «Mi avete vi­ ziato come una star del cinema ed ora non mi resta altro che rammari­ carmi di non essere davvero, per esempio, una Dolores del Rio)) 94. Egli continua scrivendo che in quelle due settimane era stato «davvero feli­ ce)), in particolar modo perché aveva potuto esperire, malgrado il pro­ prio atteggiamento critico nei confronti di alcuni studi condotti da membri dell'Istituto e malgrado la sua estrema ostinazione nel pensiero e nella scrittura, che cosa sign ificasse venire accolto all'interno di un cir­ colo nel quale veniva rispettato e trovava una certa risonanza. La crona­ ca di quel viaggio che Adorno scrisse a Benjamin già durante il viaggio di ritorno sul "N ormandie ", aveva toni altrettanto euforici. L'atmosfera all'Istituto era «estremamente piacevole)) . Accennò anche ad una nuova funzione. Su incarico ufficiale dell' Istituto avrebbe preso parte sia al congresso internazionale " Einheit der Wissenschaft" (unità della scien­ za) , che aveva luogo dal 29 al 30 luglio, sia al "Ix congresso internazio­ nale di filosofia", il " Congrès Descartes ", che ruotava attorno al Discour de la Méthode di Cartesio. Oltre a ciò, egli informava Benjamin di essere riuscito ad imporre un aumento del versamento mensile che questi rice­ veva dall' Istituto. Adorno e Benjamin parteciparono insieme ad entrambi i congressi e stilarono anche due relazioni per Horkheimer. Questo riassunto degli interventi era scritto partendo da una prospettiva che, non in ultimo, lasciava trasparire il fatto che il giovane autore aveva fatto sua la critica al Positivismo espressa da Horkheimer. Inoltre, sembra che Benjamin e Adorno volessero fornire materiale per la concezione di una "teoria cri­ tica", che era stata appena schizzata, la quale cominciava ad assumere contorni più chiari distanziandosi rispetto al pensiero detto tradiziona­ le. A questo scopo, punti d'appiglio concreti erano forniti dal saggio di critica dello scientismo Ilpiù recente attacco alla metafisica ed il trattato programmatico Teoria tradizionale e teoria critica. Entrambi questi sag­ gi di Horkheimer vennero pubblicati nella IV annata della " Zeitschrift ftir Sozialforschung", ma Adorno ne conosceva perfettamente il conte­ nuto per via delle lettere che scambiava con Horkheimer 95• Anche du­ rante il soggiorno di Adorno a New York, ovviamente, si era discusso di questi due scritti, che nell'insieme si sarebbero rivelati essere i saggi­ guida per il modo in cui quel gruppo di intellettuali avrebbe in seguito considerato il proprio lavoro. Le relazioni che Adorno e Benjamin fecero di quel congresso si foca­ lizzarono sulla descrizione delle controversie che avevano osservato al311

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l'interno del Circolo di Vienna, spiegando con particolare piacere le di­ verse posizioni di Hans Reichenbach, Carl Gustav Hempel, Rudolf Carnap e Paul Oppenheim. Oltre a ciò, quegli appunti non avevano un gran contenuto informativo. Non si faceva praticamente motto di quel che era scaturito dalle singole discussioni sulle teorie della verità. Simile nel tono fu anche la cronaca del " Congrès Descartes ", che all'epoca go­ deva di grande considerazione a Parigi ed aveva avuto luogo pochi gior­ ni dopo: «Molti em igrati tedeschi di atteggiamento conformista. [ . . . ] La totale irrilevanza degli interventi è stata più che evidente» 9 6 . Avevano potuto constatare che il filo rosso del congresso era un generale aderire alla filosofia esistenziale. Un po' più precisa fu la descrizione che Ador­ no fece dei contributi dei fenomenologi rispetto ai quali anche lui, in quanto esperto di Husserl, aveva preso posizione durante il congresso. Oltre a ciò egli si espresse favorevolmente sulla conferenza della giovane Martha Wolfenstein, che veniva da Harvard ed aveva parlato della si­ tuazione del pittore nella società industriale. Nel quadro di una discus­ sione interna, al di fuori del programma ufficiale del congresso, ebbe luogo una discussione con N eurath, Carnap, Hempel, Lazarsfeld e Ben­ jamin sulla critica al Positivismo che Horkheimer aveva appena pubbli­ cato . Adorno aveva dunque avuto l'occasione di conoscere meglio Paul Lazarsfeld, che era di origini austriache e poco tempo dopo avrebbe avuto un ruolo piuttosto importante nella sua vita. Dopo i giorni passati a Parigi, durante i quali trascorse anche qual­ che ora in privato con Gabriele Oppenheim, un'amica di Francoforte, " chez Routier" e al " Ramponneau" vicino a Piace de l'Alma, Adorno si affrettò a tornare in Inghilterra. Aspettava infatti l'arrivo di Gretel Kar­ plus da Berlino, insieme alla quale final mente aveva intenzione di met­ tere su casa. Il primo passo in quella direzione fu che Gretel, che era una donna decisa nelle cose pratiche, dopo il proprio arrivo, il 20 agosto 1937, prese in affitto un piccolo appartamento ammobiliato di due stan­ ze nel centro di Londra, così che Adorno potè abbandonare l'hotel "Abemarle" e da quel momento in poi abitò con Gretel al n. 21 di Pala­ ce Court, vicino ad Hydepark, nella zona di Bayswater. Una volta che Horkheimer ebbe stabilito che avrebbe dovuto recarsi in Europa per qualche settimana per passare nelle varie succursali dell'I­ stituto, promise che si sarebbe recato appositamente a Londra per le nozze. Il 7 settembre arrivò, infatti, insieme alla moglie ed il giorno su­ cessivo ebbero luogo le nozze, all'Ufficio di stato civile del distretto di Paddington; era 1'8 settembre del 1937 e come testimoni vennero regi312

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strati Redvers Opie e Max Horkheimer. I festeggiamenti per la cerimo­ nia, ai quali presero parte pochi invitati, furono piuttosto modesti e si svolsero, come Adorno scrisse a Benjamin, «nella più totale solitudi­ ne» 97• Redvers O pie, che era bursar del Magdalen College di Oxford, organizzò un lunch in quella sede, al quale parteciparono, oltre agl i sposi e ai due Horkheimer, la madre di Gretel, Amilie Karplus, e Maria e Oscar Wiesengrund. Adorno non mancò di suonare qualcosa al piano­ forte, eseguendo anche pezzi di Wagner, del quale stava cominciando ad occuparsi anche dalla prospettiva della teoria della musica. Il neo ma­ rito scrisse a Lowenthal che avevano avuto dei bei festeggiamenti, privi di qualsiasi tratto cerimonioso e imbarazzante, ma che ad un viaggio di nozze non c'era neanche da pensare, «dal momento che stiamo arredan­ do la casa e aspettando i mobili e ci dedichiamo ad altre stupidaggini del genere. Gretel è tutta presa dall'organizzazione della casa, un'attività alla quale mi rifiuto con grande cinismo di prendere parte» 9 8 . In quel periodo in cui Adorno cominciava a familiarizzare con la nuova situazione e cioè con la vita matrimoniale, e in cui Gretel comin­ ciava a prendere le redin i delle questioni pratiche quotidiane, Adorno proponeva anche ai collaboratori dell' Istituto di New York di condurre una ricerca sulla «psicologia della donna borghese di oggi» . Scopo dello studio avrebbe dovuto essere occuparsi della feticizzazione dell'aspetto esteriore, della «Strana trasposizione del carattere anale sui beni di con­ sumo (il fare acquisti, la fissazione sugli oggetti della vita) » . Sempre in relazione a ciò, occorreva quindi «analizzare la particolare funzione di collante sociale che la donna svolge nella società odierna» 99• Come au­ tore di questa ricerca egli propose (cosa abbastanza sorprendente, data la sua avversione per lo psicoanalista) Erich Fromm, al quale illustrò su­ bito punto per punto le sue idee in una lunga lettera: gli pareva di osser­ vare che la donna fosse dominata in qualche misura più dell'uomo dal carattere della merce e che lei [ . . ] funga da rappresentanza della merce nella società [ ] . Occorrerebbe .

. . .

analizzare a fondo il comportamento totalmente irrazionale che la donna ha nei confronti della merce, del fare shopping, dei vestiti, della pettinatura ecc. Tramite quest'analisi verrebbe molto probabilmente alla luce che tutti questi momenti, che in apparenza servono al sex appeal, in realtà sono desessualizzati. [ . . ] Ci sarebbe da .

elaborare una teoria sociale della frigidità femminile, la quale, secondo me, deriva dal fatto che le donne [ . . . ] sono esse stesse nel coito oggetti di scambio per uno sco-

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po che naturalmente non esiste, così che esse dunque, per via di questo spostamen­ to, non pervengono mai al piacere 1 0 0 •

Tali temi, all'epoca, non vennero ripresi da nessuno dei collaboratori dell' Istituto. Fu piuttosto lo stesso Adorno, in seguito, che cercò di trat­ tarli all'interno di vari contesti teorici 101 • Queste profonde riflessioni sulla sessualità femminile nella società tardo borghese avevano forse qualcosa a che vedere con la nuova situa­ zione che Adorno viveva ? Fino a quel momento, da scapolo, aveva po­ tuto decidere da solo sulla maggior parte delle questioni che riguardava­ no lo svolgersi della giornata e della settimana e non era stato quasi mai costretto ad usare dei riguardi nei confronti della sua partner; ora si tro­ vava direttamente a confronto con le sue peculiarità e doveva rispettarla. Un'altra cosa per lui nuova era il fatto che la moglie si dava da fare per appo rtare dei cambiamenti nell'appartamento ed occorreva chiarire del­ le questioni di stile e di gusto . Si accorse che lei tentava di assumersi il ruolo della casalinga, che si occupava dell'alimentazione e dei pasti, che faceva acquisti in grande, spendeva denaro e metteva in pratica le pro­ prie idee sull' impostazione del quotidiano. Da tutti questi compiti della vita pratica egli teneva volutamente le distanze, ed era anche costretto a farlo, perché in primo luogo si trattava di concludere rapidamente il la­ voro su Husserl. Proprio quando intendeva concentrarsi esclusivamente su quello, ecco presentarsi una nuova svolta a sorpresa nella sua vita. Poco dopo il matrimonio, per lui e Gretel si concretizzò la possibilità di trasferirsi relativamente in fretta negli Stati Uniti. Tramite la mediazio­ ne di Horkheimer, che il 20 ottobre 1937 gli inviò un telegramma chie­ dendo quale fosse la data più prossima per la partenza, gli venne offerto di collaborare ad un progetto di ricerca sull'influenza della radio. E così, la coppia non ebbe neanche il tempo di stabilirsi a Palace Court, perché già occorreva preparare un gran trasloco a N ew York. Adorno si decise senza troppi tentennamenti a trasferirsi negli Stati Un i ti, ma non fu una scelta priva di rischio quella che fece. Il progetto di ricerca, infatti, al quale avrebbe dovuto collaborare con la direzione di Paul Lazarsfeld, era uno studio sociologico specifico nel campo della social research, che per Adorno era un dominio del tutto sconosciuto. A ciò veniva ad aggiungersi il fatto che l'Istituto, cioè Horkheimer, non era nella condizione di integrarlo completamente come era stato stabili­ to in precedenza e poteva offrirgli soltanto un posto al 50°/o ed una re­ munerazione ridotta. Il motivo di questa soluzione di compromesso che 314

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prevedeva di finanziare il futuro posto di Adorno per metà con mezzi esterni, e cioè con il Princeton Radio Research Project, e per metà con mezzi propri, aveva a che fare con le forti diffi c oltà finanziarie in cui ver­ sava l'Institute of Social Research . Fritz Pollock aveva investito parti del capitale dell'Istituto in valori di borsa ed aveva subìto notevoli perdite nell'autunno del 1937 102 • Di questa spiacevole situazione che rendeva precaria la sicurezza materiale dell'Istituto, Horkheimer aveva informa­ to il proprio futuro collaboratore soltanto dopo il matrimonio: «E pre­ ghi poi tutti i santi del paradiso che la borsa di N ew York si ripren­ da !» 103 . In tali circostanze, ad Horkheimer doveva stare davvero a cuore ave­ re la possibilità di collaborare a lungo termine con un altro gruppo di ri­ cerca. Soltanto in questo modo poteva assumersi la responsabilità, con la coscienza pulita, di far venire Adorno a New York e di legarlo per contratto all' Istituto, senza per questo doversi accollare l'intero costo di un posto di collaboratore al 1ooo/o. Per almeno due anni, infatti, Adorno sarebbe stato assicurato tramite il progetto di ricerca della Princeton U niversity. Qualche giorno dopo aver ricevuto quel telegramma, Adorno tele­ grafò in America di essere fondamentalmente d'accordo sulla questione, ma facendo anche riferimento a qualche diffi c oltà pratica dovuta ad un contratto d'affitto per un appartamento ( 70, Holland Park) a Londra, contratto che avevano appena firmato; tra l'altro, la coppia attendeva l'arrivo dei mobili dalla Germania. N ella lettera che seguì, inviata al " caro Max" - un appellativo amichevolmente intimo che era entrato nell'uso tra le due famiglie in seguito ai festeggiamenti per le nozze Adorno si comportò come se nulla fosse successo, come se quella nuova prospettiva di vita e di lavoro negli Stati Un i ti non fosse mai esistita. In primo piano mise il suo lavoro su Husserl e la sostanziale critica di Horkheimer al suo saggio sulla fenomenologia. Da questo punto vista, quella lettera testimonia in modo più che eloquente qual i fossero gl i in­ teressi e gli stimoli che fondamentalmente muovevano Adorno: la sua produzione scientifica, che costituiva in tutto e per tutto il centro della sua vita, malgrado le pressanti questioni che concernevano direttamente la sua esistenza e il suo futuro. Ad Horkheimer illustrava nei particolari in che modo intendesse rielaborare il saggio Zur Philosophie Husserls (Sulla filosofia di Husserl) - uno studio al cui destino egli " teneva" più che a qualsiasi altro del passato 104 - ed elencava i motivi per cui egl i aveva fondamentalmente ragione nella sua critica alla fenomenologia.

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In quella lettera, che da sola costituiva già quasi una nuova versione del saggio, sottolineava, tra l'altro, che quel che aveva inteso fare non era di sostituire alla tesi del primato della coscienza quella del primato dell'essere, dal punto di vista della teoria della conoscenza, bensì di mostrare che da un lato la questione di un concetto assolutamente originario, fosse anche quello dell'essere, implica anch'essa necessariamente conseguenze idealistiche, vale a dire che, in ulti­ ma istanza, risale alla coscienza, e che, dall'altro lato, una filosofia che tragga davve­ ro queste conseguenze idealistiche va necessariamente ad invischiarsi in contraddi­

zioni tali che la problematica stessa sull'argomento si rivela nettamente falsa 1 0 5 •

Anche se quella lettera comunicava l' impressione che Adorno fosse oc­ cupato esclusivamente ad elaborare una versione definitiva e dunque pubblicabile del suo lavoro su Husserl, egli coltivava comunque altri in­ teressi. Gli mancava il suo pianoforte a coda, che gli era indispensabile per gli studi di analisi musicale e compositiva che aveva cominciato. Da un lato, infatti, si era occupato in modo sempre più approfondito delle composizioni di Richard Wagner e progettava di preparare un saggio particolareggiato sugli effetti sonori delle opere; il tema sarebbe stato l' intreccio di rivoluzione e regressione in quella musica. Dall'altro lato, Stefan Zweig gli aveva proposto di scrivere un libro su Arnold Schon­ berg; un'offerta che per Adorno non era soltanto lusinghiera, ma anche estremamente allettante, perché l'opera su Alban Berg che era uscita presso l'editore Herbert Reichner si era rivelata un tale successo che Zweig, che collaborava con quella casa editrice, sperava di ripetere quel­ l' esperienza. Oltre a tutto ciò, stava concludendo una serie di testi brevi raccolti sotto il titolo Zweite Nachtmusik (Seconda serenata) e doveva fi­ nire di scrivere un saggio sullo Stile tardo di Beethoven che doveva essere pubblicato sulla rivista " Der Auftakt. Blatter fiir die tschechoslowaki­ sche Republik". Alla fine del 1937 Adorno non poteva avere altra immagine della propria condizione se non quella di essere sospinto da una situazione provvisoria ad un'altra e di star come sospeso a metà, né carne né pe­ sce 1 0 6 . Quello che poteva essere stato un punto di riferimento più o meno fisso, e cioè una vita a Londra con la prospettiva di concludere presto con il P h. D . i suoi studi ad Oxford, si era volatilizzato. Egli si ri­ trovava di fronte al compito di adattarsi professionalmente e privata­ mente ad una nuova situazione a New York, dove sarebbe stato dipen­ dente in primo luogo dall'Istituto e soprattutto dai contatti che aveva 316

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Horkheimer. A partire dalla fine del 1937-inizio 1938 la coppia non avrebbe potuto più contare a lungo sull'aiuto finanziario dei genitori, perché, da un lato, nella Germania nazista Oscar Wiesengrund aveva delle difficoltà con il suo negozio di vini, che era stato costretto a vende­ re per via dell'età; dall'altro, a causa delle regolamentazion i restrittive in materia di valuta era del tutto escluso che il commerciante eb reo potesse inviare somme di denaro all'estero. Ciò malgrado, Adorno non si dipingeva il proprio futuro negli Stati Un i ti a tinte fosche. Puntava sulla collaborazione con Horkheimer che avevano progettato e tentava di convincere anche Benjamin di questa prospettiva, come si legge in una lettera in cui lo informava degli attuali sviluppi, ben sapendo che per l'esiliato a Parigi quel previsto trasferi­ mento negli usA avrebbe costituito una minaccia, il pericolo di cadere in un isolamento intellettuale ancor più profondo. Per questo motivo Adorno dichiarava con enfasi che anche a New York, e soprattutto da lì, aveva intenzione di tenere d'occhio la situazione materiale di Benjamin. Gli assicurava inoltre, in considerazione del fatto che in Europa «una guerra era inevitabile in tempi relativamente brevi», di fare tutto il pos­ sibile e l'immaginabile per «far partire anche lui per l'America il più ve­ locemente possibile» 107• Questo desiderio aveva ovviamente anche ra­ gioni personali, perché Benjamin, malgrado il legame sempre più stret­ to con Horkheimer, gli era vicino più di qualsiasi altra persona. Adorno tuttavia, che in questioni politiche aveva fatto varie valutazioni sbaglia­ te, nel frattempo guardava con occhio più acuto all'andamento della politica internazionale. L'Europa, con l'egemonia della Germania, si av­ viava verso una catastrofe, questo il suo messaggio a Benjamin . Per que­ sta ragione non aveva alcun senso difendere «una postazione europea ormai perduta» . Forse «in questo può fornirci una ironica consolazione il fatto che quel posto, che dobbiamo occupare, sarà comunque perso, ovunque e in ogni caso. [ . . . ] Quella catastrofe che si è rimandata per de­ cen ni è davvero la visione più compiuta dell' inferno che fino ad oggi l'umanità abbia prodotto» 10 8 • Anche se in nessun momento Adorno si illuse di trovare nel N uovo mondo una società del tutto nuova, mental mente si preparava già in parte al nuovo continente. Gretel, che comunque a Londra non si tro­ vava bene, leggeva libri sul Greenwich Village e su Harlem. Adorno, per parte sua, si chiedeva che cosa si nascondesse dietro quel Radio Research Project e se sarebbe stato in grado di far comprendere il proprio pensiero a Lazarsfeld, che era un sociologo puro. Horkheimer cercava di dissipa-

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re già in anticipo gli eventuali timori di Adorno concernenti la sua posi­ zione all'interno del futuro gruppo di lavoro: «Lei non dovrà diventare il suo assistente [di Lazarsfeld] , bensì partecipare all'esecuzione del Research Project per il quale la Princeton U niversity ha messo a disposi­ zione di Lazarsfeld una grossa somma. Il denaro verrà ripartito [ . . . ] dal Research Center dell'Università di Newark, che ovviamente è diretto da Lazarsfeld» 1 09• Più importante della questione della cooperazione con Lazarsfeld, per il momento, era il problema di liberarsi dell' appartamen­ to che i due avevano appena preso in affitto e di superare le sfibranti procedure legate alla richiesta di un visto d'immigrazione presso il con­ solato americano. Questo atto implicava per Adorno e la moglie l'emi­ grazione legale dalla Germania; e cioè una cesura con la loro vita passa­ ta. Per la metà di dicembre era stato fissato un appuntamento al conso­ lato americano, e in quell'occasione dovevano essere presentati tutti i documenti dai quali risultava chiaramente che Adorno avrebbe avuto un rapporto fisso di lavoro, assicurato tramite contratto con la Prince­ ton University e con l'Institute of Social Research. Parallelamente a ciò occorreva spedire una candidatura ad Horkheimer, in modo che a New York Lazarsfeld potesse sbrigare le formalità che riguardavano la sua collaborazione ufficiale al Radio Research Project. Verso la fine dell'anno, a giudicare dalle lamentele espresse, Adorno e sua moglie avevano i nervi a pezzi. Per questa ragione, a metà dicem­ bre la coppia partì per San Remo, sulla riviera ligure, per riprendersi da­ gli strapazzi degli ultimi tempi. In quelle settimane, che erano anche un modo per prendere congedo dall'Europa, i due alloggiarono alla "Villa verde ", la pensione che veniva gestita dalla ex moglie di Benjamin, Dora. Lo stesso Benjamin arrivò da Parigi per poter trascorrere tutti in­ sieme quei giorni nella città rivierasca. Che anche lì il lavoro scientifico si trovasse in primo piano è testimoniato da una lettera di Benjamin a Horkheimer. Si era discusso sia degli abbozzi per l'articolo su Charles Baudelaire, al quale Benjamin si dedicava da tempo, sia degli appunti che Adorno aveva scritto su Richard Wagner. Benjamin non teneva a freno il proprio entusiasmo, dopo aver ascoltato alcuni brani che Ador­ no gl i aveva letto : «Il fatto nuovo e stupefacente per me è stato che essi [gli studi su Wagner] rendono trasparenti da un punto di vista sociale [ . . . ] dei fenomeni musical i che a nessuno sono più estranei che a me. Sotto un altro punto di vista mi ha interessato in modo particolare una tendenza di questo lavoro: il fatto di collocare il momento fis iognomico 318

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immediatamente, quasi senza mediazione psicologica, nello spazio so­ ciale» 1 10 • Benjamin aveva compreso molto bene le intenzioni del suo amico. Horkheimer, per parte sua, ovviamente era informato già da tempo del fatto che Adorno si occupava in modo approfondito della produzione operistica di Wagner. Da quando Adorno, a metà del 1938 , aveva co­ minciato i suoi studi su Wagner, Horkheimer seguiva questo progetto con particolare interesse personale. Egli, infatti, sperava di veder confer­ mate, tramite le dimostrazioni di Adorno in proposito ai momenti al contempo autoritari e ribelli del carattere e dell'opera di Wagner, le sue riflession i sul mutamento dell"' antropologia dell'epoca borghese " che egli aveva già sviluppato nel secondo numero della " Zeitschrift fiir So­ zialforschung" del 1936 con un saggio dal titolo Egoismo e movimento di libertà 1 11 • Ed era proprio questa la traccia che anche Adorno cercava di seguire: «lo credo che il gesto di tirarsi indietro, quel tradimento della rivoluzione che si vede chiaramente nel comportamento di Wotan nei confronti di Siegmund, dia anche, al contempo, il modello della strut­ tura formale musicale di Wagner fin nel profondo delle sue cellule. [ . . . ] L' intrecciarsi di rivoluzione e regressione, in Wagner, arriva fino all' in­ tuizione melodica e, ancor più, alla sua deturpazione tramite il potere della società» 1 1 2 • Ciò di cui Adorno aveva dato lettura a San Remo erano i primi ap­ punti di un manoscritto che egl i, malgrado gl i impegni legati all'immi­ nente trasloco a New York, avrebbe portato a termine in tempi relativa­ mente brevi. Nel 1939, con il titolo Fragmente iiber Wagner (Frammenti su Wagner) , pubblicò sulla " Zeitschrift fi.i r Sozialforschung" tre parti ( Carattere sociale, Fantasmagoria e Dio e mendicante) di quel saggio, che era decisamente molto più lungo 1 1 3 • Partendo da una prospettiva fon­ damentalmente di critica dell'ideologia 1 1 4 nella quale era centrale il fat­ to «che nella musica di Wagner il progresso e la reazione non si possono separare come il grano dal loglio>> 11 5, Adorno, nella versione pubblicata in forma di libro e suddivisa in dieci parti 11 6 , analizzava in primo luogo la psicologia sociale di Wagner, «la complessione fatta di invidia, senti­ mentalismo e istinto distruttivo», per poi passare al suo antisemitismo che si colloca « tra l' idiosincrasia e la fissazione che esista una congiura degli eb rei» 11 7• Il punto su cui si focalizzava quella ricerca musicale in senso stretto era il metodo melodico, armonico e orchestrale e infine la teoria della tecnica di strumentazione praticata da Wagner 11 8• Al centro si trovava quello che Adorno chiamava la fantasmagoria, la chimera di

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Wagner. Parlava di regressione «nel mezzo anacronistico del suono» dal quale scaturiva, al contempo, «I' elemento effettivamente produttivo della musica di Wagnen> . Egli scriveva anche che «questo elemento, in entrambe le sue dimensioni, l'armonia e il colore, è il suono. [ . . . ] Come espressione, la forza creatrice soggettiva procede il più audacemente possibile nella componente armonica: immagini come il motivo del sonno nel Ring somigliano a formule incantatorie, capaci di trarre tutti i ritrovati armonici posteriori dal continuum dei dodici suoni. Ancor più che nella tendenza alla scissione atomica, Wagner anticipa l'Impressio­ nismo nell'armonia» 11 9 . Ma Adorno non si fermò certo lì. Egli sottolineava che il suono si trasformava in magia quando, tramite una diversa interpretazione, vie­ ne nascosto in un rapporto naturale il modo in cui nasce un effetto so­ noro: «L'occultamento della produzione sotto l'apparenza di prodotto è la legge formale di Richard Wagner» 120 • Un passo notevole del saggio è costituito dall'interpretazione che Adorno fornisce di una «unità di dominio della natura e sottomissione alla natura», che egli chiarisce tramite l' idea del Ring, secondo la quale «l'uomo si emancipa dal cieco contesto naturale da cui esce egl i medesi­ mo, e ottiene il potere sulla natura, in ultima istanza, per soccombere ad essa. [ . . . ] L'immagine della resa alla natura da parte dell' uomo che la domina assume nell'azione drammatica del Ring il suo aspetto sociale: con la vittoria della borghesia la " fatale " naturalezza della società rimane stabilita ad onta di ogni possibile dominio sulla natura» 121 • L'effettiva forma del dramma musicale così come Wagner lo ha svi­ luppato in quanto opera d'arte totale, costituiva uno dei temi del saggio di Adorno, così come il rapporto tra il mito e la modernità nel contesto dell'argomento dell'opera. Questa prospettiva portava, nell'ultimo capi­ tolo, ai Motivi per salvare Wagner 122• Adorno scriveva che il composito­ re non era «soltanto il volenteroso profeta e lo sbirro zelante dell'impe­ rialismo e del tardo terrore borghese», ma che egli «aveva a disposizione la forza della nevrosi, che gli permetteva di guardare in faccia il suo pro­ prio declino» 123• Benché Benjamin fosse altamente impressionato dal «ritratto di Wagner» fatto da Adorno, e dalla «precisione della decifrazione materia­ listica» , dopo aver letto il manoscritto espresse cautamente qualche con­ siderazione. Egli si chiedeva, per esempio, se Adorno non avesse fatto un uso un po' troppo indiscrimi nato delle «categorie di progresso e re­ gressione». Il tentativo di «salvare Wagner» veniva in fin dei conti limi320

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taro tramite un confronto polemico. In questo modo vari importanti motivi della teoria musicale di Adorno non riuscivano a svolgersi suffi­ cientemente. «Forse salvare Wagner avrebbe dato spazio per espandersi proprio ad uno dei Suoi motivi di più vecchia data, alla décadence e a quel verso di Trakl che Lei ama tanto. Quel che è determinante, quan­ do si salva qualcosa, non è mai l'elemento progressivo, no ? Anzi può ap­ parire molto simile a qualcosa di regressivo, come in Karl Kraus, per il quale l'origine è la meta» 1 24• Adorno accettò queste osservazioni criti­ che dell'amico, ma non intendeva collocare il motivo del salvataggio in relazione alle esperienze della propria infanzia: «Wagner non faceva par­ te del firmamento delle stelle della mia infanzia, ed anche oggi non sono in grado di evocare per lui un'aura più perfetta di quanto già non abbia tentato di fare [ . . . ] in alcuni passi del mio scritto» 1 2 5• Adorno era con­ vinto di essere riuscito, tramite la propria critica, a salvare la musica di Wagner là dove era possibile salvarla. Nel maggio del 1938 scrisse a Kre­ nek che la sua aspra disputa con la musica di Wagner era andata a fi nire come un romanzo di Marlitt: «Alla fine i due convolano a giuste nozze: il nichilismo è salvo. Ed anche per il resto non era restato molto indietro rispetto alla Marlitt, perché anche lì c'era una qualche suspence, come per esempio lo sviluppo dell'organizzazione formale wagneriana dalla gestualità del direttore d'orchestra» 1 26 • Questi erano tutti pensieri ed idee che alla fine del 1937 e all'inizio del 1938 avevano accompagnato Adorno a San Remo, dove era andato per riposarsi insieme a Gretel e a Benj amin. L'intenzione di scrivere un libro su Wagner era ormai da tempo cosa fatta. Dunque, così come Benjamin lavorava al sua saggio su Baudelaire, Adorno tentava di dare contorni più precisi al suo studio su Wagner. Di rito rno dalla riviera ligure Adorno e Gretel si recarono a Bruxel­ les per prendere congedo dai genitori; dal padre di Adorno, che stava per compiere sessantotto anni, e dalla madre, che aveva compiuto set­ tant'anni nell'ottobre di due anni prima. Tornati a Londra, Adorno cominciò a prepararsi alla propria vita futura e al lavoro a New York, attendendo impaziente di partire. Usava quel periodo di transizione per completare il più possibile i lavori che aveva cominciato. Oltre a ciò, aveva tenuto una conferenza all'Institute of Sociolo gy di Londra, sul tema The Sociolo gy ofArt 1 27• La sua tenden­ za alle fantasticherie astruse non era comunque venuta meno, come di­ mostra una sua lettera indirizzata a Horkheimer: 3 21

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Archibald, il re degli ippopotami, porta una corona d'oro su cui è incastonata una grossa perla ed ha aurei rigonfiamenti sopra gli occhi, ma si tiene ben lontano da una partecipazione attiva agli affari di governo. Ha una liaison con la giraffa " gaz­ zella", di tanto in tanto porta i pantaloni di un pigiama giallo di seta ed ha pubbli­ cato uno studio, il manifesto panumanistico, che è uscito presso gli editori riuniti degli sciacalli e delle iene. Lavora da anni alla sua opera principale, che è intitolata " la frusta dell'ippopotamo " e vuole conferire un fondamento teoretico ad una so­ cietà umana che comprenda anche gli animali . Negli anni della sua giovinezza la fi­ danzata che aveva all'epoca, il coccodrillo Babycocco, gli aveva staccato a morsi il suo codino a ricciolo

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Horkheimer non voleva certo guastare il buon umore del suo corrispon­ dente, ma non lasciò neppure che si sprofondasse troppo nelle proprie fantasticherie. Gli scrisse che i primi tempi a New York sarebbero stati certamente difficili, che all'inizio non avrebbe potuto lavorate all' Istitu­ to perché non c'erano stanze a disposizione, e che con il tempo Adorno avrebbe dovuto farsi con le proprie forze una posizione di " teorico auto­ nomo " all'interno dei circoli accademici americani. Ma con queste os­ servazioni aveva già gettato abbastanza acqua sul fuoco e Adorno non doveva neanche mettersi in viaggio con la sensazione di andare incontro a un futuro incerto. Horkheimer concludeva la sua lettera scrivendo: «Credo davvero che in America ci sia la possibilità che tu e G retel pos­ siate vivere davvero da gran signori)) 1 29• Questa affermazione non è sin­ tomatica soltanto per quel che concerne lo stile di vita di Horkheimer, ma anche per il modo in cui Adorno usava presentarsi, per le sue abitu­ dini borghesi, che si basavano sull'aspettativa, che lui dava per scontata, che su una base materiale assicurata si potesse condurre una vita da in­ tellettuale dall'orientamento di pensiero antiborghese. Soltanto quattro settimane dopo che avevano fatto ritorno dall' Ita­ lia, il 16 febbraio del 19 3 8, i coniugi Adorno partirono per New York sul " Champlain". Certo non erano angosciati dal pensiero di non riusci re a far fronte alla nuova situazione in America, ma quella partenza signifi­ cava anche prendere congedo dall'Europa e dunque anche da Benjamin e da Parigi: «La torre Eiffel, vista da vicino e dal basso, è un mostro orri­ bile, squat si direbbe in inglese, tozza e piantata su quattro corte gambe mostruose e storte, in avida attesa di potersi divorare quella città sulla quale sono passate talmente tante immagini di sventura, che essa ne è ri­ masta risparmiata. Da lontano, però, la torre Eiffel è il simbolo snello e 322

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annebbiato che l'imperturbabile Babilonia innalza nel cielo della mo­ dernità» 130 • Adorno e sua moglie si rendevano perfettamente conto del privile­ gio che avevano di poter vivere a N ew York con una base finanziaria certa grazie alla collaborazione al Radio Research Project e al contratto con l'Institute of Social Research, e sapevano bene che se non avessero fatto quel passo la loro vita in Europa sarebbe stata costantemente in pe­ ricolo . Adorno aveva ricevuto dalla madre un regalo molto personale che lo avrebbe accompagnato in esilio: un quadro che amava fin dagl i anni dell'infanzia, Die Konfuter Muhle (Il mulino di Konfut) del pittore Max Rossmann. Rossmann, che aveva dipinto quella veduta di una fat­ toria nei pressi di Babenhausen (Assia) !asciandola «incompiuta e note­ volmente rovinata» aveva lavorato nel proprio atelier di Amorbach, il luogo che Adorno defin iva il solo angolo che gli fosse rimasto della sua terra natia 131 • Un giorno prima di partire scrisse ad Horkheimer che era stato dav­ vero l'ultimo momento utile : La situazione in Europa è totalmente disperata; pare che le prognosi della mia ulti­ ma lettera vengano confermate nel peggiore dei modi: l'Austria finirà nelle mani di Hitler e grazie a ciò costui vedrà la propria posizione stabilizzarsi nuovamente ad

infinitum in un mondo totalmente affascinato dal successo, e tutto ciò basandosi sul terrore più atroce. Non c'è quasi più alcun dubbio che in Germania gli ebrei che ancora ci sono verranno sterminati : perché, in quanto espropriati di tutto , non ci sarà neanche un paese al mondo che li accoglierà. E ancora una volta nessuno farà nulla: gli altri sono degni del loro Hitler»

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Adorno aveva appena cominciato a sistemarsi a N ew York quando il re­ gime in Germania, nel corso dell'anno 1938 , inasprì le misure repressive riguardanti la popolazione ebrea. Egli aveva ormai già capito, ancor pri­ ma dei pogrom e della ghettizzazione degli ebrei, che Hitler e la sua as­ surda visione del mondo erano una minaccia mortale. Viveva aspettan­ dosi il peggio: la deportazione e il genocidio. E temeva che nessuna delle grandi potenze avrebbe preso dei seri provvedimenti per salvare i perse­ guitati dai loro aguzzini.

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Learning by do ing. La via di Adorno verso la ricerca so ciale

Il piroscafo della French Line attraccò a New York nell'ultima settima­ na di febbraio del 19 3 8 1 • Per Adorno la vista di Manhattan non era cosa del tutto nuova, ma lo era invece per la moglie, che vedeva per la prima volta la Statua della libertà e l'imponente skyline della città. Entrambi cominciarono ad orientarsi piuttosto in fretta nella metropoli america­ na simbolo dell'american way oflife e quintessenza del mondo urbano contemporaneo 2 • Durante i tre ann i trascorsi ad Oxford Adorno, sep­ pure da autodidatta, aveva imparato suffi c ientemente l'inglese tanto da potersela cavare piuttosto bene in ambito accademico 3• Non appena di­ sfatte le valige, Gretel già scriveva a Benjamin che la città dei superlativi le piaceva molto, che non era «tutto così nuovo e progredito». Quel che la colpiva era il contrasto «tra l' ultramoderno e il misero. Qui non c'è bisogno di andare in cerca di cose surrealiste, si incontrano ad ogni piè sospinto. Verso sera i grattacieli sono imponenti, ma più tardi, quando gli uffici sono ormai chiusi e le luci si fanno più rade, ricordano i palazzi che in Europa danno sul lato del cortile interno e non sono illuminati a sufficienza>> 4. Gretel avrebbe potuto allettare il suo corrispondente an­ che parlandogli dell'architettura in ghisa tipica della bassa Manhattan, illustrandogli lo stile beaux arts degli edifici pubblici, il quartiere delle gallerie commerciali del centro, il Metropolitan Museum, la Public Li­ brary o i tipici bookstores. Le impressioni espresse da Adorno erano simili a quelle della mo­ glie: trovava europea quella città di sette milioni di abitanti. La Settima Avenue, vicino alla quale lui e Gretel avevano abitato per le prime setti­ mane, ricordava boulevard Montparnasse e il Greenwich Village aveva qualcosa della collina di St. Geneviève. I coniugi, al loro arrivo, si erano installati, seppur provvisoriamente, in un appartamento piuttosto pia­ cevole, al numero 45 della Cristopher Street, dal quale si godeva una «vi325

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sta magnifica» sulla città 5• Più avanti, a partire dal settembre del 19 3 8, Adorno e la moglie andarono ad abitare non molto lontano dalla Co­ lumbia University e dall'Institute of Social Research, al n. 290 di River­ side D rive, dove avevano preso in affitto un appartamento al tredicesi­ mo piano, con vista sullo Hudson River, che finalmente poterono arre­ dare con i loro mobili arrivati dalla Germania. Anche il pianoforte a coda era di nuovo a disposizione. Per Adorno e la moglie era ora un pia­ cere organ izzare inviti a casa, e il numero degl i ospiti era andato ben presto crescendo. Oltre ai colleghi e agli amici dell'Istituto c'erano i filo­ sofi Gershom Scholem, Ernst Bloch e Paul Tillich, i musicisti Ernst Krenek, Eduard Steuermann e Rudolf Kolisch, lo storico dell'arte Meyer Schapiro, l'architetto Ferdinand Kramer, che era un amico di gioventù, vari amici di famiglia, come Marie Seligmann 6 , Egon Wis­ sing 7, e Liselotte Karplus, la sorella minore di Gretel. Quell'apparta­ mento, pieno di ricordi privati come "la poltrona del nonno ", il " salot­ to biedermeier" ed il vecchio " scrittoio " non era soltanto, come Adorno aveva scritto ad Horkheimer, qualcosa di «bello e piacevole», ma anche «un social asset, qualcosa che ci aiutò a difenderci dalla malvagità e dalla diffidenza e ci permise di invitare gente in modo più che naturale» 8 • Tra questi invitati si può annoverare, benché giunto due anni più tardi, anche Hermann Grab, lo stimatissimo amico di Adorno che, dopo essere emigrato dalla sua città natale Praga a Parigi era poi riuscito a fuggi re a New York passando per Lisbona. Nel suo racconto Nozze a Brooklyn, che tratta con grande sensibilità i sentimenti di un europeo in esilio a Brooklyn, egli descrisse la casa di Adorno: «Il mio amico mi ac­ compagnò alla finestra. Giù in basso, lungo il fiume, si vedevano muo­ versi le luci delle automobili; il brillio che si percepiva sulla riva opposta erano, mi dissero, le luci del N ew J ersey; dal porto saliva il suono delle sirene da nebbia: New York, dall'alto di quella casa sul Riverside D rive, mi sembrò quella sera una città imponente e silenziosa» 9. Adorno, per parte sua, aveva fatto tutto il possibile e l'immaginabile perché Grab po­ tesse entrare negli U SA. Sperava che potesse riceverlo proprio Horkhei­ mer e gli fece dunque un po' di pubblicità: «Grab è musicista, suona magnificamente il pianoforte, è laureato in filosofia e in giurisprudenza (allievo di Scheler, ma infedele) , ha scritto un romanzo piuttosto inte­ ressante, conosce tutto Proust a memoria e suona senza spartito tutte le opere di Strauss. Un talento naturale, insomma. Il fatto che un tempo sia stato incredib ilmente ricco non dovrebbe costituire un impedimento per lui, che si è davvero emancipato da quel m onde» 10 •

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A New York City, fin dall'inizio, agli Adorno non mancarono le re­ lazioni e i contatti privati. Benché l'estate del 19 3 8 negli Stati Un i ti fosse stata estremamente calda, i due emigranti si aprirono al fascino della ca­ pitale culturale d'America. Adorno non mancò di recarsi con degli ami­ ci ad uno spettacolo di «revue nègre ad Harlem» . G ià durante i primi mesi di permanenza, inoltre, la coppia si fece un' idea anche dei dintor­ ni: erano rimasti molto colpiti soprattutto del New England 11 • Nel ri­ cordo a posteriori viene riferito soltanto un aspetto di quelle esperienze che Adorno aveva fatto negli Stati Un i ti: «Quando si arriva in America, tutti i luoghi sembrano uguali. La standardizzazione, prodotta dalla tec­ nica e dal monopolio, è angosciosa» 12 • Sul posto, però, Adorno vedeva le cose diversamente. Nell'agosto del 19 3 8 trascorsero le ferie a Bar Har­ bor, all"' Hotel de Gregoire", «un luogo estremamente gradevole per come sono le cose in America: su un'isola» 1 3 • Su questo sfondo, non si può proprio dire che per Adorno la forma di vita americana sia stata sol­ tanto un'esperienza scioccante. Ad un altro livello, meno diretto, c'erano ovviamente le riflessioni filosofico-storiche sul significato ideologico della moderna cultura ame­ ricana di massa e sulla funzionalizzazione commerciale dell'arte, sul rap­ porto tra politica ed economia alla fine dell'era liberale, sul ruolo del­ l'intellettuale in questa società, e sull'espulsione e l'esilio 14. Adorno fu sempre del tutto cosciente che per lui New York rimaneva un luogo in cui cercare asilo, una sorta di episodio che poteva durare soltanto per il periodo in cui Hitler era al potere in Germania. Un fatto concernente l'" esilio nell'esilio ", osservato a tarda sera tornando a casa con la subway, gli parve interessante da annotare; aveva incontrato una giovane don na, evidentemente un'emigrante dall'Europa come lui, la quale, invece di restituire il sorriso che le era stato rivolto, aveva ritratto il suo «volto stanco [ . . . ] nel riserbo e in quel rifiuto che riteneva consono per una si­ gnora. A Vienna, da dove probabilmente ven iva, o anche a Berlino, sa­ rebbe tornata a sorridere [ . . . ] . È questo il vero trionfo di Hitler, pensai. Non soltanto ci ha tolto il nostro paese, la lingua e i soldi, ma ci ha an­ che confiscato quel po' di sorriso che ci restava. Il mondo che ha creato presto ci renderà malvagi come lui. L'atteggiamento di difesa della ra­ gazza e la mia mancanza di riguardo sono degni l'uno dell'altra» 1 5• Adorno non ebbe molto tempo per familiarizzare con le condizioni di vita di Manhattan, perché dall'oggi al domani dovette cominciare ad occuparsi del logorante lavoro di ricerca legato al Radio Research Project, lanciandosi in una sfera d'attività che gli era completamente estranea. Il 3 27

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suo posto di lavoro, nei primi tempi, era fuori New York, a Newark, dove Lazarsfeld, il direttore del Princeton Office of Radio Research, aveva trovato dei locali per il suo gruppo di ricerca, situati in un birrifi­ cio inutilizzato. «Quando vi andai per la prima volta», scrisse Adorno, «attraversando il tunnel sotto l'Hudson, mi pareva di essere come nel teatro naturale di Oklahoma di kafkiana memoria. Mi colpì e mi attras­ se molto, invero, proprio quella disinvoltura nella scelta del luogo, che sarebbe stata difficilmente immaginabile nell'ambito dei costumi acca­ demici europei» 1 6 . Cercava, certo, di aderire alla nuova situazione con apertura ed interesse, ma reagiva in modo addirittura allergico alla spe­ ranza che egli si adattasse completamente alle condizioni che vigevano nella cultura scientifica americana: « Il persistere nella continuità intel­ lettuale col mio passato era per me un fatto di assiomatica ovvietà, e ben presto ne divenni, nel corso del mio soggiorno americano, perfettamen­ te consapevole . Ricordo ancora lo shock che mi procurò, quand'ero ap­ pena arrivato a New York, una giovane emigrante, una cosiddetta ragaz­ za di buona famiglia, allorché disse: " Prima si andava al concerto filar­ monico, adesso si va a Radio City">> 1 7. Una volta che Adorno si fu sistemato nel suo appartamento provvi­ sorio in pieno Greenwich Village, Paul Lazarsfeld insistette perché si in­ contrassero al più presto, in modo da poter parlare con Adorno del fu­ turo progetto di lavoro. G ià alla fine di novembre del 1937 lo aveva istruito con precisione per lettera su che cosa si attendesse da lui nel caso si fosse fatto carico della realizzazione della parte musicale del progetto. Egli non avrebbe dovuto soltanto, in particolare, far sì che il Research Project non si esaurisse in un foct-finding, ma anche che fosse inserito in un contesto di riferimento, un contesto di teoria della musica e della so­ cietà. Adorno, per parte sua, aveva chiarito le proprie riflessioni concet­ tuali in una lettera dettagliata del 29 gennaio 19 3 8 , che precisò in un ex­ posé di sei fitte pagine in cui formulò una serie di domande e di tesi per le quali aveva tratto impulsi anche dal saggio Bemerkungen zur Rund­ funkmusik (Osservazioni sulla musica radiofonica) che Ernst Krenek aveva redatto per la " Zeitschrift fi.i r Sozialforschung" 1 8 • Adorno pren­ deva le mosse dal fatto che attraverso la trasmissione via radio il timbro della musica veniva modificato; quel che si creava era un suono artefatto in contrasto con il timbro naturale della musica che viene eseguita du­ rante un concerto . Per questo motivo la musica diffusa dalla radio non può essere presa veramente sul serio, dal momento che perde il suo ca­ rattere sinfonico e diventa una sorta di pezzo da museo. I costanti ru-

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mori di fondo che si avvertono durante le radiotrasmissioni creano il fe­ nomeno della "distorsione del suono ". La musica va a far parte, cioè, di un semplice rumore generale diffuso, perdendo la propria dimensione profonda e dunque la propria aura. Dal momento che la musica alla ra­ dio arriva in ogni casa per così dire come un servizio pubblico, essa ac­ quisisce la qualità di qualcosa di occasionale riducendosi ad un intratte­ nimento che accompagna incidentalmente durante altre occupazioni. Il patrimonio culturale, in questo modo, si trasforma in insignificante og­ getto d'uso domestico. Dal momento che l'ascoltatore non può deter­ minare i contenuti musicali del programma radiofonico che vengono diffusi all'interno della sua sfera privata, in questa sua impotenza di fronte ai fatti, per lui spegnere la radio resta l'un ico modo narcisistico in cui potersi soddisfare. Poiché alla radio vengono costantemente ripetute determinate produzioni musicali di tipo popolare, il programma acqui­ sta un carattere privo di alternative. La musica si impone come qualcosa che viene recepito senza partecipazione interiore. Per quel che concer­ neva la metodologia della ricerca, Adorno suggeriva di sottoporre ad esame analitico i testi della posta inviata regolarmente dagli ascoltatori alle redazioni delle stazioni radiofoniche. Egli si batteva inoltre in favore del fatto che venissero condotte analisi dei contenuti dei successi musi­ cali, come esempio, per mettere in luce la relazione sussistente tra il messaggio e la costruzione compositiva 1 9. Già il 26 febbraio, sulla base di queste pre-riflessioni fissate per iscritto, ebbe luogo un primo incontro tra Adorno e Lazarsfeld, il quale lo istruì sui suoi compiti futuri concernenti la parte di ricerca a lui affi­ data, e cioè l'influenza dei programmi radiofonici. Il titolo esatto del progetto generale era: The Essential Value ofRadio to all Types ofListeners. L'idea originaria, quella cioè di analizzare gli ef­ fetti della radio, che allora era il principale mezzo di comunicazione di massa, dalla prospettiva della sociologia della comunicazione facendo uso degli strumenti della ricerca sociale empirica, era partita dallo psico­ logo sociale Hadley Cantril, che insegnava alla Princeton University, e da Frank Stanton 20 , ai quali, per questo progetto, la Rockefeller Foun­ dation aveva messo a disposizione una cifra relativamente alta. Lo scopo del progetto generale era quello di scoprire quale posto ricoprisse la ra­ dio nella vita quotidiana delle persone, quali motivazioni fossero alla base della ricezione radiofonica, quale tipo di trasmissione incontrasse l'approvazione e quale il rifiuto degl i ascoltatori e che genere di ascolta­ tore potesse far parte del gruppo specifico a cui una trasmissione si rivol3 29

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ge. In primo piano, in quanto attività su cui focalizzare l'interesse della ricerca, si trovava l'esame di materiali e di dati valutabili dal punto di vi­ sta amministrativo 21 • Su suggerimento dello stimato sociologo america­ no Robert S. Lynd l'incarico di eseguire il progetto fu affidato a Lazars­ feld, il quale aveva fondato, all'università di Newark, un suo istituto che si finanziava in primo luogo tramite incarichi di ricerca sulla comunica­ zione di massa 22 • Nato a Vie n n a in una famiglia di ebrei assim ilati e di sin istra, Paul Lazarsfeld, che aveva due anni più di Adorno, già dai tardi anni venti aveva lavorato come sociologo nella sua città natale, facendosi un nome con lo studio, eseguito nel 1930 insieme a Marie Jahoda e Hans Zeisel, l

disoccupati di Marienthal. Studio sociografico sugli effetti della disoccupa­ zione prolungata 23• La Rockefeller Foundation, che già aveva finanziato

quella ricerca, nel 1933 offrì a Lazarsfeld la possibilità di recarsi negli usA per apprendere il metodo dei surveys. A causa degl i sviluppi politici veri­ ficatisi nel suo paese, Lazarsfeld, che in Austria aveva legami con il parti­ to socialista, dichiarato illegale a partire dal 1934, decise di chiedere la cittadinanza statunitense. Con l'l nstitute of Social Research di Hor­ kheimer era in relazione per via della sua collaborazione agl i Studi sul­ l'autorità e la famiglia. Da quando aveva fornito il proprio aiuto analiz­ zando statisticamente dei questionari, era stato inserito nel prospetto economico dell' istituto come Research associate. Il Radio Research Project era il primo grande progetto di ricerca di Lazarsfeld negli Stati Un i ti che gli forniva la possibilità, per il futuro, di intraprendere una carriera universitaria di sociologo. Era Princeton, e la School of Public and lnternational Affairs, infatti, che aveva la respon­ sabil ità del progetto, ma la ricerca sul campo era stata trasferita all' Isti­ tuto di Newark, in cui Lazarsfeld, inizialmente, avrebbe dovuto com­ pletare lo studio nello spazio di due anni 24• Era, tra le altre cose, anche per via dell'urgenza del lavoro che a Lazarsfeld stava particolamente a cuore coinvolgere il più presto possibile Adorno nel lavoro di ricerca. La collaborazione tra i due, tuttavia, un intellettuale da una parte e uno scienziato sociale dall'altra, fin da subito non fu priva di attriti. In segui­ to, Adorno amm ise di aver avuto fin dall'inizio enormi problemi con quel genere di ricerca sociale empirica, che negli Stati Un i ti era predo­ minante, anche malgrado il fatto che Lazarsfeld lo stimasse molto ed avesse molto bisogno di lui come teorico della disciplina e come mente stimolante 2 5• Il compito di Adorno sarebbe consistito in primo luogo nell' operazionalizzare le interpretazioni, che in parte erano già disponi330

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bili nelle sue analisi di sociologia della musica e che in parte andavano ancora sviluppate, applicandole alla musica leggera e a quella classica in modo che, in quanto sistema di ipotesi, fosse possibile sottoporle ad una verifica all'interno del processo di ricerca empirico . Al contempo c'era l'intenzione di elaborare sistematicamente le interpretazioni sociologi­ co-musicali, nella misura in cui esse dessero buona prova di sé empirica­ mente, come quadro di riferimento teorico dei risultati empirici della ri­ cerca. Dal momento che Ado rno era interessato a sviluppare delle alter­ native al sistema commerciale di un sistema radiofonico basato sull'eco­ nomia privata, fin dall'inizio della sua collaborazione al progetto si in­ formò presso Benjamin di quali fossero le riflessioni concettuali che era­ no state alla base, all'epoca, dei cosiddetti " modelli di ascolto " che que­ sti, nei primi anni trenta in Germania, aveva sperimentato e sviluppato 6 come genere particolare di trasmissione 2 • Nel marzo del 1938 Ado rno comi nciò a prendere confidenza, a Ne­ wark, con la conversione degli scopi del progetto in pratiche di ricerca. In seguito, guardando a quel periodo, scriverà di aver sentito «espressio­ ni come likes and dislikes study ( indice di gradimento) , success or foilure of a programme (successo o insuccesso di un programma) e simili, che all'inizio per me non volevano dire molto. Capii però che si trattava di accumulare dati [ . . . ] . Per la prima volta mi trovai di fronte ad una admi­ nistrative research» 27 . Lo stupore del filosofo nei confronti di questo ge­ nere di ricerca sociale concerneva in primo luogo il fatto che le questio­ ni da affrontare non soltanto venivano fornite da un committente, ma determinavano anche il quadro dell'analisi e il suo raggio d'azione. Adorno si stupiva, inoltre, del fatto che l'analisi dei media fosse limitata ad un set prestabilito di metodi appartenenti alla demoscopia. Presto ebbe qualcosa da eccepire, affermando che tramite tali metodi demo­ scopici era possibile rilevare soltanto reazioni soggettive dei radioascol­ tatori in relazione ai program mi. Il suo punto di vista, invece, esplicato 8 in una lunga lettera a Lazarsfeld del 21 marzo 1938 2 , era che prima di tutto occorresse chiarire due questioni: primo, che qualità musicale hanno i contenuti delle radiotrasmissioni e, secondo, in quali condizio­ ni e con qual i scopi la radio produce programm i musicali. Adorno fece rilevare in una lettera che aspirare ad una " quantificazione " dei risultati, pervenire cioè a darne una rappre­ sentazione numerica, implica necessariamente una certa semplificazione delle cate­ gorie. Si può probabilmente stabilire, in percentuale, quanti ascoltatori prediliga-

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no l'opera preclassica, quanti quella classica, quella romantica e quella verista. Ma se si vogliono anche indicare le motivazioni che ciascuno di loro fornisce per la pro­ pria preferenza, allora probabilmente non sarebbe più possibile fare una quantifi­ cazione, queste motivazioni, cioè, differirebbero a tal punto l'una dall'altra che dif­ ficilmente sarebbe possibile trovare un denominatore comune anche soltanto per due di esse, e cioè non sarebbe più possibile, probabilmente, creare delle categorie statistiche

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Tramite tali obiezioni Adorno cercava di protestare contro «la constata­ zione e la misurazione di effetti, senza che questi vengano posti in rela­ zione con gli " stimoli", e cioè con l'oggettività di ciò a cui i consumato­ ri, [ . . . ] i radioascoltatori reagiscono>> 3 0 • Molto singolare risultava ai suoi occhi uno strumento empirico di misura detto "program analyzer" col cui ausilio gli ascoltatori di musica alla radio potevano segnalare, sem­ pl icemente schiacciando un pulsante, che cosa loro piacesse o non pia­ cesse in un brano musicale. Adorno si rifiutava di " misurare la cultura" in questo modo : «Di fronte a tali metodi mi resi conto che la cultura è proprio quella condizione che esclude una mentalità la quale vorrebbe misurarla» 3 1 • Quanto a Lazarsfeld, anch'egli, dopo le prime settimane di lavoro in collaborazione, si era fatto un' idea specifica di Adorno, idea che aveva comunicato ai direttori del progetto di ricerca: «Ha esattamente l' aspet­ to che ci si immagina abbia uno svagato professore tedesco e si compor­ ta in modo così strano che io stesso mi sento come un membro della Mayflower Society. Se, tuttavia, si comincia a discutere con lui, esprime un' infinità di idee interessanti. Come tutti quelli che sono nuovi di qui, cerca di cambiare tutto, ma se lo si ascolta, la maggior parte delle cose che dice suonano più che ragionevoli» 3 2 • Adorno, in effetti, all'inizio della sua attività di ricerca, aveva fatto il vano tentativo di far cambiare idea a Lazarsfeld. Con le sue lettere, l'ex­ posé e le controproposte che gli presentava oralmente intendeva convin­ cerlo che, per la risposta alle domande dell'indagine sulla radio, la strada intrapresa, quella cioè di una ricerca dall'orientamento fondamental­ mente quantitativo, difficilmente avrebbe potuto condurre a risultati utili. La mia proposta è semplicemente di chiedersi se forse non sarebbe sensato condur­ re l'inchiesta sugli individui in modo davvero strettamente individuale, cioè senza tenere in considerazione la quantificabilità dei risultati, i quali hanno invece, in

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tutti i contributi americani che finora mi è capitato di leggere, un'importanza deci­ siva per l'intero complesso della ricerca. [ . . . ] Intendo dire che dovremmo poter concordare facilmente sul fatto che ciò che è veramente generale lo si può trarre più dall'individuale che dal generale, all'interno del quale non significa niente di più che un giudizio analitico . Ciò presuppone, ovviamente, che, in un certo senso, il generale già lo si abbia, in forma di " teoria"; ma è proprio questo metodo che a partire dalla teoria mira a comprendere la fatticità individuale nel modo più pro­ fondo possibile per poi eventualmente modificare la teoria, quello che io chiamo dialettico . [ . . . ] La deduzione pratica che si trae da queste riflessioni è la seguente: condurre interviste singole in modo molto individuale, possibilmente, per esem­ pio, indipendentemente da modelli di questionario, anche correndo il rischio che tali interviste non vengano considerate rappresentative della " media" , e tentare di apprendere il più possibile sull'individuo singolo e sul suo modo di reagire, e nel modo più approfondito possibile [ . . . ] . Se si è in grado di rendersi conto della rela­ zione dell'individuo con la società e si riesce a vedere l'individuo in modo s uffi­ cientemente preciso da riconoscere che, nella sua individualità, esso è determinato socialmente, credo che i risultati ottenuti siano più importanti di quello che si ot­ terrebbe se, per motivi di quantificabilità nell'analisi dei motivi, ci si limitasse a dei luoghi comuni, dai quali non viene fuori niente per la teoria

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Sullo sfondo di quell'opera di convincimento che Adorno cercava di esercitare con un' intensità che non tendeva ad affievolirsi, la continua diatriba tra il teorico musicale e lo scienziato sociale non deve essere in­ terpretata soltanto come un inconciliabile contrasto di principio tra, da una parte, la cultura di stampo europeo che aveva Adorno e la sua idea di metodo, che era di indirizzo interpretativo e, dall'altra, l'attitudine pragmatica di Lazarsfeld. Tale diatriba, infatti, dà anche prova della di­ sponibilità di Adorno ad impegnarsi all'interno della sua nuova sfera di competenza. Era ben lungi da prendere alla leggera quell'inabituale atti­ vità di scienziato sociale empirico . Già tre mesi dopo quel primo incon­ tro con Lazarsfeld redasse un memorandum dal titolo Music in Radio lungo ben centosessanta pagine dattiloscritte 34• In quattro capitoli, ciascuno dei quali era a sua volta meticolosa­ mente suddiviso in più parti, Adorno aveva schizzato la struttura di base per una teoria sociologica della musica alla radio, teoria che egli legava ad un progetto specifico teso a studiare quel mezzo di comunicazione. La questione in primo piano nel primo capitolo era il modo in cui è possibile comprendere i bisogni soggettivi degli ascoltatori, in che modo ha luogo la mediazione sociale di bisogni comunicativi e che importan333

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za riveste in ciò il mezzo onnipresente della comunicazione di massa. Nel secondo capitolo Adorno si concentrava sull'aspetto musicale in senso stretto delle trasmissioni radiofoniche. Il suo interesse andava so­ prattutto a due problemi: da un lato, il modo in cui il materiale musica­ le cambia durante il processo di diffusione mediati ca e, dall'altro, il modo in cui vengono recepiti i diversi generi musicali. Un'importanza particolare veniva attribuita al «concetto di formazione di feticci nella musica radiofonica» : «Con formazione di feticci musicali, intendiamo che, invece di stabilire una relazione diretta tra l'ascoltatore e la musica stessa, esiste soltanto una relazione tra l'ascoltatore e un qualche genere di valore sociale od economico che è stato attribuito alla musica o agli individui che la eseguono» 3 5• Dopo aver espresso la tesi di un consumo musicale regressivo da parte dell'ascoltatore, nel terzo capitolo Adorno proponeva di concen­ trare l'attenzione, nel prosieguo del processo di ricerca, sugli effetti fon­ damentalmente emozionali della radio. La sua ipotesi di lavoro consiste­ va nel supporre che il modo in cui la radio viene recepita faccia parte di una tendenza generale alla pseudo-attività: «Noi pensiamo che la mag­ gior parte dei tentativi compiuti dalla radio per " coinvolgere " l'ascolta­ tore appartenga alla sfera delle pseudo-attività. Eccone un sempl ice esempio: la forma amatoriale in cui l'orchestra trasmette la musica e in cui gli ascoltatori dilettanti, a casa, possono inserire i rumori che essi stessi producono. Ebbene, questa è apertamente una pseudo-attività, dal momento che l'ascoltatore coinvolto non ha alcun controllo sull 'or­ chestra reale perché questa, infatti, non può sentirlo» 36 . Con l'ausilio dei metodi empirici Adorno intendeva scopri re con­ cretamente in quali situazioni sociali veniva ascoltata la musica diffusa dalla radio: è molto probabile che il significato di una sinfonia di Beethoven, che venga ascol­ tata mentre l'ascoltatore passeggia per la casa o si trova sdraiato a letto, sia diverso dall'effetto che essa produce in una sala da concerto, in cui le persone stanno se­ dute in religioso silenzio. La musica radiofonica viene ascoltata da seduti, in piedi, camminando per la casa o stando sdraiati a letto ? La si ascolta prima dei pranzi, durante il pasto o dopo il pasto ? [ . . . ] Se la musica sta diventando una specie di funzione quotidiana, è alquanto certo che sarà strettamente associata ai pasti. E se gli ascoltatori cercano di spezzare la distanza tra essi e la musica assorbendola, per così dire, in se stessi, e se la trattano come una specie di prodotto " culinario ", si

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potrebbe dimostrare che tutto ciò intrattiene certamente una relazione con il mangiare

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In questo lungo memorandum confluirono numerosi modelli teorico­ musicali di analisi che Adorno aveva già elaborato, per esempio i suoi vari saggi sul jazz, la sua critica di principio alla «musica degli strimpel­ latori» ed il fenomeno della distorsione del suono caratteristico della ra­ dio. Per via dell'ampiezza dei temi esposti, egli parlò del memorandum come di un " libro" ad alcuni suoi corrispondenti come Krenek e Benja­ min 38 • In effetti, nel corso del lavoro che avrebbe dedicato a quel pro­ getto, egli aveva intenzione di pubblicare le sue proprie riflessioni teori­ che sui mass media insieme alle singole analisi di programmi musicali specifici della radio. La cosa non si realizzò subito, perché il memoran­ dum di Adorno, redatto in una lingua straniera (anche se l'inglese in cui Adorno scriveva aveva un livello alto) fu decisamente criticato da Lazar­ sfeld. L'esemplare del memorandum con le sue annotazioni contiene una lunga serie di brusche osservazioni del tipo : «stupidaggine», «idio­ zia», «che vuoi dire ?», «non si capisce di cosa si stia parlando», «dialetti­ ca come scusa, perché incapace di pensare in modo discipli nato», «wit­ hout any feeling for importance» 39 . Quel che in particolare gli rimpro­ verava erano le seguenti deficienze: da un lato, Adorno descriveva il si­ stema radiofonico partendo da una prospettiva prevenuta ed elitario­ borghese che impediva di riflettere sulle possibilità alternative dell 'uso della radio, possibilità che potrebbero emergere in assenza di un' attitu­ dine così fondamentalmente contraria. Dall'altro lato, egli dava un' im­ magine del tutto sbagliata della social research, formulando tesi che risul­ tavano in totale contraddizione con la prassi della ricerca. Tale incom­ petenza screditava quindi gli spunti teorico-musicali che stavano al cen­ tro del memorandum e che avevano un'importanza per il prosieguo del progetto . Nella lettera di ci nque pagine che Lazarsfeld inviò ad Adorno si legge, tra le altre cose: « Lei prende gusto a criticare gli altri perché sono nevrotici o feticisti, ma non si accorge di quanto Lei stesso favori­ sce tali attacchi [ . . . ] : non si accorge che il modo in cui Lei dissemina il testo di parole latine è un esempio di feticismo vero e proprio ? [ . . . ] L'ho pregata ripetutamente di fare uso di un linguaggio più responsabile, ma a quanto pare Lei non era psichicamente nella condizione di seguire il mio consiglio» 40 • La critica espressa in quella lettera, che prendeva di mira una lunga serie di tesi di Adorno sulla funzione sociale della radio, era per vari ver335

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si giustificata. Quella lettera, tuttavia, comprese le formulazioni inutil­ mente polemiche che vi comparivano di tanto in tanto, era anche l'e­ spressione di una capitolazione: Lazarsfeld perdeva la pazienza di fronte alla ricchezza di idee a volte selvaggia di una mente speculativa che lui stesso aveva voluto e che ora cominciava a dargli fastidio. Voleva davve­ ro liberarsi di Adorno come questi sospettava ? Proprio dal momento che Lazarsfeld non intendeva trarre questa conclusione, doveva affron­ tare la difficoltà di far sì che la ricchezza di idee di Adorno tornasse utile ad un progetto empirico di ricerca il cui orientamento era definito da tre fasi: l'elaborazione di concetti, l' operazionalizzazione e la misurazio­ ne 41 • Un compito davvero difficile. Adorno, probabilmente, aveva ca­ pito che in questo si pretendeva troppo da Lazarsfeld e sospettava che il tono aggressivo di quella lettera fosse l'espressione di una profonda de­ bolezza. Vedendo le cose in questo modo per Adorno fu facile confron­ tarsi immediatamente con l'aspra critica del direttore del progetto, e ri­ torse le accuse. Il 6 settembre 1938 scrisse che proprio questo da lui ci si aspettava: «che nel memorandum raccogliessi tutte le idee che avevo sul­ la questione, ed è stato proprio Lei a concepire insieme a me l' idea di un " esperimento in teoria" » 42 • Essendo stato offeso, si difendeva inoltre fa­ cendo presente che, per via di altri impegni quali il rilevamento di dati tramite questionari, le interviste, le analisi di contenuto, i colloqui tra esperti ecc., aveva avuto troppo poco tempo a disposizione per prepara­ re un memorandum sistematico. Aggiungeva che, in fin dei conti, tra­ mite le proprie numerose pubblicazion i di analisi musicale aveva suffi­ cientemente dimostrato di essere in grado di redigere testi basati su una solida struttura interna e una buona coerenza di pensiero. Ciò dicendo egli non si riferiva soltanto al suo vecchio studio di sociologia musicale sul j azz o alle analisi della musica leggera, ma anche ad articoli che aveva concluso nei primi mesi in cui si trovava a New York e che aveva subito pubblicato sulla "Zeitschrift fiir Sozialforschung" (annate V I I e VI I I ) : Ober den Fetischcharakter in der Musik und die Regression des Horens ( Il carattere di feticcio in musica e il regresso dell'ascolto) e Fragm ente iiber Wagner (Frammenti su Wagner) 43 . In questo primo articolo scritto in America compaiono, in versione tedesca, quei concetti tratti dalla teoria marxista e dalla psicoanalisi che erano al centro anche del memorandum in inglese: il carattere di fetic­ cio e la regressione 44• Adorno intendeva documentare due fenomeni che comparivano contemporaneamente e che non era possibile verifica­ re del tutto tramite rilevamenti con questionari e tecniche d'intervista:

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la feticizzazione della musica in quanto parte integrante di una cultura in tutto e per tutto commercializzata e, parallelamente a ciò, l'infantili­ smo del pubblico musicale, la cui attitudine all'ascolto si era atrofizza­ ta 45• L' intera cultura musicale tendeva, secondo Adorno, verso il con­ formismo, la banalizzazione e la standardizzazione. E tale tendenza con­ cordava perfettamente con il processo storico della «liquidazione del­ l'individuo» 46• Nella misura in cui la musica non trova risonanza in un pubbl ico capace di giudicarla, essa si riduce a puro svago e intratteni­ mento. In quel saggio Adorno esprimeva dei dubbi, come anche nelle discussioni concernenti il Radio Research Project, sul fatto che il diverti­ mento contenuto nella musica popolare trasmettesse davvero sensazioni piacevoli. Se però la cultura dell 'intratten imento non intrattiene davve­ ro, allora è possibile identificare un paradosso, quello dell' «Ostilità verso il piacere nel momento stesso del godimento» 47. Non pago di questo, Adorno sosteneva l'opinione secondo cui la musica viene presa in consi­ derazione soltanto per via del suo prestigio, il quale è incarnato, a secon­ da dei gusti, dal famoso direttore d'orchestra, dalla primadonna o dal­ l' attuale star della musica leggera. Egli sosteneva inoltre che l'ascolto della musica si limitava ai brani per così dire compiacenti, dal punto di vista sono ro, di un totum compositivo. «D 'altro canto anche chi è sol­ tanto in grado di avvertire nella musica che ascolta ciò che da lui si vuo­ le e che registra l'allettamento astratto invece di fare una sintesi dei di­ versi momenti singoli, non ha buone orecchie)) 48 • A parte il fatto che rivolgersi a Lazarsfeld ed al suo gruppo di ricerca con tali tesi, appartenenti al contesto di una teoria della decadenza nella prospettiva della critica della cultura, era davvero avere a che fare con chi non aveva buone orecchie, e cioè era come parlare ai sordi, da quel punto in poi la collaborazione, per come le cose stavano dopo la lite epi­ stolare, fu più che difficile. Per questo motivo andò in fumo anche l' in­ tenzione di stendere una tipologia degli ascoltatori, vale a dire pervenire ad una suddivisione statistica in base a rilevamenti tramite questionari . Una versione abbreviata del memorandum di Adorno fu oggetto di una discussione tra i collaboratori che partecipavano al progetto, ma non fu accolta molto favorevolmente. Anche la progettata collaborazione tra Adorno e il giovane psicologo Gerhard Wiebe, che doveva assisterlo nel lavoro pratico di ricerca, fu un disastro. In seguito Adorno avrebbe ri­ cordato che tra lui e quel collaboratore che doveva appoggiarlo nell' ana­ lisi della musica popolare e che aveva praticato la musica jazz, non era quasi mai stato possibile stabilire un rapporto comunicativo. Questi 337

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reagiva con risentimento all'atteggiamento socialmente critico di Ador­ no, che era responsabile degli studi musicali, e vedeva la sua cultura di stampo europeo come un segno di orgoglio ingiustificato 49• Adorno in­ vece, a stare a quello che ne diceva, era in tutto e per tutto intenzionato a mettersi «da quella famosa other side ofthefence» 5 0 • In questo approfit­ tava delle varie competenze che molti collaboratori coinvolti nel proget­ to possedevano, nell'applicazione dei metodi della ricerca sociale empi­ rica, come per esempio in merito alla content analysis quantitativa e qua­ litativa, ai case studies e alle analisi motivazionali. Ad Adorno fu dunque chiaro, tramite l'esame degli atteggiamenti soggettivi nei confronti della musica, quale valore avesse la categoria della mediazione nel processo della comunicazione di massa; egli vedeva la necessità di dimostrare per via empirica che «nelle opinion i e nei comportamenti soggettivi vengo­ no indirettamente alla luce delle datità sociali oggettive» 5 1 • Adorno trasse profitto in modo particolare dal lavoro in comune con il sociologo George Simpson, il quale, in quanto traduttore del vo­ lume di Émile Durkheim sulla divisione del lavoro, nutriva interessi per la teoria della società e al contempo aveva esperienza come scienziato so­ ciale. Per questo motivo fu di grande aiuto quando si trattò di redigere manoscritti in lingua inglese che dovevano essere pubblicati come parte del progetto. Benché Adorno avesse speso molto tempo e molta fatica per tradurre in categorie della ricerca i propri intenti volti alla critica dei media 5 2 , nel corso di quell'esperienza si rese conto del fatto che proprio quella connessione cui Lazarsfeld aspirava, e cioè la connessione tra teo­ ria della società e ricerca sociale, equivaleva a una «quadratura del cer­ chio» . Ricevette per così dire un insegnamento dimostrativo sulla diffe­ renza fondamentale che sussisteva tra l'elaborazione di una teoria specu­ lativa ed il modo di procedere della ricerca sociale, la quale obbediva al principio " science is measurement " 53• Poiché all'epoca né Adorno né Lazarsfeld riuscivano a vedere il modo di creare una relazione produtti­ va tra le loro rispettive idee di scienza 54, tra i due prima o poi non pote­ va che verificarsi una rottura. Nel gennaio del 1939 Adorno tentò di pre­ gare Horkheimer perché facesse da mediatore tra lui e Lazarsfeld. Non voleva farsi mandar via facendo la figura del brontolone e riteneva di doversi difendere dal fatto di essere trattato con ingratitudine dagli altri partecipanti al progetto, dal momento che aveva fatto il suo dovere for­ nendo teoria in misura più che sufficiente proprio per quel progetto 55• Né i tentativi di mediazione di Horkheimer e Lowenthal , né le proteste di Adorno ebbero successo: quando Lazarsfeld, alla fine del 1939, depose

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presso la Rockefeller Foundation una seconda richiesta di finanziamen­ to per altri due anni, la parte musicale del progetto venne eliminata dal programma di finanziamento. Lazarsfeld disse in seguito che John Marshall, il responsabile della fondazione, aveva avuto l'impressione che «il modo di procedere adorniano, che introduceva la ricerca critica nell'attività scientifica concernente la comunicazione di massa» non avesse dato frutti 5 6• Certo, Lazarsfeld si rendeva conto benissimo dei contrasti gnoseologici fondamentali che c'erano tra lui e Adorno, ma non voleva perderlo del tutto e perciò si adoperò presso la Foundation in modo che questi venisse sostenuto finanziariamente fino alla fine del progetto in corso. Propose a Marshall che come lavoro conclusivo Adorno avrebbe potuto preparare una sua propria pubblicazione sull'e­ ducazione musicale: «Mi sembra che se tutte le interessanti idee del dot­ tor Adorno fossero messe in relazione con gl i sforzi attualmente in atto nel campo dell'istruzione di massa, troverebbero un seguito alquanto cospicuo)) 57• Evidentemente, la proposta di Lazarsfeld andò a buon fine. Adorno, infatti, sviluppò un progetto, nel 1940, nel quale tentava di dare risposta in modo estremamente concreto e chiaro alla domanda concernente il modo in cui fosse possibile avvicinare alla musica il radioascoltatore in­ teressato senza commettere l'errore della semplificazione pedagogica. Con il titolo What a music appreciation hour should be schizzò in tutto dodici trasmissioni per una stazione radio di New York, quattro delle quali vennero redatte per la trasmissione da Paul Kresh e Flora Schrei­ ber. Adorno trattava il tema della melodia prendendo ad esempio la Sinfonia in si minore di Schubert; il concetto di unità musicale veniva chiarito tramite l'analisi del primo movimento della Sinfonia in do mag­ giore di Haydn ; per la dimostrazione di cosa fosse una forma musicale fece riferimento alla canzone di successo Avalon; come esempio di una forma di canto prendeva Schumann; sceglieva Mozart per la sonata e Beethoven per lo stile musicale. Questi esempi musicali, tuttavia, non dovevano assolutamente essere intesi come citazioni, infatti, riguardo alla musica alla radio Adorno criticava proprio il fatto che la «citazione (era) la forma decadente della riproduzione)) 5 8• I suoi modelli di ascolto erano preceduti da una sorta di motivazione centrata sull' idea di ascolto corretto : «con una comprensione diretta e spontanea cogliere il brano in questione in quanto nesso logico, come un 'unità di senso nella quale ogni elemento ha una funzione all'interno dell'insieme. La logica musicale di 339

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ogni brano, vale a dire la logica specifica di ogni brano, deve essere com­ presa spontaneamente» 59• L'ascoltatore deve essere condotto al punto da «comporre il brano da sé virtualmente mentre lo ascolta» . È questo ciò che Adorno intendeva quando parlava di ascolto strutturale, che egli 6 contrapponeva al virtuosismo cul inario 0 • In effetti, Adorno vedeva la propria idea come un'alternativa alla trasmissione NBc-Music-Apprecia­ tion-hour, conducted by Walter Damrosch, un programma radiofonico di educazione musicale che all'epoca veniva considerato esemplare ed era molto apprezzato. Per chiarire il proprio programma di educazione mu­ sicale Adorno faceva polemicamente riferimento a suggerimenti formu­ lati in Great Symphonies. How to Recognize and Remember Them (Le grandi sinfonie. Come riconoscerle e tenerle a mente) di S igmund Spaeth: «All'inizio della Quinta Sinfonia di Beethoven, è come se ci ve­ nisse detto di cantare le seguenti parole: " Sono il destino che bussa alla porta ! Fammi entrare"». A consigli di questo tipo Adorno, nel suo mo­ dello di ascolto corretto, ribatteva: «non è certo esagerato affermare che chiunque metta in pratica la strategia raccomandata dal signor Spaeth nell'ascolto della musica è, a dir poco, completamente incapace di qual­ 6 siasi comprensione musicale» 1 • Adorno, malgrado tutte le divergenze che ci furono con Lazarsfeld per due anni durante il lavoro comune al progetto, fu molto produttivo e le sue idee appartenenti al contesto della teoria della società giovarono assai alla ricerca sui mass media; ciò è confermato dai testi che egli scris­ se in quel breve periodo. Nel saggio The Radio Symphony, pubblicato nel 1941 sulla rivista " Radio Research", egli riassumeva i risultati della ricerca in cui aveva analizzato l'aspirazione che le stazioni radiofoniche avevano di avvicinare i loro ascoltatori alla musica classica. Per lui la musica sinfonica alla radio era qualcosa di assai dubbio, perché essa re­ 6 stituiva soltanto una cattiva riproduzione dell'esecuzione dal vivo 2 • La conferenza, invece, dal titolo A Social Critique ofRadio Music, che tenne di fronte ai collaboratori al progetto, era, in forma condensata, la sum­ ma delle idee teoretiche generali di Adorno in proposito alla mediazione della musica da parte dei mass media, idee che aveva raccolto diffusa­ 6 mente nei suoi memorandum 3 • Il saggio On Popular Music fu pubbli­ cato nel 1941 nell'ultimo numero della rivista " Studies in Philosophy an d Social Sciences ", nel quale apparvero anche altri lavori che temati­ camente avevano un legame con il progetto di Princeton e con la ricerca sui mass media. In questo saggio, che aveva scritto insieme a Simpson, 340

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Adorno cercava di mostrare che nella musica leggera era caratteristico dei successi del momento che questi avessero un elemento nuovo e che al contempo si adattassero alle abitudini acustiche date, per ripetere il successo di brani musicali precedenti. Inedito restò il suo Analytical Stu­ dy ofthe NB C Music Appreciation Hour nel quale analizzava una serie di trasmissioni per bambini e per ragazzi che avevano lo scopo di rendere comprensibile la musica cosiddetta " seria" a questo gruppo di radioa­ scoltatori. Egli constatava che l'idea alla base di quella trasmissione am­ piamente apprezzata in America otteneva l'effetto contrario a quello che si proponeva, e cioè invece che educare a diventare competenti ascolta­ tori di musica, incentivava il carattere di merce della musica e il com­ portamento consumistico degli ascoltatori 64. Adorno riconobbe a posteriori, guardando retrospettivamente al proprio lavoro nell'ambito di quel progetto, che quei quattro saggi non erano un surrogato della teoria della radio che aveva in mente di scrive­ re. Aveva dovuto limitarsi alla costruzione di quei " modelli " perché nel processo di ricerca il passaggio all'analisi degli spettatori non mi era riuscito. Tale passaggio sarebbe urgentemente necessario: in primo luogo allo scopo di differenziare e correggere i teoremi relativi . C'è una questione che resta aperta e alla quale in effetti può essere data risposta soltanto empiricamente: se, in quale misura e in quale dimensione le implicazioni sociali scoperte nell'analisi del contenuto musicale vengono comprese anche dagli ascoltatori, e in che modo essi reagiscano ad esse. Sarebbe ingenuo se si volesse trovare assolutamente un'equivalenza tra le implicazioni sociali degli stimo­ li e delle risposte, e non meno ingenuo risulterebbe del resto considerarle indipen­ denti le une dalle altre almeno finché non si disponga dei risultati delle analisi con­ dotte sulle reazioni 65 .

Alla fine della sua collaborazione alla ricerca sulla radio Adorno si era formato un convincimento di base concernente la teoria dei mass me­ dia, una premessa alla quale da allora si attenne, e cioè che i meccanismi stereotipi di allestimento della cultura popolare possono essere ricon­ dotti alle aspettative dei consumatori. Si convinse che nelle società «or­ ganizzate da cima a fondo» in un «mondo amministrato», i bisogni co­ municativi degli individui si differenziano sempre meno gli uni dagli al­ tri. Per questa ragione, in fondo, la manipolazione che la stampa e la ra­ dio praticano consapevolmente risulta superflua. Il pubblico dei mass 341

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media, in nome di una «armonia prestabilita», pretende esattamente quello che i giornali, la radio e il cinema gli offrono.

Presso l'l nstitute of Social Research sulle Morningside Heights In considerazione degli snervanti confl itti che Adorno doveva affrontare in quanto collaboratore dell'Office of Radio Research, era per lui una soddifazione particolare e al contempo anche una vera e propria conso­ lazione poter trovare appoggio all'interno dell'lnstitute of Social Re­ search . Malgrado tutta la sol idarietà che lì gli venne dimostrata e che co­ stituiva l'atteggiamento fondamentale nei suoi confronti, certo, qua e là, c'era anche qualcuno che corrugava la fronte con disapprovazione: soprattutto Friedrich Pollock, ma anche Leo Lowenthal, i quali non escludevano che fosse stato Adorno a dimostrarsi poco flessibile nei con­ fronti di Lazarsfeld. Horkheimer, invece, aveva un atteggiamento il più possibile diplomatico . Da un lato, in quanto provato critico del concet­ to positivistico di scienza 66 , aveva piena comprensione per le riserve che Adorno nutriva in relazione ad un concetto ristretto di empiria e poteva capire l'atteggiamento di rifiuto che questi dimostrava nei con­ fronti delle strategie della ricerca empirica sui mass media. Tuttavia, dall'altro lato, a causa delle forti difficoltà finanziarie in cui l'Istituto versava già a partire dalla metà del 1937, Horkheimer non poteva assolu­ tamente rinunciare alla collaborazione con Lazarsfeld e con il suo Office of Radio Research, che questi aveva appena trasferito in una nuova sede sulla Union Square a New York City e che più avanti associò alla Co­ lumbia U niversity (in quanto Bureau of Applied Social Research) . Le perdite subite alla borsa di New York, delle quali Pollock si era reso re­ sponsabile per via delle rischiose transazioni operate sul mercato dei ti­ toli di borsa, costringevano il direttore ad un'amministrazione piuttosto restrittiva dell'Istituto. Walter Benjamin, per esempio, che viveva alla giornata a Parigi, dovette prendere atto della «situazione economica molto difficile» in cui l'Istituto si trovava: La maggior parte dei nostri beni consiste in terreni che potranno essere venduti soltanto quando la congiuntura in questo settore sarà molto migliorata. [ . . . ] L'altra parte, più piccola, che è stata impiegata in titoli, entro un numero prevedibile di mesi sarà consumata. [ . ] Tuttavia, mi sento in dovere di darLe queste indicazioni, . .

perché nonostante i nostri sforzi , in un tempo non troppo lontano, potrebbe arri-

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vare il giorno in cui ci troveremo costretti a farLe sapere che anche con tutta la buona volontà non siamo più in grado di prolungarLe il contratto di ricerca

67 •

Ernst Bloch, che aveva chiesto ad Horkheimer se fosse possib ile un im­ piego temporaneo nel quadro dei progetti dell'Istituto, venne informa­ to, con una lettera piuttosto concisa del marzo del 19 38, che le finanze dell'Istituto in quel momento erano in cattive acque. Non era possibile assumersi la responsabil ità di dare incarichi a nuovi collaboratori. Hor­ kheimer scrisse: «Siamo costretti a revocare la maggior parte delle borse di studio che avevamo assegnato in America e in Europa; e addirittura a congedare alcuni collaboratori fissi)), aggiungendo che il tutto aveva a che fare con la crisi economica generale 68• Anche Adorno, all'inizio della lettera che Horkheimer gli scrisse l'n settembre di quell'anno per il suo trentacinquesimo compleanno, non fu risparmiato da comunicazioni che riguardavano di nuovo le «notizie catastrofiche provenienti dalla borsa)) , benché egli fosse al corrente già da tempo dei programmi di risparmio adottati dall' Istituto . Horkhei­ mer non esitava a dire che l'esistenza stessa dell'Istituto era in pericolo, perché ormai erano costretti a cassare defi nitivamente parti del loro ca­ pitale. «Dobbiamo batterci più che mai per la buona riuscita del nostro lavoro, perché le condizioni esterne sono più che mai deprimenti)) 6 9. Adorno prese queste parole talmente sul serio che cominciò a pensa­ re in quale modo fosse possibile rimediare alle difficoltà finanziarie del­ l'Istituto. Prese contatto con il suo amico di gioventù dei tempi di Fran­ coforte, l'architetto Ferdinand Kramer 70 , che era emigrato a N ew York pochi giorni dopo di lui, con l'idea di servirsi delle sue competenze pro­ fessionali. Dal momento che il denaro mancava, Horkheimer e Pollock si erano decisi a vendere parti delle proprietà terriere di cui l'Istituto di­ sponeva, situate sul Long lsland Sound, a Port Chester nello Stato di New York. Kramer avrebbe dovuto occuparsi della vendita. La sua pro­ posta fu, però, di lottizzare i terreni e di costruirvi delle abitazioni prima di venderli, e la sua idea venne davvero realizzata. L'architetto progettò due grandi centri residenziali composti da circa 35 case d'abitazione piuttosto grandi (a G reyrock Pare) e 1 50 più piccole. Questo investi­ mento contribuì tuttavia soltanto a lungo termine a consolidare il capi­ tale dell'Istituto 7 1 • Parlando della «buona riuscita del nostro lavoro)) nella lettera invia­ ta in occasione del compleanno, Horkheimer aveva epresso esattamente quelli che allora dovevano essere lo stato d'animo e i desideri di Adorno. 343

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A causa delle sue esperienze negative nell'ambiente scientifico america­ no, si aggrappava sempre più alla speranza di poter essere accolto tra gli amici tedeschi dell'Istituto sulle Morningside Heights. N e i Minima Moralia avrebbe poi usato l'immagine del «gruppo dei musicanti di Brema» che lo ha preso con sé dandosi da fare con astuzia nel «covo dei briganti» per vincere d'astuzia i malandrini. « Il principe ranocchio, che è uno snob incorreggibile, guarda di sotto in su, con occhi bramosi, la principessa e non può fare a meno di sperare che essa lo liberi dall'in­ cantesimo» 72 • In effetti, Adorno nel frattempo si era già lasciato alle spalle il periodo doloroso trascorso nel «covo di briganti)) della social re­ search di N ewark. Come nel finale felice della favola, era stato liberato dall' incantesimo, ma non ad opera della principessa, bensì dello stesso Horkheimer, il quale, malgrado la difficile situazione finanziaria, gli aveva procurato un posto fisso di collaboratore dell' Istituto . Un vero e proprio ufficio nel palazzo al n. 429 della 117a strada ovest nello Up per West Side non poteva ancora essere assicurato, per mancanza di spazio. Alice Maier, che era una delle segretarie dell'Istituto, raccontò che in quella che prima era una casa privata c'erano troppe poche stanze a di­ sposizione: «Al piano terra non ce n'era neanche una [ . . . ] . Al primo pia­ no, [ Herbert] Marcuse occupava la stanza sul davanti e [Franz] Neu­ man n quella sul dietro. Al secondo piano c'era [F ritz] Pollock nella stanza sul davanti e [Leo] Lowenthal, con la redazione della rivista, in quella sul dietro. Il signor Horkheimer lavorava al quarto piano nella stanza davanti e noi segretarie nell'altra. N el sotto tetto c'erano poi altre tre o quattro piccole stanze; una era occupata da mio marito Uoseph Maier] e un'altra da Otto Kirchheimen) 73• Questi ricordi forniscono informazioni precise sulla situazione per­ sonale dell' Istituto a quell'epoca. Erich F rom m, che aveva avuto una se­ rie di divergenze teoriche con Horkheimer e Adorno presentatesi via via che la loro collaborazione si faceva più stretta, aveva già cercato di ren­ dersi indipendente aprendo uno studio da psicanalista. Per questo la sua presenza all'Istituto si era fatta meno frequente. Karl Wittfogel e Hen­ ryk G rossmann erano collaboratori regolari dell'Istituto, ma lavoravano prevalentemente al di fuori dell'attività normale dedicandosi a problemi specifici concernenti la teorie economiche e la politica internazionale ai quali, comunque, veniva attribuito un ruolo marginale nel programma di lavoro di Horkheimer. Adorno non fu mai in rapporti stretti con questi due membri più anziani dell' Istituto 74. 344

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Pollock era per lo più presente in Istituto, perché sgravava Horkhei­ mer dai compiti amministrativi ed era responsabile del finanziamento dei lavori in corso, dei progetti, dei numerosi incarichi di ricerca e delle borse di studio 75• Lowenthal coordinava i progetti in corso e si occupa­ va delle questioni redazionali della " Zeitschrift fur Sozialforschung", che a partire dal 1939 assunse il titolo " Studies in Philosophy and Social Science " . I due giuristi Franz Neumann e Otto Kirchheimer, i quali, dopo la fuga dalla Germania, avevano trovato per breve tempo impiego presso la Lo n don School of Economics an d Politica! Science, dopo aver lavorato a New York per l'Istituto poterono mantenere il proprio im­ piego solo per pochi anni, data la crisi finanziaria. Oltre ad una serie di compiti amministrativi, essi perseguivano principalmente lo scopo di elaborare una teoria sui fondamenti del sistema di potere del nazional­ socialismo 7 6 • Marcuse, insieme ad Horkheimer, come occupazione principale esercitava la funzione di filosofo dell'Istituto; proprio in que­ sta funzione aveva collaborato ad elaborare quel nuovo programma che a partire dal 1937 contribuì a far sì che il concetto di " teoria critica" avesse sempre più un indirizzo filosofico 77. Dei compiti di Adorno all' Istituto faceva anche parte - in seguito ad un accordo con Lowenthal - il lavoro redazionale concernente la " Zeitsch rift fur Sozialforschung", di cui gli stavano molto a cuore l' im­ postazione contenutistica e il livello. Dai tempi di Oxford si era assunto il compito, su incarico di Horkheimer, di occuparsi di Walter Benjamin per quel che concerneva le sue pubblicazion i per la rivista: certo uno de­ gli autori più sensibili fra quelli che scrivevano contributi per l'organo dell' Istituto. Per questo fu sempre Adorno a tenere la corrispondenza con Benjamin quando questi, portato finalmente a termine il tanto atte­ so saggio sull'autore di Les Fleurs du mal lo spedì a New York. Quel sag­ gio, avente per oggetto l'inquieto poeta che disperava del mondo, al quale Benjamin aveva lavorato, con qualche interruzione, a partire dal 1937, originariamente con l'intenzione di produrre un volume autono­ mo su quel tema, ha un valore particolare. Tramite gli studi su Baude­ laire, infatti, Benjamin pensava di presentare esemplarmente il modo in cui avrebbe dovuto essere strutturato il suo grandioso volume sui passa­ ges di Parigi; di quell'opera futura le pagine su Baudelaire avrebbero do­ vuto costituire un capitolo 7 8• Nel suo provvisorio saggio Benjamin non trattava la poesia di Baudelaire da un punto di vista letterario, bensì considerandola un oggetto sociale. Quel che gli premeva era, come lui 345

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stesso diceva, un'interpretazione materialistica dello scrittore nell'epoca del capitalismo 79 . Nell'ottobre del 1938 Benjamin scrisse ad Adorno che nonostante i recenti eventi inquietanti, quali ad esempio, il cosiddetto " trattato di Monaco " del settembre del 19 3 8, il quale si era concluso a favore di H i­ tler, e malgrado il pericolo dello scoppio di una guerra da quando, il 1 o ottobre, le truppe tedesche avevano invaso i territori sudeti, aveva «con­ dotto a buon fine)) malgrado il «terrore soffocante)) la seconda parte ' ' del saggio su Baudelaire, che in totale era composto di tre sezioni 8 0 • Poco tempo dopo inviò l'intero saggio a New York. Dopo un'attenta lettura del manoscritto, Adorno non reagì con i toni euforici che Benja­ min probabilmente si aspettava. Mentre questi aveva approvato in linea di massima lo studio su Richard Wagner, scandalizzandosi unicamente di qualche passaggio che proponeva un'interpretazione limitata dal punto di vista della critica dell'ideologia, Adorno invece criticò aspra­ mente il saggio di Benjamin in quella sua prima versione. Benjamin de­ v' essersi stropicciato gli occhi ed aver letto più volte la lunga lettera del 10 novembre 19 3 8. Contrariamente a ogni aspettativa Adorno criticava il fatto che Benjamin facesse uso di una termi nologia marxista che ave­ va l'effetto di essere posticcia, con la conseguenza che la sua analisi si proponeva, certo, di essere dialettica, senza che però il legame tra un fe­ nomeno quale la poesia di Baudelaire e la costituzione della società ve­ nisse sufficientemente illustrato: «Vi è costantemente la tendenza a rife­ rire immediatamente i contenuti pragmatici di Baudelaire a tratti affini della storia sociale del suo tempo, possibilmente di natura economi­ ca)) 8 1 • Ad Adorno non piacque il metodo con cui si procedeva, stabi­ lendo una relazione causale tra la cultura e la struttura economica, se­ condo lo schema marxista della struttura e della sovrastruttura: «Per quanto le poesie che Baudelaire ha dedicato al vino possano essere mo­ tivate dall' imposta sul vino e dalle barrières, il ricorrere di questi motivi nell'opera di Baudelaire è determinabile unicamente sulla base della tendenza sociale ed economica globale dell'epoca)) 82• Con la sua critica Adorno si spinse fino al punto da rimproverare a Benjamin di essere sta­ to indotto, per dimostrare nei confronti dell'Istituto una solidarietà che evidentemente riteneva necessaria, «a pagare dei tributi al marxismo, tributi che non si confanno né a esso né a Lei)) 83• Leggendo queste «di­ gressioni materialistiche)) si è assaliti dal timore che si prova «per il nuo­ tatore che con una terribile pelle d'oca si tuffa nell 'acqua gelida)) 8 4• In­ vece di praticare tutti quei tuffi spiacevoli Benjamin avrebbe fatto me-

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glio ad «affidarsi pienamente alle proprie idee e conclusioni specifi­ 8 che» 5 • Diversamente, doveva mettere in conto di ricadere in idee stori­ co-filosofiche già esistenti: « Il motivo teologico di chiamare le cose per nome tendenzialmente si trasforma nella stupefatta rappresentazione della mera fatticità. Volendo esprimersi in modo molto drastico si po­ trebbe dire che il lavoro si colloca all'incrocio tra magia e positivi­ 86 smo)) . Certamente, si trattava di un giudizio distruttivo, scusabile soltanto se si pensa che fosse mosso dall'intenzione di difendere Benjamin da se stesso, di ricordargli quali fossero i suoi personali propositi teoretici. Evidentemente, questi intese la critica dell'amico proprio in questo sen­ so, perché nella prima reazione che ebbe con una terza persona, in una lettera a Scholem, si legge: «Le obiezioni che possono essere sollevate nei 8 confronti del manoscritto sono in parte ragionevoli)) 7 • Benjamin si giustificava dicendo che ciò su cui Adorno aveva trovato da ridire di­ pendeva dall'isolamento in cui egli era costretto a vivere e a lavorare. Inoltre, nelle parti del manoscritto che erano state criticate, le «posizioni chiave del Baudelaire)) non potevano ancora risultare sufficientemente chiare, perché appunto in quella seconda parte del progettato libro non era previsto che venissero trattati temi di teoria della storia, come invece si aspettava Adorno. In una lettera di molte pagine Benjamin si difende­ va scrivendo che rispetto alla costruzione generale del libro le parti in 88 questione erano formate «sostanzialmente da materiale filologico)) • Ed il riferimento al materialismo dialettico era tutt'altro che un segno di falsa devozione per la posizione dell'Istituto, bensì scaturiva «da espe­ 8 rienze che noi tutti abbiamo fatto negli ultimi quindici anni)) 9 • Quando Benjamin scrisse quella lettera già disponeva delle bozze di stampa del saggio di Adorno Il carattere di feticcio in musica e il regresso dell'ascolto. Fu il suo turno di esprimere delle riserve nei confronti di al­ cune tesi che vi venivano sostenute, secondo le quali ascoltando la musi­ ca diffusa dai mass media verrebbe consumato il valore di scambio 90 . Pensando al "consumo " del valore di scambio era difficile potersi «im­ maginare qualcosa di diverso dalla empatia)) 9 1 • Anche il fenomeno per cui la musica diventava comica 9\ come Adorno constatava rifacendosi indirettamente, con una critica, all'interpretazione di Chaplin fatta nel saggio sull'opera d'arte, Benjamin non poteva considerarlo soltanto ne­ gativamente, come un sintomo di decadenza 93 • Questo gioco alterno di critica e controcritica è caratteristico della relazione tra i due amici; non 347

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lo condussero «mai in modo diverso» e non lo praticarono mai dimo­ strativamente, per saccenteria 94• Benché a New York Adorno dovesse adempiere a molti impegni al­ l' interno e all'esterno dell'Istituto, l' intensità degli scambi epistolari tra lui e Benjamin non ne risentì. Adorno inviò subito alcuni suggerimenti e indicazioni non appena Benjamin si mise al lavoro, nel 1939, per rive­ dere il proprio saggio su Baudelaire del tardo autunno dell'anno prece­ dente e prepararlo per la pubblicazione 95• Per Benjamin molti spunti forni tigli da Adorno si rivelarono utili, e il fatto che gli fossero stati fatti notare alcuni punti deboli nella forma della rappresentazione lo aveva incoraggiato ad approntare una versione del saggio totalmente rivedu­ ta 9 6 • La nuova versione del saggio venne accolta con grande entusiasmo da Adorno, il quale la definì l'opera più completa che Benjamin avesse scritto dopo il libro sul dramma barocco, una costruzione che si distin­ gue per il fatto che il suo autore ha collocato ogni elemento «ugual men­ te vicino [ . . . ] al centro» 97. Rispetto al quadro dei collaboratori che erano fissamente installati presso l'Istituto e che lo rappresentavano anche con una serie di lezioni della Extension Division della Columbia University, Adorno, dopo es­ sere uscito dal Radio Research Project, occupava una posizione particola­ re. Godeva del privilegio di essere un collaboratore dell'Istituto assicura­ to per contratto ed al contempo poteva richiamarsi al fatto di voler scri­ vere insieme a Horkheimer quel leggendario libro sulla "logica dialetti­ ca" . Proprio in questo progetto veniva espressa in modo particolarmen­ te chiaro la tendenza verso una " ri-filosofizzazione" del programma di Horkheimer, programma scientifico che in passato era stato interdisci­ plinare e al quale Horkheimer aveva già fornito un'introduzione tramite il saggio Teoria tradizionale e teoria critica 9 8• Questo orientamento filo­ sofico, che era legato al concetto chiave di " teoria critica», trovò in Adorno un terreno particolarmente fecondo. Egli sperava, dunque, di poter lavorare al più presto insieme ad Horkheimer, incalzandolo affin­ ché, nonostante i numerosi impegni che aveva da assolvere, non perdes­ se d'occhio questo progetto. Il suo interesse, che egli dimostrava in modo enfatico, era mescolato ad un sospetto angoscioso, al timore, cioè, che Horkheimer, per dedicarsi al volume sulla dialettica «come occupa­ zione principale», preferisse Lowenthal o Marcuse a lui. Con suo pro­ prio rincrescimento, nei primi tempi Adorno dovette rassegnarsi al fatto che a New York quello che gl i veniva messo a disposizione in fondo era solo l'apparato amministrativo dell'Istituto; inizialmente gli fu possibile

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lavorarci direttamente soltanto in modo provvisorio, ad esempio per dettare delle lettere o per far battere dei memorandum e dei manoscrit­ ti. E in quei casi doveva mettersi d'accordo con Lowenthal o con Mar­ cuse. Oppure doveva approfittare delle settimane in cui Horkheimer era in viaggio, cosa che avveniva sempre più di frequente, perché il clima di New York gli procurava enormi disturbi circolatori. Al contrario di Adorno, che era insicuro della cosa, Horkheimer non deve aver avuto quasi alcun dubbio sul fatto che, se davvero avesse realizzato il progetto di quel libro fondamentale sulla " logica dialettica", avrebbe potuto scriverlo soltanto con Adorno. Per questo motivo sfrut­ tò subito il fatto che Adorno fosse uscito dal Radio Research Project per intavolare con lui una serie di discussioni, inizialmente a qualche di­ stanza l'una dall'altra e in seguito sempre più di frequente, aventi per oggetto, per esempio, la "critica al positivismo ", il " concetto di indivi­ duo " , il "concetto di mito " e "conoscenza e verità" . Queste discussion i newyorkesi, d i cui Gretel in parte stese un protocollo, dovevano rappre­ sentare un primo modello per il loro testo comune 99. Anche se Adorno spesso lavorava a casa propria, era ben lungi da farsi sedurre dal desiderio personale di vivere come un intellettuale pri­ vato. Anzi, nella sua funzione di membro dell'Istituto contribuì attiva­ mente ad elaborare e ad avviare due progetti di ricerca. Grazie all' espe­ rienza fatta con Lazarsfeld aveva nel frattempo imparato in che modo form ulare le problematiche sociologiche così che l'Istituto, in base ad un progetto di ricerca dettagliatamente fondato, potesse inoltrare ri­ chieste di finanziamento presso fondazioni americane. Dopo averne parlato con Horkheimer ed avvalendosi talvolta della collaborazione di F ranz N eumann, aveva dunque in iziato a raccogliere delle riflessioni concernenti uno studio sulle cause e le funzioni dell'antisemitismo. Come era tipico di lui, cominciò stabilendo un quadro teoretico. Oltre a ciò, contribuì a dare forma concreta ad un progetto concernente la Modern German Culture, nel quale, sulla base di un vasto materiale, do­ veva venire analizzato lo sviluppo economico, politico, sociale ed intel­ lettuale tedesco dal 1900 fino alla «salita al potere» dei nazisti. Quando Horkheimer, nell'estate del 1940, partì per la seconda volta per un viaggio sulla costa occidentale che durò parecchio tempo, Ador­ no, che faceva le sue veci all' Istituto durante quei mesi di assenza, an­ nunciò «la nascita di una prima stesura del nostro progetto sugli ebrei», che malgrado il caldo insopportabile di New York era stata finalmente redatta, a 38 ° C 100 • Poco tempo dopo, in una lettera a Charles Edward 349

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Merriam, il decano del Department of Politica! Science dell'D niversità di Chicago e membro dello Advisory Committee dell'Institute of Social Research, Adorno faceva rilevare che scopo di quel progetto era anche ri ntracciare quali fossero «la psicologia e la tipologia dell'antisemitismo attuale» 1 0 1 • Un tema che, effettivamente, per un emigrante tedesco ad­ dirittura si imponeva, dati gli ultimi sconcertanti eventi storici . In Ger­ mania, a partire dal 1938, i nazisti avevano costretto in modo sempre più brutale i cittadini eb rei ad espatriare accelerando contemporaneamente l"' arianizzazione" dell'economia. Le repressioni contro gli ebrei culmi­ narono nei pogrom che furono organizzati in tutto il paese il 9-10 no­ vembre. Alle misure già in atto, vale a dire i ricatti e i boicottaggi, ven­ nero ad aggiungersi evidenti violenze ed attentati incendiari rivolti con­ tro istituzioni ebraiche e sinagoghe e perpetrati con la protezione delle ss e delle SA. Con la cosiddetta «notte dei cristalli» il regime nazionalso­ cialista dava inizio alla propria politica basata sulla violenza fisica, la quale poco tempo dopo portò alla «soluzione finale» e cioè all'eccidio di milioni di ebrei europei . Anche i genitori d i Adorno a Franco forte vennero toccati d a questi atti antisem iti. L' ufficio di Oscar Wiesengrund ven ne distrutto e lui stesso rimase ferito, venne arrestato e trascorse varie settimane in carce­ re; gli venne sottratto il diritto di disporre del proprio capitale e anche sua moglie Maria passò qualche giorno in prigione. Di questi fatti atroci Adorno era perfettamente informato. In una lettera a Benjamin del 1 ° febbraio 19 3 9 descrisse con grande turbamento quel che era accaduto a casa sua a Francoforte. Dopo le angherie subite e gli effetti nefasti di queste, sia dal punto di vista psichico che fisico, il padre, che aveva quasi settant'anni, dovette prima affrontare una polmonite e soltanto dopo che fu guarito la famiglia Wiesengrund poté fare uso del permesso otte­ nuto di recarsi a Cuba. I genitori di Adorno riuscirono a lasciare il pae­ se, così come avevano progettato, soltanto nella primavera del 1 939 e, dopo una tappa piuttosto lunga a Cuba, arrivarono sani e salvi negli Stati Uniti all'inizio del 1940 1 02 • Parti delle loro sostanze, tra cui anche documenti privati della famiglia Wiesengrund, bruciarono nell'incen­ dio del deposito della ditta di spedizioni 103 . Benjamin avrebbe provato sulla propria pelle che anche l'esilio in Francia non poteva proteggerlo dalle ripercussioni della dittatura nazi­ sta. Dopo i pogrom di novembre egli aveva tentato di ottenere la natu­ ralizzazione francese, ma senza successo; in Francia, la situazione dei ri­ fugiati cittadini del Terzo Reich si era fatta sempre più precaria da 3 50

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quando era stato firmato il patto tra H itler e Stalin, nell'agosto del 19 3 9 . Quando infine, i l mattino del 1 o settembre 1939, l'armata tedesca invase la Polonia, e l'Inghilterra e la Francia dunque dichiararono guerra alla Germania, tutti gl i emigrati di li ngua tedesca che vivevano a Parigi ven­ nero internati nello stadio di calcio Yves du-Manoir a Colombe; tra di loro si trovava anche Benjamin, il quale da lì venne direttamente trasfe­ rito in un camps des travailleurs volontaires nei pressi di Nevers. Gli Adorno erano pienamente informati delle sue vicissitudini dalle lettere che Benjamin, anche dal campo di lavoro, scriveva a Gretel 1 04• Grazie all'interessamento di un'amica, Adrienne Monnier, commerciante in li­ bri e attiva nell'editoria, nota nei circoli intellettuali francesi per via del suo impegno nel sostenere scrittori moderni quali James Joyce, T. S. Eliot ed Ernest Hemingway, nel novembre del 19 3 9 Benjamin venne ri­ lasciato dal campo di Chateau de Vermuche e fece ritorno a Parigi, in condizioni di salute piuttosto precarie 1 0 5 • Certamente, alla valutazione di Adorno concernente il corso della politica egemonica dei nazionalsocialisti ed il tendere di questa al geno­ cidio, contribuì il fatto che i suoi genitori fossero caduti direttamente vittime del terrore nazista e che Benjamin, insieme a molte altre persone emigrate in Francia, fosse stato arrestato, in un modo del tutto contra­ rio al diritto internazionale. I n preda alle impressioni causate dalle noti­ zie sulla politica razzista e razziale di Hitler che giungevano dall'Europa egli, come scrisse ad Horkheimer nell'agosto del 1940, non riusciva a «l i­ berarsi [ . . . ] dal pensiero fisso del destino degli ebrei». «Spesso mi pare che tutto quello che eravamo abituati a vedere nella prospettiva del pro­ letariato oggi si sia trasferito con terribile concentrazione sugli ebrei. M i chiedo s e l e cose [ . . . ] che volevamo dire [nel progettato libro a quattro mani] non dovremmo dirle riferendole agli ebrei, i quali rappresentano ora il polo opposto alla concentrazione del potere» 1 0 6 • La domanda sulle cause di quegli orrori che stavano cominciando ad avviarsi verso un ordine di grandezza di livello mondiale si imponeva non soltanto per Adorno, ma anche per Horkheimer, i cui genitori Mo­ ritz e Babette, che avevano rispettivamente ottanta e settant'anni, erano emigrati in Svizzera all'i nizio del 193 9. I due amici non erano certo così ottimisti da pensare che le nozioni e la comprensione dei fatti che sareb­ bero potute scaturire dalle loro ricerche e dalle loro riflessioni nell'ambi­ to della teoria della società avrebbero contribuito, tramite la chiarifica­ zione scientifica, ad impedire la sciagura o anche soltanto ad esercitare un qualche influsso sugli eventi. L'unica cosa in cui pensavano di poter 3 51

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sperare era stata espressa da Horkheimer in una lettera indirizzata ad una sua amica, l'attrice e sceneggiatrice Salka Viertel, lettera il cui tono e le cui parole si avvicinavano molto a ciò che Adorno pensava della po­ sizione degl i intellettuali critici nel corso della storia: «Di fronte a ciò che ora si abbatterà sull'Europa e forse sul mondo intero, attualmente il nostro lavoro è [ . . . ] quello di tramandare, oltre le tenebre che caleranno, una sorta di messaggio in bottiglia» 1 07. In considerazione della sua giornata tipo, scandita dal lavoro inde­ fesso, per Adorno, che del resto aveva egli stesso tirato in ballo l'imma­ gine del messaggio in bottiglia, l'atteggiamento paralizzante della rasse­ gnazione non si dava. Egli divideva il suo tempo tra il numero sempre crescente di compiti che doveva assumersi nel quadro delle attività del­ l'Istituto. Nel febbraio del 1940 ten ne una conferenza alla Columbia University dal titolo On Kierkegaard's Doctrine of Love 1 0 8 ; e solo poco tempo dopo debuttò alla radio americana. Quando Eduard Steuermann ed il Kolisch-Quartett presentarono alcune opere di Schonberg, Zem­ linsky, Eisler e Krenek, Adorno partecipò al programma musicale te­ nendo una conferenza introduttiva. La vivace attività lavorativa di Adorno durante questi mesi era ac­ compagnata da preoccupazioni crescenti per la sorte di Walter Benja­ min a Parigi, il quale era in serio pericolo. Dopo essere uscito dal campo d'internamento e aver fatto ritorno nella capitale, questi aveva preso co­ scienza del fatto che in Europa non avrebbe avuto un futuro sicuro. Adorno, appoggiato con forza dalla moglie, dopo l'attacco tedesco alla Polonia aveva spronato Benjamin ad avviare immediatamente le prati­ che per trasferirsi negli Stati Un i ti 1 0 9. Le possibilità di lasciare il paese, tuttavia, si erano fatte decisamente più difficili per lui. In seguito all' of­ fensiva sferrata dalle armate di Hitler all'Europa occidentale, nel set­ tembre del 1940 più di due milioni di esiliati - e tra di loro Walter Ben­ jamin - in preda al panico abbandonarono la capitale francese per cer­ care rifugio nel Sud della Francia, che non era occupato. Lourdes, il luo­ go di pellegrinaggio sito nella zona nordoccidentale dei Pirenei, fu la prima stazione intermedia di Benjamin, il quale si mise in attesa del per­ messo di entrata negl i Stati Un i ti. Horkheimer, sollecitato da Adorno e G re tel, aveva procurato un affidavit, vale a dire un visto d'urgenza che era stato depositato presso il consolato americano di Marsiglia. N ella città portuale stracolma di rifugiati Benjamin giunse ad agosto; da lì, dopo aver ottenuto il visto di transito per la Spagna e il Portogallo, avrebbe proseguito il viaggio fino a Lisbona, da dove era previsto che si 3 52

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imbarcasse per gli Stati Un i ti. Dal momento che non riuscì ad ottenere un visto d' uscita da parte della Francia con la rapidità massima che la si­ tuazione richiedeva, egli si decise a passare il confine illegalmente. Insie­ me ad un gruppo di fuggitivi (tra i qual i si trovavano Henny Gurland e suo figlio, che era molto giovane) 110 guidati da Lisa Fittko, una tedesca impegnata nella sinistra antifascista che si adoperava per i fuggiaschi, si avventurò per il difficile sentiero che, attraversando i Pirenei, collegava Banyuls-sur-Mer con la spagnola Port Bou 111 • Fu in quella località di confi ne che Benjamin apprese che il suo visto di transito in Spagna era ormai privo di valore per via di una rapida disposizione del governo. Di fronte alla terribile prospettiva di essere rispedito in Francia e lì di finire nuovamente in un campo di internamento, Benjamin, che, malato di cuore, era totalmente esausto e stanco di vivere, si suicidò con una dose eccessiva di compresse di morfina. Morì il 26 settembre 1940, a tarda sera; aveva quarantotto anni 1 1 2 • La sera prima aveva ancora scritto qual­ che riga ad Adorno; una copia di quella lettera pervenne al destinatario nell'ottobre seguente, a New York, per mano di Henny Gurland 1 1 3• Quando Adorno e Gretel, che aspettavano con certezza l'arrivo del­ l'amico a New York e già si erano messi a cercargli una casa, ricevettero la notizia dell'atto disperato di Benj amin, certo per loro dev'essere crol­ lato tutto un mondo 114• A Gershom Scholem Adorno scrisse: «Quel che significa per noi, non riesco a esprimerlo in parole; la cosa ha muta­ to fin nel profondo la nostra esistenza, scuotendoci nell 'animo e nel cor­ po; G re tel e io siamo stati colti da un grande senso di indifferenza per il mondo, un'indifferenza che probabilmente si prova soltanto in prossi­ mità della propria fine» 1 1 5• Con quella morte 11 6 , continuava Adorno, «la filosofia aveva perso quel che di meglio [ . . . ] potesse sperare>> 11 7• I n u n necrologio che uscì sullo "Aufbau", i l noto giornale degli esiliati, trovò parole che, non in ultimo, esprimevano anche quanto, nell'amico per sempre perduto, egli vedesse rispecchiato se stesso: «Ha perseguito un incomparab ile progetto che gli si è imposto con necessità, senza tro­ vare riparo in ciò che già esisteva, in scuole filosofiche e in riconosciute abitudini di pensiero» 11 8• Il dolore di Adorno e Gretel fu così grande, anche perché essi erano convinti che se Benjamin «avesse resistito ancora soltanto per mezza giornata, sarebbe stato salvo. [ . . ] È totalmente inconcepibile è come se fosse stato preso da un grande stupore e abbia addirittura voluto to­ gliersi la vita da persona ormai già tratta in salvo» 11 9• Le dichiarazioni contenute nelle lettere in cui Adorno si esprimeva in proposito ad eventi .

