Spinoza incula Hegel. Romanzo nero di guerriglia e di passione 8876150781, 9788876150784

"lo, Julius, Comandante del gruppo crash più odiato dal popolo ripugnante degli Hegeliani, non ho che nemici. E al

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Italian Pages 103 [109] Year 2005

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Table of contents :
SPINOZA INCULA HEGEL
Spinoza incula Hegel
Introduzione, prefazione e avvertimenti a tutto spinozismo
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Prolegomeni a tutto Crash
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Cacca + suicidio
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Black Crow Blues
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Iper-Clausewitz, dico io
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Anastasia Screamed in Vain
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Only the Death Determines
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La pelle del Re Lucertola
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Walking the Dog
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Il mese di maggio dell'almo schizoide II
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Momo ancora e per sempre
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Il giro paranoico di Jaja K.
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Toilette d’anime
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Il Blues del Damerino
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Finaletik
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Satana alla paranoia
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Spinoza Forever
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Indice
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Spinoza incula Hegel. Romanzo nero di guerriglia e di passione
 8876150781, 9788876150784

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Jean-Bernard Pouy

SPINOZA INCULA HEGEL Romanzo nero di guerriglia e di passione

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Contatti NUOVA SERIE

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I edizione: maggio 2005 Titolo originale: Spinoza encule Hegel © Editions Baieine - La Seuil 1996, 1999 © Alberto Castelvecchi Editore srl Via Isonzo, 25 00198 Roma Tel. 06.8412007 - fax 06.85865742 www.castelvecehieditore.com [email protected] Art Direction: Chiara Mammì & Elisa Passacantilli Editing e impaginazione: Tiziana Lo Porto Cover: Francesco Donadei Traduzione dal francese: Daniela Mattei Si ringrazia VAutore per la grande disponibilità e il prezióso aiuto ISBN: 88-7615-078-1 Importante: i dattiloscritti inviati all’attenzione della casa editrìce non verranno restttti0p%m —

Jean-Bemard Pouy

Spinoza incula Hegel Romanzo nero di guerriglia e di passione

C A S T E L V E C C H I

In trod u zion e, p refazion e e avvertim enti a tu tto sp in ozism o

Dopo tutto, dal momento che state per leggere il mio primo testo pubblicato, forse è il caso che vi chia­ risca due o tre cose. E credo sia gentile da parte mia farvi un quadro, an­ che se tardivo, di tutti coloro che hanno gentilmente preso in considerazione il mio improbabile lavoro. Considerando la sua esistenza velleitaria e la sua inesplicabile durata, mi sono permesso di scrivere, ora, a più di treni anni dal suo concepimento, due ri­ ghe per spiegarvi la sua genesi, soprattutto perché a pensarci bene io non avevo alcuna voglia né di scri­ vere, né di entrare nei mondi, ahimè estremamente hegeliani, della letteratura anche se popolare, e del­ l'editoria anche se tascabile. All'epoca lavoravo nell'ambito dell 'Education Na­ tionale, in quel buon liceo di Ivry (dal quale usciro­ no, poco dopo, e tra gli altri, Tonino Benacquista e Maurice Dantec) in qualità di animatore culturale. E ogni anno, nell'oscurità della sala di proiezione, dive­ nuta poco a poco un luogo di appuntamento imper­ dibile per le anime mezze perdute della scuola, quel­ le teste brune e ricce mi chiedevano di raccontargli le gesta epiche, barricadere e molotoviste, del Mag­ gio Sessantotto. 5

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E visto che la relazione esatta (dunque abbastanza povera) dei fatti e degli avvenimenti storici mi an­ noiava non poco, con la sua ripetizione barbosa, mi sono permesso via via di dare maggior forza al tema, indirizzarne il sintagma e abbellirne potentemente il paradigma, aiutato dall'immaginazione di alcuni stu­ denti, tra cui François Crosnier (al quale questo libro è dedicato e che poi sarà trasfigurato nel romanzo nei personaggi di Crocs e di Niais1). Dopo qualche anno il Maggio Sessantotto e i suoi miti ricorrenti erano diventati un terreno di gioco molto simile a quello in cui dovevano svilupparsi le vi­ cende di Mad Max, concepito proprio nello stesso mo­ mento nel bush australiano. Il film uscì prima della pubblicazione del libro, cosa che mi valse più di un commento acido da parte del direttore della collana (secondo lui avrei dovuto sodomizzare tutti quelli che mi accusavano di plagio). Per farla breve, io ho semplicemente consegnato per iscritto un racconto orale che funzionava benissi­ mo con i giovani studenti che preferivano di gran lun­ ga le avventure spinoziste a quelle di Cohn-Bendit. E poi, hop, ho chiuso tutto in un cassetto. Tempo dopo alcuni amici lo leggono, tanto per di­ vertirsi un po'. E si divertono. Ma la cosa finisce lì. Uno di loro, addirittura, si esalta (Daniel Pennac, scusate se è poco). Un altro mi esorta a mandarlo a una casa editrice (Le Seuil), ma un acuto lettore mi di­ ce che, visto il suo stile, la casa editrice avrebbe prefe­ rito piuttosto che Hegel inculasse Spinoza. Ce la ridiamo. E poi, non so più per quale genere di connessione, Patrick Mosconi, apache metropolitano, creatore di «Sanguine» (e del neo-polar), inciampa nel manoscrit­ to e mi dice: l'adoro. Stupore. Doppio, perché diventiamo subito amici. Questo testo - dice lui - non è un neo-polar; è trop­ po breve, e resta fuori collana. 6

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Ma mi domanda di lasciarlo fare. Io me ne frego un po', non smanio dal desiderio di essere pubblicato. Nello stesso periodo, conosco a Nizza Patrick Raynal. Stupore reciproco, perché diventiamo subito ami­ ci (da allora il migliore). E lui ha già pubblicato un libro per la collana «San­ guine» (Un tuer dans les arbres) e ne prepara un altro. Tutto questo negli anni Ottanta. Due anni dopo Mo­ sconi è più o meno liquidato da Albin Michel (senza tt oppe spese, perché credo che i suoi stipendi non fos­ sero equivalenti al lavoro compiuto; lavoro enorme, aveva scoperto Villard, Jonquet, Delteil, Raynal e molIi altri), e decide di chiudere in bellezza con un nume­ ro 16 che, almeno per me, segna la svolta. Era prevista l'uscita di La clef de seize di Raynal. Mosconi gli chiede il permesso di aggiungere in re­ galo, senza avvertire nessuno, Spinoza incula Hegel. Raynal accetta. Io, voi capite, sono pazzo di gioia. Ed è durante il Festival, un po' familiare, di Reims, che escogitiamo il trucco, vale a dire un legame tra i nostri due testi (Raynal cambia gentilmente il nome di uno dei suoi personaggi e gli calza un paio di stivali di lucertola viola). Bello scherzo! Chiamiamo questo giochetto: «Very Nice». A libro stampato, Mosconi ci pressa a teil punto che facciamo una conferenza stampa sul genere: definiti­ vo, revanscista e volgare! Non risparmiamo proprio nessuno, così da allora sono nate lunghe inimicizie. Ricordo in particolare una dedica a Geneviève Dobermann. Sul libro avevo scritto: «Non so cosa mettervi». E Raynal aveva aggiunto: «Io sì!...». Risultato: neanche una critica - salvo un Lebedel assassino e un Joe Staline (sic) entusiasta. Albin Michel svende tutta la collana, che viene spe­ dita dritta dritta in Belgio. Molto più tardi Gallimard indica nella mia produzione: Spinoza..., e alcuni ricer7

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catori mi contattano per avere dettagli sul mio lavoro filosofico... Dieci anni dopo mi rendo conto che non poteva es­ serci migliore esordio (si fa per dire...) di questo te­ sto, visto tutto quello che sarebbe successo in seguito. Avevo guadagnato in un colpo solo un sano apprez­ zamento dal mondo dell'editoria e un'attitudine alla letteratura. Ci avevo provato gusto, da allora mai più scomparso. Avevo trovato un amico carissimo che tempo do­ po, alcuni non lo sanno, sarebbe diventato direttore della «Série Noire» (quello che si potrebbe chiamare un destino... spinozista). Ho perso i contatti con Mosconi, che ha scelto di far parte di una tribù diversa dalla mia. Ma avrò sempre per lui una feroce ammirazione e una gratitudine infinita. Dieci anni dopo un altro giovane editore, che è an­ che scrittore (anch'egli diventato un amico), mi chiede di ritentare il colpaccio. Più precisamente, di permettere a Spinoza di gioca­ re lo stesso tiro a Hegel. È un segno. Quello di una seconda vita. E lo ringra­ zio pubblicamente. Nel frattempo con Tonino Benacquista mettiamo giù un adattamento cinematografico che immagina un futuro colorato dalle idee del Grand Barbu2: ovvia­ mente siamo stati immediatamente radiati dai custo­ di dell'ortodossia del technicolor. Ma la sceneggiatura esiste. Avviso gli amatori del ci­ nema underground... Quello che segue è il testo originale. Ho pensato per un attimo di rimaneggiarlo, modificarlo, perché an­ nunciava, per quattro soldi, cose che in seguito si sa­ rebbero avverate. Ma sarebbe stato, moralmente, un errore. 8

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Dunque, a parte tre o quattro parole che non posso più vedere stampate, resta lo stesso testo scritto nel 79. J e a n -B e rnar d P ouy

Note 1. In questa traduzione italiana si è preferito tradurre Niais come il 'Grullo', [ndt]. 2. Letteralmente, il 'Grande Barbuto': espressione che Pouy utilizza per Karl Marx, [ndt].

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P rolegom en i a tu tto Crash Fiction spinozista #1

Il cadavere è sul ciglio della strada, una mano inchiavicata nel bitume appiccicoso. Il vento fetido, che soffia da una discarica vicina, gli agita appena i ca­ pelli bianchi. Qualche ciocca resta incollata allasfalto. È estate, la seconda dopo il grande bordello. Ri­ balto il morto con la punta del mio stivale di lucertola viola. Proprio come pensavo, un neo-Punk. Il petto la­ cerato, tranciato vivo, il cuore sfrattato, la giacca di daino verde inzuppata di sangue come una spugna, il corpo nudo dalla testa ai piedi. Intatte, le sue gambe chiare sembrano di porcellana. Guardo preoccupato la pianura deserta e la strada dritta. È il quinto questa settimana, tutti morti e con­ ciati allo stesso modo. Di questo passo la banda dei neo-Punk rasenterà lo zero assoluto. Mi abbasso e ba­ cio il giovane morto sulle labbra, ma è decisamente un cadavere. Mi vedo rialzarmi nei suoi occhiali neri. Cammino in silenzio lungo il bordo della strada col­ pendo lentamente con il piede vecchie bottiglie di pla­ stica che sopravvivono. I miei uomini, dietro di me, non si muovono, le moto sono silenziose, solo le selle cigolano, il camion è in folle, qualche fruscio. Era tutto come in un film. Mi vedevo, è per questo che uso Im perfetto. Sulla strada, io, solo, un po' più lontano, le tre moto, il Magirus Deutz da 25 tonnella11

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te, tutto intorno il deserto e disgustosa, la discarica di Miramas. «Gli Hegeliani hanno rotto! Cagheranno sangue!». Momo ha parlato. È in sella alla sua Moto Guzzi e si dondola nervosamente. Ha in testa un cappello di lana dai colori urlanti e le due P38 alla cintura. I ca­ pelli seguono il dondolio e sfregano la tela del suo im­ permeabile beige. Mi giro per fargli capire con uno sguardo che la penso come lui. Questo li rassicurerà, lui e gli altri. Avevamo perso le tracce di Hegel solo da dieci gior­ ni e quei figli di puttana ne approfittavano per affilarsi le unghie sui Punk. Preda facile. Quegli omuncoli era­ no sempre in ritardo su tutto e tutti, figuriamoci di fronte a una pistola. Li avevamo incontrati, o almeno quel poco che avanzava della loro cricca, zombi fatti a morte, ed era scoppiata solo qualche risata. E adesso ce n erano cinque in meno. «Per Baruch! Dobbiamo beccarli prima che rag­ giungano Marsiglia, perché una volta là sarà difficile incastrarli...». Silenzio. Avevo parlato. E ora questi aspettavano il seguito. «Tanto per cominciare a Marsiglia ci sono quelli di Carlo Ponti. Quei damerini sarebbero fin troppo con­ tenti di aiutarli a imbottirci di piombo...». Carlo Ponti, una lunga storia, il Grullo si era separa­ to dagli Spinozisti e si era unito a loro, un gruppo co­ stituito in onore di un vecchio italiano, stronzo e ricco sfondato. Da allora quegli imbecilli andavano in giro in Rolls, tra lusso e tutto quanto. Pericoloso com'era, il Grullo doveva aver messo su un racket coi fiocchi sulla Costa... «Beh, allora che si fa?», azzarda Momo. Lascio che il silenzio penetri come una siringa. «Si torna alla base, carichiamo tutto, e domani si parte, o ci fanno fuori loro o li facciamo fuori noi. Punto e basta, e che Spinoza sia con noi!». 12

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Momo mette in moto deciso, gli altri lo imitano. Monto al volante del camion. Riton passa nel cassone. Gli undici membri della Frazione Armata Spinozista stanno per entrare nella leggenda del Crash. L'emozio­ ne fa abbandonare al mio viso i suoi tratti statico-terrificanti. Un incontestabile sudore d'angoscia mi cre­ pita furiosamente in mezzo alle cosce, mi prude. Ecco. Il vento dominante di libertà che annaffia le nostre teste non è il frutto di una lunga lotta, come direbbe­ ro i (trots)Kisti, ma il risultato logico e mordoré di un'accumulazione primitiva di fatti, di piccoli fatti, di piccoli avvenimenti paradossali, essi stessi prodot­ ti da un grande bordello. Sono passati già due anni. Che dire? Che Spinoza mi aiuti! La strada è dritta e il camion, al momento velocissi­ mo, vibra. Guido con una mano sola, la direzione è si­ cura, il finestrino aperto m'inonda il viso di vento tie­ pido e rombi di motore. Davanti, Momo zigzaga sulla sua moto e come al solito sta urlando al vento melopee balorde. Sembra sempre che gridi di dolore men­ tre proferisce impunemente pezzi di pura bellezza. Io, Julius Puech, chi sono al momento? Ebbene, io sono la testa pensante e il nervo della guerra dalla Fas. Io regno, grottesco e pericoloso, su dieci individui di sesso maschile, altrettanto incazzati e suicidi. Animati dalla somma intelligenza di coloro i quali avanzano verso il burrone grigio della morte eventuale, noi filosofiamo con la gloria effimera, in accordo con il mondo che ci circonda. Là, dentro il Magirus, mentre la strada fila dritta, nel silenzio della mia testa, voglio cercare di ricordare. Questi Hegeliani di merda, soffriranno molto di più se cerco di ricordare perché li stiamo inseguendo, su questa polvere, su questo asfalto molle che costeggia i terreni di riporto. Intorno a noi aleggia l'odore della penicillina e dello stafilococco in calore. 13

C acca + su icid io Iconografia spinozista #1

Io, Julius, una vita fa, due anni e mezzo circa, ho visto, insieme all'intera popolazione cittadina france­ se, la mia vita cambiare in poche ore, un 6 novem­ bre. Storicamente, e al punto in cui siamo, mi sem­ bra superfluo parlare di tutte queste stronzate. Che dire? Il cielo rosa? La pioggia di fuoco? I morti dap­ pertutto? La razzia? L'esodo? Mi sono ritrovato libero e incazzato, in quel bor­ dello generale in cui l'angoscia dei paranoici rivaleg­ giava con l'energia militante degli umanisti di ogni specie, del genere populista forsennato che cerca di rimettere il sociale in carreggiata. La mia donna e i miei amici più cari erano spariti. Ho preso parte alla razzia concentrando - preveggente il ragazzo - tutta la mia attenzione sulle armi. Poi me la sono svignata, e ho vagabondato, cane smarrito senza vaccino, at­ torno a un grande riverbero spento. E, poco a poco, di fronte alla ricostituzione delle milizie locali, alla sudicia stupidità dei sopravvissuti che svaligiano tutto, pur nella legalità, di fronte al ri­ sveglio del poujadismo organizzato, mi sono rimesso all'opera: dapprima agli inceneritori di Ivry, i cadaveri s'appiccicavano alle macchine, la colla delle ossa, in­ somma, avrete capito... Sono stato cacciato dai miei colleghi senza alcun ritegno per aver scritto abbasso il 14

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su un camion per Timmondizia, anzi... per i cadaveri. A quel punto ho deciso di ripartire, mi sono nascosto tre mesi in una farmacia di Pontoise, e lì ho vissuto cento giorni di speed nello sballo totale. Im­ bottito di Captagon, ho accusato neurologicamente quel periodo. Ho anche tentato il suicidio. Dopo esser­ mi atteggiato a Kerouac dei poveri, mi sono reintegra­ to. Abitavo alla fermata della metro di Rue-des-Boulets. La via degli Schiavi. Quel che mi sgomentava di più era il fatto che in­ consciamente speravo che andasse tutto a puttane, con scene tipo carneficina collettiva, cannibalismo, zoofilia, incesto generalizzato e piromania galoppan­ te. Invece no, era tutto grigio, tetro, banale. Il lavoro salariato rimontava a passi da gigante. L uomo era un pollo per luomo. A quel punto mi sono rimesso al la­ voro. Per la Radio. Riscrivevo i fatti di cronaca e gli articoli che mi passavano. Queste venivano poi diffu­ se e declamate, con una voce che la diceva lunga, da un vecchio specialista del doppiaggio di film horror. Spesso erano notizie, flash, consigli-direttive scritti da miliziani e soldatini, e dunque avevano bisogno di una seria riverniciata. E così ho lavorato sull'avverbio ad effetto e sull'aggettivo terrificante. A ciascuno il proprio lavoro. Da un sacco di carbone non si può pretendere che esca bianca farina. Proverbio. Tutto questo era solo un epifenomeno. Aspettavo solo che ricominciasse a far male. lavoro

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B lack Crow B lu es Fiction spinozista #2

Momo rallenta aU'improwiso. Io fermo il camion. Arriviamo a un incrocio parzialmente nascosto da grandi case provenzali dai muri ciechi. Il Maestrale fe­ tido ci soffia nella schiena. Momo mette il cavalletto, scende dalla sua Guzzi, si sgranchisce le gambe, fan­ toccio disarticolato, marionetta inquietante, caccia la sua P38 e avanza a passo felpato verso Tincrocio. Al­ cune cornacchie passano gracchiando, cattivo segno. Bisogna diffidare di tutto. Gli Hegeliani sono dei tra­ ditori. Ma Momo ritorna. Niente da segnalare all oriz­ zonte delle nostre false inquietudini. Continuiamo per la nostra strada. Cala la sera. L angoscia della notte ci assalirà ancora una volta. Il maleficio dominante ac­ compagna la caduta della luce. Siamo uomini perduti.

