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Italian Pages [94] Year 1940
PANORAMI DI VITA FASCISTA Collana edita sotto g li auspici del P. N. F.
STATO E CHIESA N ELLA DOTTRINA E NELLE LEGGI FASCISTE
ARRIGO SOLMI
STATO E CHIESA NELLA DOTTRINA E NELLE LEGGI FASCISTE ★
A.
MONDADORI
• MILANO
A N N O XVIII
[ A nche nella questione dei rapporti fra lo Stato e
J \ la Chiesa, il Fascismo ha portato la sua visio ne realistica e la sua azione coraggiosa e feconda; e da ciò è nata una soluzione nuova. Si deve anzitutto tener presente che, fin dagli inizi del Risorgimento italiano, tale problema ave va cercato una soluzione che fosse consentanea al l’indole fondamentalmente religiosa e cattolica del la nazione, e che fosse pertanto rispettosa della re ligione dominante, senza rinuncia ai diritti dello Stato. Lo Statuto fondamentale del Regno, pro mulgato dal re Carlo Alberto, il 4 marzo 1848, nel momento epico della rivoluzione nazionale, aveva affermato il principio del rispetto assoluto e della prevalenza della religione dominante, con la nota formula dell’art. 1 : « La religione catto lica, apostolica e romana è la sola religione dello Stato. Gli altri culti ora esistenti sono tollerati con formemente alle leggi ». Senonchè il compimento dell’ unità nazionale, con l’acquisto necessario della capitale, Roma, tra volgendo il potere temporale dei papi, doveva por tare ad un dissidio, sorto nel 1870 e durato circa mezzo secolo, per cui i rapporti tra lo Stato e
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la Chiesa subirono un profondo turbamento, che accentuò e rinfocolò le lotte dei partiti e il contra sto delle coscienze. La legge delle guarentigie, pro mulgata il 13 marzo 1871, garantendo le prero gative del Sommo Pontefice e della Santa Sede e regolando, con taluni principi fondamentali, le re lazioni tra lo Stato e la Chiesa, si sforzò di adot tare un sistema, che si disse di separazione, il quale voleva essere insieme rispettoso della coscienza re ligiosa e geloso dei diritti dello Stato; ma non potè impedire che si approfondisse sempre piu quel dis sidio tra lo Stato e la Chiesa, che si era acuito nel 1870, e che era causa non ultima di una certa de bolezza dello Stato, sia nei rapporti interni sia nei rapporti internazionali. Lo Stato, che pur aveva nello Statuto fondamentale un principio di confessione religiosa, si era sforzato di cancellare ogni senso di tale con fessione, avocando a sé la disciplina del matrimo nio, emanando le leggi eversive dell asse ecclesia stico, sopprimendo l ’istruzione religiosa nelle scuo le secondarie, laicizzando la beneficenza e via via. E da ciò, come da direttive necessarie dello Stato, per la sua indipendenza civile, erano sorti taluni partiti, che si dicevano anticlericali, i quali aveva no per programma la lotta contro ogni manifesta zione religiosa, lotta che limitava la libera profes sione della fede religiosa, profondamente radicata nell’anima popolare; creava un ingiusto danno alla Chiesa, gelosa delle sue antiche prerogative, falsa lo
va l’indole della vita nazionale, che voleva restare ossequente alla fede tradizionale dei padri, senza rinuncia ai sentimenti di amore e di attaccamento per la patria. D ’altra parte, il dissidio tra lo Stato e la Chiesa indeboliva anche l’autorità e la consistenza dello Stato nei rapporti internazionali, poiché presso le nazioni straniere vi era sempre la speranza - spe ranza che fu talvolta espressa anche in trattati se greti - che tale dissidio rompesse l’unità nazionale, determinasse un’alleanza non priva di valore tra i nemici dell’Italia e la Chiesa e facesse nascere cosi una ragione di attrito e di rovina per lo Stato italiano. È noto che, fin dall’inizio del dissidio, col non expedit, promulgato dal pontefice Pio IX (1874), fu proibito dal Papato ai cattolici italiani di parte cipare alle elezioni politiche; proibizione non sem pre rigidamente osservata, ma che fu generatrice di confusione nella vita politica italiana sia per il fatale indebolimento delle forze conservatrici, sia per il contrasto che determinava nella coscienza dei cattolici tra il dovere verso lo Stato e quello verso la religione. La proibizione, rigidamente mantenuta durante il pontificato di Leone XIII, si andò attenuando nel nuovo clima creato ai tempi del nuovo pontefice Pio X, finche fu da quest ulti mo sostanzialmente abolito, con la lettera dell 11 giugno 1905) con cui il Pontefice, senza abrogare l’antico atto, ammetteva tuttavia per i cattolici la 11
partecipazione alle urne anche a favore di depu tati cattolici. Si formò pertanto una nuova tendenza, che con dusse alla creazione di un partito cattolico, il quale portò il suo peso non sempre favorevole nella lotta acerba dei molti partiti politici italiani. Se le esi genze della guerra mondiale, a cui l ’Italia parte cipò volontariamente fin dal maggio 1915, deter minarono qualche nuova attenuazione del dissidio, il dopoguerra trovò invece più aspre le contese, poiché, essendo ormai stato abolito anche formal mente il non expedit (1919), si formò un partito cattolico, che si disse «popolare», il quale si valse della religione più che altro come d’una insegna, e si costituì, con una disciplina rigorosa, incitando i propri adepti verso la conquista dei poteri poli tici e favorendo quell’atmosfera faziosa, che co loriva ormai la vita politica italiana nel grigio e triste periodo del dopoguerra. Cosi l ’attenuazione del dissidio fra lo Stato e la Chiesa, che si era determinato ai tempi del pon tefice Pio X, invece di recare beneficio, portava nuove ragioni di contrasto e di lotta, e contribuiva ad aumentare la confusione dei partiti politici, con fusione che, nell’immediato dopoguerra, culminò nella creazione di un bolscevismo italiano, per cui i partiti estremi, e principalmente il partito socia lista, si fecero promotori di movimenti faziosi e di ribellioni armate, che portarono una nuova se rie di danni alla vita politica della nazione. 12
II a fondazione dei Fasci di combattimento, il 23 j marzo 1919, coi suoi propositi precisi di bat taglia per la difesa degli ideali nazionali e degli interessi dei combattenti e del popolo, segno una netta e decisa opposizione alle violenze dei partiti estremi e determinò la creazione di un ordine nuovo, che aveva come fine la riorganizzazione della nazione su basi popolari e gerarchiche per la difesa della civiltà minacciata. Su queste basi d’ordine e di gerarchia, i proble mi dei rapporti tra lo Stato e la Chiesa dovevano trovare una visione nuova. La Chiesa, elemento vivo di civiltà, doveva essere tenuta in considera zione, con vantaggio dei fini dello Stato, mediante il riconoscimento di giuste concessioni. Nel primo discorso parlamentare pronunciato da Benito Mus solini alla Camera dei deputati, il 21 giugno 1921, il problema storico dei rapporti tra lo Stato e la Chiesa in Italia veniva collocato su basi nuove : la Chiesa cattolica veniva considerata come un ordi namento gerarchico di alto valore ideale e pratico e come una forza civile di carattere imperiale, che portava onore e vantaggio ad un fine ideale e pra tico d’italianità. Quando, nell’ottobre del 1922, con la marcia su
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Roma, il Fascismo giunse al potere, compiendo la sua grande rivoluzione redentrice, si videro subito i segni della nuova concezione politica. Una ordi nanza governativa imponeva la restituzione del crocefisso nelle scuole, e il decreto legge sulla ge renza e sulla vigilanza dei giornali, 15 luglio 1923, n. 3288, ritornando al principio dello Statuto, ri dava tutta la sua importanza alla religione catto lica come religione dello Stato e disponeva che il prefetto della provincia avesse facoltà di diffidare il gerente di un giornale o di una pubblicazione periodica, se vilipendesse il Sommo Pontefice e la religione dello Stato. Seguirono altre dichiarazioni ed altre disposizio ni, che chiarirono il nuovo indirizzo dello Stato fascista, favorevole allo sviluppo di un sano senti mento religioso, promosso e difeso da una elevata e potente organizzazione ecclesiastica, e avverso in vece agli intrighi di un partito popolare che vo lesse profittare della religione per fini politici. D ’altra parte, l’atteggiamento dei pontefici, du rante e dopo la guerra, rivelava le nuove disposi zioni della Chiesa verso lo Stato italiano: la be nedizione al popolo dalla Loggia esterna della Ba silica vaticana, compiuta dal pontefice Pio XI nel l’atto della sua elezione, il 6 febbraio del 1922, era indizio di queste nuove disposizioni, le quali tro varono altre e notevoli manifestazioni, dopoché il Fascismo recò precisi i segni di una adeguata va lutazione del fattore religioso per la vita del po polo italiano.