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sconvolgenti quali la tragica morte di Benjamin testimoniano il fatto che per portare avanti ogni giorno il lavoro di ricerca occorreva far forza a se stessi e cercare di distogliersi dalla disperazione nata da quegli orro­ ri . Adorno prevedeva una «serie incessante di catastrofi , caos e atrocità, per un periodo enormemente lungo» 1 20 • Dati gli eventi storico-politici, per lui c'erano pochi dubbi su quello che sarebbe accaduto. Tuttavia, egli non aveva alcuna intenzione di accettare la fatalità di quel momento di portata mondiale, così come non aveva intenzione di proteggersi tra­ mite un atteggiamento fondamentalmente rassegnato o rinchiudendosi nella torre d'avorio . Egli investiva, invece, molto tempo ed energia nei progetti che l'Istituto cercava di realizzare in quegli anni, prima che l' at­ tività di ricerca in corso alle Morningside Heights venisse ridotta con la partenza di Horkheimer e Adorno per Santa Monica, vicino a Los An­ geles. Adorno preparò dei testi su temi quali "culture" e " cultura! crises " per uno studio dal titolo Cultura/ Aspects ofNational Socialism. Nono­ stante l'Istituto si fosse premurato di procurarsi la consulenza e l' appog­ gio di rinomati studiosi americani quali, ad esempio, Carl J oachim F rie­ drich, al progetto non fu dato di avere un buon esito presso la Rockefel­ ler Foundation: contro ogni aspettativa il sostegno finanziario fu nega­ to. Fallì anche il primo tentativo di ottenere denaro dall'American Je­ wish Committee per svolgere uno studio dettagliato sull'antisemitismo. L' Istituto e lo stesso Adorno avevano fatto il possibile per elaborare soli­ di fondamenti metodologici e teoretici per questo progetto 1 2 1 • Hor­ kheimer sospettava che i motivi decisivi di quel rifiuto avessero a che fare con la politica accademica: «Dietro a tutto ciò si nasconde un con­ testo molto più generale, la legge universale della società monopolistica. In essa, anche la scienza è controllata da persone di fiducia le quali, in­ sieme alle istanze economiche, formano un'élite in cui dominano i favo­ ritismi». Soltanto chi si inquadra e si adatta ha una chance nel sistema scientifico americano, ma non chi si sottrae al controllo e tiene alla pro­ pria indipendenza. Queste, tuttavia, sono le condizioni necessarie per una teoria della società nella tradizione di Marx 1 22 • A queste riflessioni verbose e dal tono rassegnato sul fatto che la ricerca dipendesse da fon­ dazioni Adorno reagì conciso con l'osservazione: «Si tratta, dal punto di vista sociale, del rapporto tra il cartello e una piccola impresa in pro­ prio» 1 23 • Il fatto che per quel progetto sull'antisemitismo, che era senza alcun dubbio importante, per il momento non ci fossero a disposizione finanziamenti da parte di fondazioni americane non impedì ad Adorno 3 54

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e Horkheimer di continuare ad occuparsi di una teoria dell'antisemiti­ smo, cosa che ritenevano più urgente di qualsiasi altra. G ià il 18 settem­ bre 1 940 Adorno spedì i primi progetti ad Horkheimer che si trovava in California. Era lì che il direttore dell'Istituto aveva intenzione di stab i­ lirsi, di preferenza nei dintorn i di Hollywood, dove si era formata una sorta di enclave di emigrati tedeschi benestanti. Nel suo breve exposé Adorno tracciava a grandi linee i punti di una " storia originaria" dell'antisemitismo. Prendeva le mosse dalla tesi che gli ebrei «in uno stadio molto remoto della storia dell'umanità [ . . . ] o avevano rifiutato di passare dallo stato di nomadi a quello di stanziali, o erano restati fedeli alla forma nomadica, oppure avevano compiuto quel passaggio di forma [ . . . ] in modo insufficiente» . Per questo, dunque, era­ no «gli zingari segreti della storia» . Adorno metteva in relazione il fatto che gli ebrei, fin dai tempi antichi, si fossero sempre rifiutati di ricono­ scere dèi locali e parziali, con il fatto che si fossero sempre rifiutati «di accettare come proprio un qualche paese limitato». Gli eb rei erano il popolo che «non si era lasciato " civilizzare " e sottomettere al primato del lavoro . È questo che non viene loro perdonato, e per questo sono la pietra dello scandalo nella società classista». Adorno proseguiva nella sua argomentazione affermando che la specifica «extraterritorial ità» ebrea trovava ora espressione nell'antisemitismo e nella reazione ad esso da parte degli ebrei 1 24• Tramite queste riflessioni storico-filosofiche sul­ l'antisemitismo Adorno cercava di riallacciarsi alle tesi che Horkhei mer aveva formulato nel saggio Gli ebrei e l'Europa apparso nel 1939 nell' ot­ tava annata della " Zeitschrift flir Sozialforschung" o "Studi es in Philo­ sophy and Social Science " . Questo testo e altri due contributi, Lo stato autoritario e The End ofReason, scritti nel 1940-41 , erano nati dalle fre­ quenti discussioni con Adorno ed andavano a costituire una base mate­ riale per il progettato libro sulla dialettica. La problematica comune di questi tre saggi era: quali sono le cause dell'autodistruzione della ragione che trova espressione anche troppo chiaramente nei diversi tipi di totali­ tarismo e di antisemitismo ? Horkheimer considerava quei propri saggi anche come elementi base per costruire quella teoria del fascismo che, a parti re dal 1940, faceva parte del program ma di ricerca dell' Istituto. I vari collaboratori dell'Istituto tentarono di articolare una teoria del sistema di potere fascista e nazionalsocialista e si giunse ad una contro­ versia tra le diverse prospettive di spiegazione: da un lato c'erano F ranz Neumann, Otto Kirchheimer e A. R. L. Gurland, dall'altro Fritz Pol­ lock, Max Horkheimer e Theodor W. Adorno . Il primo gruppo soste355

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neva in modo ferreo la tesi della continuità, secondo la quale il sistema fascista era una forma di organizzazione politica che affondava le radici in un capitalismo inizialmente liberale e in seguito strutturato monopo­ listicamente. Secondo questo approccio interpretativo il nazionalsociali­ smo avrebbe un carattere fondamentalmente capitalistico e dovrebbe andare in rovina, in seguito a crisi economiche, a causa delle sue stesse contraddizioni . La teoria abbracciata dall'altro gruppo, invece, sostene­ va che il fascismo rappresentava un nuovo tipo specifico di potere. De­ terminante per la struttura di tale capitalismo totalitario di Stato, sareb­ be il fatto che il sistema economico viene diretto dalla politica ed il mer­ cato, autonomo in tempi liberali, viene sostituito da un ampio sistema di pianificazione. Sarebbero i monopoli ad assumere la funzione di mer­ cato in quanto agenzie dello Stato 12 5• L'apparato di potere e di control­ lo si troverebbe nelle mani di un cartello di congreghe dirigenziali di ap­ partenenti al partito e allo Stato e di manager di spicco delle grandi in­ dustrie. Un tratto comune di queste due teorie divergenti era il fatto che partivano dal presupposto che nel nazionalsocialismo trovassero posto, gli uni accanto agli altri, elementi di un'economia basata sulle racco­ mandazioni e sul monopol io. Tuttavia, mentre Pollock, che pensava che il mercato fosse stato sostituito con la raccomandazione, partiva dal presupposto che gli interventi statali eliminassero la funzione chiave del mercato, N eumann insisteva sugli effetti critici dei meccanismi capitali­ stici e sul rapporto di tensione sussistente tra le forze produttive e le condizioni di produzione 126 . Per Horkheimer, il quale pur cercando di raggiungere un accordo, difendeva la " teoria del capitalismo di Stato " di Pollock rispetto alla " teoria del capitalismo del monopol io " di Neuman n, la questione in primo piano era la seguente: in che modo fosse possibile spiegare l'irra­ zionalità del razzismo e l'espulsione e la persecuzione degli ebrei in Eu­ ropa. Nel suo saggio del 1939, il più pessimista che abbia mai scritto, ri­ conduceva l'antisemitismo alla fine storica della fase liberale del capitali­ smo e alla forma totalitaria di dominio di un capitalismo organizzato, in cui la sfera della circolazione come fondamento di una democrazia bor­ ghese e come luogo di guadagno per gli ebrei diventava priva di sign ifi­ cato . Horkheimer interpretava il fascismo e l'antisemitismo partendo dal contesto della dinamica immanente di sviluppo del capitalismo libe­ rale: «Chi non vuole parlare del capitalismo non deve parlare nemmeno del fascismo>> 127• In questa prospettiva, la critica al destino degli ebrei europei andava svolta strettamente come critica al liberalismo e al capi-

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talismo. Ed era per questo genere di critica che Horkheimer cercava di forni re le prime argomentazioni. Nella stessa direzione indicava anche il saggio del 1940 Lo stato autoritario, in cui Horkheimer partiva dal pre­ supposto che all' interno del sistema economico era venuto via via impo­ nendosi un processo di monopolizzazione dando luogo ad una dipen­ denza generale dai grandi trust. La fine della concorrenza sul libero mer­ cato risultava dallo sviluppo della logica propria del capitalismo. Egli vedeva il pericolo che, in modo complementare a quello dell'industria monopolizzata, uno stato autoritario sul modello del sistema del terrore nazionalsocialista arrivasse ad instaurarsi non soltanto in Germania e in Unione Sovietica. Stava nascendo un nuovo tipo di potere tecnocratico che avrebbe portato ad uno «statalismo integrale», ad uno Stato «che si è liberato da ogni dipendenza dal capitale privato» 1 28 • La speranza che ancora Marx nutriva, vale a dire la speranza di cambiare l'intera società, non soltanto era un' illusione, ma diventava utopica in senso peggiorati­ vo, perché da quando la ragione era al servizio del potere, la volontà ri­ voluzionaria tendente all'umanità non poteva più fare appello alle forze produttive in quanto centri di forza del progresso storico. Horkheimer approfondì quest' idea nel saggio Ragione e autoconservazione; nella mi­ sura in cui la ragione permette di essere usata come strumento di auto­ conservazione, essa si trasforma in razionalità strumentale. «Il nuovo or­ dine, che è l'ordine fascista, è la ragione che si rivela nella ragione stessa come non ragione)) 129• Per contribuire per parte sua a far sì che si potesse finalmente co­ minciare a lavorare a quel libro sulla " logica dialettica" di cui tanto si era parlato, Adorno non si limitò ad avere scambi epistolari e verbali con Horkheimer, ma si diede anche da fare per dare fondamento alla propria posizione all'interno del dibattito che aveva per oggetto un'ade­ guata teoria del totalitarismo. Malgrado avesse alcune obiezioni critiche in proposito ai saggi di Pollock sul tema "capitalismo di stato ", nelle sue proprie Riflessioni sulla teoria delle classi (che mise per iscritto nel 1942 in forma di un documento di lavoro) fece propria quella versione della teoria del totalitarismo allargandola e trasformandola in una diagnosi dell'epoca: «L'ultima fase della società di classe è domi nata dai monopo­ li; preme verso il fascismo, la forma di organizzazione politica degna di essi. [ . . ] L'organizzazione totale della società da parte del grande mono­ polio e della sua tecnica onnipresente ha occupato così completamente la realtà e la mente degli uomini che l' idea che le cose potrebbero essere in qualche modo diverse è diventata uno sforzo quasi disperato)) 1 3 0 • I n .

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questo documento erano raccolti alcuni giudizi sui mutamenti struttu­ rali della tarda società industriale che Adorno in seguito avrebbe appro­ fondito nella propria analisi sociologica del presente. Egli constatava il carattere sistematico della società all 'i nterno della quale il proletariato, in quanto massa confusa, è dissociato 1 3 1 • Il dominio, per via della con­ centrazione di potere, diventa universale e dunque invisibile, talmente invisibile che l'oggettivo antagonismo di classe non si presenta più. Oggi è possibile rilevare uno standard di vita elevato per quel che con­ cerne i lavoratori dipendenti : ciò si deve alla funzione che hanno acqui­ sito per la prosperità dell'intero sistema. La differenza che sussiste tra il potere e l'impotenza è ricoperta dal «velo tecnologico» sotto il quale si nasconde la violenza. Un esercizio diretto del potere diventa tuttavia su­ perfluo nella misura in cui la società si è sviluppata diventando una tota­ lità. Adorno considerava queste tesi sulla teoria delle classi, e le altre tesi che fino a quel momento aveva elaborato, come contributi da parte sua per passare ad un secondo livello di riflessione ponendosi la domanda cruciale: Perché l'umanità, invece di entrare in uno stato veramente umano, sprofonda in un nuovo genere di barbarie ?» 1 3 2 •

Nuovamente in sospeso : il lungo cammino da New York a Los Angeles Adorno e sua moglie erano ancora sotto shock per la perdita di Benja­ min quando dovettero fare l'abitudine anche ad essere lontani da Max e Maidon Horkheimer, con i quali avevano instaurato una relazione mol­ to personale che aveva assunto toni quasi familiari. Dopo qualche esita­ zione, il direttore dell' Istituto aveva preso la decisione di trasferirsi sulla costa occidentale e di proseguire lì il lavoro, in diverse condizioni orga­ nizzative e focalizzandosi su altri punti. Certamente, era partito fin da subito dal presupposto di portare avanti la collaborazione con Adorno anche dalla California, ma per quest'ultimo, che per il momento era ri­ masto a New York, risultava piuttosto irritante che, secondo i progetti, i quali certo potevano andare a monte da un giorno all 'altro, anche Pol­ lock, Marcuse e Lowenthal dovessero andare a stabilirsi nelle vicinanze di Pacific Palisades, il luogo di residenza di Horkheimer. Horkheimer, inoltre, non aveva escluso con definitiva chiarezza la partecipazione de­ gl i altri al progetto di pubbl icazione sulla "logica dialettica". Ad Adorno invece, che non era privo di sentimenti d'invidia, premeva moltissimo

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di scrivere quel libro esclusivamente insieme ad Horkheimer e possibil­ mente senza essere gravato e distratto dall'attività quotidiana all' Istitu­ to. In realtà, le cose erano state disposte proprio in questo senso. N ella primavera del 1941 Horkheimer e sua moglie erano andati ad abitare nel bungalow che avevano fatto costruire, all'indirizzo 13 524 D'Este Drive. Nelle immediate vicinanze e in diretto contatto visivo vivevano Katia e Thomas Mann; «quand meme, non si può non riconoscergli)) 1 33 una qualche cultura: questo ciò che Horkheimer comunicò ad Adorno a New York, il quale, fin da molto giovane, amava moltissimo il famoso scrittore. Anche Lion Feuchtwanger aveva acquistato una proprietà nel­ le vicinanze, situata in una magnifica posizione. Tra Hollywood e la zona residenziale di Santa Monica abitavano varie altre personalità della vita culturale che Horkheimer (e in seguito anche Adorno) conosceva­ no più o meno bene, come ad esempio Berthold e Salka Viertel, Bertold Brecht e Helene Weigel, Arnold e Gertrud Schonberg, Charlotte e Wil­ helm Dieterle, Bruno e Liesel Frank 1 34 . M entre dalla sua casa a Pacific Palisades si preoccupava di governare le sorti personali e amministrative dell'Istituto, Horkheimer badava che la produttività di Adorno tornasse a profitto anche e soprattutto della progettata autoassicurazione filosofica. Cominciò a dedicarsi a un tema piuttosto insolito : questioni di filosofia del linguaggio. Lo interessava ri­ flettere su quale fosse il linguaggio adeguato ad un pensiero specifica­ mente critico che si considerava strettamente antipositivistico e antidea­ listico 1 3 5• N ella sua prima reazione epistolare alle riflessioni speculative di Horkheimer Adorno affermò che il decadimento della lingua era inarrestabile ed andava visto come espressione dell'impotenza del sog­ getto al cospetto della forza superiore insita nelle condizioni sociali: «La violenza dei fatti è diventata a tal punto spaventosa che ogni teoria, pure quella più autentica, pare una presa in giro, e ciò è impresso a fuoco come un marchio nell'organo stesso della teoria, il linguaggio)) 136• Hor­ kheimer, tuttavia, non si lasciò risucchiare nel vortice di tale critica cul­ turale globale dell'uso linguistico; quel che lo interessava era, piuttosto, chiarire quali fossero le principali correlazioni sussistenti tra la ragione e il linguaggio. Si chiedeva se, partendo dall'universal ità del linguaggio, non fosse possibile spiegare la condizione di possibilità della ragione, e se, partendo dalla «interpretazione di questa indeterminatezza)) non fos­ se possibile dare un fondamento «all' idea di una società giusta)) . Hork­ heimer continuava affermando che «essendo al servizio di ciò che esiste il linguaggio si trova in costante contraddizione con se stesso, e ciò ap3 59

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pare chiaramente nelle singole strutture linguistiche» 1 37• Egli rifletteva sul fatto se il linguaggio avesse un statuto trascendentale, se fosse qual­ cosa di più di un mezzo per descrivere il mondo e per eseguire degli atti, se occorresse presupporre la verità e la razionalità ogni volta che si parla­ va. Per esprimere una sua intuizione estremamente interessante dal punto di vista della filosofia del linguaggio trovò parole molto chiare: «Rivolgere la parola a qualcuno significa, in fondo, riconoscere questa persona come un possibile membro di un futuro insieme di uomin i li­ beri. Parlare presuppone una relazione comune con la verità; questo il motivo del riconoscimento profondo di una persona estranea a cui ci si rivolge, anzi, di ogni persona, a seconda delle sue possibilità» 1 38 . Ador­ no, evidentemente, non colse l'originalità del ragionamento di Hork­ heimer, il potenziale innovativo delle sue riflessioni filosofico-linguisti­ che, perché nella sua lettera di risposta, che egli scrisse immediatamen­ te, ribaltò le idee del suo corrispondente, espresse ancora in forma di ab­ bozzo . Affermò che secondo lui, per quel che concerneva il linguaggio, era predominante la prospettiva più ortodossa della preformazione so­ ciale, la sua reificazione 1 39• Per questo, senza esitare, egli interpretava l' idea di Horkheimer relativa al potenziale razionale del li nguaggio come decifrazione del «carattere fino ad ora antagonistico di ogni lin­ guaggio . [ . . ] Se fino ad oggi l'umanità non si è emancipata ciò significa che fi no ad oggi non è stata capace, in senso letterale, di parlare» 140 • I n u n breve passo della sua lettera, tuttavia, faceva capolino u n pensiero che si avvicinava alle speculazioni di Horkheimer. Adorno scriveva che gli riusciva difficile «comprendere che una persona che parla sia un fara­ butto, o menta» . Per lui quest'idea contraddiceva l' «esigenza di verità del linguaggio» . Prendendo le mosse da ciò, egli argomentava: «In quel­ la frase che afferma che una persona ha detto qualcosa e che perciò que­ sto qualcosa dev'essere vero, una frase di cui l'intelligenza si fa beffe, si nasconde tuttavia una verità che denota intelligenza» 1 41 • Quel tentativo di trovare un proprio approccio autonomo alla filo­ sofia del linguaggio non venne per il momento sviluppato ulteriormen­ te. In primo piano c'erano quei problemi filosofici che a quell'epoca per molti intellettuali non potevano che imporsi, e cioè i problemi relativi all'andamento della storia universale e, all'interno di essa, relativi al ruo­ lo dell'essere umano. Un impulso concreto nella direzione di questa tematica ven ne dalle idee entusiasmanti contenute in un manoscritto di Benjamin che si era riusciti a trarre in salvo . Il luogo in cui si trovavano queste tesi Sul con.

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cetto di storia, l'ultimo lavoro portato a termine da Benjamin, era ri­ masto per qualche tempo ignoto; arrivarono allo lnstitute of Social Research nel giugno del 1941 . Adorno era a conoscenza dell'esistenza del manoscritto, perché Benjamin, in lettere dell'aprile e del maggio del 1940, aveva annunciato che avrebbe fatto avere loro quelle diciotto tesi per una prima lettura ed una discussione interna, benché esse «favorisse­ ro decisamente un malinteso entusiastico)) 142 . Quelle pagine lasciate in un certo senso in eredità e che Adorno considerava il testamento intel­ lettuale di Benjamin, gli vennero consegnate sotto forma di copia nove mesi dopo la morte dell'amico, nel giugno del 1941 , da Hannah Arendt che a quell'epoca era appena giunta in esilio a New York 143• La Arendt e suo marito, Hein rich Bliicher, erano riusciti là dove Benjamin aveva avuto sfortuna: erano fuggiti da Parigi passando per Marsiglia ed erano poi partiti per gli Stati Un i ti; quando ancora era a Marsiglia, Benjamin aveva affidato loro un insieme di manoscritti, tra i quali anche le tesi Sul concetto di storia. Subito Adorno informò Horkheimer, per lettera, del contenuto di quel manoscritto che avevano creduto perso, il quale si av­ vicinava più di qualsiasi altro al suo pensiero. Quell'affermazione si rife­ riva «soprattutto all' idea di storia in quanto catastrofe permanente, alla critica al progresso e al dominio sulla natura, e alla posizione della cul­ tura)) 1 44• Per Adorno, il quale aveva in mente una critica del processo occidentale di civilizzazione, l'idea benjaminiana di far saltare il conti­ nuum della sto ria costituiva una fonte di ispirazione decisamente più grande di quella che invece gli fornivano le idee filosofico-linguistiche di Horkheimer. Certo, Adorno non si mostrava sfavorevole nei confronti delle sue proposte, ma aveva in testa una sua propria concezione di come avrebbe dovuto essere il futuro libro; per sostenerla, intendeva ri­ prendere il più presto possibile, e in California, la discussione che era iniziata a New York. Tuttavia, il primo che seguì Horkheimer sulla costa occidentale fu Marcuse e poco tempo dopo arrivò anche Pollock, ma entrambi fecero ritorno a N ew York pochi mesi più tardi, per prendersi cura degli affari dell'Istituto, che erano più che mai urgenti, e in particolar modo per partecipare ad una serie di lezioni della Columbia University. Lowen­ thal, con suo grande rincrescimento, era comunque costretto a restare al suo posto all'Istituto, a N ew York, ma in seguito andò a far visita ad Horkheimer e ad Adorno in California. Il fatto che Horkheimer esitasse a prendere decisioni defi nitive in relazione al personale, del resto, non va imputato primariamente al suo carattere scarsamente risoluto; le cau-

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se erano soprattutto altre: a partire dal maggio del 1940 i problemi della futura organizzazione dell' Istituto avevano cominciato ad acutizzarsi. Tra queste difficoltà c'era anche il fatto che, nel bel mezzo dell'estate, due funzionari della polizia giudiziaria avevano visitato gl i uffici dell'I­ stituto, che era considerato un'istituzione straniera, per assumere infor­ mazioni dettagliate sui singoli membri, sulla loro provenienza, la loro attività e l'atteggiamento che avevano nei confronti degli Stati Uniti . Al contrario soprattutto di Pollock, ma anche di Lowenthal , che gl i aveva fatto rapporto per lettera di quel provvedimento di polizia, Horkheimer non prese la faccenda alla leggera. In essa vide l'inizio di un mutamento nell'attitudine delle autorità governative americane nei confronti degli emigranti tedeschi; Horkheimer fiutava il pericolo che, con la nuova politica estera di Roosevelt rivolta contro le aspirazioni egemoniche di Hitler, una politica che egli ovviamente appoggiava, tutti loro finissero per rientrare in un verdetto generale di infiltrazione 145• Non sarebbe stato forse ragionevole, in tali circostanze, sciogliere l'Istituto, che pote­ va risultare in modo troppo manifesto un'istituzione di emigranti tede­ schi ? Per un altro verso, esisteva anche l'attraente possibilità, per il futu­ ro, di venire integrati più massicciamente nella Columbia University, cioè nel suo Department for Sociology. La cosa, tuttavia, avrebbe pre­ supposto di mantenere in vita a lungo termine l' Istituto in quanto isti­ tuzione di ricerca, funzionante e finanziariamente dispendiosa. In rela­ zione a ciò, si sarebbe presentata la necessità di realizzare progetti empi­ rici di ricerca e, in mancanza di mezzi propri, di avviare penose proce­ dure per la richiesta di finanziamenti presso fondazioni varie. Horkhei­ mer si rendeva conto che questo genere di programmi di ricerca corri­ spondeva alle aspettative di quei colleghi della Columbia U niversity che lo appoggiavano: «solida ricerca e team work in the field of social scien­ ce» 1 4 6 • Tuttavia, come Horkheimer disse a Lowenthal, «mandare avanti lo stabilimento» in questo modo «ci manda in rovina dal punto di vista materiale e da quello teoretico. Finiremo in miseria in tutti i sensi» 1 47• L'alternativa a questo cupo scenario prospettato da Horkheimer e legato, per lui, al programma di un istituto di ricerca di impronta ame­ ricana, era costituita dalla riduzione al min imo del personale e degl i uf­ fici, in modo da garantire, in futuro, una base finanziaria in un certo qual modo sicura per coloro che facevano parte del nocciolo duro del personale. Mentre, in caso di chiusura dell'Istituto, Horkheimer e il suo gruppo di collaboratori avrebbero dovuto prepararsi a perdere la prezio­ sa protezione della Columbia University, l'integrazione avrebbe com-

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portato il rischio, dovendosi orientare verso standard americani di ricer­ ca, di perdere la propria identità scientifica. Essa, tuttavia, secondo le idee che allora il direttore dell'Istituto aveva, avrebbe dovuto trovare espressione negli sforzi che ognuno individual mente avrebbe dovuto compiere per contribuire all'elaborazione di una teoria della società non tanto verificata empiricamente quanto fondata filosoficamente. Anche se Adorno - malgrado le esperienze negative avute con Lazarsfeld - rite­ neva fondamentalmente sensato e necessario realizzare progetti empirici di ricerca, gli interessi teorici di Horkheimer venivano certo molto più incontro ai suoi propri intenti . Per questo, nelle lettere che inviava assi­ duamente da New York a Los Angeles, egli si era dichiarato a più riprese d'accordo con Horkheimer su tutti i punti ed era a favore di una «chiu­ sura degli uffici al 3 1 dicembre e possibilmente di una riduzione delle at­ tività dell'Istituto (a meno che nel frattempo non riceviamo davvero molto denaro) di modo che i pochi soldi disponibili bastino per un paio di persone» 1 48 • Al contrario di Marcuse, Lowenthal e Neumann, Ador­ no si pronunciò nettamente a favore di ridurre la propria attività all'or­ ganizzazione di una serie di lezioni e di seminari nel quadro della facoltà di Scienze sociali della Columbia Un iversity. Pollock mantenne una po­ sizione neutrale aspettando gli sviluppi della situazione e, così come ave­ va sempre fatto, comunicò la propria opinione personale soltanto a Horkheimer e in modo strettamente confidenziale: «È interessante os­ servare come si comportano i nostri collaborato ri. Marcuse ha una pau­ ra atroce, dopo cinque anni, di finire a zonzo come un secondo Gi.inther Stern [G i.inther Anders] e dunque vuole assolutamente mantenere il le­ game con la Columbia University. A Teddie interessa soltanto una cosa: andarsene al più presto possibile a vivere di rendita in California; quello che ne è degli altri non gli importa minimamente. Neumann [ . . . ] pone l'accento sull'importanza del legame con la Columbia. Solo Lowenthal si comporta [ . . . ] in modo pienamente leale» 149. Diversamente da come gli sarebbe tanto piaciuto, per il momento Adorno fu costretto a resistere ancora a New York. Benché i suoi pen­ sieri andassero in direzione ovest e si concentrassero sul grande progetto teorico, Adorno e Gretel guardavano al cambiamento di città con senti­ menti piuttosto contrastanti . I n fondo, a New York si erano installati in modo confortevole, avevano una grande cerchia di amicizie e la loro vita aveva preso un andamento che nel frattempo era diventato un' abitudi­ ne: gli orari regolari di lavoro all' Istituto, l'attività di scrittura esercitata nel proprio appartamento di Riverside Drive e le regolari vacanze estive

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a Bar Harbor. «Qui si sta bene più che mai», così scrisse Adorno ad Horkheimer alla fine di luglio del 1941; «Per via della guerra e del defense boom ci sono soltanto persone anziane tra le quali ci sentiamo piena­ mente a nostro agio» 1 50 • La coppia aveva imparato ad apprezzare il Centrai Park, così come anche lo zoo del Bronx; l' okapi - così scrisse un Adorno pieno di buon umore ad Horkheimer - era «quite an experien­ ce» . «Con uno snobismo che in Proust riempirebbe non meno di cin­ quanta pagine, vive in modo molto poco appariscente, alloggiato nel re­ cinto delle antilopi e quasi non ha spettatori» 1 5 1 • A rendere piacevole la loro permanenza in quella città contribuiva anche il fatto che i genitori di Adorno, che avevano entrambi più di set­ tant'anni, dall' inizio del 1940 vivevano a New York, dopo aver fatto sta­ zione a Cuba e a Miami . Per loro la vicinanza dell'unico figlio e della moglie di questo rappresentava certamente un grande conforto. La cop­ pia Adorno-Gretel si rese ovviamente conto di questa aspettativa e cercò sempre, per quanto era possib ile, di prendersi cura dei genitori renden­ doli partecipi, anche per via epistolare, della loro vita e dei loro vari pro­ getti e propositi. Ai vi ncoli personali che li legavano alla città in riva allo H udson ve­ niva ad aggiungersi il fatto aggravante che il trasloco in California si protraeva all'infinito e veniva rimandato di mese in mese; dalla situazio­ ne Adorno ricavò l'impressione che, in fondo, tutto rimaneva in sospe­ so. Il futuro della sua situazione personale si chiarì soltanto nell 'estate del 1941, quando il trasferimento si profilò defin itivo per la fine dell'an­ no. Per questo motivo, in settembre lui e G retel lasciarono l'apparta­ mento, depositarono i mobili in un magazzino e si sistemarono mo­ mentaneamente in un monolocale ammobil iato (al n. 6n della 113 a Strada Ovest) . Una volta che il dado fu tratto, tutte le irritazioni di Adorno legate alla partenza per Los Angeles si dileguarono. Al momen­ to comunicava sentimenti di felicità, perché presto avrebbe finalmente ritrovato Horkheimer: «Ah Max, finalmente ci siamo, e insieme ce la fa­ remo» 1 5 2 • Al proprio futuro coautore assicurava, con lo stesso impeto, che si era scrupolosamente preparato al lavoro filosofico e di teoria della società che li aspettava. Leggendo il volume di Geoffrey Gorer su de Sade 1 53, per esempio, aveva nuovamente avuto il chiaro pensiero che l'antisemitismo poteva costituire un «punto di cristallizzazione» del fu­ turo libro. Proprio nella lettera in cui si trova questa considerazione, una lettera del 10 novemb re 1941 , compare anche per la prima volta quello che in seguito diventerà davvero il titolo del libro: Dialettica del-

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l'illuminismo 1 54• In preda alla gioia per quella cooperazione che stava per realizzarsi Adorno redasse un «alfabeto in versi», ispirato dalla lettu­ ra del marchese de Sade, col quale aveva intenzione di sorprendere l'a­ mico : «Die Sodomie kommt meist aus Not, Sadismus macht die Bac­ ken rot>> 1 55 [La sodomia perlopiù prende dal bisogno le mosse, il sadi­ smo fa le natiche rosse] . Nonostante il buon umore intenzionalmente manifestato, in un punto ancora, tuttavia, Adorno esprimeva un dubbio: si chiedeva infatti se a Los Angeles le sue condizioni abitative non rischiassero di peggiora­ re e se il modo di lavorare e di vivere a cui si era abituato avrebbe potuto continuare. In una lettera dell'agosto del 1941 si legge: «Lei sa quanto siamo lontani da qualsiasi mania di grandezza, ma proprio per questo credo che la protezione di una certa solidità borghese non venga mai presa abbastanza sul serio». E quella stessa lettera si conclude con una domanda: «Quando sederemo insieme in giardino, dettando, cancellan­ do e facendo i gipeti ? Presto !» 1 5 6• E così fu, infatti. A metà novembre Adorno e sua moglie arrivarono a Los Angeles.

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Fortuna nella sfortuna: gli anni californiani di Adorno

Originariamente gli Adorno avevano pianificato di compiere il lungo viaggio dalla costa Est alla costa Ovest in automobile, perché Gretel, poco prima del trasloco, aveva ottenuto la patente di guida rivelandosi un'automobilista entusiasta. Ciononostante, il viaggio fu compiuto in novembre per via ferroviaria. In una lunga lettera ai genitori, Adorno raccontava l'esperienza dell'attraversamento del continente. Da New York si recarono in treno a Cleveland, dove pernottarono. La stazione successiva era stata Chicago, dove avevano avuto il tempo di fare una vi­ sita alla città. Il viaggio era proseguito la notte in vagone letto, passando per il Nebraska, le Montagne Rocciose e un Utah innevato. Dopo tre notti di viaggio, il Sud sorprese piacevolmente gli Adorno con una para­ ta di palme e aranceti. Horkheimer e la moglie diedero loro il benvenu­ to di buon mattino alla stazione ferroviaria di Los Angeles. Adorno restò impressionato dal paesaggio, che rico rdava la Tosca­ na, e dal mare, dallo splendore di colori della vegetazione. Ai genitori scrisse che una gita in riva all 'oceano all'ora del tramonto gli aveva dato l' impressione più forte di tutta la sua vita. Anche il modo in cui erano costruite le case gl i piaceva e, nonostante la vicinanza della metropoli del cinema, Hollywood, il paesaggio non era quasi affatto deturpato da cartelloni pubblicitari . Horkheimer aveva già procurato loro un'auto­ mob ile, di modo che potessero essere subito liberi di muoversi e fare delle escursioni nei dintorni. La casa di Max era raggiungibile in poco più di dieci minuti. Adorno e Gretel non trovarono incantevole soltanto la regione, ma anche la loro nuova situazione abitativa, che corrispondeva piuttosto esattamente ai desideri elencati in precedenza da Adorno, come sottoli­ nearono entramb i con notevole enfasi. Subito dopo il loro arrivo, aveva­ no dovuto alloggiare dapprima per 19 giorni presso il motel " Brentshi-

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re" sul Wilshire Boulevard, fino a quando non avevano potuto trasferir­ si nel proprio appartamento il 1 o dicembre, in un edificio situato in una bella posizione fuori Santa Monica non lontano dal Sunset Boulevard, al seguente indi rizzo : 3 16 South Kenter Avenue, Brentwood Hights. Come si può leggere nella seconda lettera ai genitori scritta dalla Cali­ fornia, gli Adorno alloggiavano nella metà di una casa bifamiliare dispo­ sta su due piani, al piano terra rialzato avevano a disposizione un sog­ giorno ampio e luminoso e una piccola sala da pranzo con accesso diret­ to alla cucina. Al primo piano c'erano due camere da letto, le stanze da bagno e una camera da lavoro . Anche il desiderio di poter disporre di un piccolo giardino era stato esaudito e la vista che si godeva faceva pensare a Fiesole, vicino a Firenze. Alcune settimane dopo arrivarono anche i mobili di proprietà degli Adorno, i quali, all'inizio del nuovo anno (1942) , non appena finito di sistemarsi completamente nella nuova casa, cominciarono già a ricevere i primi inviti, da parte di Salka Viertel e dei Dieterle. Tra gli altri, vi furono incontri anche con B recht, Schonberg e Max Reinhardt 1 • Adorno non soltanto poté vedersi presto ricevuto e bene accolto nella cerchia della society di Hollywood, ma le sue condi­ zioni materiali, grazie allo stipendio mensile ricevuto dalla Fondazione Hermann Weil, erano tali da permettergli di condurre una vita libera da preoccupazioni finanziarie. Per le sue attività legate all' Istituto riceveva una retribuzione annuale di circa 3 .400 dollari, una cifra che corrispon­ deva allora alle entrate di un professore presso un'università americana. Per il trasferimento da New York a Los Angeles ottenne un'ulteriore in­ dennità per le spese di circa 150 dollari. Poiché Oscar Wiesengrund ave­ va potuto salvare almeno una parte del suo non irrilevante patrimonio, Adorno era dispensato dalla necessità di sostenere finanziariamente i propri genitori a New York. Quando infine la collaborazione con Horkheimer, pianificata e so­ spirata così da lungo tempo, diventò realtà, i due poterono attingere in misura considerevole ai lavori del passato. Questo riguardava innanzi­ tutto la trascrizione già disponibile dei protocolli delle discussioni tenu­ te a New York nel 19 3 9 e i saggi di Horkheimer. Accanto ad una versio­ ne provvisoria delle Note sulla nuova antropologia 2 , Adorno aveva altri due saggi da mettere sul piatto della bilancia; in primo luogo una critica all'opera in due volumi di Oswald Spengler Il tramonto dell'occidente, vale a dire alla visione del mondo improntata al pessimismo culturale, alla nozione tradizionalista di ordine e alla concezione teleologica della storia alla base di quest'opera; in secondo luogo, un'analisi della theory

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ofleisure class del sociologo americano Thorstein Veblen 3• La condanna critico-sociale pronunciata da Veblen nei confronti del consumismo ostentato da parte dei ceti più alti come espressione di un'esagerata aspi­ razione al prestigio, veniva interpretata da Adorno come un verdetto ispirato dalle motivazioni di un'etica del lavoro puritana. Si trattava se­ condo lui di una condanna vana, perché si esauriva nella semplice de­ nuncia del carattere di esteriorità proprio dei consumi di lusso. Adorno accentuava la sua obiezione con un'argomentazione del tutto caratteri­ stica del suo modo di pensare: «La parvenza è dialetticamente riflesso della verità; chi non lascia spazio alla parvenza ne diviene propriamente la vittima, perché con i detriti sacrifica anche la verità che non si mani­ festa se non in essi» 4. Per Adorno, però, c'era un manoscritto ben diverso che aveva molta più importanza di queste riflessioni in parte già pubblicate e in parte an­ cora da ultimare; al suo arrivo a Los Angeles, si trovava già nella sua vali­ gia, dattiloscritto con cura, e Horkheimer lo aveva già letto. Si trattava dell'abbozzo di una Filosofia della musica moderna che il suo autore con­ cepiva espressamente come un excursus preliminare a quel progetto co­ mune che avrebbe assorbito tutte le sue forze nei mesi seguenti. In que­ sto testo, scritto tra il 1940 e il 1941, il compositore Adorno criticava le tendenze regolamentatrici da parte del metodo dodecafonico ortodosso. Al tempo stesso, discuteva alcune categorie centrali della teoria musicale quali tempo, forma, materiale, costruzione, tecnica, espressione. Quan­ do aveva letto per la prima volta le numerose pagine del manoscritto, Horkheimer aveva reagito con parole appassionate: Questa lettura è uno di quei rari casi in cui io abbia provato un vero entusiasmo nella mia vita. [ ] Se esistono documenti letterari a cui oggi possa legarsi una spe­ . . .

ranza, la Sua opera è senza dubbio da annoverare tra di essi. Tutto ciò mi sembra una prova del fatto che, in base alla responsabilità di cui Lei parlava dopo la morte di Benjamin, Lei non possiede soltanto la capacità di avere sentimenti, ma anche di saper lavorare. Non riesco ad esprimerLe la mia gioia e la mia felicità per l'esi­ stenza di questo documento. Se saremo capaci di dirigere sulla società stessa lo sguardo incorruttibile [ . ] che si acquisisce dalla sua conoscenza e di confrontare ..

con la realtà le categorie dalle quali è guidata la sua rappresentazione, pur così aperta nei confronti dell'oggetto, allora potremo realizzare ciò che a questo punto la teoria può aspettarsi da noi . [ . ] Questo lavoro sarà ampiamente alla base delle ..

nostre fatiche comuni

5•

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Non poteva esserci inizio migliore per le discussioni e il lavoro di scrit­ tura futuri che questa approvazione di Horkheimer per la filosofia della musica di Adorno. Questi colse dunque la palla al balzo accettando la proposta dell'amico che lo invitava a non restare confi nato nella sfera dell'arte, ma «a parlare finalmente della società. [ . . ] lo stesso, durante la scrittura del lavoro sulla musica, ho avuto l' impressione sempre più for­ te che si trattasse di un congedo dalla teoria dell'arte, quantomeno per un lungo periodo» 6 • Adorno intendeva dire che la fi l osofia della musica moderna in fon­ do altro non era se non «il tentativo di illustrare concretamente la dia­ lettica tra il particolare e il generale» 7. In tal senso vi aveva affrontato anticipatamente alcuni temi che in seguito voleva trattare insieme a Horkheimer su un piano storico-fi l osofico più generale. Questo riguar­ dava in particolare la tesi centrale dispiegata da Adorno nella sua critica al metodo dodecafonico: da tecnica razionale dell'elaborazione del ma­ teriale tale metodo si era trasformato in un ordine sistematico irraziona­ le che soffocava sul nascere gli impulsi costruttivi del soggetto nell'atti­ vità del comporre. Adorno criticava dunque Schonberg senza riserve, ma almeno altrettanto quanto lo difendeva. In nessun compositore la tensione dialettica tra espressione e costruzione raggiungeva una pari in­ tensità e felicità di soluzione. Tuttavia, la tecnica dodecafonica da lui perfezionata si rivelava essere un «sistema di dominio della natura in 8 musica» che finiva per opporsi ad uno «stile musicale della libertà» • N ella sua analisi, Adorno distingueva tre fasi nell'attività compositi­ va di Schonberg: la fase dell'espressionismo atonale, la fase della tecnica dodecafonica e la fase dello stile più tardo. N el periodo iniziale della musica moderna legata alla Seconda scuola di Vienna, in primo piano c'era l'idea rivoluzionaria della «totale organizzazione razionale di tutto il materiale musicale» 9 • In seguito, si era cercato un comune denomina­ tore per tutte le dimensioni musicali, trovandolo così nella tecnica do­ decafon ica. Il metodo dodecafonico, che tentava di stabilire un rappor­ to equivalente tra tutti gli elementi dell'intera composizione, dissolveva così l'idea base tradizionale di un elemento primo. S i tratta di un meto­ do determ inato dalla volontà di «superare l'opposizione dominante del­ la musica occidentale, quella tra la natura polifon ica della fuga e la natu­ ra omofonica della sonata» 1 0 • N e derivava così un superamento del la­ voro tematico e dello sviluppo mirato di costanti formali che trova la sua base nell'idea del metodo dodecafonico, nel quale «ogni singola nota risulta determinata tramite la costruzione dell'insieme» 11 • Anche la .

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variazione in quanto tale finisce per scomparire: viene retrocessa all'in­ terno del materiale e lo determina prima che abbia inizio il processo compositivo. Per descrivere la novità di un tale procedimento dialettico della composizione, Adorno si servì di una metafora alla quale faceva spesso ricorso nei suoi scritti: inevitabilmente, «l'aspirazione della musi­ ca dodecafonica [è] di trovarsi in tutti i suoi momenti in una posizione ugualmente vicina al centro)) 12 • Tale principio poteva dirsi soddisfatto se ogni singola nota veniva determinata dalla costruzione dell'intera composizione. Come già aveva fatto nel suo carteggio con Ernst Krenek alla metà degli anni trenta, Adorno sosteneva la tesi secondo la quale i momenti più altamente innovativi della forma compositiva di Schon­ berg ven ivano vanificati dalla " onnipresenza" della serie. Nel prosieguo della sua argomentazione, metteva in rilievo che la pluralità delle rela­ zioni intesa originariamente in senso dinamico sfociava necessariamente in staticità. «Ancora una volta la musica domina il tempo: non più, però, facendolo nascere in tutta la sua pienezza, bensì negandolo trami­ te una sospensione di tutti i momenti musicali nell' onnipresenza della costruzione)) 1 3• A questo punto la libertà musicale si ribalta nel dominio illimitato del compositore sul materiale musicale. «La correttezza in quanto divisibilità matematica subentra al posto di quella che l'arte tra­ dizionale chiamava " idea " [ . . . ] La fattura musicale in quanto tale deve essere corretta, anziché avere un senso)) 1 4• Se il principio della dodeca­ fonia si irrigidisce in schema determ inato matematicamente, il materia­ le musicale risulta completamente preformato. Il vero nucleo dell'argomentazione di Adorno consisteva nel portare alla luce i due lati antinomici del dominio della natura determinatosi storicamente nella musica. Così scriveva infatti: « Il disporre cosciente­ mente di un materiale naturale significa tanto l'emancipazione dell'uo­ mo dalla costrizione naturale della musica come l'assoggettamento della natura a fini umani)) 1 5• N o n lasciava alcun dubbio sul fatto che, nel pro­ cesso evolutivo interno alla musica, esisteva soltanto la via di una padro­ nanza progressiva del materiale sonoro, la via della sua completa costru­ zione tramite un sistema di regole, che tuttavia risulta «contrapporsi al materiale sottomesso come una potenza alienata, ostile e predominan­ te)) . Questa forza «degrada il soggetto a schiavo del " materiale ", inteso come vuoto compendio di regole, nell'istante in cui il soggetto ha assog­ gettato completamente il materiale a se stesso, cioè alla sua ratio mate­ matica)) 16 • Al tempo stesso, affermava in modo provocatorio che una siffatta «opera d'arte integrale è l'assurdo assoluto)) 1 7. Come via d'uscita 3 71

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da quest'aporia Adorno mirava ad un nuovo atteggiamento nella com­ 8 posizione che rinnegasse «la fedeltà all' onnipotenza del materiale» 1 • Lo stile dell'ultimo Schonberg è indizio di questa «desensibilizzazione del materiale» . Con la sua opera si traevano in modo esemplare quelle con­ seguenze che toccano attualmente all'artista, nel portare ad espressione nella costruzione estetica la frammentarietà e la fragilità dell'opera d' ar­ te. « Le sole opere che oggi contano sono quelle che non sono più " ope­ re"» 1 9• Il compositore dodecafonico non poteva rimanere chiuso ad una tale visione. Da una parte, doveva diventare consapevole del signifi­ cato storico del pensiero seriale dodecafonico, grazie al quale era stato possibile il superamento della tradizione e l'apertura di un nuovo oriz­ zonte. Dall'altra parte, però, questo pensiero era a sua volta a disposizio­ ne del compositore, perché diversamente non era possibile sviluppare un linguaggio musicale libero, qualitativamente nuovo . N ella sua stessa pratica compositiva che egli aveva ripreso già prima del trasferimento in California, Adorno tentava di tenere conto delle idee presentate nella sua filosofia della musica 20 • I Lieder per voce e pia­ noforte da lui composti non si attenevano in modo dogmatico ai canoni della tecnica dodecafonica. Nelle sei Trakl- Vertonungen [adattamenti musicali su poesie di G. Trakl] (op. 5), completate nel 1941, Adorno se­ guiva un rapporto alquanto libero nei confronti del metodo dodecafo­ nico. Per esempio, nell'adattamento intitolato Entlang (op. 5, numero 4) aveva esteso la serie dei suoni fino a 98 note. In tutte e sei le Trakl­ Vertonungen la lunghezza delle serie differiva 21 • Esigendo in generale dall'arte un carattere conoscitivo, Adorno ac­ centuò ulteriormente la propria formulazione filosofico-musicale, se­ condo cui la forma compositiva contemporanea doveva farsi riconosce­ re tramite una relazione autoriflessiva alle antinomie musicali contenute in essa. Ma com'è possibile che le realizzazioni estetiche divengano co­ noscenza - e non una conoscenza qualunque, ma una conoscenza radi­ cale originata dalla critica alla condizione catastrofica del mondo, con­ dizione che oltretutto viene a toccare anche l'arte ? Nelle annotazioni sulla filosofia della musica, la risposta adorniana, che sarebbe poi diven­ tata il punto centrale della sua teoria estetica, recitava così : è nella strut­ tura frammentaria delle opere d'arte, come per esempio in Schonberg, P i casso, J oyce e Kafka, che si liberano i loro contenuti cognitivi criti­ ci 22 • Il frammentario non consiste soltanto nella perdita della forma estetica, ma nell'arte della modernità viene liquidato anche il senso. In relazione all'arte musicale, con la «dissociazione del senso dall' espressio3 72

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ne» la fine della musica si riallaccia alla sua origine: «l'origine della musi­ ca [ . . . ] è imparentata al gesto, strettamente affine al pianto. È il gesto dello sciogliere» 23 • La musica dell'avanguardia resiste alla costrizione sociale e, in quanto arte di opposizione, dà luogo ad un gesto di accusa diretto contro il dolore provocato dall'aumento degli antagonismi so­ ciali. La musica autentica «ha preso su di sé tutta la tenebra e la colpa del mondo: tutta la sua felicità sta nel riconoscere l'infelicità, tutta la sua bellezza nel sottrarsi all'apparenza del bello». Poiché si sottrae al piacere estetico tramite la sua forma frammentaria, «nessuno vuole avere a che fare con lei. [ . . . ] Essa è veramente un messaggio in bottiglia» 24• La metaforica del messaggio in bottiglia, a cui ricorrevano volentieri tanto Horkheimer che Adorno, era uno dei motivi sotterranei di quei primi testi ai quali essi avevano preso a lavorare intensamente dall'inizio del 1 942 , per poi riunirli due anni dopo nei Philosophische Fragm ente (Frammenti filosofici) . Alla fine di questo manoscritto si leggeva una frase che aveva un carattere programmatico per l'insieme del progetto e che avrebbe potuto benissimo trovarsi nella filosofia della musica di Adorno. Gli autori parlavano delle loro annotazioni nei termini di un "discorso " il cui destinatario era «Un testimone immagi nario, al quale lasciamo in eredità [questo messaggio] perché non scompaia interamen­ te con noi» 2 5• Esattamente come Horkheimer e Adorno immaginavano di destinare la loro fi l osofia ad un futuro ascoltatore o lettore come un progetto da sviluppare, erano altrettanto d'accordo che la loro teoria fi­ losofica della società non potesse né volesse coltivare ambizioni di siste­ maticità. Piuttosto, in quanto critica dell'esistente, il cui oggetto «non [è] il buono, ma il cattivo» 26 , essa doveva essere altrettanto frammenta­ ria delle opere d'arte appartenenti alla modernità più radicale. I n una lettera a Horkheimer dell'agosto 1941, Adorno formulava quest'inten­ zione con notevole insistenza. Come aveva già fatto nella filosofia della musica, per la loro comune teoria critica egli chiamava in causa l'imma­ gine del gesto. Le meditazioni filosofiche svolte insieme all'amico erano «sempre meno teorie nel senso abituale», bensì «gesti composti di con­ cetti» . A tal fine, però, era necessario «l'intero lavoro del concetto» 27• Qual era la nozione di teoria che aveva in mente Adorno nell'impiegare un simile linguaggio metaforico ? Come pensava di esplicitare ormai la relazione tra mondo e linguaggio, dopo avere da tempo rifiutato, nella sua critica all'Idealismo, la nozione di verità come adaequatio, come corrispondenza o coerenza ? E quale slancio metafisica si nascondeva dietro questa nuova fi l osofia concepita come messaggio in bottiglia 3 73

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composta, oltretutto, da messaggi dotati tanto di contenuto scioccante quanto di una forma esteriore frammentaria ?

Messaggi in bottiglia, ovvero come fare chiarezza sull'Illuminismo [ ] non curarsi della logica, quando essa è contro l'u­ . . .

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La «terra [ . . ] splende all'insegna di trionfale sventura» 29 - quest'accusa non era diretta contro il " bellum omnium contra omnes " dello stato di natura, ma nei confronti del mondo moderno che si richiama ai princì­ pi fondamentali di un pensiero guidato dalla ragione e dell'agire illumi­ nato . Poiché Adorno e Horkheimer si trovavano a vivere in un tempo in cui cultura e barbarie coesistevano nella vicinanza più immediata, non poteva esserci che una sola via nella riflessione filosofica, a partire dalla loro esperienza diretta di testimoni del tempo: ricostruire l'ascesa e la caduta del pensiero occidentale in una prospettiva fondamentalmente storico-filosofica. Tale ricostruzione era legata all'esigenza di esercitare esattamente quella filosofia che tenta di cogliere il proprio tempo in pensieri. La ricostruzione della storia del processo di civilizzazione occi­ dentale operata da Adorno e Horkheimer si svolgeva all'insegna della fi­ losofia dialettica hegeliana della contraddizione, nonché della categoria marxiana del lavoro sociale e del suo concetto delle forme storiche della coscienza. Ma altrettanto influenti per la prospettiva radicale della criti­ ca al soggetto e all'autorità messa in campo dagli autori erano anche, da un lato, lo scritto di Nietzsche sulla Genealogia della morale, che inter­ preta la nascita dei valori e delle norme morali alla luce di un processo di predominio e disciplinamento, e, dall'altro, il trattato dell'ultimo Freud dedicato al Disagio nella civiltà, secondo il quale le aspirazioni alla felici­ tà degli individui devono essere sacrificate ad un ordine sociale che si basa sulla costrizione al lavoro e alla rinuncia alle pulsioni 3 0 • Alla luce della catastrofe oggettiva, «la riflessione sull'aspetto di­ struttivo del progresso» 3 1 costituiva l'imperativo determinante al quale erano ispirate le meditazioni di Adorno e Horkheimer. L' impulso etico alla base del programma indubbiamente ciclopico di ripensare il proces­ so dell' Illuminismo e il principio di ragione a partire dalle loro origini consisteva nella necessità drasticamente sentita di portare alla luce le cause dell'incessante protrarsi del dolore nella storia. .

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Grazie alla crescente intensità del lavoro comune su quest'opera du­ rante il 1942, andarono cristallizzandosi quattro insiemi tematici che avrebbero dovuto essere gradatamente elaborati. In primo luogo, Ador­ no e Horkheimer intendevano mostrare che la ragione ha un volto bi­ fronte. La liberazione emancipativa del genere umano dai vincoli della natura era inseparabilmente legata al dominio della natura interna ed esterna all'uomo. Nella misura in cui il soggetto diventato ormai sovra­ no perseguiva il fine primario di conservare se stesso distinguendosi spietatamente nei confronti di una natura reificata, la sua stessa esisten­ za diventava un mezzo per assoggettare la totalità del mondo senza cu­ rarsi minimamente dei fini. Adorno e Horkheimer intendevano mostra­ re le conseguenze della tirannia del soggetto attraverso due esempi deci­ samente inconsueti, da una parte alcuni episodi dell' Odissea, uno dei primi documenti dello spirito occidentale, e, dall'altra, alcune scene tratte dal romanzo Histoire de juliette del marchese de Sade. Un altro tema riguardava il modo in cui l'Illuminismo poteva ribaltarsi in un in­ ganno delle masse, ovvero come il sistema istituito da una cultura com­ pletamente commercializzata e diretta centralmente tentasse di impa­ dronirsi della mente delle persone. Collegandosi a questa problematica, Adorno e Horkheimer intendevano studiare a fondo la genesi dell' anti­ semitismo che veniva analizzato come manifestazione attuale di aperta irrazionalità, come espressione di una struttura di comportamento para­ noide. La parte finale, intitolata Appunti e schizzi, doveva formare una serie di brevi aforismi in grado di gettare luce sulla costruzione dell'inte­ ro corpus testuale, dal momento che gli autori rinunciavano espressa­ mente all'unità conchiusa di un contesto rappresentativo costruito logi­ camente. Le quattro sezioni principal i di quella che sarebbe stata la suc­ cessiva pubblicazione ( il concetto di ragione, l'interpretazione dell' Odis sea, l'interpretazione di Sade, l'antisemitismo) erano piuttosto concepi­ te come saggi separati . Oltre alle ragioni epistemologiche menzionate 3 \ questo dipendeva anche dalla specificità del procedimento di lavoro che nel corso del tempo si era venuto a creare tra Adorno e Horkheimer. I due si incontravano ogni volta il pomeriggio, in casa di Horkhei­ mer o di Adorno, per discutere i problemi filosofici e teorico-social i fon­ damentali, dando luogo talvolta ad un vero contraddittorio su temi quali per esempio il concetto di " dialettica", la relazione soggetto-ogget­ to, la categoria di "dominio della natura". Il contenuto delle conversa­ zioni veniva perlopiù verbalizzato parola per parola da Gretel Adorno e poi trascritto in un testo dattiloscritto pronto per essere ulteriormente ­

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rielaborare. Dalla rielaborazione continua delle annotazioni si formava­ no poi i primi abbozzi per le quattro parti del futuro manoscritto. I ca­ pitoli di volta in volta redatti da Adorno o da Horkheimer ven ivano di­ scussi insieme riga per riga. Dopo le correzioni necessarie, i testi rag­ giungevano infine lo stato di una versione relativamente definitiva. Era proprio questo procedimento di lavoro in comune che Adorno e Hork­ heimer avevano in mente quando in seguito ebbero a dire di essere en­ trambi responsabili di ogni frase del libro, come se avessero dettato al­ l'unisono i loro pensieri. Essi definirono la «tensione tra i rispettivi tem­ peramenti intellettuali» come il vero «elemento vitale» dal quale erano attraversate le argomentazioni esposte 33 • In realtà, i dattiloscritti (così come peraltro il libro finale) denunciano in alcuni passi differenze stili­ stiche; le quali dimostrano che Adorno e Horkheimer si erano rispetti­ vamente attribuiti delle aree di competenza specifiche. Infatti, in base ad una dichiarazione successiva di Adorno (riportata da Rolf Tiede­ mann), il primo capitolo sul Concetto di illuminismo era stato dettato in comune, mentre l'excursus sull' Odissea e quello su Sade erano stati rispettivamente concepiti da Adorno e Horkheimer. Per il capitolo sul­ l'Illuminismo come mistificazione di massa fu nuovamente Adorno a scri­ vere una traccia iniziale che venne poi sviluppata a fondo da Horkhei­ mer. In modo opposto procedettero nel caso degli Elementi dell'antise­ mitismo. I testi aforistici compresi nella parte finale furono scritti da Horkheimer, e Adorno si limitò ad integrarl i con brevi " aggiunte" 34• Quello che si originò gradatamente in questo modo, attraverso l'u­ nione di due diversi temperamenti a partire dal 1942, risultò essere un li­ bro alquanto diverso dal volume di cui Horkheimer aveva sempre parla­ to in relazione al titolo di "logica dialettica " 35• Le ragioni di questa nuova accentuazione teoretica erano legate alle circostanze storiche ve­ nute a crearsi tra le fine del 1941 e l'inizio del 1942. L'estensione della crisi europea ad una seconda guerra mondiale, le notizie sugli eccidi de­ gli ebrei nell'Est, sulle deportazioni e i campi di concentramento 36, con il levarsi di un antisemitismo latente anche nei paesi organizzati demo­ craticamente, la tendenza a una mobilitazione ideologica della popola­ zione negli Stati Un iti e l'orrore per la progressiva stalinizzazione del­ l'V n ione Sovietica rafforzarono ulteriormente l'attitudine già profonda­ mente pessimista di Horkheimer nei confronti del corso della storia mondiale. Per questa ragione, egli trasferì al centro del suo pensiero la categoria di " totalità negativa", sul piano della diagnosi storico-filosofi­ ca. Tale categoria costituiva già da tempo il punto di fuga della prospet-

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riva di Adorno, fin da prima della Filosofia della musica moderna, e dove­ va quindi essere esplicitata meglio nel contesto della critica all' Illumini­ smo e alla ragione. Fin dall 'inizio della loro collaborazione, il consenso tra Adorno e Horkheimer venne stimolato dalle fatiche comuni rivolte a redigere in una versione pubblicabile un testo intitolato The End ofReason (La fine della ragione) di cui era prevista la pubblicazione sugli " Studies in Phi­ losophy and Social Science " 37 • In questo saggio, che originariamente Adorno e Horkheimer avevano pensato di pubblicare congiuntamen­ 8 te 3 , veniva già affron taro il tema del modo in cui l' idea di ragione emancipativa potesse trasformarsi in uno strumento di dominio. S i trat­ tava quindi di una sorta di studio preliminare ai Frammentifilosofici. Il lavoro quotidiano all'ampio manoscritto sulla ragione e l' illumi­ nismo dovette essere ripetutamente interrotto, perché durante quel pe­ riodo s'imponeva l'adempimento di varie altre incombenze. Tra queste c'era l'assolvimento di compiti quali la rapida redazione di una relazione in cui venisse presentata la posizione dell'Istituto sui metodi delle scien­ ze sociali, di una memoria programmatica per il Dipartimento di Sta­ to 39 e diversi promemoria per l' American J ewish Committee, con il quale si erano nuovamente avviate trattative sulla realizzazione di alcuni progetti di ricerca. Oltre a ciò Adorno si era assunto l'incarico di trovare una forma di pubblicazione adeguata per le tesi Sul concetto di storia 40 • Dall'estate del 1941 l'ultimo manoscritto di Benjamin si trovava nelle sue mani; la mor­ te dell'amico ne aveva trasformato la pubblicazione in un dovere mora­ le. Dal momento che la rivista dell'Istituto era stata sospesa per ragioni finanziarie (l'ultimo fascicolo degli " Studies in Philosophy and Social Science " uscì in ritardo nella primavera del 1942) 4\ veniva a mancare la possibilità di pubblicare il testo in quella sede. Adorno decise di conce­ pire appositamente una sorta di numero speciale della rivista, che uscì a Los Angeles in una piccola edizione ciclostilata nella primavera del 1942 . In questo volume commemorativo furono pubblicate per la prima volta le tesi di Benjamin sulla filosofia della storia, insieme ad una Nota bibliografica sulle sue opere. In una delle ultime lettere scritte a Gretel Adorno, in cui, pochi mesi prima della sua morte, diceva che le tesi erano state messe sulla car­ ta, Benjamin aveva attirato l'attenzione della sua corrispondente, e quindi di Adorno, sulla diciassettesima riflessione, in particolare: «è questa la tesi che dovrebbe consentire di riconoscere la relazione nasco3 77

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sta, ma conclusiva, esistente tra tali considerazioni e il lavoro che ho condotto finora, pronunciandosi appunto concisamente sul metodo di quest'ultimo)) 42 . Il metodo che vi viene fondato, quello della storiogra­ fia materialistica, e in particolare il postulato per cui «nell'o pera è con­ servata e soppressa l'opera complessiva, nell opera complessiva l'epoca e nell epoca l'intero decorso della storia» 43, costituivano motivi di pensie­ ro condivisi senza riserve anche da Adorno, così come l'idea «di far sal­ tare il continuum della storia» 44• La storia come successione di catastro­ fi, lo sguardo ricolmo di orrore che «l'angelo della storia)) (come si affer­ ma nella IX tesi) rivolge al cumulo delle rovine del passato, aprivano prospettive non convenzionali per una diagnosi critica del proprio tem­ po che Adorno pensava di mettere a frutto nel disincantato bilancio che intendeva consacrare al fallimento della propria epoca. Nel volume in memoria dell'amico, accanto alle considerazion i la­ sciate da Benjamin Adorno pubblicò anche due saggi di Horkheimer (Ragione e autoconservazione e Lo Stato autoritario) , così come un pro­ prio saggio, scritto tra il 19 3 9 e il 1940 e apprezzato da Benjamin, in cui Adorno illustrava la costellazione personale e letteraria dei due poeti George e Hofmannsthal. Attraverso un' interpretazione del carteggio tra i due letterati, Ado rno cercava di penetrare il segreto della vita di due poeti . Mentre nell'attitudine artistico-eroica di George intravedeva il lato opposto della rozzezza, affermava che l'aristocratico e mondano Hofmannsthal non era riuscito ad armo nizzare la sua posizione sociale privilegiata con quella dell'intellettuale estraneo, isolato dalla società. Adorno metteva espressamente in evidenza il referto del disfacimento del linguaggio di cui tratta la Lettera di Lord Chandos. Scriveva che il ca­ parbio atteggiamento di sfida dei due poeti «contro la società è una sfida al suo linguaggio. Gli altri condividono il linguaggio degli uomini; essi sono " sociali". Gli esteti hanno tanto più vantaggio su di loro, quanto più sono asociali. Le loro opere si misurano alla stregua del riconosci­ mento del fatto che il linguaggio degli uomini è quello della loro de­ gradazione)) 45• Nonostante Adorno e Horkheimer non potessero certamente lavo­ rare alla redazione dei testi in comune con la continuità che avrebbero desiderato, i Frammenti filosofici cominciarono tuttavia a prendere una forma sempre più concreta. In una lettera scritta da Adorno alla madre il 1o febbraio, si legge: « La prima grande parte del libro insieme a M ax, in cui dovrebbe in realtà essere presentata la nostra intera filosofia, [ . . ] è pronta [ . . . ] così come pronto è un abbozzo altrettanto ampio scritto da '

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me sull'interpretazione storico-filosofica di Omero, che ora dovremo ri­ 6 vedere insieme da capo a fondo» 4 • Il manoscritto completo fu finalmente completato nel maggio del 1944, per poi essere pubblicato in forma di testo ciclostilato in una edi­ zione di circa 500 copie - preceduta dalla dedica " Per il 50 ° compleanno di Friedrich Pollock" - elegantemente rilegata con una copertina rosso v1nacc1a. I Frammenti filosofici uscirono poi come normale libro soltanto nel 1947, presso le edizioni Querido, una casa editrice in esilio ad Amster­ dam, con il titolo definitivo di Dialettica dell'illuminismo 47 • Questa pubblicazione - che Adorno in presenza di Horkheimer definì il «no­ stro primo figlio legittimo>> - era la prova vivente del fatto che entrambi gli autori erano riusciti, dopo poco più di due anni di lavoro in comune, a portare a termine un progetto che si trascinava ormai dalla metà degli anni trenta. L'opera di trecentodieci pagine che si trovava ormai stam­ pata sotto i loro occhi costituiva l'accertamento delle premesse necessa­ rie alla costruzione di una teoria critica legata a determinate condizioni 8 storiche e sociali 4 • «Questi sono giorni di lutto», lamentava Horkhei­ mer in una lettera alla fine del 1942, «l'annientamento del popolo ebrai­ co ha acquistato dimensioni mai viste prima nella storia. A mio avviso, la notte che farà seguito a questi eventi sarà molto lunga e potrebbe di­ vorare l'umanità» 49 . Al tempo stesso, riconosceva quale fatica gli fosse personalmente costata diventare filosoficamente cosciente di una tale ri­ caduta nella barbarie. «A volte, temo che quest'impresa oltrepassi le mie forze» 50 • Tuttavia, Adorno e Horkheimer rifiutarono la via di una facile rassegnazione, alla luce delle atrocità mostrate dal corso della storia: «La possibilità che prima o poi anche noi potremmo essere sottoposti alla minaccia del campo di concentramento non può diventare un motivo di razionalizzazione per il fatto di non cercare più disperatamente la pa­ rola in grado di acquistare autorità e liberarci tutti» 5 1 • Il fatto che l' ope­ ra fosse stata portata a termine era dovuto proprio anche alla costante energia di Adorno, il quale non si era mai stancato di proporre nuove formulazioni e di elaborare concetti per una problematica così comples­ sa. Il compito che si erano riproposti gl i autori non era certo modesto. Infatti, tramite il loro resoconto su un mondo come " sistema dell' orro­ re" , essi intendevano rivelare niente meno che i deficit dei princìpi inti­ mamente legati all' Illuminismo e alla ragione. L'Illuminismo, al di là della connotazione di una determinata epoca nella storia della filosofia, viene illustrato come la quintessenza della 3 79

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condizione della coscienza moderna. Costitutiva di tale condizione è l'aspirazione da parte del soggetto di acquistare una visione completa dei rapporti di causalità nei processi naturali, nelle azioni umane e nella società. Nella misura in cui l'Illumin ismo porta a una costante estensio­ ne della libertà nelle rispettive sfere delle capacità pragmatiche, del do­ vere morale e della volontà emotiva si rivela essere garante di un pro­ gresso continuo. Il concetto di ragione, condizione generale tanto del dominio sulla natura quanto dell'autodeterm inazione, viene inteso in senso dicotomico 5 2 • I momenti strumentali e riflessivi di una ragione pensata come unità si trovano ormai in una situazione di disequilibrio . Per Adorno e Horkheimer, il pensiero dialettico rappresenta l'unica via per sincerarsi della ragionevolezza della ragione, ad uno stadio più am­ pio della riflessione. Poiché la ragione in quanto "felicità della conoscenza " 53 è svanita dalla coscienza, gl i uomini pagano «l'accrescimento del loro potere con l'estraniazione da ciò su cui lo esercitano» 54 • G ià nella forma originaria dell'Illuminismo, il mito, si rende leggibile questo quid pro quo consi­ stente nell'equiparazione tra ragione e autoconservazione. Infatti, le leg­ gende sugl i avvenimenti della preistoria erano già dei primi tentativi di spiegazione rivolti ad assicurare al soggetto un predominio nei confron­ ti delle forze della natura: « Il mito voleva raccontare, nominare, dire l'o­ rigine: e quindi anche esporre, fissare, spiegare» 55 • Così come il mito era già Illuminismo, anche l' Illuminismo, da parte sua, torna a trasformarsi in mitologia. L'elemento mitologico, ovvero ideologico della coscienza illuminata della modernità consiste nell'idea che l'homo sapiens, grazie alla ratio, sia in condizione di assoggettare l'universo. La ragione alla base del desiderio di dominare il mondo tramite il sapere, alla base della compenetrazione di Illuminismo e autorità, è la paura provata dagli uo­ mini per la reale strapotenza della natura. Con il «tentativo di spezzare la costrizione naturale spezzando la natura», il pensiero cade «tanto più profondamente nella coazione naturale. È questo il corso della civiltà 6 europea» 5 • Questa dialettica vale anche per la costituzione del soggetto. Obbe­ dendo all'imperativo di una condotta di vita metodica, il soggetto si ri­ duce a un nodo o crocevia di reazioni e comportamenti convenzionali che si attendono praticamente da lui 57 • Il «progresso dell'individuazio­ ne» nella società borghese si produce «a scapito dell'individualità» e, alla fine, dell'autodeterminazione non ri mane altro se non la «decisione di 8 perseguire sempre e soltanto il proprio scopo» 5 •

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Per rendere plausibile la doppia tesi dell'equivalenza di Illuminismo e mito, Adorno - al quale si deve la concezione di questo capitolo che è forse il più convincente dell'intero libro 59 - interpreta alcune scene chiave dell' Odissea omerica ( VIII secolo a.C.) come preistoria della sog­ gettività, nella quale è possibile leggere in forma allegorica le condizion i e l e conseguenze d i una ragione posta a l servizio d i una conservazione assolutizzata del proprio Sé: quel processo della liberazione dal contesto naturale tramite l' autodisciplinamento «perché nascesse e si consolidas­ 6 se il Sé, il carattere identico, pratico, virile dell'uomo» 0 . Odisseo sim­ boleggia il modo in cui si è compiuta la storia della cultura come addo­ mesticamento della natura interna: quando egli ( nel XII canto dell' Odis­ sea) corre il pericolo di cadere vittima, insieme ai propri compagni di viaggio, del canto mortale delle sirene, per lui, messo in guardia da Cir­ ce, si danno due sole possibilità di scampo. Una è quella che prescrive ai compagni . Egli tappa loro le orecchie con la cera, e ordina loro di remare a tutta forza. Chi vuoi durare e sussistere, non deve porgere ascolto al richiamo dell'irrevocabile, e può farlo solo in quanto non è in grado di ascoltare. È ciò a cui la società ha provveduto da sempre. Freschi e concentrati, i lavoratori devono guardare in avanti, e lasciar stare tutto ciò che è a lato . L'impulso che li indurrebbe a deviare va sublimato - con rabbiosa amarezza - in ulteriore sforzo . Essi diventano pratici. L'altra possibilità è quella che sceglie Odisseo, il signore terriero, che fa lavorare gli altri per sé. Egli ode, ma im­ potente, legato all'albero della nave, e più la tentazione diventa forte, e più stretta­ mente si fa legare, cosi come, più tardi, anche i borghesi si negheranno più tenace­ mente la felicità quanto più - crescendo la loro potenza - l'avranno a portata di mano . Ciò che ha udito resta per lui senza seguito: egli non può che accennare col capo di slegarlo, ma è oramai troppo tardi: i compagni, che non odono nulla, san­ no solo del pericolo del canto, e non della sua bellezza, e lo lasciano legato all'albe­ ro, per salvarlo e per salvare sé con lui. Essi riproducono, con la propria, la vita del­ l' oppressore, che non può più uscire dal suo ruolo sociale. Gli stessi vincoli con cui si è legato irrevocabilmente alla prassi, tengono le Sirene lontano dalla prassi: la loro tentazione è neutralizzata a puro oggetto di contemplazione, ad arte. L'incate­ nato assiste ad un concerto, immobile come i futuri ascoltatori, e il suo grido ap­ passionato, la sua richiesta di liberazione, muore già in un applauso. Così il godi­ mento artistico e il lavoro manuale si separano all'uscita della preistoria. L'epos contiene già la teoria giusta. Il patrimonio culturale sta in esatto rapporto col lavo­ ro comandato, e l'uno e l'altro hanno il loro fondamento nell'obbligo ineluttabile del dominio sociale sulla natura 61 •

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Nel secondo excursus, in cui è la concezione amorale della protagonista del romanzo di Sade J uliette ad essere in primo piano, si tratta di rap­ presentare il rovescio della medaglia di un sapere completamente secola­ rizzato e scientistico, che, in quanto fattibilità assoluta, non conosce li­ mitazioni morali. La consequenzialità con la quale si è messo in luce come, in base al patrimonio della conoscenza razionale, non si ricavi al­ cun argomento stringente contro l'omicidio, viene riconosciuta essere un merito di alcuni scrittori tra i più oscuri dell'Illuminismo borghese quali appunto Sade e Nietzsche. Infatti, essi hanno enunciato la " scioc­ cante verità" secondo cui la ragione limitata alle funzioni dell' autocon­ servazione permette di giustificare qualsiasi crimine. «La libertà dagli scrupoli e dai rimorsi non è meno essenziale, per la ragione formalistica, di quella dall'amore e dall'odio» 62 • Il capitolo sull'industria culturale tratta una tema ti ca del tutto di­ versa: il tentativo di dimostrare in relazione alla cultura moderna il ri­ baltamento nel suo contrario, la trasformazione della creatività in con­ sumismo, dell'arte in divertimento, della cultura in mera informazione - insomma, la distruzione della cultura attraverso la sua diffusione da parte dei mass media. Tramite il concetto di " i ndustria culturale", Adorno e Horkheimer volevano esprimere che la cultura di massa con­ temporanea non aveva nulla in comune con le manifestazioni spontanee di una cultura popolare, ma era invece qualcosa che veniva prodotto e organizzato dall'alto. Il concetto designava la vasta rete di mediazione culturale presente nella società: i beni culturali che vengono prodotti dagli imprenditori di cultura e diffusi dalle agenzie di distribuzione, il mercato e il consumo della cultura. Nell'industria culturale sono da an­ noverare i mezzi di comunicazione di massa, le aziende editoriali che producono quotidiani e riviste, le reti radiofoniche e televisive pubbli­ che e private, le case di produzione musicali e cinematografiche, ma an­ che le varie organizzazioni di promozione della cultura, così come i set­ tori dell'industria dell'intrattenimento. Adorno e Horkheimer analizza­ vano tali istituzioni, accorpatesi nel sistema dell'industria culturale, da una prospettiva basata su una questione centrale: quale influenza eserci­ ta la cultura di massa sulla formazione della coscienza individuale e sulla comunicazione del senso nella società ? La funzione principale dell' in­ dustria culturale consiste nel produrre conformismo tramite una plura­ lità di offerte mirate a gruppi specifici, vale a dire un consenso generale per l'organizzazione presente del mondo: «Per tutti è previsto qualcosa perché nessuno possa sfuggire)) 63• Nonostante la diversificazione del-

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l'offerta, però, «il pane che l'industria culturale ammannisce agli uomini 6 non cessa di essere la pietra della stereotipia)) 4 . L'attenzione critica degli autori andava in particolare al fenomeno della personalizzazione e della emozionalizzazione dei modelli rappre­ sentativi impiegati dall 'industria culturale; essi spiegano per esempio il fenomeno sociale della cosiddetta " semicultura " (Halbbildung) a partire dall'influenza esercitata dagl i stereotipi della cultura di massa. La super­ ficialità culturale è il risultato della «riproduzione del sempre uguale)) 6 alla quale si collega «l'esclusione del nuovo)) 5 • Nelle loro analisi Ador­ no e Horkheimer mettono in evidenza che i prodotti dell'industria cul­ turale hanno la funzione di merci determinate dal mercato che, quindi, sono specificamente mirate al consumo di massa. In tal modo l'indu­ stria culturale non risponde ad una domanda già esistente da parte dei consumatori, ma la domanda viene in realtà prodotta dall'apparato cul­ turale industriale, indirizzando i bisogni e le inclinazioni dei fruitori: «E, in effetti, è proprio in questo circolo di manipolazione e bisogno che ne deriva (e che viene in tal modo a rafforzarla) che l'unità del sistema si 66 compatta sempre di più)) • Gli Elementi dell'antisemitismo rappresentano il tentativo di rivelare 6 il ruolo svolto dagli ebrei nella storia della civiltà occidentale 7 . L'odio contro gl i ebrei è espressione di un disprezzo di sé nascosto all'interno della comunità popolare. La furia cieca e indiscriminata della collettività sociale si dirige contro gruppi minoritari che appaiono palesemente pri­ vi di protezione. Nel caso degli ebrei viene ad aggiungersi il fatto che essi costituiscono un gruppo economicamente escluso dalla produzione e rimasto limitato alla sfera della distribuzione. La debolezza attira colo­ ro che non sono mai riusciti a compiere il doloroso processo di civilizza­ zione consistente nella repressione degli istinti, ma che al tempo stesso negano le loro paure e si sentono in dovere di mostrare la propria forza. La fonte dell'antisem itismo consiste in una proiezione collettiva: l'odio di sé trasferito sugli ebrei. In tal senso gli ebrei vengono percepiti come una minoranza privilegiata in grado di condurre una buona vita senza essere sottoposta alla continua fatica del lavoro repressivo: «A prescinde­ re da ciò che gli ebrei possono essere in se stessi, la loro immagine [ . . . ] , presenta tratti a cui il dominio divenuto totalitario non può non essere mortalmente ostile: felicità senza potere, compenso senza lavoro, patria senza confini, religione senza mito. Questi tratti sono vietati dal domi­ 68 nio poiché i dominati aspirano segretamente ad essi)) •

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Adorno e Horkheimer giungono alla conclusione che non esiste un «antisemitismo genuino», né certamente alcun antisemitismo innato. Piuttosto, «le vittime sono intercambiabili tra loro secondo la costella­ zione storica (vagabondi, ebrei, protestanti, cattolici)», e la vittima di oggi potrebbe subentrare domani al posto dell'assassino, «nella stessa 6 cieca voluttà di uccidere, appena si senta potente come la norma» 9 • È del tutto casuale che gli ebrei siano stati definiti nella Germania nazista come quel gruppo «che attira su di sé, teoricamente e di fatto, la volontà di distruzione che il falso ordine sociale genera spontaneamente» 70 . Ol­ tre a ciò, Adorno e Horkheimer adducono anche motivi religiosi alla base dell'antisemitismo. Mettono in evidenza l' invidia del cristianesimo in quanto religione del Figlio nei confronto della religione ebraica del Padre: « l seguaci della religione del Padre vengono odiati da quelli del Figlio come quelli che la sanno più lunga. È l'ostilità contro lo spirito dello spirito che si ottunde a salvezza» 7 1 • Adorno e Horkheimer non eludono in alcun modo la questione del modo in cui si possa eliminare la follia dell'antisemitismo. A tal fine essi richiedono niente meno che il superamento del dominio nel processo storico della civilizzazione: «L'e­ mancipazione individuale e sociale dal dominio è il movimento opposto alla falsa proiezione, e nessun ebreo che sapesse vincerla e placarla in se stesso sarebbe più simile alla sventura che piomba su di lui, senza senso, come su tutti i perseguitati, animali ed uomini» 7 2 • Adorno e Horkheimer consideravano la loro critica all'antisemiti­ smo come un elemento costitutivo della loro analisi del fascismo 73, nel­ la quale la psicoanalisi ricopriva una posizione considerevole, perché termini quali " regressione collettiva" , " proiezione " e " paranoia" tradi­ vano indubb iamente un'origine psicoanalitica. Attraverso il ricorso alla teoria di Freud gli autori si collegavano così all'ampio contesto di ricerche degli studi sull'antisemitismo che andava­ no concretizzandosi proprio in questo periodo e che, nel corso del 1 943, erano ancora sottoposti alla competenza dell'Institute of Social Re­ search. Per la parte forse più significativa di questo progetto, lo studio empirico sui pregiudizi contro le minoranze e l'intolleranza etnica, le ar­ gomentazioni fondate sulla psicoanalisi dovevano costituire il frame oj reference circa l' indagine dell 'odio per gli ebrei, naturalmente, come ag­ giungeva Adorno, « nel contesto di una teoria obiettivamente orientata e critica della società» 74. Non che il lato pratico della ricerca alla base di una serie di argo­ mentazioni esposte nella Dialettica dell'illuminismo non fosse significati-

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vo per Adorno, anzi. Tuttavia, già nella loro versione del 1944, questi te­ sti possedevano per lui un particolare significato. Diversamente da Horkheimer, infatti, egli si è riconosciuto per tutta la sua vita in questo libro sulla contraddizione immanente interna all' Illuminismo, nel «l i­ bro più nero» della teoria critica 75. Non solo: per lui la dialettica in quanto metodo della critica, come negazione determinata, si era trasfor­ mata in una prova d'abilità alla barone di Miinchhausen consistente nel sapersi «sollevare dallo stagno afferrandosi per il codino)) diventando ' così «lo schema di ogni conoscenza)) 7 6• Perciò quest'opera, benché non recasse la firma del solo Adorno, presentava il carattere inconfondibile della sua scrittura; un modo di scrivere che, grazie ai suoi ribaltamenti dialettici, alla costruzione formale ordita in modo contrappuntistico, sarebbe diventato il segno distintivo della sua filosofia. Accanto ai ri­ mandi allegorici, ai gesti linguistici illuminanti, alle esagerazioni co­ scientemente selezionate, la Dialettica dell'illuminismo racchiudeva for­ mulazioni ermetiche che contenevano affermazioni estremamente den­ se di presupposti. In effetti, la retorica singolare del libro 77 - quella for­ za insistente del testo in un linguaggio ricco di immagini di pensiero ­ viene ad espressione nella costruzione del gesto li nguistico, nel tentativo di far diventare letterari ed estetici i concetti filosofici, tenendo però conto allo stesso tempo della logica del discorso. Adorno e Horkheimer non consideravano il loro tentativo di opera­ re il disi ncanto della razionalità moderna soltanto come una forma spe­ cifica tramite la quale accertare la propria posizione filosofica. Piuttosto, essi avevano condotto la loro critica radicale della ragione sullo sfondo dell'Illumin ismo considerato sotto il presupposto di una petitio princi­ pii. È proprio questo che dimostrano le singole discussioni svoltesi tra gli autori su quello che, nei loro piani, originariamente avrebbe dovuto essere il proseguimento del loro lavoro comune. Horkheimer sottolineò con energia la necessità di attenersi alle spinte radicali del marxismo e della tradizione illuministica. Al pari di Adorno, il quale esigeva che « il pensiero deve provare la colpevolezza dei propri stessi errori tramite il pensiero)) , Horkheimer vedeva nella ricostruzione della storia della ra­ gione l'unica via per la «salvezza dell'Illuminismo)) 7 8 . Anche Adorno adottò senza riserve questo programma, ma conferì ad esso un altro ac­ cento. Seguendo su questa via Hegel, la cosa che più gli premeva era «definire la negatività del negativo)) ' perché l'unica soluzione possibile stava nel trascendere la negatività del tutto . L'elemento positivo della critica, il suo punto di riferimento, restava dunque unicamente confina-

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to all' «esperienza della differenza» 79 • Manifestamente Adorno aveva già in mente i contenuti del suo nuovo libro, quando nel corso di queste di­ scussioni affermava: «Dobbiamo dire quale forma debba avere un pen­ siero che abbia attraversato nella sua interezza la critica e che in base alla so sua condizione in senso storico-fi l osofico possa dirsi giusto» . L'opera di critica della conoscenza in grado di tradurre in pratica tale intenzio­ ne, Adorno non la scrisse più insieme al suo coautore, ma di proprio pu­ gno a circa ve n t'anni di distanza. Il suo opus magnum sarebbe uscito sol­ tanto nel 1966, quando si trovava all'apice della sua produttività intel­ lettuale. Così come, nella Dialettica dell'illuminismo, mito e ragione era­ no stati rivelati come i due lati di una stessa medaglia, la Dialettica nega­ tiva avrebbe acquisito la propria tensione interna dalle antinomie tra identità e non-identità. Prima di arrivare alla conclusione di questo li­ bro, però, Adorno avrebbe dovuto sopportare per molto tempo ancora gli «scricchiolii degli scaffali a saracinesca in cui vengono riposti i que­ s stionari» delle ricerche empiriche 1 •

Meriti conseguiti nella ricerca sociale. Gli studi sulla personalità autoritaria Proprio mentre Adorno e Horkheimer, già relativamente incalzati dal tempo, erano occupati a portare avanti il libro sulla Dialettica dell'illu­ minismo, che nella primavera del 1944 avrebbero consegnato a Friedrich Pollock per il suo cinquantesimo compleanno, a Pacific Palisades giunse improvvisamente da New York la notizia che l'American Jewish Com­ mittee (AJ C) era interessato al Research Project on Anti-Semitism di cui era stato presentato un abbozzo sugli " Studies in Philosophy an d Social Science"; a riguardo era stato previsto un contributo finanziario signifi­ cativo. Per questa ragione, nel settembre del 1942 a Horkheimer non re­ stò altra scelta che recarsi a malincuore per alcune settimane a New York, in modo da avviare una trattativa con l'AJ C . La separazione da Horkheimer riuscì manifestamente difficile per Adorno. Da tempo il collega era ormai diventato per lui non solo l' in­ terlocutore più importante, ma una persona amica e fidata. Per questo motivo attendeva sempre con ansia, come egli stesso diceva, il ritorno del " Mammut", o dell'" Ippopotamo ", secondo i soprannomi che Ador­ no usava per designare il direttore dell' Istituto . Per conferire, dinanzi ai suoi amici, una particolare enfasi al fatto che Horkheimer sarebbe pre-

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sto tornato al loro lavoro in comune, Adorno, alias Archibald Bauchschleifer, aveva composto un Lied per voce e pianoforte che reca­ va il titolo Riisselmammuts Heimkehr (Il ritorno del mammut probosci­ dato) . Per un certo periodo Adorno fu costretto a lavorare da solo al ma­ noscritto che, a quel punto, aveva cominciato a prendere via via sempre più forma 82• Al compito di chiarificazione filosofica costituito dal libro venne ora ad aggiungersi un vasto progetto di ricerca. Infatti, grazie ai mezzi finanziari messi a disposizione dall' AJ C , così come ad ulteriori sovvenzioni concesse da parte del Jewish Labour Committee ( J LC ) , era possibile organizzare un insieme di ricerche da estendere su un arco di diversi anni 83• Mentre l'lstitute for Social Research era il solo responsa­ bile per il progetto Antisemitism within American Labor già avviato alla fine del 1942 8 4, il secondo studio, di gran lunga più esteso, con il titolo The Function ofAntisemitism within the Personality doveva essere con­ dotto in cooperazione con altri studiosi e gruppi di ricerca. L'attenzione di Horkheimer aveva già avuto modo di dirigersi verso il Public Opi­ nion Study Group, che operava presso l'università di Berkeley sotto la direzione dello psicologo sociale R. Nevitt Sanford coadiuvato da due collaboratori, Daniel Levinson e Else Frenkel-B runswik 8 5• Dopo i pri­ mi contatti, si giunse presto ad una cooperazione tra Adorno e Hork­ heimer, da una parte, e lo psicologo sociale, dall'altra. Prima di potersi dedicare a questo nuovo lavoro, però, occorreva terminare il manoscrit­ to dei Frammentifilosofici, i quali peraltro contenevano anche una teoria storica, sociologica e psicologico-sociale sui pregiudizi razziali. Quando, all'inizio del 1944, l'opera filosofica dei due coautori era ormai andata in porto, era ovvio che Adorno prendesse parte ai progetti di ricerca che dovevano essere condotti sotto la direzione di Horkhei­ mer. In ogni caso, parallelamente agli Elementi dell'antisemitismo, Ador­ no aveva già redatto una serie di promemoria relativi a questo insieme di ricerche, come per esempio un abbozzo in vista di un manuale sui cli­ ché e gli stereotipi antisemiti, proposte teoriche e metodologiche sul La­ bor-Project e sul Child-Study 86 , uno schizzo relativo alle problematiche per il Research Project on Social Discrimination, un testo preliminare sul­ la Imagery ofSubconscious Antisemitism, un altro schema sull'Antisemiti­ smo totalitario, nonché una traccia dedicata ad un Research Project on the

sociological politica! and economie Mechanisms behind American Antise­ mitism 8 7• Lo studio poi realizzato a Berkeley sulle strutture dei pregiu­ dizi razziali, di cui si può a ragione affermare che si trattava di una con-

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nl,."'.,. ''W. ,V,J >'•""> nella quale «confluiscono tratti quali conformismo, servilità autoritaria e aggressivi­ 8 tà, tendenza alla proiezione, alla manipolazione e simili)) 1 0 • La gamma di variazioni delle forme concrete di manifestazione dei caratteri sociali autoritari e non autoritari veniva presentata in connessione alla valuta­ zione delle interviste qual itative. Qui, Adorno si concentrava sull'analisi del materiale fornito dalle interviste in relazione alle " sfere ideologiche" . Riuscì così a dedurre una tipologia estremamente differenziata che per­ metteva di cogliere con maggiore precisione la sindrome legata al carat­ tere autoritario. Il confronto tra le analisi dei casi si ngoli gli consentì di individuare sei tipi, i quali tuttavia potevano avere un contenuto scien­ tifico di carattere prevalentemente descrittivo: Il risentimento di superficie risulta facilmente riconoscibile dalla presenza di ansie sociali giustificate o ingiustificate. [ . . . ] Nel caso del carattere convenzionale [ . . . ] ri­ sulta primario il riconoscimento concesso ai valori convenzionali. Il suo Super-lo non si è mai fissato e il soggetto è qui largamente sottoposto all'influsso delle sue istanze esteriorizzate. Il timore di " essere diverso " costituisce la sua motivazione più evidente. L'individuo autoritario viene dominato dal Super-lo e deve combat­ tere incessantemente contro le tendenze forti quanto estremamente ambivalenti del suo Es : ciò che lo muove è la paura di essere debole. Nel caso del duro, sono le tendenze dell'Es rimosse - anche se in forma alterata e distruttiva - ad avere la me­ glio. Il tipo eccentrico così come anche il tipo manipolativo sembrano avere risolto il complesso edipico richiudendosi narcisisticamente in se stessi

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Adorno mise a punto una tipologia non soltanto per le persone che, in base alla scala F, mostravano una forte affinità con l'autoritarismo, ma anche per le sindromi dei soggetti privi di pregiudizi che si collocavano sui livelli più bassi della scala. Qui egl i distingueva cinque tipi: il carat­ tere rigido, che si attiene con una certa forzatura alle istanze socialmente 397

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riconosciute; il protestatario, che viene reso nemico di qualsivoglia auto­ rità da un odio specificamente elaborato nei confronti dell'istanza pater­ na; l'impulsivo, che è vittima delle sue aspirazioni libidinose; il disinvol­ to, che ha sublimato in compassione gli impulsi del suo Es; il liberale au­ tentico, che riesce ad integrare le divergenti rivendicazioni di Io, Super­ Io ed Es 110 • Adorno elevava quest' ultimo tipo a un modello da seguire. Il suo completo opposto era rappresentato dal tipo manipolativo all'in­ terno del gruppo degli individui esposti ai pregiudizi. Questi, eccessiva­ mente realistico e fissato sull'autoconservazione, considera invece le cose del mondo esteriore ed interiore come oggetti che devono essere adoperati: «Tutti gli aspetti tecnici della vita, tutti gli oggetti che posso­ no essere impiegati come " strumenti" sono gravati di libido. La cosa principale è che venga " fatto qualcosa", ma è indifferente che cosa» 1 11 • Adorno sapeva bene che lo studio di Berkeley non era in alcun modo libero dalle necessità di ogni ricerca sociale, la quale in linea di principio deve scegliere «tra l'attendibilità e la profondità dei suoi risul­ tati» 112 • Sullo sfondo di tale dilemma, riassumeva dunque: Se la Authoritarian Personality ha fruttato qualcosa di buono, questo non dev'esse­ re cercato nell'assoluta necessarietà delle intuizioni positive, o magari degli indici statistici, bensì innanzitutto nell'impostazione del problema, che è improntata ad un interesse essenzialmente sociale, ed è messa in relazione con una teoria che pri­ ma di allora non era stata mai trasferita in simili indagini quantitative

113•

Meno ottimistico era il suo giudizio sull'aspetto pratico della ricerca. Riteneva insufficiente una ricerca sociologica che si limitasse a mettere in luce il pericolo rappresentato per la democrazia dal potenziale fasci­ sta. Si doveva piuttosto fare leva sulla posizione dell'individuo nella so­ cietà al fine di modificare l' ordine sociale. Infatti, finché sugli individui continuava ad agire una pressione sociale, sussisteva il pericolo che pre­ giudizi e stereotipi talvolta quasi dimenticati riprendessero ad esercitare nuovi effetti. Nei Remarks on the Authoritarian Personality 11 4 , in cui Adorno traeva le sue personali conclusioni dopo aver portato a termine un'analisi protrattasi per anni, scriveva: «Ma le tracce [dei pregiudizi e degli stereotipi] rimangono incompatibili con il grado di razionalità che la società ha attualmente raggiunto. L'ideologia antisemita moder­ na non è tanto l'espressione diretta [ . . . ] di questa civilizzazione o di quel genere di irrazionalità tramite cui l'antisemita si dà delle arie,

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quanto piuttosto l'antidoto contro il dolore inflitto dalla civilizzazione razio nale» 11 5 •

Sensibilità morale in tempi immorali Che cosa sarebbe una felicità che non si commisurasse all'incommensurabile tristezza di ciò che è? Il corso del mondo è sconvolto. Chi vi si adatta con prudenza, si rende partecipe della follia, mentre solo l'eccentrico sa­ rebbe in grado di resistere e di imporre un alt all'assur­ do

u6.

Con l'abbandono della politica di neutralità sancito alla fine del 1940 , il governo americano reagiva alla minaccia rivolta ai suoi interessi nazio­ nali da parte degli Stati aggressori: Germania, Italia e Giappone. Il 22 giugno 1941 l'esercito tedesco aveva dato avvio all'offensiva contro l'U­ nione Sovietica, mettendo in campo circa il 57°/o delle truppe attive e 2.000 aerei da combattimento senza neppure emanare una dichiarazio­ ne di guerra. Allo stesso modo, senza alcuna dichiarazione di guerra, i giapponesi attaccarono nel mese di dicembre la flotta statunitense di stanza nel porto di Pearl Harbor, come reazione all'embargo del petro­ lio deciso dagli americani nei loro confronti. Oltre ai notevoli danni ri­ portati dalle navi da guerra e dalla flotta aerea rimasero uccisi 3 .000 sol­ dati. Da quel punto in poi, la popolazione americana fu presa da un' on­ data di patriottismo dichiarandosi pronta all'entrata in guerra. «La sini­ stra liberale poté ora mobil itarsi co ntro i fascisti e la destra xenofoba contro i giapponesi, gli operai trovarono lavoro, gli imprenditori rice­ vettero nuovi contratti, e i filob ritann ici degli Stati sudisti poterono rin­ novare le loro tradizioni militari» 117 • Quando, nel dicembre del 1941 , gli usA entrarono ufficialmente in guerra ribadendo le loro ambizioni di nazione guida a livello internazionale, la guerra europea assunse le di­ 8 mensioni di una guerra mondiale 11 • Questi drammatici sviluppi del conflitto internazionale ebbero di­ rette conseguenze per i rifugiati tedeschi che si trovavano in America e, quindi, anche per quelli che si erano stabiliti a Los Angeles. Dal mo­ mento che la regione intorno a Hollywood era diventata il secondo cen­ tro di emigrazione in ordine di grandezza all'interno degl i Stati Uniti, le campagne contro la presenza di elementi stranieri non erano certo una 399

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novità. Ma il fatto che, in seguito all'entrata in guerra dell'America, i cosiddetti refogees fossero stati dichiarati enemy aliens e trattati di conse­ guenza, rappresentava una nuova escalation qualitativa nelle misure xe­ nofobe che provenivano dall 'amministrazione politica e portarono poi dall'antinazismo all'anticomunismo, sulla base della formula ideologi­ co-propagandistica secondo cui erano in gioco i fondamenti della civiltà occidentale democratica. In tal senso, non erano ingiustificati i timori di Adorno che gl i emigrati tedeschi della costa Ovest potessero venire in­ ternati, come era già accaduto in Francia e in Inghilterra o come toccò ai giapponesi che vivevano in America. Proprio coloro che non avevano ancora ottenuto la piena cittadinanza videro sensibilmente limitata la propria libertà di movimento, tramite un provvedimento amministrati­ vo che impediva loro di uscire di casa, il cosiddetto "curfew" ( coprifuo­ co) . Poiché nello Stato della California era stato anche dichiarato lo sta­ to di emergenza militare, gli enemy aliens non potevano abbandonare le proprie case tra le otto della sera e le sei del mattino; inoltre era loro proibito allontanarsi di oltre cinque miglia dal loro domicilio. A quelle disposizioni dovette attenersi anche l'emigrante Adorno, il quale otten­ ne il certificate ofnaturalization soltanto nel novembre del 1943 facendo­ si registrare ufficialmente all'anagrafe americana con il nome di Theo­ dor Adorno 11 9 • N elle sue Considerazioni sul coprifuoco, pubblicate su "Aufbau " la rivista principale degli esiliati tedeschi, Max Horkheimer affermava, in relazione alle restrizioni a cui erano sottoposti gl i stranieri, che «sugli emigranti già isolati» si era abbattuto improvvisamente «l'or­ rore» 120 • Adorno ebbe modo di provare concretamente questo senti­ mento quando, nell'estate del 1 942, alcuni funzionari di polizia fecero un' ispezione nella South Kenter Aven ue per controllare che Adorno e la moglie si attenessero effettivamente alle disposizioni vigenti restando in casa negli orari prescritti. In una lettera indirizzata ai genitori, si lamen­ tava della situazione che equivaleva quasi alla condizione di un interna­ to. Adorno e Gretel furono costretti ad abbandonare provvisoriamente l'abitudine di intraprendere escursioni in automobile nel circondario. Inoltre, a causa dell'imminente razionamento della benzina, c'erano da temere ulteriori periodi di immobilità e isolamento . Era completamente incomprensibile ai suoi occhi che fossero proprio i nemici più sicuri di Hitler a dover patire queste restrizion i. Come segno di solidarietà con la nazione americana che si trovava in guerra contro Hitler, Adorno si recava spesso a donare il sangue, in­ tendendo così fare un gesto forse modesto, ma ispirato ad un sincero 400

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patriottismo; come comunicò ai gen itori, ottenne una piccola onorifi­ cenza a riguardo. Ma nelle lettere che scriveva da Santa Monica ai fami­ liari si toccavano anche argomenti più importanti. Leo Lowenthal, il quale aveva presentato i propri genitori ai Wiesengrund a New York, esortò Adorno a scrivere più spesso e in modo «more cheerful», curan­ dosi però di aggiungere che si trattava di un «modesto consiglio» 121 • Conformemente a tale raccomandazione di cui, peraltro, egli non aveva bisogno, il figlio ormai quasi quarantenne scriveva regolarmente ai gen i­ tori riferendo loro diffusamente dell'andamento del proprio lavoro con Horkheimer, dei seminari condotti da alcuni membri dell' Istituto pre­ senti in California, con partecipanti sempre diversi tra i quali Bertolt Brecht, Hanns Eisler, Eduard Steuermann, Giinther Stern (Anders), Ludwig Marcuse, Hans Reichenbach e altri. Nelle lettere si parlava spesso anche dei visitatori che Adorno e la moglie ricevevano nella ri­ dente casa in cui abitavano, come per esempio la " bellissima" violinista Lisa M inghetti, accompagnata dal marito e dal padre, con i quali Ador­ no aveva suonato in privato musiche di Bach, Beethoven e Debussy. Adorno esprimeva per lettera anche il suo dispiacere per non poter suo­ nare insieme alla madre, "l' ippopotama appassionata ", come aveva l'a­ bitudine di soprannominarla amorevolmente. In un altro passo delle lettere, in cui si parlava nuovamente di musica, Adorno si lasciava anda­ re ad alcune lodi per il clarinettista Benny Goodman, il quale non era soltanto uno musicista swing (sic!) dotato, ma anche capace di offrire buone esecuzioni classiche all'interno di un complesso di musica da ca­ mera 122 • In una lettera diretta a Horkheimer a New York del settembre 1 942, Adorno esprimeva anche soddisfazione per la situazione in cui viveva, nonostante le restrizioni causate dalla guerra, riferendo all'amico la pro­ pria intenzione di andare al cinema, invece che con lui, insieme a sua moglie Maidon e a Gretel. Nel complesso, a Santa Monica avevano luo­ go una «vita e un movimento [ . . . ] which we truly enjoy» 123 • Con una soddisfazione analoga, affermava in una lettera ai genitori del settembre 1942 che lui e Gretel erano ormai entrati saldamente a far parte della so­ cietà di Hollywood, fin dai primi tempi del loro arrivo in California 124 • Adorno aveva già fatto conoscenza con Thomas Mann, il quale ab itava nelle immediate vicinanze della residenza di Horkheimer. In casa di Sal­ ka e Berthold Viertel aveva avuto modo di incontrare G reta Garbo. Era «gentile e carina, anche se non certo una grande intellettuale», si sentì in dovere di riferire a Horkheimer 12 5 • Quell'incontro fatto in occasione di 401

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un tè pomeridiano ispirò forse ad Adorno uno dei suoi aforismi ? N ella sezione intitolata L 'inutile beauté ispirata a Maupassant, annotava: «Le donne di particolare bellezza sono condan nate all'infelicità)) 126 • O sono costrette a scambiare abilmente la loro attrattiva con la ricchezza o si le­ gano al primo venuto, coltivando, però, dentro di sé la sicura speranza di poter nuovamente avere la scelta. «Proprio il fatto di essere state un tempo fuori concorso, le mette in coda alla concorrenza, che ora eserci­ tano con furia morbosa. Il gesto dell'irresistibilità sopravvive benché essa sia ormai svanita: il fascino decade non appena, anziché rappresen­ tare una speranza, fissa, per così dire, il proprio domicilio)) 127. Anche Adorno e la moglie ricevevano frequentemente ospiti nel loro appartamento. Organ izzarono per esempio dei ricevimenti in ono­ re di Davidson Taylor, il direttore dei programmi della C B S , poi in ono­ re dell'attore Alexander Granach, che aveva lavorato con registi qual i Ernst Lubitsch e Fritz Lang 128 , e durante quella serata lesse alcuni passi della sua autobiografia. Tra i loro ospiti c'era Hanns Eisler, così come Lotte Lenya, Katia e Thomas Mann, Charlotte e Wilhelm Dieterle. Adorno colse subito la superficialità di quella society. «Che la vita che si auto-organizza non sia una vita superiore appare chiaro dalla noia dei cocktail-parties e degli inviti di fine settimana in campagna, del golf ­ che è caratteristico per tutta questa sfera - e dell'organ izzazione dei so­ eial affairs: privilegi a cui nessuno trova effettivamente gusto e con cui i privilegiati nascondono a se stessi come - nel tutto senza felicità - la possibilità della gioia sia venuta meno anche per loro)) 129• Rivolgendosi ai genitori, Adorno dichiarava la propria intenzione di mantenere un certa distanza dalla society, perché i contatti sociali non erano neppure lontanamente interessanti quanto il lavoro filosofico, che rivestiva per lui un'importanza primaria. Di conseguenza, i resoconti epistolari sul " testo sacro " che stava scrivendo insieme a Horkheimer così come sugli studi relativi all'antisemitismo erano particolarmente dettagl iati 1 3 0 • Adorno vi trattava anche una piccola selezione delle " trascrizion i dei so­ gni" che erano state pubblicate il 2 ottobre 1942 sulla rivista "Aufbau " . Si trattava della descrizione fedelmente esatta d i propri sogni che egli ogni volta aveva compilato immediatamente dopo il risveglio. Ormai disponeva di un grande numero di trascrizioni del genere 1 3 1 • Nel caso dei tre testi pubblicati si trattava di semplici resoconti di contenuti oni­ rici manifesti, perlopiù scene grottesche, una miscela di fattori culturali, elementi biografici e ricordi residuali della giornata trascorsa. L'autore 402

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rinunciava al benché minimo accenno di interpretazione, perfino di tipo psicoanalitico: Agathe, mia madre ed io camminavamo lungo un sentiero di montagna ricoperto di arenaria rossa, come quelli che mi sono noti da Amorbach. Però, ci trovavamo in America, sulla costa occidentale. A sinistra, in lontananza, si apriva l'oceano . Ad un certo punto il sentiero sembrava farsi più ripido a tal punto che non si poteva più proseguire. Io mi preparai a cercarne uno migliore tra le rocce e le sterpaglie. Dopo pochi passi, arrivai su un grande altipiano. Pensai di avere trovato il sentiero . Ma presto scoprii che la vegetazione ricopriva ovunque pericolosi crepacci e che non c'era alcuna possibilità di arrivare alla pianura che si estendeva verso l'interno del paese e che avevo falsamente ritenuto far parte dell'altipiano . Qui, con una cer­ ta inquietudine, vidi dei gruppi di persone che maneggiavano degli strumenti, dei geometri forse. Cercai la via per tornare indietro sui miei passi e presto la trovai . Quando raggiunsi nuovamente mia madre e Agathe, una coppia di neri sorridenti incrociò il nostro cammino, lui con larghi calzoni a quadri, lei con un tailleur spor­ tivo grigio. Proseguimmo sulla nostra strada. Dopo poco incontrammo un bambi­ no nero. Dobbiamo essere vicino ad un abitato, dissi io. C'erano infatti alcune ca­ panne isolate o caverne di pietra scavate nella montagna. Un portale conduceva ad una di queste abitazioni. Lo attraversammo e, commossi per la felicità, ci ritrovam­

mo sulla piazza della Residenza a Bamberg. - Lo Schnatterloch di Miltenberg 1 3 2 •

Ai propri genitori Adorno non nascose neppure una circostanza per lui estremamente spiacevole che riguardava Ernst Bloch 1 33 • Questi si era ri­ petutamente rivolto a Horkheimer chiedendogli il favore di fornirgli una sicurezza istituzionale affidandogli dei progetti di ricerca e garan­ tendogli un sostegno finanziario con i mezzi dell'Istituto 1 34• Il direttore dell' Istituto, però, aveva sempre nutrito qualche riserva nei confronti dell'autore del famoso libro Spirito dell'utopia, un'attitudine che era sta­ ta rafforzata dalla difesa pronunciata da Bloch nei confronti delle epura­ zioni staliniste. Ora, nel settembre del 1942 1 35, Bloch si era rivolto diret­ tamente ad Adorno con una lettera dal tono disperato in cui presentava la miseria delle sue condizioni materiali in modo drammatico: «Sono stato licenziato dal posto di lavapiatti, perché non ero abbastanza rapido nel mantenere il ritmo . Adesso conto e arrotolo dei grossi fogli di carta, li lego con uno spago e li carico su un furgone. Otto ore al giorno. Con­ tando il tempo del viaggio, andata e ritorno, più l'ora della pausa pranzo mi ci vogliono in tutto undici ore, prima di ritornare a casa. Come si

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può capire, la possibilità di proseguire il mio vero lavoro è del tutto fuo­ ri discussione» . Fu per pura ingenuità o per estrema compassione che Adorno prese alla lettera una tale descrizione ? In realtà, il filosofo marxista non aveva mai lavorato come lavapiatti, né aveva mai imballato carta. Adorno, però, era fermamente convinto che Bloch, con il quale lui e la moglie erano legati da amicizia, dovesse venire aiutato senza indugi. Indipen­ dentemente dal sostegno provvisorio concessogli dall'Istituto, per il quale egli si era impegnato, Adorno, dopo essersi preventivamente con­ sultato con Horkheimer, pubblicò un appello sulla rivista "Aufbau " per raccogliere fondi a favore di Bloch. N el suo breve articolo d' accompa­ gnamento, non presentava soltanto le idee fondamentali della filosofia di Bloch («il superamento dell'alienazione tra soggetto e oggetto ", " la fine messianica della storia: [ . . . ] l'abolizione letterale e incondizionata del dolore naturale e sociale» ) , ma tra le altre cose scriveva: il teologo della rivoluzione non poteva adeguarsi, e questo non gli viene perdonato da coloro che decidono a chi assegnare i posti di lavoro, né dagli intellettuali . [ . . . ] La sua relazione nei confronti della carta ha finalmente acquistato un carattere di realtà. Egli la arrotola per otto ore al giorno, lavorando in piedi in uno stanzino senza luce. Al campo di concentramento è riuscito a sfuggire, così hanno pensato di fargli passare i grilli per la testa. [ . . . ] L'emigrazione gli è debitrice perlomeno di un grazie. Quasi si trattasse di un capro espiatorio, ha scaricato tutta la miseria sul­ le spalle di uno che, insieme a pochi altri, rappresenta quella Germania sulla quale,

in realtà, si concentra maggiormente l'odio mortale di Hitler 1 3 6 •

Dopodiché, Bloch inviò una lettera aperta inviata alla rivista degli esilia­ ti tedeschi dichiarando di non avere in alcun modo ispirato l'autore del­ l' appello a quel gesto. Al tempo stesso, nei confronti di Adorno, prote­ stò contro l'intrapresa di simili iniziative «di fronte ad un'opinione pub­ blica sbagliata)) , sottolineando: «Non saprei neppure considerarmi come un capro espiatorio su cui l'emigrazione avrebbe scaricato tutta la sua miseria. Esistono molte migliaia di persone che si trovano in condizioni pari alle mie e perfi no peggiori)) 1 3 7 • A causa di questo sfortunato ep iso­ dio si produsse una frattura tra Adorno e Bloch che sarebbe durata per oltre vent'anni. In una lettera ai genitori, scritta poco prima del Natale 1942 , Adorno ammetteva la mortificazione che gli avevano procurato il suo appello e la lettera di risposta dell'interessato. In quel modo, infatti, si era inimicato Bloch.

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Adorno non mancò di informare i genitori anche a proposito di un'altra faccenda: la relazione amorosa, cominciata in novembre e pro­ trattasi per alcuni mesi, con l'attrice e sceneggiatrice Renée N eli. Per lei, che lui chiamava la sua «amante baudelairiana)) aveva redatto un album ' di poesie che conteneva alcuni suoi componimenti 1 38 • Come egli am­ mise apertamente nelle sue lettere, la relazione fortemente intrisa di ero­ tismo con questa donna lo aveva profondamente colpito, scosso e perfi­ no sconvolto sul piano emozionale. Soltanto la sua natura di ippopota­ mo dalla pelle dura gli aveva impedito di cadere completamente vittima delle pene infinite e del dolore che gli furono causati dall'esuberanza di questo amore. In conformità alla sua " natura maniaco-depressiva", si scatenarono sentimenti di gioia irrefrenabile seguiti in breve successione da attacchi di acuta disperazione. In questo senso, «il teatro dell'intero romanzo)) si era svolto dentro di lui, perché in fondo non era successo «praticamente nulla)) 1 39• A proposito di se stesso, infatti, asseriva: probabilmente non avrei le qualità che, forse, fanno di me qualcosa di particolare nel mio lavoro, se esse non si accompagnassero ad un'illimitata capacità di soffrire, di lacerarmi fino al punto di perdere me stesso. Poiché già una volta non ho potuto fare a meno di pensare e reagire con tutta la mia persona e innanzitutto con le rea­ zioni sensoriali più sottili, non è certo incomprensibile che queste reazioni assuma­ no anche un'intensità che non è conciliabile né con la natura che una mente ragio­ nevole si immagina debba avere un filosofo, né con l'esperienza conforme al noto " sense of proportion"

14° .