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Iper-C lausew itz, d ico io Iconografia spinozista #2

In effetti quel lavoro lì alla Radio non l'ho conserva­ to a lungo perché quella che sembrava essere una spe­ cie di riorganizzazione sociale non è durata. Mi ero sbagliato su tutta la linea, e ho giurato a me stesso che quello sarebbe stato l'ultimo errore che avrei commes­ so. Ora elaboro strategie e trovo i modi per applicarle. Poi airimprowiso è scoppiato una specie di casino totale ed è passato per un nuovo stile di vita. Ho la­ sciato la Radio per fondare il mio gruppo. Non è sta­ to facile. Prima ero un personaggio desueto, rassicu­ rante e del colore di una muraglia pseudo-rivoluzio­ naria. Cerano troppi scogli davanti a me per vivere la vita che sognavo. Adesso ho una lunga sciarpa di seta bianca al collo d'avvoltoio e una Smith & Wesson alla cintura. Un tempo vivevo il più vicino possibile alla donna che avevo deciso di amare con tutta l'anima. Adesso uomini e adolescenti febbricitanti mi cercano per la mia dolcezza. È andata così. Non era scritto nelle linee della mia mano. Nel mio palmo al momento ce odore di benzina. Le mie dita sottili, ca­ riche di anelli importanti, sanno di petrolio. Inutile lavarle, è un odore che si incolla alla pelle. Una fra­ granza che impregna. Mi innervosisce, gli altri lo sentono e in parte diffidano: i miei uomini mi porta­ no un rispetto un po' blando, ma l'istinto di soprawi17

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venza fa ancora la sua parte. Li ho sempre tirati fuo­ ri da situazioni abbastanza difficili. Per una settimana abbiamo cercato benzina, derra­ ta rara e vitale. Per ottenerne bisogna fregarla, o ba­ rattarla se il proprietario è più forte di te. Com'è suc­ cesso a Montélimar. Avevamo sentito parlare di un'im­ mensa riserva di carburante di proprietà della Lega di Protezione e di Salvaguardia (sic) della città: duecento uomini armati, pericolosi, militaristi stile Resistenza Maquis, un avvenire di clandestinità. Impossibile at­ taccare questi miserabili di petto, erano armati fino ai denti. Attaccare qualcuno che difende il proprio ac­ campamento, i propri finti pozzi, il proprio orticello «Rustica»1e i propri alberelli di plastica, significa an­ dare ben cil di là di qualche piccola rogna. Ci eravamo appostati a venti chilometri a Nord del­ la città, vicino al Reno, e da lì tenevamo d'occhio la si­ tuazione. Avevo spedito Croc, il mio amante, in rico­ gnizione. Mischiato al resto della popolazione, Croc era venuto a sapere che erano a corto di camion per assicurare l'approvvigionamento della città, lo smalti­ mento dei rifiuti, il trasporto dei topicidi, ecc... I ca­ mion. .. A Valence, i veterani della Cfdt2continuavano con il racket sindacale, non accumulavano forza lavo­ ro ma veicoli commerciali in vista di possibili scambi. Sicuramente per garantire il traffico di scartoffie, ave­ va sussurrato Momo. Pochi i sindacalisti. Li abbiamo rapinati una sera, con il suo Fm3 Riton sparava contro tutto ciò che si muoveva. Di notte. Hanno risposto all'attacco, il sin­ dacato armato, un ritorno alle origini. Noi abbiamo preso tre camion. Loro hanno fatto fuori Croc, ucciso da un proiettile in faccia. Caso, sfortuna, o forse mera­ vigliosa lotteria. Il cielo era rosa, velato di sangue. Ho fatto lo sbaglio di sfilargli quel suo cappello ne­ ro dopo che era caduto a terra. Ho visto l'interno del suo cranio, io che amavo quella sua splendida faccia di malefico angelo. Quella visione rimarrà incisa per 18

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sempre in fondo ai miei occhi. L estremità della mia mano destra da allora non ha più smesso di tremare. Per calmarmi sono andato avanti a Seresta per una settimana. Tre camion erano pari a duemila litri di benzina. Sarebbe durata un bel po', giusto il tempo di annichilire i Giovani Hegeliani. Anche se un Hegelia­ no non vale nemmeno un quarto di litro di super.

Note 1. Rivista patinata di giardinaggio, [ndt]. 2. Confédération Française Démocratique du Travail, [ndt]. 3. Fucile Mitragliatore, [ndt].

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A n astasia S cream ed in Vain Fiction spinozista #3

Stasera viaggiamo verso Salon, nell'aria tiepida, verso il nostro accampamento provvisorio, installato in uno scasso. Là, protetti da cumuli di ferraglia e da carcasse dementi e accatastate, ci sentiamo tranquilli: quel labirinto di ferro inghiottirebbe i nostri potenzia­ li aggressori. Possiamo dormire e riposare senza pau­ ra di svegliarci circondati dai nemici. Questi ultimi li conosciamo bene: i Giovani Hegeliani, una banda pu­ trescente di intellettualoidi che vengono dall 'high so­ ciety parigina, avariata, sentenziosa, semiotico-maoista. Sono già quattro mesi che è stata lanciata la sfida, quattro mesi che ci corriamo rispettivamente appres­ so, quattro mesi è tanto tempo, cinque amici sono già morti nell'inseguimento infernale, sei con Croc. Ne abbiamo ancora una dozzina all'attivo, io, personal­ mente, tre. Cellcoli da farmacista gaudente. Ma questi bastardi sintagmatici se ne fregano della regola e si mettono a fare la pelle ai neo-Punk, e a farli a pezzetti. Non ne hanno il diritto. Bisogna aspettare che la sfida tra la Fas e gli Hegeliani giunga a termine con l'elimi­ nazione fisica di uno dei due gruppi perché i soprav­ vissuti si scontrino con qualcun altro. O forse hanno sfidato in parallelo anche i Punk. Ma anche questo è vietato dall'Ag1di Pantin, per non favorire alleanze. L'attitudine politica a scegliere il male minore come 20

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alleato oggettivo è vietata: è una puttanata etica. I gruppi Crash lo sanno. Chi decide di violare la Regola si offre al verdetto e alla morte infamante riservata ai traditori e ai gruppi Fascisti: la morte senza movente artistico. Noi annunceremo che gli Hegeliani sono dei traditori in piena Regola. La vita gli verrà resa insop­ portabile. Ma bisognerà provarlo e presto nessun Punk potrà testimoniare, quegli stronzi si fanno frega­ re. Peccato. Sono a pezzi. Stanotte a Salon farò riposare il mio corpo stanco e nervoso dentro un vecchio veicolo sgangherato. Al mio fianco chiamerò François, un compagno della prima ora, il più giovane, un essere elegante, tenebroso e fine. Mi leggerà e analizzerà un testo di Wittgenstein. Berrò lentamente un bicchiere di Serre de Bemon del 1968. Poi tireremo una striscia di coca e ci stenderemo nella sera d estate, guardando pensierosi il viola del crepuscolo filtrare attraverso i vetri esplosi di un vecchio Saviem e riflettersi sui calci di madreperla delle nostre rispettive pistole. Lo bacerò sulla bocca, provando a ricordare i baci di fan­ ciulle, e poi... Arriviamo a Salon. Siamo rimasti in undici perché per essere Spinozista bisogna aver letto ad ogni costo: La morte di Virgi­ lio di H. Broch, La cognizione del dolore di Gadda, Sot­ to il vulcano di M. Lowiy, Le due sorelle di R. Chandler e Spinoza. Perché Spinoza? Avevo deciso che mi pia­ ceva la sua indole da molatore di lenti. Che stronzata.

Note 1. Assemblea Generale, [ndt].

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R adio Quinta Internazionale C omunicato

Pronto! Pronto! Gruppi dell’Idolo Macchina! La Rqi vi conduce dentro il viaggio amaro dell’Incon­ scio Collettivo! Black Pannekoek, il gruppo favorito del­ la settimana scorsa, è stato definitivamente annientato dalla banda dei Cani Sciolti, in un grande scintillio di strass assassini. Gloria ai vinti che hanno saputo vivere pienamente secondo la legge dell’Ektamito! Anastasia grida in vano! Spero che indoviniate il mio nome! Lieto di incontrarvi! Avanti! Gruppi dell’Idolo Macchina! Sympathy for the Devil!

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O nly th e D eath D eterm in es Fiction spinozista #4

Mi sono svegliato verso le cinque del mattino. L a­ n a era ancora fresca e la rugiada, irradiata forse, luc­ cicava sulle lamiere circostanti. Sono uscito dal ca­ mion. L'aria viva mi ha fatto venire la pelle d'oca. Mi sono messo a sedere su una carcassa, nudo e gelido, ed ero io, la mia pelle, il mio petto, il mio sesso afflo­ sciato, le mie gambe bianche, i miei capelli colorati, di fronte al mondo malato. Ho fumato una sigaretta, il fumo si è sparpagliato lentamente sui ferri arruggi­ niti. Ho pensato che tutto attorno a me era fiacco, stanco di vivere quei giorni senza domani nell'attesa delle malattie che consumano, delle maledizioni inte­ riori e della decadenza quotidiana. Ma in quella mat­ tina limpida c'era una qualità di vita assolutamente irritante. Così, quando ho spento la sigaretta sull'ac­ ciaio, ho notato che il mio sesso si stava gonfiando di piacere. Sono andato a vestirmi. Poi ho fatto un giro sui bordi della discarica. La strada era deserta, il ga­ rage, un po' più lontano, abbandonato. Decido di aspettare un po' e guardo il paesaggio vuoto, proprio come me in quel momento. Il sole era sorto, lenta­ mente, illuminando la campagna. Non lo trovavo né bello né emozionante. Quell'astro di merda riscaldava tutto, mentre il mondo sembrava un'enorme clinica. Un'alba glaciale sarebbe stata più appropriata e avreb23

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be evocato decisamente meglio l'aspetto di mattonel­ la surgelata che aveva preso la vita. Quell'estate era una falsa estate, carica di morti sorde, di malattie in­ curabili, di odio e di sospetto. 10 ero a posto, la mia magra fetta di potere mi ba­ stava, le mie scelte estetiche mi conducevano dritto dritto verso una morte inevitabile ma accettata in quanto tale. Dio in effetti sarebbe morto con me. Sono rientrato nel labirinto. Gli altri si stavano sve­ gliando, facce febbricitanti e folli. Abbiamo preparato una buona dose di caffè nero. Tutti si sono serviti in silenzio, tutti hanno fumato. Ci siamo calati delle amfetamine. Andava già molto meglio. Momo, sdraiato per terra, cantava un Blues-rap che parlava di donne e ospedali. Lo ascoltavamo senza emozione. Riton rideva nervosamente. 11 tuono di uno sparo in lontananza, attutito dal­ l'ammasso di metallo. In tre secondi abbiamo impu­ gnato le armi, senza una parola, undici riflessi in carne e ossa. Ho diviso la Fas in tre gruppi, appunta­ mento davanti al garage in rovina, rimanendo nasco­ sti. Riton sarebbe andato a prendere il camion con Nanar, pronti a tutto, anche alla fuga. Arrivati al limite della foresta di metallo, siamo stati accolti da suoni anomali. Tra le dozzine di pla­ tani scintillanti che costeggiavano la strada, migliaia di passerotti svolazzavano e cinguettavano. Vicino al garage deserto stazionavano cinque 404 pittate di viola. Abbiamo aspettato. Poco dopo Riton e Nanar sono apparsi con il Magirus, avevano fatto il gi­ ro della discarica. Il camion si è fermato alla nostra si­ nistra e ho visto Riton caricare il suo Fm, protetto dal bordo della cabina. Un cappello è volato in aria, erano pronti. Una bandiera bianca è spuntata dalla Peugeot in prima fila. Mi sono fatto avanti, con la sciarpa di seta nella mano sinistra, bianca anche quella. Ho provato 24

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a mettermi nei panni del tipo di fronte. Che vedeva? Forse vedeva l'immagine della morte: vestiti neri, cintura di coccodrillo, Smith & Wesson d'argento; o forse vedeva la vita: sciarpa di seta, lunghi capelli tinti di rosso, stivali di lucertola viola, andatura un po' danzante. Un tipo è uscito da una delle macchine. Grosso, tarchiato, baffuto, giacca di cuoio su polo stile Cgt1, berretto, sigaro. Arrivato a tre metri da lui, mi sono fermato e ho rilassato il corpo stampandomi sul viso un sorriso sereno. Il cinguettio dei passeri, poco a po­ co, ha smesso. «Spinoza?», ha chiesto il tipo. «Già, amico...», ho detto con una voce ambigua e squadrando il suo corpo apparentemente lontano da qualsiasi piacere possibile. «Dimostramelo ». «Beh, Spinoza aspetta con impazienza che Hegel sparisca dalla faccia della terra a profitto del valore d'uso». Ho fatto svolazzare i capelli e, con una ciocca rossa in bocca, ho detto: «Con chi ho il piacere di parlare?». «Già, effettivamente per te è proprio un onore, spor­ co frocio di un Situazionista, trovarti faccia a faccia con Thorez Rouge2. Due dei miei ragazzi qui dietro fa­ cevano parte della Dottor Jdanov. Te la ricordi?». «Perfettamente ». Gli Spinozisti, sotto la mia guida paramachiavelli­ ca, circa sette mesi fa avevano fatto fuori Dottor Jda­ nov, una gang cripto-Stalinista di veterani dell'Uec3, li avevano fatti saltare in aria a colpi di mitragliatrice, cosa che gli era valsa una certa celebrità, ebbene sì... «Perfettamente», ho ribadito con un sorriso radioso. «Rotto in culo...». «Dimmi, raffinato Leninista, è una sfida?». «Lo hai detto, buffone! Semmai eliminassi Hegel, toccherebbe a noi... Si parte da Avignone...». Rifletto. 25

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Questi Seguisti non avevano un aria poi così furba. Genere battagliero ma non stratega. Dei Bolscio-kamikaze. Prede relativamente facili. Il che ci avrebbe dato un po' di respiro. «Ok! Sarà un piacere sodomizzarti, carogna, Stali­ nista del cazzo...». Il tipo bolliva. Ma, rispettoso della Regola, ha sorri­ so: «Benissimo... Ti segnalo che Hegel e il suo branco di canaglie sono andati a installarsi a Pont du Gard». «Spione per giunta...». «Come vuoi, Spinoza, come vuoi, la cosa non mi disturba: Hegel non è altro che un branco di cani teorici di Saint-Germain-des-Prés». «Ti ripeti amico mio, due volte branco in dieci se­ condi... Ecco... Viviamo in piena decadenza del si­ gnificante... Ci siamo scrutati, un po' imbarazzati. Poi ci ho pro­ vato: «Grazie... E... A presto... Viva il ComuniSmo!». Mi ha guardato sbalordito stretto nel suo cuoio. E con i nervi a fior di pelle ha risposto: «Viva il Comu­ niSmo!». Ho girato i tacchi e me ne sono andato: le mie spal­ le si sono strette istintivamente. M'è venuta la pelle d'oca e le gambe hanno iniziato a tremare. Ho sentito una portiera sbattere. Le 404 ci sono passate davanti, alcuni Thorez sono sbucati nella nostra direzione. Momo gli ha mostrato le chiappe. Mica lo sapevo che le avesse così bianche.

Note 1. Confédération Générale du Travail, [ndt]. 2. Maurice Thorez, segretario del Partito Comunista Fran­ cese dal 1930 al 1964, [ndt]. 3. Union Étudiants Communistes, [ndt].

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R adio Quinta Internazionale C omunicato

Pronto! Pronto! Gruppi Età Kritica! La Rqi vi porta al ventottesimo cielo dell’Erranza Volume/Metallo! E vi annuncia una curiosa cineseria delle vostre parti. La malefica banda del Martello Dello Yang-Tsé Sul­ l’Incudine Della Revisione lancia una sfida giallo li­ mone al gruppo fantasma Posadas La Bomba H Per II Popolo. Prima che il sangue scorra, è già guerra di tito­ li! Gloria a coloro i quali non hanno paura di gettarsi nella Pampa Mortale dei Gauchos dell’Età Kritica! I trovatori furono uccisi prima di raggiungere Bom­ bay! Spero che indoviniate il mio nome! Lieto di in­ contrarvi! Avanti, Gruppi dell’Oriente Rosso. Sympathy for the Devil!

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La p e lle d el R e L ucertola Iconografia spinozista #3

Thorez Rouge, ancora un altro gruppo. Dopo il gran bordello l'alta società ha accolto i gruppi Crash. Una sera dalla Radio ci è arrivata una notizia straordinaria: una banda di ragazzi, una venti­ na di Sinistroidi armati fino ai denti, avevano fatto uno scherzetto demenziale a una concentrazione di Nazi riuniti, per affari, all'ospedale Necker. Ripassati a colpi di mitragliatrice. Poi avevano inseguito quelli che si erano dati alla fuga e li avevano fatti fuori uno a uno nei corridoi dell'ospedale. I grandi cappotti di lo­ den verde si erano tinti di rosso. L'effetto sorpresa aveva funzionato. Cinquantasette Fascisti erano stati eliminati. Questo gruppo di assassini efficaci si chia­ mava anch'esso Crash 69, in onore di Ballard, un vec­ chio scribacchino del quale ammiravano l'opera. A quel punto l'ho letto anch'io: tutte stronzate, soprat­ tutto il lato sado-maso-auto. Poi è partito il passaparola: una radio pirata è stata creata grazie all'iniziativa di Crash 69 e di un altro gruppo, Kapital King Kong, questi ultimi se la prende­ vano con i teppisti del racket di periferia. Nei comuni­ cati radio diffusi questi gruppi dichiaravano aperta la Fiera delle Atrocità e chiedevano senza mezzi termini che Università o vecchi gruppi politici sfornassero gang affiliate per svuotare le armerie, le caserme e gli 28

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altri depositi legali e di Stato, lasciando l'avversario a mani vuote, impadronendosi di tutte le armi soggetti­ ve e oggettive, possibilmente con delle munizioni, in modo che, per una volta, l'avanguardia rivoluzionaria fosse la meglio armata. Queste emissioni radiofoniche provocarono delle vocazioni immediate. Anche la mia, lo confesso. La speranza per la vita sognata ritornava. Hanno ragio­ ne, ho pensato, niente è più disgustoso dell'ignoran­ za. Finalmente gli attivisti di Sinistra di ogni specie si risvegliavano: il furto, l'acquisto e il baratto delle ar­ mi andava alla grande. L'ambiente parigino e i vecchi volponi implicati nelle magagne politiche della vec­ chia generazione al potere non furono in grado di af­ frontare la raffica di proiettili di ogni specie che li spedì nel grande burrone blu. I gruppi di Estrema De­ stra si volatilizzarono nello scenario nebbioso dell'in­ certezza sociale. La radio di Crash 69 è stata abbandonata nelle ma­ ni di una banda di fricchettoni strafatti amanti del Rock e dei telex ispessiti dal sangue. La nuova squa­ dra ha deciso di fare da cuscinetto tra i gruppi, annun­ ciando la creazione dei nuovi e tenendo al corrente questo microcosmo di nevrotici. L'hanno chiamata Radio Quinta Intemazionale. Il 20 maggio alle 15, ai capannoni di Pantin, hanno organizzato un'Assem­ blea Generale di tutti i gruppi Crash, l'Ag del secolo. La vecchia anima trotskista riemergeva. Dura. È stato a quell'epoca che ho deciso di fondare il mio gruppo. Non avevo intenzione di perderci la testa. Volevo solo integrarmi in quel grande principio di pu­ ro piacere che aleggiava su Parigi. Non ero pervaso da nessuna sete di potere, ma da una fame insaziabile di sintagma. Ho dato le dimissioni alla Radio, una banda di idioti visivi, e mi sono messo alla ricerca di quegli amici con cui parlavo, in quella che era stata l'atmo­ sfera confortevole e ovattata della Sinistra di prima del bordello, di abolizione del salariato, del valore 29

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d uso, del potlatch, di Cronstadt, di Makhno, di merce, di spettacolo, in pratica di tutto, di niente, della vita. Così ho ritrovato Momo che, entusiasta, è diventa­ to il secondo membro della Fas. Aveva già una t-shirt con scritto a lettere verdi: etica . Riton ha portato con lui il suo gruppo di Rock robotico, quattro tipi in un colpo solo. Crocs che non vedevo da molto, dagli an­ ni del liceo, è arrivato più tardi con il suo amante del momento, ribattezzato subito il Grullo, un vecchio della Gp1che conosceva tutti i nomi dei disegnatori della Rolls Royce a memoria. L'ho studiato, un tipo pericoloso, ma non ho detto nulla perché si portava dietro un camion, un grosso Magirus Deutz a casso­ ne fisso, grigio, che aveva fregato al fratello impren­ ditore. Eravamo otto, armati e decisi. Non ho perso tempo, e ho fatto dei piani. Abbiamo annunciato la nostra formazione alla Rqi e abbiamo scelto il nostro nascondiglio: Ivry, le vec­ chie rimesse e i depositi del Bhv2. Ricordo questo periodo come un viaggio mentale: i colpi di revolver per cacciare i tossici e i barboni, i mobili accatastati, Felettricità tagliata la sera, i turni di guardia, le frizioni continue con la Polizia Munici­ pale in rimonta, i giri per trovare esplosivi, morfina e acqua minerale. Ogni giorno aveva la sua manna. Ci siamo scontrati con una band di rocchettari vici­ ni che occupavano un quartiere periferico di Vitry. Prima li ignoravamo del tutto, ma poi hanno comin­ ciato a rompere e hanno cercato di dare fuoco ai ma­ gazzini. I fratelli Castillo, dei piccoli caïd, erano a ca­ po della baracca. E noi abbiamo provato a sbaraccar­ li. Abbiamo legato con un giovane cabilo, Mohand, che ci ha tenuto al corrente sulle abitudini di questa banda di smidollati. La scala del palazzo dove si era riunito una sera quell ammasso di debosciati è saltata in aria e il fuoco ha invaso anche gli scantinati. Riton ha sparato con il suo Fm alle finestre del palazzo. Ci siamo fregati quattro moto, tra cui la Guzzi di cui Mo30

