Leggi economiche e storia dell'economia 8842036242, 9788842036241


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Kindleberger Leggi economiche e storia dell'economia

Sagittari Laterza

40 Sagittari Laterza

Titolo dell'edizione originale Economie Law and Economie History Pubblicato dal Press Syndicate of the University of Cambridge, 1989 © 1989, Charles P. Kindleberger Traduzione di Oliviero Pesce Prima edizione 1990

Charles P. Kindleberger

Leggi economiche e storia dell'economia

Editori Laterza

Proprietà letteraria riservata Gius. Laterza & Figli Spa, Roma-Bari Finito di stampare nel giugno 1990 nello stabilimento d' arti grafiche Gius. Laterza & Figli, Bari CL 20-3624-X ISBN 88-420-3624-2

Per onorare la memoria di Raffaele Mattioli, che per tanti anni fu suo amministratore e presidente, la Banca Commerciale Italiana ha istituito il «Premio Mattioli», volendo così anche testimoniare che l'interesse per le discipline economiche, umanistiche e scientifiche da Lui profondamente sentito, è ancora vivo e continua ad essere operante. La prima iniziativa in cui si concreta questo Premio è l'istituzione di alcune« lectures» annuali dedicate alla storia del pensiero economico e denominate «Lezioni Raffaele Mattioli». Poiché l'Università Bocconi era legata da vincoli di lunga data all'attività di Raffaele Mattioli, che dell'Ateneo fu collaboratore scientifico, sostenitore e amministratore, si è deciso che le «Lezioni» in suo onore e memoria abbiano la loro sede presso quella Università, la quale si è assunta il compito di curarne l'organizzazione e lo svolgimento. Attorno a questa istituzione si raccoglieranno docenti illustri di tutti i Paesi, studiosi e quanti sono interessati ai problemi economici, nell'auspicio che la più raffinata ricerca storica si unisca a un dibattito di teoria e politica economica. Nel ricordo dell'insegnamento che Raffaele Mattioli ha lasciato, piace soprattutto pensare che questi incontri, con le riflessioni da essi suscitate, siano stimolo fecondo e felice premessa per uno sviluppo della ricerca e degli studi dottorali, secondo una tradizione da tempo consolidata in altri Paesi e che ci si augura possa fiorire grazie a questa nuova collaborazione dell'Università Bocconi con la Banca Commerciale Italiana. Milano, 29 aprile 1976 V

PREFAZIONE

Il tema di queste mie lezioni riguarda le leggi economiche e la storia dell'economia, ed è forse un po' lontano dal filone della storia del pensiero economico nel quale dovrebbe inserirsi, ma non del tutto estraneo ad esso. Sono un economista che si occupa di storia, non uno storico dell'economia; voglio dire cioè che mi interessa utilizzare la storia per mettere alla prova la validità e la generalità delle leggi e dei modelli economici. Donald McCloskey ha detto in lode della storia dell'economia che essa può servire a fornire «più fatti economici reali, fatti economici più chiari e meglio analizzati, una migliore teoria economica, una migliore politica economica e migliori economisti» 1. Da insegnante, naturalmente sottoscrivo l'ultima affermazione. Nella ricerca il mio interesse è rivolto verso teorie migliori, nel senso di teorie più utili, più generali e più consone alle esigenze concrete, mentre non m'interessa tutto ciò che è soltanto elegante, ma non concretamente connesso a come la gente si comporta in un sistema economico. Spero, in queste conferenze, di andare oltre questo interesse per una migliore teoria, per tentare di dimostrare un punto che forse non ha bisogno di essere dimostrato, e cioè che non esistono una teoria economica o modelli onnicomprensivi che illuminino la storia economica, e che per gli storici dell'e1 Donald N. McC!oskey, Does the Past Have Useful Economics?, «Journal of Economie Literature», voi. XIV, giugno 1976, n. 2, pp. 434-61.

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conomia aggrapparsi a un'unica teoria, o a una teoria centrale, è fuorviante e in generale sbagliato. Ricorderete che Keynes una volta disse che gli economisti, così come i dentisti, dovrebbero guardare con modestia al proprio mestiere, e non utilizzarlo per spiegare tutti i misteri della vita, nel caso dei dentisti, o dei rapporti sociali, nel caso degli economisti 2 • E ritengo che Keynes pensasse anche che, come i dentisti, dobbiamo avere numerosi utensili nel nostro armamentario per analizzare i problemi e i fatti economici. Un dentista con un solo trapano, o un solo paio di pinze ... Mi fermo perché la metafora diventa sgradevole. Un anno fa mi capitò di vedere un argentiere ad una mostra con una panoplia di sessanta martelli, ciascuno leggermente diverso dagli altri. Mi disse che un gioielliere può averne cinquecento, e utilizzarne costantemente un centinaio, per operazioni solo leggermente differenti l'una dall'altra. Il punto è lo stesso. Lo storico dell'economia o l'economista che cerca di mettere alla prova la propria analisi utilizzando i dati forniti dalla storia dovrebbe essere disposto a posare una legge o un modello, e a prenderne un altro, quando la situazione da spiegare lo richiede, senza insistere per utilizzare sempre lo stesso strumento. Va benissimo dare importanza agli stadi della crescita, all'arretratezza, al ruolo cruciale della banca, alla quantità di moneta, al diritto di proprietà, alle istituzioni, ai beni collettivi, al mercato ... ma bisognerebbe stare attenti a non lasciarsi talmente affascinare da una data legge, che riguarda solo una parte del sistema, da ritenerla necessaria e sufficiente a spiegare come l'economia planetaria sia giunta alla situazione attuale. Il titolo di queste lezioni è Leggi economiche e storia dell'economia. L'ho preferito a Modelli economici e storia dell'economia per due ragioni; la prima principalmente «cosme2 John Maynard Keynes, Economie Possibilities far our Grandchildren «Nation and Athenaeum», 11 e 18 ottobre 1930; ristampato in Essays in Persuasion, Londra 1931, New York 1932, p. 373 e anche in The Collected Writings of John Maynard Keynes, Londra 1972, voi. IX, pp. 321-32 (trad. it. in Esortazioni e profezie, Milano 1968).

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tica»: il fatto di aver individuato quattro modelli che tutto sommato sono descritti meglio dal termine di «leggi», che non da quello di «modelli». Ma, al di là di questo, è probabilmente corretto dire che le leggi aderiscono più da vicino alla realtà che non i modelli. Anni fa, durante un pranzo di facoltà, un giovane teorico che mi sedeva accanto disse ad un nostro collega che, avendo sviluppato un interessante modello, sperava che l'altro lo avrebbe aiutato a trovarne una applicazione! I modelli rientrano più nella matematica ed io di matematica non mi intendo; le leggi hanno una solida base empirica, inguanto generalità induttive. A un certo livello retorico, tuttavia, leggi e modelli sono sinonimi. La «legge» di Say, secondo la quale l'offerta crea la propria domanda è in realtà semplicemente un modello, che può essere messo a raffronto con altri modelli - come il modello di Keynes secondo il quale la domanda crea la propria offerta - oppure confutato con esempi storici che dimostrino il contrario. In Francia, ad esempio, i mercanti di Rouen non riuscivano a vendere tutti i tessuti che portavano alle fiere annuali di Caen e Guilbray, come la legge di Say e il modello di W alras avrebbero richiesto. Per tutti gli anni che andarono dal 1705 al 1781 in media essi riportarono regolarmente nei propri laboratori o nei propri magazzini tra il 25 e il 30% dei tessuti di lana che avevano portato al mercato per la vendita, con un minimo del 14 e un massimo del 58.3% 3 • Il teorema di Stolper-Samuelson, secondo il quale il fattore scarso trae vantaggio dalle tariffe doganali a prescindere dal settore in cui è impiegato, è stato analizzato alla luce delle tesi di Cairnes, basate su gruppi non in concorrenza, e si è rilevato che esso non riesce a spiegare altrettanto correttamente le posizioni prese effettivamente dal capitale e dal fattore lavoro su specifici problemi tariffari 4 • Spero di essere perdonato se mi allontano dai miei antichi 3 Pierre Dardel, Commerce, industrie et navigation a Rouen et au Havre au XVIIF sièc/e, Rivalité croissante entre ces deux ports, Rouen 1966, pp. 54-5. 4 Stephen P. Magee, Three Simple Tests of the Sto/per- Samue/son Theorem, in Peter Morris Oppenheimer (a cura di), Issues in International Economics, Stockfields 1978, pp. 138-53.

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interessi per l'economia internazionale, la legge dei vantaggi comparati, il meccanismo prezzo-moneta-flusso, il livellamento del prezzo dei fattori e simili, anche se questi problemi ricorrenti spuntano brevemente nell'ultima conferenza sulla legge del prezzo unico. L'oggetto di queste lezioni è l'esame di alcune leggi fortemente radicate nella realtà osservata che hanno grandi capacità esplicative per parte della storia economica, ma non per tutta. Lo scopo che mi prefiggo è di dimostrare come l'eclettismo, e non un sistema di interpretazione onnicomprensivo, sia l'atteggiamento più saggio da assumere per studiare il passato nel campo dell'economia.

LEGGI ECONOMICHE E STORIA DELL'ECONOMIA

Prima lezione* LA LEGGE DI ENGEL

1. Introduzione La legge di Engel è il primo dei modelli esplicativi che esamineremo in queste lezioni. Non c'è bisogno di dire che l'Engel cui mi riferisco è lo statistico, Ernst, della Sassonia, non l'industriale radicale, Friedrich Engels di Barmen nella Ruhr; la sua legge, ricavata dallo studio dei bilanci familiari, asserisce che il consumo pro capite di alimentari cresce in misura meno che proporzionale alla crescita del reddito. Mi propongo di sostenere, non sulla base dello studio di bilanci familiari, o di ricerche d'archivio, ma piuttosto di un approccio empirico causale, che la legge di Engel ha un ambito di applicazione molto più generale e che è intrinsecamente correlata alla curva di

* Charles Kindleberger introdusse il suo ciclo di lezioni con i seguenti commenti: «È per me un grande onore e piacere partecipare alla serie di lezioni in memoria di Raffaele Mattioli dandone alcune. Ho avuto la fortuna di incontrare il dottor Mattioli. Nel 1971 viaggiavo in Italia discutendo con alcuni economisti le prospettive dell'economia italiana, per preparare un saggio che apparve in// Caso italiano, e appresi che mi voleva vedere. Durante una deliziosa mezz'ora che passammo discutendo lo stato del mondo, mi disse che «faceva collezione» di economisti. Venire aggiunto alla sua collezione è stato lusinghiero, ed un sollievo non essere trafitto da uno spillone come una farfalla o imbalsamato come un uccello. Penso spesso al dottor Mattioli quando leggo la eccellente serie di volumi sulla storia economica dell'Italia - Io studio globale di Gino Luzzatto, del quale purtroppo un solo volume fu completato - e la serie di studi regionali di tanti ottimi storici dell'economia. La collezione offre economie esterne a tutti noi e ciò la rende un monumento adeguato della Banca Commerciale Italiana e del dottor Mattioli per celebrare il centenario della indipendenza italiana». 3

Gompertz, o a S, e alla legge di trasformazione materiale. Nella sua forma limitata relativa al cibo, consente di vedere a fondo una serie di problemi di storia dell'economia. Generalizzata, impone agli economisti e agli storici dell'economia di basarsi solo con una certa cautela su quelli che Rostow chiama gli imperativi della crescita geometrica! Niente cresce costantemente in misura geometrica molto a lungo. La crescita si avvia lentamente, prende velocità, procede rapidamente, e quindi si attenua. La discontinuità è endemica, se non altro alla derivata seconda. Esamineremo per primo il caso del cibo.

2. Legge di Engel e crescita La legge di Engel mise in luce rendimenti decrescenti nella utilità derivante dal consumo di alimentari per le centotrentadue famiglie belghe i cui bilanci erano stati messi assieme da LePlay. Alla legge si accompagna il corollario che, con l'aumentare della produttività, bisogna espellere risorse dall'agricoltura verso l'industria o i servizi, per fornire l'opportuno equilibrio nei consumi. I paesi poveri utilizzano la maggior parte della manodopera, del terreno e degli altri fattori della produzione per produrre cibo nel settore agricolo. Nei paesi sottosviluppati è difficile assegnare completamente l'uso di dati fattori a un settore piuttosto che a un altro, ma molto grossolanamente i paesi più poveri impiegano tra 1'80 e 1'85% delle proprie risorse in agricoltura e con la crescita la percentuale può declinare forse al 3 % . Quale sarà il limite inferi ore dipende dalla posizione del paese nel commercio internazionale; se si tratta di un esportatore di prodotti alimentari come gli Stati Uniti, la Nuova Zelanda o la Danimarca tale limite sarà più elevato che per i paesi importatori come la Gran Bretagna o il Belgio. A condizione che la produttività dei fattori aumenti, l'uscita dall'agricoltura e le connesse trasformazioni sono inesorabili. Sono stati gli australiani A.G.B. Fisher e Colin Clark a proporre la denominazione di settore primario, secondario e 4

terziario e le leggi, derivate da quella di Engel, secondo le quali con la crescita dell'economia il settore primario si restringe, mentre crescono il secondario (industriale e dell'edilizia, cui si aggiunge, in alcune definizioni, il settore minerario) e il terziario (i servizi, ivi inclusi il commercio, i trasporti, il settore pubblico e i servizi personali) 1 • Quando si combinano la crescita e la legge di Engel con altre possibilità dell'economia, la ricchezza esplicativa della legge di Engel aumenta. John Kenneth Galbraith, ad esempio, ha sostenuto che il proprietario di un fattore scarso tenta di esercitarne il monopolio, anche sociale, assicurandosi rendite, prestigio e potere politico 2 • Così, se la generalizzazione non è eccessiva, la proprietà di terreni di buona qualità viene apprezzata in un'economia povera e fa nascere una aristocrazia. Va notato il limite della buona qualità. Se i terreni sono poveri e non si hanno surplus da conservare, o di cui l'aristocrazia si possa appropriare, l'organizzazione politica prende la forma di un potere nobiliare debole, come ad esempio in Norvegia, se non addirittura di repubblica, come nelle regioni montagnose della Svizzera. (Ho qualche difficoltà a far rientrare l'Italia, la Spagna e il Portogallo, con terreni poveri e potenti aristocrazie, in questa generalizzazione; può essersi verificata una erosione, che ha distrutto terreni un tempo fertili, lasciando sopravvivere il potere della nobiltà, o possono essere entrati in gioco altri fattori che non rientrano nel modello.) In una economia in cui i fattori della produzione lasciano l'agricoltura, per passare al commercio o all'industria, la risorsa scarsa tende ad essere il capitale, e i suoi proprietari fanno valere il proprio diritto alle rendite e ad accedere ai posti di comando. La società borghese è perciò repubblicana, o, se la monarchia sopravvive, costituzionale. Un po' narcisisticamente, Galbraith sostiene che in una società postindustriale 1 Colin Clark, The Conditions oj Economie Progress, New York 1940, 19573; A.G.B. Fisher, Economie Imp/ications of Materiai Progress, «International Labour Review», luglio 1935, pp. 5-18; e Production, Primary, Secondary and Tertiary, «Economie Record», voi. XV, giugno 1939, n. 28, pp. 24-38. 2 John Kenneth Galbraith, The New Industriai State, Boston, Londra 1967 (trad. it., Il nuovo Stato industriale, Torino 1968).

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la risorsa scarsa sono i cervelli, gli intellettuali hanno il diritto di pretendere grosse ricompense, e che è sempre più probabile che la burocrazia, degli affari e della amministrazione, si assicuri il controllo degli eventi. Portiamo ancora più oltre l'analisi che abbiamo intrapreso partendo dalla legge di Engel e devo ammettere che ce ne siamo allontanati parecchio - e osserveremo che il successo nelle attività commerciali, bancarie e industriali in molte società riconduce alla proprietà della terra, delle campagne, e all'orgoglio che dà far progredire l'agricoltura. Qui probabilmente è in gioco un ritardo culturale, che fa sì che il borghese scimmiotti ancora l'aristocrazia, anche se il potere economico e politico in parte è già passato nelle sue mani. Il mercante è il migliore degli innovatori, sostenne Adam Smith parlando dell'agricoltura; ma di regola ciò si verificava solo dopo la costruzione di una grande magione, o del restauro di una vecchia, forme di consumo opulento elastiche al reddito. Se si aggiunge alla crescita e alla legge di Engel la riluttanza di qualsiasi gruppo a cedere il potere politico, ne risulta che il settore agricolo tende ad essere rappresentato in misura eccessiva nei governi parlamentari. Negli Stati Uniti, inizialmente si pensava che questo effetto fosse ormai sotto controllo con la periodica ridefinizione dei distretti elettorali, prevista dalla Costituzione, dopo ogni censimento decennale. Il compito di distribuire i seggi nei vari Stati, separati, dopo la nuova suddivisione, in distretti, fu però lasciato alle legislature statali, che a loro volta soffrivano di ritardi nell'analisi politica e di un eccesso di rappresentanza degli interessi agrari. Solo quando la Corte Suprema decretò che le legislature statali erano costituzionalmente obbligate a dare pari accesso al potere agli elettori urbani e rurali, in base al principio «un uomo un voto», il predominio degli interessi rurali fu messo sotto controllo, e con esso la prevalenza dei rappresentanti degli agrari nei comitati del Congresso. Come nota a margine di un certo interesse, forse principalmente per quanti hanno una conoscenza dettagliata della geografia americana, J ames Phinney Baxter (lo storico della frontiera continuatore della tradizione di Turner, morto alcuni anni fa), reagì a queste proposizioni ipotizzando che uno degli ultimi atti del settore agricolo, quando il 6

potere nelle legislature dei singoli Stati gli stava sfuggendo, nel diciannovesimo secolo, fosse trasferire la capitale dello stato dal principale centro urbano a una modesta cittadina lungo la linea dove le pianure lasciano il passo alle colline. Così nel Maine, Portland cedette il passo ad Augusta come capitale; nel New Hampshire, Portsmouth a Concord; nello stato di New York, New York City a Albany; in Pennsylvania, Filadelfia a Harrisburg; nella Carolina del Sud, Charleston a Columbia; in Georgia, Milledgeville a Atlanta. Ci sono eccezioni alla regola, come nel Massachusetts, dove la capitale rimase Boston, per cui le generalizzazioni non sono una base sicura per fare previsioni accurate.

3. La legge di Engel quale legge generale dei consumi La legge di Engel non si applica solo agli alimentari, e per estensione all'agricoltura; è una legge generale dei consumi. Con la crescita, la domanda di uno o più prodotti - pochi alla volta però - è caratterizzata inizialmente-da una elevata elasticità rispetto al reddito, che poi declina quando il reddito aumenta notevolmente.Rendimenti crescenti nel consumo sono seguiti da rendimenti dapprima stabili e successivamente decrescenti. Spesso in un'economia moderna ci sono uno o più beni di consumo - l'automobile, il televisore, la televisione a colori, le case per le vacanze - richiestissimi. Nel 1955, quando insegnavo per un corso estivo ad Harvard, un sociologo giapponese confermò questa generalizzazione sulla struttura dei consumi, e aggiunse che in Giappone a quell'epoca il bene di consumo più in voga era il frullatore, un utensile elettrico da cucina per mescolare e montare alcuni alimenti. Le conversazioni riguardavano spesso il frullatore: «Lo hai gia?» «È buono?» «Speriamo di averne uno entro la fine dell'anno!». Fa sorridere pensare come in venticinque anni lo spettacolare aumento del reddito giapponese abbia lasciato il frullatore così indietro. Un dato bene può compiere più di una volta il ciclo dei 7

consumi di Engel, da bene di lusso con una elevata elasticità rispetto al reddito a esigenza primaria a bassa elasticità. La prima volta che ciò avviene il contesto è di relativa povertà, e il bene in questione è cruciale per il livello di vita della famiglia; forse una bicicletta in Asia, la Topolino per la famiglia italiana degli anni Trenta, la radio in Europa o negli Stati Uniti negli anni Venti. Con l'andar del tempo, quando il bene è entrato a far parte definitivamente del tenore di vita della famiglia media come bene di prima necessità, con una bassa elasticità rispetto al reddito, ritorna a venire richiesto come bene di lusso a elasticità elevata, ma sotto forma di bicicletta del bambino e non di chi guadagna il salario, o di seconda macchina, o di seconda o terza radio o televisore. L'elasticità rispetto al reddito della domanda di una famiglia con più automobili è diversa per ogni veicolo. Si ha una sorta di ciclo del prodotto dal lato della domanda, oltre che dell'offerta, con la diffusione del gusto per certi prodotti, lungo il sentiero della tecnologia produttiva, e con l'aumento del reddito. Al punto inferiore del ciclo il bene può perdere il suo pregio, con una elasticità negativa rispetto al reddito, in quanto il suo consumo, all'aumentare del reddito, in realtà diminuisce. Patate e salsicce di qualità modesta sono classici esempi, ai quali si può aggiungere la prima bicicletta quando la famiglia compra una macchina, o il maggiolino della Volkswagen prima che la famiglia passi alla Opel o alla Mercedes. Storicamente si potrebbero individuare in Francia, nel diciottesimo e nel diciannovesimo secolo, un certo numero di tipi di tessuti di lana, ognuno dei quali cominciò con l'essere venduto alle classi più agiate, e a Parigi, per venire poi diffuso nelle province, in tutte le classi e per essere infine sostituito sul mercato interno da beni di migliore qualità introdotti successivamente, e finendo con l'essere esportato nelle Indie occidentali, destinato agli schiavi3. Nella teoria dei consumi, alcuni analisti introducono un «punto di massimo benessere», in cui la domanda di tutti i 3 Vedi François Dornic, L 'industrie textile dans le Maine et ses débouches internationales (1630-1815), Le Mans 1955, p. 40 e cap. V; e Pierre Goubert, Familles marchands sous l'Ancien Régime: Danse e !es Motte, de Beauvais, Parigi 1959, p. 174.

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beni e servizi è pienamente soddisfatta e tutte le elasticità rispetto al reddito, a parte le sostituzioni e i pezzi di ricambio, sono crollate in media a zero. Ci potrebbero essere alcune elasticità positive rispetto al reddito per i beni di buona qualità, controbilanciate però da elasticità negative per i beni meno richiesti. Alcune piccolissime parti di alcune società civili possono avvicinarsi a tale punto, ma certamente nessun paese nel suo complesso, né il mondo. E persino in tale «punto di massimo benessere» permarrebbe il problema economico. Staffan Burenstam Linder osserva in The Harried Leisure Class che l'agiatezza, che Adam Smith usava chiamare opulenza, lascia ai consumatori troppo poco tempo per consumare i loro abbondanti beni e servizi4 • Permane l'esigenza di economizzare il tempo. Da un altro punto di vista, l'opulenza per tutti, quando i beni privati sono facilmente acquisiti in quantità rilevanti, creerà problemi di congestione - un male collettivo - e una scarsità di privacy, un bene privato intangibile. Avendolo citato prima approvandolo, posso ora polemizzare con Galbraith 5 • Il diffondersi del gusto per i beni privati è causato solo in parte dalla pubblicità. La distinzione tra beni necessari (chiamati da Adam Smith di «uso necessario») e beni superflui («moda e capricci» di Smith) non è accettabile6 • La domanda di qualsiasi bene, a parte un minimo di cibo, di vestiario e di riparo è determinata socialmente, o forse sociologicamente, per emulazione rispetto ad altri consumatori, un gruppo di propri pari prescelto dagli interessati in base a processi sociali che l'economista non è tenuto a comprendere. La pubblicità svolge certamente un ruolo in molti di essi, ma la domanda si diffonde altrettanto rapidamente per molti beni non reclamizzati - la musica sinfonica, i musei e simili, e per attività come lo sci, la vela, e più di recente lo jogging, il pattinaggio e il ballo in discoteca. In The Lonely Crowd, David Riesman asserisce non Staffan Burenstam Linder, The Harried Leisure Class, New York 1970. John Kenneth Galbraith, op. cit. 6 Adam Smith, An lnquiry into the Nature and Causes of the Wealth of Nations, 2 voli., Londra 1766. L'edizione citata è il testo a cura di Edwin Cannan pubblicato dalla Methuen and Co., Londra 19354, pp. 114-15, libro I, cap. X, sez. b, par. 42 (trad. it., Ricerche sopra la natura e le cause della Ricchezza delle Nazioni, Torino 1948). 4

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solo che gran parte della società americana è etero-diretta, traendo le sue nozioni di bene e di male dal gruppo che sceglie di emulare, ma anche che le persone autodirette, che sembrano indipendenti in fatto di giudizi e di gusti, hanno in realtà determinato presto la loro mentalità e non l'hanno più cambiata7 • Nelle nostre lezioni insegnamo la sovranità dei consumatori e funzioni dell'utilità indipendenti. In realtà la situazione è più quella di consumatori governati dai propri pari e caratterizzati da funzioni dell'utilità che interagiscono con quelle di quanti sono loro vicino. Nuovi beni vengono prodotti in quantità rapidamente crescenti, si diffondono ampiamente sino a diventare di massa, e poi il loro tasso di crescita deve rallentare. Questa è la legge di Engel più generalizzata e vuol dire che la crescita geometrica di qualsiasi prodotto deve rallentare. Alcuni anni fa John Meyer attribuì il declino della crescita della Gran Bretagna alla fine del diciannovesimo secolo al fatto che le esportazioni non riuscissero a continuare il loro rapido sviluppo nel terzo venticinquennio del secolo 8 • Ma l'elasticità della domanda di prodotti come i tessuti di cotone, le rotaie, le lamiere, non poteva che cadere una volta saturata la domanda mondiale. Parte della crescita dei tessuti di cotone fu dovuta alla concorrenza nei confronti dei tessuti fatti a mano - di lana, di lino e di cotone prodotti con sistemi artigianali - prima all'interno, poi all'estero. La crescita dell'industria britannica finì col contrarsi per due ragioni: la legge di Engel, che imponeva la riallocazione dei fattori della produzione in nuovi settori industriali, combinata con l'incapacità inglese di passare rapidamente alle nuove industrie chimiche, delle attrezzature elettriche e dell'automobile, da una parte, e la concorrenza di altri paesi nella produzione dei beni ma,turi dall'altra. Questo effetto della concorrenza fu notato da Tyszynski nella sua critica agli studi del1' Institut fiir Weltwirtshaft und Seeverkehr nella Enquete A us7 David Riesman, The Lonely Crowd. A Study ofthe Changing American Character, New Haven 1950 (trad. it., La folla solitaria, Bologna 1983). 8 J ohn R. Meyer, An Input-Output Approach to Evaluating the Influence of Export on British Industriai Production in the late 19th Century, «Explorations in Entrepreneurial History», voi. VIII , ottobre 1955, pp. 12-34.

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schuss, che aveva attribuito la maggiore importanza nella determinazione dei tassi relativi di crescita delle esportazioni alle elasticità rispetto al reddito di vari prodotti, che venivano ritenute fisse e onnipresenti, mentre, come abbiamo illustrato, le elasticità di un dato prodotto differiranno a seconda del livello del reddito di una data società e della distribuzione del reddito al suo interno 9 • Così, per un paese, le elasticità rispetto al reddito per specifici prodotti si modificheranno nel tempo, in media, al variare del reddito e, comparativamente, un dato prodotto sarà caratterizzato da elasticità differenti in diversi paesi, regioni, classi sociali e così via, a seconda dei gusti e del reddito dei gruppi in questione. L'effetto di dimostrazione di Nurkse e le comunicazioni efficienti e a basso costo sembrano portare a una convergenza internazionale dei gusti. Le differenze di reddito permangono. L'effetto competitivo appena discusso naturalmente è distinto dalla legge di Engel, ed è legato piuttosto alla diffusione della tecnologia dal lato dell'output del ciclo dei prodotti. Ma i due effetti operano congiuntamente a rendere più rapido il processo di invecchiamento nelle economie. I vecchi beni hanno basse elasticità rispetto al reddito nelle società ricche, e la sostituzione dei beni di importazione opera nei paesi più poveri, in cui la domanda è elevata e più elastica rispetto al reddito, riducendo le esportazioni dei pionieri della produzione. Per sostenere la crescita, le vecchie economie devono passare a nuovi beni, caratterizzati da elevata elasticità e da tecnologie non ancora adottate dai paesi importatori. Il processo è senza l'ine, perché a tempo debito la tecnologia di questi nuovi prodotti si diffonde anch'essa e le importazioni vengono sostituite da produzioni locali, a volte ad un grado tale che i pionieri arrivano ad importare certi prodotti dal loro vecchio mercato di sbocco. Una certa contropartita di questa perdita dei mer9 lnstitut fur Weltwirtschaft und Seeverkehr an der Universitat Kiel, Der /Jeutsche Aussenhandel unter der Einwirkung weltwirtschaftlicher Strukturwandlungen, voi. XX dell'Ausschuss zur Untersuchung der Erzeugungs-und Il hsatzbedingungen der deutschen Wirtschaft, Berlino I 932, pp. 156-57; 11. Tyszynski, World Trade in Manufactured Commodities, 1899-1950, «Manchester School of Economics and Socia! Studies», voi. XIX, settembre 1951. Il. 3, pp. 272-304.

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cati di esportazione dei vecchi prodotti per i paesi avanzati si determina nel ciclo delle materie prime, che consente ai paesi industrializzati di sostituire le importazioni di prodotti primari. Magee e Robins individuano tre stadi del processo: un primo stadio di boom della domanda derivata, un secondo stadio in cui si ha sostituzione della domanda e lo sviluppo di fonti competitive dell'offerta e un terzo in cui la ricerca e lo sviluppo tecnologico determinano economie nell'impiego del prodotto e surrogati sintetici 10 • Anche le materie prime, come i beni di consumo, hanno quindi la tendenza a seguire una legge di Engel più generale.

4. La curva di Gompertz e la legge di trasformazione, generalizzazioni della legge di Engel Avendo brevemente esaminato la legge di Engel del consumo, possiamo esaminare adesso una enunciazione più generale dell'analisi di Engel applicabile alla produzione oltre che al consumo, ossia la curva a S o di Gompertz. Questa suggerisce che i processi economici si avviano lentamente, acquistano velocità in caso di successo, crescono rapidamente e poi rallentano. In una formulazione questa è la legge della trasformazione dei materiali, succintamente enunciata dal mio collega studioso di metallurgia al Massachusetts Institute of Technology Cyril Stanley Smith: Questi e centinaia di altri materiali e impieghi crescono in simbiosi nella storia, in maniera analoga alla curva a S di una trasformazione di fase dei materiali stessi. Ci fu uno stadio, invisibile se non retrospettivamente, in cui oscillazioni rispetto allo status quo, comportanti solo piccole distorsioni localizzate, iniziarono a interagire e a consolidarsi in una nuova struttura; questo nucleo crebbe poi tra10 Stephen P. Magee e Norman I. Robins, The Raw Materials Product Cycle, in Lawrence B. Krause e Hugh T. Patrick (a cura di), Minerai Resources in the Pacific Area, San Francisco 1978, pp. 30-55; Comments, pp. 57-68.

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sformandosi in un ambiente più o meno costante a un tasso sempre più rapido, per le crescenti opportunità di interazione, finché la sua crescita finì col rallentare ed arrestarsi per l'esaurimento dei materiali necessari alla crescita, o a causa di crescenti pressioni di segno opposto da parte di altri fattori dell'ambiente. Ogni variazione nelle condizioni (termodinamiche = sociali) può offrire una nuova opportunità per una nuova fase. Sappiamo tutti come la sovrapposizione di molte piccole curve a S sequenziali si sommi nella curva a S gigante di quella nuova e più ampia struttura che definiamo civiltà ... Poiché in ogni momento vi sono molti sottosistemi, in parte sovrapposti, in concorrenza tra loro, a vari stadi di maturità, e ciascuno di essi modifica continuamente l'ambiente per gli altri, spesso è difficile capire cosa succeda. Inoltre, la nucleazione deve in via di principio essere invisibile, perché i germi del futuro traggono la propria validità solo da e in sistemi più ampi che non esistono ancora. Inizialmente sono indistinguibili da mere fluttuazioni prive di sostanza, destinate a essere cancellate. Essi iniziano in opposizione al proprio ambiente, ma quando raggiungono la maturità formano il nuovo ambiente mediante l'equilibrio delle loro molteplici reazioni. Questo mutamento di scala, e questa interazione con il tempo, è l'essenza della storia di qualsiasi elemento, materiale, intellettuale o sociale 11 •

Naturalmente l'esperto dei metalli incontra dei limiti dal lato dell'offerta, e nel mondo attuale, caratterizzato dai problemi energetici, come quello di Ricardo era caratterizzato da rendimenti decrescenti nell'impiego della manodopera e dei capitali sulla terra, siamo acutamente consapevoli che questa forza determina un rallentamento. Vorrei tuttavia sostenere che una delle ragioni del rallentamento di una data economia sta nel fatto che essa è intrappolata nella produzione di beni che stanno raggiungendo i loro limiti nei consumi, in momenti in cui l'effetto competitivo fa sì che qualsiasi declinante aumento dei consumi stessi vada a favore di altri produttori. Prima di guardare al rallentamento, dobbiamo però esaminare il segmento iniziale, di rapida crescita, della curva di Gompertz. Alcuni anni fa, W. W. Rostow introdusse il concetto di «decollo» nel 11 Cyril Stanley Smith, Metallurgy as Human Experience, «Metallurgica! Transactions», voi. LXII, aprile 1975, n. 4, p. 605.

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dibattito sulla crescita dell'economia 12 • I suoi studi sulla crescita partivano dalle (I) condizioni preliminari, passavano al (II) decollo e quindi alla (III) maturità e a uno stadio finale nella sua analisi - di consumi di massa elevati. L'analisi venne criticata fortemente, in quanto faceva intendere che lo stadio del decollo potesse essere datato con notevole precisione (nel caso della Gran Bretagna lo si assegnava al 1783, quando le esportazioni negli Stati Uniti, da poco divenuti indipendenti, aumentarono nettamente) e anche per la tesi che tutte le economie occidentali, e forse persino quelle socialiste, sarebbero passate per gli stessi stadi in maniera più o meno uniforme. In alcune economie, come quella argentina, Rostow e i suoi allievi riscontrarono un «notevole ritardo», ma per la maggior parte dei casi lo studioso riteneva che la sua legge della crescita fosse altrettanto utile, per effettuare previsioni, quanto Marx riteneva lo fosse il materialismo dialettico 13 • Alexander Gerschenkron differenziava il suo modello della crescita economica da quello di Rostow, sostenendo che non esisteva un unico insieme di condizioni preliminari, ma che a una di esse se ne poteva sostituire un'altra. In particolare egli riteneva che le banche e le autorità governative potessero sostituirsi all'imprenditoria privata, se questa mancava in un paese che si stava impegnando nel processo di sviluppo. Da ultimo egli modificò la sua teoria della sostituibilità tra condizioni preliminari dello sviluppo in una teoria della «arretratezza», nella quale sosteneva che quanto più arretrata un'economia era all'inizio dell'industrializzazione, tanto più era necessario che le banche di credito industriale e, in casi ancor meno avanzati, lo Stato provvedessero alla necessaria forza motrice 14 • Tentò, secondo 12 Walt Whitman Rostow, The Stages of Growth, Cambridge 1960, (trad. it., Gli stadi dello sviluppo economico, Torino I 962). 13 Guido Di Tella, The Economie History of Argentina, 1914-1933, dissertazione, Massachusetts Institute of Technology, 1960; e Manuel Zymelman, The Economie History of Argentina, 1933-1952, dissertazione, Massachusetts Institute of Technology, 1958. 14 Alexander Gerschenkron, Economie Backwardness in Historical Perspective, in Bcrthold Frank Hoselitz, (a cura di), The Progress of Underdeveloped Areas, Chicago 1952, ristampato in Alexander Gerschenkron, Economie Backwardness in Historical Perspective. A book of essays, Cambridge,

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me senza troppo successo, di differenziare la sua nozione di discontinuità, definita a volte «grande balzo», sulla falsariga del decollo di Rostow. Ma come Rostow riconobbe il «notevole ritardo» dell'Argentina, Gerschenkron fu obbligato ariconoscere un fallimento, An Economie Spuri that Fai/ed, nell'esperienza dell'Austria del primo decennio del ventesimo secolo 15 •

5. Limiti delle generalizzazioni della legge di Engel per spiegare il decollo nei processi di crescita La tesi centrale di questa conferenza è che la legge di Engel è valida, come le sue generalizzazioni - le leggi di Gompertz, o curva a S, e di trasformazione, con le loro fasi di precondizioni e prerequisiti, decollo e grande balzo, crescita autoalimentata e simili - ma che nessuna di esse consente di fare previsioni valide. Riconoscibili ex post, sono spesso di difficile individuazione quando il processo è in corso, e inutili ex ante. Da una parte, i prerequisiti possono non essere riconoscibili prima che la crescita abbia effettivamente luogo. Dall'altra, una serie di curve a S o di piccoli decolli in un settore o nel1'altro possono accatastarsi gli uni sugli altri in maniera tale che la forma netta e chiara della curva a S globale è confusa, sfocata e non è riconoscibile neppure da lontano. Come primo esempio, si può citare la Svezia, che di recente è stata definita, per quanto riguarda la prima metà del diciannovesimo secolo, complessa e ricercata, ma impoverita. Si è voluto con ciò affermare che essa godeva di tutte le precondizioni della crescita, con una imprenditoria e un'amministrazione estremamente sviluppate, istruzione, capacità scientifiche e così via, ma non di vere possibilità di sviluppo, prima che l'abrogazione delle leggi sul grano, delle dogane sui legnami e Mass., 1962 (trad. it., Il problema storico dell'arretratezza economica, Torino 1965). 15 Alexander Gerschenkron, An Economie Spurt that Fai/ed. Four Lectures in Austrian History, Princeton 1977.