Soprattutto grazie alla " comprensione immeritata" che Gretel e Max mostrarono nei confronti della sua passione, Adorno era riuscito lenta­ mente a tornare alla ragione. Egli non fece mistero dei suoi sentimenti anche perché un'amica della sua " amante baudelairiana" aveva annun­ ciato a breve la sua visita presso i Wiesengrund a New York; si trattava dell'attrice lrena Coryan, la quale si chiamava in realtà Ira Morgenroth ed era parente del collezionista d'arte e filosofo Stephan Lackner (al se­ colo Ernst Gustave Morgenroth) , il quale a sua volta aveva avuto con­ tatti con Benjamin, Horkheimer e lo stesso Adorno. La relazione amorosa con Renée Nell si era appena felicemente o in­ felicemente conclusa nella primavera del 1944, che l'anno seguente Adorno si lasciò nuovamente coinvolgere in un rapporto amoroso con una donna sposata. Quando si recava a San Francisco per partecipare alle sedute relative alla ricerca sull'antisemitismo, Adorno pernottava

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presso un medico suo amico, il dottor Robert P. Alexander, che peraltro egli consultava regolarmente come clinico di fiducia. I coniugi Alexan­ der erano fermamente intenzionati a separarsi; e Adorno si innamorò di Charlotte, la moglie del medico . Anche questa volta non tacque la pro­ pria passione a Gretel, come scrisse in una lettera al suo amico Her­ mann Grab di New York, confidandogli oltretutto che Charlotte gli so­ migliava tanto nelle sembianze che nel modo di parlare. «Abbiamo tra­ scorso sei mesi di una felicità serena come non mai» 1 41 • Lei veniva a Los Angeles per il fine settimana, oppure era lui a recarsi a San Francisco. Ciò che lo affascinava di lei era la sua aura, l'incanto della sua persona «come se il frammento di una promessa di felicità completamente scomparsa, riesumata dall'infanzia, fosse stato esaudito in modo del tut­ to inatteso e, al tempo stesso, troppo tardi» 1 42 • Quando Charlotte Ale­ xander iniziò un flirt con un altro uomo con il quale cominciò a profi­ larsi una relazione più stabile, Adorno reagì con gelosia e, per tramite di Grab , si procurò delle informazioni su di lui, spingendosi perfino al punto di proporre di fargli fare conoscenza con altre donne appartenen­ ti alla propria cerchia di amici, perché bisognava a tutti i costi impedire che il suo rivale finisse per avere l' idea di sposare Charlotte 1 43• Adorno si rese presto conto che il suo desiderio aveva un che di «maniacale», in­ fatti sei mesi dopo già scriveva, in una lettera nuovamente diretta a Grab, di «avere riacquistato l'autocontrollo» 1 44. Naturalmente, non tutte le relazioni che Adorno ebbe con le donne erano talmente complicate e marcate da un'impronta erotica. Per quan­ to egli adorasse l'attrice Luli Deste, già contessa Goerz nata baronessa Luli von Bodenhausen, di cui fece la conoscenza ad un ricevimento alla metà del 1943, l'amore nei suoi confronti rimase del tutto platonico . Quella donna estremamente attraente, dal corpo gracile, gli occhi gri­ gio-azzurri e i capelli bruni, aveva due anni di più di Adorno. Originaria di Vienna, conservava anche in inglese l'accento della sua città natale, un dettaglio che Adorno considerava assolutamente affascinante. I le­ vrieri afgani che ella aveva portato con sé negli Stati Un i ti venivano tal­ volta affidati ad Adorno perché si prendesse cura di loro. Luli Deste pre­ se parte a diversi film tra i qual i Thunder in the City (1937) , She Married an Artist (1938), South of Karanga ( 1940), Flash Gordon Conquers the Universe ( 1940), fino a che, all'inizio degli anni quaranta, si ritirò a vita privata abbandonando la carriera cinematografica. Nel periodo in cui Adorno pubbl icava la piccola selezione delle tra­ scrizioni dei suoi sogni, scriveva le integrazioni agli aforismi della parte

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finale della Dialettica dell'illuminismo e il suo tempo non era ancora completamente assorbito dal progetto di Berkeley sulla discriminazione sociale, riprese un progetto che risaliva ai tempi di Oxford: gli tornaro­ no, infatti, in mente le annotazioni aforistiche che aveva redatto poco dopo la pubblicazione di Crepuscolo di Horkheimer. È presumibile che, nel corso degli anni trascorsi, Adorno avesse di tanto in tanto integrato le note abbozzate a partire dal 1934, di modo che potesse già disporre di un certo numero di testi quando comi nciò a realizzare l'idea di appron­ tare un ampio manoscritto di annotazioni in forma di diario per il com­ pleanno di Horkheimer. Infatti, il 14 febbraio 1945 in occasione del 50 ° compleanno di Horkheimer, riuscì a preparare la prima parte di una raccolta composta da cinquanta aforismi, preceduta da tanto di dedica manoscritta: «Come ringraziamento e promessa» 1 45• Purtroppo Adorno non poté consegnare di persona la raccolta al festeggiato, perché, men­ tre egli si tratteneva a Santa Monica e aveva la fortuna di collaborare dalla California al progetto di ricerca sull'antisemitismo, Horkheimer si trovava invece a New York per adempiere alle sue incombenze, peraltro non molto apprezzate, all'interno del Department of Scientific Research dell'American Jewish Comm ittee. Per il Natale del 1945, Adorno poté consegnare di persona a Horkheimer la seconda parte degli aforismi; sulla prima pagina del dattiloscritto campeggiava la dedica: «Per Max ­ in occasione del suo ritorno» . Anche gli oltre cinquanta aforismi della terza parte, composti da Adorno tra il 1946 e il 1947, erano intesi dal suo autore come «testimonianza di un dialogo interiore: non c'è in esso un solo motivo che non appartenesse a Horkheimer come a chi trovò il tempo di formularlo» 1 46• Questa osservazione si riferiva al fatto che Horkheimer, dopo aver concluso la Dialettica dell'illuminismo e avere rielaborare il manoscritto delle lezioni che ne era derivato per pubbli­ carlo con il titolo Eclipse ofReason presso la Oxford U niversity Press, era prevalentemente oberato da compiti amministrativi. Benché anche ad Adorno non fosse stato risparmiato in alcun modo il "duro lavoro" del­ la social research, questi disponeva comunque del tempo necessario a portare avanti in modo autonomo le prospettive di pensiero storico-fi­ losofiche e critico-sociali avviate insieme all'amico nel 1942. Proprio questo testimoniavano infatti le Meditazioni sulla vita offesa che Adorno poté pubblicare soltanto diversi anni dopo, una volta fatto ritorno in Germania, nel volume che recava appunto questo sottotitolo. Nella let­ tera ai genitori in cui menzionava tali aforismi, non sottolineava soltan­ to la dimensione e la finalità decisamente esistenziali delle sue riflessio-

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ni 1 47, ma ne rivendicava anche la forma frammentaria, alla quale era stato stimolato da una rinnovata lettura di Nietzsche 1 48• I motivi domi­ nanti di questi testi, perlo più brevi, erano l'emigrazione e il totalitari­ smo, l' individualità e la psicoanalisi, l'i ndustria culturale e la responsa­ bilità dell'intellettuale; ma vi venivano trattati in senso critico anche fe­ nomeni quotidiani come per esempio le abitazioni, i regali, il cammina­ re per la strada, e infine l' impossibilità dell'amore, la necessità della spe­ ranza, la situazione disperata della menzogna. N ella Zueignung (Dedi­ ca) , che come nel Faust di Goethe si rivolge all'amico destinatario delle sue meditazioni, Adorno dava notizia del modo di procedere della sua «triste scienza». Nonostante la dissoluzione storica del «vecchio sogget­ to», le considerazioni espresse dall'autore sul mondo muovevano dalle esperienze individuali: eventi del tutto casuali, proprie osservazioni e convinzioni . Benché la «considerazione soggettiva» abbia in sé qualcosa «di sentimentale ed anacronistico» , lo stato della società si comunica proprio alla «sfera individuale» . Per questo motivo il filosofo si affida alla penetrazione riflessiva delle proprie esperienze che si insinuano «nel terreno più strettamente privato» dell' «intellettuale nell' emigrazio­ ne» 149. Lo shock causato dall'essere trattato nell'esilio come un enemy alien ha lasciato un'impronta sul tono di fondo di questi testi ? Nel loro com­ plesso, i Minima Moralia portano ad espressione quel lutto e quella di­ sperazione che l'autore stesso riconduceva alla propria condizione di senza patria. Non era un caso che la prima parte degli aforismi recasse come motto una frase tratta dal romanzo Der Amerikamiide (Stanco dell'America) (1855) dello scrittore austriaco Ferdinand Kiirnberger: «La vita non vive» . La stanchezza nei confronti dell'America trova espressio­ ne nell'aforisma intitolato Protezione, aiuto e consiglio, in cui Adorno re­ gistra che la «continuità della vita vissuta» viene spezzata dall'espulsione dal proprio paese e dall'esilio. L'emigrante «vive in un ambiente che deve restargli per fo rza di cose incomprensibile [ . . . ] , sarà sempre un no­ made, un vagabondo. [ . . . ] Espropriata è la sua lingua e livellata la di­ mensione storica da cui la sua conoscenza attingeva ogni energia» . Come se si trattasse di un commento segreto al proprio conflitto con Bloch, Adorno aggiungeva: «Anche chi è sottratto all'onta del livella­ mento immediato, reca, come segno caratteristico, la sua stessa esenzio­ ne, e conduce un'esistenza apparente e irreale nel processo vitale della società. I rapporti tra i reietti e gl i emarginati sono ancora più avvelenati di quelli tra i residenti» 1 5 0 • Proprio per la ragione che tra gli emigrati la

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sfera personale aveva perso la propria privatezza, e l'indiscrezione deri­ vante dalle confessioni private era diventata socialmente presentabile in pubblico, occorreva usare cautela nella questione dei rapporti personali: non era lecito né affidarsi alla ricerca dei potenti, né alle persone zelan­ temente disposte a prestare aiuto. Ma se si seguiva la massima consisten­ te nel condurre una vita ritirata nell'austerità, allora ci si esponeva nien­ te meno che alla minaccia della «morte per fame, o [del] la follia» 1 5 1 • Questi aforismi che, a presci ndere dalle annotazioni dei diari intimi di Adorno 1 52 , appartenevano ai suoi appunti di carattere più personale, indicano da una parte che le esperienze del suo esilio erano dominate da un sentimento di esclusione, dalla sensazione di trovarsi senza patria. In terra straniera «ogni arrosto di capriolo tedesco si lascia assaporare come se fosse stato ucciso dal franco cacciatore [della leggenda] » 1 53 • Dall'altra parte, la sensazione della perdita delle radici, del sentirsi svincolato dalle tradizioni della propria origine borghese rappresentavano per lui un momento di autonomia e libertà. In quella condizione di marginalizza­ zione, Adorno imparò a conoscere la posizione sociale intermedia del critico della società che vive sì in essa, ma al tempo stesso non vi è del tutto integrato. L'oscillazione tra l'interno e l'esterno della società rap­ presentava a suo parere una postazione d'osservazione ideale. In tal sen­ so, quella condizione di libertà da ogni vincolo formava lo sfondo delle sue esperienze, costituendo al contempo il punto di riferimento per il formarsi dei suoi giudizi moral i. Adorno riuscì così a dirigere lo sguardo sulla vita sociale osservandola dal dominio extraterritoriale di quella ter­ ra di nessuno in cui era venuto a trovarsi. Il carattere privilegiato della propria situazione personale non gli impedì di registrare che la vita era diventata una «successione atemporale di shock» 1 54, comunicati dai re­ soconti giornalieri dei quotidiani e dai cinegiornali settimanali sulla guerra mondiale e l'annientamento degli uomini. Né la relativa sicurez­ za delle condizioni materiali in cui viveva, di cui Adorno era perfetta­ mente cosciente, né la vista sull'incantevole paesaggio californiano e sul­ l' Oceano Pacifico che riluceva all'orizzonte lo indussero ad ingannarsi sulla casualità del fatto di essere riuscito a sfuggire all'orrore: «Anche l'albero in fiore mente nell' istante in cui è contemplato senza l'ombra del terrore; anche l'innocente "Che bello ! " diventa una scusa per l'igno­ minia di un'esistenza che è del tutto diversa; e non c'è più bellezza e conforto se non nello sguardo che fissa l'orrore, gli tiene testa, e, nella coscienza irriducibile della negatività, ritiene la possib ilità del me­ glio» 155 .

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Lo stato d'animo del «dialogo interiore» di Adorno contrastava in modo evidente con quanto egli affermava privatamente nelle sue lettere. Nonostante sapesse apprezzare la confortevole situazione del proprio al­ loggio sulla South Kenter Avenue, nei suoi aforismi diagnosticava che non era più possibile «abitare», perché oggi «fa parte della morale non 6 sentirsi mai a casa propria» 1 5 . In un passo in cui descriveva la propria condizione abitativa, sollevava la domanda: «Che cosa significa per il soggetto che le finestre non han no più battenti da aprire, ma lastre di vetro da far scorrere con violenza, che i pomi girevoli hanno preso il po­ sto delle molli maniglie, che non ci sono più vestiboli, soglie verso la strada, mura intorno al giardino ?» 157 . Anche in relazione al paesaggio americano, di cui parlava con ammirazione nelle sue lettere, si lamenta­ va del fatto che le strade «si proiettano ovunque senza mediazione nel paesaggio, e quanto più sono ampie e lisce, e tanto più violento e irrela­ 8 to spicca il loro nastro sci ntillante sull'amb iente troppo selvaggio» 1 5 • Le osservazioni di Adorno registrano con idiosincrasia la dissoluzio­ ne del mondo borghese, di modo che gli intellettuali anti-borghesi - i quali sono «gli ultimi nemici dei borghesi e, nello stesso tempo, gli ulti­ mi borghesi» 1 59 - si vengono a trovare nella situazione paradossale di difendere le rovine della borghesia contro i suoi nemici tardo-borghesi. Ma nonostante la sua critica alla cultura di massa americana, Adorno non contrapponeva affatto le forme borghesi del passato, basate sull'i­ struzione universale e la cultura elevata, alle coercizioni livellanti tipiche del conformismo della società in cui viveva: le buone qualità della forma di vita borghese, come l'autonomia e la capacità di previsione, hanno smascherato il loro lato nascosto, rivelandosi essere in realtà egocentri­ smo e ostinazione: «l borghesi hanno perduto la loro ingenuità e ciò li 6 ha resi del tutto incaponiti, impenitenti e malvagi» 1 0 . La scrittura di alcuni aforismi rappresentava apertamente anche il tentativo personale compiuto da Adorno di elaborare le proprie relazio­ ni amorose infelici. Inserì questo genere di testi nella terza parte della sua raccolta, facendola precedere da un motto tratto dall'ultimo verso di una poesia di Baudelaire: «Avalanche, veux-tu m'emporter dans ta chu­ 6 te ?» 1 1 • Così rifletteva sul torto in cui incorre l'amante respinto che, però, non può trasformarsi in accusa, «perché ciò che egli desidera non può nascere che dalla libertà» . Quando le sue attenzioni amorose vengo­ no rifiutate, l'amante respinto comincia a rendersi conto della «non-ve­ rità di ogni realizzazione puramente individuale. Ma con questo egli si ridesta alla paradossale coscienza dell'universale: dell'inalienabile e in410

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contestabile diritto dell'uomo, di essere amato da colei che ama. Con la sua richiesta di esaudimento, che non è fondata su nessun titolo e su nessuna pretesa, egli fa appello ad un' istanza sconosciuta che gli pro­ mette - per pura grazia - ciò che insieme gli spetta e non gli spetta. Il se­ greto della giustizia nell'amore è il superamento del diritto a cui l'amore 6 allude col suo muto gesto» 1 2 • Al pari della Lyrische Suite di Alban Berg, questi aforismi sono un dialogo interiore con l'amata che contiene un messaggio segreto senza però indirizzarsi direttamente alla destinataria: una sorta di messaggio in bottiglia. In tale contesto s' iscrive la descrizione delle notti insonni, di quelle «ore tormentose, trascinate senza la prospettiva di una fi ne o dell'alba, nel vano sforzo di dimenticare la vuota durata. [ . . . ] Ma ciò che si rivela in questa contrazione delle ore è esattamente l'opposto del tem­ po realizzato. Mentre in questo la forza dell'esperienza spezza l' incante­ simo della durata e concentra nel presente il passato e il futuro, nella 6 notte insonne e affannosa la durata genera un orrore intollerabile» 1 3 • Il detto di Jean Paul «Tutti i fiorellini>> offriva il motivo per riflettere sui ricordi, i quali consistono sempre di una commistione di passato e pre­ sente: «Chi, dopo avere amato, tradisce l'amore non rovina solo l'immagi­ 6 ne del passato, ma il passato stesso» 1 4 • Sono forse le sue talora infelici esperienze amorose ad avere indicato ad Adorno che la relazione tra uomo e donna è determinata dal «rapporto di scambio» ? Il messaggio segreto non avrebbe potuto essere più lampante nel passo in cui scriveva: «L'amo­ re è paralizzato dal valore che l'io attribuisce a se stesso. Il suo amore gli appare come un " amare di più", e chi ama di più si mette dalla parte del torto. Egli si rende sospetto all'amata, e, respinto su se stesso, la sua incli­ 6 nazione degenera in crudeltà possessiva e fantasia autodistruttiva» 1 5 • Ciò che Adorno rivelava nella sua lettera a Hermann Grab a propo­ sito di Charlotte Alexander si rispecchia nella visione contenuta in un aforisma secondo cui l'amore si abbandona a ciò che è privo d'ani ma, facendosi sorreggere da una «brama di salvare, che può avere il suo og­ 66 getto solo in ciò che è perduto» 1 . E il fatto che Adorno, a dispetto di tutte le sue avventure amorose, restasse comunque indissolubilmente le­ gato alla moglie Gretel dimostrava certamente per lui che «il sentimento 6 supera la prova decisiva quando supera se stesso nella durata» 1 7 . N el periodo in cui metteva per iscritto i suoi aforismi, Adorno cercò di stare vicino ai propri genitori scrivendo loro regolarmente e si recò a trovarli a New York. Dopo aver trascorso alcune giornate tranquille in411

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sieme a Gretel a San Francisco nel luglio del 1943, partì alla volta di New York per recarsi poi a passare qualche tempo con i genitori nella regione delle Pocono Mountains, a nord di Filadelfia. Nel febbraio­ marzo del 1945 si trovava nuovamente a New York, dove si trattenne prevalentemente nella casa dei genitori. Natural mente, uno dei temi principali era l'andamento della guerra in Europa dopo la battaglia delle Ardenne, lo scontro di terra più violento in cui erano state coinvolte fino ad allora le truppe americane, nel corso del quale gli Stati Un i ti avevano perduto 19.000 soldati e oltre 40.000 erano rimasti feriti. In America, le famiglie che avevano perso un familiare in guerra esponeva­ no una stella dorata alla finestra. Ancor prima dello sbarco delle forze americane in Normandia nel giugno del 1944, Adorno era sicuro che la Germania sarebbe andata in­ contro ad una tremenda sconfitta. Dopo l' inferno di Stalingrado, allor­ ché il generale Paulus contrariamente all'ordine di Hitler capitolò, tanto Horkheimer che Adorno prevedevano un futuro crollo del " grande Reich tedesco " . Nella nota battaglia erano caduti circa 150.000 soldati tedeschi e 90.000 erano finiti prigionieri dei russi. Gli eventi del 1943 confermarono che proprio quello era stato il punto di svolta della guer­ ra; infatti, le truppe tedesche in Africa capitolarono dinanzi alla strapo­ tenza anglo-americana e, due mesi più tardi, gli Alleati sbarcarono in S i­ cilia. Mussolini perse il potere e, nel mese di settembre, fu raggiunto un armistizio con il nuovo governo italiano . Nonostante la propaganda nazionalsocialista sulla "vittoria finale " e sull'esistenza di una " miracolosa arma segreta", il morale della popola­ zione tedesca peggiorava sempre di più, anche a causa delle prescrizioni governative basate sul terrore, come per esempio le misure contro il di­ sfattismo o contro l'ascolto delle emittenti straniere. Nell'aprile del 1945 le truppe russe conquistarono Berlino. Alla fine del mese Hitler si suici­ dò e, l'8 maggio, lo stato maggiore tedesco dichiarò la resa incondizio­ nata. Allo scopo di mettere fine alla guerra nel Pacifico, la dirigenza americana decise di impiegare l'arma più spaventosa che avesse a pro­ pria disposizione. Nell'agosto del 1945 furono lanciate due bombe ato­ miche su Hiroshima e N agasaki. Quasi contemporaneamente a questo atto inumano verifica tosi alla fine della Seconda guerra mondiale, l'opi­ nione pubbl ica internazionale si confrontò con un fatto che oltrepassava qualsiasi capacità di immaginazione umana: la realtà del genocidio siste­ matico. I fondamenti della civiltà vacillarono quando l'umanità si trovò 412

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dinanzi alle barbariche conseguenze della politica razziale dello Stato nazista. Nei campi di lavoro e di sterminio di Auschwitz, Treblinka, Belzec, Sobibor, Majdanek era stata compiuta con tecnica perfezione l' uccisione industriale di milioni di ebrei in camere a gas e crematori che 68 erano stati costretti loro stessi a costruire 1 • Per Adorno, ciò che da allora in poi sarebbe stato legato al nome di Auschwitz rappresentava il punto di svolta a partire dal quale si sarebbe nuovamente dovuto determinare il pensiero della storia, ridefinendola come storia di una catastrofe. Auschwitz era «la macchina infernale che è 6 la storia» 1 9 • E, alla luce della realtà dei campi di sterminio, sarebbe stato impossibile continuare a pensare come prima e tutto ciò che era stato pen­ sato fino ad allora doveva essere messo in discussione: «Non si può stabili­ re un'analogia tra Auschwitz e la distruzione delle città-stato greche, e in­ terpretarla come un semplice aumento graduale dell'orrore, aumento di fronte al quale si potrebbe conservare la pace del proprio spirito. È vero, tuttavia, che dal martirio e dall'umiliazione senza precedenti dei prigio­ nieri deportati nei carri bestiame cade una luce terribilmente cruda anche sul più remoto passato» 1 70 • Nella seconda parte dei Minima Moralia, che Adorno redasse in quel mese in cui tentava di comprendere l'inconcepibi­ le realtà e l'intera dimensione della colpa collettiva dei tedeschi, egli anno­ tava che i misfatti compiuti «sembrano essere stati eseguiti come cieche ed estranee misure di terrore». La mostruosità dell'accaduto si sottraeva alla comprensione. «E tuttavia la coscienza che vorrebbe tener testa all' indici­ bile, si vede sempre di nuovo costretta al tentativo di comprendere, sotto pena di soccombere soggettivamente alla follia oggettivamente dominan­ te» 171 • La totale disumanizzazione della persona nei campi di sterminio costituiva l'espressione estrema di una società che trasformava in cosa ogni creatura vivente. Ogni elemento particolare e diverso veniva eliminato come «marchio d'infamia» della diversità. La società integrale, sempre più socializzata, generava una volontà di annientamento ricavandola dal pro­ prio interno. «La tecnica dei campi di concentramento tende ad assimilare i prigionieri ai loro custodi, a trasformare gli assassinati in assassini. La dif­ ferenza razziale viene assolutizzata perché sia possibile procedere alla sua assoluta eliminazione, sia pure a costo di non lasciar sopravvivere nulla di diverso» 1 72 • Come reagì Adorno alla notizia del suicidio di Hitler in concomi­ tanza alla disfatta della Germania, di cui era venuto a conoscenza dalla radio, dalla stampa e dai cinegiornali ? Già il 1 ° maggio aveva inviato 41 3

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una lettera ai genitori per esprimere la speranza che le notizie sulla fine del dittatore fossero veritiere, perché «dell'orrore di questo mondo)) come scriveva in una lettera senza discostarsi molto dalle sue Meditazio­ ni sulla vita offesa 1 73 - «fa anche parte il fatto che la verità suoni come la menzogna e questa a sua volta come la verità)) , La morte di Hitler fu per lui motivo di soddisfazione, poiché questi aveva rappresentato la «cosa più spaventosa)) che fosse mai esistita nella sto ria. Al popolo tede­ sco era stato «spezzato il collo affinché scomparisse come soggetto di prima importanza dalla storia mondiale)) , In questa lettera, Adorno esternava anche il proprio timore che la sconfitta dei nazisti non signifi­ casse al tempo stesso la scomparsa del «principio rappresentato)) da loro. In considerazione della tendenza storica, le sue speranze per il futuro si limitavano al poter godere di una «pausa per poter prendere fiato e di qualche via di fuga)) 1 74• In una lettera diretta a Horkheimer, scritta po­ chi giorni dopo per comunicargli le sue vedute sulla storia mondiale, guardava al periodo trascorso rilevando che il regime di Hitler, ormai fi­ nalmente sconfitto, era stato «la causa immediata di tutti gli sviluppi della nostra vita durante gli ultimi dodici anni)), L'aspettativa «che le cose potessero andare diversamente è [stata] una delle forze determi­ nanti che ci hanno tenuto in vita, mentre, dall'altro lato, il fatto che le nostre due vite siano diventate una sola vita comune non può essere mi­ nimamente toccato dal fascismo)) , Oltre a ciò, Adorno esponeva con si­ curezza la sua tesi per cui « Hitler non poteva durare, si è rivelato per quello che era, sebbene con un ritardo che rende la cosa iron ica; in altri termini, le forze produttive dei paesi più avanzati si sono rivelate più forti [ . . . ] : la guerra è stata vinta dall'industria contro i militari)) 1 75• Adorno riprendeva la stessa tesi in un aforisma contenuto nei Minima

Mo rafia: L'arretratezza industriale della Germania ha inchiodato i politici, che volevano recupe­ rare il distacco - ed erano qualificati a questo tentativo proprio dalla loro posizione di

avventurieri e di spiantati -, alla loro esperienza immediata e limitata, alla facciata poli­ tica degli eventi. Essi non vedevano davanti a sé che l'assemblea che li applaudiva e il

partner impaurito: e ciò impediva loro di valutare la potenza oggettiva della superiore massa di capitale. La nemesi immanente di Hitler è proprio questa: che egli, il boia della società liberale, era - dal punto di vista del suo stato di coscienza - troppo " libe­ rale" per capire come altrove, sotto il velo del liberalismo, si costituisse l'irresistibile su­ premazia del potenziale industriale. Hitler, che scrutò come nessun altro borghese

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quel che c'è di falso nel liberalismo, non comprese fino in fondo la potenza che gli sta dietro, cioè la tendenza sociale di cui egli stesso non era che il tamburino

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Nella sua lettera a Horkheimer, Adorno giungeva alla conclusione che, per quanto la «potenza storica del fascismo» avesse soltanto «cambiato il proprio domicilio» 1 77, dal punto di vista politico le cose erano andate molto meglio di quanto avessero sempre pensato, perché «I' orrore più estremo», ossia H itler, era stato per il momento eliminato. Quello sguardo tutto sommato speranzoso sul corso del mondo in quel periodo costituì certamente il motivo per cui Adorno cominciò a coltivare l'idea di tornare in Europa. Ma prima di giungere a quel pun­ to, sarebbero passati ancora quattro anni. Fu costretto a negarsi anche un viaggio a New York. Infatti, quando il 30 settembre 1945 sua madre festeggiò il suo ottantesimo complean no, ancora una volta non gl i fu possibile recarsi sulla costa orientale sia per motivi di salute, sia soprat­ tutto a causa degli impegni nel quadro del progetto di ricerca di Berke­ ley. L'amorosa lettera di felicitazioni che il figlio scrisse alla madre testi­ monia l'intensità della loro relazione. Il viaggio immediatamente successivo che Adorno fece a New York nel settembre del 1946 fu dovuto invece a tristi circostanze. Dopo una lunga malattia, Oscar Wiesengrund era deceduto 1'8 luglio all'età di set­ tantasette anni. Non appena ricevuta la notizia per telegramma a Santa Monica, Adorno scrisse immediatamente alla madre. La morte del pa­ dre lo aveva ancor più sconvolto a causa del fatto che egli fosse stato co­ stretto a morire in esilio, gl i fossero state imposte le condizioni dell 'emi­ grante e che le circostanze storiche non gli avessero permesso di vivere con continuità la propria esistenza 1 7 8 . Non poteva recarsi sulla costa orientale per assistere ai funerali; all'epoca era seriamente malato e dove­ va sottoporsi ad un trattamento per la sua glicemia, la sua ulcera gastrica e alcuni sintomi di disturbi cardiaci. Per questa ragione pregò Leo Lo­ wenthal di tenere l'orazione funebre ai funerali del padre. Soltanto dopo oltre due mesi Adorno si sentì in condizione di poter confortare di per­ sona la madre ultraottantenne in quella difficile situazione. Per il mo­ mento, però, dovette limitarsi al conforto epistolare; alla conclusione di quella lettera, si diceva che la morte del padre gli faceva apparire «la pro­ pria vita come un furto». Forse proprio qui prendeva forma per la prima volta un pensiero che egli avrebbe ripreso diffusamente in seguito nella sua opera filosofica principale: «l'ingiustizia del continuare a vivere,

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come se si privasse il morto del lume degli occhi e del respiro. Il presen­ timento di questa colpa è infinitamente forte dentro di me» 179.

Il " consigliere segreto ": Adorno e Thomas M an n ai primi di ottobre [ . . . ] passammo una sera dagli Adorno. [ . . . ] Lessi tre pagine sul pianoforte, che da poco avevo inserito nel mio capitolo paurosamente ipertrofìco, e il nostro anfitrione ci fece conoscere un po' dei suoi studi e aforismi su Beetho­ ven. [ . . . ] Poi, mentre lo stavo a guardare accanto al pianoforte, Adorno eseguì per me la Sonata op. 111 per intero e in modo molto istruttivo

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Di che cosa parlava ? Ecco quello era capace di dedicare un'ora intera al quesito «Perché Beethoven non ha aggiunto un terzo tempo alla Sonata per pianoforte opera 111». [ . . . ] Poi sedette al pianino e ci suonò a memoria tutta la composizione; il primo e il formidabile secondo tempo, inserendovi continuamente i commenti e accompagnandola qua e là col canto entusiastico dimostrativo. [ . ] «Adesso viene ..

il bello» e incominciò il tempo con variazioni l'Adagio molto, semplice e cantabile. Il tema dell'Arietta destinato a subire avventure e peripezie per le quali, nella sua idil­ liaca innocenza, proprio non sembra nato, si annuncia subito e si esprime in sedici battute riducibili a un motivo che si presenta alla fine della prima metà, simile a un richiamo breve e pieno di sentimento - tre sole note: una croma, una semicroma e una semiminima puntata che si possono scandire come "puro ciel " oppure " dol-ce amor" oppure " tem-po fu " oppure "Wie-sengrund "

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Adorno e la moglie apprezzavano il clima asciutto e amavano la vegeta­ zione " mediterranea" del paesaggio collinare nella regione di Los Ange­ les. Ciononostante, avevano entrambi problemi di salute con sorpren­ dente frequenza. Gretel doveva essere continuamente curata per le sue persistenti em icranie e il marito, a causa di una serie di disturbi vari, fa­ ceva spesso visita al proprio medico di fiducia, il dottor Robert Alexan­ der. Il paziente non lamentava soltanto crisi psichiche acute, stati di de­ pressione e angoscia, ma dovette ripetutamente subire un trattamento per sintomi di intossicazione generale così come per la sua nevralgia 18 \ e, nella primavera del 1946, farsi curare per una seria affezione alle coro­ narie che lo costrinse a letto per un periodo prolungato. A causa di un diabete diagnosticatogli tardivamente, Adorno fu costretto ad attenersi ad una dieta, alla quale andavano ad aggiungersi i dolori causati dalla sua ulcera gastrica.

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Alla luce di tutto ciò, rivestivano un'importanza ancora maggiore le settimane di ferie e di riposo che trascorreva spesso insieme a Gretel in montagna, sul lago Tahoe (tra la California e il Nevada) , oppure, come avvenne durante un'altra estate, nella California meridionale nei pressi di San D iego, a Lugana Beach, che ricordava loro le località più belle della Costa azzurra francese. Degli aspetti più gradevoli della vita ameri­ cana facevano parte anche i frequenti contatti con gli altri emigrati tede­ schi, così come con la society di Hollywood, nei confronti della quale Adorno non mancava di intrattenere anche una relazione ironica: «Per­ lopiù, chi è privo di preoccupazioni si esaurisce nel tran-tran quotidiano come il piccolo borghese. Arredano case, organizzano ritrovi, fissano posti in hotel o in aeroplano)) 1 8 3• Naturalmente, Adorno comunicò su­ bito ai propri genitori le impressioni ricevute dal primo incontro perso­ nale con Charlie Chaplin. Considerava che il film Monsieur Verdoux del 1947 fosse un autentico capolavoro 1 8 4• Adorno e la moglie erano stati invitati ad una proiezione privata nella dimora del famoso attore. Dopo la cena seguita alla proiezione, Adorno aveva suonato il pianoforte, una miscellanea di brani tratti da opere di Verdi, Wagner e Mozart, ai quali la mi mica di Chaplin aveva offerto un tipico accompagnamento parodi­ stico. Questo e gli altri incontri con Chaplin rimasero impressi nella memoria di Adorno, così come quello che avvenne in occasione di un ricevimento tenutosi in una villa nei pressi di Malibu, al quale prese parte anche l'attore Harold Russell, che aveva interpretato il ruolo di un soldato americano ferito, tornato in patria dopo la guerra, in un film ri­ petutamente premiato: The Best Years ofOur Life (I migliori anni della nostra vita) . Uno degli ospiti si congedò più presto degli altri, mentre Chaplin era accanto a me. Diversamente da Chaplin, gli porsi un po' distrattamente la mano e quasi con­ temporaneamente la ritrassi con un moto brusco. Colui che si congedava era uno dei principali attori del film, divenuto famoso subito dopo la guerra, The Best Years

of Our Life

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aveva perduto una mano in guerra e al suo posto portava un arto di

metallo che però poteva usare. Quando gli strinsi la destra, e questa ricambiò la stretta, restai terrorizzato, ma subito mi resi conto che a nessun costo il mutilato avrebbe dovuto accorgersene, per cui , nella frazione di un secondo, trasformai la mia espressione di spavento in una smorfia di amabilità, che certamente non fece che peggiorare la situazione. Appena l'attore si fu allontanato, Chaplin fece l'imita­ zione della scena: tanto prossimo all'orrore è il riso che l'orrore suscita e che solo in tale vicinanza acquista la sua legittimazione e il suo potere di salvazione 1 8 5 •

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Ma non era soltanto dai film di Chaplin che Adorno riusciva ad evince­ re utili esperienze. Grazie ai suoi contatti personali con registi, autori, sceneggiatori, attori e produttori conosceva bene le produzioni holly­ woodiane di quegli anni. Soprattutto grazie ai suoi rapporti con F ritz Lang e la sua compagna Lily Latté, gli erano familiari film del famoso regista come Fury (Furia) o You and Me (Tu ed io) , e presumibilmente anche fesse ]ames. L'amicizia con l'attore Alexander Granach, morto prematuramente nel febbraio del 1945, lo portò ad assistere alle pellicole a cui questi aveva preso parte, come per esempio Hangman Also Die (Anche i boia muoiono), ma anche a conoscere alcuni film antinazisti, alla cui realizzazione aveva partecipato buona parte delle persone com­ prese nella ristretta cerchia dei suoi conoscenti. Il critico dell'industria culturale, però, escludeva recisamente che l'orrore del fascismo si potes­ se restituire con i mezzi del cinema, infatti «I'illibertà assoluta è suscetti­ 86 bile di conoscenza, ma non di rappresentazione» 1 • Adorno si faceva beffe del tentativo, pur animato da buone intenzioni, di comunicare at­ traverso il cinema la mentalità politica giusta. Accanto al mezzo cinema­ tografico, su Adorno esercitavano una certa attrattiva anche gli spettaco­ li e le storie del famoso pupazzo Charly McCarthy, an imato con ventri­ loqua abilità dall'attore Edgar Bergen in una serie di show radiofon ici e dal vivo. A quanto pare, egli conosceva bene la storia illustrata tratta «from the Edgar Bergen-Charly McCarthy Radio Programs, retold by Eleanor Packer» [dai programmi radiofonici di Edgar Bergen e Charly McCarthy, raccontata da Eleanor Packer] . Adorno criticava la pedago­ gia che ne era alla base e che non conosceva altro credo se non l'adegua­ mento sociale. Metteva in guardia dalla retorica di un linguaggio estre­ mamente ridotto: «Nel sistema universale il colloquio diventa ventrilo­ quio. Ognuno è il proprio Charlie McCarthy: di qui la sua popolarità. Le parole nel loro insieme si assimilano alle formule riservate un tempo 8 al saluto e al congedo» 1 7 • Senza le sue conoscenze da insider del business cinematografico e senza la sua frequentazione del cinema e la lettura della letteratura popolare, difficilmente Adorno sarebbe riuscito a scri­ vere il capitolo sull'industria culturale contenuto nella Dialettica dell'il­ luminismo. Di conseguenza, perlomeno non ritornava dagli spettacoli cinematografici «più stupido e più cattivo)) 1 88 . Al contrario, riuscì così a farsi un' idea precisa della fabbrica dei sogni e delle leggi che presiedeva­ no alla sua produzione. Queste sue conoscenze da esperto, alle quali an­ davano ad aggiungersi le sue esperienze di ex direttore della ricerca so­ ciologica sulla musica, avrebbero presto recato i loro frutti.

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Le strette relazioni di vicinato tra Adorno e Hanns Eisler, comin­ ciate a partire dall'autunno del 1942, avrebbero svolto un ruolo a ri­ guardo. Il compositore e musicista Eisler, amico di Brecht, propose in­ fatti allo studioso dei mezzi di comunicazione Adorno, che abitava poco lontano da lui, di scrivere insieme un libro sulla musica nelle co­ lonne sonore cinematografiche. Fin dal dicembre del 1942 si era pre­ sentato con quest' idea da Adorno; infatti Eisler, in quanto ex docente della N ew School for Social Research finanziata dalla Rockefeller Foundation, aveva ricevuto una sovvenzione di 20.000 dollari finaliz­ zata alla realizzazione di un progetto d'analisi sulla musica per film. Ma, non essendo sicuro del modo in cui procedere nei dettagli della prassi di ricerca, sperava di poter approfittare delle esperienze scientifi­ che che Adorno aveva fatto nel Radio Research Project. Adorno era ben disposto a partecipare ad un programma che aveva l'aria di essere così interessante, proprio perché era pensato non tanto come progetto di ricerca, quanto come esperimento artistico . Così si mise al lavoro in­ sieme ad Eisler. Alcune delle grandi majors di Hollywood come la Twentieth Century-Fox e la Paramount avevano messo a disposizione una selezione di materiali musicali da sottoporre ad indagine. Inoltre, furono provate partiture che Eisler aveva appositamente composto in vista di quest'analisi e che vennero impiegate nel quadro di diversi ge­ neri cinematografici (come per esempio i film per bambini, documen­ tari sulla natura, lungometraggi, cinegiornali) . In primo piano c'era il problema del modo in cui le forme musicali potevano essere messe in relazione in maniera sensata e reciprocamente complementare alle im­ magini e alle scene visive. Nonostante gli autori partissero dalla pre­ messa generale secondo cui il cinema non poteva essere considerato come una forma artistica a sé stante, ma doveva essere inteso come un mezzo di svago e di intrattenimento, sostenevano comunque la neces­ sità di usare la musica d'avanguardia nei film. Proprio i momenti di paura, sui quali faceva leva un genere diffuso del cinema d'in tratten i­ mento, potevano essere rappresentati servendosi degli «shock della 8 musica moderna)) 1 9 • In tal senso, Adorno portava ad esempio il lun­ gometraggio King Kong, in cui l'accompagnamento musicale non era all'altezza della carica drammatica delle immagini perché non erano stati impiegati i mezzi espressivi scioccanti della musica moderna. Pro­ prio questi mezzi, invece, sarebbero stati particolarmente adeguati gra­ zie alla condensazione della forma musicale, alla composizione formale

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marcata da aspri contrasti così come alla " ricchezza di dissonanze " del­ l' estetica cinematografica più avanzata. Le riflessioni di Adorno sulla teoria del cinema andavano perfino oltre il tema dell'adeguatezza del linguaggio musicale: ricollegandosi alla tesi di Walter Benjamin, da questi sviluppata nel 1 936 nel saggio L 'opera d'a rte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica, Adorno rimproverava a tutte le forme di allesti­ mento che producevano un' auratizzazione del mezzo di conferire ad esso il falso incanto dell'unicità. Le tecniche visive e acustiche offriva­ no piuttosto un materiale specifico che esigeva una costruzione esteti­ ca sulla base del principio del montaggio. La musica era, a suo avviso, un elemento del cinema in possesso di una propria autonomia. Soltan­ to grazie alla fo rza gestuale della musica, l'immobilità delle immagini parlate veniva messa in movimento. «Essa è dunque nell'effetto esteti­ ° co uno stimolante del movimento, non il suo raddoppiamento» 19 . Quando il libro scritto nel 1944, che recava l'impronta inconfondi­ bile dell'autore del capitolo sull'industria culturale della Dialettica del­ l'illuminismo, fu pubblicato nel 1947 presso la Oxford University Press con il titolo Composingfor the Films, Adorno rinunciò a essere citato in­ sieme ad Eisler come coautore del volume. La ragione non stava tanto nelle divergenze con Eisler in materia di musica, quanto nel timore di Adorno di vedere citato il proprio nome in una pubblicazione accanto a quello di un seguace ortodosso del marxismo sovietico, il quale nel 1 947 era stato invitato a presentarsi dinanzi al Committee o n U n-American Activities, organizzato dalla Camera dei rappresentanti degli Stati Un i ti. Adorno motivò la sua cautela affermando di non avere alcun motivo per diventare il «martire di una causa che non è stata e non è tuttora la mia. In considerazione dello scandalo, ritirai il mio nome» 191 • In una lettera alla madre, Adorno esprimeva tuttavia il proprio ri ncrescimento per es­ sere stato citato nella prefazione del volume, ma non come coautore uf­ ficiale, dal momento che aveva non solo redatto il 90o/o del testo, ma era anche responsabile del lavoro concettuale che lo sosteneva. In tal senso, intendeva dire, sarebbe stato Eisler in realtà a dover rinunciare a compa­ rire come autore 1 92 • Adorno fu inoltre costretto, in maniera molto più grave, a fare l'e­ sperienza di vedere usate le proprie intuizioni e le idee contenute in al­ cuni suoi scritti non ancora terminati, senza che ne fosse resa nota la pa­ ternità spi rituale, come invece egli si sarebbe naturalmente aspettato e aveva tutto il diritto di desiderare. Si parla cioè del ruolo che Adorno 420

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svolse come consulente filosofico-musicale di Thomas Mann allorché questi, nella primavera del 1943 , aveva cominciato a scrivere il suo gran­ de romanzo Doctor Faustus su La vita del compositore tedesco Adrian Le­ verkuhn, narrata da un amico. Quando il romanzo sul patto con il dia­ volo stretto dal geniale compositore, in realtà un'archeologia storico­ spirituale del fascismo tedesco, uscì nell'ottobre del 1947, Adorno rice­ vette in regalo una copia dall'autore con una dedica personale che reci­ tava: al «vero consigliere segreto» . Fin dalla sua gioventù Adorno aveva nutrito un'enorme stima per il grande scrittore borghese, colto, istruito e indubbiamente in posses­ so di vaste conoscenze musicali. Durante un soggiorno estivo, risalente ormai ad anni lontani, a Kampen sull' isola di Sylt, l'allora diciottenne Adorno aveva seguito gli spostamenti del romanziere, a quell'epoca già famoso, sperando di potergl i parlare 1 93• La benevolenza del caso volle che ventidue anni più tardi, dopo che la storia mondiale lo aveva fatto approdare a Santa Monica, Adorno facesse davvero conoscenza di per­ sona con Thomas Mann, nel luglio del 1943 , durante una serata a casa di Max e Maidon Horkheimer alla quale erano stati invitati numerosi ospiti. «Ebbi il sentimento», scriveva Adorno in occasione del settante­ simo compleanno di Thomas Mann, «di avere incontrato, per la prima e unica volta nella mia vita, in carne ed ossa, quella tradizione tedesca della quale ho recepito ogni cosa: anche la forza di resistere alla tradi­ zione» 1 94• Nel corso di questo primo incontro, Adorno e Thomas Man n ebbero un intenso scambio di vedute: una costellazione in cui, come in un prisma, si rifletteva la cultura intellettuale di un intero se­ colo. L' interlocutore più giovane di ventotto anni raccontò della sua Filosofia della musica moderna e lo scrittore dei propri piani per un nuovo romanzo, di cui, dopo un intenso lavoro preliminare, aveva co­ minciato la stesura nel maggio del 1943 1 95 • Quando, nel corso di quel­ la conversazione, Adorno apprese che Thomas Mann pensava di ela­ borare la storia praticamente irrappresentabile della tragedia tedesca in un romanzo, al centro del quale c'era il drammatico fallimento della vita di un compositore di musica moderna, tese le orecchie con parti­ colare attenzione. Poco tempo dopo, fece avere al celebre vicino di casa una copia del libro in cui aveva pubblicato le sue analisi delle composizioni di Alban Berg 1 9 6 • Inoltre, rese largamente disponibili a Thomas M an n la sua interpretazione ancora non pubbl icata dell'opera di Arnold Schonberg 1 97, nonché il proprio saggio su Wagner. Dopo421

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diché, la relazione tra i due s'intensificò durante i quattro anni succes­ sivi . N el corso degli inviti reciproci per il tè del pomeriggio o per la cena, perlopiù era sempre la musica a fare la parte del leone nella con­ versazione. Il 27 settembre 1943 Thomas M ann aveva invitato gl i Adorno a ren­ dergli visita, nella casa situata in una bella posizione sul San Remo D ri­ ve, dove aveva letto loro alcuni estratti dall'ottavo capitolo del mano­ scritto del futuro Doctor Faustus. Le obiezioni, le proposte di integrazio­ ne e le correzioni presentate da Adorno, dapprima in forma spontanea e poi stese per iscritto, furono largamente tenute in considerazione dal­ l' autore per il primo capitolo del romanzo, al quale stava allora lavoran­ do . Inoltre, per una delle scene chiave del primo terzo del romanzo, la conferenza del maestro di musica balbuziente Wendell Kretzschmar sull'ultima sonata per pianoforte di Beethoven, opera 111 , Thomas Mann si ispirò alla lettura dell'articolo scritto da Adorno nel 1937 sullo Stile tardo di Beethoven 1 9 8 ; inoltre si riferì ampiamente ad ulteriori illu­ strazioni fornitegli oralmente e per iscritto da Ado rno sulla sonata in questione. Il fatto che, nella versione definitiva del romanzo, l'insegnan­ te di musica, durante una conferenza, spieghi il motivo tratto dal cosid­ detto tema dell'Arietta del secondo movimento dell'opera 111 ricorrendo tra le altre alla parola "Wie-sengrund ", era da intendersi come un ri n­ graziamento dell'autore diretto ad Adorno ? Nel mese di ottobre, Ador­ no e Gretel restituirono la cortesia invitando a cena i Mann. Durante la serata, si parlò nuovamente delle questioni musicali ma anche dei pro­ blemi filosofici contenuti nel romanzo. In una lettera di ringraziamento per «la serata arricchente di ieri» lo scrittore, la cui «cultura musicale», a stare alle sue stesse parole, «oltrepassava a malapena il tardo romantici­ smo)) 199, si rivolgeva ancora una volta espressamente all'esperto di mu­ sica: « Ho bisogno di intimità musicale e dettagli caratteristici, cose che posso ottenere soltanto grazie a un conoscitore di una levatura talmente sorprendente come la Sua)) 200 • Dopo il Natale del 1945, Thomas Mann illustrava infine ad Adorno in una lettera dettagliata, che recava tutti i segni di un documento di ret­ to alla posterità, in che modo egli si immaginasse l'opera musicale prin­ cipale del protagonista del suo romanzo: la Apocalipsis cum figuris. Usando parole sapienti e mirate Mann tentava di conquistarsi l'assenso del filosofo della musica: «Vorrebbe riflettere insieme a me su come si potrebbe all' incirca tradurre praticamente in musica l'opera, intendo 422

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FORTUNA N E LLA SFORTUNA : G LI ANNI CALIFORNIANI

l'opera del mio Leverki.ihn; come la musicherebbe Lei, se fosse stato Lei a stringere un patto con il diavolo» 2 01 • Anche questa volta Adorno non se lo fece dire due volte, era addirittura entusiasta di poter collaborare al romanzo come esperto della musica d'avanguardia. Così sviluppò senza indugi alcune proposte. Questo spiega il fatto che la maggior parte delle opere musicali che Leverki.ihn compone nel romanzo derivino in realtà da intuizioni compositive di Adorno 202 • Thomas Mann aveva impiega­ to a propria discrezione le annotazion i scaturite dal suo lavoro di conce­ zione musicale; così scrisse Adorno sette anni dopo la morte dello scrit­ tore alla figlia Erika Mann, la quale avrebbe preferito che non fosse esi­ stito un consulente filosofico-musicale per il romanzo. Erano state ap­ portate molte modifiche, ricordava in seguito Adorno, sia perché Tho­ mas Mann «aveva voluto mettere in risalto con maggior plasticità l' in­ tenzione alla base dell'intero romanzo nella descrizione dei dettagli mu­ sicali; sia perché aveva impresso altri accenti all'insieme [ . . . ] ; sia perché alla fine, e questa era la cosa più importante, molto era stato espunto, dato che in fin dei conti si trattava di un romanzo e non di un trattato di musica» 203• Lo stesso Thomas M an n descrive il modo in cui egli vedeva l'attivi­ tà del suo " consigliere segreto ", naturalmente in modo letterario, nella Entstehung des Doktor Faustus (Genesi del Doctor Faustus) : a Natale del 1945 aveva dato in lettura ad Adorno il manoscritto del Doctor Faustus che aveva steso fino ad allora e, qualche tempo dopo, un pomeriggio, si era recato in visita da lui, il quale insieme con sua moglie aveva letto il manoscritto. Essi si erano tolti di mano l'un l'altro i singoli fogli e io, nei miei dubbi, ascoltai avidamente la loro re­ lazione sul modo in cui vi si erano immersi attenti e agitati . Che l'autore della Phi­ losophie der modernen Musik facesse buon viso alla maniera in cui avevo fatto entra­ re nell'arte, come dice Adrian, il mio diavolo ostile all'opera e qualcuna delle sue trovate di critica contemporanea, mi alleggerì la coscienza. Trovandomi solo con lui, nel suo studio, ascoltai molte parole buone e sagge (sulla vastità e difficoltà del­ l'impresa) [ . . . ] . Non era molto convinto del pensiero che da un pezzo avevo conce­ pito irrevocabilmente, di basare, cioè, l'oratorio sui fogli apocalittici di Di.irer, e così ci trovammo d'accordo nel ritenere che lo spazio interiore dell'opera dovesse ampliarsi il più possibile verso una escatologia universale, accogliere possibilmente tutta la " civiltà apocalittica" ad essere rappresentata come una specie di riassunto di tutte le predizioni della fine

204•

T H E O D OR W. AD ORNO

Per tradurre questo piano in una forma plausibile dal punto di vista teorico-musicale e al tempo stesso letterariamente adeguata, nel gen­ naio del 1946 il romanziere si era recato «ripetute volte da lui con tac­ cuino e matita e, davanti a un ottimo liquore casalingo di frutta, notai in fretta per accenni quei miglioramenti e quelle precisazioni circa le precedenti parti musicali che egli aveva preparato per l'Oratorio . Es­ sendo al corrente delle intenzioni dell'opera intera e di quelle del bra­ no specifico, mirava coi suoi suggerimenti e le sue proposte all'essen­ ziale» 20 5 • Nel suoi diari Mann si esprimeva in modo molto più esatto sulla dovizia delle intuizioni di Adorno. Questi passi restituiscono un'immagine più corrispondente alla verità, perché non furono sotto­ poste al controllo censorio di Katia ed Erika Mann, alle quali premeva che il cosiddetto " Zauberer" (mago) non mettesse troppo in rilievo di­ nanzi all 'opinione pubblica i meriti spettanti al suo " consigliere segre­ to " . Qui M an n notava con quale squisita eccellenza Adorno sapesse tradurre in musica le idee del romanziere, come per esempio lo «svi­ luppo di cori da sussurri e discorsi spezzati, l'elaborazione di accenni cantati nelle polifonie vocali più ricche, il suono magico primitivo del­ l' orchestra nella musica più avanzata. Oppure, tram ite lo scambio di suono tra parti vocali e strumentali, la dislocazione del limite tra uomo e cose, l'idea di affidare la parte della meretrice babilonica ad un sopra­ no dalle colorature estremamente graziose e di fare confluire i suoi passaggi virtuosi con un effetto flautato nel suono dell'orchestra, e, dall'altra parte, conferire a determinati strumenti il carattere sonoro di 6 una vox humana grottesca» 20 • Mann aveva fatto ricorso al consiglio di Adorno anche per il concer­ to per violino che il musicista Leverki.ihn compone nel romanzo, dopo il suo Oratorium, per l'amico violinista Rudolf Schwertfeger. In un'an­ notazione intitolata Sul concerto per violino 20 7 , Adorno aveva formulato alcune proposte dettagliate che Mann trasformò sì nel suo li nguaggio letterario ma che, in parte, riprese quasi letteralmente. Non deve sor­ prendere dunque che questo concerto fittizio ricordi una composizione reale di Alban Berg, che Adorno conosceva meglio di chiunque altro. Delle tre composizioni che, in base al romanzo, Leverki.ihn compone dopo il concerto per violino, ben due sono state concepite dal "consi­ gliere segreto " . Il confronto tra le proposte scritte di Adorno e il passo del romanzo mostra palesemente fino a che punto Mann si sia attenuto 8 al modello 20 •

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F O RTUNA N E LLA S F O RTUNA : G LI ANNI CALIFO RNIANI

Adorno

Doctor Faustus

Questa tendenza alla " prosa" viene

Questa tendenza alla " prosa" musicale

intensificata all'estremo nel Quartetto

raggiunge l'apice nel Quartetto per archi,

per archi, l'opera esoterica di Adrian.

l'opera forse più esoterica di Leverki.ihn,

Se di solito la musica da camera

la quale seguì immediatamente il com­

mira a svolgere un tessuto di temi e

ponimento per il complesso strumenta­

motivi, qui proprio tale impresa vie­

le. Se di solito la musica da camera mira

ne scansata in modo perfino provo­

a svolgere un tessuto di temi e motivi,

catorio. Non c'è alcun legame di

qui tale impresa è scansata in modo qua­

motivi, non vi sono sviluppi, varia­

si provocante. Non c'è alcun legame di

zioni - e neppure ripetizioni; ininter­

motivi, non vi sono sviluppi, variazioni

rottamente il nuovo segue il nuovo,

o ripetizioni;

in modo quasi del tutto slegato, te­

modo quasi del tutto slegato, il nuovo

nuto insieme dalla somiglianza della

segue il nuovo, tenuto insieme dalla so­

tonalità o del suono, o ancor più,

miglianza della tonalità o del suono, o

dai contras ti.

ancor più forse dai contrasti .

ininterrottamente,

in

Poco prima che Adrian Leverki.ihn fi nisca nelle mani del demonio, rie­ sce a creare ancora la cantata sinfonica intitolata Lamentatio doctoris Fausti. Per risolvere questo difficile compito all' interno del romanzo, Mann si fece nuovamente consigliare dal suo vicino di casa. Anche in questo caso Adorno preparò una base scritta dettagliata 209 , alla quale l'autore del romanzo si attenne largamente. Quando il Faustus fu pubblicato in America nell'estate del 1947 presso le edizioni Knopf, trovò relativamente presto un grande pubblico di lettori. La prima edizione di 25.000 copie fu esaurita in breve tempo dopo che in agosto il libro fu scelto per essere nominato "November­ Book of the Month " e la critica in America ebbe una reazione prevalen­ temente positiva 210 • La risonanza dell'edizione tedesca del romanzo si faceva ancora attendere. L'analisi del critico letterario Hans Mayer dedi­ cata all'opera indusse Adorno a scrivere all'ironico Thomas Mann per chiedergli se fosse vero che, nel xxv capitolo, egli si fosse ispirato al suo ritratto per descrivere la figura del diavolo: «portava sul naso curvo gli occhiali cerchiati di corno [ . . . ] la fronte pallida e arcuata, dalla quale i capelli erano scomparsi mentre erano invece fitti ai lati, neri e lanosi. Era un intellettuale, come quelli che scrivono d'arte e di musica nei soli­ ti giornali, un teorico, un critico che compone musica fino dove il pen­ siero glielo consente)) 211 • La risposta di Mann, spedita pochi giorni più

T H E O D OR W. AD ORNO

tardi ad Adorno, non era affatto priva di quel tono delicatamente ironi­ co che egli padroneggiava alla perfezione: «e il fatto che il diavolo in quanto esperto di musica debba essere tratteggiato in base al Suo aspetto fisico, è del tutto assurdo. Lei po rta forse occhial i cerch iati di cor­ no ?» 212 • Thomas M an n si sarebbe forse meravigliato o forse si sarebbe compiaciuto del fatto che proprio il filosofo della musica non fosse riu­ scito a trovare la soluzione all'enigma. Infatti, il diavolo che da ruffiano e professore di teologia si era trasformato in erudito musicale, nella sua ultima forma non assomigliava affatto ad Adorno, ma a G ustav Mahler. Gli occhiali cerchiati di corno, M an n li aveva aggiunti allo scopo di " ca­ muffarlo " , creando così «un identikit ingannevole ideale che per decen­ ni adempì perfettamente alle sue funzioni impedendo agli interpreti di accorgersi che tutto in quella descrizione sembrava attagliarsi perfetta­ mente ad Adorno, ma non certamente i capelli fitti e lanosi» 21 3 . Se si tiene conto della moltitudi ne di conversazioni condotte insie­ me, dei modelli di testo forniti, delle proposte di miglioramento tanto orali che scritte, Adorno può «davvero essere considerato come coautore del libro. [ . . . ] In base al senso del diritto borghese gli sarebbe perlomeno spettato un indenn izzo finanziario, se egl i lo avesse chiesto. Adorno, però, considerava il privilegio di poter collaborare al Faustus come una sfida di alto livello, non come un'attività remunerata» 21 4 • In una dichia­ razione sostitutiva del giuramento, resa nell'agosto del 1957, alla quale Adorno si vide costretto perché Katia Mann lo aveva pregato di aiutarla in un'accusa di plagio rivolta allo scrittore 21 5 , si leggeva: Durante l'intero lavoro al romanzo Doctor Faustus, ho amichevolmente consigliato Thomas Mann per tutte le questioni di carattere musicale. Il libro è nato sotto i miei occhi. Lo scrittore non ha mai coltivato l'intenzione, né destato l'impressione che la tecnica dodecafonica fosse una sua invenzione. [ . . ] Parimenti assurda è l'in­ .

sinuazione che Thomas Mann avrebbe illegittimamente fatto uso della mia " pro­ prietà intellettuale ", precisamente per la ragione che la creazione delle parti musi­ cali del testo si è svolta di totale comune accordo tra di noi. [ . . . ] Infi n e, desidero di­ chiarare con piena fermezza di non avere mai ricevuto alcun genere di remunera­ zione materiale da parte di Thomas Mann

216•

Quest'iniziativa legale alquanto inconsueta, che non riuscì però ad evi­ tare ulteriori diffamazioni, era senza dubbio espressione di perplessità e impotenza nei confronti di una querelle furiosa alla quale Adorno non pensava minimamente di prendere parte. Nel marzo del 1962, in occa-

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FORTUNA N E LLA SFORTUNA : G LI ANNI CALIFORNIANI

sione di una mostra dedicata a Thomas Mann, egli tenne sì una confe­ renza nella quale è contenuta una caratterizzazione del grande scrittore da annoverarsi tra i ritratti più partecipi che siano mai stati tratteggiati della sua perso na 21 7 • Tuttavia, Adorno non intraprese mai la realizza­ zione di un piano, ventilato alla metà degli anni sessanta, di scrivere una monografia sul romanziere. Infatti, dopo la pubblicazione di due lettere 8 che Thomas Mann aveva scritto tra il 1948 e il 1955 21 , Adorno si era 9 sentito «per così dire diffamato dalla tomba» 21 da parte dello scrittore. Questi aveva fatto sapere allo storico della letteratura J onas Lesser che Adorno si vantava della propria collaborazione al romanzo Doctor Fau­ stus, dopo che era stato proprio lui, Thomas Mann, a indirizzare i riflet­ tori su di lui. L'idea che Adorno desse un'eccessiva importanza alla sua collaborazione al romanzo rappresentava apertamente l'opinione se non unanime quanto meno dominante all'interno della famiglia del " mago " e della cerchia più stretta dei suoi ammiratori. Soprattutto Katia Mann e sua figlia Erika si espressero in seguito in maniera decisamente irri­ guardosa nei confronti del "consigliere segreto " 220 • La scomparsa di Adorno gli risparmiò di assistere a quell'attacco alla sua reputazione e la necessità di dover reagire ad essa. Nondimeno, anche le brevi esterna­ zioni di Thomas M an n che gli erano giunte all'orecchio, quand'era an­ cora in vita, erano già sufficientemente dolorose. S icché fu alquanto na­ turale che Adorno decidesse di privilegiare la virtù della cortese discre­ zione e del silenzio, rifiutando di tornare ad occuparsi professionalmen­ te della persona e dell'opera di Thomas M an n . Lo sforzo d i mantenere una certa distanza fu l'ultimo stadio di un raffreddamento dei rapporti che era già iniziato nel periodo in cui lo scrittore era ancora in vita. In effetti, le strade delle due grandi figure, così caratteristiche del loro secolo, cominciarono lentamente a separarsi già dalla fine del 1949 . Mentre Thomas Mann, nonostante le crescenti difficoltà politiche che doveva affrontare negli Stati Un i ti, dove ven iva considerato filoco­ munista 22\ si rifiutò per lungo tempo anche solo di recarsi in visita nel­ la Germania post-nazista, immediatamente dopo la fine della guerra Adorno aveva già cominciato a pensare di far ritorno in Europa. Proprio in ragione del fatto che la Germania distrutta svolgeva ormai una posi­ zione marginale sulla scena di rapporti di potere internazionali, quella che era stata la sua patria esercitava una certa attrattiva su di lui. Per questo motivo si interessava alla domanda «che cosa si deve fare della Germania vinta» . Le due risposte per lui insoddisfacenti recitavano: «In

T H E O D O R W. AD ORNO

primo luogo: non vorrei a nessun costo e per nessuna ragione fare il car­ nefice o fornire titoli di legittimità ai carnefici. In secondo luogo: non impedirei a nessuno [ ... ] di vendicarsi di ciò che è accaduto. Questa è una risposta del tutto insoddisfacente, contraddittoria, e tale da irridere ad ogni generalizzazione o applicazione. Ma forse l'errore, prima di es­ sere mio, è già nella domanda» 222 • La cittadinanza americana era tutto fuorché indifferente per Adorno e la decisione di lasciare gli Stati Un i ti per trascorrere in Europa i decen­ ni che gli restavano da vivere non aveva ancora un carattere definitivo. Ma egli non voleva in alcun modo eludere il problema della Germania. Per questo gli tornò comodo cogliere un'occasione che gli consentì di realizzare presto il desiderio di farsi un' idea del paese che aveva lasciato quindici anni prima: durante gli ultimi giorni di ottobre del 1949 si recò in viaggio in Germania. Vi si recò come rappresentante di Horkhei mer, il quale per ragioni di salute non poteva rispondere personalmente al­ l' invito rivoltogli dall'un iversità di Francoforte, la quale lo esortava a ri­ prendere la sua attività di professore di filosofia a cominciare dal seme­ stre invernale 1949-50 223 • Ado rno, ex libero docente francofortese, non si mise in viaggio a mani vuote, in fin dei conti la Dialettica dell'illuminismo era già disponi­ bile in volume. Anche lo studio sulla musica cinematografica era stato pubblicato nella versione inglese. Inoltre, si era già accordato con le edi­ zioni Mohr di Ttibingen (tramite Paul Siebeck) per la pubblicazione di un'edizione notevolmente ampliata della Filosofia della musica moderna. Anche gli anni della sua collaborazione al progetto di Berkeley fruttaro­ no un meritato successo editoriale: lo studio sulla Authoritarian Perso­ nality uscì come volume 1 nel quadro della collana " Studies in Prej udi­ ce", proprio nel periodo in cui Adorno si trovava in viaggio verso l' Eu­ ropa. Durante gli anni californiani, non soltanto aveva conquistato una fama in campo scientifico, ma era riuscito a portare a termine anche due composizioni musicali: i Quattro Lieder per voce e pianoforte su poesie di Stefan George, op. 7, così come I tre cori femminili su poesie di Theodor Daubler, op. 8. Mentre, in base alle parole dello stesso Adorno, la prima delle due composizioni si basa su una «serie dodecafonica che mostra un'affinità soltanto nelle quattro figure fondamentali, senza alcuna tra­ sposizione» , i cori dimostrano invece che l'organizzazione della compo­ sizione musicale diventa possibile anche senza seguire le regole elemen­ tari del metodo dodecafonico.

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FORTUNA N E LLA SFORTUNA : G LI ANNI CALIFORNIANI

Ma non erano soltanto i problemi di teoria musicale, relativi al modo in cui era possibile tradurre in composizione uno stile musicale li­ bero, ad agitare la mente di Adorno, quando si imbarcò sulla " Queen Elisabeth " per fare ritorno in Europa. Il primo contatto con il continen­ te europeo dopo i lunghi anni dell'esilio sconvolse profondamente il quarantaseienne Adorno. Quando, alle due di notte, dal Quai Voltaire raggiunse a piedi l'hotel attraversando Parigi, riconobbe subito dal ru­ more dei propri passi sull'acciottolato che la «differenza tra Amorbach e Parigi [ . . . ] è inferiore a quella tra Parigi e New York. Quel crepuscolo vissuto ad Amorbach, però, quando da bambino, seduto su una panchi­ na situata a mezza altezza del Wolkmann, mi era sembrato di vedere tutte le case illuminarsi all'unisono dalla luce elettrica, appena introdot­ ta, anticiparono lo shock di cui, in seguito, feci nuovamente esperienza da esiliato in America. La mia cittadina mi aveva protetto talmente a fondo da prepararm i già alla realtà totalmente opposta che la vita mi avrebbe riservato» 224• Dopo il suo arrivo a Parigi - dove alloggiò presso lo storico hotel Lutetia così fortemente improntato alla Belle époque e situato sul Boulevard Raspail -, il 28 ottobre 1949 Adorno scriveva a Horkheimer: « Il ritorno in Europa mi ha colpito con una tale intensità che mi mancano le parole per descriverlo. [ . . . ] Ciò che vi è ancora qui può anche essere storicamente condannato e reca una traccia fin troppo riconoscibile di tale condanna, ma il fotto che ancora esista, la sua stessa non contemporaneità, fa parte anch ' esso dell'immagine storica e cela la tenue speranza che, nonostante tutto, qualcosa di umano sia sopravvis­ suto» 225• Quella gioia spontanea spinse Adorno fino al punto di operare una variazione sul motto dei Minima Moralia, affermando che qui «la vita vive ancora» . Il fervido corrispondente invitava con grande impeto Horkheimer a cercare insieme il loro futuro comune qui, su questo con­ tinente - un desiderio destinato ad esaudirsi in tempo brevissimo.

PARTE QUARTA

Pensare l' incondizionato e sopportare i condizionamenti

La forza dirompente di dire no lnestinguibile nella resistenza al mondo fungibile dello scambio è quella dell'occhio, che non vuole che i colori del mondo siano annientati

1•

Adorno trascorse gli ultimi ven t'anni della sua vita - morì infatti poche settimane prima di compiere il suo sessantaseiesimo compleanno - pre­ valentemente in Germania, dove non soltanto esercitò un' influenza ac­ cademica incomparabile, ma, grazie all'efficacia della sua azione di intel­ lettuale pubbl icamente impegnato, svolse anche un ruolo di guida per il processo di identificazione culturale e politica della Repubblica federale e per la costruzione della propria immagine da parte delle generazioni del dopoguerra. In quanto rappresentante della Scuola di Francoforte, Adorno ebbe una parte fondamentale nella «fondazione intellettuale della Repubblica federale)) \ che vent'anni dopo la fondazione istituzio­ nale dello Stato formava il nucleo dell'identità pol itico-culturale del paese. In tal senso egli era corresponsabile dell' integrazione occidentale seguita dallo Stato tedesco, del processo di democratizzazione e soprat­ tutto dell'inizio di un confronto politico da parte dei tedeschi con il proprio passato: Adorno, in breve, ha contribuito a formare la cultura politica della Germania. Una fotografia alquanto caratteristica, scattata nel 1964, illustra chiaramente il riconoscimento che egli trovava come docente universi­ tario tra i suoi studenti: la foto lo ritrae sul podio del grande auditorio dell'Università Johann Wolfgang Goethe, circondato da innumerevoli 43 1

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studenti, in un'attitudine di attenzione e apertamente rivolta verso i suoi ascoltatori. Così è rimasto nella memoria collettiva: come una per­ sonalità nota e stimata che, malgrado il suo carisma, lasciava però tra­ sparire qualcosa della solitudine dell' intellettuale all'interno dell'indu­ stria culturale. L'ammirazione era dedicata al gesto meditativo insisten­ te che caratterizzava le sue numerose apparizioni alla radio e alla televi­ sione, così come in molte altre manifestazioni culturali. Quando tornò per la prima volta in Germania, Adorno non si sentiva affatto libero dal­ la paura di un possibile ripetersi dell'orrore. Tuttavia, quattro anni dopo la fine della guerra, decise di fare ritorno nella terra degli " Horst" e degli "Jiirgen ", dei " Bergenroth " e dei " Boj unga" 3 • Quella decisione, affermava Adorno, «non fu semplicemente moti­ vata da un bisogno soggettivo, dalla nostalgia di casa, che pure non nego. Si fece valere anche un bisogno oggettivo : la lingua» . Le intenzio­ ni di scrittura di Adorno dipendevano intimamente dalla li ngua tede­ sca, perché questa possiede «una particolare affinità elettiva con la filo­ sofia», ossia la capacità di «esprimere qualcosa dei fenomeni che non si esaurisce nella mera fatticità, nella loro positività e datità» 4. In base alla sua stessa impressione, un anno e mezzo dopo il suo ri­ torno, egli era già «conosciuto dappertutto». La ragione per la quale si era riuscito a farsi un nome così rapidamente in un paese appena fonda­ to come la Repubblica tedesca occidentale era la pubblicazione dei Mi­ nima Moralia, di cui Adorno portava il manoscritto completato in val i­ gia già al suo ritorno dall'esilio. Con sua stessa sorpresa, il libro riportò un successo straordinario. Benché fosse certamente difficile valutarne i motivi, Adorno ricondusse il successo inatteso all'atmosfera dominante di quel periodo e al fatto che gli intellettuali in Germania erano stanchi della " mania di Heidegger" . La valutazione era corretta: presentando una delle poche alternative a quell'atmosfera di restaurazione che egli collegava ad Heidegger, nel corso del tempo Adorno diventò la figura più importante sulla faticosa via di un rinnovamento spirituale. Al più tardi grazie alla celebre frase, scritta nell'anno del suo ritorno e pubbli­ cata poco dopo : «scrivere una poesia dopo Auschwitz è un atto di barba­ rie» 5, un pensiero che egli continuò a sostenere nonostante conoscesse le liriche di Nelly Sachs e Paul Celan; Adorno si era ormai esposto in un modo tale che sarebbe stato impossibile fare ritorno nella torre d'avorio della pura ricerca accademica. Pur tuttavia, egl i era arrivato a Francoforte proprio in qualità di ri­ cercatore e uomo di scienza. Infatti, era sua intenzione lavorare come 43 2

PART E QUARTA

docente di filosofia presso la sua vecchia università che un tempo lo ave­ va allontanato, riallacciandosi alla sua attività di libera docenza di cui era stato privato nel 1933 . Non soltanto vi riuscì, ma presto sarebbe stato considerato un importante esponente anche di un'altra disciplina, la so­ ciologia, che nella Germania del dopoguerra veniva ritenuta una disci­ plina avanzata e quindi osservata con particolare sospetto, tanto all' in­ terno quanto soprattutto all'esterno dell'università. Nel ruolo professio­ nale di sociologo, per il quale si era guadagnato numerose qual ificazioni durante gli anni dell'esilio in America e che aveva trovato una manifesta espressione anche in alcune pubblicazioni, Adorno collaborò alla rico­ struzione dell'Istituto per la ricerca sociale, di cui avrebbe rilevato interamente la direzione a partire dal 1958, dopo che Horkheimer si era ritirato a Montagnola, in Svizzera, per ragioni di età; di fatto, però, le incombenze principali dell'Istituto ricaddero essenzialmente sulle sue spalle fin dall'inizio. Nei primi anni della sua attività accademica e pubblicistica in Ger­ mania, Adorno riuscì a raccogliere i frutti per i quali aveva preparato il terreno durante gli anni trascorsi in America. I progetti dettagliati dei suoi primi libri - e in parte alcuni manoscritti già completati - come la Filosofia della musica moderna (Philosophie der neuen Musik, 1949), Mi­ nima Moralia (1951), Wagner ( Versuch uber Wagner, 1952) e, per finire, la raccolta di saggi dal titolo Prismi (Prismen, 1955) e lo scritto filosofico

Sulla metacritica della gnoseologia (Zur Metakritik der Erkenntnistheorie, 1956) , li aveva da tempo già pronti nel cassetto; si trattava di testi scritti in parte a Oxford, ma in gran parte redatti nel periodo in cui aveva vis­ suto sulla costa orientale ed occidentale in America. Della produttività scientifica da lui sviluppata negl i Stati Un iti faceva parte anche un pro­ cesso di apprendimento che si rivelò influente per la sua specifica conce­ zione della sociologia. L'esperienza diretta della cultura angloamericana lo indusse non soltanto ad impegnarsi a favore delle forme di vita demo­ cratiche, ma lo portò anche ad imparare a «non considerare più come " naturali" le situazioni risultanti invece da un'evoluzione, storicamente emergenti, come quelle che si erano formate in Europa, ossia a not to take thingsfor granted, a " non dare le cose per sco n rate " . [ . . . ] In America mi liberai infatti dell' ingenua credulità nella cultura, acquistai la capaci­ 6 tà di vedere la cultura dall'esterno» . Queste e altre prospettive, che gli erano state aperte dalla cultura scientifica americana, formarono i pre­ supposti affinché, nel corso degli ultimi anni ci nquanta e negli anni ses­ santa, egli potesse diventare uno dei più importanti esponenti della so43 3

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ciologia tedesca. All'inizio degli anni sessanta, Adorno fu uno dei prota­ gonisti del cosiddetto Positivismusstreit (al quale, insieme a lui, parteci­ parono Karl Popper, Jiirgen Habermas e Hans Albert) ; dal 1963 al 1968 ricoprì la carica di presidente della Società tedesca di Sociologia e, in quanto tale, organizzò e diresse il congresso dal titolo Tardo capitalismo o società industriale? (Spatkapitalismus oder Industriegesellschaft?) svol tosi nel 1968 . Al tempo stesso Adorno esercitò un'influenza marcante sulla vita musicale nella German ia del dopoguerra, non soltanto in quanto teori­ co della musica le cui posizioni erano state già apertamente documenta­ te da testi quali Introduzione alla sociologia della musica (Dissonanzen. Einleitung in die Musiksoziologie, 1962) e la monografia su Mahler: una fisiognomica musicale (Mahler: Eine musikalische Physiognomik, 1960) , ma anche grazie alla sua attività di insegnante di musica nel quadro dei corsi estivi internazionali per la " nuova musica " a Darmstadt. Ai fini della determinazione della sua posizione all'interno del di­ battito filosofico, la sua critica a Martin Heidegger si rivelò in gran parte decisiva: con il Gergo dell'autenticità (]argon der Eigentlichkeit, 1964) Adorno aveva dimostrato con mano che lo si poteva prendere sul serio in quanto principale antipode dell'antologia fondamentale che fino ad allora era stata dominante. Inoltre, ciò che egli poteva mettere sul piatto della bilancia, come egli stesso diceva, non era soltanto la sua opera fon­ damentale e più indicativa della sua filosofi a , ossia la Dialettica negativa (Negative Dialektik, 1966) , ma anche un volume pubblicato postumo quale la Teoria estetica (Asthetische Theorie, 1970) .

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Catnbio di scena: visita ad un campo di macerie

Quando, alla fine di ottobre del 1949, giunse a Parigi, Adorno non poté trattenersi a lungo nella città sulla Senna, perché doveva recarsi pronta­ mente a Francoforte sul Meno per assolvere ai suoi impegni di insegna­ mento alla facoltà di Filosofia dell'Università J o han n Wolfgang Goethe, dato l'imminente inizio del semestre invernale. Gretel non lo aveva ac­ compagnato in quel viaggio perché voleva restare a Santa Monica fino a quando non si fossero chiariti gli interrogativi sul futuro professionale del marito e non fosse migliorata la difficile situazione delle abitazioni in una Franco forte distrutta dai bombardamenti. Se Adorno fosse giunto prima nella sua città d'origine, avrebbe po­ tuto ancora assistere di persona alle cerimonie, ai discorsi alla radio e ai dibattiti relativi alla fondazione di due Stati tedeschi che avevano avuto rispettivamente luogo in maggio e in ottobre. Alle prime elezioni per il Parlamento federale, che si tennero poco prima del ritorno di Adorno, i partiti conservatori si affermarono soltanto con uno stretto margine come forza politica dominante; quei risultati ebbero come conseguenza l'elezione di Konrad Adenauer a cancelliere della Repubbl ica federale tedesca. Il primo presidente federale fu il liberale Theodor Heuss, che in seguito Adorno avrebbe avuto occasione di conoscere 1 • Agli inizi della Repubblica federale, il rapporto dei tedeschi con il loro cupo passato non era affatto chiaro. È pur vero che Heuss nel 1949 aveva parlato apertamente della "vergogna collettiva" dei tedeschi e il presidente an­ ziano del Bundestag, il quale era stato l'ultimo presidente democratico del vecchio Reichstag, Paul Lobe, aveva ricordato nel suo discorso inau­ gurale il gravoso peso dell'eredità del nazionalsocial ismo; ma Adenauer, nella dichiarazione di presentazione del suo governo, non aveva men43 5

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zio nato neppure di sfuggita la colpa dei tedeschi nell'eccidio degli ebrei e la responsabilità che ne derivava 2 • Oltretutto, il governo aveva nuova­ mente nominato nelle sue file alcune personalità che avevano ricoperto una posizione nell 'amministrazione, nella giustizia e nella pol itica du­ rante il regime nazionalsocialista. Ma anche al di là di queste continuità tra dittatura e democrazia, legate alle biografie e al passato professionale di singoli individui, non si era verificata alcuna rottura con la tradizione dei valori nazionalisti 3• Questa tendenza alla perseveranza e alla norma­ lizzazione da parte della politica e della società in Germania occidentale costituiva anche una sorta di reazione di paura e ostinazione, legata al fatto che, con la proclamazione della nuova Costituzione nella zona di occupazione sovietica, fosse stata creata la Repubblica democratica tede­ sca. In tal modo veniva suggellata la scissione della Germania. I delegati del Congresso del popolo della D DR, che si considerava come il primo " Stato socialista nato sul suolo tedesco ", erano stati eletti sulla base di una lista unica. L'ordine della società socialista si basava sulla rivendica­ zione di un ruolo di guida assoluta da parte del Partito comunista. Per questa ragione le tre potenze occidentali occupanti e la Repubblica fede­ rale tedesca non riconobbero come Stato la DD R, contribuendo così al­ l'inasprimento della concorrenza tra i due sistemi e alla formazione di due blocchi contrapposti. Adorno osservò con attenzione gli sviluppi politici in atto in en­ trambe le parti della Germania, anche se dovette subito concentrarsi su­ gli impegni dell'insegnamento universitario. Durante la prima settima­ na, alloggiò presso la pensione " Zeppelin ", al n. 128 della Bockenheimer Landstrage, nelle vicinanze dell'università. Quindi abitò per un breve periodo in una camera ammobiliata presso una certa famigl ia lrmer, non lontano dall'edificio distrutto dell'Opera nella Liebigstrage, nella zona del Westend di Francoforte, dove alla fine si stabilì, allorché alcuni mesi dopo Gretel lo raggiunse, in un appartamento situato al n. 123 del Ketten hofweg. Nell'inverno tra il 1949 e il 1950, le conseguenze devastanti della guerra erano ancora evidenti nella città natale di Adorno. In seguito ai bombardamenti, dei 177.000 edifici di Francoforte nel 1945 ne erano ri­ masti in piedi soltanto 44.000 e altri 50.000 erano gravemente danneg­ giati. Il centro storico era ridotto in cenere. A eccezione di uno, tutti i ponti sul Meno, compreso lo Eiserner Steg, erano stati fatti saltare in aria dalle truppe tedesche nelle ultimissime fasi della guerra, e il Teatro (Schauspielhaus) , l'Opera, la Borsa così come alcuni edifici dell'Univer-

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sità erano stati considerevolmente distrutti dalle bombe. La maggior parte degli immobili eleganti sulla Schone Aussicht, dove Adorno aveva trascorso l'infanzia e dove si trovava la sede della ditta del padre, era ri­ dotta in macerie. Adorno fu testimone non soltanto dell'entità delle di­ struzioni, dell'aumento degli abitanti causato dalle persone evacuate, dai profughi e dai tedeschi espulsi dall'Europa orientale, ma assistette anche ai primi misfatti edilizi che sarebbero poi diventati migliaia e mi­ gliaia nella grande agglomerazione urbana della metropoli sul Meno. Sebbene Francoforte, a dispetto di tutte le aspettative, non fosse diven­ tata capitale della Repubblica federale, la città si era affermata come centro finanziario, commerciale e polo dei trasporti nonché come im­ portante centro culturale che, durante il periodo in cui Adorno intra­ prendeva la sua nuova attività, già da tempo faceva parlare di sé grazie alla rapida ricostruzione della Paulskirche, alla casa di Goethe, alla Fiera internazionale del libro e a uno sviluppo importante dell'editoria. Tut­ tavia, durante gli anni della ricostruzione e del miracolo economico fino alla fase tarda della stagione di riforme degli anni sessanta, la situazione intellettuale in Germania restò determinata da luoghi comuni quali "perdita del centro", " esistenza", " fatal ità", nonché dal provincial ismo, dall'ipocrisia e dalla rimozione nella questione della colpa tedesca 4 . In misura almeno pari a Horkheimer, Adorno avvertiva che quasi nessuno era interessato a consultare gli ex emigrati in merito alla ricostruzione politica e culturale del paese 5• Nella primavera del 1949 Horkheimer si ritrovava di nuovo in Germania; tentò di rientrare in possesso del patri­ monio del padre sottrattogli dai nazisti e ridiede nuovamente vita alla Società per la ricerca sociale. Le impressioni che ricavò della Germania non risultarono molto diverse da quelle che già aveva: «L'oblio e il fred­ do inganno formano il clima spirituale che ha gli effetti migliori sugli eredi dei nazisti)) 6 • Adorno si rese conto di un altro aspetto della sua situazione quando egli, l'ex esiliato, passò in rassegna i due decenni appena trascorsi: Gli anni della dittatura fascista si sono staccati con l a violenza di un'esplosione dal­ la continuità della sua vita [la vita dell'esiliato] ; ciò che è accaduto in essi non rien­ tra in quella continuità. Se torna indietro si ritrova invecchiato e al tempo stesso ri­ masto giovane come al momento della sua cacciata, un po' come i morti conserva­ no per sempre l'età in cui li si sono conosciuti prima della loro scomparsa. Si illude di poter riprendere il cammino dal punto in cui è stato interrotto; le persone che oggi hanno la stessa età che lui aveva nel 1933 gli sembrano dei coetanei, e tuttavia

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la sua età reale è un'altra, un'età che si accavalla all'altra, la trasgredisce, che confe­ risce ad essa un senso nascosto, la smentisce

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Con l'aiuto di un suo cugino, l'insigne giurista nonché consigl iere del Tribunale regionale Franz Wilhelm Calvelli-Adorno, con il quale suo­ nava con piacere il pianoforte a quattro mani, Adorno si curò della resti­ tuzione del patrimonio della sua famiglia. Quel suo parente era ufficial­ mente competente per la composizione dei casi di restituzione e risarci­ mento in seguito ai sequestri nazisti. Quando si era ritrovato di fronte al figlio dell'allora proprietario della casa che era stata di suo padre sulla Schone Aussicht, Adorno, come egli stesso scriveva a Else Herzberger, aveva avuto uno «scontro violento. È stata l'unica volta in cui abbia mai perso le staffe: gli ho dato del nazista e dell'assassino, benché non fossi neppure sicuro di avere davanti la persona giusta. Ma succede così in continuazione: sono sempre le persone sbagliate ad essere colpite, men­ tre gl i impostori conoscono talmente bene la realtà e come va il mondo che la fanno franca» 8• L'acquirente della casa paterna situata nella See­ heimer Strage, che Oscar Wiesengrund era stato costretto a vendere ad un prezzo molto ridotto prima di fuggire dalla Germania nazista, in tut­ ta evidenza non era un membro entusiastico del partito di Hitler. Poi­ ché i nuovi proprietari, una certa famiglia Wilhelm, gli corrisposero una cifra in denaro come risarcimento per l'eredità perduta, Adorno e la mogl ie rinunciarono da parte loro al diritto di poter rientrare in posses­ so dell'immobile. Per un breve tempo presero in considerazione l'even­ tualità di tornare ad abitare nella casa dei suoi genitori, ma poi desistet­ tero, in primo luogo certamente a causa della conformazione piccolo borghese della vecchia casa e secondariamente perché l'edificio era stato parzialmente danneggiato da una bomba incendiaria. N o n vi restava che un'unica traccia familiare: nella stanza al piano rialzato con il pavi­ mento di parquet, Adornò riconobbe l'impronta lasciata dal pianoforte di sua madre 9 . Nonostante il successo iniziale dei " Frankfurter Hefte " sotto la di­ rezione di Eugen Kogon e Walter D irks 1 0 , una rivista che seguiva un corso strettamente democratico e pro-europeo, al meno fino alla fonda­ zione di quello che sarebbe diventato famoso in seguito come " Gruppo 47 " 11 , il clima letterario del paese rimase determinato da figure intellet­ tuali che erano rimaste nella Germania nazionalsocialista, come per esempio Hans Egon Holthusen, Reinhold Schneider, Ernst Jiinger, Werner Bergengruen, Hans Carossa, F rank Thieg, Walter von Molo e

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così via. N o n era questo il mondo di Adorno 12 ; inoltre egli registrava con la massima diffidenza l'esistenza in Germania di un netto orienta­ mento verso la tradizione apparentemente ininterrotta di una «cultura nazionale tedesca», nella fattispecie verso la sfera distaccata di «verità, bene e bellezza». Per giustificare il loro comportamento durante il Terzo Reich, molti degli scrittori che erano rimasti in Germania ricorsero al concetto di "emigrazione interna", che per Adorno costituiva il polo opposto rispetto alla " posizione dell'avanguardia intransigente " 1 3• Al­ cuni esponenti come F rank ThielS e Walter von Molo presentarono quel ritiro verso l'interiorità come un'alternativa rispettabile alla colla­ borazione col regime, facendone un argomento diretto contro coloro che avevano scelto l'esilio, in particolare contro Thomas M an n. Anche la scrittrice Marie Luise Kaschnitz, alla quale Adorno e la moglie G retel fecero visita nel suo appartamento di Franco forte nella primavera del 1950, era rimasta in Germania insieme al marito, ma criticò le tendenze a minimizzare l'opportunismo legate alla formula della cosiddetta "emi­ grazione interna" . «In che cosa consisteva poi questa cosiddetta emigra­ zione interna ? N el fatto che ascoltavamo le emittenti straniere, che ci sedevamo insieme intorno ad un tavolo, ce la prendevamo col governo, di tanto in tanto tendevamo la mano ad un ebreo per la strada, anche quando c'era qualcuno che poteva vederci ? Nel fatto che avevamo pro­ fetizzato, prima lo scoppio della guerra, poi la guerra totale e quindi la sconfitta con la fine del Partito ?)) 1 4• In merito al primo incontro con Adorno e sua moglie, con i quali nel corso degli anni si sarebbe stabilito un rapporto di estrema cordialità, Marie Luise riferiva così al marito Guido conte Kaschnitz von Weinberg il 26 maggio 1950: «Ieri ho invita­ to Adorno a prendere il caffè. Ha accettato con piacere presentandosi accompagnato dalla moglie, che è una donna molto magra, molto intel­ ligente e interessante. Agli ospiti si è aggiunto anche Gadamer e, invece della mezz'ora prevista, sono rimasti per tre ore buone. La conversazio­ ne è stata vivace, si è parlato di Joyce e dei suoi continuatori, di religio­ ne, filosofia e fiabe)) 1 5. La Kaschnitz, Kogon, D irks, così come anche Adorno del resto, de­ testavano il vuoto pathos che molti tedeschi appartenenti alla generazio­ ne della ricostruzione usavano in continuazione per parlare di dignità della persona e di bellezza d'animo in un modo complementare all'o­ biettività tecnocratica. Di contro a ciò, Adorno riscontrava un'inquietu­ dine intellettuale nei suoi studenti, che, dopo l"' ora zero ", cercavano un orientamento nella concezione del mondo e della vita: una curiosità 43 9

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veemente nei confronti delle realtà intellettuali che egli giudicava supe­ riore a quella degli anni precedenti alla dittatura hitleriana. Adorno ebbe occasione di conoscere questa " appassionata parteci­ pazione" degli studenti nel corso del suo seminario di filosofia dedicato alla Dialettica trascendentale kantiana così come durante il suo ciclo di lezioni dedicato all'Estetica. Nel semestre estivo del 1951 proseguì le le­ zioni di estetica occupandosi inoltre, parallelamente ad un seminario su Hegel, dei Problemi della gnoseologia contemporanea, e, nel semestre suc­ cessivo, del Concetto difilosofia 1 6 (diversamente da quanto era stato an­ nunciato sul programma delle lezioni) - dando prova del suo tipico modo di far fi l osofia, basato su conferenze liberamente improvvisate per le quali faceva riferimento unicamente ad alcuni spunti annotati su un foglio. Per quanto esprimesse il proprio entusiasmo, per esempio a M ax Horkheimer o a Siegfried Kracauer, circa l'interesse mostrato dagli stu­ denti per i temi filosofici, nelle lettere dettagliate indirizzate a Thomas Mann Adorno, nel dicembre del 1949 e nel luglio del 1950, riconosceva comunque il rovescio della medaglia contenuto in questo forte bisogno di recupero culturale, in una tale fissazione del tutto apolitica sul mon­ do apparentemente sacro del puro spirito . Così dichiarava in un in­ tervento alla radio e scriveva nel numero di maggio dei " Frankfurter Hefte " : «Il rapporto con la cultura nella Germania del dopoguerra porta in sé qualcosa della consolazione ambigua e pericolosa propria del tro­ vare rifugio in un mondo provinciale» 1 7• In tal modo si ricollegava alla formula ( introdotta da Max Frisch) della "cultura come alibi" per la mancanza di coscienza politica. Adorno aveva concepito questa tesi dedotta dalla sue osservazioni personali durante le brevi vacanze natalizie tra il 1949 e il 1950. Nelle lunghe lettere scritte a Thomas Mann e a Horkheimer su questo tema, voleva sottoporre immediatamente quella tesi ad una discussione. Infat­ ti, non soltanto Horkheimer si era formato un'immagine precisa del paese, ma anche una figura estremamente critica verso la Germania qua­ le Thomas Mann. Nei mesi tra il maggio e l'agosto del 1949 Mann era impegnato in un giro di conferenze in Europa, nel quadro del quale tra­ scorse anche dodici giorni in Germania per tenere la conferenza princi­ pale in occasione delle celebrazioni goethiane che si tenevano a Franco­ forte e Weimar 1 8• Il tono assunto da Adorno nelle lettere a M an n era fondamentalmente critico e negativo almeno quanto la relazione sullo stato della Germania che il famoso scrittore aveva pubblicato nell'otto­ bre precedente. Come si evinceva con particolare chiarezza dal processo 440

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di N orimberga, sosteneva Adorno, la «colpa indicibile» dei tedeschi sva­ nisce «in un certo qual modo nell'irreale». Nella Germania sconfitta non si incontrano praticamente nazisti. E questo non soltanto perché nessuno ammette di essere stato nazista, ma anche perché i tedeschi era­ no convinti «di non esserlo stati. [ . . ] Ho avuto modo di osservare che tutti coloro che in qualche modo si identificano con l'hitlerismo o con il nazionalismo dai nuovi toni affermano fermamente di non essere stati a conoscenza, durante la guerra, degli orrori che si stavano commettendo - mentre gli oppositori più coscienziosi confermano quello che dice un elementare buon senso: e cioè che, dal 1943 , in realtà si sapeva già tut­ to» 19 • D'altra parte, nella sua lettera Adorno espri meva parole di lode per il livello dei giovani universitari che discutevano in modo appassio­ nato i problemi più difficili della filosofia: «Qui si impone il paragone con una scuola talmudica; talvolta ho come l'impressione che gli spiriti degl i ebrei assassinati si siano trasferiti nella mente degli intellettuali te­ deschi)) 20 • Ciò che era accaduto ad Adorno in questo primo periodo dal suo ri­ torno in patria era degno di diventare materia di elaborazione letteraria. Anche nel romanzo Der Urfreund (L'amico di un tempo) di Kurt Mautz, esattamente come era capitato realmente nella vita di Adorno, il professar Amorelli ritorna «a Francoforte dal suo esilio americano)) , Non appena il protagonista del romanzo apprende questa notizia si reca subito a parlare con il suo ex docente di filosofia durante l'ora di ricevi­ mento con gli studenti. Amorelli, .

rallegrandosene, lo riconobbe come uno dei dodici fedelissimi del suo primo semi­ nario e lo invitò a prendere parte come ospite al suo seminario principale del giove­ dì sera. Dopo avere sistemato le formalità del caso, Ronge [il protagonista del ro­ manzo, N dA. ] si ritrovò dunque seduto quella sera tra gli studenti e i seguaci di Amorelli . Ora naturalmente erano più numerosi di dodici. Stavano seduti intorno a grossi tavoli quadrati e su sedie pieghevoli portate appositamente, ovunque ci fosse ancora spazio. Durante l'esilio Amorelli era diventato uno dei più eminenti critici della cultura del suo tempo, tutto quel che diceva o scriveva veniva imme­ diatamente trasmesso o dato alle stampe. Le sedute non si tenevano più in sedi im­ provvisate come ai bei tempi nella biblioteca, ma in un normale istituto di filoso­ fia. Amorelli non era molto cambiato nell'aspetto, soltanto un po' ingrassato e mo­ strava una forte calvizie contornata da una sparuta corona di corti capelli bianchi. Dietro gli occhiali di corno scuri si muovevano sempre i suoi grandi occhi scuri e luminosi. Il rituale delle sedute del seminario era rimasto lo stesso. Esattamente 441

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come vent'anni prima, egli introduceva ogni seduta con la domanda: «Chi stende il verbale oggi ?»

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Nel prosieguo della vicenda si verifica una discussione tra Amorelli e Ronge circa un vecchio studente di filosofia e germanistica, dotato di straordinario talento e un tempo esponente dell'estrema sinistra, il qua­ le però durante il Terzo Reich aveva pubblicato degli scritti che conte­ nevano palesemente un vocabolario razzistico e antisemita. Amorelli cerca di trovare una spiegazione per quel comportamento da rinnegato: «N o n capisco, disse alla fine, come un intellettuale di sinistra, che aveva aiutato a cacciare a suon di botte i nazisti dall'università, abbia potuto trasformarsi in un nazista fanatico» 22 • Dal momento che l'autore del romanzo, che aveva studiato con il giovane Adorno durante il periodo della libera docenza, tentò di elabo­ rare nella sua descrizione letteraria le esperienze reali del dopoguerra, ciò che accade al personaggio fittizio di Amorelli può benissimo coinci­ dere con le esperienze realmente vissute da Adorno. Questi, infatti, non poté fare a meno di accertare che anche i suoi ex studenti si erano orien­ tati secondo l'aria che tirava per motivi di carriera e di opportunismo politico. Benché, in base a tal i osservazioni, avesse motivi sufficienti per far notare «il carattere apparente della democrazia tedesca» 23, Adornò invitò nuovamente Horkheimer a proseguire la sua attività scientifica non negli Stati Uniti ma a Francoforte, «perché il clima intellettuale che si respira qui ha in sé qualcosa di seducente». Egli si rendeva conto però anche del pericolo di «vedersi relegato nella situazione di un padre spiri­ tuale dotato del compito di offrire un " appoggio " ai delusi - mentre, in un determinato senso, il male si trova già nel concetto stesso di appog­ gio». Adorno si lamentava degli impegni accademici e del logorio deri­ vante dall'insegnamento: «A volte mi sembra di essere un disco da grammofono troppo usato, come se estenuassi le mie forze usandole nel modo sbagliato» 24 • Nonostante l'enorme lavoro che svolgeva all'università, Adorno non era insoddisfatto. Anche i nuovi compiti che gli si presentavano, per esempio nel quadro di un progetto di ricerca appena avviato circa le questioni della riforma dei comuni e dell'urbanistica, progetto al quale prendeva parte anche l'Istituto per la ricerca sociale di cui era in corso l'istituzione, significavano per lui qualcosa di più che ulteriori e gravose incombenze 2 5• In tal senso, informava Thomas M an n di sentirsi «fisica­ mente sempre meglio, tre volte più fresco e pronto a lavorare di quanto 442

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non fossi in Occidente, risparmiato dall'emicrania - singolare reazione alla patria da parte di un apolide professionista, per così dire» 26 • Una piccola contromisura nei confronti delle sensazioni da apolide fu il viag­ gio che Adorno intraprese con Gretel da Francoforte ad Amorbach, dove entrambi si concessero alcuni giorni di riposo in autunno, per ri­ prendere le forze. Quel luogo, come ebbe modo di constatare, era cam­ biato poco e vi riconobbe la patria della sua infanzia. Da Amorbach scrisse una lettera di auguri di compleanno alla madre, la quale aveva compiuto ottantacinque anni ed era rimasta a New York. Le comunica­ va di essere sceso alla locanda " Post ", come una volta, e di avere fatto di­ verse escursioni con Gretel nei boschi dei dintorni; qui, con grande pia­ cere, aveva incontrato nuovamente il figlio del pittore Max Ross­ mann 27• Anche se Adorno aveva continuamente l' impressione di crollare da un momento all'altro, a causa delle numerose incombenze professionali che gli spettavano, la vita aveva preso una piega felice per lui. Gli piace­ va poter parlare apertamente; inoltre era contento di essersi lasciato alle spalle il logorio emotivo derivante dall'esilio. La Germania distrutta ap­ pariva ai suoi occhi come un simbolo emblematico dell'epoca. Sebbene Adorno fosse soddisfatto di poter vivere nuovamente in Germania 28 , dispiaceri e rabbia non gli furono certo risparmiati. Per esempio, dovet­ te scontrarsi con un fatto spiacevole tanto per lui che per Horkheimer: " Sin n un d Form ", una rivista culturale che si pubblicava nella Germa­ nia orientale, pubblicò degli estratti dalla Dialettica dell'illuminismo senza il consenso degli autori. Poco dopo, il teorico dell'informazione e semiotico Max Bense pubblicò una recensione alquanto critica di que­ sto libro e della Filosofia della musica moderna su " Merkur", una rivista a forte tiratura della Germania occidentale, con il titolo Hegel e l'emigra­ zione californiana, in cui il recensore rimproverava sommariamente agli autori di aver adottato un orientamento elitario quanto ortodossamente hegeliano-marxista 29• In seguito a ciò, Adorno e Horkheimer presero in considerazione l'idea di rilasciare una dichiarazione pubblica circa la loro relazione nei confronti del marxismo sovietico. Nella bozza che fu redatta da Adorno e rifletteva la posizione politica di entrambi in quel periodo, si leggeva: «Nella prassi delle dittature militari travestite da de­ mocrazie popolari non possiamo vedere nient'altro se non una nuova forma di repressione, così come, in quella che in quei paesi si è soliti chiamare positivamente " ideologia", non vediamo altro se non la stessa cosa che, in realtà, un tempo si indicava con il concetto di ideologia: la 443

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menzogna volta a giustificare una condizione sociale non vera» 3 0 . Spia­ cevoli per Adorno furono anche le difficoltà che insorsero con la casa editrice Querido circa la distribuzione della Dialettica dell'illuminismo, che era stata pensata per un pubblico di lettori di lingua tedesca. Anche se inizialmente concepita dagli autori come un messaggio in bottiglia, presto il messaggio contenuto in quell'opera sarebbe stato trovato e de­ cifrato, e non sarebbe stato destinato all'oblio. In effetti, non ci sarebbe voluto molto tempo perché ciò accadesse. Ma innanzitutto ad Adorno pesavano i problemi concernenti la po­ sizione che avrebbe ricoperto in futuro all'università. Inizialmente, il suo incarico era limitato alla supplenza di una cattedra: in quanto ex li­ bero docente egli ricopriva come sostituto la cattedra di professore ordi­ nario prevista per Horkheimer, finché a questi non fosse stato possibile occuparla. Le sue speranze non certo infondate si dirigevano però al conseguimento di una propria cattedra di ordinario . Fin da quando nel­ la primavera del 1949 Walter Hallstein, nella sua funzione di rettore del­ l'D niversità J o han n Wolfgang Goethe, si era recato in visita negli Stati Un i ti d'America e, tra l'altro, a Pacific Palisades - non in ultimo per in­ contrarvi Thomas Mann che, per un certo periodo, era stato tra i candi­ dati più papabili alla nomina di primo presidente della Repubblica fe­ derale - Adorno, che all'epoca abitava ancora a Santa Monica, aveva fat­ to tutto il possibile per mettersi in luce 3 1 • A Francoforte, poi, aveva ten­ tato di succedere a Hans-Georg Gadamer 3 \ il quale aveva deciso di ac­ cettare la nomina afferragli dall'Università di Heidelberg. Horkheimer, che da Pacifi c Palisades cercava di far valere la sua influenza allora già notevole, scriveva ad Adorno il 9 novembre: Se riusciremo ad ottenere questa cattedra, sarà la realizzazione di un sogno che, sol­ tanto fino a pochi anni fa, avremmo considerato un puro miraggio. In tal caso ver­ rebbe a crearsi la singolare situazione per cui due persone, le quali si sono compor­ tate in modo così opposto alla realtà come noi e che per questo motivo sembrava­ no essere predestinate a non avere alcun potere, si vedano invece offrire la possibili­ tà di esercitare un'influenza di una portata quasi incalcolabile. Se cioè occuperemo due cattedre invece che soltanto una, la quantità si trasformerà davvero in qualità; otterremmo effettivamente una posizione di potere 3 3 •

Il direttore dell' Istituto si rivelò lungimirante: Horkheimer e Adorno ri­ portarono effettivamente un successo a lungo termine, sia per quanto ri­ guardava le due cattedre sia per la possibilità di esercitare un'influenza 444

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che, in breve tempo, avrebbe preso forma con il nome di " Scuola di Francoforte " . Naturalmente, nel 1950 era molto difficile prevedere una cosa simi­ le, anzi semb rava probabile tutto il contrario: nei primi tempi Adorno non riuscì a farsi strada all'interno dell'università, quantunque si trovas­ se al terzo posto sulla lista delle future nomine. Invece di ottenere il po­ sto di ordinario, nel 1950 fu nominato professore straordinario, non in ultimo grazie ad un parere positivo inoltrato da Horkheimer. Questa nomina rappresentava il primo passo di una sorta di " risarcimento " del­ l'università di Francoforte nei confronti di chi ne era stato allontanato oltre un decennio prima 34 . Lo stipendio di Adorno veniva pagato diret­ tamente grazie ai fondi dell'università. Per la sua attività di direttore supplente dell'Istituto riceveva un'indennità per le spese che gli veniva corrisposta dalla fondazione della Società per la ricerca sociale. Di gran lunga migliori erano le chance per Horkheimer, che con il semestre invernale 1950-51 tornò ufficialmente ad occupare la sua ex cat­ tedra di Filosofia sociale ossia di Filosofia e Sociologia e, già nell'autun­ no del 1951, fu eletto decano della Facoltà di filosofia. Si trattò effettiva­ mente di una carriera lampo, perché Horkheimer aveva lasciato Pacific Palisades soltanto all'inizio del 1950 per trasferirsi a Francoforte e rico­ prire le sue funzioni di professore. Nonostante le buone prospettive professionali che lo attendevano, egli intraprese quel viaggio con senti­ menti contrastanti - infatti, temeva un nuovo scoppio di antisemitismo e nazionalismo in Germania. Ciononostante, durante il viaggio scriveva a Gretel: «Teddie è contento che ci rivediamo. Anch'io lo sono» 35 • Una volta arrivato a Francoforte, alloggiò dapprima all'Hotel Carlton per poi abitare in un proprio appartamento al numero 79 della Westend­ strage; esattamente come aveva fatto Gretel, la moglie Maidon lo aveva raggiunto in un secondo tempo, non in ultimo incoraggiata dai reso­ conti epistolari del marito: «Nonostante tutto, la vita in Germania è di stampo europeo. Anche se le città distrutte possono dare a volte un' im­ pressione spettrale, mi riesce difficile sottrarmi al fascino di un' atmosfe­ ra, certamente orrenda dal punto di vista politico, ma pur sempre estre­ mamente attraente dal punto di vista culturale. Tutto ciò che ha a che fare con qualcosa di piacevole, l'arte, la letteratura, il teatro, la filosofia, la lingua e il paesaggio, il rapporto con le persone, il mangiare e il bere, 6 possiede un livello che si impone all'attenzione» 3 . Dopo l'accettazione della cattedra e con l'inizio delle sue attività di decano, nel novembre del 1951 Horkheimer si trasferì nella sede appena 445

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ricostruita dell'Istituto per la ricerca sociale, al numero 26 della Sen­ ckenberganlage. Grazie agli ingenti sussidi finanziari forniti dall'Alto commissario americano John McCloy, dalla città di Francoforte e da al­ cuni sponsor privati, in brevissimo tempo fu possibile costruire un nuo­ vo edificio moderno e progettato in grande stile. Al suo interno, accanto ad Adorno, lavoravano anche Pollock e una serie di collaboratori scien­ tifici attivi nel campo della ricerca sociale empirica (come per esempio Ludwig von Friedeburg, Volker von Hagen, Karl Sardemann, Dieter Osmer) , i quali proseguirono il lavoro già cominciato nel 1950. L'Istitu­ to per la ricerca sociale fu la prima istituzione universitaria, nella Ger­ mania del dopoguerra, in cui era possibile intraprendere un corso di studi di sociologia. N el discorso ufficiale in occasione della riapertura dell'Istituto, che Horkheimer tenne dopo che venne eseguito il primo tempo del Quartetto in fa minore op. 10 di Schonberg, il direttore mise un particolare accento sull'interdisciplinarietà sottolineando, come obiettivo specifico dell'Istituto, la necessità di collegare la sociologia te­ desca, orientata in senso teorico-sociale, ai metodi empirici delle scienze sociali sviluppati negli Stati Un iti d'America. Horkheimer, inoltre, pro­ nunciò parole nette contro lo spirito di restaurazione dominante in quel periodo affermando, in piena assonanza con Adorno, «che in tutte le problematiche, e nella stessa attitudine sociologica in sé, si nasconde un'intenzione che trascende le condizioni presenti della società. [ . . . ] Nutrire un atteggiamento in qualche modo critico nei confronti di ciò che esiste fa parte, per così dire, del lavoro del teorico sociale ed è pro­ prio questa componente critica a rendere il sociologo impopolare. Edu­ care gli studenti [ . . . ] a sopportare questa tensione nei confronti della realtà esistente [ . . . ] costituisce forse l'obiettivo più importante e finale della formazione del sociologo, così come noi la concepiamo» 37 • Il pun­ to programmatico più significativo di quel discorso (pronunciato alla presenza del rettore Boris Rajewsky, del sindaco Walter Kolb, del mini­ stro della Pubblica Istruzione e per l'Educazione popolare della regione Assia Ludwig Metzger così come del direttore dell'Ufficio per gli affari pubblici dell'Alto commissariato degli Stati Uniti Shepard Stone e altre autorità) consisteva nell'idea formulata già nel discorso inaugurale del 1931 , l' idea di realizzare una sintesi tra teoria della società e ricerca socia­ le: un concetto di ricerca orientato in senso interpretativo che fosse ade­ guato a cogl iere le dimensioni profonde nelle relazioni struttural i della realtà sociale.

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L'elaborazione metodologica di questo concetto e la sua traduzione nella prassi della ricerca facevano parte dei punti centrali del lavoro di Adorno, il quale pensava di riprendere innanzitutto le esperienze prati­ che accumulate durante l'analisi della Authoritarian Personality per poi svilupparle ulteriormente.

Collaborare con la Germania del dopoguerra ? Il sé vive unicamente nella rinuncia

38 •

Nell'autunno del 1951 Adornò si recò negli Stati Uniti per una breve vi­ sita di sei settimane che si svolse «in grande fretta» . Dopo uno scalo a New York, si recò a Los Angeles, per partecipare all'inaugurazione della Hacker Psychiatric Foundation a Beverly Hills. Lo psichiatra e psicoa­ nalista Frederick Hacker, con il quale l'Istituto intratteneva una colla­ borazione scientifica, aveva intenzione di trasformare la propria clinica psichiatrica in un istituto di ricerca e di formazione 39 . In tal senso Hac­ ker, che aveva reso visita personalmente ad Adorno a Francoforte nel maggio del 1951, gli offrì di ricoprire la posizione di direttore di ricerca, ma Adorno era molto scettico nei confronti di quest'offerta, non in ulti­ mo per la ragione che, dal novembre del 1951, Horkheimer era diventato rettore dell'università e quindi la sua collaborazione con la Hacker Foundation poteva dirsi praticamente terminata. Ancora una volta Adorno dovette fare le veci del direttore dell' Istituto e accollarsi le fati­ che di quel viaggio. A New York, dove aveva fatto tappa prima di proseguire per Los Angeles, si concesse ovviamente il tempo non soltanto per fare visita a Leo Lowenthal e Herbert Marcuse, ma anche per andare a trovare sua madre, una donna ormai molto avanti con gli anni in cui egli «a stento riconobbe la persona di un tempo» . In merito alle impressioni ricevute da quest'incontro (che sarebbe stato l'ultimo), Adorno scriveva a Tho­ mas Mann di essere diventato dolorosamente cosciente del carattere «definitivo» comportato dall'età così avanzata della madre: «nei con­ fronti delle persone che si amano si tende a considerare come una fase meramente provvisoria finanche il decadimento che ha luogo con l'età e, alla fine, c'è soltanto da sperare che si abbia ragione nel comportarsi cosÌ» 40 • Ovviamente, Adorno era del tutto consapevole che questa spe­ ranza non aveva ragione di essere. 447

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Sulla via del ritorno si fermò per alcuni giorni a Parigi, dove si in­ contrò con il famoso mercante d'arte nonché filosofo dell'arte Daniel­ Henry Kahnweiler, oltre che con lo scrittore ed etnologo M ichel Leiris e con il direttore d'orchestra, compositore e musicologo René Leibowitz. Non appena Adorno fu tornato in Germania, nel dicembre del 1951 ebbe luogo a Weinheim nella BergstraBe un congresso sull'indagine de­ moscopica; qui Adorno si mise in luce grazie a una conferenza introdur­ riva intitolata Sulla posizione presente della ricerca sociale empirica in Ger­ mania. In questa prima ricognizione dedicata a una ricerca sociale criti­ camente orientata Adorno prese chiaramente le distanze dalla tradizione tedesca delle scienze dello spirito. N ella sua conferenza dichiarava pro­ grammaticamente: La sociologia non è una scienza dello spirito. I problemi di cui deve occuparsi non sono essenzialmente e primariamente né quelli della coscienza, né perfino dell'in­ conscio umano, dei quali si compone la società. Questi problemi si riferiscono an­ zitutto al conflitto tra l'uomo e la natura e alle forme obiettive della socializzazio­ ne, le quali non si possono in alcun modo ricondurre allo spirito nel senso di con­ dizione umana interiore. La ricerca sociale empirica in Germania deve mettere in luce con rigore e senza mistificazioni l'oggettività di ciò che accade socialmente, un'oggettività che continua ad essere sottratta non solo ai singoli individui, ma an­ che alla coscienza collettiva

41 •

Adorno presentava così la ricerca sociale come correttivo nei confronti dell'oscurantismo introdotto nella sociologia dalle scienze dello spirito. In tal modo perseguiva in primo luogo l'obiettivo di riportare la socio­ logia tedesca del dopoguerra, minata dal provincial ismo, al livello in­ ternazionale della disciplina, nei confronti del quale aveva perso il pas­ so a causa dell'isolamento conseguente agli anni del regime nazista. Spiegò che i metodi esatti della rilevazione dei dati e dell'analisi stati­ stica non avevano soltanto utili ripercussioni sulla tendenza democrati­ ca della giovane Repubblica federale, ma possedevano un'estrema utili­ tà pratica per un paese distrutto dalla guerra. Tramite questo tipo di indagi ni si potevano raccogliere informazioni necessarie alla ricostru­ zione, per esempio i dati sulla quantità di alloggi necessari o sulla con­ dizione sociale dei profughi. Il compito della ricerca sociale consisteva nel «portare alla coscienza la durezza di ciò che è)) per poter confutare le affermazio ni dogmatiche sulle realtà sociali. Adorno illustrò il modo in cui immaginava di poter tradurre concretamente nella prassi di ri-

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cerca quel compito, portando ad esempio le affermazioni allora invalse secondo cui i contadini tendevano per natura all'amore della patria e al tradizionalismo: Pretenderemo dunque prove convincenti a sostegno della verità di tali affermazio­ ni. Manderemo nelle campagne degli intervistatori noti ai contadini, esortandoli ad interrogare ulteriormente gli intervistati allorché questi dicano loro di restare nei loro casolari per amore della patria e fedeltà ai costumi dei loro padri. Confron­ teremo poi il conservatorismo rilevato con i dati economici, per appurare se le in­ novazioni tecniche nelle aziende agricole al di sotto di una certa grandezza in realtà non siano redditizie e non causino piuttosto costi talmente alti, per gli investimen­ ti necessari, da rendere irrazionale la razionalizzazione tecnologica di una tale azienda. Ci cureremo quindi di esaminare se la permanenza sulle terre di loro pro­ prietà, anche se la terra rende poco in base ai principi della contabilità commercia­ le, per i contadini sottoposti all'indagine non si giustifichi invece per il fatto che, grazie alla manodopera a buon prezzo fornita dai propri famigliari, essi riescano a realizzare un'entrata reale più elevata di quanto non sarebbe loro possibile lavoran­ do in città

42 •

Se da una parte Adorno spezzava chiaramente una lancia a favore dei metodi della ricerca empirica, dall'altra sottolineava che la loro era una semplice funzione complementare all'interno della sociologia, che non poteva limitarsi alla semplice raccolta dei dati, ma doveva sfociare nella formazione di una teoria. Durante una conferenza tenuta nel marzo del 1952 presso l'Istituto per la ricerca sociale sui problemi di metodo, Adorno si dichiarava a favore di ricerche sociologiche che avessero il compito di indagare tanto la genesi di una falsa coscienza nella mente delle persone quanto di mettere in conto le proprie stesse condizioni so­ cio-strutturali. La teoria della società promossa da Adorno aveva lo scopo di fare chiarezza sui propri oggetti in modo critico. Questo includeva per lui anche una critica metodologica nei confronti della tendenza alla quanti­ ficazione dei fenomeni sociali all'interno della sociologia. Questa ten­ denza, infatti, diceva qualcosa in merito alla società presente: metteva in luce la «standardizzazione delle persone)) all'interno della civiltà tecno­ logica. In tal senso, nella sua conferenza Adorno difendeva una certa concezione della ricerca sociale contro i suoi stessi estimatori, definen­ done chiaramente la portata e i limiti 43 . 449

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Intraprese così la sua missione in quanto rappresentante dei progetti di ricerca dell'Istituto francofortese; con relativa rapidità, si stabilirono anche dei legami con quelli che erano allora i due antipodi della sociolo­ gia tedesca del dopoguerra, soprattutto con René Konig (1 906-1 992), ma anche con Helmut Schelsky (1912-1984) . Le relazioni con Kon ig, che insegnava a Colonia dopo il suo ritorno dall'emigrazione in Svizzera durante il periodo nazista, presero forma in modo amichevole protraen­ dosi fino agl i anni sessanta. Al contrario, i rapporti con Schelsky, che si era iscritto volontariamente al partito nazista svolgendo funzioni di consigliere politico, restarono alquanto freddi e comunque tesi, nono­ stante un distaccato rispetto. All'inizio degli anni cinquanta, Adorno coltivava ancora l'intenzio­ ne se non di coordinare la ricerca sociologica tra gli allora tre centri principali della Germania occidentale, Francoforte, Colonia e Ambur­ go, quantomeno di poter giungere a un accordo sulle questioni della fu­ tura formazione un iversitaria nella disciplina. Per questo teneva costan­ temente contatti con René Konig allo scopo di pubblicare congiunta­ mente un trattato o manuale sui metodi della ricerca sociale empirica, nonostante le reciproche differenze di orientamento teorico 44 • L'Istitu­ to per la ricerca sociale contribuì al progetto approntando un glossario dei termini sociologici americani e tedeschi. Adorno sperava di convin­ cere Konig a unirsi alla propria concezione di una ricerca sociale critica­ mente orientata che potesse diventare qualcosa di più che administrative research ossia ricerca di mercato. Le radici dello stesso Konig affondava­ no nella tradizione teorica che faceva capo a Émile Durkheim; politica­ mente si era distinto per il suo atteggiamento intransigente nei confron­ ti di quei nazisti che, al più tardi dopo il 1949 , avevano nuovamente ten­ tato di intraprendere una carriera universitaria 45 . Nei confronti delle tendenze restauratrici e an ti-intellettuali dell'età di Adenauer, Konig aveva una posizione altrettanto critica quanto nei confronti di Horkhei­ mer e Adorno, con i quali però condivideva l'esperienza biografica del­ l' esilio. Proprio questo fu uno dei retroscena che indussero Konig a prendere in considerazione la possibilità di trasferirsi da Colonia a Fran­ coforte, in modo da poter assumere una posizione più fo rte ai fini del consolidamento e della professionalizzazione delle scienze sociologiche. Quest'alleanza tra le scuole di Colonia e Francoforte si sarebbe prodotta a spese dell'influenza allora ingente di Helmut Schelsky e della sua cer­ 6 chia 4 • I presupposti per l'instaurarsi di un reciproco sostegno tra ex esiliati erano piuttosto buoni, tanto che Horkheimer si impegnò perso450

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nalmente per la realizzazione di questo piano che prevedeva la chiamata di Konig a Francoforte. D'altra parte, Konig vedeva positivamente sia il lavoro sulla Authoritarian Personality, sia i nuovi progetti di ricerca allo­ ra avviati dall'Istituto francofortese qual i lo studio sui comuni ed un al­ tro studio sulla coscienza politica dei cittadini tedeschi occidentali. In modo completamente diverso si svilupparono invece le relazioni con Schelsky, che apparteneva al Circolo di Lipsia i cui esponenti prin­ cipal i erano Arnold Gehlen (1 904-1976) e Hans Freyer (1887-1969) , i quali simpatizzavano con il pensiero della " rivoluzione conservatrice " e che Adorno, ancora negli anni cinquanta, annoverava tra i fautori della " controrivoluzione" 47 • A partire dal 1949 Schelsky aveva preso ad inse­ gnare ad Amburgo presso la Akademie fi.i r Gemeinwirtschaft (Accade­ mia di economia collettiva) , tentando di orientare il profilo della na­ scente sociologia del dopoguerra verso la propria concezione della disci­ plina, ossia in quanto scienza interpretativa antimarxista. Nonostante il suo progetto di una sociologia politicamente conservatrice perseguisse manifestamente il fine di contribuire alla stabilizzazione della coscienza sociale nella società tedesco-occidentale senza muovere alcuna critica 8 alle divisioni di classe 4 , Adorno tentò di convi ncere l'ex nazionalsocia­ lista a una collaborazione. Alla pari di Horkheimer, Adorno non aveva alcuna remora a frequentare gli ex sostenitori dei nazisti a livello di riu­ nioni collegiali, ma in parte anche a livello di contatto personale. Du­ rante il periodo trascorso presso l'Istituto per la ricerca sociale, il socio­ lago Heinz Maus aveva ricordato la necessità di muovere una critica a Schelsky e al suo concetto di " Realsoziologie" (sociologia reale) . Ador­ no non volle in alcun modo aderire all'iniziativa, anzì consigliò piutto­ sto di usare prudenza: «Anche se non sempre lo si può evincere dalla grande quantità dei suoi scritti, Schelsky è un uomo molto intelligente. Qualsiasi polemica condotta contro di lui che abbia un mero carattere dogmatico e non ne oltrepassi le posizioni, che cioè non si limiti sempli­ cemente a negare le tendenze da lui messe in risalto, ma le spieghi me­ glio di quanto lui non faccia, sarebbe un boomerang che si ritorcerebbe contro i suoi ideatori» 49 . Gi.inther Anders, che nel 1951 era tornato dal­ l'America per stabilirsi a Vienna, non era il solo a ri mproverare ad Ador­ no una mancanza di istinto politico . L' interessato rispondeva così a quest'accusa in una lettera; il fatto era che si era creata una situazione imbarazzante allorché Anders si era rifiutato di stringere la mano ad Ar­ nold Gehlen, proprio mentre questi si trovava a colloquio con Adorno il quale voleva presentarlo all'amico: «Una volta che si è deciso di tornare 451

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dall'America, come io e Lei abbiamo fatto, mi sembra impossibile assu­ mere facilmente un atteggiamento di assoluta intransigenza privata, fa­ cendo mostra di un orgoglio da regnanti dove sovrani proprio non ne esistono» 5 0 • In una lettera scritta qualche settimana più tardi, Adorno spiegava la sua posizione in modo ancora più chiaro: Evito di avere contatti con le persone che hanno compiuto malvagità; nei confron­ ti di qualcuno come Gehlen, il cui caso è certamente tra i più complicati, non si tratta di questo, ma di una posizione che senza dubbio è nettamente opposta alla mia, esattamente come alla Sua, ma che non arriva a suscitare in me un'assoluta in­ dignazione. [ ... ] Mi è alquanto indifferente a chi io stringa la mano, ammesso che

questa non sporchi la carta su cui scrivo. [ ] Sono troppo abituato a pensare so­ . . .

cialmente per aspettarmi la benché minima cosa dall'azione spontanea, ma isolata del singolo individuo. Per questo preferisco comportarmi bene e, più che sulle strette di mano, fare affidamento su ciò che di stringente, quando ho fortuna, ema­ na dalle cose che scrivo

5l .