Ili gennaio del 1925, che fu l’anno giubilare, si formò presso il Ministero della Giustizia una Commissione per la riforma della legislazione ecclesiastica, presieduta dal sottosegretario di Stato Mattei Gentili e composta di tre eminenti prelati da un lato, e di alti funzionari e uomini politici dall’altro (1), la quale si propose di avviare una riforma della legislazione ecclesiastica, che inter pretasse fedelmente il mutato spirito col quale si guardava ormai il problema dei rapporti fra lo Stato e la Chiesa, con pieno rispetto ai diritti dello Stato e alla libertà spirituale della Chiesa. La Com missione, che fu insediata dal ministro Rocco nel
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(1) I tre eminenti prelati, che ufficiosamente si dissero an che autorizzati, furono: mons. prof. Salvatore Talamo, mons. Federico Cattani Amadori, mons. Giuseppe Bruno. Per l’altro lato, oltre il sottosegretario dott. Mattei Gentili, presidente, fu rono nominati : prof. Carlo Calisse, presidente di Sezione del Consiglio di Stato, senatore del Regno; S. E. Livio lempestini, presidente di Sezione della Corte di Cassazione; avv. Alberto Susca, consigliere di Cassazione con funzioni di Direttore ge nerale degli Affari di culto; dott. Amedeo Giannini, consi gliere di Stato; dott. Ferdinando Rocco, consigliere di Stato; avv. Arrigo Solmi, professore nell’Università di Pavia, depu tato al Parlamento; avv. Francesco Ercole, professore nell’Uni versità di Palermo.
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febbraio del 1925, presentò le sue proposte nei pri mi giorni del 1926, con un vasto disegno di legge, che provvedeva ad una riforma delle proprietà ec clesiastiche, dava riconoscimento alle case e agli istituti degli ordini religiosi, riordinava il sistema delle fabbricerie e delle confraternite, dava un nuo vo assetto al Fondo per il culto e all’amministra zione dei benefici vacanti. Nelle proposte era com preso anche un disegno di legge per l ’istituzione di una cassa di previdenza per il clero, nel quale, oltre alle congrue parrocchiali, si prevedevano altri mezzi per il migliore sostentamento del clero. Il nuovo spirito era evidente; ma la « questione romana » restava ancora come un impedimento per una intesa definitiva e sincera. Il 22 febbraio 1926, il pontefice Pio XI, con una lettera indiriz zata al suo Segretario di Stato, Cardinale Gasparri, dichiarava che anche il proposito della riforma della legislazione ecclesiastica non poteva portare ad utili risultati, « finché duri la iniqua condizio ne fatta alla Santa Sede e al Romano Pontefice ». Era ormai chiaro che ogni idea di riforma do veva essere preceduta da una intesa sostanziale sul punto della « questione romana » tra i dirigenti dello Stato italiano e il Vaticano. Ma estremamen te arduo era raggiungere questa intesa, poiché ad essa troppe forze avverse e troppi pregiudizi inve terati si opponevano, dopo un mezzo secolo di con trasti. Se mai fosse stato possibile un tentativo, occorreva che esso fosse fatto nello spirito di mag16
giore serenità, e perciò nel più assoluto segreto. E questa fu, infatti, la via che fu scelta dall’uno e dall’altro lato. Il 5 agosto 1926, come doveva poi narrare il Duce, un alto prelato, in una conver sazione amichevole, dichiarava al prof. Domenico Barone, consigliere di Stato e persona a contatto col Duce, che vi era la possibilità di un inizio di trattative per questo fine, e indicava, quasi come fiduciario, l’avvocato Francesco Pacelli, eletto e stimato professionista romano, che godeva tutta la fiducia degli ambienti del Vaticano e tutta la maggiore considerazione negli altri ambienti del la Capitale. Il prof. Barone colse subito l’occasio ne che gli fu offerta; e, in una serie di colloqui con l’avv. Pacelli, ebbe precisa indicazione dei principali capisaldi considerati dal Vaticano come essenziali per la soluzione della «questione ro mana ». Dopo un diligente esame di questi elementi, il Duce non esitò a venire a trattative dirette; e già il 4 ottobre 1926 il consigliere Barone era in gra do di presentarsi con un autografo, nel quale era incaricato di chiedere ufficialmente alla Santa Se de le condizioni per una decisa trattativa. E già il 6 ottobre il cardinale Segretario di Stato, Pietro Gasparri, scriveva all’avv. Pacelli, indicando som mariamente queste condizioni e incaricandolo uf ficialmente delle trattative. Queste furono condot te con grande sollecitudine e con assoluta segre tezza nei mesi seguenti, e già il io dicembre 1926 17 2.
il re Vittorio Emanuele III le autorizzava, sempre segretamente ma ufficialmente. Mentre l’Italia, da parte sua, richiedeva, come pregiudiziale assoluta, che da parte della Santa Sede si addivenisse ad una rinuncia piena ed intera di ogni rivendicazione temporale nei confronti del Regno d’Italia, dal l’altra parte si domandava che l’iniziativa ufficiale dovesse essere dello Stato italiano, che quest ulti mo dovesse prescindere assolutamente dalla legge delle guarentigie e che le condizioni da farsi alla Santa Sede, oltre che essere tali da garantire pie na e assoluta libertà e indipendenza, fossero con formi alla sua dignità e alla giustizia. Ormai il passo decisivo era fatto, e gli accordi potevano essere avviati. Senonchè le trattative su birono una sosta, durante il 1927, per la contro versia con l’Azione cattolica, relativamente all’edu cazione della gioventù: lo Stato fascista non po teva rinunciare ai suoi diritti pieni nella forma zione della gioventù, pur considerando essenziale l ’istruzione e l’educazione religiose. Ma anche questo contrasto fu superato e le trat tative furono riprese, sicché, nel gennaio 1929, nel le discussioni coi fiduciari del Vaticano, fu chia mato ad intervenire anche il ministro della Giu stizia, Alfredo Rocco, che vi portò il contributo della sua alta dottrina e della sua fede di patriota e di fascista. L ’n febbraio 1929 gli accordi, ormai portati a compimento, venivano firmati nella riunione so18
lenne, nel Palazzo del Laterano, tra il cardinale Segretario di Stato, Gasparri, da un lato, e dal Duce del Fascismo, Capo del Governo, Mussolini, dall’altro. Tali accordi si dicono comunemente « lateranensi ». Essi comprendono un Trattato politico, un Concordato e una Convenzione finanziaria. Il Trattato politico, che è un vero atto di carat tere internazionale tra lo Stato italiano e la Santa Sede, impersonata nel Sommo Pontefice, come ca po della Chiesa cattolica, è senza dubbio l’atto più importante; e con esso si risolve e si elimina irre vocabilmente la « questione romana ». L ’indipen denza assoluta del Sommo Pontefice e della Santa Sede, come organi supremi della Chiesa cattolica, è garantita con la creazione di uno Stato indipen dente, denominato « Stato della Città del Vatica no », fondamentalmente formato dai palazzi e dai giardini vaticani, oltreché dalla basilica e dalla piazza di S. Pietro; Stato soggetto alla piena e assoluta proprietà e sovranità del Sommo Pontefi ce, destinato ad assicurare l’assoluta e visibile in dipendenza e la sovranità del Pontefice e della Santa Sede, nel campo internazionale. D ’altra par te, la Santa Sede, garantita nella sua indipendenza sovrana, riconosce espressamente nel trattato (art. 26) che (( Le viene assicurato adeguatamente quan to le occorre, per provvedere con la dovuta libertà e indipendenza al governo pastorale della diocesi di Roma e della Chiesa cattolica in Italia e nel
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mondo; dichiara definitivamente ed irrevocabil mente composta e quindi eliminata la “questione romana” , e riconosce il Regno d’Italia, sotto la di nastia di Casa Savoia con Roma capitale dello Stato italiano ». Col Concordato vengono regolate « le condizioni della Religione e della Chiesa in Italia». Esso è un atto, stipulato tra lo Stato italiano e la Santa Sede, cioè il Sommo Pontefice quale Capo della Chiesa cattolica, nei limiti della Chiesa italiana, in quanto regola i rapporti che interessano la Chie sa e lo Stato italiano relativamente alla professione e al culto della religione cattolica. Finalmente, la Convenzione finanziaria, annessa ai due testi sopra accennati, regola i rapporti fi nanziari tra l’Italia e la Santa Sede, « per i danni da questa subiti per la perdita del patrimonio di S. Pietro, costituito dagli antichi Stati pontifici, e dei beni degli enti ecclesiastici ».
