Sguardi su Ulisse: la tradizione esegetica greca all'Odissea 8884981921


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Sguardi su Ulisse: la tradizione esegetica greca all'Odissea
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FILIPPO M A RIA PO N TA N I

SGUARDI SU ULISSE LA TRADIZIONE ESEGETICA GRECA A L L ODISSEA

R O M A 2005 E D IZ IO N I D I STORIA E LETTERATURA

Prima edizione: gennaio 2005 ISBN 978-88-8498-192-9 Terza ristampa: settembre 2007

V olum e pubblicato con i contributi del C onsiglio N azionale delle Ricerche e della Scuola N orm ale Superiore di Pisa

È vietata ία copia, anche parziale e con qualsiasi mezzo effettuata Ogni riproduzione che eviti l’acquisto d i un libro minaccia la sopravvivenza di un modo di trasmettere la conoscenza

Tutti i diritti riservati E D IZ IO N I D I STORIA E LETTERATURA 00165 Roma - via delle Fornaci, 24 Tel. 06.39.67.03.07 - F ax 06.39.67.12.50 e-mail: [email protected] www.storiaeletteratura.it

PREMESSA

Si racconta che Alessandro Magno, in gioventù, sapesse a memoria «il primo poema, VIliade, per intero, e anche buona parte deW Odissea» (Dio Chr. or. 4,39). La preferenza del Macedone (per incindens, l’eponimo della città in cui nacque la scienza filologica) trova riscontro ovunque nella storia della rice­ zione omerica: l'Iliade è più citata dagli autori classici e bizantini, YIliade è attestata in un numero di testimoni manoscritti di gran lunga superiore, ΓIlia­ de ha suscitato un’attività esegetica più continua, dalle vocianti aule scolasti­ che dell’antichità alle austere cellette dei monaci medievali. Tuttavia, le storie di Ulisse sono sempre rimaste profondamente impresse nella coscienza collettiva dei parlanti greco: sin da un’età alquanto precoce VOdissea è stata oggetto non solo di spiegazioni minute (grammaticali, lessica­ li, sintattiche, stilistiche), ma anche di interpretazioni etiche e allegoriche più o meno coerenti, originali o bizzarre; a partire dal III sec. a. C., poi, a queste due tipologie esegetiche si è affiancata la critica filologica, che ha in certa misu­ ra inglobato e sublimato alcuni elementi dell’una e dell’altra, pur promuoven­ do un tipo di analisi del testo radicalmente nuovo. Da allora in poi, i vari tipi di approccio al testo sono stati sempre compresenti: la bilancia ha oscillato ora verso l’Omero “spicciolo” dei compendi scolastici (penso alla tarda antichità) ora verso l’Omero allegorizzato o moralizzato (penso alla Bisanzio dei secoli XII-XIV) ora verso il recupero filologico del dettato e dell’intenzione del poeta (penso all’Umanesimo italogreco e poi europeo), ma in nessun periodo la catena delle altre tipologie esegetiche si è davvero interrotta. Questo libro cerca di ricostruire alcuni fili della tradizione di lettura e commento dèli*Odissea dall’antichità più remota fino all’età moderna. Lo Schwerpunkt è rappresentato dall’analisi della tradizione manoscritta, e in par­ ticolare degli apparati esegetici confluiti nei papiri e sui margini dei codici medievali: chi scrive spera infatti di giungere fra qualche tempo a una nuova edizione degli scoli al poema (con esclusione delle opere dotate di tradizione autonoma, come Eraclito, il De Homero dello Ps.-Plutarco, Tzetze ed Eustazio, ma con inclusione degli scholia minora papiracei, degli scholia V e degli excerpta dalle Quaestiones Homericae di Porfirio). Se si è scelto qui di non for­ nire uno scialbo elenco dei testimoni ordinati secondo il luogo di conserva-

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zione, bensì di provare a situare ciascuno di essi all’interno del proprio con­ testo storico, ciò si deve all’idea di fondo che ogni manoscritto rappresenti il frutto di un’intenzione precisa, comprensibile solo in una determinata corni­ ce storica e geografica. Quest’idea appare tanto più fondata in quanto si trat­ ta qui di manoscritti recanti un apparato esegetico: nessun sussidio alla lettu­ ra di un testo - per quanto meramente ricopiato - può essere veramente inte­ so nella sua natura, nella sua genesi, nei suoi costituenti, senza considerare il pubblico cui esso è destinato. Dichiaro subito i limiti più gravi della presente ricerca: l’estensione del materiale ha impedito di effettuare collazioni complete di tutti i testimoni, e l’attenzione si è concentrata in via prioritaria sui canti α-δ (che abbracciano circa un terzo del materiale scoliastico complessivo), con ampi sondaggi per loci delle altre parti del poema; per quanto riguarda il testo omerico in sé, la notoria complessità dei rapporti fra i testimoni ha consigliato di non proce­ dere a un riesame della tradizione, e di limitarsi per lo più allo studio dei soli apparati esegetici; l’esame delle relazioni con la vastissima tradizione lessicografica e grammaticale è stato condotto in maniera non sistematica, sia per limiti di tempo sia soprattutto a causa della mancanza di affidabili edizioni moderne, a cominciare da quella d& Etymologicum Genuinum; nella tratta­ zione dei corpora scoliastici medievali non è stata affrontata in modo costante la questione dell’attribuzione degli scoli su base “interna” all’uno o all’altro grammatico antico (penso in particolare ai Vier Männer), in quanto si è prefe­ rito considerare· le singole note appunto come parti di un corpus, rimandando ogni scelta ulteriore al momento dell’edizione; infine, il confronto con la situazione dell’Iliade è stato possibile solo a tratti, dal momento che non è stato ancora condotto uno studio parallelo sui numerosissimi testimoni anti­ chi e medievali dell’esegesi a quel poema (e forse, per tornare a quanto accen­ nato in apertura, l’indagine sullOdissea è stata favorita anche proprio dalla minor mole del materiale disponibile). Un lavoro come questo non sarebbe stato nemmeno concepibile senza alcune premesse, prossime e remote: fra queste ultime annovero - per non citare che le più importanti - gli studiosi che nell’ultimo secolo si sono occu­ pati della tradizione degli scoli all’Iliade (Marchinus van der Valk e soprattut­ to Hartmut Erbse), della storia della filologia (Rudolf Pfeiffer, Nigel Wilson) e della storia della tradizione manoscritta dei testi greci (Paul Canari, Gugliel­ mo Cavallo, Dieter Harlfinger, Herbert Hunger, Jean Irigoin, Alexander Turyn); fondamentale, com’è ovvio, è stato poi il lavoro compiuto nel XIX secolo dai precedenti studiosi ed editori degli scoli all’Odissea: Philipp Buttmann, Wilhelm Dindorf, Arthur Ludwich e Hermann Schrader. Fra le premesse più vicine ricordo anzitutto la Scuola Normale Superiore di Pisa, che per cinque anni ha messo a mia disposizione i mezzi materiali e

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scientifici necessari: un pensiero grato va in particolare alla Biblioteca di Piaz­ za dei Cavalieri, dove questo libro è in buona parte nato. Ringrazio anche il Graduiertenkolleg “Textüberlieferung” dell’Università di Amburgo per la borsa dell’ottobre 1999, l’Università di Cambridge per l’invito al «Laurence Seminar» sugli scoli nel maggio 2000, l’Università Ca’ Foscari e l’Istituto Elle­ nico di Venezia per il Premio “Nikolaos Panagiotakis” assegnato nel 2003 a una forma ampliata del capitolo 4.3.7. Come si vedrà nel libro, ho ricevuto aiuti su singoli punti da amici e colleghi cui penso con affetto, e dai bibliote­ cari d’Europa e d’America, sempre cortesi non meno che competenti. Rin­ grazio di cuore Franco Montanari (precoce sponsor dell’impresa) e Antonio Carlini per aver seguito, incoraggiato e favorito il lavoro in ogni sua fase e per aver partecipato, assieme ad Antonios Rengakos, alla discussione della mia tesi di perfezionamento nel gennaio 2002. Tacerò d’altri debiti contratti con mia madre, con Pisa e in specie con luoghi e persone del “mio” Veneto. Nell’intricato fluire di strade e sentieri che è la storia dell’esegesi omerica, questo libro sogna di essere non già una mappa bensì piuttosto un umile Weg­ weiser, sul tipo di quelli, nitidi e precisi, che s’incontrano in Alta Engadina, là dove Sils-Maria annuncia la crisi della Klassische Philologie e il Maloja preci­ pita il Nord verso Atene e Gerusalemme. Chi leggerà, e avrà tempo e voglia di seguire le direzioni indicate, troverà senz’altro che alcune frecce erano fuori posto o mal orientate, che i tempi di percorrenza erravano per eccesso o per difetto, che alcune mete erano fasulle e di altre, colpevolmente, non si diceva nulla. Se vorrà aiutarmi, gli sarò infinitamente grato; ad ogni modo, gli augu­ ro di incontrare nel suo viaggio donne e città non meno straordinarie di quel­ le che la sorte ha riservato a me.

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SIGLA *

P apyri p3+43 _ *P L itL on d 3 0 + **P V in d ob inv. G 2 6 7 4 6 + 2 6 7 5 4 -6 0 p 96 = * P O x y 15, 1820 + *PC air JE 45620 p 125 = **P B erol inv. 11759 pi37 __ *p B erol inv. 16995 p 169 = *BK T 9, 11 (P B erol inv. 21 1 1 1 ) h 2 = "PM ilV ogl 1181 h 3 = “P K ö ln 9 , 3 6 2 (inv. 9 0 6 ) + * P D u k e inv. 7 6 9 h 4 = P O x y 4 4 , 3 1 6 0 + *PStrasb 1401 h 6 = *PAnt 2, 69 h 7 = P S I 1 0 , 1173 h 8 = *PRyl 1 ,2 3 h 9 = * P H a m b 3 ,2 0 0 h 10 = *PY ale 2, 128 (inv. 551) h 12 = "P O xy 3 9 ,2 8 8 8

h 14 h 15 h 19 h21 h22

= = = =

*PLaur. 3 ,5 3 *P K öln inv. 2381 "PM üV ogl 1229 *P M ed inv. 210 "PAlex inv. 198 h2? = *PSI 15, 1464 h25 = *PAmh 2 , 18 + **PStrasb inv. G 162 h26 = *P K öln inv. 2 3 6 h27 = **P L ille inv. 83 + 134 + 9 3 b + 93a + 114t + 114o + 87 h 28 = * * P O x y 11, 1397 h29 = * P O x y 5 3 ,3 7 1 0 h30 = * P F a y 3 1 2 h33 = * * P O x y 5 6 , 3833 h34 = * P O x y 65, 4453

C o d ic e s B C D E F G H

= = = = = =

Ambr. B 99 sup. "Caesen. D .X X V II.2 Par. gr. 2403 Am br. E 89 sup. Laur. conv. soppr. 52 Laur. 3 2 , 24 H arl. 5674

I J K M N O P

= = = = = =

*M osq. (G IM ) Synod . 472 Vat. gr. 1320 *Cracov. Jag. 543 M arc. gr. 613 M arc. gr. IX , 4 Vat. gr. 1321 "H eid elb. Pai. gr. 45

* Qui, come nel resto del volume, appongo un asterisco ai testimoni che ho esaminato solo microfilm o su fotografìa, due invece davanti a quelli che non ho visto e per i quali dipendo dai resoconti altrui.

Q - Ambr. Q 88 sup. R = Laur. 5 7 , 32 S - Par. gr. 289 4 T = H am b . 5 6 in serin. Va = ed itio A ldina scholioru m D id ym i 1528 W = E ton C oll., ine. sine num . (ed. 1488 H om eri operum ) y b = Marc. gr. 610 V c = Cantabr. C orp. Chr. 81 y d = p ar. g r> 2691 V8 yl Vm V° VP

= = = = Ψ = Vs =

Cantabr. G onv.-C ai. 7 6 /4 3 M arc. gr. IX , 29 M on . gr. 233 B od l. A uct. V.1.51 Par. gr. 276 9 Par. gr. 2692 "Yale U niv., Bein. 2 7 8 W = Laur. 5 7 , 10 V w = Laur. 3 2 , 39 W = Brux. 11290 X = *V ind. phil. gr. 133 Y = "Vind. phil. gr. 56

Z c d e f g h i j k 1 m n o p q r s t u X y z

= = = = = = = = = = = = = = = = = = = =

Vat. Pai. gr. 7 Harl. 6325 Par. gr. 2 6 7 9 *A th en . 1062 Laur. 3 2 , 12 Par. Suppl. gr. 164 Vat. gr. 1302 Harl. 5673 Vat. O tto b . gr. 57 M on. gr. 51 9 B Laur. 3 2 , 23 M utin. a .U .9 .2 2 (gr. 93) Laur. 91 su p., 2 B odl. C anon, gr. 7 9 Par. gr. 2 6 8 8 Marc. gr. IX , 21 Marc. gr. IX , 34 Vat. gr. 915 Vat. O tto b . gr. 3 0 8 BAV, A id . I l i , 63 Par. gr. 3 0 6 9 Crypt, Z .a .X X V I Par. gr. 2 6 8 9

SIGLE

21

IX

X

Tavola sinottica di alcuni dei principali testim oni m edievali e umanistici degli scoli all Odissea.

I L’ESEGESI ANTICA

Questa rassegna non ambisce alla completezza. Si prenderanno in consi­ derazione solo gli omeristi antichi che ci sono meglio noti dalle fonti, con particolare riferimento al loro lavoro sull ’Odissea·, se ne trascureranno altri di cui si sa davvero troppo poco1, e parimenti si tralascerà di discorrere di numerose tappe della lessicografia antica2. Su molti autori gravano seri pro­ blemi cronologici e bio-bibliografici: do per scontati i rinvìi alle voci del Neuer Pauly e della Realencyclopädie, che citerò solo nel caso in cui offrano contributi originali o rappresentino la sistemazione più aggiornata; in gene­ rale, la bibliografia si limita ai titoli più recenti, da cui si risalirà facilmente alle opere anteriori. Per di più, segnalo che tutti i grammatici greci sono ora censiti o in via di catalogazione nel prezioso Lessico dei grammatici greci anti­ chi che sta nascendo sotto la direzione di Franco Montanari sul sito Internet . Per l’uso dei termini “scoli esegetici” e “Vier-Männer-Kommentar” (VMK), mi attengo per lo più al senso invalso negli studi sugli scoli iliadici (cfr. infra 1.7.2 e 3.2.2); come corpus scoliastico intendo un insieme di scoli confluiti sui 1 Intendo per esempio personaggi come Arideikes, Attalo, Demetrio Gonypesos e Deme­ trio Pyktes, Ermappia, Naucrate, Protea di Zeugma, Satiro (citato nello schol. Θ288 sul cinto di Afrodite), Antipatro (schol. γ 332) etc. 2 Penso ad alcuni studiosi dell’età alessandrina (fino al I see. a.C.) citati nei nostri corpora scoliastici, come Panfilo, Parmenione, Doroteo di Ascalona, Polemarco (almeno gli ultimi due usati da Porfirio: cfr. Erbse, Beiträge 52-53 e 117-119; Doroteo fu tra l ’altro autore in età augustea di un Περί τού' παρ’ Όμηρψ κλισίου che sicuramente trattava anche dell’occorrenza del termine in ω 208: Schrader, Prolegomena, 173, lo identifica però come un mero capitolo della sua Λέξεων συναγωγή). Sulla storia della lessicografia antica cfr. L. Tolkiehn, in RE XII/2, 2432-2483; Tosi, Lessicografia-, E. Degani, La lessicografia, in Lo spazio letterario della Grecia antica, II, Roma 1995,505-527; K. Alpers, Griechische Lexikographie in Antike u ni Mittelalter, in H.-A. Koch (ed.), Welt der Information, Stuttgart 1990,14-38; Id., Lexikographie B/I, in G. Ueding (hrsg.), Historisches Wörterbuch der Rhetorik, V, Tübingen 2001,194-210. Sul tema del rapporto fra etimologia e scoliografia si veda ora, in termini molto generali, H. Peraki-Kyriakidou, Aspects of Ancient Etymologizing, «Classical Quarterly» 52,2002,478-493, spec. 490-492.

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margini (o, in certi casi, nello specchio principale a piena pagina) di uno o più manoscritti medievali. Per un orientam ento primario son o di estrema utilità: in generale, F. Montanari,

L’erudizione; la filologia, la grammatica, in G. Cambiano - L. Canfora - D . Lanza, Lo spazio letterario della Grecia antica, 1/2, Roma 1993, 235-281 ed E. Pöhlm ann, Ein­ führung in die Oberlieferungsgeschichte und in die Textkritik der antiken Literatur, I, Darm stadt 1994; nello specifico omerico, R. Lam berto«, Homer in Antiquity, in Morris-Powell, A New Companion, 33-54; West, Studies, 46-85; ancora notevoli com e rac­ colte di materiali le estese trattazioni di La Roche, HTA, 1-174 e di M. Sengebusch, Homerica dissertatio prior, in G. D indorf (ed.), H omerillias, Lipsiae 18614, 1-214. Per un sommario degli autori, delle form e e delle m odalità dell’esegesi allegorica, m ito­ grafica e morale rimane importante Buffière, Mythes. La m igliore introduzione ai m ille problem i che gli scoli pongono al filologo classico è N .G . W ilson, Scoliasti e commentatori, «Studi classici e orientali» 33, 1983, 83-112.

1.1. P reliminari

I poemi omerici costituirono sin dal principio materia di riflessione e di interpretazione, ed è probabile che già nella fase della loro trasmissione orale essi siano stati oggetto di chiarimenti, spiegazioni, glosse da parte dei rapsodi che li cantavano e li divulgavano nelle varie città del mondo greco. Di questa fase dell’esegesi omerica, un’esegesi di carattere verisimilmente saltuario e pri­ mitivo, che doveva vertere su delucidazioni di singole parole e su questioni biografiche inerenti la persona di Omero, non possediamo alcuna traccia con­ creta34. Lasceremo da parte in questa sede ogni problema relativo alla tradizione del testo omerico fino al V see. a.C., un campo irto di ipotesi (sulla data della prima fissazione scritta dei poemi, sull’importanza degli Omeridi di Chio, sul­ l’esistenza e il significato delle “edizioni” cittadine) ma molto povero di cer­ tezze, specie per quanto riguarda i riflessi sull’attività esegetica4. In particola­ re, non interverremo sulla questione della presunta recensione pisistratea di Omero e del ruolo che in essa ebbe, secondo una tradizione raccolta o con3 Pfeiffer, History, 10-12, pensa che si trattasse in primo luogo di glosse e spiegazioni eti­ mologiche, e ritiene anche Teagene di Reggio (cfr. subito infra) un rapsodo di professione, seguito in questo da Svenbro, La parola, 116-117. Ford, The Origins, 67-80 dà un peso note­ vole alla precoce interpretazione dei rapsodi anche in senso politico e sociale, ma la sua «co­ struzione è molto ardita. B. Graziosi, Inventing Homer, Cambridge 2002, raccoglie tutti i dati relativi alle più antiche tradizioni biografiche su Omero. 4 Un panorama equilibrato in Haslam, Homeric Papyri, 79-84; particolare enfasi sulla flui­ dità della trasmissione del testo omerico ad opera dei rapsodi è posta da Nagy, Poetry, spec. 107-113; una visione alternativa per es. in West, Studies, 3-32. Interessante il dibattito di vari studiosi {in primis M. Skafte Jensen) sul tema Dividing Homer: When and How were the Iliad and the Odyssey Divided into Songs?, «Symbolae Osloenses» 74, 1999,5-91.

L’ESEGESI ANTICA

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flata da Tzetze (prol. de com. XIa, 1.148 e 11.128 Koster), il poeta orfico Onomacrito di Atene, citato un’unica volta nei nostri scoli omerici a proposito dell’atetesi di λ 602-604 (schol. H[Y2])5. Non s’intende poi riflettere né speculare qui circa l’eredità omerica nella lirica arcaica o nella tragedia attica, giacché Findagine delle reminiscenze, delle interpretazioni e delle eventuali “appropriazioni” del testo dei poemi da parte degli autori successivi rientra più propriamente nell’ambito della storia letteraria6. Ugualmente terremo fuori dal nostro ambito di ricerca i riferimen­ ti a Omero espliciti ma generici, come quelli di Pindaro nella Nemea VII (2024, proprio in relazione all’arte del poeta nell’Odissea) o neh’Istmica IV (3742, in lode dei suoi θεσπέσια επεα), o come le prese di posizione sulla veridi­ cità di Omero in Erodoto (spec. 2,116-117) e Tucidide (spec. 1,3 e nell’inte­ ra αρχαιολογία), o ancora le critiche “di principio” mosse alla visione teolo­ gica e mitologica di Omero dal poeta Senofane di Colofone nella seconda metà del VI see. a.C. (21 B 11-12 D.-K.), o all’inane πολυμαθίη dell’epica dal filosofo Eraclito di Efeso circa cinquantanni più tardi (22 B 42, 36, 105 D.K.): in tutti questi casi, si può parlare di “ricezione” di Omero, ma non di “esegesi” in senso stretto, in quanto per nessuno di questi autori, nemmeno per Senofane, è attestata l’esistenza di un’opera specifica dedicata a Omero7. 1.2. I talia meridionale, V I

sec.: allegorie ?

Stando ai dati in nostro possesso, l’inizio dell’esegesi omerica propriamen­ te detta può essere situato con ragionevole precisione nel tempo e nello spazio: il Calabrese Teagene di Reggio, vissuto nella seconda metà del VI sec. a.C.8, è 5 Orph. fr. 182-195 Kern. Il ruolo fondamentale di ultimo redattore dei poemi è attribuito a Onomacrito da R. Böhme, Peisistratos und sein homerischer Dichter, Bern 1983. Sull’edizio­ ne pisistratea più ottimista per es. C. Catenacci, Il finale ^ / / ’Odissea e la recensio pisistratide dei poemi omerici, «Quaderni urbinati di cultura classica» n. s. 44,1993,7-22; più cauto Nagy, Poetry, 69-80; assai scettico, da ultimo, L. Ferreri, La biblioteca del tiranno, «Quaderni di sto­ ria» 56, 2002,5-48, che pensa a un’invenzione pergamena fondata su fragili basi storiche. 6 Diverso è ovviamente il caso per i poeti ellenistici, dove diverso è il grado di consapevo­ lezza critica e filologica: cfr. Rengakos, Der Homertext. 7 Sulla ricezione dell’epica e sulle forme embrionali di critica letteraria si veda la preziosa rac­ colta di frammenti di Lanata, Poetica, il riassumo di Blum, Kallimachos, 27-36 e da ultimo Ford, The Origins. Inoltre per Pindaro: G. Nagy, Pindar’s Homer, Baltimore-London 1990. Gli stori­ ci: N. Richardson, Aristotle’s Reading of Homer and its Background, in Lamberton-Keaney, Homer’s Ancient Readers, 30-40: 32; V. Hunter, Past and Process in Herodotus and Thucydides, Princeton 1982. Senofane: Pfeiffer, History, 8-9; C. Schäfer, Xenophanes von Kolophon, Stutt­ gart-Leipzig 1996,146-162. Eradico: Héradite, Fragments, ed. M. Conche, Paris 1986,111-119. 8 II floruit di Teagene è posto nell’età di Cambise (529-522) da Tat. adv. Graec. 31, p. 57, 14-15 Marcovich (Diels-Kranz 8.1), che lo annovera subito prima di Stesimbroto irai più anti­ chi autori che hanno scritto περί της Όμηρου ποιήσεοκ γένους τε αύτοΰ και χρόνου καθ’ον ήκμασεν.

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infatti riconosciuto da Porfirio, in un brano dei suoi 'Ο μ η ρ ικ ά ζη τ ή μ α τ α tra­ mandato dallo schol. *B T 6 7 (= 8.2 D.-K.), come colui ο ς π ρ ώ τος έγρ α ψ ε περί Ό μ η ρ ο υ . Di Teagene conosciamo molto poco: Porfirio lo menziona nel passo ricordato come esempio della vetusta procedura di difendere Omero risolven­ do α π ό τ η ς λ έξεω ς (cioè in base al linguaggio, all’interpretazione delle singo­ le parole) i problemi etici posti dai poemi9. Nella fattispecie, Porfirio si trova a citare l’opinione di alcuni (oi μ έν, evidentemente gli Stoici) che interpretava­ no la battaglia degli dèi al principio del XX libro d è i’Iliade come un’allegoria della lotta fra gli elementi cosmici; a rigore Porfirio non dice che Teagene abbia interpretato il passo in tal modo, bensì soltanto che egli era solito servirsi di un analogo apparato esegetico per leggere Omero10; tuttavia, si può supporre che difficilmente Teagene sarebbe stato citato qui da Porfirio se non avesse effetti­ vamente allegorizzato la Teomachia11. Di certo dunque Teagene (uno studioso che si occupò anche dell’'Ε λ λ η ν ισ μ ό ς, cioè della correttezza linguistica del greco: cfr. 8.1A D.-K.) “difendeva” i poemi dagli attacchi che venivano loro mossi (è da credere, da Senofane e dai suoi soci: si ricordi che Senofane, esi­ liato da Colofone, riparò e visse a lungo in Sicilia)12, e probabilmente egli cono­ sceva e praticava un metodo che noi oggi definiremmo allegorico. Del resto già prima di lui Ferecide di Siro {floruit ca. 5 4 4 a.C.), secondo una testimonianza di Origene, si serviva di una specifica interpretazione omerica (di A 590 e O 18: cfr. 7 B 5 D.-K., F 83 Schibli = c. Cels. 6 ,4 2 ) per puntellare la propria geo­ grafia del Tartaro13. L’unica altra menzione di Teagene come studioso omerico ci è tramandata dallo schol. A A 381 all’Iliade, in cui Didimo lo ricorda, pro­ babilmente sulla scorta di Seleuco, come sostenitore di una lezione recata anche dall’edizione cipriota e da quella cretese: sebbene sia arduo cogliere qui il resoconto di una vera e propria attività critico-testuale del Reggino, questa testimonianza rappresenta comunque il terminus ante quem più sicuro per la fissazione per iscritto dei poemi omerici, che non è pensabile che una scrittu9 La raccolta del materiale relativo a questo procedimento esegetico è in F. M. Combellack,

The λύσις έκ της λέξεως, «American Journal of Philology» 108, 1987, 202-219, ma la classifi­ cazione del nostro scolio fra quelli in cui la locuzione ha il valore di “sulla base dello stile” (216) lascia insoddisfatti: Porfirio, dal suo punto di rista, intendeva annoverare la soluzione di Tea­ gene fra quelle che traggono origine internamente al testo, non sovrappongono ad esso mate­ riale esterno: cfr. Lamberton, Homeric Allegory, 189. 10 P. 241, 10-12 Schrader: οΰτος μέν οΰν (ό corr. Schöne) τρόπος απολογίας αρχαίος ών πάνυ καί από Θεαγένους του 'Ρηγίνου, ός πρώτος έγραψε περί Όμηρου, τοιοΰτός έστιν άπό της λέξεως. 11 Svenbro, La parola, 104. Lamberton, Romene Allegory, 187-189. Cauto ed equilibrato Bernard, Spätantike, 74-78. 12 Cfr. Schrader, Prolegomena, 384. Svenbro, La parola, 101-110. Diversamente su Teagene (in chiave sociale e politica) Ford, The Origins, 68-80. 13 Cfr. H. Schibli, Pherekydes of Syros, Oxford 1991, 39-40.

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ra “di secondo grado” (περί Όμηρου) si svolgesse in mancanza di un testo più o meno consolidato14. Le prime tracce della critica omerica ci portano dunque in Italia meridio­ nale: i rapporti con la coeva filosofia pitagorica magnogreca sono incerti e dibattuti: è probabile che Pitagora, nonostante le accuse di mendacio rivolte a Omero (si pensi alla sua visione infernale narrata da Ieronimo di Cardia, fr. 42 Wehrli), attribuisse ai poemi un peso nell’educazione (lambì. Vita Pyth. 39: p. 178,20 Thesleff); del resto nella sua scuola, nei secoli successivi, vi furono casi isolati di interpretazioni allegoriche (di recente è stata grandemente riva­ lutata l’importanza di Omero per la cosmologia di Filolao), ma non è legitti­ mo passare da questa constatazione alla tesi che già il maestro avesse svilup­ pato un sistema di esegesi, né abiudicare così a Teagene qualsiasi ruolo auto­ nomo di allegorista15. 1.3. Atene , V-IV

sec.: l’O mero dei sofisti e dei filosofi

1.3.1 Dai sofisti ad Antimaco. Le successive testimonianze relative alla nostra indagine conducono nel­ l’orbita della sofistica ateniese, un contesto nel quale Omero è usato come una sorta di compendio di ogni sapere teorico e pratico, e pertanto è oggetto di uno studio speciale e particolarmente indirizzato all’insegnamento ai giovani. Nello Ione platonico (53Oc) il protagonista si vanta di essere in grado di par­ lare di Omero meglio di tutti coloro che più si sono distinti in quest’arte: fra questi enumera specialmente Metrodoro di Lampsaco, Stesimbroto di Taso e un mal noto Glaucone16. Metrodoro di Lampsaco, allievo di Anassagora, scrisse un Περ'ι Όμηρου (61.3 D.-K.) e si distinse per l’applicazione coerente e oltranzista dell’allego­ ria “fisica” (una sorta di razionalistica θεραπεία, o “cura” dei miti: Diog. Laert. 2, 11): egli riconosceva in ogni personaggio umano del mondo omerico 14 Cassio, Early Editions, 118-119. Sovrainterpreta parlando di “protofilologia” Svenbro, La parola, 102-103. 15 Così M. Detienne, Homere, Hésiode et Pytbagore, Bruxelles 1962; si vedano le fondate riserve di C J. de Vogel, Pythagoras and Early Pythagoreanism, Assen 1966, 79-80 e di Buffière, Mythes, 101-105; 187-203; 331; 520; cfr. anche Richardson, Homeric Professors, 74-76; Pépin, Mythe, 94-98; Bernard, Spätantike, 77-78 e 285-286; J. Pépin, The Platonic and Christian Ulys­ ses, in D.J. O ’Meara (ed.). Neoplatonism and Christian Thought, Albany 1982, 1-18 (con note 234-239): 2 e 235; Ramelli, Cornuto, 421-423. Su Filolao cfr. P. Kingsley, Ancient Philosophy, Mystery, and Magic, Oxford 1995, 183-193. 16 Forse Glaucone di Tarso, forse Glauco di Reggio, forse nessuno dei due; di lui si cono­ scono solo due frammenti relativi allo scudo di Achille e alla coppa di Nestore: cfr. Schrader, Prolegomena, 385-386; Lanata, Poetica, 271-281; Erbse, Beiträge, 39; Richardson, Homeric Pro­ fessors, 76-77; Janko, The Physicist, 15-16.

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un elemento del mondo fisico, un astro (Agamennone era l’etere, Achille il sole e così via), giungendo forse addirittura a identificare in alcune divinità una parte del corpo (in Demetra il fegato, in Dioniso la milza etc.), secondo un sistema che presenta punti di contatto con la filosofia anassagorea17. Ciò non toglie che egli venga citato da Porfirio per una questione inerente al les­ sico omerico (πλείον nel significato di δύο: Diels-Kranz 61.5), il che mostra come in quest’epoca la “filologia” e I’allegoria potessero coesistere e coopera­ re nella stessa figura di studioso. Stesimbroto di Taso, sofista suo contemporaneo, scrisse senz’altro un libro di argomento omerico (F G H 107 F 21-25; non ne possediamo il titolo), nel quale si affrontavano da un lato questioni di significato e di contesto sto­ rico (per es. la provenienza straniera di Licaone: F 25), dall’altro questioni testuali formulate e risolte in modo per noi inaccettabile18; non vi è nei suoi frammenti alcuna traccia sicura di allegoria, ma la testimonianza di Xen. Symp. 3, 6, dove Socrate dirige la propria ironia contro Stesimbroto e Anas­ simandro di Mileto (FGH 9)19proprio in quanto autori di ύπόνοιαι, pare dif­ ficilmente eludibile in tal senso, benché sia incerto il preciso significato di questa parola in rapporto ad αλληγορία in un’età così alta20. Fra i meriti di Stesimbroto va annoverato quello di essere stato maestro di Antimaco di Colofone, che fu probabilmente il primo διορθωτής dei poemi omerici a noi noto (cfr. infra). Non meno inaccettabili di quelle di Stesimbroto sono ai nostri occhi le proposte testuali di Ippia di Taso, forse un rapsodo, il quale fu bersaglio degli strali di Aristotele per il suo modo di procedere del tutto immetodico (Poet. 25, 1461a21; soph. el. 4, I66bl: cfr. 86 B 20 D.-K., appo­ sto come dubium tra i frammenti di Ippia di Elide, un altro sofista che - come dimostra tutto YIppia minore di Platone - si occupò di Omero, e che in Pla­ tone sostiene un’interpretazione “negativa” del termine πολύτροπος applica17 Su Metrodoro offre un’analisi molto cauta J. Hammerstaedt, Die Homerallegorese des älteren Metrodoros von Lampsakos, «Zeitschrift für Papyrologie und Epigraphik» 121, 1998, 28-32, che dubita in specie dell’attribuzione delle allegorie legate alle parti del corpo umano. Sulla visione tradizionale, fondata sulla lettura prima facie più ovvia di un brano di Filodemo (61.4 D.-K.), si fondano Janko, The Physicist, 76-79 e da ultimo D.J. Califf, Metrodorus of Lampsacus and the Problem of Allegory: an Extreme Case?, «Arethusa» 36,2003,21-36, che col­ loca anche a livello teorico l’esegesi di Metrodoro nel contesto dell’aUegorismo sofìstico. Cfr. anche Pfeiffer, History, 35-36. Richardson, Homeric Professors, 68-70. 18 Per Io schol. A O 189a! (F 24), che Erbse attribuisce dubitativamente al corpus esegeti­ co: cfr. Cassio, Early Editions, 125-127. Ricorderò che questo passo omerico, relativo alla divi­ sione del mondo in tre o in cinque parti, era stato molto importante per la cosmologia di Ferecide di Siro (cfr. Schibli, Pherekydes [cit. nota 13], 21-22), e verrà ripreso da Cratete di Mallo. 19Janko, The Physicist, 75. Richardson, Homeric Professors, 74. 20 S.L. Radt, Zu Xenophons Symposion, «Mnemosyne» 43, 1990, 20-32: 26. Su Stesimbro­ to anche Janko, The Physicist, 72-75; Richardson, Homeric Professors, 71-74.

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to a Ulisse in α l 21): ma sui fondamenti e le forme della polemica aristotelica contro gli α ρ χ α ίο ι 'Ο μ η ρ ικ οί, spesso più aspra del dovuto, si dovrà nuova­ mente meditare22. Nulla invece sappiamo, per restare fra i sofisti, del libro Π ερί τ ή ς π ο ιή σ ε ω ς Ό μ η ρ ο υ κ α ί Η σ ιό δ ο υ di Ecateo di Abdera, citato da Suid. ε 369 (73 A 1 D.-K.). Durante la sofistica, e in particolare con Anassagora, si fece strada con chia­ rezza un concetto già adombrato fin dai tempi di Senofane e di Eraclito, ossia Tidea che i poemi omerici parlino «della virtù e della giustizia», siano cioè lato­ ri di istanze morali23. Nonostante il caso di Metrodoro e della sua allegoresi fisi­ ca di stampo probabilmente anassagoreo, la strada imboccata precipuamente dai sofisti non fu in effetti quella dell’allegoria24, bensì quella dell’esegesi di ordine etico, la quale diede l’abbrivo da un lato alla trattazione sistematica di Omero in forma di προβλήματα e λύσεις (poi codificata da Aristotele nella sua opera specifica)25, dall’altro - secondo una tradizione che abbi amo visto non essere estranea a Teagene e ai Pitagorici - alla discussione del vero significato delle parole in funzione della loro valenza etica e potenzialmente educativa26: di qui l’interesse per la correttezza della dizione (ορθοέπεια), e la stessa nascita di embrioni di lessicografia e di glossografia (si pensi anche solo a Prodico di Ceo). Nel IV see. Antistene, un filosofo socratico immediato discendente della sofistica, allievo di Gorgia in gioventù, fu il primo autore di diverse monogra­ fie di argomento omerico: nella lista di Diogene Laerzio (6,15-18 = T 1 Deele­ va = SSR V A 41) si notano, oltre a due declamazioni (conservate)27, a un περί 21 E M. Giuliano, L'Odisseo di Platone. Uno ΖΗΤΗΜΑ omerico nett’“lppia Minore”, in G. Arrighetti (a c. di), Poesia greca, Pisa 1995, 9-57, che peraltro vede nel personaggio Ippia una proiezione di Platone stesso; l ’interpretazione di Ippia sarà combattuta da Anristene, cfr. qui subito infra. 22 Cassio, Early Editions, 124-132. 23 Diog. Laert. 2,11 (= 59 A 1 D,-K.): δοκεΐ δε πρώτος {scil. Anassagora) [...] τήν Όμηρου ποίησιν άποφήνασθαι είναι περί άρετης καί δικαιοσύνης. 24 Janko, The Physicist, 80-92 elenca ed esamina gli autori davvero allegorici, possibili can­ didati alla paternità del commentario orfico trasmesso dal papiro di Derveni, come Diogene di Apollonia e Diagora di Melo. Sullo sviluppo del senso del procedimento allegorico dal V seco­ lo all’età imperiale cfr., da ultimo, D. Obbink, Allegory and Exegesis in the Derveni Papyrus: The Origin of Greek Scholarship, in G. R. Boys-Stones (ed.), Metaphor, Allegory, and the Clas­ sical Tradition, Oxford 2003, 177-188: 179-183. 25 Cassio, Early Editions, 121-123. 26 SSR V A 160 (Antistene): αρχή παιδεύσεως ή των ονομάτων έπίσκεψις; cfr. Pfeiffer, History, 36-37. In questa dinamica fu rilevante il peso di Protagora, che forse fu autore anche di osservazioni in merito alla struttura compositiva del canto Φ (cfr. 80 A 30 D.-K.): cfr. Richardson, Aristotle’s Reading (cit. supra nota 7), 34. 27 M.-O. Goulet-Cazé, L’Ajax et /’Ulysse d’Antisthène, in Σοφίηο μαιήτορες “Chercheurs de sagesse’’. Hommage à Jean Pépin, Paris 1992, 5-36, che mette in dubbio la paternità di queste opere pensando piuttosto a dei «pastiches scolaires d’Antisthène».