Horkheimer e Adorno, parallelamente alle attività crescenti dell'Istituto per la ricerca sociale, avevano intenzione di riportare in vita la " Zeitsch­ rift fiir Sozialforschung" di cui era stata sospesa la pubblicazione nel 1941 e desideravano assicurarsi la collaborazione di una vasta gamma di autori. Dal momento che Schelsky era da annoverarsi tra i sociologi più noti e in assoluto più letti nella Repubblica dell'età di Adenauer grazie alle sue formule popolari quali " generazione scettica", " la società livella­ ta del ceto medio " , "civiltà tecnico-scientifica", Adorno lo invitò a con­ tribuire come autore alla ripresa della rivista: «Le posso assicurare di ave­ re grande considerazione per il Suo lavoro» 52 • Se da una parte invitò a collaborare un sociologo politicamente orientato a destra come Schel­ sky, dall'altra pregò anche un sociologo di sinistra quale Wolfgang Abendroth a partecipare alla rivista: «Credo che la nostra rivista fornirà il terreno concreto sul quale sarà possibile sviluppare nel modo più frut­ tuoso le nostre relazioni scientifiche» 53 • Poiché il progetto di ridare vita alla rivista dovette essere accantona­ to e la differenza tra le concezioni della sociologia in gioco non poteva certo essere ignorata, i contatti tra Adorno e Schelsky si limitarono es­ senzialmente ai legami dell'Istituto con il Dipartimento di ricerca socia­ le dell'università di Miinster che aveva sede a Dortmund. Fin dal suo periodo di insegnamento ad Amburgo, Schelsky era personalmente as­ sociato al D ipartimento di ricerca sociale, allora un istituto di tendenze 452

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conservatrici a giudicare dal personale che vi operava, e all'interno del quale, sotto la direzione di Otto N euloh, veniva praticata una ricerca sociale applicata direttamente ispirata alla " Realsoziologie" . L'Istituto per la ricerca sociale di Francoforte era interessato a raggiungere un ac­ cordo, soprattutto nel campo della sociologia industriale e aziendale, con il Dipartimento di ricerca di Dortmund 54 con il quale erano in contatto anche i sindacati tedeschi. Durante gli anni nei qual i Horkheimer era vincolato dalle sue in­ combenze amministrative che doveva svolgere prima nella sua qualità di decano della Facoltà di filosofia e poi come rettore dell'Università di Francoforte, Adorno si ritrovò incaricato in misura particolare di rap­ presentare all'esterno l' Istituto per la ricerca sociale e di coordinare al­ l'interno i progetti di ricerca in corso. Nelle lettere scritte alla madre si lamentava del peso crescente che di mese in mese comportava per lui il lavoro dell' Istituto; per mancanza di tempo era perfino costretto ad in­ ventare di sana pianta le sue lezioni, sebbene rivestissero una grande im­ portanza ai suoi occhi. Una tale molteplicità di impegni comportava che alla sera tornasse «a casa come un impiegato estenuato dal lavoro d' ufficio)). Si sentiva tal mente stanco che non gl i rimaneva quasi tempo da dedicare ad altro 55 . Tuttavia, il tempo per dedicarsi ad altro, fece in modo di trovarlo. Non c'era bisogno di convincerlo a prendere parte alla vita culturale. Già nel mese di gennaio, su invito del critico musicale Wolfgang S tei­ necke, aveva tenuto presso la Società della musica di Kranichstein la conferenza inaugurale ad un concerto del Quartetto d'archi di Amster­ dam e, poco dopo, ne tenne un'altra in occasione della rappresentazione a Francoforte dell'opera Orest di Ernst Krenek. Non mancò inoltre di partecipare, nell'autunno del 1950, a Kranichstein, al quinto Corso esti­ vo internazionale per la Nuova musica, organizzato sempre sotto la di­ 6 rezione di Steinecke 5 • In quell'occasione venne rappresentata per la prima volta in Germania A Survivor from Warsaw (Un superstite di Varsavia) op. 46 di Schonberg. Adorno, che dopo molti anni si rincon­ trò a Kranichstein con Ernst Krenek e Willi Reich, ma anche con Steuermann e Kolisch e fece conoscenza di Edgar Varèse, condusse un ciclo di cinque seminari con il titolo Criteri della nuova musica 57 . Ador­ no intervenne anche ai colloqui di Darmstadt del luglio 1950 che aveva­ no come tema L 'i mmagine dell'u omo nel nostro tempo, durante i quali si discusse diffusamente sul volume di Hans Sedlmayr Verlust der Mitte 8 (Perdita del centro, 1948 ) 5 • In quest'occasione Adorno sostenne la tesi 453

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che l'arte moderna doveva professare la radicale negatività come valore positivo possibile. La funzione di opposizione esercitata dall' avanguar­ dia, infatti, era semplicemente inconciliabile con l'esigenza di armonia nell'opera d'arte. A queste attività venne ad aggiungersi il crescente impegno di Ador­ no all'interno della nuova casa editrice che Peter Suhrkamp aveva fon­ dato nel 1950 59 . Tra lui e l'editore, come del resto con il lettore Frie­ drich Podszus, esistevano già dei contatti epistolari, ma ora ebbero occa­ sione anche di incontrarsi personalmente. Grazie al successo di pubbli­ co del suo Minima Moralia, col passare del tempo Adorno acquistò una certa influenza su Peter Suhrkamp e Friedrich Podszus, ai quali racco­ mandò calorosamente la prima pubblicazione di Infanzia berlinese in­ torno al 1900 (Berliner Kindheit um neunzehnhundert) di Benjamin così come il piano di un'edizione in due volumi di scritti scelti dello stesso autore; in seguito fece sentire la sua voce anche per i lavori di Siegfried 6 Kracauer e la riedizione dei suoi romanzi 0 • In questo riuscì a sormon­ tare il «malinconico scetticismo» di S uhrkamp, il quale «si prende cura della sua casa editrice come un padre di famiglia avveduto», facendo sì che venissero pubblicati libri apparentemente invendibili, come per esempio Strada a senso unico (Einbahnstraje) di Benjamin (in una nuo­ va edizione) o la voluminosa opera narrativa di Marcel Proust (in una 6 nuova traduzione tedesca) 1 . Soprattutto grazie all'edizione in due vo­ lumi degl i Schriften di Benjamin (1955), curata insieme alla moglie Gre­ tel e a F riedrich Podszus, Adorno creò i presupposti per una ricezione di Benjamin che, di lì a poco, si sarebbe rivelata burrascosa. Già allora Adorno aveva sentimenti contrastanti nei confronti di quell'operazione. Alla luce delle prime reazioni alla pubblicazione di Infanzia berlinese, venne colto da un manifesto disagio che espresse in una lettera a Scho­ lem nel marzo del 1951: «Il pensiero che adesso gli [Ernst] J iinger e i [Max] Bense non soltanto rappresentino i lettori di Benjamin, ma che cercheranno perfino di monopolizzarlo mi è tanto fatale, quanto a Lei. Ma, d'altra parte, non sarebbe possibile impedire la pubblicazione tede­ 6 sca soltanto per risparmiarla da questo destino» 2 • Come autore, Adorno aveva avuto successo con le sue Meditazioni della vita offesa, nonostante il tono e i contenuti critici delle sue minia­ ture dedicate alla diagnosi dell'epoca in cui viveva (che alludevano alla tradizione della filosofia della vita dell'antichità, ai moralisti francesi come La Rochefoucault, agli Aforismi sulla saggezza della vita di Scho­ penhauer e in defi nitiva alle sentenze nietzschiane di Umano, troppo 454

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umano) non si accordassero minimamente allo spirito del tempo. Il suc­ cesso dipendeva anche dal fatto che l'editore Suhrkamp si era fortemen­ te impegnato a promuovere il nuovo volume sui mezzi di informazione, presso i potenziali recensori e le librerie, pubbl icandolo con una prima 6 tiratura in tremila esemplari 3 . Tanto le redazioni dei giornali quanto coloro che si ritenevano essere i principali formatori dell'opinione pub­ blica in campo culturale (come per esempio Gadamer, Guardini, Hei­ degger, Jaspers) avevano ricevuto delle copie da recensire accompagnate da una lettera dell'editore che li informava del fatto che il nuovo libro di 6 Adorno aveva lo scopo di «suscitare un dibattito» 4 • Entro sei mesi il nuovo volume aveva ricevuto ben sessanta presentazioni sui mezzi d'in­ formazione tedeschi. Normalmente si presume che Adorno, in quanto autore della Filosofia della musica moderna e della Dialettica dell'illumi­ nismo, fosse una personalità già nota e molto apprezzata in Germania. Ma in realtà non era ancora così. I modelli interpretativi che ritornavano nelle recensioni dei Minima Moralia si riferivano a cinque aspetti. Per descrivere l'esperienza all'origine della scrittura del libro, si rimandava alla situazione dell'esilio vissuta dall'autore; per illustrare le diagnosi sul proprio tempo, si parlò della categoria marxiana dell'alienazione; la pro­ spettiva cognitiva fondamentale dell'autore fu defi nita ad un tempo smascheramento e chiarimento. Oltre a ciò si trattò il tema della visione pessimistica del presente offerta dal libro. Più volte venne sollevata la se­ guente domanda: in base a qual i criteri si potrebbero organizzare i rap­ porti sociali in modo da evitare la catastrofe storica, la liquidazione del­ l'individuo ? Di conseguenza, in una recensione del libro redatta dal fi­ losofo Hermann Krings, si leggeva: « Per quanto possa suonare parados­ sale nei confronti di un libro così attentamente costruito e scritto con un linguaggio di funzionale esattezza, si tratta in un certo senso di un'o­ pera romantica: infatti, solleva una rivendicazione di assoluto, ma al 6 tempo stesso non riesce ad uscire dalla dialettica» 5 . Il valore di con­ temporaneità del volume di Adorno fu colto in modo del tutto corretto. Quel valore consisteva nel fatto che, tramite la posizione assunta dal­ l' autore, grazie al suo modo intransigente di pensare e alle forme disso­ nanti del suo discorso, era stato creato un nuovo tipo di intellettualità: 66 la «costruzione di un intellettuale critico d'opposizione» . Forse Thomas Mann apprezzò quegli aforismi scritti tra il 1944 e il 1947 perché il suo autore aveva mostrato il coraggio intellettuale di met­ tere a confronto, proprio in un periodo improntato alla restaurazione, le aspirazioni morali della società borghese liberale con la loro effettiva 455

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realtà ? «Per diversi giorni sono rimasto magneticamente incollato al li­ bro», scriveva Mann ad Adorno nel gennaio del 1952, «ogni giorno, la lettura si fa più affascinante [ . ] , di una sostanza massima concentrata. Si dice che l'astro che accompagna Si rio, di colore bianco, sia costituito di una materia talmente densa che un pollice cubico di essa sulla terra peserebbe una tonnellata. Per questo possiede un campo gravitazionale 6 di una forza enorme, simile a quello che circonda il Suo libro» 7 • Dal momento che Adorno aveva concepito i suoi aforismi non soltanto come modelli di una prassi di pensiero dialettico, ma gli stava a cuore anche la prosa particolare nella quale erano scritti, il giudizio positivo dei letterati deve averlo ancora più lusingato della grande approvazione espressa per il libro da Siegfried Kracauer: . .

Davvero, Teddie, nella lettura sono rimasto assolutamente affascinato dalla tua ca­ pacità di pervadere con il pensiero il materiale dell'esistenza e ciò che mi ha mag­ giormente impressionato e spesso convinto è stato questo : non appena un'inter­ pretazione mi appariva unilaterale o per qualche altro motivo non mi soddisfaceva, ecco che seguiva subito un passo che rivedeva o integrava quella prima affermazio­ ne in modo che alla fine il tutto risultava vero, come se quel fenomeno fosse intera­ mente inglobato nel processo dialettico. Alcune obiezioni da me sollevate durante la lettura, le avevi risolte tu stesso nel completamento del pensiero

68

.

Naturalmente Kracauer aveva da obiettare sul fatto che Adorno lasciasse il lettore all'oscuro in merito a quali «criteri di valutazione del " mero ente"» fossero seguiti dall'autore nelle sue riflessioni; in realtà si trattava di una via ex negativo, priva di un punto di vista fisso, come si poteva leggere in un passo dei Minima Moralia alla sezione intitolata Per la mo­

rale del pensiero: Al pensatore odierno si richiede niente di meno che questo: essere nello stesso mo­ mento nelle cose e al di fuori delle cose; e il gesto del barone di Mi.inchhausen, che si solleva dallo stagno afferrandosi per il codino, diventa lo schema di ogni cono­ scenza che vuol essere qualcosa di più che constatazione o progetto. E poi vengono i filosofi di professione a rimproverarci di non avere un solido e stabile punto di vista

69 .

Di conseguenza, Adorno non finse di conoscere l'unica e ultima melo­ dia con la quale si potrebbero condurre «a danzare i rapporti sociali» . L'unico punto fermo era che, alla luce dell'entità della lacerazione su bi-

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ta dalla totalità della morale e del cinismo acquistato dalla coscienza borghese, le massime dei " magna moralia" conformate in base al codice etico del corpus aristotelicum avevano perso la loro credibilità. Quando il «tutto è il falso» 70 , la sostanza della morale è necessariamente costretta a trasformarsi in una grandezza relativa talmente piccola da scomparire. Al tempo stesso il filosofo morale deve diventare un critico sociale, i cui interventi paradossali mettano in luce in modo scioccante le condizioni di possibilità di un dovere morale vincolante. Analogamente, la questio­ ne di come fosse possibile condurre «una vita retta nella falsa» 71 non rappresentava affatto per Adorno una domanda retorica, ma una que­ stione strettamente sociologica al cui centro stavano i presupposti socia­ li di una vita responsabile. Adorno considerava i suoi aforismi come analisi modello condotte da un analista impegnato ad osservare con acribia il presente: come ana­ lisi micrologiche di singoli casi capaci di rivelare lo strapotere delle strutture sociali, di smascherare la facciata delle relazioni umane e la prassi della vita quotidiana. Il contenuto conoscitivo doveva scaturire dalla forma contraddittoria dell'argomentazione. La modalità aforistica della riflessione non si atteneva alla defi nizione della verità come adae­ quatio, né Adorno accettava il principio di non contraddizione. Piutto­ sto, per il suo pensiero era essenziale «un momento di esagerazione», consistente in un «trapassare al di là delle cose, un liberarsi dalla gravità del puro fatto, mercé il quale, anziché la pura riproduzione, opera - in rigore e libertà ad un tempo - la determinazione dell'essere» 72 . Attra­ verso la formazione di contraddizioni, Adorno intendeva trasformare reciprocamente gli estremi delle posizioni unilaterali in questione: «La dialettica [ . ] trascorre piuttosto da un estremo all'altro e [ . ] conduce il pensiero - attraverso l'estrema coerenza - fino al suo capovolgimen­ to» 73 • Proprio grazie a questo processo consistente nell' illuminare en­ trambi i lati della medagl ia non soltanto in relazione a un solo oggetto, ma a tutti gli argomenti in gioco, dalla lettura si originava un'eccedenza di significato quasi provocatoria, alla quale il lettore era costretto a rea­ gire con un'ulteriore riflessione. Come aveva affermato con approvazio­ ne Kracauer nella sua lettera entusiastica, Adorno rimetteva immediata­ mente in questione il pensiero germinato nel lettore grazie alla sua pri­ ma interpretazione. Infatti, come si legge nella terza parte degli afori­ smi, nella sezione intitolata Monogrammi: «Veri sono solo i pensieri che non comprendono se stessi» 74 . . .

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I Minima Moralia, proprio sotto l'aspetto epistemologico, possiedo­ no il livello di un'opera fondamentale, come osservava J i.irgen Haber­ mas nel 1963 in un articolo scritto in occasione del sessantesimo com­ pleanno di Adorno sulla " Frankfurter Allgemei ne Zeitung" 75 • In effet­ ti, la critica sociale di Adorno prese una forma concreta proprio in quel­ le miniature scaturite da singole meditazioni. In quel caso l'aveva prati­ cata con i mezzi della critica del linguaggio: La frase fatta: " non entra nemmeno in considerazione, [kommt i.iberhaupt gar nicht in Frage] che deve avere fatto la sua apparizione nella Berlino degli anni venti, è già embrionalmente la conquista del potere. Poiché essa pretende che la volontà privata, basandosi, a volte, su diritti effettivi di disposizione, ma per lo più solo sulla faccia tosta, rappresenti immediatamente la necessità oggettiva che non ammette obiezioni. In fondo è il rifiuto del contraente fallito di pagare all'al­ tro anche un solo centesimo, nella fiera consapevolezza che tanto, da lui, non c'è più nulla da prendere. Il trucco dell'avvocato imbroglione si presenta, in tono ar­ rogante, come inflessibilità eroica: formula linguistica della prevaricazione e del­ l'usurpazione. Questo bluff definisce, in pari modo, il successo e la catastrofe del nazionalsocialismo

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La prosa perfezionata era quella dello scrittore. In quanto tale Adorno esprimeva che cosa fossero diventati la cultura e il linguaggio nell' epo­ ca della comunicazione totale. Per questa ragione Thomas Mann era rimasto affascinato dalla qualità letteraria degli aforismi, dalla forma abile e raffinata della loro composizione, da quelle scene costruite in senso figurato su ciò che non è appariscente, sull'isolamento, o per esempio sul destino di Biancaneve, la tristezza del principe ranocchio, la felicità dei due leprotti; scene che per lo più contenevano motivi che l'autore doveva alla sua memoria visiva, alimentata non in ultimo dalle impressioni risalenti alle im magini a colori della raccolta di canzoni il­ lustrata da Ludwig von Zumbusch che aveva accompagnato l'infanzia di Adorno 77 : Fin da quando cominciai a riflettere, mi rese sempre felice la canzone che comincia con le parole " tra il monte e la profonda, profonda valle ,: la storia delle due lepri che, mentre si sollazzano sull'erba, sono abbattute dal cacciatore, e, quando si ren­ dono conto di essere ancora in vita, scappano via. Ma solo più tardi ho compreso il monito contenuto in quella storia: la ragione può resistere solo nella disperazione e nell'eccesso; occorre l'assurdo per non soccombere alla follia oggettiva. Bisogne-

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rebbe fare come le due lepri; quando cala il colpo, cadere follemente come morti, raccogliersi e riprendere coscienza, e, se si è ancora in grado di respirare, scappare a tutta forza. [ . . . ] Egli solo [l'eccentrico] potrebbe capacitarsi dell'apparenza del ma­ le, dell'" irrealtà della disperazione" , e rendersi conto, non solo di vivere ancora, ma dell'esserci ancora vita. L'astuzia delle lepri impotenti riscatta - con le lepri - anche il cacciatore, a cui invola la sua colpa 78 •

Quella raccolta di aforismi e testi brevi, legata in modo talmente carat­ teristico alla riflessione filosofica e alla prosa letteraria, costituiva una forma inconsueta per confrontarsi criticamente con il proprio tempo. Gli elementi autobiografici, le osservazioni sottili, le interpretazione dei fenomeni quotidiani insieme alle meditazioni filosofiche e alle discus­ sioni sulla tradizione andavano mano nella mano in questo testo. Il che contribuisce a spiegare il considerevole successo del libro; a cinquan­ t'anni di distanza dalla prima pubblicazione la tiratura complessiva in lingua tedesca ammonta a oltre 100 .000 copie. A ragione, perché quella critica, priva di "arbitrio sentenzioso ", alla vita offesa costituiva uno dei presupposti affinché Adorno, come scriveva Albrecht Wellmer, potesse «riportare alla luce il carattere autentico di una cultura tedesca contami­ nata da una tradizione reazionaria e renderla accessibile alla coscienza di una generazione del dopoguerra moralmente perturbata e afflitta da un'identità spezzata» 79 . Una volta definito lucidamente e senza mezzi termini l'orrore, Adorno poteva porre la questione delle condizioni di una vita vera: la definiva, infatti, nei termini di una «cifra speculare» del 8 suo opposto, della vita nella falsità 0 : «Forse la vera società proverà di­ sgusto dell'espansione e lascerà liberamente in utilizzate certe possibilità, 8 invece di precipitarsi, sotto un folle assillo, alla conquista delle stelle» 1 • Alla luce di questa speranza utopica acquistavano contorno anche quelle disgrazie quotidiane da cui non si è protetti, come nel caso del gesto av­ ventato di far sbattere la porta o del correre per la strada: «È già lo stra­ mazzare della vittima, prefigurato nel suo tentativo di sfuggire alla cadu­ ta. Il portamento del capo, che vorrebbe restare a galla, è quello di chi 8 affoga, il volto tirato arieggia a una smorfia di dolore» 2 • Il successo editoriale riportato dal libro e la considerazione derivata­ ne per Adorno nella casa editrice di Peter Suhrkamp possono averlo in­ coraggiato ad intervenire pubblicamente in una questione che, a prima vista, poteva apparire irrilevante. L'editore Rowohlt aveva ripubblicato nella sua collana di tascab ili " rororo " (" Rowohlts Rotations Romane") il romanzo di Heinrich M an n Professar Unrat ( Il professor U nrat) im459

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mettendolo sul mercato con il titolo del celebre film che ne era stato tratto, Der blaue Engel (L'angelo azzurro) , in modo da incrementarne le vendite. Nella sua qualità di critico dell'industria culturale, Adorno obiettò pubblicamente a quell'operazione intervenendo sulla "Neue 8 Zeitung" alla fine di gennaio del 1952 3 . Il film, infatti, che privava il romanzo della sua carica di critica al proprio tempo, era per Adorno «uno di quei prodotti abominevolmente ipocriti e oltretutto, a parte le famose gambe [di Marlene Dietrich] , assai noiosi che usano l'intrusione nella vita delle persone soltanto per acchiappare clienti, ma che al tem­ po stesso filtrano accuratamente lo sguardo diretto sul loro oggetto tra­ mite una serie di simulazioni che i responsabili di quei prodotti attribui­ scono agl i spettatori, in modo da poter loro imporre con maggiore effi­ 8 cacia quel modo di vedere» 4 • Adorno chiedeva di restituire all'opera il suo vero titolo. Thomas Mann, il quale espresse ad Adorno la propria approvazione in una lettera, affermava: «Sullo Unrat non sono mai state scritte parole migliori e più calzanti. [ . . . ] Quanto al titolo, io stesso del resto ho scritto a Rowohlt una lettera indignata, alla quale è stato rispo­ 8 sto presentando delle scuse in tono mogio mogio» 5 • Allorché l'editore respinse tutte le colpe e non fu possibile trovare nessuno che fosse per­ sonalmente responsabile del cambio del titolo, Adorno scrisse poche settimane dopo sempre sullo stesso giornale: «Una volta era riservato soltanto ai potenti della terra e agli statisti il privilegio di dire: " non sono stato io a volerlo", quando per esempio ordivano una guerra. Oggi qualsiasi sceneggiatore cinematografico o custode di magazzino si arro­ ga questo diritto e non ha neppure più bisogno di mentire. Ognuno per se stesso è un poveraccio che non può farci niente. L'irresponsabilità 86 non è più un privilegio» • Del tutto tipica della veemenza di Adorno e del suo modo di impe­ gnarsi pubblicamente fu anche la dichiarazione di simpatia che egli espresse per iscritto nei confronti della campagna intrapresa dal diretto­ re dello zoo di Francoforte, Bernhard Grzimek, contro «la stupidità del­ la "caccia grossa" » . Tale genere di appoggio non aveva nulla a che fare con i compiti ufficiali dell' Istituto della ricerca sociale, «ma certamente con gli impulsi più profondi cui obbedisce un tale Istituto, se vuole es­ sere all'altezza dei suoi compiti umani>> . Adorno propose di scrivere un piccolo saggio sulla problematica della caccia grossa, aggiungendo che, al suo ritorno dall'esilio, aveva trovato nei locali del seminario alcune copie della " Deutsche Jagerzeitung" (Giornale tedesco della caccia) , che ora avrebbero potuto essere oggetto di indagine e spiegazione, «anche se

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all'uopo sarebbe disponibile il giornale dei macellai tedeschi» 7 . Il fatto che Adorno fosse entrato in corrispondenza con il direttore dello zoo, una persona popolare grazie alle sue trasmissioni televisive, non era ca­ suale. Fin dall'infanzia amava recarsi in visita allo zoo. E questa passione può spiegare perché egli abbia suggerito a G rzimek di allestire un picco­ lo parco per i vombati: «Mi ricordo di questi animali amichevoli e ton­ deggianti e sarei molto lieto di poterli rivedere. [ . . . ] Mi permetto poi di menzionare l'esistenza [ . . . ] del bab irussa che anch'esso appartiene ai ri­ cordi della mia infanzia. [ . . . ] E infine, che dire degli ippopotami nani 88 che una volta si trovavano nello zoo di Berlino ?» • Ma, in considerazione di tutti quegli impegni accademici e le nu­ merose iniziative nel campo dell'attualità culturale, come era organizza­ ta la vita privata di Adorno e della moglie ? I due coniugi proseguirono la tradizione già intrapresa in America invitando ospiti nella propria casa del Kettenhofweg per semplici conversazioni o riunioni mondane. Monika Plessner ricordava una serata di quel periodo trascorsa a casa degli Adorno, a cui era stata invitata insieme al marito, durante la quale le furono presentati Peter Suhrkamp e la moglie e nella quale era atteso Gershom Scholem come settimo ospite. Gretel Adorno risultò simpati­ ca a Monika Plessner, «benché lasciasse trasparire una certa freddezza. Si comportò in modo distaccato. [ ... ] Evidentemente era troppo fiera per nascondersi dietro una simulazione e troppo intelligente per sfidare le 8 finzioni degli altri>> 9 • L'appartamento degli Adorno «era privo di ambi­ zioni estetiche, ma funzionale. [ . . . ] I mobili, moderni e non particolar­ mente confortevoli, sembravano come disposti in modo provvisorio . Dal quadro generale si distaccava soltanto il pianoforte, il quale, quasi si fosse trovato in un altro territorio, campeggiava al centro di una grande superficie di parquet lucido lustrato con la cera» 90 . Il fatto che eviden­ temente i coniugi Adorno non tenessero molto ad avere un apparta­ mento lussuosamente arredato è confermato da molti visitatori. Nel­ l' appartamento era esposto il famoso quadro Angelus novus di Paul Klee, probabilmente una riproduzione dell'acquerello il cui originale era stato in possesso di Walter Benjamin, che ne aveva dato un'interpretazione nella nona tesi del suo testo Sul concetto di storia 9 1 • Adorno possedeva tra gli altri un quadro di F ritz Wotruba con una dedica dell'artista vien­ nese, un disegno del pittore Bernhard Schultze e anche grafiche di Pa­ blo Picasso e Hans Hartung. Quella sera, in cui Monika Plessner era stata ospite degl i Adorno, il menu della cena prevedeva Tafelspitz, bolli­ to di manzo.

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Come accompagnamento, Adorno servì agli ospiti dei vini del Rheingau che furono degustati da Helmuth Plessner, ma anche da Peter Suhrkamp, mentre la moglie di quest'ultimo ne ingurgitò frettolosa­ mente un bicchiere dopo l'altro. La conversazione fu fortemente domi­ nata dagli uomini, «da quell'uomo alto della Frisia il cui volto dai tratti seri si trovava in ombra, da Helmuth e Adorno i quali si gettavano l'un l'altro le brillanti idee che ven ivano loro in mente come in una partita di ping pong». Allorché si creò una situazione di teso imbarazzo, perché la moglie di Suhrkamp aveva lasciato cadere un bicchiere scoppiando in lacrime, immediatamente Adorno era balzato dalla sedia «per correre con un sol gesto al pianoforte e premere di primo acchito i tasti: nella stanza cominciarono a rimbombare e gemere le note. Che musica ! Un'anarchia di suoni sapientemente organizzata [ . . . ] che, non appena tutto fu tornato in ordine, sfumò in una conclusione da musica ecclesia­ stica» . Ad un'ora più avanzata arrivò Gershom Scholem. «La serata si protrasse ancora a lungo», scriveva Monika Plessner, «io rimasi in silen­ zio ad ascoltare» 9 2 • Dopo il suo ritorno a Francoforte, Adorno si era presto fatto un'am­ pia cerchia di amici e conoscenti, alla quale, oltre a Max e Maidon Horkheimer, appartenevano l'architetto Ferdinand Kramer e la moglie, i due colleghi dell'università Willy Hartner e Helmut Vielb rock, lo stu­ dioso di pedagogia Hellmut Becker, il direttore d'orchestra Georg Solti, il letterato Adolf Frisé, lo scrittore Horst Krliger, la poetessa e scrittrice Marie Luise Kaschnitz. In questo periodo Adorno aveva riallacciato an­ che i contatti con i propri parenti, coltivandoli in maniera misurata. In tal modo Adorno venne a sapere dallo zio Louis Calvelli, il fratello mi­ nore di sua madre, che le condizioni di salute della madre erano peggio­ rate, come a lui stesso non era sfuggito nella sua breve visita a New York dell'ottobre 1951. Da qualche tempo si trovava in ospedale a causa della frattura del femore. Negli ultimi giorni del febbraio 1952, quando era tornato da appena quattro mesi dal viaggio compiuto in tutta fretta in America, Adorno fu raggiunto dalla notizia della morte della madre, de­ ceduta il 23 febbraio. Probabilmente fu J ulie Rautenberg, che aveva ac­ compagnato i genitori di Adorno fin dalla loro partenza dalla Germania e si era presa cura di loro in quanto amica di vecchia data, a inviare il te­ legramma a Franco forte 93 • Adorno restò sconvolto dalla notizia del te­ legramma e ne restò talmente colpito che non gli fu possibile recarsi a New York per assistere ai funerali della madre 94 • Uno dei motivi per il fatto di non avere dato alcuna espressione alla propria costernazione si

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può forse dedurre da un passo della sua opera filosofica fondamentale: «l tentativi di dare espressione alla morte per mezzo del linguaggio sono vani [ . . . ] ; chi sarebbe il soggetto del quale si predica appunto che ora giaccia qui, dinanzi a noi, morto» 95 .

Di nuovo in America: l'analisi dell'astrologia e le ricerche sulla televisione Max, vogliamo tornare a casa!

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Adorno non sapeva davvero dove sbattere la testa; gli impegni dell'inse­ gnamento all'interno dell'università, la gestione quotidiana della dire­ zione dell'Istituto per la ricerca sociale, la realizzazione e la pianificazio­ ne dei progetti di ricerca, quindi la pubbl icazione di libri e saggi, gli in­ terventi alla radio e nelle diverse manifestazioni culturali - tutto ciò avrebbe dovuto attestare chiaramente che la sua permanenza a Franco­ forte era indispensabile. Tuttavia, nonostante le sue molteplici attività, Adorno non riuscì a decidersi a favore di un ritorno defi nitivo in Ger­ mania. Alla metà del 1952 era scaduto il periodo di tempo che gli era consentito trascorrere fuori degli Stati Un i ti senza perdere la cittadinan­ za americana. Inoltre, non poteva respingere fin dall'inizio l'offerta di un posto di direttore di ricerca offertogli dalla Hacker Foundation, sen­ za almeno verificarne concretamente sul posto le prospettive. A quanto pare, Adorno non ritornò affatto in America di sua propria volontà, ma fin dall'inizio prese quella decisione a malincuore e su esplicita indica­ zione di Horkheimer nella sua qualità di direttore dell'Istituto, di cui al­ lora non si poteva affatto prevedere quale sarebbe stata la situazione fi­ nanziaria futura. Oltretutto la posizione accademica di Adorno presso la Facoltà di fi l osofi a rimaneva alquanto incerta. Così, tolse provvisoria­ mente le tende dal Kettenhofweg di Francoforte per andarsi a ristabilire con la moglie per dieci mesi nel loro vecchio appartamento della Yale Street a Santa Monica. Per alcuni giorni fece una tappa a Parigi, presso l'Hotel Régina, Piace des Pyramides. Nonostante il privilegio di questo soggiorno, scrisse una lettera intrisa di tristezza all'allora rettore dell'u­ niversità di Francoforte: «Parto infinitamente a malincuore» 97 • Il suo malumore aumentò quando, pochi giorni più tardi, nei collo­ qui con Frederick Hacker, ricevette le prime informazioni su quali sa­ 8 rebbero stati i compiti e le condizioni del suo futuro lavoro 9 . Adorno

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comprese subito che la sua sarebbe stata una posizione isolata nella rea­ lizzazione dei progetti di ricerca previsti; avrebbe dovuto svolgere ricer­ ca in una forma da «one-man-show», come avrebbe scritto in seguito ri­ cordando quel periodo. A queste condizioni gli fu possib ile avviare e portare a termine soltanto alcuni studi di modesta entità: un'analisi contenutistica degli oroscopi che apparivano sui quotidiani, per esem­ pio, che egli concluse nello spazio di due mesi basandosi su un campio­ ne estratto dalla rubrica di astrologia pubbl icata sul " Los Angeles Ti­ mes " : «Il metodo che adottai fu quello di immedesimarmi nella situa­ zione di un astrologo popolare che debba procurare immediatamente ai suoi lettori una sorta di soddisfazione tramite ciò che scrive. [ . . ] N e ri­ sultò la conclusione che le opinioni conformiste vengono rafforzate dal­ l' astrologia commerciale e standardizzata, come pure che determinate contraddizioni esistenti nella coscienza delle persone a cui si risponde [ . . ] vengono alla luce nella tecnica dell'astrologo» 99 • Tramite lo spoglio quantitativo e l'analisi del " ripetersi" di determinati " trucchi fonda­ mentali", Adornò riuscì a stabilire che l' ideologia degli astrologi assomi­ glia per molti versi a quella dei demagoghi e degli agitatori politici 100 • Il secondo progetto, posto sotto la sua responsabilità a Beverly Hills, riguardava invece un'indagine sociologica sui mezzi di comunicazione: Adorno fu uno dei primi ad analizzare la portata dell'influenza di un nuovo mezzo come la televisione «nel sistema dell'industria culturale» . Anche qui Adorno svolse un 'analisi contenutistica: sottopose ad indagi­ ne 34 sceneggiati televisivi brevi, un genere allora frequente ed estrema­ mente popolare, esaminando le sceneggiature sulla base delle quali veni­ vano costruiti: «Perfino un'elaborazione modesta dell'azione e dei per­ sonaggi [ . . . ] viene troncata; tutto deve essere stabilito fin dall'inizio; le presunte necessità tecnologiche, che dipendono a loro volta dal sistema commerciale, tornano a profitto degli stereotipi e della rigidità ideologi­ ca» 101 • Lo studio sulla televisione condotto da Adorno andava al di là della semplice analisi di un genere televisivo perché, insieme alle forme rappresentative del mezzo, sottoponeva ad esame anche gli effetti cultu­ rali della televisione, elaborando cioè una teoria dei media che si basava su osservazioni sistematiche. Così giunse a formarsi la concezione che gli allestimenti mediatici non venivano presi effettivamente sul serio da­ gli spettatori televisivi : «Gli omini e le donnine che entrano nelle nostre case diventano un giocattolo della propria percezione inconscia. Alcune di queste figure possono procurare piacere allo spettato re: egli le perce­ pisce come una proprietà a sua disposizione e si sente superiore a .

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esse» 102 • Adorno studiò a fondo la questione del ruolo svolto dai mezzi di comunicazione di massa all'interno della psiche individuale delle per­ sone. Giunse alla conclusione che i contenuti della televisione esercita­ vano la funzione di una sorta di regolatore dei desideri e dei bisogni de­ gli spettatori. Per questo veniva prodotto un numero crescente di im­ magin i televisive e trame sceniche mirate in modo indiretto alle dimen­ sioni dell'esperienza psichica e alle pulsioni insoddisfatte dei fruitori. Adorno constatava che il «lavoro di Sisifo dell'economia delle pulsi o n i individuali [ . . . ] oggi " socializzate "» era stato «rilevato dalle istituzion i dell'industria culturale sottoponendolo alla loro regia» . Portando avanti tale concezione arrivò a formulare la tesi per cui i telespettatori volevano essere illusi dalla bella apparenza della cultura popolare, benché ne aves­ sero ben compreso l'inganno. Essi «approvano, in una sorta di autodi­ sprezzo, ciò che viene loro propinato» 10 3 • Per un altro verso, Adorno ve­ deva ch iaramente che gli spettatori delle trasmissioni televisive erano perfettamente capaci di distinguere tra le loro esperienze reali nelle si­ tuazioni concrete della vita e le messe in scena mediatiche. In tal senso, gli «interessi reali dei singoli individui» sono «ancora sufficientemente forti da resistere, nei dovuti limiti, alla penetrazione totale» 10 4 • In seguito, Adorno avrebbe approfondito la pluralità delle singole osservazioni da lui condotte sugli effetti della cultura popolare america­ na e sulla trasformazione degli interessi intellettuali, redigendo la sua Theorie der Halbbildung (Teoria della semicultura) , il testo di una con­ ferenza che tenne per la prima volta al Congresso dei sociologi tedeschi nel maggio del 1959 a Berlino e poco dopo pubblicato sulla rivista " Der Monat " 10 5 . La diffusione frammentaria del sapere da parte dei mezzi di comunicazione di massa porta al fenomeno della semicultura. Di questo fenomeno fa parte quell'atteggiamento dell'essere al corrente, dell'essere informati che le persone assumono per apparire colte. Se l'elemento del prestigio, del partecipare a un certo mondo si rivelano determinanti nel consumo culturale, tale non è invece un confronto autentico e vivace con i contenuti della cultura. La semicultura reca «la fisionomia della lo­ wer middle class. La cultura non è semplicemente scomparsa da essa, ma vi si trascina stentatamente, anche a causa degli interessi di coloro 6 che non partecipano del privilegio culturale>> 10 • Adorno esprimeva effi­ cacemente nella seguente formulazione quel crollo specifico della cultu­ ra di cui constatava la tendenza a livello mondiale: «chi sa ancora che cos'è una poesia troverà difficilmente un posto ben remunerato di pa­ roliere» 107 •

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Proprio questo saggio sulla semicultura, in cui Adorno elaborava anche le proprie esperienze di autore compiute durante i mesi in cui era tornato ad occuparsi di alcuni settori della cultura americana, portava a espressione il malessere che egli provava nei confronti del modo di vive­ re negli Stati Uniti: In America, il paese borghese più progredito, di cui gli altri tengono stentatamente il passo, risalta con tutta evidenza come l'assenza di immagini nell'esistenza sia la condizione sociale di un'universale semicultura. Il serbatoio di immagini proprio della religione, che infondeva nell'esistente tonalità che trascendevano l'esistente, si è estinto, le immagini razionali del feudalesimo, concresciute con quelle religio­ se, non ci sono più. Ciò che è sopravvissuto di un folklore arcaico (e che non sia già a sua volta un prodotto sintetico e artifi c iale) è impotente contro questo stato di cose. Ma la stessa esistenza, una volta messa in libertà, non ha perciò acquistato un senso; disincantata è rimasta prosaica anche in senso negativo; la vita modellata se­ condo il principio dell'equivalenza fin nelle sue ultime ramificazioni si esaurisce nella riproduzione di se stessa, nella ripetizione del meccanismo

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La vecchia cerchia di amici e conoscenti a Santa Monica si era palese­ mente dissolta nel 1952 e 195 3 . Fino all'ultimo, Adorno aveva sperato di trovare nella sua casa almeno Thomas Mann, con il quale era rimasto in contatto epistolare, ma rimase deluso. Infatti, già dal 1949, dopo che il suo candidato preferito alla presidenza, Henry Wallace, del Partito pro­ gressista, era stato superato dal vicepresidente democratico Harry S . Truman e l a "politica della forza " del nuovo presidente aveva prosegui­ to anche a livello interno la campagna contro gli intellettuali e i presunti comunisti, Thomas Mann aveva cominciato a coltivare l'idea di lasciare gli Stati Uniti per tornare in Europa. Comunicò questa sua intenzione ad Adorno in una lettera del gennaio 1952 in cui aveva parlato dapprima di una visita in Europa più prolungata rispetto alle precedenti 109 . Da questo viaggio in Europa, dopo che negli Stati Un i ti lo si era denuncia­ to come «fellow traveller [simpatizzante] di Mosca», Mann non sarebbe più tornato a Pacific Palisades. Per il momento la famiglia si stabilì in una casa presa in affito a Erlenbach, vicino a Zurigo. Nel racconto Der Erwiihlte (L'eletto), che Thomas Mann portò a termine durante questo periodo e che Adorno aveva letto gustandolo «come un dolce», il famoso romanziere scrisse una frase che, a quei tem­ pi, avrebbe potuto benissimo essere pronunciata dal suo amico filosofo:

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«Innata è in noi tutti la nostalgia del passato e, specie se fu triste, il desi­ derio di rinnovarlo sotto segni più propizi» 110 • Adorno non lasciò dubbi sul fatto di considerare questo secondo soggiorno in America come una fase di transizione e si comportò di conseguenza; infatti, come affermò egl i stesso, voleva « tornare là dove c'era la mia infanzia» 111 • Il desiderio di tornare in Germania caratterizzò l'intera corrispondenza di questo periodo con Horkheimer, al quale Adorno non si limitava semplicemente a riferire del suo lavoro presso la Hacker Foundation. Già nella lettera del 12 novembre 1952 descriveva i problemi collegati alla decisione di Horkheimer di rimanere a Franco­ forte per assolvere al suo rettorato: «L'intera situazione è ripugnante come Lei aveva previsto, senza che io lo potessi negare del resto; sono partito soltanto per cause di forza maggiore e per non trascurare alcuna eventualità». La lettera culminava in un appello a concentrare in futuro i propri sforzi su Francoforte: «il pericolo di andare a finire male qui, sotto ogni aspetto, è molto serio e non ci si riesce a liberare neppure un attimo di un tale pensiero». Alla fine della lettera Adorno scriveva con particolare enfasi : «Max, prima, nei tempi difficili - e dal 1933 a questa parte non mi sono mai sentito così giù come ora - G retel ed io ci conso­ lavamo reciprocamente con la frase "andiamo dal mammut ! " . Ora dal mammut ci torno davvero . Se non avessi Lei e lei, non avrei più voglia di vivere» 112 • In una lettera composta circa quattro mesi più tardi chie­ deva con grande insistenza a Horkheimer di orientare i suoi piani di vita in modo tale che fosse possibile ad entrambi di lavorare insieme in Ger­ mania sulle questioni filosofiche più decisive: «Se il mondo avrà ancora qualcosa da riservarci, allora che sia nel luogo a cui apparteniamo» 113 • Guardando al suo imminente cinquantesimo compleanno nel settem­ bre di quell'anno e alla luce del fatto che sia lui sia Horkheimer non ave­ vano figli, si trattava ora di realizzare nella loro vita gli obiettivi che si erano riproposti in quanto filosofi , vale a dire quello che Adorno, nella lettera precedente scritta da Parigi in cui si appellava a Max, aveva defi­ nito " non essere condizionati " : «Non esiste nient'altro» 114 • Nella lettera del marzo 1953 ricordava la saggezza di quella «vecchia regola per cui chi è stato cacciato da un luogo, una volta tornatovi vede che cosa può riu­ scire a raggiungervi)) , Alludendo a una trattoria situata nelle vicinanze dell'università e alla loro comune abitudine di frequentarla, Adorno continuava: «Ogni sorso di acquavite di cil iegie da " Schlagbaum " ha a che fare con la nostra filosofia in misura ben superiore all'opera omnia

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di Riesman . Non so fino a che punto io possa parlare anche per Lei su un argomento in cui è letteralmente questione di vita o di morte [ . . . ] , ma preferisco correre il rischio di finire ammazzato laggiù che " costrui­ re" qualcosa da qualche altra parte o ritirarmi a vita privata» . Per finire formulava il seguente imperativo: creare il «tempo per pensare e per vi­ vere», perché «le due cose in realtà coincidono» 115 • Quel monito evocativo non mancò di avere il suo effetto. Poiché il 6 lavoro con Hacker e i suoi collaboratori appariva sempre più difficile 1 1 , i due progetti di ricerca avviati da Adorno poterono essere portati rapi­ damente a termine e, dal momento che a Francoforte la carenza di per­ sonale presso l'Istituto per la ricerca sociale minacciava alla fin fine di andare a scapito della produttività della ricerca, già dalla metà del 1953 venne presa una decisione. L'intimo desiderio di Adorno fu esaudito: dopo quel breve quanto deprimente interregno, egl i tornò alla Facoltà di filosofia dell'università di Francoforte per proseguire il suo lavoro in qualità di codirettore dell' Istituto. Durante gli ultimi mesi del suo soggiorno in America, Horkheimer aveva informato Adorno dei piani dell'Istituto tenendolo al corrente dei problemi inerenti ai programmi di ricerca. Soprattutto lo incitò a dare vita a una nuova propria rivista da pubblicarsi a cura dell'Istituto . D u­ rante la prima permanenza a Francoforte, Adorno si era già impegnato a rafforzare in senso politico-accademico la posizione della filosofia e della sociologia, alla quale sarebbero poi stati definitivamente legati i nomi di Adorno e Horkheimer, attraverso la possibile creazione di un proprio periodico: «M i occuperò con entusiasmo del progetto. Le garantisco che i materiali non mancheranno», aveva affermato ottimisticamente Ador­ no dall'America 11 7 • Poiché a Francoforte si aveva urgentemente biso­ gno di lui, questa volta lui e la moglie compirono il viaggio da San Fran­ cisco a New York in aereo. Adorno annotò in un breve scritto, intitolato !m Flug erhascht (Carpito nel volo), le osservazioni fatte in quello che fu il primo volo della sua vita. Dapprima lo colpì l'aperta indifferenza di­ mostrata dai passeggeri nei confronti dell"' avventura" consistente nel sorvolare il continente americano. I viaggiatori, perfino i bambini, non mostravano il benché minimo interesse a guardare fuori dal finestrino. Lo stato di dipendenza del singolo da quella gigantesca apparecchiatura era a dir poco clamoroso: «Non si fa nulla, si è come oggetti, oggetti sia di un meccanismo del tutto indipendente dalla propria volontà, sia og­ getti dell'assistenza che sovrintende al volo» . Benché in passato avesse

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fortemente esitato a viaggiare in aereo, alla prova dei fatti non provò al­ 8 cuna paura 11 • Una volta giunto a New York, il 19 agosto Adorno pro­ seguì il viaggio verso l' Europa a bordo della " Queen Elisabeth " . Durante i dieci mesi d i assenza d i Adorno, Helmuth Plessner aveva sostituito il collega dirigendo le attività dell'Istituto di concerto con Horkheimer e altri due giovani sociologi, D ieter Osmer ed Egon Becker. A quell'epoca Plessner deteneva una cattedra presso l'università di Gottinga. Essendo ebreo, dopo il 1933 era emigrato in Olanda dove aveva insegnato presso l'università di Groningen fino all'invasione tede­ sca del paese. Poiché a Gottinga Plessner, oltre ad occuparsi delle sue pubblicazioni nel campo dell'antropologia filosofica e della sua attività di insegnamento, svolgeva anche una propria ricerca sociologica, non aveva né molto tempo, né molte energie da dedicare al lavoro dell' Isti­ tuto a Francoforte, come invece sarebbe stato necessario 119 • N ondime­ no, insieme alla giovane moglie, che dopo la guerra aveva cominciato a lavorare nel campo della formazione per adulti, era presente nell'Istitu­ to, presso il quale avevano cominciato a svolgere dei progetti di ricerca anche F riedrich Tenbruck e Richard Wolff, così come Heinz Maus e Ludwig von Friedeburg. Monika Plessner ricorda che Gretel Adorno godeva di grande considerazione da parte dei collaboratori dell'Istituto : «A quanto pareva, tutti avevano l'abitudine di confessarsi con lei» 120 • Durante il suo secondo mandato come rettore dell'università, Horkhei­ mer era fortemente oberato di impegni, ma si diede molto da fare per­ ché fosse portato regolarmente a termine lo studio empirico in corso sulla coscienza politica dei tedeschi e ne fossero adeguatamente presen­ tati i risultati. Anche per questo motivo, fu molto sollevato dal fatto che, non appena tornato a Francoforte sul finire dell'estate del 1953, Adorno non avesse esitato a immergersi immediatamente nelle attività dell'Istituto. Per riuscire a distinguersi sulla scena pubblica, come desi­ derava Horkheimer, grazie a pubbl icazioni attraenti e alla fondazione di una propria rivista specialistica, era necessario prima portare rapida­ mente a term ine i progetti in corso. Era importante poter presentare dei risultati validi in modo da giustificarne la pubblicazione. Allo stesso tempo, Adorno reputava di prioritaria importanza non soltanto l' elabo­ razione di una propria impostazione di ricerca a livello metodologico, ma anche un approfondimento delle conoscenze sociologiche, a livello di teoria sociale, tale da rendere possibile illustrare e mettere in luce il nucleo paradigmatico della propria concezione.

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Alla luce del sole: Kafka, Beckett, Holderlin pensare pericolosamente; spronare il pensiero a non ar­ restarsi davanti ad alcunché che provenga dall' esperien­ za della cosa, a non lasciarsi inibire da alcuna conven­ zione legata al preconcetto

1 21 •

Sebbene, dopo i dieci mesi trascorsi negli Stati U n it i d'America, fosse fortemente oberato dagli impegni universitari e dai compiti che lo at­ tendevano all'Istituto, Adorno perseverò nello scrivere con grande ener­ gia quei saggi critici sulla cultura e la letteratura destinati a comunicare al pubblico dei lettori tedeschi un' idea del mondo spirituale dell' homme de lettres francofortese. " Il gatto non molla il topo e così il critico non abbandona la scrittura" - questo detto era una formula che Adorno usa­ va volentieri per confessare in modo autoironico la propria ossessione per le attività intellettuali. Tra il 1952 e il 1953 aveva portato a termine un'ampia trattazione su Kafka che, per segnalare immediatamente la sua rinnovata presenza in Germania, pubblicò subito sul terzo fascicolo della rivista culturale " D ie Neue Rundschau " e che, poco dopo, avrebbe incluso nella sua raccolta di saggi intitolata Prismen. Fin dalla metà degli anni venti, Adorno si era occupato intensiva­ mente dei racconti e dei romanzi di Kafka. Opere quali Il medico di campagna, Nella colonia penale, Il processo, Il castello ricorrevano con estrema frequenza nelle discussioni e nel carteggio con Benjamin; du­ rante gli anni trenta, Benjamin aveva già pubblicato parti delle sue an­ notazioni su Kafka in due saggi rispettivamente intitolati Potemkin ( Po­ temkin) e Das bucklicht Mannlein ( L'ornino gobbo) 1 22 • Dopo avere let­ to queste analisi nel dicembre del 1934, Adorno aveva scritto a Benjamin per comunicargli, certamente non per la prima volta, il proprio totale «accordo sui punti filosofici central i)) , Tale accordo concerneva tanto quell'aspetto interpretativo che riconosceva la presenza di una «teologia inversa)) in Kafka quanto la «categoria dell'alienazione materiale)) , Ador­ no accentuava inoltre il pensiero per cui «il sottrarsi al contesto della na­ tura)) era «promesso unicamente a una vita materialmente rovesciata)) , La lettera scritta da Adorno nel dicembre del 1934 conteneva in nuce il programma di una propria interpretazione di Kafka che, in base alle pa­ role da lui usate in quell'occasione, avrebbe dovuto basarsi sul «rapporto tra preistoria e modernità)) 123 • Adorno cercò di tenere fede a quel pro­ gramma risalente a circa due decenni prima nelle sue Aufzeichnungen zu 470

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Kajka (Appunti su Kafka) , un saggio sicuramente centrale nella sua opera e da lui dedicato alla moglie G retel . La precoce lettura di Kafka aveva sconvolto il giovane Adorno, come tradisce il suo accen no al fatto che non è possibile assumere un'attitudine contemplativa e distaccata nei confronti degl i scritti dell'autore praghese, ma che invece ciò che viene narrato si avventa sul lettore «come le locomotive sul pubblico nei recenti film tridimensionali» 124 . Nella prima parte del saggio del 1953 veniva citato il nome di Benja­ min per ricordare la sua caratterizzazione della prosa di Kafka come una prosa allegorica che egli «ha giustamente defi nito parabola. Essa non si esprime mediante l'espressione, bensì mediante il rifiuto di quest' ulti­ ma, un' interruzione. [ . . . ] Ogni proposizione dice: interpretami, ma nes­ suna tollera l'interpretazione. Ciascuna, insieme con la reazione " È così ", impone l a domanda: "Com'è che l o so già ? "» 125 • Per questo è vieppiù importante non accostarsi a romanzi apparentemente carichi di significati filosofico-metafisici come quelli di Kafka sulla base di schemi interpretativi preconfezionati, bensì partire dalla letteralità del testo. Per Adorno, che si ricollega qui alla sua teoria del venir meno del linguag­ gio, il fatto che i contenuti di sign ificato si manifestino in gesti costitui­ sce un elemento centrale per la comprensione di Kafka: «Il gesto è l"' È così " ; il linguaggio, che dovrebbe dar figura alla verità, è invece la non 6 verità perché ridotto in frantumi» 12 . Adorno insisteva con forza che le scene e gli eventi descritti negli scritti di Kafka non richiedono affatto un'interpretazione psicoanalitica, ma sono piuttosto psicoanalisi tradot­ ta in parole, ossia applicata. Kafka ricava i suoi materiali dalle macerie della realtà. Per questo essi sono riflessi della falsità sociale i quali, tutta­ via, devono essere letti «come un negativo della verità» . Allo scopo di il­ lustrare l'esperienza kafkiana dell'abnorme che si produce nella norma­ lità, Adorno si riferiva a una propria esperienza personale, vissuta a ven­ ticinque anni: chi è vittima di un incidente stradale in una grande città, scriveva, corre il pericolo che si presentino innumerevoli testimoni e si dichiarino suoi conoscenti, «quasi che tutta la comunità si fosse raccolta per assistere all'istante in cui il potente autobus ha investito la fragile berlina» 127 • Adorno situava l' «autore delle parabole dell'impenetrabili­ 8 tà» 12 in un contesto letterario nel quale annoverava tra gli altri Robert Walser, Edgar Allan Poe e Ferdinand Ki.irnberger; questi autori avevano creato un genere specifico di «romanzo poliziesco, in cui non si riesce a scoprire il criminale» 129 . 471

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Adorno interpretava i personaggi delle storie di Kafka come perso­ nificazioni del travaglio che il genere umano deve aver patito nella sua storia per portare a compimento quel processo di civilizzazione consi­ stente nella formazione dell' individuo che ognuno deve ripercorrere nella propria infanzia, senza però essere sicuro alla fine della propria identità. Per questo Kafka crea il tema dell' instabilità dell'Io, il quale è costantemente esposto al pericolo di ricadere nella condizione dominata dalle pulsioni animali. L' individuo è lacerato tra il perfetto conformi­ smo e la ribellione. «l protocolli ermetici di Kafka contengono la genesi ° sociale della schizofrenia» 13 . Anche se a ragione potrebbe nascere l'impressione che nella Colonia penale o nella Metamorfosi Kafka abbia prean nunciato alcune esperienze tipiche della dominazione nazista, secondo Adorno egli è andato ben al di là dell'anticipazione di quella singola catastrofe. Infatti, come scrive­ va riallacciandosi a Benjamin, tutta la storia precedente diventa in lui un inferno; un inferno che è stato creato dalla tarda borghesia, e ancora più reale di quanto Kafka avesse mai potuto immaginare: «Nei campi di concentramento del nazismo è stata cancellata la linea di demarcazione tra la vita e la morte. [ . . . ] Come nelle epopee rovesciate di Kafka, lì andò distrutto ciò in cui l'esperienza trova il suo criterio, la vita vissuta fino in fondo» 131 • In numerosi passi dell'interpretazione di Adorno si trovano remini­ scenze della Dialettica dell'illuminismo, come quando egl i afferma che Kafka reagisce «nello spirito dell'Illuminismo al ribaltarsi di quest'ulti­ mo in mitologia» 1 3 2 • Esattamente come il mito viene nuovamente de­ nunciato come inganno, il romanzo Il Processo è esso stesso «un processo al processo» 133 • Kafka mobilita l'arma dell'astuzia contro i poteri mitici: «Conciliazione del mito attraverso una specie di mimetismo» 134 . Così il potere è costretto a farsi riconoscere come ciò che è. «Il mito deve soc­ combere dinanzi alla propria immagine speculare. I protagonisti del Processo e del Castello non si rendono colpevoli a causa di una loro colpa - non ne hanno alcuna, infatti - bensì perché tentano di tirare il diritto dalla loro parte» 1 35 • Quando Adorno propose il proprio saggio su Kafka al direttore del­ 6 la " Neue Rundschau", Rudolf Hirsch 1 3 , gli scrisse di avere una relazio­ ne particolare con questo testo. In seguito, nella lettera di accompagna­ mento al testo pronto per la pubblicazione, si leggeva: «Detto con since­ rità: è la prima volta nella mia vita che ho il sentimento di avere scritto qualcosa che, in una certa misura, corrisponde a ciò che pretendo da 472

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me» 1 37 . Benché parte dei lettori della " Neue Rundschau" potesse già avere una certa familiarità con la prosa di Adorno, la lettura degli Ap­ punti su Kajka deve essere riuscita loro difficile almeno quanto quella degl i altri contributi pubblicati da Adorno su quella rivista; per esem­ pio, il testo pubblicato quello stesso anno dal titolo Valéry, Proust e il museo e il saggio su Arnold Schonberg, scritto nel 1952 subito dopo la morte del grande compositore viennese. In una lettera a Scholem del gennaio 1954, Adorno ammetteva di non rendere la vita particolarmente facile ai propri lettori. Negli Appunti su Kajka erano sì state apertamente presentate le sue posizioni, ma il saggio era stato «composto secondo il principio del Landjager [salamino affumicato] », un'espressione con la quale Adorno intendeva dire che si trattava di un prodotto concentrato 8 e quindi molto compatto come un salame 1 3 • A quanto pareva, la densi­ tà di contenuti del saggio non aveva minimamente disturbato Kracauer. Alla fine di agosto del 1954, questi scriveva ad Adorno che si trattava di uno dei suoi lavori migliori, di avervi trovato molti motivi degni di esse­ re senz' altro condivisi, come per esempio l'insistenza sulla necessità di prendere Kafka alla lettera, e infine: « Il tuo leitmotiv secondo cui Kafka concepisce il "sistema" a partire dal suo abbandono [ . . . ] , la sua inces­ l sante intuizione di lasciare che il potere si denomini da sé» 39 . La raccolta di saggi Prismen ( Prismi) uscì presso l'editore Suhrkamp nel 1955 con una tiratura di duemila copie; tuttavia, la particolare im­ portanza del saggio su Kafka non ricevette il necessario risalto in consi­ derazione del numero degli altri testi compresi nella raccolta. Il volume ricevette un giudizio prevalentemente positivo in una serie di recensioni scritte da personalità di spicco (tra le quali Peter Merseburger, Thilo Koch, Rudolf Hartung, lvo Frenzel, Hans Kudszus, Walther Friedlan­ der) 1 40 • Benché non avesse suscitato un'attenzione pari ai Minima Mo­ ralia, fu comunque un successo. Soltanto otto anni dopo, la raccolta di saggi appariva già tra i duecento primi volumi della nuova collana del Deutscher Taschenbuchverlag, dove fu pubblicata in una nuova edizio­ ne di 40 .000 copie. Adorno aveva annunciato la prima pubblicazione di Prismen (Prismi) alla baronessa Dora von Bodenhausen illustrandole la scelta del titolo per il volume: prismi «sign ifica che il mondo viene os­ servato attraverso un mezzo - vale a dire le aggettivazioni di volta in volta trattate -, facendo trasparire queste aggettivazioni» 1 41 • Adorno ve­ niva ormai caratterizzato dal pubblico della comunità letteraria «come un pensatore che determina le modalità legittime del discorso tra gl i in­ tellettuali» 1 42 • 473

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Nientemeno che Thomas Mann, il quale aveva seguito con atten­ zione la produzione precedente di Adorno, già alcuni anni prima aveva registrato che questi aveva saputo trovare un proprio posto in Germania ed imporre un proprio " stile critico " . «Non ho letto soltanto le sue fan­ tasie su Kafka. [ . . . ] Solo ora ci si accorge che Lei era quasi ammutolito in America e che l'Europa ha enormemente incentivato la Sua produtti­ vità offrendoLe delle possibilità completamente diverse. Adesso sembra proprio che nel Suo caso si tratti di una sorta di " motus animi conti­ nuus "» 1 43 . Thomas Mann aveva potuto avvertire direttamente l'energia di Adorno in occasione di una lunga lettera che questi gli scrisse nel gennaio del 1954 e nella quale si confrontava con il racconto appena ap­ parso con il titolo Die Betrogene (L' inganno) . Adorno lodava con toni entusiastici proprio il carattere metaforico della " parabola scandalosa" imperniata sull'ormai anziana Rosalie von Tiimmler che si lascia sedur­ re dal giovane americano Ken Keaton, «l'eccedenza del pensiero sul ma­ teriale. [ . . . ] Il testo mi ha fatto venire in mente in modo così vivido la tecnica della variazione musicale che mi lusinga pensare che anche a Lei quest' idea non sia stata distante e che, in questo racconto, Lei non abbia fatto altro se non presentare una variazione del Suo tema fondamentale [ . . . ] : non la vita alla bramosa ricerca della morte vi trova espressione, ma la morte avidamente in cerca della vita» 1 44 • Su iniziativa di Walter Hol­ lerer, codirettore della rivista letteraria "Akzente " 1 45 , questa lettera vi venne integral mente pubblicata nel numero dedicato a Thomas Mann del luglio 1955 - non prima che lo scrittore avesse comunicato il proprio 6 consenso in merito 1 4 • Da quando cominciò a essere richiesto come autore dalla rivista "Akzente ", Adorno non si lasciò più sfuggire il filo della critica letteraria da lui afferrato di recente con i suoi Appunti su Kajka. Una chiara testi­ monianza di questo suo settore di interesse sono i testi pubblicati nel 1958 nel volume intitolato Noten zur Literatur (Note per la letteratura) . Uno scritto programmatico quale il Discorso su lirica e società, inserito all'interno di questa nuova raccolta di saggi, conteneva un chiaro riferi­ mento al perché Adorno sperasse di trovare nella musica e nella poesia, e in generale nella sfera dell'estetico, un ultimo luogo per la "comparsa" dell'utopico in quanto possibilità dell'Altro: «Nella società industriale l' idea lirica del ripristinarsi dell'immediatezza, nella misura in cui non evoca il passato impotente e romantica, diventa sempre più un vivido lampo in cui il possibile sorvola la propria impossibilità» 147 • Così come il sentimentale gli sembrava fuori luogo in un mondo reificato, provava 474

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avversione anche per i gesti auratici, verso i toni alti come per esempio quelli che caratterizzavano le liriche di Rainer Maria Rilke, in cui il ge­ sto misterioso del poeta tradiva una commistione di «religione e artigia­ 8 nato» 1 4 • Per Adorno l'arte e la poesia erano piuttosto dei rifugi, all' in­ terno dei quali poteva essere espresso il contrasto tra l'individuo e la so­ cietà, la «lacerazione tra il destino umano e ciò che l'organizzazione del mondo ne fa» 149 • Per questo motivo la lirica di Eichendorff, Holderlin, Heine, Borchardt non è soltanto «espressione soggettiva di un antago­ nismo sociale», ma anche la «prova estetica» di un teorema centrale del­ la filosofia dialettica: il fatto che «soggetto e oggetto non sarebbero in generale poli rigidi ed isolati, bensì potrebbero venir determinati sol­ tanto in base al processo in cui si consumano e si mutano reciproca­ mente» 1 50 • La convinzione fondamentale di Adorno per cui la letteratura è una «protesta contro una condizione sociale che ogni singolo sperimenta come a lui estranea, fredda, nemica, opprimente» e secondo cui i condi­ zionamenti sociali si imprimono in negativo nelle formazioni esteti­ che 1 5 1 lo condussero anche a interessarsi, in quanto filosofo e sociologo, dell'opera letteraria di uno degli autori d'avanguardia più significativi del xx secolo: ossia della prosa e dell'opera teatrale di Samuel Beckett. Nel 1958, tramite l'intercessione di Peter Suhrkamp, Adorno volle co­ noscere personalmente Beckett a Parigi. A quell'epoca, erano già state pubbl icate importanti opere dell'auto re irlandese stabilitosi nella metro­ poli francese, come per esempio Molloy (1951), Malone muore (1951), L 'innominabile (1953 ) . La casa editrice S uhrkamp aveva già intenzione da tempo di pubblicare in traduzione tedesca le opere di Beckett; dun­ que Adorno conosceva certamente la produzione letteraria dell'autore anche prima dei grandi successi riportati da opere teatrali quali Aspet­ tando Godot (prima edizione francese 1952, rappresento per la prima volta nel 195 3 ) , Finale di partita (prima rappresentazione e pubblicazio­ ne nel 1957) , L 'ultimo nastro di Krapp (1958, edizione inglese del 1959) . Adorno assistette per la prima volta a una rappresentazione di Finale di partita nell'aprile del 1958, in occasione di un breve soggiorno di otto giorni a Vienna durante le vacanze pasquali 1 5 2 . In una lettera diretta a Horkheimer gli riferiva dell'ottimo allestimento di Finale di partita a cui aveva assistito, osservando che in questo autore erano presenti deter­ minate intenzioni che «sono in relazione con le nostre» 1 53 • Horkheimer, il destinatario di quelle parole entusiastiche, non condivideva aperta­ mente l'euforia senza riserve di Adorno circa Beckett. In una conversa47 5

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zio ne con F ritz Pollock non si espresse esattamente con approvazione nei confronti di Beckett, collegando le sue riserve a una critica verso Adorno: Beckett si occupa dello stesso oggetto della " teoria critica " : rappresentare l'assurdi­ tà di questa società e di questa vita, protestare contro questa situazione e nondime­ no, nella propria protesta, elevare il pensiero verso la ricerca di qualcosa di miglio­ re. Dinanzi ad ognuna delle analisi di Beckett, Adorno afferma anche il contrario. Tuttavia, nonostante questa dialettica portata agli estremi, rimane il fatto che ciò che Beckett dice è falso. La verità infatti non si può formulare. E personalmente ri­ mane non coinvolto. La cosa più importante, tuttavia, è realizzare in qualche modo quel po' di verità che si possiede

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Alla fine dell'anno, Adorno partì dall'aeroporto Rhein-Main di Franco­ forte per recarsi a Parigi, dove avrebbe tenuto una serie di conferenze di tema filosofico su invito della Faculté des Lettres et Sciences H umaines. Scese all'Hotel Lutétia dove il 28 novembre, grazie alla mediazione di Peter Suhrkamp, incontrò personalmente per la prima volta Samuel Beckett 155 • Nelle annotazioni del diario di Adorno si può leggere che la conversazione si protrasse fino a notte inoltrata, prima alla "Coupole" per poi proseguire nel ristorante preferito di Beckett, "Aux ìles Marqui­ 6 ses" in rue de la Gaité 1 5 . Dopo questo primo incontro, Adorno comin­ ciò a preparare alcuni appunti per un saggio su Finale di partita di Be­ ckett. Aveva intenzione di terminare il saggio in un periodo compreso tra i mesi estivi del 1960 e la primavera dell'anno successivo . Impiegò la settimana di ferie trascorsa presso l'hotel Waldhaus di S ils Maria in Alta Engadina, per leggere approfonditamente il testo dell'opera teatrale e per annotare quelli che gli sembravano essere gli elementi più importan­ ti per la propria interpretazione 157 • Il saggio su Beckett, completato per l'inizio del nuovo anno, costituiva insieme ai saggi su Balzac, Proust e Valéry il nucleo centrale del secondo volume delle Noten zur Literatur (1961 ) . Adornò dedicò quello scritto, intitolato Tentativo di capire il "Finale di partita ", al drammaturgo irlandese a ricordo del loro primo incontro parigino. Il 27 febbraio del 1961, Adorno aveva tenuto una conferenza consi­ stente in alcune parti essenziali del saggio nel corso di una serata cele­ brativa, organizzata dall'editore Suhrkamp in onore di Beckett nella co­ siddetta Cantate-Saal , vicino alla Casa di Goethe. L' interesse suscitato da questo Hommage à Samuel Beckett fu grande, sebbene la serata non

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avesse molto da offrire a parte la conferenza ermetica del professore francofortese, il quale dal podio della sala da concerto lesse le proprie tesi con intensa concentrazione e alla fine fece un inchino come se, inve­ ce di avere tenuto un'orazione accademica, avesse appena finito una brillante prestazione al pianoforte. Prima dell'evento, il direttore della casa editrice, Siegfried Unseld, che nel marzo del 1959 era subentrato a Peter Suhrkamp dopo la sua morte, aveva invitato a pranzo i coniugi Adorno e Beckett, e il conferenziere principale della serata aveva utiliz­ zato quell'opportunità per sottoporre a discussione alcune tesi che avrebbe presentato nella sua conferenza. Durante il pranzo, come ricor­ da U nseld, Adorno espresse la congettura che il nome dell' antieroe 8 " Hamm " in Finale di partita derivasse da Hamlet 15 • Nonostante Be­ ckett avesse smentito, dicendo di non avere pensato al protagon ista del dramma di Shakespeare nella scrittura del suo pezzo, Adorno perseverò nel sostenere la sua tesi, seguendo strettamente la massima secondo cui si deve partire dall'eccedenza semantica oggettiva del testo nei confronti delle intenzioni dell'autore 159 • Il fatto che quest'opera di Beckett, quasi priva di azione, e in cui, come negli altri suoi lavori teatrali, gli elementi pantomimici rivestono un grande valore, esercitasse una grande attra­ zione su Adorno, non era molto sorprendente, alla luce dell'evidente vi­ cinanza con le sue convinzioni estetiche. Proprio in una lettera a Tho­ mas Mann, il quale non teneva in gran conto la logica dell'assurdo mes­ sa in scena da Beckett, Adorno enunciava il proprio postulato dell' «asce­ si contro l'esternazione diretta del positivo; veramente un'ascesi, mi cre­ da, perché alla mia natura converrebbe molto più l'Altro, l'espressione 6 scatenata della speranza» 1 0 • Di questa natura, comunque, non si avver­ tiva alcun indizio nell'interpretazione adorniana del dramma di Be­ ckett, con il servo Clov e il suo padrone Hamm, lo zoppo e il cieco, e i suoi procreatori vegetanti in bidoni dell'immondizia. Adorno considerava Beckett come un successore di J ames J oyce e in particolare di Franz Kafka: «In Beckett l'assurdità non è più una situa­ zione emotiva dell'Esserci diluita in idea e quindi corredata di immagi­ 6 ni. Il procedimento poetico si rimette ad essa senza secondi fini» 1 1 • Ciò che in Finale di partita convinceva pienamente Adorno era «l'atto del­ l' omettere», tramite il quale «ciò che è omesso sopravvive in quanto vie­ ne evitato, come accade alla consonanza nella teoria dell'armonia della musica atonale. La monotonia del Finale di partita viene messa a proto­ collo e ascoltata col massimo di differenziazione. Quel modo di presen­ tare, in forma del tutto scevra di protesta, la regressione onnipresente 477

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protesta in realtà contro una disposizione del mondo che ubbidisce così docilmente alla legge della regressione da non disporre ormai più di un 6 concetto da contrapporre ad essa)) 1 2 • Alla sconvolgente desolazione delle scene proprie della drammaturgia di Beckett, che si ammutolisce in mera gestualità, fa da riscontro la disfatta della teoria sociale: «L'i rra­ zionalità della società borghese nella sua fase tarda è restia a farsi com­ prendere: erano ancora bei tempi quelli in cui si poteva scrivere una cri­ tica dell'economia politica di questa società cogliendola pienamente nella ratio a lei propria. Perché la società ha ormai gettato questa ratio tra i ferri vecchi sostituendola virtualmente con una disponibilità im­ mediata su ogni cosa. Ogni tentativo di interpretazione rimane inevita­ 6 bilmente in arretrato rispetto a Beckett)) 1 3 • Precisamente l'affronto 6 contro i «pontefici dell'asserzione pura)) 1 4 , l'assoluta astinenza di Be­ ckett nei confronti dell'accusa politica o della speranza metafisica rende Finale di partita un'opera contemporanea sui generis, rivelando molto più di quanto non accada «allorché un rivelatore [come per esempio 6 Bertolt Brecht o Rolf Hochhuth, N d.A. ] prende partito)) 1 5 • In quanto accusa drammaturgica lanciata contro la condizione del mondo, è del tutto consapevole della propria impossibilità: «Nessun pianto scioglie la 66 corazza: rimane solo il volto su cui le lacrime si sono disseccate)) 1 • Così come nei suoi Appunti su Kajka Adorno aveva fatto ricorso al­ l'esperienza personale dell'incidente d'auto del 1928 allo scopo di illu­ strare il grottesco, nel suo Tentativo di capire il "Finale di partita " ricor­ se a un ricordo d'infanzia: soggiornare per scherzo nella terra di nessu­ no. L'assenza di collocazione nei drammi di Beckett così come la loro ambivalenza nei confronti di un soggetto storicamente smarrito e ridot­ to a se stesso assomigliano «al divertimento che forse si provava nella vecchia Germania a gironzolare fra i pali di confine che dividevano il Baden dalla Baviera, quasi che essi recingessero una contrada di libertà. Finale di partita si svolge in una zo na di equivalenza assoluta tra interno ed esterno, neutrale sia rispetto ai contenuti senza i quali la soggettività 6 non sarebbe in grado di rinunciare a sé e neppure di essere)) 1 7 • Il fatto che l'interesse di Adorno per Beckett oltrepassasse di molto i suoi lavori teatrali, è testimoniato anche dall'intenzione, a quell'epoca già quasi re­ alizzata, di scrivere un articolo sul romanzo L 'innominabile, un libro imperniato sullo svanire dell'identità di una persona la cui esistenza è ridotta al proprio li nguaggio: «sono parole, non c'è che questo, biso­ gna continuare, è tutto quello che so, desisteranno, anche questo lo so,

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lo sento che mi abbandonano, sarà il silenzio, un istante, un lungo 68 istante)) 1 . Nel maggio del 1962, in una lettera indirizzata allo scrittore 6 Werner Kraft, un amico di gioventù di Benjamin 1 9 , Adorno scriveva di avere letto il romanzo «con una partecipazione davvero febbrile. [ . . ] Già durante la lettura ne ho abbozzato un' interpretazione. [ . . . ] Deve as­ solutamente leggere questo romanzo, benché siano necessari nervi saldi per affrontarlo - è da confrontare con Nella colonia penale di Kafka ma anche con il Nachsommer [ Tarda estate di Stifter] )) 1 70 • Evidentemente Adorno aveva i nervi saldi perché annotò le proprie impression i di lettu­ ra e le sue intuizioni spontanee sull'interpretazione del romanzo sulle sette pagine dei preliminari editoriali all'edizione tedesca del 1959 171 • Sulla terza pagina, per esempio, aveva annotato: «La critica a B [eckett] culmina nella frase: tutto ciò è terribile, non può essere vero. Risposta: è terribile. Oppure: " irrancidire" . Sarebbe importante sapere quando la parola è comparsa; indice del valore storico di B [eckett] . Quello che Beckett fa è comporre minuziosamente questa parola)) 1 72 • Un contributo importante alla ricezione pubblica di Beckett in Ger­ mania fu rappresentato dal dibattito televisivo sulla trasposizione cine­ matografica di una rappresentazione francese dell'opera teatrale di Bec­ kett Comédie così come di un altro lavoro teatrale intitolato Film con Buster Keaton e con la regia di Alan Schneider. Poco prima, Adorno si era incontrato con Beckett a Parigi da dove poi si era recato a Colonia per partecipare alla discussione in studio del 17 gennaio 1968 . Nel qua­ dro di quella conversazione altamente vivace dinanzi alle telecamere Adornò riuscì a esprimere verbalmente i motivi essenziali della sua in­ terpretazione già data da tempo alle stampe, e lo fece in un modo tale da imprimere impulso al dibattito così come alla comprensione dell'opera di Beckett nel paese: .

Questi esseri apatici e ottusi, queste persone che in realtà hanno perso il loro Io, ebbene queste sono effettivamente il prodotto del mondo in cui viviamo. Non è Beckett che opera una tale riduzione per un qualche motivo filosofico; Beckett è realistico, per dirlo in un modo molto mirato, egli è realistico nella misura in cui con questi personaggi, che sono al tempo stesso apatici e l'espressione di qualcosa di generale, egli si fa l'esatto interprete di ciò che diventano le singole persone in quanto mere funzioni del contesto sociale generale. Beckett fotografa, per così dire, dal suo lato gretto e meschino la società in cui tutto è relazione funzionale, mostrando che ne è delle persone in questo mondo funzionale

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Adorno, che nutriva grosse riserve verso gli effetti infantilizzanti della televisione di allora, scriveva il 5 aprile 1958 al conduttore della trasmis­ sione, Hans-Geert Falkenberg: «Mercoledì sera sul terzo canale della te­ levisione dell'Assia [Hessisches Fernsehen] ho visto la nostra trasmissio­ ne su Beckett e devo dirLe che ne sono rimasto notevolmente affascina­ to, benché forse questo non mi si addica. L'atmosfera era dignitosa e so­ prattutto la completa libertà del discorso e l'assenza di limitazion i di tempo hanno consentito una sorta di spontaneità, un alternarsi di den­ sità e leggerezza, che non si verifica quasi mai in televisione. Anche da parte di altri spettatori ho potuto riscontrare reazioni positive» 1 74 • Se, secondo Adorno, Kafka possedeva un valore emblematico in vi­ sta dell' incombente barbarie, i lavori teatrali di Beckett costituivano l'e­ spressione estetica definitiva dell'esperienza epocale della catastrofe. Mentre Kafka distrugge ciò che è apparentemente sensato tramite l'a­ pertura a una plural ità di interpretazioni, Beckett demol isce in modo più radicale il senso fino a ridurlo all'assurdo: «A chi non è capitato, dopo un'intensa lettura di Kafka, di osservare dovunque situazioni simi­ li a quelle descritte nei suoi romanzi ? Ecco che il linguaggio di Beckett provoca una salutare malattia dell 'ammalato : ad ascoltarsi sul nastro, si trema pensando di parlare normalmente a quel modo» 175 . Proprio i due grandi saggi su Kafka e Beckett provavano che Ador­ no era diventato sufficientemente sicuro di sé da prendere parte al di­ scorso della critica letteraria. Adorno tenne una conferenza su Holderlin perfino dinanzi all'illustre cerchia della Holderlin-Gesellschaft, nel giu­ gno del 196 3 , durante la seduta annuale della Società a Berlino. Allorché Kracauer gli espresse il proprio apprezzamento per il fatto di avere in­ tenzione di occuparsi di una materia talmente difficile dinanzi a un pubblico di esperti, Adorno rispose meravigliato chiedendo quale fosse il segreto della produttività letteraria del suo amico - una domanda alla quale non ricevette risposta. La conferenza di Adorno dinanzi a una cerchia esclusiva di critici letterari e germanisti - prima di lui, infatti, avevano parlato Emil Stai­ ger e il filologo classico Uvo Holscher - suscitò reazioni estremamente appassionate. Durante l'intervento di Adorno una spettatrice indignata abbandonò la sala per protestare contro la critica mossa ad Heidegger dal conferenziere. In seguito Adorno riferiva così a Herbert Marcuse di quell'episodio che aveva fatto scalpore: «A Berlino [ . ] la conferenza su Holderlin ha provocato soltanto la reazione di una megera filo-heideg­ geriana che mi rimproverava di essermi chiamato Wiesengrund una vol. .

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ta e legittimava quest'accusa con il fatto di essere lei stessa per metà 6 ebrea e di avere un padre morto ad Auschwitz» 17 • Alla conclusione del­ la conferenza, i presenti discussero vivacemente nel foyer dell'Accademia delle arti le tesi esposte da Adorno, il quale aveva dovuto congedarsi su­ bito per altri impegni 177 . In quella conferenza, che venne pubblicata all'inizio del 1964 sulla " Neue Rundschau", il relatore aveva dichiarato fin dall'inizio il caratte­ re particolare della sua interpretazione letteraria rifacendosi ai presup­ posti teorici che aveva già sviluppati in un importante scritto: Il saggio 8 come forma 17 • Adorno sostenne la tesi secondo la quale le occasioni for­ tuite, soprattutto le intenzioni e gli scopi individuali degli autori lettera­ ri si potevano ricostruire soltanto nella misura in cui si fossero oggetti­ vati nei loro testi. Proprio nel caso di Holderlin tutto dipendeva precisa­ mente dal dedicarsi alla «figura linguistica oggettiva». Non è tanto l'o­ pera poetica che ubb idisce alle intenzioni dell'autore, è piuttosto l'auto­ re che ubbidisce alla «costruzione dell'opera. [ . . . ] Questa riuscirà tanto più compiuta quanto più le intenzioni siano superate senza lasciare trac­ cia in ciò che viene creato» 1 79 . Tale concezione, che si accordava perfet­ 8 tamente alla teoria adorn iana della riproduzione musicale 1 0 , venne 8 presentata con particolare fermezza proprio in questa conferenza 1 1 : «ciò che nelle opere si dispiega e diventa visibile, ciò per cui esse acqui­ stano autorità, non è altro che la verità che in esse obiettivamente si man ifesta e che lascia sotto di sé e fagocita l'intenzione soggettiva in 8 quanto indifferente» 1 2 . Come è possibile dunque esplicitare il conte­ nuto di verità oggettivo della lirica di Holderlin ? Adorno si richiamò in tal senso all'analisi immanente che egli distingueva tanto dai metodi basati sulla genesi dell'opera che da quelli biografici. Il procedimento immane n te tenta per un verso di cogliere la struttura poetica che viene creata dalla pluralità dei singoli elementi della poesia. Per un altro ver­ so, tale metodo interpretativo penetra la «configurazione dei singoli ele­ menti» che nella loro somma «sign ificano più di quanto intenda la 8 struttura» 1 3 • Se Adorno sosteneva la necessità della filosofia per l'interpretazione della musica, e in generale dell'arte, tale necessità doveva valere anche per la poesia di Holderlin, che proprio per questo egli tentava di strap­ pare all'antologia fondamentale di Heidegger, che se ne era appropriata. La propria chiave filosofica di accesso all'enigma dell'opera poetica di Holderlin, Adorno la trovò nel rapporto tra il contenuto di pensiero della poesia e la forma lirica: «Soltanto in questo rapporto si costituisce

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ciò che la filosofia può sperare di ricavare dalla poesia, senza fare ricorso 8 alla violenza» 1 4 • In Holderlin il messaggio contenuto nelle poesie viene reso utilizzabile per il momento espressivo attraverso un mezzo partico­ lare: tramite «i nterruzioni fatte con arte, paratassi [ . . . ] che eludono la 8 gerarchia logica della sintassi subordinante» 1 5 • Il linguaggio paratattico è il tentativo di superare la logica della sintassi. In tal modo il componi­ mento poetico acquista la sua dignità dal carattere artistico della costru­ zione linguistica. Holderl in vuole, come si espri meva Adorno, far «par­ 86 lare il linguaggio stesso» 1 • Tramite il primato del momento espressivo egli riesce ad innalzare il linguaggio al di sopra del soggetto partendo dalla libertà soggettiva: «In tal modo si dissolve la parvenza di una lin­ gua già adeguata al soggetto o di una verità, che si manifesta linguistica­ 8 mente, identica col manifestarsi della soggettività» 1 7 • Sotto l'aspetto della prospettiva storico-filosofica, Adorno interpretava il contenuto poetico dell'opera d'arte linguistica come accusa rivolta contro il domi­ nio della natura. Poiché Holderlin sapeva che l'appropriazione della na­ tura apparteneva alla condizione dell' umanità, non gli sfuggì affatto l'e­ lemento repressivo risultante dal principio dell'autoaffermazione: «La dialettica immanente dell'ultimo Holderlin è [ . . . ] una critica del sogget­ to almeno quanto dell'inasprimento del mondo. [ . . . ] Per gl i ultimi inni la soggettività non è né l'assoluto né l'elemento ultimo. Quella, si lascia intendere, pecca quando si spaccia per assoluto o ultimo, mentre pure è 88 im manentemente costretta a porre se stessa» 1 • La conferenza di Ador­ no culminava infine nella proposta di leggere la poesia di Holderlin come parte del processo di demitologizzazione, dal momento che essa eleva una protesta contro il mito della «divinizzazione di sé da parte del­ l'uomo)) , In tal modo, però, il poeta si allontanava dall'idealismo, tra­ sgredendo il pensiero basato sulla filosofia dell'identità; la sua poetica è dunque una poetica del non identico, del non concettuale. Attraverso quest'argomentazione, Adorno aveva in realtà scoperto le sue carte po rtando le alla luce del sole. Infatti, l'elaborazione di una filo­ sofia del non identico sarebbe diventata l'occupazione principale per lui negli anni immediatamente successivi, un compito di cui già si parla in numerose lettere scritte in questo periodo. Inoltre, la dimostrazione del­ l' esistenza di una struttura paratattica nel linguaggio in Holderlin costi­ tuiva anche il tentativo di mettere le proprie carte in tavola senza rivela­ re al contempo il segreto del gioco . Per Adorno, l'ideale linguistico di Holderlin era altrettanto importante quanto l'affinità elettiva con la vi­ sione del mondo di Kafka e Beckett. Per questa ragione considerava egli

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stesso i saggi su questi scrittori come testi cifrati. Proprio su questo pun­ to Adorno richiamava l'attenzione di J iirgen Habermas in una lettera del luglio 1963; si era rivolto a lui quando aveva appreso che questi aveva intenzione di redigere un articolo per la " Frankfurter Allgemeine Zei­ tung"; tale articolo avrebbe dovuto essere pubblicato l'n settembre del 8 1963 in occasione del sessantesimo compleanno di Adorno 1 9 • Haber­ mas non si fece guidare da quell'imbeccata e pose un altro testo al cen­ tro di quel suo omaggio, che è da annoverare tra le caratterizzazioni più convincenti che all'epoca siano state scritte sulla figura di Adorno. Nel suo articolo Habermas si riferì piuttosto alla conferenza, dal titolo lapi­ dario Progresso, che Adorno aveva tenuto il 22 ottobre 1962 durante un congresso di filosofia a Miinster. In quell'occasione egli aveva immedia­ tamente riconosciuto, durante l'intervento di Adorno, l' outsider, dinan­ zi alla gilda dei filosofi riunita al completo : «uno scrittore in mezzo a funzionari dello Stato)) 19 0 • Le acute riflessioni di Adorno sul concetto di "progresso " erano in realtà un capolavoro di quella saggistica in cui, come egli stesso affermava, tutto doveva dipendere non soltanto dal '"come' dell'espressione" ma anche dalla capacità di trasformare il pro­ prio oggetto in un " campo di forze" e di avvicinarsi ad esso fino al pun­ to «in cui l'oggetto si scompone nei vari momenti di cui vive)) 191 • Il tema della conferenza era un'analisi del progresso all' interno della società presente da una prospettiva storico-fi l osofi c a. Adorno vi riprese un vecchio pensiero che aveva già espresso in una lettera del febbraio 1957 diretta a Horkheimer, allorché aveva rimandato all'elemento di anacronismo intimamente legato al miglioramento del mondo: «La mi­ sura di ciò che viene desiderato è sempre, fino ad un certo grado, la feli­ cità che è andata perduta con il progresso della storia. Chi si trova all'al­ tezza del proprio tempo è sempre perfettamente adattato ad esso e per questo non desidera nient'altro)) 1 92 • Horkheimer concordò con quel «piccolo pensiero)), come Adorno allora lo aveva chiamato, e sottolineò da parte sua la forma irrazionale in cui il progresso si compie nell'età at­ tuale: «Tanto più si è avanzati tecnologicamente quanto più ci si trova sulla china del declino dal punto di vista storico. In questo senso occor­ re operare una distinzione tra storia e storia naturale. Ho il sospetto che l' umanità avanzi imperterrita dal punto di vista della storia naturale e che quella che abbiamo sempre chiamato storia [ . . ] diventi una specie di episodio)) 1 93 . Nella conferenza sul progresso Adorno raccoglieva que­ sta supposizione di Horkheimer. Il " campo di forze" che egli dispiegò nell'intervento al congresso di filosofia si componeva di tre poli: per un .

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verso si basava sulla riflessione che decifrava le ambizioni di validità del concetto di progresso, l'antinomia tra il concetto e la cosa; per un altro verso consisteva nella critica condotta a ciò che il genere umano ha rea­ lizzato socialmente come progresso: come stanno le cose con il progres­ so in rapporto alla natura ? È possibile parlare di un progresso nella vita comune degli individui o per le loro relazioni nei confronti di se stessi ? Al di là della discussione di queste domande, Adorno concepì un con­ cetto di progresso che tentava di accertarsi delle proprie stesse condizio­ ni di possibilità: conciliazione in quanto «telos trascendente, rispetto al finito di ogni progresso» 1 94 • Come autore della Dialettica dell'illumini­ smo e in quanto profondo conoscitore delle tesi benjaminiane Sul con­ cetto di storia, Adorno si guardò bene dall'attribuire alla storia un auto­ matismo sotterraneo volto alla produzione di una maggiore libertà o al contrario ad un' intensificazione della repressione: « Il progresso dev'es­ sere tanto poco antologizzato, assegnato all'esame irriflesso, quanto la decadenza, il privilegiamento della quale è ciò che, in verità, mostra di piacere maggiormente ai filosofi moderni. Troppo poco è il bene che ha la capacità di affermarsi nel mondo, perché se ne debba enunciare il progresso in un giudizio predicativo, ma nessun bene né traccia di bene è senza progresso» 1 95 . Per indicare una via d'uscita dal vicolo cieco del­ l' ottimismo e del pessimismo, Adorno chiarì che il progresso nelle con­ dizioni di vita ha creato i presupposti per rompere con quella che è stata finora una Storia-Progresso: «Progresso sign ifica liberarsi dai ceppi del potere magico e tirann ico, anche da quelli del progresso. [ . ] Si potreb­ be dunque asserire che il progresso si attua veramente proprio là dove fi­ 6 nisce» 1 9 • Partendo dal punto di riferimento normativa costituito dal­ l' idea secolarizzata di una convivenza di comune accordo tra soggetti adulti e responsabili, Adorno criticava il fatto che il progresso fosse ri­ dotto a mero dominio della natura. Questa dimensione del progresso, in realtà, si sviluppava in modo analogo alla dinamica interna a un pro­ cesso di crescita naturale. Il fatto che il progresso venga equiparato al predominio sulla natura costituisce, per Adorno, una fede cieca come quella dei vecchi miti che, in realtà, avrebbero dovuto essere superati tram ite la conoscenza delle leggi natural i. Questo qui pro quo per cui la violenza naturale proseguirebbe nella sottomissione della natura ven iva illustrato da Adorno servendosi di un' immagine che rammenta quella dell'umanità in progresso: l'immagine del gigante «che si mette lenta­ mente in moto dopo un sonno durato un tempo immemorabile, e poi si avventa e calpesta tutto ciò che gli capita sul cammino; tuttavia questo . .

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suo rozzo svegliarsi è l'unico potenziale di emancipazione; in tal modo l'irretimento nel pregiudizio naturalistico, nel quale il progresso stesso si inquadra, non ha l'ultima parola)) 197 . Una via di salvezza per il progres­ so dell'Illuminismo, Adorno la vedeva un icamente in una mediazione degli estremi, nel confronto aperto tra i differenti momenti della ragio­ 8 ne 1 9 che vengono a dispiegarsi nel processo del progresso : la ragione in quanto autocoscienza costituisce per lui il correttivo della ragione in quanto razionalità funzionale. Era questo che aveva in mente Adorno quando postulava che «le devastazioni provocate dal progresso» doveva­ no «semmai essere riparate grazie alle forze interne al progresso stesso» . Per questo motivo metteva in guardia dall'attacco contro le macchine, dai fenomeni di luddismo. Così, da una parte, rimandava al fatto che la critica al progresso non doveva essere confusa con la critica alla tecnica. Ma, dall'altro lato, non ogni innovazione tecnica poteva rivendicare a sé il predicato di un carattere avanzato e progressivo. In tal senso portava ad esempio il caso della padronanza del materiale nell'arte. Mentre un «quartetto di Mozart è non solo fatto meglio di una sinfonia della scuola di Mannheim», è tuttavia discutibile «se mediante lo sviluppo della tec­ nica della prospettiva la pittura del Rinascimento abbia effettivamente superato i cosiddetti primitivi». Completamente dubbia è l'idea del pro­ dursi di un miglioramento tramite un continuo perfezionamento nel caso della filosofia: «Postulare un progresso da Hegel ai positivisti logici [ . . . ] è soltanto ridicolo)) 1 99 . Adornò formulò la propria idea del progresso intellettuale in modo quasi marginale, ma in forma netta e decisa: «Buono è ciò che si svinco­ la, ciò che trova un linguaggio, che apre gli occhi. In quanto elemento che si svincola esso è intimamente connesso alla Storia che, pur senza orientarsi in modo univoco verso la riconciliazione, ne fa tuttavia bale­ nare la possibilità nel progredire del proprio movimento)) 200 • Che cosa intendeva dire Adorno con una frase apodittica quale "ciò che trova un linguaggio " o con la sua allusione a " ciò che si svincola" ? In questo pe­ riodo c'erano due motivi che andavano acquistando sempre maggiore importanza nel suo pensiero. Da una parte, in quanto teorico della so­ cietà, egli voleva portare l'attenzione sulla condizione fondamentale di carattere sociale e culturale del progresso . Questa condizione consiste nel fatto che gli individui possano reciprocamente riconoscersi e svilup­ parsi nella loro diversità: il grado del progresso raggiunto si legge non nell'unità e nella compattezza della società, nell' integrazione sociale, ma nella possibilità di differenziazione delle esperienze, nell' individuazione

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delle persone. Dall'altra parte, Adorno voleva essere il più concreto pos­ sibile e denominare la sfera nella quale l'individuazione si compie e si sviluppa: la sfera del linguaggio. Il linguaggio per lui non era soltanto uno strumento di comunicazione e, in quanto tale, un mezzo sfruttato e consumato dal commercio 20 1 • Piuttosto il linguaggio rivestiva un valore eminente perché Adorno gli riconosceva una doppia qualità: tramite il linguaggio i soggetti debbono diventare parte della generalità e al tempo stesso possono accertarsi della propria individualità; la lingua è «la forza collettiva che è propriamente quella da cui in primo luogo l'individua­ zione spirituale viene prodotta)) 202 • Allorché distingueva in maniera talmente enfatica il concetto di lin­ guaggio da quello di comunicazione, Adorno si riferiva ad una conce­ zione che aveva cercato di presentare nell'analisi delle opere di Kafka, Beckett e Holderlin. Aveva in mente un linguaggio che non fosse limi­ tato al suo aspetto strumentale e identificante, ma che dovesse contri­ buire a portare ad espressione lo speciale, il non identico. Nel libro che pianificava di scrivere sull'Estetica Adorno pensava di esporre in quale modo, grazie ai mezzi dell'arte, fosse possibile fare qualcosa che è negato alla conoscenza discorsiva: dire ciò che non si lascia dire, portare ad ap­ parire la sussunzione cieca e aconcettuale. Naturalmente rimaneva an­ cora da spiegare come una cosa simile potesse riuscire nel medium del concetto filosofico. Questi due grandi progetti, dai quali sarebbero nati in seguito due libri, ven ivano spesso definiti da Adorno come le proprie " autentiche occupazioni". Perfino alla fine degli anni sessanta aveva an­ cora la sensazione che fossero queste le vere occupazioni che ancora lo attendevano nella vita; tutto ciò che aveva scritto fino ad allora, lo con­ siderava un lavoro preliminare che avrebbe dovuto condurre a qualcosa di più grande.

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Affer111 are il valore della teoria critica. Le attività di Adorno negli ultimi anni cinquanta e ne1 pr1111 1 anni sessanta .

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Verso la fine di agosto del 1953, Adorno fece ritorno per la seconda volta in Germania, dove si ristabilì prontamente nel suo vecchio appartamen­ to del Kettenhofweg a Francoforte. Da quel punto in poi, gli era ormai perfettamente chiaro di voler svolgere, possibilità permettendo, la sua attività di filosofo e sociologo in questo paese. Grazie a un decreto del decano della Facoltà di filosofia, il suo incarico di docenza fu elevato, come previsto, a un professorato straordinario, al quale era legato uno status di funzionario statale per " motivi di risarcimento" dei danni subi­ ti in conseguenza del nazismo . N el semestre invernale, riprese le lezioni nei due soliti pomeriggi la settimana tenendo corsi di oggetto prevalen­ temente filosofico, a parte alcune isolate eccezioni. Nel semestre inver­ nale 195 3 -54, per esempio, ten ne un ciclo di lezio ni diviso in due parti sul Problema dell'idealismo. La prima parte del corso era incentrata sulla dottrina delle idee di Platone, la seconda parte invece verteva sulle que­ stioni epistemologiche della Critica della ragion pura. N el semestre esti­ vo dell'anno successivo (1955) si dedicò invece al tema della Logica tra­ scendentale di Kant 1 • Nel semestre invernale del 1957-58 tornò nuova­ mente a occuparsi dei problemi della Teoria della conoscenza; nei seme­ stri seguenti quindi tenne un corso sul tema Introduzione alla dialettica (1958) e tornò a occuparsi di Estetica ( 1958-59) , per concentrarsi poi nuovamente nell'anno seguente su un ciclo di lezioni dal titolo: La criti­

ca kantiana della ragion pura. Parallelamente alle lezioni Adorno continuò a tenere ogn i giovedì pomeriggio i suoi " seminari filosofici" che, nei primi anni, venivano fre-

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quentemente presentati come insegnamento comune insieme a Hork­ heimer. In questa sede ci si occupava dell'analisi di singoli testi, perlo­ più degli scritti di Kant ed Hegel. «l seminari su Hegel affrontavano ogni semestre una quantità di testo sempre molto ridotta; spesso si trat­ tava soltanto di un paio di pagine tratte dalla Wesenslogik [Logica del­ l' essenza] . La strategia era: [ . . . ] dapprima accettare la critica a Kant mossa da Hegel, quindi passare a criticare lo stesso Hegel in base a Marx; nel corso dell'illustrazione di questa critica a Hegel, tornavano ad apparire elementi riconducibili a Kant. Ci si muoveva sempre all'inter­ no di questo triangolo» . Nel seminario, come ricorda ancora il filosofo Herbert Schnadelbach, regnava un'«atmosfera di grande coinvolgimen­ to emotivo», dovuta al fatto «che con Adorno era sempre questione di mettere in gioco tutto. [ . . . ] In tal modo il seminario non si perdeva mai nell'illustrazione di inutili dettagli, cosa che, d'altra parte, comportava un'enorme fatica per gli studenti» 2 • Parte integrante dei semi nari su Kant ed Hegel era anche un altro rituale, di cui serba memoria Jiirgen Habermas: il tentativo da parte di Horkheimer di far fare una brutta fi­ gura al proprio amico e collega. Arrivava al seminario sempre con trenta mi nuti di ritardo, si sedeva accanto ad Adorno chiedendogli di metterlo al corrente dello stato della discussione in corso. Horkheimer si sentiva regolarmente in dovere di presentare una contro-argomentazione nei confronti della complessa interpretazione dialettica di Adorno, una tesi che, sebbene molto più semplice, ven iva comunque ripresa da Adorno: «È proprio questo che intendo dire, Max». Anche se il comportamento opportunistico di Adorno non trovava molta comprensione, l'attitudine di superiorità mostrata da Horkheimer veniva disapprovata, soprattutto da parte dei collaboratori più giovani dell'Istituto per la ricerca sociale. Adorno, infatti, era considerato un pensatore decisamente più originale e veniva visto come la persona direttamente responsabile delle attività dell' Istituto e coinvolta nei progetti di ricerca. Così, per esempio, Oskar Negt, il quale era arrivato a Francoforte alla metà degli anni cinquanta, registrava «un elemento di finzione nel pensiero» di Horkheimer, men­ tre Adorno «parlava pensando davvero» 3 • Nel quadro delle sue lezioni universitarie, soltanto in due casi Ador­ no si occupò di problematiche derivanti dal campo della sociologia. Nel semestre estivo del 1960 tenne un corso intitolato Filosofia e sociologia, che sotto alcuni aspetti anticipava alcune argomentazioni del suo con­ tributo al cosiddetto " Positivismusstreit" - la nota disputa con il positi­ vismo -, così come la sua critica allo scritto di Émile Durkheim Socio/o-

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AFFERMARE IL VA LORE D E LLA TEORIA CRITICA

gia e filosofia 4 . Il titolo del suo ultimo corso universitario tenuto nel se­ mestre estivo del 1968 recitava Introduzione alla sociologia 5 • Benché le lezioni sui temi sociologici rappresentassero un'eccezione nel panorama dei suoi corsi universitari, dalla metà degl i anni cinquanta Adorno aveva messo in rilievo la propria presenza non soltanto come fi­ losofo, ma anche come docente di sociologia. Durante i seminari setti­ manali che teneva per gli studenti di sociologia, l'atmosfera che si avver­ tiva era molto meno elitaria e più rilassata rispetto al seminario di filoso­ fia. Adorno si sforzava continuamente di trasmettere il pensiero sociolo­ gico tramite l'analisi concreta dei fenomeni sociali, attraverso un atto vi­ vace di chiarificazione. Per partecipare al seminario era richiesta una co­ noscenza generale della storia delle idee sociologiche. Il punto centrale riguardava l'analisi della società contemporanea, la sua stratifi c azione, i rapporti di classe e i conflitti sociali. Accanto ai classici della sociologia quali Claude Henri de Saint S imon, Auguste Comte, Émile Durkheim, Herbert Spencer, Karl Marx, Max Weber e così via, una grande impor­ tanza era attribuita anche alla logica delle scienze sociali, al rapporto tra teoria della società e ricerca sociale. Ma la natura della sociologia, come aveva sottolineato Adorno fin dall'inizio dei suoi seminari, non poteva essere stabilita tramite una precisa definizione concettuale, né ridotta al comune denominatore di un metodologia scientifica, ma poteva essere 6 appresa soltanto "praticandola " • L'apertura e il vasto orizzonte di interessi di Adorno promossero i contatti con Arnold Hauser, il sociologo dell'arte e della cultura di ori­ gini ungheresi che dal 1951 aveva ricoperto un incarico di insegnamento in Storia dell'arte presso l'Università di Leeds e, nel gennaio 1954, aveva tenuto una conferenza all'Istituto per la ricerca sociale. In seguito a que­ st'invito si sviluppò un rapporto amichevole tra Adorno e Hauser. Fin dalla prima lettera, questi si espresse in toni perfino entusiastici: «Se Le dico che averla conosciuta di persona ha confermato pienamente l'idea che mi ero fatto dalla lettura dei Suoi scritti, allora Lei potrà giudicare i miei sentimenti nei Suoi confronti in base all'entusiasmo che ho prova­ to dinanzi alle Sue notevoli opere saggistiche» 7 • Da parte sua, Adorno si diede da fare per trovare a Hauser una posizione adeguata di sociologo presso un'università tedesca. Utilizzò a tal fine i contatti che aveva pres­ so la propria università, ma anche con Karl Lowith ad Heidelberg e con Helmuth Plessner a Gottinga, ma anche con Wilhelm Weischedel a Berlino. Proprio quest'ultimo, nato nel 1905 e professore di filosofia a Berlino, aveva chiesto ad Adorno nell'estate del 1954 se fosse interessato

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ad accettare la nomina per un secondo ordinariato in filosofia presso la Freie Universitat di Berlino. Nella sua lettera del 18 luglio 1954, Adorno informava Hauser di questo evento altamente gratificante per lui in modo da far coraggio all'amico dicendogli che quella richiesta dimostra­ va «che il mondo non ha ancora dimenticato le persone come noi» 8 • Tale episodio ha una certa rilevanza perché le opere dedicate alla biogra­ fia di Adorno partono sì abitualmente dal corretto presupposto che l' outsider francofortese della filosofia accademica non abbia mai ricevuto una chiamata da parte di un'altra università, ma trascurano il fatto che siano intercorse trattative non ufficiali per un cambio di università 9 • Non sono soltanto gli sforzi compiuti da Adorno al fine di trovare un'a­ deguata sistemazione per Hauser in un'università tedesca a testimoniare la stima in cui egli teneva il suo collega, ma anche le dichiarazioni con­ tenute nelle sue lettere in merito alla versione tedesca della Storia sociale dell'arte e della letteratura documentano ampiamente la sua considera­ zione: «Al momento sono completamente immerso nella lettura del S uo libro. [ . . ] Ne sono talmente entusiasta che trovo a malapena le parole, ma cercherò comunque di esprimere il mio sentimento. Che oggi sia ancora possibile qualcosa del genere sfiora quasi il miracolo, e Lei con quest'opera ha ormai fissato un parametro con il quale ogni pensato re responsabile e amante della verità non potrà fare a meno di confron tar­ si» 10• Adorno si adoperò anche per Jean Gebser, una personalità erudita molto inconsueta e ignorata dalla filosofia universitaria ufficiale, quan­ do era questione di conferirgli una laurea honoris causa. In diverse lette­ re Adorno gli assicurò ripetutamente che si sarebbe impegnato insieme a Horkheimer per fare tutto il possibile 11 • La doppia funzione accademica di filosofo e sociologo ricoperta da Adorno ebbe come conseguenza che, a partire dal luglio 1957, egli fosse diventato ufficialmente professore ordinario in entrambe le discipli­ ne 12 • La definitiva sistemazione della sua situazione materiale e il rico­ noscimento ufficiale del suo lavoro universitario a Francoforte rappre­ sentarono per Adorno una grande soddisfazione. Così scriveva a F rede­ rick Hacker: «Nel frattempo sono diventato ordinario, come Lei certa­ mente saprà, e in queste cose si rivela sempre giusta la bella frase detta da Anatol France a proposito di Bergeret: " disprezza la croce della Le­ gione d'onore, ma la cosa più bella era stata prima riceve da per poi di­ sprezzarla"» 1 3 . Questo cambiamento nella posizione ufficiale di Ador­ no, però, non si verificò senza difficoltà. In un parere scritto molto det.

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tagliato, il pedagogo Heinrich Weinstock fece notare che con la nomina di Adorno veniva a crearsi un raddoppiamento della cattedra già dete­ nuta da Horkheimer. Anche in considerazione delle disposizioni sulla "Wiedergutmachung" (riparazione di guerra) , la cumulazione del pro­ fessorato contravveniva a qualsiasi consuetudine universitaria. In modo ancora più aspro si espresse a riguardo lo storico e orientalista Hellmut Ritter durante la riunione di Facoltà nella quale doveva essere approvata la nom ina di Adorno. Ritter affermò ch iaramente che si trattava di un caso di aperto favoritismo. A Francoforte era semplicemente necessario essere ebrei e amici di Horkheimer per fare carriera facilmente. Hor­ kheimer, il quale era presente alla seduta, accusò il collega di antisemiti­ smo ed abbandonò la sala sbattendo la porta. Dopodiché annunciò di avere intenzione di inoltrare al ministero a Wiesbaden la richiesta di es­ sere nominato anticipatamente professore emerito. Il decreto della Fa­ coltà, emanato dopo quello scandalo, esprimeva in primo luogo rincre­ scimento per il fatto «che tra le nostre file abbia potuto essere espressa una dichiarazione rivolta contro l'ebraismo e contro un collega ebreo. Noi condanniamo fermamente questa dichiarazione, ritenendola in­ conciliabile con lo spirito che determina e anima la nostra Facoltà così come la nostra Un iversità, e la respingiamo in quanto offesa arrecata alla nostra intera comunità accademica» 14 • Lo stesso Ritter venne esortato da parte della Facoltà a scusarsi formalmente con Adorno e a pregare Horkheimer di non inoltrare la propria domanda al min istero, perché «si riteneva determinante il proseguimento della sua opera all'interno di una Facoltà [ . . ] alla cui costruzione il signor Horkheimer ha dedicato gran parte del lavoro di tutta una vita» 1 5• L'intera faccenda fu estrema­ mente imbarazzante per Adorno; era perfettamente consapevole della problematicità di una regolamentazione della "Wiedergutmachung" in campo universitario. Gli importava molto di ottenere una cattedra pres­ so l'università della sua città, del tutto indipendentemente dal terzo emendamento della "legge sul risarcimento dei torti nazionalsocialisti ", di ricevere cioè una nomina che fosse fondamentalmente basata sulla sua qualificazione e le effettive funzioni da lui svolte in entrambe le di­ scipl ine di filosofia e sociologia. La completa assunzione della carica di direttore dell'Istituto per la ricerca sociale, avvenuta dopo la nomina anticipata di Horkheimer a professore emerito, rappresentava pur sempre un notevole rafforzamen­ to della posizione di Adorno, la quale era stata messa in discussione a causa di quella spiacevole faccenda. Il programma di lavoro di Adorno .