IV accordi lateranensi hanno dato una soluzione originale e nuova al difficile problema del l’indipendenza assoluta della Chiesa cattolica e del suo Capo visibile in Roma, e della sovranità piena e assoluta dello Stato italiano con Roma capitale. Tale problema, sorto fin dai tempi antichi, nella coesistenza deH’Impero romano da un lato e della Chiesa cristiana universale dall’altro, aveva dato luogo ai piu varii contrasti e alle piu diverse solu zioni; dopo i disordini dell’età feudale e dei Co muni e dopo l’esilio di Avignone, la Chiesa catto lica aveva finito per costituire, nelle zone centrali della penisola italiana, uno Stato temporale, che da un lato obbligava la Chiesa a un governo po litico e civile non sempre compatibile con la sua istituzione religiosa, dall’altro impediva l’unità ita liana, che, fin dall’inizio dei tempi moderni, ossia fin dai tempi di Machiavelli e di Guicciardini, si era dimostrata una necessità storica, per garantire l’equilibrio pacifico dell’Europa, altrimenti travol ta nelle continue e disastrose guerre di predominio. La Chiesa cattolica, malgrado queste difficoltà e questi danni, aveva continuato nell’esercizio dei suoi poteri temporali, ma aveva avuto gravi conli
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trasti e difficili momenti; l’unità italiana era stata lungamente ritardata. Ma, maturati i tempi, e co stituita l’unità, con Roma capitale, senza l’accordo con la Chiesa, era sorto un dissidio che aveva re cato gravi danni alla Chiesa e allo Stato. Ora, un accordo dei due alti poteri, con piena soddisfazio ne della Chiesa, e senza danno vero dello Stato italiano (la formazione dello Stato della Città del Vaticano non sottrae allo Stato italiano un territo rio di reale importanza), veniva a far cessare per sempre tale dissidio e a garantire l’unità e la so vranità dello Stato italiano e l’indipendenza asso luta, anche politica, oltreché morale e religiosa, di una religione universale. In pari tempo, gli accordi lateranensi hanno dato una nuova e originale soluzione ai rapporti tra lo Stato e la Chiesa, in quanto, senza rinuncia ai di ritti dello Stato e senza offesa alla libertà della Chiesa, è stato possibile assicurare il libero e pub blico esercizio della religione cattolica, in uno Sta to eminentemente cattolico, riconoscendo l’alto va lore della religione cattolica anche come strumen to di elevazione civile e non pregiudicando in al cun modo i diritti sovrani dello Stato. Vediamo anzitutto le linee fondamentali della costituzione della « Città del Vaticano ». Si tratta di un nuovo Stato, che ha un proprio territorio, una propria popolazione, una propria potestà d’im pero, determinata dall’esigenza del prestigio e del l’autorità del Pontefice romano, come capo di una 22
religione universale, e formata pertanto dal potere sovrano assoluto spettante, secondo la costituzione della Chiesa, al Pontefice. Il territorio è costituito, in linea principale, da quella zona di Roma, nella quale si trovano la Basilica vaticana, il Palazzo del Vaticano e gli edi fici e giardini annessi, che, per la legge delle gua rentigie, erano in godimento del Sommo Pontefice, insieme con la piazza di S. Pietro, per la quale, pur stabilendosi l’appartenenza allo Stato Vatica no, si ammette tuttavia che « continuerà ad essere normalmente aperta al pubblico e soggetta ai po teri di polizia delle autorità italiane ». La popolazione è formata da tutti coloro che hanno stabile residenza nella Città del Vaticano, e quindi formata da tutti coloro che hanno impiego stabile o vincoli d’ufficio, che importino obbligo di residenza, sia presso il Pontefice e la Santa Sede, sia presso il Governatore della Città del Vaticano. In via di eccezione, sono considerati cittadini di questo Stato anche i cardinali, che risiedano anche fuori della Città del Vaticano, a condizione tut tavia che la loro residenza sia in Roma (art. 21). In via generale, sono pertanto cittadini di questo Stato, oltre i cardinali che si trovino nella condi zione accennata, tutti coloro che risiedono stabil mente nella Città del Vaticano per ragioni di di gnità, cariche, uffici o impiego, insieme coi loro familiari (coniugi, figli, ascendenti, fratelli), pur ché con essi conviventi e autorizzati a risiedere
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entro il recinto della Città vaticana (art. 2, legge 7 giugno 1929 dello Stato della Città del Vaticano). Quanto alla potestà d’impero, essa è data, come si è detto, dal carattere sovrano riconosciuto uni versalmente al Sommo Pontefice e dalla sovranità temporale piena e assoluta, riservata al Ponte fice su questo territorio e su questi cittadini, e li beramente esercitata, senza alcun controllo, dal Sommo Pontefice, sia nei rapporti interni, sia in quelli internazionali. Questo nuovo Stato, sorto col Trattato (art. 3), è posto « sotto la sovranità e la giurisdizione esclu siva del Sommo Pontefice », che della sovranità stessa è titolare e che ha « la pienezza del potere legislativo, esecutivo e giudiziario ». Cosi si espri me la legge fondamentale della Città del Vatica no, emanata il 7 giugno 1929(1); e cosi provvede anche in effetto tutta l’organizzazione dello Stato della Città del Vaticano, poiché questo Stato ha proprie leggi (sono in corso di formazione anche i codici speciali di questo Stato), propri capi am ministrativi (governatore, funzionari, ecc.), propri tribunali. (1) Nello stesso giorno, 7 giugno 1929, in cui vennero scam biate le ratifiche per i Patti lateranensi, il Sommo Pontefice Pio XI emanò sei leggi distinte per l’ordinamento della Città del Vaticano; e precisamente: I, Legge fondamentale della Città del Vaticano; II, Legge sulle fonti del diritto; III, Legge sulla cittadinanza ed il soggiorno; IV, Legge sull’ordinamento amministrativo; V, Legge sull’ordinamento economico, com merciale e professionale; VI, Legge di pubblica sicurezza.
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Naturalmente, per gli alti fini per i quali il nuovo Stato è creato, si può dire che esso ha una importanza molto superiore a quella che risulta dalla sua entità territoriale e demografica. Esso, in fatti, è creato per garantire la libertà e l’indipen denza del governo pastorale della Chiesa in Italia e nel mondo. Per questi caratteri, mentre la Santa Sede ha di chiarato che essa vuole restare estranea alle com petizioni temporali tra gli Stati e ai congressi in ternazionali, indetti per tale oggetto, a meno che le parti contendenti facciano concorde appello alla sua missione di pace, d’altra parte è dichiarato che « la Città del Vaticano sarà sempre ed in ogni caso considerata territorio neutrale ed invio labile » (art. 24). Precise regole sono stabilite nel trattato, per la garanzia della libertà e indipendenza del nuovo Stato. Cosi lo Stato italiano deve curare che il ter ritorio vaticano sia reso libero da ogni vincolo e da eventuali occupatori; non deve permettere nuo ve costruzioni che costituiscano introspetto verso la Città del Vaticano; deve provvedere ad una ade guata dotazione di acqua potabile in proprietà, a fornire la comunicazione ferroviaria con le ferro vie dello Stato, a rendere possibili le comunicazio ni postali, telegrafiche, telefoniche dirette con gli altri Stati, oltreché al coordinamento di ogni altro servizio pubblico (art. 5, 6 e 7). Inoltre lo Stato ha riconosciuto alla Santa Sede
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la piena proprietà delle basiliche patriarcali di San Giovanni in Laterano, di Santa Maria Maggiore e di San Paolo con gli edifici annessi (art. 13), ol treché del Palazzo e della villa pontificia di Castel Gandolfo, con tutte le attinenze e pertinenze (ar ticolo 14). Finalmente la proprietà della Santa Sede è stata riconosciuta anche in taluni palazzi in Roma, sedi di uffici pontifici (Dataria, Cancelleria, Propagan da Fide, Università pontificia, ecc.), oltreché su al tri palazzi che in avvenire siano costrutti e desti nati a dicasteri pontifici, palazzi tutti che, benché facenti parte del territorio dello Stato italiano, go dono tuttavia delle immunità riconosciute dal di ritto internazionale alle sedi degli agenti diploma tici di Stati esteri (art. 15). Sono stabilite norme speciali per un eventuale assoggettamento di tali immobili a vincoli particolari o ad espropriazione per pubblica utilità (art. 16). Si aggiunga che, nel trattato, si è provveduto al regolamento dei tesori d’arte e di scienza esistenti nei palazzi Vaticano e Lateranense e spettanti al Pontefice, nel senso che tali tesori resteranno vi sibili agli studiosi, secondo un regolamento riser vato alla Santa Sede (art. 18). Infine, per sistema re i rapporti finanziari, in dipendenza del pas saggio dell’antico Stato pontificio all’Italia, l’Italia ha versato alla Santa Sede la somma di lire 750 milioni in contanti, ed ha consegnato alla mede sima titoli di consolidato italiano 5 % al portatore 26
per il valore nominale di un miliardo (convenzione finanziaria, art. i). In base al trattato, lo Stato italiano, a richiesta della Santa Sede e per delegazione che sia data caso per caso o in via permanente, provvederà nel suo territorio alla punizione dei delitti, che venis sero commessi nella Città del Vaticano. Se l’autore del delitto si sia rifugiato in territorio italiano, si procederà senz’altro contro di lui a norma delle leggi italiane. La Santa Sede consegnerà allo Stato italiano le persone imputate di reati commessi in territorio italiano, qualora si siano rifugiate nella Città del Vaticano o nei palazzi considerati im muni (art. 22). Per l ’esecuzione nel Regno delle sentenze ema nate dai tribunali del Vaticano, si applicheranno le norme del diritto internazionale (art. 23). Ma le sentenze e i provvedimenti, emanati da autorità ecclesiastiche e comunicati ufficialmente alle auto rità civili, relativi a persone ecclesiastiche o religio se, e concernenti materie spirituali o disciplinari, avranno senz’altro piena efficacia giuridica in Ita lia, anche a tutti gli effetti civili; mentre per le cause concernenti la nullità del matrimonio e la dispensa dal matrimonio « rato e non consumato », è stabilita, in forza del concordato (art. 34, com ma 3), la competenza riservata dei tribunali eccle siastici. Le Corti d’Appello del Regno provvede ranno, con ordinanze emesse in Camera di Consi glio, a rendere esecutivi i provvedimenti e le sen27
tenze in materia matrimoniale agli effetti civili (art. 34, comma 6). L ’Italia riconosce alla Santa Sede il diritto di le gazione attivo e passivo, secondo le regole gene rali del diritto internazionale; e stabilisce di man tenere normali rapporti diplomatici con la Santa Sede, mediante la nomina di un ambasciatore da parte italiana, e di un nunzio apostolico da parte del Vaticano, nunzio che, a termine del diritto in ternazionale vigente, sarà riconosciuto in Roma co me capo del Corpo diplomatico. In conseguenza, gli inviati dei Governi esteri presso la Santa Sede continuano a godere nel Re gno di tutte le prerogative ed immunità che spet tano agli agenti diplomatici, secondo il diritto in ternazionale; e le loro sedi godranno di quei diritti e di quelle immunità che competono normalmente alle rappresentanze diplomatiche, anche se gli Stati deleganti non abbiano rapporti diplomatici con l’Italia (art. 12). I diplomatici della Santa Sede e i corrieri spe diti in nome del Sommo Pontefice godono nel territorio italiano, anche in tempo di guerra, dello stesso trattamento dovuto ai diplomatici ed ai cor rieri di gabinetto degli altri Governi esteri, secon do le norme del diritto internazionale; e i diplo matici e gli inviati della Santa Sede e quelli dei Governi esteri presso di essa, oltreché i dignitari della Chiesa provenienti dall’estero, diretti alla Cit tà del Vaticano e muniti di passaporti degli Stati 28
di provenienza, vistati dai rappresentanti pontifici all’estero, possono senza formalità accedere alla detta Città attraverso il territorio italiano. Tutto ciò vale anche per coloro che, con tali prerogative, si recano all’estero dalla Città del Vaticano (art. 12 e 19). L ’Italia ha assunto, nel trattato, anche l’impe gno di lasciare sempre e in ogni caso libera la cor rispondenza di tutti gli Stati, compresi i bellige ranti, alla Santa Sede e viceversa, nonché il libero accesso dei vescovi di tutto il mondo alla Santa Sede (art. 12, comma 3). Non altrimenti le merci provenienti dall’estero e dirette alla Città del Vaticano o, fuori della me desima, ad istituzioni od uffici della Santa Sede, saranno sempre ammesse da qualunque punto del confine italiano e in qualunque porto del Regno al transito per il territorio italiano, con piena esen zione dai diritti doganali e daziari.
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V riconoscimento della religione cattolica come religione dello Stato, derivato dalla constatazio ne realistica e precisa del fatto che la religione cattolica è la religione della grandissima maggio ranza del popolo italiano - riconoscimento appog giato altresì alla convinzione del valore altamente umano ed etico della religione cristiana cattolica, come elemento costitutivo di elevazione civile - ha condotto ad una nuova sistemazione delle relazio ni tra lo Stato e la Chiesa, per la quale lo Stato italiano, senza alcuna rinuncia ai diritti essenziali dello Stato e senza impedimento aH’ammissibilità del culto, entro certi limiti, di altre religioni nello Stato, ha assegnato alla Chiesa cattolica ed agli istituti da essa dipendenti una posizione speciale, la quale garantisce il libero esercizio del culto cat tolico e la sua preminenza tra tutti gli altri culti. Anzitutto, sia col Trattato, sia col Concordato, si è garantito alla persona del Sommo Pontefice, ol treché alla Santa Sede, una posizione di privilegio, con mezzi di speciale tutela; mentre altri minori privilegi sono stati riconosciuti, secondo il loro gra do, anche alle persone e agli enti che formano l’organizzazione della Chiesa. l
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La persona del Sommo Pontefice, come quella del Capo dello Stato, è dichiarata sacra e inviola bile, comminandosi, sia per l’attentato alla perso na, e la provocazione a commetterlo, sia per le of fese e le ingiurie pubbliche, le stesse pene che sono comminate per l’attentato e la provocazione e per le offese al Re (Trattato, art. 8). Tutti i cardinali godono in Italia degli onori do vuti ai principi del sangue (art. 21). Durante la vacanza della Sede Pontificia, l’Ita lia provvede in modo speciale a che non sia osta colato il libero transito ed accesso dei cardinali, attraverso il territorio italiano, al Vaticano, e che non si pongano impedimenti o limitazioni alla li bertà personale dei medesimi, curando anche che, nel territorio aH’intorno della Città del Vaticano, non siano commessi atti che comunque possano tur bare le adunanze del conclave (art. 21). Le stesse norme valgono anche per i conclavi che si tenessero fuori della Città del Vaticano, non ché per i Concili presieduti dal Sommo Pontefice o dai suoi legati e nei riguardi dei vescovi chia mati a parteciparvi (art. 21). Gli enti centrali della Chiesa sono esenti da ogni ingerenza da parte dello Stato italiano (salve le disposizioni sugli acquisti dei corpi morali), non ché dalla conversione dei beni immobili (art. 11). Gli ecclesiastici che, per ragioni di ufficio, par tecipano fuori della Città del Vaticano all’emana zione degli atti della Santa Sede, non sono sog31
