L'Etica di Spinoza 8843023500, 9788843023509

L'Etica è il capolavoro di Spinoza. In essa, seguendo una peculiare costruzione, il rigore della speculazione filos

229 100 3MB

Italian Pages 234/233 [233] Year 2015

Report DMCA / Copyright

DOWNLOAD PDF FILE

Recommend Papers

L'Etica di Spinoza
 8843023500, 9788843023509

  • 0 0 0
  • Like this paper and download? You can publish your own PDF file online for free in a few minutes! Sign Up
File loading please wait...
Citation preview

QUALITY PAPERBACKS

68

l lettori che desiderano informazioni sui volumi pubblicati dalla casa editrice possono rivolgersi direttamente a: Carocci editore Corso Vittorio Emanuele 11, 229 00186 Roma, telefono 06 42 81 84 17, fax 06 42 74 79 31

Siamo su: http://www.ca rocci.it http://www.face boo k.co m/ca roccied ito re http:/ /www.twitte r.co m/ca roccied ito re

Filippo Mignini

L'ETICA DI SPINOZA Introduzione alla lettura

Carocci editore

6" ristampa, giugno 2015 l" edizione, "Seminario Filosofico"1995 © copyright 1995 e 2002 by Carocci editore S.p.A., Roma ISBN 978-88·430·2350· 9 Riproduzione vietata ai sensi di legge (art. m della lesge 22 aprile 1941, n. 633) Senza regolare autorizzazione, è vietato riprodurre questo volume anche parzialmente e con qualsiasi mezzo, compresa la fotocopia, anche per uso interno o didattico.

Indice

I.

Tavola delle sigle e delle abbreviazioni

II

Introduzione

13

1 . 1 . La "fortuna" dell'Ettca 1 . 2 . Una filosofia per la vita I . 3. Obiettivi del presente lavoro

z.

2.1. 2.2.

13 15 17

Genesi e struttura dell'opera

2I

La redazione del testo

21

Struttura del testo

25

2. I .1. La storia redazionale del testo sulla base dei documenti esterni 2.2.1. Una via di liberazione l 2.2.2. Piano formale e materiale dell'opera

2 .3. Il metodo geometrico 2 .4 . L a lettura deli'Ettca e le altre opere d i Spinoza

30 34



39

3. 1 . 3.2.

Dio

Fondamenti dell'argomentazione

3.1.1. Definizioni (I-8) l 3.1.2. Assiomi h-7l

Deduzione della sostanza e dei modi (PI -295) 3.2.1. Natura e proprietà della sostanza: Natura nalurans (P1-2ol l 3.2.2. Gli effetti della causalità immanente della sostanza: Natura natura/a (P21-29Sl

7

49

3. 3. Confutazione di pregiudizi concernenti la natura e l'azione della sostanza (P3o-36 e Appendice)

J.J.I. La creazione mediante intelletto (PJO·Jil l J.J.2. La creazione mediante volontà (P pl l 3·J.J. La contingenza delle cose create (Pn·J6) l J-J+ L imperfezione delle cose create (PJJ52) l J.J..'J. La creazione in vista di un fine. Origine e natura dei pregiudizi, in particolare di quello teleologico (Appendicel



Della natura e dell'origine della mente

68

75

4· I . Introduzione 4.2 . Fondamenti dell'argomentazione

77

4·3· Origine della mente umana ( PI - 9 ) 4+ Natura della mente umana (PI 0-47)

82 86

4.2.1. Definizioni (t-?l l 4.2.2. Assiomi (I-.'Jl

4·4·I. Elementi di una dottrina dell'uomo l 4·4·2. Gli oggetti immediati della mente umana: dottrina della immaginazione (PI4·2Jl l 4+3· La conoscenza mediante le affezioni del corpo (immaginazione) è inadeguata (P24-3Il l 4+4· Differenza tra conoscenza inadeguata (errore) e conoscenza adeguata (verità) (PJ2·J6) l 4-4-.'J· Fondamento, forme e proprietà della conoscenza adeguata (P37·47l

4· 5 .

Confutazione del pregiudizio concerlilente la volontà ( P48-49 )

I o4

5.

Della natura e dell'origine degli affetti

I 09

5.I. 5 .2 .

Prefazione Fondamenti dell'argomentazione

I IO III

5 . 3.

I due possibili stati della mente umana: attività e passività (PI -3)

5 ·4·

La forza di autoconservazione (conatus) come essenza dell'affetto (P4-8) L'ordine della deduzione geometrica degli affetti ( P9 -59 )

I I5

5.5.

.'J.2.I. Definizioni (I·Jl l .'J.2.2. Postulati (t-2l

.'J . .'J.I. Leggi generali del dinamismo degli affetti (P9-18; 27-28; .'JI; .'JJ·.'J?l l .'J ..'J.2. Gli affetti-passione (Pt9·.'J2l l .'J..'J.J. Gli af­ fetti-azione (P,'J8·.'J9l

5 . 6.

Esposizione sintetica delle definizioni degli affetti

8

I I9 I 2o

I 33

6.

Della schiavitù umana o delle forze degli affetti

I 37

6. I . Prefazione: del concetto di perfezione 6 . 2 . Fondamenti dell'argomentazione 6.2.1. Definizioni ( I·8) l 6.2.2. Assioma unico

6.3.

Radice ontologica delle passioni: l'uomo è parte della natura ed è soggetto al suo ordine (PI -4 ) 6 -4- La forza delle passioni (P5-I8)

I42 I44

6.4.1. Principi generali che regolano la forza delle passioni (P.5· 13l l 6.4.2. La conoscenza vera, in quanto vera, è impotente a moderare la forza delle passioni (P14-17l l 6-4-3. La cupidità che nasce da gioia è più forte della cupidità che nasce da tristezza (PI8 e 5)

6.5.

La virtù, attuazione della potenza d'agire dell'uomo, come ricerca dell'utile (PI 9-4o l

1 48

6..5.1. La virtù consiste nel conservare il proprio essere, ricercando il vero utile sotto la guida della ragione (P19-2.5) l 6. .5. 2. Quali sono le cose che la ragione considera sommamente utili? 'J. Componendo le caratteristiche del metodo geometrico elencate qui da Spinoza con quelle indicate da Meyer su incarico del filosofo, possiamo trarre la seguente conclusione: r. Il metodo geometrico è fondato su nozioni intelligibili per se stesse 2 . perché semplicissime e perciò 3 . universalmente comprensibili, 4· dalle quali si deducono con necessità altre nozioni prima ignote, '. che possiedono la stessa certezza delle prime. 6. Tutte le scienze possono, anzi dovrebbero, essere formulate con metodo geometrico . La convinzione relativa alla possibilità, anzi alla necessità di impiegare il metodo geometrico-matematico nella costruzione e nella esposizione delle scienze nasce da alcuni assunti fonda­ mentali del sistema spinoziano. I 3. B. Spinoza, Trattato teologico-politico, a cura di A. Droetto, E. Gian­ cotti, Einaudi, Torino 1 972, p. 20 1 .

L'ETICA DI SPII'oòOZA

I. Tutto ciò che esiste, compreso l'uomo, è regolato dalle me­ desime leggi di una sola e medesima natura. 2. Le leggi della natura sono universali e necessarie . 3. Esse sono espressione di un intelletto infinito, di cui anche la mente umana è parte. 4· Le leggi della natura sono perfettamente intelligibili da par­ te della mente umana. 5 . La conoscenza necessaria e universale di cui la mente uma­ na è capace è espressa dalla conoscenza propria della matemati­ ca e della geometria, assunte da Spinoza, sotto il profilo del metodo, come discipline identiche (cfr. E I A ) . Conviene infine sottolineare che i l metodo geometrico, lun­ gi dal costituire esso stesso il fondamento di verità del sistema - quel fondamento risiede in qualunque idea vera data - è as­ sunto invece, per le ragioni qui sopra esposte, quale strumento privilegiato della sua costruzione argomentativa e della sua espressione. Veniamo ora all'esame dei singoli elementi del metodo geo­ metrico .