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Όμηρου, e a un Περί εξηγητών che doveva vertere sul confronto con i pre­ decessori, almeno tre συγγράμματα sull’Iliade e ben undici sull’Odissea2*: da questi scritti provengono i sette frammenti di esegesi omerica conservati (frr. 51-57 Deeleva = SSR V A 187-193), quattro all’Odissea (fra cui la celebre e argomentata interpretazione di πολύτροπος come «sapiente nelTadattare alle circostanze i propri τρόποι λόγων», nello schol. HM1Z a 1, e la difesa dei Ciclopi dall’accusa di essere superbi e senza legge, nello schol. H X 1 106) e tre all’Iliade, pressoché tutti conservati da Porfirio29. Un concetto importante che Antistene inserì nel dibattito omerico fu la distinzione fra δόξα e αλήθεια (Dio Chr. or. 53,4-5 = F 58 Deeleva = SSR V A 194 = SVF l, 274), una distin­ zione non ancora del tutto chiarita nelle sue vere implicazioni: si tratta di con­ trasto fra le credenze di Omero e del suo tempo e la verità contemporanea? fra l’“apparenza” delle favole non vere e la verità di fatto? fra il “maraviglioso” dei poeti e il “vero storico” che, strabonianamente, si scopre liberando il testo dalle superfetazioni mitiche? Comunque sia, in tutto questo non vi è nulla di necessariamente allegorico, così come non necessariamente bisogne­ rà pensare all’allegoria per lo stoico Zenone che, secondo Dione Crisostomo, 281 titoli sono: περί Όδυσσείας, περί της ράβδου, Ά θηνά ή περί Τηλεμάχου, περί Ελένης καί Πηνελόπης, περί Πρωτέως, Κύκλωψ ή περί Όδυσσέως, περί οίνου χρήσεως ή περί μέθης ή περί του Κΰκλωπος, περί Κίρκης, περί Άμφιαράου, περί Όδυσσέως καί Πηνελόπης καί περί του κυνός. 29 Cfr. G. Giannantoni, in SSR IV, 331-337 per le possibilità di riconoscere, alla luce dei tito­ li pervenuti, altri brani di ascendenza antistenica negli scoli alYOdissea. In proposito rimane sempre utile Panalisi di Schrader, Epilegomena, 175-179. Gli scoli porfiriani con frammenti di Antistene citati per tali sono, oltre ai due citati, schol. EX ε 211, schol. HT e X η 257, schol. HT i 525. In particolare per l’attribuzione ad Antistene dello schol. Η ψ 337, e per una gene­ rale sistemazione dei frammenti omerici di Antistene, si veda V. di Benedetto, Tracce di Anti­ stene in alcuni scoli all’«Odissea», «Studi Italiani di Filologia Classica» 38, 1966, 208-228. In particolare sullo scolio porfiriano ad a 1, uno dei più dibattuti dalla critica, si vedano gli studi recenti dei filologi italiani: Giannantoni, in SSR IV, 344-346 (in parte sulla scorta di Schrader, Rostagni e A. Patzer) vi riconosce un brano di un dialogo fra Socrate e Ippia (contro Ippia l’ar­ gomentazione di Antistene è comunque rivolta); A. Brancacci, Oikeios logos, Napoli 1990, 4560 e Id., Porfirio e Antistene. Τρόπος e πολυτροπίσ. in SSR VA 187, in M. Barbanti - G. R. Giardina - P. Manganare, "Ενωσις καί φιλία. Mise. F. Romano, Catania 2002, 409-417 vi vede un esempio del connubio di teoria retorica e filosofia; Μ. T. Luzzatto, Dialettica o retorica? La polytropia di Odisseo da Antistene a Porfino, «Elenchos» 17,1996, 275-357 (un contributo ric­ chissimo che Brancacci fa molto male a censurare) individua nello scolio una sezione antisteni­ ca e una porfiriana, e nega così ogni legame di Antistene con la teoria dell’Ulisse “retore”: per la Luzzatto la λόγου χρησις e ί τρόποι λόγων rimanderebbero all’abilità dialettica di un Ulisse “socratico”, e la citazione sarebbe derivata da un’opera di stretto contenuto omerico quale il Περί Όδυσσείας citato da Diogene Laerzio (cfr. nota prec.), nel quale senz’altro si affrontava la spinosa questione dell’eccellenza di Achille su Ulisse tra gli eroi achei (alla trattazione anti­ stenica di questa συγκρισις la Luzzatto fa risalire, con una certa verisimiglianza, anche lo schol. Porph. DE2J a 2 [p. 10, 14-18 Ludw. - pp. 71, 23-72, 3 Schrader] sulla definizione di Ulisse come πτολίπορθος).

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seguirà Antistene su questa via tramite un’analisi serrata e mirata dei singoli passi30: il metodo doveva servire a eliminare le contraddizioni fra due passi dello stesso poema, dunque a dare ragione dei difetti più evidenti di Omero, non già a caricare i poemi di sovrasensi allegorici31. Bisogna anzi riconoscere in Antistene colui che, tenendo conto del background sofistico, ha dato nuovo impulso alla critica omerica sistematizzando le procedure dei primi λυτικοί (è certo il primo importante a noi noto, considerando l’esiguità delle testimo­ nianze su Stesimbroto)32, e servendosi al suo fine anche di metodologie pret­ tamente socratiche: con Antistene inizierà il successo carsico della figura di Ulisse nell’ambito della scuola cinica: si pensi solo allo scherzo di Socrate sulla temperanza di Ulisse in Xen. mem. 1, 3, 7-8, o all’interpretazione di Circe come ήδονή avanzata da Diogene in Dio Chr. or. 8, 20-2133. Una trattazione relativa alla vita di Omero, poi confluita nel Certamen Homeri et Hesiodi, fu redatta da Alcidamante, sofista allievo di Gorgia e atti­ vo tra la fine del V e l’inizio del IV see. a.C., all’interno di un libro dal titolo Μουσείον, che doveva essere una compilazione erudita di varie fonti diverse (si vedano i frr. 5-1 Avezzù). Nulla sappiamo dell’esegesi omerica di Alcida­ mante (autore anche, al pari di Antistene, di un’orazione epidittica dal titolo Όδυσσεύς), se non che egli fu il primo a definire VOdissea καλόν ανθρωπί­ νου βίου κάτοπτρον (fr. 34 Avezzù), suscitando il dissenso di Aristotele, cui dobbiamo la conoscenza di questa bella frase34. Fuori dalla sofistica, ma con maggiore interesse agli aspetti “tecnici” del ποιείν, si mosse il grande filosofo atomista Democrito di Abdera (nato ca. 460), autore fra l’altro di un libro Περί Όμηρου ή όρθοεπείης καί γλωσσέων (68 Β 20a-25 D.-K.): della natura di quest’opera ci dice più il titolo che non i pochi frammenti che ne possediamo, uno solo dei quali penetrato nei nostri scoli grazie a una citazione di Nicanore: non sembra si possano identificare tracce importanti di allegoria fisica (forse nel fr. 25 D.-K., in cui si interpreta 30 Long, Stoic Readings, 59-62. P. Steinmetz, Allegorische Deutung und allegorische Dichtung in der alten Stoa, «Rheinisches Museum» 129, 1986, 18-30: 19-20. Wehrli, Geschichte, 64-65. Di diverso avviso M. Hillgruber, Dion Chrysostomos 36 (53), 4-5 und die Homerauslegung Zenons, «Museum Helveticum» 46, 1989, 15-24, che - su fragili basi - rivendica a Zenone una vera interpretazione allegorica. Ramelli, Cornuto, 441-449 indina poi a riconoscere in Antiste­ ne (e in Zenone) tracce di allegoria, ma intesa in un senso “debole”. 31 Non spinge ad attribuire un’interpretazione allegorica ad Antistene nemmeno il già cita­ to passo del Simposio di Senofonte (3, 6): cir. Pfeiffer, History, 36-37; Richardson, Homeric "Pro­ fessors, 77-81; Giannantoni in SSR IV, 338-344; K. Döring, in H. Flashar, Grundriß, der Geschichte der Philosophie, 2/1, Basel 1998,278-280; B. Huß, Xenophons Symposion. Ein Kom­ mentar, Stuttgart-Leipzig 1999,189-190. 32 di Benedetto, Tracce (cit. nota 29), 214-215. 33 Buffière, Mythes, 360-374. Pépin, Mythe, 105-111. 34 Alcidamante, Orazioni e frammenti, a c. di G. Avezzù, Roma 1982. Senz’altro di argo­ mento odissiaco era anche il problematico fr. 30 Avezzù.

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l’ambrosia come insieme di vapori umidi), né siamo in grado di appurare se Democrito sia mai andato oltre la semplice e sporadica trattazione di singoli problemi omerici: di recente si è voluto riconoscere in lui l’iniziatore di quel­ la percezione della poesia come “artigianato” che darà vita alla critica lettera­ ria di età ellenistica35. La riflessione omerica “alta” di filosofi e sofisti del V secolo non deve far dimenticare le prime testimonianze sicure della circolazione “spicciola” dei poemi: alludo al celebre frammento dei Δ α ιτ α λ ή ς di Aristofane (233 K.-A. = 28 Cassio), nel quale un padre interroga il figlio circa il significato di alcune Ό μ η ρ ο υ γ λ ω τ τα ι, cioè parole difficili che ricorrono nei poemi. Doveva trat­ tarsi di una prassi risalente a età antica e certo in vigore nelle scuole ateniesi del tempo: la testimonianza di Aristofane dà corpo ai lamenti di Senofane secondo i quali da Omero μ ε μ α θ η κ α σ ι π ά ν τ ε ς , e attesta il ruolo centrale assunto da Omero nell’istruzione primaria dei giovani greci36, del quale in età più tarda i glossari papiracei e poi il corpus degli scholia D (V per VOdissea) forniranno inequivocabili prove documentarie (cfr. infra 2 5 e 3 .2 .2 .1 ). Che parole omeriche fossero spiegate in riferimento ai singoli passi nei quali occor­ revano, spesso senza prestare attenzione al loro apparire in altri luoghi dei poemi, è del resto garantito anche dall’attività dei cosiddetti glossografi (γλ ω σ σ ο γρ ά φ ο ι), una pattuglia di esegeti d’incerta datazione e di ancor più incerta collocazione geografica, con i quali i filologi alessandrini, in primo luogo Aristarco, si trovarono spesso a polemizzare (Zenodoto e Callimaco, a loro volta raccoglitori di glosse, sembrano invece più condiscendenti verso i loro suggerimenti)37; i frammenti a noi noti delle loro spiegazioni puntuali, che forse erano organizzate in forma di proto-lessici e che talora toccano anche questioni di dialetto, in parte rappresentano un bersaglio critico negli scoli degli stessi Alessandrini, in parte entrarono nella tradizione degli scholia minora a Omero (cfr. infra 2 5 ; per questa via essi giunsero dunque nell’alveo del corpus degli scholia D / V), e in parte rilevante, tramite questi o altri anel­ li intermedi, pervennero nei lessici di età posteriore, da Apollonio Sofista al Genuinum, nonché nel grande bacino collettore che è Eustazio38.

35 Pfeiffer, History, 42-43. Schrader, Prolegomena, 386 nota 1. Ford, The Origins, 163-182. G. Morocho Gayo, Hermenéutica y filologia en el contexto de Dión de Prusa, «Emerita» 65, 1997, 195-220: 200-203. Ramelli, Cornuto, 440. 36 Si veda anche il già citato Xen. Symp. 3, 6, dove Nicerato vanta la propria conoscenza mnemonica dei poemi omerici, impostagli dal padre Nicia όπως άνήρ αγαθός γενοίμην, dun­ que come elemento fondamentale dell’educazione. Cfr. anche Spooner, Nine, 6-7. 37 Forse vanno annoverati fra i glossografi anche alcuni personaggi citati nei nostri scoli, come Antidoro di Cuma (maestro di Zenodoto), Neottolemo di Pario, Ameria di Macedonia, o, nel tardo III see., poeti come Nicandro e Teodorida menzionati nello schol. HMa (Hrd.) γ 444. 38 A.R. Dyck, The Glossographoi, «Harvard Studies in Classical Philology» 91,1987,119-160.

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Lontano da Atene, la fine del V secolo ci presenta la prima figura di “edi­ tore” dei poemi omerici. Non mette conto qui insistere sul significato del ter­ mine ε κ δ ο σ ις nell’antichità39, né cavillare intorno a questioni di priorità: è noto infatti che secondo Suid. ζ 54 il πρώ τος τω ν Ό μ η ρ ο υ διορ θω τή ς fu Zenodoto, di circa un secolo posteriore (ma si veda anche la notizia di Suid. ε 3694 e di Eust. in U. 366, 13 circa la 'Ο μηρική ε κ δ ο σ ις di Euripide, nipote di un omo­ nimo poeta tragico anteriore al grande Euripide: TrGF I, 17 Snell; forse la sua edizione è citata in POxy 2, 221 ad Φ 155-156). È però assodato che Antimaco di Colofone [floruit ca. 404 a.C.) fu non solo uno stimato poeta (Platone, com’è noto, spedì Eraclide Pontico in Asia Minore per recuperare i suoi scrit­ ti) bensì anche un γ ρ α μ μ α τ ικ ό ς (così lo chiama Suid. a 2681 = T 3 Matthews) autore di qualcosa di analogo a una recensione del testo di Iliade e Odissea. Ciò è testimoniato dal fatto che le lezioni Α εΙΓ Ά ν τ ιμ ά χ ειο ς vengono citate (e talora discusse) in ben 14 scoli per lo più didimei (frr. 167-180 Matthews), 13 ^Ilia d e e uno all’Odissea (fr. 180 = schol. L P M ^ P a 85): in quest’ultimo caso Antimaco argomenta la grafia Ώ γ υ λ ίη del nome dell’isola di Calipso con un riferimento a Hes., fr. 204,60 M.-W. (fu infatti notevole l’interesse di Anti­ maco per i problemi geografici posti dal testo omerico, specie in relazione al Catalogo delle Navi). Allievo di Stesimbroto, Antimaco ereditò poi dal maestro l’attitudine al commento esegetico, che emerge in altri nove frammenti (fr. 181188 Matthews, conservati negli scoli bT, in Porfirio e in altre fonti). Per quan­ to si possa limitare la sua portata di “precursore” argomentando che il suo non fosse altro che un «emended text», è probabile che i filologi alessandrini vedes­ sero in lui uno studioso in più sensi paragonabile a loro40. 1.3.2 Le scuole filosofiche. Com’è noto, i due massimi filosofi dell’antichità si occuparono di Omero in misura e in maniera assai diverse. Di Platone basterà qui mettere in rilievo la grande passione per i poemi, citati verbatim circa 150 volte nelle sue opere (assai più spesso l’Iliade che non l’Odissea), e la condanna che egli ne formu­ lò con cristallina evidenza nella Repubblica e nelle Leggi. La riflessione plato39 F. Montanari, Alexandrian Homeric Philology. The Porm of the Ekdosis and the Variae Lectiones, in M. Reichel-A. Rengakos (ed.), Epea Pteroenta. Fs. W. Kallmann, Stuttgart 2002, 119-140: 120-127. J. Irigoin, Les editions de textes, in Montanari, La philologie, 39-82 (= Id., La tradition, 133-173), con la discussione 83-93. Haslam, Homeric Papyri, 84-86. Nagy, Poetry, 115-119. 40 V.J. Matthews, Antimachus of Colophon, Leiden-New York-Köln 1996, 46-51. All’oppo­ sto, West, Studies, 52-54 ritiene che la presunta edizione di Antimaco non fosse altro che un testo a lui appartenuto e finito col suo nome nella biblioteca di Alessandria. Tracce di filologia antica su Antimaco sono raccolte da F. Schironi, Aristarco studioso di Antimaco, «Rivista di Filologia e Istruzione Classica» 127,1999, 282-290.

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nica su Omero, il rappresentante e capofila di un tipo di μίμησις fondamen­ talmente sbagliata in quanto legata agli είδωλα άρετης (Resp. 10, 595a-608b, spec. 600e-601b), è di natura squisitamente filosofica, e anche se alcune delle sue citazioni omeriche rivelano una voluta “distorsione” del testo in vista di un uso ideologicamente connotato41, non si può in alcun modo parlare di una “filologia” platonica su Omero. Ciò tuttavia non implica che Platone condan­ nasse la poesia a priori nel suo insieme, e non toglie che Platone abbia comun­ que fornito strumenti concettuali importanti per l’analisi del linguaggio (nel Cratilo) e per la sistematizzazione della conoscenza e la nascita delle τέχναι42. Spettò ad Aristotele il perfezionamento di questi strumenti e la loro appli­ cazione “militante” all’indagine su Omero, scevra però di ogni eco della valu­ tazione negativa che era stata del maestro. Colpisce in particolare la teorizza­ zione avanzata nel cap. 25 della Poetica, in cui si codificano le varie tipologie di προβλήματα e λύσεις come metodi esegetici fondamentali, si rivendica l’autonomia dei criteri di giudizio che presiedono alla poesia rispetto alle altre arti e scienze (1460bl3-15), si accorda la preferenza al raggiungimento del τέλος di ciascuna arte rispetto al principio della verisimiglianza delle cose nar­ rate (1460b23-32), si sottolinea infine l’importanza dello studio dei costumi e delle consuetudini del tempo dell’autore nonché dell’osservazione del conte­ sto poetico di ogni passo (1461a2-4). In altre parti della Poetica Aristotele loda Omero per la sua abilità nel rappresentare μιμήσεις δραματικός “inventan­ do” sia la tragedia che la commedia (1448b35: in quest’ottica è importante la definizione biografica di Omero come autore di Iliade, Odissea e Margite), nel conferire organicità e unità ai poemi (1451a23-29; 1459a30-b7), nell’usare a modo anche gli αλόγα, i racconti e gli episodi apparentemente assurdi o irra­ zionali (1460al8-26). Aristotele è poi il primo a distinguere il carattere di fondo àt\R Iliade da quello dell 'Odissea, riconoscendo in un poema il πάθος tragico e nell’altro Γήθος che, con le περιπέτειαι e il lieto fine, preluderà alla commedia (1459bl3-17)43. 41 G. Lohse, Untersuchungen über Homerzitate bei Platon, I-III, «Helikon» 4, 1964, 3-28; 5, 1965, 248-295; 7, 1967, 223-231. Le osservazioni di Lohse integrano e correggono in molti punti il lavoro di J, Labarbe, L'Homère de Platon, Liège 1949. 42 Un recente e lucido esame dei passi platonici sulla poesia (e di molta della bibliografia relativa) in S. Büttner, Oie Literaturtheorie bei Platon und ihre anthropologische Begründung, Tübingen 2000 (ringrazio Γamico Salvatore Lavecchia per questa segnalazione, e per proficue discussioni sul tema). Riguardano specificamente Omero (ma sono almeno in parte superate) le trattazioni di S. Weinstock, Die Platonische Homerkritik und seine Nachwirkung, «Philolo­ gus» 82, 1926/27, 121-153; Pépin, Mythe, 112-121; Buffière, Mythes, 15-19. Sull’importanza “tecnica” del pensiero platonico insiste Pfeiffer, History, 51-65. 43 Sanz Morales, EI Homero, 19-21. J.C. Hogan, Aristotle’s Criticism of Homer in the Poe­ tics, «Classical Philology» 68, 1973, 95-108. Sull’interesse per la biografìa nella scuola peripa­ tetica Blum, Kallimachos, 41-50. G. Arrighetti, Poeti, eruditi e biografi, Pisa 1987.

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Sul piano dell’analisi puntuale, Aristotele diede vita a un’opera, probabil­ mente in 6 libri, dal titolo Άπορήματα 'Ομηρικά (ο 'Ομηρικά ζητήματα ο 'Ομηρικά προβλήματα, frr. 142-179 Rose = 366-404 Gigon: solo 10 fram­ menti sono dedicati a passi àtW Odissea), che si inserisce nell’annosa tradizio­ ne di απολογία di Omero e sistematizza la ricerca e la soluzione dei passi pro­ blematici all’interno dell’epica, un metodo già praticato, come abbiamo visto, da Stesimbroto e da Antistene (un cui ζήτημα Aristotele riprende dandone una spiegazione diversa: si tratta dell’insulto di Ulisse a Posidone in 1 323, ff. 174 Rose = 397 Gigon). L’interesse precipuo dello Stagirita è rivolto ai Rea­ lien e alla delucidazione di passi eticamente o narrativamente incongrui (vi si notano occasionali legami con la dottrina retorica, politica etc.). Se Teagene reagiva alla critica di Senofane, per Aristotele un importante bersaglio pole­ mico era ΓΌμηρομάστιξ per antonomasia, il suo contemporaneo Zoilo di Anfipoli, allievo di Isocrate e autore di nove libri κατά τής 'Ομήρου ποιήσεως e di uno ψόγος 'Ομήρου che accusavano a tinte forti il poeta di varie contraddizioni e ridicolaggini, e che sono penetrati (tramite Porfirio e trami­ te le reazioni degli stessi Alessandrini) nei nostri corpora scoliastici: per l’Odissea si vedano lo schol. T Θ332 sugli amori di Ares e Afrodite e lo schol. H i 60 (frr. 38 e 39 Friedl.), nonché Long. subì. 9, 14, che riporta la sua sprez­ zante definizione dei compagni di Odisseo trasformati in porci come χοιρίδια κλαίοντα44. Aristotele non respingeva il metodo allegorico in linea di princi­ pio, ma sta di fatto che ne conosciamo una sola applicazione (fr. 173 Rose = 398 Gigon), in cui lo Stagirita si giova dell’allegoria fisica per interpretare le vacche del Sole come i giorni dell’anno in μ 128-12945. I frammenti degli Άπορήματα aristotelici ci sono conservati per lo più dal­ l’omologa opera di Porfirio (cfr. infra 1.6.2)46, ma alcuni sono penetrati nel corpus degli scoli esegetici: ciò non toglie che Aristotele e i suoi scritti abbia­ no esercitato un’influenza importante anche sulla critica alessandrina in senso stretto. Se è vero infatti che dalle osservazioni di Aristotele in merito all’effi­ cacia drammatica e alla credibilità dei poemi omerici dipesero in larga parte 44 U. Friedlaender, De Zoilo aliisque Homeri obtrectatoribus, diss. Königsberg 1895.1 fram­ menti anche in FGH 71. Buffière, Mythes, 22-25. C.M. Mazzucchi, in Dionisio Longino, Oel sublime, Milano 1992, 181-182. I censori di Omero venuti dopo Zoilo (brani di critica si tro­ vano in molti critici, come Cameleonte, Crisippo, Alessione, Attalo etc.) non ebbero la siste­ maticità e l’ambizione delI’Anfipolita: fra essi si ricordi in particolare il Pergameno Dafita (II see. a.C.), autore di un Περί Όμηρου in cui accusava il poeta di mendacio in merito alla parte­ cipazione degli Ateniesi alla guerra di Troia (Suid. δ 99). 45 Sanz Morales, EI Homero, 39-46. A.R. Sodano, Aristotele, Άπορήματα ‘Ομηρικά, frr. 143, 146, 131, 157, 161 Rose3, «Annali della Facoltà di Lettere di Macerata» 7, 1974, 1154; Ramelli, Cornuto, 434-437. Per il problema del fr. 175 Rose cfr. anche Buffière, Mythes, 243-245. 46 Schrader, Epilegomena, 179-187.

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le teorie estetiche e letterarie alla base degli scoli esegetici47, è pur vero che Aristotele si nasconde anche dietro alcuni dei principi-guida della prima filo­ logia alessandrina (in questo rispetto è ormai superata la posizione di Rudolf Pfeiffer, che sosteneva la teoria contraria). Sono infatti grandemente debitrici alle sistematizzazioni del Peripato non solo l’articolazione di molte opere eru­ dite prodotte all’interno del Museo di Alessandria, ma anche le dottrine lin­ guistiche e grammaticali poi confluire nella Τέχνη dello (pseudo) Dionisio Trace (e già, almeno in parte, nella Wortartenlehre di Aristarco), nonché l’at­ tenzione alla critica zetematica e la considerazione globale dei poemi e del loro autore come poeta φιλότεχνος: si pensi, solo per fare degli esempi, alle atetesi rispondenti ai problemi di coerenza o di unità dell’epos, agli studi sui mores dell’età eroica, o allo stesso concetto di τέλος της Όδυσσείας di cui parla Aristofane di Bisanzio nello scolio a ψ 296 (se non va inteso invece come “fine”: cfr. infra 1.4.1), o ancora alle categorie aristarchee di ποιητική εξου­ σία, di ύστερον πρότερον, di οικονομία, di άπαξ λεγόμενον, agli effetti di anticipazione, di climax e di suspense48. L’evidenza circa una presunta edizione dell'Iliade “έκ τού νάρθηκος” alle­ stita da Aristotele per il suo allievo Alessandro il Macedone, è incerta: secondo una recente interpretazione, si sarebbe trattato di un testo criticamente curato (διόρθωσις) in usum discipuli, non giunto ad Alessandria e dunque rimasto ignoto ai grandi filologi ellenistici49. D’altra parte, che in materia critico-testua­ le Aristotele non operasse con strumenti necessariamente più evoluti rispetto ai suoi predecessori Ippia o Stesimbroto di Taso (cfr. supra 1.3.1), bensì discutes­ se e ritenesse sostenibili proposte e soluzioni ermeneutiche ai nostri occhi assai primitive, è stato mostrato di recente in maniera assai persuasiva in relazione al brano di critica omerica contenuto nei Sophistici elenchi (166b)50. Non pochi degli allievi di Aristotele si cimentarono con questioni omeri­ che, approfondendo e ampliando le direttive tracciate dal maestro, ossia da un 47 N.J. Richardson, Literary Criticism in the Exegetical Scholia of the Iliad: a Sketch, «Clas­ sical Quarterly» 30,1980, 265-287. S. Nannini, Omero e il suo pubblico, Roma 1986. R. Meijering, Literary and Rhetorical Theories in Greek Scholia, Groningen 1987. 48 N.J. Richardson, Aristotle and Hellenistic Scholarship, in Montanari, La philologie, 7-28. Lührs, Untersuchungen, 13-17. Montanari, SFOA II, 21-25. Porter, Hermeneutic Lines. Matthaios, Untersuchungen, 621-625. D.L. Blank - A.R. Dyck, Aristophanes of Byzantium and Pro­ blem-Solving in the Museum: Notes on a Recent Reassessment, «Zeitschrift für Papyrologie und Epigraphik» 56, 1984, 17-24. Nagy, Poetry, sottolinea la continuità della “ricerca del vero Omero” (pur nella diversità dei metodi) fra Peripato e Alessandria, e vede l’anello di congiun­ zione nella figura di Demetrio Falereo (cfr. subito infra). 49 Sanz Morales, El Homero, 22-39. Sulla διόρθωσις omerica di Aristotele è ottimista anche Nagy, Poetry, 121-122 e 187-206. 50 Cassio, Early Editions, 128-134.

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lato l’indagine biografica (risalente, come abbiamo visto, già all’età dei rapso­ di), dall’altro la critica zetematica. In quest’ottica, i due più importanti espo­ nenti del Liceo51, ricordati insieme al maestro da Plut. non posse suaviter vivi sec. Epic. deer. 1095a, sono Eraclide Pontico e Dicearco di Messina. Del primo, il catalogo di Diog. Laert. 5, 86 cita almeno tre titoli di argo­ mento omerico, due dei quali di argomento biografico (περί τής· 'Ομήρου ηλικίας e περί Αρχιλόχου καί Όμηρου, cui va aggiunto anche un περί Ό μή'ρου, cfr. fr. 169-170 e 176-177 Wehrli), e uno relativo invece a due libri di λύ­ σεις Όμηρικαί, di cui sono pervenuti cinque frammenti (171-175 Wehrli), due aYYÌliade e tre ÙY Odissea (β 51, β 63, v 119), tutti citati da Porfirio: i cri­ teri cui Eraclide si richiama sono quelli della coerenza del testo, del πρέπον, dell’opportunità: dunque egli non apporta alcuna innovazione alla tradizione di questo genere di esegesi. E stato a lungo oggetto di dibattito se Eraclide, originariamente allievo di Platone, abbia sviluppato interessi simili a quelli di Aristotele in maniera indipendente52: di certo i suoi scritti omerici mostrano una grande vicinanza metodologica e di merito all’opera dello Stagirita, talché postulare che egli ignorasse a piè pari quest’ultimo rifacendosi alla tradizione preesistente pare una soluzione un po’ farisaica. Sappiamo molto poco dell’esegesi omerica di Dicearco di Messina, che forse era continua e approfondita, giungendo a trattare anche di problemi testuali (si veda il fr. 90 Wehrli che attesta la preferenza per un Omero in dia­ letto eolico). Nei nostri scoli il suo nome ricorre una volta sola, all’inizio di un estratto porfiriano ad a 332 (schol. DH = fr. 92 Wehrli), dove è ricordato (e, secondo la visione peripatetica dell’aOoc omerico, confutato) il suo biasimo nei confronti della coquetterie di Penelope che si mostra ai pretendenti. Anche Dicearco fa dunque ricorso all’eterna categoria del πρέπον, in voga da Demo­ crito a Zenodoto e oltre: si ricordi per esempio che una questione di πρέπον, in relazione all’atteggiamento di Nausicaa, affronta anche lo storico Eforo di Cuma nello schol. Porph. ETX (cfr. schol. HT) ζ 244 (= FGH 70 F 227, da opera incerta)53. Demetrio Falereo (seconda metà IV see.), uomo politico e filosofo di gran­ de rilievo, fu autore fra l’altro, secondo Diog. Laert. 5, 81, di due libri Περί Ίλιάδος e di quattro Περί Όδυσσείας (fr. 190-193 Wehrli = 143-146 StorkOphuijsen-Dorandi) dei quali nulla è penetrato nelle nostre sillogi scoliasti51 Un luogo dove già prima della fondazione della scuola aristotelica avvenivano discussio­ ni filosofiche su Omero: si vedano Isocr. Panath. 33 xoùc έν τφ Λυκείφ ραψφδοΰντας τάκείνων (scil. di Omero ed Esiodo) και ληροΰντας περί αύτών, e Nagy, Poetry, 122-123. 52 Così F. Wehrli, Die Schule des Aristoteles, VII, Herakleides Pontikos, Basel 1953, 60. 53 M. Cannata Fera, Gli studi letterari di Dicearco, in B. Gentili - A. Pinzone (ed.), Messina e Reggio nell’antichità, Messina 2002, 97-110, spec. 108-110. F. Wehrli, Die Schule des Aristo­ teles, I, Dikaiarchos, Basel-Stuttgart 1967. Schrader, Epilegomena, 187-188.

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che, con la notevole eccezione dello schol. EHMaT γ 267 (e della connessa testimonianza di Tzetze: fr. 191-192 Wehrli = 144 e 146 SOD), dove egli trat­ tava della storia e della genealogia degli aedi omerici, manifestando un inte­ resse biografico per il poeta e i suoi predecessori del tutto consono alla scuo­ la peripatetica. Un altro frammento, in Ateneo (5 ,177e-178a;'fr. 190 W = 143 SOD), sembra derivare da uno ζήτημα di argomento diadico, mentre un terzo, conservato da Stobeo (3, 5, 43 = fr. 193 W = 143 SOD), mette in luce la valenza morale (sic σωφροσύνην) del verso ψ 296, che, corn’è noto dagli schol. HMa e MaVX ad loc. (Did.), Aristofane e Aristarco avrebbero poi con­ siderato il τέλος dell’intero poema (se un τέλος “fisico”, cioè la fine vera e propria, oppure “morale”, cioè d compimento dell’azione, è a tutt’oggi mate­ ria di dubbio: cfr. infra 1.4.1)54. Di recente è stato proposto che proprio Demetrio, nelle sue qualità di studioso, di legislatore ad Atene fra il 317 e d 307 a.C. e poi di consigliere dei Tolomei (ebbe parte nella fondazione del Museo e, secondo la Lettera di Aristea, promosse la traduzione greca della Bibbia), rappresenti anche per la tradizione dell’epica arcaica, come per quel­ la degli scenici, d “missing link” fra la tradizione peripatetica (ritenuta non aliena da preoccupazioni strettamente fdologiche) e quella alessandrina: secondo questa tesi Demetrio, inaugurando e istituzionalizzando in Atene la prassi recitativa degli Όμηρισταί, avrebbe contribuito alla fissazione di un testo scritto e “controllato” dei poemi, un’edizione cittadina che egli stesso avrebbe diffuso in Egitto e che sarebbe stata d prodromo di quella poi defi­ nita dai fdologi alessandrini come κοινή55. Questa teoria è a un tempo auda­ ce e affascinante, e se pure non risulta in foto convincente, corrobora la valo­ rizzazione dell’eredità peripatetica nell’ambito dell’esegesi omerica. Fra gli omeristi peripatetici un ruolo importante assume Megaclide di Atene (III see. in.; compare nell’elenco di omeristi stdato da Taziano, cfr. supra nota 8): stando a Fdodemo, Cratete di Mallo lo citava come d primo dei critici che attribuirono importanza fondamentale all’ακοή (ritmo, aspetti for­ mali) nell’interpretazione della poesia. Sappiamo di un Περί Όμήρου in due o più libri, d primo dei quali dedicato a questioni di biografia omerica e di dia­ letti, d secondo invece a questioni di coerenza (come quella dell’armatura divina di Ettore), e alla discussione della rappresentazione delle imprese di Eracle nella poesia postomerica (verso la quale, al pari del maestro, Megacli­ de nutriva un certo disprezzo). Poco di lui è penetrato nei nostri scoli, e per 54 E Wehrli, Die Schule des Aristoteles, IV, Demetrios von Phaleron, Basel 1949. P. Stork - J. M. van Ophuijsen - T. Dorandi, Demetrius ofPhalerum: the Sources, Text and Translation, in W.W. Fortenbaugh - E. Schütrumpf (ed.), Demetrius ofPhalerum, New Brunswick-London 2000, 1-31. F. Montanari, Gli studi omerici di Demetrio Falereo, «Seminari Romani» 4, 2001,143-157. 55 Nagy, Poetry, 153-206. A p. 191 nota 14 è tuttavia pericolosa la proposta di attribuire al Falereo scoli intestati genericamente a un Δημήτρκκ.

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lo più tramite Porfirio; per quanto riguarda VOdissea, gli vengono attribuiti due interventi testuali (a ζ 106, noto dallo schol. H P1, e a κ 87, noto da Esichio), nonché l’idea che presso i Feaci Ulisse si mostrasse propenso alla mol­ lezza solo per conformarsi all’indole dei suoi ospiti (Athen. 12, 513b: ma sul problema si vedano anche gli schol. Η, X e H V 1 5, e infra in 1.5.3 il parere di Eraclito)56. Prassifane forse di Mitilene (III see. in.), definito da Clemente Alessan­ drino {Strom. 1,16,79 = fr. 10 Wehrli) come il primo a ricevere la qualifica di γραμματικός, vergò un commentario omerico per noi quasi interamente per­ duto (fr. 20-21 Wehrli): l’unica citazione sicura proviene dal POxy 8, 1086 (pap. II, p. 165, 11-18 Erbse), in cui si cita un suo dubbio circa la questione del δεύτερον πρότερον in λ 174-203 (trattata anche dallo schol. HT λ 177); a un suo commentario odissiaco risale probabilmente anche il fr. 21 sul signifi­ cato di άζα (termine che ricorre in χ 184). Infine, il biografo e critico letterario Cameleonte di Eraclea Pontica (ancora vivo nel 281, e contemporaneo di Eraclide Pontico, che accusò di plagio dalle proprie opere sulla biografia omerica) fu autore di un Περί Ίλιάδος e di un Περ'ι ’Οδύσσειας, che trattavano questioni testuali e di esegesi, ma non nell’ottica di una cura editoriale bensì nel solco della tradizione degli άπορήματα Όμηρικά di scuola aristotelica57: ne rimangono, anche grazie a Didimo, sette frammenti (fr. 16-22 Wehrli), cinque suWlliade e uno solo (fr. 21) sulYOdissea (schol. ΗΜ^Ρ1 ε 334, forse porfiriano [p. 58, 8-10 Schrader] dove peraltro Cameleonte si limita ad accettare la lezione di Aristotele ούδήεσσα per αύδήεσσα). Va qui menzionato, sebbene non abbia scritto un’opera specifica su Omero e sebbene manchino dati sicuri circa la sua appartenenza alla scuola peripatetica, anche Palefato, autore sul finire del IV see. di un Περί απίστων, che di fatto inaugura l’interpretazione razionalistica sistematica del mito, approfondendo e specializzando il metodo zetematico in aperta opposizione a quello allegorico: non pochi miti delYOdissea vengono evemeristicamente ricondotti da Palefato a una realtà umana e storica (si pensi a Eolo interpre­ tato come astronomo esperto di venti e di navigazione, alle Sirene considera­ te meretrici o a Scilla vista come una nave di pirati), secondo un procedimen­ to che troverà un’eco notevole negli esegeti dei secoli successivi, da Eraclito fino a Tzetze ed Eustazio58. 56 R. Janko, Philodemus On Poems. Book I, Oxford 2001, 138-143, con nuova edizione dei frammenti. 57 Cfr. F. Wehrli, Die Schule des Aristoteles, IX, Phainias von Eresos, Chamaileon, Praxiphanes, Basel-Stuttgart 1937, 76. Arrighetti, Poeti, eruditi (cit. nota 43), 141-139. 58 A. Santoni, Palefato. Storie incredibili, Pisa 2000. Ead., Miti dell'Odissea nel Π ερ ί ’Α π ί σ τ ω ν di Palefato, in A. Hurst-F. Létoublon (a c. di), La mythologie et l’Odyssée, Genève 2002, 145-155. Ramelli, Cornuto, 45-48. Pépin, Mythe, 147-150. Buffière, Mythes, 228-248.