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ino si è impadronito all’istante, e abbiamo alzato le lende prima di sapere come avrebbe reagito il sistema di sicurezza che teoricamente equipaggia gli Him3. Per tre settimane abbiamo mandato giù litri di alcool e abbiamo cagato nell’asciuttissimo settore sanitari dei magazzini del Bhv. Il tutto mentre il buon popolo di Francia, o almeno quel che ne rimaneva, cercava di rincollare i pezzetti di una società e di uno stile di vita che aveva preso una bella botta in testa. A quel punto abbiamo deciso di far parlare un po’ di noi. E abbiamo cominciato con un atto simbolico. Stranamente la Camera dei Deputati, deserta, era ri­ masta intatta. Una sera, muniti di cinquanta litri di alcool puro, le abbiamo dato fuoco. I seggi dell’emiciclo hanno sprigionato un fumo talmente denso che per un atti­ mo abbiamo pensato che anche quei vecchi nullafa­ centi di deputati andassero a fuoco, consumandosi in un odore spaventoso. All’uscita alcuni ficcanaso e i membri della Difesa Civile ci aspettavano armati e in numero impressionante. Il reclutamento gli era anda­ to bene. Panico... Se li avessimo affrontati ci avreb­ bero massacrati. Ho lasciato i miei uomini dietro di me e mi sono fatto avanti in direzione del cordone formato dai sopravvissuti del vecchio ordine. «Ti credi furbo?», mi ha chiesto uno dei loro capet­ ti, subito aggressivo. «E tu, da quale morale ti senti investito, per darmi del tu e rimproverarmi di atti che, nelle viscere della tua testa, avresti compiuto volentieri?», ho risposto subito altezzoso. «Non dobbiamo generare il caos. Noi facciamo in modo che non si crei. È la nostra unica possibilità di sopravvivenza». «Vuoi sbattermi in prigione? E come farai a tratte­ nermi? Non hai niente di meglio da fare? Ma perché non pensate a tenere d’occhio le farmacie!». 31

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Gli ho indicato la Camera che fumava lentamente. «Se lasciamo fare a tipi come te...», ha detto l'uomo. «Lascia fare. Se sparate, spariamo anche noi. Ci sa­ rà sangue sul Quai d'Orsay, vi sto avvisando...». L'ho guardato fisso. C'era una strana atmosfera. Mi hanno guardato tutti, ed è piombato un silenzio para­ dossale. I miei capelli rossi si sono appena mossi al vento, si sentivano degli scricchiolìi sinistri alle mie spalle... I miei uomini si stavano avvicinando len­ tamente. Dovevano essere impressionanti. Ho guar­ dato lontano in direzione di Place de la Concorde. Il ponte, lì davanti, era deserto. Ho detto: «Ripensa alla vita che c'era qui... Tutti quegli uomini che vivevano, che andavano al lavoro, che andavano verso il piacere, che non osavano pren­ derselo... Erano quegli uomini che facevano vivere la tua Camera dei Deputati del cazzo!... Nessuna risposta. Siamo passati risoluti tra loro. Si sono voltati e hanno guardato le strade vuote, poi il nostro camion e le moto. Quando abbiamo acceso i motori, gli ho urlato: «La vita! Andate a svuotare il Louvre! È bello ed è morto!». Subito dopo ci siamo diretti all'Hotel Crillon. De­ serto anche quello. O quasi. All'entrata alcuni ragaz­ zi armati. Un tipo si è staccato dal gruppo e ci ha detto: «Qui non si entra. È occupato dal gruppo Fourier Rose4. Andate altrove !». Mi sono fatto avanti. «Signore, siamo estremamente stanchi e vi doman­ diamo ospitalità per questa notte, cosa che il vostro Signore non mancherà di accordarci per rispetto alla legge ancestrale». Il tipo se messo a sghignazzare e ha detto: «Signo­ re, dell momento che avete appena carbonizzato la Re­ pubblica, venite e dividete la nostra tavola, non vi sarà 32

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latto torto, ma dovete giurarmi che domattina non cercherete di piantare le tende nel nostro falansterio». «Avete la mia parola, quella del Signor Julius Puech, Frazione Armata Spinozista». «Siate dunque i benvenuti nella mia modesta di­ mora...». Questo flashback medievalista ci ha fatto ridere moltissimo. Abbiamo passato una serata e una notta­ ta infarinatissima. Fourier Rose era specializzato nel­ le visite alle chiese e, contrariamente a quello che si può credere, è nel tabernacolo che questa banda di buontemponi si faceva di derivati di coca. E non per­ metteva a nessuno di calpestare il proprio territorio di tossico-ecclesiastici. Ma tutto questo non mi impressionava affatto, e nemmeno la strana visione di quei giovanotti trasan­ dati e sconvolti, allungati sulle ottomane di gran lus­ so, a urlare alla notte nera e sinistra, urlare la paura e lmdecisione, bere e dimenticare la lentezza, astrar­ si dal riposo che deriva dalla certezza di avere un av­ venire. No, tutto questo lo conoscevo già. La sola co­ sa che mi ha fatto salire il sangue agli occhi, quella notte, sono stati gli stivali di lucertola viola, nuovissi­ mi, che indossava uno dei membri di Fourier Rose, il poeta della gang, un Ginsberg fuori tempo massimo in un'Era post-Atomica. La visione di questo pezzo di pura bellezza mi ha eccitato tutta la notte e il sonno non è mai arrivato. Le tenebre erano di coccodrillo. Il mattino dopo, molto presto, senza aver chiuso oc­ chio, siamo ripartiti diretti a Ivry. Ero molto nervoso perché il poeta démodé di Fr avrebbe approfittato del nostro camion per andare alla chiesa di Giovanna d'Arco per fare la sua piccola colletta, e quindi sarebbe venuto con noi, lui e i suoi stivali di lucertola viola. L'alba metallica era piombata come una mannaia rosa su una Place de la Concorde quasi deserta e illu­ minava tristemente il sempiterno andirivieni delle 33

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ambulanze e dei veicoli delle milizie di quartiere, con i numeri pittati grossi e fosforescenti sulla carrozzeria. Appena siamo arrivati sul lungo Senna all'altezza del vecchio Giardino delle Piante, dal quale gli anima­ li erano fuggiti, spaventati dallo spessore del dramma umano, ho fatto un segno con i fari a Momo che rom­ bava un po' più avanti, sulla sua Guzzi. Si è fermato, io dietro di lui. È sceso dall'aggeggio e mi ha lanciato uno sguardo interrogatore. Il suo viso era di una gran­ de intensità. Gli ho detto che Spinoza doveva mettersi le scarpe. Lui ha capito e ha sfoderato la sua P38. Io la mia la­ ma. Un Pradel di ventidue centimetri. Sono saltato sul sedile posteriore. Gli uomini mi guardavano, incluso il poeta. «Togliti gli stivali, per favore...». «Non ne ho alcuna voglia», ha risposto lui. Gli ho mostrato il coltello: «Hai trenta secondi, do­ podiché ti taglio la gamba...». Il tipo è diventato verde. Un Fourier Rose tutto ver­ de, era eccitante. Si è sfilato lentamente gli stivali di­ cendo: «Sarà guerra, lo sai, è uno strano modo di rin­ graziarci della nostra ospitalità. Lasciarmi in calzini sull'asfalto freddo non ha niente di umano, né di neo­ umano». «Tu sei un poeta, non uno stratega», gli ho detto io, «velilo a sapere se un paio di scarpacce innescheranno morti a ripetizione... ». Poi, assalito dai rimorsi, gli ho lasciato le mie scar­ pe, modello curato di Sinistra, cuoio solido e gemelle spesse, una passeggiata. È sceso dal camion su minac­ cia del revolver di Momo. Gli altri non hanno fiatato. Sulla strada, lo scalzo mi dice: «La poesia è la più grande strategia!». Mi rimetto al volante del Magirus, faccio partire il motore, mi affaccio allo sportello e, gridando più for­ te del diesel, aggiungo che la poesia non ha più alcu­ na tattica, eh, stronzo! 34

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Ho guidato a piedi nudi fino a Ivry e, giunta sera, mi sono infilato gli stivali. Oramai non mi lasciano più e fanno parte della mia fantasmatica. Colui che me li toglierà li sfilerà a un cadavere.

Note 1. Gauche Prolétaire, [ndt]. 2. Grandi Magazzini, [ndt]. 3. Habitation à Loyer Modéré: 'Abitazione a canone di af­ fitto moderato', [ndt]. 4. Charles Fourier, filosofo utopista, socialista francese, [ndt].

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R adio Quinta I nternazionale C omunicato

Pronto! Pronto! Gruppi del pianeta Speed-Paranoico! La Rqi vi parla del tempo molle e viola! Gli AutoGnomi hanno colpito! Questa volta è il gruppo miste­ rioso Sadi Kanäle ad essere sparito nelle nubi di cordi­ te. E quindi il mistero s infittisce ancora. Gloria a colo­ ro i quali perpetuano la finzione e la scintilla blu della paranoia. Auguriamo che l’Inferno assomigli a un ca­ seggiato di periferia! Un po’ di novità! Il gruppo Pianeta Potlatch! Sì! Di­ stribuire duro! Ma cosa? Attenzione! Tra poco Pantin! Gesù ha avuto i suoi momenti di dubbio e di dolore! Spero che indoviniate il mio nome! Lieto di incon­ trarvi! Avanti! Gruppi del Pianeta Speed-Paranoìco! Sympathy for the Devil!

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W alking th e D og Fiction spinozista #5

Adesso, nel camion, seduto sul sedile che traballa, ho l'impressione che il cuoio di lucertola che copre i miei piedi mi salga lungo la gamba. Che faccia fareb­ be il mio peggior nemico se togliendomi i pantaloni scoprisse le mie tibie ricoperte di scaglie di rettile e la pelle dei miei testicoli, verdastra, dura, squamosa e leggermente brillante? Un giorno, o meglio una notte, aspettavamo una consegna nella metro e, per riposarmi i piedi, mi so­ no tolto gli stivali e li ho poggiati sulla plastica aran­ cione di un sedile anti-barbone. Li ho guardati quasi tutta la notte, sullo sfondo, una galleria crollata sui binari, e, all'interno, tonnellate di cadaveri polverosi. Era stato profondamente ackermaniano. Dopo il no­ stro incontro con Thorez Rouge, ci siamo rimessi in marcia, direzione Nîmes, via Tarascon. Abbiamo le­ vato le tende e preparato le armi. Il camion correva a più di cento all'ora sulla strada dritta. Abbiamo tam­ ponato una macchina che stava cercando di parcheg­ giare sul marciapiede. La Provenza d'estate era bella e rumorosa. Il sole perforava il parabrezza impolverato del camion. Momo e Amedeo aprivano la strada in moto. Nanar, che non lasciava mai il suo fucile da guerra, e François erano ai miei lati. François aveva il braccio poggiato 37

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sulla mia spalla e di tanto in tanto la testa riversa sull'angolo esterno della mia clavicola. Il vento, en­ trando dal finestrino abbassato, gli sollevava i capelli sottili che mi frustavano il viso e l'orecchio sinistro. Riton era nella cabina con il suo Fm, Carlo, Regis e Depips, detto «11 novembre». Dietro il Magirus, sem­ pre sulla stessa moto, Denis, il musicista pazzo che suonava il sassofono, la notte nelle discariche, davanti al suo unico pubblico, i ratti musicisti e il suo amante, Gilbert lo scuro, che portava con sé un kalashnikov, senza il quale non esisterebbe mito vivente. Attraversammo una Nîmes quasi deserta. Davanti alla stazione mezza bruciata, un'orda di cani ci guardò passare al rallentatore. Era la prima visione dell'Infemo che presentivo. O forse la prima visione del poi. Fermo il camion, consiglio ai motociclisti di conti­ nuare un po'. Io voglio guardare questa strana as­ semblea. Sono tutti curiosamente dal pelo nero, ma di razze diverse. Sono tutti seduti sulle zampe poste­ riori. Ogni tanto uno dei cani in prima linea si alza, sembra passare gli altri in rassegna e avanza sul marciapiede verso di noi. Gli altri non si muovono e attendono. Il grande cane nero ci guarda, salta sul cofano di una macchina abbandonata, continuando a fissarci con i suoi occhi gialli. Io sono impietrito. Sono fiero perché il capo viene a farmi visita. «Salve!», gli dico piano. Il cane guaisce appena. Apro la portiera e scendo lo scalino del camion. «Non fare lo stronzo, Julius», mormora Riton con una strana voce. «Non fare movimenti falsi», rispondo io. «Nanar, prendi il volante e stai pronto a partire». «Attento, i cani sono spiritualisti», dice François. Sorrido. Mi avvicino al capo-cane. Non si muove, non mostra alcuna paura, ma la sua coda non scodin­ zola. Arrivato a due metri da lui, rallento e lo guardo negli occhi. Cosa che i cani non amano, guardano al38

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trove facendo il punto su tutto ciò che li circonda, soppesando l'ambiente e verificando se li si guarda sempre. Lui mi fissa senza battere ciglio. È un bracco nero, superbo, snello e muscoloso. Noto che non è né magro né sporco e che ha le unghie corte. Questo si­ gnifica parecchie cose: mangia quando ha fame, dor­ me al coperto, e corre molto. Corre dietro chi? Dietro cosa? Che mangia? Un brivido mi attraversa la schiena. Gli parlo lentamente e a lungo, con voce calda e bassa, sorridendogli e dicendogli parole dolci. Guaisce appena, e le sue labbra si afflosciano un po'. Mi faccio avanti tendendo la mano e gli accarezzo tene­ ramente il petto, grattando via via più forte. Mugu­ gna di contentezza. Gli accarezzo la testa con le due mani e la stringo al cuore. Dopo un po' mi allontano. Salendo sul camion, lo saluto. Non appena Nanar mette in moto, il cane abbaia tre volte e tutto lo schie­ ramento arriva. È stato un momento di fifa intensa, ma l'orda nera è rimasta sul bordo della strada e ci ha accompagnato. Più lontano Momo e gli altri hanno accelerato provando a mettere in salvo i polpacci. I cani ci hanno seguito così fino ad grande cimitero. In quel punto si sono fermati, senza dubbio per non oltrepassare i limiti del territorio che si erano assegna­ ti. Ho pensato che era un peccato che gli Hegeliani non fossero in città, perché il branco nero mi avrebbe sicuramente obbedito e mi avrebbe aiutato a sbranarli vivi: una gran morte per dei piccoli materialisti. Venti chilometri tra Nîmes e Rémoulins. Il Magirus li ha polverizzati a tutta velocità. Guidare dentro ven­ ticinque tonnellate di acciaio dà il senso dell'inaltera­ bile. Momo urlava sulla sua moto, contento di inghiot­ tire api. In un villaggio si era costituita una sottospe­ cie di milizia comunale, di sicuro vecchi cacciatori, grossi e stronzi, che volevano controllare i veicoli di passaggio. Riton ha fatto scintillare al sole della Lin39

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guadoca il suo fucile mitragliatore che ha piroettato in un lampo latteo. Tre raffiche dirette verso lo spazio blu e limpido ci hanno aperto la strada. Siamo arrivati in vista di Pont du Gard.

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Il m ese di m aggio d ell'alm o sch izo id e II Iconografia spinozista #4

Mancava una settimana all'Ag di Pantin. La Rqi sfornava notizie senza sosta. Fourier Rose era stato di­ strutto dalle milizie parigine, attaccate a loro volta, a più riprese, dal gruppo vendicatore Bordel Bordiga. Interessante, le fratture riapparivano. Un gruppo Fascista aveva osato, bastardi, ritornare in pompa ma­ gna. Si chiamava Ordine 9. Poca immaginazione i Fa­ sci, non è che fossero granché diversi da com'erano prima. Aggiungici che avevano deciso di stabilirsi, simbolicamente, nelTisolotto Seguin, fortezza inespu­ gnabile, senza sapere, i coglioni, che un gruppo di duri e puri era già lì: gli Stelline Renault. Immane bordello, carneficina generale. Un altro Staline-gruppo, i DadziMao, si era unito senza perdere tempo agli Sr, e i Fasci erano scomparsi dalla superficie cosciente del Pianeta. Parigi riviveva sotto le pallottole vaganti. Noi c era­ vamo tenuti fuori dai giochi per un po', fuori da quel­ l'agitazione febbrile. Spinoza si era dedicato all'Etica, io avrei continuato con l'Estetica. Non c'era ragione che questa rimanesse il dominio privilegiato degli He­ geliani di ogni sorta. Il Grullo aveva localizzato due canadair dei pompie­ ri di base sullo specchio d'acqua di Meulan. A Iviy, ac­ canto al nostro nascondiglio, c'era una fabbrica di ver­ nici, deserta e ancora stracarica di mille colori in barili 41

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da dieci litri. E così abbiamo preso in prestito trecento litri di vernice rossa e bianca. Li abbiamo caricati nel camion e abbiamo guidato come bolidi, come diceva mia madre, direzione Meulan. Abbiamo sequestrato un canadair. Il guardiano non ha opposto una par­ ticolare resistenza. L'idea di cadere nell'acqua schi­ fosamente putrida della Senna non gli andava a genio. Abbiamo passato la notte a caricare di vernice i serba­ toi dell'aereo. Alle prime luci dell'alba il Grullo è torna­ to con un amico, stile viaggiatore maledetto, ma pilota brevettato. Si trova di tutto ai margini. Quando gli ab­ biamo detto cosa doveva fare, si è fatto una gran risata. La risata, acuta e manierata, è rimbalzata sull'acqua. La vegetazione dei Mureaux ha fatto risuonare quel surrogato di femminilità. Una pugnalata. Le donne. Non c'è tempo. Il Grullo lo avrebbe accompagnato in aereo. La Fas non si è mossa da Meulan, per aspettare il ritorno dello zinco e tenere a bada tutte le velleità de­ gli eccitati della zona. La faccenda di Fourier Rose era ancora fresca. Io e Momo siamo partiti in moto per Parigi. Abbiamo aspettato la sera e il sole morente. Poi a Montmartre. Abbiamo occupato un appartamento al quinto piano e ci siamo piazzati sul balcone in compa­ gnia di una canna. L'odore del colombiano evaporava mentre il Sacro Cuore si illuminava di giallo. A quel punto abbiamo sentito, in lontananza, il rom­ bo del motore del canadair. Faceva il pelo ai quartieri. Momo rideva nervosamente. L'aereo è passato sopra le nostre teste rombando e ha sganciato i tremila litri di vernice rosa sul Sacro Cuore. Il piano del secolo. Che bellezza! L'apparecchio ha fatto un giro attorno alla chiesa reazionaria ed è scomparso a Ovest. Io e Momo abbiamo passato due ore extra-umane guardando il sole calante infuocare sempre più debolmente la me­ ringa malefica che troneggiava sui tetti di Parigi. Il bordello aveva quantomeno degli aspetti positivi. Una settimana dopo. L'Ag di Pantin. Con tutti i gruppi Crash. L'assemblea dei dementi di ogni luogo. 42

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Che ambientino. Cacofonia e bordello. Noi ci siamo andati, indossando laureola delle nostre recenti glorie estetico-ecclesiastiche. Ad accoglierci un enorme car­ tello: «No alla violenza! Il nemico è altrove!». A un chi­ lometro circa dal mattatoio, i membri di alcuni gruppi erano di guardia, efficaci e discreti. Puro militantismo. Che merda, la forma più primitiva di sfruttamento del­ l'uomo sull uomo. Riton e il suo gruppo, fottendosene alquanto deirideologia, avevano accettato di mettersi di guardia e di partecipare al picchettaggio generale. C erano un migliaio di persone circa dentro il ca­ pannone. I travestimenti erano dei più espressionisti, la commedia era d obbligo. Il Grullo al mio fianco era sbalordito dall'alto tenore di strass che c'era in giro. Le spille erano tornate di moda ai baveri delle giac­ che. Il trucco accendeva gli occhi, i gioielli deforma­ vano le orecchie e le armi brillavano nella penombra. P38 Rock'n'Roll. Un tipo di Radio Quinta Intemazionale è salito sul palco, ha azionato il gruppo elettrogeno e ha collega­ to il microfono, ha regolato il suono e ha chiesto di fare silenzio. Avevano previsto proprio tutto. Ha par­ lato e la folla caotica si è calmata. «Compagni!». Urla terrificanti, oggetti di ogni tipo che cadono sul palco. «Compagni! Questa è forse l'unica occasione per parlare insieme !». Non parlava neanche un francese corretto. Che ver­ gogna. Decisamente non era un compagno. «Approfittiamone!», ha urlato ancora la star. La musica fortissima copriva gli insulti che alcuni gruppi lanciavano. «Vi leggerò ora la lista dei gruppi che ci è arrivata. La lista di tutti i gruppi che ci hanno tenuto al corren­ te delle loro azioni, poi ognuno potrà approfittare del microfono per darci il proprio parere sul quello che potrà essere il seguito del nostro movimento... 43

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Agitazione tra i presenti. Grida diverse. Questi cre­ tini si stavano facendo fregare. Stavamo regredendo. Mi sentivo a disagio. Ho detto a Momo che era me­ glio squagliarsela prima di sorbirci l'ennesimo corporativista. «Ma no, la melma è divertente», mi ha risposto. Il tipo sul palco ha cominciato a leggere il foglio. A ogni nome di gruppo dal pubblico arrivavano grida, fi­ schi, ingiurie, alcune mi hanno fatto sganasciare dalle risate. Arrivato a metà della lista, Foratore è stato in­ terrotto da un tipo che è salito sul palco con un enor­ me sacco di plastica blu. L'ho riconosciuto all'istante, un vecchio ultrà con il quale, una vita fa, avevo fatto dell'anti-leninismo. Ha strappato il microfono dalle mani dell'intemazionalista radiofonico e al momento di parlare è scoppiato in lacrime come un bambino. Non era nel suo stile e la cosa mi ha impressionato. Era in preda a una vera e propria crisi di nervi. La folla se zittita di fronte a quello spettacolo inaspettato e un silenzio paradossale e mortifero è calato sul pubblico. «Sembrano gli esami di maturità», ha sussurrato Momo. Si direbbe un Bob Wilson. Dopo aver singhiozzato a lungo il tipo ha parlato: «Io... Io sono l'unico super­ stite del gruppo Ultra Mattick. Dovevano essere tutti qui oggi... E stamattina... Mi hanno consegnato que­ sto...». Ha mostrato il sacco di plastica che teneva distrat­ tamente con una mano e che strascinava a terra: «Un gruppo di schifosissimi Stalinisti, che i mastini del Ca­ pitale li sbranino!... Un gruppo di bastardi che stasera è qui tra noi...». Mi sono avvicinato al palco, io sapevo. «Un gruppo di figli di puttana, il cui nome è Dot­ tor Jdanov, mi ha consegnato stamattina questo pac­ co e me lo ha consegnato ridendosela!». Ha svuotato il contenuto del sacco sotto la luce li­ vida del proiettore. Un bel numero di orecchie insan44

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guinate gli sono cadute ai piedi, paillette derisorie, macabre e morbose. Il silenzio era di tomba. Mi sono avvicinato, sensibi­ le a questa grande tragica marionetta. Momo mi se­ guiva come unombra, sentendo confusamente che bi­ sognava farsi avanti, la Fas non doveva rimanere in­ dietro. Gli Spinozisti non dovevano in alcun caso prendere un treno in corsa. Il tipo ha ripreso: «È una bastardata!». Urlava: «È una sfida a tutti voi e alla no­ stra sopravvivenza! Non dobbiamo più diffidare solo dei Fasci ma di noi stessi! Compagni, bisogna cogliere la sfida! Chi Faccetterà?». Continuava a piangere. Il bordello ha ripreso alla grande. I gruppi para-Stalinisti, accorsi a frotte, lanciavano ingiurie ai neo-Sinistroidi, non avendo mai dimenticato gli antichi odii. Ho parlato rapidamente con Momo e sono salito sul palco. Ho preso il microfono: «Frazione Armata Spinozista...». Urla, certo, ma anche qualche applauso. Cazzo! Il gusto salato del potere era proprio piacevole! «In nome dei magnifici membri del mio gruppo, accetto la sfida. Do appuntamento a Dottor Jdanov e alla sua combriccola di assassini reazionari tendenza Manufrance1fra tre giorni sull'autostrada Sud vicino all'aeroporto di Orly. Vedremo se avranno il corag­ gio... Aggiungo che non abbiamo bisogno di consigli da chicchessia». Ho scrutato la folla animata e ci sono saltato in mezzo, calpestando inavvertitamente un bel po' di orecchie. Sensazione curiosa. Un attimo dopo sono stato sostituito al microfono da un membro dei Blue Trotsks, che ha lanciato una sfida analoga al gruppo Pablo. Eccoci finalmente. I Trotskisti se la godono, ho pensato. Ci sono realtà eterne. Non capiranno decisa­ mente mai niente di poesia. Un altro oratore improv­ visato gli è succeduto sul palco e ha chiesto perché non c'erano donne all'assemblea. Un enorme boato fallocratico ha risuonato nei capannoni di Pantin. 45

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Ho raggruppato gli amici e ci siamo diretti verso l'uscita facendo molta attenzione. L'Ag stava per tra­ sformarsi nel più nero lupanare. È allora che sono partite le sfide, le regole, il sangue, lo sterminio della Sinistra per mano della Sinistra, del malato infantile per mano del malato senile. Da allora, bande di incaz­ zati solcano le strade, aggrediti, aggressori, suicidi e suicidati della società morta. Il Grullo ha approfittato di questa serata per scissionare. Aveva ritrovato un paio di vecchi amici, del gruppo di Carlo Ponti, e ha giudicato il nostro valore desueto rispetto alla grandezza paillettata del glittergruppo, rispetto alla gloria deirinnominabile grasso­ ne italiano. Ha deciso di andarsene mentre lo guar­ davo divertito. Gli ho chiesto: «Ehi! Grullo! E la tua fedeltà?». «A chi?», m'ha risposto. «Al gruppo...». «Spinoza del cazzo... Julius, stai per affrontare gen­ te troppo sporca per i miei gusti. Jdanov... Puah! Non ho tempo da perdere io...». Avevo già il coltello in mano: «Insulta ancora una volta Baruch e ti sgozzo... I tuoi zombi neo-Palace vi­ vono solo in modo superficiale. Se vai con loro, è per la segreta disperazione di diventare il loro capo! Hein! Grullo! Il potere!». Mi ha guardato, terrorizzato dal coltello: «Non ab­ biamo più niente da dirci Julius, mi hai dato del su­ perficiale... Come hai potuto!». «Fai una sola mossa e ti sventro». Il tempo si è fermato, sospeso sulla corsa non an­ cora compiuta tra il mio coltello e il suo ventre. Il Grullo mi ha guardato e mi ha dato l'indirizzo di Dottor Jdanov, del posto dove vivevano. «Bastardo!», ho detto, rim ettendo a posto il mio Pradel. «Bastardo tu! Non hai mai avuto intenzione di an­ dare a Orly». 46

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Non ho detto niente, felice di aver previsto che que­ sto vecchio Maoista faceva il triplo gioco. Conosceva troppa gente. Avevo soppesato il fatto che doveva co­ noscere anche dove erano i tagliatori di orecchie. L'ho lasciato andare. La Fas perdeva dunque con il Grullo un tipo sve­ glio. Ma si sbarazzava di una spina nel fianco. Sul po­ sto abbiamo reclutato tre nuove reclute, Nanar, Depips «11 novembre» e Laurent, il superstite degli Ultra-Mattick, un consigliere, pazienza! Comunque mol­ ti dei suoi congenere erano olandesi come Spinoza. Un tipo fuori di testa, genere isterico, pronto a tutto per distruggere il mondo. Il Grullo ci aveva visto giusto. Proprio non se ne parlava di atterrare a Orly. Bisognava trovare un'altra tattica e aggiungerci un po' di strategia. Salendo sul palco avevo già pensato a tutto... Le informazioni fal­ se circolano più velocemente delle vere. Si sa, e io con­ tavo sul Grullo per farle circolare suo malgrado. I Jdanov non avrebbero certo aspettato di vederci com­ parire a casa loro, sarebbero venuti a sorprenderci a casa nostra, a Ivry. Così dal giorno seguente l'Ag li abbiamo aspettati, a cinquecento metri dal nostro nascondiglio, acquattati da una parte e dall'altra della strada, nei depositi vuoti e in un vecchio bar. Il Termometro. Divertente. Non molto divertente. Li abbiamo aspettati tutta la giorna­ ta, fumando intensamente, ma la sera la ricompensa è arrivata. Sono arrivati sulle loro camionette di merda, sono scesi, sicuri e leggeri. Li avevamo tutti a tiro. Ma Laurent impazzito per l'odio è uscito allo scoperto per rifarsi di tutte le orecchie. Quel coglione ha mandato tutto a puttane... Siamo stati obbligati a mirare bene, e Riton, con il suo Fm, ha crepato tutti i muri di fron­ te. Una carneficina. I due sopravvissuti sono riusciti a scappare. Sono loro che costituiscono adesso l'impen­ sato radicale di Thorez Rouge. Laurent è morto tra i nemici, falciato dalle stesse pallottole. Il fine giustifica 47

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i mezzi. A nessun consigliere è dato saperlo. Morale? Mah. Più che altro Etica! Jdanov aveva avuto una fine semanticamente stakanovista. Il giorno seguente, senza perdere tempo, la Rqi ha diffuso la notizia. Siamo diventati il gruppo di punta, la punta di dia­ mante di ogni crashitudine.

Note 1. Importante fabbrica francese di armi, [ndt].

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R adio Quinta I nternazionale C omunicato

Pronto! Pronto! Gruppi dell’Hiro-Scisma! La Rqi vi collega gratis alVelettrochoc mondano! Vi annunciamo il trapasso violento di Dottor Jdanov nel campo ipermetallizzato dello spazio siderale. La Frazione Armata Spinozista ha ancora le mani sporche di sangue. Gloria a lei, mito vivente, gloria ai morti che perpetuano con un efficacia tutta gibsoniana la vita dopo la vita. Spi­ noza ne approfitta per avvisare il gruppo P2-P38 di guardarsi le spalle burocratiche perché il vento gira. Il cerchio si stringe! Lieto di incontrarvi! Speriamo che indoviniate il mio nome! Ma ciò che vi dà fastidio è la natura del mio gioco! Avanti! Gruppi delVHiro-Scisma! Sympathy for the Devil!

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M om o ancora e p er sem pre Fiction spinozista #6

Ci siamo fermati a Remoulin, nella frazione di Foux, proprio airincrocio con la strada per Pont du Gard. I motori portati a regime zero hanno imposto un silenzio pesante ed elettrico. Ho fatto quattro pas­ si lungo la strada, ho annusato l'aria, provando a co­ gliere i segni del luogo, come se il debole vento fosse portatore di morte... A quel punto ho detto ai miei uomini che tra l'odore dell'eucaliptus e delle querce verdi, cera il lezzo, disgustoso, di Hegel. Momo ha proseguito sulla sua Guzzi silenziosa, con Nanar e il suo fucile Mauser. Hanno fatto seicento metri, rasentando i platani, travolgendo con le ruote i bulbi verdi e le foglie sec­ che scricchiolanti, poi hanno rallentato, messo il ca­ valletto e scrutato la strada col binocolo. Momo ha intravisto tre Hegeliani, di guardia; più in là, in un fossato, il loro cuoio nero trasudava in mezzo all'erba per gatti e alla gramigna. La Guzzi ha fatto marcia indietro. Ci siamo con­ sultati e abbiamo deciso di eliminare quell'avampo­ sto della dialettica. Il ronzio di milioni di piccoli insetti ci ha accompa­ gnato nel giro che abbiamo fatto tra i frutteti abban­ donati, le cicale urlavano come robot impazziti. Il sole ci cadeva addosso, e le nostre ombre sul suolo giallo si 50

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riducevano al minimo. Dal Gard, non molto lontano, arrivava uno sciabordio sinistro, come se un lago di mercurio rabbrividisse alla debole brezza estiva. Siamo arrivati proprio dietro di loro, erano seriamen­ te occupati a bere birra e a scrutare con indifferenza la strada di fronte, deserta. Per loro, noi non doveva­ mo essere là. Per noi loro c'erano. Ho sussurrato: «Ehi! Miserabili!». E ho scaricato il mio revolver sul primo di loro. Il secondo lo ha fulminato Nanar, il terzo, colpito al petto, si è accasciato all'indietro sussultando e ha sparato tre volte nella nostra direzione, prima di tira­ re le cuoia. Momo si è beccato una pallottola nel fian­ co. L'effetto sorpresa ha funzionato, ma quegli stron­ zi hanno fatto fuori Momo. Quest'ultimo, curvo a ter­ ra si stringeva il ventre in preda alle convulsioni, ge­ mendo. Il sangue gli filtrava tra le dita. «Che palle», ha detto. «È veramente uno schifo...». Ho provato a confortarlo sulla vita futura. «Beh... Ti riposerai, vado a tirare giù dal letto il primo farmacista che trovo...». «Sì, sì, tu parli... Ma in questo paesino sperduto...». Gli altri sono arrivati con il camion e le moto. Ab­ biamo fatto cerchio intorno a Momo. Nanar è andato a fare il palo. Disposti attorno a quel corpo magnifico di Spinozista insanguinato, steso in mezzo all'erba del fossato, assomigliavamo un po' alla Lezione di anato­ mia dell'altro celebre batavo1. Momo non fiatava e sba­ vava discretamente. Era consapevole che la sua ferita era la prima seria in seno al gruppo. Le altre morti erano state repentine e anonime. Lui, invece, si sareb­ be potuto concedere una bella agonia. Mi sono avvicinato e, inginocchiandomi nella pol­ vere, ho preso la sua testa tra le mani. L'ho guardato negli occhi, al rovescio, e gli ho baciato le labbra. Ha accennato un sorriso. Gli ho chiesto: «Che si fa Mo­ mo?». «Di me?». 51

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«Di tutto». «Senti, non è un film americano, lo sento, sto cre­ pando, diventerò una residenza per vermi, qui sul bor­ do della Statale... Cazzo! Mi fa male... Mi fa male, ma non troppo, posso ancora resistere... Ma non a lungo. Comincio a vedere bianco come un lenzuolo... Presto non potrò più muovermi... Ho le budella in fiamme. Mettimi sulla mia moto...». «Senti, piantala...». «No, amico, non è cinema! Scusami Julius, ma è la mia uscita di scena, e io sono l'unico a poterla dirige­ re... E poi c'è il valore d'uso, la morte solitaria e ag­ ghiacciante, amplificata dal rumore della corsa. Ades­ so però aiutami a montare sulla moto e dammi una pistola... Deve fare rumore! In nome di Dio, è il mio ultimo scambio, la mia forza lavoro, non la sprecherò, è la mia forza di morte... Mi fa male...». Poi se zittito. Io ho riflettuto un po' e ho guardato gli altri. François piangeva, perché non aveva mai sen­ tito la vera voce di Momo che, di solito, urlava di gior­ no sulla sua moto e taceva di notte. «Attaccalo alla Norton, teniamo noi la Guzzi», ho detto. «Non prendertela, Hegel, lo butto nella pattumiera della Storia», ha concluso Momo. Poi, con una strizzatina d'occhio, ha aggiunto: «Ve­ do le stelle ormai... Mi viene voglia di hegelare». Abbiamo legato Momo alla moto, fantoccio grigia­ stro, poiché la vita lo stava lasciando, personaggio evocatore, poiché guardava la morte in faccia e convi­ veva con essa. Legato in quella specie di armatura sa­ domaso, pronto all'azione, nella sua aurea di pulsione di morte, era comunque erotico. Pronto al botto fina­ le. Il sangue colava sulla sella e Momo, distratto, lo spalmava sul serbatoio. Il sangue coagulava al calore e i residui di benzina si mischiavano al plasma in fu­ sione. Ballard ritornava con forza e in fondo era solo giustizia. 52

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Affinché il suo atto non fosse freneticamente graMomo si faceva di speed e di coca, e mentre si preparava minuziosamente a incontrare il muro fi­ nale delle proprie angosce, io ho fatto il giro della collina passando attraverso la macchia, portandomi dietro un paio di binocoli. Ho percorso tutta la stra­ da a passo felpato, graffiandomi tra i rovi, porcherie della natura che non crepano mai. Senza farmi vede­ re mi sono piazzato in un punto d'osservazione idea­ le che dava su Pont du Gard, sulla strada e sul fiume. Ho scrutato a fondo pietre, rocce, case abbandona­ te, nessuno ha attirato la mia attenzione. 0 Hegel se l'era squagliata cagandosi sotto in quelle sue mutan­ de matèrialiste, oppure si mimetizzava perfettamente con la realtà delle cose viventi, pietre, rocce, case chiuse. La lavanda fresca profumava. Nessun canto di uccelli. Solo il fremito metallico delle tante fami­ glie di insetti indistruttibili. Insetti di merda! Il nervo­ so sfiorava livelli allucinatori. Insultavo le mosche. Ho sentito la Norton arrivare. Avanzava a bassa velocità, rombando, lungo i platani, sulla riva destra del fiume, l'ho vista, con Momo in sella, impacchet­ tato alla sua locomotiva. Hanno iniziato la salita ver­ so il ponte e si sono fermati in curva con il m onu­ mento a dorso d'asino davanti a loro. Momo se ne stava immobile, chiaramente perples­ so. I capelli gli ricadevano dritti sulle spalle. Si aspet­ tava forse uno sbarramento o un fuoco nutrito. Ma non accadeva nulla, non c'era niente al di là di quell'enorme vuoto innanzi a lui. Al cospetto dell'abisso della morte prossima, Momo non doveva apprezzare quello temporaneo che gli si offriva prima della gran­ de uscita. Osservando i suoi gesti convulsi, ho intuito che si stava incazzando. Ho sentito urlare: «Hegel di merda!». Il suo grido ha echeggiato lungo le sponde del fiume. «Spinoza incula Hegel!», ha urlato ancora. Barcollava, io ho avuto un brivido. Inito,

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Dall'altra parte del ponte una macchina, una Ds am­ maccata, è apparsa lentamente in lontananza, e si è piazzata di traverso in mezzo alla strada, singolo grigio pallido conficcato nella vita vera. Sono partiti degli spari e hanno fatto traballare la moto aU'impatto. Ho visto l'impermeabile di Momo agitato da sussulti. La moto ha fatto un balzo in avan­ ti e si è lanciata contro la Ds dalla quale continuavano a sparare furiosamente. Venti metri più avanti la mo­ to ha deragliato, si è accasciata e Momo è caduto sulla strada in un fascio di scintille, il cappello dai colori ur­ lanti è rimasto sulla carreggiata un po' più dietro. La Norton ha terminato la sua corsa fumante contro la macchina. Un Hegeliano si è avvicinato con precau­ zione all'eroe spinozista, ha inclinato la testa, ha guar­ dato la faccia del morto e si è allontanto alzando le spalle. La Ds è ripartita a marcia indietro e ha par­ cheggiato lungo la riva sinistra. In quel momento ho iniziato a piangere dimesso; la pagheranno, cazzo, la pagheranno!

Note 1. Rembrandt Harmenszoon Van Rijn, [ndt].

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R adio Quinta Internazionale C omunicato

Pronto! Pronto! Gruppi della Luna Folle! La Rqi vi apre le vene velenose delVinformazione crashant! La Radio degli anni di merda! Sangue Nero di Bakunin, gruppo tra i più cupi, sfida Piccozza Messicana, dando­ gli dello... No, noi non ve lo diremo, perché è fantastico! Le atmosfere di morte si fanno e si disfano velocemente! E una piccola novità nelVammasso di gang che rallenta­ no la velocità di rotazione della Terra, gli Artefatti. Lun­ ga vita a questi robot delVlncoscio! Perché il dottore non ha volto? Lieto di incontrarvi! Speriamo che indoviniate il mio nome! Avanti! Gruppi della Luna Folle! Sympathy for the Devil!

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Il giro p aran oico d i Jaja K. Iconografia spinozista #5

Dopo Jdanov, presi dallo slancio, ci siamo sciroppa­ ti due gruppi di nullafacenti di prima scelta, sui quali non vale la pena soffermarsi troppo. Racconto in due parole: alle ore diciotto, con l'intermediazione della Rqi, lancio la sfida, e adle diciannove facciamo saltare in aria il gruppo P2-P38 nel loro locale, la cui descri­ zione ci era stata minuziosamente fatta da un vecchio membro dei Siamo Frank. Alla melinite. Un flash paz­ zesco. Poi, abbiamo fatto fuori Stakhanov For Ever in un istante, con un attacco degno della presa della roc­ caforte nel film I vichinghi, con Kirk Douglas, un vec­ chio triacetato 35mm. Il cinema, la vecchia bestia, solo il gran bordello è riuscito a venirne a capo. Gli Stakanovisti erano ubriachi fradici e non ci hanno visto ar­ rivare, dei laidi, privi di qualsivoglia strategia e tattica. Di colpo la Fas è passata per un gruppo di speciali­ sti dell'annientamento delle aspirazioni neo-staliniste. Questo mi dava appena appena sui nervi: bisognava cambiare registro per non cadere nel corporativismo. Dal momento che il Grullo era una cicatrice ancora aperta e sanguinante nel mio cervelletto, ho deciso di continuare lo stress crashiano su Carlo Ponti. Ma pri­ ma di lanciare ufficialmente la sfida, bisognava tro­ varli. Così ho mandato i miei sbirri, spadaccini del­ l'era maledetta, in ricognizione. 56

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Visto che Ivry puzzava maledettamente, e per non farci intrappolare, ho sparpagliato i gloriosi membri della Fas, dando loro appuntamento un mese dopo, alla stazione di Austerlitz. Così niente pericolo di ca­ dere in un'imboscata vendicatrice. Trenta giorni di libertà individuale ci avrebbero fatto un gran bene. Ognuno avrebbe potuto sfogarsi ed eliminare la ten­ sione interiore che si crea nella vita in comunità. Io formavo una mini-équipe con Crocs, di cui apprezza­ vo la dolcezza vesperale, e di tanto in tanto Momo. Momo si dedicava alle donne. La prostituzione aveva ripreso alla grande in quar­ tieri impensabili. La maggior parte delle donne si era rifugiata in campagna per assicurare una vita più cal­ ma e regolare ai marmocchi sopravvissuti. Altre, marginalizzandosi al massimo, vegliavano gelosamente sui bambini abbandonati dai maschi. Vergogna su di noi! Ciononostante qualche gruppo di donne aveva fatto la propria apparizione. Ma non avevano nulla a che spartire con i nostri giochetti fallocratici. Alcuni uomini si erano scontrati con queste femministe re­ sponsabili e avevano velocemente capito che il neo­ femminismo era armato fino ai denti. Questi gruppi avevano nomi ridicoli quanto i nostri: Lesbo Rosse, Uteri d'Acciaio, 28, Le Due Metà del Cielo, Tampax Aetemam. Ogni tre giorni cambiavamo appartamento. Una se­ ra, Crocs e Momo si sono messi sulle tracce dei Carlopontisti dalle parti del Beaubourg che, dopo l'incendio, si era trasformato in un immenso spauracchio di acciaio nerastro urlante ai quattro venti l'impotenza dell'artista modello. E così me ne stavo solo in un tri­ locale devastato di Montparnasse, stravaccato in una logora poltrona di cuoio, a leggere vecchi giornali tro­ vati lì in mezzo, in un disordine indescrivibile. Leg­ gere di fatti già vissuti non mi faceva rimpiangere i vecchi tempi. Li ho buttati via in un angolo della stan­ za, disgustato. 57

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Dopo essermi dedicato a lungo alla contemplazio­ ne della punta dei miei stivali, sono stato colto da una strana febbre, quella di correre e di perdermi nella città, da una voglia furiosa, quella di immergermi un po' nella vita vuota e sterile dei sabato sera di una vol­ ta. Anche se sapevo che non avrei trovato nulla del ge­ nere. Sono uscito lo stesso in piena notte, senza sag­ gezza né prudenza. Con una P38 e due caricatori. Ho vagato a lungo per la città e ho visto cose così strane da farmi accapponare la pelle. In mezzo a una strada, un grande divano rosso che mi ha fatto pensare a Cid Charisse; il solo rievocare quel nome mi ha fatto du­ bitare dell'eternità delle cose e delle persone, la vec­ chia star dalle tibie leggendarie, rosicchiate oramai da larve mitofage, era diventata uno scheletro puru­ lento. Al centro di una piazza, un albero solitario an­ dava a fuoco, un Magritte disperato. Sul marciapiede un grande neon pubblicitario rosa frantumato in mil­ le pezzi che scricchiolavano sotto ai piedi. Sono arrivato fino alla tangenziale, dal lato di Porte de Montreuil. Ho guardato pensieroso il sole levarsi sulle innumerevoli carcasse di macchine che ingom­ bravano la carreggiata in un enorme ingorgo di morte. Ma, a ben vedere, si notava un passaggio tracciato tra le auto che quantomeno consentiva la circolazione. Crash 69, il gruppo matrice, un tempo regnava sulla tangenziale, poi non se n'era più sentito parlare. Il grande nastro di catrame molle lo aveva inghiottito? L'aria aveva l'odore di benzina, l'odore di pneumatici, di lamiera ammaccata, di moleskine stracciate. «Non non ti muovere, non ti girare, mani sul cofa­ no!». Sudore d'angoscia, ero in trappola... Mi stavano se­ guendo. Una punta di metallo dietro la schiena. La fi­ ne. Solo, ero vulnerabile e quasi morto. Delle mani mi palpano. Guardai lontano, senza vedere. La P38 ce l'avevo in mezzo alle gambe, lungo la coscia, nascosta in un pezzo di impermeabile in gabardina grigia. 58

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«Fatti vedere», dice la stessa voce. Mi sono girato. Un tipo giovane con un enorme fu­ cile da guerra mi teneva sotto tiro. Tipo Frank Zap­ pa. Dietro di lui, una giovane donna, mi vergogno a dirlo, molto bella: bruna, sguardo acido, un viso ta­ gliato a lama di coltello, vecchi pantaloni di seta ne­ ra, camicia bianca da uomo, giacca striminzita co­ perta di spille. «È Spinoza», dice il tipo. «Minchia!», dice la ragazza. «Non mi chiamo Spinoza, mi chiamo Julius!». «Minchia lo stesso». «E di chi è la minchia?», azzardo io. «Di tua sorella», ringhia l'uomo. «E chi è tua sorella?». La ragazza s'avvicina e mi guarda un momento: «Spinoza». «Non mi chiamo Spinoza, mi chiamo Julius!». «Spinoza, ho sentito parlare spesso di te. Non spe­ ravo in un avversario del tuo calibro per la mia cac­ cia di questa sera... ». «La tua caccia?». «Sì, la mia caccia... Carman mi rimedia le vittime e, a notte fonda, io le abbatto, quaggiù, sulla tangen­ ziale». «Così?». «No. Dopo una lunga corsa... Vedrai... Stasera è il tuo turno». Mi hanno portato giù. Abitavano in due dentro un camion, sotto il ponte della Porte de Vincennes. Notai un bel po' di macchine in buono stato. E decisi di non sfoderare la pistola e vedere cosa sarebbe successo. Mi hanno fatto sedere su una sedia di velluto blu, una poltrona simile a quella che qualche ora prima mi aveva fatto fantasticare. Il tizio detto Carman non mi lasciava con gli occhi e aveva abbandonato il fuci­ le per un revolver di grosso calibro, che aveva pog­ giato di fianco a lui sul bracciolo della poltrona. Mi 59

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stava proprio davanti. Jaja, si chiamava così, ha tira­ to fuori una bottiglia di alcool e ne ha mandato giù un bel po' parlandomi di quello che mi aspettava: lei mi avrebbe dato una macchina, mi avrebbe concesso dieci secondi di vantaggio e poi sarebbe partita die­ tro di me, anche lei in macchina e armata. E tanto peggio per me. Una volta un tipo era quasi riuscito a fare il giro completo della tangenziale. Me la ridevo dentro di tanta ingenuità strategica e mi sono gratta­ to in mezzo alle cosce. «Accetto con gioia», le dico a un tratto. «Non è una proposta, sei costretto!». «Costretto... Costretto...», ho replicato cacciando la mia P38 e sparando a Carman che resta inchioda­ to alla poltrona di sorpresa e di morte violenta. Jaja grida e si getta sul compagno. Io ho recuperato velo­ cemente il revolver del morto. Mentre lei piangeva piano sul corpo disteso. Ho piegato la canna del fuci­ le da guerra. Poi lei si è calmata e mi ha chiesto cosa contavo di fare. «Beh, ci dedicheremo alla tua occupazione prefe­ rita... Ma le regole le fisso io, o meglio, mi do qual­ che chance in più». E così ho messo lei al posto delle sue prede ridico­ le. Jaja è partita in una 504 quasi nuova, io ho preso una Mercedes un po' ammaccata, ma in buono stato. E, all'alba, lei ha messo in moto. Le ho lasciato un centinaio di metri di vantaggio e mi sono lanciato all'inseguimento. Guidava maledettamente veloce, co­ nosceva la tangenziale a memoria. Mi ha seminato ab­ bastanza in fretta, me e il mio mastodonte inespressi­ vo. Così mi sono fermato e ho parcheggiato la Merce­ des in mezzo ad altri relitti. Ho aspettato. Ho aspetta­ to a lungo. Verso mezzogiorno, ho visto la 504 ritor­ nare, a marcia indietro, lentamente. Mi sono messo a ridere e mi sono attaccato al cruscotto. Credeva che l'avessi lasciata perdere, annoiato. E, sempre a marcia indietro, se ne tornava al suo accampamento. 60

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Sono ripartito a tutto gas e ho ripreso la tangenziale facendo urlare i pneumatici. Un istante dopo ricomin­ cia a seguirmi. Grave errore. Rifletto in fretta. Doveva essersi procurata altre armi, altrimenti non avrebbe mai ripreso l'inseguimento. Non ci dava troppo dentro perché siamo arrivati a Porte Brancion senza scontri. In quel momento ha accelerato bruscamente per tam­ ponarmi. Ho frenato di colpo e mi è entrata nel cofa­ no. Mi sono girato e ripartendo ho sparato tre colpi dal lunotto posteriore. Quest ultimo è esploso e il pa­ rabrezza della 504 pure. Jaja ha risposto all'attacco e due pallottole soffiano dentro le mie orecchie sfioran­ domi l'occipite. Commedia finita! Ho accelerato e frenato di nuovo, ma prima che mi tamponasse, sono saltato fuori dalla macchina e ho svuotato il caricatore nella portiera della Peugeot. Jaja non si muoveva, seduta dentro la sua bara a rotelle. La visione delle sue mèches brune e dei suoi occhi verdi era offuscata dalla polvere che passava al rallentatore davanti al finestrino anteriore. Mi guardava senza dire niente. Ho ricaricato l'arma e mi sono avvicinato. Ho aperto lo sportello con precauzione. Jaja continuava a guardarmi, le lacrime agli occhi, le braccia che dondo­ lavano da un lato all'altro del sedile, un po' di sangue colava dal suo ventre e dall'anca. Nonostante tutto, quella scena mi dava fastidio. L'ho presa teneramente tra le braccia. Gemeva e mi ha chiesto di stenderla sul sedile posteriore. Sembrava la fine di un film triste, di un film di avventura e di azione. Ho baciato quelle lab­ bra dolci e mi ha ricambiato con un bacio strano, aper­ to, certo, ma senza profondità, come se i suoi denti fa­ cessero da barriera e la sua lingua da schermo. «Questo non lo dovevi fare», le dico io. «Un po' d'acqua...». «Non dovevi farlo...». «Ti chiedo scusa, Spinoza...». «Non mi chiamo Spinoza, mi chiamo Julius, ma è troppo tardi». 61

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L'ho baciata ancora, cominciavo a riprendere gu­ sto ai baci delle donne e alle profondità rosa dei loro corpi. Lei ha aperto un po' di più la bocca, ha scosso la testa come per liberarsi, e ha proiettato dentro di me il suo ultimo respiro, accarezzandomi il palato con un vento di morte. Sono tornato all'appartamento. Momo e Crocs, inquieti, sorrisero. Mi hanno presentato due nuove reclute uscite da Crash 69, Émile e Loulou, sguardi evasivi ma pieni di storia. Una giusta ricompensa.

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Radio Quinta Internazionale C omunicato

Pronto! Pronto! Gruppi delVOmhra Scintillante! La Rqi vi presenta le proprìe flagellazioni e scuse! Crash 69, nostro Padre Storico, ci ha lasciato ieri, metallicamente buttato nell immondizia dal gruppo Connotazioni Lau­ dative. Gloria a entrambi! Essi perseguono il mito delVorrore truccato da orrore! Un minuto di silenzio, il vento del secolo soffia! L'urlo delVambulanza mi risuona nelle orecchie! Lieto di incontrarvi! Indovinate il mio nome? Sympathy for the Devil! Avanti! Gruppi dellOmbra Scintillante!

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T oilette d ’an im e Fiction spinozista #7

Dopo aver guardato, come un angelo caduto, la morte di Momo, mio alter ego, e dopo aver asciugato le lacrime amare, sono tornato dagli altri. Gli ho an­ nunciato la fine del loro compagno in termini mecca­ nici e acerbi. Non si sono mossi, ma ho sentito i loro denti digrignare. Abbiamo adottato in fretta una nuo­ va tattica. Eravamo persuasi di essere allo scontro fi­ nale con Hegel. Eravamo rimasti in dieci. Cinque di noi avrebbero cominciato, uno ad uno, provando a se­ minare morte e desolazione al massimo, evitando di dare la propria vita all avversario. Poi avremmo tenta­ to un'azione di sfondamento, un attacco in massa, passando per il guado, di notte. Avevo già qualche idea sul da farsi. I nervi e la sete per l'angoscia non li hanno fatti né riflettere né replicare. Sono stati tutti d'accordo. Ab­ biamo tirato a sorte i primi cinque. Io sono uscito in terza posizione. Nanar è andato per primo. Piangendo mi ha detto a bassa voce che tutto questo gli ricordava la fine del suo primo grup­ po. Non ne aveva mai parlato. Non ho avuto l'impu­ denza di fargli altre domande. Si è armato della sua Mauser, ha preso due granate, ordigni che aveva fre­ gato a uno Stakanovista e ai quali aveva rifatto le co­ piglie con del filo di ferro. Ha baciato Depips, mi ha 64

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guardato a lungo e ha detto: «È la sorte che mi man­ da a morte, no?». «Ma no. La morte esiste solo per quelli che la ve­ dono arrivare. E in te, io non la vedo, Nanar...». «Dici sul serio, Julius?». «Sì, sul serio!». «Spinoza è la realtà!», ha urlato lui. Poi è scomparso tra i tigli. Ho messo Denis e Gilbert di guardia e ci siamo seduti in cerchio sull erba calda. Il Maestrale trasportava in cielo pesanti nuvole grigie e io, aruspice dellmvisibile, non vidi il presagio. Nel silenzio del pomeriggio torrido tra le foglie scricchio­ lanti e gli insetti laboriosi, abbiamo aspettato. Poi degli spari in lontananza. Uno scoppio sordo di granata, ancora spari, un esplosione, sferzate nel lan­ guore della Linguadoca. E poi più nulla, se non il sor­ do lamento dei vicini campi di mais. Abbiamo aspet­ tato ancora, ma Nanar non tornava. Amedeo, il successivo, si è alzato, ha buttato giù un sorso di acqua fredda, ha tirato una striscia di coca ed è partito con i suoi tre revolver. Stessa attesa muta, stesse orecchie inquiete rivolte nelle stessa direzione. Doveva aver creato un bel casino perché la cosa andò avanti per le lunghe. La fine della sparatoria, questa volta, è stata meno brutale e gli scoppi sporadici face­ vano pensare a una fuga o a una indecisione. Venti minuti più tardi Amedeo non era ancora tor­ nato, nemmeno lui. Era il mio turno. Ho baciato Fran­ çois e ho preso le due pistole. Gli uomini mi guardava­ no andar via infastiditi e impotenti. Non amavano Tidea che la sorte li privasse del loro padre. «Non temete, ritornerò. Riton mi sostituisce alla guida della Fas». «Toma Julius, ti prego», dice Riton. «Spinoza incula Hegel», rispondo io. Citare Momo mi dava la carica. Gli ho fatto Tocchiolino e mi sono allontanato. Ho attraversato la col­ lina come la prima volta, tra gli arbusti e le querce ver65

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di. Quando ho creduto di essere abbastanza in alto, ho tagliato verso il Ponte sperando di arrivare a livello del canale superiore, quello dove si può passare. In effetti, allungato tra il timo e il serpollino, vedevo d'infilata la vecchia condotta di pietra, ricoperta da blocchi enor­ mi. C'era già qualcuno, accovacciato al fresco. Chi? Senza farmi vedere né sentire, sono saltato sul blocco superiore e mi sono avvicinato al posto dove si trovava l'intruso. Per fortuna una pietra mancante creava un buco e ho visto i piedi e i pantaloni di qualcuno sedu­ to. Sono saltato con il revolver in pugno. Era Amedeo. Ridotto male. «Ciao», dice. «Viva Spinoza! Che bordello!». Non di­ co nulla. Aspettavo. Dopo aver sbavato un po', ripren­ de piano: «Nanar ne ha beccati due e se fatto impiom­ bare da un bazooka. Ha un grosso buco qui...». Cercava di farmi vedere dove, ma il braccio non gli stava dietro. «Io ne ho beccato uno, penso che siano otto o nove e credo che... Nanar sia caduto sul bordo della fale­ sia, in mezzo ai platani, ho recuperato il Mauser...». Non ha detto più nulla. È morto. Ho preso il suo fu­ cile, testimone del nostro legame di morte. Cadendo di lato, con la giacca ha macchiato il muro.

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R adio Quinta I nternazionale C omunicato

Pronto! Pronto! Gruppi della Trapanazione Maniaca! La Rqi vi infonde la verìtà radioelettrica! I Giovani Hege­ liani, gruppo di bravi fra i bravi, lanciano una sfida mi­ nimale alla Frazione Armata Spinozista. Li comprendia­ mo, niente è più eccitante che affrontare i Grandi, niente è più bello della difficile ricerca! Gloria a coloro i quali perpetuano il grado zero della mitologia modernista! Guardate tutti i fazzoletti bianchi che agitano! Lieto di incontrarvi! Speriamo che indoviniate il mio nome! Avanti! Gruppi della Trapanazione Maniaca! Sympathy for the Devil!

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Il B lu es d el D am erino Iconografia spinozista #6

Dopo la morte di Jaja K. mi sono ritrovato inchio­ dato al letto in una sorta di potente letargo, avendo perso il gusto per la corsa e per il sangue. Ho passato due settimane provando a mettere giù frasi alla Rim­ baud. L'Etiopia era intorno a noi e mi sembrava ne­ cessario continuare l'opera del vecchio di CharlevilleMézières. Ma riuscii a stento ad allineare qualche tro­ po senz'arte né parte, come se il nostro tempo frantu­ mato mi frazionasse la testa. Momo mi portava i vive­ ri e mi aggiornava sul resto della Fas. Mi ha detto, ad esempio, che Emile passava le sue giornate filmando in Super8, ma che non c'era pellicola nella telecamera. Mi ha confidato anche che si era fatto un'amichetta. E in effetti risplendeva d'amore, ma sembrava impallidi­ re di noia. Segno dei tempi? E così, quando dalla Rqi c'è giunta all'orecchio la no­ tizia della sfida dei Giovani Hegeliani, è stato un sollie­ vo per tutti. Siamo partiti un mattino sull'autostrada del Sud, sgombrata da poco dalle Brigate Nazionali, una nuova emanazione degli arrabbiati del Nuovo Po­ tere di Stato. Le loro milizie ci hanno lasciato passare raccomandandoci di non rimettere più piede nella Ca­ pitale che stava per diventare luogo nefasto per indivi­ dui della nostra specie anarchica. Farsi trattare da anarchici! La nuova forma di coercizione era all'opera... 68

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Hegel, li avremmo trovati in fretta... Per dirla tutta sono stati loro a trovarci. In un Jac­ ques Borei, sull'autostrada. Uno di quei vecchi risto­ ranti dove un tempo si poteva gustare rinnominabile e dove adesso servivano zuppe popolari. Un pubblico disparato andava lì a prendere la brodaglia sociale. Cera ancora qualche viaggiatore ma anche gente di quelle parti che non aveva più niente da mangiare. I buffoni che rimestavano la sbobba assomigliavano terribilmente ai vecchi reduci deirEsercito della Sal­ vezza, senza il képi. Il paiolo malefico, invece, era an­ cora lì. E così abbiamo deciso di fermarci, tanto per farci quattro risate. Hegel ci ha fatto andare la risata di traverso. L effetto sorpresa ha funzionato e un solo tiro di bazooka ha polverizzato la moto di Emile e Loulou, le nostre nuove reclute, trasformandoli in una pioggia di sangue e di umori vitrei. La nostra salvezza è stata la fuga, mentre Riton, con il suo Fm, annaffia­ va copiosamente tutta la zona di pallottole. Abbiamo guidato tutta la notte, abbiamo attraversato Lione, de­ serta e depressa, e ci siamo tappati quindici giorni nel­ le raffinerie di Feyzin, dedalo di ferraglie scure e con­ torte che ci offriva un rifugio ideale. È stato allora che abbiamo preso gusto ai grovigli di metallo e ai luoghi dall'aria di una discarica. Questo genere di albergo ci calza a pennello ancora oggi. Sul posto abbiamo reclutato a casaccio cinque membri urlanti di odio e di terrore suicida, vecchi Hells, i Norton DellOrto Angels, di Vienna che, a cor­ to di nemici da demolire, hanno accettato di farci da retroguardia in campagna. I rapporti con il loro ego super-potente, che inizialmente credevo difficili, non lo sono stati affatto. Hanno dimostrato di avere fin dal principio un forte senso del branco. E io ero il cane più grosso. Hegel ci ha attaccato un mattino nella raf­ fineria, ma confondendo semiotica e strategia, ha per­ so cinque dei suoi sbirri immondi, due dei quali sono stati oggetto delle mie cure premurose. Jimmy, dei 69