getti, per cagione di essi, a nessun impedimento, investigazione o molestia da parte delle autorità italiane (art. io, comma 3). Ogni persona straniera investita di ufficio eccle siastico in Roma gode delle garanzie personali com petenti ai cittadini italiani in virtù delle leggi del Regno (art. io, comma 4). Gli ecclesiastici non possono essere richiesti da magistrati o da altre autorità a dare informazioni su persone o materie di cui siano venuti a cono scenza per ragione del loro sacro ministero (Con cordato, art. 7). Cosi è stabilita la dipendenza diretta dalla San ta Sede delle università, dei seminari, delle acca demie e dei collegi dedicati alla formazione e alla cultura degli ecclesiastici, senza alcuna ingerenza dello Stato italiano (Concordato, art. 39). Quanto all’esercizio del culto cattolico e del po tere spirituale della Chiesa, esso viene garantito, nel Trattato, nel Concordato e nelle leggi relative, con la maggiore libertà e con la maggiore ampiez za. La Santa Sede può comunicare e corrispondere liberamente coi vescovi, col clero e con tutto il mondo cattolico, senza ingerenza del Governo ita liano (Concordato, art. 2); parimenti, per tutto quanto si riferisce al ministero pastorale, i vescovi comunicano liberamente col loro clero e coi fedeli (ivi). Resta pertanto libera la pubblicazione, nelle chiese e alle porte delle chiese, di tutti gli atti ri guardanti il governo spirituale dei fedeli ; ed è pure
riconosciuta alle autorità ecclesiastiche la facoltà di eseguire collette nell’ interno o all’ ingresso delle chiese, nonché negli edifici di loro proprietà (Con cordato, art. 2). Ove occorra, lo Stato accorda agli ecclesiastici, per gli atti del loro ministero spirituale, la difesa da parte delle autorità civili (art. 1). L ’uso dell’abito ecclesiastico è pure protetto, per modo che sia impedito a chi non ne abbia diritto o a chi abbia perduto il diritto di portarlo (art. 29, lett. t). La provvista dei beni ecclesiastici è attribuita li beramente alla Chiesa; ma sono determinate talu ne limitazioni, a garanzia dei diritti e degli inte ressi dello Stato. Anzitutto non possono essere in vestiti di benefici esistenti in Italia quegli ecclesia stici che non siano cittadini italiani. I titolari delle diocesi e delle parrocchie debbono, inoltre, parlare la lingua italiana (art. 22). Nella scelta degli arcivescovi e dei vescovi da nominarsi nelle diocesi italiane, la Santa Sede ha l’obbligo di comunicare il nome della persona pre scelta al Governo italiano (al Ministero dell’Inter no), per assicurarsi che contro tale persona non vi siano da sollevare ragioni di carattere politico (art. 19). Inoltre, prima di prendere possesso delle loro diocesi, i vescovi prestano nelle mani del Capo dello Stato un giuramento di fedeltà allo Stato italiano, secondo una formula stabilita nel Con cordato (art. 20). 33 3-
Le nomine degli investiti dei benefici parrocchiali sono dall’autorità ecclesiastica competente (ordi nario diocesano) comunicate riservatamente al Go verno italiano (al prefetto della provincia), e non possono aver corso se non trenta giorni dopo la comunicazione, tempo consentito per eventuali op posizioni o difficoltà da proporsi all autorità eccle siastica, che deciderà opportunamente (art. 21). Se gravi ragioni sopravvengano contro un investito, le quali rendano dannosa la permanenza di un eccle siastico in un determinato ufficio parrocchiale, il Governo italiano fa presenti tali ragioni all’ordi nario, che, d’accordo col Governo, prenderà, entro tre mesi, una decisione definitiva (art. 21, ultimo comma). Le norme ora accennate non si applicano al ter ritorio di Roma e alle diocesi suburbicarie (art. 23). Finché, con nuovi accordi, non sarà stabilito di versamente, lo Stato italiano continuerà a supplire alle deficienze dei redditi dei benefici ecclesiastici con assegni non inferiori a quelli attualmente in vigore (art. 30, comma 3). Lo Stato italiano rinuncia alle prerogative sovra ne del Regio patronato sui benefici maggiori e mi nori, ed è anche abolita la regalia sui benefici mag giori e minori, oltreché il terzo pensionabile nelle province dell’antico Regno delle due Sicilie (arti colo 25). La nomina degli investiti dei benefici ha effetto dalla data della provvista ecclesiastica, che sarà 34
partecipata al Governo. In caso di cattiva gestione dei benefici, lo Stato italiano, presi accordi con la autorità ecclesiastica, può procedere al sequestro delle temporalità beneficiarie, devolvendone il red dito netto a favore dell’investito o, in sua man canza, a vantaggio del beneficio (art. 26). Riguardo agli enti ecclesiastici e loro beni, il Concordato stabilisce anzitutto che, ferma restando la personalità giuridica degli enti ecclesiastici finora riconosciuti dalle leggi italiane (Santa Sede, Dio cesi, Capitoli, Seminari, Parrocchie, ecc.), tale per sonalità sarà riconosciuta anche alle chiese pubbli che aperte al culto che già non l’abbiano, comprese quelle già appartenenti agli enti ecclesiastici sop pressi, con assegnazioni, nei riguardi di queste ul time, della rendita che il Fondo per il culto attual mente destina a ciascuna di esse (art. 29, lett. a). In secondo luogo, tale personalità sarà ricono sciuta alle associazioni religiose, con o senza voti, approvate dalla Santa Sede, che abbiano la loro sede principale nel Regno, e siano ivi rappresen tate da persone che abbiano la cittadinanza italiana e siano domiciliate in Italia. Sarà riconosciuta inol tre la personalità giuridica delle province religiose italiane, nei limiti del territorio italiano e sue co lonie, delle associazioni aventi la sede principale all’estero, quando vi siano le condizioni indicate; delle case, quando dalle regole particolari dei sin goli ordini sia attribuita ad esse la capacità di ac quistare e di possedere; delle case generalizie e del35
le procure delle associazioni religiose anche estere (art. 2 , lett. b). L ’erezione di nuovi enti ecclesiastici o associa zioni religiose è fatta dall’autorità ecclesiastica, se condo le norme del diritto canonico; ma il loro ri conoscimento per gli effetti civili è fatto dalle au torità civili (art. 31). Tale riconoscimento ha luogo con decreto reale, udito il parere del Consiglio di Stato, in seguito al provvedimento ecclesiastico di erezione o di approvazione, quando sia dimostrata la necessità o l’utilità evidente dell’ente e la sufficenza dei mezzi per il raggiungimento dei propri fini (legge 27 maggio 1929, n. 848, sugli Enti ec clesiastici, art. 4 e segg.). A tutti questi enti, lo Stato italiano riconosce la capacità di acquistare e di possedere, salvo le di sposizioni civili concernenti gli acquisti dei corpi morali (Concordato, art. 30, comma 2), per cui è richiesta l’autorizzazione governativa. La gestione dei beni appartenenti a qualsiasi isti tuto ecclesiastico o associazione religiosa, è tenuta sotto la vigilanza e il controllo dell’autorità eccle siastica, senza ingerenze dello Stato e senza obbli go di assoggettare a conversione i beni immobili (art. 30, comma 1). L ’amministrazione delle chiese è tenuta dal sa cerdote investito, salvo che esistano fabbricerie, poi ché, in questo caso, l’amministrazione del patri monio e dei redditi delle chiese e la manutenzione degli edifici sono tenute dalle fabbricerie, sotto la
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vigilanza c la tutela del ministro per l’Interno, da esercitarsi d’intesa con l’autorità ecclesiastica, salvo i casi d’urgenza (Concordato, art. 29, lett. a; legge sugli enti ecclesiastici, art. 15 e segg., art. 33 e segg-)-
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condizione giuridica di privilegio, sta bilita a vantaggio della Chiesa cattolica e dei suoi istituti, si spiega come una conseguenza della cura che lo Stato esercita per la religione cattolica, considerata come un elemento vitale di elevazione civile e di difesa dai pericolosi veleni del materiali smo e dell’ateismo tra il popolo. L ’esperienza de gli anni della guerra e del dopoguerra ha dimo strato il pericolo del dissolvimento sociale, cagio nato da quelle dottrine rovinose; il Fascismo sorse nel nome di una fede superiore, fede nella nazio ne, fede in una giustizia umana e oltreumana, e rivelò la remota e profonda religiosità del popolo, geloso delle sue tradizioni cristiane. La religione cattolica, con la sua potente organizzazione, ma soprattutto con la sua alta spiritualità, è elemento di forza e di coesione, oltreché di elevazione mo rale e spirituale. Essa merita la maggiore fiducia e il maggior riguardo. Cosi si spiegano le concessioni fatte alla Chiesa cattolica; concessioni, tuttavia, che, come si è ve duto, sono compiute senza rinuncia ai diritti dello Stato, determinati nel controllo che quest’ultimo mantiene sulle varie manifestazioni temporali e vi sibili della Chiesa medesima.
Q
uesta
Cosi lo Stato assicura alla Chiesa cattolica il li bero esercizio del potere spirituale, il libero e pub blico esercizio del culto, nonché della sua giurisdi zione in materia ecclesiastica, in conformità alle norme del Concordato (art. i e segg.); e, ove oc corra, accorda agli ecclesiastici, per gli atti del loro ministero spirimale, la difesa da parte delle auto rità civili. Cosi, fra le maggiori concessioni fatte alla Chie sa cattolica, si deve collocare il riconoscimento dei pieni effetti civili al matrimonio religioso, e per tanto la rinuncia di fatto dello Stato al regolamen to del matrimonio nel maggior numero dei casi. Nel concordato si dichiara, infatti, che lo Stato, « volendo ridonare all’istituto del matrimonio, che è base della famiglia, dignità conforme alle tradi zioni cattoliche del suo popolo, riconosce al sacra mento del matrimonio, disciplinato dal diritto ca nonico, gli effetti civili». È noto che per la Chiesa il matrimonio ha ca rattere di sacramento: essa lo ha distinto da ogni altro atto civile, e lo ha disciplinato con una serie di disposizioni veramente illuminate, oltreché di alto valore morale e sociale. È noto altresì che tale matrimonio, fino ai tempi della rivoluzione fran cese, restò come forma normale delle unioni co niugali; e piu tardi, quando le leggi posteriori a quella rivoluzione assegnarono carattere civile al matrimonio, esse non fecero, in gran parte, che dare colorito civile al matrimonio creato dalla 39
Chiesa, sicché, anche nel codice civile del 1865, le norme civili non facevano che riprodurre sostan zialmente le norme canoniche. Invece il dissidio tra la Chiesa e lo Stato aveva portato, anche in questo campo, difficoltà e con trasti; poiché la contemporanea presenza dei due matrimoni, e la possibilità di contrarre soltanto il matrimonio civile o soltanto quello religioso, re cavano notevole perturbamento nella vita civile. Gli inconvenienti del doppio matrimonio erano stati più volte universalmente lamentati. Col Concordato, si è dato unità anche alla disci plina del matrimonio. Il matrimonio contratto da vanti alle autorità ecclesiatiche ha avuto riconosciu ti, sotto certe condizioni, gli efFetti civili; e questo ha fatto si che, per la grandissima parte dei casi, la forma dominante in Italia per il matrimonio è la forma stabilita nel diritto canonico. Alle forme del matrimonio civile ricorreranno soltanto i non cattolici e coloro che, per qualsiasi motivo, non in tendano di contrarre matrimonio religioso. Perciò anche il nuovo codice civile, promulgato il 12 dicembre 1938, ha stabilito che « il matrimo nio celebrato davanti a un ministro del culto cat tolico è regolato in conformità del Concordato con la Santa Sede e delle leggi speciali sulla materia » (Libro I cod. civ., art. 80). Tali norme sono stabilite nell’art. 34 del Concor dato, e nella legge relativa 27 maggio 1929, n. 847. Le pubblicazioni del matrimonio sono effettuate, 40
oltreché nella Chiesa parrocchiale, anche nella casa comunale. Inoltre, subito dopo la celebrazione del matrimonio, il parroco ha il dovere di spiegare ai coniugi gli effetti civili del matrimonio, dando let tura degli articoli del codice civile, riguardanti i diritti e i doveri dei coniugi, e quindi redigerà l’atto di matrimonio. Di tale atto esso ha il dovere di trasmettere, entro cinque giorni, copia integrale al comune, affinché venga trascritto negli atti del lo stato civile. Se si considera la nuova condizione fatta alla Chiesa in Italia con la Conciliazione, e quindi la nuova posizione assunta dai parroci, si comprende benissimo come il matrimonio, celebrato dai fun zionari della Chiesa, considerato ecclesiasticamente come un sacramento, abbia potuto assumere anche carattere civile. L ’obbligo fatto ai parroci di dichia rare esplicitamente gli effetti civili di questo ma trimonio, con la lettura degli articoli relativi del codice civile (gli articoli 141, 142 e 143 del nuovo codice civile sono perfettamente corrispondenti agli art. 130, 131 e 132 del codice civile del 1865), e l’obbligo di trasmettere, entro un termine massimo di cinque giorni, il testo dell’atto di matrimonio al comune, affinché sia trascritto negli atti dello stato civile, contribuiscono a confermare queste conseguenze giuridiche civili del matrimonio reli gioso, il quale conserva tuttavia, per la Chiesa, il suo carattere sacro. D ’altra parte, come si è detto, l’istituto moderno 41
del matrimonio si è sviluppato per opera del di ritto canonico, e specialmente in Italia la discipli na del matrimonio civile era già in gran parte mo dellata su quello religioso. È chiaro dunque che l’applicazione delle regole matrimoniali del dirit to canonico non determina alcuna disarmonia, poi ché tali regole sono anche, storicamente e di fatto, le regole del matrimonio civile. Per questo il Concordato ha stabilito anche la giurisdizione ecclesiastica esclusiva in ordine al matrimonio, dichiarando, come già si è rilevato, che le cause concernenti la nullità del matrimonio e la dispensa dal matrimonio « rato e non consu mato » sono riservate alla competenza dei tribunali e dei dicasteri ecclesiastici (art. 34, comma 4). I provvedimenti e le sentenze relative, quando siano divenuti definitivi, saranno portati, per quel giudi zio di legittimità che è di garanzia essenziale, al Supremo Tribunale della Segnatura, il quale con trollerà se siano state rispettate le norme del di ritto canonico relative alla competenza del giudice, alla citazione ed alla legittima rappresentanza o contumacia delle parti. Le norme del diritto cano nico, che regolano tale materia, sono contenute nel libro terzo del Codex juris canonici, ordinato dal pontefice Pio X e promulgato da Benedetto X V il 27 maggio 1917, e precisamente nei titoli VII del libro III e X X del libro IV; e quindi sono queste le norme che regolano, nei rapporti costitu tivi, creazione, consistenza, nullità, dispensa, e 42
tutta la materia relativa alla formazione e alla eventuale dissoluzione del matrimonio. La giurisdizione ecclesiastica è pienamente rico nosciuta, come giurisdizione speciale in tema di matrimonio. La relazione ministeriale che accom pagna la legge relativa agli atti lateranensi giustifi ca esattamente questa cessione, osservando che, da ta la dignità di sacramento riconosciuta al matri monio e l’unificazione nella celebrazione religiosa anche del rito civile, l’atto, con cui i vincoli sor gono, è uno solo, quello religioso; e quindi (si di chiara) « la sua validità non può essere giudicata se non dal giudice competente per materia, quello ecclesiastico ». Perciò tutti i provvedimenti relativi a questo atto e le sentenze definitive, coi relativi decreti del Su premo Tribunale della Segnatura, saranno trasmes si alla Corte d’Appello dello Stato competente per territorio, la quale, come già si è osservato, li ren derà esecutivi agli effetti civili ed ordinerà che sia no annotati nei registri dello stato civile a margine dell’atto di matrimonio (art. 34, comma 5 e 6; art. 19 legge 27 maggio 1929, n. 847). V i è tuttavia, in questi rapporti, una materia in cui la giurisdizione è rimasta esclusiva per 1 auto rità civile, ed è quella della separazione personale tra coniugi. L ’ultimo comma dell’art. 34 del Con cordato stabilisce, infatti, che « quanto alle cause di separazione personale, la Santa Sede consente che siano giudicate dall’autorità giudiziaria civile ». 43
Pur riconoscendo al matrimonio il carattere sa cro sancito dalla Chiesa e pur affidando la materia della celebrazione del matrimonio e delle nullità e dispense matrimoniali alla Chiesa, lo Stato ita liano non ha però abolito né modificato il matri monio civile. Tale matrimonio può sempre essere celebrato da chi intenda compierlo con le modalità stabilite dal diritto civile, tanto più che, come si è detto, fra il matrimonio del diritto italiano e il matrimonio del diritto canonico non vi sono diffe renze sostanziali, perche il primo è derivato stori camente dal secondo e si uniforma alle norme di quest ultimo. Inoltre, come si è veduto, la materia delle separazioni personali tra coniugi è rimasta, per reciproco accordo, integralmente devoluta alla legge e ai tribunali civili. Perciò il libro primo del nuovo codice civile (1938-XVII), mentre ha riconosciuto al matrimo nio celebrato davanti a un ministro del culto catto lico gli effetti civili sanciti nel Concordato del 1929 e nelle leggi relative, ha disciplinato in pari tempo il matrimonio civile in tutta la sua ampiezza. Nel regolamento del mattrimonio, seguendo in ciò l’e sempio del codice del 1865, il nuovo codice civile si e attenuto, quanto più è stato possibile, alle re gole sostanziali fissate dal diritto canonico, sia per che, come si è detto, il matrimonio moderno deri va, in tutti i codici dei paesi civili, quasi direttamente dal diritto canonico, sia perché ha reputato vantaggioso, per il fatto che il matrimonio cano44
