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Italian Pages 249 Year 2012
EVEENSLER
con Mollie Doyle
NON ORA QUANDO?
SE
Contro la violenza e per la dignità delle donne Traduzione di ANNALISA CARENA
PIEMME
Titolo originale: A Memory, a Mono!ogue, a Rant and a Prayer © 2007 by Eve Ensler and Mollie Doyle This translation is published by arrangement with Villard, an imprint of the Ran dom House Publishing Group, a division of Random House, Inc.
Realizzazione editoriale: Conedit Libri Srl- Cormano (MI)
I Edizione 2012
© 2012 -EDIZIONI PIEMME Spa 20145 Milano- Via Tiziano, 32
[email protected] www.edizpiemme.it
Dedichiamo questo libro alla Pace.
INTRODUZIONE di Eve Ensler
Parole. Parole. Questo libro è incentrato sulle parole. Parlare del non detto. Parlare del già detto in un modo nuovo e vitale, parlare del dolore, parlare della fame. Parlare. Parlare della violenza sulle donne non perché sia l'unico problema, ma perché è un problema centra le nel mondo e tuttavia si continua a non parlarne, a non vederlo, a non dargli peso o importanza. Affinché le parole rompano il torpore e la negazione, la dissocia zione e la distanza, l'inganno. Parlare affinché si crei una comunità, una coscienza, un interesse. Parlare della violenza sulle donne perché nel 2006 delle bambine Amish vengono ammazzate nella loro scuola solo perché sono bambine; perché nei quartieri poveri le donne sono vendute come carne da macello agli uomini dei quartieri ricchi; perché in Darfur le donne vengono stuprate quando vanno a raccogliere legna per il fuoco o erba per gli asini. Nel 2006 le don ne sono bruciate, mutilate, lapidate, scacciate, rovinate, rifiutate, zittite. Parlare della violenza perché ai primi di novembre del 2006 il presidente israeliano si è di messo dopo un'accusa di violenza e molestie, e un reli gioso in Australia ha incolpato le donne poco vestite degli stupri che subiscono. Parlare della violenza sulle 7
donne per vostra madre, vostra sorella, vostra zia, vo stra figlia, la vostra ragazza, la vostra migliore amica, vostra moglie. Parlare della violenza sulle donne per ché la storia delle donne è la storia della vita stessa. Parlandone non si può evitare di parlare di razzismo e supremazia, povertà e patriarcato, costruzione di impe ri, guerra, sessualità, desiderio, immaginazione. Il mec canismo della violenza è ciò che distrugge le donne, le controlla, le sminuisce e le tiene al loro cosiddetto po sto. Parlare della violenza, raccontare le storie, perché nel raccontare legittimiamo l'esperienza femminile. Ri veliamo ciò che accade nell'oscurità, nel sotto scala, lontano dagli sguardi. Nel raccontare, le donne si riap propriano del loro potere. Della loro voce. Dei loro ri cordi. Del loro futuro. Nell'ambito del festival Unti! the Violence Stops che si è svolto nell'estate del 2006 a New York per due set timane, abbiamo chiesto a un gruppo di illustri scritto ri di produrre memorie, monologhi, invettive e pre ghiere sul tema della violenza contro le donne. Immagi navamo un evento epocale in cui questi monologhi fossero recitati da grandi attori. Pensavamo che avreb bero risposto al massimo in dieci o venti. Siamo stati inondati di contributi. Ogni scrittore ha prodotto qualcosa di così specifico, così originale, che Edward Albee poteva essere solo Ed ward Albee, e Alice Walker solo Alice Walker, e così per Erin Cressida Wilson, e Michael Eric Dyson. Abbiamo bisogno di scrittori in quest'epoca terribile di inganno, manipolazione, frasi a effetto e mezze verità, in quest'epoca in cui la brama di potere ha sconfitto la fame di giustizia, in quest'epoca di santi e malfattori. Non abbiamo molti veri leader, non abbiamo molti po8
litici di cui ci possiamo fidare. Ma possiamo fidarci degli scrittori. Invece di venderei qualcosa, esplorano qualco sa; invece di dominarci, ci aprono la mente; invece di conquistare o detenere una posizione, ci invitano a fare domande. Abbiamo bisogno che ogni singolo scrittore, ogni singolo artista, dica la verità come la vede, come la sen te dentro. In questo libro ci sono alcuni contributi di vertenti, alcuni misteriosi, alcuni molto difficili, alcuni drammatici. E sono tutti nuovi. Sono stati recitati per la prima volta al festival davanti a duemila persone. È sta to emozionante. Per questo lavoro gli autori non hanno ricevuto com pensi ma solo la profonda soddisfazione che deriva dal servire il bene comune. I miei compensi e i diritti d'au tore sulle vendite di questo volume andranno a benefi cio del V-Day. (Per sapere di più sul V-Day, consultate la sezione finale del libro o il sito www.vday.org.) Ringrazio questi grandi drammaturghi, poeti, gior nalisti e visionari per il dono di questo libro, e ringrazio te, lettore, che affronti questo viaggio.