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Tra le altre grandi scuole filosofiche dell’Ellenismo, TAccademia va esclusa dall’indagine per ovvie ragioni; d’altronde, al pari degli scolari di Platone, nem­ meno Epicuro e il Giardino potevano sviluppare un interesse sistematico nei confronti della poesia: il caso dello scettico Sesto Empirico, che in età impe­ riale parla a lungo dell’esegesi omerica rinvigorendo gli argomenti degli Epi­ curei e controbattendo le pretese dei grammatici, è in questo senso emblema­ tico59. La scuola stoica, invece affrontò ampiamente il testo omerico, ma con minore coerenza e con strumenti senz’altro diversi rispetto al Peripato. I fram­ menti di esegesi omerica dei filosofi stoici sono stati di recente raccolti in FDS 613-620, ma il materiale relativo a Crisippo (l’autore che, a prescindere dai suoi interventi critici in senso stretto, più di tutti si servì di citazioni omeriche nei suoi scritti) è più convenientemente assemblato ancora in SVF III, 769-777. L’unico frammento omerico di Zenone di Cizio, autore di cinque libri di Προβλήματα 'Ομηρικά (Diog. Laert. 7, 4), alle cui dichiarazioni di principio abbiamo accennato supra in relazione ad Antistene, ci è noto da Strabone (1, 2,34 = SVF 1,275 = FDS 619) e riguarda la congettura Αιθίοπας θ’ίκόμην και Σιδονίους ’Άραβας τε in δ 84, menzionata - senza il nome dell’autore - anche nei nostri scoli (HMaV ed EX); l’esegesi della Teogonia esiodea dovette invece procedere secondo altri binari, più strettamente allegorici60. Di Cleante di Asso sono preservati, oltre a poche note su]TIliade, un intervento ad a52, con­ fluito nello schol. HMa al passo omerico (SVF 1,549 = FDS 618: όλοόφρονος con spirito aspro e dunque epiteto di Atlante nel senso di “che di tutto si cura”, senso recepito senza discussioni da Cornuto, theol. gr. comp. 26, p. 48, 15-16 Hunger, Allegorische, 41-42. Per un esempio significativo (in cui peraltro l ’interpretazione di Palefato ci è nota solo tramite una citazione di Girolamo) cfr. P. Courcelle, Liinterpolation evhémeriste des Sirènes-courtisanes jusqu’au XIIe siècle, in K. Bosl, Gesellschaft-Kultur-Litteratur Fs. L. Wallach, Stuttgart 1975, 33-48. Esiste anche un Περί απίστων tramandato sotto il nome di un Eraclito nel solo codice Vat. gr. 305 (su cui cfr. infra 3.2.5.6), e contenente anche interpretazioni allegoricho-razionalistiche dei personaggi odissiaci (Proteo, il Ciclope, Circe, le Sirene etc.): cfr. Palaephati Περί άπιστων, Heracliti qui fertur libellus Περί άπιστων. Excerpta Vaticana, ed. N, Festa, Lipsiae 1902. 59 Cfr. Sext. Emp. adv. gramm., spec. 270-320; D. Blank, Sextus Empiricus. Against the Grammarians, Oxford 1998; Ramelli, Cornuto, 466-469. Solo l’idealizzazione della dolce beati­ tudine di Ulisse presso i Feaci (su cui era già intervenuto Megaclide, cfr. supra) poteva attirare i filosofi epicurei: cfr. Buffìère, Mythes, 317-321. Diverso è l’atteggiamento dell’epicureismo tardo, e in particolare di Filodemo, che riconosce l ’utilità almeno parziale dei poemi (anche in senso morale: cfr. per es. gli amori di Ares e Afrodite in de bono rege sec. Horn. 20, 4-8) oltre alla loro inarrivabile bellezza: E. Asmis, Philodemus’ Poetic Theory and On the Good King According to Homer, «Classical Antiquity» 10, 1991, 1-45; T. Dorandi, L’Omero di Filodemo, «Cronache Ercolanesi» 8, 1978, 38-51. 6ÜSteinmetz, Allegorische (cit. supra nota 30), 21-23. Come detto, propende invece decisa­ mente per uno Zenone allegorista (anche sulla base del confronto con Eraclito) Hillgruber, Dion Chrysostomos (cit. supra nota 30). Su Zenone allegorista cfr. anche Ramelli, Cornuto, 450-452.

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Lang) e un’interpretazione allegorica del μώλυ di κ 305 come λόγος, δι’οΰ μωλΰονται αι όρμαι καί τα πάθη (Αρ. Soph. 114,24-26 = SVF1,526 = FDS 673); questi frammenti sono stati letti piuttosto come discussioni comprese all’interno di opere di altro contenuto, per lo più strettamente filosofico, che non come brani di una trattazione particolare61. Infine, i nove frammenti di Crisippo risalgono senz’altro a un υπόμνημα su Omero, del quale peraltro non è traccia fra le opere elencate in Diog. Laert. 7, 189 (SVF II, 13); alcune delle sue note testuali sono arrivate, tramite Aristarco e Didimo, fino nei nostri scoli omerici (SVF III, 769-776: l’ultimo è l’unico odissiaco, schol. H P1ε 240), men­ tre non si sa di sue spiegazioni allegoriche a singoli passi del poema62. La teoria, a lungo invalsa, secondo cui gli Stoici (che assegnavano ad Omero, poeta πολυμαθής per eccellenza, un ruolo centrale nella παιδεία greca) avreb­ bero letto Omero da un lato sfruttandolo ai loro fini filosofici e cosmologici, dal­ l’altro servendosi in via precipua dell’allegoria, è stata di recente messa in dis­ cussione, con argomenti che attengono in primo luogo alle sfumature del nostro (e loro) concetto di allegoria. In effetti, la suddetta teoria si è sempre fondata in buona sostanza sul presupposto che l’Eraclito autore delle Allegorie Omeriche (cfr. infra 1.5.3) fosse uno Stoico osservante, e sulla fede prestata a Cic. nat. deor. 1,41, passo da leggere invece sullo sfondo della polemica antistoica di Epicuro e Filodemo. Dai frammenti di Zenone, Crisippo e Cleante non emerge nulla che parli per un’allegoria stricto sensu, bensì solo, specie per Cleante e per le inter­ pretazioni zenoniane di Esiodo, la tendenza a spiegare la natura e la genesi dei miti greci secondo un procedimento esegetico che verrà seguito poi anche dallo stoico Comuto e che non ha rapporto diretto con la loro applicazione nel con­ testo della poesia omerica63. È invero la ricerca etimologica stoica (ben docu­ mentata in FDS 650-680) lo strumento e il motore dell’interesse allegorico di Cleante, il quale nella sullodata nota sul μώλυ fornisce l’unica spiegazione “alle­ gorica” (così la definisce lo stesso Apollonio Sofista) a noi nota di un termine omerico nell’ambito degli scolarchi stoici. Ora, che questo brano non implichi un’allegoria coerente e sistematica è indubbiamente vero, ma è altrettanto vero che Cleante parte dalla dottrina etimologica degli Stoici per giungere a una spie­ gazione radicalmente “altra” rispetto al testo di base. Si tratta dunque di distin­ guere i tipi di allegoria: gli antichi scolarchi Stoici non avvertono la necessità di 61 Tuttavia Steinmetz, Allegorische (cit. supra nota 30), 24 parla di un «Buch über den Dich­ ter Homer». 62 Wehrli, Geschichte, 52-64. Ramelli, Cornuto, 452-468, invece insiste molto sul ruolo di Crisippo come fondatore del procedimento allegorico stoico. 63 Long, Stoic Readings. G.W. Most, Cornutus and Stoic Allegoresis: a Preliminary Report, in Aufstieg und Niedergang der Römischen Welt, II.36.3, 2014-2065, spec. 2018-2029. Più som­ mario Siegert, Early Jewish, 133-135. Su modalità e fortuna del procedimento allegorico Buffière, Mythes, 60-65; Dawson, Allegorical Readers, spec. 24-38 su Cornuto e il suo procedi­ mento etimologico; da ultimo Ramelli, Cornuto, spec. 31-41.

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far dire a Omero qualcosa di sistematicamente “altro” rispetto alla lettera (come farà invece Eraclito), né gli interventi di Cleante hanno a che vedere primaria­ mente con la lettura o la costituzione del testo omerico; tuttavia, non c’è dub­ bio che con Cleante elementi importanti di un’υπόνοια fisica di brani dell’Odissea (meno strutturata rispetto a un Eraclito ma meno idiosincratica rispetto a un Metrodoro) siano già sul tappeto. 1.4. A lessandria (e P ergamo), Π Ι-II l’O mero dei filologi

sec.

a.C.:

1.4.1 Alessandria. Si è spesso sostenuto che nella storia della filologia e dell’esegesi la prima età ellenistica (grosso modo dal 300 al 150 a.C.) abbia rappresentato una coupure rispetto al passato. In realtà, se non vi è dubbio che in quel tomo di tempo le condizioni create dai Tolomei nel Museo di Alessandria siano state ideali per la nascita e l’esercizio della pratica filologica a un alto grado di consapevolezza e di “militanza”64, d’altro canto ciò che si è venuto argomentando fin qui mostra come non si possa parlare di una cesura netta rispetto al passato, in considera­ zione sia dell’eredità lasciata dalla scuola peripatetica sia dell’illustre preceden­ te di un poeta-filologo come Antimaco. Il milieu culturale di Alessandria, impa­ reggiabile in termini di accumulo di libri (si pensi alle biblioteche del Museo e del Serapeo) e di concentrazione di uomini dotti in ogni disciplina dello scibi­ le, fu dunque piuttosto il ferace melting pot di stimoli già in embrione esistenti che non la fucina da cui sgorgò un metodo nuovo fino ad allora inaudito. DÌ certo, comunque, i risultati raggiunti dai filologi alessandrini rappresentarono il punto di riferimento e di partenza per tutti gli studiosi successivi, anche quan­ do la capitale d’Egitto, per il mutare del destino politico mondiale, perse il ruolo di preminenza di cui aveva a lungo goduto (si pensi, nel I sec. a.C., alla forsennata attività di una figura come Didimo). Fu ad Alessandria che, al ter­ mine di un processo lungo e articolato, s’affermò per la prima volta nella storia un forte e consapevole bisogno di costituire i testi omerici aper se” (senza sovraimpressioni di connotati allegorici o di elementi allotti) e di commentarli in un’ottica globale con speciale attenzione al loro divenire storico. In questo ambiente, nella forma che esso acquisì tra il finire del IV e l’ini­ zio del III sec. a.C., converrà inquadrare anzitutto due eruditi e poeti, mae­ stro e allievo, che ebbero entrambi l’onore di educare il secondo Tolomeo: Filita di Cos e Zenodoto di Efeso. 64 Pfeiffer, History, 95-104. P.M. Fraser, Ptolemaic Alexandria, Oxford 1972, 447-479. Blum, Kallimachos, 133-170. Sul contesto politico e culturale della filologia alessandrina avan­ za audaci tesi Y.L. Too, The Idea of Ancient Literary Criticism, Oxford 1998, 115-150.

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L’opera grammaticale di Filita di Cos, il primo ποιητής άμα και κριτι­ κός (così Strab. 14, 2, 19 = T 11 Spanoudakis) dell’età ellenistica, si trova al crocevia di varie suggestioni differenti: la tradizione glossografica, che egli aumentò di ritrovamenti dialettali, di termini desueti e di una scelta di nuovi termini di provenienza omerica; la tradizione peripatetica rappresentata dalle opere lessicografiche di Aristotele e della sua scuola; la filologia che forse muoveva i primi passi con Antimaco di Colofone. Di Filita rimangono, oltre alle raffinate poesie per cui andò famoso, una manciata di frammenti del for­ tunatissimo libro di ’Άτακτοι γλωσσαι, e non più di tre frammenti - tra­ smessi da Aristonico - che attestano un’esegesi del testo omerico ma non sembrano riconducibili al lavoro glossografico (frr. .56-58 Spanoudakis = 2628 Dettori): non si può parlare con certezza né dell’esistenza di un vero ύπόμνημα omerico (vederne uno dietro il titolo di Ερμηνεία pare un po’ azzardato65) né di un’attività ecdotica stricto sensu·, non ci sono quindi del tutto evidenti le ragioni che spinsero Aristarco a dedicare al dotto di Cos un’intera monografia Προς Φιλίταν: probabilmente bisognerà pensare al fatto che le spiegazioni terminologiche delle glosse omeriche di Filita erano estremamente diffuse in età ellenistica66. Zenodoto di Efeso, vissuto tra la fine del IV e il primo quarto del III see. a.C., allievo di Filita e a sua volta autore di un libro di Γλωσσαι ordinate per la prima volta secondo l’alfabeto (cfr. schol. HMa γ 444 [Ariston.])67, non scrisse mai un ύπόμνημα sui poemi omerici (al più, forse, una Vita del poeta), ma produsse quella che già in antico venne riconosciuta come la prima vera διόρθωσις dei poemi: le spiegazioni delle sue scelte ecdotiche vennero affida­ te all’insegnamento από φωνής (egli fu professore nel Museo di Alessandria, nonché prefetto della locale biblioteca), a materiale destinato ad altri trattati (come le Γλωσσαι), e a ricostruzioni a posteriori basate sull’esemplare zenodoteo verisimilmente preservato presso la biblioteca del Museo; in buona sostanza, dunque, si trattò di un patrimonio custodito dai suoi allievi e colle­ ghi. Noi sappiamo del testo di Zenodoto e dei suoi pensieri in merito grazie a una ragguardevole messe di scoli (in primo luogo didimei) riconducibili ad 65 Così K. Spanoudakis, Philitas of Cos, Leiden-Boston-Köln 2002,390-395, il quale pensa peraltro che Filita adoperasse un metodo analogo a quello del peripatetico Prassifane di Miti­ lene (cfr. supra 1.3.2 il caso di άζα) nel fornire per ogni glossa omerica una serie di significati anche non direttamente pertinenti al contesto in cui la parola occorreva. 661 frammenti del IIpòc Φιλίταν di Aristarco (fr. 54-55 Spanoudakis = 30-31 Dettori) non forniscono necessariamente informazioni sulle lezioni o sul metodo filologico di Filita stesso. Sul valore e il contesto dell’opera grammaticale di Filita cfr. E. Dettori, filita grammatico. Testi­ monianze e frammenti, Roma 2000, 19-49, spec. 23, 28, 30-32, dove si ipotizza tra l’altro che alcune lezioni o spiegazioni omeriche di Filita siano state trasmesse non già in un’opera propria bensì per il tramite del discepolo Zenodoto. 67 Tosi, Lessicografia, 151-155.

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Aristarco, il quale, pur conoscendo la recensione di Zenodoto solo per via indiretta (il suo contemporaneo Tolomeo Epitete scrisse un’opera toc Ζηνο­ δότου γραφάς εκτιθέμενος, cfr. infra), sentì il bisogno di misurarsi con il suo illustre predecessore in modo così intensivo da inventare uno speciale segno critico, la διπλή περιεστιγμένη, per contestare le sue scelte testuali68. Il metodo critico-testuale di Zenodoto è stato oggetto di analisi molto det­ tagliate, che hanno rivelato in lui un grado di arbitrarietà assai minore rispet­ to a quello che alcuni tendevano (e ancora tendono) a imputargli: da un lato infatti non poche delle varianti passate sotto il suo nome trovano paralleli diretti o indiretti nella tradizione antica (in specie nelle riprese dei poeti elle­ nistici come Apollonio Rodio e Callimaco), e dovevano fondarsi almeno par­ zialmente sulla collazione di esemplari e non già sulla congettura personale; dall’altro, i criteri che lo spingevano alTatetesi (o perfino alla cancellazione di interi versi: ού γράφειν invece di άθετειν) erano relativi a precise categorie estetiche e letterarie (ripetizioni di versi, contraddizioni, talora - ma non in maniera indiscriminata - il criterio del πρέπον). Si può oggi sostenere che Zenodoto mirasse alla costituzione di un testo “omerico” prima ancora che di un testo “bello”: che poi quel testo, alla luce delle peculiarità talora sconcer­ tanti anche sotto il profilo metrico, vada ritenuto la diortosi di una copia spe­ cifica dei poemi (il che corrisponde abbastanza bene a una certa nozione delYekdosis antica come noi la conosciamo), e che il testo originario di tale copia potesse essere un esemplare rapsodico di Efeso (così West), non toglie molto al profilo indubbiamente “filologico” della sua attività critica69. Più in generale, il problema di quanto collazionassero e quanto congettu­ rassero i filologi alessandrini è una vexata quaestio che divide gli studiosi da anni: chi scrive si attesta prudentemente sulla linea che riconosce sì non poche disinvolte congetture nelle scelte editoriali degli Alessandrini (e più in Zeno­ doto che in Aristofane o Aristarco), ma crede che alla base della loro filologia vi fosse anche un lavoro di paziente recupero di lezioni da manoscritti circo­ lanti. La copia di Zenodoto, in altre parole, doveva essere fornita di margina­ li con note critiche, congetture personali e registrazione di varianti manoscrit­ te, costituendo a tutti gli effetti un abbozzo di edizione in senso moderno70. 68 I frammenti di Zenodoto sono raccolti in H. Diintzer, De Zenodoti studiis Homericis, Göttingen 1848. 69 Nickau, Untersuchungen, che cerca soprattutto di rettificare l ’errata immagine di Zeno­ doto fornita M. da van der Valk. Cfr. anche Rengakos, Der Homertext. Con nuovi argomen­ ti parla in favore della copia rapsodica, e contro la collazione di esemplari, West, Studies, 3345 e (sulla conoscenza indiretta di Zenodoto da parte di Aristarco e Didimo) 54-56 (e da ulti­ mo ancora Id., «Bryn Mawr Classica! Review» 2ÜÜ4.04.17); cfr. anche Haslam, Homeric Papy­ ri, 72-74. 70 Montanari, Alexandrian (cit. supra nota 39), 127-135. Id., Zenodotus, Aristarchus and the Ekdosis of Homer, in G.W. Most (ed.), Editing Texts - Texte Edieren, Göttingen 1998,1-21: 6-7.

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Discepolo di Zenodoto (e come lui a un tempo filologo e glossografo) fu Agatocle, probabilmente da identificare con lo storico di Cizico: tre dei suoi frammenti, trasmessi da Porfirio per il tramite di Cratete (frr. 9 e 11 Monta­ nari) e da Eustazio (fr. 10), riguardano passi déFlliade, ma non si sa se egli abbia scritto un’opera sistematica su Omero. In questi frammenti si sviluppa un’interpretazione cosmologico-allegorica cui Cratete guarderà con approva­ zione (in tal senso, è possibile che Agatocle sia dietro anche all’interpretazio­ ne dell’orbita solare che ci è nota dallo schol. BHV λ 18): la figura di questo grammatico è indicativa dei contatti che, al di là di certe diversità metodolo­ giche, senz’altro legarono la filologia alessandrina e quella pergamena71. Sco­ laro di Agatocle e contemporaneo di Aristarco fu il grammatico EHanico, del quale non possediamo notizie biografiche o bibliografiche: i quattro fram­ menti omerici, uno dei quali relativo dR Odissea (fr. 4 Montanari = schol. DHMaOx β 185 [Hrd.], relativo a una questione di spiriti) trattano per lo più di προσφδίοει, e potrebbero derivare da scritti omerici o meno. Ellanico va probabilmente identificato con il grammatico che, secondo un noto passo della Vita Homeri di Proclo (73-76 Sev. γέγραφε δε ['Όμηρος] ποιήσεις δύο, Ίλιάδα και ’Οδύσσειαν, ήν Ξένων και Ελλάνικος άφαιρούνται αύτού), assieme all’altrimenti malnoto Xenone avrebbe abiudicato a Omero il secon­ do poema, e sarebbe dunque uno dei famosi Χωρίζοντες contro i quali si indi­ rizzarono gli strali di Aristarco (autore di una speciale opera Προς τό Ξένωνος παράδοξον): ma la questione dei Chorizontes (mai citati peraltro negli scoli all’Odissea) necessita ancora di una rivisitazione moderna72. Tra gli illustri contemporanei di Zenodoto nel Museo di Alessandria, né Licofrone né Alessandro Etolo, che si specializzarono nella filologia degli autori scenici, fornirono a nostra scienza contributi all’esegesi omerica. Meno sicura è la tradizione in merito ad Arato di Soli, l’autore dei Fenomeni, chia­ ramente imbevuto dello stile e del lessico di Omero, ma anche autore, secon­ do una notìzia di Teone (vita I, p. 8,19-21 Martin; cfr. anche vita III, p. 16,5A. Rengakos, The Hellenistic Poets as Homeric Critics, in Montanan, Omero, 143-157. Nagy, Poetry, 132-152, insiste molto anche sul ruolo della trasmissione orale e della tradizione rapsodi­ ca del testo omerico. Si dimentichino in questo rispetto le tesi di H. van Thiel, Zenodot, AHstarch und andere, «Zeitschrift für Papyrologie und Epigraphik» 90, 1992,1-32. Per una visione radical­ mente diversa (che porta alle estreme conseguenze le tesi di studiosi come van der Valk e van Thiel) cfr. da ultimo West, Studies, 67-71, il quale esclude che perfino Aristarco abbia collaziona­ to esemplari, e sostiene che lo stesso Didimo avrebbe derivato le sue informazioni da altri gram­ matici “intermedi” come Callistrato e Seleuco, e solo in parte dall’autopsia di copie dei poemi. 71 E Montanari, I frammenti dei grammatici Agathokles, Hellanikos, Ptolemaios Epithetes, in SGLG 7, Berlin-New York 1988, 5-42. Broggiato, Cratete, Lxi-Lxm . 72 Montanari, I frammenti (cit. nota prec.), 43-73 e 119-121. Per i Χωρίζοντες, i frammenti sono ancora in J.W. Kohl, De Chorizontibus, diss. Giessen, Darmstadt 1917 (il quale però iden­ tifica a torto Ellanico con l’omonimo storico di Lesbo).

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6), di una διόρθωσις àtVf Odissea al pari di Aristofane e Aristarco; questo poema, va da sé, meglio delVIliade poteva soddisfare gli interessi geografici e astronomici di una personalità come quella di Arato; che tale edizione sia esi­ stita o meno, di certo non ce ne è pervenuta alcuna traccia. Dopo questa prima fase della filologia omerica alessandrina, si nota nella parte centrale del III see. a.C. una certa stasi di almeno una generazione: né Callimaco, infatti, che pure al pari di Apollonio Rodio studiò Omero con­ frontandosi in più punti con l’esegesi e con le lezioni propugnate da Zenodoto o contribuendo in prima persona alYinterpretatio del testo epico73745, né i dotti che portarono in auge gli studi scientifici nel Museo {in primis Eratostene di Cirene), si dedicarono sistematicamente all’edizione o al commento di Omero. Peraltro, come sappiamo da Strabone, Eratostene (allievo dell’oscu­ ro omerista Lisania citato nei nostri scoli e autore di un trattato di argomento diadico dal titolo incerto) oltre a emendare d testo di 1 6 (Athen. 1 ,16d), scris­ se a lungo sull’implausibdità dei viaggi di Ulisse accusando Omero di aver mentito clamorosamente nel dipingerne d tragitto immaginario (per lui, al contrario che per gli Stoici, d fine della poesia era d delectare e non d prodesse)1A\ persino Archimede (probi bovium·. Ili, 170-171 Mugler) indirizzò al col­ lega di Alessandria una poesiola su un problema matematico sorto dal nume­ ro e dalle partizioni delle vacche del Sole in μ 128-129. Gli studi omerici in questo periodo furono praticati con sicuro profitto sol­ tanto da due poeti: di Apollonio Rodio, successore di Zenodoto a capo della biblioteca del Museo, sono noti il titolo di un’opera Προς Ζηνόδοτον e un pugno di varianti conservate nei nostri scoli, in specie didimei, all’Iliade (non sempre è facile stabilire se ’Απολλώνιος sia d Rodio o un altro grammatico dedo stesso nome; si ricordi in particolare la variante di A 3, che è connessa con, o meglio addirittura presuppone, l’intervento di Zenodoto in A 4-3): i frutti dei suoi studi omerici, in specie lessicali, sono però ancor più evidenti nei peculiari connotati linguistici e letterari dede Argonautiche15. Di Riano, 73 Rengakos, Oer Homertext. Id., Homerische Wörter bei Kallimachos, «Zeitschrift für Papy­ rologie und Epigraphik» 94,1992,21-47. R. Tosi, Callimaco e i glossografi omerici, «Eikasmos» 8,1997, 223-240. E Montanari, Callimaco e la filologia, in L. Lehnus - F. Montanari, Callimaque, Vandoeuvres-Genève 2002 («Entretiens Hardt» 48), 59-97: 59-64. 74 Pfeiffer, History, 166-168. R. Tosi, Appunti sulla filologia di Eratostene di Cirene, «Eika­ smos» 9, 1998,327-346. K. Geus, Eratosthenes von Kyrene, München 2002,19; 260-266 e 286 (sulle parti omeriche dei Γεωγραφικά), 302-303 (sul frammento di scritto diadico conservato nel PTurner 39), 290 e 326 (Eratostene non scrisse υπομνήματα perpetui a Omero ma intervenne su singoli punti, come per es. il senso di δίσκος in Θ 190). 75 A. Rengakos, Apollonius Rhodius as a Homeric Scholar, in T.D. Papanghelis-A.Rengakos (ed.), A Companion to Apollonius Rhodius, Leiden-Boston-Köln 2001, 193-216; M. Fantuzzi, "Homeric”Formularity in the Argonautica, ibid., 171-192. A. Rengakos, Apollonios Rhodios und die antike Homerexegese, München 1994.

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poeta epico e filologo, possediamo invece una quarantina di lezioni, per la gran parte conservate in scoli didimei all’Odissea, che non mostrano una spe­ cifica tendenza critica, ma in più luoghi sembrano attestare un lavoro di sele­ zione fra diverse edizioni76. Tra i minori, sono incerte la cronologia e la valenza critica dell’opera di Coniano di Naucrati, del quale non sappiamo nulla se non quanto ci trasmet­ tono il lessico di Apollonio Sofista e in particolare, nei nostri scoli, alcuni frammenti di Didimo: di sicuro fu anteriore o coevo ad Aristarco, il quale scrisse contro di lui un npòc Κομανόν, ma non sappiamo se egli abbia com­ posto un υπόμνημα o abbia allestito un’edizione dei poemi; per quanto riguarda ΓOdissea possediamo soltanto un frammento di esegesi nello scolio didimeo HWX a σ 27 (fr. 15 Dyck)77. Ben poco sappiamo anche di Atenocle di Cizico, se non che la sua opera dovette precedere quella di Aristarco, e che scrisse un Περί Όμηρου: si fa menzione di lui due volte negli scoli didimei o aristonicei allOdissea (schol. H P 1 ζ 144 e schol. Η ξ 503), entrambe le volte per interventi relativi a questioni di genuinità di un verso. Ancor meno si conosce della Corcirese Agallide (l’unica donna di questo panorama assieme alla misteriosa e ben più tarda allegorista Demo, cfr. infra 1.6.2), contempo­ ranea di Aristofane di Bisanzio, che è menzionata un paio di volte in Ateneo e nei nostri scoli iliadici per spiegazioni di carattere antiquario sul gioco della palla nell’Odissea (Athen. 1 ,14d) e per l’interpretazione dello scudo di Achil­ le come storia primitiva dell’Attica78. Rientra poi nell’ambito dei curiosa il caso di Timolao di Larissa Kremastè in Macedonia, attestato anche come ese­ geta defl’Odissea nello scolio demetriano EHMaT ay267 (cfr. supra 1.3.2), ma soprattutto autore di un Τρωικόν che ampliava l’Iliade tramite l’interpolazione di un verso dopo ogni verso omerico (una pratica che lo associa ad altri poetastri come Ideo di Rodi e Nestore di Laranda)79. Puri nomi infine sono quelli di Sosigene e Filemone (quest’ultimo forse da identificare con il glosso­ grafo), autori di recensioni dell’Iliade secondo i nostri scoli a quel poema80. L’acme della filologia ellenistica fu toccato, per unanime consenso degli antichi e dei moderni, con due studiosi di prima grandezza, un’altra volta maestro e allievo, entrambi direttori della biblioteca del Museo di Alessandria 76 C. Mayhoff, De Rhiani Cretensis studiis Homericis, Dresden 1870. Valk, TCO, 107-108. West, Studies, 56-58. 77 A.R. Dyck, The Fragments of Comanus of Naucratis, in SGLG 7, Berlin-New York 1988, 217-264. Erbse, Beiträge, 329-330. 78 G. Wentzel, in RE 1/1, 718. 79 Pontani, Il proemio, 29-31. 80 West, Studies, 58-59. La Roche, HTA, 44-45. Di un Filemone ben più tardo parla Schra­ der, Epilegomena, 173 nota 2.

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ed entrambi dediti in primis all’interpretazione di Omero: Aristofane di Bisanzio e Aristarco di Samotracia. Il primo, erede di tutta la tradizione del Museo, da Zenodoto a Callimaco a Eratostene (di ciascuno dei quali viene presentato come allievo), succedette proprio a Eratostene nella direzione della biblioteca attorno al 195 a.C.: operò quindi tra la fine del III secolo e l’inizio del II, un’epoca in cui le condizioni socio-economiche dell’Egitto cominciavano a deteriorarsi. Con lui, secondo una bella iperbole di Rudolf Pfeiffer, prese corpo la prima figura del perfect scholar, nel senso che egli non fu né poeta né politico né scienziato, ma si dedi­ cò interamente all’attività filologica, esercitata su testi di vario tipo, ivi com­ prese le opere di poesia lirica e drammatica, nonché alla ricerca glossografica e lessicografica. Ecco una succinta ricapitolazione dei suoi meriti nei confronti della critica omerica: - produsse un’edizione dei poemi fornita di segni critici. Le scelte edito­ riali di Aristofane e le loro motivazioni ci sono note solo dai frammenti degli υπομνήματα di Aristarco, anch’essi noti per via indiretta principalmente dal­ l’opera di Didimo (cfr. subito infra)·, questa molteplice serie di passaggi ha sicuramente determinato perdite ed errori nella ricostruzione dei nostri frammenti, sia per quanto riguarda il Wortlaut delle lezioni sia per quanto riguarda i commenti del filologo. Peraltro, il fatto che l’edizione di Aristar­ co sia stato il punto di riferimento di tutti gli esegeti successivi ha causato che gran parte delle scelte e dei commenti di Aristofane venissero trascurati a vantaggio di quelli dell’allievo: ciò è particolarmente vero per le atetesi, che con rare eccezioni (nell'Odissea solo γ 71 ed ε 247) trovavano concordi i due grandi studiosi. E stata di recente prospettata l’ipotesi - non confortata da alcuna notizia antica in merito e frutto d’induzione alla luce del gran nume­ ro di note esegetiche superstiti, soprattutto negli scoli alXOdissea - che Ari­ stofane abbia in realtà scritto anche un υπόμνημα a Omero o forse un breve commento per accompagnare l’edizione (sul tipo dei Διορθωτικά di Crate­ te?)81; - applicò un coerente sistema di segni critici, che sviluppava quello già introdotto da Zenodoto (probabilmente limitato μΙΓόβελός per le atetesi, cui Aristofane aggiunse Γάστερίσκος per i versi ripetuti, σίγμα e άντίσιγμα per i versi contigui “doppioni”, e il κεραύνιον per uno scopo a noi non chiaro), e che sarebbe stato a sua volta perfezionato dal suo allievo Aristarco; peraltro Aristofane si limitò all’atetesi e abbandonò il metodo dell’oh γράφειν, cioè del 81 I frammenti di Aristofane sono raccolti da W.J. Slater, Aristophanis Byzantii fragmenta, Berlin-New York 1986, 175-203; cfr. ibid. 205-210 per la tesi dell υπόμνημα e per una valuta­ zione complessiva (anche se un po’ restrittiva) della sua filologia omerica: più equilibrato il giu­ dizio di Blank - Dyck, Aristophanes of Byzantium (cit. supra nota 48). Cfr. anche Pfeiffer, History, 171-209.

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non scrivere materialmente i versi, di cui Zenodoto, a quanto pare, ancora si serviva; - ebbe sicuramente un ruolo nei progresso verso la definizione di un siste­ ma di punteggiatura e accentazione del greco (in questo secondo campo egli forse ebbe il rango di un εύρετής, cfr. lo schol. H P1 η 317 [Hrd.]), anche se studi recenti, forse con eccessiva severità, hanno abiudicato ad Aristofane ogni dimensione sistematica e normativa nella Sprachlehre82; - inserì molte glosse omeriche alTinterno di un’opera di ampio respiro dal titolo Λέξεις, che si proponeva di discutere un gran numero di parole diffici­ li, disusate o dialettali articolandole in sezioni tematiche, e che restò come un monumento imperituro della lessicografia greca83. Fra i meriti particolari di Aristofane nei confronti delVOdissea non si può non segnalare l’osservazione tramandata dallo schol. MaVX ψ 296, secondo la quale quel verso sarebbe in realtà il τέλος del poema: a lungo si è dibattuto sul significato preciso di questo termine, che alcuni tendono a interpretare piut­ tosto nel senso aristotelico di “compimento, fulfilment”, che non in quello di semplice “fine” implicante l’atetesi di tutto ciò che segue84. Più in generale, gli scoli sembrano attestare una predilezione di Aristofane per ΓOdissea rispetto sàYIliade, una preferenza che si rispecchia anche nell’opera del suo allievo Cal­ listrato, contemporaneo e rivale di Aristarco, di cui ci restano, oltre a titoli di opere Περί Ίλιάδος, Διορθωτικά e Προς τάς αθετήσεις (scii. Άριστάρχου), 45 frammenti di cui ben 30 conservati negli scoli alY Odissea: essi attengono per lo più a questioni di critica testuale (egli preparò un’edizione dei poemi e scrisse probabilmente anche un υπόμνημα all'Odissea)85·, secondo un’ipotesi recente - alquanto estremistica - risalirebbe proprio a Callistrato la cono­ scenza didimea delle lezioni di Riano, Sosigene, Aristofane di Bisanzio e altri86. Un altro allievo di Aristofane, citato da Didimo in uno scolio alYHiade e secondo alcuni nel commentario al libro υ di POxy 33, 3710 (h29, cfr. infra 2.7.2; ma si tratterà piuttosto del Diodoro astronomo), fu Diodoro di Tarso, del quale non si sa quai nulla87.

82 Chr.K. Callanan, Die Sprachbeschreibung bei Aristophanes von Byzanz, Göttingen 1987. Si veda però Schenkeveld, Scholarship, 275-278. 83 Tosi, Lessicografia, 155-167. 84 Cfr. per es. Catenacci, La redazione (cit. nota 5); Montanari, SFOA II, 21-25. 85 H.-L. Barth, Die Fragmente aus den Schriften des Grammatikers Kallistratos zu Homers Ilias und Odyssee, diss. Bonn 1984. 86 West, Studies, 54-61. Callistrato è citato per il commento aWOdissea, forse insieme a un suo oppositore Δ ιο ν ύ σ ιο ς ό τ ο υ Xd, anche nel POxy 65, 4452 (commento al libro T delYIlia­ de), ixs 1,11. 19-21. 87 West, Studies, 79.

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Aristarco di Samotracia (ca. 216-144 a.C.) divenne bibliotecario ad Ales­ sandria dopo Apollonio l’Eidografo, che a sua volta era succeduto ad Aristofa­ ne di Bisanzio. Visse nella capitale d’Egitto finché Tolomeo VEII (Tolomeo II Evergete), suo antico allievo e autore fra l’altro di almeno una congettura all’Odissea (a ε 72, nota da Ateneo 2, 61c e da Eustazio: FGH234 F 11), non lo per­ seguitò insieme a tutto il clan dello sfortunato predecessore Tolomeo VII, costringendolo a riparare a Cipro, dove morì. Non è questo il luogo di discute­ re della sua sterminata produzione, che secondo Suid. a 3892 abbracciava oltre 800 commentari (ma la cifra sarà iperbolica, visto che ω è l’ultima lettera del­ l’alfabeto): nell’ambito della filologia omerica, i suoi meriti sono molteplici88: - allestì una, forse - secondo alcune testimonianze di difficile interpreta­ zione - ben due διορθώσεις dei poemi89; sui metodi seguiti da Aristarco, anche in relazione a quanto ne sappiamo dalla nostra fonte privilegiata che è Didimo, le opinioni degli studiosi divergono ancora (cfr. supra nota 70); - è il primo del quale sappiamo con certezza che discusse criticamente sia le proprie scelte editoriali sia i problemi legati all’interpretazione del testo in υπομνήματα perpetui all 'Iliade e all’Odissea; probabilmente egli ne scrisse due in due momenti diversi, il primo sulla scorta di Aristofane (schol. A B 133a, κατ’ Άριστοφάνην) e il secondo invece “perfezionato” (ήκριβωμενα, scil. υπομνήματα, cfr. schol. AB lllb ); - redasse alcuni συγγράμματα di argomento omerico: Προς Φιλίταν, Προς Κομανόν, Προς το Ξένωνος παράδοξον, Περί Ίλιάδος καί Όδυσσείας, Περί τού ναυστάθμου; - ampliò il sistema di segni critici aggiungendo a obelo e asterisco la διπλή (per rimandare a spiegazioni nel suo commentario) e la διπλή περιεστιγμένη (per le divergenze dal testo di Zenodoto), e modificando la coppia σίγμα-άντίσιγμα con quella άντίσιγμα-στιγμή (per problemi nell’ordine dei versi)90; 88 Cito qui solo le opere essenziali: Lehrs, De Aristarchi (la prima opera, tuttora essenziale, a inquadrare l’attività filologica di Aristarco dopo la riscoperta del Venetus A; da usare invece con molta cautela A. Roemer, Die Homerexegese Aristarchs in ihren Grundzügen dargestellt, Pader­ born 1924). Ludwich, AHT (con raccolta di tutti i frammenti critico-testuali di ascendenza aristarchea, dunque quelli di Didimo e parte di quelli di Aristonico; ad essi vanno aggiunti ora quel­ li raccolti da Schironi, I frammenti). Valle, TCO, 108-157 (ma l’intero libro di van der Valk è una discussione dei principi applicati dagli Alessandrini e da Aristarco in particolare, sia in termini di costituzione del testo - con speciale riguardo alle atetesi - sia in termini di principi esegetici e immagini del mondo omerico: l’autore svaluta Aristarco e i suoi colleghi tanto quanto Roemer li aveva esaltati). Pfeiffer, History, 210-233. Matthaios, Untersuchungen. 89 Sul problema si veda l’attenta e prudente analisi di F. Montanari, Zenodotus (cit. supra nota 70), 10-20 (e Id,, Alexandrian [cit. supra nota 39], 125-127), che giunge a postulare un’u­ nica copia di Omero recante due strati successivi di interventi, cioè due stadi diversi del testo risalenti a momenti diversi della vita del filologo, e corrispondenti anche alla duplicità di υπομνήματα da lui redatti. 90 Sui segni critici di Aristarco in relazione ai papiri cfr. Montanari, Fragments, 274-281.