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delle leggi sulla navigazione, nel decennio 1840-50, non aprissero nuovi mercati che la Svezia fu in grado di sfruttare 16 • La crescita della Svezia fu rapida dopo il 1860 circa, conformandosi agli stadi rostoviani; sino ad allora però ci fu abbondanza di prerequisiti o presupposti, ma non molto in termini di concrete trasformazioni e di crescita innovativa. In secondo luogo si può prendere in considerazione l'esperienza francese della prima metà del diciannovesimo secolo. Rostow aveva speso molto tempo datando il «decollo» di vari paesi. Come abbiamo notato, prescelse il 1783 per la Gran Bretagna, con l'espansione delle esportazioni successiva al Trattato di Parigi, che mise fine alla Guerra di Indipendenza. Il settore trainante fu l'industria cotoniera. In Francia si dice che il decollo si sia avuto tra il 1830 e il 1860, trainato dal settore delle ferrovie. Recenti ricerche, peraltro, hanno messo seriamente in questione il fatto che in Francia si sia mai avuta una vera rivoluzione industriale. Richard Roehl vede una crescita costante nell'intero periodo da Waterloo al Secondo Impero, basata, si può ipotizzare, su una serie di piccole curve a S in un settore dopo l'altro, mai contemporanee, per cui la curva globale è attenuata. Canali, miniere, tessili, ferrovie, zuccherifici, edilizia urbana, un settore dopo l'altro decolla più o meno tranquillamente, entro certi limiti da solo. Tuttavia non c'è stato alcun settore talmente preminente rispetto alla media da poter essere considerato trainante 17 • Nel sistema di Rostow c'è qualche difficoltà nel determinare se un settore trainante lo sia per dimensioni, tasso di crescita, tasso di innovazione tecnologica, collegamenti a monte o a valle, o per una combinazione di tali fattori con pesi differenti. Le ferrovie ebbero inizio in Francia nel decennio 1830-40, ma la loro costruzione si fece più rapida solo dopo che i problemi finanziari furono risolti, negli anni successivi al 1850. Quando un paese come il Canada ha una serie di settori - pellami, pesca, legname, miniere, ce16 Lars G. Sandberg, Banking and Economie Growth in Sweden before World War /, «Journal of Economie History», voi. XXXVIII, settembre 1978, n. 3, pp. 650-80. 17 Richard Roehl, French Industrialization: A Reconsideration, «Explorations in Economie History», voi. XIII, luglio 1976, n. 3, pp. 233-81.

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reali, carta - la cui crescita è la più veloce per qualche tempo e poi rallenta, può sembrare che ci siano una serie di decolli, ma non un decollo globale che porti a una crescita sostenuta. Anche in una sola industria si possono avere piccole curve a S che si innestano sulle precedenti, come nel caso in cui un settore si assicura un nuovo periodo di vitalità dovuto a qualche innovazione. I processi Gilchrist Thomas e Martin, che seguirono al Bessemer, nella produzione dell'acciaio illustrano il punto. La lezione che va tratta da questo esame è che crescita non vuol dire maggiori quantità, ma innovazione. Ci sono economisti che distinguono tra crescita, che sarebbe semplice aumento, e sviluppo, trasformazione da settore a settore, da una tecnologia all'altra, da un insieme istituzionale a un altro. Se si adottasse questo schema, la crescita sarebbe un fenomeno di breve periodo, perché nel più lungo termine crescita e trasformazione debbono procedere assieme. Il mutamento non deve avere luogo con attori dati; questi possono uscire di scena, e lasciare il passo a nuovi protagonisti, in grado di svolgere compiti diversi. In effetti sembra quasi una legge economica che l'innovazione comporti nuovi operatori, perché i vecchi non sono in grado di occuparsi efficacemente dei nuovi compiti. Crescita non può voler dire maggiori quantità della stessa cosa, perché la legge di Engel significa che il mondo non continuerà a volere sempre di più, ma allo stesso modo. E l'effetto wmpetitivo vuol dire che anche la stessa quantità di un dato bene, assumendo che lo spettro dei beni di qualità inferi ore sia limitato, tenderà a essere prodotta da qualcun altro, disposto, avendo acquisito le necessarie conoscenze, a vendere a minor prezzo. La crescita in ragione geometrica è un fuoco fatuo. I neonati, il cui peso alla nascita raddoppia in cinque mesi e triplica in un anno, finiscono col pesare un numero finito di chilogrammi. Gli alberi non raggiungono mai il cielo. Perché i boschi crescano, è necessario che ci siano nuovi alberi. La crescita geometrica e i grafici in scala logaritmica fanno luce su numerosi problemi, ma non ci aiutano per la storia dell'economia. Diventano rapidamente fuorvianti, se non per un limitato periodo di rapida espansione di un singolo settore; e 17

mentre si può adattare un trend di crescita a una curva a S, questa ha un valore previsivo scarso se non nullo. Quando poi si tenta di aggregare più settori, sorge il problema dei numeri indici. Il lavoro di Gerschenkron sugli indici della produzione in Italia e in Unione Sovietica è ben noto 18 • La scelta tra un indice di Laspeyres e un indice di Paasche dà risultati assai diversi nel calcolo dei tassi di crescita, a causa della diversità dei prezzi. In particolare, l'Unione Sovietica sopravvalutava seriamente il suo tasso di crescita facendo uso dei pesi al momento iniziale, in cui i prodotti nuovi e in rapida crescita erano scarsi, ed erano quindi caratterizzati da prezzi elevati, e avevano quindi un peso eccessivo. I pesi di fine d'anno, d'altra parte, sottostimano i tassi di crescita, e gli indici a catena con pesi variabili rappresentano uno scomodo compromesso. Le statistiche del reddito nazionale, ovviamente, soffrono degli stessi problemi dei numeri indici, anche se in forma attenuata, riguardando centinaia di migliaia di beni. È difficile dare credito ai tassi di crescita di singoli paesi per periodi di cinquanta o cent'anni. Quando si mettono a raffronto due paesi, come nel volume di O'Brien e Keyder sulla Francia e la Gran Bretagna, è improbabile che si possa credere senza riserve ai risultati esposti. Oltre ai problemi connessi ai numeri indici per paesi diversi, che possono dare pesi diversi alle cose, le difficoltà dell'analisi per campioni rendono virtualmente impossibile individuare un criterio affidabile per avviare il confronto, portarlo a termine, o mettere a fuoco gli anni centrali. Che O'Brien e Keyder abbiano rilevato che nel 1789 la Francia era più ricca pro capite della Gran Bretagna mi sembra incredibile alla luce della legge di Engel e del fatto, o piuttosto della stima, che allora l'agricoltura britannica impiegava il 570/o della forza lavoro e quella francese 1'81 O/o 19 • Ritorno all'esigenza di trasformare crescendo, cioè di spostare risorse dalle industrie esistenti verso settori nuovi col pro18 Alexander Gerschenkron, Economie Backwardness in Historical Perspective, cit., capp. IV, IX, X. 19 Patrick O'Brien e Caglar Keyder, Economie Growth in Britain and France, 1780-1914. Two Paths to the Twentieth Century, Londra 1978; calcoli derivati dalla tav. 4.5, p. 94.

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cedere della crescita, o di dirigere il flusso della manodopera dall'agricoltura all'industria e ai servizi con l'aumentare dell'output pro capite legato ai risparmi, all'istruzione e al progresso tecnologico. L'idea non è certo nuova. Nello scrivere The Terms of Trade un quarto di secolo fa, raggiunsi la conclusione che le ragioni di scambio non mutavano a sfavore delle materie prime e a favore dei manufatti, ma a favore dei paesi avanzati e a sfavore dei paesi in via di sviluppo (come vengono eufemisticamente chiamati), ciò che non è la stessa cosa 20 • E questo in quanto, come ritenevo allora, i paesi avanzati avevano la capacità di trasformarsi e i paesi poveri, i paesi sottosviluppati e i produttori di materie prime non l'avevano. Quando i prezzi dei beni che i produttori di materie prime esportavano aumentavano, nuovi produttori che entravano sul mercato, nei paesi sottosviluppati o nei paesi avanzati, tornavano a farli diminuire. Quando i prezzi di tali beni cedevano, l'incapacità dei loro produttori di uscire dalla produzione faceva sì che restassero bassi, rispetto a quelli dei manufatti di esportazione. Se le variazioni dei prezzi sono distribuite stocasticamente, i produttori di materie prime, che devono affrontare un aumento dei concorrenti quando i prezzi crescono, e non sono in grado di uscire dal settore quando i prezzi diminuiscono, sperimenteranno una tendenza di lungo periodo al declino delle ragioni di scambio. Per i paesi industrializzati nel loro iniziale vigore, la posizione era inversa: gli aumenti dei prezzi potevano alimentarsi, perché i nuovi ingressi erano difricili, e la diminuzione dei prezzi veniva bilanciata dall'uscita di alcuni operatori dal mercato, che ne determinava un nuovo aumento. Questa era la posizione come la valutavo nel 1955. Oggi la penserei diversamente. Gli stadi rostoviani della crescita che sfociano in un periodo senza fine di elevati consumi di massa mi sembrano un po' la favola in cui il principe azzurro sposa la ragazza e tutti vivono felici e contenti per sempre. Nel punto più elevato della curva di Gompertz, invece, un paese non vive una crescita continua della produzione di beni 20 Charles P. Kindleberger, The Terms of Trade: A European Case SI udy (1:on l'assistenza di Herman G. Van der Tak e Jaroslav Vanek), Cambridge, Mass., New York, Londra 1956.

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di consumo di massa, ma una perdita della capacità di trasformarsi, di reagire ai segnali dei prezzi, di uscire dai vecchi settori a bassa elasticità e di entrare in quelli nuovi (o di adottare nuovi processi nei vecchi settori). La Gran Bretagna al volgere del secolo non aveva futuro nei tessili, nella produzione del carbone, di rotaie, di lamiere, e simili, e trovava difficile entrare nella produzione di apparecchiature elettriche, nell'industria chimica e nelle automobili. Va notato che si tratta di un giudizio controverso, sul quale non è stata detta l'ultima parola. Dopo anni nei quali hanno dominato nelle esportazioni di aeroplani, computer e attrezzature elettroniche, gli Stati Uniti si trovano costretti a lungo termine ad uscire da questi settori, continuando inesorabilmente la diffusione della tecnologia, senza una chiara direzione da prendere. Negli Stati Uniti il tasso di innovazione è diminuito, come pure il tasso di investimento e quello di aumento della produttività. Come la Gran Bretagna nell'ultimo terzo del diciannovesimo secolo, gli Stati Uniti sono un'economia che invecchia, e che perde lentamente la sua capacità di trasformarsi. Da parte sua la pressione della concorrenza continua. Anni fa dissi ironicamente che il prodotto più dinamico degli Stati Uniti erano i semi di soia. Dopo il netto aumento dei prezzi del 1973, quando Nixon indignò i giapponesi imponendo un fermo alle esportazioni di semi di soia, si è scoperto che la produzione di soia del Brasile improvvisamente ha assunto un ritmo più rapido di quella degli Stati Uniti. Una triste illustrazione della incapacità di adattarsi e di innovare è data dall'insuccesso degli Stati Uniti nel reagire all'aumento dei prezzi petroliferi, scoprendo e producendo una maggiore quantità di petrolio, sviluppando dei surrogati, o tagliando i consumi con una politica di risparmio o mediante una risposta elastica della domanda. Il Messico, con le sue nuove scoperte e malgrado le perdite nel Golfo, e il Canada hanno reagito in modo più vivace e innovativo. Si può quindi convenire sul fatto che la legge di Engel, con le sue generalizzazioni dal cibo ai consumi nel loro complesso, e da questi alla curva di Gompertz o a S, sia un utensile che appartiene allo strumentario dello storico dell'economia. Ci sono alcuni, più coraggiosi di me, che la impiegherebbero per fare''f:rrevisioni. In The Coming of Post-Industriai Society, di

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Daniel Bell, il continuo aumento dell'output, forse accelerato dalle fabbriche computerizzate, incontra rendimenti decrescenti nel settore dei beni di consumo e fa spostare risorse in misura crescente verso i servizi, che restano elastici rispetto al reddito 21 • L'ipotesi è buona, ma resta un'ipotesi. La storia offre esempi di «transizioni interrotte» e di vere e proprie decadenze 22 • Con molte forze all'opera e piccole variazioni del peso relativo di ciascuna di esse in grado di modificare le tendenze complessive, fare previsioni anche a brevissimo termine è una sfida agli dei, come hanno ampiamente dimostrato The Economics of 1960 di Colin Clark, scritto nel 1942, o The Balance of Payments of the United States in 1968 della Brookings Institution, scritto nel 1963 23 • Esorto vivamente a tenere presente l'utilità della legge di Engel nella interpretazione della storia, ma non sono ancora disposto a fare troppo affidamento su di essa per scrutare il futuro. 21 Daniel Beli, The Coming of Post-Industriai Society: A Venture in Socia/ Forecasting, New York 1973; Londra 1974. 22 Frederick Krantz e Paul M. Hohenberg, Fai/ed Transitions to Modern Industriai Society: Renaissance ltaly and Seventeenth Century Holland, Mon1real 1975. 23 Colin Clark, The Economics of 1960, Londra 1942; Walter S. Salante altri, The Ba/ance of Payments of the United States in 1968, Brookings Institutions, Washington, D.C., 1963.

Seconda lezione LA LEGGE FERREA DEI SALARI

1. Il modello della crescita di Lewis La prima lezione analizzava la legge di Engel, che afferma che la produzione agricola cresce più lentamente dell'economia nel suo complesso a causa dei rendimenti decrescenti e della decrescente possibilità di consumare cibo. Un importante corollario, di grande rilievo esplicativo per gran parte della storia dell'economia, è che mentre l'industria e i servizi crescono, se aumenta anche la produttività nel settore agricolo si libera in agricoltura manodopera che può trasferirsi negli altri settori. Se sommiamo l'aumento della popolazione nel settore agricolo e un eccesso di manodopera nel settore, possiamo facilmente arrivare al modello di W. Arthur Lewis di «crescita con offerta illimitata di manodopera» 1 • Essa somiglia molto al modello di Karl Marx della crescita che sfrutta l'esercito industriale di riserva, con il quale condivide una certa aria di famiglia. Il titolo di questa lezione è forse improprio, dato che la legge ferrea dei salari di Ricardo e Malthus, ad esempio, è valida per periodi più protratti di quelli a cui sono interessato, se e quando è valida, e dice che i salari non possono aumentare al di sopra del livello di sussistenza, perché, se ciò si verificasse, la popolazione crescerebbe, riportandoli a un livello più basso. Il modello della crescita di Lewis o di Marx, con un'of1

William Arthur Lewis, Economie Development with Unlimited Supplies

'!l labor, «Manchester School of Economie and Socia( Studies», voi. XXII, maggio 1954, n. 2, pp. 139-91.

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ferta elastica di manodopera sulla quale fare affidamento, è simile alla legge ferrea dei salari nella misura in cui assume che i salari siano fissi a un dato livello di sussistenza, livello che può in realtà crescere gradualmente col tempo, in quanto si muove gradualmente verso l'alto, a causa di effetti di Duesenberry, l'idea corrente di livello di sussistenza. Ma è diversa l'importanza attribuita ai vari fattori nei due casi. Il modello di Lewis è interessato alla crescita, e postula nel breve periodo un'offerta elastica della manodopera disponibile al salario di sussistenza; la legge ferrea dei salari è interessata alla distribuzione del reddito, e non assume un esercito permanente di lavoratori disoccupati o sottoccupati in agricoltura, ma un meccanismo di variazione dei ritmi demografici. Nello scegliere questo titolo, per motivi di simmetria tra quelli delle quattro lezioni, posso essere stato tendenzioso. Come nell'esame della legge di Engel, dobbiamo postulare una fonte di crescita economica esterna al sistema: scoperta, innovazione, variazione positiva della domanda di un prodotto di esportazione, o qualcosa di simile. Questa fa aumentare - poniamo - l'efficienza marginale della manodopera nel settore secondario, rendendo possibile un aumento della produzione. Se c'è un esercito di riserva di disoccupati, o di disoccupati e sottoccupati, nel settore agricolo, che aspettano un'occasione per trasferirsi in città e lavorare al salario corrente, l'output aumenterà senza che i salari aumentino, aumenteranno i profitti e le rendite, consentendo un aumento del risparmio nel settore industriale, e reinvestimenti che a loro volta faranno ancora aumentare l'efficienza marginale della forza lavoro. Fintanto che è disponibile manodopera a salari costanti, che non dia rendimenti fortemente decrescenti per gli altri fattori come l'organizzazione o la terra, si verifica un processo di reazioni positive. La crescita nel settore industriale continua a generare crescita nel settore industriale. Anche la situazione del settore agricolo ne trae vantaggio. Si assume che la manodopera agricola venga remunerata con il salario medio del settore (pari a circa la metà di quello del settore industriale, secondo la legge di Colin Clark), ma che produca al margine meno del salario, forse zero (o forse addirittura un ammontare negativo, in quanto gli ultimi lavora-

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tori intralciano i precedenti), ma comunque meno del salario corrente2 • Gli agricoltori tollerano il caso di contadini pagati in misura che eccede il loro prodotto marginale in quanto questi ultimi di solito appartengono alla famiglia, o alla comunità. Il sovrassoldo che guadagnano in termini economici deriva dalla quota dei terreni che altrimenti sarebbe pagata come rendita. Dato questo fenomeno, la espulsione di manodopera verso il settore industriale fa aumentare il reddito pro capite degli impiegati dell'azienda agricola, e il rendimento dei terreni per il proprietario. Il reddito pro capite aumenta sia nell'industria, sia nell'agricoltura, e aumentano i profitti nella prima e le rendite nella seconda. L'agricoltura, come l'industria, ha maggiori possibilità di risparmiare. Se i risparmi del settore agriwlo sono investiti nell'industria, come Fei e Ranis hanno pensato nella loro esegesi del modello di Lewis, al settore industriale vengono forniti i mezzi per acquistare il cibo necessario a nutrire i nuovi operai 3 • Oppure il risparmio può essere investito nell'agricoltura: in macchinari industriali, il cui acquisto richiede a sua volta la vendita di beni alimentari nella città, o in migliorie - canali di scolo, recinzioni, aumento dei capi delle mandrie e delle greggi, e così via. Si determina Così una situazione che nel breve periodo pone il problema di nutrire le nuove reclute dell'industria, ma che contribuisce alla produttività del settore agricolo nel periodo lungo. Aumenti della produttività agricola, simultanei all'iniziale stimolo esterno nel settore industriale o ad esso successivi, contribuiranno a far aumentare il numero dei lavoratori che possono trasferirsi dal1'agricoltura all'industria, alimentando il processo di reazioni virtuose, o positive. Quando la disponibilità di manodopera per il settore industriale si esaurisce, la natura del processo di crescita muta drasticamente. Un aumento dell'efficienza marginale del fattore lavoro non comporta più un aumento dell'output ai vec2

Colin Clark, The Conditions of Economie Progress, New York 1940,

1957 3 , cap. IX . .1 John C.H. Fei e Gustav Ranis, Development of the Labor Surplus Eco1wmy. Theory and Policy, Homewood, Ili., 1964.

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chi salari, ma salari maggiori; non maggiori redditi patrimoniali disponibili per il reinvestimento, ma redditi patrimoniali immutati, se non decrescenti, e una diminuzione del tasso di investimento. I redditi reali della manodopera aumentano e, con essi, la domanda di beni di consumo. L'investimento rallenta, per reazione ai maggiori salari e agli immutati o decrescenti profitti che i marxisti chiamano plusvalore. I marxisti prevedono una crisi di sovraproduzione e profitti in declino; ma sembrano invece non fare molta attenzione all'aumento del reddito reale della manodopera.

2. Un'applicazione all'Europa occidentale Ho applicato per la prima volta il modello di Lewis alla crescita dell'Europa occidentale dopo la seconda guerra mondiale4 • Il settore industriale dell'Europa occidentale poteva disporre di un'offerta illimitata di manodopera proveniente da varie fonti: la disoccupazione prebellica, profughi dalla Germania e fuorusciti dell'Europa orientale; il settore dell'agricoltura; l'artigianato; la normale crescita della popolazione che, prima della guerra, in paesi come l'Olanda era stata costretta all'emigrazione; e negli ultimi anni Cinquanta e all'inizio degli anni Sessanta gli immigranti dai paesi e dalle regioni mediterranee. Questa offerta di lavoro, ritenuta inizialmente un onere, si dimostrò una manna. Alimentò quella che ho chiamato «supercrescita» per quasi due decenni dalla fine della guerra. Questo caso interessante verrà esaminato più avanti. Propongo di esaminare dapprima il ruolo dell'offerta illimitata di lavoro nella rivoluzione industriale in Gran Bretagna, argomento non esente da controversie. Un osservatore acuto come Sidney Pollard dubita fortemente che il modello di Lewis si applichi alla rivoluzione industriale, sostenendo che l'aumento della manodopera industriale derivò dal naturale incremento della popolazione rurale, non dai disoccupati o sottoccupati del setto4 Charles P. Kindleberger, Europe's Postwar Growth: The Rote of Labor Supply, Cambridge, Mass., Londra 1967 (trad. it., Lo sviluppo economico europeo e il mercato del lavoro, Milano 1969).

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re agricolo 5 • Un osservatore di un secolo fa, Walter Bagehot, riteneva che la manodopera non si muovesse: «Di tutti i bagagli, l'uomo è il più difficile da spostare» 6 • Altrove egli ammise che capitale e lavoro fossero mobili da un'occupazione all'altra e da un luogo all'altro in Inghilterra attorno al 1870, ma riteneva che nella maggior parte delle epoche e dei paesi la loro tendenza a spostarsi con facilità fosse stata sconfitta dalla xenofobia, dalla schiavitù, dall'inefficienza delle autorità o dalle esigenze della difesa, che comportavano che le persone risiedessero in una data zona 7 • Malgrado queste riserve, ritengo che il modello di Lewis si adatti molto bene alla realtà della rivoluzione industriale in Gran Bretagna. La crescita industriale si ebbe nelle Midlands e al Nord, attraendo nelle città la popolazione che andava aumentando nelle campagne. Il maggior centro di crescente produttività agricola era localizzato nel Norfolk e nell'East Anglia, e più a sud nel Kent e nel Susscx, per le nuove tecniche importate dall'Olanda. La manodopera di questa zona veniva attratta non tanto nell'indllstria quanto da una parte nei servizi a Londra, o, dall'altra, al di là ucll' Atlantico. L'aumento degli investimenti in capitali si ebbe al Nord e nelle Midlands, utilizzando sia i profitti sia i redditi agricoli, con un trasferimento da sud-est a nord-ovest per il l ramite delle banche di Londra. Una forza estranea fu il sistema Speenhamland di integrazione salariale a favore degli occupati del settore agricolo, adottato nel 1795, che li sussidia~ Sidney Pollard, Labour in Britain, in Peter Mathias e Moisei Mikhail l'ostan (a cura di), The Cambridge Economie History of Europe, voi. VII, n,e Industriai Economies: Capitai, Labour and Enterprise, parte I, Britain, /·,·ance, Germany and Scandinavia, Cambridge 1978, pp. 107-8 (trad. it., La .fi1rza lavoro in Gran Bretagna, in Storia Economica Cambridge, ediz. it. a r1ira di Valerio Castronovo, voi. VII, I, L'età del capitale, Torino 1979, cap. li I). "Walter Bagehot, Adam Smith and our Modem Econom.z, in Economie S111dies, a cura di Richard Holt Hutton, Londra 1880, 1888 ; ristampato in lhe Collected Works of Walter Bagehot, a cura di Norman St John-Stevas, voi. Xl, Londra 1978, p. 316. 7 Walter Bagehot, The Postulates of English Politica/ Economy. No. 1, «Fortnightly Review», n.s., 1 febbr. 1876, n. 90, pp. 215-42; ristampato in /'11e Collected Works of Walter Bagehot, voi. Xl, cit., pp. 222-54; vedi pp. 222 sgg.

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va, abbassando il livello dei salari 8 • Fu questo il risultato non voluto di una misura presa per evitare che nelle campagne i vagabondi si trasferissero da parrocchia a parrocchia in cerca di assistenza, e per assicurarsi che venissero assistiti là dove risiedevano. Questo inopportuno sistema fu abolito con la legge sui poveri del 1832. Fa parte delle ironie della storia che Friedrich Engels si recasse da Barmen, nella Renania, a Manchester per studiare l'industria tessile dieci anni prima del periodo in cui l'economia del Lancashire, crescendo rapidamente, si trovasse ad affrontare una insufficienza di manodopera. Durante il periodo che Engels vi passò, i salari erano estremamente bassi, le abitazioni spaventose, i salariati annegavano la propria miseria nell'alcool 9 • Il decennio del 1840 fu anche «di fame» a causa della depressione nell'industria e degli insufficienti raccolti. Era un momento sbagliato per rendersi conto delle potenzialità del sistema, e Engels, come molti osservatori continentali anche di opinioni meno radicali delle sue, ne fu profondamente colpito. Poco dopo, peraltro, le prospettive sarebbero mutate. Nel decennio successivo, dopo che la riforma fiscale ebbe razionalizzato il sistema delle tariffe doganali e dopo l'abrogazione delle leggi sul grano, delle leggi sulla navigazione e delle tariffe sui legnami, si verificò un aumento della produzione, dei salari, e del livello di vita, fenomeni che si adattano al modello di Lewis per il periodo in cui l'offerta di manodopera cessa di essere elastica e incontra dei limiti. Agli anni 1840-49, di fame, fece seguito l'età dell'oro dell'agricoltura, malgrado l'abrogazione delle leggi sul grano, e i sostanziali aumenti delle importazioni di cereali dalla Prussia orientale e di carne e di prodotti caseari dall'Olanda e, in misura crescente, dalla Danimarca. Il sistema oggi viene definito con disprezzo di «stillicidio», con il livello di vita che aumenta dapprima per le classi agiate e le classi medie, poi per gli agricoltori, e solo lentamente per 8 Karl Polanyi, The Great Transformation, New York 1944 (trad. it., La grande trasformazione, Torino 1974). _ 9 Friedrich Engels, The Condition ofthe English Working Classes in 1848, Londra 1892, specialmente cap. V (trad. it., La condizione della classe operaia in Inghilterra, Roma 1972).

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gli operai. Il livello di vita però aumentò certamente, specie dopo il 1875, per quanti riuscirono a conservare un impiego durante la Grande Depressione. In quel periodo i profitti andarono diminuendo - anzi, a volte si parla di quegli anni più come di un periodo di prosperità senza profitti che non di una Grande Depressione - e i salari reali andarono crescendo. Il modello di Lewis si applicò nel medio periodo. La legge ferrea dei salari non trovò conferma a più lungo termine, dato che l'aumento della popolazione non tenne il passo con l'aumento del reddito reale. Il tasso di mortalità diminuì - i progressi della medicina, relativamente marginali nel diciottesimo secolo, possono aver iniziato a dare frutti attorno alla metà del diciannovesimo, e gradualmente le rumorose città furono provviste di più efficienti sistemi di drenaggio (i ratti diminuirono) e i lavoratori delle città disposero di abiti più a buon mercato, e che si potevano tenere puliti più facilmente. Ma il tasso di natalità declinò anch'esso, con la controrivoluzione malthusiana che rese obsoleta la legge ferrea. Le pressioni della popolazione nell'agricoltura contadina si possono accumulare prima che nella industrializzazione si raggiunga lo stadio della fabbrica, e produrre quella che Franklin Mendels ha chiamato protoindustrializzazione, ossia le mani fatture rurali su larga scala 10 • In Gran Bretagna il risultato fu una sopravvivenza miserevole, a causa della concorrenza delle fabbriche, per i tessitori e gli operai che facevano a mano i chiodi, fino alla metà del diciannovesimo secolo. Nell'Europa continentale il fenomeno si estese a molti altri settori, inclusa la filatura del cotone e della lana, oltre alla tessitura, e in Svizzera alla fabbricazione di orologi. Un sociologo svizzero, Rudolf Braun, che scrive dell'Oberland di Zurigo, sostiene che l'industria cotoniera, con la filatura e la tessitura fatte in casa e i mercanti che portavano le materie prime nelle case e vendevano il prodotto finito, favorirono notevolmente la sopravvivenza della famiglia. L'alternativa alle manifatture, data la pressione della popolazione sulla terra, erano gli ambulanti, in 1° Franklin F. Mendels, Proto-Industria/ization: The First Phase of the l'rocess of Industrialization, «Journal ofEconomic History», voi. XXX, marni 1972, n. l, pp. 241-61.

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cerca di lavoro, nella stagione morta o su base permanente, tutto l'anno. Con la protoindustrializzazione, l'agricoltura dapprima forniva manodopera alle manifatture; allo stadio successivo le manifatture fornirono manodopera alle più efficienti fabbriche. Una delle molte tragedie del sistema fu che i migliori filatori a mano furono quelli che lottarono più a lungo contro la fabbrica 11 • «I forti nuotatori muoiono più lentamente». Il modello di Lewis si applica, a mio avviso, alla Gran Bretagna e alla Svizzera. Qualcosa di simile ad esso è stato impiegato da Joel Mokyr per spiegare perché il Belgio si sia industrializzato nel diciannovesimo secolo e l'Olanda no. La manodopera era a basso costo in Belgio, cara in Olanda 12 • Il basso costo della manodopera belga è spiegato, come quello della Svizzera, dalla disponibilità di un'offerta illimitata, mantenuta stabile dalla protoindustrializzazione e dalla pressione demografica. Migliaia di lavoratori autonomi si affollavano in uno spazio geografico ristretto. In Olanda, la manodopera era cara per un motivo peculiare, se ha ragione Mokyr, una variante della legge ferrea dei salari. Il costo della vita era elevato perché le tasse gravavano sui consumi invece che sulle attività commerciali. Le principali attività commerciali olandesi prosperavano grazie agli acquisti e le vendite, le importazioni e la riesportazione, e l'oligopolio mercantile olandese non voleva tasse sui beni che potessero danneggiare l'attività di importazione, finissaggio, confezionamento e spedizione di materie grezze. Erano accettate modeste tariffe doganali per i beni che passavano per Amsterdam senza subire modifiche, ma un sistema di tariffe e di rimborsi, in cui le dogane pagate fossero rimborsate al momento della successiva esportazione, veniva ritenuto oneroso per le complicazioni che comportava. L'Olanda, con un rilevante debito pubblico e una grande Marina per proteggere l'impero coloniale, tassava i beni per i consumi personali, co11 Rudolf Braun, Sozialer und kultureller Wandel in einem liindlichen Industriegebiet im 19. und 20. Jahrhundert, Erlenbach-Zurich 1965. 12 Joel Mokyr, Industrialization in the Low Countries, 1795-1850, New Haven 1976.

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me il grano e la birra. Questo sistema, integrato da generose misure di assistenza per i disoccupati, rendeva elevati i salari, e probabile un loro ulteriore aumento al crescere del settore industriale 13 • Ciò impediva l'industrializzazione ancor più della scarsa disponibilità di carbone. Se il caso olandese illustra il lato negativo della legge di Lewis, lo stesso si sostiene, non senza divergenze, per la Francia. La vecchia tesi secondo la quale la divisione paritetica dei terreni agricoli tra gli eredi, a seguito della Rivoluzione francese, avrebbe ridotto drasticamente l'aumento della popolazione nel settore agricolo, al contrario della primogenitura in vigore prima del 1789, in base alla quale il primo figlio ereditava l'intero asse, non è più accolta senza obiezioni. La suddivisione dei beni ereditati può favorire famiglie più piccole, ma incoraggia matrimoni precoci, dato che ogni figlio si assicura l'accesso a un po' di terreni, mentre la primogenitura incoraggia famiglie di dimensioni maggiori, ma ritarda il matrimonio 14 • Inoltre il tasso di aumento della popolazione stava declinando in Francia già dal 1780, prima della modifica del sistema, e diminuì molto più nettamente che durante la Rivoluzione e nel Primo Impero tra il 1846 e il 185 3, periodo di scarsi raccolti, moti rivoluzionari, bassi redditi agricoli e rendite elevate. Inoltre i lavoratori abbandonarono l'agricoltura assai numerosi in due periodi di rapida crescita economica - dopo il 1850 e dopo il 1950 - e c'è sempre stato un notevole movimento stagionale tra l'agricoltura e l'industria, specie verso l'edilizia a Parigi, di cui sono un esempio classico i muratori del Limousin. La ricerca di lavoro stagionale è un compromesso tra il modello di Lewis e il suo contrario, l'abbarbicarsi all'azienda agricola da parte dei contadini affamati di terra. La si riscontra ampiamente in Europa, dai greci che lasciano il villaggio per le città dal termine del raccolto a prima della semina' 5 , ai lavolvi, pp. 191-92. Hrothgar John Habakkuk, Family Structure and Economie Change in Nineteenth Century Europe, «Journal of Economie History», voi. XV, marzo 1955, n. 1, pp. 1-12. 15 William Hardy McNeill, Greece: American Aid in Action, 1947-1956, New York 1957, pp. 5-7. 13

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rnlori stagionali italiani che si spostano a nord con i raccolti, o che addirittura attraversavano l'Atlantico per l'Argentina come le rondini (golodrinos), per fare lì il raccolto durante l'inverno italiano. Quasi un milione di lavoratori della Polonia e dell'Est che si recavano in Germania per aiutare durante i raccolti resero possibile la redistribuzione a tempo pieno di lavoratori tedeschi dalla agricoltura della Germania orientale all'industria della Slesia, di Berlino e della Ruhr prima della Grande Guerra 16 • Dove non c'è disponibilità di lavoratori stagionali per i raccolti, si verificano forti pressioni sui recenti emigrati nell'industria perché rientrino nel settore agricolo durante l'estate. Ciò determina tensioni stagionali in un'industria ai suoi primi stadi. Olga Crisp nota, nel suo studio sulla manodopera russa, che alcune fabbriche del paese in estate aumentavano i salari per limitare il numero dei lavoratori che sarebbero altrimenti tornati a casa per aiutare durante il raccolto17. Se a un dato paese si applichi o meno il modello di Lewis e in quale grado è un legittimo tema di ricerca storica e, in alcuni casi, di discussione, come indicano il caso francese, le tesi di Pollard sulla Gran Bretagna, e le conclusioni di Mokyr sul Belgio e l'Olanda. Il volume settimo della Cambridge Economie History of Europe riguarda il capitale, la manodopera e l'impresa, e gran parte dell'esame della forza lavoro pone esplicitamente il problema. Oltre a Pollard che nega l'applicabilità del modello all'Inghilterra, la Crisp sostiene che non si applichi alla Russia e Taira lo considera inapplicabile al Giappone 18 . 16 Gerd Hardach, Der erste Weltkrieg, Monaco 1973; trad. ingl. The First World War, 1914-1918, Berkeley, Calif., 1977, p. 110 (trad. it., La prima guerra mondiale 1914-1918, Milano 1982). 17 Olga Crisp, Labour and Industrialization in Russia, in Peter Mathias e Moisei M. Postan (a cura di), The Cambridge Economie History of Europe, cit., voi. VII, The Industriai Economies: Capitai, Labour, and Enterprise, parte II, The United States, Japan and Russia, pp. 379, 386 (trad. it., Lavoro e industrializzazione in Russia, in Storia Economica Cambridge, cit., voi. VII, 2, L'età del capitale, Torino 1980, cap. VII). 18 Koji Taira, Factory Labour and the Industriai Revolution in Japan, in Peter Mathias e Moisei M. Postan (a cura di), The Cambridge Economie History of Europe, cit., voi. VII, parte 2, p. 169 (trad. it., Lavoro e rivoluzione

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Nei due ultimi casi, l'attaccamento al suolo e i limitati progressi dell'efficienza in agricoltura resero il reclutamento della manodopera industriale un processo difficile e doloroso, a differenza che in Inghilterra. In Giappone si fece uso soprattutto di manodopera particolare, giovani donne ingaggiate per periodi di tempo limitati, più o meno tra i diciassette e i ventiquattro anni, disposte a lavorare e a risparmiare col preciso obiettivo di farsi una dote. Questo modello di reclutamento della manodopera venne anche praticato nel diciannovesimo secolo in un posto caratterizzato da una cultura ben diversa da quella giapponese, a Lowell, nel Massachusetts, dove le giovani contadine, ospitate in dormitori vigilati per limitare i loro contatti con il mondo industriale, lavoravano per guadagnare le diverse centinaia di dollari necessarie per sposarsi bene a casa, dopo il 1830 19 • Oggi in Sud Corea, a Taiwan e a Singapore, lo stesso tipo di manodopera, che dà una curva dell'offerta di lavoro che si piega all'indietro, porta giovani donne nubili a far parte, efficacemente anche se brevemente, della manodopera delle tessiture 20 • L'effetto di un'offerta infinitamente elastica di un dato fattore della produzione nell'alimentare la crescita, qualora la domanda di maggiori input sia soddisfatta al di fuori del sistema, non è limitato al settore del lavoro. Negli Stati Uniti settentrionali la crescita si innescò e continuò per la maggior parte del diciannovesimo secolo con disponibilità illimitate di terreno. Offerta illimitata vuol dire che alla terra non erano connesse rendite, che si assicurava invece il fattore lavoro, la cui offerta era limitata e che poteva sempre muoversi sulla frontiera e iniziare un'attività agricola se non era soddisfatto dei sa.lari o delle condizioni di lavoro nel commercio o nell'induindustriale in Giappone, in Storia Economica Cambridge, cit., voi. VII, 2, L'età del capitale, Torino 1980, cap IV). 3 19 Miche! Chevalier, Lettres sur l'Amérique du Nord, voi. I, Parigi 1838 , Lettera XIII, pp. 207-8. 20 Henry Y. Wan, Manpower, Industrialization and Export-led Growth The Taiwan Experience, in Yuan-Li e Kung-Chia Yeh (a cura di), Growth, Distribution and Socia/ Change, Essays on the Economy of the Republic of China, in «Occasionai Papers Reprints Series in Contemporary Asian Studies», voi. XV, 1978, n. 3, pubblicati dalla School of Law, University of Maryland, pp. 161-91, vedi pp. 167-79.