I. Definizione: secondo la formula adottata da Meyer, è una «spiegazione molto chiara dei termini e dei nomi con cui ven­ gono designati gli oggetti della trattazione» . Spinoza, rispon­ dendo nell'Ep 9 a De Vries, che anche a nome degli amici ave­ va scritto al filosofo per conoscerne il parere, precisava che è necessario distinguere tra due generi di definizione: a ) quella che spiega la cosa quale è fuori dell'intelletto e che, perciò, avendo un oggetto determinato, deve essere vera, ossia corrispondere nell'enunciato all'essenza della cosa definita. Se si intende definire il tempio di Salomone, non è sufficiente dare una definizione generale di tempio, ma è necessario descrivere esattamente quello di Salomone . Questa definizione è stata chiamata reale; b) quella che spiega una cosa quale è o può essere da noi con­ cepita e che, proponendosi al solo scopo d'esame, non richiede di essere vera, corrispondente ad un oggetto fuori dell'intellet­ to, poiché questo non viene presupposto; si richiede soltanto che essa sia concepibile, ossia che non implichi contraddizione. Questa definizione è stata chiamata nominale. Gli interpreti sono discordi nell'assegnare le definizioni del­ l'Etzca al primo o al secondo tipo qui sopra illustrato. Ritengo che le definizioni adottate da Spinoza nell'Etzea, considerate 32

' 2 . G E]';ESI E STRt:TTURA DELL OPERA

propriamente e per sé, indipendentemente dall'intero sistema, siano del tipo descritto da Meyer nella prefazione ai Principi, ossia di spiegazione di un termine o nominale. Se invece ven­ gono considerate in relazione all'intero sistema dispiegato, poi­ ché questo dimostra che gli oggetti da esse implicati hanno esi­ stenza formale, possono considerarsi reali ' 4 . 2. Assioma : in matematica è assunto come un principio evi­ dente per se stesso, tale da non richiedere dimostrazione, fon­ dativo della conoscenza . Secondo la formulazione di Meyer, l'assioma è un enunciato così chiaro e perspicuo che nessuno può negare ad esso l'assenso purché abbia compreso corretta­ mente il significato delle parole che lo enunciano. Per l 'Ep 9, l'assioma, a differenza della definizione nominale, che può darsi solamente in quanto concepita, è invece sempre vero; a diffe­ renza della definizione reale, che concerne soltanto le essenze delle cose e le loro affezioni, esso si estende anche alle verità eterne. 3. Postulato: in matematica è una proposizione evidente per se stessa, oppure che si ammette come vera anche se non è evi­ dente, e che viene assunta quale principio di dimostrazione. In filosofia, in generale, i postulati sono enunciati di verità neces­ sari alla giustificazione di altre verità o tesi. Il postulato ha dunque le stesse caratteristiche dell'assioma, ma se ne distingue perché è espressamente finalizzato a una dimostrazione, in quanto richiesto da questa . 4 · Proposizione: enunciato concernente l'essenza delle cose o le loro affezioni, che richiede una dimostrazione per essere am­ messo come vero (cfr. Ep 9 ) . 5 . Corollario: proposizione che si deduce d a una proposizione precedente come immediata ed evidente conseguenza, senza bi­ sogno di ulteriore dimostrazione. In genere, i corollari dell'Etzca non hanno dimostrazione; in una decina di casi, specie nella seconda e terza parte, sono seguiti da dimostrazione e, talvolta, da un successivo scolio. 6. Scalzo: commento o nota esplicativa che si riferisce a una proposizione o a un gruppo di proposizioni . In genere, si trova alla fine di una sezione argomentativa, oppure integra la dimo­ strazione di una proposizione particolarmente rilevante, rifor­ mulando con diverso metodo retorico la dimostrazione già data 14 .

Sulla dottrina della definizione cfr. F. Biasutti, La dottrina deUa scien­

za in Spino1.a, cap. 3, Btbl.

15.

33

L

l

ETICA DI SPINOZA

o proponendone una nuova . Si può ragionevolmente presumere che una parte degli scoli dell'EtiCa costituiscano interventi suc­ cessivi alla prima stesura dell'opera, in risposta a obiezioni o richieste di chiarimento formulate dagli amici lettori, oppure .soltanto previste. 7. Lemma: proposizione preliminare alla dimostrazione di una tesi, che si assume come certa oppure si dimostra, in quanto è necessaria per l'argomentazione principale. :1.4 La lettura dell' Etics e le altre opere di Spinoza

Dalla rapida esposizione del primo paragrafo di questo capito­ lo, risulta con evidenza il ruolo assolutamente centrale deii'Ettca nel contesto delle opere spinoziane. Non solo e non tanto per­ ché alla sua composizione Spinoza ha dedicato le proprie ener­ gie, con alcune interruzioni materiali, durante l'intero arco della sua attività; ma perché quasi tutte le altre opere o sono state diversamente implicate nella stessa composizione dell'Etica , co­ me i Principi della filosofia di Cartesio e il Trattato teologico-politi­ co, oppure hanno in essa il loro esplicito riferimento sistemati­ co, come il Trattato poltttco . Due opere, tuttavia, hanno con l'E­ tica un rapporto del tutto speciale: il Trattato sull'emendazione dell'intelletto e il Breve trattato. D primo, che considero anche la prima opera che Spinoza abbia composto, era stato concepito come un trattato sul metodo, introduttivo all'esposizione della Filosofia ''· Non v'è alcun dubbio, come si è visto, che Spinoza, nelle proprie lettere fino al r665 , indicasse I'Etzca, che stava componendo, con l'espressione: «mia Filosofia». Dunque è le­ gittimo considerare il Trattato sull'emendazione dell'intelletto, pur nella sua incompiutezza e nei suoi limiti, almeno nelle intenzio­ ni dell'autore, come una introduzione indiretta all'Etzca, intesa come espressione definitiva assunta dalla "filosofia" . Si deve tuttavia precisare che l'Ettca non è stata la prima formulazione della filosofia spinoziana, ma tale è stato il Breve trattato e che fra questo e l'Etzca deve porsi una relazione diret15. Sulle questioni concernenti composizione e datazione del TIE rinvio a F. Mignini, Per la datazione e l'interpretazione del "Tractatus de intel!ectus emendatione» di Spinoza, in uLa Cultura", 1 7 ( 1979), 1-2, pp . 87·1 60; Id. , La cronologia cit . ; per ulteriori informazioni sull'accoglienza e discussione della ipotesi cfr. l'Introduzione all'edizione del TlE, in corso di pubblicazione nel quadro delle Opere complete, presso le edizioni Bibliopolis di Napoli.

34

2.

' GEKES I E STRUTTURA DELL OPERA

ta di continuità, oltre che di evoluzione tematica e strutturale. Ritengo quindi che i riferimenti a una futura filosofia presenti nel Trattato sull'emendazione dell'intelletto riguardino, storica­ mente e filologicamente, prima il Breve trattato e poi, come l'o­ pera in cui questo si è trasformato e ha ricevuto forma definiti­ va, l'Etzca. Non è questo il luogo per riaprire la discussione sul­ l' argomento; la precisazione è invece necessaria perché, a se­ conda che la si accetti o la si rifiuti, muta anche il grado di attenzione che è necessario portare al Breve trattato nell'analisi dell'Etzea . Nella prospettiva da me adottata, l'analisi della rela­ zione delle singole dottrine deU'Etzea con la loro formulazione nel Breve trattato è essenziale, non solo sotto il profilo storico­ filologico, ma anche teoretico. Diversamente, nell'ipotesi che il Breve trattato sia da considerare una sorta di tentativo sistemati­ co incerto e abbandonato, perché superato da un nuovo pro­ getto che implicava sistematicamente un trattato introduttivo sul metodo e una nuova filosofia, l'interesse dell'interprete può essere al massimo di curiosità e di erudizione. In ogni caso, quale che sia l'opinione che il lettore si formerà al riguardo, era necessario informarlo della prospettiva adottata nella presente introduzione aU'Etzea. Del resto, che Spinoza considerasse il Breve trattato come un'esposizione del proprio pensiero, che potesse essere subito pubblicata, sembra essere confermato dalla motivazione che il filosofo adduce a Oldenburg per spiegare la composizione e la pubblicazione dei Principi della filosofia di Cartesio . La ragione fondamentale è quella di conquistare il favore delle autorità, per­ ché gli sia consentito di pubblicare immediatamente (statim) qualcosa che esprima il suo vero pensiero. Ora, nell'aprile del r 663, non v'è altra opera a noi nota che l'autore possa immedia­ tamente pubblicare al di fuori del Breve trattato, eventualmente rivisto e perfezionato. La riformulazione geometrica di esso pro­ cedeva infatti lentamente ed è difficile supporre che Spinoza potesse coltivare molte illusioni sulla rapidità della sua esecuzio­ ne. Tuttavia, comunque si voglia considerare l'ipotesi che fosse il Breve trattato l'opera che il filosofo intendeva pubblicare come espressione del proprio pensiero, e si preferisca pensare all'Etica in una sua redazione prowisoria, rimane il fatto che a questa, nel senso qui sopra indicato, è subordinata la composizione dei Prin­ cipi e della loro appendice, i Pensieri metafisici. Diverso rapporto con la composizione dell'Etzca ha invece la stesura del Trattato teologico-politzco. Si è già ricordato che,

35

L ' ETICA.