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in quanto direttore dell'Istituto aveva proporzioni considerevoli e assor­ biva gran parte del suo tempo. Benché non fosse stato possibile realizza­ re il vecchio progetto di dare vita a una rivista, dopo il suo ritorno Ador­ no si era comunque adoperato per tradurre in realtà l'idea di pubbl icare una collana editoriale intitolata " Frankfurter Beitrage zur Soziologie" a cura dell' Istituto . Nel 1955 ne era stato pubblicato il primo volume, la raccolta di saggi Sociologica che era stata dedicata a Horkheimer in occa­ sione del suo sessantesimo compleanno, quindi un secondo volume cu­ rato da Pollock contenente la rielaborazione di un'analisi intitolata Gruppenexperiment (Esperimento di gruppo), e quindi i risultati di un' indagine sul grado di soddisfazione tra gli operai e gli impiegati del gruppo Mannesmann, con il titolo Betriebsklima (Atmosfera di lavoro in azienda) . Il quarto volume della collana, curato da Adorno e Walter Dirks su incarico dell'Istituto per la ricerca sociale, consisteva in una raccolta, presto diventata famosa, di testi didattici riuniti sotto il titolo Soziologische Exkurse (trad. it. Lezioni di Sociologia) . L' intenzione alla base di un tale volume d'impronta manualistica era di presentare i con­ cetti fondamentali della scienza della società a livello elementare, per esempio il concetto di " sociologia", o altri concetti quali " società", " in­ dividuo ", " gruppo ", "famiglia" ecc. Allo stesso tempo si doveva chiude­ re il cerchio del quadro disciplinare, allacciandosi alla ricerca sociale em­ pirica e ai suoi metodi, di cui occorreva illustrare l'applicabilità in diver­ si campi come la ricerca sui pregiudizi, la sociologia dei comuni, le inda­ gini sull' ideologia. Nei suoi corsi universitari Adorno si opponeva alla canonizzazione delle dodici tematiche che erano state individuate negli Excursus sociologici come parti costitutive della sociologia e ad accettare le spiegazioni fornite in base ad esse come verità definitive. Benché si prendesse atto delle indicazioni di Adorno volte a minimizzare l'impor­ tanza degli Excursus, i capitoli di questo esile libro venivano visti come le basi necessarie, per quanto non sufficienti, alla comprensione di quel­ la che gli studenti cominciavano a identificare come " Scuola di Franco­ forte " . Per intere generazioni di studenti della Facoltà di sociologia gli Excursus sociologici rappresentarono non l'unica, ma certamente la pri­ ma via per avvicinarsi al pensiero sociologico che corrispondeva allo " spirito dell'istituzione " francofortese. Rispetto agli altri rari manuali di sociologia gli Excursus si caratterizzavano per la loro rigorosa fondazione filosofica, la loro prospettiva interdisciplinare così come per lo slancio critico dei singoli contributi; per esempio, alla fine dell'articolo intitola­ to L 'idea di sociologia si poteva leggere: «Ma la scienza può essere qual49 2

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cosa di più che mera duplicazione del reale nel pensiero solo se è pervasa dallo spirito della critica: spiegare la realtà significa sempre anche rom­ pere il cerchio magico della duplicazione. Critica non significa qui sog­ gettivismo, ma messa a confronto della cosa col suo proprio concetto. Ciò che è dato si offre soltanto a una visione che lo consideri dal lato di 6 un interesse vero - di una società libera» 1 • Adorno intuiva i bisogni de­ rivanti dall'aumento del numero degli studenti, i cui interessi principali, allora, andavano in misura prevalente alla teoria della società e che ac­ cettavano la statistica così come le metodologie disciplinari come un male necessario ? Francoforte,

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Ho sognato che dovevo sostenere l'esame di laurea in sociologia. Andò molto male nella ricerca sociale empirica. Mi fu domandato quante fessure avesse una scheda perforata e io risposi sperando in un colpo di fortuna: venti. Naturalmente era sba­ gliato . Ma sui concetti andò perfino peggio. Mi fu sottoposta una serie di termini inglesi di cui dovevo indicare l'esatto significato nella ricerca sociale empirica. Uno di essi era: supportive. Tradussi debitamente: di sostegno, che presta aiuto . Ma in statistica significava esattamente il contrario, qualcosa di assolutamente negativo. Per compassione nei confronti della mia ignoranza, l'esaminatore dichiarò di vo­ lermi interrogare in storia culturale. [ . . . ] Tutti rimasero impressionati dal mio pro­ fondo sapere e superai l'esame

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Non v'è dubbio che praticare la ricerca sociale con il lettore di schede perforate, la macchina di Hollerith, non era un debole del filosofo e del teorico della musica Adorno. Ciononostante egli sviluppò una produtti­ vità impressionante in questo campo. Naturalmente, in quanto diretto­ re dell' Istituto, non conduceva personalmente la ricerca sul campo e non partecipava neppure alla pratica dell'analisi dei dati, ma nel quadro delle regolari riunioni dei gruppi di lavoro egli interveniva nei progetti in corso, convincendo i suoi collaboratori grazie a proposte innovative in merito a dettagli metodologici, così come grazie alla sua fantasia er­ 8 meneutica 1 • «Il rapporto di Adorno con la ricerca sociale empirica era molto esigente». Così riferiva Ludwig von Friedeburg commentando la loro collaborazione durante gli anni cinquanta: «Le richieste di Adorno non venivano determinate soltanto dalle sue esigenze teoriche, ma an­ che dal suo talento davvero straordinario nel riconoscere il generale nel particolare» 1 9 • Il fatto che, fin dal suo secondo ritorno in Germania, Adorno fosse fortemente impegnato nel lavoro dell' Istituto non era sor49 3

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prendente, perché era stato invitato a tornare all'Istituto precisamente a causa dei progetti di ricerca in corso; a questi vennero ad aggiungersi una serie di ulteriori idee per nuovi progetti e un numero di incarichi di ricerca che nel frattempo si erano concretizzati in realtà. Parallelamente alla continuazione e alla conclusione dei grandi studi empirici, fin dal 1950 Adorno perseguiva il piano di compiere un'analisi sul movimento della resistenza tedesca. Al tempo stesso aveva intenzione di riformulare la scala-F impiegata nella Authoritarian Personality in modo da renderla applicabile alla situazione tedesca. Voleva indagare le modalità in cui le disposizioni originariamente autoritarie dei tedeschi si trasformavano in atteggiamenti democratici. Questo progetto dovette essere trattato per la prima volta quando, nel 1952, una serie di sociologi, psicologi sociali ed esperti di scienze politiche si incontrarono presso l'Istituto per la ri­ cerca sociale (oltre a Horkheimer e Adorno erano presenti Alexander M itscherlich, Helmuth Plessner, Ernest Bornemann, F riedrich Ten­ bruck e altri) . Il motivo della riunione era di discutere in merito a pro­ getti di ricerca comuni 20 • L'Istituto aveva già assunto la competenza per altri progetti, come per esempio un piccolo studio commissionato dall'Ufficio del cancellierato che, tuttavia, aveva suscitato molte contro­ versie nell' Istituto, perché mirava allo sviluppo di uno strumento per la selezione degli aspiranti ufficiali in vista della formazione del futuro esercito. Si era stabilita perfino una cooperazione con l'Ufficio federale per la salvaguardia della Costituzione perché Adorno, durante un collo­ quio svoltosi a Colonia nel mese di agosto, aveva ricevuto l'impressione di poter ricevere un sostegno finanziario proprio da parte di tale istitu­ zione a favore del suo progetto relativo alla ricostruzione della storia del­ la resistenza tedesca contro il regime nazista. In quanto rappresentante della sociologia francofortese, Adorno in­ tervenne (con una conferenza sul tema Contribuito alla dottrina dell'i­ deologia) al XII Congresso dei sociologi tedeschi che ebbe luogo a Hei­ delberg nell'ottobre del 1954, quindi alla fine di dicemb re tenne una conferenza radiofonica dal titolo Sociologia come scienza, in cui si tratta­ va di offrire un quadro generale della più moderna delle scienze sociali alla luce dei suoi fondamenti teorici e metodologici e che egli utilizzò per presentare il programma d'insegnamento e di ricerca dell'Istituto per la ricerca sociale. Poco dopo ( nel gennaio 1955) diresse insieme a Horkheimer un piccolo congresso tenutosi presso l'Istituto e dedicato ai problemi della sociologia della famiglia, al quale oltre a collaboratori quali Walter Dirks e Ludwig von Friedeburg parteciparono come invi494

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tati anche Helmut Schelsky e René Konig. Non passò molto che Ador­ no collaborò all'organizzazione di un convegno, interno all'Istituto, sul­ la sociologia industriale, al quale presero parte sociologi tra i più autore­ voli in questo campo come Heinrich Popitz, Hans-Paul Bahrdt, Theo Pirker. Quest'ultimo, legato ai sindacati e attivo nel campo della socio­ logia aziendale e dell'industria, ricordava così l'incontro avvenuto pres­ so l'Istituto per la ricerca sociale: «Con Horkheimer non si poteva en­ trare molto in contatto, perché se ne stava seduto nella sua stanza come Zeus contornato dalle nubi dell'Olimpo. [ . . . ] Adorno vedeva in me una creatura che in realtà non avrebbe dovuto esistere. Infatti, secondo lui, il movimento dei lavoratori era morto e sepolto e storicamente ormai spacciato. Ai suoi occhi era del tutto inspiegabile che una persona come me potesse insegnare all'università, essere relativamente intelligente e partecipare attivamente alla vita sindacale. Era una cosa completamente estranea alla sua immagine del mondo)) 21 • In questo periodo, parallelamente alla pubblicazione dei " Frankfur­ ter Beitragen, zur Soziologie " nati in sostituzione di una rivista propria dell'Istituto, Adorno si occupò del programma di curare presso l'editore S. Fischer un'altra collana editoriale, nella quale sarebbero dovuti uscire in traduzione tedesca alcuni importanti scritti di sociologi americani, come per esempio testi di William G raham Sumner, Thorstein Veblen, Robert Lynd, J ohn Dewey, Robert K. M erto n, nonché alcuni estratti dagli Studies in Prejudice. Il progetto, però, non fu realizzato, e la stessa sorte toccò anche all'idea di pubblicare, corredati da un commento, al­ cuni scritti di autori del XVIII e XIX secolo «che erano andati contro­ corrente)) 22 • Alla metà degli anni cinquanta era un' impresa estremamente diffi­ cile trovare sociologi sufficientemente qualificati a condurre ricerche pluridisciplinari e che fossero in grado di contribuire a portare avanti le ambizioni dei due direttori dell'Istituto nel campo della teoria sociale. Le aspettative che Adorno e Horkheimer riponevano nell'assunzione del giovane Ralf Dahrendorf, avvenuta nel luglio del 1954, erano quindi molto alte. Questi doveva occuparsi di portare avanti un'inchiesta de­ moscopica, già iniziata nel 1951-52 e quindi sviluppata in collaborazione con Helmuth Plessner, sull 'atteggiamento politico degli studenti uni­ versitari e le motivazioni alla base del loro studio, dei loro orientamenti formativi e professionali. Venticinque anni dopo, Dahrendorf ricordava come Adorno lo avesse accolto allora nell'Istituto: «M i raccontò diffusa­ mente dei lavori dell'Istituto che nel complesso mi sembravano ricerca 49 5

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sociale di normale amministrazione. L'istituto aveva già predisposto una serie di sondaggi sull'atteggiamento degli studenti tedeschi verso l'università e la società in generale. Di lì a poco si sarebbe dovuta tenere una seduta della conferenza dei rettori durante la quale avrebbero dovu­ to essere presentati i risultati dell'inchiesta. Si trattava di una cosa molto importante per l' Istituto e Adorno si aspettava che nel giro di tre setti­ mane presentassi una relazione sulle ricerche svolte (di cui non avevo ancora preso conoscenza) >> 23 . Dopo aver ricevuto l'offerta di ricoprire una cattedra presso l'U niver­ sità di Saarbri.icken, Dahrendorf si congedò quello stesso anno dal suo posto presso l'Istituto. In una lettera a Horkheimer, che a quell'epoca si trovava presso l'università di Chicago per un ciclo di lezioni all'estero, Adorno scrisse, con un certo rincrescimento, che Dahrendorf era sì una persona di talento, ma in fondo odiava «ciò per cui noi ci battiamo» . Il fallimento di questa collaborazione provava la tesi «che, strettamente par­ lando, dopo di noi non verrà nulla» 2 4 • Nella lettera di risposta che Hor­ kheimer spedì a Locarno dove Adorno si trovava per trascorrere l'estate insieme alla moglie presso l'hotel " Reber au Lac", questi consolava l'ami­ co dicendo: «Tutto ciò che Lei dice ci rca l'Istituto dimostra che le cose sono bene avviate. Ciò mi tranquillizza molto. Non piangeremo certo la partenza di Dahrendorf. Se ci abbandona per rispondere a un'offerta mi­ gliore, non abbiamo perduto molto in lui. Non abbiamo neppure idea di quanto sia grande qui la considerazione che si nutre per noi» 2 5 • Il qui si riferiva agli Stati Un i ti, dove Horkheimer con i suoi Studies in Prejudice e Adorno in quanto coautore della Authoritarian Personality si erano co­ struiti una certa reputazione come ricercatori sociali e teorici della società. In Germania Horkheimer godeva di ampia reputazione grazie al suo ruo­ lo istituzionale di rettore universitario che aveva avuto l'onore di ricevere personalità molto illustri, tra cui Thomas Mann, Theodor Heuss e Kon­ rad Adenauer. Il fatto che, verso la fine degli anni cinquanta, Adorno non fosse più uno sconosciuto, dipendeva, oltre che dai suoi numerosi libri e articoli, in primo luogo dalla sua presenza sulla scena pubblica e nei mezzi di comunicazione, specialmente alla radio. Attraverso l'intercessione di una serie di conoscenze personali come per esempio Alfred Andersch, Adolf F risé, Gerd Kadelbach e Volker von Hagen, Horst Kri.iger e Helmut Lamprecht, lo Hessischer Rund­ funk, il Si.idwestfunk e Radio Brema trasmettevano regolarmente confe­ 6 renze, conversazioni e tavole rotonde di e con Adorno 2 ; i temi trattati erano per esempio Il mondo amministrato (settembre 1950) , Filosofia e

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musica (gennaio 1952) , Mitologia e Illuminismo (settembre 1952), Lirica e società (aprile 1956) , Che cosa significa elaborazione del passato ? (feb­ braio 1960) , La società tra cultura e semicultura (aprile 1961 ) , A che pro la filosofia oggi? (gennaio 1962), Il gergo dell'autenticità (aprile 1963) , La professione dell'insegnante i suoi tabù (agosto 1965 ) . In modo del tutto sorprendente, Adorno aveva proposto a l poeta e scrittore Gottfried Benn di partecipare insieme a lui a una conversazio­ ne radiofonica sul tema Perdita del centro. Al direttore delle trasmissioni serali del Si.idwestfunk, Alfred Andersch, Adorno scriveva che gli «pre­ meva enormemente» intensificare i suoi contatti con Benn 27 • Questa proposta però non si tradusse in realtà, anche se Adorno e Benn si in­ contrarono personalmente nell'estate del 1955 a Bad Wildungen in oc­ casione di un convegno. Per il poeta e saggista, che un tempo era appar­ tenuto al movimento espressionista e per un certo periodo era stato sim­ patizzante del nazionalsocialismo, quell'incontro si rivelò sufficiente­ mente importante da parlarne in una lettera a un suo intimo amico, il grande mercante di Brema F. W. Oelze: «Ho conosciuto il signor Ador­ no, il quale ha tenuto anche una conferenza, un ebreo molto intelligente, di aspetto non molto piacente, ma appunto dotato di un 'intelligenza che in realtà hanno soltanto gli ebrei, i buoni ebrei. S iamo stati per così dire attratti l'uno dall'altro, ma lui è ancora molto concentrato sul proprio io, vanitoso e bisognoso di mettersi in risalto, per quanto in modo del 8 tutto legittimo» 2 • In Benn, autore di cui egli ammi rava l'arte linguisti­ ca, Adorno vedeva un esponente coerente della letteratura moderna, senza peraltro farsi illusioni di sorta sui suoi errori politici. Così affer­ mava in una lettera diretta allo scrittore Peter Ri.ihmkorf: «politicamen­ te Benn ha commesso delle atrocità, ma in un senso politico elevato ha più a che vedere con noi rispetto a molti altri» 29 . Accanto alle emittenti radiofoniche sempre pronte a dedicare spazio alle sue conferenze e ai suoi interventi di vario genere, Adorno aveva la possibilità di pubblicare su due quotidiani di portata nazionale con sede a Francoforte, la " Frankfurter Allgemeine Zeitung" e la " Frankfurter Rundschau ", nei confronti dei quali manteneva contatti personali rispet­ tivamente per tramite di Karl Korn ( FAZ) e Karl Gerold ( FR) ; in misura vieppiù crescente pubblicava anche articoli sul settimanale " Die Zeit " 3 0 • Inoltre, fin dall'inizio, Adorno era stato presente ad un forum di discus­ sione tenuto in alta stima come quello dei Colloqui di Darmstadt, ai quali aveva partecipato già nell'estate del 1950, quando si era dibattuto il tema dell'arte moderna; nel settembre del 195 3 prese nuovamente parte al 49 7

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convegno, questa volta dedicato al tema Individuo e organizzazione. Una parte dei Colloqui di Darmstadt veniva trasmessa alla radio, mentre le conferenze e i dibattiti venivano regolarmente pubblicati in un volu­ me 3 1 • Dalla metà degli anni ci nquanta in poi, la presenza mediatica di Adorno si fece sempre più presente perché veniva considerato un esperto non in un solo campo, ma uno specialista altrettanto autorevole in diver­ si domini: filosofia, sociologia, musicologia e critica letteraria. N el qua­ dro della vasta gamma dei temi che spesso proponeva e per i qual i mo­ strava di avere un intuito notevole, i suoi commenti si contraddistingue­ vano per la capacità di illustrare le diverse problematiche in oggetto da un punto di vista pluridisciplinare e, al tempo stesso, in una forma tanto controversa quanto dotata di scottante attualità. Adorno cercò di stabilire una stretta relazione proprio con quello che era il mezzo di comunicazio­ ne dominante di allora, la radio: intendeva consapevolmente impiegarla per dare una maggiore risonanza e pubblicità al proprio pensiero critico. L'impegno mostrato verso la radio era una conseguenza della responsabi­ lità che Adorno voleva assumere pubblicamente in quanto intellettuale. Egli non si considerava soltanto uno studioso, ma intendeva ricoprire il ruolo di un intellettuale critico impegnato che, nei dibattiti alla radio e in seguito alla televisione, si sforzava di adottare uno stile espositivo il più possibile comprensibile al pubblico per commentare i problemi dell' at­ tualità e della storia contemporanea, ma anche per trattare argomenti fi­ losofici. Adorno sapeva illustrare la complessità dei suoi pensieri parlan­ do liberamente, ben consapevole che attraverso i mezzi di comunicazione non poteva parlare «allo stesso modo in cui è necessario scrivere per amo­ re del rigore della presentazione oggettiva [ ... ] ; nulla di ciò che dice, però, può essere all'altezza di ciò che egli pretende da un testo» 3 2 •

Nuotare contro corrente La vera forza del pensiero non consiste nel nuotare nel senso della propria corrente, ma nell'opporre resistenza al già pensato. Pensare con energia richiede coraggio civile 3 3 •

Adorno conduceva una doppia esistenza sotto diversi aspetti. Non sol­ tanto scavalcava i confini tradizionali tra le discipline, tra filosofia, so­ ciologia, letteratura e musicologia, nella sua attività di docente universi-

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tario e specialista, ma con iugava anche il ruolo professionale del ricerca­ tore sociale e del teorico della società con quello di intellettuale pubbli­ camente impegnato. N o n si faceva alcuna illusione sul fatto che questa «sospensione della divisione del lavoro)) potesse apparire particolarmen­ te sospetta, perché «tradisce la ripugnanza a sanzionare il tipo di lavoro imposto dalla società; e la competenza trionfante non tollera queste idiosincrasie. La scompartimentazione dello spirito è un mezzo di liqui­ darlo dove non è esercitato ex officio, e un mezzo che funziona tanto più egregiamente in quanto colui che denuncia la divisione del lavoro [ . . . ] scopre - dal punto di vista di quella - punti deboli che sono inseparabili dai momenti della sua superiorità)) 34 • Adorno poteva così considerare il proprio contributo ai molteplici problemi del suo tempo come un contributo pratico allo sviluppo di una cultura politica, alla cui riorganizzazione concettuale egli si dedicò con alacrità durante gl i anni cinquanta, occupandosi parallelamente della riforma della formazione degli insegnanti 35 • A partire dal 1958 , quando all'interno della Società tedesca d i sociologia era stato costituito un comitato per la sociologia della formazione e dell' istruzione, Adorno fece attivamente parte di tale organo. Le problematiche della sociologia della formazione culturale avevano svolto un ruolo di primo piano già durante il convegno dell'Accademia Calwer per l' istruzione e l'educa­ zione, tenutosi nel febbraio del 1954 e al quale Adorno era stato invitato per intercessione di Hellmut Becker. Accanto a temi qual i la struttura autoritaria della scuola o della formazione culturale tedesca e le divisioni sociali, il suo interesse si rivolgeva principalmente al problema della crisi della formazione e della decadenza culturale, una tematica in relazione alla quale presentò le sue tesi sulla " teoria della semicultura" a Berlino 6 nel 1 959, in occasione della XIV G iornata dei sociologi tedeschi 3 . In precedenza Adorno si era già occupato dei problemi della formazione universitaria, quando, ancora prima dell' interregno presso la Hacker Foundation, aveva concepito per Horkheimer alcune bozze per i discor­ si di rettorato per il semestre estivo del 1952 e per il semestre invernale 1952-53, un materiale al quale questi attinse lautamente in occasione del­ le ceri monie per l'i mmatricolazione. In queste bozze, da una parte Adorno criticava la tendenza dominante a produrre esperti e il conse­ guente sviluppo della specializzazione e delle formazioni puramente di­ sciplinari; sosteneva invece la necessità di dare spazio a un pensiero non regolamentato nel corso degli studi universitari . Dall'altra parte, mette­ va in discussione la concezione idealistica della formazione culturale, 499

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che, come egli affermava, conduceva a un imbarbarimento dell'umani­ tà. N elle sue riflessioni articolate in tesi Sulla democratizzazione dell'uni­ versità tedesca, approvava lo smantellamento delle strutture autoritarie e delle gerarchie all'interno delle un iversità, perché si trattava di un pre­ supposto affinché nell'ambiente accademico potesse svilupparsi il " tipo della persona libera" in grado di autodeterminarsi. Al tempo stesso so­ steneva che il docente universitario aveva il dovere di assumere un com­ pito pubbl ico e non poteva invece limitarsi in modo privatistico all' ac­ cumulazione di un sapere specialistico o professionale o semplicemente dedicarsi alla propria carriera. Infatti, «il ritrarsi dalla politica è di per sé una negazione del principio democratico, anche quando esso assume un valore contemplativo. È questo il tallone d'Achille della democratizza­ zione delle università tedesche» 37 . Le diverse riflessioni sulla sociologia dell'istruzione e le iniziative di Adorno in tal senso erano in stretta relazione con le ricerche in corso 8 presso l' Istituto 3 • Da un lato con il progetto sulla Coscienza politica de­ gli studenti universitari (Ludwig von F riedeburg, J lirgen Habermas, Christoph Oehler, Friedrich Welz e altri), dall'altro con quello sulla Ef ficacia della formazione politica (Egon Becker, Joachim Bergmann, Se­ bastian Herkommer, M ichael Schumann, Manfred Teschner e altri); due importanti incarichi di ricerca che Adorno aveva seguito nel corso del loro intero svolgimento. Il sondaggio sugli studenti fu uno dei primi progetti che Adorno seguì di comune accordo con il giovane filosofo J lirgen Habermas, che Adorno aveva chiamato a lavorare presso l'Istitu­ to nel febbraio del 1956, sperando che anche lui non finisse per licen­ ziarsi presto come era accaduto nel caso di Dahrendorf. Questo timore, almeno nei primi tempi, era del tutto infondato perché Habermas ten­ deva personalmente a quella sorta di pensiero teoretico sociale esercitato dallo stesso Adorno presso l' Istituto. Adorno ebbe a notare per la prima volta Habermas, che, nato nel 1929, aveva portato a termine il dottorato nel 1954 a Bonn con un lavoro su Schelling 39 , grazie a una recensione critica che questi aveva scritto nel luglio del 195 3 sulla " F rankfurter All­ gemeinen Zeitung", in occasione della pubblicazione del corso di lezio­ ni tenuto da Heidegger nel 193 5; in quella lezione si parlava ancora, a chiare lettere, della «grandezza e della verità intrinseca del nazionalso­ cialismo» 40 • Anche il saggio che Habermas pubblicò sul numero di ago­ sto del 1954 della rivista culturale " Merkur" con il titolo Dialettica della razionalizzazione mostrava l'affinità di pensiero tra lui e Adorno. Il pri­ mo contatto tra i due avvenne per tramite di Adolf Frisé che aveva la500

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sciato la sua posizione di redattore culturale presso il quotidiano " Han­ delsblatt" per passare allo Hessischer Rundfunk. Avendo già letto la Dialettica dell'illuminismo e la raccolta di saggi Prismi, Habermas cono­ sceva già quella singolare osti nazione tipica del pensiero filosofico di Adorno. Durante i primi mesi di lavoro, Habermas rimase costante­ mente presente all'Istituto: «Quando arrivai a Francoforte, notai che Horkheimer e Adorno non facevano molti riferimenti alla filosofia con­ temporanea. [ . . . ] Non ho mai sentito Adorno dire di avere letto intensa­ mente Heidegger. [ . ] Questa selettività [ . . ] era alquanto stravagante. [ . . . ] Dal punto di vista soggettivo, io mi sentivo invece come qualcuno che accoglie con maggiore disinvoltura le tradizioni filosofiche e scienti­ fiche senza operare una scelta molto stretta, quasi dogmatica di testi " consentiti "» 4\ Quando Habermas giunse a Francoforte si rese presto conto della presenza in Adorno di un'estrema sensibilità legata a un sen­ so di vul nerab ilità. Il direttore sedeva nella sua stanza dell' Istituto come in una fortezza assediata dal nemico. Il contributo di Habermas alla di­ fesa della " teoria critica" consistette in un'opera di appoggio filosofico ed epistemologico soltanto in un secondo tempo. Dapprima dovette ac­ quistare familiarità con la prassi della ricerca sociale empirica, al fine di contribuire energicamente alla conclusione dell'inchiesta già in corso sull'università. Questo studio empirico, della cui conclusione Haber­ mas era essenzialmente responsabile, consisteva in un'inchiesta demo­ scopica basata su un ampio questionario sottoposto a 171 studenti del­ l'università di Francoforte con lo scopo di indagarne le abitudini politi­ che, l'atteggiamento verso la democrazia e l'idea della società; tuttavia, lo studio non apparve nella collana di scritti a cura dell'Istituto. Hor­ kheimer aveva delle obiezioni in merito 42 , legate in primo luogo alla premessa teorica redatta da Habermas con il titolo Sul concetto di parte­ cipazione politica . In questo testo, Habermas aveva cercato di spiegare la trasformazione di funzione subita dall'università partendo dal processo di scientifizzazione della società tardo-capitalistica, processo che aveva come conseguenza l'influenza diretta del sistema economico sul sistema scientifico e culturale. L'aumento del potere esercitato dagli interessi economici privati doveva dunque essere compensato, in via generale, da un «controllo politico delle funzioni della proprietà del capitale priva­ to» 43 • A questo scopo si doveva contrastare la depoliticizzazione delle masse rafforzando l'elemento della partecipazione democratica. Per dare una fondazione al concetto di " partecipazione pol itica" in chiave di teoria democratica, Habermas si riferiva al modello di ispira. .

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zione marxista della democrazia sociale, nella forma che era stata svilup­ pata dal politologo di sinistra Wolfgang Abendroth, tra l'altro in alcune conferenze che questi aveva tenuto presso l'Istituto per la ricerca sociale su invito di Adorno nel 1955 e nel 1957 44 • Nella sua introduzione, Ha­ bermas definiva la democrazia come una forma di vita che andava di pari passo con una società libera e con la responsabilità dei suoi mem­ bri. Questo modo di intendere la democrazia corrispondeva interamen­ te alle concezioni sviluppate nelle analisi politiche e di sociologia della cultura da parte di Adorno alla fine degli anni cinquanta. I dati empirici sul comportamento politico degli studenti mostravano una rassegnata attitudine di " adeguamento a ciò che accade " e anche tale osservazione coincideva con l'interpretazione che dava Ado rno del presente: «L'inte­ ro non appare neppure più in immagine, figuriamoci poi in concetti» 45 • Adorno non mancò di notare la concordanza tra la sua teoria e quella di 6 Habermas 4 , e questo fu certamente uno dei motivi per cui egl i difese il suo assistente dalle veementi critiche di Horkheimer 47 • Proprio l'intro­ duzione allo studio Studenti e Politica venne da lui definita come un " te­ sto eccellente " e Adorno insistette, nonostante le riserve di Horkheimer, 8 affinché «fosse compresa in ogni caso nel volume» 4 • Ciononostante, le obiezioni di Horkheimer portarono a un rinvio della pubblicazione del­ l' analisi sugli studenti e alla mancata inclusione del volume nella collana dell'Istituto. Messo sul chi vive da tale episodio, dopo la conclusione della ricerca sulla coscienza politica degli studenti, Habermas approfittò dell'indipendenza economica offertagli da una borsa di studio per l'abi­ litazione e, nell'ottobre del 1959, lasciò l' Istituto per abilitarsi nel 1961, sotto la direzione di Abendroth, presso l'università di Marburg con un lavoro diventato poi famoso, Strukturwandel der 0./fentlichkeit (Storia e critica dell'opinione pubblica) ( 1962) 49 • Habermas continuò a coltivare stretti contatti con Adorno anche durante il suo professorato di filosofia all'università di Heidelberg, da dove poi, all'età di trentaquattro anni, ritornò a Francoforte per succedere nel 1964, ironia della sorte, come ordinario di filosofia e sociologia proprio a Horkheimer 50 • Nei compiti del direttore dell'Istituto era naturalmente compresa la necessità di collocare il proprio Istituto all 'i nterno della comun ità scien­ tifica e coltivare i contatti con i diversi colleghi appartenenti ai svariati campi della ricerca. Sicché Adorno non era attivo soltanto all'interno della Società tedesca di sociologia e dell'Associazione generale di filoso­ fia, nell'ambito delle qual i teneva conferenze in occasione dei diversi congressi 5\ ma cercò anche di allacciare salde relazioni con un'intera 502

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serie di personalità del mondo accademico. Adorno sapeva bene che, ai fini dell' istituzione di tali contatti, i propri interessi politico-scientifici erano determinanti. Nondimeno per lui era importante conservare un atteggiamento di apertura in molte direzioni. Manten ne un contatto epistolare con René Konig e, nel corso degli anni sessanta, perfino con Arnold Gehlen . Nelle trasmissioni serali delle emittenti radiofoniche partecipò a dibattiti con Elias Canetti, così come con Karl Kerényi, Lot­ te Lenya, Daniel-Henry Kahnweiler o Hellmut Becker; invitò a tenere conferenze all'Istituto tanto Wolfgang Abendroth e Hans-Georg Gada­ mer quanto Herbert Marcuse. Ma il fatto che Adorno, nonostante i suoi sforzi in direzione della politica scientifica e un iversitaria, di cui egli detestava gli aspetti tattici, non fosse in alcun modo disposto ad accettare qualsiasi forma di com­ promesso venne dimostrato dal comportamento che egli tenne dinanzi a una possibile chiamata dell'intellettuale di destra Arnold Gehlen a ri­ coprire una cattedra presso l'Università di Heidelberg. Quando nel 1958 si presentò una tale eventualità, Adorno e Horkheimer intervennero per opporsi alla nomina dell'ex simpatizzante nazista. Nell'aprile del 1958 redassero una valutazione 52 , nella quale si faceva rilevare la continuità del pensiero filosofico del collega, di cui tuttavia non si metteva mini­ mamente in dubbio lo straordinario talento. Da un lato criticavano il fatto che Gehlen deducesse dalla natura umana, da invarianti antropo­ logiche la necessità di una società autoritaria, e dall'altro il fatto che questi sostenesse un concetto di potere che denunciava una vicinanza con l'esegesi di Nietzsche fatta dai nazionalsocialisti. Gehlen non era a conoscenza di questa perizia scritta su di lui dai suoi colleghi, sicché da parte sua non si frapponeva alcun ostacolo all'inizio di una relazione personale con Adorno, come in effetti avvenne sebbene soltanto all' ini­ zio degli anni sessanta. Nonostante rifiutasse la teoria conservatrice delle istituzioni elaborata da Gehlen e non facesse un mistero di questa sua posizione di rifiuto, Adorno stimava comunque Gehlen come interlo­ cutore e si sforzava di andare d'accordo con lui a livello personale. Le cose andarono molto diversamente nel caso di Golo Mann, che nel 196 3 avrebbe dovuto essere chiamato a ricoprire una cattedra di Scienze poli­ tiche presso l'Università di Francoforte. Horkheimer se l'era presa per una conferenza tenuta da Go lo Mann nell'estate del 1960 presso il Rhein-Ruhr-Klub e poi pubblicata su un giornale. In quell'occasione questi metteva in guardia dal pericolo di passare direttamente in Ger­ mania dall'antisemitismo al filosemitismo. Si spinse fino al punto di in-

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terrogare la verità storica del cliché antisemita. Inoltre espresse la propria convinzione che l'avversione mostrata dagli intellettuali della Repubbli­ ca di Weimar verso la sfera della politica aveva contribuito al fatto che la democrazia cadesse vittima di Hitler 53 • Da parte sua, Adorno sapeva fin dai tempi di Pacific Palisades che Golo Mann nutriva delle forti riserve nei suoi confronti, non gli piaceva il suo stile e non apprezzava i Mini­ ma Moralia a causa del tono saccente e forzatamente intelligente che, a suo parere, caratterizzava il libro. Così, per Ado rno non fu difficile ab­ bracciare le preclusioni di Horkheimer nei confronti di Golo Mann; il suo voto contro il candidato meglio classificato per la cattedra in ogget­ to, nella seduta di Facoltà decisiva, ebbe come conseguenza che, al posto del famoso storico, fosse chiamato a Franco forte il giovane politologo lring Fetscher, il quale godeva della simpatia di Adorno e Horkhei­ mer 54• Adorno non attribuiva le proprie simpatie in base alla concor­ danza con le visioni filosofiche o le posizioni politiche degli altri, quan­ tunque si facesse ogni volta un'immagine precisa delle persone con le quali intratteneva una frequentazione più ravvicinata. Caratteristico a riguardo fu il suo rapporto con Arnold Gehlen che Horkheimer aveva invitato a tenere una conferenza presso l' Istituto fin dall'inverno del 1953. Gehlen faceva parte del novero di quegli intellettuali conservatori con i quali Adorno non temeva minimamente di entrare in contatto e, dopo la conversazione sull'arte avvenuta a Baden-Baden nell'ottobre del 1959, si sviluppò tra i due una relazione che prese presto anche un carat­ tere privato. Il carteggio tra i due, protrattosi dal 196o al 1969, ne offre una chiara testimonianza. Adorno inviava sempre le proprie pubblica­ zioni e le copie dei suoi scritti a Gehlen, di cui lesse anche il libro Zeit­ Bilder (1 960) 55 , a proposito del quale, in una lettera, gl i avrebbe poi inaspettatamente comunicato il proprio accordo sulla valutazione del­ l' arte moderna. Ciò che gli era particolarmente piaciuto nel libro era la difesa dell'arte moderna «senza cadere nell'apologetica e senza negare il momento della negatività che appartiene necessariamente alla cosa)) , Inoltre sottolineava: «Quando si tratta di analizzare la condizione pre­ sente, compresi l'istupidimento e il mascheramento socialmente prede­ terminati, difficilmente possiamo avere pareri molto diversi. Non avrei nient'altro da opporre a questo se non quello che Lei chiama a priori dell'esperienza, peraltro in un senso del tutto analogo al mio: non posso prescindere dalla possibilità e dal pensiero della possibilità - a mio pare­ re - altrimenti non si potrebbe pensare nulla, e sensu strictissimo non si 6 potrebbe dire neppure una parola)) 5 • Adorno vedeva evidentemente in

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Gehlen un partner ideale per i dibattiti radiofonici o televisivi, perché si incontrarono ben quattro volte a tale scopo . Ebbero luogo anche visite private in compagnia delle rispettive mogli, nel gennaio del 1961 presso la casa del Kettenhofweg a Francoforte e nell'ottobre dello stesso anno nell'appartamento di Gehlen, dal quale partirono insieme per un' escur­ sione diretta alla WeinstraBe e al duomo di Speyer 57 • Poiché Adorno e Gehlen erano a conoscenza delle loro divergenze in materia di politi­ 8 ca 5 , il tema non veniva affrontato né nelle lettere che si scrivevano, né nei loro dibattiti pubblici. Del resto entrambi ebbero ad esprimersi in modo critico nei confronti delle rispettive posizioni in materia di teoria della società. In tal senso la relazione tra i due intellettuali era maggior­ mente improntata ad una stima reciproca e legata a una comunanza di interessi filosofici, ma non poteva dirsi sostenuta da un'effettiva amici­ zia 59 • Quella che, alla fine degli anni ci nquanta e all'inizio degli anni ses­ santa, era andata delineandosi con sempre maggiore chiarezza come " teoria critica", veniva topograficamente associata con la città di Fran­ coforte sul Meno, il luogo in cui si trovava l' Istituto per la ricerca socia­ le, mentre a livello personale veniva sempre più identificata con il nome di Adorno. In una recensione, scritta da Thilo Koch in merito a Sociolo­ gica, il volume in onore di Horkheimer, si affermava che Adorno era «una delle migliori menti che esistano oggi in Germania. [ . . . ] Il campo delle sue conoscenze e dei suoi interessi è straordinario, differenziato e molteplice. [ . . . ] È sufficiente leggere un paio di pagine di Adorno per comprendere che questi studiosi francofortesi formano l'avamposto del­ la più moderna tra le forme di umanesimo che si possano oggi pensa­ 6 re» 0 • Adorno era favorevole alla fusione di tradizioni di pensiero diffe­ renti e perfino contrapposte, come l'associazione della teoria del capita­ lismo e della reificazione di Karl Marx con la teoria del soggetto e delle pulsioni di S igmund Freud, l'integrazione tra la teoria del carattere coercitivo dei fatti sociali di Émile Durkheim e la teoria del processo di razionalizzazione e burocratizzazione di Max Weber, o tra la gnoseolo­ gia delle categorie kantiane e la filosofia dialettica della storia di Hegel . Da questo periodo in poi, Adorno (accanto a Horkheimer, e in seguito insieme a Herbert Marcuse e J iirgen Habermas) venne considerato come la mente filosofica di spicco della " teoria critica", come le mente che più di ogni altra sapeva percepire le tendenza alla reificazione all'in­ terno della società integrale. In qualità di direttore dell'Istituto diede inizio a importanti progetti nel campo della ricerca sociale e della teoria

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della società; come critico della cultura intervenne nei dibattiti pubblici sulla musica e sulla letteratura. E infine era considerato il rappresentante di una propria filosofia specifica, una filosofia della negatività che « [ ten­ ta] di tenere testa al dolore provato per l'alienazione superandola nell'o­ rizzonte di una razionalità non sminuita e perciò non più sopraffattri­ 6 ce)) t .

Parlare della corda nel paese del boia Ciò che i nazisti hanno fatto agli ebrei è stato indici bile: nelle lingue non esistevano parole per esprimerlo. [ . ] E tuttavia un'espressione fu necessario trovarla, se non si voleva perpetrare contro le vittime, le quali sono co­ munque troppe perché se ne possano ricordare i nomi, anche la maledizione che sarebbe consistita nel sancire l'impossibilità morale di pensare a loro 62• . .

La requisitoria di Adorno a favore di una ricerca sociale d'impronta cri­ tica che fosse cosciente sia della propria portata sia dei propri limiti non costituiva una richiesta programmatica astratta; piuttosto ciò che egli aveva affermato su questo tema, nella conferenza tenuta a Weinheim Sulla condizione attuale della ricerca sociale empirica in Germania, si col­ legava invece alla prassi concreta della ricerca che l'Istituto aveva con­ dotto fin dalla primavera del 1950 con il titolo Gruppenexperiment (Esperimento di gruppo) . Nei primi tempi i direttori e i loro collabora­ tori si erano sistemati all' interno dei ruderi del vecchio edificio dell' Isti­ tuto, dove rimasero fino all'ottobre del 1951, quando fu possibile trasfe­ rirsi nei nuovi locali appena costruiti. Il progetto già iniziato aveva l'o­ biettivo di censire le opinioni manifeste e gli atteggiamenti latenti di persone appartenenti ai diversi strati sociali nei confronti delle questioni politiche e più generalmente attinenti alla visione del mondo. Grazie alla tecnica, allora originale, del rilevamento dei dati che consisteva nel cogliere la dinamica dei processi di formazione dell'opinione tramite la discussione in piccoli gruppi di persone, questo studio prese il nome ap­ punto di Gruppenexperiment. Tramite l'impiego di tale metodo, si do­ veva anche cercare di individuare le forme ritenute ipoteticamente ca­ ratteristiche della negazione del passato da parte dei tedeschi - il che co­ stituiva senza dubbio un' impresa ambiziosa quanto difficile. A questo

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scopo vennero organizzati 121 gruppi di discussione nei quali era coin­ volto un totale di 1 .8oo persone di diversa estrazione sociale, basati su unità relativamente omogenee dal punto di vista sociale e composte da un numero compreso tra 8 e 16 partecipanti (per esempio insegnanti, laureati, profughi, contadini, membri di un'associazione) ; le dichiara­ zioni spontanee rese durante le discussioni dei gruppi venivano registra­ te su nastro e poi trascritte, con un procedimento tanto dispendioso quanto lungo e faticoso. L'analisi qualitativa dei dati veniva condotta in base a un esame descrittivo dei testi, consistenti nei 121 verbali delle di­ scussioni di gruppo per un ammontare di seimila pagine dattiloscritte. Per i diversi gruppi di discussione veniva impiegato un identico " stimo­ lo di partenza", consistente nella cosiddetta " lettera Colburn " . Il conte­ nuto della lettera era una descrizione fittizia della situazione degli anni del dopoguerra a opera di un sergente dell'esercito di occupazione. N el­ la lettera si poteva leggere, tra le altre cose: «Sono molto pochi quelli che ammettono apertamente di essere stati nazisti e coloro che lo ammetto­ no spesso non sono certo i peggiori. La colpa di tutto sarebbe soltanto di una ristretta minoranza. In un certo senso questo è vero, ma oggi si trovano raramente persone nella maggioranza dei tedeschi che si possa­ no dire inequivocabilmente non coinvolte negli avven imenti del recente 6 passato» 3 . Il nuovo metodo di ricerca basato sulla discussione di gruppo risali­ va a un'idea di Max Horkheimer, il quale intendeva registrare in modo realistico, e il più possibilmente diretto, le opinioni nel processo stesso della loro genesi, come talora accade in treno tra i viaggiatori di uno 6 scompartimento ferroviario 4 • La situazione tipica dello scomparti­ mento ferroviario doveva essere ricreata artificialmente tramite apposite condizioni sperimentali nel quadro del rilevamento dei dati. L'idea era di far emergere, in modo più o meno spontaneo, le effettive attitudini della coscienza e i modelli mentali insediati sotto la superficie delle opi­ nioni, grazie alla dinamica di una discussione di gruppo originata dallo stimolo della "lettera Colburn " e abilmente guidata da un conduttore della discussione nascosto tra i presenti. Adorno, in quanto direttore di ricerca, era responsabile della parte più importante del progetto, quella imperniata intorno alla complessa problematica Schuld und Abwehr (colpa e rifiuto) . L'epigrafe di questo studio avrebbe potuto benissimo essere una frase tratta dai Minima Mo­ rafia: «L'evidenza del male torna a vantaggio della sua apologia: poiché tutti lo sanno, nessuno ha più il diritto di dirlo e il male, coperto dal si-

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lenzio, può continuare indisturbato» 5 . Questa tesi sui motivi del silen­ zio sul male si collegava alle riflessioni che Adorno aveva raccolto in una sezione dello stesso libro sotto il titolo Pseudomenos, un termine che do­ veva alludere a un disturbo patologico della memoria. Adorno esprime­ va l'ipotesi che i nazionalsocialisti fossero tanto più sicuri di non essere smascherati per le atrocità che commettevano, «quanto più l'orrore cre­ sceva e dilagava senza limiti. Il carattere incredibile di quelle notizie per­ metteva di non credere a ciò che non si voleva credere per amo re della pace e del quieto vivere, proprio mentre, nello stesso tempo, si capitola­ 66 va di fronte ad esse» • Nella sezione specifica di quello studio, Adorno voleva andare a fondo nella complessa relazione esistente tra ciò che la popolazione avrebbe dovuto sapere sulla discriminazione quotidiana su­ bita dagli ebrei durante il regime nazista, sull' incendio delle sinagoghe, gli atti di vandalismo contro le loro proprietà e le deportazioni, e ciò che essa invece negava, presumibilmente a causa del carattere inconcepibile di quelle atrocità. Come aveva già fatto nel caso della Authoritarian Per­ sonality, anche per l'interpretazione delle correlazioni tra colpa e rifiuto si orientò verso la teoria psicoanalitica. Nella premessa alla parte inter­ pretativa della ricerca, Adorno scriveva che il gruppo dei ricercatori si era imbattuto «senza interruzione in una pluralità di opinioni soggettive e dati demoscopici che, a causa delle loro contraddizioni con la realtà oggettiva» non poteva essere spiegata senza ricorrere alla psicoanalisi in 6 quanto teoria della genesi delle psicopatologie collettive 7 . Nell'analisi del materiale registrato su nastro durante le discussioni di gruppo, Adorno notò il ripetersi di uno specifico meccanismo di rimozione. Nella misura in cui nelle persone si formava una coscienza morale del­ l' ingiustizia compiuta, scattavano al contempo dei meccanismi di dife­ sa. La funzione intrapsichica di questi meccanismi era di istituire una sorta di equilibrio tra la cattiva coscienza e il bisogno di riconoscersi nel­ la collettività tedesca, nonostante il passato nazista. Coloro che si trova­ vano in una posizione di rifiuto «non avrebbero visto con simpatia una ripetizione di ciò che era accaduto. Il rifiuto stesso è un segno dello shock che essi hanno provato e, in tal modo, si dischiude un aspetto di 68 speranza» • Quanto alla prima dimensione della sua analisi, ossia alla conoscen­ za dell'accaduto, Adorno trovò confermata l'ipotesi già avanzata nei Mi­ nima Moralia secondo cui l'enormità dell'accaduto produce «il proprio 6 velo» 9 . Nella seconda dimensione, era la questione della colpa a tro­ varsi in primo piano. Qui Adorno studiava a fondo le giustificazioni ad-

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dotte da coloro che erano stati orientati in senso più marcatamente na­ zionalsocialista e si trovavano in un'aperta posizione di rifiuto. Nono­ stante una negazione totale di qualsiasi colpa si presentasse alquanto ra­ ramente, l'analisi mostrava l'esistenza del tentativo di eludere la proble­ matica della colpa relegandola al dominio privato dell'interiorità. I nol­ tre il riconoscimento della colpa veniva liquidato in quanto forma disdi­ cevole di autocommiserazione e di lontananza dalla realtà. Adorno rico­ nobbe come espressione di una disposizione autoritaria il ricorrere di un modello interpretativo secondo il quale tutta la colpa ricadeva su " quelli là in alto ", sulla combriccola dei nazisti al governo. Le persone che, giu­ stificandosi in questo modo, non permettevano neppure l'insorgenza di una cattiva coscienza, trovavano «ancor più facile mantenere una fedeltà nei confronti dei vantaggi che erano stati offerti loro dal regime» 70 • Questo corrispondeva precisamente a quel meccanismo di razionalizza­ zione in base al quale la propria colpa veniva negata adducendo a moti­ vazione l'impotenza e la debolezza da parte del singolo. L' immagine di sé che avevano i tedeschi durante gli anni del dopo­ guerra costituiva un' ulteriore dimensione dell'analisi, e Adorno notava che si trattava di un'im magine stil izzata in un modo del tutto caratteri­ stico. L' idea di base era che un popolo malato non poteva affatto fare a meno di rendersi colpevole proprio a causa della sua malattia. Adorno parlava qui di una " magica trasformazione" della colpa in una " neurosi " che poteva essere addotta a giustificazione sia del proprio fallimento po­ litico, sia di un particolare bisogno di protezione. A questa attitudine si contrapponeva l' «ideologia del non immischiarsi» che si appellava all'i­ dea per cui ciò che era accaduto in Germania rappresentava una que­ stione interna di esclusiva pertinenza dei tedesch i. Il rifiuto della colpa si serviva qui a livello verbale di tipiche giustificazioni a discarico, chia­ mando in causa per esempio l'efficacia della propaganda e del terrore messi in atto dai nazisti. Un ruolo particolare nel rifiuto della colpa ve­ niva svolto da una serie di razionalizzazioni, come il rimandare alla mi­ naccia costituita dal comunismo dell'Est e ai maltrattamenti riservati ai prigionieri di guerra tedeschi. Particolarmente scottanti a quell'epoca furono i risultati relativi al persistere di elementi derivanti dall' ideologia nazionalsocialista. Non soltanto si faceva riferimento ai presunti lati buoni dei nazisti, al loro idealismo e alle loro intenzioni di per sé nobili, ma nei verbali delle di­ scussioni si trovavano chiare indicazioni in ch iave razzista, nazionalista e antisemita. Nei confronti dell'antisemitismo, tuttavia, l'interpretazione

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di Adorno metteva in luce la presenza di sentimenti fortemente ambiva­ lenti che configuravano un insieme specifico di caratteristiche: gli ambivalenti non collegano l'antisemitismo con l'antidemocrazia, ma cercano invece di argomentare contro gli ebrei proprio a partire dalla democrazia, senza porsi la domanda se il principio di esclusione degli ebrei dall'universo dei cittadini dello Stato non contravvenga fondamentalmente a qualsiasi principio democrati­ co, al quale intendono invece richiamarsi. La reazione si presenta così: non abbia­ mo nulla contro gli ebrei, non vogliamo perseguitarli, ma essi non dovrebbero fare nulla che contraddica l'interesse del popolo - un interesse, peraltro, che viene la­ sciato indeterminato e decretato arbitrariamente. Soprattutto non devono essere rappresentati in misura eccessiva nelle professioni altamente retribuite e dotate di influenza. Tale modo di pensare [ . ] fornisce una via d'uscita a coloro che si trova­ . .

no in un conflitto tra la propria cattiva coscienza e il rifiuto della colpa. Questi possono presentarsi a se stessi come persone aperte, prive di pregiudizi e umane, e al tempo stesso conciliare in pratica la loro convinzione con qualsiasi provvedi­ mento antisemita, in quanto atto di giustizia egualitaria, fintantoché venga garan­ tita una parvenza di legalità

71 •

Alla fine della sua analisi contenutistica, Adorno presentava il tema co­ stituito dai modelli interpretativi offerti dal gruppo delle persone aperte all'informazione, le quali erano in condizione di affrontare la colpa per­ ché non costrette a ricorrere a forme di pensiero stereotipate: «Proprio coloro che non rimuovono la coscienza della colpa e non sono costretti ad assumere l'atteggiamento forzato del rifiuto, hanno la libertà di espri­ mere la verità, ossia che non tutti i tedeschi sono antisemiti» 72 . Un breve sguardo alla distribuzione quantitativa, con la quale ter­ minava la monografia di Adorno sul Gruppenexperiment, mostra molto chiaramente che, proprio in relazione al problema della colpa, la per­ centuale degli individui aperti all'informazione era in minoranza rispet­ to a quelli dal comportamento ambivalente e alle persone inclini a nega­ re. Almeno la metà delle persone che si erano espresse nelle discussioni di gruppo respingeva fermamente una corresponsabilità nei crimini av­ venuti durante la dittatura di Hitler. Il dato era confermato da un atteg­ giamento in prevalenza negativo nei confronti dell'Occidente, così come da un'attitudine in maggioranza ambivalente nei confronti della giovane democrazia tedesca, che allora veniva accettata senza riserve sol­ tanto da una minoranza; un risultato che offriva poche ragioni di otti­ mismo per il futuro della forma di vita democratica in Germania. 510

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Sebbene i misfatti dei campi di concentramento fossero stati recepi­ ti con grande scandalo, c'era da sperare che i tedeschi riconoscessero la loro colpa per l'eccidio di sei milioni di ebrei e prendessero così coscien­ za della pericolosità del totalitarismo e dell'antisemitismo. Nondimeno, Adorno si mostrava non poco scettico nella sua diagnosi sull'opinione pubblica dei suoi connazionali e la loro mentalità. Parallelamente al sus­ sistere delle disposizion i autoritarie, egli diagnosticava nella popolazio­ ne una perdita di autonomia, una tendenza generale al conformismo. Quando la ricerca sui gruppi apparve infine in volume nel 1955, Adorno si aspettava che i risultati avrebbero avuto effetti positivi ai fini dell' in­ formazione e constatava che il futuro della democrazia tedesca dipende­ va dalla disponibilità ad affrontare apertamente il passato. La delusione, per non dire l' indignazione di Adorno fu tanto più grande, quando lo psicologo sociale amburghese Peter R. Hofstatter pubblicò una recen­ sione del volume sulla " Kolner Zeitschrift fur Soziologie und Sozialpsy­ chologie " diretta da René Konig, in cui rimproverava, in particolare al­ l' autore di Schuld und Abwehr, di avere tratto delle conclusion i tenden­ ziose dall'interpretazione dei verbali risultanti dai gruppi di discussione. Nel gennaio del 1957, in una lettera inviata all'ex direttore dell'Universi­ tà di Franco forte F ranz Bo hm, Adorno scriveva: Naturalmente l'intera questione di Hofstatter si inquadra in un contesto molto più ampio. [ . . . ] Si dovrebbe una buona volta scrivere qualcosa sulla tendenza retrogra­ da delle scienze sociali tedesche consistente nel trasformare la cosiddetta ricerca fattuale in un pretesto per non parlare di e non riconoscere ciò che fa male. Tra gente come Hofstatter, Schelsky, Wurzbacher e altre persone della stessa risma deve evidentemente regnare un accordo di fondo, e gli attacchi del tipo di quelli lanciati da Hofstatter sono un sintomo della rafforzata volontà di imbrigliare nuo­ vamente la scienza, con il falso pretesto della scie n tifi ci tà

73 •

Nella sua recensione, Hofstatter aveva espresso una critica affermando che il vero scopo dell'analisi non era l'accertamento dei fatti, ma gli " smascheramenti " e le " accuse " . Gli autori francofortesi avevano voluto costringere un popolo intero alla " mortificazione morale " attribuendo direttamente ad esso una serie di colpe. «In quale misura è lecito sup­ porre», scriveva il recensore, «che la maggioranza degli individui appar­ tenenti a un " popolo " possa intraprendere per anni un'autodenuncia collettiva ? Io non riesco a vedere come un solo individuo potrebbe esse­ re in grado di assumere su di sé l'orrore di Auschwitz» 74 . Adorno ebbe 511

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la possibilità di pubblicare sulla stessa rivista una replica che sarebbe ap­ parsa contemporaneamente alla recensione. Glielo aveva chiesto lo stes­ so René Konig, il quale vedeva positivamente il lavoro del Gruppenexpe­ riment e, già in una lettera del maggio 1954, gl i aveva comun icato di es­ sere rimasto impressionato dagli aspetti metodologici e dai contenuti di questa ricerca 75 • N ella sua replica non ebbe peli sulla lingua. N o n si trattava di accuse se si constatava qualcosa di negativo all'interno della società che si trovasse, al tempo stesso, nella mente delle persone e si presentava la possibilità di modificare tale situazione tramite un'opera d' informazione e chiarificazione. In tal senso l'accusa di unilateralità mossa da Hofstatter altro non era se non un «appello al narcisismo col­ lettivo)) . Quanto all'obiezione per cui chiedere ad un individuo di ela­ borare soggettivamente la colpa del passato fosse una pretesa eccessiva, Adorno ribatteva con la seguente argomentazione: L'orrore di Auschwitz, se lo sono dovuto assumere le vittime, non coloro che non lo vogliono ammettere, recando così un danno a se stessi e al loro paese. Se " la que­ stione della colpa è carica di disperazione " lo è innanzitutto per le vittime e non per i sopravvissuti [ . . ] , e ci vuole un bel coraggio per lasciare che questa differenza .

si dissolva nel mare, non per nulla così amato, della condizione esistenziale della disperazione. Ma in casa del boia non si deve parlare della corda; altrimenti si in­ corre nel sospetto di nutrire del risentimento

76 •

Ma le cose stavano proprio così. Nel tardo autunno del 1959, in occasio­ ne di un convegno organizzato dal Comitato di coordinamento per la collaborazione ebraico-cristiana, Adorno tenne una conferenza incen­ trata sulla domanda: " Che cosa significa confro ntarsi con il passato ? " Grazie alle tesi sviluppate i n questa conferenza, integrate due anni dopo dalle argomentazion i presentate in altri due interventi pubblici rispetti­ vamente dedicati a Combattere l'antisemitismo oggi e, quindi, nel 1966 all'Educazione dopo Auschwitz, Adorno si ritrovò al centro del dibattito nazionale. Proprio durante la fase in cui la sovranità politica della Re­ pubblica federale veniva sottoposta a una nuova sfida e, al tempo stesso, era necessario salvaguardare la concezione democratica dello stato di di­ ritto come base stabile della nuova struttura dell'ordine sociale, il socio­ lago francofortese mobilitò la reputazione derivante dalla sua posizione di studioso e scienziato per mettere apertamente in guardia da una so­ pravvivenza postuma del nazionalsocialismo. Affermò: «Considero la sopravvivenza del nazismo nella democrazia come potenzialmente più 512

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minacciosa del sopravvivere di tendenze fasciste dirette contro la demo­ crazia» 77 . L'occasione fornita dall'attualità storica per quell'intervento del so­ ciologo contro il pericolo di una ricaduta in uno schema pol itico reazio­ nario e autoritario fu rappresentata dalla comparsa di graffiti con le cro­ ci uncinate a scempio di alcuni monumenti di Colonia nel Natale del 1959, un episodio di vandalismo che scatenò un dibattito pubblico sulla 8 stabilità o l'instabilità della democrazia nella Germania occidentale 7 . Il fatto sorprendente fu che l'indignazione nei confronti di quelle azion i antisemite risultò alquanto limitata 79 , mentre l a stampa metteva in pri­ mo piano le conseguenze negative dei fatti a livello dell'immagine inter­ nazionale del paese. L'immagine del mondo nato dal miracolo econo­ 8 mico ne usciva scalfita 0 • Sullo sfondo di tali eventi, Adorno sollevò una domanda provocatoria, chiedendosi se in Germania la democrazia fosse anche qualcosa di più che una forma di governo importata e impo­ sta per decreto dalle potenze vincitrici, che veniva accettata perché al momento funzionava come sistema politico e aveva portato al benessere economico. La prosperità materiale forniva una motivazione ulteriore per adattarsi alle esigenze della democrazia e tale adattamento rappre­ sentava a sua volta una compensazione per le ferite riportate dal narcisi­ smo collettivo. Infine Adorno si spinse fino ad avanzare l'ipotesi che la democrazia parlamentare venisse in realtà percepita come una manife­ stazione di potere; il che la rendeva ulteriormente attraente per un carat­ tere incline alla disposizione autoritaria. Adorno interpretava l'atteggia­ mento opportunistico nei confronti dell'ordine democratico come un indizio del fatto che la democrazia non ha preso piede in modo tale che le persone la sentano davvero come propria, riconoscendosi come soggetti protagonisti dei processi politici. Viene percepita piuttosto come un sistema tra gli altri, come se, posti dinanzi a un campionario, si potesse scegliere tra comunismo, democrazia, fascismo, monarchia; ma non viene fatta coincidere con il popolo stesso, in quanto espressione della sua libertà e re­ sponsabilità. Viene valutata a seconda del suo successo o del suo fallimento, i quali possono anche toccare gli interessi dei singoli, ma non come unità tra il proprio in­ teresse privato e l'interesse generale.

La spiegazione allora corrente, per cui la democrazia era una forma di vita che i cittadini dovevano ancora imparare, ven iva criticata da Ador­ no come espressione di una falsa coscienza. Si trattava cioè di una co-

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scienza che metteva in campo «in modo non ingenuo la propria inge­ 8 nuità e immaturità politica» 1 , allo scopo di non essere costretta ad am­ mettere la propria impotenza nei confronti di relazioni sociali irrigidite e bloccate. Il punto di partenza della critica esposta da Adorno nelle conferenze pubbliche, in numerosi dibattiti radiofonici, ma anche all'interno dei seminari e delle lezioni universitarie, era costituito dalla contraddizione che, in base alla sua analisi, esisteva tra la struttura della società irrigidita in oggettività, da una parte, e la democrazia basata sull'autodetermina­ zione, dall'altra. I rapporti sociali erano la vera causa del fatto che i sin­ goli soggetti si esperissero come persone dipendenti e determinate dalla volontà altrui. A questo veniva ad aggiungersi un' ipoteca negativa, rap­ presentata dal fatto che «l'elaborazione del passato [ . . . ] non riesce, pro­ ducendo così del passato un' immagine distorta, che si traduce in un 8 oblio vuoto e freddo» 2 • Proprio per questa ragione, secondo Adorno, in Germania la democrazia in quanto prassi vivente si trovava costruita 8 su basi d'argilla 3 • Sotto il peso della rimozione del passato e della cre­ scente costrizione all'adeguamento, le persone si trovavano obbligate «a eliminare proprio quella soggettività autonoma alla quale fa appello l'i­ dea della democrazia; possono continuare a esistere soltanto se rinuncia­ no al proprio sé. [ . . ] La necessità di tale adeguamento, dell' identificarsi con ciò che sussiste, con ciò che è dato, con il potere in quanto tale, crea 8 il potenziale total itario)) 4 . Nella sua analisi, Adorno coniugava in continue variazioni questa diagnosi sociologica sul fatale intreccio di cecità storica, costrizioni all'a­ deguamento sociale ed eteronomia del soggetto. A proposito, ammise egli stesso che la propria interpretazione accentuava intenzionalmente l'aspetto negativo. Così, nel periodo in cui, nella prima metà degli anni sessanta, cominciava faticosamente ad avviarsi in Germania il discorso sul passato nazista tramite il processo su Auschwitz svoltosi a F rancofor­ te e il processo Eichmann in Israele, Adorno praticava la sociologia come un'attività chiarificatrice d'informazione diretta ai singoli come ai gruppi: «Confrontarsi con il passato in senso chiarificante è essenziale. [ . . ] Rivolgersi al soggetto, rafforzare la sua autocoscienza e quindi an­ 8 che il suo sé) 5 • Tale "volgersi verso il soggetto " rappresentava l'obietti­ vo pratico di Adorno nella sua concezione di una sociologia critica. Ma egli sottolineava anche che una siffatta chiarificazione soggettiva aveva i propri limiti, perché il potenziale fascista politicamente pericoloso deri­ vava a livello causale dalle condizioni della società, dalla pressione socia.

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le e dalla "violenza oggettiva" che ne risultava. Senza dubbio, deduceva Adorno, le conseguenze reali della politica fascista della catastrofe erano ben presenti. «A dispetto di tutte le rimozioni, Stalingrado e le notti dei bombardamenti non sono poi state dimenticate a tal punto che non si possa rendere comprensibile a tutti la relazione tra una ripresa della po­ litica che condusse a quegli eventi e la prospettiva di una terza guerra mondiale. Ma anche se si riesce a spiegare questo legame, il pericolo continua a sussistere. Il passato sarebbe davvero superato, soltanto 86 quando fossero eliminate le cause di ciò che è avvenuto» • Te n tando di tenere desta la coscienza delle «cause di ciò che è avve­ nuto» tramite le sue attività accademiche e di intellettuale pubblicamen­ te impegnato, Adorno svolse un ruolo essenziale nel mettere in moto un processo di autoidentificazione con la funzione della democrazia. In tal modo si impose la convinzione che il sistema democratico rappresentas­ se un presupposto alla fo rma del potere politico, un sistema che necessi­ tava di un' influenza esercitata liberamente da parte di soggetti autono­ mi e responsabili. Di conseguenza, si profilò all'orizzonte la questione delle condizioni sociali necessarie affinché la democrazia potesse assu­ mere stabilità e continuità nella Germania occidentale. Al tempo stesso, la critica di Adorno all' indifferenza della popolazione tedesca nei con­ fronti della politica contribuì a far sì che si affrontasse il tema del conte­ nuto normativa della costituzione democratica. Si delineò così in modo più chiaro la posizione di una critica politica che è alla base del diritto immanente di un concetto normativa di democrazia. N ella concezione di democrazia sostenuta da Adorno, il momento della prassi intellettua­ le della critica ha una valenza assiologicamente costruttiva. La critica è essenziale a qualsiasi democrazia, perché la democrazia è di per sé defi ni­ ta proprio dal fatto di essere basata sulla critica. Due condizioni per la possibilità di una critica praticamente efficace sono la libertà in quanto autodeterminazione del commercio e il riconoscimento del plurali­ 8 smo 7 . Adorno faceva parte di quel gruppo di intellettuali tedeschi, composto da scienziati, artisti, letterati e politici della Germania occi­ dentale, che, grazie al processo di autocoscienza morale da loro avviato e portato avanti dagli argomenti che svilupparono, contribuirono a far sì che avesse luogo una "seconda" fondazione, una vera e propria fonda­ 88 zione " intellettuale " della Repubblica federale • L'impegno dimostra­ to da Adorno sulla scena pubblica ebbe a sua volta nuove conseguenze per la sua posizione di critico della cultura e della società: la sua figura fu sempre più percepita come un'istanza morale. In quanto ex esiliato

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ebreo, gli veniva attribuita una credibilità di cui godevano soltanto po­ che altre personalità del mondo culturale. Quando si esprimeva sui pro­ blemi del proprio tempo, sapeva anche far ricorso agli strumenti retorici dell'esagerazione polemica, così come, in determ inate occasioni, era di­ sposto a provocare una lite sollevando obiezioni o elevando protesta. Così, grazie a quelle che egli chiamava le sue intromissioni, lo stesso Adorno diventò uno stimolato re dei processi di formazione dell' opinio­ ne pubblica.

Crisi del soggetto: autoconservazione senza Io Oggi selfconscious non indica più che la riflessione sul­ l'io come limite e imbarazzo, come consapevolezza del­ l'impotenza: sapere che non si è nulla

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La determinazione della persona in quanto soggetto autonomo è, per Adorno, parte integrante dell'identità normativa di una società borghe­ se. In base alla sua prospettiva sociologica, attraverso quest' idea si do­ vrebbe riuscire a cogliere il rapporto tra individuo e società, e di conse­ guenza la relazione tra le discipline della psicologia e della sociologia. Corrispondeva dunque certo ai suoi desideri il fatto che, nella primave­ ra del 1956, l' Istituto per la ricerca sociale avesse assunto l'iniziativa per organizzare una serie di manifestazioni che ebbero luogo in occasione del centenario della nascita di S igmund Freud. Un ciclo di lezioni, te­ nuto al seguito di una manifestazione celebrativa per questa ricorrenza, offrì ad Adorno l'occasione di chiarire lo status scientifico della psicoa­ nalisi. Adorno era dell'idea che specialmente il concetto di individuo dovesse essere sottoposto a una revisione fondamentale. Lo riteneva ne­ cessario poiché le categorie dell' individuo rappresentavano un punto di fuga della sua teoria sociale. Da un lato, concepiva l'individualità nel senso normativa di soggetti agenti in modo autonomo, ma, per un al­ tro verso, impiegava il concetto in modo descrittivo, al fine di rendere conto dei cambiamenti del carattere sociale. Nonostante questo tema gli stesse a cuore, Adorno non prese ufficialmente la parola nel quadro del ciclo di lezioni organizzate congiuntamente dalle Università di Hei­ delberg e di Francoforte nei mesi estivi del 1956. Non deve essergli spiaciuto molto, perché comunque in quel periodo si trovava nuova­ mente in viaggio. Un mese prima delle celebrazioni per il centenario

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freudiano, Adorno si trattenne per una settimana a Vienna, dove tra le altre cose s'incontrò con Helene Berg. Non gli fu possibile, però, tra­ durre in realtà il proprio desiderio di recarsi a Oldenburg, per poter as­ sistere alla rappresentazione universalmente lodata del Wozzeck, l'opera di Alban Berg che veniva messa in scena nella città della Germania set­ tentrionale. Quanto al ciclo di lezio ni su Freud, questa volta Adorno lasciò il po­ dio a Herbert Marcuse, il quale poté così per la prima volta mettersi in luce nella Germania del dopoguerra grazie alle sue due conferenze: Teo­ ria delle pulsioni e libertà e L 'idea della libertà alla luce della psicoanalisi. In quell'occasione Adorno restò per così dire in secondo piano, perché aveva già pubblicato le sue tesi Sul rapporto di sociologia e psicologia nel volume in onore di Horkheimer dal titolo Sociologica . Sicché la sua fun­ zione si limitò a collaborare alla messa a punto del volume degli atti in­ titolato Freud in der Gegenwart (Freud nel presente) , che uscì nella col­ lana dei " Frankfurter Beitrage zur Soziologie". Ciononostante Adorno fu uno degli iniziatori del ciclo di lezioni, così come della cerimonia te­ nutasi nell'aula magna dell 'università di Francoforte, alla quale presero parte il presidente federale Heuss e il presidente della regione Assia Georg-August Zinn, e durante la quale, oltre a Horkheimer, interven­ nero anche Alexander M itscherlich ed Erik Erikson con due conferenze rispettivamente dedicate alla psicoanalisi come metodo terapeutico e alla teoria dell' inconscio. In una lettera inviata in quel di Beverly Hills a F rederick Hacker, di cui Adorno serbava sì un ricordo di vero e proprio scocciatore, ma con il quale continuava a mantenersi in contatto, egli ri­ feriva che il ciclo di lezion i organizzato dall' Istituto in occasione dell'an­ no freudiano aveva riportato un grande successo: «la risonanza è persi­ stente e credo di non vantarmi troppo se dico che ci è finalmente riusci­ to di spezzare il meccanismo di rimozione che si è messo in moto in Germania e in Austria [ . . ] a riguardo di Freud anche nel periodo se­ guente alla caduta di Hitler» 90 . Adorno non aveva motivo di temere che le sue valutazioni della psicoanalisi in quanto teoria critica del sog­ getto potessero limitare la competenza che egli rivendicava a ragione in materia. Così, nella premessa al volume che raccoglieva gli atti del ciclo di lezioni sotto il titolo Freud in der Gegenwart, una prefazione che rive­ lava manifestamente l'impronta di Adorno, veniva sottolineata partico­ larmente la necessità di attual izzare la ricerca nel campo della psicologia sociale: .

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Se venticinque anni fa questa voleva seguire il modo in cui la coercizione sociale raggiungeva anche le ramificazioni più riposte nell'animo dell'individuo, il quale ritiene falsamente di essere per se stesso e di appartenere a se stesso, oggi la riflessio­ ne sui meccanismi socio-psicologici viene spesso impiegata per distogliere l'atten­ zione dalla violenza della società. Le difficoltà e i conflitti della condizione presente vengono minimizzati, non appena vengono ricondotti direttamente alle persone, riducendoli a semplici processi interiori . Perciò non ci sembra tanto che sia venuto il momento di una sintesi di sociologia e psicologia, quanto di lavoro certo capar­ bio e insistente, ma nettamente separato in entrambi i campi

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Era precisamente questa la tesi che Adorno aveva già sostenuto nel sag­ gio Sul rapporto di sociologia e psicologia . Si trattava di un saggio da an­ noverare tra quei testi di cui l'autore non era del tutto soddisfatto, dopo la pubblicazione. Nel mese di ottobre aveva confessato ad Alfred An­ dersch, al quale aveva comunque inviato il saggio da leggere, che quel lavoro non lo soddisfaceva e rientrava nelle «cose malriuscite>> 9 2 • L'oggetto di quel testo mal riuscito era niente meno che l'afferma­ zione di una fine dell'individualità nella società contemporanea 93 . Questa tesi si collegava a un lavoro scritto da Adorno ancora ai tempi dell'esilio americano, una relazione dal titolo La psicoanalisi revisionisti­ ca che egli aveva letto nel 1946 a un'assemblea della Società psicoanaliti­ ca di San Francisco 94 . I lavori in cui Adorno si era occupato saltuaria­ mente della tematica della trasformazione dell'Io, causata dalla crescen­ te pressione all'adeguamento sociale, risalivano a tempi ormai lontani. Allora Adorno aveva raccolto alcune riflessioni sotto il titolo Appun­ ti per una nuova antropologia 95 che, in parte, erano poi confluite in sin­ 6 goli aforismi dei Minima Moralia 9 • A tali appunti aveva attinto quan­ do, durante i primi anni cinquanta, aveva formulato la sua critica alle tendenze revisioniste della psicoanalisi, avanzando a sua volta alcune proposte circa la ricerca nella psicologia sociale: «N ella descrizione del primo comportamento infantile occorrerebbe inevitabilmente essere più precisi e dettagliati di quanto non si sia fatto fino ad oggi, in modo da conquistare dall'interno il sostrato verso il quale deve orientarsi l'a­ namnesi psicoanalitica» 97 . Nella sua diagnosi generale sul soggetto sen­ za lo - diagnosi che andava ben oltre l'analisi da lui compiuta della psi­ cologia dell'Io di Erich F romm e Karen Horney - Adorno si rifaceva alle osservazioni che aveva effettuato nel corso degli ultimi anni del suo soggiorno americano. A quell'epoca non si era limitato ad avanzare delle riserve nei confronti della riduzione della psicoanalisi a un procedimen-

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to terapeutico. Aveva piuttosto constatato, da una prospettiva sociologi­ ca, la sostituzione intrapsichica dell'imago paterna e materna tramite il potere sociale immediato. Dal momento che, in tal modo, non vi era più un inconscio, la rimozione diventava inutile; al posto della censura subentravano l'ostinazione e l'ostilità universale. Per la nuova antropo­ logia il complesso di Edipo non possedeva più validità, e anche la cate­ goria dell'egoismo aveva perso il proprio significato per via della man­ canza dell'ego. L' immagine del corpo risultava così essenzialmente de­ sessualizzata «tramite il culto del funzionamento corporeo [ . . . ] in quan­ to tale, oppure attraverso quel determinato genere di liberazione della sessualità che, tramite l'eliminazione delle resistenze, sottrae al sesso an­ 8 che il piacere)) 9 • Le riflessioni adorniane sulla critica del soggetto, che si ritrovano in molti passi dei suoi scritti sociologici e di critica della cultura, devono essere considerate un elemento centrale della sua diagnosi dell'età con­ temporanea. Infatti, egli partiva dall'idea che dall'esame degli individui si potesse leggere in che modo funzionasse la società in generale. In base a tale prospettiva, Adorno operò una ricostruzione dell'individuo in quanto forma storica del soggetto la cui nascita era dovuta al processo di emancipazione della società borghese. L' individuo - come aveva affer­ mato nel quadro dei colloqui di Darmstadt su Individuo e organizzazio­ ne nel settembre del 1953 - «nella sua sostanza specifica, non risale a molto prima di Montaigne o Amleto, tutt'al più al primo Ri nascimento italiano)) 99 . La genesi storica della soggettività autonoma forniva sì ad Adorno il punto di riferimento normativa per la sua critica dell'impo­ tenza del singolo nel mondo amministrato, ma non si limitava affatto a confrontare l'idea astratta con la realtà disincantata 1 00 • Piuttosto, Ador­ no motivava la sua critica del soggetto come una critica della società che muoveva dal dominio esercitato dai rapporti sociali, dal contesto del funzionamento sociale, sulle persone. Come argomentò in seguito nel corso di un celebre dibattito radiofonico con Arnold Gehlen svoltosi nel 1965, il fatto che la relazione tra individuo e società si presentasse come identità negativa di generale e particolare non costituiva né una costante antropologica, né una necessità nella storia dell'umanità, ma una situa­ zione storico-sociale. Così come «l'uomo fin nel più profondo della sua psiche [è] formato dalla storia, e cioè dalla società)) anche la divergenza ' tra individuo e società deve essere spiegata in chiave sociale 101 • Questo doveva valere anche per la situazione paradossale che era venuta a crear­ si: ossia che, nella moderna società industriale, si fosse imposto un pro-

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cesso di progressiva individualizzazione, ma che l'individualismo, la dif­ ferenza e la diversità fossero sempre meno possibili. Qui Adorno si rial­ lacciava a un giudizio che aveva già formulato nei Minima Moralia: «Tra le grandi unità standardizzate e amministrate, l' individuo conti nua a vegetare. Non solo, ma è soggetto a protezione e acquista valore di monopolio. Ma non è più, in realtà, che la funzione della propria unici­ tà, un pezzo da esposizione» 102 • Adorno radicalizzava ora tale prospetti­ va di critica del soggetto fino ad affermare che i meccanismi dom inanti dell'integrazione sociale minavano psichicamente l'individuo. Sostene­ va ormai la tesi per cui la massima socialmente imposta che presentava il modello di una personalità ben integrata e sicura di sé era inaccettabile perché «pretende dall'individuo quell'equilib rio di forze che nella socie­ tà esistente non esiste» 1 03 • Alla fine del saggio Sul rapporto di sociologia e psicologia, accentuò ulteriormente la sua tesi sulla fine dell'individuo per trarre una conclusione arrischiata. Mfermava non soltanto che la perso­ na degenerava così in " caricatura e smorfia" 104 , ma presumeva anche che si fosse prodotta una sorta di alleanza tra la società oggettivamente repressiva e il sistema psichico dell'inconscio . Nella formulazione da lui usata, la «vittoria dell 'Es sull'lo» si accordava alla perfezione «con il trionfo della società sul singolo» 10 5 . Questa accentuazione estremamente critica in senso sociale non gli impediva però di postulare, come punto prospettico della sua teoria, che «l'ultima traccia di uman ità sembra trovarsi nell' individuo come in 6 quello che tramonta» 10 • Proprio tale elemento utopico costituiva lo sfondo dell'energica replica all'antropologia pessimistica di Arnold Gehlen . Nell'animata discussione alla radio del 1965, Adorno affermò, in una forma esplicita resa possibile dall'immediatezza della parola: «Ho un'idea precisa della felicità oggettiva e della disperazione oggettiva e di­ rei che fino a quando non si riconoscerà agli uomini la completa re­ sponsabilità e autodeterminazione, anche il loro benessere e la loro feli­ cità in questo mondo rimarran no un'apparenza. E un giorno quest'ap­ parenza scoppierà. E quando scoppierà, avrà conseguenze spavento­ se» 10 7 • Adorno, infatti, aveva immediatamente accusato Gehlen di col­ tivare un irresponsabile ideal ismo, mentre in realtà questo si basava ma­ terialisticamente su orizzonti di possibilità che si sarebbero aperti sol­ tanto qualora gli uomini non avessero dovuto patire la «strapotente or­ ganizzazione del mondo» . Ciò che spingeva gli uomini verso gli allevia­ menti istituzionali postulati da Gehlen era invece, secondo Adorno, 8 «proprio quel peso [ . . . ] che viene arrecato loro dalle istituzioni» 10 • In 520

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tal modo, nell'ottica coerente della sua critica alla società, Adorno si at­ teneva alla capacità dei soggetti di agire autonomamente. Ne seguiva, quindi, che dovevano esserci dei limiti alla reificazione. Infatti, soltanto seguendo il pensiero della finitezza dell'adeguamento del " D iverso " al sempre " Medesimo ", aveva un fondamento il concetto centrale di non identità formulato nella Dialettica negativa 10 9 • Sicché Adorno non du­ bitava che il soggetto «si oppone al dominio sociale [ . . . ] con forze che provengono da quello strato in cui il principium individuationis, me­ diante il quale si realizzò la civiltà, si afferma ancora contro il processo della civiltà che lo ha liquidato» 110 • Adorno sostenne esplicitamente la tesi per cui la «socializzazione trova i propri limiti nel soggetto» 111 alla conclusione di una vivace discussione che si era svolta, all'inizio di no­ vembre del 1965, tra lui e lo psicoanalista Alexander M itscherlich, nel contesto di una seduta di lavoro della Società tedesca di sociologia. Adorno approfittò dell'occasione per precisare la sua diagnosi della tota­ le impotenza dell'individuo, mettendo l'accento sul potenziale di libertà che non condanna affatto i soggetti a una completa impotenza nei con­ fronti della costrizione sociale. Metteva così nettamente in chiaro: «La critica dell'individuo non significa la sua eliminazione» 112 • Come prova per il fatto che esistevano effettivamente negli individui delle forze di re­ sistenza in grado di rivelarsi efficaci, un paio d'anni più tardi Adorno portò ad esempio il Movimento studentesco 113 • E in relazione alla mas­ sa della popolazione diagnosticò la presenza di «una coscienza duplice e in sé contraddittoria» 114 . In una delle ultime conferenze prima della sua morte, tenuta alla fine di maggio del 1969, mise l'accento sul fatto che l'integrazione della coscienza non era tuttavia completamente riuscita. A motivazione di queste tendenze alla disintegrazione addusse gli «interessi reali dei sin­ goli». Questi erano «pur sempre abbastanza forti da resistere, al limite, alla penetrazione totale. Questo concorderebbe con la prognosi sociale secondo la quale una società le cui contraddizioni fondamentali conti­ nuano a sussistere senza la minima riduzione, non può essere integrata totalmente anche nell'ambito della coscienza» 11 5 • Per questa ragione la complessità del sistema sociale è soltanto un velo per le persone. «Sotto molti punti di vista [ . ] la società è diventata più perspicua di quanto non fosse mai stata prima. Se la conoscenza dipendesse esclusivamente dalla struttura funzionale della società, oggi la famosa donna delle puli­ zie potrebbe probabilmente capire benissimo il suo funzionamen­ 6 to» 11 . . .

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Per che cosa vivere: comprendere il linguaggio della musica Chi diventa musicista è riuscito a sfuggire all'insegnan­ te di matematica; sarebbe spaventoso se alla fine finisse comunque nelle sue grinfie

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Anche a prescindere dalla filosofia e dalla sociologia, l'influenza esercita­ ta da Adorno nel corso degl i anni cinquanta non si limitò alla cultura letteraria; anche nella vita musicale della Germania occidentale la sua fi­ gura acquistava un influsso sempre maggiore. Fin dall'anno in cui era tornato definitivamente a Francoforte, aveva preso nuovamente parte ai corsi estivi per la N uova musica che si tenevano a Kranichstein vicino a Darmstadt, riprendendo così i suoi contributi precedenti del 1950 e 8 1951 1 1 • Nel 1951 aveva avuto occasione di fare conoscenza con uno degli esponenti guida della musica seriale di allora, l'olandese Karel Goey­ vaerts: una corrente dell'avanguardia musicale che presto sarebbe stata oggetto di un'accesa controversia. Nel luglio dello stesso anno ebbe luo­ go anche la prima esecuzione dei Vier Lieder nach Gedichten von Stefon George fiir Singstimme und Klavier ( Quattro Lieder su poesie di Stefan George per voce e pianoforte) , op. 7 di Adorno. Fu il compositore stes­ so in persona ad accompagnare al pianoforte la soprano Ilona Steingru­ ber. Nel 1954, su invito di Wolfgang Steinecke, di resse poi, insieme ai due " grandi vecchi " Eduard Steuermann e Rudolf Kolisch, sei seminari sul tema Musica moderna e interpretazione 11 9 • Adorno tenne dapprima una conferenza introduttiva in cui sviluppava la propria concezione sul modo in cui la musica moderna doveva essere eseguita in base al suo contenuto oggettivo e quale fosse il suo rapporto con la tradizione - una serie di riflessioni che era direttamente in relazione con la sua teoria del­ la riproduzione musicale 1 20 • Cercando di accordarsi con Kolisch sul programma del seminario di teoria musicale, Adorno disse che innanzi­ tutto si trattava di «chiarire agli studenti che cosa significhi in realtà un' interpretazione sensata in chiave strutturale. Sulla base dei miei in­ numerevoli appunti sulla teoria della riproduzione musicale, ho pensato di tenere una sorta di relazione introduttiva alla quale poi possiamo rial­ lacciarci [ Kolisch e Steuermann] per il prosieguo del seminario» 121 • A Kranichstein, il Forum della musica moderna che esisteva fin dal 1946 e per il quale nel 1952 Adorno si era impegnato energicamente di­ fendendolo da una serie di accuse, l'intellettuale francofortese non si 5 22

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considerava semplicemente un teorico della musica 122 • Piuttosto vedeva la sua presenza in quella sede come quella di un compositore attivo e, a quanto riferiva la cantante Carla Henius, si sentiva «un musicista a pie­ no titolo» 123 • In effetti, Adorno svolse una parte importante nel far sì che il corso estivo diventasse un centro d'interesse per la Nuova musica. Teneva in modo particolare a essere invitato in quanto compositore nonché autore della Filosofia della musica moderna dal direttore della man ifestazione Stei necke, il quale fino al 1958 fu lieto di esaudire quel suo desiderio. Adorno sapeva discutere appassionatamente in materia di verità musicale. In tal senso sosteneva energicamente la libera atonalità come punto più alto della storia della musica occidentale e difendeva in particolar modo la Seconda scuola viennese rispetto alle altre correnti. A proposito venne a prodursi una controversia tra i viennesi e la Scuola di Darmstadt, formata da una nuova generazione di giovani compositori quali Pierre Boulez, Karlheinz Stockhausen, Karel Goeyvaerts, Luciano Be rio, Gottfried Michael Koenig. Un primo scontro fu innescato da una conferenza di Adorno intitolata Invecchiamento della musica moder­ na, che egli tenne dapprima nell'aprile del 1954 a Stoccarda, in occasio­ ne del festival della musica moderna, e quindi alla radio, causando un certo scalpore tra gli esponenti dell'avanguardia musicale. Nel mese di maggio Adorno pubblicò quella conferenza sulla rivista culturale " Der Monat " e la incluse poi nella sua raccolta di saggi, data alle stampe un anno dopo con il titolo Dissonanzen. Musik in der verwalteten Welt (Dissonanze. La musica nel mondo amministrato) . Nella conferenza si sosteneva la tesi che le conquiste della libertà musicale, che si dovevano primariamente all'atonalità, risultavano limitate ora dal serialismo al­ meno quanto lo erano state a suo tempo dalla dodecafonia. Per il resto Adorno si atteneva alla forza creativa del soggetto componente, al carat­ tere temporale e processuale della musica, rimproverando agli «epigoni della musica moderna» di aver dimenticato il senso complessivo dell'in­ tero fenomeno della N uova musica. Sicché in tal modo cresceva il livel­ lamento e la neutralizzazione del materiale, mentre al contempo veniva meno «la qualità e la necessità dei nessi costruttivi» 124 • Non gl i sfuggì minimamente di avere riscosso consensi per la sua tesi dalla parte sbagliata. Nella prima edizione di Dissonanze osservava a riguardo : «L'autore non ritiene di doversi proteggere dall'abuso che è stato fatto delle sue considerazioni a scopi restaurativi. Nessun momen­ to del pensiero dialettico è al sicuro da simili abusi. L'unico modo per rispondere ad essi [ . . . ] è tramite il carattere convincente di ciò che si 5 23

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esprime» 125 • Quindi, nel corso estivo del 1955, riprese nel suo intervento la critica al serialismo - da lui riassunta nella locuzione «sembra Webern 6 suonato su un organetto elettrico» 1 2 • Tenne infatti tre conferenze riu­ nite sotto il titolo Il giovane Schonberg, che egl i utilizzò per polem izzare con la musica seriale ed elettronica 1 2 7 • Riteneva che fosse necessario per affrontare l'opposizione a Kranichstein, per evitare il pericolo di settari­ smo da parte di quel gruppo composto da quelli che, in una lettera a Kolisch, Adorno defi niva i «maniaci del dodecafonico», i qual i «ora de­ siderano veramente abolire la musica a favore di un'ostinata razionaliz­ 8 zazione nello stile di Boulez» 1 2 • Il vero apice dello scontro fu raggiunto con un saggio scritto dal musicologo Heinz-Klaus Metzger 1 29 , pubbli­ cato nel 1958 sulla rivista " Die Reihe " con il titolo L 'invecchiamento del­ la filosofia della musica moderna. Oltre vent'anni dopo, Metzger ammise che Adorno aveva avuto ragione in quell'occasione. «Aveva riconosciuto molto prima di me alcuni processi di invecchiamento nella musica mo­ derna, benché non ne fossero ancora ravvisabili i sintomi. A posteriori, l'osservazione di Adorno si è rivelata profetica» 13 0 • In campo musicale la posizione di Adorno era molto vicina non sol­ tanto a Kolisch, ma soprattutto a quella del suo ex insegnante di piano­ forte Eduard Steuermann, con il quale aveva coltivato una stretta rela­ zione fin dal 1925. Fin dall'inizio degli anni sessanta, Steuermann aveva mantenuto le distanze dal corso estivo di Darmstadt, sia a causa di di­ vergenze teorico-musical i sia per motivi di salute. Quando, dopo un in­ tenso periodo marcato da una serie frenetica di conferenze, Adorno ven­ ne a sapere che il suo vecchio amico settantaduenne era morto l'n no­ vembre 1964 a New York, la notizia costituì un «colpo indescrivibile» che, come egli stesso scrisse alla cantante Carla Henius, lo colpì in misu­ ra pari al suicidio di Benjamin 131 • L' importanza di Adorno come filosofo della musica si mostrò anche nel fatto che egli non analizzava soltanto le composizioni dell' avanguar­ dia e i loro diversi sviluppi, ma sottoponeva a interpretazione anche le opere musicali di svariati compositori appartenenti al periodo classico e tardo-romantico, come per esempio Beethoven e Mahler. In relazione a Beethoven sono rimasti numerosi appunti manoscritti, composti da Adorno in epoche molto diverse e raccolti in svariati quaderni 13 2 • Tut­ tavia, nel complesso si trattava di frammenti in grado di costituire mate­ riale sufficiente per la composizione di un ampio volume, pubblicato postumo, sul compositore della borghesia in via di emancipazione e or­ mai giunta al potere. Nella dinamica della musica di Beethoven si mani-

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festavano, secondo Adorno, le forze produttive della società borghese, le speranze utopiche per la creazione di qualcosa di nuovo. Al tempo stes­ so si nascondeva in lui «la convinzione che l'autori produzione della so­ cietà come una società identica non è sufficiente, anzi è falsa» 1 33. Grazie all'ascesi di Beethoven nei confronti della spontaneità dell'intuizione, questa musica rappresentava «esattamente il mezzo per sfuggire alla rei­ ficazione. Beethoven, maestro della negazione positiva: getta via per guadagnare» 1 34 • In un altro passo di tale raccolta di appunti provvisori, che contiene alcune idee sull'Eroica, Adorno notava: Espressione dell'orgoglio di poter assistere ad un tale evento, di paterne essere testi­ moni , per esempio nel primo movimento del concerto in mi maggiore e dell'Eroi­ ca.

" Euforia" . In che misura tale sentimento è l'effetto della creazione, il piacere che

incatena l'ascoltatore alla logica dialettica e in che misura, invece, è l'espressione a dare da intendere tutto ciò - si tratta di una questione che corre sul filo del rasoio. La seconda eventualità è una forma precoce della cultura di massa che celebra il proprio trionfo. Questo è il momento negativo della "padronanza del materiale " in Beethoven, l'ostentazione. Qui si trova uno dei punti da cui può muovere la critica.

Come nei frammenti su Beethoven, i cui contenuti filosofici si devono alla pluralità delle analisi dedicate alle singole composizioni, anche il li­ bro su Gustav Mahler era uno studio dedicato all'opera del composito­ re. Quando il volume uscì come numero 61 della collana " B ibliothek Suhrkamp", l'autore chiariva fin dall'inizio l'oggetto di quella monogra­ fia: non si trattava di presentare la vita del compositore, la sua personali­ tà o le motivazioni interne del suo comporre musica, ma di cercare la vi­ cinanza con l'opera tramite una «costellazione di singole analisi» dedica­ te alle composizioni di Mahler 1 35 • Ricostruire a fondo le intenzioni sog­ gettive di Mahler era un fatto secondario, perché le intenzioni non si possono indagare. Si trattava piuttosto di far valere la premessa secondo cui l'artista è «organo di compimento)) della «logica oggettiva dell'opera 6 d'arte)) 1 3 • A prescindere da questa posizione di partenza assolutamente centra­ le per la concezione adorniana dell'arte, il libro su Mahler provava anco­ ra una volta in modo evidente che Adorno concepiva i propri testi in senso letterario, anche se in parte si trattava di analisi tecniche di un'o­ pera. Proprio per un libro ricco di elementi metaforici come questo do-

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veva valere ciò che egli affermava della "prosa decente", ossia che essa deve assomigliare a una candela «che si accende ad entrambe le estremi­ tà, sia sopra sia sotto. Nel punto in cui le due fiamme s'incontrano, il ti­ tolo dovrebbe illuminarsi» 1 37 • In questo caso il titolo fu: Mahler - Eine 8 musikalische Physiognomik (Mahler. Una fisiognomica musicale) 1 3 • Adorno chiamava la monografia su Mahler il suo "libro della giun­ gla"; mai nella vita si era trovato a «sapere così poco» di ciò che stava fa­ cendo mentre scriveva 1 39 • Questa dichiarazione non si riferiva tanto al fatto di aver dovuto scrivere il libro in un tempo molto limitato - a tale scopo si era ritirato in primavera a Oberlingen sul lago di Costanza pres­ so il Bad-Hotel -, quanto al fatto che si trattava a tratti di un libro mol­ to personale, sia nel tono sia nella fantasia, tanto nelle immagini che nella plasticità del linguaggio 1 40 • Adorno confessò ad Arno l d Gehlen che si trattava di uno scritto sulla musica molto meno sociologico di al­ tri 141 • Il registro estetico-musicale veniva particolarmente alla luce nelle creazioni linguistiche di Adorno, come per esempio, nel passo in cui no­ tava che il gesto epico della musica sinfonica di Mahler gli ricordava il «lungo sguardo di struggimento» della Recherche proustiana. « In en­ trambi [ . . . ] , una gioia e una malinconia senza limiti pongono il loro enigma, che trova il suo ultimo asilo nella proibizione di immagini di speranza. Ma proprio questa dà a entrambi la forza di nominare ciò che è dimenticato e che si cela nell'esperienza fatta. Al pari di Proust anche Mahler ha tratto in salvo dalla fanciullezza l' idea che lo guida» 1 42 • Un a simile interpretazione tradiva la vicinanza delle esperienze infantili di Adorno con quelle di Proust, ma anche di Mahler, perché i ricordi im­ mediati di un'infanzia trascorsa a suonare e fare musica svolgevano un l ruolo determinante anche nei suoi testi più teorici 43 . Nel suo volume Adorno si limitava essenzialmente all'analisi delle nove grandi sinfonie di Mahler e a una parte dei Lieder. «Tentando di rintracciare il gesto mimetico della musica», analizzava in particolare le varianti, la nota popolare, l'elemento cinese nel Lied von der Erde (Can­ to della terra) . Precisamente quest'opera era oggetto della fisiognomica di Adorno. Questa composizione e soprattutto la Nona sinfonia ispira­ rono Adorno a rilevare che a questa musica si addice «la bellezza non è che un riflesso di speranza trapassata, che riempie di sé l'occhio morente finché esso si raggela nel freddo dello spazio senza confini. Il momento del rapimento di fronte a tale bellezza fida di poter resistere alle catene che lo legano alla natura disincantata: l'ultima metafisica sta nell' impos­ sibilità di qualsiasi metafisica» 1 44 . Quello che Adorno metteva in luce

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come tratto principale del linguaggio musicale di Mahler era l'impiego di materiali musicali familiari il cui senso tradizionale veniva al contem­ po infranto: «Ogni sinfonia di Mahler sembra ricercare la possibilità di ricostituire una totalità viva dalle macerie del mondo musicale reifica­ to» 1 45 • Il compositore, però, non finge a riguardo una conciliazione riu­ scita, annuncia bensì il principio della coerenza rivolgendo un'accusa al corso del mondo. Il crollo appare come " il compimento negativo ", come la verità. «Nella sua musica egli perora la causa dell'astuzia conta­ dina contro i padroni, di coloro che tagliano la corda un momento pri­ ma del matrimonio, degli outsiders, degli incarcerati, dei fanciulli indi­ genti, dei perseguitati, delle postazioni perdute. Solo a Mahler potrebbe adattarsi il termine di " realismo socialista", se esso non fosse così degra­ dato dalla dittatura. [ . . . ] Legittimo erede di quella posizione è Alban 6 Berg» 1 4 • Il momento espressivo nella musica di Mahler, che nei suoi frantumi raggiunge la verità, trae la propria forza dalle esperienze incon­ sce che derivano dal « remoto passato, anteriore alla fase della razionalità e dell'univocità di significato» 1 47 • Adorno definiva così l'espressione musicale come " espressione della negatività ", che in Mahler è «diventa­ ta pura categoria della composizione, attraverso il banale che si ricono­ sce tale, attraverso il sentimentalismo la cui paurosa meschinità si strap­ pa la maschera, attraverso un'espressione spinta oltre quanto la musica 8 permetta di per se stessa» 14 . Ad esempio dell'ambiguità parodistica e dell'ambivalenza mahleria­ ne Adorno indicava il suono della campanella all'inizio della Quarta sin­ fonia, che egli interpretava come un «campanello birbone, che, senza dirlo, afferma: " nulla di ciò che state ascoltando è vero "» 149 . Benché Adorno avanzasse qualche riserva circa il rondò finale della Settima sin­ fonia, che gli sembrava essere troppo teatrale, così come nei confronti della Quarta sinfonia, da lui considerata in larga parte come un'infelice ripresa dell'elemento liturgico, le sue analisi tentavano di provare che la Nuova musica della Seconda scuola vi ennese era nata dalla musica di Mahler operandone un ribaltamento dialettico. Mahler aveva modella­ to gli accordi tonali in quanto «criptogrammi della modernità» , come ° «luogotenenti della disso nanza assoluta)) 1 5 . In seguito alle controversie con i serialisti e i post-serialisti, Adorno tentò di chiarire definitivamente la propria posizione nei confronti del­ l' avanguardia musicale in una conferenza che egli tenne a Kranichstein al corso estivo per la Nuova musica, circa un anno dopo l'uscita del for­ tunato libro su Mahler e il discorso, molto apprezzato, da lui tenuto a

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Vienna in memoria del compositore. A quattro anni di distanza dall'ul­ tima lezione del 1957, Steinecke lo aveva nuovamente invitato a parteci­ pare al corso e, nel settembre del 1961, Adorno colse l'occasione per te­ nere un discorso real mente costruttivo e programmatico, nel senso mi­ gliore del termine, in cui sviluppò dettagliatamente il progetto di una musica informale in una direzione che egli riteneva essere uno sviluppo coerente della libera atonalità. Adorno non esitò a sottoporre a processo se stesso, ossia le proprie dichiarazioni passate in merito agli esperimenti elettro n ici: Una volta, a Kranichstein, ho attribuito una carenza di determinazione linguistico­ musicale a una composizione di cui avevo dinanzi la partitura e che era animata dall'intenzione di unificare in sé tutti i parametri, ponendo la seguente domanda: " Dove sono qui il tempo precedente e il tempo successivo ? " . Devo correggermi. La musica contemporanea non si può legare a categorie apparentemente così gene­ rali come movimento anteriore e posteriore, come se si trattasse di categorie im­ mutabili. Da nessuna parte è scritto che essa debba contenere a priori qualcosa come elementi tramandati, campi di tensione e di risoluzione, continuazione, svi­ luppo, contrasto, conferma; e tanto meno è scritto che, nel nuovo materiale, le re­ miniscenze di tutto ciò causino spesso gravi divergenze la cui correzione sarebbe un

motore dell'evoluzione musicale 1 51 •

Dopo aver pronunciato tale autocritica e dopo una revisione del sogget­ to della composizione, da una parte, e del materiale musicale, dall'altra, Adorno (in accordo con la musica aseriale di Metzger) promosse quella che, nella sua conferenza, chiamò per la prima volta musique informelle. Con questo termine egli intendeva compiere un passo ulteriore verso la liberazione musicale 15 2 • Progettò il futuro di uno scavalcamento dell'a­ vanguardia attraverso una prassi determinata e precisa di libertà assolu­ ta. Perseguì l'indipendenza del compositore dalle forme tramandate, la creazione autonoma di tutti i parametri musicali. Auspicava, al massimo livello presente della padronanza del materiale, un modo di comporre che si costituisse nel movimento stesso del proprio compimento esteti­ co, un'arte in tutto e per tutto autonoma che si contraddistinguesse per il fatto di «essere effettivamente e puramente quel che è)) e per la capaci­ tà di «ammettere la non-identità e porla in atto)) 1 53 . Adorno voleva promuovere la libertà musicale per scongiurare una fuga in un'attività compositiva affidata al caso, una soluzione che tanto a lui che a Gyorgy Ligeti appariva come determinazione assoluta. Al-

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l'opposto, una musica aleatoria 1 54 liberata dalla creazione musicale avrebbe portato verso il vicolo cieco della statica. A Kranichstein Ador­ no metteva espressamente in guardia in questo modo: «N eli' eterno ri­ torno del bisogno di ordine orientato sugli schemi non riesco a vedere alcuna garanzia della verità di tale bisogno, vi scorgo piuttosto un sinto­ mo di debolezza perenne» 1 55 • Il soggetto componente doveva quindi emanciparsi, tramite gli impulsi riflessivi forniti da una musica informa­ le, dall'assurda paura del caos come conseguenza dalla libertà. Sottoponendo a verifica il proprio ideale estetico-musicale nella conferenza di Kranichstein e tentando di rendere plausibile, in seguito a tale processo di autoriflessione, un proprio criterio come prospettiva della composizione futura, Adorno apriva la porta a una musica post­ avanguardista estremamente attuale, che doveva sottrarsi alle consuete trappole dell'affermazione e dell'elusione. «In una musique informelle verrebbero positivamente superati gli elementi di razionalizzazione che risultano oggi deformati. [ . ] La musique informe/le sarebbe una musica in cui l'orecchio avverte vivacemente dall'ascolto del materiale quel che ne è diventato. [ . . . ] La musicalità, di cui necessita [ . . . ] una musique in­ formelle, è una musicalità che, da un lato, porta in sé le parti costituenti della musicalità passata, ma al tempo stesso indietreggia da ciò che ordi­ 6 nano le convenzioni del musicale» 1 5 • La programmatica adorniana conteneva l'esigenza di un'organizzazione delle differenze compositive, per esempio la differenza tra costruzione ed espressione, tra ripetizione e variazione, in modo da raggiungere così una mediazione tramite gli estremi. Se nella sua conferenza Adorno ribadiva in continuazione la li­ bertà creativa di un soggetto indipendente da tutte le prescrizioni tradi­ zionali e da qualsiasi costrizione sociale, non lo faceva con l' «enfasi tipi­ ca dell'estetica dell'espressione» 1 57 , ma con l'intenzione di garantire al­ l' artista tutto lo spazio di cui aveva bisogno per liberarsi dalle istanze preformanti di un materiale reificato, così come da un orientamento in­ teriorizzato verso i valori convenzionali. Questa libertà, nondimeno, doveva anche contenere un'integrazione della tradizione nel senso di un suo superamento, come per esempio Adorno aveva mostrato nella sua analisi dell'opera di Mahler. In altri passi si leggeva che i mezzi musicali della tradizione non dovevano affatto essere restaurati, «ma rimodellati secondo il criterio del nuovo materiale. Il segreto della composizione ri­ siede nella forza che trasforma il materiale nel processo di un progressi­ 8 vo adeguamento» 1 5 . .

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Adorno aveva tentato di mostrare alcuni esempi di come risolvere il segreto dell'integrazione della tradizione tramite il suo superamento non soltanto nella sua monografia su Mahler; lo mostrò ancor più chia­ ramente nel volume pubblicato a poco meno di anno dalla sua morte, la monografia dedicata ad Alban Berg: Der Meister des kleinsten Ubergangs (Alban Berg: il maestro del minimo passaggio) , ulteriore dimostrazione per esempi, un'altra prova di come fosse possibile nella composizione « [elevare] ad essenza ciò che un tempo era accidente e fatto convenzio­ nale [ . . . ] e, mediante un uso coerente, [farlo diventare] il mezzo che an­ nienta la convenzione con inesorabile tenerezza» 159 .

Vivere rettamente ? Luoghi, persone, amicizie Adorno non faceva mistero che esistessero per lui luoghi in cui amava soggiornare. Si trattava di località che gli erano particolarmente care. Tra queste c'era Amorbach, la cittadina bavarese dell'Oldenwald, che si poteva raggiungere in treno da Franco forte in poco meno di due ore. Fin dalla sua prima infanzia, " Teddie " vi aveva trascorso la villeggiatura con la famiglia. I Wiesengrund alloggiavano sempre nella stessa stanza, la numero 3 presso la pensione " Post ", che dal 1772 era di proprietà del­ la famiglia Spoerer, con la quale i genitori di Adorno avevano sviluppa­ 6 to da tempo un rapporto d'amicizia 1 0 • Oscar Wiesengrund forniva i vini del Palatinato e della Rheingau all'albergo, la cui cucina tentava di essere all'altezza delle esigenze culinarie elevate di una clientela di città come appunto i Wiesengrund. G ià dalla sua prima infanzia, Adorno imparò a conoscere e apprezzare piatti quali le trote alla mugnaia, appe­ na pescate nei corsi d'acqua dell'Oldenwald e rosolate nel burro, o l' ar­ rosto di capriolo ai mirtilli rossi. Durante le escursioni nei boschi vicini incontrava «l'antica era di Siegfried» il quale «doveva essere stato ferito a morte>> proprio lì. E le sirene dei traghetti sul Meno, «che occorreva usa­ re quando [si voleva] andare al monastero di Engelberg», comunicavano il sentimento di una storia millenaria. Quando Adorno si recava per una passeggiata da Amorbach a Miltenberg passando per Reuenthal e Mon­ brunn, gli semb rava di ripercorrere le orme di Neidhard che lì aveva 6 presumibilmente la sua patria 1 1 • Per finire, al piccolo Adorno appariva il personaggio visibilmente temerario, che alla locanda " Post" «beveva il suo quartino; così barbuto e rusticamente abbigliato, mi pareva balzato fuori dalla Guerra dei con530

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tadini che conoscevo dalla biografia di Gottfried von Berlichingen con­ tenuta nei volumetti Reclam forniti dal distributore automatico della 6 stazione di M iltenberg» 1 2 . Amorbach era la sua Combray, la località proustiana della Recherche du temps perdu, quel libro che, secondo Ador­ 6 no, era «l'autobiografia di ciascuno» 1 3 . Al pari di Proust, egli conosceva l'esperienza di felicità provata dall'adulto quando percepisce all' orec­ chio i nomi dei paesi della sua infanzia. «Si crede che se vi si andasse, si sarebbe appagati. Un a volta che vi si è realmente, la promessa si allonta­ na come l'arcobaleno» . E tuttavia, Adorno affermava nella Dialettica ne­ gativa: «Per il bambino è ovvio che ciò che lo estasia nella sua cittadina preferita si può trovare solo lì, veramente e da nessun'altra parte. Egli si sbaglia, ma il suo errore fonda il modello dell'esperienza, di un concet­ to, che infine sarebbe quello della cosa stessa, non il misero derivato dal­ 6 le cose» 1 4 . Adorno non mancò di presentare la «cittadina preferita» e i suoi dintorni alle persone che gli erano care. Alla fine degli anni venti, vi si recò insieme alla sua futura moglie G retel, oltre che insieme agli amici Kracauer, Lowenthal e Hermann G rab . Durante gli anni cinquanta, di tanto in tanto la domenica o nei giorni festivi era solito recarsi nell 'O­ denwald, a volte con la propria auto, accompagnato per esempio dal suo amico architetto Ferdinand Kramer e dalla moglie Lore, sposata in se­ 6 conde nozze 1 5 . Ancora all'inizio del 1968, Adorno si adoperò presso l'amministra­ zione municipale di Amorbach affinché venissero conservate le piazze e le strade caratteristiche della cittadina, nonostante l'adozione delle mi­ sure di modernizzazione urbanistica. Manteneva contatti anche con la famiglia dei proprietari dell'albergo " Post ", così come con Berthold Bi.ihrer, il direttore di musica sacra della città, che conosceva fin dall'in­ fanzia, quando erano soliti giocare nella segheria della sua famiglia. In una lettera del gennaio 1968, Adorno esprimeva la sua gioia per il fatto che Berthold Bi.ihrer fosse diventato primo organista della chiesa di Amorbach ed auspicava che, alla sua prossima visita, l'amico gli avrebbe 66 personalmente suonato alcuni brani di Bach 1 • Vienna era un altro luogo al quale erano legati ricordi felici per Adorno. Era la città che egli associava alla persona di Alban Berg, ai mesi eccitanti che vi aveva trascorso insieme al compositore. Nel 192 5 , Adorno aveva soggiornato per la prima volta nella metropoli austriaca dai palazzi aristocratici, trascorrendovi un periodo relativamente lungo di separazione dalla famiglia a Francoforte, e lì aveva dovuto trovare la 53 1

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propria strada facendo affidamento sulle proprie forze. Lì aveva incon­ trato Arnold Schonberg e An ton Webern, aveva ascoltato le conferenze di Karl Kraus, aveva conosciuto Alma Mahler, aveva stretto amicizia con Soma Morgenstern e fatto la conoscenza di Hermann Grab . Non c'è da sorprendersi che, dopo il suo ritorno dall'esilio, si recasse quasi ogni anno a Vienna, dove tentava di conciliare interessi professionali ed esigenze personali. Nei limiti del possibile tentò di mantenere i contatti con Helene Berg, intensificò i rapporti con l'attrice del Burgtheater Lot­ te Tobisch e strinse amicizia con Andreas Razumovsky, il futuro critico musicale della " Frankfurter Allgemeinen Zeitung", il quale era un diret­ to discendente di quell'ambasciatore russo a Vienna che, ai suoi tempi, 6 era considerato un mecenate di Beethoven 1 7 • Anche negli anni cin­ quanta e sessanta, l' indolente disinvoltura dei viennesi esercitava un cer­ to fascino su Adorno, così come la loro tendenza al macabro : «Chi non prende le cose tanto sul serio, lascia volentieri che le cose serie seguano il loro corso. In questo lo spirito obiettivo della città è inesauribilmente produttivo. Quel tale che un paio di anni fa pugnalò indisturbato un'al­ lieva della scuola di ballo nel labirinto dell'Opera si chiamava Wein­ 68 wurm» 1 • Per Adorno Vienna era innanzitutto la città della grande musica, nonché la città dotata dell'Opera in assoluto più famosa, alle cui rappre­ sentazioni egli si recava volentieri durante le sue visite in città. Quando si fa ingresso nell'edificio [ . . ] , si prova sempre qualcosa dell'emozione del .

bambino che attende l'arrivo di Natale. Da questa istituzione operistica emana una forza di suggestione che, nonostante tutto, promette sempre cose straordinarie. [ . . . ] A questo viene ad aggiungersi un prestigio internazionale intatto, e il fatto che per gli abitanti della città l'Opera conserva ancora tutto il proprio fascino. [ ] Per­ ...

fino la famigerata dimensione da pettegolezzo della musicalità viennese non è del tutto improduttiva»

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La scenografia realistica nella rappresentazione della Sposa venduta, nel­ l'interpretazione di una soprano molto ammirata come lrmgard See­ fried, gli piacque, sebbene avesse a tratti oltrepassato il limite del Kitsch: «Le immagini del villaggio conoscevano il segreto formale della scena­ grafia: di avvicinare cose nostalgicamente lontane come se ci si trovasse in mezzo a loro, senza per questo attenuare il profumo di lontanan­ za» 1 7 0 • Anche la scenografia della rappresentazione di Wozzeck ad opera di Caspar Neher risultò gradita a uno spettatore critico come Adorno, il 532

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quale al tempo stesso poté felicemente constatare che il pubblico vien­ nese ormai applaudiva la musica di Berg. Adorno era in contatto con il direttore dell'Opera Egon Hilbert, il quale si opponeva alla cosiddetta "cricca di Karajan " e a cui il professore francofortese sottopose alcune proposte per una riforma dell'Opera di Stato . Nel corso di un dibattito tenutosi nel maggio 1966 al Palais Pall­ fy, Adorno sviluppò le sue idee relative a un'opera-stagione o un'opera­ ensemble, idee che approfondì due anni dopo nel corso di una confe­ renza. Le sue proposte di riforma miravano a liberare l'Opera da una parte dal repertorio standardizzato e, dall'altra, dalla pompa derivante dal culto delle star, dei celebrati direttori d'orchestra e dei grandi solisti. «Il carattere ammuffito e logorato dell'Opera basata sul repertorio, con­ tro la quale lottò disperatamente Gustav Mahler, nel frattempo si dif­ fonde sempre più. È sufficiente recarsi a caso in un qualunque teatro del mondo ed assistere a una rappresentazione per rendersi conto della sconcertante desolazione e tristezza del fenomeno» 1 71 • Ma Adorno criti­ cava anche un teatro lirico basato sulla stagione operistica a causa del­ l' ossessione per le grandi prestazioni, a causa della falsa ambizione con­ sistente nel voler sempre presentare unicamente le «voci in assoluto più belle al mondo», a causa della sua ideologia basata sul mercato e lo spet­ tatore-cliente. «Gli aspetti preparatori, culinari, del soddisfacimento dei sensi prendono la precedenza su tutto il resto» 1 72 . La città e le sue im­ mediate vicinanze, in cui Adorno si sentiva «come nella Germania meri­ dionale della mia infanzia» 1 73 , possedevano non soltanto uno splendore culturale impareggiabile, ma esercitavano per Adorno anche un' attra­ zione culinaria alla quale si lasciava volentieri andare nei Caffè o , ad esempio, nel ristorante dell'hotel " Sacher", uno dei migliori indirizzi per gustare il Tafelspitz austriaco, il bollito di manzo con senape e pata­ te. Al " Sacher" «tra gli habitués e coloro che si conoscono si produce fa­ cilmente quel tipo di comunicazione che, altrimenti, sembra naturale solo sulla scena. [ . ] È raro cenare al Sacher senza incontrarvi qualche proprio conoscente o senza che ne incontrino le persone con le quali si va a cenare lì dopo l'Opera» 1 74 • La naturalezza dei rapporti con l'aristo­ crazia faceva parte di uno degl i aspetti gradevoli della città sul Danubio, dove Adorno poteva soddisfare il proprio debole per la nobiltà: «Ciò che attira verso l'aristocrazia e spinge alcuni dei nobili a stringere rap­ porti con gli intellettuali è tanto semplice da sfiorare la tautologia: en­ trambi non sono borghesi. La loro condotta di vita non soggiace ai det­ tami del principio dello scambio e ai più particolari tra di essi è garantita . .