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stria. «Il West era sempre lì a dare rifugio alle braccia disoccupate»21. Quasi dall'inizio, gli americani vivevano nell'abbondanza, secondo Potter22 . Habakkuk sostiene che le innovazioni negli Stati Uniti tentavano di risparmiare sull'impiego del fattore scarso, la manodopera, mentre in Gran Bretagna si concentravano sul risparmio di risorse, e in particolare dell'energia23. Questa tesi penetrante è intuitivamente attraente, ma va messa a confronto con la conclusione analitica secondo la quale in equilibrio il costo marginale di un'unità addizionale di output deve essere lo stesso, che Io si ottenga aggiungendo terra, lavoro, capitale o capacità organizzative. Le scarsità relative non sono calcolabili in un'economia chiusa, ma solo mettendole a raffronto con un'altra economia che non abbia alcuna rilevanza per gli innovatori. Ma naturalmente se l'economia cresce e l'offerta di input diversi ha elasticità differenti rispetto all'output, il punto è assolutamente fondato. È importante mettere a fuoco l'innovazione sull'input con la più bassa elasticità di offerta rispetto all'aumento dell'output.

3. Il modello di Lewis e la crescita degli Stati Uniti Il modello di crescita con offerta illimitata di terreno si applica alla coltivazione di cereali negli Stati Uniti, meno al cotone, per il quale ci volle la schiavitù per fornire la grande quantità di manodopera che bisognava combinare con la terra. Una tesi radicale è che gli schiavi erano in concorrenza con la manodopera del Nord, mantenendone bassi i salari, cosicché anche quest'ultima era soggetta alla legge ferrea dei salari e allo sfrùttamento capitalistico del plusvalore. Gli analisti più ortodossi non accetterebbero tale tesi sulla situazione degli Stati Uniti. Comunque, a tempo debito le ferrovie penetrarono nel West, Miche) Chevalier, Lettres sur l'Amérique du Nord, cit., voi. I, p. 218. David M. Potter, People of Plenty: Economie Abundance and the American Character, Chicago 1954. 23 Hrothgar John Habakkuk, American and British Technology in the Nineteenth Century. The searchfor Labor-Saving Inventions, Cambridge 1962. 21

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e l'insediamento dei veterani della Guerra Civile con quaranta acri e un mulo ciascuno rese i terreni non più gratuiti, e ormai in grado di dare delle rendite. Non è forse accidentale che la teoria di Henry George di un'unica tassa sulla rendita dei terreni sia stata sviluppata più o meno a quell'epoca, quando nell'Est le rendite cominciarono ad aumentare essendosi esauriti i terreni liberi nel West. Vennero poi le massicce immigrazioni negli Stati Uniti, su scala ben maggiore delle più antiche ondate provenienti dalla Gran Bretagna, dall'Irlanda verso la metà del secolo, e dalla Germania. Gli Stati Uniti godettero dapprima delle terre libere, poi delle innovazioni che fecero risparmiare manodopera, e infine del modello di Lewis di crescita con disponibilità illimitate di manodopera. Molti immigrati erano lavoratori con un obiettivo connesso all'intero ciclo vitale, a differenza di quelli che risparmiavano per comprarsi uno specifico oggetto - un marito, una barca da pesca, dei terreni, il magazzino per avviare una bottega. Questi venivano negli Stati Uniti per lavorare e viverci per una generazione, per poi tornare in Grecia, in Italia, o altrove, e ritirarvisi fino alla morte. Il movimento migratorio netto era sostanzialmente inferi ore a quello lordo, dati i flussi gradualmente crescenti in direzione opposta, specie negli anni dal 1900 al 1913. Certo, come nelle migrazioni europee verso il Nord negli anni Cinquanta e Sessanta, l'andamento dei flussi che si sarebbero avuti non era mai chiaro ex ante. La distinzione tra permesso di uscita temporaneo e permanente negli anni Cinquanta era arbitraria e priva di significato per il paese di origine, dato che l'emigrante manteneva aperte le sue possibilità e solo il tempo poteva dire come si sarebbe comportato. Nel caso degli Stati Uniti, comunque, le possibilità di restare erano notevoli, almeno sino a dopo la Grande Guerra. Gli Stati Uniti avevano la tradizione di offrire asilo, come l'Olanda, ai perseguitati politici o religiosi. Una semplice e rapida possibilità di diventare cittadini americani voleva dire che i boss politici delle città traevano vantaggio dall'intercedere per gli immigrati, aiutandoli a risolvere i loro problemi, in quanto presto essi sarebbero divenuti elettori. Nulla di tutto ciò, naturalmente, si applicava ai negri che venivano trasportati dall'Africa negli Stati Uniti come schiavi,

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contro la loro volontà. Ho paura che mi manchino specifiche conoscenze connesse all'economia della schiavitù: posso solo menzionare la teoria del mio collega Evsey Domar, secondo il quale schiavitù e servitù della gleba erano mezzi per limitare la mobilità, per mantenere la manodopera legata alla terra, quando la sua perdita avrebbe fatto aumentare i salari e danneggiato la produzione agricola 24 , idea che trovò echi un secolo fa nell'analisi di Bagehot2 5 sulla mobilità e sulla schiavitù 26 • Si può tuttavia notare che l'emancipazione durante la Guerra Civile non determinò una rilevante migrazione di neri fino alla prima e alla seconda guerra mondiale, che crearono le condizioni per una elevata domanda di manodopera al Nord, e che i tentativi di raddrizzare antichi torti hanno creato difficoltà di ordine sociale che sfortunatamente non sembrano ancora risolte. La resistenza culturale ed economica all'immigrazione di oltremare negli Stati Uniti cominciò poco dopo il 1880, con l'introduzione dapprima di limitazioni all'ingresso degli asiatici e più tardi dei contratti di lavoro. La resistenza culturale alla immigrazione dal Caucaso crollò di fronte alla tradizione duecentocinquantennale di asilo. Un movimento bostoniano delle classi medie cercò di limitare l'immigrazione, forse principalmente degli irlandesi, in base a prove di alfabetismo; ma fallì. Solo dopo la prima guerra mondiale, quando in Europa si era accumulato un grosso arretrato di potenziali immigrati che minacciava di sopraffare la capacità del paese di assimilare culture straniere nella tradizione inglese dominante, furono imposte limitazioni, e anche allora in modo da preservare la primitiva struttura proporzionale di immigranti di origine britannica, germanica e scandinava dei primi americani. Forse 24 Evsey D. Domar, The Causes of Slavery or Serfdom: A Hypothesis, «Journal of Economie History», voi. XXX, marzo 1970, n. 1, pp. 18-32. 25 Walter Bagehot, The Postulates of English Politica/ Economy. No. 1, cit.; ristampato in The Collected Works of Walter Bagehot, cit., voi. Xl, pp. 222-54; vedi pp. 251-4. 26 Andrebbe fatto riferimento al dibattito negli Stati Uniti sulla produttività degli schiavi nella produzione del cotone; vedi Robert W. Fogel e Stanley L. Engerman, Time on the Cross, voli. I e Il, Boston 1974; e alla letteratura citata in Fogel e Engerman, Explaining the Relative Efficiency of Slave Agriculture in the Antebellum South, Reply, «American Economie Review», voi. LXX, settembre 1980, n. 4, pp. 672-90.

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un fattore che portò alle restrizioni fu il timore nutrito dalla manodopera, la cui forza organizzata si era accresciuta durante la guerra, che la struttura dei salari venisse minata dall'arrivo senza limitazioni di immigranti, in linea con la legge di Lewis. A mio giudizio le restrizioni vennero imposte principalmente per motivi sociali connessi alle difficoltà di acculturazione di masse rilevanti. È un problema che gli Stati Uniti si trovano ora a dover affrontare per il gran numero di portoricani, di messicani e di altri soggetti di lingua spagnola entrati legalmente o illegalmente nel paese. Le migrazioni sono un processo sociale in cui i fattori economici e sociali non sempre collimano.Le forze sociali, naturalmente possono essere ridefinite, alla maniera di Gary Becker, per esprimerle in termini economici, convertendo le preoccupazioni di ordine culturale e di origine in costi di informazione e di eliminazione dell'ignoranza. Gli emigranti tendono non ad andare dove possono assicurarsi esclusivamente il massimo reddito monetario, ma a seguire la famiglia, i paesani, i compatrioti e si stabiliscono dove possono comodamente collegarsi a un ambiente loro congeniale, anche se al prezzo di un minor salario. L'America, e lo si è dimostrato, non era un crogiolo in cui tutto si fondeva, come vuole il mito, ma un mosaico di gruppi e gruppuscoli eterogenei. Quando questi divennero talmente grossi da minacciare la cultura dominante, col rischio che la seconda generazione non si sarebbe conformata agli usi americani, i vantaggi che gli Stati Uniti traevano dall'immigrazione grazie ai bassi salari, ai profitti elevati e agli elevati tassi di crescita cedettero il passo alle resistenze nei confronti dei nuovi arrivati.

4. Il modello di Lewis e la crescita europea nel dopoguerra Un andamento sostanzialmente analogo mi sembra che si sia avuto in Europa dopo la seconda guerra mondiale, con fattori economici e politico-socio-culturali intrecciati in maniera complessa. Nel 1967 in Europe's Postwar Growth: The Rote of the 37

Labour Supply, avanzai la tesi che il modello di Lewis della crescita con disponibilità illimitata di manodopera costituisse un poderoso strumento analitico per spiegare il diverso tasso di crescita tra i vari paesi europei 27 • Parte della lenta crescita della Gran Bretagna andava attribuita alla sua riluttanza a far entrare immigrati. Lo «stop and go», per cui ogni periodo di espansione keynesiana veniva rapidamente bloccato da salari crescenti, da un travaso del reddito verso i beni di importazione e da un disavanzo della bilancia dei pagamenti, derivava dalla limitata offerta di manodopera e dalla riluttanza, o piuttosto dalla indisponibilità, dei sindacati a consentire l'ingresso di stranieri. Nell'immediato dopoguerra vennero richiesti da varie industrie, e in particolare dalle miniere di carbone, dapprima i profughi polacchi e successivamente gli italiani, ma la loro ammissione incontrò il veto dei potenti sindacati. Può darsi che la resistenza abbia avuto giustificazioni strettamente economiche. Più tardi, quando sudditi della Corona dei paesi del Commonwealth, che avevano diritto all'ammissione nel Regno Unito, cominciarono a arrivare in numero crescente dall'India, dal Pakistan, dalle Indie occidentali britanniche e specialmente dall'Africa, anche se si trattava spesso di indiani e pakistani trapiantati, il governo inglese si sentì obbligato per ragioni socio-culturali a infrangere il contratto implicito nella cittadinanza e nella sovranità in comune, e a limitare l'ingresso nelle isole britanniche a chi si era già assicurato un posto di lavoro. Dato che è virtualmente impossibile trovare lavoro in Gran Bretagna stando altrove, ciò ne bloccò l'afflusso. In Scandinavia e in Olanda la resistenza culturale dapprima determinò una limitazione dell'afflusso a quanti provenivano dal mercato comune scandinavo del lavoro, nel caso della Svezia, e dai vicini Belgio e Lussemburgo nel caso dell'Olanda, finché il virtuale esaurimento dell'offerta di manodopera da tali paesi e l'esigenza di difendersi dall'inflazione sul fronte dei crescenti salari prevalsero sulle esitazioni, e fu consentita l'immigrazione dal Sud. In Svizzera e nella Germania Federale l'ordine fu quello op27

Vedi nota 4, p. 26.

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posto, con un iniziale cordiale benvenuto alla manodopera straniera per svolgere alcuni compiti che i lavoratori del paese erano sempre meno disposti ad accollarsi, seguito poi da preoccupazioni socioculturali e dall'innalzamento di barriere nei confronti degli immigranti. In Svizzera, i limiti ai nuovi ingressi vennero basati quasi esclusivamente su aspetti sociali: un terzo della manodopera era straniera. Ciò venne considerato una minaccia all'integrità della nazione, anche se la Svizzera era già multilingue. Ma vennero addotte anche considerazioni di ordine economico. Durante i primi stadi dell'immigrazione, bastavano limitati investimenti sociali addizionali per accomodare la nuova manodopera, in quanto gli immigranti erano principalmente giovani maschi, che si potevano ospitare in dormitori, e che avevano bisogno di scarsi beni sociali come scuole e ospedali. Con l'andar del tempo, e la sostituzione degli scapoli con intere famiglie, l'immigrazione causò diseconomie esterne collettive che intaccarono in parte, se non controbilanciarono interamente, il vantaggio rappresentato dai minori salari e dai maggiori profitti nel settore privato. In Germania i limiti all'immigrazione hanno basi sia sociali, sia economiche. Durante la recessione del 1966, il continuo afflusso di manodopera fu interrotto a causa della crescente disoccupazione. Una seconda interruzione si ebbe per la recessione del 1975-76, ma stavolta l'opinione pubblica tedesca sembrò aver deciso di non tornare a consentire l'afflusso di manodopera, una volta verificatasi la ripresa, soprattutto per motivi di ordine sociale. Alle città con più del 12% della manodopera composta da «Gastarbeitern venne detto che non ne sarebbe stato permesso l'aumento. Alle famiglie degli immigrati già presenti nel paese venne consentito l'ingresso per motivi umanitari, ma si iniziarono a nutrire preoccupazioni per le difficoltà di assorbimento dei lavoratori stranieri nella società tedesca. Pochi di loro apprendevano il tedesco, e molti dei loro figli crescevano, non assimilati, privi di istruzione e senza conoscere la lingua del paese. Con l'andare del tempo, le norme che impedivano l'impiego di questi ragazzi sono state attenuate; tuttavia permane il conflitto tra gli stimoli che i «Gastarbeitern danno all'economia tedesca e la loro mancata integrazione culturale, in partico39

lare per gli jugoslavi e i turchi, le cui culture sono più lontane da quella tedesca rispetto a quelle degli italiani, degli spagnoli, dei portoghesi, e del popolo più assimilabile di tutti, quello greco. I miei tentativi di applicare il modello di Lewis all'Italia sono stati messi in discussione da Giacomo Vaciago, il quale sostiene che la rapida crescita dell'Italia negli anni Cinquanta e Sessanta fu dovuta non alla illimitata disponibilità di lavoro, ma alla riallocazione di risorse dai settori industriali a crescita lenta a quelli a crescita più rapida, ed ha osservato che la crescita italiana non rallentò nel 1963 come predissi che sarebbe avvenuto 28 • Sul primo punto, la divergenza tra di noi non mi sembra di alcun rilievo. Anche Edward Denison, nel suo Why Growth Rates Differ, attribuisce il ruolo principale alla riallocazione delle risorse 29 , ma mi ha detto in privato che diciamo la stessa cosa in modo diverso. Quanto alla mia infelice previsione, prematura per cinque anni, ammetto l'errore. Va notato che anche l'Italia ha avuto problemi sociali, e non solo quando i lavoratori italiani hanno attraversato le Alpi. La manodopera del Mezzogiorno che si è trasferita nel triangolo industriale Genova-Torino-Milano ha anch'essa incontrato problemi di assimilazione sociale, come ben sapete. Riconoscibili per la minore statura e la carnagione scura, i meridionali hanno dovuto affrontare discriminazioni sociali mentre li si ricercava, per ragioni economiche, per non far salire i salari, mantenere i profitti elevati, stimolare gli investimenti e la crescita. Si è persino suggerito che i meridionali che lavoravano all'estero fossero meno alienati e afflitti di quelli emigrati al Nord. Tutti lavoravano duro, risparmiavano molto, lesinavano sui consumi, inviavano denaro alle famiglie e si vedevano discriminare. Ma quelli all'estero, per lo meno, non si 28 Giacomo Vaciago, Alternative Theories of Growth and the ltalian Case, nella «Quarterly Review» della Banca Nazionale del Lavoro, voi. XXIII, giugno 1970, n. 93, pp. 180-211 (in it., Teorie dello sviluppo economico e il caso italiano, in «Moneta e Credito», Banca Nazionale del Lavoro, 3° trim., n. 87, 1969). 29 Edward F. Denison, Why Growth Rates Differ. Postwar Experience in Nine Western Countries, Washington, D.C., 1967.

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aspettavano di essere assimilati, mentre quelli al Nord si vedevano disprezzati nel proprio paese. Come nel modello di Lewis, il trasferimento di manodopera dal settore agricolo all'industria fa aumentare la crescita economica in entrambi i settori, con i profitti e gli investimenti che aumentano nell'industria; mentre la diminuzione della forza lavoro fa aumentare il reddito pro capite in agricoltura, per cui le migrazioni internazionali in Europa dopo la seconda guerra mondiale hanno contribuito alla crescita dell'economia sia nei paesi di emigrazione sia in quelli di immigrazione. Fino a quando il flusso migratorio non veniva bloccato, esso faceva aumentare il reddito pro capite e contribuiva alla crescita e al riequilibrio della bilancia dei pagamenti di parte corrente nel Mezzogiorno, in Spagna, Portogallo, Grecia, Turchia e, credo, in Jugoslavia. Il tasso di risparmio sul reddito degli emigrati era elevato, e gran parte di esso veniva inviato nel paese di origine. È comprensibile che la Turchia e la Jugoslavia incontrino entrambe difficoltà nel far fronte al servizio del debito estero, a seguito del rapido declino delle rimesse degli emigranti. Il caso della Grecia merita particolare attenzione. L'emigrazione da sempre ha rappresentato una via d'uscita per i greci, che hanno vissuto una sorta di diaspora, muovendosi in tutti gli angoli della terra, dal Nord America all'Australia, e in tutta Europa. Queste migrazioni hanno ridotto la sottoccupazione e la disoccupazione nelle città greche, hanno fatto aumentare il rendimento marginale della manodopera in termini di salario, incoraggiato nuovi investimenti in Grecia, stimolato la crescita. Col tempo, il deflusso di manodopera è rallentato, si è innescato un flusso di ritorno, e oggi si dice che i greci abbiano cambiato di lato nel processo e stiano nel complesso importando manodopera, dai paesi più poveri, perché svolga i lavori più umili. La legge ferrea dei salari, e la sua estensione al modello di Lewis di crescita con disponibilità illimitata di manodopera, postula un unico mercato del lavoro concorrenziale. Questa non è affatto una descrizione accurata della realtà, né per quanto riguarda le epoche passate, né per quanto riguarda il mondo di oggi. Ne danno un esempio i lavoratori irlandesi in Inghilterra, che svolgevano i lavori peggiori, vivevano nelle peggiori abita41

zioni ed erano disprezzati, se non odiati, dagli inglesi. In Svizzera, per quanto posso capire la situazione, così vividamente illustrata dal film italiano Pane e cioccolata, gli immigranti appartengono a un gruppo non competitivo, cui sono assegnati i compiti più umili, bassi, mal pagati e meno attraenti nell'economia. La quota di questi posti di lavoro nell'economia varierà senz'altro con la struttura dei salari, la cultura, i vantaggi comparati, il livello del reddito e molte altre variabili. In un paese turistico come la Svizzera, camerieri, facchini e cameriere comprendono una quota importante della forza lavoro, con compiti che solo i lavoratori stranieri possono svolgere. Gli immigranti sono utilizzati come manovalanza in agricoltura, nelle costruzioni, alle linee di montaggio, per i lavori più sgradevoli nelle concerie e nei macelli, nei servizi come la nettezza urbana, e simili. Si è pensato che la Svizzera fosse disposta a rallentare la propria crescita una volta che gli svizzeri, salvo i coltivatori diretti, avessero percorso tutta la scala sociale entrando a far parte delle classi medie. Il più capace ed efficiente degli immigrati avrebbe delle difficoltà ad uscire dagli strati più bassi della forza lavoro, dato che la discriminazione nei loro confronti è più forte per quanto riguarda le occupazioni da colletti bianchi, negli uffici e nelle attività commerciali. Se l'immigrazione viene bloccata per motivi sociali, chi svolgerà i compiti più duri e sgradevoli? Il problema non è di particolare momento quando l'economia europea è recessiva; i giovani accetteranno lavori spiacevoli per brevi periodi, in attesa che si presentino occasioni di carriera migliori. Ci sono segnali, tuttavia, che il problema stia ponendosi in Germania, con l'industria ansiosa di riempire con stranieri i posti che i tedeschi non sono disposti a ricoprire. In parte i lavori sgradevoli non li svolge più nessuno, o se li accollano i consumatori. Le casalinghe cucinano e fanno le pulizie da sole, essendo sempre più difficile trovare personale di servizio. Gli standard declinano. In una società ricca, le strade si sporcano e restano sporche. I ristoranti vengono sostituiti dalle paninoteche, gli alberghi con il facchino da motel in cui gli ospiti si portano i bagagli da soli, così come si deve fare sempre più spesso negli aeroporti. In parte il consumatore è assistito da aggeggi per risparmiare lavoro, attrezzi per la casa, ruote incorporate nel 42

bagaglio agli aeroporti, scope meccaniche per pulire le strade e camion per il loro lavaggio. Entro certi limiti la scala salariale per i lavori peggiori si inverte, rispetto alla situazione in cui c'è un Lumpenproletariat disposto a svolgerli. I minatori, gli occupati meno pagati nella maggior parte dei paesi prima della seconda guerra mondiale, sono diventati i più pagati nel dopoguerra. In qualche misura il fenomeno fu un risultato della organizzazione in sindacati; ma in maggior misura, ritengo, dipese dal fatto che il gruppo tenuto fuori dalla concorrenza non fu più disposto a stare da parte, e dovette essere trattenuto nelle miniere, o esservi attratto, con salari molto più elevati. Questa tendenza può presentarsi per i settori più sgradevoli nel loro complesso e richiedere una nuova struttura dei salari. Se e quando ciò avviene - e se ne possono vedere segnali in Svezia - le pressioni del grosso dei salariati, sindacalizzati o meno, per ricostituire la tradizionale struttura delle remunerazioni con i suoi tradizionali differenziali tendono a dare un notevole vigore alle pressioni inflazionistiche. La legge ferrea dei salari o il modello di Lewis si basano sulla generalizzazione osservata empiricamente che l'ampliamento del capitale è un risultato più facilmente ottenibile della sua intensificazione. Si ottiene più prontamente la crescita aggiungendo manodopera a costi costanti, o, più accuratamente, con salari che aumentano più lentamente della produttività, che non sostituendo ad essa capitale. Ovviamente le due strade verso la crescita sono difficilmente distinguibili. Ampliare il capitale vuol dire inevitabilmente intensificarne l'applicazione, dato che estendendo il capitale al margine si utilizza macchinario più recente e avanzato. Ma il giudizio a priori degli economisti, secondo i quali la crescita è ottenibile ampliando o intensificando l'impiego del capitale, o mediante una combinazione tra i due fenomeni, sembra smentito dall'esperienza. Restare a corto di manodopera interrompe il processo di crescita e fa sì che al processo di reazione positiva del circolo virtuoso si sostituiscano arretramenti, in quanto i profitti diminuiscono mentre i salari aumentano. In un mondo schumpeteriano, in cui i profitti calanti stimolano le innovazioni e gli investimenti, potrebbe essere facile riprendersi dalla carenza 43

di manodopera con un processo di transizione che sostituisca senza scosse ad essa il capitale. In un mondo keynesiano in cui profitti calanti comportano tagli alla produzione e recessione, tale risultato non è affatto garantito. Sinora abbiamo discusso casi in cui la crescita viene stimolata esogenamente in un settore industriale, o in un paese nel suo complesso, vi si alimenta e si diffonde altrove, mediante il trasferimento di manodopera da un altro settore - l'agricoltura o la protoindustria - o da un paese straniero. Il trasferimento non deve essere diretto. In Francia, la manodopera che abbandonò l'agricoltura, che si andava contraendo, passò in larga misura nei servizi - sia nel campo del commercio, sia in quello dell'amministrazione - mentre quella reclutata dall'industria moderna vi passò in larga misura dall'artigianato, un settore estremamente inefficiente e non competitivo dell'industria. Gli artigiani vennero spinti verso l'industria dalle importazioni provenienti dal Mercato Comune Europeo, e dalla concorrenza con l'industria moderna, costretta a sua volta a tagliare i costi e ad abbassare i prezzi per sostenere la concorrenza degli altri partner dell'unione doganale.

5. L'assenza di fonti di crescita esogene Possiamo ora esaminare il caso in cui non esistono fonti di crescita esogene - le innovazioni tecnologiche, capitali esterni da investire, gli «animal spirits» degli imprenditori, persino la pianificazione sono assenti. Può accadere che il progresso agricolo e l'aumento della popolazione rurale producano un esubero di lavoratori nelle campagne che non hanno dove andare. Il modello di Lewis non avvia la crescita; la alimenta una volta iniziata. In queste circostanze invece della crescita con disponibilità illimitate di manodopera, abbiamo disponibilità illimitate di manodopera senza crescita. È stata questa la condizione umana prima della rivoluzione industriale, e durante gran parte di essa, con numerosissimi vagabondi, ambulanti sottoccupati, mendicanti. E tale resta oggi in molti paesi sottosviluppati, dove le pressioni per emigrare aumentano. A volte la pressione si

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attenua, come nelle Indie occidentali britanniche e in Messico, quando si verificano migrazioni legali e illegali verso l'America settentrionale. Se le migrazioni internazionali sono impossibili, masse di persone che lasciano l'agricoltura si affollano nelle bidonvilles, nelle favelas, nei barrios, o nelle Hoovervilles, come venivano chiamate negli Stati Uniti al colmo della depressione - borgate abusive attorno alle città che creano difficili problemi sociali e politici di sanità, igiene, criminalità e instabilità. Si tratta di un problema generalissimo, già messo in evidenza dal sistema Speenhamland di assistenza introdotto in Gran Bretagna nel 1795 e sostituito nel 1834, e dalla legislazione fascista che limitò la mobilità dei lavoratori negli anni Venti. Tutti e due i sistemi furono attaccati in quanto dittatoriali e crudeli, ma tutti e due cercavano di affrontare il problema, in quanto trattenere la manodopera disoccupata o sottoccupata sulla terra, nei villaggi, nel distretto, voleva dire almeno che ad essa sarebbe stato fornito un riparo, e, se si trattava di famiglie contadine, del cibo (proveniente dalle rendite dell'azienda agricola). Nelle città, d'altro canto, non c'erano né posti di lavoro, né riparo, né cibo, a meno che non vi provvedesse uno Stato già scarsamente dotato di risorse. Oggi gli urbanisti rispondono alla tragedia sociale insita in situàzioni del genere proponendo la costruzione di città modello, con abitazioni decenti a basso prezzo.L'obiettivo è ineccepibile; l'unico problema è se non sia meglio applicare capitali scarsi a fini produttivi piuttosto che ai consumi. Una simile angosciosa scelta si pone oggi nello sviluppo economico per i pianificatori, tra aumentare la produttività e il reddito di quanti sono già occupati o allocare capitali e sforzi per far lavorare utilmente disoccupati e sottoccupati, per distribuire più equamente il reddito e far aumentare gli standard minimi per gli strati più poveri della società nel settore sanitario, dell'istruzione, dell'igiene e delle abitazioni. Alcuni economisti non riescono a vedere il conflitto tra crescita più rapida da una parte e una più equa distribuzione del reddito dall'altra, e pretendono entrambe le cose 30 • 30 Vedi ad esempio il saggio di Osvaldo Sunkel, Latin American Underdevelopment in the Year 2000 in Jagdish Natwarlal Bhagwati (a cura di), Economics and the World Order /rom the 1970s to the /990s, New York 1972, pp.

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In alcuni casi crescita e equità potrebbero essere complementari e non sostitutive. Sarebbe così se i lavoratori avessero una propensione marginale al risparmio altrettanto elevata degli imprenditori, o perché i poveri risparmiano, come in Germania, o perché i ricchi spendono in consumi di lusso, o dimostrativi, come avviene in parecchi paesi sottosviluppati. Una volta si diceva che il Messico era un paese felice, con profitti elevati che venivano reinvestiti e slogan rivoluzionari che tenevano contente le classi meno fortunate. La crescita messicana è in corso, ma non sembrano applicarsi più né l'uno, né l'altro aspetto di quello stato felice: ora i ricchi vivono nell'opulenza e i poveri si fanno irrequieti. Vale la pena tornare a pensare ancora alla rivoluzione industriale in Gran Bretagna. Osservandola dall'Europa continentale, tedeschi e francesi ne apprezzavano il netto aumento della produttività, ma, come Engels, deploravano le sordide condizioni in cui i lavoratori erano costretti a vivere e alle quali si ribellarono in molte occasioni, da Peterloo nel 1819 ai moti eartisti del decennio del 1840. È opportuno ricordare che gran parte delle tensioni sociali derivò dal crollo delle corporazioni, basate sull'organizzazione monopolistica delle attività produttive, e dalle difficoltà incontrate dalla protoindustria - l'attività autonoma o familiare, le manifatture - di fronte alla concorrenza della fabbrica. Ma una parte, anch'essa importante di tali tensioni, peraltro, dipese dalla legge ferrea dei salari - il modello marxiano di un esercito industriale di riserva o il modello di Lewis di disponibilità illimitate di manodopera - che consentiva un processo continuo di crescita, salvo che per i periodici intervalli di crisi finanziaria. Per cent'anni, funzionò molto bene, determinando il più elevato tenore di vita al di fuori degli ampi spazi americani e delle regioni di recente insediamento. Ma l'aver raggiunto lo stadio della ere199-231; e l'introduzione di Helleiner a Gerald K. Helleiner (a cura di), A World Divided. The Less Developed Countries in the International Economy, Cambridge 1976, pp. 1-28. Per un punto di vista contrario vedi il saggio di Carlos Diaz Alejandro, The post 1971 international Jinancial system and the less developed countries, in Jagdish Natwarlal Bhagwati (a cura di), op. cit., che pone la questione della compatibilità tra redistribuzione e crescita (pp. 243-6).

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scita può aver rappresentato una magra consolazione per le numerose generazioni di lavoratori costrette ad aspettare che fossero i pronipoti ad approfittarne. La situazione fu facilitata nei suoi primi stadi dall'assenza di attese di più elevati livelli di consumo, e, verso la fine, dalle aspirazioni per i propri figli. Nel mondo di oggi, in cui le comunicazioni moderne mostrano come alcuni vivano bene, la prospettiva che un tenore di vita crescente sia riservato solo alle generazioni future porta rapidamente, come si può facilmente vedere, a gravi tensioni sociali. La legge ferrea dei salari nella sua forma ricardiana e malthusiana è perciò un grave onere per gran parte del mondo sottosviluppato. Richiede chiaramente una limitazione delle nascite, che sta ricevendo crescente attenzione in India, in Cina, in Indonesia, nelle Mauritius, ad Haiti, e altrove, anche se bisogna fare di più. Per l'Europa vorrei dire che il modello di Lewis di crescita in un quadro di offerta illimitata di lavoro ha un importante valore esplicativo per la storia economica, almeno a partire dal diciottesimo secolo e nel diciannovesimo e nel ventesimo. Inoltre, se l'Europa non dispone più di manodopera propria, e per ragioni di ordine sociale non è più disposta ad accogliere in gran numero gli immigranti che sarebbero pronti ad entrarvi, dalla sua periferia, la continuità della crescita potrebbe venire minacciata, a meno che non se ne muti la natura, compito che non appare facile.

Terza lezione LA LEGGE DI GRESHAM

1. Introduzione Anche in questa lezione chiamerò «legge» una teoria dal nome sbagliato. La legge di Gresham, per cui la moneta cattiva scaccia quella buona, ha un nome errato, perché questo fenomeno da essa descritto non fu scoperto affatto da Gresham. Lascoperta gli fu erroneamente attribuita da Henry D. McLeod nel 1857. Raymond de Roover ci dice che il principio era ben noto già nel 1550, essendo stato esposto da Copernico nel suo saggio sul conio del 1525 1 • Louis Wolowski fa risalire l'idea a Nicola Oresme, vescovo di Lisieux in Francia, che scrisse De Moneta attorno al 1360, attaccando lo svilimento della moneta e asserendo che il re non aveva il diritto di cambiarne il peso, né il titolo, o di mutare il rapporto tra i due metalli utilizzati nel conio 2 • Un oscuro scrittore inglese, Humphrey Holt, lamentò nel 1551 che le monete cattive facevano andare all'estero le monete buone e pesanti e salire i prezzi. Fu quello l'anno in cui Sir Thomas Gresham si trasferì ad Anversa in qualità di mercante privato e di agente finanziario della Corona, per effettuare i pagamenti sui vecchi debiti, acquistare materiale bellico facendone di nuovi, e curare i pagamenti in moneta 1 Raymond Adrien de Roover, Gresham on Foreign Exchange, Cambridge, Mass., 1949, pp. 91-2. 2 Louis Wolowski, La Question monétaire, Parigi 18692, p. 19.

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metallica. Come spesso avviene, all'uomo ricco e noto va il credito di ben note teorie concepite da altri. È naturalmente troppo tardi per chiamare la legge di Gresham legge di Oresme, o di Copernico, o di Holt. Vorrei inoltre ampliare l'ambito della legge di Gresham dapprima a due tipi di moneta e poi ad altri casi, per analizzare l'instabilità del mercato ove siano presenti differenti monete, come nel bimetallismo, nel caso delle banconote e delle monete metalliche, delle riserve di due banche centrali, e simili. Ed infine generalizzare la legge a due diversi tipi di attività, in particolare alla moneta da un lato e alle attività reali o ad altri tipi di attività finanziarie dall'altro. La legge di Gresham così allargata è un modello analitico estremamente utile nello strumentario dello storico dell'economia, anche se - come il tema di queste conferenze vuole ricordare - costituisce solo un modello tra tanti e non un solvente universale o un rimedio sovrano, come le reliquie o l'olio di serpente in America. La legge di Gresham trovò credito in un periodo in cui la maggior parte della moneta era d'argento e il problema stava nel mantenere in circolazione contemporaneamente monete buone e cattive. Le monete tarate, limate, sfregate, consumate, o comunque ridotte di peso, o adulterate con l'aggiunta di altri metalli e la sottrazione di argento venivano spese rapidamente. Le monete buone venivano tesaurizzate, o spedite all'estero per esservi vendute a peso e non al valore nominale. La discussione della legge di Gresham nella nostra generazione ha riguardato principalmente il gold-exchange standard, sistema in cui le riserve della banca centrale consistevano di oro, valute convertibili in oro, o di oro e valute convertibili, e il problema si poneva tra un'offerta dalle dimensioni appropriate di moneta internazionale da un lato, e la sua instabilità con due tipi di riserve dall'altro. Ancora prima, la questione si poneva principalmente in relazione al bimetallismo, in cui, di nuovo, l'instabilità connessa all'avere due monete - oro e argento - veniva giudicata accettabile o inaccettabile a seconda del giudizio che si dava sui problemi connessi all'instabilità stessa da un lato e sulle dimensioni dell'offerta di moneta dall'altro. Il trade-off tra quantità e stabilità, tuttavia, non affronta la questione in radice. Un ulteriore punto cruciale è che 50

la stessa moneta non serve sempre con la stessa efficienza per tutti gli usi. Possono essere necessari più tipi di moneta, non solo per averne la quantità giusta, ma per fornire le monete acconce per i vari scopi a cui sono più adatte. Nel Medioevo si usavano come moneta tre metalli - senza prendere in considerazione l'uso sporadico e occasionale di sale, pepe, di forme di baratto, delle scritture contabili, di gettoni, di pagamenti in natura, di banconote e di lettere di cambio - e cioè rame, argento e oro. Il rame serviva per le piccole transazioni al dettaglio della gente comune, ma non era altrettanto adatto per le spese più rilevanti della borghesia e dei nobili, che facevano uso dell'argento, né per le ancora maggiori transazioni dei grandi mercanti, che venivano regolate più efficientemente con lettere di cambio o, se queste non erano disponibili, in oro. L'oro era inutile per i contadini e gli artigiani; il rame, come appresero con gravi costi i mercanti e le banche svedesi, era la moneta più complicata da usare per regolare gli squilibri internazionali3. In Francia il rame aveva corso legale fino a 1/40 delle obbligazioni da regolare, per assistere chi lo riceveva a farlo circolare, ma il Tesoro reale, si trovava comunque sommerso da quantità di monete largamente eccedenti le sue esigenze. La Régie des Postes sotto Napoleone I, ad esempio, riceveva nove dei dieci milioni di livres di introiti annuali in monete di rame 4 • E naturalmente i problemi da legge di Gresham si aggravano passando dalle monete metalliche alle lettere di cambio, alle banconote, ai depositi, ai certificati di deposito, e così via. Sono tutte monete, o lo possono essere con le opportune definizioni, e la maggior parte di esse hanno vantaggi comparati in un impiego o nell'altro. Il problema è assicurare che siano costantemente convertibili le une nelle alt re a tassi fissi, essenziali perché le si possa continuare a definire moneta. 3 Eli F. Heckscher, The Bank of Sweden in its Connection with the Bank ofAmsterdam, in J.G. Van Dillen, (a cura di), History of the Principal Public Hanks, l'Aja 1934, pp. 161-89, vedi pp. 179-80. 4 François Nicolas Mollien, Mémoires d'un Ministre du Trésor Public, 17801815, t. III, Parigi 1845, p. 171.