DI S P I :-I O Z A

nell'estate del I 665 , quando inizia a comporre il trattato sull'in­ terpretazione della Scrittura, Spinoza ha elaborato circa ottanta ( forse qualcuna di più ) proposizioni della terza parte dell'Etka, comprendente, nel disegno originario, le attuali ultime tre parti. Poiché l'attuale terza parte è costituita da 59 proposizioni, sup­ ponendo che nel disegno primitivo l'ampiezza della trattazione fosse minore rispetto a quella definitiva, si può ritenere che l'autore avesse svolto, nell'estate del I 665 , oltre alla dottrina degli affetti ( terza parte ) , anche una buona parte della dottrina delle passioni umane, corrispondente all'attuale quarta parte. Rimaneva da svolgere la trattazione della libertà umana, dimo­ strando quale potenza abbiano ragione e intelletto sulla imma­ ginazione e sul potere delle cause esterne, ossia sulla fortuna. Tema, questo, esaminato e discusso nell'attuale quinta parte. Ora, per Spinoza era già evidente, come la ricerca condotta nel Breve trattato e nello svolgimento della quarta parte dimostra, che la potenza dell'immaginazione, congiunta alla forza delle cause esterne, si esprime soprattutto nei pregiudizi e nelle su­ perstizioni che guidano e travolgono per lo più gli uomini. Non a caso, anche l'appendice della prima parte è dedicata all'analisi dei pregiudizi umani, in particolare alla causa di tutti i pregiu­ dizi, ossia a quello finalistico, fondamento e scudo della conce­ zione teologica del mondo. Non è dunque affatto inverosimile supporre che Spinoza, prima di affrontare la composizione del­ la quinta parte, decidesse di svolgere un'indagine storica e filo­ logica sull'origine dei pregiudizi teologici che, in Occidente, si possono ricondurre in gran p arte alle interpretazioni storiche della Scrittura (cfr. Ep 30 ) . E dunque a ragion veduta che la prima parte del Trattato teologko-politt'co (capp . I - I 5 ) è dedica­ ta all'analisi del pregiudizio teologico riguardante il primato della conoscenza rivelata rispetto alla conoscenza naturale. L'in­ tenzione del testo risulta con chiarezza, se si considera una pos­ sibile suddivisione interna della stessa parte: I . Esame della natura e dei limiti della rivelazione, ossia della immaginazione profetica kapp. I - 2 ) . 2 . Esame di quattro temi fondamentali della Scrittura: l'elezio­ ne degli ebrei, con un excursus dedicato al tema della fortuna (cap. 3) , la legge, i riti, i miracoli (capp. 4 -6). 3 . Esposizione della teoria spinoziana dell'esegesi biblica (capp. 7- I 3 ) . 4 · Natura, prerogative e limiti della conoscenza teologica e di quella filosofica (capp. 1 4- 1 5 ) .

2.

' GENESI E STRUTTt: RA DELL OPERA

D'altra parte, come già veniva espressamente indicato nel

Trattato sull'emendazione dell'intelletto e come emerge con chia­ rezza nella quarta parte dell'EtiCa, la potenza della ragione, ossia il conseguimento della libertà, può tanto meglio esplicarsi quanto più si garantiscono agli uomini condizioni di vita sicure. In altri termini, quanto più forte, ordinato e libero si costruisce uno Stato. Nella seconda parte del trattato, dopo aver delineato una teoria del diritto ( capp. I 6- I 7), l'autore mostra che il supremo potere politico ha la facoltà di legiferare anche in materia religio­ sa, per quanto concerne i riti e il culto esterno ( capp. I 8- I 9 ) e che «in una libera repubblica è lecito a chiunque pensare quello che vuole e dire quello che pensa» ( cap . 20 ) . Come si vede, l'opera implica una intensa e radicale meditazione intorno alle condizioni della libertà politica, supporto della libertà individua­ le, che costituisce l'oggetto della quinta parte dell'Etica . Se le ragioni qui sopra esposte indicano il nesso strutturale e interno che lega la composizione del Trattato teologico-politiCo a quella dell Ettca, è necessario aggiungere che, verosimilmente, anche ragioni esterne di carattere sociale e politico potevano avere indotto Spinoza alla decisione di comporre l'opera. In particolare, nel contesto della contesa in atto tra i sostenitori dell'esperienza repubblicana capeggiata dai fratelli De Witt, ai quali Spinoza era legato da vincoli di stima e di amicizia, e il partito conservatore degli Orange, la vita civile dei Paesi Bassi era caratterizzata da un vivace conflitto religioso tra la chiesa calvinista, paladina di una intransigente ortodossia, e le molte sette di cristiani liberali alle quali appartenevano molti degli amici più intimi di Spinoza. Si trattava quindi di assumere una posizione nel conflitto tra potere religioso e potere civile, soste­ nendo l'esigenza di difendere la libertà di pensiero e di parola. Temi, come si è visto, affrontati esplicitamente da Spinoza nel Trattato teologico-polittco. Questo, dunque, pur rispondendo a emergenze storiche determinate, può essere anche considerato una meditazione, in forma di grande excursus, sulla potenza e sulle forme dell'immaginazione storica dell'Occidente. E tale meditazione svolgeva di fatto, al tempo stesso, un ruolo preli­ minare e funzionale alla elaborazione della quarta e della quinta parte dell'Et zea . È quindi evidente che, nell'analisi di queste parti, un'attenzione particolare deve essere rivolta anche al '

Trattato teologzco-politico.

37

3

Dio

Schema generale della prima parte 3 . I . Fondamenti dell'argomentazione 3 . I . I . Definizioni ( I -8) 3. 1 .2. Assiomi ( I-7) 3.2. Deduzione della sostanza e dei modi (PI -295) 3 . 2 . 1 . Natura e proprietà della sostanza: Natura naturans (PI2o) 3 . 2. 1 . 1 . Natura e proprietà generali della sostanza (PI 85) 3 .2 . 1 .2 . Una sostanza può avere più attributi (P9- 10l 3 . 2 . 1 .3 . Una sostanza assolutamente infinita esiste necessariamente (PI I e 5) 3. 2 . 1 .4. Proprietà della sostanza assolutamente infinita, quanto alla sua essenza (PI 2- I 55 e I 9-2ol 3. 2. 1 . 5 . Proprietà della sostanza assolutamente infinita, quanto alla sua azione (PI6- I 8 ) 3 . 2 . 2 . Gli effetti della causalità immanente della sostanza: Natura naturata (P2 I -29) 3 .2 . 2. 1 . I modi eterni e infiniti (P2 I -23 ) 3 . 2 . 2 . 2 . I modi finiti e le loro proprietà (P24-2�) 3. 3. Confutazione di pregiudizi concernenti la natura e l'azione della sostanza (P3o-36 e Appendice) 3 . 3 . 1 . La creazione mediante intelletto (P3o-3 I ) 3 . 3 . 2 . La creazione mediante volontà (P32l 3 · 3 · 3 · La contingenza delle cose create (P33 -36l 3 ·3·4· L'imperfezione delle cose create (P3 3S2 l 3 - 3 - 5 · La creazione in vista di un fine. Origine e natura dei pre­ giudizi, in panicolare di quello teleologico (Appendice)