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MEMORIA
CERCARE LA MUSICA DEL CORPO di Michael Klein
Il mio amico Frank lo chiama cercare la musica del cor po - la musica che sentiva mia madre. Quando finisci di cercare la musica del corpo, ti im batti nel corpo di una donna cui è stato strappato il mondo intero - ma prima di quella scena, un presagio: mia madre in collegio. Ha dodici anni, figlia di due alcolizzati, artisti di va rietà, ombre su un palcoscenico. È sovrappeso e già allora riesce a vedere oltre se stessa, per questo le ragazze fanno le stronze nei loro abiti ben stirati e di solito la tengono appesa per i piedi fuori dalla finestra per un sacco di tempo aspettando la giusta sequenza di suppliche per restituirla alla sua vita. Era il 1 940-e-qualcosa - l'anno in cui mia madre co minciò il libro che la sua mente andava scrivendo inti tolato questo è ciò che mi è capitato il libro che ci leggeva - frasi terapeutiche per mitiga re il vuoto di due matrimoni un marito la picchiava, un marito le prendeva i soldi e la isolava 13
dal mondo finché non è stata classificata come il ten tato suicidio perché era rimasta appesa a un filo a un capello, per i piedi, orgogliosamente sospesa sopra qualcosa chiamato gioventù.
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SETTE VARIAZIONI su MARGARITA WEINBERG di Moisés Kau/man
In memoria di Rebeca Clisci Akerman
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Mia nonna nacque in Ucraina ma emigrò in Vene zuela prima della Seconda guerra mondiale. Mi raccon tò questa storia: «Una giovane donna ebrea fu rapita da un gruppo di cosacchi durante un pogrom. La portarono in una stan za e la tennero ferma, mentre decidevano chi l'avrebbe avuta per primo. "Se mi toccate getterò una maledizione su di voi" disse la donna. "Sono una strega. " I cosacchi risero. "Posso dimostrarlo ! " gridò lei. "Posso dimostrarvi che sono una strega. " Il loro capo sorrise e disse: " Benissimo. Dimostralo, allora". "Io sono immortale, " fece lei " e voi non potete ucci dermi. " Quelli risero ancor di più. "Non potete ucci dermi. Nemmeno se mi sparate. Provateci. " Gli uomini smisero di ridere e la fissarono. "Su, provateci. " La donna si indicò il petto. " Spara temi qui. Vedrete che sono immortale. " I cosacchi si guardarono l'un l'altro ma non si mossero. 15
"Sparatemi al cuore. Vedrete che non morirò. E voi avrete la prova che sono una strega. " Il capo ci pensò su per un attimo, poi estrasse rapidamente la pistola e le sparò al cuore. La giovane donna cadde a terra san guinante, guardò l'uomo che le aveva sparato e disse: "Grazie, imbecille".» Mia nonna amava le storie di suicidi eroici.
2 Da giovane mia nonna voleva fare il medico. Ma in Ucraina nel 1 935 c'erano pochi posti all'università de stinati agli ebrei, e andavano tutti agli uomini. Così di ventò infermiera. Quando nel 193 7 disse alla sua famiglia che voleva andare in Venezuela, tutti si opposero. Non sapevano nemmeno trovare il Venezuela sull'atlante. Ma il suo fidanzato, Boris (mio nonno), si era trasfe rito laggiù due anni prima in cerca di fortuna, e voleva che lei lo raggiungesse; gli affari gli stavano andando bene ed era preoccupato per le voci di una guerra in Europa. Non so se per la guerra imminente o per l'invito di un innamorato ai Tropici, o per entrambi i motivi, ma lei partì. Aveva ventidue anni. Pare che quando arrivò a Caracas, fosse una donna di tale delicata bellezza che tutti gli emigranti voleva no sposarla. (Ho visto delle foto, ed era uno schianto.) E mio nonno disse: «Anche se sono stato io a farti venire qui, non sei obbligata a sposarmi. Siamo stati lontani per due anni, e forse i tuoi sentimenti sono 16
cambiati. Puoi scegliere l'uomo che vuoi nella nostra comunità». Mia madre pianse, commossa dalle sue parole, e gli disse che sì, spettava a lei decidere. E aveva deciso di sposare lui. (Un'altra versione della storia dice che il ma trimonio era stato combinato dai loro genitori in Ucrai na, e che il fatto che lui le avesse chiesto di scegliere di sposarlo era una prova delle sue idee liberali, per cui lei lo sposò.) 3 Quando nacque la loro prima figlia, mia nonna la chiamò Margarita, che è il nome del fiore nazionale del Venezuela. Margarita Weinberg. (Il suo nome ebreo, Miriam, veniva dalla madre di mia nonna, che era mor ta quando mia nonna aveva due anni.) Mia nonna era la narratrice della famiglia. Per accordi presi molto prima che io nascessi, aveva ereditato il compito di tener vivi i nostri racconti e la nostra storia per noi. «Mio fratello era un comunista che lasciò il nostro villaggio in Ucraina e andò a Parigi per unirsi ai parti giani della Resistenza contro i nazisti» diceva. «Diventò una delle loro migliori spie. Gli hanno intitolato una strada a Parigi.» Due anni dopo il suo ingresso nella Resistenza, fu sorpreso in missione dentro un arsenale tedesco in un sobborgo di Parigi. «Quando i nazisti cir condarono l'arsenale, lui usò tutte le armi che vi erano contenute per difendersi. Uccise molti nazisti quel giorno. Serbò l'ultimo proiettile per se stesso.» Suicidi eroici . . . Io sono cresciuto con questi racconti. 17
4 A diciannove anni mia madre, Margarita, incontrò un giovanotto di nome Simon che era arrivato in Vene zuela dopo la guerra, dalla Romania. Era sopravvissuto al conflitto cucendo e vendendo le stelle di Davide gial le che gli ebrei erano costretti a indossare. Trascorse gran parte della guerra nascosto in uno stanzino o ven dendo stelle di Davide. Aveva undici anni. L'infanzia di mia madre in Venezuela fu idilliaca. Il paese godeva di un clima mite e aveva abitanti gentili e ben disposti verso gli immigrati. La guerra era lontana, oltre l'oceano, e mia madre ne sentiva parlare solo quando i miei nonni discutevano sottovoce di parenti che non erano partiti e adesso erano nei campi di con centramento o erano morti. Simon fu portato in Venezuela da sua zia, che aveva un negozio di orologi ben avviato nel centro della città. Fu lei a portarlo a casa di mia nonna per fargli conosce re mia madre. I due uscirono insieme qualche volta, poi lui le chiese di sposarlo. A mia madre Simon piaceva, ma il suo intuito le di ceva di non sposarlo: veniva da una vita troppo diversa. Lei non aveva mai conosciuto la fame o la guerra se non nelle storie eroiche e suicide di sua madre. Ma mio nonno Boris disse: «Credi che ci sia una fila di uomini ad aspettarti? Siamo una piccola comunità ebraica. Lui è un brav'uomo. Dovresti sposarlo». Mia nonna sentì ma non disse niente. E mia madre lo sposò. Del giorno delle sue nozze ricorda soprattutto che sotto il baldacchino della sinagoga pensò: "Che ci fac cio qui? Questo è un suicidio" . 18
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Il loro matrimonio fu un disastro. L'intuizione di mia madre a proposito di Simon, mio padre, era assoluta mente giusta. Venivano da due mondi diversi. L'educazione est-europea di mio padre, già rigida e severa, era stata ulteriormente inasprita dalla guerra. Lui amava Spinoza, Schopenhauer e altri austeri filoso fi europei. Era dispotico e aveva poca pazienza per tut to ciò che andava al di là della mera sopravvivenza. I suoi principali interessi erano guadagnarsi da vivere, fare figli e andare in sinagoga. Mia madre amava i film americani, i cantanti vene zuelani e le bambole di porcellana. Lui era puntuale e tedesco nelle sue abitudini quotidiane. Lei aveva la puntualità delle genti dei Tropici e il loro atteggiamen to rilassato. Lui la trovava pigra e viziata. E presto la sua incapacità di capirla si trasformò in rabbia. Lei, da parte sua, spesso si considerava superiore al marito. La guerra aveva lasciato profonde cicatrici: lui era pressoché privo di buone maniere, rideva troppo forte, parlava uno spagnolo incerto e mangiava come un lupo. (Aveva sofferto la fame così a lungo, mi rac contò, che gli sembrava di non potersi mai saziare.)
6 Ogni venerdì sera c'era una cena di Shabbat a casa nostra. Il mio ricordo più vivido di quelle cene è mio padre, con il viso paonazzo e le vene gonfie sul collo, che strillava accuse. «Le candele di Shabbat non sono state accese al momento giusto ! Tu te ne freghi dello 19
Shabbat ! Che razza di madre sei? Questa cena fa schi fo ! Non sai cucinare ! I bambini fanno troppo chiasso, come li hai educati?» Gli attacchi si facevano via via più veementi: le grida, gli insulti. Eppure, ogni volta che mia madre tentava di ribatte re, mio nonno diceva: «Margarita, lascia stare. Shoin». («Basta» in yiddish.) E non le permetteva di rispon dere. Se mia madre ci riprovava, lui ripeteva: