645 90 84MB
Italian Pages 1265 Year 1993
Storia di Roma Progetto di Arnaldo Momigliano e Aldo Schiavone Direzione di Aldo Schiavone
I
Roma in Italia II
L'impero mediterraneo I. La repubblica imperiale 2. I principi e il mondo 3· La cultura e l'impero III
L'età tardoantica I. Crisi e trasformazioni 2. I luoghi e le culture IV
Caratteri e morfologie
Questo volume è stato curato da Andrea Carandini, Lellia Cracco Ruggini e Andrea Giardina Hanno collaborato al progetto: Carmine Ampolo, Andrea Carandini, Guido Clemente, Filippo Coarelli, Lellia Cracco Ruggini, Emilio Gabba, Andrea Giardina, Domenico Musti, Mario Torelli.
Storia di Roma Volume terzo L'età tardoantica II
I luoghi e le culture
Giulio Einaudi editore
Coordinamento: W alter Barberis. Redazione e realizzazione tecnica: Mario Bassotti, Gloriano Bosio, Enrico Buzzano, Giancarlo Demorra, Annapia di Aichelburg, Gianfranco Folco, Enrica Melossi, Paolo Stefenelli, Antonella T arpino, Libera Trigiani. Indici: Piero Arlorio e Valerio Marotta. Traduzioni di Giorgio Bejor, pp. 143-74, 363-66; Franco Cambi, pp. 351-62, 367-78; Barbara Ferrini, pp. 255-78; Ugo Gherner, pp. 985-1009; Alessandra Guiglia, pp. 41-51, 53-68; Rita Lizzi, pp. 827-38; Sonia Piloto di Castri, pp. 379-404; Anna Maria Riccomini, pp. 279-98, 327-37,405-27, 573-602; Paola Rivolta, pp. 703-29.
© 1993 Giulio Einaudi editore s. p. a., Torino ISBN
88-o6-JJ745-9
Indice
p. 3
Premessa
Parte prima I luoghi e le merci 7
Introduzione ANDREA. CARANDINI
L'ultima civiltà sepolta o del massimo oggetto desueto, secondo un archeologo
7· 8.
«Concorrenza» e «decadenza>>: brutte parole Continuità o discontinuità Le merci Chie/doms, stati, proto-città, città e post-città Le città Le campagne La soppressione di un impero in agonia La caduta di un impero
1.
Le grandi sedi imperiali
II
I.
14 17 24 27
2.
35 36 38
3· 4·
5· 6.
PAUL-ALBERT FÉVRIER
Roma. Il prestigio della città pagana 41
43 46 48
Roma, capitale L'amministrazione della città 3. La società 4· paesaggio urbano r.
2.
n
JEAN GUYON
Roma. Emerge la città cristiana 53 59
64
Da Costantino a Teodosio: l'appoggio del principe alla nuova religione Da Silvestro a Damaso: la progressiva costituzione di uno spazio cristiano 3· Da Damaso a Leone Magno: l'affermarsi di un nuovo urbanesimo r.
2.
Indice
Vlll
FEDERICO GUIDOBALDI
Roma. Il tessuto abitativo, le domus e i tituli p. 69 70 72
75
Le trasformazioni dell'insediamento abitativo nel m-Iv secolo Le domus tardoantiche: proprietari e affittuari 3· Struttura e decorazione delle domus tardoantiche 4· L'inserimento cristiano nel tessuto dell' Urbs r.
2.
MARIETTE DE VOS 85
Roma. La pittura parietale tardoantica DANIELE MANACORDA
Roma. I monumenti cadono in rovina 93 94 103
Archeologia urbana e topografia storica Sequenze stratigrafiche e trasformazione dei paesaggi 3· Conclusioni
105
Milano, rivale di Roma
r.
2.
FERNANDO REBECCHI
106
r.
108
2.
Origine della città, stato giuridico e vicende politiche Struttura urbanistica e monumenti principali
SERGIO RINALDI TUFI
u3
Treviri, città regale sulla Mosella FERNANDO REBECCHI
Ravenna, ultima capitale d'Occidente 121
12' 128
Origine della città e stato giuridico Struttura urbanistica e monumenti principali 3. Gli invasi portuali e i sobborghi di Cesarea e Classe r.
2.
GIORGIO BEJOR 131
Tessalonica, la capitale in Macedonia GIORGIO BEJOR
137
Antiochia, metropoli dell'Asia WOLFGANG M0LLER-WIENER
143
Costantinopoli, la nuova Roma
144
r.
147
2.
Bisanzio La città costantiniana
Indice p. I53
3· La creazione delle infrastrutture
I67
4- La nuova Roma 5· La città di Giustiniano
I73
6.
I 57
11.
n tramonto della città antica Le province di lingua latina
CARLO PAVOLINI
Le città dell'Italia suburbicaria I 77 I79
I92
I. Premessa 2. Una rassegna topografica 3· l tempi della trasformazione
FERNANDO REBECCHI I99
Le città dell'Italia annonaria
20I
Venetia et Histria Flaminia et Picenum Annonarium 3. Aemilia et Liguria 4· Alpes Cottiae (Graiae et Poeninae)
2I2
2I7 224
r.
2.
FRANCO CAMBI 229 230
243 250
Paesaggi d'Etruria e di Puglia L'Etruria meridionale L'Apulia 3· Conclusioni r.
2.
RICHARD HODGES 255
ll declino e la caduta: San Vincenzo al Volturno
257 266
2.
r.
Le fasi dell'insediamento Storie senza tempo e lunghe durate
ROGER 2 79
J. A. WILSON
La Sicilia CINZIA VISMARA
La Sardegna e la Corsica 299
r.
304
2.
La Sardegna La Corsica
IX
x
Indice FRANCESCA GHEDINI
L'Africa Proconsolare p. 309
1.
310
2.
312
3·
315 319
4· 5·
323
6.
Il territorio La romanizzazione Il n secolo IIm secolo IV e v secolo Dall'invasione vandala alla riconquista bizantina
HENRY HURST 327
Cartagine, la nuova Alessandria Descrizione: l'età tardoromana
328
1.
332 334
2. Età vandalica e bizantina 3· Dimensioni e sviluppo di Cattagine e sua impottanza LIDIANO BACCHIELLI
339
La Tripolitania ELIZABETH FENTRESS
La Numidia Il quadro geografico
351 353
2. La documentazione archeologica
355 358 361
3· Le città 4· Le campagne 5· La fine delle città
1.
FRIEDRICH RAKOB 363
Chemtou, le cave del marmo numidico ELIZABETH FENTRESS
367
La Mauretania JAVIER ARCE
La penisola iberica 379 388 398
La transitabilità dell'Hispania Imposte, produzione, domanda 3· Le città e le villae 1.
2.
Indice PAUL-ALBERT FÉVRIER
Le Gallie meridionali p. 405 409 413
417 420 423 426
r. 2.
3· 4· 5·
6. 7·
La storia politica La diffusione del cristianesimo Le città Lo spazio rurale mondo degli scambi mondo della cultura Conclusioni
n n
SERGIO RINALDI TUFI
429
Le Gallie settentrionali
430 435 439
Gallia Belgica Gallia Germanica 3· Gallia Lugdunense r.
2.
SERGIO RINALDI TUFI 443
La Britannia SERGIO RINALDI TUFI
451
L'area danubiana: Rezia, Norico, Pannonia, Dacia, Mesia SERGIO RINALDI TUFI
471
La Dalmazia
m. Le province di lingua greca GIORGIO BEJOR
L'Oriente europeo: Macedonia, Epiro, Tracia, Acaia, Creta 479 483 485
491 50!
Macedonia E piro 3· Tracia 4- Acaia 5· Creta I.
2.
GIORGIO BEJOR
L'Oriente asiatico: Asia, Licia-Panfilia, Cilicia 505
519 527
Asia Licia·Panfilia 3. Cilicia r.
2.
Xl
Indice
XII
GIORGIO BEJOR
L'Oriente asiatico: Bitinia-Ponto, Galazia, Cappadocia p. 533 535 538
Bitinia-Ponto Galazia 3· Cappadocia r.
2.
GIORGIO BEJOR
L'Oriente asiatico: Siria, Cipro, Palestina, Arabia, Mesopotamia 543 558 560 563 568
Siria Cipro 3· Palestina 4· Arabia 5· Mesopotamia r.
2.
JEAN-MICHEL CARRIÉ
m
L'Egitto
574 579
Le fortificazioni Le città 3· L'abitazione privata 4· L'architettura religiosa 5· L'archeologia rurale
584
594 6oo
r.
2.
LIDIANO BACCHIELLI 6o3
La Cirenaica IV.
Le merci
CLEMENTINA PANELLA
Merci e scambi nel Mediterraneo tardoantico I.
613
LE PREMESSE II.
619
CONTINUITA E ROTTURE NELL'ETA DEGLI ANTONINI III.
L'EGEMONIA AFRICANA 624
r.
640
2.
Espansione produttiva e successi commerciali (m secolo - primo quarto del v) La «riorganizzazione produttiva» dell'età vandala e l'inizio della tarda antichità africana
IV.
654
L'IMPERO BIZANTINO
657 673
2.
r.
L'Oriente L'Mrica e l'Occidente
Indice
Parte seconda Le culture 1.
Letteratura, filosofia, storiogra/ia, scienze
FRANçOIS PASCHOUD
Storia e geografia della cultura tardoantica p. 703 705 709 7U 7:ZI
1.
:z. 3· 4· 5.
Introduzione La difesa della cultura tradizionale La poesia profana La storiografia La letteratura cristiana
ANTONIO LA PENNA
li lusus poetico nella tarda antichità. Il caso di Ausonio 731 734 740 745 748
1. La futilità permanente :z. n tusus delle immagini 3. Valori e modelli etici 4· La società letteraria di Ausonio 5. La patria e l'Impero
MARCELLA FORLIN PATRUCCO
Pagani e cristiani 753 759 765 769 774
I.
n «nUOVO>> Impero: un mondo nuovo?
Ideologie politiche in conflitto 3· I barbari: immagini a confronto 4· Modelli economici e modelli culturali: il progresso tecnico 5· lavoro e le sue rappresentazioni 2.
n
SILVIA RONCHEY
Gli atti dei martiri tra politica e letteratura 781 784 79:z 797 8o1 8o6 8o8 811 815 818 8:z1
1. I precedenti nell'antichità :z. Gli atti dei martiri cristiani 3· I martiri «sinceri»: dottrina della Chiesa e disputa sui documenti 4· La lama di Mattia Vlacic, il cardinal Baronio e il Martirologio Romano
5. 6. 7· 8. 9· 10. 11.
n Martirio di Policarpo Martirio come reliquia e archetipo: l'intervento della filologia
n linguaggio dei martiri Ambiguità e linguaggio della lotta negli atti antichi I panegirici e le passioni epiche Strategie di connivenza Conclusione: dal martire al monaco
XIII
Indice
XIV
ROBERT A. KASTER
La funzione del grammaticus p. 827 833
r. 2.
La scuola del grammaticus Per una geografia dell'educazione
LELLIA CRACCO RUGGINI
Scienze pure e scienze applicate nella cultura tardoantica 839 843 849
r.
La scienza nel mondo tardoromano e la storiografìa attuale
2.
n sapere scientifico e il progresso tecnico
3· Scienze teoriche e scienze applicate nella vita intellettuale mediterranea: i punti di arrivo GIANCARLO SUSINI
La scrittura e le pietre 865 878 889
Scritture esposte: il tempo, gli spazi, i monumenti, gli oggetti Produzione e linguaggio; acculturazione e alfabetizzazione 3· Fasi e rivoluzioni dell'epigrafia. Lettura e messaggi r.
2.
n. Le immagini artistiche SERGIO RINALDI TUFI
L'Occidente europeo e l'area danubiana r. 2.
3· 4· 5· 6.
Treviri e la Gallia Belgica Le altre Gallie e la zona renana La Britannia Province iberiche L'Illirico Province danubiane
LUCIA FAEDO
L'Occidente mediterraneo LUCIA FAEDO
L'Oriente mediterraneo 929 934 938
La cultura figurativa tra Bisanzio e Antiochia: l'età dei tetrarchi L'età di Costantino 3· Dall'età di Teodosio I agli inizi dd v secolo r.
2.
EDDA BRESCIANI
947
Egitto e Copti
948 954 957
2.
La scultura La pittura 3· Anigianato e arti minori r.
Indice
xv
m. Cultura giuridica e istituzioni ALDO SCHIAVONE
Dai giuristi ai codici. Letteratura giuridica e legislazione nel mondo tardoantico p.
~3
966 974
1. Premessa 2. Attività letteraria e cultura giuridica fra m e IV secolo 3· n modello del codice da Teodosio II a Giustiniano
JOSEPH MÉLÈZE MODRZEJEWSKI
Diritto romano e diritti locali 985 987 991 994 997 1000 1003 mo8
1. «Reichsrecht>> e« Volksrecht» 2. La conquista romana e le sue conseguenze 3· La diversità delle consuetudini locali 4· Progressi e lentezze della romanizzazione 5· L'Editto di Caracalla e i suoi esiti 6. Le consuetudini provinciali 7. Adattamenti, conflitti, vittorie 8. Conclusioni
FELICIANO SERRAO
n diritto e il processo privati 1on 1015 1021 1025 1028 1030
1. La formazione economica e le spinte ai cambiamenti 2. La struttura sociale e le persone: gli schiavi, i nuovi rapporti di dipendenza, le classi su· periori 3· La famiglia 4· Modi e forme di appartenenza 5· Impresa, obbligazioni, successione ereditaria 6. processo privato nell'età dell'assolutismo
n
BERNARDO SANTALUCIA
L'amministrazione della giustizia penale 1035 1042 1045
1. I giudici e l'amministrazione giudiziaria 2. n nuovo sistema processuale 3· I reati e le pene
Indici 1055 1067 1099 II21
Personaggi e altri nomi antichi Luoghi e popoli Autori moderni e altri nomi non antichi Fonti
Elenco delle illustrazionifuori testo
tra le pp. 572-73: 1.
Roma, plastico del centro della città intorno al 320 d. C. Roma, Museo della Civiltà Romana. (Fototeca Unione, Roma).
2. Roma, la nuova cinta di mura costruita da Aureliano e la Porta Ostiense. 3· Roma, l'arco di Settimio Severo. (Foto Alinari, Firenze).
4· Roma, le terme di Caracalla. (Foto Archivio Electa, Milano).
5· Roma, l'arco di Costantino. (Foto Deutsches Archiiologisches lnstitut, Roma).
6. Roma, la Basilica Nova, fatta erigere da Massenzio e completata da Costantino. 7· Roma, l'interno di San Paolo fuori le mura in un'incisione del Piranesi. (Foto University of California Press).
8. Roma, ricostruzione grafica della basilica di San Pietro fatta costruire da Costantino nella situazione del330 d. C. circa. 9· Roma, interno di Santa Maria Maggiore. (Foto L. von Matt).
ro. Roma, ricostruzione della basilica di San Giovanni in Laterano in età costantiniana.
n. Roma, esterno della basilica di Santa Sabina. (Fototeca Unione, Roma).
12. Roma, interno della basilica di Santa Sabina. (Foto Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione, Roma).
13. Roma, interno di Santo Stefano Rotondo. (Foto L. von Matt).
14- Roma, interno di Santa Costanza. (Foto Deutsches Archiiologisches Institut, Roma).
15. Milano, scavi di Santa Tecla in piazza del Duomo. (Foto Soprintendenza Archeologica della Lombardia, Milano).
r6. Milano, basilica di San Lorenzo. (Foto Archivio Electa, Milano).
17. T reviri, esterno della basilica palaziale. 18. Treviri, la Porta Nigra.
XVIII
Elenco delle illustrazioni fuori testo
19. Ravenna, interno del mausoleo di Galla Placidia, con parte dei mosaici. (Foto Alinari, Firenze). 20.
Ravenna, esterno del mausoleo di Galla Placidia; sullo sfondo, San Vitale. (Foto Alinari, Firenze).
21. Salonicco, i superstiti piloni dell'arco di Galerio. (Foto Deutsches Archiiologisches lnstitut, Roma). 22.
Salonicco, arco e mausoleo di Galerio, nella ricostruzione di ].-P. Penin.
23. Le chiese di Antiochia in una stoffa egiziana del VI secolo d. C., con Daniele tra i leo-
ni visitato da Abacuc. Berlino, Staatliche Museen.
24. Antiochia, la chiesa di San Babila nel sobborgo di Kaoussié.
25. Veduta aerea dell'Akra, l'area dell'antica Bisanzio.
26. Costantinopoli, la Porta Aurea vista da ovest. 27. Costantinopoli, veduta aerea del settore meridionale delle mura. 28. Costantinopoli, il settore terminale delle mura dalla parte del mare, in un'immagine
degli inizi del secolo. 29. Costantinopoli, la fronte a mare del palazzo di Bucoleone. 30. Costantinopoli, l'acquedotto di Valente visto da sud-ovest. 31. Costantinopoli, l'acquedotto a Kursunlu Germe, presso Karamandere. 32. Costantinopoli, la cisterna dello Hebdomon, oggi Fil Dami. 33· Costantinopoli, interno della cisterna detta oggi Yerebatan Sarayi.
34- Costantinopoli, la sala principale del palazzo di Antioco, trasformata in chiesa di
Santa Eufemia. 35· Costantinopoli, il palazzo di Lauso durante lo scavo.
36. Costantinopoli, l'obelisco di Teodosio. 37· Costantinopoli, interno della chiesa di Santa Sofia. 38. Costantinopoli, la chiesa di Sant'lrene vista da ovest, con i resti dell'ospedale di
Sampson. 39· Ostia, pianta della città antica.
40. Ostia, le terme di Nettuno. (Foto Deutsches Archiiologisches lnstitut, Roma).
41. Territorio di Cosa, villa romana di Settefinestre, periodo 1: da Cesare ai Flavi. 42. Territorio di Cosa, villa romana di Settefinestre, ricostruzione del periodo Il: da
T raiano agli Antonini. 43· Aquileia, il Foro. (Foto Deutsches Archiiologisches lnstitut, Roma).
44· Aquileia, il sepolcro degli Stati. (Foto Deutsches Archiiologisches Institut, Roma).
Elenco delle illustrazioni fuori testo
XIX
45· La cattedrale di Cemenelum. 46. Mosaico di Lupiano. 47· Xanten, panorama aereo degli scavi di Colonia Ulpia Traiana. (Foto Archivio Electa, Milano).
48. Piatto d'argento rinvenuto a Mildenhall, in Britannia. 49· Monumento funerario dei Secondini, da lgel presso Treviri. (Foto Archivio Electa, Milano).
50. Piazza Armerina, mosaico della piccola caccia: il banchetto campestre.
51. Piazza Armerina, mosaico della grande caccia: il sovrintendente alla spedizione degli animali. 52. Nora, l'isolato centrale, con ambienti produttivi che si sovrappongono a una domus del m secolo. 53· Nora, ambienti produttivi tardoantichi dell'isolato centrale. 54· Plastico del palazzo di Diocleziano a Spalato. Roma, Museo Nazionale Romano. (Foto Deutsches Archiiologisches lnstitut, Roma).
55· Spalato, il cortile del palazzo di Diocleziano. (Foto Deutsches Archiiologisches lnstitut, Roma).
56. Silistra, interno della tomba dipinta. (Foto Deutsches Archiiologisches lnstitut, Roma).
57· Silistra, immagine di un giovane schiavo barbaro. (Foto Deutsches Archiiologisches Institut, Roma).
58. Silistra, immagine di una giovane schiava barbara. (Foto Deutsches Archiiologisches lnstitut, Roma).
59· Leptis Magna, il molo orientale del porto. (Foto Deutsches Archiiologisches lnstitut, Roma).
6o. Leptis Magna, il ninfeo severiano. (Foto Deutsches Archiiologischcs lnstitut, Roma).
61. Leptis Magna, le botteghe del lato orientale dd Foro severiano. (Foto Deutsches Archiiologisches Institut, Roma).
62. Leptis Magna, la basilica severiana. (Foto Deutsches Archiiologisches Institut, Roma).
63. Sabratha, l'atrio della curia. (Foto Deutsches Archiiologisches Institut, Roma).
64. Gasr Doga, il mausoleo. (Foto Deutsches Archiiologisches Institut, Roma).
65. Un mausoleo, da Ghirza; sulle pareti rilievi da altre tombe della stessa località. (Foto Deutsches Archiiologisches Institut, Roma).
66. Chemtou, foto aerea dell'accampamento romano. 67. Sufetula, i templi del Foro. (Foto Deutsches Archiiologisches lnstitut, Roma).
68. el-Djem, interno dell'anfiteatro di Gordiano.
xx
Elenco delle illustrazioni fuori testo
69. el-Djem, l'anfiteatro. (Foto Archivio Electa, Milano).
dominus Iulius. 71. Tabarka, mosaico con raffigurazione di una villa.
70. Cartagine, mosaico del
72. Cartagine, Ganimede del v secolo.
73· Thamugadi, foto aerea. (Foto Archivio Electa, Milano).
74· Thamugadi, gli scavi: al centro, l'arco di Traiano. (Foto Archivio Electa, Milano).
75· Djemila, il Foro nuovo e l'arco di Caracalla.
76. Djemila, il tempio dei Severi. (Foto Archivio Electa, Milano).
77· La fattoria del Nador, tra Tipasa e Cesarea di Mauretania.
78. Atene, l'arco di Adriano. (Foto Archivio Electa, Milano).
79· Corinto, fonte Peirene, fatta ricostruire da Erode Attico. (Foto Archivio Electa, Milano).
So. Disegno ricostruttivo del ninfea di Erode Attico a Olimpia, da R. Boli. (Foto Archivio Electa, Milano).
Br. Atene: i resti del ginnasio dei Giganti nell'agorà. Sullo sfondo, l'Efesteion, trasfor-
mato nel Medioevo in chiesa di San Giorgio. 82. Plastico del pretorio di Gortina. Roma, Museo della Civiltà Romana. (Foto Deutsches Archiiologisches lnstitut, Roma).
83. Efeso, veduta verso il porto: sulla destra sono visibili i resti della via colonnata fatta
costruire da Arcadia. (Foto Archivio Electa, Milano).
84. Efeso, il quartiere di abitazioni presso la via dei Cureti, al di là della quale si vedono
il tempio di Adriano e le terme di Skolastikia. 85. Sardi, il ginnasio. (Foto Archivio Electa, Milano).
86. Gli scavi di Side. (Foto Archivio Electa, Milano).
87. Hierapolis, resti della frontescena severiana del teatro. (Foto Archivio Fabbri, Milano).
88. Hierapolis, le rovine del martyrion di San Filippo. (Foto Archivio Fabbri, Milano).
89. Hierapolis, la porta nord delle mura bizantine (v secolo d. C.). (Foto Archivio Fabbri, Milano).
90. Hierapolis, l'aula delle terme trasformata in navata centrale di una chiesa cristiana. (Foto Archivio Fabbri, Milano).
Elenco delle illustrazioni fuori testo
XXI
91. Kalat Siman, rovine della chiesa di San Simeone. (Foto Deutsches Archiiologisches Institut, Roma).
92. Apamea, la via colonnata, ingombra delle costruzioni altomedievali. 93· Baalbeck, ricostruzione del santuario. Roma, Museo Nazionale Romano. (Foto Deu!liches Archiiologisches Institut, Roma).
94· Baalbeck, foto aerea degli scavi nel 1942. (Foto Deutsches Archiiologisches Institut, Roma).
95· Palrnira, foto aerea. (Foto Archivio Electa, Milano).
96. Palmira, la grande via colonnata, occupata dai ruderi delle case altomedievali. 97· Dura-Europos, foto aerea degli scavi. (Foto Archivio Electa, Milano).
98. Dura-Europos, le mura viste dall'interno. 99· Resafa, foto aerea. 100. Qasr el-Azraq, foto aerea. 101.
el-Lejjun, foto aerea dell'accampamento romano. (Foto Archivio Electa, Milano).
102. Ad-Diyatheh, foto aerea del quadriburgium, il forte costruito da Diocleziano, e del villaggio. 103. Bostra, foto aerea. 104. Gerasa, panorama sul Foro circolare: in primo piano, il tempio di Zeus. 105.
Petra, facciata monumentale della tomba detta «tesoro del faraone».
106. Ricostruzione del campo legionario di Luxor secondo J.-C. Golvin. 107. Le mura del forte costruito nel
IV
secolo a ed-Deir.
108. Alessandria, il bouleuterion. 109. Alessandria, la sala delle conferenze dell'università. uo. Vestigia di culture irrigue a Douch, nell'oasi di Khargah, l'antica Hibis. III. Cappelle della necropoli di el-Baghaouat a Khargah, l'antica Hibis. II2. Cirene, casette all'interno del portico ovest dell'agorà. IIJ. Slonta, il santuario dei cinghiali. u4. Tolemaide, i rostri. u5. Apollonia, la basilica centrale. u6. Siret er Rheim, la basilica fortificata. u7. Veduta di Gasr Benigdem. u8. Mghernes, le terme. II9. Apollonia, il peristilio del palazzo del dux. 120. Ritratto di Probo. (Foto Deutsches Archiiologisches Institut, Roma).
Elenco delle illustrazioni fuori testo
XXII
I2I. Ritratti imperiali del m secolo: Settimio Severo, Caracalla, Gallieno, Aureliano. I22. Ritratti imperiali del
secolo: tetrarchi, Costantino, Arcadio. I23. Roma, terme di Caracalla, capitello con la figura di Ercole Farnese. IV
(Foto Alinari, Firenze).
I24. Roma, particolare del rilievo dell'arco di Costantino con scena di orazione nel Foro. (Foto Archivio Electa, Milano).
I25. Costantinopoli, base di Teodosio. u6. Sarcofago ad alberi in marmo proconnesio. Arles, Museo. (Foto Centre Camille Jullian, Aix-en-Provence).
127. Sarcofago di Geminus, administrator rationum Quinque provinciarum. Arles, Museo. (Foto Centre CamilleJullian, Aix-en-Provence).
u8. Sarcofago importato da Roma attorno al 320 d. C., trovato nel I974· Arles, Museo. (Foto Centre CamilleJullian, Aix-en-Provence).
I29. Sarcofago proveniente da Saint-Orens d'Auch. Tolosa, Museo. (Foto Centre Camille Jullian, Aix-en-Provence). I
30. Pitture della tomba di Caivano. Napoli, Museo Nazionale. (Foto Deutsches Archiiologisches lnstitut, Roma).
I3I. Dittico dei lampadii. Brescia, Museo Civico Romano. (Foto Archivio Electa, Milano).
I32. Ostia, mosaico delle terme di Nettuno. I33· Gafsa, mosaico con le corse nel circo. (Foto Archivio Electa, Milano). I
34· Ostia, mosaico della caserma dei vigili con toro condotto al sacrificio. (Foto Deutsches Archiiologisches Institut, Roma).
I35· Mosaico della villa costantiniana di Dafne presso Antiochia, con la caccia di Melea-
gro e Diana. Parigi, Louvre.
I36. Grado, nave romana naufragata sulle rotte dell'Adriatico settentrionale (fine II-
inizi m secolo). (Foto Soprintendenza del Friuli - Venezia Giulia).
I37· Lucerne in sigillata africana (dall'odierna Tunisia,
IV-VI
secolo).
Roma, Museo Nazionale Romano.
I38. Lucerne in sigillata africana, tipo «africano» (dall'odierna Tunisia, v-vu secolo). Ibidem.
I39· Scatti dell'officina del castrum imperiale di Simitthu (m secolo). 140. Sabratha, catino dell'abside ovest del tempio di Ercole: particolare del ritratto al
centro. 141. Sabratha, il catino dell'abside ovest del tempio di Ercole in un acquerello di N. Ca-
labrò Finocchiaro. I42. Roma, Domus Augustana, volta di accesso alla sala nell'asse del cortile inferiore in un'incisione di G. A. Guattani. I43· Roma, Domus Tiberiana, volta del criptoportico neroniano in un acquerello di M. Barosso. (Foto Soprintendenza Archeologica, Roma).
Elenco delle abbreviazioni
AA Archaologischer Anzeiger
A&A Antike und Abendland. Beitrage zum Verstandnis der Griechen und Romer und ihres Nachle· bens AAA 'Apx.cuoÀoytxà. 'Avc:i.ÀEX'l:Cl È~ 'A&tjvwv AAAd Antichità altoadriatiche
AAL Acta archaeologica Lovaniensia AAN Atti della Accademia di Scienze morali e politiche della Società nazionale di Scienze, Lettere ed Arti di Napoli AAntHung Acta Antiqua Academiae Scientiarum Hungaricae AAP Atti dell'Accademia Pontaniana
AAPal Atti dell'Accademia di Scienze, Lettere e Arti di Palermo AAPel Atti della Accademia Peloritana dei Pericolanti, Classe di Lettere, Filosofia e Belle Arti AArch Acta Archaeologica AArchHung Acta Archaeologica Academiae Scientiarum Hungaricae AARov Atti della Accademia Roveretana degli Agiati, Classe di Scienze umane, Lettere ed Arti AAT Atti della Accademia delle Scienze di Torino, Classe di Scienze morali, storiche e filologiche AAU Annales Academiae Regiae Scientiarum Upsaliensis AAWM Abhandlungen der Akademie der Wissenschaften in Mainz, Geistes· und sozialwissenschaftliche Klasse
xxrv
Elenco delle abbreviazioni
AAWW Anzeiger der Òsterreichischen Akademie der Wissenschaften in Wien, Philosophisch-historische Klasse AB Analecta Bollandiana ABAW Abhandlungen der Bayerischen Akademie der Wissenscha&en, Philosophisch-historische Klasse ABSA Annual of the British School at Athens ABull The Art Bulletin AC L'Antiquité Classique ACD Acta classica Universitatis Scientiarum Debreceniensis
Acme. Annali della Facoltà di Filosofia e Lettere dell'Università statale di Milano ACO Acta Conciliorum Oecumenicorum, a cura di E. Schwartz, Berlin 1914 sgg.
AEA Archivo Espaiiol de Arqueologfa > Aegyptus. Rivista italiana di Egittologia e di Papirologia
AEM Anuario de Estudios Medievales
AES Archives Européennes de Sociologie
Aevum. Rassegna di Scienze storiche, linguistiche e filologiche AFLB Annali della Facoltà di Lettere e Filosofia di Bari AFLC Annali della Facoltà di Lettere e Filosofia della Università di Cagliari AFLM Annali della Facoltà di Lettere e Filosofia, Università di Macerata AFLPer Annali della Facoltà di Lettere e Filosofia, Università di Perugia AFondF Annali della Fondazione Faina per il Museo AG Archivio Giuridico
AHAW Abhandlungen der Heidelberger Akademie der Wissenscha&en, Philosophisch-historische Klasse AHR American Historical Review
Elenco delle abbreviazioni
xxv
ATIN Annali dell'Istituto Italiano di Numismatica
ATIS Annali dell'Istituto italiano per gli Studi storici AION (archeol) Annali dell'Istituto universitario orientale di Napoli. Seminario di studi del mondo classico. Se· zione di archeologia e storia antica AION (ling) Alwv. Annali dell'Istituto universitario orientale di Napoli. Seminario di studi del mondo classico.· Sezione linguistica AIPhO Annuaire de l'lnstitut de Philologie et d'Histoire Orientales et Slaves de l'Université Libre de Bruxelles AIRN Acta ad archeologiam et artium historiam pertinentia. lnstitutum Romanum Norvegiae
AIRRS Acta lnstituti Romani Regni Sueciae AJ The Archaeological J ournal AJA American Journal of Archaeology
A]AH AmericanJournal of ancient History AJPh American J ournal of Philology ALLG Archiv fur die Lateinische Lexikographie und Grammatik
AM Annales du Midi « Ampurias » Ampurias. Revista de arqueologfa, prehistoria y etnologia
AMSI Atti e Memorie della Società lstriana di archeologia e storia patria
AN Aquileia nostra AncSoc Ancien t Sociery AncW The ancient world « Annales (ESC) » Annales (Economie, Sociétés, Civilizations) AnnEpigr L' Année épigraphique
ANRW Au/stieg un d Niedergang der r6mischen Welt. Geschichte und Kultur Roms i m Spiegel der neueren Forschung, Berlin- New York 197z sgg. AntAfr Antiquités africaines
xxvr
Elenco delle abbreviazioni
« Antichthon » Antichthon. Journal of the Australian Society for Classica! Studies An t} The Antiquaries Journal, being the Journal of the Society of Antiquaries of London
APA Abhandlungen der Preussischen Akademie der Wissenschaften, Philosophisch-historische Klasse « Apeiron » Apeiron. A Journal of Ancient Philosophy and Science
APF Archiv fiir Papyrusforschung und vetwandte Gebiete
AR Archaeological Reports A&R Atene e Roma. Rassegna dell'Associazione Italiana di Cultura classica « Archaeology >> Archaeology. A magazine dealing with the Antiquity of the World ArchClass Archeologia Classica. Rivista della Scuola nazionale di Archeologia ArchDelt Archaiologikon Deltion «Archeo» Archeo. Attualità del passato ArchMed Archeologia medievale ArchN Archaeological News ArchOrient Archiv Orientalni «Arctos» Arctos. Acta philologica Fennica > Aufidus. Rivista di scienza e didattica della cultura classica AUPA Atti del seminario giuridico dell'Università di Palermo AUSL Annali dell'Università Statale di Lecce, facoltà di lettere e ftlosofia AW Antike Wdt
BAA Bulletin d' Archéologie algérienne BAB Bulletin de la Classe des Lettres de ]' Académie Royale de Belgique BABesch Bulletin Antieke Beschaving BAGB Bulletin de l' Association Guilleume Budé
BAM Bulletin d'Archéologie marocaine BAPI Bullettino dell'Archivio Paleografico Italiano BAR British Archaeological Reports BASO Bulletin of the American Schools of Orientai Research in Jerusalem and Baghdad BASP Bulletin of the American Society of Papyrologists BBCS Bulletin of the Board of Celtic Studies BCAR Bullettino della Commissione Archeologica Comunale in Roma BCH Bulletin de Correspondance Hellénique BCTif Bulletin Archéologique du Comité des Travaux Historiques
XXVII
XXVIII
Elenco delle abbreviazioni
BelA Bollettino d'Arte BE Bulletin Epigraphique BEFAR Bibliothèque cles Ecoles Françaises d'Athènes et de Rome « Belfagor » Belfagor. Rassegna di varia umanità BGU Aegyptische Urkunden aus den staatlichen archaeologischen Museen zu Berlin, Gn'echischen Urkunden, Berlin 189' sgg. BHAC Bonner Historia Augusta Colloquium BIBR Bulletin de l'lnstitut historique beige de Rome BICS Bulletin of the Institute of Classica! Studies of the University of London BIDR Bullettino dell'Istituto di Diritto romano BIFAO Bulletin de l'Institut Français d'Archéologie Orientale BJ Bonner Jahrbiicher cles Rheinischen Landesmuseums in Bonn und cles Vereins von Altertums&eunden irn Rheinlande BMAH Bulletin cles Musées royaux d'Art et d'Histoire BPI Bullettino di Paletnologia Italiana BRGK Bericht der Riimisch-Germanischen Kommission cles Deutschen Archiiologischen lnstituts
BRL Bulletin of the J ohn Rylands Library « Britannia »
Britannia. A joumal of Romano-British and kindred studies BSAA Bulletin de la Société cles Antiquaires d'Alexandrie BSAF Bulletin de la Société nationale cles Antiquaires de France BSFN Bulletin de la Société française de Numismatique BSL Bulletin de la Société de Linguistique de Paris BTextAn Bulletin de liaison du Centre international d' étude cles textiles anciens « Byzantina » Bu~o:v·mci. "Opyo:vov Kiv~pou Bu~o:nlvwv 'Eptuvwv lll~Àoaot;mqi~ ~X,OÀlJ~ 'Ap~~~ùtlou Ilo:vt7UO'~l]!l-1ou
Elenco delle abbreviazioni
XXIX
« Byzantion » Byzantion. Revue internationale cles Etudes byzantines ByzF Byzantinische Forschungen. lnternationale Zeitschrift fiir Byzantinistik BZ Byzantinische Zeitschrift « Caesarodunum » Caesarodunum. Bulletin de l'Institut d'études latines de l'Université de Tours, Centre de recherches A. Piganiol
CAH Cambridge Ancient History CAR Corpus Agrimensorum Romanorum, Leipzig-Stuttgart 1971; vedi anche GromVet CArch Cahiers Archéologiques. Fin de l'antiquité et Moyen age CAS Cahiers d'Archéologie Subaquatique CCARB Corsi di cultura sull'arte ravennate e bizantina
ccc Civiltà classica e cristiana
CCL Corpus Christianorum, Series Latina, Turnholr 19H sgg. CE Chronique d'Egypte CEA Cahiers cles Etudes anciennes CEDAC Centre d'études et de documentation archéologique de la Conservation de Carthage CH Cahiers d'Histoire pubi. par les Univ. de Clermont-Lyon-Grenoble ChHist Church History «Chiron» Chiron. Mitteilungen der Kommission fiir alte Geschichte und Epigraphik cles Deutschen Archiiologischen lnstituts
ChLA Chartae Latinae Antiquiores CIE Corpus Inscriptionum Etruscarum, Leipzig 1893 sgg. CIG A. BOECKH, Corpus Inscriptionum Graecarum, Berlin 1828-77 CII Corpus Inscriptionum Italicarum antiquioris Aevi ordine geographico digestum, Torino 1867 CI] Corpus lnscriptionum ]udaicarum, Roma 1936 sgg.
Elenco delle abbreviazioni
xxx
CIL Corpus Inscriptionum Latinarum, Berlin z863 sgg. CISA Contributi dell'Istituto di Storia antica dell'Università del Sacro Cuore
C] The Classica! J o urna!
CLA Codices Latini Antiquiores, 1934 sgg.
ClAn t Classica! Antiquity
CLE Carmina Latina Epigraphica, Leipzig z895 «Clio>> Clio. Rivista di studi storici CLPA Cahiers Ligures de Préhistoire et d' Archéologie C&M Classica et Mediaevalia. Revue danoise d'Histoire et de Philologie CMG
Corpus Medicorum Graecorum, Leipzig-Berlin I9I5 sgg. CodMan Codices manuscripti. Zeitschri& fur Handschri&enkunde CPh Classica! Philology
CPHerm. Corpus Papyrorum Hermopolttanorum, Leipzig 1905 (= SPP, V) CP] Corpus Papyrorum Judaicarum, a cura di V. Tcherikover, A. Fuqs, M. Stern e D. M. Lewis,Jeru· salem · Cambridge Mass. 1957-64
CPL Corpus Papyrorum Latinarum, Wiesbaden 1958 CPR Corpus Papyrorum Raineri Archiducis Austriae, l. Griechische Texte, a cura di C. Wessely, Wien I895
CQ Classica! Quarterly CR Classica! Review
CRAI Comptes rendus de I'Académie cles lnscriptions et Belles-Lettres CRIPEL Cahiers de Recherches de I'Institut de Papyrologie et d'Egyptologie de Lille
es Critica storica
CSEL Corpus Scriptorum Ecclesiasticorum Latinorum, Wien z866 sgg.
Elenco delle abbreviazioni
XXXI
CSSH Comparative Srudies in Society and History CT Les Cahiers de Tunisie
cw The Classical World DArch Dialoghi di Archeologia
DGE Dialectorum Graecarum Exempla epigraphica, Leipzig 1923 3 DHA Dialogues d'histoire ancienne
Digesto Digesta lustiniani Augusti, editio maior, Berlin r866-7o «Diogène» Diogène. Revue ... de la Philosophie et d es Sciences humaines DizEp Dizionario Epigrafico Do cA Documenta Albana DOP Dumbarton Oaks Papers «Doxa>> Doxa. Rassegna critica di antichità classica DVLG Deutsche Vierteljahrsschrift fiir Literaturwissenschaft und Geistesgeschichte DWA Denkschriften der Òsterreichische Akademie der Wissenschaften, Philosophisch-Historische Klasse EA Epigraphica Anatolica
EAA Enciclopedia dell'arte antica EAC Entretiens sur l' Antiquité Classique EC Etudes Celtiques EHR English Historical Review EJS European Joumal of Sociology, vedi AES EMC Echos du Monde classique. Classica! Views
Historia. Zeitschri& fiir alte Geschichte
H] Historisches J ahrbuch
HRR Historicorum Romanorum Reliquiae, V2, Leipzig 1914; II, Leipzig 19o6 HSPh Harvard Studies in Classical Philology
H& T History and Theory. Studies in the Philosophy of history HThR Harvard Theological Review HUCA Hebrew Union College Annua! HZ Historische Zeitschrift IAM Inscriptions antiques du Maroc
XXXIV
Elenco delle abbreviazioni
IBKW lnnsbrucker Beitriige zur Kulturwissenscha& I. Cr. Inscriptiones Creticae, Roma 1935 sgg. ICS Illinois Classica) Studies ICUR Inscriptiones Christianae Urbis Romae, septimo saeculo antiquiores, Roma
1857-61
sgg.
IEJ lsrael Exploration Joumal IF lndogermanische Forschungen
IG Inscriptiones Graecae, Berlin 1873-1927 IGBulg Inscn"ptiones Graecae in Bulgaria repertae, a cura di G. Mihailov, l-IV, Serdicae 1956-66 IGR Inscnptiones Graecae ad Res Romanas pertinentes, Paris 1911 sgg. IGUR Inscriptiones Graecae Urbis Romae, Roma r968 sgg. I. I. Inscriptiones Italiae, Roma 1931 sgg.
I] The lrish Jurist
I]NA lnternational Journal of Nautical Archaeology and Underwater Exploration
Il.Alg Inscnptions Latines de l'Algérie
ILLRP Inscn"ptiones Latinae Liberae Rei Publicae, l, Firenze 1965 2 ; Il, Firenze
1963
ILS Inscriptiones Latinae Selectae, Berlin 1892-1916 IL T un A. MERLIN, Inscriptions latines de la Tunisie, Paris IMU
1944
Italia Medioevale e Umanistica «lndex» lndex. Quaderni camerti di studi romanistici. lnternational Survey of Roman Law lnvLuc lnvigilata lucernis. Rivista dell'Istituto di Latino dell'Università di Bari
IRT J. M. REYNOLDS e J. B. WARD-PERKINS, The Inscriptions o/ Roman Tnpolitania, Rome-London 1952
«l tal ica>> ltalica. Cuadernos de trabajos de la Escuela espaiiola de historia y arqueologia en Roma > Philologus. Zeitschrift fiir klassische Philologie « Phoenix >> The Phoenix. The Journal of the Classica! Association of Canada
Elenco delle abbreviazioni
XL
PhW Philologische Wochenschrift
Pland. Papyn·landanae, Leipzig-Berlin 1912 sgg. « Picus » Picus. Studi e Ricerche sulle Marche nell'antichità
PIR Prosopographia lmperii Romani, 1' ed. a cura di E. Klebs e altri, Berlin 1897-98; 2' ed. a cura di E. Groag, A. Stein e altri, Leipzig 1933 sgg. PL J.-P. MIGNE, Patrologia latina, Paris 1844-64 P. L. Bat. Papyrologica Lugduno-Batava, Leiden 1941 sgg. PLRE The Prosopography o/ the Later Roman Empire, l, a cura di A. H. M. Jones, J. R. Manindale e ]. Morris, Cambridge University Press,1971; Il, a cura di]. R. Manindale, Cambridge University
Press, 1980 PMAAR Papers and Monographs of the Arnerican Academy in Rome
PMich. University o/ Michigan papyn·, in «Transactions of the Arnerican Philosophical Society», Lill (1922)
PMonac. A. HEISENBERG e L. WENGER (a cura di), Byzantinische Papyri, Leipzig 1914 (« Veriiffentlichungen aus der Papyrus-Sammlung der K. Hof- und Staatsbibliothek zu Miinchen», l)
POxy. Oxyrhynchus Papyri, London 1898 sgg. pp La Parola del Passato. Rivista di Studi antichi
P&P Past and Present. A journal of historical Studies
PPol ll pensiero politico. Rivista di Storia delle idee politiche e sociali PRyl. Catalogue o/ the Greek papyn· in the fohn Rylands Library al Manchester, 19II sgg. PSI Papin· greci e latini (Pubblicazioni della Società italiana per la ricerca dei papiri greci e latini in Egitto), Firenze 1912 sgg.
PStrassb. F. PREISIGKE, Griechische Papyrus der kaiserlichen Universitiits- und Landesbibliothek zu Strassburg, 2 voli., Strassburg (poi Leipzig) 19o6-2o PTeb. Tebtunis Papyri, London- New York 1902 sgg.
« Puteoli » Puteoli. Studi di storia antica QAL Quaderni di Archeologia della Libia
Elenco delle abbreviazioni
QC Quaderni Catanesi di Studi classici e medievali QISAC Quaderni dell'Istituto di Storia Antica di Chieti QITA Quaderni dell'Istituto di Topografia Antica dell'Università di Roma QLF Quaderni linguistici e filologici QNA Quaderni ticinesi di Numismatica e Antichità classiche QPS Quaderni di Protostoria QS Quaderni di Storia QuadAEI Quaderni del centro di studio per l'Archeologia Etrusco-ltalica QuadAL Quaderni del centro di studio per l'Archeologia Laziale QUCC Quaderni Urbinati di Cultura classica RA Revue Archéologique
RAAN Rendiconti dell'Accademia di Archeologia, Lettere e Belle Arti di Napoli RAC Rivista di Archeologia Cristiana
RAC Real/exikon /iir Antike und Christentum, Stuttgart 1950 sgg. RAComo Rivista archeologica dell'antica provincia e diocesi di Como RAf Revue Africaine RAL Rendiconti della Classe di Scienze morali, storiche e filologiche dell'Accademia dei Lincei RAN Revue archéologique de Narbonnaise RAT Revue d'Antiquité Tardive RB Revue Biblique RCCM Rivista di Cultura classica e medioevale
RD Revue Historique de Droit français et étranger RdA Rivista di Archeologia
XLI
Elenco delle abbreviazioni
XLII
RDGE R. K. SHERK, Roman Documents /rom the Greek East. Senatus consulta and epistulae to the Age o/ Augustus, Baltirnore 1969
RE PAULY·WISSOWA,
Real·Encyclopàdie der classischen Altertumswissenscha/t, Stuttgan
1893
sgg.
REA Revue des Etudes Anciennes REAug Revue des Etudes Augustiniennes REE Rivista di Epigrafia Etrusca (negli SE) REG Revue des Etudes Grecques
RE] Revue des EtudesJuives REL Revue des Etudes Latines RELig Revue d' études ligures «Review» Review. A Journal of the Ferdinand Braudel Center for the Study of Economies, Historical Systems and Civilizations
RF Rivista di Filosofia
RFIC Rivista di Filologia e di Istruzione Classica
RH Revue Historique
RHD Revue d'Histoire du Droit l Tijdschrift voor Rechtsgeschiedenis
RHDFE Revue Historique de Droit Français et Etranger
RHEF Revue d'Histoire de I'Eglise de France RhM Rheinisches Museurn fiir Philologie RHR Revue d'Histoire des Religions RHT Revue d'Histoire des Textes
RIA Rivista dell'Istituto Nazionale di Ascheologia e Storia dell'Aste RIB
Roman Inscriptions o/ Britain, Oxford
1965
sgg.
RIC E. H. HATTINGLY, A. SYDENHAM
e altri, The Roman Imperia/ Coinage, London
1923
sgg.
Elenco delle abbreviazioni
XLIII
RIDA Revue Internationale des Droits de l' Antiquité
RIEJ Revue Interdisciplinaire d'Etudes Juridiques RIGI Rivista Indo-Greca-Italica RIL Rendiconti dell'Istituto Lombardo, Classe di Lettere, Scienze morali e storiche RIN Rivista Italiana di Numismatica e Scienze affini RISG Rivista Italiana di Scienze Giuridiche RMitt Mitteilungen des Deutschen Archaologischen Instituts, Riimische Abteilung RN Revue Numismatique RomBarb Romanobarbarica. Contributi allo studio dei rapporti culturali tra mondo latino e mondo barbarico ROMM Revue de I'Occident Musulrnan et de la Méditerranée
RPAA Rendiconti della Pontificia Accademia di Archeologia
RPh Revue de Philologie RQ Revue de Qumran RQA Riimische Quartalschrift fiir chrisùiche Altertumskunde und fiir Kirchengeschichte
RRC M. H. CRAWFORD,
Roman Republican Coinage, Cambridge
RSA Rivista storica dell'Antichità RSC Rivista di studi classici RSCI Rivista di Storia della Chiesa in Italia RSF Rivista critica di Storia della Filosofia RSI Rivista Storica Italiana RSJB Recueils de la Société J ean Bodin RSL Rivista di Studi Liguri RSLR Rivista di Storia e Letteratura religiosa
1974
XLIV
Elenco delle abbreviazioni
RSPh Revue des Sciences Philosophiques et Théologiques RUB Revue de I'Université de Bruxelles SAL Studi di antichità, Università di Lecce SAWW Sitzungsberichte der Osterreichischen Akademie der Wissenschaft in Wien, Philosophischhistorische Klasse
SB Sammelbuch griechischer Urkunden aus Agypten, Strassburg-Wiesbaden 191' sgg. SBAW Sitzungsberichte der Bayerischen Akademie der Wissenschaften, Philosophisch-historische Klasse
se Sources Chrétiennes, Paris 1942 sgg. S&C Scrittura e Civiltà ScAnt Scien2e dell'Antichità SCI Scripta classica Israelica. Yearbook of the Israel Sociery for the promotion of classical Studies
sco Studi Classici e Orientali SDA Studi e Documenti di Archeologia SDAW Sitzungsberichte der Deutschen Akademie der Wissenschaften zu Berlin. Klasse fiir Sprachen, Literarur und Kunst
smn Studia et Documenta Historiae et luris SE Studi Etruschi
SEG Supplementum Epigraphicum Graecum, I sgg. Leiden 1923- ; XXVI sgg. Alphen a. d. Rijn; XXVlli sgg. Amsterdam « Seia» Seia. Quaderni dell'Istituto di storia antica dell'Università degli studi di Palermo SHAW Sitzungsberichte der Heidelberger Akademie der Wissenschaften, Philosophisch-historische Klasse SicGymn Siculorum Gymnasium. Rassegna semestrale della Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università di Catania SIFC Studi Italiani di Filologia Classica SJG' Sylloge lnscriptionum Graecarum, Leipzig 191,-243
Elenco delle abbreviazioni
XLV
SIG' Sylloge lnscriptionum Graecarum4
SMEA Studi micenei ed egeo-anatolici SMSR Studi e materiali di storia delle religioni
so Symbolae Osloenses
SPP c. WESSELY (a cura di), Studien zur Paliiographie und Papyruskunde, Leipzig 1901 sgg. SSAC Studi Storici per l'Antichità Classica SSL Studi e Saggi linguistici (suppl. a «L'Italia Dialettale»)
Staatsvertriige H. H. SCHMITT, Die Staatsvertriige des Altertums, III. Die Vertriige der griechisch- r6mischen Welt von 338 bis 200 v. Chr., Miinchen 1969
StudCias Studii Clasice StudMed Studi medievali StudMisc Studi miscellanei. Seminario di archeologia e storia dell'ane greca e romana dell'Università di Roma StudPic Studia Picena StudRom Studi Romani StudRomagn Studi Romagnoli StudStor Studi storici StudUrb (Ser. B) Studi U rh inati di Storia, Filosofia e Letteratura «Syria» Syria. Revue d'Art orientai et d'Archéologie «T alanta,. TciÀGtv'tGt. Proceedings of the Dutch archaeological and historical Society
TAM Tituli Asiae Minon's, Wien
1920 sgg. TAPhA T ransactions an d Proceedings of the America n Philological Association TAPhS Transactions of the American Philosophical Society
TF Scaenicorum Romanorum Fragmenta, l. Tragicorum Fragmenta, Miinchen I9H
XLVI
Elenco delle abbreviazioni
Th/L Thesaurus linguae Latinae, Leipzig 1900 sgg. TIB Tabula Imperii Byzantini
TJ Trinity Journal
TLE Testimonia Linguae Etruscae, Firenze r> si trovano menzionate soltanto al fondo di una nota.
Carandini
L'ultima civiltà sepolta
15
conchiglia. Si tratta dello sguardo del tipologo, dello stratigrafo e del topografo, insolito o subalterno nelle alte summae degli storici, ma per questo forse specialmente interessante se vogliamo reinterpretare quel mondo non solo attraverso l'abile combinazione di vecchi saperi ma anche a partire dai nuovi punti di osservazione. L'errore principale e piu frequente compiuto dagli archeologi pasticcioni o dagli storici frettolosi è quello di pensare che una continuità di testimonianze materiali sia sinonimo di continuità di cultura e di vita nell' ambito di una comunità. Anche durante l'età migliore di un monumento all'apice del mondo classico vi sono momenti di continuità e momenti di rottura, come quando si modifica anche impercettibilmente una struttura, aprendo, ad esempio, o chiudendo una porta, installando o abolendo una attrezzatura, decorando o ridecorando un ambiente, azioni queste che alterano i percorsi e le funzioni dell'oggetto di cui si tratta, per cui il significato della struttura viene ogni tanto a mutare. È in questo instancabile alterarsi che consiste il piu intimo segreto di un monumento, mai sempre uguale a se stesso e continuamente rilavorato dal tempo. Solo la recente filologia stratigrafica (non la vecchia archeologia monumentale) è in grado di decriptare le trasformazioni significative del mondo materiale e quindi di scriverne la storia. Vi sono mutamenti e aggiustamenti vitali o comunque conformi allo stile fondamentale di un'epoca e vi sono alterazioni incongrue e anche letali che segnano una soluzione della precedente relativa continuità. Lo stratigrafo deve saper cogliere questi movimenti dando loro un giusto rilievo nel racconto. L'assunto trova una sua evidente dimostrazione nell'edizione della villa di Settefinestre in Etruria', morta giovane con tante altre alla fine dell'età degli Antonini. Nata per produrre vino, adattatasi ad allevare schiavi e maiali, finisce presto col declinare e col venir sepolta. La fine della villa non può essere considerata alla stregua delle altre precedenti piu modeste seppur significative riconversioni o alla stregua delle forme precarie di vita seguite a quell'esito (dai briganti tardoantichi ai contadini della riforma agraria degli anni '50 che hanno riutilizzato le sostruzioni dell'edificio come stalla). La continuità di vita su uno stesso supporto materiale, «vassoio topo grafico» o «sito», non può nascondere il succedersi dei diversi modi di vivere e la gerarchia della loro importanza in quanto eventi storici. Il teatro è lo stesso, ma diversa è la commedia. Nel Pantheon si può pregare Dio o ricordare il cardinale Consalvi, ma non riusciamo piu a venerarvi gli antichi dèi, se non recitando una finzione. In mezzo c'è il Pantheon ridotto alla condizione di rovina, anche se assai 7
A. CARANDINI
(a cura di), Sette/inestre, I*-1**, Modena
1984.
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Parte prima
I luoghi e le merci
bene conservata (anche lo scrittoio di un uomo morto è presto una rovina, nel senso che gli oggetti vengono spostati da chi lo spolvera ma non piu riorganizzati dal vecchio proprietario). Bisogna pertanto distinguere nettamente fra le funzioni «primarie», magari anche diverse ma congrue rispetto all'evolversi di uno stesso mondo, e quelle «secondarie» che pur riutilizzando spazi simili e simili oggetti seguono i bisogni spirituali di un'altra era. Un femore in vita è altro dalla sua venerata reliquia e la Colonna Traiana non equivale alla sua fortuna oltre il mondo antico. L'Europa medievale e moderna non nasce dal vivo fusto dell'impero ma dal suo parco archeologico. Proust spiega la sorte delle cose e dei mondi desueti a proposito del palazzo del duca d'Etampes: «gli oggetti che furono amati per se stessi una volta, sono amati piu tardi come simboli del passato e distolti allora dal loro senso primitivo, come nella lingua poetica le parole prese come immagini non sono piu intese nel loro senso primitivo. Cosi, sul tavolo dai piedi di capra dorati, un calamaio non serviva a scrivere in quella stanza dove nessuno scriveva, ma ad evocare il tempo in cui questa vita lussuosa fu una vita familiare ... »'. Non si deve pensare tanto a una divisione fra vita e memoria, fra cosa e simbolo, quanto al genere di rapporto che viene a crearsi di volta in volta fra le cose e gli uomini. Anche la piu vile delle merci ha fin dall'inizio un suo valore simbolico oltre che pratico e altri valori successivi che non sono che variazioni su di un unico tema, ma poi il motivo cambia e il simbolo finisce per apparire completamente dissociato dalla funzione originaria della cosa stessa, ridotta questa volta a mero supporto materiale di simboli magari totalmente imprevisti. Il rapporto tra la produzione della cosa e la sua venerazione in quanto oggetto desueto è segnato per definizione dalla discontinuità e vive esclusivamente come nuovo archetipo collettivo o tratto originale di una psiche. L'eternità della città di Roma sui sette colli non è altro che un sogno, nonostante che la città sia un caso particolarmente riuscito di conservazione e di trasformazione, tanto che è stata scelta da Freud come immagine terrena della memoria umana '. C'è perfino da chiedersi se ha senso dire che Roma è sempre rimasta una città o non sia piu giusto ritenere che a un certo punto della sua storia sia regredita a qualcos' altro, anche se nelle menti essa non ha mai perso lo statuto simbolico di urbs (ricordiamoci che Roma esisteva come insediamento prima di Romolo, ma non era ancora una città). Il fatto è che mai come nella tarda antichità i processi della deforma• M. PROUST, Jean Santeuil, citato in F. ORLANDO, Gli oggelli desueti cit., p. 432 nota. ' A. CARANDINI, Analisi del sommerso, in ID., Storie dalla terra, Torino 1991, pp. 258 sgg.
Carandini
L'ultima civiltà sepolta
zio ne hanno prevalso su quelli della formazione, a vantaggio dei processi dissolventi e unificanti della rovina. Vi è una continuità nello spettro ideale che possiamo immaginare fra ciò che è ricco di distinzioni e di relazioni e ciò che ne è povero o privo, per l'intervento sempre piu frequente e alla fine preponderante dell'indistinto. La tarda antichità è un progredire e poi precipitare verso il polo della catastrofe anziché verso quello della morfogenesi. Infatti del mondo antico sappiamo infinitamente meno che del Medioevo (di cui si conservano gli archivi), perché infinitamente di piu è andato allora distrutto. Anche se in un monastero si copiavano i classici e ci si accampava in catapecchie fra le volte crollate di una terma pubblica vissuta come opera di giganti, il giudizio sul genere della trasformazione non cambia, anzi ne viene confermato. È troppo facile sulla base di un coccio, di uno strato o di un muretto sostenere che vi è continuità: una villa può trasformarsi in un villaggio (come nel Nador in Algeria), una città in una villa (come a Veio), in un villaggio o in piu villaggi, in una fortezza o in un monastero (come in tantissimi altri casi). Non si deve confondere continuità di insediamento e continuità di una stessa forma di insediamento (unità di sito con identità di unità topografica, si direbbe nel gergo archeologico). Nel sito di Roma si vive dal Paleolitico (come sul Palatino) e da allora si sono succeduti vari accampamenti mobili, una comunità tribale, alcune comunità latine, un centro protourbano, un centro urbano nei suoi vari gradi e generi di sviluppo e si è avuta infine la fine della città antica e una drastica regressione nel grado dello sviluppo insediamentale. Dov'è la continuità, se appena riusciamo a ragionare in grande? 3- Le merci.
Le merci consentono di imbastire un racconto relativamente organico e una periodizzazione abbastanza sicura'". Gli storici primitivisti hanno una interpretazione riduttiva di questi grandiosi fenomeni artigianali e manifatturieri, ma il loro numero va assottigliandosi e il consenso si allarga nella direzione di seguito indicata. Ia) Nella tarda repubblica (n-I secolo a. C.) l'Italia unifica il mondo che la circonda attraendo a sé le periferie e dominandone i mercati grazie alla sua condizione di habitat principale della sua aristocrazia impe"' ID.,ll mondo della tarda antichità visto attraverso le merci, in A. GIARDINA (a cura di). Società romana e impero tardoantico, III. Le mem; gliinsediamenti, Roma-Bari 19!16, pp. 3 sgg.; A. CARANDINI, Il commemò del vino italico ci t. Si veda soprattutto l'importante saggio di c. PANELLA, Merci e scambi nel Medtterraneo tardoantico, in questo volume alle pp. 613 sgg.
Le province dell'Impero alla mone di Traiano (II? d. C.).
Carandini
L'ultima civiltà sepolta
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rialistica. L'immagine è quella di una stella il cui centro è a Roma e i cui raggi si diramano verso le province. Viene a crearsi una unità economica mai prima conosciuta, basata sulla cooperazione schiavistica fiorente nelle migliori campagne della Penisola. rb) Fra Augusto e Commodo (I-II secolo d. C.) l'Italia declina economicamente e artisticamente. Comincia a farsi sentire la concorrenza delle province dell'Europa meridionale e occidentale (Gallia e Spagna), che imitano con successo le merci e gli stili del cuore dell'impero, seppure con modi di produrre diversi, non piu basati sulla cooper~zione schiavistica, che sempre piu si diffondono anche nella Penisola. E l'età del latifondo (in Italia delle ville la cui manodopera è ospitata per lo piu nei villaggi), sintomo di patrimoni maggiori e di minori investimenti di capitali. L'armonico disegno economico della stella comincia a disfarsi con il sorgere di altre zone economiche chiave, i cui raggi si frappongono a quelli che ancora, seppur piu debolmente, promanano dal centro del potere. 2) A partire dai Severi (dal m secolo d. C.) l'economia italica ha già chiuso i battenti e il centro dell'impero è diventato dal punto di vista produttivo una periferia. Comincia pertanto molto presto la tarda antichità in Italia, per cui il fenomeno vi durerà molto a lungo (quattro secoli). Tramonta gradualmente anche l'egemonia delle province europee occidentali, che non erano però riuscite a unificare l'economia mediterranea e che ripiegano ora su se stesse, colte anch'esse dalla tarda antichità. Comincia a profilarsi di conseguenza quella tripartizione dell'impero, che sarà poi delle prae/ecturae: r) le Gallie, 2) l'Illirico, l'Italia e l'Africa e 3) l'Oriente. Le forze della produzione e le capacità artistiche si sono ormai spostate nell'Africa settentrionale, con epicentro nella Proconsolare (l'a ttuale Tunisia), conservandosi in tal modo sempre nella parte centrale dell'impero, ma volgendo questa volta a meridione, cioè nella direzione opposta a quella che sarà tipica della modernità. È ormai l'Africa proconsolare, non piu l'Italia, il modello da imitare. Le importazioni delle merci africane in tutta la Penisola (non solo a Roma e a Ostia) raggiungeranno l'85 per cento. Questa grande disparità con l'Europa si manifesta anche a livello artistico, nei famosi mosaici policromi africani, dove per la prima volta vengono rappresentati «tutti gli attributi quotidiani, pratici, brutti e volgari della vita, prima considerati indecenti o insignificanti» prendendoli «sul serio, anziché, come prima, castigare e riscattare il loro difetto di dignità con una presa di distanza comica o satirica» come avverrà molto dopo nella pittura olandese e nei romanzi dell'Boa. Le 11
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F. ORLANDO,
Gli oggetti desueti cit.
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carriere dei senatori e la logica dei loro latifondi seguono la stessa traiettoria percorsa dalle merci e dai prodotti artistici nel bacino centrale e meridionale del Mediterraneo, lungo il nuovo asse creatosi fra Cartagine e Roma". Le produzioni africane raggiungono anche le altre province, comprese quelle orientali, unificando economicamente il Mediterraneo come non era riuscito alla Gallia e alla Spagna. Costantinopoli susciterà a suo principale vantaggio nuove produzioni in Oriente, a partire dall'Egitto, cosi che l'Africa diventerà ancora piu essenziale per l'Occidente e 12
Per l'aspetto figurativo legato a queste carriere cfr./\. CARANDINI, A. RICCI e M.
/irma. La villa di Pùn:za Armerina, Palermo 1982.
La divisione dioclezianea per diocesi (circa
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d. C.) .
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"'> (zhid., n. 20, vv. 3 e 7). " Sull'iconografia di Pietro e sui suoi legami con l'ideologia papale si veda CII. PIETRI, Roma christùma cit., pp. 315·56 . .., Per i vetri dorati si consulti CII. R. MOREY, The Gold-Glass Collection o/the Vatican Lzhrary, Città del Vaticano 195 9.
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nell'epiteto nova sidera applicato agli apostoli, essa usa sottilmente delle reminiscenze mitologiche che lasciano chiaramente intravedere, alla vigilia dell'ultima battaglia contro il paganesimo, tutta la sicurezza di un establishment ecclesiastico che ritiene a ragione di aver avuto partita vinta; per i suoi riferimenti virgiliani cosi come per la calligrafia delle sue iscrizioni, che segnano un vero rinascimento dell'arte dell'incisione, essa pone inoltre le premesse di un nuovo ordine in questa Roma, prossima ormai a essere interamente acquisita alla nuova devozione. 3· Da Damaso a Leone Magno: l'affermarsi di un nuovo urbanesimo.
A partire dagli ultimi decenni del IV secolo, la costruzione della nuova basilica di San Paolo sull'Ostiense è partecipe d'altronde di questo rinnovato clima. Il nuovo ruolo preso dall'apostolo dei Gentili nella cura pastorale e nell'ideologia della Chiesa di Roma esigeva l'erezione di un edificio che ponesse la sua memoria alla pari con quella di Pietro, soprattutto per una dinastia che voleva rompere definitivamente con l'antica religione i cui templi erano ormai chiusi"; ma è ugualmente significativo che gli imperatori dessero allora incarico al prefetto della città, nel 383, di condurre con papa Damaso (ma anche con i pagani) dei negoziati preliminari per la costruzione del nuovo edificio". Senza dubbio meno vasta di San Pietro, San Paolo era però piu luminosa (42 larghe finestre in luogo di 22) e anche decorata sontuosamente; l'importanza del monumento si può valutare in base alla cura con la quale si provvide alla sua regolare manutenzione: a partire dal441 esso fu oggetto di un solo intervento di restauro di una certa importanza". Nel frattempo però Roma era stata presa dai barbari; ma per quanto questo avvenimento abbia turbato la coscienza dei contemporanei, in realtà lo dobbiamo ridurre, in riferimento all'architettura e all'urbanesimo, a rango di semplice peripezia: il mezzo secolo che si estende dalla morte di Damaso all'avvento di Leone Magno è segnato in effetti da un moltiplicarsi di edifici che perfezionano una nuova geografia ecclesiastica e nello stesso tempo segnano la comparsa di una tecnica costruttiva fi·Il Nello stesso senso si esprime R. KRAUTIIEIMER, Rome cit., p. 42: «Pau! could no longer be relegated to the second piace». " Collectio Avellana, 3.2: cfr. CII. PIETRI, Roma christiana ci t .. pp. 314-15; per la datazione si veda A. CHASTAGNOL, Quelques documents relati/s à Saint-Pau/ hors /es murs, in Mélanges d'archéologie et d'histoire o//erts à A. Pi[l.aniol. Paris 1966, pp ..pr sgg. " Liber Pontificalis, I, p. 239: «[basilicam] Pauli post ignem divinum renovavit>> (danni causati dal fulmine? o un terremoto? [CRCR. V, p. 103]).
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no allora sconosciuta negli edifici cristiani al di fuori delle fondazioni imperiali ... Analogamente al passato, alcuni di questi monumenti sono legati all'evergetismo privato. La basilica di Santa Sabina, opera di Pietro d'Illiria costruita sotto il pontificato di Celestino (422-32), è una delle piu complete tra quelle giunte fino a noi; si è potuta anche giovare, agli inizi di questo secolo, di un attento restauro che ha rivelato il ritmo sapiente delle sile proporzioni e le ha restituito tutta la sua ampiezza, ma non tutta la sua ricchezza, poiché l'essenziale della decorazione è andato perduto nel corso di altri interventi. Restano comunque almeno, nella loro iconografia originale, le celebri porte !ignee scolpite, lo splendido mosaico della controfacciata, con la sua monumentale iscrizione, e una parte del rivestimento di opus sectile parietale che fa risaltare col suo cromatismo la grande navata centrale (lunga 46,8o metri) sostenuta da un colonnato i cui elementi sono stati recuperati da un unico edificio del 11 secolo". Come per le reminiscenze virgiliane dei carmi di Damaso, bisogna vedere in quest'ultima scelta non tanto un recupero quanto un'interpretatio christiana del passato, segno di un'arte giunta a maturità che trionfa pienamente con le costruzioni di Sisto III (432-40), in particolare Santa Maria Maggiore sull'Esquilino, che aveva preso il posto di una prima basilica di Liberia distrutta nel secolo precedente in concomitanza con i conflitti legati alla difficile elezione di Damaso. Si tratta questa volta di una costruzione dovuta all'iniziativa del papa. Va sottolineato che senza dubbio nessun vescovo di Roma aveva, prima di questa data, innalzato nella città, a proprie spese, un edificio di questa ampiezza e di questa qualità"'. L'edificio, a tre navate, è lungo 71,50 metri (esclusa la scomparsa abside) e largo 31,90. La navata centrale, di notevole altezza, è separata da quelle laterali da un colonnato ionico in marmo proconnesio che sostiene un architrave. Il classicismo di sapore arcaizzante di questo ordine architettonico, inusitato a Roma da secoli, contrasta col resto dell' alzato composto da venti due pannelli inquadrati da lesene che associano scene musive di carattere narrativo, rese con vivace cromatismo, a larghe finestre con frontoni alternativamente curvi e triangolari di un " Per un esame di questa evoluzione nel tempo cfr. L. REEKMANS, L'implantation monumentale chrétienne dam le paysage urbain de Rome de JOO à 8JO, in Actes du Congrès cit., pp. 86!·915. " CBCR, IV, pp. 69·9+ "· Si noti però l'importanza deltitulus di Damaso a San Lorenzo, attualmente in corso di scavo nel cortile del palazzo della Cancelleria; bisogna comunque attendere il completamento dell'indagine per poternc dare un giudizio attendibile.
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gusto quasi barocco 47 • A questo gioco di volumi e di colori partecipavano anche la decorazione del soffitto- forse a cassettoni come oggi- e soprattutto quella dell'abside, rivestita da un mosaico il cui splendore resta tuttora percettibile, nonostante i restauri e i rifacimenti, nel superstite arco trionfale. Tale decorazione permette di ricostruire, almeno approssimativamente, gli altri programmi iconografici che erano illustrati sin dagli ultimi decenni del IV secolo nei mosaici delle basiliche romane, dei quali solo pochi sono conservati'": si tratta di un'arte eminentemente aulica, anzi trionfale. Lo stesso spirito è d'altronde presente anche al Laterano nella ricostruzione del battistero con una nuova pianta e con il reimpiego di otto colonne di perfido che erano state predisposte, sembra, da Costantino"; ma questa costruzione, sulla quale il Liber Pontz/icalis si sofferma lungamente, non è sufficiente a esaurire l'intensa attività del pontificato di Sisto: non contento di restaurare lo stesso Laterano, egli dedica San Pietro in Vincoli, edifica San Lorenzo in Lucina, dota Santa Sabina di un battistero'". Questa attività non cessa peraltro sotto il pontificato di Leone Magno, il quale aveva forse contribuito in prima persona, in qualità di arcidiacono, all'elaborazione del programma architettonico di Sisto, e le sue ,tracce possono essere seguite anche nei decenni seguenti. E sufficiente, a titolo di esempio, ricordare il caso di Santo Stefano Rotondo, emblematico almeno per tre ragioni: anzitutto poiché questa costruzione, dovuta all'iniziativa di papa Simplicio (468-83), dimostra chiaramente quanto abbia di artificioso, a Roma piu che altrove, la cesura del 476, che segna tradizionalmente il passaggio dall'antichità al Medioevo; in secondo luogo, poiché questo edificio evidenzia ancora una volta l'ingegnosità degli architetti romani che, attingendo questa volta a fonti orientali, hanno saputo dare una nuova interpretazione di un'arte aulica che si distingue singolarmente per la pianta cruciforme e circolare rispetto ai monumenti precedenti"; infine, poiché la dedica al p roto47 Secondo iJ giudizio di Cfl. PIETRI, Roma christiana cit., p. 513; R. KRAUTIIEIMER, Rome cit., p. 49, insiste piuttosto sul classicismo; dr. anche CBCR, V, pp. 1-6o. '" Questi programmi sono attestati- e non si tratta certo di una coincidenza casuale- fin dal tempo di Damaso per il titulus Anastasiae, ave l'intervento del pontefice è ricordato da un'iscrizione (ILCV, 1782); possiamo ancora avere un'idea del loro livello qualitativo attraverso l'abside superstite di Santa Pudenziana (intorno al 390). " Si veda CII. PIETRI, Roma christiana cit., p. 510, che ha ben sottolineato il carattere ugualmente trionfale di questo programma di ricostruzione. '" Per tutti questi edifici cfr. ibid., pp. 503-9; cfr. anche CBCR, sub voce. " CBCR, IV, pp. 191-229: una reminiscenza della basilica costantiniana dell'Anastasir a Gerusalemme non è da escludere. Su questo monumento cfr. in ultimo H. BRANDENBURG, La chiesa di S. Stefano Rotondo a Roma- Nuove ricerche e risultati: un rapporto preliminare, in RAC, LXXXVIII (1992), pp. 201-p.
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martire fa parte di una tendenza profonda che spingeva ormai i Romani, malgrado la gloria dei propri santi, ad accogliere intra muros delle reliquie importate. Ciò non vuoi dire comunque che i cimiteri della periferia fossero sin d'allora abbandonati, tutt'altro: anche se le sepolture intramurane, nelle chiese o nelle loro adiacenze", avevano preso il posto delle inumazioni che un tempo si praticavano in essi, i cimiteri restarono assai frequentati dai pellegrini. L'affluenza di questi obbligò all'installazione, fuori delle mura, di edifici come battisteri, monasteri e altri xenodochia destinati sia alla cura anima rum sia all'assistenza diretta nelle piu immediate necessità materiali. Il fenomeno, senza dubbio, non raggiunge la sua massima importanza se non in epoca piu tarda, ma è già pienamente percettibile, in epoca precedente, in siti privilegiati come quello di San Pietro": questo è dunque il segno di un profondo mutamento della topografia urbana çhe ha interessato anche l'interno della città. In questa parte finale del v secolo Roma in effetti è cambiata profondamente e, mentre qua e là si abbozzano embrionali sobborghi, non c'è abitante che non abbia, all'interno delle mura, un luogo di culto distante meno di 500 metri dalla sua abitazione: la politica edilizia, il ritmo della quale si è piu che duplicato dalla morte di papa Damaso, ha dato i suoi frutti. Anche se il papa è ormai a capo di un'attività pastorale nella quale gli evergeti non intervengono piu, la moltiplicazione dei luoghi di culto porta necessariamente alla comparsa di vere e proprie parrocchie (nel senso moderno di questo termine) per il servizio di altrettanti quartieri". Questa vitalità delle piccole comunità, particolarmente dense nel settore occidentale- il piu popoloso- dell'agglomerato urbano, evidenzia e denuncia ancora l'isolamento del Laterano. Per ovviare a questo inconveniente, la liturgia pontificia dispiega sin d'allora il suo fasto in edifici diversi dalla cattedrale: nei martyria come San Pietro, per esempio, ma anche nelle basiliche piu prossime al centro, come Santa Maria Maggiore, costruita per grandi adunanze. Per concludere è opportuno tornare a questo edificio, che dà la misura di tale evoluzione. Tutto in esso proclama la volontà- e la riuscitadi una vera e propria renovatio Urbis: la sua architettura, che si riallaccia al neoclassicismo romano e, nello stesso tempo, lo rigenera; la sua deco" Le sepolture in tra muros sono in effetti piu precoci di quanto non si sia a lungo ritenuto: su questo punto si veda la comunicazione di L. Pani Ermini negli Actes du Xl' Congrès cit., p. 82, e la discussione generale, pp. 1206· 13. " Per uno studio d'insieme si veda L. REEKMANS, L'implantation monumento le chrétiennedans la zone suburbaine de Rome du IV. au Ix'. siècle, in RAC, XLIV (1968), pp. 173-207. " CH. PIETRI, Régions ecclésiastiques cit., pp. 1035-62.
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I luoghi e le merci
razione, nella quale il Cristo e i suoi discepoli non sono che l'immagine ingrandita della corte e dell'imperatore"; infine la sua lapidaria dedicazione, «Xystus episcopus plebis Dei», il vocabolario della quale non attinge che in apparenza alle Scritture. La formula in effetti non è che un nuovo esempio di interpretatio christiana: perSisto e gli uomini del suo tempo, plebs Dei e populus Romanus si confondono indissociabilmente. " Su questo punto si veda, ad esempio, la sottile analisi di
R. KRAUTHEIMER,
Rome cit., p. 49·
FEDERICO GUIDOBALDI
Roma. Il tessuto abitativo, le «domus» e i « tituli »
La Roma del tempo di Settimio Severo, cosi come la possiamo ricostruire in base ai resti superstiti, alle menzioni o descrizioni degli autori antichi e, soprattutto, ai frammenti ancora esistenti della pianta marmorea severiana ',ci mostra una città compatta in cui gli elementi del passato si sono fusi con quelli moderni in una sorta di dispersione omogenea che ha gradualmente colmato e invaso gli spazi di risulta fino a giungere a un tessuto tanto continuo da essere quasi totalmente privo di «vuoti» urbani. La cinta muraria di Aureliano, che pure lasciò fuori alcuni quartieri già esistenti e sviluppati nel m secolo, sigillò in certo qual modo una città che in seguito non doveva piu espandersi: non esistono infatti a Roma quartieri o zone che possano essere considerati specificatamente tardoantichi, cioè occupati per la prima volta in età tardoimperiale. A parte gli ultimi inserimenti di grandi edifici pubblici e di grandi basiliche, anche la topografia urbana non subi mutamenti essenziali nella tarda antichità, almeno dal punto di vista macroscopico: conservò infatti in gran parte le sue maglie urbanistiche, i suoi centri di convergenza e la sua rete viaria. Ciò non vuoi dire però che la città non sia cambiata in quel tempo.
I.
Le trasformazioni dell'insediamento abitativo nel III-IV secolo.
Mentre la maggior parte dei muri perimetrali degli edifici restava al suo posto, mutavano infatti, spesso profondamente, gli usi, le funzioni, la frequentazione e, talvolta, anche le strutture interne degli edifici stessi. Un fenomeno evidente ci permette di iniziare l'analisi di questa trasformazione: l'uscita di scena delle insulae. 1
E. RODRIGUEZ ALMEIDA,
Forma Urbù Marmorea. Aggiornamento generale 1980, Roma r98r.
Parte prima
I luoghi e le merci
Questo tipo di edificio compatto, a quattro o cinque piani, di appartamenti con pianterreno a tabernae' della Roma dell'età flavia e di quella antonina, cioè di una città popolosa ma anche operosa e ancora produttiva, nella quale una folta classe artigiana e operaia trovava un modesto ma confortevole domicilio da prendere in affitto, non viene piu ripetuto e partire dall'età severiana. Una grossa insula databile all'età di Caracalla esita lungo la Via Lata, sotto l'attuale chiesa di San Lorenzo in Lucina, fu addirittura lasciata evidentemente incompiuta e, comunque, non fu mai abitata', il che fa pensare che tale tipo di costruzione non fosse ormai piu richiesto e quindi non fosse piu remunerativo per chi voleva ricavarne una rendita affittandone gli appartamenti. Un altro edificio analogo e di epoca un poco posteriore, poi inglobato nella basilica dei Santi Giovanni e Paolo', sembra aver avuto- se pure la ebbe- una vita molto breve, poiché già verso la fine del m secolo vi si era insediata con opportune modificazioni una domus. Proprio questo tipo di trasformazione, che è decisamente frequente e sempre unidirezionale a Roma nella tarda antichità, ci indica i nuovi orientamenti dell'insediamento urbano. La richiesta maggiore, infatti, si orientava ormai probabilmente verso le abitazioni unifamiliari, cioè le domus che venivano allestite e proposte in dimensioni e con livelli decorativi assai piu variabili di quanto fossero nel passato.
2.
Le «domus» tardoantiche: proprietari e affittuari.
Solo recentemente si è iniziata una indagine relativa agli edifici di questo tipo nella Roma tardoantica, e già i primi risultati hanno permesso di evidenziare la notevole gamma di domus che poteva essere disponibile per l'acquisto o per l'affitto'. Se confrontiamo infatti la minuscola domus edificata da Octavius Felix, vir clarissimus ', con la sola aula ab2 G. CALZA e G. LUGLI, , in EAA, IV, Roma 1961, pp. 166-68. ' E. TORTORICI, Alcune osservazioni sulla tav. 8 della Forma Urbis Romae del Lanciani,
in QITA,
e E. TORTORICI, 5. Lorenzo in Lucina, vecchie problematiche e nuovi scavi, in RAC, LXV (1989), pp. 193-97. 4 A. M. COLINI, Storia e topografia del Celio nell'antichità, in MPAA, serie 3, IX (1966), pp. 164-95;
X (1987), pp. 7-15;
F. GUIDOBALDI, C. MORSELLI
e A. GUIGLIA Vaticano 1983, pp. 213-17.
F. GUIDOBALDI
GUIDOBALDI,
Pavimenti marmorei di Roma dal/V al IX secolo, Città del
' F. GUIDOBALDI, L'edilizia abitativa umfamiliare nella Roma tardoantica, in A. GIARDINA (a cura di), Società romana e impero tardoantico, II. Roma: politica, economia, paesaggzo urbano, Roma-Bari 1986, pp. 165-237 e 446-6o. • R. Lanciani, in BCAR, I (1972-73), pp. 79-81 e tav. VI/r.
Guidobaldi
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sidata di quella lussuosissima di lunius Bassus, vir illustris ',ci rendiamo conto di un possibile rapporto di variabilità ben diverso da quello che si riscontra nell'architettura domestica urbana dell'età repubblicana e dei primi secoli dell'Impero. Queste case d'altronde, come apprendiamo dal Liber Ponti/icalis per il IV e v secolo, potevano anche essere affittate e fornire cosi rendite medie corrispondenti approssimativamente a una libbra d'oro all'anno', il che dimostra che potevano rappresentare anche un buon investimento se la richiesta si manteneva (come sembra probabile) a un buon livello. Di tale richiesta, d'altronde, non è difficile individuare il motivo. In effetti, dato che gli affittuari o i proprietari erano quasi esclusivamente (nei casi in cui riusciamo a stabilirlo) dei clarissimi o spectabiles o illustres, è giustificabile ritenere che nella nuova struttura del Senato, stabilita a partire dall'età costantiniana, con il notevole incremento dei membri e con l'assorbimento di contingenti sempre maggiori di clarissimi provenienti dalle aree piu o meno periferiche dell'Impero', si sia creata l'esigenza di un numero sempre maggiore di residenze decorose, ma temporanee, per coloro che partecipavano piu attivamente alla politica centrale del Senato, anche per conseguire quelle cariche specifiche che solo nell'ambito del Senato stesso erano ottenibili, e tra le quali la piu alta era la prefettura urbana, concessa non di rado, nel IV secolo, a senatori non romani e neppure italici. Se aggiungiamo a questi clarissimi anche gli elementi piu in vista della nuova classe emergente, cioè quella« burocratica», destinata comunque a confluire in parte in quella senatoria, otteniamo una schiera ancor piu folta di individui che potevano avere bisogno di una residenza urbana. La domus, acquistata o affittata, poteva essere di dimensioni e ricchezza decorativa proporzionali allivello di censo del senatore, come d'altronde ci testimoniano le fonti sia letterarie che epigrafiche. Ricordiamo ad esempio l'antiocheno Publius Ampelius, decorato della massima carica senatoria (fu praefectus urbi nel 371-72), che aveva acquistato una modesta casa sul colle Quirinale '", oppure l'africano Aradius Rufinus, prefetto tre volte all'inizio del IV secolo, che aveva trovato una abitazione di medio decoro sul «Monte d'oro» (non lontano dalle Terme di Caracalla, zona piu periferica e meno celebrata per le domus tarde), mentre i suoi figli, nati presumibilmente dal matrimonio con una Vale' G. llECATTI, L'edtficio con opus sectile fuori Porta Marina 181-215; F. GUIDOBALDI, L'edilizia abtlativa cit., pp. 184-86.
(Scavi di Ostia, VI), Roma
" Liber Pontt/icalis (ed. Duchesne). I. pp. 172, 212, 221 e 223. ' A. H. M. JONES,Jl tardo Impero romano, Milano 1974, pp. 747·53· '" F. GUIDOilALDI, L'edilizia abitativa cit., p. 227 e nota 130 p. 458.
1969,
pp.
Parte prima
I luoghi e le merci
ria, abitavano con ogni probabilità la lussuosissima dimora di tale famiglia, che piu tardi fu considerata tanto costosa da non trovare compratori". Era owio dunque che le famiglie che si radi cavano a Roma acquistassero una «casa di famiglia» rilevandola magari da altre famiglie estinte o emigrate o decadute e ridecorandola secondo il gusto dell'epoca, come fece lo stesso Ampelius già citato, mentre altri personaggi, che contavano di restare a Roma solo durante le cariche che li vincolavano alla città, preferivano probabilmente contentarsi di una domus d'affitto. Ciò potrebbe essersi verificato, ad esempio, nel caso di Rutilio Namaziano (praefectus urbi nel 414, ma già a Roma almeno dal 412) che al termine della prefettura tornò nelle Gallie !asciandoci l'impressione, nella descrizione del suo viaggio di ritorno", che non intendesse tornare presto a Roma e, anzi, non escludesse affatto di non rivedere mai piu l'amata Regina mundi. 3· Struttura e decorazione delle «domus» tardoantiche.
L'incremento delle domus nel IV secolo è evidente non solo a Roma ma anche a Ostia, ove si analizza piu facilmente poiché il precoce abbandono quasi totale nel V-VI secolo ha conservato la piccola città costiera come una sorta di Pompei del v secolo Le numerose domus tardoantiche di Ostia individuate a suo tempo da Becatti"- e oggi aumentabili ancora con qualche altro esempio- solo raramente sono costruite ex novo e quindi corrispondono in generale a un limitato disturbo della topografia precedente (salvo qualche invasione di strada), ma, nel contempo mostrano quasi sempre notevoli ristrutturazioni interne rispetto all'edificio precedente, con l'aggiunta, ove possibile, di fontane, di rivestimenti marmorei e, soprattutto, di absidi. Le strutture absidate sono infatti fortemente connotanti delle domus tardoantiche. Basta osservare la Pianta Marmorea Severiana per notare come esse, ancora all'inizio del m secolo, siano praticamente assenti nell' edilizia abitativa: infatti sono presenti quasi esclusivamente nelle terIl.
11 Ibtd., pp. 186-88; s. PANCIERA, Due famiglie senatorie di origine africana e una di origina italica: Aradii, Calpurnii e Suetrii alla luce di una nuova iscrà:ùme urbana, in L'Africa Romana, III (Atti del Convegno, Sassari 1985), Sassari 1986, pp. 251-62; ID., Ancora sulla famiglia seÌwtoria «africana» degli Aradii, ibid., IV (Atti del Convegno, Sassari 1986), Sassari 1987, pp. 547-72. 12 RUTILIO NAMAZIANO, Jl ritorno, 161-64. 11 Un confronto tra Ostia e Roma si trova anche in B. VAN DEN ABEELE, Comparison o/the Roma n domus with the domus o/Ostia, in AAL, XXVIII-XXIX (1989-90), pp. 49-63. " G. BECATTI, Case ostiensi del tardo impero, in BdA (1948), pp. 101-28 e 197-224.
Guidobaldi
Roma. Il tessuto abitativo, le domus e i titu!i
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me. Se inserissimo in tale pianta le domus tardoantiche note, otterremmo certamente un'impressione del tutto diversa proprio a causa della moltiplicazione delle strutture absidate, che, come abbiamo visto, sono presenti in quasi tutti gli edifici privati di un certo decoro, spesso anche con articolazioni variate e in contesti planimetrici talvolta di eccezionale originalità e complessità". I rivestimenti marmorei, quando il censo lo permetteva, erano ovunque e, sulle pareti, giungevano a livelli di raffinatezza che prima si riscontravano quasi esclusivamente nelle residenze imperiali. Se non fossero giunti fino a noi i frammenti del rivestimento marmoreo parietale della basilica di Giunio Basso e l'intera stesura di quello dell'edificio ostiense rinvenuto incompiuto fuori Porta Marina - che sembrerebbe una ricca residenza costiera piuttosto che la sede di un coltegium, come riteneva Becatti"- forse non avremmo mai potuto sapere a che livello di complessità e di ricercatezza poteva giungere la decorazione in opus sectile di ambito privato. D'altronde anche per l'architettura il cosiddetto «tempio di Minerva Medica», probabilmente anch'esso parte di una ricchissima residenza privata ", e la domus sopra le Sette Sale " ci dànno già da soli la prova di una creatività, di una perizia costruttiva e di una ricercatezza che non trovano confronti nell'arte «privata» dei secoli precedenti, e semmai si affiancano a quelle riscontrabili nelle grandi residenze imperiali del I e n secolo, come le ville tiberiane di Capri, la domus neroniana dell'Oppio e del Palatino, le residenze di Baia, la villa domizianea di Sabaudia e la villa tiburtina di Adriano, e si avvicinano, pur restando a un livello superiore, a quelle delle grandi ville tardoantiche dei latifondi, come quella di Piazza Armerina, quella di Desenzano e altre innumerevoli della Spagna, della Gallia, della Pannonia, ecc. Tutto ciò si può spiegare, almeno per Roma, con un momento particolarmente favorevole del «privato» rispetto al «pubblico», cioè della classe aristocratica, rispetto al governo centrale, che in effetti, proprio 1 ' Per l'entrata in uso dell'aula absidata in luogo della semplice aula rettangolare dei triclini e dei tablini cfr. N. DUVAL, Les maisons d'Apamée et l'architecture «palatiale» de l'antiquité tardive, in Apamée de Syrie. Bilan der recherches archéologiques 197 )·1979- Aspects de l'architecture domestique d'Apamée, Actes du Colloque (Bruxelles 1980), Bruxelles 1984, pp. 447-70, in particolare pp. 457-6o; per un repertorio di esempi a confronto planimetrico cfr. r. GUIDOBALDI, L'edilizia abitativa cit., tavv.1-4
e passim. G. BECATTI, L'edificio cit. È stato indicato in generale come« ninfee degli H orti Licinùmi '' senza che questa denominazione avesse un particolare fondamento. I recenti lavori di scavo e sistemazione, tuttora inediti, hanno rivelato la presenza di ipocausti che fanno escludere, per l'interno, la funzione di ninfee. Altre aule absidate adiacenti verso nord fanno pensare alla zona di rappresentanza di una grande residenza tardoantica di altissimo livello (la muratura è attribuibile all'inizio del Iv secolo). 18 L. cozzA, I recenti scavi delle Sette Sale, in RPAA, XLVII (1975), pp. 79·101. 16 17
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nel pieno IV secolo, a Roma è del tutto latitante e lascia quindi un'autonomia di gestione mai prima conosciuta a coloro che, istituzionalmente, potevano considerarsi i delegati del governo stesso. D'altronde, il già citato studio sulle domus tardoantiche di Roma, ormai in fase conclusiva, ha permesso di constatare che, a Roma come a Ostia, la massima attività edilizia si sviluppa nel IV secolo soprattutto in relazione alle domus, che vengono quasi sempre ottenute per adattamento di edifici precedenti, non sempre di eguale funzione e, non di rado, addirittura di proprietà pubblica. Cosi l'incremento delle domus non corrisponde a una espansione urbana, poiché si sviluppa sul luogo di edifici precedenti e quindi è bilanciato dal decremento di tali strutture, che erano spesso, in precedenza, destinate ai servizi o all'abitazione intensiva". Questa pressione abitativa di alto e medio livello sociale corrisponde bene alla Roma del IV secolo, che era una «città-museo» ed essa stessa monumento storico, ma nel contempo era ancora l'unica e incontrastata metropoli del mondo antico, il maggiore centro del lusso, del divertimento e della cultura~~ e l'unico punto d'incontro non itinerante della politica centrale e periferica, poiché il Senato, nonostante la distanza dalla« corte», restava pur sempre il vivaio che forniva una discreta parte delle cariche principali dello Stato. Soltanto Costantinopoli doveva piu tardi rivaleggiare con essa su molti di questi aspetti, ma comunque dovette attendere quasi fino alla fine del v secolo, se non fino al VI, perché Roma perdesse- e in parte passasse a lei- quella classe senatoria, autentica sia nella tradizione sia nella ricchezza, che durante il regno di Odoacre era ancora presente, come testimoniano i nomi degli illustres conservati sui gradini del Colosseo", con gentilizi come quelli degli Anicii, dei Valerii, dei Cecinae De cii ecc., mentre la classe senatoriale costantinopolitana, nonostante le inclusioni di qualche elemento di provenienza romana, era ancora relativamente povera di genealogie, di radici e di patrimoni. 19 Si deve d'altronde tener presente che l'incremento edilizio privato era in certo qual modo tenuto a freno da vere e proprie leggi che, per tutelare la manutenzione e la sopravvivenza degli edifici antichi, vietavano di fatto la costruzione di quelli nuovi, almeno a livello privato (cfr. Codice teodosiano, t5.I.14-t9, degli anni 365, 374 e 376). ~~ Oltre alla troppo negativa e certo falsata descrizione di Roma di Ammiano Marcellino si debbono tener presenti le interessanti indicazioni relative all'impegno dell'aristocrazia nel settore delle arti (J. F. MERR!MAN, Aristocratic an d Imperia/ Patronage o/ the Decorative Arts in Rome and Constantinople, A.D. 337-3 95, Ph. D. Dissertation University oflllinois a t Urbana Champaign, 1975). Per il censo e la conduzione economica dei patrimoni aristocratici dr. o. VERA, Strutture agrarie e strutture patrimonio/i nella tarda antichità: l'aristocrazia romana fra agn"coltura e commercio, in« Opus», II (r983), pp. 489·533· 21 A. CHASTAGNOL, Le Sénat romain sous le règne d'Odoacre, Bonn 1966.
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L'inserimento cristiano nel tessuto dell'« Urbs ».
4.r. La fase precostantiniana.
Nella Roma che in età costantiniana aveva 1790 domus e 46 602 insu22 , l'insediamento cristiano iniziale passò probabilmente del tutto inosservato, almeno dal punto di vista urbanistico e topografico, anche perché, come ci testimoniano marginalmente ma univocamente le fonti, le riunioni si svolgevano in origine in qualunque luogo ove ciò fosse possibile", ma piu tardi, cioè nel III secolo, avevano luogo all'interno delle case dei fedeli", forse di quelli piu abbienti, quindi con vere e proprie domus dotate di aule interne piu vaste e già di per se stesse adatte allo svolgimento delle sacre riumom. Lo stesso doveva già verificarsi, d'altronde, per le sinagoghe, delle quali a Roma non si rinvengono testimonianze monumentali, mentre i mitrei, santuari di una religione ufficiale, avevano non di rado anche il privilegio di essere installati in edifici pubblici". D'altronde, come recentemente è stato ribadito", non si può mettere in dubbio l'esistenza di centri di culto urbani per una comunità che, nel pieno m secolo, era composta da alcune decine di migliaia di persone, disponeva di vasti cimiteri, li amministrava ed era formata da un clero numeroso, anzi numericamente noto (155 unità, tra cui 46 presbiteri, 7 diaconi, 7 suddiaconi e 42 acoliti al tempo di papa Cornelio, cioè tra il 251 e il 253). Inoltre, se è vero che le riunioni si svolgevano inizialmente in casa di fedeli e quindi in luoghi di proprietà privata, è altrettanto credibile che, se qualcuna di queste case veniva poi donata o lasciata in eredità alla comunità, le riunioni si continuassero nella stessa a maggior ragione. Piu tardi queste entità cultuali, anzi piu precisamente i nuclei abitativi urbani passati alla Chiesa, con i relativi annessi e con eventuali altre
lae, da intendere forse come appartamenti
" Tali cifre sono riportate concordemente nei cataloghi regionari: cfr. R. VALENTINI e G. zucCodice topogra/ico della àttà di Roma, I, Roma 1940, pp. 161-62 e 188. 21 v. SAXER, L'utilisation parla liturgie de l'espace urbain et suburbain: l'exemple de Rome dans l'antiquité et le haut moyen age, in Actes du Xl' Congrès International d'Archéologie Chrétienne (Lyon 1986), Città del Vaticano 1989, pp. 917-1013, in particolare pp. 919-20. " R. KRAUTHEIMER, Roma. Pro/ilo di una àttà, )I2-IJ08, Roma 1981, pp. 30-31. D'altronde i racconti agiografici insistono troppo sulle riunioni o le celebrazioni nelle domus perché si possa ritenere che si tratti sempre e solo di pie invenzioni. " F. COARELLI, Topografia mitraù:a di Roma, in «Mystena Mithrae», Atti del Seminario Internazionale (Roma-Ostia 1978), Leiden 1979, pp. 69-79. 16 V. SAXER, L'uti/isation cit., pp. 919-21. CHETTI,
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proprietà e rendite di sostegno, furono chiamate tituli, ma in effetti si deve riconoscere che il termine titulus non è attestato in documenti epigrafici databili a epoca precedente il terzo quarto del IV secolo 27 : è quindi probabile che tale denominazione sia stata introdotta proprio in quell'epoca, cioè al tempo di papa Damaso (366-84), per sistematizzare e classificare un tipo di organismo che esisteva già da prima sotto uno o piu nomi diversi e in forme giuridiche e aggregative probabilmente assai variate. nfatto che, nella tarda redazione delLiber Ponti/icalis (VI secolo) i titu/i siano già indicati per epoche assai precedenti al IV secolo, può essere comunque almeno indicativo di una certa antichità almeno per il tipo di istituzione - anche se certamente non per il nome - o comunque per la sua esistenza in età precostantiniana ". Dal punto di vista dell'inserimento urbano, comunque, dobbiamo ritenere che questo tipo di complessi cultuali e amministrativi poi indicati come tituli fossero ben distinguibili soltanto con un esame ravvicinato, poiché non dovevano corrispondere in genere a una struttura architettonica specifica ma piuttosto a un edificio abitativo quasi sempre unifamiliare o comunque a un edificio privato". Non è un caso infatti se il Liber Ponti/icalis, in epoca piu tarda, distingue sempre la basilica dal titulus e specifica con cura i casi in cui i due edifici coesistono, cioè quando si istituisce un titulus in una basilica o quando si costruisce una basilica nel titulus o presso di esso. Non abbiamo notizie né documentazione archeologica di basiliche cristiane a Roma prima di Costantino e quindi, anche se possiamo ammettere o almeno ipotizzare che gli organismi di tipo titolare esistessero sotto altro nome e in forme simili prima della pace, non possiamo per 27 Cfr. CH. PIETRI, Roma Christiana, l, Roma 1976, pp. 90-96 e 569-73. " J. P. KIRSCH, Die romische Titelkirchen im Altertum, Paderborn 1918, pp. 217-18. Questa osservazione si può ancora considerare valida, anche se le estrapolazioni che ne propose il Kirsch sono oggi in gran .Parte da rivedere. "' E forse troppo radicale la posizione piu moderna (cfr. L. REEKMANS, L'implantation monumento/e chrétienne dans le paysage urbain de Rome de 300 a 850, in Actes du Xl' Congrès d'Archéologie Chrétienne cit., pp. 862-915, in particolare p. 863; CH. PIETRI, Recherches sur !es domus ecclesiae, in REAug, XXIV (1978), pp. 3-21) che, basandosi su un procedimento scientifico rigoroso, stabilisce che, al momento attuale, non esiste alcuna documentazione tangibile delle domus ecclesiae e della continuità domus ecclesiae - titulus a suo tempo sostenuta con vigore, ma con dati archeologici non probanti, dal Kirsch. In effetti è logico che non si trovi documentazione monumentale di questi luoghi di culto, poiché essi probabilmente non comportavano installazioni tali da lasciare tracce tangibili sui modesti edifici in cui si insediavano, ma è pur vero che, almeno in un caso, le tracce di insediamento cristiano prebasilicale sono state rivenute (Santi Giovanni e Paolo) e che quindi non è improbabile che se ne possano trovare alrre. È semmai del tutto illogico, come lo stesso Pietri ha affermato piu volte, cercare indizi unificanti di una eventuale architettura specifica delle domus ecclesiae, che sono un'entità religioso-topografica e non un complesso architettonico.
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ora ritenere che di tali nuclei potesse far parte una basilica costruita ex novo con connotazioni specifiche e riconoscibili. Ciò non deve comunque meravigliare, poiché anche nel IV secolo e in parte nei secoli successivi alcune di tali situazioni si conservarono e altre analoghe fondazioni si riproposero negli stessi schemi non monumentali: cioè altri tituli- stavolta già sin dall'origine con tale denominazione- vennero fondati e trovarono luogo in edifici preesistenti, per lo piu domestici, senza che ciò implicasse la costruzione di una nuova basilica. I casi di Santa Balbina, dei Santi Quattro Coronati e di San Crisogono, che ci offrono un esempio di aule domestiche nate come tali nel IV secolo e solo piu tardi (fine IV- metà v?) trasformate in tituli, sono in tal senso emblematiche, cosi come lo è un passo del Liber Ponti/icalis che, nella vita di papa Marcello (308-309), inserisce con poche modifiche un brano di una nota e piu tarda passio, relativa al martirio del papa: « Quae [Lucina] domum suam nomine beati Marcelli titulum dedicavit» ••. Ora, se la redazione del VI secolo poteva assorbire senza problemi una frase del genere, è probabile che, ancora allora, fosse dato per scontato che una domus potesse essere costituita in titulus senza particolari modifiche. Ciò è d'altronde dimostrato dalla presenza frequentissima, anzi, quasi costante, di una domus tardoantica nel sito occupato da un ti-
tulus". 4.2.
Il
IV
secolo.
Nonostante la comunità ancora piu folta e la presenza di un clero certamente ancor piu numeroso rispetto a quello del 111 secolo e dell'inizio del IV, la Chiesa romana attraversò un periodo assai piu tranquillo, ma non particolarmente fiorente, nel IV secolo, dopo l'ufficializzazione del 313.
A parte le grandi fondazioni costantiniane, che rappresentano comunque un evento episodico, pur se relativamente diluito nella prima metà del secolo, la topografia urbana si arricchi, probabilmente, solo di edifici cristiani relativamente modesti: la basilica iuxta pallacinis di papa Marco (336), poi titulus Marci", che è l'unica istituzione di quell'epoca di cui restano ancora parte delle strutture, non è certo un edificio fastoso (se non è anch'essa il riadattamento di una domus di epoca poco pre'" Liber Pontificalis, l, p. r64. F. GUIDOBALDI, L'inserimento delle chiese titolari di Roma nel tessuto urbano preesistente: osservazioni e implicazioni, in Quaen'tur inventus colitur. Miscellanea in onore di p. Umberto Faso/a B., 11
Città del Vaticano 1989, I, pp. 381·96. " Liber Pontz/icalis, p. 202. Gli scavi anualmente in corso sotto la direzione di Margherita Cecchelli potranno fornire nuove indicazioni in proposito.
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cedente), e il fatto che le altre fondazioni attestate nel Liber Pontt/icalis siano state tutte piu o meno abbandonate o rifatte subito dopo (cosi le basiliche di papa Giulio I, sia quella iuxta Forum che quella trans Tiberim, e la basilica Liberiana dell'Esquilino) sembra un indizio nella stessa direzione. Soltanto il titulus Damasi, con la sua basilica Sancti Laurenti che oggi finalmente sta ritornando in luce negli scavi diretti dal Krautheimer, sembra una costruzione basilicale di medio livello o, comunque, di una certa estensione, e forse rappresenta bene il primo momento di inversione di una tendenza assai poco evolutiva". Qualcosa di simile si può osservare per altre chiese titolari anche soltanto in base all'osservazione dei resti superstiti o documentabili. Tra i tituli registrati nel 499 " almeno una decina dovevano esistere già nel IV secolo avanzato, come risulta dalla utilissima lista pubblicata recentemente dal Saxer, che reca per ciascuno di essi la data della prima menzione, cioè il terminus ante quem per la fondazione": per quanto possiamo constatare o dedurre, anche questi non dovevano avere un aspetto particolarmente monumentale, anzi spesso erano e restaròno inseriti e adattati in edifici precedenti, non sempre di forma regolare. Dei tituli di piu tarda istituzione, cioè quelli della fine del IV e dell'inizio del v secolo, alcuni, come si è già accennato, risultano pur sempre adattati in edifici domestici preesistenti, ma alcuni altri nacquero già con edificio basilicale canonico e di notevoli dimensioni. Solo questi, per una interessante coincidenza, sono ricordati (come d'altronde anche il titulus Damasi e il titulus Equitit) nel Liber Pontzficalis: si tratta delle importanti fondazioni di San Vitale (titulus Vestinae), Santa Sabina (titulus Sabina e) e, forse, San Lorenzo in Lucina (titulus Lucinae), San Sisto Vecchio (titulus Crescentianae) e Santa Maria in Trastevere (titulus Iulii) ". Questa specificità delle citazioni del Liber Ponti/icalis, qui evidenziata per la prima volta, potrebbe essere spiegabile e potrebbe giustificare le altre omissioni se considerassimo che i redattori del VI secolo avessero a disposizione solo le fondazioni ex nova anche se in appoggio o in gestione di finanziatori privati, mentre per i rifacimenti o per gli adattamenti di edifici o nuclei già esistenti, che si ritenevano quindi già consacrati e comunque «registrati» autonomamente nell'ente già costituito, non si redigeva un atto specifico nella curia centrale. Ciò giustifichereb" Cfr. CH. PIETRI, Roma Christiana ci t., passim. L'autore vede giustamenre, nel periodo damasiano, una svolta della politica ponrificia verso una ripresa di autonomia e una crescita organizzativa della Chiesa romana, che allora si giovava della presenza di san Girolamo, del papa stesso. " MGH, AA, XII, pp. 410-15. " v. SAXER, L'utilisation cit., p. 989, Annexe II, tab. 1. "' Liber Pontt/icalis, l, rispettivamente le pp. 220-22, 235, 234, 218 e 230.
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be anche l'omissione della notificazione per grandi basiliche titolari. Ad esempio quella dei Santi Giovanni e Paolo, che poté forse essere una filiazione o una duplicazione del titulus Byzantis e che comunque fu costruita in un edificio antico e già cristianizzato riutilizzandone i muri perimetrali, oppure quella di San Clemente, inserita in un edificio preesistente e già cristiano", oppure quella di San Pietro in Vincoli, che fu eseguita in due fasi ravvicinate ma forse preesisteva come insediamento piu modesto. Se questa ipotesi, tutta da verificare, fosse valida, essa potrebbe comunque fornirci un criterio di studio del tutto nuovo sia per i tituli che per lo schema di redazione del Liber Ponti/icalis. Tornando agli aspetti piu strettamente topografici e riprendendo in considerazione il solo IV secolo, dobbiamo osservare che questo periodo mostra un inserimento cristiano piuttosto modesto e ci offre un panorama assai diverso da quello di Milano, che proprio nel IV secolo e soprattutto nella seconda metà di esso attraversa il periodo piu fiorente con la costruzione delle grandi basiliche, sia con strutture canoniche - ma di largo respiro e non prive di originalità-, come la Nova (Santa Tecla, cioè la cattedrale), col suo splendido battistero, e l'Ambrosiana (Sant'Ambrogio), sia con costruzioni basilicali originalissime e ricercate, come la Romana o basilica Apostolorum (Santi Nazaro e Celso), la basilica Virginum (San Simpliciano) e soprattutto la splendida San Lorenzo". È facile pensare che Roma abbia fatto le spese della ricchezza di Milano, che era privilegiata dalla presenza frequente dell'imperatore e della famiglia imperiale (sia all'inizio che nella seconda metà del IV secolo) e dall'incisiva attività religiosa e politica di sant'Ambrogio". 4·3· Il v secolo.
La «complementarietà» tra Roma e Milano si ritrova, pur se in termini del tutto opposti, nel secolo successivo. Infatti, quando, nei primi anni del v secolo, con la definitiva rinuncia imperiale alla residenza lombarda si arresta quasi totalmente la produzione architettonica milanese, " Cfr. F. GUIDOBALDI, S. Clemente. Gli edt/ici romani, la basilica paleocristiana e le /asi altomedie-
vali, Roma 1992. '" Cfr. M. MIRABELLA ROBERTI, Milano romana, Milano 1984, pp. 106-56; Milano capitale dell'impero romano, catalogo della mostra, Milano 1990, pp. 91-151 e passim. " È improbabile comunque che sant'Ambrogio sia stato in qualche modo il reale sostenitore di una crescita di Milano a svantaggio di Roma. Egli era infatti un aristocratico educato a Roma (e forse, almeno in parte, perfino di origine romana) ed era comunque un sostenitore della sede apostolica. È possibile, anzi, che egli non sia stato estraneo alle indulgenze di Teodosio per il Senato romano (colpevole di aver sostenuto l'usurpazione pagana di Eugenio) e al riawicinamento all'Urbs preannunciato dalle visite a Roma dello stesso imperatore e culminato poi nei piu o meno lunghi soggiorni di suo hgho Onorio nella vecchia capitale all'inizio del v secolo.
Bo
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riprende quella romana, che soltanto con la magnifica basilica imperiale di San Paolo aveva dato, alla fine del IV secolo, i primi segni di ritorno alla monumentalità, non a caso coincidenti con i primi accenni del rinnovato favore imperiale. ritorno, pur se parziale e discontinuo, della corte e della famiglia imperiale a Roma"', in alternanza con la nuova sede di Ravenna, e laripresa di importanza politica del Senato, al quale Teodosio aveva perdonato gli ultimi seri tentativi di usurpazione in chiave pagana, non solo fece tornare a Roma, almeno in parte, la committenza imperiale, ma stimolò anche l'evergetismo di un'aristocrazia ormai sempre piu cristianizzata". Il risultato fu la definitiva formazione di una Roma Christiana, ormai ben connotata, con grandi e medie basiliche e preziose decorazioni, tra cui spiccano quelle parietali a mosaico e in opus sectile, che mostrano forse le punte piu alte raggiunte da queste forme artistiche nell'antichità romana e paleocristiana. Contemporaneamente lo sviluppo dell'architettura domestica sembra concludersi o comunque diventare assai piu contenuto, forse perché, ormai, ciò che già esisteva era sufficiente per i bisogni della città e dei suoi ospiti clarissimi e forse anche perché, a quel punto, i ricchi latifondisti dell'aristocrazia urbana preferivano legare il loro nome alla fondazione o alla decorazione di una chiesa oppure all'abbellimento della tomba di un martire venerato. È cosf che troviamo il senatore Pammachius (amico di san Girolamo) fondatore di uno xenodochium e di un edificio titolare (Santi Giovanni e Paolo) con annessa grande basilica; la/emina illustris Vestina fondatrice di una basilica e del relativo titulus; il senatore Longinianus (amico di sant'Agostino e praefectus urbi nel4o1 -402), il cui nome è legato non solo al restauro della cinta muraria urbana ma anche alla fondazione del battistero di Sant'Anastasia; il patricius Avitus Marinianus, prae/ectus p re torio del 422 e console del 42 3, con la moglie Anastasia e il figlio Gallus coinvolti nella decorazione di San Pietro in Vaticano; il patricius Flavius
n
""' Le presenze imperiali «ufficiali>> si controllano bene in base ai luoghi di promulgazione delle leggi (cfr. o. SEEK, Regesten der Kaùer und Piipste /iir die ]ah re 3II bis 476 n. Chr. Vorarbeit zu einen Prosopographie der chrùtlichen Kaisen;eit, Stuttgart 1919). Altre indicazioni aggiuntive, pur se talvolta ipotetiche, si ricavano dalle fonti o dalle emissioni monetali. Dopo una possibile visita di Graziano (comunque brevissima) nel376 (cfr. A. PIGANIOL, L'empire chrétien 325-395, 2' ed. a cura di A. Chastagnol, Paris 1972, p. 225 e passim), sono testimoniate una o due visite di Teodosio a Roma nel389 e 394 (F. PASCHOUD, Cinq études sur Zosime, Paris 1975, pp. mo sgg.) e poi, sempre piu frequentemente, quelle di Onorio e Valentiniano III (s. I. OOST, Galla Placidia Augusta. A Biographical Essay, Chicago 1968, in particolare pp. 70-71, 83, 93, 176, 193, 253-54 e 292). " P. BROWN, Dalla «plebs» romana alla «plebs» Dei: aspetti della cristianizzazione di Roma, in P. BROWN, L. CRACCO RUGGINI e M. MAZZA, Governanti e intellettuali: popolo di Roma e popolo di Dio (I· VI sec.), Torino 19M2, pp. 131 sgg.; s. MAZZARINO, La conversione del Senato, in ID., Antico, tardoantico ed era costantiniana, Roma 1974, pp. 379-97; CH. PIETRI, Roma Christiana cit., passim.
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Constantius Felix, magister utriusque militiae nel425-30 e console del 428, e la moglie Padusia donatori probabili del mosaico absidale della basilica Lateranense; il patricius Flavius Magnus, praefectus praetorio del 469, e la moglie Attica donatori di rivestimenti marmorei a San Lorenzo in Damaso, ecc. ", per non parlare degli interventi minori, come quelli della « illustris l tali ca» con suo marito", e della clarissima lunia Sabina, forse anch'essa con suo marito ", che donarono un altare rispettivamente alla basilica Lateranense e a quella di Sant'Alessandro. L'evergetismo che si sviluppa specialmente nel periodo che va dagli ultimi decenni del IV secolo agli ultimi del successivo è stato messo magistralmente in luce da Charles Pietri, il quale avrebbe scritto parte di queste pagine, che proprio a lui erano state affidate, se la immatura e improwisa sua scomparsa non lo avesse impedito. A noi non resta che rinviare alle sue opere specifiche", cosi ricche di nuovi spunti e riferimenti. Ai fini strettamente topografici vogliamo però aggiungere la constatazione di un sempre piu intenso flusso unidirezionale delle proprietà dell' aristocrazia romana verso il patrimonio della Chiesa dell' Urbs. Le modalità di questo trasferimento sono piuttosto prevedibili. Va tenuto presente infatti, innanzitutto, che la spiritualità cristiana, assorbita anche come dottrina da molte famiglie dell'aristocrazia, fece presa in modo particolare sulle virgines e sulle viduae, che troviamo in molti casi quali ultime eredi di grossi patrimoni e alle quali il cristianesimo si rivolgeva in modo particolarmente nuovo e originale"'. I piu devoti, o meglio, le piu devote e le piu convinte sentirono subito il peso della proprietà e dell'ingombro dei beni materiali che caratterizzavano il loro status ed ebbero assai frequentemente la tendenza a raggiungere la povertà praticando la carità e rinunciando al lusso e all'apparato proprio come il cristianesimo insegnava. Il risultato, documentatoci tra le righe da parecchie narrazioni contemporanee", fu la decadenza delle domus e il loro lento passaggio nel .., Per tutti questi interventi si veda R. KRAUTHEIMER, Corpus basilica rum christianarum Romae, Roma 1975, e CH. PJETRI, Roma Chnstiana cit., nelle trattazioni delle rispettive chiese. 41 Il marito del quale manca il nome nell'epigrafe frammentaria incisa sull'altare cilindrico era illustrt's e patricius ed era stato prae/ectus urbi e consul ordinarius (E. JOSI e R. KRAUTHEIMER, Note Lateranensi. IV, un altare paleocrt'stiano con iscrizione, in RAC, XXXIII (1957), pp. 95-98; CH. PIETRI, Roma Christiana cit., p. 561). " ICUR, 22959. È probabile, dato che il verbo è al plurale, che un'altra basetta simmetrica contenesse il nome del marito. al quale ben si addice il riferimento «clarissima femina eius>>. L'iscrizione, non registrata nella serie di Pietri, è collocabile all'inizio del v secolo. " CH. PIETRI, Roma Chrt'stiana cit., pp. 558-62 e passim; ID., Evérgetisme et richesses ecclésiastiques dans l'Italie du 1'/ et du V siède, in «Ktèma>> (1978), pp. 331-37. ""' CH. PIETRI, Roma Chrt'stiana cit., pp. 120-21. 47 Basta ricordare la interessantissima Vita MelanÙJe, ricca di indicazioni sociali e patrimoniali su due grandi famiglie della Roma del IV secolo.
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patrimonio della Chiesa romana che, col tempo, divenne cosi proprietaria non solo di una parte notevole del territorio urbano abitato, ma anche di vastissima parte dei latifondi delle famiglie stesse, dispersi per tutta la penisola. sacco di Alarico, che forse trovò piu impoverite alcune domus, segnò certamente la fine per molte di esse, poiché eventuali danni o parziali incendi non potevano piu essere degnamente riparati. Ciò nonostante, le iscrizioni dedicatorie altisonanti continuarono ancora per circa un secolo a decorare i piedistalli delle statue onorarie negli atri delle vecchie dimore di quelle famiglie che, nonostante la cristianizzazione, restavano ancora legate alla vita politica e alle cariche pubbliche e quindi a una struttura proprietaria tradizionale. Qualche restauro di grossa portata di importanti domus urbane, talvolta con invasione di edifici pubblici, si registra in effetti ancora all'inizio del VI secolo. È emblematico in tal senso il caso del patricius Albinus, che all'inizio del VI secolo ottiene da T eodorico di poter espandere la sua casa al disopra della porticus absidata ... , ma è pur vero che, probabilmente, dopo circa un trentennio l'aula maggiore di tale casa era già diventata una chiesa (Santi Quirico e Giulitta), cosi come un cinquantennio prima si era verificato con la grande aula absidata già appartenente alla domus di Iunius Bassus e poi del patricius Flavius Theodobius (Valila), che l'aveva donata a papa Simplicio (464-83), che a sua volta l'aveva convertita in basilichetta cristiana (Sant'Andrea Catabarbara) '". Date le modalità di queste trasformazioni, che in molti casi venivano imposte dal donatore, è difficile pensare, specialmente per i nuclei cristiani piu antichi di Roma, che essi potessero avere una logica e intenzionale distrit;uzione topografica, come spesso si è sostenuto anche recentemente"'. Ciò d'altronde è confermato già in prima istanza dalla geografia degli insediamenti titolari, che sembra decisamente casuale, con zone totalmente vuote che contrastano con altre nelle quali tre o quattro tituli si raccolgono in un'area piuttosto ristretta". D'altronde è anche vero che la topografia di tali centri di culto fu in seguito funzionale alla utilizzazione di essi sia come paroecias " che co-
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48 F. GUIDOBALDI, L'edilizia cit., p. 207 e fig. 42. D'altronde si deve ricordare che la possibilità, piu o meno legale, di invadere o demolire o riutilizzare edifici pubblici per ingrandire o restaurare abitazioni private esisteva già verso la metà del v secolo, quando una legge di Maggioriano (De aedificiis publicis, del458) tentava di arginare tali abusi, e in particolare anche l'appropriazione privata di aree pubbliche. 49 F. GUIDOBALDI, L'edilizia cit., pp. 184-86 e figg. 17-20. "' L. REEKMANS, L'implantation cit., pp. 866-74. " CH. PIETRI, Régions ecclésiastiques et paroisses romaines, in Actes du Congrès d'Archéologie Chrétienne cit., pp. 1035-67, in particolare p. 1043 e tabb. a pp. 1039-41. " lbid., passim.
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Guidobaldi
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me stationes H. Per questa parziale in congruenza si può tuttavia proporre una spiegazione semplice. Se è giusto ritenere infatti che i tituli (o nuclei analoghi piu antichi) voluti da privati fossero vincolati a un luogo stabilito dal donatore (o meglio dall'edificio donato) e quindi avessero una collocazione topografica del tutto casuale, è altrettanto logico pensare che, invece, quelle fondazioni espressamente decise dal pontefice senza vincoli specifici di luogo" fossero collocate intenzionalmente in zone vuote, cioè a integrazione della rete topografica già esistente, col risultato di una mappa finale con una dispersione accettabile". Dopo la metà del v secolo, quando forse non si riteneva piu necessaria la fondazione di nuovi tituli"', il papa poté accettare le proposte di nuove consacrazioni di edifici senza doverli necessariamente vincolare alla rete parrocchiale e cosi, tra le altre, proprio le già citate Sant'Andrea Catabarbara e Santi Quirico e Giulitta, insieme a Santo Stefano Rotondo e Santa Bibiana, furono fondate da papa Simplicio come semplici chiese. Poco piu tardi, per opera di papa Felice IV (526-30), per la prima volta a Roma un edificio pubblico fu trasformato in luogo di culto cristiano (Santi Cosma e Damiano), e cosi la Chiesa si affacciò finalmente sul Foro Romano, dimostrando che ormai- e forse già dalla fine del v secolo -la Roma Christiana, pur se gradualmente, aveva preso il sopravvento e, colla nuova solidità economica raggiunta, era entrata piu attivamente anche nella gestione politica. Ma ormai i centri di potere si erano spostati in Oriente, e cosi l'autonomia raggiunta fu appena sufficiente a gestire la difesa ad oltranza di una società piu spirituale ma piu vulnerabile, che ormai scivolava inevitabilmente verso il medioevo. " v. SAXER, L'utilisation cit., pp. 938-52. " Va tenuto presente comunque che i pontefici, specialmente nel IV secolo, hanno talvolta installato tituli in edifici di loro proprietà, e quindi anche le fondazioni papali potevano essere vincolate topograficamente. " In quest'ottica si spiegherebbero sia l'eccessiva vicinanza tra due tituli, come nel caso di Santa Prassede e Santi Silvestro e Martino, oppure in quello dei Santi Quattro Coronati e San Clemente (almeno uno di ogni coppia, e cioè il meno antico, si dovrebbe ritenere fondazione privata, vincolata al luogo nonostante la preesistenza dell'altra), sia le collocazioni ben separate, come quella di San Lorenzo in Damaso o di San Lorenzo in Lucina, che in effetti sono fondazioni papali dirette. "' M. CECCHELLI, Note sui «titoli» romani, in ArchCiass, XXXVIII (1985), pp. 293-305.
MARIETTE DE VOS
Roma. La pittura parietale tardoantica
La pittura parietale è un elemento importante nella società romana: essa non è mai stata un bene comune cosi intensamente ed estesamente diffuso presso larghi strati della popolazione, come allora. Per questo motivo è uno specchio della società, diventa fonte d'informazione sui rapporti sociali in ambiente privato e pubblico e parametro per la definizione del grado di romanizzazione dei vari territori conquistati e, piu tardi, della loro emancipazione. La ricerca di ricchezza figurativa e cromatica nella cultura abitativa romana era incentivata dal ruolo sociale e politico della casa. Lo spazio finto, acquisito con mezzi pittorici all'interno delle pareti domestiche, garbava al patronus, esponente della classe dirigente di una società in fase di espansione territoriale e commerciale. La competitività nella sfera sociale faceva si che si tendesse a emulare il prossimo in ambito domestico e funerario, in ricchezza, dimensioni e impronta personale dell'opera commissionata. Tale modello di comportamento fu recepito anche negli strati medi e bassi, per cui si sono trovate case sia grandi che piccole, dipinte e con i pavimenti decorati. Nei centri politici ed economici si creano mode e stili. L'Italia centrale costitui il centro di produzione e di irradiazione culturale fin dal r secolo d. C. Tra l'età flavia e l'età antonina la produzione agricola e manifatturiera si concentrò sempre piu nelle province e l'Italia centrale, invece di esportare, cominciò a importare derrate alimentari e ceramica da queste. Il predominio italico nelle province s'incrinò, e questo si rifletté anche nel campo dell'artigianato artistico: ai quattro stili parietali, ora noti come« pompeiani», non ne segui un altro: fu il marmo colorato importato dalle province che, sostituendo la pittura nei luoghi di prestigio, impedila nascita di ulteriori stili pittorici. Per le classi egemoni venne dunque meno l'utilità di un nuovo stile pittorico. L'uso del marmo bianco e colorato nei rivestimenti parietali si riper1
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PLINIO,
Storia naturale,
35.1.
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cuote sugli affreschi, che lo imitano in modo quasi fotografico 2 , con maggior efficacia rispetto ai tempi del I e del II stile, quando i pittori dell'Italia centrale ne avevano una conoscenza solo indiretta. La pittura parietale, declassata, fu relegata negli ambienti secondari e di servizio; la preziosità dei marmi impiegati andava a sostituire l'estro e il rinnovo artistico delle mode pittoriche. La classe mediobassa che abitava le insulae di Roma e di Ostia continuò a riproporre i vecchi modelli pittorici con un progressivo impoverimento e traslitterazioni sgrammaticate, riducendo cosi all'osso la struttura architettonica, arrivando agli schemi «lineari» noti dalle catacombe, ma applicati ugualmente nelle case '. Le innovazioni pittoriche del II secolo d. C. si limitano praticamente ai disegni di soffitti, volte e cupole, che non possono essere rivestiti di marmo. La sostituzione degli intonaci dipinti eseguiti in loco con marmi importati dalle province riflette un mutamento piu generale nel campo della produzione agraria e ceramica della penisola italica: Ad un'organizzazione centrifuga del commercio mediterraneo, che aveva caratterizzato l'età tardorepubblicana fino ad Augusto, si contrappone un movimento centripeto (dalle periferie verso quello che era ancora il centro del potere politico, ma sempre meno di quello economico), con progressiva affermazione, dal 11 secolo in poi, di un asse ... che lega l'Italia all'Africa ... L'autonomia amministrativa concessa da Augusto alle province, si riflette anche nell'autonomia produttiva [e culturale] di queste ultime 4 •
Per quanto riguarda i mosaici, c'è da notare la scarsa diffusione del mosaico bianconero fuori dell'Italia centrale: la cosa si spiega proprio con il declino del monopolio culturale italico. Per le pitture si constata una situazione analoga: le decorazioni parietali del II secolo, ridotte a schemi lineari ed eseguite con pochi colori su fondo bianco (piu raramente giallo o rosso)', secondo un repertorio standardizzato, non vengono seguite nelle province, che presentano, invece, svariate e ricche 2 Come negli zoccoli a finto marmo dell'ultimo periodo del VI stile, eseguiti da pittori esperti in materia, nella Casa di D. Octavius Quartio, oecus (h), e nella Casa di Pinarius Cerialis, cubicolo (a); cfr. M. de Vos, in Pompei. Pitture e Mosaici, III, Roma 1991, pp. 84, 91, 94; A. de Vos, ibid., p. 460. ' Per esempio nel criptoportico distrutto per la costruzione di via dei Fori Imperiali: G. PISANI SARTORIO, Una domus solto il giardino del Pio Istituto Riva/di sulla Velia, in Città e architettura nella Roma imperiale, ARID, supplemento 10 (1983), pp. 147-68. 4 T. PANELLA, Le merci: produztom; itinerari e destini, in A. GIARDINA (a cura di), Società romana e impero tardoantico, III. Le merci, gli insediamenti, Roma-Bari 1986, pp. 431·33 (l'interpolazione è di chi scrive).
' B. FELLETTI MAJ, Monumenti della pittura antica scoperti in Italia. Ostia, Vz. Le pitture delle case della Volta Dipinta e delle Pareti Gialle, Roma 15)61; B. FELLETTI MAJ e P. MORENO, Le pitture della Casa delle Muse, Roma 1967; M. DE vos, La peinture italienne du l t' au p/ s., in «Dossiers Histoire Archéo· logie>>, LXXXIX (1984), pp. 18-28: il titolo originario, La pittura romana delll·IV secolo, è stato mano-
messo dalla curatrice del Dossier.
De Vos
Roma. La pittura parietale tardoantica
elaborazioni eclettiche dei modelli italici dal II al IV stile, esenti dagli scarni aggiornamenti stilistici adottati nel centro Italia 6 • Nell'epoca severiana si assiste alla reintroduzione di megalografie, composte da scenografie con figure a grandezza naturale impegnate in attività quotidiane, come i servitori nella Schola Praeconum in via dei Cerchi 7 o i bagnanti nelle Terme di piazza dei Cinquecento', o con figure afferenti alla sfera mitica, come negli affreschi oggi scomparsi dell'edificio scoperto nel r668 vicino al Colosseo'. Le province non tardarono a seguire l'esempio di Roma: megalografie sono attestate dalla Gallia" alla Britannia ", dalla Germania 12 all'Asia (Cos, Efeso) ". Queste pitture hanno marcate caratteristiche regionali, mentre vi sono influenze reciproche non mediate da Roma". Influenze africane in mosaici di epoca severiana in Spagna ", in Sardegna" e in Sicilia 17 sono state individuate da piu studiosi, che sottolineano il fatto che l'imperatore aveva ricoperto funzioni governative in Sardegna e in Spagna. ll motivo di fondo è dato, naturalmente, dall'esplosiva crescita dell'economia dell'Africa settentrionale e dalla conseguente 6 s. AURIGEMMA, L'Italia in Afnca. Le scoperte archeologiche. Tripolitania, L I monumentz d'arte decorativa; II. Le pitlure d'eta romana, Roma 1962; Pictores per provincias, « Cahiers d' Archéologie Romande>>, XLIII (1987); M e R. SABRI~ e Y. SOLIER, La maison ò portiques du clos de la Lombarde ò Narhonne et sa décoration murale, >). Sulle vicende della statua c. FRANZONI, Girolamo Donato: collezionùmo e «instaura/io» dell'antico, in Venezia e l'archeologia, RdA, suppl. 7 (1990), pp. 27 sgg. 19
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ni chiamò Regio II, e probabilmente anche già nel versante orientale, nella Regio III o Caesarum. Nella Regio II è stata riscontrata la presenza di edifici di carattere residenziale nell'area che poi venne occupata da grandi fondazioni religiose, come il sacello di San Vitale, il mausoleo cosiddetto di Galla Placidia, la chiesa di Santa Croce". La Regio III venne prescelta da Valentiniano III e poi da T eodorico quale sede del palatium e di altri edifici pubblici", una vocazione che lascia supporre che ivi potesse trovarsi già in età medioimperiale la residenza del prae/ectus classis". L'ipotesi appare giustificata anche dalla posizione di facile controllo dell'ultimo tratto della via Popilia, probabilmente coincidente con l'attuale via di Roma". In questo settore si insediò tra v e VI secolo l'elemento goto con la propria Cattedrale, il Battistero degli Ariani e la chiesa di Sant'Apollinare Nuovo. Al v secolo sembra risalire il titolo ad Chalchis della chiesa di San Salvatore, che ripete la denominazione costantinopolitana della Chalché, grandioso ingresso d'epoca costantiniana al palazzo imperiale. Alla topografia della Bisanzio dei secoli IV e v d. C. rimandano anche il Miliario Aureo, nella Regio Herculana, cioè presso l'antico Foro e presso il nuovo complesso episcopale, che a giudizio del Testi Rasponi sorse quando Ravenna divenne capitale nella Regio IV, che fa da cerniera tra l'insediamento romano e la Regio Caesarum (III), e i toponimi excubitum e lauretum, propri del palazzo di Valentiniano III". Il complesso episcopale era collegato col palazzo imperiale da una strada colonnata che terminava presso l'edificio della zecca (Moneta Aurea), che un documento del572 ricorda vicina al« portico del Sacro Palazzo» ". Nella Regio III si trovava anche il circo, la cui presenza è segnalata soltanto dal toponimo stradale «via Cerchio». Il V settore infine sarebbe il quartiere a cuneo compreso tra l' oppidum e la Regio III, chiuso a sud con un tratto delle mura valentiniane. Con l'analisi dell'ampliamento progressivo dei quartieri urbani fino 12 S. GELICIII,
Jl paesaggio urbano cit., p.157; R. FARlO LI CAMPANA TI, Ravenna capitale, in G. SENA e E. A. ARSLAN (a cura di), Felix Temporis Reparatio, Atti del Convegno archeologico interna· zionale, Milano 1992, pp. 375 sgg. " Per esempio la zecca, come proposto da c. CARO LI, Note sul Palatium e la Moneta Aurea, in FR, CVII.CVIII (1974), pp. 131 sgg. " s. GELICHI, Il paesaggio urbano cit., nota 72. P. VERZONE, Ipotesi di topografia ravennate, in CCARB, XIII (1966), p. 440. " Richiede ulteriori conferme l'ipotesi di recente avanzata che il tratto di via di Roma coincidesse col percorso della Fossa Augusta, che sembra invece attraversasse la città ancora in età gota: GIORDA· NE, Origine e storia dei Geti, 29.148. Cfr. infatti s. GELI CHI, Il paesaggio urbano cit., p. 154. Sul bacino portuale di nord·est cfr. oltre, note 46-48. 6 ' R. FARIOLI CAMPANA TI, Ravenna capitale cit. CIIIESA
" Ibid.
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alla definitiva limitazione del nuovo circuito murario" si giunge perfettamente a cogliere anche l'aspetto ben preciso della Ravenna tardoantica, dove i numerosi riferimenti a edifici e luoghi della magnificcnte capitale orientale sembrano volutamente scelti per connotare la piccola città lagunare padana di un prestigio politico e culturale che si consoliderà sotto Teodorico e con il governo bizantino dell'Esarcato d'Italia. Dal punto di vista urbanistico la città bizantina non subi trasformazioni rispetto alla città gota. I prefetti e gli esarchi si insediarono nell' antico palatium, sviluppatosi tra il mare e la grande direttrice della plateia Maior, attuale via di Roma. Iniziative architettoniche di grande rilievo furono invece assunte dal potere ecclesiastico con gli interventi monumentali voluti da Giustiniano e finanziati dal banchiere Giuliano Argentario. Alla loro opera si devono le costruzioni sia della chiesa ottagona di San Vitale, sul luogo di un sacello sepolcrale del v secolo nella cosiddetta Regio II, sia della grande basilica extraurbana di Sant'Apollinare in Classe, in faccia alla via Popilia e sul luogo di una tarda necropoli che ospitava la tomba del protovescovo ravennate ". Entrambe le chiese furono consacrate dal vescovo Massimiano tra il547 (San Vitale) e il 549 d. C. (Sant'Apollinare in Classe), e segnarono l'ultimo splendido momento edificativo di Ravenna, cui, dai decenni finali del VI secolo, fece seguito la quasi totale cessazione di ogni attività costruttiva di prestigio~'.
3· Gli invasi portuali e i sobborghi di Cesarea e Classe.
Nel 467 Sidonio Apollinare, giunto da Brescello a Ravenna, si chiedeva incerto se la «via Cesarea» congiungesse o separasse l'antica città al nuovo porto". N ella «via Caesaris » del retore latino si deve riconoscere il tratto della via Popilia che usciva a sud dalla città dalla parte del palazzo imperiale e che tra Classe e Ravenna aveva dato il nome al sobborgo di Cesarea. Non restano tracce degli edifici che sorgevano in questo sobborgo, ma nel Liber Pontz/icalis di Andrea Agnello si ricorda il " N. CHRISTIE e s. G!BSON, The city walls o/ Ravenna, in PBSR, LXVI (1988), pp. 156 sgg.; N. CHRISTIE, The city wal!J o/Ravenna: the de/ence o/ a capita! A.D. 402·750, in CCARB, XXXVI (1989),
pp. u3 sgg. " F. w. DEICHMANN, Ravenna. Haupstadt des spiitantiken Abendlandes, II. Kommentar 2, Wiesbaden 1976, pp. 47 sgg., 233 sgg . • , J. ORTALLI, L'edilizia abitativa, in Storia di Ravenna, llh cit., p. 158. 41 >: SIDONIO APOLI.INARE, Epistole, I.J.J-6: lettera a Erennio.
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palazzo che Ono rio avrebbe voluto costruirvi e vi si menziona una basilica a San Lorenzo e il monastero dei Santi Stefano, Gervaso e Protasio, dediche che attestano culti milanesi e che collegavano Ravenna alla precedente sede della corte. Si sa inoltre che la chiesa e il monastero di Cesarea si trovavano in prossimità del quartiere delle Blacherne quasi aricalco della situazione di Costantinopoli, in cui la chiesa di San Lorenzo era nei pressi del palazzo suburbano dall'identico nome". Il « novus portus» di Sidonio Apollinare è forse identificabile con quello messo in luce negli ultimi anni nel podere Chiavichetta, tra la via Marabina, la statale Romea e la linea ferroviaria Ravenna-Rimini, alcuni chilometri a sud -est della città". Questo porto aveva l'aspetto di un porto-canale ed è certamente di epoca tarda, come rivelano le strutture e i materiali trovati nelle fogne e sotto la strada che lo fiancheggiava passando accanto a una serie di magazzini porticati. La raffinata pavimentazione a piccoli basoli di età bizantina di questa strada dimostra l'importanza di questo tratto viario che collegava Ravenna ai depositi commerciali funzionalmente posti all'imboccatura della laguna. Il taglio del canale doveva servire i bacini lagunari interni, che un tempo si estendevano fin quasi al limite meridionale della città, tanto grandi da poter ospitare una flotta di duecentocinquanta navi~. N el VI secolo, a causa dei diffusi fenomeni di subsidenza, l'imboccatura di questo porto-canale, lontano dalla città, era ormai forse l'unica a permettere di raggiungere Ravenna direttamente dal mare, anche se le navi da carico erano costrette a sfruttare l'aiuto del flusso alterno delle maree per compiere questo percorso". In età romana Ravenna possedeva certamente un altro invaso portuale, che può essere individuato nell'area a nord-est della città, tra via Farini, la Rocca Brancaleone e la Circonvallazione alla Rotonda. Qui proprio la Rotonda, o Mausoleo di Teodorico, era indicata con un toponimo medievale come chiesa di Santa Maria ad Farum "·,e da queste parti si trovava, fuori Porta Serrata, la chiesa di San Giovanni Battista in Marmorata, nel cui titolo si manifesta la natura commerciale di questo specchio portuale, ancora in parte attivo nel v secolo, quando Galla Placidia fece costruire lungo la sua sponda meridionale, come ex voto per lo scampato naufragio, la chiesa di San Giovanni Evangelista, che ripeteva l'analoga ubicazione dell'omonima chiesa di Costantinopoli presso il ·" R. FARIOLI CAMPANA TI,
Ravenna capita/e cit., p. 377·
" M. G. MAIOLI, La topografia della zona di Ciane, in Storia di Ravenna, I cit., pp. 375 sgg. " GIORDANE, Ongine e storia dei Geti, 29, che riporta un passo perduto di Cassio Dione con
notizia forse non piu valida ai suoi tempi. " PROCOPIO DI CESAREA, La guerra gotica, 5.1.I1-17. ·•· Liber Pontzficalis, XXI, p. n3, e XXXVIII, p. 216; RIOLJ CAMPANA TI, Ravenna capita/e cit., p. 377·
M. REDDt,
Mare nostrum cit., p.
una
183; R. FA-
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palazzo di Hebdomon e presso il porto". Un secolo dopo, tuttavia, il porto di nord-est, o portus Coriandri, doveva risultare completamente insabbiato e addirittura bonificato da T eodorico con giardini e frutteti, come riferiscono le fonti e una iscrizione teodoriciana perduta" e come fanno supporre le persistenze dei titoli di alcune chiese sorte in età medievale nella zona, come l' Ecclesia et Monasterium Sancti Stephani de olivis, in antecedenza però detta ad balnea Gothorum, e come I'Ecclesia Sanctae Mariae in Hortis". La costruzione del novus portus di Classe, che appare raffigurato anche nel noto mosaico teodoriciano di Sant'Apollinare Nuovo'", si spiega dunque con questi continui processi di insabbiamento e di replezione dei bacini portuali, dai quali non furono risparmiati nemmeno quelli a meridione della città, come appare evidente dalla necessità di utilizzare il flusso delle maree. Nell'invaso di nord-est, detto del portus Coriandri, sfociava forse in età imperiale la Fossa Augusta, un canale con il quale l'imperatore Augusto aveva convogliato artificialmente a Ravenna le acque della Padusa, collegando in questo modo la città al Po. Si suppone che questo canale artificiale dovesse all'inizio scorrere parallelo alla via Popilia, poi diventata platea Maior. Tombato nella prima metà del v secolo, esso fu poi probabilmente deviato a ovest della città, anche se in parte ancora l'attraversava tra v e VI secolo, come assicurano Sidonio Apollinare e Giordane". In questa nuova canalizzazione il tracciato della Fossa Augusta venne forse a coincidere con quello della Fossa Asconis, un altro ramo del Po incanalato allo scopo di circondare la città a settentrione e rimasto attivo anche nell'alto Medioevo, come ricorda Andrea Agnello a proposito del luogo in cui sostò il vescovo Massimiano giungendo nel546 a Ravenna da Costantinopoli: «non longe a fluvio qui vocatur fossa Scotti ... non longe a campo Coriandri extra urbem » ". 47 CIL, XI, 276a,b; F. w. DEICHMANN, Ravenna. Haupstadt des spiitantiken Abendlandes, II. Kommentar I, Wiesbaden 1974. pp. 93 sgg. "' CIL, XI, 10; GIORDANE, Origine e storia dei Geti, 29. Cfr. anche su tutto il problema M. REDDÉ, Mare nostrum cit., pp. r84 sgg. " A. VASINA, Ravenna nel Medioevo, in A. BERSELLI (a cura di), Sto,ria dell'Emilia Romagna, Imola
1975, canografia, p. ccxxn. '" G. BOVINI, La raffigurazione della «Civitas Classis »e dell'imboccatura dell'antico porto della città nei mosaici di 5. Apollinare Nuovo di Ravenna, in Studi Storict~ Topografie/ ed Archeologici sul« Portus Augusti» di Ravenna e su/territorio classicano, Faenza 1961, pp. 67 sgg.; M. G. MAIOLI, Civitas Classis: ipotesi di lettura del mosaico di S. Apollinare Nuovo in base agli scavi, in Studi in memoria di G. Bovini, I, Ravenna 1989, pp. 335 sgg. " SIDONIO APOLLINARE, Epistole, I. 5· 5-6; GIORDANE, Origine e storia dei Geti, 150. Sul problema cfr. s. GELICHI, Il paesaggto urbano cit., p. 154. " Liber Ponti/icalis, XXVI.
GIORGIO BEJOR
T essalonica} la capitale in Macedonia
Tessalonica era divenuta capitale della Macedonia romana sin dal momento dell'istituzione della provincia, nel 146 a. C. Per questo privilegio amministrativo, e grazie alla favorevole posizione sulla via Egnazia presso il punto in cui questa, proveniente da Durazzo, raggiungeva la costa dell'Egeo prima di proseguire per l'Ellesponto, aveva goduto sotto il dominio romano di un ulteriore sviluppo (intensificatosi sotto Augusto, e poi tra gli Antonini e i Severi), mentre molte delle altre città della Grecia declinavano. L'impianto generale era rimasto però quello regolare, che aveva ricevuto nel 316 a. C. da Cassandra, quando vi erano stati forzosamente riuniti gli abitanti di 2 5 borgate della zona. Gli isolati, di metri wo x 50, ancora si riconoscono nella pianta della città attuale. L'agorà stava nella parte alta della città: occupava lo spazio di due isolati, era circondata da portici e aveva un odeion, o piuttosto un bouleuterion, sul lato orientale. Sicuramente in connessione con l'agorà, poco a nord della via Egnazia, fu edificato un portico monumentale di tipo micrasiatico, con un primo ordine di colonne corinzie su alte basi e un ordine superiore con pilastri ornati da altorilievi. Quattro di questi, con le immagini di Ganimede rapito dall'aquila opposto a una Leda con il cigno, di Dioniso e un'Aura, di Ariadne e un Dioscuro, di una Nike e una Menade, sono ora al Louvre, ma erano visibili in posto sino al I86o. Erano noti con il nome di Les Incantadas dato loro dagli Ebrei di origine spagnola che abitavano quel quartiere. La datazione del complesso è stata spesso dibattuta, ma lo stile delle sculture e il tipo stesso del monumento, affine a esempi micrasiatici e alla facciata della basilica dei prigionieri dell'agorà di Corinto, fanno propendere per una datazione a poco dopo la metà del n secolo d. C., quando anche Tessalonica appare influenzata dalle creazioni coeve delle città dell'Asia. Con i Severi, questo periodo di grandi imprese edilizie sembra essersi concluso. Dopo la metà del III secolo la minaccia delle scorrerie gotiche indusse a ricostruire le mura di cinta, da tempo inservibili. Un nuovo, potente impulso venne alla città con la fine dello stesso III secolo,
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San Demetrio • Chiesa dei 12 Apostoh
Rotonda Panagia
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San Paraskevi
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A,rod!: frr- .. Galerio
Santa Sofia
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Tessalonica.
Bejor
Tessalonica, la capitale in Macedonia
133
quando vi fu posta una delle sedi imperiali '. La cinta muraria fu allora allargata verso sud-est, per far posto a un ampio complesso destinato a residenza di Galerio, Cesare d'Oriente dal293 e poi, dal305, Augusto. Esso comprendeva il palazzo vero e proprio, un ippodromo, un grande edificio a pianta circolare e un arco quadrifronte. Quest'ultimo costituiva il perno dell'intero complesso: aveva pianta rettangolare e corte centrale coperta da una cupola; su ciascun lato lungo si aprivano tre fornici, attraverso i quali passava la via Egnazia, che in questo tratto urbano era fiancheggiata da portici. L'arco conserva ancora i due piloni occidentali, con un nucleo centrale rivestito da rilievi marmorei disposti in quattro registri. Le figure vi si addensano in grandi quadri di sacrifici e di battaglie, per celebrare le vittorie di Galerio contro i Persiani in Armenia e in Mesopotamia. Non vi sono cornici verticali a racchiudere ai lati le scene, mentre i registri sono divisi da pesanti fasce orizzontali, con motivi vegetali a forte aggetto, affini ad analoghi motivi del monumento tetrarchico del Foro romano e del palazzo di Diocleziano a Spalato'. Dal lato breve meridionale dell'arco quadrifronte si accedeva a un'ampia sala di metri 16 x 40, che fungeva da vestibolo al palazzo vero e proprio'. Questo è stato piu volte indagato, ma la sua pianta non è stata ancora del tutto chiarita. Gli scavi hanno portato tra l'altro alla luce una vasta corte centrale circondata da ambienti riccamente mosaicati, e un grande ottagono nel quale si apriva una serie di nicchie, anch'esso collegato alla corte, e coperto da una grande cupola, ora crollata. Tutto il palazzo era fiancheggiato verso est da un ippodromo, consueto complemento dei palazzi imperiali di quest'epoca, oltre al quale correva il settore orientale del muro di cinta della città. Dalla parte opposta, quindi verso nord, dall' arco si accedeva a una grande via colonnata lunga 100 metri e larga 30, che portava a un'ampia corte ottagonale, al centro della quale si ergeva una rotonda. Questa era costituita da un grande cilindro di 24,15 metri di diametro, con muri in mattoni spessi 6,30 metri, attraverso i quali si aprivano otto finestroni che illuminavano un ambiente centrale. Questo aveva pianta ottagonale e altezza pari al diametro, ed era coperto da una 1 Fondamentale sulla Tessalonica tardoantica e protobizantina è J.·M. SPIESER, Thessalonique et ses monuments du IV au \'{ siècle, Rome 1984. 2 H. P. LAUBSCHER, Der Relie/schmuck des Galeriusbogens in Thessaloniki, Berlin 1975. C&. anche G. VELENIS, Architektonische Probleme des Galenusbogen in Thessalonzki, in AA (1979), pp. 249-63. ' Un quadro generale in M. CAGIANO DE AZEVEDO, Il palazzo imperialediSalonicco, in FR, CXVII !1979), pp. 7-28. Su singole parti N. c. MOUTSOPOULOS, Contribution à l'étude du pian de la ville de Thessalonique à l'époque romaine, in Atti del XVI Congresso di Storia dell'Architettura (Atene 1969), Roma 1977, pp. 187 sgg.; M. VICKERS, Ihe Htppodrom al Thessaloniki, inJRS, LXII (1972), pp. 25-32, e m., Observations on the Octagon at Thessaloniki, ibid., LXIII (1973), pp. m-20. Per un utile sunto si può vedere A. FROVA, Tessalonica, in Milano capitale dell'impero romano, 286·402 d. C, Milano 1990,
pp. 204·6.
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grande cupola. Su ciascun lato la grande apertura del finestrone eraripresa, piu in basso, da un ampio nicchione con volta a botte. Un tempo lo si riteneva mausoleo di Galerio, ma oggi, sulla base di una moneta coniata nel 3u nella stessa T essalonica, si propende a vedervi piuttosto un tempio destinato al culto imperiale. La rotonda fu successivamente trasformata in chiesa: fu cambiato l'accesso, furono aggiunti un nartece, un'abside e una navata circolare. Nel VI secolo, come chiesa di San Giorgio, fu quindi ornata di splendidi mosaici, con otto pannelli imitanti motivi siriani e iranici nella fascia inferiore e figure di apostoli, santi e patriarchi, mentre la cupola era ornata di un Cristo trionfante tra quattro angeli. Sin dagli anni di Galerio l'enorme complesso imperiale, concepito in modo unitario, doveva caratterizzare la città. Anche fuori dal palazzo si trovano però contemporaneamente tracce di una notevole fioritura. Anche le necropoli, che si estendevano fuori dalle porte a est e a ovest, e che furono in uso dal primo Ellenismo a Giustiniano, hanno rivelato per l'età tetrarchica una particolare abbondanza e ricchezza di sepolture, con sarcofagi monumentali e tombe dipinte. Essa continua per tutto il rv secolo, quando Tessalonica rimaneva una delle principali città dell'lllirico, nonostante fosse stata soppiantata, come sede imperiale, dalla vicina Costantinopoli. Lo stesso imperatore Teodosio tornò a risiedervi a piu riprese, e nel 380 vi promulgò l'editto che riconosceva come religione ufficiale dell'Impero il cristianesimo. Ma ancora sotto Teodosio, nel 390, in seguito a una sollevazione che aveva portato all'uccisione di Botherico, comandante della guarnigione, 7000 cittadini furono fatti radunare nello stadio e vi furono massacrati. Per questo crimine T eodosio fece penitenza davanti al vescovo di Milano, sant'Ambrogio; per la città il colpo fu gravissimo. In quel periodo, o poco dopo, fu dotata di nuove mura, che riutilizzavano in parte ancora i resti della cinta ellenistica. Alcuni tratti nuovi, che reimpiegavano anche blocchi tratti dall'ippodromo ormai abbandonato, furono aggiunti verso il 4411'442, quando la pressione degli Unni indusse a spostare da Sirmium a Tessalonica la sede del prefetto dell'Illirico. Per la città sembra che si aprisse allora una nuova fase di fioritura edilizia, che si espresse soprattutto nella costruzione di alcune chiese, sostanzialmente conservate sino a oggi. Per il culto del martire locale, san Demetrio, ucciso nelle persecuzioni di Galerio, venne eretta una colossale basilica a cinque navate, che è tuttora la piu grande della Grecia. Secondo la tradizione, l'area sarebbe stata in precedenza occupata da un edificio termale, dove san Demetrio sarebbe stato martirizzato. Gli scavi vi hanno effettivamente portato alla luce resti di terme; già nel corso del
Bejor
Tessalonica, la capitale in Macedonia
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IV secolo vi fu dedicato al ricordo del santo un martyrion, le cui tracce sono ancora visibili nella cripta della basilica. Sempre attorno alla metà del v secolo fu eretta la basilica di Santa Sofia, lunga 100 metri, con un battistero esagonale le cui sostruzioni sono ancora oggi visibili. Ancora nei primi secoli di Bisanzio molte di queste chiese furono rifatte e ricoperte di mosaici, nell'ambito di un'attività edilizia che rafforzò Tessalonica nel suo ruolo di seconda città dell'Impero dopo Costantinopoli, dandole un'impronta destinata a caratterizzarla sino a oggi.
GIORGIO BEJOR
Antiochia, metropoli dell'Asia
Capitale dei Seleucidi e poi sede del governatore romano della Siria, Antiochia è seconda solo a Roma per quantità di testimonianze letterarie, da Diodoro a Strabone e sino a Malala, il cronografo bizantino di VI secolo che fu testimone dell'ultima fase di vita della città Di particolare importanza soprattutto alcuni autori di IV secolo, come Libanio, che ad Antiochia era nato nel314, e vi aveva poi insegnato dal3 54 alla morte, nel 393, e il suo allievo prediletto Giovanni Crisostomo, pure antiocheno, e presente ad Antiochia tra il369 e il397; lo stesso imperatore Flavio Giuliano, meglio noto poi come l'Apostata, le dedicò nel362-63 il suo Misopogon. Per Ammiano Marcellino, un altro antiocheno di nascita, Antiochia era allora «m un do cognita civitas, cui non certaverit alia»'; altrove è detta poco dopo « civitas splendida et operibus publicis eminens ... abundans omnibus bonis» ';e ancora per Procopio, che scrive nel VI secolo, è la maggiore città dell'Oriente'. All'abbondanza di fonti scritte si contrappone però una desolante povertà di dati archeologici ', che sono per la massima parte dovuti a ricerche condotte dal 1932 al 1939 da una missione franco-americana, in condizioni del tutto particolari e con pro1 •
1 Le testimonianze classiche su Antiochia sono raccolte in G. DOWNEY, A History o/ Antioch in Syria/rom Seleucos lo the Arab Conquesl, Princeton 196r. Cfr. anche J. H. w. G. LIEBESCHUETZ, Antioch. City and Imperia/ Administralion in the I..ater Roman Empire, Oxford 1972; in particolare su quelle di IV secolo d. C., P. PETIT, Libanius et/a vie municipale à Antioche au IV siècle aprèJ].-C., Paris 1955, e A.-J. FESTUGIÈRE, Antioche pai'enne et chrètienne. Libanius, Chrysostome et /es moines de Syrie,
Paris 1959. 2
AMMIANO MARCELLINO, 14.8.8.
1
Expositio totius mundi el gentium, 32. Storia segreta, 18.4r.
' PROCOPIO DI CESAREA,
' Un ottimo sunto delle scoperte archeologiche è in J. LASSUS, La ville d'Antioche à l'époque roma in e d'apréJ l'archéologie, in ANRW, II, 8 (1977), pp. 54-102. Gli scavi sono stati editi in Antioch on the Orontes. Publications o/ the Committee /or the Excavation o/ Antioch and its vicinity: l. The excavations o/ 19}2, a cura di G. Elderkin, Princeton 1934; II. The excavations I9JJ-I9J6, a cura di R. Stilwell, Princeton 1938; III. The excavations I9J7-I9J9, a cura di R. Stilwell, Princeton 1941; F. o. WAAGÉ, Antiach on the Orantes, IV /r. Ceramics and IslamicCoins, Princeton 1948; D. WAAGÉ, Antiach an the Orantes, IV12. Greek, Roman, Byzantine and Crusaders' Coins, Princeton 1952; J. LASSUS, Antioch an the Orantes, V. Les Portiques d'Antiache, Princeton 1972.
Parte prima
Antiochia.
I luoghi e le merci
Bejor
Antiochia, metropoli dell'Asia
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blematiche e metodologie che oggi non possono piu essere considerate soddisfacenti. n progetto iniziale di trovar riscontro sul terreno alla pianta che il Miiller aveva ricostruito dai testi letterari già nel 1839' fu presto abbandonato per una vera e propria caccia al mosaico, avulso dal contesto urbano, e anche avulso dalla storia e dalla stessa planimetria dell'edificio di cui era parte integrante. L'impianto della città, con la sua divisione in quattro quartieri, tre sulla sinistra dell'Oronte e uno sull'isola del fiume, era quello che le avevano imposto i sovrani seleucidi. n quartiere piu antico era sulla sinistra del fiume, ma almeno dal n secolo a. C. la reggia era collocata sull'isola; in connessione a questa fu eretto nel5 5 a. C. un circo, con un' associazione che può essere servita da esempio ai palazzi imperiali tetrarchici. Secondo Libanio 7 il palazzo occupava da solo un quarto della superficie di tutto il quartiere; era stato ricostruito da Galliena e poi ancora da Diocleziano. Cinto di mura e di torri, dava sull'Oronte con un colonnato che doveva ricordare quello analogo della facciata del palazzo di Spalato. Andò distrutto nei terremoti che si succedettero tra IV e v secolo, e resta archeologicamente del tutto ignoto. Sull'isola sono invece note ampie domus che si sviluppavano attorno a un cortile porticato centrale, come quella detta «atrium house», dallo stupendo triclinio mosaicato con gli emblemata della contesa del bere tra Eracle e Dioniso tra minori quadretti con Satiro e Menade, del giudizio di P aride, di Afrodite e Adone. I mosaici sembrano appartenere alla grande ricostruzione di Antiochia dopo il terremoto del II5 d. C., che rase al suolo, con gran parte della città, anche il palazzo. T raiano, che vi stava preparando la guerra contro i Parti, sfuggi a stento alla morte. In un periodo che gli scavi non hanno sufficientemente precisato- certo però a cominciare almeno dal IV secolo- sull'isola vennero a impiantarsi vari edifici termali, e un fitto reticolo di piccole case copri gli spazi che erano stati occupati dalle grandi domus. Un ponte collegava l'isola al resto della città. In essa anche la sistemazione urbanistica generale, a regolari isolati di metri 126 x 56 attorno a un asse centrale costituito dalla parte urbana della via che da Aleppo conduceva al mare, restò quello imposto da Seleuco, almeno sino a Giustiniano. I sondaggi fatti sulla grande via hanno mostrato come nel m secolo a. C. fosse ancora pavimentata con pietre, e avesse modeste strutture ai lati; sotto l'impero di Tiberio, e grazie alla munificenza di Erode, le furono aggiunti su entrambi i lati dei colonnati, con passaggi laterali am" K. 7
o.
Antiquitates Antiochenae, Gottingen Orazioni, rr.205.
MULLER,
LIBANIO,
r839.
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Parte prima
I luoghi e le merci
pi 4,4 metri, oltre i quali si aprivano botteghe. Questa nuova sistemazione divenne il vanto di Antiochia, e fu presto imitata da quasi tutte le principali città dell'Asia'. I sondaggi che vi fece negli anni '30 il Lassus hanno mostrato che la distruzione del rr5 fu pressoché totale; lo strato delle macerie era spesso 2 metri. Sopra di questo fu fatta una nuova pavimentazione, in opera poligonale, e vennero riedificati i colonnati, mantenendo lo stesso orientamento ma senza riutilizzare le strutture precedenti. La ricostruzione durò per tutto il corso del n secolo, che dovette essere segnato da un notevole fervore edilizio. Alla fine, il complesso occupava un'ampiezza di oltre 40 metri, ed era un po' il simbolo stesso della città. Libanio ricorda come fosse illuminato di notte, com'era anche a Roma, a Efeso e ad Alessandria. All'interno della rete degli isolati, grandi case di appartamenti, sul modello di quelle ben note a Roma e a Ostia, sono testimoniate epigraficamente anche prima del rr5. Libanio dice che all'epoca sua avevano tre piani anche le case dei ricchi. Nulla di tutto questo è emerso dagli scavi, dai quali conosciamo quasi solo mosaici. I 28 rinvenuti' si distribuiscono nell'arco di quattro secoli, dal u5 agli inizi del VI secolo, con una certa omogeneità, e testimoniano della costante vitalità edilizia della città. Questa trova conferma nell'importante quartiere suburbano di Dafne, formatosi con impianto regolare già sotto i Seleucidi attorno al santuario oracolare di Apollo, e poi largamente sviluppatosi almeno dai tempi in cui vi tenne corte Lucio Vero (r64-66 d. C.). A Dafne sembrano riferirsi gli edifici, tra i quali un anfiteatro e due ninfei, rappresentati sul bordo d'un mosaico della metà del v secolo. Ebbe in effetti una struttura almeno in parte autonoma, e un proprio teatro, che è stato scavato. Grazie alla sua fiorente comunità giudaica, in stretti contatti con Cipro, la Cilicia e la Palestina, Antiochia fu uno dei primi e piu importanti centri di irradiazione del cristianesimo, legata all'apostolato di san Barnaba e san Paolo. Seconda solo a Roma per numero di sante reliquie, fu sede di vari concili dal264 al379, di un patriarca sin dal325 e di un'importantissima scuola di esegesi biblica, fiorita, attorno a san Giovanni Crisostomo, dal 370 al430. Come diretta conseguenza di questo suo primato, Antiochia ebbe un ' In P. GROS e M. TORELLI, Storia dell'urbanistica. Il mondo romano, Bari 1988, pp. 420-22, un accenno al fondamentale ruolo della plateia di Erode ad Antiochia come prototipo di queste vie monumentali, divenute tra 11 e III secolo d. C. frequentissime in tutto l'Oriente romano come «esaltazione plastica della vita urbana>>. ' D. LEVI, Antioch Mosaic Pavements I-II, Princeton 1947. Sono stati di recente riediri, accogliendo ulteriore bibliografia, in s. CAMPBELL, The Mosaics o/Antioch. Corpus o/Mosaic Pavements in Turkey, IV, Toronto 1988. Se ne veda però la recensione di D. Parrish in AJA, XCIV (1990), pp. 516-17, anche con altri aggiornamenti bibliografici.
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Antiochia, metropoli dell'Asia
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ruolo di grande importanza anche nella storia della prima architettura cristiana, come appare evidente dalle fonti letterarie e dal confronto con i tanti monumenti noti della Siria, a cominciare dall'importante martyrion di Seleucia Pieria. Ma, ad esempio, non è stata rinvenuta alcuna traccia della grande chiesa ottagona che servi da prototipo alla chiesa ravennate di San Vitale: coperta da una cupola dorata fattavi edificare da Costantino'", dedicata a Cristo da Costanzo II nel341, s'innalzava presumibilmente sull'isola, presso il palazzo imperiale. Allo stesso modo non si hanno tracce di due altre chiese protocristiane, dovute a precocissime trasformazioni di edifici destinati ad altri culti: la chiesa del vescovo Sant'Ignazio, edificata da Teodosio II (405-50) trasformando l'antico tempio della Fortuna, il Tychaion, e trasferendovi le spoglie del santo, che erano nel cimitero sulla strada per Dafne; e la chiesa di San Leonzio, edificata sul luogo della distrutta sinagoga. Parimenti scomparse la grande basilica d'Anatolia, costruita sotto Teodosio Il, e la basilica civile di Rufina, dell'epoca di Anastasio (491-518), entrambe citate da Malala. Uno dei pochi edifici cristiani portati alla luce dagli scavi si trovava nel sobborgo di Kaoussie presso Dafne. La grande chiesa è datata da una dedica musiva al387, ha pianta a croce greca ed è stata identificata con il martyrion di san Babila ".Vi sono state individuate anche due posteriori fasi edilizie, datate al420-29 e agli inizi del VI secolo. Nel458 un grande terremoto abbatté definitivamente il palazzo reale. Nel520, sotto Giustino, un incendio distrusse parzialmente la città; pochi anni dopo, il26 maggio 526, un terremoto vi fece 250 ooo morti, a quanto riporta Malala. Nonostante le ricostruzioni di Giustiniano, che rifece anche la grande chiesa costantiniana e il circuito delle mura, era ancora in gran parte in rovina nel540, quando fu presa e nuovamente distrutta dal re sasanide Cosroe. 10
11
EUSEBIO DI CESAREA, Vita di Costantino, 3· 50. G. DOWNEY, TheShrines o/St. Babylas al Antioch and Daphne,
pp. 45·48.
in Antioch on the Orontes ci t., Il,
WOLFGANG MÙLLER-WIENER
Costantinopoli, la nuova Roma
Solo in pochi dei grandi centri storici del mondo antico è cosi grande, come a Costantinopoli, il contrasto tra la quantità di notizie tramandateci dalle fonti scritte e i monumenti che abbiamo ancor oggi a disposizione: infatti i nuovi padroni non mutarono solo il nome, ma anche l'aspetto urbano, grazie a una nuova, intensa attività edilizia. Vi sono stati fatti pochissimi scavi sistematici, finalizzati alla ricerca delle epoche piu antiche, al contrario di quanto è accaduto per Atene, Roma, o Treviri. S'aggiunga poi l'aggravante che la maggior parte delle fonti scritte è relativamente tarda, e che la storia iniziale della città si scontra spesso con la chiara tendenza a legittimare o rivalorizzare la posizione di Costantinopoli nei confronti di Roma. Di conseguenza, la maggior parte delle ricerche storico-topografiche fatte sinora si basa su una serie di fonti molto limitata e, spesso, anche parziale, da tempo interpretata e reinterpretata senza l'apporto di sostanziali novità. Senza dubbio, dati importanti per la storia piu antica della città sono contenuti nelle antiche descrizioni della città stessa- tra le quali soprattutto la Notizia Urbis Constantinopolitanae, compilata nel425 -, in qualche antico disegno 1 e nelle annotazioni, sparse in vari testi, che si riferiscono a resti edilizi venuti alla luce in modo per lo piu fortuito, nello scavo di fondamenta o di opere di canalizzazione; questo però non soddisfa l'esigenza di quella precisione che s'è potuta ottenere in altri luoghi, dove gli scavi sono stati condotti in modo sistematico. A causa di tutto ciò, le descrizioni dello sviluppo ur1 Del gran numero delle antiche descrizioni della città sono qui nominate solo le piu importanti: DIONISIO DI BISANZIO, Anaplus Bospori, Berlin I927; Notitia Dignitatum, accedunt Notitia urbis Constantinopolitanae et laterculiprovinciarum, Berlin I876, su cui cfr. P. SPECK, Studien zur Fmhgeschichte Konstantinopels, in , III (1931), pp. 247 sgg.; E. OBERHUMMER, Konstantinopel unter Sultan Suleiman dem Grossen, au/genommen im ]ah re 15 59 durch Melchior Lorichs aus Flensburg, Mi.inchen 1902.
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I luoghi e le merci
bano vanno prese sempre con una certa dose di scetticismo, anche quando sono fatte con le migliori intenzioni'. Sono ancora divergenti le opinioni sulle ragioni che, nel324, indussero l'imperatore Costantino, dopo la vittoria contro il suo ultimo rivale Licinio, a costruire la nuova capitale; si può supporre che abbiano concorso diverse considerazioni d'ordine politico, economico e, certamente, anche mitologico. Non v'è però alcun dubbio che uno degli argomenti piu importanti per la scelta di questo luogo sia da ricercare nella sua collocazione geopolitica e nei fattori naturali; Bisanzio si trovava, infatti, sull'antica rotta da sud a nord, che univa il Mediterraneo al Ponto e alle principali fonti di approvvigionamento del mondo antico, e, contemporaneamente sulla via est-ovest che, attraverso il Bosforo, univa l'Asia all'Europa come un ponte, praticato dalle popolazioni sin da epoche remotissime. Che la scelta dipendesse proprio da questa posizione lo mostra, tra gli altri, il dato (certo insicuro), tramandato da Sozomeno, secondo il quale l'imperatore avrebbe preso in considerazione come possibile luogo per la sua nuova fondazione anche Ilio, dove avrebbe già intrapreso dei lavori. Questa posizione, all'intersezione di importanti vie del commercio antico, ai confini tra due continenti, e, contemporaneamente, al centro dell'Impero, fu un fattore decisivo che, anche in seguito, contribui a influenzare grandemente lo sviluppo della città; al di là della momentanea assenza di alcuni imperatori, la città di Costantino conservò incontestabilmente il suo ruolo di nuovo centro dell'Impero romano, incrementandolo ancor piu dopo la caduta di Roma nel v secolo. I.
Bisanzio.
Già i primi abitanti, venuti da Megara nel66o/658 a. C., avevano ben valutato gli indiscutibili vantaggi di questa posizione; la loro città, alla quale diedero il nome di Bisanzio, dal leggendario eroe-fondatore Byzas, sorse sulla punta di una penisola che guardava, a sud, sul Mar di Marmara e, a nord, sull'ampio e profondo braccio di mare del Chrysokeras, il Corno d'Oro'. ' Dal novero quasi incalcolabile di studi topografici sulla storia della ciuà si nominano solo alcuni dei lavori piu recenti, nei quali può trovarsi la precedente bibliografia: A. M. SCHNEIDER, Byzanz. Vorarbeiten zur Topographie und Archiiologie der Stadi, Berlin 1936; R. JANIN, Constantinople Byzantine. Développement urbain et Répertoire topographique, Paris 1964; w. MÙLLER-WIENER, Bildlextkon zur Topographie lstanbuls, Ti.ibingen 1977; c. MANGO, Le développement urhain de Constantinople (IV-VI{ siècles), Paris 1985. ' Sull'antica Bisanzio cfr., oltre alle opere citate alla nota 2, w. P. NEWSKAJA, Byzanz in der klassischen und hellenistischen Epoch, Leipzig 1955; N. FIRATLI, Les stèles /unéraires de Byzance grécoromaine, avec l'édition etl'index commenté des épitaphes par L. Robert, Paris 1964; G. DAGRON, Nais-
Miiller-Wiener
Costantinopoli, la nuova Roma
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Di questa penisola noi non conosciamo né l'esatto profilo, né gli antichi livelli, ma vi erano di sicuro piu numerose e piu profonde insenature, e la città e i suoi dintorni erano divisi, molto piu di oggi, da colline e valli profonde. Non sono ben note nemmeno forma e dimensioni dell'antica città greca che, però, era presumibilmente un po' piu grande dell'area oggi compresa dalle mura del Topkap1 Saray1. Al centro stava l'acropoli, con i templi di Afrodite, Artemide e Helios, sul fianco occidentale della dorsale si trovavano l'agorà, lo stadio e un edificio termale; sul fianco orientale, in una conca riconoscibile ancor oggi, stava il teatro, e, a nord, in profonde insenature del Corno d'Oro, due porti. La città, grande 70 ettari, e i porti furono assai presto racchiusi da una cinta muraria, che doveva proteggerli dall'incalzare dei Traci, e che, in epoca ellenistica, era considerata come una delle piu resistenti del mondo greco. A occidente della città erano le necropoli, su entrambi i lati della strada che portava verso l'interno, mentre tutta una serie di piccoli villaggi, posti su insenature isolate, orlavano le rive del Corno d'Oro e del Bosforo. Un acquedotto, attribuito all'imperatore Adriano, prowedeva d'acqua la città, che non aveva sorgenti. Questa primitiva struttura insediativa, assieme agli assi viari piu importanti, è rimasta attraverso i secoli determinante per il successivo sviluppo edilizio, nonostante i singoli edifici di quella prima fase siano scomparsi e i limiti dell'antica città siano stati poi cancellati totalmente. Una profonda cesura nella storia di Bisanzio è data dal lungo assedio (193-95), verificatosi in occasione della contesa per il trono tra Pescennio Nigra e Settimio Severo, che fini con la distruzione della città, nell'inverno 195-96, e la cacciata degli abitanti. Ma già nell'estate 197 Settimio Severo- forse su preghiera del figlio Caracalla- pose mano alla ricostruzione della città, chiamata per un certo periodo Antoninia Sebaste. Secondo una tradizione certamente tarda, e forse tendenziosa, fu allora che l'imperatore fece costruire l'Ippodromo e le vicine Terme di Zeuxippo, in un quartiere di espansione meridionale della città, presso la grande via colonnata che usciva dall'antico Tetrastoon. In quell'occasione dovettero essere ricostruite le mura della città andate distrutte nell'assedio, cosi come il tempio d'Apollo e il teatro della città vecchia_ La ricostruzione della città, che con i nuovi quartieri aveva raggiunto i wo/no ettari, venne portata avanti anche da Caracalla, ma le Terme di Zeuxippo e l'Ippodromo restarono, pure successivamente, incompleti: anche questo è un segnale della ridotta importanza della città, un tempo fiorente centro commerciale, che, con queste nuove costru.1ance d'une capitale. Constantinople et ses institutions de 330 à 451, Paris 1974 (trad. it. Costantinopoli, Torino 1991).
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Parte prima I luoghi e le merci
zioni, aveva comunque a disposizione quel che caratterizzava una città provinciale del tempo. Per tutti questi progetti edilizi del III secolo, come per gli edifici piu antichi, non ci sono testimonianze archeologiche sicure; morfologia del terreno, resti edilizi di età piu tarda e alcune testimonianze letterarie, generalmente piu tarde, consentono comunque delle approssimative loca-
Pianta di Bisanzio e dei suoi dintorni.
Miiller-Wiener
Costantinopoli, la nuova Roma
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lizzazioni '. Resta poco chiaro se Bisanzio avesse una pianta regolare, secondo il cosiddetto sistema ippodameo, come sembrerebbe trasparire da singoli percorsi viari tardi, che non dànno però alla questione una soluzione definitiva. I rinvenimenti degli ultimi quarant'anni hanno rivelato chiaramente solo le necropoli, che si estendevano dal Foro di Costantino, ai margini della città antica, sino nell'area dell'odierna piazza Beyazit, su entrambi i lati della via d'accesso principale, che si innestava nella via Egnatia. Altre necropoli di età imperiale si trovano nella zona oggi chiamata Unkapan, sul Corno d'Oro, in alcuni villaggi sulle sponde meridionali del Chrysokeras, come sull'altura al di sopra della Pera medievale- queste, occupate per una piu ampia estensione, da tombe piu tarde. In ogni modo si tratta, in quest'ultima località, di rinvenimenti effettuati negli scavi di fondamenta e canalizzazioni, e non durante scavi sistematici, cosf che resta limitata la loro significatività. 2.
La città costantiniana.
Solo pochi mesi dopo la vittoria su Licinio, Costantino fece ricostruire questa Bisanzio, prowista di tutto l'apparato di una città provinciale, secondo le notizie di alcuni storici tardi, su una supeficie a occidente delle antiche mura delimitata da una linea di quindici stadi (circa 2,7 chilometri) '. Con ciò l'area urbana aumentò dalle quattro alle cinque volte rispetto alla città antica, sino a raggiungere una superficie di circa 6 chilometri quadrati, restando, dunque, pur sempre molto al di sotto dell'estensione di Roma. A questa città cosi ingrandita Costantino diede il suo nome, fornendola di nuovi edifici; dopo la costruzione di una nuova cinta urbana lungo la linea prefissata, portò a termine la costruzione dei grandi edifici rimasti interrotti: le Terme di Zeuxippo e l'Ippodromo. I mezzi finanziari necessari a questi progetti furono tratti da diverse fonti, quali i beni sequestrati ai templi, l'aumento delle imposte finalizzato a questo obiettivo, oltre al tesoro di Licinio. I piani della nuova città furono attribuiti dagli storici (in genere tardi) a diverse persone, tra le quali vi è un certo Eufrate, non meglio noto. Resta del tutto ignoto come potesse apparire questo piano e quanto sia rimasto inalterato nei circa cento anni effettivamente richiesti dalla costruzione della nuova città. La posizione di alcuni edifici piu tardi- soprattutto delle grandi piazze ter_' Sui rinvenimenti in ambito urbano cfr. w. MULLER-WIENER, Bildlexzkon cit., p. 19 con bibliografia. ' Dettagliatamente in G. DAGRON, Naissance cit., pp. 29 sgg., e c. MANGO, Le développement cit., Pp. 23 sgg.; cfr. anche H. G. BECK, Konstantinopel, das neue Rom, in «Gymnasium», LXXI (1964), pp. t66-74; ID., Studien zur Friihgeschichte Konstantinopels, Miinchen 1973.
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Parte prima
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minate solo alla fine del IV e agli inizi del v secolo-, all'interno del sistema complessivo della città, fa pensare che ci dev'essere stato un piano valido nel tempo, anche se alcune delle singole fasi dello sviluppo edilizio non sembrano accordarsi con l'esistenza di un simile progetto complessivo. Considerando la mancanza di un qualsivoglia documento favorevole o contrario a un simile progetto, si deve restare nel campo delle ipotesi, anche perché i cronisti, vissuti in secoli successivi, hanno nascosto la prima storia della città nell'intenzione di anticipare sino al tempo di Costantino la tarda rivalità, ancor oggi molto discussa, tra la vecchia capitale e la nuova Roma. Con tutti questi problemi, ancor oggi non del tutto risolti, hanno trovato accesso, nella nuova letteratura topografica, alcune rappresentazioni - come la leggenda della città sui sette colli sul Bosforo- che hanno determinato varie confusioni. li fatto è che Costantinopoli, sin dall'inizio, fu pensata come residenza dell'imperatore, e, Pianta della città di C:ostantinc'. rv-v secolo.
......
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/
. •. ...
NEKROPOLE.N
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perciò, liberata da ogni legame con le autorità provinciali e dai rapporti amministrativi con il retroterra, sebbene quest'ultimo, con i suoi giardini e i suoi vasti campi, avesse una parte importante nel sostentamento della città. L'impianto di base spaziale e strutturale della nuova città fu un sistema di tre strade, che forse continuavano percorsi piu antichi. Esse si dipartivano a ventaglio verso ovest e nord-ovest: una lungo le rive del Mar di Marmara, un'altra lungo quelle del Corno d'Oro, la terza sulla dorsale della collina; quest'ultima, che venendosi a trovare in mezzo alle altre due fu poi detta «Mesé», a 6oo metri circa a ovest del nuovo Foro di Costantino, presso il cosiddetto Philadelphion ", si biforcava in due percorsi che andavano in direzioni diverse: quello piu a nord si dirigeva verso la porta successivamente chiamata Charsios (oggi Edirnekapi); quello piu a sud, ancora visibile nell'odierna pianta urbana, verso quella che, nelle carte piu tarde, era detta« antiquissima pulchra porta»; in questo punto si congiungeva alla via Egnatia, che, nel suo ultimo tratto, dev'essere stata spostata piu a sud, verso il Mar di Marmara. Accanto a queste arterie principali appaiono risaltare ancora sulla pianta odierna alcuni larghi assi trasversali, come il cosiddetto makr6s émbolos, che corrisponde, come percorso e anche come nome, all'odierno Uzun çar~i. Resta invece pur sempre sconosciuto il sistema con il quale i quartieri di abitazione si distribuivano tra queste strade; i loro nomi, tramandatici dai patriografi, sono legati ad alcune famiglie patrizie venute da Roma, indicando cosi che qui, come altrove, alcuni maggiori complessi residenziali dall'aspetto di palazzi servivano come nuclei di edifici abitativi senza troppe pretese. Oggi non è piu possibile riconoscere se questo accadesse all'interno di un preciso schema normativa, perché in non pochi casi si possono supporre sostanziali modifiche nella pianta urbana già nel medio e tardo periodo bizantino; comunque, a partire dal XVII secolo, i percorsi stradali sono stati piu volte modificati dalle conseguenti ricostruzioni che seguirono i numerosi incendi dell'Istanbul osmanica. Punto centrale della nuova città di Costantino divenne il Foro di Costantino, posto alla fine dell'antica via colonnata severiana. Di forma circolare, esso aveva al centro la colonna, ancor oggi esistente, sulla quale un tempo si ergeva la statua dell'imperatore nella figura di Helios; secondo la leggenda, al di sotto vi sarebbero state sepolte reliquie pagane e cristiane'. La piazza era chiusa tutt'attorno da portici a due piani, tra i " Sul Philadelphion R. JANIN, Constantinople ci r., p. 420, e c. MANGO, Le développement ci t., pp. sgg. 7 Sul Foro di Costantino cfr. w. MÙLLER-WIENER, Bildlextkon cit., pp. 255 sgg.; c. MANGO, Constantinopolitana, in ]DAI, LXXX (r965), pp. 306-13; G. BECATTI, La colonna coclide istoriata, Roma 1960, pp. 84-88. 28
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quali spiccavano a nord l'edificio del Senato, su quattro colonne di porfido, e a sud forse un ninfea, mentre due porte monumentali, riccamente ornate, mettevano in comunicazione la piazza verso est e verso ovest con le adiacenti strade. Piu a sud, presso l'Ippodromo, portato ora a una lunghezza di 420/440 metri, in un.quartiere precedentemente a case e giardini, l'imperatore fece erigere il suo palazzo·. n modello seguito fu quel8 Sul palazzo cfr. gli studi complessivi di 11. GUILLAND, Etudes de topographie de Constantinople byzantine, Berlin-Arnsterdam 1969; s. MIRANDA, Autour du Grand Palais des empereurs byzantins. Nouvelles rectiftcations, Mexico r9t)8; ID. , Etudes de topographie du Palais Sacré de Byzance, Mexico 1976; w. MÙLLER-WIENER, Bildlextkon cit., pp. 229-37.
Pianta dell'area del palazzo, con l'indicazione dei resti visibili nell'area.
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lo di Roma e delle altre residenze imperiali (Salonicco, Antiochia e forse anche Milano), dove palazzo e circo erano strettamente legati l'uno all' altro, spazialmente e funzionalmente; qui s'aggiungeva anche il vantaggio del pendio orientato verso il Mar di Marmara. li complesso palaziale, protetto dal resto della città da mura, si componeva di vari gruppi diedifici disposti uno di seguito all'altro in direzione nordest-sudovest. L'ingresso monumentale era quello che fu poi chiamato Chalké: un edificio a cupola a forma di tetra p ilo, forse simile all'arco di Galerio a Salonicco, che consentiva l'accesso ai singoli settori, terminati di costruire solo nel corso del IV secolo. Verso est la via conduceva al Senato e al palazzo di Magnaura; verso sud passava davanti ai quartieri della guardia imperiale, sino alla grande corte principale, il tribunale (detto anche Delphax), sul cui lato meridionale furono poi collocati gli ambienti di rappresentanza piu importanti del palazzo: corrispondendo alla sequenza Lararium- Aula Regia- Basilica sul Palatino a Roma, erano qui in fila, lungo l'ampio cortile centrale, il Triclinio dei 19 Akkubita, l'Augusteo con l'antistante Onopodion e il Consistorium. Su queste sale, circondate da ambienti secondari, si innestava, verso ovest, il palazzo di Dafne, che serviva da abitazione dell'imperatore; anch'esso era posto attorno a un cortile e collegato da una grande scalinata con il palazzo del Kathisma, confinante con l'Ippodromo, dal quale l'imperatore poteva assistere ai giochi. Nelle innumerevoli sostruzioni, rese necessarie dall'andamento mosso del terreno, erano sistemati laboratori, magazzini e stanze per il personale; non è sicuro se appartenesse già a questa prima fase quell'Ippodromo coperto- evidentemente un complesso a corte a ovest dell'area palaziale- spesso ricordato dalle fonti tarde. Come le piazze pubbliche della città, e soprattutto l'Ippodromo, tutto l'insieme era riccamente ornato d'opere d'arte, che Costantino aveva fatto portare da ogni parte dell'Impero, cosi come fecero poi anche i suoi successori'. Una piazza, posta nella zona dell'antico Tetrastoon, detta Augusteion, della quale non è possibile precisare forma e dimensioni, metteva in comunicazione con la città qui l'imperatore fece erigere su una colonna di porfido la statua di sua madre. Piu tardi, dopo che la piazza ebbe molto a soffrire del grande incendio di N ica del532, Giustiniano vi pose la sua statua equestre su un'alta colonna, posta presso un portico a due piani. 1 ";
' «Constantinopolis dedicatur omnium paene urbium nuditate>>, si lamentava verso la fine del secolo Girolamo. 10 Sull'Augusteio n dr. c. MANGO, Tbe Brazen House. A Study o/ tbe Vestibule o/ the Imperia/ PaIace of Constanlinople, Kopenhagen 1959, e w. MOLLER-WIENER, Bildlexikon cit., pp. 248 sg.
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Continua a esserci incertezza sugli edifici sacri che l'imperatore fece costruire nella nuova città. Rimasero gli antichi templi e culti, ma ci sono opinioni contrastanti su due nuovi edifici per Thyche e Rhea, eretti nell'antico Tetrastoon, che Zosimo attribuisce all'imperatore- cosi come per le chiese costantiniane ricordate dai tardi patriografi ". Mentre la vecchia chiesa episcopale di Sant'lrene -la« ecclesia an ti qua» della Notitia - esisteva già nel centro antico, e fu forse solo ingrandita, sembrano dubbi tutti gli altri edifici maggiori, ad eccezione della chiesa degli Apostoli, posta a ridosso dell'odierna Fatih Camii ",di cui l'imperatore cominciò la costruzione come mausoleo, ma che fu poi completata solo dai suoi successori. Certo è possibile, secondo la testimonianza di Eusebio, che alcune delle chiese dei martiri, piu tardi attribuite a Costantino, come Sant' Agatonico, Sant'Acacia e San Modo, siano state cominciate da lui in una prima fase come martiri, per essere completate come vere e proprie chiese solo piu tardi. Non è possibile che tutte le intraprese edilizie, cominciate a partire dal324, fossero già finite quando, l'n maggio 330, la città fu inaugurata; Costantinopoli restò un grande cantiere anche nei decenni successivi, come ancora dopo molti anni constatò il prefetto temporaneo della città, Temistio. Una delle maggiori preoccupazioni di Costantino e dei suoi immediati successori fu quella di far affluire le forze lavorative necessarie alla costruzione e, parallelamente, gli abitanti occorrenti alla grande città di recente fondazione. Tale obiettivo fu perseguito in diversi modi: con ordinanze imposte per legge, con privilegi riservati agli immigrati, con distribuzioni granarie assicurate agli abitanti di Costantinopoli dal 332, con l'istituzione di giochi nell'Ippodromo, con i quali furono accordati panem et circenses. Le esenzioni dalle tasse attrassero in città artigiani e architetti; le imposte sulla costruzione delle case private costrinsero i fittavoli dei domini imperiali in Asia Minore a prender parte a quest'impresa, mentre lo stesso imperatore si preoccupò d'attrarre nelle nuove costruzioni della sua nuova città singole importanti personalità, anche per poter cosi costituire il Senato, necessario alla città che sarebbe stata la sua residenza". n fatto che il progetto sia stato decantato da molti contemporanei con i toni piu alti appartiene allo stile del tempo; d'altra parte non può meravigliare che molti provvedimenti non incontrassero un plauso unanime, che qua e là, nel precipitoso costruire, si avessero dei guasti, 11 G. DAGRON,
Naissance ci r., pp.
388·401.
401·9, e w. MOLLER·WIENER, Bildlextkon cit., pp. 405·9. 13 G. DAGRON, Naissance cit., pp. 519 sgg., e H. G. BECK, Grossstadtprobleme: 12
Ibtd., pp.
4.·6. ]h., in >, XVII, 2 (1968), pp. 91-99. 21 F. KRISCHEN, Die Landmauer von Komtantinope/ [, Berlin 1938; B. MEYER-PLATH e A. M. SCHNEIDER, Die Landmauervon Konstantinopel II, Berlin 1943; w. MOLLER·WIENER, Bildlexikon cit., pp. 286·300.
Muller-Wiener
Costantinopoli, la nuova Roma
I
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con la partecipazione della popolazione in un tempo sorprendentemente breve: nel 413 era già in parte finita la Porta di Rhesion; nello stesso tempo le prime torri poterono essere utilizzate dai precedenti proprietari dei terreni; nel422 queste servivano già all'alloggiamento di truppe. n nuovo anello difensivo si componeva, per una larghezza complessiva di 27-55 metri, di un muro principale, rafforzato da 96 torri, e da un piu basso muro che correva circa 15 metri davanti al primo, oltre che da un fossato, posto inizialmente solo nei punti di pericolo. A parte le numerose posterule per le sortite, sui fianchi delle torri, nelle mura si aprivano sette grandi porte e altre quattro minori, combinate con corrispondenti sistemi aperti nel muro di difesa avanzato: tra esse la piu importante era la Porta Aurea, costruita interamente in marmo di Proconneso, mentre le mura erano realizzate altrimenti in piccola opera quadrata, intercalata a intervalli regolari da corsie di mattoni e con un riempimento di opus incertum. Come per le mura di Costantino, all'inizio era difeso solo il lato di terra; il completamento sui fronti di mare avvenne solo a partire dal 439, sotto la direzione del prefetto urbano Ciro Panopolite ", forse in seguito alle scorrerie dei Vandali sul mare. L'aspetto dei singoli elementi di queste mura resta però sconosciuto, a causa degli ampi rafforzamenti dei lati a mare nel VII e VIII secolo_
4- La nuova Roma.
Con questo ampliamento la nuova Roma, come la città veniva sempre piu spesso chiamata, superò sensibilmente la vecchia. Questo problema del ruolo delle due città è qui preso in considerazione solo in rapporto alle dimensioni monumentali, ma allora fu la causa di discussioni ben piu ampie. Per quanto riguardava la giurisdizione ecclesiastica, le contese sul rango vennero superate nel cosiddetto secondo sinodo ecumenico del381, che stabili che il vescovo di Costantinopoli dovesse venire, per rango, subito dopo quello di Roma. Non è certo un caso se in questa fase, riferibile alla terza generazione dopo la fondazione della città, oltre all'ampliamento di cui s'è parlato, fosse stata intrapresa una serie di nuove costruzioni che documentano, per l'appunto, questa pretesa di Costantinopoli al primato. A questa serie appartiene, come uno dei primi passi, l'erezione del grande obelisco sulla spina dell'Ippodromo, u I"EKIN, W8-19.
e TH. WIEGAND, Die Kaiserpa/iiste von Konslantinope/, Berlin 1934; F. DIRIMFetzhden once Marmara surlari, Istanbul 1953; w. MÙLLER-WIENER, Bildlexzkon cit., pp.
E. MAMBOURY
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nell'anno 390, per quanto si dicesse che il progetto fosse già di Costantino o di Teodosio I Precedette di pochi anni la sistemazione del Forum Tauri da parte dell'imperatore Teodosio I (379-95), in cui i rimandi a T raiano, sottolineati volentieri dall'imperatore anche in altre occasioni, mostrano una vicinanza, almeno programmatica, con il Foro di T raiano in Roma. Forse, ulteriori somiglianze sono riscontrabili nella disposizione di un'ampia piazza circondata da portici, chiusa a nord da una basilica a piu navate, dietro alla quale s'ergeva, nel luogo piu alto, la colonna di Teodosio, che ripeteva il modello delle colonne onorarie urbane; si trattava di una colonna awolta da una banda a spirale, sulla quale erano rappresentate le campagne dell'imperatore. A ovest, una porta monumentale conduceva al Philadelphion; da qui la via meridionale della Mesé portava, attraverso un'altra piazza costruita forse nello stesso periodo, il Forum Bovis, a una terza grande piazza, il Foro di Arcadia, iniziato nell'ultimo decennio del IV secolo e inaugurato nel421 sotto T eodosio II (408-50) dopo l'erezione, al centro della piazza, della colonna di Arcadio". Con questa serie di quattro grandi piazze, unite da vie colonnate, ciascuna con ricca decorazione di statue e diversi monumenti, testimoniatici dai patriografi, la città acquistò di fatto un aspetto imperiale; del resto, dai pochi resti monumentali e dalle descrizioni molto generiche dei patriografi non si può avere alcuna chiara immagine dell'aspetto di questa gigantesca successione di spazi. I resti venuti alla luce nel corso di alcuni lavori nella zona del Foro di T eodosio e i frammenti di singoli elementi costruttivi mostrano come l'esecuzione dei dettagli seguisse ancora ampiamente modelli tardoimperiali, anche se in forme sensibilmente piu piatte e dure, spesso come intagliate. Resta anche poco chiaro se la piu tarda colonna di Marciano, minuscola in confronto alle altre, fosse il punto centrale di un'ampia piazza come quelle di Arcadia e di Teodosio; lo fanno apparire ampiamente probabile l'odierna conformazione dell'area a sud-ovest della colonna, dove alcune cisterne servivano forse un tempo da sostruzioni, e una nuova lettura dell'iscrizione sulla colonna". Che in questi programmi edilizi non si trattasse solo di rappresentatività e di questioni di status, ma che vi fossero in gioco anche intenzioni estetiche, lo mostrano i decreti per la difesa degli edifici pubblici e per la 2
).
2l Su questo G. BRUNS, Der Obelisk und seine Basis au/ dem Hippodrom zu Konstantinopel, lstan· bui 1935; H. WREDE, Zur Errichtung des Theodosiuwbelisken in lstanbul, in MD AI (l), XVI (rl)66), pp. 17!!-9!!; w. MOLLER·WIENER, Bildlexikon cit., pp. 64-71. " Sul Forum T auri cfr. w. MOLLER-WIENER,Bild/exikon cit., pp. 258-65, e c. MANGO, Ledéveloppement cit., pp. 43 sg.; sul Foro di Arcadio w. MOLLER·WIENER, Bildlexikon cit., pp. 250-53. " Ibid., pp. 54 sg., e c. MANGO, Le développement cit., pp. 45 sg.
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«cura dell'immagine urbana» che vanno aumentando in questi anni, coPn' è esplicitato, tra gli altri, nel Codice teodosiano ,•. Cose simili vengono dette in alcuni altri decreti del decennio attorno al 400, nei quali viene chiaramente sottolineato che l'interesse pubblico deve precedere quello privato e che vanno presi in considerazione anche criteri estetici ". La necessità di ripetere continuamente i divieti di apportare aggiunte e modifiche nei portici e negli edifici pubblici mostra che, evidentemente, la popolazione non si preoccupava troppo di questo genere di divieti e continuava a fare baracche e ripari di legno a proprio piacimento. Se da questi decreti, come da altri sulla distanza e l'altezza delle costruzioni, emergono irregolarità e manchevolezze disciplinari, d'altra parte la quantità delle costruzioni che si succedettero in ogni epoca prova come l'edilizia fosse nel suo complesso assai ben organizzata: si trattava di pianificare l'installazione di centinaia di fabbriche diverse, di fornire gigantesche quantità di materiali e di coordinare il loro trasporto. Nei dintorni della città dovettero essere installate numerose fornaci per calce e per mattoni, da rifornire del necessario combustibile e del materiale per la lavorazione; inoltre vi erano da aprire e da far funzionare delle cave, soprattutto nei sobborghi settentrionali della città; per non parlare delle tonnellate di marmo da trasportare per nave dalle cave del Proconneso, oltre a migliaia di capitelli e di altri elementi lavorati da preparare. In quasi tutti i progetti edilizi sinora considerati si tratta di edifici pubblici dall'ampio ambito funzionale, nei quali trovavano posto contemporaneamente attività statali e private; c'è invece poco da dire sugli edifici con funzioni sacre, perché il gran numero di chiese ascritte al fondatore della città si è drasticamente ridotto a seguito dei nuovi studi sui patria e delle altre descrizioni della città. Senza dubbio vi era già nel tardo IV secolo una serie di edifici di culto cristiano nella città, con la vecchia e la nuova cattedrale, la chiesa degli Apostoli e un certo numero, difficile da quantificare, di piccoli martiri e di cappelle domestiche. Accanto ad essi sopravvissero per un tempo certo non breve anche i vecchi templi, nonostante i provvedimenti presi contro gli antichi culti a partire dal356. I decreti teodosiani del391 e del392 ebbero un'applicazione piu severa: per esempio, il tempio di Afrodite sull'acropoli fu trasformato in un deposito della prefettura del Pretorio, e il tempio di Posidone, che '" Codice teodosiano, 15.1.25' «Turpe est publici splendoris ornatum privatarum aedium adiectione conrumpi et ea quae conspicuae urbis decori vel nostri temporis vel prioris saeculi aetate creverunr, aviditatae cogendae pecuniae sociari >>. " Ibtd., 15.1.50; per esempio, nella costruzione di un nuovo portico si decide>e che>
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stava sul mare, presso l'Akra, in una chiesa di San Menas. Parallelamente si intensificò nel tardo IV secolo, e ancor piu nella prima metà del v, la costruzione di nuove chiese, nella quale giocò un ruolo particolare la pia Pulcheria, sorella maggiore dell'ancor giovane imperatore Teodosio II. Alla dozzina delle piu antiche chiese e cappelle s'aggiunse una serie di nuove chiese, la cui collocazione dipese piu dai rapporti di proprietà dei rispettivi donatori che da considerazioni di edilizia urbana. Tra questi donatori si trovano, oltre a Pulcheria, l'augusta Eudocia, moglie dell'imperatore, ma anche numerosi appartenenti all'aristocrazia senatoria e alti funzionari. Delle chiese di questa fase che ci sono note, quasi sempre attraverso una tradizione incerta, nessuna ci è rimasta nella forma originaria, e solo in pochi casi è nota la localizzazione, grazie a ricostruzioni posteriori o alla ricerca topografica. Per analogia con altre località della regione, dovette prevalere anche qui il tipo della basilica a piu navate, come si costruiva ancora nella seconda metà del secolo, e come nella cosiddetta chiesa dei Chalkoprati, oltre che nella chiesa principale del
Piante della chiesa di T heorokos Chalkoprateias (a sinistra) e della chiesa del monastero di Prodromos en tois Studiu (a destra).
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chiostro di Studio"_ Anche la chiesa di Santa Sofia, ricostruita dopo l'incendio del404, potrebbe essere stata una basilica, forse a cinque navate; il suo pronao, venuto alla luce negli scavi, è oggi una delle p ili importanti testimonianze della decorazione architettonica di quest'epoca, orientata ancora verso forme tardoimperiali_ Oltre alle chiese, sorte anche nei sobborghi e nell'Hebdomon, a occidente della città, compaiono anche i primi monasteri_ Sin dall'inizio questi assursero a un ruolo non indifferente nelle complicate dispute interne della Chiesa e, in seguito, la loro attività non si trovò sempre d' accordo con le autorità temporali e religiose"'- Mentre le fondazioni dei monasteri che i patriografi ascrivono all'imperatore Costantino, come le numerose donazioni di chiese, appartengono al regno delle pie leggende, per gli anni attorno al370/38o vi sono numerose notizie abbastanza attendibili su monasteri sorti attorno alla città che si erano sistemati, in parte, entro complessi di ville suburbane, ma che si erano anche insediati nelle regioni collinari su entrambe le rive del Bosforo_ Alcuni di questi primitivi monasteri vennero a trovarsi, con l'ingrandimento urbano dovuto alle mura teodosiane, in quell'ambito cittadino che precedentemente era stato loro precluso da un editto dell'imperatore Teodosio I'". Altri vennero fondati, nel corso del v secolo, direttamente all'interno del territorio urbano, prevalentemente nella zona ancora poco edificata tra le due mura. Di questi monasteri non resta nulla; solo un edificio con copertura a volta, posto a occidente della città, sulle pendici di quella che era la collina di Xerolophos, con una cupola di circa 12 metri di diametro, può essere appartenuto come martirio (o edificio sepolcrale?) a uno di questi monasteri, quello attribuito ai martiri Karpos e Papylos, secondo un'interpretazione che peraltro non è sicura. Secondo dati ancora una volta incerti, sembra che attorno alla metà del v secolo il numero dei monasteri a Costantinopoli e negli immediati dintorni si sia assestato attorno alle trenta unità; il numero aumentò poi rapidamente dopo il concilio di Calcedonia e la riforma della vita monastica che vi fu decisa: in un sinodo dell'anno 536 erano presenti i rappresentati di ben 73 monasteri della capitale. Grazie alla politica ecclesiastica dell'imperatore e alle sollecitudini di " Sulla chiesa di Studio cfr. TH. MATHEWS, The earlv Churches o/C'pie. Architectureand Liturgie, London 1971, pp. 19-27, e w. MOLLER-WIENER, Bildlextkon cit., pp. Lp-52; sulla Chalkoprateia (oggi Acem aga Camii) cfr. W. Kleiss, in MDAI(I), XV (1965), pp. 149-67, e XVI (1966), pp. 217-40, nonché c. MANGO, Notes on Byzantine Monumenls, in DOP, XXIII-XXIV (1969-70), pp. 369-72. ?> G. DAGRON. Les moines et la ville. Le monachiJme à Constantinople jusq'au Canale de Chalkedon, in T&MByz, IV (1970), pp. 229-76; P. CHARANIS, The Monk as an Element o/Byzantine Society, in DOP, XXV (1971), pp. 63-1!4. '" Codice teodosiano, 16. 3.1 sg.
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alcuni maggiorenti verso la cattedra patriarcale costantinopolitana, nel corso del IV secolo, Costantinopoli aveva acquistato un posto accanto agli antichi patriarcati, se non li aveva addirittura superati, divenendo cosi una delle metropoli spirituali dell'Impero. Oltre a essere un importante centro spirituale- il patriarca risiedeva presso Santa Sofia-, a partire dal357 divenne un fulcro intellettuale in grado di attirare, anche in seguito, studiosi e filosofi grazie alla fondazione di una biblioteca nella cosiddetta Basilica", un edificio che un tempo stava sopra l'odierna cisterna di Yerebatan, e alla costruzione di una università sul vecchio Campidoglio. Le chiese non furono costruite solo nel territorio urbano, ma anche all'interno dell'ampio perimetro del palazzo imperiale, dove Pulcheria dedicò una chiesa al martire Stefano, che servi a lungo come luogo di incoronazione e che rimase la chiesa principale del palazzo sino alla costruzione della chiesa di Pharos. Nello stesso periodo l'imperatore fece 11
A. M. SCHNEIDER,
By:;;am: cit., pp.
1-4 e
taw. I-3-
Pianta dei palazzi di Antioco e di Lauso.
o
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costruire sotto il palazzo, sul pendio, il primo Tzykanisterion, un grande spiazzo per il gioco del polo, e fece erigere piu oltre, sulla riva del mare, un palazzo d'estate, predecessore del successivo palazzo di Bucoleone '2• L'area attorno al grande palazzo imperiale aveva un ruolo non privo di significato anche per gli appartenenti alla famiglia imperiale e per gli alti funzionari, come mostrano i dati della Notitia e i resti delle strutture ancora esistenti: qui stavano le domus delle auguste Placidia e Marina e gli estesi palazzi, costruiti nei primi anni del v secolo, dei due praepositi sacri cubiculi, Antioco e La uso". Altri palazzi si trovavano anche nel settore occidentale della città, sui pendii verso il Corno d'Oro e il Mar di Marmara: di questi però non conosciamo altro che il nome, perché, subito dopo la fine della dinastia teodosiana, furono usati per altri scopi o rifatti in altri modi; esempi per questi mutamenti d'uso li dànno il palazzo di Antioco, nella cui sala principale fu eretta nella prima metà del VII secolo una chiesa di Sant'Eufemia, che ebbe poi notevole importanza, e il vicino palazzo di Lauso, che, dopo la parziale distruzione dovuta a un incendio, servi forse come xenodochion. Uno di questi grandi palazzi 12
R. JANIN,
Constantinop/e Byzantine cit., pp. 157-62, 208 sg.; P. SPECK, Die kaiserliche Universi-
Iii! von Konstantinopel, Miinchen 1974, pp. 92-107; w. MOLLER·WIENER, Bild/exikon cit., pp. 283-85.
" o. T. RICE, The Great Pa/ace o/ the Byzantine Emperors. 5econd Report, Edinburgh 1958; R. GUILLAND, Les pa/ais de Bukoléon, in «Byzantinoslavica>>, XI h950), pp. 61-71; w. MOLLER-WIENER, Bi/dlexikon cit., pp. 225-88.
Pianta dell'anonimo palazzo divenuto, nel x secolo, palazzo dell'imperatore Romano I Lecapeno e piu tardi monastero di Myrelaion (traneggiate le parti del x secolo). o
zo m
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presso il Philadelphion venne ristrutturato, ancora mezzo millennio dopo, come fulcro di un nuovo palazzo imperiale, per venire poi riutilizzato come monastero (il cosiddetto Myrelaion). Vanno supposte delle ristrutturazioni dello stesso genere anche per molte delle ville e delle case di campagna del ricco ceto superiore che si trovavano nei quartieri occidentali e che ci sono note solo dal nome: lo mostra l'esempio del cosiddetto monastero di Studio, che il patrizio Studio fondò in una sua proprietà nei pressi della Porta Aurea attorno al 453/454, e che fece occupare dagli Acoimeti, cioè da monaci delmonastero che era sul Bosforo. In questa zona occidentale della città, oltre a quelle ville e a quei monasteri, sembra che vadano collocati anche gli accampamenti delle truppe federate che stavano a guarnigione della capitale, com'è da arguirsi dalle stele sepolcrali gotiche reimpiegate nei tardi restauri di questi settori delle mura. Lo spazio centrale della vita e dell'economia della città non furono però né queste zone periferiche occidentali, né quelle sul margine opposto della città; piu importanti furono i quartieri digradanti verso il Corno d'Oro, a occidente del vecchio Strategion, per i quali anche i numeri della Notitia dànno le maggiori densità di popolamento, e dove va considerata anche la maggiore concentrazione di attività economiche. I nomi dei quartieri di questa zona (Argyroprateia, Krithopoleia, Chalkoprateia, Oxybapheion ecc.) accennano a gruppi di artigiani e commercianti che avevano qui le loro botteghe e officine, e forse anche le loro abitazioni. Da ciò deriva anche che i generi di merci piu cari venivano commerciati presso o addirittura sulla Mesé, per cui risulta chiara una gerarchia delle merci anche nella scelta del luogo. Purtroppo non sappiamo che aspetto avessero gli edifici di questa zona, se le abitazioni e le officine trovassero posto nella stessa casa, come si siano sviluppate le piante e gli alzati delle case (in pietra, in legno o in strutture miste?) Diversi decreti sugli edifici e sulla loro disposizione, che si resero necessari per il crescente affollamento nelle singole regioni urbane, presuppongono l'esistenza di costruzioni a piu piani. Notizie di contemporanei ci indicano come l'affollamento abbia portato a costruire, in alcuni punti, palafitte e terrapieni oltre la linea di costa. Quanto al problema del numero degli abitanti, per questa fase non si può dire molto di piu di quanto si possa fare a proposito dei particolari delle case d'abitazione: le cifre variano tra le 200 ooo e le 900 ooo unità. Almeno per gli inizi del v secolo si dovrebbe rimanere piuttosto vicini alla cifra piu bassa, e calcolare tra le 250 ooo e un massimo di 350 ooo persone. Questa cifra può essere aumentata ancora un po' sino alla metà del VI secolo, ma si ridusse considerevolmente dopo la grande peste del542.
Miiller-Wiener
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Per mantenere l'ordine all'interno di questa grande e variopinta folla, messa insieme da tutte le parti dell'Impero, si rendeva necessario un apparato amministrativo ben organizzato, che possiamo riconoscere nella sua struttura generale con l'aiuto della Notitia e di altre fonti sparse". La città, sottoposta al comando del prefetto della città, era divisa in quattordici regioni, all'interno delle quali gli affari dell'amministrazione locale erano condotti da curatores e da vicomagistri, mentre alla prefettura spettavano compiti sovraregionali, il controllo di polizia e, soprattutto, l'approvvigionamento di acqua e alimenti alla città, in certe occasioni assai difficile. La società di corte formava, assieme al Senato, una cerchia propria, sebbene ci fossero possibilità di crescita sociale, almeno negli ultimi decenni. Oltre a questa articolazione «ufficiale» vi erano ovviamente altri raggruppamenti, che si erano venuti a formare come corporazioni, sulla base di attività economiche comuni (collegia) o, come quartieri (demt), per precisi interessi politici o sociali. Questi ultimi erano contrassegnati con il loro colore di partiti del circo, secondo l'antica tradizione romana, come Blu, Verdi, Rossi e Bianchi". Nuove ricerche hanno dimostrato che l'appartenenza a uno di questi partiti non significava né un legame con un particolare gruppo sociale o organizzazione militare cittadina, né l'appartenenza a un preciso quartiere all'interno di Costantinopoli, ma solo il legame a quei «club di tifosi» che ogni tanto si davano violentemente battaglia e che, perciò, provocarono spesso tumulti all'interno della città. D'altra parte, essi avevano un ruolo non indifferente nel cerimoniale imperiale e perciò anche nelle festività di ogni tipo; la loro importanza declinò con la generale interruzione delle corse dei carri nell'Ippodromo, mentre si conservò quella delle corporazioni, che adempivano anche a numerosi compiti sociali, come ad esempio al servizio di vigili del fuoco. A giudicare dalla serie di grandi progetti di cui s'è detto sin ora, potrebbe sembrare che la crescita di Costantinopoli e il completamento della metropoli siano stati portati a termine senza sostanziali difficoltà. Ma non fu cosi: durante tutta la fase di completamento, terremoti e incendi disturbarono di continuo l'opera di costruzione", anche se i loro " Sul palazzo di Antioco cfr. R. NAUMANN e H. BEL TING, Die Euphemia-Kirche am Hippodrom zu lstanbul und ihre Fresken, Berlin 1966, e w. MOLLER-WIENER, Bildlexikon cit., pp. 123-2'; sul palazzo di Lauso cfr. ibid., pp. 238 sg. " H. G. BECK, Zur Sozialgeschichte einer /riihmittelalterliche Haupl;-tadt, in BZ, LVIII (1965), pp. n-45; G. WEISS, Antike und Byzanz - die Kontinuità't der Gesellschaftsstruktur, in HZ, CCXXIV (I>, II (1982), pp. 57 sgg. 11 G. CARETTONI, Casinum, Spoleto 1940, pp. 21 sg., 59, 69 sg. 12 G. CAMODECA, Ricerche su Puteoli tardoromana (/ine III-TV secolo), in «Puteoli>>, IV-V (198o19Hr), pp. 59 sgg. 11 P. ARTHUR, Naples: notes on the economyo/a Dark Ageàty, in BAR, Int. Ser., CCXLVI (1985), pp. 247 sgg. " M. NAPOLI, Napoli greco-romana, Napoli 1959, pp. 53 sg., 58 sgg., m sg.; P. ARTHUR, Naples cit. " Cfr., rispettivamente, ID., Le terme romane di Via Carminiello ai Mannest~ Napoli: relazione Preliminare di scavo, in «Archeologia Medievale>>, X (1983), pp. 387 sgg.; ID., Archeologia urbana e centro antico di Napoli, Napoli 1984, pp. m sgg.; A. M. o'oNOFRIO e altri, Interventi di scavo a Napoli
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I luoghi e le merci
Le città campane dell'interno, che ancora nel IV secolo inviavano grano a Roma, erano sfavorite rispetto a quelle della costa, che, al contrario, ricevevano dal governo centrale sussidi frumentari per i servizi annonari resi allo Stato". Tuttavia è probabile che Capua avesse conservato oripreso parte della sua importanza, se nel periodo in esame era caput Campaniae e sede del governatore della provincia. Ma una documentazione archeologica manca quasi del tutto a Capua come a Benevento, che, dopo la creazione della via Traiana, aveva visto gradualmente crescere il proprio peso 17 • 2.3. Tuscia et Umbria ...
Le grandi città etrusche, situate nella fascia immediatamente retrostante la costa, si trovavano, fin dalla piena età imperiale, in una decadenza totale nel settore meridionale, forse piu attenuata in quello settentrionale, come mostra Volterra". Sulla costa si sviluppò un graduale processo di concentrazione degli insediamenti, al termine del quale restarono vitali solo alcuni grandi porti, come Civitavecchia e Pisa. Già nel IV secolo, ad esempio, le funzioni urbane dei piccoli centri costieri quali Alsium (Palo), Pyrgi, Castrum Novum "',furono di fatto assunte da Centumcellae (Civitavecchia)", che assorbi anche il territorio di Aquae Tauri, dove, tuttavia, sopravvivevano le terme. La costante importanza, anche militare, del porto di Civitavecchia è certa fino all'età bizantina; alcuni edifici della città, fra cui una terma, furono riadattati nel IV secolo. nell'area del I Policlinico: il saggio D l. Relazione preliminare, in AION (archeol), VII (1985), pp. 55 sgg. Il restringimento e il degrado del tessuto urbano, con l'accumulo, in piu punti, di scarichi e rifiuti, è confermato dalle considerazioni riassuntive esposte in Napoli antica, Napoli 1985, pp. 122 sgg., 147 sgg., 185 sgg., 416 sgg., e in P. ARTHUR, Archeologia urbana a Napoli: riflessioni sugli ultimi tre anni, in «Archeologia Medievale>>, XIII (r986), pp. II5 sgg. Sembra esservi qui una contraddizione con alcune fonti letterarie: CASSI ODORO, Varie, 6.23.3, descriveva una Napoli popolosa e ricca di delizie; tuttavia sappiamo che nel536 Belisario, dopo aver assediato e preso la città ai Goti, dovette ripopolarla con la for2a (cfr. L. RUGGINI, Economia cit., p. 304, nota 279). 16 L. CRACCO RUGGINI, Le relazioni delle città campane con Roma nel IV sec. d. C., in StudRom, XVII (r969), pp. 133 sgg. 17 Cfr. tuttavia, per la difficile situazione in cui venne a trovarsi Benevento fin dall'età di Teodorico, e per la riduzione dell'abitato dopo la guerra gotica, L. RUGGINI, Economia cit., p. 304, nota 279. " La provincia è considerata qui nel suo insieme, cioè senza tener conto della creazione, verso la fine delrv secolo, di una Tuscia Annonaria, il cui territorio si estendeva fino a una linea poco a sud di Volterra (cfr. le opere citate alla nota 2). " Sulla cui acropoli il tempio A potrebbe essere stato usato fino ai primi delrv secolo: M. CRISTOFAN!, Volte"a. Scavi I969-197I, in NSA, supplemento (1973), P- 24520 RUTILIO NAMAZIANO, 1.223-28; i primi due sono >, XXVII-XXVIII (r98I), pp. 47 sgg. (con una cronologia complessivamente molto piu bassa). 69 F. COSTABILE, Municipium Locrensium, Napoli 1976. '" E. A. ARSLAN, Relazione preliminare sugli scavi effettuati nel 1966-7-8-9 a Roccelletta di Borgia (Scolacium), in >, V, r (1987),
13·45· -111 G. CAVALIERI MANASSE, Verona cit., p. 8. " ID., Porta Leoni: appunti per la ricostruzione di un monumento, in Seri/li in ricordo di Graziella Massari Gaballo e Umberto Tocchelli Pollini, Milano 1986, p. 163. "' ID., Il/oro di Verona: recenti indagini, in La àltà nell'Italia sellentrionale in età romana. Mor/olo[!,ia, strul/ura e funzionamento dei centri urbani delle re[!,iones X e XI, Trieste-Roma 1990, pp. 579·616. 1 ' ID., Verona cit., p. 17. Si veda in particolare laporticus triplexdi Minturnae e in generale P. GROS e M. TORELLI, Storia dell'urbanistica. Il mondo romano, Roma-Bari 1988, pp. 216 sgg. " L. BESCHI, Verona romana. I monumenti, in Verona e il suo tem"torio, I, Verona 196o, pp. 427·28.
Rebecchi
Le città dell'Italia annonaria
211
fico di colonia in età daudio-neroniana ".A questa fase appartengono la configurazione monumentale del Foro con portici che ne affiancavano i lati lunghi, la sistemazione del capitolium, la grande curia dalla parte del lato occidentale, la basilica dotata di un gruppo di statue onorarie di personaggi della famiglia imperiale e di privati, e un'altra imponente costruzione parallela alla curia. In età claudia anche le porte urbiche ricevettero una nuova facciata in pietra d'Istria, nella quale il piano superiore si apriva in un'esedra dalle proporzioni slanciate ". All'incrocio tra la via Postumia e una strada secondaria, 500 metri prima delle mura urbane, fu collocato un tetra p ilo a pianta rettangolare, con statue dei personaggi onorati nelle nicchie tra gli intercolumni. L'arco fu commissionato dalla famiglia gentilizia locale dei Gavi all'architetto L. Vitruvio Cerdone tra il principato di Augusto e quello di Tiberio ".Nel corso della prima metà del I secolo si provvide anche alla costruzione dell'anfiteatro, per dimensioni (m 152 x 123) il terzo in Italia dopo il Colosseo e quello di Capua. Alla stessa epoca deve appartenere anche l' odéon con cavea non perimetrata da muri rettilinei, uno dei piu antichi esempi del tipo che si afferma prevalentemente nel n secolo d. C. '•. Per circa due secoli si riscontra poi un indubbio rallentamento delle fabbriche pubbliche, fino alla ripresa di IV e v secolo, quando la città fiorisce di fabbriche paleocristiane. Nel n secolo fu abbellito il teatro" e costruito il santuario delle divinità alessandrine"; nel m, in età severiana, fu ricostruita la basilica. A questo rifacimento probabilmente appartengono i frammenti del cosiddetto arco di San T o mio. Piu tardi, per ordine di Gallieno, tra l'aprile e il dicembre del265, fu realizzata una nuova cinta muraria a soli IO metri di distanza da quella repubblicana, ricalcandone piu o meno il percorso. La nuova cinta, costruita con larghissimo impiego di materiale di spoglio, inglobò la zona dell'anfiteatro, vitale per la difesa della città. L'anello esterno dell'edificio fu forse demolito proprio per approntare queste frettolose difese". Il tempio delle divinità alessandrine era ubicato presso la basilica extraurbana di Santo Stefano, sorta in area cimiteriale nella seconda metà del v secolo. Aveva pianta a croce e doveva essere preceduta da un atrio, ora scomparso~·. Una piu grande " F. SARTORI,
Colonia Augusta Verona Nova G'allieniana, in > (1966-67); G. DE ROSSI e altri, La via Aurelia da Roma a Forum Aure/ii, Roma 1968, pp. 31-32. 1 Scrittori della Storia augusta, Vita di Antonino Pio, r. n; EUTROPIO, 8.8; FRONTONE, r.1-2, 2.18, 3.20 5-7· Da ultimo: G. DE ROSSI e altri, La via Aurelia cit., pp. 19-20; D. J. CRAWFORD, Proprietà imperiali, in M. I. FINLEY, La proprietà a Roma, Roma 19!!0, pp. 33-76; C. MOCCHEGGIANI CARPANO e R. MENEGIIINI, Il mausoleo di Castel di Guido, in RIA, III (1980), pp. 37·38; G. NARDI, Repertorio degli scavi e delle scoperte archeologiche nell'Etruria meridionale, III. 1971-75, Roma 1981, p. 139. 1
E. PAPI,
2
' La chiesa martiriale delle Sante Rufina e Seconda divenne cattedrale della diocesi di Silva Candida nel5or, quando Lorium decadde: v. FIOCCHI NICOLAI, I cimiten'paleocristiani nel Lazio. Etruria meridionale, Roma 1988, pp. 29 e 57· ' G. NARDI, La viabilità di una metropoli: il caso di Caere, Milano 1985, pp. 155-216; 1. E. M. EDLUND, The God and the Piace. Location and Function of Sanctuaries in the Countryside o/ Etruna and Magna Grecta, 700-400 B.C., in AIRRS, XLIII (1987), p. 6o; R. COSENTINO e P. SABBATINI TUMMOLESI, L'edificio termale delle Aquae Caeretanae, in M. CRISTOFANI (a cura di), MIScellanea Ceretana, I, Roma
1989. pp. 95-112. 6 RUTILIO NAMAZIANO, 1.249-76; F. CAMBI, Paesaggi romani nell'Etruria meridionale. Ambiente, società, insediamenti, tesi di dottorato di ricerca, 1991. 7 RUTILIO NAMAZIANO, r.249-6o; F. CAMBI, La destrutturazione del paesaggio tardoantico, in A. CARANDINI, M. CELUZZA e E. FENTRESS (a cura di), Paesaggi d'Etrurza fra la valle dell'Albegna ed il Fiora dalla preistona al Medioevo, in corso di stampa. ' FRONTONE, Epistole, 3.2o; Scn'ttori della Storia augusta, Vita di Commodo, r. ' GREGORIO MAGNO, Dialoghi, 4.28 e 4·55; V. FIOCCHI NICOLAI, [cimiteri pa/eocristiani cit., pp.
35-36. L'incursione saracena dell'813 costrinse la popolazione ad abbandonare la Centumcellae sul mare per rifugiarsi in quella arroccata sulle montagne di Tolfa. Della guarnigione bizantina di Centumcellae («numerus centumcellensis») parla il Regesto di Farfa (Il, 41) ancora nel767.
Cambi Paesaggi d'Etruria e di Puglia
231
di T arquinii e Graviscae si arrestò negli anni della discesa dei Visigoti in Italia, fra il4o8 e il412 d. C. 10 • Di quel trauma, preludio all'abbandono delle città, è prova evidente l'interramento a Graviscae di tesoretti di monete auree e bronzee del IV secolo 11 • Di altre città come Heba, SaturE. PAPI, Le città romane cit.; M. TORELLI e altri, Gravisca, in NSA (1971), p. 199 . TORELLI, Gravisca. Piccolo tesoretto di 174 solidi aurei, in Nuovi tesori della Tuscia antica, Vi1970, p. 74i M. TORELLI e altri, Gravisca cit., pp. 220·21j F. PANVINI ROSATI , Osservazioni sulla
10
11
terbo
M.
circolazione in italia nel v secolo d. C di monete d'oro romane, in « Bollettino di Numismatica » (1985), pp. 7·4·
L'Etruria meridionale romana: le città e le strade.
232
Parte prima
I luoghi e le merci
nia, Statonia" poco si sa. Per Tuscana ",Cosa'', Vulci ''si può ipotizzare un lento ma inesorabile ripiegamento solo parzialmente contrastato dalle iniziative del potere centrale riferibili a una fase di età flavio-traianea, a una di età antonino-severiana '', ad alcuni curatores della metà del m secolo e a piu sporadici interventi di età dioclezianea. A Veii la rovina cominciò pochi decenni dopo le dediche poste a Marco Aurelio e a Settimio Severo e gli onori tributati a Costanzo Cloro fra il293 e il305 d. C. furono l'ultima testimonianza della devozione dei Veienti agli imperatori''. Sutrium fu fiorente almeno per tutto il III secolo e forse anche nel IV''. Nepet, diocesi probabilmente a partire dal 418-19, ebbe una cattedrale forse già nel v secolo Le due cittadine tornarono a essere strategicamente importanti durante la guerra greco-gotica''. Meno marcato appare il declino di Ferentium, di Sorrina Nova e di Orta. Va sottolineato tuttavia che in questi territori si ebbe un fenomeno di crescita degli insediamenti intermedi a danno delle città. Nel comprensorio di Blera ville, case e villaggi scomparvero fra i secoli m e v d. C.". La popolazione rurale si era trasferita a partire dal IV secolo nell'antico municipio, riavutosi dalla difficile fase fra n e III secolo d. C. e divenuto poi diocesi nel v". L'incursione visigotica aveva determinato il crollo di molte delle città e delle infrastrutture territoriali, come anche Rutilio Namaziano non aveva mancato di osservare. La perdita, da parte delle città, del loro rango, fu il primo grave colpo alla restaurazione dioclezianea. Questo non significa che le città fossero deserte. Esse avevano tuttavia abdicato alle funzioni e alle autorità che avevano rappresentato, trasformandosi forse, se non in grandi villaggi, almeno in abitati, magari demograficamente cospicui, ma privi ormai di identità urbana. 17
ltl.
12 A. CARANDINI (a cura di), La romantV:azione dell'Etruria. Il A. CARANDINI, M. CELUZZA e E. FENTRESS (a cura di), Paesaggi cit.
" F. LANZONI, Le Diocesi d'Italia dalle orzgini al principio V. FIOCCHI NICOLAI, I cimiteri paleocristiani cit., pp. 90-93.
territorio di Vulci, Milano
del secolo
VII,
Faenza
1927,
p.
1985; 527;
H L'ultima sporadica frequentazione del sito Ji Cosa, prima della costruzione della fortezza bizantina del VI secolo, si riferisce alla piccola comunità del Foro (monete del 455): da ultimo cfr. E. FENTRESS e altri, Late Roma n an d Medieval Cosa l: the arx an d the structure near the Eastern Height, in PBSR, LI.X (1991), pp. 197-230. 1 ' G. Gazzetti in A. CARANDINI (a cura di), La romanizzazione cit., pp. 61 sgg. 11• E. PAPI, Le città romane cit. 17 Cfr. zbid. " CIL, Xl, 3796. " E. PAPI, Le città romane cit. 1t1 Catacomba di Santa Savinilla, domina locale: mille deposizioni fra inizi IV - metà v secolo: V. FIOCCHI NICOLAI, I cimiten· paleocristiani ci t., pp. 235-38. 21 Nepet è classificata da Procopio fra le fortificazioni bizantine dell'Italia centrale. " P. FORTINI, Ville romane a Monte Romano, in R. LEFEBVRE, Ville e parchi nel Lazio, Roma 1984; ID. (a cura di), Monte Romano. Indagine di un tern"torio e materiali dell'Antzquarium, Roma 1987. " E. PAPI, Le città romane cit.; F. LANZONI, Le Diocesi cit., p. p6; V. FIOCCHI NICOLAI, I cimiteri paleocristiani cit., p. 85, n. 519.
Cambi 1.2.
Paesaggi d'Etruria e di Puglia
233
L'Etruria delle ville e dei villaggi.
Agli inizi del IV secolo il territorio ceretano era in gran parte ormai ripartito fra le estese proprietà imperiali formatesi nel n secolo: la villa Alsiensis" descritta da Frontone, da identificare nella grande villa di Palo", e le ville di Ceri e di Castel Campanile, ove sorgeva anche un pagus 26 • Nelle aree un tempo rinomate per la produzione vinaria conquistarono spazi sempre maggiori gli allevamenti bovini, suini e ovini, già ricordati da Columella 27 • Tramontato definitivamente il paesaggio delle ville e delle piantagioni, anche gli insediamenti minori scomparvero, quasi ovunque. Assunsero una posizione eminente i tipi di insediamento caratterizzati da un certo spessore demografico: i villaggi. Le ville superstiti, non di rado le piu grandi, assorbite dal latifondo imperiale, pilotarono la trasformazione verso conduzioni agricole sempre piu estensive, superando la crisi della tarda età antonina. Esse tendevano ora ad accentrare, controllando superfici sempre piu vaste e diversificando quanto piu possibile la loro produzione. Molte ville, perduta ogni bellezza architettonica, finirono forse con l'assomigliare a dei villaggi e i loro paraggi furono trasformati in aree sepolcrali. I villaggi costituiscono la chiave di volta per l'interpretazione del paesaggio ceretano della tarda antichità. Essi rappresentavano materialmente lo strumento con cui le grandi proprietà estensive controllavano il territorio, sviluppandosi non di rado in coincidenza con mansiones e mutationes stradali: Baebiana" e Ad Turres"' sulla via Aurelia, quest'ultima rivitalizzata fra fine v e VI secolo da un insediamento di Ostrogoti'"; Careiae" e Aquae Apollinares lungo la Clodia; gli scali portuali di Algae e Rapinium ".In alcuni di questi abitati si trovano tracce di interventi edilizi ancora nel v secolo. " CIL, XI, 372o; CIL, XI, 3719-20, 3724; FRONTONE, 2.1; M. TORELLI, Etruria, Roma-Bari 1980, p. 96. " M. TORELLI, Etruria cit., p. 96; G. PROIETTI, La villa imperiale di Marina di 5. Nicola, in «Archeologia Romana» (1980), pp. 41-42. 26 Da ultimo: M. CRISTOFANI, G. NARDI e M. A. RIZZO, Caere J. Jl parco archeologico, Roma 1988, pp. 43"49· 27 L'allevamento ovino è ricordato anche da LICOFRONE, Alessandra, 5.1238; F. ENEI, Cerveteri. Recupero nell'area urbana della città antica, Roma 1987. 28 CIL, XI, 3749-51; D. ANZIANI, Les voies romaines de l'Etrurie mendionale, in MEFR, XXXIII (1913), p. 175; G. DE ROSSI e altri, La via Aurelia cit. "' Ibzd., pp. 28-32; G. NARDI, Repertorio cit., p. 141; s. FONTANA, Ricerche sul tracciato della via Cornelia tra Cerveteri e Tarquinù1, in «Ricognizioni Archeologiche>>, II (1986). '" R. COSENTINO, Sepolture tardoantiche presso Ladispoli. Note su un co"edo con oreficerie astrogote, in BdA, XXXVII-XXXVill (1986), pp. 61-74.
" Careiae si fuse con la vicina chiesa di Santa Maria di Galeria (v-vr secolo): v. FIOCCHI NICOLA!, N. CHRISTIE, Three South-Etrurian Churches, Rome-London
l cimiteri paleocristiani cit., p. 82, n. 501; 1991.
" ltinerarium Maritimum, 498.1-499.5; da ultimo: F. MELIS e F. RASPI SERRA, La via Aurelia da Civitavecchia al Marta, in G. DE ROSSI e altri, La via Aurelia cit., pp. 92-95.
2 34
Pane prima
I luoghi e le merci
Negli insediamenti costieri fra Alsium e il fiume Marta, ad eccezione delle stationes maritimae, il livello della vita si abbassò notevolmente. Gli edifici, perdute le loro originarie funzioni, divennero alloggi fatiscenti per poveri e per abusivi. Lungo la costa era fra l'altro diffusa la pratica dello smembramento delle ville abbandonate allo scopo di riutilizzare i materiali edilizi e le decorazioni architettoniche in altri edifici". Soltanto l'agro castronovano, oggetto delle attenzioni dei Severi e di altri imperatori", aveva goduto nel III secolo di una relativa prosperità. Alcune ville, fra le quali quella di Punicum, appartenuta agli inizi del III secolo al giurista Cn. Domitius Annius Ulpianus erano state restaurate e ridecorate lo. T ali attenzioni ebbero forse esito nel tentativo, compiuto dall'imperatore Aureliano 17 , di rilanciare la viticoltura nei territori attraversati dalla via Aurelia. Un secolo dopo, tuttavia, la ripresa di questo territorio, quale che sia stata, si era esaurita. Fra il IV e il v secolo la popolazione impoverita riutilizzava le ville come aree sepolcrali 1' e rimaneggiava gli ambienti di rappresentanza ai fini delle attività quotidiane. La villa di Ulpiano divenne una povera casa di campagna Si persero le tecnologie (in alcune ville le cisterne per il rifornimento di acqua potabile delle peschiere vennero trasformate in ambienti abitabili) La vita procedette stentatamente a partire dal IV, forse già dalla seconda metà del III secolo d. C. Nel comprensorio di Cosa e della valle dell'Albegna, fra i meglio studiati, fu abbandonato fra il n e il III secolo d. C. il46 per cento delle ville esistenti, mentre il numero dei villaggi rimase sostanzialmente stabile. Malgrado la flessione demografica e il declino delle strutture portuali, fra la fine del III secolo e gli inizi del IV vi furono segni di una nuova vitalità, indicata particolarmente dagli arrivi di quantità cospicue di anfore africane del tipo Africana IIC e IID". All'interno dello stesso comprensorio potevano dunque convivere aree piu o meno conservative (quelle periferiche) e aree sempre piu impoverite (l'entroterra di Cosa). I fondi 1 ',
19
•
40
•
" A. CARANDINI I985, I, p. I84.
(a cura di), Sette/inestre. Una villa schiavistica nell'Etruria romana, Modena
14 Caracalla restaurò l'antico pons Apollinis dell'Aurelia: P. A. GIANFROTTA, Castrum Novum, Forma Italiae R. VII, III, Roma I972; AnnEpigr, I973· n. 226. I Castronovani posero dediche a Valeriano, Gallieno, Aureliano, Numeriano, Valerio Severo (C/L, XI, 3576-8I); E. PAPI, Le città romane cit. n Da ultimo: P. A. GIANFROTTA, Castrum Novum cit.; F. CAMBI, Paesaggi romani cit. 10 Da ultimo: P. A. GIANFROTTA, Castrum Novum cit., pp. 50-5I, n. 52. 17 Scrittori della Storia augusta, Vita di Aureliano, 48.2; E. PAPI, Le città romane cit.; F. CAMBI, Paesaggi romani cit. 18 Tombe a enchytrismos: P. A. GIANFROTTA, Castrum Novum cit., pp. 98 sgg. 19 L. BORSARI, 5. Marinella, in NSA (1895), p. 198. 40 P. A. GIANFROTTA, Castrum Novum cit., pp. 40 sgg. 41 A. D. MCCANN, The Roman Pori and Fishery o/Cosa, Princeton University Press, 1987, pp. 391 sgg. Le anfore del territorio sono state studiate da chi scrive.
Cambi
Paesaggi d'Etruria e di Puglia
235
delle ville periferiche, con o senza il sostegno dei villaggi, erano tutti molto estesi, da un minimo di 500 ettari a un massimo di 1500 ".Le ville sopravvissero nel v secolo in misura maggiore (8o per cento sul totale del IV secolo) rispetto ai villaggi (ridotti alla metà). La vitalità delle ville era dovuta essenzialmente alle loro funzioni di centri di proprietà, la cui efficienza era considerata importante dal potere centrale. L'abbandono delle case e di parte dei villaggi è invece, per altri versi, indice dell'inizio di un forte calo demografico. La mancanza di energie e di forza-lavoro in una situazione ambientale particolarmente delicata favori il ritorno del bosco e delle paludi. L'effetto delle incursioni dei Visigoti sulle infrastrutture territoriali del comprensorio fu disastroso". In questo progressivo disfacimento della società rurale dell'Etruria romana trovarono spazio anche attività di brigantaggio lungo la via Aurelia, di cui la collana d'oro trovata nel granaio della villa di Settefinestre potrebbe essere un indizio ..... Un riflesso indiretto dei saccheggi perpetrati a metà del v secolo dalla flotta vandala è nel missorium argenteo rinvenuto alla confluenza del torrente Castione nell'Albegna ".Dell'oggetto fu proprietario Ardabur Aspar, figlio del console di origine alana inviato dall'Impero d'Oriente a sostegno di Valentiniano III e protagonista, fra il431 e il w, di imprese militari e navali di rilievo contro il regno vandalo di Genserico. il dominio vandalo sull' Mrica causò la fine della produzione e della diffusione delle anfore dette «cilindriche di medie dimensioni». L' effettodi questi avvenimenti sui paesaggi dell'Etruria si manifestò drammaticamente con la scomparsa dei contenitori da trasporto africani. Soltanto in alcuni insediamenti costieri e insulari sono attestati contenitori sicuramente circolanti dopo il 450 d. C."'. I territori dell'Etruria meridionale " Per varie ragioni è possibile che la pianura fra Cosa e Montalto di Castro appartenesse alla gens dei Rufii (o. MANACORDA, Considerazioni sull'epigrafia della regione di Cosa, in «Athenaeum >>, L VII (1979), pp. 73-97). I Rufii Festi conserveranno il loro prestigio fino al primo quarto del VI secolo (r-. JACQUES, L'ordine senatono attraverso la crisi del m secolo, in A. GIARDINA (a cura di), Società romana e impero tardoantico, Roma-Bari 1986, I, pp. 209-n). " OROS!O, 7-37·3·5; ZOSIMO, 5.42.2 e 5·45·5· fonti letterarie e giuridiche in: P. COURCELLE, Hi.>,XLIX (1971), pp. 305 sgg.; D. LASSANDRO, Descrizione geografica e rievocazione stanca nel« De reditu suo» di Ruttlto Namazùmo, in M. SORDI (a cura di), Geografia e storiografia nel mondo classico, Milano 1988, pp. rr3-23. Dopo il passaggio dei Goti, Onorio decise la riduzione delle imposte fondiarie (Codice teodostano, u.28.7 e n.28.12). l Visigoti furono in Etruria una prima volta durante l'assedio di Roma, poi in occasione della discesa di Ataulfo, e infine in occasione della loro ritirata verso la Gallia. 44 A. CARANDINI (a cura di), Sette/inestre cit., l*, p. 185. " CIL, XI, 2637' il cltpeus venne fatto in occasione del consolato di Ardabur Aspar (434 d. C.). Da ultimo: K. PAINTER, The si/verdish of Ardabur Aspar, in E. HERRING, R. WHITEHOUSE e]. WILKINS (a cura di), Papers o/the Fourth Con/erence o/ Italian Archaeology, IIh, London 1991, pp. 73-80. "' G. CIAMPOLTRINI e P. RENDINI, L'agro Cosano fra tarda antichità e altomedioevo: segna/azioni e contributi, in «Archeologia Medievale», XV (1988), pp. 525-34.
236
Parte prima
I luoghi e le merci
costiera erano usciti dal grande mercato mediterraneo occidentale. La insicurezza di quegli anni, conseguenza del dominio vandalo del Mediterraneo occidentale, è riflessa anche da alcuni ripostigli monetali databili fra il450 e il470". Agli inizi del VI secolo fra la valle dell' Albegna e il Fiora il4o per cento degli insediamenti del secolo precedente era ancora occupato. Scomparsi ovunque i siti piu piccoli, la metà delle ville e dei villaggi sopravviveva. Si ha notizia di una sola presenza monastica nella zona, ricordata da Gregorio Magno e situata «in ... p_artibus Auriliae » '". La presenza di eventuali proprietà ecclesiastiche nella zona è ancora tutta da verificare, ma la documentazione relativa al VI secolo sembra comunque piu povera rispetto all'Etruria meridionale interna e alla Sabina". La guerra greco-gotica (535-53) e le carestie, le pestilenze, le siccità e le inondazioni che a essa si accompagnarono si abbatterono su una struttura socio-economica disgregata e debole'". Se la valle dell'Albegna e l'antico agro cesano mantennero una qualche rilevanza negli anni della guerra greco-gotica, essa fu dovuta essenzialmente al riuso degli antichi siti fortificati della zona (Cosa, Orbetello, Talamonaccio) ":L'epigrafia della zona conserva il ricordo di un gruppo di gerarchi bizantini e si sa ancora da Procopio che alti ufficiali dell'esercito bizantino, dopo la prima conquista di Roma, divennero proprietari in Toscana, accolti favorevolmente dalle popolazioni". Ricerche recenti condotte nell'antica colonia di Cosa hanno rilevato l'esistenza di mura difensive databili ai primi decenni del VI secolo". A queste fortificazioni, dovute esclusivamente agli intenti strategici bizantini, facevano capo gli ultimi insediamenti ancora occupati nelle pianure". " Ibid., pp. '19 sgg. 48 GREGORIO MAGNO, Dialoghi, 3-17, p. r8o = PL, LXXVII, coli. :z6r-64. Cfr. anche v. FIOCCHI NICOLA!, I cimiteri paleocristiani cit., p. H· " F. BISCONTI, Tarda antichità ed altomedioevo nel temtorio orbetellano, in Atti del VI Congresso Nazionale di Archeologia Cnstiana, 1985, p. 70; E. MIGLIARlO, Strutture della proprietà agraria in Sabi-
na dall'età imperiale all'altomedioevo, Pavia 1988, pp. :z9, 54, 76. '° Fonti in L. CRACCO RUGGINI, Economia e società nell'Italia Annonaria, Milano r961, pp. 1':z sgg. " Resti di una cinta muraria >, XCIV (r988), pp. 2'1-313. " F. COARELLI, L'Urbs cit., pp. 48 sgg.; J. GUYON, Dal praedium imperiale al santuario dei martiri. Il territorio «ad duas lauros», in A. GIARDINA (a cura di), Società romana cit., II, pp. 299-332. " M. T. w. ARNHEIM, Senatorial Aristocracy in Later Roman Empire, Oxford 1972, passim.
Parte prima
242
I luoghi e le merci
sco, presso la m ansia Aquaviva sulla via Flaminia, appartenuta al vicario e prefetto urbano morto nel 359 d. C. ... Va poi considerata la costante espansione delle proprietà della Chiesa, dovuta sia alle donazioni di Costantino sia al ruolo crescente che le chiese, intese come edifici fisici, acquisivano all'interno delle proprietà. Durante il pontificato di papa Silvestro (314-35) la Chiesa di Roma aveva già quattro possessiones in Etruria: due nell'agro nepesino e due nel falisco 87 • patrimonio si arricchi nei cento anni successivi, quelli della «carità eversiva», in particolare fra IV e v secolo, quando l'aristocrazia senatoria di Roma disferà patrimoni immensi per donarli alla Chiesa"". In questa luce si inserisce la ristrutturazione fondiaria di IV-V secolo, di cui resta traccia anche nelle stratigrafie di un sito periferico come quello di Monte Gelato (Falerii) intorno al 400 d. C. La chiesa del v secolo, da quel momento vero e proprio centro dell'insediamento, è un luogo di culto privato, riservato al dominus e alla sua famiglia"'. In età ostrogota i privati spendevano prevalentemente per le chiese e per le case, mentre gli edifici pubblici erano costruiti o restaurati ormai soltanto con denaro pubblico"'. Le chiese tardoantiche emersero sempre di piu accanto alle ville, finché, scomparsi i grandi proprietari fra fine v e inizi VI secolo, dissoltisi i latifondi imperiali, i residui dell'assetto fondiario tardoantico furono proprio i latifondi ecclesiastici. Questi conservarono spesso la struttura dellatt/undium tardoantico da cui erano originati. In alcuni casi particolari il vescovo rivesti persino le funzioni diprocuratoro di rationalis reiprivatae". Nel nuovo assetto, mantenutosi fino alla conquista longobarda e oltre, in cui le chiese erano ormai il punto di riferimento religioso, economico e amministrativo delle curtes e dei/undi, si conservarono figure giuridiche ereditate dalla complessa struttura agraria tardoantica. Questa tendenza ha un riscontro nella realtà geografica, economica e culturale del coevo paesaggio agrario della vicina Sabina, ave la Chiesa, tramontato l'insediamento sparso nel m secolo e concentratasi la popolazione nei pochi insediamenti superstiti", fondò la maggior parte della
n
86 Il personaggio, citato in una iscrizione funeraria (I. DI STEFANO MANZELLA, Regio VII Etruria cit., n. 13), era figlio del console lunius Bassus, costruttore della celebre basilica nel331 d. C. " Liber Ponti/icalis, 24 (Vita Silvestri Papae); L. CRACCO RUGGINI, Economia e società cit. 88 A. GIARDINA, La carità eversiva: le donazioni di Melania la Giovane e gli equilibri della società tardo·romana, in StudStor, IV (1988), pp. 127-42. 89 T. w. POTTER e A. KING, Scavi a Mola di Monte Gelato presso Mazzano Romano, Etruria meridionale. Primo rapporto preliminare, in «Archeologia Medievale>>, XV (1988), pp. 253-3rr; F. MARAZZI, T. w. POTTER e A. KING, Mola di Monte Gelato cit. "' c. WICKHAM, L'Italia e l'alto Medioevo, in «Archeologia Medievale», XV (1988), p. 109. " Sulla res privata: R. DELMAIRE, Largesses sacrées cit. Sulla Sabina tardoantica: E. MIGLIARIO, Strutture della proprietà cit. " M. P. MUZZIOLI, Cures Sabini, Roma 1980.
Cambi
Paesaggi d'Etruria e di Puglia
243
sua ricchezza immobiliare sulle donazioni imperiali di terre fiscali o pubbliche, non tutta: lo spazio per le donazioni dei privati era, a quanto risulta dai documenti, tutt'altro che trascurabile. Prima che sorgesse il paesaggio dei villaggi medievali fortificati, i pontefici tentarono ancora di risolvere il problema secolare del rifornimento di viveri a Roma creando essi stessi dei latifondi: le domuscultae. La carta di questi insediamenti costruiti nell'viii secolo indica che il loro raggio di penetrazione nel territorio veientano è ancora minore rispetto a quello delle ultime ville romane. Nel periodo intermedio fra la guerra gotica e l'viii secolo i pochi abitanti rimasti nelle campagne ebbero come punti di riferimento le massae e i/undi in cui la Chiesa aveva organizzato le possessiones avute in dono dai privati e dagli imperatori nei secoli precedenti". 2.
L'Apulia.
2.1.
Le tipologie insediative.
Nel periodo piu critico, da ravvisare nel n secolo d. C., il 5o per cento degli insediamenti rurali della Daunia venne abbandonato"'. In questa fase vi fu una fortissima e precoce espansione del latifondo sia privato sia imperiale, in alcune aree, ad esempio la Calabria, manifestatosi a partire già dal I secolo d. C.". In seguito si ebbero segni di una ripresa e di un riassetto dell'agricoltura apula soltanto verso la fine del III secolo. La grande ristrutturazione di età dioclezianea, con la creazione della provincia Apulia et Calabria, governata da un corrector con sede a Canosa, sand definitivamente la formazione del paesaggio tardoantico della regione ... Gli esiti di tali trasformazioni istituzionali sono visibili nell'immediato arresto dei fenomeni di abbandono degli insediamenti. Nella maggior parte dei casi (8o per cento) nuovi abitati si sovrapposero semplicemente a impianti precedenti. In altri (20 per cento) i nuovi abitati si svilupparono fra il m e il rv secolo d. C. nel sito stesso in cui erano sorti insediamenti di età repubblicana abbandonati durante la prima età imperiale". "
F. MARAZZI,
L 'insediamento nel suburbio ci t.
La Daunia nell'età della romanizzazione, Bari 1990; c. o' ANGELA e G. VOLPE, Gli abitati rurali e i cimiteri tardoantichi e altomedievali in Puglia: alcuni esempi, in VetChr, XXVIII (1991), " G. VOLPE,
pp. 141-67.