39

'

L F.TIC.'l DI SPI:-.IOZA

J. I Fondamenti dell'argomentazione

Per fondamenti dell'argomentazione si intendono le definizioni dei termini e alcune proposizioni per loro natura evidenti e ve­ re (assiomi e postulati) che costituiscono gli assunti originari del­ la concatenazione deduttiva . .3 . I . I . Definizioni ( I -8)

L e definizioni della prima parte possono essere distinte i n quat­ tro gruppi, concernenti: a) l e nozioni tradizionali di infinito e finito, che nel lessico spi­ noziano vengono denominati causa di sé e finito nel suo genere

(De/I -2 ) ; b ) i termini tecnici spinoziani per designare ciò che esiste real­ mente: sostanza, attributo, modo (De/3-5 ) ; c) Dio, inteso come sostanza assolutamente infinita, l a cui defi­ nizione implica quelle di causa di sé, sostanza e attributo

(De/6 ) ; d ) le proprietà dell'esistenza e dell'azione, ossia libertà, necessità ed eternità (De/7-8 ) . Le definizioni di infinito (causa sui) e finito De/I . La prima definizione, concernente la causa di sé, come del resto altre definizioni che seguono, è costruita con nozioni e formule tipiche della tradizione filosofica, in particolare scola­ stica. Nel sistema spinoziano esse assumono tuttavia un signifi­ cato spesso nuovo e alternativo. Nella filosofia scolastica, i sin­ tagmi causa sui e, più frequentemente, causa a se, indicano l'es­ sere che esiste per necessità della sua natura, in quanto non è causato da altro. Sottolineando il significato esclusivamente ne­ gativo delle formule, il pensiero scolastico intendeva sfuggire al­ l' assurdo di intendere l'essere necessario quale effetto positivo di se stesso: un sé che, in quanto causa, dovrebbe già esistere per essere causa e, simultaneamente, dovrebbe non esistere per essere effetto. Spinoza, come già Descartes ' , accoglie in modo implicito anche il significato negativo della causa sui, escludendo che questa sia causata da altro; attribuisce tuttavia alla causa sui r.

Risp. alla

1

e alla IV Obiez., AT, vol.



3 · DIO

un significato prevalentemente positivo, diverso da quello impli­ cante contraddizione. La causa sui spinoziana è intesa positiva­ mente in quanto è concepita come una natura infinita o perfet­ ta, consistente in potenza attiva assoluta, che pone e conserva eternamente se stessa nell'esistenza. È evidente, infatti, che il non essere causato da altro (causalità negativa) non è ciò per cui l'ente necessario esiste da sé; è, invece, il suo necessario esistere da sé e per sé ( causalità positiva) che implica il suo non essere causato da altro . In tal senso si dice che l'esistenza è necessariamente o positivamente implicata nell'essenza o natura della causa di sé, la quale non è altro che la necessità dell'esi­ stenza come potenza assolutamente esplicata o «assoluta affer­ mazione dell'esistenza» (E I PBS I ) . Perché una tale affermazio­ ne o posizione di esistenza abbia una ragione sufficiente, non basta escludere soltanto una causa esterna; è necessario porre in essa una positiva ragione della sua esistenza. Tale necessità è richiesta dalla intelligibilità universale del reale: se ogni cosa, per essere intesa, richiede una causa, è necessario che la causa prima abbia in se stessa, positivamente, il principio della pro­ pria intelligibilità. L' autocausalità positiva dell'esistenza necessa­ ria costituisce anche il fondamento delle dimostrazioni a priori dell'esistenza di Dio date in KV I , I e in E I PI I . Si può infine notare sin d'ora che è con il medesimo atto ( infinito ed eterno) con cui la causa sui pone se stessa che essa pone anche tutto ciò che è implicato nella sua natura, ossia i suoi modi (E

I P25S). De/2 . Appartiene in modo costitutivo alla definizione del fi­ nito la precisazione in suo genere che, per la spiegazione della De/6, si oppone ad absolute. La definizione del finito implica due condizioni. I . Esso è concepibile esclusivamente in relazione ad altro fini­ to, al termine (terminari potest ) che ciascun finito costituisce per l'altro. Non si definisce in relazione all'infinito, perché tra infi­ nito e finito non si dà, per Spinoza, alcuna proporzione e alcu­ na relazione: l'infinito, per definizione, non costituisce termine di alcunché e, propriamente, non può dirsi causa del finito. Ma se la nozione di finito implica quella di determinazione recipro­ ca tra finiti, e ogni determinazione è negazione Z, l' ambito della finitezza è anche ambito della negazione. Questa, tuttavia, non va intesa come negatività, poiché il finito, inerendo modalmen:z. Ep:;o: G IV, :z4o, 6- 1 5 .

L ' E TICA

DI SP INOZA

te alla sostanza come un suo effetto, partecipa in modo essen­ ziale della autopositività di essa. 2. Perché un finito sia tale, ossia terminato da un altro finito, è necessario che ambedue appartengano allo stesso genere, cioè che siano omogenei rispetto a qualche determinazione. Dall'e­ sempio addotto nella definizione, ma ancor più dalle definizioni successive, si deduce che l'ambito di omogeneità delle cose fini­ te, ossia dei modi, è costituito dall'attributo. Poiché, come si vedrà, l'essenza che ciascun attributo esprime non ha nulla in comune con quella di un altro, e dunque tra essi non è possibi­ le alcuna continuità, una relazione di finitezza può essere pen­ sata solo nell'ambito di un medesimo attributo. Segue da que­ sta definizione che le cose finite esistono e sono concepibili in quanto sono disposte secondo una serie, potenzialmente infini­ ta. Dalla definizione non si ricava immediatamente che l'essere una cosa termine dell'altra coincida con la causalità dell'una ri­ spetto all'altra: che ciascun finito sia causa prossima di un altro finito sarà dimostrato nella P29 . Il secondo gruppo di definizioni. I termini propri della antologia spino:àana: sostanza, attributo, modo

Def3 . Della sostanza si dà la tradizionale definizione aristotelica (non diversa, tuttavia, è l'accezione cartesiana) , con i suoi due criteri antologico e logico. Sostanza è ciò che esiste in sé, ossia che ha se stesso come soggetto del proprio essere e, simulta­ neamente, che si concepisce per sé, non esigendo il concetto di altro per essere concepito. Il sintagma essere in sé, che si oppo­ ne a essere in altro, implica almeno una questione importante che conviene mettere in evidenza. Precisato che essere è qui as­ sunto nel senso di esistere in sé, si deve esaminare se esistere in sé implichi anche esistere da sé, oppure se sia possibile esistere in sé, essendo causato da altro. In altri termini, si deve esami­ nare se l'esistenza in sé, come nel proprio soggetto, richieda che questo sia costituito dalla propria essenza e che l'essenza sia causa dell'esistenza di ciò che è in sé, facendo di questo, necessariamente, una causa sui; oppure se possa darsi qualcosa che è in sé, essendo prodotto da altro. Come si vede, nella questione è implicato già il problema della unicità o molteplici­ tà della sostanza. Una risposta a tale problema può esser data dall'interpretazione dell' altro sintagma costitutivo della defini-