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- argomentò nei commentari le proprie scelte in materia di accenti e di interpunzione, dando ravvio alla riflessione critica su queste tematiche; - sebbene non abbia affrontato il problema della grammatica a livello teo­ rico, il suo contributo allo sviluppo della grammatica normativa fu decisivo: studi recenti hanno indicato come la sua divisione delle otto parti del discor­ so e la sua riflessione sull’uso sintattico e grammaticale di Omero rivelino la meditata fusione di stimoli di origine stoica e peripatetica, e configurino un sistema sia pur embrionalmente coerente; - nell’interpretazione di Omero si servì di un criterio-guida fondamentale, mai rigorosamente applicato prima di lui: 'Όμηρον έξ Όμηρου σαφηνίζειν, cioè Tinterpretazione di Omero alla luce di ciò che ricorre in Omero stesso, in termini di uso linguistico, dialettale (Aristarco, sulla scorta di una tradizio­ ne preesistente, riteneva Omero un Ateniese), stilistico e metrico, nonché in termini di descrizione del mondo eroico, di scelte narrative, letterarie ed este­ tiche; sulla base di questo criterio Aristarco era in grado di costituire il suo testo e in particolare di riconoscere i versi o le parole che andavano ascritti ai poeti νεώτεροι rispetto a Omero stesso. Ecco allora che la pratica delTatetesi, della congettura, della collazione, diventava non un esercizio arbitrario, bensì uno strumento gnoseologico per conoscere più a fondo l ’“uso” del poeta91. Di recente si è insistito sull’ascendenza peripatetica di questa massima, che pur non essendo esplicitamente ascritta ad Aristarco dalla nostra tradizione (è citata come tale solo negli scritti di Porfirio), probabilmente da lui deriva e comunque descrive meglio di ogni altra la funzione e l’orientamento della sua critica92. Un’altra importante conseguenza di questo principio, che implicava di non postulare mai μηδέν εξω των φραζομένων υπό του ποιητου (schol. D Ε 385), era il rifiuto dell’allegoria sovrapposta al testo (per es. quella fisica di Teagene o Metrodoro, o quella cosmologica di Cratete): al massimo, e per lo più in poeti diversi da Omero, era ammesso un prudente impiego dell’”allegoria retorica” o, nella terminologia aristarchea, μεταφορά93. Il più grande problema relativo ad Aristarco è la totale assenza di tradizio­ ne diretta per le sue opere (con la sola, parziale eccezione dei resti di un com­ mento a Erodoto in PAmh 2, 12)94. La sua stessa opera fu oggetto di vari ten91 Lührs, Untersuchungen, indaga anche l ’accidentato terreno della trasmissione delle atetesi aristarchee e delle loro spiegazioni. Sui νεώτεροι (intesi come gli autori del Ciclo epico) e sui modi in cui i filologi alessandrini li citano e li considerano, cfr. A. Severyns, Le cycle épique dans l’école d’Aristarque, Paris 1928. 92 Porter, Hermeneutic Lines, 70-85. Montanari, Fragments, 285-286, anche per la cospicua bibliografìa precedente. 93 A. Cucchiarelli, “Allegoria retorica” e filologia alessandrina, «Studi Italiani di Classica» 15, 1997,210-230. 94 Si vedano da ultimo le riflessioni in merito di Montanari, Fragments, 282-288 & St u­ dies, 61-67.

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tativi “filologici” di ricostruzione e precisazione nel corso dei secoli: già il suo discepolo Ammonio di Alessandria, che gli succedette a capo della bibliote­ ca e lo difese contro il grammatico Atenocle, scrisse un libro sul tema Περί τού μή γεγονέναι πλείονας εκδόσεις της Άρισταρχείου διορθώσεως, che poi sarà utilizzato da Didimo95; ma soprattutto le diverse sfaccettature della sua esegesi omerica furono raccolte e analizzate dai vier Männer i cui estratti ci sono tramandati dal Venetus A delYIliade e da molti omologhi scoli all’Odzssea: Didimo, Aristonico, Erodiano e Nicanore (cfr. infra 1.5 e 1.7.2). E solo grazie a queste fonti intermedie - cui si aggiungono alcune note conservate nel corpus degli scoli esegetici e molte altre confluite nei grammatici posteriori e negli Etimologici tardoantichi e bizantini - che noi possiamo farci un’idea dei metodi e delle proposte del più grande filologo alessandrino. In buona sostanza, dunque, ogni edizione degli scoli omerici ha fra i suoi obiettivi pri­ mari proprio la ricostruzione per via indiretta di corpora di materiali riguar­ danti l’esegesi di Aristarco. L’autorità di cui godette questo studioso già in antico fu immensa96, e colpisce sempre notare la profondità del segno che egli lasciò sulla filologia dei secoli successivi: dopo di lui gli studi omerici esistet­ tero quasi esclusivamente in relazione a lui. 1.4.2 Pergamo. Nello stesso periodo in cui Aristarco insegnava ad Alessandria, un’altra città del mondo ellenistico si affermava come centro di studi omerici di tutt ’altro segno ma di elevato prestigio: si tratta di Pergamo, dove grazie all’im­ pegno della dinastia Attalide fu allestita un’istituzione culturale non del tutto comparabile, per importanza e dimensioni, a quella dei Tolomei (non si può dunque parlare di una vera “scuola pergamena”), ma anch’essa dotata, sotto il regno di Eumene II (197-158 a.C.) e forse già sotto il suo predecessore Atta­ lo I, di una ragguardevole biblioteca, che venne presto affidata alle cure di uno dei più eminenti critici del II secolo: Cratete di Mallo, perfetto contem­ poraneo di Aristarco con il quale entrò più volte in polemica97. E incerta la precisa entità e tipologia degli scritti cratetei su Omero: non sembra vi siano ragioni sufficienti per postulare un’edizione o un υπόμνημα continuato ai poemi, e di pertinente si conoscono solo due commentari dal titolo Διορθω­ τικά e Όμηρικά: nella prima opera venivano affrontati problemi testuali

95 West, Studies, 79-80. 96 Per esempi di persistenza àt\Vauctoritas di Aristarco da Erodiano all’età bizantina, cfr. Erbse, Beiträge, 121 (celebre in particolare io schol. A Δ 235a, che si conclude κ α ί μ ά λ λ ο ν π ε ισ τ έ ο ν Ά ρ ισ τ ά ρ χ ω ή τ φ Έ ρ μ α π π ίς ς ε ι κ α ι δ ο κ έ ΐ ά λ η θ ε ύ ε ιν ).

97 E.V. Hansen, The Attalids o f Pergamon, Ithaca-London 1971, 390-443, spec. 409-422. Pfeiffer, History, 234-241.

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secondo criteri talora indecifrabili talaltra connessi alle teorie geografiche dello studioso; nella seconda si trattavano questioni di contenuto, con specia­ le riferimento alla cosmologia, alla geografìa e alle relative interpretazioni alle­ goriche989. Lo stretto rapporto, da sempre dato per scontato, di Cratete con la scuola stoica e con il suo metodo esegetico è stato messo di recente in discus­ sione con vari argomenti, non tutti decisivi". D ’altra parte, nonostante sia stato unanimemente rivalutato il suo ruolo di κριτικός in senso “alessandri­ no”, almeno per quanto riguarda gli studi omerici Cratete si fece latore di un’opzione esegetica distinta da quella che veniva messa in atto nella coeva Alessandria: non cioè - nonostante i numerosi interventi puntuali - il metodo dell’analisi filologica perpetua, bensì quello dell’allegoria e dell’esegesi geo­ grafica piegata alla dimostrazione che Omero sottintendeva uno σφαιρικός λόγος, ossia una visione dell’universo come sferico con la terra, pure sferica, nel suo centro: celebri in questo senso l’interpretazione cratetea dello scudo di Agamennone in Λ 32-40 come μίμημα του κόσμου (fr. 12 Broggiato), o, nell'Odissea, il suo intervento sulla divisione degli Etiopi in a 24 (fr. 37), sugli Erembi come Indiani in δ 84 (fr. 41: schob HMa ed EVX ad loc.), sulle notti brevissime dei Lestrigoni in κ 82-86 (fr. 50: schol. HX κ 86), sulle Pleiadi come colombe (πελειάδες) che recano l’ambrosia a Zeus in μ 62 (cfr. fr. 59, sulla scorta della poetessa Mero di Bisanzio: sul tema torneranno poi anche Asclepiade di Mirlea e Tolomeo Chenno, cfr. infra 1.5.2-3), sui piedi tentaco­ lari di Scilla (fr. 60), in generale sulla rotta seguita da Ulisse nelle sue peregri­ nazioni al di là delle Colonne d’Èrcole. In questo come in altri campi, Crate­ te si servì del principio (per noi ovviamente inaccettabile ma non estraneo anche ad alcuni esponenti della scuola alessandrina - in specie Zenodoto e Agatocle - e comunque destinato ad avere fortuna nell’immagine di Omero padre d’ogni sapienza in età imperiale), secondo cui Omero era in possesso di un sapere storicamente acquisito dalla civiltà greca solo molti secoli più tardi. Cratete si distinse anche per la sua attenzione alle etimologie, che andava oltre la linea “stoica” rappresentata da Crisippo, e per un ragguardevole avan­ zamento degli studi sistematici di grammatica, che furono proseguiti dai suoi scolari e posero Pergamo all’avanguardia in questo settore degli studi, come baluardo della teoria anomalista contro l’analogia imperante in Alessandria. 98 Broggiato, Cratete (spec, x x - x x i e XLVin-LXV su Omero; frr. 37-72 per l’esegesi odissiaca). Ancora utili comunque C. Wachsmuth, De Cratete Mallota, Lipsiae 1860, 46-55; H.-J. Mette, Sphairopoiia, München 1936 (raccolta dei frammenti cosmologici e geografici) e J. Heick, De Cratetis Mallotae studiis criticis, quae ad Odysseam spectant, Progr. Dresden 1914 (il corrispet­ tivo volume per YIliade uscì a Lipsia nel 1905). 99 Porter, Hermeneutic Lines, 85- 111; Broggiato, Cratete, lx - lx v ; Pépin, Mythe, 152- 155; Ramelli, Cornuto, 478-488. Sui limiti della tradizione relativa all’allegoria di Cratete cfr. anche Wehrli, Geschichte, 40 - 52 .

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D’altronde, i resti del Περϊ ποιημάτων di Filodemo hanno consentito di accia­ rare l’interesse di Cratete e di alcuni suoi allievi per Panatisi “fisica” della ver­ sificazione in termini di suoni, ritmo, eufonia, analisi che si accompagnava all’interpretazione del contenuto, anzi risultava inerente a una speciale moda­ lità di critica letteraria100. Delle opere di Cratete nulla è pervenuto per tradi­ zione diretta, mentre numerose sono le citazioni delle sue lezioni e delle sue interpretazioni negli scoli omerici del corpus cosiddetto “esegetico” (Didimo non tenne gran conto dell’opera del rivale pergameno, o almeno i nostri scoli citano il suo nome assai raramente) e nei commentari di Eustazio, nonché negli scritti di Eraclito, dello Ps.-Plutarco e di Porfirio, e - in specie per l’e­ segesi odissiaca - in quelli di Strabone, Ateneo e Gemino. 1.4.3 Gli allievi di Aristarco. Non mette conto di insistere qui sull’erudizione e l’antiquaria di carattere precipuamente geografico, che prosperò tanto ad Alessandria (con l’opera in 12 libri sul Catalogo delle navi di Apollodoro) quanto in Asia Minore (con le opere topografiche di Polemone e di Demetrio di Scepsi). Ma va ricordato che Apollodoro di Atene, allievo di Aristarco nato attorno al 180, fu senz’altro autore anche di ζητήματα γραμματικά a un libro déTIliade (PMilVogl 1, 19 e schob Nie. Al. 393), estese i suoi interessi alla geografia odissiaca sulle orme di Eratostene (come appare da FGH 244 F 157 relativo alla localizzazione del­ l’isola di Calipso, cfr. schol. FPMaOP a 85), e nei ventiquattro libri di Περί θεών prese le mosse dall’interpretazione etimologica dei nomi degli dèi ome­ rici, fondandosi non sugli appellativi dei luoghi di culto bensì άπό των ψυχικών ενεργειών ή ... συμβεβηκότων περί το σώμα (244 F 354): che sia come sembra - di derivazione stoica o meno, questa dottrina avrà nel seguito una qualche fortuna, anche se ben poco ne è penetrato all’interno dei nostri corpora scoliastici ai poemi. Apollodoro rappresenta viceversa una fonte importante di Eraclito e di Cornuto, nonché una delle più frequenti fonti dichiarate degli excursus mitografici contenuti nel corpus degli scholia D/V101. Pressoché coevo ad Aristarco, e in polemica con lui, Tolomeo Epitete (^“oppositore” per antonomasia del maestro) si guadagnò fama in Alessan­ dria per i suoi dissensi nei confronti del grande filologo. Egli scrisse un’intera opera sulle ferite in Omero e un’altra sulla recensione zenodotea (cfr. supra 1.4.1), nonché sopratutto un vero υπόμνημα aΆ Odissea (ne parla Suid. π 3035 = T 1 Montanari): nessuno dei frammenti conservati, però, riguarda questo 100 Broggiato, Cratete, xxvn-X Li. Janko, Philodemus (cit. supra nota 56), 120-134. H.-J. Mette, Parateresis, Halle (Saale) 1952. 101 Ramelli, Cornuto, 471-476 (in specie sulla sua esegesi allegorica). F. Montanari, in DNP 1, 857-860, con ricca bibliografia.

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poema, con ia sola possibile eccezione dello schob Porph. HX v 352, dove viene citato uno Πτολεμαίος che επιλαμβάνεται (non può essere il Pindarione, ma non si può escludere l’Ascalonita)102. Secondo Suid. δ 430 fu scolaro di Aristarco un grammatico di primo piano, Demetrio Issione, che si oppose al maestro in due opere dal titolo Προς τάς εξηγήσω e Προς τους ήθετημένους: i dissidi con il grande filologo lo indus­ sero a fuggire a Pergamo; proprio a lui e ai suoi scritti è stato di recente attri­ buito - ma en passant e senza prove dirimenti - un ruolo centrale nelTambito del corpus degli scoli esegetici. Demetrio viene citato una trentina di volte nei nostri scoli omerici, per lo più in scoli di Didimo, Erodiano e Nicanore: nelYOdissea si vedano gli schob HMa ß 96, Η ε 312, H P1ε 431, H P1ε 490, ΒΗΧ σ 17, tutti tranne il primo relativi a scelte testuali103. Se è corretta la più auto­ revole interpretazione dei dati controversi a noi pervenuti, un’opera Προς τα ύπ’ Άριστάρχου άθετούμενα του ποιητοΰ sarebbe stata scritta anche da Zenodoto di Mallo, allievo di Cratete vissuto fra il II e il I see. a.C., della cui figura sappiamo davvero troppo poco, e comunque nulla che si riferisca al1Όdissea104. Ad ogni modo i dissensi maturati anche all’interno della stessa scuo­ la alessandrina (si vedano, oltre al già citato Issione, i casi di Dionisio Sidonio, Dionisio Trace e Seleuco) devono costituire un buon caveat contro l’abitudi­ ne di riferire ogni polemica antiaristarchea alla scuola pergamena105. Fra gli allievi di Aristarco si distinse Dionisio Trace, nativo di Alessandria ma attivo a Rodi nella seconda metà del II sec. (ca. 170-90 a.C.): a lui è attri­ buita dalla tradizione la prima Τέχνη γραμματική della grecità, uno scritto capi­ tale nella misura in cui fornisce la prima completa e dichiarata sistematizzazio­ ne della grammatica greca; non è un caso che gli scoli a quest’opera, accumula­ tisi nel corso dei secoli, siano per noi una miniera di informazioni su questioni letterarie, filologiche, grammaticali del mondo antico (cfr. infra 1.7.1). A pre­ scindere dai problemi di autenticità che investono gran parte di quest’opera, sollevati con fondamento nel secolo scorso e mai del tutto risolti106, va segnala­ to che Dionisio Trace fu in primo luogo uno studioso omerico: scrisse senz’al­ tro υπομνήματα, nei quali, pur fondandosi sul principio dell’analogia e accet102Montanari, I frammenti {cit. nota 71), 75-110. Perlo schol. v 352 a Tolomeo Epitete pen­ sava Schrader, Epilegomena, 197, che peraltro Montanari non riprende né discute. 103 T. Staesche, De Demetrio Ixione grammatico, diss. Halis Saxonum 1883. Per l’attribu­ zione degli scoli esegetici cfr. van Thiel, Die D-Scholien, 6 nota 16. I frammenti di Demetrio sono ora nuovamente raccolti e commentati da Paola Ascheri nella sua diss. Genova 2003. 104 Cfr. K. Nickau, in RE X/2 A, 45-47. Ottimista invece Hansen, TheAttalids (cit. nota 97), 418. 103 Schmidt, Erklärungen, 20-22. 106 V. di Benedetto, Dionisio Trace e la techne a lui attribuita, «Annali della Scuola Norma­ le Superiore di Pisa» s. II, 27, 1958, 169-210 e 28, 1959, 87-118. Da ultimo Schenkeveld, Scho­

larship.

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tando per es. la tesi delTorigine attica del poeta, non esitava a prendere posi­ zione contro il maestro Aristarco (frr. 1-47 Linke); forse afferivano a Omero anche singoli studi Προς Κράτητα, Περί ποσοτήτων e Μελέται (da quest’ultima opera proviene la sua menzione nello schol. V χ 9, relativamente a un’e­ spressione proverbiale). Numerose sono le citazioni di Dionisio nei nostri scoli all 'Iliade, mentre in quelli odissiaci il suo nome ricorre altre tre volte, e sempre (tranne che in schol. HMa β 96 = fr. 1, dove Nicanore ne cita un’interpunzio­ ne) in relazione a scelte testuali (schol. HX o 31-32 e π 239 = frr. 45-46)107. Nella seconda metà del II see. vissero altri allievi diretti o indiretti di Ari­ starco, meno noti dei precedenti: Dionisodoro di Trezene, grammatico ed erudito ricordato in relazione a questioni omeriche solo una volta da Didimo nello schol. A B l l l b , mai negli scoli all'Odissea108·, Dionisio di Sidone, che scrisse un’esegesi omerica e si occupò di questioni di critica testuale, proso­ dia e grammatica (due sue menzioni negli scoli odissiaci, relative a un’atetesi e a un’interpretazione sintattica: schol. Η κ 329 [Did.] e HX λ 379 [Ari­ ston.])109; Neotele, che si occupò, a quanto pare, solo dclYIliade, e con spe­ ciale attenzione alla τοξεία in età eroica110; Tolomeo di Oroande (detto anche Pindarione), fiero difensore dell’analogia, che non scrisse un ύπόμνημα perpetuo bensì una serie di lavori sullo stile e i miti di Omero (fra cui un Περί Οΰτιδος sul nome di Ulisse nel IX dt\YOdissea), oltre a un commento al libro Σ delYlliade: negli scoli odissiaci egli è chiamato in causa solo per una sua lezione a β 222 (schol. HMa [Did.])111. Tra i probabili allievi di Aristar­ co annovero ancora Aretade, citato nello schol. HMa γ 341 e autore di uno scritto sulle “coincidenze” fra i poeti11213; Posidonio ò Άριστάρχου αν­ αγνώστης (forse così chiamato in quanto preposto dal maestro alla lettura del testo di Zenodoto), noto dagli scoli solo per due interventi a Z 5 1 1 e a P 751I?; Tolomeo di Ascalona, importante grammatico che insegnò a Roma e in ambito omerico si occupò soprattutto di questioni di προσορδία omerica, o almeno viene citato nei nostri scoli omerici quasi esclusivamente da Erodiano (ma Suid. π 3038 gli assegna anche un Περί τής έν Όδυσσεία Άριστάρ­ χου διορθώσεως)114. Di Arpocrazione figlio di Dios, di età incerta, si sa solo che fu autore di un commento aU.’Iliade (schol. A I 453). Incerta è pure la 107 K. Linke, Die Fragmente des Grammatikers Dionysios Thrax, in SGLG 3, Berlin-New York 1977, 5-77. ins R Montanari, in DNP 3, 650. 109 F. Montanari, in DNP 3 , 632. 110 M. Baumbach, in DNP 8, 835. 1,1 Montanari, SFOA II, 41-58; Blank, Sextus Empiricus (cit. supra nota 59), 225-232. 112 West, Studies, 80. E. Schwartz, in RE I I/l, 669. 113 C. Wendel, in RE XXII/1, 826. West, Studies, 55. 114 M. Baege, De Ptolemaeo Ascalonita, Halis Saxonum 1882. La cronologia è quella ripristi­ nata da West, Studies, 82, anche se molti hanno ritenuto di spostare Tolomeo in età augustea.

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posizione di Cherìde (spesso confuso dalle fonti con il grammatico Chares), vissuto subito dopo Aristarco e forse suo allievo, autore di un libro di Δ ιο ρ θ ω τ ικ ά (cfr. schol. H P 1η 80 [Did.]) del quale possediamo una decina di frammenti nei nostri scoli, due dei quali allOdissea (quello citato e quello DHJMaOsx ad a 58, dove gli si attribuisce un’interpretazione di ordine stilistico-sintattico). Solo tre frammenti all’Iliade (ma Ap. Soph. 171, 16-20 attesta un commento aìl*Odissea), sono attestati per suo figlio Apollonio (ó τ ο ύ Χ α ίρ ιδ ο ς ) , mentre di questioni ortografiche, etimologiche e grammati­ cali si occupò prevalentemente, nella seconda metà del I see., Alessione, cita­ to soprattutto da Erodiano nei nostri scoli (si veda, per Y Odissea t lo schol. HMa δ 12)11516.Fra II e I see. a.C. visse infine Parmenisco, autore di un libro Π ρ ο ς Κ ρ ά τ η τ α e citato in una decina di scoli omerici in relazione a questio­ ni varie di accentazione, di critica testuale o di esegesi: per YOdissea resta il solo schol. HP δ 242 di Erodiano110. 1.5. R oma, dall’età

augustea al

II

sec .

d.C.:

FILOLOGI, GRAMMATICI E ALTRO

U . l Esegesi omerica a Roma. La latinità non produsse vere e proprie opere autonome di esegesi omeri­ ca: non conosciamo infatti titoli o frammenti di scritti latini dedicati all’inter­ pretazione perpetua dei poemi. Ma com’è noto le storie di Ulisse furono intro­ dotte a Roma in età molto alta per merito della traduzione di Livio Andronico (seconda metà del III sec. a.C.): nei decenni immediatamente successivi si collocano le riprese omeriche di Nevio e di Ennio (singole tracce di cono­ scenza dell’esegesi omerica antica sono percepibili in ciascuno di questi auto­ ri)117. Quando poi nel 168 a.C. Cratete di Mallo, in visita a Roma, si ruppe una gamba inciampando in una cloaca e fu così costretto a rimanere in città per qualche tempo (Suet. de gramm. 2), il dotto pergameno ebbe senz’altro modo di impartire al pubblico romano lezioni di argomento omerico, insistendo sul­ l’interpretazione “etica” e cosmologico-allegorica dei poemi, in opposizione a quella filologica praticata ad Alessandria (cfr. supra 1.4): Svetonio, che narra l’episodio, tende a presentare Cratete come il primo filologo greco attivo a Roma, mentre in realtà egli fu preceduto da un nutrito manipolo di studiosi118. 115 Per tutti e tre questi grammatici R. Berndt, De Cimerete, Chaeride, Alexione grammati-

cis, Königsberg 1906. 116 M. Breithaupt, Oe Parmenisco grammatico, diss. Lipsiae 1915,14-16. 117 A. Traina, Vortit barbare, Roma 19742. Tolkiehn, Omero. M. Scaffai, Traduttori latini di Omero, in ha traduzione fra antico e moderno. Teoria e prassi (atti conv. Firenze 6-7.12.1991), Firenze 1994, 59-72. 118 Cfr. R.A. Kaster, in Suetonius, De grammaticis et rhetoribus, Oxford 1995, 61-63. L. Rey-

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Peraltro, alcune caratteristiche della filologia alessandrina, come i segni critici, furono recepite già da grammatici come Elio Stilone (allievo a Rodi di Dionisio Trace, 150-70 a.C.); indubbiamente i commentari omerici dovette­ ro circolare a Roma già nella tarda età repubblicana - anche solo a fini scola­ stici - e poi ininterrottamente nell’età imperiale: si pensi, a titolo di esempio, al problema puntuale dell’anno di gravidanza presupposto da λ 248-250, pro­ blema che Gellio (Noe/. Att. 3, 16, 15-17) dice di aver discusso a Roma con vari filologi, fra cui Favorino di Arles che lo risolse interpretando περιπλομένου ένιαυτού come «adfecto» e non come «confecto» (nulla in merito si legge negli scoli, ma una spiegazione analoga offre Eust. in Od. 1682, 28). Tuttavia per noi tracce concrete di ricezione dell’esegesi omerica nell’esegesi ai poeti latini affiorano solo molto tardi, nell’opera di grammatici come Donato e in special modo Servio e Macrobio (IV/V sec. d.C.): negli ultimi due, e specialmente in Servio, vediamo mutuati metodi, modi d’espressione, spiegazioni lessicali e contenutistiche peculiari degli scoli omerici: i com­ menti di Servio offrono in tal senso un materiale di confronto assai ricco, e solo parzialmente esplorato119. Non è questo il luogo per speculare sugli echi del dibattito antico su Omero in Lucrezio, Cicerone e Orazio: si vedano soltanto, a mo’ d’esempio, la discussione sulla mollezza dei Feaci echeggiata in Lucr. de rer. nat. 2, 24 e in Hor. epist. 1, 2, 27-31, o le venature di dottrina stoicheggiante nella rap­ presentazione ciceroniana di Omero come sommo tra i poeti e fondatore della teoria retorica, o ancora l’influsso aristotelico sulla lode di Omero nellWi poe­ tica (w. 136-151 e segg.), o infine la lotta fra Achille e Agamennone letta dallo stesso Orazio come emblema del contrasto fra passioni (ancora nell’u ri/. 1, dove peraltro al v. 20 «et mores hominum inspexit» potrebbe tradurre a 3 secondo la lezione zenodotea νόμον)120. Più abbondante e significativo è il materiale relativo a Virgilio: studi approfonditi hanno mostrato come, specie nella composizione dei libri I, IX e XII àtWEneide, Virgilio abbia tenuto pre­ senti i giudizi e i dibattiti su Omero della tradizione esegetica alessandrina, ma soprattutto le istanze allegoriche ed etiche (απρεπές, decorum, presenza degli nolds - N.G. Wilson, Copisti e filologi, Padova 1969, 18-22. Su Cratete a Roma cfr. Porter, Her­ meneutic Lines, spec. 111-112. 119 Sulla continuità fra esegesi omerica ed esegesi ai poeti latini cfr. M. Scaffai, Orme ome­ riche nella scoliastica latina, in Montanari-Pittaluga, Posthomerica I, 23-47. Tolkiehn, Omero, 45-73 e (su Macrobio) 75-108. O. Zwierlein, “Interpretation" in Antike und Mittelalter, in W. Geerlings-C. Schulze, Oer Kommentar in Antike und Mittelalter, Leiden-Boston-Köln 2002, 75-101: 92-93. M. Mühmelt, Griechische Grammatik in der Vergilerklärung, München 1965. E. Fraenkel, Kleine Leiträge zur klassischen Philologie, II, Roma 1964,339-390:383-390 (con vari esempi di contatti fra scoli serviani e scoli omerici); ma già Mai, Ilias, xxxix. Per l’ambito sco­ lastico si veda in generale Bonner, Education, 227-249. 120 Per tutto questo A. Ronconi, Interpreti latini di Omero, Torino 1973. Tolkiehn, Omero.

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dèi, equilibrio della trama, caratterizzazione dei personaggi etc.) che caratte­ rizzarono in via prevalente l’esegesi pergamena; basti pensare a passi paralle­ li come quello di Eurialo e Niso, o ad Aen. 1, 208-209, dove Virgilio rende implicita l’allocuzione “pessimistica” di Ulisse in κ 193, sulla cui opportunità gli scoli avevano avuto da ridire (cfr. schol. HTX κ 189)121. In età augustea e poi in età imperiale la massiccia presenza di grammatici e studiosi greci fece di Roma uno dei centri principali degli studi letterari e filologici. Si elencheranno ora alcuni grammatici che vissero a Roma, e altri che, pur non vivendovi, soggiornarono nell’Urbe o ebbero rapporti con essa: sarebbe inane cercare, nella generale frammentarietà delle testimonianze, un filo che leghi tutte queste diverse figure di studiosi: almeno fino a tutto il II secolo, molti si dedicarono alla critica testuale e all’attiva discussione e siste­ mazione del patrimonio esegetico preesistente, ormai segnato dall’ipoteca alessandrina. Del resto, quanto fossero diffusi gli studi omerici a Roma dal I al V see. d.C. anche a livello di educazione primaria, sia in termini di esegesi minuta sia in termini di commenti filosofici o allegorici, si evince in maniera lampante anche solo dalle testimonianze relative alla scuola (Quint, inst. or. 10, 3; Stat. silv. 3, 3, 146-130; Plin. epist. 7, 9 etc.), dalle numerose e spesso mal note figure di traduttori o parafrasti (da Mazio a Polibio alla singolare esperienza poetica che è 1’Ilias latina), o dalla vivace polemica di Seneca in epist. 88,5-7 e 108, 35. 1.5.2 Dall’età ciceroniana a quella neroniana. Dionisio Trace, il fiore all’occhiello della scuola di Rodi che nel I see. a.C. produsse una notevole generazione di studiosi, ebbe allievi di prim’ordine, tutti passati o vissuti a Roma, fra i quali acquisirono particolari meriti nel campo degli studi omerici due filologi molto diversi, Tirannione e Asclepiade di Mirlea. Tirannione di Amiso fu maestro prima in patria e poi a Roma, dove diven­ ne ricco e famoso, come attesta fra l’altro la sua amicizia con Cicerone; la sua opera più nota è il Περί τής ‘Ομηρικής προσορδίας, che nei nostri scoli ome­ rici viene spesso citato da Erodiano (solo tre frammenti all’Odissea, nrr. 53-35 Haas, e solo i primi due trasmessi dagli scoli: schol. HMaO a 174 e H[Y2] ζ 200), e che trattava - sulla scia di Tolomeo di Ascalona - problemi di accen­ tazione, di spiriti, di quantità e di Worttrennung, seguendo un metodo coeren­ te e rispettoso del testo omerico e della sua collocazione storica. Tirannione scrisse anche un’opera, per noi interamente perduta, dal titolo ‘Ό τι διαφωνούσιν oi νεώτεροι ποιηται προς ‘Όμηρον, nella quale evidentemente ripren121 R.R. Schi unk, The Homeric Scholia and the Aeneid, Ann Arbor 1974. Per il caso delle “lacrime di sangue” in Aen. 10,464-473, si veda A. Barchiesi, La traccia del modello, Pisa 1984, spec. 16-24.

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deva le osservazioni aristarchee circa le differenze linguistiche e mitografiche fra Omero e i poeti successivi. Allievo di Tirannione fu il grammatico Diode (anche noto come “Tirannione il giovane”): probabilmente è a quest’ultimo che va ascritta una διόρθωσις Όμηρικη (ne parla Suid. τ 1185 in relazione al maestro) di cui possediamo quattro frammenti, due dei quali relativi all’Odis­ sea (schol. Η ξ 132 [Did.] e schob MaVY τ 457 = fr. 66*-67* Haas)122. Asclepiade di Mirlea, attivo a Roma e poi in Spagna, si occupò anche di poeti ellenistici e di questioni grammaticali generali (fu tra l’altro una delle più importanti fonti indirette dell*Adversus grammaticos di Sesto Empirico); nei suoi scritti su Omero (EGen a 1205 L.-L. cita un υπόμνημα all’Odissea, cfr. infra 3.2.2.4) subì almeno in parte l’influsso pergameno; il suo nome non ricor­ re mai negli scoli omerici, ma ci sono buoni motivi per attribuirgli alcuni brani di esegesi, fra cui l’esegesi di stampo crateteo relativa alla coppa di Nestore, e in primis, n t^ ’Odissea, lo schol. Η μ 62 con la sua parte allegorica123. Fu contemporaneo di Tirannione Filosseno di Alessandria, figura centrale per lo sviluppo della glossografia (in specie quella omerica: scrisse infatti un Περί των παρ’ Όμήρω γλωσσών) e della dottrina etimologica antica (buona parte dei suoi frammenti sono conservati nei lessici etimologici, da Orione al Genuinum), nonché autore di un trattato sui segni critici dell’Iliade e di uno spe­ cifico υπόμνημα εις τήν ’Οδύσσειαν: un brano di quest’ultimo, grazie al con­ fronto con Steph. Byz. 246, 8, può essere riconosciuto nell’anonimo schol. HV ξ 327 su Dodona (cfr. infra 1.7.1), mentre altri brani, di soggetto linguistico o mitografico-geografico, sono conservati con il suo nome negli schol. Η i 22 e 106, di origine porfiriana (fr. 402, 405-406 Theod.), nonché nell’Etymologicum Genuinum (frr. 403-404). Non pertengono direttamente all’esegesi omerica i frammenti di altre opere di Filosseno (Περί της 'Ρωμαίων διαλέκτου e Περί μονοσυλλάβων ρημάτων) conservati negli scoli ma derivanti in realtà da una versione ampliata del lessico di Orione (cfr. schol. H P H η 90 e BHX ξ 485)124. Contemporaneo di Cicerone fu anche il grammatico Curzio Nicia di Cos, i cui frammenti sono tutti relativi a questioni prosodiche e ci sono trasmessi da Erodiano (per l’Odissea il solo schol. DEeHMaY a 109 = fr. 23 Berndt)125.

122 W. Haas, Die Fragmente der Grammatiker Tyrannion und Diokles, in SGLG 3, BerlinNew York 1977, 79-184. 123 A.B. Müller, De Asclepiade Myrleano, diss. Lipsiae 1903. A. Adler, Die Commentare des Asklepiades von Myrlea, «Hermes» 49,1914,39-46.1 frammenti omerici di Asclepiade sono ora editi da Lara Pagani, diss. Genova 2004 (vedi già Ead., Asclepiade di Mirlea e la coppa di Nestore, in La cultura ellenistica [atti conv. Roma 22-24.9.2003], in stampa). 124 Chr. Theodoridis, Die Fragmente des Grammatikers Pbiloxenos, SGLG 2, Berlin-New York 1976, spec. 63-65. 125 R. Berndt, Die Fragmente des Grammatikers Nikias, «Philologische Wochenschriften» 30, 1910, 508-512, 540-542. C. Wendel, in RE XVII/1, 337. Non è il medesimo Nicia quello

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L’età augustea è caratterizzata, per quanto riguarda gli studi omerici, da due dei quattro uomini cui dobbiamo buona parte di ciò che sappiamo della filologia di Aristarco, ossia Aristonico e Didimo: il secondo fu uno dei pochi filologi di questo periodo (e di certo il più importante, insieme a Teone) a ope­ rare interamente fuori di Roma: la scuola grammaticale di Alessandria - città dove l’esegesi biblica dei Giudei interagì assai fecondamente con quella greca ai poemi omerici, basti pensare al caso di Filone126 ~ continuò a produrre stu­ diosi di prima grandezza (vi operò ancora Nicanore nel II sec. d.C.), ma soprattutto dopo Azio una parte sempre crescente di loro preferì emigrare verso la nuova capitale dell’impero. Aristonico, attivo a Roma al pari del padre Tolomeo anch’egli omerista (cfr. Suid. π 3037)127, scrisse l’importantissimo Περί σημείων Ίλιάδος καί ’Οδυσσεία*:, che illustrava le motivazioni con cui Aristarco spiegava i segni critici da lui apposti al testo omerico; i frammenti di quest’opera non sono dimostrabilmente fedelissimi al Wortlaut di Aristarco, ma ci forniscono una ragguardevole messe di dettagli circa le teorie del grande filologo sui costumi, sulla vita e sui Realien del tempo eroico (de cultu et victu heroum), nonché molte esegesi aristarchee di soggetto grammaticale, critico-testuale (atetesi citato dallo schol. V ψ218 (Nicia di Mallo, cfr. FGH 60 e Vaik, Researches, 361-362 e 412-413) come fonte di un "ιστορία sul “travestimento” di Paride come Menelao al fine di ingannare Elena e condurla fino alla nave destinata a salpare per Troia (nella coda dello scolio si legga παρά Nikìqc καί Π ρω τ- [sdì. Πρώτες?] in luogo di παρά Nikìqc τφ πρώτφ stampato da Dindori). 126 Pressoché nessuna influenza fu esercitata dalla critica testuale alessandrina sugli studi del Vecchio Testamento, i quali risentirono viceversa dell’esegesi allegorica d ’ispirazione stoica (specie in Filone) e - già con Aristobulo (II see. a.C.) —dei metodi della critica zetematica: si veda il panorama di Siegert, Early Jewish, spec. 130-141 e 154-189, nonché sul problema del­ l’allegoria Procopé, Greek Philosophy, spec. 465-472 e Dawson, Allegorical Readers, 73-126; più in generale H. Dörrie, Zur Methodik antiker Exegese, «Zeitschrift für Neutestamentliche Wissenschaft» 65,1974,121-138, che insiste sul ruolo di Hilfswissenschaft della critica filologi­ ca alessandrina sia nell’ambito dell’esegesi omerica sia in quello dell’esegesi biblica (Origene). Una visione più ottimistica sul grado d’interazione fra le due culture è espressa da P.S. Ale­ xander, "Homer the Prophet o f All” and "Moses Our Teacher”: Late Antique Exegesis of the Homeric Epics and of the Torah of Moses, in L.V. Rutgers et alii (ed.), The Use of Sacred Books in the Ancient World, Leuven 1998, 127-142. Non si dimentichi che nel XVIII secolo l’interes­ se di F.A. Wolf per gli scoli omerici fu in parte stimolato dal confronto con la tradizione della Bibbia ebraica e in specie dagli studi di J.G. Eichhorn: A. Grafton-G.W. Most-J. Zetzel, in F Wolf, Prolegomena to Homer, Princeton 1985,5-35: 18-26. E non si dimentichi nemmeno l’in­ teresse dell’altro giudeo Giuseppe Flavio per la preistoria dei poemi omerici (contra Ap. 1, 12) e anche per l’uso lessicale del sommo poeta (per es. l ’assenza della parola νόμος - che esclude la lezione di Zenodoto in a 3 - è segnalata in contra Ap. 2, 155). 127 A questo Tolomeo ό του Άριστονίκου (secondo altri il figlio del nostro grammatico) risale anche un’opera dal titolo τα παρά τφ ποιητη ξένως ιστορημένα, forse una monografia su leggende, miti e luoghi strani in Omero.

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etc.), lessicale, mitografico e geografico, considerazioni estetiche generali sul­ l’abilità letteraria e stilistica di Omero; speciale attenzione è rivolta alle pecu­ liarità linguistiche dei poemi128. Lo scritto di Aristonico fu escerpito dall'au­ tore del Vier-Männer-Kommentar (cfr. infra 1.7.2) e dunque ci è noto in primo luogo grazie agli scoli del Venetus A (dove i frammenti si distinguono con relativa sicurezza in quanto introdotti dal caratteristico cm), e in parte mino­ re grazie al corpus degli scoli bT129; anche nei corpora scoliastici all'Odissea, pur in assenza di un criterio estrinseco di garanzia come Γοτι (che è conser­ vato solo in casi eccezionali), ragioni di stile e di contenuto inducono a rico­ noscere una cospicua presenza di frammenti aristonicei130. È poi incerta la notizia secondo cui Aristonico avrebbe scritto anche degli υπομνήματα a Omero (EGud 348, 20 Sturz; Ammon. 352 Nickau), tra cui forse il Περί Μενελάου πλάνης di cui parla Strab. 1,2,31. Didimo di Alessandria, contemporaneo di Aristonico forse lievemente più giovane, visse e operò nella sua città natale nella seconda metà del I see. a.C. e fu soprannominato “Calcentero” per la sua indefessa applicazione agli studi, che si tradusse nella pubblicazione di un numero sterminato di lavori sui poeti e i prosatori greci di ogni tempo. La sua opera Περί τής Άρισταρχείου διορθώσεως forniva la menzione e la contestuale discussione delle proposte testuali suggerite e argomentate nelle εκδόσεις e negli υπομνήματα aristarchei; essa peraltro non era priva di apporti nuovi in termini di collazione di altri esemplari e di discussione delle varianti (alle sue collazioni risalgono in molti casi le citazioni di filologi antichi o delle edizioni κατά πόλεις e κατ’άνδρα)131, anche se ancora si dibatte su quanto Didimo abbia ereditato dai suoi prede­ cessori e quanto sia invece frutto delle sue proprie ricerche. Ad ogni modo, per quanto egli non possa essere tacciato di assoluta mancanza di originalità, il fatto stesso che la sua attenzione si appunti sui filologi alessandrini, e che egli 1281 frammenti del Περί σημείων ai due poemi sono stati editi da L. Friedländer, Aristoni­ ci Περί σημείων Ίλιάδος reliquiae, Göttingen 1853 e da O. Carnuth, Aristoniä Περί σημείων Όδυσσείας reliquiae emendatiores, Leipzig 1869. Sull’età di Aristonico e Didimo cfr. da ultimo West, Studies, 48-49. Cfr. anche Valle, Researches, 553-592. Schmidt, The Homer, 168-169. 129 Schmidt, Erklärungen, 9-28. 150 Merita di essere ricordato a questo proposito il tentativo di M. Sengebusch, Aristonicea, Berlin 1855, di ricostruire i frammenti del libro di Aristonico in merito ai primi versi dell’ Odis­ sea, un tentativo cui da più parti si è guardato con perplessità: Friedländer, Homerische, 16-21; Schmidt, Erklärungen, 12. Del resto speciale attenzione all’identificazione degli scoli aristoni­ cei riservò anche Polak, Observationes, 1A1. ni p er i filologi si vedano i nomi citati supra. Per le edizioni cittadine, citate solo sei volte nell’Odissea (nel canto a l’Argolica e - due volte - la Massaliotica, nei canti ξ e σ tre volte l’Eo­ lica; rimangono misteriose la κυκλική di π 195 e quella έκ Μουσείων di ξ 204), cfr. V. Cittì, Le edizioni omeriche "delle città”, «Vichiana» 3, 1966, 227-267; Valk, TCO, 14-21 (troppo reciso nello svalutare le lezioni di queste edizioni come semplici congetture); Nagy, Homeric Scholia, 119-121; Id., Poetry, 116-118 e 147-148; West, Studies, 67-73.

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si proponga di fatto come il collettore dell’erudizione degli ultimi due secoli, ne fa in primo luogo un grande compilatore, senz’altro il più importante del­ l’età augustea. Frammenti dell’opera didimea, che abbracciava ovviamente entrambi i poemi, ci sono pervenuti grazie agli excerpta del cosiddetto Vieryiänner-Kommentar conservati nel codice Venetus A àeYYIliade, e grazie a numerosi scoli all'Odissea facilmente riconoscibili per ragioni di contenuto e di stile152. Poco sappiamo degli autonomi commenti omerici scritti da Didimo; non hanno nulla a che fare con lui gli scoli che vanno comunemente sotto il nome di scholia Didymi, e che chiameremo invece per correttezza terminologi­ ca scholia D per Ylliade e scholia V per l’Odissea (cfr. infra 3.2.2.1 e 43.7.5). Uno dei massimi grammatici dell’età augustea, sempre attivo in Egitto, fu Teone di Alessandria, autore di commenti ai poeti antichi e - cosa non del tutto nuova, ma per la prima volta codificata ad alto livello - anche a quelli ellenistici; dei suoi υπομνήματα a Omero, se davvero ne scrisse (uno dfYOdis­ sea è attestato da EGud 376, 19-20 Stef. e da EGen s. v. πύελος [EM 696, 712], cfr. infra 3.2.2.4 e 3.3.3.1), non rimane praticamente nulla nei nostri scoli132133. Succedette a Teone a capo della scuola di grammatica di Alessandria l’egiziano Apione, il quale insegnò poi a Roma sotto Tiberio e Claudio, diven­ tando anche un uomo politico di un certo peso (si ricorderà il Contro Apione di Giuseppe Flavio). Dall’aspra menzione in Sen. epist. 88, 40 si deduce che gli fu tributato il soprannome 'Ομηρικός (già proprio di Cratete, cfr. Suid. κ 2342 = T 1 Broggiato) ma è incerto se abbia scritto veri e propri commentari al testo omerico: il suo nome è citato raramente nei nostri scoli, in specie porfiriani, erodianei ed esegetici, in merito a problemi di accentazione e di con­ tenuto (per YOdissea si vedano ί fr. 9-14 Baumert: gli ultimi due sono di ori­ gine allotria, ossia l’espunzione dell’episodio di Ares e Afrodite citata nello schol. Aristoph. Pac. 778, e la nota ad a 106 di cui parla Athen. 1 ,16f)134. Di certo Apione fu autore di Γλώσσαι 'Ομηρικαί, un’opera di capitale impor­ tanza che ci è nota soprattutto dalle citazioni nel lessico di Apollonio Sofista (poche le occorrenze negli scoli; per YOdissea cfr. lo schol. V τ 284, fr. 8 Neitzel), e nella quale Apione indagava l’etimologia delle parole omeriche e la loro possibile traduzione, non senza rifarsi a principi di ascendenza aristarchea135. 132 La collezione più ampia dei frammenti omerici è Ludwich, A H T I. Tutti i frammenti ancora solo nell’antiquata edizione di M. Schmidt, Didymi Chalcenteri grammatici Alexandrini fragmenta quae supersunt omnia, Lipsiae 1854. Cfr. anche Valle, Researches, 536-553. Id, TCO, 25-37. Irigoin, Histoire, 67-75. Pfeiffer, History, 274-279. West, Studies, 83-85. 133 C. Guhl, Die Pragmente des Alexandrinischen Grammatikers Theon, diss. Hamburg 1969, spec. 11-13. 134 H. Baumert, Apionis quae ad Homerum pertinent fragmenta, Regimonti Borussorum 1886. Erbse, Beiträge, 52 non crede per Apione all’esistenza di commentari omerici e pensa piuttosto a sezioni dei suoi Α ιγ υ π τ ια κ ά . 135 S. Neitzel, Apions Γλώσσαι Όμηρικαί, in SGLG 3, Berlin-New York 1977, 185-328.

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Il soprannome di 'Ομηρικός spettò anche a un altro filologo dell’età augustea, ossia Seleuco, versatile autore di commentari a molti scrittori, e di opere sui proverbi, sulla religione, sulle etimologie. Ai nostri fini si segnala in par­ ticolare il Κατά των Άριστάρχου σημείων, chiaramente rivolto - fin dal tito­ lo - contro l’esegesi aristarchea e contro la difesa fattane da Didimo e dagli altri allievi; non è chiaro se i suoi frammenti omerici derivino da commenta­ ri perpetui o da un libro di ζητήματα. Frammenti di Seleuco sono trasmessi da Didimo (suo contemporaneo probabilmente più anziano), da Nicanore e dagli scoli esegetici; due soli (di argomento lessicale e sintattico) sono con­ servati negli scoli alY Odissea, citati da Porfirio (schol. HMa a 215 e schol. T i 6: frr. 19 e 24 Müller; ma cfr. ora infra in 2.7.2 anche il commentario papi­ raceo h12), ma altri brani di esegesi odissiaca sono conservati da altre fonti (Ateneo per i frr. 20-23, ed EM 558, 26 per il fr. 25 relativo a una lezione in i 445)136. In età augustea insegnò a Roma l’egiziano Eracleone di Tilotis, che secon­ do Suid. η 455 fu autore di un commento perpetuo a Omero κατά ραψωδίαν, cioè in 48 libri; ne possediamo modesti frammenti all’interno dei nostri scoli omerici, dai quali evinciamo che egli si occupò di questioni varie, dalla gram­ matica alla topografia, trovandosi talora in disaccordo con le posizioni di Ari­ starco; tuttavia, nessuno scolio con il suo nome è tramandato fra quelli all’Odissea, benché sappiamo da altra fonte (Erodiano e spec. EM 421,52, che cita esplicitamente Ήρακλεων εν Όδυσσείας ύπομνήματι a proposito di v 366, cfr. infra 3.3.3.1) che egli prese posizione su un paio di questioni odissiache (fr. 18, 20 e 2FBerndt)137. Contemporaneo di Apione, e noto anch’egli in primo luogo dalle citazioni contenute nel lessico di Apollonio Sofista, il grammatico Eliodoro fu quasi certamente autore di un commento perpetuo allOdissea, del quale nulla è penetrato nei nostri scoli: da Apollonio, probabilmente l’ultimo ad averlo consultato, conosciamo molte spiegazioni puntuali di singoli termini, assai indebitate alla tradizione glossografica ma non ignare di quella filologica: si 136M. Müller, De Seleuco Homerico, diss. Gottingae 1891 (non ho visto E. Duke, The Gram­ marian Seleukos of Alexandria. An Edition of the Fragments, diss. Oxford 1969). West, Studies 48-49, menziona dei Διορθωτικά in almeno 5 libri e osserva che singolarmente ben tre Alessan­ drini trapiantati a Roma - Seleuco, Aristonico e Filosseno - scrissero sui segni critici di Ari­ starco. Erbse, Beiträge, 49-50 dubita della paternità porfìriana dello schol. HMa a 215 e di quello T 1 5 (ma non di quello DHX ad loc.). 137 R. Bemdt, Die Fragmente des Homererklärers tìerakleon, Königsberg 1914. Hillgruber, Die pseudoplutarchische, I, 38-48, riassume la questione relativa alla sua supposta (ma oggi esclusa) identità con l’Eraclito autore delle Questioni omeriche, e gli attribuisce un’opera di allegoresi omerica, di cui rimarrebbe un’unica traccia nella citazione di Ps.-Prob. in Verg. bue. 6, 31, p. 334, 29 Hagen (fin troppo valorizzata da H. Diels, Doxographi Graeci, Berolini 1879, 90-91). Cfr. però anche Buffière, Héraclite, xxxii-xxxiv.

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notano in lui il ricorso all’interpretazione etimologica e alla ristretta spiega­ zione “contestuale” dei termini omerici138. Di poco posteriore ad Apione fu Epaffodito di Cheronea (22-97 d.C.), allievo dell’omerista Archia e autore di un’opera contro i segni critici di Ari­ starco nonché di commentari perpetui ai due poemi (Suid. ε 2004), specialmente attenti a questioni grammaticali e alle etimologie dei toponimi omerici (sulla linea già esperita da Demetrio di Scepsi e di Apollodoro, cfr. supra 1.4.3): i suoi frammenti sono trasmessi dagli scoli esegetici (ma non da quelli odissiaci), da Orione e da Stefano di Bisanzio (cfr. infra 1.7.1); secondo un’ac­ creditata teoria, Epafrodito sarebbe fra l’altro una fonte importante per gli scoli di natura critico-testuale all’interno del corpus degli scoli bT all’Iliade139140. Poco più che un nome è per noi Autochthon, grammatico forse coevo di Epa­ frodito, che viene citato per quanto riguarda Ylliade dagli scoli esegetici e da Porfirio, mai invece noYYOdisseaÌA(i. Infine, menziono qui il commento al canto Φ che va sotto il nome di Ammonio figlio di Ammonio, conservato frammentariamente nel POxy 221 (Pap. XII Erbse): benché la sua data sia incerta (il papiro è del II see. d.C., il commento forse di poco anteriore) e benché esso interessi solo un canto delYlliade, l’eccezionale documentazione che sciorina è tale da giustificarne appieno la menzione in questa sede. Per tutti gli altri commentari papiracei a^Odissea, purtroppo anonimi, rimando alla trattazione partita infra in 2.7. In coda va citato almeno en passant un autore che, sebbene non sia un ome­ rista strido sensu, ha rivestito un ruolo centrale per l’interpretazione àéYOdis­ sea e delle πλάναι di Odisseo, cioè Strabone di Amasea, che fu allievo di Ari­ stodemo di Nisa, filologo che sosteneva l’origine romana di Omero, a sua volta allievo di Menecrate di Nisa, scolaro di Aristarco forse da identificare con il Menecrate menzionato nello schol. bT Ω 804141. Strabone, sulla scorta delle idee esposte da Polibio nel XXXIV libro delle Storie, pur rigettando la lettura 138 A.R. Dyck, The Fragments of Heliodorus Homericus, «Harvard Studies in Classical Phi­ lology» 95, 1993, 1-64. Haslam, The Homer Lexicon, 3-26, che individua sezioni di excerpta eliodorei nel lessico di Apollonio e identifica dubitativamente questo Eliodoro con l ’omonimo scrittore de re metrica. 539 E. Luenzer, Epaphroditi grammatici quae supersunt, diss. Bonnae 1866. Valk, Researches, 339-342. Schmidt, Erklärungen, 31-32. 140 Erbse, Beiträge, 58. 141 Su Aristodemo cfr. M. Heath, Was Homer a Roman?, in E Cairns - M. Heath (ed.), Papers of the Leeds International Latin Seminar 10, Leeds 1998, 23-56. Sullo scolio menecrateo si veda ora M. Heath, Menecrates on the end of the Iliad, «Rheinisches Museum» 141, 1998, 204-206, che mette in discussione con solidi argomenti l’opinione tradizionale e prospetta la possibilità che si tratti invece dello storico licio Menecrate di Xanto. Ricordo che proprio con lo scolio di Menecrate si apre il commento all'Odissea di Arsenio Apostolis preservato nel Vat. gr. 1321 (il nostro O) e nei suoi discendenti: cfr. infra 4.3J.2.

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cratetea che vedeva nelYOdissea tracce di conoscenze scientifiche sicure e veri­ tiere, dedicò parte importante del I libro della sua opera alla confutazione delle tesi di Eratostene, il quale - come abbiamo visto - contestava in toto la veridi­ cità della finzione odissiaca; più volte poi nel corso della sua Geografia Strabo­ ne si trovò a trattare temi di attinenza omerica, facendo riferimento agli stu­ diosi più illustri venuti prima di lui, da Demetrio di Scepsi ad Apollodoro, da Aristarco a Cratete (una menzione anche per il contemporaneo Aristonico)142. Qui piace ricordare, a titolo d’esempio, che egli è l’unico testimone (insieme a Eust. in Od. 1806, 39-45, che da lui dipende) della variante τομούροι per θε­ ριστές· in π 403, variante che discute e respinge come inferiore sulla base di un ragionamento filologico del tutto convincente (Strab. 7, 7,11). 1.5.3 Lessici, allegorie, miti. Nel tardo I see. d.C. vanno collocate con ogni probabilità tre opere di capitale importanza per la critica omerica, sui cui autori abbiamo dati biogra­ fici scarsi o nulli: intendo quelle di Apollonio Sofista, di Eraclito e del cosid­ detto Mythographus Homericus. Il lessico omerico più influente dell’antichità (benché sia pervenuto a noi, per di più fortemente epitomato, in un solo manoscritto medievale, il Par. Coisl. 345 del X secolo; ne possediamo anche vari frammenti papiracei) fu quello di Apollonio Sofista: si tratta di un’opera di centrale importanza, in quanto raccoglie materiali di svariata provenienza glossografica e filologica, e dunque rappresenta un collettore assai indicativo dello stato delTomeristica nel periodo in cui fu redatto. E stato dimostrato che Apollonio attinse ai glossari circolanti (cfr. infra 2.5), agli scritti di vari filologi tra cui Apione, Eliodoro (importantissimo il commentario odissiaco di quest’ultimo, cfr. supra 1.5.2), Didimo, Dionisio Trace, Aristonico, nonché a un commentario esegetico e a opere che saranno poi utilizzate da Erodiano. Si attende una nuova edizione del lessico, che dia piena ragione anche del suo valore in questo senso143. D’al­ tra parte, per quanto riguarda YOdissea non ho ravvisato nelle mie indagini casi di corrispondenza precisa di Wortlaut fra il lessico di Apollonio e scoli diversi dalle glosse degli scholia V (diretti discendenti dei glossari papiracei) o di altri 142 D. Dueck, Strabo o f Amasia, London - New York 2000, 31-40. A.M. Biraschi, Strabone e la difesa di Omero nei Prolegomena, in F. Prontera (a c. di), Strabone. Contributi allo studio della personalità e dell'opera, I, Perugia 1984, 129-153. D.M. Schenkeveld, Strabo on Homer, «Mnemosyne» 29, 1976, 52-64. H. Bidder, De Strabonis studiis Homericis capita selecta, diss. Gedani 1889. 143 Haslam, The Homer Lexicon. Per ora l’edizione è quella di I. Bekker, Apollonii Sophistae lexicon Homericum, Berolini 1833, solo parzialmente sostituita da K. Steinicke, Apollonii Sophi­ stae lexicon Homericum, litt, a-δ, diss. Göttingen 1957. Cfr. Erbse, Beiträge, 407-432 (83-85 per le interpolazioni da Apollonio nel Venetus A). H. Schenck, Die Quellen des Homerlexikons des Apollonios Sophista, Hamburg 1961.

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corpora. Pertanto, anche alla luce delle recenti considerazioni di Michael Haslam circa la “fluidità” della tradizione dei commentari di età imperiale e la con­ seguente difficoltà di ricostruire precisi rapporti di dipendenza, mi limiterò qui a brevi cenni (condotti per esempi e non miranti alla completezza) sui rappor­ ti che intercorrono fra il lessico e i nostri scoli dR Odissea. 1. Per quanto riguarda le glosse, i paralleli più stretti, com ’è ovvio, si hanno con glosse confluite nel corpus degli scholia V (il corrispettivo odissiaco d egli scholia D , cfr. infra 3.2.2.1): alcuni esem pi, tra i m oltissimi; Ap. Soph. 2, 16 (18 Steinicke) cfr. schol. V 5 249; Ap. Soph. 21, 1 (226 St.) cfr. schol. V ß 421; A p. Soph. 2 7 ,3 1 (347 St.) cfr. schol. V δ 847; Ap. Soph. 29, 21 (378 St.) cfr. schol. V β 290; Ap. Soph. 5 3 , 33 (865 St.) cfr. schol. V η 324; 63, 8 cfr. schol. V β 292; Ap. Soph. 69, 3 cfr. schol. V β 271; Ap. Soph. 73, 14 cfr. schol. V β 192; Ap. Soph. 93, 22-23 cfr. schol. V δ 797; Ap. Soph. 106, 3 cfr. schol. V γ 38; A p. Soph. 118, 4 cfr. schol. V δ 206; Ap. Soph. 125, 10-11 cfr. schol. V a 2 9 7 ; Ap. Soph. 129, 7 cfr. schol. V β 241. 2. Com ’è lecito attendersi dal m om ento che A pollonio attinge a glossari ben ante­ riori alla formazione del corpus degli scholia V, vi sono m olte glosse che non si ritrova­ no negli scholia V e non poche che si ritrovano in codici non-V: limitando l’indagine ai primi due canti, segnalo Ap. Soph. 27, 9 (338 St.) cfr. schol. BEG M aN Q Y ck 2qz a 296; Ap. Soph. 29, 5 (371 St.) cfr. schol. B E G M aYt β 326; Ap. Soph. 59, 2 (977 St.) cfr. schol. D E M aM !NTsx β 345; Ap. Soph. 5 9 ,3 1 (997 St.) cfr. schol. E G ^ v b V P s β 354; Ap. Soph. 7 1 ,5 cfr. schol. ck2qz β 323; Ap. Soph. 7 7 ,2 9 cfr. schol. M a a 302; Ap. Soph. 147, 24 cfr. schol. C G β 237. 3. Spesso A pollonio cita Aristarco o la sua dottrina, e solo a tratti n o i possediam o per le sue affermazioni il riscontro degli scoli. C ito qui alcuni casi in cui l ’apporto di A pollonio è determinante. A p. Soph. 17, 20-23 (173 St.) con osce lo schol. D H M aOs β 257 (Ariston.), e n e attribuisce la dottrina ad Aristarco. Ap. Soph. 34, 21-24 (444 St.) presenta le vedute di Aristofane e Aristarco su o 397, che ci son o n ote in form a affine dallo scolio aristoniceo B H M aX ad loc. Ap. Soph. 67, 28-29 dà per έμπλήγδην due spiegazioni: la prima generica έμπληκτικώς οΰ μετά κρίσεως, che trova una certa rispondenza n ello sc h o l M aV Y υ 132, l ’altra, εύμεταβόλως, che A pollonio, sulla scor­ ta di Aristonico, attribuisce ad Aristarco nel com m ento al lu ogo citato del canto υ , e che la tradizione m edievale ha conservato solo com e glossa M a nel cod ice M d ell’Odissea. Ap. Soph. 70, 20-23 fa riferimento col nom e di Aristarco a o 293, in termini non dissimili da quelli dello schol. H X ad loc. (Did. e Ariston.). Ap. Soph. 74, 11 cita la spiegazione aristarchea di ξ 359 έπιστάμενος com e επιστήμων, ch e è confluita insiem e ad altre nello schol. V ad loc. A p. Soph. 77, 5-7 cita Aristarco e misere tracce se ne hanno nello schol. V ψ 198 (Ariston.): lo stesso vale per Ap. Soph. 1 0 0 ,2 1 -2 4 in rapporto allo schol. V ω 208 (Ariston.). In Ap. Soph. 94, 30 - 95, 4, si cita un lungo brano del com m ento di Aristarco a καλάμη in ξ 214, che ha rispondenza di senso ma non di Wortlaut nei nostri schol. B H M aV e specialm ente X ad loc. (Ariston.). Ap. Soph. 105, 14-17 ha due spiegazioni di κυνοραιστέων che sono attribuite ad Aristar­ co e ad anonimi τινές nello schol. H M a p 300 (Ariston.). A p. Soph. 107, 15-17 ripor­ ta due spiegazioni di τ 229 λάων, ch e nello schol. V (M^) ad loc. (Ariston.) vengono attribuite a Cratete e ad Aristarco (quest’ultim o nom inato anche da A pollonio). Ap.

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Soph. 158, 9-13 trasmette una veduta di Aristarco su ύπερικταίνοντο che è trasmessa in termini simili anche dallo schol. V (M2X Y ) ψ 3 (Ariston.). Ap. Soph. 159, 12-21 si diffonde su ύπεροπλίσαιτο (con citazione di Aristarco, ancora da A ristonico), m entre negli scoli a p 268 non c ’è praticamente nulla. Ap. Soph. 161, 22-26 cita Aristarco su φαεινή in ζ 74, e si ha un qualche riscontro nello schol. V ad loc. (Ariston.). Brani di dottrina aristarchea totalm ente perduti negli scoli si hanno in Ap. Soph. 36, 20-21 (479 St.; a τ 111); 61, 1-4 (1021 St.; a χ 325); 7 2 ,1 -3 (a φ 306); 73, 12-13 (a x 3 4 3 ); 130, 9-11 (evanide tracce nel περιφερής di schol. V χ 84). 4. In alcuni casi Apollonio conserva materiale esegetico allOdissea che trova rispon­ denza di solo contenuto con i nostri scoli, oppure non n e trova affatto. Ap. Soph. 31, 13-16 (407 St.) dà una spiegazione di αντίθεος riferito al Ciclope in a 70 con il richia­ mo a 1 275, che ricorda da presso lo schol. D E H M a a 70. Ap. Soph. 3 2 ,1 3 -3 2 (419 St.) ha chiaramente presente lo schol. D H M a O x β 185 (che nella forma attuale è di Erodiano). Ap. Soph. 114, 23-26 sul μώλυ ha una spiegazione allegorica di Cleante la cui sostanza è in schol. Τ κ 305. Ap. Soph. 149,28-31 dà i tre significati di τάφος che sono anche, con le medesime citazioni, in schol. M a γ 309 (ma potrebbe valere la derivazio­ ne inversa: cfr. infra 3.4.3). Ap. Soph. 154, 24-29 dà le spiegazioni di Apione e Eliodo­ ro per τρίγληνα, m entre nello schol. H V X σ 298 (Ariston.) non c ’è quasi nulla, e poco anche nello schol. M a ad loc. Ap. Soph. 160, 26-27 a proposito di δ 386 ύποδμώς cita l’opinione di chi prende il prefisso ύπο- per superfluo, e questa è la veduta anche dello schol. E H (Ariston.). Ap. Soph. 163, 21-32 dà conto della polem ica su Φιλομηλείδης che ci è nota dagli schol. M 1 e h 10 δ 343. Ap. Soph. 171, 16-20 ci riporta un brano del comm. di Apollonio di Cheride ad a 429, del tutto perduto. 5. Vi sono casi in cui le alternative semantiche prospettate da A pollonio si ritrova­ no in due scoli diversi: Ap. Soph. 21, 21-23 (238 St.) sulla duplice interpretazione di άλοσύδνη (οί μεν τής θαλάσσης, ενιοι δε τής ’Αμφιτρίτης) che corrisponde precisam ente agli schol. V (τής θαλάσσης, παρά το έν άλι σεύεσθαι) ed E H M aP (επιθετικώς τής 'Αμφιτρίτης, παρά το έν άλι σεύεσθαι) a δ 404. Viceversa Ap. Soph. 2 5 ,1 2 -1 5 (307 St.) dà una spiegazione di a 29 άμύμονος (ού τού καθόλου άμωμήτου, ά λλα προ τού έργου τής μοιχείας: si sta parlando di Egisto) che è una sola delle due alternative pro­ poste dallo schol. V ad loc., forse aristoniceo (l’altra è τού κατά γένος αγαθού).

Nell’ambito della lessicografia va ricordato qui il contributo di Erennio Filone di Biblo, autore nella prima età imperiale di un dizionario di sinonimi che ci è tramandato nella forma più completa all’interno del lessico che va sotto il nome di Ammonio. Filone attinse senz’altro a buoni commentari specialisti­ ci, e dunque conserva interessanti brani di esegesi omerica; tuttavia, la libertà con la quale egli riprende le osservazioni e le distinzioni formulate nei com­ mentari omerici delle sue fonti è tale che il suo lessico va usato con prudenza, non tanto per stabilire il Wortlaut di scoli pervenuti tramite i nostri corpora, quanto piuttosto per ricostruire le linee interpretative scelte dalle fonti stesse144. 144 Erbse, Beiträge, 295-310. Herennius Philo, De diversis verborum significationibus, ed. V. Palmieri, Napoli 1988. Ammonii qui dicitur De adfinium vocabulorum differentia, ed. K. Nickau, Lipsiae 1966 (spec, l x x i - l x x i i suile fonti).

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Elenco qui alcuni esem pi in cui Erennio Filone dovette senz’altro avere accesso a esegesi omerica, più o m eno ricostruibile sulla base delle nostre fonti scoliastiche. Ammon. 81 sull’accentazione di ασφόδελός è debitore alla dottrina penetrata negli schol. H W X e M a λ 539 (Did., ma nella forma attuale Hrd.; p er il secon do scolio cfr. infra 2 2 0 ) . Ammon. 113 (p. 2 8 ,1 -4 Nickau) cita η 100 per βωμός nel senso di βάσις, e infatti lo schol. V ad loc. interpreta proprio επί των βάσεων e lo schol. H P 1 ad loc. (Did.) sostiene su questa base la lezione βωμών in opposizione a chi voleva corregger­ la in βουνών. Amm on. 132 nella spiegazione di δίσκος com e λίθος τετμημένος è d eb i­ tore alla dottrina (eratostenica) ch e informa lo schol. B H T (Y 2) Θ 190. P er Amm on. 161 su έκγονος com e υιός si p uò richiamare lo schol. V (παίς) e la gl. Y γ 123 (υιός). Ammon. 170 sul duplice valore di ενταύθα trova riscontro in schol. D M 1} a l l (Ari­ ston.?). Ammon. 188 (p. 48, 7-8 Nickau) sul valore di πυνθάνομαι com e ακούω, ha un corrispondente nello schol. B M 'x β 315 αντιστροφή άντί τού πυνθανόμενος ακούω. Ammon. 232 sul valore di θής com e colui che lavora a m ercede cita δ 644 e infatti mostra vicinanza allo schol. V (cfr. M a e B E H P 1) ad loc. (Ariston.?). Am m on. 244 sugli ιπες com e insetti διαβρωτικά τών κεράτων ricalca schol. V (sim. M aXs) φ 395. Amm on. 249 (p. 65, 16-17 Nickau) interpreta ίσθι com e γίνωσκε, com e la glossa IM 1 β 356. Ammon. 343 sul valore di οίκηες com e familiares in senso lato trova corrispon­ denza con schol. H W X ξ 4. Amm on. 361 ci informa su una lezione di Z enodoto a σ 130, di cui non è traccia negli scoli. Amm on. 387 reca la spiegazione di πτωχός com e επαίτης (cfr. schol. V σ 1), derivante da πτώσσω (etimo suggerito da O m ero stesso a p 220-227, e rimarcato dallo schol. H p 227). Amm on. 436 cita un contributo di T olo­ m eo di Ascalona nel secondo libro Περί τών έν Ό δυσσεία προσωδιών (prob, a ε 69 ο η 121). Ammon. 477 su τρίετες ha un parallelo buono nello schol. V β 106 (che, in base alla testimonianza di A m m onio, andrà ricondotto proprio alla dottrina di Tolom eo di Ascalona). Amm on. 522 sulla differenza fra ψάμαθος e άμαθος ricalca lo schol. V β 326, probabilmente aristoniceo.

Forse l’unica opera di esegesi omerica in senso stretto che ci sia pervenuta quasi integra dall’antichità (una lacuna fra i capitoli 74 e 75 ha inghiottito la parte relativa ai canti λ-τ òeìl’Odzssea: al secondo poema era comunque riser­ vato uno spazio assai più ristretto che al primo) è il libretto di 'Ομηρικά Προβλήματα di un certo Eraclito, scritto forse verso la fine del I see. d.C. (anche se non è esclusa una datazione più tarda)145. Quest’opera si presenta come una difesa “militante” della poesia omerica dalle accuse che spesso le venivano rivolte, in primo luogo quelle relative alla sua empietà nella rappre145 Gli argomenti di Bernard, Spätantike, 93-94 per una datazione più bassa rispetto a quel­ la ormai invalsa, benché non decisivi, vanno comunque tenuti in considerazione. Il titolo del­ l ’opera è incerto, ma quello qui accolto (sulla scorta di Oelmann e Buffière) è recato in coda all’opera da uno dei codici più importanti, l’Ambr. B 99 sup. (il nostro B dell’Odissea, cfr. infra 3.5.2.3). L’edizione di riferimento è quella di Buffière, Héraclite, che offre ricche note di com­ mento ma un testo greco in più punti scadente: per testo e tradizione manoscritta è meglio dun­ que rifarsi a Heracliti Quaestiones Homericae, ed. Societatis Philologae Bonnesis sodales, proli, scripsit E Oelmann, Lipsiae 1910.

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sentazione del mondo divino (i bersagli preferiti sono Platone ed Epicuro). La soluzione proposta programmaticamente sin dal principio è l’allegoria, nella sua triplice accezione di allegoria fisica, morale e storica: πάντα γάρ [sdì. 'Όμηρος] ήσέβησεν, εί μηδέν ήλληγόρησεν (1, 1). Spesso ricondotta, ma senza motivi cogenti, alla scuola stoica, l’opera di Eraclito raccoglie e digeri­ sce con acume una serie di λύσεις formulate da una lunga tradizione preesi­ stente. In questo carattere di esegesi pratica e minuta (anche se non perpetua: Eraclito procede per episodi, con ampi salti specialmente nell’Odissea), essa differisce radicalmente dal Manuale dello stoico Cornuto (età neroniana: cfr. supra 1.3.2), che presenta invece una serie di interpretazioni in senso cosmico o morale delle varie divinità. Tra le fonti di Eraclito vi furono sicuramente Cratete e i suoi seguaci (vengono nominati Erodico di Babilonia e Apollodo­ ro), ma ciò non implica alcun legame privilegiato con l’ambiente pergameno né con quello stoico: l’attenzione dell’autore si rivolge in primo luogo alla difesa della coerenza e dell’ortodossia del testo del poeta146. In particolare, l’intera πλάνη di Odisseo viene letta in chiave allegorica in quanto dissuade dalle κακίαι della vita umana e mostra concretamente come un uomo possa avere la meglio su ogni vizio e su ogni intemperanza (cap. 70). Fra le allegorie odissiache più interessanti ricordo quella di A tena com e φρόνησις e διάνοια di Telemaco nel prim o libro (61-63), quella di Proteo com e materia amorfa e di Eidotea com e πρόνοια che le dà forma (64-67), quella degli amori di Ares e Afro­ dite in senso cosm ogonico em pedocleo (69), quella di E olo com e anno (71) e del ciceone di Circe com e vaso del piacere (72), quella del μώλυ com e φρόνησις (73). Inoltre si ricordi la tirata di Eraclito (cap. 79) in favore dell’interpretazione “obliqua” delle lodi della m olle vita dei Feaci com piute da U lisse al principio del libro i: secon­ do lui (come già in parte secondo M egaclide - cfr. supra 1.3.2 - e lo schol. T i 6, forse porfiriano), egli le avrebbe pronunciate nel solo intento di com piacere i propri ospiti e di accattivarsene il favore. Brani del testo di Eraclito sono stati escerpiti negli scoli marginali dei codici dia­ dici e odissiaci; m entre per l 'Iliade la quasi totalità degli excerpta fu inserita sui mar­ gini del Venetus B dalla m ano B* del pieno X III secolo, per quanto riguarda XOdis­ sea praticamente tutti i passi interessati147 com paiono n ei codici BD E ITX s, costanti­ nopolitani della fine del X III o dei primi anni del X IV secolo e tutti purtroppo varia-

146Long, Stoic Readings, 45-47. Pépin, Mythe, 159-167. Buffièrt,Mythes, passim (dove però Eraclito è considerato uno stoico osservante: si vedano gli argomenti dipp. 158-159). Dawson, Allegorical Readers, 38-52. Per la tipologia allegorica “sostitutiva” seguita da Eraclito cfr. Ber­ nard, Spätantike, 15-21. Per la sua caratterizzazione stilistica cfr. D. Russell, The Rhetoric of the Homeric Problems, in Boys-Stones, Metaphor (cit. nota 24), 217-234. 147Le due eccezioni sono solo apparenti: in H d passo 60, 2 - 61, 4 sul carattere “morale” ddTOdissea è stato aggiunto sul primo foglio dalla mano H3, certamente più tarda e certamen­ te orientale; io schol. Ma δ 456 è in realtà una riscrittura originale, e non scevra di fraintendi­ menti, della spiegazione allegorica di Proteo fornita da Heracl. qu. Hom. 65-66. Cfr. infra 3.4.2.2 e 3.4.3.

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m ente m utili148. L’opera di apposizione sistematica dei brani eraclitei sui margini dei codici om erici andrà pertanto datata piuttosto al X III secolo (forse proprio all’età in cui si afferma la “famiglia orientale” di cui son o esponenti i codici D E X s d Odis­ sea: cfr. infra 3.5.2.1) che n on al X II (così dubitativam ente O elm ann), e avrà forse com e p unto di partenza il m edesim o corpus nel quale confluirono le Quaestiones Homericae di Porfirio148b,s.

Probabilmente nel corso del I see. d.C. va collocata anche l’opera di un anonimo redattore che, senza profondere uno sforzo originale, raccolse un cospicuo corpus di Ιστορίαι mitografiche relative all’intero testo omerico, digerite secondo Lordine dei libri e dei versi (quasi una risposta all’esigenza dell’«enarratio historiarum, diligens quidem illa non tamen usque ad supervacuum laborem occupata» di cui paria Quint, inst. or. 1, 8 , 18): si tratta del cosiddetto Mythographus Homericus (ΜΗ) della cui attività abbiamo traccia sia in una serie di frammenti papiracei sia - soprattutto - nelle sezioni mito­ grafiche del corpus bizantino degli scholia D (= V per YOdissea)·. chi in età protobizantina redasse questo corpus, infatti, abbinò le Ιστορίαι del MH alle glosse puntuali di termini omerici (cfr. infra 3.2.2.1). Nulla si può affermare di sicuro circa l’anonimo raccoglitore, se non che i papiri più antichi della sua opera risalgono al tardo I see. d.C. e che in essa non vengono citati autori più tardi di Didimo. Non è chiaro il criterio che presiedette alla scelta dei perso­ naggi omerici la cui storia necessitava di un’esegesi mitografica (molte figure mitologiche, infatti, sono sprovviste della relativa Ιστορία), né è chiarissimo se la giustapposizione di più versioni diverse - quasi assente dalle ιστορίαι su papiro ma frequente negli scholia D/V della tradizione medievale - sia un ele­ mento originario oppure un portato delle espansioni successive. Le divergen­ ze fra la tradizione medievale e quella papiracea vanno infatti spiegate alme­ no in parte con le aggiunte e le modificazioni intervenute nel corso della tra­ smissione più tarda (si pensi alle inserzioni di brani o riassunti dalla bibliote­ ca dello Ps.-Apollodoro); ad ogni modo, nel caso del P S I10,1173 - il nostro h7, l’unico papiro a trasmettere brani di MH &\YOdissea - si registra una con­ sonanza quasi ad verbum fra il testo del papiro e quello degli scholia V (cfr. infra 2.6). La raccolta del MH, in specie nella forma aucta e completa che 148 Buffière, Héraclite, spec. XLvn-Liv, e E Oelmann in Heracliti Quaestiones Homericae (cit. supra nota 145), xxiv-xxvni: fra i codici dell’Odissea è singolare solo il caso del già citato B, che pur essendo integro trascrive un unico scolio eracliteo a υ 356. II codice T sembra fornire qua e là un testo migliore o più completo rispetto agli altri testimoni (cfr. anche infra 3.5.2.3). Ai passi segnalati da Buffière vanno aggiunti i due estratti eraclitei recati dal codice D (63,5-6, ad a 321, da solo; 67,5-7 di mano D2a a ε 85, come in EX: cfr. infra 3.5.2.1) e quello a κ 1 reca­ to dal codice I (cfr. infra 3.5.2.2), nonché, a rigore, le occorrenze nei codici più recenti della “famiglia orientale”, W ed e. i48bis Q uest0 spiegherebbe anche le discrepanze fra il testo eracliteo degli scoli e quello dei codici: cfr. infra 1.6.2 e Schrader, Prolegomena, 393-407.

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compare negli scholia D/V, è per noi di sommo interesse in quanto dobbiamo principalmente ad essa, oltre che allo Ps.-Apollodoro, la conoscenza dei miti relativi ai personaggi omerici, nonché informazioni sugli autori che le trattavano: molto spesso, infatti, le ίστορίαι raccolte dal Mythographus terminano con l’indicazione della fonte (poetica o mitografica) cui sorio state attinte le notizie appena epitomate149. Forse al I see. d.C. va datato il trattato Περί ύψους, falsamente attribuito a Cassio Longino: sebbene esso non sia propriamente un’opera di critica ome­ rica, merita qui una menzione nella misura in cui la sua canonizzazione di Omero come modello insuperabile di estetica e di poesia, argomentata in spe­ cie nel cap. 9, attiene strettamente agli sviluppi della critica omerica antica, e ne ingloba in parte i risultati; l’autore infatti si scaglia contro l’interpretazione allegorica della Teomachia del canto T (che abbiamo incontrato già agli albo­ ri con Teagene di Reggio, cfr. supra 1.2) e, nonostante le sue riserve morali, loda Omero per la capacità di creare e mantenere una forte tensione poetica per tutta l’Iliade, e di riservare all ’Odissea (a suo giudizio scritta dal medesi­ mo autore nella vecchiaia) l’epilogo delle vicende narrate nell’altro poema150. Pure estranea all’ambito dell’esegesi omerica in senso stretto è la perduta opera “parassitarla” di Tolomeo Chenno, autore di 24 libri di Άνθόμηρος, in cui ricantava polemicamente la materia dei poemi; più interessante ai nostri fini, dello stesso Chenno, la raccolta di paradossi, fatti strani e miti curiosi dal titolo Καινή 'Ιστορία, in cui - stando al riassunto di Fozio, bibl. 190, che è la nostra fonte principale in merito - larga parte avevano i problemi odissiaci: fra le varie leggende ricordo quella che spiegava il nome Ουτις in base al fatto che Ulisse aveva ώτα μεγάλα, o quella che riconduceva il problematico θάνα­ τος δέ τοι έξ άλός αύτου di λ 133 alla presunta morte di Ulisse presso una maga tessala di ηοπιε'Άλς; su altre questioni, come le colombe di μ 62, siamo debitori al racconto di Eustazio {in Od. 1713, 36 ss.), che si servì assai di 149 van Rossum, Greek Readers’ Digest, 85-118, particolarmente dedita alla dimostrazione della patina autoriale che permea l’intera raccolta. F. Montanari, The Mythographus Homericus, in J.G.J. Abbenes - S.R. Slings - I. Sluiier (ed.), Greek Literary Theory after Aristotle (Mise. Schenkeveld), Amsterdam 1995, 135-172. Id., Ancora, dedicato esplicitamente all’unico papi­ ro del MH sicuramente legato all’Odissea, il nostro h7. Valk, Researches, 303-413, spec. 374 dove si osserva che nellOdissea le sottoscrizioni di MH si riferiscono quasi sempre agli autori mitografici e solo quattro volte ai poeti, mentre nelYlliade il rapporto è molto più equilibrato: «one gets the impression that the commentator, when explaining the Odyssey, followed some­ what different methods». 150Mazzuechi in Longino, Del sublime (cit. supra nota 44), spec. 168-183. W. Bühler, Beiträ­ ge zur Erklärung der Schrift vom Erhabenen, Göttingen 1964, anche per un’analisi dei concetti di Longino che trovano riscontro negli scoli odissiaci (ricordo appena la lode riservata al silen­ zio “sublime” dell’alma sdegnosa di Aiace nell’Ade, condivisa anche dallo schob HT λ 563).

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Chenno ncWOdissea (cfr. infra 3.3.2); ma per esempio sull’etimologia del nome Όδυσσεΰς Chenno si mostra in pieno accordo con lo schol. DEeJMaT a 103151. Analogamente, al tardo I o al II see. d.C. risale l’originale greco, oggi pressoché interamente perduto, del romanzo di Ditti Cretese (FGH 49) che narrava in termini radicalmente diversi da Omero la storia di Troia e degli eroi achei. Di quest’opera rimangono solo frammenti in PTebt 268 e in POxy 31, 2339, e alcuni estratti - frammisti a brani di un non meglio noto Sisifo di Cos (FGH 50) - nelle storie universali di Giovanni Maiala (V-VI see.; Chron. 5,1621) e di Giorgio Cedreno (metà dell’XI see.), nonché nell’anonima εκλογή ιστοριών edita da Cramer (Anecd. Par. 2, 166-230; una versione affine anche nel Rehd. 28 dell'Odissea, cfr. infra 4.2.2.7). Ma dell’opera di Ditti rimane soprattutto la traduzione latina redatta da un certo Settimio nel III ο IV see. d.C.: qui le storie degli eroi greci dopo la guerra di Troia sono fortemente rias­ sunte e condensate in un unico libro, il sesto: non a caso anche il nostos di Ulisse (6,5-6 e 14-15) è narrato con ampiezza molto minore rispetto a quan­ to avvenga in Maiala o in Cedreno152. Di particolare interesse è il racconto delle vicende di Ulisse, di difficile datazione, che viene trasmesso dal codice Pai. gr. 45 àtfFOdissea (il nostro P, cfr. infra 3.4.2.2) e che rappresenta pro­ babilmente un excerptum di Maiala condito con pochi dettagli allotri153. 151K.-H. Tomberg, Die Kaine Historia des Ptolemaios Chennos, Bonn 1968, che contestua­ lizza l’opera di Chenno nel quadro della letteratura simposiale e zetematica di età imperiale, e ne enumera i metodi e i meriti. A. Chatzis, Der Philosoph und Grammatiker Ptolemaios Chen­ nos, I, Paderborn 1914. Pontani, Il proemio, 30-31 e 35-37. 152Dictys Cretensis, ed. W. Eisenhut, Lipsiae 19732. S. Merkle, Die Ephemeris belli Troia­ ni der Diktys von Kreta, Frankfurt 1989; Id., Telling the True Story of the Trojan War, in J. Tatum (ed.), The Search for the Ancient Novel, Baltimore-London 1994, 183-196. E probabi­ le che Maiala, Cedreno e Γέκλογή abbiano attinto a una fonte intermedia di Ditti, leggermen­ te ampliata rispetto aü’originale: ma ogni speculazione sui rapporti di parentela, in mancanza di nuovi ritrovamenti papiracei, è destinata a rimanere ipotetica. In Ditti, Ulisse diventa un re che sconfigge e depreda le popolazioni che incontra sulla rotta del ritorno a Itaca, fra cui i Lotofagi e i popoli siciliani dei tre fratelli Antifate (re dei Lestrigoni), Ciclope e Polifemo (Ciclope viene corrotto da Ulisse con tangenti in denaro, mentre a Polifemo Ulisse e i com­ pagni rapiscono la figlia Elpe, vera “luce degli occhi” del padre). Anche le figure mitiche di Circe e Calipso vengono interpretate in chiave evemeristica (sono due sorelle in rivalità), men­ tre le Sirene diventano le “rocce Serenidi” che emettono suoni inquietanti; Ulisse fa naufragio a Cariddi e viene salvato da marinai fenici che lo portano a Creta presso Idomeneo; dopo il ritorno di Ulisse, Telemaco prende in moglie Nausicaa, ma poi viene cacciato da Ulisse per timore di un oracolo che lo voleva ucciso da suo figlio: in realtà Ulisse viene poi effettivamente ucciso dal figlio Telegono, avuto da Circe. 153 Ludwich, Zwei byzantinische, 1-3 e 8-14. Sulle numerose ipotesi che sono fiorite circa questa narrazione cfr. P Sotiroudis, Untersuchungen zum Geschichtswerk des Johannes von Antiocheia, Thessaloniki 1989,25-29, che respinge l’ipotesi di E. Patzig (Die Hypothesis in Dindorfs Ausgabe der Odysseescholien, «Byzantinische Zeitschrift» 2, 1893, 413-440, cautamente seguito anche da E.M. Jeffreys, The Judgment of Paris in Later Byzantine Literature, «Byzantion»

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Più di una semplice menzione meriterebbe uno degli autori che più diffu­ samente (ma senza organicità, tranne che nelle perdute Όμηρικαι μελέται) ha fatto riferimento a Omero, ai suoi miti, alla sua etica, al suo orizzonte filosofico, sociale e politico, cioè Plutarco: è con l’età di Plutarco e poi di Dione Cri­ sostomo che l’interpretazione di Omero vira decisamente dall’orizzonte criti­ co-testuale e linguistico verso quello morale (difesa dell’eticità e della religio­ sità del poeta, ripresa del metodo zetematico) e, in prospettiva, allegorico. E per noi Plutarco è un grande collettore di discussioni filologiche (si pensi alle sue Questioni conviviali', per es. in 7, 1, 3 si tratta ampiamente del significato di i 373 φάρυγξ), di valutazioni letterarie e di lacerti di dottrina esegetica anti­ ca: si pensi in primo luogo al De audiendis poetis, dove si trovano per es. rife­ rimenti espliciti agli schol. DJ - E2 - es a 32 sul significato di πόποι (22d), o alla questione di πρέπον in ζ 244 già sollevata da Eforo (27b; cfr. supra 1.3.2); ana­ loghi contatti, e ancor più frequenti, si hanno con gli scoli all’Iliade154. 1.5.4 I l I I see. d.C. La filologia omerica in senso stretto subisce nel II see. d.C. una battuta d’arresto: sembra che ormai gran parte dell’essenziale sia stato detto, e così Ì contributi originali risultano per lo più limitati o idiosincratici. Alessandro di Kotiaion, che a Roma fu precettore di Marco Aurelio, scrisse degli ’Εξηγητι­ κά su questioni ortografiche, grammaticali e contenutistiche relative a singoli passi di Omero: di quest’opera ben poco è penetrato nei corpora scoliastici (e quel poco essenzialmente grazie a Porfirio), e nulla in quelli aLLOdissea155. Le Leistungen più rilevanti di questo secolo sono rappresentate dalle due opere che, insieme a quelle di Didimo e di Aristonico, furono escerpite dal redatto­ re del cosiddetto Vier-Männer-Kommentar. intendo gli scritti omerici di Nica­ nore e di Erodiano. Nicanore di Alessandria, attivo nella sua città natale in età adrianea, fu soprannominato dai grammatici tardi ό στιγματίας (Eust. in II. 20, 12), in48 48, 1978, 112-131 [rist. in Ead., Popular Literature in Late Byzantium, London 1983]) secondo cui essa sarebbe una rielaborazione di un brano perduto di Giovanni di Antiochia, e propende piuttosto per riconoscervi una rielaborazione di Maiala non molto posteriore a Maiala stesso. 154H. Amoneit, De Plutarchi studiis Homerias, diss. Regimonti 1887. Buffière, Mythes, 76; 251-256; 323-342; 522-525 e passim, anche per i rapporti con l’esegesi precedente; sull’inter­ pretazione etica di Omero in Plutarco Dawson, Allegorical Readers, 58-66. Pépin, Mythe, 178188. Sul metodo allegorico Bernard, Spätantike, 183-275 e Ramelli, Cornuto, 95-101. Sulla pre­ senza di Plutarco negli scoli porfìriani cfr. Schrader, Epilegomena, 173-174. Da ultimo sulla pre­ senza di Omero in Plutarco E. Alexiou, Die Punktion der Homerzitate in Plutarchs Biographien, in A. Haltenhoff-F.-H. Mutschler, Hortus litterarum antiquarum (Fs. H.-A. Gärtner), Heidelberg 2002,51-65. 155 AR. Dyck, The Fragments o f Alexander of Cotiaeum, «Illinois Classical Studies» 16, 1991, 307-335. Erbse, Beiträge, 53-55, e 96-98 sulla mediazione porfiriana.

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quanto rivolse la sua attenzione in primo luogo al problema dell’interpunzio­ ne del testo omerico (ma anche di quello callimacheo; del resto fu autore anche di un’opera generale dal titolo Περί στιγμής τής καθόλου): lo scritto che qui ci interessa si intitolava Περί στιγμής τής παρ’ Όμήρω καί τής έξ αυτών διαφοράς έν τή διανοίςε, e abbracciava sia VIliade che YOdissea: ben­ ché Nicanore si servisse di un sistema di punteggiatura diverso e più evoluto rispetto a quello in vigore ai tempi di Aristarco, è proprio a lui che dobbiamo la conoscenza dell’opera di Aristarco in questo settore, e dunque della manie­ ra in cui il grande filologo intendeva la sintassi di molti passi controversi dei poemi156. Un padre e un figlio formano la famiglia senz’altro più importante per lo sviluppo della grammatica antica. Apollonio Discolo, il maggiore teorico grammaticale della grecità, pur non essendosi mai occupato direttamente di esegesi omerica, fornì a quest’ultima un importantissimo apporto indiretto, giacché nella sistemazione delle principali parti del discorso inserì ad abun­ dantiam esempi tratti dai poemi e ne discusse ampiamente le difficoltà sintat­ tiche. In quest’opera Apollonio si servì sicuramente di materiali riconducibili ai commentari omerici antichi, in primo luogo Aristonico, Didimo e, per 17liade, un commentario “esegetico”, ma li rielaborò quasi sempre ai propri fini speciali: la questione dei rapporti fra Apollonio e i nostri scoli è quindi som­ mamente intricata157. Per quanto concerne gli scoli odissiaci, si vogliono dare qui solo delle indicazioni sommarie. Si possono anzitutto segnalare alcuni casi in cui A pollonio trae dai com ­ menti semplici glosse o spiegazioni puntuali di termini: A p. Dysc. synt. 412, 2-5 cfr. schol. V γ 87; Ap. Dysc. coni. 233, 10 cfr. schol. V δ 16. A lcuni contatti più significa­ tivi si riscontrano per es. in Ap. D ysc. synt. 191, 14-17 su ποιείται per γίνεται (stessa spiegazione dello schol. Bx β 126, forse Ariston.); A p. D ysc. synt. 2 7 6 ,2 -5 sulla costru­ zione di μ 74-75 (cfr. schol. V μ 75; diversamente interpreta Aristarco nello schol. H ad loc. [Ariston.]); Ap. D ysc. synt. 497, 8-10 su Θ 449 αύτόδιον (cfr. schol. E, B H e T ad loc.). In specie significative le vicinanze fra A pollonio e scoli aristonicei: Ap. D ysc., pron. 85, 5-6 cfr. schol. Η Θ 48 sul duale; Ap. D ysc. synt. 11, 3 sulla lettura unita di πασιμέλουσα, cfr. schol. H e spec. X μ 70; Ap. Dysc. synt. 147, 12-13 su τής com e ταύτης, cfrschol. H M a β 206. In alcuni casi si registrano contatti verbali fra A pollonio e le dottrine degli scoli:

1561frammenti sono raccolti in L. Friedlaender, Nicanoris Π ερ ί Ί λ ι α κ ή ς σ τ ι γ μ ή ς reliquiae, Berlin 18572, e in O. Carnuth, Nicanoris Π ε ρ ί Ό δ υ σ σ ε ι α κ ή ς σ τ ι γ μ ή ς reliquiae, Berlin 1875. Cfr. D.L. Blank, Remarks on Nicanor; the Stoics and the ancient theory of punctuation, «Gioita» 61, 1983, 48-67. Schmidt, Erklärungen, 35-39 considera la possibilità che gli scoli esegetici YYiIlia­ de conservino brani dello stesso argomento risalenti non a Nicànore ma a grammatici prece­ denti. Del resto, ci si guarderà dall’attribuire a Nicànore scoli sintattici come quelli del codice B àéYOdissea (cfr. infra 3.5.2.3). 157Erbse, Beiträge, 311-344.

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Ap. D ysc. coni. 223, 19-20 (con le integrazioni di Schneider) cfr. schol. H M a a 165 (Hrd.); Ap. Dysc. synt. 100, 8-9 = schol. Η Η *Μ &0 a 182 (prob. Ariston.; επέβαλλε di O coincide con il testo di alcuni codici di Apollonio); Ap. Dysc. pron. 85, 7-8 = schol. E G H (cfr. anche Μ) a 340 (Ariston.?). Sebbene in vari casi le scelte di Erodiano e di Apollonio coincidano (Ap. Dysc. synt. 167, 3-4 cfr. schol. Η μ 33; Ap. Dysc. synt. 191, 6 cfr. schol. Η Θ 396; Ap. Dysc. pron. 7 9 ,23-26e.ry«A 196,17-20 su αυτόν μ ιν ίη δ 2 4 4 con spirito dolce contro Tolomeo Pindarione, cfr. schol. H ad loc.158), nell 'Odissea esiste almeno un caso di eclatante disac­ cordo: lo schol. H M a δ 62 cita esplicitamente ’Απολλώνιος έν τώ περ'ι αντωνυμιών (Αρ. Dysc. pron. 86, 1-9 sul problema di σφών / σφώίν), e ne rifiuta la soluzione sulla scorta di Aristarco: abbiamo qui un esem pio dell’opposizione concettuale fra Erodiano e il padre (cfr. infra), e un chiaro esem pio dell’opera di com pilazione che è alla base del nostro corpus scoliastico all’Odissea, dove si possono incontrare anche citazioni esplici­ te di Apollonio, evidentemente ad attribuire a un redattore (l’autore di VM K?)159. Infine, segnalo un caso interessante: Ap. D ysc. synt. 1 7 3 ,4-12 si interroga sul valo­ re del καί in a 10 είπε καί ήμιν (la Musa ha cantato ad altri oltre che a Om ero? la congiunzione è superflua?): al problem a accenna Eust. in Od. 1383, 6 5 -1 3 8 4 ,3 , ma si confronti in particolare il finora inedito schol. O ad loc. (cfr. infra 4.3.7.2): είπε καί ήμιν: οί μεν απολύτως περισσόν ήγούμενοι (ήγούνται?) τον καί, οί δέ προς την μούσαν ά ντιδια στέλλουσ ιν ά σ ύ οισθα, ώ μούσα, καί ήμιν είπε- ή καί ώς γεγονότων προ αυτού ποιητών τινων, di δι’ 'Όμηρον άσημοι γεγόνασιν.

Il figlio di Apollonio Discolo, Elio Erodiano, attivo a Roma sotto Marco Aurelio, si dedicò in primis alla trattazione di problemi relativi alla προσωδία, cioè agli spiriti, agli accenti e alla distinctio delle parole. Oltre alla monumen­ tale Καθολική προσφδία, egli fu autore di due opere capitali nel campo degli studi omerici, il Περί τής Ίλιακής προσωδίας e il Περί τής Όδυσσειακής προσωδίας, in cui raccolse il materiale aristarcheo relativo a queste proble­ matiche e lo aumentò con la citazione e la discussione delle vedute dei gram­ matici successivi. Erodiano cercava di trovare la spiegazione razionale delle scelte di Aristarco in quest’ambito, e raramente entrava in conflitto con lui, al contrario del padre Apollonio, il quale aveva ambizioni molto più pronuncia­ te di sistematizzazione teoretica. Sebbene manchi ancora un’edizione vera­ mente affidabile dei frammenti erodianei (facilmente riconoscibili, nell’ambi­ to dei corpora di scoli omerici e degli etimologici bizantini, grazie alla specia­ le tematica e al peculiare Wortlaut: sono trasmessi nei frammenti del VMK e in parte nel corpus esegetico f f f Iliade), e sebbene l’opera di Erodiano sia stata recepita dai Bizantini soprattutto tramite epitomi e sunti, Timportanza del suo 158Erbse, i b id ., 318-320, dove si discute anche del connesso problema di Ap. Dysc. p r o n . 37, 26-38, 8 (cfr. s y n t . 191, 2-4 e 202, 12-15) sull’enclisi di oi insieme ad αύτφ pleonastico, in rapporto alla dottrina degli scoli erodianei HMa δ 118 e Η δ 667. 159 Per un caso analogo di citazione esplicita di Apollonio negli scoli & \Y Ilia d e cfr. Erbse, B e itr ä g e , 345-346.

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lavoro per la conoscenza di questo settore dell’attività di Aristarco e dei suoi seguaci è assolutamente capitale160. A lungo si è dibattuto sulla collocazione cronologica del corpus degli scoli esegetici delVIliade (il quale presenta indubbie analogie con larghi materiali di esegesi odissiaca non altrettanto facilmente classificabili su base codicologica: cfr. infra 3.2.23)'. scartata l’ipotesi del III see., proposta da Lehnert, rimangono in piedi due alternative: per Allen e van der Valk, che si fondano peraltro su argomenti assai diversi, il corpus risalirebbe all’estrema età tardoantica (V/VI see.), mentre Erbse data la perduta compilazione c, genitrice comune di b e T, alla prima età bizantina161. Ma di questo si tornerà a parlare infra·, qui interessa sottolineare che il problema della natura e dell’identità dei commentari che fun­ sero da fonti dirette di c, è stato risolto in vari modi162: abbiamo citato supra (1.4.3 e 1.3.2) le attribuzioni di ruoli importanti a Demetrio Issione e ad Eracleone; oltre a questi due studiosi sono state chiamate in causa tre figure di grammatici databili, con qualche approssimazione e qualche incertezza, al II see. d.C. Il mal noto Pio secondo EGen s. v. ώμηρησεν (p. 316,1-2 Miller; EM 821, 55: cfr. infra 32.2.4) avrebbe scritto un commento al libro π dell’Odissea; forse egli redasse anche un’opera Προς τάς αθετήσεις Άριστάρχου (che si trat­ ti di uno scritto autonomo o meno, dell’argomento egli trattò senz’altro, come si evince dal fr. 5 Hiller = schol. A [Did.] M 173). I frammenti di Pio sono tra­ smessi in parte dal corpus degli scoli esegetici a Omero, in parte da Eustazio e dagli Etimologici: per quanto riguarda gli scoli odissiaci, si vedano gli schol. EH δ 356 e Θ372 (fr. 9 e 12 Hiller: in ambo i luoghi Pio parla di cose osservate nel corso dei suoi viaggi) e lo schol. (Porph.) HP1η 225 (fr. 10, dove difende il testo tradito contro l’intervento di Aristarco); altri frammenti di esegesi odissiaca pos­ sono essere ricavati dagli Etimologici bizantini163. 160Le due opere di contenuto omerico sono edite da A. Lentz, in Herodiani technici Reli­ quiae (Grammatici Graeci ΠΙ/2), Lipsiae 1870,22-165. Cfr. anche A.R. Dyck, Aelius Herodian: Recent Studies and Prospects for Future Research, in Aufstieg und Niedergang der Römischen Welt 11.34.1, Berlin-New York 1993, 772-794. Non ha fondamento l’idea di Laum (seguito anche da Schmidt, Erklärungen, 34-35) che vuole rintracciare scoli pre-erodianei o di altri com­ mentatori nel corpus bT. Per un esame dell’autonomia di Erodiano rispetto ad Aristarco cfr. Erbse, Beiträge, 353 e 363-370; per la dimostrazione di come sui margini del Venetus A siano finiti per interpolazione anche estratti di altre opere di Erodiano cfr. ibid. 88-92. 161Una discussione delle diverse datazioni in Schmidt, Erklärungen, 67-69. 162Schmidt, The Homer, 174-176. Su costituzione e ascendenti del corpus esegetico si veda Erbse, Beiträge, 171-173 (che pensa come Latte a commentari del I see. a.C.) e la discussione di Schmidt, Erklärungen, 39-63. Per il fatto che c (bT) si servì di tre commentari esegetici (oltre che di Porfirio, scholia D e VMK), cfr. Erbse, Beiträge, 169-171; Id., Scholia I, x l k - l i . 163 E. Hiller, Der Grammatiker Pius und die άπολογίαι πράα ràc άθετήσεις Άριστάρχου, «Philologus» 28,1869,86-115. Schmidt, Erklärungen, 19-21. Lührs, Untersuchungen, 269; 376. Dyck, The Fragments of Alexander ofCotiaeum (cit. supra nota 155), 330-331.

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Ancor meno si sa di Telefo di Pergamo, maestro dell’imperatore Lucio Vero e autore di molte opere fra cui un Περί της 'Ομήρου ρητορικής (pro­ babilmente non un commento sistematico al testo), cui in passato si volle attri­ buire una grande influenza sull’esegesi omerica successiva (Ps.-Plutarco, Por­ firio, Ermogene), almeno a livello di raccolta dei materiali: egli è citato poche volte nei nostri scoli iliadici, nessuna in quelli alV Odissea16*. Del tutto incerte infine l’epoca, l’identità e la stessa attività scientifica di Dioscuride di Tarso, distinto dall’omonimo allievo di Isocrate, e autore di un trattato Περί του των καθ’ 'Όμηρον ήρώων βίου (FGH 594 F 8), cui era stata attribuita in passato una caratura che studi recenti hanno invece ridimensionato164165. Al II see. d.C. risale con ogni probabilità un’operina di grande fortuna (finì per fungere da introduzione al testo omerico anche nelVeditio princeps dei poemi allestita dal Calcondila nel 1488, e in manoscritti dell 'Odissea come il Marc. gr. 611: cfr. infra 4.2.0 e 4.2.1.1), ossia il Περί Όμηρου dello Ps.-Plutarco. Concepita come una sorta di εισαγωγή per studenti avanzati, essa trae probabilmente origine dalla prassi scolastica dell’età imperiale, e mira non già a difendere Omero (come l’opera allegorica di Eraclito, probabilmente non di molto anteriore), bensì a documentare, in una prospettiva blandamente stoi­ ca, come Omero sia stato l’inventore e il padre di ogni scienza, di ogni filoso­ fia e di ogni virtù retorica. Lo Ps.-Plutarco prende le mosse da Omero per presentare agli allievi molti aspetti della grammatica greca (basti pensare alla lunga sezione iniziale sui dialetti), della retorica e delle sue figure, nonché della vita in generale secondo le categorie etiche e cognitive incarnate dai per­ sonaggi omerici. Egli non segue alcuna scuola filosofica nel malposto tentati­ vo di tirarlo a sé o di farne un apologeta delle proprie teorie; in questo conte­ sto, l’allegoria è vista come uno dei τρόποι a disposizione del poeta, ma certa­ mente non l’unico166. E difficile rintracciare legami diretti e organici di que­ sto scritto con l’esegesi ai poemi omerici, ma è importante rilevare da un lato che alcune osservazioni del De Homero trovano rispondenza nei nostri scoli167, dall’altro che alcuni brani di quest’opera sono stati escerpiti all’inter164 H. Schrader, Telephos der Pergamener, «Hermes» 37, 1902, 530-581, con le riserve di Wehrli, Geschichte, 5-9 e di Schmidt, Erklärungen, 48-50. 165 Schrader, Prolegomena, 373-376 ed Epilegomena, 189-192 (sul debito di Porfirio nei suoi confronti); Schmidt, Erklärungen, 17-18; cfr. ora M. Heath, Do Heroes eat Fish? Athe­ naeus on Homerie Lifestyle, in D. Braund-J. Wilkins, Athenaeus and his World, Exeter 2000, 342-352:350. 166 Lamberton, Homeric Allegory, 193-205. Ramelli, Cornuto, 73-87, anche per le implica­ zioni filosofiche del De Homero. 167per es scl10]_Y β 2 7 7 cfr. De Hom. 2, 134-136 Kindstrand; schob HMaVX o 299 cfr. De Hom. 21, 246-251; schob HXv 113 cfr. De Hom. 58, 640-645. È più naturale pensare che Plu­ tarco attinga all’esegesi preesistente piuttosto che non il contrario: cfr. Wehrli, Geschichte, 10-

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no dei nostri corpora scoliastici: per YOdissea in certi casi (penso in particola­ re al manoscritto X) sono esplicitamente insigniti della nota Πλουτάρχου. L’o­ pera di estrazione e di apposizione degli estratti pseudo-plutarchei sui margi­ ni del testo omerico risale tuttavia alla matura età bizantina, e rientra dunque fra le procedure connesse all’attività dotta del XIII secolo, come abbiamo già visto nel caso degli estratti di Eraclito168. Non s’indulgerà qui a discussioni della fortuna di Omero nella Seconda Sofistica, da Dione Crisostomo che lo loda per i suoi insegnamenti morali ma nell’orazione 11 costruisce, sulla scorta probabilmente di Zoilo e di altri obtrectatores antichi, una perfetta refutazione (ανασκευή) dell’Iliade, aggiun­ gendo anche la propria incredulità circa i racconti di Ulisse nell’altro poema (§ 34), a Elio Aristide che fa di Omero il principe dei retori, a Eliano che lo vuole sommo zoologo, a Massimo di Tiro che gli tributa un encomio solenne ma non esita a rivolgergli critiche di merito sub specie Platonica, fino a Filo­ strato che verso la metà del III secolo nel suo Eroico capovolge la solennità dell’epos diadico e accenna a sarcastiche critiche razionalistiche contro i miti dell’Odissea (si veda in specie Her. 25, dove Ulisse è definito lo “zimbello di Omero”, παίγνιον 'Ομήρου). Per tutti questi autori (con la parziale eccezione di Fdostrato, che scrive in un altro clima culturale e secondo un’altra pro­ spettiva critica) Omero è fonte di ogni παιδεία, di ogni fdosofia e di ogni reto­ rica (persino Polieno apre i suoi Strategemata riconoscendo Ulisse come pre­ cursore di ogni sapienza in campo tattico: cfr. \,prooem. 4-13), anche se i suoi miti sono trattati diversamente dai diversi scrittori (Dione per esempio non ammette l’allegoria, mentre è vero l’opposto di Aristide e soprattutto di Mas­ simo, che fonda su Omero la propria demonologia)169.Il Il e 37-38. Di recente Hillgruber, Diepseudoplutarchische, 1,38-48 (riprendendo una lunga tra­ dizione di Quellenforschung fra cui per es. Schrader, Prolegomena, 397-401), ha postulato l’uti­ lizzo da parte dello Ps.-PIutarco di un commentario allegorico di età posteriore a Posidonio; in ogni caso rinvio all’indice del commento dello studioso tedesco (II, 515-516) per l’elenco dei numerosi luoghi in cui si notano analogie o contatti con gli scoli odissiaci. 168 [Plutarchus] De Homero, ed. I.F. Kindstrand, Leipzig 1990, spec. pp. l - l i , dove però l’e­ ditore mescola i luoghi in cui l’autore del De Homero ha avuto presenti brani di esegesi antica e gli estratti penetrati sui margini dei codici di età bizantina, in particolare EX, i massimi rap­ presentanti della famiglia orientale (cfr. infra 3.5.2.1): estratti dallo Ps.-Plutarco s’incontrano in EX a ε 272, nel solo X a 1 373, τ 86, υ 351. 169J.-E Kindstrand, Homer in der zweiten Sophistik, Uppsala 1973. G. Caiazza, Un esempio di interpretazione omerica: Dione di Prusa sulla questione del muro acheo a Troia (or. XI § 76), in Ricerche su Dione di Prusa, Napoli 2001, 41-63, con bibliografia. T. Maniero, Ricerche W/Heroikos di Filostrato, Genova 1966, spec. 145-168 (ricordo qui en passant che nel XV see. un brano del capitolo 25 di Filostrato verrà copiato nel ms. Harl. 5658 dell’Odissea, cfr. infra 4.2.2.2). Buffìère, Mythes, spec. 19-20; 255-256; 347-351; 525-528. Hillgruber, Die pseudoplu­ tarchische, I, 5-35 sulla visione stoicheggiante di Omero come fonte di ogni sapienza (πολυμά-

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Tralascerò pure la discussione relative a opere perdute di età adrianea che trattavano di aspetti filosofici di Omero, come in primo luogo quella di Enomao di Gadara, forse modellata sul Buon re secondo Omero di Filodemo (Suid. 01 123), e quella di Favorino di Arles170. Analogamente, tralascerò di discorrere qui dell’importanza delle citazioni e dei prestiti da Omero nella prosa della matura età imperiale, per esempio quella di Luciano di Samosata (per il quale la parodia omerica acquista un ruolo vitale e propulsivo)171 o, nel secolo successivo, di Giuliano l’Apostata. Né interverrò sui complicati rapporti che intercorrono fra il romanzo greco e VOdissea, rapporti che solo in sporadici casi interessano questioni di esegesi antica172. Pure si accennerà soltanto al fatto che il II see. d.C. vide una grande fiori­ tura della lessicografia: è infatti in questo periodo che nascono i lessici atticisti di Elio Dionisio, Pausania e Frinico, il lessico cosiddetto Antiatticista e quelli di Polluce e di Diogeniano (il perduto Περιεργοπένητες, fonte di Esichio cfr. infra 1.7.1). In ognuno di questi lessici confluì materiale omerico, ma nessuno merita qui di essere specificamente indagato in tal senso, giacché non si può risalire per alcuno di essi alla consultazione diretta di commentari (si ricordi peraltro che la nostra conoscenza dei lessici atticisti dipende in massi­ ma parte dalle citazioni disseminate aU’interno dei commentari omerici di Eustazio). Lo stesso Diogeniano e il suo contemporaneo Zenobio composero le due raccolte paremiografiche che ci sono giunte dall’antichità: non sono rari in esse i riferimenti a miti o usi omerici, spesso confrontabili con le spie­ gazioni degli scoli ma raramente ad esse sovrapponibili173. A cavallo fra il II e il III see., infine, si colloca l’opera di Ermogene di Tarso, il massimo teorico antico della retorica, il quale non si applicò mai specificamente a Omero (da cui pure trasse moltissimi esempi), ma elaborò categorie poi largamente appli­ cate da tutta la tradizione esegetica posteriore174. θεία), una visione che tra l’altro campeggia nel commentario odissiaco h29 (POxy 3710), sul quale cfr. in fr a 2.7.2. 170J. Hammerstaedt, D e r K y n i k e r O e n o m a u s v o n G a d a r a , in A u f s t i e g u n d N ie d e r g a n g d e r K o m is c h e n W e lt II.36.4,1990, 2834-2865: 2851-2852. Favorino di Arelate, O p e r e , ed. A. Bari­ gazzi, Firenze 1966, 1 6 9 -1 7 0 . 171O. Bouquiaux-Simon, L e s le c tu r e s h o m é r i q u e s d e L u c i e n , Bruxelles 1968. A. Camerotto, L e m e ta m o r f o s i d e lla p a r o la , Roma 1998. Si ricordi anche la ridicolizzazione dell’immagine eroica di Ulisse fornita da Cinici e Stoici: Pépin, M y t h e , 144-145. 172L’unico caso esplicito a me noto è quello dello schol. V λ 613 sul τελαμών di Eracle in cui l’artefice aveva riposto l’intera sua arte, scolio che viene citato a d v e r b u m a proposito della ζώνη di Cariclea in Hld. A e t h . 3, 4: ma forse ricerche più approfondite potrebbero riservare altre sorprese. 173 Molteplici invece i contatti con gli scoli a Platone e ad altri poeti attici: cfr. per es. K. Rupprecht, in R E XVIII/2,1755-1763. 174G. Lindberg, S t u d ie s i n H e r m o g e n e s a n d E u s t a th i o s , Lund 1977. G.L. Kustas, S t u d ie s in B y z a n ti n e R h e to r ic , Thessaloniki 1973. Browning, T h e B y z a n ti n e s , 135-136.

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Contatti e interscam bi fra Erm ogene e gli scoli all 'Odissea son o sporadici, e ta lo ­ ra potrebbero essere secondari175: per es. H erm og. meth. 423, 14 - 424, 2 ειιΙΓέπανάληψ ις in principio di verso ha riscontro nello schol. D -E 2 a 22, che potrebbe p ro­ prio essere una noterella bizantina fondata sulla classificazione erm ogeniana (nel codice Y il passo del retore è addirittura trascritto per intero ad loc.). D iscorso ana­ logo vale p er H erm og. meth. 416, 14-17 (cfr. schol. B e spec. X s x 205) sul parago­ n e fra le lacrim e e la neve ch e si scioglie176, nonché per l ’esplicito rinvio all’opera del ρήτωρ nello schol. EFX s ε 294 (citato infra 3.3.4.2). D iversam ente, si potrebbe postulare dipendenza di E rm ogene dagli scoli om erici in inv. 201, 19 sul σεμνόν del poeta che tace i dettagli della σ υ νο υ σ ία e della gravidanza (cfr. schol. M a λ 2 4 5 )177 e in id. 371, 17-23 sulla capacità di O m ero di adeguare l ’allocuzione al parlante nel caso dei Feaci (cfr. schol. H e V i 5-6; sul problem a già supra 1.3.2 e 1.5.2). N ella tradizione retorica m olti altri scritti presentano contatti con gli scoli odissiaci: per avere un’idea d ell’estensione del debito di queste opere nei confronti della critica om erica, si vedano alm eno i testi dotati di edizione m oderna (m olti altri, non m eno significativi, giacciono nei Rhetores Graeci dello Spengel): il Περί σχημάτων di Lesbonatte, che attinge a piene mani ai commentari omerici di età imperiale1'8179, e l ’o­ m ologo trattato pseudo-erodianeo De figuris119.

In limine, non si può non lamentare la mancanza di uno studio che inda­ ghi organicamente la ricezione omerica nei Δειπνοσοφισταί di Ateneo di Naucrati, un’opera cui dobbiamo numerose discussioni di passi dei poemi e una miriade di notizie circa le loro interpretazioni nell’antichità, che in vari casi sopperiscono alla carenza dei nostri corpora scoliastici: la recente tradu­ zione annotata dell’opera, dotata di ricchi indici, potrà costituire una buona base di partenza180. Ricordo qui a titolo d’esempio, oltre alla parte iniziale 175Indagini condotte suUllliade hanno mostrato che spesso la terminologia degli scoli non è necessariamente debitrice a quella ermogeniana, ma che può essere vero il contrario, cioè che Ermogene abbia attinto e rielaborato tradizione esegetica preesistente di età imperiale: Schmidt, Erklärungen, 43-45. 176 Lo schol. Xs (inedito) recita: δρα την επιμονήν eie το τήκεται, ήν επιμονήν λόγου παραδειγματίζει ό Έρμογένης έν τώ μεθόδου δεινότητος. 177 Lo scolio inedito recita: τούτο σεμνότης· ή τά προ του πράγματος λέγει, το αισχρόν πράγμα έά, ή τά προ του πράγματος μετά το πράγμα λέγει, το δέ (δε τό ms.) πράγμα ομοίως ε φ ή εξει σεμνοτάτη κοσμεί τό αισχρόν ώς ό Ξενοφών “έγνω αυτήν” αντί τού έμίγη. και "Ομηρος ενταύθα τό προ του πράγματος λέγων καί τό μετά τό πράγμα αύτό τό αισχρόν έά. 178Lesbonax, Π ερ ί σ χ η μ ά τ ω ν , ed. D.L. Blank, SGLG 7, Berlin-New York 1988, 129-216. Una lista dei contatti con scoli omerici si ha ancora in R. Müller, Λ ε σ β ώ ν α κ τ ο ς π ε ρ ί σ χ η μ ά τ ω ν , Leipzig 1900, 93-100. Fondamentali rimangono le osservazioni di H. Schrader, Σ χ ή μ α und Τ ρ ό ­ π ο ς in den Homerscholien, «Hermes» 39, 1904,563-603. 179Ps.-Herodian, De figuris, hrsg. von K. Hajdù, SGLG 8, Berlin-New York 1998. Si veda­ no in specie 9, 44-49 Hajdù (cfr. schol. Η κ 113); 54 sullo schema alcmanico (cfr. schol. H e HV κ 513); 55 (cfr. schol. V μ 92); 66 (cfr. schol. V τ 246). 180 Ateneo di Naucrati, I deipnosofisti, I-IV, Roma 2001. Cfr. Heath, Do Heroes eat Fish? (cit. supra nota 165).

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del libro I dedicata a un’ampia discussione delle usanze degli eroi omerici, che si presta a vari confronti con la tradizione esegetica antica, anche la lunga sezione sull’etichetta dei banchetti omerici in 5, 186d-182a e 190a193c, dove si segnalano le discussioni di 6 43-48, di a 152, della paternità aristarchea di 6 15-19 (un dibattito sul quale ci informa anche lo schol. M^T 6 17), e del φιλάδελφον ήθος di Menelao in δ 97 segg. (cfr. almeno gli schol. HMa δ 91, 93, 111 etc.); Athen. 6, 228d è poi la nostra unica fonte in meri­ to ai dubbi di Aristofane di Bisanzio (p. 202 Slater) circa l’uso dei πίνακες come piatti in π 49. 1.6. D al III

al

V

sec.:

O mero

mistico

1.6.1 II Cristianesimo. L’esaurirsi della spinta propulsiva della filologia omerica nel II sec., il prevalere degli interessi atticistici e retorici sull’indagine erudita e critico­ filologica, e la contemporanea decadenza dell’impero romano che, soprat­ tutto sul piano culturale, si disgrega in una molteplicità di centri e di scuo­ le prima dell’affermarsi della nuova capitale d’Oriente: tutti questi fattori inducono a considerare a parte l’esperienza di due grandi studiosi, Porfirio e Proclo, che ebbero influenza decisiva su certi aspetti dell’esegesi in età tardoantica. A questo discorso va però premesso un cenno sulla resistenza e sulla sopravvivenza della letteratura antica, e in modo particolare dei poemi ome­ rici, nel quadro della progressiva affermazione della religione cristiana. Per far ciò, basterà qui richiamare - a contrasto delle critiche anche aspre proprie dei primi due secoli dell’àpologìà (si ricordino Minucio Felice e Tertulliano, ma anche io stesso Clem. Alex. Protr. 59, 1-2 sugli amori di Ares e Afrodite nelYOdissea) - da un lato la continuità delle testimonianze dell’uso scolastico di Omero come base per l’apprendimento del greco letterario (si veda anche solo in fr a il cap. 2 con i papiri), dall’altro le ripetute affermazioni dei padri della Chiesa d’Oriente (molti dei quali essi stessi allievi di maestri pagani, come Imerio o Libanio) circa la necessità di accettare e anzi di sussumere nel­ l’educazione dei giovani la letteratura classica, e in modo particolare Omero. Tra questi segnali si distinguono in particolare le lodi “etiche” del Προτρεπτι­ κός di Basilio di Cesarea (dove per es. in 5, 28-42 si cita come esemplare il rispetto di Odisseo per Nausicaa, e come esortazione alla virtù l’intero episo­ dio dei Feaci), le aperture di Giustino nei confronti della rappresentazione dell’aldilà nella Νέκυια delV O d is s e a , ma anche, nell·Alessandria del III e IV sec., le concessioni di Didimo Cieco alla retorica e alla filosofia antiche, l’a­ dozione del sistema dei segni critici e di certi approcci metodologici tipica­ mente alessandrini da parte di Origene, la precoce interpretazione allegorica

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dei poemi, apertamente approvata ancora in pieno V secolo da Cirillo, adv. fu i l,3ó-371Si. Un capitolo a parte meriterebbero poi le pretese di sincretismo fra la Bib­ bia e l'Odissea propugnate da certi settori della Gnosi (si veda in particolare il discorso dei Naasseni in Hippol. refut. 5, 7, 30-48 su Hermes psicopompo e il demiurgo Esaldaios; ibid. 6,15-16 sul valore del μώλυ in relazione ai pote­ ri di Mosè secondo Simon Mago; il richiamo ad a 48-50 e 55-59 nell'Esegesi sull’anima di Nag Hammadi182). Allegorizzazioni e letture cristianizzate dei miti omerici, e in specie di quelli odissiaci, si diffondono ben presto, ed è così che per esempio, tramite rielaborazioni di suggestioni neoplatoniche, l’albero della nave di Ulisse nell’episodio delle Sirene viene letto come figura del legno della Croce di Cristo (Hippol. refut. 7,13, 2-3; Ambr. in Lue. 4 ,2-3 e soprat­ tutto Max. Taurin, serm. 37, 1-2)183. Del resto, è documentato come l’esegesi allegorica di Omero fosse già stata alla base della lettura della Bibbia da parte di importanti settori della cultura giudaico-ellenistica, a cominciare, due seco­ li addietro, da Filone di Alessandria (in cui pure la figura di Ulisse è tenden­ zialmente assente)184. 181 G. Glockmann, Homer in der frühchristlichen Literatur bis Justinus, Berlin 1968. G. d’Ippolito, Ulisse nella letteratura cristiana antica, in S. Nicosia (a c. di), Ulisse nel tempo (atti conv. Palermo 2000), Venezia 2003,195-210. Si veda anche Ps. Iust. coh. ad Graecos 28 per l’ar­ gomentazione della dipendenza di Omero (ritenuto esponente della cultura egizia) da Mosè, e in particolare per Yinterpretatio cristiana (oltre che di δ 227-230 e λ 576-578) del giardino di Alcinoo in η 114-126 come paradiso; anche Clem. Alex. Strom. 5, 107, 3 e 116, 1 offre inter­ pretazioni cristianizzate di ε 262 e i 410-411 e 275; ma gli esempi potrebbero essere facilmen­ te moltiplicati. Su Origene e i suoi debiti verso l’esegesi omerica si vedano in specie B. Neu­ schäfer, Origenes als Philologe, Basel 1987 e da ultimo la precisa analisi di G. Bendinelli, Il com­ mentario a Matteo di Origene, Roma 1997, dove s’insiste in modo particolare sul reimpiego delle procedure critiche e critico-testuali tipiche dell’esegesi omerica, nonché sull’uso della quaestio di tipo porfiriano. Su Cirillo, infine, GJ.M. Bartelink, Homer bei Kyrillos von Alexan­ drien, «Wiener Studien» N. F. 17, 1983, 62-68; e si veda infra in 3.4.2.2 lo scolio di sapore cirilliano ad a 33 penetrato nel codice H. 182 Pépin, The Platonic (cit. supra nota 15), 17-18. B. Pouderon, Hélène et Ulysse comme deux ames en peine: une symbolique gnostique, platonicienne ou orphico-pythagoricienne?, in «Revue des Études Grecques» 116,2003,132-151. 183 H. Rahner, Miti greci nell’interpretazione cristiana, Bologna 1971 (ed. tedesca Griechi­ sche Mythen in christlicher Deutung, Zürich 1945), spec. 205-247 (sul μώλυ) e 357-417 sull’epi­ sodio delle Sirene, per la cui fortuna cristiana si ricordi anche Yindpit del De libero arbitrio di Metodio, nonché Clem. Alex. Strom. 6, 11, 89. Pépin, The Platonic (cit. supra nota 15), 9-14 e spec. 14-17 per il debito di Clemente Alessandrino e altri nei confronti della tradizione neo­ platonica; sull’allegoria in Clemente anche Dawson, Allegorical Readers, 183-234. Glockmann, Homer (cit. nota 181), 32-34. 184Cfr. supra 1.5.1. Siegert, Early Jewish, 130-143. Procopé, Greek Philosophy, spec. 462476. Pouderon, Hélène et Ulysse (cit. nota 182), 140. M. Simonetti, Lettera e/o allegoria, Roma 1985,10-19.

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Episodi come l’introduzione nel curriculum cristiano di opere nuove come le parafrasi poetiche delle Sacre Scritture attribuite ad Apollinare di Laodicea (Socr. hist. eccl. 3, 16), sono forse mistificazioni frutto di propaganda, o - se veritieri - rimasero confinati nel tempo e nello spazio, e si comprendono come reazione al famigerato e forse sopravvalutato divieto di studiare la letteratura antica imposto ai Cristiani da Giuliano l’Apostata nel 362; del resto, secondo una nota orazione di Temistio {or. 4, 60c; anno 357 d.C.) fu proprio un impe­ ratore cristiano come Costanzo II a organizzare la biblioteca di Costantino­ poli in modo da preservare i capolavori della letteratura classica in pericolo, fra cui vengono annoverati anche gli Όμηρου ύποφήται και νεωκόροι, ossia gli “interpreti” e i “sacerdoti” (“ministri”, “imitatori”) di Omero185. 1.6.2 Atene e Roma: Porfirio e la tradizione neoplatonica. Il III see. d.C. è segnato, per quanto riguarda la critica omerica, dalla per­ sonalità del filosofo Porfirio di Tiro, attivo ad Atene dove fu allievo del reto­ re Cassio Longino (anch’egli cultore di critica omerica come si evince dalle citazioni di Eustazio e degli epimerismi: frr. 16-19 M.-R., gli ultimi due su passi odissiaci)186, poi soprattutto a Roma nella seconda metà del secolo. Por­ firio scrisse in quest’ambito due importantissime opere, pervenute a noi in misura diseguale187: - la prima, redatta in gioventù e frutto - secondo l’epistola dedicatoria delle conversazioni dell’autore con il discepolo Anatolio, si intitolava 'Ομηρι­ κά Ζητήματα e si inseriva nella tradizione dei “problemi omerici” affrontan­ do, senza un ordine preciso, una serie di questioni poste dal testo di Iliade e Odissea, dalle più minute alle più complesse. Fondato ovviamente su premes­ se aristoteliche, e nato dalla lettura diretta dell’omologa opera dello Stagirita (oltre che delle opere zetematiche di Antistene ed Eraclide Pontico, e di molti trattati appartenenti alla filologia alessandrina), questo scritto si propone di 185

Wilson, S c h o la r s , 8 - 1 2 e 18-27 (ma sulla questione di Apollinare cfr. P. Speck, A m o r e «Klio» 68, 1986, 615-625: 617-619). Lemerle, H u m a n i s m e , 43-73. Cavallo, C o n s e r v a z io n e e p e r d ita , 57-60 e 75-78. Pontani, F ilo lo g ia , 307-312 e 336-337. L. Canfora, L e c o lle z io n i s u p e r s titi, in L o s p a z io le tte r a r io d e lla G r e c ia a n tic a , II, Roma 1995, 95-250: 100-101. Sui Cristiani in generale N.G. Wilson, T r a d iz io n e c la ssic a e a u t o r i c r i s t ia n i n e l I V - V s e c o lo , «Civiltà classica e cristiana» 6, 1985, 137-153; Cavallo, C o n s e r v a z i o n e e p e r d ita , 82-84. I. Sevcenko, A S h a d o w O u t l i n e o f V ir tu e , in K. Weitzmann (ed.), A g e o f S p i r i tu a l i ty : a S y m p o s i u m , New York 1980,53-73 (repr. in Id., I d e o lo g y , L e t t e r s a n d C u l tu r e i n t h e B y z a n t i n e W o r ld , Lon­ don 1982). Vasilikopoulou-Ioannidou, ’Α ν α γ έ ν ν η σ ι ς , 37-40. 1861. Männlein-Robert, L o n g i n P h ilo lo g e u n d P h ilo s o p h , München-Leipzig 2001, 292-307. Longino fu autore di una perduta opera lessicografica Περί των παρ’ Όμηρω πολλά σημαιc h a r ita b le v e r d ic t,

νουσών λέξεων.

187 μάτων,

Contro l’esistenza di una terza opera, il Περί των παραλελειμμένων τφ ποιητή ονο­ cfr. Erbse, B e itr ä g e , 74-76.

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“chiarire Omero con Omero”, e affronta tendenzialmente solo le quaestiones che implicano il confronto di passi omerici apparentemente incongruenti o comunque di controversa interpretazione, non quelle fini a se stesse o prive di riscontro nel testo. La grande importanza dell’opera non consiste solo nella riproposizione e nella soluzione di problemi che avevano assillato gli inter­ preti omerici per generazioni, quanto nella raccolta ragionata e accurata di infiniti materiali di esegesi omerica antica188. Degli 'Ομηρικά ζητήματα ci sono pervenuti l’intero primo libro in tradizione diretta (nel solo codice Vat. gr. 305, sul quale cfr. anche infra 3.4.1), e soprattutto larghi estratti di tutti i libri (compreso il primo) apposti come scoli marginali ai luoghi del testo ome­ rico di cui via via trattavano (o, in misura minore, escerpiti da Eustazio): biso­ gna però guardarsi dal presupporre che ogni scolio in forma di domanda e risposta sia porfiriano189. Là dove è possibile il confronto fra il testo del Vati­ cano e quello degli scoli omerici, si ravvisa una tale discrepanza da rendere praticamente certa l’esistenza di una speciale redazione tarda dell’opera (nominata χ, e affatto indipendente dall’opera originaria come nota dal Vati­ cano) in cui il materiale dell’opera era selezionato e ordinato secondo i passi omerici; a questa redazione, oggi perduta, attinsero probabilmente in età bizantina i compilatori che riversarono gli excerpta sui margini dei codici di Iliade e Odissea, anche se tutti gli indizi sembrano parlare contro l’idea che gli estratti porfiriani al secondo poema derivino dallo stesso archetipo di quelli al primo (*β di Sodano); peraltro le dinamiche della tradizione manoscritta di questi scoli sono state indagate a fondo per l’Iliade, mentre nel caso dell’O­ dissea la situazione è più fluida, cfr. infra 6.5190; 188Cfr. Erbse, Beiträge, 59-77 e spec. 40-59 per la discussione dei commentari antichi cita­ ti da Porfirio; sulle fonti degli scoli porfiriani alYOdissea cfr. anche l’ampia analisi (peraltro non scevra di forzature) di Schrader, Epilegomena, 167-200. Per la descrizione degli sviluppi della letteratura zetematica dall’età aristotelica a Porfirio (nomi di λυτικοί come Sosibio, Soterida, Satiro Zeta; per Zenodoto di Alessandria, cui forse va ricondotto anche il Περί της ‘Ομηρικής συνήθειας attribuito da uno scolio a uno Zenodoro, cfr. K. Nickau, in RE IX/2 A, 20-22; Erbse, Beiträge, 57-58), rimando al panorama di Schrader, Prolegomena, 369-376. Deduzioni interes­ santi sulla fortuna del genere si possono trarre da una lettura mirata delle opere di autori come Plutarco, Ateneo, Favorino. 189 Questo è forse il limite maggiore dell’edizione di Hermann Schrader, che per VIliade operò con rigida coerenza sul materiale scoliastico del vetusto codice B/*B, per YOdissea dove i manoscritti davano una base più scivolosa - volle riconoscere in troppi scoli meri sunti di questioni porfiriane (anziché, in certi casi, brani di esegesi parallela o anteriore), e troppo spesso spostò scoli da una parte all’altra del poema al solo fine di ricostruire ipotetici assetti ori­ ginari di questioni perdute: cfr. Erbse, Beiträge, 17-77 e Schmidt, Erklärungen, 65-66. Per 1Όdissea segnalo che in tutto solo 40 scoli (per lo più nei codici DEX) sono insigniti della sigla Πορφυρίου (Schrader, Epilegomena, 139-140). 190Le edizioni: Porphyrii Quaestionum Homericarum liber I, a c. di A.R. Sodano, Napoli 1970 (trad. ital. - secondo la recensione Vaticana - di A. R. Sodano in Porfirio, Questioni ome-

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- l’altra opera omerica di Porfirio, sicuramente più tarda e conservata dal citato Vat. gr, 305 e dal Marc. gr. IX, 4 (il nostro N delVOdissea: in questo codi­ ce essa è distribuita sui margini del testo omerico a partire dal brano interessa­ to, cfr. infra 3.5.2.41, è il περί του έν Όδυσσεία των Νυμφών άντρου, in cui l’autore fornisce un’ardita interpretazione allegorica di v 102-112 in senso cosmologico e spirituale. Tale lettura presenta stretti legami con la filosofia medioplatonica e neopitagorica del II see. d.C. (in particolare con le dottrine di Numenio, esplicitamente citato come fonte nel trattato; ma sono stati chiamati a confronto anche autori come Filone, Clemente e Origene), e non vi è dubbio che l’interesse precipuo di Porfirio sia rivolto alla ricerca della verità cosmica nascosta in Omero più che allo studio del testo in quanto tale. L’opera si inseri­ sce in una visione dell’allegoria che non scavalca il testo ma solo legge in esso una verità ultima che esso in potenza contiene, e - cosa mai sperimentata prima d’ora, né da Metrodoro né dagli Stoici o da Cratete - interpreta l’intero conte­ sto òA f Odissea come una coerente allegoria del viaggio dell’anima attraverso il regno della materia e le sue insidie per tornare alla sua casa celeste191. La lettura porfiriana dell’Antro delle Ninfe ebbe l’importante funzione di raccogliere gli stimoli del Neoplatonismo di età imperiale e di applicarli a Omero, che era un poeta, e dunque per definizione non un oggetto di studio per i filosofi platonici e neoplatonici: la riconciliazione di Omero e Platone fu un processo lento, avviato da Numenio, e solo parzialmente compiuto per lo stesso Plotino, ma non vi è dubbio che molte ερμηνέίαι allegoriche di Porfi­ rio e dei suoi successori (nonché, come abbiamo visto supra in 1.6.1, alcune suggestioni degli interpreti cristiani) affondano le radici proprio nel medio­ platonismo e nel neoplatonismo della prima età imperiale192. riche. Portici 1973); Porphyrii Quaestionum Homericarum ad Iliadem pertinentium reliquias ed. H. Schrader, Lipsiae 1880 (che però contamina arbitrariamente il testo della recensione χ e quello del Vaticano); Porphyrii Quaestionum Homericarum ad Odysseam pertinentium reliquias ed. H. Schrader, Lipsiae 1890. Sui rari estratti porfiriani che si trovano in A e in bT cfr. Erbse, Beiträge, 29 nota 3 e 92-98. 191 Porfirio, L’antro delle Ninfe, a c. di L. Simonini, Milano 1986 (testo greco e comm.). Porphyry On the Cave o f the Nymphs, ed. R. Lamberton, Barrytown N.Y. 1983. J. Pépin, Porphy­ re, exégète d’Homère, in Porphyre (Entretiens Hardt XII), Vandoeuvres-Genève 1965,231-266. 192All’esame della complessa tipologia allegorica “dieretica” tipica dei Neoplatonici è dedi­ cato Bernard, Spätantike. Più generali Pépin, Mythe, 190-214 e Id., The Platonic (cit. supra nota 15), 5-9. Si veda in particolare l’idealizzazione del viaggio di Ulisse come viaggio dell’uomo verso il proprio luogo naturale in Plot. enn. 1, 6, 8, ma già in Numenio (frr. 30-35 des Places, molto attenti ai problemi di geografia omerica, nel senso dell’identificazione delle porte del Sole in ω 12 come i tropici del Cancro e del Capricorno), nonché l’uso di esempi odissiaci per l’illustrazione metaforica di certi percorsi terreni e ultraterreni delTanima: P. Courceìle, Quel­ ques symholes funéraires du néo-platonisme latin. Le vole de Dèdale - Ulysse et les Sirènes, «Revue des études anciennes» 46, 1944, 73-91; Buffière, Mythes, 414-417; Procopé, Greek Phi­ losophy, 472-473; Pouderon, Hélène et Ulysse (cit. supra nota 182), spec. 141-142.

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M entre delle Questioni omeriche abbiamo visto l ’ampia diffusione manoscritta negli scoli omerici, di tutto il materiale interpretativo prodotto dal M edio e N eo p la ­ tonism o quasi nulla è penetrato nei nostri corpora scoliastici, se si eccettua il caso già citato delYAntrum Nympharum conservato sui margini del Marc. gr. IX , 4, e il caso dello schol. B v 103, che fornisce solo un maldestro riassuntino d ell’opuscolo porfiriano, e che in passato alcuni hanno invece considerato alla stregua di fonte primaria di una perduta esegesi m edioplatonica193.

Molti anni dopo, lo stesso Proclo, il sommo neoplatonico attivo ad Atene alla metà del V see. (412-485) e autore secondo Suid. π 2473 di un υπόμνη­ μα eie δλον τον 'Όμηρον (fu del resto allievo di Siriano di Alessandria, auto­ re anch’egli di un perduto commento a Omero in sette libri), integrò nei suo commento alla Repubblica di Platone un’appassionata difesa di Omero dagli attacchi di Socrate; Proclo fece di Omero un vero e proprio “teologo”, com­ binando l’esegesi fisica di origine stoica e quella “demonologica” di Plutarco e della tradizione neoplatonica in una sintesi originale che contribuì in maniera decisiva all’affermazione di un tipo di allegoria più complessa di quella stoica e alla costruzione dell’immagine del poeta destinata a prevalere nella tarda antichità e nelPOccidente latino. Per questo Proclo, uno degli ultimi grandi dotti dell’evo antico e uno dei filosofi più “omerici” di sempre, merita un posto di riguardo nella storia della ricezione dei poemi, sebbene nei nostri scoli non siano rimaste tracce evidenti delle sue esegesi a singoli passi194. Forse risentì ancora dell’influsso neoplatonico l’ultima allegorista omerica del mondo antico, la mal nota Demo (IV ο V see. d.C.), citata da Eustazio e da Tzetze e più volte negli scoli alYlliade: a lei sono state attribuite in passato alcune spiegazioni delVIUade di natura eminenemente astronomica e astrolo­ gica, talora notevoli per coerenza e raffinatezza: per Demo, forse una cristia­ na (si veda il suo riferimento alla δόξα των Ελλήνων a p. 4,2 Ludwich), Oto ed Efialte (che Psello vedrà come simboli di due diversi tipi di λόγος) erano degli astronomi, Io scudo di Achille rappresentava un’immagine del cosmo 193Cfr. R. Lamberton, Homer the Theologian, Berkeley-Los Angeles-London 1986,320-324 (contro Buffière, Mythes, 449-453). Sul carattere degli scoli del codice B, e sull’imprecisione dello scriba (che a mio avviso potrebbe tranquillamente aver scambiato per errore meccanico i termini έξοδος e είσοδος) cfr. infra 3.5.2.3. 194 Lamberton, Homer the Theologian feit, nota prec.). R. Lamberton, The Neoplatonists and the Spiritualization of Homer, in Lamberton-Keaney, Homer’s Ancient Readers, 115-133. Bernard, Spätantike, 22-182. H. Dörrie - M. Baltes, Oer Platonismus in der Antike, III, Stutt­ gart-Bad Cannstatt 1993, 253-255. Buffière, Mythes, 393-589. Quasi certamente non risale al Proclo neoplatonico la Χρηστομάθεια γραμματική di cui possediamo un’epitome nel codice 239 della Biblioteca di Fozio, e nella quale si trattavano diverse questioni di letteratura, fra le quali in primo luogo alcune relative a materia e forma dei poemi del Ciclo epico: cfr. A. Severyns, Recherches sur la Chrestomathie de Proclus, I-IV, Liege 1938-1963.

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con i quattro elementi al suo interno, e gli amori di Ares e Afrodite simboleg­ giavano in realtà eventi celesti: ma molte di queste allegorie erano in realtà ben più antiche di lei195. 1.7. I l V

e il

VI

sec .: l’età dei compendi nel

M editerraneo

1.7.1 Parafrasi, lessici, com pilazioni.

Dall’età di Proclo al IX secolo d.C. non abbiamo praticamente più noti­ zie certe di attività esegetica primaria su Omero. Negli ultimi due secoli della tarda antichità l’opera di autori όμηρικώτατοι come Nonno di Panopoli (autore a un tempo delle Dionisiache e della Parafrasi del Vangelo di San Giovanni) o l’imperatrice Eudocia (autrice delle parafrasi evangeliche in salsa omerica note come Όμηρόκεντρα), o il più modesto Dioscoro di Afro­ dito, attestano la compresenza della cultura cristiana e di quella pagana, e in specie di quella omerica, all’interno degli stessi milieux e talora delle stes­ se personalità196197;né si dimenticheranno le dense pagine omeriche, indebi­ tate a Ditti, della Cronografia di Giovanni Maiala (cfr. supra 1.5.3, con l’ag­ giunta della «byzantinische Odysseuslegende» contenuta nel codice P dell ’Odissea, cfr. infra 3.4.2.2), o la redazione - probabilmente sulla base di materiali greci più antichi - dell’operetta latina De excidio Troiae historia attribuita dalla tradizione a Darete Frigio e di notevole influenza per l’immagine di Omero nei secoli a venire397. Ma niente di tutto questo ci porta attestazioni di una specifica opera di interpretazione del testo omerico, né del resto, se eccettuiamo il già citato caso di Proclo e quello più incerto di Procopio di Gaza, le scuole della tarda antichità (Antiochia, Berito, Gaza, Atene, Alessandria [dove peraltro, secondo una dubbia notizia di Suid. co 159, Orapollo avrebbe scritto commentari είς 'Όμηρον]; quella che tra IV e V sec. si stabilisce a Costantinopoli attorno alla Biblioteca imperiale) sem195 A. Ludwich, Allegoriae Homericae ex codice Vindobonensi primum editae, Regimontü 1895 («Index lectionum Acad. Alb. Regim. 1895.1), trae le allegorie dal Vind. phil. gr. 49 (sul quale cfr. infra 3.4.2.1). Cfr. anche Id., Die Homerdeuterin Demo, in Festschrift L. Friedländer, Leipzig 1895, 296-321 (ma contro di lui Wehrli, Geschichte, 44). K. Reinhardt, De Graecorum theologia capita duo, Berlin 1910. Hunger, Allegorische, 43-44. Browning, Homer, 22. m Patricius, Eudocie, Optimus, Còme de Jérusalem, Centons homériques, ed. A.-L. Rey, Paris 1998. Per il genere centonario Hunger, Die hochsprachliche, II, 98-100; per il quadro sto­ rico A. Cameron, The Empress and the poet: paganism and politics at the court of Theodosius II, «Yale Classical Studies» 27, 1982, 217-289. J.-L. Fournet, Hellénisme dans l’Égypte du VIe sie­ de. La bibliothèque et l’oeuvre de Dioscore d’Aphrodité, Le Caire 1999, spec. 673-675 (il caso di Dioscoro è davvero speciale in quanto possiamo saggiare la sua cultura omerica anche tramite i suoi papiri déìTlliade e degli scoli, cfr. infra 2.5). 197 Ed. F. Meister, Leipzig 1873. A. Beschornet, Untersuchungen zu “Dares Phrygius”, Tübingen 1992.

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brano aver dedicato un’attenzione istituzionale e programmatica all’esegesi omerica198. Alla scuola di retorica di Gaza, fiorita a cavallo fra V e VI see., si ricon­ duce l’attività di Procopio di Gaza, autore di una parafrasi delVIliade εις ποικίλας λόγων Ιδέας (così la definisce Phot. bibl. 160, 103a8) certamente mirata all’insegnamento retorico199. A proposito di parafrasi, colloco qui per mera comodità espositiva la menzione del misterioso Demostene Trace (Suid. 5 457), autore in età incerta di una versione in prosa delXOdissea (μεταβολαι Όδυσσείας) attenta agli artifici retorici e stilistici, ma non scevra di interpretazioni originali (si veda Cariddi come marea nel fr. 20 Gehrmann = Eust. in Od. 1716,45, o l’elegante silenzio sull’incesto tra i figli di Eolo nel fr. 14 = Eust. in Od. 1645, 22), citata più volte da Eustazio nel suo commen­ tario (in in Od. 1833,50 Eustazio parla di Demostene come καλλιρρημονών πεζολογικώς): se egli abbia parafrasato anche l’Iliade, come si evincerebbe dalla menzione di una μετάφρασις Ίλιάδος πεζω λόγω in Suid. δ 457, e quando mai egli sia vissuto, sono questioni allo stato indecidibili200. L’importanza di questi secoli per la tradizione della critica omerica risiede altrove: in quest’epoca furono infatti allestite una serie di opere di compila­ zione che attinsero ampiamente ai commentari a Iliade e Odissea. La prima 198Wilson, Scholars, 28-60. Cavallo, Conservazione e perdita, 60-75. Per il ruolo sempre più centrale di Costantinopoli fra tarda antichità e prima età bizantina Lemerle, Humanisme, 6068; A. Kazhdan, ha produzione intellettuale a Bisanzio, Napoli 1983, 58 e 68-70; Pontani, Filo­ logia, 312-318 (dove si sottolineano la scarsità e l’ambiguità delle fonti relative alla βασιλική βιβλιοθήκη e alle altre biblioteche del mondo bizantino). A. Tuilier, Recherches critiques sur la tradition du texte d’Euripide, 91-127. 199 A. Brinkmann, Die Homer-Paraphrasen des Prokoptos von Gaza, «Rheinisches Museum» 63,1908, 618-623. Wilson, Scholars, 31-32. Procopio era lettore anche dell'Odissea·, per es. nelYepist. 80, 10 Garzya-Loenertz egli sostiene di imitare Ulisse nel dimenticare tutto in nome di un’isola piccola e oscura (cfr. a 57-59). 200L. Cohn, RE ,V/1,189. B. Gehrmann, Demosthenis Thracis Μεταβολών Όδυσσείαςfrag­ menta, diss. Regimonti 1890. Suid. τ 957 attribuisce al sommo giurista Triboniano (che non va distinto da quello di cui il lessico tratta in τ 956) una μετάφρασις του 'Ομηρικού των νεών καταλόγου; il fetore Sopatro non esitò a proporre ben 72 variazioni retoriche di un passo ome­ rico, P 629-642 (S. Glöckner, Aus Sopatros Μεταποιήσεις, «Rheinisches Museum» 65, 1910, 504-514); e non si dimentichi che nel IX see. Cherobosco (περί τρόπων, III, 251, 20-24 Spengel) conosce una parafrasi dell'Iliade diversa da tutte quelle giunte fino a noi (l’incipit era infat­ ti τήν οργήν είπε ώ Μοΰσα; cfr. infra 3.3.1). Sul fiorire dell’attività parafrastica dall’età classi­ ca a quella imperiale cfr. Ludwich, A H T II, 486-490; Henrichs, Scholia minora 1 , 101 nota 14; Irigoin, Histoire, 104-105; Cribiore, Writing, 51-52; Montanari, SFOA II, 59-68 e 80-82; Spoo­ ner, Nine, 23-24; per un’importante parafrasi “grammaticale” su papiro (PSI 12, 1276, proba­ bilmente la più antica) cfr. V. Bartoletti, Papiri ineditifiorentini, «Aegyptus» 19, 1939, 177-192: 177-186; per una tavoletta con un’interessante parafrasi “retorica” (Bodl. Gr. Inscr. 3019) cfr. P.J. Parsons, A School-Book from the Sayce Collection, «Zeitschrift für Papyrologie und Epi­ graphik» 6, 1980, 133-149: 135-141; cfr. anche infra 2.2.

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che si vuole citare qui è quella di Oro di Alessandria, grammatico attivo a Costantinopoli nella prima metà del V see., autore di un’autonoma, perduta Ίλιακή προσφδία, ma soprattutto di una serie di opere grammaticali genera­ li note frammentariamente, fra le quali si segnalano un’’Ορθογραφία e un trat­ tato relativo alle parole di diverso significato (περί πολυσήμαντων λέξεων): nella prima di queste due opere egli escerpì alcuni scoli omerici, in primo luogo erodianei201. 1 risultati dell’indagine di Erbse sulle fonti scoliastìche di Oro sono così magri da sconsigliare u n ’analoga intrapresa in questa sede: è probabile che se n e caverebbe ancor m eno profitto che per gli scoli iliadici. D ue casi a prima vista interessanti sono i seguen­ ti: EG en s. v. περισκέπτφ ένί χώ ρφ (EM 664, 51), che cita D idim o έν ύπομνήματι ξ ’Ο δύσσειας, ma dichiara egli stesso la sua fonte soggiungendo: ούτω ς εύρον έγώ είς τον 7Ωρον: nulla è comunque rimasto tra gli scoli a ξ 6. D a O ro deriva dichiaratamente anche EG en s. v. Σκύρος (EM 720, 26) che cita un’intera frase attribuendola ancora a Δίδυμος έν ύπομνήματι ξ Ό δ υ σ σ εία ς (forse invece λ 509?). Q uesti due casi indicano che dai frammenti di Oro si possono ricavare brani di esegesi odissiaca perduta, ma non testi da poter confrontare filologicamente gli scoli dei nostri corpora medievali.

Coevo a Oro è Teodosio di Alessandria, il quale però nei suoi Canoni mostra attenzione solo sporadica all’esegesi omerica202. Di poco posteriore è Orione di Tebe, attivo anch’egli ad Alessandria, dove fu maestro di Proclo, e probabilmente a Cesarea dove insegnò all’imperatrice Eudocia; Orione mise insieme raccolte di sentenze e di glosse: la sua opera più importante, larga­ mente citata negli etimologici bizantini, è 1’Έτυμολογικόν, nel quale egli si fondò sulla dottrina di autori precedenti come Eraclide Pontico, Filosseno, Erodiano, Sorano per fornire una sistematizzazione alfabetica delle conoscen­ ze etimologiche della sua epoca. Nel redigere questo lessico, oggi conservato in redazioni epitomate e in frammenti noti da opere posteriori quali in primo luogo gli etimologici bizantini, Orione attinse largamente a diversi commen­ tari omerici, in specie a quelli di Aristonico e a quelli esegetici, probabilmen­ te anche a quello di Didimo (cfr. EGud 13S, 8-9 Stef.). Egli sistemò per lo più (metodicamente, ma senza un rigore assoluto) la dottrina attinta a tali com­ mentari nei primi lemmi di ogni lettera del proprio lessico; non poche sono le spiegazioni che sembrano dipendere dagli scoli oìYOdissea, ma solo in spora­ dici casi bisognerà tener conto di Orione per ricostruirne il Wortlaut·, inoltre, vale l’avvertenza che Orione poteva attingere anche a opere e commentari non 201Erbse, B e itr ä g e , 274-280. K. AJpers, D a s a ttiz is tis c h e L e x i k o n d e s O r o s , Berlin-New York 1981, spec. 87-101. Id., in D N P 9,52. Reitzenstein, G e s c h ic h te , 287-350. Brani della dottrina di Oro sono confluiti negli scoli iliadici tramite interpolazione nel Venetus A: cfr. Erbse, B e itr ä g e , 101-104. 202Si veda per es. Theod. c a n ., G r a m m . G r a e c i IV/1,373,4-29 Hilgard, con una lunga trat­ tazione di δ 2 2 8 Θώνος, in cui si confuta la dottrina erodianea di cui resta appena un residuo all’inizio dello schol. HMaTY δ 228.

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strettamente scoliastici (penso in primo luogo alle opere di Erodiano diverse dalle due Προσφδίαι)203. A titolo di esem pio, Erbse ha già brillantem ente rilevato l’addensarsi d i scoli odissiaci in un brano com e l ’in izio della lettera i: Or. 75, 14 su ΐκ ρ ια corrisponde quasi verbatim allo schol. Β Η Μ ^ Τ ε 2 5 2 ; Or. 75, 16 su Ιξΰς cfr. l ’in izio d ello schol. B E H M aX s(P ) ε 231; Or. 75, 19 cfr. schol. H M aV X σ 300; Or. 7 5 ,2 1 cfr. schol. B H Y a l l . N o n tutte le lettere presentano p erò un quadro così favorevole: per esem pio al principio della lettera μ n on trovo ch e μ 9 8 ,1 9 su μυλήφατος cfr. schol. V β 355 (non ad verbum ), e Or. 98, 20 sui significati di μάσταξ per cui cfr. in parte lo schol. Η 5 287 tò στόμα άπό του μασάσθαι. Altri casi di stretta corrispondenza fra O rione e gli scoli si hanno in Or. 32, 10-11 su βητάρμων, che dipende quasi alla lettera da schol. V Θ 250; Or. 67, 18-20 su ήτορ da άω coincide quasi ad verbum con la seconda parte dello schol. M a a 213, ch e però glossa il termine πεπνυμένος, e potrebbe essere viceversa un estratto da O rione stes­ so; in Or. 99, 5-6 la spiegazione di ώρος com e χρόνος è sim ile a quanto si legge nello schol. Η λ 3 1 1 (ma il lemma di O rione μετέωρος non è om erico); Or. 1 5 8 ,3 3 su ll’eti­ m ologia di φάρμακον va confrontato con lo schol. M a β 3 2 9 φάρμακον φέρακόν τι ον, παρά το φέρειν άκος (ma anche qui s ’insinua il sospetto di derivazione inversa). Esempi di rispondenze più vaghe: Or. 4, 6-10 su άρνυσθαι cfr. schol. M ^T a 5. Or. 7, 16 su ά λιος cfr. schol. M a β 273. Or. 8 ,1 2 su άκιδνός cfr. schol. H e V Θ 169. Or. 9, 18-19 su ά&ηρηλοιγός cfr. schol. H e V λ 128. Or. 10, 1 su άποβρίζειν cfr. schol. H P i 151. Or. 17, 11 su άκνηστις cfr. schol. H e T κ 161. Or. 53, 3 su έπηνεγκίς cfr. schol. B E ffl^ T ε2 5 3 . Or. 69,1 3 -1 4 su q ia cfr. schol. D E H P e V β 2 8 9 . Or. 105 ,7 -9 su μερμηρίζειν cfr. schol. V a 427 (ma anche schol. Nican. A 189). Or. 7 0 ,7 su ή λιθα cfr. schol. V i 330 e τ 443, forse anche schol. E X ε 483. Or. 33, 4-5 su βυσσοδομεύειν cfr. schol. T e V δ 676 e particolarmente (per il ricorrere di δέμω com e “costruisco”) schol. Η Θ 273. Or. 167, 7 su ψύχος com e πνεύμα ha pallido riscontro nello schol. V all’unico passo dove occorre quella parola, κ 555. Or. 3 2 ,5 su βουκόλον da βουκόνον (παρά το κονέίν περί τάς βοΰς τροπή του κ εις λ ώς νίτρον λίτρον) ha qualche riscontro, ancorché non preciso, nello schol. M a γ 422 βουκόλος: ήτοι βουκόνος ό περί τάς βοΰς ενεργών παρά το έν τοις βουσι κέλεσθαι ήτοι κελεΰειν, ή βουσι κεκολλημένος. In vari casi, poi O rione presenta esegesi di parole om eriche del tutto trascurate negli scoli a noi pervenuti: per 99, 7-8 μύλη l ’etim ologia non ha alcun parallelo negli scoli a η 104; discorso analogo vale per Or. 90, 21-28 su v 401 κνυζώσω o p er Or. 139, 1 su ρήγος com e βαπτόν στρώμα (potrebbe alludere a ρήγεα di γ 349, dove però c ’è solo una misera glossa M CV^ τα βαπτά ίμάτια, forse secondaria). D egli scoli odissiaci consultati da O rione n on si può envisager, allo stato, una p ro­ venienza unitaria. I due casi in cui O rione dice di aver trovato la glossa έν ύπ ο μ νή -

203 Erbse, Beiträge, 280-294, spec. 282-283. Theodoridis, Oie Fragmente (cit. supra nota 124), 16-17. Su Orione da ultimo M. Haffner, Das Florilegium des Orion, Stuttgart 2001,11-18; R. Tosi, in DNP 9, 32. L’unica edizione del lessico è ancora quella di F.W. Sturz, Orionis The­ bani Etymologicum, Lipsiae 1820. Per il fenomeno inverso, cioè il travaso di brani del lessico di Orione sui margini del Venetus A, ma anche sui margini di alcuni codici odissiaci, cfr. Erbse, Beiträge, 98-101.

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μάτι Ό δυσσείας (ο είς την ’Ο δύσσειαν), non hanno rispondenza precisa nei nostri scoli: Or. 8, 22 ά λεισον va probabilm ente letto com e το ποτήριον έκ τού ά λις και άθρόως πιειν, un’etim ologia fornita dagli schol. M a, BT, H M aT V Y γ 50, m entre Or. 9, 2 ά ρά χνια (da cui E G en a 1107) forse andrà ricondotto a Θ 280, dove però non si trovano scoli che rechino questa etim ologia (aliter schol. M a). Inoltre si ricordino i seguenti casi, in cui O rione cita commentari altrui: E G en a 1544, che contiene una citazione di Epafrodito έν ύπομνηματι τού μ τής Όδυσσείας; E G en s. ν. Κεφαλληνία (ΕΜ 507, 26-33), che si conclude ούτως Έπαφρόδιτος έν ύπομνηματι τής Όδυσσείας; E G ud ρ. 138, 3-9 Stef., che cita com e fonte Δίδυμος έν ύπομνηματι Όδυσσείας; E G ud ρ. 3 7 6 ,1 9 -2 0 Stef., che recita ούτως εύρον έν ύπομ νηματι Θέωνος είς την ’Οδύσσειαν (cfr. Or. 44, 14). Tutte queste m enzioni probabil­ m ente risalgono a Orione, e com unque non hanno riscontro preciso rispettivamente negli scoli a μ 89 (si vedano vagamente gli schol. H X e B), a λ 321, a ξ 348 e a un luogo non identificato (ζ 167?). Certamente, com e ha mostrato Erbse, O rione ebbe a disposizione Aristonico: ma le citazioni dichiarate dal Περί σημείων Ό δυσσείας n on forniscono un quadro con­ fortante: Or. 94, 16 dà bensì un ’etim ologia di λύχνος che ricorre identica al principio dello schol. H V τ 34, ma per es. Or. 94, 18 sul valore di λάρυγξ e λαιμός ha solo un debole parallelo nello schol. Η 1 373 (difficilm ente riconducibile ad Aristonico) e nes­ sun parallelo n ello schol. V τ 229 (proprio a questo lu ogo om erico Lehrs riconduce­ va le parole di Orione); d ’altra parte, Or. 1 1 9 ,2 6 sul valore di όπη com e τόπος τετρημένος άφ’ού τις δύναται όπήσασθαι καί περιβλέψασθαι p uò forse derivare da uno scolio ad a 320 άνόπαια, ma non trova rispondenza alcuna in quelli conservati Caliter schol. V, M aY, D EH ; anche Carnuth sospetta derivazione da un’opera di Aristonico diversa rispetto a quella sui σημεία di Aristarco).

Pure successivo a Oro è Metodio, autore di un lessico etimologico relati­ vamente poco fortunato a Bisanzio e oggi quasi del tutto perduto (ne restano vari frammenti quasi solo fra le glosse iniziami per a dell’E tym ologicum G en u in u m e degli epimerismi omerici): l’opera di Metodio - sebbene sia nota esclusivamente per via indiretta - è di notevole importanza in quanto vi si tro­ vano vari brani di esegesi omerica204. Ecco uno specchietto delle occorrenze per quanto riguarda parole àtWOdissea: Vi sono m olti casi in cui M etodio spiega una parola odissiaca senza che la sua ese­ gesi abbia praticamente alcun riscontro negli scoli: si veda EG en a 277 (a 242), 327 (σ 130), 344 (p 222), 397 (Θ 195), 519 (6 511), 554 (γ 4 8 9 , dove però cfr. schol. E), 578 (ξ 311), 660 (γ4 4 4 , dove però cfr. schol. ET e H M a), 821 (v 14), 915 (v 387), 938 (v 103). D u e casi si segnalano com e assai interessanti: E G en a 901 ά νοπα ια (a 320) dipen­ de da M etodio, e la sua ampia spiegazione trova un pallido riscontro nello schol. M a ad loc. (si tratta della citazione di Cratete, fr. 38 Broggiato). Analogam ente E G en a 1205 Ά ρνα ίος (σ 5) dipende da M etodio, e la spiegazione di A sclepiade di Mirlea da lui citata (Ά σκληπιάδης ό Μ υρλεανός έν τω ύπομνήματι τής Ό δυσσείας), forse ancora per via diretta (p. 213, 11-16 L.-L.), coincide ad verbum con lo schol. Η σ 5. 204 Cfr. Erbse, Beiträge, 271 (e 105-106 per i brani di Metodio escerpiti nel Venetus A).

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Tra gli epim erism i om erici si notino in particolare a 319 Dyck, dove M etodio riferisce la spiegazione di Aristarco a τ 229 λάων con i termini άντι τού βλέπων, la d d o ­ ve gli schol. V Y e X a d loc. (Ariston.) attribuiscono questa spiegazione a Cratete, e ad Aristarco quella άπολαύων; epim. Hom. a 321 (cfr. E G en a 330, che D yck attribuisce a M etodio e gli editori del Genuinum a Orione: ma com unque non c ’è alcuna rispon­ denza con gli scoli a δ 404 άλοσύδνης); epim. Horn, α 338, la cui dottrina non è dis­ sim ile da quella degli scoli ad άμνίον in γ 444; epim. Hom. a 347 cfr. ancora schol. M a e V a 320.

Al perduto Περ'ι έθνικών di Oro si riallaccia senz’altro Stefano di Bisan­ zio, autore nel 530 di un lessico di nomi di popolo e di città dal titolo Εθνι­ κά, dedicato a Giustiniano in quell’anno e giunto a noi in forma gravemente epitomata. Gli interscambi fra questo lessico e gli scoli omerici di soggetto geografico sono numerosi: Stefano attinse una parte importante delle sue spie­ gazioni dal commentario di Epafrodito, ma dovette sfruttare anche commen­ tari di altra natura, fra cui υπομνήματα esegetici e glossari poi confluiti nel corpus degli scholia D/V205. Per l’Odissea vi sono attestazioni dichiarate di debito nei confronti dei com m en­ tari di Filosseno (il brano su D od on a in Steph. Byz. 246, 10-12 cita un suo scolio che com pare tal quale in schol. Η ξ 327: cfr. supra 1.5.2; il fr. 401 Theod., con la corre­ zione di W endel, non è tratto dal com m entario odissiaco, m a n e attesta solo l ’esisten­ za), D id im o ed Eracleone (citati da Steph. Byz. 116, 8-9 a proposito di v 408 Ά ρ έ θουσα: ma né il prim o, che sosteneva l’esistenza di 8 sorgenti di questo nom e, n é il secondo, che ne forniva Γetim ologia da άρω, hanno lasciato traccia alcuna nei nostri scoli). Altri casi in cui Stefano potrebbe attingere a commentari odissiaci (tralascian­ do i casi di glosse singole, com e Steph. Byz. 338, 18, cfr. schol. V 1 40) son o i segu en ­ ti: Steph. Byz. 275, 13-16 dà sul nom e di p op olo Έρεμβοί informazioni che si ritrova­ no, variamente declinate, in tutti gli scoli (Η , V, M a) a δ 84 (Did.); Steph. Byz. 280, 17-19 insiste sul concetto ch e sull’Erimanto non nascono leoni, com e anche lo schol. V (EX M a) ζ 104 e A ristotele citato n ello schol. H M ^ P 1 ζ 103; Steph. Byz. 294, 3-5 sul genere maschile e fem m inile di Ζάκυνθος ha una vaga rispondenza con schol. H a 246, dove però si prospetta anche un neutro; Steph. Byz. 678, 9-12 sul fatto che O m ero chiama il N ilo con l’antico n om e di Αίγυπτος trova rispondenza negli schol. V e H M aP JT δ 477 (Ariston.); Steph. Byz. 7 0 3 ,2 0 sulla grandezza e ia collocazione di Psira si avvicina allo schol. H M aT γ 171. D ’altro canto, non m ancano le differenze. Steph. Byz. 599, 8 ci trasmette la n o ti­ zia di una correzione ad a 184 (Τ άμασιν per Τεμεσην) di cui gli scoli non d icon o nulla, m entre Steph. Byz. 615, 1 è decisam ente m eno soddisfacente dei nostri scoli a quello stesso passo del prim o libro. N essun rapporto p o i fra il trattamento delle E olie in Steph. Byz. 53, 9-14 e g li scoli a κ 1. Infine, Steph. Byz. 4 7 3 ,2 0 n on identifica N eri­ kos di co 377 con Leucade (così lo schol. H M a ad loc. ), bensì si limita a farne una città dell’Acarnania.

205 Erbse, B e itr ä g e , 251-269. L’edizione è ancora Stephani Byzantii E th n i c o r u m ed. A. Meineke, Berlin 1849 (rist. Graz 1958).

s u n t,

q u a e su p er­

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Nel primo VI secolo va poi forse collocata la redazione del lessico di Esichio di Alessandria, fondato sull’omologa opera di Diogeniano (cfr. supra 1.5.4), nella quale era confluito fra l’altro materiale tratto da Didimo e dal lessico di Apollonio Sofista. Nel lessico di Esichio fu interpolata in età pro­ tobizantina parte cospicua di un altro lessico, quello {nato probabilmente nel tardo V see. o nella prima metà del VI) che va comunemente sotto il nome di Cirillo vescovo di Alessandria (sulla cui attenzione per Omero cfr. supra 1.6.1); quest’ultimo lessico, tuttora inedito, e basato su glosse di Omero, Euripide, LXX e Flavio Giuseppe, subì in seguito vari rimaneggiamenti, il cui frutto più illustre fu la Συναγωγή λέξεων χρησίμων, che nella sua forma originaria non può essere anteriore alla prima età bizantina (il suo ultimo edi­ tore la colloca tra la fine dell’VIII e l’inizio del IX secolo)206. Per quanto riguarda i materiali di esegesi omerica, se da un lato la Συναγωγή amplia Cirillo essenzialmente con ricorso a scholia D (V per l’Odissea), Cirillo ha invece molti lemmi omerici seguiti da spiegazioni che non si ritrovano nel corpus degli scholia D/V207. Nel lessico di Esichio come ci è trasmesso dal­ l’unico codice pervenuto (Marc. gr. 622, XV see.: fu oggetto delle cure edi­ toriali di Marco Musuro per la princeps aldina del 1514) vi è una quantità di glosse omeriche di varia provenienza, derivanti in primo luogo dall’autono­ mo lavoro del lessicografo, e in secondo luogo dalle sue fonti (Apollonio Sofista, Diogeniano e appunto le interpolazioni cirilliane). Non stupiscono pertanto i molteplici contatti di Esichio con gli scholia minora omerici e in particolare con quelli confluiti negli scholia D/V, anche se talora è arduo pre­ cisare a quale fonte precisamente risalgano le note omeriche di Esichio: in tal senso è fondamentale l’edizione di K. Latte, che purtroppo si è fermata alla lettera o208. Propongo qui alcuni esempi: 1. Esichio attinge direttamente agli scholia V (in vari casi una sola delle spiegazio­ ni di Esichio concorda con lo scolio V): H sch. γ 192 cfr. schol. V σ 2; H sch. γ 509 cfr. 206 Synagoge. Σ υ ν α γ ω γ ή λ έ ξ ε ω ν χ ρ η σ ί μ ω ν , ed. I.C. Cunningham, Berlin-New York 2003 (SGLG 10), spec. 13-49. L’apparato delFedizione di Cunningham è prezioso anche per cono­ scere il lessico di Cirillo, citato costantemente nell’'apparatus testimoniorum in base alla προέκ-

δοσκτ allestita a suo tempo da A.B. Drachmann. 207Cunningham, ibid., 45-46. Sul retroterra omerico del lessico di Cirillo, come detto ine­ dito, non è lecito trarre conclusioni di sorta, al di là della constatazione della cospicua presen­ za di materiali poi confluiti nel corpus degli scholia V; per quanto riguarda le aggiunte della Συναγωγή va ribadito che quelle odissiache hanno quasi tutte riscontro negli scholia V o al più negli scholia minora papiracei (ma si noti che per es. synag. τ 189 è attestata non solo nel nostro papiro h4, come segnala Cunningham, bensì anche negli scholia V). Sul problema di Cirillo ed Esichio si veda anche la sintesi di Spooner, Nine, 36-39. 208 Hesychii Alexandrini Lexicon, ed. K. Latte, I-II, Kobenhavn 1953-1966 (lettere A-O), spec, xiv-xv per le interpolazioni omeriche. Per le altre lettere si fa ricorso ancora al vecchio Hesychii Alexandrini Lexicon, ed. M. Schmidt, III-IV, Halis Saxonum 1861-1862.

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schol. V ß 128; H sch. δ 349 cfr. schol. V ζ 233; H sch. δ 579 cfr. schol. V δ 248; H sch. δ 1620 cfr. schol. V ζ 47; H sch. δ 2090 cfr. schol. V β 46; H sch. ε 4583 cfr. schol. V β 403; H sch. i 370 cfr. schol. V β 316; H sch. μ 64 {sub fine ) cfr. schol. V β 349; H sch . v 794 cfr. schol. V ξ 182 (ma nella form a plenior del codice M); H sch. o 1239 cfr. schol. V ω 8; H sch. π 2770 cfr. schol. V β 126; π 2938 cfr. schol. V β 150. Un caso notevole è H sch. a 5184 άνιεμένους, che attinge direttam ente a schol. V β 300, e proprio il confronto con lo scolio (nella forma di B D H N V x , ignota a Latte) serve a sanare il testo di Esichio: άνιεμένους: άνατείνοντας (om. H sch.) έκ των κάτω μερών, έτη τα άνω έ λ κ ο ν τας και έκδέροντας κάτωθεν άρξαμένους· ή διά πυράς Ιερωμένους (ή δια π υ ρακτωμένους M al: om. Ε: ή διά πυράς η ερωμένους H sch.) B D E H M aN V x H sch. In m olti altri casi la glossa esichiana p uò essere corretta grazie allo schol. V: cito qui exempli gratia H sch. κ 2703 in cui la correzione di ίχ ν ο ς in έθνος è possibile gra­ zie allo schol. V λ 14; H sch. κ 3578 (da D iogeniano) dove la lacuna andrà integrata in base allo schol. V v 408. 2. Le glosse esichiane risalgono a scholia V per il tramite di Cirillo (alcune son o anche confluite nella Συναγωγή): H sch. a 2425 cfr. schol. V δ 728; H sch. a 5994 cfr. schol. V β 156; H sch. δ 37 cfr. schol. V δ 493; H sch. δ 840 cfr. schol. V β 32 (synag. δ 840); H sch. δ 2145 cfr. schol. V δ 393; H sch. ε 1051 cfr. schol. V δ 135; H sch. ε 2797 cfr. schol. V δ 450; H sch . i 720 cfr. schol. V ε 231; H sch. μ 858 cfr. schol. V β 36; H sch. μ 1486 cfr. schol. V π 77 {synag. π 235); H sch. v 411 cfr. schol. V ε 344; H sch. o 12 cfr. schol. V τ 179. 3. In certi casi i lem m i di E sichio hanno un significato per l ’editore del testo delV Odissea·. si n oti il caso di H sch. δ 205 δάμνια (da D iogeniano), il cui lemma riposa sulla lezione di Z enodoto a γ 444: il filologo di Efeso, infatti, secon do lo schol. H M a ad loc. poneva la parola δάμνιον (invece del tradito δ’άμνίον) nel suo lessico alfabeti­ co έν τάϊς άπό του δ γλώ σσαις (cfr. supra 1.4.1). Si veda anche H sch. ε 3209 έ ν ν ο δίω, che attesta a lemma la lezione di Aristofane per δ 785 (έννοτίφ m ss.), di cui parla lo schol. B E H P 1 (si noti che P 1 cita la lezione di Aristofane proprio com e έννοδίω, gli altri com e εΐνοδίφ). 4. Spesso le glosse di E sichio (autonom e o interpolate dal lessico di Cirillo) sp ie­ gano parole odissiache in term ini sconosciuti agli scoli, il che fa pensare a un debito nei confronti di fonti lessicografiche interm edie o a brani di esegesi perduta. Altre volte, le glosse esichiane trovano rispondenza in scoli n on-V (soprattutto negli scoli del cod ice M )209. E cco alcuni esempi: H sch. a 377 αγγελίας: άπαγγελίας cfr. schol. M a β 92; H sch. η 885 ήσθε: κ α θ έζεσθε cfr. schol. M a β 240; H sch. i 297 ιερή ΐς Τηλεμάχοιο: ό Τηλέμαχος, είρηται δέ περιφραστικός (Cirillo) cfr. schol. E H P Y s β 409 (ma questo è un lu ogo em blem a­ tico citato da m olte fonti grammaticali); H sch. λ 1027 (Cirillo) cfr. schol. G H M a a 315 (ma cfr. anche schol. V a 15); H sch. μ 441 (Cirillo) cfr. schol. H M aP T γ 72; H sch. v 251 (Cirillo) cfr. schol. M a δ 701. A volte la concordanza interessa solo una delle

209 Già Latte (Hesychii L e x ic o n [cit. nota prec.], I, xv nota 1) osservava: «In Odysia prae­ ter vulgata (V) scholia Marcianum 613 (M) saepe cum Hesychio consentire specimen ab A. Ludwich (1888-1890) editum docet».

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spiegazioni allineate da Esichio nel suo lemma: cfr. per es. H sch. v 541 νητός, in cui πολύς concorda con la glossa B E M aV Psx a β 338; H sch. o 861 ογ γόνον, in cui την εαυτού γένεσιν concorda con la glossa ck2qz ad a 216, ma vi è il forte sospetto di una derivazione inversa (cfr. infra 4.2.1.1.1).

Infine, mette conto accennare qui a un’altra composita raccolta della tarda antichità in cui probabilmente confluirono materiali di esegesi odissiaca, ben­ ché questi presentino un’estensione di gran lunga minore rispetto a quelli iliadici e rarissimi contatti con gli scoli dei nostri corpora medievali: è indubbio che negli scoli a Dionisio Trace siano reperibili brani di scoli sXHOdissea, ma - come già avviene per l’Iliade - essi non aiutano affatto a ricostruirne il Wort­ laut, e anzi spesso sembrano rappresentare materiale tralaticio pervenuto per tradizione grammaticale piuttosto che non per consultazione diretta di com­ mentari210. Si veda il caso di schol. D ion. Thr. 230, 13-15 sul toponim o Ά θήνη al singolare in confronto allo schol. Η η 80 di Aristonico; schol. D ion. Thr. 2 3 6 ,3 2 - 237, 1 su έπώνυμον in confronto a schol. V X τ 409; schol. Dion. Thr. 366, 6 (app.) su Άτρείδαο è debi­ tore a schol. H JM aO a 4 0 (Ariston.); schol. D ion. Thr. 443, 9 su κατ’έχων in confronto a schol. M aV ω 242; schol. Dion. Thr. 444, 12-13 su δισθανέες in confronto a schol. B e H X μ 22; schol. D ion. Thr. 460, 36 sul biancheggiare dell’acqua battuta dai remi in confronto a schol. V (BHM aXY) μ 172 (Ariston.); schol. D ion. Thr. 4 6 8 ,2 7 -2 9 su μ 73 oi δε δύο σκόπελοι da intendere com e genitivo in confronto allo schol. H ad loc. che recita προς το σχήμα (Ariston.: finora inedito, ma la sua esistenza era stata ipotizzata da Camuth); schol. Dion. Thr. 514, 6 sulla perifrasi Ιερή Ίς Τηλεμάχοιο in confronto a schol. EH PY s β 409; schol. D ion. Thr. 541, 23-24 su καιροσέων è un abrégé dello sco­ lio erodianeo che costituisce la prima parte dello schol. B H M aP !T Y (cfr. X) η 107. D ’al­ tra parte allusioni com e schol. D ion. Thr. 4 5 6 ,3 5 su α 1 πολύτροπος e schol. D ion. Thr. 280, 8 su a 8 άμόθεν sono impensabili senza lo sfondo dell’esegesi omerica.

1.7.2 VMK. Il problema della nascita degli scoli marginali. Molti degli autori appena citati, se non tutti, avevano probabilmente a dis­ posizione i commentari originali dei quattro grammatici (Didimo, Aristonico, Nicanore ed Erodiano) che forse proprio in quest’epoca furono fusi in un’u­ nica compilazione, dal nome convenzionale VMK (acronimo del tedesco VierMänner-Kommentar). Questa compilazione è anonima, e noi apprendiamo della sua esistenza solo grazie alla sottoscrizione che compare (con lievi varia­ zioni) al termine di ogni canto nel Venetus A dell’Iliade (Marc. gr. 454, codi­ ce del X see.; se ne riporta qui la versione in calce al canto H, f. lOOv): π αράκειται τ α Ά ρ ισ το νίκ ο υ σ η μ εία κ α ι τ ά Διδύμου Περί τη ς Ά ρ ισ τα ρ χείο υ διορθώσεως, τ ιν ά δε κ α ι έκ τή ς Ί λ ια κ ή ς π ρ ο σ φ δ ία ς Ή ρω διανού κ α ί Ν ικάνορος Περί στιγμής.

210Erbse, B e itr ä g e , 213-225.

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La datazione di VMK è lungi dal risultare univoca: per Ludwich e van der Valk questa compilazione non può essere posteriore al IV see., mentre Erbse ha sostenuto che essa risale all’estrema età tardoantica (V-VI see.)211. Comun­ que sia, abbiamo qui un’impresa di grande momento per la critica omerica, e tanto più dispiace non disporre di alcuna indicazione circa il luogo e l’am­ biente della sua confezione. E infatti ben possibile, alla luce dei ricorrere anche fra gli scoli odissiaci di chiarissimi frammenti dei quattro commentatori212, che un VMK sia esistito anche per YOdissea, sebbene a causa della tra­ dizione del nostro poema non sia possibile discernerlo così bene come avvie­ ne nel caso deìVIliade213. La citata sottoscrizione del Venetus A, con l’uso del verbo παροικείται (che ricorre anche nel Laur. 32, 9 per Apollonio Rodio e in una citazione indiretta degli scoli a Esiodo, e ricorda il παραγέγραπται di analoghe sottoscrizioni a codici di Aristofane e di Euripide)214, ci porta ad affrontare una questione 211 Per le due vedute contrapposte cfr. Valk, Researches, 107-132 ed Erbse, ree. Valk, 551552 e Id., Scholia I, x lv i-x lv ii. Tuttavia la connessione suggerita da Erbse con la τ ε τ ρ α λ ο γ ία Ν εμ εσ ίω νο ς di cui si parla nello schol. K 397-9b (ancora ripresa da Cavallo, La storia dei testi, 177-194: 185), è stata confutata in maniera irreversibile da Nickau, Untersuchungen, 260-263. Più di recente van Thiel, DieD-Scholien, 11-12 ha addirittura messo in dubbio l’esistenza stes­ sa di VMK per ΓIliade, ma sulla base di argomenti alquanto fragili. 212L’esistenza delle opere dei Quattro è garantita dalle voci di Suida. Si veda anche per es. lo schob HMaO β 260, dove Nicanore cita la lezione di Aristarco secondo Didimo, e lo schol. HO allo stesso verso è di Didimo e riporta proprio quell’alternativa. I rinvìi espliciti agli scoli odissiaci in quelli iliadici sono solo tre, e di scarso interesse, in quanto si tratta di tre frammenti in cui Erodiano rinvia alla parte odissiaca della propria opera ειϋΙ’Όμηρικη προσφδία (schol. A Ω 8a, dove è citato il commento di Aristarco a β 434 = Aristarch., fr. 92A Matthaios, cfr. fr. 58 Schironi; schol. A A 294a1, dove si rinvia alla trattazione dell’alternanza tot / σοι nello schol. HMa γ 50; schol. A M 157, dove c’è un preciso rinvio alla questione ζαη / ζαήν nello schol. H μ 313). Gli altri rimandi elencati da Mai, ìlias, XLii-XLm(Σ 375 - δ 131; Σ 382 - Θ 267; Y 30 a 34; X 51 - τ 183, μ 70; X 80 - β 300; X 494 - ο 311) fra gli scoli Ambrosiani e quelli Vene­ ti all'Iliade sono in realtà semplici confronti con passi àtW'Odissea, non rinvìi a precisi passi del­ l’esegesi, e come tali non hanno alcun valore per stabilire legami fra i due corpora di scoli; un analogo errore metodico di Karajan è segnalato da Friedländer, Homerische, 6 e 8: «es genügt nicht die ehemalige Existenz eines Scholions zur Odyssee aus einem Citat in einem Scholion zur Ilias zu constatieren». 213 Convinti dell’esistenza di un VMK odissiaco sono Friedländer, Homerische, 7 e già Lehrs, De Aristarchi, 30 nota 1. Più cauto Karajan, Über die Handschriften, 266, e addirittura scettico Polak, Observationes, 7 («quod tamen an ita sese habeat, iure potest dubitari»). 214 Per gli Erga di Esiodo la citazione di un παρακείμενον σχόλιον nellOrtografia di Teognosto indurrebbe a postulare un archetipo non posteriore all’Vili sec.: cfr. Alpers, Eine byzan­ tinische, 243 e nota 25. La sottoscrizione del Laur. 32, 9 di Apollonio recita: παράκειται τα σχόλια έκ των Λουκίλλου Ταρραίου και Σοφοκλείου και Θέωνοο: E Vian (Apollonios de Rho­ des, Argonautiques, I, Paris 1974, x l u ) pensa che questa sottoscrizione sia da riferire all’archeti­ po tardoantico di testo e scoli (V see.) nei cui margini erano stati appunto apposti estratti dal-

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cruciale per i secoli V e VI, ossia quella del trasferimento del patrimonio scoliastico (che in questo periodo, come abbiamo visto, non subisce significativi incrementi originali) dagli υπομνήματα trasmessi in libri separati ai margini, spesso eccezionalmente ampi, dei codici recanti il testo dell’opera commenta­ ta. Sulla data e le modalità di questo passaggio, che è in buona sostanza l’atto di nascita dei corpora scoiiastici a noi noti, si affrontano due teorie: Tuna, pro­ pugnata da G. Zuntz e sottoscritta nella sostanza anche da Hartmut Erbse, mira a collocarlo nel corso della prima età bizantina (IX see.), quando un certo numero di commentari, ancora disponibili come libri autonomi, sareb­ bero stati travasati sui margini dei codici delle opere letterarie commentate215; l’altra invece, argomentata in specie da N.G. Wilson e da K. McNamee, fa risalire questo processo all’estrema tarda antichità, probabilmente già alla prima metà del V see., quando compilazioni di materiali esegetici di varia natura (rispettivamente, glosse giuridiche greco-latine e catene) venivano apposte sui margini di codici di argomento giuridico (scuola di Beirut) e di codici di contenuto biblico (scuola di Gaza, in specie con Procopio)216. Per l’anonima compilazione dei tre grammatici citati, compilazione a sua volta databile «à l’époque où les volumina ont été transcrits en codices». Nel Marc. gr. 474 la sottoscrizione al termine degli scoli alle Nuvole di Aristofane (simili quelle alla Pace e agli Uccelli in questo e in altri manoscritti) recita: κεκώλισται έκ των Ήλιοδώρου, παραγέγραπται & έκ των Φαεινού και Συμμάχου και άλλων τινών: cfr. WJ.W Koster, Aristophane dans la tradition byzantine, «Revue des Etudes Grecques» 76, 1963, 381-396: 389-390; K. Zacher, Oie Schreibung der Aristophanesscholien im Cod. Ven. 474,.·«Philologus» 41, 1882, 11-53: 45-46 e tav. I (notevole la somiglianza di mise en page fra questa sottoscrizione e quella del Ven. A: cfr. Cavallo, La storia dei testi, 181-182 e taw. 8 e 28). La sottoscrizione alla fine degli scoli dell’Oreste di Euripide nel Par. gr. 2713 e nel Marc, gr. 471 recita: προς διάφορα αντίγραφα παραγέγραπται έκ του Διονυσίου ύπομνηματος όλοσχερώς καί των μικτών (nel primo dei due codici citati alla fine della Medea si legge poi προς διάφορα αντίγραφα Διονυσίου ολοσχερές καί τινα των Διδύμου): in questo caso è stata ipotiz­ zata la redazione di un commentario in età tardoantica e la sua apposizione al testo dell’archeti­ po della tradizione euripidea fra la tarda antichità e la prima età bizantina: Tuilier, Recherches (cit. supra nota 198), 215-224. Anche per Pindaro Irigoin, Histoire, 97-100 pensa a un commen­ tario compilato nel IV/V see. a.C. per accompagnare la selezione delle opere e apposto al testo in età tardoantica; per Teocrito vedute analoghe sostiene Wendel, Theokrit-Scholien, 167-168. 215 G. Zuntz, An Inquiry into the Transmission of the Plays of Euripides, Cambridge 1965, 272-275. Id., Die Aristophanes-Scholien der Papyri, Berlin 1975, 61-121. Zuntz è seguito par­ zialmente da Erbse, Beiträge, 170-171, che osserva come nel POxy 2258 di Callimaco (per il quale cfr. subito infra) non vi siano tracce di quel processo di compilazione spesso passiva e ridondante che impronta invece i corpora medievali: «das Prinzip des kompilierten RandschoJienkommentars wurde bereits in der Spätantike gefunden, damals aber noch sinnvoller ver­ wirklicht als im beginnenden M(ittel)A(lter)». 216N.G. Wilson, A Chapter in the History of Scholia, «Classical Quarterly» 17, 1967, 238256. Wilson, Scholars, 33-36. K. McNamee, Another Chapter in the History of Scholia, «Classi­ cal Quarteria 48, 1998, 269-288. Ma si veda anche Koster, Aristophane (cit. supra nota 214), 384-390. Per quanto riguarda i codici di autori medici, rimando al ricco contributo di I. Aridorlini, L’esegesi del libro tecnico: papiri di medicina con scoli e commenti, in Papirifilosofia. Miscel-

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quanto, dalla specola della filologia omerica, dobbiamo riscontrare una totale assenza di documenti utili (nessun codice omerico restituito dalle sabbie del­ l’Egitto presenta corpora scoliastici disposti sui margini, e il primo manufatto di questo tipo è appunto il Venetus A dell’Iliade, del X see. inoltrato), la seconda delle ipotesi citate sembra la più verisimile, specialmente se si pensa ai codici antichi provvisti di marginalia in maiuscola (con adeguata distinzio­ ne di modulo fra scrittura del testo e scrittura del commento) come in primo luogo il POxy 20, 2258 di Callimaco (in maiuscola alessandrina del tardo V see.) e il Dioscoride di Vienna (Vind. med. gr, 1, ca. 500 d.C.), nonché alla larga diffusione in età tardoantica di codici con margini particolarmente ampi, che forse in parte rispondevano a una prassi di inserimento sistematico di note e commenti al testo principale217. Di particolare rilievo in questo contesto risulta la testimonianza di Marino, che nella Vita Prodi (27, 11-19) invita il maestro a παραγράφειν τα άρέσκοντα τοίς του διδασκάλου [sci!, di Siriano] βιβλίοις: è indubbio che si accenna qui, nel pieno V secolo, a una pratica di apposizione di scoli marginali a un testo letterario218. Ai nostri fini, Γimportanza di questo cambiamento nella storia del libro è epocale: da un lato infatti esso determinò la forma in cui ci è pervenuta la maggior parte del patrimonio esegetico antico ai poemi omerici, dall’altro si accompagnò a un processo di selezione e di compilazione decisivo per la sorte di quello stesso patrimonio. Che tale cambiamento abbia preso avvio in aree la n e a d i s t u d i , IV,

Firenze 2003, 9-29 (una versione ridotta in Ead., C o d ic i p a p ir a c e i d i m e d ic in a in Goulet-Cazé, L e c o m m e n t a n e , 37-52), nel quale tuttavia l’unico caso davvero interessante è PAnt 3, 183 (VI see.), recante il testo di Gal. in H i p p . A p h . con estese note esegetiche marginali. 217 K. McNamee, M i s s i n g L i n k s in t h e D e v e l o p m e n t o f S c h o lia , «Greek, Roman and Byzan­ tine Studies» 36, 1995, 399-414. S. Trojahn, D i e a u f P a p y r i e r h a l te n e n K o m m e n t a r e z u r a l te n K o m ö d ie , München-Leipzig 2002, 223-234. G. Cavallo, L i b r o e p u b b l ic o a lla f i n e d e l m o n d o a n tic o , in G . Cavallo (a c. di), L ib r i, e d i t o r i e p u b b l ic o n e l m o n d o a n tic o , Roma-Bari 1975, 83132: 86-87. Irigoin, L i v r e e t t e x t e . Per i rapporti fra le scritture di testo e commento nei codici a n tic h i e medievali cfr. N. Wilson, T h e R e l a t i o n o f T e x t a n d C o m m e n t a r y i n G r e e k B o o k s , in Questa - Raffaelli, I l lib r o e i l t e s to , 105-110 e G. Cavallo, U n a m a n o e d u e p r a tic h e , in GouletCazé, L e c o m m e n t a n e , 55-64, nonché Id., L a s to r ia d e i t e s ti, 181-185 (con attenta disamina delle diverse sottoscrizioni): secondo Cavallo anche le sottoscrizioni dei codici iliadici e aristofanei con παράκειται / παραγέγραπται sarebbero in realtà mutuate dagli esemplari tardoantìchi dove quest’opera di apposizione marginale si sarebbe realizzata. Sulla distinzione terminologica e lessicografica fra σχόλιον e υπόμνημα (dalla quale non si trae peraltro grande giovamento ai fini della ricostruzione storica della dinamica di annotazione ai testi antichi) si veda ora l’analisi di J. Lundon, Σ χ ό λ ια : u n a q u e s t io n e n o n m a r g in a le , in D i s c e n ti b u s o b v i u s (Miscellanea D. Magni­ no), Como 1997, 73-86. 218 Cfr. H.D. Saffrey - A.Ph. Segonds - C. Luna, in Marinus, P r o c lu s o u s u r l e b o n h e u r , Paris 2001, 150-151. A. Porro, M a n o s c r i t t i i n m a iu s c o la a le s s a n d r in a d i c o n t e n u t o p r o f a n o , «Scrittura e civiltà» 9, 1985, 169-215: 213-215. Forse eccessivamente prudente su questo passo Lundon, Σ χ ό λ ια (eie. n o t a pree.), 79-81. c o n s c o li e c o m m e n t o ,

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periferiche come le scuole della Palestina o meno, rimane il fatto che per la gran parte dei testi classici, e per Omero in particolare, noi riusciamo a coglierne la retta dimensione solo quando esso è ormai compiuto, cioè dopo che nel VII secolo la conquista araba ha investito quasi tutti i centri culturali ellenofoni del Mediterraneo (nel 635 Gaza e Beirut, già provata dal terremoto del 551; nel 637 Antiochia, già messa a sacco dai Persiani nel 540; nel 639 Cesarea; nel 641 Alessandria), portando così a compimento il processo di involuzione iniziato con la chiusura della scuola filosofica di Atene ad opera di Giustiniano nel 529, e dopo che la tradizione dei testi classici e delle rela­ tive esegesi è stata ormai quasi esclusivamente confinata alla capitale Costan­ tinopoli, dove riaffiora a partire dai IX secolo in una veste grafica (la scrittu­ ra minuscola) radicalmente nuova. 1.73 Appendice: gli scoli all’O dissea in altri corpora scolastici. E opportuno aggiungere a questo punto della nostra rassegna (cioè sul crinale della trasformazione che conduce dai commentari antichi alla nasci­ ta degli scoli marginali) una considerazione di ordine generale: gli scoli ome­ rici sono stati da sempre, nelle varie forme che hanno storicamente assunto, un ausilio indispensabile per la lettura dei due poemi fondamentali della let­ teratura greca. Si comprende bene, pertanto, come glosse e spiegazioni di versi e termini omerici siano penetrati in una lunga schiera di commentari e opere esegetiche volti a elucidare parole e contesti di altre opere, in primo luogo poetico. Ripercorrere gli intricati legami che uniscono gli scoli alTOdissea ai corpora scoliastici ad altri autori è un’impresa titanica, che merite­ rebbe studi ad hoc approfonditi e differenziati. Qui ci si accontenterà di for­ nire alcuni esempi per dare un’idea della diffusione dell’esegesi omerica in età alessandrina e posteriore, nonché dell’importanza del confronto con le testimonianze parallele per recuperare brani di esegesi omerica oggi perdu­ ti. Nel far ciò, bisognerà tener conto di almeno due fattori limitanti: da un lato ogni corpus scoliastico è il risultato di una lunga stratificazione, che nel corso dei secoli può avere raccolto materiali di varia provenienza; dall’altro, in molti casi il debito può essere indiretto, cioè riguardare piuttosto la tra­ dizione lessicografica (Apollonio Sofista in primis) che non quella propria­ mente scoliastica. Molte rispondenze si rilevano fra gli scoli odissiaci e quelli agli altri due grandi autori epici dell’antichità greca. Negli scoli a Esiodo il filtro di Proclo ha lasciato intonsi solo alcuni degli scoli grammaticali direttamente imparentati con quelli ai poemi omerici: si vedano per es. Io schol. Hes. op. 61c sulla forma del dativo κώεσιν (cfr. schol. HMa γ 38), lo schol. Hes. op. 493a sulla natura della λέσχη (cfr. schol. BHXs σ 328-329) o lo schol. Hes. op. 594e sul valore di άκραής (cfr. schol. V β 421), o ancora lo schol. Hes. theog. 746 sull’uso di έχει in a 73 (cfr. schol. V adloc.). Negli

L’ESEGESI ANTICA

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scoli ad Apollonio Rodio si registrano chiari echi di esegesi lessicale dei poemi: per es. schol. l,516-518bsulsensodÌY332xàpv8reYX