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2. Instabilità del mercato per differenti monete Se prendiamo qualche distanza dalla moneta, la legge di Gresham potrebbe essere estesa trovando applicazione in molte attività nei portafogli, col problema di assicurare che la moneta possa venire scambiata con altre attività, o le altre attività con moneta, e, se non a prezzi fissi, almeno a prezzi che non fluttuino in misura eccessiva. Questo punto verrà analizzato oltre; verranno esaminati dapprima il bimetallismo, poi la convertibilità delle banconote in monete metalliche e dei depositi in banconote, e infine toccheremo il gold-exchange standard e il puro exchange standard. L'oro è sempre stato caratterizzato da un certo alone di magia, evocato dalla leggenda del re Mida, e richiamato nel titolo di uno dei capitoli di A Treat;se on Money di Keynes, e di nuovo in Essays ;n Persuasfon: «aur; sacra fames» (l'esecrabile fame dell'oro )5 • L'argento non eccita sentimenti così profondamente connessi alla psicanalisi. Nella maggior parte dei casi, nell'ultimo paio di secoli, in lotta sono stati il tallone oro come tale e il bimetallismo. Vari paesi poveri, in particolare l'India, la Cina e il Messico, hanno abbracciato in passato il tallone argento come aveva fatto l'Europa sino al 1700 circa; gli esperimenti americani per far aumentare il prezzo dell'argento durante il New Deal in modo da tenere buoni i senatori degli stati che lo producevano si dimostrarono estremamente dannosi per la Cina e il Messico, che lo utilizzavano ancora come moneta 6 • Nel 1819 numerosi inglesi richiesero che il paese riprendesse i pagamenti metallici in argento, non in oro. Ancor più numerosi i fautori del bimetallismo, che come seconda soluzione prescelsero l'oro per evitare che prevalessero gli eterodossi con5 John Maynard Keynes, A Treatise on Money, voi. II, Londra 1930, cap. XXXV (trad. it., Trattato della moneta, 2 voli., Milano 1975); Essays in Per-

suasion, New York, Londra 1932, p. 181 (trad. it., Esortazioni e profezie, Milano 1968). Le due opere sono ristampate rispettivamente nei volumi VI e IX di The Collected Writings of fohn Maynard Keynes, Londra 1971 e 1972. 6 Vedi Charles P. Kindleberger, The World in Depression, 1929-1939, Berkeley, Calif., 1973, p. 235 (trad. it., La grande depressione nel mondo, Milano 1982).

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trari alla ripresa della convertibilità7 • Nel decennio del 1850 in California e in Australia le scoperte di oro minacciarono di renderlo meno caro rispetto all'argento e portarono in Francia alla nomina di tre successive commissioni per l'esame del problema dello standard monetario. Un membro delle commissioni, Michel Chevalier, raccomandò che l'oro venisse demonetizzato e si passasse al tallone argento, mentre un altro membro, Esquirou de Parieu, raccomandò al contrario di demonetizzare l'argento e quattro membri raccomandarono di mantenere un sistema bimetallico 8 • Un unico metallo monetario voleva dire di norma l'oro, adottato dalla Gran Bretagna de facto nel 1774 e de jure qualche anno dopo. Due volevano dire bimetallismo, con monete d'oro e d'argento che circolavano contemporaneamente a un tasso fisso alla zecca. Nascevano problemi determinati da varie cause: per il fatto che i rapporti di cambio alla zecca potevano essere diversi da un paese all'altro, malgrado questo costituisse un problema secondario se i costi di trasporto erano piuttosto elevati e tenevano ben lontani i punti di esportazione e di importazione dei due metalli; per il diverso degrado delle monete dei due metalli; e soprattutto per le variazioni nella produzione di oro e di argento dovute agli effetti accidentali dei ritrovamenti e dei nuovi processi di estrazione. Dico «accidentali», anche se si dovrebbe ricordare che l'era delle esplorazioni, iniziata dal portoghese Enrico il Navigatore e culminata nella scoperta del1' America di Colombo, fu una reazione, consapevole o inconscia, alla scarsità di metallo del quindicesimo secolo, determi7 Le fonti secondarie fanno qualche confusione su quali economisti e esperti economici favorissero l'argento e quali il bimetallìsmo. Smart sostiene che il conte di Lauderdale preferisse l'argento all'oro (William Smart, Economie AnnalsoftheNineteenth Century, voi. I, 1801-1820, Londra 1910-1917, ristampato a New York nel 1964, voi. I, pp. 478, 622). In una discussione, Fetter nota che il conte di Lauderdale introdusse una risoluzione a favore del bimetallismo (Frank Whitson Fetter, Development of British Monetary Orthodoxy, 1797-1875, Cambridge, Mass., 1965, p. 9). In un lavoro più recenlc osserva che Alexander Baring, Peter King, il conte di Lauderdale, Pouletl Thompson e Sir Robert Richard Torrens, in linea di principio favorevoli al tallone argento o al bimetallismo, fecero marcia indietro in quanto decisamente contrari alla carta moneta inconvertibile (Frank Whitson Fetter, The Economist in Parliament, 1780-1868, Durham, N.C., 1980, p. 95). 8 Louis Wolowski, La Question monétaire, cit., pp. 187-88.

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nata dalla necessità di esportare metallo nel Levante per saldare i disavanzi commerciali 9 • I rapporti ai quali oro e argento sono stati coniati e scambiati reciprocamente sono variati enormemente. I dati facilmente disponibili, che partono dal tredicesimo secolo, mostrano un rapporto che discende da circa 12,5 di argento a 1 di oro a poco più di 11 a 1 subito prima della scoperta dell'America. Con l'oro che arrivava in grande quantità dal Brasile nella prima metà del sedicesimo secolo il rapporto cadde a 5 a 1. Il successivo fiume di argento dalle miniere del Messico e del Perù riportò il rapporto a più di 15 a 1. Nel 1717, quando Sir Isaac Newton dirigeva la zecca di Londra, venne fissato un prezzo dell'oro che restò fisso per duecento anni. All'epoca la moneta principale era l'argento. Il gold standard iniziò in Gran Bretagna con la demonetizzazione dell'argento, salvo che per le monete divisionali, de facto nel 1774, de jure nel 1816 10 • Il bimetallismo fu mantenuto in Francia, con frequenti piccoli aggiustamenti nel diciottesimo secolo sotto Turgot e Mirabeau, e portò, dopo le difficoltà monetarie della Rivoluzione, alla istituzione del franco con la legge del 7 germinale (1803). Parigi diventò il centro europeo dell'oro e dell'argento. La capitale francese venne in aiuto di Londra durante la crisi del 1825, ad esempio, scambiando oro, in gran parte sotto forma di sovrane, contro argento, quando la Bank of England si trovò in difficoltà a mantenere le sue banconote convertibili in monete d'oro 11 • Le scoperte di oro in California e in Australia crearono minori turbative rispetto a quanto si aspettava Michel Chevalier, poiché l'oro che arrivava d'oltremare a Londra ve9 Ralph Davis, The rise of the Atlantic Economies, Ithaca 1973, pp. 4, 7. Vedi anche Pierre Vilar, A History of Gold and Money, 1450-1920, tradotto dalla edizione francese del 1969, L 'or dans le monde du XV siècle à nos jours, da Judith White, Londra 1976, pp. 45, 47,63; versione originale, Oro y moneda en la Historia, 1450-1920, Barcellona I 969 (trad. it., Oro e moneta nella storia, 1450-1920, Bari 1971). 10 United States Senate, International Monetary Conference, tenuta nell'agosto del 1878 a Parigi sotto l'egida del Ministero degli Affari Esteri della Francia, Senate Executive Document n. 58, 45° congresso, terza sessione, U .S. Government Printing Office, Washington, D.C., 1879, pag. 619; ristampato, New York 1979. 11 Sir John Clapham, The Bank of Eng/and: A History, voi. Il, Cambridge 1945, p. 100.

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niva rapidamente spedito a Parigi, che ne bilanciava l'impatto sulla quantità di moneta in Europa occidentale perdendo argento in Estremo Oriente. Nel 1860, quando l'argento era sopravvalutato, la Banque de France scambiò argento per un valore di due milioni di sterline contro oro con la Bank of England, che voleva avere sufficiente oro a disposizione per evitare pagamenti in argento. Doverli effettuare in argento avrebbe provocato una fuga dalle banconote, che sarebbero state convertite in argento 12 • Nel 1876 la Francia ebbe ancora l'imbarazzo di detenere la sua riserva principale nel metallo sopravvalutato - stavolta l'oro - però risolse il problema non acquistando argento e effettuando con esso i pagamenti, ma abbandonando il bimetallismo per il tallone oro 13 • Le scoperte avvenute in California e in Australia dettero in dieci anni la stessa quantità di oro prodotta nei trecentocinquantasei anni tra il 1492 e il 1848 14 • Secondo un calcolo un po' diverso di Knut Wicksell, nei venticinque anni successivi al 1851 fu prodotto altrettanto oro che nei precedenti duecentocinquanta 15 • Quali che fossero le cifre, le scoperte determinarono intense discussioni in Francia sulla saggezza del bimetallismo, come già indicato, e in particolare un acceso dibattito tra il bimetallista Louis W olowski e il monometallista Michel Chevalier. Ludwig Bamberger, allora in Francia, dichiarò che la gente perde la testa per due cose, l'amore e il bimetallismo 16 • Quarant'anni più tardi, la polemica tra Karl Helfferich, monometallista, e Otto Arendt, il principale sostenitore in Ger12 Walter Bagehot, The Effects of the Resumption of Specie Payments in France on the Price of Silver, in The Silver question, IV, «The Economist», voi. XXXIV, 18 marzo 1876; ristampato in The Collected Works of Walter llagehot, voi. X, cit., pp. 150-5, vedi p. 150. 13 Ivi, p. 152, e United States Senate, op. cit., nota a p. 207. 14 Miche! Chevalier, On the Probable Fall in the Value of Gold: The Commerciai and Socia/ Consequences which may Ensue, and the Measures which il lnvites, tradotto dal francese, con prefazione, da Richard Cobden, Manchester, 18593, p. v1. 15 Knut Wicksell, Lectures on Politica/ Economy, voi. II, Money, New York, Londra 1935, p. 37 (trad. it., Lezioni di Economia politica, Torino 1950). 16 Citato in Paul H. Emden, Money Powers of Europe in the Nineteenth and Twentieth Centuries, New York 1938, p. v.

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mania della posizione degli Junker, favorevoli al bimetallismo, si fece talmente accesa che Arendt citò in giudizio Helfferich per diffamazione (ma si vide respingere l'azione dal tribunale)17. Durante un dibattito con Chevalier, Wolowski fece uso di alcune metafore sorprendenti; citando Le ma/ade imaginaire, di Molière: «Io, tagliarmi un braccio, cavarmi un occhio, per stare meglio. Che bella operazione, rendermi cieco e storpio»18. E citò anche un altro bimetallista, Cernuschi, che si chiedeva: «II mondo ci offre due combustibili: dobbiamo proscrivere il legno perché altri bruciano carbone?» 19 Queste domande retoriche mettono a fuoco la questione. Se due monete sono complementari, e il più è preferibile al meno, come i gruppi d'interesse agrari (gli Junker in Germania e i populisti negli Stati Uniti) ritenevano, due monete sono preferibili a una. Se invece le due monete sono surrogati, e le aspettative su quale sia quella di maggior valore mutano nei due sensi e determinano la tesaurizzazione o l'esportazione dell'una e la maggior circolazione dell'altra, una moneta è preferibile a due. Alcuni monometallisti e i più convinti fautori del metallo, contrari all'uso delle banconote o della valuta estera nelle riserve della banca centrale oltre che del metallo, basano la loro opposizione alle due monete sul timore dell'inflazione. Alcuni bimetallisti hanno fatto opposizione al tallone oro per timore della deflazione, in particolare l'eloquente William Jennings Bryan. La questione posta dalla legge di Gresham ignora l'aspetto della opportuna quantità di moneta, considerato distinto, e si concentra sulla instabilità. Walter Bagehot sosteneva che bimetallismo non vuol dire valuta di due metalli, ma designa un sistema di divise alternative 20 • Un difensore del bimetallismo come Wolowski lo chiama non un doppio standard, ma una doppia moneta 21 . Gli artifici retorici abbondano. Alfred 17 John G. Williamson, Kart He{fferich, 1872-1924. Economist, Financier, Politician, Princeton, N.J., 1971, pp. 33-5. 18 Louis Wolowski, La Question monétaire, cit., nota a p. 91. 19 Ivi, p. 217. 20 Walter Bagehot, Bimetallism, in The Silver Question, XVII, «The Economist», voi. XXXIV, 30 dicembre 1876; ristampato in The Collected Works of Walter Bagehot, voi. X, cit., pp. 215-17, vedi p. 216. 21 Louis Wolowski, La Question monétaire, cit., p. 207. 56

Marshall voleva sconfiggere l'instabilità e allo stesso tempo godere dei vantaggi di una più larga base monetaria proponendo il «sinmetallismo», nel quale oro e argento sarebbero sempre stati combinati nelle monete e nei lingotti nelle stesse proporzioni, anche se il suggerimento probabilmente non teneva nel debito conto quanto fosse facile fondere la lega e separare i due metalli se il prezzo di mercato si fosse allontanato dal rapporto implicito nella combinazione22 • Una proposta analoga fu avanzata per stabilizzare il gold-exchange standard da un economista olandese, S. Posthuma, il quale raccomandò la regola che le banche centrali detenessero, pagassero e accettassero oro e divise estere nelle loro riserve internazionali per una percentuale fissa concordata23 • Queste idee si basano sul teorema di Hicks, in base al quale due merci trattate sempre allo stesso prezzo possono essere considerate un'unica merce. Un remoto tentativo di stabilizzare il metallo sopravvalutato si trova in un decreto di Carlo V di Spagna del 1514, in base al quale le lettere di cambio avrebbero dovuto essere sempre pagate per due terzi in oro, per compensare la diminuzione della circolazione di monete d' oro 24 • Il bimetallismo crollò dopo il 1875, forse a causa della scoperta del filone di Comstock in Nevada nel 1859, o del nuovo processo elettrolitico per recuperare argento dai minerali a più basso tenore, delle esportazioni su larga scala di argento dal1' Itali a prima del corso forzoso del 1866, dell'improvviso salto tedesco dal bimetallismo al gold standard (dopo che la Germania ebbe ricevuto - in gran parte in oro - la quota in metallo dell'indennizzo di cinquecento milioni di marchi tedeschi a seguito della guerra franco-prussiana e buttò l'argento sui mercati internazionali), o per l'insieme di tutti questi fattori. Ben prima di allora, peraltro, la legge di Gresham era stata messa alla prova più volte in relazione alla convertibilità in metallo delle banconote. 22

Alfred Marshall, Money, Credit and Commerce, Londra 1923, pp. 64-

67. 23 Suardus Posthuma, The International Monetary System, in «Quarterly Review» della Banca Nazionale del Lavoro, sett. 1963, n. 66, pp. 239-61. 24 Frank C. Spooner,The International Economy and Monetary Movements in France, 1493-1725, Cambridge, Mass., 1972, p. 133.

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3. Instabilità del mercato e convertibilità delle banconote La salvaguardia della convertibilità delle banconote non costituisce forse esattamente lo stesso problema posto da due tipi di monete metalliche, dato che la cartamoneta ha un vantaggio comparato rispetto a queste ultime in termini di convenienza e di facilità nel contarla, conservarla e trasportarla. È bene ricordare che ai primordi della banca generalmente i depositi bancari godevano di un piccolo premio rispetto alle monete, dati tali vantaggi, e per la garanzia implicita della banca che le riserve metalliche a fronte dei depositi avevano il dovuto peso e titolo 25 • Inoltre carta e metallo non si sommano come l'oro e l'argento, se la carta moneta viene emessa a fronte di riserve di monete o di metallo e non circola assieme ad esse. Ciò nonostante il principio è lo stesso e la questione della instabilità è cruciale. Si può determinare instabilità anche tra i depositi bancari e le banconote, i depositi metallici e il metallo, i depositi di una banca e quelli di un'altra. È raro che si possa individuare una instabilità tra i diversi tagli delle banconote emesse dalla stessa autorità, e con una offerta virtuale infinitamente elastica, ma la legge di Gresham resa solo limitatamente più generale - ci tornerò più tardi - dice che ci può essere instabilità tra due qualsiasi forme di moneta. W olowski traduce la legge di Gresham nell'espressione «te papier chasse le numéraire» (la cartamoneta scaccia il numerario), ma si possono anche trovare casi opposti a quello del premio della carta rispetto ai primi depositi bancari già menzionato. Forrest Hill dell'Università del Texas mi ha detto che nel decennio del 1860, quando il resto degli Stati Uniti usava i biglietti verdi a causa della Guerra Civile, la California continuava a usare l'oro per i pagamenti locali, e manteneva un mercato dei biglietti verdi per fare alcuni pagamenti al governo federale. In questo caso la moneta forte scacciava quella debole, l'oro scacciava la carta, e il professor Hill considera il 25 J.G. Van Dillen, The Bank of Amsterdam, in Id., History of the Principal Public Banks, cit., pp. 91-2.

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caso l'opposto della formulazione tradizionale della legge di Gresham 26 • È forse troppo riassumere il dibattito tra la scuola bancaria e la scuola monetaria della prima metà del diciannovesimo secolo in Gran Bretagna, o l'analogo dibattito moderno tra monetaristi e keynesiani, nell'ambito della legge di Gresham, ma forse un simile approccio sarebbe giustificabile. Come i bimetallisti, la scuola bancaria, i keynesiani e i fautori di una politica monetaria accomodante nel complesso non attribuiscono troppo peso alla instabilità, e sono più interessati ad allargare l'offerta di moneta, aumentare la spesa, aumentare il reddito e l'occupazione. La scuola monetaria e alcuni monetaristi si preoccupano dell'inflazione, ma anche della stabilità e della salvaguardia della convertibilità27 • La convertibilità di una moneta in un'altra, della moneta in altre attività, e di attività normalmente liquide in moneta è il criterio fondamentale. Finché la convertibilità è salvaguardata, la legge di Gresham è sotto controllo. Il dibattito monetario del diciannovesimo secolo occupò infinite ore e innumerevoli pagine con la discussione sulle condizioni in cui la convertibilità sarebbe stata salvaguardata, e la circolazione forzosa delle banconote evitata, con una riserva al margine del 100%, al di sopra di una certa quantità di carta fiduciaria, come nel Bank Act del 1844 in Gran Bretagna, o con un sistema di riserve frazionale, come l'ammontare di banconote de facto non superiore a tre volte le riserve metalliche della Banca di Francia. Alcuni irriducibili fondamentalisti erano contrari del tutto alle banconote; in Francia Henri Cernuschi voleva limitarle all'ammontare in numerario dei corrispondenti depositi, tornando al criterio del 100% vigente nel diciassettesimo secolo28 • Il radicale agrario William Cobbett in Inghilterra era assolutamente contrario alle banConversazione col professor Forrest Hill, Austin, Texas, 2 aprile 1979. Vedi Charles P. Kindleberger, Keynesianism vs. Monetarism in the Eighteenth and Nineteenth Centuries, «History of Politica! Economy», voi. XII, inverno 1980, n. 4, pp. 499-523. 28 Vedi la testimonianza di Garnier-Pages, Ministère des Finances et Ministère del' Agriculture, du Commerce et dcs Travaux Publics, Enquéte sur les principes et les faits généraux qui régissent la circulation monétaire et Jiduciaire, t. Il, Parigi 1867, p. 43. 26

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che29 , e il Presidente Jackson negli Stati Uniti era contemporaneamente un populista che voleva l'espansione monetaria e un fautore dell'oro, contrario sia alle banche sia alle banconote30. Lo scontro, nell'ambito della legge di Gresham, tra monete e banconote finì inevitabilmente con la demonetizzazione del metallo, se non per le piccole transazioni, e in tal caso vi era una sostanziale componente di signoraggio. Le banconote (e i depositi) divennero la vera moneta. La demonetizzazione dell'oro, come quella dell'argento, fu un processo lento e che si verificò per stadi. Le monete d'oro coesistettero con le banconote, in periodi di calma, solo per i nonni a Natale e sotto i materassi dei contadini francesi, per i quali - ricordando John Law, gli assignats e l'inflazione di due guerre mondiali - la calma non c'era mai. Nei periodi di tensione, l'oro sarebbe stato richiesto per difendersi dall'incerto valore delle banconote e dei depositi bancari. In periodi del genere, di oro non ce n'era mai abbastanza. Quando nel 1933 le tensioni della depressione colpirono gli Stati Uniti, la fuga dalle banche impose di ritirare dalla circolazione l'oro al vecchio prezzo e di proibirne il possesso da parte dei privati. Monete e lingotti furono vietati ai cambisti nel marzo del 1968, quando fu abolito il doppio mercato, con un prezzo dell'oro vigente tra le banche centrali e un prezzo diverso per i privati (fuori dagli Stati Uniti). In agosto del 1971, gli Stati Uniti rifiutarono di convertire i dollari in oro. Con le graduali vendite all'asta dell'oro del Fondo monetario internazionale e del Federai Reserve System la demonetizzazione fu virtualmente completata. L'oro si ridusse a una materia prima, per giunta altamente speculativa. Senza un prezzo fisso, cessò di essere moneta, e la carta da allora regna sovrana. Va ancora una volta osservato che due monete sono simmetricamente instabili, e non che il numerario scaccia sempre la carta. La «valanga d'oro» del 1936-37, si verificò quando il prezzo dell'oro fu portato da 20,67 a 35 dollari l'oncia e molti 29

Miche! Chevalier, Lettres sur l'Amérique du Nord, cit., voi. I, nota a

pag. 73. 30

lvi, p. 223.

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operatori del mercato finanziario, incluse non poche banche centrali, ritennero che si trattasse di un prezzo troppo elevato. Vennero acquistati dollari, in base all'aspettativa non proprio razionale che il prezzo dell'oro sarebbe stato abbassato di nuovo, e si ebbe un flusso di oro verso gli Stati Uniti per mesi, fino a quando la fermezza del Tesoro americano e la sua determinazione a non abbassare il prezzo dell'oro non divennero evidenti3 1 •

4. Instabilità del mercato con valute di riserva di due banche centrali Mentre si procedeva alla demonetizzazione dell'oro, la legge di Gresham si faceva sentire riguardo a due aspetti della moneta internazionale; nello scontro tra oro e valute nelle riserve delle banche centrali e nello scontro tra due valute di riserva. Il gold-exchange standard si sviluppò ben prima della Grande Guerra (come Peter Lindert ha dimostrato)3 2 , e fu promosso da Montagu Norman della Bank of England alla conferenza di Genova nel primo dopoguerra 33 • Dopo la seconda guerra mondiale fu sottoposto a vigorosi attacchi da Robert Triffin e Jacques Rueff. Triffin definì il sistema assurdo e suicida, in quanto incoraggiava il centro della valuta di riserva a emetterla in misura eccessiva 34 • Rueff lo riteneva inflazionistico e tale da assicurare vantaggi indebiti di signoraggio al paese che emette la valuta di riserva 35 • Né l'uno, né l'altro sottolineavano l'instabilità nel quadro della legge di Gresham che l'esistenza di due monete internazionali comporta, anche se entrambi 31 Frank D. Graham e Charles R. Whittlesey, Go/den Ava/anche, Princeton 1939; ristampa, New York 1979. 32 Peter H. Lindert, Key Currencies and Gold, 1900-1913, «Princeton Studies in International Finance», agosto 1969, n. 24. 33 Sir Henry Clay, Lord Norman, Londra 1957; ristampa, New York 1979, p. 137. 34 Robert Triffin, Go/d and the Dollar Crisis, New Haven 1960. 35 Jacques Rueff e Fred Hirsch, The Rote and the Rute of Gold: An Argument, Department of Economics, Princeton University, «Essays in International Finance», giugno 1965, n. 47.

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proponevano di sostituire al gold-exchange standard un'unica moneta. Triffin voleva istituire una nuova carta moneta gestita internazionalmente, demonetizzare l'oro e fondere i dollari con la nuova divisa per il tramite del Fondo monetario internazionale: un processo molto simile a quello contemplato ora per il cosiddetto Conto di sostituzione del Fondo. Rueff favoriva il ritorno al gold standard puro, e la rivalutazione dell'oro per fornire nuova liquidità sostitutiva dei dollari estromessi dal sistema, nonché l'impegno dei vari paesi a regolare tutti i saldi in oro. Né Triffin, né Rueff riconoscevano che in qualsiasi sistema con una sola moneta che non si dimostri completamente soddisfacente per tutti gli usi, il mercato crea nuova moneta o monete per soddisfare le proprie esigenze. In particolare, se la moneta nazionale del paese più importante nei rapporti finanziari internazionali viene esclusa dalle riserve ufficiali in favore di una unità di riserva artificiale o di un oro cui è stato attribuito un nuovo prezzo, è praticamente inevitabile che il mercato prima o poi voglia detenere almeno parte delle riserve in valute estere spendibili. Il gold-exchange standard attecchì data la convenienza di detenere riserve in una forma direttamente utilizzabile, senza la necessità di una previa conversione. Nella maggior parte dei casi il mercato tende ad ignorare la distinzione che Triffin e Rueff cercavano di introdurre, tra divisa di riserva e divisa veicolo. La moneta del paese economicamente più importante gode di un vantaggio comparato nei confronti di una pura unità di riserva, in quanto può essere direttamente spesa. È virtualmente impossibile limitare la divisa internazionale a un'unica moneta, a meno che tale moneta non sia accettata nelle transazioni monetarie nei principali paesi. Se le autorità ammettono una sola moneta internazionale, il mercato ne produrrà altre, e così facendo reintrodurrà la legge di Gresham. Con due centri internazionali che creano riserve, la instabilità insita nella legge di Gresham è forse più grave che con l'oro e una moneta nazionale dominante. Se possiamo fare astrazione dall'oro e dall'argento e ipotizzare un mondo in cui come valute internazionali siano usati il dollaro e la sterlina, l'instabilità latente è inevitabile. Non voglio esagerare. Sterline, dollari, franchi e altri blocchi 62

monetari nazionali possono coesistere in condizioni di ragionevole stabilità, fino a quando ciascun centro finanziario può svolgere le necessarie funzioni. Ma se la capacità di una divisa come la sterlina di finanziare l'attività commerciale e di fornire capitali dovesse per qualsiasi ragione apparire meno certa - per un rallentamento della produttività, perdite di capitali per una guerra, sopravvalutazione del cambio, o altro - i paesi indipendenti, che non appartengono ad alcun blocco, e alcuni paesi con legami deboli con il blocco interessato, si rivolgeranno ad altri centri finanziari per soddisfare le proprie necessità. Parigi e Londra sono state in concorrenza per il predominio finanziario mondiale nel diciannovesimo secolo; Londra ha finito per prevalere, secondo la maggior parte degli osservatori, quando la Francia abbandonò la convertibilità in oro durante la guerra franco-prussiana 36 • La rivalità di New York con Londra iniziò durante la prima guerra mondiale o qualche tempo prima, secondo la maggior parte degli storici 37 ; ma ho trovato un esempio di millanteria americana: secondo il «New York Herald» il primato di Londra sarebbe stato messo in discussione già all'epoca della crisi del 1857 38 • Oggi, con il dollaro debole, i Diritti speciali di prelievo o l'Ecu non sono un'alternativa immediatamente percorribile, ma se ne verrà istituita una a seguito di negoziati ufficiali o se una moneta nazionale come il marco tedesco, il franco svizzero o lo yen giapponese verrà prescelta dal mercato e potrà essere detenuta 36 Vedi Walter Bagehot, Lombard Street. A Description ofthe Money Market, cap. Il, A Generai View of Lombard Street; Londra 1873; ristampato in The Collected Works of Walter Bagehot, cit., voi. IX, pp. 58-68, vedi pp. 6364. 37 Vedi, ad esempio, Paul P. Abrahams, The Foreign Expansion of American Finance and its Relationship to the Foreign Economie Policies of the United States, 1907-1921, New York 1974, e Kathleen Burk, J.M. Keynesand the Exchange Rate Crisis of July 1917, «Economie History Review», voi. XXXII, agosto 1979, n. 3, pp. 405-16, vedi p. 409. 38 «La lotta nel 1857 fu in larga parte tra New York e Londra, e terminò con un vantaggio della prima. E verrà presto il momento in cui New York, e non Londra, diventerà il centro finanziario non solo del Nuovo mondo, ma anche, in larga parte, del Vecchio». «New York Herald», The Revolution of 1857, /ts Causes and Results, cit. in David Morier Evans, The History of the Commerciai Crisis, 1857-1858, and the Stock Exchange Panie of 1859, Londra 1859, ristampato, New York 1969, p. 114.

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all'estero, la instabilità da legge di Gresham tornerà a prevalere. Alcuni detentori convertiranno le loro attività, altri procederanno con maggiore sottigliezza, spendendo la moneta debole e riscuotendo i pagamenti in quella forte. L'attuale situazione, con il dollaro debole e l'oro demonetizzato, sembra anomala. La mia lettura della storia mi porta alla conclusione che essa non si protrarrà a lungo, e intendo con ciò per più di cinque o dieci anni. Le crisi dei cambi possono essere assimilate alla legge di Gresham, con le due monete rappresentate da un lato da una moneta nazionale e dall'altro da tutte le altre divise convertibili in quella. Come in altri casi, la crisi discende da un mutamento delle aspettative. Può essere tardiva, o prendere corpo lentamente, o essere provocata improvvisamente da un evento negativo, ma il fenomeno che si verifica è che una moneta ritenuta forte viene improvvisamente considerata debole, o viceversa, e la gente ne esce o la acquista in tempi brevissimi. Nella classica iperinflazione tedesca, all'inizio la moneta si svalutò lentamente, in quanto sia i tedeschi, sia gli stranieri ritenevano che sarebbe stata riportata alla parità, e poi rapidamente quando le iniziali speranze ed attese si dimostrarono false 39 • Il mercato può essere composto da operatori più o meno in possesso di notizie riservate, ciascuno con percezioni differenti, con gli outsider che si rendono conto lentamente di quanto gli insider stanno facendo e provvedono più tardi. I primi a comprare godono di prezzi bassi, i primi a vendere di prezzi elevati, mentre gli outsider tendono a comprare a prezzi elevati e a vendere a prezzi bassi, perdendo quattrini. Naturalmente le monete nazionali non sono instabili semplicemente perché esistono altre divise in cui convertirle. Non dico che la legge di Gresham si applichi sempre, ma piuttosto che tale possibilità esiste sempre, e la storia è piena di esempi in questo senso. Il problema si presenta in particolare in relazione ai tassi di cambio flessibili. Molti economisti asseriscono che non può esistere una speculazione destabilizzante, che i mercati sono 39 Vedi Lega delle Nazioni, Economie Financial and Transit Department, The Course and Contro! of lnflation. A Review oj Monetary Experience in Europe ajter World War /, rapporto scritto da Ragnar Nurkse, League of Nations, 1946, p. 47.

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razionali e fissano giornalmente prezzi che prendono in considerazione tutte le informazioni disponibili, per cui non si danno prezzi caratterizzati da un eccesso di rialzo o di ribasso, né improvvisi mutamenti di opinione, o variazioni dei prezzi in assenza di variazioni delle situazioni obiettive. L'andamento del mercato dei cambi dall'adozione dei cambi fluttuanti nel marzo del 1973 sembrerebbe smentire tale tesi, ma analizzare questo tema mi porterebbe troppo fuori strada. Vorrei solo enunciare alcune mie opinioni a riguardo: 1) con cambi flessibili, non c'è una moneta internazionale, per cui i costi e i benefici di tale istituto vengono rispettivamente evitati e perduti; 2) la fluttuazione pulita (consentire al sistema dei cambi flessibili di produrre qualsiasi tasso di cambio che il mercato prescelga, senza interventi delle autorità) è un sistema che non può funzionare. Potrei andare oltre e dire che nessuna regola rigida può funzionare, ma anche questo mi porterebbe fuori strada. Per il momento direi che gli interventi delle autorità nella determinazione del tasso di cambio, in regime di cambi fluttuanti, sono altrettanto inevitabili del prestatore di ultima istanza nelle crisi finanziarie all'interno. Per riassumere, sostengo che la legge di Gresham, che afferma che due monete sono instabili nel tempo in quanto la moneta debole scaccia la forte, che viene tesaurizzata, è una realtà virtualmente ineliminabile, per la impossibilità di procedere troppo a lungo con una moneta sola. E ciò per due ragioni. Una moneta non può svolgere efficacemente tutti i compiti per i quali la moneta è necessaria. La moneta adatta a uno scopo può non essere acconcia a svolgerne un altro. Inoltre, se le autorità cercano di fissare l'offerta di moneta, o lasciano alla natura il compito di farlo, adottando come moneta uno specifico metallo, il mercato di tanto in tanto creerà nuovi tipi di moneta, perché ne vuole altri. La moneta metallica ha portato alla creazione delle banche e delle banconote. Il Bank Act inglese del 1844, che fissava l'offerta di banconote, stimolò l'impiego delle lettere di cambio e dei depositi bancari nella funzione di moneta. Se si fissa un certo Mi come moneta, e delle tensioni attraversano il mercato, quest'ultimo creerà una moneta addizionale Mj. Le autorità insistono per avere una moneta esogena e fissa; ma il mercato cerca nuove 65

strade per monetizzare il debito e rendere la moneta endogena e elastica; e queste nuove monete ci danno più di una moneta, aprendo la strada alla legge di Gresham e alla latente instabilità.

5. Attività reali e finanziarie: un problema generale di instabilità del mercato Lascio ora il campo esclusivamente monetario per allargare la discussione, includendovi altre attività finanziarie e persino attività reali come le materie prime, gli immobili e i terreni. Voglio sostenere che un fenomeno talmente simile alla legge di Gresham da potervi essere fatto rientrare si può verificare (ma non necessariamente) quando la moneta, altre attività finanziarie e attività reali non sono complementari in un portafoglio, ma diventano surrogati, a causa di aspettative di una variazione dei loro prezzi relativi. Come nella discussione della legge di Gresham limitata alla moneta, stiamo affrontando fenomeni di crisi. Le crisi non sono endemiche; le economie non sono sempre instabili. Dico piuttosto che le crisi si possono verificare, e che la storia dimostra che si sono effettivamente verificate. Una teoria economica che non preveda l'instabilità implicita nella legge di Gresham sarebbe incompleta, come lo sarebbe un'ottica della storia economica che ipotizzasse che tutti i mercati siano sempre in equilibrio stabile. Gli economisti della moneta assumono che la domanda di moneta sia stabile. Applicano questo assunto all'analisi della bilancia dei pagamenti, suggerendo l'ipotesi che, quando l'offerta è inferiore alla domanda, gli operatori vendono merci o titoli all'estero, per costituirsi gli stock di moneta voluti, e che, quando l'offerta all'interno è superiore alla domanda, essi spendono l'eccedenza di moneta acquistando merci o titoli esteri per riportare l'offerta al livello della domanda. Si tratta naturalmente di un'ottica di lungo termine. Nel breve termine, non ha molto senso variare l'output e spendere per stabilizzare l'offerta di moneta, quando la funzione evidente della moneta come riserva di valore è quella di coprire i divari temporali tra

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introiti e uscite. Inoltre l'ottica di lungo periodo del monetarismo per cui la domanda di moneta è stabile, si dimostra a volte falsa, quando le aspettative sul valore relativo della moneta e delle altre attività mutano, e gli operatori - famiglie e imprese - escono dalla moneta e acquistano altre attività finanziarie e reali, o escono da tali attività per procurarsi moneta - in una sorta di struttura comportamentale alla maniera di Gresham, che li induce a liberarsi di un tipo di attività per un altro. In questo senso il modello è antico. Adam Smith e John Stuart Mill lo chiamavano «overtrading», «eccesso di attività commerciale», che portava al rigetto e al discredito 40 • L'overtrading può riguardare le obbligazioni, interne e estere, le azioni, le proprietà urbane e rurali, le materie prime, le divise estere (come abbiamo già notato), particolari forme di investimento come canali, ferrovie, uffici, centri commerciali, villaggi turistici e simili. Walter Bagehot cita Lord Overstone, la cui sequenza è un po' più lunga: «stasi, miglioramento, fiducia, prosperità, eccitazione, eccessi commerciali, CONVULSIONE, [maiuscole di Bagehot], pressione, stagnazione, che sfocia di nuovo nella stasi», ma è più o meno la stessa41 • Le crisi sono state di meno in Gran Bretagna dopo il 1866, e nel 1873 gli inglesi forse ne evitarono una con aggiustamenti continui quando la Bank of England modificò il tasso di sconto ventiquattro volte in un anno. Ma altri paesi e la stessa Gran Bretagna ne hanno subite alcune - nel 1873 l'Austria, la Germania e gli 40 Vedi Adam Smith, An lnquiry into the Natureand Causes ofthe Wealth of Nations, cit., p. 406 (trad. it., Ricerche sopra la natura e le cause della Ricchezza delle Nazioni, cit., p. 392); John Stuart Mili, Principles of Politica/ Economy, with some of their applications to socia/ philosophy, 2 voli., Londra 1848; l'edizione citata è il testo curato da W .J. Ashley, Londra 1909, pp. 631-739 (trad. it., Principi di economia politica con alcune delle sue applicazioni alla filosofia sociale, Torino 1851). 41 O'Brien ritiene che questa sia una delle prime descrizioni del ciclo. È contenuta nelle Reflections suggested by a perusal of Mr. J. Horsley Palmer's pamphlet on the Causes and Consequences of the Pressure on the Market, di Lord Overstone (allora Samuel Jones Loyd), scritte nel 1837. Vedi l'introduzione di Denis Patrick O'Brien alla sua edizione di The Correspondence of Lord Overstone, voi. I, Cambridge 1971, p. 63. Cfr. Walter Bagehot, Investments, «lnquirer», voi. Xl, 31 luglio 1852, n. 526, p. 482; ristampato in The Collected Works of Walter Bagehot, cit., voi. IX, pp. 272-75; vedi pp. 272-3.

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Stati Uniti, nel 1907 l'Italia e gli Stati Uniti, nel 1920 la Gran Bretagna, e di nuovo gli Stati Uniti nel 1929 e nel 1937 ... Si sono verificate frequenti crisi dei cambi a partire dalla seconda guerra mondiale e difficoltà relative a prestiti per 747 aeroplani messi in naftalina, petroliere in disarmo nei fiordi norvegesi o in baie greche, fondi di investimenti immobiliari, e più di recente prestiti ipotecari, credito al consumo, prestiti ai paesi sottosviluppati e la bolla speculativa sull'oro dello scorso autunno e di quest'inverno, che fece pensare a molti osservatori alla mania per i tulipani del 1636, un terzo di millennio fa, e a quella dell'argento della primavera scorsa. Si verificano certi eventi, si determinano aspettative che oltrepassano il segno, il mercato reagisce in misura eccessiva e poi gradualmente, o improvvisamente, le attese di alcuni, o di molti, si ridimensionano, cessa la corsa all'acquisto di qualche attività finanziaria meno liquida della moneta e si ha una corsa da tali attività alla moneta. Si può pensare che la differenza tra crisi finanziarie di questo genere e la legge di Gresham sia considerevole e, se mi si mettesse alle strette, forse sarei costretto ad ammetterlo. Con due monete, se il loro prezzo ufficiale è sbagliato, il mercato si affretta a trarre vantaggio dalla situazione, spendendo la moneta sottovalutata e tesaurizzando quella sopravvalutata. Nel caso di crisi finanziarie o delle materie prime, ad essere sbagliato non è un prezzo ufficiale. Ma tale situazione non se ne discosta molto; è l'improvviso variare delle aspettative a far sì che il vecchio prezzo di mercato non sia più corretto, e si determini una corsa a uscire dall'attività sopravvalutata (titolo, merce o altro) per acquisire quella più esente da rischi, la moneta, prima che il prezzo dell'attività sopravvalutata crolli. La storia economica ci insegna che, quando la legge di Gresham riguarda le monete, i possibili rimedi sono molti: 1) modificare il prezzo di emissione dei due metalli, portandolo più vicino a quello di mercato; 2) demonetizzare tutti i tipi di moneta salvo uno; 3) aumentare l'offerta della moneta scarsa, per dimostrare che ce n'è a sufficienza per affrontare qualsiasi situazione; 4) aumentare l'offerta della moneta sopravvalutata, per assicurare di essere in grado di rispondere con quella a qualsiasi richiesta che il sistema possa fare alla banca centrale, 68

senza bisogno di erogare la moneta sottovalutata, che assicurerebbe possibilità di profitto a chi fosse in grado di procurarsela. Demonetizzare tutti i tipi di moneta salvo uno, come abbiamo già notato, presenta il problema che un'unica moneta - oro, argento, carta, valuta estera - difficilmente è in grado di assolvere a tutte le esigenze dell'economia. Aumentare l'offerta di una valuta scarsa occasionalmente si può, indebitandosi o mediante swap, ma vi sono dei limiti. Sospendere i limiti alle erogazioni della moneta abbondante, previsti a livello locale, era il mezzo classico per affrontare le crisi bancarie in Gran Bretagna nel diciannovesimo secolo. La tecnica era quella di sospendere il Bank Act del 1844, che richiedeva che la Bank of England mantenesse presso di sé un ammontare fisso di oro a fronte delle sue passività in banconote. Più in generale quando il panico determina una fuga dalle attività finanziarie e reali a lungo termine, per contrastarlo, il prestatore di ultima istanza deve erogare liberamente moneta. Una volta rassicurati che le altre attività possono essere convertite in moneta, molti detentori di tali attività recedono dal tentare di convertirle effettivamente. È la prospettiva di un limite che genera il panico e le vendite indiscriminate, per paura che, quando si presenti l'esigenza di vendere, non ci sia più denaro disponibile. C'è chi ritiene che il mercato operi sempre correttamente, e che non ci sia bisogno di un prestatore di ultima istanza. Ma sul piano storico bisogna rispondere facendo rilevare che le crisi finanziarie ci sono effettivamente state e sottolineando che, pur se in teoria le crisi potrebbero risolversi da sole, se lasciate a se stesse, raramente le autorità sono disposte ad assumere rischi del genere. La storia dimostra che il prestatore di ultima istanza preferisce affrontare il panico fornendo la liquidità così disperatamente necessaria secondo gli osservatori contemporanei. William Huskisson disse a proposito del dicembre 1825: «eravamo solo a poche ore da una situazione in cui non si sarebbe potuto far ricorso che al baratto» 42 • Clapham, scrivendo a proposito dello stesso episodio di panico, 42 William Smart, Economie Annals of the Nineteenth Century, voi. II, 1821-1830, Londra 1910-1917; New York 1964, p. 299.

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affermò: «Fu, come il Duca disse di Waterloo 'una vera meraviglia', la cosa più prossima a un collasso mai vista» 43 • Può ben darsi che i contemporanei esagerassero il disastro che avrebbe fatto seguito al mancato arresto del panico. Nel 1933, fu ampiamente notato che la chiusura delle banche e dei mercati finanziari negli Stati Uniti non aveva allarmato il pubblico, ma aveva determinato una attenuazione delle incipienti paure dei mesi precedenti, e persino lo svilupparsi di una sorta di spirito carnevalesco connesso all'attenuarsi delle tensioni. Ma sosterrei che la possibilità di un improvviso modificarsi delle aspettative e dei normali rapporti tra il valore di più attività - in una sorta di estensione e generalizzazione della legge di Gresham - richiede una precisa consapevolezza del ruolo del prestatore di ultima istanza, a livello nazionale e internazionale, e che trascurare la possibilità che evenienze del genere si verifichino vuol dire ignorare irresponsabilmente le lezioni della storia. Infine vorrei ritornare all'ambito più ristretto della legge di Gresham e concludere tornando a sottolineare il dilemma in cui essa ci pone. Con due o più monete, siamo sottoposti alla instabilità da legge di Gresham che la loro pluralità postula. Qualsiasi tentativo di limitarci a un'unica moneta verrebbe probabilmente frustrato dalla esigenza del mercato di disporre di più monete, per più scopi, e dalla sua capacità di crearle. La capacità del mercato di creare nuovi tipi di moneta pone un problema di teoria monetaria a lungo trascurato, ma che è importante tenere presente. Al volgere del secolo, la teoria monetaria si poneva la questione se la moneta fosse una creazione dello Stato, che di norma aveva il monopolio della sua emissione e spesso della emissione di banconote, per il tramite della sua banca centrale, e che regolamentava le banche, e per il loro tramite i depositi, o se essa non si identificasse con la sua funzione, non fosse cioè una creazione del mercato. Knapp sosteneva una teoria statuale della moneta. La scuola degli usi sosteneva per converso che se è lo Stato a proporre, è il mercato a disporre. Era moneta ciò che la gente utilizzava per ef43 Sir John Clapham, The Bank of England: A History, voi. II, 1797-1914, Cambridge 1945, p. 101.

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fettuare i pagamenti. Da questo punto di vista, se lo Stato avesse decretato che solo l'oro era moneta, il mercato avrebbe potuto frustrarne la decisione effettuando i pagamenti con banconote, depositi bancari, lettere di cambio, o altri strumenti. Se poi lo Stato cerca di sfuggire alle pastoie della legge di Gresham istituendo un'unica moneta, questa funziona come moneta, se ha ragione Knapp, e se è moneta ciò che lo Stato detta, ma non per l'instabilità connessa a improvvisi frenetici passaggi, determinati dal panico, dalla moneta a altre attività. Se però la scuola dell'uso ha ragione, come mi sembra probabile, lo Stato può decretare che ci sia un'unica moneta, ma il mercato ne può fornire altre, facendo così aumentare la possibilità di instabilità da legge di Gresham, quando si verificano passaggi da un tipo di moneta all'altro. Con tassi di cambio fissi, malgrado la fede di Rueff nel1' oro, è praticamente certo che le difficoltà connesse all'uso dell'oro, o dei Diritti speciali di prelievo, o persino dell'Ecu, rendano preferibile una qualche moneta nazionale per i regolamenti internazionali, il che comporterebbe l'uso di almeno due monete, l'oro e la moneta nazionale dominante. Poiché le economie che crescono possono anche declinare, come ci ha chiarito la curva di Gompertz, tratta dalla legge di Engel della prima lezione, la moneta dominante, che svolge bene la funzione di pagamento sui mercati internazionali in un dato momento, può non essere altrettanto funzionale in altri periodi, inducendo il mercato a passare a un'altra divisa. Con due monete di riserva, la legge di Gresham è all'opera su un altro fronte. Si possono ricordare la crescente instabilità del dollaro come valuta internazionale, e il tentativo del Sistema monetario europeo di creare una concreta alternativa. Il periodo di transizione da un mondo basato sul dollaro ad un mondo basato sull'Ecu sarà carico di instabilità da legge di Gresham. Forse alla legge, e alla possibile instabilità, è stato dato un peso eccessivo, in quanto sostengo che nella maggior parte dei casi i mercati sono stabili e così le monete. Faccio solo presente che la legge di Gresham spiega una larga parte della storia dell'economia, e mi sembra sciocco pensare a una riforma monetaria che possa farla svanire nel nulla semplicemente perché ciò ci piacerebbe. 71

Nel suo pamphlet su A Universal Money, basato su una serie di articoli pubblicati su «The Economist» nel 1868, Walter Bagehot iniziò col proporre una moneta universale, ma poi fece marcia indietro, ritenendo che ci sarebbe voluta troppa determinazione politica per integrare la sterlina, il dollaro e il marco tedesco da un lato e l'Unione monetaria latina dall'altro: Temo che oggi il tentativo di istituire una moneta universale non sia possibile; credo che fallirebbe, date le dimensioni. Ma ritengo che si potrebbe arrivare a due monete, due divise principali per le transazioni commerciali, che le nazioni potrebbero utilizzare a loro scelta, e che col tempo potrebbero essere combinate; e anche se un sistema del genere potrebbe essere lontano dalla perfezione teorica, proprio per tale ragione alla pratica mentalità inglese potrebbe sembrare il più percorribile 44 •

Mi piacciono gli accenni all'area monetaria ottimale, impliciti nel richiamo alle dimensioni, ed al concetto di John Williams di «moneta chiave» insito nel richiamo alle «divise principali per le transazioni commerciali». Ma suggerirei a Walter Bagehot e alla Comunità economica europea, mentre i suoi membri istituiscono l'Ecu, che la storia economica ci invita a tenere presenti i rischi insiti nell'ignorare la legge di Sir Thomas Gresham, anche se non fu Gresham a formularla. 44 Walter Bagehot, A Universal Money (A Praticai Planfor Assimilating the English and American Money, as a step towards a universal Money), Londra 1869; ristampato in The Collected Works of Walter Bagehot, cit., voi. Xl, pp. 57-104, vedi Preface, p. 66.

Quarta lezione LA LEGGE DEL PREZZO UNICO

1. Introduzione Se avessi intitolato queste lezioni a singoli economisti - Engel, Arthur Lewis o Marx, Gresham, per le prime tre - questa lezione sarebbe intitolata «la legge di Smith», in quanto formulata da Adam Smith. La legge del prezzo unico afferma che in un mercato si ha un solo prezzo, dal che discende quasi, anche se non esattamente, che quando c'è un prezzo unico c'è un unico mercato. Adam Smith la espone dicendo che la divisione del lavoro è limitata dall'ampiezza del mercato 1. Come Smith, vorrei suggerire che uno strumento utilissimo per osservare il corso della storia economica consiste nell'esaminare il mutare delle dimensioni - nella maggior parte dei casi, l'aumento - del mercato delle merci, dei servizi, della moneta e dei fattori della produzione, inclusi il capitale, la manodopera, l'organizzazione e, se mi è consentito oltrepassare i limiti classici, le idee e l'informazione. Le dimensioni del mercato, inoltre, sono determinate ad ogni momento dai costi che si incontrano per superare le distanze e l'ignoranza, dalle differenze dei gusti riguardo ai beni privati o collettivi, e dalla imposizione o dalla rimozione di barriere naturali o giuridiche al 1 Adam Smith, An lnquiry into the Nature and Causes of the Wealth of Nations, cit., libro I, cap. III, That the Division of Labour is limited by the Extent of the Market (trad. it., Ricerche sopra la natura e le cause della Ricchezza delle Nazioni, cit., libro I, cap. III, Che la divisione del lavoro è limitata dall'ampiezza del mercato).

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trasporto degli output e degli input e alla disseminazione delle conoscenze. La nostra tradizione, nella scienza economica, è stata di concentrarsi eccessivamente sulla politica commerciale e sulla imposizione e l'abrogazione di tariffe, sussidi, proibizioni e simili. Le primitive definizioni dell'integrazione economica la identificavano con il libero scambio. Ma se integrazione vuol dire inserimento in un unico mercato, con un solo prezzo, è evidente che i mercati possono essere separati in vari altri modi, oltre che dalle misure prese dalle autorità. Gli Stati possono discriminare in base alle fonti dell'offerta, separando così i mercati; ma anche la natura e l'uomo possono discriminare: la natura separando i potenziali produttori e consumatori geograficamente, l'uomo, in quanto individuo, avendo gusti differenti in fatto di merci, occupazioni, habitat e simili, in quanto essere sociale, in fatto di beni collettivi.

2. Mercati e trasporti Uno degli approcci più efficaci allo studio della storia economica è osservare l'evoluzione dei trasporti nel tempo ed esaminare quali modifiche abbia apportato alle dimensioni e alla natura dei mercati 2 • Vie, modalità, velocità e costo dei trasporti sono continuamente cambiati: nella maggior parte dei casi si sono abbreviate le rotte, nuovi mezzi si sono aggiunti, è aumentata la capacità dei vettori esistenti, si sono accorciati i tempi e ridotti i costi, così da ampliare i mercati e rendere possibile una maggiore divisione del lavoro. Come per la guerra e i generali, l'argomento è troppo importante per lasciarlo ai teorici della ubicazione. Adam Smith distingueva tra commercio ordinario e commercio a distanza: il primo era nel complesso nettamente circoscritto nello spazio (tranne che per i beni di valore elevato, per i quali valeva la pena di affrontare i costi del trasporto), mentre quello a distanza sfruttava i tra2 Walter Isard, The Generai Theory of Location and Space Economy, in «Quarterly Journal of Economics», voi. LXIII, novembre 1949, n. 4; cfr. in it., Walter Isard, Localizzazione e spazio economico, Milano-Varese 1962.

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sporti marittimi a basso costo 3 • In un'epoca in cui il carbone raddoppiava di prezzo per ogni dieci miglia di distanza dalle miniere per via di terra, esso veniva usato in Gran Bretagna solo all'origine o nei porti di arrivo. Città come Bordeaux erano strettamente collegate via mare con Santo Domingo nelle Indie occidentali, Nantes, Saint Malo, Le Havre e Marsiglia in Francia, Amsterdam in Olanda, ma avevano solo modesti contatti commerciali con località distanti appena cinquanta chilometri nell'interno. Edward Whiting Fox ha sostenuto che a molti fini, politici oltre che economici, esistessero due France, l'una collegata al commercio atlantico, e giuridicamente a Parigi, l'altra composta da una serie di villaggi e città a quaranta chilometri - una giornata a cavallo - l'uno dall'altro, che condividevano la vita della Francia atlantica in misura limitatissima4. In La dinamica del capitalismo, Fernand Braudel osserva che nel primo capitalismo esistevano tre economie, l'una sovrapposta all'altra; l'economia di sussistenza era alla base, con famiglie impegnate nello svolgimento della maggior parte delle attività economiche all'interno delle proprie abitazioni, e che avevano scarsi collegamenti con i mercati. Al di sopra di questa c'era l'economia capitalista, specializzata e che scambiava beni e servizi su mercati in larga parte locali. Il vertice del sistema era costituito dall'economia mondiale del commercio sulle grandi distanze 5 • Il sistema durò più a lungo di quanto non si tenda a pensare. Eugen Weber crede che, almeno in Francia, i contadini entrarono a pieno titolo nell'economia nazionale solo tra il 1860 e il 18806 • Prima di allora erano esseri puramente locali, che parlavano patois e non francese, tenevano i loro conti in ecus, sols, livres e liards invece che in franchi e in soldi; misuravano in braccia, piedi, aunes, bois3 Adam Smith, The Wealth of Nations, cit., pp. 359, 381, 382, 393, ecc. (trad. it., cit., pp. 344, 367, 379). 4 Edward Whiting Fox, History in Geographic Perspective. The Other France, New York 1971. 5 Fernand Braudel, Afterthoughts on Materiai Civilization and Capitalism, Baltimora 1977, cap. II (trad. it., La dinamica del capitalismo, Bologna 1981). 6 Eugen Weber, Peasants into Frenchmen. The Modernization of Rural France, 1870-1914, Stanford, Cal., 1976, passim, ma specialmente capp. III, VI, XII e XVII.

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seaux, quartauts, libbre e once piuttosto che con il sistema metrico ufficiale e viaggiavano così poco che chi era stato una volta a Parigi veniva chiamato «Parisien» per il resto dei suoi giorni. Nella seconda metà del diciannovesimo secolo la situazione cominciò a cambiare e i contadini furono trasformati gradualmente in francesi dalle strade, dalle ferrovie, dalla coscrizione durante la guerra del 1870 e dalla diffusione dell'istruzione. Le innovazioni nei trasporti determinarono modifiche discontinue e sensazionali nelle dimensioni del mercato. Nuove rotte - a est per il Capo di Buona Speranza, il canale di Suez e il canale di Panama - progressi nelle vecchie forme di trasporto, come il timone veneziano che permise velieri più grandi, il sistema a incastro nelle costruzioni navali della lega anseatica, ilfluit degli olandesi, per non menzionare il cronometro, il motore a vapore, l'elica, la refrigerazione, le petroliere, le navi per il trasporto dei minerali e nuove forme di trasporto per via di terra come la carrozza, i canali, le ferrovie, l'automobile, il camion, e poi il trasporto aereo, portarono ad ulteriori ampliamenti del mercato. Ancora durante la seconda guerra mondiale prodotti come l'acciaio erano fortemente connessi all'offerta, e commerciati per la maggior parte all'interno del continente in cui venivano prodotti; dopo la guerra persero questa connotazione, per l'introduzione delle enormi navi per il trasporto dei minerali e la diminuzione dei costi generali di trasporto rispetto al costo dell'acciaio, in misura tale che il Giappone può ora importare il minerale di ferro dall' Australia e il carbone dagli Stati Uniti e esportare l'acciaio che ne deriva su per il Mississippi e il fiume Ohio, quasi sotto il naso di Pittsburgh, che è il centro del sistema originale di determinazione del prezzo dell'acciaio, noto come «Pittsburgh plus». Un aspetto delle innovazioni nei trasporti che ha contribuito a unificare i mercati è stato l'aumento della velocità. Lo spazio si può misurare in termini di giorni di viaggio. Su questa base, il mondo si è continuamente ristretto. La storia economica da ultimo ha dedicato un'attenzione enorme al risparmio sociale causato dall'innovazione nelle ferrovie, che si misura principalmente sommando ai costi le risorse che sarebbero state spese per spostare le stesse merci con sistemi alter76

nativi, prescindendo dalla velocità, dalla flessibilità e da altri fattori simili. In teoria, la maggiore velocità può essere considerata un aumento della produttività - spostando gli isoquanti della funzione della produzione verso l'origine - o una variazione della quantità, o persino della natura, del prodotto. Può anche determinare un aumento del fattore lavoro o del capitale. Gli studiosi di storia sociale non hanno fatto passare inosservata l'attenzione crescente dedicata al fattore tempo fin dal Medioevo7, ma le variazioni della velocità entrano con difficoltà nell'analisi economica. Quali che siano le risposte alle questioni più ampie, non c'è dubbio che la più rapida mobilità delle persone e delle merci amplia il mercato. Nel diciassettesimo secolo, gli olandesi costruirono un sistema di canali che consentiva il trasporto di passeggeri a una velocità allora notevole (anche se lenta per i successivi standard stradali), ma soprattutto affidabile, permettendo ai mercanti di passare da una città all'altra secondo i programmi, senza bisogno di dover fare troppo affidamento sui venti e sul tempo: una modifica nella natura del prodotto e un'estensione del mercato 8 • Michel Chevalier, che visitò gli Stati Uniti dopo il 1830 per studiare le opere pubbliche, fu enormemente impressionato dalla importanza attribuita dagli americani alla velocità: «Il commercio, per cui il tempo è denaro, non si accontentava semplicemente di quadruplicare la velocità dei trasporti fluviali francesi». Sui fiumi occidentali la velocità consentiva di fare tre o quattro viaggi di andata e ritorno all'anno invece di uno. «Ciò è importante in un paese con poca manodopera». Per i trasporti lungo fiumi e canali il vapore fu un'innovazione che moltiplicò la produttività del lavoro e rafforzò i legami tra i vari mercati 9 • Prima dei canali, delle navi a vapore, delle ferrovie e degli aeroplani, tra il 17 50 e il 1840 circa, le strade a pe7 Vedi, ad esempio, Edward Palmer Thompson, Time, Work-Discipline and Industriai Capitalism, «Past and Present, a journal of historical studies», dic. 1967, n. 38, pp. 56-97. 8 Jan De Vries, Barges and Capitalism, Passenger Transportation in the Dutch Economy, 1632-1839, Wageningen 1978. 9 Miche! Chevalier, Lettres sur l'Amérique du Nord, voi. Il, cit., pp. 15,

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daggio ridussero i tempi dei viaggi in Gran Bretagna dell'80%: una rivoluzione dei trasporti che ampliò il mercato 10 • Nella maggior parte dei casi, le variazioni dei costi di trasporto sono considerate esogene, o forze esterne, dagli storici dell'economia, ma non è necessariamente così. Secondo una teoria dei collegamenti come quella sviluppata da Albert Hirschman, le innovazioni nel settore dei trasporti si innestano sulle altre innovazioni nell'economia e procedono assieme 1 1 • La vela latina (prodiera e poppiera) rese possibile affrontare meglio, bordeggiando, i venti delle zone equatoriali e permise alle navi di Enrico il Navigatore di superare senza difficoltà Capo Bojador, la zona più occidentale dell'Africa, e di scoprire la rotta per le Indie doppiando il Capo di Buona Speranza 12 • Le esigenze dei commerci anseatici e olandesi portarono a innovazioni nell'armamento e nella cantieristica 13 • L'ampliamento del mercato del carbone contribuì allo sviluppo delle macchine a vapore per il pompaggio dell'acqua dalle miniere. A sua volta l'utilizzo del vapore, che portò all'introduzione delle ferrovie e dei piroscafi, ampliò il mercato dei carbone. Secondo una teoria più cinica elaborata da Louis Girard ogni nuovo metodo di trasporto distrugge le rendite dei metodi precedenti, ma con l'andar del tempo fa aumentare i prezzi a un livello tale, nella ricerca di rendite nel proprio interesse, da minare il proprio sviluppo nel lungo periodo, incoraggiando l'ingresso di nuovi concorrenti. I pedaggi stradali troppo elevati favorirono i canali, quelli dei canali le ferro vie e, a tempo debito, le tariffe ferroviarie le automobili e gli autocarri 14 • Lasciando da parte

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Philip S. Bagwell, The Transport Revolutionfrom 1770, New York 1974,

p. 42. 11 Albert O. Hirschman, The Strategy of Economie Development, New Haven 1958 (trad. it., La strategia dello sviluppo economico, Firenze 1968). 12 Ralph Davis, The Rise of the Atlantic Economies, cit., pp. 5-6. 13 Philippe Dollinger, The German Hansa, tradotto e curato da D.S. Ault e S.H. Steinberg, Stanford 1970, cap. VII (ediz. originale, La Hanse, Parigi 1964); Violet Barbour, Dutch and English Merchant Shipping in the Seventeenth Century, «Economie History Review», voi. Il, gennaio 1930, n. I, pp. 261-90; ristampato in Warren C. Scoville e J. Clayborn La Force (a cura di), The Economie Development of Western Europe, voi. II, Lexington, Mass. 1970, pp. 108-37. 14 Louis Girard, Transport, in John H. Habakkuk e Moisei Mikhail Postan (a cura di), The Cambridge Economie History of Europe, voi. VI, The

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le teorie dell'innovazione nei trasporti - a parte la tesi di Isard per cui il loro impatto sulle dimensioni del mercato è amplissimo - la considerazione preminente è che i singoli produttori e consumatori operano in misura sempre crescente sul mercato mondiale. La legge di Engel, secondo la quale la crescita abbassa l'elasticità relativa al reddito della domanda di beni al disotto di uno, e l'esigenza di consumare i servizi in gran parte nel luogo in cui sono prodotti, pongono dei limiti alle percentuali complessive dei consumi che possono essere tratte dall'economia mondiale da luoghi lontani, anche se per molti servizi il turismo può portare il consumatore dal produttore. In larga misura, e particolarmente nei paesi piccoli, i vantaggi comparati - la divisione del lavoro - oggi si distribuiscono su scala mondiale e il mondo è un mercato di beni a prezzo unico.

3. Integrazione economica e equalizzazione del prezzo dei fattori Una completa integrazione economica rimane tuttavia irraggiungibile. Con integrazione economica intendo dire equalizzazione del prezzo di ciascun fattore raggiunta trattandolo direttamente su un unico mercato. Per Tinbergen la definizione iniziale di integrazione coincideva con quella di libero scambio 15 • Ma si trattava di una definizione insoddisfacente in quanto, come abbiamo già indicato, anche se le autorità non dovessero discriminare tra fornitori o tra consumatori, la natura e gli uomini lo fanno. L'Australia e la Scandinavia sono lontane, per cui malgrado la libertà commerciale tra i due paesi, i beni effettivamente commerciabili sarebbero pochi e i due mercati delle merci non sarebbero effettivamente collegaIndustriai Revolution and After: lncomes, Population and Technological Change, Cambridge 1965, pp. 212-73 (trad. it., I trasporti, in Storia Economica Cambridge, voi. VI, La rivoluzione industriale e i suoi sviluppi, cap. IV, Torino 1974). 15 Jan Tinbergen, International Economie lntegration (sec. ediz. riveduta), Amsterdam 1965.

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ti. O assumiamo che le autorità incoraggino gli scambi tra due paesi confinanti; uomini con gusti differenti potrebbero ancora operare discriminazioni. Il prezzo dei fattori raggiunge l'uguaglianza mediante il solo commercio delle merci in circostanze molto precise, che gli studenti sono costretti a imparare a memoria. Il costo di trasporto deve essere minimo, gli scambi liberi, le differenze di gusti meno pronunciate delle differenze nella dotazione dei vari fattori, i mercati devono essere competitivi, le merci più numerose dei fattori, ciascuna merce deve essere inequivocabilmente caratterizzata dalla stessa intensità di un particolare fattore e così via. Quando tali rigorose condizioni si verificano, un prezzo unico per ciascun bene nei due mercati vuol dire un prezzo unico per ciascun fattore nei due mercati. L'integrazione, nel senso di livellamento del prezzo dei fattori, può risultare sia da movimenti dei fattori, sia da movimenti delle merci, sia da una combinazione dei due fenomeni. Alla definizione di integrazione economica come equalizzazione del prezzo dei fattori andrebbe aggiunta un'ulteriore condizione. Nei casi in cui i prezzi delle merci e i prezzi dei fattori si livellano tramite movimenti commerciali o dei fattori con un paese terzo, senza rapporti diretti tra il primo e il secondo paese, è difficile definire l'equalizzazione così raggiunta «integrazione». Cose uguali a una stessa cosa sono uguali tra loro, ma tale uguaglianza ha caratteristiche fortuite piuttosto che funzionali. Negli anni recenti tra i prezzi del lavoro, del capitale e della organizzazione si è avuta una notevole convergenza verso l'uguaglianza in Europa, allineandosi tutti questi prezzi rispetto all'esterno. La manodopera mediterranea che si è mossa tra la Germania e la Francia ha contribuito a rendere i salari tedeschi e francesi più vicini tra loro, come il movimento dei capitali tra la Francia e il mercato delle eurodivise e quell9 tra la Germania e il mercato delle eurodivise hanno, entro certi limiti, allineato i tassi di interesse francesi e tedeschi senza movimenti diretti di capitali tra la Francia e la Germania. Il termine «integrazione» può ancora essere appropriato per una entità più ampia - la Francia, la Germania e il mercato delle eurodivise - ma è difficile parlare di più stretta in80

tegrazione tra Francia e Germania se l'integrazione dei prezzi dei fattori si verifica per il tramite del commercio dei beni con i paesi terzi, o dei movimenti dei fattori con un paese terzo, e poco in base a contatti diretti tra i paesi interessati. È chiaro ormai da tempo che il livellamento dei prezzi dei fattori è stato scarso o nullo tra i paesi industriali da un lato, ad esempio i membri dell'Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico (Ocse), e i paesi in via di sviluppo del Terzo mondo dall'altro. C'è, anzi, una scuola di pensiero che considera il commercio e gli investimenti tra questi gruppi in via di disintegrazione, il centro e la periferia vengono sospinti in direzioni opposte e il distacco tra i redditi si amplia, quanto meno in termini assoluti, se non relativi. Gunnar Myrdal rilevò anni addietro, in The International Economy, che l'integrazione sociale e un distacco non troppo rilevante nel reddito dei fattori possono innescare la concorrenza commerciale più di quanto la concorrenza commerciale possa portare all'equalizzazione del prezzo dei fattori 16 • I paesi ad alto reddito hanno paura di commerciare con i paesi a reddito basso in prodotti come i tessuti, le scarpe e in misura crescente le apparecchiature elettroniche, l'acciaio e simili, che impiegano ampiamente una tecnologia avanzata. Come nel caso delle norme, mai approvate, del Kennedy round del Gatt - intese a ridurre le tariffe a zero per tutti i prodotti per i quali il Mercato Comune, gli Stati Uniti e il Giappone coprivano complessivamente 1'80% del commercio mondiale, ma non per altri beni rispetto ai quali i paesi in via di sviluppo avevano quote di mercato significative - la concorrenza è ammessa solo se non è troppo intensa, e un distacco modesto tra i redditi porta alla concorrenza, non viceversa. Affinché il commercio abbia luogo sulla scala necessaria perché ci si avvicini a una integrazione economica mondiale, ci dev'essere quella che Adam Smith chiamava «magistracy», un minimo di legge e ordine per impedire la pirateria, il furto e la violenza, per imporre l'adempimento delle obbligazioni volontariamente assunte, regole che non solo limitino l'interferenza delle autorità sull'attività commerciale, come nel Gatt, ma de16 Gunnar Myrdal, An International Economy: Problems and Prospects, New York, Londra 1956.

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finiscano questioni come la normativa degli strumenti negoziabili, pesi e misure, standard accettabili, e, fattore fondamentale, una qualche moneta internazionale che funga da unità di conto, mezzo di scambio e deposito di valori. Il commercio privato, insomma, si svolge in un quadro di beni collettivi, tra i quali un fattore importante è l'esistenza della moneta. Un prezzo unico, che rivela l'esistenza di un mercato unificato, richiede sistemi comuni di computo e di valutazione. La legge del prezzo unico nel settore delle merci ci riporta quindi alla storia monetaria e alla storia della moneta e del mercato dei capitali internazionali.

4. Integrazione economica e mercati monetari e dei capitali Come nel campo dei beni, anche in quello monetario i mercati nascono piccoli e si ampliano successivamente. McKinnon e Shaw, scrivendo separatamente sull'importanza di ampi ed efficienti mercati monetari e dei capitali, dotati del necessario spessore, nei paesi in via di sviluppo, hanno fatto nascere un nuovo interesse tra gli storici dell'economia per l'agglomerazione dei mercati monetari e dei capitali locali e regionali in quelli nazionali, nonché per la moneta, il credito e gli investimenti a livello internazionale 17 • La questione fu presentata molto vivacemente in Francia nel diciottesimo e diciannovesimo secolo, con numerosi mercanti e intellettuali che tentarono di diffondere la banca al di fuori dei porti, di Parigi e di Lione nelle città e nelle cittadine di provincia, e che auspicavano banche regionali di emissione che integrassero le istituzioni centrali. Sia in Gran Bretagna, sia in Francia, la banca centrale fu attaccata perché lavorava per il centro finanziario, invece che per il paese nel suo complesso. Non era inusitato che si facesse riferimento alla Bank 17 Ronald I. McKinnon, Money and Capitai in Economie Development, Washington, D.C., 1973; Edward S. Shaw, Financia/ Deepening in Economie Development, New York, 1973 (trad. it., Intensificazione dei processi finanziari nello sviluppo economico, Milano 1977).

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of England come alla Bank of London, alla Banque de France come alla Banque de Paris. John Law, Napoleone I, Jacques Laffitte, i fratelli Péreire - l'intera scuola dei saint-simoniani - condividevano tutti l'opinione «populistica», come viene chiamata negli Stati Uniti, secondo la quale Wall Street, la City di Londra o la comunità finanziaria di Parigi sfruttano il resto del paese e ne calpestano gli interessi 18 • Nel 1640, Sir Thomas Roe scrisse, riferendosi a Londra e al resto dell'Inghilterra: «Non è giusto che il corpo dello Stato abbia una testa grassa, viscere sottili e membra magre» 19 • Lo sviluppo economico richiede e determina una più omogenea diffusione degli istituti bancari nel paese interessato e tassi di interesse più omogenei, che invece erano stati bassi in città come Lione e Parigi, più elevati nei centri intermedi come Digione e Lilla. Il commercio interno fiorì quando nelle province si ebbe accesso ai capitali a tassi più uniformi, e si potettero riscontare le proprie cambiali dappertutto, e non solo nella capitale finanziaria.

5. Integrazione economica e eliminazione di transazioni intermedie Va fatta una distinzione importante tra struttura commerciale e istituzione monetaria, in quanto esse seguono la legge del prezzo unico ciascuna a proprio modo. Il commercio si concentrò inizialmente in alcuni centri principali, come Bruges, Anversa, Amsterdam, Londra e altri, dove i venditori portavano le merci e i compratori si recavano ad acquistarle. I mercanti erano suddivisi in primari, che trasportavano le merci, diciamo, da e per Amsterdam, nel commercio sulle grandi distanze; grossisti, che acquistavano in grandi quantità, classificavano, suddividevano, standardizzavano, impaccavano e a 18 Charles P. Kindleberger, Keynesianism vs. Monetarism in Eighteenth and Nineteenth Century France, «History of Politica! Economy», voi. XII, inverno 1980, n. 4, pp. 499-523. 19 Citato da Barry E. Supple, Commerciai Crisis and Change in England, 1600-1642. A Study in the Instability of a Mercantile Economy, Cambridge 1959, pp. 3-4.

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volte, assieme a tali passi, effettuavano processi di finissaggio come la conservazione e la torrefazione e, nei tessili, la follatura, il taglio in pezze, il lavaggio, il candeggio, la tintura e simili; e i dettaglianti, che distribuivano localmente quella piccola percentuale delle importazioni che non veniva indirizzata su altri mercati. La distribuzione era basata su un monopolio dell'informazione, riguardo alle merci disponibili e a quelle richieste, e alla loro localizzazione, e sui segreti della finitura. Con l'andar del tempo tali monopoli svanirono, a causa del diffondersi dell'informazione. Dato che i costi di trasporto erano positivi, e in alcuni casi notevoli, una volta eliminato il monopolio dell'informazione, fornitori e consumatori trattarono direttamente, senza più bisogno di fare affidamento sull'intermediazione di questi mercanti. Il processo di finitura poteva venire svolto all'uno o all'altro capo, ma il ruolo di emporio, entrepot o magazzino intermedio fu eliminato o ridotto, per risparmiare sul trasporto e sulle manipolazioni. Bordeaux iniziò a inviare il proprio zucchero in Scandinavia da Santo Domingo, senza bisogno che esso venisse pesato a Amsterdam; Exeter e Hull mandavano le loro pezze di lana a Cadice, Lisbona e Amburgo, non più ad Amsterdam. Nel ventesimo secolo Stoccolma importava ormai la lana direttamente dall' Australia e non più da Londra, e le riesportazioni inglesi si contrassero dal 20-30% delle importazioni complessive attorno al 1780 al 15% tra il 1910 e il 1913 20 • Alfred Chandler riscontrò lo stesso processo di eliminazione dell'intermediario per risparmiare sui costi di manipolazione e di trasporto nella struttura dell'industria americana attorno alla metà del diciannovesimo secolo 21 • Al crescere della rilevanza dell'impresa, da locale a regionale e quindi a nazionale, la distribuzione veniva tolta ai grossisti e agli intermediari e assunta direttamente dall'impresa stessa. Oltre al risparmio nei costi di distribuzione, il contatto diretto tra venditore e compratore consentiva di discutere possibili miglioi;amenti del prodotto, senza il filtro del 20 Albert H. Imlah, Economie Elements in the Pax Britannica, Cambridge, Mass., 1958, pp. 205-207. 21 Alfred D. Chandler, Strategy and Structure: Chapters in the History of the Industriai Enterprise, Cambridge, Mass., 1962.