3 · DIO

zione: esser concepito per sé. Poiché ciò che è in sé deve essere anche concepito per sé, se fosse da altro ( non in altro ) , dovreb­ be essere concepito mediante il concetto della sua causa esterna e non potrebbe essere concepito esclusivamente mediante se stesso. Segue che l'aggiunta della condizione esser concepito per sé è essenziale alla definizione della sostanza, poiché ne fa un in sé che è anche da sé, cioè causa sui. De/4. Per intendere la definizione di attributo è necessario ricordare la sua distinzione dalla proprietà, sottolineata dal Breve trattato: 1' attributo è concepito da Spinoza come essenza di un ente, costitutiva dell'ente stesso; la proprietà è invece ciò che app artiene ad un ente, in quanto l'ente possiede una determi­ nata essenza ' · Nell'Etica viene mantenuta tale distinzione e per attributo si intende, propriamente, ciò che costituisce l'essenza di una sostanza, dalla quale non si distingue se non per una distinzione di ragione 4. Dico di una e non della sostanza, per­ ché l'unicità della sostanza, benché implicata dalla sua defini­ zione, è esplicitamente posta come oggetto di dimostrazione e dunque non può essere presupposta prima che questa venga data ( cfr. PwS e Pr 4C r ) . La definizione di attributo implica tuttavia un riferimento alla percezione che di esso ha l'intelletto e, a seconda di come si è inteso il ruolo di tale percezione, sono state date, storicamente, due possibili interpretazioni della natura e realtà dell'attributo. Alcuni hanno inteso l 'attributo soltanto come il modo in cui l'intelletto percepisce la sostanza, per sua natura vuota e indifferente, senza che esso esprima al­ cunché di reale rispetto alla sostanza stessa. L'altra interpreta­ zione sostiene invece che l'intelletto percepisce la sostanza me­ diante l'attributo, perché questo ne costituisce realmente l'es­ senza ' . Quest'ultima è, a ragione, l'interpretazione prevalente, a cui credo debba essere aggiunta una precisazione. La sostan­ za non può essere percepita in quanto sostanza, prescindendo da ciò che costituisce ed esprime la sua essenza, ossia l' attribu3· KV 1, I, 9 nota: le proprietà «sono solo come aggettivi che richiedono dei sostantivi per essere spiegati» (M I 3' l; 1, 3, I nota: «Questi che seguono sono chiamati propri perché non sono se non aggettivi, che non possono esse­ re intesi senza i loro sostantivi. Cioè, Dio non sarebbe tale senza di questi, ma Dio non esiste a causa di questi. Essi non fanno conoscere nulla di ciò che è sostanziale e a causa soltanto del quale Dio esiste» (M I67l. 4 · Questa è già una dottrina cartesiana, Principia Philosophiae, 1 , .n. 62. ' La discussione intorno alla natura dell'attributo è stata aperta dalla polemica tra ] . E. Erdman e K. Fischer (Bibl. I I ) e proseguita fino ai nostri .

43

L'ETICA DI SPINOZA

to: non solo perché l'oggetto di qualunque percezione intelletti­ va è l'essenza, espressa, nel caso della sostanza, dall'attributo; ma anche e soprattutto perché la sostanza spinoziana, in quan­ to identica unità esistenziale degli attributi, è in se stessa indif­ ferente rispetto a ogni attributo, per poter essere simultanea­ mente espressa da tutti . In quanto tale, non può essere perce­ pita per sé dall'intelletto nella sua indifferenza, ma necessaria­ mente secondo la determinazione essenziale degli attributi. Questi sono dunque l'essenza della sostanza, della quale, consi­ derata come natura naturante, sono il primo e costitutivo feno­ meno per l'intelletto; il secondo fenomeno della sostanza, consi­ derata come natura naturata, è il modo. De/5 . Per modo ( ma ricorrono anche altri termini tecnici della tradizione scolastica, quali modificazione, affezione e, una volta, acctdente) si intende ciò che si dà in altro, ossia in qual­ cosa che è in sé, non in quanto ne costituisca l'essenza (attribu­ to) , ma come sua espressione o manifestazione. Dunque il mo­ do, per esistere, esige l'esistenza di una sostanza e per essere concepito esige il concetto di una sostanza e dei suoi attributi. La definizione di modo è opposta, sul piano formale, alla defi­ nizione di sostanza. È infatti costitutivo della sua natura di non essere in sé, ma in altro e di non essere concepito per sé ma attraverso il concetto di un attributo, in quanto costituente l'es­ senza di una sostanza. Dunque l'attributo è ciò che rende pos­ sibile all'intelletto concepire la sostanza, ma anche, simultanea­ mente, i suoi modi. Il problema principale che la definizione di modo implica è costituito dalla natura del suo essere in altro. In che senso si dice che è, se il suo essere è in altro? Non v'è dubbio, infatti, che il modo spinoziano è un ente reale, legato alla sostanza non da un semplice rapporto di inerenza, ma qua­ le effetto alla causa. Se è così, come si definisce l'essenza del modo, distinguendola dall'essenza dell'altro, in cui è? Come si vedrà, la definizione dell'essenza del modo finito costituisce uno dei problemi fondamentali dell'Etica .

La definizione di Dio De/6 . La nozione di Dio è definita dall'assoluta infinità di una essenza perfetta, a cui appartiene tutto ciò che esprime essenza giorni; per una ricostruzione e un giudizio, cfr. M. Gueroult, Spinoz.a, 1 4 l , App.

n.



44

r

(Bibl.

3 · DIO

e non implica negazione, ossia determinazione. Ora, poiché l'essenza di una sostanza è espressa dagli attributi, a ciò che è assolutamente infmtto devono appartenere tutti gli attributi, sen­ za che ciascuno di essi implichi una qualche negazione. La to­ talità degli attributi è rappresentata da un intelletto finito, che non li conosce tutti, sotto la forma di una infimtà di attributi ( gli infinzti attributi della definizione ) , ciascuno dei quali è infini­ to nel suo genere. L'infinità nel genere significa che ogni attribu­ to, considerato in se stesso, esprime la piena perfezione dell'es­ senza che lo costituisce . Se si assume il pensiero come uno de­ gli infiniti attributi di Dio, che sia infinzto nel suo genere vuol dire che non si dà altro pensiero possibile al di fuori di esso. In questa definizione emergono due problemi: il primo concer­ ne la coesistenza di infiniti attributi, realmente differenti l'uno dall'altro, nella medesima sostanza, senza che tale differenza implichi alcuna negazione reciproca . Il secondo consiste nella compossibilità di infinite essenze, realmente diverse e infinite nel loro genere, con l'essenza assolutamente infinita di Dio. Di questi problemi si darà conto nell'analisi delle proposizioni 9 e IO.

Definizioni delle proprietà dell'esistenza e dell'azione De/7. Ciò che esiste per sola necessità della sua natura ed è determinato ad agire solo da se stesso è libero; ciò che esiste perché è causato da altro secondo una ragione determinata e, di conseguenza, agisce in virtù di questa stessa determinazione si dice necessitato o coatto . La necessità dell' autoposizione da parte della causa sui non si oppone alla libertà, ma coincide con questa 6 • In tutto ciò che non esiste e non agisce per propria natura la libertà è sempre limitata da un grado maggiore o mi­ nore di coazione, ossia di dipendenza dalle cause esterne. Si noti che, per Spinoza, come per la filosofia classica, l'agire esprime sempre l'essenza di un ente e se l'essenza di tale ente è determinata, determinato ne è anche l'agire. De/8 . L'esistenza implicata necessariamente dall'essenza, oppure l'esistenza che si concepisce seguire necessariamente dalla definizione di una certa essenza, si dice eternità. Eternità 6. KV 1, 4, ': «La vera libertà non è altro che la causa prima, la quale non è assolutamente costretta o necessitata da altro, ed è causa di ogni perfe· zione solo mediante la sua perfezione)) (M I 7 I l .