nico è diventato il matrimonio del maggior nu mero dei cittadini italiani, che anche il matrimo nio civile aderisse sostanzialmente al diritto sancito dalla Chiesa e osservato dai cittadini nella celebra zione e nella consistenza del matrimonio. Cosi si è mantenuto il principio della indissolubilità del matrimonio (art. 147, libro I, cod. civ. 1938 cor rispondente all’art. 148 cod. civ. 1865), salvi i casi di nullità; ma il mantenimento di tale principio non deriva soltanto da una volontà di adesione alla legge canonica, ma anche dalla convinzione che giovi il mantenere l’intangibilità del vincolo coniu gale per la conservazione e per l’ordine delle fa miglie. La facilità dei divorzi è infatti una delle cause m aggiori del disordine familiare negli Stati che hanno adottato questa forma di scioglimento del matrimonio. Quindi, pur riconoscendo il carattere sacro del matrimonio religioso, fino a dare ad esso il ricono scimento civile e gli effetti civili, lo Stato italiano non ha rinunciato al diritto di disciplinare il ma trimonio secondo le sue vedute e di offrire per tanto ai cittadini anche le forme del matrimonio civile, sia per gli acattolici, sia per tutti coloro che intendano ricorrervi. Perciò anche il nuovo codice civile mantiene tutta intera la disciplina del matri monio civile, in una serie di disposizioni (art. 82156), che riguardano le condizioni necessarie per contrarre matrimonio, le formalità preliminari, la celebrazione del matrimonio, la nullità del matri-
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monio, i diritti e doveri nascenti dal matrimonio, lo scioglimento del matrimonio, o la separazione personale tra coniugi, e via via. La disciplina del matrimonio civile, pur derivando, in gran parte, dal diritto canonico, mantiene tuttavia una propria e netta fisonomia civile. Tutto ciò si è manifestato anche di recente, al lorché lo Stato, in seguito alla conquista deH’Impero, di fronte alle razze etiopiche e in conseguen za dell’aumento eccessivo nel numero e nella po tenza della razza ebraica nella penisola, ha dovuto prendere eccezionali misure per la difesa della raz za nazionale, contro le razze camitiche o semiti che, che potevano turbare l’omogeneità delle stir pi italiche e nuocere alla resistenza dell’ordina mento sociale e politico dello Stato. Una legge speciale (19 aprile 1937-XV, n. 880) è venuta a proibire nei territori dell’Impero, con conseguenze penali, il concubinato tra un Italiano e una donna di razza diversa, volendosi evitare i pericoli del meticciato. In seguito, la legge 16 ottobre 1938 XVII, n. 1728, è venuta a proibire i matrimoni con persone appartenenti alla razza ebraica e a limi tare anche i matrimoni del cittadino italiano con persone di nazionalità straniere. Il nuovo codice civile (art. 89) ha contemplato queste proibizioni e queste limitazioni. Ora il di ritto canonico, che pure contempla le limitazioni per i matrimoni di persone di religione diversa, non contempla l’impedimento della razza. E in46
vece questa limitazione era indispensabile per at tuare quella difesa della razza, che e tra i compiti essenziali del Fascismo. Questa esigenza ha dovuto trovare applicazione anche nel diritto matrimonia le civile, escludendosi gli effetti civili al matrimo nio religioso celebrato tra persone appartenenti a razze diverse.
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VII . posizione di particolare favore e di speciale prestigio attribuita dallo Stato italiano alla Chiesa cattolica con gli atti lateranensi, oltre le conseguenze accennate in materia di libertà reli giosa e di matrimonio, induce anche altre notevoli conseguenze relativamente ad altri campi della vita sociale, che hanno attinenza con la vita religiosa. Vi è anzitutto il campo dell’istruzione religiosa nelle scuole, che il Fascismo aveva contemplato, come si è detto, fin dal suo primo avvento al po tere, indipendentemente da qualsiasi accordo con la Chiesa. Infatti alla disposizione emanata dal Go verno fascista, subito dopo la Marcia su Roma, per cui si era imposto il ripristino del segno sacro del crocefisso nelle scuole, era succeduto il R. De creto i° ottobre 1923, n. 2185, relativo all’ordina mento della istruzione elementare, il quale aveva reso obbligatorio l’ insegnamento religioso nelle scuole elementari, con un preciso regolamento, che contemplava tuttavia le esenzioni opportune per i non cattolici. Nel Concordato, pertanto (art. 36), si provve de ad estendere l’ insegnamento religioso anche nelle scuole medie, per mezzo di maestri e di prò-
fessori, sacerdoti o religiosi, approvati dall’autorità ecclesiastica, e sussidiariamente a mezzo di maestri e professori laici, che siano a questo fine muniti di un certificato di idoneità da rilasciarsi dall or dinario diocesano. Tale insegnamento, sia nelle scuole elementari, sia nelle scuole medie, sara pre stato secondo programmi da stabilirsi d’accordo tra la Santa Sede e lo Stato e su libri di testo ap provati dall’autorità ecclesiastica. Tuttociò in base al preciso riconoscimento, per cui « l’Italia considera fondamento e coronamento dell’istruzione pubblica l’insegnamento delle dot trine cristiane secondo le forme ricevute dalla tra dizione cattolica ». Tale riconoscimento, che con trastava nettamente con le tendenze e con le leggi del passato, le quali avevano abolito l’insegnamen to religioso nelle scuole o l’avevano abbandonato all’iniziativa privata delle famiglie e della Chiesa, veniva a confermare nettamente quella considera zione della religione, come elemento elevativo e fecondo della vita sociale e dello Stato, considera zione che avversava le tendenze rovinose della lai cità assoluta e dell’ateismo, prevalenti prima del l’avvento del Fascismo. In omaggio a questa tendenza, veniva pure con templato nel Concordato (art. 37) l’obbligo dei diri genti delle associazioni statali per l ’educazione fi sica e per l’istruzione premilitare (Opera Balilla, Avanguardisti, etc. ed oggi Gioventù Italiana del Littorio), di rendere possibile l’istruzione religio49 4-
sa della gioventù loro affidata; di determinare gli orari in modo da non impedire, nelle domeniche e nelle feste di precetto, l ’adempimento dei doveri religiosi. Nel campo dell’istruzione, che è particolarmen te tenuto in evidenza dalla Chiesa, in vista della difesa necessaria del sentimento religioso, difesa che interessa pure direttamente lo Stato, sono state considerate nel Concordato anche altre provviden ze, intese a quel fine. Cosi la Chiesa ha voluto garantire alle scuole medie, tenute da enti ecclesia stici o religiosi, le quali sono abbastanza numerose e fiorenti in Italia, una sicura e libera esplicazio ne, stabilendosi che per tali scuole rimanga fermo un esame di Stato, e facendosi cosi a tali scuole una condizione di effettiva parità con le scuole go vernative (art. 35). E di fatto, anche la recente Carta della Scuola, approvata dal Gran Consiglio del Fascismo il 15 febbraio 1939-XVII, pur modificando le regole sull’esame di Stato, ha inteso di mantenere quella parificazione delle scuole medie anzidette con quelle governative (anche le prime potranno essere dichiarate sedi di esami di Stato, conforme alle norme della dichiarazione XXIV), sempre nell’i potesi che si tratti di scuole, le quali impartiscano gli insegnamenti nelle forme e nei modi sanciti per le scuole governative. Per riguardo all’istruzione universitaria, volen dosi contemplare l ’Università cattolica del Sacro 5°
Cuore, creata da enti religiosi per collaborare a questa parte più elevata della formazione scientifi ca, ma dipendente dalle norme generali relative all’istruzione universitaria, il Concordato garanti sce che le nomine dei professori siano subordinate al nulla osta della Santa Sede, diretto ad assicurare che, negli individui prescelti, non vi sia alcunché da eccepire dal punto di vista morale e religioso (art. 38). Invece, quando si tratta di istituti destinati alla formazione e alla cultura ecclesiastica, ossia Uni versità, Seminari maggiori o minori (diocesani, interdiocesani o regionali), accademie, collegi etc., si stabilisce che essi dipenderanno unicamente dal la Santa Sede, senza alcuna ingerenza delle auto rità scolastiche del Regime (art. 39). Le lauree in sacra teologia, date dalle Facolta approvate dalla Santa Sede, saranno riconosciute dallo Stato italia no; non meno che i diplomi che si conseguono nelle scuole di paleografia, archivistica e diploma tica documentaria, erette presso la Biblioteca e 1 A r chivio della Città del Vaticano (art. 40).
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Vili >Stato italiano provvede all’assistenza spiritua le presso le proprie forze militari (esercito, marina, aeronautica), anche in tempo di pace, me diante sacerdoti cattolici, sulla base di un organi co, creato dallo Stato, che garantisce a questi sa cerdoti una posizione di ruolo. Essi hanno il titolo di « cappellani militari » e, rispetto alle truppe, hanno competenze parrocchiali, cioè hanno la cura d’anime; ed esercitano il loro ministero sotto la giurisdizione dell’ordinario militare, il quale, assi stito dalla sua curia, ha la giurisdizione discipli nare ecclesiastica su tutti questi cappellani. Fondamentalmente, questa organizzazione reli giosa per le truppe combattenti era già stata posta in atto nell’ordinamento dell’esercito di terra e di mare, durante la guerra. Ma col Concordato so no state fissate le norme precise per la costituzione stabile di tale ordinamento. Il Governo italiano comunica alla Santa Sede la tabella organica del personale ecclesiastico di ruolo adibito al servizio dell’assistenza spirituale presso le forze militari dello Stato, appena sia stata approvata nei modi di legge (art. 13). La designazione degli ecclesiastici, cui è com52
messa l’alta direzione del servizio di assistenza mi litare (ordinario militare, vicario ed ispettori), e fatta confidenzialmente dalla Santa Sede al Go verno italiano. Qualora il Governo italiano abbia ragioni da opporre alla fatta designazione, ne dara comunicazione alla Santa Sede, la quale procederà ad altre designazioni. L ’ordinario militare, secondo tale ordinamento, sarà rivestito della dignità arcivescovile. Ad esso spetta il trattamento morale e gerarchico dovuto al generale di divisione. Quando cessi dall’ufficio, ha diritto ad una indennità o pensione, secondo le leggi sulle pensioni militari. A l vicario e agli ispettori spetta il trattamento morale, gerarchico ed economico, dovuto rispetti vamente al colonnello e al tenente colonnello o gradi corrispondenti; e la pensione relativa. I cappellani militari hanno il trattamento mo rale e gerarchico competente al grado di tenente o di capitano; e, dopo sei mesi di esercizio, ne hanno anche il trattamento economico. La nomina dei cappellani militari è fatta dalla competente autorità dello Stato italiano, su designazione del l’ordinario militare. Nel caso di infrazioni disci plinari l’incarico può essere revocato dal compe tente Ministero, sentito il parere dell’ordinario militare (Concordato, art. 13 agg. e R. D. 25 no vembre 1929, n. 2184: «Norme integrative sul servizio dei cappellani militari »). L ’ordinario militare per l’Italia, che ha la giu53
risdizione superiore per questo servizio, riveste, co me abbiamo visto, dignità di arcivescovo. Ha per suoi collaboratori un vicario e due ispettori, uno per l’esercito e l’altro per la marina e per l’aero nautica; e tiene, con questi suoi diretti aiutanti, la sede in Roma. In base al Concordato (art. 15), egli è preposto al capitolo della chiesa del Pantheon in Roma, costituendo con esso il clero, cui è affi dato il servizio religioso della basilica. Tale clero è autorizzato a provvedere a tutte le funzioni re ligiose, anche fuori di Roma, che, in conformità con le regole canoniche, siano richieste dallo Stato italiano e dalla Reai Casa. La Santa Sede ha ac consentito a conferire a tutti i canonici, che com pongono il capitolo del Pantheon, la dignità di protonotari ad instar, durante munere. La nomina di ciascun canonico sarà fatta dal cardinale vicario di Roma, dietro presentazione da parte di S. M. il Re, previa confidenziale indicazione del presen tando.
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IX a posizione di privilegio conseguita dalla Chiesa j cattolica in Italia, in base al riconoscimento morale e giuridico della religione cattolica come religione dello Stato, e in base ai Patti lateranensi, si manifesta anche nella condizione economica fatta ai membri del clero cattolico. Il nostro Stato ha voluto assicurare a determinate categorie del cle ro, principalmente a quelle che hanno diretti rap porti con le classi popolari, ossia a coloro che hanno cura d’anime o giurisdizione (parroci, economi spi rituali, vicari curati o cappellani curati autonomi, canonici cattedrali e palatini, vescovi ed arcivesco vi) una congrua condizione economica; e a tal fine corrisponde un contributo, detto generalmente con grua, che, già precedentemente fissato, è stato con fermato negli atti lateranensi (Concordato, art. 30), ed è venuto via via aumentando di valore, dovendo seguire le vicende economiche della nazione e l’im portanza accresciuta della Chiesa cattolica. È noto che, anche in Piemonte, come in altri Stati italiani, anteriormente alla formazione uni taria, vigeva il principio dell’assoluta liberta nella proprietà dei beni da parte degli enti ecclesiastici e del dovere dello Stato di sovvenire con assegni
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le parrocchie piu povere. Con la legge piemontese 29 maggio 1855, n. 878, l’onere dello Stato in que sto campo fu abolito, e fu costituita la Cassa eccle siastica, per cui, mediante il patrimonio di nume rosi enti ecclesiastici considerati superflui (specialmente comunità religiose), e mediante un apposito tributo gravante sugli enti ecclesiastici piu ricchi, si formò un fondo, che doveva provvedere a quei sussidi ai parroci poveri che, anteriormente, gra vavano sul bilancio dello Stato. Il nuovo principio adottato dalla legge piemontese, se in parte obbe diva alla tendenza di esonerare lo Stato da sov venzioni dirette per ragioni di culto, soprattutto rispondeva all’esigenza di diminuire la manomor ta ecclesiastica, ossia di porre un rimedio, anche nell’interesse dell’economia generale, all’eccessivo cumulo dei beni immobili posseduti dagli enti ec clesiastici e resi inalienabili. Con la legge 7 luglio 1866, n. 3036, i principi sopra indicati furono confermati ed estesi ormai al nuovo Regno unificato. La Cassa ecclesiastica si trasformò nel Fondo per il culto, e si fissò la re gola che le spese di culto, ritenute di pubblico in teresse, dovessero fare carico ad apposito ente, do tato di un patrimonio formato interamente coi beni ecclesiastici derivati dalle soppressioni religio se o dai tributi gravanti sul patrimonio degli enti ecclesiastici più ricchi. A questi fini servivano in fatti variamente e parzialmente le imposte gra vanti sul patrimonio ecclesiastico; le tasse straordi-
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narie del trenta per cento imposte con l’art. 18 della legge 15 agosto 1867, n. 3848; la quota di concorso, di cui all’art. 31 della legge 7 luglio 1860 e all’art. 20 della legge 15 agosto 1867; nonché la tassa di passaggio di usufrutto per taluni beni ec clesiastici stabilita dall’art. 1 del R. Decreto 30 dicembre 1923, n. 3270. Intanto, fin dal 19x8, in conseguenza dei cre scenti bisogni del clero e in conseguenza del e con dizioni insufficienti del Fondo per il culto, lo Sta to, rompendo le vecchie regole, comincio a corri spondere delle somme al Fondo per il culto, pre levandole dalle finanze statali, affinché quella isti tuzione potesse mettersi in grado di provvedere ai bisogni del clero. Col Concordato, si è provveduto a dare un nuo vo ordinamento alla proprietà ecclesiastica e a con fermare l’obbligo dello Stato di provvedere ai bi sogni del clero cattolico, in quanto compie una funzione di pubblico interesse. E infatti, mentre si è provveduto ad abolire quelle imposte straordi narie sopra accennate (art. 29), si è dichiarato,