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mercante intermediario, e di capirsi meglio quando il produttore doveva istruire l'acquirente sull'uso del prodotto, operazione importante nel caso di macchinari complessi o di prodotti chimici che richiedevano precisione nell'uso. Nella terminologia odierna, si tratta della offerta di software, che finisce, secondo Sune Carlson, per indurre il venditore a progettare la propria rete di distribuzione su scala mondiale per assistere efficacemente il consumatore, addestrare il personale ad effettuare una manutenzione efficiente, e mantenere magazzini dei ricambi 22 • L'eliminazione di passi intermedi nella distribuzione è stato un processo di lungo periodo nella applicazione della legge del prezzo unico all'attività commerciale, reso economico dalla diffusione per contatto diretto dei monopoli dell'informazione che generò risparmi nei trasporti e nelle comunicazioni relative all'uso delle merci trattate. Le stesse forze non entrano in gioco nei mercati monetari e dei capitali, che hanno avuto la tendenza a restare organizzati più gerarchicamente. Le ragioni sono molteplici. In primo luogo probabilmente le economie di scala sono maggiori nel commercio della moneta, che non delle merci. I centri passano dall'essere datori netti ad essere prenditori netti più di frequente e hanno bisogno di un mercato centralizzato per minimizzare i costi di ricerca. In secondo luogo, i costi di trasporto della moneta sono molto inferiori a quelli delle merci, per cui i risparmi connessi al passaggio da rapporti indiretti a rapporti diretti sono inferiori. Queste forze, sommate, farebbero ritenere opportuno un unico centro finanziario per ciascun paese e per il sistema mondiale. Tale soluzione, tuttavia, si scontra con l'esigenza delle istituzioni finanziarie di informazioni creditizie talmente dettagliate e aggiornate, in un mondo che cambia rapidamente, che non possono venire raccolte, immagazzinate e conservate in un unico centro, data l'attuale capacità dei calcolatori. Le «conoscenze locali» restano un corollario critico delle statistiche centralizzate. È forse troppo asserire che i risparmi sui costi di trasporto 22 Sune Carlson, Company Policiesfor International Expansion: The Swedish Experience, in Tamir Agmon e Charles P. Kindleberger (a cura di), Multinationals from Small Countries, Cambridge, Mass., e Londra 1977, pp. 4971.

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favoriscono la vendita diretta delle merci, mentre i costi della ricerca nel dare e prendere a prestito denaro favoriscono una organizzazione gerarchica dei flussi monetari, i cui costi di trasporto sono trascurabili. Per i prestiti specialistici, troppi stadi tra il livello locale e quello centrale tramite altri centri possono lasciare fuori elementi essenziali di un problema. Chiesi una volta a un banchiere di Aberdeen se otteneva le sue informazioni sui finanziamenti petroliferi da Houston, Texas (via New York e Londra) o direttamente, e mi disse che se le procurava direttamente. Inoltre, nei prestiti a lungo termine, non c'è bisogno che il sindacato, il quale inizialmente sottoscrive l'intero prestito in vista del collocamento, sia concentrato in un unico luogo, dato che i costi strutturali della organizzazione di un gruppo di vendita hanno la natura di costi generali, vengono sostenuti una sola volta e non si ripetono. Tali costi possono essere coperti dalle commissioni di underwriting dell'intera operazione. Dato l'attuale stato dell'arte, tuttavia, il mercato secondario deve avere una sede fisica, per risparmiare sui costi di ricerca dei compratori o dei venditori che vogliono negoziare un solo titolo o pochissimi. Ci vorrà una assai maggiore riduzione del costo delle memorie dei calcolatori e delle telecomunicazioni per mantenere le offerte di acquisto e di vendita e le coordinate dei potenziali operatori in un'unica memoria, che rifletta, con variazioni continue, i dati principali dei maggiori centri finanziari mondiali accessibili.

6. Il ruolo dell'arbitraggio I vari segmenti di un dato mercato sono collegati dall'arbitraggio. Forse il mercato più perfetto oggi, in assenza di interferenze delle autorità, è quello dei cambi, sul quale i costi di arbitraggio e quelli di comunicazione sono talmente bassi, ed esiste un livello così elevato di concorrenza che il mercato di una data divisa, ad esempio il dollaro, è mondiale e non è confinato a New York. In effetti il mercato si sposta con il sole attorno al mondo ogni ventiquattr'ore dall'Europa occidentale a New York, alla costa occidentale degli Stati Uniti, a Sin-

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gapore, a Bahrein in Medio Oriente, per tornare la mattina dopo in Europa. In qualsiasi momento del giorno o della notte è possibile acquistare o vendere milioni di dollari da qualche parte. Con fondi liquidi adeguati nelle mani dei cambisti, inoltre, i mercati a pronti e a termine sono così strettamente collegati da rendere indifferente quale mercato usare per le compravendite, le coperture, la speculazione, o, entro limiti credibili, per la difesa di una divisa da parte delle autorità monetarie. Il fenomeno dell'arbitraggio nei metalli preziosi e nella moneta è aumentato lentamente nel tempo. Come abbiamo notato nella nostra discussione della legge di Gresham, i rapporti tra oro e argento potevano mantenersi a livelli disparati in paesi diversi, entro limiti piuttosto ampi, fintanto che i costi di trasporto del numerario restavano elevati. Ma oltre ai trasporti entrano in gioco altri fattori. I costi di trasporto sono diminuiti con una tendenza secolare, ma lo stesso è avvenuto per i costi di comunicazione, e ciò ha dato la possibilità ad un numero crescente di persone di esplorare orizzonti sempre più ampi. Il monopolio dei mercanti basato sulla informazione, voleva dire che solo loro guardavano ai differenziali tra i prezzi per comprare a basso prezzo e vendere a prezzi elevati (il motore che determina la legge del prezzo unico). Gli specialisti della ba11.ca idearono le lettere di cambio per sostituire il numerario nell'effettuare pagamenti a distanza, e le compensavano con flussi commerciali equilibrati per economizzare i mezzi di pagamento. Enormi compensi andavano all'osservatore perspicace che individuava possibilità di arbitraggio che nessun altro aveva visto. Nathan Rothschild della casa di Londra costruì la sua fortuna di eccezionali dimensioni scoprendo che quando la Gran Bretagna pagava gli eserciti del Duca di W ellington e degli alleati spagnoli nella penisola iberica, in Sicilia e a Malta, costava meno comprare effetti sui banchieri di quei paesi a Parigi, che non far emettere al commissario presente sul campo effetti su Londra, che potevano venire venduti solo con uno sconto molto maggiore. Il numerario per acquistare franchi francesi contro sterline venne ottenuto vendendo oro a Parigi. Le autorità francesi tollerarono l'operazione perché ritennero che privandosi di oro la Gran Bretagna si sarebbe 87

indebolita23 • L'entrare, come è più usuale, sui mercati dopo che le guerre sono terminate, piuttosto che mentre sono in corso, offre opportunità di guadagno arbitraggiando tra i mercati dei cambi (come fece Keynes) e ha dato origine alla dottrina della parità tra poteri di acquisto, basata sull'idea che un numero sufficiente di beni e di servizi sia sottoposto ad arbitraggi in modo da tenere i livelli dei prezzi uguali sui mercati interessati, per il tramite del cambio. Numerosi teorici moderni ritengono che l'arbitraggio di merci sia sufficientemente perfetto, malgrado i costi di trasporto, e che quindi il teorema della parità tra poteri di acquisto sia valido nel breve come nel lungo periodo 24 • lo non sono d'accordo. I beni non commerciati sui mercati internazionali, e specialmente i servizi, secondo me, impediscono che la versione assoluta del teorema si applichi, ma sarebbe sciocco negare che il più generalizzato ambito di applicazione della legge del prezzo unico abbia portato a una maggiore perfezione degli arbitraggi di merci. I mercati finanziari sono influenzati da variazioni dei costi di trasporto e delle telecomunicazioni, come è vero per il commercio, ma la minore importanza dei costi di trasporto fa aumentare l'importanza delle variazioni nelle informazioni che aprono nuovi orizzonti. I flussi finanziari, come i flussi internazionali della manodopera con le migrazioni, si verificano nella maggior parte dei casi attraverso canali che collegano specifici mercati, e non su superfici lisce e pianeggianti. Occasionalmente si creano nuovi collegamenti, con dei colpi o dei successi finanziari eccezionali: il prestito Baring, la rendita di Thiers e il prestito Dawes sono i miei esempi preferiti. Il credito della Gran Bretagna alla Francia si bloccò a seguito della Rivoluzione del 1848 per gli episodi di violenza xe23 John M. Sherwig, Guineas and Gunpowder. British Foreign Aid in the Wars with France, 1793-1814, Cambridge, Mass., 1969, pp. 328-29; Conte Egon Caesar Corti, The rise of the Ho use of Rothschild, (tradotto dal tedesco da Brian e Beatrix Lunn), New York 1928, pp. 114-19 (tit. orig., Der Aufstieg des Hauses Rothschild, 1770-1830; trad. it., I Rothschild, Milano 1963). 24 Lawrence H. Officer, The Purchasing-Power-Parity Theory of Exchange Rates: A Review Artide, «International Monetary Fund Staff Papers», voi. XXIII, marzo 1976, n. I, pp. 1-60.

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nofoba nel paese, che riportarono molta manodopera qualificata in Inghilterra e causarono qualche morto. L'indipendenza delle colonie spagnole dopo il 1820 determinò un'ondata di prestiti britannici a favore del Sud America. Sottolineare queste «svolte», non vuol dire che gli investitori siano irrazionali, ma essenzialmente che essi massimizzano i rendimenti entro un orizzonte dato, e che l'orizzonte muta reagendo a eventi che determinano discontinuità. L'orizzonte esplorato dagli operatori economici si è gradualmente ampliato, ma permangono limiti all'ammontare di informazioni che i singoli possono analizzare.

7. Il problema degli investimenti esteri diretti Nella maggior parte dei casi, orizzonti più ampi fanno aumentare i flussi dei fattori e i flussi commerciali. Sotto un particolare aspetto, tuttavia, più ampi orizzonti delle imprese produttive possono far diminuire l'attività commerciale, se le merci destinate all'estero vengono prodotte all'estero e non più all'interno, ossia se le maggiori conoscenze e informazioni determinano investimenti diretti all'estero. Naturalmente gli investimenti esteri diretti possono anche far aumentare, anziché diminuire, l'attività commerciale. La questione dell'ipotetico andamento alternativo - cosa sarebbe avvenuto se l'investimento diretto non ci fosse stato è complessa. Le esportazioni sarebbero potute diminuire comunque, se la diffusione della tecnologia (di monopolio) sulla quale si basavano i vantaggi comparati avesse determinato la perdita di questi ultimi per il normale operare del ciclo del prodotto. Inoltre alcuni investimenti diretti vengono effettuati per assicurarsi input piuttosto che per ampliare o conservare il mercato di sbocco, e ciò fa aumentare l'attività commerciale 25 • Il collegamento tra commercio e investimenti diretti è anch'esso un fattore che estende l'ambito di applicazione della 25 Gary C. Hufbauer e F. Michael Adler, Overseas Manufacturing Investment and the Ba/ance of Payments, Tax Policy Research Study No. I, United States Treasury Department, Washington, D.C., 1968.

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legge del prezzo unico, ampliando il mercato. L'orizzonte delle imprese si è gradualmente allargato, nel tempo, al punto che oggi le principali imprese, per stabilire dove effettuare i successivi investimenti, analizzano in pratica opportunità in tutto il mondo. Se si ignorano le filiali delle banche e i commissionari di mercanti, che si incontrano già nel Medioevo, gli investimenti diretti nell'industria risalgono alla metà del diciannovesimo secolo, anche se gli investimenti su scala sostanziale dovettero attendere la fine del diciannovesimo e l'inizio del ventesimo secolo, e se l'ondata di investimenti che dette origine alla nozione di impresa multinazionale si verificò dopo la seconda guerra mondiale 26 • Tra i pionieri del diciannovesimo secolo ci furono parecchi inglesi nell'industria meccanica a Napoli, già dal 184027 , l'americano Haviland per la porcellana in Francia nel 184228 , l'americano Samuel Colt per le armi da fuoco con pezzi intercambiabili nel 185229 • La società tedesca Siemens fu creata nel 1847 e dopo il 1850 installò un impianto per la fabbricazione di attrezzature telegrafiche in Russia e nel 1857 un impianto per i cavi sottomarini in Gran Bretagna 30 • Tuttavia i veri inizi della multinazionale dovevano aspettare il piroscafo e più ancora l'aeroplano a reazione intercontinentale. Lo stimolo agli investimenti americani in Europa fu in larga misura il Trattato di Roma del 1957 che istituiva il Mercato Comune, non perché questo creasse nuove occasioni di profitto, quanto per il fatto che richiamava l'attenzione su occasioni già esistenti, agendo quindi come una svolta che ampliava gli orizzonti degli uomi26 Vedi il numero speciale Multinational Enterprise, della «Business History Review», voi. XLVIII, autunno 1974, n. 3; Mira Wilkins, The Emergence of Multinational Enterprise: American Business Abroadfrom the Colonia! Era to 1914, Cambridge, Mass., 1970. 27 Luigi De Rosa, Iniziativa e capitale straniero nell'industria metalmeccanica del Mezzogiorno, 1840-1904, Napoli 1968, cap. I. 28 Charles P. Kindleberger, Origins of the United States Direct lnvestment in France, «Business History Review», numero speciale Multinational Enterprise, voi. XLVIII, autunno 1974, n. 3, pp. 382-413, vedi p. 396. 29 Mira Wilkins, op. cit. 30 Jiirgen Kocka, Unternehmungsverwaltung und Angestelltenschaft am Beispiel SIEMENS, Stoccarda 1969, pp. 59-60. ·

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ni di affari americani e li rendeva consapevoli di opportunità di cui sino allora non avevano saputo approfittare.

8. L'area economica ottimale Nell'economia monetaria internazionale, Robert Mundell ha avanzato il concetto di area monetaria ottimale, l'area cioè che dovrebbe avere un'unica moneta 31 • Nel caso più ristretto, si tratterebbe di una sola persona che variasse di giorno in giorno il proprio tasso di cambio soggettivo con il resto del mondo. Nella sua estensione più larga, l'area monetaria ottimale sarebbe il mondo. Non riguardano il nostro tema i vari criteri avanzati da Mundell e dagli economisti che lo hanno seguito per determinare l'area economica ottimale (la mobilità dei fattori, una discontinuità tra commercio interno e commercio estero, l'esistenza di istituzioni che determinino una politica economica). Qui ci proponiamo solamente di allargare il concetto di area monetaria ottimale a quello di area economica ottimale, e di fare presente che esso può differire da merce a merce e da classe sociale a classe sociale, variando inversamente ai costi di trasporto e di informazione. Dato che tali costi si vanno contraendo, le dimensioni dell'area economica ottimale aumentano e sotto molti aspetti la scala della produzione e del commercio delle merci è già mondiale. Tuttavia le considerazioni economiche non sono le uniche. Il concetto di area ottimale si può estendere alla politica e ai fatti sociali. In tali campi l'area ottimale sta presumibilmente crescendo, assieme a quella economica, ma più lentamente. L'area sociale ottimale è funzione del senso di appartenenza e di partecipazione del cittadino medio, della sensazione di partecipare alle decisioni, di contare. L'unità nel suo complesso deve avere una coesione, degli obiettivi, deve creare dei legami. Mentre l'area economica ottimale può essere ampia, l'area ottimale sociale è certamente molto più piccola. Ci sono paesi 31 Robert A. Mundell, A Theory of Optimum Currency Areas, «American Economie Review», voi. LI, sett. 1961, n. 4, pp. 657-64.

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di grandi dimensioni che mantengono la coesione e impegnano le energie dei propri cittadini su obiettivi nazionali e paesi piccoli divisi per motivi culturali o altro. Un paese come il Belgio è evidentemente troppo piccolo per costituire un'unità economica ottimale, ma, diviso com'è tra fiamminghi e valloni, è troppo grande per costituire un'unità sociale ottimale. Inoltre mentre la scala ottimale dell'attività economica si va facendo sempre più ampia, sembra che la dimensione sociale ottimale si vada restringendo. La disintegrazione sociale e politica (la Bretagna in Francia, il Galles e la Scozia in Gran Bretagna, il Quebec in Canada) mostrano la tendenza verso unità più piccole. La reazione contro le multinazionali, espressa da opere come La sfida americana di Servan-Schreiber 32 , è la risposta all'intrusione di elementi stranieri, rivela il timore che persone non appartenenti al gruppo prendano decisioni che lo influenzino, e una xenofobia forse innata nell'uomo nel suo stadio primitivo. Small is beautijul, di E.F. Schumacher 33 , pretende di essere uno studio economico; mi sembra invece un'espressione della reazione sociale contraria al mercato mondiale. Non ho raggiunto alcuna conclusione semplice circa le dimensioni dell'unità politica ottimale, né sulle relative tendenze. La risposta potrebbe essere legata alle funzioni obiettivo in politica degli interessati. Se l'obiettivo di un paese è di tenersi fuori dai guai, piccolo può esser meglio di grande, anche se non scevro di rischi come la storia del Belgio, dell'Olanda, della Danimarca e della Norvegia insegnano. Se, d'altra parte, un paese ambisce alla gloria, al prestigio, vuole lasciare la propria impronta sulle sabbie della storia, grande può essere meglio. La Prussia di Bismarck, il Piemonte di Cavour, gli Stati Uniti di Theodore Roosevelt, forse la Francia di de Gaulle indicano quale possa essere la scelta. La funzione di ottimalità può essere a U, con i maggiori vantaggi connessi all'essere piccoli, senza potere, né responsabilità, o grandi e potenti, e con 32 Jean-Jacques Servan-Schreiber, The American Chal/enge, New York 1968 (tit. orig. Le Défi americain, Denoel, Paris 1967; trad. it., La sfida americana, Milano 1969). 33 E.F. Schumacher, Small is beautiful. A Study of Economics as if People Mattered, New York 1973 (trad. it., Piccolo è bello, Milano 1977).

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la responsabilità di contribuire alla stabilità mondiale. È scomoda la situazione intermedia, dei paesi abbastanza potenti da disturbare il quadro politico, ma troppo piccoli per partecipare naturalmente ai processi decisionali mondiali 34 • Sospetto che le dimensioni di unità politiche come la Comunità economica europea stiano crescendo, ma date le ben più piccole dimensioni dell'area ottimale sociale non si può esserne certi. La tensione tra dimensione economica e dimensione sociale rende difficile dire molto riguardo al futuro. In primo luogo, sembra chiaro che il progresso (o forse farei meglio ad usare un termine meno carico di valore come «cambiamento») non sarà lineare ma discontinuo, a zig-zag, e che ci sono evenienze in cui è necessario recu!er pour mieux sauter. In secondo luogo, senza essere un marxista, ritengo probabile che i fattori economici avranno un peso preponderante rispetto a quelli sociali. I gusti si vanno già facendo più omogenei attorno al mondo, e gli impianti idraulici americani, le moquette da muro a muro e il funzionale arredamento alberghiero vengono riprodotti negli hotel delle multinazionali dappertutto, ad eccezione che nei paesi più arretrati. Trovo sconcertante che nel diciannovesimo secolo inglesi e francesi abbiano preso strade diverse, ad esempio, riguardo a cosa fosse meglio mangiare a colazione - porridge, carne, uova, toast con burro e tè o semplicemente caffellatte e un croissant. Oggi praticamente tutte le cucine nazionali sono disponibili dappertutto, e si fanno sempre più simili. Dal lato dell'offerta il mondo, naturalmente, è molto più omogeneo, da quando la diffusione della tecnologia ha preso velocità rispetto al periodo iniziale, in cui la rivoluzione industriale dalla Gran Bretagna toccava con qualche esitazione l'Europa continentale. Uno sguardo alla storia sottolinea la dinamica del processo piuttosto che tendenze di fondo. Keynes ebbe torto quando auspicò la «National Self-Sufficiency» - l'autosufficienza na34 Charles P. Kindleberger, The International Monetary Politics of a NearGreat Power: Two French Episodes, 1926-1936 and 1960-1970, «Economie Notes» (Monte dei Paschi di Siena), voi. I, 1972, nn. 2-3, pp. 30-44.

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zionale - per resistere alla legge del prezzo unico nel suo famoso articolo del 1933 sulla « Yale Review» 35 • Ma lo stesso è vero per Bagehot, anche se le sue parole furono accuratamente soppesate e bilanciate quando scrisse nel 1868: Si sta verificando nel mondo un notevole movimento verso l'uniformità della moneta tra paesi diversi, che si è avviato come sembra normale nel diciannovesimo secolo, nel modo seguito per creare la Germania, e anche l'Italia, e cioè promosso non da un gran numero di Stati, che con un progetto comune e di concerto hanno dato vita a qualcosa di nuovo, ma, al contrario, da un grande Stato che si è mosso dapprima nel proprio interesse, e poi da altri Stati minori e contigui che hanno imitato i suoi piani e seguito il suo esempio. Così la Francia ha creato oggi una grande lega monetaria [l'Unione Latina] ... Se le cose restano così, [la Germania] sicuramente adotterà la valuta francese; c'è già una proposta nel parlamento federale a favore di tale adozione. Tra non molto l'Europa intera, salvo l'Inghilterra, avrà un'unica moneta, e l'Inghilterra verrà lasciata fuori con la propria. C'è un motivo egoistico per guardare alla nostra valuta, ma non è il solo. Ciascuno deve capire che la domanda di uniformità nel settore monetario è semplicemente un caso particolare della crescente domanda di uniformità tra nazioni davvero simili. Molti ambiti, la maggior parte dei campi della normativa variano da un paese all'altro, dipendendo da fattori nazionali, da peculiari idiosincrasie e da altre cause. Ma il commercio è dappertutto identico: comprare e vendere, prestare e indebitarsi, sono processi uguali in tutto il mondo e tutto quanto li riguarda dovrebbe anch'esso essere uguale. Nella vecchia legislazione medievale sulla mercatura - gli usi universali del commercio che il mercante internazionale portava con sé da paese a paese - il principio che vogliamo vedere applicato adesso era riconosciuto. Il fatto che molti Stati abbiano una normazione speciale e molto attiva ha infranto dappertutto le norme connesse agli usi; l'unità di cui abbiamo ora bisogno deve essere basata su espliciti trattati 35 John Maynard Keynes, National Selj-Sufficiency, «Yale Review», voi. XXII, giugno 1933, n. 4, pp. 755-69; e anche in «The New Statesman and Nation», 8 e 15 luglio 1933; ristampato in The Collected Writings of fohn Maynard Keynes, voi. XXI, Activities 1931-1939: World Crisis and Policies in Britain and America, Londra 1982, pp. 233-46.

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e su accordi volontari. Ma l'idea è la stessa. Il mondo finirà col vedere un unico code de commerce, e una sola moneta che ne sarà il simbolo.

E poi ecco la precisazione: Siamo ancora molto distanti da un'era così perfetta ... 36 •

Se si sia oggi molto più vicini a un'unica moneta, centododici anni dopo lo scritto di Bagehot, o ad un unico code de commerce, esito a giudicare. Ritengo che la forza della legge del prezzo unico spinga ancora in quella direzione, ma che le resistenze a livello sociale e politico, che finiranno con l'essere superate, restino forti nel breve e nel medio termine. Prima di concludere la nostra analisi della legge del prezzo unico, andrebbe osservato che nel campo della moneta essa comporta l'armonizzazione della produzione del bene collettivo della stabilità monetaria, mediante un'appropriata politica monetaria. Resto profondamente scosso dalla politica monetaria del 1971, quando, con i cambi fissi e i mercati monetari di New York e Francoforte collegati mediante il mercato degli eurodollari, le autorità monetarie americane e tedesche tentarono di prendere ciascuna la propria strada. Ciò era impossibile. In un mercato monetario unico, c'è un unico tasso di interesse. Il Federai Reserve System non poteva abbassare i tassi di interesse alla ricerca di un boom che contribuisse alla rielezione di Nixon, mentre la Bundesbank si impegnava a far aumentare i tassi di interesse per perseguire la stabilità dei prezzi. Un mercato unico e un prezzo unico comportano una politica congiunta dei tassi di interesse. L'incapacità di riconoscere questa semplice e fondamentale verità scatenò una marea di dollari e contribuì all'inflazione degli anni Settanta, ben prima dell'aumento dei prezzi petroliferi del 1973. 36 Walter Bagehot, A Universal Money (A Praticai Pian for assimilating the English and American money, as a step towards a Universal Money), Londra 1869; ristampato in The Collected Works of Walter Bagehot, cit., voi. Xl, pp. 57-104, vedi Preface, pp. 64-6.

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9. Conclusioni Spero che questi quattro esempi siano stati sufficienti a indicare che lo storico dell'economia e l'economista della storia che tentano di lavorare sui problemi dell'equilibrio generale debbono avere molte frecce al loro arco, e non una sola. Se ce ne fosse stato il tempo e ne avessi avuto la forza, si sarebbero potuti trattare altri utili modelli o leggi: la legge della domanda e dell'offerta, forse, anche se è troppo generale per dirci molto, ma anche i modelli dei beni collettivi rispetto a quelli privati, il diritto di proprietà, la legge dei vantaggi comparati, la teoria fondamentale della crescita di Harold Innes, Schumpeter sulle capacità imprenditoriali, Marx sullo sfruttamento, il monetarismo su scala mondiale, e molte altre poderose teorie e modelli avrebbero potuto servire allo scopo. Secondo me, si tratta di modelli e leggi tutti parziali; nessuno è generale. Il mio convincimento continua ad essere che dobbiamo passare da un utensile all'altro a seconda dei compiti da affrontare di volta in volta, e rinunciare a qualsiasi solvente universale o spiegazione sovrana. Naturalmente ci devono essere la specializzazione e lo scambio. Alcuni storici dell'economia lavorano di più con uno strumento, che non con gli altri, proprio come il medico specialista utilizza alcuni strumenti più degli altri per penetrare nei misteri dei vari organi, per curare i bambini o i vecchi, per compiere operazioni chirurgiche o guardare ai raggi x. Ma è mal riposto orgoglio credere che la propria specializzazione o i propri strumenti siano la chiave dei segreti della vita, come credo sia vano pensare che una legge o un modello possano svelarci i segreti basilari della storia dell'economia, con le sue molte dimensioni: crescita, innovazione tecnologica, aggiustamenti, monetizzazione e così via. Gli economisti e gli storici dell'economia dovrebbero essere come i dentisti, umili e armati di numerosi strumenti.

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DISCUSSIONE

CARLO DEcua1s*, utilizzando l'analogia di Keynes degli economisti come dentisti cui aveva fatto riferimento il professor Kindleberger, identificò quattro categorie di «dentisti»: 1) gli economisti, che si supponeva trattassero l'Homo oeconomicus, ma che erano più spesso interessati a mettere alla prova i propri strumenti, a volte a spese dei pazienti; 2) gli storici dell'economia, che si occupavano di gruppi di uomini che erano storicamente esistiti, ma che, essendo morti, non erano in grado di descrivere i propri sintomi; 3) i seguaci della economia politica, interessati al trattamento per il trattamento; e, infine, 4) gli storici del pensiero economico, dentisti dei dentisti in quanto trattavano le precedenti tre categorie. Sulla questione degli utensili, il professor Decugis sostenne che gli storici dell'economia, oltre a utilizzare le leggi inizialmente concepite dagli economisti, stavano cominciando a formulare leggi proprie. Con riferimento all'uso delle leggi degli economisti da parte degli storici dell'economia, Decugis citò la rivoluzione industriale inglese come esempio di un evento unico nella storia dell'economia che, come tale, non poteva venire generalizzato facendo ricorso a qualche legge economica. Benché la rivoluzione industriale inglese fosse stata un f enomeno complesso, con varie componenti (quali l'aumento del Pii e degli investimenti), probabilmente generalizzabili mediante leggi economiche appropriate, il fenomeno in se stesso con-

* Professore di Storia economica, Università degli Studi di Milano. 97

sisteva in una combinazione unica di processi correlati. Ciò richiedeva una valutazione complessiva, intesa ad analizzare problemi quali quello se la rivoluzione industriale avesse rappresentato un caso di crescita equilibrata. Il professor Decugis, alludendo alla formulazione di leggi da parte degli storici dell'economia, riconobbe che le leggi economiche entravano in questione quando gli eventi storici, per quanto complessi, non erano unici. L'industrializzazione, come fase della crescita, era un evento storico che si sviluppava sulle stesse linee, per alcuni gruppi di paesi, a seconda del periodo storico nel quale si era verificata; la si poteva quindi classificare per periodi. Questo approccio era implicito in Marshall, il quale riconosceva che agenti storici differenti tendevano a comportarsi diversamente in periodi storici diversi, per condizioni iniziali date differenti. Il professor Decugis rilevò poi come fosse necessario formulare modelli empirici con la stessa struttura logica delle leggi universali degli economisti, ma con una maggiore specificità applicativa. A differenza delle leggi degli economisti, esse avrebbero dovuto trovare applicazioni solo per date condizioni storiche, e non venire applicate a qualsiasi luogo e periodo. Ciò spiegava perché Hartwell avesse applicato un modello di «crescita bilanciata» alla rivoluzione industriale inglese, mentre Gerschenkron aveva sviluppato il suo modello del «grande balzo» per il processo di industrializzazione nell'Europa continentale nel diciannovesimo secolo. Infine, il professor Decugis dichiarò che gli storici dell'economia avrebbero convenuto col professor Kindleberger sui seguenti punti: 1) le leggi economiche avrebbero dovuto essere sottoposte al vaglio dei fatti della storia dell'economia; 2) nessuna legge che avrebbe dovuto trovare applicazione universale era priva di surrogati, sul piano delle spiegazioni storiche; 3) gli economisti e gli storici dell'economia avrebbero dovuto passare da una legge (o da un modello) all'altro a seconda dell'evento in esame. Tuttavia il professor Decugis si chiedeva se il professor Kindleberger avrebbe consentito sul fatto che gli storici dei fatti economici avevano il diritto di applicare le leggi dell'economia a seconda delle proprie idiosincrasie, e di forgiare gli strumenti del proprio mestiere.

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LUIGI PASINETTI* desiderava fare alcuni commenti su quanto il professor Kindleberger aveva detto nelle sue lezioni dal punto di vista di un economista teorico. All'inizio della prima lezione, e poi di nuovo alla fine della quarta, Kindleberger aveva fatto un'importante asserzione, che era già stata ripresa e esaminata dal professor Decugis. Kindleberger aveva detto - riprendendo un paragone di Keynes che l'idea di economista che preferiva era più simile a quella del dentista che non a quella dello scienziato dei fatti morali. E il dentista - aveva detto - impiegava molti utensili: utensili specifici per compiti specifici. Egli aveva poi sostenuto l'esigenza di impiegare molti e diversi strumenti della analisi economica. Tale molteplicità, e non l'unicità dello strumento, sembrava essere l'ideale di Kindleberger. Superficialmente, la posizione sembrava ineccepibile; molti è sempre meglio di pochi: chi avrebbe potuto sostenere altrimenti? Ma, andando più a fondo, bisognava precisare e distinguere. Ad esempio, ad un marginalista piacerebbe certamente molto disporre di molti strumenti di analisi, ma entro il quadro logico dell'economia marginale. È assai improbabile che accetterebbe, ad esempio, strumenti e concetti analitici marxiani. Lo stesso, in senso opposto, si applicherebbe ad un seguace di Marx. Per il teorico, quindi, la pluralità di strumenti va bene, a condizione che rientri in un ben definito quadro analitico. Essa non può voler dire eterogeneità. Gli strumenti analitici possono essere molti, ma non logicamente incompatibili gli uni con gli altri. Eppure, era proprio sotto questo aspetto che il professor Pasinetti trovava la proposizione di Kindleberger più interessante. Kindleberger parlava dal punto di vista dello storico dell'economia, o come preferiva dire, dell'economista della storia, ossia, più in generale, nell'ottica dell'economia applicata. E da questo punto di vista sembrava che stesse propugnando l'eterogeneità, ossia l'eclettismo. In altri termini, Kindleberger sosteneva che, per l'econo* Professore di Econometria, Università Cattolica del Sacro Cuore di Mi-

lano.

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mista teorico, eterogeneità e eclettismo potevano forse rappresentare un punto debole, ma che per l'economia applicata si trattava sempre di punti di forza. Tale posizione aveva importanti implicazioni teoriche. Il professor Pasinetti avrebbe tentato di esprimere quel che voleva dire prendendo brevemente in esame la prima e la quarta delle lezioni di Kindleberger, sulla legge di Engel e la legge del prezzo unico. La legge di Engel era molto semplice, era stata avanzata verso la metà del diciannovesimo secolo ed è estremamente importante sul piano empirico 1 • Il contenuto essenziale della legge era che: 1) c'è una gerarchia di bisogni dei consumatori; essi soddisfano in primo luogo i bisogni più essenziali e poi - al crescere del reddito soddisfano anche altri bisogni (comprando altre merci, più sofisticate); 2) i bisogni vengono saziati, per cui, se il reddito continua a crescere con l'andar del tempo, l'incremento della spesa si concentrerà su beni differenti, o potrà occasionalmente riguardare i vecchi beni, ma considerati in maniera diversa e a fini diversi (come Kindleberger aveva indicato con riferimento all'interessante fenomeno, ad esempio, della seconda macchina). Il punto è che la composizione della domanda di beni di consumo sarebbe mutata continuamente, e che si trattava di caratteristiche essenziali del comportamento umano. Ora, malgrado tutti gli studiosi di economia applicata e di econometria siano d'accordo sul fatto che queste tendenze rappresentano una legge empirica basilare, la teoria prevalente del comportamento dei consumatori non è stata in grado di assorbirla. Erano appropriate tre considerazioni sulla teoria attuale: 1 George Stigler aveva fatto presente nel suo articolo The early History of Empirica/ Studies of Consumer Behavior in «The Journal of Political Economy», voi. LXII, aprile 1954, pp.95-113, che la raccolta di dati relativi all'effetto di reddito sulla domanda del consumatore era iniziata ben prima dello sviluppo della moderna teoria della domanda dei consumatori, mentre la raccolta di dati relativi all'effetto dei prezzi sulla domanda del consumatore non era iniziata che dopo lo sviluppo di tale teoria. Ciò parrebbe confermare che, empiricamente, l'importanza delle variazioni del reddito - ossia la legge di Engel - è ben maggiore di quella delle variazioni dei prezzi nell'influenzare i consumi.

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1. La attuale teoria della domanda dei consumatori era una teoria molto sofisticata (che poteva essere presentata in varie guise: in termini di incrementi della spesa, alla maniera di Gossen; in termini di curve di indifferenza, alla Pareto; in termini di preferenze, alla Samuelson, ecc.), ma in sostanza era una teoria delle scelte dei consumatori che si trovano di fronte a variazioni dei prezzi a un reddito dato. In questo contesto la legge di Engel era chiaramente irrilevante. 2. Quando le funzioni di utilità venivano fatte rientrare in un modello della crescita, le si vedeva sempre come se implicassero elasticità della domanda di tutti i beni rispetto al reddito. Questo approccio era la precisa negazione della legge di Engel. 3. Il mutare della domanda al crescere del reddito voleva dire una diversa struttura della produzione e - fattore ancora più importante - dell'occupazione. Su cosa si basavano i più noti moderni modelli della crescita multisettoriale (il modello di von Neumann o il modello dinamico di Leontief)? Una crescita proporzionale. Si supponeva che tutti i settori crescessero esattamente allo stesso ritmo. Anche questa era una negazione della legge di Engel. Si poteva capire bene adesso cosa volesse dire Kindleberger quando perorava la causa dell'eterogeneità degli strumenti. Se si voleva analizzare cosa avvenisse storicamente in un processo di crescita economica, in cui la dinamica strutturale della tecnologia, della produzione e del consumo erano le caratteristiche più rilevanti, a cosa servivano le teorie prevalenti del consumatore e i modelli correnti della crescita? Si sarebbe tentati di dire in misura limitatissima. Sembrava non esserci altra scelta che ritornare alla legge di Engel. Tale legge poteva essere molto semplice, non raffinata, persino rozza, ma era empiricamente importante. La lezione era chiara: le teorie prevalenti erano orribilmente carenti. Nessuna scuola poteva sostenere di essere fornita di spiegazioni complete e sistematiche di cosa avvenisse nei sistemi economici. In tali circostanze cosa potevano fare gli studiosi di economia applicata se non impiegare strumenti analitici differenti, persino contradditori in momenti diversi, per scopi diversi? Se tale approccio veniva accolto, doveva indur101

re gli economisti teorici ad essere quanto meno un po' più umili e a considerare con pazienza ciascuno le opinioni degli altri. Sfortunatamente, l'atteggiamento prevalente tra gli economisti sembrava quello opposto, un atteggiamento arrogante e di intolleranza. Pasinetti era stato a lungo convinto della importanza cruciale degli aspetti fondamentali della crescita non proporzionale nelle economie e aveva lavorato moltissimo su un modello di crescita multisettoriale non proporzionale, in cui la tecnologia, i prezzi, la produzione, il consumo e l'occupazione avevano tutti andamenti diversi nel tempo, in maniera da caratterizzare il sistema economico in base a una dinamica strutturale durevole e continua2 • Era stato sorpreso da due cose: 1) l'ampiezza e la profondità della comprensione della storia dello sviluppo economico che strumenti anche semplici potevano consentire, una volta abbandonata la equiproporzionalità nella crescita come quadro di riferimento; 2) l'ostilità, le perplessità e i sospetti che i suoi colleghi economisti istintivamente dimostravano riguardo alle proposte di nuovi strumenti analitici. Le scuse erano innumerevoli: il modello era «poco elegante», o «irrealistico» (obiezioni mai avanzate per la teoria tradizionale), rappresentava un caso «particolare» della vecchia teoria, e così via. Era perciò lieto di incontrare un economista degli eventi storici, come Kindleberger, che propugnava l'impiego di nuovi strumenti analitici. Gli sarebbe piaciuto considerare il suo un appello a favore di un atteggiamento più aperto nei confronti di strumenti dell'analisi economica nuovi, non convenzionali e, auspicabilmente, più potenti. Un'altra considerazione sulla legge del prezzo unico. Kindleberger aveva dato particolare rilievo alle tendenze verso il livellamento - in luoghi diversi - dei prezzi della stessa merce. Senza dubbio il progresso nei trasporti e nelle comunica2 Luigi Pasinetti, A New Theoretical Approach to the Problems of Economie Growth, «Pontificiae Academiae Scientiarum Scripta Varia», n. 28, Città del Vaticano 1965, pp. 571-696; (ristampato in The Econometrie Approach to Development Planning, Amsterdam 1965). Cfr. anche Id., Structural Change and Economie Growth, Cambridge 1981 (in it., Dinamica strutturale e sviluppo economico, Torino 1984).

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zioni che si era verificato nei due secoli precedenti aveva favorito questa tendenza. D'altra parte non aveva esaminato allo stesso livello di approfondimento quelli che tradizionalmente venivano chiamati «fattori di produzione». In questo campo, specialmente riguardo al lavoro, le tendenze non avevano preso la stessa direzione. Mentre tutti erano favorevoli alla mobilità delle merci, sia le autorità sia l'opinione pubblica restavano contrarie all'idea della mobilità delle persone. Non andava dimenticato che passaporti, visti e controlli sui movimenti delle persone da un paese all'altro erano invenzioni del secolo in corso. E le differenze tra salari pro capite e redditi pro capite, osservabili attualmente tra i vari paesi, in tutto il mondo, erano incredibili; si poteva forse sostenere che non avessero avuto precedenti storici. Anche in questo caso nessuna delle teorie prevalenti era in grado di spiegare tali differenze. Era ragionevole dedurne che si aveva bisogno di nuovi strumenti di analisi. G1Ac0Mo BEcATTINI* disse che le lezioni di Kindleberger rispondevano mirabilmente a un'esigenza che molti nel suo uditorio, economisti o storici che fossero, avevano certamente sentito, definire cioè quali concetti o strumenti economici fossero utili per istruire lo storico e - più in generale - quale specifico contributo costruttivo l'economia politica potesse fornire al compito di dipanare la matassa degli eventi storici. Il suo messaggio centrale era chiaro e convincente. Non esisteva, secondo lui, un'unica teoria, o modello, onnicomprensiva, che illuminasse la storia economica. Non esisteva un'unica teoria centrale che fornisse tutte le risposte. L'approccio corretto, per Kindleberger, era perciò eclettico: scegliere consapevolmente i propri utensili e impiegarli in modo coordinato. Non ci si sarebbe dimenticati facilmente della similitudine del gioielliere con i suoi numerosissimi martelli, ciascuno per un uso leggermente differente, paragone più attraente di quello keynesiano del dentista con i suoi trapani. Dato lo stato della cosiddetta scienza economica, il professor * Professore di Economia, Università degli Studi di Firenze.

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Becattini era completamente d'accordo con questo approccio, cauto e legato ai problemi, di Kindleberger. Naturalmente il problema di quali strumenti usare - martelli, trapani o pinze - nei vari casi, e in che ordine e come, restava un problema aperto. E qui il professor Kindleberger offriva aiuto, dapprima definendo quattro strumenti, la legge di Engel, la legge di Marx-Lewis, la legge di Gresham e la legge del prezzo unico (o legge di Smith, come la chiamava) e alludendo ad altri strumenti, più o meno ben noti, alcuni che appartengono strettamente al campo della analisi economica e altri più in generale alle scienze sociali. Kindleberger aveva mostrato magistralmente come ciascuna delle quattro leggi prese in esame potesse venir utilizzata come chiave di lettura di alcuni blocchi di fatti storici. Eventi apparentemente non collegati tra loro e estremamente disparati si dimostravano, nella sua vivacissima costruzione, strettamente correlati, o esempi diversi di un unico principio. In breve, i suoi quattro strumenti aiutavano l'uditorio a risolvere il problema classico, così caro a Marshall, di riconoscere the one in the many and the many in the one (il molteplice nell'uno, l'uno nel molteplice). Una di queste quattro leggi si poneva concettualmente al di sopra delle altre: la legge di Smith. Secondo Becattini questa stava come un cavallo di Troia nel gruppo, un rischio per l'efficace eclettismo di Kindleberger. Il punto di vista che conteneva e che impiegava per leggere gli eventi storici era talmente potente, euristicamente, da relegare qualsiasi altro strumento interpretativo, con cui venisse combinato in un ruolo subordinato. Era più di uno strumento; era, secondo lui, lo specifico vettore di una visione del mondo. Se ciò era vero, la metafora degli strumenti allineati sul bancone e impiegati, separatamente e successivamente, dalle mani esperte di un gioielliere non teneva più. Becattini proponeva un succinto riesame di questa legge di Smith. In breve, essa affermava che la riduzione dei costi di trasporto nel senso più ampio, che riguardava cose, persone e idee, riducendo lo spazio degli intermediari specializzati, aveva l'effetto - per usare la frase così acconcia del professor Kindleberger - di rendere il mondo più piccolo. Il motore di 104

questa contrazione era la propensione, che Kindleberger, riprendendo e parafrasando Adam Smith, riteneva fosse profondamente radicata nella natura umana, non solo a comprare e a vendere ma a comprare a basso prezzo e vendere a prezzo elevato. L'innato e insopprimibile impulso a fare affari e profitti da una parte fa allargare i mercati e dall'altro permette/induce una crescente specializzazione e il progresso tecnologico e scientifico, che a sua volta fa ampliare i mercati e, innescando una sorta di supermoltiplicatore del commercio, è da solo sufficiente a spiegare l'espansione dell'universo economico. Il paradigma è certamente non meno convincente o euristicamente valido e poderoso di quello di Ricardo e Marx, basato sull'appropriazione e sulla successiva accumulazione del plusvalore, e può anche venire coordinato con esso. Becattini concordava perciò con questa chiave di lettura dei fatti e sul suo impiego in un'ampia varietà di contesti storici. Il professor Becattini cominciava a non sentirsi più a proprio agio quando Kindleberger sembrava abbracciare la tesi che questa legge della diffusione dell'attività commerciale e dell'ampliamento dei mercati fosse necessariamente accompagnata da una omologazione culturale verso il basso. L'esempio delle cucine nazionali così simili l'una all'altra da ridursi a un pot-pourri internazionale di cattivo gusto, o privo di gusto, aveva il suo peso. Fosse stato questo l'effetto principale della legge, essa avrebbe finito per bloccare il movimento delle merci e delle persone e per non determinare la crescita ma il ristagno, per rappresentare un freno al progresso economico, sociale e culturale. La verità era, secondo lui, che, a parte alcuni ambienti nei quali la gastronomia non contava affatto, lascoperta dei sapori locali apriva la strada a infinite nuove variazioni gastronomiche e all'introduzione di ricette, inizialmente vietate o ripugnanti, che offrivano all'uomo tanto una maggiore varietà di cibi interessanti, quanto un mezzo per affrontare meglio le molteplici situazioni in cui poteva venirsi a trovare. Becattini aveva ripreso l'esempio culinario di Kindleberger, ma avrebbe potuto altrettanto appropriatamente fare l'esempio delle lingue: mentre la diffusione dell'alfabetismo e l'acculturazione da una parte distruggono - o mettono a repentaglio - i linguaggi «locali» con le loro peculiarità, dal105

l'altra fanno aumentare enormemente la massa di chi partecipa al «linguaggio generale», producendo una messe ricchissima di nuove combinazioni linguistiche. Questo ragionamento si applicava ai beni e ai servizi, e anche alle idee. Il fatto che venissero a contatto sui mercati mondiali beni, servizi e idee che si erano sviluppati ed erano maturati in determinate culture e accolti in altre, a volte assai diverse, non produceva di per sé solo omologazione, né verso il basso, ma anche e contemporaneamente ibridazioni e differenziazioni ad infinitum. Becattini fece questo esempio, forse un po' facile: «quando offro a qualcun altro un bene, proprio come quando gli parlo, sto assorbendo la sua cultura, mi proietto idealmente nel suo terreno culturale, per capire le sue esigenze e farle mie. Se non lo faccio, la mia offerta è incomprensibile, priva di senso. Il commercio, lungi dall'essere un fatto culturalmente vuoto o neutrale, è un punto di incontro, un'occasione di arricchimento, di mediazione culturale». Perché pensare a questa mediazione come se portasse solo al livellamento? Essa era certamente anche la base di una maggiore articolazione, differenziazione e raffinamento dei bisogni e dei gusti. L'idea estrema di Bagehot di un'unica moneta e di un unico code de commerce rievocata da Kindleberger sembrava essere collegata essenzialmente all'idea di una irresistibile spinta alla crescita del modo capitalista di produzione che lo stesso Marx a volte incautamente accettava, o quasi! Da qui l'idea, accolta dal professor Kindleberger, che la resistenza alla legge del prezzo unico a livello sociale e politico - in sostanza sovrastrutturale - fosse destinata alla lunga alla sconfitta: «Ritengo che la forza della legge del prezzo unico spinga ancora in quella direzione, ma che le resistenze a livello sociale e politico, che finiranno con l'essere superate, restino forti nel breve e nel medio termine» 3 • Ora questa idea che il «livello sociale e politico» producesse solo resistenze e frizioni, mentre solo il livello economico avrebbe prodotto forze attive e permanenti, sembrava una pernicio3

Cfr. supra, Quarta lezione, p. 95.

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sa eredità della interpretazione naturalistica e deterministica dei fatti sociali insita nel pensiero economico del diciannovesimo secolo: determinismo classico, neoclassico e marxiano. Questo arrendersi di fatto all'economismo era strano e incomprensibile, secondo Becattini, in un pensatore che ammoniva a non fare affidamento su un «solvente universale» 4 e citava tra gli strumenti raccomandati per l'istruzione degli storici l'idea schumpeteriana di imprenditore, modelli relativi a beni privati e beni collettivi, e altre costruzioni chiaramente ai confini tra economia e socio-politica. Il professor Becattini aveva ammirato molto il modo affascinante in cui la legge di Smith era stata utilizzata da Kindleberger per ridurre ad unum una congerie di fenomeni diversi, ma era ancora convinto che essa potesse venire accolta tra gli strumenti dell'economista solo dopo un'accurata verifica «ideologica». sollevò due punti che, benché espressi in forma positiva, quasi come certezze, in realtà nascondevano una serie di domande, una richiesta di delucidazioni. Il suo primo commento riguardava un'applicazione della legge di Smith, la legge del prezzo unico, che rappresenta il nesso tra l'area economica ottimale e le dimensioni dell'impresa. Mentre riteneva che l'allargamento del mercato fosse certamente utile, dubitava che l'espansione di un'impresa avesse effetti altrettanto positivi per tutti. Non riteneva che piccolo fosse bello, per varie ragioni, principalmente perché il termine «piccolo» era relativo alle dimensioni del mercato e difficile da definire in astratto. Ma c'erano elementi per ritenere che la divisione del lavoro, che Smith correlava alle dimensioni del mercato e che considerava un fattore di crescita, fosse applicabile alle imprese oltre che ai lavoratori. La specializzazione a livello della impresa faceva diminuire i costi unitari e la situazione preferibile prevedeva piuttosto una pluCARLO FILIPPINI*

Cfr. supra, Terza lezione, p. 50, Quarta lezione, p. 96. * Professore di Economia, Università Commerciale «Luigi Bocconi» di Milano. 4

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ralità di imprese medio-piccole, che non poche grandi imprese. La distinzione tra unità produttiva e unità giuridica non era sempre sufficientemente chiara. Conclusioni più pertinenti per la prima erano spesso applicate alla seconda, e i costi connessi alla distribuzione dell'informazione e all'assunzione delle decisioni in organizzazioni complesse erano sottovalutati. Allo stesso modo le economie di scala tecnologiche venivano confuse con le economie di scala finanziarie o commerciali. Un aumento delle dimensioni dell'unità produttiva di solito veniva invocato in quanto corrisponde ad esigenze obiettive di maggior produttività, mentre l'aumento delle dimensioni dell'impresa come unità giuridica dipendeva, a volte, dal desiderio di ridurre l'incertezza e di controllare il mercato più efficacemente, con risultati che non rispondevano alle aspettative. Inoltre non andava dimenticato che dal punto di vista teorico la formazione di oligopoli in un mercato eliminava la possibilità di raggiungere una soluzione di ottimo paretiano e che, quindi, la si sarebbe dovuta valutare negativamente. Il suo secondo commento era stato provocato dai riferimenti storici e dalle sintesi tra fatti e teorie che abbondavano nelle lezioni del professor Kindleberger, e si riferiva ai metodi usati dagli economisti in generale. Termini densi di significato venivano coniati per dare maggiore vigore a concetti di per sé entro certi limiti discutibili. L'uso del termine «legge» era un esempio tipico di questa tendenza. Un altro ben noto esempio era l'aggettivo «perverso» in relazione a questioni di teoria del capitale. Gli economisti avevano spesso cercato di attribuire alle loro teorie dignità scientifica, modellandole su altre scienze affermate. Ciò aveva comportato, da un lato, una perdita di contenuto, nel tentativo di difendere semplici relazioni ricavate deduttivamente sul modello della matematica e, dall'altro, di metodo, in quanto solamente ciò che era misurabile come in fisica veniva considerato importante e scientifico. Per questa ragione il rigore formale aveva prevalso sui contenuti; come diceva Robert Gordon 5 , si era spesso cercato il massimo di rigore prescindendo dalla pertinenza, invece del massimo 5 Robert A. Gordon, Rigar and Re/evance in a Changing Institutional Setting, «American Economie Review», marzo 1976, pp. 1-14.

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della pertinenza con il rigore possibile. In effetti, il rigore scientifico non dipende dalle quantificazioni, o dalle misurazioni, ma da un chiaro e preciso processo di raccolta e di esame di dati, dalla formulazione di ipotesi esplicative e dalla verifica di queste ultime in base a metodi deduttivi e induttivi. Ciò di per sé non comporta la necessità di quantificare ogni concetto. Certo le misurazioni erano state necessarie per confutare le numerose obiezioni sollevate riguardo alla possibilità di introdurre la scienza nel campo dell'attività umana, cioè la possibilità di porre le scienze umane su basi obiettive. Si trattava di definire una data disciplina e le sue regole di dimostrazione e verifica. Delle varie obiezioni valeva la pena ricordarne una, anche se non la più importante: il fatto che nelle scienze umane non si diano relazioni deterministiche, in quanto l'azione della volontà libera dell'essere umano, una delle cui caratteristiche è ritenuta la possibilità di scelta, renderebbe difficile, se non impossibile, avanzare generalizzazioni e previsioni, dato che le azioni del passato possono non venire ripetute in futuro. Peraltro le scienze umane studiano comportamenti collettivi, medi, e non individuali. Inoltre, fattore ancor più importante, tutto era dovuto ad un difetto degli economisti: la loro riluttanza a rinunciare a metodi «precisi» invece di dare più da vicino uno sguardo al contesto sociale; era dovuto, in altri termini, alla tentazione di limitarsi al sicuro e all'incontrovertibile e di evitare di avventurarsi in ricerche che, sotto molti aspetti, potevano sembrare ascientifiche. Da tale atteggiamento risultava una' sorta di astrattezza di molte analisi economiche, una tendenza a trascurare il quadro sociale, così importante per spiegare alcune relazioni economiche. JossA * avanzò alcuni commenti sulla seconda lezione del professor Kindleberger, quella relativa alla legge ferrea dei salari, il modello della crescita di Lewis. Il professor Kindleberger aveva fatto ampio uso di tale modello, con grande erudizione e intelligenza, in molti suoi scritti; e a molti il modello di Lewis era sempre parso estremamente interessante. Il pro-

BRUNO

* Professore di Economia, Università degli Studi di Napoli.

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fessor Jossa premise alle sue considerazioni il pieno accordo con le interpretazioni economico-storiche del tipo avanzato dal professor Kindleberger, che si basano su questo tipo di modelli. Il modello di Lewis era - in poche parole - un modello caratterizzato da disponibilità illimitate di manodopera, e quindi da salari costanti o caratterizzati da una crescita lenta; nonché un modello in cui il risparmio veniva alimentato principalmente dai profitti, ma anche dalle rendite, in cui quindi capitale e reddito aumentavano ad un tasso crescente. Tutto ciò nella prima fase della crescita, cioè sino a quando c'era una offerta illimitata di forza lavoro. Ma nel corso di tale fase l'accumulazione di capitale era molto rapida e ciò, presto o tardi, assicurava il pieno impiego della manodopera. Andava notato, di passata, che nella seconda fase tali condizioni non si applicavano più. In questo modello molte ipotesi e relazioni erano indubbiamente classiche, ma il professor Jossa non sarebbe arrivato al punto di chiamare il modello «di Lewis-Marx», come alcuni avevano fatto. Lo stesso Kindleberger aveva detto che il modello di Lewis «somiglia molto al modello di Karl Marx», «con il quale condivide una certa aria di famiglia»; ed era stata questa sua affermazione che aveva indotto il professor J ossa a esprimere qualche perplessità su alcuni punti. Il modello postulava che ci fosse, inizialmente, una forte disoccupazione, un'offerta illimitata di manodopera e illustrava per quali vie una rapida accumulazione assicurava prima o poi il pieno impiego; una drastica generalizzazione che J ossa riteneva inaccettabile. Il modello (valeva la pena di ricordare) era stato formulato per la prima volta verso la metà degli anni Cinquanta e derivava dall'idea che nei paesi sottosviluppati, riguardo ai quali era stato originariamente concepito, ci sarebbe sempre stata «all'inizio» un'ampia disponibilità di «disoccupazione nascosta». In quegli anni un investigatore della statura di Myrdal aveva sostenuto in uno dei suoi libri che la disoccupazione nascosta nei paesi sottosviluppati fosse del 30% circa della forza lavoro, un vero esercito di disoccupati 6 • Ma naturalmente da 6 Cfr. Gunnar Myrdal, An International Economy. Problems and Prospects, Londra, New York 1956, p. 193.

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allora le opinioni su questo punto erano considerevolmente mutate. Il professor Jossa desiderava semplicemente esprimere dei dubbi e non contrapporre un punto di vista ad un altro. Ma per rendere più efficacemente la propria tesi avrebbe, solo per un momento, contrapposto un punto di vista all'altro, ricordando l'opinione di autorevoli economisti marxiani, secondo i quali nei sistemi precapitalisti di norma c'è il pieno impiego, e che invece è nel corso dello sviluppo capitalistico che il capitale tende a risparmiare sulla manodopera e si determina una diffusa disoccupazione per lunghi periodi. In quest'ottica, dato che per i marxisti il socialismo è il sistema che assicura il pieno impiego, le cose andrebbero in direzione esattamente opposta a quanto suggeriva la legge di Lewis-Kindleberger: il capitalismo sarebbe «una parentesi» nella storia dell'uomo, parentesi caratterizzata dalla costante presenza di una diffusa disoccupazione. Ma si sarebbe dovuto essere cauti, perché il modello di Lewis era interessante e l'interpretazione di Kindleberger così penetrante che non si poteva arrivare al punto di rimpiazzarli con una visione del mondo opposta a quella implicita nel modello. Si poteva però dire che molto spesso, e non occasionalmente, la disoccupazione veniva creata, e non eliminata, dallo sviluppo capitalistico, in parte perché lo sviluppo capitalistico distrugge i sistemi precapitalisti, le attività artigiane e le piccole imprese, per l'enorme esodo della popolazione dell'agricoltura verso l'industria e perché, specie per i paesi giunti in ritardo alla industrializzazione, il progresso tecnico distrugge continuamente posti di lavoro. Il caso italiano indica chiaramente che quando nel corso dello sviluppo capitalistico si verifica un esodo della popolazione dell'agricoltura verso le città, il tasso di occupazione può diminuire per diversi anni, (perché specialmente le donne non riescono più a trovare lavoro). Queste erano, naturalmente, vecchie idee. La tesi che il capitalismo per sua stessa natura distrugga le attività precapitalistiche e quindi numerosi posti di lavoro nell'artigianato, nelle piccole imprese commerciali e così via è l'idea che Marx sostenne molto vivacemente in una serie di articoli su un giornale 111

americano dell'epoca, la «New York Daily Tribune». Ma anche di recente uno scrittore come Giovanni Arrighi 7 , studiando la Rhodesia, aveva mostrato che la crescita capitalistica nel paese non era partita da una situazione di ampia disponibilità di manodopera per raggiungere una situazione di carenza di manodopera, ma piuttosto era avvenuto il contrario. C'era poi l'Italia. L'elemento più sorprendente del caso italiano, che tutti gli studiosi del nostro sviluppo economico avevano discusso, era la grossa diminuzione del tasso di partecipazione della forza lavoro. Questo calo dell'occupazione fa pensare che in qualche modo lo sviluppo economico riduca le opportunità di lavoro e induca molti a lasciare il mercato del lavoro, tanto da non farli più annoverare neppure tra i disoccupati. Il professor Jossa ricordò infine che in Italia si era discusso molto (specie da parte di giornalisti, con brillanti contributi), se l'accumulazione fosse una variabile indipendente, e conseguentemente i salari la variabile dipendente, come Marx aveva sostenuto in Il Capitale 8 , o se fosse vero il contrario, e quindi i salari fossero la variabile indipendente e l'accumulazione la variabile dipendente (come Marx stesso sembrava ammettere in Salari, prezzi e profitto e come, il Governatore Carli e i ricercatori della Banca d'Italia avevano spesso sostenuto). Non era facile trovare un accordo su questo punto, ma il punto, nello studio del mercato del lavoro in Italia, sul quale non sembrava esserci un'ampia convergenza di opinioni è che la domanda di lavoro genera la relativa offerta e quindi che l'offerta di manodopera è in un certo senso, entro certi limiti ovviamente, una variabile dipendente. Se ciò era vero, si sarebbe trattato di un forte argomento contrario al modello di Lewis. Semplici conferme del fatto che l'offerta di manodopera fosse una variabile dipendente e che le dimensioni e la crescita della popolazione non fossero la chiave di un aumento dell'offerta di manodopera erano l'abbassamento dell'età della pensione, l'au7 Cfr. Giovanni Arrighi, Labour Supplies in Historical Perspective: A Study of Proletarization of the African Peasantry in Rhodesia, in Giovanni Arrighi e John S. Saul, Jdeology and Development. Essays on the Politica/ Economy of Africa, New York, Londra 1973, pp. 180-236 (in it., cfr. Sviluppo economico e sovrastrutture in Africa, Torino 1969). 8 Cfr. Karl Marx, Il Capitale, voi. I, Roma 1956, cap. XXIII.

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mento dell'età alla quale si lascia la scuola e altre misure del genere, che riducevano considerevolmente l'offerta di manodopera, in quanto c'era motivo di ritenere che misure di politica economica o tendenze sociali che in generale riducevano l'offerta di lavoro fossero la conseguenza di una domanda di manodopera limitata. Il professor Jossa si domandava se ciò non volesse forse dire che il capitalismo spesso creava (specie per gli ultimi arrivati) talmente pochi posti di lavoro da indurre molti, occasionalmente, ad uscire dalla forza lavoro. Per concludere, secondo il professor Jossa, per molti paesi giunti in ritardo allo sviluppo economico, come l'Italia, spesso avveniva che nel corso della accumulazione del capitale, nel caso delle fasi più rapide della industrializzazione e durante le crisi, l'imitazione delle tecniche più avanzate e degli standard di vita dei paesi progrediti (che determinano salari elevati), e la crescita limitata del settore terziario, congiuntamente ed insieme ad altre cause, volevano dire che questo tipo di sviluppo economico, lungi dal creare sempre posti di lavoro, ne distruggeva. La chiave per comprendere il caso italiano era quindi un po' diversa dal modello che si sarebbe dovuto correttamente chiamare di Lewis-Kindleberger. PoRTA * avanzò alcuni commenti sulla lezione sulla legge di Gresham, riferendosi in particolare a quanto il professor Kindleberger aveva detto riguardo alla possibilità di analizzare il fenomeno delle crisi utilizzando la versione più ampia della legge, non confinata, per restare entro il campo strettamente monetario, ai problemi connessi alla coesistenza della moneta buona e di quella cattiva, ma, allargandone l'ambito, guardando a un ampio spettro di alternative alla moneta. Nel fare tali commenti avrebbe cercato di restare nello spirito che aveva informato le lezioni, che il professor Kindleberger aveva così ben riassunto nella introduzione alla prima di esse, quando, citando Donald McCloskey, aveva ricordato al suo uditorio che la storia economica doveva servire a produrANGELO

* Professore associato di Teoria e politica monetaria, Università Commerciale «Luigi Bocconi» di Milano. 113

re, tra l'altro, una migliore teoria economica e una migliore politica economica. Il professor Kindleberger aveva anche sottolineato di essere un economista della storia, non uno storico dell'economia. Il professor Porta disse che non essendo né l'uno, né l'altro avrebbe forse dovuto scusarsi anticipatamente se si addentrava in territorio altrui. Si sarebbe limitato a trattare due punti, senza entrare né nell'uno né nell'altro caso negli aspetti internazionali. Il primo riguardava un tema di politica economica, il secondo una questione teorica. Riguardo alla politica economica, la lezione che discendeva dalla interpretazione della storia che il professor Kindleberger aveva dato con la sua analisi della legge di Gresham era che la instabilità finanziaria era sempre latente. I sistemi finanziari non erano sempre e necessariamente instabili, ma le crisi finanziarie si potevano presentare rapidamente; la storia dava chiare dimostrazioni in questo senso. A questa lezione della storia non si era forse sufficientemente badato nel periodo di intenso sviluppo che aveva fatto seguito alla seconda guerra mondiale. L'atteggiamento delle autorità economiche nei riguardi delle strutture finanziarie, che negli anni Trenta aveva avuto l'obiettivo di aumentare la stabilità, aveva subito un graduale mutamento di rotta. Negli anni di maggiore crescita, la stabilità delle strutture finanziarie era passata in secondo piano e le autorità avevano concentrato i loro sforzi principalmente nel determinare un aumento dell'efficienza delle istituzioni creditizie e migliorare la loro capacità di trasmettere al sistema i segnali della politica monetaria di breve periodo. Questo diverso atteggiamento si era riflesso nelle varie riforme del sistema creditizio intraprese in diversi paesi verso la fine degli anni Cinquanta e ancor più negli anni Sessanta, riforme che si erano poste l'obiettivo di far aumentare la competitività e l'efficienza delle strutture, rimuovendo in numerosi casi molte delle restrizioni dettate dalle precedenti preoccupazioni per la stabilità. Nel corso degli anni Settanta gli eventi avevano riportato di nuovo al centro della scena l'instabilità finanziaria, che nei decenni precedenti era parsa un semplice ricordo. Negli anni più recenti i principali 114

paesi industrializzati avevano visto un'ondata di riforme finanziarie, indotte prima di tutto dalle preoccupazioni per l'instabilità, ed un riaccendersi del dibattito sulla forma più appropriata degli interventi necessari a salvaguardare la stabilità finanziaria. Da questa premessa discendeva la prima domanda del professor Porta. Il professor Kindleberger aveva espresso in queste lezioni e più esplicitamente altrove, e cioè nel suo recente volume sulle crisi finanziarie 9 , una preferenza per la salvaguardia della stabilità mediante il rafforzamento del ruolo delle autorità monetarie in quanto prestatori di ultima istanza, non solo internazionalmente, ma anche all'interno. Sarebbe stato interessante sapere cosa Kindleberger pensasse di altri approcci che erano stati presentati negli anni più recenti nelle discussioni sulla stabilità finanziaria, e specialmente cosa pensasse dell'opinione secondo cui le autorità non avrebbero dovuto intervenire ingiustificatamente per evitare ad ogni costo le crisi. Quanti sostenevano tale tesi ritenevano che gli interventi delle autorità potessero avere effetti negativi, in quanto, se il sistema fosse stato certo che le autorità sarebbero comunque intervenute, le istituzioni creditizie non sarebbero state indotte a comportarsi in maniera corretta e non speculativa così rigorosamente come in assenza di interventi. A questo riguardo Porta si chiedeva cosa pensasse il professor Kindleberger di modi alternativi di assicurare la stabilità, quali quelli basati su un più diffuso impiego delle assicurazioni (ad esempio l'assicurazione dei depositi), e sul rafforzamento del capitale delle istituzioni creditizie, modi che negli ultimi tempi erano stati ampiamente discussi. Per passare alla teoria, il professor Porta prese lo spunto dall'affermazione di Kindleberger che una teoria monetaria la quale non abbia spazio per l'instabilità da legge di Gresham non possa essere considerata completa, tesi con la quale si trovava d'accordo. Tuttavia, considerando la storia del pensiero, bisognava riconoscere che la teoria monetaria, o comunque 9 Charles P. Kindleberger, Manias, Panics and Crashes - A History of Fin ancia! Crises, Londra, New York I 978 (trad. it., Euforia e panico. Storia delle crisi finanziarie, Roma-Bari 1981).

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quella che aveva rappresentato l'ortodossia nel lungo periodo che precedette il lavoro di Keynes, non aveva attribuito eccessiva importanza all'instabilità. Come Hicks aveva affermato, discutendo la teoria monetaria di Ricardo 10 , l'esistenza dell'instabilità finanziaria era ben evidente per gli economisti, per i quali rappresentava un dato di fatto. Della instabilità si era scritto abbondantemente in economia applicata e, secondo Hicks, i banchieri la tenevano ben presente, ma di solito l'economia pura le prestava pochissima attenzione. Questo atteggiamento non poteva certo venire attribuito a tutti gli economisti pre-keynesiani, ma era piuttosto generalizzato. Hicks lo rilevava in Ricardo, e un altro economista che mostrava questa tendenza a un grado più marcato di altri era Walras, il quale si era costantemente occupato di temi monetari, in numerose occasioni aveva partecipato ai dibattiti sulle questioni monetarie dell'epoca e che aveva scritto a riguardo numerosi saggi 11 • Walras quindi era ben consapevole dell'esistenza dell'instabilità finanziaria, ma quando passò nelle varie edizioni degli Éléments a sviluppare la sua teoria pura della moneta, mise completamente da parte il problema dell'instabilità ed espose una teoria monetaria in cui esso non era presente. La teoria pura della moneta, con i suoi modelli astratti, e la storia monetaria, così piena di episodi di instabilità, sembravano aver seguito a lungo vie differenti. Secondo Hicks, tale separazione andava fatta risalire al fatto che la preoccupazione fondamentale della maggioranza dei teorici pre-keynesiani era di costruire una teoria che spiegasse l'evoluzione di lungo periodo dei sistemi economici e che il relativo metodo di analisi non lasciava spazio alla instabilità finanziaria. Sarebbe stato molto interessante conoscere l'opinione del professor Kindleberger su questa interpretazione di Hicks e, più in generale, sui problemi che la separazione, spesso molto marcata, tra teoria monetaria e storia monetaria poneva. 10 John R. Hicks, Monetary Theory and History: An Attempt at Perspective, in Criticai Essays in Monetary Theory, Oxford 1967 (trad. it., Saggi critici di teoria monetaria, Milano 1971). 11 I suoi principali saggi monetari sono raccolti in Etudes d'économie politique appliquée, Parigi 1898.

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Un'ultima breve considerazione sull'oggetto della teoria: per il professor Porta l'analisi della moneta di Keynes nella Generai Theory prendeva ampiamente in considerazione l'instabilità di Gresham. Invero la domanda di moneta a fini speculativi si inseriva in un contesto in cui l'instabilità e l'incertezza nelle aspettative erano di grande momento. Era perciò molto strano che la teoria monetaria keynesiana, che sembrava basata su una attenta considerazione della instabilità finanziaria 12 , avesse finito per generare una politica economica che, come lo stesso professor Kindleberger aveva messo in evidenza nella terza lezione, dava così poca importanza alla instabilità. Questo era un altro punto sul quale al professor Porta sarebbe piaciuto sentire l'opinione di Kindleberger. PIETRO MANEs* affermò che l'analisi della legge di Gresham del professor Kindleberger dava ulteriore sostegno alla sua tesi che non ci fosse bisogno di una nuova moneta che rimpiazzasse tutte le altre ma, paradossalmente, di una moneta che venisse rimpiazzata da tutte le altre. Una tale moneta, spiegò il professor Manes, avrebbe dovuto svolgere esclusivamente il ruolo di deposito di valore universalmente accettato, e non quello di unico e universale mezzo di pagamento. Secondo la legge di Gresham, sarebbe stato quindi estromesso dalla circolazione e gelosamente guardato nei sotterranei delle banche centrali. Questa moneta non avrebbe dovuto essere uno strumento creditizio, ma piuttosto una merce che non desse interessi, come l'oro. I Diritti speciali di prelievo non possedevano questo requisito e davano semplicemente maggiore spazio alla speculazione valutaria. Riferendosi alla considerazione del professor Pasinetti, secondo la quale differenze salariali internazionali contraddice12 L'importanza della instabilità finanziaria in Keynes ha recentemente ricevuto considerevole attenzione nel processo di reinterpretazione della sua opera. Considerazioni molto interessanti a riguardo si trovano in Hyman Minsky, fohn Maynard Keynes, New York 1975 (trad. it., Keynes e l'instabilità del capitalismo, Torino 1981). * Consigliere economico della RAS - Riunione Adriatica di Sicurtà, Milano.

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vano la legge del prezzo unico enunciata dal professor Kindleberger, il professor Man es indicò che uno degli errori fondamen tali della economia politica marxiana consisteva nel considerare il lavoro come una qualsiasi altra merce. Nei conti aggregati di una data economia, ricordò Manes, il costo del lavoro andava incluso tra i redditi, rappresentava una componente dell'output aggregato dell'economia. Ciò, forse, poteva spiegare perché differenze nel costo della manodopera non andassero considerate in contrasto con la legge del prezzo unico. FABRIZIO ONIDA * trovava la definizione di integrazione del professor Kindleberger - una tendenza verso il livellamento del prezzo dei fattori - poco illuminante. Sia il teorema di Samuelson di equalizzazione del prezzo dei fattori, sia la legge del prezzo unico si basavano su assunti che le moderne teorie del commercio internazionale stavano cercando di rendere superflui. Le critiche del professor Onida si riferivano a tre problemi: definire l'unità d~i fattori; la definizione di mercato competitivo; e la forma delle funzioni della produzione. Quanto alla definizione delle unità dei fattori, il professor Onida ricordò che lo stesso Leontief, tentando di spiegare il suo paradosso, aveva suggerito che un'unità di lavoro negli Stati Uniti era ben diversa da un'unità di lavoro in Europa. Lo stesso poteva dirsi, aveva aggiunto il professor Onida, di altri paesi e delle unità di capitale. Sul secondo punto, Onida ricordò che le moderne teorie della concorrenza sottolineavano come i mercati non fossero perfettamente competitivi; che esistevano varie barriere all'ingresso; che l'accesso alle innovazioni di prodotto e alle innovazioni di processo non erano uguali per tutti. Riguardo alla forma delle funzioni della produzione, Onida sottolineò che esse non erano necessariamente lineari (specialmente data la non omogenea distribuzione delle capacità manageriali). Il professor Onida era dell'avviso che, per meglio capire * Professore di Economia internazionale, Università Commerciale «Luigi Bocconi» di Milano.

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l'integrazione economica nel mondo di oggi, bisognava dare molta più importanza alla diffusione della tecnologia, alla disseminazione dei gusti, alle variazioni nella struttura del risparmio e del finanziamento degli investimenti. Sotto tutti e tre gli aspetti, una spiegazione di come l'integrazione economica superasse i confini politici e la distanza geografica poteva ottenersi esaminando le imprese multinazionali e i movimenti internazionali del capitale fisico e umano, che, aggiunse Onida, erano stati il tema di alcuni eccellenti studi recenti dello stesso Kindleberger. FRANCEsco S1LVA * si chiedeva se le quattro leggi così magistralmente descritte nelle lezioni del professor Kindleberger fossero compatibili tra di loro. Più precisamente, il professor Silva sostenne che la legge dell'unico prezzo non era compatibile né con la legge di Engel né con la legge ferrea dei salari, in quanto la prima era basata su giudizi di valore e una visione del mondo incompatibili con quelli su cui erano basate le altre. Il professor Silva ricordò che la legge di Engel era una teoria dinamica che vedeva la domanda come una funzione del reddito (considerato la variabile indipendente). Comunque, come il professor Kindleberger aveva indicato, era anche una teoria che aveva precorso le teorie del ciclo del prodotto e contribuiva a ·spiegare sia la struttura della crescita industriale, sia la divisione internazionale del lavoro. Qualsiasi impresa (o paese) dinamici sulla frontiera della crescita doveva muoversi sulla curva a S identificata dal professor Kindleberger per assicurarsi profitti di monopolio, la molla schumpeteriana della crescita. Le imprese dovevano entrare nel mercato nella parte ascendente della curva e diversificare la produzione nella sua parte declinante. La parte finale della curva a S, in cui la legge del prezzo unico era invero applicabile, veniva lasciata agli ultimi arrivati. Questi godevano di un vantaggio specializzandosi nei vecchi prodotti, a causa dei prezzi relativi favorevoli dei fattori della produzione, specialmente della manodopera. * Professore di Economia (Microeconomia), Università Commerciale «Luigi Bocconi» di Milano.

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Comunque, fintantoché la produttività era la principale determinante della tendenza di lungo periodo dei salari (come avevano illustrato alcuni recenti lavori di Turner), tale vantaggio non durava a lungo, in quanto l'impiego della tecnologia di importazione determinava un rapido aumento della produttività e, sia pure con un certo ritardo, dei salari. Così persino gli ultimi arrivati dovevano trovare punti più favorevoli del ciclo dei prodotti per guadagnare profitti di monopolio e evitare un rallentamento della crescita. La legge di Engel, perciò, spiegava perché una impresa (o un paese) orientati alla crescita dovevano evitare di cadere proprio in quella fase della vita del prodotto cui si applicava la legge dell'unico prezzo. Quanto alla legge ferrea dei salari, il professor Silva riteneva che, perché fosse coerente con la legge di Engel, dovevano verificarsi una delle seguenti condizioni o entrambe: 1) una distribuzione del reddito interno ineguale, e 2) l'aumento delle esportazioni. Entrambe le condizioni erano state presenti in Italia negli anni Cinquanta e Sessanta; i modelli di Lewis-Kindleberger e di Engel avevano potuto perciò coesistere, spiegando assieme il periodo ventennale di crescita che si era verificato allora in Italia. Il professor Silva non era certo che la legge di Lewis-Kindleberger fosse compatibile con la legge del prezzo unico. La crescita derivava dalla differenza nei prezzi dei fattori, specialmente di quello della manodopera; quando tali differenze scomparivano, secondo il professor Silva, la crescita poteva essere alimentata solo dalle innovazioni e dalla diversificazione, sfuggendo quindi alla legge del prezzo unico. Perciò, concludeva il professor Silva, se si applicava la legge del prezzo unico, non si applicavano quelle che spiegavano la crescita. Il professor Silva riteneva che le sue considerazioni potessero venir viste come un modo tortuoso di esprimere un'opinione largamente condivisa: l'opinione cioè che esistesse un ampio divario tra le teorie dell'equilibrio del mercato e dell'allocazione efficiente delle risorse (condensate nella legge del prezzo unico) da un lato, e le teorie della crescita (come le leggi di Engel e di Lewis) dall'altro. 120

G1ov ANNI BELLONE* riferendosi alla prima lezione del professor Kindleberger, e precisamente alla sua estensione della legge di Engel al di là degli alimenti, dichiarò di non sapere se tale estensione fosse confortata dalla evidenza empirica, che il professor Kindleberger non aveva fornito. Ma il punto che il professor Bellone desiderava sollevare era un altro. Qualsiasi estensione della legge di Engel al di là degli alimenti e di un riparo ne alterava radicalmente il nucleo fondamentale. Egli interpretava la legge di Engel come se dicesse semplicemente: quando il reddito è basso la struttura dei consumi è molto rigida, e quando esso aumenta la rigidità e i vincoli diminuiscono. Invero nelle stime empiriche della legge di Engel si vedeva. che la eteroschedasticità aumentava all'aumentare del reddito. Naturalmente era possibile correggere automaticamente gli effetti della eteroschedasticità adottando forme appropriate delle funzioni di Engel (come in generale si era fatto) 13 , ma la correzione era basata sull'assunto che, per la natura stessa del fenomeno, la varianza degli scarti differisse tra le varie osservazioni. In conclusione il professor Bellone desiderava fare presente che, quando si prendevano in considerazione le estensioni della legge di Engel proposte dal professor Kindleberger, si aggiungeva implicitamente un ulteriore bene, il comportamento discrezionale o, volendo impiegare termini più altisonanti, la «libertà dal bisogno». GIULIANO MussAn** si chiedeva se la legge di Gresham avrebbe potuto essere usata per spiegare l'instabilità della crescita industriale nei periodi recenti, se la si fosse applicata al di là

* Professore di Economia, Università degli Studi di Padova. 13 Vedi ad es., Conrad Emmanuel Victor Leser, Forms of Engel Functions, in «Econometrica», voi. XXXI, ottobre 1963, pp. 693-703; Hendrik S. Houthakker, An International Comparison of Household Expenditure Patterns, Commemorating the Centenary ofEngel's law, in «Econometrica», voi. XXV, ottobre 1957, pp. 532-51; Hendrik S. Houthakker, New Evidence on demand Elasticities, in «Econometrica», voi. XXXI, aprile 1965, pp. 277-88. ** Lettore di Economia e politica industriale, Università Commerciale «Luigi Bocconi» di Milano.

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delle attività finanziarie e di alcune attività reali (ad esempio proprietà immobiliari e terreni), includendovi sia attività tangibili come i capitali fisici, sia attività immateriali come il knowhow e l'avviamento. Una simile estensione, argomentò il professor Mussati, avrebbe potuto contribuire a spiegare fino a che punto variazioni nelle aspettative rispetto ai rendimenti di attività alternative potevano giustificare sia una minore propensione a investire sia la ricerca di attività reali a basso rischio (ad esempio proprietà immobiliari e terreni) e finanziarie. Se le multinazionali e quanti gestivano la politica industriale consideravano sia la decisione di passare dalla curva di un ciclo del prodotto ad un'altra, sia la possibilità di influenzare il tasso di crescita della domanda di un dato prodotto come variabili strategiche nelle loro scelte, si poteva affermare che la struttura stessa dei mercati poteva essere influenzata dal1' attivismo sia delle autorità economiche che determinavano la politica industriale, sia delle grandi imprese (ad esempio con misure riguardanti la ricerca e lo sviluppo, i trasferimenti di tecnologia, la diversificazione dei prodotti). Secondo il professor Mussati, la crescente importanza di tali fenomeni a partire dagli anni Sessanta poteva spiegare la crescente instabilità dell'andamento della crescita. In effetti, l'incertezza riguardo ai trasferimenti di tecnologia, i comportamenti delle grandi imprese in tema di concorrenza e la politica industriale perseguita dalle istituzioni nazionali potevano tutti incidere sulla incertezza relativa alle tendenze delle variabili che determinavano i rendimenti delle diverse attività produttive, favorendo quindi il passaggio ad attività reali a basso rischio e finanziarie, in linea con la versione allargata della legge di Gresham.

COMMENTI di Charles P. Kindleberger

Il professor Kindleberger si sentiva sopraffatto dal numero e dalla varietà di punti interessanti sollevati, durante la discussione, negli interventi e gli spiaceva che, a causa della brevità del tempo disponibile, non avrebbe potuto affrontare, come avrebbero meritato, molti di essi. Aveva deciso peraltro di fare alcuni commenti seguendo, per affrontare i vari temi, lo stesso ordine adottato nelle lezioni, e non quello degli interventi, lasciando alla fine le questioni metodologiche affrontate da molti. Entro certi limiti, gli pareva che avrebbe potuto tranquillamente esimersi dal dibattito semplicemente facendo presente quanti commenti in un senso erano stati controbilanciati da commenti di segno diametralmente opposto, anche se andava riconosciuto che le posizioni centrali non erano per ciò stesso corrette, ma avrebbero potuto essere sbagliate solo al 5.0% rispetto ad altre. Quanto alla legge di Engel, osservò che, mentre al professor Bellone non piaceva la generalizzazione da cibo e riparo a qualsiasi bene di consumo, numerosi altri - i professori Pasinetti, Silva e Mussati - sembravano disposti ad accettare l'idea. Quanto a lui, era perfettamente d'accordo col professor Bellone. Se la legge andava estesa oltre al cibo e al riparo, comunque qualcosa doveva pur restare un lusso, con una elasticità rispetto al reddito maggiore di uno (quanto meno il risparmio, o, paradossalmente, il non-reddito, il tempo libero). Peraltro, il professor Kindleberger ribadiva che rendimenti calanti nel consumo di specifiche voci di spesa, come si presentavano nel ciclo del prodotto, collegato in maniera 123

così interessante dal professor Silva al momento - tempestivo o tardivo - dell'ingresso sul mercato, andavano considerati una realtà ineliminabile. Kindleberger ricordò che l'elasticità rispetto al reddito di un dato bene - televisore, automobile, bicicletta, o quant'altro sarebbe stata diversa a seconda che esso fosse il primo, il secondo, il terzo ... del nucleo familiare, per cui l'elasticità media di reddito per tutti i televisori costituiva un pot-pourri che dipendeva dalla distribuzione del reddito. Ciò nonostante, riteneva che non si potesse negare che la legge di Engel, o dei rendimenti decrescenti nei consumi, rappresentava un fattore diffuso e potente dello sviluppo e della crescita dell'economia. Il professor Kindleberger dichiarò che l'interesse del professor Pasinetti per la non proporzionalità nei modelli della crescita era certamente apprezzabile. Era comprensibile che i teorici dell'economia preferissero appuntare l'attenzione sulla crescita bilanciata, in cui i fattori, la domanda di tutti i beni, il progresso tecnologico e simili, crescevano tutti a un tasso costante, in quanto la matematica era così più semplice (un po' come nella ben nota storia dell'uomo che aveva perso l'anello nel punto A, al buio, ma lo cercava in B perché la luce era migliore). A questo riguardo, il professor Kindleberger apprezzava molto l'abbandono di molti esercizi del genere, uno sviluppo positivo per la scienza economica. Il professor Kindleberger passò quindi ai commenti sollecitati dalla lezione, la seconda, sul modello di Lewis, ossia sulla legge ferrea dei salari. L'obiezione del professor Jossa sembrava fondata sulla credenza di Karl Marx, secondo la quale prima del capitalismo non sarebbero esistite né disoccupazione, né sottoccupazione. Il professor Kindleberger non era certo se la proposizione andasse presa come una costruzione teorica o come un dato di fatto. Erano in molti a pensare che il quadro di Engels, del felice lavoratore che tesseva in casa, con i bambini che gli giocavano attorno mentre lavorava qualche ora al giorno, prima di essere costretto alla giornata da dodici a quattordici ore nella fabbrica, fosse insensato e romantico. Il professor Kindleberger ricordò che persino alcuni keynesiani avevano sostenuto che non ci fosse mai stata disoccupazione prima della prima guerra mondiale, perché prima della de124

pressione del 1920-21 i salari erano comprimibili verso il basso; ma una conoscenza men che superficiale della storia avrebbe dissolto idee del genere come nebbia al sole. Il professor Kindleberger sapeva bene che l'introduzione di metodi meccanici di produzione distruggeva i vecchi metodi manuali e le manifatture incapaci di passare ai nuovi metodi, come illustravano i casi del settore tessile in India, in Irlanda, nella Slesia. Questo era il capitalismo.Ma era anche un risultato generale della introduzione di nuovi sistemi produttivi in qualsiasi sistema; chi non era in grado di adattarsi, perdeva terreno. Il professor Kindleberger si schierava con quanti ritenevano che la disoccupazione tecnologica fosse reale e tragica per i singoli, ma affrontabile come problema sociale, con le opportune misure. Quanto al fatto che l'occupazione in Italia non riuscisse ad aumentare, il professor Kindleberger fece riferimento alla spiegazione fornita da economisti come il professor Giorgio Fuà, che aveva messo in evidenza il dualismo del mercato italiano del lavoro, con un elevato numero di posti di lavoro nelle piccole imprese del Mezzogiorno che non venivano censiti. Peraltro, dichiarò di non avere particolari conoscenze sulla questione. Il professor Silva era stato così gentile da collegare la legge di Engel e la legge ferrea dei salari alla legge del prezzo unico, che contribuivano egualmente, assieme, alla soluzione del problema della allocazione efficiente delle risorse, mentre il professor Becattini riteneva che la legge del prezzo unico avesse maggior peso delle altre. Il professor Mussati aveva fatto un ulteriore passo suggerendo che la legge di Engel con tassi di crescita elevati determinasse la legge ferrea dei salari di Sir Arthur Lewis e che il mondo in contrazione della legge del prezzo unico potesse persino determinare instabilità alla maniera di Gresham, se la legge di quest'ultimo fosse stata applicata ad un ambito più ampio di quello delle monete, e delle monete nei confronti delle attività finanziarie, e cioè a tutte le attività finanziarie nei confronti delle attività reali. Il professor Kindleberger aveva la sensazione che escursioni del genere fossero molto più audaci di quanto lui stesso non avesse scelto di essere trattando tali leggi come uguali e separate; tuttavia riteneva che valesse la pena di perseguire i suggerimenti avanzati. 125

Il professor Kindleberger riteneva che la legge di Gresham si ponesse su una linea un po' diversa dalle altre tre, affrontando situazioni di squilibrio e non di equilibrio. Il professor Porta aveva sollevato tre punti critici a tale riguardo, uno di teoria, uno di fatto, uno di politica. Il punto teorico riguardava l'esegesi della Generai Theory di Keynes, che era stata presa dalla maggior parte dei keynesiani più tardi come una teoria dell'equilibrio, ma da Minsky e Porta come una teoria che metteva in evidenza le tensioni crescenti nelle posizioni debitorie che portavano alla instabilità. Sul piano storico il problema era come spiegare la stabilità del ventennio successivo alla seconda guerra mondiale, dopo quattrocento anni di crisi finanziarie che si erano susseguite più o meno a intervalli decennali. Sul piano della politica economica, il professor Porta aveva chiesto se l'instabilità esistente non sarebbe stata meglio affrontata non intervenendo, in quanto la consapevolezza da parte delle istituzioni creditizie, che in caso di problemi ne sarebbero state tirate fuori, le avrebbe rese più trascurate, facendo aumentare i rischi della loro gestione. Il professor Kindleberger riteneva che si trattasse di punti ben posti e importanti. Secondo lui la Generai Theory considerava ampiamente l'instabilità, ma gli esegeti vi avevano iniettato stabilità, riducendola a geometria e a un sistema di equazioni. Inoltre il fatto storico della prolungata stabilità dopo la seconda guerra mondiale probabilmente dipendeva dalla crescita del settore pubblico quale stabilizzatore intrinseco al sistema, anche se al costo di una certa inflazione. Quanto alla questione di politica, il dilemma era evidente, come nel caso del rischio di ordine morale connesso all'attività assicurativa. Il risultato tipico era un po' schizoide: promettere di non intervenire per rendere più evidenti le responsabilità delle istituzioni creditizie, ma, se si creavano problemi, intervenire, prevenendo la diffusione del contagio deflattivo. Questo approccio insoddisfacente - sul piano etico - non poteva che essere temporaneo, in quanto dopo alcuni casi le proteste di non intervento cessavano di essere credibili. II professor Kindleberger dubitava di aver pienamente compreso la portata dell'interessante suggerimento del professor Manes, in base al quale non era necessaria una moneta che 126

rimpiazzasse tutte le altre, ma una moneta che da tutte le altre venisse rimpiazzata. La legge di Gresham si riferiva alla moneta come mezzo di scambio e deposito di valore. Kindleberger era d'accordo col professor Manes sulla necessità di una moneta dominante come unità di conto. Alcuni anni prima l'economista più di successo nella storia universale, il professore e Presidente della Repubblica Luigi Einaudi, aveva scritto della necessità di una moneta «immaginaria» a Milano, dove nel diciottesimo secolo circolavano circa cinquanta monete diverse, che potevano essere trattate solo rapportandole separatamente ad un'unità di conto astratta 1 • Tuttavia, il professor Kindleberger non era sicuro di essere d'accordo, se il professor Manes aveva in mente la funzione di deposito di valore che sembrava implicita nel riferimento all'oro. Infine il professor Kindleberger passò alla legge del prezzo unico, rispetto alla quale ancora una volta vari partecipanti al dibattito avevano preso posizioni diverse. Il professor Pasinetti riteneva che la legge del prezzo unico si applicasse nella realtà ai beni, ma non ai fattori della produzione, e il professor Manes lo aveva ripreso per aver trattato la manodopera come una merce.Il professor Kindleberger concordava sul fatto che ci fosse un divario tra salari nei paesi avanzati e salari nei paesi sottosviluppati, specie col procedere della crescita economica nei primi, anche se ciò riguardava in parte paesi che erano passati per la rivoluzione demografica malthusiana e in parte paesi che non lo avevano ancora fatto. All'interno dei paesi avanzati, tuttavia, si era avuto un notevole livellamento sia dei salari sia dei tassi d'interesse. Il professor Onida intendeva rigettare totalmente il teorema della equalizzazione dei prezzi in quanto non esistevano fattori definibili come lavoro o capitale: le unità di lavoro incorporavano ammontari variabili di capitale umano, per cui non era possibile ottenere un totale significativo semplicemente contando le teste; la produttività del capitale fisico era collegata alle capacità manageriali; i mercati non erano di con1 Luigi Einaudi, Teoria della moneta immaginaria nel tempo da Carlomagno alla Rivoluzione francese, «Rivista di storia economica», voi. I, 1936, pp. 1-35.

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correnza; e le funzioni della produzione erano non lineari. Il professor Kindleberger trovava fondate e rilevanti tali argomentazioni; era però disorientato dalla tesi di Onida per cui le multinazionali rappresentavano una notevole forza di integrazione mondiale, diffondendo tecnologia e capacità di gestione e spostando i capitali. Secondo Kindleberger, qui c'era un paradosso. In un recente studio, Niehans aveva raggiunto la conclusione che la multinazionale poteva essere vista come un'integrazione verticale che superava i confini nazionali, intrapresa per timori connessi al mercato: paura di essere tagliati fuori dagli input da un lato o dai mercati dei prodotti dall'altro 2 • Nella misura in cui i mercati non funzionavano e le multinazionali vi si sostituivano, la legge del prezzo unico poteva ancora operare, anche se con una certa adulterazione da monopolio, nella determinazione dei prezzi. Anche le considerazioni del professor Filippini erano pertinenti, in particolare la distinzione tra dimensioni ottimali delle unità produttive e dimensioni più redditizie delle unità giuridiche in mercati oligopolistici. Tra i commenti sulla sua quarta lezione, il professor Kindleberger trovava particolarmente interessante l'insoddisfazione del professor Becattini per la sua idea che le dimensioni ottimali sul piano economico e le dimensioni ottimali sul piano sociale fossero tra di loro in conflitto. Era anche interessante la considerazione del professor Becattini sul fatto che commercio e contatti diffondessero cultura più di quanto non annacquassero culture separate, rendendole più omogenee. Il professor Kindleberger sperava che il professor Becattini avesse ragione, e che l'unità sociale ottimale fosse compatibile con la ottimale unità economica. Tuttavia il diffuso neo-mercantilismo, la resistenza alle immigrazioni, la discriminazione sociale ed economica nei confronti delle minoranze facevano pensare al professor Kindleberger che lo scontro fosse reale. A volte era stato detto che il nazionalismo era un bene collettivo, 2 Jurg Niehans, Benefits of Multinational Firms fora Small Parent Economy: the Case of Switzerland, in Tamir Agmon e Charles P. Kindleberger (a cura di), Multinationalsfrom Small Countries, Cambridge, Mass., 1977, pp. 1-39.

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come un parco pubblico. Negli anni a venire si sarebbe riscontrato molte volte che le unità sociali si opponevano, e si sarebbero opposte, al movimento verso l'integrazione economica dei mercati dei beni e dei fattori della produzione. Nel lungo periodo, riteneva disperata la resistenza, esattamente come il sogno dell'antropologo di preservare le unicità culturali si era dimostrato utopia. Il professor Kindleberger desiderava concludere con alcuni commenti sulle questioni metodologiche, e in particolare sugli acuti contributi dei professori Filippini, Becattini, Pasinetti e De Cugis. Non poteva non essere lieto che tanti preferissero la sua metafora sui martelli dell'orefice a quella più intensa e vivida del dentista di Keynes. Il professor Filippini aveva sollevato il vecchissimo dilemma che si poneva tra rigore e rilevanza. La scelta, o le intersezioni, tra i due aspetti erano vitali per la politica economica, ed ancora più essenziali riguardo alla storia. Modelli o leggi che tentavano di spiegare eventi fondamentali della storia potevano essere eleganti, ma probabilmente le loro capacità esplicative erano modeste. Che si dovesse necessariamente scegliere tra procedimenti induttivi e deduttivi era naturalmente un'illusione. La conoscenza derivava da un continuo spostarsi avanti e indietro, occupandosi dei fatti e della loro formulazione teorica. La formula del professor Becattini, per il quale i quattro strumenti non erano che uno, secondo il motto di Marshall dell' «uno nei molti e i molti nell'uno», era un'idea stimolante. Il professor Kindleberger riteneva però che il suo messaggio fondamentale fosse che si imparava sempre dalla disaggregazione, e che gli economisti analizzavano meglio gli equilibri parziali che l'equilibrio generale e davano migliori risultati quando offrivano la loro opera in qualità di economisti specializzati che non di filosofi morali. Era favorevole all'appello del professor Pasinetti, che chiedeva che nessun economista usasse tutti i possibili strumenti e trucchi del mestiere. Se gli economisti dovevano credere in qualcosa, dovevano credere nella specializzazione, nello scambio e nei vantaggi comparati nell'area di loro interesse. Tuttavia, i marginalisti dovevano ammettere che in regime autarchico sa129

rebbero stati meno bene, e che traevano vantaggio dalle importazioni da altri settori della scienza economica. Infine il professor Kindleberger affrontò le questioni interessanti e acute del professor De Cugis sulla superiorità dei modelli rispetto alle leggi, se la storia economica dovesse preoccuparsi dei processi generali o di eventi unici, e se ci fosse bisogno di una teoria generale della crescita, se non alla maniera di Rostow, almeno seguendo le penetranti indicazioni di Hartwell e di Gerschenkron. Il professor Kindleberger riteneva forti gli argomenti del professor De Cugis, ma non aveva voglia di ritrattare, e si asteneva dal ripetere quanto aveva detto. Ipotizzò l'ipotesi che fossero arrivati alla distinzione tra storici dell'economia e economisti della storia, con l'uno e l'altro che non sapevano bene da quale lato del confine si trovassero, non nettamente da un lato o dall'altro. Lo storico dell'economia era più interessato ai risultati, mentre l'economista della storia si lasciava incantare dai processi storici. Su questo punto De Cugis e Kindleberger si conformavano alle loro vocazioni dichiarate. Tuttavia Kindleberger dichiarò che l'interesse per le leggi atteneva più alla storia e quello per i modelli alla teoria, per cui su questo aspetto si erano scambiate le posizioni. Sul punto se la crescita si conformasse alla economia della storia o alla storia dell'economia, il professor Kindleberger non aveva convinzioni nette, ma tornava a credere che si potessero utilizzare le leggi che aveva schierato di fronte al suo uditorio per spiegare vari aspetti salienti del processo della crescita, benché continuasse a non essere disposto ad accettare nessuna delle grandi teorie sistematiche. Erano queste strutture che abbracciavano tutto, onnicomprensive, mono-causali, cui si opponeva radicalmente.

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INDICI

INDICE DEI NOMI

Abrahams, Paul P., 63n. Adler, F. Michael, 89n. Agmon, Tamir, 85n, 125n. Arendt, Otto, 55-6. Arrighi, Giovanni, 112 e n. Ashley, W.J., 67n. Ault, D.S., 78n. Bagehot, Walter, 27 e n, 36 e n, 55n, 56 e n, 63n, 67 e n, 72 e n, 94, 95 e n, 106. Bagwell, Philip S., 78n. Bamberger, Ludwig, 55. Barbour, Violet, 78n. Baring, Alexander, 53n, 88. Baxter, James Phinney, 6. Becattini, Giacomo, 103-7. Becker, Gary, 37. Beli, Daniel, 21 e n. Bellone, Giovanni, 121. Bhagwati, Jagdish Natwarial, 45n, 46n. Bismarck, Otto von, 92. Braudel, Fernand, 75 e n. Braun, Rudolf, 29, 30n. Bryan, William Jennings, 56. Burk, Kathleen, 63n. Cairnes, John Elliott, ,x. Cannan, Edwin, 9n. Carli, Guido, 112. Carlo V di Spagna, 57. Carlson, Sune, 85 e n.

Castronovo, Valerio, 27n. Cavour, Camillo Benso conte di, 92. Cernuschi, Henri, 56, 59. Chandler, Alfred D., 84 e n. Chevalier, Miche!, 33n, 34n, 53-4, 55 e n, 56, 60n, 77 e n. Clapham, John, 54n, 70n. Clark, Colin, 4, 5n, 21 e n, 24, 25n. Clay, Henry, 61n. Cobbett, William, 59. Cobden, Richard, 55n. Colombo, Cristoforo, 53. Colt, Samuel, 90. Copernico, Nicolò, 49-50. Corti, Egon Caesar, 88n. Crisp, Olga, 32 e n. Dardel, Pierre, 1xn. Davis, Ralph, 54n, 78n. Dawes, Charles G., 88. Decugis, Carlo, 97-9. de Gaulle, Charles, 92. Denison, Edward F., 40 e n. de Roover, Raymond Adrien, 49 e n. De Rosa, Luigi, 90n. De Vries, Jan, 77n. Diaz-Alejandro, Carlos, 46n. Di Tella, Guido, 14n. Dollinger, Philippe, 78n. Domar, Evsey D., 36 e n. Dornic, François, 8n. Duesenberry, 24.

147

Emden, Paul H., 55n. Engel, Ernst, 3-8, 10-2, 15, 17-8, 2021, 23-4, 71, 73, 79, 100 e n, 101, 104, 119-21. Engels, Friedrich, 3, 28 e n, 46. Engerman, Stanley L., 36 n. Enrico il Navigatore, 53, 78.

Hutton, Richard Holt, 27n. Imlah, Albert H., 84n. Innes, Harold, 96. lsard, Walter, 74n, 79. Jackson, Andrew, 60. Jossa, Bruno, 109-13. Junker, 56.

Fei, John C.H., 25 e n. Fetter, Frank Whitson, 53n. Filippini, Carlo, 107. Fisher, A.G.B., 4, 5n. Fogel, Robert W., 36n. Fox, Edward Whiting, 75 e n. Galbraith, John Kenneth, 5 e n, 9 e n. Garnier-Pages, 59n. George, Henry, 35. Gerschenkron, Alexander, 14 e n, 15 e n, 18 e n, 98. Girard, Louis, 78 e n. Gompertz, 4, 12-3, 15, 19-20, 71. Gordon, Robert A., 108 e n. Gossen, Hermann Heinrich, 101. Goubert, Pierre, 8n. Graham, Frank D., 61n. Gresham, Thomas, 49-52, 57-62, 6468, 70-3, 87, 104, 113-5, 117, 121122. Habakkuk, Hrothgar John, 31n, 34 e n, 78n. Hardach, Gerd, 32n. Hartwell, R.M., 98. Haviland, 90. Heckscher, Eli F., 51 n. Helfferich, Karl, 55-6. Helleiner, Gerald K., 46n. Hicks, John R., 57, 116 e n. Hill, Forrest, 58, 59n. Hirsch, Fred, 61n. Hirschman, Albert O., 78 e n. Hohenberg, Paul M., 21n. Holt, Humphrey, 49-50. Hoselitz, Berthold Frank, 14n. Houthakker, Hendrik S., 121n. Hufbauer, Gary C., 89n. Huskisson, William, 69.

Keyder, Caglar, 18 e n. Keynes, John Maynard, vm e n, rx, 52en, 88, 93, 94n, 97, 99,116,117 e n. Kindleberger, Charles P ., 3, 19n, 26n, 52n, 59n, 83n, 85n, 90n, 93n, 97111, 113-4, 115 e n, 116-21. King, Peter, 53n. Knapp, Georg. F., 70-1. Kocka, Ji.irgen, 90n. Krantz, Frederick, 21n. Krause, Lawrence B., 12n. Kung-Chia Yeh, 33n. Laffitte, Jacques, 83. La Force, J. Clayborn, 78n. Laspeyres, Etienne, 18. Lauderdale, conte di, 53n. Law, John, 60, 83. Leontief, Wassily W., 101, 118. LePlay, Frédéric, 4. Leser, Conrad E.V., 121n. Lewis, Arthur W., 23 e n, 24-32, 35, 37-8, 40-1, 43-4, 46, 73, 104, 109113, 120. Linder, Staffan Burenstam, 9 e n. Lindert, Peter H., 61 e n. Lunn, Beatrix, 88n. Lunn, Brian, 88n. Luzzatto, Gino, 3n. Magee, Stephen P ., rxn, 12 e n. Malthus, Thomas Robert, 23. Manes, Pietro, 117-8. Marshall, Alfred, 57 e n, 98, 104. Marx, Karl, 14, 23, 73, 96, 99, 104-6, 110-1, 112 e n. Mathias, Peter, 27n, 32n.

148

Mattioli, Raffaele, v, 3n. McCloskey, Donald, v11 e n, 113. McKinnon, Ronald I., 82 e n. McLeod, Henry D., 49. McNeill, William Hardy, 31n. Mendels, Franklin F., 29 e n. Meyer, John, 10 e n. Mili, John Stuart, 67 e n. Minsky, Hyman, 117n. Mirabeau, Victor Riqueti, 54. Mokyr, Joel, 30 e n, 32. Molière, Jean Baptiste Poquelin, 56. Mollien, François Nicolas, 51n. Morier Evans, David, 63n. Mundell, Robert, 91 e n. Mussati, Giuliano, 121-2. Myrdal, Gunnar, 81 e n, 110 e n. Napoleone I, 51, 83. Neumann, John, von, 101. Newton, lsaac, 54. Nixon, Richard, 20, 95. Nurkse, Ragnar, 11, 64n. O'Brien, Patrick Denis, 18 e n, 67n. Officer, Lawrence H., 88n. Onida, Fabrizio, 118-9. Oppenheimer, Peter Morris, Ixn. Oresme, Nicola, 49-50. Overstone, Lord (Samuel Jones Loyd), 67 e n. Paasche, 18. Palmer Thompson, Edward, 77n. Pareto, Vilfredo, 101. Parieu, Esquirou de, 53. Pasinetti, Luigi, 99-100, 102en, 117. Patrick, Hugh T., 12n. Péreire, Jacob-Émile, 83. Péreire, Isaac, 83. Polanyi, Karl, 28n. Pollard, Sidney, 26, 27n, 32. Porta, Angelo, 113-5, 117. Postan, Moisei Mikhail, 27n, 32n, 78n. Posthuma, Suardus, 57 e n. Potter, David M., 34 e n.

Ranis, Gustav, 25 e n. Ricardo, David, 13, 23, 105, 116. Riesman, David, 9, !On. Robins, Norman I., 12 e n. Roe, Thomas, 83. Roehl, Richard, 16 e n. Roosevelt, Theodore, 92. Rostow, Walt Whitman, 4, 13, 14 e n, 15-6. Rothschild, Nathan, 87. Rueff, Jacques, 61 e n, 62, 71. Salant, Walter S., 21n. Samuelson, Paul, IX, 101, 118. Sandberg, Lars G., 16n. Saul, John S., 112n. Say, Jean Baptiste, Ix. Schumacher, E.F., 92 e n. Schumpeter, Joseph A., 96. Scoville, Warren C., 78n. Servan-Schreiber, Jean-Jacques, 92 e n. Shaw, Edward S., 82 e n. Sherwig, John M., 88n. Silva, Francesco, 119-20. Smart, William, 53n, 69n. Smith, Adam, 6, 9 e n, 67 e n, 73 e n, 74, 75n, 81, 104-5, 107. Smith, Cyril Stanley, 12, 13n. Spooner, Frank C., 57n. Steinberg, S.H., 78n. Stigler, George, 100n. Stevas-St. John, Norman, 27n. Stolper, Ix. Sunkel, Osvaldo, 45n. Supple, Barry E., 83n. Taira, Koji, 32n. Thiers, Louis Adolphe, 88. Thompson, Poulett, 53n. Tinbergen, Jan, 79 e n. Torrens, Robert Richard, 53n. Triffin, Robert, 61 e n, 62. Turgot, A.R.J., 54. Turner, Herbert A.F., 6, 120. Tyszynski, H., 10, !In. Vaciago, Giacomo, 40n.

149

Van der Tak, Herman G., 19n. Van Dillen, J.G., 51n, 58n. Vanek, Jaroslav, 19n. Vilar, Pierre, 54n. Walras, Léon, rx, 116. Wan, Henry Y., 33n. Weber, Eugen, 75 e n. Wellington, duca di, 87. White, Judith, 54n. Whittlesey, Charles R., 61n.

Wicksell, Knut, 55 e n. Wilkins, Mira, 90n. Williams, John, 72. Williamson, John G., 56n. Wolowski, Louis, 49 e n, 53n, 55, 56 e n, 58. Yuan-Li, 33n. Zymelman, Manuel, 14n.

INDICE DEL VOLUME

Prefazione

VII

1. La legge di Engel

3

1. Introduzione, p. 3 - 2. Legge di Engel e crescita, p. 4 - 3. La legge di Engel quale legge generale dei consumi, p. 7 - 4. La curva di Gompertz e la legge di trasformazione, generalizzazione della legge di Engel, p. 12- 5. Limiti delle generalizzazioni della legge di Engel per spiegare il decollo nei processi di crescita, p. 15

2. La legge ferrea dei salari

23

1. Il modello della crescita di Lewis, p. 23 - 2. Un'applicazione all'Europa occidentale, p. 26 - 3. Il modello di Lewis e la crescita degli Stati Uniti, p. 34 - 4. Il modello di Lewis e la crescita europea nel dopoguerra, p. 37 - 5. L'assenza di fonti di crescita esogene, p. 44

49

3. La legge di Gresham 1. Introduzione, p. 49- 2. Instabilità del mercato per differenti monete, p. 52 - 3. Instabilità del mercato e convertibilità delle banconote, p. 58 - 4. Instabilità del mercato con valute di riserva di due banche centrali, p. 61 - 5. Attività reali e finanziarie: un problema generale di instabilità del mercato, p. 66

4. La legge del prezzo unico

73

1. Introduzione,p. 73-2. Mercatietrasporti,p. 74-3. Integrazione

economica e equalizzazione del prezzo dei fattori, p. 79 4. Integrazione economica e meFCati monetari e dei capitali, p. 82 5. Integrazione economica e eliminazione di transazioni in terme-

151

die, p. 83 - 6. Il ruolo dell'arbitraggio, p. 86 - 7. Il problema degli investimenti esteri diretti, p. 89 - 8. L'area economica ottimale, p. 91 - 9. Conclusioni, p. 96

97

Discussione Commenti

di Charles P. Kindleberger

123

Bibliografia

131

Indice dei nomi

147

Sagittari Laterza 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7. 8. 9. 10. 11. 12. 13. 14. 15. 16. 17. 18. 19. 20. 21. 22. 23. 24.

Paolo Sylos Labini Le classi sociali negli anni '80 Giuliano Toraldo di Francia Le cose e i loro nomi Franco Ferrarotti La storia e il quotidiano Antonio Gambino Vivere con la bomba L.udovico Geymonat - Giulio Giorello Le ragioni della scienza Ludwig Wittgenstein Diari segreti Aldo Rizzo Guerra e pace nel Duemila Omar Calabrese L'età.neobarocca William Barrett La morte dell'anima Franco Ferrarotti Il ricordo e la temporalità J iirgen Habermas Il discorso filosofico della modernità Cesare Merlini Fine dell'atomo? Grahame Clark L'uomo oltre la natura Achille Ardigò Per una sociologia oltre il post-moderno Morris N. Eagle La psicoanalisi contemporanea Aldo G. Gargani Sguardo e destino Maria Luisa Dalla Chiara - Giuliano Toraldo di Francia La scimmia allo specchio. Osservarsi per conoscere Ralf Dahrendorf Per un nuovo liberalismo Antonio Cassese I diritti umani nel mondo contemporaneo Jerome Bruner La mente a più dimensioni Franco Ferrarotti La sociologia alla riscoperta della qualità David I. Kertzer Riti e simboli del potere Paolo Sylos Labini Nuove tecnologie e disoccupazione Carlo Sini / segni dell'anima

25. Mirko D. Grmek Aids. Storia di una epidemia attuale 26. Alberto e Anna Oliverio Nei labirinti della mente 27. Paul K. Feyerabend Dialogo sul metodo 28. Ralf Dahrendorf Il conflitto sociale nella modernità

Sagittari Laterza

I

n quattro magistrali lezioni, ognuna dedicata ad una legge economica, Kindleberger dimostra che in economia non esistono modelli o teorie in grado di spiegare qualsiasi aspetto della realtà storica. L'economista deve operare come l'orefice: avere a disposizione innumerevoli strumenti di lavoro e scegliere a seconda delle situazioni quelli che possono essergli utili. Charles P. Kindleberger (New York, 1910), professore emerito al Massachusetts Institute of Technology, è autore di numerosi e rilevantissimi studi di storia economica e finanziaria. Tra le sue opere tradotte in italiano: Economia internazionale (Milano 1969), La grande depressione nel mondo 1929-1939 (Milano 1982) e, per i nostri tipi, Euforia e panico. Storia delle crisi finanziarie (1981), e Storia della finanza nell'Europa occidentale (19 8 7).

ISBN 88-420-3624-2

Lire 22000 (i.i.)

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9 788842 036241

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