45

L1 ETICA

DI SPINOZA

ed esistenza necessaria si identificano, essendo una sola ed eter­ na verità. Per eternità si intende dunque propriamente l' esisten­ za necessaria, ossia la causa sui, sostanza assolutamente infinita o Dio. In E 5 P3oD si legge: , perché, se si suppo­ nesse che tale idea si dia nel modo infinito immediato, la men­ te umana sarebbe costituita dall'intelletto infinito di Dio e si identificherebbe con esso. Ne segue che l'idea della mente è unita alla mente, suo oggetto, come l'idea del corpo è unita al corpo, suo oggetto (P2 r ). Infatti, come l'idea del corpo e il corpo sono un solo e identico individuo concepito sotto due attributi diversi (E 2 P7S, E 3 P2S) , così l'idea ( mente) e l'idea dell'idea sono una sola e medesima cosa considerata sotto lo stesso attributo. L'zdea dell'idea è la realtà formale dell'idea stes­ sa, ossia la sua realtà di modo attualmente esistente del pensie­ ro . L'zdea è invece la realtà oggettiva di una cosa nell'attributo del pensiero. Tra l'tdea e l'zdea dell'zdea esiste soltanto la distin­ zione che si dà tra sapere qualcosa e sapere di sapere (SP2 1 ) . Ora, se la mente è un sistema di idee delle affezioni del corpo, nella mente si daranno anche le idee delle idee di tali affezioni (P2 2 ) . Ne segue che «la mente non conosce se stessa, se non in quanto percepisce le idee delle affezioni del corpo» (P2 3 ) . 95

L1 ETICA D l SPlNOZA

Questa proposizione è speculare rispetto alla P x 9 e ne estende universalmente l'ampiezza, confermando la costituzione recetti­ va della mente umana: questa non può intendere né il corpo né se stessa, se non mediante le affezioni del corpo e le idee di tali affezioni. 4+ 3 . La conoscenza mediante le affezioni del corpo (immaginazione) è inadeguata (P24-3 1 ) Poiché è stato dimostrato che la mente umana conosce se stes­ sa, il proprio corpo e i corpi esterni soltanto mediante le affe­ zioni del proprio corpo, come del resto si ribadisce formalmen­ te nella P29C e S, si deve esaminare perché la conoscenza me­ diante le affezioni del corpo è inadeguata. Ricordiamo anzitutto la definizione generale di idea adeguata (E 2 De/4 ) : tale è l'idea che, considerata in sé, senza riferimento al proprio ideato ( og­ getto) , possiede le caratteristiche intrinseche dell'idea vera . Un'idea si dice vera perché conviene con il proprio ideato. Quando si tratta di idee che si riferiscono ad un oggetto real­ mente esistente in natura, l'adeguazione non può dunque pre­ scindere dalla verità, ossia dalla convenienza con l'oggetto . L'a­ deguazione presuppone in tal caso la verità, distinguendosi ade­ guazione e verità solo con una distinzione di ragione. Vediamo ora se l'idea di una affezione del corpo può essere vera e quindi adeguata. Il criterio generale adottato da Spinoza per decidere della questione è il seguente: adeguata sarà l'idea che la mente formula mediante la sola potenza della sua pro­ pria natura; infatti ciò che trae da se stessa non può che esserle chiaro e distinto, mentre ciò che trae da altre idee non può esserle noto se non in modo parziale e confuso, ossia inadegua­ to. Ora, che cosa costituisce la natura dell'idea-mente umana? Essere una determinazione dell'attributo del pensiero ( essere cioè un modo finito del modo infinito mediato dell'attributo pensiero) corrispondente a una determinazione dell'estensione. In quanto tale determinazione si dà in un modo infinito - ed è solo in tale contesto che essa si costituisce e sussiste - è neces­ sariamente adeguata, perché implica in modo simultaneo la co­ noscenza dell'essenza del corpo umano e di tutte le sue affezio­ ni . Infatti ogni idea del modo infinito mediato è conosciuta dal­ l'intelletto infinito ( modo infinito immediato) nella simultanea e perfetta relazione con tutte le altre idee che la determinano, implicando così l'essenza del corpo di cui sono menti (E 2

4· DELLA I'ATURA E DELL . ORIGII'E DELLA MEI'TE

De/2 ) . Perciò la mente umana, considerata nella sua costituzio­ ne mediante il modo infinito ed eterno del pensiero, implica la conoscenza adeguata dell'essenza del corpo umano e dell'essen­ za degli attributi di Dio. Tuttavia, se consideriamo in se stessa, separatamente da tutte le altre, ciascuna idea costituente il modo infinito mediato, troveremo che ogni mente, essendo idea di un oggetto compo­ sto ( il corpo umano ) , è anche un'idea composta implicante le idee di tutte le parti del corpo umano e dei corpi con cui il corpo umano entra necessariamente in relazione per costituirsi e sussistere. Ora, degli altri corpi e delle parti del proprio cor­ po che possono essere separate da esso, senza che muti come intero ( P24 ) , si danno nel modo infinito mediato altre idee, di­ verse da quella costituente la mente umana. E questa, per po­ ter intendere adeguatamente il proprio corpo, dovrebbe inten­ derlo mediante le idee dei corpi costituenti il proprio corpo e dei corpi esterni aventi una natura diversa dalla sua (P25-26 ) . Infatti, per la P r r C, il corpo umano è conòsciuto non solo me­ diante l'idea del corpo umano, ma anche mediante molte altre idee di corpi costituenti o afficienti il corpo umano. Perciò, mentre nell'attributo del pensiero si danno simultaneamente tutte le idee, e di tutte le cose si danno idee adeguate, all'idea che rappresenta l' essenza del corpo umano, considerata per sé, mancano tutte le altre idee dei corpi (individui o parti) costi­ tuenti il corpo umano o degli altri corpi afficienti . Pertanto, delle parti del proprio corpo, dei corpi esterni e di ogni cosa conosciuta mediante le affezioni del proprio corpo - quindi an­ che di se stessa - la mente umana ha soltanto una conoscenza parziale e confusa, perché tali idee non dipendono dalla sua natura, ma dall'ordine comune della natura, ossia dalla serie delle cause esterne (P2 7 -2 9 ) . Poiché anche la durata del nostro corpo e dei corpi esterni dipende dall'ordine comune della na­ tura, di essa possiamo avere un'idea del tutto inadeguata (P3o3r). 4+4· Differenza tra conoscenza inadeguata ( errore ) e conoscenza adeguata (verità) (P32-36) Il criterio della verità delle idee, come si è detto, è la loro con­ venienza con l'oggetto; poiché tale convenienza si dà necessa­ riamente tra le idee quali sono in Dio e le cose ad esse corri­ spondenti, tutte le idee, in quanto sono riferite a Dio, sono ve97

L'ETICA D l SPINOZA

re (P3 2 l . Nei termini del Breve trattato, si può dire che la veri­ tà è Dio. Le idee della mente umana sono vere quando dipendono dalla sola natura della mente, ossia quando si danno nello stes­ so modo in cui si danno in Dio, considerato come costituente l'essenza della mente umana (P34) . In altri termini, quando non implicano altre idee per essere formulate. Ora, poiché tutto ciò che si dà di reale è in Dio, o perché coincide con la sua sostanza o perché ne è un modo, segue che nelle idee non può darsi nulla di positivo o reale per cui si dicano false; infatti, se così fosse, la falsità dovrebbe essere in Dio (P3 3 l . Poiché la falsità non consiste in qualcosa di positivo e nep­ pure nella semplice ignoranza, essa consiste nella privazione o mancanza di conoscenza implicata dalle idee inadeguate (P3 5 ) . Infine, le idee che, in quanto sono "in Dio", seguono tutte con la medesima necessità e tutte sono adeguate, sono invece inadeguate e confuse in quanto si riferiscono alla mente parti­ colare di qualcuno, dalla cui essenza o assolutezza non dipen­ dono e dalla quale, quindi, sono conosciute solo parzialmente e in modo inadeguato. Si può concludere perciò che le idee ade­ guate e quelle inadeguate seguono con la medesima necessità (P3 6 l , poiché sono le medesime idee, nel medesimo ordine, considerate quali idee di un modo infinito (in cui nessuna è priva di relazione con tutte le altre) e quali idee di un modo finito, in cui si danno con una parziale relazione ad altre. 4+ 5 . Fondamento, forme e proprietà della conoscenza adeguata (P37-47 ) La trattazione della conoscenza adeguata è svolta in tre mo­ menti . I. Viene dimostrata la possibilità di una conoscenza adeguata, intesa come conoscenza di ciò che è comune a tutti i corpi: secondo genere di conoscenza o ragione (P3 7-40 l . 2 . Viene indicata la natura del terzo genere di conoscenza o intelletto (P4oS2 ) . 3 . Si indicano l e proprietà del secondo e terzo genere di cono­ scenza: a) proprietà comuni rispetto alla conoscenza del vero (P4 1 43 l ;

4 · DELLA 1\"ATURA E DELL . ORIGI!\"E DELLA MENTE

b) proprietà della ragione di conoscere sotto l'aspetto della ne­ cessità (P44 ) ;

c) proprietà dell'intelletto di conoscere l'essenza eterna e infi­ nita di Dio (P44-47 ) .

Dimostrazione della possibilità e natura della conoscenza adeguata (P37-40) La dimostrazione vera e propria, data nelle P3 8-39, ha una premessa nella P37, la quale afferma che ciò che è comune a tutte le cose e che si trova identicamente nella parte e nel tutto di ciascuna cosa non può costituire l'essenza determinata di co­ sa alcuna. Se infatti ne costituisse l'essenza, ciò che è comune non potrebbe essere concepito senza quella cosa singolare (De/2 ) ; in tal caso, ciò che è comune sarebbe anche singolare, il che è contraddittorio; dunque ciò che è comune non può costituire l'essenza di alcuna cosa singolare. Le dimostrazioni delle P3 8 e 39 procedono analogamente: prima si considera ciò che è comune a tutte le cose, ossia a tutti i corpi, poi ciò che è comune al corpo umano e ai corpi esterni da cui questo è affetto. Il nerbo dell'argomento consiste nel mostrare che ciò che è comune deve darsi tdenticamente in tutti i corpi e nelle parti di ciascun corpo; di esso si darà dun­ que una medesima conoscenza, sia nella mente intesa come idea del corpo, sia in ogni idea di ogni affezione del corpo. Data l'identica presenza di ciò che è comune nel tutto e nella parte, la sua conoscenza, anche mediante le sole parti, non po­ trà che essere identica e totale, ossia vera e adeguata. Impor­ tanti sono i corollari relativi alle P38 e 3 9 · Il primo conclude che vi sono certe nozioni comuni a tutti gli uomini, in quanto si riferiscono a ciò che è comune a tutti i corpi e che, perciò, non può essere compreso se non in modo adeguato, ossia chia­ ro e distinto. Il secondo conclude che la mente umana è tanto più capace di concepire adeguatamente, quanto più il suo cor­ po ha cose in comune con gli altri corpi. Si deve osservare, a questo riguardo, che il tentativo di dedurre la conoscenza ade­ guata, fondandola sulle nozioni comuni, è compiuto dall'autore mantenendo ferma la definizione di mente data nelle PI I - I 3 e intesa quale idea di un corpo umano mediante le sue affezioni . Altro discorso, che qui non può essere svolto, concerne la fon­ datezza della deduzione . Se le idee adeguate si danno per la sola potenza della men99

L1 ETICA DI SPINOZ.o\

te umana, in quanto partecipa dell'attributo pensiero ( ossia non perché essa sia un atto dell'intelletto infinito o perché implichi l'intera serie delle idee di cose singolari costituenti il modo infi­ nito mediato ) , tutte le idee che seguono da idee adeguate, es­ sendone dedotte analiticamente per logica necessità, sono an­ ch'esse adeguate (P4o l . In tal modo si mostra che le nozioni comuni costituiscono il fondamento della ragione e si precisa che i cosiddetti termini trascendentali e le cosiddette nozioni universali non hanno il loro fondamento nelle nozioni comuni, o ragione, ma nella immaginazione. Questa è infatti incapace di formare un numero adeguatamente elevato di immagini distinte delle cose singolari e perciò è costretta a confondere e unificare tali immagini in rappresentazioni comuni di cose singole diver­ se tra loro (P4oSi l . La deduzione della conoscenza adeguata è conclusa dal ce­ lebre scolio 2 della P40, nel quale viene esposta la tripartizione dei generi di conoscenza. r . Il primo genere è costituito dalla immaginazione (o opinio­ ne) , che si attua e si esprime in due diversi modi: a) mediante esperienza vaga delle cose, rappresentate dai sensi in modo parziale, confuso e senza ordine; b) mediante segni sensibili che ci consentono di associare for­ tuitamente immagini di cose diverse. Il carattere che contrasse­ gna il primo genere di conoscenza è la riproduzione passiva dell'ordine comune della natura. 2. Il secondo genere è fondato sulle nozioni comuni e sulle idee adeguate delle proprietà delle cose ed è costituito dalla ra­ gtone. 3. Il terzo genere procede dall'idea adeguata dell'essenza for­ male di certi attributi di Dio alla conoscenza adeguata dell'es­ senza delle cose: è la scienza intuitiva.

Dei generi di conoscenza Spinoza ha già trattato, con alcune varianti, nel Trattato sull'emendazione dell'intelletto e nel Breve trattato 1 1; come nei due testi precedenti, anche in questo la dottrina dei generi di conoscenza è istituita nell'ambito dell'in­ dagine intorno alla conoscenza del vero e alla distinzione di questo dal falso . 1 2 . TIE parr. 18-24 (G

II,

1 0,2 - 1 2, 1 4 l ; KV

r oo

II,

1 -2 .

' 4· DELLA NATL'RA E DELL ORIGINE DELLA ME:'II T E

Natura del terzo genere di conoscenza o intelletto (P40S2) Nella seconda parte dell'EtiCa, l'autore si limita a dare (P4oS2 ) la definizione appena ricordata e descrive alcune proprietà del­ l'intelletto, in panicolare il suo essere conoscenza vera, al pari della ragione, e il suo essere conoscenza adeguata, ossia chiara e distinta, dell'essenza eterna e infinita di Dio (P45 -47 ) . È nel­ la seconda sezione della quinta pane che viene ripresa più am­ piamente la descrizione della natura e delle proprietà dell'intel­ letto, inteso come terzo genere di conoscenza. Rinviando a questa sezione l'analisi più dettagliata della natura dell'intelletto, mi limito a segnalarne i seguenti caratteri distintivi. 1 . L'intelletto conosce le cose singolari nella loro essenza costi­ tutiva e non in ciò che è ad esse comune (come la ragione) e che, in quanto tale, non è in grado di esprimerne l'essenza. 2. L'essenza delle cose singolari è conosciuta dall'intelletto im­ mediatamente, senza deduzione o argomentazione, in quanto implicata negli attributi della sostanza. Adottando un'espressio­ ne del Breve trattato, si può dire che l'intelletto conosce la cosa «come è», non «come deve essere» (ragione) 1 3 , 3 · L'intelletto può conoscere immediatamente l'essenza delle cose singole come implicata dall'essenza degli attributi, perché esso non è altro che lo stesso atto di intendere dell'intelletto infinito o modo infinito immediato, delimitato e mediato da ciascuna idea del modo infinito mediato. Ciascuna idea che co­ stituisce tale modo è infatti, simultaneamente, capace di tre di ­ versi generi di conoscenza, perché è simultaneamente relata con tre diversi generi di oggetto: a ) con tutte le altre idee assunte singolarmente in quanto la costituiscono e la affettano ( immaginazione ); b ) con la realtà costitutiva comune del modo infinito mediato a cui ciascuna idea appartiene e di cui perciò conosce necessità e immutabilità (ragione ) ; c) con i l modo infinito immediato o intelletto infinito, che la istituisce e costituisce, per sua sola potenza, insieme a tutte le altre. Sotto questo aspetto, ciascuna idea del modo infinito me­ diato è una modalità dell'atto unico con cui l'intelletto infinito immediato conosce gli attributi di Dio e il modo infinito me1 3 . KV II, 4· 2 .

101

L' ETICA

DI SPII'\'OZA

diato nella sua interezza e in ciascuna sua idea. Ciascuna idea o mente è dunque parte ed espressione della infinita potenza co­ noscitiva dell'intelletto infinito immediato e, in quanto tale, ne partecipa in proporzione alla diversa perfezione che la costitui­ sce. La conoscenza intuitiva della mente appartiene dunque per natura all'idea, in quanto è, insieme a infinite altre idee, parte dell'unico atto intellettivo del modo infinito immediato. È in tale partecipazione che consiste l'eternità della mente, fonda­ mento e causa della conoscenza delle cose sotto l'aspetto dell'e­ ternità, di cui si tratta nella quinta parte (P3 I ) .

Proprietà del secondo e terzo genere di conoscenza (P41-47) r . Proprietà comuni: ambedue conoscono il vero (P4 1 -43 ) . Poiché è stato dimostrato che le immagini delle cose non sono erronee in se stesse, ma solo in quanto la mente sia priva dell'i­ dea capace di riconoscerle come immagini (Pr 7S), mentre inve­ ce la conoscenza di secondo e di terzo genere è adeguata, se­ gue che soltanto la conoscenza di primo genere ( immaginazio­ ne ) è causa di falsità ( non falsa per sé), mentre la conoscenza di secondo e terzo genere è necessariamente vera (P4 1 ) . D'al­ tra parte, poiché solo la conoscenza di secondo e terzo genere consente un'idea adeguata del vero e del falso, solo essa è crite­ rio di distinzione del vero dal falso (P42 ) . Solo il vero è indice di sé e del falso. E poiché l'idea vera implica una somma cer­ tezza, non è possibile avere un'idea vera senza sapere, con veri­ tà, di averla (P43 S ) . Nello scolio di quest' ultima proposizione Spinoza riprende alla lettera alcune questioni aperte già nel Bre­

ve trattato 1 4 . 2. Proprietà della ragione rispetto al necessario (P44 ) . La ra­ gione contempla le cose come necessarie, cioè come sono in sé; dunque dipende solo dalla forza dell'immaginazione che rap­ presentiamo le cose come contingenti, sia rispetto al passato sia rispetto al futuro (P44C 1S) . Ma poiché la necessità delle cose coincide con la stessa necessità dell'eterna natura di Dio, da cui derivano, è proprio della ragione contemplare le cose sotto una certa specie di eternità (P44C2 ) . Si noti che, nella quinta parte, l'autore attribuisce all'intelletto la conoscenza delle cose non sotto una certa specie, ma sotto la specie dell'eternità. Queste

14. KV "· I , .

1 02



'

DELLA !'lA TURA E DELL ORIGINE DELLA MENTE

formule, ampiamente discusse nella storiografia spinoziana � ' , possono essere intese nel senso di prospettiva, sguardo, punto di vista rispetto alle cose, di cui la ragione e l'intelletto sono capa­ ci. La prima, conoscendo le cose non nella loro essenza singola­ re, ma in ciò che hanno in comune, le conosce sotto una certa specie di eternità; l'intelletto, conoscendole nella loro essenza de­ terminata, ossia nella relazione che intrattengono con gli attri­ buti di Dio nella serie infinita delle cose finite, le conosce pro­ priamente sotto la specie o dal punto di vista dell'eternità. 3 . Proprietà dell'intelletto rispetto all'essenza eterna di Dio (P45-47 ) . È oggetto di conoscenza adeguata (intellettiva) l'es­ senza eterna e infinita di Dio (P45-4 7 ) . Taie conoscenza è ne­ cessariamente implicata da qualunque idea di cosa singolare esi­ stente in atto. Infatti l'esistenza in atto, intesa come forza di perseverare nell'essere, segue dalla necessità della natura di Dio e non può essere adeguatamente concepita senza l'idea dell' at­ tributo di cui ciascuna cosa è modo, ossia senza l'essenza eter­ na e infinita di Dio (P45S) . D' altra parte, tale conoscenza è adeguata perché, qualunque cosa si assuma, nel tutto o nella parte, implica necessariamente, in quanto esistente, un attributo di Dio (P46 ) . E poiché la mente ha idee di tutte le cose, di se stessa, del proprio corpo e dei corpi esterni, è proprio della natura della mente, ed è quindi possibile a tutti gli uomini, avere una conoscenza adeguata dell'eterna e infinita essenza di Dio (P47S ) . Tale conclusione, se assunta nel senso di una co­ noscenza attualmente posseduta da tutti gli uomini, sembra pa­ radossale e incomprensibile, alla luce di altre numerose affer­ mazioni spinoziane, secondo le quali solo pochi uomini hanno in atto la conoscenza di secondo e terzo genere. Che l'afferma­ zione, nonostante la formula, sia da assumere in senso poten­ ziale, sembra essere suggerito dallo scolio della stessa proposi­ zione, che si premura di spiegare perché gli uomini non abbia­ no di Dio una conoscenza ugualmente chiara rispetto a quella che hanno delle nozioni comuni; essi non possono immaginare Dio come immaginano i corpi e inoltre hanno unito il nome Dio alle immagini delle cose che sono soliti vedere . Tale osserI :; . Rinvio, per una prospettiva sintetica sull'argomento e per una discus­ sione, a F. Mignini, "Sub specie aeternitatis". Notes sur "Etht'que" , propost!tons 22 -23, 29-31, in "Revue philosophique", 1 1 9 ( I 994), I , pp. 4I ·54 e, ora, a P. Di Vona, La conoscenza «Sub specie aeterniJatis» neU'opera di Spinoza, Loffredo, Napoli I 995 . .,

1 03

L'ETICA

DI SPI:SOZ.-\

vazione sembra indicare due cose: che la conoscenza adeguata dell'essenza eterna e infinita di Dio è propria della natura della mente umana, ma è attingibile solo mediante il controllo del­ l'immaginazione; che tale conoscenza è propria dell'intelletto, inteso come terzo genere, più che della ragione. 4·5 Confutazione del pregiudizio concernente la volontà ( P48-49)

L'esposizione della dottrina spinoziana della volontà ha un si­ gnificato prevalentemente emendativo e catartico, più che posi­ tivo e propositivo. In altri termini, poiché per Spinoza la volon­ tà non appartiene alla mente né esiste in alcun modo, non si darebbe alcuna ragione perché venga trattata nell'ambito della dottrina della mente, se non per confutare i pregiudizi a suo riguardo ed esporre i vantaggi speculativi e pratici della dottri­ na che la nega. Le due proposizioni conclusive della seconda parte, e soprattutto il lungo scolio finale, svolgono dunque una funzione analoga a quella svolta dall'ultima sezione della prima parte. Vediamo ora sinteticamente quali sono le tesi spinoziane intorno alla volontà 16• Esse sono esposte in forma progressiva­ mente riduttiva: a) non esiste volontà assoluta, ossia sciolta da cause determi­ nanti, poiché la mente è un modo determinato dell'attributo del pensiero, che ha in altri modi dello stesso attributo la causa della sua esistenza e pertanto anche della sua azione. È causa libera della propria azione - in tal caso indifferente al volere e al non volere - soltanto quella che esiste per propria essenza. Dunque la volontà non è libera (P48 ) ; b ) non esiste facoltà del volere, come non esiste facoltà dell'in­ tendere; le facoltà, concepite come distinte dalle volizioni e dal­ le idee, sono enti puramente fittizi o metafisici, che non si di­ stinguono dalle singole volizioni o idee ( SP48 ) ; c ) i n natura esistono soltanto idee determinate e non volizioni distinte dalle idee; le cosiddette volizioni non sono altro che l'affermazione o la negazione implicata dall'idea in quanto è idea (P49 ) . Infatti l'idea, in quanto concetto, è essenzialmente atto del pensiero, energia di affermazione e negazione del rap­ presentato oltre che atto di rappresentazione. Dunque la voli­ zione, in quanto affermazione o negazione, non si distingue r6.

Queste tesi sono già anticipate in KV

104

Il,

r6- r 7 .

1

4· D ELLA !':ATURA E DELL 0RlGl�E DELLA ME!':TE

dall'idea in quanto idea. Pertanto, usando la terminologia tradi­ zionale, la volontà non si distingue dall'intelletto (CP49 ) , Dimostrata l'inesistenza della volontà, comunemente consi­ derata causa dell'errore, nello scolio della P49 l'autore indica anzitutto l'origine del pregiudizio intorno alla volontà, risponde a quattro obiezioni e sottolinea i vantaggi della dottrina espo­ sta. Vediamo sinteticamente ciascun punto:

a) il pregiudizio concernente l' esistenza di una volontà, e per di più libera, nasce da due cause : la prima consiste nell'aver considerato l' errore come qualco­ sa di positivo e non come una semplice privazione di conoscen­ za, nella quale l'uomo si adagia, perché è privo o di altre im­ magini che facciano fluttuare la sua mente rispetto all'immagine che assume come vera o di un'idea certa che lo ponga positiva­ mente nel vero; la seconda causa consiste nella incapacità di distinguere tra idea, immagine e parola. Quelli che confondono l'idea con l'im­ magine assumono la prima come una