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una libertà, quasi senza pari, dalle costrizioni legate agli scopi e ai van­ taggi pratici» 1 75 • Da Vienna Adorno proseguiva a volte in direzione sud: oltre le Alpi, infatti, lo aspettavano località e paesaggi in cui si sentiva felice. Tra questi contava la Toscana, con i suoi vigneti, i cipressi, i pini ma­ rittimi e gli ulivi, in particolare le città di Lucca e Firenze con le loro chiese e i palazzi, ma anche Roma. D i queste regioni, nelle quali a par­ tire dalla metà degli anni cinquanta egl i si recava regolarmente, gli pia­ ceva il fatto che la vita si svolgesse per le strade e che queste appartenes­ sero per così dire all'interno delle case. «La merce esposta nelle vetrine delle botteghe [ . ] ha qualcosa del tesoro. Basta passarvi davanti per di­ 6 sporne» 17 • E nemmeno le autostrade, disseminate di innumerevoli cartelli pubblicitari, osservava Adorno, riuscivano deturpare la bellezza del paesaggio toscano. Per finire, Adorno era incantato dallo stravagante paesaggio di alta montagna e dall'altopiano costellato di laghi dell'Alta Engadina. Ador­ no e la moglie erano particolarmente infatuati della piccola località di Sils Maria, situata tra la mondana Saint-Moritz e il Passo Maloja, e della vita in grande stile che si poteva condurre presso l'hotel "Waldhaus ". Dal 1955 al 1966, i coniugi Adorno trascorsero regolarmente le ferie esti­ ve al "Waldhaus ". S ils Maria era diventata famosa tra gli intellettuali grazie ai soggiorni estivi che vi aveva trascorso Nietzsche, il quale tra il 1881 e il 1889 aveva cercato soll ievo nelle grandi passeggiate condotte in quello che egli chiamò «l'angolo più ridente della terra», dove peraltro aveva scritto anche alcune parti del suo Così parlò Zarathustra 177 • Nel paesi no collocato a 1 .8oo metri d'altitudine, costituito da non più di quaranta case e che si distende ai margini di un'ampia pianura aperta verso sud, erano stati ospiti, tra gli altri, anche Marcel Proust, Hermann Hesse, Rainer Maria Rilke, Karl Kraus, Ernst Robert Curtius. E quando Adorno e la moglie si iscrissero nella lista dell'elegante quanto riservato hotel "Waldhaus ", si imbatterono in un' intera serie di nomi illustri di musicisti, scrittori ed intellettuali, tra cui Thomas Mann, Georg Solti, Otto Klemperer, Bruno Walter, Wilhelm Backhaus, Wilhelm Kempff, Alexander Mitscherlich o Siegfried U nseld. Durante il mese delle va­ canze estive a S ils Maria non mancava l'occasione di fare incontri, così come per esempio con i critici letterari Peter Szondi e Hans Mayer, i fi­ losofi Helmuth Plessner, Karl Lowith e Herbert Marcuse, o l'attrice del Burgtheater Lotte Tob isch . Sicché non mancavano neppure i compagni di conversazione per le lunghe serate dinanzi a una bottiglia di "Vel di. .

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ner". Nei periodi in cui non era esposto a troppe pressioni da parte del lavoro, Adorno sapeva essere di una «spensierata allegria», come testi­ moniano Lotte Tobisch e altri 1 78 • Le discussioni di argomento musica­ le, letterario e filosofico proseguivano nelle escursioni a piedi attraverso la valle di Fex, verso la penisola Chasté o dirette all' Isola Weiler, situata proprio direttamente sul lago di Sils, sull'Alpe Laret: I villaggi si stagliano sulla montagna come se vi fossero stati posati da dita leggere, oggetti mobili e privi di fondamenta. Così, somigliano al giocattolo che promette di appagare la fantasia di essere un gigante: di farne ciò che si vuole. Il nostro alber­ go invece, con le sue dimensioni esagerate, è uno di quei minuscoli edifici ornati di merli, che nella nostra infanzia abbellivano i tunnel da cui sfrecciava via il trenino elettrico . Ora ne abbiamo finalmente varcato la soglia e sappiamo cosa c'è den­ tro 1 79.

Naturalmente Adorno aveva cercato anche di trovare traccia del passag­ gio di Nietzsche nei vecchi registri degli ospiti degli alberghi. Presso l'al­ bergo " Pensiun privata", tuttora frequentato dagli intellettuali, era an­ cora registrato il suo nome. Quando poi Adorno venne a sapere che il vecchio proprietario della drogheria, Christian Zuan, ai tempi della sua infanzia aveva ancora conosciuto Nietzsche, all'inizio degli anni sessan­ ta si era recato, insieme a Herbert Marcuse, a trovare quel signore ormai ultra novantenne: Fummo amabilmente ricevuti in una specie di ufficio privato. Effettivamente il si­ gnor Zuan ricordava qualcosa. Richiesto di maggiori particolari, raccontò che Nietzsche soleva portare sia con la pioggia sia col bel tempo un parasole rosso - è probabile che sperasse di evitare in tal modo i suoi mali di testa. Una banda di ra­ gazzi, di cui il signor Zuan aveva fatto parte, si divertiva a mettere dei sassolini nel­ le pieghe dell'ombrello chiuso, di modo che appena veniva aperto cadessero sul suo proprietario. Che avrebbe rincorso i ragazzi minacciandoli con l'ombrello alzato, senza però mai riuscire ad acchiapparli. Pensammo in che difficile situazione do­ vesse essersi trovato quell'uomo sofferente che inseguiva invano i suoi persecutori e alla fine, poiché rappresentavano la vita contro lo spirito, magari era anche costret­

to a dar loro ragione 1 8 0 •

Nell'agosto del 1959, a Sils Maria avrebbe dovuto verificarsi un incontro tra Adorno e il poeta Paul Celan . L'iniziativa era partita dal critico lette­ rario Peter Szondi, il quale non soltanto conosceva bene entrambi, ma 535

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aveva percepito l'affinità di pensiero che sussisteva tra il filosofo della negazione determinata e il poeta ebreo nato nel 1920, il quale, nono­ stante l'esperienza traumatica della Shoah, alla quale era sfuggito solo per un soffio, scriveva nella lingua degli assassini. Senza dubbio esisteva un interesse reciproco a fare la conoscenza l'uno dell'altro. Tuttavia l'in­ contro programmato non ebbe luogo. Celan partì con la moglie Gisèle e il figlio Eric, prima dell'arrivo di Adorno in Engadina, per tornare a 8 Parigi 1 1 • Qui il poeta scrisse a posteriori la sua prosa Gesprach im Gebirg (Conversazione nella montagna) e, in seguito, entrò in contatto episto­ 8 lare con Adorno 1 2 • Celan, il quale dai tempi di Todesfuge (Fuga della 83 1 morte) cercava un'espressione poetologica per il dolore infin ito pati­ to degli ebrei nei campi di sterminio, non condivideva il verdetto inten­ zionalmente provocatorio pronunciato da Adorno nel 1951 sulla poesia dopo Auschwitz. Ciononostante la sua attitudine nei confronti di Ador­ no e della sua filosofia era improntata a una fondamentale approvazio­ 8 ne 1 4 • La tematica nascosta della fittizia Conversazione nella montagna immaginata dal poeta, un testo estremamente singolare dal punto di vi­ sta linguistico che restò unico e senza pari nell'intera opera lirica del poeta, era l' identità o la non identità ebraica, la possibilità o l'impossib i­ lità dell'arte dopo Auschwitz. All'epoca in cui avrebbe dovuto verificarsi l' incontro di S ils Maria, Celan era ancora convinto che Adorno fosse un ebreo come lui, da qui il dialogo tra l"' ebreo Grande " Qude GroB) e l"' ebreo Piccolo " Q ude Klein): Una sera che il sole, e non soltanto lui, era tramontato, s i mise in cammino, usci dalla s ua casupola e si mise in cammino l'ebreo, l'ebreo e figlio di un ebreo, e con lui camminava il suo nome, l'impronunciabile, camminava e venne [ . . . ] . Grande venne verso Piccolo, e Piccolo, l'ebreo, ordinò al suo bastone di tacere davanti al bastone dell'ebreo Grande [ . . . ]

[ . . . ] e io so, so, cugino, io so, io ti ho incontrato, qui, e abbiamo parlato, molto

[ . . . ] noi, gli ebrei, venuti, come Lenz, attraverso la montagna, tu Grande e io Pic­ colo, tu, il chiacchierone, e io, il chiacchierone, noi, con i bas toni, noi coi nostri

nomi, impronunciabili, noi con le nostre ombre, la propria e l'estranea, tu qui e qui io

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Il 23 maggio del 1960 Celan spedì ad Adorno la Conversazione nella montagna, in cui egli cercava di trovare se stesso attraverso il sosia imma­ ginario dell'altro, dopo avere appreso dallo scrittore Herman n Kasack, il presidente della Deutsche Akademie fi.i r Sprache und Dichtung (Acca-

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demia tedesca per la lingua e la poesia) , che quell'anno il rinomato Pre­ mio Bi.ichner sarebbe stato assegnato a lui. Nella lettera scritta da Celan ad Adorno si leggeva: «Le invio qui [ . . . ] questa piccola prosa che guarda in al t o verso di Lei, in direzione di S ils Maria; è il testo di cui le ho detto a Francoforte. [ . . . ] Già nel titolo è "Judendeutsch " . [ . . . ] Le piacerà ? Ci 86 terrei davvero a saperlo !» 1 Poco prima di scrivere questa lettera, Celan aveva finalmente incontrato di persona Adorno a Francoforte. Forse il poeta si era recato in viaggio nella città sul Meno mosso anche dall'inte­ resse per la lezione di poetica che vi avrebbe tenuto Marie Luise Kasch­ 8 nitz, con la quale si trovava da anni in rapporti di buona amicizia 1 7 • La Kaschnitz aveva rilevato nel semestre estivo la docenza di Poetica creata tra gli altri da Helmut Vierbrock, dopo che lngeborg Bachmann aveva tenuto il corso inaugurale nel semestre precedente. La filosofia di Ador­ no rivestiva una grande importanza agli occhi di Celan, come dimostra il fatto che questi trasformò la sua elaborazione letteraria dell"' incontro mancato in Engadina" nell'oggetto del suo discorso di ringraziamento per il conferimento del Premio Bi.ichner, che egli tenne il 22 ottobre. In questo discorso Celan presentò una concezione secondo cui la poesia doveva diventare una «messa in questione», mostrava la tendenza ad , secondo cui la lirica si afferma «ai margini di se stes­ 88 sa» 1 . Erano tutti motivi che corrispondevano ai pensieri formulati da Adorno nei suoi saggi riuniti nelle Note per la letteratura. Già alcuni mesi prima del discorso del Premio Bi.ichner, Adorno aveva reagito con grande amicizia al testo in prosa inviatogli da Celan . Nella sua lettera di risposta aveva incluso una citazione dall'ultimo capitolo del "volumetto su Mahler", appena uscito proprio in quei giorni. Con questa citazione, che si riferiva alla sua interpretazione della Nona sinfonia, Adorno voleva far notare che non gli era sfuggita la struttura intensa del dialogo conte­ nuto in Conversazione nella montagna: «È nell'impostazione dialogante del movimento che appare il suo contenuto. Le voci si interrompono re­ ciprocamente, come se volessero superarsi a vicenda per intensità e for­ za: da qui derivano quel tono insaziabile dell'espressione e la prossimità con la lingua da parte di questa composizione. Mi sembra proprio che in tal modo sia effettivamente entrato nella poesia un elemento proprio della musica» . Al tempo stesso Adorno si congratulava con Celan per il conferimento del Premio Bi.ichner: «Si tratta senza dubbio dell'unico tra 8 i premi letterari tedeschi che significhi davvero qualcosa» 1 9 . Quando, nella primavera del 1961, Adorno tenne tre lezioni presso il Collège de France a Parigi, si premurò che fosse invitato personalmente 537

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anche Celan . In effetti questi assistette alla prima lezione, svoltasi il 1 5 marzo, sul tema Le besoin d'u ne ontologie. Durante quel soggiorno pari­ gino protrattosi per una settimana, Adorno tentò di far sì che il poeta facesse conoscenza con Beckett, ma il progetto fallì, con grande delusio­ ne dell'iniziatore di quell' idea. Infatti, erano proprio queste due perso­ nalità letterarie che Adorno aveva in mente quando in un saggio, pub­ blicato nel 1962 su " Merkur", scriveva in modo inequivocabile: « Il con­ cetto di una cultura risorta dopo Auschwitz è ingannevole e assurdo, e per questo ogni nuova creazione che ancora sorgerà dovrà pagare un prezzo amaro. Dal momento, però, che il mondo è sopravvissuto alla sua rovina, ha tuttavia bisogno dell'arte in quanto sua storiografia in­ conscia. Gli autentici artisti del presente sono quelli nelle cui opere con­ ° tinua a vibrare l'orrore più estremo» 1 9 . Allorché, durante il cosiddetto "caso Goll " 1 9 \ Celan si trovò ad af­ frontare l'accusa di plagio per le sue poesie, Adorno si comportò in modo piuttosto discreto, benché sapesse da Marie Luise Kaschnitz e ln­ geborg Bachmann quanto Celan soffrisse per l'oltraggio di quell'impu­ tazione. Sicché Adorno voleva mostrare la sua solidarietà scrivendo un saggio sulla raccolta di liriche Sprachgitter (Grata di linguaggio) , anche in considerazione del fatto che erano state avanzate critiche venate di antisemitismo come quelle, per esempio, di Hans Ego n Holthusen, ma anche di Gtinter Blocker, alle poesie di Celan, e alla luce della tendenza ad escluderlo come " stran iero " dalle attività letterarie della German ia occidentale. Stilò alcuni appunti a questo scopo in seguito ad «una rela­ zione improvvisata sulla poesia ermetica», che aveva tenuto nell'estate del 1967 nel quadro del seminario berlinese di Peter Szondi. Adorno non riuscì più a scrivere il saggio programmato perché in quel periodo tentava di concentrarsi sulla scrittura del suo nuovo libro, la Teoria este­ tica 1 9 2 • Indubbiamente Celan restò enormemente dispiaciuto per il fat­ to che Adorno non avesse trovato il tempo di redigere il saggio su Sprachgitter. La delusione, tuttavia, non lo trattenne dall'esprimere il suo consenso incondizionato per la Dialettica negativa, un riconosci­ mento che rappresentò per Adorno una grande soddisfazione. Perché proprio in questo testo, nella sezione intitolata Meditazioni sulla metafi­ sica, il filosofo aveva fissato in una forma definitiva il proprio giudizio sulla poesia dopo Auschwitz: «Il dolore incessante ha tanto diritto di esprimersi quanto il martirizzare di urlare; perciò forse è falso aver detto che dopo Auschwitz non si può più scrivere una poesia» 1 93 .

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AFFERMARE IL VA LORE D E LLA TEORIA CRITICA

La riflessione più volte riformulata da Adorno sulla «cultura dopo Auschwitz» , la quale «compresa la critica urgente ad essa, è spazzatu­ ra» 194 , non rappresentava una sfida soltanto per Paul Celan . Durante gl i anni cinquanta, un'intera serie di scrittori 195 , tra i qual i per esempio Alfred Andersch, Hans Magnus Enzensberger o Wolfgang H ildeshei­ mer, manifestò il proprio dissenso nei confronti del verdetto di Ador­ 6 no 1 9 • Essi interpretarono la provocazione lanciata da Adorno nei ter­ mini di una richiesta di abolire del tutto l'arte e la letteratura - attri­ buendo così ad essa un significato scorretto che si sarebbe potuto evitare con la sola lettura dell'aforisma Il bagno col bambino dentro contenuto nei Minima Moralia: «Che la cultura abbia finora fallito il suo compito, non è una buona ragione per promuovere il suo fallimento, e fare come Caterinetta, che dopo avere versato la birra, versa anche tutta la fari­ na» 1 97 • Benché nell'ampio carteggio tra Adorno e Andersch non si af­ fronti direttamente il tema della poesia dopo Auschwitz - vi si parla, in­ fatti, di altre questioni come l'importanza di Arno Schmidt, la ricezione di Benjamin, la divulgazione della musica moderna, gli appuntamenti per i dibattiti nelle trasmissioni serali della radio -, nel novembre del 1959, nel contesto di un discorso ten uto durante un ricevimento presso Arnoldo Mondadori, il critico e romanziere Andersch aveva fatto rileva­ re l'assurdità della scrittura letteraria in Germania dopo la catastrofe 1 9 8 • In quella che era una posizione in evidente contrasto con Adorno, egli promuoveva una letteratura che si confrontasse in piena coscienza con l'orrore, auspicando una letteratura dopo la fine della letteratura 1 99 • Fu Enzensberger poi, nel 1959, a citare un esempio di tale letteratu­ ra: Nelly Sachs. «Solo coloro che furono nelle " abitazioni della morte " possono rompere l'incantesimo del linguaggio)) 200 • Nella sua lezione di poetica tenuta a Francoforte nel 1967, Hildesheimer si spinse un passo oltre, indicando nella poesia l'un ica possibilità di letteratura dopo Auschwitz e citando a riguardo Todesfuge (Fuga di morte) di Paul Celan e Fruher Mittag (Mezzogiorno precoce) di lngeborg Bachmann. «Non soltanto orrore, dunque, ma anche fuga e squarci fulminei aperti nella terrificante instabilità del mondo, nell'assurdo)) 201 • Adorno non si sottrasse minimamente alla discussione avviata dagl i scrittori sul suo celebre detto. Al contrario replicò arricchendo il dibatti­ to con un proprio contributo, intitolato Impegno, che venne trasmesso nel 1 962 da Radio Brema e apparve poco dopo sulla "Neue Rund­ schau" : «Non vorrei attenuare una cosa da me detta, cioè che è da bar­ bari scrivere ancora lirica dopo Auschwitz; è qui espresso in negativo un 539

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impulso che anima la poesia impegnata. [ . . . ] Resta però valida anche la replica di Enzensberger, secondo la quale la poesia deve appunto tener testa a questo verdetto, essere dunque tale da non consegnarsi al cini­ smo, seguitando semplicemente a esistere dopo Auschwitz. È la sua si­ tuazione a essere paradossale e non soltanto il modo di rapportarsi a essa. La smisurata sofferenza reale non tollera oblii» 202 • Quattro anni dopo, nella sua principale opera filosofica, Adorno presentava quindi il nuovo «imperativo categorico: organ izzare l'agi re e il pensare in modo che Auschwitz non si ripeta» 203 . In quegli anni in cui all'interno della Germania si stava diffondendo una mentalità favorevole a tirare una linea sul passato, Marie Luise Kaschnitz e lngeborg Bachmann facevano parte di quel novero di poeti per cui la richiesta apodittica di Adorno volta a ricordare costituiva un imperativo morale. Dopo il loro ritorno dall'esilio, Adorno e G retel avevano coltivato un'intensa amicizia con la Kaschnitz. I primi contatti con la giovane austriaca lngeborg Bachmann, «molto erratica e timida» nelle sue maniere 204 , ebbero luogo durante la sua docenza di Poetica al­ l'Università di Francoforte, alla metà di novembre del 1959. La relazione tra lei e Adorno assunse rapidamente un carattere amichevole. Adorno nelle sue lettere le si rivolgeva chiamandola «cara Ingeborg» e il suo sag­ gio su Musik und Dichtung (Musica e poesia) affrontava una tematica da cui Adorno era ovviamente molto attratto. Per la Kaschnitz e la Bachmann, le qual i erano a loro volta legate da amicizia, si poneva non soltanto la questione generale sul senso della poesia, ma entrambe si chiedevano se lo scrittore non dovesse ammuto­ lire nel " tempo della povertà", se ogni poesia non fosse davvero vana. La vicinanza che Ado rno avvertiva nei confronti della creazione letteraria di entrambe e che lo portava verso di loro era da ricondurre proprio ai dubbi nutriti dalle due autrici in merito alla scrittura, alla loro ricerca di nuove forme espressive e mezzi stilistici: «In una società la cui totalità si è resa compattamente ideologia, può essere vero soltanto quel che non è uguale alla facciata» 20 5 • Le due scrittici stesse erano a loro volta attratte dalla radicalità e dall'intelligenza critica di Adorno, dalle esigenze che egl i poneva allo spirito, come dalle sue profonde conoscenze in materia di letteratura, musica e filosofia. I testi brevi della Kaschnitz raccolti nel suo libro Steht noch dahin, portato a termine nel 1969, recavano tracce evidenti di un confronto con la teoria sociale di Adorno: «Se ce la cave­ remo senza venire torturati, se moriremo di una morte naturale [ . . . ] , se saremo riuniti in branchi, [ . . . ] son cose che già abbiamo visto. Se riusci540

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remo a svignarcela in tempo trovando rifugio in un candido letto oppu­ re se finiremo annientati da un fulmine atomico di inaudita potenza, o se moriremo serbando in noi una speranza, questo è ancora da vedere, è 6 ancora tutto da vedere» 20 • Adorno aveva l'abitudine di fare lunghe passeggiate con la Kasch­ nitz nel Giardino delle palme di Francoforte, che si trovava nei pressi delle abitazioni di entrambi. Quando lei, che aveva vissuto per lungo tempo a Roma ancor prima della guerra così come negli anni cinquanta, fu invitata a trascorrere tre mesi a Villa Massimo come ospite d'onore, nel maggio del 1961 Adorno e Gretel colsero l'occasione per rendere vi­ sita all'amica nella capitale italiana 20 7 • La Kaschnitz era spesso ospite degli Adorno nell'appartamento del Kettenhofweg, dove, per esempio, fu invitata alla festa per la notte di san Silvestro tra il 1962 e il 196 3 . Dagli Adorno prima di mezzanotte abbiamo ascoltato l'A riadne (diretta da Karaj an con l'orchestra sinfonica di Londra e con cantanti di Vienna e Salisburgo) , ma an­ che il secondo atto del Tristano. Adorno ha detto : «Tristano e Manet sono i due grandi ragni che tessono la tela del XIX secolo e vi stanno al centro». È rimasto mol­ to soddisfatto dell'esecuzione del secondo atto del Tristano (con la direzione di Sol­ ti), poi ha mos trato al pianoforte la sua interpretazione del pezzo. Un paio di parole [ . . . ] dell'intendente della radio [ . . . ] , poi c'è stato il conto alla rovescia come prima della partenza dei razzi per lo spazio, negli ultimi dieci secondi del vecchio anno: dieci, nove, otto e così via fino al brindisi finale di tutti con tutti. [ . . . ] Poi, dalla grande finestra che dava sui tetti coperti di neve, abbiamo osservato levarsi nel cielo i fuochi artificiali, i razzi, le palme, le stelline tra le nuvole e le frecce illuminate

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Quando, nella sua prima lezione di Francoforte, lngeborg Bachmann aveva parlato della caduta della letteratura nel silenzio riflettendo sui possibili modi per uscire dalla condizione del mutismo, poteva essere si­ cura dell'approvazione di Adorno per quelle parole. La poetessa cono­ sceva molto bene le Note per la letteratura di Adorno, così come una se­ rie di suoi lavori nel campo della filosofia della musica 209 • Alla Bach­ mann, che si sentiva personalmente legata a Celan e nutriva un forte in­ teresse per la tradizione ebraica, Adorno presentò Gershom Scholem, il quale andò a trovarla a Roma nel 1967 e visitò insieme a lei la zona del­ l' ex ghetto ebraico 210 • La moglie di Scholem e Adorno si erano recati a Roma già nel novembre dell'anno precedente, sempre per incontrare la scrittrice austriaca. Roma era una delle città ital iane in cui Adorno si tratteneva più volentieri, proprio perché lì aveva occasione di incontrare 541

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buoni amici come Franco Lombardi, lngeborg Bachmann, Marie Luise Kaschnitz e sua figlia lris, la quale in seguito sposò il compositore Die­ ter Schnebel, che Adorno aveva conosciuto a Darmstadt ai corsi estivi di musica moderna e il quale gl i era molto vicino. Ma ancora più di Roma era di Parigi che Adorno era pratico. La cit­ tà era stata ai suoi occhi un mito per tutta la sua vita 211 • Prima dell'esilio in America si era recato molte volte a Parigi da Francoforte e da Londra per incontrarsi con Benjamin e per adempiere a svariati compiti per conto dell'Istituto per la ricerca sociale. Dal 1949 in poi, nella sua quali­ tà di professore dell'università di Francoforte, Adorno aveva stretto le­ gami con una serie di personalità tra cui l'esperto d'arte e mecenate Da­ niel-Henry Kahnweiler, il quale in seguito gli fece dono di una cartella di grafiche di P icasso, il direttore d'orchestra, critico musicale e autore F rederick Goldbeck, che conosceva già dagli anni venti, così come il di­ rettore d'orchestra e compositore René Leibowitz 212 , oltre che con il so­ ciologo della letteratura e marxista Lucien Goldmann. N el novembre del 1958 Adorno aveva tenuto tre conferenze alla Sorbona di Parigi, e precisamente presso la Faculté des Lettres et Sciences Humaines, dedi­ cate da una parte ai contenuti d'esperienza della filosofia hegel iana, dal­ l' altra alla musicologia e al rapporto tra teoria della società e ricerca so­ ciale. Tre anni più tardi, grazie alla mediazione del germanista francese Robert M inder, Adorno fu invitato al Collège de France. Per tre pome­ riggi tenne presso la prestigiosa istituzione una lezione, che si ricollegava in parte alle tematiche sviluppate nel seminario francofortese del seme­ stre invernale 1960-61 dedicato a Ontologia e dialettica 21 3 • Le lezioni pa­ rigine di Adorno, che egli lesse in francese, ebbero un pubblico di alto livello; tra i presenti si contavano Maurice Merleau-Ponty e Jean Wahl, oltre che naturalmente Robert Minder e altri conoscenti di Adorno che vivevano nella metropoli francese 21 4 tra i quali per esempio Roger Caillois, George F riedmann, F rederick Goldbeck. I rapporti di Adorno con scrittori e artisti, per lo più di natura priva­ ta e amichevole, erano sorprendentemente numerosi. Alla fine del 1957 intensificò i contatti con Hans Giinter Helms, compositore e musicolo­ go nato nel 1932 che collaborava con Heinz-Klaus Metzger, Dieter Schnebel, Gottfried Michael Koenig, e che in seguito avrebbe lavorato con John Cage. Adorno nutriva maggiore interesse per gli esperimenti di Helms nel campo della " musica linguistica " piuttosto che nei con­ fronti dei suoi tentativi teorico-sociali di formulare una critica dell'ideo­ logia della società tedesco-occidentale 215 • Adorno era aperto nei con-

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fronti della produzione musicale-letteraria di Helms, perché la conside­ rava come una serie di tentativi estetici di condurre una sperimentazione sull'affinità della musica con il linguaggio. lnnanzitutto, però, si trattava per lui di una prova di quella che, a partire dalla sua fondamentale con­ ferenza tenuta a Berlino presso l'Accademia delle arti nel luglio del 1966, 6 egli aveva chiamato lo «sfrangiarsi delle arti» 21 • Allorché nel 1960, a Colonia, Helms aveva letto in pubblico la sua composizione letteraria 21 7 Adorno fu uno dei pochi che si ritenevano in FA : M'AHNIESG WO W , condizione di introdurre lo spettatore all'opera dell'artista. Come egli faceva notare, l'aspettativa consistente nel poter comprendere l'arte post-avanguardista come una lingua straniera si rivelava del tutto illuso­ 8 ria 21 • L'elemento decisivo, piuttosto, si trovava nel contribuire al «ri­ compimento delle tensioni sedimentate nell'opera d'arte» 21 9 • I momen­ ti della contingenza e dell'improvvisazione risultavano così legati nell'o­ pera d'arte moderna, che in tal modo veniva a creare una propria libertà d'azione 220 • Da parte del ricettore era dunque necessario ricomporre nell'orecchio l'opera musicale, ridipingere l'immagine nel proprio oc­ chio, recitare nuovamente la poesia con l'apparato sensoriale che presie­ de al linguaggio. Al tempo stesso, Adorno tornava ancora una volta a so­ stenere la tesi che l'opera d'arte moderna «coglie con tanta maggior pre­ cisione la società quanto meno ne tratta» . Nell'opera d'arte linguistica moderna, il conflitto tra espressione e significato non si decide a favore dell'uno o dell'altra, ma viene «rispettato come antinomia» 221 • In consi­ derazione della lirica sperimentale di Helms, Adorno faceva rilevare che l'avanguardia contemporanea mirava ad oltrepassare Proust, Kafka e perfino J oyce, sebbene l'affinità tra la poesia di Helms e Finnegans Wake fosse evidente, esattamente quanto quella con l'opera del compositore Karlheinz Stockhausen. La poesia più avanzata compiva «in letteratura lo stesso passo della musica più recente. [ ] La costruzione non si con­ cepisce più quale prestazione della soggettività spontanea. [ . . . ] Il tutto è composto in strutture, di volta in volta conteste di una serie di dimen­ sioni o, secondo la terminologia della musica seriale, di parametri che si presentano autonomi o combinati od ordinati per gradi» 222 • Esattamente come nella musica prendeva seriamente le opere di Stockhausen e Cage, e nella letteratura aveva fatto oggetto delle sue ri­ flessioni filosofiche i romanzi e le opere teatrali di Beckett nonché le composizioni artistiche di Helms, Adorno dimostrò interesse e apertura per le prove d'artista del regista cinematografico e scrittore Alexander Kluge, il quale, parallelamente ai suoi studi di legge, aveva studiato sto. . .

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ria e musica sacra. A partire dalla fine degli anni cinquanta, Adorno era legato da rapporti amichevoli anche a Kluge, che, in quanto giurista e avvocato, era succeduto a Hellmut Becker come consigliere legale dell'I­ stituto per la ricerca sociale e faceva parte del Consiglio di sorveglianza. Essendo questi nato nel 19 3 2, Adorno lo aveva definito per scherzo come il figlio inadeguato che egli avrebbe sempre desiderato, alludendo all'età della madre di Kluge. Grazie all'intercessione di Adorno, Kluge fece conoscenza con il famoso regista F rizt Lang, presso il quale lavorò per qualche tempo come assistente cinematografico. In quanto co-ini­ ziatore del cosiddetto " Manifesto di Oberhausen ", Kluge rappresentava per Adorno un esponente di quella corrente che, animata da ambizioni elevate, intendeva confrontarsi a fondo con il mezzo cinematografico. In effetti Adorno conosceva i film girati da Kluge nel corso degli anni sessanta, come per esempio Abschied von Gestern (1966; La ragazza senza storia) e Die Artisten in der Zirkuskuppel: ratlos (1967; Artisti sotto la tenda del circo : perplessi) . Ciononostante, Adorno non abbandonò la propria posizione di spregio nei confronti del cinema come genere arti­ stico, sebbene, proprio grazie alla mediazione istruttiva di Kluge nel 1966, ammettesse alcune eccezioni come per esempio La notte di Anto­ niani. Tuttavia, nella Dialettica negativa si possono leggere frasi, scritte sì da una prospettiva generale, ma alquanto esplicite: «L'intenzione illu­ ministica del pensiero - demitologizzazione - elimina nella coscienza il suo carattere d' immagi ne. Ciò che si vincola all'immagine, resta mitica­ mente prigioniero, idolatria>> 223 • Kluge pensava che Adorno apprezzasse soprattutto le parti musicali dei suoi film, la loro colonna sonora. Ador­ no conosceva anche la produzione letteraria dell'amico: il volume Le­ benslaufe (Biografie) pubblicato per la prima volta nel 1962 e recensito da Friedrich Sieburg, così come il romanzo su Stalingrado intitolato Schlachtbeschreibung (1964; Descrizione di un massacro) . Ma al di là di tutto, i due erano legati dal comune interesse per la musica, dalla passio­ ne per l'Opera, per «l'Opera come campo di forza dei sentimenti». Nel­ le conversazioni condotte nell'appartamento di Adorno o durante una cena al ristorante o una visita all'enoteca situata nei pressi dell'Opera di Francoforte, la discussione verteva per esempio su problemi in cui ci si chiedeva se i film potessero essere creati allo stesso modo delle composi­ zioni musicali; oppure se le dimensioni visive potessero venire usate a vantaggio della componente musicale e linguistica del film, al fine di produrre una triplice interazione di im magine, linguaggio e musica. Quando si trattava di questioni inerenti al cinema moderno, era Kluge a 544

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cercare consiglio presso Adorno. Per quanto vaga essa fosse, questi illu­ strava la sua idea in merito a un cinema in grado di farsi arte, rifacendosi alle immagini variegate del paesaggio, che potevano essere percepite dal­ l' occh io interiore del dorm iente in uno stato di completa rilassatezza: «Immagini del monologo interiore», che, allorché si arrestano, diventa­ no simili alla scrittura. «Il film sarebbe arte in quanto riproduzione che oggettiva questo tipo d'esperienza» 224 . Nonostante Adorno non tenesse generalmente in molta considera­ zione il mezzo cinematografico, liquidandolo a mera fantasmagoria, Kluge fu sì impressionato dalla critica di Adorno, ma non al punto da non continuare a realizzare film. A parere di Kluge, le tesi adorniane sul­ l' estetica del cinema non erano molto significative, soprattutto se para­ gonate alla sua interpretazione dell'opera Carmen di Bizet. N el saggio intitolato Fantasia sopra Carmen, che Adorno pubblicò sulla " Neue Rundschau " con una dedica a Thomas Mann, l'autore definiva la Car­ men come il prototipo «di quelle opere dell 'esogamia, la gamma delle cui protagoniste va dall'ebrea e dall'africana fino ad Aida e Lakmé, pas­ sando per la Butterfly e finendo con la Lulu di Berg, esaltazioni dell'eva­ sione dalla civiltà verso ciò che resta incompreso» 22 5 • Che la donna eso­ tica, per la quale gli uomini impazziscono, muoia a causa di quest'amo­ re costituisce l'esito fatale sul quale si basa l'opera stessa - così riteneva 6 Kluge nella sua Guida immaginaria all'opera lirica 22 . Il progetto di questa guida immagi naria avrebbe certamente riscosso la simpatia di Adorno, per il quale l'opera lirica faceva parte di quelle passioni perso­ nali «alle quali si abbandonava senza ritegno» 227 . A partire dai primi anni cinquanta, Adorno coltivò una relazione amichevole anche con il poeta e scrittore Hans Magnus Enzensberger, classe 1929 . Lo aveva conosciuto, grazie alla mediazione di Alfred An­ dersch, in occasione di una trasmissione serale del Siiddeutscher Rund­ funk. In una lettera del luglio 1962, Adorno constatava «l'affinità di temperamento spirituale)) esistente tra loro e, anni prima, aveva inviato a Enzensberger non soltanto alcuni piccoli commenti di accompagna­ mento ai propri scritti filosofici, ma gli aveva apertamente comunicato tutta la propria ripugnanza per la filosofia tedesca del dopoguerra. Oltre a ciò, aveva ritenuto necessario illustrare al poeta la propria disponibilità a lavorare per la radio: «Rinunciare ai mezzi di comunicazione di massa e mettersi a scrivere su carta pergamenata sarebbe non soltanto espres­ sione di ostinazione, ma anche di quel conservatorismo culturale che, in definitiva, torna a vantaggio della stessa industria culturale. [ . . ] Se mai, .

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è proprio qui che bisogna applicare il concetto brechtiano della " ricon­ versione a proprio vantaggio " . [ . . . ] Mi ritengo tutt'altro che un disfatti­ 8 sta)) 22 • I contatti si intensificarono quando Enzensberger andò ad abi­ tare per qualche tempo a Francoforte, dove lavorava insieme a Karl Markus Michel e Walter Boehlich come lettore per la casa editrice Suhrkamp. I rispettivi appartamenti del filosofo e dell'allora giovane poeta si trovavano quasi dirimpetto, dal balcone della cucina Enzen­ sberger vedeva facilmente il Kettenhofweg. Durante una visita di Ale­ xander Kluge, Adorno gli aveva fatto notare che Enzensberger abitava proprio lì di fronte. «È l'unico che sia capace di scrivere poesia, disse. Per il resto, non pensava che ci fossero scrittori degni di nota, per esem­ pio nel Gruppo 47>> 229 • Le lodi di Adorno si riferivano innanzitutto alle due raccolte di poesie Verteidigung der Wolfe (1957, Difesa dei lupi) e Landessprache (1 960, Lingua nazionale) , così come al volume Museum der modernen Poesie (Museo della poesia moderna) , curato nel 196o da Enzensberger. Questi, da parte sua, trovava che gli scritti di Adorno non soltanto fossero degni di nota, ma come affermava egli stesso, la loro let­ tura faceva parte del bagaglio culturale dell'intellettuale di quel perio­ do 23 0 • Tale lettura ebbe una chiara ripercussione sui saggi di critica della cultura e dei mezzi di comunicazione che Enzensberger pubblicò nel 1962. La categoria di " industria della coscienza " che egli introduceva in quel testo si riallacciava direttamente alla critica dei media fatta da Ador­ no, nella forma in cui era stata sviluppata nella Dialettica dell'illumini­ smo. Quando, nel semestre invernale del 1964, Enzensberger tenne la sua lezione di poetica all'università di Francoforte, Adorno lo presentò a un auditorio stracolmo come un amico al cui pensiero egli si sentiva molto vicino. Con ciò Adorno non si riferiva soltanto alle analisi critiche svolte da Enzensberger nei confronti del settimanale " Der Spiegel ", del quoti­ diano " Frankfurter Allgemeine Zeitung", o della "Wochenschau ", ma soprattutto alle sue poesie. Proprio nei giorni della docenza di poetica, era appena uscito un nuovo volume di liriche intitolato blindenschrift. Il tono socialmente critico di queste liriche era chiaramente percepibile: «massacro per un pugno di riso l sento dire l per tutti ogni giorno l un pugno di riso . fuoco tambureggiante l su fragili capanne, sento dire l in­ distintamente l mentre ceno)) . Quando nella poesia Zweifel (Dubbio) Enzensberger scriveva: «È permesso dubitare anche dei dubbi ?)), espri­ meva un pensiero pienamente corrispondente alla dialettica tipicamente autoriflessiva di Adorno. In occasione della pubblicazione del volume

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AFFERMARE IL VALORE D E LLA TEORIA CRITICA

Zeugnisse (Testimonianze) , per la cura di Max Horkheimer, che apparve in onore del sessantesimo compleanno di Adorno, Enzensberger vi con­ tribuì con una poesia dedicata al filosofo, schwierige arbeit (lavoro diffici­ le) uno dei ritratti più sensibili che siano mai stati scritti sull'influenza di Adorno come critico e intellettuale. lavoro difficile

per theodor w. adorno

in nome degli altri paziente in nome degli altri che non ne sanno niente paziente in nome degli altri che non vogliono saperne niente registrare paziente il dolore della negazione memore di chi è annegato nei treni suburbani alle cinque del mattino dispiegare paziente il sudario della teoria di fronte al furore omicida nei grandi magazzini alle cinque del pomeriggio paziente rivoltare ogni pensiero che nasconde il suo rovescio faccia a faccia col maleficio ordito ad ogni ora del giorno mostrare paziente il futuro bloccato dalle barricate porta a porta col servizio di protezione ad ogni ora della notte paziente smascherare quel robusto collasso impaziente in nome di chi è soddisfatto disperare

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paziente in nome di chi dispera dubitare della disperazione impaziente con pazienza insegnare in nome di chi non vuole imparare

231 •

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I l pane della riflessione. Una teoria consumata dal pensiero L'ideale filosofi c o sarebbe che il rendiconto su ciò che si fa diventi superfluo, facendolo

1•

Il passaporto americano di Adorno era ormai scaduto nel primo mese del 1955; avrebbe dovuto tornare negli Stati Uniti per non perdere la cit­ tadinanza americana che aveva ottenuto nel 1943 2 • Nonostante le paure del nazionalismo di estrema destra e delle diverse forme di "cripto-anti­ semitismo " 3 , il cinquantunenne Adorno decise di riprendere la cittadi­ nanza tedesca. Quale può essere stato il motivo di questa decisione di Adorno a dieci anni dalla conclusione della guerra ? A quanto pare, la sua scelta a favore della Germania Ovest era legata al fatto che egli svol­ geva un ruolo importante nella vita culturale del paese, godendo del ri­ conoscimento derivante dalla sua posizione di professore dell'università di Francoforte e ricoprendo importanti funzioni all'interno dell' Istituto per la ricerca sociale. Grazie alle numerose pubbl icazioni sulle riviste culturali e alla sua influenza nel campo della N uova musica, era ormai diventato una perso nalità di spicco, un intellettuale stimato quanto te­ muto per le sue espressioni mordaci 4 • Benché Adorno, pur presente su una molteplicità di riviste, in trasmissioni radiofon iche e autore di nu­ merose pubblicazioni, non fosse mai stato ricoperto da una dovizia di riconoscimenti ufficiali, già nel 1954 aveva ricevuto la Medaglia Arnold Schonberg, cinque anni dopo gli fu conferito il Premio dei critici tede­ schi per la letteratura e, nel 196 3 , addirittura la Targa Goethe della città di Francoforte sul Meno. Quanto realistiche erano le aspettative di «poter fare qualcosa di buono, contrastando l'irrigidirsi e il ripetersi della sciagura» 5 , n utrite da parte di quel critico della società in un paese nel quale, durante il primo decennio del dopoguerra, tutti i segni indicavano una volontà di restau­ razione ? Le alternative politiche quali la neutralità della Germania in 549

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quanto contributo alla sicurezza e al processo di disarmo in Europa non erano realizzabili, né a livello interno né a livello di politica estera, così come non poteva essere impedita una rimilitarizzazione nel campo della difesa. In considerazione dell'aggravarsi del confl itto Est-Ovest, gl i stati membri della NATO , con la fine del periodo d'occupazione, rinunciaro­ no anche alla resistenza nei confronti di un riarmo della Repubblica fe­ derale, ormai diventata Stato sovrano dal 1955. Come contromossa, la D D R entrò a pieno titolo nel Patto di Varsavia, fondato sotto la guida sovietica quello stesso mese. N ella misura in cui cresceva l'opposizione ideologica tra le grandi potenze, anche i due blocchi militari acquistava­ no un peso sempre maggtore. Il 14 febbraio 1955, Max Horkheimer aveva festeggiato il suo sessan­ tesimo compleanno: la sua posizione si era fatta nel frattempo pratica­ mente inattaccabile ed egli era ormai considerato uno degli studiosi più stimati e conosciuti all'interno della società della Germania occidentale. Una degna occasione perché il suo amico e codirettore pubblicasse un omaggio alla sua figura sulla " F rankfurter Allgemeine Zeitung", nel quale veniva rapidamente offerto un panorama dei saggi più importanti di Horkheimer sulla " Zeitschrift fi.i r Sozialforschung" e sugli " Studies in Philosophy an d Social Science ", oltre che una presentazione delle sue funzioni di direttore dell'Istituto così come dei suoi libri, tra cui Studies in Prejudice, la Critica della ragione strumentale e la Dialettica dell'illu­ minismo. Ma il vero pensiero di Horkheimer, scriveva Adorno, «va ben oltre la sua opera; di questa infatti egli diffida in un momento storico in cui non v'è più un pensiero che abbia il diritto ad un'esistenza autono­ ma, a meno che non miri alla realizzazione dei suoi contenuti più inter­ ni. [ . . . ] Egli non ha mai abbandonato la speranza che tutto si risolva per il meglio, e ha sempre agito di conseguenza con piena responsabilità» 6 • Anche Adorno aveva fatto sua quella massima. Il 1955 fu anche l'anno in cui scomparve Thomas Mann, all'età di ottant'anni a Kilchberg sul lago di Zurigo. Adorno apprese la notizia all'hotel "Waldhaus ", nel periodo in cui si trovava a Sils Maria per le va­ canze estive. Scrisse immediatamente alla vedova: «Non sono in condi­ zione di dire alcunché - il colpo è troppo forte. Soltanto le parole che è lecito pronunciare unicamente in momenti come questo: gli volevo molto, molto bene» 7 . Adorno osservava gli avvenimenti del tempo con grande scetticismo e riservatezza. N ella misura in cui ci sono stati trasmessi, i suoi com­ menti sulla politica tedesca e internazionale erano tendenzialmente 5 50

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molto critici. Per esempio temeva che, nella Germania Ovest, la politica ufficiale fosse molto poco disposta ad impedire la diffusione dei gruppi fascisti 8 • Quando, verso la fine del 1956, l'Inghilterra e la Francia diede­ ro in izio ad un attacco militare contro l'Egitto e sul settimanale " Der Spiegel " venne criticata la condanna dell'operazione anglo-francese da parte dell'oNu, Adorno e Horkheimer dimostrarono con una lettera il loro appoggio all'autore dell'articolo, J ulius Ebbinghaus 9 : Che si scopra l'umanità proprio nei confronti di un capo fascista che cospira con Mosca quale è Nasser; che, esattamente come ai tempi di Hitler, si rispetti mag­ giormente la rottura di un patto rispetto al patto stesso e alle sanzioni da esso previ­ ste; e che nessuno voglia neppure dire che questi Stati arabi predatori da anni non aspettano altro se non lanciarsi contro Israele e massacrare gli ebrei che vi hanno trovato rifugio - ebbene tutto ciò è il sintomo di una coscienza pubblica che si deve prendere molto seriamente. L'ipocrisia [ . . ] che si avverte in quasi tutti gli .

schieramenti [ . ] mos tra una confusione di pensiero che non lascia sperare nulla di . .

buono

10•

Sullo sfondo del diffuso sentimento anticomun ista all'interno della so­ cietà tedesca in Germania Ovest, la c o u/csu [cristiano democratici e cristiano sociali] con il suo programma politico fondato su libertà, sicu­ rezza e sovranità riportò un tale successo che, dal 1949 in poi, Konrad Adenauer venne eletto cancelliere per quattro volte di seguito. Nel 195 3 , in seguito all'impressione suscitata dalla repressione violenta contro il regime della S E D nella D D R, la c o u/csu aveva nuovamente vinto le elezioni. Inoltre, nel settembre del 1957, l'anno della fondazione della Comunità economica europea, il cancelliere uscente Adenauer, forte dello slogan "Niente esperimenti " aveva riportato la maggioranza asso­ luta, non soltanto nel numero di seggi vinti, ma per la prima volta an­ che nel numero totale dei voti. In quei mesi, il dibattito politico interno si inasprì sul problema della dotazione di armi nucleari per l'esercito fe­ derale, dopo la sua costituzione in base agli Accordi di Parigi del 1955. Allo scopo di mettere in guardia da una sottovalutazione delle armi ato­ miche tattiche, diciotto tra i più importanti scienziati tedeschi, nella loro protesta diventata nota con il nome dei "18 di Gottinga", si pro­ nunciarono contro l'armamento nucleare dell'esercito federale, avvisan­ do che ciascuna delle bombe atomiche in oggetto possedeva un poten­ ziale distruttivo pari alla bomba di Hiroshima e chiedendo una ri nuncia totale agli armamenti nucleari da parte del governo tedesco. A questa ri551

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chiesta si unì un gruppo di intellettuali molto noti. Al pari di Horkhei­ mer, anche Adorno tendeva ad evitare il più possibile una presa di posi­ zione pubblica sui problemi politici. I due direttori dell'Istituto per la ricerca sociale non firmarono il Manifesto tedesco del gennaio 1955 di ret­ to contro il riarmo e a favore della riunificazione del paese, un docu­ mento messo a punto dagli avversari degli armamenti riuniti nella Paul­ skirche di Francoforte. In alcune note che Adorno pensava in seguito di integrare a un secondo volume di aforismi, al quale aveva previsto di dare il titolo Graeculus 11 , si poteva leggere a proposito della questione di rendere note le proprie visioni politiche tramite la sottoscrizione di ma­ nifesti rivolti all'opinione pubblica: « Diventa difficile firmare personal­ mente gli appelli per i quali si simpatizza, perché essi, per amore di un inevitabile interesse tutto centrato sulla loro efficacia, contengono spes­ so elementi non veri oppure presuppongono la conoscenza di circostan­ ze ben specifiche. [ . . . ] La carenza di impegno non deve necessariamente coincidere con un difetto morale, può anzi essere a sua volta morale in quanto rivendicazione della propria autonomia: del proprio modo di vedere» 12 • La posizione di Adorno e Horkheimer, comunque, era piuttosto critica nei confronti della dinamica venutasi a creare nella politica degli armamenti in seguito alla formazione dei due blocchi 1 3 • Nondimeno entrambi non condividevano i timori fortemente diffusi tra gli intellet­ tuali circa il pericolo comportato dalla formazione di un nuovo esercito tedesco e, di conseguenza, non ebbero scrupoli a compiere un'analisi, in collaborazione con l'Ufficio competente del ministero federale della Di­ fesa, sulla selezione dei canditati orientati democraticamente per la for­ mazione del futuro esercito 1 4, in modo da contribuire a far sì che gli ex nazisti non potessero avere accesso alle posizioni militari. I collaboratori più giovani dell' Istituto per la ricerca sociale erano negativamente di­ sposti nei confronti di questo progetto, così come non erano «proprio entusiasti delle posizioni pol itiche dell'Istituto, come per esempio sulla guerra d'Algeria o sul problema del riarmo» . J lirgen Habermas ricorda che era soprattutto il timore di esporsi da parte di Horkheimer ad attira­ re le critiche maggiori. «Anche il suo comportamento pubblico e la poli­ tica da lui decisa per l' Istituto ci sembrava quasi l'espressione di un ade­ guamento opportunistico che non si accordava alla tradizione critica, di cui Horkheimer rappresentava pur sempre una personificazione» 1 5 • Il che valeva anche per Adorno, il quale allora aderiva a quel modello ba­ sato su una visione amico-nemico che talvolta Horkheimer trasferiva 552

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anche all'esterno dell'Istituto, come quando per esempio egli disse di­ nanzi ad Adorno: « [è] quasi ovvio che la selvaggia barbarie, organizzata con grande pompa nell'Est non sia all'altezza delle forme di vita plurali­ 6 stiche» 1 • Tra Adorno e Horkheimer regnava una perfetta identità di vedute in merito alla valutazione politica del cosiddetto " blocco del­ l'Est ", dell'D nione Sovietica, ma anche della Cina comunista. Accusa­ vano il governo Chruscev di culto della personalità, annientamento del­ la persona e tradi mento. In tal senso ribadi rono costantemente la loro fondamentale distanza dal " materialismo dialettico " sostenuto uffi c ial­ mente dal partito. In quanto critici della società, come si legge in una lettera a Herbert Marcuse, il quale aveva affibbiato loro la qualifica di "vassalli dell'Est ", entrambi sarebbero «Stati già da tempo uccisi nel­ l'Est», mentre «per il momento nell'Ovest regna una libertà di pensiero che, a confronto della situazione vigente dall'altra parte, non può essere definita che paradisiaca. Il fatto che per tale situazione esistano delle motivazioni di ordine materiale non è certo una novità per noi. È uni­ versalmente noto che ogni forma di libertà dipende proprio da que­ sto» 17 . Quest'atteggiamento di fondo determinò anche la tattica prudente assunta da Adorno, allorché, dopo un'interruzione di quattordici anni, Alfred Sohn-Rethel si fece nuovamente vivo a Francoforte, proponendo per lettera ad Adorno di rincontrarsi. In quel periodo, infatti, era invita­ to per una conferenza all'Università Humboldt di Berlino Est. Per Adorno si trattava di un motivo sufficiente per non prendere in consi­ derazione, da parte sua, la possibilità di invitare il collega presso l' Istitu­ to per la ricerca sociale. Egli lo mise in guardia che la conferenza nella DDR sarebbe stata «usata a fini di propaganda» , «mentre ogn i idea che esprimerà nel suo discorso, considerando il materialismo volgare, indi­ cibilmente subalterno degli ultimi segretari di partito che regna dall'al­ tra parte, è condannata all'assoluta ineffi cacia. Qui, per lo meno nel proprio lavoro individuale, si può ancora dire molto della verità. Dal­ 8 l' altra parte è del tutto impossibile» 1 • Sebbene già allora Adorno nutrisse forti riserve nei confronti della partecipazione ad in iziative e manifestazioni politiche, registrò no ndi­ meno attentamente l'atmosfera politica in Germania e gli sviluppi poli­ tici sul piano internazionale. Così scriveva infatti in una lettera ad Horkheimer, il quale, tra il 1954 e il 1959, soggiornava spesso negli Stati Un iti accettando talvolta l'invito a tenere dei corsi presso l'università di Chicago: «L'offuscamento del mondo avanza in modo inquietante. 553

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Certamente è pervenuta anche a Lei notizia dei fatti che si verificano qui . Il fatto che entrambi l'avessimo previsto, certo non rende le cose migliori . Del resto tali sviluppi non sono soltanto intern i alla Germa­ nia, ma si caratterizzano per essere globali, come recita un neologismo del nuovo tedesco; inoltre ho l'impressione che ormai non abbia più al­ cuna importanza il luogo in cui ci si trova; sicché almeno si ha una buo­ na ragione per restare là dove in certa misura ci si orienta» 1 9 . Le notizie che dovevano essere giunte a Horkheimer riguardavano i conflitti che, sullo sfondo della repressione della ribellione popolare ungherese e del soffocamento delle tendenze di democratizzazione in Polon ia, si anda­ vano facendo sempre più aspri sul potenziale di violenza contenuto nel­ la formazione dei due grandi blocchi militari, negli armamenti nucleari, e in particolare in merito al discorso del cancelliere federale Adenauer, nel quale questi aveva cercato di minimizzare sulla dotazione di "armi atomiche strategiche" defi nendola un semplice consol idamento e svi­ luppo delle forze d'artigl ieria. All'interno di un'opinione pubblica che si faceva sempre più politi­ cizzata crescevano le proteste contro la rimilitarizzazione e l'armamento atomico del paese come prezzo da pagare per l'integrazione nell'Occi­ dente della Repubblica federale 20 • In quanto unico partito dell'opposi­ zione parlamentare, la S PD diede inizio alla campagna denominata " Lot­ ta contro la morte atomica", alla quale aderirono non soltanto persona­ lità della politica, della chiesa e dei sindacati, ma anche scienziati ed in­ tellettuali tra i quali il pubblicista Axel Eggebrecht, il politologo Eugen Kogon, il sociologo Alfred Weber, gli scrittori Heinrich Boli, Hans Henny J ah nn ed Erich Kastner. Anche in questo caso Horkheimer e Adorno non firmarono né la dichiarazione di Francoforte del 19 5 8, né il manifesto della campagna. Tuttavia, uno dei collaboratori dell'Istituto per la ricerca sociale partecipò attivamente alla manifestazione di protesta di Francoforte, nel maggio del 19 5 8 . L'allora ventottenne Jiirgen Habermas prese la parola dinanzi agli oltre mille manifestanti riuniti sul Romerberg e criticò la logica alla base della "politica della forza " così come quella falsa conce­ zione della democrazia per cui il potere del popolo si limiterebbe sem­ plicemente ad acclamare le decisioni già prese dal governo. Il discorso fu stampato dal giornale studentesco " D iskus " con il titolo L 'agitazione è il primo dovere del cittadino 21 • Con quell'appello al coraggio civile, l'assi­ stente di Ado rno traduceva a livello di azione politica ciò che il suo mae­ stro aveva affermato a proposito del compito di una filosofia all'altezza 5 54

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dei tempi, vale a dire che essa deve avere «il proprio nerbo vitale nella re­ sistenza», nella critica «di ciò che ora esiste» 22 • Adorno aveva presentato per la prima volta queste tesi sul senso e lo scopo della filosofia nel 1955, durante una conferenza tenuta presso la Casa dello studente di Franco­ forte nel quadro di un convegno del club studentesco 23 . Ma tale impe­ gno, assunto anni prima nei confronti di una filosofia praticamente effi­ cace basata sulla negazione, non costituiva certamente l'unica ragione per il fatto che Adorno fosse ora pronto a difendere Habermas dalla cri­ tica in parte sarcastica mossagli da Horkheimer, il quale guardava con sospetto non soltanto alle attività politiche, ma anche alle pubblicazioni del collaboratore dell'Istituto, perché questi non sapeva mettere da par­ te le «aspettative da Vormarz», il «superamento della filosofia nella rivo­ luzione» 24 • In questo caso Adorno non si lasciò intimidire. Come ha osservato in seguito lo stesso Habermas, egli «non ha mai condiviso i pregiudizi di Horkheimer nei miei confronti e mi ha sostenuto nell'Isti­ tuto resistendo alle pressioni dello stesso Horkheimen> 2 5 • D'altronde Adorno si rendeva conto che l'Istituto, in una situazione così esplosiva e marcata da scontri politici talmente frequenti, non avrebbe potuto sot­ trarsi a lungo alla necessità di prendere posizione nei confronti delle questioni della politica. Tale convinzione era alla base della proposta che egl i, passando all'offensiva, rivolse ad Horkheimer invitandolo a trattare, nel quadro del ciclo delle conferenze dell'Istituto, un tema estremamente attuale come quello del rapporto tra società e politica. In particolare consigliava di mostrare «che, da una parte, la politica è l'i­ deologia, la facciata e la società invece è la struttura portante, ma che, dall'altra parte, la prassi sociale nelle sue mutazion i prende la forma del­ 6 la politica: di una politica volta all'abolizione della politica» 2 • Anche Horkheimer era convinto che la politica fosse in realtà un fatto seconda­ rio, «una funzione diretta dell'economia. Perfino la paura della bomba atomica non è nulla dinanzi alla preoccupazione per il buon andamento degli affari» 27 • Horkheimer era palesemente tormentato da questa preoccupazione allorché, con insistenza, metteva in guardia Adorno dall'eventualità che Habermas potesse acquistare influenza all'interno dell' Istituto come «propagandista del movimento antinucleare» ; in fin dei conti, c'era pur sempre bisogno di ricevere incarichi di ricerca anche da parte dell'indu­ stria: «Non possiamo permettere che l' Istituto vada in rovina a causa 8 delle maniere verosimilmente troppo disinvolte di questo assistente» 2 . 555

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Di lì a non molto quella preoccupazione si sarebbe rivelata del tutto infondata. Se, nella fase iniziale della Repubblica federale, il Partito socialde­ mocratico aveva ancora rifiutato l'economia di mercato a causa delle alte agevolazioni fiscali per gli imprenditori e il basso livello dei salari, alla luce del protrarsi dei successi del partito conservatore al governo i socialdemocratici dovettero rivedere la propria posizione politica. Du­ rante il congresso straordinario del partito, tenutosi nel novembre del 1959 a Godesberg, i socialdemocratici decisero l'adozione di una nuova piattaforma programmatica nella quale fosse contenuto un chiaro rico­ noscimento dell'integrazione con l'Occidente e dell'economia basata sulla concorrenza, allo scopo di guadagnare voti al di là delle file tradi­ zionali dell'elettorato socialista. Contro questi nuovi prindpi, sostenuti nella fattispecie da Carlo Schmid e Herbert Wehner, ma anche da Willy Brandt, votò un certo numero di delegati orientati fortemente a sinistra, i quali vedevano nel nuovo corso una capitolazione del Partito socialista e un completo abbandono della tradizione marxista. Il perdurare delle controversie sul programma del partito d'opposizione, rafforzate dalla formazione della grossa coalizione alla quale diedero vita i partiti della 9 cou/csu e della SPD alla fine del 1966 2 , indusse Adorno, a ben sette anni di distanza dal congresso straordinario socialdemocratico, a colti­ vare l'idea di scrivere una critica fondamentale del programma di Godesberg, secondo il modello della famosa Kritik des Gothaer Pro­ gramms che era stata redatta da Karl Marx nel 1875 . La critica, nata da una proposta di Enzensberger, avrebbe dovuto essere pubblicata sulla ri­ vista " Kursbuch ", che veniva edita allora, proprio sotto la sua direzione, dalla casa editrice Suhrkamp 3 0 • Benché Adorno non fosse del tutto d'accordo con l'attitudine culturale rivoluzionaria della rivista che pre­ vedeva, tra l'altro, un generale rifiuto nei confronti della letteratura bor­ ghese, il pensiero di scrivere e pubblicare una tale critica nella tradizione di Marx gl i sembrava allettante quanto ricco d'interesse. Così aveva co­ minciato a prendere alcuni appunti che aveva in parte annotato su una copia del programma di Godesberg in suo possesso, proprio in corri­ spondenza dei punti che più lo interessavano. Le note scritte allora da Adorno dimostrano che il suo giudizio nei confronti del nuovo pro­ gramma era estremamente critico. In relazione al passo in cui gli autori della SPD parlavano del pericolo che l'uomo «scatenasse le forze primor­ diali dell'atomo», annotava Adorno in modo interrogativo: «ecco la soli­ ta ricaduta sull'uomo» e poco oltre: «vengono denunciate le contraddi-

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zioni, ma non la contraddizione». S ulla pagina in cui il programma trat­ tava il problema della giustizia nella ripartizione dei beni materiali, scri­ veva a margine: «Ambiguo, ovvero formulato come se una cosa simile fosse possibile senza la socializzazione dei mezzi di produzione, come se si trattasse di una semplice questione risolvibile attraverso una trattati­ va» . A margine del passo in cui si promuoveva un dispiegamento della personalità dell'individuo, si leggeva: «si tratta 1) di un cattivo concetto borghese; 2) non si tratta di una costante>> 31 • L'articolo, tuttavia, non fu mai scritto. Il motivo per cui il lavoro si fermò allo stadio di quegli ap­ punti in margine dipendeva certamente dal fatto che Adorno riteneva opportuno consultarsi con Horkheimer in materia di questioni talmen­ te delicate; probabilmente aveva ancora in mente la polemica dell'amico e codirettore contro l'impegno politico di Habermas. Pochi giorni dopo la formazione del governo di grossa coalizione, scrisse a Horkheimer di avere avuto qualche ripensamento: «Se oggi si muove un attacco alla SPD - e a questo avrebbe inevitabilmente dovuto condurre quel lavoro - si porta acqua al mulino di tutti coloro che intendono colpire una demo­ crazia già pesantemente scossa. [ . . ] Non desidero in alcun modo contri­ buire all'avvento della sciagura, come accadde a suo tempo tram ite lo slogan del socialfascismo» . Adorno spiegava di non essere d'accordo con alcuni intellettuali, su posizioni vicine a lui e a Horkheimer, circa il fat­ to che fosse venuto il momento di esprimersi pubblicamente, in consi­ derazione della possibil ità che la democrazia potesse essere messa in pe­ ricolo dalla «grossa coalizione» . «Soltanto una presa di coscienza estre­ mamente acuta e critica potrebbe aiutare la S P D a non logorarsi del tut­ to in questa combine» . Con un gesto di chiara autocritica, Adorno con­ fessava all 'amico, il quale si trovava allora a Montagnola, di non essere affatto sicuro del proprio giudizio politico. Da una parte, vedeva il peri­ colo di un completo assorbimento della S P D nello status quo; «Dall'al­ tra parte, vedo nella grossa coalizione l'effettiva opportunità di un pas­ saggio a un sistema bipartitico, del tipo di quello che hai in mente tu, e quindi dell'eliminazione della N P D , su cui ho un giudizio altrettanto se­ vero del tuo, nonostante tutti i tentativi che si fanno per sminuire i ri­ schi che comporta» 3 2 • Adorno si rimise al parere di Horkheimer, il qua­ le, in una conversazione telefonica, gli sconsigliò di intraprendere quel progetto e quindi l'analisi da pubblicare sulla rivista " Kursbuch " non fu più scritta. Ciononostante, due anni dopo, Adorno restava ancora convinto della validità della sua critica di principio al programma della S P D . Nel .

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daS der Mell8ch die Ptodu.klivkralfe auls hO>, spiegava Adorno nell'ottava lezione ri­ volgendosi agli studenti di Francoforte, «la famosa formula dell'uomo come " pastore dell'Essere" è proprio un modo di parlare ontico; vale a dire: il tentativo di stabilire qui un nesso causale metafisica risale alle condizioni primitive e p re-agrarie di una società dedita all'allevamento del bestiame e quindi a qualcosa di molto ontico e molto storico - i pa­ stori, infatti, appartengono com'è noto al passato e, ormai, perfino nel­ 6 l'Alta Foresta nera, non si possono incontrare che occasionalmente» 10 • La critica di Adorno si rivolgeva così contro una prassi linguistica che si circondava «di un 'aureola» allo scopo di conferirsi «l'apparenza dell' ele­ vatezza, del metafisica» 10 7 • Per illustrare in modo ancora più evidente da che cosa occorreva guardarsi nelle espressioni tipiche della anti-chia­ rificazione heideggeriana, immediatamente dopo le lezioni francofortesi 575

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e le conferenze parigine Adorno redasse un libro intero dedicato al Ger­ go dell'autenticità. All'epoca in cui scrisse quel testo, però, tra il 1962 e il 1964, quel che gli interessava non era scardinare la filosofia antologica di Heidegger servendosi del pensiero dialettico, sebbene sia del tutto ipo­ tizzabile pensarlo, dal momento che il termine «autenticità» costituiva appunto una delle categorie fondamentali di Essere e tempo. Nondime­ no la sua critica mirava esclusivamente a un tono rivelatosi dominante nella Germania del dopoguerra fino agli anni sessanta inoltrati, a quel linguaggio rigonfio di accenti patetici che veniva imitato «meccanica­ mente» dalla « massa dei fautori dell'autenticità» dando vita appunto al­ 8 l"' heideggerese" 1 0 • Adorno era perfettamente al corrente delle diffe­ renze esistenti tra la sostanziale filosofia di Heidegger e la schiera di apo­ logeti e imitatori del gesto linguistico filosofico-esistenziale. Heidegger, scriveva Adorno, non è «il matador di questa politica del gergo e cerca anzi di star lontano dalla sua goffaggine)) 109 • Le cose stavano diversa­ mente, però, per gli scritti di Karl Jaspers e Otto Friedrich Bollnow, di­ ventati filosofia alla moda come espressioni dell'Esistenzialismo. Era da questi scritti che Adorno citava innanzi tutto per sottoporre ad un'aspra polemica la diffusione del gergo dell'autenticità - vero e proprio «orga­ no Wurlitzer dello spirito)) 110 • La polemica non mancò di avere le sue conseguenze. Infatti, in una lettera a Herbert Marcuse del 15 dicembre 1964, si leggeva: «Ernst Bloch mi ha telefonato dicendomi che Bollnow è sul punto di avere un crollo nervoso a causa del Gergo. Che gli venga pure>> 111 • Sebbene un motivo di Heidegger non dovesse essergli estraneo, os­ sia la condanna della volontà di potenza moderna, se si esamina la pri­ ma parte della Dialettica negativa (Rapporto con l'a ntologia) Adorno non trovava proprio nulla di buono nell'antologia heideggeriana. A quanto pare, lo stesso Heidegger, di quattordici anni più anziano di Adorno, si limitò semplicemente ad ignorare quella critica fondamentale 112 • In ogni caso, non si conoscono dichiarazioni pubbliche rilasciate da Hei­ degger su Adorno, così come non si verificò mai un incontro personale tra i due nella Germania del dopoguerra, nonostante si fossero cono­ sciuti un tempo, nel gennaio del 1929, incontrandosi brevemente in casa dell'economo universitario Kurt Riezler 11 3 . Nel novemb re del 1964 Adorno offrì un primo saggio della sua po­ lemica, allorché, durante la XVI serata di conferenze organizzata dalle edizioni Suhrkamp, lesse alcuni brani di un testo già parzialmente pub­ blicato sulla " Neue Rundschau" . Quello stesso mese era uscita la versio-

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ne integrale del Gergo dell'autenticità, preceduta da una dedica che reci­ tava «A Fred Pollock per il 22 maggio 1964» e da un'epigrafe tratta da L 'innominabile di Samuel Beckett: «il est plus facile d' élever un tempie que d'y fai re descendre l' objet du culte» 11 4 • La sala detta Cantatesaal , in cui avevano tradizionalmente luogo le serate con gli autori delle edizioni Suhrkamp, era gremita di gente. Questa volta la conferenza di Adorno fu interrotta frequentemente dalle risate del pubblico e accompagnata da numerosi applausi di approvazione 11 5 • Al centro dell'analisi linguisti­ ca di Adorno c'erano nobili sostantivi e locuzioni facilmente vendi bili quali «nella decisione», «incarico», «chiamata», «incontro», «colloquio genuino», «osservazione», «ciò che sta a cuore», «vincolo», ma anche estratti di poesie come per esempio il verso di Rilke sulla povertà come 6 «grande splendore interiore» 11 • Dal momento che questo gergo rap­ presentava uno slittamento dell' ideologia tedesca nel linguaggio, lo si doveva analizzare dalla prospettiva critico-linguistica. « Il fatto che quel linguaggio sia in realtà ideologia, apparenza socialmente necessaria, si può scoprire nella contraddizione tra il suo " come " e il suo " che cosa" » 11 7• Era questo, infatti, il programma dell'analisi critico- ideologica del linguaggio che Adorno svolgeva dettagliatamente nel suo libro. Nelle prime parti del suo pamphlet mostrava che quel gergo consisteva in una tecnica retorica volta ad impedire la verifica critica del suo contenuto, perché le parole, in quanto espressione dell'autentico e dell'esistenziale, non apparivano ulteriormente interrogabili. Il gergo linguistico grazie al quale resuscitava il pensiero metafisica originario offriva una compensa­ zione per la perdita reale di significato e di senso che l'individuo era co­ stretto a subire all'interno del mondo amministrato . Tramite il ribalta­ mento del linguaggio ordinario in linguaggio elevato si suggeriva di po­ ter far rivivere lo spirito di un'esistenza autenticamente umana grazie al­ l'immergersi in un'arcaica immanenza linguistica. In realtà, quel gergo 8 era invece un tappabuchi dinanzi al disfacimento del linguaggio, 11 e, in quanto tale, costituiva il lato complementare della concezione posi­ tivistica del linguaggio, la quale considerava la lingua come un mero strumento defi nitorio in grado di veicolare significati. Adorno non mancò di illustrare il gergo servendosi direttamente dei testi di Heideg­ ger, caratterizzati da una forma stilistica che voleva «conferire artificial­ mente un senso originario alle grezze parole» 11 9• Heidegger, dunque, stipava di banalità i concetti general i della sua filosofia per destare così l'impressione di partecipare magicamente dell'assoluto. Al tempo stes577

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so, però, la nullità dell'uomo veniva dichiarata una categoria essenziale, in modo da far apparire indifferente il destino individuale dei singoli soggetti. Proprio codesti passi su Heidegger testimoniavano l'intenzione ori­ ginaria di Adorno. La critica del linguaggio rappresentava soltanto il primo momento di una critica più estesa ad Heidegger, nel contesto della quale il Gergo dell'autenticità avrebbe dovuto semplicemente costi­ tuire «una sorta di propedeutica» 120 • Ma, dal momento che le argomen­ tazioni svolte avevano acquistato una certa ampiezza e rappresentavano ormai una parte tematica a sé stante nei confronti del manoscritto anco­ ra da completare della Dialettica negativa, Adorno decise di farne una pubblicazione autonoma, accanto alla redazione delle conferenze e dei saggi dedicati a questo argomento 121 •

La bambina grassa La coscienza non potrebbe affatto disperarsi nel grigio­ re, se non coltivasse il concetto di un colore diverso, di cui non manca una traccia distinta nel Tutto negati­ vo

122.

In seguito alla conferenza tenuta al Collège de France nel marzo del 1961, grazie alla quale si sviluppò uno stretto contatto, poi protrattosi negli anni, tra Adorno ed alcuni studiosi francesi 1 23 , egli cominciò a mettere in atto il piano, ormai coltivato da lungo tempo, di scrivere un volume di carattere gnoseologico sulla dialettica. Dapprima aveva preso a «scrivere in modo alquanto impetuoso [ . . . ] , ma in seguito» si erano presentate «enormi difficoltà sul piano della costruzione» 124 • Il libro do­ veva diventare la summa del suo pensiero filosofico e, di conseguenza, era necessario che fosse in grado di soddisfare le esigenze più elevate. Quando, verso la fine del 1966, fu possibile intravedere quale forma avrebbe preso, Adorno affermò, non senza ironia, di procedere sì nella scrittura, ma, come si esprimeva in una lettera a Herbert Marcuse, «se­ condo la logica dialettica del sarto " Buffa " : ciò che cuce oggi lo scuce domani: uffa h> Non è sorprendente dunque che dieci giorni dopo ag­ giungesse: «Lavoro molto e sono tal mente stanco che mi rallegro di quel misero paio di giorni di vacanza che mi aspettano a N arale» 12 5 .

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La scrittura della Dialettica negativa era durata sette anni, affermò Adorno a posteriori quando poté tenere in mano il volume con la sua elegante copertina grigia che era stato pubblicato nel novembre del 1966 in una prima edizione di quattromila copie. Annunciando l'uscita del li­ bro a Helene Berg, aveva espressamente definito la Dialettica negativa come «la mia opera filosofica principale, se mi è lecito dire così. [ . . ] A questo punto, il mio lavoro nei prossimi anni si concentrerà prevalente­ 6 mente sulle questio ni artistiche» 12 • In numerose lettere Adorno dichia­ rò ripetutamente quale fatica intellettuale gli fosse costato portare a ter­ mine quel libro. Allorché aveva cominciato a sviluppare dal punto di vista contenuti­ stico questa vasta opera di accertamento del proprio pensiero filosofico, Adorno dedicò tre cicli consecutivi di lezioni universitarie, che ebbero luogo tra il 1964 e il 1966, ai temi contenuti nei lavori preliminari per il libro. Il titolo del seminario del semestre invernale 1964-65 recitava Sul­ la dottrina della storia e della libertà, nel semestre successivo le lezioni fu­ rono dedicate alla Metafisica e il ciclo delle lezioni del semestre invernale 1965-66 recava un titolo identico al volume: Dialettica negativa . Le le­ zioni rappresentavano per Adorno un forum ideale in cui poter esporre provvisoriamente i propri ragionamenti, sottoponendone così a verifica la plausibilità. Quando si rivolgeva a una parte dell'uditorio con l'appel­ lativo «allievi miei», accanto alla sicurezza del docente, risultava eviden­ te che egli vedeva in alcuni dei suoi ascoltatori una sorta di istanza di controllo composta da interlocutori competenti, che non pensava mini­ mamente di saziare offrendo loro una storia della filosofia e tantomeno form ule basate sulle visioni del mondo o un pensiero meramente artico­ 8 lato in punti di vista 127 • I tre cicli di lezioni 12 corrispondevano a tre delle sezioni principali della Dialettica negativa: «L'introduzione espone il concetto di esperienza filosofica. [ . . . ] Dai risultati raggiunti la seconda parte avanza fino all'idea di una dialettica negativa. [ . ] La terza parte sviluppa modelli di dialettica negativa» 129 . Lo stesso Adorno classificava la Dialettica negativa tra i suoi libri più complessi a livello tematico e linguisticamente più esigenti, proprio a causa della struttura paradossale e antinomica del volume. Nonostante la densità del testo, la filosofia speculativa dell'opera si distingueva per la trasparenza della costruzione. In tal modo Adorno si contrapponeva a un tipo di dialettica che aveva acquistati tratti affermativi fin dai tempi di Platone. Infatti, anche in Hegel il principio di negazione finiva per ri­ solversi in un'affermazione di positività. Adorno, invece, non voleva .

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permettere che l'aspetto negativo della negazione trapassasse nella fon­ dazione di una posizione. Intendeva presentare, nei confronti del pro­ blema della conoscenza, una forma di auto riflessione critica che si accer­ tasse della verità in maniera non convenzionale. Il valore delle situazioni reali, quindi, doveva essere interrogato sulla base della loro genesi, ossia della loro origine, rompendo al tempo stesso con l'apparenza di un'i­ dentità di essere e pensiero. «La conoscenza non possiede completamen­ te nessuno dei suoi oggetti» 1 3 0 . Questa frattura apriva così la strada alla fondazione di una fi l osofia materiale in cui consisteva il fine costruttivo della Dialettica negativa 1 3 1 . Al centro dell'ampia Introduzione si poneva la fondazione di un concetto di esperienza filosofica che Adorno delimitava chiaramente ri­ spetto alla forma scientistica di conoscenza. La critica a Bergson, H us­ serl e in particolare ad Heidegger, condotta nella Parte prima della Dialettica negativa costituiva il punto di partenza per delineare i con­ torni del concetto adorniano di verità. «Ciò che di vero vi è nel sogget­ to si dispiega nella relazione con ciò che esso stesso non è, nient'affatto tramite l'arrogante affermazione del suo essere cosÌ» . Adorno prendeva sul serio il bisogno antologico ( riassunto nel motto «alle cose)) di Hus­ serl 1 32) nella misura in cui lo decifrava come il desiderio di esperienza fi l osofi c a. Nella Parte seconda Adorno esplicitava i concetti centrali del non­ identico e del non-concettuale, così come la concezione metodologica del proprio pensare in costellazioni. Nel quadro della sua disamina della gnoseologia di Kant, nella quale viene sostenuto il primato del soggetto, Adorno formulava una critica all'Idealismo alla luce di convinzioni spe­ cificamente materialiste, al fine di fondare in tale contesto la sua tesi del primato dell'oggetto, tesi peraltro ripetutamente coniugata in diverse variazioni. Adorno contrapponeva al pensiero identifi cante, che deve ne­ cessariamente operare una separazione tra soggetto e oggetto, una mo­ dalità cognitiva non assoggettata al dovere di risolvere la tensione tra il generale e il particolare dei fenomeni a favore della generalità. Allo scopo di sottrarsi alle riduzioni proprie della comprensione puramente concet­ tuale, all'astrattezza delle operazioni classifi c anti, egli metteva in tavola una «utopia della conoscenza)) consistente nell' «aprire con concetti l'a­ concettuale senza renderlo simile ad essi)) 1 33. Per definire il non-concet­ tuale introdusse la categoria della non-identità, 1 34, che egli però non in­ tendeva come un'alternativa migliore al pensiero identificante, ma come un correlativo del procedimento concettuale. Se la riflessione fi l osofica

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rinuncia all'autarchia del concetto, «si toglie la benda dagli occhi» 135 • Diventa così consapevole del fatto che « in verità il soggetto non è mai 6 del tutto soggetto, né l'oggetto oggetto» 1 3 . N ella Parte terza metteva alla prova i propri princìpi, abbozzati in forma categoriale nella sezione precedente, applicandoli a tre modelli : le filosofie di Kant e Hegel e la metafisica. Discuteva così la questione del­ la libertà della volontà in relazione all' idea di moralità, così come era stata elaborata nella dottrina morale kantiana. Adorno faceva dipendere la libertà dalla futura costituzione di un mondo in cui gli uomini «non abbiano più bisogno di essere cattivi. Allora il male sarebbe la loro illi­ bertà: ciò che avviene di male, verrebbe da essi» 1 37 • L'idea di una libertà della volontà derivante dal «principium individuationis», infatti, ven iva confutata da Adorno in quanto «inganno della soggettività costituti­ 8 va» 1 3 , vale a dire criticata come assolutizzazione di un soggetto che ele­ va ad assoluto la propria conservazione individuale. All'aspettativa nutrita da Kant che la libertà si realizzasse nel sogget­ to trascendentale, così come a quella di Hegel che la ragione si realizzi nello spirito del mondo, Adorno contrapponeva il fatto storico costitui­ to dal fallimento della cultura «dimostrato inconfutabilmente» da Auschwitz 1 39 • Le dodici Meditazioni sulla metafisica si muovono ai con­ fini estremi delle possibilità insite nella riflessione filosofica: Adorno do­ mandava, infatti, se fosse ancora possibile salvare l' idea dell' umanità della persona alla luce della realtà dei campi di sterminio. N o n esiste al­ tra via d'uscita se non il nichilismo di Nietzsche ? La sostanza della filosofia adorniana doveva essere misurata proprio in base al criterio stabilito da questo libro nel quale l'autore aveva «attra­ versato il deserto ghiacciato dell'astrazione» . L'ampiezza dell'opera e la sua " pesantezza" possono essere il motivo per cui Adorno la defin iva privatamente la sua «bambina grassa» . Così, infatti, era solito Adorno chiamare la Dialettica negativa in alcune delle sue lettere, proprio a cau­ sa della vastità e della densità del contenuto filosofico del volume, un appellativo che risaliva ad una delle storie brevi più affascinanti e con­ notate autobiograficamente scritte da Marie Luise Kaschnitz 1 40 • Per terminare la Dialettica negativa l'autore si era fatto dispensare per due semestri da ogni impegno d'insegnamento presso l'università. In tal modo riuscì a concludere il manoscritto alla fine di luglio del 1966, per poi recarsi, in uno «stato di estrema prostrazione» a S ils Maria dove avrebbe trascorso sei settimane di vacanza. Questa condizione di esauri­ mento fisico, causato tra le altre cose da un'insonnia prolungata e da

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una dolorosa operazione al gomito, non gli impedì però di occuparsi dei prossimi progetti di pubblicazione. Infatti, come si leggeva in una lette­ ra al vecchio amico Carl Dreyfus, Adorno affermava: «ho il sentimento di dover ancora mandare in porto le cose determinanti per me, se lo vo­ glio ancora fare fintanto che mi è possibile disporre pienamente delle mie energie produttive» 1 41 • A maggior ragione, le settimane di riposo trascorse al "Waldhaus " in Alta Engadina si rivelavano ancora più im­ portanti. Ad esse seguì poi un viaggio di una certa durata in Italia che Adorno intraprese da solo, senza essere accompagnato dalla moglie. Si recò in visita a Roma, Napoli e Palermo. Una volta giunto in Sicilia, vi­ sitò l'antica città degli El imi Segesta, situata nella parte nordoccidentale dell'isola, con le sue antiche vestigia e il tempio dorico del v secolo a.C., oltre che le rovine di Selinunte. Questa esperienza lo spinse a chiedersi quale «aspetto potesse avere la relazione attuale della coscienza verso l'arte tradizionale» . Durante il viaggio s' incontrò con Jutta Burger, in­ sieme alla quale visitò Paestum e Ravello e si recò a Napoli e a Roma, dove Adorno ebbe occasione di vedere anche Iris von Kaschnitz e l nge­ borg Bachmann 1 42 . Poco dopo aver fatto ritorno a Francoforte, apprese la notizia della morte di Siegfried Kracauer, scomparso il 26 novembre 1966 a New York in seguito ad una polmonite. Ancora in ottobre gli aveva scritto una lettera dall'hotel Quirinale per descrivergli le tappe del suo viaggio in Italia. N ella lettera di condoglianze indirizzata alla moglie dell'amico, Adorno sottolineava quanto fosse stato importante, per la sua evoluzio­ ne personale, Kracauer, il quale era sempre stato per lui un interlocutore vicino e fidato. Quando parlò con Horkheimer della morte di Kracauer, Adorno riconobbe quanto fosse stato colpito da quella triste notizia. La sua morte gli aveva fatto ricordare che era stato proprio Kracauer a por­ tarlo alla filosofia durante gli anni venti 1 43 . Dopo il lungo periodo di riposo trascorso in Svizzera e in Italia, in una lettera diretta a Gershom Scholem, Adorno illustrò in modo parti­ colarmente dettagliato i contenuti della Dialettica negativa, un libro con il quale diversamente dal solito egli si muoveva nella «sfera specialistica della filosofia» 1 44 • Nel marzo del 1967 gl i scriveva infatti: Quanto a quello che, nell'immanenza della discussione gnoseologica, io chiamo primato dell'oggetto [ . . ], ebbene mi sembra che, !asciandoselo sfuggire, l'ideali­ .

smo non sia riuscito a essere all'altezza del concetto del materialismo. Gli argo­ menti fondati che credo di avere prodotto contro l'idealismo si presentano appun-

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to [ ... ] come materialistici. Ma proprio da siffatti argomenti si evince che un tale materialismo non è conclusivo, non costituisce una visione del mondo, o una con­ cezione fissata. È questa via verso il materialismo, totalmente diversa dal dogma, che mi sembra garantire quell'affinità con la metafisica, stavo quasi per dire con la teologia»

145•

Sulla metafisica stessa, oggetto dell'ultimo capitolo della terza parte del­ la Dialettica negativa, Adorno si espresse in modo dettagliato: «L'inten­ zione di salvare la metafisica è davvero l'intenzione centrale nella Dialet­ 6 tica negativa» 14 • Anche Scholem aveva avuto quest' impressione nel leggere il libro: Se Lei m i consente d i riassumere l a m i a posizione in poche frasi, direi che n o n mi è mai capitato di leggere una difesa più casta e in sé controllata della metafisica. Muovendo da una posizione in cui una tale difesa appare inevitabilmente un 'im­ presa disperata quanto donchisciottesca [ . . ], Lei è riuscito ad aprirsi un varco di .

cui non posso che ammirare l'energia e la decisione. [ . . . ] Se poi si considera che Lei parte da una tesi materialistica, trovo che la battaglia nella quale Lei si ingaggia per la salvezza della metafisica sia ancor più ammirevole>>

147.

A questa lode particolare Adorno replicava: «Sono molto lieto che que­ 8 sto fatto emerga e che Lei veda positivamente la mia posizione)) 14 • Nonostante l'accordo di fondo mostrato nei confronti della Dialet­ tica negativa, nella sua dettagliata lettera Scholem metteva tuttavia in dubbio che ci si potesse rifare alla categoria della teoria materialista, se le idee storico-filosofiche di Marx sul soggetto storico si erano rivelate illu­ sorie. Scholem sollevava, infatti, una questione imbarazzante quanto decisiva: egli si chiedeva se la denominazione «teoria critica)) in fondo non fosse che il tentativo di conservare l'analisi marxiana del capitali­ smo rinunciando, al tempo stesso, alla teoria della lotta di classe. Scho­ lem muoveva con prudenza la seguente critica: «la tesi della mediazione tramite la totalità del processo sociale [ . . ] svolge il ruolo di un deus ex machina)) 1 49 • Anche il tentativo intrapreso da Adorno di stabilire, se­ guendo Sohn-Rethel , una connessione stringente tra il processo un iver­ sale dello scambio e «il processo di astrazione della coscienza)) ' non era affatto convincente agli occhi di Scholem: «Non voglio a priori conte­ stare che debba esistere un contenuto sociale delle idee e delle categorie; ciò che non mi convince è l'affermazione per cui esisterebbe effettiva­ mente un metodo in grado di dedurre questo contenuto in modo strin.

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gente» 1 50 • Come accolse Adorno questa critica ? Non soltanto accettò le divergenze filosofiche esistenti tra lui e Scholem, resesi nuovamente evi­ denti nella lettera, ma ammise anche che tale differenza risiedeva «natu­ ral mente nella relazione con il materialismo. Mi manca l'ingenuità ne­ cessaria ad illudermi e a rivolgere a mio favore il peso delle motivazioni presentate nella Sua lettera» 1 51 . M entre Scholem aveva mosso una serie di gravi obiezioni alla Dia­ lettica negativa, Sohn-Rethel era rimasto assolutamente entusiasta del li­ bro: «È appena arrivato il Suo libro coglie il bersaglio ! Wonderful ! What a Xmas gift!» Tuttavia, nell'ottica della teoria marxista della rivo­ luzione e contrariamente alle riserve espresse dal professore di Mistica ebraica, egli domandava: E la dialettica negativa non ha alcun rapporto con la trasformazione del mondo ? Ricade tutto questo [la rivoluzione culturale delle Guardie rosse in Cina, N dA. ]

nella " natura affermativa" da cui " il libro vorrebbe liberare la dialettica" ? Oppure le cose stanno così, che Lei non ritiene forse impossibili le necessarie trasformazio­ ni del mondo, ma certamente il loro significato di " realizzazione della fi l osofia" ? Allora, quindi, le forme del pensiero

non

sarebbero determinate dall'essere sociale e

quindi saremmo ritornati all'idealismo dialettico ?

152•

Nella lettera di risposta, scritta alcuni giorni dopo, Adorno consigliava al suo corrispondente, con un tono quasi professorale, di leggere per fa­ vore l'intero libro da capo a fondo, perché era «molto costruito» e se ne poteva ricavare un'idea adeguata soltanto «ripercorrendo l'intera costru­ zione» 1 53 • Quanto alle domande circa le intenzioni relative ad una rea­ lizzazione della filosofia, Adorno mise in chiaro di opporsi alla coercizione morale proveniente dal marxismo ufficiale, che consiste in un certo tipo di positività, e seguo la massima di Grabbe «perché niente, se non la dispera­ zione, ci può salvare» . [ . . . ] Non posso credere che ci sia una qualche speranza in quello che accade in Cina - dovrei negare tutto quello che ho pensato per tutta la mia vita, se volessi dare ad intendere di provare a riguardo un sentimento diverso dall'orrore.

Quanto a ciò che entrambi avevano pensato da giovani e, alla metà degli anni venti, insieme a Benjamin e Kracauer, ebbene «lo spirito universa­ le, o comunque lo si voglia chiamare» se lo era lasciato alle spalle: «Si

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dovrebbe davvero tentare di imparare dai propri errori senza però tradi­ re i motivi del proprio pensiero» 1 54 . A quali motivi era rimasto fedele Adorno ? In primo luogo alla con­ cezione di una dialettica materialista, non approvata da Scholem ma perseguita da Adorno fin dalla sua lezione inaugurale del 1931, una con­ cezione secondo la quale andava inteso il mondo sociale come luogo di una produzione e di un'organizzazione umane che si svolgono in uno spazio essenzialmente non chiuso e storicamente variabile. Il "basso ostinato " della Dialettica negativa era costituito, in effetti, dalla convin­ zione dell'autore per cui il mondo, nel suo manifestarsi come situazione realmente data, deve essere considerato contingente e aperto al futuro. Se nel suo libro Adorno sottolineava in continuazione il primato del­ l' oggetto sul soggetto, nel far ciò gli premeva anche evidenziare la critica alla concreta fatticità dei rapporti sociali, la costrizione cieca esercitata sull'uomo dalle condizioni materiali. Il libro mirava a denunciare, avva­ lendosi degl i strumenti della riflessione filosofica, le cause sociali del do­ lore e della miseria. Per questa ragione, secondo Adorno, «I' elemento specificamente materialistico» converge «con quello critico, con la prassi che muta la società» 1 55 . M uovendo da tale atteggiamento, nella Dialettica negativa Adorno approfondì la sua critica alla filosofia sistematica - anche questo un mo­ tivo a cui era rimasto fedele -, un genere di filosofia di cui aveva messo fondamentalmente in discussione il valore fin dalle sue prime analisi del pensiero di Husserl e più tardi di Hegel, operando una critica che aveva poi ampliato nella Dialettica dell'illuminismo tramite una decostruzione della ragione e del logocentrismo. Anche il topos della storia naturale, che nella Dialettica negativa veniva contrapposto alla concezione hege­ liana dello spirito del mondo, costituiva un rinnovamento degli argo­ menti già sviluppati nella conferenza del 1932 su L 'idea di storia natura­ le. Nel volume attuale, Adorno determinava il soggetto pensante così come l'oggettività ontica da una duplice prospettiva di dipendenza dalla natura e dalla storia. I nfine, nella Dialettica negativa Adorno cercò di tenere fede all'e­ norme ambizione di pensare la metafisica in modo completamente nuo­ vo al fine di poter essere solidale con essa nell'attimo della sua cadu­ 6 ta 15 • Poiché egli non intendeva affatto rinunciare all'idea di una cono­ scenza metafisica «rifugiatasi nella profanità», continuò ad attenersi ad un concetto di "verità" fortemente connotato : al carattere incondizio­ nato di una conoscenza che sia più di un pensiero identificante. Adorno

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contava su una capacità di sofferenza e un bisogno di felicità determina­ to dai sensi che si oppone al mondo fungibile dello scambio e «non vuo­ le che i colori del mondo siano annientati» 1 57 . Proprio questo rimando al mondo fungibile dello scambio dimo­ strava che la Dialettica negativa doveva rappresentare anche un contri­ buto alla teoria critica della società che si realizza «nella lettura dell'es­ 8 sente come testo del suo divenire» 1 5 • Tuttavia, Adorno aveva l'impres­ sione che questo aspetto critico-sociale non fosse stato sviluppato a suf­ ficienza. A Horkheimer espresse il timore che gli si potesse muovere tale accusa. Se quindi il primo piano era riservato alla teoria della conoscen­ za e non alla teoria della società, Adorno vedeva dunque la Dialettica ne­ gativa come un ultimo tentativo di dare vita a una grande filosofia basa­ ta sul binomio soggetto-oggetto ? Oppure credeva di essere riuscito a su­ perare le aporie della filosofia della coscienza ? Comunque sia, egli colle­ gava alla Dialettica negativa la speranza che dall' intransigenza della sua filosofia della contraddizione, dalla «coscienza conseguente della non­ identità» 1 59 , potesse fuoriuscire un momento essenzialmente liberato­ rio, e credeva fermamente di avere sottratto alla presunta indubitabilità quella validità rivendicata da ciò che sussiste e dalle sue autogiustifica­ zioni trascendenti. «Ciò con cui la dialettica negativa penetra i suoi og­ getti induriti è la possibilità intorno a cui la loro realtà ha sì operato un 6 inganno, ma che traluce da ogni singolo oggetto» 1 0 • Nonostante il contenuto filosofico specialistico e l'alto grado di astrazione, il libro trovò molti lettori in un tempo relativamente rapido. Soltanto un anno dopo la prima edizione ne fu stampata una seconda tra le cinquemila e le settemila copie. Poco dopo seguirono le traduzioni in francese, italiano e inglese. Andava da sé che la Dialettica negativa, benché lodata sulla quarta di copertina come anti-sistema in analogia alle nozioni di anti-dramma e an ti-eroe, non avrebbe trovato la stessa ri­ sonanza dei volumi saggistici di Adorno. Nondimeno il libro fu accolto molto bene dai lettori, specialmente dal pubblico composto dai giovani intellettuali. Sulla " Si.iddeutsche Zeitung" del 2 ottobre 1967, il recensore lvo Frenzel lodava il volume defi nendolo «un'opera eccezionale» che «grazie ai suoi tratti inconfondibili spicca come una vetta nel panorama non 6 certo brillante della filosofia tedesca contemporanea» 1 1 • Il filosofo mo­ nacense D ieter Henrich espresse una critica prudente, scrivendo che «quella che qui occorrerebbe chiamare teoria non si dispiega autonoma­ mente dal proprio interno e la critica dei teoremi, così come l'intera

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opera, del resto, mirano alla critica della realtà» . Adorno non avrebbe avuto molto da eccepire a riguardo, così come nei confronti dell' osser­ vazione secondo cui l'autore «dimostra di saper scrivere una prosa luci­ 6 da» 1 2 . La maggior parte delle recensioni, per quanto in numero inferiore al solito, non poteva però rendere giustizia al vero contenuto del libro, an­ che nel caso di un giudizio complessivamente positivo. Allo scopo di eludere una presa di posizione nei confronti dei contenuti, i recensori ricorsero spesso a una critica rivolta al registro linguistico della dialetti­ ca. Particolarmente aspra fu una recensione scritta da Ludwig Marcuse nell'ottobre del 1967 sul settimanale " Die Zeit", con il titolo voluta­ mente ironico La bella lingua (Die schone Zunge) che riprendeva il verso di una poesia di Gi.inter Grass nella quale si alludeva appunto ad Ador­ no. Il recensore, che Adorno aveva conosciuto personalmente ai tempi dell'esilio in America, gli muoveva un rimprovero con il quale si era tro­ vato a confrontarsi sempre più spesso durante quel periodo: scriveva un gergo che aveva lo scopo «di togliere il vizio dell' innocenza agli animi 6 innocenti» 1 3 . Poco tempo dopo Adorno definì pubblicamente questa polemica come «una controaccusa, una ritorsione che mi lascia indiffe­ rente. [ . . ] Il cosiddetto gergo, di cui mi si rimprovera, se possiede la ca­ ratteristica di sottrarsi ad una facile comprensione, ebbene è per via del tentativo che vi si compie di sottrarsi, grazie all'espressione rigorosa dei contenuti, alle sciatte approssimazioni della comun icazione genera­ 6 le» 1 4 . Al fine di creare un forum adeguato per una discussione effettiva sui contenuti della Dialettica negativa, nel semestre estivo del 1967 e nel se­ mestre invernale 1967-68 Adorno svolse due seminari filosofici al centro dei quali ci sarebbe stato il volume appena uscito. L'alto livello di questi seminari era già garantito dalla partecipazione non solo di Horkheimer, ma anche di un'intera serie di assistenti e collaboratori di Adorno attivi nel campo della sociologia e della filosofia, come per esempio Werner Becker, Herbert Schnadelbach, Aren d Kulenkampff e Karl-Heinz Haag. Tra gli studenti che parteciparono al seminario, che vide una forte af­ fluenza nonostante l'obbligo di iscrizione, c'erano anche gl i americani Angela Davis e l rving Wohlfahrt, così come una serie di persone che in seguito sarebbero a loro volta diventate giovani esponenti della "teoria critica" nell'ambito dell'insegnamento universitario . I singoli capitoli dell'opera principale di Adorno furono oggetto delle relazioni di seminario e delle discussioni a seguire. Le controversie .

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che si svilupparono, alle quali Adorno replicò con serietà e comprensio­ ne, riguardavano la storicità della logica dialettica, il principio della ra­ gione e della critica, nonché il problema dell'incoerenza immanente e delle contraddizioni nella filosofia adorn iana. Al postulato corrispon­ dente allo spirito politico del tempo, secondo cui ogni pensiero coscien­ temente critico doveva assumere la prospettiva dei socialmente oppressi, Adorno replicò con un'osservazione molto tipica del suo modo di fare, sostenendo che nella sua dialettica «si trattava di dissolvere il pensiero basato sui punti di vista», e nella fattispecie «attraverso un procedimen­ to che non osserva i fenomeni oggetto di indagine a partire da una qual­ 6 che prospettiva, ma che li giudica in base ai concetti loro propri» 1 5 . Tuttavia, la questione dello schieramento politico assunto dalla " teoria critica" metteva in campo un tema dal quale Adorno era sempre più perseguitato e che, nel periodo successivo, lo avrebbe tenuto con il fiato sospeso come pochi altri.

In quale società viviamo ? L'analisi adorniana del presente Che ogni teoria sia grigia, Goethe lo fa predicare all'a­ lunno di Mefistofele, che egli prende per il naso; il prin­ cipio era ideologia già dal primo giorno, inganno per­ ciò, allo stesso modo di come assai poco verde è l'albero della vita che i fautori della prassi hanno piantato, e che il diavolo nel medesimo istante eguaglia al metallo pre­ zioso, all'oro; questo mentre il grigio della teoria, dal canto suo, si qualifica come funzione della vita dequa­ lificata

1 66 .

Stando alle stesse parole di Adorno, il quale aveva ormai superato i ses­ sant'anni, quello che aveva da mettere sul piatto della bilancia come fi­ losofo era costituito innanzitutto dalla Dialettica negativa, ma anche dalla Teoria estetica, un'opera pubblicata poco dopo la sua morte e, per 6 quanto avanzata, rimasta frammentaria 1 7 • Nel campo della scienza della società pubblicò un numero considerevole di saggi su una grande quantità di temi. Questo non dimostra soltanto che la teoria sociale non ortodossa elaborata da Adorno tentava di superare la separazione tra la pura filosofia e la pura sociologia, così come queste erano praticate nelle rispettive discipline sotto la costrizione prodotta dalla divisione del la-

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voro scientifico. Era piuttosto la forma micrologica assunta dalla costru­ zione della teoria sociologica che corrispondeva al suo concetto di socio­ logia. In base alla fondazione epistemologica fornita nella Dialettica ne­ gativa, quel che gl i stava a cuore era di pensare sociologicamente secon­ do modelli : «sentivo come conforme al mio orientamento intellettuale e come dotata di oggettività l'interpretazione dei fenomeni, e non il mero accertamento dei fatti, l' ordinarli, il classificarli, il metterli insomma a 68 disposizione come informazione)) 1 • Adorno, che nella teoria della co­ 6 noscenza insisteva sulla necessità di «essere vincolanti senza sistema)) 1 9 , anche da sociologo non pensava che fosse molto importante sviluppare una teoria di per sé coerente della società. Ai suoi occhi la cosa determi­ nante era rendere chiaro il come della conoscenza sociologica. Tramite il movimento del pensiero voleva mostrare in modo pratico come si pote­ va cogliere e comprendere il sociale in quanto realtà specifica, in modo da scopri re «perché è fatto così e in quale direzione voglia andare)) 1 70 • Adorno praticava la sociologia come una riflessione concreta pronta ad immergersi nella particolarità degli oggetti sociali, come per esempio i continui litigi quotidiani o le situazioni in cui si crea il riso sponta­ neo 171 , per decifrarle come espressio ni di portata generale. Adorno non analizzava la generalità costituita dalla società contemporanea partendo dalla prospettiva di un osservatore esterno all'insieme sociale, ma dal­ l'interno. Questa prospettiva interna portava alla luce ciò che «tiene se­ gretamente un ito il meccan ismo)) 1 7 2 : il modo di funzionare della soc ietà moderna. Fin dal ciclo di lezioni su Filosofia e sociologia 1 73 condotto nel seme­ stre estivo del 1967, non si era mai stancato di sottolineare che la socio­ logia era necessariamente legata alla filosofia, se voleva essere qualcosa di più che una semplice tecnica scientifica. Dall'altra parte la filosofia, orientata per natura in senso antisociologico, necessitava dello stimolo derivante dall'empiria. In una sociologia che voleva relazionarsi al mon­ do concreto, un pensiero privo di penetrazione concettuale degl i oggetti era puramente illusorio. Il compito della chiarificazione, che prima rica­ deva nel dominio della filosofia, era ormai passato in una sociologia in grado di scoprire l'ente nel suo divenire. La filosofia, al contrario, la quale altro non era se non dottrina della scienza, veniva accusata da Adorno di essere pre-scientifica, perché accettava la scienza senza porre domande, quando il suo vero compito sarebbe stato invece di interro­ garla 1 74 • Per non cadere vittime della suggestività delle apparenze a cau­ sa di una vicinanza troppo stretta ai fenomeni in oggetto - sosteneva

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Adorno - non si poteva rinunciare al vantaggio della distanza fornita dal concetto, un concetto peraltro non statico, ma che si trova in conti­ nuo movimento. N el corso di quel ciclo di lezioni Adorno paragonò il ricercatore in sociologia a un cameraman sperimentale che, nelle sue riprese cinema­ tografiche, cambiasse costantemente la prospettiva, mostrando prima le cose da molto vicino per poi improvvisamente inquadrarle da lontano, all'interno di un contesto molto più vasto 175 • Benché, all'interno della sociologia, alla razionalità discorsiva della costruzione concettuale spetti un valore, la scienza comincia nel momento in cui si esce allo scoperto, in cui ci si affida alla propria esperienza senza sottoporla preventivamen­ te ad una regolamentazione. La dialettica non è altro che il tentativo di 6 fare esperienze senza restrizioni metodologiche né concettuali 17 • A questo principio doveva ispirarsi anche la costruzione teorica in sociolo­ gia. Se questa aspira a essere una teoria della società, deve mettere a con­ fronto i rapporti sociali con la ragione che è loro inerente. È necessario domandarsi continuamente se la società è all'altezza delle esigenze della propria ratio. Una teoria della società deve essere all'altezza del fatto sto­ rico per cui il suo oggetto viene determinato da una fusione di razionali­ tà e irrazionalità. Ma per quello che riguardava l'analisi concreta della società contemporanea, per Adorno dovevano stare in primo piano tre caratteri principali: accanto ai modi di agire in senso socialmente inte­ grativo da parte dell'industria culturale, c'erano la de-autonomizzazione degli individui e la loro perdita di identità e infine il meccanismo rego­ lato anonimamente della società basata sullo scambio. Se Adorno considerava l'Introduzione a "Dialettica e positivismo logi­ co " come un testo chiave per la sua concezione epistemologica della so­ ciologia, per quel che concerne i contenuti della sua teoria della società in relazione alla diagnosi del proprio tempo la funzione di testo chiave era esercitata dalla relazione che egli tenne, nell'aprile del 1968, ad intro­ duzione della XVI Giornata dei sociologi a Francoforte sul Meno. Il rap­ porto con l'analisi del presente era già direttamente contenuto nella problematica a cui era dedicato il convegno: Tardo capitalismo o società industriale?. Il presidente della Società tedesca di sociologia aveva scelto questo tema anche per celebrare il 1 50 ° anniversario della nascita di Karl Marx. Il tema non rispondeva soltanto a un interesse all'interno dell'as­ sociazione professionale dei sociologi, ma occupava in modo particolare anche il numero crescente degli studenti che avevano scelto questa di­ sciplina. Infatti, in quell'anno così connotato da una situazione di frat590

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tura politica e sociale, nulla eccitava maggiormente gli animi della que­ stione se la società contemporanea fosse organizzata capitalisticamente nelle sue strutture economiche fondamentali, se nella sua descrizione ci si poteva avvalere dei concetti elaborati nella Critica dell'economia politi­ ca e in quale misura dovessero essere modificate le teorie marxiste sul mondo del lavoro, la divisione di classe e lo Stato 177 • S i trattava in effet­ ti di problematiche molto attuali di cui Adorno si occupò intensamente durante quel periodo. Nel seminario di sociologia condotto da Adorno, gli studenti rivendicavano con sempre maggiore veemenza di discutere la questione dell'attualità delle teorie marxiane sul capitalismo. Egli non si rifiutò mai di accogliere un simile interesse teorico . Al contrario, nel corso dei suoi insegnamenti veniva illustrato in modo dettagliato, con l'aiuto dell'economista Ernst Theodor M o hl, con quali strumenti con­ cettuali fosse possibile cogliere i fenomen i delle crisi economiche, le 8 «leggi dinamiche» del capitalismo organizzato 1 7 . L'ipotesi politica alla base di queste discussioni era che proprio le società costituite democra­ ticamente non potevano essere assolutamente scambiate con formazioni statiche, ma dovevano essere considerate qualitativamente trasformabili tramite la prassi dell'azione pol itica. Era proprio questa esigenza di tra­ sformazione pratica che Dahrendorf aveva in mente quando, nel suo di­ scorso di apertura al convegno di sociologia di Francoforte, affermò, con dovizia di allusioni, che ci si trovava in una situazione in cui alcuni «dopo avere seminato vento, raccogl ievano in modo inatteso tempe­ sta» 1 79 . Con questa battuta retorica, fin dall'inizio di questo congresso tenuto in grande considerazione era stato subito toccato il tema degli scontri politici, tipici di quel periodo, che erano stati innescati dall' op­ posizione extraparlamentare e dalle manifestazioni studentesche. In quegli anni caratterizzati da un veemente processo di pol iticizzazione, che mirava in modo sempre più militante a scardinare le strutture auto­ ritarie dello Stato e il sistema tradizionale di valori dell'establishment, non si potevano ancora intravedere gli effetti di quella politica riformi­ sta che cominciò ad imporsi soltanto all'inizio degli anni settanta. Al contrario, le rivendicazioni politiche della «nuova sinistra» incontraro­ no il rifiuto da parte della maggioranza della popolazione e anche le ra­ gioni della protesta, motivate moralmente, contro le dittature, la guerra del Vietnam e le leggi di emergenza rimasero largamente incomprese. Su questo sfondo, fu tanto più sorprendente, quindi, la simpatia iniziale 8 mostrata da Adorno nei confronti delle motivazioni della protesta 1 0 . 591

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Nelle prime settimane di aprile, pochi giorni prima dell'apertura del congresso, esplosero in due grandi magazzini incendi dolosi che provo­ carono notevoli danni, proprio nella città in cui si sarebbe svolto il con­ gresso dei sociologi tedeschi. Poco dopo furono arrestati due uomini e due donne, che durante il procedi mento giudiziario dichiararono di avere voluto appiccare il fuoco ai due grandi magazzini «per protestare contro l' indifferenza della società nei confronti degl i assassini che si ve­ rificavano in Vietnam» . Allo stesso tempo circolavano volantini in cui si parlava dell'inumanità del capitalismo, di sfruttamento e terrorismo 8 consumistico, di rivoluzione e militanza 1 1 • Era questa dunque la tem­ pesta inattesa che, secondo Dahrendorf, era stata scatenata dalla "teoria critica" della Scuola di Francoforte. La conferenza inaugurale di Adorno toccò almeno di sfuggita gli eventi dell'attual ità. Il relatore interpretò il movi mento studentesco d'opposizione come resistenza contro le costrizioni all'adeguamento . La protesta degli studenti era motivata dunque dall' «orrore del mondo 8 come imbroglio e rappresentazione» 1 2 • Nella contestazione si esprime­ va quindi il desiderio di libertà e trasformazione. Le tesi presentate da Adorno sulla questione Tardo capitalismo o so­ cietà industriale? erano state pensate come contributo concreto alla dia­ gnosi sociologica del presente. Infatti, fin dall'inizio delle sue considera­ zioni, egli aveva messo in chiaro che la problematica al centro del con­ gresso dei sociologi non consisteva nel dirimere una questione termi no­ logica all'interno della disciplina sociologica, «il fatto, cioè, che gli spe­ cialisti fossero tormentati dalla vana preoccupazione di stabilire se la fase attuale debba chiamarsi tardo capitalismo o società industriale. In verità non si tratta di termini, ma di un decisivo problema di contenuto [ . . . ] giudicare se domina tuttora il sistema capitalistico, nel suo modello comunque modificato, o se lo sviluppo industriale ha fatto cadere lo 8 stesso concetto di capitalismo>> 1 3 • N ella sua analisi della trasformazione subita dagli elementi sociali strutturali più importanti, Adorno muove­ va dal presupposto che una teoria sociologica non potesse accedere alla comprensione razionale della società contemporanea a causa dell'i rra­ zionalità dell'insieme sociale. Tale irrazionalità si manifestava nei mec­ canismi dell'integrazione sociale diretta degli individui. Si registrava in­ fatti una regressione delle sfere sociali che familiarizzavano gli individui con il sistema sociale di valori, con le norme riconosciute così come con le tradizioni tramandate. 592

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Poiché per descrivere le strutture fondamentali del presente Adorno si serviva dell'apparato concettuale marxiano, era logico che la sua anali­ si cominciasse col chiedersi se il concetto di capitalismo fosse ancora util izzabile in quanto concetto strutturale. In tal senso, egli partiva dalla premessa che l'elemento autenticamente sociale della società fosse quel­ la struttura che egli definiva antagonistica. Il contesto sociale struttura­ le, formato dalle istituzioni, dalle norme, dagli interessi di potere e così via, si è reso autonomo trasformandosi in una realtà di forze contrappo­ ste rispetto alle intenzioni degli attori sociali individuali. Nondimeno, questo antagonismo attualmente non si manifesta più nella vecchia for­ ma storica della contrapposizione di classe: infatti, la coscienza di classe in senso tradizionale non è più accertabile empiricamente, così come, alla luce dell' integrazione sociale degli operai, l'esperienza pratica dello sfruttamento non determina più l'azione della classe lavoratrice: «L' im­ prenditore non si contrappone più personalmente ai lavoratori come in­ 8 carnazione vivente degli interessi capitalistici» 1 4 • I soggetti dell'autorità sono, in misura uguale e indifferenziata, portatori di funzioni dettate dall'apparato produttivo. L'autorità viene rivestita così da un carattere impersonale, si manifesta cioè come costrizione del sistema. La modificazione determinante del modello classico di capitalismo, 8 che motiva l'adozione del prefisso " tardo " -capitalismo 1 5 , veniva ricon­ dotta da Adorno al fatto che, con il controllo statale dell'economia, si era largamente immobilizzata la dinamica del mercato . Che cosa giusti­ ficava allora la necessità di descrivere la società contemporanea in termi­ ni di capitalismo invece che come società industriale ? Adorno presentò tre ragioni fondamentali per farlo. In primo luogo, all'interno del siste­ ma del lavoro sociale, esistevano fondamentali rapporti di dipendenza condizionati economicamente che si rivelavano determinanti. In secon­ do luogo, le contrapposizioni di classe si erano trasformate a livello in­ ternazionale nell'opposizione tra paesi estremamente ricchi e paesi estremamente poveri. Infine, il contesto sociale continuava a costituirsi indirettamente tramite i rapporti di scambio. L'applicazione universale della legge dello scambio era la causa dell'astrattezza oggettiva delle con­ dizioni di vita sociali. Dopo la chiarificazione degli elementi strutturali del sistema sociale, Adorno mostrò la plausibilità di una categoria defi­ nitoria grazie alla quale evitare l'alternativa tra tardo-capitalismo e so­ cietà industriale. Sotto l'aspetto delle forze produttive, la società con­ temporanea era una società industriale, perché il modello del lavoro in­ dustriale aveva impresso il proprio marchio a tutti i settori sociali. Ma 593

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«la società» era «capitalismo nei suoi rapporti di produzione» 1 . Infatti, nella società contemporanea, per un verso, gli uomini erano costretti ad adeguarsi completamente all'apparato della produzione e, per un altro verso, la produzione si compieva all'insegna della massimizzazione del profitto. Il che aveva come conseguenza che le merci fossero prodotte come meri valori di scambio connessi a bisogni, i quali erano a loro vol­ ta prodotti dall'interesse volto al profitto. Il predominio dell'interesse diretto alla valorizzazione del capitale avveniva alle spese dei bisogni og­ gettivi dei consumatori. «Persino dove vi è abbondanza di beni, essa soggiace a una sorta di maledizione. Il bisogno, che tende all'apparenza, 8 trasmette ai beni il suo carattere di apparenza» 1 7 . L' irragionevolezza delle condizioni di vita sociali viene accettata come prezzo necessario da pagare per il mantenimento della situazione attuale, nonostante l'utilità a breve termine che il sistema sembra garantire al singolo sia alquanto dubbia. Espressione dell'i rrazionalità sociale è per esempio il fatto che la miseria continua a esistere anche nella cosiddetta " società del benesse­ re" . N ella coesistenza di estrema povertà ed estrema ricchezza si manife­ sta apertamente l'assurdità del dell'insieme. Adorno si opponeva alla giustificazione tecnocratica dell'autorità sociale come necessità imposta dal funzionamento delle cose. L'autorità era piuttosto uno strumento per l'imposizione di determinati interessi sociali: «Fatale non è la tecnica, ma il suo intreccio con i rapporti sociali 88 di cui è prigioniera» 1 • Adorno descriveva il fatto che la determ inazio­ ne della tecnica da parte degli interessi economici fosse resa invisibile come il «velo tecnologico» dietro il quale si nascondevano i reali rappor­ ti di autorità e di potere. «Non per nulla la scoperta di strumenti di di­ 8 struzione è diventata il prototipo della nuova qualità della tecn ica» 1 9 • La dinamica della razionalità tecnica non portava in alcun modo alla dissoluzione dei rapporti di autorità superati, come aveva pronosticato Marx nel quadro della sua fi l osofia della storia. «Il segno distintivo del­ l' epoca è il predominare dei rapporti di produzione sulle forze produtti­ ve, che tuttavia si beffano da tempo dei rapporti. Che il braccio prolun­ gato dell'umanità arrivi fino a lontani e vuoti pianeti, ma che essa non sia capace di istituire la pace perpetua sul proprio fa emergere l'assurdità verso cui muove la dialettica sociale» 1 90 . In questa formulazione si con­ densava il nucleo centrale della diagnosi adorniana del proprio tempo. Egli concepiva la società come un sistema chiuso, la cui stabilità risulta­ va dell'aumento di produttività in conseguenza di un dominio della na­ tura sempre più coronato da successo 1 9 1 . Il dominio della natura prose594

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gue nella forma di un rapporto di autorità sistemico che, nel frattempo, è diventato a sua volta una «seconda natura» . Esso si manifesta come un dato di fatto naturale e irreversibile. Adorno aveva definito con il con­ cetto di «mondo am min istrato)) la tendenza a una vasta organizzazione gestionale dell' intero processo della vita sociale. Tale tendenza viene ad espressione per un verso tramite le diverse forze di intervento pubblico nel capitalismo regolato dallo Stato e, per un altro verso, tramite la tas­ sazione prevista dallo Stato sociale. Le misure preventive dello Stato so­ ciale, benché sembrino elementi apparentemente estranei al sistema, servono in realtà alla conservazione del sistema. Sicché Adorno interpre­ tava le tendenze crescenti all'integrazione del sistema sociale, il suo pro­ cesso di autonomizzazione che aveva ormai raggiunto da tempo valori limite, come sintomo di una disintegrazione in aumento. I potenziali di resistenza isolati che si formavano all'interno del si­ stema sociale erano presi in conto dall'industria culturale, tramite la quale ven iva ulteriormente paralizzata «la semplice capacità di immagi­ narsi concretamente il mondo in un altro modo)) 1 92 • Se alla fine dell'analisi del tempo presente Adorno affermava pessi­ misticamente che non era possibile occupare «alcuna posizione al di fuori del meccanismo)) 1 93 , si imponeva però la questione se esistesse an­ cora un punto di partenza per il progetto della chiarificazione sociologi­ ca. Sullo sfondo di questa problematica, alla fine della sua analisi egli ri­ mandava, però, alla «paura dilagante)) che scaturiva dall'ordine strapo­ tente delle cose. Questa paura liberava impulsi dai quali si producevano in modo riconoscibile dei potenziali di resistenza. In quanto secondo relatore al convegno dei sociologi tedeschi, Dah­ rendorf colse l'opportunità di formulare una critica fondamentale alla concezione teorica della Scuola di Francoforte e al suo rapporto con la prassi. L'obiezione principale di Dahrendorf era diretta contro il grado di astrazione concettuale e la generalità storico-filosofica della diagnosi adorn iana della contemporaneità. Un' «analisi troppo sicura di sé della totalità propria della nostra evoluzione sociale)) faceva a sua volta parte «di un mondo irrigidito; essa produce una duplicazione di questo mon­ do irrigidito)) 194 • A causa di questa concentrazione sugl i elementi di principio ven iva così compromessa la possibil ità di una prassi politica che potesse concretamente produrre trasformazioni sociali rivolte al mi­ glioramento delle condizioni di vita. Inoltre, il valore di prognosi delle teorie della total ità sociale era alquanto ridotto; questo tipo di teoria, in­ fatti, si limitava a progettare «un'immagine neopessimistica di alcuni 595

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processi storici inevitabili» . Infine, Dahrendorf metteva in discussione la tesi per cui, in considerazione dei potenziali di sviluppo all'interno delle società industriali avanzate, fosse possibile raggiungere in futuro una condizione libera dall'autorità. N o n senza una punta polemica nei confronti di Adorno, il relatore sollevava la domanda: «Esistono condi­ zioni tollerabili e raggruppamenti sociali tollerabili in cui possa emerge­ re il pensiero dell'abolizione dell'autorità dell'uomo su altri uomini ? [ . . ] Quali spiegazioni sociologiche abbiamo da offrire per giustificare il ritorno del sogno dell'anarchia ?» 1 95 . Adorno si prese il tempo necessario per replicare parlando libera­ mente e con la dovuta ampiezza in un intervento che fu spesso interrot­ to dagli applausi dei presenti. Non soltanto come risposta a Dahren­ dorf, ma anche alla luce dell'azionismo politico del movimento studen­ tesco egli si aspettava che «la richiesta di unità tra teoria e prassi» potesse condurre «molto facilmente ad una sorta di censura della teoria per mezzo della prassi». Esigere dal pensiero un lasciapassare per la sua ap­ plicabilità era un segno della razionalità strumentale. Analogamente a quanto aveva fatto nell'introduzione alla Dialettica negativa, egli insi­ stette sulla necessità della riflessione teorica sulla società come condizio­ ne della prassi. Al tempo stesso non c'era alcun dubbio per lui che la 6 «vita reale delle singole persone» doveva essere cambiata 1 9 • Ma se si la­ sciava in margine la natura dell'insieme sociale ritenendola inafferrabile perché troppo generale, l'intervento nella prassi diventava illusorio. Adorno spiegava inoltre il primato della critica all'autorità a partire dal­ la progressiva diffusione delle strutture autoritarie in tutti i settori socia­ li. All'obiezione che lo accusava di utopia, fatto per lui non nuovo, re­ plicò sostenendo che con l'idea regolativa di una società meglio organiz­ zata non si intendeva nulla di più, ma neppure nulla di meno della for­ ma di convivenza umana «in cui la molteplicità potesse esistere indistur­ bata e convivere pacificamente» 1 97 . .