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Norton, lo hanno fatto fuori mentre cercava di scirop­ parsi tutto solo Tintera banda dei neo-Sinistroidi che, lo ammetto, erano nettamente superiori, quanto me­ no in fatto di cultura. Per il poveretto TEstetica risie­ deva esclusivamente nel carburatore della sua moto, e è stato triturato da una mitragliata. Un kalashnikov si­ curamente. Le tradizioni persistono. Dal momento che Feyzin era oramai solo una trap­ pola per topi, e che questi Hegeliani di merda erano più numerosi, abbiamo ripreso la fuga. Corneille mi invadeva la testa. Interpretavo uno degli Orazi, salvato dalla buona conoscenza dei classici. A Romans, abbiamo sparato sulle milizie. Grenoble, devastata, ce sembrata neo-sbirrizzata. Digne non era lo Yunan ma una trappola per topi. Abbiamo scelto come base un villaggio lì vicino, Norante, un posto di­ fendibile e tattico: da lì potevamo attaccare e resistere. E soprattutto potevamo riposare. La natura circostan­ te era grigia e glauca e, in piena sintonia col nostro stato d'animo. Le grandi cave di ardesia, tetre e ta­ glienti, mi facevano pensare a enormi corpi cavernosi. L'ideale clausewitziano. Ci abbiamo messo un me­ se a tenere a bada i cafoni del luogo, barbuti e simpa­ tici, ma dementi, genere anti: anti-violento, anti-militarista, anti-fascista, anti-stalinista, anti-gruppo, anti-co! Abbiamo perlustrato più volte i cinquanta chi­ lometri attorno Norante, alla ricerca di Hegel. Sape­ vamo che ci stavano seguendo. Loro sapevano che noi sapevamo. Li abbiamo intravisti diverse volte, c'è stato qualche tafferuglio sporadico che non ha fatto né vittime né fe­ riti. Ho capito che quelli non avevano alcuna paura, ma nemmeno un piano e un quadro generale della si­ tuazione. Bisognava condurli a noi. Un giorno, mentre ci aggiravamo intorno a Digne, c'è capitata una strana avventura. Guidavamo a tutto gas sulla statale Napoléon, sinuosa e carica d'odio nel­ le giornate di pioggia, calma e traditrice al sole. Dopo 70

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un semaforo verde, un uomo, lontano, se ne stava in piedi al centro della carreggiata, gesticolando. Ci sia­ mo fermati subito, a debita distanza da lui. Amedeo e Gilbert si sono nascosti tra i cespugli per parare even­ tuali imboscate. Riton ha sparato una raffica di proiet­ tili a vuoto da un lato e dall'altro della silhouette, che, agli spari, ha risposto con grida disarticolate e se rag­ gomitolata a terra, spaventapasseri invertebrato. Sono sceso dal camion mentre i miei due esplora­ tori tornavano indietro informandomi che non c'era niente di anormale da segnalare all'orizzonte. Sentivo che quell'uomo aveva qualcosa da dirmi. Così sono andato da lui. I miei stivali risuonavano sull'asfalto crepato. Mi sono fermato a un metro dallo sconosciu­ to, ancora prostrato, con la testa tra le mani. Momo mi ha raggiunto e mi ha chiesto se doveva sgombrare quell'ostacolo umano. «Torna dagli altri, questo ammasso di carne deve parlarmi». Momo se ne va. L'uomo solleva la testa e mi guarda con un occhio polifemico. Era sporco, ma il suo viso aveva la nobiltà e l'intensità dei profeti. Mi parla con la sua voce sorda: «Ammasso di carne? Non sono for­ se umano, Spinoza?». «Conosci il mio nome, caricatura?». «Sì, ti cerco da molto tempo Julius, perché voglio che sia tu a raccogliere con riguardo le parole che usciranno dalla mia bocca...». «Ti ascolto, ma sbrigati perché il tempo è contro di me». «Mi chiamano il Damerino. Predicavo il rinnova­ mento della Letteratura sulle spiagge pubbliche di Marsiglia, e lì uno stronzetto mi ha assicurato, met­ tendomi una lama alla gola, che tu eri il solo capace di ascoltarmi. Lui stava ironizzando, ma io ho avuto la debolezza di credergli. In questi giorni di distru­ zione ci si attacca facilmente alle profezie. Inoltre mi ha dato questo per te». 71

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Mi porge un foglietto accartocciato sul quale era­ no scritte alcune parole: Julius, Spinoza dei miei coglioni! Carlo Ponti ti piscia in faccia. Bevi! Il Grullo

Ho stracciato il foglio, perplesso. Ho giurato che un giorno o laltro l'avrei sodomizzato quell'iconoclasta. Il vecchio riprende a parlarmi: «Vedi Spinoza, que­ st uomo, crudele nel cuore, mi ha detto che mi avresti preso sotto la tua protezione, come un mecenate dei tempi passati. E adesso io ho la certezza che il tuo so­ gno segreto e intimo è diventare il Lorenzo de' Medici dei nostri anni poveri. Sono sicuro che mi lascerai parlare della Letteratura con forza e libertà, per dimo­ strare alle genti che la parola scritta è la vita e l'awenire, che è meglio che le nostre angosce riposino sulla carta piuttosto che sui corpi dei nostri simili...». «Ma di che stai parlando?». Ero disgustato dall'ingenuità della sua proposta. «Parlo della Letteratura», ha urlato. «Di che?». Il tipo mi ha guardato completamente in preda al panico: «Ma, Spinoza, i romanzi! Mi hanno detto di tutto il bene che pensi di Broch, di Gadda, di Joyce, di Chandler, di Cain, di Spinrad, insomma, di tutti! Mi hanno detto che li difendi armi in mano!». «No, vecchio, ti hanno mentito! Io mi interesso alle Letture Strategiche. È in questo senso che Joyce, Lowry, Gadda e tutti gli altri mi parlano. Ma me ne fotto della Letteratura come del primo paio di mutan­ de di Flaubert... «Ah!». Aveva l'aria disperata. «E non difendi il ricordo di tutti questi autori?». «No. Che quelli che non sono ancora morti possa­ no crepare! E che ne nascano di nuovi...». «Ah!». 72

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Ha cacciato precipitosamente una pistola dalla m a­ nica. Non mi sono mosso. Ho provato quello che si prova in questi casi: la morte vicina. Mi ha guardato a lungo negli occhi: «È un peccato che tu non abbia le mutande di Flaubert, Spinoza, sennò ci cagheresti dentro dalla paura!». «Nessuna paura, scrittore, nessuna paura. Solo il rammarico per Terrore di essermi fidato di te, Dame­ rino...». «Non prendertela, niente di personale». Ha girato la canna verso di sé, se Tè ficcata in boc­ ca e ha messo fine ai suoi giorni. Ho contemplato il cadavere dalla testa scarlatta. Ho raccolto la pistola. Era una magnifica Smith & Wes­ son dal calcio madreperlato. Un mattino il grande choc e il grande sbaglio. Hegel attacca Norante. Ho fatto in modo che gli Spinozisti non partecipassero alla sparatoria in prima linea. Gli Hells sono partiti alTassalto senza niente da perdere, genere regolamento di conti alla Ok Corrai. Sprigio­ navano una tale energia e hanno avuto un tale culo che sono riusciti ad annientare quattro Hegeliani in un attimo, seminando scompiglio, terrore e una tri­ stezza infinita. Quando sono tornati, grondando gioia e sorridenti d'odio, avevano lasciato due dei loro stec­ chiti al suolo. A quel punto abbiamo attaccato da ogni parte, sicuri della nostra invulnerabilità, ma, in verità, approfittando della disorganizzazione degli avversari. Questi qui perdevano colpi e hanno perso ancora uno dei loro membri puzzolenti sul prato, ucciso da un colpo uscito proprio dalla canna della mia Smith & Wesson. I ruoli si erano invertiti, Hegel era passa­ to da cacciatore a preda. Li seguiamo ancora. Li ab­ biamo ritrovati da poco. I due Hells sopravvissuti sono entrati a pieno titolo nella Fas. La sera stessa hanno perfezionato la loro cultura grazie alle nostre cure meticolose. Denis, il 73

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sassofonista geniale, e Gilbert, che era riuscito a recu­ perare un kalashnikov da un cadavere estetico. Da quel giorno siamo degli assetati in marcia.

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F in aletik Fiction spinozista #8

Uscendo dal tunnel formato dalla condotta superio­ re di Pont du Gard, mi sono messo a cercare un punto da cui avere una visione generale della zona. Hegel era lì, ma ce n'erano solo le tracce, non la presenza. La moto e Momo, accasciati sull'asfalto. Una lunga stri­ scia nera e un paio di gambe spuntavano da un picco­ lo cespuglio più in là, senza dubbio un nemico. Cerca­ vo il corpo di Nanar, ho trovato il posto ma non il re­ sto della sua carcassa spinozista. Tre morti tra le no­ stre fila, contro sei, un successo. Era lo scontro finale. L ultimo. Meraviglioso. Bianco e scintillante come il capitolo finale di Gordon Pym. Mi sono messo a sedere per terra, ho acceso una si­ garetta, e ho aspettato. Nel posto in cui ero non pote­ vano vedermi e avevo diverse possibilità di manovra. Pensavo alla mia vita. Entro un'ora e mezza il sole avrebbe cominciato a picchiare forte e a spaccarmi il cranio. Quell'astro di merda mi fondeva il cervello e mi faceva a pezzi. Di colpo il rombo familiare del Magirus. Poi, men­ tre risaliva verso il ponte, il suo ruggito. Ho sorriso. Ci contavo. I miei uomini, non vedendomi ritornare, erano crol­ lati e cagandosi addosso avevano deciso di non sepa­ rarsi più. Attaccavano in massa, di petto. 75

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Il camion s'è fermato sotto il ponte, Depips è sceso per spostare la Guzzi di Momo che ingombrava la strada, sbarramento simbolico: vicolo cieco. Ho scor­ to nella cabina Carlo, al volante, e Régis. Nel cassone Riton accasciato sul suo Fm e Denis steso direttamen­ te sull acciaio. Il tempo di spostare morto e moto e so­ no ripartiti. Che imbecilli, era chiaro che lo Stratega non era con loro: quello sgombero puritano gli aveva fatto perdere tempo prezioso e li aveva annunciati. Momo oramai non era che un ammasso morto di car­ ne e ossa, avrebbero dovuto passarci sopra, alla sua anima non avrebbe dato alcun fastidio. Il camion non ha avuto il tempo di percorrere nean­ che dieci metri. È stato interrotto da un tiro di ba­ zooka. Ce stato uno scoppio nella cabina e molto fu­ mo. Due Hegeliani sono usciti dalla boscaglia. Riton li ha conditi a suon di mitragliatrice e ne ha ucciso uno, l'altro è riuscito a raggiungere il camion coperto dallo scudo di fumo nero. Denis ha scalato la cabina che an­ dava a fuoco e gli ha sparato a bruciapelo. Poi è salta­ to di nuovo nel cassone. Lui e Riton stavano cercando di ricaricare la mi­ tragliatrice quando una granata gli è arrivata addos­ so. Uscita generale. Mio Dio! Una granata! Quella di Nanar, quel coglione. Capitolo chiuso su cinque Spinozisti e il loro magico camion. Ho visto il tiratore scappare lungo la galleria inter­ media di Pont du Gard. L'ho beccato con il Mauser, in piena corsa, come nel tiro al piattello. Bingo! Ha fatto un volo a planare dritto dritto tra gli hotus e le chevennes del Gard. Che classe, una bella morte per un pic­ colo uomo! Ma sparando avevo rivelato la mia posi­ zione. Sono scappato verso il ponte, riflettendo sulla situazione generale. Durissima. Nell'ultimo scontro cinque Spinozisti contro tre Hegeliani. Scambio di pe­ dine, ma io perdevo alfiere, torre e regina. Restavano François e Gilbert, entrambi invisibili ma sicuramente presenti. 76

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Mi sono dato alla fuga completamente allo scoper­ to, e inoltrandomi tra gli arbusti, mi sono diretto a tut­ ta velocità verso i nemici senza farmi vedere, mimetiz­ zandomi nel verde. Sono sceso un bel po' e mi sono ri­ trovato vicino ailla strada, proprio nell'attimo in cui un Hegel la attraversava, dirigendosi verso di me per na­ scondersi o per seguirmi. L'ho lasciato avanzare, col fiato mozzato, e l'ho fatto fuori a bruciapelo, stam­ pandogli sul viso una maschera di sorpresa, di soffe­ renza e di annientamento. Un'epoca frenetica. Ho gridato a squarciagola: «Spinoza!». Ero certo che in quel preciso momento due volti si erano illuminati, più lontano, da qualche parte tra le verdi querce, i biancospini e la guariga. La Ds è riap­ parsa di colpo, abbastanza vicina, con quattro tipi a bordo. Ho sparato ma era troppo distante. Sono scap­ pati. In fondo alla strada, poco prima della curva libe­ ratrice per le aspirazioni hegeliane, è sbucato Gilbert. Doveva aver attraversato il fiume. Si è piazzato al cen­ tro della carreggiata e ha scaricato il suo kalashnikov sulla macchina che filava a tutta velocità contro di lui. La Ds lo ha travolto, ci è passata sopra ed è andata a sbattere a una velocità folle contro le rocce che costeg­ giavano la strada. Mi sono messo a correre verso l'au­ to senza prendere nessuna precauzione supplementa­ re. Due Hegeliani sono usciti dal veicolo appiattito e immobilizzato. Gli altri due erano stati passati al se­ taccio da Gilbert. Ho sparato in piena corsa, ne ho uc­ ciso uno, un colpo da maestro, l'altro mi aveva a tiro prima che riuscissi a ricaricare l'arma. Sono saltato nel fossato. E quello ne ha approfittato per darsela a gambe levate. Si è addentrato tra i rovi e ha scalato una parete rocciosa. François era lì. Lo guardava avvicinarsi, demoniaco e impenetrabile. Gli ha sparato due cartucce di proiet­ tili in faccia. Il Giovane Hegeliano è caduto all'indietro, ha sollevato una nuvoletta di polvere, e contor­ cendosi è morto. 77

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Partita chiusa con Hegel. Nelle orecchie mi rimbombavano ancora le deto­ nazioni, poi, poco a poco, è tornato il silenzio, e gli uccelli, e lo scrosciare del Gard, e il vento fra gli albe­ ri. François tremava, mi sono avvicinato a lui, l'ho aiutato a scendere dalla roccia dov era. Mi ha stretto. Io Fho baciato in bocca focosamente. Spinoza aveva vinto ancora. Ma la Frazione Armata Spinozista era decimata. E poi, di colpo, la disfatta, l'orrore, la puzza di sangue e di cordite, la visione atroce della morte dell'uomo, lo sconforto del dolore, Podio inutile. Ma non importa. In due, ora, potevamo solo fuggire. Thorez Rouge ci stava alle costole come un cane rabbioso, d'altronde sono cani, ma si vedrà. Sarebbe stata la fine del mon­ do se quegli Stalinisti fossero riusciti a fregare Spi­ noza! E poi va tutto bene: ho guardato i miei stivali. Nessun danno rilevante. D'accordo, la lucertola viola è tutta impolverata, ma sotto sotto è ancora lei. Non è l'ideologia significata che ci spinge all'assassinio orga­ nizzato, ma l'ideologia significante. Per alcuni questo svaluta le nostre lotte, per noi è l'unica ragione valida. Abbiamo cominciato a recuperare dai cadaveri tut­ to quello che ci sarebbe tornato utile per sopravvivere.

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Pronto! Pronto Gruppi della Giusta Immagine e delVlmmagine Giusta! La Rqi vi riempie la testa di suoni e furore! I Giovani Hegeliani e la Frazione Armata Spinozista hanno raggiunto mutuamente Vetemità con un grande flash ultravioletto! Morte chiama morte! Il san­ gue riflette Vanima. E il campo coperto di morti sembra la tavola dell·Indicibile! Due gruppi in meno, venti grup­ pi in più! Tra cui Reattore Sovietico, un gruppo di duri, di mosci, di lampi tetri! Hope you guess my name! Avanti! Gruppi della Giusta Immagine e delllmmagine Giusta! Sympathy for the Devil!

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Satan a a lla paranoia Fiction poetico-spinozista #9

Non appena Tistinto di lotta e di sopravvivenza mi è ripiombato addosso, ho scritto il testo che segue e Tho incollato al cassone del Magirus: Thorez, ritrovandomi ad essere Vunico superstite della guerra hegeliana, non posso più definirmi un gruppo. Se desideri ancora guardarmi il buco del culo, raggiungimi a Marsiglia, mi troverai col gruppo di Carlo Ponti. Viva Spinoza! Se vuoi proprio fare qualcosa che ti si addice, sotterrami questi cadaveri. Spinoza ti bacia e si lava la bocca. Julius.

E siamo andati a recuperare la Moto Guzzi. Ritornan­ do sui luoghi del massacro finale, mi sono fermato e ho guardato un ultima volta i corpi. Momo e gli altri. Carbonizzati o dilaniati. Morti a vita. Vivi nel mito. Un venticello spazzava via il fumo nero che il ca­ mion continuava a emanare. Una mano bianca e in­ tatta usciva dal braciere della cabina. Non osavo pen­ sare a chi appartenesse. Nel silenzio e nello scricchio­ lio dell acciaio surriscaldato che fondeva, ho sentito di colpo un rombo di automobili, in lontananza, sulla strada. Thorez non era lontano. Gli avvoltoi arrivava­ no. Siamo fuggiti in silenzio. Un po' a caso abbiamo raggiunto Collias, un paesino in riva al fiume, custode geloso di gole tranquille e selvagge. Abbiamo nascosto 80

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la moto sotto le frasche e siamo andati a fare una pas­ seggiata in riva al Gard. Dopo due o tre chilometri ci siamo fermati sulle pietre asciutte trovando riparo dall sole puzzolente sotto un vecchio albero. Sole e fre­ schezza. Acqua e fuoco. Bisognava lavarsi dalle impu­ rità dell'omicidio e sbarazzarsi dall'immagine spinozista che avevamo incollata ancora alla pelle. Ci siamo bagnati nudi nell'acqua gelida, asciugati al sole cocen­ te. Abbiamo scopato sulla ghiaia, i muscoli caldi di François mi sono piaciuti. Ho dato un taglio netto ai capelli. Adesso sono neri, il loro colore naturale. Ab­ biamo dato fuoco ai nostri vecchi abiti. Ho conservato solo i miei stivali. Il bianco era il colore dominante dei nostri nuovi vestiti, segno di una sorta di purezza sim­ bolica. Avevamo l'anima talmente cupa! Ne ho abbastanza di raccontare svuoterò la testa chiamatelo come vi pare poesia pasticciaccio patetico 0 vergogna, me ne fotto in due sulla Guzzi, François dietro, col Mauser a tracolla così c'è posto per i miei due revolver le canne mi schiacciano i coglioni il vento soffia carico di Spinoza, Spinoza muore per 9/11 10 e François in corsa verso Marsiglia Carlo Ponti che gli scoppino le budella! deve tenersi forte 11 mio aspetto non è più nero ma bianco Super Croix180 Gli abiti nuovi del presidente Julius 1 miei capelli corti non fluttuano più al vento pulito all'apparenza ma la corteccia cerebrale si opacizza si scurisce si annerisce non so più dove sono con chi ce l'ho 81

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la mancanza di un bersaglio mi pesa il Grullo queirimbecille siderale è a capo di una grande truppa ce Tho solo con lui non con gli altri e questo mi infastidisce strategia e tattica passeremo alla guerriglia vergogna su di noi obbligati a nasconderci per il momento insetti tra gli insetti dardi tra i dardi il veleno arriverà daU'ombra Carlo Ponti un giorno si sentirà livido creperà come tutti quelli che sono crepati di fronte a Spinoza sarà difficile no non difficile non sentono il nemico avvicinarsi non sentono Tindicibile ce Thanno nella pelle già li stiamo rosicchiando il Grullo, gli manderò una lettera così imparerà a innescare uno scambio epistolare Bastardo Gran bastardo tremerà nella sua cameretta e vedrà Spinoza dappertutto leggerà negli occhi dei suoi scagnozzi falsi tradimenti questi saranno suicidi prima ancora d essere dei veri traditori comunque sono traditori non si sta con il Grullo non potrà più camminare per le strade 82

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le mura avranno orecchie spinoziste sarà costretto ad abbatterle ma io non so neanche il suo indirizzo il Grullo, Marsiglia, le Ptt non esistono più faccio passi indietro la moto avanza nell'aria calda la Provenza puzza di cadavere la leggendaria serenità di questa natura non mi ispira mi fa venire voglia di vomitare ogni pietra è un cadavere ogni cipresso un malato e il tutto guidando a 131 km/h vomito François lo scansa, e quel poco di vomito mi si appiccica alla spalla sarà il testimone quotidiano del mio odio verso il genere umano non sono stato io a cominciare dovevano solo evitare il bordello dovevano solo evitarlo adesso che è andata, saranno loro a cagare François mi chiede di fermarmi mi fermo, lui scende, mi guarda, piange, mi chiede perché perché continuiamo questa folle corsa a che scopo partiamo, Julius, isoliamoci ricreiamo in due un mondo artificiale Adamo e Adamo TUmanità non ha niente da temere non ce procreazione nellaria troveremo un piccolo angolo da sfruttare tranquilli, sereni e quando gli sbirri riprenderanno il bastone e gli altri la carota 83

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si vedrà le banche o il lavoro, la morte o la vita ma non moriamo adesso vattene se vuoi, gli dico 10 continuo la Guzzi non si fermerà più finché il Grullo traspirerà calore e non terrore dalle membra non avrò riposo è la giusta chiusura del circolo vizioso quando me la vedrò con lui metterò fine alla caccia François mi chiede se lo amo gli dico che odio il Grullo mi chiede il permesso di lasciarlo partire acconsento, e piango anch'io ci stringiamo la mano 11 ritorno di un rito che non esiste più Spinoza, sei uno stronzo, tu rifiuti la vita dice non gli rispondo vigliacco nel credere ancora alla felicità se ne va François va via camminando tra i campi, con il Mauser in pugno visione della guerra del Ί 4 lo Chemin des Dames2 lunico sopravvissuto della trincea 22 la Guzzi mi vibra di nuovo tra le cosce e mi conduce verso il sordido, rombando felpata adesso sono solo faccia a faccia con la mia storia

Note 1. Nota marca di detersivo in polvere, [ndt]. 2. Qui si consumò una delle più atroci disfatte dell'Eser­ cito Francese durante la Prima Guerra Mondiale, [ndt].

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Armata F rancese P rima D ivisione T erza B rigata, Parigi C omunicato

Noi chiediamo ai cittadini civili e ai membrì delle Mi­ lizie di Salvaguardia e di Protezione di impedire, con ogni mezzo legale in loro possesso, le azioni dei vari gruppi armati che terrorizzano la popolazione e si dan­ no al saccheggio, che rispondono a ideologie estremiste fascistizzanti. Bisogna impedire a questi gruppi, dai no­ mi diversi, di compiere azioni di distruzione e di sac­ cheggio. Essi sono dichiarati sciolti e fuori legge per de­ cisione del Consiglio di Stato Maggiore. Tutti i cittadini hanno il dovere di aiutare i corpi responsabili che ema­ nano dalVEsercito e dalle Milizie. La nostra società deve continuare a rinascere nel ri­ spetto della democrazia. Viva la Nuova Francia!

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S p in oza F orever Finale spinozista #10

Quel testo l'ho letto affisso ai muri, all'uscita del­ l'autostrada che penetra dritta al cuore di Marsiglia. Una fitta al polmone sinistro. La libertà ridotta a brandelli. I corpi di Stato, chiuso il capitolo cadaveri, potevano dedicarsi ora ai vivi. Gli anarchici in prima linea. Noi. Gli altri. Quelli ai margini. Altrove. Fuori. Stranissimo entrare in un bar, istituzione non an­ cora estinta in questa città. Ma le abitudini commer­ ciali erano cambiate. Bisognava fare quattro chiac­ chiere col padrone e scambiare - baratto insolito un oggetto personale per una bevuta. Nelle sacche della moto, avevo conservato la cintura di coccodril­ lo che mi è valsa una bottiglia di Chivas e una botti­ glia di Saint Yorre. Mi sono piazzato sulla terrazza, non troppo in vista, non si sa mai: vedere sbarcare il Grullo e il suo corteo di puttanelle matèrialiste aveva più dell'incubo che della sorpresa sperata. La depressione causata dalla morte della Fas e la partenza-fuga di François diluivano lentamente nei sorsi caldi del liquore bruno. Ho fatto il punto della situazione, inventario personale, preconcetti e mate­ riale ammucchiato. Avevo al mio attivo la moto, due pistole e qualche munizione, un coltello, un tanica di benzina, qualche vestito di ricambio, un orologio, un po' di cocaina e 86

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qualche amfetamina, delle garze, un libro di Spinrad, Il Pianeta Sangre. Stavo bene, seduto su una sedia di giunchi, i piedi al sole, la testa protetta da una fìnta vi­ gna vergine di plastica, lo sguardo rivolto alla piazza, dove la gente cazzeggiava, impaurita ma visibile, brufoli esplosi su una guancia in fiamme. Il tempo passava liquefacendosi. Ho cercato di ri­ cordare l'effervescenza delle grandi metropoli urba­ ne. Non ci sono riuscito. Marsiglia, forse un po' più risparmiata delle altre, aveva acquistato una vivacità fuori dal comune. Un bel po’ di macchine, un bel po' di movimento apparente. Molta gente con l'accento e una gran sete la facevano sembrare quasi una città. Ho visto arrivare uno strano giovanotto, tutto ve­ stito di giallo limone, e con il petto tempestato di grosse spille scintillanti. Ha preso posto di fianco a me, guardandomi senza divertimento, incuriosito forse. Quando se girato ho notato le parole «Silver Shadow» stampate direttam ente sulla stoffa della sua giacca. Era il marchio generico di una serie di Rolls Royce. Conosceva sicuramente Carlo Ponti o ne faceva addirittura parte. Il Grullo era un grandis­ simo fanatico di quel genere di macchine: se avesse potuto rifarsi il muso a forma di calandra dal fronto­ ne neo-greco, l'avrebbe fatto. Il suo caso si collocava ai limiti inabbordabili della neuropatia. Come adescare questo bell'adolescente, senza dir­ gli niente, senza rivelargli neanche un briciolo della mia identità? La sola educazione non era più alla mo­ da, la diffidenza regnava sovrana, agitando i propri frustini di cuoio su ogni minima simpatia. Perso tra i miei pellegrinaggi interiori non controllavo più le on­ de cinetiche che gli inviavo nella schiena. Si è voltato e mi ha guardato. Pensando ad altro ho sostenuto il suo sguardo senza rendermene conto. Quell'occhiata doveva sembrargli una specie di esame di ammissio­ ne. Ma mi è andata bene perché è stato lui ad attacca­ re bottone: «Perché mi guardi così?». 87

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Aveva l'aria agitata ai massimi livelli, come sotto l'effetto di un trip, ho pensato. «Bah... Per niente. Non si incontrano spesso per­ sone che sembrano star bene nella propria pelle...». Facevo la puttana fino in fondo. «Non sto mica bene nella mia pelle, sto bene nel mio gruppo!». Ero capitato sullo spaccone, il naïf, l'imbecille. «Ah! È la prima volta che mi capita di incontrare il membro di un gruppo. Io viaggio da solo. Al momento mannoio... E poi i gruppi... I capi e tutto il resto...». «No, noi non abbiamo capi, ma una guida!». «Se è così...», gli dico sarcastico. «Non sfottermi, potresti ritrovarti sgozzato ancor prima di inspirare... ». «Stai calmo!». Il tipo mi ha guardato inebetito piantare il mio Pra­ del in mezzo al tavolo. Lo vedevo riflettere, sorpreso di non essere stato più veloce di me. Ci ha pensato anco­ ra un po' e s'è messo a ridere di gusto. «Tu mi piaci», dice. Stile Jean Gabin questa volta! Ce n era proprio per tutti i gusti. Puro realismo popolare. «Vieni domani sera all' Alcazar », ha continuato. «Diamo una piccola festa, se piaci, entrerai nel nostro gruppo, sempre che ti vada, beninteso, viaggiatore so­ litario e glaciale...». Ha riso. «Come si chiama il tuo gruppo?». «Carlo Ponti, un italiano che... Ma tu non lo cono­ sci...». «No, non ne so niente... È per domani sera?». «Sì, una piccola festa rituale...». «Ok, a domani!». E me ne sono andato calmo e riposato nell'anima. Ho passeggiato per le strade di Marsiglia. Ho rimedia­ to in fretta alcuni membri delle milizie locali, con le 88

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loro fasce genere So1e le loro facce da disabili sociali. Lo Stato è autismo. Avevo uno sguardo assolutamente bettelheimiano sulla società delle persone. Ho seguito due miliziani dall'aria dignitosa. Dei ti­ pi in missione. O al lavoro. Si vedrà. In effetti mi han­ no condotto fino alla loro base, un vecchio commis­ sariato di quartiere rimesso a nuovo e sbarrato da un enorme striscione sul quale con caratteri in rosso era scritto: Comitato di Salvaguardia e di Protezione. Caproni. Sono entrato in quell'ospedale morale e mi sono imbattuto immediatamente in un piantone armato come una corazza, berretto e foulard dello stesso co­ lore della fascia. Addio! Non si passava senza una va­ lida ragione. «Vorrei parlare con un responsabile della vostra or­ ganizzazione», ho detto. «Se non le dispiace, signore», ho aggiunto. «Oh! Niente scherzi!», ha risposto con cattiveria lo sbirro. «Il senso dell'umorismo è riservato alla gente felice. E non mi sembra questo il momento...». Pure filosofo il tipo. Mi ha guardato, mi ha squadrato e ha detto: «Mo­ tivo?». I neo-poliziotti diventavano lapidari. «Senti, Action Man, se il tuo capo scopre che mi hai impedito di comunicargli quello che devo dirgli, si mette male per la tua matricola e ti ritrovi a spasso». II tipo ha valutato la mia battuta, e ha apprezzato la nota storico-nostalgica, pronto a saltarmi addosso. Poi m'ha fatto segno di seguirlo. Abbiamo attraversato diverse sale stracariche di tipi loschi. Sembrava una messa in scena brechtiana di un'opera di Barillet e Grédy. Siamo entrati in una stanza zeppa di ogni ge­ nere di fronzoli, tra cui un telefono di campagna, una scrivania ricoperta di scartoffie e un militare, gradua­ to. Eravamo giunti a destinazione. Il piantone mi te­ neva sotto tiro, pronto a trasformarmi in catafalco. Il 89

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graduato ha alzato gli occhi dalle sue carte, mi ha stu­ diato con Tocchio avvinazzato, le buone abitudini so­ no dure a morire, e ha chiesto: «Cos'è questo?». «Questo sono io», ho risposto, con un sorriso hol­ lywoodiano stile Robert Mitchum. «Sono qui per dar­ vi alcune informazioni che vi faranno stare sulle spi­ ne, se mi permette di usare questa espressione che non ha niente a che fare con la vostra uniforme...». «Fai ancora il pagliaccio e ti faccio assaggiare un po' di piombo...». «Ecco!», mi metto a urlare. «Mi trattate come un oggetto! Me ne vado e voi non saprete mai dove si riunisce Carlo Ponti...». «Ah!», urla il tipo. «Come se non lo sapessimo!». «Sì, certo... Sapete dove vivono, ma non potete an­ darci, perché siete in inferiorità numerica. Però, do­ mani danno un piccolo ricevimento all·Alcazar, e se riuscite a trovarvi sul posto prima di loro, avrete una piccola chance di farli fuori definitivamente. E a voi tutto il merito! La cosa vi alletta, no?». «È un tranello, cocco?». «Ma sì, come no! E dai! Stammi a sentire...». Mi sono avvicinato al tavolo e ho piantato le due mani sulla scrivania, la destra vicina a una pesante lampada di metallo. «Stammi a sentire, non sono così stupido da but­ tarmi nella bocca del leone, ma...». Ho afferrato la lampada e Ilio fracassata sulla testa dello sbirro che ha portato, nel suo sogno stordito, la mia immagine fiammeggiante di velocità. Nello stes­ so istante ho cacciato la Smith & Wesson e Tho incol­ lata alla fronte bassa del militare. Che è sbiancato. E con voce altrettanto bianca, gli ho detto quanto se­ gue: «Io sono Spinoza. Il Grande. Io odio Carlo Ponti per ragioni che non possono essere comprese dalle tue circonvoluzioni ritardate. Te li consegno. Li hai sulla punta delle tue dita grassocce. Tu li vuoi e io te li do, chiaro e semplice. In quest unica occasione sia90

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mo colleghi, tu e io. Se funziona gloria per te, soddi­ sfazione intima per me. Ok, militare del cazzo?». Ha deglutito: «D'accordo, riferirò a...». «Bravo, riferisci». Lo sbirro rincoglionito ha ricominciato a dare se­ gni di vita. L'ho guardato preoccupato. Era la prima volta che colpivo la legalità ricostituita. Brutto segno: l'inizio della fine. Sono uscito con il militare che con un solo gesto ha placato gli ardori bellici di tutti gli altri bellimbu­ sti che erano nel commissariato. Mi sono dileguato tra i vicoli della Napoli francese. Poi, ho cercato ΓΑ1cazar. L'ho trovato in un attimo, un vecchio tesoro rococò che, con un po' di fortuna, stava per diventare la tomba dei miei ultimi desideri. L'indomani, alle diciassette, ero già piazzato in un appartamento di fronte al teatro. Le strade della città erano piene, le case invece erano inspiegabilmente vuote e deserte. E mi sono messo a osservare pazien­ temente. Non ho visto i militari e i miliziani occupa­ re il luogo. Ho immaginato che erano già lì. Doveva­ no esserci altre vie d'accesso. Altre entrate. E quindi altre uscite. Il mio piano faceva acqua da tutte le par­ ti e la cosa mi provocò inquietudini che avevano il gusto dell'errore. Si vedrà. Verso le venti mi ero già fatto la seconda dose di speed. Avevo bisogno di calmarmi. Ero puro istinto suicida. Vivevo gli ultimi istanti della mia bella vita. La solitudine inaspettata mi faceva commettere trop­ pe cazzate, e la mia corteccia cerebrale non controlla­ va più il corso delle cose. Infine i Carlo Ponti sono arrivati. Erano numerosis­ simi, una quarantina. Sono scesi da macchine lussuo­ se e Rolls decappottabili, in abiti cangianti, strass e paillette, armi in abbondanza. Ho visto il Grullo im­ partire ordini a un paio di facchini che stavano scari­ cando un grosso impianto stereo. Un generatore è ar91

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rivato su un camion scassato magnificamente guidato da un efebo longilineo vestito tutto d argento. Il gioco si faceva duro. Sono entrati alTAlcazar. Due scagnozzi sono rimasti all'ingresso, armati di mitragliatrici, visi­ bili come due pavoni in calore in mezzo a un assem­ blea di sindacalisti responsabili. Sono passati dieci minuti. Una macchina è arrivata a tutta velocità, alcu­ ni spari, e le due guardie Crash sono stramazzate sul marciapiede. Il vudù era all'opera. Si aprivano le dan­ ze. Mi sono vestito in gran stile, ho preso le due pisto­ le e sono sceso, il cuore batteva alle tempie. Mi sono nascosto dietro la porta d'ingresso del palazzo, armi in pugno, zaino in spalla. La Moto Guzzi era par­ cheggiata davanti, a soli tre metri. Sono uscito e l'ho messa in moto. Ha rombato sul cavalletto. Nessuno mi ha notato. A quel punto bisognava contare su una gran fortuna. Echi di sparatorie. Fuoco nutrito, morti in abbon­ danza, ho pensato. I miliziani forse avrebbero avuto la meglio, ma ci avrebbero lasciato le penne nauseabon­ de. Un tipo è uscito correndo e tenendosi la spalla, un Pontista che voleva saltare sul camion. È stato abbat­ tuto senza l'ombra di un processo dai miliziani. Socia­ lismo o barbarie? Barbarie! Altri tre tipi agghindati sono usciti in tromba, sparando sugli sceriffi locali a bruciapelo. Lo spettacolo dell'inesattezza e dell'improwisazione. Così, altri due miliziani e due Crash so­ no caduti sull'asfalto insanguinato, malati d'acciaio e d'impotenza. Il Pontista sopravvissuto è venuto dritto verso di me, attraversando la strada. Mi sono fatto ve­ dere e gli ho fatto segno di sbrigarsi. È arrivato ansimando: «Per Dio, ci hanno fregato», ha eruttato lui. «Che sono questi fuochi d'artificio?». «È lo Stato, amico mio». Sanguinava dalla bocca, ma poco. «Conosci il Grullo?», gli ho chiesto io. «Sì, certo... È il nostro regista... 92

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«Bene, vai a cercarlo, io ti copro. È la nostra unica via duscita. Sono un amico. Deve uscirne vivo... «Perché?». «È mio fratello, finalmente Yho ritrovato». Il melodramma, i due orfani, i fiumi di lacrime. «Me ne fotto, salva me, me!». Mi sono detto: questo stronzo merita il colpo di gra­ zia. Ma è morto prima, i polmoni in un lago di sangue. Degli spari risuonavano ancora all'interno del tea­ tro. Poi, un lungo silenzio. Un gruppo di miliziani è uscito discutendo, parlavano al walkie-talkie. Due furgoni sono arrivati poco dopo. Il tipo graduato del commissariato è sceso da uno dei veicoli e si è inol­ trato nell'Alcazar. Il supervisore. Non avevo più alcu­ na possibilità di trovarmi faccia a faccia con il Grullo e di dirgli che era un infame, lo Stato aveva vinto la battaglia. Carlo Ponti era stato riposto sullo scaffale dei profitti e delle perdite. Alcuni sbirri usciti scortan­ do i damerini sopravvissuti. Il Grullo era tra loro. Il mio sangue ha cominciato a bollire. Finalmente lo ve­ devo. Tutto quello che odiavo: l'ideologia, l'ostenta­ zione, la sete di potere, il senso, la mancanza di stra­ tegia. Ma sarebbe stato fucilato dalle autorità. E l'idea mi era insopportabile. Morire per mano delle mosche non era una morte esemplare. Non era una fine in sé. Senza riflettere sono montato sulla Guzzi. I vinci­ tori erano alle prese con i prigionieri e non mi hanno notato. Sono sceso dal marciapiede e mi sono incana­ lato nel senso di marcia. Mi sono fermato, gli stivali inchiodati al suolo. Venticinque metri mi separavano dal gruppo dove i Sinistroidi si stavano facendo seria­ mente malmenare. Davanti, il Grullo, imperturbabile, incassava i colpi senza batter ciglio. Ho cacciato la mia P38. Ho girato il busto a 90 gradi e col braccio te­ so l'ho puntato. Ho fischiato e urlato: «Oh! Grullo! Buon viaggio!». E ho sparato. 93

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Tutto in cinque secondi. È caduto mentre cercava di alzare la mano. Sono ripartito a tutto gas e ho gi­ rato l'angolo della strada prima che quella merda di neo-Gestapo mi facesse fuori. Avevo le lacrime agli occhi, ma mi consolava il pensiero che il Grullo do­ veva urlare dalle risate. Ho guidato a lungo, piangendo di rabbia e di soli­ tudine, gridando la merda vissuta, insultando questo mondo assolato che niente e nessuno potrà oramai cambiare. La Fontaine aveva torto. I polli danno la caccia ai lupi. Sono ritornato alla discarica di ferro di Miramas. Senza sapere. Senza un piano. Senza tattica. Senza idee. Mi sono seduto nel vecchio Saviem che aveva ospitato, poco tempo prim a i miei amori maldestri con François. Eravamo angosciati e felici. Le albe erano irritanti e ghiacciate, ma liberatorie. Pensavo, a quel tempo, che questa macchina d'acciaio fosse una sintesi del mondo. Mi ero sbagliato. Il mondo al mo­ mento era un garage. Meccanici specializzati rimette­ vano tutto a posto. Proprio tutto. L'idiozia, l'avidità, il lavoro, la violenza dei forti, l'Estetica, Dio, Marx o Baudrillard. Tutte stronzate. Stronzate che ci ricon­ durranno sull'orlo del precipizio. Per guardare gli im­ becilli che avranno già toccato il fondo. Ho vissuto una frattura e sono contento di averne approfittato fi­ no alla fine. Senza giochi di parole. Adesso metà della Phrancia marcisce, prosciugata, contaminata, schiac­ ciata, e l'altra metà si prepara lentamente a marcire nell'anima. Scende la sera. Il cielo è rosa e l'aria tiepida. Fumo una sigaretta, le mie braccia cingono le gambe. Guar­ do lontano per non vedere niente. Potrebbe partire una musica come l'inizio della Settima di Mahler. Sarebbe superbo. Davanti a me non c'è più niente. Non mi rimetterò più in gioco. Ho chiuso con i grup­ pi. Si faranno ammazzare uno ad uno, e non riusci94

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ranno neanche a far fronte comune un'ultima volta. Gli è vietata la vita e permessa la morte. Non assisterò a questa lenta decadenza, a questa immondizia esa­ sperante. Non tornerò a Parigi per diventare complice della ripresa. Non voglio più dovermi cercare una co­ pertura, un lavoro o un'occupazione. Non voglio più elemosinare, non voglio più aspettare i tante grazie di fine mese, di fine carriera, di fine vita. Essere stronzo trecentosessanta giorni all'anno ed essere ringraziato per esserlo stato. Non mi metterò più alla ricerca di amici, per poi fottermene interiormente di loro, non corteggerò più una compagna, per accarezzare la sua pelle e baciare il suo corpo, per confidarle pene che non avrò più e speranze che non posso più avere. Non sono più capace né d'amore, né di odio, né di compassione, né di rimorso. Sono appiattito freddo viscerale indisponibile. Io sono io, io e ancora io, Julius Spinoza. Ho una storia che non può essere cancellata. Il potere lo eser­ cito su me stesso e solo su me stesso. La strategia più efficace è diffidare di tutti e contare solo su una per­ sona: se stesso, ovvero io, con i miei stivali di lucerto­ la viola, le mie due pistole, la mia testa piena di vento glaciale, il mio viso usurato che ha visto la morte in faccia, le mie budella che si aggrovigliano, il mio ses­ so che non sa più... A schizoide, schizoide e mezzo. Vagabonderò. Solo, per le campagne di Francia il cui verde leggendario vira nel bruno malato. Solo, tra le colline erose dalla mediocrità dei miei simili. Solo, nelle periferie puzzolenti e deserte dove le fab­ briche saccheggiate attendono impazientemente i propri schiavi forsennati. Solo, faccia a faccia con la bulimia galoppante. Solo, di fronte al Nuovo Mondo. Mi sono steso sulla carcassa arrugginita. Avevo un po' freddo, ma il lato clinico della faccenda mi piace95

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va. Da moribondo non potevo chiedere di più. Ho sen­ tito i miei capelli sfiorare la lamiera. Ho sentito il fred­ do dell acciaio gelarmi le chiappe. Erano queste picco­ le sensazioni che mi facevano sentire ancora vivo. E poi ne ho avuto abbastanza di tutto questo pessi­ mismo, là in quella sera fredda. Mi sono detto che era impossibile che Julius Puech si lasciasse andare, so­ prattutto dopo i recenti trascorsi vissuti. Io non ero nessuno ma non potevo diventare una nullità. Dovevo rimettermi in sesto, restare o diventare un mito, una entità, una fine, un dramma vivente. Crepare, forse, ma crepare in bellezza, fallace pretesto. Sono ripartito in sella alla Guzzi, San Michele deri­ sorio a cavallo del suo dragone miserabile e affannato. Ho imboccato una strada dritta dove potevo tirare a tutta velocità e ubriacarmi di vento. Ho gridato a squarciagola in omaggio a Momo che di sicuro in quel momento stava pappando tonnellate di caviale in Pa­ radiso, guardando beffardo il nostro mondo di larve brulicare senza sosta. In piena corsa ho urlato impre­ cazioni che è meglio non ripetere e inutile ricordare. Quando incontravo qualcuno che lavorava lo ricopri­ vo di ingiurie, crepa lavoratore, viva il lusso, abbasso i poveri. Ho superato una comune macchina della mili­ zia e ho sparato nel mucchio, godendomi i volti tesi dalla sorpresa e dalla paura della morte violenta. No. Mento. Non è vero niente. Da solo non ero un granché. Mi sono diretto verso Nord. La discesa a Sud ha sempre rappresentato un viaggio verso il piacere e lo sballo. La salita a Nord, invece, ha sempre significato l'ascesa e la ricerca della solitudine mistica. Superato il 45° parallelo, nella zona di Valence, ho cambiato vi­ sibilmente mondo. Mi ha accolto la pioggia, una tenda di sputi, fine e tenace. Dio pisciava sugli uomini. Ho ripreso l'autostrada ma nell'altro senso, esorcizzando 96

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il mio viaggio iniziatico, attratto dal cancro parigino. Non si dimenticano facilmente le migliaia di strade e di case, le fabbriche e i negozi di lusso, i cinema e le metropolitane. Anche se non sono più le stesse. Anche se sono sparite del tutto. Nel Morvan, un freddo autunnale mi è penetrato nelle ossa. La Guzzi avanzava inflessibile, ma la benzi­ na non avrebbe tardato a mancare. Mi sono fermato in un parcheggio vicino a una stazione di servizio sac­ cheggiata. Niente più benzina in vendita, ma un sacco di devastazione. Mi sono guardato intorno. Non un'a­ nima viva. Solo una macchina, quasi nuova, parcheg­ giata un po' più in là. Nessuno. Ho tolto la sicura alla pistola. L'imminenza deflazione diretta mi ha ridato l'andatura pericolosa e la tecnica d'attacco dei lupi. La macchina era vuota, ma il quadro era acceso. Le chia­ vi erano inserite. Sorprendente. Sembravano aspet­ tarmi. Ancora nessuno. Ho esitato. Avrei abbandonato la mia adorata Guzzi per quella bagnarola che mi avrebbe riparato dalle intemperie, dal freddo e dagli insetti impazziti? Stavo davvero per abbandonare il mio mitico aggeggio, tanto mobile, tanto rumoroso e furente? No, era impossibile, non l'avrei sopportato. Mi sono girato cercando con gli occhi un pezzo di tu­ bo che mi avrebbe permesso di svuotare il serbatoio della macchina. Il suono di uno sparo e mi sono beccato una pallot­ tola nella parte alta della coscia. Più che il dolore, mi ha spiazzato lo choc: è stato come beccare una gigan­ tesca martellata allo stomaco. Ho sentito che urlavo con tutte le mie forze, ho visto me stesso sparare a vuoto, tra i cespugli che costeggiavano il parcheggio. Proiettili rabbiosi. Il mondo è diventato bianco quan­ do ho provato a camminare e un forte odore di etere mi ha invaso la testa. Sono crollato in ginocchio, un immenso dolore mi pulsava lungo la colonna verte­ brale. Del sangue colava dalla ferita, un liquido rosso carpaccio, la cosa mi ha sorpreso, io che avevo sem97

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pre pensato di averlo nero, spesso e tagliente. Ho gri­ dato come un bambino sgozzato e sono ricaduto sul fianco. L'asfalto disgustoso ha accolto Spinoza. Ho notato che il sangue mi aveva macchiato gli stivali, ma non mi è sembrato grave, era il liquido glorioso del mio magnifico essere. Il sopraggiungere della morte mi rendeva magniloquente. Il mondo è scomparso dai miei occhi e la mia co­ scienza se n e andata con discrezione. Prima di sveni­ re, ho pensato che non ero neanche riuscito a vedere il cecchino. Una vera seccatura! E ho scaricato rabbio­ samente il caricatore verso il cielo. Ho ripreso i sensi, apparentemente poco dopo, per­ ché senza neanche aprire gli occhi, mi sono reso conto di non avere più la mia Smith & Wesson. Sentivo la presenza al diesel della macchina vicinissima. Mi so­ no reso conto che ero ancora nella stessa posizione: il corpo allungato, quella bestia spaventosa che mi divo­ rava la gamba, la testa immersa per metà in una poz­ zanghera d acqua. Il rumore di una macchina che pas­ sava in lontananza sull'autostrada. Un film senza im­ magini. Non ho aperto gli occhi, diffidente. Avvertivo qualche anomalia. Lo struscio di scarpe mi risuona nelle orecchie. Mi sganciano un violento calcio sulla spalla. Urlo e apro gli occhi. Ci metto qualche secondo a rimettere in moto le cellule fotoelettriche nel gran sfavillìo del cielo grigio. «È bello però», dice una voce. Una voce di donna. «Forza, violentatemi», dico io sghignazzando. La prossim ità della fine non mi faceva paura, al contrario, sentendo che i giochi erano fatti, m ante­ nevo quella distanza altezzosa che sorprendeva sem­ pre i miei complici. L'ineluttabilità della morte pros­ sima aveva un che di allettante. E, per Dio, io ne ero il padrone, bisognava appro­ fittarne. «Bello e scemo», riprende la stessa voce. 98

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Mi sono accorto allora che ero circondato da tre donne. Una portava un fucile da guerra ultra-moder­ no. Era lei che mi aveva sparato. Con un arma del ge­ nere, o mirava male, o mirava troppo bene. Ho co­ minciato a sperare. La cecchina era piccola, minuta, bionda, aria vispa e paranoica, lo sguardo in conti­ nuo movimento, la parlata acida. Le altre due si asso­ migliavano vagamente. Brune, grassocce, beffarde ma attente. Clown senza trucco, cavallerizze cadute a terra. Una delle due ha parlato: «Che ne facciamo?». Le altre due mi hanno guardato senza parlare. La bruna riccia col cappotto di pelle mi si è avvicinata e ha estratto dalla cinta un coltello affilato, me lo ha puntato ailla gola e mi ha controllato la ferita. Non mi sono mosso. Ero parte dello show. Ero in scena. Inter­ pretavo la mia sopravvivenza. La ragazza è stata rela­ tivamente tenera nello strapparmi il pezzo di gabardina ma mi ha fatto contorcere dal dolore quando mi ha guardato le chiappe. Ha ritratto le mani inzuppate di sangue, del mio sangue. Il sangue di Spinoza sulle ma­ ni di una donna. «La pallottola è entrata e uscita, il femorale è a po­ sto», ha detto pensierosa. «Ce la può fare...». «Che ti passa per la testa, Mino?», ha chiesto la bionda armata. Quella soprannominata Mino non ha risposto, do­ po essersi asciugata la mano sul mio cappotto. Mi ha guardato ancora, pensierosa, e mi ha detto: «Tu dim­ mi subito chi sei... Ho il vago presentimento che sei qualcosa di prelibato...». Rifletto velocemente. Se dicevo il mio vero nome e se avevo a che fare con una gang femminista, ero fre­ gato. Ma potevano essere ugualmente sensibili alla mia piccola celebrità e potevano mantenermi in vita, per farmela pagare. Testa o croce? Croce... «Sono Julius Puech, vecchio membro e unico su­ perstite della Frazione Armata Spinozista». «Eccolo qua... Olé! È Spinoza!». 99

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L'altra bruna s'è fatta avanti e mi ha sganciato un pugno inferocito sullocchio sinistro. «Questo è per Jaja K... Tocca a te, Puce!». La bionda è arrivata, mi ha sputato in faccia e mi ha dato un calcio proprio sulla ferita. Sono svenuto. Quando mi sono svegliato, ero ancora nella stessa posizione. In più avevo un enorme dolore alla testa, ma un immensa gioia nel cuore. Avevo finalmente uno scopo da raggiungere. Vendicarmi. I giorni a venire non sarebbero stati sprecati. Le mie magre energie avevano uno sfogo: restituire i colpi e le ferite. Donne o no, Spinoza non avrebbe pensato ad altro. Erano sem­ pre lì, non molto distanti, discutevano. Mi sono accor­ to che la ferita era quasi rimarginata. Puzzava tremen­ damente di sulfamidico e di alcool. Le assassine labo­ riose volevano tenermi in vita. Ero capitato nelle mani di infermiere in astinenza. Non era il primo paradosso in cui mi imbattevo. La vita ritornava ad essere bella. La pioggia che veniva giù dal cielo grigio del Morvan non mi sembrava più l'ennesima maledizione. Mi hanno caricato in macchina, facendomi un ma­ le cane. Mezzo sdraiato sul sedile posteriore, mi sono detto: faremo un bel viaggetto, trallallà, trallallà. Pu­ ce e Mino sono montate davanti e Globu, ridendose­ la, mi si è seduta sopra: «Scusami, brav uomo, per me sei solo un cuscino...». Ed è con la testa mezza schiacciata dalle chiappe di una donna che ho fatto il viaggio. Strani giorni. Le fanciulle che non vedevo da tanto tempo, ora mi si sedevano addosso. Iconoclastia insopportabile. I miei incontri con il genere umano e con il corpo fem­ minile non erano affatto come m aspettavo. Mi hanno scaricato in una fattoria fortificata vec­ chio stile. Cerano altre cinque o sei donne e si sono raggruppate attorno alla macchina. Mino gli ha detto dal finestrino abbassato: «Siamo state al mercato. Abbiamo portato un pollo...». Mi hanno tirato fuori per i piedi. Un dolore atroce. 100

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«È Spinoza!». «Che porcheria!», ha aggiunto una delle ragazze. Ho deciso di aggiungere un po' di sale a questo spreco inverosimile di senso: «Signore, incantato sa­ rebbe per me una parola troppo grossa, ma essere qui o alTlnfemo non fa per me alcuna differenza...». Questo discorsetto le ha fatte andare su tutte le fu­ rie. Mi avrebbero volentieri vivisezionato. Ma Globu, che doveva avere da queste parti un ruolo dominante, le ha calmate e ha spiegato: «Smettetela! Avremmo potuto farlo fuori una vita fa. La sorte ce lo manda. È solo. Lo curiamo. Lo rimettiamo in sesto e diventa no­ stro schiavo. Ne vedrà delle belle... Rimpiangerà di non essere morto!». Qualche risata nervosa. «Hai sentito Spinoza!». «Sì, Buana!», ho risposto. Mi sono beccato uno schiaffo inferocito. Ne avevo abbastanza. Non schiattavano certo di femminilità queste nonnine. Il gran bordello aveva prodotto mu­ tazioni imprevedibili. Mino è stata la mia infermiera abituale, si impe­ gnava talmente che mi ha rimesso in forma in quat­ tro e quattr otto. Ben nutrito, ben curato. Mal amato. Nessuna parola, nessun tentativo di conversazione. Ben presto ho smesso di fiatare. Rinchiuso e guardato a vista, ho ripreso forze e so­ no tornato in me, disponibile e pericoloso, mi conce­ devo qualche risata ma solo con gli occhi. Quando la mia infermiera o una delle sue sorelle mi medicavano e ispezionavano la ferita che avevo nella parte alta della coscia, rocchio cadeva sempre sul mio sesso, e lo toccavano evasivamente quando mi rimettevano la fasciatura. Un giorno mi sono ec­ citato durante la loro visita. Inspiegabilmente. Il loro aspetto non aveva niente di erotico. Ma fu inconteni­ bile. Mio malgrado. Mi è costato un secchio d acqua ghiacciato e numerose frustate. 101

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Ora non scherzo più. Lavoro. Faccio di tutto. Taglio la legna. Cucino. Pulisco. Lavo. Cucio. Sempre sotto lo sguardo acido di Mada­ me Puce che aspetta solo l'occasione per farmi salta­ re in aria con la sua M I6 e polverizzare un pezzetto della mia preziosa carcassa. Non prendo iniziative. Non ho diritto di parola. Vivo mezzo nudo, mangio per terra, defeco all'aper­ to. Di notte sono incatenato come un cane. Per rom­ pergli le palle, un giorno, mi sono messo ad abbaiare. Mi hanno lasciato sul pavimento a colpi di frusta. Ho imparato la lezione. Ho chiuso la bocca. Ma. Perché c'è un ma. Vivo, sento, rifletto. Intravedo le faglie, le debolezze, le disattenzioni e tra quelle posso insinuare movimenti strategici, investimenti tattici. Ho delle speranze. Spinoza vive e pensa. E oggi, vicino al fiume limpido dove lavo la bianche­ ria di queste dame, sono felice. Malgrado la presenza di Globu che mi sorveglia, con la Smith & Wesson in pugno, sento il sole della primavera scaldarmi la pelle. Il tempo è bello, l'acqua è fresca, i miei muscoli ri­ spondono bene, la mia testa funziona a pieno ritmo. Se mi copro il viso con la maschera della più ab­ brutita sottomissione, non è per interpretare un ruo­ lo, ma è l'unico modo per nascondere la parte più in­ tima del mio essere. I miei obiettivi sono cambiati. Quale sarà la mia vendetta? Quando sarà il momento non sparerò su questo ammasso di ragazzine che mi ha fatto sbavare per mesi. L'idea di vederle insanguinate e trepidanti di morte sul pavimento della grande cucina o sul par­ quet delle loro camere incasinate non mi piace. Sarebbe una magra vittoria, inutile, hegeliana, mate102

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rialista. No, io ho altre immagini nella testa. Una ven­ detta su di loro e su di me, sul tempo e sul mondo, sul gran bordello e sulla nuova Francia. Una vendetta lun­ ga ma certa, umana e spiritualista, tattica e spinozista. Ci vorrà del tempo, ma il mio corpo di uomo e la mia bellezza intrinseca riusciranno a conquistarne una. A parlarle. Lei mi risponderà. E, senza agire contro le al­ tre, avvicineremo i nostri corpi. Impareremo di nuovo ad amarci e a toccarci. Faremo l'amore. Poi partiremo insieme. Ridurremo il Paese in fiam­ me, amanti diabolici, Spinoza e Louise Labbé. Sarà come in un grande film d'avventura e d'azione. La neo-Francia ci guarderà vivere, con i suoi occhi glau­ chi e gialli, la vita che segretamente amerebbe vivere. Per la rabbia e la paura vorrà abbatterci, ma noi sare­ mo indistruttibili. 10 avrò recuperato la mia Smith & Wesson dal cal­ cio argentato da Globu. I miei stivali di lucertola vio­ la da Mino. La mia Guzzi da Puce. Fa male. 11 tempo è bello. Sto bene. Spinoza si agita nelle mie vene. L'Etica si riprende i suoi diritti.

PRESTO NELLA STESSA COLLANA

Spinoza incula Hegel II: Il Ritorno Note 1. Officier de Sécurité: Ufficiale di Pubblica Sicurezza, [ndt]. 103

Indice

Spinoza incula Hegel Romanzo nero di guerriglia e di passione

Introduzione, prefazione e avvertimenti a tutto spinozismo

5

Prolegomeni a tutto Crash Fiction spinozista #1

11

Cacca + suicidio Iconografia spinozista #1

14

Black Crow Blues Fiction spinozista #2

16

Iper-Clausewitz, dico io Iconografia spinozista #2

17

Anastasia Screamed in Vain Fiction spinozista #3

20

R adio Q uinta I nternazionale

Comunicato

22

Only the Death Determines Fiction spinozista #4

23

R adio Q uinta I n te r n a z io n a le

Comunicato

27

La pelle del Re Lucertola Iconografia spinozista #3

28

R adio Q uinta I nternazionale

Comunicato

36

Walking the Dog Fiction spinozista #5

37

Il mese di maggio dell’anno schizoide II Iconografìa spinozista #4

41

R adio Q uinta I n te r n a z io n a le

Comunicato

49

Momo ancora e per sempre Fiction spinozista #6

50

R adio Q uinta I n te r n a z io n a le

Comunicato

55

Il giro paranoico di Jaja K. Iconografìa spinozista #5

56

R adio Q uinta I n te r n a z io n a le

Comunicato

63

Toilette d’anime Fiction spinozista #7

64

R adio Q uinta I n te r n a z io n a le

Comunicato

67

Il Blues del Damerino Iconografia spinozista #6

68

Finaletik Fiction spinozista #8

75

R adio Q uinta I n te r n a z io n a le

Comunicato

79

Satana alla paranoia Fiction poetico-spinozista #9

80

A rmata F rancese P rima D ivisione T erza B rigata, P arigi

Comunicato

85

Spinoza Forever Finale spinozista #10

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«lo, Julius, / Comandante / del gruppo crash più odia­ to / dal popolo ripugnante degli / Hegeliani, / non ho che nemici./E al mio peggior nemico,/auguro la peggior sorte. / Morale perché prevedibile. / Quando lui sarà faccia a faccia / con la mia P38, / premerò il gril­ letto. / 1miei stivali di lucertola viola / si inzupperan­ no di sangue estetico. / Normale perché Spinozista». In una Parigi futura, città degna di un surreale Biade Runner in salsa post-filosofica, si scontrano le due fazioni in lotta degli Spinoziani e degli Hegeliani. Ef­ ferata e beffarda satira del mondo culturale france­ se, grido di speranza e di vitalità gettato come un sas­ so contro le barricate dell'intellighenzia, questo ro­ manzo di guerriglia metropolitana da anni è un cult puro della gauche. E oggi se ne discute più che mai. Jean-Bernard Pony (Parigi, 1946) dal 1983, anno di pubblicazione della sua prima opera ( encule Hegel), ad oggi ha pubblicato circa una ventina di romanzi, diventando un fenomeno della letteratura polar francese. Scrittore, poeta, sceneggiatore, idea­ tore editoriale, Pouy è un autore inclassificabile, pro­ vocatorio e anticonvenzionale, un elettrone libero e un osservatore acuto del mondo. Nel 1995 crea e di­ rige la celebre collana Le Poulpe consacrata alle inda­ gini dell'investigatore libertario Gabriel Lecouvreur.

Euro 9,50 ISBN 8 8 - 7 6 1 5 - 0 7 8 - 1

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