" L'argomento è in corso di studio da parte di D. Manacorda. " A. GIARDINA, Il quadro istituzionale e sociale, in R. CASSANO (a cura di), Prinapi, imperatori, veswvi. Duemila anni di storia a Canosa, Venezia 1992, pp. 819-20. " G. VOLPE, Il paesaggio agrarzo, ibid., pp. 897-900.
244
Parte prima
I luoghi e le merci
In questi casi vi fu dunque la semplice riutilizzazione del sito ma non delle strutture dell'abitato piu antico, virtualmente abbandonato per un secolo o piu. La distribuzione delle ville sembra riguardare in modo ancora piu netto che in passato la valle dell'Ofanto, attorno a Canosa, e i territori immediatamente circostanti. Fra III e IV secolo si ha un consolidamento delle strutture agrarie concomitante alla riforma dioclezianea. T ali fenomeni vanno in qualche modo definiti e interpretati. Se infatti i fenomeni di rioccupazione interessano tanto diffusamente i siti delle ville
La DaWJia nella tarda antichità. (Da G.
Cl Ville di nuovo impianto • Sede di diocesi
VOLPE,
La Daunia cit.).
Cambi Paesaggi d'Etruria e di Puglia
24.5
daunie, andranno chiariti i diversi modi in cui tali rioccupazioni si manifestarono. Un primo tipo di rioccupazione è quello che si può definire improprio e abusivo da parte di piccole comunità poverissime che riutilizzarono le strutture fatiscenti delle ville abbandonate. Si tratta di una forma generica di continuità di vita del sito. Tali fenomeni sono ben noti, ma paiono, sulla base della documentazione edita, piu diffusi nell'Italia centrale fra la fine del IV e gli inizi del VI secolo d. C. che nel Meridione, ave sembrano diffondersi soltanto nel VI-VII secolo". Un secondo tipo, il caso piu tipico e frequente in Daunia, consiste nel restauro delle ville e nel recupero sia degli edifici sia delle loro funzioni produttive. Molte ville, abbandonate fra n e III secolo d. C., vennero infatti ristrutturate a partire dalla fine del III - inizi IV secolo". Un terzo tipo di rioccupazione, meno comune rispetto al secondo ma anch'esso incisivo, è rappresentato dalla vera e propria ricostruzione del sito, ben documentato dai casi delle ville di Agnuli sul Gargano e di Posta Crusta uXJ. Accanto alle ville in vario modo ristrutturate e alle pochissime case contadine superstiti, un tipo di insediamento comune nella Daunia tardoantica è rappresentato dai villaggi. Con il termine generico di villaggio si definisce un agglomerato rurale di dimensioni variabili in cui potevano risiedere da poche decine ad alcune centinaia di abitanti. Quali che fossero le loro figure giuridiche e i loro profili amministrativi, i villaggi (vici o pagz), negli stessi anni in cui il latifondo apulo si ristrutturava e si rafforzava, emersero con prepotenza. Il fenomeno può essere considerato da varie angolazioni. Da un lato si ripresentarono antiche forme di occupazione del territorio, di tipo paganico-vicano, caratteristiche delle epoche preromane, di cui non mancano esempi nell'Etruria interna. Questo tipo di aggregazione è assai ben documentata anche nell'area messapica, nell'entroterra brindisino Dall'altro vi furono trasformazioni di queste antiche strutture tanto radicali da far pensare talvolta a vere e proprie rifondazioni 102 • I pagi rappresentavano nella Daunia della tarda antichità distretti di particolare rilievo per la riscossione dei tributi in natura, secondo proce101
•
" A. CARANDINI, Settefinestre cit., 1*, pp. 183-85, e 1**, pp. 89-92 e p. 109; sul fenomeno delle rioccupazioni abusive in Daunia: c. D'ANGELA e G. VOLPE, Gli abitati rurali cit. · " lbid.; G. VOLPE, Il paesaggio agran'o cit., pp. 819·20. 100 m., La Daunia cit., pp. 183·96. 101 Ricognizioni condotte dallo scrivente nell'ambito del progetto dell'Università di Siena diretto da D. Manacorda. 102 C. D'ANGELA e G. VOLPE, Gli abitati rurali cit.; F. GRELLE, La città tardoantica, in R. CASSANO la cura di), Principt~ imperatorr~ vescovi cit., pp. 821-23.
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246
I luoghi e le merci
dimenti indicati chiaramente dalla Tavola di Trinitapoli, la quale prova l'esistenza di un nesso diretto fra sistema tributario e assetto paganico delle campagne Naturalmente all'interno delle due sommarie categorie indicate (villaggi inseriti nella rigida compagine fiscale e amministrativa e agglomerati piu o meno spontanei) possono trovar posto sottotipi di villaggi classificati sulla base delle dimensioni, delle articolazioni interne, degli edifici presenti. La situazione apulo-calabra offre a questo proposito una documentazione talmente ricca che si dovrà pensare un giorno a una seriazione tipologica assai articolata per la classificazione dei «villaggi». Nella intricata vicenda che portò alla formazione del paesaggio tardoantico apulo non mancano fra l'altro casi singolari: Rutigliano fu un vicus che riutilizzò il sito di una villa piu antica, mentre Turenum-Trani, consolidandosi col passare del tempo come sede di diocesi, fini per avere un sempre maggiore peso politico ed economico Un dato importante riguarda la distribuzione geografica dei villaggi. Molti di questi siti sorsero in posizione centrale e non, come avveniva assai spesso in Etruria, in zone periferiche. La particolare diffusione dei villaggi, cosi come avveniva per le ville, nel comprensorio canosino e nella valle dell'Ofanto, che del resto ospitava mediamente il 6o per cento dei si ti della Daunia sembra confermare la tendenza di questi agglomerati a occupare le aree centrali""'. In questo senso il rilancio di Canusium come sede del rettore della provincia fu determinante e modificò i rapporti fra città e campagna I mutamenti attraverso i quali la città assunse la fisionomia di capoluogo provinciale si riflessero sul paesaggio. Un'altra caratteristica fu la vitalità di questi insediamenti, non di rado collegati al mondo dei grandi trasporti viari (come Furfane, Rudas e altri) o marittimi (Bardulos e Turenum) 1"'. Non si sa quante persone abitassero mediamente nei villaggi. Si tratta infatti di una ricerca completamente nuova, da condurre sulla base di scavi negli abitati e di studi aggiornati nelle necropoli. L'affermazione dei villaggi si accorda comun1 "'.
104
•
1 "',
107
•
M. CHELOTTI, V. MORIZIO e M. SILVESTRINI, La documentazione epigrafica in età /ardoantica, 882-87; F. GRELLE, La ci/là cit., p. 823. "" c. D'ANGELA e G. VOLPE, Gli abitali rurali cit.; sulla Puglia paleocristiana in generale: c. D'ANGELA, Dall'era coslanlinùma ai longobardi, in M. MAZZE! (a cura di), La Dauma antica dalla preistoria all'altomedioevo, Milano 1984, pp. 315-64; G. OTRANTO, La cristianizzazione, la diocesi~ i vescovi, in R. CASSANO (a cura di), Principi, imperatorz~ vescovi cit., pp. 824-32. 10 ' G. VOLPE, La Daunia cit., pp. IOI-10. ""' A. GIARDINA e F. GRELLE, La Tavola di Trinitapoli: una nuova costituzione di Valentinzano l, in MEFRA, XCV (1983), pp. 249-303; F. GRELLE, Canosa e la Daunia lardoantica, in VetChr, XXIII 10
'
ibid., pp.
pp. 379•97· "" m., La ci/là cit., pp. 821-23. 1011 C. D'ANGELA e G. VOLPE, Gli abitali rurali cit.;
(!986),
F. GRELLE,
La cillà cit., pp.
822-23.
Cambi
Paesaggi d'Etruria e di Puglia
247
que perfettamente con la crescita della demografia della regione. In Apulia, ancora agli inizi del v secolo gli spostamenti di popolazione dalla Campania verso la Daunia confermano il dinamismo della vita rurale indotto dalla ristrutturazione del latifondo'"'. Vi è ragione di credere che molti degli emigranti andassero a ingrossare gli agglomerati della Daunia Nei vici e nei pagi doveva svolgersi una parte consistente della vita di un grande latifondo. La villa-praetorium restava «sede dell'amministrazione e residenza del padrone», ma non era piu «sede della produzione, né luogo ove dimora la manodopera, che occupa sparsamente la campagna circostante» 110
•
111
•
2.2.
Le produzioni e le gestioni agricole.
I documenti scritti, non diversamente da quelli archeologici, dànno l'immagine di una situazione assai complessa delle campagne apule tardoantiche. La costruzione delle macchine olearie all'interno delle ville fra fine m e inizi IV secolo conferma l'ipotesi di una generale ristrutturazione del paesaggio agrario, seguita alla crisi del n secolo d. C. Non è un caso che la ripresa delle attività, cosi come quella degli insediamenti, si collochi nel contesto della nascita della provincia Apulia et Calabria e della riforma dioclezianea, e che proprio l'area della Daunia piu vivace economicamente e in cui piu marcata fu la rinascita delle produzioni olearie coincidesse con il comprensorio canosino. Accanto alla ripresa della produzione olearia vi fu la grande crescita della cerealicoltura, organizzata questa volta in forme realmente latifondistiche. Nell'attesa dei risultati delle analisi paleopedologiche in corso, sono le fonti letterarie a illustrare la grande cerealicoltura apula "'.I numerosi riferimenti alla cerèalicoltura rintracciabili tra la fine del IV e gli inizi del VI secolo nell'epistolario di Simmaco, nella Expositio totius mundi, in Sidonio Apollinare, in Cassiodoro documentano questa vitalità dell'economia agraria apula e la centralità della produzione di cereali, assimilata da Sidonio a quelle dell'Africa, dell'Egitto e della Sicilia. Va 112
•
"~
Fonti in
G. VOLPE,
Sulle condizioni economiche della Puglia dal
IV
al VII secolo d. C., in ASP,
XLV (1992), in corso di stampa.
° F. GRELLE, La città cit., pp. 821-23.
11
111
o. VERA, Strullure agrarie e slrullure palrimoniali nella Iarda antichità: l'aristocrazia romana fra agricoltura e commercio, in , II, 2 (1983), pp. 503-4112 G. VOLPE, La Daunia cit., p. 8o. 113 Queste ricerche vengono condotte da R. Compatangelo. SIMMACO, Epistole, 6.12.5, 9.29; Exf>ositio lolius mundi, 53; SIDONIO APOLLINARE, Carmi, 7-141·48, 22.!71-73, 27.!71-73; CASSIODORO, Varie, I.J4.2, 1··35-1-2, 2.26.2, 2.38.2; PROCOPIO DI CESAREA, La guerra gotica, 6.24.4; PAOLINO DA NOLA, Carmi, 20.312-18.
Parte prima
248
I luoghi e le merci
detto tuttavia che, mentre a proposito delle colture arboricole si deve parlare di una vera e propria rinascita nelle età dioclezianea e costantiniana, per la cerealicoltura vi sono buoni motivi per credere che essa fosse stata, anche durante il m secolo, il tratto dominante del paesaggio agrario daunia. A sostegno di questa congettura è soprattutto la continuità di vita dei villaggi fra la prima e la media età imperiale. Trovandosi all'interno di sterminate proprietà, essi rappresentavano il principale serbatoio di manodopera per i conduttori dei grandi latifondi, imperiali e privati. La vocazione cerealicola di tutta la Apulia et Calabria nella tarda antichità è inoltre provata dalla vitalità dei suoi porti, Brundisium in particolare, dai quali partivano molto spesso i grani necessari all' approvvigionamento di Roma'". A Canosa e in generale alla Puglia erano rivolti gli interessi dell'aristocrazia senatoria del IV secolo: la provincia apulocalabra costitui fonte di ottimi guadagni per quei membri dell' aristocrazia romana che avevano investito capitali nell'agricoltura della regione '". La conquista vandala dell'Africa e la conseguente interruzione degli arrivi di grano contribuirono infine ad accrescere, improvvisamente, l'importanza della cerealicoltura apula e calabra. li riassetto delle manifatture imperiali avviato da Diocleziano fece si che la produzione laniera continuasse ad avere un peso determinante: Canusium divenne con Venosa sede di un gineceo'". La documentazione letteraria sull'economia apula fra v e VI secolo parla di una regione ricca di attività agricole, ma singolarmente non dà rilievo alla pastorizia e alla produzione di lan~ che ne avevano costituito tema di celebrazione nei secoli precedenti. E possibile che la decadenza del gineceo, nel v secolo, dovuta a un troppo stretto legame con l'amministrazione imperiale, avesse coinvolto nell'oblio le attività pastorizie che stavano alla sua base. D'altra parte la grande transumanza dell'Apulia antica si era nel frattempo profondamente modificata 117 • I percorsi a grande distanza sopravvissero ma mutarono sostanzialmente asse, abbandonando il tradizionale percorso verso il Sannio'". Emerse quello verso la Lucania, verso il territorio di Venosa e l'area attraversata dalla via Erculia. La documentazione archeologica del comprensorio subappenninico e appenninico, Ne parla Sidonio Apollinare a proposito di Brindisi nel v secolo. I governatori provinciali, in R. CASSANO (a cura di), Principi, imperaton; vescovi cit., pp. 835·39. 1 "' F. GRELLE, La città cit., pp. 821-23. 117 ID., Canosa e la Dauma cit., pp. 379-97; G. VOLPE, La Dauma cit., pp. 72-75. 118 M. CORBIER, La transhumance entre le Samnium et l'Apulie: continuité entre l' époque républicaine et l'époque impériale, in La romanisation du Samnium aux 1f et t' siècle av. ].-C., Atti del Convegno (Napoli 1988), Napoli 1991, pp.149-76; E. GABBA, La pastorizza nell'età tardo-imperzale in Italza, in c. R. WHITTAKER (a cura di), Pastoral Economies in Classica! Antiquity, Cambridge 1988, pp. 134-42. 114
"' G. DE BONFILS,
Cambi
Paesaggi d'Etruria e di Puglia
249
oggetto di ricerche recenti, mostra una sostanziale continuità fra il periodo 100-300 d. C. e il periodo 30o-6oo, con un tasso di abbandono degli insediamenti valutabile attorno al 13 per cento 119 • n tipo di insediamento predominante è costituito dai villaggi, generalmente di cospicue dimensioni, talvolta nati nello stesso sito di una villa ma successivamente all'abbandono delle strutture della villa. I villaggi mostrano una maggiore capacità di adattamento alle trasformazioni di età dioclezianea, soprawivendo in misura dell'85 per cento (del66 per cento le ville). npaesaggio, anche in questo caso, si era ristrutturato per far fronte a nuove esigenze. Da un lato i pascoli alti recuperarono antiche vocazioni alla transumanza a breve raggio, dall'altro le ville superstiti guidarono la riorganizzazione del latifondo nel suo versante cerealicolo. I dati forniti dalla archeologia dei paesaggi trovano una possibile conferma, in epoca ancora piu tarda, nel passo in cui Procopio accenna ai rinnovati interessi economici e ai rapporti di patronato delle grandi famiglie canosine verso la Lucania negli anni della guerra greco-gotica"". 2.3. Le merci e la loro circolazione. I segni di vitalità nella provincia apulo-calabra sono evidenti nel IV secolo, poi soprattutto nel v e infine per parte del VI 12 '. T aie vitalità non impedf tuttavia che la regione fosse toccata dai principali flussi mercantili mediterranei. Fra le anfore prevalgono le produzioni nordafricane, presenti nei tipi piu diffusi ma soprattutto nei contenitori cilindrici, particolarmente quelli affusolati (spatheia), che raggiunsero in quantità considerevoli il mercato canosino. Anche le anfore cilindriche di grandi dimensioni, circolanti dopo la metà del v secolo, sono attestate, cosi come alcuni contenitori di origine siriaca, microasiatica e palestinese, sia pure in quantità minori La sigillata africana C è presente in cospicue quantità nei siti dell'agro brindisino, pur essendo una merce di un certo costo. Ciò dimostra, da un lato la necessità di acquistare su mercati esterni vasellame da mensa di prestigio, dall'altro la discreta capacità di acquisto, almeno di certi settori della società meridionale, in un momento di crisi ormai accertata per l'Italia centrale. Non altrettanto numerose sono nel Salento, ave pure le merci africane giungevano con facilità, le anfore africane di m- IV 122
•
'" A. SMALL, Late Roman Rural 5elllement in Basilica/a and Western Apulia, in G. BARKER e (a cura di), Roman Landscapes, Atti del Convegno (Roma 1988), London '99'· pp. 204-22. 1 1 ~ PROCOPIO DI CESAREA, La guerra gotica, 7.18.20; F. GRELLE, La città cit., pp. 821-23. '" G. VOLPE, Il paesaggio agrano cir., pp. 897-900. "' G. VOLPE e c. n'ANGELA, La cultura matenale, in R. CASSANO (a cura di), Prinajn; imperaton; WJcovi cit., pp. 892 sgg.
J.
LLOYD
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Parte prima
I luoghi e le merci
secolo. In questo si può forse vedere la minore necessità di approvvigionarsi all'esterno di derrate alimentari particolari, fra le quali l'olio, di cui l'Apulia sembra tornare a essere produttrice durante il IV secolo, stando al ripristino degli impianti oleari delle ville. Il vino non doveva occupare un ruolo di primo piano fra le produzioni agricole della Daunia tardoantica. Al momento la circolazione di vini apuli è parzialmente dimostrata da quantitativi modesti ma costanti di un'anfora (classificata come Keay LXII) derivata da prototipi presumibilmente africani, ma di' probabile origine locale, rinvenuta anche in alcuni si ti tardoantichi dell'agro brindisino 123 • Anche il Bruttium nel IV secolo produceva vino e lo esportava nel Mediterraneo occidentale contenuto in un'anfora di forma analoga alla Keay LXII 12'. La ridefinizione degli spazi agrari con articolazione fra possessi gestiti direttamente da villae-praetoria e altre forme di gestione mediate da strutture amministrative e demografiche pili antiche, ora riemergenti, concorse al recupero di questi paesaggi. Da queste articolazioni derivarono, almeno sotto il profilo economico, livelli produttivi elevati, tanto da poter destinare all'esportazione quote consistenti delle merci Jll. Siritiene per questo che l'estensione, talora ingente, degli agri deserti rispondesse all'avanzare di nuove forme di razionalità economica, ovvero alla volontà di concentrare la forza-lavoro nelle terre migliori (è quanto sembra avvenire nell'antico ager Canusinus) '". La consistenza di queste strutture venne saggiata da una serie di prove, talvolta anche severe. I momenti di crisi determinati dalle invasioni visigotiche e vandale e successivamente dalle operazioni militari bizantine non lasciarono nelle campagne apule tracce profonde. Per tutta la tarda antichità la Puglia fu un'area in cui i patrimoni si erano certamente estesi a dismisura, ma che continuava a esportare in grandi quantità. La stabilità fece si che le produzioni p ili avanzate potessero almeno parzialmente superare anche il momento, tremendo, della guerra greco-gotica. 3· Conclusioni.
Al termine di questa rassegna di documenti possono farsi alcune osservazioni. I due assetti regionali (l'Etruria meridionale e l'Apulia), pur 123 Ricerche in corso nell'ambito del progetto diretto da D. Manacorda (Università di Siena). 12' P. ARTHUR, Some observations an the economy o/ Bruttium under the later Romrm Empire, in ]RA, II (1989), pp. 133 sgg.; A. B. SANGINETO, Produzioni e commerci nelle Calabrie tardoromane,
in MEFRM, CIII, 2 (1991), pp. 749-57. '" Si veda o. VERA, Strutture agran'e cit., pp. 489-533. 26 ' G. VOLPE. Sulle condizioni economiche cit.
Cambi
Paesaggi d'Etruria e di Puglia
251
presentandosi ambedue« a pelle di leopardo», consentono infatti di individuare alcune linee di tendenza. In Etruria vi furono momenti diversi di progressiva destrutturazione del paesaggio agrario, a suo tempo formato dalle ville, certamente piu forte e marcata che in Puglia. Dopo la riconversione di età flaviotraianea e la grave contrazione insediativa della tarda età antonina, si ebbe la fase depressa del III secolo. Una ripresa va collocata fra la fine del III e gli inizi del IV secolo d. C. li primo evento nefasto è rappresentato dall'invasione visigotica, che determinò la fine delle città, almeno come organismi amministrativi, e il collasso delle infrastrutture territoriali. La seconda tappa è rappresentata dalla fortissima diminuzione dell'afflusso mercantile causata dalle scorrerie vandale a cavallo della metà del v secolo. La terza, definitiva tappa fu rappresentata dalla guerra grecogotica, che pose fine ai paesaggi antichi d'Etruria. L'abbandono quasi totale delle campagne si colloca dunque nella parte centrale del VI secolo. I comprensori d'Etruria piu vicini a Roma finirono per essere inglobati dal suburbio, o almeno furono coinvolti nei meccanismi economici di questo, mentre altri comprensori vissero alterne fortune. Nell'Etruria delle città lo spazio destinato ai vici e ai pagi nella prima età imperiale non era molto ampio, al contrario di quanto era accaduto in Apulia. La ripresa delle antiche comunità paganico-vicane, che pure vi fu, a danno delle città e a dispetto delle attenzioni imperiali per queste ultime, non riusci a compensare la crisi estenuante delle città stesse né il progressivo indebolimento dei paesaggi delle ville. Cosi la restaurazione dioclezianea ebbe effetti piu circoscritti in Etruria. Quanto piu forte era stata la struttura delle ville, tanto piu acuta fu la crisi. Non casualmente le aree dell'Etruria meridionale meno coinvolte dal diffondersi delle ville schiavistiche (parte del territorio ca penate e comprensorio viterbese) mostrarono talvolta nella tarda antichità sintomi di tenuta sociale e demografica, anche se non di ripresa economica. Dove le ville erano state grandi, ricche e numerose, si ebbe in eredità un paesaggio disarticolato e indefinito (con le eccezioni dell'agro veientano e di parte dell'agro ceretano). I paesaggi del Nord dell'Etruria, ove le ville si affermarono in maniera piu contenuta e i villaggi continuarono a vivere spesso dal periodo etrusco, ebbero esiti tardoantichi e altomedievali meno rovinosi rispetto a quelli del Sud dell'Etruria, ove le ville avevano largamente predominato. Non è forse un caso che l'unica anfora proveniente dall'Etruria della media e della tarda età imperiale fosse prodotta nella valle dell'Arno'". Sia pure /'
•n D. MANACORDA, 11 vino nell'Etruria romana nell'età imperiale: l'an/ora di Empoli, in El vi a anttguztat, Attt del Convegno, Badalona 1987, pp. 43-50.
Parte prima
252
I luoghi e le merci
agendo a una scala molto piu ridotta rispetto alle produzioni del passato, la struttura economica che espresse questo contenitore riusd comunque a coinvolgere l'ambito geografico comprendente la Liguria, la Sardegna, la T arraconese e Roma 128 • In Apulia et Calabria gli effetti della ristrutturazione dioclezianea furono di gran lunga piu favorevoli. La stagione delle ville si era manifestata in maniera controversa ed era stata piu breve 120 • N eli' agro brindisino, uno dei territori chiave della Calabria romana, questa stagione inizia attorno al roo a. C. ed è testimoniata dalle fornaci e dalle anfore vinarie e olearie di Apani e di Giancola u•. In età augustea si ebbe un ripiegamento economico particolarmente marcato, che pose fine a questa fase propizia. La disgregazione del paesaggio delle piantagioni apulo-calabre favori tuttavia la nascita di un nuovo paesaggio, già fra la fine del 1 e il n secolo d. c.: il paesaggio del latifondo n caso apulo-calabro è esemplare della situazione di una certa Italia tardoantica completamente diversa dall'Italia centrale tirrenica 02 • In Etruria il latifondo della prima e della media età imperiale (prendiamo ad esempio la villa di Lucus Feroniae nei secoli 11-111 d. C.) rappresentò in fondo l'esito della crisi del paesaggio delle ville. Per necessità, andava progressivamente restringendosi il settore capitalistico-commerciale (il vigneto) dei fondi, mentre cresceva quello naturale-patrimoniale (la cerealicoltura e i pascoli) e aumentavano a dismisura le spese per il mantenimento dei praetoria m. In molta parte dell'Italia meridionale il latifondo della prima età imperiale rappresentò invece un momento, se non di rilancio, almeno di risistemazione degli assetti territoriali 04 • n settore costiero dell'agro brindisino, vocato alle produzioni specializzate, divenne per lo piu spopolato dopo l'età augustea, mentre sorgevano insediamenti grandiosi (praetoria) nella faUl.
F. CAMBI, L'anfora di Empoli, in Amphores romaines et histoire économique: dix ans de recherches, Atti del Convegno (Siena 1986), Rome 1989, pp. 564-67. 120 G. VOLPE, La Daunia cit., pp. 101 sgg. uo D. MANACORDA, Le fornaci di Visellio a Brindisi. Pn'mi risultati dello scavo, in VetCh, XXVII (1990), pp. 375-415; ID., Produzione agricola, produzione ceramica e propn'età nella Calabria romana lardorepubblicana: l'epigrafia delle an/ore, in VII Rencontre. Epigrafia della produzione e della distnbuzione, Atti (Roma 1992), in corso di stampa; D. MANACORDA e F. CAMBI, Recherches sur l'ager Brundisinus à l'époque romaine, in P. N. DOUKELLIS e L. G. MENDONI (a cura di), Structures agraires el societés anliques, Atti del Colloquio (CorfU 1992), Annales littéraires de I'Université de Besançon, Paris, in corso 128
di stampa. m Ricerche di D. Manacorda e del gruppo facente capo al Dipartimento di archeologia dell'Università di Siena. 02 Cfr. sugli aspetti generali: L. CRACCO RUGGINI, Economia e società cit.; ID., Vicende rurali dell'Italia antica cit., pp. 261-86. 0 ' Su questi aspetti: A. CARANDINI, Schiavi in Italia. Gli strumenti pensanti dei Romani fra tarda Repubblica e medio Impero, Roma 1988, pp. 26 sgg. 04
Cfr.
ASP, IV,
F. M. DE ROBERT1S, Sulle condizioni economiche della Puglia dal Iv 3-4 (1951), pp. 42-57; G. VOLPE, Sulle condizioni economiche cit.
al VII secolo d. C., in
Cambi Paesaggi d'Etruria e di Puglia
253
scia piu interna attorno al tracciato della via Appia. li latifondo tardoantico si innestò, in seguito, proprio sulla base dei praetoria del I secolo d. C. A differenza, però di quanto era accaduto in Etruria, la dilatazione del settore naturale-patrimoniale nelle proprietà aptÙo-calabre non fu l'esito inevitabile del declino di un paesaggio precedente, bensf l'inizio di un ciclo storico diverso. I territori aptÙo-calabri divennero una delle basi della stabilità finanziaria dell'aristocrazia tardoantica, perfettamente consapevole del fatto che la frammentazione geografica dei possedimenti e la diversificazione agricola erano condizioni essenziali per garantire alte rendite e per assorbire le perdite "'. Le strutture del latifondo sviluppatesi progressivamente in AptÙia et Calabria, e consolidatesi intorno al3oo d. C., furono strutture agrarie possenti. La provincia faceva parte integrante di quel «triangolo mediterraneo» costituito dall'Italia meridionale, dalla Sicilia e dal Nordafrica che costituiva il nucleo della ricchezza gentilizia tardoantica, nucleo che nelle sue componenti essenziali, ovvero soprattutto la struttura patrimoniale, esisteva ancora alla fine del VI secolo u•. L' AptÙia tardoantica può essere presa a esempio come caso di area geografica in cui il fine della commercializzazione dei prodotti dei latifondi venne pienamente raggiunto. Il rilancio dell'agricoltura fra IV e v secolo, evidente nelle letterature, è ora confermato pienamente dai documenti archeologici m. L'esemplificazione può tuttavia spingersi oltre. La razionalità tardoantica era basata su di un fattore quantitativo, ovvero le enormi dimensioni dei possedimenti"'. Erano ormai lontani i tempi della razionalità fondata sulla cooperazione, o dell'agricoltura intensiva che aveva fatto dell'Italia centrale un giardino: Il dominus tardoantico, rivolto alla razionalità dei fini piu che dei mezzi, si disinteressa del modo di produrre dei fondi colonici che possiede a centinaia e anche se circa un terzo dei suoi introiti agricoli è da attribuirsi al commercio di derrate agricole non per questo ci appare un capitalista commerciale, e ciò non tanto per l'esiguità del suo fructus che passa attraverso il mercato, quanto per la mancanza di razionalità in senso ciceroniano-columelliano e per la natura stessa dei mercati tardoantichi (specie quello romano), verosimilmente meno liberi di un tempo e piu amministrati"'. "' Simmaco aveva proprietà nel suburbio, in Lazio, Campania, Sannio, Apulia, Sicilia, Africa: D. Strutture agrarie cit., pp. 495 sgg., 501 sgg.; ID., Simmaco e le sue proprietà: struttura e funziona· mento di un patn'monio an'stocratico del IV secolo, in Actes du Colloque Genévois sur Symmaque, Paris 1986, pp. 231·70. 6 " A. GIARDINA, Le due ltalie nella/orma tarda dell'Impero, in ID. (a cura di), Società romana cit., I, pp. 1·Jo; D. VERA, Aristocrazia romana ed economie provinciali nell'Italia tardoantica: il caso siciliano, In QC, X, 19 (1988), pp. n5·72; G. VOLPE, Sulle condizioni economiche cit. 7 " F. M. DE ROBERTIS, Sulle condizioni economiche cit.; G. VOLPE, Sulle condizioni economiche cit. '" D. VERA, Strutture agrarie cit. "' A. CARANDINI, Schiavi in Italia cit., p. 32. VERA,
254
Parte prima
I luoghi e le merci
Non si saprebbe dire se sul ripudio della vecchia razionalità (quella dei mezzi e dei fini) e sulla adozione della nuova (quella tardoantica dei soli fini) si innestò il processo che portò alla formazione delle molte ltalie che ancora oggi possono essere osservate. È comunque certo che, fra alterne fortune, il riassetto della tarda antichità favori il riattivarsi dei processi di differenziazione fra i comprensori regionali.
RICHARD HODGES
Il declino e la caduta: San Vincenzo al Volturno *
Sarebbe un gran punto di arrivo, dopo la monumentale storia di Rostovzev, poter disporre di una sintesi sul Medite"aneo all'epoca di... e, invece di Fzlippo II, poter mettere il nome di un qualche imperatore romano; oppure una sintesi su Civiltà materiale, economia e capitalismo ... e, invece dei secoli XV-XVIII, poterne sostituire altri d eli' evo antico '.
Quest'aspirazione a scrivere una storia dell'epoca antica e dell'epoca medievale di proporzioni braudeliane troverà presto una realizzazione. Gli storici di queste epoche, fatte rare eccezioni', si sono intimiditi di fronte a mire cosi ambiziose, a causa dell'inadeguatezza della maggior parte delle fonti materiali che avevano a disposizione. Va ricordato che Braudel vide la storia disposta su tre livelli, o, p ili precisamente, tre ritmi di tempo. Vi è una storia nella quale ogni cambiamento risulta quasi impercettibile, quella dell'uomo in relazione all'ambiente, una storia fatta di lenti cambiamenti, di costanti ripetizioni, di cicli sempre ricorrenti ... (una) storia senza tempo, la storia del contatto dell'uomo con l'inanimato. C'è poi un'altra storia, questa volta con ritmi lenti ma comunque percettibili ... , la storia di gruppi e di raggruppamenti. Infine, c'è la storia tradizionale, potremmo dire, non a misura d'uomo, ma a misura d'individuo ... la histoire événementielle, che è storia di eventi: movimenti di * Sono molto grato ad Andrea Carandini per l'invito a scrivere queste pagine, e per i suoi commenti sugli argomenti trattati in questa sede. Gli scavi a San Vincenzo al Volturno sono stati intrapresi in collaborazione con la dott. Gabriella D'Henry e la Soprintendenza Archeologica del Molise. Il progetto è stato realizzato alla British Academy, dalla British School a Roma, il Fondo Craven, la Society of Antiquaries,la Soprintendenza Archeologica del Molise e l'Università di Sheffield. L'Economie & Social Science Research Council della Gran Bretagna mi ha gentilmente provvisto di una borsa di studio che ha reso possibile realizzare la ricerca per queste pagine. Nello scrivere questo saggio, gradirei e~primere la mia gratitudine ~d Andrea Carandini, Amanda Claridge, Paola Filippucci, Riccardo hancovich, Peter Hayes, John Mitchell, John Patterson, Klaus Randsborg e Chris Wickham per le preziose discussioni su questo aspetto del Progetto San Vincenzo. Sono panicolarmente grato aJohn Patterson per i commenti su di una prima bozza di questo testo. . ' A. CARANDINI, Il mondo della tarda antichità visto attraverso le merci, in A. GIARDINA (a cura di), Società romana e impero tardoantico, III. Le merci, gli insediamenti, Roma-Bari 1986, p. 3· ' Per esempio M. 1. FINLEY, The Ancient Economy, London 1985; G. DUBY, TheEarly Growth of the European Economy, London 1978.
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superficie, creste di spuma che le correnti della storia trasportano sulle loro forti spalle'. L'interazione fra questi tre livelli o ritmi di tempo si presta a interpretazioni molto diverse. Braudel, per esempio, dà grande risalto alla risacca dei flutti, la storia senza tempo, o longue durée, e invece dà poco peso alla cresta dell'onda, il ruolo dell'individuo. Di conseguenza, egli potrebbe essere accusato di dar troppo spazio a questa visione, e di applicare il suo punto di vista a tutto il passato. Ciononostante, l'interpretazione di Braudel sul passato rimane, come giustamente afferma Carandini, un importante punto di partenza per tutti coloro che si sforzano di comprendere la nostra storia. La storia di Braudel è costruita su una molteplicità di fonti, disponibili dal Rinascimento in poi. Ma prima, e in special modo nel mondo antico, lo storico si basa su interpretazioni personali, piuttosto che su accertamenti statistici dell'ambiente, della società e dell'economia. In tal modo risulta molto facile scrivere l'histoire événementielle come una storia su coloro che fanno storia, vista da coloro che fanno storia. La grande maggioranza delle società contadine, quelle che E. R. Wolf definisce« senza storia»', sembra non giocare alcun ruolo in questo passato. Eppure, se figurano nella formazione del mondo moderno, come mostra brillantemente Braudel, come possiamo dubitare del loro ruolo anche in epoca antica e medievale? L'archeologia moderna dà la prospettiva di scrivere una storia di queste proporzioni. La longue durée è divenuta la riserva dell'archeologo dell'ambiente. Questa specie di archeologia ha trovato sviluppo nella preistoria, dove le relazioni dell'uomo con il proprio ambiente sono state di estrema importanza, ma, al contrario della preistoria, sia nelle fonti storiche che in quelle archeologiche, si può vedere l'importanza dei raggruppamenti sia sociali che individuali. Gli archeologi, in particolare, hanno creato modelli interpretativi delle tracce materiali che lo storico ha appena cominciato ad assimilare'. Non è questo il luogo per descrivere le basi metodologiche che hanno dato la forza trascinante della moderna disciplina; ma !asciatemi illustrare questo punto, nel descrivere la storia di Roma, dalla posizione di coloro che vissero nell'alta valle del Volturno dalla fine del IV all'vm secolo. Questo saggio, come si vedrà, non è che un abbozzo; forse qualche futuro Braudello rifinirà in una pagina o due di un'opera monumentale. 1 F. BRAUDEL,
The Mediterranean and the Mediterranean World in the Age o/ Philip Il, London On History, London 1980. ' E. R. WOLF, Europe and the People without History, Berkeley 1982, p. 5· ' Per esempio: L. R. BINFORD, In Pursuit o/ the Past, London 1983; R. HODGES, Spatial models, anthropology and archaeology, in M. WAGSTAFF (a cura di), Landscape and Culture, Oxford 1987, 1972, pp. 20-21 (trad. it. Torino 1986); cfr. anche ID.,
pp. n8-33.
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Le /asi dell'insediamento.
Il Progetto San Vincenzo era focalizzato sull'abbazia benedettina di San Vincenzo al Volturno, in provincia di Isernia, e sui suoi rapporti con la terra, posta nell'alta valle del Volturno. Il progetto è stato intrapreso dall'Università di Sheffield, in collaborazione con la Soprintendenza archeologica del Molise, a partire dal 1980. Ma in questo saggio, l' archeologia e la storia dell'abbazia hanno un'importanza secondaria. Ci concentreremo invece sulle fasi classiche che precedono l'arrivo, nel 703, dei tre fondatori di San Vincenzo: Paldo, Tato e Taso. Per prima cosa esporremo i dati degli scavi di San Vincenzo e dell'indagine topografica; quindi, faremo delle considerazioni sulla storia del sito nell'ottica dei tre ritmi di tempo sopra descritti. Il risultato sarà un microcosmo di un momento significativo della storia classica, quello in cui le comunità montane e costiere si trasformarono in società. Questo momento fu, come vedremo, altrettanto importante per la formazione del Medioevo. San Vincenzo al Volturno sorge a circa 550 metri sul livello del mare, all'estremità settentrionale di un piccolo altipiano, la Piana Rocchetta. A nord e a ovest i rilievi delle Mainarde raggiungono i 2000 metri, formando una barriera da un lato del suo territorio. fiume Volturno, che nasce a circa 3 chilometri da San Vincenzo, si dirige invece a sud, sino a giungere a una profonda gola, per proseguire poi in una valle che improvvisamente si allarga tra le antiche città di Isernia e Venafro. n sito è posto perciò al limite tra le montagne e le sinuose valli che, dopo un percorso di 50-75 chilometri, sboccano nelle pianure costiere della Campania. Numerosi siti d'altura dell'alta valle del Volturno furono abbandonati nella tarda età sannitica, a favore di piu accessibili località di pianura. Anche nello stesso territorio di San Vincenzo, l'insediamento sannitico di Monte Santa Croce (una cima sopra Cerro al Volturno) fu abbandonato quando fu fondato un altro villaggio all'estremità settentrionale della Piana di Rocchetta'·. Questo villaggio si sviluppò rapidamente, sino ad arrivare a coprire, nel 1 secolo a. C., una superficie di circa 10-15 ettari. Nel suo momento di massimo sviluppo, l'insediamento si estendeva su entrambe le rive del fiume Volturno. Nella parte orientale, delimitata a sud da un profondo fossato, sono state trovate le tracce di un edificio monumentale e di una piazza. A ovest del fiume, verso il colle della tor-
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'' A. DI !ORIO, Un'altra /ortr/icazione sannitica scoperta nella valle del Volturno, in «Antiqua», VIII !1983), pp. 20-24; cfr. anche F. VALENTE, Ilte"itoriodiColli a Volturno, in «Almanacco del Molise>> !1986), pp. 36-59 per una descrizione delle fortezze sannite a Monte San Paolo, vicino Colli a Volturno, a sud di San Vincenzo.
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re, sono state scoperte le tracce di un'altra struttura monumentale, con un basamento che potrebbe essere stato il podio di un tempio. La cronologia non è stata ancora determinata con precisione, ma la notevole quantità di ceramica campana a vernice nera, rinvenuta sia nelle zone arate che nelle piccole aree scavate, indicherebbe una datazione tra il IV e il tardo 1 secolo a. C. Un bel ponte a campata unica, sul fossato scavato nella roccia, appartiene con ogni probabilità alla fase finale di questo periodo'. Nella ricognizione dell'alta valle del Volturno, sono stati individuati cinquantasei piccoli siti, spesso effimeri, che coprivano un'area di non piu di metri 20 x 20, ma non è stato individuato nessun altro grande insediamento tra le montagne e Isernia, per circa 30 chilometri'. Sulle montagne a nord, il villaggio piu vicino era ad Alfedena, a circa 20 chilometri in linea d'aria. Va sottolineato come queste piccole fattorie costituissero il primo sfruttamento razionale del paesaggio nella storia dell'area: sino ad allora, per quanto si può ricavare dai dati delle ricognizioni, le comunità preistoriche avevano occupato nicchie ecologiche ai lati della Piana di Rocchetta e nella valle del Volturno. La povertà del materiale proveniente da queste fattorie, tuttavia, è in netto contrasto con la ricchezza dei resti ceramici del villaggio di San Vincenzo. Agli inizi del 1 secolo d. C., il modello dell'insediamento fu fortemente alterato; la prefettura di Venafro venne trasformata in colonia, con stretti rapporti con la Campania, e quasi certamente venne ampliata anche la città già esistente sullo sperone di Isernia. A San Vincenzo pare che il villaggio cominci a decadere, per essere sostituito successivamente da una grande villa, comprendente vari edifici sparsi per piu di mezzo ettaro, e situata sui prati, lungo il fiume, a circa 200 metri a sud del fossato scavato nella roccia, che limitava l'estensione del villaggio pio antico. Per ora si può dir poco di questa villa, a parte il fatto che sembra svilupparsi tra il 1 e il m o IV secolo d. C. La ceramica raccolta nel periodo dell'aratura mostra la presenza di sigillata di I secolo e la scarsità di ceramica fine piu tarda. Numerose iscrizioni funerarie, provenienti dal contesto monastico del IX secolo, erano probabilmente associate alla villa; se cosi è, la comunità era quasi certamente compresa nel territorio amministrativo di Isernia'. La ricognizione ha rivelato la presenza di parecchie altre grandi vii7 Descritto da R. HODGES, e J. PATTERSON, The early classica! settlement sequenceat San Vincenzo al Volturno, in R. HODGES (a cura di), San Vincenzo al Volturno r excavations and surveys 198o-86, London I990· ' Per la ricognizione cfr. P. HAYES e R. HODGES, T be survey o/ the terra o/San Vincem:o al Volturno, ibid. ' Per le iscrizioni cfr.: J. PATTERSON, The upper Volturno valley in Roman times, zbid.
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le'". Una, per esempio, era posta all'estremità meridionale della Piana di Rocchetta, a 4 chilometri da San Vincenzo, ai piedi di una collina conosciuta sin dal x secolo come Vacchereccia ".Nello stesso periodo, molte delle piccole fattorie tardorepubblicane si spostarono leggermente per occupare nuovi siti, rispecchiando in qualche modo ciò che accadeva a San Vincenzo. Una ricognizione su Monte Mare, una delle Mainarde, ha rivelato che in questo periodo vi fu stabilito almeno un accampamento per la transumanza. Un saggio di verifica, in un'area che si pensava potesse essere un cortile, ha portato alla luce numerosa ceramica, parecchi pezzi di vetro e frammenti di tegole. A un primo giudizio, e con le debite riserve, dovute ai pochi campioni datanti a nostra disposizione, i resti provenienti da questo insediamento temporaneo, situato a 2000 metri di altezza, sono decisamente piu ricchi, per quel che riguarda le classi ceramiche, di quelli rinvenuti in molti degli insediamenti della vallata sottostante". Infatti, tutti i si ti dell'alto Volturno, occupati da fattorie grandi o piccole, si caratterizzano per l'impoverimento del loro corredo ceramico, al contrario dei si ti individuati in ricognizioni presso l'Adriatico (ricognizione della valle del Biferno), e in Campania (per esempio, nella ricognizione della valle del Liri). I risultati della ricognizione indicano che il numero degli insediamenti, nella regione, si moltiplicò in maniera significativa tra il I secolo a. C. e il I d. C., raggiungendo l'apice nel II. A causa della scarsità dei dati ceramici, è molto approssimativa la cronologia successiva di questi insediamenti. La ceramica fine di II-IV secolo è rara, e l'impressione generale è che la maggior parte di questi siti sia stata abbandonata durante il m o il IV secolo. In altre parole, pur considerando la difficoltà metodologica di usare materiale come indice demografico, il numero delle fattorie, e dunque la popolazione della regione, aumentò rapidamente tra il I secolo a. C. e il I d. C., raggiungendo il punto massimo nel II secolo. Dopo il rooh5o d. C., comunque, la popolazione si stabilizzò, per poi declinare drammaticamente. Nel corso dei 2ooh5o anni tra il woh5o e il3oo/400 d. C., la comunità della valle diminui sino a ridursi a una frazione di quella esistente al momento della massima fioritura. Come in altre parti dell'Impero, non si può non essere impressionati dall'andamento irregolare di questa curva demografica". 10
R. HODGES, Jhe suroey of the terra cit. e altri, Excavatùms al Vaccherecàa (Rocchetta Nuovo): a later Roman and Early Medieval settlement in the Volturno valley, Molise, in PBSR, Lll (1984), pp. 148-94· 12 Cfr. F. BAKER Excavattons, suroey and the ethnoarchaeology o/ transhumance in the Mainarde muuntains, in R. HODGES (a cura di), San Vincenzo cii. " Il modello di insediamenti in declino nell'Europa occidentale tardoromana è descritto da molti archeologi: cfr., per esempio, T. w. POTTER, The Changing Landscape ofSouth Etruria, London 1979, Pp. 138-46; B. WARD-PERKINS e altri, Luniand the Ager Lunensis: the Rise and Fa/l o/ a Roma n Town P. IIAYES
e
" R. HODGES
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A San Vincenzo il declino della comunità sembra essersi arrestato attorno al4oo, quando una nuova comunità contadina si sviluppò sulla riva occidentale del Volturno, sui fianchi del Colle della Torre. Questo divenne un elemento importante nella successiva storia dell'insediamento monastico, e, perciò, le sue caratteristiche sono state studiate in dettaglio". Si può supporre che, quando fu costruito questo complesso, sia stata abbandonata la villa piu antica, che datava al I secolo. n nUOVO complesso comprende due fasi, distinte in fase Ia, datata principalmente dalla ceramica africana al 38o/400-450 d. C., e fase 1b, datata al450-525/550, soprattutto da monete di bronzo. Altre classi ceramiche, vetri e metalli confermano questa cronologia tardoromana. Nel periodo tardoromano fu costruito anche il ponte della Zingara, che dà accesso all'insediamento attraverso il Volturno. n suo basso profilo ricorda altri ponti della stessa epoca dell'Italia centrale; per le spallette sono stati reimpiegati diversi blocchi, provenienti da un edificio monumentale. Per quanto riguarda la fase Ia, non è stata ancora chiarita l'esatta disposizione degli edifici oltre il ponte. Proprio di fronte a questo doveva trovarsi ancora il tempio sannitico-repubblicano, per quanto dovesse essere ormai in rovina. Sicuramente, come vedremo, i suoi resti furono usati dai costruttori della fase 1b. A sud del podio del tempio vi era stato, nei tempi piu antichi, uno spazio aperto. Questo sembra sia stato mantenuto, forse come atrio del complesso tardoromano; anzi, quest'area è rimasta in uso come giardino, subendo pochissimi cambiamenti, sino all'xi secolo. Fase ra (c. 400- 450). L'edificio piu importante della fase Ia del complesso era situato sulla seconda terrazza. Si tratta di una struttura lunga 15 metri e larga 9, con massicce e profonde fondazioni; la sua forma lo indica come un altro esempio del numero sempre crescente di torri tardoromane dell'Impero d'Occidente. Durante la fase Ia, i suoi occupanti scaricarono i loro rifiuti lungo le pendici della terrazza, creando una spessa discarica che separò il giardino dall'abitazione. Al complesso possono essere appartenuti altri edifici, di cui però non si è trovata traccia. Una loro possibile collocazione potrebbe essere stata nelle immediate vicinanze del giardino, verso sud, dove, nel IX secolo, trovò posto il refettorio dei monaci. and its Territory, in PBSR, UV (1986), pp. 100-7. Per ulteriori informazioni c&. w. J. WILLEMS, Romans and Batavians. A regional study in the Dutch Eastern River area, in «Berichten R.O.B. »XXXI (1981), pp. 7-217; R. HODGES e M. WILDGOOSE, Roman or native in the White Peak: the Roystone Grange Project an d its regional implications, in «Derbyshire Archaeologica!Journal» CI (1981), pp. 42-57· C&., inoltre, J. PATTERSON, Cn'sis: what crt'st's? Rural change and urban development in imperia! Appennine Italy, in PBSR, LV (1987), pp. 115-46; K. RANDSBORG, Firsl Millennium, Cambridge 1989. 14 R. HODGES, The Late Roman villa, in R. HODGES (a cura di), San Vincenzo cit.
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Sono presenti in questa fase le ceramiche africane a vernice rossa, virtualmente assenti nella fase Ib. La discarica ha restituito anche vetri e altre classi ceramiche, alcune di produzione locale, altre derivate probabilmente da modelli dell'Italia meridionale. A questa fase appartengono anche frammenti di vasi in steatite alpina. Fase Ib (c. 450-JJO). Dopo alcuni anni la villa fu sostanzialmente ampliata. Uno stretto portico fu aggiunto alla facciata della torre, sul bordo del terrazzamento, coprendo cosi parte della discarica. Piu in là, oltre la scarpata, fu creato un giardino murato, che servi a schermare l'abside di una nuova chiesa, costruita piu in basso rispetto alla torre. Vicino a questa chiesa, che era funeraria (chiesa meridionale I), fu eretto, verso nord, un grande edificio basilicale, da interpretare quasi sicuramente come un'altra chiesa (chiesa a cripta I). Entrambe occuparono lo spazio, precedentemente destinato al tempio piu antico. La chiesa a cripta si estendeva per 25 metri di lunghezza e 9 di larghezza, con una semplice abside allineata sull'asse centrale. I suoi costruttori sfruttarono i muri del tempio sannitico-repubblicano, ai quali si appoggiarono, dopo averli livellati. Sfortunatamente restano ben poche stratigrafie di quest'edificio. Anche la chiesa meridionale I fu collocata contro i muri precedenti, che furono livellati, mentre la nuova struttura prendeva forma. Il muro orientale della nuova chiesa funeraria fu fondato sopra un vecchio muro poligonale della struttura sannitico-repubblicana. Inizialmente la chiesa era lunga I8 metri e larga 8; aveva un semplice ambulacro all'estremità occidentale e un piccolo cimitero sul lato meridionale. Durante la fase IC il suo limite orientale fu allungato di poco meno di 2 metri, in direzione del fiume. Lo scavo della chiesa meridionale I è stato particolarmente ricco di informazioni riguardanti la villa. Circa il4o per cento dell'interno dell'edificio è stato scavato, portando alla luce 23 tombe rivestite di tegole; altri sepolcri sono stati rinvenuti nell'ambulacro e nel cimitero, lungo il lato meridionale. Nella parte scavata del cimitero sono stati portati alla luce gli scheletri di 28 individui di sesso femminile, 25 di sesso maschile e 20 adulti di sesso non identificato. Usando le stime di Richard Saller, che indicano una vita media di 40/45 anni, e tenendo conto che il cimitero rimase in uso per un massimo di mo!I3o anni, la proporzione suggerisce che qui è stata sepolta una popolazione di 280 membri, e che la comunità della villa contava circa 70 individui. Molte tombe sembrano ?spitare gruppi familiari. La proporzione fra adulti, giovani e bambini tndica che ci troviamo in presenza di una normale popolazione contadina, caratterizzata da un'alta mortalità infantile e da una considerevole
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mortalità al momento del parto. La maggioranza degli adulti mostra i segni di un estenuante lavoro manuale". Fedi nuziali, monete di bronzo, vetri, pezzi di carne e qualche vaso accompagnavano alcune delle inumazioni. Benché nessuna tomba ne tagliasse un'altra, il terreno è stato molto smosso, portando alla rottura delle numerose lucerne di vetro e del vasellame. Diversamente dalle grandi chiese funerarie delle città, questa fu un edificio rustico, privo di pavimento, e quasi certamente senza decorazioni. Anche l'ambulacro fu concepito con grande semplicità: non era nulla di piu che un passaggio coperto tra l'abside e la facciata in pietra, che costituiva lo spigolo del terrazzamento. Nel pavimento di terra battuta erano state scavate diverse tombe alla cappuccina e una curiosa cassa di mattoni. Una delle tombe, contenente il corpo di una donna, si trova oltre l'estremità dell'abside, mostrando cosi d'avere una qualche particolare importanza, forse come tomba di uno dei fondatori. La cassa in mattoni non conteneva invece resti umani, ma solo un aspersorio rotto in avorio, parecchi pezzi di osso, forse per ricavare spilloni, e un frammento a ramificazione di corna di cervo. Questa cassa aveva sicuramente funzione di monumento commemorativo o reliquario, forse di un artigiano in relazione con il posto. La rudimentale chiesa funeraria era stata costruita come possibile luogo di culto. L'abbondanza di vasellame tardoromano in vetro, incluse molte lucerne, indica che la villa era frequentata aLneno moderatamente. Non è impossibile che il vetro fosse fabbricato in questo periodo nella stessa San Vincenzo, come poi effettivamente accadde nel monastero di IX secolo. Alcuni dei pezzi, tuttavia, trovano puntuali confronti in cimiteri di VI e VII secolo dell'Italia meridionale. Anche la ceramica rivela paralleli molto stretti, per lo piu con la Campania. Comunque le anfore sono virtualmente assenti. La piccola quantità di ossa animali include in notevole percentuale il maiale, come nella villa tardoromana di Ruoti. L'allevamento del maiale sembra aver goduto di particolare favore nelle comunità sia rurali che urbane, in epoca tardoromana, probabilmente perché era la carne piu a buon mercato da produrre velocemente". In contrasto con l'abbondanza di resti archeologici di questa villa, in questo periodo è stato rinvenuto pochissimo, nel corso della ricognizio" v. HJGGINS, The human population at San Vincenzo al Volturno, ibid.; R. P. SALLER, Men's age al marriage and its consequences in the Roman /amily, in CPh, LXXXII (1987), pp. 21·3+ 16 s. BARNISH, Pigs, Pleabians and Potentates; Rome's economie hinterland c. 35o-6oo A.D., in PBSR, LV (r987), pp. 157-83.
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ne dell'alta valle del Volturno. Tracce di un piccolo edificio, probabilmente del tardo IV o del v secolo, sono state identificate entro l'area del villaggio, sulla riva orientale del fiume. Cacciarne del medesimo periodo è apparso, sia pure in piccola quantità, sul sito di quella che può essere forse identificata come una villa, in località Vacchereccia, all'estremità meridionale del Piano di Rocchetta, e presso altre ville della vallata, compreso il vasto insediamento di Castelvecchio, nel comune di Montaquila. In piu, a detta di studiosi locali, un cimitero di quest'epoca fu distrutto presso l'hotel Falconara, presso Colli al Volturno. Il raffronto combinato di queste testimonianze indica che nella regione si ebbe un notevole spopolamento, con l'abbandono della maggior parte di quella terra coltivata dal periodo repubblicano sino al m- IV secolo. San Vincenzo, per quanto piccolo se confrontato con gli insediamenti piu antichi, godette di un'abbondanza di materiale tale da distinguerlo come centro principale dell'alta valle del Volturno. Infine, la presenza di tombe a cappuccina, non datate, presso la villa della Vacchereccia, cosi come il cimitero presso l'hotel Falconara di Colli al Volturno, favoriscono l'ipotesi che il cimitero di San Vincenzo fosse in uso essenzialmente per gli abitanti del posto. Riassumendo, ogni proprietà ora comprende un insediamento accentrato, contrariamente ai modelli piu antichi, nei quali a un grande insediamento centrale erano associate molte piccole fattorie. Fase 2 (c. 550-700). Non è possibile indicare una data precisa per la fine della villa di San Vincenzo. Solo due monete di bronzo, peraltro non indicative di per se stesse di una continuità abitativa dell'insediamento, appartengono al tardo VI secolo. È probabile che il sito sia stato abbandonato, in parte o del tutto, agli inizi di questo secolo. Nondimeno, una tomba nella chiesa funeraria, e almeno un'altra nel portico della torre, possono essere attribuite con una certa sicurezza alla fine del VI o al VII secolo. La tomba della chiesa funeraria conteneva due begli orecchini d'argento lavorati a traforo, oltre a grani di collana, caratteristici delle ricche tombe a inumazione dei cimiteri della Puglia costiera e della Campania". La tomba presso la torre ha restituito un filo di perle in pasta vitrea, a forma di pera, materiale che trova puntuali confronti negli stessi cimiteri. Sempre allo stesso periodo ci riportano un frammento di placca in osso, facente parte di una cassettina, proveniente anch'esso dalla chiesa funeraria, e una spilla dorata recuperata negli scavi all'interno della torre, non associabile con alcuna sepoltura. La fase 2 risulta di difficile interpretazione a causa della scarsità dei " P. I'ILIPPUCCI.
The bronze and silver, in
R. HODGES
(a cura di). San Vincenzo cit.
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resti. Si può però ipotizzare che il cimitero continuasse a essere usato da parte dei membri di una famiglia che poteva permettersi i bei monili di importazione. La maggioranza della popolazione, invece, non fu p ili sepolta nella chiesa, o perché aveva abbandonato la zona, o perché veniva sepolta altrove. Nelle ricognizioni della valle, non sono state individuate tracce riferibili a questa fase. Gli scavi a Vacchereccia, che avevano come meta la localizzazione della prima comunità medievale sulla collina, hanno portato alla luce un effimero abitato di media altura, occupato a partire dalla fine del VI secolo; sono venute alla luce due monete in bronzo del IV secolo, in pessime condizioni, e una spilla caratteristica del VI- VII secolo". Per ora le evidenze indicano che, a metà del VI secolo, la cultura materiale di queste popolazioni declinò sino a raggiungere livelli primitivi, che si mantennero tali sino al IX secolo. Unico indizio della presenza di queste comunità sono i gioielli di importazione. Stando all'autore del Chronicon Vulturnense del XII secolo, la regione attorno a San Vincenzo fu in gran parte abbandonata e si andò ricoprendo di fitti boschi. P aldo, T ato e T aso, i tre monaci fondatori, scelsero un oratorio come punto di partenza per la loro abbazia e lo abbellirono. Gli scavi ne hanno dato conferma". Fase 3 (c. 703- 8oo). L'insediamento di VIII secolo fu essenzialmente la villa tardoromana. La chiesa funeraria fu trasformata nella prima abbazia, quando il cimitero venne coperto da un pavimento di intonaco bianco e, all'interno dell'abside, fu costruito un altare. Anche la chiesa a cripta I venne conservata per un breve periodo di tempo durante la fase 3a, ma il rimaneggiamento che quest'edificio subi nella fase 3b, quando furono costruiti la cripta e la navata piu corta, mostra come la basilica tardoromana oltrepassasse i bisogni della comunità in quel periodo. Anche l'atrio-giardino venne riutilizzato, probabilmente come chiostro. La torre sulla seconda terrazza, già usata come cimitero nella fase 2, divenne con ogni probabilità il centro del cimitero dei monaci. Alcuni aspetti di questo complesso monastico meritano una breve discussione. Per prima cosa, la costruzione degli edifici fu estremamente rudimentale: vennero utilizzati ciottoli di fiume e argilla anziché malta e pietre tagliate. Inoltre, il luogo perse qualsiasi cultura materiale degna di nota. La povertà che aveva caratterizzato la fase 2 continuò per la maggior parte dell'viii secolo. Infine, nonostante la presenza sul sito di numerosi resti classici, questi non vennero intenzionalmente riutilizzati. Si1 ' 1 •
R. llODGES e altri, Excavations at Vaccherecàa cit. FEDERICI (a cura di), Chronicon Vulturnense, I,
v.
Roma 1929, p.
145.
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no al78o una grossolana semplicità caratterizzò questo modesto impianto benedettino. Nel783, dopo l'avanzata dell'esercito di Carlomagno nella Lombardia, la comunità di San Vincenzo si trovò impegnata in violente dispute, originate dalla necessità di scegliere se sostenere i Beneventani della Lombardia Minore, oppure schierarsi a fianco dei Franchi". Dopo questi eventi, il monastero fu leggermente ingrandito (fase 3c), quasi certamente grazie all'aiuto dei Franchi. La villa tardoromana costituiva sempre il nucleo del complesso. Poi, sotto la direzione dell'abate Joshua, probabilmente nella prima decade del IX secolo, il complesso, che copriva una superficie di circa mezzo ettaro, si ampliò enormemente, arrivando a coprirne 5· Joshua eresse una nuova abbazia monumentale e la decorò sontuosamente, facendo largo uso di materiale romano di spoglio. Contemporaneamente la maggior parte degli edifici romani fu spianata o incorporata nelle nuove, piu grandi strutture. Non c'è dubbio che, in questa fase, la cultura materiale del monastero raggiunse una tale ricchezza che si può parlare di una vera e propria rinascita. Cosi, per ironia della sorte, nel momento in cui i Benedettini fecero un uso spettacolare del loro passato romano, obliterarono gli ultimi resti esistenti proprio di quella villa romana che, originariamente, li aveva attratti in quel luogo. Non sembra che le comunità contadine si siano espanse nella terra del monastero prima della metà del x secolo. Gli insediamenti degli schiavi del monastero (condumnae), come con ogni probabilità la già ricordata Vacchereccia e la fattoria nota come Casa Lorenzo, a un chilometro dall'abbazia, rimasero materialmente impoveriti. n monastero non mutò sostanzialmente la storia delle comunità rurali che avevano preso forma a partire dal VI secolo. L'eccezionale livello di cultura materiale riscontrabile a San Vincenzo nel IX secolo non trova affatto riscontro nelle fattorie rurali del suo territorio. Per trovare luoghi che condividano la rinascita tecnica e materiale del IX secolo, dobbiamo guardare ai villaggi situati lungo le pianure costiere dell'Italia centrale·". Solamente nel x secolo, quando la fortuna del monastero declinò, in conseguenza del sacco subito nel88I da parte degli Arabi, i successivi abati tentarono di ricostruire i villaggi dell'alto Volturno e di svilupparne i territori. Scavi nella terra della Vacchereccia e in un altro castello, l'Olivella ,, M. DEL TREPPO,
Longobardz; Franchi e Papato in due secoli di storia vulturnense, in «Archivio WICKHAM, Monasticlands and mona-
Storico Provinciale di Napoli>>, LXXIII (1953-54), pp. 37-59; c. stic patrons, in R. HODGES (a cura di), San Vincenzo cit.
21 R. HODGES e c. WICKHAM, Incastellamento and a/ter. The evolution o/ medieval hilltop villages . "' the Bz/erno valley, in G. BARKER, A Mediterranean Valley, Cambridge, in corso di stampa.
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(oggi Colle Castellano), mostrano che, al volgere del millennio, queste comunità furono nuovamente coinvolte negli scambi commerciali con le altre regioni". Solamente allora, si potrebbe affermare, volsero alla fine, in queste regioni, i secoli bui, iniziati nel VI secolo. 2.
Storie senza tempo e lunghe durate.
La lunga continuità dell'insediamento in un medesimo luogo può indurre a credere che una «storia senza tempo» abbia prevalso, malgrado l'ascesa e la caduta dell'Impero romano. Ma questa è una tentazione da evitare: l'indagine archeologica dimostra che ogni tipo di insediamento presenta aspetti mutevoli a livello regionale, comunale e familiare; cosi come ognuno di questi livelli di insediamento ha una storia costantemente variabile per produzione, distribuzione e ideologia. In questa sezione del saggio, è nostra intenzione esaminare la cruciale fase tarda della storia classica, sulla quale si è poi impiantata la comunità medievale. Naturalmente anche San Vincenzo ebbe una storia senza tempo. Ciascuno della lunga serie di insediamenti era situato all'estremità settentrionale di un pianoro che aveva un alto potenziale agricolo. Il fiume forniva acqua abbondante durante tutto l'anno, e quasi certamente era ricco di pesce. La fertile terra della pianura poteva essere sfruttata nei mesi estivi con campi arati, mentre l'altopiano di travertino e gli affioramenti collinari devono aver costituito un terreno ben drenato per l'impianto di coltivazioni di frutteti a terrazze. Significativamente, l'altipiano è posto in un punto in cui si incontrano il clima continentalemontano e quello mediterraneo. Anche se non siamo in possesso di precise informazioni sul clima della zona, sembra che le precipitazioni annue si aggirino attorno ai 900 mm, concentrati principalmente tra i mesi di aprile e di ottobre. Nel mese di luglio, San Vincenzo è sull'isoterma mentre in gennaio, quando le Mainarde sono coperte di neve, dei 20 il monastero si trova tra le isoterme di 1 e di 4 I 4 di gennaio rappresentano effettivamente il limite del clima mediterraneo, e la maggior parte dell'alta valle del Volturno partecipa di questa zona climatica. Nella stessa San Vincenzo gli ulivi sono vulnerabili alle gelate; le nevi invernali possono essere abbondanti, ma le estati sono arieggiate e piacevoli. A sud di Colli al Volturno, può essere introdotto senza problemi un regime mediterraneo di culture miste, mentre Alfedena si trova a far parte di una regione tipicamente montana.
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22 s. cocciA e altri, Scavi a Colle Castellano (Montaquila): relazione preliminare, in« Archeologia Medievale>>, XVI (1989).
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Sono state queste caratteristiche a fornire a San Vincenzo una «storia senza tempo», sempre che il clima non abbia subito variazioni. Le montagne incontrano qui le valli, che agiscono come lunghi corridoi che portano alle coste. Ma la risorsa fondamentale per il contadino non era statica: il Volturno alluvionò quasi certamente la piana di Rocchetta in epoca preistorica, medievale e nei primi tempi dell'era moderna. Uno studio geomorfologico rivela, per esempio, ampie alluvioni per il periodo sannitico-repubblicano, mentre una fotografia del tardo '8oo mostra che il fiume aveva, in periodo invernale, una notevole portata, prima che ne facesse uso l'Enel per derivare acqua potabile". Un acquedotto romano dei tempi di Augusto, che portava acqua dalle sorgenti del Volturno a Venafro, permise alla comunità che viveva attorno alla villa di governare piu facilmente il paesaggio. Fra il v e l'vm secolo, l'area fu interessata ancora una volta da alluvioni. Per questo i monaci iniziarono a regolare il flusso delle acque, anche se i luoghi piu lontani della piana di Rocchetta rimasero paludosi almeno sino al IOOO. n suolo stesso, ovviamente, non è una componente statica nella storia di un luogo come questo: il disboscamento, provocato dall'espansione dell'insediamento all'inizio dell'epoca classica, seguito da fasi di intensa coltivazione nel corso del I e del n secolo, apportò notevoli mutamenti nel sottosuolo. Se si considera la primitiva tecnologia agricola adotatta dalle comunità rurali, nonché l'alto tasso numerico della popolazione, non è difficile immaginare un forte impoverimento qualitativo dei terreni. n rimboschimento della tarda antichità stabilizzò le condizioni geomorfologiche; ma l'intensa colonizzazione delle foreste, nel tardo x secolo e nella fase di incastellamento dell'xi, devono aver causato nuovamente un notevole degrado del terreno". Le numerose comunità postmedievali dovettero a loro spese confrontarsi con questa situazione; gli agricoltori del nostro tempo sono ricorsi semplicemente alla moderna tecnologia: pesanti aratri, mossi da moderni trattori, e fertilizzanti. Le interazioni dell'uomo con l'ambiente hanno dunque rivestito una fondamentale importanza nella storia della regione: in certi periodi il paesaggio poté essere sfruttato con profitto; in altri, ripagò a stento il lavoro che vi veniva profuso. Un ulteriore fattore della longue durée potrebbe aver determinato la geografia economica di San Vincenzo. Quando il viaggiatore vittoriano Keppel Craven giunse, nel r837, a San Vincenzo, fu interessato nel vedere le iscrizioni sannitiche, relative a una perduta città, e il mercato delle The environmental setting, in R. HODGES (a cura di), San Vincenzo cit. '' lhid., cfr. anche K.O. POPE e T.H. VAN AN DEL, Late Quaternary alluviation and soilformation in the southern Argo/id: its hislory, cause.< and archaeological implicalions, in JArchSc, XI (1984), pp. " P. HAYES,
>Hr-w6.
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pecore, che si teneva sui prati lungo le rive del Volturno". Craven s'era imbattuto evidentemente in due aspetti di un'altra caratteristica di San Vincenzo: la posizione ottimale per lo scambio di prodotti di due differenti zone ecologiche, i prodotti cioè della montagna e quelli della valle. ntardo villaggio sannitico-repubblicano fu, con ogni probabilità, il primo a sfruttare in modo stabile questa funzione, anche se fiere periodiche possono aver preceduto la formazione della piccola città. Le ville romane devono aver fruito di questi mercati periodici, in un periodo in cui le città piu vicine si trovavano a un minimo di tre-quattro ore di cammino in ciascuna direzione. Anche il monastero di IX secolo, posto presso la frontiera settentrionale del regno di Benevento, potrebbe aver ospitato una fiera. Di quella di cui parla Keppen Craven, cosi come di quelle romane, tardoromane e medievali, non è rimasta traccia. L'ipotesi potrebbe basarsi sul fatto che, sia il piu tardo villaggio sannitico-repubblicano, che il grande monastero di epoca carolingia furono al di fuori della norma, in quanto entrambi ebbero proporzioni degne di una città. Di fatto, anche se entrambi possono aver avuto funzioni cultuali, il villaggio fu quasi certamente un'istituzione secolare, originato dall'improvviso sviluppo della transumanza a lungo raggio, dalle Puglie all'Abruzzo, alla fine del II o nel I secolo a. C., mentre il monastero fu essenzialmente una comunità spirituale, che prendeva parte alla rinascita carolingia, movimento della cultura europea di breve durata. La storia di San Vincenzo potrebbe essere affrontata anche dal punto di vista opposto: nonostante la sua condizione di frontiera, una città permanente non riusd a mettervi radici. Le strade repubblicane e della prima epoca imperiale procedevano, da città di valle come Isernia e Venafro, verso est o verso ovest, da Colli al Volturno in direzione di Atina". La rete stradale romana era concepita principalmente in funzione militare, e si deve quindi supporre che San Vincenzo fosse considerata, nel periodo repubblicano, «fuori dal sentiero battuto». Carlo Levi, nel suo Cristo si èfermato a Eboli, ci chiede di credere che l'Altra Italia sia sempre stata la stessa: «la loro vita, nelle identiche forme di oggi, si svolgeva uguale nei tempi piu remoti, e ... tutta la storia era passata su di loro senza toccarli» 17 • Niente di piu lontano dal vero. Un tesoretto di monete trovato a Rocchetta al Volturno, datato alla prima metà del II secolo a. C., segna quasi certamente l'abbandono dei Sanniti e i primordi del controllo romano sulla regione. L'espandersi del domi" K. CRAVEN, Excursions in the Abruzzi and northern provinces o/Naples, II, London r838, p. 62. 26 J. PATTERSON, The upper Volturno valley in Roman times, in R. HODGES (a cura di), San V in·
cenzo cit. 27
c. LEVI,
Cristo si è fermato a Eboli, Torino
1983, p. 123.
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nio romano anche oltremare stimolò, evidentemente, lo sviluppo del villaggio di San Vincenzo, dove lo scambio dei prodotti di montagna e di valle fu incoraggiato e regolato. Nel momento in cui si espanse il controllo romano sull'Italia, e ognuna delle regioni andò sempre piu specializzandosi, si rese necessaria la creazione di nuovi centri, che mutarono la precedente distribuzione. I proprietari di ville dell'alta valle del Volturno furono inevitabilmente provinciali rispetto allo standard dei grandi proprietari cosmopoliti di Lucus Feroniae e di Settefinestre, in Etruria". E molto probabile che l'impatto dell'Impero si sia fatto sentire su questi altipiani per un certo tempo, dopo il suo primo fiorire nei dintorni di Roma. Ma sarebbe sbagliato dimenticare che queste regioni partecipavano di un'economia simile, oltre che delle stesse caratteristiche sociali e ideologiche. A ogni modo, qualsiasi cambiamento piu o meno radicale, che si verificasse nell'economia, era destinato a farsi sentire sugli abitanti delle zone montagnose del Sannio, molto tempo prima di diventare argomento di discussione nei salotti della capitale, o in quelli delle grandi ville di campagna, facilmente raggiungibili da quella. n malessere economico del medio Impero ebbe gravi conseguenze su queste regioni. Dobbiamo tener presente che la distribuzione a intervalli regolari di piccole fattorie dal Venafro alle montagne, come la presenza di testimonianze della transumanza sulle cime stesse dei monti, sono indicative di un sistema competitivo di mercato in espansione. La concentrazione di piccole fattorie romane, regolarmente disposte sul territorio europeo, durante il I e il II secolo d. C., testimoniano la potenza dello stato romano, ancor piu di qualsiasi mappa stradale dell'antica Roma. n suo influsso sulle regioni disorganizzate e sulle comunità preistoriche dell'Europa fu tale che poté stimolare una straordinaria strategia riproduttiva, causa di una rapida crescita della popolazione europea. L'alta valle del Volturno non fece eccezione: come altre regioni periferiche dell'Impero, fu sicuramente sensibile a ogni alterazione dell'economia globale. La sua esistenza funzionale dipendeva, dopo tutto, dall'interazione di due regioni ecologiche. È giusto, e consueto, che archeologi e storici guardino con sospetto qualsiasi evento catastrofico, come quello che si descrive qui. Al momento, dati evidenti di un declino demografico ci vengono soprattutto da ricognizioni di superficie. In questi casi l' archeologo si deve basare, per datare il sito, sulla presenza di ceramica fine, spesso di prestigio, caratteristica di un certo periodo. L'assenza di ceramica con tali caratteristiche può solo dar luogo a ipotesi: il sito era '" Lucus Feroniae: T.W. POTTER, The Changing cit., pp. IJO-JI; Settefinestre: A. CARANDINI e (a cura di). Sette/inestre. Una villa schiavistica nell'Etruria Romana, Modena 198,.
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stato abbandonato, oppure i suoi abitanti erano semplicemente troppo poveri per potersi permettere ceramica di buona qualità; ma siamo sicuri della reale rappresentatività dei materiali rinvenuti sul suolo arato? O forse le comunità sparse si concentrarono in nuovi, piu ampi insediamenti, difficili da definire, in estensione e cronologia, per la mancanza di ceramica fine? T ali problemi metodologici necessitano di risposte, e possono essere risolti solamente grazie a soddisfacenti campagne di scavo di siti rilevanti. Nondimeno, a San Vincenzo abbiamo potuto concludere che un notevole calo demografico ci fu, perché è stato possibile datare non solo la ceramica fine, ma anche quella comune. Lo studio di quest'ultima mostra chiaramente il modello di abbandono durante il medio Impero e rende possibile indicare, con un buon margine di sicurezza, la rara presenza di ceramica comune tardoromana, nei pochi siti ove sia presente. Questi risultati metodologici si sono avuti ovunque sia stato identificato un quadro di abbandono di insediamenti della media età romana. Lo stesso fenomeno, ripetiamo, è noto nell'Etruria meridionale, anche se i particolari sono molto diversi, a causa della vicinanza di Roma; è inoltre documentato in diverse zone della Toscana e della Liguria, come in molte parti della Francia, dei Paesi Bassi e della Britannia. Altra faccenda è però spiegare le ragioni di questa involuzione demografica. Cambiamenti dell'economia, differenti condizioni sociali e anche pestilenze potrebbero aver creato, insieme o indipendentemente, le circostanze favorevoli per questo cataclisma. Lo storico deve esaminare gli indirizzi politici economico-sociali, a carattere sia nazionale che locale, oltre che valutare gli effetti delle pestilenze. Questi sono comunque risultati che necessiteranno di un'ulteriore analisi, quando saranno piu chiari i risultati delle ricognizioni archeologiche. Possiamo comunque supporre che, nei primi momenti di uno sconvolgimento economico, la maggior parte delle famiglie potesse offrire solo il proprio lavoro per sostenere il reddito. Col passare del tempo e l'aumentare della recessione, queste famiglie divennero incapaci di pagare gli affitti. A questo punto le entrate debbono essere precipitate, fino ad arrivare all'ultimo stadio, come si riscontra ampiamente in tutta Europa: le famiglie arrivarono al punto di dovere adottare una strategia demografica che comportasse un numero ridotto di bambini, e dunque meno bocche da sfamare, oppure furono costrette a cercare altrove opportunità diverse, abbandonando le loro abitazioni. Senza dubbio, tra III e IV secolo il declino demografico coinvolse nell'alta valle del Volturno almeno tre generazioni, lasciandovi solo una traccia di quella che era stata la popolazione della prima età romana. Il carattere incostante della curva della popolazione è un fattore di
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cruciale importanza, sia per il declino e la caduta dell'Impero romano, che per la formazione del Medioevo. Esso trova paralleli nella storia piu recente dell'alta valle del Volturno. Il villaggio di Rocchetta si ingrandi, passando dalle circa 200 persone del r6oo, alle 500 del r8oo. Durante le decadi centrali del XIX secolo, raggiunse le 2200 persone, prima di declinare rapidamente, dopo il 1900, fino a raggiungere i circa 900 abitanti degli anni '70. Rocchetta è un caso assai tipico nel Molise. Ovviamente, le ragioni di questa curva demografica non possono essere attribuite alle condizioni prevalenti nei tempi romani. Ma l'incostanza della curva demografica serve a ricordarci che la barcollante gloria dell'Impero romano fu di breve durata, come si vede bene nella rarefazione dei resti del materiale archeologico, che indica la presenza di affittuari, dai quali dipendeva il futuro dell'Impero. Questo è dunque il contesto sociale ed economico che bisogna aver presente per considerare la villa tardoromana. Quando fu costruita, attorno al 400 d. C., sembra che la popolazione fosse tornata alle dimensioni preromane. Ma lo stato romano era ancora ben lontano dall'estinguersi. La ricognizione della confinante valle del Biferno mostra che il declino demografico fu meno severo nelle pianure costiere dell'Adriatico. Solo quando ci si lascia alle spalle la pianura, per entrare nei corridoi collinari che conducono alle montagne, diviene visibile lo straordinario livello dello spopolamento. Molte delle fattorie costiere sembrano essere state occupate sino al vn secolo, quando anch'esse furono abbandonate"'. L'esempio è troppo chiaro per poter essere ignorato. Le coste dell'Italia prosperarono, e non è escluso che abbiano goduto anche di una rinascita, mentre le comunità dell'interno, ridotte di numero, sopravvivevano appena. Le pianure costiere prosperavano, si potrebbe arguire, perché il primato economico era passato, nel IV secolo, dall'Impero occidentale, e dall'Italia in particolare, a quello orientale e all'Asia Minore'". li carattere sempre piu marittimo dell'economia mediterranea trasformò anche le zone collinari e montuose dell'Italia centrale in distretti periferici della nuova economia. San Vincenzo, come l'analoga villa tardoromana a San Giovanni di Ruoti, in Basilicata, crebbe durante il v secolo, rivelando segni di prosperità, prima di sparire agli inizi del vr ".Come possiamo spiegarlo? "' ]. Lloyd, in
G. BARKER, A Mediterranean Valley, Cambridge. in corso di stampa. e D. WHITEHOUSE, Mohammed, Charlemagne & the Origins o/ Europe, London 1983, capitolo 3, cfr. anche c. PANELLA, Le merci: produzionz; itinerari e destini, in A. GIARDINA (a cura di), Società romana cit., pp. 431-59. " A. M. SMALL e J. FREED, S. Giovanni di Ruoti (Basilicata). Il contesto della villa tardo-romano, lhid.' pp. 97·129. 10
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Durante la fase ra, la villa fu essenzialmente una casa-torre, collocata in un punto che dominava dall'alto le antiche rovine. I suoi abitanti importavano ceramica da mensa nordafricana e recipienti in steatite alpina, oltre a vasellame in vetro. Le.loro condizioni materiali suggerirebbero che essi si siano potuti permettere le comodità, caratteristiche della cultura marittima contemporanea. Probabilmente trassero anche vantaggio dalla diminuzione della popolazione rurale, per produrre di piu per la vendita, oppure pagarono meno tasse ed ebbero maggiori entrate da spendere. La fase rb della villa, abbellita con una chiesa e un cimitero coperto, può fornire altre indicazioni. Il centro di culto, focalizzato attorno all'ambulacro della chiesa meridionale 1, come il centro cultuale del centro sannitico-repubblicano, può aver conferito al luogo un'importanza regionale. Ancora una volta, può aver tratto vantaggio dall'essere un centro degli scambi interregionali. Lo stesso cimitero, se pertinente alla sola popolazione della villa, testimonia di una comunità di una dozzina di famiglie, che praticavano una strategia di pianificazione familiare, intesa a mantenere costante il numero dei suoi membri. I resti di banchetti funerari, oltre al materiale pertinente a contesti tombali, dimostra che queste non erano genti ad alto tenore di vita, in base agli standard metropolitani, ma, d'altro canto, l'abbondanza di vetri e di beni minori di pregio rivela una cultura materiale che si eleva al di sopra dell'opprimente povertà, comune agli insediamenti piu piccoli dei primi tempi romani. Qui, potremmo affermare, ci troviamo di fronte a una caratteristica tipica del Medioevo piuttosto che dell'antichità, quella di un mondo in cui l'agricoltore partecipa attivamente al sistema di mercato. Infatti la villa si adatta in modo soddisfacente a un'immagine della società tardoromana o protocristiana. Come molti autori hanno messo in evidenza, la Chiesa cercò di colonizzare le campagne, creandovi una congregazione, come aveva fatto nelle grandi municipalità". L'alto numero di sepolture infantili, nel cimitero di San Vincenzo, può essere un ulteriore indizio del cambiamento dei tempi. Un importante parallelo è stato riscontrato nell'analisi del cimitero tardoanglosassone di Raunds, nel Northamptonshire. Raunds è un tipico esempio delle prime chiese parrocchiali inglesi, e l'alto numero di tombe infantili è in netto contrasto con i cimiteri dei secoli precedenti. Questo può rappresentare la dimostrazione concreta di un fenomeno rilevato da John F. Benton, che descrive il cambiamento di mentalità, riguardo alla salvezza dei bambini, come un aspetto fondamentale dello sviluppo della società europea " CH. PIETRI, Chiesa e comunità locali nell'occtdentale cristiano (IV· VI d. lia, ihzd., pp. 761-95.
C.):
l'esempio della Gal-
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nell'xi e XII secolo, ponendo le basi per una stabile divisione del lavoro e, in certo qual modo, per l'evoluzione del sistema moderno. parallelo fra Raunds e San Vincenzo non può essere sottovalutato. Nell'alto Medioevo la Chiesa tentò di entrare a far parte delle comunità rurali, anche per partecipare all'espandersi dell'economia. Significativamente, l'indagine archeologica della villa tardoromana di San Vincenzo mostra che la Chiesa si trovò nella posizione di imporsi su tutti i livelli della comunità rurale, bambini compresi, e in tal modo poté effettivamente trarre vantaggio della breve stabilità economica del v secolo Su queste basi posano le fondamenta del primo Medioevo, come molti storici hanno notato. Ma l'antichità non era ancora morta! Gli scavatori della villa di San Giovanni di Ruoti hanno preferito una spiegazione cataclismatica per la scomparsa della villa nel VI secolo. Non c'è dubbio che la società del VI secolo fosse turbolenta, e che queste sempre piu rare isole di ricchezza tardoromana potessero costituire un attraente bersaglio per briganti e sbandati; ma l'estinguersi di San Vincenzo e di San Giovanni, all'incirca nello stesso periodo, può attribuirsi a un'epoca in cui non era piu possibile prosperare per questi centri, a causa delle tasse troppo elevate, come pensano alcuni, o perché non avevano piu nulla da offrire alla depressa economia marittima Non appena caddero nella recessione i grandi porti del Mediterraneo, inevitabilmente, ne risentirono anche gli ultimi baluardi dell'economia classica nelle zone montagnose dell'Italia. La Chiesa non poté resistere all'ultimo estinguersi dei contatti fra montagna e pianura, instauratisi già da un millennio; tuttavia, essa stessa sopravvisse. Le ville tardoromane dell'Europa furono raramente abbandonate all'improvviso. Invariabilmente, almeno una parte di questi luoghi si manteneva in vita, mentre il resto cadeva in rovina. A San Vincenzo continuarono forse a essere occupate, sino alla fine del VI secolo, alcune parti della torre. In questo caso, l'indagine archeologica non può essere d'aiuto: i livelli di cruciale importanza, all'interno dell'edificio, furono rimossi già nel IX secolo. Ma essa ha rivelato che alcune sepolture continuarono a interessare il sito, sia pure in scala minore; i morti erano sepolti con ornamenti importati da altre regioni, e la comunità sembra avere avuto poco o nessun altro materiale di corredo, all'infuori di quello
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li.
l, XXVIII-XXIX (r982-83), pp. 477-515.
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che le estese proprietà a conduzione schiavistica (/atz/undia), che contale rilievo caratterizzano le nostre fonti per la tarda Repubblica, continuino a dominare il panorama agricolo della Sicilia nel III secolo d. C. In realtà, fino al v-VI secolo, possediamo ben poche testimonianze riguardanti l'amministrazione delle proprietà terriere in Sicilia o lo status dei lavoratori agricoli, che ci indichino se fossero schiavi o liberi; è questo il periodo a cui si datano la testimonianza delle proprietà siciliane di Lauricius, del443-44 d. C., e le lettere di papa Gregorio (590-604), relative alle proprietà della Chiesa nell'isola'. Il sistema piu comune era quello di dare i terreni in affitto, sia con un contratto a lungo termine (emphyteuticarit), sia con uno a breve termine (colonz), a contadini affittuari che lavoravano per conto di affittuari mediatori (conductores). Il processo di transizione, di certo molto graduale, tra la diffusa dipendenza dal lavoro schiavile (come nel caso della tarda Repubblica) e un sistema di affittuari, che erano nominalmente liberi, ma che divennero sempre piu legati alla terra nel tardo Impero, non può ora essere ricostruito; e neppure il lavoro schiavile, anche se il suo importante ruolo declinò, sembra scomparire del tutto (esisteva con sicurezza ancora verso la fine del VI secolo, come attestano le lettere di papa Gregorio). Per tutto il periodo qui considerato, la schiavitu e le altre forme di servito per debiti convivevano, nelle grandi proprietà terriere della Sicilia, insieme a un'abbondante presenza di lavoratori liberi. Non c'è dubbio che la Sicilia, con la sua celebre fertilità e la sua relativa accessibilità dall'Italia centrale, fosse ancora un'isola dove l'acquisto di terre era un investimento redditizio, come già era stata nella tarda Repubblica e nel primo Impero. Una gens non siciliana, ma molto legata alla Sicilia, era quella dei Nicomachi Flaviani, aristocrazia dominante nella Roma del IV e del v secolo. Uno dei suoi esponenti, Nicomaco Flaviano il Giovane, portò a termine una revisione critica del testo di Livio, nella sua tenuta nei pressi di Enna, durante o dopo il 408, e probabilmente non è un caso che sia il padre sia il nonno avessero servito come governatori della Sicilia, dal momento che, nel IV secolo, tali cariche, prima assegnate a sorte, erano ora attribuite in modo da far coincidere interessi privati e servizio pubblico. Se il Nicomaco Giuliano onorato in un'iscrizione del III secolo dal suo amministratore terriero, presso Erice, è un altro antenato della stessa gens, come sembra probabile, la famiglia 2 Lauricius: J. o. TJÀDER, Die nichtliterarischen lateinischen Papyri ltaliens aus der Zeit 445-700, Lun d 1955, n. 1; per la sua carriera: PLRE, II, 659-60. Gregorio: v. RECCHIA, Gregorio Magno e la società agricola, Roma 1978; J. RICHARD, Consul o/God, London 1980, pp. 126-39; G. Puglisi, in A. GIARDINA (a cura di), Società romana e impero tardoantico, III. Le merci, gli insediamenti, Roma-Bari 1986, pp. 521-29.
Wilson
La Sicilia
281
deve aver posseduto proprietà in Sicilia per diverse generazioni. Altri italiani che nel IV secolo avevano possedimenti in Sicilia erano lo scrittore Q. Aurelio Simmaco e Melania Maggiore, una nobildonna, spagnola di nascita, che trascorse gli anni della maturità e della vecchiaia in Palestina: molti di questi proprietari terrieri dovevano visitare le loro tenute in Sicilia molto di rado, se mai lo facevano in tutta la vita. Sua nipote Melania Minore, invece, passò un po' di tempo nella sua tenuta siciliana, vicino a Messina, dopo aver lasciato Roma nel41o; tra la cerchia di amici che erano con lei in Sicilia c'era lo storico Rufina, che in quello stesso anno poté assistere dalla villa all'incendio di Reggio Calabria da parte dei Visigoti '. Pochi i siciliani che, in ogni epoca dell'Impero, ebbero ambizioni politiche o tentarono di accedere al cursus senatorio: i piu preferirono rimanere in Sicilia e vivere con le rendite ricavate dai possedimenti terrieri. Uomini come Firmico Materno, un siciliano del IV secolo che, per un certo tempo, esercitò l'avvocatura, ma che presto si ritirò per dedicarsi alle lettere nella sua proprietà vicino a Siracusa, sembrano persino banali, ma essi hanno generalmente lasciato qualche traccia nelle testimonianze documentarie. Una famiglia di origini siciliane che manifestò ambizioni senatorie era quella dei Maesii Titiani, attestati da iscrizioni di Palermo (Panormus) e di Termini Imerese (Thermae Himerenses) come probabili proprietari di tenute nei pressi di Alcamo; ma verso il IV secolo, quando la gens poteva vantare l'illustre figura di Fabius Titianus, console nel337, governatore della Sicilia e in seguito prefetto del pretorio, la famiglia si integrò perfettamente, attraverso un'abile politica matrimoniale, con la dominante nobiltà romana'. Un ulteriore indizio per identificare i possessori di grandi tenute in Sicilia ci è dato dal documen' Nicomachi Flaviani: PLRE, I, 345-49 e 949; proprietà di Enna: subscriptio a LIVIO, 7· Nicomaco luliano: IG, XIV, 283-84; A. Brugnone, in «Kokalos>>, XXVIII-XXIX (1982-83), pp. 388-94. SIMMAco, Epistole, 9.52; PLRE, I, 869-70. Le Melanie: PLRE, I, 592-93; vendita delle proprietà siciliane della Maggiore: PALLADIO, Storia Laustaca, 54; per la Minore in Sicilia, Vita di Me/ama, u8-21; Rufino e l'incendio di Reggio; PG, XII, cc. 583-86. Alla sua lista di proprietari italiani in Sicilia sono stati ag· giunti i nomi di L. Aradio Valerio Proculo (A. CARANDINI, A. RICCI e M. DE vos, Filoso/tana. La villa di l'ùJzza Armerina, Palermo 1982, pp. 31·46) e la famiglia dei Caeionii Rufii (s. CALDERONE, Contesto sto· rtc~, committenza e cronologia, in G. RIZZA (a cura di), La villa romana del Casale di Ptazza Armerina, in «Cronache di archeologia», XXIII (1984), pp. 13-57) che sono stati proposti come proprietari della tenuta di Piazzn Armerina, ma nessuna delle due ipotesi mi pare convincente (cfr. le mie osservazioni in «Opus», Il (1985), pp. 542-44, e in G. RIZZA, La villa romana del Casale cit., p. 181, nota 61) . . ' Firmico Materno: PLRE, I, 567-68; G. Arrighetti, in E. GABBA e G. VALI.ET (a cura di), La Sicilia anttca ci t., notar, pp. 405-6. Maesii Titiani: L. Bivona, in Miscellanea di studi classici in onore di Euge11w Manni, Roma 1980, pp. 231·42; G. MANGANARO, I senatori di Sicilia e il problema dellatt/ondo, in l:.ptgrafia e ordine Jenatorio, II(= Tituli, 5, Roma 1982), pp. 369-81, in particolare p. 375; CIL, X, 7343, 7345-46, 7276; proprietà di Alcamo: L. BIVONA, Un/undus Serenianus/ra Trapani e Palermo, in Hestia11'Jtudidi tarda antichità offerti a Salvatore Calderone, Messina 1989, pp. m-17; R. J. A. WILSON, Sicily un er the Roman Empire, Warminster 1990, p. 392, nota 17r.
Parte prima
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to noto come Itinerario di Antonino, un elenco delle strade maestre e dei principali insediarnenti viari, in gran parte composto, nella sua forma attuale, all'inizio del m secolo, con qualche aggiunta posteriore. La sezione riguardante la Sicilia elenca, lungo le strade, un certo numero di località dai nomi terminanti in -iana, come Calvisiana, Capitoniana, Corniciana, Petiliana, Philosophiana e cosi via: toponirni che conservano i nomi dei singoli proprietari (Calvisius, Capito, Cornicius, Petilius, Philosophus ecc.) che per primi costituirono i latifondi su cui si trovano tali località e che da essi, appunto, presero il nome. Mentre alcuni di questi personaggi appartenevano con certezza alle famiglie di proprietari terrieri residenti soprattutto in Italia, altri nomi sono quasi del tutto sconosciuti nella penisola e sembrano, perciò, indicare proprietari nativi della Sicilia (ad esempio Philosophus, Cornicius o Cornicianus). Troppo improbabile per essere vera è l'ipotesi, avanzata da alcuni', che i grandi proprietari terrieri della Sicilia fossero soltanto italiani. MANGANARO, I senatori di Sicilia e il problema de/latifondo cit.; cfr. R. J. A. WIL· Piazza Armerina and the senatorial aristocracy in late Roman Sicily, in G. RIZZA (a cura di), La villa romana del Casale cit., pp. 170-82; R. J. A. WILSON, Sicily cit., p. 179. Per le testimonianze toponomastiche nell'Itinerario di Antonino, tbtd., pp. 215-17; ID., Luxury retreat /ourth-century style: a mzllionaire aristocrat in late Roman Sicily, in «Opus», II (1983), pp. 537-52, in particolare pp. 539-41; s. CALDERO· NE, Contesto storico, committenza e cronologia cit., pp. 45-47 (che cerca, tuttavia, di dimostrare una
' Ad esempio G.
SON,
datazione di età dioclezianea).
Sicilia.
Cefalù •Monte lato
Enna
Ccnt'iripae
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Agrigento
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e Piazza Armerina
Acre
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È certo che l'isola era ancora, nel tardo Impero, una terra dove moldiffuso era il latifondo; ma rimane il problema di quanto estese fossero queste proprietà. Di nessuna grande tenuta è possibile tracciare con sufficiente sicurezza i confini, ma possiamo raggranellare qualche indizio sulla dimensione media delle proprietà dai dati sulle rendite giunti fino a noi, per i secoli IV, v e VI (per esempio, la rendita di una proprietà concessa alla Chiesa siciliana da Costantino era di r65o solidi, mentre la media delle rendite delle proprietà ecclesiastiche era compresa tra i 300 e i 6oo solidi); è difficile, comunque, stabilire con esattezza a quanti ettari corrispondessero queste rendite'. Le tegole con i bolli recanti il nome della tenuta, come per esempio « CALV(isiana) », sono state anche usate per ricostruire l'estensione del latifondo, fino a sostenere che questa proprietà, per esempio, era di 25 chilometri quadrati; ma una tenuta che produceva tegole può aver venduto quelle in eccesso a una tenuta vicina che non le produceva: ciò rende inaffidabile l'identificazione del proprietario basata sul luogo di ritrovamento delle tegole'. In ogni caso, le proprietà terriere dell'età tardoantica, come è testimoniato anche in altre zone dell'Impero, non comprendevano necessariamente porzioni di terra contigue, ma anche un insieme di aree separate, riunite insieme per convenienza amministrativa (il termine spesso usato per riferirsi a esse, massa, significa «ammasso»). Ma la campagna siciliana nell'età tardoantica non consisteva soltanto di grandi proprietà: la terra veniva in realtà sfruttata attraverso un intero mosaico di tenute di diverse dimensioni, con un gran numero di padroni. La situazione non era naturalmente statica, dal momento che le proprietà venivano continuamente frazionate in seguito a lasciti ereditari o a donazioni (come nel caso delle proprietà siciliane date nel v secolo a Pierius, costituite da terre appartenute all'imperatore); e, d'altra parte, non tutte le aree dell'isola avevano un'uguale attrattiva per chi speculava in ricche proprietà terriere '. Comunque, fino a quando non sarà condotta una piu approfondita rito
' Proprietà di Costantino: Liber Ponti/icalis, XXXIV. Per i tentativi di ricavare l'approssimativa estensione (in ettari) di una tenuta che frutta 1650 solidi all'anno cfr. L. Crac co Ruggini, in> V, I8·20 (I972), pp. 89·99· L identificazione del SI· c?be la Caucana di PROCOPIO DI CESAREA, La gue"a vandalica, 1.14, sebbene generalmente accetta· a, e en lontana dall'essere sicura: cfr. R. J. A. WILSON, Sicily cit., p. 393, nota I84.
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fu semplicemente una maggiore dispersione della popolazione nelle campagne". Gli insediamenti maggiori svolsero il ruolo di centri di mercato e si dotarono di attività produttive, come l'industria della ceramica (attestata a Philosophiana, Naxos e Pachinus), di laterizi (come a Calvisiana, già menzionata) e di vetri (Philosophiana). Alcune località lungo le strade principali vennero scelte come stazioni di posta, il cursus publicus, tra le cui funzioni era anche quella di fornire un alloggio ai viaggiatori ufficiali; senza dubbio, queste e altre località funzionavano anche come centri per la raccolta delle imposte. Dalla Sicilia non proviene nessuna iscrizione che testimoni del sistema di amministrazione di questi centri, ma formalmente (a meno che non appartenessero del tutto a privati) essi dipendevano dalla città nel cui territorio si trovavano; città che, in molti casi, poteva anche essere lontana molte miglia. Ma è certo che, di fatto, eleggessero i loro capi e avessero un certo grado di autonomia locale nelle questioni interne, come ad esempio accade in Siria". Oltre a questi insediamenti è probabile che la campagna fosse anche cosparsa di numerose fattorie e ville; ma quando, come succede di frequente, la testimonianza di un insediamento rurale è rappresentata solo dalla presenza in superficie di ceramica e laterizi sparsi su una vasta area, è spesso impossibile, senza uno scavo, distinguere un piccolo villaggio da una villa e dai suoi ambienti esterni di servizio. Proprio la mancanza di scavi nella campagna siciliana rende azzardata una qualsiasi generalizzazione sulla natura dell'insediamento rurale tardoromano; ma è comunque improbabile che sia corretta l'immagine, che alcuni propongono", di una Sicilia rurale depressa durante il periodo del primo e del medio Impero. L'assenza di ville lussuose, portata a sostegno di questa ipotesi, è piu apparente che reale. Una villa a Castroreale San Biagio, che ebbe il suo apogeo nel 1-11 secolo d. C., sembra in effetti andare in rovina nel corso del m secolo; ma altrove indicazioni di superficie testimoniano chiaramente la presenza di grosse ville della media età imperiale, come quelle ancora da scavare, a Case Adotta e a Subucina Bassa, dove i ricchi ritrovamenti casuali comprendono anche busti-ritratto di marmo. I rin" ID., Changes in the pattern o/urhan settlement in Roman, Byzantineand ArabSiàly, in c. MALO· e s. STODDART (a cura di), Papers in Italian Archaeology, IV, Oxford 1985, pp. 313·44. Sulla densità degli insediamenti rurali in Sicilia cfr. soprattutto G. BEJOR, Gli insediamenti della Sicilia romana: distribuzione, tipologù: e sviluppo da un primo inventarùJ dei dati archeologici, in A. GIARDINA (a cura di), Società romana cit., pp. 463-519, e la bibliografia qui citata. " Cfr. A. H. M. JONES, The Later Roman Empire cit., pp. 712-13. 1 ' Ad esempio, A. CARANDINI, A. RICCI e M. DE VOS, filoso/iana cit., pp. 15-16; M. MAZZA, Econo· mia e società nella Sicilia romana, in «Kokalos>>, XXVI-XXVII (1980-!ll), pp. 292-353, in particolare p. 3 38 e pp. 342-44; G. CLEMENTE, Considerazioni sulla Sicilia nell'Impero romano (m sec. a. C. - v sec. d. C.), ibid., pp. 192-219, in particolare pp. 214-r6; Id., in E. GABBA e G. VALLET (a cura di), La Sicilia antica cit., p. 472; F. Coarelli, ibtd., pp. 382-83. NE
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venimenti di mosaici testimoniano di altre eleganti ville del III secolo a Santa Teresa di Longarini e in un sito nei pressi di Halaesa; e anche il ritrovamento di preziosi sarcofagi figurati del III secolo in siti rurali, come ad esempio dalla zona di Raffadali e da Valguarnera, indicano probabilmente la presenza, nelle immediate vicinanze, di altre ville (che attendono ancora di essere scoperte) ••. Inoltre, importanti ville del III secolo hanno preceduto le dimore tardoromane sia a Piazza Armerina che a Patti Marina; la prima non molto piu piccola della famosa villa che l'ha sostituita, la seconda arricchita da numerosi mosaici geometrici e da un pavimento figurato che rappresenta Bacco, le Stagioni e Amorini su carri trainati da leopardi e da altri felini ". Circolava quindi una certa ricchezza nella Sicilia rurale del n e m secolo. In questo modo anche l'indubitabile prosperità della campagna tardoromana deve essere letta non come un fenomeno di rottura rispetto all'epoca precedente, ma come parte di uno sviluppo continuo, che, semmai, subisce un'accelerazione. E indubbio che la Sicilia rurale entrò in una nuova fase di prosperità e di ricchezza nel corso del IV secolo. Insediamenti di mercato, come quello di Sofiana, presentano il loro maggiore periodo di espansione e di attività edilizia dal IV secolo in poi, mentre la densità dell'insediamento rurale nella tarda età romana e nel primo periodo bizantino, specialmente nella Sicilia sudorientale, è evidente per la straordinaria profusione di piccole catacombe, tombe a camera e sepolture rupestri (arcosolia) ".Ma la prova piu significativa della prosperità della campagna tardoromana viene dalle grandi proprietà con villa dell'aristocrazia terriera. A Piazza Armerina la precedente villa fu demolita nella prima decade del IV secolo per fare spazio a una struttura che è la piu sontuosa residenza di campagna finora nota nell'intero mondo romano, organizzata su vasti spazi intorno al peristilio principale e a due piu piccoli spazi con un grande impianto termale e due enormi triclinia. Tutta la superficie, tranne un paio delle sue cinquanta e piu stanze e corridoi, era ricoperta con costosi pavimenti a mosaico vistosamente policromi, molti dei quali figurati. Le maestranze che li avevano eseguiti erano quasi certamente africane, forse operanti a Cartagine, mentre la sala piu grande aveva un pavimento in "' Per una documentazione su questi siti e ulteriori considerazioni cfr.
R. J. A. WILSON,
Sicily cit.,
rp. 199·214, con bibliografia.
" Mosaici di Patti: G. Voza, in «Kokalos>>, XXX-XXXI (1984-85), pp. 660-61 con tavv. cxvnc:xvm; R. J. A. WILSON, Sicily cit., p. 209, fig. 170. Per ulteriore bibliografia su questo sito e su Piazza Armerina vedi note 19 e 20. " Per una discussione generale su questo argomento cfr. o. GARANA, Le catacombe siciliane e i lo"' martiri, Palermo 1961; c. DAMIANO FONSECA (a cura di), La Sicilia rupestre nel contesto delle civiltà >nedtterranee, Galatina 1986. Per alcuni casi attestati in una regione ben documentata, G. DI STEFANO e c>. LEONE, La regione Camarinese in età romana, Modica 1985.
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opus sectile. Affreschi o crustae marmoree adornavano le pareti, e un ulteriore tocco di eleganza era dato da un gran numero di colonne di marmo (piu decorative che funzionali), da statue in marmo e giochi d'acqua". Nel corso del IV secolo venne costruita a Patti Marina un'altra grande villa residenziale, di dimensioni inferiori a quella di Piazza Armerina e meno sontuosamente decorata: i mosaici, di sicura produzione locale e non opera di maestranze africane, sono per lo piu geometrici e i pochi pannelli figurati denunciano la scarsa tecnica disegnativa degli esecutori. Sono note almeno altre due ville sontuose: Caddeddi, nella valle del Tellaro vicino a Noto, decorata da uno splendido mosaico con scene di caccia e con altri pavimenti figurati, databili al III e IV secolo'", e San Nicolò di Carini, a ovest di Palermo, un sito che ha restituito non soltanto un elegante mosaico geometrico, ma anche pavimenti con scene figurate. Sono di certo ancora molti gli insediamenti di questo tipo, in Sicilia, che attendono di essere scoperti e scavati: uno, con un vasto impianto termale, venne alla luce nel 1987 a Capo d'Orlando, e un altro, nel 1991, sulla costa settentrionale vicino a Messina. Considerata la vastità del territorio, il rinvenimento di solo quattro siti con mosaici del IV secolo non basta certo per stabilire una generalizzazione sulla floridezza economica delle ville nella Sicilia tardoromana, ma tenendo anche conto dell'attività di altri siti, come Montallegro, Bitalemi, Cusumano, Favara e Castellite", si può desumere una vivacità economica e un consistente investimento nell'agricoltura siciliana per il IV secolo. Anche il contemporaneo fiorire di impianti piu articolati, la cui prosperità dipendeva in larga parte da quella delle proprietà circostanti, porta alle stesse conclusioni. Il confronto con alcune zone dell'Italia, per esempio con l'Etruria meridionale, dove l'intera popolazione rurale subisce un considerevole calo a partire dal III secolo in poi, non potrebbe essere piu evidente. Mentre alA. CARANOINI, A. RICCI e M. DE VOS, filosofiana cit., R. J. A. WILSON. Piazza Armerina, London e G. RIZZA, La villa romana del Casale cit., forniscono una bibliografia essenziale su questo sito. Cfr. anche Fra archeologia e storia sociale. la villa di Piazza Armerina, in , X-XI (1964-65), pp. 547· 564; B. PACE, Arte e civiltà della Sicilia antica, IV, Roma-Napoli 1949, pp. 3-59; e o. GARANA, Le catacombe ci t.; CIPRIANO, Epistolario, 30. 5.2.
" CIL, X, 7rr2 ( = s. L. AGNELLO, Silloge di iscrizioni cit., nota 85). Agata: B. PACE, Arte e civiltà cit., p. rr, note 5-6. Euplus: H. MUSURILLO (a cura di), Acts o/ the Christian Martyrs, Oxford 1972, pp. 310-19. 40 Chiese: P. ORSI, Szàlia bzZilntina, I, Tivoli 1942, pp. 3-68; G. AGNELLO, L'architettura bizantina in Sicilia, Firenze 1952, in particolare pp. 287-318; s. L. AGNELLO, Architettura paleocristiana e bizantina nella Sicilia, in IX Corso di cultura sull'arte ravenna/e e bizantina, Ravenna 1962, pp. n-ro8; R. M. BONA CASA CARRA, Architettura religiosa cristiana nella Sicilia del IV secolo. Aspetti e problemi, in>, XXVIII-XXIX (1982-83), pp. 408-22; e, piu in sintesi, R. J. A. WILSON, Sicily cit., pp. 305-8. Agrigento: R. M. BONACASA CARRA, Agrigento paleocristiana: zona archeologiaJ e antiquarium, Palermo 1987. Palermo: ID., Testimonianze e monumenti del primo cristianesimo a Palermo, in «Kokalos>>,
XXXIII
(1987),
pp. 305-25.
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non anteriore al v secolo. Allo stato attuale delle nostre conoscenze si ha l'impressione che, per quanto il cristianesimo stesse già diventando popolare alla fine del IV secolo, fu solo nel v che mise veramente radici, un secolo piu tardi rispetto alla sua diffusione nelle aree rurali del Nordafrica. Le aspre divisioni che resero cosi violenta e travagliata la vita della Chiesa africana, in questo stesso periodo, non sembrano comunque caratterizzare la Chiesa della Sicilia, sebbene l'iscrizione sulla lapide funeraria di una certa Pro ba di Lipari, con la sua forte e non comune professione di cattolicesimo, voleva probabilmente essere una deliberata espressione del suo rifiuto dell'arianesimo e degli altri credi Tra i documenti piu significativi del cristianesimo nella Sicilia rurale si segnalano alcune preghiere e invocazioni scritte su materiale lapideo, terracotta, rame, talvolta persino su oro, provenienti quasi esclusivamente dalla Sicilia sudorientale. Piuttosto comuni sono le invocazioni agli angeli, e particolarmente rilevante è la natura sincretistica delle espressioni religiose. Un'iscrizione da Catania, per esempio, rivolge una preghiera agli arcangeli, insieme a Giacobbe e al Dio egiziano Bes, che è anche invocato su un'altra iscrizione da Mazzarino, in compagnia dell'egiziano Seth, dello gnostico Abraxas e di un'intera schiera di angeli, alcuni dei quali legati alla tradizione ebraica". Altre testimonianze, sia archeologiche (lucerne e tombe recanti il menorah, il candelabro ebraico a sette braccia) sia epigrafiche (tra cui un'iscrizione datata al 383 d. C.), provenienti soprattutto dalla Sicilia orientale, possono essere messe in relazione con la presenza di comWlità ebraiche nell'isola; nessuna di queste, tuttavia, è anteriore al IV secolo, e rimane pertanto infondata l'ipotesi secondo cui il piu antico cristianesimo siciliano ebbe origine all'interno delle comunità ebraiche dell'isola·". Ma il paganesimo sopravvisse ancora a lungo, e questo sebbene alcuni membri dell'aristocrazia siciliana si fossero convertiti alla religione cristiana, come lo scrittore Firmico Materno, Adelfia e suo marito Valeria, il cui splendido sarcofago in marmo proconnesio, opera di maestranze urbane, fu collocato tra le piu modeste sepolture di altri convertiti nelle catacombe di San Giovanni a Siracusa ..... Al contrario, i mosaici della villa di Piazza Armerina, 41
•
41 s. L. AGNELLO, L'ùcriZùme di Proba, in L. BERNABÒ BREA, Le isole eolie dal tardo antico ai Normanni, Ravenna 1988, pp. 165-70. " s. SCIACCA, Phylakterion con IScrizione magù:a greco-ebraica proveniente dalla Sicilia sudocetdentale, in «Kokalos>>, XXVIII-XXIX (1982-83), pp. 87-104. 41 c. GEBBIA, Comunità ebraiche nella Sicilia imperiale e tardo antica, in ASSO, LXXV (1979), pp. >41-75. Iscrizione del 383 d. C.: CI], n. 65o; G. LIBERTINI, Scritti su Catania antica: scavi e scoperte archeologiche dal 1922 al 1953, a cura di G. Rizza, Catania 1981, pp. 69-78. " s. L. AGNELLO, Il sarcofago di Adelfia, Città del Vaticano 1956; v. TUSA, I sarcofagi romani cit.,
n. 8o.
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con le loro raffigurazioni di Ercole e di Polifemo, e la loro glorificazione delle attività edonistiche, hanno un sapore provocatoriamente pagano", e simile è anche il soggetto dei mosaici della villa di Caddeddi sul Tellaro. L'uso del greco nelle iscrizioni sui mosaici del Tellaro sembra dovuto all'influenza del modello scelto dal mosaicista, piuttosto che alle preferenze linguistiche del committente; ma, d'altra parte, non c'è dubbio che il greco rimase, nella comunicazione quotidiana, la lingua parlata in Sicilia fino alla fine dell'età antica. Le piu grandi città della costa erano quelle maggiormente bilingui e in luoghi come Messina e Catania si trova quasi la stessa percentuale di iscrizioni latine e greche; ma è notevole che le denominazioni delle magistrature greche, quali l' agonotheter o «presidente dei giochi», saltino fuori proprio nella Catania del IV secolo (che pure era una colonia romana), ed è anche piu significativo che, prima della fine del n secolo, la «città e il consilio della gloriosa città dei Tauromenitani» (Taormina) potessero erigere a Roma un'iscrizione, in greco, in onore di una tal signora lallia Bassiana, usando una terminologia che non teneva conto dello statuto e della costituzione romana, di cui Taormina era dotata.... Certamente, ancora nel IV secolo, il consiglio provinciale, che si riuniva probabilmente a Siracusa (la capitale della provincia e la sede del governatore), continuava a deliberare in greco: l'iscrizione greca in onore di un governatore della Sicilia del IV secolo, eretta a Roma dal «consiglio e dal popolo della Sicilia», sembra infatti da attribuire a questa magistratura". Nelle città della Sicilia occidentale le iscrizioni latine sono piu numerose di quelle greche, ma anche a Marsala i parlanti greco erano cosi influenti nel Senato locale da poter erigere, nel quarto decennio del3oo d. C., iscrizioni ufficiali in greco a nome della Baule kai Demos senza citare lo status di colonia romana, come a Taormina un secolo prima". La conservazione della tradizione greca è manifestata anche in altri campi: l'architettura, per esempio, che non fece largo uso dell'opus cementicium cosi diffuso nell'Italia peninsulare ". " G. MANGANARO, Aspelli pagani dei mosaici di Pzazza Armerina, in ArchClass, XI (1959), pp. 24J·j0. "" L. BRUZZA, IscriZione in onore di lallza BaJJia [sic], in BCAR, XI (1883), pp. 137-·H· agiinotheter: IG, XIV, 502 = IGRR, 1, 491 = AnnEpigr, 1959. n. 24; cfr. G. MANGANARO, IscriZioni latine e greche di Catanza tardo-imperiale, in ASSO, LVI (1958), pp. 5-30, in particolare pp. 15-19. Per la percentuale greco/larino: R. J. A. WILSON, Sialy cii., pp. 313-18. " AnnEpigr, r889, n. 17 =TG, XIV, ro78a = CIL, VI, 31961 = ILS, 8843. Cfr. F. SARTORJ, Il commu· neSicilzae ne/tardo Impero, in «Klio>>, LXIII (19ll1), pp. 401-9 (con una leiiura piutlosro differente da quella qui adoiiala: cfr. R. J. A. WJLSON, Sicily cii., p. 383, nora 96). " AnnEpigr, 1966, n. r67; cfr. IG, XIV, 296 (Palermo o Marsala). " R. J. A. WILSON, Roma n architecture in a Greek world: the exemple o[Sicily, in M. 1JENIG (a cura di), Architecture and Architectural Sculpture in the Roma n Empire, Oxford 1990, pp. 67-90. Sulle arri
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A dispetto della sua vicinanza con l'Italia, la maggior parte della Sicilia rimase profondamente greca fino alla fine dell'età antica. Nel giugno 440 il re vandalo Genserico, che l'anno prima aveva conquistato Cartagine, intraprese la prima delle sue numerose incursioni in Sicilia e cinse Palermo di un lungo assedio, durato probabilmente fino all'anno seguente. Il condono fiscale concesso da T eodosio e da Valentiniano alle comunità dell'intera isola, in riconoscimento delle distruzioni operate dai barbari, dà un'idea della gravità di questi attacchi, che continuarono in modo intermittente fino al475. Anche Procopio ci testimonia di una pesante devastazione che colpi un vasto territorio'". Marsala, per la quale non è documentato nessun intervento di restauro delle opere di difesa dal tempo di Sesto Pompeo alla metà del I secolo a. C., subi l'impatto di queste devastazioni: le case scavate a Capo Boeo furono incendiate e mai piu ricostruite, e si arrivò al punto di scavare tombe nelle strade". Ad Agrigento, il cui declino inizia già alla fine del IV secolo, oltre al fatto che aree cimiteriali vennero a occupare spazi un tempo racchiusi dalle fortificazioni, si hanno anche tracce di incendi probabilmente causati dai Vandali; a Catania, la decisione del governatore della provincia di ripristinare le statue degli eroi protettori della città, « quos tulit hostilitas», potrebbe anche essere una conseguenza di un'incursione vandalica". Ancora al v secolo sembra risalire il nuovo muro difensivo di Tindari, eretto con materiale di spoglio dalle rovine di un edificio teatrale, forse piu per prevenire che per reagire a un attacco dei Vandali, in quella parte della città prospiciente il mare dove gli urbanisti del periodo ellenistico avevano considerato le scogliere una protezione sufficiente. Tesoretti di monete del v secolo, rinvenuti a Punta Secca, Comiso, Butera e Lipari, o quelli di argenteria da Canicattini, sono un'ulteriore prova dell'instabilità di quei tempi". Tuttavia, sebbene i siti rurali vicini alla costa meridionale, come Saraceno di Favara, Montallegro e Punta in generale cfr. N. BONACASA, Le arti figurative nella Sicilia romana imperiale, in ANRW, Il, u/1 (1988), pp. 3o6•45· '" Le incursioni dei Vandali sono ricordate nelle Cronache di Cassiodoro e di Prospero, e in PROCOPIO DI CESAREA, La guerra vandalica, 1.5-7; per il condono fiscale, Liber legum novellarum divi Valentini, 1.2. Su questo periodo storico cfr. soprattutto F. GIUNTA, Genserico e la Sicilia, in «Kokalos>>, II (1956). pp. !04-41· " R. J. A. WILSON, Sicily cit., pp. 331-33; tombe di Marsala: ibid., fig. 282. Sulle città della Sicilia in questo periodo storico cfr. G. FASOLI, Le città siciliane tra Vandali, Goti e BIZantini, in FR, OCIXCXX (1980), pp. 95-llO. " Agrigento: R. M. BONACASA CARRA, Architettura religiosa cristiana ci t. Catania: AnnEpigr, 1956, n. 259· H Cinta muraria di Tindari: L. BERNABù BREA, Due secoli di studi, scavi e restauri de/teatro greco di Tindari, in RIA, n.s., XIII-XIV (1964-65), pp. 99-144, in particolare pp. n3, n5 e 42-43 con fig. n5. Tesoretti di monete e di argenteria: R. J. A. WILSON, Sicily cit., pp. 333-34, con bibliografia.
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Secca, fossero pio esposti agli attacchi dei Vandali, ed è possibile che abbiano subito distruzioni, gran parte della campagna continuò in questo periodo a prosperare, come si può dedurre sulla base di un abbondante materiale di superficie trovato in molti siti rurali della Sicilia interna e databile al v secolo. Ciò dà credito al giudizio di Cassiodoro, governatore dell'isola in un periodo compreso tra il490 e il493 d. C., il quale notava un'espansione nel settore agricolo e un incremento della popolazione". Fu solo in tempi molto pio travagliati, quando gli Arabi e i Normanni invasero l'isola, che i centri rurali aperti e privi di difesa furono gradualmente abbandonati per ragioni di sicurezza, modificando cosi quel modello d'insediamento rurale sparso caratteristico della Sicilia tardoromana e bizantina, e sostituendolo con un insediamento a nuclei urbani; ed è quest'ultimo tipo, basato sulla particolare importanza dei centri d'altura, che ha prevalso fino ai tempi moderni. " CASSIODORO, Van'e, ro.2. Per un aumento della ceramica di superficie del v secolo in siti della valle del Belice dr. E. FENTRESS e P. PERKINS, Counting A/rican red s/ip ware, in A. MASTINO (a cura di), L'Africa romana, Atti del V Convegno di studio (Sassari, II-13 dicembre 1987), Sassari 1988, pp. 205-14, in particolare p. 213.
CINZIA VISMARA
La Sardegna e la Corsica
1.
La Sardegna.
L'originalità delle culture che si svilupparono nella Sardegna pratostorica, l'imponenza e il gran numero di testimonianze monumentali della civiltà nuragica hanno da sempre attratto l'attenzione e stimolato l'interesse di quanti abbiano rivolto le proprie ricerche alle antichità dell'isola. È questa la causa principale della scarsezza di studi e ricerche relativi alla regione in età romana: pochi sono i siti e le aree esplorati sistematicamente, ancor meno numerose le pubblicazioni ad essi relative. Per alcune zone le informazioni consistono in notizie vecchie e imprecise, si che oggi è impossibile- o almeno alquanto imprudente- trarre conclusioni di carattere generale sul popolamento delle campagne, l'occupazione del territorio, l'urbanistica'. La casualità delle indagini non consente infatti di avere un quadro diacronico dei modi della romanizzaziOne. Nondimeno ricerche sistematiche iniziate in alcuni siti negli ultimi anni permettono di notare alcuni fenomeni, che sembrano puntualmente trovare nuove conferme. Uno degli aspetti piu originali della cultura nella Sardegna romana è 1 U lavoro di R. J. ROWLAND jr, I ritrovamenti romani in Sardegna, Roma 1981, è stato molto criticato (c. VISMARA, in ArchCiass, XXIV (1982), pp. 248-50; s. ANGIOLILLO, in >, Il, r (r983), HANDINI,
Pp. 99-130; ID., Permanences et mutations des espaces urbains dans !es mlles de l'Afrique nord orientale: de la cité antzque à la cité médievale, in CT, XXXIV fr986), pp. 31-46.
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chia piazza su cui si affacciava il tempio di Liber Pater, fu ingrandito e ad esso venne annesso un mercato, secondo un'associazione frequente soprattutto in Italia, ma non altrettanto consueta in Africa". A Madauro, a Thubursicu Numidarum e a Vazi Sarra vennero costruite, o ricostruite, le basiliche civili, mentre a Thuburbo Maius i Petronii donarono alla città un'ampia palestra porticata. Ma se la promozione pubblica appare in recesso, non altrettanto si può affermare per l'edilizia sacra, che conosce fra la fine del II e il primo venticinquennio del m secolo un periodo di grande attività, secondo le direttive imposte dalla programmazione antoniniana. Anche gli evergeti di età severiana sembrano infatti privilegiare la monumentalizzazione dei luoghi di culto delle divinità di tradizione locale, fenomeno che, anche in questa fase, non sembra doversi interpretare in chiave di irredentismo, bensi piuttosto come una forma di integrazione delle divinità piu tradizionali nel nuovo pantheon. Emblematico in tal senso appare il caso di Dougga: agli inizi dell'età severiana ai margini settentrionali della città, in posizione panoramica di altissima suggestione, su un'altura che dominava l'ampia vallata dello oued Khalled, fu edificato a spese di L. Octavius Victor Roscianus il grande tempio dedicato a Saturno, nel luogo dove già sorgeva un tophet, frequentato fin dal II secolo a. C. La tipologia utilizzata (corte porticata e tre celle situate allo stesso livello) denuncia l'uso di un modello estraneo alla tradizione romana ma già attestato, proprio a Dougga, nei templi di Liber Pater e Mercurio". Al tempo di Severo Alessandro venne costruito, ai margini occidentali della città, al di fuori dell'ideale linea di confine contrassegnata dall'arco coevo, il grande tempio dedicato a Caelestis, a pianta periptera, ubicato all'interno di una corte emiciclica porticata, secondo una tipologia scarsamente attestata. Se è giusta l'ipotesi avanzata da G. Dareggi di ricollegare il santuario alla promozione del culto imperiale, verrebbe confermata la lettura del potenziamento dei culti di tradizione punico-numidica in chiave di integrazione'". Una piu palese connotazione locale hanno invece i Dii Mauri, il cui culto è attestato nella valle della Medjerda dalla stele di Vaga e dalle iscrizioni di Si. Randame e Hr. Negachia, ma anche a Theveste, a Ma18 Cfr. s. SECHI, Fora e macella nell'A/n'ca Proconsolare, in L'Africa Romana, Atti dell'VIII Convegno di studio (Cagliari 1990), Sassari 1991, pp. 345-63. " Sul tempio di Sa turno a Dougga cfr. da ultimo P. PENSABENE, Il tempio diSaturno a Dougga cit. "' G. DA REGGI, Le sanctuaire de Coelestis à Thugga, un témoignage de l'idéologie impériale de l'époque des Sévères, in Carthage el son lerritoire dans l'antiquité, IV Colloque lmernational (Strasbourg 1988), Paris 1990, pp. 198-213.
Ghedini
L'Africa Proconsolare
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dauro e a Mustis, dove il duoviro P. Perellius dedicò loro un tempio". Nell'ambito della monumentalizzazione dei luoghi di culto di divinità con caratteristiche ricollegabili alla religiosità locale possiamo citare anche i templi di Mercurio, sempre numerosissimi. Ed è interessante notare che a Cincari, Thuburnica e Vazi Sarra gli viene attribuito un appellativo, «Sobrio», ricollegabile, secondo Festa 12 , al fatto che al dio veniva offerto latte anziché vino". Tale particolarità, che è forse il ricordo di un rituale greco, potrebbe anche documentare il riemergere di una tradizione penetrata in ambito punico e numidico in età ellenistica. Accanto ai templi delle divinità sincretizzate le autorità municipali, unitamente agli evergeti, non mancarono di promuovere un'edilizia sacra di stampo piu tradizionale, impegnandosi nella costruzione ex nova nonché nel restauro dei templi capitolini e promuovendo l'edificazione di luoghi di culto per gli imperatori (a Sua e a Dougga) e di edifici sacri per le personificazioni delle virtutes imperiali (Concordia a Madauro; le Vittorie a Mustis, a Dougga, a Thuraria e a Thaca; la Fortuna a Dougga e a Hr. Sidi Naoui). Ma illealismo nei confronti della casa imperiale si espresse, come già in età antoniniana, anche con l'erezione di archi onorari (edificati sempre a spese della comunità o di privati): ben sedici in onore dei Severi, contro l'unico di Mustis dedicato ai Gordiani. L'età severiana è contrassegnata anche dall'interesse rivolto agli edifici termali, che vengono costruiti ex novo, come le terme offerte dalla « clarissima et nobilissima l. Memmia » a Bulla Regia, oppure semplicemente restaurati, come a Ippona. La maggior parte delle testimonianze, che provengono ora da siti dell'interno, sono caratterizzate da impianto monumentale e talvolta esemplate sul modello imperiale; la sempre piu generalizzata recezione del costume del bagno rendeva infatti insufficienti le strutture fino a quel momento realizzate. Agli inizi del m secolo appare documentato in due cittadine della valle della Medjerda, Avedda e Cincari, anche un singolare tipo di edificio, il septizonium, che deriva il suo nome dalle sette nicchie che muovevano la sua facciata, all'interno delle quali erano collocate le divinità planetarie, preposte anche ai giorni della settimana, secondo una successione che si ritrova anche nella coeva stele di Vaga. La fortuna di tale tipolo21 Cfr. da ultimo G. CAMPS, Qui sont /es dii Mauri?, in AntAfr, XXVI (1990), pp. 131-,3. " Festa, pp. 296M, 297M. . " Cfr. s. BULLO, Le indicazioni di Vitruvio cit., con riferimenti bibliografici. Nell'articolo si sottolinea anche che potrebbe essere di matrice greca la caratterizzazione del Mercurio africano quale dio de1 confini (cfr. N. FERCHIOU, A propos de trois inscriptions inédites provenant de la Tunisie centrale, in L'Africa Romana, Atti del V Convegno di studio (Sassari 1987), Sassari 1988, pp. 149 sg.).
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I luoghi e le merci
gia monumentale, che non a caso l'africano Settimio Severo importò anche a Roma, conferma l'importanza dell'astrologia in Africa, di cui sono ampia testimonianza in Proconsolare il mosaico di Bir Chana con divinità planetarie e segni dello zodiaco entro un reticolo di poligoni, e quelli di Cartagine (Maison aux Chevaux), lppona, Ammaedara, Dougga, con Aion con l'ellisse zodiacale, tema documentato anche a Silin, in Tripolitania ". In età severiana troviamo anche le prime testimonianze di edilizia privata esemplata sui modelli itali ci e caratterizzata da uno sfarzo che diventerà via via piu evidente. Purtroppo le nostre conoscenze di tali monumenti sono alquanto ridotte, dal momento che scavi e restauri si sono concentrati sugli edifici pubblici. Risultano tuttavia sufficientemente ben leggibili le case di Bulla Regia, fra cui spicca quella della Caccia, articolata attorno a un ampio peristilio con fontana, su cui si affaccia l' oecus. Proprio in questo periodo i proprietari della dimora l'arricchirono di un vasto piano sotterraneo, con un secondo triclinio e camere da letto e da ricevimento, secondo una tipologia e una moda che diverrà tipica dell'edilizia privata del sito". All'apogeo severiano, e agli anni dei Gordiani, fiorenti soprattutto per Thysdrus, capitale dell'olio, che promuove intorno al235la costruzione del piu grande anfiteatro d'Africa e forse del circo, fa riscontro nei decenni centrali del secolo (fra il240 e il286) una sorta di battuta d'arresto, da ricollegare probabilmente alla crisi delle province occidentali che non poteva non riverberare sul commercio africano. Scompare infatti in questo periodo dai mercati mediterranei la sigillata chiara A, prodotta dalle officine del Nord della regione; tuttavia da tale fenomeno non si può affatto inferire che una vera e propria crisi abbia interessato la futura Zeugitana, dal momento che la produzione agraria in queste regioni continuò a essere fiorente. Della ricchezza della zona sono significativa testimonianza l'iscrizione funeraria da Fundus Aufidianus, fatta incidere da una devota moglie al marito, «agricola conductor», che aveva piantato un uliveto, un frutteto e un vigneto in terreni prima probabilmente sterili e incolti, e l'epitaffio del mieti tore di Mactar, che illustra il " Sul septizonium cfr. G. CH. PICARD, Le septizonium de Cincari et le problème des septizonia, in Mon.Piot, LII, 2 (1962), pp. 77-93; P. AUPERT, Le nymphée de Tipasa etles nymphées et septizonia nord a/ricains, Rome 1974; per i riferimenti astrologici nelle stele e nei mosaici cfr. F. GHEDINI, I mosaici con ralfigurazioni zodiacali in Africa Proconsolare, in Archeologia e Astronomia, Venezia 1991, pp. 107-13; per l'astrologia in Tripolitania Id., in Il tempio d'Ercole di Sabratha, Roma 1984, pp. 69 sgg., 159 sgg. " In generale Y. THÉBERT, Vie private et architecture domestique en A/rique romaine, in Histoire de la vie privée, I, Paris 1985, pp. 301-97; sulle case di Bulla Regia A. BESCHAUACH, R.HANOUNE e Y. THÉBERT, Les ruines de Bulla Regùz, Roma 1977.
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sorgere di una nuova classe sociale, arricchitasi proprio grazie al lavoro . lo . agr1co Che non si sia trattato di una vera e propria recessione appare confermato dal fatto che imprese edilizie, se pur ridotte rispetto ai decenni precedenti, non mancano; e basti ricordare, a Dougga, la costruzione delle terme liciniane e del tempio a tre celle di Tellus (ancora una volta una divinità particolarmente cara alla religiosità locale), mentre a Pupput, al tempo di Probo, venne restaurato, grazie all' evergetismo di Coelius Severus, il «forum, vetustate conlapsum, cum aedibus et Capitolio et curia», vale a dire il centro civile e religioso della città. In piena espansione economica si presenta inoltre la futura Bizacena: la sigillata C, i cui centri di produzione sono ubicabili nel Sahel, eredita i mercati della A e ne conquista di nuovi, mentre viene potenziata l'esportazione dell'olio e del garum, come si può dedurre dalla cospicua presenza sui mercati occidentali - ma con attestazioni, sia pur sporadiche, anche in località del Mediterraneo orientale - di anfore Africana I e II, prodotte, com'è noto, nei centri costieri della Tunisia centrale - Hadrumetum, Leptis Minus, Sullechtum, Thaenae - con l'unica eccezione di Neapolis ". 26
5·
IV
e v secolo.
La riforma amministrativa, attuata da Diocleziano, si accompagnò a una intensa attività di restauro degli edifici pubblici (Foro di Bulla Regia, portico e porta di Mididi e Thala) e sacri (tempio di Apollo a Calama, di Ercole a Madauro, capitolium di Thabarka, ecc.), ma il dato piu significativo di tale periodo appare il proliferare dei miliari (66 per cento del totale pervenutoci), dislocati sia lungo le principali vie di penetrazione verso l'interno (16 testimonianze sulla Cartagine-Theveste, 6 sull'Ippona-Theveste, 6 sulla deviazione Sicca Veneria- Thagaste) sia nella zona di confine (30 sulla Capsa-Tacape, 9 sulla Tacape- Turris Tamalleni). L'alto numero di testimonianze non sembra riconducibile, come nelle età successive, a una semplice manifestazione celebrativa nei confronti della casa imperiale, ma deve forse essere messo in relazione con una ve" CL. LEPELLEY, Les àtés cit., p. 35; iscrizione di Fundus Aufidianus: J. PEYRAS, Le Fundus Aufidianus: étude d'un grand domaine romain de la région de Mateur (Tunisie du Nord), in AntAfr, IX (1975), pp. 181-222: epitaffio di Mactar: P. DESIDERI, L'iscriz:one del mietitore (CIL VIII II824): un aspetto della cultura mactan'tana del III secolo, in L'Africa Romana, Atti del IV Convegno di studio (Sassari 1986), Sassari 1987, pp. 137-49, ivi precedente bibliografia. 27 c. PANELLA, Le anfore africane cit., pp. 173 sgg.
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ra e propria operazione di riassetto della rete stradale'". Rientrano invece nel consueto fenomeno di devozione e lealismo gli archi dedicati ai tetrarchi (Sufetula) e i templi per il culto imperiale (Dougga e Thignica). L'età costantiniana è contrassegnata da una sorta di contraddizione 28
Per i miliari cfr. P.
Bornes milliares d'A/nque proconsulaire. Un panorama histortque
SA LAMA,
du bas empire romain, Rome 1987.
Africa Proconsolare e Bizacena: confini politici e principali centri.
i Thagaste ! Thubursi,·u (: Numida.um T~agura ··.... __ .......
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Ghedini
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fra le dichiarazioni trionfalistiche (Costantino è ricordato dalle iscrizioni di Cartagine e Cirta quale « conditor urbis », e analoghe benemerenze sono suggerite da un'iscrizione di Utica) "'e la scarsità di attestazioni epigrafiche relative ad attività edilizia. Le poche testimonianze riguardano soprattutto imprese di restauro di edifici pubblici e di templi. Interessante appare la concentrazione dei miliari su percorsi interni ad alta valenza commerciale: il maggior numero proviene infatti dalla zona Cillium-Theveste-Thelepte, vale a dire da territori a forte produzione olearia. Dopo un periodo distasi (fra il330 e il350) l'attività edilizia sembra riprendere con Costanzo II, grazie probabilmente a quel provvedimento, a noi noto dal Codice teodosiano, mediante il quale l'imperatore concesse alle città d'Africa la restituzione di un quarto dei «vectigalia, ut ex his moenia publica restaurentur )); ed è inutile sottolineare che con la definizione « moenia publica )) non si intendevano le mura, di cui le città della Proconsolare erano sprovviste, bensi, piu genericamente, gli edifici pubblici ••. Liberalità analoghe furono ripetute da Giuliano ", e ciò consenti alle città africane quella notevole ripresa edilizia che è testimoniata dai restauri di templi, Fori, mercati, terme, edifici per spettacolo, operati a spese delle autorità cittadine o di evergeti privati. Non mancarono tuttavia in questo periodo anche nuovi progetti, come il Foro transitorio di Mustis, che venne costruito al tempo di Costanzo II e restaurato sotto Valentiniano e Valente; l'impresa merita di essere ricordata sia perché rientra nel ben documentato fenomeno della moltiplicazione delle piazze pubbliche, iniziato nel n secolo d. C. con il Foro di Thubursicu Numidarum, pure restaurato al tempo di Valentiniano e Valente, sia perché può essere inteso come indice di ricchezza della zona centrale a vocazione agricola e commerciale. D'altronde, com'è noto, è proprio nel IV secolo che ricominciano a essere attive le officine ceramiche della Tunisia settentrionale, fra cui spicca quella di Ariana, nei pressi di Cartagine, le quali producevano la sigillata D, nonché i contenitori cilindrici di medie dimensioni e gli spathia, che invasero non solo i mercati occidentali ma furono esportati anche in Oriente. Il IV secolo è contrassegnato anche da un deciso incremento dell'edilizia privata: la grande ricchezza dell'Africa si traduce in un'intensa attività sia di costruzione ex nova sia di restauro, ampliamento, abbellimento di dimore sempre piu lussuose e riccamente decorate. È dagli ambien" CL. LEPELLEY,
Les citéJ ci t., p.
90.
'" Ihtd., pp. 98 sg. 11
AMMIANO MARCELLINO, 25+15.
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Parte prima
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ti di ricevimento, dai triclini, dai cubicoli delle domus di questo periodo che provengono i grandi cicli musivi, ispirati a temi epici e mitologici (Achille, Ulisse, Dioniso, trionfo di Afrodite) oppure alle attività ludiche quali la caccia (sport preferito dai potentiores) o agli spettacoli dell' anfiteatro e del circo. La maggior parte di queste case sono ubicate all'interno dei centri urbani e sembrano sfatare il luogo comune della fuga verso le campagne dei ricchi aristocratici locali. Certo i mosaici che riproducono architetture immerse nella campagna confermano l'esistenza di ville di cui non si sono ancora ravvisate le testimonianze archeologiche, ma il centro del vivere civile restò comunque la città. Una città che mantenne funzionali per tutto il secolo la maggior parte degli edifici tradizionali: quelli per spettacolo, ad esempio, erano certamente ancora utilizzati al tempo di sant'Agostino, come si può dedurre dall'aspra invettiva che il vescovo di lppona lanciò contro gli abitanti di Bulla Regia che continuavano a frequentare il teatro. Ma il fenomeno deve aver travalicato i limiti dell'età vandala, se dobbiamo credere a una iscrizione di Ammaedara, che ricorda dei ludi offerti nel VI secolo, e ai numerosi mosaici con raffigurazioni di aurighi attestati in questo periodo". Solo in età teodosiana si comincia ad assistere alle prime testimonianze di quel fenomeno della defunzionalizzazione dei templi pagani che diventerà sempre piu incisivo nel secolo successivo: in una iscrizione di Abthugni si ricorda che le celle del capitolium («spatia guae fuerunt vacua») vennero riutilizzate per altro scopo", mentre sant'Agostino ribadisce: « ... simulacrorum tempia in usus alias commutata»"; e il Codice teodosiano riecheggia: « aedificia ipsa templorum ad usum publicum vindicentur » ". Ma la fine del secolo è contrassegnata anche dal progressivo inserirsi nel paesaggio urbano dei luoghi di culto cristiani. L'ascesa della nuova religione, precocemente attestata in Mrica fin dal m secolo, non fu accompagnata da significativi interventi edilizi nemmeno dopo la liberalizzazione costantiniana; i primi edifici cristiani non sembrano infatti databili prima della seconda metà del IV secolo ed è solo nel v che il fenomeno acquisisce incisività monumentale. Le basiliche vennero in genere " Sull'atteggiamento di sant'Agostino nei confronti degli spettacoli cfr. CL. LEPELLEY, Les cités cit., I, pp. 376 sgg.; per l'iscrizione di Ammaedara N. DUVAL, Les inscriptions de la chapelle vandale à Haidra d'après l'abbé Delapars, in BSAF (1969), pp. u8-2o e 125. " Si ricordi che solo pochi anni prima, al tempo di Valentiniano, Valente e Graziano, era stata dedicata sul capitolium di Abthugni, da «Hortensius, ornator patriae>>, una statua della personificazione dell'Urbe: N. FERCHIOU, Un témoignage de la vie municipale d'Abthugni au Bas Empire, in L'Africa Romana, Atti del VII Convegno di studio cit., pp. 753-61. " AGOSTINO, Epistole, 232.22. " Codice teodosiano, r6.ro.r9.
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edificate entro i centri urbani, talvolta proseguendo il processo di defunzionalizzazione di edifici precedenti, sacri o civili", spesso impostandosi anche sopra case private donate alla Chiesa, come a lppona e ad Ammaedara. Non mancano tuttavia testimonianze di costruzioni ex novo anche di grande respiro, come a Theveste, ave la basilica, ubicata in area suburbana, è posta su un alto podio interamente artificiale quasi per sottolinearne la valenza emblematica". Ma proprio questa disparità di situazioni, unita alla sostanziale indipendenza dai modelli romani, comporta di conseguenza una significativa mancanza di unitarietà nelle tipologie, caratteristica d'altronde che abbiamo ritrovato anche nell'edilizia pubblica (Fori, terme) e religiosa (templi) dell'Africa romana.
6. Dall'invasione vandala alla riconquista bizantina. L'età vandala non segna, almeno nella sua fase iniziale, né un regresso né un mutamento. La nuova aristocrazia sembra adattarsi perfettamente allo stile di vita romano", riutilizzando, ave possibile, le strutture edilizie e promuovendo sia restauri sia nuove costruzioni, e non solo in ambito ecclesiastico". Il fenomeno della continuità appare particolarmente evidente nell'ambito dell'architettura privata, per quanto questa può essere ricostruita sulla base del raffronto fra fonti letterarie, tradizione iconografica e resti archeologici«'. Lussorio, ad esempio, parla di dimore con atri, portici e torri, secondo una tipologia caratteristica delle ville tardoromane, a noi note dalla tradizione musiva (mosaici del« dominus Iulius »e di Thabarka). E torri angolari ritroviamo anche nella villa da cui esce un nobile vandalo nel mosaico cartaginese di Bordj Djedid. Possiamo facil"' Il fenomeno è ben documentato negli studi di N. D UV AL, Eglise et tempie en A/rique du nord. Note sur !es installations chrétiennes danr !es temples à cour, in BCTH, VII (1971), pp. 265-96; m., EgliJe etthermes en A/rique du Nord. Note sur !es installations chrétiennes dans !es constructions thermales, ihid., pp. 297-317· 17 Sulla basilica di Theveste cfr. J. CHRISTERN, Dar /riihchnstliche Pilgerheiligtun von Thebessa, Wiesbaden 1976. '" Per la continuità della cultura romana in età vandala cfr. H. LAAKSONEN, L'educazione e la tra.1/ormazione della cultura nel regno dei Vandali, in L'A/n'ca Romana, Atti del VII Convegno di studio cit., pp. 357-61. " Sull'evergetismo vandalo cfr. M. CHALON e altri, Memorabile /actum. Une célebration de l'évergetisme des rois vandales dans l'Anthologie Latine, in AntAfr, XXI (1985), pp. 207-62. "' Per le ville vandale fonti letterarie e iconografiche in J. ROSSITER, Villar vandales: le suburbium de Carthage au début du vi' siècle de no/re ère, in Carthage et san territoire danr l'antiquité cit., pp. 221-27.
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mente immaginare che all'interno di queste lussuose dimore la vita si svolgesse secondo l'impostazione tipica del mondo romano tardoantico. In ambito pubblico invece procede con sempre maggior incisività il fenomeno, già rilevato, della progressiva defunzionalizzazione dei luoghi di culto pagani, talvolta riutilizzati per la nuova religione, come nei templi a corte di Sufetula e Thuburbo Maius, talvolta invece destinati anche a funzioni produttive, come il capitolium di Thuburbo Maius, o il già ricordato tempio di Mercurio a Dougga, in cui alcuni ambienti vennero utilizzati come oleifici. Tale mutamento di destinazione sembra confermare la ricchezza agricola dell'Africa, di cui troviamo ulteriore conferma nelle Tavolette Albertini, che attestano il forte e immutato impegno produttivo della zona fra Capsa e Thelepte, tradizionalmente ricca di oliveti ". Tuttavia è ormai un fatto documentato che nella seconda metà del v secolo inizia una lenta ma progressiva flessione nelle esportazioni: il mercato dell'Urbe dall'invasione vandala sembra ridurre le importazioni di olio, mentre continua ad approvvigionarsi in Africa di ceramica fine da mensa. Inoltre, se si eccettua l'infittirsi dei rapporti con la Spagna, le testimonianze di anfore e di ceramiche fini da mensa vanno sensibilmente diminuendo, dalla seconda metà del v secolo, in tutto il bacino del Mediterraneo, mentre cessa del tutto l'esportazione di ceramica da cucina e di lucerne, già in forte calo nel secolo precedente". Anche le città mostrano, in conseguenza del calo demografico, una contrazione del perimetro urbano, che si manifesta con l'abbandono degli edifici periferici, talora riutilizzati con funzione cimiteriale ". Ma non è questa la sola trasformazione nella fisionomia urbanistica dei centri dell'Africa: si assiste infatti in questo periodo a un sostanziale mutamento dei poli di coesione della vita civile. Emblematico, in tal senso, è il caso di Belalis Maior: il Foro, che ancora nel IV secolo era stato fatto oggetto di restauri e abbellimenti, in età vandala aveva certamente perso la sua funzione originaria di centro civile e religioso dal momento che gli am41 Sulle Tavolette Albertini cfr. c. COURTOIS e altri, Les Tablettes Albertini. Actes pn'vés de l'époque vandale (fin du v' siècle), Paris 19'2; per la coltivazione dell'olio cfr. o. J. MATTINGLY, Olive Cultivatt'on and the Albertini Tablets, in L'Africa Romana, Atti del VI Convegno di studio cit., pp. 403-r'; R. B. HITCHNER, The Organi:r.ation o/Rural Settlement in the Cillium Thelepte Region (Kassen'ne, Centrai Tunisia), ibid., pp. 387·403. Sulla ricchezza agricola dell'Africa nel basso Impero qualche riserva in M. CATAUDELLA, L'economia africana del Basso Impero: realtà di una crisi?, ibid., pp. 373-8,. 42 Per la situazione economica del1v-vu secolo si vedano i contributi di A. Carandini, C. Panella, Tortorella, L. Anselmino, in A. GIARDINA (a cura di), Società romana e impero tardoantico, III. Le merci e gli insediamenti, Roma-Bari 1986. Ulteriori spunti in F. PACETTI e s. SFREGOLA, Ceramiche africane, in L'Africa Romana, Atti del VI Convegno di studio cit., pp. 494 sgg. " Y. THEBERT, L'évolution urbaine cit., p. II7.
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32'
bienti pubblici che si affacciavano sulla piazza vennero riutilizzati come dimore private. In questa fase il nuovo polo di attrazione divenne la basilica cristiana, costruita a nord del sito". Un'ulteriore conferma della defunzionalizzazione degli edifici tipici della città romana (Fori, teatri, terme, ecc.) è fornita dagli interventi urbanistici bizantini, concretizzatisi generalmente nella costruzione di mura, emblematiche piu che funzionali, e di forti e fortini in punti nevralgici della città: spesso tali strutture inglobarono, del tutto o parzialmente, le strutture romane (il Foro a Dougga, le terme a Calama, Mactar, Thubursicu Numidarum, gli archi a Theveste, Thubursicu Bure, Mactar, Ammaedara) certo da tempo non piu utilizzate, come si può dedurre dal fatto che le fondamenta poggiano su uno spesso strato di abbandono". " Per Belalis Maior cfr. A. MAHJOUBI, Permanences et trans/ormations de l'urbanisme a/ricain à la fin de l'antiquité, in 2' Erg. R.M.1982, pp. 76-83; per considerazioni di carattere generale sul fenomeno cfr. Y. TH~BERT, Permanences cit. " Sul significato delle mura c&. da ultimo N. DUVAL, L'état actuel des recherches sur !es /orti/ications de Justinien en A/rique, in XXX Corso di cultura sull'arte ravennate e bizantina, Ravenna 1983, pp. 149·.204.
HENRY HURST
Cartagine, la nuova Alessandria*
Per un lungo periodo l'elogio della Cartagine tardoromana è un motivo ricorrente nei testi degli antichi scrittori. Secondo Erodiano, verso la metà del m secolo, subito dopo Roma, Cartagine rivaleggiava con Alessandria per il ruolo di città piu ricca e popolosa; per Ausonio, un secolo e mezzo piu tardi, era terza, con Costantinopoli al secondo posto; per Salviano, alla metà del v secolo, Cartagine era la Babilonia africana, una sentina di tutti i vizi, che ben meritava la punizione della dominazione dei Vandali, pur continuando anche a essere la Roma africana, un centro di potere e ricchezza, rivale della stessa Roma '. La prosperità e l'importanza di Cartagine, nel corso della tarda antichità, sono testimoniate da molti fattori. Conservò le sue dimensioni, o addirittura si espanse, mentre altre città erano in declino, e fu il centro di una delle regioni piu ricche e piu altamente urbanizzate del mondo antico; sotto i Gordiani e i Vandali, come Carthago Iustiniana, e in qualità di capitale imperiale designata da Eraclio, era ben piu di una città provinciale. Fu un importante centro anche dal punto di vista culturale, come dimostrano le opere di sant'Agostino, le sue arti figurative- soprattutto i mosaici-, e la sua passione per i divertimenti popolari, documentati dagli scritti di condanna cristiani e dall'estrema diffusione di circhi, teatri e anfiteatri. Ma quanto grande e, implicitamente, quanto ricca era ancora Cartagine? La risposta a questa domanda è in grado di influenzare la nostra visione complessiva del mondo romano. Esistevano città romane di secondo rango, (grandi circa la metà o un terzo di Roma) e, dunque, è possibile ipotizzare che ci fosse una stretta relazione tra ruolo economico e crescita delle città? Oppure vi era una divergenza fondamentale con città di * Sentiti ringraziamenti vanno al prof. Keith Hopkins per le utili e stimolanti discussioni avute durante la preparazione di questo testo, e al dott. David Gibbins, per avere letto la prima stesura e avermi suggerito dei miglioramenti. Ogni difetto è da attribuire a chi scrive. 1 ERODIANO, 7.6.r; AUSONIO, Ordo nobi/ium urbium, 2.9-14; SAL VIANO, Jl governo di Dio, 7·13·17· Per un elenco delle fonti letterarie cfr.: A. AUDOLLENT, Carthage Romaine, Paris I9QI, Appendice I; c. LEPELLEY, Les Cités de l'Afnque romaine au Bas-Empire, I-Il, Paris 1979-8I, II, pp. 23-25.
Parte prima
I luoghi e le merci
secondo rango, di gran lunga pio piccole di Roma, cosi da far propendere per un'interpretazione gerarchizzata dell'economia romana? Se Cartagine era una Roma africana, era davvero una rivale per la vera Roma? La risposta potrebbe influenzare l'importanza che attribuiamo all'intero fenomeno africano, nel mondo tardo romano'. Ritorneremo su questo problema nella seconda parte di questo lavoro; la prima parte descrive la situazione di Cartagine tra il III e il vn secolo.
1.
Descrizione: l'età tardoromana.
L'anonima Descriptio orbis terrarum del IV secolo si sofferma sulla splendida pianta di Cartagine (« dispositione valde gloriosissima»), con strade larghe e diritte- che, in una delle due superstiti versioni, sembra fossero persino a tre corsie -, e sulla notevole sicurezza del suo porto '. Anche l'archeologia ha confermato che la sua struttura urbanistica era in effetti impressionante. All'inizio del v secolo c'erano circa 400 insulae rettangolari, ciascuna di 120 x 480 pedes moneta/es (circa 35 x 14I m), divise da strade larghe 24 pedes moneta/es (circa 7 m), disposte intorno all'intersezione del cardo e del decumanus maximus (che erano piu larghi). La parte piu densamente costruita della città era contenuta all'interno di questa griglia, ad eccezione della zona del porto, a sud-est, che aveva una sua propria pianta basata sulla forma dei preesistenti porti punici; tuttavia, sembra che anche qui stiano affiorando tracce di una struttura urbanistica a griglia'. Queste due aree coprivano una superficie 2 Per la legge del rapporto tra rango e dimensione di una città, cosi come viene sviluppata dalla moderna geografia urbana, c&. per esempio B. J. L. BERRY, City size distribution and economie develop· meni, in «Economie Development and Cultura! Change», IX (19fi1), pp. 573-88. Sui meccanismi economici cfr. F. HOPKINS, Mode/, Ships anJ 5tap/es, in P. GARNSEY e C. R. WHITTAKER (a cura di), Trade and Famine in ClassicalAntiquity, Cambridge 1983, pp. 84 sgg. (basato sullo scritto dello stesso autore, EconomicGrowth and Towns in Classica! Antiquity, in P. ABRAMS e E. WRIGLEY (a cura di), Towns in Soàelies, Cambridge 1978, pp. 35 sgg.); viene svolto l'argomento piu persuasivo dell'esistenza di un alto livello di distribuzione commerciale di prodotti alimentari, in tutto il Mediterraneo, e dell'importanza di Cartagine, Alessandria e Antiochia come motori di questo meccanismo. M. 1. FINLEY, The An· denl Economy, Cambridge 1973, e A. 11. M. JONES, The Roman Economy, Cambridge 1974. espongono gli argomenti tradizionali per un alto livello di gerarchizzazione, e della conseguente scarsa importanza del ruolo commerciale delle città. A. CARANDINI, Il mondo della tarda antichità visto attraverso le merci, in A. GIARDINA (a cura di), Società romana e impero tardoantico, III. Le merci, gli insediamenti, Roma-Bari 1986, pp. 3 sgg., è un forte sostenitore del ruolo portante del commercio nell'economia romana, con Cartagine e l'Africa che assumono il posto centrale nel periodo tardoromano. ' c. MULLER (a cura di), Geographi Graeci Minores, Paris 1882, II, pp. 526 sgg. • Per la pianta di Cartagine c&. c. SAUMAGNE, Colonia ]ulta Carthago, in BCTH (1924), pp. 131 sgg., e P. DAVIN, Etudes sur la cadastration de la Colonia julia Carthago, in «Revue Tunisienne» (1930), pp. 73 sgg., poi modificata da 11. HURST, Foutlles britanniques au pori drculaire et que/ques idées sur le
Hurst
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complessiva di circa 321 ettari. La griglia principale si estendeva a est fino al mare e, per un tratto di due chilometri, vi era una terrazza sopraelevata che si affacciava su un lungomare ricavato artificialmente e riparato'. li centro dell'intera pianta era l'antica cittadella di Byrsa, che si ergeva su un'altura di circa 50 metri sul livello del mare. Spianando la cima di questa collina, originariamente conica, e disseminando i detriti, cosi da formare terrazze sorrette da grandi arcate e da volte, venne creato in quest'area un altipiano artificiale di circa 6 ettari. Sulla collina erano costruiti i grandi edifici che ci aspetteremmo di trovare: tra quelli scavati si riconoscono un tempio, un'enorme basilica e un edificio interpretato come il palazzo del governatore''. Verso la fine del 11 e gli inizi del 111 secolo d. C. dobbiamo collocare, all'interno di questa griglia principale, nuove costruzioni: il quarto edificio termale, per grandezza, a noi noto nel mondo romano' e il terzo piu grande circo, solo inferiore al Circo Massimo e a quello di Antiochia', uno dei piu vasti Fori civili con un'ulteriore, gigantesca, basilica (attualmente in fase di scavo, nell'area tra Byrsa e i porti, ad opera di archeologi tedeschi)', un enorme anfiteatro, un teatro e un odeon. Accanto fu realizzato l'antico complesso portuale cartaginese, con il suo monumentale porto circolare, probabilmente usato in questo periodo come centro di raccolta e di trasbordo del grano e dell'olio d'oliva, per l'annona". Nell' angolo nordoccidentale si trovava, forse, il piu impressionante complesso di cisterne sotterranee sopravvissuto dall'antichità, alimentato da un acquedotto che scendeva, per una lunghezza di 50 chilometri, dalle développement de la Carthage romaine, in CEA, XVII (198,), pp. 43 sgg. L'area di 321 ettari è quella inclusa dalle mura del v secolo- con esattezza 334 ettari meno 13 per l'acqua nei porti; per le mura cfr. H. R. HURST e s. P. ROSKAMS, Excavations at Carthage: the British Mission, III, Sheffield 1984, in particolare il cap. 4· ' c. SAUMAGNE, Le« Lungomare» de la Carthage romaine, in «Karthago »,X, (19'9), pp. 1'7 sgg.; R. PASKOFF, H. HURST e F. RAKOB, Position du niveau de la mer et déplacement de la ligne de rivage a Carthage (Tunisie) dans l'antiquité, in «Comptes Rendus de l'Académie cles Science de Paris», serie 2, CCC, 13 (198,), pp. 613 sgg.; F. RAKOB (a cura di), Karthago, I, Mainz 1990, in particolare Supple-
mento 40. 6 J. DENEAUVE, Le tracé monumental de Byrsa à l'époque romaine. Etat actuel des recherches, in CEA, XVI (198,), pp. 89 sgg.; P. GROS, Byrsa III. Rapport surles campagnesde/ouillesde 1977 à 1980: la basilique orientale et ses abords, in MEFRA (198'); per un'importante recensione di questo lavoro cfr. F. Rakob, in «Gnomon>>, LIX (1987), pp. 2'7 sgg. 7 A. LÉZINE, Architecture Romaine d'A/rique, Tunis 1961, pp. 24-2,, colloca le Terme Antonine di Cartagine al terzo posto, per grandezza, dopo quelle di Caracalla e di Diocleziano a Roma, ma anche le Terme di T raiano erano piu grandi; cfr. Roma: Archeologia nel Centro, Roma 198,, II, pp. 467 sgg. . 'J. H. HUMPRHEY, Roman Circuses, London 1986, pp. 296-306 (a p. 303, una capienza calcolata Intorno ai 40-4' ooo posti a sedere). ' F. Rakob, lavoro presentato al III Congresso di studi fenici a Tunisi, novembre 1991, di prossima pubblicazione. Il Foro è localizzato dove suggerivano A. AUDOLLENT e altri, Carthage Romaine eu., pp. 226 sgg., nella bassa piana costiera tra Byrsa e i porti. 10 H. R. HURST, Excavatùms at Carthage, fourth inten'm report, in AntJ, LIX (1979), pp. 19 sgg.
Parte prima I luoghi e le merci
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colline della Tunisia centrosettentrionale". Cartagine era davvero «valde gloriosissima». Al tempo in cui vennero scritte queste parole, il cristianesimo stava 11
F. RAKOB,
Das Quellenheiligtum in Zaghouan und die r6mische Wasserleitung nach Karthago, in
MDAI(R), LXXXI (1974), pp. 4.1 sgg.
Griglia stradale di Cartagine e perimetro delle mura del v secolo d. C.
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Isolotto dell'ammiragliato
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Hurst
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imponendo la sua immagine anche - ed è inevitabie- con la piu grande chiesa basilicale conosciuta nel Nordafrica, destinata a diventare ancora piu grande nel corso del VI secolo (Damous el Karita), oltre che con circa un'altra ventina di chiese, finora note dalle testimonianze archeologiche o documentarie. Molte di queste erano situate ai margini della città Sul limite settentrionale l'area urbana di Cartagine era ancora in espansione. L'intersezione del decumanus VI nord con il cardo IX est, nella griglia stadale della città, per esempio, copre i resti di un edificio del II secolo d. C. il cui orientamento era obliquo rispetto a questa griglia. A un certo punto, presumibilmente quando si cominciò a costruire su vasta scala, anche alle antiche aree suburbane fu imposta la griglia ci ttadina. Circa una mezza dozzina di insulae devono essere state aggiunte nel quartiere nordorientale, non prima del IV secolo u_ La struttura agriglia venne estesa, per la prima volta, nel II secolo, a una zona molto piu vasta, che in tutto raggiungeva forse le 6o insulae e che copriva un'area compresa tra il teatro, l'odeon e il mare, dove sono attestate sepolture del I secolo: ciò significa che quest'area si trovava al di fuori della città originaria, e che comprendeva la striscia di costa a sud delle Terme Antonine, dove erano stati riconquistati nuovi terreni al mare". Queste due insulae sono importanti non solo perché mostrano che la città si stava espandendo, ma anche perché sono una controprova alla teoria, comunemente accettata dalla topografia urbana antica, secondo la quale, se un'area è pianificata in modo uniforme, tale pianificazione è awenuta tutta nello stesso momento. Questa teoria ha dominato l'interpretazione della pianta di Cartagine fin dai tempi della prima ricostruzione della griglia stradale della città, compiuta da Saumagne. ll quadro era reso ancora piu statico dall'errata conclusione cui giunse, derivata essenzialmente dall'osservazione che le insulae coprivano una superficie di due iugera: Cartagine romana sarebbe stata organizzata, come un territorio agricolo centuriato, in centuriae stringatae, e tutto ciò al momento della creazione della Colonia Iulia Carthago, nel29 a. C.". Una gran parte della pianta era sicuramente augustea - il suo orientamento era, però, punico -,ma si espanse nella maniera descritta. Quando questa situazione venne fissata dalla costruzione delle mura tardoromane, nel 42 5 d. C. circa, questa parte pianificata della città aveva confini irregolari. Dobbiamo allora rifiutare sia la tradizionale pianta di Cartagine, rigo11
•
12 L. ENNABLI, Topographie chrétienne de Carthage. L'appor/ de l'épigraphie, in CEA, XVII (1985), pp. 4 3 sgg.; Results o/the Internationa!Save Carthage Campain: the Cristian monuments, in« World Archeology», XVIII (1987), pp. 291 sgg. " H. HURST, Fouilles britanniques cit., p. 149. " lbid., pp. 153-55" c. SAUMAGNE, Colonia Julia Karthago cit.
Parte prima I luoghi e le merci
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rosamente quadrata, con gli angoli tagliati, sia l'impressione, che ne deriva, di una mancata crescita,._
2.
Età vandalica e bizantina.
L'archeologia del periodo compreso tra la conquista di Cartagine da parte dei Vandali, nel439 d.C., e quella degli Arabi, nel698, presenta maggiori difficoltà tecniche, e i dati ottenuti si prestano con minor facilità a formulare generalizzazioni. Tuttavia, sembrano chiari alcuni orientamenti complessivi. n periodo vandalico (fino al533) registrò un declino nel tessuto edilizio di Cartagine, attestato sia dalla forte diminuzione di iscrizioni pertinenti a edifici, fenomeno comune ad altre città africane, sia dalle prove archeologiche che evidenziano l'abbandono di edifici pubblici e privati, soprattutto verso la fine del v e il primo quarto del VI secolo 17 • La seconda categoria di testimonianze contraddice ogni ipotesi che la prima fosse soltanto dovuta all'abbandono della «consuetudine epigrafica», poi abbandonata (e in ogni caso esistono iscrizioni su edifici di età vandalica). La rovina/abbandono degli edifici privati e di quelli pubblici è in realtà attestata, finora, soltanto in un piccolo numero di casi - per essere dimostrata richiederebbe delle analisi stratigrafiche piu dettagliate- disseminati, però, un po' ovunque nella città"; la testimonianza della rovina/ abbandono del porto circolare, al termine di questo periodo", suggerisce un effettivo declino nella vita economica della ci ttà. Allo stesso tempo, un aumento nelle importazioni di beni di consumo, deducibile dai rinvenimenti di anfore, è stato interpretato come indice di carenze nell'approvvigionamento e nella produzione locale'". La conquista bizantina è caratterizzata da una piu intensa opera di riurbanizzazione, evidente in tutti i quartieri della città e in tutte le cate16
Cfr.
H. HURST,
Fouilles britanniques cit., fìgg. 3 (da Saumagne) e 4·
c. LEPELLEY, Les cités cit., e c. COURTOIS, Les Vandoies et l'A/rUjue, Paris19''' per i dati epigrafici; H. R. HURST e s. P. ROSKAMS, Excavations at Carthage cit., cap. ,, per le testimonianze edilizie. " Ai suoi limiti sud-ovest, nord-ovest e nord-est, rispettivamente all'Avenue Bourguiba (ibid.), negli scavi italiani all'incrocio del cardo II ovest col decumanus V nord, e immediatamente a est del car17
CARANDINI e altri, Gli scavi italiani a Cartagine: rapporto preliminare delle campagne 1973·77, in QAL, XIII (1983), pp. 9 sgg.), e la Casa 2 a est del cardo II est e a sud del decumanus VI nord negli scavi canadesi (rapporto preliminare, c. M. WELLS e altri, Canada, Il, in CEDAC, VI (1985), pp. 7 sgg.); nel quartiere sud-est della Casa degli Aurighi greci (J. H. HUMPRHEY, Roman Circuses cit., p. 106). " H. R. HURST, Excavations at Carthage, /ourth interim report cit. 20 M. FULFORD, Potteryand the Economy o/Carthageand its Hinterland, in «Opus», II (1983), pp. 5 sgg.; ma c&. gli inviti alla cautela di c. PANELLA, Le anfore di Cartagine; nuovi elementi per la ricostruzione dei flussi commerciali del Mediterraneo in età imperiale romana, ibid., pp. H sgg., in particolare pp. 62-64.
do maximus (A.
Hurst
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gorie di edifici, dai grandi monumenti pubblici romani, come il circo, la basilica di Byrsa, la basilica del Foro, il complesso portuale in generale, le chiese cristiane, fino agli edifici privati (alcune di queste opere sonoricordate nel De aedi/iciis di Procopio). N o n sarebbe esagerato affermare che questo processo di riurbanizzazione coinvolse l'intera città. La maggior parte delle strade ebbero una nuova pavimentazione, ma vennero anche ridotte di circa la metà, in larghezza, rispetto alle dimensioni romane, spesso a causa dell'introduzione di portici e di altri spazi ai margini delle strade: fenomeno, questo, conosciuto soprattutto nelle città orientali. Senza dubbio questa trasformazione è subentrata gradualmente e in modo irregolare, ma era già consolidata nella riedificazione del VI secolo; alcune strade, poi, vennero chiuse del tutto. La tecnica edilizia predominante continuò a essere I'opus caementicium, con solidi muri: questo significa che venne mantenuta l'altezza degli edifici piu antichi. La Carthago Iustiniana sembra, dunque, essere stata una città di edifici alti come nella precedente città romana, ma con vicoli piu stretti e una pianta meno regolare". Non è stato trovato nessuno spazio urbano in disuso, rispetto alla sua pianta tardoromana; le aree abbandonate nel periodo dei Vandali vennero riportate a una piena funzionalità 22 • La sua popolazione non può quindi essere stata significativamente inferiore a quella del v secolo, e potrebbe anche essere stata piu numerosa. Probabilmente questa situazione non durò a lungo. Il quadro degli inizi del VII secolo non è ben chiaro, per quanto sia improbabile un aumento di popolazione"; verso la metà del VII secolo si registrano segni di una contrazione ai margini della città e di un indebolimento di abitudini a lungo mantenute, come il restringimento delle aree di sepoltura. Le monete di bassa lega devono avere smesso di circolare negli anni sessanta del VII secolo, e il commercio su larga scala di ceramica fine sembra essere cessato di li a poco. All'epoca della conquista araba, nonostante alcune teorie che suggeriscono il contrario, le poche prove che abbiamo mettono in dubbio addirittura che Cartagine fosse un luogo abitato". 21 Cfr. J. H. HUMPHREY, The archaeology o/Vandal and Byzantine Carthage: some recent results, in J. G. PEDLEY (a cura di), New Light on Ancient Carthage, Ann Arbor 1980, e H. R. HURST e s. P. ROSKAMS, 22
Excavations at Carthage cit., cap. 5· Per esempio tutti i luoghi citati nelle note 18 e 19.
" s. ELLIS, Carthage in the seventh century: an expandingpopulation, in CEA, XVll (1985), pp. 31 sgg. Ci sono semplicemente poche prove per sostenere delle generalizzazioni. 24 H. R. HURST e s. P. ROSKAMS, Excavations at Carthage cit.; cfr. anche H. R. HURST (a cura di), Excavations at Carthage. The British Mission, II. The North Side o/ the Circular Harbour (in corso di stampa). G. VITELLI, Islamic Carthage, Carthage 1981. Piu in generale, v. TH81ERT, L'évolution urbaine dans !es provinces orienta/es de l'A/rique romaine tardive, in «Opus>>, II (1983), pp. 99 sgg.
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I luoghi e le merci
3· Dimensioni e sviluppo di Cartagine e sua importanza.
L'evidente sviluppo di Cartagine nel periodo tardoromano, e il mantenimento, forse persino la crescita, delle dimensioni della sua struttura urbana fino al vn secolo - con un possibile calo, non ancora adeguatamente chiarito, nella tarda età vandalica -, avrebbe un tempo potuto stupirei. Ora, però, i dati emersi da un approfondito studio sulla ceramica -vasellame da mensa e anfore- attestano il predominio dei prodotti africani in tutto il Mediterraneo per gran parte di questo periodo"; inoltre, le prove raccolte da ricognizioni regionali, soprattutto in Italia, evidenziano una prospera economia nella regione del Mediterraneo centromeridionale (in Italia da Napoli in giu, in Tunisia nella zona di Cartagine e nella regione di Kasserine) ".La prosperità di Cartagine può essere, dunque, inserita in un contesto piu generale: c'erano differenze regionali e, per un motivo o per l'altro, quest'area godette di condizioni economiche migliori, ad esempio, dell'Italia da Roma in su. Questa è ormai una visione del tutto acquisita, sebbene si discuta molto sul grado di differenziazione (fino ad arrivare ai fondamenti metodologici dell'interpretazione dei dati archeologici di ricognizione) 27 e sui fattori che possono averla influenzata; le opinioni sul primo punto sono infatti spesso dovute a una visione generale del secondo". Se l'evidente prosperità della Cartagine tardoantica ha provocato queste discussioni, le considerazioni sulla sua reale dimensione hanno avuto un ruolo molto minore, forse perché, in opposizione ai precedenti calcoli poco accurati sulle dimensioni della città antica, un naturale buon senso scoraggia qualsiasi tentativo di fare delle stime Z9. A grandi linee, possiaPottery and the African Economy, in P. GARNSEY, K. HOPKINS e C. R. WHITTA· Trade in the Ancient Economy, London 1983, pp. 145 sgg., è un buon punto di panenza per la
" A. CARANDINI, KER,
sterminata bibliografia su questo tema. " J. A. GREENE, The Carthaginian Countrystde: Archaeological Reconnaissance in the Hinterland o/Ancient Carthage, tesi inedita, University of Chicago, marzo 1985. R. BRUCE HITCHNER, The Kasseri· ne Archaeological Survey, r982-r986, in AntAfr, XXIV (1988), pp. 7 sgg. 27 M. MILLETT, Pottery: population or supply patterns? The Ager Tarraconensis approach, in G. BARKER e J. LLOYD (a cura di), Roman Landscapes, Rome 1991, pp. 18 sgg., osserva che, quando la cera-
mica è considerata in un contesto di modelli di rifornimento regionale, può emergere un quadro piu statico del cambiamento insediativo rispetto a quanto hanno suggerito le recenti indagini di ricognizione. " Cfr., ad esempio, le opinioni di A. CARANDINI, Il mondo della tarda antichità cit., e c. R. WHITTAKER, Trade and the aristocracy in the Roman Empire, in «Opus>>, IV (1985), pp. 49 sgg. "' R. DUNCAN-JONES, The Economy ofthe Roman Empire, Cambridge 1982, pp. 259 sgg., in panicolare pp. 276-77, sulla densità abitativa per ettaro, che getta discredito su questo metodo, mettendo a confronto i dati numerici delle città del xrx secolo con elucubrazioni sulla densità delle città antiche.
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mo in realtà stabilire le dimensioni della Cartagine tardoantica dicendo che era piu piccola di quanto si era di solito creduto"'. Questo si può dimostrare combinando insieme tre diversi metodi di indagine. In primo luogo, confrontando l'area urbana con quella di Roma. I 321 ettari contenuti all'interno delle mura della Cartagine del v secolo costituiscono gran parte dell'area densamente abitata della città; gli scavi e le ricognizioni compiuti nelle zone periferiche sono sufficienti per dimostrare che, se pure dovevano esserci ville e chiese suburbane, non si trattava, tuttavia, di un'estensione dell'area altamente urbanizzata; al contrario, i suoi confini erano segnati da un anello di sepolcreti che la circondava da nord a sud-ovest. L'area delimitata dai cimiteri può, dunque, essere distinta dalla penisola di Cartagine, dove senza dubbio c'era un alto livello di popolazione, e che era in gran parte collegata con la città, anche se non contenuta all'interno dei suoi confini ufficiali". Nel caso di Roma, i 1783 ettari, coperti dalle 14 regioni augustee, dovrebbero essere una migliore base di confronto rispetto ai 1373 ettari racchiusi all'interno delle mura aureliane, dal momento che vi era un fitto insediamento al di fuori delle mura. Questo significa che l'area densamente costruita di Roma era cinque volte e mezzo piu grande di quella di Cartagine. Alla stessa densità di popolazione di Roma, accettando per questa città la cifra esageratamente alta, ma convenzionale, di circa un milione di abitanti", si otterrebbero per Cartagine circa 180 ooo abitanti. Questa cifra dovrebbe essere piu bassa, probabilmente, per entrambe le città: per quanto uno possa essere tentato, questa non è la sede adatta per discutere le dimensioni di Roma, ma si può con sicurezza ipotizzare che Cartagine avesse una minore densità di popolazione. '" Soprattutto nella discussione recente da parte di
F. HOPKINS,
Mode!, Ships and Staples cit., p.
H, I (1964). pp. 65-98;
Bacchielli
La Tripolitania
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no a circa 300 chilometri dalla costa, per costruire e difendere le tre grandi fortezze di Bu-Ngem, Gheriat el-Gharbia e Ghadames, dislocate lungo le tre piu importanti piste di collegamento fra l'interno e le città. Nei bacini degli uidian dell'area orientale si costituiscono dei punti di difesa, costruendo fortini occupati da legionari (Gasr Banat, Fascia, Gheria esc-Scerghia), ma, soprattutto, vengono resi piu sicuri gli stanziamenti agricoli, con la costruzione dei caratteristici gsur, le fattorie fortificate che si vanno sostituendo alle precedenti unità abitative rurali. li terzo settore è rappresentato dalla strada dellimes, che congiunge T acape a Leptis: questa viene inserita nel sistema difensivo con funzione di retrovia e munita di fortini in punti strategici (Ain Uif, Si-Aoun). I risultati dell'intera operazione non si limitano al campo militare, ma comportano trasformazioni anche di carattere economico e sociale, come, ad esempio, a Bu-Ngem '. Qui, nel 201 d. C., viene costruita una grande fortezza, circondata da una cinta muraria, che comprende il pretorio, un complesso termale, l'abitazione del comandante, dei magazzini e quattro blocchi di caserme. L'influenza del forte si fa sentire immediatamente, stimolando un rapido processo di aggregazione edilizia e un pronto adeguamento dell'economia locale: attorno a esso si vede crescere in fretta un villaggio di modeste costruzioni e l'allevamento del piccolo bestiame viene sostituito da quello di grossa taglia per soddisfare le esigenze dell'armata. Il coinvolgimento degli indigeni nel sistema di difesa della frontiera è ancora piu vasto e profondo nell'area degli uidian e del Gebel. Qui, con una grande intuizione politica, gli antichi proprietari libo-punici vengono trasformati in «azionisti» dell'Impero, interessati alla conservazione dell'ordine economico romano e alla difesa del territorio. Le loro abitazioni sono le fattorie fortificate, collocate in posizioni facilmente difendibili, circondate a volte da un fossato e costruite con massicci muri di pietra. Gli ambienti di abitazione si raccolgono attorno a una piccola corte; scale in muratura conducono ai piani superiori e cisterne sono ricavate nel sottosuolo. Gli impianti agricoli, frantoi e presse, sono collocati all'esterno del nucleo fortificato. La sistemazione del dispositivo di frontiera comporta anche una maggiore diffusione della cultura romana, che non sarà mai in grado, però, di oscurare completamente quella punica, e determina condizioni di sicurezza che favoriranno un largo benessere, documentato, fra l'altro, dalle dimensioni e dalla ricchezza dei monumenti funerari. Per il resto del m secolo, nell'area gebelica e del predeserto, non si registrano significativi segni di variazione nel quadro politico e socio' Per questa fortezza cfr. le relazioni di R. Rebuffat, in , III-IV sgg.
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Parte prima
I luoghi e le merci
economico e continua pure la costruzione dei forti. Nelle città costiere, invece, alla vivacità di iniziative del periodo degli Antonini e dei Severi segue una stasi edilizia quasi completa e si fanno sentire anche le prime avvisaglie di quella crisi economica che sta investendo tutto l'Impero romano, tanto che, alla fine del secolo, il progetto di costruzione di una serie di botteghe nel recinto del tempio di Liber Pater, a Sabratha, rimane addirittura incompiuto'. Infine il cristianesimo trova nella fascia costiera le ragioni di una diffusione vasta e, almeno dalla metà del secolo, Oea, Sabratha, Girba e Leptis sono sedi vescovili. Due avvenimenti segnano la vita della regione nella prima metà del IV secolo. Nel 303, nell'ambito della riorganizzazione dioclezianea del sistema amministrativo, la Tripolitania diventa provincia, con un'estensione territoriale comprensiva della fascia costiera e della zona interna, che dagli inizi del m secolo dipendeva dal governatore di Numidia. La misura ha, forse, anche l'intenzione di rallentare quel processo di differenziazione fra le due parti che si è già visto affiorare e quella di controllare piu direttamente il sistema di difesa della frontiera, lungo il quale si erano verificate agitazioni che avevano richiesto interventi di repressione. A capo del sistema difensivo viene posta un'autorità specifica, dalla quale dipendono i responsabili dei diversi settori; a integrazione si costruiscono nuovi forti, come Tibubuci, e si inseriscono nel dispositivo torme di cavalleria indigena. ll secondo avvenimento è il terremoto che, fra il3o6 e il310, colpisce la regione. A Sabratha gli interventi pubblici di risistemazione sono ridotti (terme della VII Regio, porticato del tempio di Liber Pater); mentre a Leptis, capitale della provincia, se ne registrano in numero maggiore (Basilica Ulpia, mercato, teatro e basilica del Foro Vecchio, che era stata distrutta da un fulmine). In certi casi- come nelle terme tarde sul mare- traspare dalla progettazione una disponibilità finanziaria insufficiente: lo sforzo pubblico si concentra soprattutto sulla costruzione delle mura, di cui allora le due città vengono cinte per la prima volta, rivelando una situazione politica regionale preoccupante. Di quelle di Sabratha si conserva ben poco; quelle di Leptis consentono, invece, di ticonoscerne un tracciato ampio, che esclude soltanto la zona dell' anfiteatro, una realizzazione che si avvale anche di materiale di spoglio Nell' edilizia privata si registrano ricostruzioni di abitazioni, che iniziano già a invadere la sede stradale e a installarsi, come nel tempio Flavio di Leptis, fra le strutture crollate degli edifici pubblici. 10
•
' PH. M. KENRICK, Excavations at Sabratha '948-195'· Glaucester 1986, pp. 9 sgg. "' R. G. GOODCHILD ej. B. WARD PERKINS, The roman and byzantinedefences o/Leptis Magna,
PBSR, XXI
(1953),
pp.
42
sgg.
in
Bacchielli
La Tripolitania
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Sono tendenze queste che troveranno modo di consolidarsi poco piu tardi, quando il terremoto del 365 si abbatte sulla regione. I danni maggiori sono chiaramente infetti alle città, che vedono cosi accrescersi il loro stato di crisi, comune ormai a tutto l'Impero. Ma sulla crisi agiscono anche altri fattori locali: le incursioni degli Austuriani si riversano violente sul territorio delle città; nell'entroterra, che va assumendo un ruolo e un peso sempre piu determinanti, vengono ormai meno quelle motivazioni economiche che erano state all'origine di una collaborazione anche politica. Inizia un processo di distacco dalle città della costa e di deromanizzazione, di cui diventano i principali ispiratori i Leuathae, una potente confederazione tribale libica. Gli effetti si fanno sentire dapprima nel riemergere della cultura indigena e poi, nei decenni succesivi, in una sorta di autonomia, favorita dalla progressiva riduzione della presenza militare romana nel predeserto. Questa situazione comporta una netta diminuzione di quelle attività agricole e commerciali che erano state i pilastri principali dell'economia delle città e ne rende difficile la ricostruzione. Gli interventi pubblici privilegiano gli edifici civili: a Sabratha, ad esempio, vengono ricostruite la basilica civile e la curia con il suo atrio rettangolare a colonne e un'iscrizione del378 ricorda il restauro di un complesso termale. All'ascesa del cristianesimo si deve, in gran parte, l'abbandono dei templi danneggiati dal terremoto, sostituiti da piccole abitazioni, come accade per il tempio di Serapide e per il capitolium di Sabratha. Nella stessa città l'entità delle distruzioni sconsiglia in certi casi il ripristino degli edifici danneggiati; le zone periferiche sono abbandonate, il teatro si trasforma in una cava di blocchi, aree cittadine diventano luogo di sepoltura. Anche le ville lungo la costa crollano per effetto del terremoto e sui loro resti vengono ricostruiti, con pietrame, piccoli edifici. Gli insediamenti agricoli dell'interno non rivelano analoghi segni di crisi e i rilievi dei mausolei di Ghirza" sembrano quasi illustrare questo nuovo ordine economico, basato su attività di sussistenza (scene di caccia, di lavori agricoli) amministrato dal capo tribu (scene cerimoniali). A Ghirza l'occupazione del sito è attestata dal m al VI secolo, ma la documentazione archeologica ha messo in evidenza che il periodo di maggiore prosperità coincide con il IV e v secolo. L'insediamento comporta la presenza di un villaggio formato da una quarantina di edifici e posto su uno sperone, aree coltivabili nel bacino dello uadi, povere tombe e una famosa serie di mausolei- in gran parte a forma di tempietto su podioche appartengono ai membri delle due famiglie che avevano il possesso " o.
BROGAN
e
D.
J.
SMITH,
Ghirza. A libyan settlement in the roman period, T ripoli
1984.
348
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I luoghi e le merci
del territorio. La cultura dell'insediamento, pur rivelando una serie di rapporti con quella ellenistico-romana, è prevalentemente quella libopunica: alcune dediche sono libiche, il repertorio e lo stile dei rilievi di ascendenza p unica, l'apprestamento cultuale di tipo semitico. Alla fine del IV secolo il cristianesimo è in grado di far sorgere nelle città della costa le prime chiese: due di esse sono costruite su edifici preesistenti a Sabratha, nella zona a nord del teatro; altre verranno edificate nella prima metà del v secolo nelluo_go della vecchia basilica civile di Sabratha e nel Foro Vecchio di Leptis. E di questo periodo la penetrazione del cristianesimo anche nell'area interna " e la carta di distribuzione delle chiese si accorda con il quadro storico-politico che si è delineato. Nel Gebella nuova religione incontra largo favore, mentre nell'area degli uidian orientali la rinascita culturale indigena gli contrappone la forza conservatrice del paganesimo libo-punico. L'isolamento fra la parte interna e quella costiera della Tripolitania diventa ancora piu netto dopo il455, quando i Vandali conquistano la regione, occupandone però soltanto la fascia settentrionale. n sistema confinario si disgrega completamente e le tribu indigene, guidate dai Leuathae, giungono a uno stato di autonomia totale. La riconquista della regione da parte di Giustiniano, nel533 d. C., ricalca i confini di quella vandalica. I Bizantini detengono il controllo della fascia costiera, ma sono costretti a negoziare con le tribu libiche le condizioni di non aggressione alle città. Gli interventi di Giustiniano si sviluppano lungo due direttrici: garantire la sicurezza e propagare il cristianesimo, utilizzato anche come veicolo di diffusione della propria influenza politica. Le città della costa, private ormai del territorio e della possibilità di commerciare, sono circondate da nuove mura, che sostituiscono quelle degli inizi del IV secolo, distrutte da Genserico, e neriducono sensibilmente il perimetro. Le cinte crescono massicce utilizzando materiale di reimpiego, si estendono sulle rovine di quartieri ormai abbandonati, si aggrappano ai grandi complessi edilizi del passato, sbarrano strade anche di grande comunicazione, si chiudono attorno ai porti, destinati ormai soltanto a usi militari. L'attività edilizia produce a Sabratha un nuovo blocco di abitazioni a nord-ovest del tempio di Serapide, ma, in campo privato, sono ancora le «carcasse» degli edifici precedenti, soprattutto dei templi, a richiamare aggregazioni di povere case. L'intervento pubblico è destinato all'edilizia religiosa: si costruisce una nuova basilica a Sabratha, si trasforma in chiesa la basilica severiana di Leptis, si apportano modifiche a quelle precedenti, in conformità dei 12 A. DI VITA, La dt/lusione del Cristianesimo nell'interno della Tripolitania attraverso i monumenti e sue sopravvivenze nella Tnpolitania araba, in QAL, V (1967), pp. 121·42.
Bacchielli
La Tripolitania
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diversi riti liturgici. Modifiche e ingrandimenti alle strutture religiose si registrano anche nell'area del Gebel e Giustiniano riesce addirittura a ottenere la conversione al cristianesimo degli abitanti di Ghadames. La dominazione bizantina dura poco piu di un secolo, perché anche in Tripolitania sopraggiungono, nel643, le armate arabe di Ibn el-'As, che in pochi mesi si impadroniscono della regione.
ELIZABETH FENTRESS
La Numidia
1.
Il quadro geografico.
Con la ristrutturazione operata da Diocleziano, la provincia di Numidia, tagliata fuori dalla vecchia Mrica Nova e divisa in due parti piu o meno uguali, fini per assumere una duplice entità: la Numidia Militiana, con Lambaesis per capitale, costitui la provincia di frontiera, mentre la Numidia Cirtensis, con capitale Cirta, comprese il territorio della confederazione cirteana e quello della colonia di Cuicul, ai suoi confini occidentali. La distinzione in Militiana e Cirtensis venne poi abolita sotto Costantino e Cirta, denominata Cirta Constantina, divenne la capitale dell'intera provincia. Tuttavia la divisione dioclezianea era basata su realtà geografiche oltre che politiche. Dei tratti fisici della provincia è opportuno tener conto. Gli altipiani di Costantina, che occupano la maggior parte della provincia, formano un'unità geomorfologica a sé stante, separata dal mare soltanto dalle ultime pendici della Cabilia. Si tratta di un paesaggio caratterizzato da suoli leggeri e da dolci colline, ideale per la coltivazione frumentaria. Nelle annate piovose i raccolti sono eccellenti, ma possono esservi improvvisi crolli nella produzione quando queste condizioni vengono a mancare. Le colture irrigue sono piu difficili da mettere in atto, ad eccezione di alcune aree molto limitate. L'arboricoltura rimase assai poco sviluppata negli altopiani, limitandosi piuttosto alle montagne e ai loro immediati dintorni. Le città degli altipiani furono, con l'eccezione di Cirta, relativamente piu piccole e disposte piu sparsamente rispetto all' Mrica Proconsularis. Solo Hippo Regius, colonia augustea, e Cuicul, dedotta da Nerva verso il confine occidentale, erano città cospicue. La limitata urbanizzazione della provincia trova una spiegazione soprattutto nella forza centralizzante di Cirta. Inoltre, nella circostanza, la grande disponibilità delle acque provenienti dalle montagne della regione poteva rappresentare un elemento favorevole all'espansione della città. I centri della costa erano per lo piu di origine punica: Rusicade e Chullo vanno considerati fra i porti di un certo rilievo. Nell'entroterra di queste città, ad esempio nel
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territorio di Hippo Regius, si trovavano piccoli villaggi o castella, i cui abitanti ancora nel v secolo parlavano in punico ed erano governati secondo gli usi tradizionali '. Il settore meridionale della provincia, controllata de facto, fino alla fine del III secolo, dal legato della legione III Augusta, aveva al centro la massiccia catena dei monti Aurès, solcata da profonde valli, intensivamente coltivate grazie all'impiego di sofisticati sistemi di irrigazione. Spostandosi lungo le pendici settentrionali di queste montagne si può notare come le città si disponessero lungo la strada militare che collegava Theveste con Mascula e con la fortezza di Lambaesis. La strada girava poi a nord verso Diana Veteranorum e Zarai, situata al confine con la Mauretania Sitifensis. Queste città beneficiavano da un lato di un abbondante approvvigionamento idrico, dall'altro di una politica di urbanizzazione indotta dall'alto: Thamugadi (Timgad), Verecunda, Lambaesis, Diana Veteranorum e forse anche Mascula furono fondate per motivi militari'. L'ondata di urbanizzazione coinvolse persino i villaggi indigeni di queste montagne e molti di questi, come Menaa e Lamasba, raggiunsero lo status di municipio a partire dal III secolo. A sud dei monti Aurès comincia la fascia predesertica, caratterizzata da una serie di oasi collegate dalle piste che discendevano dalle montagne. Alcune di queste oasi nacquero forse per motivi strategici. Le piu grandi, tuttavia, fra cui Negrinensis Maiores e Vescera, sembrano essersi sviluppate prevalentemente per cause economiche'. L'ultima unità geomorfologica da considerare è il bacino dell'Hodna, a ovest dei monti Aurès. Questa pianura circonda un lago salato (sciott), bordato da eccellenti pascoli, frequentati fino a epoche recenti da comunità nomadi che vi svernavano oppure lo oltrepassavano diretti a sud, verso il deserto. Poche oasi si trovavano in questa zona, fra le quali Ngaous, la romana Nicivibus. Il piu grande abitato di epoca romana si trovava attorno al forte di Thubunae (Tobna) e divenne municipio nel III secolo. Nella Numidia meridionale le città erano per lo piu sprovviste di mura. Ciò fa pensare che le popolazioni indigene non rappresentassero una minaccia, neppure nell'area montana. Sulla base della documentazione epigrafica si può ipotizzare che una percentuale consistente di elementi indigeni che aveva fatto parte dell'esercito si fosse ritirata dal servizio militare tornando a vivere nei piccoli abitati da cui era venuta. Qui potevano infatti contare sui risparmi e sui premi avuti al momento del congeau Bas-Empire, Paris 1979-81, l, p. Oxford 1979, pp. 69 sgg. ' Anfore olearie provenienti da Negrine sono state trovate in Sicilia.
1 CL. I.EPEI.LEY, Les cités de l'A/rique Romaine ' E. FENTRESS, Numtdia and the Roman Army,
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do'. I reali motivi di preoccupazione provenivano piuttosto dall'esterno della provincia, identificandosi particolarmente nei raids intrapresi dalle tribu dei Bavari e dei Quinquegentanei, le azioni dei quali provocarono un netto incremento dell'attività militare nella seconda metà del m secolo'. Persino nel IV e agli inizi del v secolo, malgrado la Numidia meridionale fosse una zona di frontiera, l'esercito svolse le mansioni proprie di una forza di polizia locale con siti fortificati e torri di avvistamento sul versante meridionale dei monti Aurès, piuttosto che quelle di una forza armata imponente'.
2.
La documentazione archeologica.
Le fonti archeologiche per la Numidia tardoantica sono estremamente diseguali. Per un verso si dispone infatti delle eccellenti carte archeologiche dell'Atlas Archéologique de l'Algerie, integrato dalle ricerche aerofotografiche piu recenti di J. Soyer ', delle carte topografiche di Thamugadi, Lambaesis, Cuicul, Tiddis e Thibilis ',dei corpora dei mosaici di Thamugadi e Cuicul• e di una documentazione epigrafica particolarmente ricca'". Per un altro verso si lamenta la mancanza di scavi stratigrafici editi. Inoltre, come avviene anche in altri paesi africani, le stratificazioni tarde delle città scavate sono ormai scomparse sotto i colpi di piccone di nutrite squadre di operai. I recenti scavi anglo-algerini di Lambaesis costituiscono da questo punto di vista un'eccezione lodevole, purtroppo inedita, mentre piccole ricerche stratigrafiche sono state condotte sotto la «Casa dell'Asino» a Cuicul da R. Guery e da H. Blanchard-Lemée". Ceramiche di epoca tarda sono state studiate limitatamente a Cuicul e a Tiddis, ma nel complesso l'aspetto delle manifatture locali è ancora da approfondire. n fatto che alcuni, particolari,
' ndibattito sull'argomento in B. SflAW' Soldiers and society: the army in Numidia, in (( Opus >>,II (1982), pp. 133-57; E. FENTRESS, forever Berber?, ibid., pp. 161-75. ' M. BENABOU, La résistance a/ricaine à la romanisation, Paris 1976, pp. 217-27. ' Sullimes, in generale: J. BARADEZ, Fossatum Africae, Paris 1949; Y. LE BOIIEC, La IIIème Légion Auguste, Paris 1989. Le fortificazioni di IV secolo sono discusse anche in E. FENTRESs, s. v. >,in E. DE RUGGIERO (a cura di), Dt:Zùmario Epigrafico di Antichità Romane, Roma 1961, pp. 1376-429. 7 J. SOYER, Les centuriations romaines en Algerie orientale, in AntAfr, X (1976), pp. 107-80. ' Timgad: cfr. c. COURTOIS, Timgad, antique Thamugadi, Alger 1951; Lambaesis: s. GSELL, Atlas llrchéologique de l'Algerie, Alger 1911, f. 27, p. 223; Thibilis: ibtd.; Tiddis: A. BERTHIER, Tiddis, antiquc Castellum Tidditanorum, Alger 1972; Cuicul: P.-A. FÉVRIER, Djemila, Alger 1968. ' s. GERMAIN, Les mosafques de Timgad, Paris 1969; 11. BLANCHARD-LEMÉE, Maisons à mosai'que du quartier centra! de Djemila (Cuicul), Aix-en-Provence 1976. '" Cfr. CL. LEPELLEY, Les cités ci t. 11 fl. BLANCHARD LEMÉE, Maisons cit., pp. 47-60.
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monumenti, localizzati prevalentemente nei grandi centri di culto, siano assai ben documentati, è dovuto al rilievo che una certa archeologia ha voluto dare ai resti paleocristiani dell'epoca tardoromana. Le chiese minori nella N umidia meridionale furono esplorate e disegnate da Berthier e da Frend negli anni '3o; il loro lavoro costituisce una documentazione fra le piu ricche del paesaggio della Numidia tardoromana 11• In conclusione, gli studi archeologici degli ultimi trent'anni in Numidia, soprattutto scavi e ricognizioni, sono andati poco lontano al confronto con altre aree nordafricane, né si parla di awiare altre ricerche nell'immediato. Per questo motivo, le conclusioni che seguono vanno prese con una certa cautela. 11
A. BÉRTHIER,
Les Vestiges du christianisme antique dans la Numide Centrale, Alger 1942.
Pianta schematica di Djemila!Cuicul. (Da
-..... ..
o
H . BLANCHARD-LEMÉE,
Maisons cit.).
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3· Le città.
La frequentazione di Cirta!Costantina, protrattasi nel Medioevo, ha quasi del tutto obliterato le tracce della città romana, sebbene non pochi documenti epigrafici indichino il perdurare dell'attività edilizia cittadina fino alla conquista vandala. Invece si conoscono bene, grazie agli scavi di Y. Allais e agli studi di P.-A. Février e H. Blanchard-Lemée, i quartieri centrali di Cuicul tardoromana u. In questo contesto, come spesso avviene, purtroppo, nella ricerca archeologica, i monumenti che erano centrali, ricchi, cristiani e pubblici sono stati documentati molto meglio rispetto a quelli periferici, poveri, legati al mondo della produzione, privati. Come molte città africane, Cuicul crebbe oltre i limiti originari in età severiana, a un secolo circa dalla sua fondazione. In quella circostanza venne costruito un nuovo Foro fuori dell'antica porta meridionale della città, con un tempio dedicato alla dinastia dei Severi, un portico e un arco trionfale. Questo Foro, grande e arioso, divenne il centro della nuova città, che si espanse rapidamente verso sud. Il periodo del fervore edilizio severiano si espresse anche nell'edilizia privata e nella costruzione delle nuove grandi terme. Nel IV secolo il governatore della Numidia, P. Ceionius Caecina Albinus (364-67) dedicò una basilica e una basilica vestiaria a sud e a ovest del Foro severiano. La basilica vestiaria era stata finanziata da un vir clarissimus del luogo, Rutilius Saturninus, che donò un'altra basilica poco dopo". Un complesso episcopale, eretto probabilmente dal vescovo Cresconius (che partecipò al concilio di Cartagine del 411), si affacciava ~u questo quartiere da una piccola altura 1' . La doppia basilica, fiancheggiata da un battistero circolare e dalla ipotetica residenza del vescovo, forma un complesso imponente. A differenza dei due Fori, situati al centro della vita cittadina, il complesso ecclesiastico dominava la città, fisicamente e metaforicamente. L'edilizia abitativa nei quartieri sottostanti l'episcopato è generalmente di qualità piuttosto bassa. All'interno della cinta muraria piu antica, tuttavia, un quartiere di livello piu alto si era sviluppato attorno al vecchio Foro. Molte domus vennero interamente ricostruite nel IV secou P.·A. FÉVRIER, Note sur le développement urbain en Afrique du Nord. Les exemples comparés de D;émila et de Sétzf, in CArch, XIV (1964), pp. 1·47; H. BLANCHARD·LEMÉE, Maùons cit. 1 ' Una rassegna della documentazione in c. LEPELLEY, Les cités cit., pp. 404·8. 1 ' Una cronologia piii tarda, a suo tempo proposta da P.-A. FÉVRIER, Remarques sur !es mosai'ques de basse époque à Djemila, in BSAF (1965), pp. 85-92, rinvia a un Cresconius del VI secolo, da Cuicul, che prese parte al concilio di Costantinopoli del 553· Questa datazione è tuttavia da respingere sulla base dei mosaici similari, ben datati agli inizi del v secolo, della stessa bottega artigiana trovata a Sétif: Pentress e Mohamedi in E. FENTRESS (a cura di), Foui!les de Sétz/ 1977-I984, Alger 1991.
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lo, inglobando spazi in precedenza occupati da altri edifici". Furono fra venti e venticinque le case che invasero questa zona, caratterizzate mediamente da una superficie di 420 metri quadrati ciascuna. Cinque o sei domus risaltano per la ricchezza dei mosaici tipicamente africani, con colori brillanti e decorazioni geometriche ravvivate da animali e da scene mitologiche. Le case piu ricche, quella «d'Europa» e quella« dell'Asino», ebbero triclinia absidati e terme affacciate sulla strada, cui i clientes potevano accedere. Questo gruppo di case attesta la continuità della vita delle borghesie cittadine nella Numidia del tardo IV secolo. Gli esponenti di rilievo di questa classe, malgrado fossero anche grandi proprietari fondiari, non per questo abbandonavano la città per vivere in campagna. L'edificio piu tardo di questo gruppo, una casa palaziale detta la« Casa di Bacco», si trova lungo il cardine meridionale delle terme ". Il triclinio con piu absidi e il peristilio, aggiunti nel v secolo, fanno pensare allo status sociale del proprietario. E possibile che questa famiglia avesse accresciuto il suo potere grazie al servizio imperiale e raggiunto una posizione eminente nella classe curiale della città. A Thamugadi la situazione è diversa. Anche qui si ebbe un sostanziale sviluppo dei quartieri urbani al di fuori delle mura, iniziato già in età severiana, comprendente il capitolium, i mercati, le terme e un complesso monumentale incentrato su una piscina, detto Aquae Septimianae Felix. All'interno della cinta muraria antica grandi domus presero il posto delle case databili all'epoca della colonia, piu piccole". Va rilevato comunque che le domus prossime al Foro erano generalmente preferite dai cittadini ricchi alle case situate nelle aree di piu recente sviluppo. Come a Cuicul, il Foro continuò a essere il centro della vita cittadina: il prestigio delle abitazioni sorte nei dintorni del Foro ne è la prova evidente. Fra l'altro, un'iscrizione tarda relativa alla ricostruzione di una casa si riferisce all'area della colonia traianea come « umbilicus patria e»". Alla fine del IV secolo la città si estendeva per 70 ettari (una superficie sei volte maggiore di quella della colonia originale). Un quartiere manifatturiero occupava la periferia sudoccidentale. La cattedrale donatista insieme con il battistero e la casa del vescovo sono i segni pio evidenti dell' espansione urbana verso ovest. Nei pressi di questo complesso una nuova, 16
H. BLANCHARD-LEMÉE, Maisons cit., p. 6o. " L'edificio è descritto da J. LASSUS, lA salle à sept absides de Djemila-Cuicul, in AntAfr, V (1971), pp. 193·207, e da H. BLANCHARD-LEMÉE,l.A Maison de Bacchus à Djemila, in BAA, XVII (1981), pp. 131-4'. " Sull'assetto originario di queste insulae: E. FENTRESS, Numzdia cit., pp. 126-30. Sulle case piu tarde: J. LAssus, Une opération immobilière à Thimgad, in Mélanges d'archéologie et d'histoire offerts à IL Piganiol, Paris 1966, pp. rr21-31; s. GERMA1N, Les mosai"ques cit. " BCTH (1907), p. 262; CL. LEPELLEY, Les àtés cit., p. 455·
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grande casa munita di triclinio absidato, di bagni accessibili dalla strada ed enorme sala di ricevimento per i clientes costituisce l'esempio tipico di residenza urbana di tipo palaziale del IV secolo, in cui la vita privata del proprietario era intimamente connessa con il ruolo pubblico dello stesso"'. In un mosaico è raffigurata una divinità fluviale con l'iscrizione « Flumen Vamaccura », riferita alle campagne a nord di Thamugadi, ove il proprietario in questione aveva evidentemente le sue piantagioni ' 1• È il momento di chiedersi che cosa si producesse in queste aziende. 4· Le campagne.
La straordinaria diffusione delle anfore olearie africane dal m secolo in poi è un fatto ormai noto". A partire dalla pubblicazione di H. Camps-Fabrer, L'Olivier et l'huile dans l'A/rique Romaine, si è quasi dato per scontato che l' Mrica non producesse nient'altro. I vantaggi dell'olivo in quanto coltura con una rendita continuata sono evidenti, come si sa, trattandosi di un prodotto di pregio adatto piu di ogni altro a trasporti terrestri su lunghe distanze". Inoltre, per quanto lunghi possano essere i tempi necessari alle piantagioni per poter divenire produttive, la coltivazione non richiede controlli particolarmente assidui da parte del proprietario, il quale può scaricare molte delle responsabilità sui suoi coloni. n numero dei torchi oleari rinvenuti, veramente cospicuo, prova l'importanza della produzione olearia nelle economie del versante settentrionale dei monti Aurès, della zona di Gemellae e delle valli montane. Restano comunque in sospeso alcune questioni: la prima concerne l'inizio dello sviluppo di questa produzione, la seconda il livello della manifattura rurale, che potrebbe sottintendere l'esistenza di grandi aziende con produzione centralizzata in alternativa alle piccole strutture per la torchiatura, afferenti ai coloni. sito di Bir Sgaoun, trentacinque chilometri a sud di Tebessa, è un esempio di grande azienda con sei torcularia concentrati in una sola struttura concepita per questo scopo. La posizione del sito lungo la principale strada romana Theveste - ad Maiores fa pensare che le grandi quantità di olio prodotto fossero destinate al merca-
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20 s. GERMAIN, Les mosai'ques cit., p. ro6, dissente dall'interpretazione dell'edificio come casa privata e lo considera come semipubblico. 21 Ibid., pp. 106-7. 22 c. P A NELLA, Le an/ore africane della prima, media e tarda età imperiale: tipologia e problemi, in Colloque sur la céramique antique de Carthage, Dossier 1, CEDAC, 1982, pp.171-88; ID., Le an/ore tardoantiche, in A. GIARDINA (a cura di), Società romana e impero tardoantico, III, Roma-Bari 1986, pp. 252-72; ID., Merci e scambi in età tardoantica, ibid. " Cfr. E. FENTRESS, Numidia cit., p. r8o.
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esterno. Questo impianto quasi industriale poteva essere parte di una proprietà imperiale oppure centro dell'annona predisposto alla raccolta del prodotto. Nei dintorni non è raro trovare gruppi di due-tre torchi oleari, anche se il rinvenimento piu frequente è costituito da torchi singoli. Sugli altopiani di Costantina il grano rappresentava senz'altro la coltura principale. La maggior parte del prodotto era assorbita dall'annona di Roma. Quanto fosse realmente vantaggiosa questa coltura non è facile dire, considerando la lontananza dei porti di imbarco. Inoltre la scarsità dei si ti urbani riflette la scarsa rilevanza economica dell'area. Infatti gli insediamenti della zona sembrano poco piu che grossi villaggi: a Thibilis gli impianti oleari si trovano addirittura dentro la città, mentre Castellum Tidditanorum pare nel IV secolo il tipico villaggio di ceramisti berberi". Negli altipiani prevaleva comunque un'economia composita, in cui all'agricoltura si sommava Io sfruttamento degli eccellenti pascoli. Un'azienda era chiaramente votata all'allevamento equino: la grande villa parzialmente scavata a Oued Athmenia aveva mosaici con raffigurazioni di cavalli e una grande scuderia". La pastorizia era comunque ancora piu importante, potendo offrire vantaggi potenziali ovvi. Ciò nonostante la romanizzazione del Nordafrica è sempre stata vista come espansione delle superfici coltivate nelle terre prima usate per il pascolo delle pecore e delle capre. In questa visione i nomadi sarebbero stati cosi eventualmente insediati, o cacciati, nel deserto e i pastori transumanti tassati e osteggiati. La geografia del Nordafrica e le potenzialità economiche rappresentate dall'allevamento ovino agli occhi dei proprietari romani dovrebbero una volta per tutte fare giustizia di questa immagine. Se infatti le pendici dei monti Aurès erano particolarmente adatti per l'arboricoltura, lo stesso non può essere detto a proposito delle pianure accanto ai laghi salati. I suoli del bacino dell'Hodna e degli sciott piu a nord, poco indicati per l'orzo a causa della loro salinità e del tutto inadatti per l' olivicoltura e per il grano, offrono altresi un pascolo relativamente ricco, tanto che nel secolo scorso alcune estensioni furono trasformate in pascolo statale per l'esercito francese. La documentazione archeologica relativa alla pastorizia nella Numidia meridionale di età romana non è gran cosa, ma può tuttavia fornire delle indicazioni. L'agro di Diana Veteranorum può essere preso ad esempio in questa prospettiva. Il territorio è ripartito in tre zone: la montagna, le pep.dici, coperte da tracce di divisioni agrarie romane", e le paludi salate. E fondata l'ipotesi per la quale le montagne erano prevalentemente sfruttate per to
" J. LASsus, L'Archéologie algerienne en 1958, in nel IV secolo da parte di alcuni storici, a causa di un'insufficiente lettura dei testi contemporanei; cfr. J. ARCE, El ultimo siglo de la Espaiia romana, Madrid 1986 2, pp. X8 sgg. 16 • Cfr. P. Le Roux, in AEA, LVI (1983), pp. 109 sgg., con tutta la discussione e la bibliografia pert menti.
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Vi è anche un altro documento che finisce per completare il quadro sulla viabilità e il funzionamento del cursus nella Hispania tardo romana. L'iscrizione di Pisidia, citata all'inizio, fa riferimento a un problema capitale che si inserisce nella sfera del cursus publicus. Si tratta dell'obbligo di dare alloggio (mansio in epoca altoimperiale, hospitium in epoca tarda) a governatori viaggianti, a li berti, e- ciò che è peggio e giustificava la legge di Giuliano- all'esercito in movimento. Già nel 59 a. C.Ia lex Iulia de repetundis regolamentava e stabiliva l'ospitalità che i funzionari dovevano ricevere nelle province. Come si può facilmente comprendere, gli abusi erano innumerevoli, fino al punto che già Columella raccomanda di non edificare una villa molto vicino a una via militare: «Le vie militari non devono in assoluto trovarsi vicino agli edifici della villa ... La via militare danneggia gravemente il patrimonio sia per i furti della gente che passa, sia per l'obbligo conseguente di dover ospitare sempre qualcuno». Pertanto Columella raccomanda che la villa sia situata «né vicino alle vie, e neppure troppo lontano da esse» 17 • Questi abusi erano giunti all'estremo nel IV secolo. Ripetute leggi del398, del4oo, del409 e del413 tentano di evitare gli eccessi dell' hospitium. La lettera dell'imperatore Onorio, intorno al418, a un contingente di truppe leali stabilite a Pompaelo è stata considerata un esempio di concessione del diritto di hospitium alle truppe alloggiate di passaggio nella città. Secondo questa interpretazione, la lettera sarebbe una concessione speciale e straordinaria all'esercito di seniores, iuniores, speculatores e Britanni che l'imperatore concede in cambio della loro fedeltà e dei servizi prestati. Secondo una recente edizione e commento della lettera di Onorio, tuttavia, ciò non è possibile, giacché andrebbe contro la stessa legislazione di Onorio, che pretendeva di evitare gli abusi dell' hospitium ". La transitabilità dell'Hispania tardoromana presenta i problemi ca17
COLUMELLA,
Agricoltura,
1.5.2.
" Cfr. H. s. SIVAN, De Laude Pampi/one Hpistu!a, inZPE, LXI (1985), pp. 274-87. Ma io credo che il testo della lettera non rechi implicita l'idea degli abusi, bensi semplicemente della concessione, straordinaria in quest'epoca, dell'hosptiium. Il nuovo editore della lettera interpreta le righe 16 e 17 cosi: «posto che è giunto il momento di vivere e risiedere in un altro posto, dovete partire con prontezza e diligenza, rendendo il dovuto onore a quelli che vi hanno ospitato>>, mentre gli editori precedenti, Jones, Demougeot, interpretavano: H), alloro carattere pagano e, anche, all'idea cristiana di evitare l'abbandono della comunità per molto tempo, cosi come l'invito a dare esempio di moderazione in attività mercantili. Credo di aver identificato un esempio di questi mercati rurali- nella loro materialità archeologica- nell'edificio ottogonalc di Valdetorres deJarama (a 4okm da Madrid e a 25 da Complutum) scavato da L. Caballero, M. A. Elvira e da me. Sul tema cfr. E. GABBA, Mercati e fiere nell'Italia romana, in SCO, XXIV (1975), pp. 14116~ = Del buon uso della ricchezza. Saggi di stona economica e sacra/e del mondo antico, Milano 1988, pp. q~-61; R. MACMULLEN, Market-Days in the Roman empire, in «Phoenix>>, XXIV (1970), pp. 333-41· " Cfr. J. ARCE, Los Mlizarios tardorromanos de Hispania: problemtitica hist6rica y epigrafica, in l::pigraphie hispanique, Paris 1984, pp. 289-90, e P. SILLIÈRES, Les voies de communication de l'Hispanze mérzdionale, Paris 1990. 12 T. F. GLICK, Cnstzanos y musulmanes en la Espaiia medieval (JII-1250), Madrid 1991, pp. 28-29 sgg., con gli interessanti apprezzamenti sul trasporto fatti dall'autore. " Sul tema cfr. D. VAN BERCHEM, Les routes etl'histoire, Genève 1982, in particolare pp. 23 sgg. e li sgg.
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I luoghi e le merci
Le strade e, soprattutto, la loro buona disponibilità sono essenziali per la transumanza degli armenti" e per il trasporto dell'annona, oltre che per il progresso e lo sviluppo delle città; perciò tratteremo brevemente entrambi gli argomenti nell'Hispania del IV secolo d. C.
2.
Imposte, produzione, domanda.
L'Hispania del IV secolo d. C. non pagava regolarmente le imposte. Le province che formavano la diocesis Hispaniarum, come molte altre dell'Impero nel IV secolo, avevano difficoltà a pagare le elevate, continue e cogenti tasse che imponeva il sistema fiscale imperiale. Due leggi del Codice teodosiano del337, dirette al governatore della Betica, gli ricordano che la diocesis non pagava adeguatamente le imposte (« vestes canonicae vel equos»). Nella seconda legge si parla anche del «vestium auri argentique debitum» che si doveva pagare annualmente". È vero che, d'altra parte, gli abusi nella riscossione delle imposte erano continui e insopportabili: lo riconosce una legge inviata, fra il369 e il370 ",a Marius Artemius, vicarius Hispaniarum, il funzionario che compare nell'iscrizione incisa nel modius apparso a Ponte Pufiide, una piccola località dell'attuale provincia della Corufia, l'antica Callecia ". Un rescritto del386, diretto al prae/ectus praetorio per Orientem, deliberava che si dovessero collocare modi di bronzo o di pietra in ogni civitas e in ogni mansio dove si dovevano pagare le tasse". Alcuni ricercatori si sono domandati se questa legge fosse parimenti applicabile alle province occidentali. La presenza del modio di bronzo di Ponte Pufiide, località che pare fosse una mansio, con una iscrizione dettagliata, toglie ogni dubbio: il controllo della collatio si faceva nello stesso modo sia in Occidente sia in Oriente. Difatti non mancano riferimenti simili che testimoniano l'obbligatorietà nella pars Occidentis: una legge del Codice teodosiano del383 ricorda che si devono collocare« mensurae et ponde" Interessanti idee già in J. KLEIN, The Mesta, New York 1964; gli studi sulla transumanza nel· l'epoca romana in Hispania sono inesistenti, al contrario di quanto avvenuto in Italia o in Gran Bretagna. " Codice teodosiano, 11.9.1 (data a Castulo, nel323) e 11.9.2. " Ibzd., 0.26.1 (del369). " Sul modius e la sua iscrizione cfr. R. Ureiia, in BAHist, LXVI (1915), pp. 485 sgg.; E. Michon, in MSAF, LXXIV (1914), pp. 215-312; R. GIL MIQUEL, Madia romano de brance, hallado en Ponte Punide, Madrid 1932; A. o'oRs, Epigra/iajuridica de la Espana romana, Madrid 1953, pp. 65-67; A. CHASTA· GNOL, Les espagno/s dans /'aristocratie gouvernementa/e à /'époque de Théodose, in Les Empereurs ro· mains d'Espagne, Paris 1965, p. 276. " Codice teodosiano, 12.6.21 (del 386); sul tema si veda lo studio particolare di E. TENGSTROM, Bread /or the peop/e, Stockholm 1974.
Arce
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ra» pubblicamente «in singulis stationibus» allo scopo di evitare le frodi1'. L'iscrizione del modio di Ponte Pufiide stabilisce la misura esatta (ro litri) che deve esser rispettata per il pagamento dell'imposta d' accordo con una legge non conservata, di Valentiniano, Valente e Graziano, inviata a Marius Artemius, agente vice prae/ectum, che è colui che la deve attuare"'. Oltre a costituire il modello-campione per la riscossione del frumento, l'iscrizione del modio illustra un altro aspetto importante della vita economica e municipale della seconda metà del IV secolo nell'Hispania: l'esistenza dei principales incaricati di sovrintendere all'adempimento della legge (su questo si veda piu oltre). Complementare a quella del modio di Ponte Pufiide è un'altra iscrizione, proveniente da Oretum,località della regione Tarraconense, oggi vicina a Ciudad Real, sull'altipiano castigliano, che, sebbene inclusa nel Dessau, è praticamente sconosciuta, ma presenta problemi di interesse del tutto particolari". L'iscrizione ci colloca nel processo delle diverse operazioni della collatio che conosciamo abbastanza attraverso le leggi del Codice teodosiano ". n grano riscosso come tassa veniva immagazzinato in horrea o granaria appartenenti al proprietario delle terre. Da questo momento si esigeva dai padroni la tassa corrispondente". Quando il frumento veniva portato negli horrea di ciascuna città, doveva essere immediatamente registrato ... Questi annotatores o scribae registravano le quantità sotto la supervisione dei susceptores. n posto o incarico di scriba durava tutto l'anno fiscale". L'iscrizione di Oretum si riferisce a un horreum costruito 1 ' Codice teodosiano, r2.6.r9. "' Il testo dell'iscrizione è: «Modii Hex) iuxta sacram iussi[on]em dominorum nostrorum l Valentiniani Valentis et Gratiani invictissimorum principum l iubente Mario Artemio v(iro) c(larissimo) ag(ente) vic(ariam) p(raefecturam) cur(antibus) Potanio et Quentiano principalibus». Il modio di Ponte Puiiide ha una capacità di ro litri circa, forse un po' piu del normale: cfr. K. D. WHITE, Farm Equipment o/ the Roman World, Cambridge 1975, pp. r68-7o: la capacità normale era di litri 8,5, sebbene il modio di Northumberland (Carvoran) abbia una capacità di litri rr,337· Né White né altri autorisembrano conoscere quello di Ponte Puii.ide, che oggi è conservato nel Museo Arqueol6gico Nacional di Madrid. Una foto e descrizione in MINISTERIO DE CULTURA, Los Bronces Romanos de Espana, catalogo della mostra, Madrid 1990, p. 340, n. 340. " Cfr. ILS, 59n (Dessau). TI testo dice: «Ex officina Homoni l utere felix Vasconi l in Christo: Proc(urante) Tiberiano l factus est horreus [sic]l , D(omino) n(ostro) Valentiniano aug(usto) l ter et Eutropio v(iro) c(larissimo) l cons(ulibus), scrib(ente) Elefanto l. [magis]t(ris) Vi[taliano] et Neb(ridio) >>. F. Fita, in BAHist, XVIII (r89r), pp. 374-77. Di recente ho visitato la località di Granatula in cerca dell'iscrizione, e l'ho trovata, ma non nella calle del Santo, secondo la descrizione di Fita, bensi murata nei muri della chiesa del paese. La lettura di Fita è corretta (sebbene non si possa dire lo stesso della sua trascrizione). " Sul tema cfr. E. TENGSTRÒM, Bread /or the people cit., pp. 14 sgg. " Codice teodosiano, n.3.4 (del 363): «dominum qui fructus capit, tributa exigi iustum est». . " Ibid., r2.6.r6: . " E. TENGSTRÒM, Bread/or the people cit., pp. 23-25.
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nel 387 (« Valentiniano et Eutropio consulibus »). li dominus, di nome Vasconius, la cui raccolta è benedetta o viene posta sotto la protezione di Cristo, dovette essere il proprietario terriero, probabilmente egli stesso cristiano, che aveva ordinato di costruire il magazzino. Penso che lo scrivente della settima riga, Elefantus, fosse uno degli scribi che aveva il controllo delle misure immagazzinate. Per questo, la riga finale può contenere i nomi dei susceptores. La formula «ex officina Homoni utere felix Vasconi » si trova in altri contesti, sia in piccoli oggetti di uso personale (anelli, piatti, stoviglie) sia in camere o, come nel nostro caso, in grandi edifici ... Ciò è comprensibile e spiegabile trattandosi di un horreum, giacché questo costituisce l'origine della ricchezza del dominus. Credo che in questo caso si possa escludere che l' horreum di Oretum sia un horreum ufficiale o fiscale, dove andava a finire il frumento o il prodotto riscosso per lo Stato, ma che si tratti piuttosto dell'horreum privato dal quale uscirà in seguito la tassa corrispondente", che attraverso le vie contribuirà principalmente al consumo dell'esercito, con ogni probabilità l'immenso esercito di Valentiniano I sparso nellimes europeo, o, eventualmente, della stessa città di Roma. Allo stesso modo in cui l'iscrizione del modio di Ponte Pufiide permette di considerare l'esistenza dei principales delle curie, l'iscrizione di Oretum permette di conoscere meglio l'organizzazione delle curie in epoca tarda nell'Hispania; ma di questi argomenti si parlerà piu avanti. Altri testi consentono di precisare meglio il panorama dell' amministrazione e organizzazione dell'Hispania del IV secolo d. C. La Notitia Dignitatum, mentre specifica l'organizzazione della res privata, presenta, in un ambito generale, la struttura di tutto l' officium corrispondente alla stessa, situando alla testa un vir illustris comes rerum privatarum che, fra altri vari rationales distribuiti nella provincia e nella diocesi, h~ sotto la sua diretta giurisdizione il rationalis reiprivatae per Hispanias. E bene awertire che, d'accordo con i livelli di redazione individuati nella Notitia, questa situazione può corrispondere probabilmente alla seconda metà del IV secolo". L'esistenza di un incaricato speciale per la res privata imperiale in Hispania significa non tanto che l'imperatore aveva nella diocesis Hispaniarum terreni che ricevevano il nome di emphyteuticos, quanto piuttosto "' Cfr. J. ARCE, El mosaico de las metamorfosis de Carranque (Toledo), in MDAI(M), XXVII (1986), pp. 365-74, dove troviamo: « utere felix Materne hunc cubiculum». " In generale, sull'annona e i suoi problemi, o. VAN BERCHEM, L'annone militaire dans l'Empire romain au 3ème siècle, Paris 1937; in generale per gli horrea cfr. G. RICKMAN, Roma n Granaries and Store Buildings, Cambridge 1971 (in panicolare il cap. vm). . 48 Notitia Dignitatum, Occzdentis, 13.12; sul tema A. H .. 'd. JONES, The Later Roman Empire c1t., pp. 412 sgg.
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che era possibile eseguire requisizioni o punizioni, allo scopo di integrare la res privata imperiale". Non disponiamo di documentazione diretta sull'attuazione degli incaricati di questa res privata nell'Hispania; ma indiretta si, perché Arcadia e Onorio, nel395, scrivono al comes rerum privatarum per ordinargli che le proprietà che sono state concesse dall'usurpatore Massimo vengano reintegrate nella res privata; ed è da supporre che parte di questi benefici danneggiarono i suoi componenti, posto che Massimo ebbe sotto il suo potere la diocesis Hispaniarum, creando in essa una nuova provincia, alla quale allude l'iscrizione commentata di Siresa "'. Assieme al rationalis rei privatae per Hispanias la diocesis Hispaniarum contava su un rationalis summarum dipendente dal comes sacrarum largitionum, massima autorità incaricata delle finanze dell'Impero ". I rationales summarum erano le persone espressamente incaricate della riscossione di imposte e tasse per conto dello Stato". Abbiamo già visto come alcune leggi del Codice teodosiano ingiungessero agli abitanti delI'Hispania di pagare le imposte in vestes canonicae, in cavalli e in oro e argento". Il rationalis summarum si trova dunque alla fine del processo dei contenuti sia del modio di Ponte Puiiide, sia dell'iscrizione di Oretum. Un altro sistema per riscuotere le tasse avveniva attraverso le multe che per diverse infrazioni venivano inferte e che dovevano andare a finire o all' officium del comes sacrarum largitionum o all' officium della res privata. Gli esempi di abusi nella riscossione delle imposte inondano le fonti tardo romane e la letteratura dell'epoca. L'Hispania non fu un' eccezione. I discussores, nel loro compito di indagare sulla remissione delle tasse per lo Stato, a volte commettevano abusi o «errori involontari». Per porre rimedio a questi fatti in Hispania, la legge II.26.1 del Codice teodosiano ricorda al vicarius Hispaniarum Artemius che, se si fosse provata in un giudizio la falsità dell'indagine, il discussor avrebbe dovuto es" F. MILLAR, The Privata /rom Diocletian to Theodosius: Documentary Evidence, in Imperia! Ret•etme, Expenditure and Monetary Policy in the Fourth Century A.D. (BAR Suppl. 1976), Oxford 1980, PP- 128 e 132. "' Codice teodosiano, 15.14.10; F. MILLAR, The Privata cit., p. 130; J. R. PALANQUE, L'Empereur Maxime, in Les Empereurs romains d'Espagne cit., pp. 255-63; CIL, Il, 49u (iscrizione di Siresa dove si parla di una «nova provincia maxima») con il commento di J. ARCE, El ultimo siglo cit., pp. 43-44. " Sul comes sacra rum largitzonum si veda J. P. c. KENT, The "comes sacrarum largitionum", in E. c. nonn (a cura di), ByxantineSilverStamps, Washington D.C. 1961, pp. 35 sgg.; e ora R. DELMAIRE, Largenes sacrées et Res privata, Paris 1989. " Notitia Dignitatum, Occidentis, n.17; A. H. M. JONES, The Later Roman Empire cit., pp. 427 sgg. " Codice teodosiano, 11.9.1 e 11.9.2, con A. 11. M. JONES, The Roman Economy, Oxford 1974, pp. 35o sgg. (trad. it. Torino 1984). Alcuni autori spagnoli, , come vengono definiti in certi ambienti adulatori, hanno dedotto da queste leggi l'abbondanza di produzione di vestiario o di tessuti nell'Hispania nel Iv secolo, il che, ovviamente, è un'interpretazione abusiva ed esattamente contraria a ciò che dicono i testi cui si è alluso.
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sere costretto a pagare la stessa somma che pretendeva che pagasse la persona falsamente accusata. Nel rv secolo d. C. bisognava produrre sia per rispondere all'opprimente domanda statale di tasse e imposte, sia per la propria domanda interna: consumo alimentare, stoviglie e contenitori, oggetti diversi, che comportavano un'industria artigianale diversificata. La diocesis Hispaniarum godeva nei testi dei poeti di una fama stereotipata che risaliva a epoche molto anteriori, ma che veniva continuamente proclamata, fino ad essere cristallizzata in quelle che si sogliano chiamare laudes Hispaniae ". In effetti, le informazioni degli archeologi dimostrano che le miniere ormai non venivano piu sfruttate. Secondo C. Domergue, le rovine della regione di Valduerna, che era inclusa nella Callecia tardoromana, non vennero utilizzate oltre il rr secolo d. C. ". In un altro studio circostanziato lo stesso Domergue riconosce che lo sfruttamento delle miniere del Nordest non va oltre l'anno 200, a causa sia della mancanza di manodopera, sia dell'esaurimento del minerale ••. D'altra parte bisogna considerare che le monete d'argento e d'oro costituivano, come si sa, l'elemento principale per pagare il donativum all'esercito e per le imposte". Oro e argento, praticamente, sono assenti dalle riserve ispaniche; tuttavia, le imposte devevano essere pagate in questi due metalli. L'Hispania, come abbiamo visto, non riusciva a pagare l'imposta in moneta: la legge 11.9.2 del Codice teodosiano lo ricorda. Alcune assenze significative nei documenti, anche considerando lo scarso valore dell' argumentum ex szlentio, possono non essere meramente accidentali o congiunturali. Ad esempio: per l'Hispania, la Notitia non registra un comes metallorum, come fa, per esempio, nel caso dell'illyricum ".Questo comes era l'incaricato statale che sovrintendeva alle miniere o agli sfruttamenti minerari. La sua omissione per l'Hispania sarebbe perfettamente giustificata. Secondo esempio: la Notitia non menziona neppure un comes thesaurorum nella diocesis. Le sacrae largitiones disponevano nelle province di una serie di thesauri o depositi dove venivano immagazzinati l'oro, " CLAUDIANO, Lode di Serena, H-5' «Gallaecia, pretiosa metallis, principibus fecunda piis». " Cfr. c. DOMERGUE, Minas de Oro Romanas de la Provincia de Le6n l-II, Madrid 1977; c. ooMERGUE e G. H ERA IL, Mines d'or romaines d'Espagne, Toulouse 1978, pp. 4-15 e 28o; cfr. anche JD., Les mines de la Péninsule Ibérique duns l'Antiquité romaine, Paris 1990. 6 ' Cfr. c. DOMERGUE, lntroduction à l'étude des mines d'or du Nord-Ouest de la Péninsule Ibérique dans l'Antiquité, in Legio VII Gemina, Le6n 1970, pp. 279 sgg. E un'altra segnalazione recente giunge alle stesse conclusioni: non oltre il 200 (cfr. R. G. JONES e o. G. BIRD, Roman Mining in North West Spain, II. Working al the Rio Duema, in JRS (1972), pp. 62-74. " Cfr. J. P. c. KENT, Gold Coinage in the Later Roman Empire, in Essays ... Mattingly, Oxford 1956, pp. 190-209, e J. ARCE, Un conjunlo de monedas del Ba;o Imperio hallado en Ctistulo, «Castulo» II, Madrid 1979, pp. 283 sgg. " Notilia Dignilalum, Orienlis, 13.n.
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l'argento e altri beni. Gli incaricati della loro organizzazione, amministrazione e distribuzione erano i praepositi thesaurorum che troviamo registrati nell'Illyricum, a Roma, Milano, Lione, Londra, ecc. A. H. M. Jones pensava che la mancata menzione nella diocesis Hispaniarum fosse meramente accidentale". Ma sappiamo che l'Hispania non ebbe una zecca per coniare moneta per tutto il corso del IV secolo. Nella riorganizzazione amministrativa di Diocleziano, la diocesis non entrò mai nei suoi calcoli a questo proposito: è un fatto significativo. M. Hendy ha enfatizzato questo dato e ha concluso che la produzione di moneta nel IV secolo non era qualcosa di arbitrario e indiscriminato, ma che, al contrario, era in relazione sia con il sistema amministrativo fiscale sia con l'importanza dell'insediamento militare in una determinata regione. Solo in terzo luogo sarebbe stato determinato da ragioni politiche"'. n motivo della sua assenza nell'Hispania era indubbiamente dovuto al fatto che in essa non ci fu mai un forte contingente di truppe stanziali, come si vedrà piu avanti. Ciò non vuol dire, tuttavia, che la moneta non circolasse nell'Hispania; al contrario, a volte circolava abbondantemente. L'Hispania si nutriva del numerario emesso da altre zecche, spesso da quelle vicine della Gallia, Lugdunum e Arles, in qualche caso anche da quelle orientali.,_ Nell'ambito territoriale della diocesis Hispaniarum non c'erano fabricae né stabilimenti di produzione, come avveniva in altri luoghi e come testimonia la Notitia Dignitatum. Esisteva un enigmatico procurator baphii insularum Balearum, che dipendeva, anch'egli, dal comes sacrarum largitionum'''. Possiamo sapere quando avvenne questa nomina, almeno in forma approssimativa. Nella relazione delle province della diocesis che ci trasmette il Breviarium di Festa, finito di redigere nel369/370, le isole Baleari non compaiono come facenti parte della diocesis. Nel Laterculus Polemii Si/vii e nella Notitia Dignitatum, entrambi i documenti, datati intorno al4oo, compaiono già; quindi il procurator baphii fu creato fra le due date"'. I baphia o textrina sono in rapporto con l'industria della tintura dei tessuti, e i primi precisamente con quella della porpora, colore che, per il significato simbolico (il paludamentum dell'imperatore era di porpora), " A. H. M. JONES, T be Later Roman Empire cit., pp. 428-29. 60 M. HENDY, Mini, Fiscal Administration under Diocletian, bis Colleagues and bis Successors, 305~24, in JRS, LXII (1972), p. 81. ''' Cfr. J. ARCE, Un conjunto de monedas ci t., pp. 283 sgg.; si veda inoltre J. J. CEPEDA, Moneda y circulaci6n monetaria en el Pais Vasco durante la Antigiiedad (s. JI a. C. - v d. C.), Bilbao 1990.
" Notitia Dignitatum, Ocadentis, 11.71. . " Questo dato sicuro coincide con l'impressione generale formulata prima, che la situazione che nflette la Notitia si riferisca alla seconda metà del1v secolo.
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acquisisce nel IV secolo un carattere speciale, fino al punto che il controllo della sua produzione passò sotto la supervisione dello Stato'~. Non sappiamo come poteva essere organizzata l'industria della tintoria che la Notitia ricorda nelle Baleari, e neppure abbiamo la certezza che una simile industria fosse per forza installata li. Nella Notitia si parla solo del procura/or che poteva aver li la sua base o la principale sede di controllo". Comunque sia, giacché la porpora si estraeva dal murex, secondo la vecchia tradizione fenicio-punica, le Baleari sembrano un posto adeguato. L'archeologia, che io sappia, non ha sinora rivelato nulla su ciò che si riferisce a un'istallazione di questo genere nelle isole. Lasciando da parte l'ambito della produzione statale, risulta difficile, per la mancanza di studi esaustivi, riferirsi alla produzione in generale della diocesis, molto diversa e diversificata. Prima di tutto, è opportuno riferirsi, seppure solo brevemente, a due testi indicativi. L'Edictum de pretiis, promulgato nell'ottobre del301 dall'imperatore Diocleziano, in rari casi si riferisce all'Hispania, ai suoi prodotti o alle sue relazioni commerciali con altre zone dell'Impero"''. Il riferimento esplicito a prodotti importanti e noti della penisola è solo al cosiddetto «prosciutto cerretano» e alla lana delle Asturie, grezza e lavata: tutto qui, in questa specie di lista di prezzi e di prodotti che è l'Edictum. Sorprende l'assenza di riferimenti a porti spagnoli. E di questi prodotti, nella tariffa di prezzi che viene aggiunta, non si notano costi elevati: al contrario, la lana della diocesis occupa l'ultimo posto in rapporto alle lane di altri paesi, una libbra di lana vale 100 denari. Per quanto si riferisce al trasporto, l' Edictum fa solamente capire quali sono le tariffe del trasporto fra una località e le diverse province, espresse in rapporti di valore unitari di un modio militare: dall'Oriente all'Hispania, la tariffa per una quantità equivalente a un modio militare era di 20 denari, se la destinazione era la Tarraconense; se era la Betica, 22; la Lusitania, 26. Tuttavia, dall'Africa all'Hispania, l'imposta (naulum) era solo di 8 denari per modio militare, mentre da Roma alla penisola il naulum era di IO denari ". Questa tariffa risultava molto elevata in confronto a quella che si applicava ad altri trasporti destinati ad altri luoghi. L'Italia e l'Africa sembrano le principali fornitrici dell'Hispania, ma, da parte della diocesis, non "" Cfr. M. REINHOLD, The Purple as Status Symbol in Antiquity, Bruxelles 1970, pp. 62 sgg. " Cfr. A. BALI L, Una industria estatal en la Hùpania del Bajo Imperio, in «Buletin de la Camara oficial de Comercio, Industria y Navigaci6n de Palma» (1965), p. 8. "' Edictum de Pretiis, 4.1., 4.8, 25.1, 25.7, 35.15-17, 35.28, 35.35, 35.67-69. Sul tema cfr. J. Arce, in «Hispania>>, XIV (1979), pp. 5-25. 67 J. ARCE, El« Edictum de Pretiis » y la« Diocesis Hùpaniarum », ibid., XXXIX (1979), pp. 5-25, e J. VILELLA, Recerques sobre el comerç Baix-Imperial del Nord-Est de la P. Iberica, in , XIXXX (1983-84), pp. 191 sgg.
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sembra venir evidenziata, almeno nel testo dell'Edictum, alcuna contropartita. Anche nel caso che, come alcuni hanno sostenuto, l' Edictum fosse stato promulgato solo per le province orientali (il che è impreciso, giacché la prefazione dell'Edictum parla della sua universalità), i riferimenti all'Hispania sono stranamente rari. Piu ricca di notizie, sebbene forse di minor valore per lo storico, è I'Expositio totius mundi et gentium, scritta nel359 da un commerciante orientale che non aveva visitato le province occidentali dell'Impero"'. Nonostante il suo piu recente editore qualifichi l'Expositio come «l'unico documento letterario di tipo economico del IV secolo», per quanto si riferisce all'Hispania" i suoi dati si inseriscono chiaramente nelle tipiche e topiche laudes Hispaniae, di ormai lunga tradizione, eccessivamente dipendenti le une dalle altre. Il testo dice che« dopo la Gallia viene l'Hispania, terra estesa, grande e ricca, dotata di uomini saggi e di tutti i beni; preminente per tutti i suoi prodotti commerciali, dei quali enumereremo alcuni: è terra che esporta olio, salsa di pesce, vestiti diversi, carne porcina salata e cavalli, e che rifornisce di questi prodotti tutto il mondo». Menziona poi lo sparto come prodotto indispensabile per il commercio, a causa del suo uso nella preparazione delle navi; e conclude, nonostante la serie laudativa, affermando che l'Hispania sembra debole a molti, segno evidente che tutta la precedente enumerazione non è altro che una serie di luoghi comuni di lunga tradizione letteraria che l'autore ha ricavato dalle sue fonti d'informazione. Come punto di riferimento informativo per la produzione, l'enumerazione dell' Expositio può servire per comprendere in modo generico non tanto il commercio o gli oggetti di commercio, ma piuttosto la produzione annonaria riscossa dalla provincia. Inoltre va tenuto conto delle varie sfumature e dell'evoluzione dei fatti, che faceva spostare molto rapidamente l'asse delle relazioni. Cosi l' oleum può trovarsi in certa misura tra quella produzione annonaria, come pare venir testimoniato nellimes della Germania attraverso i frammenti di anfore, dalle date imprecise e varianti. Ma certamente i livelli di produzione erano scesi notevolmente, e il loro centro di produzione era stato sostituito da altri luoghi. La stessa Expositio mette ben in chiaro che a metà del IV secolo la principale produttrice ed esportatrice di olio era l'Africa e non l'Hispania ~'. Questo dato è confermato da una notizia di Simmaco che riflette come nel384f385 a Roma si attendesse '~ Seguo l'edizione di]. Rougé per le Sources Chrétiennes. "' Expositio lotius mundi et gentium, 59· '" lhid., 6J.
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l'olio dall'Africa e non dall'Hispania. A Roma mancava l'olio e Simmaco si rivolge agli imperatori: «inviate quanto prima messaggi imperiali ai funzionari africani affinché si affrettino a mandare ai magazzini romani le quantità riferite»". Si tratta, come nei casi delfrumentum che analizzerò piu oltre, sempre di casi eccezionali, sostitutivi, occasionali; mai di una norma. I bei tempi degli Antonini e dei Severi erano passati. Apparentemente, l'archeologia sembra smentire questa affermazione. La presenza della forma di anfora Dressel 20 nei livelli tardi delle terme del Nuotatore, a Ostia, non contraddice necessariamente questa opinione, come la stessa C. Panella si vede costretta a riconoscere". D'altra parte, la Panella fa un trattamento delle fonti sull'olio in epoca tarda ben poco convincente e fuori dal contesto reale. Una volta di piu, accumulazione non è dimostrazione 7J. D'altra parte, bisogna ricordare - e questo vale anche per quello che sto per dire sul frumento- che, per l'Hispania, l'anno 324 segna l'ultima menzione esplicita di onera /iscalia, come ha giustamente sottolineato D. Vera", per i quali gli armatori (naviculariz) ispanici erano costretti a eseguire trasporti a Roma per conto dello Stato". Questo fatto è confermato da un passo di Cassiodoro, opportunamente ricordato dal Vera, nel quale si dice che Teodorico ristabili l' antiquum vectigal dell'Hispania, sebbene solo transitoriamente". Con il frumentum, imposta tradizionalmente fiscale delle province ispaniche fino al IV secolo, avviene qualcosa di simile a quanto ho detto a proposito dell'olio: se si esporta a Roma come obbligo annonario, è sempre in situazioni d'emergenza, sporadiche e puntuali. Viene spesso ricordato che quando ebbe luogo la rivolta di Gildone in Africa, alla fine del IV secolo, la città di Roma rimase, come conseguenza del controllo dei porti nordafricani da parte dell'usurpatore, senza il rifornimento normale e regolare. Per coprire il deficit venne trasportato frumento dall'Hispania ". Si è voluto a volte vedere in questa notizia il persistere dell'importanza frumentaria della diocesis. Credo si tratti piuttosto del contra71 SIMMACO, Relazioni, 35: « ut quam primum iudices A&icanos su per hac specie Romanis horreis inferenda divi nus sermo destimulet >>, con il commento di D. VERA, Commento storico alle« Relationes » di Q. A. Simmaco, Pisa 1981. 72 Cfr. c. PANELLA (a cura di), Ostia IV, StudMisc, XXIII (1976), pp. 134-37; si veda ora in A. GIARDINA (a cura di), Società romana e impero tardoantico, III, Roma-Bari 1986, pp. 21 sgg. (contributo di C. Pannella) e p. 45 (Panella e altri). 71 Si veda la mescolanza di dati, di epoche tanto diverse e di significati differenti in c. P AN ELLA (a cura di), Ostia IV cit., p. 136, e il mio articolo che porta rettifiche in ZPE, LXI (1985), pp. 30-32, sebbene alcuni archeologi spagnoli si ostinino a non leggere. 14 D. VERA, Commento cit., p. 287. " Cfr. Codice teodosiano, 13.5-4 e 13-5.8. 76
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CASSIODORO, Varie, CLAUDIANO, Contro
5-35· Eutropio,
I. 389-409.
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rio: il fatto indica quanto anormale, sporadica e forzosa fosse l'importazione di frumento proveniente dall'Hispania e, al tempo stesso, la dipendenza e la consuetudine del traffico di frumento fra l'Africa e Roma". Dei cavalli bisogna sottolineare piu la loro fama, come per quelli di T racia, che la loro importanza «economica». Costituivano un regalo apprezzato ed esotico, e intorno a essi si sviluppò un'industria locale e artigianale del bronzo che non presenta nulla di eccezionale rispetto ad altre province". L'impressione generale che si ricava dall'analisi dei testi e dall'evidenza archeologica è che la diocesis Hispaniarum, soprattutto nel IV secolo d. C., si autoapprovvigionava mediante svariate industrie di produzione locale: ceramiche, oggetti di metallo, pugnali da caccia, un' agricoltura di sfruttamento che, sebbene non sufficientemente studiata, doveva essere fondamentalmente destinata al consumo locale. Le imposte si pagavano a caro prezzo. Era zona di latifondi e di sfruttamento agricolo a vantaggio delle aristocrazie locali o degli alti funzionari: a questo proposito, ricorderemo piu avanti i possedimenti della famiglia teodosiana nella penisola. I poeti e panegiristi ripetono i loro versi topici del passato, ma si tratta di lodi, non possono venir presi in considerazione dallo storico dell'economia. Pacato Drepanio, il panegirista di T eodosio, tesse un elogio della patria del venerato imperatore. Parla di« egregias civitates », di abbondanza di frutti e della ricchezza dei suoi fiumi, riallacciandosi all'antica tradizione dell'aurt/ex Tagus. Tutto suona falso; tutto è eccessivamente impregnato di falsa retorica, e in ogni verso si scopre Virgilio o Lucano"'. Appare significativo che Giuliano considerasse l'Hispania come la terra dell'esilio del re alamanno Vadomario, quasi fosse una di quelle regioni lontane e inospitali dove venivano inviati i proscritti in epoca tarda. Le città conobbero un certo recupero, e le campagne la fioritura delle villa e". Il consumo interno si limita ai prodotti locali: vino, frumento, orzo, olive; a volte venivano importati prodotti da altri luoghi, dal Nordafrica, dalle isole greche, o dall'Oriente. Ma bisogna domandarsi se ciò impediva la produzione o era conseguenza della scarsità della produzione loca" Sono di nuovo «i forgiatori della storia tardoantica » a insistere sull'« importanza frumentaria". dell'Hispania per l'esportazione senza entrare in altre considerazioni, riflessioni o interpretazioni. Sul tema cfr. i pertinenti apprezzamenti e lo stato della problematica di D. VERA, Commento cit., Pp. 286.-87. 146:
" E quanto ho cercato di sottolinere inJ. ARCE, Los caballos de5imaco, in ID., Espaiia cit., pp. 136sui bronzi- freni, finimenti- cfr. MINISTERIO DE CULTURA, Los Bronces Romanos cit.
" Panegirici latini, 1
'
I2.4; VIRGILIO,
Georgiche,
2.u.
Si veda S. Keay, in JRA, IV (I99I), pp. 387-97.
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le, oppure era prova della differenza fra la città consumistica e l' ambiente rurale; domande cui non è facile rispondere ancora, per mancanza di studi e ricognizioni specifici. Occorrerà affrontare analisi regionali e locali, perché anche le differenze fra le diverse zone potrebbero essere grandi. 3. Le città e le «villa e».
Abbiamo visto la validità delle strade romane nel IV secolo e come continuassero a essere usate per il trasporto annonario e per il transito di eserciti, di mercanzie e di amministratori. Le strade uniscono città e nuclei urbani. Quali siano e come appaiano le città della Spagna tardoromana è un tema oggi molto dibattuto fra i ricercatori. Per motivi di spazio e di metodo, mi limiterò a segnalare una serie di dati e di esempi per tentare poi di ricavare una conclusione e una visione d'insieme del problema. La legge 11.9.1 del Codice teodosiano fu emanata il31 dicembre del331 ed esibita pubblicamente nella località di Castulo presso Linares, antica città mineraria, lontana e relegata entro i confini della Betica. Il solo fatto di essere stata inviata dal governatore non solo a Castulo, ma indubbiamente ad altre località della Betica o di altre province della diocesis, e poi di essere stata copiata a Corduba, la capitale, implica una vita cittadina non esattamente in rovina, distrutta, dimenticata, come può apparire nelle relazioni degli archeologi"'. Una vita cittadina e un certo numero di cittadini sottoposti alle imposte romane; un luogo pubblico aperto, il Foro, la basilica, il teatro, dove collocare la legge («in celeberrimo loco»); una vita municipale con tutte le sue implicazioni. Per forza la visione pessimistica, disastrosa e desolante degli archeologi deve essere sbagliata e bisogna leggere le loro deduzioni con diffidenza critica. Un altro dato viene a confermare la vitalità della città di Castulo: il suo vescovo Secondino si recò nel 3nl314 al concilio di Elvira. Il concilio di Elvira permette anche di avere un riferimento e di confermare la continuità della vita cittadina nel IV secolo, che del resto, almeno in molti luoghi, non si era mai interrotta neppure nel III secolo. Qualunque indizio, per quanto insignificante, può servire a delineare la consistenza della vita municipale in epoca tarda nell'Hispania. Nell'iscrizione del modio di Ponte Puii.ide, citata piu sopra, è detto 82 Sulla diffusione deUe leggi romane cfr. M. CRAWFORD, The Laws o/ the Romans: Knowledge and Dt//usion, in J. GONZALEZ e J. ARCE (a cura di), Estudios sobre la Tabula Siarensis, Anejos Archivo Esp., IX, Madrid 1988, pp. 127 sgg.
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che la misura del modio, che risulta essere la misura per la raccolta della rassa, sarà sorvegliata e controllata dai principales Potamio e Quenziano. Questa è l'unica iscrizione tarda dell'Hispania nella quale si citano i principales (curiae), membri espressamente distaccati dalle curie municipali, in genere proprietari terrieri, ricchi, gli unici in grado di sviluppare ancora l'attività elitaria nella città". Ma nell'iscrizione del modio, litroviamo nella loro funzione piu tediosa e antipatica, «quella di dividere gli obblighi liturgici (munera) fra i curia/es e le imposte fra gli abitanti della città e dei territori municipali» .... Un altro esempio che permette ugualmente di percepire l'attività municipale come ancora vitale è offerto dall'iscrizione di Oretum, nella quale si constata la presenza di scribae e susceptores, individui che implicano un'organizzazione e, direi, una «burocrazia» intorno al mondo della raccolta e delle imposte. A dimostrazione della vitalità cittadina, specialmente in alcuni centri, stanno le iscrizioni onorifiche dedicate da alti funzionari a vari imperatori del IV secolo. Tutte, in numero di almeno dodici, provengono da città notevoli o importanti della diocesis: Corduba, Hispalis, Emerita Augusta, Tarraco, Aeminium. Tutte sono realizzate da un alto personaggio". Il concilio di Elvira presenta un panorama urbano che potremmo definire« classico», tradizionale per le città dell'Hispania: sacerdoti, flamini, processioni, culto imperiale, Fori, basiliche costituiscono lo sfondo di parecchi dei suoi decreti"". Esistono in qualche caso segni di recupero, testimoniati dall'epigrafia, a T arragona ", Barcino, Caesaraugusta, Emerita Augusta ... La città tardoromana si trasforma, non scompare né cade in rovina. Continua la sua vita adattandosi a nuovi spazi e a nuove funzioni. Il caso di Tarragona è paradigmatico e la minuziosa analisi degli archeologi lo ha dimostrato". Il fatto è che ci mancano studi sistematici delle città. Emerita Augusta (Mérida) era una capitale fiorente"', e l'archeologia sta dimostrando che la sua trasformazione- non il suo annullamento- avviene nel v secolo. Nel VI secolo è una città cristiana, con le sue basiliche e xenodochium, ma ancora viva. " Per iprincipales cfr. T. KOTULA, Les «principales » d'A/rique: Etude sur l'élite municipale nordafrica/ne au Bas-Empire romain, Wroclaw 1982. "' l bid.' p. I04. " Cfr. J. ARCE, Retratos Imperia/es tardo-romanos de Hispania. La documentaci6n epigrafica, in ID., Espaiia cit., pp. 49 sgg. "'' Ad esempio, canoni 56, 55, 57 ecc. "' Cfr.). ARCE, Retratos cit., p. 91, e in generale ID., El ultimo siglo cit., pp. 92-93· "' lbid., pp. 93 sgg. (panorama generale). ''' TED' A, Un abocador cit. "" J. ARCE, Espaiia cit., pp. 190 sgg.
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Nel IV secolo le città capitali sono centri amministrativi e solo quando cessano di esserlo la loro trasformazione diverrà effettiva. Un'altra volta il caso di T arraco è paradigmatico. C'è un riutilizzo degli spazi, uno dei Fori è abbandonato; ma la vita cittadina continua nella parte alta della città''. E queste città saranno le capitali delle province tardoromane: Corduba, per la Betica; Tarraco, per la Tarraconense; Carthago Nova per la Cartaginiense; Bracara Augusta per la Callecia; Tingis per la Tingitana; Palma/Pollentia per le Baleari, Emerita Augusta per la Lusitania e, nella sua funzione di capitale amministrativa, per tutta la penisola. L'evoluzione successiva, lo stabilirsi in esse di vescovati, le ragioni geopolitiche, strategiche e commerciali, determineranno il loro ruolo successivo. Tarragona lascerà, progressivamente, il posto a Barcino; T oledo sostituirà Mérida; Corduba e Hispalis (Siviglia) saranno sempre rivali fino a Medioevo avanzato, finché Siviglia risulterà superiore. Città intermedie, Legio (Le6n), Caesaraugusta e Carthago Nova, risorgeranno per effetto o come risultato della loro posizione, a detrimento di altre. I testi letterari ci dànno di queste città del IV secolo, o almeno di alcune di esse, una visione scarsa, ingannevole e, in genere, topica. Qualche poeta contemporaneo, senza nozione diretta o adeguata, continua a qualificarle come piccoli nuclei, deserti, remoti e abbandonati. Non possiamo credere alla loro testimonianza puntuale senza aver prima osservato la successiva evoluzione delle città o le certezze che di queste offrono altri documenti, letterari, epigrafici o archeologici". La popolazione, che per l'Hispania tardoromana viene calcolata intorno agli 8 milioni, era disseminata su un ampio territorio, nel quale le città erano solo un nodo in piu nella rete delle comunicazioni terrestri o fluviali". Contava di piu l'ambiente rurale, costellato di innumerevoli villae che ubbidivano a differenti modelli e funzioni e che costituivano un elemento essenziale nel paesaggio tardoromano ispanico ancora non sufficientemente e adeguatamente studiato, nonostante i diversi studi specifici o d'insieme". I medievisti si domandano ogni volta con maggior insistenza com'era la città tardoromana, quale il suo punto d'inflessione, come giunse al Medioevo, come si trasformò, se si trasformò; forse dobbiamo abbandonare l'idea della «rovina ed estinzione». Non si comprende la vita e la storia visigota senza un urbanesimo, trasformato, si, ma non scomparso; 9 ' TED'A, Un abocador cit. " ). ARCE, El ultimo siglo cit., pp. 86 sgg. '' Cfr. T. F. GLICK, Cristianos y musulmanes cit., pp. " Per problemi e bibliografia cfr. J. ARCE, El ultimo
35-36. siglo cit., pp.
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c meno ancora la presenza e l'insediamento musulmano nei secoli VIIIIX, senza un'infrastruttura urbana di indubbia radice romana, nonostante, come ho segnalato, certe città cedano il posto ad altre. La spiegazione si trova nello spostamento dei centri d'interesse, religioso, geopolitico, economico, militare. Su questa materia l'archeologia possiede in gran parte la risposta, cosi come ce l'ha sullo studio del territorio, della sua occupazione e delle sue trasformazioni: diverso sfruttamento agricolo, nascita di sistemi di irrigazione, con i mutamenti che questa comporta. Penso che tale processo non culmini fino al IX secolo. ll IV secolo, e in parte il v, constatano un risorgere della città genericamente parlando, che in ogni caso non presenta lo splendore riscontrabile nel n secolo d. C. in alcuni determinati luoghi, principalmente nella Pars Orientis e in località ben precise in Occidente e in Africa. Su questo punto s'impone una domanda: quante città dell'Hispania evidenziano un «risorgere splendido» nel II secolo d. C.? La questione sta nel fatto che non si possono porre i termini del problema riducendoli semplicemente a splendore (II secolo) in opposizione a decadenza (secoli IV e v). Alcune di queste città romane del II secolo cominciano la loro decadenza già in questa stessa epoca.,_ La crisi della città e del suo sistema di governo è un fenomeno che inizia già nel II secolo, riconducibile al fatto che andarono deteriorandosi le componenti su cui si fondava la loro prosperità: ditismo spontaneo e capacità piu autonoma per quanto riguarda l' azione delle curie. A ciò si aggiunga il peso fiscale sempre piu intensamente crescente nel corso dei secoli m e IV. Questo risorgere significa o esprime un interesse per la città diverso da quello delle epoche precedenti. È un fenomeno generalizzato nell'Impero; è un fenomeno, in parte, imperiale o episcopale, di vescovi e imperatori che si occupano delle città. L'iniziativa personale, benefattrice, evergetica esiste ancora. Ma non è cosi intensa, né generalizzata, né cosf palpabile come nei secoli precedenti. Tarraco continua a essere una città attiva fino ai secoli VI e VII"'; ma lo è a modo suo, al modo tardoromano. Le mura di Barcino vengono costruite, non nel m secolo come ripetutamente è stato detto, bensi nel v.,_ A parte questo monumento, lentamente Barcino sarebbe andata assumendo importanza come capitale a scapito di Tarragona '". Caesaraugusta è sedes regia nel v secolo e durante l'epoca visigota si rivela un attivo '" Per il processo e le cause in generale cfr. P. GARNSEY, Aspects o/the Decadence o/the Urban Aril!ocracy in the Empire, in ANRW, II, r (1974), pp. 229-52 .
.,, Cfr. fra l'altro x.
AQUILUÉ,
Comentaris entorn a la presenàa de !es ceramiques de producà6 afri-
cana a 1ìirraco, Tarragona 1992, pp. 25 sgg.
'' Lo testimoniano recenti scavi, la ceramica e le monete di Massimo -l'usurpatore del412- trol'ate nelle fondamenta delle mura. " Basta ricordare gli episodi di Ataulfo e Galla Placidia.
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centro commerciale, intellettuale, militare"'; Mérida è una città splendida, con le sue vicissitudini e i suoi alti e bassi, nel periodo &a il IV e il vn secolo. Il suo panorama urbano e la sua trasformazione si cominciano ora a spiegare grazie ai nuovi scavi, specialmente nelle zone periferiche. Le recenti scoperte e i nuovi studi a Carthago Nova stanno dimostrando identiche condizioni"''. Il recente ritrovamento a Corduba di un grandioso complesso architettonico, una villa romana riadattata progressivamente ad altre funzioni religiose, spiega l'importanza e l'attrattiva della città fino all'viii secolo. Lo stesso cronista !dazio dà testimonianza dell'importanza e del fiorire delle città dell'Hispania nel v secolo, poiché si continua ad andare e ad accorrere nelle città quali centri vitali degli spettacoli, dei teatri e degli ippodromi. In questo contesto si colloca Taleturo con il suo circo, una città la cui progressiva evoluzione arriva alla trasformazione in capitale durante il periodo visigoto. Lo stesso va detto di Pallantia, sebbene non se ne sappia quasi nulla dal punto di vista archeologico. Il concilio di Elvira dà testimonianza di quaranta città grandi e piccole, con vescovati. L'epistola di Consenzio testimonia la vitalità urbana di Ilerda, di Osca e della stessa T arra co. Le città sono sedi amministrative e centri di produzione e di artigianato almeno sino alla fine del V-VI secolo. Non ci sono invasioni che le distruggano, e si verificano trasformazioni nei loro spazi urbani, adattamenti in accordo con il processo generale di rottura con il passato e l'intromissione di nuovi inquilini nell'ambito imperiale. Ma l'idea di città, la sua sacralità, il suo senso civico non sono scomparsi, né vi sono indizi che scompaiano fino al VI, al VII, o forse all'viii secolo. Non tutte le città sopravvivono; alcune si esauriscono per inazione, per aver cessato di essere asse, centro ed epicentro di certi interessi che ormai non esistono piu né passano attraverso di esse. Cadice può essere un esempio, come testimonia il testo di Avieno "". Caesaraugusta, tuttavia, doveva essere piu importante nel v che non nel II secolo d.C. L'idea di decadenza della città tardoromana ubbidisce a un'antica formulazione, fra gli altri, di M. Rostovtzeff: idea che ha avuto una gran"' Cfr. L. G. IGLESIAS, Caesaraugusta, ciudad visigoda, Zaragoza 1979 (con prologo di Lacaria: «Penso che sino alla fine del dominio visigoto, la vita economica di Saragozza abbia conservato una notevole prosperità ... >> [p. I6]). 100 s. RAMALLO ASENSIO, La ciudad romana de Carthago-Nova: la documentaci6n arqueol6gica. Murcia 1989, e s. RAMALLO e R. MÉNDIZ ORTIZ, Forti/icaciones tardorromanas y de época bizantina en el . 5uresle, in J. MAS (a cura di), Historia de Cartagena, IV, Murcia 1989, pp. 81-98. ' 01 AVIENO, Le spiagge marittime, 270-72: «multa et opulens civitas l aevo vetusto, nunc egena, n une brevis l n une destituta, n une ruinarum agger est>>.
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de influenza, consapevole o inconsapevole, su molti studiosi, ma che ormai tutti sappiamo essere tanto condizionata da un modello e da uno schema contemporaneo allo stesso autore, e che deve essere necessariamente riveduta. Si deve certamente controllare e confermare (o demolire) la teoria zona per zona. Di nuovo l'archeologia ha la parola. Non c'è nessuna certezza, tuttavia, che permetta di dire che nell'Hispania la città tardoromana non continui a essere lo scenario di operazioni finanziarie o di mercati. Sono decisamente in disaccordo con la formulazione, superficiale e senza base archeologica direttamente controllata, di T. F. Glick, quando dichiara che «evidenze archeologiche dimostrano che, quando giunsero le invasioni musulmane nel 7II, molte città ispano-romane erano già in gran misura sprofondate nel sottosuolo » "". La base di questa superficiale affermazione è il libro di L. Torres Balbas, Ciudades hispano-musulmanas, semplicemente insostenibile, in vista del progresso archeologico e dell'analisi della documentazione letteraria che si va via via facendo con maggiori particolari ed esaustività, mentre molto piu vicino alla realtà e alla credibilità scientifica è S. J. Keay '"'. Nell'epoca tardoromana è molto piu evidente la continuità che non la discontinuità nel panorama urbano della penisola iberica. Tale processo, per altro verso, procede parallelo a quello di altre regioni dell'Impero d'Occidente, del Nordafrica e dell'Oriente. In prossimità delle città, nelle vicinanze delle grandi vie di comunicazione, crebbero nuclei di villae residenziali che, in certi casi, erano al tempo stesso grandi centri agricoli. In qualche caso si tratta di antichi insediamenti le cui origini risalgono al I e n secolo, che, nel IV, vedono la loro trasformazione e crescita. La villa è una« urbs in rure », come la descrivono alcuni autori tardi. Urbs nel senso che in essa si sviluppano attività d'ogni genere: produzione artigianale, lavoro agricolo, immagazzinamento di riserve alimentari, ozio, lettura, ospitalità a funzionari e magistrati, bagni, culto degli dèi. Nella sua architettura comprende tutte yueste funzioni e non è strano trovare villae fortificate e cinte da mura e torri (è il caso di Pedrosa de la Vega). La villa è il luogo alternativo alla città, fra potentes, honestiores, funzionari e alti dignitari: « Transeo et alternis rure vel urbe fruor », dice Ausonio. Queste villae si trovano in tutto il panorama geografico della peniso"" T. F. GLICK, Cristianos y musulmanes cit., p. 39· "" S.J. Keay, inJRA, IV (1991), p. 387' , IX (1959), pp. 19-26. Il
P. STICOTTI,
Die romische Stadi Doclea in Montenegro, Wien
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con fregi (quasi identici) a girali vegetali; ed è decisamente tardo anche il Foro, o quanto meno il suo ultimo rifacimento. Nel complesso forense, lungo il lato ovest è disposta la basilica, ad una navata, con tribuna! absidato, nella cui tecnica costruttiva sono state viste parentele con lo stesso Palazzo di Diocleziano a Spalato.
m. Le province di lingua greca
GIORGIO BEJOR
L'Oriente europeo: Macedonia, Epiro, Tracia, Acaia, Creta
1.
Macedonia.
La provincia di Macedonia era stata creata nel 146 a. C., con la soppressione delle 4 repubbliche indipendenti che Roma aveva formato 22 anni prima quando, dopo la vittoria di Pidna, aveva dissolto il regno di Perseo. Strabone ne paragona la forma a un quadrilatero, che si estendeva dalle sponde del basso Adriatico sino alla costa settentrionale dell'Egeo: a nord comprendeva parte dell'odierna Albania e la zona di Stobi, oggi nella Macedonia slava; a sud si estendeva sino all'Olimpo e al Pidno, inglobando l'Epiro e la Tessaglia '. All'inizio era stata anche piu vasta, ma nel 27 a. C. le regioni della Grecia centrale e meridionale le erano state tolte per formare la nuova provincia di Achaia (la Tessaglia le sarà restituita probabilmente già nel 67 d. C.). Nel45 d. C. aveva perso l'area a est delle foci del Nestos, presso l'odierna Kavala, a favore della nuova provincia di Tracia. Restava una provincia costituita di due parti ben distinte: la Macedonia propriamente detta, gravitante sull'Egeo, e l'Illirico, verso la sponda adriatica. Una località, detta Pylon, sulla via Egnazia, poco a est della città illirica di Lichnidos, segnava i confini tra le due parti sin dai tempi di Filippo II. Tutta la regione aveva sofferto moltissimo nella conquista: Plinio, nel citare i 150 populi della Macedonia, ricorda anche le 72 città saccheggiate in un sol giorno da Emilio Paolo al momento dell'invasione; Livio e Strabone parlano di 15oooo abitanti tratti schiavi'. Molti sono di fatto i siti archeologici, soprattutto dell'Illiria, ricchi di vestigia ellenistiche e carenti nella fase romana. Il periodo di stagnazione durò almeno un secolo. Una ripresa è perl , ' Sulla formazione della provincia e i suoi confini si può vedere F. PAPAZOGLOU, Quelques aspects 'e l hzstozre de la province de Macédonie, in ANRW, II, 7/r (1979), pp. 302-69. Per le strade e le città, anche G. A. MANSUELLI, Roma e le Province, II. Topografia, urbanizzazione, cultura, Bologna 1985, pp. 2 95-305. Per tutti gli aspetti storici e istituzionali è ora fondamentale, come per tutto l'Oriente roma· no, M. SARTRE, L'Orient Romain. Provinces et sociétés provincia/es en Méditerranée orientale d'Au~us/e aux Sévères (JI avant f.·C. · 235 après f.-C.), Paris 1991, in panicolare pp. 199-238. 1 PLINIO, Storia natura/e, 4.33; LIVIO, 45.34; STRABONE, 7·7·
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cepibile solo con la seconda metà del 1 secolo a. C.: anche la rete urbana fu allora rinforzata, con la fondazione di nuove colonie sia nel settore orientale- Kassandreia (l'antica Potidea) e Dion, entrambe nel 43-42 a. C.; Filippi (42); Pella (30)- sia in quello adriatico, dove vennero rifondate con ltalici Durazzo e Byllis, poi anche Stobi. Si tratta in ogni caso del potenziamento di centri urbani già esistenti, e non della creazione di nuove città. Tutte possedevano vasti territori: quello di Filippi si estendeva sino a comprendere Neapolis, Oisymè, Apollonia; quello di Dyrrachium almeno sino a Scampa, oggi Elbasan. Larghi settori della popolazione acquistarono cittadinanza romana, e numerose sono le presenze macedoni nelle liste dei pretoriani, ma la maggior parte delle città conservò l'ordinamento greco. Nelle aree meno urbanizzate, soprattutto quelle orientali e meridionali, rimase molto diffusa la divisione per tribu, ma varie iscrizioni ricordano grandi proprietà di famiglie senatorie. Il koinon per il culto prestato all'imperatore dai popoli della Macedonia Le province europee di lingua greca.
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ebbe sede a Beroea, anche se la capitale rimase sempre a Tessalonica. La Tessaglia ebbe un proprio koinon, con sede a Farsalo. Tra il n e il m secolo la provincia godette di un periodo di relativa prosperità, interrotto da una serie di ricorrenti invasioni barbariche. Nel269 i Goti assediarono Kassandreia e Tessalonica, prima di essere respinti da Claudio II. La risistemazione dioclezianea ricalcò il vecchio confine ellenistico quando, nell'ambito della piu vasta diocesi di Moesia, l'Illirico venne separato dalla Macedonia e trasformato nella nuova provincia dell'Epirus Nova, e, piu a sud, vennero create le due nuove province di Epirus Vetus, corrispondente all'antico Epiro, e di Tessaglia. Teodosio nel 380 o 386 divise ulteriormente la Macedonia in due parti, Prima e Secunda (o Salutaris, con Stobi e Bargala), ma la divisione fu abolita già nel395, per essere ripresa in periodo bizantino, tra il482 e il535. Asse portante dell'intera provincia rimase la via Egnazia: costruita alla fine del II secolo a. C., collegava i porti adriatici di Apollonia e Durazzo, attraverso Lychnidos, Herakleia, Edessa e Pella, a Tessalonica. Da qui fu poi fatta proseguire per Anfipoli e Filippi sino a Bisanzio. Un miliario, trovato 7 miglia a occidente di T essalonica, mdi ca come costruttore Cneo Egnazio, proconsole di Macedonia nell'età dei Gracchi. La distanza è data da Durazzo, mentre piu tardi sarà calcolata da TessaIonica. Alcuni miliari ricordano dei rifacimenti sotto Caracalla, nel 2r6217 d. c.'.
L'area piu popolata e urbanizzata continuò a essere il nucleo centrale dell'antica Macedonia, gravitante sul golfo di Tessalonica, tra i bassi corsi dell' Axios e del Haliachilometrion '.Tra le varie città, Tessalonica, sede del governatore, conservò sempre il primato. Le altre ebbero destino diverso: Pella, l'antica capitale, declinò irreversibilmente; Dione Crisostomo e Luciano la dicono in crisi demografica e in rovina, e pochi sono gli interventi di età romana sull'impianto ellenistico. Al contrario, per la vicina Beroea il periodo imperiale segnò un notevole sviluppo. La città, che conservava l'impianto e gli edifici principali dell'età ellenistica, conobbe tra II e III secolo un notevole incremento; le vie principali furono allora porticate, e fu costruito un grande sistema fognario. Dal I secolo d. C. sono attive in città varie officine di scultura, che ebbero una certa esportazione sino in Tessaglia, e che produssero anche monumenti fu' CH. KOUKOULI-CHRYSANTAKI, Via Egnatia-Akòntisma, in AAA, V (r972), pp. 474-85; C. ROMIOPOLOU, Un nouveau mi!liaire de la via Egnatia, in BCH, XCVIII (r974), pp. 8f3·I6. ' Una generale descrizione delle città macedoniche si può ora trovare in F. PAPAZOGLOU, Les ville; de Macédonie a l'époque romaine, Paris 1988. Molto importante per tutte le varie problematiche del Passaggio delle città tra antichità e mondo bizantino è J.-M. SPIESER, La ville en Grèce du IIf au vrf siè-
cle, in Villes et peuplement dans l'IIIyricum protobyzantin, Actes du colloque organisé par l'Ecole françalse de Rome (Roma r982), Rome r984, pp. 3I5-40.
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nerari e di culto per l'uso locale. Piu a sud, anche l'altra colonia augustea di Dion si arricchi di numerosi monumenti (teatro, case private). Qui rimase particolarmente forte l'elemento italico, risalente alla deduzione coloniale, e molte sono le attestazioni epigrafiche della coesistenza delle due differenti etnie di coloni e indigeni. Nella fascia costiera a oriente di Tessalonica, Anfipoli perse l'importanza che aveva avuto quando furono trascurate le miniere del Pangeo, ma riuscf a mantenersi grazie alla posizione sull'Egnazia e alla vicinanza con il porto di Eion, attivo sino in età bizantina. Particolare fioritura conobbe, ancora piu a est, Filippi. Essa conservava le mura e l'impianto regolare impostato sulla via Egnazia, qui fiancheggiata da botteghe, che già aveva in età ellenistica. Dopo la deduzione della colonia augustea conobbe un nuovo sviluppo economico, ed ebbe anche una fiorente colonia giudaica, visitata da san Paolo. Il teatro fu rimaneggiato piu volte tra il 1 e il II secolo d. C., e fu trasformato in arena per spettacoli gladiatori nel corso del 111. Varie altre opere pubbliche sono databili nel corso dello stesso n secalo, come la definitiva sistemazione monumentale della grande piazza centrale, di 5000 metri quadrati. Questa venne a piu riprese rimaneggiata, ma conservò struttura e funzioni sino al VI secolo, con una continuità che si riscontrò anche nella non lontana Tessalonica. Un'iscrizione ricorda che già nel 340 il vescovo Paolo vi aveva fondato una chiesa, tra le piu antiche della Grecia, anche se nell'insieme relativamente modesta. Ancora piu a sud, la Tessaglia era ricca di città'. Sulla sponda adriatica, le due principali città, Apollonia e Durazzo, avevano tratto grandi vantaggi dall'essere i porti di comunicazione con l'Italia. La prima, grande centro culturale dove aveva studiato anche Ottaviano, mostra continuo fiorire per tutto il periodo imperiale, con edifici termali, un ginnasio, un arco, botteghe e il cosiddetto monumento degli Agonoteti, di età antonina. Forse ancor piu importante Durazzo, fornita in età adrianea di un acquedotto, restaurato da Alessandro Severo. Entrambe erano all'inizio dei due rami principali della via Egnazia. Alle spalle della costa le popolazioni indigene, di origine illirica, continuavano a vivere in grandi territori rurali gravitanti su poche città, come Lychnidos ed Eraclea Lincestide. Quest'ultima crebbe d'importanza, con una notevole fase edilizia nel n secolo d. C., con portici corinzi ed edifici termali e numerose statue. Gli scavi hanno rivelato una notevole continuità di vita sino alla , G. w. BOWERSOCK, Zur Geschichtedes romischen Thessaliens, in RhM, CVIII (I96J), pp. 277·89· La Thessalie à l'époque romaine, II, Saint-Etienne r98o, pp. 37·50.
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tarda antichità, quando divenne sede episcopale. Ma, come si è già accennato, si trattava di territori particolarmente poveri e selvaggi. Piu a nord, nella valle dell' Axios, gli scavi di Stobi offrono un ottimo esempio di città tardoantica relativamente ben conservata, sulla quale non si sovrappose piu alcun abitato'. La città, che era stata municipium sin dagli inizi dell'Impero, aveva avuto una propria monetazione dai Flavi a Caracalla. Entrata a far parte della Macedonia Salutaris in età tetrarchica, nel 386 o 388 d. C. divenne capitale della nuova provincia di Macedonia Secunda. Aveva già un vescovo almeno dai tempi del concilio di Nicea (325 d. C.). Con Teodosio, il teatro venne chiuso e cominciò a interrarsi; poco dopo il4oo, sull'orchestra e sulle altre parti meno elevate si cominciarono a sovrapporre povere case, mentre i sedili marmorei della cavea venivano asportati per essere reimpiegati in nuovi edifici di tutta la città. Sempre agli inizi del v secolo la sinagoga, che era stata costruita nel IV secolo su una precedente di II- m, venne intenzionalmente smantellata, e al suo posto fu edificata una basilica cristiana. La città andava intanto contraendosi lungo il fiume Erigon, dove un nuovo muro lasciava fuori una striscia larga un centinaio di metri, occupata tra l'altro dai resti di un grande edificio termale che era stato ornato di mosaici e di statue in marmo e in bronzo. La città andava cosf assumendo il tipico aspetto di città di VI secolo, con vie tutte pavimentate ma non rettilinee, e con un'architettura dominata dalle chiese (tre basiliche, piu due o tre fuori le mura) e relativamente pochi edifici pubblici civili: due terme, una fontana pubblica, una piccola piazza. Al centro si erano sviluppate alcune grandi residenze private, veri e propri palazzi con cortili forniti di fontane, pavimenti mosaicati e muri decorati da affreschi; case molto piu modeste si erano andate addossando, come s'è visto, alle rovine del teatro, e piu in alto sul pendio e anche fuori dalle mura. Si era cosf compiuta l'evoluzione da città antica a città bizantina. 2.
Epiro.
La costa ionica dell'Epiro storico, dal golfo di Valona e dal promontorio Acroceraunio, oggi Karaburun, sino al golfo di Ambracia, era rimasta inglobata nella provincia di Macedonia sino al27 a. C., quando fu annessa all' Achaia. Con gli inizi del II secolo d. C., probabilmente tra il . '' Gli scavi, portati avanti da una missione congiunta americana e iugoslava, sono editi in una sene a cura di J _WISEMAN, 5tudies in the Antiquities o/5tobi, Beograd 1973 sgg. Un ottimo sunto delle faSI più recenti è anche in ID., The City in Macedonia5ecunda, in Villes el peuplemenl cit., pp. 289-314-
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103 e il II4, fu costituita in provincia autonoma, con l'aggiunta a sud dell' Acarnania sino al fiume Acheloo, e delle isole ioni che di Carru, Leucade, ltaca, Cefalonia e Zante. Verso est, il confine correva lungo i corsi dei fiumi Inachus e Tymphe, attraverso gli aspri rilievi dell'Athamania '. Si trattava di una zona impervia, e l'autonomia amministrativa doveva probabilmente servire a risollevare economicamente una regione particolarmente depressa e poco urbanizzata, dove alcune delle città ellenistiche, che pur avevano avuto una considerevole dimensione, come Kassope o Ambracia, erano ormai scomparse. li suo santuario piu importante, presso Dodona, dalle antichissime origini, era già decaduto ai tempi di Strabone; ebbe qualche restauro in età augustea, quando il teatro fu trasformato in arena, e poi ancora con Adriano, che lo visitò nel 132; ma non si riebbe mai, e alla fine del IV secolo era in rovina. Le sole città che mostravano ancora una certa vitalità erano sulla costa. Già nel44 a. C. era stata dedotta la colonia di Buthrotum, rinnovata da Ottaviano nel31 a. C. Fu allora fondata anche Nikopolis, a ricordo della vittoria su Antonio nella vicina Azio, nel luogo dove s'era accampato l'esercito vincitore. Concorse a popolarla un sinecismo forzato, che eliminò tutti i villaggi della zona. Buthrotum era un'antica colonia greca, che si avvaleva della favorevole posizione proprio di fronte a Corfu. Anche Attico possedeva una grande villa nei suoi dintorni. Nei primi tempi dell'Impero mostrò una notevole attività edilizia, con la costruzione di un acquedotto, di vari edifici termali, di un teatro e di nuove abitazioni. Fu ancora sede vescovile, e alla fine del IV secolo risale il battistero con mosaico pavimentale e vasca battesimale a croce greca'. Compresa nella provincia era anche la dirimpettaia Corfu, tappa obbligata per chi dall'Italia si recava in Grecia e in Oriente: nel I secolo a. C. era stata visitata da Tibullo, Catone, Cicerone, e nel secolo successivo ancora da Nerone, che aveva voluto esibirsi davanti all'altare di Zeus a Kassiope. Era però già allora in piena decadenza, non potendo sostenere la concorrenza dei porti della costa albanese e di Nikopolis, meglio collegati al sistema viario. Uno dei pochi monumenti di età imperiale, un edificio termale, si innestò su abitazioni ellenistiche, e venne cancellato dalla basilica dell'arcivescovo Goviano, attorno al450 d. C. Piu a nord, trassero vantaggio dalla loro posizione, prossima al traiectus del basso Adriatico per Brindisi e Otranto, centri costieri come Orchesmos e Fenice. Per quest'ultima, considerata da Polibio la piu grande e ricca delle città dell'Epiro ', le prime indagini dell'Ugolini 10 7
G.
c.
SUSINI,
s.v. «Epirus>>, in EAA, III (1960), pp. 375-76. Butrinto, il mito di Enea, gli scavi, Roma 1937.
' L. M. UGOLINI,
' POL!BIO, 2.6.8, 2.8-410 L. M. UGOL1NI, Albania
antica, II. L'acropoli di Fenice, Roma-Milano 1932.
Bejor
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sembrano mostrare una notevole continuità di popolamento sino all'età bizantina: la città bassa raggiunse nel periodo imperiale la sua massima estensione, ma la rapidità degli scavi e l'esistenza di tombe tardoantiche all'interno dell'Acropoli obbligano a rinviare il giudizio a ulteriori ricerche. Principale porto della regione, nonché capoluogo della provincia, divenuta Epirus Vetus nella riforma tetrarchica, restò sempre Nikopolis. Nel Iv secolo doveva essere anch'essa in piena decadenza, e fu aiutata da Giuliano, che ne diminui anche i gravami fiscali. Nel4741'475 fu occupata dai Vandali, ma subito dopo conobbe una nuova fase edilizia, con la costruzione delle mura, di cui restano ampi tratti, e di alcune basiliche. Ci si è però chiesti se questa tarda ripresa sia da porre in rapporto con un periodo di effettiva prosperità generale, o se non sia da mettere piuttosto in rapporto con l'afflusso in città di popolazioni rurali che sfuggivano le ormai ricorrenti invasioni barbariche: già dopo la disfatta di Adrianopolis, nel378, dovevano esservi arrivate le incursioni dei Goti, e Alarico svernò in Epiro con i suoi Visigoti tra il4o6 e il4o7 ". Nel VI secolo la regione fu infatti piu volte devastata da Slavi (548-49) e Goti, che nel551 saccheggiarono anche Nikopolis, avviata a perdere il suo ruolo di capoluogo amministrativo a favore di Naupatto. 3· Tracia.
Nel45 d. C. Claudio aveva ridotto a provincia anche l'ultimo regno indipendente dei Balcani meridionali, quello di Tracia. La ripa Thraciae, come venne chiamata la parte piu settentrionale, sulla riva del Danubio, era stata allora staccata ed era andata a formare la provincia di Mesia. La provincia di Tracia includeva cosf verso nord la zona montuosa dello Haemus (oggi Stara Planina, in Bulgaria), e arrivava a sud sino alla costa egea, comprese le isole di Taso, Samotracia e Imbro, ma escluso il Chersoneso Tracico. La parte centrale era occupata dal bacino dello Hebrus, oggi Maritza; verso ovest era inclusa la valle del Nesto e l'alta vallata dello Strimone, con Pautalia e Serdica; a est il confine era segnato dalla costa del Mar Nero, da Mesembria a Bisanzio escluse. Claudio l'aveva affidata a un procuratore, ma, a partire da T raiano, la provincia ebbe come governatore un legato di rango pretorio, risiedente a Perinto, sul Mar di Marmara. All'interno, la provincia aveva mantenuto in larga Parte la precedente organizzazione su base tribale, con una divisione a 11
Si veda la discussione inJ.-M. SPEISER, La villeen Gréce ci t., p. 32· I resti tardoantichi e protobi2antini dell'Epiro sono elencati in P. sousTAL, Nikopolis und Kephallenia, TIB III, Wien r98r.
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carattere militare in strategiai, a loro volta comprendenti sia città che villaggi, raggruppati in komarchiai. La popolazione si manteneva infatti distribuita soprattutto in villaggi, con un forte attaccamento alle tradizioni indigene e una rete urbana assai poco sviluppata. Anche per owiare a questo, nel II secolo furono creati lungo le arterie principali vari emporia, luoghi destinati a fiere periodiche, dotati di una particolare autonomia giudiziaria. Culturalmente, la provincia rimaneva fortemente dipendente dalla vicina Grecia. Anche la lingua ufficiale rimase sempre il greco: ben oltre il9o per cento delle migliaia di iscrizioni rinvenute in Tracia sono in lingua greca; quelle latine sono solo circa duecento 12 • Per dare alla regione una piu munita rete urbana, già Claudio aveva fondato Apri, l'odierna lnedzik, installandovi 8oo veterani. Vespasiano aveva aggiunto, sempre nell'area gravitante verso le coste, Deultum, notevole porto presso l'odierna Burgas, e Flaviopoli. Un grosso impulso all'urbanizzazione fu quindi dato da T raiano, dopo che la conquista della Dacia del w6 d. C. ebbe ulteriormente allontanato e rafforzato i confini danubiani dell'Impero. Furono dedotte allora altre colonie, spesso in sostituzione di preesistenti centri indigeni: Marcianopoli, le due Nicopoli, ad lstrum e sul Nesto, Plotinopoli, Traianopoli, sull'Egeo, forse Augusta Traiana, oggi Stara Zagara. Venne dato il diritto di colonia ad Anchialo, sul Mar Nero, e a Serdica, oggi Sofia. L'opera di riorganizzazione urbana fu completata da Adriano, che fondò Adrianopoli, oggi Edirne, alla confluenza del Tonga nell'Ebro, dove sorgeva la capitale degli Odrisi, Uskudama. Dal II secolo fu abbandonata l'organizzazione per strategiai, e fu istituito un koinon Thrakon con sede a Filippopoli, che con Settimio Severo divenne anche metropolis provinciale 0 • La città era stata fondata nel341 a. C. da Filippo II, ed era già da tempo la maggiore città della Tracia interna, all'incrocio dei due grandi assi viari dall'Egeo al Danubio e da Perinto, o Bisanzio, per Serdica verso Naissus e l'Occidente. Sepolta dalla città moderna, ne sono rimasti solo pochi resti, tra i quali il grande teatro, di recente restaurato. Fu costruito nella prima metà del II secolo, 12 E. GREN' Kleinasien un d der Ostbalkan in der wirtscha/tlichen Entwicklung der romischen Kai· serz.eit (Uppsala I94J), New York 1979, p. 27, e v. VELKOV, Tracia e Mesùz nel sistema dell'impero roma· no, in I Traa; arte e cultura nelle terre di Bulgaria dalle origini alla tarda romanità, Milano 1989, pp. 59·
6T si tratta del catalogo della mostra tenuta a Venezia nel 1989, dove furono esposti anche alcuni ele: menti di decorazione di carri traci. Quest'ultimo contributo è anche uno dei sunti piu aggiornati sugli aspetti della provincia romana di Tracia, apparsi in italiano. u c. M. DANOV, Philippopolis, Serdica, Odessos. Zur Geschichte und Kultur der bedeutendsten Stiidte Thrakiens von Alexander d. Gr. bis ]ustinùm, in ANRW, Il, 7h (1979), pp. 241-300. Sulle città della Tracia anche la raccolta di saggi in traduzione inglese di v. VELKOV, Roman Cities in Bulgarra,
Amsterdam 1980.
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cosi come la maggior parte dei monumenti supersnti si data tra gli inizi del II e la metà del III secolo, il periodo di maggior fioritura della città. Un'iscrizione, databile al r67h68 d. C., parla della costruzione, o forse della ricostruzione, della cinta di mura urbane. Sono molto probabilmente contemporanee anche le cinte murarie di Serdica, di Marcianopoli e di altre città della Tracia ".In quegli anni Germani e Sarmati avevanp cominciato a passare il Danubio. I Costoboci riuscirono anche a insediarsi per qualche tempo tra Serdica e Nikopolis ad lstrum. Quest'ultima fu staccata dalla Tracia e annessa alla Mesia tra il 187 e il 193. Con i Severi, e poi con Massimino e Massimo, imperatori traci di nascita, la provincia godette di un quarantennio di pace. A Filippopoli, le vaste necropoli mostrano ancora un forte incremento demografico tra la fine del n e la prima metà del III secolo, anche grazie a una forte immigrazione dall'Asia Minore, rivelata dall' onomastica. A questo periodo risalgono anche iscrizioni che nominano corporazioni di burseis, syropoioi, sarti, kapeloi, piccoli commercianti. Altre fanno riferimento a una vita di tipo greco, con associazioni e ginnasi, e anche un grammatzkos. Attorno alla città si conoscono parecchie dozzine di villaggi, che, raggruppati in komarchiai inserite a loro volta nelle phylai urbane, costituivano la base dell'ordinamento della polis. Gli abitanti dei villaggi, liberi membri di una libera comunità di stampo greco, sembra fossero soprattutto piccoli o medi proprietari~. In altre zone si hanno invece numerosi segni di una progressiva differenziazione della proprietà nei villaggi. L'esistenza di latifondi è palesata dai toponimi in -iana, -ianum, che Procopio ricorda per i dintorni di Adrianopoli e di Anchialo, e che sono attestati anche in altre regioni trace. Grandi ville sono state scavate presso Serdica, Augusta Traiana, Adrianopoli. Attorno a quest'ultima città sono ricordate anche da Ammiano 1' e dalla Passia Sancti Philippi, che, riferendosi al303 d. C., dà anche un'accurata descrizione di una di queste. Una delle piu note, presso Ivailovgrad, 40 chilometri a sud-ovest di Adrianopoli, era stata costruita agli inizi del II secolo Presto si era sviluppata come centro economico 17
•
" G. MIHAILOV, La fortt/icatzòn de la Tbrace par An ton in le Pieux et Mare Aurèle, in StudUrb, XXXV (1961). " Un esaustivo saggio su tutti questi aspetti della proprietà e della divisione agraria della provincia è B. GEROV, Landownership in Roman Thracia and Moesù1 (ISI-Jrd Century), Amsterdam 1988, soprattutto pp. 147 sgg. 1 '
AMMIANO MARCELLINO, 31.6.2, 31.13·14· \) J. MLADENOVA, La villa romaine d'Ivailovgrad, in Actes ~ulcuniques et sud-est européennes, Sofia 1970, pp. 527-34; ID.,
du r· Congrès International,des études Die romische Villa bei lvaJfovgrad (VR lul?.arten) und ihre Architekturdekoration, in «Das Altenum »,XXVII (1981), pp. 38-48; ID., Lesmo1R'fUes de la villa d'Ivailovgrad (Bulgaria), in Atti del III Colloquio Internazzònale sul mosaico antico
1
avenna 1980), Ravenna 1983, pp. 149-66.
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di un vasto latifondo, che comprendeva anche le vicine cave di marmo. La pars rustica si estendeva per 2,5 ettari; quella dominica per 2200 metri quadrati, con piu di venti ambienti distribuiti attorno a un peristilio. Quasi 500 metri quadrati di pavimenti sono coperti da mosaici con l' effigie del proprietario tra i due figli e con scene mitologiche: Atteone e Artemide, Ariadne ed Eros. Il peristilio centrale era decorato di eleganti decorazioni marmoree, per le quali sono state richiamate anche maestranze micrasiatiche. Un latifondo, stimato di un'estensione dell'ordine delle centinaia di ettari, è stato ampiamente esplorato a Chatalka, a r8 chilometri da Augusta Traiana l Beroea ". Una grande villa, munita di una pars dominica con terme e di una rustica, vi era stata edificata a partire dalla seconda metà del I secolo d. C. Era stata concepita per una produzione molto articolata (frutteti, vigneti, allevamento), comprendeva alloggi per manodopera servile ed era attrezzata anche per la lavorazione dell'argilla per prodotti di uso interno. Strettamente collegato alla villa si trovava, a poca distanza, un santuario indigeno, costruito nello stesso periodo. I proprietari del latifondo, che dovevano appartenere all'aristocrazia ellenoglotta tracia di Beroea, si fecero seppellire per generazioni in grandi tumuli, all'interno della loro proprietà, secondo una tipica usanza sepolcrale tracia, con sepolture accompagnate da carri e cavalli, che in questo periodo acquista nuovo vigore. Ne sono stati rinvenuti in gran numero, soprattutto nei territori di Augusta Traiana, Serdica, Adrianopoli, dove sembrano in stretta relazione con il diffondersi del latifondo. A Karanovo, nella regione di Burgas, è stata individuata una necropoli con 26 tumuli; il maggiore misura 70 metri di diametro per 22 di altezza, e ha dato un ricco corredo di varie suppellettili, includenti anche r8 strumenti chirurgici, ricordo della professione medica del defunto. Accanto sono stati rinvenuti anche due tipici carri traci. Il terminus post quem per questa deposizione è dato da alcune monete di Traiano ". A partire dal n secolo si moltiplicano in tutto il paese, diffondendosi anche nelle regioni vicine, i rilievi con la rappresentazione del cosiddetto «cavaliere tra ce», che rielaborano in forme piu o meno provinciali la tipologia classica del cavaliere vittorioso, già presente ad esempio nella stele attica di Dexileos, dei primi anni del IV secolo a. C. Esse costituiscono un'altra testimonianza del recupero di usanze e di culti locali che sembra caratterizzare questo periodo della storia tracia. Nella sola Bulgaria se ne conoscono oggi oltre duemila. Altri rilievi mostrano divinità indigene assimilate a divinità e con iconografie elleniche. Costantemen1 ' 19
o. NIKOLOV, The Roman Villa at Chatalka, Bulgaria, Oxford 1976. I Traci cit., pp. 297-98.
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te greca è la lingua delle iscrizioni che le accompagnano. Almeno due terzi di questa massiccia produzione locale può essere inquadrata tra gli ultimi decenni del n secolo d. C. e la metà del III, e solo pochi esemplari sono databili alla fine del III o, al piu tardi, agli inizi del IV secolo"'. Attorno alla metà del III secolo si ha infatti in Tracia una netta cesura. Già col239 avevano avuto inizio le invasioni dei barbari del Nord, che divennero presto una triste costante nella storia della regione, cosi vicina al confine danubiano. Nel251 la provincia fu investita da una nuova invasione gotica; provvisoriamente arrestati dall'imperatore Decio presso Nikopolis ad lstrum, giunsero nondimeno ad assediare Filippopoli. Vincitori a Beroea, presero la città, dove si erano rifugiati anche parecchi dal contado, e la sottoposero a un terribile sacco: secondo Ammiano Marcellino", furono allora sgozzati entro le mura wo ooo uomini. Sulla via del ritorno, i Goti sbaragliarono e uccisero lo stesso Decio presso Abritto. I confini danubiani restarono indifesi, e si moltiplicarono i raids barbarici nelle regioni balcaniche. Anche la villa di Chatalka ha mostrato i segni di queste distruzioni. Gli edifici furono però presto ricostruiti, la pars dominica venne fornita di nuove terme, vennero fatte notevoli ristrutturazioni anche nella pars rustica. Molte delle ville di media grandezza, che pullulavano nelle zone collinari della Tracia, si evolsero in grandi complessi, questa volta con grandi magazzini per la conservazione delle granaglie. In una villa presso Madara, nel Nord della Bulgaria, gli ambienti che erano serviti per la pressa dell'uva ed erano stati distrutti attorno al250 furono ricostruiti come granai, mentre l'edificio si trasformò in una fortezza, con mura e torri. Le ville che non riuscirono ad adeguarsi scomparvero definitivamente. Per la Tracia iniziò un mondo profondamente diverso. Sono numerosi in tutta la regione i rinvenimenti di tesoretti monetali le cui ultime emissioni appartengono a Decio o al suo predecessore, Filippo detto l'Arabo: la turbolenza di quel periodo aveva consigliato tanti piccoli proprietari a nascondere i loro averi, prima di essere essi stessi travolti". Solo nel271 Aureliano riusci a ricacciare i Goti dalla Tracia, anche se dovette abbandonare definitivamente la Dacia. Al posto di questa furono create due nuove province daciche a sud del Danubio, la Ripensis, con capitale Ratiaria, e la Dacia Mediterranea, costituita con le regioni " M. OPPERMANN, M. V. CIEMINSKI e J.-F.SCHULZE, forschungen zurantzken Geschichte un d Kuftur Bulgariens an der Martin-Luther-Universitiil Halle-Willenberg, in" Das Altertum >>,XXXII (1986),
pp. 92-99· 21 AMMIANO MARCELLINO, 31.5·17· " Se ne può vedere l'elenco, unito a ulteriori considerazioni, in B. GEROV, Die golische Invasion 'n Mosien und Thrakien unter Decius im Lichte der Hort/unde, in m., Beitri.ige zur Geschichte der romischen Provinun Mosien und Thrakien, Amsterdam 1980, pp. 93-112.
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piu occidentali della Tracia, con capitale a Serdica. Anche nell'ordinamento tetrarchico resteranno staccate e attribuite alla provincia di Dardania. L'antica provincia venne allora divisa in 4: Thracia propria, con capitale Filippopoli; Haemimontus, con capitale Adrianopoli; Rhodope, lungo le coste dell'Egeo; ed Europa, lungo quelle pontiche. Le nuove province erano destinate a gravitare sempre piu sulla nuova capitale dell'Impero, Costantinopoli, di cui costituivano ormai l'immediato retroterra. La rivalità tra Filippopoli e la nuova metropoli Serdica risalta evidente quando nel343-44 a Serdica si tenne un concilio per combattere l'eresia ariana: 8o vescovi, con Atanasio, promossero allora un controconcilio a Filippopoli. Nel363, dopo la morte di Giuliano, la Tracia è nuovamente saccheggiata dai Goti". Pochi anni dopo, Tracia e Bitinia sono al centro della secessione degli usurpa tori Procopio e Marcello, terminata con l'assedio e la caduta di Filippopoli. Ancora piu devastante fu la grande invasione del376-78, culminata con la disfatta dell'imperatore Valente ad Adrianopoli. Alcuni scavi urbani ne hanno mostrato i segni: ad esempio, la distruzione del grande edificio con mosaici di Marcianopoli è datata a quegli anni dalle monete di Valentiniano I. Spariscono allora definitivamente molte delle grandi ville rurali. Quella di Ivailovgrad fu saccheggiata e incendiata, e non si riebbe piu; lo stesso accadde per quella di Chatalka, sulle cui rovine si insediarono le povere case monocellulari di un villaggio, che sopravvisse ancora un secolo, sparendo verso la metà del v. Si ebbe in quegli anni, nel441, un'altra ondata barbarica, di decisiva importanza, questa volta di Unni: furono devastate le campagne, e distrutte Sirmium, Ratiaria, Naissus e, in Tracia, Filippopoli e Adrianopoli. Nelle città che sopravvissero, come Marcianopoli, cessarono d'essere abitati i quartieri suburbani". Ancora nel 551 Narsete, nella sua spedizione verso l'Italia, dovette combattere torme di Unni che gli sbarravano il passo presso Filippopoli ". La stessa Filippopoli compare tra le città fortificate da Giustiniano tra il540 e il550 ": difese che fermeranno gli Avari nel586, ma non, agli inizi del secolo successivo, gli Slavi, che provocheranno una decisiva svolta nella storia di tutti i Balcani. 2l AMMIANO MARCELLINO. 26-4-5, 26.6.u.
Marcianopolis im Lichte der historischen Angaben un d der archaologischen, epigraphischen und numismatischen Materialen und Forschungen, in ID., Beitriige cit., p. 298. 21 PROCOPIO DI CESAREA, 1..a guerra gotica, 4.21.21. 26 ID., Degli edt/ici, 4.8.2-n. " B. GEROV,
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4· Acaia.
Distaccata dalla Macedonia nel27 a. C., l' Acaia comprendeva tutta la parte meridionale della penisola greca, con il Peloponneso e le Cicladi. Molte delle città note nei secoli precedenti erano scomparse, talune per dar luogo a sinecismi ellenistici. Ciononostante la Grecia restò per tutta l'antichità una regione fortemente urbanizzata, e tra le città era diviso il suo territorio. Ancora agli inizi del vr secolo Hierokles enumerava 32 città in Macedonia, 8 nella Macedonia Secunda, 17 in T essaglia ma ben 79 in Acaia, oltre a 22 nell'isola di Creta. La capitale rimase sempre Corinto, rifondata nel 44 a. C. come Colonia Laus Iulia Corinthus sul luogo della città antica, che era stata distrutta da Memmio nel46 a. C. Augusto si limitò a fondare una sola altra colonia, Patrasso, la Colonia Aroe Augusta Patrensis, nel 15 a. C. Ciascuna città aveva un suo statuto particolare, in genere dovuto al comportamento nel secolo della conquista; a molte fu ridata la libertà nominale, intesa come esenzione da alcuni tributi, da parte di imperatori filellenici, soprattutto Adriano. Il declino della Grecia in età romana è stato spesso sottolineato dagli scrittori antichi, da Strabone a Plutarco, tanto da divenire un luogo comune. Indubbiamente si verificò in tutto il paese, a partire dalla prima età ellenistica, una forte riduzione nel tessuto urbano e una contrazione demografica ed economica, particolarmente sensibili in alcune regioni interne, come la Beozia. Una recente indagine nella regione del lago Copaide" ha evidenziato una riduzione dell'insediamento dall'età classica all'ellenistica del2 5 per cento, dall'ellenistica alla romana del4o per cento, cui fa riscontro rispettivamente un 9 per cento e un 13,3 per cento nella Beozia orientale. Neppure un progetto di Adriano di risistemare le acque del lago ebbe successo, nonostante alcune delle dighe siano sopravvissute sino ad oggi. Strabone dice che in Beozia le città erano ridotte a villaggi, o in rovina". Il decremento delle testimonianze sepolcrali mostra un progressivo depauperamento delle città, da cui sembra salvarsi la sola Cheronea, patria di Plutarco. Pausania testimonia anche del declino degli antichi santuari, soprattutto extraurbani, come quello di Alalkomenai, depredato da Silla. Dei superstiti, l'oracolo Trophonion fu distrutto durante l'invasione degli Eruli. E Plutarco dice che persino l'oracolo di Delfi aveva molto meno da fare di prima "'. L'accurata analisi geologica e archeologica d'un'altra regione, l'Argolide meridionale, ha farimenti evidenziato una forte riduzione del popolamento a partire da m secolo a. C. e sino al m d. C.: si passa da no si" J. M. FOSSEY,
The Cities o/ the Kopais in the Roman Penod, inANRW, Il, 7/r (1979), pp. 549·91.
" STRABONE, 9.403, 9·4JO. " PLUTARCO, Della scomparsa
degli oracoli,
413f-414C.
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ti, con le due città di Ermio ne e di Halieis, ai meno di 30 degli inizi dell'età romana, quando Halieis è definitivamente scomparsa JO. Il popolamento è concentrato in pochi insediamenti, come sempre nel periodo ellenistico; l'incremento delle alluvioni indica come i muri di terrazzamento agricolo venissero trascurati e non piu rifatti, e terreni già destinati a coltivazioni venissero riservati al pascolo. A partire dall'età di Costantino si assiste a una nuova espansione del popolamento, destinata a durare sino al VI secolo. Vengono censiti quasi mo siti, molti dei quali sulla costa. Si tratta in molti casi di ville rustiche, piccoli villaggi, elementi di un insediamento nuovamente sparso. Le coltivazioni recuperano terreni in precedenza abbandonati; almeno 5 siti costieri producono tegole, anfore e altre ceramiche. Leggendo Pausania, l'impressione che si ricava dell'Acaia nella seconda metà del n secolo d. C. è di una provincia rifiorente nel culto d'un ben piu ricco passato. Talora i vecchi centri storici erano in rovina; ma la particolare attenzione prima di Adriano, poi di Erode Attico, aveva ridato nuovo splendore all'aspetto monumentale di molte città. Questa situazione di relativa prosperità si prolungò nel corso del m secolo, per conoscere un brusco arresto con le grandi invasioni dell'età di Galliena. Significativo è l'esempio della città piu prestigiosa, Atene. Già Augusto le aveva dato un nuovo volto, con la costruzione di una seconda agorà monumentale a nord dell'Acropoli, destinata a divenire il nuovo centro vitale della città, e con l'inserimento all'interno dell'agorà «storica» di monumenti come l' odeion di Agrippa e il tempio di Ares, trasportatovi da A carne. Minori abbellimenti si ebbero nel corso del I secolo d. C.; all'età di T raiano risalgono ancora un monumento presso l'agorà vecchia, la biblioteca di Pantainos, e il monumento di Filopappo sulla collina del Museion, che ancor oggi domina la città con le sue innovative forme asiatiche. Profondi cambiamenti si ebbero per l'intervento diretto di Adriano, che fece costruire una grande biblioteca, quasi duplicando l'agorà augustea, e concluse, dopo oltre sei secoli, la costruzione dell'Olimpieion. Attorno a questo sorsero nuovi quartieri, e sulla via principale che univa questi ampliamenti al vecchio nucleo fu costruito un arco, ancora in piedi; l'iscrizione ricordava come stesse a dividere la« città di Teseo» dalla «città di Adriano» ' 1
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30 T. H. VAN ANDEL, C. N. RUNNELS
e K. O. POPE, Five Thousend Years of Land Use and Abuse in the Southern Argo/id, Greece, in« Hesperia>>, LV (1986), pp. 103-28; c. N. RUNNELS e T. H. VAN ANDEL, The Evolution o/ Settlement in the Southern Argo/id, Greece: an Economie Explanation, ibid., LVI (1987), pp. 303-34. 31 Per i singoli monumenti, tutti prowisti di un'ampia bibliografia, resta fondamentale J. TRAVLOS, Pictorial Dictionary of Athens, London 1971. La grande stagione anteriore al sacco degli Eruli è stata approfondita da A. GIULIANO, La cultura artistica delle province della Grecia in età romana (Epirus, Macedonia, Achaia: 146 a. C. - 267 d. C.), Roma 1965.
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Nella generazione successiva, nuovi ampliamenti si ebbero grazie soprattutto alle elargizioni di Erode Attico, ricchissimo mecenate vicino alla casa imperiale. Assunsero allora un nuovo aspetto le pendici meridionali dell'Acropoli, dove fu costruito l' odeion, usato ancora oggi per le rappresentazioni classiche. Era destinato a contenere 5-6ooo spettatori, e posava su sostruzioni in opera cementizia. Fu costruito allora anche il lungo portico, generalmente, ma erroneamente, noto come stoà di Eumene, che lo metteva in comunicazione con il vecchio teatro di Dioniso. Ancora piu a sud-ovest fu allora rifatto lo stadio, nell'ambito di uno scenografico progetto che comprendeva le due colline circostanti e un nuovo ponte sull'Ilisso. Atene acquistò cosi un aspetto di particolare splendore, che mantenne praticamente inalterato per quasi un secolo. Fu quello anche un periodo di grande fiorire nel campo culturale e artistico. Se la produzione di copie di statue celebri, prima molto attiva, è ormai in declino, sono sempre piu i sarcofagi figurati che dall'Attica vengono esportati a Roma e in altre aree mediterranee, e la serie dei ritratti dei Cosmeti, trovati reimpiegati nel muro di Valeriano, testimonia la vivacità della ritrattistica attica, ora profondamente influenzata anche dalla produzione micrasiatica. Poco dopo la metà del III secolo, in corrispondenza del principato di Galliena, si possono anche distinguere due botteghe profondamente innovative". Di li a poco, l'approssimarsi delle invasioni di Eruli e Goti costrinse l'imperatore Valeriano a rifortificare la città. Fu costruito un nuovo muro di cinta, che reimpiegò per quanto possibile le fondamenta della cinta classica, estendendosi a est a inglobare gli impianti adrianei. Anche l'Acropoli ebbe allora nuove difese; ne fu anche modificato l'accesso, con l'aggiunta ai propilei classici di una porta fortificata, la Porta Beulè, rimasta inalterata sino al XIII secolo. Nonostante queste nuove difese, nel 267 Atene fu presa e messa a ferro e a fuoco dagli Eruli ". Chiarissime tracce dell'incendio e del crollo del tetto sono state rinvenute ad esempio nell' odeion di Erode Attico, che non venne piu ricostruito. Lo stesso avvenne all' odeion di Agrippa, che era stato rifatto attorno al 150, alla biblioteca di Pantainos, alla stoà mediana e alla stoà di Attalo, presso l'ago" L'importanza della produzione e della diffusione in tutto il Mediterraneo dei sarcofagi attici è stata sottolineata da ID., Il commerào dei sarcofagi attici, Roma 1962; A. GIULIANO e B. PALMA, La maniera ateniese di età romana. I maestri dei sarco/agi attici, Roma 1978. Un'ottima sintesi si può vedere in G. KOCH e H. SICHTERMANN, Rò'mische Sarkophage, Miinchen 1982, pp. 366-479 (in particolare, per le cronologie, le botteghe e la diffusione fuori dall'Attica, pp. 456-70). Sui ritratti dei cosmeti, E. LAT'l'ANZI, I ritratti dei cosmeti nel Museo nazionale di Atene, Roma 1968. " Un ampio quadro dell'Atene tardoamica si può ora vedere in A. FRANTZ, The Athenian Agorà, XXIV. Late Antiquity: A.D. 267-700, Princeton N.J. 1988. Per il tipo di sviluppo della città, confrontato con altri esempi greci, dr. J.-M. SPIESER, La ville cit.
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rà. Tutta la zona, ridotta in macerie, restò praticamente abbandonata, occupata solo in parte da povere case e da botteghe di fabbri. Anche il quartiere attorno al Dipylon mostra grandi strati di distruzione. Tutta la città ebbe un crollo, riscontrabile anche nella produzione figurativa: cessano l'esportazione dei sarcofagi e la produzione delle stele funerarie scolpite; la produzione delle lucerne ha un brusco declino e si fa di qualità piu scadente, si spostano gli stessi quartieri dei ceramisti, la città dipende sempre p ili dai manufatti importati dall'Asia Minore. Con le spoglie degli edifici distrutti dagli Eruli venne costruito un nuovo muro di cinta che, con un perimetro molto piu ridotto, circondava una piccola area a nord dell'Acropoli, sfruttando le murature superstiti della biblioteca di Adriano e della stoà di Attalo, della biblioteca di Pantainos e dell'Eleusinion. Un tesoretto monetale, nascosto quando la malta del muro era ancora fresca, presenta 16 monete da Aureliano (270-75) a Probo (276-82), sotto il cui principato dev'essere iniziata la costruzione. Rimaneva inclusa l'agorà romana, dove si spostò il centro della vita civile ed economica. Per il resto, Atene dovette rimanere a lungo semidistrutta, prima che potessero essere riparate le tracce del disastro. Cionostante, la città non perse il suo prestigio di capitale culturale. Tra la fine del m e gli inizi del IV secolo si ebbe anzi un rifiorire delle scuole di retorica e di filosofia, legate soprattutto al neoplatonismo. Molti tornarono a essere gli studenti e i maestri che vi giunsero da fuori, soprattutto dalle province micrasiatiche. Anche l'abitato conobbe un nuovo incremento, come hanno testimoniato gli scavi attorno all'agorà e all'Areopago, dove le case vennero riabitate e restaurate. Un costante ampliamento dell'area urbana è testimoniato sino alla fine del IV e agli inizi del v secolo, ma già Costantino sembra aver avuto particolari riguardi per Atene, che gli fece erigere anche una statua. Certamente, la città tornò presto a estendersi sino al muro di Valeriano. Si discute della reale portata monumentale delle attenzioni dell'imperatore Giuliano, che ad Atene era stato anche studente per due mesi; ma resta dubbio se, ad esempio, abbia fatto egli stesso restaurare il Partenone, per la cui cella furono reimpiegate anche le colonne di un distrutto tempio ellenistico della città bassa, mentre alcuni capitelli danneggiati dal fuoco furono riparati, e fu fatto un nuovo tetto. Un nuovo grande edificio sorse anche sui resti del Pompeion, dove venivano organizzate le grandi processioni panatenaiche, esso pure distrutto dagli Eruli. Vari complessi termali sorsero a sud dell'Acropoli. L'area del teatro di Dioniso, anch'essa gravemente danneggiata e in disuso per decenni, fu recuperata dall'arconte Fedro, che la trasformò in luogo di pubbliche assemblee. Purtroppo la figura di questo arconte resta nebulosa, e non ci consente di datare con sufficiente precisione que-
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sti rifacimenti: sono stati a lungo attribuiti agli anni attorno al4oo d. C., ma oggi non manca chi preferirebbe collocarli nell'età di Costantino. Fu allora rifatto il pavimento dell'orchestra, come ancor oggi si vede; gli accessi furono muniti di porte chiudibili; fu costruita la grande tribuna per gli oratori, o bema, che fu decorata di rilievi tolti dall'edificio adrianeo. Essi furono poi ricoperti da uno spesso strato di malta alla fine del v secolo, quando l'edificio perse definitivamente le sue funzioni civili, e fu adattato a divenire il cortile di una nuova chiesa, costruita a occupare l'accesso orientale della primitiva orchestra. Alla fine del rv secolo una nuova scorreria di barbari, guidati nel396 da Alarico, irrompendo lungo la via delle Panatenee, devastava nuovamente il quartiere dei ceramisti presso il Dipylon e la zona dell'agorà. Le distruzioni non furono però cosi decisive come lo erano state quelle degli Eruli. Per il periodo successivo, Alison Frantz ha distinto tre fasi: una prima, di prosperità, che vede ancora una significativa attività edilizia, intensificatasi soprattutto sotto Erculio, prefetto dell'Illirico tra il4o8 e il4ro, dura sino al450 circa; una seconda, di declino, è caratterizzata dal progressivo trasferimento a Costantinopoli delle principali opere d'arte, e si conclude nel529, quando la chiusura delle scuole filosofiche ateniesi, decretata da Giustiniano, suggellò il definitivo tramonto della città classica, nonostante che qualche chiesa vi venisse edificata ancora sino alla metà del secolo; e un periodo finale di «disintegrazione e disastro», sino all'invasione di Slavi e Avari nel 582. Attorno al41o d. C. venne costruito nella zona dell'agorà, che erarimasta per oltre un secolo un ammasso di rovine, uno dei maggiori complessi tardoantichi, orientato in senso nord-sud per una lunghezza complessiva di oltre 120 metri. L'accesso principale era da nord, dove la facciata era monumentalizzata dall'inserimento di sei colossali figure di tritoni e di giganti, che avevano già ornato il portico aggiunto nel n secolo d. C. all' odeion di Agrippa, e che ora venivano riutilizzati nei piloni che dovevano sorreggere tre grandi fornici. Da questi si raggiungeva una grande corte, di metri 29.40 x 37,80, con portici sugli altri tre lati. Quello occidentale si ampliava in un'esedra semicircolare preceduta da colonne, d'incerta destinazione. In fondo alla piazza, lungo l'asse centrale, una serie di tre ambienti, due quadrangolari e uno a colonnato emisferico, consentivano l'accesso a un lungo corridoio trasversale, oltre il quale c'era un secondo settore, articolato in tre parti: un altro grande cortile centrale, di metri 19,60 x 22.40, circondato da portici; a est, una porta s'apriva su un complesso d'ambienti, gravitante attorno a un minore peristilio; a ovest era in comunicazione con un complesso termale. A sud del peristilio maggiore, lungo l'asse mediano, si apriva un'ampia aula
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preceduta da due colonne. Resta poco chiara la funzione di questo colossale edificio: ritenuto dapprima un ginnasio, si è supposto anche che potesse essere la sede di una delle scuole filosofiche dell'Atene del v secolo; ma la maggiore, quella neoplatonica, aveva sede a sud dell' Acropoli, e la grande residenza attorno al peristilio meridionale era sicuramente sproporzionata per uno dei capi delle scuole filosofiche o retoriche. l confronti con la pianta di analoghi complessi, dalla villa di Piazza Armerina al palazzo del dux ripae di Dura-Europos, indicano come si trattasse piuttosto di un palatium o di un praetorium. L'edificio aveva accurate opere murarie che alternavano file di conci, che facevano largo uso di materiali di reimpiego, tratti dagli edifici preesistenti in loco (ma è stato riconosciuto anche un frammento del colonnato ionico della facciata della stoà di Attalo), a mattoni, che sembrano fatti appositamente per l'occasione. Le fondazioni raggiungono il piano di roccia. Le stesse dimensioni devono aver richiesto uno sforzo economico ben al di fuori delle possibilità dell'Atene del v secolo, e sottolineano l'intervento dell' autorità centrale. Atene non era però allora sede amministrativa, che rimase Corinto, né di comando militare, che fu prima Sirmium e poi Tessalonica. Oggi si tende a considerare il palazzo dei Giganti la sede provvisoria di un governatore, con spazi, come il cortile nord, che potevano essere temporaneamente aperti al pubblico. Non sembra essere stata inizialmente molto intensa la costruzione di edifici di culto cristiano, che doveva svolgersi ancora nel IV secolo in case private. Il primo fu probabilmente la chiesa triconca costruita, nel secondo quarto del v secolo, nel cortile di quella che era stata la biblioteca di Adriano. Tradizionalmente indicata come la prima cattedrale di Atene, era anche munita di nartece, e rimase in uso sino alle invasioni slave del582, per essere poi ricostruita in età bizantina. Altre chiese, a pianta basilicale, dovettero presto sorgere nella piana dell'Ilisso, a sud e a est dell'Acropoli. Anche per l'edilizia privata può essere evidenziato un nuovo periodo di prosperità dopo l'invasione visigota. Le ricche case sulle pendici settentrionali dell'Areopago mostrano una sequenza ininterrotta dagli inizi del v secolo sino al successivo. Munite di uno o due peristili e di un triclinio absidato, erano spesso ornate di statue. Assai simili alle maggiori case contemporanee delle altre città dell'Impero, assunsero una dimensione in usuale per Atene: di fronte a una superficie di 130-150 metri quadrati per l'età classica, e di 335-420 metri quadrati per la prima età romana, queste si estendevano per rooo-1350 metri quadrati", segno d'un ceto so" J.-c. BALTY, Notes sur l'habitation romaine, byzantine et arabe d'Apamée, in Colloque Apamèe de Syrie (29-31 maggio 1980), Bruxelles 1981, p. 486, e A. FRANTZ, The Athenian cit., p. 37·
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ciale sempre piu ristretto e sempre piu ricco. Trovano conferma in altre case dello stesso tipo, scavate a sud dell'Acropoli e a est della biblioteca Ji Pantainos ". All'esempio di Atene romana può essere accostato quello, simile solo a grandi linee, di Corinto, la capitale provinciale. La sostanziale differenza tra le due città è colta molto bene dall' Expositio totius mundi et ,~entium, nel IV secolo, che sottolinea come in Acaia due fossero le città piu importanti: Atene per le sue scuole e i suoi monumenti, e Corinto per i porti e i commerci. Abbandonata per circa un secolo, dal 146 al44 a. C., Corinto era stata ricostruita come colonia romana, conoscendo un repentino sviluppo, sia economico che monumentale. Danneggiata dal terremoto del 77 d. C., la nuova Colonia Iulia Flavia Augusta Corinthiensis si riprese velocemente: attorno al IOO d. C. Plutarco la cita tra i maggiori centri commerciali della Grecia, con Atene e Patrasso ".E anch' essa conobbe il periodo piu fiorente nel II secolo, con Adriano ed Erode Attico. L'imperatore la visitò nel 126 e nel 128-29, e vi finanziò un grande acquedotto che vi conduceva l'acqua dal lago Stymphalos. Risalgono a quel periodo anche alcuni edifici dell'agorà, e il rifacimento della grande porta alla fine della via proveniente dal porto del Lecheon. ll nuovo acquedotto permise la ricostruzione dell'antica fonte Peirene, che assunse l'aspetto di un grande ninfea trilobato. Nell'ultimo quarto del secolo fu completata la monumentalizzazione del centro, con la ricostruzione del teatro e dell' odeion e con l'edificazione dei templi di Ercole e di Poseidone sulla terrazza occidentale dell'agorà. Forse attorno al 200 d. C., adiacente alla porta, fu eretta la colossale facciata della stoà dei Giganti, cosi detta dai telamoni dell'ordine superiore. Anche il vicino santuario di lsthmia, dove erano stati ripresi i giochi istmici, ebbe degli incrementi: probabilmente ai tempi di Nerone vi erano stati costruiti un nuovo temenos, piu ridotto, e un nuovo altare; attorno alla metà del II secolo il temenos era stato nuovamente allargato, vi furono edificati alcuni portici e aggiunti altri edifici. Pausania vi magnifica il gruppo criselefan~ino delle statue di culto del tempio di Poseidone, dono di Erode Attico: tl carro di Poseidone e di Anfitrite stava tra due tritoni, con accanto l'eroe locale Palemone ritto sul delfino; la base era decorata da rilievi con, tra gli altri, Thalassa e le Nereidi, Poseidone e i Dioscuri, lno, Bellerofonte, Pegaso. Sempre nella tarda età di Antonino Pio il tempio di Polemone fu trasformato in Manteion, cioè in santuario oracolare, come testimoniano alcune raffigurazioni monetali. " J.-P. SODINI,
14 1 -96. "' PLUTARCO,
L'Habitat urbain en Grèce à la veille des invasions, in Villes et peuplement cit., pp.
Del modo di non /are debiti, 83rA.
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Il II secolo è, per Corinto, anche il secolo della riellenizzazione, come è stato dimostrato dall'esame delle iscrizioni: il Kent ", per il periodo anteriore ad Adriano, contò 101 epigrafi latine contro solo 3 epigrafi greche sicuramente databili, caso del tutto anomalo in Grecia, dovuto al ripopolamento della colonia con immigrati italici; ma le epigrafi adrianee in latino sono solo ro contro le 15 in greco, e restano solo 7, contro 24, per il periodo da Adriano a Galliena. Tutte in greco sono quelle successive al267. Il m secolo segnò per la città, come per il resto della Grecia, un periodo di ristagno. Nel267 anche Corinto fu investita dall'invasione degli Eruli, dalla quale si riprese assai meglio di Atene. Un secolo piu tardi, i suoi fiorenti scambi sono testimoniati dai pannelli di pasta vitrea, di produzione alessandrina, ritrovati nel porto di Kenchreai, in parte ancora imballati. Contengono paesaggi nilotici e le raffigurazioni di Platone e di Omero ". Un'iscrizione del4or/4o2 indica ancora in Corinto e in Scarfeia, poco a sud di Molos, i maggiori porti per le granaglie. Lo stesso forte declino per tutta l'età ellenistica, con qualche segno di ripresa nel periodo augusteo, e una nuova vitalità nel II secolo, seguita ancora da una crisi da Alessandro Severo a Costantino e da una nuova ripresa nel IV secolo, possono essere seguiti nella storia edilizia di quasi tutte le città. Nel Peloponneso, una città come Sparta aveva perso gran parte dell'importanza che aveva avuto ancora nel IV secolo a. C., e può essere presa ad esempio di città di media grandezza, evidenziata da una recente monografia di P. Cartledge e A. Spatforth ".All'età augustea è databile il teatro, elogiato da Pausania. Tra I e II secolo d. C. un benefattore locale, Caio Giulio Agesilao, vi aveva ripristinato i giochi; poco dopo, le due visite di Adriano, nel 124-25 e nel 128-29, erano state occasione di maggiori donazioni. Un altro benefattore locale, Euricle Ercolano, amico di Adriano e senatore romano, morendo nel 136 lasciò in testamento i fondi per lo svolgimento di altri giochi quinquennali. Aveva fatto fare a sue spese edifici pubblici anche a Corinto, a Mantinea, ad Asopo. A lui si doveva forse anche il grande complesso termale di Arapissa, piu volte rinnovato sino al3oo circa, che sembra doversi identificare con il ginnasio di Euricle visto da Pausania"". Un nuovo acquedotto, lungo 12 chilometri, portava in città le acque delle sorgenti dell'Eurota. Il centro " J. Il. KENT, "
Corinth, VIIV3. The Inscriptions, Princeton N.J. I966, pp. I8-I9. e R. BRILL, Kenchreai II. The Panels o/Opus Sectile in Glass, Leyden
L. IBRAHIM, R. SCRANTON
I976. " P. CARTLEDGE
New York 40
e A.
I989. PAUSANIA, J.J4.6.
SPATFORTH,
Hellenistic and Roman Sparla. A Tale o/ two Cities, London ·
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della vita civile resta l'agorà impiantata nel v secolo a. C., sempre p ili ricca di monumenti, tra i quali dei sacelli dedicati a Cesare e ad Augusto. Sino a Caracalla, la città gode di un'evidente prosperità: ma, con il III secolo, l'attività edilizia sembra cessare. Anche l'attenzione alla rete viaria, attestata da un'iscrizione con la dedica al corrector Giulio Paolina per il rifacimento di un ponte sull'Eurota, è stata vista come conferma del ruolo di raccolta del drenaggio fiscale che la città ebbe nella regione, in un momento di pressione fiscale particolarmente gravosa. Dopo il230 diminuiscono fortemente le statue, e con il250 divengono rarissime le iscrizioni pubbliche. Tra il226 e il240 sono datate le ultime dediche efebiche nel santuario principale, quello di Artemide Orthia. Con Galliena si interrompe anche la monetazione, che era ricominciata ai tempi di Euricle Ercolano. Il rinvenimento di un ripostiglio monetale con emissioni dello stesso Galliena sull'Acropoli segnala il momento di pericolo. La città sembra essere stata raggiunta anch'essa dall'invasione erula, come segnala Giorgio Sincello, scrivendo però tra VIII e IX secolo. Molti resti di precedenti monumenti andati distrutti furono inclusi nelle fortificazioni, che sono state ultimamente datate agli inizi del v secolo. A Sparta, come ad Argo e a Patrasso, il IV secolo appare essere stato assai prospero. Ad Argo vengono allora pavimentate le strade; a Patrasso una nuova fase edilizia urbana è tanto cospicua da cambiare leggermente l'asse in rapporto alla planimetria precedente. A Sparta il teatro, che era rimasto in disuso durante il III secolo, riceve una nuova frontescena marmorea, con dedica ai Cesari Costantino e Massimiano (293305 d. C.). I mattoni della demolita frontescena precedente furono riutilizzati per la costruzione di un ninfea riccamente decorato, di fronte alla parodos occidentale del teatro. Altri rifacimenti nell'area teatrale del santuario di Artemide Orthia, sistemata a forma di un anfiteatro irregolare, testimoniano la ripresa delle cerimonie di culto. Numerose abitazioni si ornarono allora di mosaici figurati. Se la casa trovata presso il moderno campo sportivo sembra essere stata distrutta dagli Eruli e non pili ricostruita, agli anni tra m e IV secolo appartengono i mosaici di altre grandi case, come quelli con la rappresentazione di Briseide e di Agamennone, le nove Muse, i ritratti di Alcibiade e dei poeti, e nel IV secolo vanno datati i rifacimenti delle case con i mosaici di Achille alla corte di Licomede, di Orfeo e del ratto di Europa, di Helios e Selene, alcune provviste anche di rivestimenti marmorei, ipocausti, fontane interne". 41
s. E. WAYWELL, Roman Mosaics in Greece, in AJA, nn. 45-49, pp. 302-3.
LXXXIII (1979), pp.
293-321, in particolare
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Sono evidentemente le case dei grandi proprietari terrieri, confrontabili per ricchezza a quelle di Atene. Una recente prospezione ha evidenziato come anche l'agricoltura delle campagne della Laconia conoscesse, nel IV secolo, un notevole incremento. Ancora attorno al 360 il proconsole di Acaia, Ampelio, fece ricostruire l'Amyklaion e forse anche altri edifici. Allo stesso benefattore si dovettero anche un grande ninfea a Egina, ed edifici pubblici a Calcide. Il grave terremoto del375 dovette però far sentire i suoi effetti anche a Sparta, se il governatore Anatolia, tra il382 e il 384, è onorato per aver ricostruito Sparta dalle sue rovine". Tra il 395 e il 397 i Visigoti di Alarico, scendendo lungo la via delle Termopili, devastarono Tebe, Atene, Megara, Corinto, arrivando probabilmente sino ad Argo e a Sparta. In alcune regioni della Grecia segui un periodo di forte spopolamento: il Codice teodosiano" ricorda come un gran numero di campi in Acaia fosse rimasto senza proprietario, e come nel 424 dovessero essere ridotti di un terzo i tributi ". A Sparta vengono costruite nuove difese, forse nell'ambito di una rifortificazione delle città dell' Acaia ", che, secondo Zosimo, Alari co aveva trovato prive delle mura ormai in disuso. Vengono largamente impiegati materiali tratti da precedenti edifici, come la scena del teatro e il mausoleo di Euricle Ercolano. Un cimitero cristiano e due edifici sacri si attestano a sud e a sud-est dell'Acropoli, fuori dal vecchio centro civico. Però ad Argo, a Megalopoli e, come s'è visto, ad Atene continuano a vivere le ricche dimore che evidenziano la ricchezza di alcuni curia/es, in netto contrasto con il progressivo impoverimento del resto della popolazione. Il celebre mosaico con il ciclo dei dodici mesi, da una villa di Argo, è già del pieno v secolo. Le raffigurazioni appartengono sia al repertorio occidentale che a quello orientale: tipico è il caso di Marzo, nel tipo orientale del guerriero, o Marte, completato dal vaso di latte e dalla rondine che sono invece propri delle raffigurazioni occidentali. In una ricca casa privata di T egea il portico a L che dava sul peristilio venne decorato da un mosaico in pietre locali con rappresentazioni dei mesi, mentre altri pavimenti erano impreziositi da mosaici di cacce o scene dionisiache. Il definitivo tracollo, anche di questo mondo che conservava in qualche modo la cultura classica, si ebbe con le nuove invasioni del VI e vn secolo. " SEG, 11.773" Codice teodosiano, ro.8.5. " J. KODER e F. HILD, Hellas und Thessalia, TIB, l, Wien 1976. " Cosi per T. E. GREGORY, The /orti/ied Cities o/ Byzantine Greece, in «Archaeology», XXXV (1982),
pp.
Lj-21.
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5· Creta. L'isola era stata annessa da Q. Metello Cretico nel67 a. C., in seguito alla guerra di Pompeo contro i pirati dell'Egeo e dell'Asia Minore. Forse nel 36 a. C. una colonia fu dedotta a Cnosso, col nome di Colonia Iulia Nobilis, per accogliervi i cittadini di Capua espropriati delle loro terre a favore dei veterani. Nel27 a. C. Augusto la uni alla Cirenaica in un'unica provincia, sotto un proconsole di nomina senatoria. Ciascuna delle due parti della provincia continuò ad avere una capitale, Cirene per la Cirenaica e Gortina per Creta, sedi entrambe di un proprio conventus. Dal 295 Creta divenne provincia a sé stante sotto un praeses di rango equestre, dipendente dalla diocesi della Mesia, poi, con Costantino, provincia senatoria sotto un consularis della diocesi di Macedonia, nella prefettura dell'Illirico, e tale rimase sino al VII secolo. Nell'isola si ritrovano le stesse fasi di fioritura e di declino riscontrate in Acaia. A un periodo ellenistico, in cui l'insediamento era essenzialmente urbano, segui una prima fase romana nella quale ricomparvero piccoli villaggi rurali e alcune ville rustiche, come a Koleni Kamara nella parte occidentale, a Plaka Kalis presso Eleuthera e a Pachyamos presso Hierapetra ... Particolarmente vitale sembra essere stato anche qui il II secolo. Nella Mesarà si andarono sviluppando grandi proprietà. Di questo periodo sono state rinvenute numerose case urbane ornate da mosaici, stilisticamente affini a quelli contemporanei dell'Egeo e dell'Asia Minore. A Cidonia le abitazioni signorili presso la Banca N azionale restano in vita dal II al IV secolo, e forse ancora del II secolo è il mosaico di Poseidone e Amymone. A Cnosso la villa di Dioniso fu costruita ai tempi di Adriano, ma andò distrutta in uno dei terremoti che devastarono l'isola attorno al 16o/r8o; anche altre furono danneggiate nel corso del II secolo, ma vennero rifatte in età severiana, per venire definitivamente abbandonate nel corso del m secolo. La grande basilica dovette crollare con il terremoto del365, e non fu piu ricostruita; dopo di allora Cnosso sembra essere stata quasi abbandonata. Declinarono in genere gli antichi centri arroccati sui monti, a favore del loro porto: cosi a Polyrrhenia succede Kissamos, a Cnosso Herakleion, a Priansos lnatos. Particolare sviluppo sembra aver avuto in età romana Hierapytna, sulla costa sudorientale, di cui si conservavano nei secoli passati notevoli , l "' I. F. SANDERS, Roman Crete, Warminster 1982, pp. 30·31. Resta questa la piu completa sintesi su la Creta romana, con uno schedario finale dei siti e della loro bibliografia.
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resti, che sono ora in gran parte scomparsi. Conoscono un notevole sviluppo anche altre città della costa meridionale, favorite dalla loro posizione lungo la grande rotta del grano, dall'Egitto a Roma: sono testimoniati stretti contatti con l'Egitto, da cui arrivarono i culti di lside e di Serapide, e con l'Asia Minore. Tra n e III secolo è ovunque abbondante la ceramica sigillata orientale di tipo çandarli, soppiantata da produzioni africane tra la fine del m e la metà del v, e poi dalla T ardo-Romana cosiddetta C. Sulla costa meridionale si hanno anche necropoli monumentali, come quella di Lisso, d'impronta micrasiatica. Per tutta l'epoca romana la città maggiore rimase comunque Gortina. Una notevole attività edilizia, concentrata nel secondo secolo, non si limitò a restaurare vecchi edifici, ma diede alla città un nuovo aspetto monumentale, arricchendola di spazi pubblici". A età traianea risale la trasformazione in odeion di un piu antico edificio, contenente la grande epigrafe; alla stessa età di T raiano, e a quella di Adriano, risalgono le costruzioni di portici e di terme; con Antonino fu aggiunto l'anfiteatro, edificio raro nell'Oriente ellenistico, quasi sempre collegato a una sede amministrativa. In città dovevano allora vivere anche parecchi « cives romani qui Gortynae negotiantur», che nel 195 contribuirono a erigere una statua a Settimio Severo "'. N ello stesso secolo fu sistemata anche l'area del praetorium, sede dei procuratori imperiali. Le numerose statue che vi sono state rinvenute hanno rivelato precisi influssi sia da Atene che dall'Asia Minore". Furono costruiti anche un nuovo teatro, in laterizio, in una grande zona pubblica comprendente il tempio di Apollo Pizio, che ebbe allora vari rifacimenti e una nuova statua di culto", e il santuario delle divinità egizie, dove sono state trovate le statue di Iside, Serapide e Anubi. Contemporaneamente, una cospicua attività edilizia è stata osservata anche a Lebena, che fu il principale porto di Gortina, sulla costa prospiciente la Cirenaica. Era celebre per il santuario di Asclepio, collegato a fonti termali, rifatto anch'esso nel corso del n secolo d. C. La prosperità di questo periodo sembra essere sottolineata dall'im" I risultati degli scavi della missione archeologica italiana a Gonina sono progressivamente editi nell' (ASAIA). Un riassunto se ne trova in Creta antica. Cento anni di archeologia italiana (!884-1984), Roma 1984. A settori panicolari sono dedicate le due monografie G. RIZZA e v. SANTA MARlA SCRINARI, Il santuario sull'acropoli di Cortina, Roma 1968, e A. DI VITA (a cura di), Cortina I, Roma 1988. pp.
"' I. Cr., 290. " F. GHEDINI, 63-248.
(1985)
[ma
1989],
" L'accurata analisi di M. RICCIARDI, Il tempio di Apollo Pizio a Cortina, ibtd., LXIV-LXV (1986[ma 1991], pp. 7-130, distingue almeno due fasi costruttive romane, da datare dopo i terremoti di e di IV secolo. Inconsistenti invece le tracce di una precoce riutilizzazione paleocristiana.
1987) I
Sculture dal ninfea e dal pretorio di Cortina, in ASAIA, LXIII
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Macedonia, Epiro, Tracia, Acaia, Creta
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portazione di costosi sarcofagi marmorei figurati, provenienti soprattutto dall'Attica e, in misura molto minore, dall'Asia Minore". Tra il m e il IV secolo anche Creta conobbe un periodo di declino, culminato nelle grandi distruzioni dovute ai terremoti della seconda metà del IV secolo. Livelli di distruzione sono stati rilevati a Kissamos, Kantanos, Cnosso, Mochlos. A Gortina il terremoto del372lasciò grandi rovine, che furono però presto riparate. Tra il 381 e il 383 fu costruita dal proconsole Ecumenio Dositeo Asdepiodoto una grande aula basilicale con abside sul lato meridionale e ingresso monumentale sul lato opposto, che si apriva verso ovest in un portico. Davanti a quest'ultimo sono state trovate ancora in situ numerose basi di statue onorarie della seconda metà del IV secolo. La costruzione reimpiegava largamente materiali di recupero. A partire dal v secolo sorsero varie chiese, una delle quali, a navata unica, s'innestò nel VI secolo sul tempio dell'Acropoli, reimpiegandone il thesauros come vasca battesimale. Altre chiese furono erette in gran numero in tutta l'isola, sempre tra la fine del v e gli inizi del VI secolo, in corrispondenza di un'evidente ripresa. A Cnosso una chiesa cristiana si innestò dove, dal n al IV secolo, si era estesa una delle necropoli. Contemporaneamente c'è l'evidenza, soprattutto nella Mesarà, del sorgere di grandi ville rustiche di dimensiori maggiori che in passato. La nuova provincia di Creta ebbe a Gortina un metropolita, e altre undici diocesi con sede a Hierapytna, Chersonisos, Siteia, Arcades, C nosso, Sybrita, Eleutherna, Lappa, Cydonia, Kissamos, Kantanos. Nelle valli dell'Amari e dello Spili, soggette a un notevole incremento demografico, gruppi di abitazioni private mostrano un'aristocrazia locale in possesso ancora di notevole ricchezza. Le piane costiere si popolarono di gruppi di villaggi, destinati a essere presto abbandonati quando, dopo la conquista araba dell'Africa, anche qui come nella Grecia continentale il rarefatto popolamento si dovette ritirare nuovamente nelle fortezze d'altura. " 1. F. SANDERS, Roman Crete cit., enumerava per tutta l'isola 12 sarcofagi attici contro 2 asiatici e solo uno di fabbrica urbana, il grande sarcofago in marmo lunense con trionfo di Dioniso rinvenuto ad Arvi. Nel piu preciso saggio di E. GHISELLINI, Sarco/agi romani di Cortina, in ASAIA, LXIII (1985) Ima 1989], pp. 249-335, per la sola Gortina vengono enumerati, oltre a 24 esemplari locali, II sarcofagi Ji produzione attica, piu uno dubbio; 5 asiatici; uno di fabbricazione urbana.
GIORGIO BEJOR
L'Oriente asiatico: Asia, Licia-Pan/ilia, Cilicia
1.
Asia.
Nel 133 a. C. l'ultimo degli Attalidi, Attalo III, aveva lasciato in eredità ai Romani il suo regno. Vi erano comprese le storiche regioni di Troade, Eolide, Misia, Ionia, Lidia, Caria, vale a dire tutta la fascia costiera dall'Ellesponto a Cnido, con le vallate che in essa sboccavano, e le isole prospicienti. Ad esse fu aggiunta nel n6 a. C.Ia Frigia, e, probabilmente da Murena agli inizi delle guerre mitridatiche, la regione di Cibyra, ai confini con Licia e Pisidia Erano regioni fortemente urbanizzate, con un gran numero di città, greche per fondazione, lingua, istituzioni: nel corso del 1 secolo d. C. ne saranno contate ben 282. Il primo secolo dopo l'annessione fu il peggiore: quattro anni di rivolta, poi le vessazioni di governatori e pubblicani, infine le devastazioni e le ruberie delle guerre mitridatiche e di quelle civili prostrarono totalmente una regione che era stata sino al secolo precedente celebre per le sue ricchezze. Si andavano accumulando grandi fortune, soprattutto in mano agli I tali ci, con la formazione di grandi latifondi, sia sul continente (Temno, Alabanda, Parion) che nelle isole (Chio, Coo, Mitilene) '. Con la battaglia di Azio del31 a. C. terminò l'avventura di Marco Antonio e con essa il periodo delle guerre civili. Iniziò allora per l'Asia una nuova era. La politica augustea di potenziamento delle autonomie cittadine, nell'ambito di una ristrutturazione amministrativa di tutto l'Impero, con l'esenzione di alcune imposte e un nuovo catasto, portò a una rapidissima ripresa economica e demografica, che si evidenziò presto in numerosi interventi edilizi, frequenti soprattutto nei maggiori santuari e attorno alle agorai, le piazze che erano il centro della vita civile urbana. 1
•
1
D. MAGIE, Roman Rule in Asta Minor, to the End of the Third Century a/ter Christ, Princeton N.J 195o, l, pp. 241-43· ' M. SARTRE, L'Orient romain. Provinces et sociétés provincia/es en Méditerranée orientale d'AuRUste aux Sévères (JI avant ].-C.. 235 après f.-C.), Paris 1991, p. 277. È questo un recente e aggiornato sunto della situazione delle province orientali, fondamentale anche per gli aspetti economici e giuridiCI, d, cui si farà piu volte uso.
Parte prima
I luoghi e le merci
Strabone e Plinio concordano nel magnificare le ricchezze di santuari e città dell'Asia. A differenza di quanto succedeva in altre province, non ci fu bisogno di potenziare con nuove colonie la rete urbana, già particolarmente fitta. L'intera provincia era divisa in conventus, ciascuno con un capoluogo dove veniva amministrata la giustizia, e che serviva da vera e propria capitale distrettuale. Se ne conoscono 13 già in età repubblicana: Adramyttion, Pergamo, Smirne, Sardi, Efeso, Tralles, Mileto, Mylasa, Alabanda, Cibyra, Synnada, Apamea e Filomelio. Secondo Plinio, nell'ordinamento augusteo erano ridotte a IO, con la scomparsa di Mileto, Tralles e Mylasa, ma erano tornate 13 con Caligola, ripristinando il conventus di Mileto, ed elevando a capoluoghi Cizico e Alicarnasso (che sostituiva evidentemente Mylasa) '. ' Ibtd., p.
261.
Le province romane dell'Asia Minore.
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Pontica ~
Nicca
CiZICO
.
>, mentre un piccolissimo nucleo è attribuibile alla produzione africa·
na. Nei depositi del VII e VIli secolo si rinviene qualche esemplare in ceramica invetriata, mentre le stratigrafie di VIli e IX secolo documentano l'esistenza di una produzione fatta al tornio, che rappre· senta la rottura definitiva con la tradizione delle lucerne romane che per secoli erano state realizzate a matrice: J. w. HAYES, Excavations at Saraçhane cit., pp. 80-83. L'uso del tornio, già documentato a Cartagine tra la metà del v, il VI e forse il VII secolo in lucerne di uso locale (M. G. FULFORD e D. P. s. PEACOCK, Excavatùms at Carthage cit., p. 240, fig. 91), compare in età tarda in ambiti regionali diversi (M. c. GUALANDI GENITO, Le lucerne antiche nel Trentina, Trento 1986, p. 425), e risponde meglio della tecnica a matrice alle ridotte esigenze dei mercati di questo periodo. Per le lucerne fatte al tornio dell'vili secolo di Roma cfr. L. SAGUI, Roma, «Crypta Balbi». Ceramica da fuoco, in A. CIPRIANO e altri, La documentazione ceramica dell'Italia centro-meridionale cit., pp. 103·5. 206 Non sappiamo se esse siano entrate in concorrenza con le lucerne in ceramica, dal momento che i dati quantitativi del vetro non possono costituire una base di riferimento valida a causa dell'esistenza di un recupero per la rifusione del materiale rotto. D'altro canto è possibile che anche altre for· me ceramiche e vitree poco caratterizzate morfologicamente (come sono per il vetro, ad esempio, le coppe a calice chiamate comunemente wine-glasses) siano state usate come lampade, senza che tale funzione possa essere individuata con sicurezza. "'' Su questa classe di oggetti qualche cenno con bibliografia è in J. w. HAYES, Excavations at Saraçhane cit., p. 400 e nota 3 a p. 443· Cfr. anche osservazioni e bibliografia riportati in L. SAGUI, Produzioni vetrarie cit. 208 Hayes non si pronuncia chiaramente sull'origine delle lucerne in vetro rinvenute nei contesti di v-vn secolo di Saraçhane, ma una larga parte di esse potrebbe essere, per questo autore, di produzione costantinopolitana: J. w. HAYES, Excavations at Saraçhane cit., p. 400. 209 Un'importante fabbrica di suppellettile in vetro (lucerne incluse) era attiva a Torcello dalla metà del VII secolo, ma è certo che la produzione vetraria in Italia doveva essere in questo periodo «molto diffusa e capillare>>: L. SAGUI, Produzioni vetrarie ci t.
Panella
Merci e scambi nel Mediterraneo tardoantico
genze dei mercati locali o regionali 210 - a imitazioni dei modelli coevi piu affermati l". Anche per questa classe si nota in sostanza una frammentazione dell'organizzazione produttiva e commerciale. Da ciò consegue che in tutti i contesti tardoantichi una percentuale alta di anfore sfugge a una precisa attribuzione di provenienza e si divide a sua volta in innumerevoli gruppi che suggeriscono una pletora di centri di produzione implicati nel commercio a breve o a lunga distanza. Si ha cioè l'impressione che in Oriente, ove il fenomeno assume proporzioni inquietanti, al di là delle poche aree finora individuate, le anfore siano state fabbricate in piccola quantità «letteralmente» ovunque ci fosse un surplus di produzione agricola da ridistribuire sui mercati interni o esteri Le note che seguono dànno per acquisita questa situazione, anche se finiscono per basarsi sulle serie quantitativamente piu attestate e per tale ragione meglio conosciute. Ognuna di esse sembra per altro far riferimento in Oriente a specifici mercati di consumo, mentre le esportazioni nel Mediterraneo occidentale sono finora meno differenziate e appaiono riportabili a un unico flusso commerciale. Le anfore microasiatiche (Late Roma n 3) m ed egee (Late Roma n 2) li< sono complessivamente ben rappresentate nel corso del VI secolo sia nel bacino meridionale dell'Egeo (Argo, Atene) che in quello settentrionale 212
•
210 In Egitto ad esempio vengono imitate, e apparentemente non esponate, la Late Roman 5-6 e forse la LAte Roman 4: P. BALLET e M. PICON, Recherches préliminaires sur !es origines de la céramique des Kellia cit., pp. 30 sgg. lll Le imitazioni interessano tutte le anfore mediorientali,l'egea LAte Roman 2, i piccoli spatia di origine africana (vedi oltre). 212 P. ARTHUR, Amphorae and the Byzantine World cit., pp. 655-56. Il fenomeno sembra interessare marginalmente l'Occidente, e in particolare l'Italia, ove per altro nel corso del VI secolo sembrano terminare anche quelle produzioni che avevano alimentato per qualche tempo sia un ampio commercio interregionale e in pane anche interprovinciale (come la Keay Lll), sia un ristretto commercio regionale (come i tipi individuati a Napoli da Anhur). Ma evidentemente questa situazione va letta anche in rappono al declino dell'anfora «come mezzo di traspono >> che si verifica nel mondo occidentale prima che in quello orientale (vedi oltre). "' Queste anfore sono con qualche verosimiglianza originarie della regione di Sardi nella T urchia centrale- valle dell'Hermos e del Meandro- (da ultimo J. w. HAYES, Excavations al Saraçhane ci t., tipo 3, p. 63) e appaiono utilizzate prevalentemente per il traspono di vino. Potrebbe trattarsi del caroenum Maeonium, una qualità a cui l'Edtdum di Diocleziano (2.13) assegna un prezzo alto (J. w. IIAYES, Excavations al Saraçhane ci t., p. 434, nota 6). A una merce costosa rimanderebbe anche la moc.lesta capacità del contenitore (6/81). l~< Queste anfore provengono essenzialmente da Chio (bibliografia a nota 133), ma anche dalla Grecia propria (Hermione), e forse anche da altre località (Beozia, Creta, Cipro): c. ABADIE-REYNAL, Céramique et commerce cit., p. 157 e nota 69, con bibliografia precedente; P. ARTHUR, Anfore dell'alto Adrzàtico e il problema del «Samos Cistern Type», in «Aquileia Nostra>>, LXI (1990), p. 285 e nota 5; J. W. HAYES, Excavations at Saraçhane cit., tipo 9. p. 66, con ulteriore bibliografia. lnceno rimane invece d loro contenuto: per esso, ma senza alcun elemento di prova, si è pensato all'olio. Personalmente propendo anche in questo caso per un contenuto vinario (per le fonti letterarie relative ai vini di Chio cfr. T. R. S. BROUGHTON, Roman Asta Minor cit., p. 609).
Parte prima I luoghi e le merci
(Taso, Costantinopoli)"'. Ai tipi già noti si aggiunge tra la metà del VI e la metà del VII secolo un nuovo contenitore prodotto probabilmente a Samo, che raggiunge anche l'Occidente"•. Tra le anfore mediorientali, mentre quelle palestinesi"' (la Late Roman 4 detta« di Gaza»"' e le Late Roman 5-6 219 ) si rinvengono prevalen21'
A Saraçhane è comune dagli inizi del VI fino alla metà del vn: J. w. HAYES, Excavations at Sara-
çhane cit., p. 66. 216 Su quest'anfora detta Samos Cistern Type, anch'essa probabilmente vinaria, e sulla sua circola. zione in Occidente si veda P. ARTHUR, Anfore dell'alto Adriatico cit., pp. z8z-96; carta di diffusione a p. :l90, fig. 4· 217 Tutti i tipi palestinesi di questa età sono vinari e si ricollegano a produzioni esportate a lungo raggio (Roma) già nel I secolo d. C. Tuttavia è solo con il v secolo che si può parlare per questa regione di un flusso commerciale regolare e quantitativamente importante. 218 Quest'anfora proviene molto probabilmente dalla Palestina meridionale, e piu precisamente da Gaza, una delle città piu grandi e piu prospere della regione in età bizantina. Questa località aveva avuto fino alla prima età imperiale un ruolo importante nella diffusione nel Mediterraneo delle spezie e delle merci preziose del Sud dell'Arabia e dell'estremo Oriente che giungevano al suo porto per via di terra da Petra e da Aila (odierna Eilat sul Mar Rosso). Con la creazione della provincia di Arabia, nel 106, questo traffico fu trasferito altrove, ma la città seppe riconvertire la sua economia sia puntando sullo sviluppo agricolo del territorio, e in particolare sulla viticultura, sia traendo profitto dal «passaggio» dei pellegrini diretti in Terra Santa e dalle rimesse degli studenti iscritti alla sua scuola di retorica. Il successo dei suoi vini è testimoniato fino alla conquista araba del637 dall'ampia diffusione delle anfore del tipo Late Roman 4 (J. A. RILEY, The pottery /rom the first session ofexcavation in the Caesarea Hippodrome cit., tipo z, pp. z7-3I; cfr. anche M. G. FULFORD e o. P. s. PEACOCK, Excavations at Carthage cit., pp. z4, ur; e da ultimi, con ulteriore bibliografia, J. w. HAYES, Excavations at Saraçhane cit., tipo 6, pp. 64-65, eJ.-P. SODINI e E. VILLENEUVE, Le passage de la céramique byzantine cit., p. 197), e da un nucleo importante di attestazioni letterarie di v, VI e vn secolo. Menzionano il vino di Gaza scrittori come Sidonio Apollinare (Carmi, 17·IJ-r6), Cassiodoro (Varie, r2.u), Corippo (ln lode di Giustino, 3.87-89, 3.98-99), Gregorio di Tours (Storia dei Franchi, 7.Z9), Venanzio Fortunato (Vita di san Martino, 2.83-84), Isidoro di Siviglia (Etimologie, 20.3.7): c. A. M. GLUCKER, The City o/Gaza in the Roman and Byzantine Periods (BAR lnt. Ser., 3ZJ), Oxford 1987, pp. 93-94. Cfr. anche P.-L. GATIER, Le commerce maritime de Gaza au vt s., in Navires et commerces de la Médite"anée antique. Hommage à] Rougé, CH, XXXIII (r988), pp. 361-70. 219 I centri di produzione della Late Roman 5 sono da ricercare in diversi siti costieri tra Caesarea e Acca nella Palestina settentrionale (Galilea): J. A. RILEY, The pottery /rom the first session of excavation in the Caesarea Htppodrome cit., tipo r, p. z6; J. LANDGRAF, Keisan's Byzantine Pottery, in J. BRIEND e altri, Teli Keisan (197I-I976), une cité phénicienne en Galilée, Fribourg-Paris-Strasbourg 1980, p. 78; e da ultimo J. w. HAYES, Excavations at Saraçhane cit., tipo 8, pp. 65-66. È probabile che le officine piu importanti fossero proprio a Caesarea, cioè nella capitale della Palestina Terza, come sembrerebbe dedursi dalla letteratura talmudica e dalle fabbriche di ceramica rinvenute in questa città: L. 1. LEVINE, Caesarea under Roman Rule, in]. NEUSNER (a cura di), Studies in Judaism in Late Antiquity, VII, Leiden 1975, p. 26. Tipi simili vengono fabbricati anche in alcuni ateliers della chora di Alessandria, ad Abou Mina e in MBieotide (P. BALLET e M. PICO N, Recherches préliminaires sur !es on·gines de la céramique des Kellia cit., pp. 33-34, 39·40; J.-Y. EMPEREUR e M. PICON, Les régions de production des amphores impériales cit., p. 243), in un territorio cioè la cui produzione vinaria è dall'età tolemaica all'età bizantina tra le piu famose dell'antichità (per le fonti letterarie cfr. F. EL-FAKHARANY, Recent excavations at Marea in Egypt, in Das r6misch-byzantinische Agypten, Mainz 1983, p. 178). La stessa continuità cronologica contraddistingue l'attività delle fornaci: J.-Y. EMPEREUR e M. PICON,A la recherche des fours d'amphores, in J.-Y. EMPEREUR e Y. GARLAN (a cura di), Recherchessur /es amphores grecques cit., pp. 106-9. La Late Roman 6, tipologicamente affine al tipo 5, proviene anch'essa dal Nord della Palestina, molto probabilmente dall'area di Beth Sh'ean (Scitopoli) sul Giordano: J. A. RILEY, The pottery /rom the /irst session o/ excavation in the Caesarea Htppodrome ci t., tipo 3, p. 31, nota 23; J. w. HAYES, Excavations at Saraçhane cit., tipo 7, p. 65. È possibile che abbia trasportato il famoso
Panella Merci e scambi nel Mediterraneo tardoantico
temente, oltre che in prossimità dei centri di produzione, nel Sud della Grecia (ancora una volta i dati si riferiscono ad Argo e ad Atene), le Late Roman r, fabbricate come si è già detto negli ateliers delle coste della Cilicia (a Tarso e nel suo entroterra), intorno ad Antiochia (Seleucia Pieria) e a Cipro 220 , sono diffuse indifferentemente sia nella Grecia meridiovino di Beisan, noto dalle piu antiche fonti arabe (riportate da A. ROWE, The Topography and History o/BethShan, Philadelphia 1930, pp.,, 53; cfr. anche]. A. RILEY, The pottery/rom the/irst session o/ excavation in the Caesarea Hippodrome cit.; J. LANDGRAF, Keisan's Byzantine Pottery cit., pp. 67-80). Tale ipotesi verrebbe confermata dal fatto che il tipo continua ad essere comune in Palestina anche nel periodo omayyade (661-750): J.-P. SODINI e E. VILLENEUVE, Le passage de la céramique byzantine cit. pp. 197-99· 220 Una quindicina di officine che producevano le Late RomanI sono state pubblicate di recente da J.-Y. EMPEREUR e M. PICON, Les régions de production des amphores impériales cit., pp. 236-43. Non si hanno dati certi intorno alla merce trasportata che potrebbe essere stata vino, almeno per le anfore della Cilicia e di Cipro (per le fonti letterarie relative alla viticultura in queste regioni T. R. s. BROUGHTON, Roman Asia Minor ci t., p. 6n). A tale derrata fa forse riferimento anche la produzione di Seleucia Pieria nella Siria settentrionale, benché questa città appartenga a una regione, l'entroterra di Antiochia, nella quale, secondo la nota ricostruzione di G. TCHALENKO, Villages antiques de la Syrie du Nord, I-ill, Paris 1953-58, sarebbe stata praticata tra IV e VII secolo una coltura intensiva dell'olivo a fini commerciali. Alcune delle conclusioni di questo studioso sull'organizzazione agricola della regione del Massiccio Calcareo sono state di recente contestate (o. CALLOT, Huileries antiques de Syrie du Nord, Paris 1984, in particolare pp. n.:~-28, e G. TATE, Les campagnes de Syrie du Nord, in Hommes et richesses cit., I, pp. 63-77). È stata ad esempio respinta la tesi di Tchalenko che attribuiva alle richieste del «mercato» (di Antiochia e del Mediterraneo) lo sviluppo della monocoltura dell'olivo, e coerentemente individuava nella chiusura degli sbocchi commerciali, determinata dalla conquista araba del Levante, la causa prima della stagnazione e poi dell'abbandono definitivo degli insediamenti rurali e delle coltivazioni collegate all'economia del villaggio. Secondo T ate invece l'occupazione e lo sfruttamento di zone non particolarmente fertili (com'erano quelle del > delle città è ora in J .-M. SPIESER, L'évolution de la ville byzantine cit. Questo studioso vede nella fine dell'urbanesimo monumentale, che è il segno tangibile della decadenza della città classica, il riflesso delle profonde trasformazioni della società romano-bizantina tra IV e VII secolo. Alla base egli pone un trasferimento di risorse che lo Stato e la Chiesa avrebbero attuato a spese dei centri urbani. La ridistribuzione di tale ricchezza sia attraverso opere suntuarie, sia - nel caso della Chiesa - attraverso opere sociali (nello spirito della «cristianizzazione della munificenza>>, per usare un'espressione della Patlagean), avverrebbe da un certo momento in poi in condizioni e in ambienti che non sono piu quelli urbani. Per le città dell'Asia Minore si veda c. FOSS, Archaeology and the "Twenty Cities" o/ Byzantine Asia, in AJA, LXXXI (1977), pp. 469-86. L'autore disegna la storia delle
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> della produttività della penisola, che si conclude nel corso del m secolo. La relativa ripresa del IV secolo, che sembra anch'essa riflettersi nella documentazione anforaria di rv e v secolo di Roma e di Ostia, tende a indicare che nel lungo periodo alcune regioni italiche sono riuscite a superare il momento critico, con conseguente leggero aumento dell'occupazione rurale. IOO
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Parte seconda
Le culture
1.
Letteratura, filosofia, storiogra/ia, scienze
FRANçOIS PASCHOUD
Storia e geografia della cultura tardoantica
1.
Introduzione.
Due elementi fondamentali determinano la storia della cultura letteraria nell'Impero romano dall'età dei Severi alla fine del v secolo. n primo caratterizza l'epoca tarda tanto quanto i secoli precedenti dell'Impero. Anche se la conoscenza del greco in Occidente e del latino in Oriente diminuisce con il passare del tempo, la cultura letteraria dell'Impero continua a essere essenzialmente bilingue: il greco e il latino sono parenti stretti, la letteratura latina ha accettato tutti i canoni estetici della letteratura greca, gli scrittori sono legati in entrambe le lingue a tradizioni comuni o che, quanto meno, contano numerosi tratti comuni: qualsiasi frattura introdotta tra la produzione letteraria di matrice latina e quella di espressione greca in questi secoli sarebbe artificiosa, dal momento che entrambi i filoni riflettono un medesimo universo, con una medesima sensibilità. Del resto, la cultura dell'Impero mostra un'indifferenza totale per tutto ciò che non è greco o latino: le curiosità etnografiche non conducono mai, almeno in base alle informazioni che possediamo, all' apprendimento di una lingua straniera, e anche i cristiani, che pure avevano buone ragioni per interessarsi ali' ebraico, non hanno fatto alcuno sforzo, se non assolutamente isolato, per penetrare nel mondo delle lingue semitiche. Non vi è dunque motivo di stupirsi se, stimolati dal forte afflusso di linfa vitale del cristianesimo, le letterature copta e siriaca si siano sviluppate all'interno delle frontiere dell'Impero come dei corpi estranei, e spesso addirittura ostili. secondo elemento è invece specifico del tardo Impero e consiste nello sconvolgimento apportato nella cultura greco-romana dalla diffusione fulminea del cristianesimo. L'uomo moderno difficilmente può comprendere in quale profonda misura il pensiero giudaico-cristiano abbia costituito un'innovazione totale per coloro che si erano formati alla luce della tradizione classica greco-latina: il marxismo, per esempio, agli antipodi del pensiero liberale, non costituisce un esempio del tutto equivalente, dal momento che ha le sue origini dirette nella tradizione europea del XIX secolo. Il cristianesimo, al contrario, veniva da un mon-
n
704
Parte seconda
Le culture
do che non aveva grandi elementi in comune con la Grecia e Roma, e pertanto i suoi testi canonici sono stati fin dalle origini scritti in greco, dalla fine del I secolo nasce una letteratura cristiana greca, poco dopo il 150 si incomincia a tradurre la Bibbia in latino, e verso il2oo nasce anche una letteratura cristiana latina. Fanno la loro comparsa alcuni generi letterari prima sconosciuti, propri della nuova fede, come l'apologetica, l'esegesi, l'omelia, il trattato dogmatico e cosi via; essi crescono a tal punto che, almeno nella nostra tradizione, superano ampiamente i testi profani: ciò che noi possediamo della letteratura cristiana greca e latina anteriore all'anno 500 occupa un buon centinaio di grandi in folio. Con ogni evidenza, dal momento che la trasmissione dei testi antichi è essenzialmente dipesa dall'opera di copiatura praticata nei conventi, la produzione cristiana ortodossa è stata largamente trasmessa, la letteratura profana severamente selezionata, gli scritti nati in ambienti eretici o legati ad altre religioni censurati nella loro quasi totalità. Non bisogna dunque perdere di vista il fatto che ciò che ci è pervenuto, nella sua massa e nella sua selezione, non fornisce affatto un'immagine fedele dell'importanza relativa della cultura profana e di quella cristiana; molte opere religiose hanno del resto un carattere in qualche modo tecnico. È peraltro in contestabile- anche se è piu facile constatarlo che spiegarlo - che la maggioranza dei grandi spiriti di questi secoli è stata attratta dal cristianesimo. Per lungo tempo la letteratura profana è stata terreno riservato dei filologi classici e la letteratura cristiana degli studiosi di patristica e dei teologi; questo perché esse sono state considerate come entità essenzialmente eterogenee. Oggi si comprende meglio che, nel mondo della tarda antichità, dissociare la letteratura profana dalla letteratura cristiana riesce difficile quanto dissociare la letteratura greca da quella latina: tali classificazioni, comode e necessarie, non devono nascondere il fatto che queste diverse letterature sono il prodotto di una medesima civiltà ed esprimono le idee e i sentimenti di individui che non condividono affatto le medesime convinzioni religiose, ma vivono in un medesimo mondo in cui affrontano i medesimi problemi, con la medesima mentalità '. Per presentare una breve sintesi della cultura letteraria fra gli anni 200 e 500 ho ritenuto indispensabile raggruppare la materia in alcuni pa' L'idea di una sensibilità estetica comune ai pagani e ai cristiani nel tardoantico è assai recente e non esistono ancora trattazioni specifiche sull'argomento; può risultare utile lo studio, approfondito e ricco di importanti considerazioni teoriche, diJ. FONTAINE, Umté et diversité du mélange des genres et des tons chez quelques écrivains latins de la fin du Iv' siècle: Ausone, Ambroise, Ammien, in Christia· nisme et formes littéraires de l'antiquité tardive en Occident (Entretiens de la Fondation Hardt, XXIII), Vandoeuvres-Genève 1977, pp. 425-82.
Paschoud
Storia e geografia della cultura tardoantica
ragrafi che mi sembrano importanti, privilegiando le opere piu caratteristiche, che non sono sempre le piu elevate sul piano estetico. Le pagine che seguono non contengono dunque niente di sistematico e le omissioni sono forzatamente numerose. Non sarà tuttavia superfluo precisare in forma preliminare alcuni elementi molto generali. li III secolo è, soprattutto in Occidente, piuttosto sterile; gli anni dal350 al450, al contrario, sono straordinariamente fecondi e costituiscono il periodo aureo della tarda antichità sul piano della cultura letteraria; globalmente, la letteratura di matrice latina produce in questo periodo un maggior numero di opere di primo piano rispetto alla letteratura di lingua greca'.
2.
La dz/esa della cultura tradizionale.
La letteratura della tarda antichità è l'erede e la depositaria di una tradizione straordinariamente ricca, al punto da risultare spesso opprimente. Una parte non trascurabile delle risorse della cultura e degli intellettuali negli ultimi secoli dell'Impero è stata dedicata a recensire e a illustrare questa eredità, per difenderla contro i cristiani. Culto del passato, cultura enciclopedica e filologia militante dominano largamente la produzione letteraria. 2 Nei manuali di letteratura greca e latina tradizionali, che privilegiano le opere classiche, il periodo tardivo è sempre trattato in modo assai sbrigativo. Le opere che offrono un maggior numero d'informazioni sulla letteratura degli anni 200-500 sono, per l'ambito greco: w. VON CHRIST, w.
SCHMID e o. STAHLIN, Geschichte der griechischen Literatur, Il/2. Die nachklassische Periode der grie> di Roma a partire dall'ese~esi di Apocalisse, 13.1 e 17.5. cfr. L. HERMANN, L'Apocalypse ]ohanmque et l'histoire romaine, in «Latomus>>, VIII (1948), pp. 23 sgg.; cfr. i contributi raccolti in L'Apocalypse de ]ean. Traditions éxégettques et iconographtques, ut'-xllf siècle.r, Genève 1979; cfr. anche E. coRSINI, Apocalittica e storiografia cristiana, in Mondo classico e Cristianesimo, Roma 1982, pp. 125-32. ' TERTULLIANO, A Scapula, 2.6 (dr. Apologetico, 32.1); ID., Apologetico, 42.1-3; per il complesso e talvolta ambiguo atteggiamento di Tenulliano nei confronti dell'Impero di Roma cfr. R. KLEIN, Tertullian und das r6mische Reich, Heidelberg 1968; e T. o. BARNES, Tertullian. A Hi., XI (1961), pp. 434-69; tuttora fondamentale il lavoro di 1L 1. MARROU, Saint Augustin et la fin de la culture antique, Paris 1949. Su Paolo Orosio e la sua concezione provvidenzialistica della storia cfr. E. CORSINI, Introduzione alle« Storie» di Orosio, Torino 1968; F. FABBRI N!, Paolo Orosio. Uno storico, Roma 1979; M. FORLI N P ATRUCCO,« Regnasse mortem avida m sanguini.•· ». La memoria del passato pagano nelle Historiae di Orosio, in Sangue e antropologia. Riti e culto, Ani della V Settimana di Studi, Roma 1984, pp. 1701-18, con ulteriore bibliografia. Per Salviano cfr. M. PELLEGRINO, Sa/viano di Marsiglta. Studio critico, in« Lateranum >>,n. s., W1 (1940); A. G. HAMMAN, L'actualité de Salvien de Marseille. ldées sociales et politiques, in , XVII (1977), pp. 382-93. Importanti osservazioni si trovano anche nei contributi di L. CRACCO RUGGINI, «De morte persecutorum » e polemica antzharbarica nella storiogra/ia pagana e cristiana, in RSLR, IV (1968), pp. 433-.p; e di s. PRicoco, Barba n; senso della fine e teologia politica. Su un passo del« De contemptu mundi» di Eucberio di Uone, in RomBarb, II (1977), pp. 209-29.
Forlin Patrucco
Pagani e cristiani
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li ". Sul piano religioso la posizione cattolica poteva forse richiamare gli accenti dell'antico conflitto tra pagani e cristiani sul tema dell'impegno politico e civile. Celso nel 177, ancora sotto l'incubo recente degli sconfinamenti di tribu barbariche, aveva prospettato il rischio reale rappresentato da nemici esterni, pronti a divorarsi un Impero popolato di soli cristiani assorti nella preghiera:« Se tutti gli uomini facessero come teegli obiettava al suo fittizio interlocutore convertito- nulla potrà impedire che l'imperatore resti solo e abbandonato, e che tutti i beni della terra divengano preda dei barbari»; settant'anni piu tardi, in tempi anche piu calamitosi per la sicurezza dello Stato, Origene offriva la risposta paradossale come era allora la stessa posizione esistenziale dei gruppi cristiani- capace di uscire dall'impasse della tradizionale contrapposizione tra Romani e barbari, che avrebbe di necessità postulato una scelta ideologica tra lealismo e autoesclusione: «Se tutti gli uomini facessero come me è evidente che i barbari, convertiti anch'essi alla parola di Dio, sarebbero sottomessi alle leggi e si civilizzerebbero, cesserebbero cioè di essere barbari»". Da efficace argomento apologetico, questa idea di un nuovo scenario in cui Romani e barbari sarebbero convissuti nella stessa fede cristiana e nella stessa civiltà di Roma, doveva poi diventare circostanza reale attivata dallo svolgersi delle vicende storiche, politico-ecclesiastiche e culturali della tarda antichità.
4· Modelli economici e modelli culturali: il progresso tecnico.
In una età di grandi trasformazioni in atto che investivano gli aspetti diversi della realtà, i mutamenti e le oscillazioni nella fenomenologia sociale ed economica suscitarono talvolta prese di posizione di impegno non minore di quelle innescate dalla osservazione degli eventi politici e militari: e tanto piu quando la materia in oggetto coinvolgesse problematiche di ordine culturale, ideologico o religioso, enfatizzate da una attualità drammatica e realisticamente osservata nei suoi fattori negativi e nei suoi effetti devastanti. Razzie barbariche e necessità difensive esasperate, declino demografico, crisi della forza-lavoro, processi inflattivi, " Sulle posizioni di Temistio cfr. G. DAGRON, L'empire cit., pp. 95-112; L. CRACCO RUGGINI, 5im· ho/i cit., pp. 226·31; cfr. anche J. L. DALY, The Mandarin and the Barbarian: The Response o/Themi· stms lo the Gothic Challenge, in« Historia >>, XXI (1972), pp. 351·79· " ORIGENE, Contro Celso, 8.68.
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Parte seconda
Le culture
allentamento dei commerci e contrazione dei mercati, calo di produttività, fiscalismo insostenibile, radicalizzazione dei contrasti sociali, fratture anche violente nei modelli e negli schemi tradizionali: sugli elementi di questo quadro e sui modi di interazione alloro interno hanno indagato molteplici scuole storiografiche, alla ricerca - spesso fortemente ideologizzata- della causa primaria della crisi del mondo romano, degli eventi scatenanti il processo di transizione dal sistema antico a quello medievale. La scomposizione dei fattori costituenti la realtà tardoimperiale- politico, militare, economico, sociale, religioso- ha prodotto esiti di grande importanza sul piano della storiografia, muovendo gli interessi nella direzione non tanto delle singole componenti quanto dei rapporti e delle interconnessioni fra le linee del quadro, e ponendo alle fonti antiche domande corrette e coerenti, libere dai condizionamenti e dagli schemi attivati dalle attuali esperienze in materia economica, sociale e produttiva". La relativamente recente fortuna storiografica del trattatello Le cose della guerra - scritto di anonimo autore pagano di avanzato IV secolo deriva per l'appunto in gran parte dalla sua riconosciuta «modernità», dall'essere cioè proposta organica di riforme commisurate a una valutazione globale dei mali dello Stato e tra loro coordinate in una serie di provvedimenti a catena che individuano le cause della crisi e i nessi alloro interno e prospettano realistici rimedi: misure sanatrici dei problemi monetari, degli eccessi del fiscalismo, della dilatazione delle spese militari, della corruzione generalizzata nell'esercizio della giustizia. Le soluzioni vanno alla radice dei mali e il programma delle riforme si articola secondo la stessa coerenza interna che l'autore riconosce nei segni manifesti della crisi: ma la profondità dell'analisi, la singolare intuizione dei meccanismi economici, l'individuazione del rapporto di causa-effetto tra cattiva politica monetaria e disagio sociale, tra amministrazione ingiusta e ribellismo, fanno dello scritto un documento unico in un genere altrettanto unico, un'opera anomala nel coevo panorama delle interpre" La bibliografia di diversa tendenza sui fattori della crisi dell'Impero romano è vastissima, distesa nell'arco di secoli. Tra i titoli significativi e le recenti rassegne ragionate cfr. ad esempio s. MAZZARINO, Aspetti sociali del IV secolo. Ricerche di storia tardo-romana, Roma 1951; ID., La fine del mondo antico cit.; A. MOMIGLIANO, Il cristianesimo e la decadenza dell'impero romano, in ID. (a cura di), Il conflitto cit., pp. 5-19; D. FORABOSCHI, Fattori economici nella transizione dall'antichità a/feudalesimo, in StudStor, IV (1976), pp. 65-100; A. MOMIGLIANO, DopoMax Weber?, inASNP, VII (1978), pp. 1315-32• anche in Sesto Contributo alla Storia degli Studi Classici e del Mondo Antico, Roma 1980, pp. 285-93; t. PATLAGEAN, Dans le miroir, à travers le miroir: un siècle de déclin du monde antique (Entretiens de la Fondation Hardt, XXVI), Genève 1980, pp. 209-40; D. VERA, La società del basso impero. Guida storica e critica, Roma-Bari 1983.lntroduzione, pp. vu-xxv; L. CRACCO RUGGINI, La fine dell'impero cit., pp. 34 sgg., con ricca discussione della bibliografia; da consultare inoltre gli importanti contributi raccolti in A. GIARDINA (a cura di), Società romana e impero tardoantico cit.
Forlin Patrucco
Pagani e cristiani
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razioni di pagani e cristiani circa la decadenza dell'Impero, spesso governate da parametri di giudizio di ordine prevalentemente ideologico o religioso ,•. Ma se la sezione di interesse amministrativo e sociale del trattato colpisce il lettore di oggi, perché sembra praticare come pochi altri testi antichi categorie interpretative assai vicine a quelle proprie della moderna scienza economica- e proprio in ciò consiste la sua sostanziale estraneità agli schemi della tradizione, nonché a quelli della tradizionale interpretazione storiografica dei relativi fenomeni-, la sezione attinente alle macchine belliche ne ha condizionato non solo il titolo tràdito, ma verosimilmente le stesse sopravvivenza e conservazione e fortuna letteraria: le« invenzioni» (da intendersi a quanto sembra nel senso tradizionale di «ritrovati» e non in quello moderno, accreditatosi assai piu tardi) rappresentano in certo modo l'applicazione al campo specifico della tecnica militare delle soluzioni ideate per i problemi degli altri settori della vita dello Stato, dal disavanzo economico al calo della produzione agricola, al malcontento sociale, al generale indebolimento del sistema '7 • In questo senso l'incremento di tecnologia e gli «automatismi» descritti dall'autore procedono nella stessa direzione- di efficienza e di funzionalità, di potenziamento dell'immagine e delle risorse- indicata dal programma delle riforme: in sostanza una proposta di utilizzazione radicale dell'esperienza meccanica ellenistico-romana, che si accompagna all' apprezzamento del saperè tecnico e del talento inventivo, frutti dell'ingegno individuale e delle singole inclinazioni e non della cultura tradizionale, e rintracciabili pertanto anche tra i barbari"'. Va notato però come questa convinta affermazione della utilità e della dignità intrinseca delle innovazioni tecnologiche non costituisca una frattura negli schemi culturali della civiltà antica, e come alla cosiddetta «modernità» del trattato in materia sociale si opponga l'assenza tutta tradizionale di razionalismo economico nel campo della scienza applicata, l'estraneità alla equazione- propria dei sistemi capitalistici- tra tecnica e produttività, nonché al rapporto diretto tra crisi di manodopera e incremento d'impiego delle macchine: la spinta alla meccanizzazione dell'esercito e all'utilizzo di ritrovati tecnologici in campo militare appare infatti del tutto svinco"' Per tutti i problemi relativi al contenuto, all'interpretazione, alla trasmissione e alla datazione del trattato cfr. ANONIMO, Le cose della guerra, a cura di A. Giardina, Milano 1989, con discussione della precedente bibliografia. 7 ' Cfr. ibid., introd., p. xx. " Le cose della gue"a, pref., 6-7; per la rivalutazione della cultura« tecnica» da parte dell'autore cfr: le osservazioni di L. eRA eco RUGGINI, Progresso tecnico e manodopera nell'età imperiale romana, In l"ecnologia, economia e società nel mondo romano, Atti del Convegno di Como (27-29 settembre '979), Como 1980, pp. 45-66, specialmente pp. 52 sgg.
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Parte seconda
Le culture
lata dal problema degli effettivi e l'interesse per il risparmio di braccia reso possibile dalle macchine non sembra rappresentare altro che il corollario - effetto della straordinaria felicità della invenzione - di quello per il rafforzamento dell'apparato bellico nel suo complesso e delle sue potenzialità offensive, e ciò indipendentemente da ogni ipotesi di riduzione dei ranghi o di compensazione di carenze nel reclutamento". Anche in altri settori di applicazione - dall'agricoltura all'artigianato, all'industria, all'edilizia- fu sostanzialmente questo l'atteggiamento nei confronti delle innovazioni tecniche espresso dalla letteratura tardoantica, oscillante tra ripulsa, sospetto, cauta apertura o (come nel caso dell'autore del De rebus bellicis) disponibilità e legittimazione piena, ma pressoché sempre alieno da considerazioni legate all'incremento produttivo o al risparmio di forza-lavoro'": il gap tra teoria e prassi, tra il disinteresse per le potenzialità economiche della scienza applicata e le realizzazioni concrete attestate invece con relativa costanza per tutta l'età imperiale, può forse spiegarsi in ragione della qualità delle fonti letterarie conservate, prodotto elitario della civilitas tradizionale con i suoi valori intellettuali e il suo peculiare sistema economico e produttivo fondato sull'abbondanza di manodopera schiavile. n vecchio problema storiografico dell'arretratezza tecnologica nel mondo romano e delle relative cause «strutturali», nonché dell'inversione di tendenza che si sarebbe verificata proprio a partire dall'epoca tardoantica in connessione con la crisi della forza-lavoro (come segnalerebbero per l'appunto i macchinismi descritti nel De rebus bellicis e le parallele attestazioni di interesse per l'impiego di ritrovati tecnici), andrebbe pertanto ripensato in termini diversi: una cesura assai meno netta tra tardo Impero e età precedenti in materia di utilizzo delle macchine (non ci sarebbe dunque stato un significativo incremento alla fine dell'antichità), e sul piano teorico un dislivello tra scienza speculativa e tecnica applicata, tra esercizio intellettuale consono ai ceti dirigenti e utilizzo di innovazioni e tecnologie nei diversi settori produttivi, frutto dei pregiudizi di ordine sociale e culturale nei confronti del sapere '" Le cose della guerra, 7.6, 18.4; considerazioni in proposito sono sviluppate da E. GABBA, Tecno· logia militart"tmlica, in Tt•cnologta ci t., pp. 231 sgg.; piu in generale, sull'estraneità alla mentalità antica di conceni legati al razionalismo economico e produnivo, cfr. H. w. PLEKET, Technology and Society in the Graeco·Roman World, in «Acta Historiae Neederlandica>>, II (1967), pp. 1-25; ID., Technolo· gy in the Graeco-Roman World: Il genera! Report, in >, CXLI (1982-83), pp. 127-45. specialmente pp. 142 sgg.
SILVIA RONCHEY
Gli atti dei martiri tra politica e letteratura
r.
I precedenti nell'antichità.
Roma, primo secolo dopo Cristo. lsidoro e Lampone, greci di Alessandria, sono processati dal consiglio imperiale. «Dinanzi a un imperatore privo di ragione, che ci resta da fare, -dice Lampone a voce alta, se non cedere il passo?» A quest'insulto Claudio, che presiede l'udienza, ordina dimetterli a morte. Inquisito da Commodo un altro alessandrino, Appiano il ginnasiarca, chiama l'imperatore lestarchos, «capo di un'accolita di briganti» (il Senato), e ne definisce il potere come tyranneia: non solo non gli riconosce quell'« affinità alla sapienza» (philosophia) e quella prossimità al bene assoluto (philagathia) sacralmente connesse al principe dei Romani, ma lo considera« un ignorante incapace di distinguere il bene dal male», un analfabeta morale. Anche qui, è inevitabile che il Cesare ordini la pena di morte. Un terzo, infine, di questi martiri politici del regime romano in Alessandria, Paolo, ha a cuore un solo bene terreno: la tomba, che desidera occupare al piu presto nella sua città. L'autolesionismo della sua condotta processuale è evidente ed è quasi una dichiarata aspirazione al suicidio: «Ascoltami dunque, o Cesare, come si ascolta un uomo al quale resta un solo giorno da vivere». Incamminandosi verso la morte, l'imputato non teme di «dire tutto» in faccia al Cesare: è ciò che si chiama parrhesia, una parola del gergo cinico che sarà tipica dell'agiografia cristiana'. Queste scene processuali provengono dai frammenti di papiro pubblicati dalla fine del secolo scorso col nome di Atti degli Alessandrini o Atti dei martiri pagani'. Si è supposto che essi derivino da protocolli legali di udienze relative a imputati politici venuti a scontrarsi, per attività antigiudaiche, con il regime romano !egalitario e per alcuni aspetti allea' G. SCARPA T, Parrhesia. Storia del termine e delle sue traduzioni in latino, Brescia 19lì4, pp. 62 sgg. Il. A. MUSURILLO, The Acts o/ the Pagan Martyrs: Acta Alexandrinorum, Oxford 1954. Le parti uta te sono tratte da Acta lsidori, p. 19, col. 111, 13-17; Acta Appiani, p. 67, col. IV, 7-8, e p. 66, col. Il, 5· q; Acta Pauli et Antonini, p. 52, col. VI, 1·7. Piu recente ma incompleta è l'ed. di A. TCHERIKOVER (a cura di), Corpus Papyrorum Judaicarum, II, Harvard 1960, pp. 55-107. .
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Parte seconda
Le culture
to della grande comunità ebrea della città'. Isidoro e Lampone, Paolo e Antonino, Appiano e altri, accusati di sedizione, si difendono adottando nei confronti dell'amministrazione romana e degli stessi imperatori strategie verbali inaspettatamente aggressive, che li conducono a una morte forse cercata, certo affrontata con atteggiamento sprezzante. Se la storicità dei processi è probabile, la forma e il dettato dei frammenti li differenziano nettamente dai modelli di verbale giudiziario ricostruibili in base alle fonti'. Inoltre non può credersi che il consilium imperiale divulgasse minute dei propri verbali d'udienza, né tanto meno che un suo segretario vi riportasse per iscritto oltraggi all'imperatore. Gli studiosi di parte cattolica si sono sempre mostrati scettici riguardo all'autenticità degli Atti degli Alessandrini'. Per il laico Reitzenstein' essi non deriverebbero dalle copie, piu o meno rielaborate, dei relativi resoconti protocollari, ma costituirebbero i residui di un genere letterario minore (Kleinliteratur) privo di rapporti con i documenti ufficiali e dagli scopi, in realtà, moralistico-propagandistici '. Ancora piu distanti da un archetipo documentario appaiono le condanne a morte descritte nei perduti testi d'età imperiale, di cui c'informano Plinio il Giovane e Clemente d'Alessandria. Le Morti degli uomini illustri di Titinio Capitone, l'opera in tre libri sulle vittime giudiziarie di Nerone intrapresa da Gaio Fannio ', il libro di Timoteo di Pergamo Sul coraggio dei filoso/i' probabilmente non imitavano neppure il dettato del protocollo, ma si approssimavano, se mai, al genere dell'elogio: Plinio colloca questi scritti «a mezza via fra il sermone e la storia» ' li primo modello al quale gli autori romani si ispiravano era il reso0
•
' Fra Roma e gli ebrei di Alessandria non regnava tuttavia la concordia che si vuole far credere: il motivo dell'antisemitismo negli Atti degli Alessandrini, considerato predominante dai loro primi edi· tori, è stato ridimensionato a partire da Wilcken (u. WtLCKEN, Zum alexandrinischen Antisemitismus, in , XXVII (1909), pp. 783-839); oggi si sottolinea piuttosto la centralità dello scontro fra gli Alessandrini e lo Stato romano (cfr. A. TCIIERIKOVER (a cura di), Corpus cit., p. 57). 4 Cfr. G. FOTI TALAMANCA, Il processo nell'Egitto grecoromano, I-11, Milano 1974-7?· ' Cfr. H. DELEHAYE, Les passions des martyrs et !es genres littéraires, Bruxelles 1965 , pp. 161-73· '' R. REITZENSTEIN, Ein 5tuck hellenistischer Kleinliteratur, in> (1904), pp. 309-32; m., Die Nachnchten uber den Tod Cyprians, in SHA W, XIV (1913), pp. 39-45· 7 La tesi di Reitzenstein, avversata fmo a oggi dall'erudizione ecclesiastica (cfr. A. A. R. BASTIAEN · SEN (a cura di), Atti e panionidei martiri, Milano 1987 [d'ora in avanti Bastiaensen], Introduzione, pp. x-xn), ha trovato piu vasto seguito nei classicisti, da Premerstein a Rostovzev e Momigliano: cfr. A. RONCO N!, Exitus illustrium virorum, in RAC, VI (1966), coll. 1258-68. Nella recente edizione di Tcherikover la forma protocollare degli Atti degli Alessandn"ni è definita senza esitazioni« una finzione politico-letteraria» (A. TCHERIKOVER (a cura di), Corpus cit., p. 58). • Cfr. PLINIO, Epistole, 8.12 e 5· 3· ' >, n. s., LXI (1983), pp. 374-89, che ringrazio per i preziosi consigli di cui il presente saggio anche altrove è debitore.
Ronchey
Gli atti dei maniri tra politica e letteratura
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«Perché sei diventato un bandito?» e Bulla, fissandolo negli occhi: «E tu perché sei diventato prefetto del pretorio? »Simile, nel martire e nel brigante, è il rapporto con il potere costituito: trasgressione, elusione, delegittimazione. Uguale è il castigo: il martire come il brigante è dato in pasto alle belve del circo ". Un altro modello comune ai martiri cristiani è quello del sapiente, del philosophos. In uno dei piu antichi esempi di atti dei martiri la dura prosa burocratica di un processo penale oppone due filosofi della stessa generazione, formazione e classe sociale: Giunio Rustico, stoico, maestro di Marco Aurelio, e Giustino,« philosophus et martyr »".«Non si è mai visto un filosofo costretto con la forza a sacrificare, a giurare per l'imperatore, a portare fiaccole: a queste vacue formalità il filosofo avrebbe consentito, e ciò bastava perché non gli venissero richieste»". Awersari culturali prima ancora che legali, Giustino e Rustico costituiscono un caso limite, notevole quanto atipico negli acta". Ma dagli stereotipi del comportamento del filosofo pagano (parrhesia, fierezza, amore per la libertà) sono mutuati vari tratti fissi dell'eroe giudiziario cristiano. Perpetua« risponde in faccia» al tribuno e si rivolge al popolo con «libertà di parola»; ella «ha una tale forza nello sguardo che nessuno è in grado di sostenerlo », e lotta fino all'ultimo« perché non venga calpestata la sua libertà»". Lo stesso titolo di martys, «testimone», implicando un accordo tra parola e atto («è testimone colui che in ogni circostanza della sua vita sino alla morte agisce cosi come professa»), cela probabilmente in sé «una reminiscenza del concordet sermo cum vita di Seneca» "'. La risposta dell'inquisito citato da Eusebio nei Martiri di Palestina,
" DIO NE CASSIO, 77 .IO, p. 260 Baldwin foster. " La definizione è di TERTULLIANO, Contro Valentiniano, 5· Sulle caratteristiche cancelleresche del linguaggio degli Acta Iustini, in particolare della redazione P, cfr. Lanata, pp. 121-22. " «]amais on ne vit forcer un philosophe à sacrifier, à jurer par l'empereur, à porter des flambeaux. Le philosophe eùt consenti à ces va in es formalités, et cela suffisait pour qu' on ne les lui demandàt pas »: E. RENAN, Marc-Aurèle et la fin du monde antique, Paris r882 2, pp. 61-62; cfr. TERTULLIANO, Apologetico, 46.4 («Quis enim philosophum sacrificare aut deierare aut lucernas meridie vanas prostituere com pelli t?>>) " È notevole anche la vicenda filologica dei testi relativi a Giustino, che Prude m Maran, maurino, allievo del Casaubon, volle editare poco prima di essere perseguitato sotto l'accusa di giansenismo: cfr. PRUDENTI! MARANI Prolegomena de Iustino Tatùmo Athenagora Theophilo Hermia (1742), in Hermiae
philosophi imstò genttlium philosophorum. Apologetarum Quadrati Aristides Aristonis Miltiadis Meliton fs Apollinart's reliquiae (Corpus Apologetarum Christianorum Saeculi Secundi, IX), Jena 1872. " Passio Perpetuae, r6.2 e q.r, pp. 136-38 Bastiaensen; r8.2, p. 138 Bastiaensen; 18.5, p. 140 Bastiaensen. Altri esempi dai martiri cristiani in G. SCARPAT, Parrhesia cit., pp. 82-92. 60 È opinione dei teologi: T. BAUMEISTER, Die An/iinge der Tbeologie des Martyrium, Mlinster 1980, pp. 2 57 sgg.; sull'origine e la storia del termine cfr. H. DELEHAYE, Sanctus. Essai sur le eu/te des sa in"· dans l'antiquité, Bruxelles 1927, pp. 102-8; P. E. GONTHER, Martys. Die Gescbichte eines Wortes, Giitersloh 1941.
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che alla domanda: «Di dove sei?» replica: «Sono cittadino della Gerusalemme celeste», può accostarsi alla battuta attribuita al filosofo Diogene, che alla stessa domanda rivoltagli dall'emissario imperiale risponde: «Sono cittadino del mondo [kosmopolites]» ". Radicalismo e tendenza alla contestazione dell'autorità appartengono del resto a pio epoche e confessioni, e l'accusa di «cosmopolitismo» resterà tipica del repertorio dei regimi che esercitarono la repressione contro gli intellettuali, fino a questo secolo. La risposta, narrata da Epitteto, di Elvidio Prisco a Vespasiano che lo minaccia di morte: «Tu fa' la tua parte, che io farò la mia: la tua è farmi morire, la mia morire senza tremare», può accostarsi a molte analoghe istanze dei martiri a chi li giudica perché non si attardi, ma proceda alla punizione: di Policarpo, di Cipriano", del presbitero Pionio agli ufficiali di Smirne: «Seguite il vostro codice di leggi! Non vorrete voi stessi disobbedirgli! Avete avuto l'ordine di punirei!» Dice il vescovo Filea al prefetto Culciano: «Quest'ultimo beneficio io ti chiedo, di usare tutta la tua severità, di fare ciò che ti è stato ordinato» 61 • E Giulio, veterano e cristiano: «Ti supplico, irreprensibile giudice, manda a effetto la tua sentenza, pronuncia la condanna a morte contro di me: cosi saranno esauditi i miei desideri»"'. li modello socratico è citato piu volte esplicitamente. «Neppure Socrate pati dagli Ateniesi tanto! Qui tutti sono Aniti e Meleti», si adira Pionio di Smirne contro il retore Rufino, che si è alzato ad ammonirlo 6' . Negli Atti di Filea l'apostolo Paolo è accostato a Platone ... Anche l'alessandrino Apollonia menziona «i sicofanti ateniesi che ingiustamente condannarono Socrate convincendo anche il popolo», e riguardo al proprio martirio cita il detto della Repubblica di Platone, per cui« il giu61
EUSEBIO DI CESAREA, Martiri di Palestina, 11.9, p. 430 Schwartz (EUSEBII De Martyribus Pa!esti· EUSEBIUS, Kirchengeschichte, Leipzig I932 con cui .
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biamente un aggancio all'attualità della lotta fra le Chiese cattolica eriformata. Nel capoverso finale del Tractatus, dopo avere dissertato «dei falsi martiri degli eretici e dei loro pseudomartirologi », Baronia polemizza con l'« estrema demenza degli eretici del nostro tempo, che- ahinoi!- mettendo insieme un elenco di apostati, sacrileghi, sicari, agitatori, uomini massimamente turpi e contaminati da ogni sordido vizio, compilarono essi stessi degli pseudomartirologi, vera stalla di Augia » Nella mentalità del dotto inquisitore, sociale del Bellarmino, confessore papale, revisore dell'Indice, selezione critica e scelta dogmatica, censimento e censura si fanno dunque tutt'uno 122 • Riprendendo dall'Adversus Marcionem di Tertulliano la metafora, Baronia paragona gli sforzi del movimento protestante, antiunitario e antigerarchico, alla «fatica inane» delle vespe, che, «non conoscendo unità» e mancando di convergere in un solo, grande alveare, per quanto si sforzino di imitare le api «nel riunire faticosamente cella a cella», vedranno sempre secchi i loro favi"'. Soprattutto, Baronia operava aderendo al pregiudiziale e primario intento di dimostrare la storicità di una concordia fra Chiesa e potere terreno, quasi fosse connaturata al cristianesimo stesso fin dalle sue origini. Perciò nel valutare i testi che debbono e quelli che non debbono essere inclusi nel Martirologio Romano, egli partiva da un assunto: la tradizione martirologica non poteva essere nella sua maggior parte sincera perché non sinceramente cristiana è, nella maggior parte dei casi, l'attitudine al martirio. Il criterio col quale Baronia valutava la «sincerità» del documento era quello della sua «veridicità». La ricerca di morte da parte del martire nel suo individualismo rendeva molti degli atti antichi senz' altro« spuri », mentre risultavano approvati come« sinceri» quanti sottolineavano fin dai primordi l'esistenza dello spirito gerarchico della Chiesa ufficiale e realizzavano il suo insegnamento politico, secondo il brano della prima epistola ai Corinzi: «Se avrò consegnato il mio corpo alle fiamme, e tuttavia non avrò avuto carità, non mi servirà a nulla» 124 • È stato cosi Baronia a supporre che il p ili antico documento martirologico dell'ambiente greco fosse l'Epistola degli Smirnioti riguardante l'arresto, 121
•
Quanto ai secondi, la diretta causa dei processi contro i cristiani sarebbe da ricercarsi in delitti comuni (jlagitia), oppure, come nel caso dei montanisti, in una ricerca esasperata, provocatoria e suicida del martirio quale garanzia in se stesso di salvezza eterna, che la Chiesa condanna. Cfr. s. RONCHEY, Indagine cit., pp. 235-36. 121 C. BARONIO, Tractatio cit., p. LXXIX. 121 Sul metodo controversistico baroniano cfr. A. WALZ, Baronia « Pater Annalium Ecclesiasticorum», in A Cesare Baronia cit., pp. 269-70; bibliografia in s. RONCHEY, Indagine cit., pp. 225-40. 121 C. BARONIO, Tractatio cit., p. LXXIX. 12 ' 1 Corinzi, I.IJ, citato in c. BARONIO, Tractatio cit., p. LVI.
Ronchey
Gli atti dei martiri tra politica e letteratura
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il processo e la morte del vescovo Poli carpo in Asia Minore'". Nella mentalità controriformistica il Martirio di Policarpo rispecchierebbe infatti il «sincero» animus protocristiano. 5· Il «Martirio di Policarpo».
Secondo l'intenzione dei suoi autori, il Martirio di Policarpo si presenta sotto la forma di un semplice resoconto relativo a un procedimento giudiziario. La vicenda processuale è presupposta come recente: meno di un anno sembrerebbe trascorso dalla morte del santo ~· e di essa si darebbe notizia, nei tempi brevi che alla sua importanza competono, da parte della Chiesa di Smirne a quella di Filomelio. Secondo una convinzione accolta da molti studi recenti ~ oltre che dai contemporanei di Baronia, il Martirio sarebbe stato redatto «non piu di qualche settimana dopo la morte di Policarpo» ~·.Una serie di motivi lascia però supporre una datazione piu bassa, non del martirio in sé, per il quale va condivisa quella della maggior parte degli studiosi al r67 "", bensf del suo resoconto, quale è giunto fino a noi. Delle tre categorie narrative in cui abitualmente si suddividono gli atti dei martiri, epistolare, memorialistica e giudiziaria, la forma della lettera, per quanto «primitiva» uo, è in realtà quella di maggior peso do ttrinale, ma di minore efficacia testimoniale. L'assumono persino martiri con venature montaniste, come la Passione di Montano e Lucio, colma di visioni, miracoli e altre interpolazioni «leggendarie» (Delehaye). Nella lettera-trattato o lettera-manifesto inviata dalla comunità d'origine a una o piu altre comunità cristiane, nella fattispecie quella degli Smirnioti o quella dei Lionesi, è l'ascendenza ecclesiale, che presuppone un avallo di tipo gerarchico, a subordinare la forma e il contenuto della narrazione sul martirio al filtro di un'elaborazione dogmatica. 7
u> Ibid., p. LVI; cfr. Annales Ecclesiastici auctore Caesare Baronia Sorano ... cum critica historico· chronologica P. Antonzi Pagi doctoris theologi ... , Luca e 1738-46, pp. 242-48; Acta Sanctorum quotquot loto orbe coluntur, l -LXVIII, Antverpiae-T ongerloo-Bruxelles 164 3-192 5 [d'ora in avanti AA.SS.],]anuarii, III, pp. 306-7. u• Martyrium Polycarpi, r8. 3, p. 26 Basciaensen. ~ 7 Cfr. s. RONCHEY, Indagine cit., p. 33, nota 2. 128 Cfr. T. o. BARNES, Pre-Decian Acta Martyrum, in]ThS, LVIII (1968), rise. in ID., Early Christianlty and the Roman Empire, London 1984, p. 510. U'l Per la querelle sulla datazione del manirio di Policarpo cfr. s. RONCHEY, Indagine cit., pp. 55-65. uo In senso non solo cronologico, ma anche storico-letterario: in quanto forma eccellente della pubblicistica cristiana dell'età apostolica, il modello epistolare tende a caricarsi dei caratteri di quella, a suggerire al lettore un'idea di autorità e di primaria genuinità, probabilmente non estranea alle intenzioni dei redattori che lo utilizzarono per la narrazione manirologica: cfr. ibtd., pp. 40-44.
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Invece Baronia considera quella epistolare la prima delle forme in cui i resoconti dei processi ai cristiani sono pervenuti al vaglio della storiografia. A partire dal Martirologio Romano"' la critica cattolica moderna ha ritenuto la mediazione della Chiesa antica una garanzia di« correttezza», che avrebbe dovuto assicurare una maggiore sincerità, o veridicità, al testo e confermarne in linea di principio la datazione alta, costituendo quasi un'autenticazione di per sé'". L'Epistola degli Smirnioti narra un tipo di martirio molto particolare, certo non voluto con determinazione né perseguito con accanimento: né dall'autorità giudiziaria romana, nella persona del tollerante proconsole, né, quel che è piu importante, da parte della Chiesa, la maggioranza dei cui esponenti ha fin dall'inizio esortato il vescovo a sottrarvisi; e neanche dal martire stesso. La narrazione dell'epistola-è introdotta da una premessa che offre la chiave della testimonianza portata dal martire. La scelta della latitanza risponde al precetto del vangelo di Matteo secondo cui i discepoli, se perseguitati in una polis, avrebbero dovuto trovare rifugio in un'altra'". La vicenda stessa di Cristo, che lascia la Giudea e si trasferisce in Galilea per prevenire l'arresto e una prevedibile esecuzione'", rivela e raccomanda un comportamento di questo tipo. La testimonianza di Policarpo è «veramente santa e coraggiosa» (makarion kai gennaion), dunque, perché in primo luogo «prudente» (eulabes) e resa «secondo il volere di Dio», conformandosi alla volontà divina anche per il modo e il tempo della chiamata al martirio, in un completo rimettersi alla di lui prowida giurisdizione'". Alla scelta di latitanza si somma poi una disponibilità al dialogo con il giudice terreno per lo meno insolita nella letteratura martirologica. Fin dall'inizio del dibattimento risuona il richiamo scritturale alla conciliazione con« i principati e le potestà>> u,.. Il Martirio di Policarpo non argomenta affatto l'ideologia antistatale del cristianesimo primitivo, illustrata da molti martiri ambientati nei primi due secoli come nelle persecuzioni deciana e dioclezianea e ad esempio dagli altri due martiri riguardanti la provincia d'Asia, quello di Carpo e quello di Pionio u'. N el Mar111 Non solo nelle Notationes baroniane al 23 febbraio, ma già fin dalla Tractatio cit., p. LVI. "' La posizione baroniana è ribadita fino a questo secolo dalla tradizione canolica: cfr. G. LAZZA· TI, Gli sviluppi cit., pp. 5-12 (La «lettera» prima/orma della letteratura sui martin), secondo cui la relazione da Chiesa a Chiesa, rispecchiando una presa di posizione sui fani da pane dell'intera comunità, reca il «suggello ecclesiastico>>, se non dell'ufficialità, quanto meno dell'autorità.
UJ Matteo, 10.22-23. '" Giovanni, 7.1. "' Martyrium Polycarpi, 2.1 e 19.1, pp. 8 e 27 Bastiaensen. "' Ibid., 10.2, p. 16 Bastiaensen: cfr. Matteo, 22.21; Marco, Romani, 13.1. "' Cfr. s. RONCHEY, Indagine cit., pp. 101-ro.
12.16-17;
Luca,
20.25,
e soprattutto
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tirio di Policarpo l'avversario principale del martire non è piu Roma o il suo rappresentante, il proconsole. Lo è se mai il potere locale, cioè l'irenarca Erode, e piu ancora il popolo anticristiano riunito nell'anfiteatro, in specie la sua componente giudaica'". Ma, soprattutto, la polemica nell'epistola riguarda atteggiamenti interni alla Chiesa stessa. Obiettivo del testo appare infatti quello di reprimere comportamenti estremistici o esibizionistici, provocatoriamente antistatali e antiromani, che si sono manifestati in seno alla Chiesa: l'inconsulta volontà di autoblazione, i comportamenti dell'« eresia frigia», il montanismo. Fin dall'inizio è proposta la contrapposizione del martirio« tiepido» e« prudente» del vescovo a quello acceso e protervo (parabiasamenos) del frigio Quinto, che tuttavia, pur avendo« trascinato sé e altri all' autodenuncia spontanea», dinanzi all'autorità giudiziaria s'intimorisce e abiura'". L'insistita conformità al vangelo in cui viene collocato il comportamento di Policarpo non può non leggersi, quindi, anche nel senso di un richiamo all'ortodossia. L'incongruità della data di morte del vescovo (r67) con quella del primo manifestarsi del montanismo in Frigia (171) ha originato discussioni sia sulla data del martirio, che si è tentato di posporre, sia su quella d'inizio dell'eresia, che si è voluta anticipare 140 • In realtà, la destinazione dell'epistola della Chiesa di Smirne a quella della periferica città frigia di Filomelio parrebbe comunque immotivata nel n secolo, mentre il contesto storico e l'evidenza epigrafica possono renderla plausibile nel m'". Ma le discussioni che mirano a conciliare la data di morte di Poli carpo con l'epoca del montanismo non hanno ragione di essere e l'incongruenza viene a sanarsi se si rinuncia a supporre l'Epistola degli Smirnioti contemporanea al martirio storico, se si ammette cioè che la sua stesura sia successiva all'esecuzione capitale del martire non già di un anno, ma di un assai maggiore lasso di tempo. '" Cfr. D. E. Trout, in «Speculum>>, LXVIII (1993), p. 252. '" Martyrium Polycarpi, 4, p. ro Bastiaensen. 1'° Cfr. P. DE LABRIOLLE, La crise montaniste ci r., pp. 569-89 (Appendice: La chronologie du montanisme primitt/); w. H. c. FREND,A Noteon the Chronology o/the Martyrdom o/Polycarp and the Outbreak o/Montanism, in Otkoumene. Studi paleocristianipubblicati in onore del Concilio ecumenico Vaticano II, Catania 1964, pp. 499-506. '" Sui dati emersi dalle esplorazioni archeologiche condotte alla fine dell'Ottocento da Ramsay, alla guida della spedizione anglo-americana, e da Duchesne, durante gli scavi della Scuola Francese di Atene, nella regione che si estende tra le due città mittente e referente dell'epistola, e in particolare sulle iscrizioni funerarie della zona del Tymbres nel Nord della Frigia, cfr. L. DUCHESNE, Saint Aberclus evèque d'Hiérapolis en Phrygie, in «Revue cles Questions Historiques>>, XXXIV (1883), pp. 26 sgg.;J. G. c. ANDERSON,PaganismandChristianityin the UpperTembns Valley, in w. M. RAMSAY (a cura di), Studies in the Ht'story and Art of the Eastern Roman Provinces, London 19o6, pp. 183-227; w. M. CALDER, Early Chnstian Epitaphs /rom Phrygia, in AS, V (1955). Per l'ipotesi, comunque solo conget· turale, di un collegamento tra queste epigrafi e l'epistola degli Smirnioti ai cfr. s. RONCHEY, Indagine cit., pp. 67-78, con ulteriore bibliografia. Cfr. tuttavia E. Gibson, in «Harvard Theological Studies>>, XXXII (1978), pp. 131-44·
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La posteriorità della narrazione ai fatti è confermata dagli altri anacronismi presenti al suo interno. li conflitto di competenze che essa presenta fra le autorità locali di polizia e il magistrato romano cosf come il ribaltamento dei ruoli tra irenarca e proconsole appaiono piuttosto suggeriti dall'agiografo che storicamente plausibili'". E improbabile che ad arrestare il vescovo nel suo rifugio di campagna siano stati realmente i diogmiti, le guardie cittadine agli ordini dell'autorità locale, poiché già nel 167 doveva essere avvenuto il passaggio di consegne, in ambito extracittadino, agli stationarii dell'esercito imperiale'". E anomala e incongrua anche la parte di protagonista che il Martirio di Policarpo assegna alla massa cittadina, il demos, prima, durante e dopo il processo e la sentenza di morte, di cui la «vociferazione popolare» (epiboesis) viene rappresentata come istigatrice '". L'atteggiamento di particolare ostilità dell'elemento giudaico"' in seno a quello popolare nella vicenda del martirio del vescovo sembra rispecchiare una realtà di rapporti posteriore ai fatti, se mai affine a quella mostrata dalla Vita di Policarpo, oggi universalmente datata al principio del v secolo. L'animosità del popolo dei gentili e degli ebrei nel racconto del martirio sembra rientrare piuttosto in un complessivo disegno di armonizzazione della vicenda processuale di Policarpo con quella di Cristo, di cui sembra far parte anche la volontà di non colpire l'autorità romana, che viene dipinta, nella figura del suo rappresentante di vertice, con i tratti d'irresolutezza già tipici di Pilato nel prototipo evangelico,.. _ Questi elementi possono ricondursi alla lettura del processo di Cristo intrapresa dalla letteratura ecclesiastica a partire dal m secolo'". Se per Baronia il Martirio di Policarpo è il primo degli antichi atti dei martiri poiché è dunque il p ili «veridico», autenticato e legittimato'", S. RONCHEY, Indagine cit., pp. 95·UO. '" Drgesto, r.r8.13 (Ulpiano, De o//icio proconsulis, 7), 48.13+4 (Marciano, Institutiones, 14); cfr. M. SORDI, I« nuovi decreti» di Marco Aurelio contro i cristiani, in StudRom, IX (196r), p. 376; G. LO· PUSZANSKI, La police romaine et !es chrétiens, in AC, XX, r (1951), pp. 13-14; s. RONCHEY, Indagine cit., 142
pp. III-20. '" Cfr. J. COLIN, Les villes libres de l'Orient gréco-romain et l'envoi au supplice por acclamations populaires, BruxeUes-Berchem 1965, pp.126-32, con la recensione di G. I. Luzzatto in PP, XXI (1966), pp. 77 sgg.; S. RONCHEY, Indagine cit., pp. 121-58. "' Ibid, pp. 159-77· "' Ibid., pp. 179-83. '" In particolare neU'Apologetico di TertuUiano, dove la colpevolizzazione degli ebrei corrisponde a una piu generale presa di distanza dal genus iudaicum sul piano deU'ideologia religiosa e deU'autodefinizione politica; i medesimi caratteri ricorrono in piu testi deUo stesso periodo; cfr. L. CRACCO RUGGINI, Pagam~ ebrei e cristiani: odio sociologico e odùJ teologico nel mondo antico, in Gli Ebrei nell'alto Medioevo (Settimane di Studio del Centro Italiano di Studi suU 'Alto Medioevo, XXVI), Spoleto 1980, p. 49 e nota 65. "' L'opinione baroniana è stata appassionatamente condivisa neUa tradizione cattolica, fino a oggi: cfr. v. SA:x.ER, L'authenticité du «Martyre de Polycarpe»: bilan de 25 ans de critique, in MEFRA. XCIV, 2 (1982), p. roor; s. RONCHEY, Indagine cit., p. 33, nota 2, e p. 209, nota r.
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già nel secolo scorso le argomentazioni di studiosi di parte protestante, da Lipsius a Steitz, Schiirer, Gebhardt, Holtzmann, Keim, pubblicate in fitta sequenza ma presto dimenticate dalla restante storiografia, hanno indicato la possibile collocazione del testo in un'età oscillante fra il26o e il282, nella successione cioè degli imperatori Galliena, Aureliano e Probo'". La stesura dell'Epistola degli Smirnioti si collocherebbe nella fase, anteriore all'ultima persecuzione di Diocleziano ma posteriore a quella di Decio, in cui si va stipulando il patto di alleanza tra Chiesa cristiana e Stato romano e fra clero ed establishment politico entro un'ormai unica classe dirigente. In particolare, poiché la morte di Policarpo nel r67 va collegata alle misure anticristiane di Marco Aurelio"", la riscrittura dei fatti di Smirne può ritenersi parallela alla ricostruzione, anch'essa avviata nel m secolo, di un'immagine cristiana favorevole dell'« imperatore filosofo», ed essere funzionale all'obliterarsi del suo ruolo persecutorio"'. Scegliendo di conferire uno speciale rango al genere dell'epistola, facendo dell'intenzione dogmatica il metro di giudizio e della mediazione ecclesiastica il punto di forza del suo lavoro critico sulla tradizione martirologica, Baronio ci ha indotto ad analizzare con particolare attenzione il Martirio di Policarpo sul piano storico. In tal modo, possiamo ora constatare che le conclusioni su di esso non investono solo il testo in sé, ma anche altri martiri, e in generale le idee riguardo allo sviluppo della letteratura sui martiri nell'arco dei primi cinque secoli cristiani. Il Martirio di Policarpo ha in effetti somiglianze esteriori sorprendenti con vari testi martirologici di età postseveriana "'. Con il Martirio di Teodoto d'Ancira ha in comune, oltre che i modi di tortura ~', eventi prodigiosi come la voce dal cielo che incoraggia il martire all'inizio dell'ago'" G. E. STEITZ, Der Charakter des kleinasiatischen Kirche und Festsille um die Mille des zweiten fahrhunderts an der Hand einer Urkunde kritisch gerecht/ertigt, in «]ahrbiicher fiir deutsche Theologie», VI (r86r); H. Schiirer, in «Zeitschrift fiir Historische Theologie>>, I (r87o); T. KEIM, Celsus' wahres Wort. A/teste Streitschri/t antiker Weltanschauung gegen das Christenthum vom ]ahr 178 n. Chr., wiederhergestel!t, aus dem Griechischen iibersetzt und er/ijutert, mit Lualm und Minuàus Felix verglic?en, Zi.irich r873; R. A. LIPSIUS, Der Mijrtyrertod Polykarps, in , X (1904), rist. in P. FRANCHI DE' CAVALIERI, Scritti agiografici cit., Il, pp. 93-101. La sua autenticità, almeno parziale, è estesamente difesa in Franchi de' Cavalieri, pp. 9-57; contra H. DELEHAYE, La passion de s. Théodote d'Ancyre, in AB, XXII (1903), pp. 320-28; ID., Le leggende agiografiche cit., p. 173·
"' Com'è stato proposto da M. SIMONETII, Alcune osservazioni sul martirio di S. Policarpo, in GIF, IX (1956), pp. 333 sgg.; M. SORDI, Il cristianesimo e Roma, Bologna 1965, p. 171; cfr. anche Id., in RSCI, XLIV, 2 (1990), p. 505. ~ 7 Come suggerito da B. Flusin, in «Revue cles Etudes Byzantines>>, L (1992), p. 320.
'" Ibid.
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tario-editoriale. Nell'ambito del protestantesimo questa dimensione andò sempre piu affermandosi, di pari passo con il costituirsi del metodo filologico« scientifico», anch'esso legato d'altronde alla restituzione dei testi ecclesiastici '". Con tali strumenti fin dal secolo scorso gli studiosi di scuola positivistica hanno preso a vivisezionare i testi martirologici, creature letterarie sino ad allora intoccabili, vere reliquie imbalsamate con ogm cura. Dalla critica del testo novecentesca è emersa la facoltà nuova di datare la testimonianza « sacrale » sulla base di elementi interni: formali, strutturali, linguistici. Quest'autopsia filologica dei martiri è stata attuata fino all'applicazione estrema del metodo del Lachmann, cosi da individuare frammenti di originalità documentaria all'interno di un corpo testuale corrotto e gonfiato dalle « interpolazioni e rielaborazioni ». Analizzata nelle Bearbeitungen und Interpolationen des Polykarpsmartyriums di Campenhausen, l'Epistola degli Smirnioti sui martirio di Policarpo è parsa colma di anacronismi e d'incongruenze rispetto alla datazione tradizionale. Campenhausen ne dimostrava irrefutabilmente e a piu riprese l'incompatibilità con la storia culturale, ecclesiastica, liturgica e anche con le abitudini retorico-letterarie dell'epoca in cui si voleva datarla; tuttavia, egli perveniva a spiegare ognuna delle incongruenze individuate con una serie di successive manipolazioni d'una versione coeva ai fatti, compilata da un testimone oculare: un genuino archetipo del quale non intendeva assolutamente mettere in dubbio l'esistenza originaria o compromettere la presunzione di autenticità, che a quel punto diveniva una qualità astratta'"'. Lo studio degli strati corrotti, delle interpolazioni, aveva in Campenhausen l'unico fine di raggiungere l'archetipo, l' U rtext: rispecchiava una concezione per cosi dire finalistica e una filosofia positivistica che nutriva fede certa nell'esistenza di un nucleo immutabile sotto le concrezioni storiche del testo. Gli strati testuali ritenuti piu tardi non venivano considerati nelle loro ragioni profonde né esaminati letterariamente, ma erano ritenuti escrescenze, tumori deturpanti il corpo essenziale, anche se ormai ridotto a esile nucleo, degli acta notarili conservati. Nessun dubbio sussisteva su questo nucleo e solo a esso si voleva arrivare, con l'atteggiamento proprio del filologo lachmanniano e l'accanimento '" Lachmann fu, com'è noto, editore del Nuovo Testamento, di cui l'editio minor apparve nel r831, l'editio maior nel 1842: cfr. s. TIMPANARO, La genesi del metodo del Lachmann, Firenze 1963, pp. 36-42; cfr. anche le pp. 14-22, per il nesso tra formazione del metodo filologico ed ecdotica dei testi sacri. ~ 1 H. VON CAMPENHAUSEN, Bearbeitungen und lnterpolationen des Polycarpsmartyriums, Heidelherg 1957, rist. in m., Aus der Friihzeit des Chrùtentums. Studien zur Kirchengeschichte des 1. und 2. fahrhunderts, Tiibingen 1963; cfr. s. RONCHEY, Indagine cit., pp. 6o-61, nota 21. 1
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escavatorio dell'archeologo che smantella ogni stratificazione pur di arrivare all'originario «monumento» 161 • Dal metodo ottocentesco la critica dei testi si è però oggi distaccata, facendosi piu attenta e scettica. La filologia ha abbandonato il dogma dell'esistenza dell'archetipo a tutti i costi e l'implicito finalismo. A maggior motivo tale cautela varrà in una zona della tradizione testuale come quella dei martiri, dove, come si è visto, né la genesi del testo né l' esistenza di un originale nucleo documentario alla sua base vanno esenti da perplessità"'. Si rende quindi necessario usare un altro metodo di scavo: includere ognuno degli strati con pari dignità nell'area di studio; dall'analisi filologica, genetica, passare alla comprensione sincronica, retorica e letteraria, del linguaggio che gli strati presentano. 7· Il linguaggio dei martiri.
Vi è un duplice denominatore comune a tutti quei testi che nell'antichità recano piu o meno forte impronta di verbale giudiziario. In primo luogo, il conflitto che vi si narra è ideologico. In secondo luogo, la forma processuale, o il suo residuo, è spesso solo una rappresentazione. Come il martire, nei termini della retorica scolastica, è antytipos del typos processuale originario, quello di Cristo "', cosi lo stile del dibattimento non è necessariamente traccia di un'origine documentaria, ma il calco entro cui s'incorpora una perorazione dialettica. Se questo è vero, il testo martirologico cristiano rappresenta l'estrema divulgazione del genere processuale: un peculiare «discorso di parte», in cui l'apparente neutralità dell'involucro non fa che aumentare la persuasività retorica del messaggio, che ha in realtà il fine della catechesi. Siamo cosi giunti a una seconda definizione del martirio: denominiamo tali quei testi cristiani di stile pseudogiudiziario che «testimoniano» cause e modalità di una condanna a morte ritenuta ingiusta, di cui esecutore e mandante sono il potere costituito, oppure la massa, o entrambi. Nel martirio il processo politico è portato in modo emotivamente forte dinanzi al giudizio di altri: il martirio è un processo violento, la cui violenza risiede in particolare nel fatto di essere risolto a priori; è una forzatura del processo, la sua conseguenza estrema. Come è stato scritto, «la distinzione fondamentale che determina lo 161
Leuven 162 16 '
Ibid., pp. 64-65; cfr.
B. DEHANDSCHUTTER,
Martyrium Polycarpi. Een literair-kritische studie,
1979.
Cfr. R. M. Grant, in «Cristianesimo nella Storia», XIII (1992), p. 435· H. LAUSBERG, Elementi di retorica, trad. it. Bologna 1969. par. 424; cfr. par.
20.
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stile del processo penale è l'atteggiamento dell'accusato di fronte all'ordine pubblico. Se lo accetta, il processo è possibile e costituisce un dialogo tra l'accusato che spiega il proprio comportamento e il giudice i cui valori vengono rispettati. Se invece lo rifiuta, l'apparato giudiziario si disintegra: siamo allora al processo di rottura» Ora, la specificità ideologica e cioè la caratteristica di rottura del processo si traduce, nella letteratura giudiziaria cristiana, in un'incomunicabilità propriamente retorico-linguistica. 1 "".
Può trattarsi di un'ambiguità nel vocabolario, corrispondente a ciò che Aristotele chiama homonymia: ambiguità lessicale ... In bocca ai diversi personaggi le stesse parole acquistano significati differenti od opposti, perché il loro valore semantico non è lo stesso nella lingua religiosa, giuridica, politica, comune ... L'ambiguità traduce allora la tensione fra certi valori avvertiti come inconciliabili nonostante la loro omonimia. Le parole scambiate ... anziché stabilire la comunicazione e l'accordo fra i personaggi sottolineano viceversa l'impermeabilità degli spiriti ... segnano le barriere che separano i protagonisti, fanno risaltare le linee conflittuali. Ciascuno ... chiuso nell'universo che gli è proprio dà alla parola un senso e uno solo. Contro questa unilateralità urta violentemente un'altra unilateralità 1" .
Se nell'antichità l'elemento anfibologico era esemplificato nell'incomprensione tra l'imperatore e il filosofo pagano o tra il prefetto del pretorio e il brigante 166 come nell'oscurità del linguaggio profetico veterotestamentario o come nell'ambiguità dei dialoghi della tragedia, nella letteratura del cristianesimo doppi sensi e fraintendimenti sono il piu evidente tratto comune del linguaggio dei martiri. Il dibattimento tra il martire e il suo giudice rappresenta una parte del resoconto che in ogni testo processuale cristiano è da considerarsi «massimamente espressiva degli intenti di chi lo elaborò» 1" : l'anfibologia è, in esso, la figura prediletta. Studiando la letteratura martirologica «dal punto di vista della parola e dello statuto che le viene riconosciuto nella procedura giudiziaria» 168 , può dirsi che vi si configura una vera e propria, comune e distintiva retorica dell'incomunicabilità. Questo marchio formale è il frutto di un divaricarsi del codice di riferimento cul1 "' J.-M. VERGÈS, Strategia del processo politico, trad. it. Torino 1969, p. 15. È stata per prima Giuliana Lanata (p. 73) ad applicare agli antichi processi contro i martiri le categorie proposte dallo studio di Vergès, che analizzava i piu celebri processi politici, da quello di Cristo (pp. r8-r9) a quello di Socrate (pp. 49-54); cfr. s. RONCHEY, Indagine cit., pp. 79-91. 1 " Sono le parole dedicate da Vernant all'ambiguità del linguaggio tragico: J.-P. VERNANT, Ambi· guità e rovesciamento cit., pp. 88-89. 166 Non è forse casuale che anche il linguaggio storiografico divenga paronomastico, riferito a Bulla Felix: «Non era mai visto quando visto, mai scoperto quando scoperto, mai catturato quando catturato>> (DIONE CASSIO, 77.ro, p. 258 Baldwin Foster). 167 Lanata, pp. r5-r6 e 32 sgg.; H. DELEHAYE, Les passions cit., p. 36. 168 J.·C. MAIRE VIGUER, Giudici e testimoni a confronto cit., p. 109.
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turale, non solo linguistico, tra l'inquisitore e l'inquisito. Il martire è inafferrabile nei territori del linguaggio come il brigante nelle sue selve. Non si tratta di una questione solo formale. L'ambiguità è profonda, sostanziale. Nell'uso linguistico degli atti dei martiri, essa è procurata dal trasferimento dall'uno all'altro piano di senso di un concetto semanticamente pregnante, che in genere rappresenta uno dei contenuti cruciali dell'una o dell'altra cultura a confronto, e, spesso, di entrambe: lo statuto di civis come quello di pater, l'accezione di aion o quella di basileia, il concetto di ateismo o quello giuridico-morale di testimonianza nel codice pagano come in quello cristiano sono non solo pregnanti, ma essenziali. Si può dire che con questo espediente il martire, o il suo portavoce letterario, attui una provocazione che coglie il bersaglio nel cuore del sistema di valori dell'inquisitore suo avversario. Lo stesso meccanismo si riscontra vagliando le tecniche d'interrogatorio dei processi medievali, il sistema degli articuli con i suoi fitti scambi di domande e risposte; analizzando lo statuto della parola nella procedura giudiziaria dei tribunali dell'Inquisizione, grandi protagonisti, finora, degli studi sul processo politico-religioso; o esaminando infine i verbali dei Martyrologes della rivoluzione francese'". In tutti questi processi accade che le domande del giudice diano luogo «a scambi violentissimi tra il giudice e il testimone quando costui rifiuta di adottare gli strumenti cognitivi di quello. Avviene pure che il testimone confuti la validità delle domande che gli vengono rivolte e dimostri, con maggiore o minor efficacia, l'adeguatezza del proprio linguaggio contro le categorie che gli vuole imporre il suo interlocutore» '70 • Questi incidenti della comunicazione e del linguaggio risultano propri, in un modo o nell'altro, di tutti quei« luoghi di parola» 171 che sono i tribunali, religiosi o laici, dove si svolgono processi ideologici: da quelli contro i cristiani donatisti o gli oppositori dell'arianesimo di Stato a quelli che vedono imputati gli eretici di tutto il medioevo bizantino, ad esempio i bogomili, od occidentale, ad esempio i catari, fino ai verbali inquisitoriali contro gli ebrei della prima età moderna'". 169 F. AUDARD, Actes des Martyrs et Confesseurs de lafoi pendant la révolution, l-III, Tours 1918, 1921 e 192 3; cfr. ad esempio gli interrogatori della Commission Militaire a ean-Thomas-Simon Rétrif, ghigliottinato a Tours (1, pp. 9-II) o ad André Chesneau, ghigliottinato ad Angers (III, pp. 164 sgg.). 170 J.-c. MAIRE VIGUEUR, Giudici e testimoni a confronto cit., p. IIJ.
J
171
Ibtd., p.
12.
BIG ET, I catari difronte agli inquisitori in Languedoc, in J.-c. MAI RE VIGUEUR e A. PARA VICINI BAGLIANI (a cura di), La parola all'accusato ci t., pp. 235 sgg.; A. PATSCHOVSKY, Gli eretici da-
"' Cfr. J.-L.
vanti al tribunale. A proposito dei processi verbali inquisitori in Germania e in Boemia nel XIV secolo, ibid., pp. 252 sgg.; A. ESPOSITO e D. QUAGLIONI, Processi contro gli Ebrei di Trento (I475·I4J8), l, Padova
1990.
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8. Ambiguità e linguaggio della lotta negli atti antichi.
Tra i primi esempi d'uso retorico dell'ambiguità è il dialogo di Giustino con Rustico nei suoi Atti indubbiamente «sinceri» e autentici. «Il prefetto domanda a Giustino: Che genere di vita conduci?» Risponde Giustino: «lrreprensibile e incensurabile da chicchessia». Ma bios nel lessico di Rustico vuole dire non «vita» bensi «disciplina», ed egli deve riformulare la domanda: «Quali principi pratichi?» Anche interrogato sul luogo di riunione dei cristiani, Giustino continua a sottrarsi al senso delle parole. «Credi sia forse possibile riunirei tutti insieme?» Rustico, spazientito, ripete: «Andiamo! In che punto vi riunite, intendo qui in città», e solo allora Giustino fornisce il proprio indirizzo: «Sopra i bagni di Mirtino». Alla fine del colloquio, Rustico minaccia: «Se non obbedite, sarete puniti» e Giustino ribatte con un paradosso: «Il nostro desiderio è d'essere salvati appunto perché siamo stati puniti» "'. Nella retorica del discorso giudiziario tradizionale si denomina paradoxon schema quell'opinione di parte che non solo non può coincidere con l'opinione del giudice, ma «urta il suo senso di verità» (genus admirabile) e «il suo sentimento etico» (genus turpe)'". Tra le forme paradossali di elocuzione si trovano l'enfasi, l'iperbole, l'ossimoro e l'ironia, figure tutte presenti, possiamo notare, nell'eloquio del martire. In particolare l' ossimoro viene definito dalla dottrina retorica «un paradosso intellettuale tra membri antitetici» e riferito a« un'intenzionale affermazione ironica [eironeia] finalizzata allo straniamento [xenikon] » '". Nel Martirio di Apollonia il proconsole Perennio stupisce dell' acquiescenza alla morte dell'educato e ricco alessandrino che gli sta dinanzi, e gli domanda: «Ma muori contento?» Apollonia rettifica: «No, vivo contento, Perennio: non ho paura della morte perché amo la vita ... la vita che è assenza di morte [athanasia] », e Perennio non si raccapezza: «Non capisco ciò che dici e non so proprio di cosa vai parlando con tanta foga». Siamo alla rottura della comunicazione, in un processo che finora poteva definirsi di connivenza'". Apollonia risponde a Perennio accusandolo di essere «disinformato riguardo ai doni della grazia», indirettamente lo taccia di «stoltezza» e «cecità», e conclude dicendo: «A chi è stolto la verità deve per forza apparire come un'ingiuria». Anche il veterano Giulio ha «scelto di morire nel tempo per vivere in eter"' Acta fustini, 2.1·3, 3.1-3, 5.4-5, pp. 52-57 Bastiaensen. '" H. LAUSBERG, Elementi di retorica cit., par. 37, r. '" Ibid., par. 389, 3, e par. 84. '" Cfr. J.-M. VERGÈS, Strategia cit., pp.
15-17.
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no» 177 • Il linguaggio cristiano è un trionfo dell'ossimoro: le parole dei difensori in suffragio di Flaviano sono definite« amicitia inimica» dall' autore della Passione di Montano e Lucio'". Prendiamo a ulteriore esempio i dialoghi processuali di due martiri che si assomigliano'", Carpo e Massimo. Nel Martirio di Carpo, Papi/o e Agatonice, che si riferisce al processo avvenuto a Pergamo probabilmente sotto Marco Aurelio '"', fin dalle primissime battute è chiara non solo in Carpo ma anche in Papilo la volontà d'interpretare le domande che gli vengono rivolte in un senso tutto suo: «Come ti chiami?» Il beato risponde: «Il mio primo e piu illustre nome è Cristiano. A meno che tu non voglia sapere il mio nome nel mondo ... » Il proconsole gli domanda se ha figli, e, poiché l'accusato risponde «di averne molti, grazie a Dio» '", una voce si leva sdegnata dal demos a chiarire il linguaggio del martire, che ha inteso il termine nel senso di «padre di anime»: «Dice di avere figli come s'intende secondo la sua fede, tra i cristiani». L'intervento è volto a decodificare una dichiarazione« ironica» cristiana, la cui deliberata ambiguità suona evidentemente elusiva e provocatoriamente fuorviante agli orecchi dei cittadini che assistono al processo: è necessario chiarirla al magistrato, per il quale il termine «padre di figli» non può invece che corrispondere a una precisa nozione giuridica (pater /amilias), la quale definisce la posizione dell'imputato nel consorzio sociale e dinanzi allo Stato romano, qualificandolo come eventualmente suscettibile di clemenza secondo il codice giuridico "". Qui risiede d'altronde la superiorità strategica dell'imputato sull'inquisitore. L'imputato consapevolmente impiega termini che non risultano perspicui al giudice, che anzi gli appaiono paradossali, contraddittori, eversivi della logica e contrari al senso comune: il giudice deve essere ignaro del codice esclusivo dall'altro posseduto con sprezzante sicurez177 178 179
Acta Iulii, .3·5· pp. 262-64 Musurillo. Passio Montani et Lucri, r6.r, p. 15 Musurillo. Cfr. M. SIMONETTI, Studi agiografici, Roma I955, pp. BI sgg.
'"' È questa la datazione maggioritaria, anche se alcuni studiosi continuano a datare il martirio alla persecuzione deciana; la redazione comunque, almeno di alcune sue parti, dovette essere piu tarda: cfr. Bastiaensen, p. 34, con bibliografia essenziale. "' L'ambiguità dell'espressione greca è intraducibile: >è infatti sia>)e 2.1, p. 304 Musurillo; cfr. P. FRANCHI DE' CAVALIERI, Osservazioni sopra gli Atti di Crispina, in Nuove note agiografiche, II, Roma 1902, pp. 2 3·31· "' J. GIL, s.v. > (Martyn·um Polycarpi, 9.2, p. 16 Bastiaensen). 18 ' S. RONCHEY, Indagine cit., pp. 133·58. . 219 Nonostante la forma protocollare che questi atti assumono, la critica riconosce loro solo un h· mitato grado di ).
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Stato e Chiesa. Alla metà del IV secolo i martiri antiariani divengono protagonisti e campioni dell'antistatalismo e insieme dell'ortodossia: un esempio è dato dal processo ai santi notari Marciano e Martirio (potremmo definire quest'ultimo un «santo eponimo») avvenuto nella capitale stessa del potere imperiale: Costantinopoli. Secondo la Storia ecclesiastica di Sozomeno i due notari, intrinseci del vescovo Paolo I, sono processati e condannati a morte su denuncia, calunniosa, del vescovo scismati co Macedonia, in quanto istigatori della rivolta popolare culminata nell'uccisione del generale di cavalleria Ermogene "'. Il testo del martirio a noi pervenuto 2" è tuttavia indipendente dalla tradizione storiografica, e afferma che Marciano e Martirio vengono accusati per motivi solo ideologici, «poiché disprezzano le disposizioni di Costanzo II in favore degli ariani, sconfessano il concilio di Serdica, vituperano i rappresentanti della Chiesa costantinopolitana chiamandoli eresiarchi e recano con ciò oltraggio al baszleus». Marciano e Martirio rispondono «arditamente» (tharsaleos) all'interrogatorio del «tiranno» Filippo, eparca della città: essi «non tollerano» che l'autorità costituita« per bieco interesse [at"schrokerdez"a] trascini i fedeli nell'eresia». Il dibattimento ha tutti i requisiti del processo di rottura, compreso quello retorico: gli imputati, letteralmente, dichiarano: «Noi con gli ariani non comunichiamo» 2" . Riaffiorano nel testo il linguaggio e l'idea della «lotta», che ora tuttavia non è in nome di Cristo bensi della Santa Trinità, oggetto per l'appunto della controversia ariana 2"'. I due chierici, da buoni martiri, dichiarano di essere pronti a morire piuttosto che abiurare, non alla fede cristiana in genere, ma« alla fede sana» (amometos pt"stù) 2". La ricerca di morte ritorna perciò come interdizione all'eresia. «E tuttavia, c'è morte e morte» affermava nella sua apologia Apollonia. È un nuovo tipo di martirio a venire in quest'epoca raccomandato. Già il martire di Alessandria lodava quanti «muoiono ogni giorno ai piaceri, reprimendo le passioni con la continenza (enkratez"a), risoluti a vivere secondo il codice divino» Gli asceti egiziani del m e IV secolo 242
•
"' SOZOMENO, Storia ecclesiastica, 4-3. pp. 141-42 Bidez (SOZOMENOS, Kirchengeschichte, Berlin
1960). 218 In doppia recensione: P. FRANCHI DE' CAVALIERI, Una pagina di storia bizantina del secolo TI'. Il martirio dei santi notari, in AB, LXIV (1946), pp. 132-75, rist. in ID., Scrilli agiografici cit., Il, pp. 401•39· 219 Martyrium Marciani et Martyrti, p. 438, 25-26 Franchi de' Cavalieri (per la traduzione dd passo cfr. p. 403). 2"' >, V (1973), pp. 6-47; J. RAMIN, La technique minière et métallurgique des anciens, Bruxelles 1977; Scienza e tecnica dalle origini al Novecento, I. Dalla preistoria ali700, Milano 1977, specialmente pp. 37-102; J. F. HEALY, Mining and Metallurgy in the Ancient World, London 1978; J. G. LANDELS, Engeneering in the Ancient World, London 1978; L. WHITE jr, TechnologicalDevelopment in t be Transition /rom Antiquity to the Mtddle Ages, in Tecnologia, economia e società nel mondo romano, Atti del Convegno (Como, 27-29 settembre 1979), Como 1980, pp. 235-51; ID., Greek and Roman Technology (Aspects o/Greek and Roman Lz/e), London 1984; O. WIKANDER, Exploitation o/Water-Power or Technological Stagnation? A Reappraisal o/ the Productive Forces in tbe Roma n Empire, Lund 198384; F. F. REPELLINI, Tecnologie e macchine, in questa Storia di Roma, IV, pp. 323-68. 6 Cfr. Anonymus de rebus bellicis, praef., 6-7 (trad. it. A. GIARDINA (a cura di), Anonimo. Le cose delta guerra, Milano 1989, pp. 5-7); sugli aspetti tecnologici di quest'opera cfr. specialmente E. A. THOMPSON, A Roman Re/omer and Inventar, Oxford 1952, particolarmente pp. 44-69; M. w. c. HASSAL e R. IRELAND, (a cura di), De rebus bellicis, Oxford 1979. Piu in generale, oltre ai contributi di Kolendo, Pleket e L. White citati sopra, alla nota 5, cfr. A. KOYRÉ (a cura di), Dal mondo del pressappoco all'universo della precisione, Torino 1967 (da Les philosophes et la machine, Paris 1961), pp. rr5-34 e 4961 (saggi di V.-M. Schuhl e A. Koyré); M. BLOCH, Lavoro e tecnica nel Medioevo (1959), Roma-Bari 19722
7 Cfr. H.-l. MARROU, Hùtoire de l'éducation dans l'antiquité (1948), Paris 19656 , specialmente pp. 265-79 e 371-73 (= trad. it., Roma 19782, pp. 291-53 e 337-38).
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Fino al n secolo d. C., peraltro, il campo d'indagine si presenta abbastanza omogeneo, circoscritto a una cultura latina che ancora gravitava sull'Italia e su Roma e che si collocava in posizione dialettica rispetco al blocco della tradizione scientifica greco-ellenistica dominante. Nell'universo politico del Tardoantico tutto invece tende a rimescolarsi, in quello «stagno» mediterraneo attorno al quale il mondo classico viveva « stipato a guisa di rane sul bordo di una palude» (per usare un'immagine che già Socrate aveva propinato ai suoi amici ateniesi)'. Soprattutto a partire dal m secolo d. C., suggestioni, influenze e presenze irrompono da altri mondi o da culture in precedenza sommerse, in uno sterminato proliferare, intersecarsi e stratificarsi di tradizioni e di mentalità eterogenee. Ciò costituisce un'obiettiva difficoltà nel tentativo d'individuare scuole e correnti di pensiero in questi secoli, rapportando la loro fluida pluralità alla diversa qualità non soltanto degli elaboratori di cultura tecnico-scientifica (filosofi da una parte, famiglie o botteghe trasmettitrici di tecniche artigianali dall'altra), ma anche dei fruitori di queste scienze e tecniche, ossia dell'ambiente sociale che via via le accoglieva o le respingeva, e le giudicava secondo «immagini del sapere» sue proprie, mutevoli nel tempo, nello spazio e a seconda dei ceti e delle etnie. Per conseguenza, disponiamo a tutt'oggi di una quantità cospicua di studi sul periodo che va dalle «origini» della scienza nell'età greca arcaica sino alla diffusione dei saperi nel mondo unificato da Roma, appoggiandoci a una produzione filosofico-speculativa ed erudita che già in antico fu discretamente abbondante. Nel prosieguo, sono a nostra disposizione indagini sulla cultura scientifica cristiana nel Medioevo, orientata lungo percorsi alquanto differenti rispetto al passato, ma anche erede di atteggiamenti mentali e di spezzoni contenutistici della classicità assestati entro un quadro coerente e omogeneo di valori nuovi, destinato a rimanere immutato per alcuni secoli. Nel mezzo, ci troviamo invece a fronteggiare vuoti impressionanti. Sul disinteresse della ricerca attuale ha senza dubbio pesato la convinzione- di cui lo stesso Stahl si è fatto portavoce- circa una sostanziale inettitudine romana alle scienze pure, nonché un radicato pregiudizio nei confronti della cultura tardoantica, ancora in tempi recenti spesso presentata in termini negativi, quale fiacca ripetizione del mirabile sapere creativo posseduto dagli scienziati-filosofi nel mondo greco-ellenistico, da Aristotele a Euclide, Tolomeo, Posidonio, Nicomaco di Gerasa, Galeno. Compilazioni latine via via piu superficiali e semplificanti ne avrebbero fruito, ma quasi esclusivamente per via mediata, attingendo ' Cfr. P. BROWN, Il mondo tardo antico da Marco Aurelio a Maometto, Torino 1974, daU'ed. Lon· don 1971. p. 9·
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alle opere dei piu antichi studiosi romani che ne avevano fatto un uso diretto, come Varrone, Pomponio Mela, Vitruvio, Cornelio Celso, Salino, Plinio il Vecchio: eruditi versatili, a loro volta però incapaci- si suole ripetere- di penetrare sino in fondo il pensiero scientifico delle fonti greche e alieni dal partecipare alloro fervore speculativo. Già tuttavia Hermann Usener', occupandosi di uomini di scienza bizantini nell'età di Eraclio, aveva sottolineato l'importanza di studiare anche i momenti di declino nel sapere scientifico, d'indagare come e perché certi interessi vennero a un certo punto osteggiati, si isolarono o si estinsero, oppure conobbero metamorfosi radicali. Problema storico centrale è dunque quello di capire che cosa fece scattare certi meccanismi di conservazione o di distruzione in un patrimonio culturale già da secoli selezionato. L'originalità e l'importanza del Tardoantico stanno appunto nella sua particolarissima funzione non soltanto di raccordo fra due epoche, ma soprattutto di «trasformatore» nella trasmissione della cultura antica anche scientifica - secondo criteri selettivi e interpretrativi suoi propri. Ogni società, o quanto meno i gruppi che in essa realmente contano, sviluppa in sostanza i tipi di sapere che le necessitano. Non dimentichiamo che furono in ogni caso proprio i tanto sottovalutati esperti latini di scienza nella tarda antichità (Calcidio con la sua traduzione e commento del Timeo platonico, e poi Macrobio, Agostino, Boezio primo traduttore di Euclide in quell'età gotica che, grazie anche alle esperienze giovanili di T eoderico presso la corte di Bisanzio, ancora seppe incoraggiare la diffusione in Italia dei sa peri provenienti dal mondo greco) a divenire, accanto ad Apuleio, le massime autorità in fatto soprattutto di cosmografia e di geografia in quel secolo XII che pur vide il proliferare sull'argomento anche di tante traduzioni latine da originali greci e arabi. 2.
Il sapere scientz/ico e il progresso tecnico.
È a mio avviso importante evitare per quanto possibile estrapolazioni da moderni parametri di giudizio. Partiamo dunque da un passo assai ' H. USENER, Kleine Schrz/ten, Stuttgart 1912-I3, rist. anastatica Osnabriick 1965, III, pp. 247-322 (r88o: indagine su Stefano di Bisanzio, interprete di Platone e di Aristotele ma anche studioso di geometria, aritmetica, musica e astronomia, e del quale Usener pubblicò il De astronomia); su questa presa di posizione di Usener, che venne a introdurre nella storia della scienza antica, a pieno titolo, anche la storia degli errori, delle cosiddette> 3, p. 907; inoltre- a parte M. ALIC, Hypatia Heritage. A History o/Women in Science /rom Antiquity to the Nineteenth Century, London-Boston I986, trad. it. Roma I989 (monografia ispirata a istanze femministe e comunque di taglio non tanto storico, quanto di storia della scienza)- cfr. G. Fowden, recensione (in CPh, LXXX (r985), pp. 281-85) a J. BREGMAN, Synesius of Cyrenae, Philosopher-Bishop, Berkeley- Las Angeles 1982; D. ROQUE, Synésios de Cyrène et la Cyrénar que du Bas-Empire, Paris 1987, pp. 13I, 144 (Sinesio, futuro vescovo di Tolemaide, fu allievo di lpazia in Alessandria e anche in seguito rimase legato a costei come a «maestra, madre e sorella>>); M. DZIELSKA, Ipazia e la sua cerchia intellettuale, in M. SA LAMON (a cura di), Paganism in the Later Roman Empire and in Byzantium, Cracow 1991, pp. 45-60 (anticipazione di una monografia in preparazione); su problemi piu circoscritti, É. ÉVRARD, A quel titre HypatùJ enseignait-elle la philosophie?, in REG, XC (1977), pp. 69-74; J. ROUGÉ, La politique de Cyrille d'Alexandrie et le meurtre d'Hypatie, in «Cristianesimo nella storia>>, XI (I99o), pp. 485-504. " Cfr. L. CRACCO RUGGINI, Solisti greci nell'impero romano, in «Athenaeum >>,n. s., XLIX (I97I), pp. 402-25; ID., Simboli di battaglia ideologica nel tardo ellenismo (Roma, Atene, Costantinopoli; Numa, Empedocle, Cristo), in Studi Storici in onore di O. Bertolini, l, Pisa I972, pp. I77-300. " Cfr. DAMASC!O, Vita di lsidoro, fr. 102 (ed. a cura di C. Zintzen, Hildesheim I967, p. 79); É. ÉVRARD, A quel titre cit. " Sulle aperture a una divulgazione della cultura prima del IV secolo d. C., cfr. P. DESIDERI, Dione di Prusa. Un intellettuale greco nell'impero romano, Firenze I978; per l'età di Costanzo Il, L CRACco RUGGINI,« Felix temporum reparatio»: Realtà socio-economiche in movimento durante un ventennio di regno (Costanzo II Augusto, 337-36r d. C.), in L'Eglise et l'empire au Iv' siècle, VandoeuvresGenève I989, pp. I79-249 e particolarmente I99 sgg.; per un'analisi della testimonianza di Temistio, in confronto con quella di Eunapio, ID., Simboli cit.
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imperiale impoverito e formatosi culturalmente fra la Siria, l'Asia Minore e l'Egitto - per tutta la vita esercitasse a titolo gratuito l'arte medica appresa in Alessandria secondo l'ideale del medicus gratiosus foggiato da Galeno"; e praticasse invece l'attività artigianale dell'orafo ogniqualvolta necessitava di denaro per mantenersi, secondo quanto riferisce con ammirazione lo storico ecclesiastico ariano Filostorgio ".In ambienti come questi, ove l'influenza di cospicue comunità giudaiche doveva a sua volta farsi sentire, non si possono nemmeno escludere ambivalenti suggestioni sia della tradizione biblica (ove l'invenzione dei pesi, delle misure, dei numeri, della vita cittadina e dei commerci- ossia di tutti gli elementi corruttori dell'uomo- era attribuita a Caino) sia della cultura rabbinica, che non disprezzava affatto l'abbinamento fra lavoro intellettuale e manuale (si conoscono rabbini calzolai, spaccalegna, ecc.)". Un personaggio come Aezio- retore, medico,« filosofo~~ (teologo), ma nel contempo anche artigiano a mercede contro ogni tradizione classica- può apparire quasi speculare al filosofo-artigiano in cui lppia di Elide aveva amato rispecchiarsi circa novecento anni prima. Anche il IV secolo d. C. fu, di fatto, un'epoca in cui la concezione antropocentrica giudaico-cristiana riproponeva all'uomo, come al tempo della prima Sofistica, il progetto di dominare la realtà fisica non p ili riguardandola come numinosa e intangibile; un'età, d'altro canto, nella quale l'individualismo tornava ad acquistare il soprawento nei confronti di una comunità politica sovrannazionale quale l'Impero, troppo grande e oppressivo per riconoscervisi e in cui poteva tutt'al p ili avere valore la flessibilità, la capacità di adattamento, l' ossequio utilitaristico alle richieste del potere (proprio come, seppure in chiave assai diversa, già nel mondo greco di lppia e di Gorgia). Lungi dal disinteressarsi della vita politica secondo il modello ideale del neoplatonismo ateniese coevo, la scienziata-filosofa pagana lpazia "' Cfr. sopra, nota 13. " FILOSTORGIO, Storia ecclesiastica, 3-15 (GCS, pp. 44·47). Su Aezio cfr. pureSuidae Lexikon, s. v. « 'AÉ-:wç »,a cura di A. Adler, l, Leipzig 1928, pp. 58-59; negativo è invece il giudizio su Aezio, come pure su Eunomio suo stenografo e discepolo, dell'onodosso socRATE, Storia ecclesiastica, 2.35 (PG, LXVII, coli. 297-3oo). " Paolo stesso, appanenente a una famiglia di Farisei dotti nella Legge ma nel contempo impegnati nell'attività tessile, fu un fabbricante di tende e continuò saltuariamente a praticare tale mestiere durante i suoi viaggi missionari, raccomandando anche ai fedeli di lavorare con le proprie mani per assicurarsi una vita decorosa e indipendente (cfr. I Tessalonicesi, 4.II; M.-F. BASLEZ, Paolo di Tarso, l'apostolo delle genti, Torino 1993 [dall'ed. Paris 1991], pp. 18-20: vien fatto di ripensare a lppia di Atene molti secoli prima); Barnaba, già !evita e capo del gruppo cristiano di Antiochia, in seguito collaboratore di Paolo, sembra fosse stato persona benestante (proprietario di terre), che tuttavia decise di vendere i suoi beni e di fare l'anigiano itinerante (cfr. Atti degli apostoli, 4- 36); cfr. J. LE GOFF, Lavoro, tecniche e artigiani nei sistemi di valore dell'alto Medioevo (v-x secolo) (1971), in ID .. Tempo della Chiesa e tempo del mercante. E altri saggi su/lavoro e la cultura nel Medioevo, Torino 1977, pp. 73-97 e specialmente 79; L. WHITE jr, Technological Development cit., specialmente p. 250.
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era stata del resto anche interlocutrice autorevole del prefetto d'Egitto Oreste per questioni d'interesse cittadino (cagione non ultima della sua tragica fine in seguito alle trame del vescovo di Alessandria Cirillo)". Ed è per l'appunto l'aggancio alla politica imperiale che consente di portare il discorso sulle scienze su di un piano alternativo a quello di Filone e di Seneca, mettendo in luce la continuità, anche nel mondo romano, di quel filone culturale greco nato con la prima Sofistica, maturato attraverso le esperienze ecumeniche dell'ellenismo, teorizzato- come si è detto- soprattutto da Posidonio (il quale fu pure il padre della dottrina circa l'unità della storia, a suo avviso simboleggiata dalla« cosmopoli »o città di Dio e rispecchiata dall'Impero romano, che abbracciava tutti i popoli del mondo conosciuto aiutandoli a migliorare). ll vagheggiamento senechiano di un rassicurante immobilismo tecnologico-scientifico (e quindi anche sociale e politico)", intrecciato al sogno di un utopistico ritorno al primitivismo dell'età dell'oro; era in sostanza la risposta polemica a un'opposta ideologia, in quel tempo già vincente. La condanna esasperata e astratta di tutte le invenzioni e applicazioni tecniche in quanto strumenti di degenerazione, sofisticazioni asservite alla bramosia del lusso (si pensi, nell'epistola 90 di Seneca, alla contrapposizione fra Diogene, filosofo perfetto, e Dedalo artefice geniale, due figure che non è possibile ammirare contemporaneamente), si ispirava piu o meno consciamente a una concezione animistica della natura, riguardata quasi fosse un gigantesco organismo intangibile e divino. Tale fu, in sostanza, anche l'atteggiamento di Plinio il Vecchio; eriflesso di un tale rispetto per la natura, trasformato in tabu religioso, appaiono pure le ragioni che, al dire di Tacito, vennero messe avanti con successo al tempo di Tiberio per osteggiare certi progetti idraulici che intendevano modificare corsi di fiumi e sbocchi di laghi onde evitare piene rovinose del Tevere". Soggiaceva qui, nel contempo, l'idea- a sua volta di chiara ascendenza greca (Erodoto)- che le grandi opere pubbliche, soprattutto di canalizzazione delle acque e deviazione dei fiumi, fossero tipiche dei re barbari dell'Oriente (di Lidia, d'Egitto, di Persia), i quali avevano sconvolto l'ordine naturale con giganteschi artifici, ricorn Cfr. sopra, nota 46, con bibliografia ivi. " Cfr. specialmente 1. LANA, Scienza e politica cit.; sul disprezzo per il progresso tecnico visto in relazione con un'etica individuale, in un'età che dopo la fine della Repubblica non aveva ancora sviluppato una nuova etica politica al servizio del principe, cfr. D. NORR, Zur sozialen und rechtlichen Bewertung der freien Arbeit in Rom, in ZSS, LXXXII (1965), pp. 67-105 e specialmente 85. " Cfr. TACITO, Annali, 1.79; G. TRAINA, Antico e moderno nella storia delle bonz/iche italiane, in StudStor, XXVI (1985), pp. 431-36; ID., Paesaggio e «decadenza». La palude nella trasformazione del mondo antico, in Società romana e impero tardoantico cit., III. Le mera~ gli insediamenti, pp. 7n-36 (testo) e 905-17 (note); P. FEDELI, La natura violata. Ecologia e mondo romano, Palermo 1990, pp. Br sgg.
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rendo all'opera di masse asservite: un punto di vista che può apparire bizzarro, se messo a confronto con un'idea di «occidentalizzazione» che oggi viene fatta coincidere (con valenze anche negative) con quella di un unificante predominio tecnologico in tutti gli stati-leaders dell'emisfero boreale, dall'Europa agli Stati Uniti e al Giappone". Nel mondo greco fra v e IV secolo la polemica aveva coinvolto persino il processo di artificializzazione «barbarica» della forma urbana, dividendo l' opinione pubblica fra i sostenitori della città concresciuta naturalmente su se stessa, come Atene (Platone nel Crizia, Aristofane negli Uccelli), e gli ammiratori della città «artificiale», pianificata secondo un progetto razionale geometrico (Aristotele, che approvò le concezioni urbanistiche di Ippodamo di Mileto)". Ma con il sopravvenire dell'ellenismo, con il suo fecondo rimescolamento di apporti greci e orientali, il pregiudizio anti-tecnico e anti-barbarico nei confronti delle manipolazioni della natura mediante grandiose opere pubbliche si era dissolto, di pari passo con il pregiudizio nei confronti della regalità. E gli imperatori romanieredi proprio di questa cultura greco-asiatica piu tardiva - si compiacquero di mostrarsi degni continuatori dei sovrani ellenistici e del loro evergetismo monumentale, patrocinando anche interventi tecnici ambiziosi, per esempio di canalizzazione e regolamentazione delle acque (quelle del Fucino fra Claudio e Traiano; quelle del Delta paciano sempre sotto Claudio, ecc.)". Alle soglie del III secolo d. C., nell'Africa romana in pieno essor culturale, l'avvocato cristiano Tertulliano poteva esaltare con enfasi il progresso del tempo suo, che popolava d'insediamenti persino le isolette sperdute, cancellava i deserti, prosciugava le paludi, sostituiva i campi e i pascoli alle foreste selvagge". I vertici romani del potere adottarono senza riserve anche l' impostazione concettuale varroniana, vitruviana e già posidoniana circa l'essenzialità del nesso fra la teoria e la pratica, fra la manualità e l'intelligenza dell'uomo, gettando un ponte (quanto meno teorico) fra le arti liberali e le arti cosiddette« banausiche». Una serie di provvedimenti legislativi, tramandati in sequenza abbastanza fitta dal IV fino al VI secolo, mostra come lo stato ancora si preoccupasse di salvaguardare una certa immagine di sé garantita, visualizzata e pubblicizzata da un corretto "' Cfr. G. A. FERRARI, Macchina e artt/lcio, in M. VEGETTI (a cura di), Il sapere degli antichi cit., pp. Sull'idea attuale di «occidentalizzazione>> cfr. il pur discutibile, piccolo libro di A. ASOR ROSA, Fuori dall'Occidente, ovvero ragionando sull'Apocalisse, Torino 1992. " Cfr. PLATONE, Cnzla, II3 sgg.; ARISTOFANE, Gli uccelli, II23-63; ARISTOTELE, Politica, 1267 b1268 a, 8; G. A. FERRARI, Macchina e artificio cit. " Per il Fucino cfr. sopra, nota 19; per il Delta padano cfr. G. UGGERI, La navigazione interna del-. la Cisalpina in relazione all'economia e alla società aquileiese, in Vita sociale, artistica e commerciale dt Aquileia romana, Il, Udine 1987, pp. 305-54 e specialmente 337 sgg. "TERTULLIANO, Dell'anima, 30.3 (CSEL, XX, r, p. 350), composto verso il 2Ioh13 d.C. 163-79.
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Scienze pure e scienze applicate
funzionamento delle artes, soprattutto quelle collegate all'edilizia e all'agrimensura, ma anche all'assistenza medica. Vennero pertanto incoraggiate a incrementarsi e a riqualificarsi professionalmente le scuole e le sedi di apprendistato, mediante sowenzioni pubbliche e considerevoli esoneri fiscali a insegnanti e a discenti (Edictum de pretiis di Diocleziano; costituzioni del Codice Teodosiano e Giustinianeo; prowedimenti dei re goti riportati nelle Variae di Cassiodoro) Proprio in Cassiodoro 60
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"" Cfr. Edictum de pretiis, 7 e specialmente 67-74 (ed. a cura di M. Giacchero, Genova 1974, I, pp. nel proporre un calmiere per i compensi delle prestazioni d'opera, il testo raggruppa sotto un'unica rubrica le mercedi di operarii, artifices e insegnanti; e può apparire sorprendente che, nella scala retributiva, un magister architectus risulti pagato la metà di un grammatico greco o latino o di un geometra, ossia di un gromatico esperto nella misurazione e divisione dei terreni: un'attività senza dubbio assai piu «utile», come sottolineerà ancora Cassiodoro circa due secoli dopo. Ciò sembra doversi interpretare non come il riflesso di un'implicita graduatoria a livello speculativo, ma come segno di un interesse limitato- sia da parte dell'autorità, sia degli eventuali fruitori- nei confronti dell'insegnamento pubblico dell'architettura, certo affidato a elementi scaduti socialmente rispetto all'architetto colto vagheggiato da Vitruvio. Tuttavia, in quest'epoca che pur conobbe, sia in Oriente sia in Occidente, realizzazioni architettoniche splendide per concezione e per realizzazione, il perno dell' attività doveva essere collocato altrove, monopolio di maestranze che perpetuavano al proprio interno. tramite l'apprendistato, le esperienze e le tecniche del mestiere (sullo sviluppo dell'apprendistato, ben attestato soprattutto in Egitto da papiri del III-VI secolo, cfr. L. CRACCO RUGGINI, Le associazioni professionali nel mondo romano-bizantino, in Artigianato e tecnica nella società dell'Alto Medtoevo occientale, XVIII Settimana di Studio del Centro Italiano di Studi sull'Alto Medioevo (Spoleto, 2-8 aprile 1970), l, Spoleto 1971, pp. 59-226 e specialmente 175, nota 225). Sembrano emergere conferme nel senso indicato anche dalla legislazione da Costantino in avanti: cfr. specialmente Codice teodosiano, t~-4-1, del334, ave Costantino, per ovviare a una forte carenza di architecti nelle province africane, invita il prefetto al pretorio d'Africa a spingere con forti pressioni allo studio dell'architettura quei giol'ani che avessero concluso gli studi delle libera/es artes (emerge qui un'esigenza di qualificazione culturale anche umanistica, di sapore vitruviano), garantendo loro uno stipendio. e l'immunità fiscale dai munera personalia (prestazioni di servizi pubblici cui erano tenuti i curiali, proprietari municipali yuanto meno di censo medio); zbid., 13·4.2, del337 (=Codice giustinianeo, 1o.66.1), in cui Costantino, con lo scopo dichiarato d'incentivare gli arti/ices artium a vario livello, assicura loro l'esonero da tutte le prestazioni municipali (si trattava dunque anche qui di personaggi tutti di rango curiale). esortandoli a perfezionarsi e a tramandare la propria arte ai figli (ecco emergere l'importanza soprattutto dell'apprendistato; e nell'allegato elenco delle categorie che l'autorità intende favorire- unitario come già neii'Edictum dioclezianeo- figurano architetti, medici e veterinari, seguiti da una minutissima enumerazione di varie categorie artigianali, prevalentemente connesse con il settore edilizio o con la lavorazione di manufatti sia di lusso sia d'uso); Codice teodosiano, 13-4-3. del344 (=Codice giustinianeo, 10.66.2), ove Costanzo Il privilegia ulteriormente, con esoneri fiscali, i mechanici, geometrae e architechti- assieme con gli specialisti nella ricerca e incanalamento di vene acquifere-, sempre in vista dell'auspicata riqualificazione professionale e trasmissione della propria arte. Una siffatta politica dovette ottenere risultati positivi, per lo meno nella Pars Orientis dell'Impero, se il vistoso lievitare delle retribuzioni dei costruttori e degli artigiani (e dunque della richiesta di loro prestazioni qualificate) indusse un secolo dopo Giustiniano ad avvalersi dello strumento fiscale in senso affatto contrario, minacciando d'aumentare proporzionalmente ai compensi anche i tributi che costoro pagavano (dr. Novella 122, del544). Per quanto si riferisce ai medici, tutta una serie di costituzioni imperiali (Codice teodosiano, 13. 3-I-I9. dal321 al428), accomunandoli ai professores, sancisce il loro diritto a sottrarsi sia agli honores, sia ai munera richiesti nelle varie città rispettivamente a curiali, senatori, comites, per/ectissimi, ecc.: ciò che suona come una conferma della loro appartenenza ai ceti superiori municipali e tmperiali. Per quanto si riferisce all'età gotica, e teodericiana in ispecie- 507l5rr -, dr. principalmente CASSIODORO, Varie, 6.19 (CCL, XCVI, pp. 248-50: Formula comitis archiatrorum); 4·4' (pp. r69-70), all' archiater Giovanni; 2. 39 (pp. 84-87), all' archiater Aloiosus; 7· 5 (pp. 264-65: Formula curae palatit); 154-55):
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Parte seconda
Le culture
leggiamo una graduatoria delle scienze pure e applicate nella quale per la prima volta viene enunciato in maniera esplicita il primato dell'agrimensura (esito applicativo della geometria al servizio della publica auctoritas), marginalizzando invece la geometria nei suoi sbocchi cosmologici, la matematica, l'astronomia e la musica, in quanto- si afferma- coltivate soltanto da pochi specialisti per mera passione intellettuale e sprovviste di pubblico '1• Siamo dunque di fronte a un capovolgimento radicale delle teorie di Seneca. Ma l'aspetto piu sorprendente di questa documentazione, che riflette il punto di vista dei vertici politici, è da una parte l'ottica socialmente livellatrice adottata dall'autorità in ordine al suo obiettivo di fondo, quello dell'utilità pubblica (tanto che, nei vari provvedimenti, non troviamo separazione netta fra arti liberali- teoriche-, scienze applicate e attività tecniche). Si constata d'altra parte, in base alla qualità delle esenzioni fiscali concesse a scopo incentivante, che molti di questi medici, veterinari, architetti e «tecnici» (arti/ices) appartenevano ai ceti superiori sia municipali sia imperiali (curiali, cavalieri, senatori). In particolare nell'ambiente provinciale gallico, nella seconda metà del IV secolo d. C., leggendo la Prefazione all'opera medica di Marcello Empirico si tocca con mano l'esistenza d'un gruppo di personaggi senatorì di altissimo rango, tutti nativi di Bordeaux e in contatto reciproco, tutti insigniti di cariche imperiali di prestigio (in parte esercitate nella Pars Orientis dell'Impero), tutti buoni conoscitori della lingua greca oltre che amanti dello stile latino arcaizzante, i quali coltivarono la medicina e ne scrissero trattati, pur rimanendo estranei a qualsivoglia interesse filosofico: ben diversamente dunque dagli iatrosofisti neoplatonici loro contemporanei nel mondo greco, fra i quali Eunapio di Sardi, nelle sue Vitae Sophistarum, celebrò soprattutto Zenone di Cipro con i suoi allievi T eone, Oribasio di Pergamo, Ionico di Sardi, Magno di Nisibis, seguaci di un Formula ad prae/ectum urbis dearchitecto/aciendoin urbe Roma); 4.51 (pp. 177·79). Da queste Varie emerge la cospicua attenzione tributata da Teoderico/Cassiodoro alla medicina- dichia· rata prima fra le utillimae artes- ma ancora di piu (mediante privilegi e incentivi di vario genere) all'a· grimensura e all'architettura-ingegneria-meccanica (in misura inversamente proporzionale rispetto al IV secolo, mancando ormai, in Occidente, quel sostegno dell'evergetismo privato che aveva ancora as· sicurato la fioritura di tali artes due secoli prima), ripetutamente esortando alla riqualificazione teorica sui libri e le instructiones degli antichi, a un ritorno alla lettura di Euclide, Archimede, Ctesibio, e all'a· deguamento, per quanto possibile, alle tecniche e ai risultati formali del passato (per gli orologi cfr. so· pra, nota 24). Su iscrizioni di medici e anche di qualche medica dal I al VI secolo d. C., fra cui compaio· no anche un personaggio di probabile ascendenza libertina- M. Aerarius Telemacus, salariato di una compagnia mineraria in Spagna- e un medico pubblico della colonia di Cordova- P. Frontinus Sci· scola, di evidente origine iberica, come l'onomastica suggerisce-, cfr. B. RÉMY, Les incriptions de mé· decins dans !es provinces romaines de la Péninsule Ibérique, in REA, XCCIII (1991), pp. 321·64. 61 Cfr. CASSIODORO, Varie, 3.52 (CCL, XCVI, pp. 136·37), del 507/5n. 7.15 (pp. 274·76:
Cracco Ruggini
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galenismo oramai affermato (Teone e Oribasio - medico celeberrimo e amico dell'imperatore Giuliano- soggiornarono anche in Gallia, non si sa però se e con quali relazioni con i nostri medici-senatori bordolesi). Marcello Empirico, fra i rappresentanti di questa sorta di« club» senatorio, politico e medico-erudito assieme, enumera se stesso, Ausonio padre del poeta omonimo, Siburio e lo storico-epitomatore Eutropio ". Costoro si facevano vanto di coltivare un tipo di medicina che, a lato dei trattati greci e latini precedenti, utilizzava sia nozioni apprese dagli scritti dei propri amici, sia rimedi empirici in uso presso i contadini e la plebe urbana (« remedia fortuita ac simplicia »), in una commistione spregiudicata che si giustificava con la dichiarata sfiducia nei medici di mestiere e con la volontà, per quanto possibile, di affrancarsene: tutto ciò sfociava in un riflusso- pur esso di gloriosa e antica tradizione culturale, però latina - verso la medicina domestica di tipo « catoniano » ". Sembra in ogni caso rilevante, nella medicina e nelle altre artes (liberali e non), il ruolo di spicco acquisito in Occidente dall'elemento latino nei secoli piu avanzati, rispetto a quella cultura greca che fino al 11 secolo d. C. era stata invece predominante soprattutto in ambito scientifico. In ogni caso, mentre a Roma filosofia e scienza greche ancora nel IV-VI secolo trovarono adepti, lettori e traduttori- sia pure nella cerchia ristretta delle famiglie nobili, le sole a fruire di ricche biblioteche private-, nella provincia gallica già nel IV secolo i vertici stessi della società si orientavano verso tradizioni in prevalenza latine o in certi casi addirittura folkloriche (per deliberata scelta, trattandosi di personaggi di élite, ancora in grado di nutrirsi direttamente del sapere greco). In Occidente si era ormai alle soglie di quel ricambio sociale che, nel giro di alcuni decenni, vide dislocarsi nel ruolo di governanti genti bar62 Marcello, oltre che autore del De medicamentis a noi giunto, fu vir inlustris e magister officiomm nella Pars Orientis dell'Impero: su di lui e gli amici bordolesi menzionati nella Prefazione alla sua opera medica, cfr. PLRE, I, s. v. «Marcellus» 7, pp. 551-p; J. F. MATTHEWS, The GallicSupporters o/ Theodosius, in «Latomus>>, XXX (I97I), pp. ro73-99 e specialmente ro83-87; per la corrispondenza fra Q. Aurelio Simrnaco e Marcello Empirico dr. s. RODA, Commento storico allibro IX dell'Epistolario di Q. Aurelio Simmaco, Pisa 1981, pp. rr3-14 e 41 (commento), 376 e 380-81 (trad. it.); PLRE, I, s. v. «> 1986, La terza età dell'epigrafia, a cura di A. Donati, Faenza 1988, pp. n-64.
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no su due righe, verso il bordo destro dello specchio epigrafico; spesso si deve allapicida l'uso di nessi e legature, abbondanti soprattutto nelle parti dell'iscrizione collocate verso la fine del testo e sul termine delle ultime linee, come gli si deve il proposito- cui non è forse estranea la visione delle iscrizioni su bronzo riproducenti parti normative, ove ogni linea di scrittura inizia rigorosamente dalla sinistra e ogni parte è preceduta da un capoverso- di centrare l'impaginato un tantino verso sinistra. Illapicida è fondamentale per la comprensione delle culture anche operaie che concorrono alla produzione del monumento epigrafico; va possibilmente individuato il modo fisico di lavorare dellapicida: se ginocchioni e col gomito ben riflesso su una superficie da incidere, collocata per l'occasione orizzontalmente sul piano di lavoro, ovvero se in posizione eretta con il braccio quasi teso a tracciare, per lo piu di sotto in su, i singoli caratteri. Un'importanza fondamentale acquista la conoscenza dello strumento impiegato: ad esempio, il punteruolo o simile strumento di taglio e percussione, come accade in molte delle scritture piu arcaiche e come si ripete, per certi aspetti, in molte delle scritture della tarda antichità, dove il solco dei singoli caratteri appare davvero slabbrato dall'impiego di strumenti d'incisione piuttosto sommari; generalmente illapicida romano impiega invece lo scalpello, allo stesso modo come colui che traccia graffiti impiega punte sottili o carboncini, e colui che ripete iscrizioni bollate usa gli appositi tipari. Il ductus è costituito dalla forma grafica delle lettere, cui non è estranea la struttura del solco, misurabile attraverso la sua sezione verticale: può trattarsi di un solco a graffio, che nei casi piu regolari ed evoluti assume la forma di un solco a cordone o canaliforme; questo, nell'età in cui l'esperienza figurativa dell'ellenismo penetra nella cultura romana cioè quando si intendono pienamente i valori dell'illuminazione per la rilevanza e la lettura dei testi- perviene a un vero e proprio solco di forma triangolare, con apicature, poi modificato da una svasatura a sguancio lungo i bordi dei tratti delle singole lettere. Spesso il solco si allarga in alcuni tratti, specie curvi, secondo una calligrafia ispirata anche dalla scrittura con calamo. Per tornare all'efficacia della lettura epigrafica, quale si concreta nella redazione dei testi sui singoli specchi, vanno ancora ricordati i casi ben frequenti di giunzione, nel medesimo contesto monumentale, dei testi stessi con apparati iconografici, talvolta preparati in bottega ben
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prima della committenza dell'iscrizione. Si tratta per lo piu, nei casi di iscrizioni funerarie, di raffigurazioni usuali dettate dall'immaginario evocativo della morte e dell'aldilà; si tratta invece di immagini vere e proprie che riproducono realisticamente i volti, i ritratti (ancora una volta tornano i tempi di un ellenismo maturo, cioè i tempi, come sotto si dirà, di un'autentica rivoluzione culturale); si tratta talvolta di raffigurazioni di arnesi o strumenti di lavoro connessi alla professionalità del personaggio ovvero di apparati simbolici evocanti il ruolo pubblico del notabile o dignitario; si tratta infine di scene dinamiche, comuni soprattutto a certe officine dell'antichità piu avanzata (per esempio in alcuni centri della Mosella), dove il lavoro del personaggio, cioè la sua funzione nell'apparato sociale, è evocato con straordinaria vivezza. T alvolta si verifica il caso di nomi accompagnati da immagini «parlanti», cioè evocative del significato (per lo piu cognominale) del nome del personaggio (si cita la raffigurazione dell'aquila nel ricordato monumento itinerario di Amastris, dove Aquila è il cognomen del protagonista); si giunge al caso nel quale un ciclo figurato, leggibile dalle balconate superiori della Biblioteca Ulpia, sostituisce integralmente la narrazione di res gestae, in un luogo dove, come annota Eutropio ",era collocata la colonna sovrastante la tomba dell'imperatore, caso unico di sepolcro entro il perimetro cittadino. Sovente l'iscrizione si accompagna, come si è detto, alla raffigurazione di apparati simbolici del potere: ciò è quanto accadrà in misura predominante nella produzione dei dittici consolari e nelle teorie musive entro le basiliche della tarda antichità. Un ambito tutto da esplorare- soprattutto dove il linguaggio epigrafico può estendersi nel riferimento del parlato, non quindi compendiarsi in sigle e abbreviazioni- è quello costituito dalla possibilità che talvolta alcuni testi eulogici trascrivano fedelmente gli atti verbali di importanti adunanze, per esempio nel Senato dell'Urbe. Indubbiamente, davanti a una scrittura compendiaria il lettore può porsi il problema se essa rifletta fedelmente il testo di un atto normativa o di una deliberazione, non tanto in quanto sia trasmessa come tale dagli uffici- poiché si presume allora la sua fedeltà - quanto nel caso in cui essa divenga di fatto tralaticia. Può sorgere a questo punto la supposizione che in realtà il testo epigrafico, nella sua redazione compendiaria, rappresenti una contaminazione tra una tradizione giurisprudenziale di carattere orale e un preciso documento normativa. In ogni caso la pulsione dominante nel lettore è che la scrittura epigrafica, quando pubblica ed esposta, sia in qualche modo la promanazione di un potere o sia comunque efficace al suo attuarsi e perl4
EUTROPIO, 8.5.2.
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petuarsi. Siamo qui già nei temi dell'acculturazione romana e del ruolo per essa esercitato dall'alfabetizzazione latina". Acculturazione romana e alfabetizzazione latina: l' alfabeti~zazione contribuisce indiscutibilmente ai processi di acculturazione, intesi soprattutto come veicoli del consenso politico e prodromi del possesso ecumenico, soprattutto nei paesi dove scrittura e lettura non erano di uso sociale comune. Prescindiamo per il mondo romano dai complessi problemi dell'origine dell'alfabeto latino, e dalle conseguenti proiezioni mitografiche; facciamo invece riferimento ai modi con i quali una cultura in via di alfabetizzazione e poi completamente alfabetizzata, come quella latina, si rivolge ai diversi orizzonti linguistici non alfabetizzati o solo parzialmente alfabetizzati, o invece del tutto alfabetizzati e provvisti di una specifica cultura ' l'alfabetizzazione latina si rivolge ad aree dove il possesso di ogni forma alfabetica era del tutto escluso, sia in alcuni settori della penisola italiana sia in alcune regioni periferiche o interne dell'Europa; ovvero si rivolge a etnie e orizzonti linguistici dove l' alfabetizzazione era fondamentalmente limitata al possesso e all'intendimento di oggetti sacri, e pertanto era quindi patrimonio pressoché esclusivo di ceti sacerdotali n, oppure concerne territori nei quali esistevano già culture scrittorie piu o meno evolute (come è il caso del mondo semitico, ma soprattutto di quello ellenofono), dove in un primo tempo la presen6
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" Per i problemi del rapporto tra scrittura e potere cfr. le preziose riflessioni di A. PETRUCCI, La scrittura cit.; ancora con profitto si cita il lavoro di s. MORISON, Politics an d Script. Aspects o/Authority and Freedom in the Development o/ Graeco-latin Script /rom the sixth Century B.C. to the twentieth Century A.D., Oxford 1972. Per il rapporto tra scrittura pubblica e potere nel mondo greco (con ampi riferimenti a materiali e monumenti) cfr. D. MUSTI, Democrazia e scrittura, in>, X (1986)' pp. 21-48. 6 ' Al riguardo pagine interessanti si leggono in G. c. CARDONA, Antropologia della scn"ttura, Torino I98I; cfr. poi G. SUSINI, L'analisi dei pnmiprocessi di acculturazione epigrafica, in Epigraphie hispanique. Problémes de méthode et d'édition, Paris 1984, pp. I67-74, e infine il saggio di E. CAMPANILE, Lingue dell'impero, in questa Storia di Roma, IV, Torino I989, pp. 679-91. Per quanto concerne i livelli di progressiva alfabetizzazione e il grado di consumo della scrittura da parte del mondo romano, la produzione dottrinale è davvero immensa: è fuori di dubbio che se si valutasse il livello di conoscenza linguistica del lettore comune dalla somma dei messaggi epigrafici che lo circondava, soprattutto in certi luoghi, si dovrebbe pensare, almeno per i tempi evoluti degli tÙtimi secoli della repubblica e per l'intera età imperiale, a un elevatissimo grado di alfabetizzazione. Un'analisi piu approfondita, quale sotto si traccerà, del modo di percezione dei messaggi epigrafici da parte del lettore introdurrà alcune cautele in questa pur sommaria valutazione. Si citano w. HARRIS, Ancient Literacy, Harvard I989, nonché i risultati del convegno generale sui problemi dell'alfabetizzazione presso culture diverse esposti e discussi a Liegi (Phoinzkeia Grammata. Lire et écrire en Medt"terranée, Liège 1989). Ancora dello Harris, che nutre una visione «positiva» del livello di alfabetizzazione nel mondo romano, cfr. Literacy and Epigraphy, in ZPE, LII (1983), pp. 87-m; ID., L'analfabetismo e le funzioni della parola scritta nel mondo romano, in QS (1988), pp. 6-26, con bibliografia. Cfr. ora anche Literacy in the Roman World, Ann Arbor I991. " Si cita, tra la copiosa dottrina al riguardo, G. PICCALUGA, La corona e il sigillo. Agricoltura scritta e scrittura agraria negli «Acta Fratrum Aroalium», in S&C, IX (I985), pp. 27I-83.
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za della scrittura e della lingua latina costituiscono un fatto allogeno e marginale, rappresentato per lo piu dal personale di uffici governativi; o infine si confronta con aree vastissime dove esisteva una pratica linguistica e letteraria ben evoluta, addirittura magistrale nei confronti di altre culture subalterne: come magistrale lo è persino nei confronti del centro del potere romano, laddove servi e li berti parlanti greco o maestri di greco erano talvolta contesi nei circoli dell'Urbe. Va da sé che ci si riferisce al mondo ellenistico inteso nella sua ampiezza, dalla madre patria ellenica alle terre dell'Asia Minore e del Vicino Oriente, sino all'Egitto, alla Cirenaica, alla Magna Grecia e ad alcune delle vivaci colonie greche d'Occidente, come Marsiglia: riflettendo che in tale mondo- pur nei processi dell'acculturazione romana -l'alfabetizzazione latina si affiancò alla cultura dominante e non assunse quelle forme di progressiva sostituzione delle scritture (quando esistevano) e delle lingue locali che si attuò invece nella lunga storia della formazione del dominio romano, nei confronti di altre culture; meritano poi attenzione le culture semitiche, le quali continuarono a evolversi e a produrre scritture durante larga parte dell'età romana, ma non assunsero mai quel livello di parità culturale ed effettiva che il latino, lingua e scrittura, ebbe nei confronti del greco. Si attua cosi una sorta di partizione bilingue del grande ecumene romano, tanto che spesso viene discusso- ed è talvolta oggetto di contese, a partire dalla tarda antichità, nelle pulsioni di frontiera, per esempio in età bizantina- il confine (e l'intreccio) tra un vastissimo orizzonte linguistico latino e un altrettanto vasto orizzonte linguistico greco". Peraltro, nella lunga spola della convivenza tra lingua e scrittura latina e lingua e scrittura greca nel grande ambito dell'ecumene romano, la parità dell'impiego delle due lingue e scritture era manifesta nella pubblicazione di documenti ufficiali, talvolta peraltro preparati pur nel testo greco in appositi uffici dell'Urbe, come dimostra l'analisi strutturale delle Res gestae Divi Augusti; i grandi testi normativi (si cita qui il dioclezianeo Edictum de pretiis) erano redatti nelle due lingue secondo i luoghi della loro esposizione e diffusione, quindi secondo il pubblico che doveva averne conoscenza. Un fenomeno importante è rappresentato, nella lunga storia romana, dai cospicui episodi di relegazione delle lingue, e talvolta delle scritture locali (come accade sovente nel mondo semitico) " In merito utili risultano, tra la trattatistica piti recente, il volume miscellaneo BilinguiJmo e biculturalismo nel mondo antico, Pisa 1988, nonché- soprattutto per quanto riguarda i processi scolastici ed educativi- il saggio di L. CANFORA, L'educazione cit., pp. 733-79; con interesse si leggerà anche quanto scrive A. GRILLI, Le lettere in Roma imperiale, in Princeps urbium cit., pp. Lp-68, ove amplissima bibliografia. Un caso interessante dell'uso del latino per menzioni formali in iscrizioni greche (0GJ5, II, 519) è trattato da W. H. C. Frend, in JRS, XL VI (1956), pp. 55-56.
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già dominanti nelle città, verso le campagne e gli entroterra pagensi: la stessa sorte subi, d'altro canto, proprio il latino quando ebbe a retrarsi a petto della diffusione dell'arabo, ben dopo la fine dell'evo antico. Esploratori e mercanti, anche di origine italica ma che si esprimevano (significativamente) in latino, rappresentarono nella media età repubblicana i primi veicoli di acculturazione e infine di alfabetizzazione in aree dove lingua e scrittura latina erano sconosciute: esercitarono in maniera del tutto diversa quella funzione, cui si è accennato, che servi e liberti ellenofoni svolgevano nell'ambito di famiglie e nuclei dirigenti romani. L'alfabetizzazione latina, anzi l'acculturazione romana nel suo complesso, presso popolazioni dove l'alfabetizzazione in lingua e scrittura specifica si limitava ad alcuni episodi- quali i regolamenti dei santuari, leggi sacre, altari e dediche votive, nonché indicazioni terminali (cippi) dei rispettivi territori- parve manifestarsi nella maggior parte dei casi attraverso un primato cronologico affidato alla traslitterazione in lettere latine delle scritture in lingua encoria; ben presto accadde che si procedesse alla versione linguistica in latino dei testi interessati, e infine all'impiego generale del latino (lingua e scrittura) soprattutto nei luoghi sedi di apparati governativi: colà i funzionari da un lato e gli atti d'archivio dall'altro rappresentarono un consistente fattore, persino nel cuore del mondo ellenofono, per la conoscenza della lingua e della scrittura latina, e infine per l'adattamento a schemi e formulari propri dell'epigrafia romana di parti testuali specifiche delle singole culture. Nella diffusione dell'alfabetizzazione latina - ma in questo caso può dirsi davvero dell'intera acculturazione romana- accanto agli apparati amministrativi nelle sedi di governo vanno annoverati gli stanziamenti militari segnatamente lungo le frontiere, a ridosso dei vari limites, dove talvolta l'impianto urbano di età successive utilizzava le forme e i siti di un primitivo impianto castrense, e dove le canabae (soprattutto nei rispettivi santuari) costituivano un luogo di straordinaria e diuturna mediazione- qualcosa come i punti d'acqua nelle oasi dei territori di confine verso la Mesopotamia e ai limiti meridionali delle province maghrebine -,di scambio, di mutuazione di esperienze, quindi anche di addottrinamento capillare nei confronti di chi, assieme alla merce di baratto o alla moneta romana (che qualche circolazione aveva in ambiti esterni alle frontiere), raccoglieva nozioni grafiche, e soprattutto linguistiche, quali prodromi di una effettiva pur se sommaria ed embrionale alfabetizzazione. Naturalmente accanto agli stanziamenti castrensi, che vedevano sovente la permanenza dei medesimi reparti per lunghi anni, occorre valu-
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tare sia il fenomeno dell'inserzione di elementi originariamente alloglotti nell'ambito di reparti regolari, ma soprattutto la composizione di reparti ove il peregrinus costituiva l'elemento preponderante: si accenna qui alle ciurme, al personale navigante e alle unità a terra, a diretta disposizione del potere imperiale, inquadrati nell'ambito delle relative classes, originariamente quella misenate, destinata al Mediterraneo occidentale e alle prime coste rivierasche della Mauritania nonché a tutta la riviera atlantica almeno sino alla foce dell'Elba, e la seconda a Ravenna, preposta al controllo dei mari del Mediterraneo orientale e di tutto il Levante; come è noto, in età piu avanzata si costituirono poi unità specifiche per il controllo fluviale e lacuale nell'interno del grande Impero. Il latino viene ad assumere davvero il ruolo di una vera e propria lingua franca, e tale di conseguenza è la sua scrittura. Un ruolo importante assolvono, s'intende, gli alfabetari, per lo piu tracciati su lateres, utili anche all'esperienza di attività didascaliche, cioè di scuole, nell'interno del mondo romano. Spesso maestranze locali continuano per lungo periodo i loro usi tecnici e strumentali, e talvolta convivono lingue e scritture encorie accanto al latino; ciò accade soprattutto in aree relegate: un esempio, presso i Camunni (Val Camonica). 3· Fasi e rivoluzioni dell'epigrafia. Lettura e messaggi.
Si è già detto piu volte dei modi di leggere un'iscrizione esposta, quindi dei modi con i quali il lettore rivolge la sua attenzione agli assetti monumentali e ambientali: se cioè trattasi di una vista rivolta verso l'alto, o di una vista a livello d'occhio, o di una vista « plateale », cioè verso una superficie iscritta posta ai piedi di chi legge; si prescinde in ciò dal grado di interesse, di attenzione, di distrazione del lettore, nonché dal fatto che il lettore sosti, transiti, compia ravvicinate l'una e l'altra funzione in rapporto al testo da leggere, afferri quindi e ricordi parte o tutto del testo incontrato". La prima fase dell'epigrafia dei Romani è costituita per larga parte da monumenti e oggetti (qualcuno tra questi con indicazioni relative al fabbricante e al possessore), per lo piu di destinazione religiosa; are ed ex voto sono collocati nei santuari, mentre l'uomo presta attenzione, piu " Per una trattazione sistematica di questi problemi cfr. G. SUSINI, Compitar per via. Antropologùl del lettore antico: meglio, del lettore romano, in «Alma Mater Studiorum», l, x (1988), pp. 105-24 (testo italiano e inglese); il testo italiano è stato ripubblicato col titolo Il pubblico delle iscrizioni all'aperto, in More atque ore. La dimensione socio-linguistica nel mondo antico (Incontro di Pavia 1992), Como 1992, pp. 49-59·
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che nei tempi tardi, ai segni del cielo: tali il volo degli uccelli, il zigzag della folgore cui segue il tuono, il percorso e il movimento delle stelle cadenti; tutto questo rappresenta un'attenzione suscitata da fatti repentini, laddove invece la guida fornita ai naviganti dalle costellazioni a cielo sereno costituisce un fattore di ripetuta sicurezza. Allo stesso modo il sorgere quotidiano del sole, l'alternarsi del giorno e della notte segnano la prima e rassicurante scansione del tempo nel calendario degli uomini. La comunicazione degli uomini con il cielo, sede di divinità, avviene anche attraverso le iscrizioni rupestri- almeno tale è in parte il loro significato, quando risultano davvero inaccessibili - secondo moduli ripetuti da culture orientali. Ciò avviene per i Romani forse anche con la rimozione e la cattura, in età ben successive, degli obelischi egiziani, che nelle scritte terminali davvero paiono rivolgersi a lettori celesti (ma ciò fa parte dell'intero complesso dei rapporti fra la cultura romana degli ultimi secoli della repubblica e la cultura tolemaica); accade presso culture periferiche al mondo romano, ma con le quali quest'ultimo venne presto a contatto, attraverso il disegno dei megaliti, o di grandi monumenti, su terreni amplissimi (non quindi semplici circoli di pietre o altre figure percepibili a occhio umano, ma schemi tali da poter essere rivolti a un potenziale e inviolato lettore celeste); si attua infine in ogni momento nel quale il colloquio con la divinità - sia che si esplichi usualmente, cioè nelle formule dedicatorie e votive su are e arule entro un santuario o nelle dediche frontonali dell'aedes o del templum, sia invece che assuma espressioni davvero celesti- si concreta in una sorta di obligatio deorum. Sotto questo aspetto potrebbe dirsi che il racconto dei movimenti tellurici accaduti allo spirare del Redentore sul Golgota, e ancor piu lo «in hoc signa vinces » letto dalle milizie costantiniane prima del ponte Milvio costituiscono episodi espliciti di una parabola dei colloqui fra terra e cielo, fra uomini e dèi: un aspetto del tutto singolare della comumcazwne. Per quanto concerne la sepoltura dei personaggi e delle gentes, quindi per una parte preponderante della produzione epigrafica di questa prima fase- che perdura almeno sino a tutto il m secolo a. C. e oltre -, essa può bene definirsi come una scrittura negli ipogei, senza dubbio nutrita anche di esemplari culturali etruschi (peraltro questi perduranti per tempi ben piu lunghi), dove la lettura era naturalmente condizionata agli accessi per riti specifici. In questi ipogei si leggono altresi quegli elogia dei personaggi che piu tardi- quando la scrittura esploderà nelle sue manifestazioni esterne, tra n e 1 secolo a. C. - continueranno a incorporarsi nelle dediche onorarie entro i Fori, ovvero costituiranno momenti
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di lettura nell'interno di edifici pubblici o addirittura si leggeranno entro monumenti di singolare prestigio, e ben visibili in alzato (la tradizione etrusco-italica dei tumuli costituisce anch'essa un archetipo persino di struttura), come sarà il caso del mausoleo contenente le spoglie dell'imperatore Augusto e di molti dei suoi famigliari. Si tratta, nei tempi già detti, di quella che già è stata definita come la p ili importante« rivoluzione culturale» nella storia dell'epigrafia monumentale romana: furono dapprima protagoniste le grandi famiglie dell'Urbe (si ricordi il celebre ipogeo degli Scipioni), seguite dalle famiglie che avevano accresciuto il loro patrimonio profittando dell'espansione politica del sistema romano nella penisola; infine protagonisti furono i personaggi che potevano già vantare nella loro biografia, nella loro ascendenza e nell'attività corrente della loro famiglia una consistente presenza nei paesi che l'orizzonte politico romano veniva ad aprire all'imprenditoria, al mercato, al controllo della res publica. Queste grandi sepolture monumentali, che cominciarono ad allinearsi lungo le vie piu antiche di accesso all'Urbe e alle altre città (si veda tra i tanti il caso autenticamente esemplare di Sarsina, nelle sue diverse fasi) erano frammiste a tombe assai umili e a qualche stele. Di li a non molto, verso la fine del 1 secolo a. C. e quanto meno per i due secoli successivi, il paesaggio muterà mediante l'infittirsi di monumenti stelari, talvolta - come si è detto -limitati da un recinto (come, ad esempio, ad Aquileia) e spesso raccolti attorno a un monumento principale o a una vera e propria aedes. Indubbiamente, in questa rivoluzione culturale intervengono numerosi fattori, dei quali l'intraprendenza di gentes dominanti, anche con i presupposti di un nascente terziario, rappresentano solo un aspetto. Sono di fatto davvero i personaggi che escono all'aperto, eretti a segnacolo nel contesto del loro monumento, togati e provvisti di cista per i volumina ai piedi, nonché sovente di un volumen in mano. Va impostato qui il complesso rapporto con la cultura tolemaica, di cui già si è parlato, che anch'essa in parte rivaluta l'uso di sepolture ipogeiche o comunque celate, e che esporta comunque lo schema della piramide quale pur raro segna colo monumentale in questa fase dell'edilizia cemeteriale romana, mentre ben piu frequente è l'apparato eclettico che in molti centri risulta dall'intersezione tra schemi diversi: tale (per esempio) l'incrocio del monumento a dado, uno dei piu antichi monumenti «esposti» di questa fase, con edicole sormontate da guglie. Ma non vanno trascurati numerosi altri aspetti culturali che si accompagnano a simile rivoluzione, quale ad esempio il gusto per la commedia quale genere letterario""', la scoperta, nella cultura artistica dell'el'" Cfr.
A. LA PENNA,
La cultura letteraria cit., pp.
771·825.
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lenismo, del ritratto anche nei suoi aspetti di trasparenza psichica e caratteriale (personae, imagines e nomina sono protagonisti di un medesimo processo culturale), la percezione del valore della luce e della luminosità nella creazione di condizioni di lettura specifiche in certi momenti dell'anno e del giorno: è in gran parte da compiere (stante anche la difficoltà di ricostruire, nel sito e nella collocazione esatta, l'allinearsi dei monumenti romani lungo le necropoli ovvero delle basi onorarie nei Fori) lo studio dell'impatto della luce su certi nomi e certi passi della scrittura e in specifici momenti diurni, ovvero dell'impiego di faci in interni monumentali, o infine dell'effettiva utilizzazione del colore nei caratteri epigrafici. Si giunge cosi alla enfatizzazione monumentale degli obelischi come gnomoni con specifici significati di ricorrente ritualità storica (è questo il caso dell'horologium solarium Augusti), si continuerà in tal modo nella campitura di scritture e di mosaici sino all'età bizantina, dove la luce serviva soprattutto, da finestre e fenestelle, a illuminare, in certi momenti, personaggi, simboli e insegne. Va infine ricordata l'evoluzione del sistema onomastico romano ", che conosce l'amplissima diffusione del cognomen come autentico modus vocandi, pur generato da situazioni e condizioni diverse, proprio nel cuore di questa rivoluzione culturale, sino a un preciso disposto della legge romana; vi si aggiunge poi l'agnomen, mentre procede nell'età imperiale avanzata l'atrofia (almeno nei ceti piu modesti e di minor conto nella viria pubblica) del nomen e del praenomen. Di fatto gli autentici protagonisti di questa fase dell'epigrafia sono i ceti di media e modesta abbienza, ma con considerevoli interessi curiali e negli apparati dello Stato (anche nelle province), cioè il nerbo davvero decisionale, sotto l'autorità del palazzo, nella storia interna, economica e culturale dell'ecumene romano. Quando questi ceti, almeno in parte, muteranno, cadrà- come subito si vedrà -l'interesse per l'esposizione e la lettura delle rispettive memorie e storiografie. Si è già detto, d'altro canto, del fenomeno multiverso del reimpiego lapideo già dalla tarda antichità. Ancora sul piano dell'evoluzione nominale, va annotato che il capitolo finale della lunga storia dell' onomastica romana, quanto meno del modus vocandi, si esprime nel tardo Impero e nell'età cristiana attraverso un ritorno al simplex nomen, di chi è fedele e individualmente solidale in una diversa e nuova collettività. " Per uno studio aggiornato si vedano gli Atti del Colloquio interna2ionale di Parigi (r9nl su L'onomastique latine, Paris 1977, nonché numerosi repertori pubblicati dalla Scuola epigrafica fin· landese.
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A partire dall'età augustea" e per tutta l'età imperiale (si segnala in particolare l'attività di Claudio: orazioni, provvedimenti normativi) sino ai tempi piu avanzati cresce la produzione, e quindi la riproduzione soprattutto in bronzo, anche in capoluoghi esplicitamente interessati, di leges e di altri provvedimenti; nei sempre piu copiosi cursus imperiali e nelle relative res gestae compaiono di frequente nuovi concetti, ad esempio quelli di pax, di restitutio, ecc. Già dallo scorcio finale dell'età flavia, e poi soprattutto nel n secolo, l'epigrafia sepolcrale si arricchisce di espressioni e di aggettivi che esaltano i legami famigliari (o dell'amicizia) e i sentimenti del compianto: si accentua cosi, in un mutato contesto sociale, la caratterizzazione anche intima della persona. «Terza età dell'epigrafia» è stata felicemente denominata un'epoca che prende le mosse dal m secolo d. C. (fors'anche dagli ultimi decenni del secolo precedente) e copre l'intero evo antico per prolungarsi in parte nell'alto medioevo". Una caratteristica di questo periodo è la indubbia comparsa del formulario epigrafico cristiano"". Di alcuni aspetti di quest'epoca, che chiude la parabola storica dell'epigrafia romana, si è già detto: ad esempio della caduta o del ricambio dei ceti dirigenti, nei singoli capoluoghi, che hanno a cuore assai meno del passato le memorie e la storiografia di coloro che li hanno preceduti. Influiscono indubbiamente anche aspetti tecnici, la consuetudine con scritture attuarie e con la minuscola portano a una disaffezione crescente nei confronti del carattere epigrafico monumentale, cui la prima età imperiale aveva avvezzo il lettore. Spesso il solco è tracciato con uno strumento a punta, spesso si ignorano le apicature, dell'uso diverso delle interpunzioni già si è detto; domina inoltre la crescente difficoltà di approvvigionamento delle pietre, tanto che le numerose disposizioni punitive della violazione del sepolcro sembrano concernere piu la tutela contro i ladri di pietre (e di corredi) che non riscoperti interessi sacrali: come è noto, tali provvedimenti contro le violazioni di tombe sono frequentissimi, talvolta si arricchiscono di formule particolari e di simboli specifici, di significato ben discusso, come l'ascia (si vedano le officine coeve di Ravenna, di Sa42 Si veda al riguardo il nutrito saggio di G. ALFOLDY, Augustus und die lnschriften: Tradition und Innovation. Die Geburt der imperialen Epigraphik, in« Gymnasium »,XCVIII (1991), pp. 289-324 e ivi
bibliografia.
"La terza età dell'epigrafia è il titolo del Convegno «Borghesi» 1986 cit. "' Cfr. in particolare c. CARLE'ITI,« Epigrafia cristiana», «epigrafia dei cristiani»: alle origini della terza età dell'epigrafia, ibid., pp. II5-36, nonché A. SARTORI, Formularii/unerarii cristiani; la tradizione innovata, ibid., pp. 159-68.
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lana, di Parma, di Lione, ecc.)". Si giunge anche all'erasione di pietre già iscritte per incidervi nuovi testi, owero all'aggiunta di nuovi testi negli spazi utili su specchi già impiegati in tempi precedenti. Va inoltre notato, proprio ai fini della desuetudine e dell'abbandono del carattere epigrafico monumentale, la trasformazione in atto nel paesaggio della tarda antichità, cioè la decomposizione dei tessuti urbani in suburbi owero in retrazioni provocate da incursioni, da bisogni e da necessità di difesa; va considerato infine anche il mutato assetto dei campi, dove i praedia, i saltus, unitamente a lagune e pascoli, compongono un paesaggio tutto nuovo, differente dalla geometrica prospezione cui l'occhio s'era abituato nei secoli. Si aggiunga al riguardo che in culture periferiche e anche interne al mondo romano (culture norrene, celtiche, aquitane, ecc.) le strutture a cerchio sembrano sostituire, come semantica simbolica, il tradizionale incrocio ortogonale disegnato dagli assi nella quadratura. Un monumento di singolare fortuna, almeno dalla fine del II secolo sino a parte del IV secolo, è rappresentato dal sarcofago, sul quale l'epigrafe è incisa solitamente su cartiglio (collegato da anse al disegno generale della fronte del sarcofago, quasi si trattasse di una vera pagina cartacea), opera sempre piu frequente di maestranze migranti, talvolta al servizio dei produttori di tali monumenti, i cui tipi sono localizzati in alcuni centri d'élite, segnatamente nella parte orientale dell'Impero. Come si è già detto, le memorie del passato (personaggi, genti, collettività) tornano sotto terra, dapprima in colombari, che sono già nel corso del II secolo autentiche raccolte di immagini- per lo piu di mano o almeno di bottega comune - straordinariamente utili alla conoscenza di ampi complessi gentilizi, clientelari, professionali e cultuali. Questi colombari quasi assumono un senso museale, di teche dei documenti del passato, possono addirittura proporsi come schemi espositivi imitati da raccoglitori appassionati nei monasteri, nelle dimore patrizie e nelle grandi collezioni dopo l'antichità e sino all'evo moderno. Le catacombe rappresentano dawero l'interrimento ultimo delle memorie scritte degli uomm1. Un ruolo importante nella produzione epigrafica della tarda antichità acquista il mosaico, composto - come è noto - di lettere mobili, tali cioè da potersi comporre e allineare secondo schemi meglio rispondenti al gusto scrittorio. Si tratta pur sempre di scritture esposte e durevoli, per lo piu su pavimenti di chiese, di domus e di villae, dove propongono " Tuttora di accattivante interesse è il volume di F. CUMONT (a cura di), Recherches sur le symbo-
lisme funéraire des Romains, Paris 1942.
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sovente nomi di munifici donatori ovvero scene circensi; si tratta anche di mosaici a parete, che espongono i loro messaggi come vere e proprie scritture nelle situazioni tradizionali ... Influiscono sull'evoluzione dell'epigrafia non solo la scrittura cancelleresca (e quindi la dimestichezza con documenti d'archivio), ma anche la lettura in biblioteca, nonché il frequente uso di breviari storici, raccolte di detti e di mirabilia, manuali e summe antiquarie, racconti e panegirici: questi ultimi utili proprio agli apparati eulogici, superstiti e anzi traboccanti nei testi epigrafici forensi e miliari. Proprio l'uso di lessici conforta l'interesse verso valori criptici di lettere singole, quale si registra nei grafemi dell'epigrafia cristiana 47 • Un considerevole apporto alla giunzione stilistica e culturale tra il linguaggio epigrafico, esposto soprattutto nei monumenti funerari, e le opere letterarie è costituito dai carmi epigrafici Questi- come altre parti dell'iscrizione funeraria, ad esempio i capita testamentorum, ovvero le prescrizioni per le ricorrenze rituali- sono solitamente incisi nel corpo dello specchio epigrafico in caratteri minori, talvolta addirittura impongono l'attenzione di ripetere letture prosodiche e metriche nonché di ricercare veri e propri acrostici". Il lettore che vi si accosti deve davvero sostarvi a distanza ravvicinata, non può cioè limitarsi alle parti incise in alto nella parte superiore e nella parte inferiore dello specchio epigrafico, contenenti solitamente il nome del defunto e dei dedicanti. Ciò può evocare l'espressione «siste, viator, et lege» che talvolta compare nei carmi e che potrebbe adattarsi altresi al passante lungo una via, che si accosti alla lettura del miliario, laddove le linee in caratteri piu appariscenti - evocanti cioè il nome del personaggio interessato alla costruzione o al restauro della via- sono incise nella parte superiore, e nella parte inferiore compaiono le indicazioni miliarie vere e proprie; altrettanto si registra in iscrizioni sepolcrali, quando nella parte inferiore 48
•
46 Cfr. L. PIETRI, «Pagina in pariete resecata»: épigraphie et architecture religieuse, in La terza età dell'epigrafia cit., pp. 137-58. 47 M. GUARDUCCI, Misteri dell'alfabeto. Enigmistica degli antichi Cristiani, Milano 1993" Per il complesso problema cfr., pur nella copiosa dottrina, G. SANDERS, Bijdrage tot de studie der Latijnse metrische grafschriften van het heidense Rome: de begrippen « licht » en « duisternis » en verwante themata, Brussel 196o; D. PIKHAUS, Levensbeschouwing en milieu in de lattjnse metrische inscripties, Brussel 1978; P. CUGUSI, Aspetti letterari dei «Carmina Latina Epigraphica »,Bologna 1985; nonché A. M. VÉRILHAC, Paides aoroi. Poésie funéraire, 2 voli., Athènes 1978 e 1982. " Si tratta per lo piu di una« poesia di paese»: cfr. G. SANDERS, Unejeune dame de Mevaniola ou la poésie aux coins perdus de l'empire, in Cultura epigrafica dell'Appennino, Faenza 1985, pp. 15-70 = Lapides memores. Pai'ens et chrétiens /ace à la mori: le témoignage de l'épigraphie funéraire latine,
Faenza 1991, pp. 427-80.
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compaiono invece le indicazioni relative alle dimensioni dell'area del recinto funerario. Il lettore subisce quindi chiaramente un messaggio diverso se, soprattutto non sostando, butta l'occhio- talvolta in uno «sguardo d'insieme» foriero anche di effetti evocativi singolari " -, effettua insomma quella lettura insiemistica, che oggi riscontriamo facilmente nell' approccio ai titoli della prima pagina di un quotidiano (cui non a caso i mass-media dedicano apposite trasmissioni) o di un manifesto. Il lettore compone tale emozione in una consuetudine accresciuta, anche nella tarda antichità, da apparati illustrativi (in libri, su altari, su archi e altri monumenti); evoca con ciò una gestualità connessa al messaggio cosi icasticamente concepito, ritrova la memoria di date celebrative ricorrenti, o del personaggio o dell'istituzione, che la scrittura in grandi caratteri richiama; effettua infine una omologazione di ricordi, di nomi, di istituzioni che gli si possono proporre, suscitando in lui compiacimento per una sorta di «cultura di base», o invece sentimenti avversi. Si constata che, nelle linee leggibili a colpo d'occhio, piu frequenti sono sigle e abbreviazioni, tali cioè da suscitare lo sforzo mnemonico, ma propedeutico, di una lettura silenziosa", o per l'opposto segni di disagio interpretativo tali da includo, col tempo, ad abbandonare ogni sforzo ermeneutico nei confronti del linguaggio compendiario usato nelle iscrizioni romane, proprio nelle parti ove alcuni studiosi hanno ravvisato un« basic latin ». Indubbiamente, quando la facile e appagante integrazione della sigla o della abbreviazione viene meno, quando la parola torna a essere scritta per intero pur nei caratteri stentati di incisori non piu lapicidi di professione, quando la cosiddetta bella scrittura, pur presente ad alcuni maestri di corte, si riduce a fenomeno di scuola elitaria, l'epigrafia dei Romani è finita. Essa ha costituito comunque un capitolo della cultura dei Romani, un veicolo importante dei loro modi di comunicare, soprattutto in aperto, al pubblico lettore". G. SUSINI, Compitar per vù1 cit., pp. n2-13. KNOX, Silent reading in antiquity, in GRBS, IX (1968),
" Un esempio:
w.
pp. 421-35. " Tale aspetto della società storica romana, come mutevole paniere della comunicazione umana, raccoglie l'interesse crescente degli studiosi, e fortunatamente anche degli espositori nei musei: cito qui solamente, proprio perché di interesse generale per la storia degli uomini e quindi non limitato o perfezionato nell'indagine di aspetti specifici, il Musée de la Civilisation, di Québec, ave una parte è dedicata appunto ai« messages ». Cfr. anche v. CICALA, Per la formazione di un concetto aggiornato di museo epigrafico, in Il Museo epigrafico cit., pp. 131-34. " B. M.
n. Le immagini artistiche
SERGIO RINALDI TUFI
L'Occidente europeo e l'area danubiana
I.
Treviri e la Gallia Belgica.
Se nell'Occidente romano esiste un'area in cui le arti figurative, con le loro complesse vicende, riflettono e documentano puntualmente gli avvenimenti storico-politici dai Severi alla tetrarchia e oltre, quest'area è quella di Treviri e della Gallia Belgica. La perdurante prosperità, ancora per buona parte del III secolo. d. C., dell'area del capoluogo (un po' problematica, invece, la situazione di altre aree della provincia); l'«usurpazione», fra 258 e 273, da parte degli imperatori gallici, seguita dall'invasione degli Alamanni; l'allestimento, in vari siti, di frettolose opere di difesa; l'insediamento nella stessa Treviri (287) della capitale di Diocleziano, seguita a sua volta dall'intensa attività edilizia di Costantino; nel IV secolo, dopo nuove invasioni barbariche, il periodo della ripresa con Valentiniano I e Graziano: tutto questo è testimoniato da sculture e pitture di qualità talvolta notevolissima, e dalla fioritura dell'artigianato artistico. La prosperità delle vallate della Mosella e della Saar è di origine agricola, commerciale, manifatturiera; la presenza dei grandi fiumi, e in particolare dell'affluente del Reno che nel IV secolo sarà cantato dal poeta Ausonio, assicura ai vari prodotti la possibilità di partire per lontani mercati, nonché di andare a rifornire gli eserciti (arrivando per esempio, per via d'acqua, fino alla Britannia). Ricche famiglie di possidenti, di coltivatori, di vinificatori si fanno allestire bei mausolei, ornati di rilievi raffiguranti le attività quotidiane: il signore alla caccia, il mercante che esibisce la qualità dei tessuti, la lezione scolastica con il maestro che rimprovera un alunno ritardatario, la pettinatura e il trucco di una dama assistita dalle ancelle'. Sono scene apparentemente serene, lontane dal «dolore di vivere» che caratterizza tanti volti nelle sculture del m seco1 w. VON MASSOW e E. KROGER, Die Grabmiiler von Neumagen, Berlin-Leipzig 1932; questi rilievi sono stati protagonisti anche di mostre recenti, nei cui cataloghi sono stati riesaminati. Per esempio: Die Romer am Mosel und Saar, Mainz 1983.
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lo, epoca inquieta per tutto l'Impero'; nelle teste lievemente inclinate, negli sguardi obliqui dei vari personaggi, sembra aleggiare una soffusa e contenuta mestizia. Piu interessanti in un certo senso di tante copie e rielaborazioni di opere classiche (anche se talvolta anche queste raggiungono un discreto livello), e soprattutto piu significativi in quanto denotano il consolidarsi di un gusto e di una« scuola» belga-romana, i rilievi a noi noti decoravano soprattutto mausolei della zona di Neumagen (Noviomagus Treverorum), a est di Treviri sulla Mosella: furono smontati e reimpiegati nella frettolosa costruzione di mura seguita all'invasione degli Alamanni (oggi, recuperati, sono conservati nel Landesmuseum di Treviri), e anche sotto questo aspetto, e per quest'uso cosi diverso da quello a cui erano originariamente destinati, costituiscono una testimonianza di quei tempi senza pace. Ma sculture notevoli di questo tipo le troviamo anche altrove: per esempio in un'area attorno al confine fra gli odierni Belgio e Lussemburgo, e soprattutto a Buzenol e ad Arlon (l'antica Orolaunum). Mettendo insieme rilievi frammentari rinvenuti a Treviri, a Buzenol (ora al Museo di Arlon) e a Coblenza, si ricostruisce anche la raffigurazione del vallus, la cosiddetta « mietitrice gallica» '. In quest'ampio e diversificato panorama, spiccano su tutti due monumenti. li primo è conservato nel vicus di lgel, poco a ovest di Treviri: è il mausoleo (che pertanto è l'unico che ci è pervenuto integro) della ricca famiglia dei Secundini '. A pianta quadrata, molto sviluppato in altezza (tanto che lo si definisce anche «pilastro» o «colonna»), sormontato da un'alta cuspide, è decorato da rilievi che raffigurano le diverse attività della famiglia: scene di merci viaggianti e di bottega, di pagamenti effettuati in denaro e in natura, ma anche ritratti a figura intera dei personaggi cui il monumento era destinato, e, sulla sommità (riconoscibile anche se frammentario), un gruppo scultoreo, il ratto di Ganimede, che costituisce un'allusione alla vita dell'aldilà, anzi addirittura all'apoteosi. Un altro mausoleo, purtroppo frammentario, è stato trovato anch'esso- come molti- a Neumagen, e si conserva al Landesmuseum di Treviri: è un vero e proprio inno al vino'. Secondo una ricostruzione attendibile, il monumento presentava alle estremità due navi cariche di botti; fra queste, una sorta di ponte che sostiene una catasta di anfore impagliate, tipi2 R. BIANCHI BANDlNELLI, Roma. La fine de/l'arte antica, Milano 1970, pp. I sgg. ' T. BECHERT, Riimisches Germanien zwischen Rhein und Maas, Miinchen 1982, pp.
r66 sgg., ivi bibliografia precedente. ' H. DRAGENDORF e E. KRÙGER, Das Grabmal von !gel, Trier 1924; J. F. DRINKWATER, Die Secundinier von !gel, in TZ, XL-XLI (1977-78), pp. 107 sgg.; c. M. TERNES, La «colonne» d'lgel, in «Caesarodunum », XVIII bis (1983), pp. 357 sgg. ' W. VON MASSOW e E. KRÙGER, Die Grabmiiler cit., pp. 203 sgg.
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che della zona. Tipica della zona è soprattutto la rilevanza quantitativa e qualitativa della produzione enologica: i vigneti della Mosella offrono ancora oggi spettacolari colpi d'occhio. Non sembra troppo sensibile al panorama, per la verità, il timoniere di una delle due navi del nostro mausoleo: lo sguardo sognante fa pensare anzi che non tutto il vino sia ancora entro le botti ... Talvolta, l'attenzione per il vino e per il suo mondo si esprime anche in maniera piu indiretta. Fra i rilievi votivi, alcuni sono dedicati a divinità celtiche, ancora oggetto di culto in età cosi avanzata: per esempio, Sucellus con la sua compagna Nantosuelta, che sono raffigurati fra l'altro in un raro rilievo rupestre nella foresta di Saint-lngbert presso Saarbriicken '. E Sucellus è senz' altro una figura divina connessa con la preziosa bevanda: nei rilievi appare provvisto sempre di martello, spesso di botte, talvolta addirittura di un grappolo d'uva (in qualche caso, è identificato con Bacco). Fra le testimonianze di arte figurativa risalenti al III secolo bisogna infine ricordare, anche se non in diretta connessione tematica con il vino né con altre attività produttive, i mosaici rinvenuti in una villa scoperta a Nennig presso Treviri. La decorazione musiva, evidentemente fatta eseguire da una famiglia assai facoltosa, suggerisce l'idea di un tappeto decorato di immagini: in un contesto di abbondantissime decorazioni geometriche sono inseriti «emblemata» (riquadri) con duelli di gladiatori'. Nel IV secolo, dopo l'avvento della tetrarchia e la creazione della capitale imperiale, la produzione artistica offre situazioni talvolta non meno interessanti. Sotto la grande basilica doppia fatta costruire da Costantino (per impulso della madre sant'Elena) nel326 d. C., sono i resti di un palazzo di poco precedente, forse appartenuto al figlio dell'imperatore, Crispo, e distrutto dopo la sua tragica fine (fu assassinato con la moglie in seguito a torbidi; la costruzione della doppia chiesa avrebbe avuto dunque una funzione riparatrice). Giusta o infondata che sia questa ricostruzione dei fatti, fra le rovine del palazzo si sono scoperti frammenti di un soffitto splendidamente affrescato'. Il soffitto era a cassettoni: in questi, figure allegoriche con nimbo (quasi certamente non si tratta di ritratti, come pure era stato sostenuto, e come si è tornato di recente a sostenere, almeno per il busto centrale, attribuito alla imperatrice Maxima Fausta raffigurata come luventus e Salus) si alternano a coppie di '· s. BOUCHER, L'image et /es fonctions du dieu Suce//us, in «Caesarodunum>>, XXUI (1987), pp. 77 sgg. ' R. SCHINDLER, Die riimische Villa von Nennig, in «Germania Romana», Wiesbaden 1980, pp. 90 sgg., iv i bibliografia precedente. ' E. SIMON, Die kostantinischen Deckenf!.emii/de in T rier, Mainz 1986.
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amorini sostenenti corone di fiori. Sono forme sode e nettamente definite: l'organizzazione a cassettoni rivela un gusto per l'inquadramento architettonico, confermato dal ritrovamento di sia pur esigui frammenti di pittura parietale con pilastrini, che farebbe pensare quasi a una ripresa del II stile pompeiana, a un «classicismo» di età costantiniana di cui si conoscono peraltro varie testimonianze. E si continueranno a conoscere anche piu tardi. Nella seconda metà del IV secolo, sulle pendici dell'Eifel meridionale, poco a nord di Treviri, viene costruita (o meglio ristrutturata) la grande villa di W elschbillig. È nel cuore di una singolare, estesissima sistemazione del territorio della capitale imperiale: una singolare struttura detta «Langmauer» (lungo muro) abbraccia un comprensorio di almeno trentasei ville e sedici santuari. La villa di W elschbillig, nella sua parte centrale, aveva una grande vasca, sui cui bordi era disposta una nuova variazione su un tema antico, la galleria di erme. Conservate in gran parte nel Landesmuseum di Treviri, raffigurano dèi del mito e figure di barbari, personaggi greci e romani (si tratta in gran parte di ritratti «di ricostruzione» di filosofi, generali ecc.) ed esponenti della famiglia dei proprietari, nonché (come è stato proposto) ritratti di imperatori. Ma questa importantissima serie sarebbe tutta da ristudiare '. E fino ad età tarda rimane altissimo il livello dell'artigianato artistico, soprattutto nel capoluogo: nell'ambito della produzione ceramica, spiccano soprattutto i grossi bicchieri dipinti («Trierer Becher»), che recano scritte come «mi remisce» (versami di nuovo), «bene tibi sit», « amas me vita»'". Troviamo un materiale del tutto analogo nella non lontana Colonia, capitale della Germania Inferior. Treviri e Colonia hanno in comune almeno un altro tipo di splendida e abbondante produzione, quella del vetro, che spesso rasenta il virtuosismo. Si pensi ai «diatreti», che recano in rilievo attorno al corpo del vaso, sorrette da sottilissimi sostegni anch'essi in vetro, delicate decorazioni a rete; ma anche alle tantissime forme e decorazioni: vasi, fiasche e bicchieri a forma di grappolo, di testa umana, di animale; applicazioni di anse, di motivi vegetali, di delfini". ' 11. WREDE, Die spdtromische Hermengalerie von Welschbillig, Berlin 1972. 10 T rier. Kaise"esidenz un d Bischo/Hitz, catalogo della mostra, Mainz 191!4, pp. 173 sgg., iv i bi-
bliografia precedente. 11 Si veda il catalogo di una recente mostra tenuta ai Musei Capitolini, Vetri dei Cesari, Milano 191!8, passim.
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Le altre Gallie e la zona renana.
La situazione di Treviri e del suo territorio è, come si è visto, del tutto peculiare. In uno scenario in cui, a partire dal III secolo, si attenua il divario fra «arte provinciale» e« arte colta» (nel senso che- come illustrato mirabilmente da Bianchi Bandinelli- sono ormai i personaggi di origine provinciale che detengono il potere, elevando a livello ufficiale i loro gusti e i loro linguaggi), ancor piu rilevante è la posizione dell'antico centro dei Treveri che diviene capitale imperiale. Ma anche la Aquitania e la Narbonensis, la Lugdunensis e le due Germaniae meritano decisamente attenzione. La Gallia Narbonensis è l'area dove, in precedenza, piu interessante era stato l'incontro e il confronto fra la cultura e la tradizione classicoellenistica (da sempre presente nella regione per influsso dell'antica colonia greca di Marsiglia) e le realtà locali: tutto ciò si era manifestato con particolare intensità in rilievi come quelli di Saint-Rémy e di Orange, e in statue come la Medea di Arles o il Guerriero di Vachères. Ancora nel corso del III secolo, si registravano alcuni casi di persistente vigore dell'arte «colta», «ufficiale». Presso Tolosa, nella villa rinvenuta in località Martres-Tolosanes, è venuta alla luce un'autentica galleria di ritratti'', una sorta di antologia storica- per meglio dire- del ritratto nella regione: da personaggi di età traianea a Marco Aurelio, da Caracalla al cosiddetto Galliena a numerosi uomini e donne non identificabili, presumibilmente membri o antenati della famiglia dei proprietari. Ritratti notevoli sono quello di argento sbalzato rinvenuto a Vaison, dei primi decenni del secolo, e la Iulia Domna di Nimes ". Piu tardi, con Costantino e la sua attività urbanistica, e ancora piu tardi (395 circa), quando sarà sede della Prefettura delle Gallie al posto di Treviri minacciata dalle invasioni, Arles conoscerà una fase di notevole rifioritura, che si manifesterà anche nelle notevoli realizzazioni (chiese, necropoli) della sua comunità cristiana. Fra i sarcofagi" (molti dei quali provengono dal grande cimitero degli Alyscamps) alcuni ripresentano miti e iconografie classiche (Fedra e Ippolito), altri rispecchiano piu da vicino gusti e tendenze tardoantiche, come quello che presenta i Dioscuri e altri temi scanditi in rigidi inquadramenti architettonici. Notevolissima una serie di sarcofagi cristia12 H. RAGIOU, Catalogue des collections de sculpture et d'épigraphie du Musée de Toulouse, Toulouse 1917, pp. H sgg.; H. SCHOPPA, Kunst der Romen:eit in Gallien, Germanien und Britannien, Miinchen 1957, nn. 19, 29, II2. " CH. GOUDINEAU e Y. DE KISCH, Vaison la Romaine, Vaison 1986, pp. 25 sgg.; G. A. MANSUELLI, Roma e il mondo romano, Torino 1981, II, p. 213. 14 J. M. ROQUETTE, in CRAI (1974), pp. 254 sgg., ivi bibliografia precedente.
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ni, alcuni probabilmente di fattura urbana. Fra i motivi prescelti ricordiamo: il passaggio del Mar Rosso; la coppia di coniugi in imago clipeata e, attorno, scene della Bibbia; consegna della Legge a san Pietro. Fra quelli con inquadramento architettonico, uno, con bell'effetto decorativo, sostituisce colonne e trabeazioni con una serie di alberi. E perdura in età tarda anche la rilevanza dell'Aquitania, a partire dalla capitale Burdigala (Bordeaux): Arnmiano Marcellino considera la regione come una sorta di terra della dolce vita, narrando uno «storico» banchetto tenutosi durante il regno di Costanzo Il; Salviano la presenta come« midollo delle Gallie ».Dal punto di vista delle arti figurative, non mancano opere di tradizione colta, come una statuetta-ritratto di giovane donna proveniente da Tayrac, o la Venere di tradizione ellenistica di Mas d' Agenais (entrambe al Museo di Agen). Piu rivelatrici di un gusto locale (che da un lato non dimentica l'eredità celtica mentre per alcuni aspetti prefigura il Medioevo) sono però opere ispirate alla vita quotidiana, oppure dedicate a particolari tipi di divinità. Chiariamo meglio: si veda per esempio la vivacità di alcune stele con scene di mestiere della stessa capitale Burdigala (un filone peraltro già iniziato nei due secoli precedenti), o le figure lievemente, quasi malinconicamente incurvate di una scena di pagamento di imposte di Saintes: un'impostazione non troppo dissimile da quella di alcuni rilievi già visti a Neumagen. Molto aderente ad una realtà terrena e concreta sembra anche un rugoso volto di uomo maturo (che si potrebbe datare non troppo prima dell'età tetrarchica) in un frammento di rilievo del Museo di Bourges. Quanto alle raffigurazioni di divinità, è interessante constatare, da un lato, una certa fantasiosità di variazioni «locali» nelle sculture dedicate a divinità del pantheon romano; dall'altro lato, il ricorso ad iconografie del tutto particolari nelle sculture dedicate a divinità celtiche piu o meno « romanizzate » (cioè assimilate- con un tipico processo detto interpretatio- a divinità romane che presentassero caratteristiche in qualche modo simili). Il fenomeno riguarda, naturalmente, non solo le province galliche di cui ci siamo occupati finora, ma anche la Lugdunensis e (come vedremo) le Germanie; diffuso fin dal momento della conquista (con l'oculato consenso dei conquistatori), si protrae anche in età tardoimperiale. Fra le divinità romane« riadattate » possiamo ricordare il Mercurio accovacciato, quasi «alla Buddha», del Puy-de-Touges (Museo di Tolosa); fra quelle «celtiche)), oltre a quelle che hanno piu o meno conservato le loro caratteristiche originarie (come Sucellus, già visto nella Belgica, o come l'impressionante divinità tricefala di Condat, al Museo di Bordeaux), ricordiamo alcune di quelle «interpretate», e soprattutto Taranis assimilato a Giove. Come Giove, porta la folgore: ma è
Rinaldi Tufi
L'Occidente europeo e l'area danubiana
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in genere rappresentato mentre, a cavallo, abbatte un mostro i cui arti inferiori terminano in spire di serpente. Questo gruppo scultoreo è in genere posto in cima a una colonna («colonna di Giove»): anche tale tipodi monumento è diffuso fin dall'inizio dell'età imperiale (e forse anche da prima), e continua ad essere testimoniato fino ad età tarda". Uno dei gruppi piu belli si trova nella zona renana, a Schierstein (Museo di Wiesbaden), ed è addirittura datato (grazie all'iscrizione di dedica, che menziona i consoli): siamo nel221 d. C. Colpisce soprattutto lo slancio dinamico del cavallo e del cavaliere". Ma la zona renana è una zona di confine, dove le truppe svolgono (anche se non sono le sole) un tradizionale ruolo di trasmissione di culti di origine« straniera», soprattutto orientale. Numerosi sono perciò i mitrei: come si sa, i vari temi presenti in questo contesto (Mitra che uccide il toro; Mitra che nasce dalla roccia; saga di Mitra e del Sole, e cosi via, spesso riuniti in composizioni complessissime) sono raffigurati secondo iconografie abbastanza costanti, ma con oscillazioni tecnico-stilistiche impressionanti, fino all'estrema rozzezza. Ebbene, a partire dall'età severiana troviamo a Dieburg, a Wiesbaden, a Heidelberg alcune formulazioni, che si possono considerare fra le piu organiche e meglio riuscite nell'Europa nordoccidentale. Nel mitreo di Nida (Heddernheim), sul Taunus a nord di Francoforte, mitreo che ha avuto lunga vita e diverse fasi costruttive, vi sono anche delle interessanti integrazioni in pittura 17 • In genere, però, le officine di scultura della zona renana, come Argentorate/Strasburgo, Mogontiacum/Magonza, Colonia Ara Agrippinensium l Colonia, sembra rallentino in età tardoimperiale- dopo l'intensa attività degli anni precedenti - la loro produzione. Questo fenomeno, che alcuni definiscono un po' drammaticamente «fine della scultura», è ancora da indagare, anche se una delle cause può essere individuata nella diffusa crisi politica-economica-militare. Notevoli però alcuni esempi, sia pure isolati: come le sculture dell'arco dedicato a Giove, in Mogontiacum, dagli eredi di Dativius Vietar, decurione della Civitas Taunensium (che aveva il suo punto di riferimento in Nida): sono raffigurati, in frontalità un po' rigida, Giove e Giunone in trono; sono anche presenti altre divinità e (sulla ghiera dell'unico fornice) i segni dello zodiaco. «Spogliato», come altri monumenti magontini (e non solo magontini), per la frettolosa costruzione di una cinta muraria attorno al " G. A. MANSUELLI, Roma cit., pp. 213 sgg.; sulle «colonne di Giove» cfr. P. NOELKE HENSS, Die luppitersiiulen und -pfeiler in der germanischen Provinzen, Kèiln-Bonn 1981. 16 lbzd., p. 244, tav. p, 1-2, e tav. 53· 17 1. HULD-ZETSCHE, Mithras in Nzda-Heddernheim, Frankfurt am Main 1986.
e G. BAUCH-
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280, l'arco non doveva essere di troppo precedente a tale data: ebbe, perciò una vita abbastanza breve. Oggi è ricomposto nel Landsmuseum di Magonza ". Nell'area renana conserva però un qualche vigore l'arte del ritratto, anche ufficiale: sono caratterizzati da una certa semplificazione dei piani e dalla resa «a calotta» dei capelli (si può constatare anche qui che certe caratteristiche dell'arte provinciale si ritrovano ormai pure nella produzione «alta») il Pupieno di Strasburgo e il Gordiano III in bronzo di Bonn, proveniente da Niederbieber ". E ancor piu vigorosa, anzi vigorosissima, è la produzione di oggetti di artigianato artistico a Colonia: soprattutto (come si è già accennato) il vetro. Situata sulla linea navigabile Mosella (Treviri) - Reno (su cui appunto si affaccia con un grande porto, e con un ponte, difeso dalla fortezza di Divitia sulla riva opposta, che la mette in comunicazione con i territori della «Germania libera») -Mare del N ord (verso le isole britanniche), Colonia è inserita, come la città che divenne capitale imperiale, in un notevole flusso produttivo-commerciale. E il vetro, genere« esportabile» per eccellenza (come la ceramica, che anch'essa rivaleggia con quella di Treviri) è prodotto pure qui in una grande varietà di forme e di decorazioni: vetri intagliati, dipinti, diatreti, o con applicazioni di filamenti serpeggianti, spesso con raffinati inserimenti del blu e di altri colori"'. 3- La Britannia.
«Ultima venuta» fra le province dell'Europa nordoccidentale, romanizzata attraverso il filtro della Gallia e della Germania (tramite di passaggio di uomini e cose: soldati, commercianti, funzionari, merci, influssi artistici), e comunque mai completamente (o, per meglio dire, piu nelle città che nelle campagne), l'isola conosce anch'essa un momento di crisi grave nel m secolo: fra il287 e il296, Carausius e Allectus «usurpano» il titolo di imperatore, dichiarandosi Augusti in Britannia. Ma Costanzo Cloro, uno dei tetrarchi, ristabilisce l'autorità del governo centrale: l'episodio è ricordato fra l'altro in uno splendido medaglione aureo coniato a Treviri, dove la personificazione della città di Londra, sulla " H. G. FRENZ, Der Ehrenbugen des Dativius Victor zu Mainz und seine neue Rekonstruktion, (1981), pp. 219 sgg.; s. RINALDI TUFI, Magonza romana: un decennio di ricerche, in cit., con bibliografia. 1
Faedo
L'Oriente mediterraneo
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pelaios; poi una scena di sacrificio offerto da un generale vincitore, probabilmente un imperatore, incoronato da una Vittoria, in presenza di Ercole al cui cospetto fuggono le Amazzoni. In un terzo rilievo è il carro di Dioniso che celebra il trionfo indiano a mettere in fuga le guerriere mitiche. L'ultimo rilievo non presenta una composizione narrativa, ma una sequenza di divinità, non tutte sicuramente identificate: Roma? Selene, Men/Helios? Apollo, Artemide, di nuovo Androclo, Ercole, Dioniso, cui seguono forse Mercurio ed Ecate, Afrodite, e infine Atena, forse preceduta da Ares. I rilievi rivelano incongruenze stilistiche- a corpi ben proporzionati, come quello del personaggio che precede la Vittoria nella scena di sacrificio, si accompagnano figure dalle membra gracili, quasi prive di massa muscolare (ad esempio Apollo nella teoria delle divinità) -e compositive- solo in due lastre le figure occupano completamente l'altezza-, incongruenze che si devono a una goffa adesione amodelli seguiti fiaccamente, senza padronanza. Il gruppo delle divinità è composto con una semplice paratassi, cosi come sono meramente accostate la scena di sacrificio e la fuga delle Amazzoni davanti a Ercole; invece i rilievi con l'uccisione del cinghiale e col carro di Dioniso mostrano una composizione non felicissima, ma abbastanza articolata: nel primo alle tre figure stanti si affianca il cacciatore dalla clamide svolazzante che raccorda visivamente la figura in ginocchio in primo piano al cavallo sullo sfondo, nel secondo l'atteggiamento di danza del corteggio del dio ha un pendant visivo nel braccio levato delle Amazzoni in fuga. Le figure, pur rese con notevole aggetto, sono spesso evidenziate da una linea di contorno ottenuta col trapano che scolpisce velocemente i panneggi delle vesti. L'assenza di rilievi figurati coevi dall'area microasiatica limita fortemente la comprensione e la valutazione di queste sculture, concepite forse da artisti che si esprimono con un linguaggio dialettale. Non si può peraltro non osservare con Brenk che gli scultori dei rilievi di Efeso hanno prodotto un'opera che si differenzia in modo considerevole dalle espressioni dell'arte ufficiale contemporanea a Roma- base dei Decennali' - e a Salonicco - arco di Galerio. Non abbiamo indicazioni precise sul momento in cui i rilievi di Efeso vengono tolti dal loro contesto per decorare il tempio, con una collocazione che non ne rispetta la successione originaria, e che è probabilmente da connettere a un restauro in seguito a un terremoto. Le basi delle statue mostrano un intervento di età teodosiana: alla base di Massimiano si sostituisce una dedica a T eodosio I '. 7 Per la base dei Decennali si veda H. KAHLER, Das Fiin/siiulendenkmal/iùdie Tetrarchen au/dem Forum Romanum, Ki:iln 1964. " R. Fleischer, in Festschrt/1 /iir F. Eichler zum So. Geburtstag, Wien 1967, pp. 23-71, ha proposto
una datazione all'età teodosiana dei rilievi reimpiegati, giustamente confutata da B. Brenk, in > cit., pp. 2 38-46.
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Poco o nulla resta nell'area che ci interessa delle statue erette per celebrare i tetrarchi '. I gruppi con le immagini degli imperatori uniti nell' abbraccio della concordia scolpiti nel porfido di due colonne che ornavano il Philadelphion di Costantinopoli sono un'importazione, opera di maestranze egiziane, come la testa ritrovata ad Antiochia sull'Oronte, come l'analogo gruppo di Roma"'. Da Nicomedia, in Bitinia, ci è giunto, testimonianza del tutto isolata, un ritratto di imperatore con corona gemmata", per cui si è proposta una identificazione con Diocleziano, l'imperatore che fece della città la sua sede, identificazione che ha trovato gli studiosi tutt'altro che concordi. La resa plastica e chiaroscurata delle pieghe del volto e della barba a piccoli ricci rendono possibile, infatti, una interpretazione del ritratto come antecedente formale del tipo tetrarchico, da collocarsi ancora nel periodo immediatamente post-gallienico. Sono stati fatti, attribuiti al ritratto da Nicomedia, anche i nomi di Claudio il Gotico" e di Aureliano", ma in un caso la documentazione iconografica presenta molti punti ancora dubbi, nell'altro la scultura verrebbe a essere l'unica testimonianza accanto a una documentazione monetale con cui non mostra stretti elementi di somiglianza. Non molto piu consistenti sono i ritrovamenti dalle altre città dell'Asia Minore. In un edificio di Side sono stati rinvenuti tre ritratti maschili rilavorati su statue preesistenti, in cui si è pensato di poter riconoscere immagini dei tetrarchi. Uno di essi, scolpito su una statua loricata di età antonina, conserva, mi pare, nei volumi del volto gonfi e pesanti la costruzione della testa preesistente, mutata solo nella capigliatura, nella barba, nella fronte solcata da una profonda ruga orizzontale; per questa immagine è stata anche recentemente proposta una identificazione con Licinio, che ritengo assai poco fondata". Negli altri due ritratti, scolpiti " Si veda in particolare F. w. VON SYDOW, Zur Kunstgeschichte des Spiitantiken Portriits in 4· Jahrhzmdert n. Chr., Bonn 1969, p. n2, nota 5a. '" Si veda da ultimo 11. P. t'ORANGE e R. UNGER, Das spiitanllke Herrscherbild von Diokletian bis zu de n Konstantin-Sohnen, 284-261, Das romische Herrscherbild, III, Berlin 1984, pp. 6-ro; p. 103 per il gruppo da Costantinopoli ora a Venezia; pp. 27-1o6, tav. 18c-d, per la testa di Antiochia ritenuta un ritratto di Galerio; p. 99 per il gruppo della Biblioteca Vaticana. " Vedi J. INANe E. ROSENBAUM, Roman and Early Byzanlyne Portrail Sculpture in Asta Minor, London 1966, n. 6r, p. 85, tav. 39; da ultimo H. P. t'ORANGE e R. UNGER, Das spiitantzke Herrscherbild ci t., pp. 22 sgg., 96 con bibliografia; e anche]. Meischner, in BJ, CLXXXI (r981), pp. 47-48. " Cfr. V. Poulsen, in >, e se ne può propriamente parlare dal v-VI secolo. Cfr. K. PARLASCA, Der Obergang von der spiitromischen zur friihkoptischen Kunst i m Lichte der Grabrelie/s von Oxyrynchos, in , VIII (1978) ( = I. Internatiana! Kongress fur Koptologie, Kairo, 8-18 dicembre 1976), pp. 161 sgg.; K. PARLASCA, Mumienportriits und verwandte Denkmiiler, Wiesbaden 1965, p. 202; A. F. SHORE, Christian and Coptic Egypt, in Legacy o/ Egypt, Oxford 1971, pp. 430 sgg. ll Parlasca, in CCARB, XXVIII (1981), p. 228, non nega un uso pratico dell'espressione> in presenza di fenomeni artistici che preludono a quelli dell'arte copta d'epoca cristiana: cfr.]. D. Cooney, in Coptic Egypt, Symposium Brooklyn Museum, Brooklyn 1944, p. 37, e C. Picard, in «Antike Kunst >>, V (1~2), p. 30. Sulle non del tut w risolte difficoltà dei rapporti tra tardoantico e p roto-copto cfr. K. PARLASCA, Pseudokoptische « Reiterheilige »,in G. KOCH (a cura di), Studien zur Spiitantzken und Friihchristlichen Kunst un d Kultur des On'ents, Wiesbaden 1982, pp. 19 sgg., tavv. 10-15. L. TùRùK, Notes on the Chronology o/Late Antique Sto ne Sculpture in Egypt, in Coptic Studies, Acts of the Third lntern. Congress of Coptic Studies (Varsavia, 20-25 agosto 1984), Warsaw 1990, pp. 439-84.
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Heron a cavallo'; molto piu grave però è l'incertezza esegetica che ha coinvolto per decenni alcuni importanti monumenti funerari tardoantichi e greco-egiziani dei grandi centri dell'Egitto ellenistico e romano Saqqara, Bawlt:, Ehnasia, Ossirinco, Ermopoli, Antinoe - i cui dati documentari sono stati negli ultimi anni oggetto di deciso riesame, recuperando all'Egitto tardoromano molto materiale primario per la comprensione dello sviluppo verso l'arte propriamente «copta»' - e rendendo superflui, definitivamente si spera, i tentativi di interpretare come allegorie cristiane le raffigurazioni e le «nudità» mitologiche che figurano scolpite su pezzi architettonici (frontoni, nicchie, capitelli, fregi) scoperti in siti celebri come Ehnasia e Ossirinco. r.
La scultura.
r.r. Sculture architettoniche.
A Ehnasia, nel 1890, E. Naville indagò, con scavi estesi in profondità, un edificio formato da una piattaforma con gradinata; nonostante che presentasse un'abside orientata a nord, contro le regole dell'architettura cristiana, l'edificio fu interpretato come una chiesa copta con portale antistante, e tutti i pezzi di scultura architettonica tratti dagli scavi furono attribuiti alla chiesa': in realtà, il tipo di struttura di Ehnasia, con abside rialzata, può essere paragonato al tipo delle cappelle funerarie tardoromane scavate da Petrie a Behnasa (Ossirinco) '.L'interpretazione «copta» dell'edificio del Petrie, e l'attribuzione ad esso delle sculture, è stata per molto tempo accettata 7 , anche se non era cosa agevole giustificare 'la ' Nel Museo Copto del Cairo n. 229. Cfr. K. PAilLASCA, Pseudokoptische «Reiterheilige» cit., a proposito della erronea classificazione che si legge in G. DENEUVE, L'arte copta, Firenze 1970, s.p., tavola a colori. ' H.-G. SEVERI N, Gli scavi eseguiti ad Ahans, Beh nasa, Bawit e Saqqara: storia delle interpretazioni e nuovi risultati, in CCARB, XXVIII (r981), pp. 299 sgg. ' E. N AVILLE, Ahnas el Medineh (Heracleopolir Magna). Appendix on Byzantine Sculptures (by T. Heyter Lewis), London 1894, p. 32 e taw. 14-16; H.-G. SEVERIN, Gli scavi cit., p. 299. ' F. L. PETRIE, Tombes o/Courtiers and Oxyrhynkhos, London 1975. pp. 16 sgg e tav. 41· H. TORP, Leda christiana. The problem o/ the interpretation of coptic Scupture with mitologica! motz/s, in AIRN,
IV (1969), pp. 101 sgg. 7 Primo tra tutti]. Strzygowski, nel suo catalogo Koptische Kunst, Wien 1904, li dà come provenienti dalla «chiesa di Ahnas» (pp. 44 sgg.), ma, a p. 28, parlando di una scultura di Ehnasia, dichiara che è affine a pezzi piu antichi, tardoantichi e che l'unico pezzo contrassegnato dalla croce, quindi cristiano, è soltanto il n. 7285 del catalogo. La provenienza di un rilievo, del IV-V secolo, con una danzatrice raffigurata con una audace e lasciva torsione delle natiche (cfr. ibid., p. 21, n. 7278), non è accerta· ta; P. PERDRIZET, Les Terres Cuites griques d'Egypte de la Collection Fouquet, Nancy 1921, I, p. 49, e tav. XLV, contestava giustamente l'attribuzione del pezzo ai monumenti copti, e identificava la figura come una «Bisit dansant>> (ma la proposta del Perdrizet, che il pezzo venga dalle «Stanze di Bes» di Saqqara, è resa impossibile dalla cronologia certamente tardissima del rilievo). ' Per esempio, ancora B. F. R. Farag, in« Kunst d es Orients »,XI (1976·77 ), pp. 22 sgg.; ma già E. KITZINGER, Notes on Early Coptic Sculture, in« Archeologia», LXXXVII (1938), pp. 181-215, special·
Bresciani
Egitto e Copti
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presenza, in un edificio cristiano di culto, delle tematiche pagane mitologiche e delle relative «nudità» (Venere Anadiomene e P an con le Menadi, Orfeo, Dioniso, Leda col cigno, Nereidi, Ninfe, Dafne ed Europa). Si è ben awertiti, ormai, che nella valutazione di una struttura cristiana e d'impianti basilicali' va tenuta in conto, anche, la pratica, che risale nel paese all'epoca faraonica, del riutilizzo di pezzi piu antichi "; e che preliminarmente è opportuno isolare i pezzi architettonici di marmo importato grezzo ma lavorato a quanto sembra localmente, e di cui la maggioranza dei capitelli segue tipologie diffuse anche in altre province del bacino mediterraneo orientale- dalle sculture in pietra d'Egitto: arenaria e granito (in Alto Egitto) e calcare (nel Delta, nell'Egitto centrale e nella Tebaide). Ora le sculture in calcare di Ehnasia, riconosciute come parti di piu antichi edifici, sono ormai fra le opere rappresentative dell'arte funeraria romana, tardo imperiale, dell'Egitto "; le figure, trattate con uno stile che è lontano dalla tradizione classica- i corpi lisci senza consistenza naturalistica, i visi poco espressivi e stilizzati, gli occhi grandi spalancati, le pettinature elaborate - sono molto vicine al linguaggio figurativo copto. Nella necropoli tardoantica di Behnasa (Ossirinco), uno dei grandi centri ellenistici dell'Egitto, le indagini del Petrie nel 1922, portarono alla luce una serie di cappelle di culto funerario u decorate di fregi e capitelli e fornite di stele dedicate ai defunti; gli scavi di Evaristo Breccia nello stesso luogo (1930) arricchirono il Museo di Alessandria", altro materiale da Behnasa passò nel Museo Copto del Cairo" e in diversi musei". Un rilievo in calcare, proveniente da un fregio, con la figura di un suonamente pp. 192 sgg., aveva preso una retta posizione; il Kitzinger data al IV secolo, mentre preferiscono
iJ V secolo U. MONNERET DE VILLARD, La scultura ad Ahnas, Milano 1923, pp. 51 sgg., e L. TÙRÙK, On the chronology o/ the Ahnas Scupture, in AArchHung, XXII (1970), pp. 163 sgg. ' Cfr. H.-G. SEVERIN, Gli scavi cit., pp. 315 sgg. '" Sul riutilizzo dei materiali cfr. F. w. DEICHMANN, Die Spolien in der spiitantiken Architektur, Miinchen 1975, pp. 53 sgg. Va citato ormai anche il caso, nel Fayyiim, delle sculture tratte certamente dai ricchi edifici rardoantichi della cittadina di Narmouthis-Medinet Madi, riutilizzate nelle numerose chiese di questo luogo, in certi casi istallate su impiami basilicali romani: cfr. E. BRESCIANI, L'attività archeologica in Egitto dell'Università di Pisa nel Fayum, in EVO, VII (1984), pp. 1 sgg; ibid, X (1987), pp. 1 sgg; ibid., XI (1988), p. 1, fig. 1; P. GROSSMANN, Le chiese CH D 87, CH G 88 e CH H 88 di Medinet Madi, ibid., XI (1988), pp. 13-23, fig. 23. 11 H. TORP, Leda christiana cit., pp. 101 sgg.; H.-G. SEVERIN, Gli scavi cit., p. 301 e nota 2. 12 F. L. PETRIE, Tombes ofCourtiers cit., pp. 16 sgg. e tav. 41; cfr. H.-G. SEVERIN, Gli scavi cit., p. 304, fig. I. " E. BRECCIA, Le Musée Gréco-romain d'Alexandrie, I-11, Bergamo 1932-33. " H. ZALOSCHER, Une collection de pierres sculptées du Musée Copte du Vieux Caire, Le Caire 1948. " E. KITZINGER, Notes on Early Co ptic Sculpture, in>, TORP, Leda christiana cit., p. 106; H.-G. SEVERIN, Gli scavi cit., p. 304 e
LXXXVII (1938), p. 200; H. figg. 2-3; H. D. SCHNEJDER, Beelden van Behnasa. Egyptische kunst de Romeinse Keizertijd 1e-3e eeuw na Chr., Zutphen 1982.
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tore di zampogna (a Leiden) ", un altro rilievo (anch'esso a Leiden) di simile destinazione, con una figura di Nemesi-grifone accompagnata dal suo attributo, la ruota", e un terzo rilievo, sempre in calcare, che rappresenta, con una certa pretesa di realismo, Eracle mentre strangola il leone", sono esempi significativi dello stile tardo romano ossirinchita; va loro aggiunto un architrave, in calcare, appartenuto certo a un tempio eretto alla religione pagana", che presenta un fregio di urèi, e, al centro, scolpito in altorilievo accentuato, un busto di Helios affiancato - come lo Horo di Edfu- da grandi ali e da urèi; il dio indossa la clamide e porta un nimbo di raggi sul capo. Da un edificio sacro del v secolo, forse del F ayyum, proviene un interessante capitello angolare 20 che porta scolpita sul lato corto una figura femminile con veste drappeggiata (l'Egitto?) e sul lato lungo quattro uomini nudi che trasportano in processione un coccodrillo, e sono da riconoscere come sacerdoti del coccodrillo sacro, il dio Sobek- o, grecamente, Soukhos. Il convento di Apa Geremia a Saqqara 21 mostra, nel materiale edilizio riutilizzato per le strutture cristiane p ili tarde, l'esistenza nella necropoli di Menfi di sontuosi edifici della tarda antichità, come la cosiddetta «Tomb-Church», che fu trasformata all'inizio del VII secolo". Il complesso chiesastico del convento di Apa Apollo a Baw1t è noto (oltre che per le numerose splendide pitture absidali)" per le sculture, divise oggi tra il Louvre e il Museo Copto del Cairo, che decoravano la cosiddetta «chiesa sud», un edificio non cristiano trasformato in chiesa al vr secolo"; la trasformazione della cosiddetta «chiesa nord» è avvenuta nell'vnr secolo". Testimonianze di linguaggi figurativi prossimi, anche per datazione, a quelle ora esaminate, si possono riconoscere in pezzi provenienti dal Basso Egitto - o forse da Alessandria - come il bel frontone in calcare del Museo Copto del Cairo" con due figure sedute - l'uomo con una 16 1 ' 18 1 '
Ibid., p. 30, fig. 23 (n-m secolo). Ibid., p. 31, fig. 24. Nel Museo di Leiden: cfr. tbtd., p. 47, fig. 43 (rv-v secolo). Nel Museo di Leiden: cfr. ibtd., pp. 14-15, fig. 7 (io Schneider porta a parallelo il rilievo del
Brooklyn Museum lnv. 62.148, pure da Ossirinco). 20 A. BADA W!, Coptic Art cit., p. 125 e fig. 3.15. 21 Cfr. H.-G. SEVERIN, Gli scavi cit., p. 312. " P. Grossmann, in MDAl(K), XXVII (1971), pp. 173 sgg.; ibtd., XXVIII (1972), pp. 145 sgg. " A. BADA W!, Coptic Art cit., pp. 248 sgg., bibliografia per Biiwit p. 248, nota 69~ " H.-G. Severin, in MDAI(K), XXXIII (1977), pp. rr3 sgg.; H.-G. SEVERIN, Gli scavi cit., pp. 3IO·II.
" P. Grossmann, in CCARB, XXVIII (1981), pp. 149 sgg., particolarmente p. 153 (la basilica a transetto di Ermopoli va rialzata nella datazione). 26 J. STRZYKOWSKI, Koptische Kunsl cit., n. 728, pp. 29-31, fig. 35·
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lancia e una lira, la donna con veste lunga e cappuccio sul capo -, una composizione che, a parte l'esegesi non risolta (Davide Betsabea? Davici e Melodia? scena del mito di Adonis?), è un notevole esempio di scultura databile tra il m e il IV secolo 27 • Un a piccola placca votiva, in calcare, di provenienza sconosciuta, raffigurante la nascita di Afrodite, con un Eros disteso al suo fianco, è singolarmente vicina per stile e trattamento dei particolari alle sculture tardoantiche sopra esaminate, rappresentative dell'arte di transizione del IV- v secolo 28 • Vi avvicinerei il frammento in arenaria scura altoegiziana o nubiana, scolpita« a giorno» con la figura di Horo cavaliere che trafigge un coccodrillo (la destinazione a ornare un'edicola sacra è probabile ma non provata)"' eia cui collocazione «pagana» nella serie della produzione religiosa di epoca imperiale della Valle del N ilo, non è dubbia; la datazione del pezzo può essere stabilita- sulla base di particolari come la frontalità del muso del cavallo, la flessione e la torsione della gamba anteriore sinistra dell'animale - al IV secolo,._ 1.2.
Statuaria e stele.
Alessandria non aveva perduto nei secoli m-v la sua funzione di centro di produzione e diffusione artistica nell'Impero; il prezioso porfido che si ricavava soltanto dal Mons Porphyriticus vicino a Copto" era lavorato nella capitale ellenistica- in parte o completamente- per statue, ritratti o sarcofagi, esportati poi a Roma e altrove. Vengono dall'Egitto il celebre gruppo dei Tetrarchi di San Marco a Venezia", e quello, gemello, della Biblioteca Vaticana a Roma; è stata ritrovata in Egitto la statua colossale, acefala, di un imperatore (forse lo stesso Diocleziano; la statua è esposta nel Museo Egiziano del Cairo), e proviene dal Delta la impressionante testa imperiale di porfido (Licinio? Galerio?)" detta «di Atribis» dal luogo di ritrovamento. 27
La provenienza dal Basso Egitto è data dal Gayet: cfr. J.
STRZYKOWSKI,
Koptische Kunst ci t., p.
29. Piu largamente accettata la provenienza da Ahnas: cfr. L. TùRùK, Notes cit., p. 468 e fig. 57· 28 A. EFFENBERGER, Koptische Kunst. Agypten in spiitanttker, byzantinischer un d /riihislamischer Zeit, Leipzig 1975, fig. 8 (Berlin 4189). "' Nel Museo del Louvre, E 77· A. BADAWI, Coptic Art cit., indica come luogo di provenienza Biiwit, mentre A. EFFENBERGER, Koptische Kunst cit., fig. 47, indica Antinoe, ambedue gli autori senza
darne spiegazione.
°
3 K. PARLASCA, Pseudokoptische «Reiterheilige» cit., pp. 19 sgg., taw. 10-15. " R. DELBROCK, Anttke Porphyrwerke, in «Studien zur spiitantiken Kunstgeschichte>>, VI (1931); J. STRZYKOWSKI, Koptische Kunst cit., pp. 3-7; A. BADAWI, Coptic Art cit., p. n9. " Ibid., fig. 3· 5· Perla« testa di Atribis >>cfr. P. GRAINDOR, Bust es et Statues-Portraits d'Egypte romaine, Le Caire [s.d], pp. 68-70, n. 23, tav. XXI; G. GRIMM e D. JOHANNES, Kunst der Ptolemiier-und
Romer:t.eit im Agyptischen Museum Kairo, Mainz 1975, n. 29 (CGC 7257), taw. 58-61 («ritratto di regnante>>); A. ADRIANI, Lezioni sull'arte alessandrina, Roma 1972, pp. 65 sgg., tav. 34·3· JJ R. BIANCHI BANDINELLI, Roma cit., fig. 258.
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Parte seconda
Le culture
Da Luxor viene una testa, in marmo, attribuita a una statua dell'imperatore Alessandro Severo, da datarsi attorno al 2 30 d. C. " e da Qena, in Alto Egitto, un ritratto imperiale", forse raffigurante Massimino Daia (il pezzo è conservato a Berlino), che, scolpito nel calcare, è interessante per la suggestione disillusa del volto e soprattutto perché attesta l'introduzione dell'uso di pietra locale anche per ritratti di sovrani, all'inizio del IV secolo. Tra la produzione di sculture a tutto tondo in calcare vanno ricordate le statuette di Isi in trono con Arpocrate, trovate nel 1902 ad Akhmim ", caratterizzate dal panneggio decorativo che forma un motivo di losanghe sul petto, e per le quali lo stile lontano dalla maniera classica suggerisce una datazione bassa (fine m- inizio IV secolo). La statuetta in calcare di Isi in trono con Arpocrate, proveniente da Antinoe ", mostra nelle forme prospere del corpo, nel volto dai grandi occhi rotondi, nel drappeggio del chitone e dell'h imation con frange, la sua qualità di opera di transizione tra l'arte romana tarda e l'arte copta e dichiara la sua posizione cronologica non precedente al IV secolo. Nel r885 fu scoperto a Mit Rahina (Menfi) un santuario di Mitra" da datare tra il m e il IV secolo della nostra era, che ha dato anche una serie di statuette in pietra collegate col culto mitraico e caratterizzate dalla morbidezza dei panneggi e di forme"; il culto, portato da elementi militari stanziati in Egitto, non era certo limitato all'area di Menfi, poiché proviene da Ermopoli una stele, con edicola a colonne, databile al m secolo, dedicata a Mitra, in marmo bianco con resti di poli cromia" caratterizzata da busti scolpiti in altorilievo, del Sole, della Luna e di Saturno. Il gruppo delle stele provenienti dalle tombe o mausolei di Behnasa (Ossirinco) fornisce un ricco repertorio di esemplari pagani, oltre a pochi di ispirazione cristiana elaborati nello stesso ambiente artigiano ' le 1
;
" G. GRIMM e D. JOHANNES, Kunst cit., n. 28, taw. 56-57. 1 ' Cfr. A. EFI'ENBERGER, Koptirche Kunst ci t., p. ro6. fig. 5. 36 v. TRAN TAM TINH, Isù Lactans, Leiden 1973 (= EPRO, XXXVII), n. A-9bis (Berlin 4136), fig. 30, n. A-9ter (Berlin 4137), fig. 31; cfr. anche A. EFFENBERGER, Koptirche Kunst cit., fig. 9; per la scarsa produzione di scultura a tutto tondo nella tarda antichità romana cfr. K. PARLASCA, Ritratti tardoantichi e copti in Egitto, in CCARB, XXVIII (1981), pp. 231 sgg.; w. VON SYDOW, Zur Kunstgeschichte des spiitantiken Portriits im 4· Jahrhundert n. Chr., Bonn 1960, pp. 135 sgg. " v. TRAN TAM TINH, Ist5 Lactans cit., n. A-2 (Berlin Dahlem Museum J.19/61), fig. q; v. H. EL· BERN, Werke Koptischer Kunst, in« Enchoria», VIII (1978), pp. 128-29, tav. 5 (datata al m-Iv secolo). " Cfr. F. CUMONT, Textes et monuments/igurés relati/s aux mystères de Mithra, Bruxelles 1896, II, pp. 520 sgg. " Cfr. J. STRZYKOWSKI, Koptische Kunst cit., pp. rr-15, figg. 6-13; A. BADA W!, Coptic Art cit., p. rr9, le awicina come stile a una statuetta litica di uomo con clamide, del IV secolo, da Akhmim (fig. 3.7) (Walters Gallery, 52.82). 40 G. GRIMM e D. JOHANNES, Kunst cit., n. 38 (J.E. 85747), tav. 73· ' 1 K. PARLASCA, Der Ubergang cit., pp. 161 sgg. La prima stele trovata nel1912 dal Petrie è a Londra (British Museum 1795) cfr. J. BECKWITH, Coptic Sculture JOO·IJOO, London 1963, pp. 19-51, fig. 57; al-
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stele di Behnasa -le iscrizioni, non frequenti, sono in greco- sono caratterizzate da policromia e da tipologie identificabili: bambino in piedi, senza o con una ghirlanda funebre, bambino seduto, con una pigna d'uva in una mano e nell'altra una colomba", oppure un cagnolino; giovani e uomini e donne in piedi; gruppo di donna con bambino. Fra i pezzi piu significativi, la stele di un giovanetto in piedi, con una tavoletta di seriba"; lo studio delle vesti, delle pettinature, delle ghirlande floreali sul capo o strette in mano, dagli ornamenti dei personaggi raffigurati- che in certi casi suggeriscono influenze o coincidenze siriane e palmirene del tutto verosimili- permette osservazioni non solo artistiche, ma cronologiche e sociali" sul rango dei defunti, ricchi greci di Ossirinco; le stele di Behnasa, poste come sono tra il m e il rv secolo, sono testimonianze importanti della persistenza della cultura e delle credenze pagane, e dei modi ancora elleni~tici in ambito periferico, immediatamente prima del vero e proprio periodo copto. L'ampia necropoli di Kom Abu Bellou (Terenute, nel Delta) ha restituito molte centinaia di stele funerarie, da tombe di epoca tardoromana (tra il268 e il340 d. C. secondo i dati forniti dai ritrovamenti monetari)"; sulle stele, tutte in calcare, si vede rappresentato il defunto- il cui nome ed età possono essere scritti in greco o in demotico sulla stele spesso entro un inquadramento architettonico di stile misto grecoegiziano, abbigliato con chitone e himation, disteso- la faccia regolarmente frontale - sul letto funebre in atto di li bare col braccio destro steso in avanti, mentre la mano sinistra può sorreggere una piccola ghirlanda; in altre stele, il defunto è raffigurato in piedi, sempre frontalmente, con la gamba destra avanzata, le braccia sollevate nella posizione convenzionalmente indicata di «orante», posizione che si ritrova per il morto su stele d'età cristiana di produzione fayyumica, e per le figure di santi tre stele furono trovate da Evaristo Breccia nel 1927-28 (cfr. K. PARLASCA, Der Obergang cit., Tavv.39l e nel 1931-32 (cfr. ibid., tav. 26). Dagli anni '50 apparvero sul mercato molti esempi di di stele ossirinchite, alcune delle quali certamente falsificazioni, e la cui provenienza dichiarata era sempre Antinoe, oppure Deir el-Mawas: cfr. G. de Francowich, in RIA, n. s., XI-XII (1963), pp. ro8 sgg.; K. PARLASCA, Mumienportrats cit., pp. 204 sgg.; A. EFFENBERGER, Koptische Kunst cit., pp. 141 sgg.; A. BADAWY, L'art copte. Les influences hellénistiques et romaines, in BIE, XXXV (1953-54), pp. 5 sgg. " Cfr. G. DUTHUIT, La sculpture copte, Paris 1931, tav. 41a: l~ posa e i due attributi appartengono al repertorio dell'arte funeraria romana: cfr. K. PARLASCA, Der Ubergang cit., p. II?, e tavv. 34-35 per due paralleli, dall'Italia e da Efeso. " lbid., tav. 39 (stele di Leiden). "' lbid., p. n9, tav. 41 (stele di Boston). " Cfr. A. BADAW!, Coptic Art ci t., p. 129, nota 21, per la bibliografia, alla quale vanno aggiunti l'articolo di s. A. A. EL·NASSERY e G. WAGNER, Nouvelles Stèles de Kom Abu Bellou, in BIAO, LXXVIII (1978), pp. 231-258, tavv. 69-86, e iJ volume di ABD EL·HAFEEZ ABD EL· AL, J.·C.GRENIER e G. WAGNER, Stèles Funéraires de Kom Abu Bellou, Paris 1985, dove si trova una documentata discussione (pp. 8285) sull'attitudine di «orante>> e i precedemi nell'iconografia faraonica del defunto «trionfante» nel giudizio davanti a Osiri.
Parte seconda
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Le culture
tanto frequenti sulle icone della chiesa copta .... La decorazione delle stele di Kom Abu Billou è spesso arricchita da figure di divinità egiziane, il falco (Horo) e il canide (il dio Anubi), sempre rappresentati di profilo secondo l'antica tradizione faraonica". 2.
La pittura.
2.1. Maschere funerarie, sudari e« ritratti del Fayyum ». Il carattere del paganesimo dominante in Egitto sino alla fine del IV secolo" è evidente nei ritratti di mummia, nei sudari dipinti e nelle maschere funerarie in gesso dipinto" il cui uso termina quando Teodosio, con l'editto del392, le proibi in quanto appartenenti al culto osiriaco e comunque a quella grande esperienza religiosa della paganità che, nei secoli precedenti, aveva unito gli elementi ellenistici e indigeni dell'Egitto. I ritratti plastici realizzati in gesso, per lo piu provenienti dal Medio e dall'Alto Egitto'", sono attestati dal I secolo d.C.; i piu antichi erano limitati alla testa, dal m secolo la maschera si prolunga in forma di plastron, dando l'apparenza di chi è adagiato sopra un alto guanciale; raramente viene cercata, nei tratti del volto rosato, una somiglianza individuale: quello che importa è l'enfasi sulla condizione glorificata del defunto e sui particolari- i gioielli, la chioma, lo sfarzo delle coppe preziose tenute in mano, la ricca complicazione delle ghirlande e dei mazzi di fiori, oppure la presenza, ancora, della faraonica «croce della vita» ". Una maggiore individualità caratterizza i ritratti dipinti, i cosiddetti «ritratti del F ayyum » ", che derivano dall'uso funerario romano del riA. EFFENBERGER, Koptische Kunst cit., fig. 21. Per Daniele, ibid., fig. 85. " K. PARLASCA, Rilievi funerari di epoca tardo-imperiale e paleocopta, in CCARB, XXVIII (1981), pp. 225 sgg. " 1. E. s. EDWARDS, Egyptian Collections in the Bn"tish Museum, London 1964, 225 sgg. 49 K. PARLASCA, Mumienportrà'ts cit., pp. 200-12. '" G. GRIMM, Die romischen Mumienmasken aus Agypten, Wiesbaden 1974, pp. ro6 sgg.; G. GRIMM e D. JOHANNES, Kunst cit., n. 51 (J.E. 49686, da Ermopoli), tav. 89; G. GRIMM, Die romischen Mumienmasken cit., tav. 57.2. " Come sul ritratto di Ammonio, da Antinoe, del m secolo, al Louvre. Cfr. E. BRESCIANI, Dall'Egitto ellenistico all'Egitto cristiano: l'eredità faraonica, in CCARB, XXVIII (1981), pp. 21 sgg., specialmente p. 23.
.,. Per San Mena cfr.
" Provenienze accertate dei cosiddetti« ritratti del Fayylim>>: el-Rabayat; Abusir el-Melek; Hawara; Saqqiira; Tebe; el-Hibe; Akhmim; Salamoun; Antinoe - necropoli est; Assuan - necropoli nord; el-Kharga. Cfr. E. BRESCIANI, Giuseppe Acerbi e il ritratto di Dioskorous, in Alessandria e il mondo ellenistico-romano. Studi in onore di Achille Adriani, II, Roma 1984, pp. 203·8. Dei circa settecento ritratti conosciuti finora, piu della metà sono di epoca tardoimperiale: cfr. K. PARLASCA, Ritratti cit., p. 231. Sono fondamentali ID., Mumienportriits cit., e ID., Repertorio d'arte dell'Egitto greco-romano, serie B, Ritratti di mummia, l, Palermo 1969, II, Roma 1977, III, Roma 1980. Per i ritratti piu tardi, convenzionali, ormai riconoscibili solo perché ponano il nome scritto («Namungsportriit>>), cfr. E. BUSCHOR, Bildnisstu/en, Miinchen 1947, pp. 46 sgg. Per la pittura dei «ritratti a encausto>> era usata an-
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tratto e dai riti e dalla credenze funebri degli Egiziani; dipinti su riquadri di tela e soprattutto su tavolette di legno- sottili nei primi due secoli, poi di spessore piu consistente - i ritratti mostrano una tecnica e uno stile che sopravvivono nei ritratti di santi dell'Egitto cristiano " e nelle icone bizantine. I ritratti piu antichi sono dipinti in stile naturalistico, con un trattamento impressionistico e mosso che deriva certo dalla tradizione della pittura classica; il soggetto è rappresentato sempre frontalmente, mai di profilo; la scelta dei colori- disposti, per lo piu su una base gessosa, «a encausto», cioè velati di cera d'api- e l'uso dell'ombreggia tura e dei tocchi chiari di luce rendono i «ritratti del F ayyum » cosi affascinanti e« moderni» ai nostri occhi. Dopo il m secolo la composizione è piu povera, il tratto del disegno è meno sicuro", lo sguardo piu fisso, l'espressione tende alla stilizzazione ieratica, eppure si hanno ancora ritratti di grande dignità, come il ritratto maschile della collezione Sigmund Freud a Londra", e addirittura di alto livello di esecuzione, come il ritratto femminile di epoca costantinea, nel Museo di Firenze ••. Quello che si vede dell'abbigliamento sia maschile sia femminile, lo denota come l'abbigliamento usuale nel mondo ellenistico, una tunica, di regola decorata con i clavi- senza significato di rango nel mondo mediterraneo orientale -e un manto o himation; dal IV secolo la tunica delle donne può avere un bordo colorato attorno alla scollatura. I gioielli con i quali i pittori dei ritratti hanno adornato uomini e donne sono quelli che si conoscono nel mondo ellenistico; le pettinature, specie femminili, seguono la moda imposta dalla famiglia imperiale a Roma e forniscono indicazioni cronologiche. Una produzione affine è quella dei« su dari» dipinti, destinati ad avvolgere le mummia, in uso tra il I e il IV secolo dell'era volgare": la figura del defunto è trattata- a tempera e a« encausto»- a grandezza naturale, in abito greco, in piedi e con la gamba destra flessa, per lo piu entro un'inquadratura architettonica; lo stile è misto greco-egiziano, e il deche cera d'api colorata con pigmenti. La tecnica a cera era nota nel mondo ellenistico, ma non in Egitto prima dell'epoca romana; ma non era un vero >, Berlin 4782). " A. BADA W!, Coptic Art cit., p. 338, fig.5.40a-b (Walters Art Gallery 7I.4J). " R. BIANCHI BANDINELLI, Roma cit., pp. 96, 328-29, fig. 3U. " R. L. SCRANTON, Glass Pictures /rom the Sea [Tbe Cenchreae Expeditùm], in «Archeology>>, XX (1967); R. BIANCHI BANDINELLI, Roma cit., figg. 3ll·I2. " lbid., fig. 270; M. DE vos, L'Egittomania in pitture e mosaici romano-campani della prima età imperiale, Leiden I98o, n. 19, pp. 33-35; G. BECATTI, Scavi di Ostia IV. Edt/icio con opus sectile fuori Porta Marina, Roma 1969, p. 192, tav. a colori 83; L. IBRAHIM, R. SCRANTON e R. BRILL, Kenchreai Eastern Porto/ Corinth, II, Leiden 1976, p. 264. " D. B. HARDEN, Roman Glass /rom Karanis, Ann Arbor 1936.
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Parte seconda
Le culture
vetri alessandrini che le vie dell'Impero romano irradiavano dovunque, fino nel regno africano di Meroe n. Un bel bronzetto raffigurante Ercole in corsa, dinamico e ancora espressivo nei tratti del viso, e che viene dall'Egitto (da località non determinata)", è della seconda metà del III secolo; nel II-III secolo le botteghe di Alessandria producevano anche vasetti di bronzo in forma di busti, di impiego come bruciaprofumi, molto apprezzati, esportati fino a Varna in Bulgaria, dove ne sono sono stati ritrovati''. I gioielli cosi suggestivi che conosciamo portati dai defunti sui «ritratti», sulle maschere e sui sudari dell'Egitto tardoromano forniscono un quadro credibile e autentico della produzione di oreficeria, di tipo ellenistico, in uso dalle classi abbienti in quei secoli. L'antica abilità faraonica nel campo dell'artigianato fittile, trasferita nell'ampia produzione ellenistica che fa delle terrecotte greche e romane della Valle del Nilo un settore cosi significativo, ha begli esemplari, per citare una sola categoria, nelle «fiaschette» a due anse, una forma che era già esistente in Egitto dal Nuovo Regno e che in epoca cristiana avrà tanto favore con le «ampolle di San Mena»: una «fiaschetta», di pieno rv secolo, continua nella decorazione a rilievo (ricavata quindi da matrici) la tradizione ellenistica, con busti entro inquadrature ad arco e colonne, con danzatori e danzatrici"'; una seconda, coeva, è decorata a rilievo sulle due facce: una occupata dal tema della vigna e dei vignaioli, l'altra, fra archi e colonne, busti, mostra danzatrici e figure di P an che suonano la zampogna", con evidente continuità da tipologie piu antiche, favorita dall'impiego, nelle botteghe, di «forme» di gesso, fra le quali cito almeno una splendida placca dei primi del III secolo, conservata a Hildesheim 112 • Perpetuarsi di gusti e di temi, e accelerazione, dopo la fine del III secolo, di uno sviluppo verso forme non classiche, sono le due forze che accompagnano e sollecitano la vita artistica dell'Egitto del tardo Impero. 77 Un esempio dell'irradiazione dell'arte vetraria alessandrina nel m secolo fino nell'area africana meroitica, è fornito dal bel «calice blu» con decorazione policroma, da Sedeinga (scavi Michela Schiff Giorgini, Collezioni Università di Pisa, inv. n. 23ol: cfr. J. LECLANT, Vetri dalla necropoll meroitica di Sedeinga nella Nubia sudanese, in Le vie del vetro. Egitto e Sudan, Convegno-mostra (Pisa, 28 maggio - 12 giugno 1988), Pisa 1988, pp. 44-57, e scheda n. 35, p. ro8. " A. BADAWI, Coptic Art ci t., fig. 3.6 (Brooklyn Museum 36.r6r). " R. BIANCHI BANDINELLI, Roma cit., figg. 309-10. 80 G. GRIMM e D. JOHANNES, Kunst cit., n. 77 (].E. 54502), tav. U8. " Ibid., n. 76 (].E. 89081), tavv. u6-q. " G. ROEDER, Die Denkmiiler des Pelò:iius-Museums zu Hildesheim, Berlin 1921, fig. 62, n. 1537. Per i rilievi e le forme in gesso destinati alla produzione di piatti e vasi in metallo, ritrovati a Menfi, dr. o. RUBENSOHN, Hellenistisches Silbergeriit in antiken Gipsabgiissen, Berlin 19u.
m. Cultura giuridica e istituzioni
ALDO SCHIAVONE
Dai giuristi ai codici. Letteratura giuridica e legislazione nel mondo tardoantico
I.
Premessa.
Intorno alla metà del III secolo si consuma l'ultima grande trasformazione nella lunga storia del diritto romano: il passaggio da un modello di «diritto giurisprudenziale» (di cui abbiamo chiarito i caratteri) a uno di diritto fondato sulla legislazione- e p ili tardi anche sui codici- al cui centro non v'era piu l'attività respondente o letteraria dei giuristi (ai quali « permissum est iura condere») ', ma quella, incontrastata e onnipotente, del principe legislatore. Abbiamo detto, nel precedente volume di questa Storia, che i grandi autori dell'età severiana contribuirono essi stessi, con il loro lavoro, a produrre quell'insieme di condizioni che avrebbe determinato, nel giro di qualche decennio, l'improvviso verificarsi di questa svolta, e la conseguente eclissi, dopo secoli di ininterrotta luminosità, del pensiero giuridico antico'. In effetti, in un arco relativamente breve attraverso il corso del m secolo la scena muta completamente. Ancora mentre Ulpiano scriveva, negli anni immediatamente successivi al 210, i giuristi e la loro letteratura erano il cardine degli ordinamenti imperiali. Certo la legislazione dei principes, da Adriano in poi, aveva assunto un ruolo di sempre maggiore risalto: e tuttavia era nell'attività d'interpretazione e di commento dei ·giuristi che continuava a essere riposta la custodia di una continuità normativa preziosa e insostituibile, e la misura della legalità sostanziale di ogni nuovo provvedimento; per non parlare del fatto che quasi sempre, sotto le spoglie del principe legislatore, erano ancora loro, i giuristi piu importanti, ad aver voce, come esponenti autorevoli e ascoltatissimi della cancellaria imperiale. Ma alla fine del secolo, quando Diocleziano saliva al potere, tutto 1
1 Cfr. i miei contributi nei precedenti volumi di questa Storia di Roma: I, pp. 545 sgg.; lllr, pp. 415 sgg.; IIIJ, pp. 7 sgg. 2 GAIO, Istituzioni, I. T ma è una formulazione che sembra già ricalcare una concessione burocratica. ' IV3, pp. 55 sg., 83 sg.
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Parte seconda
Le culture
sembrava ormai cambiato: scomparsa da tempo ogni grande figura della giurisprudenza, esaurite le forme consuete di un'attività letteraria che era durata senza interruzioni dall'epoca di Quinto Mucio, la legislazione dei principes reggeva da sola il peso dell'intero ordinamento; e nella cancelleria dominava il lavoro di burocrati anonimi pur se tutt'altro che sprovveduti: figure nelle quali non era piu distinguibile un profilo intellettuale al di fuori del compito imposto dalla funzione pubblica. Sarebbe perciò difficile spiegare una crisi cosi rapida e (per certi aspetti} conclusiva, senza tener conto che essa fu in certo senso favorita e accelerata dalle scelte e dagli orientamenti della stessa giurisprudenza, nell'ultima grande stagione del pensiero giuridico antico. In realtà, i giuristi dell'età dei Severi, proprio mentre sembravano conservare e proteggere i compiti e l'identità ricevuti dal passato, operavano già nella prospettiva di un'abdicazione giudicata probabilmente inevitabile. La capillare sistemazione scientifica e normativa intrapresa da Paolo e da Ulpiano nel campo del diritto privato, con gli sterminati commentari ad edictum e ad Sabinum, non meno che il loro attento lavoro di legalizzazione delle prassi costituzionali e amministrative delle magistrature e della burocrazia, spinto fino alla formazione, per la prima volta nel mondo antico, di un vero e proprio corpo dottrinario di «diritto pubblico», sono entrambi compiuti nella prospettiva della conclusione definitiva di un lungo cammino, della stesura dell'inventario finale di una complessa eredità, che si stava per trasmettere in altre mani. A suo tempo, il modello «giurisprudenziale» romano era nato e si era sviluppato come il diritto di una città, di una singola polis: solo una comunità ristretta, senza grandi problemi di comunicazione e di gestione delle istituzioni, aveva potuto affidare con cosi lungo successo l'elaborazione e il mantenimento dei propri ordinamenti civili al sapere collettivo di una cerchia di esperti che si manifestava senza ricorrere ad alcun apparato pubblico, ma fondandosi su un insieme di procedure tanto delicato, fragile e sottile quanto piu diventava raffinato e intellettualmente sofisticato. Esso era potuto miracolosamente sopravvivere oltre i confini della polis, al centro di un meccanismo di dominio su scala mondiale, soltanto per il verificarsi di due condizioni indispensabili. La prima fu di rimanere, nonostante tutto, il diritto di una sola città - sia pure di una città che guidava il mondo - senza mai essere costretto a diventare il diritto di tutto l'Impero, grazie alla costruzione di un ampio sistema di autonomie locali, che lasciava a ogni comunità le proprie tradizioni e i propri ordinamenti giuridici (« suis moribus legibus-
Schiavone
Dai giuristi ai codici
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que uti», nelle parole di Adriano agli Italicenses) ',e che riservava al diritto giurisprudenziale di Roma solo un ruolo esemplare e di orientamento. La seconda fu il sapiente compromesso che, a partire dall'età di Labeone, i giuristi come ceto seppero stringere con il potere dei principes, scambiandosi una reciproca legittimazione, vitale per entrambi: il principe riconosceva ai giuristi un prezioso primato nel determinare, attraverso la loro attività scientifica, le linee evolutive dell'ordinamento giuridico (ius civile, edictum perpetuum, leges publicae) ereditato dall'età repubblicana; e la giurisprudenza a sua volta avallava con la propria autorevolezza la scelta del principe di farsi in prima persona legislatore, e di contribuire direttamente alla costruzione delle nuove istituzioni dell'Impero universale: sia con lo strumento prudente dei rescripta (strutturalmente simili all'antico responso giurisprudenziale - un modo per il principe di diventare egli stesso, per dir cosi, giurista fra i giuristi) ', sia con quello piu incisivo e scoperto degli edicta. Ma dalla metà del m secolo entrambe queste premesse erano venute a mancare. Da un lato il sistema delle autonomie, che aveva retto sino all'età degli Antonini, e aveva consentito al potere centrale di governare l'Impero attraverso un velo leggerissimo di apparati, si stava rapidamente frantumando, sotto l'impatto della crisi economica, fiscale e militare, per dar spazio al suo posto a una organizzazione politica pesante, accentrata e burocratica, un vero nucleo di Stato assolutista, che aveva bisogno per reggersi di un disciplinamento legislativo della società fitto, pervasivo e uniforme, quale mai avrebbe potuto essere affidato alle mani dei giuristi, ma che doveva apparire come un'emanazione diretta della volontà del sovrano («legge vivente» nella prospettiva autocratica tardoantica) •. Per l'altro verso, i vecchi termini del compromesso labeoniano e poi giulianeo 7 fra giurisprudenza e potere imperiale si rivelavano clamorosamente inattuali di fronte alla forza invadente della nuova macchina burocratica: accettando di diventarne i dirigenti, i grandi giuristi severiani sapevano probabilmente bene di decretare la morte del diritto giurisprudenziale romano. Ma essi scambiavano la rinuncia alloro primato Notti attiche, 16. 3+ su cui F. GR ELLE, L 'autonomia cittadina fra Traùmo e Adriano, Napp. 65 sgg. ' T. Spagnuolo Vigorita, in questa Storia di Roma, IV3, pp. 100 sgg.; T. HONORÉ, Emperors and Lawyers, London 19!!1, pp. 24 sgg. " Novelle, 105.2.4: ma il concetto è ben piu risalente dell'enunciazione giustinianea che abbiamo ricordato: M. BRETONE, Tecniche e 1deologie dei giuristi romani, Napoli 19!!2 2, pp. 50-51. 7 Secondo la ricostruzione che ho proposto in questa Storia di Roma, lV3, pp. 30 sgg., 52 sgg. ' GELLIO,
poli
1972,
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Le culture
con la possibilità di imprimere sulla nuova forma di Stato che vedeva la luce il sigillo di una legalità non superficiale, di tipo ecumenico e giusnaturalistica, erede di una tradizione prestigiosa, che avrebbe dovuto nelle loro intenzioni orientare il cammino del potere politico-burocratico, e sottrarlo alle tentazioni di un futuro« orientale» e dispotico. Si creavano cosi le premesse per quell'intreccio fra burocrazia e legalismo, fra diritti dei sudditi-cittadini e arbitrio del principe, che costituisce tanta parte della storia dell'Impero tardoantico, e su cui si è esercitato con risultati interpretativi spesso straordinari l'acume geniale di Gotofredo lettore del Codice teodosiano '. 2.
Attività letteraria e cultura giuridica fra
III
e IV secolo.
Dagli anni quaranta del m secolo, dopo l'uscita di scena di Erennio Modestino, allievo di Ulpiano e prae/ectus vigilum fra il224 e il244, autore, fra l'altro, di nove libri differentiarum, di sei libri de excusationibus e di dodici libripandectarum ',non siamo piu in grado di identificare, per la prima volta dopo circa quattro secoli, singole figure di giuristi collegabili con sicurezza a un'attività letteraria di un qualche rilievo e di cui ci restino testimonianze, se si eccettuano i due casi isolati di Ermogeniano (di cui diremo) e di Arcadia Carisio, magister libellorum in anni successivi a Diocleziano, autore di libri singulares de muneribus civilibus, de testibus e de officio praefecti praetorio E tuttavia, sarebbe azzardato e improprio sostenere che da quegli anni in poi una storia del pensiero giuridico romano non può che identificarsi nella storia della legislazione imperiale e dell'amministrazione tardoantiche. Questa coincidenza non si verificherà prima della seconda metà del IV secolo, e per la parte orientale dell'Impero non sarà mai del tutto completa. Indubbiamente, la crisi che segnò la transizione dal modello giurisprudenziale a quello fondato sulla legislazione si consumò sotto la pressione e per effetto di esigenze e di vicende costituzionali, politiche ed economiche che toccavano le basi stesse del sapere giuridico, nelle forme che sino ad allora si era dato: e non poteva essere diversamente, per la metamorfosi di una cultura che aveva incorporato dentro di sé per secoli un continuo intreccio fra ragioni della scienza e ragioni 10
•
• Code x Theodosianus eu m perpetuis commentariis lacobi Gotho/redi, che cito dall'ed. (6 voli.) Li· psiae r736·45 (l ed. Lugduni 1665). ' o. LENEL, Palingenesia iuris civilis, Lipsiae r889 (rist. con L. SIERL, Supplementum, Graz 1960), I, coli. 701 sgg., 707 sgg., 721 sgg.; w. KUNKEL, Herkun/t und sazia/e Stellung der romischen Jurùten, Graz-Wien-Koln 1967', pp. 259 sgg. 10 o. LENEL, Palingenesia cit., I, coli. 57 sgg.
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del potere. Ma questo mutamento non comportò affatto la scomparsa della precedente tradizione; ne implicò soltanto uno spettacolare oscuramento, una specie di discesa nell'ombra, oltre la quale però la sua vita prosegui almeno per un altro secolo con insospettabile tenacia, sia pure attraverso un drastico cambiamento di peso e di ruolo. Un'osservazione libera da pregiudizi classicisti ci permette di seguire agevolmente il filo di questa continuità almeno lungo due versanti piu importanti: il collegamento con il passato delle nuove tipologie dell'attività letteraria delle giurisprudenza, e la gradualità dello spostamento verso il modello del codice". I giuristi postseveriani continuarono a scrivere con costanza e con una certa intensità per almeno altri cento anni, sicuramente sino al cuore del rv secolo. Non solo: lo fecero anche sforzandosi di rimanere fedeli a una tecnica di elaborazione e di esposizione - diciamo pure a un certo modo di costruzione del testo - che essi avevano ereditato dall'epoca d'oro della loro disciplina. Come abbiamo visto, la grande letteratura giuridica dell'età del principato aveva sempre privilegiato, fra i moduli espositivi cui faceva ricorso, quello del commento. Da Cassio Longino in poi, tutta la trattatistica di ius civile aveva preso la forma del commentario ai libri di Q. Mucio o di Sabino: cosi per Gaio, per Pomponio, per Ulpiano, per Paolo. A sua volta, il commento all'editto (urbano e provinciale) era diventato un genere letterario di grande fortuna: da Ofilio a Labeone, a Pedio, a Pomponio, ancora a Paolo e Ulpiano. E anche nelle grandi antologie casistiche e problematiche- nei Digesta di Giuliano come in quelli di Marcello - era ancora il commento- ai titoli edittali, a leges, a senatusconsulta che costituiva la trama dell'intera composizione; per non parlare delle note e delle chiose che si erano succedute per secoli agli scritti di AlfenoServio, di Labeone, di Giuliano ". La presenza cosi diffusa di un modello espositivo tanto particolare 11 Cfr. F. WIEACKER, Le droit romain de la mort d'Alexandre Sévère à l'avénement de Dioclétien (235-284 apr. f.-C.), in RD, XLIX (1971), pp. 201 sgg.; T. HONOR~, Emperors cit., pp. Hsgg.; D. LIEBS, ]uristen als Sekretiire des romischen Koisers, in ZSS, C (1983), pp. 485 sgg.; ID., Die ]urisprudem in spiitontzken Italien (240-640 nach Cb r.), Berli n 1987; oltre, naturalmente, a F. SCIIULZ, History o/ Roman Lego!Sàence, Oxford 1953', trad. it. Storia della giurisprudenza romana, Firenze1968, pp. 473 sgg., 480 sgg., 499 sgg. 12 Commenti a Q. Mucio e a Sabino: Gaio (o. LENEL, Polingenesia cit., l, col. 251); Pomponio (ibid., Il, coli. 6o sgg., 86 sgg.); Ulpiano (ibid., II, coli. 1019 sgg.); Paolo (ibid., I, coli. 1251 sgg.). Commenti all'editto: Ofilio (ibid., I, coli. 795 sgg.); Labeone (zbid., I, coli. 501 sgg.); Pedio (ibid., I, coli. r sgg.); Paolo (ibid., I, coli. 966 sgg.); Ulpiano (ibid., Il, coli. 421 sgg.); GIULIANO, Digesto (o. LENE L, Pa/in genesio cit., I, coli. 318 sgg.); MARCELLO, Digesto (o. LENEL, Polingenesio ci t., I, coli. 589 sgg.). Note (ed epitomi) ai Digesto di Alfeno (Servio): o. LENEL, Palingenesia cit., I, coli. 38 sgg., 45 sgg. Note (ed epitomi) ai pithono e ai posteriores di Labeone: o. LENEL, Palingenesia ci t., I, coli. p8 sgg., 299 sgg., 536. Note ai Digesto di Giuliano: o. LENEL, Palingenesia cit., I, col. 692 e note 2 e 3·
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non poteva essere casuale. La scelta estrinseca del genere letterario tradiva la persistenza sostanziale di una forma di pensiero. La potremmo definire come il peculiare continuismo della scienza giuridica romana, o anche, se vogliamo dirla da un altro punto di vista, come l'esistenza di una relazione interna, nelle procedure logiche dei giuristi, fra tecnica del commento e ricerca della verità, in conseguenza di un legame, che essi vedevano, tra norma e tempo, fra statuizione e durata, e quindi del magnetismo che su di loro finiva con l'esercitare sempre il passato. Nel costruire la propria produzione letteraria i giuristi del principato tendevano a presentare ogni volta una polarità che collocava da una parte la riproposizione di una scrittura piu risalente- di una !ex, di un senatusconsultum, di un titolo edittale, di un caput o di una rubrica del t'us àvt'le nella cristallizzazione muciana o sabiniana - assunta nella sua autorevolezza scientifica o normativa come un carattere vincolante da rispettare, e dall'altra il commento dell'autore al testo scelto, nel quale tutta la creatività intellettuale che era possibile dispiegare era obbligata comunque a passare per il filtro del disciplinamento imposto dalla forma testuale prescelta, che obbligava comunque a un certo grado di continuità rispetto al dettato piu antico. Si determinava cosi quella particolare curvatura del rapporto fra tradizione e innovazione, e dell'equilibrio fra memoria e cambiamento, per cui ogni novità, anche la piu trasformatrice, quando appariva, doveva sempre aprirsi la strada sotto la forma mitigata della rielaborazione dell'antico. Il commento era insomma, per i giuristi romani del principato, la chiave per entrare nella temporalità specifica del loro sapere, e nella rete delle causalità logiche e testuali che ai loro occhi lo reggeva e lo giustificava: per immettersi in quel« dialogo dei grandi autori»" che costituiva la trama della vita della giurisprudenza. Ebbene, i giuristi postseveriani fino alla metà del rv secolo non dimenticarono affatto questa tecnica di composizione: e tutti i loro scritti, per quanto possiamo saperne, cercarono anzi di riprodurne i movimenti e le sequenze. Solo che le linee di forza nel rapporto fra il testo e il suo commento si erano per dir cosi rovesciate, e ogni tensione era depotenziata e scaduta. Ed è esattamente qui, in questo drammatico scarto, che si concentra la distanza dei nuovi autori da quelli che stavano per diventare, alloro sguardo, i grandi «classici». Mentre per i giuristi del principato la riproduzione del dettato da commentare (giurisprudenziale, legislativo, edittale) era il punto d'avvio su cui si innestava la creatività dell'interprete, e il piano del testo riportato e quello del commento da eseguire si ponevano sullo stesso livello logico e discorsivo (e in molti casi persino temporale, nel senso della fon" Riprendo l'espressione da L. LOMBARDI, Saggio sul diritto giurisprudenziale, Milano 1967, p. 57·
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dazione letteraria di uno specifico tempo storico delle dottrine e dei casi, che spesso annullava la distanza cronologica fra gli autori), e l'autorità del commentatore gareggiava con quella della parola piu antica in un dialogo stringente e serrato, adesso questa parità, questo continuum testo-commento, era sparita. Il commentatore non aveva piu ragioni intellettuali autonome da far valere in un confronto fra eguali rispetto al testo preso in esame. Fra presente e passato della giurisprudenza si era aperto d'improvviso, nella coscienza dei nuovi autori, una frattura incolmabile, determinata da una irriducibile diversità di compiti, che confinava i nuovi scrittori in uno spazio oscuro e minore. I giuristi del passato smisero allora di apparire come dei contemporanei con cui discutere da pari a pari - come erano sembrati a tutte le generazioni di giuristi fra repubblica e principato- e cominciarono ad assumere la figura e il ruolo di «Antichi Maestri». E i nuovi giuristi non cercarono piu di far emergere la propria soggettività di autori e di specialisti in completa distinzione (quando non addirittura in tensione) di fronte al testo su cui lavoravano. Al contrario, ora cercavano solo di occultarsi dietro la scrittura che avevano prescelto di riprodurre, che appariva ai loro occhi depositaria di un livello di scienza e di razionalità del tutto irraggiungibile. Il commentatore si celava cosi dietro al testo commentato; e nemmeno piu di un vero «commento» si dovrebbe a rigore parlare: quanto piuttosto di aggiornamenti (rispetto alla piu recente legislazione imperiale), di semplificazioni, di annotazioni marginali. La continuità fra presente e passato, che per i giuristi dei secoli d'oro si rifletteva in quella fra testo e commento, fra citazione e critica, era saltata; il sapere presenteescluso ormai dai compiti di una volta - si riconosceva inferiore e piu opaco di fronte alla tradizione. L'eclisse e il nascondimento della giurisprudenza postseveriana, di cui abbbiamo appena parlato, erano dunque, soprattutto, una immersione delle nuove generazioni di esperti nel cono d'ombra dei testi su cui operavano. I nuovi giuristi furono editori prima ancora che interpreti (due funzioni del resto piu vicine di quanto si creda nella cultura antica, e in particolare in quella tardoimperiale). La loro maggiore ventura era di svanire dietro agli autori che avevano scelto di riprendere: di saperli ridurre e adeguare alla misura e alle esigenze dei tempi- nei quali la giurisprudenza non aveva piu alcuna funzione normativa - intervenendo con abilità nella scrittura originale, sovrapponendo le loro parole a quelle autentiche, cercando di confondere il loro stile con quello dei maestri che stavano evocando. La loro cifra era insomma l'edizione e la glossa: in qualche caso l'apocrifo. La determinazione delle dimensioni quantitative di questo lavoro,
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che si protrasse, come abbiamo detto, lungo l'arco di oltre un secolo, incrocia sulla sua strada uno dei capitoli piu tormentati nella storia dei nostri studi. Essa dipende, infatti, in buona misura, dal giudizio che noi diamo intorno all'autenticità di molte opere attribuite nei Digesta giustinianei soprattutto a giuristi severiani (Ulpiano e Paolo in particolare), nonché dalla nostra valutazione circa lo stato di conservazione di quelle altre opere sicuramente ascrivibili agli autori cui i compilatori giustinianei le facevano risalire, ma ricopiate (in frammenti) nei Digesta da tarde edizioni di III o IV secolo, e dunque esposte alla possibilità di rivelare rimaneggiamenti anche pesanti. Evidentemente, quanto piu noi restringiamo il numero delle attribuzioni sicure, e quanto piu riteniamo fortemtnte rielaborate le tarde edizioni delle opere certamente autentiche, tanto piu la mole del lavoro letterario riconducibile alla giurisprudenza postseveriana diventa cospicuo. Nella prima metà del secolo la storiografia romanistica, utilizzando una filologia non sempre adeguata, e dominata dal mito di una purezza «classica» sporcata da mani maldestre, che andava riscoperta sotto un denso strato di glosse, di interpolazioni e di falsi, si era orientata verso un atteggiamento di ipercritica delle fonti, espungendo dal patrimonio letterario della giurisprudenza fino ai Severi una lunga catena di lavoridagli oroi di Q. Mucio Scevola, alle res cottidianae di Gaio, ai libri definitionum di Papiniano, a quelli opinionum, regularum e alle institutiones di Ulpiano, alle institutiones di Paolo (ma l'elenco potrebbe continuare) -e ritenendo alt resi che le edizioni utilizzate dai giustinianei per gli scritti di indubbia autenticità, come per esempio i fondamentali commentari ad edictum di Ulpiano e di Paolo, fossero il risultato di pesanti rielaborazioni posteveriane ". È del tutto chiaro che se le lo stato delle cose fosse dawero in questi termini, la stessa possibilità di una storia del pensiero giuridico romano verrebbe quasi completamente compromessa: quello che noi avremmo di fronte, attraverso i Digesta giustinianei, sarebbe quasi solo cultura giuridica di III e IV secolo, sotto la quale, a fatica, si riuscirebbero appena a intravedere i contorni di una strato piu profondo, perduto per sempre " Questa posizione è riflessa ancora largamente in F. SCHULZ, Storia cit., pp. 250 sgg., 499 sgg., pur se senza estremismi. Cfr. anche ID., Einfiihrung in das studium der Dzgesten, Tiibingen 1916. I riferimenti palingenetici delle opere ricordate sono: Q. MUCIO, oroi: o. LENEL, Palingenesia cit., I, coli. 762 sg.; GAIO, res cottidianae: o. LENEL, Palingenesia cit., l, coli. 251 sgg.; PAPINIANO, definitiones: o. LENEL, Palingenesia cit., l, coli. 809 sgg.; ULPIANO, opiniones: o. LENEL, Palingenesia cit., Il, coli. IOOI sgg.; ULPIANO, regu/ae: O. LENEL, Pa/ingenesia cit., Il, coli. 1013 sgg.; ULPIANO, institutiones: o. LE NEL, Palingenesia cit., coli. 926 sgg.; PAOLO, institutiones: o. LE NEL, Palingenesia cit., I. col. rrr4. E a questo elenco bisognerebbe almeno aggiungere illiber regularum di Pomponio (o. LENEL, Palingenesia cir., I, coli. 85 sg.). e i libri manualium di Paolo (o. LENEL, Palingenesia ci t., I. coli. II35 sgg.).
n.
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in un mare di glosse e di apocrifi. E l'unica giurisprudenza che potremmo davvero dire di conoscere sarebbe paradossalmente proprio questa, anonima e sfuggente, della crisi e della transizione postseveriana. Ma la romanistica degli ultimi decenni si è allontanta con sempre maggiore convinzione da simili atteggiamenti ipercritici: e oggi si tende a considerare con molta piu fiducia i nostri testi. Certo, opere apocrife di III e IV secolo indubbiamente esistono, e gli autori postseveriani sono di sicuro intervenuti sugli originali nelle loro edizioni: ma quella che era sembrata una fitta coltre di alterazioni e di falsificazioni - che avrebbe presupposto oltretutto un lavoro enorme- si sta rivelando sempre meglio non piu di un velo abbastanza sottile: che va indagato e analizzato nella sua mutevole consistenza, ma che non ci impedisce quasi mai di entrare in rapporto diretto con il pensiero giuridico che avvolge e ricopre~. Allo stato delle nostre conoscenze, possiamo considerare gli scritti piu significativi di questa letteratura il liber singularis regularum pseudoulpianeo e le Sententiae pseudo-paoline, tutti e due a noi noti in larga misura attraverso tradizioni manoscritte diverse da quella della compilazione giustinianea. L'opera pseudo-ulpianea è dovuta a uno sconosciuto giurista della fine del III o degli inizi del rv secolo, che certamente aveva presente nella sua scrittura le Istituzioni di Gaio. Noi possiamo leggerla (oltre che in due brevi frammenti dei Digesta) grazie a un riassunto elaborato fra il 320 e il342 da un altro autore, anch'esso anonimo, in un testo parzialmente riprodotto nel manoscritto Vaticanus Reginae n28, come una appendice alla lex Romana Visigothorum (e chiamato da Schulz Epitome Ulpianz) ". Anche il nucleo originario delle Sententiae pseudo-paoline, un fortunato breviario di diritto giurisprudenziale romano composto su materiali esclusivamente (o almeno prevalentemente) paolini seguendo l'ordine dei Digesta del n secolo"- e che leggiamo grazie a varie tradizioni, compresa ancora quella visigotica -, fu scritto intorno al 300, ma poi ~ F. WIEACKER, Zur gegenwiirtigen Lage der romanistischen Textkritik, in La critica del testo, II, Firenze 1971, pp. !099 sgg. (= Ausgewiihlte Schrz/ten, I. Methodzk der Rechtsgeschichte, Frankfurt am Ma in 1983, pp. ro3 sgg.), e ID., Textkritzk und Sach/orschung, in ZSS, XCI (1974), pp. r sgg. (= Ausgewiihlte Schri/ten ci t., pp. 122 sgg.). Cfr. anche M. KASER, Zum heutigen Stand der lnterpolationen/orschung, in ZSS, LXIX (1952), pp. 6o sgg., specialmente pp. 73 sgg., con osservazioni che condivido, e ID., Zur prob!ematik der romischen Rechtsquellen!ehre, e Ein Jahrhundert Interpo!ationenforschung an den romischen Rechtsque!len, entrambi ora in ID., Romische Rechtsque!len und angewandte Juristenmethode, Wien-Kiiln-Graz 1986, pp. 9 sgg. e 112 sgg. Cfr. anche v. ARANGIO-RUIZ, Storia del diritto romano, Napoli 1957 7, rist. 1966, pp. 427 sg. 16 FIRA, II, pp. 262 sgg. (sotto il nome di Titu!i ex corpo re Ulpianz): F. SCHULZ, Die epitome Ulpù1ni des Codex Vaticanus Reginae II28, Bonn 1926, e ID., Storia cit., pp. 322 sgg. Cfr. anche T. HONORÉ, Ulpùm, Oxford 1982, pp. 107 sgg. " FIRA, II, pp. 317 sgg.
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successivi interventi vi si vennero stratificando intorno, fino a renderlo una specie di composito «lavoro collettivo», secondo la brillante definizione di Ernst Levy Entrambe queste opere possono essere definite il frutto di un pensiero giuridico di transizione: nel quale, se da un lato il magnetismo del diritto giurisprudenziale agisce ancora in modo tenace, si awerte già con chiarezza che il padroneggiamento di quel contesto intellettuale cosi ricco e molteplice non può piu awenire senza una mediazione fortemente riduttrice, in un mondo giuridico ormai dominato da un rigoroso centralismo legislativo. È soprattutto nelle Sententiae, o almeno nel loro strato piu profondo- per lo scritto pseudo-ulpianeo il discorso dovrebbe essere in parte diverso - che noi possiamo limpidamente percepire, riflessa in una prosa elementare e scandita, ma non senza ritmo, tutta l'asprezza del passaggio: e osservare come la presenza ancora attuale della trama di concetti della scienza giuridica fra n e m secolo cerchi di combinarsi con un bisogno già compiutamente scolastico e burocratico di sintesi, di irrigidimento, di completezza e di semplificazione - come se tutto il diritto giurisprudenziale potesse soprawivere soltanto se abbracciato in un solo sguardo - senza che tuttavia le nuove esigenze riescano dawero a far vivere un punto di vista diverso, a produrre un discorso autonomo: sentiamo una memoria fortemente sollecitata comprimere e restringere la profondità del passato per salvarne il significato e l'intellegibilità; ma non riusciamo a scorgere una rielaborazione in grado di imprimere sui nuovi contenuti della realtà giuridica emergente quello stile e quella misura intellettuale che pure si cercava a ogni costo di salvare. Un altro scritto degli inizi del IV secolo, sempre di un autore ignoto, i cosiddetti Fragmenta Vaticana ", ci permettono di seguire un ulteriore spostamento del medesimo processo. In questa opera il mondo della giurisprudenza viene riproposto attraverso un'ampia antologia di testi di Papiniano, di Ulpiano, di Paolo, raccolti secondo criteri e interpretazioni consolidati: non piu presentati da soli, però, ma collegati, secondo un montaggio non privo di accortezza, a una serie di prowedimenti legislativi imperiali, come a mostrare in modo persino didascalico che ravvivare la memoria dell'antico pensiero giuridico aveva senso ormai solo in rapporto a un tentativo di combinare insieme legislazione e letteratura. È il medesimo intento che ricorre in una raccolta per molti versi simi18
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18 E. LEVY, Vulgarization o/Roman Law in the Early Middle Ages, in BIDR, LV-LVI (1951), pp. sgg. (la nostra citazione è da p. 226). Cfr. anche m., Pauli Sententiae. A Palingenesia o/the Opening Tit/es as a Specimen o/ Research in W est Roman Vulgar La w, Ithaca - New York I945· " FIRA, Il, pp. 460 sgg.: F. SCHULZ, Storia cit., pp. 554 sgg.
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le ai Fragmenta, la Collatio legum Mosaicarum et Romanarum, composta ancora nel primo trentennio del IV secolo (e che riportava in apertura di ogni titolo un passo della legge mosaica) ": nel rapporto fra «Antichi Maestri» e costituzioni imperiali si cercava di mantenere il filo di una continuità che avrebbe dovuto riscattare le difficoltà e l'inferiorità del presente. Ma già alla fine del III secolo il riordinamento dottrinario della legislazione imperiale- diventata ormai un corpus di dimensioni vastissime e di conoscenza incerta e frammentaria anche per gli esperti e per i funzionari addetti all'amministrazione della giustizia - era stato oggetto esclusivo dell'attenzione dei giuristi contemporanei. È probabile che fosse in corso da tempo, in ambienti giurisprudenziali, un lavoro capillare di esegesi e di riordino per grandi blocchi tematici dei testi delle costituzioni: i libri constitutionum di Papirio Giusto, a ridosso dell'età severiana, ne sono una testimonianza precoce"; per non dire dell'attenzione documentaria ed esegetica nei confronti dell'attività normativa dei principi, riflessa, ma in ben altro contesto scientifico e interpretativo, in opere come il de o/ficio proconsulis di Ulpiano ". Ed è anche probabile che questa attività di raccolta e di sistemazione si fosse venuta sviluppando nel corso del m secolo, con connotati sempre piu scolastici. Sta di fatto che in età dioclezianea due giuristi, Gregorio - per noi completamente sconosciuto - ed Ermogeniano, già ricordato, verosimilmente lo stesso che fu autore, agli inizi del IV secolo, dei sei libri iuris epitomarum (un'opera utilizzata nei Digesta giustinianei, che per certi versi possiamo collegare all'Epitome Ulpiani e alle Sententiae pseudopaoline)" compilarono due importanti raccolte di diversa ampiezza, il codex Gregorianus e il codex Hermogenianus: la prima (redatta probabilmente in Oriente, forse a Nicomedia), in almeno tredici (ma forse quindici) libri, raccoglieva rescritti imperiali da Adriano al 292, disposti per materia, secondo l'ordine dei Digesta giulianei (in ciascun libro i testi erano raggruppati, secondo il contenuto, in titoli, all'interno dei quali si seguiva l'ordine cronologico); la seconda, divisa in titoli ma non in libri, 20 FIRA, Il, pp. 541 sgg.: F. SCHULZ, The Manuscripts ofthe "Collatio Legum Mosaicarum et Roma· narum", in BIDR, LV-LVI (1951), pp. 50 sgg. Cfr. anche G. BARONE-ADESI L'età della «Lex det», Na-
poli
1992.
Palingenesia cit., I, coli. 947 sgg. lbid., II, coli. ~6 sgg.: T. HONORÉ, Ulpian cit., pp. 154 sgg.; v. MAROTTA, Multa de iure sanxit. Aspetti della politica del diritto di Antonino Pio, Milano 1988, pp. 2 51 sgg.; D. MANTOVANI, Il« bonus praeses » secondo Ulpiano. Studi su contenuto e /orma del «de o/ficio proconsulis » di Ulpiano, Pavia 1992 (pubblicazione anticipata di un testo destinato al BIDR). " o. LENEL, Palingenesia cit., I, coli. 265 sgg.: D. LIEBS, Hermogenians iuris epitomae. Zum Stand der romischen ]urùprudenz im Zeitalter Diokletians, Gottingen r964. 21
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comprendeva solo i rescritti dioclezianei del 293 e del 294· Entrambe non ci sono pervenute: anche se possiamo farcene un'idea non sommaria grazie alle epitomi incluse nella lex Romana Visigothorum, e alle sue appendici; ma soprattutto attraverso la struttura e i contenuti del Codex giustinianeo, di cui diremo, che le utilizzò largamente". Il lavoro di Gregorio e di Ermogeniano non aveva carattere di ufficialità, anche se non possiamo affatto escludere che i due giuristi abbiano ricoperto incarichi importanti nell'amministrazione imperiale. Ma se le loro raccolte erano formalmente opere private- in qualche misura ancora letteratura giuridica, non atti dello Stato- esse si collocarono subito in una zona di confine, normativa e culturale, dove finiva l'ultima autonomia della giurisprudenza, e iniziava la decisione autocratica del potere imperiale di mettere ordine nella propria legislazione. Una volta non vi sarebbe stato bisogno di questa sistemazione estrinseca: era nell'interpretazione dei giuristi che i rescritti imperiali trovavano la loro misura e la loro sede piu autentica; ed era stato sempre attraverso l'attività rielaboratrice della giurisprudenza che si erano realizzate le cristallizzazioni delle due grandi sfere norm,?tive dell' esprerienza romana, il ius civile e l'editto. Ma ora non p ili: Gregorio ed Ermogeniano si riducono consapevolmente solo al ruolo di compilatori; e si fa avanti attraverso di loro l'esigenza- in questi termini assolutamente nuova- di una autentica «codificazione» (il codice è una forma libraria, prima ancora che un modello giuridico: e il definitivo passaggio dal libro-rotolo degli «Antichi Maestri» allibro-codice delle nuove raccolte di costituzioni segna emblematicamente la nascita di questa diversa e p ili autoritaria testualità giuridica), per assicurare agli atti normativi imperiali la certezza e la forza di una nuova e solitaria condizione. 3· Il modello del codice da Teodosio II a Giustiniano.
Con la metà del IV secolo il lavoro di intervento e di montaggio da parte della giurisprudenza postseveriana sugli scritti degli autori« classici» può dirsi in gran parte concluso. Gli antichi testi si stabilizzano in edizioni destinate a non subire p ili revisioni di un qualche rilievo, grazie anche alle scelte ctÙturali e giuridiche della politica costantiniana; e, al" I frammenti del Gregoriano e dell' Ermogeniano si possono vedere in Collectio libro rum iurù anteiustiniani, a cura di P. Kruger, Th. Mommsene G. Studemund, III, Berolini r89o, pp. 221 sgg. Sui rapporti fra Gregoriano, Ermogeniano e Codice giustinianeo (opera di cui diremo piti avanti) resta fondamentale G. ROTONDI, Studi sulle fonti del codice Giustinianeo, in ID., Scritti gtimdid, I, Pavia 1922, pp. IIo sgg. Cfr. anche M. AMELOTTI, Per l'interpretazione della legùlazione privatùtica di Diocleziano, Milano 1960, pp. I sgg., e A. CENDERELLI, Ricerche sul «Codex Hermogenianus», Milano 1965.
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meno in Occidente, stando alle nostre conoscenze, non se ne creano quasi piu di nuovi" (eccezioni non trascurabili possono essere considerate due modestissime rielaborazioni gaiane, note l'una come commentario di Autun alle Istituzioni, probabilmente di v secolo", e l'altra come Epitome Gai, inserita nella lex Romana Visigothorum del5o6, verosimilmente riprendendo una parafrasi scolastica, sempre di v secolo)". li dominio dell'assolutismo legislativo imperiale, che aveva nella cancelleria orientale il suo centro propulsore, e che guardava alla forma del codice come al modello meglio rispondente alle proprie esigenze di certezza e di uniformità, era ormai incontrastato. La lex del sovrano era in tutto il territorio dell'Impero l'unica fonte di diritto concepibile: il passato della giurisprudenza si contrae in una dimensione pietrificata e lontana, particolarmente in Occidente. La cosiddetta «legge delle citazioni» (cui invero i moderni hanno dato un significato eccessivo), proposta dalla cancelleria ravennate di Valentiniano III nel426, disciplinava persino il valore dell'esibizione nei tribunali, ai fini del convincimento del giudice, dell'eventuale recita di passi da opere dell'antica giurisprudenza, cui sono assimilate le Sententiae pseudo-paoline ". E cosi, dopo le raccolte semiufficiali di Gregorio e di Ermogeniano, la spinta verso una autentica codificazione, questa volta prodotto diretto della volontà imperiale, e come tale legislativamente sanzionata, trovò finalmente il suo primo pieno compimento nel codex Theodosianus, pubblicato il 15 febbraio del4 38 dall'imperatore d'oriente Teodosio II, recepito nella parte occidentale da Valentiniano III, presentato al Senato di Roma nello stesso anno, ed entrato in vigore in entrambe le partes dal I 0 gennaio del4 39 ". Era dall'età delle XII T avole, nel tempo remoto della " F. WIEACKER, Texstu/en klassischer Juristen, Gi:ittingen 1960, rist. 1975: un libro che ha segnato i nostri studi, da accogliere su questo punto, mai sostanzialmente smentito dalle ricerche successive. Sulla posizione di Costantino cfr. Codice teodosiano, 1.4.1 e 1-4.2. Cfr. anche J. GAUDEMET, « lus »et « Leges », in > costruiti allo scopo di «negare l'evidenza>>. Uguale giudizio in un altro manuale del medesimo autore, Istituzioni di diritto romano, Milano 1990, pp. 115-16, dove la mia dimostrazione è presentata come «soltanto un esercizio d'elegante quanto inutile sofistica salottiera ».Da parte mia, è la convinzione di una brutale abrogazione da parte di Caracalla dei nomoi delle città che sembra abbastanza sofisticata; concordo sull'argomento con F. DE MARTINO, Storia cit., IVh, p. 778, nota 16. Una recente posizione, piu sfumata: K. BURASELIS, "Divine donation". Studies on the Policy ofthe Severans and the Constitutio Antomniana, Athinai 1989 (in greco, con un riassunto in inglese; cfr. JJP, XXII (1992), p. 202). Vedi la recensione dei Lineamenti fatta da H. Wagner, in ZSS, CVIII (1991), pp. 426-2ì, e, sulla difficoltà di tale discussione, M. BRETONE, 11 dritta e a manca, in «Labeo», XXXIX (1993), pp. 42-53.
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Diritto romano e diritti locali
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recht» generale al quale sono subordinati tutti quei« Volksrechte» che si mantengono nel quadro municipale di consuetudines civitatum le quali conservano le tradizioni peregrine dei provinciali d'Oriente. Qualcuno ha creduto- fu questa in particolare la posizione del compianto W. Seston"- che la promozione dei diritti locali al rango di consuetudini provinciali sia potuta avvenire in forza di una« clausola di salvaguardia»; invoglia a supporre che tale clausola esistesse nella troppo famosa lacuna del PGiss. 40, col. 1, linea 9 quando si confronta questo documento con una nota iscrizione latina trovata nel 1957 a Banasa, in Marocco". La formula salvo iure gentium che si legge nell'iscrizione sarebbe la chiave interpretativa della lacuna, in quanto supporrebbe l'esistenza di uno schema usato dalla cancelleria imperiale nella concessione dei diritti di cittadinanza, ivi compresa la disposizione generale del 212, nella quale salvo sarebbe reso in greco con menontos. Preferisco pensare, oggi, che questa clausola riguardasse, come già nel 1926 aveva intuito E. Bickerman, lo statuto fiscale dei nuovi cittadini: non si tratta, cioè, di garantire la coesistenza fra il diritto imperiale e le tradizioni locali, ma di mantenere il controllo pubblico sulle collettività locali all'interno delle quali i novi cives continuano ad assolvere ai loro doveri finanziari nei riguardi di Roma". Ciò non contraddice in nessun modo la sopravvivenza dei diritti locali; ma, in assenza di una loro conferma generale, bisogna indagare sulla questione in tutta la sua complessità, nei diversi aspetti con cui si presenta nella pratica. 7· Adattamenti, conflittt~ vittorie.
L'inclusione, come consuetudini provinciali, dei diritti locali nell'ordinamento giuridico romano non poteva non generare conflitti. Era necessario conciliare il « Reichsrecht » ufficiale con le tradizioni di origine " Si possono ora consultare i suoi lavori nella raccolta pubblicata dagli allievi: w. SESTON, Scripta varia. Mélanges d'histoire romaine, de droit, d'épigraphie et d'histoire du christianisme, Rome 1980, in particolare pp. 1-3 (sulla cittadinanza romana), 56-76 (sulla data della Constitutio Antonintana) e 77107 (sulla Tabula Banasitana). " L'iscrizione, che riproduce il gruppo di documenti riguardanti la concessione del diritto di cittadinanza romana, tra il 168 e il 177 d. C., a una famiglia di notabili berberi, deve ormai essere citata come il n. 95 delle lnscriptions antiques du Maroc, ll.lnscriptions latines, raccolte da M. Euzenat eJ. Marion, e pubblicate da]. Gascou e Y. de Kirsch, Paris 1982. Per la bibliografia, vedi da ultimo M. LE L'épigraphiejuridique d'A/rique romaine, in c. CASTtLLO e altri (a cura di), Novedades de epigrafia juridica romana en el ultimo decenio, Pamplona 1989, pp. 179-208, in particolare pp. 179-83. " Sulle medesime posizioni, c. NICOLET, Le métier de citoyen dans la Rome républicaine, Paris 1976, p. 31. Tale conclusione non è incompatibile con l'ipotesi di un accordato ai novi cives, come ritiene ancora recentemente A. BISCARDI, Polis, politeza, politeuma, in Alli del XVII Congresso internazionale di Papirologia, Napoli 1984, pp. 1201-15. GLAY,
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Parte seconda
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peregrina e sottometterle alle sue imperiose esigenze. Infatti, se l'Editto di Caracalla non ha imposto ai peregrini romanizzati l'uso obbligatorio del diritto romano, né ha sanzionato l'esistenza di un gran numero di ordinamenti giuridici per mezzo di cittadinanze multiple, rimane comunque il fatto che l'atteggiamento dell'autorità romana riguardo alle pratiche locali è ormai dominato da un dato nuovo: sono adesso dei cittadini romani quelli che compaiono al cospetto delle giurisdizioni provinciali e che sottomettono agli imperatori questioni da decidere con rescritti; a questi cittadini- noblesse oblige- giudici e imperatori rispondono applicando in modo piu rigoroso che in precedenza i principi del diritto romano. I problemi che sorgono hanno, secondo i casi, soluzioni diverse. Alcune fra le istituzioni locali presentano, di fronte all'autorità romana, un carattere giuridicamente anodino; sono basate su tecniche estranee al diritto romano senza tuttavia contraddirne i principi sul piano morale o politico. È possibile quindi adattarle con un artificio ai rigori del diritto ufficiale, con reciproca soddisfazione del legislatore imperiale e dei provinciali legati alle loro antiche tradizioni. Altre si prestano con difficoltà a simili accomodamenti: talvolta sono condannate in quanto usanze illecite; talaltra, svuotate del loro significato, conservano soltanto un'apparente sopravvivenza formale. Infine, in alcuni casi, il «Reichsrecht » cede il passo alla consuetudine provinciale che riesce a trionfare come diritto ufficiale per tutto l'Impero. Ecco qualche esempio. Tra le istituzioni del primo gruppo, la clausola stipulatoria presenta un tipico caso di adattamento delle esigenze del « Reichsrecht » alla persistenza delle tradizioni ellenistiche in materia di contratti. All'indomani della Constitutio Antoniniana, i contratti dei provinciali non sono altro, dal punto di vista della legge romana, che patti nudi, non suscettibili di protezione giudiziaria, in forza del principio ex nudis pactis actio non oritur. Al fine di permettere a questi contratti di produrre effetti che possano beneficiare di una sanzione giudiziaria, si è fatto ricorso alla clausola stipulatoria kai eperotetheis homologesa (et stipulatus spopondt). Questa clausola può attribuire a qualsiasi tipo di accordo il valore di un'obbligazione verbale astratta creatrice di effetti esecutori in giudizio. La pratica contrattuale tradizionale è stata salvata per mezzo di un artificio formale"·. In modo simile, l'incapacità patrimoniale dei figli di famiglia poteva essere superata con una finzione: i figli dei provinciali che si dichiarava"' Règle, p. 362 e nota 293. Nuova importante testimonianza: PMich., inv. 257 = SB, XIV, rr705 (213 d. C.), edito da F. T. Gignac, in BASP, XIII (1976), pp. 93·97· Cfr. APF, XXXIV (1988), p. 129.
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no proprietari dei loro beni venivano considerati come se agissero in nome dei padri, a condizione che non tentassero di alienare i beni contro la volontà del legittimo titolare. I testamenti senza institutio heredis probabilmente sfuggirono alla nullità grazie all'assimilazione ai codicilli romani. I matrimoni conclusi secondo forme locali erano considerati matrimonia iusta in quanto la consegna della dote era ritenuta espressione del consenso degli sposi". In un secondo gruppo dobbiamo collocare istituzioni che contrastano con l'ordinamento pubblico romano per ragioni insieme giuridiche e morali. Nessun accomodamento poteva allora evitare il conflitto e l'istituzione non assimilabile doveva essere condannata; se persisteva, era soltanto un'usanza illecita. Un esempio caratteristico sotto questo aspetto è quello dei matrimoni endogamici. Istituzione consacrata dalla pratica del diritto famigliare ellenistico, si mantiene nell'Egitto romano dei secoli I e n d. C., sfuggendo alle sanzioni penali e civili che il diritto romano limita alle sole unioni riconosciute incestuose fra cittadini di Roma". Dopo la generalizzazione della civitas Romana, tale pratica peregrina, contraria all'ordinamento pubblico dell'Impero, oramai non può essere mantenuta ufficialmente a vantaggio dei cittadini provinciali. Le unioni endogamiche celebrate prima dell'Editto di Caracalla sono tollerate anche dopo il212, forse grazie a una misura eccezionale che ne assicura la protezione a titolo transitorio". In seguito, il matrimonio endogamico è ridotto allivello di usanza locale illegale; le costituzioni imperiali reprimono con severità le sue manifestazioni nell'Oriente ellenizzato. Un altro caso simile: la pratica che consiste nel dare in pegno i figli del debitore come garanzia del suo debito. Il diritto ellenistico la autorizza, mentre quello dell'Impero la condanna, come nel caso precedente, per ragioni morali"'. I documenti dell'Egitto bizantino dimostrano " Vedi Règle, pp. 36o sg. " L'estensione di tale pratica sotto l'alto Impero, che sembrava inesplicabile agli storici (per esempio K. HOPKINS, Brolher-Sirler Mariage in Roman Egypl, in CSSH, XXII (1980), pp. 303-H), è stata favorita dalla nuova organizzazione delle éliles provinciali in ordines, per la quale si esigeva una duplice ascendenza, paterna e materna, per accedere allo statuto «metropolitano» o «ginnasiale». Vedi il !Ilio studio Enlre la cilé elle fire cit., pp. 275 sg. " E quanto sembra risultare dal POxy., XLlll, 3096 (223h24 d. C.) secondo l'interpretazione di o. MONTEVECCHI, Endogamia eettladinanza romana in Egillo, in «Aegyptus>>, LIX (1979), pp. 137-44, seguita, senza apportare elementi nuovi, da z. s. BASSIOUNI, The Posilion o/Women in Egypl a/ter lhe Conslùulio Anloninùma, in Proceedings o/lhe XJX1h lnlernalional Congrers o/ Papyrology, Cairo 1992, pp. 2 31-44, in particolare pp. 241 sg. Sono disposto a sfumare in tale direzione le conclusioni del mio articolo Die Geschwirlerehe in der hellenislischen Praxis und nach rdmischem Rechi, in ZSS, LXXXI (1964). pp. p-82 =Sia lui personnel elliens de /a mille dans /es droils de I'Anliquilé, VII, Aldershot 1993, in particolare p. 74· "' Règle, p. 363.
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Le culture
che l'usanza locale sfida le reiterate proibizioni di tale pratica contenute nelle costituzioni imperiali". Anche in questo caso, dunque, si tratta di un'usanza illecita e non di un'istituzione peregrina assorbita dal diritto ufficiale. Succede anche che una romanizzazione di fondo modifichi a tal punto l'istituzione peregrina da render!~ compatibile con il «Reichsrecht» senza tuttavia modificarne la forma. E questo il caso dell' apokeryxis, istituzione inammissibile dal punto di vista romano in quanto comporta l'alienazione del figlio: ad alienandos liberos usurpabatur. Possiamo osservare il processo di modificazione dell' apokeryxis nei documenti dell'Egitto bizantino: del modello greco conserva soltanto il nome e la forma esteriore; per quanto riguarda le sue conseguenze giuridiche, invece, è assimilata all' abdicatio liberorum, istituzione da tempo perfettamente ammessa dal diritto romano". Dobbiamo infine considerare le istituzioni che, formatesi nel quadro provinciale, hanno finito con l'imporsi come diritto ufficiale dell'Impero. Succede infatti che la regola locale, confermata dalla legislazione e dalla giustizia provinciale, arrivi a imporsi nell'ambito di tutto l'Impero. Ne offre un notevole esempio l'istituzione della longi temporis praescriptio, cui si riferisce un rescritto di Settimio Severo e Caracalla conservato in duplice esemplare tra i papiri". Le sue radici risalgono certamente alla Grecia classica (le prothesmiai del diritto attico su cui è basata la paragraphe me eisagogimon einai ten diken) ""'. Non è da sottovalutare l'influenza del diritto egiziano, che sembra abbia conosciuto sia una prescrizione acquisitiva della proprietà sia una prescrizione estintiva delle azioni"'. Nel 1 secolo d. C., la prescrizione dei crediti per cinque e per dieci anni è riconosciuta dal diritto provinciale in Egitto; prepara le misure che saranno adottate dai Severi'"'. Sembra accertata con sicurezza la filiazione provinciale della longi temporis praescriptio. Awiene probabilmente la medesima cosa per l'imprescrittibilità dei beni dello stato (res 61 Nuova importante testimonianza: PColl. Youtie, II, 92 (569 d. C.). Vedi le nostre osservazioni in Annuaire EPHE 1976-1977 cit., p. 295, e 1978-1979. p. 316. "' M. WURM, Apokeryxis, Abdicatzon und Exheredatio, Munchen 1972, in particolare pp. 47 sg., 92 sg. 63 BGU, I, 267 (199 d. C.) e PStrassb., I, 22 (m secolo d. C.). Vedi il testo in Loù des Romainscit., VIIV18, pp. 464-67, e la messa a punto di M. AMELOTT1, Presmzione (diritto romano), in Enciclopedia del diritto, XXXV, Milano 1986, pp. 36-46 . .., H. J. WOLFF, Dù~ attische Paragraphe, Weimar 1966; A. R. w. HARRISON, The Law o/ Athens, II, Procedure, Oxford 1971, pp. 105-124 e passim. 6 ' >, XXXIX (1988), pp. 2II-13. "" PF!or., I, 6r = L. MITTEIS eu. WILCKEN, Grundziige cir., 8o.
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/isct): anche in questo caso saremmo in presenza di un principio formulato sotto l'influenza del diritto provinciale a partire da modelli ellenistici". Tale processo continua dopo il212 ". In Oriente, è il caso dell' adozione detta minus piena, dell'ipoteca generale in materia di dote, dei parapherna, dell'efficacia di un affrancamento fatto da un comproprietario; altre vittorie del medesimo genere anteriori alla divisione dell'Impero si estendono anche all'Occidente: la manumissio in ecclesia, la revocatio in servitutem, l'arrha sponsalicia, la donatio ante nuptias, illibellus repudii e le diverse espressioni del declino della potestà paterna, spesso a vantaggio della madre, come l'adozione da parte delle donne ex indulgentia principis ad solacium liberorum amissorum ••. Nel campo delle obbligazioni e delle successioni tale influenza è meno marcata, si manifesta comunque attraverso il ricorso crescente all'atto scritto e attraverso la maggiore importanza attribuita agli eredi da parte di madre. Non dobbiamo sovrastimare l'ampiezza della penetrazione di elementi ellenistici nel diritto del basso Impero. Spesso ciò che sembra una vittoria è in realtà il risultato di un'evoluzione interna del diritto romano stesso: la consuetudine provinciale si collega allora con il diritto romano post-classico, detto «volgare»'". Il posto rispettivamente occupato da questi due fattori nell'evoluzione giuridica del diritto del basso Impero~ ancora lontano dall'essere individuato con precisione. Un aspetto comune avvicina in ogni caso le due nozioni: il ruolo svolto dall'elemento consuetudinario di cui abbiamo sottolineato sopra il significato per la sopravvivenza dei diritti locali nel quadro provinciale e di cui i romanisti riconoscono facilmente la preponderanza nella formazione del diritto volgare. Bisogna fare riferimento a questo proposito alle ricerche del compianto A. A. Schiller sull'amministrazione della giustizia e sulle fonti del diritto nell'Egitto bizantino. Lo studioso ha dimostrato la decadenza delle giurisdizioni regolari nella cognitio provinciale nell'Egitto del basso Impero: cedono il passo a procedimenti arbitrali, di mediazione, e a 67 Ho dedicato all'argomento una memoria rimasta inedita: L'imprescriptibilitédeschosesfiscales en droit romain, Nancy 1964- Ved i J. -P. CORIAT, Techniques législatives et système de gouvernement à la fin du Prinapat: la romanité de l'Eta/ moderne, in Du pouvoir dans l'Antiquité: mols et réalltés, «Ca-
hiers du Cenere Gustave Glotz», I (1990), pp. 221-38. " Règle, pp. 365 sg. •• Riserve di E. NARDI, Poteva la donna, nell'Impero romano, adottare un figlio? in «Atti dell'Accademia delle Scienze dell'Istituto di Bologna. Classe di scienze morali, rendiconti», LXX (1982), pp. 109-22. Messa a punto nella tesi di J. BEAUCAMP, Le statut de la /emme à Byzance (4'-7' siècle), l. Le droit impérial, Paris 1990, pp. 48-p. 70 11. J. WOLFF, Das Vulgarrechtsprohlem und die Papyri, in ZSS, XCI (1974), pp. 54-105.
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Parte seconda
Le culture
transazioni paragiudiziarie che diventano, nel VI secolo e nella prima metà del vn, i principali strumenti per regolare le controversie". Ha dimostrato anche come l'inerzia delle giurisdizioni ufficiali favorisca un'evoluzione in cui l'elemento consuetudinario si impone a detrimento del diritto ufficiale". Sembra che le costituzioni imperiali siano applicate in Egitto soltanto in maniera sporadica o indiretta, non come leggi positive, ma soltanto nella misura in cui la pratica locale segue nei fatti i principi che esse formulano". In sostanza, nell'Egitto bizantino, durante i due secoli che precedettero la conquista araba, vi sarebbe stata una sola fonte del diritto: la pratica consuetudinaria riconosciuta come un complesso di regole obbligatorie e seguite come tali". Forse alcune conclusioni di questi lavori vanno prese con cautela", ma nel complesso confermano quelle che sono sintetizzate nel nostro studio. Su questo argomento l'interpretazione moderna dei fatti storici concorda con la riflessione dei giuristi romani: per loro come per noi il problema della persistenza delle tradizioni locali nelle province ellenizzate dell'Impero assume l'aspetto teorico di una consuetudo che si afferma nella pratica locale. Forse è proprio l'azione di questo fattore, sia nella pratica sia allivello del diritto ufficiale, che segna, in misura maggiore che ogni altro elemento dell'evoluzione giuridica, l'unità del difitto dell'Impero nell'età del declino, termine cronologico della nostra indagine. 8. Conclusioni.
Lo studio dei rapporti tra il diritto dell'Impero romano e i diritti locali dell'Oriente ellenizzato permette di distinguere due fasi nell'evoluzione storica che abbiamo esposto. Nel re nel n secolo d. C., i diritti locali sopravvivono nella pratica in quanto consuetudini peregrine; l'a tin Studi in onore di E. Volte"a cit., l, pp. 469-502. Late Byzantine Egypt, in Lega! Thought in tbe United States a/ America under Contemporary Pressures, Bruxelles 1970, pp. 41-60. 71 La documentazione è raccolta da M. AMELOTTI e L. MIGLIARDI ZINGALE, Le costituzioni giustinianee nei papiri e nelle epigrafi, Milano 198 52 • 74 Sul diritto indigeno e la «rinascita copta», vedi B. MENU, Une esquisse des relations juridiques privées en droit copte, in «Le monde copte», XX (1992), pp. 71-78: una« realtà originaria che affonda 71
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A. A. SCHILLER, The Courts are no more, ID., Tbe Fate o/the Impen'al Legislation in
le sue radici nel diritto faraonico pur subendo influenze greco-romane e orientali e obbedendo al diritto giustinianeo>> (p. 72). Dopo un'eclissi di alcuni secoli, le tradizioni giuridiche dell'antico Egitto si manifestano nuovamente nei documenti copti; una consuetudine silenziosa è stata certamente la base di tale sopravvivenza. " Amelotti e Migliardi Zingale, nell'introduzione alla parte papirologica di Le costituzioni giustinianee cit., pp. 3-14; D. SIMON, Zur Zivilgerichtsbarkeit im spiitbyzantinischen Agypten, in RIDA, serie 3· XVIII (1971), pp. 623-57. Cfr. APF, XXVI (1978), p. 203.
Mélèze Modrzejewski
Diritto romano e diritti locali
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teggiamento dei conquistatori favorisce tale sopravvivenza, senza tuttavia impedire una lenta penetrazione di idee e di tecniche giuridiche romane: siamo in presenza di due strutture che si collocano a livelli diversi senza rischi di conflitto. La generalizzazione del diritto di cittadinanza romana modifica tale situazione, senza tuttavia dar luogo all'alternativa proposta dalla dottrina tradizionale: monopolio del diritto romano o coesistenza ufficiale fra il « Reichsrecht » e numerosi « Volksrechte » con la qualità di ordinamenti giuridici concorrenti. Nel momento in cui l'Editto di Caracalla attribuisce a tutti l'appartenenza a una «patria comune», le comunità urbane che compongono l'Impero non possono piu disciplinare in modo sovrano la vita giuridica dei loro membri; esse costituiscono tuttavia una struttura sufficientemente solida per sostenere regionalismi locali: la priorità del diritto ufficiale di Roma è salvaguardata senza pregiudizio delle tradizioni peregrine che sopravvivono nelle province. Assorbita dall'Impero, adattata alle tecniche romane, l'esperienza giuridica dell'Oriente greco continua a vivere nelle consuetudini provinciali e diviene parte integrante dell'eredità culturale che l'Impero romano trasmetterà all'Europa per i secoli a venire.
FELICIANO SERRAO
Il diritto e il processo privati
r. La formazione economica e le spinte ai cambiamenti.
Il periodo che va dalla metà del III secolo d. C. alla caduta dell'Impero di Occidente si identifica con una formazione economico-sociale in cui entrano in crisi le strutture che avevano caratterizzato l'età dell'espansione imperialistica (dal III secolo a. C. al III secolo d. C.), cambia il modo di produzione dominante e con esso mutano i rapporti di appartenenza dei beni, le forze lavorative e il loro reclutamento. Decadono i commerci, si riduce la forza espansiva del capitale commerciale, regredisce la produzione industriale, entra in crisi l'organizzazione imprenditoriale dei trasporti. Roma non è piu il polo verso cui convergono tutte le attività commerciali di un'economia-mondo. L'Impero si divide in tante zone poco comunicanti tra loro. Viene a mancare la forza espansiva e propulsiva di un'economia mercantile unitaria e in certo senso compatta. Gli aspetti monetari della crisi sono costituiti da fenomeni inflazionistici progressivamente crescenti (salvo qualche breve parentesi) che determinano interventi imperiali tendenti a frenare l'ascesa iperbolica dei prezzi e che talvolta, come si tenta di fare con l' Edictum de pretiis rerum venalium di Diocleziano, pretendono, con scarso risultato, di calmierare i prezzi di quasi tutte le merci e di tutti i servizi. L'intervento dei pubblici poteri in ogni campo porta all'instaurazione di un regime dirigistico nell'economia e alla creazione di un complesso pauroso di vincoli sociali tali da bloccare lo sviluppo economico generale e l'osmosi fra classi, gruppi e categorie sociali, fino a incasellare in compartimenti chiusi tutto il corpo sociale e a impedire, in tal modo, apprezzabili progressi e cambiamenti della vita economica e vivificanti ricambi nelle categorie e nei gruppi sociali. I fattori fondamentali o, se si preferisce, le forze negative, che avevano prodotto la crisi della precedente formazione, erano in via immediata fattori economici e sociali, in via mediata fattori politici. Il fattore politico fondamentale era costituito dall'arresto dell' espansione imperialistica e dalla fine delle guerre di conquista, dalla pressione sempre crescente dei barbari ai confini e, conseguentemente, dalla ridu-
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Parte seconda
Le culture
zione dell'Impero in una posizione meramente difensiva, che spesso portava a soluzioni di compromesso con le popolazioni barbare. In tale situazione si inaridiva quella che nell'età precedente era stata la fonte principale delle forze di lavoro e iniziava la decadenza del modo di produzione schiavistico, che aveva dominato e caratterizzato l'età precedente. Contemporaneamente, a partire dai Severi, l'Impero aveva assunto e sempre piu assumeva i caratteri di dominato, accentrando tutti i poteri nelle mani dell'imperatore. Questi grossi fenomeni politici fanno da sfondo e, perlomeno in parte, determinano tutta una serie di fenomeni e problemi a catena in campo economico e sociale. T ali la progressiva continua riduzione delle forze di lavoro schiavistiche e la conseguente necessità di provvedere a nuove forze lavorative. Da qui la prassi e gli interventi autoritativi tendenti a vincolare stabilmente i contadini liberi alla terra; a immobilizzare e cristallizzare ciascuno e i suoi discendenti in una determinata attività artigianale o produttiva; a creare un sistema vincolistico che, mentre serra le porte a ogni osmosi sociale, blocca le attività economiche e impedisce il libero sviluppo dell'imprenditorialità in ogni campo della produzione e della circolazione dei beni e dei servizi. Progressivamente s'impoverisce e decade l'immensa rete di traffici commerciali e di punti di produzione agricola e industriale, che era stata la caratteristica dell'economia romana dei due ultimi secoli del principato, in cui, secondo le esigenze man mano crescenti degli operatori economici e della società, era stato rielaborato e sviluppato, nella sua grandiosa impalcatura e nei particolari dei suoi istituti, tutto il diritto privato romano, creazione originale degli ultimi due secoli della Repubblica. Questo diritto privato, mentre in alcune parti doveva necessariamente essere sostituito o comunque adeguato alle nuove esigenze di un'economia, di una società e di un assetto politico profondamente mutati (e qui basterebbe pensare al passaggio dalla schiavitu al colonato nel campo della vita agricola), in altre parti presentava un complesso di raffinati strumenti giuridici (e giurisdizionali) rispondenti al fiorente passato di un'economia mercantile e di un modo di produzione schiavistico ma quantitativamente sovrabbondanti e qualitativamente sproporzionati alle esigenze di una società che, allontanandosi sempre piu da un sistema fondato sul libero sviluppo delle forze economiche e sociali (seppur nell'ambito di una struttura schiavistica), si avviava verso un'economia chiusa o quantomeno bloccata dalla crisi generale e dall'anchilosi prodotta da un regime dirigistico e politicamente assolutistico. Infatti alcuni grandi settori rivelano immediatamente profonde mo-
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difiche, creazione di istituti del tutto nuovi (corrispondenti alle esigenze delle strutture e dei rapporti economici tardoantichi), tramonto di istituti già esistenti. Tanto è da dire per il diritto delle persone e di famiglia, per i rapporti relativi alle forze lavorative, per i modi di appartenenza dei beni e specie della terra, nonché, in minor misura, per la successione ereditaria. Diverso discorso, invece, è da tenere in ordine all'organizzazione imprenditoriale e al diritto delle obbligazioni e dei contratti. Qui infatti non si notano novità molto rilevanti, né per modifiche di istituti esistenti, né per creazione di istituti nuovi. E di questo fenomeno non v'è da meravigliarsi. Il grandioso sistema giuridico creato dai pretori e dalla giurisprudenza, talora sulle radici del ius civile antico (mores e XII Tavole e relativa interpretatio), ma per lo piu in risposta alle esigenze degli operatori di un'economia avanzata sia nel campo della produzione agricola e industriale sia nel campo commerciale nonché, talvolta, anche alle esigenze di piu larghi strati della comunità, non era certamente lo specchio delle esigenze e degli interessi della società tardoantica, in quanto conteneva piu di quanto essa richiedesse, ma disponeva di tutti gli strumenti giuridici per dare assetto agli interessi e per risolvere i problemi di quella società. In definitiva il sistema rimaneva tale e quale lo aveva elaborato la cultura giuridica dell'economia-mondo; nulla (o quasi) veniva abrogato; pochi adattamenti o volgarizzazioni bastavano onde porre al servizio dei nuovi operatori gli istituti esistenti; ma molti istituti, molti mezzi, molte garanzie e cautele giuridiche del diritto delle obbligazioni e dell'impresa rimanevano, e per lo piu rimarranno pure nel diritto giustinianeo, poco usati e talvolta quasi congelati. Il disgelo verrà nel diritto moderno col fiorire delle attività industriali e commerciali (in clima politico liberale e democratico), che nel diritto privato romano dell'età mercantile troveranno le concezioni o le radici per l'impostazione, lo sviluppo e l'assetto del diritto delle obbligazioni e, per talune concezioni di fondo (o, meglio, primarie), dello stesso diritto dell'impresa del mondo attuale'. I fenomeni e le trasformazioni politiche, economiche e sociali fin qui accennate costituiscono i fattori fondamentali o, se si vuole, le forze profonde che stanno alla base delle trasformazioni subite dal diritto privato (o quantomeno da alcuni settori del diritto privato) dell'età tardoantica e dei caratteri che lo contraddistinguono. Ma, naturalmente, non sono i soli. Vi concorrono almeno altri due fattori importanti. L'uno ideologico-religioso, costituito dal tramonto progressivo (sia pure con qualche 1
F. SERRAO,
Impresa e responsabilità a Roma nell'età commerciale, Pisa 1989, pp. 319 sgg.
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Parte seconda
Le culture
sprazzo di ripresa) della religione pagana e dall'avvento del cristianesimo; l'altro culturale, costituito dalla decadenza della grande cultura giuridica precedente, dalla mancanza di solidi giuristi, dall'esistenza, invece, di una burocrazia dallo stile talvolta contorto e poco limpido nella cancelleria imperiale, dalla banalizzazione e volgarizzazione delle raffinate concezioni, argomentazioni e sistemazioni dei giureconsulti dell'epoca precedente. L'influenza del cristianesimo si nota maggiormente nelle innovazioni avute da alcuni istituti (per esempio dal matrimonio), meno in quelle inveratesi in altri campi (ad esempio nella concezione e organizzazione del colonato e, sotto certi aspetti, della stessa schiavitu), per nulla in quanto si verificò in altri campi ancora (come in materia di proprietà e di diritti reali). Onde, come era stato già osservato da un acuto romanista dell'Boa' e contro quanto sostenuto da qualcuno in questo secolo', non si può parlare, a proposito del diritto privato postclassico (ma nemmeno a proposito di quello giustinianeo), di diritto romano-cristiano. Per quanto riguarda i fattori culturali v'è da dire che la loro influenza riguarda l'elaborazione meramente giuridico-formale e non le motivazioni sostanziali (economico-sociali o politiche) o ideologiche degli istituti e delle trasformazioni. E innanzitutto viene in cosiderazione il cosiddetto volgarismo, dovuto alla decadenza della precedente giurisprudenza, all'abbassamento della cultura giuridica e alla tendenza di giudici, avvocati e maestri di diritto di risolvere i problemi ricorrendo a piatte argomentazioni pratiche o meramente empiriche-sociologiche piuttosto che a solidi ragionamenti e a costruzioni cancatenate in base ai principi giuridici, sull'esempio dei giureconsulti classici. Di tale stile sono tipico esempio brevi sillogi di passi, spesso abbreviati e volgarizzati, di giuristi classici, o riassunti aggiornati di opere degli antichi giureconsulti presentati quasi in veste di brevi massimari. L'esempio tipico e piu rappresentativo di tali operette sono le Sententiae di Paolo, il cui largo uso nei tribunali è attestato dal crisma imperiale dato all'operetta già da due costituzioni di Costantino (del321 e del327)' e dalla stessa legge delle citazioni: «Pauli quoque sententiae semper valere praecipimus». li modesto livello culturale, sebbene paludato da uno stile burocratico solenne, ma spesso contorto, e quindi la presenza di una buona dose di volgarismo nella cancelleria degli imperatori del IV e v secolo emerge infine, non di rado, da parecchie costituzioni di quel periodo. Storia del dirillo romano, Firenze 18862 (con note di P. Cogliolo), pp. Il dirillo romano crùtiano, 3 voli., Milano 1952·54. ' Codice teodosiano, 1-4.1 e 1.4.2. 2
G. PADELLETTI,
' B. BIONDI,
613
sgg.
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Espressione indicativa del decadimento culturale del tempo, e che ricordiamo a coronamento delle brevi osservazioni fin qui svolte, è la cosiddetta legge delle citazioni di Valentiniano III, del426 ',con cui si stabiliva che nei giudizi dovessero essere seguite le opinioni di Papiniano, Paolo, Gaio, Ulpiano e Modestino (nonché di Sabino, Giuliano e Marcello, se richiamati dai primi e confermati da codici autentici). Che nel caso di diversità di opinioni fosse da seguire il parere della maggioranza e nel caso di parità il parere di Papiniano, mentre, ove non risultasse il parere di quest'ultimo, riprendeva la libera scelta del giudice. Queste pagine sono state scritte nel tentativo di tracciare alcune grandi linee delle trasformazioni economiche che influenzarono e talvolta addirittura condizionarono le trasformazioni del diritto privato tardoantico, quale lo si può ricostruire dalle fonti giuridiche postclassiche, dalle costituzioni imperiali della fine del m e del IV e v secolo, nonché da alcune fonti letterarie. E ciò per cercare le motivazioni sostanziali delle forme giuridiche, nello sforzo di raggiungere una visione unitaria. Ma non è da nascondersi che un tentativo del genere non riesce a cogliere pienamente la realtà storica. L'Impero era vastissimo; abbracciava tanta parte di tre continenti; le strutture economiche e sociali non erano, naturalmente, uniformi nelle diverse regioni; non solo i diritti locali variavano, ma addirittura gli stessi istituti giuridici, al di là di ogni uniformità nominale, dovevano assumere connotati e funzionalità diversi nei diversi ambiti geografici. Addirittura le stesse costituzioni imperiali potevano sovente essere condizionate da situazioni regionali. Di tutto questo non può non tener conto chi cerca di cogliere la realtà economica, sociale e giuridica di una società vasta e multiforme come quella del basso Impero, tenendo presente che perfino il concetto di crisi economica non può essere applicato con lo stesso significato a tutte le parti dell'Impero, dato che Roma non costituiva piu il polo a cui faceva capo, in un modo o nell'altro, tutta l'attività mercantile e produttiva del vasto Impero, ma le si erano affiancati o le erano subentrati diversi centri di attività economica e non tutti con lo stesso grado di sviluppo.
2.
La struttura sociale e le persone: gli schiavz~ i nuovi rapporti di dipendenza, le classi superiori.
Da quanto si è detto sopra risulta che il campo piu soggetto alle trasformazioni e cambiamenti dovesse essere il diritto delle persone e di fa, lbid., '+3·
ror6
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miglia, cioè della struttura sociale. E qui il primo problema da prendere in considerazione è quello della schiavitu e dei nuovi rapporti di dipendenza. li numero degli schiavi non solo non aumenta, ma va progressivamente diminuendo. La ragione di fondo (si è visto al§ 1) è nel progressivo esaurirsi della fonte principale di reclutamento, costituita dalle guerre di conquista e di espansione imperialistica, a cui è collegato anche un nuovo modo di affrontare l'impatto con le popolazioni barbariche, derivante dalla posizione meramente difensiva assunta dagli imperatori del rv e v secolo. Al venir meno della fonte principale s'accompagnano le continue e diffuse manumissioni che, mentre nei secoli precedenti avevano spesso prodotto l'immissione di nuova linfa nella comunità cittadina e sovente negli strati produttivi e commerciali (dai lavoratori liberi, agli artigiani, agli operatori economici nei vari settori- industria, commercio, banche- agli stessi intellettuali), nella società postclassica finiscono spesso con l'ingrossare le fila di nuovi rapporti di dipendenza e principalmente del colonato. In tal modo le manumissioni p ili che la liberazione producono spesso la trasformazione della schiavitu in altro rapporto di dipendenza che, pur sotto la maschera di una formale libertà, nasconde una situazione di soggezione economicamente bloccata e spesso di grande povertà. Nonostante tutto questo la schiavitu decade, ma non scompare dalla società tardoantica, anzi continuerà, nelle sue forme piu misere, nello stesso mondo medievale'. Alle mutate condizioni storiche generali si adeguano anche i modi di liberazione degli schiavi: scompare la manumissio censu, si spoglia dell'antico rituale la manumissio vindicta, continua la manumissio testamento, si diffonde la prassi cristiana della manumissio in sacrosanctis ecclesiis, ossia la liberazione mediante una dichiarazione fatta dal padrone dinanzi alla comunità dei fedeli. Già Diocleziano ammette una specie di acquisto della libertà per usucapione. Si va affermando un certo /avor libertatis e si arriva ad ammettere la ripetizione del processo di libertà. In campo patrimoniale si tende, pur tra imprecisioni e oscillazioni, a considerare in qualche caso il peculio come appartenente allo schiavo, tanto che una costituzione di Onorio e T eodosio del 422 ammette che i creditori del servo (sempre che egli nulla piu debba al padrone) possano a lui stesso rivolgersi con un'actio utilis de peculio '. Statuizione che con6 F. DE MARTINO, Uomini e terre in occidente, Napoli 1988, pp. to medioevo) e 63 sgg. (Schiavi e coloni tra antichità e medioevo). 7 Codice teodosiano, 2. 32.1.
27
sgg. (Economia schiavistica e al-
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tiene una contraddizione in termini e denuncia la confusione dei limpidi concetti giuridici derivanti dalla giurisdizione pretoria. L' actio de peculio, sia pure utilis, avrebbe avuto senso solo se intentata contro il dominus, che rispondeva nei limiti del peculio del servo, ma di sua proprietà. Una volta, invece, ammesso che il servus potesse essere perseguito direttamente, l'azione si sarebbe dovuta considerare come« diretta», riconoscendosi la capacità del servo di essere convenuto in giudizio. La soluzione adottata, in cui, fra l'altro, il servus è appaiato all' actor o al procuratar praediorum, che sono persone libere, e il cui patrimonio l'interpreta/io visigotica qualifica anche peculium, costituisce un esempio indicativo del modo di procedere della prassi giuridica volgaristica che, per quanto riguarda il nostro campo, mentre da una parte sembra attenuare la rigidità del rapporto potestativo padrone-schiavo, dall'altra tende a porre sullo stesso piano degli schiavi persone libere inquadrate nel sistema di gestione delle grandi possessiones agrarie dell'epoca. E tanto dimostra che pur nella valutazione sociale la distinzione fra schiavi e liberi, addetti entrambi alla conduzione delle grandi proprietà agrarie, si andava affievolendo. Il nuovo rapporto di dipendenza, che invece caratterizza l'economia, la società e quindi il sistema di produzione del tardo Impero, è il colonato. Sulle sue origini molto si è discusso: dal Gotofredo, che vedeva l'origine negli insediamenti di barbari in varie parti entro i confini dell'Impero, a chi ha pensato a una trasformazione della schiavitu in colonato (Rodbertus), a chi ha ritenuto che la ristrettezza di capitali (per comprare schiavi) avrebbe indotto i proprietari terrieri a «inventare» il colonato (Ciccotti), ai molti che pensano a modelli di importazione straniera'. In ciascuna di queste opinioni v'è qualche parte di verità ove ci si riferisca principalmente alle ragioni che ne determinarono la diffusione e la grande espansione, ovvero ave ci si limiti a cercare modelli di particolari forme assunte dal colonato, talvolta con differenziazioni a carattere regionale. Ma le cause sostanziali, storiche ed economiche, della nascita del colonato sono altre e vanno ravvisate nella decadenza della schiavitu e nella diminuzione sul mercato del lavoro del numero degli schiavi, che spingeva i grandi proprietari terrieri a rivolgersi ad altre fonti e ad altri strumenti giuridici per il reclutamento di forze di lavoro della cui permanenza sulla terra da coltivare si potesse essere garantiti. Onde conseguire tali risultati, lo strumento piu valido, in mancanza di schiavi e dato che non conveniva rivolgersi al libero mercato del lavoro, non poteva ' Vedansi citazioni in r. 407 sgg.
DE MARTINO,
Storia economica di Roma antica, Firenze
1979,
II, pp.
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che cercarsi nel vincolare i liberi contadini, e primi fra tutti i coloni liberi, alla terra, assicurandosi la continuità delle coltivazioni e della produzione agricola. E cosi, attraverso tutto uno svolgimento vario e multiforme dei rapporti fra grandi proprietari fondiari, tra i quali primeggiavano l'amministrazione imperiale e la stessa Chiesa cristiana, e i liberi coloni e conduttori agricoli di vario tipo, svolgimento facilitato dalla crisi economica generale e dalla scarsa remunerazione del lavoro agricolo, a poco a poco, a partire dalla fine del m secolo d. C., quelli che già erano stati liberi conduttori si trovarono asserviti alla terra che coltivavano, assieme alle loro famiglie, in modo permanente e nella successione delle generazioni. Ciò dovette avvenire, dicevamo, attraverso uno svolgimento complesso e spesso diverso da luogo a luogo, in cui per lo piu, in mancanza di una legge in materia, il consenso da parte degli assoggettati fu prestato sotto la pressione di sole esigenze e ristrettezze economiche (e ciò vale per coloro che erano già liberi coloni), o anche nel miraggio da parte di popolazioni barbariche di trovare insediamenti stabili entro i confini dell'Impero o, ancora, anche nell'anelito verso una pseudo-libertà da parte degli schiavi addetti ai lavori agricoli. Ma il consenso per un asservimento alla terra permanente e non gratificante economicamente non poteva durare a lungo. D'altra parte l'esigenza di assicurare la presenza di forze lavorative sulla terra da parte delle grandi proprietà pubbliche e private andava crescendo parallelamente alla progressiva rarefazione del lavoro schiavistico. A ciò si accompagnavano esigenze fiscali, che solo la riscossione assicurata dei tnbuti fondiari poteva soddisfare. In tale situazione, e nella continua avanzata del dirigismo economico e dei vincoli sociali, l'intervento normativa imperiale, al fine di convalidare una prassi che era già sorta e, forse, piu ancora al fine di elevare a sistema ed espandere un fenomeno ancora puntiforme, non poteva tardare. E infatti la nuova schiavitu della terra (o, secondo l'espressione del Ciccotti, il «servaggio») ebbe il primo crisma normativa in una costituzione (ironia della Storia?) del primo imperatore cristiano. Trattasi di una costituzione di Costantino del3o ottobre del332 in cui, prendendosi in considerazione il problema della fuga dei coloni dalla terra dove si trovano, si stabilisce che chiunque abbia accolto presso di sé il colono altrui è tenuto a riportarlo al proprietario della terra da cui proviene e a pagare la capitatio (ossia il tributo imposto sui capita dei coloni esistenti sul fondo) per il tempo in cui lo ha avuto presso di sé. I coloni fuggitivi poi sono puniti con la riduzione in schiavitu affinché, conclude l'imperatore, i lavori che si addicono ai liberi essi siano condannati a eseguire in stato di servi tu '. ' Codice leodoJiano, 5·17.1.
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Quindi nei primi decenni del IV secolo, sotto Costantino, il sistema si era dovuto diffondere pur fra le resistenze dei contadini, che spesso tentavano di sottrarsi al colonato con la fuga, rinnovellando per altra via il fenomeno classico dei servifugitivi, e l'imperatore stabilisce legislativamente, e sanziona con gravi pene per i trasgressori, il principio dell'inamovibilità del colono dal fondo in cui lavora. Ma le condizioni di vita dei coloni dovettero ulteriormente peggiorare se la fuga dal fondo, come già la fuga degli schiavi, divenne un fenomeno endemico del sistema. Spia sicura della .continuazione e del peggioramento della situazione è il fatto che, a distanza di oltre cinquant' anni, quando ormai il colonato, quale caratteristico modo di gestione della grande proprietà privata e imperiale, si era pienamente diffuso e consolidato, gli imperatori Graziano, Valentiniano e Teodosio ritornano sul problema con una costituzione del2 5 ottobre 386 e puniscono con grave pena patrimoniale chi abbia indotto a passare presso di sé o abbia nascosto un colono altrui fuggitivo'". Come sopra abbiamo detto il colonato non si realizzò dovunque nello stesso modo, né ebbe in ogni caso l'identica forma giuridica, pur se, nella sostanza, si tratta di un fenomeno economico-giuridico unitario. Cosi nelle costituzioni del v secolo travasi il termine adscripticii per indicare i coloni iscritti al censo unitamente alla terra; altri sono indicati come originarii in quanto vincolati alla terra in base alla loro origine; altri ancora vengono designati, con un termine di cui non si riesce a cogliere il preciso significato, come inquilini. Altre categorie ancora sono quella dei tributarii, vincolati al pagamento del tributo piu che alla terra, e quella dei casarii, in tal modo qualificati perché residenti in povere casette site nel fondo (cosi De Martino contro Seeck) ". Coloni si diviene per nascita, per convenzione contrattuale, per usucapione (di 30 anni per gli uomini e 20 per le donne), per appartenenza a insediamenti stabiliti dall'imperatore. In stato di coloni possono essere ridotte (da chi li scopre) le persone valide scoperte a mendicare. Il colono è formalmente libero, ma la sua libertà è variamente limitata. Egli è considerato una pertinenza della terra che lavora e con essa viene trasferito. Può contrarre matrimonio anche con una schiava e viceversa; i figli seguiranno la condizione materna e tale unione è indifferentemente chiamata contubernio o matrimonio. In sostanza, e al di là della situazione giuridica-formale di liberi, i coloni sono oggettivamente molto vicini agli schiavi. Nelle fonti giuridiche e specie nella legislazione tardoimperiale sono non di rado posti assieme agli schiavi e nella loro stessa IO
fbid., 5·f7.2.
11 F. DE MARTINO,
Storia economica cit., p. 414·
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posizione; per essi si ricorre a terminologia propria della schiavitu e si attribuiscono ai coloni istituti particolari degli schiavi. In quest'ultimo ordine di idee non può non ricordarsi l'uso del termine peculium per indicare il patrimonio dei coloni, nonché il principio, affermato in varie costituzioni, secondo cui con la terra si trasferiscono anche i coloni e il loro peculio e il colono che si trova da meno di trent'anni presso un altro deve essere restituito al dominus col peculio, mentre in una costituzione di Onorio e Teodosio del422, già ricordata, ai creditori del colono viene data un' actio utilis dè peculio. La misera condizione economica, la terminologia giuridica, la loro libertà estremamente vincolata erano tutti elementi concorrenti a considerare i coloni in una situazione non lontana da quella degli schiavi. E non si può considerare puramente retorica la domanda che si porrà Giustiniano: > ). Sino alla metà del IV secolo il prae/ectus urbi sembra aver ricevuto gli appelli da tutte le province d'Italia. Nel 357 Costanzo ridusse tale amplissima giurisdizione entro i confini della città e del centesimum miliarium (ibtd., 11.30.27), ma poco tempo dopo essa fu nuovamente estesa al vicariato suburbicario (SIMMACO, Rela:àoni, 38 e 40), e nel445, per opera di Valentinianolll, addirittura all'Africa (Novelle di Valentiniano, 13.12). Diffusamente sul tema A. CHASTAGNOL, La pré/ecture urbaùze cit., pp. 133 sgg. Appello delle sentenze del prefetto all'imperatore: Codice teodosiano, rr.JO.?(Jq), cfr. Codice giustinianeo, 7.62.14 (in ceni periodi il ricorso all'autorità imperiale fu però escluso: Codice teodosiano, II.J0.23(345) lo ammette solo per i clarissimt). Cfr. ancora A. CHASTAGNOL, La pré/ecture urbaine cit., pp. 122, 32!1 sgg. " Cfr. sopra, nota 15. Praetor plebis: Novelle di Giustinùmo, 13(535); GIOVANNI LIDO, Sui magi· strati, 2.29. Cfr. A. CHASTAGNOL, La préfecture urbaine cit., pp. 262 sgg. Quaesitor: Novelle di Giustiniano, 80(539); GIOVANNI LIDO, Sui magistrati, 2.29; PROCOPIO, Storia segreta, 20.9. Cfr.]. ARIAS RA· MOS, Un curioso cargo en la burocracia bizantina: el quaesitor, in >; Codice teodosiano, 9·37-1(319), cfr. Codice giustinianeo, 9.42.2: «redemptae miserationis vox minime admirtatur». Sulle due costituzioni, dr. G. PUGLIESE, Procerso privato cit., p. 44· " Cfr. M. LAURIA, Accusatio-inquisitio cit., p. 297 e nota 175.
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si tenevano ormai esclusivamente nei secretaria dei funzionari, cioè in locali appartati da cui il pubblico era escluso per mezzo di inferriate (cancellz) e tendaggi (vela), che non venivano aperti se non in determinate fasi del processo (ad esempio per la pronuncia della sentenza): a tali secretaria potevano accedere soltanto i membri dell'ufficio incaricati della redazione dei verbali della causa e alcuni personaggi di grado elevato (honoratt) ai quali era riconosciuto il privilegio di sedere a fianco del funzionario giudicante. È appena necessario rilevare che ciò comportò il definitivo venir meno dell'ampio e libero dibattito fra accusatore e accusato che caratterizzava il precedente sistema processuale: l'assunzione delle prove era ora devoluta interamente al funzionario, il quale procedeva all'interrogatorio dell'imputato e stabiliva quali testimoni dovevano essere ascoltati, con conseguente affievolimento delle prerogative della difesa, che venne man mano a ridursi a un'attività meramente formale". Importanti innovazioni si ebbero anche per quanto riguarda la forma degli atti. li procedimento non fu piu esclusivamente orale. L'uso di redigere processi verbali delle dichiarazioni degli imputati e dei testimoni e delle pronunce del giudice, pressoché ignoto al processo dinanzi alle corti giurate e diffusosi solo nella pratica delle cognitiones, divenne in quest'epoca consueto. Tutto ciò che veniva detto nel corso della causa era registrato stenograficamente dai segretari dell'ufficio (exceptores) e in seguito trascritto in caratteri normali nel protocollo d'udienza, a cui il giudice apponeva la sua sottoscrizione: il documento era poi depositato nell'archivio del tribunale, ove gli interessati potevano prenderne visione ed eventualmente trarne copia". La redazione scritta della sentenza fu elevata a requisito formale. Sul finire del IV secolo, Onorio sand che il giudice potesse usare non solo la lingua latina, ma anche la lingua greca: " Pubblicità dei giudizi: Codice teodoJiano, J.I2.1f313), I.I6.6(nr), cfr. Codice giustinianeo, 1.40. 3; Codice teodosiano, u6.9( 364); cfr. anche ibtd., 1.16.7( 331) e u6.10(364). Ampiamente F. DE MA· RINI AVONZO, La giustizia nelle province agli inizi del Basso Impero, I. I principi generali del processo in un editto di Costantino, in StudUrb, XXXI (1962-63), pp. 293 sgg. (ristampato in Synteleia Vincenzo Arangio-Ruiz, II, Napoli 1964, pp. 1037 sgg.). Secretaria: LATTANZIO, La morte dei persecutori, 15; Codice teodosiano, 2.1.8. 3( 395), cfr. Codice giustinianeo, 9.2.16; GIOVANNI LIDO, Sui magùtrati, 3.n, 27 e 75· Persone autorizzate ad accendere ai locali: Codke teodosiano, 6.26. 5( 389), cfr. Codice giustinianeo, 1.48.3 e 12.19.2; Codice teodosiano, 6.26-7(396), 6.26.16(41o), cfr. Codice giustinianeo, 12.19.5; Codice teodosùmo, I.20.1(4o8J, cfr. Codù:e giustinianeo, 1.45·1. Cfr. A. CIIECCHINI, Studi sull'ordinamento processuale romano, ora in Scritti cit., pp. 168 sgg. 24 Redazione dei verbali: Codice teodosiano, uz.r( 313); cfr. anche GIOVANNI LIDO, Sui magiitrati, 3.rr. Esibizione degli atti: Codice giustinianeo, 7.62. 32.2 e 4a (440), e già ibzd., 2.1.2(194): « is, apud quem res agitur, acta publica tam criminalia quam civilia exhiberi inspicienda ad investigandam veritatis fidem iubebit». Cfr., con ulteriore documentazione, TH. MOMMSEN, Romisches Stra/rechi cit., pp. 516 sgg., e A. STEINWENTER, Beitriige zum 6//entlichen Urkundenwesen der Romer, Graz 1915, pp. u sgg.
Santalucia
L'amministrazione della giustizia penale
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la decisione doveva essere letta in pubblico, alla presenza dei membri dell'ufficio, e quindi inserita nel verbale o allegata in copia al medesimo". Un'altra circostanza merita rilievo. Abbiamo veduto a suo tempo come nell'età del Principato le costituzioni imperiali dessero di regola al giudice della cognitio solo elastiche direttive, che gli lasciavano ampia possibilità di adattare la pena, sia nella specie che nella misura, alle particolarità del caso concreto"'. Un siffatto regime era difficilmente conciliabile con gli orientamenti della monarchia assoluta. La nuova situazione politica comportava una stretta dipendenza del giudicante dall'autorità che aveva posto la norma, e ciò limitava notevolmente la discrezionalità del medesimo nel determinare la sanzione da comminarsi. liberum arbitrium iudicantis ebbe sempre piu ristretto il campo di applicazione. Anche se per alcuni reati di minore importanza il giudice fu lasciato libero di fissare la pena secondo un criterio di valutazione personale, nella maggior parte dei casi fu costretto a conformarsi alle pene, fisse e inderogabili, sancite dalle costituzioni imperiali. In una lettera a Valentiniano II, Simmaco afferma in termini espliciti che soltanto gli imperatori avevano ormai la facoltà di mitigare il rigore delle norme giuridiche. giudice doveva limitarsi ad accertare se l'ipotesi delittuosa si fosse o meno verificata: la pena discendeva direttamente dalla legge e gli era preclusa ogni possibilità di graduarne discrezionalmente la portata".
n
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3· I reati e le pene. La legislazione postclassica non apportò modificazioni sostanziali alle figure di reati già individuate nell'epoca precedente, ma ne estese ulteriormente le relative fattispecie, facendovi talora rientrare anche delle ipotesi estranee allo spirito e allo scopo delle antiche disposizioni. Le sanzioni furono generalmente aggravate, e in particolare la pena di morte fu applicata con una frequenza e una ferocia del tutto ignote al precedente diritto". Gli interventi imperiali ebbero spesso carattere occasionale e ar" Codice giustinianeo, 7·45.12(397): ; zbzd., 7·45.6(283): nullità della sentenza pronunciata dal giudice «in secreto loco officio eius non praesente>>. Cfr. B. BIONDI, Appunti intorno alla sentenza nel processo civile romano, ora in Scritti cit., pp. 476 sgg.; H. APELT, Die Urteilsnichtigkeit im romischen Prozess, s.I. e s.d., pp. 83 sgg.; G. WESENER, «Prolatio sententiae>>, in RE, suppl. IX, Stuttgan 1962, pp. 1236 sgg. 26 Cfr. B. SANTALUCIA, La giustizia pena/e cit., pp. 229 sgg. 27 SIMMACO, Relazioni, 49, su cui D. VERA, Commento storico cit., p. 348. " Cfr. c. DUI'ONT, Le droit crimine! dans les constitutions de Costantin. Les peines, Lille 1955, p. 85.
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Le culture
bitrario: numerose costituzioni appaiono emanate in base a criteri di momentanea contingenza, trascurando di coordinare le nuove ipotesi criminose con quelle preesistenti, e preoccupandosi soltanto di colpire con adeguate sanzioni quegli atti che si ritenevano meritevoli di repressione. Ciò rende assai arduo rappresentare in sintesi le grandi linee del diritto penale di questo periodo, per sua natura non riconducibile a Wla concezione organica e unitaria, e permette di delinearne il quadro complessivo non senza difficoltà e cautele. In materia di crimen maiestatis la legislazione denota la tendenza a estendere la tutela anteriormente riservata alla persona del principe a vari aspetti dell'apparato statale. Vennero progressivamente attratti sotto i termini e le sanzioni della lesa maestà il compimento di sacrifici e cerimonie pagane, l'uso delle carceri private, il falso nummario, il turbamento dell'ordine pubblico a seguito di dispute teologiche, la cospirazione a danno di alti ufficiali dello Stato. Gli accusati di maiestas poterono essere sottoposti alla tortura senza distinzione di classe, e gli schiavi furono autorizzati ad accusare i loro padroni. Le pene non subirono modificazioni rispetto all'età precedente: ma in ipotesi di particolare gravità (come la cospirazione a danno di illustres) la condanna fu fatta ricadere anche sui figli e sui discendenti del reo, i quali furono dichiarati incapaci di succedere non solo rispetto al padre o all'ascendente, ma rispetto alla madre e a qualsiasi altra persona, e vennero esclusi in perpetuo dagli honores e dalla milizia"'. Si estese anche l'ambito del crimen repetundarum. Nelle linee di una tendenza già manifestatasi durante l'età precedente, le costituzioni postclassiche ricondussero ai termini delle repetundae tutta una serie di abusi perpetrati dai funzionari della burocrazia imperiale, rendendo talora assai tenui i confini tra questo crimen e il crimen concussionis. Tra le fattispecie piu rilevanti possiamo ricordare le malversazioni dei duces e delle persone del seguito nei confronti dei provinciali, la percezione di imposte superiori al dovuto, le estorsioni commesse dai comites domesticorum ai danni dei loro sottoposti, la dolosa amministrazione della giusti29 Sacrifizi e cerimonie pagane: Codice teodosiano, 16.ro.u(392). Carceri private: ibtd., 9.n.1 (388); Codice giustinianeo, 9·5.1(486). Falso nummario: Codice teodosiano, 9.21.9(389). Dispute teologiche: ihid., 16.q, cfr. 16.4.1(386). Cospirazioni contro il!ustres: ibtd., 9·14.3(397), cfr. Codice giustinianeo, 9.8.5. Sortoposizione dei rei alla tonura: Codice teodosiano, 9· 35.1(369), cfr. Codice giustinianeo, 9.8-4; Codice teodosiano, 9· 35.2(376), cfr. Codice giustinianeo, 9·41-5I3,515,5I6,520,
524,525,535,538,541,554,555,558,56o, 562,567,568,570,575,577>580,599,606, 6I3 n, 615, 630 n, 636 n, 7I9, 796 n, 799, 8o5,82r,823,836,837,850,859,899,909, 910,922,930,932,95I,957,96},966,973, IOII, IOI6, I026, 1037· Diodoro Siculo, 13 7. Diofanto di Alessandria, 854. Diogene di Sinope, 743, 790. Diogene Laerzio, 783. Diomede, grammaticus, 830. Dione Cassio Cocceiano, I29 n, 460, 56I, 7I3 e n, 783. D ione Crisostomo (Dione di Prusa), 481, 5 34. Dionigi, vescovo di Alessandria, 796 n. Dionisio di Alicarnasso, 852. Dionisio di Bisanzio, I 4 3 n. Domitilla, santa, martire, 62 n. Domiziano, Tito Flavio, imperatore, 95, 462, 464,466,467,508,5II,543,545,565. Domno, vescovo di Aspendos, 524. Donato, Claudio, grammatico, commentatore di Virgilio, 709 e n. Donato, Elio, commentatore di Terenzio, 709 e n. Draconzio, Blosso Emilio, 649 n. Dulcizio, governatore di Tessalonica, 814. Ecdicio, figlio di Eparchia Avito, 408. Ecumenio Dositeo Asclepiodoto, proconsole di Cirenaica, 503. Egnazio, Cneo, proconsole di Macedonia, 48I. Elagabalo, Marco Aurelio Antonino, imperatore, 540, 547, 562, 9I8. Elena Augusta, moglie di Costanzo Cloro e madre di Costantino l, 48,49 n, 57 n, 562, 901, 926. Eleuterio di Nicomedia, santo, martire, 8I6. Elia, vescovo di Grado, 204, 205. Elia Eudossia, moglie di T eodosio II, r6o, 673 n, 725. Eliconide di Tessalonica, santa, martire, 817. Elio Aristide, 51 o, 999· Elladio, anacoreta, 412.
Elvidio Prisco, 783, 790. Emilio Lepido, Marco, 363. Emilio Magno Arborio, retore, 423. Emilio Paolo, Lucio, 479· Ennio, 709. Ennodio, Magno Felice, vescovo di Pavia, 751. Epifania, santo, 560. Epitteto di lerapoli, 790. Eraclio l, imperatore d'Oriente, 173, 327, 668 n, 843. Eraclito di Efeso, 783. Erculio, prefetto dell'Illirico, 495. Ermogeniano, giureconsulto, 966, 973-75, 980. Erode Attico, 492, 493, 497, 5I2. Erode il Grande, re di Giudea, 139, I40 n, 560, 561. Erodiano, storico, J2 7, 7 I 3. Erodoto,7,7I7,857· Erone di Alessandria, 845, 847 n, 854. Eschilo, 849. Esculapio, 301. Eshmun, divinità, 30I. Esiodo, I3. Esperio, figlio di Decimo Magno Ausonio, 737· Esuperio, vescovo di Tolosa, 4 I 6. Esuvio Tetrico, Pio, usurpatore in Gallia e Spagna,405,429. Eucherio, vescovo di Lione, 405 n, 4II, 412, 425, 426. Euclide, 842, 843, 851 n, 854 n, 86o n. Eudocia, Augusta, vedi Elia Eudossia. Eufemia, santa, martire, 204. Eugenio, usurpatore, 79 n, 765 n. Eunapio di Sardi, 707, 708 n, 716, 766, 855 e n, 86on. Eunomio di Cizico, 855 e n. Euplo di Catania, santo, martire, 786. Euricle Ercolano, 498. Eurico, re dei Visigoti, 4o8, 424, 42 7. Eusebio di Cesarea, 152, 715-17 n, 719, 720 e n, 754, 755, 758, 759, 789, 790 n, 935· Eustazio, vescovo di Tessalonica, 825 n. Eutichio, archimandrita di Costantinopoli, eresiarca, 43· Eutizio, santo, 238. Eutropio, praepositus sacri cubiculi, 712. Eutropio, storico, 861, 885. Eutropio, vescovo di Orange, 4 I 7, 42 5. Evagrio Pontico, 673. Ezio, magister utriusque militiae, 408. Fabiano, papa (236-50), santo, martire, 795 n. Faltonia Bettia Proba, poetessa, 47. · Fannio, Gaio, 782.
Personaggi e altri nomi antichi Fausta, figlia di Massimiano e moglie di Costantino I, 901. Faustina maggiore, moglie di Antonino Pio, 5 I I, ~524·
Faustina minore, vedi Annia Faustina. Fausto, vescovo di Riez, 4I I, 424, 425. Febadio, vescovo di Agen, 409. Febicio, grammatico, 748. Felice II, antipapa (355-65), 44· Festa, Sesto Pompeo, 3I7, 393· Filea, vescovo di Thumis, santo, martire, 790, 8I3. Filippa di Tessalonica, santa, martire, 786. Filippo, eparca di Costantinopoli, 82 2. Filippo, detto l'Arabo, imperatore, 489, 5I4, 546, 566,567, 569. Filippo Il, re di Macedonia, 479, 486. Filocalo, Furio Dionisio, 62. Filone di Alessandria, 850, 853, 854, 857. Filostorgio di Borissos, 720, 72I n, 856. Filostrato, Flavio, 7I8, 7I9, 783. Filotea Caccino, patriarca di Gerusalemme, 788 n. Fiorentino, Sesto, governatore romano dell'Arabia, 566. FirmicoMaterno, 28I, 295, 773· Firmo, principe mauro, 375, 376, 640, 7I9 n. Flacilla Elia, moglie di Teodosio I, 943· Flavia, gens, I85. flavn,dinasria,70,85,239,3II,440,452,483, 509,533,60I,626,630,73I,740. Flavio Costantino Felice, magister utriusque militiae, So, BI. Flavio Macribio Longiniano, comes sacrarum largitionum, 38I n. Flavio Magno, prefetto del pretorio, 8I. Flavio Nube!, principe mauro, 374, 375· Flavio Uranio, governatore dell'Isauria, 53 I. Flavius Theodobius, 82. Floro, Lucio Anneo, 632. Foca, imperatore d'Oriente, 173· Fortuna, divinità, 3 I 3. Fazio, metropolita di Apamea, 556. Frontinus Sciscola, P., 86o n. Frontone, Marco Cornelio, 233,632, 750. Fruttuoso, vescovo di Tarragona, santo, martire, 8o6, 82o e n, 82I. Fulgenzio, vescovo di Ruspe, 649 n. Gaina, magister utriusque militiae, 943, 944· Gaio, giureconsulto, 967,970,971, 981, I015, 1029. Galeno di Pergamo, 512, 559, 842, 845, 856, 86I n.
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Galerio Massimiano (Gaio Galerio Valeria Massimiano), imperatore, 133, 134, 460, 469, 553.57o,6o6,951,957· GallaPlacidia, 112, 121,129, 40I n, 408. Galliena, imperatore, I39, 202,211,219,234 n, 452,492,493.498.499.514,515,524,530, 540, 553, 8o5, 9I8. Gallo, Gaio Vibio Treboniano, imperatore, 540. Generosa, santa, martire, 62 n. Genesio di Arles, santo, martire, 409, 416. Genserico, re dei Vandali, 42, 235, 297, 348, 644,649 n. Germanico, Giulio Cesare, 436, 437, 538, 71 r. Gennano, vescovo di Auxerre, 407. Geronzio, generale, usurpatore, 385, 386. Gervasio, santo, martire, 417. Geta, Lucio Settimio, imperatore, 6o5, 915, 917. Giamblico di Calcide, 707 e n, 840 n. Giasone di Cianae, gran sacerdote del culto imperiale, 527. Gildone, principe mauro, comes A/ricae, 374-76, 396. Giordane, 1 27. Giovanni, imperatore d'Occidente, I25. Giovanni, patriarca di Alessandria, 596 n. Giovanni Cassiano, 411, 412, 426, 595· Giovanni Crisostomo, santo, 137, I40, 4I2, 725 e n, 766, 824 n, 835. Giovanni di Cappadocia, 980. Giovanni Lido, 673, 796. Giove, 436,904,905,911, 9I2. Giovenale, Decimo Giunio, 3I5, 709 e n. Giovenco, Gaio Verio Aquilino, 729. Gioviano, arcivescovo di Corfu, 484. Gioviano, imperatore, 570. Giovino, magister militum, usurpatore a Magonza, 407. Girolamo, santo, 42, 46, 48, So, I5I n, 407, 536, 709, 7I5 e n, 718, 726-29, 773, 823,
8p. Giuba II, re di Mauretania, 368. Giulia Domna, moglie di Settimio Severo, 547· Giuliano Argentario, banchiere, 128. Giuliano di Antiochia, santo, 417. Giuliano l'Apostata (Flavio Giuliano), imperatore, 137, 153, 185, 189, 203, 279, 321, 379, 384.397.485.490,494.524,525,535.552, 570, 708 e n, 714,725, 763, 765, 86I, 907 n, I037· Giuliano, Salvia, giureconsulto, 967 e n, 99I, 1015. Giulio I, papa (337-52), santo, 78. Giulio Agesilao, Gaio, 498. Giulio Agrippa, Lucio, 545· Giulio Aquila, Gaio, 509.
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Personaggi e altri nomi antichi
Giulio Celso Polemano, Gaio, '09, 510. Giulio Fiacco Eliano, Gaio, '40. Giulio Frontino, Sesto, proconsole d'Asia, '11. Giulio Nepote, imperatore d'Occidente, 40S. Giulio Severo, Gaio, 536. Giunia Sabina, 81. Giunii Bassi, famiglia, 241, 242. Giunio Basso, praefectus urbi, 926. Giunio Rustico, Quinto, filosofo stoico, 7S7, 7S9, S11. Giuseppe Flavio, 560, 62' n. Giustiniano l, imperatore d'Oriente, 21, 121, 12S, 134, 139, 141, 1,1, 167, r68, 171·7J, 348.349·4'8,490,495.519,535.539.540, 554, 570, 609, 654, 655, 673, 675 n, 859 n, 973, 979-83, 1020, 1023, 1024, ro2S, 1029, 1032. Giustino, santo, martire, 789 e n, Srr. Giustino l, imperatore d'Oriente, 141. Giustino Il, imperatore d'Oriente, 154, 171. Gordiano l, imperatore, 290, 633 n. Gordiano Il, imperatore, 633 n. Gordiano III, imperatore, 327, 513, 514, 527, 542,569, 570, 633 n, 706, 713. Gorgia di Leontini, 849 n, 850 n, S65. Graziano, imperatore, 43, So n, 105, rro, 113, 117, 193, 322 n, 389, 423, 440, 455, 525, 711,749o750,S99, 1019,1038. Gregorio, giureconsulto, 973·75Gregorio l, detto Magno, papa (590-604), santo, 230,236,28o,284. Gregorio di Nazianzo, 541, 724,725 e n, 764. Gregorio di N issa, 541, 542, 724, 725 e n. Gregorio di Spoleto, santo, martire, Sq. Gregorio di Tours, 416. Gregorio il Taumarurgo, vescovo di Neocesarea, 1001, 1002. Hafsidi, dinastia musulsnana dell'Africa settentrionale, 336. Ibn el-As, 349· l dazio, vescovo di Aquae Flaviae, 402. Ilario, vescovo di Arles, santo, 410, 411, 416, 425Ilario, vescovo di Poitiers, santo, 409, 417, 425. Ilderico, re dei Vandali, 649. Ionico di Sardi, S6o. lpazia di Alessandria, 824, 840 n, S54-57. lppia di Atene, s,6 n. lppia di Elide, 849, S56. lppodamo di Mileto, S58. Ippolito, antipapa (217-35), santo, 61, 71' e n. !rene di Tessalonica, santa, martire, 814. Isidoro di Alessandria, santo, martire, 781, 782.
lsidoro di Mileto, architetto, r6S, qo. Isidoro di Siviglia, s,1. Isocrate, S3o. Joshua, abate di San Vmcenzo al Volturno, 26,, 277Labeone, vedi Antistio Labeone, Marco. Lagidi, dinastia macedone d'Egitto, 9S7, 98S, 992Lampadio, prefetto del pretorio, 46, 48. Lampone di Alessandria, santo, martire, 781, 782. Lattanzio, Lucio Celio Firmiano, 716, 724, 773, 831. Lauso, praepositus sacri cubiculi, 163. Leone, abate di San Vincenzo al Volturno, 277. Leone l, imperatore d'Oriente, 172, 1051. Leone I, detto Magno, papa (440-61), santo, 42, 64. 66, 410. Leone di Narbona, giurista, 424. Leonzio, vescovo di Frejus, 412. Leonzio di Neapolis, 78S n. Lepido, Marco, vedi Emilio Lepido, Marco. Libanio di Antiochia, 137, 139, 140, 535, 70S e n,764,766,775,SJ1,832,S35· Liberia, papa (3p-66), 44Licinio (Valeria Liciniano Licinio, Gaio), imperatore, 144, 147, 458, 716, 719, 755, 9:z2, 932 e n, 934, 951. Licurgo, 850. Linius Hierocles, T., procurator della Mauretania Caesariensis, 369. Livio, Tito, 47, 106, 280,479, 713,714 n. Longiniano, praefectus urbi, So. Lorenzo, antipapa (49S-5o1/5o5), 112. Lorenzo, santo, martire, 7S7, Sq. Lucano, Marco Anneo, 397. Lucia, santa, martire, 294. Luciano di Samosata, 481, 54S. Lucio di Cartagine, santo, martire, 7S7. Lupicinus, generale, 907. Lupo, duca longobardo, 204 n. Lupo, vescovo di Troyes, 411. Lussorio di Cartagine, poeta, 323, 649 n, 732, 751. Macario l'Egiziano o il Grande, 594· Macedonia, vescovo scismatico di Costantinopoli, 822. Macrino, imperatore, 529. Macrobio, Aurc:lio Ambrosia Teodosio, 3So, 709 e n, S4o n, 843, S51 n. Maggiorano, imperatore d'Occidente, 424. Magnenzio, usurpatore in Gallia, 279, 743, 939· Magno di Nisibis, 86o.
Personaggi e altri nomi antichi Magno Massimo, usurpatore in Britannia, Gallia e Spagna, 3SI, 3S3, 39I, 40I n, 444, 939, 941. Magone Balca, generale caltaginese, 225. Malala, Giovanni, I 37, I 4 1. Mamertino, panegirista, I oS. Malcello, giureconsulto, IOI5. Malcello, papa (3oS-309), santo, maltire, 77, 792, 793· Marcello, usurpatore a Costantinopoli, 490. Marcello Empirico, medico, ~n~Jgister officiorum, S6o, 86I e n. Marciano, Elio, giureconsulto, 982. Malciano di Costantinopoli, santo, martire, S22, S23. Marco, papa (336), santo, 63, 77· Marco Aurelio, imperatore, 202, 230, 232, 45S, 460,462,464,466,47I,ji0,5II,j23,535, 53s. 542, 546. 563, 566. 623 n, ns. 7S9, Soj,So6,SI2,903,9I7,922. Malia, moglie dell'imperatore Onorio, 927. Mario, Gaio, 2I3. Malia Massimo, storico, 7I9. Malia Vittorino, vedi Vittorino, Gaio Malia, Martino, vescovo di Tours, santo, 227 e n, 4II, 4I2,4I6,425,466. Martino di Laon, S63. Martirio di Costantinopoli, santo, martire, S22, 823. Malziale, Maleo Valeria, 732, 737, 739, 744· Marziano Capella, S4o n, S5 I e n. Mascezel, principe mauro, 376. Massenzio, imperatore, 49, 54, 56, 209 e n, 923. Massimiano, imperatore, IOj, no, I II, I30, I99, 2I2,370,406,460,499,606,S23,93I. Massimiano, vescovo di Ravenna, I 2S. Massimiliano di Antiochia, santo, martire, 7S6, 792, 793· Massimino Daia (Galerio Valeria Massimino Gaio), imperatore, 454,952, 957· Massimino Trace (Giulio Vero Massimino, Gaio), imperatore, 4S7, 9IS. Massimo, santo, maltire, 7S7, 794, S12-I5. Massimo, vescovo di Riez, 4I I. Maurizio, imperatore d'Oriente, I 73· Mazeo, liberto di Agrippa, 507. Mazices, gens, I I4, 36S. Melania Iuniore, santa, 2S1. Melania Seniore, 2SI . Melitone di Saldi, nS. Menandro di Laodicea, retore, I002. Menas, santo, martire, 596 n, 599· Mercurio, 313, 3I7 e n. Merobaude, retore, 47· Messia Rufina, senatore di Sabrata, 8S.
I
o6 I
Metello Cretico, Quinto, 50 I. Mettio Modesto, governatore della provincia di Licia, 526. Minerva, 450, 9I2. Minervio, retore, 423, 743· Minucio Felice, Marco, 722. Minucio Rufo, Quinto, console nel I97 a. C., 225. Mitra, 44S, 449, 905, 907, 9I2, 9I3. Mitridate, liberta di Agrippa, 507. Mitridate VI Eupatore, re del Ponto, 50S, 533· Modo di Emesa, santo, maitire, SI7. Modestino, Erennio, giureconsulto, 966, 975 n, IOI5. Monica, madre di sant'Agostino, 727. Montano di Cartagine, santo, martire, 7S7, Mucio Scevola, Quinto, giureconsulto, 783, 964, 967 e n, 970, 9So. Museo, poeta epico, 7IO. Naucellio, poeta, 732. Nazalio, panegirista, 43· Nerone, imperatore, 22I, 342, 4S4, 497, 507, 5IO, 539,546, 750, 846 e n. Nerva, Marco Cocceio, imperatore, 351. Nicola di Patala, vescovo di Mira, 527. Nicomachi Flaviani, gens, 2So. Nicomaco di Gerasa, S42, S5I e n, S54. Nicomaco Flaviano il Giovane, 47, 2So. Nicomaco Giuliano, 2So, 2SI. Nicomede IV Filopatore, re di Bitinia, 533· Nonnica, moglie di Flavio Nube!, 374· Nonno di Panopoli, 7IO e n. Nube!, famiglia, 374, 375· Numeriano, Marco Aurelio Numerio, imperatore, 234 n, 7IS. Octavius Vietar Roscianus, L., 3 I 6. Odenato, corrector totius Orientis, 530, 552, 553· Odoacre, 475, 644, 655 n. Ofilio, Aula, giureconsulto, 967 e n. Olibrio, Anicio, imperatore d'Occidente, 42. Olimpiodoro di Tebe, 24I n, 6oi. Omero, 7IO. Onorato, vescovo di Arles, santo, 4 II, 4 I 2, 4 I 6, 424. Onorio Flavio, imperatore d'Occidente, 4I, 45, 79 n, So n, I05, I2I, I29, 207 n, 226,235 n, 3SI n, 3S4, 39I, 406-S, 927, 939, IOI7, I020, I039, I044, 1047, I05I. Opilione, prefetto del pretorio per l'Italia, 2oS. Oprarnoas, 526, 527. Orazio Fiacco, Quinto, 424, 740, 744 e n, no. Oreste, prefetto d'Egitto, S57.
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Personaggi e altri nomi antichi
Oribasio di Pergamo, 86o, 861. Origene, 418,425, 721, 722 n, 727, 728, 758, 769, 773. 1001. Orosio, Paolo, 42, 386, 717, 768. Osmani, dinastia turca, 170. Otone, Marco Salvio, imperatore, 226. Ottavio Titinio Capitone, Gneo, 782. Ottaziano, vedi Porfirio Publilio Ottaziano. Ovidio Nasone, Publio, 237, 735, 738, 744· Pacato Drepanio, retore, 397, 747· Pacomio, santo, 594· Pacuvli,famiglia,3I3,3I4Padusia, moglie di Flavio Costanzo Felice, 81. Pafnuzio di Denderah, santo, martire, 817. Paldo, abate di San Vincenzo al Volturno, 257, 277Palladio di Elenopoli, 595. Pammachio, senatore, 46, So. Paolina, moglie di Pammachio, 46. Paolino di Bordeaux, vescovo di Nola, santo, 46, 4I2, 420, 424, 729 e n, 747, 834. Paolino di Milano, 499, 726 n. Paolino di Pella, 4I2, 4I8, 424. Paolino di Périgueux, 425. Paolo, apostolo, santo, 62-64, I40, 482, 51 I, 547, 558, 756, 774, 790, 8I8, 856 n. Paolo, Giulio, giureconsulto, 964, 967 e n, 970, 972, 975 n, 982, IOI4, IOI5. Paolo, vescovo di Tessalonica, 482. Paolo I, vescovo eli Costantinopoli, 822. Paolo Diacono (o Paolo Varnefrido), 204. Paolo di Alessandria, santo, martire, 78I, 782, 785. Paolo di Narbona, santo, martire, 409. Paolo l'Eremita, 7I8. Paparione (Pietro), 204. Papilo di Pergamo, santo, martire, 8I2, 8I3. Papiniano, Emilio, giureconsulto, 970,972,975 n, IOI5. Papirio Giusto, giureconsulto, 973· Pappa di Alessandria, 840 n, 850, 854. Patera, retore, 743, 748. Pausania, 49 I, 492. Pelagio, eresiarca, 426. Perellius, P., duoviro di Mustis, 3 I7. Perpetua, Vibia, santa, martire, 785, 789, 79I. Perseo, re di Macedonia, 479· Pertinace, imperatore, 292. Pescennio Nigro, Gaio, I45, 529, 535,537, 55 I, 569. Petronii, famiglia, 3 16. Petronio Arbitro, 846, 852. Petronio Massimo, imperatore, 846 e n. Petronio Probiano, praefectus urbi, 47.
Petronio Probo, Sesto, prefetto del pretorio delle Gallie, I 07, 407. Piavonio Vittorino, Marco, usurpatore in Gallia, I q. Pietro, apostolo, santo, 55, 62-64. Pietro di Illiria, 65. Pionio di Smirne, santo, martire, 786, 790, 8o2. Pitagora, 740. Plancia Magna, 522. Plancio Varo, Gaio, 522. Plancio Varo, Marco, 522. Planci Varii, famiglia, 522. Platone, 4I8, 706, 790, 83I, 843 n, 850,853. Platone di Ancira, santo, martire, 8 I7. Plinio, Cecilio Secondo il Giovane, 4I9, 424, 5I2, 533,534, 747,782,989 e n. Plinio, Gaio Secondo il Vecchio, I25, 479, 506, 525,543.706,843.844.848,857.862. Plorino, filosofo neoplatonico, 46, 7o6, 707, 840 n. Plutarco di Cheronea, 49I, 497, 783, 850 n, 853· Polemone I, re del Ponto, 533· Polibio di Megalopoli, I06, 484, 717· Policarpo, vescovo di Smirne, santo, martire, 790, 79I, 8oi-7, 8I8-2I. Pompeiacus, Aulus, 276. Pompeiana, prefetto del pretorio, 209. Pompeo Magno, Gneo, 226, 50 I, 533, 543, 564, 565,568. Pompeo, Sesto, 297. Pomponio, Sesto, giureconsulto, 967 e n. PomponioMela, II4, 207,843. Ponzio Pilato, 804. Popilio Lenate, Publio, I 22 n. Porfirio, filosofo neoplatonico, 46, 425, 706, 707 e n, 840 n. Porfirio Publilio Ottaziano, 7IO e n, 733· Posidonio di Apamea, 842, 853, 854. Postumiano, 4II, 4I5Postumo (M. Cassianius Latinius Postumus), usurpatore in Gallia, 405, 429. Potino, vescovo di Lione, santo, martire, 786, 787. Probo, imperatore, 45, 3 I9, 432, 435, 445, 452, 454,47I,494,524,805,82I,9I8. Proclo, filosofo neoplatonico, scolarca dell'Accademia, 707 e n, 708 n, 840 n, 850, 854 n. Procopio, usurpatore a Costantinopoli, 490, 538. Procopio di Cesarea, 42, I37, I67, I68, 198, 220, 232 n, 236, 249, 297, 333,487,655 e n, 673 n. Procopio di Gaza, 846. Proculo, vescovo di Marsiglia, 4II, 420, 7I9 n. Proeresio, sofista, 47.
Personaggi e altri nomi antichi Prospero d'Aquitania, 297 n, 426. Protagora di Abdera, 849. Protasio, santo, martire, 4 I 7. Prudenzio Clemente, Aurelio, 43, 2I6 n, 289, 409,4I8,424,729,73I,76I,8I5. Pulcheria, sorella di Teodosio II e moglie dell'im· peratore Marciano, I6o, I62. Quinto di Smirne, 7IO. Quirino, vescovo di Siscia, santo, 466. Rabbel II, re dei Nabatei, 562. Ricimero, magister utriusque mi/itiae, 42, 98. Romolo, I6. Rufii, gens, 235 n. Rufii Ceionii, gens, 28I n. Rufii Festi, gens, 235 n. Rufina, prefetto del pretorio, 7I2. Rufina di Aquileia, 28I, 425,595,720 e n. Rufio Festa, storico, 235. Rufius Caecina Felix Lampadius, praefectus urbi, 5I. Rustico, filosofo stoico, vedi Giunio Rustico, Quinto. Rustico, vescovo di Narbona, 4I5, 420. Rutilio Namuiano, Claudio, 7I, 230, 232, 7I I, 7I2en,751. Rutilius Saturninus, vir c/arissimus di Cuicul, 355· Saba il Giovane, santo, 788 n. Saba il Goto, santo, martire, 794· Sabino Masurio, giureconsulto, 967 e n, IOI5. Sagittius, vescovo di Ilerda, 383. Salsa, santa, 37 I, 3 72. Sallustio, praefectus urbi, 38I n. Sallustio Crispo, Gaio, 655 n. Salviano di Marsiglia, 289, 327, 426, 768, 837, 838,904. Salvina, figlia di Gildone, 3 75. Sammac, principe mauro, 374, 375· Sardus Pater, 30I. Sasanidi, dinastia persiana, 552, 569, 570, 945
n. Saturnino di Tolosa, 425, 7I9 n. Saturno, 3I3. Secondino, vescovo di Castulo, 398. Secondo, vescovo di Grado, 204. Seleucidi, dinastia siriana, I 3 7, I 39, I 40. Seleuco I Nicatore, re di Siria, I39· 528, 551. Seneca, Lucio Anneo, 439, no, 783, 789, 828, 853.854.857.862. Senofonte, 750. Sergio di Resafa, santo, martire, 555· Servio, giureconsulto, vedi Sulpicio Rufo, Servio.
1063
Servio, Mauro Onorato, grammatico, 709 e n. Servio Sulpicio Paucle Veraniano, 559· Sestilio Pollione, Gaio, 507. Seth, divinità egizia, 295. Settimio Severo, imperatore, 69, I45, 232, 240 n,292,3I8,342·44,429,486,502,5I3,5I4, 535>540,546>55I,563,569,570,58I,605, 626,706,783,9I5·I8, I006. Severi, dinastia, I9, 20, 70, 87, 88, I3I, I78, I79, I8I, 2II,234,237,240,279,292,30I, 3I6-I8, 344,346,355,366,369,370,396, 439.443.445.450, 455· 458.460-62,466, 467,487,5IJ,5I4,522,524,529,547,578 n, 623, 703, 7I8, 899, 9I2, 920, 964, 970, 982, I006, IOI I. Severo Alessandro, imperatore, 3 I6, 344, 445, 45I, 482, 498, 5I3, 524, 540 n, 547, 570, 9I8, 952. Shahpiir l, re dei Persiani, 529, 540, 552, 553, 567. Shahpiir II, re dei Persiani, 570. Siburio, 86I e n. Sid, divinità punica, 301. Sidonio Apollinare, vescovo di Clermont, santo, 44, 46, 50 n, 128, IJO, 247, 248 n, 408-II, 4I4,4I6-I8,424,425,75I,846. Silla, Lucio Cornelio, I22, 2I6, 508. Silvestro, papa (3I4-35), santo, 54 n, 59, 242. Silvio, vescovo di Tolosa, santo, 4I6. Simeone il Pazzo, santo, 788 n. Simeone Stilita, santo, 556. Simmaco, Quinto Aurelio, 47, 48, 247, 253 n, 28I,38I,J95,J96,424,7I6,729,732,745, 746,760,776,86I n, I04I,I045· Simplicio, papa (468-83), santo, 66, 82. Sincello, Giorgio, 499· Sinesio, vescovo di Cirene, 6o8, 766 e n, 775, 855 n. Sinfosio, poeta, 732. Sisto III, papa (432-40), santo, 54, 65, 68. Socrate, 783,790, 79I n, 83I, 842. Socrate Scolastico, 720, 72 I n, 824. Sofocle, 783. Salino, Gaio Giulio, 706 e n, 843. Solomon, generale bizantino, 362. Sotidius Strabo Libuscidianus, Sextus, 380. Sozomeno di Costantinopoli, I44, 720 e n, 72I n, 822. Sozonte di Pompeiopoli, santo, martire, 8I6. Stazio, Publio Papinio, 739, 74I. Stefano di Bisanzio, 843 n. Stilicone, Flavio, magister utriusque mi/itiae, 38I n, 7I2, 766. Strabone, Io6, I22, 126, I37, 207, 208, 225, 479,484,49I,506,507,5I0,5II,538,548, 549.558.
Personaggi e altri nomi antichi Succllus, divinità celtica, 901,904. Sul, divinità britannica, 4,0. Sulpicio Rufo, Scrvio, 967. Sulpicio Severo, 411,412, 41,, 416,420, 42,. Svctonio Tranquillo, Gaio, 380, 719, 848. Tacito, Marco Claudio, imperatore, 105, 107, 202 n, 987. Tacito, Publio Cornelio, 2o8, 714, a,7, 989. Tanit, divinità punica, 313,340. Taraco di Anazarbo, santo, martire, 816, 817. Taranis, divinità celtica, 904. Tarcondirnoto I, re di Hicropolis Castalba, '27. Taso, abate di San Vincenzo al Volturno, 2,7, 277· Tato, abate di San Vincenzo al Volturno, 257, 277· Tcrnistio, 1~52. 1,4, 708 c n, 763, 768, 855. Tcodora, moglie di Giustiniano, 172. Teodorcto, vescovo di Ciro, p o. Tcodorico, re degli Ostrogoti, 98, 99, 121, 126-28, 130, 182 n, 18,, 188, 189, 194, 19,, 208, 212, 215, 218, 227, 239, 396, 626 n, 6'1 n, 732, 843, 847, 86o. Tcodorico I, re dei Visigoti, 408. Tcodorico II, re dei Visigoti, 408. Teodoro, vescovo di Aquileia, 204. Teodoro, vescovo di Mopsucstia, '30. T codosio, comes rei militaris, padre di T codosio I, 443· Tcodosio I il Grande, imperatore, 41, 56, 79 n, Bo e n, 82, Io,, 112, 134, 154, 1,6, 158, 161, 193,204,20,,297o379o383,386,397o404, 481, 483, 530, 555, 5Bo, 630 n, no, 762, 768, 910, 931, 939-41, 943, 954, 976, 977, 979· 1017, 1019, 1020, 1048, IO, l. Tcodosio II, imperatore d'Oriente, 51, 125, 141, 1,6, I,B, 160-63, 379, " ' ' 630 n, 847 n, 97,,979, 1038,1047,1050,10,1. Tcodoto di Ancira, santo, martire, 817, 818. Tcofilo, vescovo di Alessandria, 824. T eone di Alessandria, B4o n, a,,, 86o, 861. Terasia, moglie di Paolina di Bordeaux, 412. Terenzio Afro, Publio, 709 e n. Tertulliano, Quinto Settimio Florenzio, 42,, 716, 723 e n, 756, 783, Boa, a,s. Tetrico, usurpatorc, vedi Esuvio Tetrico, Pio. Tiberio, Claudio Nerone, imperatore, 139, 211, 3II,380,440,466,,o8,,II,,23,,33o,38, 539, B4B, s,7. Tibullo, 484. Timotco di Pergamo, 782. Tiridate, re di Armenia, 568. Titinio Capitone, vedi Onavio Titinio Capitone, Gneo.
Tito, imperatore, '61. Tiziano Fabio, governatore della Sicilia, 281. Tolomco, Claudio, 842. Tolomco Apione, re della Cirenaica, 6o 3. Tonanzio Fcrrcolo, prefetto del prctorio delle Gallic, 418, 419, 424. Totila, re degli Ostrogoti, 184, 18,. Traiano, Marco Ulpio, imperatore, 139, 158, 199. 315, 434. 44,, 4,1, 4,4. 4,6.,8, 460, 462,4B,,4B6,488,492,,o2,,09,,Io,,I2, 533o,39,,40,,4,,,48,549,,51,5,9o560, ,66, '69, 603, 626, 630, 731, 733, 846 n, a,a, 912,989 n. Trasamondo, re dei Vandali, 649. Triboniano, quaestor sacri palatii, 98o, 981. Tucididc, 717. Ulpiano, Domizio, giureconsulto, 234, 963, 964, 966, 967 c n, 970, 972, 973, 9n n, 979, 982, 989, 101,. Ulpio Scrcniano, 99 2. Usdrila, capo dci Goti, 214. Vaballato, re di Palmira, 580. Valente, imperatore d'Oriente, 321,322 n, 389, 490,538,,54.556,767,796. Valcntiniano I, imperatore d'Occidente, ,6, 105, 189, 203, 239, 297, 321, 322 n, 389, 390, 423, 435, 437 n, 440, 4,4, 455, 460, 462, 465-67. 490, 710, 735 n, no, 899. 1019, 1023, 1038. Valcntiniano II, imperatore d'Occidente, Io,, 203,938,939o942·45o 104,, 1048. Valcntiniano III, imperatore d'Occidente, 41, 42, 51, Bo n, 127, 181,204, 23,, 408,644 n, 846 n, 97,, 101,, 1030, 1050, 1051. Valeria, gens, 74· Valeriano, imperatore, 108, 234 n, 493, '29, 540,,,2,5,3,8I8,821. Valcrio Festa Calpctano, Gaio, 340. Valeria Mcssalla Avieno, prefetto dell'Italia c dell'Africa, 381 n. Varrone, Marco Tcrcnzio, 424, 655 n, 843, B,I e n. Vcdio Antonino, Publio, 510. Venanzio Fortunato, 417, 425, 751. Veriniano, 386, 404. Vero, Lucio, imperatore, 140, 202, 511, '23, '24, 545. ,63. 569. Vespasiano, Tito Flavio, im~atorc, 218, 340, 486,,I9,520,52B,,29,,}3,539,,48,,6o, 561, 790, 848 n. Vcstina, Bo. Vcttio Agorio Pretcstato, praefectus urbi, 48, 50.
Personaggi e altri nomi antichi Victor, grammatico eli Cirta, 837. Vincenzo, santo, martire, 176. Virgilio Capito, prefetto eli Tolemaide, 991. Virgilio Marone, Publio, 397, 709 e n, 748, 750. Vitellio, Aulo, imperatore, I07, 126. Vittore eli Vita, 6,3. Vittorino, Gaio Mario, 4 7. Vittorio, comes-dux eli Eurico, 414. Vitruvio Cerdone, Lucio, zII. Vitruvio Pollione, Marco, 843, 84,, 8'9 n. Volusii, gens, 139. Volusiano, imperatore, 540. Zefirino, papa (I99-ZI7), santo, 6x. Zenobia, moglie eli Odenato, regina eli Palmira, 5I5, ,3, 567,580. Zenone, figlio eli Teodoro, architetto, '13. Zenone, imperatore d'Oriente, 649 n. Zenone eli Cipro, 86o. Zenone eli Elea, 783. Zonara, 54I. Zosimo, storico, I 51, 500, 7I7 e n.
1065
Luoghi e popoli
Abano, 206, 207. Abizar, 376. Abritto, vedi Razgrad. Abruzzo, 268. Abthungi: capito/ium, 313, 322. Abu Mina, 597,598, 664 n: «basilica di Aracadio,., 596, 599· Abu Sha'har, 578. Abusir (Taposiris Magna), 575, 594· Abusir el-Melek, 954 n. Acaia, provincia romana, 479, 483, 491-'jOI, 1036, 1039· Acalisso, 525, 527. Acarnania, 484. Acco, vedi Acre. Acheloo, fiume, 484. el-Achmounein (Ermopoli d'Egitto), 582 e n, 'j83, 948, 952, 9'56: basilica, 597-99, 950 n. tempio di Tot, 584. Acholla, 629 n: terme «di Traiano~>, 314. Acmonia, 513. Acre (Tolemaide di Fenicia), 550, 664 n. Acroceraunio, promontorio, vedi Karaburun. Adamklisi (Tropaeum Traiani), 4'57, 458, 468. Adana, 936. Ad-Diyatheh, 568. Ad Flexum, vedi Manakalnok. Ad Herculem, fortezza nella Pannonia Prima, 4'5'5· Adiabene, 569. Adige, fiume, 207, 209-11. Adra, .563. Adrarnitteo, 506. Adrano, 291. Adria, 12 2 n. Adrianopoli di Cirenaica, 60.5. Adrianopoli di Tracia, vedi Edirne. Adriatico, Mare, 125, 186, 259, 271,458,464, 479. 484,910.
Ad Turres, 233. Aege, vedi Yumurtalik. Aelana, vedi Elat. Aelia Capitolina, vedi Gerusalemme. Aeminium, 399· Aezani: tempio di Zeus, 512. Africa, 3, 19-21,43,86,89, 91,344,367,407, 633, 635-37, 641 n, 647 n, 648, 651, 654, 655 e n, 667, 672-76, 723, no, 851. Africa nera, 339, 340, 594· Africa Proconsolare, 19, 300 n, 301, 309-26, 341, 351, 366, 422, 618, 620, 624-26, 630-32,635,640,65I,8'j8, 1036. Africa settentrionale, Nordafrica, 19, 2o, 30, 56 n, 87, 91, 235, 247, 248, 253 e n, 279, 290, 291, 294,29'j,302,304,358,3'j9,362,366, 367,370, 373· 383,386,394-97.403, '549. 584 n, 614, 625 e n, 627, 628 n, 630 n, 635, 637 n, 640-45, 648, 6.51 n, 654-56, 658 n, 666 n, 672,675, 676, 679, 68o, 871. Afrodisia, 508, 515,516, ~p8, .581, 936, 938, 945: agorà di Tiberio, 508, 518. sebasteion, 508. teatro di Tiberio, .508, .518, 936. tempio di Afrodite, .508, 518. terme di Adriano, 518, 942-44. Agde, 410,411: basilica di Sant'Andrea, 4 I 7. Agen, 904: martyrium di San Vincenzo, 276. Ager Uritanus, vedi Romagna. Agl.asun (Sagalassos), 380, 384, 519, 520, 523, '525: agorà, .524. basiliche, 524, '52'5· ninfea, 524. odeon, .524. templi: - di Antonino e Faustina, 524. - di Apollo, 523, 525. terme, 524.
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Luoghi e popoli
Agnuli sul Gargano, 245. Agri Decumates, 435, 436, 45I, 452, 454· Agrigento,292,294,297· Aguntum, 460. Alla, vedi Elat. Ain Labakha, 577· Ain Uif, 345· Aize-sur-Adour: sarcofago «di San Quinterio,., 4IO. Aiud, 9I3. Aix, 4I5. Akhisar (Tiatira), 5 I 3, 8 I 3. Akhmim (Panopolis), 592,952 e n, 954 n. Akko, vedi Acre. Alqehir (Filomelio), 506, 8oi, 803. Alabanda,505,506. Alalkomenai, 491. Alamanni, 202, 2I3, 22I, 429, 435, 45I, 452, 899,900,929,939· el-Alamein (Leucapsis), 594· Alani, I66,404,407,458,540. Alanya (Coracesium), 5I9, 523. Alba Fucens, vedi Celano. Alba Iuilia, 9I 3. Albania, 479· Albano, I8o. Albenga (Albigaunum), 225, 226, 7I I. Albenga, fiume, 30, 36, 234-36, 633 n, 634 n. Albintimilium, vedi Ventimiglia. Alcala de Henares (Complutum), 385, 403 n. Alcamo, 28I. Algae,233. Aleppo (Beroia), I 39, 548, 550-52, 555, 556. Aleria, 304, 305: anfiteatro, 306. capitolium, 306. casa del dolium, 3o6. Foro, 305, 306. sacello del culto imperiale, 305. terme, 307. Alesa, 287, 29I, 439· Alessandria d'Egitto, I4o, 327, 516, 573, 575, 579-85, 59I, 593,594,596,598, 6I3 n, 617 n, 634, 646, 657 n, 66I, 664 n, 667, 670, 706, 7I2, 72I, 78I, 782 n, 784, 822, 824, 825, 856,863.907,949-51,959.987, 990: chiesa di San Giovanni Battista, 580. quartieri: - Brucheion, 58o: biblioteca, 580. - Kom el-Dikka, 580-82, 592,593: case, 58I, 592, 593· «teatro .. , 581. terme, 58 I, 584.
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Serapeion, 580, 847: «colonna di Diocleziano .., 580. Alessandria di Troade, vedi Eski Stambul. Alfedena, 258,266. Algeri, 367. Algeria, I7, 36, 309, 6I5, 628 n, 639, 652 n, 674· Alicante, 635 n. Alicarnasso, vedi Bodrum. Allife, vedi Piedimonte d'Alife. Alpi, catena montuosa, 4o8, 45 I. Alpi Cozie, 224, 405. Alpi Marittime, 224, 405,409, 4I9. Alpi orientali, 202, 460. Alpi, provincia della diocesi Annonaria, 2o I, 217. Alsium, vedi Palo Laziale. Altava, 377, 378. Althiburos: capitolium, 3 I 2. Foro, 3I2. Amari, fiume, 503. Amasra, 533-35, 876, 885. Amastris (Sesamos), vedi Amasra. Amasya (Amaseia), 533, 536, 540. Amatunte di Cipro, 559· Ambiani, 433· Ambracia, vedi Arta. Ambracia, golfo di, 483. Amelia, I84. Amerina, via, 184, 238. Amida, vedi Diyarbakir. Amiens (Somarobriva), 43I-33: anfiteatro, 433· Foro tripartito, 433· Amisos, vedi Samsun. Amiterno, vedi San Vittorino. Ammaedara, vedi Haidra. Amman (Filadelfia di Arabia), 563, 565: agorà porticata, 565, 566. odeon, 565, 566. teatro, 565. tempio di Ercole, 566. 'Ammudin, 562. Ana, 569. Anamur, go. Anatolia, I73. 5I4 e n, 5I9, 520, 527, 528, 533, 537. 552, 553· Anawarza, 529, 530,936: arco di Macrino, 529. Anazarbo, vedi Anawarza. Anchialo, 486, 487. Ancona, I85 n, 186. Ancyra di Galazia, vedi Ankara. Anemurium, 528,529,531.
Luoghi e popoli Anfipoli, 48I, 482. Angli, 448. Angoulème, 423. Aniene, fiume, 846 n. Ankara (Ancyra di Galazia), 5I5, 533, 536·39, 542, Bn: ginnasio con complesso termale, 537. tempio dedicato a Roma e Augusto, 537· Annia, via, 208. Ansedonia, 30, I78, I8J, 232 e n, 234·36. Antakia (Antiochia), J, l i , IJ7·4I, I50, I5I, 5JO, 536, 542-44, 548, 55I-56, 560, 638, 650, 659, 66I, 665 e n, 666, 667, 708, 7I4, 764, 856 n, 932,937,945 e n, 946: basiliche, chiese: - civile di Rufino, I4I. - di Anatolio, I4I. - di San Lorenzo, I4I. - di Sant'Ignazio, I4I, 555· - ottagona dedicata a Cristo, I4I, 555· domus IJ9, I40: - «atriwnhouse•, I39· martyrion di san Babila, I 4 1. palazzo imperiale romano, I J9·4I, I 50, I 5 I, 545· quartiere suburbano di Dafne I40, 141, 937: - anfiteatro, I 40. - ninfei, I 40. - santuario oracolare di Apollo, vedi templi. - teatro, 140. - «Villa Constantinianu, 945· templi: - della Fortuna, I4I, 555· - di Apollo, I40. terme, 329, 556 n. Antalya (Attaleia), 520, 523, 536: porta monumentale marmorea dedicata ad Adriano, 523, 526. Antas: tempio del Sardus Pater, J00-1. Antifello, 52 7. Antinoe, 582 e n, 583, 666 n, 948, 95I n, 953 n, 954 n, 956, 958: basiliche, chiese: - della necropoli meridionale, 596, 958 n. - Sheikh Abadiye, 596. Antinoopolis, 579, 992. Antiochia di Pisidia, p o, 536. Antiochia sul Calicadno, 528, 529. Antiochia sull'Oronte, vedi Antakia. Antipyrgos, vedi Tobruk. Antonia Sebaste, vedi Bisanzio. Anzio, 180.
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Aosta (Augusta Praetoria Salassorum), 227, 87J. el-Aouja, 629 n. Apa Geremia, 549, 574· Apamea Celene, 511, 5IJ, 514 n, 520,678 n. Apamea di Bitinia, 506, 533· Apamea di Siria, vedi Qal'a1-el-Mudig. Apamene, 550, 556. Apani, 252. Aperle, 525. Apollonia di Cirenaica, vedi Marsa Susa. Apollonia di Macedonia, 480-82. Apollonopolis Magna, vedi Edfu. Appia, via, 61, 180, 189, I90, 253,918. Apri, vedi Inedzik. Apt, 409. Apulia, I88-9o, 229, 243, 247, 248, 250-53 e n, 547 n; vedi anche Puglia. Aquae Apollinares, 2JJ. Aquae Caeretanae, 230. Aquae Iasae, vedi Varai:dinske Toplice. Aquae Sulis, santuario-terme di, 450 n. Aquae T auri vicino Civitavecchia, I82, 230. Aquaviva, 238, 242. Aquileia, 56 n, 107,201-3,205, 89I, 9IO, 911: anfiteatro, 203. aule teodoriane, 203, 204. domus, 203. Foro, 203. mura, 203. porto fluviale, 203. terme, 203. zecca, 203. Aquincum, vedi Budapest. Aquitania, 406, 407, 4IO, 412, 4I9, 903, 904. Aquitania Prima, 405, 408, 409, 4I 1. Aquitania Seconda, 405, 408, 411. Ara Ubiorum, vedi Colonia. Arabi, 2I, 35, 265, 298, 5I9, 573, 6o9, 67o, 675, 677,679 e n, 68o. Arabia, 407, 560,664 n, 667. Arabia provincia romana, 563-68. Arabia Saudita, 563. Arado,543,546,553· Arèar (Ratiaria), 457, 489, 490. Archelaide (Garsauira), 538, 539, 542. Arezzo, I84, 2IJ. Argentorate, vedi Strasburgo. Argo, 499, 500, 638 n, 644 e n, 646, 650, 658, 659 n, 663, 665. Argolide meridionale, 491. Ariana, 3 2 1. Ariassos, 52 3. Ariminum, vedi Rimini.
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Luoghi e popoli
Arles, 393, 406, 407, 409, 410, 420-22, 426, 642 n, 748, 749, 903~ basiliche, chiese: - Constantia, 415. - degli Alyscamps, 4 I 6. cimitero degli Alyscamps, 406, 416, 913. Foro, 414. teatro, 414. Arlon (Orolaunum), 432, 900. Armenia, 133, 533, 539, 540, 552,568, 569. Armenia Minore, 536, 539, 540. Arnee, 525. Arno, fiume, 199, 251. Arrabona, vedi Gyor. Arras, 432, 448. Arris, 361. Arroux, fiume, 440. Arta (Ambracia), 484. Ascalon, 562. Ascoli, 185. Asia, 87, 131, 140, 144, 655 n. Asia, provincia romana, 505-19, 521, 560, 8o2, 1036, 1039· Asia Minore, 90, 152, 173, 271,344,451,487, 494,501-3,529, 531, 537,538,546,622 n, 635 n, 639, 646 e n, 655 n, 657, 658, 661, 67o, 672 e n, 678 e n, 68o, 801, 853, 856, 887.919,932,934.936. Asopo, 498. Aspalatos, vedi Spalato. Aspalatum Iovensis, vedi Spalato. Aspendo, 522: agorà, 523. basilica, 52 3. ninfea, 523. stadio, 522. teatro, 522. Assiria, 407, 569. Assisi, 185. Assuan (Siene), 579, 658 n, 666, 954 n. Astorga (Asturica Augusta), 381. Asturie, 394· Atargatis, 55 I. Atene,34,47, 143.492·98,5o2,507,638,639. 655 n, 663,665, 666, 725, 784, 85o, 855: Acropoli, 492-94, 496, 497: - odeon di Erode attico, 493· - Partenone, 494· - porta Beulé, 493· - Propilei, 868. - stoà di Eumene, 493· - teatro di Dioniso, 493, 494· agorai, 492, 495: - ellenica, 493, 494: biblioteca di Pantainos, 492-94, 497.
odeon di Agrippa, 492, 493, 495, 496. stoà di Attalo, 493, 494, 496. - romana, 494: biblioteca di Adriano, 494, 496. Areopago,494,496. Dipylon, 494, 495· monumento di Filopappo, 492. muro di Valeriano, 493, 494· Olimpeion, 492. tempio di Ares, 492. Ateniesi, 790 n. Athamania, 484. Athribis, 584. Atina, 268. Atlante, catena montuosa, 309, 367, 368, 641 n. Atri, 178, 186. Attaleia, vedi Antalya. Attica, 493, 672. Atuatuca Tungrorum, vedi Tongres. Augsburg (Augusta Vindelicorum), 459, 910. Augusta Praetoria Salassorum, vedi Aosta. Augusta Taurinorum, vedi Torino. Augusta Traiana, vedi Stara-Zagora. Augusta Treverorum, vedi Treviri. Augusta Vindelicorum, vedi Augsburg. Augustodunum, vedi Autun. Aurelia, via, 183, 225, 233, 234. Aurelia Antoniana, vedi Gerash. Aurès, catena montuosa, 352, 353, 358, 359, 361, 362, 368, 377· Austria, 459, 798. Austuriani, 34 7. Autun (Augustodunum), 439-41: domus, 441: - dell'astuccio d'oro, 441. - di Balbius Iassus, 441. porte: - d' Arroux, 440. - di Saint-André, 440. Auvergne, 418. Auzia, 369. Avanos (Vanasa), 541,542. Avari, 173, 174, 472, 490, 495· Avaticum, 417, 418. Avedda: septizodium, 317. Axios, fiume, 481,483. Aydin (Tralles), 506-8, 51 I, 513. Azio, 207, 484, 989. Azraq, 567. Baalbek (Heliopolis), 543, 546: templi: «di Bacco», 547· - «di Venere», 547· - di Zeus Heliopolitano, 546, 547,565.
Luoghi e popoli Babilonia, 3 27. Baccano, 24I: chiesa martiriale di Sant'Alessandro, 24I. villa dei Severi, 240, 24I, 920. Bad Deutsch Altenburg, 460. Baebiana, 233. Bagacum, vedi Bavay. Bagrada, fiume, vedi Medjerda. Baia, 73· Balcani, I7J, 485, 490. Baleari, isole, 379,383, 393, 394,400,422,651. Balhisar (Pessinunte), 536-38: tempio di Magna Mater, 537· Baltico, Mar, 464. Bano!tor (Bononia), 455, 465. Baquati, 370 n. Barada, fiume, 550. Barcellona, 399-403. Barcino, vedi Barcellona. Bard, 227. Bardulos, 246. Bargala, 481. Basilicata, 27 I, 638 n. Batanis di Osroene, 570. Bath, 450; vedi anche Aquae Sulis. Bavari, 353, 370 n. Bavay (Bagacum), 43 I·J4, 439: cinta muraria, 4 34. Foro, 433· Baviera, I99, 45 I. Biiwit, 948: convento di Apa Apollo, 950. Beaucaire, 408, 4I9, 642 n. Behenario, 381. Behnasa (Ossirinco), 579, 582, 583, 586, 59 I, 592, 596, 666 n, 948, 949, 952, 953, 990, I003. Bei el-Chebir, fiume, 339· Beirut (Berytus), 543, 546, 979, 980: agorà, 546. basilica, 546. Foro, 546. templi: - di Astarte, 546. - di Liber Pater, 546. - di Poseidone, 546. Belalis Maior: capitolium, 3 I 3. Foro, 324, 325· Belgio, 432, 438, 900. Belgrado (Singidunum), 455· Beneventani, 26.5. Benevento, I82 e n, I98, 268, 277, 669: arco di T raiano, 9I6. Beozia, 49I, 663 n.
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Beqaa, valle della, 546. Berenice di Cirenaica, vedi Sidi Khrebish. Bergamo, 2I, 2I9, 220: basiliche, chiese: - di Santa Maria, 2I9. - di San Vincenzo, 2I9. Foro, 2I9. mura, 220. Beroea, vedi Veria. Beroia, vedi Aleppo. Berytus, vedi Beirut. Betica, vedi Spagna Betica. Betlemme, 562, 563, 726. Beth Sh'ean (Scitopoli), 563, 664 n. Betthorus, vedi el-Lejjiìn. Bevagna, I85. Béziers, 408, 409, 420. Bibracte, 440. Biferno, fiume, 259, 271. Bijan, 570. Bir Chana, 3I8. Bir Sgaoum, 358. B~wruci0,94, I27, I35o I44o I45o I47,48I,485, 486, 535, 825, 843, 935; vedi anche Costantinopoli. Bitalemi, 288. Bitia, 302. Bitinia, 490, 5I2, 5I5, 5I9, 533, 538, 7I3 n, 929, 932· Bitinia-Ponto, provincia romana, 533·35· Bizacen&,309.3I9,320,624,625-29,636,649. 65I, 672 n. Blanzy-les-Fismes: mosaico di Orfeo, 91. Blemi, 573· Blera, 232. Bodrum (Alicarnasso), 506, 5 I 2, 66o n, 668. Boeo, Capo, 292, 297. Boiano, I87. Boljetin, 457· Bologna (Bononia), 208, 209 n, 2I5, 22I, 222: basilica, 2 22. capitolium, 22 2. Foro, 222. Bolsena, 178, I84: basilica, I84, I94·
domus: - «ad atrio~>, I84. - «dei dipinti~>, I84. - di Laberio Gallo, I 84. Foro, I84. tabemae, I84. Bomarzo, 238. Bomite, 544· Bon, Capo, 309.
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Luoghi e popoli
Bona (lppona), 3II, 3I8, 3I9, 35I, 352,363, 727: aedicu/a marmorea, 3 I 3. basilica, 3 23. Foro, 3II. horrea, 3 I 1. teatro, 3 I 1. terme, 3 I4 n, 3 I 7· Bonn, 906. Bononia, città della Gallia Belgica, vedi Boulogne-sur-Mer. Bononia, città della Gallia Cisalpina, vedi Bologna. Bononia, città della Pannonia, vedi Banohor. Bordeaux (Burdigala), 113, 38I, 406, 408, 409, 411, 4I3·I5, 4I7, 423, 445, 7IO, 729, 736, 748,749,835,86o,9o4. Borechath Sabaon, 548. Boreum, vedi Bu Grada. Bosforo, Stretto del, I45· I48, I6I, 164, 172, 533, 553, 659 n, 935·37· Bosman, 457· Bostra, 563, 564. Boulogne-sur-Mer (Bononia), 430, 432, 434, 435. 444. 445· Bourges, 411, 4I5, 904. Bourget, lago, 42 I. Bracara Augusta, vedi Braga. Braga, 400. Bregenz (Brigantium), 454, 459· Brenta, fiume, 207. Brescello, 128. Brescia (Brixia), 30, 217: basiliche, 2 I 9. battistero, 2 I9. capito/ium, 218. Foro, 2I8, 2I9. mura, 218. teatro, 2I9. terme, 2I9. Bretagna, 7 I I . Brigantium, vedi Bregenz. Brigetio, vedi Szony. Brindisi (Brundusium), I88, 248 n, 484. Britanni, 37, 384, 45I, 736. Britannia, Britannie, 2I, 36, 37, 87, 270, 434, 443-50, 869 n, 899, 906, 907. Brixia, vedi Brescia. Bruckneudorf, 462. Brundusium, vedi Brindisi. Bruzii, Bruzio, I9I, I98, 250,646-48,921. Bubastis, 584. Bubone, città della Licia, 525. Buda, vedi Obuda.
Budapest (Aquincum), 455, 462, 9I I, 912, 942 n:
anfiteatri, 463, 464. Foro, 464. mura, 462. palazzo del governatore, 462, 463. valetudinarium, 463. «villa di Ercole», 463. Bu Grada (Boreum): mura, 6o9. Bulgari, 167, 485. Bulgaria, 485, 488, 489, 960. Bulla Regia, 34, 322: Foro, 3I9. case, 318: - della Caccia,J I 8. terme di Memmia, 3 I 7. Bu-Ngem, fortezza, 345· Burdigala, vedi Bordeaux. Burgas, 486, 488. Burgundi, 409. Burdur, 380. Bursa (Prusa), 7I3: terme, 534· Butera, 297. Buthrotum, vedi Vatzindro. Biiyiik Menderes (Meandro), fiume, 514 n, 516, 646,663 n. Buzenol, 900. Byblos, vedi Jebeil. Byllis, 480. Byzacena, vedi Bizacena. Cabilia, 351, 376, I69, 374· Cabras: chiesa di San Salvatore, 30I, 302. ipogeo di San Salvatore, 301. Cabyra: palazzo di Mitridate, 846. Caddeddi, 288, 295. Cadice, 207, 2I6, 402. C aere, vedi Cerveteri. Caesaraugusta, vedi Saragozza. Cafarnao, vedi Kafar Nahum. Cagliari: anfiteatro, 302, 303. Calabria, I88, I9I, 243, 248, 252, 253, 646 e n, 647 n, 676 n. Calama: tempio di Apollo, 3I9. terme, 325· Calcata, 238. Calcedonia, vedi Kadikoy. Calcide, 500. Caledoni, 443·
Luoghi e popoli Caledonia, 736. Calicadno, fiume, vedi Géiksu. Calindo, 5I9. Callecia, provincia romana, 385 n, 388 n, 392, 400. Calvisiana, 282-84, 286. Cambodunum, vedi Kempten. Camonica, valle, 889. Camunni, 889. Campania, 26, I8o-82, I87, I88, I93, 247, 253 n, 258, 259, 262, 263, 4I2, 62I, 622,647 n, 65I n. Camulodunum, vedi Colchester. Canatha, vedi Qanavat. çandarli (Pitane), 5I3. Canicattini, 297. çankiri (Germanicopolis), 528. Cannabiata, vedi Klosterneuburg. Canosa, I89 e n, 243, 244, 246, 248, 250. Canterbury, 30 n. Caparcotna, 561. Capitolias, 563. Capitoniana, 282. Capo d'Orlando, 288. Cappadocia, 530, 533, 536, 538-42, 552, 553, 764. Capri, villa di Tiberio, 73. Capsa, 3I9, 324. Capua, I82: anfiteatro, 2 I I. Carace (Charax), 549· Carcassonne, 4I4. Careiae, 233. Carema, 227. Caria, 505, 5I2, 5I5, 944· Caristo, 672. Carnuntum, vedi Petronell. Carrara, 7I 1. Carrhae, vedi Haran. Carsule, I78, I85. Cartagena (Carthago Nova), 400, 402. Cartagine, 2I, 34, 287,297, 3IO, 3II, 3I9, 32I, 323, 327•37. 339. 355. 363, 37I, 6I5, 6I9, 624, 626, 628 n, 630 e n, 63I n, 633-44, 646-56, 659, 66I n, 666 e n, 668, 672-77, 68o,727,753,8I8,837: anfiteatro, 3 I4, 329· basiliche: - di Byrsa, 329, 33I, 333· - del Foro, .333· case: - aux Chevaux, 3I8. - degli Aurighi Greci, 332 n, 652 n. ckco,3I4,329,333· cittadella di Byrsa, 329, .333·
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Foro, 329. odeon, 329. porto, 329, 333· teatro, 3 I4, 329. Terme Antonine, JI4 n, 329 e n. Cartaginesi, 339· Carthago lustiniana, vedi Cartagine. Carthago Nova, vedi Cartagena. Case Adotta, 286. Caserta, 9I9. Cassia, via, I84, 238. Cassino, I8I, I97· Castel Campanile, 233. Castellito, 288. Castellu, 307, 655 n. Castellum Tidditanorum, vedi Tiddis. Castelvecchio di Montaquila, 263. Castelvolturno (Volturnum), I 81. Castione, fiume, 235. Castra Herculis, fonezza nella Pannonia Valeria, 455· Castra Regina, vedi Regensburg. Castroreale San Biagio, 286. Castrum Novum, vedi Santa Marinella. Castrum Truentinum, vedi Porto d'Ascoli. Castulo, 398. · Catalogna, 65 I, 656 n. Catania, 290, 292, 293, 295-97. Caucaso, catena montuosa, 540. Cauno, 5I9, 527. Cefalonia, isola, 484. Cefalu, 676. Celano (Alba Fucens), I78, I87. Celeia, 460. Celesiria, vedi Syria Coele. Cemenelum, vedi Cimiez. Cenomani, 218, 2I9. Centcelles: mausoleo di Costanzo l, 89, 925. Centumcellae, vedi Civitavecchia. Centuripe, 29I, 292. Ceri, 233. Cerro al Volturno, 257. Cerveteri (Caere), 230, 240. Cesarea di Cappadocia, vedi Kayseri. Cesarea di Mauretania, vedi Cherchel. Cesarea di Palestina, 560, 56 I, 563, 656-59, 664 n, 666 e n, IOOI. Cesarea di Skia, 544· Cesena, 2I5. Cestrus, 528, 531. Cevenne,4I7,423. Cezava (Novae), 457· Chahba, vedi Shubah. Cha.Ions-sur-Marne, 429. Champagne, 433·
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Luoghi e popoli
Charadros, 52S. Charax, vedi Carace. Chatalka, 4SS-9o. Chelif, fiume, 367, 36S. Chemtou (Simitthus), 363-66. Cherchel (Cesarea di Mauretania), 36S, 369, 371, 372 e n, 37S, 62S n, 633 n, 636. Cheronea, 491. Chio, isola, 505, 646, 663 n, 666. Chiusi, IS4. Chullo, vedi Collo. Cibira, 505,506, 51 I, 5I3, 525, 5Sr. Cibiratide, 525. Cidadi, isole, 491. Cidonia, 501. Cilida, I40, 5I9, 527-30, 536, 537, 542, 544, 552, 556, 55S, 639, 646, 650, 655 n, 657, 66I e n, 665-67,936 n. Cilida Pedias, 5I9, 527-30. Clida Trachea, 5I9, 52S-3o, 536. Cillium, p I, 62S n, 630. Cimiez (Cemenelum), 4I5. Cina, 667 n. Cincari: septi:zonium, 3 I 7. tempio di Mercurio, 3 I 7. Cingoli, I S6. Cipro, isola, I40, 527, 52S, 543, 55S-6I, 639, 646, 650, 657, 65S n, 663 n, 665-67. Cirenaica, 50I, 56I, 603-9, 6I5, 66o, 66I e n, 673 n, 674 n, SS7. Cirene (Ciaudiopolis), 50I, 603-5, 6o7, 6oS: agorà,6o4,607,6oS. cenotafio di Batto I, 6o4.
domus: - delle Colonne, 6o5. - di Giasone Magno, 6o5. propileo di Settimio Severo, 605, 6o7. teatro, 6oS. templi: - di Apollo, 6o4, 6o5, 6oS. - di Zeus, 6oS. terme, 6oS. Cirpi, vedi Dunabogdany. Cirta, vedi Costantina. Città di Castello (Tifernum Tiberinum), I S4. Cittanova (Heradea), 30. Ciudad Real, 3S9. Cividale, 2o 2. Civita Castellana (Falerii), 237, 23S, 242. Civitanova, IS6. Civitavecchia (Centumcellae), IS2, I94. 230 e n: porto, IS2. Cizico, 506, 5I2, 5I3, 5I6, 551. Claterna, 2 I 5.
Claudiconium, vedi Konya. Claudiopoli, vedi Cirene. Claudiopoli di Bitinia, 5 33. Claudiopoli di Cilida (o di Isauria), 52S, 536. Clodia, via, IS3, 233, 23S, 241. Cluana, IS6, I97· Cluentensis Vicus, vedi Civitanova. Clysma, vedi Suez. Cnido, 505: tempio corinzio, 5 I 2. Cnosso, 50I-3, 624: villa di Dioniso, 50 I. Coblenza, 45I, 900. Colbasa, 520. Colchester (Camulodunum), 449· Colle Castellano, 266. Colli al Volturno, 257 n, 266, 26S: cimitero, 263. Collo (Chullo), 351. Colonia (Ara Ubiorum, Oppidum Ubiorum), 432,435-39.902,905,906: capitolium, 437· Foro, 437, 43S. Praetorium, 43S. Principia, 43S. «Réimerturm», 43S. teatro, 4 3 7. Colonia Aelia Hadriana Augusta, vedi Konya. Colonia Aroe Augusta Patrensis, vedi Patrasso. Colonia Claudia Ara Agrippinensium, vedi Colonia. Colonia Claudia Savaria, vedi Szembathely. Colonia Helvia Augusta Lilybitanorum, vedi Marsala. Colonia Iulia Augusta Numidica Simitthus, vedi Chemtou. Colonia Iulia Carthago, vedi Cartagine. Colonia Laus Iulia Corinthus, vedi Corinto. Coma, 527. Comana di Cappadocia, 536, 539-42: santuario di Artemide Tauropolos, 542. Comiciana, 2S2. Comiso, 297. Commagene, 539, 545, 547, 54S. Como, I06, I23. Complutum, vedi Alcala de Henares. Concordia, 202, 205, 206, 379: basiliche, 205, 206. Foro, 205. teatro, 205. terme, 205. Condat, 904. Condeixa-Velha, 403 n. Conimbriga, vedi Condeixa-Velha.
Luoghi e popoli Constantia, vedi Costanza. Contraaquincum, vedi Pest. Coo, isola, 87,505, 5I2, 5I3. Copaide,lago, 491. Copia Thurii, I92. Copto, 577,582 n, 95I: tempio di Soter, 577,992. Coracesium, vedi Alanya. Cordova, 398-400, 402, 86o n, 908. Corfu, isola, 484: basilica dell'arcivescovo Gioviano, 484. terme, 484. Corico, 5I3, 529,53 I, 66r. Corinto, 34, 49I, 496-98,500,639,655 n: acquedotto del lago Stymphalos, 497· agorà, 497· basilica dei prigionieri, I 3 I. fontana di Peirene, 497. odeon, 497· porti: - del Lecheon, 497. - di Kenchreai, 498, 959· stoà dei Giganti, 497. teatro, 497, 498. templi, santuari: - di Ercole, 497· - di lsthmia, 497. - di Polemone, 497. - di Poseidone, 497· terme di Arapissa, 498. Cornus, 304. Corsica, 304·7, 65I, 655 n, I04o. Corte, 307. Cortona, 184. Corufia, La, 388. Corufia del Conde (Clunia), 403 n. Cosa, vedi Ansedonia. Costantina (Cirta), 34, 32I, 351,359,837. Costantinopoli, 3, 20, 2I, 34, 4I, 74, 94, I30, I33"35o I43•74o 327, 4I I, 423, 490, 535, 555, 573, 580, 6I4, 625 n, 635 e n, 636 e n, 638 e n, 645·48, 650, 654, 657·6I, 664, 667, 671,675,678,68o,7o8,725,762,796,822, 825, 862, 863, 929, 935,942 n, 944, 979-8I, I042: acquedotti, I 54, 155, I66, 174, 289: - di Teodosio, I 55· - di Traiano, I45· - di Valente, I 54· cisterne I 56, I74: - di Aspar, I66. - di Ezio, I66. - di Mocio, I66. - di Yerebatan, I62. - nell'Hebdomon (Fildami), I 56.
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basiliche, chiese, I66: - degli Apostoli, I52·54o I 59, I68, 171. - dei Chalkoprati, I6o. - dei Santi Pietro e Paolo, I 68, I 71. - dei Santi Sergio e Bacco, I55· I67, I7I. - del chiostro di Studio, I 6 I . - di Pharos, I 62. - di San Giovanni Battista nell'Hebdo· mon, I56. - di San Menas, I6o. - di San Mocio, I 52. - di San Polieucto, I67, I69, 656 n. - di Sant'Acacie, I 52. - di Sant'Agatonico, I 52. - di Santa Sofia, I 53· I 55· I 56, I6I, I62, I68-72. - di Sant'Eufemia, I63. - di Sant'Irene, I52, I55o I68, I7I, 172. - di Santo Stefano, I62. biblioteche, I62. Campidoglio, I54. I62. colonne, obelischi: - di Arcadio, I 58, 929 n, 943, 944· - di Costantino-Helios, I49. 935· di Elena Augusta, I 5 I. - di Giustiniano, I 5 I. - di Marciano, I 58. - di Teodosio, I 57• I 58, 929 n, 938, 940. Corno d'Oro (Chrysokeras), I44. 145, I47• I49o I53o I63, I64, I73· Fori: - Bovis, I 58. - di Arcadio, I 58, 943· - di Costantino, I47. I49, I66, 935· - di Teodosio (già Forum Tauri), I58, I68, 940·43· Hebdomon (Bakirkéiy), I 56, I6I. Ippodromo, I45o I47o I50-52, I55o I57o I58, I66. monasteri, I6I, I66: - dei martiri Karpos e Papylos, I 6 I . - di Studio, I 55· I6I, I64. Myrelaion, I64. mura I45o I65: - di Costantino, I 56, I 57. - di Eraclio, I 67, I 73. - di Teodosio, I 56, I 57· ospedale di Sampson, I68, I72. palazzi, I63, I64, I72: - Chrysotriklinos (di Giustino Il), I 7 I, 172. - di Antioco, I62, I63. - di Bucoleone, I 55. I63.
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Luoghi e popoli
- di Costantino, I~o. I.'F, I~~: Augusteo, I 5 I. Chalké, I27, I~I, I7I. Consistorium, I::; I. Dafne, I~I, 171. Kathisma, I~ I. Magnaura, I::; I. Onopodion, I 5 I . tribunale (Delphax), I ::; I . Triclinio dei I9 Akkubita, I!5I. - di Giustiniano, I7 2. - di Lauso, I5~. I62, I63. - di Leone I, I72. - di Marina, I63. - di Orrnisdas, I 68. - di Placidia, I63. - di Teodosio, I62. - nell'Hebdomon, I30, I72. Topkapi, I4~Philadelphion, I49. I 58, I64, 932. porte, I:57: - Aurea, 125, I57• I64. - Charsios (Edirnekapi), I 49· - di Rhesion, I 57· porti I4~. I :53: - di Giuliano (portus novus o della Sofia, o Kontoskalion), I :53 e n, I :54:
horrea Alexandrina, I 54· statue della famiglia imperiale, I 54· - Eleuterio o di Teodosio, I 54: horrea Theodosiana, I :54· - Neorio, I~3. I54· - Prosforiano, I53, I:54· quartieri I6~: - Argyroprateia, I64. - Chalkoprateia, I64. - Krithopoleia, I64. - Oxybapheion, I64. - Saraçane, 6~6 n, 6::;9, 662 n, 664 n, 666, 67I e n. Senato, I::;o, I!5I. templi e santuari: - di Afrodite, I4:5. I 59· - di Apollo, I45· - di Artemide, I4:5· - di Posidone, I :59· - di Rhea, I :52. - di Thyche, I 52. terme, I45. I~:;. I6::;: - di Bayazit II, 941. - di Costantino, I~3. I 54· - di Zeuxippo, I45· I47• I::;5, I74· Tzykanisterion, I 63. vie, strade: - Mesé, I49. I::;8, I64. Vedi anche Bisanzio.
Costanza (Constantia), 4~~ Costanza,lago di, 4:54· Costobici, 487. Crau, 4I9. Cremna di Pisidia, 520,523, ~30, ~36. Cremona, 2I7, 2I8. Creta, isola, 49I, ::;oi·J, 6I::;, 6::;8-6I, 667, 944· Crisopoli, 934· Croazia, 468. Crotone, I92, I94· Ctesifonte, ::;69, 9I6, 9I7. Cuicul, vedi Djernila. Cuma, I8I. Curi, I87: chiesa extraurbana di Sant'An timo, I 87. Cusae, vedi el-Siririya. Cusumano, 288. Da'ajaniya, 567. Daci,9I2. Dacia, 45I, 456,468,486,489,909, 9I3. Dacia Mediterranea, 489. Dacia Ripense, 456,4:57, 469,489. Dahr, catena montuosa, 367. Dakleh, oasi di, 6o2, 956. Dalj (Teutoburgium), 4~5Dalmazia, 47I-76, 726, 909; vedi anche Illirico. Damanhur, 594· Damasco, 549, 550, 553, ~63, 67o: chiesa di San Giovanni Battista, 55::;. santuario di Zeus Damasceno, 555· Danubio, fiume, 4I, 173, I99. 202, 429, 435, 45I·75, 485-87,489,675, 909-I3. Dardanelli, stretto dei, 131, 50~, 515. Dardania, 490. Darent, fiume, 449· Darnis, vedi Derna. Daunia, 189, 243-47, 250. Dax, 4I3, 4I4. Dea Augusta, vedi Die. Déhès, 655 n. ed-Deir, 575· Deir Amba Sinuda (Shenuda): «convento Bianco», 598. Deirel-Kahf, 567. Deir el-Lében, 548: santuario di Helios Aumos, 548. Deir el-Mawas, 9~3 n. Delfi, 491. Demetrias, 638 n, 645, 655 n. Derna (Darnis), 6o6. Desenzano, 73· Deultum, 486. Deutz (Divitia), 436. Devèze, fiume, 414. Dexileos, 488.
Luoghi e popoli Diana Veteranorum, 352, 359, 360. Didime, 34, 5IO, 665 n: tempio di Apollo, 5IO. Die (Dea Augusta), 4I4. Dieburg, 905. Dimé, 588. Diocesarea, 528, 529; vedi anche Olba. Dion, 480,482. Dionisiade, vedi Qasr Qarum. Diospolis, vedi Tebe d'Egitto. Diospòlis Parva, vedi Hiw. Dire\fli, 531. Divitia, vedi Deutz. Diyarbakir (Amida), 570. el-Djem, vedi el-Giam. Djemila (Cuicul), 35I, 353, 355,356, 36I, 362, 37I: basiliche, 355 . case, 355, 357: - «dell'Asino», 353, 357· - d'«Europu, 357· - di