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Con l e spalle al muro

Non abbiamo letteralmente nessuno al di fuori di noi stessi

1•

Scrivere e pubblicare libri aveva sempre rappresentato, accanto alla com­ posizione musicale, una parte essenziale della vita di Adorno e aveva or­ mai assunto un'importanza sempre più preponderante. Lavorare con i testi era diventata per lui una necessità interiore e massime erano le sue esigenze a riguardo, a tal punto che le sue pubblicazioni, insieme ai cre­ scenti impegni nell'attività di insegnamento e alla piena responsabilità nella direzione dell'Istituto, gli costavano grande fatica. «È davvero mol­ to più di quanto io riesca a sostenere fisicamente», così si esprimeva sen­ za mezzi termini rivolgendosi al suo vecchio amico Dreyfus col quale era in rapporti di confidenza 2 • Una volta in cui si lamentò con Alfred An­ dersch in merito alla gravosità dei suoi impegni, comunicò non senza autoironia il seguente desiderio: nel caso gli fosse capitato di tornare nuovamente al mondo in un'altra vita, avrebbe fatto il playboy 3 • Nonostante la sensazione di essere sottoposto a una fatica eccessiva, Adorno continuava ad accettare inviti per tenere conferenze, come nel caso delle impegnative lezioni di Parigi che tenne nel marzo del 1965 presso la Maison Allemande (Deutsches Haus) alla Cité lnternationale e, in seguito, nell'anfiteatro Descartes della Sorbona. L'onore concesso­ gli era indubbiamente grande, ma altrettanto profonde furono la tensio­ ne e la concentrazione che gli furono necessarie per tenere le conferenze in francese. Nondimeno, soltanto pochi mesi dopo, si trovava nuova­ mente su un podio a Berlino, per tenere un corso di Sociologia in un gremitissimo Auditorium Maximum a proposito del " concetto di socie­ tà" 4• Poco tempo dopo si sarebbe recato a Bruxelles, dove avrebbe do­ vuto assolvere all'impegno di tenere quattro lezioni sulla Introduzione alla sociologia della musica, la cui versione in forma di libro sarebbe ap­ parsa tre anni dopo nella rinomata collana " rowohlts deutsche enzyklo­ padie "; si trattava della rielaborazione di un volume che Adorno aveva 597

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pubblicato da Suhrkamp già nel 1962: Zwolf theoretische Vorlesungen (Dodici lezioni teoriche) che portavano in calce una dedica ai suoi col­ laboratori dell'Istituto per la ricerca sociale. Le conseguenze di questi continui strapazzi non mancarono di farsi sentire; nelle lettere di Adorno si parlava sempre più spesso non soltanto di insonnia cronica, ma anche di emicranie, problemi alla gola e via di­ cendo. Senza il costante e affidabile appoggio della moglie Gretel, egli non avrebbe mai potuto far fronte a tutte queste attività e impegni sul piano accademico e scientifico. Proprio nell'anno della pubblicazione della Dialettica negativa, a quel quadro venne ad aggiunsersi una cre­ scente preoccupazione per gli sviluppi della situazione politica in Ger­ mania. Un semplice sguardo ai quotidiani, in cui acquistavano tale risal­ to sempre maggiore temi quali l'introduzione di leggi di emergenza e la formazione di una grossa coalizione, gli dava motivo di interrogarsi sul­ la stabilità del sistema politico. Questo a maggior ragione per il fatto che i risultati di uno studio condotto nel 1967 dall'Istituto per la ricerca sociale offrivano molti motivi per fare insorgere dubbi circa il futuro della democrazia parlamentare in Germania. In occasione di episodi concreti, come lo scandalo dello " Spiegel " del 1962, lo sciopero dei me­ tallurgici del Baden Wi.irttemberg nel 1963 e il processo Eichmann del 1961, l'Istituto per la ricerca sociale aveva sempre compiuto dei rileva­ menti servendosi di questionari, al fine di poter esprimere una valuta­ zione sulla coscienza politica della popolazione basandosi su dati empi­ rici 5• In tutti e tre questi studi, le variabili del livello di istruzione e del grado di informazione degli intervistati si rivelavano fattori significativi per la capacità di agire in un modo politicamente cosciente e per l'ado­ zione di un atteggiamento democratico. Il gruppo di ricerca dell'Istituto che lavorava sotto la direzione di Adorno individuò un grado di disinte­ resse politico preoccupantemente elevato. Soprattutto in situazioni di crisi, come nello sciopero conseguente alle vertenze salariali, sussisteva il pericolo che la tendenza all'apatia pol itica, già di per sé diffusa, sfociasse in un'attitudine favorevole a uno stato autoritario. I due responsabili dell'analisi condotta, i sociologi Ego n Becker e Regina Schmidt, basan­ dosi su un modello espl icativo di Adorno, misero in relazione questa di­ sposizione autoritaria con una situazione di reale impotenza nella socie­ tà, che aveva come conseguenza il crearsi di una forte tendenza alla ras­ segnazione nelle questioni politiche 6 • Le reazioni alla condanna di Adolf Eichmann da parte di un tribunale israel iano furono interpretate, nel quadro della valutazione dei dati rilevati, come una reazione di rifiu-

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to nei confronti del riconoscimento degli eventi legati al periodo nazio­ nalsocialista. N el complesso, i risultati delle ricerche indicavano che nel­ la grande maggioranza della popolazione tedesca regnava un'avversione verso la sfera politica che poteva avere conseguenze fatali per la demo­ crazia. Da ciò Egon Becker e Regina Schmidt traevano conseguenze pessimistiche che Adorno non solo condivideva ma aveva già formulato nel suo saggio del 1959 Was bedeutet: Auforbeitung der Vergangenheit (Che cosa significa fare i conti con il passato) . Entrambi si mostravano d'accordo con la concezione di Adorno per cui l'identificazione della gente con la democrazia della Germania occidentale era di natura super­ ficiale. Infatti, la democrazia veniva « [percepita] non sotto l'aspetto del­ l' autodeterminazione politica, ma primariamente dalla prospettiva del consumatore e dell' individuo privato depoliticizzato che vuole vedere garantito lo status quo» 7 . Non era soltanto l'atteggiamento poco convinto di molti tedeschi nei confronti dello Stato democratico a suscitare in Adorno motivi di ti­ more, ma anche la politica ufficiale del governo. Egli giudicava in modo estremamente critico il comportamento dei partiti al potere, i cristiano­ democratici e i liberai-democratici : «Essendo pol iticamente disperato, in mancanza di meglio voterò socialdemocratico [nell'ottobre del t965, Nd.A. ] , ma mi sono rifiutato di firmare qualsiasi appello promosso da­ gli intellettuali per il partito del signor Wehner. Del resto, sono alquan­ to sicuro che la c n u otterrà la maggioranza assoluta. [ . . . ] Vivere è dav­ vero un piacere» 8 • Nel settembre del 1965 usò toni altrettanto sarcastici nei confronti di Marcuse, che all'epoca insegnava presso l'università di La J olla in California. La previsione di Adorno si rivelò giusta soltanto in parte, circa la netta vittoria riportata dai cristiano-democratici, i quali ottenendo il 47,6o/o dei voti si imposero come il partito più forte. No­ nostante il programma di Godesberg, che Adorno aveva notoriamente giudicato come del tutto conformistico, la S P D riuscì a migliorare la propria percentuale di consensi soltanto di pochi punti ai danni dei li­ berai-democratici. Era questo un buon motivo perché la S P D vedesse le proprie chances politiche future nella partecipazione a una grossa coali­ zione ? Horkheimer e Adorno avevano costantemente osservato le correnti nazionaliste e conservatrici in Germania con marcato scetticismo. A ri­ guardo avevano accertato che il governo non combatteva in modo abba­ stanza energico i partiti di destra e le tendenze antisemite. Almeno fino al processo su Auschwitz tenutosi a Francoforte (1963-65), era mancata 599

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una sufficiente fermezza ai fini di un rapido chiarimento e dell'informa­ zione sui crimini di massa compiuti dai nazionalsocialisti. Giuristi quali Richard Schmid, F ritz Bauer o Martin Hirsch, che premevano perché si aprissero procedimenti penali anche contro i mandanti presenti nell'ap­ parato burocratico nazista, costituivano rare eccezioni. L'anno in cui apparve la Dialettica negativa rappresenta indubbia­ mente una cesura dal punto di vista politico. L'insuccesso del gabinetto guidato dal cancelliere Ludwig Erhart, basato su un progetto intriso di autoritarismo di Stato quale il programma della " società ordinata", ebbe come conseguenza, verso la fine del 1966, la formazione di una grossa coalizione costituita dai cristiano-democratici e dai socialdemo­ cratici. Benché lo scopo dichiarato della coalizione fosse di modificare una situazione politica ormai irrigidita tanto sul piano interno che este­ ro, in pratica il nuovo governo fu innanzitutto percepito come il pro­ motore di quelle leggi d'emergenza ormai pianificate da tempo. Le nuo­ ve leggi, che anche Adorno giudicava pericolose per lo stato della demo­ crazia, acquistarono un rilievo ancora maggiore nella percezione pubbli­ ca perché, con la formazione della grossa coalizione, veniva meno la pre­ senza di una forte opposizione parlamentare. Questo deficit di demo­ crazia, di cui Adorno era perfettamente consapevole, rappresentò in de­ finitiva una delle cause principali per il costituirsi di un'opposizione ex­ traparlamentare ( O E P ) , che si organizzò infatti come la forza in assoluto più critica nei confronti delle leggi d'emergenza. Non erano soltanto la mancanza di controlli parlamentari nei confronti dell'esecutivo e le leg­ gi d'emergenza a prestare il fianco agli attacchi politici provenienti da questa direzione sul fronte interno, ma anche la guerra del Vietnam condotta dagl i Stati Uniti d'America, appoggiata politicamente dal go­ verno tedesco occidentale, il monopolio dell'informazione nel campo dei media e in particolare della Springer-Presse, quindi la visita in Ger­ mania di un sovrano totalitario come lo scià di Persia nel 1967, e infine la situazione di emergenza in cui versava l' istruzione nelle università te­ desche. L'espressione simbolicamente efficace della ribellione da parte di studenti che si facevano politicamente sempre più impegnati fu, nel novembre del 1967, l'interruzione di una celebrazione del rettorato presso l'università di Amburgo, in occasione della quale due rappresen­ tanti delle organizzazioni studentesche esposero il celebre striscione nel­ l' aula dell'Auditorium Maximum nel quali si riunivano i professori or­ dinari: «Sotto la coltre ammuffita di una toga vecchia di migliaia di an n t » . 6oo

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I gruppi studenteschi che si impegnavano energicamente per la ri­ forma delle università costituivano anche la forza principale del crescen­ te movimento contro la guerra del Vietnam così come delle forze che appoggiavano i movi menti di liberazione nel Terzo mondo. Queste for­ mazioni potevano contare sull'appoggio degli esponenti della " teoria critica" tra i quali, oltre a giovani quali Oskar Negt, si annoveravano an­ che J urge n Habermas e Herbert Marcuse, che avevano preso la parola a riguardo fin dal 1966, in occasione della prima grande manifestazione contro la guerra del Vietnam tenutasi a Francoforte e a Berlino ( Viet­ nam - Analyse eines Exempels) . Jiirgen Habermas, in qualità di condut­ tore della discussione in alcuni gruppi di lavoro, aveva partecipato an­ che alla grande dimostrazione contro le leggi di emergenza che si svolse a Francoforte alla fine di ottobre del 1966. La manifestazione Demokra­ tie in Notstand (Democrazia in stato di emergenza) che ebbe luogo nel maggio 1968 nel grande studio dello Hessischer Rundfunk vide la colla­ borazione dello stesso Adorno, il quale prese anche la parola. Come egli disse nel suo breve discorso, non era necessario «trovarsi in preda ad un' isteria politica per nutrire timori in merito alla situazione che si sta­ [ va] delineando». Ricordò ai presenti i rimproveri in giustificati mossi dal Consiglio regionale contro il redattore capo del settimanale " Der Spiegel ", così come il cinico atteggiamento dei politici più importanti nei confronti della Legge base. Alla luce dell'ordine democratico ancora incerto della German ia, era doveroso protestare nel modo più aspro contro misure che minavano giuridicamente la democrazia come le leg­ gi di emergenza 9 . Mentre in merito alle leggi di emergenza Adorno non lasciava spa­ zio a dubbi circa la sua solidarietà con le correnti dell'opposizione, allo stesso tempo era critico nei confronti di quell'an ti-americanismo che aveva cominciato a delinearsi in Germania fin dall'assassinio di John F. Kennedy, con la repressione violenta delle sommosse razziali e quindi con l'assassinio di Martin Luther King, e che cominciava a diffondersi tra gli oppositori sempre più numerosi alla guerra del Vietnam. Sicché Adorno aveva piena comprensione per l'annuncio fatto da Horkheimer a fini dimostrativi a favore di un atteggiamento pro-americano, durante la Settimana dell'amicizia tedesco-americana nel maggio del 1967 a Franco forte 10 • In diversi discorsi ed interventi a numerosi dibattiti Horkheimer aveva sottolineato di sentirsi profondamente legato alla de­ mocrazia americana, a quella terra in cui avevano trovato accoglienza e rifugio i perseguitati dal regime nazista. Certamente egli tollerava la po6o1

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sizione critica degli intellettuali nei confronti della politica americana in Vietnam, ma riteneva al tempo stesso che la guerra combattuta dagli americani servisse anche la causa della difesa della democrazia. I n tal senso gl i americani meritavano un ringraziamento, non in ultimo per avere liberato la Germania e l'Europa dal più terribile dei sistemi totali­ 11 tari • Fin dall'estate del 1 9 6 5 , invece, nella sua lezione sulla Metafisica Adorno aveva definito la guerra del Vietnam come un segno del perdu­ 1 rare di quel " mondo della tortura " che era cominciato ad Auschwitz 2• Nell'estate del 1 96 7 , la visita di Stato dello scià di Persia, accompa­ gnata da eccezionali misure di sicurezza da parte delle autorità tedesche, dalla chiusura della autostrade e del traffico sul Reno così come dal con­ trollo degli iraniani residenti nella Repubblica federale, costituì una messa alla prova delle condizioni in cui versava la democrazia tedesco­ occidentale. Il regime dello scià, a causa delle attività dei suoi servizi se­ greti contro gli studenti iraniani e dei metodi di tortura a cui erano sot­ toposti i suoi oppositori, possedeva tratti totalitari. Gli studenti impe­ gnati politicamente furono a capo della protesta della popolazione. In diverse grandi città, migliaia di studenti delle scuole superiori e delle università risposero all'appello alle man ifestazioni, come infatti avvenne a Berlino il 2 giugno dinanzi al municipio di Schoneberg e di fronte alla Deutsche Oper. Negli scontri con la polizia, che inseguiva i manifestan­ ti in fuga, lo studente Benno Ohnesorg fu ucciso da un maresciallo di pol izia che gl i sparò alle spalle. Per contrattaccare, l'opposizione extra­ parlamentare condannò il divieto di dimostrazione emanato immedia­ tamente dal senato di Berlino, definendolo il ricorso ad «uno stato di emergenza ingiustificato)) e indisse su questo tema innumerevoli assem­ blee studentesche all'interno delle università 13. Gli eventi che avevano portato all' uccisione del loro compagno di studi, così come la campagna di stampa condotta dall'azienda editoriale Springer contro gli studenti manifestanti indussero Adorno ad esprime­ re la seguente osservazione nel corso di una discussione all'interno del seminario di sociologia: «Gli studenti hanno rilevato in una qualche mi­ sura il ruolo degli ebrei)) 14. Poco tempo dopo, tornò nuovamente a par­ lare della morte dello studente nei disordini di Berlino; ma anche della cosiddetta " guerra dei sei giorni" tra Egitto e Israele. Il 6 giugno, infatti, introduceva la sua lezione di estetica con le seguenti parole: Non mi è possibile iniziare la lezione oggi senza dire una parola sugli eventi acca­ duti a Berlino, per quanto possano essere offuscati dalla terribile minaccia che pesa

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su Israele, la patria di innumerevoli ebrei sfuggiti all'orrore. Sono del tutto consa­ pevole della difficoltà di formarsi un giudizio corretto e responsabile anche sui fatti più nudi e semplici, perché tutte le notizie che ci arrivano sono già orientate in una certa direzione. Ma questo non mi può comunque impedire di esprimere la mia simpatia per lo studente il cui destino, a quanto ci viene riferito, non ha alcuna re­ lazione con la sua partecipazione a una manifestazione politica. [ . . . ] Non soltanto il naturale impulso di rendere giustizia alla vittima, ma la preoccupazione per il fat­ to che lo spirito democratico che solo ora si sta veramente formando in Germania venga soffocato da pratiche statali autoritarie, rendono necessaria la richiesta che le indagini a Berlino vengano condotte da autorità che non siano organizzativamen­ te legate a coloro che hanno sparato e lanciato proiettili di gomma e che non pos­ sano in alcuno modo essere sospettate di avere un interesse ad indirizzare le inda­ gini in una qualche direzione. Che le indagini siano condotte nella più piena liber­ tà, nel modo più rapido, in maniera incondizionata da desideri autoritari e in con­ formità allo spirito della democrazia, è un desiderio che io non sento soltanto come mio auspicio privato e personale, ma come un desiderio che corrisponde a una situazione oggettiva. Immagino che anche voi lo condividiate. Vi prego, dun­ que, di alzarvi in piedi per onorare la memoria del nostro compagno berlinese Benno Ohnesorg

15.

Due giorni dopo questa dichiarazione resa da Adorno, ai funerali di Benno Ohnesorg fu fatta seguire l'organizzazione di un corteo di auto­ mezzi diretto da Berlino Ovest ad Hannover e collegato a numerose manifestazioni di lutto. N ella stessa capitale della Bassa Sassonia avreb­ be dovuto tenersi un grande congresso sul tema Università e democrazia: condizioni e organizzazione della resistenza. Durante le animate discus­ sioni circa la legittimità democratica di intraprendere forme di resisten­ za politica, J iirgen Habermas mise in guardia dal pericolo che il movi­ mento studentesco sfociasse nel puro azionismo. A suo parere, il dovere dell'opposizione extraparlamentare stava «Se non proprio nel compensa­ re, quantomeno nel riconoscere la mancanza di una politica chiara nelle proprie intenzioni, sinceramente cosciente dei propri mezzi, avanzata nelle proprie interpretazioni e nelle sue azioni» 16. L'idea di esercitare invece una resistenza politica in forma di provocazioni dirette contro l'autorità dello Stato costituiva una « ideologia volontaristica» che avreb­ be potuto risolversi in una sorta di «fascismo di sinistra» 17• La grande simpatia che Adorno nutriva per i suoi colleghi di Francoforte include­ va fo rse anche un'approvazione per questa formula, alla quale non si po­ teva certo negare una certa tendenza a discriminare l'opposizione stu-

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dentesca ? Anche se non in quel momento, Adorno usò quell'etichetta un anno dopo, specialmente in prese di posizione di carattere privato, ma anche in alcune interviste nelle quali si richiamava ad Habermas. Lo stesso Habermas ammise in seguito la problematicità presentata da quei contributi alla discussione, anche se gli eventi storici successivi avrebbe­ ro apertamente mostrato che la pericolosa sperimentazione degli attac­ chi mossi dai militanti contro il monopolio del potere detenuto dallo Stato poteva sfociare nel terrorismo 18• Ado rno, il quale condivideva con gli studenti protestatari l'idea dell'emancipazione così come la convin­ zione che esistessero notevoli deficit nel campo dell'istruzione, nonché l'esistenza di una struttura autoritario-gerarchica oltre a norme repressi­ ve nel diritto penale in materia sessuale, reagì allora nel suo modo carat­ teristico. L'inquietante notizia che il poliziotto Karl-Heinz Kurras, il funzionario che aveva esploso i colpi mortali contro lo studente in fuga Ben no Ohnesorg, era stato assolto dall'accusa di om icidio dalla prima Corte penale del Tribunale regionale di Moabit, gli diede motivo di aprire la sua lezione di estetica del 23 novembre 1 96 7 con nuove consi­ derazioni: Se non può essere condannato neppure il maresciallo di polizia, perché in base alla legge non è possibile ascrivergli una colpa, allora la colpa dei superiori che gli han­ no ordinato di agire in quel modo diventa ancora più grande. Il semplice fatto che la polizia che sorveglia una manifestazione studentesca sia dotata di armi, implica di per sé la tentazione di intraprendere quelle azioni che il maresciallo di polizia può tranquillamente giustificare richiamandosi alla sola parola " ordini " . A Franco­ forte si è dimostrato più volte che la polizia non ha bisogno di ricorrere a questi metodi; ragion di più per pretendere di sapere perché invece li ha impiegati a Berli­ no, chi sono i responsabili e come sono stati impartiti i cosiddetti ordini. Al di là di tutto, emerge tuttavia l'impressione che ho avuto quando ho visto il signor Kurras in televisione. Gli ho sentito pronunciare una frase del tipo: «Mi dispiace che uno studente abbia perso la vita» . Il tono di rincrescimento con cui la pronunciò era in­ discutibilmente forzato, come se il signor Kurras fosse riuscito soltanto con estre­ ma fatica a dire quelle parole peraltro insufficienti e non fosse per nulla seriamente consapevole di quello che aveva combinato

19.

Le differenze e le comunanze tra gli studenti dell'estrema sinistra, da un lato, e Horkheimer ed Adorno, dall'altro, incoraggiarono entrambe le parti a confrontarsi con le proprie divergenze di opinioni. Visto che proprio ad Adorno premeva che si arrivasse ad un'intesa, egli fissò un

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incontro nel quale si sarebbe svolta una discussione tra l'Unione sociali­ sta degli studenti tedeschi (sns ) e i due responsabili dell'Istituto per la ricerca sociale 20 • Il dibattito ebbe effettivamente luogo alla metà di giu­ gno nei locali della Casa dello Studente Walter Kolb e si concentrò in primo luogo sul problema della rilevanza della " teoria critica" per la prassi politica, nella misura in cui essa mirava a una trasformazione del­ l' ordine sociale. In una lettera aperta pubblicata poco prima di quella discussione comune, Horkheimer aveva già messo in dubbio la presa di posizione politica unilaterale del movimento dell'estrema sinistra, chie­ dendosi «se il richiamo alla dottrina del comunismo da parte dei deten­ tori del potere in Asia, il loro rifarsi alle idee dei fondatori del marxi­ smo)) non fosse ormai diventato «una macabra farsa)) 21 • Egli metteva in guardia sul fatto che un riconoscimento incondizionato del modello so­ cialista poteva rendere ciechi dinanzi al potenziale totalitario dei sistemi comunisti . Nella discussione che seguì, Adorno diede prova di senso della misura. Da una parte, interpretò in prospettiva sociologica le cre­ scenti strategie di diffamazione nei confronti delle rivendicazioni politi­ che e delle iniziative degli studenti come espressione di una società re­ pressiva; dall'altra, si oppose con veemenza all ' idea di un'appl icazione diretta nella pratica della teoria critica della società. Era illuso rio, infatti, basarsi sull'esistenza di una situazione rivoluzionaria, ed egli paragonò le azioni studentesche ai «movimenti di animali in gabbia che cercano una via di uscita)) 22 • Adorno era riuscito a difendere facilmente la propria posizione in quelle discussioni, ma le cose andarono in modo ben diverso in occasio­ ne di una conferenza che egli tenne poco dopo presso la Libera Univer­ sità di Berlino. Inoltre le sue reazioni alle critiche si mostrarono del tut­ to inermi. Che cosa era accaduto ? Rispondendo a un invito di Peter Szondi, Adorno pensò di tenere, proprio in una situazione politica tal­ mente tesa, una conferenza Sul classicismo dell'Ifigenia di Goethe, che aveva già concepito durante le vacanze estive passate in Engadina nel 1 966 con il titolo provvisorio Gegen das Rohe (Contro il rozzo) , quindi l'aveva composta a grandi linee nei giorni intorno al capodanno per poi presentarla in pubblico nel gennaio del 1 96 7 , prima ad Amburgo e poi a Braunschweig 23 • Un gruppo di studenti orientatati a sinistra innalzò uno striscio ne che si rivolgeva in direzione dell'oratore recando scritte queste parole: "I fascisti di sinistra berlinesi salutano Teddie, il classicista ". I perturba­ tori, il cui striscione era stato prima sequestrato e poi strappato da un

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altro gruppo presente nell'auditorium, esortarono apertamente Adorno ad esprimere il proprio parere nei confronti di un procedimento giudi­ ziario aperto contro un rappresentante di spicco dell'opposizione extra­ parlamentare. Sui volantini distribuiti in sala dai militanti dello sns si leggeva: Il professar Adorno, questo indispensabile accessorio di scena delle manifestazioni culturali, che propaga impotenza critica nei festival teatrali, nei programmi televi­ sivi, nelle accademie e via dicendo, questa sera vuole invitare anche noi a partecipa­ re a un'ora di solenne celebrazione. [ . . . ] Il signor professar Adorno è sempre pron­ to ad ascrivere alla società della Repubblica federale una tendenza latente all'inu­ manità. Però, confrontato all'inumanità che si trova nelle assurde accuse rivolte contro [Fritz] Teufel, egli rifiuta di esprimere un parere. Preferisce patire in silen­ zio le contraddizioni che egli stesso ha constatato»

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Dopo che Adorno si rifiutò di discutere del suo atteggiamento in meri­ to alla questione con gli studenti invece di tenere la conferenza prevista, una serie di spettatori abbandonò la sala per protesta. Un passo della conferenza, che ebbe effettivamente luogo poco dopo, avrebbe potuto suonare come una critica nei confronti del comportamento dei prote­ statari, vale a dire quando l'oratore parlava del «cupo mistero di una ri­ voluzione e di una coscienza che si intendeva liberata» oppure del fatto che «l' umanità» poteva sfociare «nella repressione», impedendo così il raggiungimento di un' «humanitas compiuta» 25• In tal senso, aveva ra­ gione Peter Szondi, il quale, dopo essersi dichiarato discepolo di Ador­ no nella sua breve prolusione introduttiva, verso la fine delle sue consi­ derazioni aveva annunciato che Adorno avrebbe detto molto poco di classico sull'Ifigenia di Goethe, come «vogliono invece quelle persone che oggi citano i detti di Mao allo stesso modo in cui facevano i loro nonni con i detti dei vari della poesia ai tempi di Weimar. Se però an­ che a me è permesso di citare un detto, tratto dai Minima Moralia di Adorno, allora sceglierei questo: " Far paura non vale ". E così deve re­ stare» 26. La conferenza sarebbe diventata un evento mediatico, perché alla fine dell'allocuzione una studentessa con una minigonna verde tentò di avvicinarsi ad Adorno per consegnargli un Teddy rosso (un orsacchiotto di pelouche) . Questo episodio fu uno dei temi di conversazione tra gli invitati del filosofo Wilhelm Weischedel, il quale aveva chiesto all ' ospi­ te d'onore e ad alcuni colleghi di riunirsi a casa sua dopo la conferenza. 6o6

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In seguito, per citare le sue stesse parole, Adorno definì quella «provoca­ zione» come «irritante» 27• Tuttavia aveva tentato di accettare quell'af­ fronto mostrando all'esterno una certa calma: «Ho superato tutte quelle sciocchezze senza riportare né dan ni fisici né spirituali. In fondo non è stato così terribile, come invece affermano adesso i reazionari, i quali sperano soltanto di potermi attirare dallo loro parte» 28• Poco dopo l'episodio della contestazione, ebbe luogo una discussione con i rappresentanti berlinesi dello sns presso il Club repubblicano, il centro dell'opposizione extraparlamentare a Berlino 29• Adorno giudicò il dibattito produttivo e l'atmosfera amichevole. Poche settimane più tardi, nello studio della Radio tedesca occidentale (Westdeutscher Rundfunk) ebbe luogo una conversazione tra Adorno e Szondi sul tema delle " agita­ zioni studentesche" , nel corso della quale Adorno dichiarò che esistevano buoni motivi alla base del movimento di protesta giovanile nella sua di­ mensione di fenomeno internazionale, che coinvolgeva Francoforte, Ber­ lino, Parigi, Roma, Praga arrivando fino a San Francisco. Egli accettava la «critica degli studenti al nostro sistema universitario». Avevano ragione nel criticare che, a causa delle separazioni tra le singole discipline, deter­ minati argomenti venivano ignorati, per esempio «in quale modo le strut­ ture di base dell'economia e la loro dinamica determinano le strutture di base della società» . Quanto alle richieste di riforma avanzate dagli studen­ ti, egli sospettava che spesso si trattasse soltanto di rendere più facile il corso degli studi. Ma questo non poteva in alcun caso essere il fine della riforma degli studi. Egli avrebbe piuttosto «favorito tutto ciò che potesse contribuire a potenziare la forza intellettuale dell'università». La sua con­ cezione era che da una parte si dovessero togliere di mezzo una serie di arcaismi della riforma universitaria [ . . . ] , ma che dal­ l'altra [si dovessero] difendere determinati arcaismi in quanto rifugio delle qualità umane, di ciò che non era stato ancora assorbito dal funzionamento della macchi­ na universitaria. [ . . . ] Credo che non sussista alcuna possibilità di modificare la so­ cietà partendo dall'università, ma che, al contrario, le intenzioni isolate di produr­ re un cambiamento radicale presenti all'interno dell'università [ . . . ] non faranno che acutizzare il rancore dominante contro la sfera intellettuale, spianando in que­ sto modo la via alle forze della reazione 30•

Adorno riprese in parte la tesi sostenuta durante il colloquio radiofoni­ co con Szondi allorché, nel quadro della lezione di estetica tenuta alla fine di novembre, ebbe inizio una discussione con gli studenti che aveva

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come tema principale la questione se le interruzioni provocatorie delle lezion i fossero un mezzo legittimo del conflitto all'interno dell'universi­ tà. Adorno si espresse non soltanto a favore di un modello democratico che prevedesse la partecipazione degl i studenti agli organ i decisionali universitari, anche in materia di nomina dei professori, ma in quell' oc­ casione difese anche la protesta studentesca dall'accusa di fascismo. Dal­ l' altra parte, però, si batté anche affi nché, invece di dare luogo a una permanente trasgressione delle regole del gioco, si util izzasse l' opportu­ nità di una riforma universitaria che potesse essere imposta nel quadro di una pubblica discussione. Allo stesso tempo, ammonì che si doveva­ no rispettare i diritti individuali anche dei docenti universitari. Le for­ malizzazioni delle norme giuridiche contenevano un elemento positivo per qualcuno che aveva vissuto di persona «che cosa significa quando alle sei del mattino suona il campanello e non si sa se alla porta c'è la Gestapo o il garzone del panettiere» 3 1 • Alla fine di quella vivace discus­ sione Adorno chiarì che, nonostante le minacce del momento, non si poteva in alcun modo mettere sullo stesso piano la democrazia esistente in Germania occidentale con uno Stato fascista. Trascurare questa diffe­ renza era una semplice espressione di fanatismo. Mise in guardia dal pe­ ricolo di «attaccare una democrazia che, nonostante tutto, valeva la pena di migliorare invece che scontrarsi con un avversario che si mostra­ va già molto potente» 32 • Adorno cercava non soltanto di tenere conto, in un modo sorpren­ dentemente aperto, del bisogno di discussione degli studenti interessati alla politica, esprimendo comprensione per le loro ragioni, ma tentava altresì di esporre molto chiaramente le proprie riserve circa la strategia di una trasgressione mirata delle regole, della violenza contro le cose e della provocazione nei confronti delle persone. Lo scetticismo di Ador­ no nei confronti nelle conseguenze politiche dell' azionismo trovava espressione in modo ancor più manifesto nelle sue lettere. Nell'estate del 196 7 , per esempio, scriveva a Marcuse, il teorico nonché "mostro sa­ cro " del movimento studentesco, che alcuni degli esponenti di quel mo­ vimento tendevano «a fare una sintesi tra il loro tipo di prassi e una teo­ ria che non esisteva, con il risultato di originare così un decisionismo che richiama alla mente l'orrore» 33 • Durante le settimane di ferie nei mesi di luglio e agosto, voleva ri­ trovare, grazie alla compagnia della moglie, la necessaria distanza dalle agitazioni dei mesi precedenti. Nonostante nel corso degl i anni avesse trovato quella tranquillità agognata presso il "Waldhaus " a Sils Maria, 6o8

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quell'estate la coppia decise di trascorrere le vacanze all'hotel "L' étrier" a Crans sur Sierre, nel Valais. Al "Waldhaus " Gretel non era soddisfatta della cucina, mentre a lui non piacevano le persone che vi si incontrava­ no. In Svizzera Adorno sperava di incontrare Herbert Marcuse, che nel­ lo stesso periodo soggiornava nella vicina Zermatt. Voleva mettersi d'accordo con Marcuse sulle loro differenze politiche, così come sulla possibilità di concordare un atteggiamento comune nella relazione della "teoria critica" con la prassi pol itica.

Un parricidio soltanto rinviato La sensazione di essere improvvisamente attaccati come reazionari ha sempre qualcosa di sorprendente 34•

Nel corso del 1968, le esternazioni di Adorno circa le richieste degli stu­ denti, così come sui "go-in " , i "teach-in " e tutti gli happening e le pro­ vocazioni connesse, acquistarono ton i più aspri: «Per il resto non c'è al­ tro da dire se non che ne ho fin sopra i capell i delle questioni studente­ sche. lnnanzitutto per il motivo che qui - e questo vale non solo per noi, ma anche per H abermas e Friedeburg - abbiamo sempre più l' im­ pressione di non essere altro se non figure da manipolare, per gli studen­ ti. [ . . ] Un parricidio soltanto rinviato» . In una lettera scritta soltanto pochi giorni più tardi a Elisabeth Lenk, il tono era del tutto analogo. Quei continui conflitti con gli studenti avevano qualcosa di paradossale: «Habermas, Friedeburg, Mitscherlich ed io, insieme ad altre due o tre persone, form iamo una minuscola minoranza di opposizione all'interno delle commissioni accademiche, ma allo stesso tempo veniamo attaccati dagli studenti in nome del [ . . . ] primato della prassi. Non abbiamo nes­ suno che ci sostenga, ma d'altra parte pare proprio che debba essere COSÌ» 35• Anche l'iniziativa essenzialmente promossa dalla rivista letteraria "Alternative" fu percepita da Adorno come una forma diversa di parri­ cidio. Si sentì molto più ferito da quell'operazione che dalle azioni spet­ tacolari messe in scena all'università. Infatti, con sua grande sorpresa, gli si rimproverava di avere messo Benj amin sotto pressione durante gli anni di esilio a Parigi e di avere operato una selezione per l'edizione, ri­ spettivamente in due volumi, degl i Scritti (Schriften, 19 55 ) e delle Lettere (Briefe, 1966) 3 6 allo scopo di nascondere quel che pareva un evidente .

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passaggio di Benj amin al marxismo 37. Dopo che Hannah Aren d t e Helmut HeiBenbiittel si erano espressi in merito sulla rivista "Merkur" presentando alcune critiche nei confronti del criterio dell'edizione adot­ tato da Adorno e dei suoi rapporti con Benjamin 3 8 , il 1 9 gennaio, nel supplemento culturale della " Frankfurter Rundschau" , Wolfram Schtitte diede nuova risonanza alla controversia. Rinnovò le accuse esortando il curatore degli Schriften così come l'editore Suhrkamp a prendere posizione a riguardo. In gioco c'erano l' integrità scientifica e personale di Adorno 39. Questi non eluse in alcun modo i rimproveri che gli venivano mossi, ma li affrontò in una presa di posizione di cui propose la pubblicazione alla stessa rivista "Alternative ", ma non in for­ ma di lettera aperta, bensì come normale articolo, il cui onorario sareb­ be stato devoluto al Club repubblicano di Berlino allo scopo di soste­ nerne le spese legali. In questa Comunicazione provvisoria 40 egli spiega­ va qual i fossero stati i criteri adottati per la scelta degli scritti di Benja­ min. Inoltre respingeva fermamente le affermazioni che parlavano di un'inimicizia tra lui e Benjamin, cercando di documentare con tanto di lettere la forma sempre solidale assunta dal loro confronto intellettuale. Respingeva anche l' insinuazione di avere monopolizzato l'archivio Ben­ jamin 41 conservato presso l'Istituto per la ricerca sociale: «Mi sono sem­ plicemente preoccupato che il materiale restasse unito». Alla fine della sua dichiarazione si leggeva: «Il vero aspetto diffamatorio contenuto nelle accuse rivolte mi risiede comunque nell'insinuare l'esistenza di una correlazione tra le controversie teoriche e la situazione fi nanziaria di Benjamin. Non c'è nulla di vero in questo. [ . . . ] Nessuno si è mai sogna­ to di pensare di esercitare su di lui delle pressioni intellettuali o di cen­ surarlo facendo ricorso a tali mezzi [la concessione di sussidi finanziari da parte dell'Istituto per la Ricerca sociale, N.dA. ]» 42• Adorno non si limitò semplicemente a quella comunicazione provvisoria, ma alla fine di marzo del t968 redasse alcuni appunti in vista di un nuovo saggio dal titolo Sull'interpretazione di Benjamin. Tra i punti salienti di queste an­ notazioni si trovava una serie di domande che suonavano così: È poi così terribile pensare che egli [Benjamin] , da cui io ho imparato così tanto, abbia imparato qualcosa anche da me ? Le idee monolitiche della Arendt. [ . . . ] Ri­ mandare alle contraddizioni contenute nei rimproveri di H [annah] A[rendt] e HeiBenbiittel. Le conseguenze che ne derivano. [ . . . ] Falsa priorità accordata all'ele­ mento biografico e alle circostanze storiche, che del resto non hanno affatto porta­ to alla rovina altri, nonostante si trovassero in una situazione identica. [ . . . ] Lei vor-

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rebbe trasformare noi, che in definitiva siamo stati i soli a tenerlo a galla per sette anni, nei suoi assassini 43.

Adorno aveva pianificato di affrontare diffusamente le accuse in un sag­ gio che sarebbe dovuto apparire sulla " Neue Rundschau" . Tuttavia, a causa dei molti impegni e delle forti tension i emotive provocate da tale controversia, vi rinunciò 44. In una lettera a Gershom Scholem, Adorno portò ad espressione quanto profondamente quelle accuse lo avessero ferito, anche se presto si sarebbero rivelate infondate. Egli pregava Scholem, in quanto amico più stretto di Benjamin, di assumere una presa di posizione chiarificatri­ ce: «La cosa determinante a riguardo non sarebbero le formalità o la ret­ tificazione delle menzogne [ . . . ] ma che Lei, in quanto persona più com­ petente in materia, potesse mettere in risalto in modo davvero energico la mia effettiva qualificazione filosofica circa il pensiero di Benja­ min)) 45 • Scholem, da parte sua, si comportò in modo tanto comprensivo quanto accorto nei confronti della richiesta rivoltagli da Adorno. A suo avviso, le intenzioni dei critici di attaccare e feri re personalmente Ador­ no erano del tutto evidenti nella loro malignità. Proprio a causa di que­ sto risentimento egli consigliava di mantenere la calma; di una confer­ ma circa la sua «legittimazione filosofica come interprete di Benjamin)) ' Adorno non aveva certo bisogno 4 6 • A parte questo, oltretutto si poteva­ no «in perfetta buona fede, avere opinioni legittimamente molto diverse sull'interpretazione degli scritti o del pensiero di Benjamin [ . . . ] , così come sulla valutazione della sua biografia)), Nessuno poteva rivendicare il diritto a una lettura ufficiale di Benj amin. «La meschinità sta in altre affermazioni, nelle quali l'aspetto filosofico è rivelante soltanto per il fatto che Lei vi appare, in modo davvero assurdo, come antimarxista, come qualcuno a cui il marxismo di Benjamin non sarebbe andato a ge­ nio, e non invece come un marxista al quale il marxismo di Benjamin sembrava invece insufficientemente meditato)) 47• Questa dettagliata presa di posizione da parte di Scholem, che in seguito si rivolse anche al direttore di " Merkur", Hans Paeschke, per comunicargl i la sua ripu­ gnanza per le frasi parzialmente «vergognose, per non dire volgari)) di Hannah Are n d t 4 8 , venne intesa da Adorno come un appoggio alla pro­ pria posizione. Infatti, in una successiva lettera a Scholem egli sottoli­ neava, in modo ormai più pacato, quanto poco obiettive fossero quelle dispute, internamente minate da una «voglia di sensazionalismo)) 49. Era 611

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più o meno questo il contenuto dei passaggi contenuti in altre lettere, in cui Adorno parlava di una «campagna di attacchi» attualmente rivolta contro la sua persona. In tal modo gli si faceva «il più palese dei torti» 5 0 • In maniera analoga si lamentava anche presso il figlio di Benjamin, Ste­ fan, che viveva a Londra, il quale aveva dichiarato subito la propria soli­ darietà con Adorno 5 1• Un altro tono aveva invece una lettera diretta a Gabriele Henkel, che apparteneva alla facoltosa famiglia della grande azienda di Dtissel­ dorf. Qui si diceva che, nella campagna contro di lui, si esprimeva l' am­ bivalenza nei confronti della figura paterna; si era delusi di lui come teo­ rico perché aveva rifiutato di farsi coinvolgere nella prassi politica 52• Tale osservazione alludeva naturalmente ai suoi confl itti con il movi­ mento studentesco, che si sarebbero inaspriti ulteriormente nel periodo a venue. Fin dalla primavera del 1968 ebbe inizio una crescente radicalizza­ zione del movimento studentesco . La scintilla che la provocò fu un at­ tentato contro il più noto dei portavoce dello sns, Rudi Dutschke, un episodio che si verificò il giorno dopo la conclusione del convegno dei sociologi tedeschi svoltosi a Francoforte. In una strada di Berlino, un giovane di tendenze neonaziste di nome J osef Bachmann aveva sparato sulla pubblica via contro il leader studentesco, un volto ormai reso noto dai mezzi di comunicazione, ferendolo gravemente e riducendolo in fin di vita. In seguito all'episodio, durante le ferie pasquali ebbero luogo, in diverse città della Germania Ovest, manifestazioni dirette in modo par­ ticolare contro il gruppo editoriale Springer, perché l'opposizione extra­ parlamentare metteva in relazione l'attentato a Rudi Dutschke con la campagna di attacchi svolta dalla Springer-Presse contro gli studenti politicizzati. Tramite iniziative collettive si cercò di impedire la distri­ buzione delle pubblicazioni del gruppo, innanzitutto del giornale scan­ dalistico " Bild " . Il protrarsi degli scontri tra i circa 50.000 dimostranti e i circa 21.000 poliziotti che, per giorn i interi, entrarono in azione con manganelli, idranti e in parte con truppe a cavallo, costarono la vita di uno studente e di un fotografo a Monaco di Baviera. In una seduta straordinaria del Parlamento federale, il ministro degli Interni definì la sns come un'organ izzazione anticostituzionale. S oltanto pochi giorni dopo, Adorno sottoscrisse insieme ad altri un appello pubblico apparso sul periodico " D ie Zeit " e in cui si chiedeva che fosse aperta un'indagine sulle ragioni social i dell'attentato a Dutschke, in particolare sulle pratiche di man ipolazione giornalistica 6t2

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ad opera delle pubblicazioni del gruppo Springer. Adorno non si pre­ stò, invece, al programma per una maggiore politicizzazione della scienza promosso dal movimento anti-autoritario e si rifiutò ostinata­ mente di mettere a disposizione le due ore del suo seminario di sociolo­ gia per svolgere discussioni sugli ulteriori mezzi politici grazie ai quali si sarebbero potute impedire le leggi di emergenza. Richiamandosi alla li­ bertà di insegnamento, insistette affinché negli orari destinati alle sue attività accademiche ci si occupasse degli argomenti previsti, vale a dire della teoria della società. Al tempo stesso, criticò una forma di protesta in via di diffusione quale il sabotaggio delle lezioni spingendosi, duran­ te i corsi molto affollati della sua lezione di sociologia, ad invitare diret­ tamente gl i studenti attivisti a ri nunciare alle forme violente di lotta ai fini della riforma dell'università e della trasformazione della società 53• Questa critica venne formulata da Adorno alla fine della sua ultima le­ zione, nel luglio del 1968; senza sapere che poteva trattarsi dell'ultima lezione che gli sarebbe stato consentito di portare a termine senza di­ sturbi o interruzioni.

L'inutilità di difendere una teoria come prassi La teoria, proprio a causa del suo essere svincolata, è di per sé una sorta di sostituto della felicità. La felicità che si potrebbe produrre tramite la prassi non trova nel mondo di oggi nessun altro riflesso se non il comporta­ mento della persona seduta su una sedia a riflettere 54•

A F rancoforte Adorno assistette alla crescente escalation del movimento studentesco, che si vedeva ormai come avanguardia di un movimento rivoluzionario generale. Dopo le sommosse del maggio parigino, gl i scontri di strada a Berkeley, dopo il grande corteo di automezzi diretto alla volta di Bonn organizzato dagli oppositori allo stato di emergenza, cominciò a formarsi l'impressione che si fosse generata una situazione obiettivamente rivoluzionaria. Uno strumento sempre più in uso all'in­ terno delle università come lo sciopero attivo doveva in definitiva svol­ gere una funzione di modello da imitare anche per una classe operaia immaginata dagli studenti come loro alleata. Così, alla fine del maggio 1968, a Francoforte ebbe luogo una serie di scioperi universitari che fu­ rono accompagnati, tra l'altro, da picchetti e blocchi posti all'entrata

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dell'edificio principale, dall'occupazione violenta del rettorato, nonché dalla decisione di ribattezzare l'Università J o han n Wolfgang Goethe in Università Karl Marx. Adorno continuò a respingere la pretesa del prin­ cipale portavoce del movi mento studentesco secondo cui Adorno, in quanto più insigne rappresentante della " teoria critica" , avrebbe dovuto dichiararsi solidale con gli obiettivi politici degli studenti. Essendogli perfettamente chiaro di correre il rischio di venire strumentalizzato, Adorno tentò disperatamente di conservare la propria autonomia di teorico e filosofo. In una lettera a Gabriele Henkel del 1 7 maggio affer­ mava di essere «molto assorbito dalle questioni studentesche, soprattut­ to perché i ragazzi, proprio mentre si ribellano contro l'autorità, sono corsi a cercare me in un modo quasi commovente. La responsabilità è molto grande se si è precisamente consapevoli, come lo sono io, della contraddizione esistente tra il movimento degli studenti e la situazione oggettiva)) 55• Dopo aver partecipato all'eccitante congresso dei sociologi tedeschi tenutosi nell'aprile del 1968 sul tema Tardo capitalismo o società indu­ striale? e avere superato il semestre estivo, tempestato dal perdurare de­ gl i scioperi, non soltanto quasi senza dan ni, ma godendo del rispetto personale da parte della componente più importante del movimento studentesco, alla fi ne di settembre Adorno dovette sottoporsi a una di­ scussione pubblica sul tema Autorità e rivoluzione, in seguito ai disordi­ ni provocati dall'assegnazione del Premio per la Pace dei Librai tedeschi al presidente senegalese nonché scrittore Léopold Sédar Senghor. La manifestazione era stata organizzata nel quadro della F iera del libro dal­ l' editore Luchterhand, al fi ne di rendere possibile un dibattito tra le fi­ gure guida del movimento studentesco come Hans-Ji.irgen Krahl e alcu­ ni intellettuali di sinistra di spicco, tra i quali J i.irgen Habermas, Ludwig von F riedeburg e Gi.inter G rass. Anche questa volta si affrontò il tema delle aspettative rivolte agli esponenti della " teoria critica" . «Quando sei mesi fa)) asserì Krahl parlando dal podio, «abbiamo occupato il Consi­ ' glio dell'università di F rancoforte, l'unico professore che si recò dagli studenti, impegnati nel sit-in, fu il professor Adorno. Il suo arrivo fu ac­ colto con un'ovazione, egli si avvicinò difilato al microfono, ma poco prima di raggiungerlo cambiò improvvisamente strada dirigendosi verso l'aula del seminario di filosofia; insomma, un passo prima della prassi si rifugiava nuovamente nella teoria)) 5 6 • Quando nel corso della discussio­ ne i rappresentanti del movi mento studentesco si lamentarono del fatto che Adorno non avesse marciato in testa al corteo di automezzi diretto a

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Bonn per protestare contro le leggi di emergenza, egli rispose: «Non so se i signori di una certa età con la pancia sono le persone più adatte a marciare a capo di una dimostrazione)) 57• Quella serata e le sue conse­ guenze furono alquanto spiacevoli per Adorno. Gli dispiaceva di avere sprecato del tempo prezioso di cui avrebbe avuto bisogno per dedicarsi ad altre incombenze. N o n si sentiva più «del tutto sulla terra)), come aveva scritto qualche tempo prima in una lettera a Szondi. Si trovava in una «condizione che nelle persone normali può essere prodotta soltanto da sostanze stupefacenti; a maggior ragione sono quindi grato di poter­ ne fare a meno)) 5 8 • Un giorno dopo la manifestazione tenutasi alla Fiera del libro, pri­ ma nel corso di una conferenza e poi in una lettera, Gtinter G rass rim­ proverò ad Adorno di comportarsi in modo eccessivamente opportuni­ stico, di avere apertamente paura degli studenti ribelli che in parte era­ no suoi stessi allievi 59• In una dettagliata lettera di risposta, Adorno protestò sì gentilmente, ma con decisione, dinanzi all'accusa di mancare di coraggio civile; era fermamente deciso a non «farsi ricattare da quello che ormai da anni io chiamo principio della solidarietà unilaterale)) . Al tempo stesso, Adorno tentava di descrivere in modo più preciso la pro­ pria attitudine politica, al fine di evitare di finire nella condizione del ri nnegato. «Un a pubblica presa di distanza dall'opposizione extraparla­ mentare [ . . ] mi farebbe apparire nella luce del rinnegato, per quanto da tutto ciò che ho scritto possa risultare chiaro che non ho niente a che spartire con quell'attivismo cieco dei bambini che sfocia immediata­ mente in ripugnante irrazionalismo. In verità non sono io ad avere mo­ dificato la mia posizione, ma sono gli altri che hanno cambiato la loro)) . Dopo questa precisazione, rivolgendosi all'artista e scrittore impegnato a sostenere la politica del Partito socialdemocratico, Adorno spiegava di esitare a rilasciare una dichiarazione diretta contro la sns che era ormai diventata «prigioniera della sua stessa pubblicità)) perché egli non vole­ ' va in alcun modo partecipare alla campagna di accuse contro la Nuova sinistra svolta «dalla piattaforma della reazione tedesca)) . Per fin ire scri­ veva: «lo stesso credo che il mio compito consista sempre più nell' espri­ mere ciò che penso di sapere, senza riguardi di sorta nei confronti di qualsiasi parte. E questo comporta una crescente avversione contro ogn i genere d i prassi in c u i possano ritrovarsi uniti i l m i o temperamento e un'obiettiva mancanza di prospettiva della prassi in rapporto a questo momento storico)) 60 . .

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Un'osservazione talmente netta nei confronti di Grass, Adorno non l'aveva concepita spontaneamente limitandosi a dettarla alla sua segreta­ ria di lunga data, Elfriede Olbrich. Aveva invece annotato alcuni ap­ punti dettagliati allo scopo di argomentare in linea di principio il rap­ porto tra teoria e prassi. Il suo fine dichiarato a riguardo era stabilire «una coscienza di teoria e prassi che né le separasse in modo tale da ren­ dere la teoria ininfluente e la prassi arbitraria» né postulasse una «sem­ pl ice identità» tra le due. Era necessario soprattutto opporre al postulato dell'unità di teoria e prassi abbracciato dal movimento studentesco un rapporto, concepito dialetticamente, tra riflessione teorica ed impegno pratico. Gli sembrava un'operazione assolutamente necessaria, perché era rimasto profondamente indignato da ciò che aveva sentito dire: «Quando si nega a uno studente di entrare in una stanza perché questi preferisce lavorare invece che prendere parte ad azioni di protesta, poi qualcuno scrive sui muri: chi si occupa di teoria senza agire nella prassi è un traditore del socialismo. In tal caso, la prassi non diventa un pretesto ideologico mirante ad una costrizione della sua coscienza nei confronti di lui solo. Il pensiero che essi diffamano rafforza la dimensione pratica in modo intollerabile: ci vuole troppo lavoro, è troppo pratico» 61 • Adorno partiva dall'idea che la prassi è la «sorgente della teoria>> , e tuttavia non stabiliva una via di comunicazione diretta tra l'una e l'altra. A suo avviso, la teoria è «non soltanto un mezzo, ma anche un momen­ to del Tutto; altrimenti non sarebbe in grado di resistere in qualche modo all' incantesimo del Tutto» 6 2 • Se invece si nega la differenza tra teoria e prassi privilegiando un' unità indifferenziata tra le due, allora ci si piega al primato della prassi. Lo spirito viene quindi obbligato a un concretismo che si accorda perfettamente con quella «tendenza tecno­ cratico-positivista alla quale esso intende opporsi» 6 3• Adorno illustrava i pericoli connessi a un richiamo non meditato alla prassi non soltanto grazie all'esempio dello studente interessato alla teoria contro il quale si era operata una violenza, ma anche portando ad esempio le forme di di­ scussione all'interno dei gruppi politici, nelle quali il libero dibattito viene messo in ombra dalla «precedenza della tattica su ogni altra cosa» : «Ogni argomentazione, indipendentemente dalla sua val idità, è fatta su misu ra per servire l' intenzione. Ciò che dice l'avversario non viene nep­ pure preso in considerazione; tutt'al più soltanto allo scopo di potergli ribattere servendosi di formule standardizzate. Esperienza, non se ne vuoi fare» 6 4• Adorno ravvisava questa tendenza all'autoritarismo anche nei meccanismi della «richiesta di esibire il pass» : «Più è inespressa, più 6t6

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la legge è potente: tu devi firmare. Il singolo deve adeguarsi al collettivo; come ricompensa per essere entrato nel melting pot, gli sarà promessa la grazia dell'appartenenza al gruppo)) . Adorno non si espri meva contro l'organ izzazione di collettivi per fini politici, voleva piuttosto portare l'attenzione sul punto archimedi­ co: «come fosse possibile una prassi non repressiva, in che modo ci si potesse sapientemente districare nell'alternativa tra spontaneità e orga­ nizzazione)) . Questa via, però, «am messo che esista, può essere trovata soltanto grazie alla teoria)) 6 5• Tramite queste riflessioni Adorno cercava appunto di districarsi tra l'attivismo pratico privo di concetti e la conce­ zione dottrinaria di una teoria svincolata dalla prassi. In tal senso, la sua presa di posizione a favore della teoria proveniva da un giudizio politico che, a sua volta, si originava da una sobria «analisi della situazione)) . Il che apparve chiaramente nel corso della sua controversia con Marcuse. Non era questione di una divergenza di opinione ci rca la questione del modo in cui occorresse concettualizzare la relazione tra teoria e prassi; erano piuttosto le diverse valutazion i della situazione politica che porta­ vano i due a trarre conclusioni diverse: «Tu ritieni)) , si leggeva in una lettera di Adorno a Marcuse, «che oggi la via della prassi, in senso forte, non sia sbarrata; io la penso diversamente)) 66 • Alla luce dei rapporti rea­ li di potere, secondo Adorno la protesta studentesca era condannata fin dall' inizio all' inefficacia; come recitava la formulazione contenuta in Note marginali su teoria e prassi, che si può leggere come una riflessione sulla discussione condotta per via epistolare con Marcuse, l'erigere bar­ ricate «contro coloro che gestiscono la bomba)) ha in sé qualcosa di ridi­ colo 6 7• Una prassi che si rifiuta di riflettere sulle proprie debolezze di­ nanzi ad un «potere reale che da essa non si sente neppure toccato>>, è «folle)) , «regressiva)), si riduce nel migliore dei casi ad una «pseudo-atti­ vità)) . In tal senso, poteva dirsi ormai definitivamente rassegnata una teo­ ria a cui, invece, premeva proprio di " farsi prassi " nel senso di produrre una trasformazione dei rapporti sociali ? Adorno ribaltò questa critica. In realtà era proprio da un pensiero critico senza compromessi, da que­ sta forma di prassi intellettuale, che poteva origi narsi una trasformazio­ ne della società 6 8 . Dopo il dibattito tenutosi nel quadro della Fiera del libro nel set­ tembre del 1 968, nel corso del quale si era appunto discusso della que­ stione della prassi rivoluzionaria secondo un'impostazione del tutto sba­ gliata dal suo punto di vista, Adorno riuscì a riprendere respiro grazie a

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un breve soggiorno a Vienna, il 22 ottobre, in occasione della presenta­ zione del suo libro appena uscito su Alban Berg- Der Meister des klein­ sten Obergangs (Alban Berg: il maestro del minimo passaggio) . Due giorn i dopo, si recò a Graz ospite dell' Istituto per la ricerca sui valori fondato dal critico musicale nonché capo della sezione culturale del quotidiano di Graz " Neue Zeit". Nella sala dell'Accademia di musica nella Nicolaigasse, Adorno trattò un tema scottante in materia di politi­ ca culturale, pronunciando una conferenza dal titolo Concezione di un teatro lirico viennese 69, nella quale si riferiva alla recente crisi provocata dalla mancata nomina del direttore dell'Opera di Vienna. Il giorno dopo, nei locali dell'Istituto per la ricerca sui valori ebbe luogo un di­ battito di tre ore sulla conferenza di Adorno, in cui finalmente non si parlava più di teoria e prassi bensì delle esigenze giuste e sbagliate relati­ ve alla conduzione di un teatro lirico. Né a Vienna né a G raz dovette confrontarsi con l'attualità della situazione politica; il che fu ancor più soddisfacente per Adorno dal momento che l'eco ottenuta dalla sua conferenza sull' Opera fu straordinariamente vasta nella stampa. Harald Kaufmann gli scriveva: «Non ricordo di avere letto sui quotidiani au­ striaci reazioni così dettagliate e in gran parte unanimemente serie in re­ lazione a una conferenza. È stato un enorme successo che, a quanto pare, avrà addirittura alcune conseguenze nella realtà. Infatti, la stampa viennese non vuole mollare e intende mettere sul tappeto, con cadenze periodiche, le Sue proposte in materia» 70. In novembre ebbe luogo a Graz un'altra manifestazione culturale che aveva come protagon isti Adorno e il suo nuovo libro su Berg. L'attrice del Burgtheater Lotte To­ bisch lesse alcuni passi dal capitolo intitolato Ricordi e vennero eseguiti alcuni Lieder di Gustav Mahler. Dopo che ebbe fatto ritorno a F rancoforte, Adorno tenne ancora una serie di conferenze che si era impegnato ad assolvere. Ma il suo principale desiderio era usare il proprio tempo per continuare a scrivere quel libro sull'estetica che aveva sempre rimandato alle calende greche . Tuttavia, in quel periodo politicamente così animato, gli fu concesso solo in parte di soddisfare quel desiderio. L'eventualità di un totale riti­ ro alla sua scrivania era completamente da escludere, benché proprio quello fosse uno dei luoghi che più prediligeva. In continuazione avve­ niva qualcosa che lo strappava dal suo lavoro di scrittura. Apprese con costernazione la notizia che Herbert Marcuse, esposto a gravi minacce concernenti la sua incolum ità fisica, era stato costretto a trascorrere qualche tempo in un luogo protetto 71• Immediatamente Adorno 6t8

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espresse la propria solidarietà all'amico in una lettera e, alla metà di di­ cembre, quando Marcuse era nuovamente tornato a una vita normale, gli scriveva: «Al momento tutto va a catafascio qui, una buona parte dei local i dell' università sono occupati. Molti semi nari non possono più avere luogo, tra i quali anche quelli per gli studenti più avanzati. Le ri­ vendicazioni più legittime degli studenti e le iniziative di protesta più discutibili si confondono a tal punto che un lavoro produttivo, o anche soltanto un pensiero ragionevole sono ormai fuori discussio ne>> 72 . Quando Adorno comunicava per lettera a Marcuse l'occupazione delle aule universitarie, lo faceva dalla prospettiva di un certo turbamen­ to personale. Nei primi giorni di dicembre, infatti, un folto gruppo di studenti aveva " riconvertito ", come allora si diceva, il seminario di so­ ciologia, in un'occasione per dibattere sulla riforma del corso di studi e dell'ordinamento degli esami così come su iniziative politiche di respiro più generale. Non soltanto il comitato di sciopero, composto da mem­ bri variabili, teneva occupato giorno e notte l'edificio dell' istituto di cui l'Università di Francoforte pagava l'affitto, ma sulla facciata era stata di­ pinta a grandi lettere la scritta " Spartakus-Seminar" . «La teoria critica è organizzata in modo talmente autoritario» , si leggeva su un volantino distribuito in occasione dell'occupazione dell'edificio, «che la commis­ sione scientifica di sociologia non concede agli studenti alcuna possibili­ tà di autorganizzazione. [ . . . ] A Francoforte ne abbiamo abbastanza di ri­ cevere un' istruzione da politici di sin istra ram molliti subito pronti, ap­ pena finiti gli studi, a nascondersi dietro l'alibi dell'integrazione tipico dello Stato autoritario» 73• Pochi giorni dopo la distribuzione di questo volantino e in seguito all'occupazione ebbe luogo una pubblica discus­ sione con i docenti ordinari, tra i quali Adorno e Habermas. Alla pre­ senza della maggioranza degli studenti iscritti alla Facoltà di sociologia, venne avanzata la richiesta che i professori rinunciassero ai loro diritti istituzionali pur continuando formalmente a ricoprire le loro cattedre. Quando alla fine venne pronunciato lo slogan che proclamava la distru­ zione dell'attività scientifica borghese e si cominciò ad esercitare una di­ retta pressione verbale su Adorno e Habermas, entrambi i docenti si congedarono in silenzio dall'assemblea. Poco dopo rilasciarono una di­ chiarazione scritta comune in cui si affermava che era completamente da escludersi qualsiasi cooperazione con quei gruppi che avevano scritto sulle loro bandiere lo slogan " distruzione della scienza" . Nondimeno i professori cercarono di avviare un dialogo con gli studenti in sciopero e, in una serie di pubbliche dichiarazioni, accettarono le richieste che si ri-

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ferivano concretamente alla riforma dell'università, alla cosiddetta Drit­ telparitat 74 e al riconoscimento dei gruppi di lavoro come parte delle attività seminariali. In una lettera scritta da Adorno a Marcuse in seguito a questi avve­ nimenti, si parlava esplicitamente delle riserve e delle preoccupazioni che si imponevano alla luce dell'escalation del movimento di protesta. L'irrazionalismo aumentava, il futuro dell'istruzione universitaria corre­ va il pericolo di perdere quella componente di libertà senza la quale la speculazione filosofica non è possibile. N ella speranza che Marcuse po­ tesse trovare ascolto tra gli studenti e contribuire al prodursi di un'intesa tra due fronti contrapposti e sempre più inconciliabili, Adorno cercò di invitarlo nuovamente a Francoforte. Anche a prescindere da questo in­ vito, Adorno e Habermas fecero personalmente tutto il possibile per raggiungere un compromesso con gli occupatori del seminario. Tutta­ via, l'accordo fallì a causa della posizione irremovibile assunta dai leader del movimento studentesco . Da ultimo il comitato di sciopero, dopo una nuova occupazione dell'istituto di sociologia, minacciò in un vo­ lantino di sequestrare tutte le attrezzature didattiche («i mezzi di produ­ zione dell'istituto))) 75• Cosicché i docenti responsabili fecero chiudere i locali dalle forze di polizia. Nei giorni successivi questa decisione ebbe come conseguenza che il gruppo studentesco guidato da Hans-J iirgen Krahl e formatosi nel plenum del comitato di sciopero si recò, il 3 1 gen­ naio 1969, all' Istituto per la ricerca sociale per discutere in quella sede sulle iniziative politiche da intraprendere. I direttori dell' Istituto, con in testa Adorno, di fronte all'occupazione reagirono a quella che definiva­ no una violazione di domicilio chiedendo la protezione della polizia. I n u n documento, presumibilmente redatto dallo stesso Adorno o prepara­ to su sua indicazione, si leggeva: «Ai direttori dell'Istituto [ . . . ], se non altro per motivi legali, non rimaneva altra scelta che rispondere allo scontro che era stato loro imposto, chiedere l'intervento della polizia al fine di sgomb rare i locali dell' Istituto e presentare denuncia per viola­ zione di domicilio contro il signor Krahl e le altre persone introdottesi senza permesso nell' Istituto)) 7 6 . A giustificazione della severità di queste azioni i direttori dell' Istituto affermavano con fermezza in quello stesso documento: «Proprio chi ritiene ormai da tempo doverosa una riforma radicale dell'università e della società, allo scopo di produrre una realtà costituzionale democratica e sociale conforme alla Legge base, proprio chi si riconosce totalmente in questa intenzione propria dell' opposizio­ ne extraparlamentare, ha il dovere di opporre resistenza contro la crimi620

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nalizzazione da qualunque parte essa venga: resistenza sia contro tutte le tendenze alla formazione di uno Stato autoritario sia contro atti di vio­ lenza pseudo-anarchici compiuti da presunti gruppi di sinistra così come azioni cripto-fasciste da parte dei gruppi di estrema destra» 77• Adorno scriveva, inoltre, anche a Marcuse: «lo stesso non riesco a spiegarmi la calma e lo smisurato stupore con i quali registro questi fat­ ti. Se sia a causa dell'età o di una forte rimozione necessaria a portare a termine il mio lavoro, io stesso non sono capace di dirlo» 7 8 • Nonostan­ te questo tentativo di convincere se stesso della bontà del suo operato, Adorno non riuscì a dominare del tutto le sue paure. Guardando con terribile incertezza alla fine del suo semestre dedicato alla ricerca e all' i­ nizio delle future lezioni, esprimeva così ciò che lo angustiava: «Dio sol­ tanto sa che cosa accadrà il prossimo semestre, quando ricomincerò le lezion i» 79.

Momenti di felicità, nonostante tutto L'intesa dei bambini coi clown è un'intesa con l'arte, intesa di cui poi gli adulti fanno loro perdere il vizio, così come fanno per l'intendersi dei bambini con gli animali . Al genere uomo la rimozione della propria so­ miglianza con le belve non è riuscita tanto interamente da non poterla repentinamente riconoscere ed in ciò ve­ nir inondato di gioia 80•

Malgrado le inquietudini provocate dalla rivolta studentesca, nonostan­ te tutto quel logorio imprevisto causato dai conflitti politici universitari in relazione all'occupazione dell'Istituto e alle continue discussioni sulla riforma degli studi, Adorno cercò il più possibile di organizzare la pro­ pria vita nel modo consueto. Da una parte doveva adempiere alle sue mansioni accademiche, tenere le proprie lezioni e i seminari, così come condurre un grande numero di esami nelle Facoltà di filosofia e sociolo­ gia. Dall'altra parte aumentava il carico del lavoro risultante dall'attività di conferenziere e autore. A tutto ciò, oltre alle normali riunioni presso l' Istituto per la ricerca sociale, veniva ad aggiungersi un mare di corri­ spondenza che egli aveva il dovere di sbrigare nella sua funzione ufficia­ le, ma che in parte era anche di carattere privato . Più che mai scriveva ogni giorno molte lettere per comunicare con quelle persone che gli era621

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no personalmente care o che riteneva importanti per lui o con le quali credeva di dovere assolutamente rimanere in contatto. D'altronde, lo svolgimento dell'anno di Adorno era scandito dal pe­ riodo di vacanza, della durata da quattro a sei settimane, che, nei mesi di l uglio e agosto, egli regolarmente trascorreva in alta montagna in Svizzera, dove si recava da anni, prima in Engadina e poi nel Vallese. Al­ l'in izio della primavera si era recato insieme alla moglie nella località termale di Baden-Baden, dove aveva soggiornato in un albergo lussuoso e ricco di tradizione quale il " Brenner's Parkhotel " , frequentato dal bel mondo, dalle personalità della nobiltà, dell'economia, della politica e della cultura. Le settimane di settembre e ottobre, in cui le lezioni non erano ancora cominciate, le impiegò per recarsi in viaggio a Parigi, Vien na, Roma e altre grandi città. Da quando era tornato a essere citta­ dino tedesco non aveva più avuto occasione di fare un viaggio in Inghil­ terra, a Londra o negli Stati Un i ti; il suo raggio di azione si era esclusiva­ mente limitato ai paesi mitteleuropei. Quando, nelle numerose lettere che scriveva dalle località di vacanza o durante i suoi viaggi, Adorno sot­ tolineava frequentemente di astenersi completamente da ogni lettura, a parte i romanzi polizieschi, e dal prendere in mano la penna, per lo più esagerava chiaramente. In realtà usava i giorni delle ferie anche per con­ cepire nuove conferenze, annotare idee e pensieri nei suoi diversi qua­ derni o quantomeno stendere qualche appunto per abbozzare alcuni saggi che pensava di elaborare in un secondo tempo. Nondimeno, Adorno non era un lavoratore indefesso, non era affatto il tipo che non riesce a fare nient'altro se non buttarsi a capofitto nei propri impegni professionali. I periodi in cui poteva ritirarsi alla scrivania per concentrarsi sul la­ voro e dedicarsi completamente alla scrittura erano alquanto rari e, pro­ prio per questa ragione, si trattava di ore particolarmente felici per lui, così come quelle che trascorreva al pianoforte ad occuparsi delle compo­ sizioni proprie o di altri. N el saggio Tempo libero Adorno scriveva rife­ rendosi direttamente a se stesso : Ma ciò a cui mi dedico al di fuori della mia professione, è per me, senza eccezione, così serio, che l'idea che si possa trattare di hobby, dunque di occupazione di cui io vada assolutamente pazzo soltanto allo scopo di ammazzare il tempo, mi procure­ rebbe uno stato di choc se la mia esperienza non mi avesse reso resistente a quelle manifestazioni di barbarie che ormai sono diventate ovvietà. Comporre musica, ascoltarne, leggere con concentrazione, sono dei momenti costitutivi della mia esi-

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stenza: il termine " hobby" applicato ad essi avrebbe per me il sapore di una beffa. Al contrario, il mio lavoro - la produzione filosofica e sociologica e l'insegnamento all'università - è stato finora per me così pieno di soddisfazioni che non potrei ri­ condurlo a quell'antitesi col tempo libero che la drastica classificazione corrente esige dagli uomini

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Adorno e la moglie continuavano con piacere a ricevere ospiti a casa loro. C'era sempre un giorno fisso in cui amici e conoscenti, in gran parte intellettuali ed artisti, si incontravano dagli Adorno. Al martedì sera, dopo il seminario di sociologia, si riuniva spesso una stretta cerchia di ospiti per cenare da loro . Andare a teatro e a un concerto era una nor­ male consuetudine per Adorno e la moglie, così come visitare le esposi­ zioni artistiche più importanti; era ormai loro abitudine recarsi a Kassel in occasione della Documenta, la grande mostra internazionale di arte fi­ gurativa contemporanea. A dispetto del detestabile " circo " che aveva avuto luogo, in autunno Adorno fu presente anche alla Fiera del libro di Francoforte, e partecipò regolarmente ai ricevimenti che si tenevano presso Suhrkamp, il suo editore 8 2. Le letture pubbliche nelle librerie, oltre che nelle gallerie d'arte, erano in ogni caso una cosa ovvia per lui; si faceva invitare volentieri dai redattori culturali delle principali emittenti radiofoniche tedesche per partecipare alle trasmissioni, redattori che per lo più conosceva bene di persona. Le sue entrate superiori alla media permettevano a lui e alla mogl ie di condurre una vita priva di preoccu­ pazioni fi nanziarie. A parte la frequentazione degli hotel più eleganti, erano entrambi relativamente indifferenti al lusso, ma sapevano apprez­ zare la sicurezza materiale garantita non soltanto dalla cattedra detenuta da Adorno presso l'università di Francoforte 8 3, ma anche dagli onorari che riceveva per la sua partecipazione alle diverse trasmissioni radiofoni­ che e ad altre manifestazioni culturali. A queste entrate andavano ad ag­ giungersi, con una cadenza semestrale, i proventi derivanti dai diritti d'autore delle sue pubblicazioni comparse in più edizioni, proventi che, però, acquistarono dimensioni significative soltanto alla fine degli anni sessanta. Nel 1969 il numero delle sue pubblicazioni ammontava ormai a oltre venti titol i. Adorno apprezzava non soltanto le rare ore di tranquillità che pote­ va trascorrere presso il Giardino della palme o allo zoo di Francoforte, ma di tanto in tanto provava addirittura piacere a seguire insieme alla moglie le serie televisive in programma alla televisione tedesca, nono­ stante le sue riserve nei confronti del nuovo mezzo di comunicazione. I

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visitatori ben informati o coloro che gli telefonavano sapevano esatta­ mente quando non si doveva in alcun caso disturbare gli Adorno, vale a dire nelle ore in cui andava in onda la serie Daktari alla ZD F con la scim­ panzé J udy e il leone strabico Clarence. Grazie alla musica, ma anche grazie al suonare il pianoforte a quat­ tro mani, un'attività che amava ancora in età avanzata, e grazie alle con­ versazioni con le persone più fidate nella cerchia dei suoi amici, Adorno sapeva procurarsi in tutta evidenza una certa compensazione dagli im­ pegni lavorativi e dalle dispute estenuanti. Quando accettava un invito, come spesso accadeva, o quando riceveva egli stesso ospiti a casa sua, dopo che Gretel aveva servito il cocktail, dimostrava il proprio talento nell' intrattenere brillantemente gli ospiti. Il senso dell'umorismo di Adorno è documentato oltretutto dai dialoghi tra lo scherzoso e il grot­ tesco che egli componeva per proprio piacere personale, senza una de­ terminata intenzione. Protagonisti di queste scene erano due personag­ gi: Maman e Luiche, un nome con il quale alludeva allo zio Louis Cal­ velli-Adorno (1866-1960) . Quel nomignolo era una forma diminutiva del francese " Louis " parodiata nel dialetto francofortese (Louis-che) 8 4. A questo Luiche (Luigino) Adorno faceva dire alcune frasi in dialetto dell'Assia dirette a Maman, la quale da parte sua sapeva replicare con ri­ marchevole prontezza: «Luiche: Maman, quando avrò la sciatica e sarò tutto curvo, non credi che avrò l'aspetto di un vero Riemenschneider ? Maman: Nient'affatto, mio caro Luiche, avrai soltanto l'aspetto di un'ottima copia» 8 5• I n un'altra scena di fantasia Lui che ha ingoiato una bomba in miniatura con un congegno ad orologeria: «Un minuto prima che esploda, lui dice: Sì, Nietzsche ha proprio ragione. Bisogna ancora avere dentro di sé il caos se si vuole partorire un astro danzante;> 8 6 . Quanto ai desideri professionali, Luiche aveva preso in considerazione di intraprendere una carriera di torero in modo da dare una chance an­ che al toro. Queste scenette possono avere rappresentato per Adorno una forma di distrazione, di cui aveva certamente bisogno dopo le ore di intenso la­ voro passate a redigere i suoi testi scientifici. Di tanto in tanto si lasciava andare a tali divagazioni fantastiche durante le sedute di Facoltà che per lui costituivano una pena che accompagnava tutto il semestre. Adorno ornava con disegni buffi gli inviti alle sedute di Facoltà su cui era scritto l'ordine del giorno, disegnandovi un orsacchiotto con il ciuccio o una si­ gnora danzante di nome di Marlene. Quando l'ordine del giorno ripor­ tava: " Promozione di MeetWein ", Adorno correggeva con la sua penna

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" Meerschwein " (porcellino d'india) ; oppure la " Einrichtung" ( istitu­ zione) di un decano di Facoltà nelle sue funzioni diventava la sua " Hin­ richtung" (esecuzione capitale) . Questo debole per i giochetti ironici è testimoniato anche dalle let­ tere amorevoli che Adorno aveva scritto con grande regolarità ai suoi ge­ nitori. A ragione Adorno cercava di mantenere al riparo questo suo lato privato, ben consapevole di doverlo difendere da un pubblico di cui aveva avuto modo di conoscere personalmente il cinismo durante quel­ l' anno . Ma i suoi problemi personali non restarono sconosciuti alle molte persone che egli annoverava tra i suoi amici intimi; semplicemen­ te per la ragione che egli non faceva alcun mistero di quei problemi. Chi aveva ascoltato la sua conferenza radiofonica intitolata Rasse­ gnazione (Resignation), che era stata mandata in onda dall'emittente Berlino Libera ( F reies Berlin) , e chi aveva letto un breve articolo come Critica (Kritik), apparso pochi giorni prima della sua morte sul settima­ nale " D ie Zeit", poteva farsi un' idea alquanto precisa della sue condi­ zioni e del suo modo di pensare in quel periodo. Si sentiva messo alla gogna dagli attacchi pubblici e dalle manifestazioni di ostilità che gli ve­ nivano sia da destra sia da sinistra. Il fatto che le accuse non provenisse­ ro soltanto dalle file dei conservatori, ma anche dalla N uova sinistra lo colpiva in modo particolare. Tuttavia, uno scopo della sua esistenza era sempre stato di non farsi distogliere dalla contemplazione e dalla rifles­ sione: «La felicità che emana dagli occhi della persona pensante è la feli­ cità dell'umanità)) 8 7. Aveva fatto propria l'astuzia della lepre inerme che, una volta sfuggita allo sparo del cacciatore e divenuta cosciente del­ la sua condizione fortunata, corre via imprendibile 88 • Delle cose salvifiche che gli procuravano gioia faceva parte anche la cura editoriale di una raccolta di poesie di Rudolf Borchardt. Il progetto risaliva alla primavera del 196 7 , quando Adorno era entrato in contatto epistolare con Marie-Luise Borchardt, la seconda moglie del poeta ed erudito morto nel 1 9 45 8 9• Nella sua lettera Adorno affermava ripetuta­ mente che per lui era «tanto una gioia che una responsabilità)) operare una scelta di poesie dall'opera di Borchardt e scrivere un'introduzione per il volume previsto da Suhrkamp. Era affascinato dalla lingua del poeta, espressione di «un singolare contatto, se mi è consentito dire, tra il punto di vista radicalmente conservatore di B [ orchardt] e le posizioni delle avanguardie)) 90 • Il progetto editoriale era legato a una conferenza sull'opera del poeta che Adorno avrebbe dovuto tenere a Zurigo con il titolo Die beschworene Sprache (La lingua evocata) . Adorno pensava di

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legare la conferenza alla lettura di alcune poesie tratte dall'antologia da lui curata: «Credo di sapere piuttosto bene che cosa sono capace o non sono in grado di fare; ebbene, di leggere sono capace)) 91 • Dopo alcune giornate faticose trascorse nel gennaio 1 968 a Parigi, dove aveva partecipato con un intervento ad un congresso di estetica e si era nuovamente incontrato con Samuel Beckett, Adorno tenne una conferenza sulla lirica di Borchardt a Zurigo, presso il Teatro della Hechtplatz. Il discepolo di Adorno Dieter Schnebel che, a causa di un ritardo, dovette ascoltare la conferenza e la lettura delle poesie dietro le porte chiuse della sala, ricordava così la sua esperienza: La voce sommessa dell'oratore non riusciva a diffondersi fuori dello spazio ermeti­ co della sala. Soltanto tenendo l'orecchio alla porta, si poteva intendere chiaramen­ te il testo della lettura. Se si stava semplicemente in piedi davanti alla porta chiusa [ . . . ] si coglieva unicamente la struttura dell'andamento del discorso. Quindi si po­ teva avvertire pienamente con quale musicalità procedesse la conferenza. Era un'al­ ternanza di frasi principali marcate, di melodiche frasi secondarie di grande delica­ tezza, di passi in cui il timbro cambiava improvvisamente come in un'esecuzione musicale. Le riprese generavano il ricordo di passi precedenti, e in conclusione il pezzo finì sfumando in una coda prolungata che, però, ebbe termine con una netta chiusura 92•

Nell'aprile del 1 968 Adorno dovette aprire il congresso di sociologia a Francoforte con un intervento inaugurale. A quel punto aveva già ter­ minato l'introduzione all'antologia di poesie di Borchardt. In questo te­ sto Adorno collocava il poeta non soltanto all'interno della tradizione di quei letterati che avevano vissuto l'esperienza della crisi del linguaggio, ma, sottolineando «il momento del legame)), individuò un'affinità con concezioni quali quelle di Elio t, Pound, J oyce e Beckett 93• La lirica di Borchardt era quella di un «parlare nell'oscurità [ . . . ] . Il gesto eroico del discorso borchardtiano risponde disperato all'assoluta solitudine. Così parla senza fine un bambino, nel buio, per calmare la paura che ha del silenzio» 94. Alla fine della conferenza e dell'introduzione poi pubblica­ ta, Adorno rimandava all'aspetto musicale della poesia di Borchardt portando ad esempio le caratteristiche di un componimento giovanile, La visita triste: «N o n guardare nella mia finestra, giorno. l La mia nave vuoi tempesta e niente stelle. l La cosa ancora che il mio cuore vuole l è che morir gl i piacerebbe)) . Adorno concludeva che dai tempi di Verlaine non era più « risuonata una più pura voce di saturnina tristezza)) 95.

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Nonostante tutto il suo distacco nei confronti dell'ufficialità, gli onori che gli furono resi in modo partecipe in occasione del suo com­ pleanno rappresentarono un'esperienza felice per il sessantacinquenne Adorno . Il suo am ico Andreas Razumovsky redasse un affettuoso artico­ lo di auguri che apparve sulla " Frankfurter Allgemeinen Zeitung" con il titolo Belle prospettive (Schone Aussicht) . Nell'articolo si sottolineava che Adorno non soltanto era capace di recitare per ore le poesie dialettali francofortesi di Friedrich Stoltze in originale e tenere a mente tutte le composizioni di Beethoven, ma anche di essere dotato di una «produtti­ vità intellettuale quasi incredibile nella quale l'elemento linguistico svolge una parte centrale, pari a quella di pochissimi altri tra coloro che ricoprono oggi una cattedra nelle nostre un iversità» 9 6 • Da parte di Horkheimer ricevette una sincera lettera di auguri: «Tutti i tuoi sforzi per formare una gioventù non conformista, illuminata, impegnata nel­ la realizzazione delle cose migliori [ . ] appartengono alla forma più alta di resistenza contro il corso del mondo così come viene oggi gestito)) , Horkheimer descriveva l'influsso che Adorno aveva avuto su di lui, sot­ tolineando al contempo la grande influenza della sua attività di scritto­ re. Chiudeva poi citando l'importanza ricoperta da Gretel per la sua vita: «Senza di lei, con ogni probabilità tutto sarebbe andato in modo diverso)) 97. . .

L'essenza scissa dell'arte L'arte, che rinuncia alla felicità di quella varietà di colo­ ri di cui la realtà defrauda gli uomini e con ciò rinuncia a tutte le tracce sensibili del senso, è l'arte spiritualizza­ ta; in tale inflessibile rinuncia alla felicità infantile tut­ tavia l'arte è allegoria di una felicità che è presente senza parere, ma con la clausola mortale del chimerico: di non essere 98•

Allorché gl i era possibile proseguire il lavoro della Teoria estetica, che aveva cominciato a scrivere in modo intensivo nell'ottobre del 1 966 99, Adorno trascorreva ore cariche sì di grande e faticosa concentrazione, ma intrise anche di soddisfazione. Nel semestre estivo di quell'anno e poi nel semestre invernale 1 96 7-68 tenne due lezione dedicate a questo 00 argomento 1 • A quell'epoca erano già state preparate alcune bozze dar-

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tiloscritte che Adorno aveva dettato e avrebbe poi elaborato e integrato in più riprese, a causa delle interruzion i del lavoro causate dagli impegni sociologici già prefissati. Nell'estate del 1 968 comunicò ad Hans G. Helms di avere termina­ to «a grandi linee» il suo libro di estetica. Rese noto lo stadio avanzato della redazione del libro anche a Elisabeth Lenk. Aveva introdotto nel manoscritto annotazioni dettagliate procedendo nei suoi confronti «come si fa con un allievo poco dotato: può darsi che riesca ancora ad imparare la lezione» 101 • Ma alcuni mesi dopo, in una lettera a Marcuse si leggeva: «Mi immergo disperato nel mio libro di estetica e durante il cosiddetto semestre di ricerca sono comunque andato così avanti che spero, una volta finito il semestre, non rimanga altro da fare che un la­ voro di limatura e risolvere alcuni difficili problemi di organizzazione interna (eliminazione di sovrapposizioni e ripetizioni)». A integrazione di questo breve resoconto sullo stato del lavoro , osservava di non avere mai tentato di scrivere un libro in cui «la disposizione del materiale pre­ sentasse tali difficoltà. Evidentemente, come conseguenza della critica della philosophia prima, non posso assolutamente più scrivere nella for­ ma tradizionale di un prima e di un dopo, ma in un certo senso soltanto in modo paratattico; e questo arriva ad interessare perfino la microstrut­ tura del linguaggio» 10 2 • Questa era una delle ragioni per cui ancora nel 1 969 Adorno non poteva ritenere di poter pubblicare il suo libro di este­ tica, come invece era evidente desiderio dell'editore Suhrkamp. Al posto dell'estetica, scriveva a Elisabeth Lenk, avrebbe «dato in pasto a U nseld qual cos'altro, un testo più breve» 10 3 • Si trattava di una raccolta di saggi pubblicata in autunno dal titolo Stichworte: Kritische Modelle (Parole chiave: modelli critici) , di cui aveva portato a termine la disposizione in­ terna e la premessa nel giugno del 19 69 . Ancora poche settimane prima della sua morte, Adorno aveva scrit­ to alcuni brani per la Teoria estetica e nuovamente ristrutturato quello che nel frattempo era diventato un volume di oltre trecento pagine. La versione poi pubblicata a un anno dalla morte dell'autore, priva della divisione in capitoli e curata da Gretel Adorno e Rolf Tiedemann, sa­ rebbe rimasta un testo incompiuto. Certamente Adorno non avrebbe dato alle stampe il manoscritto in quella forma, benché il frammento, grazie alla combinazione di forza espressiva metaforica e costruzione concettuale, fosse un capolavoro della rappresentazione dialettica di Adorno che, del resto, egl i non aveva mai concepito come un pensiero perfettamente conchiuso in se stesso 10 4. Quello che era il carattere

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frammentario assunto dalla forma esteriore della Teoria estetica si armo­ nizzava perfettamente con il dispiegamento discontinuo di temi fonda­ mentali quali la musica di Beethoven e Schonberg, la pittura di Klee e P icasso, la letteratura di Beckett e Cela n. L'opera di estetica del filosofo sessantacinquenne, in cui questi si interrogava sulla condizione di ecce­ zionalità e il contenuto di verità dell'arte 1 0 5, è da annoverare tra i suoi libri più importanti. Questa problematica lo interessava da vicino più di ogni altra. E proprio questo spiegherebbe il gesto linguistico apodittico da cui sono caratterizzati molti passi di quest'opera. Le riflessioni filosofiche della Teoria estetica vertono essenzialmente intorno alla questione della possibilità di un'opera d'arte autonoma nel mondo presente. In tal senso Adorno si ricollegava alle categoria delle teorie estetiche tradizionali di Kant ed Hegel, di cui egli cercava di at­ tualizzare il contenuto conoscitivo attraverso una messa a confronto con l'arte delle avanguardie. Adorno si concentrava interamente su un'este­ tica contenuta nelle opere stesse. Tramite questo orientamento afferma­ va così il postulato del " primato dell'oggetto " nei confronti del sogget­ to, che appariva qui come primato dell'opera. Nei confronti dell'ogget­ to il soggetto artistico risultava secondario, cosa che quindi produceva anche un annullamento dell'estetica della ricezione. Adorno concepiva il primato dell'oggetto non soltanto come un argomento volto a pro­ muovere l'analisi immanente all'opera, ma tramite questo postulato im­ pegnava l'arte nei confronti della storiografia deposta in se stessa 1 06 • In quanto tale essa è legata alla realtà esistente. E tuttavia, con una mossa paradossale, l'arte dovrebbe essere rappresentante di quell' utopico che, analogamente al suo carattere enigmatico, non riesce mai a trovare posi­ tivamente espressione. I n quanto compositore dell'atonalità libera e in quanto teorico della N uova musica, così come nella sua qualità di sottile interprete della let­ teratura moderna, il confronto teoretico con l'estetica era sempre stato per Adorno una costante del suo lavoro. Proprio durante quei tempi po­ liticizzati in cui si parlava di una liquidazione rivoluzionaria dell'arte gli interessava innanzi tutto salvare l'arte dalla rovina: in quanto «salvezza dell'apparenza>> , come diceva Adorno. Infatti, «il diritto prominente dell'arte, la legittimazione della sua verità, dipende da quella salvez­ za» 10 7 di cui c'è bisogno perché soltanto così la grande opera d'arte è li­ bera dalla menzogna. Questo salvataggio, come argomenta Adorno in molti passi del suo libro, è destinato a fallire se l'arte, la quale non è né consolazione, né estasi emotiva, si adegua, si orienta secondo il gusto del

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pubblico aderendo in questo modo alla sfera della comunicazione. Piut­ tosto l'arte è il comparire di un non-ente e, quindi, espressione di ciò che è obiettivamente possibile nella condizione della libertà. L'arte è parte del mondo e, tuttavia, è altro dal mondo : «Non c'è verità delle opere d'arte senza negazione determinata)) 108 , e proprio in questo consi­ ste il suo carattere di inconciliabilità. Certo ogni arte è un foit social, ap­ partiene sì al processo storico, ma ha validità soltanto in quanto netto rifiuto della società antagonistica. «L'arte si mantiene in vita unicamen­ te grazie alla sua forza sociale di resistenza. [ . . . ] Il suo contributo alla so­ cietà non consiste nella comunicazione con essa bensì in [ . . . ] resistenza. [ . . . ] Pena l' autosoppressione, l'arte moderna radicale preserva l' imma­ nenza dell'arte, siffatta che la società venga introdotta in lei unicamente offuscata, come nei sogni)) 10 9. Un'arte che non molesti in alcun modo la realtà sociale altro non è se non arte applicata. Soltanto quelle opere d'arte che prendono una po­ sizione antitetica nei confronti della società contengono verità. Questo momento di verità, tuttavia, può sfociare nel suo contrario quando le opere d'arte, per tramite di una riuscita assoluta, suggeriscano che in questa società sia possibile una " riconciliazione" . All'arte non è di per sé possibile superare la condizione del mondo votata alla catastrofe. La " promessa della felicità", che deriva dal momento utopico dell'arte, è una promessa «che non viene mantenuta)) 11 0 • Questo vale anche per quelle forme espressive artistiche delle più radicali, come gli antidrammi di Beckett, che non sono privi di illusione, perché esigono sì il supera­ mento di quella cattiva conformazione antagonistica della realtà di cui è palese l'assurdità, ma non riescono a produrne da sé l'eliminazione. «Le opere d'arte attraggono credito su una prassi che non è ancora comin­ ciata e di cui nessuno saprebbe dire se onorerà le cambiali)) 1 1 1 • L'arte, nella misura in cui dispone di forze di resistenza, condivide con la filosofia l' impulso al salvataggio del non identico. Mentre la filo­ sofia, nonostante il tratto utopico della sua finalità conoscitiva («lo sfor­ zo di giungere tramite il concetto oltre il concetto)) 11 2 ) , rimane nello spazio del concettuale, l'arte in quanto appartenente alla sfera dell'e­ spressivo è espressione del non concettuale. Infatti essa non si serve di strumenti discorsivi, ma di mezzi mimetici. Adorno vedeva nell'arte il luogo d'esercizio di una ragione specifica che né si appropria degli og­ getti tramite finalità strumentali, né tenta di " eliminarli" nel processo cogn itivo discorsivo, ma che si lascia determinare tramite l'empatia e la

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mimesi in quanto altra forma dell'esperire 11 3• In relazione a questa for­ ma estetica di esperienza, nella Teoria estetica Adorno si richiama al con­ cetto di " mimesi", ovvero della facoltà e dell'impulso mimetici. Nell'opera d'arte riuscita, mimesi e ratio non si contrappongono in modo inconciliabile, anzi l'arte è il risultato della tensione tra questi due poli. «L'arte è atteggiamento mimetico che per la propria obbiettivazio­ ne dispone della più progredita razionalità» 11 4• Il momento razionale consiste nella perfetta padronanza e nella formazione del materiale arti­ stico, nell'osservanza delle leggi formali della costruzione estetica. In rapporto a ciò agiscono gl i impulsi mimetici nel processo artistico della composizione. Il momento mimetico nell'arte non deve essere frainteso come mera imitazione di oggetti concreti esistenti, piuttosto la mimesi aiuta ad esprimere ciò che si sottrae all' oggettivizzazione rappresentati­ va. «Il perdurare della mimesi, l'affinità aconcettuale che ciò che è pro­ dotto soggettivo ha con il suo altro [ . . . ] fa dell'arte una configurazione della conoscenza e perciò a sua volta " razionale " . Infatti ciò cui il com­ portamento mimetico reagisce è il " telos " della conoscenza, che l'arte contemporaneamente blocca mediante le proprie categorie. L'arte com­ pleta la conoscenza con ciò che da questa è escluso» 1 15• L'arte tuttavia non deve limitarsi al suo carattere conoscitivo, anzi Adorno impiega proprio il concetto di " m imesi " al fine di accentuare il momento espres­ sivo dell'arte. Questo momento, infatti, non si può immaginare in altro modo che come espressione «del dolore - la gioia si è mostrata restia ad ogni espressione, forse perché non c'è ancora proprio nessuna gioia» 116 • Per questo motivo l'arte autentica del presente è cupa, «col nero come colore di fondo» 11 7• In un altro passo cruciale della Teoria estetica, Adorno afferma che tutto l'elemento utopico dell'arte in un mondo or­ mai scompaginato è « ricoperto di nero». Ma proprio attraverso la sua dissonanza l'arte è ricordo «del possibile contro il reale [ . . ] ; qualcosa come il risarcimento im maginario di quella catastrofe che è la storia del mondo» 11 8 • Questo aspetto del risarcimento diventa possibile all'arte quando nella musica, nella letteratura, nella pittura esprime ciò che an­ cora non è. In tal senso Adorno si ricollegava alla categoria kantiana del bello naturale. Ma, in quanto «traccia del non identico, proprio delle cose», il bello naturale è del tutto indeterminato 11 9• Esso non può essere equiparato né alla natura selvaggia, né alla natura organizzata da mani umane. Piuttosto Adorno concepiva il bello naturale in quanto cifra di come la natura potrebbe essere. «Nella natura è bello ciò che appare più .

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di ciò che esso è letteralmente lì per lì. [ . . . ] Se è vero che qualunque cosa nella natura può essere concepita come bella, altrettanto vero è il giudi­ zio secondo cui il paesaggio toscano è più bello dei dintorni di Gelsen­ kirchen)) 1 20 • Compito dell'arte è suscitare il ricordo di questa potenzia­ lità: «Ciò che la natura invano vorrebbe fare, lo compiono le opere d' ar­ te: spalancano gli occhi)) 1 21 • Grazie alla sua Teoria estetica Adorno riuscì a stabilire un equilibrio molto complesso: nell'unità contraddittoria dell'opera d'arte voleva ren­ dere espliciti al tempo stesso un aspetto di denuncia e di anticipazione. Così come l'arte può custodire la propria autenticità unicamente come negazione del corso catastrofico del mondo, essa deve simultaneamente essere «vicaria di una prassi migliore)) 1 22 • Fi ntantoché nell'opera d'arte viene articolata la negatività di ciò che esiste, l'opera può trasformare in meglio la realtà tram ite l'accusa senza riserve che pronuncia contro di essa. Per Adorno, che richiamava alla nozione di " inconnu" in Baude­ laire, la rottura con il principio della raffigurazione, dell' oggettivizzazio­ ne, con il già conosciuto in definitiva costituiva il marchio distintivo dell'arte moderna. Il segno caratteristico dell'avanguardia è inoltre quel­ lo " sfrangiamento " dei generi artistici che si accompagna al crollo delle norme estetiche tramandate 1 23• In tal senso, come aveva formulato in una conferenza tenuta presso l'Accademia delle Arti di Berlino, Adorno era interessato alla dissoluzione dei confini tradizionali tra i generi arti­ stici, al formarsi di una nuova unione derivante dalla crescita delle sin­ gole arti. Questa tendenza appariva lampante, per esempio, nel manife­ starsi di strutture musicali nei quadri o anche nelle opere letterarie, spe­ cialmente nei testi di poesia. Grazie alla riflessione estetico-teorica per cui «i singoli generi artistici)) tendono «alla loro concreta generalizzazio­ ne)) 1 2 4, Adorno inaugurava una n uova concezione dell'avanguardia operando al tempo stesso una revisione dei concetti artistici relativi ai generi specifici . Adorno, che non riuscì a vedere la pubblicazione del libro né la rice­ zione che ad esso fu riservata, concepì la Teoria estetica come esemplifi­ cazione di quel suo modello di conoscenza consistente nel pensare in costellazioni. In questo suo ultimo scritto realizzò in modo compiuto quello che era un postulato centrale della Dialettica negativa: esercitare una filosofia che non si esaurisca in categorie, ma che si debba compor­ re. Infatti «decisivo è ciò che avviene in essa, non la tesi o la posizione, il tessuto, non lo svolgimento unidirezionale [ . . . ] del pensiero)) 1 2 5•

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La morte

The woods are lovely, dark, and deep, But I have promises to keep, And miles to go before I sleep, And miles to go before I sleep. Anheimelnd, dunkel, tief die Walder, die ich traf. Doch noch nicht eingelost, was ich versprach. Und Meilen, Meilen noch vorm Schlaf. Und Meilen Wegs noch bis zum Schlaf 126•

Durante il suo congedo temporaneo dall'università nel semestre inver­ nale 1 968-69, Adorno poté limitarsi ad esercitare la sua funzione, peral­ tro non facile, di direttore dell' Istituto, per il resto cercò di concentrarsi totalmente sul completamento della Teoria estetica. Nonostante tentasse di conservare la massima distanza possibile dai conflitti interni all'uni­ versità, era tutto fuorché indifferente agli attacchi sempre più militanti che erano diretti anche contro di lui. Quando venne a sapere che uno dei suoi dottorandi, che da qualche tempo lavorava sulla filosofia di He­ gel, si era suicidato gettandosi dalla Goethe-Turm (torre di Goethe) che si trova nel Frankfurter Stadtwald, la zona verde a sud della città, anno­ tò in marzo su uno dei suoi quaderni: «Nuovamente su Roland Pelzer. Aveva lasciato la propria salma alla sezione di anatomia in modo da ri­ sparmiare alla propria famiglia indigente i costi del funerale e della se­ poltura. Ma il reparto di anatomia ha respinto il cadavere perché era tal­ mente sfracellato che non era più possibile sezionarlo. E gli studenti che si ritengono dei rivoluzionari, discutono invece del diritto ad un terzo dei rappresentanti negli organi accademici» 1 27 . In quell'anno si verificò un altro caso di morte che toccò Adorno particolarmente da vicino. Nel mese di marzo apprese la notizia della morte di Cari Dreyfus, che egli conosceva fin dall'inizio degli anni ven­ ti. I nsieme alla moglie Tilly, nell'inverno del 1 962 Dreyfus era tornato dall'esilio in Argentina per stabilirsi a Monaco di Baviera. Adorno scri­ veva alla vedova: «Cari era una delle persone che hanno svolto un ruolo centrale nella mia vita, ed oggi tendo a pensare che la sua vita sia stata più giusta della mia. Ma dov'è la superiore istanza che possa decidere a riguardo ?» 128 . -

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I giorni di ferie, trascorsi in aprile presso il " Brenner's Parkhotel " di Baden-Baden, non gli procurarono quel relax e quel riposo così deside­ rati dopo il logorio fisico e psichico dei mesi precedenti. A ciò ven nero ad aggiungersi i problemi privati legati alle sue relazioni amorose talvol­ ta tempestose che sfociavano spesso in dolorose separazioni. Un a sua amante, che rivestiva una straordinaria importanza per Adorno, si era già separata da lui nell'autunno del 1 968 quando egli si era recato a tro­ varla a Monaco , perché pensava di sposarsi prossimamente; Adorno, in seguito, avrebbe osservato che quella decisione era come rifugiarsi in una gabbia dorata. Queste esperienze rappresentavano «un fatto tristis­ simo e un segno dell'età» . Così scriveva in un momento di depressione, per usare le sue stesse parole, ad un'amica fidata, la cantante Carla He­ nius 1 29 • Per il semestre estivo successivo, Adorno aveva annunciato un corso di lezioni sul tema Introduzione alpensiero dialettico, nonché un semina­ rio filosofico che avrebbe dovuto essere incentrato sulla dialettica sog­ getto-oggetto. Dopo la pausa del semestre precedente, l'afflusso di stu­ denti alle lezioni di Adorno, in cui egli prevedeva di trattare le relazioni tra teoria sociale e prassi, era più consistente del solito; l'auditorio con­ teneva fino a mille persone. Nonostante le tipiche condizioni certamen­ te non agevoli derivanti dalla massa degli studenti, Adorno volle co­ munque modificare la forma tradizionale della lezione accademica esor­ tando fin dall' inizio i presenti a rivolgergli domande in ogni momento, in modo da rendere possibile una libera discussione. Viste le condizioni di affollamento dell'aula, il tentativo di trasformare l' istituzione della le­ zione non era soltanto destinato al fallimento, ma venne frainteso come un aperto incoraggiamento per inte rventi arbitrari e si trasformò alla fine in una sorta di vero e proprio tribunale. Già in una delle prime le­ zioni, il 22 aprile, si verificò un incidente manifestamente provocato dall'ala azionistica della sns, la cosiddetta " Lederjackenfraktion " (fra­ zione delle giacche di pelle) . I pertu rbatori, due giovani molto alti che salirono sul podio della cattedra e affrontarono Adorno, lo esortarono, alla maniera stalinista, a fare autocritica circa il recente sgombero dell'I­ stituto per la ricerca sociale tramite l'intervento della polizia e la denun­ cia rivolta contro Krahl 1 3 0 , il tutto accompagnato da cori quali «Abbas­ so il professore delatore» . Nel frattempo uno degli studenti aveva scritto sulla lavagna: «Chi adesso lascia comandare il caro Adorno, per tutta la vita il capitalismo non si toglierà di torno)), Un a gran parte dei presenti nell'auditorio protestò rabbiosamente per l'interruzione della lezione,

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senza però procedere attivamente con tro le persone che avevano provo­ cato l'incidente. In questa situazione Adorno propose di concedere ai presenti cinque minuti di tempo affinché potessero decidere se la lezio­ ne dovesse proseguire oppure no. Non aveva ancora finito di formulare questa proposta che già era stato circondato sul podio dell'aula da tre studentesse che prima lo ricoprirono di petali di rose e tulipani e poi cercarono di avvicinarsi a lui a seno nudo mettendo in scena una panto­ mima erotica. Adorno, sul cui volto era dipinta un'espressione di ango­ scia disperata, si difese da ulteriori invadenze servendosi della sua cartel­ la e, non prima di avere afferrato cappello e cappotto, abbandonò preci­ pitosamente l'auditorio 1 3 1 • Dopo un istante di spavento misto a stupore, la maggioranza degli studenti presenti alla lezione si rivoltò indignata contro quell' aggressio­ ne quasi fisica diretta contro il docente universitario. Dopo una serie di discussioni inutili tra gli sparuti fautori dell'azione e i loro numerosi cri­ tici l'auditorio si svuotò completamente. Sui volantini distribuiti dal gruppo di base di sociologia si leggeva: «Adorno in quanto istituzione è morto)) . Lo stesso Adorno non riusciva a capacitarsi del perché fosse stata in­ scenata questa " propaganda dell'azione" proprio nella sua lezione, que­ sta forma spettacolare di happening: « Proprio da me che mi sono sempre schierato contro qualsiasi repressione erotica e abuso sessuale ! Derider­ mi in quel modo e lanciare contro di me tre ragazze acconciate da hip­ py! È un fatto ripugnante. L'effetto di ilarità che così si ottiene è in fon­ do la reazione del piccolo borghese filisteo che ridacchia sotto i baffi quando vede una ragazza con il seno nudo. Ovviamente questa idiozia era calcolata)) 1 3 2 • Adorno sapeva bene che «la brutalità idiota dei fascisti di sinistra)) avrebbe scatenato in primo luogo la «gioia maligna di tutti i reaziona­ ri)) 1 33• Per questo motivo si guardò bene, nella sua presa di posizione pubblica circa i disordini avvenuti durante la lezione, dal fare un favore a quei " reazionari ", lasciandosi andare alla collera o addirittura presen­ tando argomenti che equivalessero a un verdetto di condanna contro le ragioni del movimento anti-autoritario concernenti la lotta contro lo stato miserevole dell' istruzione universitaria. Inoltre, cercò di chiarire in che cosa consistesse il contenuto politico della sua teoria della socie­ tà. In un'intervista pubblicata alla fine di aprile sulla " Siiddeutsche Zei­ tung" , protestò con grande determinazione contro l'opinione in valsa secondo cui egli avrebbe sostenuto idee che avevano finito per ritorcersi

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contro di lui, una volta messe in pratica. Questa tesi particolarmente amata, diceva Adorno, era stata probabilmente inventata da coloro «che intendono paralizzare la libertà del pensiero critico ricorrendo al gesto: "vedete come va a finire ? " Non ho alcuna intenzione di piegarm i a questo gesto, così come non intendo piegarmi alle costrizioni solidari­ stiche dei perturbatori protestatari» . Adorno non era affatto disposto a presentarsi per così dire come un uomo abbattuto che, a causa delle azioni contro la sua persona, man ifestasse ora rincrescimento. Nell' in­ tervista sottolineava che il suo atteggiamento non era affatto orientato alla rassegnazione, nonostante egli vedesse quanto fosse sbarrata la via di uscita che gli studenti cercavano tramite le loro azioni di protesta nella prassi. Naturalmente non si poteva sfuggire a tale dilemma trami­ te il cieco azionismo. «L'accettazione» di questa «contraddizione obiet­ tiva nel suo pensiero senza rimuoverla in modo violento» costituiva un'espressione di forza, a suo modo di vedere. Il suo rapporto con gli studenti, del resto, non era « maggiormente compromesso di quanto non accadesse in generale all'interno del conflitto dominante all'inter­ no dell'università» 1 34. Anche nell'intervista rilasciata poco dopo, nel mese di maggio, al settimanale " Der Spiegel ", Adorno non si lasciò attirare nella trappola di una presa di distanza indiscriminata dal movimento di protesta: «Spiegel: " S ignor professore, due settimane fa il mondo semb rava ancora in ordine . . . "; Adorno: "A me no ")) l35. Egli approfittò di questa conversazione con lo " Spiegel " per mettere in chiaro una sua dichiarazione. Infatti, come si era espresso con una qualche leggerezza durante un'intervista televisiva, egli non poteva im­ maginare che la gente volesse mettere in pratica il modello del cocktail Molotov che egli aveva costruito. In quest'occasione Adorno smentì di avere mai «presentato)) nei suoi scritti «un modello finalizzato a qualsi­ voglia iniziativa o a un'azione protestataria)) , Tuttavia, una cosa era in­ negabile: « Quando si insegna e pubblica per vent'anni con una tale in­ tensità come ho fatto io, quest'attività trapassa inevitabilmente nella co­ scienza generale)) 1 3 6 • Quindi affermava: «La disgrazia nel rapporto tra teoria e prassi consiste oggi proprio nel fatto che la teoria è sottoposta ad una censura pratica preliminare. Per esempio mi si vuole proibire di esprimere alcune cose semplici che mostrano il carattere illusorio di molte fi nalità politiche di determinati studenti)) , Adorno sottolineava che il processo urgentemente necessario di una riforma dell'università non sarebbe mai iniziato senza la protesta degli studenti, nonostante

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tutti gli inevitabili scontri critici con un azionismo dai tratti fatali - fa­ tali perché da ricondurre alla «disperazione» e «perché le persone sento­ no quanto poco è il potere che possiedono realmente». «Credo che sen­ za il movimento studentesco l'attenzione generale non si sarebbe mai concentrata sui processi di istupidimento in atto nella società presen­ te» 1 37. l1 12 giugno, comunque, a circa sette settimane di distanza dall' hap­ pening, Adorno riprese le sue lezioni. Ma si verificarono nuovamente delle interruzioni. Quindi Adorno decise di interrompere il ciclo di le­ zioni per l'intero semestre, limitandosi a dirigere il suo seminario di filo­ sofia. Come previsto dal regolamento, scrisse una lettera al decano in­ formandolo che la sua lezione era stata mandata a monte dai signori Hans lmhoff e Arno Widmann (allora assai noti nell'ambiente studen­ tesco francofortese) . Inoltre, scriveva che nella situazione creatasi non era stato possibile accertare se da parte della maggioranza sussistesse il desiderio di continuare il ciclo di lezioni 13 8 • Adorno non fece mistero di essere amareggiato e deluso da questa rinnovata azione di protesta diretta contro la sua persona. Un logorio ulteriore per lui fu costituito dalla necessità di dover testimoniare in tri­ bunale contro il ventiseienne Krahl, il quale tra l'altro era uno dei suoi dottorandi . Adorno ribadì ancora una volta, riguardo all'occasione in­ criminata, di avere percepito il gruppo di studenti come persone che volevano occupare l' Istituto . La reazione dei molti studenti presenti nell'aula del tribunale fu di scherno e derisione. E questo non gli sfuggì affatto. Pochi giorni dopo aver deciso di interrompere definitivamente le le­ zioni, in una lettera a Marcuse ammetteva di «trovarsi in una fase di estrema depressione» . Una delle molteplici ragioni di questa sua condi­ zione era legata al fatto che Marcuse si rifiutava in modo ostentato di partecipare a una riunione privata per parlare della situazione in atto in­ sieme ai suoi amici di F rancoforte Adorno, Horkheimer e Haber­ mas 139• Ad Adorno rimprovera apertamente il fatto che, a giudicare da come si presentava, l'Istituto non fosse più quello di una volta: «Tu sai bene, così come lo so io, quanto sia essenziale la differenza tra il lavoro compiuto dall'Istituto negli anni trenta e il lavoro che esso svolge nella Germania di oggi. Questa differenza qualitativa non deriva dall' evolu­ zione della teoria di per sé. [ . . ] Ma la nostra (vecchia) teoria possiede un contenuto politico interno, una dinamica politica interna che, oggi più di prima, richiede l'assunzione di una concreta posizione poli ti.

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ca» 140 • Adorno protestò contro questo rimprovero e, tramite l'elenca­ zione, alquanto inefficace allo scopo, dei progetti di ricerca condotti con successo dall'Istituto, tentò di dimostrare che la tradizione critica era stata indubbiamente portata avanti e che, nella norma, il lavoro concre­ to era stato svolto senza l'influsso o l'ingerenza da parte dei committenti e finanziatori dei progetti: «Intendo dire che, se ci si immaginano le dif­ ficoltà contro le quali l'Istituto ha dovuto combattere per tutta la nostra vita e che ancora oggi deve affrontare, il risultato è più che dignitoso)) , Nei confronti del rimprovero rivoltogli da Marcuse di avere eliminato la dimensione politica della teoria sociale, Adorno, al limite della dispera­ zione, sottolineò ancora una volta che nella situazione sociale presente la prassi rivoluzionaria era del tutto impraticabile e, di conseguenza, non si poteva ritenere «che il movimento di protesta studentesco in Germania avesse anche solo la benché minima prospettiva di potere esercitare un'influenza efficace sulla società)) 14 1 • Dal momento che tale eventualità non era possibile, le conseguenze di quel movimento erano «doppiamente)) fatali; da un lato veniva risvegliato un «potenziale fasci­ sta)) e, allo stesso tempo, sussisteva il pericolo che, all'interno dei gruppi militanti degl i studenti, si imponessero modelli reazionari di stampo autoritario. Queste erano le angosce di cui Adorno soffriva sempre più da quan­ do era diventato egli stesso vittima delle aggressioni di quella che egli chiamava la «follia collettiva)) , «Qui a Francoforte)) continuava Adorno ' nella sua lettera a Marcuse, «l'appellativo professore ordinario [ . ] viene impiegato per denigrare la persona oppure per " farla fuori " , come si usa dire, precisamente come avveniva a suo tempo con la parola ebreo. [ . . ] Rispetto a te, io prendo molto più seriamente il pericolo di un eventuale ribaltamento del movimento studentesco in fascismo)) 14 2 • Adorno prendeva seriamente questa minacciosa eventualità al pari di molte altre cose: il lavoro alla Teoria estetica, i suoi problemi privati, la realizzazione dei suoi progetti editoriali, che per lui erano la cosa in assoluto più im­ portante. Lo stesso Adorno definiva desolata la condizione in cui egli si trova­ va all'inizio dell'estate del 1 969 . Nonostante fosse già estremamente esaurito, faceva molto più di quanto le sue forze gli permettessero. Al solito «eccessivo affaticamento da lavoro)) venne ad aggiungersi il tor­ mento, che sembrava non voler mai finire, causato dalle continue di­ scussioni e dai conflitti infiniti con gli studenti radicali che avevano pre­ so a bersaglio lui, il luminare della " teoria critica", non in ultimo a cau. .

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sa della sua esposizione nei mezzi di comunicazione. Adorno fu costret­ to non soltanto ad esporsi ad inimicizia e odio aperto, che, nella sua convinzione, erano diretti contro di lui nella sua attività di teorico. Ma soprattutto era perseguitato dall 'incubo che la situazione pol itica gene­ rale potesse sfociare da un giorno all'altro nel totalitarismo. N ella sua ultima lettera, inizialmente redatta a mano, che scrisse a Marcuse il 26 luglio, ma che questi ricevette nella sua versione dattiloscritta soltanto il 6 agosto, Adorno si riferiva a se stesso con le parole «un Teddie pesante­ mente bastonato». I n questo miserevole stato d'animo Adorno e la moglie si recarono in Svizzera, dove egli era solito cercare l'equilibrio, di cui aveva più che mai bisogno, compiendo lunghe passeggiate prolungate. Il martedì 22 luglio la coppia di coniugi si diresse alla volta di Zermatt, per trascorrere le settimane di vacanza presso l'hotel " Bristol " . Pochi giorni dopo il loro arrivo nella nota località turistica situata a 1 .6oo metri d'altezza nel cantone del Vallese ai piedi del Cervino, il 5 agosto Adorno intraprese insieme alla moglie G retel un'escursione per recarsi su una vetta posta a 3.000 metri d'altitudine, raggiungibile in seggiovia; e questo nonostante il suo medico curante e cardiologo dottor Sprado lo avesse severamente invitato ad evitare qualsiasi affaticamento fisico 1 43 . Una volta giunto a quell'altitudine si manifestarono i primi disturbi cardiaci, che lo co­ strinsero a fare ritorno al paese. Quello stesso giorno, Gretel lo portò in auto a Visp, una città situata a valle a trenta chilometri di distanza da Zermatt. Gli scarpon i da montagna di Adorno avevano un buco che egli voleva far riparare. Nel negozio di scarpe si manifestarono nuovi di­ sturbi al cuore. Per questa ragione fu condotto per sicurezza nella clinica di Kleinstadt. Verso sera Gretel Adorno tornò all'hotel in auto . Quan­ do, il giorno seguente, 6 agosto, Gretel volle portare qualcosa da leggere al marito ricoverato all'ospedale S. Maria, dovette assistere al suo deces­ so, alle 1 1.20 del mattino, causato improvvisamente da un infarto. L'u settembre avrebbe compiuto sessantasei anni. Quello stesso giorno, la notizia della morte di Adorno raggiunse i principali mezzi d' informazione. La radio e la televisione resero onore alla vita e all'opera dell'intellettuale francofortese. L'annuncio mortua­ rio pubblicato sulla " F rankfurter Allgemeinen Zeitung" fu talmente di­ screto e misurato da evitare del tutto, come aveva notato una volta lo stesso Adorno alla lettura di un annuncio mortuario, lo «spirito di un li nguaggio comunicativo che, nel ridurre ogni distanza, viola anche il ri­ spetto dinanzi alla morte» 1 44.

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TH EODOR W. ADORNO geb. 1 1 . September 1 903

ist am 6. August

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In tiefster Trauer Margarete Adorno ,.Jt. K.upJUI

Frankfurt/Main, Kettenhofweg 1 Dle

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r' THEODOR w. ADO RN O l nato l'n settembre 1903 l si è spento il 6 agosto 1969 l con estremo dolore ne dà il triste annuncio l Margarete Adorno l nata Karplus l Francoforte sul Meno, Kettenhofweg 123, 9 agosto 1969 l I funerali avranno luogo mercoledì 13 agosto 1969 l alle ore 1 1 . 0 0 presso il cimitero centrale di Francoforte l Si prega di astenersi dalle visite di condoglianze

Il 13 agosto , una settimana dopo la sua morte, Adorno venne sepolto nella tomba di famiglia nel cimitero centrale di Francoforte, alla presen­ za di duemila persone intervenute ai funerali . La sepoltura avvenne sen­ za lo svolgimento di una cerimonia religiosa. Dopo il funerale, una parte dei convenuti si riunì in casa dell'editore Siegfried U nseld. La cerimonia di sepoltura fu trasmessa in diretta dallo Hessischer Rundfunk. Il presidente della regione Assia celeb rò i meriti di Adorno in quanto figura pubblica di intellettuale e professore di fi l osofia e socio­ logia, mentre Ralf Dahrendorf, nella sua qualità di presidente della So­ cietà tedesca di sociologia, parlò del rapporto di Adorno con il movi­ mento studentesco e Ludwig von F riedenburg sottolineò l' importanza dello scomparso per l'evoluzione dell'Istituto per la ricerca sociale. Max Horkheimer, invece, parlò in modo molto personale di una collabora­ zione durata molti decenni: Le opere di Adorno, la cui profondità e attualità storica sono scaturite da una passione instancabile e al limite del concepibile, dalla sua straordinaria statura di scrittore, costituiscono una testimonianza della teoria critica. [ . . . ] Per quanto egli

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si sia impegnato a promuovere le riforme, ha rifiutato di associarsi a quei colletti­ vi che si richiamavano alla sua teoria per applicarla alle loro azioni di protesta, in­ vece che per riflettere su di essa. Il suo atteggiamento era entrambe le cose, pro­ duttivo e insieme anticonformista. [ . . ] Oggi, insieme a molte persone pensanti .

nel mondo, piangiamo la scomparsa di uno dei più grandi spiriti della nostra epoca

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Epilo go

Pensare contro se stessi Ma evidentemente è il mio destino carpire con l'astuzia alla mia vita, per così dire, la mia intera produzione, e forse non si tratta neppure della condizione peggiore. Potrei benissimo immaginare che essa sia in relazione con un'altra particolarità che osservo in ciò che butto giù sulla carta: in realtà, ogni mio testo è una sorta di presa di congedo \

Quindici anni prima di morire, Adorno aveva scritto a Thomas Mann che la morte è «una vergogna dell'uomo»; non c'era nessun motivo di celebrarla «in nome del tragico», avrebbe dovuto piuttosto «essere aboli­ ta» 2• L'aspetto provocatorio della morte e quindi, al tempo stesso, in grado di scatenare una resistenza - aveva affermato nuovamente Ador­ no nel 1964 , nel corso di una conversazione con Ernst Bloch - risiede nel desiderio utopico di eliminarla. Ogni utopia è in fondo un'utopia della vita eterna, e quindi scaturisce dalla provocazione rappresentata dalla morte. «Laddove non si pensa al tempo stesso la soglia della morte, non può esservi neppure alcuna utopia» 3 • Per questa ragione l'utopico non si lascia raffigurare, perché, per amore dell'utopia non è permesso farsi di essa un' immagine. Anche nelle Meditazioni sulla metafisica, contenute nella Dialettica negativa, egli aveva dedicato un'intera sezione al problema: Morire oggi. I rituali commemorativi tramite i quali gli uomini non onorano tanto la memoria dei morti, quanto tentano di riuscire a dominare la propria impotenza servono a rifiutare l'esperienza esistenziale della morte. Adorno vedeva il motivo decisivo per la rimozione della morte nella paura di essere derubati dei propri mezzi finanziari. A tale proposito, in

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un appunto non pubblicato, asseriva in modo totalmente non metafisi­ co: «Difficilmente le banconote possono essere trasferite all'inferno, e si spera che chi si presenti colà come VIP venga accolto con le risate con­ suete del luogo. [ . . . ] Neppure di questo, però, si può essere sicuri. [ . . . ] Ciononostante, della metafisica della morte fa parte oggi il fatto che questa rammenti agli uomini quanto sia debole e fragile quell'ordine che essi hanno così saldamente costruito sulla terra, al punto di sembra­ re loro assoluto>> 4. Il rapporto con la morte diventa tanto più insoppor­ tabile agli uomini, quanto più per loro si rivela impossibile una vita au­ tonoma e felice nelle condizioni sociali della loro esistenza. Di conse­ guenza la relazione nei confronti della morte non costituisce una co­ stante, ma è socialmente predeterminata. Adorno interpretava quindi il crollo fisico e psichico della persona nel processo dell'invecchiamento, che conduce alla fine definitiva, come un motivo per l'impossibilità di im maginare un aldilà. Tuttavia, il pensiero che la morte sia «la cosa as­ solutamente ultima» 5 non può essere accettato, perché in tal modo ogni pensiero della verità diventa assurdo . «Infatti è un momento della verità il fatto che essa duri insieme al suo nucleo temporale: senza una qualche durata non ci sarebbe; la morte assoluta inghiottirebbe anche la sua ulti­ ma traccia>> 6 . Il desiderio di Adorno di essere giudicato in base alla sua opera fon­ damentale di filosofo deve averlo spinto a redigere una delle rare anno­ tazioni patetiche contenute nei suoi diari, come nel caso in cui si parla di un suo lavoro sulla Missa solemnis: «Sono grato che mi sia stato con­ cesso ancora di farlo . » 7. Benché sessantacinquenne, egli nutriva l'ambi­ zione di mettere sul piatto della bilancia ancor più di quanto non avesse fatto fino ad allora. Già da anni si occupava del progetto di scrivere un volume di filosofia della musica su Beethoven, in vista del quale aveva preso molti appunti, disseminati in oltre quaranta quaderni. I n una let­ tera indirizzata ai suoi genitori in data 11 giugno 1940 osservava: «Il prossimo grande lavoro a cui porrò mano sarà il libro su Beethoven » 8 • Adorno aveva ripetutamente provato a mandare «in porto», come egli stesso amava dire, il progetto di questo volume, ma era soltanto riuscito a inserirlo sulla lista dei desiderata accanto ai progetti di quelle opere che avrebbero dovuto essere scritte dopo la Teoria estetica 9. La realizzazione di questo grande testo di filosofia della musica restò una costante sfida per lui e, a quanto pare, in primo luogo non furono problemi di conte­ nuto ad impedirgli di portare a termine una versione pubblicabile della monografia su Beethoven, bensì l'organizzazione di un materiale etero-

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geneo. Un altro progetto nel campo della teoria della musica che occu­ pava Adorno fin dai tempi dei suoi studi a Vienna con Alban Berg era la Teoria della riproduzione musicale, la cui realizzazione veniva sull'agenda im maginaria di Adorno al secondo posto immediatamente dopo la Teo­ ria estetica. Le annotazioni a riguardo avevano preso una forma già al­ quanto precisa durante gli ultimi anni che aveva trascorso a Los Ange­ les. Ma, anche in questo caso, i numerosi appunti, contenuti nel lascito letterario, che egli aveva annotato nel cosiddetto «libro nero», furono pubblicati soltanto a tre decenni di distanza dalla sua morte: si tratta di una teoria della vera interpretazione musicale che si orienta sul contenu­ to oggettivo, sulla struttura della composizione 1 0 • Questi due grandi progetti editoriali non gli impedirono, tuttavia, di occuparsi della concezione di un ulteriore libro, niente meno che un trattato sull'etica per il quale, tra le altre cose, poteva impiegare un vasto materiale già disponibile, legato al ciclo di lezioni del 1 96 3 dedicato ai Problemi della filosofia morale 1 1 • In base all'esame delle argomentazioni qui esposte, si può ritenere che il tema del libro dovesse essere l'impossi­ bilità di una filosofia morale come dottrina vincolante, una tesi che era stata già formulata in fo rma program matica nella famosa frase: «Non si dà vera vita nella falsa» [Es gibt kein richtiges Leben im falschen] 12 • I n questo libro Adorno si sarebbe presumibilmente riallacciato a i presup­ posti filosofico-morali che aveva formulato nell'ultima parte della Dia­ lettica negativa defi nendoli come «nuovo imperativo categorico»: «orga­ nizzare l'agire e il pensare in modo che Auschwitz non si ripeta, non succeda niente di simile» . Tuttavia, proprio in questo passo Adorno aveva sottolineato esplicitamente che tale imperativo «è tanto resistente alla sua fondazione quanto una volta la datità di quello kantiano» 13• Date queste premesse, sarebbe stato istruttivo sapere in che modo Ador­ no avrebbe risolto tale aporia. Lo stesso si può certamente dire anche per un volume sulla teoria della società di cui era già pianificata la pubblicazione. Adorno pensava di raccogliervi le sue analisi sociologiche più recenti accompagnate da un saggio esteso che avrebbe dovuto recare un titolo estremamente at­ tuale: Integrazione e disintegrazione nella società odierna 1 4• Questo libro non era l'ultimo progetto del filosofo e sociologo or­ mai giunto all'età di sessantacinque anni, il quale non aveva la benché minima intenzione di andare in pensione prima del tempo, perché la vita accademica, nonostante tutti i confl itti con gli studenti, era per lui fonte di ispirazione e non voleva assolutamente sottrarsi alla sua respon-

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sabilità nei confronti dei suoi numerosi dottorandi 1 5• Si riproponeva poi di dare un seguito al suo primo volume di aforismi con Graeculus. Anche per questo libro aveva già preparato una nutrita serie di annota­ zioni. Analogamente a quanto già fatto in Minima Moralia, voleva ap­ prontare dei testi epigrammatici che trattassero temi svariati e contenes­ sero meditazioni di teoria musicale, critica della cultura e della socie­ tà 1 6 . Ai materiali già disponibili per la composizione del volume appar­ tenevano per esempio alcune riflessioni sul fumo nelle donne e negl i uo­ mini, sulla buona e cattiva prosa, sulla politica e sulla morte. Talvolta le annotazioni si limitavano a brevi sentenze: «La cultura è sapere attende­ re»; 1 7• «Ben più che a Gesù Cristo, io credo a Gesù Bambino» 1 8 ; oppu­ re: «Esiste una trascendenza del desiderio ardente ? Senza desiderio non si dà verità alcuna, ma esso non ne è una garanzia» 1 9• Di questo insieme di note personali facevano parte anche le «trascri­ zioni dei sogni», che Adorno so leva redigere, un'abitudine che coltivò durante tutta la sua vita. Nel corso di un viaggio in cui aveva dovuto pernottare a Stoccarda, aveva sognato: «la forma di esecuzione capitale più straziante - evidentemente diretta a me - sarebbe essere costretti a stare in piedi nell'acqua fino al collo e allo stesso tempo venire arrostiti. A causa dell'effetto estinguente dell'acqua, avrebbe una durata partico­ larmente lunga» 20 • Un'altra trascrizione documentava uno dei sogni paurosi che lo tormentavano più frequentemente: sognava di trovarsi in un campo di concentramento dove ascoltava un gruppo di bambini ebrei cantare una canzone. Alla fine della trascrizione si leggeva: «Mi sono risvegliato con un senso d'orrore indicibile» 21 • I progetti di pubblicazione di Adorno consistevano da una parte nella scrittura di testi che assorbivano pienamente le sue forze e pesava­ no ulteriormente sulla sua salute ( nelle sue lettere scriveva spesso di tro­ varsi in una condizione di completa estenuazione) ; dall'altra, però, Adorno traeva la sua energia creativa proprio dai progetti concreti per il futuro: aveva un compito dinanzi a sé al quale voleva adempiere in modo pienamente responsabile. Inoltre, la scrittura era il contenuto principale della sua vita. Nonostante una condizione già «deteriorata», prima di partire per le vacanze alla volta di Zermatt Adorno guardava con un certo ottimismo agli anni che lo attendevano. Poco tempo pri­ ma, aveva registrato insieme al pedagogo Hellmut Becker nello studio dello Hessischer Rundfunk una conversazione poi diventata celebre in­ titolata Educazione alla responsabilità (Erziehung zur Mundigkeit), che fu mandata in onda il giorno dei funerali di Ado rno. Questi aveva in-

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tenzione di fissare altri appuntamenti per la radio. I noltre aveva pianifi­ cato per settembre di fare un viaggio con G retel a Venezia, dove era sta­ to invitato come relatore a un congresso sulla " teoria critica" e l'arte 22• Le stanze erano già prenotate presso l'hotel " Regina" 23 • Si era già accor­ dato con Gershom Scholem per compiere un viaggio in Israele in con­ comitanza a una serie di conferenze universitarie 24• Anche se aveva an­ cora in mente i conflitti del semestre appena trascorso, guardava tutta­ via con un certa fiducia al semestre successivo. Nel seminario di filoso­ fia, durante l'ultima seduta del corso, si era congedato con le seguenti parole: «Se voi tutti vi rallegrate all'idea del prossimo semestre in misura pari a me, allora possiamo sperare che ci attenda un bel lavoro» 25• Queste dichiarazion i e i diversi propositi costituivano certamente qualcosa di più che il proverbiale " cantare nel buio per farsi coraggio " . Nondimeno esistevano buone ragioni per giudicare l a situazione diver­ samente, a posteriori. Il medico Paul Ltith scriveva nella sua Lettera dal­ l'a mbulatorio di un medico di campagna, che fu pubblicata nel volume in memoria di Adorno: «Adorno, sfibrato, sovraffaticato dal lavoro, andò come previsto in vacanza [ . . ] Come i medici ben sanno, l'infarto car­ diaco non è un evento ex vacu. Segue una precisa preparazione, accu­ mula tutte le frustrazioni e l'esaurimento del soggetto per poi colpir­ lo» 26• Marie Luise Kaschnitz, la quale era molto vicina tanto ad Adorno che alla moglie, dedicò una poesia all'amico dopo la sua morte: .

Th. W. A. Qualcosa si dischiuse un che di liquido eppure solido strisciò giù per i pascoli, lungo la strada e infine su di lui, nel suo petto. Egli morì di se stesso del non-essere-più-uno con la sua giovinezza e con ogni gioventù le sue esperienze gli insegnarono a odiare la violenza per questo lo insultarono come un rinnegato non ci fu bisogno che qualcuno lo spingesse nella fossa in questa estate radiosa.

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Già da tempo era triste e cadde 27•

La prospettiva da cui questa poesia guarda alla situazione emotiva di Adorno che viene espresso in questa poesia dovrebbe verosimilmente corrispondere alla visione che Gretel si era fatta delle condizioni fisiche e psichiche del marito pochi giorni prima della sua morte. Quando gli amici più intimi le offrirono di recarsi subito da lei dopo la morte im­ provvisa di Adorno nell'ospedale di Visp, lei rifiutò, non bruscamente, ma comunque in modo reciso . Aveva predisposto tutto affinché la sal­ ma di Adorno fosse immediatamente trasportata a Francoforte. Gretel Adorno fu direttamente testimone delle conseguenze che avevano avuto sul marito gli attacchi degli studenti e di come lo avessero distolto da quello che egli considerava il vero compito della sua vita. Im­ provvisamente vedova, continuò a fare quello che aveva fatto costante­ mente per decenni nella vita trascorsa con Adorno: si mise al servizio dell'opera del marito. Lei stessa aveva definito la sua relazione con lui come una simbiosi. In fondo al proprio cuore, era sicura che lui le era ri­ masto fedele, nonostante l'intensa relazione amorosa che si era sviluppa­ ta tra Adorno e la «bella bambina», un'attrice di Monaco di Baviera, e che era terminata dolorosamente per Adorno proprio alla fine dell'anno precedente 2 8 . Dopo la morte del marito, Gretel Adorno, la quale conti­ nuò ad abitare nell'appartamento del Kettenhofweg, cercò consolazione dedicandosi, insieme a Rolf Tiedemann, al compito di approntare il manoscritto rimasto incompiuto della Teoria estetica, in modo che fosse possibile pubblicarlo. Quando, due giorni dopo la morte di Adorno, una Elisabeth Lenk «ancora stordita)) dalla notizia aveva scritto alla ve­ dova, Gretel le aveva risposto direttamente con la sua grafia: «Cara Eli­ sabeth, forse verrà il momento in cui avrò bisogno del Suo aiuto per l'E­ stetica, e certamente non mancherò di rivolgermi a Lei)) 29• Lei sapeva meglio di qualsiasi altro quanta importanza attribuisse Adorno a questo libro. Ma non si occupò soltanto di quel volume, par­ tecipò anche alla cura delle Opere complete ( Gesammelte Schriften) e di­ spose personalmente che il lascito letterario e scientifico del marito fosse conservato presso il Theodor W. Adorno Archiv. Dopo avere regolato la questione del lascito, non vide più alcun senso nel continuare a vive­ re 3 0 . Poco dopo la pubblicazione della Teoria estetica, Gretel Adorno tentò di suicidarsi ingerendo una overdose di barbiturici 3 1 , alla quale, tuttavia, sopravvisse rimanendo inferma: dovette essere assistita fino alla

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sua morte, avvenuta ventitré anni dopo. N ella misura del possibile, fu accudita notte e giorno da alcuni amici, così come da ex allievi di Ador­ no, fino a quando non si trasferì in un sanatorio sul Taunus. Il giorno dei funeral i di Adorno, sul settimanale " Der Spiegel " uscì un'intervista di Horkheimer con il titolo Cielo, eternità e bellezza, nella quale questi difendeva l'amico scomparso dall'accusa di rassegnazio­ ne 3 2 • Horkheimer sottolineò ancora una volta quel che era risultato già evidente in occasione dei funerali, ai qual i avevano partecipato numero­ si studenti, vale a dire che molti avevano «conservato un amore nei suoi confronti)) . Nell'intervista allo " Spiegel " Horkheimer, facendo riferi­ mento a motivi del pensiero teologico, mise in rilievo che il «negativi­ smo)) di Adorno conteneva «l'affermazione di un " altro " )) che non era, però, determinabile. N o n si trattava affatto di una teologia negativa «in un senso che nega l'esistenza di Dio, ma in un senso che ne afferma piuttosto l' irrappresentabilità)) 33 • In tal modo Horkheimer tentava di affrontare la presenza di un'eredità del pensiero eb raico in Adorno. La concezione della verità come conoscenza temporale e in continuo dive­ nire poteva essere messa in relazione con il divieto, formulato dalla teo­ logia eb raica, concernente la formazione di immagini divine, così come il concetto di " memoria salvifica" (Eingedenken) e l'aspetto messianico della redenzione o della riconciliazione: la speranza per amore di ciò che è senza speranza. Un tono del tutto diverso fu assunto invece dagli oltre trenta all ievi di Adorno che appartenevano alla nuova generazione e che avevano re­ datto una dichiarazione apparsa, pochi giorni dopo i funerali, sulla " Frankfurter Rundschau " con il titolo Portare avanti la teoria critica 34. Alludendo all'orazione funebre pronunciata da Horkheimer e al necro­ logio, in cui si parlava della genialità di Adorno, questo testo affermava: «Tanto più monumentale è la pietra tombale che per entusiastica vene­ razione viene riposta sull'elemento negato re, tanto più sicuramente vie­ ne sepolta per sempre la sua forza esplosiva)) . Sussisteva dunque il peri­ colo che al posto «dell'argomentazione)) subentrasse «il solenne cordo­ glio dinanzi alla forza naturale di un individuo geniale)) . Gli autori della dichiarazione esprimevano il timo re che, attraverso l'elevazione di Adorno a una figura eroica dello spirito, la " teoria critica" finisse per es­ sere musealizzata 35 • S ullo stesso giornale uscì anche un necrologio scrit­ to da Hans-J i.irgen Krahl, il dottorando di Adorno contro il quale que­ sti, poche settimane prima della sua morte, aveva deposto durante il processo per violazione di domicilio. Ora il portavoce del movimento

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studentesco rinfacciava al proprio insegnante il fatto che, nonostante la critica mossa all'individuo borghese, fosse «condannato inesorabilmente a seguirne la rovina» e non fosse riuscito a trasformare la «partigianeria organizzata della teoria nella liberazione degl i oppressi>> . Quindi «la ne­ gazione della società tardo-capitalistica» da parte di Adorno era « rimasta confinata all'astrazione» 3 6 • Non soltanto la dichiarazione dei suoi allie­ vi, ma anche il necrologio di Krahl si richiamavano, fin nell'espressione li nguistica, al pensiero di Adorno, la cui val idità semb rava loro indiscu­ tibile. Da parte degli allievi, la questione di come portare sostanzial­ mente avanti la filosofia di Adorno rimaneva del tutto aperta. Perfi no Marcuse, nella sua prima presa di posizione pubblica sulla morte di Adorno durante un programma d'attualità della televisione tedesca, non fu in grado di dire molto sulla direzione nella quale sviluppare gli impulsi provenienti dal pensiero critico di Adorno. Si limitò ad appel­ larsi alla necessità di «pensare in modo radicale e comunicare agli altri la radicalità del pensiero». Per il resto, affermò di attendersi in futuro il prodursi di un serrato confronto con i contenuti dell'opera di Ador­ no 37• Così lo sguardo retrospettivo lanciato da Horkheimer con ton i pessimistici su u n passato ormai irrecuperabile s i opponeva alla speran­ za, nutrita da Marcuse, che, con la morte di Adorno, potesse rimanere viva quella scintilla rivoluzionaria che egli vedeva brillare nella critica senza riserve mossa all'esistente da parte di Adorno. Il necrologio scritto da J iirgen Habermas, pubblicato sul settimana­ le " D ie Zeit", fu invece uno di quei pochi commenti che cercarono di rendere giustizia tanto alle costruzioni storico-filosofiche di Adorno quanto alla singolarità della sua forma di riflessione. Nel suo ritratto del filosofo, H abermas coglieva le caratteristiche determinanti di Adorno: la sua spontaneità e il suo rifiuto di identificarsi pienamente con il ruolo dell' «adulto fiero di sé» 3 8 • Al tempo stesso, Habermas allora fu l' unico a sollevare la questione del " testamento filosofico " di Adorno, sostenendo che a riguardo il ruolo primario spettava al concetto di " auto riflessio­ ne" 39. Faceva rilevare che Adorno aveva determinato il concetto di " ri­ flessione " come elemento dinamico del pensiero critico, definendolo come una "forza finita" che traeva le proprie energie dal carattere di fal­ sità del suo oggetto . In effetti, nell'ultimo saggio scritto prima della sua morte, Adorno aveva messo in primo piano, nella sua filosofia e sociolo­ gia, il " come" dell'interpretazione della realtà, definendo questa rifles­ sione critica nei termini di una « resistenza contro ogni cosa decretata che si giustifichi meramente tramite la sua esistenza» 40 • La critica come

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negazione determinata è legata dunque alla condizione storica della ne­ gatività dell'esistenza. La riflessione critica ha, per così dire, bisogno del contraltare costituito dalla situazione sociale, nella quale gli uomini sof­ frono realmente. Habermas, il quale cercava di ricollegarsi alla filosofia di Adorno tramite «l' idea negativa dell 'abolizione della discriminazione e del dolore» 41 , sollevava la questione centrale di «come possa a sua vol­ ta giustificarsi il pensiero critico» 42• Non eludere il problema della fon­ dazione della critica alla totalità abbagliante del contesto, e adottarlo in­ vece come eredità essenziale della " teoria critica " di Adorno, si sarebbe rivelata invece una delle prospettive più produttive 43, quella, cioè, di vedere il suo testamento nella prosecuzione di una riflessione coerente capace di portare avanti la " teoria critica", incl udendo in sé anche la ca­ pacità di pensare contro se stessi 44• Se con il concetto di dialettica, intesa come critica immanente, come mezzo per chiarire le contraddizioni interne alla società, comprese quelle del pensiero, si siano portati alla luce tutti i tesori che si trovano sepolti nella filosofia e nella sociologia di Adorno, resta ancora da stabi­ lire. L' intenzione alla base della presente ricostruzione della vita e dell'o­ pera di Adorno nel suo tempo non e ra di fornire al lettore una mappa segreta per cercatori di tesori di cui si volesse spronare il fervore della scoperta. Dovrebbe essere sufficientemente proficuo attenersi all'eredità tangibile nella sua opera 45, sfruttando ne bene le qualità: la critica con­ tro la coercizione all'identificazione e un concetto restrittivo di ragione, il metodo d'interpretazione micrologico, l'analisi della musica e della letteratura, la teoria dell'avanguardia e la critica ai mezzi di comunica­ zione. Le contrapposizioni che la attraversano internamente, tra negati­ vismo e messianismo, tra una realtà (cattiva) e una possibilità ( miglio­ re) , tra identità e non-identità, tra ratio e mimesi, e in particolare la ten­ sione che compare chiaramente nell'opera tarda tra contenuto di verità e desiderio espressivo, ebbene questi estremi costituiscono a loro volta caratteristiche della personalità di Adorno. Egli volle essere al tempo stesso artista e scienziato, compositore e letterato, filosofo e sociologo . La «via mediana tra gli estremi>> non era nelle sue note, nel suo «pensiero e ancor meno nella sua personalità e nella vita: " la mediazione si rag­ giunge attraverso il passaggio fra gli estremi stessi come tali"» 4 6 • La ter­ ra di nessuno era per lui un simbolo del luogo in cui non si ha timore di essere diversi, in cui gli opposti si lasciano esporre fino in fondo senza dover prendere partito in anticipo per l'una o per l'altra parte.

Rin graziatnen ti

Grazie all'appoggio finanziario garantito a due progetti dal Fondo tede­ sco per la Ricerca è stato possibile, nell'estate del 1998, istituire una struttura dedicata alla ricerca su Adorno presso l'Un iversità Cari von Ossietzky ( Oldenburg) . Sotto la mia direzione, i collaboratori attivi in questi progetti hanno contribuito a creare le condizioni per la stesura della presente biografia. Ringrazio dunque il Fondo tedesco per la Ri­ cerca per le sovvenzioni fornite e per il finanziamento di una supplenza per l'intero semestre invernale 2002-03 , grazie al quale è stato possibile portare a conclusione il manoscritto. Il mio ringraziamento personale va a tutti i collaboratori del gruppo di ricerca: Dirk Auer, Thorsten Bonacker, Thomas J ung, J ascha Rohr e Christian Ziegler. Senza il loro energico appoggio e la produttività della loro cooperazione, il presente libro non avrebbe potuto essere scritto . Una parte del progetto di ricerca è stata costituita da interviste, regi­ strate su nastro e poi trascritte, da me personalmente condotte con alcu­ ne personalità che, in modo diverso, furono vicine ad Adorno. Le due lunghe conversazioni con Ute e J i.irgen Habermas nella loro ospitale casa sul lago di Starnberg non sono state soltanto particolarmente istruttive, ma anche accompagnate da una sentita partecipazione nei confronti del mio progetto di stilare una biografia di Adorno. Ringrazio entrambi per avere pazientemente risposto alle mie domande e per i nu­ merosi suggerimenti che mi hanno fornito. Desidero inoltre ringraziare una serie di altre persone con le quali ho potuto condurre colloqui preziosi ed estremamente ricchi di informazio­ ni: Hans-Magnus Enzensberger, Marianne Hoppe, Ludwig von Friede­ burg, Lo re Kramer, Elisabeth Lenk, Rudolf zur Lippe, Elfriede Olbrich, Klaus Reichert, Elisabeth Reinhuber-Adorno, Rolf Tiedemann, Alfred Schmidt, Herbert Schnadelbach, Wolfram Schi.itte, Bernhard Villinger. Allo scopo di relativizzare la mia personale immagine degli anni

T H EO D O R W. AD O RNO

sessanta presso l'Università di Francoforte, ho avuto l'opportunità di scambiare opinioni con Uta e Hans-D ieter Loeber, con Christa e Wal­ ter S iebel così come con Eberhard Schmidt. Li ringrazio; un grazie par­ ticolare va anche agli amici che con la loro curiosità mi hanno aiutato negli anni a mantenere la mia attenzione concentrata sulla scrittura di questo libro. Durante il lavoro di redazione della biografia ho potuto avvalermi dei consigl i di molte persone: Tom H uhn, M artin Jay, Robert Hullot­ Kentor, Alexander Kluge, Wolf Lepenies, Thomas Levin, Ahlrich Meyer, Klaus Neumann-Braun, Ji.irgen Ritsert, Hartmut Scheible, Rolf Wiggershaus, Gisela von Wysocki, Harro Zimmermann. Ringrazio tut­ ti, così come ringrazio le Un iversità di Princeton, Berkeley e Columbia ( New York) per l'ospitalità dimostratami. Senza il sostegno del Theodor W. Adorno Archiv di Franco forte e l'aiuto della sua direttrice e dei suoi collaboratori - Gabriele Ewenz, Christoph Godde, Henri Lonitz, Michael Schwarz - questa biografia di Adorno non avrebbe potuto vedere la luce. Un grazie di cuore merita anche Jochen Stollberg, il quale in quanto direttore degli archivi Hork­ heimer, Marcuse, Lowenthal della Stadt- und Universitatsbibliothek di Francoforte sul Meno mi ha amichevolmente prestato il suo aiuto. Vorrei inoltre esprimere la mia gratitudine nei confronti dei seguen­ ti archivi che hanno agevolato lo svolgimento delle mie ricerche: Bo­ dleian Lib rary ( Oxford) ; Archiv of the Academic Assistance Council (Londra) ; Leo Baeck-lnstitut (New York) ; Deutsches Literaturarchiv (Marbach) ; lnstitut fi.ir Stadtgeschichte ( Francoforte sul Meno); Tho­ mas Mann-Archiv (Zurigo); Archiv der Johann Wolfgang Goethe Uni­ versitat ( Francoforte) ; Stadtarchiv ( Dettelbach) ; lnstitut fi.i r Sozialfor­ schung ( Francoforte) . Dal momento che ho ancora l'abitudine, ormai fuori moda, di scri­ vere a mano la prima versione dei miei scritti, Elke Glos ha assolto al difficile compito di trascrivere al computer il testo manoscritto, dimo­ strando infinita pazienza e grande comprensione per l'oggetto del lavo­ ro. Barbara Vahland ha poi compiuto un lavoro preliminare di letterato per buona parte del testo. Gertrude Meyer- Denkmann mi ha offerto la sua consulenza per le parti di argomento teorico-musicale, dando prova di grande competen­ za e immedesimazione nel lavoro. Il letterato scientifico svolto dalle edizioni Suhrkamp sotto la guida di Bernd Stiegler ha contribuito, grazie a una competente professionali-

R I N G RA Z IAM ENTI

tà, a far sì che il libro potesse essere portato a termine in tempo utile per essere disponibile in libreria nel centenario della nascita di Adorno. Alla cooperazione solidale e allo scambio di idee con Bernd Stiegler, il quale, con la mano sicura e la precisione dell'editor, ha revisionato il volume capitolo per capitolo, va un ringraziamento particolare da parte dell'autore. La collaborazione sempre più stretta con Reinhard Pabst (le nostre riunioni quasi quotidiane hanno infatti rappresentato per me non sol­ tanto un appoggio materiale, ma anche morale) si è rivelata essere un caso particolarmente fortunato. A lui devo alcuni importanti suggeri­ menti, così come l'attenta consulenza nella selezione del materiale foto­ grafico, di cui alla fi ne egli si è assunto la responsabilità. M ia moglie Heidi mi ha incoraggiato a chiarire ulteriormente alcu­ ne formulazioni contenute nel testo, perdonandomi generosamente per avere trascorso mesi interi confinato alla mia scrivania. Oldenburg, aprile

2003

AP P E N D I C I

Geneal o g ia del la fam i gl ia

Theodor Ludwig Wi sengrund-Adorno n. 1 1 . 9 . 1903 F rancoforte sul Meno m . 6.8 .1969 Visp/Svizzera

Si sposa

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Jenny L. Bernhard Oscar Mathilde C. Paul Friedrich Alice Betty Robert Alexander Wie engrund Wiesengrund Wiesengrund Wiesengrund n. 5 . 1 1 . 1 876 n. 1 0 . 5. 1869 n. 2.9 . 1 873 n. 22.9 .1 874 Wiesengrund Wiesengrund n. 3 0 . 7 . 1 870 Francoforte Francoforte F rancoforte F ranco forte n. 1 3 . 1 1 . 1871 sul Meno sul Meno Franco forte sul Meno sul Meno F ranco forte m. 14. 1 1 . 193 5 m. 22. 1 . 1963 m. 1 1 . 3 . 1878 sul Meno sul Meno m . 7.9.1886 Franco forte Francoforte F rancoforte Amb urgo m. 2.3 . 193 5 m. 8 .7. 194 6 New York sul Meno sul Meno sul Meno Londra

si sposano il 22. 5 . 1 8 68

D avid Theodor Wiesengrund n. 3 .7 . 1 83 8 Dettelbach

Caroline Mayer n. 3 0 . 9 . 1 846 Worms

m. 7 . 3 . 1 9 20 Francoforte sul Meno

m. 28 . 1 .1 894 F rancoforte sul Meno

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Gretel Karplus n. 10. 6. 1902 Berlino m. 16.7. 1993 F rancoforte sul Meno

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M aria Barbara J Calvelli-Adorno n. 3 0 . 9 . 1 8 6 5 Bockenheim/ F rancoforte sul Meno m . 23 . 2. 19 5 2 New York

Agathe Calvelli-Adorno n . 27. 9 . 1 8 68 F rancoforte sul M eno m . 26. 6. 193 5 F rancoforte sul M eno

Louis Prosper Calvelli-Adorno n . 26. 1 1 . 1 8 66 Auer bach m . 22.2. 1960 F ranco forte sul Meno

si sposano nel feb b raio

1 86 2 J ean F rançois Calvelli-Adorno n. 1 4.4. 1 8 20 Corsica m. 3 . 5.1 879 Francoforte sul Meno

El isabeth Henning n. 23 . 2. 1 83 5 Offenbach m. 28 . 1 1 . 1 897 Francoforte sul Meno

Cronolo gia

Lettera di Theodor W. Adorno a Thomas Mann, Los Angeles, 5 luglio 1948 [Ador­ no, Mann, Briefivechsel, 2002, pp . 33 ss.] T. W. Adorno 316 So. Kenter Ave. Los Angeles 24, Calif.

5

luglio 1 948

Caro e Stimatissimo Dott. Mann, per me è un piacere farLe avere qualche informazione su di me. Sono nato nel 1903 a Francoforte. Mio padre era ebreo tedesco; mia madre era figlia di un ufficiale francese di origini corse - inizialmente genovesi - e di una can­ tante tedesca, ed era ella stessa cantante. Sono cresciuto in un'atmosfera marcata dagli interessi teoretici (anche politici) ed artistici, e soprattutto musicali. Ho studiato filosofia e musica. Invece di decidermi per l'una o per l'altra, per tutta la vita ho avuto la sensazione di perseguire lo stesso scopo in ciascuno di quei due campi divergenti . Nel 1924 mi sono laureato con una tesi di argomento gno­ seologico e nel 1931, con il mio libro su Kierkegaard, ho ottenuto l'abilitazione alla libera docenza a Francoforte dove ho insegnato poi filosofia fino a quando i nazisti non mi cacciarono, nel 1933 . Nel 1934 lasciai la Germania; dapprima lavorai all'Università di Oxford e in un secondo tempo, nel 1938, seguii l'lnstitute of Social Research, che si era installato a N ew York. Vivo a Los Angeles dal 1 941 . La mia relazione con quell'Istituto e la mia amicizia con Horkheimer risalgono ai primi anni dei miei studi universitari e non sono discernibili dal mio indirizzo dialettico di pensiero e dalla mia tendenza verso una prospettiva sociale e storico­ filosofica. A testimonianza del mio legame con Horkheimer indico il volume Dia­ lettica dell'illuminismo, che abbiamo pubblicato insieme, ed il nostro fascicolo commemorativo su Benjamin.

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Ho condotto i miei studi musicali, in composizione e pianoforte, dapprima a Francoforte presso Bernhard Sekles ed Eduard Jung e in seguito a Vienna, presso Alban Berg ed Eduard Steuermann. La mia amicizia con Berg e Steuermann, cosi come quella con Rudolf Kolisch e Anton von Webern è stata decisiva per me dal punto di vista artistico . Dal 1928 al 1931 sono stato redattore della rivista "An­ bruch" di Vienna e mi occupavo della musica moderna radicale.

1903

L'n settembre 1903 Theodor Ludwig Wiesengrund-Adorno nasce a Francoforte sul Meno da Oscar Alexander Wiesengrund, commercian­ te, e da Maria Barbara, nata Calvelli-Adorno della Piana. Il 4 ottobre viene battezzato con rito cattolico nel duomo di Francoforte. Fino al suo undicesimo anno di età Adorno cresce nell'ambiente protetto della sua famiglia all'indirizzo Schone Aussicht n. 7· Solitamente trascorre le vacanze, insieme alla madre e alla zia Agathe Calvelli-Adorno, ad Amor­ bach, una località idilliaca situata nello Odenwald, in Baviera.

1910

Adorno frequenta a Francoforte la scuola elementare Deutschherren e partecipa alle lezioni di catechismo per la cresima.

1913

Adorno passa al ginnasio Kaiser Wilhelm di Francoforte-Sachsenhau-

1914

La famiglia si trasferisce nella Seeheimer StraBe n . 19; il negozio di vini e

1920

Nell'estate Adorno salta un anno al ginnasio Kaiser Wilhelm.

1921

Adorno supera l'esame di maturità (è lo studente migliore dell'anno), fi­

sen. le cantine restano al vecchio indirizzo, Schone Aussicht n. 7·

nisce dunque il liceo a diciassette anni e si iscrive all'Università di Fran­ coforte sul Meno. Contemporaneamente prosegue gli studi di composi­ zione, già iniziati durante il liceo, presso il conservatorio Hoch con Bernhard Sekles e quelli di pianoforte con Eduard Jung. Inizio dell'ami­ cizia con Siegfried Kracauer. 1921-24

Studi di filosofia, psicologia, sociologia e musicologia a Francoforte sul Meno . Segue, tra gli altri, i corsi di Hans Cornelius (filosofia) , Gottfried Salomon-Delatour e Franz Oppenheimer (sociologia) .

1922

A u n seminario Adorno fa l a conoscenza d i Max Horkheimer.

1923

Inizio dell'amicizia e del carteggio con Walter Benjamin. Adorno fa la conoscenza di Gretel Karplus . Pubblica articoli di critica musicale, tra l'altro sulla rivista " Zeitschrift flir Musik" .

1924

In aprile, ad Amorbach, Adorno lavora alla sua tesi di laurea che conse­ gna ad Hans Cornelius, alla Facoltà di Filosofia, in giugno. Titolo della tesi: Die Transzendenz des Dinglichen und Noematischen in Husserls Pha-

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nomenologie (La trascendenza del casale e del noematico nella feno­ menologia di Husserl). All'inizio dell'estate fa la conoscenza del com­ positore Alban Berg in occasione della prima dei Drei Bruchstucke for

Gesang und Orchester aus Wozzeck (Tre frammenti per voce e orchestra tratti dal Wozzeck) a Francoforte. 1925

Nel mese di marzo Adorno si trasferisce a Vienna per studiare composi­ zione con Alban Berg e prendere lezioni di pianoforte da Eduard Steuermann. A Vienna fa la conoscenza, tra gli altri, di Arnold Schon­ berg, Soma Morgenstern e Georg Lukacs. In agosto lascia Vienna e, dopo una vacanza in Italia insieme a Siegfried Kracauer, durante la qua­ le si incontra con Alfred Sohn-Rethel e con Walter Benjamin, fa ritorno a Francoforte nella casa dei genitori. Lì si dedica alle proprie composi­ zioni producendo, tra gli altri, i Zwei Stucke for Streichquartett (Due pezzi per quartetto d'archi), op. 2, che vengono eseguiti a Vienna dal Kolisch-Quartett nel dicembre del 1926. Oltre all'attività di composi­ zione, redige critiche musicali e scrive gli Aforismi musicali.

1926

A Francoforte prosegue i suoi studi di filosofia con Hans Cornelius ed inizia un carteggio con Alban Berg. Soggiorni a Berlino e a Vienna. Re­ dige saggi su Alban Berg, Anton Webern e sulla musica dodecafonica. In agosto trascorre le ferie estive in alta Baviera e in settembre si reca ad Amorbach con la madre e la zia Agathe.

1927

Adorno lavora al progetto di una dissertazione per l'abilitazione alla li­ bera docenza. Contemporaneamente continua a pubblicare numerose critiche musicali. Alla fine di maggio fa visita a Gretel Karplus . In set­ tembre i due intraprendono un viaggio in Italia. Nel mese di novembre Adorno dà in lettura ad Hans Cornelius il manoscritto della sua disser­ tazione, intitolata: Der Begri.ff des Unbewuften in der transzendentalen Seelenlehre (Il concetto di inconscio nella dottrina trascendentale dell'a­ nima) . Su consiglio di Cornelius non consegna la dissertazione.

1928

All'inizio dell'anno Adorno si reca a Berlino, dove rende visita a Gretel Karplus, che nel frattempo è diventata la sua fidanzata, e cerca inutil­ mente di ottenere un posto fisso in qualità di critico musicale. Incontra Ernst Bloch e Bertolt Brecht. Da Francoforte Adorno partecipa all'im­ postazione redazionale della rivista " Musikblatter cles Anbruchs " . In primavera ha inizio il carteggio con il compositore Ernst Krenek, al cen­ tro del quale si trova soprattutto la tecnica dodecafonica. Verso la metà dell'anno Adorno sceglie " Kierkegaard" come tema di una nuova disser­ tazione per ottenere l'abilitazione; intende mettere in luce i contenuti teoretico-estetici della filosofia di Kierkegaard. A Berlino i Sechs kurzen

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Orchesterstucken (Sei brevi composizioni per orchestra) , op. 4 di Adorno vengono eseguiti con la direzione di Walter Herbert. Adorno completa il Liederzyklus (ciclo di Lieder) , op. 1, che dedica ad Alban Berg. In set­ tembre parte nuovamente per l'Italia insieme a Gretel, facendo tappa, tra le altre città, anche a Capri. 1929

Nascono conflitti a proposito della collaborazione di Adorno alla rivista "Anbruch " . Prima, a Berlino, del Liederzyklus, op. 1 di Adorno. Adorno torna nuovamente a fare domanda per un posto di critico musicale. Paul Tillich, che da poco tempo è ordinario di filosofia, acconsente a se­ guire il lavoro di abilitazione presso la Facoltà di Filosofia dell'Universi­ tà di Francoforte.

1930

A partire dalla primavera Adorno lavora con grande intensità alla sua (seconda) dissertazione per l'abilitazione. All'inizio di agosto ha un esaurimento nervoso; per riprendersi si reca sulle Dolomiti e in Engadi­ na. Insieme a Carl Dreyfus redige brani surrealisti che vengono in parte pubblicati sulla " Frankfurter Zeitung" nel novembre del 193 1 . In otto­ bre termina il manoscritto dello studio su Kierkegaard. Fa la conoscenza dell'attrice Marianne Hoppe.

1931

In gennaio Paul Tillich accetta l'abilitazione di Adorno, che riceve un giudizio positivo sia da lui, sia da Max Horkheimer, il secondo relatore. Nel febbraio del 1931 Adorno riceve l'abilitazione alla libera docenza nella disciplina " filosofia" all'Università di Francoforte e viene nomina­ to libero docente in filosofia. In maggio Adorno tiene la sua prolusione, dal titolo: L 'attualità della filosofia. Si incontra con Alban Berg a Fran­ coforte. In agosto trascorre le vacanze estive a Berchtesgaden e Salisbur­ go. A partire dal semestre invernale Adorno tiene seminari di estetica al­ l'Università di Francoforte.

1932

In luglio, su invito della Società kantiana di Francoforte, Adorno tiene la conferenza: L 'idea di storia naturale. Sulla " Zeitschrift fi.ir Sozialfor­ schung" esce il saggio di Adorno Zur gesellschaftlichen Lage der Musik (Sulla condizione sociale della musica) . In novembre inizia a lavorare al libretto di una nuova composizione che progetta di scrivere, l'opera Der

Schatz des lndianer-]oe (Il tesoro di joe l'indiano), che concluderà nel 1933· 1933

Pubblicazione della dissertazione di abilitazione con il titolo Die Kon-

struktion des Asthetischen bei Kierkegaard (La costruzione dell'estetico in Kierkegaard) presso l'editore J. C. B. Mohr (Paul Siebeck) nella collana " Beitrage zur Philosophie und ihrer Geschichte " . Alla salita al potere dei nazionalsocialisti Adorno si trova a Berlino; prende in considerazio-

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ne di far riconoscere la propria abilitazione a Vienna. Pubblica articoli sulla " Europaische Revue ,, la " Frankfurter Zeitung, e la "Vossische Zeitung,. Lo "Jtidischer Kulturbund, nega ad Adorno la possibilità di una collaborazione. Vacanze estive con Gretel Karplus a Binz (sul mar Baltico ) . In settembre Adorno viene privato dai nazionalsocialisti del di­ ritto di insegnamento. Perquisizione nella casa della Seeheimer StraBe. In novembre/dicembre Adorno si rivolge all'Academic Assistance Council (AAc), per ottenere assistenza e poter essere accettato presso un'università inglese. 1934

In aprile Adorno si reca a Londra dove l'AAc gli procura un contatto con Oxford. In giugno si iscrive ufficialmente al Merton College come ad­

vanced student alla Facoltà di Filosofia ed inizia a lavorare a un volume sulla fenomenologia di Husserl. Il suo dissertation proposa! viene accetta­ to dal Board of the Faculty of Literae Humaniores. Contemporanea­ mente lavora a una critica della sociologia della conoscenza di Karl Mannheim. In ottobre Max Horkheimer, dall'esilio a New York, ri­ prende i contatti con Adorno rammaricandosi per la lunga interruzione dei rapporti con l'Istituto. 193 5

A Oxford Adorno lavora a un volume di aforismi e redige, oltre a saggi filosofici, articoli per le riviste musicali viennesi " 23 , e " Der Auftakt , . In giugno Adorno fa ritorno a Francoforte a casa dei genitori, perché lo stato di salute della zia Agathe è molto compromesso; la zia muore il 26 giugno 193 5 . Per riprendersi da questa perdita Adorno, la fidanzata Gre­ tel Karplus e la madre di Adorno si recano a Hornberg, nella Foresta Nera. In dicembre Adorno incontra Horkheimer a Parigi e ad Amster­ dam . Tramite Ernst Krenek, alla fine di dicembre, viene a sapere della tragica morte di Alban Berg.

1936

Pubblica il saggio Ober jazz (Sul jazz) sulla " Zeitschrift fiir Sozialfor­ schung, con lo pseudonimo Hektor Rottweiler. Collabora a una mono­ grafia su Alban Berg curata da Willi Reich. Horkheimer comunica ad Adorno che lo nominerà membro permanente dell'Institute of Social Research di N ew York, non appena avrà ottenuto il dottorato inglese. Inizio del carteggio con Alfred Sohn-Rethel. In novembre Adorno in­ contra Benj amin e Kracauer a Parigi .

1937

Su incarico dell'Istituto Adorno si reca a Parigi, proseguendo poi per Francoforte (visita ai genitori ) e per Berlino (visita a Gretel Karplus ). Con Gretel parte per un viaggio in F ranconia. Ottiene un permesso di soggiorno illimitato in Inghilterra e il suo passaporto tedesco viene rin­ novato per cinque anni. Su invito di Horkheimer, il 9 giugno si reca per

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due settimane a New York. In agosto torna a incontrarsi con Benjamin, Sohn-Rethel e Kracauer a Parigi, dove partecipa a due congressi di filo­ sofia. Esce a Vienna il volume su Berg curato da Willi Reich contenente otto contributi di Adorno. In agosto arriva a Londra Gretel Karplus. I due si sposano 1'8 settembre nell'Ufficio di stato civile del distretto di Paddington; i testimoni sono Max Horkheimer e l'economista inglese Redvers Opie. In ottobre Horkheimer comunica ad Adorno per lettera che negli USA potrà collaborare a un progetto di ricerca sulla radio. Adorno e sua moglie si preparano ad espatriare negli Stati Uniti. A metà dicembre trascorrono un periodo di vacanza sulla Riviera ligure dove si incontrano con Benjamin. A Bruxelles prendono congedo dai genitori. 1938

Adorno e Gretel si trasferiscono a New York, dove Adorno ha ottenuto un posto nel Radio Research Project, che è diretto dal sociologo di origi­ ne viennese Paul Lazarsfeld. Adorno diviene inoltre collaboratore uffi­ ciale dell'Institute of Social Research. Lui e la moglie si stabiliscono in un appartamento a Riverside Drive. Viene pubblicato sulla "Zeitschrift fi.ir Sozialforschung" il primo saggio scritto da Adorno negli Stati Uniti,

Il carattere di feticcio in musica e il regresso dell'ascolto. 1939

I genitori di Adorno emigrano negli USA facendo tappa a Cuba. Adorno e Lazarsfeld hanno idee differenti sul lavoro di ricerca che devono con­ durre insieme. In maggio Adorno tiene una conferenza su Husserl and

the Problem of Idealism al " Philosophy Departement" della Columbia University, il cui testo sarà in seguito pubblicato su "The Journal of Philosophy"; esce sulla " Zeitschrift fi.ir Sozialforschung" il saggio di Adorno Fragmente uber Wagner (Frammenti su Wagner) . Scade il pe­ riodo di sostegno finanziario alla parte musicale del progetto di ricerca sulla radio. Colloqui e discussioni tra Horkheimer e Adorno che costi­ tuiscono la base per il libro che progettano di scrivere insieme sulla " lo­ gica dialettica" . In luglio/agosto vacanze all'hotel " De Gregoire ", a Bar Harbor nel Maine. 1940

Dopo l'esperienza negativa avuta con il Radio Research Project Horkhei­ mer promette ad Adorno un posto a tempo pieno come collaboratore dell'Istituto; dovrà, tra le altre cose, occuparsi della " Zeitschrift fiir So­ zialforschung" dal punto di vista redazionale. Oltre a ciò, Adorno lavora a un progetto sull'antisemitismo e a un abbozzo per uno studio sui Cul­

tura! Aspects ofNational Socialism. In settembre Walter Benj amin si to­ glie la vita mentre tenta di sfuggire ai nazisti; la notizia turba profonda­ mente Adorno e Gretel. l1 18 ottobre Adorno pubblica sullo "Aufbau " il

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necrologio Zu Benjamins Gedachtnis (In ricordo di Benjamin). Vacanze nuovamente a Bar Harbor, all'hotel " De Gregoire " . 1941

Adorno lavora alla Filosofia della musica moderna. Lui e la moglie pro­ gettano di trasferirsi a Los Angeles in modo che Adorno e Horkheimer, che già risiede in California, possano continuare a lavorare insieme al volume sulla " logica dialettica " . Adorno pubblica i saggi On Popular Music e The Radio Symphony. In agosto, per l'ultima volta ferie a Bar Harbor, in novembre trasloco a Los Angeles; a partire da dicembre prendono in affitto una casa sulla Kenter Avenue, Brentwood Hights . Gli Adorno si comprano un'automobile che viene battezzata " Bald­ chen " .

1942

All'inizio dell'anno Horkheimer e Adorno cominciano a lavorare inten­ sivamente alla scrittura del libro comune che intitoleranno Dialettica

dell'illuminismo. Collaborazione tra Adorno e Hanns Eisler per portare a termine un progetto sulla musica per film. Adorno pubblica sullo "Aufbau" un appello per una sottoscrizione " in favore di Ernst Bloch "; sempre sullo "Aufbau" esce Triiume in Amerika. Drei Protokolle (Sogni in America. Tre protocolli) . Numerosi contatti con emigranti famosi e personalità della Hollywood Society come Berthold e Salka Viertel, Wil­ liam e Charlotte Dieterle, Max Reinhardt, Alexander Granach, Fritz Lang e Lilly Latté. Adorno fa la conoscenza di Renée Nell, con la quale in seguito avrà un'infelice relazione sentimentale. 1943

Adorno e sua moglie ottengono il " Certificate of N aturalization ". Adorno esegue analisi contenutistiche di discorsi di agitatori antisemiti. Ini­ zio della consulenza filosofico-musicale per Thomas Mann in relazione al suo romanzo Doktor Faustus. Regolari contatti epistolari con i genito­ ri; in luglio si reca a far loro visita a New York. Collaborazione con il Berkeley Public Opinion Study Group, insieme al quale Adorno conce­ pisce il Project o n the Nature and Extent ofAntisemitism dal quale nascerà

The Authoritarian Personality. Fa la conoscenza dell'attrice cinematogra­ fica Luli Deste (contessa Goerz, nata baronessa Bodenhausen) . 1944

Adorno investe molto del suo tempo nel volume Komposition for den

Film (La musica per film), che scrive insieme ad Hanns Eisler. I Fram­ menti filosofici scritti insieme a Horkheimer escono in forma di dattilo­ scritto ciclostilato con una dedica a Fritz Pollock per il suo cinquantesi­ mo compleanno. L'American Jewish Committee (AJC) accorda un fi­ nanziamento per il Research-Project of Anti-Semitism. Relazione con Charlotte Alexander.

T H E O D O R W. ADO RNO

1945

In febbraio Adorno consegna a Max Horkheimer, per il suo cinquante­ simo compleanno, la prima parte di quello che in seguito diventerà il volume Minima Moralia. In agosto festeggia insieme a Thomas Mann, Hanns Eisler e alcuni membri dell'Istituto un Victory-Party. Escono sul­ la " Kenyon Review" A Social Critique ofRadio Music e Theses Upon Art

and Religion Today. 1946

L'8 luglio il padre di Adorno muore in seguito ad un colpo apoplettico; per ragioni di salute Adorno è impossibilitato a recarsi a New York per i suoi funerali. Leo Lowenthal tiene un'orazione funebre. In settembre Adorno fa visita alla madre a New York. Adorno ha l'ulcera gastrica, problemi al cuore e deve subire un'operazione alle tonsille.

1947

La Dialettica dell'illuminismo viene pubblicata ad Amsterdam dall'edito­ re Querido. Adorno lavora alla conclusione dello studio The Authorita­

rian Personality. Hanns Eisler pubblica con il proprio nome il volume Composingfor the Films, uno studio che Adorno e Eisler avevano esegui­ to insieme tre anni prima. In agosto/settembre vacanze a Tahoma Lake Tahoe, alla "Tahoe Cedars Lodge " . Adorno riceve la notizia dal suo edi­ tore tedesco, Siebeck, che il suo libro su Kierkegaard è ancora disponibi­ le e che le vendite erano continuate anche durante il Terzo Reich; Ador­ no propone per la pubblicazione la Filosofia della musica moderna. 1948

Adorno lavora come musicologo al College La Habra e tiene delle lezioni all'Istituto di psicoanalisi di Los Angeles. Thomas Mann rende omaggio nel suo scritto Die Entstehung des Doktor Faustus (Romanzo di un roman­ zo) alla collaborazione fornitagli da Adorno per il romanzo Doktor Fau­

1949

stus. Adorno conclude due ulteriori parti del suo volume di aforismi. Filosofia della musica moderna. Adorno lavora, sotto pressione, all'ultima revisione della versione a stampa di The Authoritarian Personality. Verso la fine dell'anno fa ritorno per la prima volta dopo quindici anni in Ger­ mania per insegnare all'università di Francoforte come supplente di Max Horkheimer. Passando per Parigi, arriva a Francoforte in ottobre per adempiere ai propri impegni di insegnamento con il grado di p ro­ fessore associato. Hans-Georg Gadamer, che è disposto ad accettare una nomina ad Heidelberg, desidera che il suo successore per la cattedra sia Adorno. Adorno ha un carteggio con Helene Berg in proposito all'or­ chestrazione delle parti mancanti della Lulu. Esce sulla " Neue Rund­ schau" un necrologio per Hermann Grab. Adorno deplora, tramite let­ tere e prese di posizione pubbliche, il carattere apparente della democra­ zia tedesca; loda invece le accese discussioni che avvengono durante i se­ minari dell'università di Francoforte.

668

C RO N O LO G IA

1950

Escono a New York gli Studies in Prejudice i quali comprendono anche

The Authoritarian Personality. Adorno partecipa ai Darmstiidter Gemein­ destudien (Studi comunali su Darmstadt) e ai lavori preparatori per uno studio sul rapporto dei tedeschi con il loro passato (Esperimento di gruppo). Insieme ad Horkheimer Adorno si dà estremamente da fare per ricostruire l'Istituto per la ricerca sociale a Francoforte. Sulla rivista " Frankfurter Hefte" esce Auferstehung der Kultur in Deutschland? (Re­ surrezione della cultura in Germania ?); Adorno cura l'edizione del volu­ me di Walter Benjamin Berliner Kindheit um Neunzehnhundert (Infan­ zia berlinese) . Partecipa in qualità di docente ai corsi estivi internaziona­ li di musica moderna a Kranichstein vicino a Darmstadt. In ottobre tra­ scorre le ferie ad Amorbach. I nizio dell'amicizia con Jutta Burger e con la scrittrice Marie Luise Kaschnitz. 1951

Escono i Minima Moralia presso l'editore Suhrkamp. Adorno riceve da Stefan Benj amin un mandato per la pubblicazione degli scritti del pa­ dre. In ottobre Adorno si reca per un breve periodo a Beverly Hills, Ca­ lifornia, per partecipare all'inaugurazione della Psychiatric Foundation diretta da Frederick Hacker. Appena fatto ritorno in Germania, in di­ cembre, a Weinheim, in occasione del primo congresso tedesco di de­ moscopia, tiene una conferenza introduttiva dal titolo Zur gegenwiirti­ gen Stellung der empirischen Sozialforschung in Deutschland (Sullo stato attuale della ricerca sociale empirica in Germania) . Sulla rivista " Mer­ kur" esce il saggio Bach difeso contro i suoi ammiratori.

1952

Wagner. Il 23 febbraio muore a New York la madre di Adorno; Adorno non partecipa ai funerali per via di inderogabili impegni di lavoro a Franco forte. Esce sulla rivista " Psyche" il saggio Zum Verhiiltnis von Psychoanalyse und Gesellschaftstheorie (Sulla relazione tra psicoanalisi e teoria della società). A partire dal mese di ottobre lavora negli Stati Uni­ ti in qualità di Research Director della Hacker Foundation e si occupa di studi analitici dei contenuti concernenti gli oroscopi pubblicati sui giornali e le serie televisive.

1953

Dopo una serie di discussioni estremamente conflittuali con Hacker si di­ mette dal posto di direttore di ricerca e fa ritorno in Germania nel mese di agosto. Reazioni per la maggior parte positive ai Minima Moralia. Adorno viene nominato professore associato di ruolo in Filosofia e Socio­ logia all'università di Francoforte. Pubblica numerosi saggi, quali, per esempio: Appunti su Kafka, Fernsehen als Ideologie (Televisione come ideologia), Moda senza tempo e Suljazz. Alla fine dell'anno si incontra con Arnold Gehlen e resta in regolare contatto epistolare con lui.

T H E O D O R W. ADO RNO

19 54

In qualità di vicedirettore dell'Istituto per la ricerca sociale Adorno de­ tiene sempre più la responsabilità principale per i progetti di ricerca in corso e coltiva contatti frequenti con i principali sociologi tedeschi . In luglio è docente insieme a Eduard Steuermann e Rudolf Kolisch nel quadro dei corsi estivi internazionali di musica moderna a Kranichstein vicino a Darmstadt. In agosto trascorre le ferie a Locarno. Tiene una re­ lazione sul concetto di "ideologia" al x n Congresso dei sociologi tede­ schi ad Heidelberg. Adorno riceve la medaglia Arnold Schonberg. Sulla " Kolner Zeitschrift fi.ir Soziologie und Sozialpsychologie " esce il saggio

19 55

Beitrag zur Ideologielehre (Contributo alla dottrina dell'ideologia); sulla rivista letteraria "Akzente" esce invece Form und Inhalt des zeitgenossi­ schen Romans (Forma e contenuto del romanzo contemporaneo) . Esce Prismi. Saggi sulla critica della cultura. Alla scadenza della validità del passaporto americano Adorno riprende la nazionalità tedesca che aveva perduto nel 1938 trasferendosi negli USA. Lo studio Gruppenexpe­

riment (Sperimentazione sui gruppi) e lo studio Betriebsklima (Clima aziendale) escono nella collana di volumi dell'Istituto per la ricerca so­ ciale di cui Adorno è co-curatore. L'omaggio biografico di Adorno ad Horkheimer in occasione del suo sessantesimo compleanno viene pub­ blicato il 12 febbraio sulla " Frankfurter Allgemeinen Zeitung". Nel qua­ dro dei Darmstiidter Gespriiche (Colloqui di Darmstadt) Adorno tiene una relazione su Theater Oper Burgertum (Teatro, opera, borghesia) . Adorno cura, insieme alla moglie e con la collaborazione di F riedrich Podszus, l'edizione in due volumi degli Scritti di Benjamin. In primave­ ra Adorno e la moglie intraprendono un viaggio in automobile nel Sud della Germania. In seguito, soggiornano in Italia. In luglio/agosto tra­ scorrono le vacanze all'hotel "Waldhaus " a Sils Maria, dove Adorno ap­ prende la morte di Thomas Mann. Incontro con Alfred Andersch ed inizio di un carteggio. 1956

Escono: Dissonanze e Sulla metacritica della gnoseologia: Studi su Husserl

e sulle antinomie fenomenologiche. I n aprile Adorno incontra a Vienna Helene Berg. Esce, sulla rivista "T exte un d Zeichen ,, il saggio La ferita Heine. Dopo aver tenuto alcune lezioni nel quadro dei corsi estivi di Darmstadt, Adorno e sua moglie trascorrono le vacanze a Sils Maria. Alla fine dell'anno, dopo molto tempo Adorno e Kracauer si rivedono a Francoforte; vivaci scambi con Gershom Scholem . 19 57

Aspekte der Hegelschen Philosophie (Aspetti della filosofia hegeliana) . Adorno viene nominato professore ordinario in Filosofia. Esce, sullo "J ahrbuch fi.ir Amerikastudien ", il saggio The Stars Down to Earth: The

C RO N O LO G IA

Los Angeles Times Astrology Column (Stelle su misura. L'astrologia nella società contemporanea); e su "Akzente" la Rede uber Lyrik und Gesell­ schaft (Discorso su lirica e società, in Note per la letteratura) . Polemica con Peter Hofstatter sullo studio Gruppenexperiment. Dopo quattordici anni rivede Soma Morgenstern, Marianne Hoppe e Cari Dreyfus . Va­ canze di Pentecoste a Vienna, vacanze estive a Sils Maria; in ottobre a Berlino, nuovo incontro con Marianne Hoppe. 1958

Esce il primo volume di Note per la letteratura. Adorno diventa direttore dell'Istituto per la ricerca sociale. Durante un giro di conferenze a Vien­ na, in primavera, vede per la prima volta Finale di partita di Samuel Beckett, autore che conoscerà in seguito personalmente a Parigi . Su in­ vito della Faculté des Lettres et Sciences Humaines in novembre Ador­ no tiene tre conferenze a Parigi. Pubblica sulla " Frankfurter Allgemeine Zeitung", !m ]eu de Paume gekritzelt (Appunti al]eu de Pau me, in Parva

aesthetica: saggi 1958-1967) . Fa la conoscenza di Carla Henius. Adorno soffre continuativamente di insonnia. In aprile si reca con Gretel in Borgogna, a Pasqua a Vienna e per le vacanze estive a Sils Maria. 1959

Klangfiguren. Musikalische Schriften I (Figure sonore. Scritti musicali 1 ) . Adorno riceve i l premio della critica berlinese e d il premio della critica tedesca per la letteratura. Al XIV Congresso dei sociologi tedeschi a Ber­ lino Adorno tiene la conferenza Teoria della semicultura. In ottobre Adorno tiene una relazione sulla "musica moderna" nel quadro dei Do­

cumenta di Kassel; e al Baden-Badener Kunstgespriich (Colloquio sull'arte a Baden-Baden) tiene una conferenza sull'arte moderna. In autunno, davanti alla commissione per la collaborazione ebraico-cristiana, tiene una conferenza sul tema: Was bedeutet: Auforbeitung der Vergangenheit? (Che cosa significa rielaborazione del passato ? ) . Lo Hessischer Rundfunk trasmette le tesi di Adorno su La democratizzazione delle università tede­

sche. Sulla " Frankfurter Allgemeine Zeitung" esce, il 9 aprile, Dank an Peter Suhrkamp (Ringraziamento a Peter Suhrkamp). Conferenza in occasione delle Hessischen Hochschulwochen for staatswissenschaftliche Fortbildung (Settimane universitarie dell'Assia per il perfezionamento in scienze dello Stato). In estate nuovamente a Sils Maria all'hotel " Wald­ haus " . L'incontro con Paul Celan in Engadina promosso dallo studioso di letteratura Peter Szondi non ha luogo. I ncontra lngeborg Bachmann in occasione della serie di conferenze tenuta dalla scrittrice nel quadro di una cattedra di Poetica all'Università di Francoforte. 1960

Mahler. Eine musikalische Physiognomik (Mahler, in Wagner; Mahler: due studi) . In occasione del centenario della nascita di Gustav Mahler

T H E O D O R W. ADO RNO

Adorno tiene a Vienna un discorso commemorativo. Contatti epistolari e personali con Paul Celan. Esce, sulla rivista " Neue Deutsche Hefte ", l'articolo Grojte Blochmusik (Grande risonanza di Bloch). In aprile trascorre 2 settimane al " Brenner's Parkhotel" di Baden-Baden, dove ri­ ceve una visita di Alexander Mitscherlich: si discute della relazione del­ l'Istituto per la ricerca sociale con il futuro Istituto Sigmund Freud. N uova conferenza alle Hessischen Hochschulwochen a Bad Homburg

(Cultura e amministrazione) . In estate Adorno e la moglie sono nuova­ mente a Sils Maria, hotel "Waldhaus ". 1961

Note per la letteratura, volume II. In marzo Adorno tiene tre conferenze a Parigi, al Collège de France; e quindi tiene un ciclo di conferenze in Ita­ lia (Roma, Palermo, Perugia ecc. ) . In estate, con la sua conferenza Vers une musique informe/le ai corsi estivi internazionali di musica moderna, Adorno si batte a favore del rinnovamento del progetto di una libera musica atonale. Il dibattito tra Adorno e Karl R. Popper sulla " logica delle scienze sociali " scatena il cosiddetto " Positivismusstreit". In una serata organizzata dall'editore Suhrkamp Adorno tiene la conferenza:

1962

Tentativo di capire il Finale di partita. Introduzione alla sociologia della musica. In gennaio ha luogo un collo­ quio alla radio tra Adorno e Elias Canetti; in marzo Adorno tiene la con­ ferenza di apertura per l'esposizione su Thomas M an n; in ottobre tiene una relazione dal titolo Progresso al VI congresso di filosofia a Mlinster. Vacanze in aprile a Baden-Baden, e in estate a Sils Maria, dove incontra, tra l'altro, Hermann H esse con la moglie. A Franco forte incontro con Kracauer e Dreyfus . Inizio dell'amicizia con Alexander Kluge.

1963

Tre studi su Hegel,· Eingrijfe. Neun kritische Modelle (Interventi. Nove modelli critici); Quasi una fantasia. Presso le edizioni Deutscher Ta­ schenbuchverlag esce, con una grossa tiratura, il volume Prismen. Kul­

turkritik und Gesellschaft (Prismi ) . Adorno viene eletto presidente della Società tedesca di sociologia. Per il suo sessantesimo compleanno Ador­ no riceve la medaglia Goethe della città di Francoforte sul Meno. In giugno è nuovamente a Vienna dove tiene una conferenza sul museo nel xx secolo in occasione del VI Forum europeo; a Berlino tiene conferen­

ze su Holderlin. Vacanze in aprile a Baden-Baden, in estate a Sils Maria e in ottobre in Toscana. 1964

Moments musicaux; Il gergo dell'autenticità. In qualità di presidente della Società tedesca di sociologia Adorno organizza ed apre il xv Congresso dei sociologi tedeschi ad Heidelberg, il cui tema è Max Weber e la sociolo­ gia oggi. Con soddisfazione di Adorno, Jlirgen Habermas viene nominato

C RO N O LO G IA

professore di filosofia e sociologia come successore di Max Horkheimer. In maggio Adorno si incontra con Ernst Bloch per una discussione radio­ fonica sul tema Etwas fehlt.. . Uber die Widerspritche der utopischen Sehn­

sucht (Qualcosa manca. . . Sulle contraddizioni del desiderio utopico) . In ottobre Adorno tiene la conferenza principale nel quadro del Congresso su Hegel che ha luogo a Salisburgo. In una delle serate di conferenze or­ ganizzate dall'editore Suhrkamp Adorno legge alcune parti da !!gergo del­

l'autenticità. Sulla " Si.iddeutschen Zeitung" Adorno scrive una recensio­ ne dal titolo Beethoven. !m Geist der Moderne (Beethoven. Nello spirito della modernità) di " una registrazione integrale delle nove sinfonie per la direzione di René Leibowitz"; sullo stesso quotidiano esce anche il necro­ 1965

logio La morte di Eduard Steuermann. Vacanze estive a Sils Maria. Note per la letteratura, volume III. In febbraio tra Arnold Gehlen e Ador­ no ha luogo una discussione polemica alla radio sul tema Ist die Soziolo­ gie eine Wissenschaft vom Menschen ? (La sociologia è una scienza dell'uo­ mo ?). Gli auguri di Adorno per il settantesimo compleanno di Horkhei­ mer escono in forma di lettera aperta sul settimanale " Die Zeit" . Ador­ no rende visita ad Horkheimer nella sua casa in Svizzera, a Montagnola. In marzo Adorno tiene alcune conferenze a Parigi e torna a incontrare, in quell'occasione, Samuel Beckett. Conferenza a Berlino sul concetto di " società " . Vacanze a Baden-Baden e Sils Maria. Soffre sovente di mal di testa e disturbi alla gola.

1966

Dialettica negativa. Cura, insieme a Gershom Scholem, l'edizione delle lettere di Benjamin in due volumi. A Bruxelles, in marzo, tiene alcune lezioni sulla sociologia della musica. In primavera partecipa a una tavola rotonda dal titolo Stagione- oder Ensemble-Oper (L'Opera come stagione operistica o come ensemble musicale e teatrale) al Palais Palffy, a Vien­ na. Numerosi impegni in qualità di presidente della Società tedesca di sociologia. Sulla " Si.iddeutsche Zeitung" escono gli articoli Amorbach e Da Sils Maria. Adorno esprime giudizi scettici sulla grande coalizione di governo tra la S P D e la cnu/csu. Trascorre per l'ultima volta le vacanze estive al "Waldhaus " di Sils Maria; in ottobre fa un viaggio in Italia; si reca, tra l'altro, a Roma, Napoli e Palermo.

1967

Ohne Leitbild (Senza modello, trad. it. Parva aesthetica: saggi 1958-1967) . Parva Aesthetica. Discussioni con Rolf Hochhuth. Esce la seconda edizio­ ne di Dialettica negativa. All'Accademia delle Arti di Berlino Adorno tie­ ne le conferenze Uber einige Relationen zwischen Musik und Malerei (Su alcune relazioni tra la musica e la pittura) e L 'arte e le arti. Per il settantesi­ mo compleanno di Scholem esce, a dicembre sulla "Neue Zi.ircher Zei-

T H E O D O R W. ADO RNO

tung,, l'omaggio: Gruf an Gershom Scholem (Saluto a Gershom Scho­ lem). In aprile Adorno è nuovamente a Vienna dove tiene una serie di conferenze su temi di attualità quali, per esempio, "estremismo di de­ stra,, " tabù sessuali e conflitti sociali , . In luglio una conferenza di Ador­ no alla Libera università di Berlino viene disturbata per la prima volta da gruppi del Movimento studentesco. Vacanze estive a Crans, in Svizzera. 1968

Alban Berg: il maestro del minimo passaggio; RudolfBorchard· Ausgewahlte Gedichte (Rudolf Borchard: Poesie scelte). Con una introduzione di Theodor W. Adorno. L'Introduzione alla sociologia della musica esce nella collana " rowohlts deutsche enzyklopadie, con una tiratura di 18 .ooo co­ pie. Contrasti crescenti con gli studenti che diventano sempre più estre­ mi. In gennaio tiene una conferenza sull'estetica e torna ad incontrarsi con Beckett. In febbraio partecipa a Colonia a una discussione televisiva sull'opera di Beckett; in seguito tiene una conferenza a Zurigo sul poeta RudolfBorchardt e cura l'edizione di una scelta di sue poesie (Ausgewahl­

te Gedichte) per la collana " Bibliothek Suhrkamp ,. Partecipa a una mani­ festazione, anch'essa trasmessa in televisione, organizzata dal comitato d'azione Demokratie i m N otstand. In novembre conferenze a Vi enna e a Graz. In primavera vacanze a Baden-Baden e in estate a Zermatt. 1969

Kritische Modelle 2. Der Positivismusstreit in der deutschen Soziologie (Dia­ lettica e positivismo in sociologia: dieci interventi nella discussione). Escono, presso l'editore S. Fischer, una nuova edizione della Dialettica

dell'illuminismo e, nella collana " Rowohlts deutsche enzyklopadie,, i Nervenpunkte der Neuen Musik (Punti nevralgici della musica moderna) . Nella prima metà di aprile Adorno si prende qualche giorno di riposo al " Brenner's Parkhotel , di Baden-Baden. Adorno lavora con tutte le sue forze al volume Teoria estetica. In gennaio fa sgomberare dalla polizia l'I­ stituto per la ricerca sociale che era stato occupato da una parte del Movi­ mento studentesco, e in aprile le sue lezioni vengono interrotte con vio­ lenza dagli studenti. Conferenza alla radio Freies Berlin sul tema "rasse­ gnazione, . Discussioni con Herbert Marcuse sull'atteggiamento da tene­ re nei confronti delle azioni intentate dal Movimento studentesco. Ap­ punti sulla relazione tra teoria e prassi. Il 6 agosto, durante una vacanza a Zermatt, Adorno muore all'ospedale di Visp in seguito ad un infarto. 1970

Esce postumo il volume Teoria estetica a cura di Gretel Adorno e di Rolf Tiedemann . Viene pubblicato inoltre Erziehung zur Mundigkeit. Vor­

triige und Gesprache mit Helmut Becker 1959-1969 (Educazione alla re­ sponsabilità. Conferenze e colloqui con Helmut Becker 1959-1969 ) .

Lezioni universitarie e sen1inari tenuti da Adorno Conformemente all'elenco dei corsi e al calendario delle lezioni dell' Università Johann Wolfgang Goethe di Francoforte sul Meno

Abbreviazioni:

F

=

Filosofia

SF

=

Seminario filosofico

S

=

Sociologia

SS

=

Seminario sociologico

Semestre invernale 1931-32 F

Corso: Problemi di estetica, Me, Ve 1 0-11

F

Esercitazioni di gnoseologia, Ve 11-13

F

Seminario propedeutico: lettura di brani scelti tratti dalla Filosofia della storia di Hegel, Me 11-13

Semestre estivo 1932 F F

Corso: Kierkegaard, Me, Ve 10-11 Seminario introduttivo: Lessing, Die Erziehung des Menschengeschlechts (Til­ lich e Wiesengrund) , Me 11-13 Storia dell'arte/musicologia: Lettura critica di Hanslick, Vom musikalisch Scho­

nen (Bauer e Wiesengrund) , Ve 1 1-1 2 Semestre invernale 1932-33 F F

Corso : Bacone e Cartesio, Me, Ve 10-11 Seminario propedeutico: Simmel, Hauptprobleme der Philosophie (Tillich e Wiesengrund), Me 11-13

Semestre estivo 1951 F

Corso : Problemi della gnoseologia contemporanea (Husserl), Ma, Gio 16-17

SF Seminario : Lettura di Hegel, 2 ore, su appuntamento (con Horkheimer)

T H E O D O R W. ADO RNO

Semestre invernale 1951-52 F

Corso: Henri Bergson, Gio 16-17 (in realtà: Il concetto di filosofia)

F

Esercitazione giovedì dopo la lezione, Ma 16-17

SF Seminario: Kant, Critica del giudizio, 2 ore, su appuntamento (con Horkhei­ mer) Semestre estivo 1952 F

Corso : Storia della filosofia politica (profilo), Ma, Gio 1 6-17

SF Seminario : Brani scelti da Hegel, Filosofia del diritto, 2 ore, su appuntamento (con Horkheimer) SF Esercitazioni di estetica, Problemi di musica moderna, 2 ore, su appuntamento Semestre invernale 1952-53 e Semestre estivo 1953 Sospensione dell'attività d'insegnamento per un soggiorno di ricerca negli Stati Uniti Semestre invernale 1953-54 F

Corso : Il problema dell'Idealismo, Ma, Gio 16-17

SF Lettura di H egei, Gio 18-20 (con Horkheimer) SF Esercitazioni di filosofia per principianti (Testo: Bergson, Introduzione alla

metafisica) , 2 ore, su appuntamento Semestre estivo 1954 F

Corso : Il problema dell'Idealismo 1 1 ; introduzione a Kant, Critica della ragion

pura, Ma, Gio 16-17 SF Seminario: Gli scritti scientifico-teoretici di Max Weber, Gio 18-20 (con Hor­ kheimer) SF Discussione di grandi opere, 2 ore, bimensile, su appuntamento (con Hor­ kheimer) Semestre invernale 1954-55 F

Corso : Introduzione a Kant, Critica della ragion pratica, Ma, Gio 16-17

SF Seminario principale, Gio 18-20 (con Horkheimer) SF Discussione di grandi opere, 2 ore, su appuntamento (con Horkheimer)

LEZ I O N I UNIVERS ITA R I E E S EM I NARI

S

Esercitazione: metodi di ricerca nelle scienze sociali, Lu 17-19

S

Esercitazione pratica: scienze sociali (studenti avanzati ), Me 15-18 e una volta mezza giornata su appuntamento

Semestre estivo 1955 F

Corso: Kant, Logica trascendentale, Ma, Gio 16-17

SF Seminario principale, Gio 18-20 S

Esercitazione: analisi di fenomeni dinamici, a gruppi, 2 ore, su appuntamento

S

Esercitazione: metodi di inchiesta 1 1 , 2 ore, su appuntamento

S

Colloquio: questioni di critica della conoscenza nella ricerca sociale empirica, 2 ore, su appuntamento, bimensile (numero limitato di partecipanti)

Semestre invernale 1955-56 F

Corso: Problemi di estetica, Ma, Gio 1 6-17

SF Seminario principale: La dottrina delle idee di Platone, Gio 18-20 S

Seminario principale: Testi americani sulla teoria della società (si presume co­ noscenza della lingua inglese), Ma 17-19

S

Esercitazione sulle moderne analisi di sociologia industriale, Lu 16-17

S

Esercitazione sulla dottrina della struttura sociale, Ma 10-12

Semestre invernale 1956-57 F

Corso: Problemi di filosofia morale, Ma, Gio 16-17

SF Seminario principale: Dialettica dell'illuminismo, Gio 18-20 (con Horkhei­ mer) S

Seminario principale: Il concetto di ideologia, Ma 17-19

Semestre estivo 1957 F

Corso: Introduzione alla filosofia della storia, Ma, Gio 16-17

SF Seminario principale, Gio 18-20 (con Horkheimer) S

Seminario principale: Ideologie contemporanee, Ma 17-19

Semestre invernale 19 57-58 F

Corso: Gnoseologia, Ma, Gio 16-17

SF Seminario principale, Gio 18-20 (con Horkheimer) S

Seminario principale: Economia e società, Ma 17-19

T H E O D O R W. ADO RNO

Semestre estivo 1958 F

Corso: Introduzione alla dialettica, Ma, Gio 16-17

SF Seminario principale, Gio 18-20 (con Horkheimer) S

Seminario principale, Ma 17-19

Semestre invernale 19 58-59 F

Corso: Estetica, Ma, Gio 16-17

SF Seminario principale, Gio 18-20 (con Horkheimer) S

Seminario: sociologia dell'arte, Ma 17-19

Semestre estivo 1959 F

Corso: Critica della ragion pura, Ma, Gio 16-17

SF Seminario principale, Gio 18-20 (con Horkheimer) SS Seminario: Che cos'è la società ?, Ma 17-19 Semestre invernale 1959-60 F

Corso: Introduzione alla filosofia, Ma, Gio 16-17

SF Seminario principale, Gio 18-20 (con Horkheimer) SS Seminario: Interpretazione e rappresentazione dei risultati della ricerca socio­ logica, Ma 17-19 Semestre estivo 1960 F

Corso: Filosofia e sociologia, Ma, Gio 16-17

SF Seminario principale, Gio 18-20 (con Horkheimer) SS Seminario: Testi concernenti il rapporto filosofia-sociologia, Ma 17-19 Semestre invernale 1960-61 F

Corso: Ontologia e dialettica, Ma, Gio 1 6-17

SF Seminario principale, Gio 18-20 SS Seminario: Problemi di sociologia dell'istruzione e della cultura, Ma 17-19 Semestre estivo 1961 F

Corso: Estetica 1, Ma, Gio 1 6-17

SF Seminario principale, Gio 18-20 (con Horkheimer) SS Seminario: Problemi di analisi qualitativa, Ma 17-19

LEZ I O N I UNIVERS ITA R I E E S EM I NARI

Semestre invernale 1961-62 F

Corso: Estetica II, Ma, Gio 16-17

SF Seminario principale, Gio 18-20 (con Horkheimer) F

Sociologia della musica: Lezione seguita da discussioni, Ma 17-19

Semestre estivo 1962 F

Corso: Terminologia filosofica (introduzione), Ma, Gio 16-17

SF Seminario principale, Gio 18-20 (con Horkheimer) SS Seminario: concetti fondamentali della sociologia, Ma 17-19

Semestre invernale 1962-63 F

Corso: Terminologia filosofica (introduzione) I I , Ma, Gio 16-17

SF Seminario principale, Gio 18-20 (con Horkheimer) SS Seminario: concetti fondamentali della sociologia

11,

Ma 17-19

Semestre estivo 1963 F

Corso: Problemi di filosofia morale, Ma, Gio 16-17

SF Seminario principale, Gio 18-20 (con Horkheimer) SS Seminario per studenti avanzati : Il concetto di teoria sociologica (previa iscri­ zione al seminario), Ma 17-19

Semestre invernale 1963-64

F

Corso: Questioni di dialettica, Ma, Gio 16-17

SF Seminario principale, Gio 18-20 (con Horkheimer) SS Seminario: Discussione su alcuni capitoli di Max Weber, Economia e società, Ma 17-19

Semestre estivo 1964 F

Corso: Elementi per una teoria filosofica della società, Ma, Gio 16-17

SF Seminario principale, Gio 18-20 (con Horkheimer) SS Seminario principale: Il problema dell'individuo e della società, Ma 17-19

T H E O D O R W. ADO RNO

SS Esercitazione pratica di indagine demoscopica (studenti avanzati ), Gio 9-11 (insieme ad assistenti) Semestre invernale 1964-65 F

Corso: Sulla dottrina della storia e della libertà, Ma, Gio 16-17

SF Seminario principale, Gio 18-20 (con Horkheimer) SS Seminario principale, Ma 17-19 Semestre estivo 1965 F

Corso: Metafisica: concetti e problemi, Ma, Gio 1 6-17

SF Seminario principale, Gio 18-20 (con Horkheimer) SS Seminario principale: Il conflitto sociale, Ma 17-19

Semestre invernale 1965-66 F

Corso: Dialettica negativa, Ma, Gio 1 6-17

SF Seminario principale: La negazione in Hegel, Gio 18-20 (con Horkheimer) SS Seminario principale: Sul concetto di società, Ma 17-19 SS Esercitazioni integrative al seminario principale, su appuntamento (insieme all'assistente) Semestre estivo 1966 e Semestre invernale 1966-67 Periodo di congedo dall'insegnamento Semestre estivo 1967 F

Corso: Estetica 1, Ma, Gio 16-17

SF Seminario principale: Dialettica negativa, Gio 18-20 (con Horkheimer) SS Seminario propedeutico: Concetti centrali della sociologia, Ma 17-19 SS Colloquio (seminario ristretto), Me 17-19, bimensile (con von Friedeburg) Semestre invernale 1967-68 F

Corso: Estetica I I , Ma, Gio 16-17

SF Seminario principale: Dialettica negativa II, Gio 18-20 (con Horkheimer) SS Seminario principale: Problemi della personalità legata all'autorità (numero li­ mitato di partecipanti ), Ma 17-19

68o

LEZ I O N I UNIVERS ITA R I E E S EM I NARI

Semestre estivo 1968 SF Seminario principale: Estetica, Gio 18-20 (con Horkheimer) S

Introduzione alla sociologia, Ma, Gio 16-17

SS Seminario propedeutico; Esercitazioni relative al corso, Ma 17-19 Semestre invernale 1968-69 : congedo dall'insegnamento Semestre estivo 1969 F

Corso: Introduzione al pensiero dialettico, Ma, Gio 16-17

SF Seminario principale: Soggettologgetto"dialettica, Gio 18-20 (con Hork­ heimer) S

Seminario principale: Problemi dello strutturalismo, 17-19

Semestre invernale 19 69-70 [annunciato] F

Corso: Industria culturale e mass media, Ma, Gio 16-17

SF Seminario principale: Esercitazioni su Dialettica dell'illuminismo, in particolare sul capitolo " industria culturale ", Gio 18-20 (con Horkheimer)

681

CD

Negozio di vini di Bernhard Wiesengrund ( indi­ rizzo: S chone Aussicht, 7 ) . Abitazione del la fami­ glia di Oscar Wiesengrund fi no al settembre del 1914 ( ind irizzo: Schone Aussicht, 9 ) .

@

Deutschherren-Mittelschule: scuola frequentata da Adorno dal 1910 al 1913, sul Deurschherren Kai.

®

Gin nasio Kaiser Wilhelm (Hedderichstra!Se) , frequen tato da Adorno dal 1913 al 1921.

@

Casa dei genitori di Adorno a partire dal q settembre 1914 (a Francoforte-Oberrad: Seeheimer Smille, 19) .

®

Università Johann Wolfgang Goethe, fondata nel 1914. Adorno vi condusse i suoi studi dal 1921 al 1924.

@

Istituto per la ricerca sociale, fondato nel giugno del 1924 (Viktoriaallee, 17) .

(j)

Conservatorio Hoch (Eschersheimer Landsrra!Se, 2) .

@

Ab itazione di Theodor e Gretel Adorno a partire dal 1950 (Kettenhofweg, 1 23 ) .

Composizioni musicali

Le composizioni musicali di Adorno sono conservate presso gli Archivi Theodor W. Adorno di Francoforte sul Meno . Ne forniamo un elenco cronologico. Nel caso di composizioni disponibili in una stesura definitiva non indichiamo né le versioni precedenti (anche se portate a termine) né singole parti. Le indicazioni sono conformi a quelle usate nel sistema di archiviazione del fondo: le parentesi quadre [ ] segnalano le precisazioni redatte dall'archivista, le informazioni fra vir­ golette


sono precisazioni tratte dal testo archiviato stesso. Le datazioni si rife­

riscono al periodo in cui il manoscritto archiviato è stato redatto.

Composizioni completate

Schlieje mir die Augen beide (Chiudimi entrambi gli occhi) . Poesie di Theodor Storm. Lied per voce e pianoforte, do maggiore < 1918 >

Die Nachtigall (L'usignolo) . Poesia di Theodor Storm. Lied per voce e pianoforte, sol maggiore < ottobre 1918

>

Sechs Studien for Streichquartett (Sei studi per quartetto d'archi) . Parti tura < esecu­ zione privata di Adolf Rebner, v. Zetlin, Paul Hindemith > < 1920 >

Ohne Titel (Senza titolo ) . [Composizione per pianoforte] . < 19 novembre 1920 > Sechs Lieder aus "Der siebente Ring " von Stefon George (Sei Lieder tratti da " Il setti­ mo anello " di Stefan George) per voce e pianoforte [versione rielaborata] < aprile 1921 - dicembre 1922 >

Streichquartett (Quartetto d'archi; 1921 ) . Partitura < Prima: Francoforte sul Meno, 24 aprile 1923, Lange-Quartett >

,

< 3-5 giugno 1921 >

Streichtrio (Trio per archi) [n. 1] . Parti tura < giugno 1921-febbraio 1922 > Klavierstuck (Composizione per pianoforte), < Ruhig > [45 battute] < 2 settembre 1921

>

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Der Fruhling (La primavera) < Holderlin > per voce e viola < 8 febbraio 1922 > [Streichtrio n. 2] (Trio per archi n. 2) < 11 marzo-30 aprile 1922 > Saxophone (Sassofoni) . Notazione ed estensione vocale circa 1923 Sechs Bagatellen for Singstimme und Klavier, op. 6 (Sei bagattelle per voce e piano­ forte) < 19 23-42 >

Drei Gedichte von Theodor Diiubler for vierstimmigen Frauenchor a cappella, op. 8 (Tre poesie di Theodor Daubler per coro femminile a quattro voci a cappella) . Partitura (n versione) 19 23-45

Drei Klavierstitcke (Tre composizioni per pianoforte; 1924) < 17 aprile 1924 > Le pont d'Avignon (Sept chansons populaires françaises arrangées pour une voix et piano; n. 4). 1925

Satzfor Streichtrio (Movimento per trio d'archi) . Parti staccate. Ca. aprile/maggio 1925

Vier Gedichte von Stefon George for eine mittlere Stimme und Klavier [Quattro poe­ sie di Stefan George per voce centrale e pianoforte, op. 1] < 19 25-28 >

Dix chansons populaires françaises arrangées pour une voix et piano. 1925-39 Zwei Stucke for Streichquartett (Due pezzi per quartetto d'archi; 1925-26) [op . 2] . Parti tura < 3 agosto 1926 >

Variationen for Streichquartett (Variazioni per quartetto d'archi) [Due composi­ zioni per quartetto d'archi op. 2, n. 2] . Parti staccate. 1926

Adagietto - Hommage à Bizet. Composizione per pianoforte < 9 maggio 1927 > Vier Lieder for eine mittlere Stimme und Klavier, op. 3 (Quattro Lieder per voce centrale e pianoforte, op . 3) aprile-giugno 1928

Sechs kurze Orchesterstucke, op. 4 (Sei brevi composizioni per orchestra, op. 4) . Partitura < 5 febbraio 1929 >

Zu Schonberg op.

31

(Su Schonberg, op. 3 1 ) . (Forme originali della serie e < " serie

sul valzer" > ) . Circa fine 1929

Zwei Lieder mit Orchester aus dem geplanten Singspiel Der Schatz des Indianer joe (Due Lieder con orchestra, dal progetto di Singspiel Il tesoro dijoe l'indiano) 686

COM P O S I Z I O N I M U S ICALI

Totenlied.for den Kater (Canto funebre per il gatto) . Partitura. Circa estate-autun­ no 1933

Hucks Auftrittslied (Canzone d'entrata in scena di Huck) . Partitura. Circa es tate­ autunno 1933

Hottilein und Rossilein mit einem Kontrapunkt (Ottilia e Rossilein con un contrap­ punto). Lied per due voci in sol maggiore [esercizio, 16 battute] .




Pferde-Fughetta (naturlich zweistimmig) (Fughetta dei cavalli, naturalmente a due voci). Studio in contrappunto doppio per pianoforte (sol maggiore) . tembre 1933




P. K B. - Eine kleine Kindersuite (P. K. B . ; una piccola sui te per bambini). Per pia­ noforte




Ohne Titel (Senza titolo) . [Serie dodecafonica con retrogrado ritmizzato] . Circa 1934

An Zimmern


. Lied per soprano e pianoforte [mano de­

stra] , [composizione dodecafonica senza trasposizione] .




Heftige Achtel (Croma frenetica). Composizione per pianoforte




Langsame Halbe (Mezza nota lenta) . Composizione per pianoforte




Chanson-Postkarte Qoachim Ringelnatz) (Cartolina postale Chanson). Lied per voce e pianoforte




Marschlied (Dedev von Liliencron), (marcia) . Lied per voce e pianoforte




A·ujerst langsam (Estremamente lento). Parodia di un pezzo di Webern. Circa 1938

Ohne Titel (Senza titolo) . [Due serie dodecafoniche] . Forma originale e retrogrado (forme originali ritmizzate ) . Circa 1938-41

Klage. Sechs Lieder von Georg Trakl.for Singstimme und Klavier, op. 5 (Sei Lieder su poesie di Georg Trakl, per voce e pianoforte) .




Ohne Titel (Senza titolo) [Trois chansons populaires françaises arrangées pour une voix et piano : La Polichinelle; Ah! Vous dirai-je, Maman!; Ragotin] < 25-28 marzo 1939

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Russelmammuts Heimkehr (Il ritorno del mammut proboscidato) < Lied per una voce e pianoforte di Archibald Bauchschleifer > < febbraio 1941 >

Kinderjahr. Sei pezzi tratti dall'op. 68 di Robert Schumann, adattati per piccola or­ chestra. Partitura < estate 1941 >

Schlaflied for Archibald (Ninna nanna per Archibald) . Lied per pianoforte in sol maggiore [16 battute] < 3 gennaio 1942 >

Das Warzenschwein. (Ilfacocero) . Lied per pianoforte in mi bemolle maggiore [8 battute] . Prima metà del 1942

Das Giraffenlied (Il Lied della giraffa) . Lied per voce solista in mi bemolle maggio­ re [8 battute] . < 31 luglio 1942 >

Ohne Titel (Senza titolo). [Due poesie di propaganda di Brecht per voce e piano­ forte] < 5-16 giugno 1943 >

Vier Lieder nach Gedichten von Stefon George for Singstimme und Klavier, op. 7 (Quattro Lieder su poesie di Stefan George per voce e pianoforte, op. 7). 1944

Va/sette. Pezzo per pianoforte. Circa 1945 Die bohmischen Terzen (Le terze boeme) . Pezzo per pianoforte < 31 ottobre 1945 > Presto. Pezzo per pianoforte. Circa ottobre-novembre 1945 Variationen (Variazioni) . Tema e sette variazioni per violino solo. < 17 ottobre 1946 >

Frammenti, abbozzi, schizzi

Zu einer Studie for Orchester (Su uno studio per orchestra) . Frammento di un ab­ bozzo di particella [25 battute] . < 15 luglio 1921 >

Thema zu einer Violinsonate (Tema per una sonata per violino) Abbozzo [16 battu­ te] . Circa fine agosto-inizio settembre 1921

Sehr rasch (Molto rapido). Abbozzo in stato di frammento di un pezzo per piano­ forte [12 battute] . Circa inizio settembre 1921

Aus einem Schwung (Abbozzo di un tema monodico,

n

battute) . Circa inizio set­

tembre 1921

Thema zur Kammersymphonie (Tema per una sinfonia da camera) . Abbozzo [5 bat­ tute] . Circa ottobre-novembre 1921

688

COM P O S I Z I O N I M U S ICALI

Sonate for Celio allein (Sonata per violoncello solo). Frammento [si interrompe nel 3° tempo] < 31 dicembre 1921-1 gennaio 1922 >

Aus einem Apri! (Da un mese di aprile) < Frammento di un Lied per orchestra > [Particella] < 1921 o 1922 >

Sehr lustig und lebhaft (Molto divertente e vivace). Schizzo per un pezzo per orche­ stra [Particella] [3 battute] . Circa febbraio 1922

Thema zu einem Streichquintett (Tema per un quintetto per due archi) . Abbozzo [Parti tura] [ 6 battute] . < 21 febbraio 1922 >

Zart bewegt (Mosso delicato) . Frammento di un abbozzo per terzetto d'archi [9 battute] e forme originali della serie. Circa 1925

Ohne Titel (Senza titolo) (Satz fur Streichtrio) [per trio d'archi] . Frammento di un abbozzo di particella [7 battute] . Circa primavera del 1925

Ohne Titel (Senza titolo) [Franz Schubert, si minore] . a) (Riduzione per pianoforte del ritmo d'accompagnamento con aggiunta di un nuovo tema, [10 battute] )

b) Tema originale leggermente variato, 8 battute. Circa primavera del 1925 Ohne Titel [Senza titolo. Abbozzo monodico] , 10 battute. Circa aprile-maggio del 1925

Ohne Titel (Senza titolo) [Sei pezzi brevi per orchestra, op. 4, n. 2] . < Abbozzo di composizione per orchestra. 10 aprile 1925 >

Sehrgemiichlich (Molto tranquillo). [Abbozzo in forma di frammento di un tema con variazioni per pochi esecutori] . Particella [21 battute] . Circa aprile-maggio 1925

Ohne Titel (Senza titolo) [Abbozzo per due voci] 8 battute. Circa aprile-maggio 1925

Ohne Titel (Senza titolo) [per una voce] . Schizzo [u battute] . Dopo il 1925 Sehr langsam (Molto lento). Abbozzo in forma di frammento di un pezzo per pia­ noforte [21 battute] . Circa metà del 1926

Bewegte Achtel (Croma vivace) . Frammento di abbozzo per pianoforte [4 battute] . Metà degli anni venti

A poor little sheperd (Paul Valai ne) . Frammento di abbozzo per un Li ed [ 7 battute] . Seconda metà degli anni venti

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Sonatine (Sonatina) per pianoforte in la maggiore l fa diesis minore. Frammento . Circa gennaio del 1931

Ohne Titel (Senza titolo) [Franz Schubert, Die schone Mullerin: Das Wandern] < Ritmo del mulino: piano armonico > [3 e 4 battute] . Circa metà del 1933

Doppelter Kontrapunkt in der Oktave (Contrappunto doppio all'ottava) . Esercizio [8 battute] . Circa metà del 1933

Dreifocher Kontrapunkt (Contrappunto triplo) . Studio su < Bach, Fuga in do die­ sis minore, Clavicembalo ben temperato, volume 1 > [28 battute] . Circa metà del t933

Ohne Titel (Senza titolo) [tema in sol maggiore] . Schizzo monodico [7 battute] . Circa 1933-34

Ohne Titel (Senza titolo) [pezzo per pianoforte] . Frammento [3 battute] . Circa 1938-41

Ohne Titel (Senza titolo) [Die Finsternis raschelt wie ein Gewand (La tenebra fru­ scia come una veste)] . Frammento di un abbozzo per un Lied [7 battute] con schizzi e serie. Circa 1938-41

Ohne Titel (Senza titolo) [Il tuo viso era ricolmo di lacrime (Hugo von Hof­ mannsthal)] . Frammento di un abbozzo per un Lied [8 battute] e schizzi. Cir­ ca 1938-41

Ohne Titel (Senza titolo) [Der ltifte schaukeln wie von neuen dingen < Stefan George > ] . Frammento di un abbozzo per un Lied [6 battute] e schizzo . Circa 1943-44

Ohne Titel (Senza titolo) [Hier wo die Welt zur Rast ist ( ?) ] . Frammento di un ab­ bozzo per coro misto a quattro voci a cappella [19 battute] . Circa 1945

Ohne Titel (Senza titolo) (tre pezzi per pianoforte). Frammento di una rielabora­ zione del primo dei "Tre pezzi per pianoforte " del 1924. [6 battute] con schiz­ zi . Circa 1945-46

Ohne Titel (Senza titolo) [abbozzo monodico] (12 battute). Circa 1945-46 Andante grazioso. Frammento di una composizione per solo violino. Circa ottobre 1946

Ohne Titel (Senza titolo) [Tempo armonico in mi maggiore] (8 battute). Metà de­ gli anni quaranta

Klavierauszuge aus Webern op. 9 (Riduzioni per pianoforte da Weber, op. 9 ) . Frammento [5 battute] . Circa 1960

Note

Avvertenza bibliografica Nelle note sono stati forniti in forma abbreviata i dati bibliografici dei volumi cita­ ti. Si sono indicati il cognome dell'autore o curatore, il titolo dell'opera, l'anno di edizione e il numero della pagina. I dati bibliografici completi sono consultabili nella Bibliografia. I testi di Adorno sono citati di regola in base a Gesammelte Schriften (Gs), Suhrkamp, Frankfurt a.M. 1997, e Nachgelassene Schriften (Nas), Suhrkamp, Frankfurt a.M. 1993-2003 . Saggi, conferenze, monografie e altri testi sono stati ci­ tati in forma abbreviata, indicando il volume relativo delle opere. Lo stesso criterio è stato adottato per i testi di Horkheimer, citati anch'essi in base all'edizione dei Gesammelte Schriften, Suhrkamp, Frankfurt a.M. 1985-96.

Premessa 1 Adorno, Der Essay als Form, GS n , p. 30 (cfr. trad. i t. Il saggio comeforma, in Note per la letteratura, Einaudi, Torino 1979, p. 27) . 2 Institut fi.ir Sozialforschung, Soziologische Exkurse, 1956, p. 43 (trad. it. p. 55). 3 Adorno, Minima Moralia, GS 4, p. 1 26 (trad. it. p. 127) . PARTE PRIMA Le origini: famiglia, infanzia e giovinezza. Gli anni di scuola e d'università nella città in riva al Meno

1 Benjamin, Ober den Begriffder Geschichte, in Id., Gesammelte Schriften, vol. 1 . 2, p. 693 (trad. it. p. 71 ).

Jean François alias Giovanni Francesco: il nonno corso 1 Lo storico François Guizot, che fu primo ministro sotto Luigi Filippo, diede una delle formulazioni forse più chiare del programma politico della Restaurazione, e un'altrettanto chiara descrizione dello spirito del tempo quando, nel 1843, dichia-

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rò in parlamento: «Affermissez vos institutions, éclairez-vous, enrichissez-vous, améliorez la condition morale et matérielle de la France» Oardin, Tudesq, La France des notables, 1973, p. 161 ) . Nella sua biografia del critico letterario Sainte-Beuve (1997, p. 128) WolfLepenies trova le parole adatte per definire il " bonapartisme in­ dustrie!" : «Questa società è interessata soltanto a se stessa, al proprio sviluppo e pro­ gresso, alla propria espansione in qualsiasi senso, al proprio benessere [ . . . ] ». 2 Mérimée, Colomba, 1988, p. 28 (trad. it. p. 76) . 3 Nel prosieguo l'autore fa riferimento alla trascrizione di un'intervista condotta il 15 gennaio 1999 con la signora Elisabeth Reinhuber-Adorno. Adorno era il cugino del padre dell'intervistata, la quale dunque risulta sua cugina di secondo grado. Il padre di Elisabeth, nata Calvelli-Adorno, Franz Wilhelm Calvelli-Adorno, nacque di na­ zionalità francese e fu in seguito consigliere di tribunale; sua madre, Martha Katz, era ebrea. Dopo essere stato sospeso dal suo impiego tirò avanti come insegnante di mu­ sica, pur potendo insegnare soltanto a bambini ebrei. Dopo aver passato un breve pe­ riodo alla Wehrmacht sopravvisse alla guerra come assistente presso un avvocato e na­ scondendosi per alcuni periodi. In seguito ai pogrom del novembre 1938, nel 1939 mandò in Inghilterra la figlia e il figlio, rispettivamente di 13 e 12 anni, nel quadro dei cosiddetti " trasporti di bambini " . Dopo la guerra, Elisabeth Adorno studiò economia e sociologia in Inghilterra, si sposò a metà degli anni cinquanta trasferendosi nella Re­ pubblica federale tedesca e andando infine a risiedere a Oberstedten o Oberursel, nei pressi di Francoforte sul Meno. La signora Reinhuber-Adorno, insieme a suo marito, ha intrapreso ricerche approfondite sulla vita del proprio nonno Jean François sten­ dendo delle annotazioni che ha generosamente messo a disposizione dell'autore. I termini in corsivo in questo paragrafo sono in italiano nel testo [N d T. ] . 4 L'autore fa riferimento a documenti di proprietà di Elisabeth Reinhuber5 Adorno. 6 Cfr. Marx, Der achtzehnte Brumaire des Louis Bonaparte, 1969, p. 136 (trad. i t. pp. 45-83) . Heine, Schriften uber Deutschland, 1968, pp. 20 ss. 7 8 La tenuta Della Piana si trova al di sopra di Bocognano nelle vicinanze del fiume Gravona. 9 Esiste effettivamente una nota villa Cattaneo-Adorno (così come un palazzo Adorno e Cattaneo-Adorno) a Genova, dove peraltro il nome della famiglia Ador­ no si annovera tra i più importanti dell'aristocrazia storica cittadina, avendo forni­ to diversi dogi alla città [N d T. ] . 1 0 L'autore fa riferimento a un duplicato delle due lettere a M . Conti e a Napo­ leone I I I effettuato da Elisabeth Reinhuber-Adorno. Se queste due lettere abbiano raggiunto i destinatari resta, naturalmente, una questione aperta. Indipendente­ mente da questo, comunque, esse si rivelano piuttosto informative, nella misura in cui ci danno un'idea della situazione economica evidentemente precaria del nonno di Adorno e dell'importanza che il corso e convinto bonapartista attribuiva alla propria origine familiare. 11 La lettera si chiude con le parole: «J'ai suivi et imité l'exemple de mes parents, mais, par suite de mon mariage à l'etranger, de la maladie persistante et couteuse

NOTE

de ma femme, de mon enfant et du chomage dans lequel je me trouve, je me vois obligé dans cette pénible situation, de venir rappeler ici les services rendus par ma famille, avec l' espoir que pris en grande considération pas votre auguste bienveil­ lance, votre équité, vous daigneres écouter ma supplique en venant par une indem­ nité dictée par le bon j ugement qui préside à tous vos actes, atténuer principale­ ment à cause de ces avances, dont nous sommes privés, la malheureuse position d'une famille, dont les rejetons vous seront autant dévoués queleurs ayeux. Dans cette espérance, je suis, de votre Majesté le très respextueux, très obéissant et fidèle sujet» . La traduzione italiana di questo passo un po' ridondante, dalla formulazio­ ne prolissa e l'ortografia incerta, è: " Ho seguito l'esempio dei miei genitori [cioè: non ho mai reclamato la restituzione dei prestiti fatti] , ma per via del mio matri­ monio all'estero, della persistente e costosa malattia di mia moglie, del mio bambi­ no e della mia disoccupazione, mi vedo obbligato, in questa difficile situazione, a ricordarVi i servigi resi dalla mia famiglia, facendo affidamento sulla Vostra augu­ sta benevolenza e sulla Vostra equità, nella speranza che vogliate prestare ascolto alla mia supplica assegnandomi un'indennità, dettata da quel buon giudizio che è alla base di ogni Vostra azione, un'indennità che potrebbe, soprattutto per via di tali prestiti di cui siamo privati, attenuare la triste situazione di una famiglia i cui discendenti Vi saranno altrettanto devoti quanto i loro avi. Nutrendo tale speran­ za, mi dichiaro rispettosissimo suddito obbediente e fedele di Vostra Maestà " . 12 Cfr. Adorno, Benj amin, Briefwechsel 1928-1940, 1994, p . 1 9 8 .

2 Wiesengrund: l'eredità ebraica del romantico nome paterno 1 Konrad Reinfelder, nel quadro dei suoi studi sulla storia degli ebrei di Dettel­ bach, ha portato alla luce dati importanti sulla storia della famiglia Wiesengrund dei quali viene qui fatto uso. Cfr. Reinfelder, Zur Geschichte der ]uden in Dettel­ bach, 1997. 2 In un registro del governo regionale del principe elettore risalente all'anno 1803 si legge: «Beritz David 39 anni, sua moglie 36 anni. Figli : 2 maschi, di 6 e 2 anni, 1 femmina di 1 anno, Casa n. 230 [ . . . ] , commercio di bestiame», ivi. Cfr. Vogt, Frankforter Burgerhiiuser des neunzehnten]ahrhunderts, 1970, p. 1 24. 3 Hasslin, Frankfort, 1959, p. 1 86. 4 Cfr. Vogt, Frankforter Burgerhiiuser des neunzehnten jahrhunderts, ci t., p. 126. 5 Cfr. Wilcock, Adorno s Uncle: Dr. Bernard Wingfield and the English Exile oj 6 Theodor W. Adorno, 1996, pp. 335 ss. Informazione dell'Archivio sassone di Stato di Lipsia del luglio 2002. 7 Informazione del Comune di Seeheim-Jugenheim del 13 giugno 2002. 8 9 Elisabeth Reinhuber-Adorno ha fatto notare all'autore che solo raramente la famiglia Calvelli-Adorno aveva fatto uso del nome "della Piana " . Dovrebbero tut­ tavia essere esistite delle buste intestate recanti l'intero nome Calvelli-Adorno della Piana. Dal momento, però, che i documenti della famiglia Wiesengrund, quando

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questa fu costretta a emigrare dalla Germania nazionalsocialista nella primavera del 1939, secondo le informazioni avute dalla signora Reinhuber-Adorno sono andati perduti nell'incendio del deposito di uno spedizioniere, non è possibile far luce in­ teramente su questo fatto. 10 Nei documenti anagrafici della famiglia Wiesengrund si trova un'annotazio­ ne: «bambino maschio nato morto, 21-10-1900» . Devo questa informazione a Rein­ hard Pabst. L'Istituto per la storia della città di Francoforte ha confermato tale in­ formazione. 11 Nei Minima Moralia, nell'aforisma dal titolo Regressioni, leggiamo: «Il bam­ bino che sonnecchia stanco ha già quasi dimenticato l'espulsione del forestiero, che, nel Canzoniere di Schott, è raffigurato coi lineamenti di un ebreo, e intravede nelle parole "Alla porta è già arrivato " la prospettiva del riposo senza la miseria al­ trui . Finché ci sarà ancora un mendicante, dice un frammento di Benj amin, ci sarà ancora il mito; solo con la scomparsa dell'ultimo mendicante il mito sarebbe final­ mente conciliato» (Adorno, Minima Moralia, GS 4, p. 227 (trad. it. p. 240). 12 Nelle opere su Adorno di orientamento biografico si sostiene, talvolta, che l'ebreo assimilato Oscar Alexander Wiesengrund si fosse convertito al protestante­ simo e che suo figlio fosse stato battezzato con rito protestante. Finora tuttavia, non è stata pubblicata alcuna prova che avvalori queste supposizioni. Adorno ave­ va dimestichezza con la dogmatica cattolica per via delle sue " due madri " . Durante il periodo scolastico seguì in parte lezioni di etica areligiosa, in parte ore di religio­ ne protestante. Nel questionario dello Academic Assistance Council che Adorno compilò prima del suo trasferimento a Oxford nel 1934, alla domanda: