Schelling. Tra tempo ed eternità


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Schelling. Tra tempo ed eternità

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Jean-François Courtine Schelling Tra te,m po ed ete,r nità

IIScH,BBOLETH

Presentazione

Per quanto ciò possa risultare inatteso, se non addirittura paradossale, è dagli Stati Uniti e dal mondo anglofono in generale che proviene, in questo inizio del XXI secolo, un rinnovamento radicale degli studi sull'idealismo tedesco in generale e sul pensiero di Schelling in particolare, proprio su colui che, più di Hegel o di Fichte, sembrava dover trovare uno spazio tranquillamente riservato negli annali della storiografia puramente erudita, nella misura in cui ha corso, sotto gli auspici dell'Accademia delle Scienze di Baviera, l'interminabile e magistrale edizione storico-critica. Non vi è alcun dubbio che su un piano puramente «documentario», da cinquant'anni a questa parte i lavori e le pubblicazioni, in particolare quelle delle importanti Nachschriften dell'insegnamento di Monaco, e poi di Berlino, si sono moltiplicate e accelerate. È il 1954 l'anno che ha inaugurato, in quanto centenario della morte del filosofo, il primo grande «rinnovamento» degli studi schellinghiani, segnato in particolare dall'uscita del grande libro di Walter Schulz, Vie

Vollendung des Deutschen Idealismm in der Spatphilosophie Schellings, che disperiamo di vedere mai tradotto nella nostra lingua.

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Disponiamo oggi di numerose versioni inedite che hanno profondamente sconvolto il campo delle ricerche dedicate a Schelling, sia per quanto riguarda le Weltalter, sia per le filosofie della mitologia e della rivelazione: Urfassung der Philosophie der Offenbarong, curata da Walter E. Ehrhardt (Meiner, 1992; 2 voli.) e Weltalter-Fragmente, a cura di Klaus Grotsch (Fromman-Holzboog, 2002), per non parlare della regolare pubblicazione dei Tage"bucher conservati a Berlino, rimasti a lungo inaccessibili. Menzioniamo anche la recente pubblicazione, all'interno dell'eccellente serie «Schellingiana», del primo seminario che Heidegger ha dedicato alle Ricerchefilosofichesull'essenzadella libertà umana, nel 1927/1928, e dunque immediatamente dopo la pubblicazione di Sein und Zeit1• Ricordiamo anche, per memoria, che la Francia, la quale aveva giocato un ruolo eccezionale nell'ambito della Forschung internazionale, grazie alla summa di Xavier Tilliette2, ma anche grazie al lavoro, eccellente sotto ogni aspetto, di JeanFrançois Marquet3 e di Miklos Vew•, disponeva già dagli anni

1. Heideggen Schelling-Seminar(l927-1928), a cura di L Hiihn e J. Jantt.en, «Schellingiana» 22, Frommann-Holzboog. Stuttgart-Bad Cannstatt 2010. Questo volume riporta, oltre alle note preparatorie di Heidegger, anche i «protocolli• redatti dai partecipanti, tra I quali Hans Jonas, Gerhard Krilger e Walter Brocker. Si veda anche all'interno della Gesamtausgabe di Heidegger, il voi. 86, Seminare: Hege/,.Schelllng (1927-1957), a cura di P. Trawny, Klostermann, Frankfurt a.M. 2011. 2. X. Tilliette, SchellJng. Unephilosophle en deoenir, 2 voli., Vrin, Paris 1970; riedizione aumentata nel 1992, presso lo stesso editore. 3. li suo importante volume del 1976, Liberté et enstence. Étude sur la fonrurtionde la P.enséede Schelling, è stato ripubblicato nel 2006 gra:àe alla diligenza delle Editions du Ccrf. 4. La sua opera del 1977, Le fondement se/on Schelling, è stato anch'esso ripubblicato nel 2002, e i due volumi, De Kant à Schelling. Les dewc ooies de l'idlalisme allemand, pubblicati per i tipi di Jér6me Millon nel 1998 e nel 2000, testimoniano di un'attività infaticabile.

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'90 di un numero decisamente importante di traduzioni erudite (praticamente tutti i testi fondamentali e in particolare quelli dell'ultima filosofia, l'Introduzionefilosofica alla Filoso-

fia della 1rnt-0logia, l'Esposizione dellafilosofia razionale pura, Il Monoteismo e la Filosofia della rivelazione), grazie principalmente ad una impresa collettiva, sostenuta dal Centre National de la Recherche Scientifique (la «RCP Schellingiana») diretta per otto anni da Jean-François Marquet e da Jean-François Courtiné. Altre importanti traduzioni, la Filosofia dell'arte, La filosofia della ,rnwlogia, l'Esposizione del 1rno sistemafilosofico (1801), in particolare6, si sono subito aggiunte. Il volume Schelling, che abbiamo recentemente curato e pubblicato, per le Éditions du Cerf, nella raffinata collana «Cahiers d'Histoire de la Philosophie» (2010), intendeva testimoniare anche la vitalità delle ricerche schellinghiane alla quali si dedicano numerosi giovani ricercatori, in Francia, in Italia e naturalmente anche in Germania, dove la Internationale SchellingGesellschaft gioca un ruolo decisivo, di federazione e di nuovo impulso 7• Se la filosofia di Schelling è ricca d'immagini sorprendenti, la sua ricezione è sempre stata travagliata: ci si può augurare che, dopo qualche anno di bassa marea, sia di nuovo aperto un nuovo periodo fecondo.

Ma, come dicevamo, sono stati i paesi anglofoni ad aver intrapreso più di recente, al termine di un notevole sfono di traduzioni o di ri-traduzioni iniziato una decina di anni fa, il lavoro per la proposta di un «nuovo Schelling>>, cosa della quale ci danno testirnonian7.a in particolare i volumi: Schelling

5. Il CNRS non resta mai a corto di sigle e di acronimi, semprepilì o meno opachi e improbabili: «RCP» significa «ricerca coordinata su programma»! 6. La bibliografia, riportata alla fine del volume, si sforLa di dame una lista esaustiva. 7. http://www.schelling-gesellschaft.de.

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Now. Contemporary Readings, opera collettiva curata da Jason M. Wirth (Indiana University Press, 2005), e The New Schelling, opera collettiva curata da Judith Nonnan e Alistair Welchman (Continuum Press, 2004), per non citare le iniziative più «popolari» come quella di Slavoj '.Ziuk: The lndiois-

ible Remainder. An F.ssay on Schelling and Related Matters (Verso Press, 2007), The Abyss of Freedom. Ages ofthe World (University of Michigan Press, 1997) o, con Markus Gabriel,

Myt"hology, Madness and Laughter. Subjectioity in Gennan ldealism (Continuum Publishing Group, 2009). È in parte questa situazione esegetica nuova che ci ha convinto circa l'opportunità di rivedere i lavori, gli studi più vecchi e di rimaneggiarli per proporne un volume (che dunque propriamente non è una raccolta) incentrato sulla libertà umana («l'abisso della libertà umana»), che costituisce l'oggetto dell'opera sen1.a dubbio più celebre di Schelling, le Ricerche del 1809, interessandoci alle trasformazioni di questo tema (la libertà per il bene e per il male) e alla sua articolazione con ciò che costituisce senza alcun dubbio, per noi oggi, la maggiore originalità del pensiero schellinghiano, vale a dire la sua indagine della temporalità: fino ad ora (scriveva Schelling ne Le età del 1nondo) i fìlosofi - a cominciare da Kant - non hanno preso sul serio il tempo. Prendere il tempo sul serio significava considerarlo nella sua stratificazione, e non solo nella sua dimensione e-statica orizzontale (passato, presente, avvenire), sia sul piano della coscienza individuale che della sua storia, come anche della sua preistoria e della sua archeologia: la coscienza mitica; ma anche sul piano della storicità delle religioni rivelate (e in primo luogo naturalmente per Schelling, del cristianesimo: fatto, piuttosto che dottrina), e addirittura di una storia divina: la generazione del figlio, la processione trinitaria, la doppia creazione. Si trattava propriamente, per Schelling, di «scavare fino

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alla notte dei tempi», di scoprire le profondità temporali della cosciell7.a, la sua diacronia, confrontandola con le sue stratificazioni inconsce, sempre pronte a rimetterne in moto la profondità. Autori come Franz Rosenzweig, Gershom Scholem o Emmanuel Levinas non si erano sbagliati8. È per tale ragione che noi siamo partiti da uno studio incentrato sulle Ricerche del 1809 prima di esplorare - ma dovremmo dire per sondare, non tanto in una prospettiva «sistematica» le conseguen7.e di questa nuova concezione dei tempi e delle età sul piano della filosofia della mitologia, come sul piano della rivelazione e anche dell'ecclesiologia, accordando anche un posto speciale alle riflessioni originali di Schelling sull'ebraismo. Il capitolo II (L'eternità figlia del te,rrpo) si propone di comprendere, in modo più sistematico, i grandi tratti di questo pensiero della storia, che non è propriamente né filosofia né teologia della storia o teodicea. Cli ultimi due capitoli approcciano il pensiero di Schelling in una prospettiva più determinata: il capitolo V, Un po-po'/o metafisiro?, presenta la sua concezione della storia moderna della filosofia, dopo Kant, nella diversità dei suoi orientamenti nazionali e linguistici. L'ultimo capitolo, infine, dedicato a Ravaisson, si sfona di prendere sul serio una questione lanciata un po' en passant da Alexandre Koyré, ossia sapere se Ravaisson non fosse il solo e più eminente discepolo di Schelling in Francia nel XIX secolo. Anche in questo caso abbiamo privilegiato il pensiero di Ravaisson sulla mitologia, sui Mi-

8. Pubblichiamo, per le edizioni Hermann, una serie di studi: Leoinas. ui trame lcgtque de l'etre, che si sforauio di seguire alcuni dei prolungamenti della riflessione schellinghiana; tr. it. di G. Pìntus, Leoinas. ui trama lcf!.ca dell'=ere, lnschibboleth, Roma2013.

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steri, sull'ellenismo, sull'ebraismo, e sul cristianesimo, sulla scia della filosofia «storica» e «positiva» dell'ultimo Schelling0 •

Alghero, dicembre 2011, Paris, marzo 2012.

9. Ringraziamo i responsabili delle opere collettanee e delle riviste che hanno accolto le prime vemoni dei seguenti capitoli: Alexandra Roux, curatrice del volume Schelling en 1809, Vrin, Paris 2010, che comprendeva una sorta di bo-u.a, qui profondamente rimaneggiata, corretta in alcuni punti fondamentali e completata, del nostro primo capitolo; una prima vcmone del capitolo III dedicata alla filosofia della mitologia è stata pubblicata in un numero dell'«Archiviodi Filosofia» in omaggio al Prof. Mareo Maria Olivetti (n. 1-2, 2008); il capitolo IV si basa sullo studio pubblicato nell'opera collettanea curata da Gérard Bensussan, La phllo.sophle allemande dans la penséejulve, Puf, Paris 1997; il capitolo V aveva dato luogo a una pubblicazione nella «Revue de Métaphysique et de Morale», settembre 2001, sul tema Phllosophies nationales? Controverses franco-allerrumdes; e infine, il capitolo V prende come punto di parte~ uno studio pubblicato all"intemo di un volume in omaggioa O. Poggeler, ldealismusmlt Folgen,Die Epodienschwelleum180Q In lwnst und Geisteswlssenschaften, a cura di H.-J. Gawoll e Ch. Jamme, Wilhelm Fink Verlag, Frankfurt a.M. 1994. Il capitolo Il rilancia in modo nuovo, da parte sua, le questioni della quali ci eravamo già occupati in uno studio dal titoloHlsù>ire supérieure et système des temps se/on Schelllng, pubblicato nei «Cahiers de l'Univemté Saint-Jean-de-Jérusalem•, n. 14, 1998, e nell'operacollettanea curata da Jean-François Marquete da noi stessi, Le demler Schelllng. Roisan et positivité, Vrin, Paris 1994.

Capitolo I

Dalla libertà assoluta alla libertà finita La «metafisica del male» e l'abisso della libertà umana

Il problema della libertà in quanto libertà per il bene e per il male così come la «metafisica del male», che questa problematica contribuisce a elaborare, costituiscono senza dubbio il centro vitale del pensiero di Schelling. Vi troviamo infatti lungo tutto un itinerario ricco di metamorfosi-, come una costante forte, l'affermazione entusiasta della libertà assoluta o dell'assoluto come libertà; ma se il pat1ws della libertà rappresenta indiscutibilmente uno dei tratti fondamentali, tra i più salienti del pensiero schellinghiano, a partire dalle dichiarazioni infuocate del giovane Stiftler fino alle ultime affermazioni della Filosofia della rivelazione 1, manca ancora molto affinché 1. F.W.J. Schelling,Philosophie derOjfenbarung, l, Schellings Werke (d'ora in poi SW), riedizione anastatica di M. Schroter, Beek, Frankfurt a.M. 1927- 1954 dell'edizione reali:aata dal figlio, K.F.A, dal 1856 al 1861, qui voi. XIII, p . 256; la tr. fr. collettiva di «RCP Schellingiana,,, è stata eseguita sotto la dirc:àone di Jean-François Courtine e Jean-François Marquet (l'uf, coli. «Épiméthée>o, l'aris 1989); tr. it. a cura di A. Bausola, Zanichelli, Bologna 1972, p. 339: «La libertà è il nostro punto più alto, la nostra divinità, è es.sa che noi vogliamo come ultima causa di tutte le cose ..... Cfr. anche XIII, p. 359. - Per una presenta:àone rapida della situa:àone delle edi:àoni di Schelling, rinviamo alla nostra Bibliographie, in J.-F. Courtine (a cura di), Schelling, «Cahiers d'Histoire de la l'hilosophie-, Le Cerf, l'aris 2010.

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questo motivo ostinato basti, foss'anche per sé solo, per aprire e determinare lo spazio di una autentica filosofia morale. Questo è il primo punto sul quale vorrei porre l'accento. Da Kant, il quale decretava che «Il concetto di libertà [ ... ] costituisce la chia-ve di volta dell'intero edificio di un sistema della ragion pratica,, 2, a Schelling, il quale annuncia con enfasi a Hegel, il suo vecchio compagno dello Stift di TUbingen, il progetto della sua opera Dell'Io comeprincipio della filosofia, in questi termini: « ... Il principio supremo di ogni filosofia è [ ... ) l'Io nella misura in cui esso è puramente e semplicemente Io, non ancora condizionato da un oggetto, ma posto nella libertà. L'alfa e l'omega di ogni filosofia è lalibertà»3, vi è molto più che un semplice cambiamento di metafora. Poiché con

Per una bibliografia quasi esaustiva fìno al 2005, si veda http://www.philosophie.uni-bremen.de/uploads/media/Schelling-Bibliographie-2004.pdfe http://www.schelling-gesellschaft.de/index.hhnl. [l'er ciò che riguarda le opere citate della presente tradu:done e le relative abbrevia:doni si rinvia alla nota bibliografica posta a fine volume]. 2. I. Kant, Kritik derpraktischen Verrwnft (d'ora in poi KpV), in Kants Werke. Alcademie-Textausgabe (d'ora in poi Ak.Aus. ), W. de Gruyter, Berlin-New York 1968, voi. V,pp. 3 s.; tr. it. di F. Capra, Critica della ragion pratica, con testo ted. a fronte Latera, Roma-Bari 1997, pp. 4 s. (tr. mod.). 3. F.W.J. Schelling, Lettera del 4 febbraio 1795, in Id., Briefe, voi. I, a cura di I. Mollere W. Schieche, Frommann-Holzboog. Stuttgart 2001, p. 22. [Una tradu:aone di questa lettera si trova in G.W.F. Hegel, Epistolario, Guida, Napoli 1983. Il testo è oggi fuori ed.i:done e di difficile reperibilità e non ci è stato possibile consultarlo. La tradu:aone è fatta direttamente dal testo citato da J.-F. Courtine: G.W.F. Hegel, Correspondance. I. 1715-1812, tr. fr. J. Carrère, a cura di J. Hoffmeister, Gallimard, l'aris 1962; N.cL T. ]. - Cfr. ancheSW, I, Vom Ich; tr.it. a cura di A. Moscati,Dell'Iocomeprincipiodella filosofia, Cronopio, Napoli 1991, § VI, p. 50: «li punto ultimo da cui dipendono tutto il nostro sapere e l'intera serie dei cond.i:aonati non deve essere più cond.i:aonato da niente. Il tutto del nostro sapere non ha sostegno se non è sorretto da qualcosa che è in grado di sostenersi con la sua propria forLa; e

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l'abbandono della distinzione netta tra libertà pratica e libertà trascendentale, ne va correlativamente del rifiuto dell'articolazione kantiana tra la legge morale come ratio oognoscendi della libertà, e la libertà come ratio essendi della legge morale. È chiaro che questo «passo al di là del limite kantiano», che costituisce l'assolutizzazione della libertà, conduce Schelling, almeno in apparen:,.a, a mettere in secondo piano la legge morale in quanto tale fino al punto di ridurre la formula dell'obbligazione alla sua espressione più semplice. Infatti, quando la ricerca trascendentale delle condizioni di possibilità crede di potersi radicalizzare in uno studio dell'«Incondizionato nel sapere umano», cos} come esso si offre all'intuizione intellettuale, la legge suprema per l'Io assoluto o infinito diviene in modo molto rigoroso - come sottolinea espressamente Schelling - quella dell'identità. L'Io assoluto, come autoposizione rillessiva, è cos} definito dall' «uguaglianza a sé», e la sua «forma originaria» diventa quella dell'identità: Poiché l'io è posto, secondo la sua essenza, dal suo semplice essere come assoluta identità, ti principio supremo si può esprimere indifferentemente nella forma: Io sono Io, oppure: Io sono!•

Imperativo etico o ontologico? Ma in ogni caso - ed è proprio ciò che qui ci interessa - , per l'Io assoluto una tale legge va intesa più come «legge naturale» che come morale, perché il vero e ultimo imperativo che si impone all'Io finito nel suo rapporto a se stesso, facendo ciò non è altro che quel che è determinato in virtù della libertà. L"inizio e la fine di ogni filosofia è libertà!».

4. SW, I,§ VJU,p. 179;DeU'lo.. .,p. 53.

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astrazione di ogni spazio interpersonale o intersoggettivo che si trova, se non escluso, per lo meno messo in secondo piano, è l'uguaglianza con se stesso, l'identità: Poiché la legge suprema che determina l'essere dell'Io infìnlto è quella della sua identità, nel fìnlto la legge morale può rappresentare questa identità soltanto come esigenza e non come ente; la legge suprema per l'essere fìnito è perciò questa: sii assolutamente-identico a te stesso. 5

Nella nona delle Lettere filosofiche su dommatismo e criticiS11IO, Schelling ritorna su questo imperativo, che rappresenta l'Urgesetz per l'Io finito, e ne propone una formulazione ancora più economica, la più economica: «Sii/ Tale è la suprema esigenza del criticismo». Occorre ancora precisare, se si vuole evitare ogni Schwarmerei, che si tratta qui di un'idea il cui valore è solo pratico, e soprattutto che essa mira solamente a definire la destinazione (Bestim111Ung) del!'essere morale: Per il criticismo, il mio destino è: sforzarsi all'ipseità immutabile, alla libertà incondizionata, all'attività illimitata. 6

Il termine chiave è qui Streben, sforzo al singolare, in effetti, poiché tende non tanto ad una qualche scomparsa dell'Io finito nell'Assoluto - tale è l'«errore» dogmatico di Spinoza sottolineato nella Ottava lettera -, ma a «avvicinare da sé la deità» e questo «avvicinamento deve farsi all'infinito»7 • Il Vom Ich aveva già esplicitato, da canto suo, le condizioni di questo Streben, che faceva passare il finito dal Sein al Werden («lo sfon.o è possibile solo nel tempo»). L'antagonismo tra «legge di natura» e «legge morale originaria» non si può dunque ri-

5. SW, I,§ XIV, p. 199; Dell'Io ... , p. 79.

6. SW, I, Phllcscphische Briefe iiber Dogmatlsmus und Kriticismus, p. 33.5; tr. it. a cura di G. Semerari, Lettere filosofiche su dommatismo e criticismo, Later.t.a, Roma-Bari 1995, p. 75 (tr. mod). 1. Ibidem (tr. mod).

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solvere se non a favore di una «mediazione temporale» o di un nuovo schematismo, «quello della produzione nel tempo; in modo tale che quella legge che mira a un'esigen7.a dell'essere si trasformi in un'esigen7.a del divenire». «La legge morale originaria espressa nella sua forma interamente sensibile è quindi questa: Diventa identico, eleva (nel tempo) le forme soggettive della tua essen7..a (Wesen) alla forma dell'assoluto» 8•

È chiaro dunque che per il giovane Schelling non si tratta solo di ricondurre in modo puro e semplice il comandamento pratico alla legge d'essenza, costitutiva: infatti al di là del gesto schellinghiano - lo stesso gesto che sostiene la cosiddetta filosofia dell'identità -, che consiste nel reinscrivere l'Io finito nell'Io assoluto0 , ciò che importa è di far emergere le condizioni concrete della messa in opera della libertà umana finita, quella stessa di cui l'ultima delle Lettere, riprendendo il filo dell'analisi della tragedia greca che ne costituiva l'apertura, fornirà una illustrazione particolarmente drammatica attraverso la figura di Edipo. Per l'Io finito, nella figura edipica, non vi è «negazione degli oggetti», infinitiz:1..azione tendenziale della libertà che cerca di coincidere asintoticamente con l'autoposizione dell'Io puro: la lotta contro «i terrori del mondo oggettivo», quella che poteva, come scriveva felicemente Xavier Tilliette, rispondere ad una «strana passione negativa dell'oggetto» 10, cede il posto ad una battaglia del tutto diversa, quella che affronta la «superpotenza (Ubermacht) del de-

8. SW, I, 4 XIV, p. 200; Dell'Io... , p. 80. In nota ScheUing dettaglia i differenti momenti di qucstaschemati:c,;azione: «Secondolaquantità: Divieni assolutamente uno•; «Secondo la qualità: Divieni realtà assolutamente!»; «Secondo la relazione: Divieni assolutamente incondizionato, sforzati di raggiungere la causalità assoluta»; «Secondo la modalità: Sforati di porre te stesso come indipendente dal mutamento temporale», vale a dire anche ,ln ogni tempo»! 9. Cfr. SW, I, Vom !eh,§ XVI.

10. X. Tilliette, Schelling. cit., voi. I, p. 76.

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stino», o le monde comme il oo. Ma allora l'affermazione della libertà, o meglio «liberazione della libertà nell'uomo», secondo la magnifica formula di Heidegger a Davos, alla quale ci dedicheremo più avanti, concerne certamente l'Io finito, nel suo statuto più precario. Certo, si continuerà ad affermare che «l'essenza dell'Io è libertà>,11, ma ciò significa ormai che l'Io si pone esso stesso immediatamente in virtù della sua «auto-potew.a» (Se"lbstmacht) e che si pone come «semplice Io», in modo preliminare ad ogni determinazione o determinabilità possibile, in fuw.ione di ciò che sarebbe altro da lui. Alla prudenza di Kant, il quale sottolineava sia la fattualità della ragione pratica sia l'inconcepibilità della libertà alla quale accediamo sempre e solo indirettamente12, si oppone ormai la tematica schellinghiana dell'intuizione intellettuale compresa come intuizione della libertà13. Schelling lo indica in modo chiaro nelle Lettere filoso.fiche su dommatismo e criticismo: In noi tutti esiste un potere misterioso, meravigltoso, quello di ritirarci [... ] nella nostra interiorità, e qui contemplare l'eterno in noi sotto la forma dell'immutabilità. Questa intuizione è I'esperien7..a più interna e propria, dalla quale soltanto dipende tutto ciò che noi sappiamo e crediamo di un mondo soprasensibile. Questa intuizione ci convince che una qualsivoglia cosa è nel senso proprio [... ]. Essa si differenzia da

11. SW, I,§ VJII, p.179; Dell'Io ... , p.53. 12. KpV, pp. 4 s.; tr. it. cit., p. 5: «Ma la libertà è anche l'unica fra tutte le idee della ragione speculativa di cui noi conosciamo a priori la possibilità senza tutta via peroepirla, perché essa è la condmone della legge morale che noi conosciamo». 13. A dire il vero le analisi di Schelling su questo punto varieranno piil che su molti altri. Rinviamo allo studio magistrale di X. Tilliette, L'intuition intelleàue/Je de Kant à Hegel, Vrin, Paris 1995; tr. it. di F. Tomasoni, L'intuiuone intellettuale da Kant a Hegel, Moroelliana, Brescia 2000.

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ogni Intuizione sensibile per il fatto che essa è prodotta solo per mez,,,.o della libertà.,.

Una tale assolutizzazione della libertà conduce logicamente Schelling a delìnire, con Fichte, l'Io come pura attività, «attuosità», diceva Leibniz15, o meglio come «agire» assoluto (Handeln) senza oggetto transitivo preliminare 16: Perché I'essen7.a dell'uomo è agire. - Nella misura in cui sono libero (e lo sono dal momento in cui posso elevarmi al di sopra della connessione delle cose e porre la questione circa la possibilità di questa stessa connessione) io non sono alcuna cosa, alcun oggetto. Vivo in un mondo del tutto proprio, sono un essere che non esiste per altri esseri, ma che esiste per se stesso. In me non può esservi altro che atto e azione (That und Handlung):da me possono procedere solo effettuazioni, in me non può esserci alcun patire.

Così, l'Io non è solo questa volontà pura che, attraverso la sua autodeterminazione e la sua poten1.a, si pone ed esiste per sé; ma, a titolo di volontà libera, l'Io è innanzitutto e fondamentalmente «volontà del volere originario»17• Nella lìlosolìa

14. Ottava lettera, SW, I, p . 318; Lettere filosofiche su dommotismo e critidsnw, p.52.

15. Cfr. G.W. Leibniz, Lettere a Des Bosses, in Id., Dle philosophLschen Schriften, a cura di C.J. Gerhardt, Olms, Hildesheim 1960, voi. 11, p. 439; tr. fr. di Ch. Frémont, Lettres de Lelbmz à Des B equivarrebbe a •elevare a movente» l'opposizione alla legge, macosl si «farebbe del soggetto un essere diabolico» (I. Kant,La n,/igione ... , cit., p. 107). ijean-François Courtine utili= mkhanceté per Bosar«gkeit e ma/tgnitè per Bosheit; N.d.T.). Se Kant rifiuta senza esitazione una tale concezione, non smette tuttavia di sottolineare l'abisso di incomprensibilità rappresentato dal male morale e dalla sua origine. - Tra le interminabili discussioni suscitate dalla formula della «banalità del male», H . Arendt cosl rispondeva a G. Scholem in una lettera del 20 luglio 1963: «Quel che ora penso veramente è che il male non è mal radicale, ma soltanto estremo, e che non possegga né profondità né una dimensione demoniaca. Puè> devastare il mondo, perché prolifera come un fungo sulla superfìce della terra,, [tradotta direttamente dalla tr. fr. di S. Courtine-Denamy, in H. Arendt, &rits,juifs, Fayard, Paris 2011, p. 650). 35. Nella secondaparte di La religione... («La lotta del principio buono contro il principio cattivo perii dominio sull'uomo»), Kant cita Paolo (Ef 6,12): «Non ci si puè> dunque stupire se un Apostolo rappresenta questo nemico invisibile, corruttore dei principi morali e conoscibile solo mediante i suoi effetti su di noi, come uno Spirito cattivo esistente fuori di noi: "Non dobbiamo combattere contro la carne e il sangue (cioè contro le inclinazioni naturali), bensì contro Principati e Potestà, contro Spiriti maligni"». Se non ci si deve stupire di queste formulazioni è innanzitutto perché si tratta di una affermazione che «non sembra mirare a estendere la nostra conoscenza al di là del mondo sensibile, ma soltanto a rendere intuitivo per l'uso pratico il concetto di ciè> che per noi è imperscrutabile». Infatti, collocare il tentatore «semplicemente in noi stessi oppure fuori di noi» sarebbe la stessa cosa, perché in ogni caso, «se non fossimo segretamente d'accordo con lui», non saremmo stati da lui tentati (cfr. I. Kant, La n,/igione ... ,cit., pp.155 ss.).

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(Grund-Existenz) - pietra angolare delle Ricerche - non potrebbe sviare la prospettiva ancora trascendentale che conduce dalla condizione di possibilità a quella della realtà effettiva della e nella esperienza: Abbiamo cercato di dedurre il concetto e la possibilità del male dai primi fondamenti e di sooprire la base generale di questa dottrina, oonsistente nella distinzione tra l'esistente e ciò che è il fondamento dell'esisten7.a. Ma la possibilità non include ancora la realtà, e questa propriamente è il grande oggetto in questione. E invero, non si tratta di spiegare all'incirca come il male diventi reale nell'uomo singolo, ma la sua universale efficacia (Wirksamkeit), ossia come abbia potuto scaturire dalla creazione come un principio assolutamente generale, dappertutto In lotta con il bene.30

Questa inflessione della questione della realtà effettiva in direzione dell'efficacia universale rimanda certo, al di là di Kant37, alla problematica generale della teodicea e all'idea di lìlosofia o teologia della storia, quella che Schelling chiamerà più tardi - come abbiamo già ricordato - storia superiore (lwhere Geschichte)38, insistendo sul valore temporale dell'opposizione dei principi, ma soprattutto dandogli una dimensione teologica o teogonica, del tutto estranea a Kant: «Poiché esso [il male] almeno come opposizione universale, è innegabilmente reale, non vi può essere fin da principio nessun dubbio che sia stato necessario alla rivelazione (Offenbarung) di Dio» 39• Ci troviamo qui nel circolo teo-antropo-rnorfico caratteristico del trattato 1809, esplicitamente rivendicato come tale, di cui 36. SW, VII, p. 373; Ricerche filosofiche ... , p. 106 (tr. mod.). 37. Per Kant, come sottolinea bene J.-L. Bruch, op. cit., p. 62: l'universalità del male si applica solo «alla specie umana nella sua intere-a:a,,.

38. Cfr. X. Tilliette, L'Absolu et la phllosophie. Essais sur Schelling, Puf, Paris 1987, pp. 239-9.53. 39. SW, VII, p. 373; Ricerche filosofiche ... , p. 106 (tr. mod.).

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possiamo trovare una formulazione particolarmente vigorosa l'anno successivo nelle Lezioni di Stoccarda: Se vogliamo farci un'idea dell'essenza originaria (Unvesen), del suo essere (Seyn) e della sua vita, non possiamo propriamente scegliere se non tra due punti di vista. O l'essen7_.a originaria è per noi qualcosa di concluso una volta per tutte e di Immutabilmente sussistente, e questo è il concetto consueto di Dio, quello della cosiddetta religione naturale e di tutti i sistemi astratti. Se non che tanto più esasperiamo questo concetto di Dio tanto più Dio perde per noi in vitalità, tanto meno possiamo concepirlo come un essere vivente, reale e personale nel vero senso della parola, come siamo noi. O,se invece esigiamo un Dio che ci sia possibile intendere come un essere affatto vivente e personale, è necessario considerarlo in una maniera risolutamente umana: dobbiamo ammettere che la sua vita abbia la massima analogia con la vita umana, che ci sia in lui accanto ali'eterno essere anche un eterno divenire, che egli, insomma, abbia tutto in comune con l'uomo, ad eccezione della dipendenza ..."°

È ancora questa circolarità che obbliga Schelling a tentare di pensare insieme l'universale necessità del male e la tesi fondamentale che il male resta sempre la scelta propria dell'uomo. L'analisi della libertà umana, nel momento in cui intende esplorare a fondo la sua essen1.a, ci riconduce una volta ancora alle speculazioni teogoniche. L'inversione completa del modo di procedere schellinghiano rispetto a Kant emerge qui con estrema chiarezza: Si dà dunque un male universale, benché non originario, ma risvegliato solo attraverso la rivelazione di Dio, lìn da principio, attraverso la reazione del fondamento, un male che non giunge mai alla real.iz,,.azione, ma vi tende costantemente. Solo dopo

40. SW, Vll, pp. 421-484: p. 432; tr. it. di S. Drago del Boca, L. Pareyson e V. Verra, Lezlonl di Stoccarda, in F.W.J. Schelling, Scritti sulla filosofia, la religione, la libertà, cit., pp. 141-193: pp. 151 s.

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In conoscen7.n del male universale è possibile comprendere il bene e il male a.nche nell'uomo. Se cioè, già al principio delln creazione il male è stnto suscitato e, attraverso l'indipendente ngire del fondamento, è stnto poi sviluppntoln principio generale, unn naturale tenden7.ll (ein natarlicher Hang) dell'uomo al male sembra spiegabile già con ciò, che il disordine delle forze introdotto con il risveglio del volere individuale delln creatura, gli è stnto pnrtecipnto fin dalln nnscitn.41

Se dunque le Ricerche fil,osofiche sull'essenza della libertà uma. nae gli oggetti che vi si collegano aprono innanzitutto una prospettiva antropologica, Schelling rivendica presto, come ha notato giustamente Heidegger nel suo commento42, i diritti dell'antropomorfismo, in virtù del quale l'esame della situazione dell'uomo, nella natura, nella storia, nella sfera creaturale in generale, riconduce sempre al processo della creazione e al

41. SW, VII, pp. 380s.; Ricerche filosofiche ... ,p. 111. 42. GA 42, pp. 282 ss. [Utili:.cteremo la tr. it. di C. Tatasciore, Schelllng. Il trattate del 1809 suU'essen:ta della libertà umana, Guida, Napoli 1998, pp. 258ss., che tuttavia non riproduce esattamente il testo di GA 42. Si veda la nota del traduttore, ed. it. cit., pp. 15 ss.; N.d. T. ). Ma è soprattutto nella polemica con Jacobi e nelle risposte a Eschenmayer che Schelling esplicita e giustifica il suo modo di procedere: SW, VIII, pp. 167 s.: «Come avete correttamente percepito, è necessariosoegliere il proprio campo: o si esclude ogni antropomorfismo e dunque anche ogni rappresenta:tione di un Dio personale, che compie degli atti coscienti c inten:àonali [ciò basta per renderlo del tutto umano), oppure si adotta un antropomorfismo illimitato, una totale e integrale umani=zione (Vemienschlichung) di Dio, con una sola ecce-àone: l'essere necessario.[ ... ] Voi dite: Diocleve semplicemente essere sovra-umano. Tuttavia, se volesse essere umano, [ ... ] chi avrebbe da ridire? Se Dio stesso discendesse dal)'alte-aa che occupava e si rendesse CQ111Une con la creatura, perché dovrei trattenerlo con for~ in tale alte-aa? In che cosa lo ridurrei, io, con la rappresenta:donedella sua umanità, allorché è stato egli stesso ad abbassarsi?»; il testo è disponibile in tr. fr.: F.W.J. Schelling, Répon.se à Eschenmayersur la philo.sophie de la nature. Philosophie et religion.

Recherches sur l'essence de la liberti humaine. Objections d'Eschenmayer contre /es Recherches et réponses de Schelling, Vrin, Paris 1988.

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processo teogonico. L'uomo è «al bivio»43, poiché in lui «il vincolo dei principi non è necessario, ma libero»44 • Ora è giustamente questa libertà, o questa indeterminazione del vincolo, a spiegare in definitiva la possibilità del male: Il male come tale può nascere solamente nella creatura, perché solo in questa possono trovarsi uniti in maniera separabile la luce e le tenebre, owero i due principi.

La creatura, termine con il quale dobbiamo intendere enfaticamente l'uomo, è ciò che rivela il male come tale, se è vero che il fondo (Grorui), questa istanz.a abissale, iniziale, che Schelling ha messo in evidenz.a in tutto ciò che è, compreso in Dio, non può mai essere malvagia in sé45. Il fondo è infatti presente in Dio, anche se esso è in Dio ciò che non è Dio stesso o Dio in se stesso46 : è l'altro da Dio in Dio, dal momento che Dio è essenzialmente compreso come spirito o meglio come amore:

43. SW, VII, p. 374; Ricerchefilosofiche ... , p. 106: «L'uomo è posto su una vetta dove ha in sé ugualmente la pSSibilità di muoversi spontaneamente verso il bene o verso il male. In lui il vincolo dei principi non è necessario, ma libero. Egli sta al bivio; qualunque cosa egli scelga, diviene la sua azione, ma non può rimanere nell'indecisione [... )•. Cfr. SW, VII, p. 458; !doni di Stoccarda, p. 172: «L'uomo dunque, per il fatto che sta in mezzo fra il nonessente della natura e !'assolutamente essente • Dio, è libero da entrambi. È libero da Dio perché ha una radice indipendente nella natura, è libero dalla natura perché in lui si è destato il divino, che sta, nel centro della natura, sopra la natura. Queste due parti dell'uomo possiamo chiamarle rispettivamente la parte propria (naturale), quella per cui egli è individuo, essere personale, e la parte divina. Egli è libero nel senso umano del termine, perché è posto nel punto di indifferenza». 44. SW, VII, p. 374; Ricerche filosofiche ... , p. 106. 45. Cfr. SW, Vll, p.315;Ricerchefilosofiche... ,p. 101: «L'essereche costituisce il fondamento iniziale non può mai essere in sé cattivo-. 46. La formulazione schellinghiana, nella polemica con Jacobi, è in questo caso particolarmente sorprendente: «Io pongo Dio come Primo e Ultimo, come Alfa e Omega, ma in quanto Alfa egli non è ciò che èin quanto Omega, e nella misura in cui egli non è se non a titolo di questa istanza ultima- come

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Dio come spirito (l'eterno vincolo dei due principi) è l'amore puro, ma nell'amore non può mai esserci una volontà di male: e nemmeno nel principio ideale. Ma Dio stesso, per poter essere, ha bisogno di un fondamento, soltanto che questo non è fuori di lui, ma in lui, e ha in sé una natura, che, quantunque appartenga a lui stesso, è tuttavia distinta da lui. Il volere dell'amore e il volere del fondamento sono due voleri distinti, ognuno dei quali sta a sé: ma il volere dell'amore non può contrastare al volere del fondamento, né sopprimerlo, perché altrimenti dovrebbe contrastare se stesso. Giacché il fondamento deve agire perché l'amore possa esserci. ..•7

Ma per meglio sottolineare lo sfondo kantiano delle Rkerche, bisogna ancora aggiungere un tratto: in questo trattato Schelling si adopera anche a criticare ciò che egli considera il concetto idealista di libertà, concetto solamente formale al quale Fichte aveva dato, per la prima volta, una determinazione completa. Ora, è contro questa posizione dell'idealismo soggettivo che Schelling scrive infatti: non basta affatto sostenere «che attività, vita e libertà soltanto siano il vero reale»[ ...], si esige piuttosto che si dimostri, anche reciprocamente, che ogni reale (la natura, il mondo delle cose) abbia per suo principio attività, vita e libertà, o [ ... ) che non soltanto l'Io sia tutto, ma che, anche, all'inverso, il tutto sia lo.48

Tuttavia, questa prima generaliZ7..azione-estensione del concetto idealista di libertà non solo è insufficiente, ma soprattutto rischia di mascherare interamente ciò che costituisce il proprio della libertà umana: Dio$et1$U eminenti, egli non può essere chiamato Dio nello stesso senso né, come diciamo espressamente, può essere considerato in modo altrettanto rigoroso quando è Dio non esplicitato, Deus implicitus, e quando è Deus explicitus, come Omega,, (SW, VIII, p. 81; tr. fr. di P. Ceru~ Une autre querelle de l'athélsme, Schelllng répond à Jaccbl, Vrin, Paris 2012).

41. SW, VII, p. 375; Ricerche filosofiche ... , p. 107. 48. SW, VII, p. 351; Ricerche filosofiche ... , p. 91.

35 Ma d'altra parte, se la libertà è il concetto positivo dell'in sé in generale, la ricerca intorno alla libertà umana viene di nuovo respinta nel generico, giacché l'intelligibile, sul quale soltanto essa è stata fondata, è anche I'essenw delle cose in sé. Il semplice idealismo dunque non basta per indicare la difTerel\7.ll specifica, cioè proprio l'aspetto particolare della libertà umana.••

Concludendo cosl, Schelling non intende semplicemente rifiutare il concetto superiore della libertà cosl come è stato conquistato dall'idealismo a partire da Kant, «giacché - scrive-, fino alla scoperta dell'idealismo, manca l'esatto concetto della libertà in tutti i moderni sistemi, in Leibniz come in Spinoza»50, ma egli cerca piuttosto di reinterpretarlo nella prospettiva di un «realismo superiore» per il quale sarà necessario niente meno che il progetto di una «metafisica del male»~• i cui ultimi prolungamenti sono visibili sia nella Filosofia della mitologia che nella «satanologia» della Filosofia della rivelazione.

L'uomo creatura centrale L'idealismo, da un lato, fornisce soltanto il concetto più generale di libertà e, dall'altro, il suo concetto soltanto formale. Ma il concetto reale e vivente di libertà è quello di un potete del benee del male.~

Mettere in evidenza la specificità della libertà umana, colta nella sua essenza, non conduce semplicemente a rinunciare al progetto inizialmente interrotto di fare della libertà l'«Uno e

49. SW, VII, p. 352; Ricerche filosofiche ... , p. 92. 50. SW, VII, p. 345; Ricerchefilosofiche ...• p. 87 (tr. mod.). 51. GA 42, p. 181: tr. it. cit., p. 175. 52. SW, VII, p. 352; Ricerche filosofiche .. .• p. 92.

36 il Tutto della filosofia», ma ciò obbliga in ogni caso a introdurre -come abbiamo già suggerito - una prospettiva più storica o narrativa, la stessa che Schelling tematizzerà nella parte introduttiva delle Età del fTWndo (versione del 1813) e nel System der Weltalter a cui si consacrerà a Monaco a partire dal 182'75-1. Ed è cosl che una reale continuità si trova ristabilita con questa proposizione del Sistema dell'idealismo trascendentale: «[ .. .] la libertà, !'assolutamente indimostrabile che non si comprova se non attraverso se stesso, costituisce l'inizio e la fine di questa fìlosofia»54 • Se dunque, dal momento che si tratta di libertà umana, questa doppia postulazione del bene e del male è essenziale - sen7.a che si possa mai separare e isolare semplicemente uno dei termini dell'opposizione irriducibile -, è precisamente perché, come abbiamo già notato, l'uomo, essere in-deciso, è anche nel contempo la creatura centrale, vale a dire quella che ospita in sé le due istanze ontologiche differenti e correlative del fondo e dell'esisten7.a. L'uomo, sottolinea Schelling, porta con sé i due centri, e da ciò deriva il suo ruolo destinale per l'insieme della creazione e persino per la stessa vita divina: Quest'eleva7.ione del più profondo centro nella luce non accade in alcun'altradellecreature anoi visibili,all'infuori dell'uomo. Nell'uomo è l'intera poten7.Jl del principio tenebroso, e a un tempo è in lui anche tutta la forza della luce. In lui è il più profondo abisso, e il cielo più elevato, ossia ambedue i centri.M

53 Cfr. F.W.J. Schelling, System der Weltalter, a cura di S. Peetz, Klostermann, Frankfurt a.M. 1990, secondo la Nachschrift di E. von Lasaulx; cfr. ancheF.W.J. Schelling, Grundlegungderposltwen Philosophle.Miinchener Vorlesung WS 1832133und SS 1833, a cura di F. Fuhrmans, Bottega d'Erasmo, Torino 1972.

54. SW, III, p. 376; Sistema dell'idealismo trascendentale, p. 121. 55. SW, VII, p. 363; Ricerche filosofa;he ... , pp. 99 s.

37 Cos}, mettere in evidenza la specificità della libertà umana, colta nella sua essenza come libertà ex-(s)istente o ex-centrata5'6, conduce Schelling ad una prospettiva narrativa, quella delle Weltalter, che dovrà rendere conto della possibilità e della realtà effettiva del male, se è vero che queste ci rinviano sempre ad una pre- o ad una proto-storia che è insieme quella della creazione, della libertà e della temporalità e-statica57• È così che la questione della libertà si ritrova intrinsecamente legata a quella della temporalità o, più precisamente, alla questione del cominciamento nel tempo, attraverso il quale Schelling ritrova ugualmente la determinazione kantiana della libertà come facoltà di iniziare da sé un evento, che diventa rottura inaugurale58. La problematica schellinghiana si separa così di nuovo

56. «Ex-sìstenz»: SW, X,ZurGesduchtederneuerenPhilcsophie, p.18l;tr. it., Lezioni mcnachesisullastoria della filcsofia moderna, in F.W.J. Schelling. Lezioni mcnachesl e altri sariffl, a cura di C. Tatasciore, Orthotes, Salerno-Napoli 2019, pp. 53-231: p. 213 [«ek-sìste~. nella tr. it. cit.; N.d.T.]. «Ex-zentrierbt, «ohne Zentrum», «auBer dem Zentrum»: cfr. ivi, p. 186; tr. it. cit., p. 217: «L'uomo non è più, dunque, nel luogo nel quale - grazie alla creazione stessa - era posto; da una falsa estasi egli è posto fuori dal centro, nel quale era colui che sa tutte le cose». 57. Cfr. SW, Vll, pp. 385 s.; Ricerche filosofiche ... , p. 115: «L'uomo è, nella creazione originaria, come si è mostrato, un essere non decìso [ ... ); però può decidersi egli stesso. Ma questa decisione non può cadere nel tempo; essa cade fuori di ogni tempo, e perciò coincide con la prima creazione, quantunque come un atto distinto da essa. L'uomo, quantunque sia generato nel tempo, è tuttavia prodotto nel principio della creazione (nel centro). L'atto, perii quale la sua vita è determinata nel tempo, non appartiene esso medesimo al tempo, ma all'eternità. [ ... ) Per essa la vita dell'uomo raggiunge il principio della creazione: perciò l'uomo, per mCC&t.Osuo, è anche fuori dal creato libero ed esso medesimo eterno principio». 58. I. Kant, Kritik der reinen Verrwnft (d'ora in avanti KrV], in Ak. Aus., voi., 111,A 533-B561; tr. it. di C. Esposito, Critica della raglonpurrz,con testo ted. a fronte, Bompiani, Milano 2012, p. 787: «Io intendo con libertà in senso cosmologico la facoltà di cominciare spontaneamente uno stato, la cui causalità dunque non soggiace a sua volta - in conformità alla legge di

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indubbiamente dalla determinazione kantiana dell'antropologia, contraddistinta dalla lìloso6a morale pur:fl, nella misura in cui l'indagine delle Ricerche mira proprio a comprendere ciò che l'uomo è; essa si interroga sull'uomo e sull'essenza della libertà che in lui è storica. Si tratta certo di una storicità superiore, cosl come Schelling la de6nirà più tardi, ma basta a scompigliare la stretta divisione kantiana tra l'antropologia (empirica, impura) e la lìloso6a morale, attenta a far emergere i fondamenti dell'obbligazione, a esibire la legge morale nella sua pureZ7..a e a fornire una formulazione rigorosa.

Una distinzione fondamental,e Ma, ben al di là (o al di qua) di Kant, il grande e importante paradosso dello scritto del 1809, perfettamente riconosciuto dallo stesso Schelling - poiché è qui che si incontrano la problematica del panteismo e quella della libertà come umana- è che per salvare l'uomo con la sua libertà60, non vi è altra soluzione se non quella di cercare rifugio «nell'essere divino stesso, poiché è impensabile in opposizione alla sua onnipoten7..a; vale a dire che l'uomo non è fuori di Dio, ma in Dio, e che la sua attività stessa appartiene alla vita di Dio». L'antropologia

natura - a un'altra causa che l'abbia determinata nel tempo. La libertà, in questo senso, è una pura idea trascendentale[ ... ]•. 59. Cfr. in particolare la prefazione alla Fondazione della metafisica dei costumi: Ak. AtlS., voi. IV, pp. 389 e 390; tr. it. di F. Connelli, Later,:a. RomaBari 1997, p. 7: «(si ritiene] di estrema necessità elaborare, una buona volta, una filosofia morale pura, che sia interamente purificata da tutto ciò che può essere solo empirico e appartiene all'antropologia. [ ... ] tutta la filosofia morale riposa interamente sulla sua parte pura e, applicata all'uomo, non trae il minimo elemento dalla conoscenza di quest'ultimo (antropologia),.. 60. SW, Vll, p. 339; Ricerche file-so.fiche ... , p. 83.

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diventa qui ontologia generale e teologia, entrambe addossate alla distinzione ontologica cardinale del fondo e dell'esistenza 61. Ma allora il problema cambia scenario, poiché si tratta ormai, con l'aiuto di questa distinzione, di cogliere in Dio ciò che non è Dio stesso. È proprio questo movimento abbastan1.a complesso della ricerca a rendere immediatamente caduche tutte le alternative del genere: o indagine antropologica, che si impegna a tematixl.are la libertà umana lìnita, o indagine teologica, incentrata sulla vita in Dio. Altrimenti detto, e in maniera positiva, è ancora questo gioco di rinvii che spiega l'unità «onto-teo-antropo-cosmologica» del trattato ed è ancora essa che fonda, nel contempo, la centralità dell'antropomorlìsmo. A partire da ciò, tutto si concatena rigorosamente: grazie a

questa distinzione del fondo e dell'esistenza, Dio può essere libero dall'errore, dal male e dalla malvagità e la libertà umana può affermarsi rispetto ali'onnipoten1.a divina - poten1.a incondizionata - sen1.a per questo essere ridotta ad una «passività incondizionata»62 • Quanto al male, la sua realtà positiva è assicurata con lo stesso gesto: Il fondamento del male deve dunque consistere non solo in qualcosa di positivo in generale, ma in ciòche di più altamente positivo contiene la natura. ( ... ] esso consiste nel centro fattosi manifesto o nel volere oliginruio del primo fondamento (Grond).63

I due veri poli del trattato del 1809 si lasciano cosl caratteriZ?.are: la metalìsica del male da un lato e, dall'altro, ciò che

61. Cfr.GA 42,p. 185; tr.it. cit.,p. 179 (tr. mod.): «La questione inespressa, ma che nondimeno è presente in tutto il trattato e avvia il movimento è quella dell'essenza e del fondamento dell'Essere».

62. SW, VII, p. 339; Ricerchefilosofiche ... , p. 83. 63. SW, VII, p. 369; Ricerchefilosofiche ... , p.103.

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bisognerebbe chiamare, sen7.a dubbio, metafisica dell'amore. Poiché l'ultima definizione di Dio nel trattato è in realtà l'amore: Dio è amore, e soprattutto la legge suprema è la legge dell'amore, quella stessa legge che prescrive di lasciare il fondo ali'opera, vale a dire di non impedirgli di agire. Questa è, secondo Schelling, la sola maniera possibile di concepire in modo nuovo l'idea classica di una permissione del male64 •

La vetta dell'idealismo tedesco? Apriamo qui una lunga parentesi: nella magistrale interpretazione che Heidegger, nel 1936, ha dato del trattato di Schelling sull'essenza della libertà umana, l'accento è posto, in una maniera apparentemente indiscutibile, sul volere, la volontà, la volontà di volontà~. Possiamo chiederci tuttavia se la ce-

64. SW, VII, p. 375; Ricerchefilosofiche ... ,p. 107. Questo punto è ben messo In evidenza da Heidegger alla fine del corso del 1936: Cfr. GA 42, pp. 280 s.; tr. it. cit., p. 257: «La libertà umana [ ... ) è il punto centrale della filosofia, perché è muovendo da essa come centro che tutta la motilità cootitutiva del divenire del creato, quale divenire di ciò che crea e quale eterno divenire dell'Assoluto, diviene unitariamente manifesta nella sua contrappositività, nella sua lotta. La lotta è, secondo l'antico motto di Eraclito, la legge fondamentale e la potenza fondamentale dell'Essere. Ma la lotta più grandiosa è l'amore, perché esso suscita il più profondo conffitto per essere, nel superamento di questo, se stesso». 65. A tal proposito, il corso del 1941 (M. Hcidcgger, Die Metaphysik des deutschenldealismu.s (Schelling), GA 49, a cura di G. Seubold, Klostermann, Frankfurta.M. 1991) for~ ancora i tratti di una lettura risolutamente ontologizzante, in quanto Heidegger pone espressamente(§ 15) che è tale determinanone dell'essere come volere a cootituire «la radice della distirudone delfondoedell'esistenza,,(p. 89): «"Wur.rel"sollsagen: Dic Unterscheidung entspringt aus dem WoUen, und das Unterschiedene hat den Charakter von "Wille"».

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lebre tesi secondo la quale il «volere» è Ursein66 rappresenti l'ultima paroladell'ontologia schellinghiana nelle Ricerche del 180967, o se non si tratti per lui piuttosto di un semplice punto di parten:za ancora «idealista» che egli intende superare proprio attraverso il suo studio della libertà umana, la quale non si apre veramente se non con la distinzione del Grund e dell'Existenz68. È abbastanza singolare, in ogni caso, vedere come

66. SW, VIl,p.350; Ricerchefilosofiche... ,p.91: «In ultima e suprema istanza non c'è alcun altro essere che il volere. Il volere è l'essere originario, e ad esso soltanto si addicono tutti i suoi predicati: assenza di principio, eternità, indipendenza dal tempo, auto-affermazione. L'intera filosofia non mira che a questo, trovare questa suprema espressione». 67. La questione è stata ben posta da H.-J. Friedrich, Der Urgrund der FreiheU im Denken oon Bohme. Schelling und Heidegger, «Schellingiana,, 24, Frommann-Holzboog, Stuttgart 2009, p. 11. Dopo aver ricordatola celebre formula che Heidcggercommenterà in modo dettagliato nel corso del 1941 ( GA 49, pp. 83-89): dn ultima e suprema istanza non c'è alcun altro essere che il volere ... » (SW, VII, p. 350; Ricerche filosofiche ... , p. 91), sottolinea giustamente che la tesi «Wollen ist Urseyn» è qui presa come punto di partenza e non come vero oggetto della Ricerca. Meglio ancora, questa tesi, che resta intrinsecamente legata al «concetto idealistico di libertà», non pennette più di quanto non faccia «il semplice idealismo» di «risolvere le difficoltà più profonde incluse nel concetto di libertà,, (SW, VII, p. 353; Ricerche filosofiche ... , p. 92; tr. mod). Il proposito di Schelling. nota H.-J. Friedrich. è proprio quello di far esplodere un enunciato di questo genere (H.-J. Friedrich, op. cit. , p. 14). 68. La formulazione schellinghiana è peraltro particolarmente trasparente: «La filosofia della natura dei nostri tempi ha per la prima volta introdotta nella scienza la distinzione tra l'essere (Wesen), in quanto esiste, e l'essere, in quanto è semplice fondamento dell'esistenza. Tale distinzione risale alla prima esposuione scientifica della filosofia della natura» (SW, VII, p. 357; Ricerche filosofiche ... , p. 56; tr. mod.). Questa «filosofia della natura» contemporanea è evidentemente quella dello stesso Schelling e il riferimento è allo DarsteUung del 1801. Proprio dopo la «rettifica dei concetti essenziali» alla quale procede l'Introduzione, è solo partendo dai «principi di una vera filosofia della natura» che sarà possibile rispondere al compito assegnato: cogliere l'essenza della libertà umana, e «gli oggetti che vi si collegano-.

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l'interpretazione di Heidegger nel corso del 1936, per quanto non si soffermi sull'Amore come istanza suprema, comprenda tuttavia in maniera restrittiva la «volontà dell'Amore», nel senso del Wirkenlassen des Grundes (lasciar operare il fondo), in termini di «soggettività incondizionata>,60• Sin da subito il commento associa la questione dell'essen:;,.a dell'uomo e quella dell' essen:;,.adell'essere: l'indagine che si interroga sulla libertà umana conduce «oltre l'uomo», in direzione di ciò che è più originario e più potente dell'uomo stesso, e si dispiega come un domandare in vista dell' «essenza dell'autentico Essere, essew..a del fondamento per l'ente nella sua totalità»70 • Cosl, per Heidegger, il trattato di Schelling è considerato nella sua massima ampiezza, e nella sua più alta ambizione, se è vero che concepire11 l'essen:;,.a della libertà umana significa an-

69. Nell'introdu:done ( Obenicht, Aufbau und Problemanzeigen) al volume collettaneo, curato da Otfried Hoffe e Annemarie Pieper, che apporta alla serie «Klassiker Auslcgen• un eccellente commento del Trattato, Hans Michael Baumgartner chiedeva: «Possiamo comprendere, nell'introdu:done di Schelling, i passaggi corrispondenti all'idea di volere originario nel senso che la piil alta istan:ta deve sempre e necessariamente - come fa Heidegger essere concepita come voler-se-stessa, o bisogna piuttosto intendere un tale volere-se-stessa come l'essen:ta originaria dell'essere?,. (Schelling. Ober das Wesender menschlichen Freiheit, Alcademie Vcrlag, Berlin 1995, p. 52).

10. GA 42. pp. 15 s.; tr. it. cit., p. 40. 71. Heidegger insiste giustamente lungo tutto lo sviluppo del suo commento sull'esigen:ta propriamente concettuale che sottende l'insieme delle Ricerche, sia che si tratti di «rettilìca:done di concetti essen:dali• (SW, VII, p. 351;Ricerchefilosofiche ... , p. 95), sia che si tratti dell'«elabora:donedella verità rivelata in verità ra:donali• (ivi, p. 412; tr. it. cit., p. 133). Vi è qui una atten:done decisiva nei confronti del rigore concettuale del trattato che non risulta contraddetta da questa altra sottolineatura, ugualmente pertinente, che si trova all'inizio del commento della «Parte Principale•, e che mira a descrivere l'«atteggiamento del pensiero di Schelling»: «Sehellinginfatti non pensa "concetti", egli pensa for.ree pensa In termini di posizioni del volere, egli pensa nel conftitto di potenze (Miichte}, che non si lasciano accordare per me= di un artilìcio concettuale» (M. Heidegger, Schellings Abhand,.

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che e innanzitutto fare in modo che «il centro più intimo della filosofia acceda al sapere,>72• Avendo cosl definito la portata dell'opera e la sua posta ultima, Heidegger può dichiarare, all'inizio del suo corso, che se riuscissimo a cogliere la filosofia schellinghiana nei suoi tratti fondamentali, «raggiungeremo una comprensione della filosofia dell'idealismo tedesco nella sua totalità a partire dalle forze che la mettono in movimento; Schelling è infatti il pensatore veramente creativo e di più ampio respiro di tutta quest'epoca della filosofia tedesca. Egli lo è a tal punto che spinge dall'interno l'idealismo tedesco al di là della sua propria posizione fondamentale»73• Se dunque è vero che nel 1936, vale a dire nel momento in cui si intraprende la dura e faticosa Auseinandersetzung con Niet7,sche e in cui si elabora, secondo un regime di scrittura molto diverso, la meditazione di cui i Beitrage zur Philcsophie (Vom Ereignis) danno testimonian7.a, Schelling può apparire come un «alleato sostanziale», può esserlo anche se la sua impresa è caratterizzata come un «fallimento» (Scheitem ); fallimento «grandioso» certo, comparabile a quello contro il quale anche il pensiero di Nietzsche si era appena infranto, rinunciando all'Hauptwerk della volontà di potenza Senza il termine, questo motivo del fallimento (Scheitem o Versagen) ritorna nelle pagine conclusive del corso del 1936. Heidegger, commentando la fine del Trattato del 1809, mette in rilievo la vera unità o l'unità anteriore alla disgiunzione del fondo e dell'esisten7.a, quell'unità che Schelling chiamerà Urgrund, Ungrund, per esplicitarla nei termini di una assoluta indifferenza. Heidegger osserva correttamente - ma senza tuttavia ritornare sull'analisi di quella che considera la proposizione ontologica fondamentale del

lung uberdas Wesen dermenschlichen Freiheit (1809), a cura di H. Feick, Niemeyer, Tiibingen 1971, p. 133; GA 42, p. 193; tr. it. cit., p. 184).

12. GA 42, p. 6; tr. it. cit., p. 31. 73. Ibidem.

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trattato, ossia che Urseyn ist Wollen è l'istanza primordiale alla quale si applicano tutti i predicati che la filosofia associa tradizionalmente ali'essere originario - che il solo «predicato» che possa essere attribuito a questa «absolute Indifferenz» è quello di «non-predicabilità,/\ per poi proseguire: «L'indi1Teren7.a assoluta è il nulla, nel senso che rispetto ad essa ogni predicato ontologico è nulla; ma non nel senso che l'Assoluto sia nullo e puramente vacuo». Siamo qui molto prossimi alle analisi della lezione inaugurale Was ist Metaphysik?, e ancora di più alle integrazioni e alle precisazioni apportati dalNachwort del 1943 o dall'Einleitung del 1949 sul Nulla o sul niente come «l'essere stesso»'llS, owero alla svolta operata dal corso del 1935, Introduzione alla metafisica, sulla parola di Nietzsche: l'essere è considerato come niente, «parola vuota», «feticcio verbale», «ultima fumata di una realtà che si volatilizza». Dov'è, chiedeva Heidegger alla fine del corso del 1935, il «vero nichilismo»? È quello che considera l'essere come niente e che fa rimanere «attaccati ali'essente consueto, dove si pensa che sia sufficiente assumere l'essente, come è stato fatto fino ad oggi, come essente puro e semplice e basta»? O piuttosto si trova nel versante dei pensatori che si awenturano, nel rilanciare la domanda nella ricerca dell'essere, «fino ai limiti del nulla, includendolo in tale domanda»? Solo quest'ultimo passo (der einzigftuchtende Schritt) è fecondo e permette di considerare

74. SW, VII, p. 406; Ricerche filosofiche ... , pp. 130 s. (tr. mod.): «L'indifferenza non è un prodotto dell'opposizione, né gli opposti sono contenuti implicite in quella, ma è un essere proprio, separato da tutte le opposizioni, nel quale tutte le opposizioni si infrangono, un essere (Wesen) che non è nient'altroche il non-essere(Nichweyn) delle opposizioni,e che perciò quindi non ha altro predicato che l'esser priva di predicati (Priùlikatslosigkeit), senza per questo essere un nulla (Nichts) o un inconsistente (Unding)•. 75. M. Heidegger, Wegmarken, GA 9, a cura di F.-W. von Herrmann, Klostermann, Frankfurt a.M. 1976, pp. 306 e 382; tr. it. di F. Volpi, Segnaoia, Adelphi, Milano 2008, pp. 260 e 333.

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un superamento del nichilismo76• Questo passo è anche quello che porta a rischiare la tesi: l'essere stesso è finito. Ora, Schelling non avrebbe rischiato questo passo! «Anche qui Schelling non vede la necessità di compiere un passo essenziale» (die

Notwendigkeit eines wesentlichen Schrittes): Se l'Essere non si può dire in verità dell'Assoluto, ciò implica che I'essen7.a di tutto l'Essere è la fìniteZ7.a e che solo I'esistente finito ha il doloroso privilegio (das Vorrecht und der Schmerz) di stare come tale nell'Essere e di fare esperienza del vero in quanto ente. 77

È certamente questo il punto in cui Heidegger si avvicina di più all'impresaschellinghiana fino a reinterpretare arditamente secondo la tematica eraclitea del frammento 52 - frammento all'insegna del quale si organizza tutto il pensiero di Heidegger a partire dai primi corsi dedicati a Hè>lderlin e fino alla fine degli anni Quaranta - la volontà dell'amore, al di là del fondo e dell'esistenza: Ln lotta è, secondo l'antico motto di Eraclito, la legge fondamentale e la poten1.a fondamentale dell'Essere. Ma la lotta più grandiosa è l'amore, perché esso suscita il più profondo conflitto per essere, nel superamento di questo, se stesso. 711

L'effetto di risonanza del «grandioso fallimento, ripetuto due volte, dei grandi pensatori» colpisce tanto più per il fatto che, all'inizio degli anni Trenta, Heidegger ha preso atto del fallimento di Sein und 2.eit. Nel settembre 1932, scriveva alla sua amica Elisabeth Blochmann:

76. M. Heidegger,Einftihronglndie Metaphyslk, GA 40, a cura di P. Jaeger, Klostennann, Franlcfurt a.M. 1983, p. 212; tr. it. di G. Masi. lntrodu:aone

alla metafisica, Mursia, Milano 1968, p. 207. 77. GA 42, p. 280; tr. it. cit., p. 257. 78. GA 42, p. 281; tr. it. cit., p. 257.

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Si fanno molti pensieri e discorsi sul fatto che io ora starei scrivendo Essere e tempo Il. Va bene cosl. Tuttavia, dato che Essere e tempo I è stato per me un sentiero che mi ha guidato da qualche parte, ma che adesso non è plà battuto ed è già coperto di vegeta7.ione, non posso assolutamente pià scrivere Essere e tempo Il. Né scrivo In generale alcun llbro. 711

L'ombra di Nietzsche Sembrerebbe dunque che Heidegger, già dal 1936, leggesse Schelling nell'orizzonte di ciò che lui stesso chiama il «capovolgimento» nietzschiano della volontà come amore nella volontà di poten7_.a e per la poten7_.a80, e ciò lo conduce anche a oscurare la distinzione del fondo e dell'esistell7.a sotto la tesi, pretesa come ontologica-fondamentale, del volere come senso dell'essere originario. Il modo di procedere è sorprendente, per il fatto che Heidegger, peraltro cos} attento alla lettera degli enunciati ontologici, è portato ad invertire la formula schellinghiana, come se essa volesse dire: Urseyn ist Wollen. Il corso dell'estate 1936 ne offre una illustrazione sorprendente. Mentre sottolinea la novità radicale dell'idea di un eterno divenire e le implicazioni di questa nozione quando si tratta, allo stesso tempo, di dissociare ed articolare tempo ed eternità, Heidegger riconduce alla volontà ciò che ha opportunamente caratteri27.ato come Fuge, Fugung, commessura del fondo e dell'esisten7.a: Questo divenire è l'essen7.a dell'Essere. Per la stessa ragione, neanche l'Essere può essere compreso come l'esser-sussistente (oorhanden) di ciò che è stato fatto, bens} come commes-

79. M. Heidegger- E. Blochmann, Briefwechsel 1918-1969, a cura di J.W. Storclc, Marbacher Schriften, Marbach am Neclcar 1989, p. 54; tr. it. di R. Brusotti, Carteggio 1918-1969, Il melangolo, Genova 1991, p. 92. 80. Cfr. l'appendice a GA 49, p. 194; cfr. anche ivi, p. 89.

47 sura di fondamento ed esistew.a. La commessura [ .. . ] accade come volontà (west als Wille).ai

Nelle note del seminario, che porta la data dell'estate 1941, note che seguono il corso nella prima edizione curata da H. Feick nel 1971, Heidegger indicava, in modo decisamente ellittico: Ogni volere vuole se stesso, ma In modo diverso. Nel volere come volersi vi sono due possibilità fondamentali cli dispiegare l'essen7.a: 1) Il voler-si come venire-a-se-stesso e cosl rivelar-si e apparire davanti a se stesso («idea assoluta»); soggettività incondizionata quale «amore» (non voler più nulla cli proprio). 2) Il voler-si come andar-oltre-se-stesso (Obersich-hinaus-gehen), come ultrapotew.a e come comando, «volontà cli poten7.a». (Il comando come volontà nella volontà); «ultrapotew.a»; soggettività incondizionata come «potenza».st

E alcune righe dopo, scriveva ancora, opponendo questa volta esplicitamente Schelling e Niet7.sche: «Schelling: non voler nulla, volere il nulla: gelassene Innigkeit. Intimità intensa e separata». O ancora: «La volontà dell'amore: "lasciar agire il fondamento" non voler nulla, né il proprio né il suo, neanche sé»83•

81. M. Hcidegger,Schellings Abhandlung... , cit., p.163; tr. it. cit., p. 220(tr. mod.). Come sappiamo, questo volume è stato ripubblicato all'interno della Gesamtausgabe, voi. 42, a cura di I. SchiiBler, nel 1988. La nuovaedi:done non introduoe cambiamenti importanti e propone unicamente una sistema:aone un po' piìl chiara e dettagliata delle parti, dei capitoli e dei paragrafi. La Feick aveva aggiunto al volume del 1971 alcuni estratti del corso del 1941, oggi pubblicati in GA 49. 82. M. Heidegge r, Schellings Abhandlung... , cit., pp. 224-225; tr. il. cii., p. 292. Si veda oggi GA 49, pp. 184 s. 83. Ibidem. Nelle note al seminario del semestre estivo 1941, faoendoseguito al corso del primo trimestre di questo stesso anno, dedicato a Schelling, con il titolo generale: Die Metaphyslk des deutschen ldeaUsmus (Schelling) (GA 49, pp. 184 s.), Heideggersi impegnava aditferen:aare in modo drastico, e in fun:àone di alcuni concetti portanti, le filosofie di Hegel e di Schel-

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In questo stesso paragrafo 15 del corso 1941, già richiamato più in alto, in cui Heidegger s'interrogava sulla «radice» della distinzione del fondo e dell'esisten:za, egli nota che per Schelling l' «ente supremo», «il vero esistente» è lo spirito, esso stesso determinato come «spirito dell'amore». È dunque proprio l'amore ad essere «il più alto». Ma Schelling si esprimeva qui con la massima pruden:za, moltiplicando le questioni e le formulazioni apofatiche: Giacché nemmeno lo spirito è l'essere più alto; esso è soltanto lo spirito, ossia l'affiato dell'amore. Ma l'amore è il più alto. Esso è ciò che era prima che fosse il fondamento (Grund) e prima che fosse l'esistente (come separati) ma non era ancora come amore, bensl. .. come dobbiamo designarlo?&
OVOi a16Wio, {Rm 16,25; 2Tm 1,9; Tt 1,2). Cfr. anche G. Strummiello, L'idea rovesciata. Schelllng e l'ontoteclogia, Edizioni di pagina, Bari 2004, pp. 136-137. Questeprime versioru sono state tradotte in francese da Pascal David {Puf, Paris 1992). Altri frammenti delle Età delmondb sono stati pubblicati da Klaus Grotsch, come edizione preparatoria in vistadella grande edizione storico critica pubblicata con gli auspici dell'Accademia delle Scienze di Baviera.e la cui progressione è disperatamente lenta, «Schellingiana 13.1-13.2», Frommann-Hohiboog, Stuttgart-Bad Cannstatt 2002. Per uno studio piÌl dettagliato delle differenti versioni delle Età, possiamo far riferimento alle due opere classiche di E. Brito, I.A création se/on Schelùng. Unioersum, Peeters, Louvain 1987, in part. le pp. 189-270, e di M. Maesschalck, Phllosophle et réoélation dans l'itinérafre de Schelling, Peeters, Louvain 1989, pp. 210-292. Aldo Lanfranconi ha ugualmente dedicato un'opera importante alle differenti versioni: Krisis. Eine Lekture der «Weltaller»-Texte F.W.J. Schellings, «Schellingiana» 26, Fromman-Holzboog, Stuttgart-Bad Cannstatt 1992. Si veda anche, dello stesso autore, Dle Weltalter lesen, in «Dialektib, n. 2, 1996 (a cura di H.-J. Sandkiìhler), pp. 59-72. 6. È Walter Schul:.G ad aver rilanciato, nel 19.54, i lavori dedicati all'ultimo Schelling, nella sua grande opera Die Vollendung des Deutsdaen Idealismus in der Spiitphiwsophie Schelling, Neske, Pfullingen 19752• Si possono consultare, in francese, le traduzioru di Samar Abou-Zeid, nell'opera collettiva da me curata, ScheUing, cii.

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l'analisi del tempo, o meglio dell'organismo dei tempi, del sistema dei tempi esplicitato dal 1811 lungo il filo conduttore di una inchiesta incentrata su o in ogni caso illustrata dalla temporalità umana estatica e finita7.

È abbastanza chiaro che lo stesso Schelling ha voluto segnare la continuità del suo modo di procedere a partire dal grande progetto incompiuto delle Età del mondo fino agli ultimi rimaneggiamenti dell'ultima filosofia in funzione della disgiunzione della negativa e della positiva. La pubblicazione recente della Grundlegung derpositiven Philosophie, dovuta a Horst Fuhrmans, basta a indicarlo, e i differenti Nachschriften recentemente pubblicati del primo insegnamento a Monaco, nel 1827-1828, con il titolo significativo di Systemder Weltalter, lo attestano oggi in modo definitivo8• In una prospettiva più sistematica che storico-filologica, mi propongo dunque di trattare successivamente i seguenti punti.

7. È Wolfgang Wieland, allievo di H.-G. Gadamer, ad aver per primo attirato l'attenzione sull'importanza del paradigma antropologico nell'analisi della temporalità delle Età del mondo, In Schelllngs Lehre oon der Zeit. Grondlagenund Vo=etwngen der Weftalterphllowphte, Winter Verlag, Heidelberg 1956, sottolineando anche la stretta articolazione fra le due problematiche: «tempo» e •libertà•. Egli scrive: •Libertà e temporalità sono dei concetti reciproci che si interpretano l'uno attraverso l'altro» (ivi, p. 39). 8. In una lettera del 11 luglio 1827 indirizzata al re Luigi I di Baviera,Schellingscrive: «ho dato forma ad un progetto che consiste nell'esporre, già dal prossimo inverno, il contenuto di un opera attesa da tempo, che avrà come titolo Le età del mondo• (in A. Hutter, Geschicht/Jche Vernunft. Vie Weiter-

fiihrung der Kantischen Vemunftkritilc In der Spiitphilowphte Schellings, Suhrbmp, Frankfurt a.M. 1996, p.57). Cfr. anche F.W.J. Schellìng, Grund-

legung der positioen Philosophte, cit.; Id., System der Weltaker. Munchener Vorle.sung 1827128 in einer Nachschrift oon Ernst oon Lasauhc, a cura di S. Peet-4 Klostermann, Frankfurt a.M. 1990; Id., Einleuung In die Philosophie, a cura di W.E. Ehrhardt, «Schellingiana l», Frommann-Holzboog, Stuttgart-Bad Cannstatt 1989; tr. it. di A. De-a:i, Invito aluJ filcsofia, Accademia University Press, Torino200l.

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Dopo aver ricordato in modo molto schematico la novità schellinghiana dell'interpretazione del tempo, o meglio della temporalità nelle prime versioni delle Weltalter, mi sforzerò di distinguere i differenti concetti schellinghiani di Offenbarung, da una concezione larga o «universale» a una concezione «stretta» o «superiore», prima di abbozzare, per finire, un confronto tra l'interpretazione hegeliana e l'interpretazione schellinghiana della rivelazione, in grado, spero, di far emergere la portata, l'originalità e la fecondità dell'approccio schellinghiano dell'organicità e dell'immanen7.a del tempo nella sua attestazione estatica.

Il cantiere delle Età del mondo Iniziamo ricordando brevemente i principali campi di tensione dell'interpretazione della temporalità che sostengono il grande progetto delle Età del 1rumdo0 . Che questa interpretazione, per ragioni insieme fenomenologiche e teologiche, si distingua innanzitutto da ciò che Heidegger ha caratteri:7.7,ato, in una celebre nota di Sein und Zeit (§ 82), come la concezione «volgare» del tempo, quella che risulta dominante a partire dal trattato aristotelico (Fisica IV), fino a Hegel e anche al di là di esso, Bergson compreso, possiamo considerarlo come un punto acquisito, se almeno si accorda a Heidegger che il tratto dominante della concezione volgare è quello di considerare il tempo a partire dall'ora e dal suo privilegio on-

9. Precisiamo che si tratta solamentedell"interpretazione schellinghiana contemporanea del grande progetto delle Età. Per il periodo precedente, rinvio allo studio dettagliato di A. Schnell, En deçd du sujet. Du temps dans la phllcso,,hie transcendantale allemande, Puf, Paris 2010, cap. III: Surgissement du tempset essence du temps dans le Système de l'idéalisme transcendantale, pp. 129-156.

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tologico: l'ora è ciò che del tempo è (enfaticamente), come se fosse ridotto a un punto (ni di Stoccarda, pp.156 s.: «Il primo principio ola prima fora originaria (Urkraft) [in Dio) è quella per cui egli è un'essenza partioolare, singola, individuale. Possiamo chiamare questa fora l'ipseità (Selhstheit), l'egoismo in Dio. Se ci fosse questa fora da sola, ci sarebbe soltanto Dio come essenza singola, separata, particolare: non ci sarebbe alcuna creatura».

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Che questa impresa della «genealogia dei tempi», attenta alla sua diversità, o meglio alla sua autodifferenziazione e alla sua organicità,si sviluppi nell'ambito di una speculazione trinitaria o più ampiamente teo-cosmo-gonica in cui si sovrappongono i principi la cui distinzione è ali'origine di ogni temporalizzazione, in cui le «potenze», presentate implicitamente nell'Un.vesen, si distinguono in persone, e queste in periodi, ecco che di certo questo fatto non è né indifferente né fortuito. Che la generazione (Zeugung) del Figlio, per esempio, coincida con «il primo e vero inizio del tempo»38 o che il Figlio sia immediatamente concepito come il conciliatore (Versohnender) che insieme modera ed esterioriZ7.a la forza contrattiva e il ritiro del Padre - «insondabile abisso d'etemità» 37 - , o ancora che «spinge verso il futuro», o ancora l'amore - «poiché è solo grazie ali'amore che il passato è abbandonato» -, tutti questi sono temi che meriterebbero uno studio dettagliato, in particolare rispetto alla loro possibile o necessaria inscrizione o ripetizione nel «sistema dei tempi»38• Dovendo lasciare qui aperte tali questioni, tratterremo, di questo troppo rapido sorvolo, solo la tesi per la quale se l'istanza patema è propriamente, a titolo di forza di contrazione, il principio della generazione del Figlio contraendosi essa si ritira nel passato, vale a dire approfondisce la dimensione del passato -, questa istanza non diventa essa stessa identificabile come tale, oome Padre, se non attraverso la forza di resistenza che essa offre al Figlio, fino al punto che occorre dire, in verità, «il Padre è Figlio del Figlio»39 • «Prima del

36. Urf=ngen, p. 77; Le età del mondo (1811), p. 175 (tr. mod.). 37. Urf=ngen,p. 16;Leetàdelmondo[l811),p.173. 38. SW, XIV, p. 109; Filbsofia della rivelaxione, p. 1063. 39. Urf=ngen, p. 59;Le età del mondo (1811), p.135: «Il Figlio èil conciliatore, il liberatore e il redentore del Padre, e se la for.ta patema era prima del Figlio, essa era nondimeno anche prima del Padre; infatti il Padre stesso è Padre soltanto nel Figlio e mediante il Figlio».

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Figlio, non è neanche il Padre, bensl soltanto la natura occlusa, nascosta, della Deitàindispiegata»-40. Il che significa anche, sul piano temporale che ci interessa direttamente, che l'eternità deve a sua volta essere considerata come «figlia del tempo»: «L'eternità non è per se stessa, essa è solo per il tempo; il tempo precede dunque l'eternità sul piano dell'effettività [ .. .]»41 • Così, sen7~ escludere la deità dalla legge generale secondo la quale ogni cosa ha il suo tempo, viene nel suo tempo, e porta in essa, in modo immanente, il tempo nella sua interezza che, ad ogni istante, è anche tutto il tempo, Schelling può caratteriz:;,.are la funzione primordiale della creazione - prima manifestazione generale di Dio o l'Assoluto - come ciò grazie a cui può venire «espresso e rivelato anche il tempo nascosto nell'Eterno»42• Porre cosi il tempo in Dio stesso, impegnarsi a svelare e a comprendere la temporalità, o meglio la tempora-

4-0. Urf=ngen, p. 71; Le età del mondo[l811], p. 163. Cfr. anche Urf=ngen, p. 61; Le età del mondo (1811), p.139: «Ma è soltanto mediante il Figlio e nel Figlio che l'essente è separato dall'essere ed elevato allospirituale; così come solo nel Figlio il Padre è effettivamente Padre. Entro se stesso, però, il Figlio è ancor sempre ci() che era prima, ese il Figlio potesse sparire, allora anche l'autocoscienza del Padre ritornerebbe in quella profonda occlusità della quale troviamo una debole immagine quando la nostra interiorità si trova in uno stato tenebroso. non-libero, indistinto•. 41. Urf=ngen, p. 73. Cfr. anche Urf=ngen, pp. 77 s.; Le età del mondo (1811), p. 177: solo il Figlio, come «awenire•, «pub esplicitare e rivelare anche il tempo nascosto, in riserva, nell'Eterno (d;e im Ewlgen oerborgene Zeit)•; «Ma questo inizio non è un inizio che potrebbe cessare di essere inizio, bensì è sempre inizio ugualmente eterno. Infatti è ancora a ogni attimo che nasce il figlio divino, per m= del quale l'eternità viene dischiusa ed espressa nel tempo; questa generazione non è una generazione transeunte, [... ) bensì una generazione eterna che accade costantemente. Aogni attimo, così come nel primo attimo, viene superata la severità eocclusità del Padre, e questo atto, che unico pone costantemente un tempo nelle cose, è un atto pro-temporale non una sola volta, bensì sempre...•. 42. Urf=ngen, p. 11;Le età del mondo [1811), p. 177.

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liZ7.azione divina, in uno stretto confronto, in parallelo, con la temporalità umana, ciò non significa semplicemente concepire come e a quali condizioni il Dio si manifesta nella storia, o come lo Spirito, attraverso la sua fenomenali12.azione temporale (finita), riconquista le sue determinazioni permanenti in vista di una parusia definitiva, ma piuttosto ciò conduce ad introdurre la disgiunzione temporale nel cuore dell'eternità senza fondo dell'essenza divina, a scavare fino alla notte dei tempi:43.

Fattualità e positività Per tentare di mettere in luce l'articolazione tra temporalità stretta e rivelazione - il che implica anche sottolineare il carattere intrinsecamente temporale di ogni rivelazione e, correlativamente, il tratto epifanico della stessa temporalità estatica-, occorre innanzitutto distinguere, con Schelling, diversi concetti di rivelazione (Offenbarung), o meglio esaminare delle specificazioni complementari del concetto di Offenbarung. Al concetto più ampio, quello di rivelazione in generale, che integra la processione trinitaria e la creazione, Schelling oppone ilfatto singolare dell'Incarnazione del Cristo. Per questo, già

43. Schelling evoca esplicitamente, all'inizio delle Età: «gli abissi dei tempi» (Urfa=ngen, p. 14; Le età del mondo (1811], p. 29). Cfr. anche Urfa=ngen, p. 210: «Il carattere successivo delle operazioni divine deve avere il suo fondamento e la sua ragion d'essere nelle profondità più intime della divinità» - «Se vi è qualcosa come i tempi della rivelazione divina, perché i tempi non potrebbero essere pensabili in questa rivelazione - la più precoce e la più universale - attraverso la quale fu posto il fondamento di ogni rivelazione? Perché sarebbe impossibile che l'oscuro concetto dell'eternità che precede il mondo si decomponga di nuovo In tempi agli occhi di colui che ne ha una veduta profonda, come le nebulose, il cui vago alone sembra evanescente all'occhio profano, si decompongono in ashi agli occhi di chi è armato di telescopio?•.

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nelle Ricerche del 1809, Schelling si interrogava su quello che chiamava l'«universale» della rivelazione, legato senza dubbio alla metafisica della volontà, e in ultima istanza ali'antagonismo e alla complementarità del Grurnl e dell'Existenz, innanzitutto per sottolineare questo fenomeno unico che ne costituisce come il punto culminante e anche la «6ne», vale a dire il Cristo'". Così il concetto stretto, o superiore, di rivelazione designa eminentemente la Rivelazione cristiana e propriamente cristologica, in quanto si oppone al paganesimo e alla mitologia: Con Rivelazione, che noi trattiamo come l'opposto della Mitologia e del Paganesimo, non intendiamo altro che il Cristianesinw. La rivelazionedell'Antico Testamento, infatti, è il cristianesimo solo come presentimento eprofezla; essa Infatti viene compresa solo nel cristianesimo e attrave~o di esso. ( ...] Si può dunque dire: in una 61osofìa della Rivelazione si tratta solo, o eminentemente di comprendere la Pe~ona di Cristo.o1S

44. Cfr. SW, VII, p. 406; Rl=he filosofiche ... , pp. 113 s.; SW, XI, Hlstorisch-kritische Einleitung in die Phi/o.wphie der Mythologie, p. 180; tr. it. di T. Griffero, Filosofia della mitologia. Introduzione storico-critica, Guerini, Milano 1998, pp. 288 s. - La cristologia schellinghiana è stata oggetto di un lavoro ben documentato: Ch. Dan:v: tempo e mondo. «Ciò che comunemente chiamiamo il -mondo• non è

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sata come questa archi-rivelazione attraverso la quale è superata la for7.a oscura del Padre (l'ira, Zom) 53, la sua reclusione e il suo ottenebramento, una seconda rivelazione analoga alla prima, a quella della creazione iniziale, deve intervenire come in risposta alla «catastrofe» nella quale il primo uomo, creatura centrale, colui al quale Dio aveva affidato il destino della sua creazione, ha fatto precipitare tutta la natura. Sono questi aspetti - il significato dell'uomo nella creazione, la missione a lui affidata e il capovolgimento che egli ha operato nell'equilibrio delle potenze (teo-cosmogoniche)- che spiegano infatti la necessità dei differenti gradi della rivelazione54 • Fermiamoci un istante su questo punto: la prima creazione compiuta poggiava sull'uomo come su un «fondamento mobile» 55, ma la mobilità qui evocata era quella dell'equilibrio delle potenze in cui il principio ribelle (B) che costituisce

propriamente che un solo tempo, quello nel quale non vi è né vero passato, né vero avvenire. Infatti in lui si ripete ciò che è già avvenuto. [ ... ] Questo tempo apparente o volgare è ritardarnento, arresto, èltox,i; e è tale poiché non può e non vuole passare» (F.W.J. Schelling, Grundlegung derpositioien Philosophie, cit., p. 89). Cfr. anche SW, XIII, p. 308; Filosofia della rivela-

zwne, p. 515. 53. SW, Vlll,p. 311; Le età del mondo (1815'17], p . 661: «Nella rivelazione la volontà negativa, reclusiva (der oemelnende, efaschlie/Jende Wtlle) deve necessariamente precedere, affinché ci sia qualcosa che sostenga e sorregga la grazia (Huld) dell'esse nza divina, la quale altrimenti non potrebbe rivelarsi. Il vigore deve essere prima della dolcezza, il rigore prima della mitezza, prima l'ira poi l'amore, nel quale soltanto l'adirato (das Zomige) diviene propriamente Dio». Cfr. anche SW, XIII, p . 372; Filosofia della rivelazwne, p. 623. Schelling cita l'Apostolo (Ef2,3; 5,6): ÒP'flÌ 8soil. Cfr. anche la lunga nota, SW, XIV, p. 129; Filosofia della rivelazwne, p. 1095, che richiama i due tratti caratteristici di Jahvè.

54. Cfr. SW, VII, pp. 377 e 411. 55. SW, XIII, p. 3.59; Filosofia della rivelazwne, XVII lezione, p. 601: «La creazione era compiuta, ma era posta su un fondamento mobile - su un essere padrone di se stesso. L'ultimo prodotto era assolutamente mobile,

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il fondo della creazione:16 si trovava dominato e come interiorizzato. Rottura dell'equilibrio delle potenze, extra-posizione del principio cieco dell'essere-fuori-di sé, la Caduta è anche, scrive Schelling, «lacerazione della coscienza», e così precisamente origine del mondo extra Deum. L'uomo( ... ) può vantarsi di essere l'autore di queste mondo esterno. (... ] è quello che ha posto il mondo fuori di Dio, ( ... ] egli può chiamare questo mondo il suo mondo», ma si tratta di un mondo «privato della sua signoria, diviso in se stesso», quello che, «staccato dal suo vero futuro, Inutilmente cerca la propria fine e, generando quel tempo falso, puramente apparente, ripete sempre soltanto se stesso In una triste unlforrnità.57

Questa è esattamente l'origine di tale angoscia della creazione messa in evidenza già dal 180958• «Da quella catastrofe prosegue Schelling in questa lezione -, che ha prodotto tutta una nuova serie di fatti, noi siamo stati percosl dire divisi dai precedenti avvenimenti, dal nostro stesso passato; cosl come da questa stessa catastrofe caduta su tutta la creazione, la qua-

sarebbe potuto ricadere subito, anzi in certo qual modo doveva inevitabilmente cadere,,.

56. Ibidem. 57. SW, Xlii, p. 352; Fiwsofia della rivelazione, voi. I, XVI le-,;ione, p. 424 (tr. mod.). Questo tempo è anche quello dell'attesa: attesa impaziente di tutta la natura - wtoKapa6o1CtU tijç IC'tUJ"t - si lascia anche caratterizzare, in Hegel, come riflessione determinante, rapporto in-lìnito a sé, vale a dire ripresa in sé dell'esser-altro. Ora una tale riflessione potrebbe comportare anche e necessariamente l'estinzione del lì nito e l'abolizione dell' esteriorità84 •

83. G.W.F. Hegel, Fllcsofia deUo spirito, a cura cli A. Bosi, UTET, Torino 2005,p. 96. 84. In questa stessa aggiunta, Hegel illustra il proposito generale rispetto all'auto-manifestazione tramite un riferimento trinitario. È la dimensione kenoticaquella che risulta risolutamente cancellata, in quanto colta nella auto-clifferenzia:donedell'Assoluto: «Perehiarire q uesta unitàcli forma e cli contenuto- cli rivcla:àone e cli rivelato -che troviamo nello spirito, in modo

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La rivelazione schellinghiana, per contro, dal momento che è tematizzata prioritariamente a partire dalla soggettività e dalla sua finitudine intrinseca, presuppone sempre ricettività, affezione, estasi, vale a dire anche e fondamentalmente esteriorità; essa non potrebbe dunque essere intesa primariamente come auto-riffessione dell'Assoluto. Senza dubbio infatti è la problematiz7.azione - a titolo del superamento o della Aujhibung della soggettività Anita che è radicale per la determinazione hegeliana dello spirito come auto-manifestazione senza riserva, senza ritiro, senza «interiorità», per seguire qui un prezioso suggerimento di Miche] Hen~.

da potercela rappresentare, ci si può richiamare alla dottrina della religione cristiana. Il cristianesimo afferma che Dio si è rivelato mediante Cristo, suo figlio unigenito. La rappresentazione intende dapprima questa proposizione come se Cristo fosse l'organo di questa rivelazione, come se colui che in tal modo è rivelato fosse !"organo di questa rivelazione, come se colui che in tal modo è rivelato fosse altro dal rivelante. Il significato della frase è invece piuttosto questo: che Dio ha rivelato che la sua natura consiste nell"avere un figlio, cioè nel differenziarsi, nel finitill:alrsi, pur rimando presso se stesso nella propria differenza, nel contemplare e rivelare se stesso nel figlio, e nel!'essere spirito assoluto mediante questa unità con il figlio, mediante questo essere per sé nell'altro; in questo modo il figlio non è il semplice organo della rivelazione, ma ne è esso stesso il contenuto• (ivi, p. 97). 85. Miche! Henry scriveva, proprio nella sua prima opera importante, L'essence de lamanifestation, contro Hegcl e riferendosi espressamente a Schelling: •La soggettività non è in alcun modo per Hegel un"essenza autentica, fenDmenclcgicamente determlnata da un modo peculiare dl rivelazione. [ ... ] Si dice a volte che Hegel concepisce lo Spirito come ciò che deve manifestarsi. In realtà lo Spirito è il prodotto della manifestazione, è il termine e non l'origine di una realizzazione. Lo Spirito reale è lo Spirito oggettivo. L'Interiorità non è lo Spirito. Al contrario, è ciò che non è ancora pervenuto nella luce della realtà, qualcosa di oscuro, la possibilità, l'in-sé che dobbiamo comprendere come il Fondo senza causa delle Ricerche sulla libertà umana, o come la prima Potenza (- A) dell'ultima filosofia di Schelling. Tuttavia, la manifestazione di produce a partire da quest'oscurità del Grund in cui è immemi l'interiorità• (M. Henry, L'essence de la manifestation, Puf, Paris 1963,

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Certo, per Hegel, se la religione cristianaè religione compiuta e assoluta, è innanzitutto perché essa è religione rivelata, ma ciò significa qui che essa è quella religione nella quale Dio ha completamente, senza restrizioni e senza alcun resto, manifestato ciò che è, la piene7.7,a compiuta della sua essen7.a: la religione rivelata è dunque quella nella quale la realtà dell'essere divino è interamente (ri)-presentata alla conoscenza dell'uomo. Questo è d'altronde il motivo, secondo la rigorosa legge dell'Aujhebung, per cui essa può ormai diventare la sostanza stessa della ragione e della fìlosofìa! La religione rivelata mette Dio allo scoperto e interamente allo scoperto per lo spirito umano. Essa rende la verità dell'essere di Dio disponibile per il sapere 6loso6co. Alla religione nella sua positività, secondo l'esteriorità, per la quale lo spirito viene «come dal di fuori», la fìlosofia hegeliana oppone dunque la manifestazione che accade al di dentro dello spirito, che si gioca da spirito a spirito. Cosl il sapere fìlosofìco reintegra, se cosl si può dire, re-interiori12.a la rivelazione, la riafferra nell'interiorità stessa dello spirito, superando definitivamente la semplice rappresentazione, per quanto la rappresentazione abbia sempre un oggetto, un fuori e come un faccia a faccia. La concezione hegeliana della religione cristiana come religione della rivelazione compiuta indica abbastanza questa circolarità della manifestazione e della coscienza come coscienza di sé divino-umana: In tal modo la religione cristiana è la religione della rivelazione. In essa si manifesta ciò che Dio è, affinché Egli venga conosciuto come è, non storicamente, o alttimenti, come in altre religioni, bensl la manifestazione evidente è la sua determinazione, essere per la coscfe117,a e veramente per la

p. 879; tr. it di G. de Simone e F.C. Papparo, L'essenza della manifestazione, voi. li, Filema, Napoli 2014, p. 368).

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coscien7.a che essa stessa è spirito, vale a dire dunque che la coscienza è perla coscienza.86

Sen7..a dubbio siamo autorizzati a vedere qui una «sovversione» radicale, cosciente e conseguente della nozione teologica tradizionale di rivelazione'7. Se almeno per rivelazione si intende ciò che un Dio liberamente e gratuitamente dà a conoscere del suo proprio essere, senza che l'intelligen7..a abbia mai accesso indipendentemente da questa stessa donazione e, correlativamente, dalla disposizione determinata che lo accoglie; se almeno si accorda che è impossibile sopprimere questa condizione essenziale che è la disponibilità, la ricettività e, in una parola, il consenso intellettuale ad un insegnamento il cui contenuto non è per principio mai visto, mai conosciuto oggettivamente. Per Hegel, in compenso, qui singolarmente vicino a Lessing, la religione è proposizione di verità in sé razionali e filosofiche. Di per se stesse, le verità della religione sono destinate a essere riconosciute razionalmente88 • Con l'apparizione della

86. G.W.F. Hegel, Die absolute Re/igion, a cura di G. Lasson, Meiner, Harnburg 19662, p. 32; tr. it. in Lezwnl sulla fil=,fia della religione, 2 voll., a cura di E. Oberti e G. Borruso, Zanichelli, Bologna 1974, voi. li, p. 247): «Die christliche Religion ist auf diese Weise die Religion der Olfenbarung. In ihr ist es olfenbar, was Gott ist, daBer gewu8t werde, wie er ist, nicht historisch oder sonst auf eine Weise wie in andern Religionen, sondern die olfenbare Manifcstation ist ihre Bestimmung und Inhalt selbst, niimlich Olfcnbarung, Manifcstation, Sein fùr das Bewu8tsein, und zwar fùr das Bewu8tsein, daB es selbst Geist ist, d.h. also BewuBtsein und fùr das BewuBtsein•. 87. Cfr. anche H. U. von Balthasar, Herrlichkeit, Johannes Verlag, Einsiedeln 1969, 111.1: Im Raum der Metaphyslk. Neu:t.eit, p. 916; tr. it. di G. Sommavilla, Gloria. Una estetica teologica, voi. V,Nel/o spazio della metafisica. L'epoca moderna, Jaca Book, Milano 1991, pp. 519 s. 88. Cfr. G.E. Lessing, L'edtu:atione del genere umano, tr. it. di G. Cherchi, Mimesis, Milano-Udine 2018, §§ 12-16, pp. 58 s.: «Quando queste verità furono rivelate esse non erano certamente verità di ragione, ma vennero rivelate affinché lo diventassero•. Ci si guarderà tuttavia dall'opporre Hegel e

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religione assoluta avviene una rivelazione completa, compiuta di ciò che Dio è, che consegna all'uomo la possibilità prossima del sapere della stessa essenz.a divina. Cos} Hegel presuppone una unità innata tra I'essen7..a stessa di Dio, determinata come Spirito e rivelata nella religione, e lo spirito umano in divenire e che si realii.za nella storia. Il paragrafo 544 dell'Enciclopedia tematii.za con tutta la chiarei.za desiderabile questa idea che la coscienz.a umana è richiesta per il divenire Dio di Dio stesso, accedendo solamente così al sapere di sé: «Dio è Dio solo in quanto sa se stesso; il suo sapere sé è, inoltre, la sua autocoscienz.a nell'uomo eil sapere che l'uomo ha di Dio, che progredisce al sapersi dell'uomo in Dio»89 • Indico, per terminare, l'opposizione non meno esplicita che separa la concezione hegeliana e schellinghiana della positività: per Hegel, come è noto, la positività è sempre collocata sotto il segno dell'accidentalità e dell'esteriorità, essa è dunque destinata a sparire nella misura in cui lo spirituale si trova interiorii.zato e autenticamente riappropriato da parte dello spirito umano. Perché l'apporto della religione, quello del divino, possa entrare positivamente nel campodell'esistenz.a umana, deve senz'altro apparire (erscheinen) e fenomenalii.zarsi,

Schelling, rispetto al loro rapporto con Lessing. L'unoe l'altro consideravano infatti che «i concetti ortodossi di Dio,, non sono più per noi, e Schelling, alla fine delle Ricerche del 1809, da canto suo, dichiarava con for..:a: «Noi invece crediamo che appunto dei più profondi concetti debba esser possibile una chiara veduta razionale, giacché solo in questo modo essi ci appartengono realmente [... ]. Anzi, noi andiamo più oltre, e consideriamo, con Lessing, come assolutamente necessaria l'elaborazione della verità rivelata in verità razionali, seil genere umano deve trarne aiuto. C~l pure siamo persuasi che la ragione sia perfettamente capace di mettere in luce ogni possibile errore (negli argomenti propriamente spirituali) e che si debba evitare di giudicare i sistemi filosofici con l'atteggiamento con cui si conducono i giudizi sugli eretici» (SW, Vll,p. 412; Ricerche filosofiche ... , p. 133). 89. G.W.F. Hegel, EnclclopedJa delle scienze filosofiche, cit., p. 546.

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ma questa fenomenalizzazione implica sempre una aggiunta ali'essenziale di un insieme di determinazioni circostanziali che costituiscono precisamente la positività (vale a dire anche l'accidentalità) inerente a ogni Erscheinung. Per tentare di determinare nella sua differenza il concetto schellinghiano di rivelazione, occorre in compenso sottolineare l'articolazione stretta di questo motivo con la temati=zione della creazione e della libertà che gli sono indissociabili: l'essere che si rivela non si dispensa se non dispone interamente dei suoi doni quando ci apre i suoi segreti, e dispone innanzitutto di se stesso, in una indipendenza sovrana, se egli è - scrive Schelling-: Herrdes Seyns, Signoredell'essere, caratterizl.ato da questa sovranità o meglio «Signoria» (Herrlichkeit), grazie alla quale sfugge ad ogni necessità interna come a ogni esigenza di diritto che sarebbe come immanente all'anima umana. L'evento della rivelazione avviene dunque sempre come rivolto ad un uomo libero e da parte di un Dio vivente. Tre aspetti della problematica schellinghianaemergono qui chiaramente: la finitudine dell'esistenza umana (tematizzata a partire dalle Ricerche del 1809), il momento singolare, ma essenziale, in cui la ragione trova il suo limite, attestato attraverso qualcosa come un impeto estatico, e infine ciò che si sarebbe tentati di chiamare un pensiero del dono, dell'evento o dell'evenemenzialità, dell'Es gibt o dell'Ereignis°".

Il vero punto di partenza dell'ultimo Schelling sarebbe dunque doppio: l'analisi della temporalità estatica nelle Età del mondo, ma anche la scoperta, ripresa a suo tempo da Heidegger, dell'abisso della libertà umana nelle Ricerche del 1809.

90. Cfr. su questo punto i pre-.aosi suggerimenti di M. Maesschalck, Philowphie etrét>élation, cit., pp.663ss.

Capitolo III

La filosofia della religione: statuto e verità della mitologia

Al Pad,re Xavier Tilliette.

Il progetto della Selbsterkllinlng Se la mitologia può e deve essere considerata come una totalità autosufficiente e deve poter essere interpretata o spiegata da sé, si pongono due questioni: da un lato occorre sapere ciò che la Se"lbsterklarung esige e, dall'altro, ciò che, in seno alla mitologia, rappresenta il principio della sua intelligibilità, la sua chiave di lettura o la sua chiave di volta. Il progetto di interpretazione immanente, di auto-esplicitazione, implica innanzitutto di prendere la mitologia alla lettera o in parola. Ossia non di portare niente dal di fuori, di non aggiungere niente a ciò che la mitologia dice. Ora, per spiegare - come suggeriva Karl Philipp Moritz -, è necessario esplicitare, scoprire relazioni dapprima inapparenti, è anche opportuno ordinare, classificare, «costruire» e al limite sistematizzare per mettere in luce, per esempio, la successione logica delle differenti mitologie compiute (egiziana, indiana, greca), o per scoprire una periodizzazione forte nella mitologia greca, quella mitologia che compie e ricapitola tutte le altre, ma senza mai imporre alcuna griglia preliminarmente stabilita. L'auto-interpretazione impone innanzitutto negativamente di non forzare, né defor-

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mare il materiale mitologico del quale disponiamo, nell'idea di scoprire in esso un senso nascosto•. Si deve, dunque, innanzitutto concepire il progetto di autoesplicitazione2 nel senso di un imperativo metodologico negativo: la mitologia ci consegna, da sé, tutti gli elementi necessari alla sua comprensione1. Non vi è di conseguenza nessun bisogno di far intervenire delle ipotesi ausiliarie, di immaginare, per esempio, una cosmologia primitiva la cui formulazione sarebbe stata in seguito mal interpretata (Ch.G. Heyne), o di presupporre una Uroffenbarung (Cret17.er) progressivamente perduta e deformata o sfigurata•. 1. K.Ph. Moritz, Sul ooncetto di oompluto in se stesso, in Id., Scritti di estetica (1785-1793), tr. it. a cura di P. D'Angelo, Aesthetica, Palermo 1990. Moril:L aveva introdotto questa idea di .tautegoria. già nell'introdu:àone della sua Gotterlehre (1791). Ricordava che il mito costituiva un «mondo in sé• e che voler trasformare con l'aiuto di ogni sorta di interpreta:àone (Ausdeutungen) la storia degli dèi degli Antichi in pure allegorie è un'impresa del tutto folle esatbrnentecome quella che consiste nel voler metamornzzare delle poesie in buone storie vere, con l'aiuto di spiegazioni for.-.ate: «Per non alterare in niente queste belle poesie, è necessario prenderle come esse sono, senza nessun riguardo per ciò che dovrebbero significare, e, nella misura del possibile, esaminarle nella loro totalità con una veduta d'insieme, per scoprire progressivamente la traccia dei rapporti e delle rela:àoni anche piìl lontane tra i frammenti particolari non ancora integrati» (edi:àonc Insel, Frankfurt a.M. 1975, p. 10). - Cfr. SW, XI, p. 195; Intro~ne storiro-critica ... , pp. 309: «La mitologia non è allegorica, ma tautegorica». 2. SW, XII ,Phiwophie der Mythologie, p. 670; tr. it. di L. Procesi, Fiwofia della mitologia, Mursia, Milano 1999, p. 446.

3. Su tutto ciò si veda X. Tilliette, La mythologie erpliquéepar elle-méme, in Id. , L'Absolu et la phi/osophle, cit., pp. 203 ss. 4. Per una veduta d'insieme sul contesto storicoe dotbinalenel quale Sehelling elabora la sua riftessione sul mito (peraltro già intrapresa negli anni di forma:àone allo Stift di Tiìbingen), si veda il contributo di Ch. Jamme, Introduaionà la phiwophie du mythe, voi. 11,Époque moderne et oontemporaine, Vrin, Paris 1996. Si veda anche lo studio molto ricco di L. Procesi, Fiwofia e mitologia in Schelling: le interpmazioni del '900, in «Annali della Scuola Normale Superiore di Pisa., IX, n. 3, 1979, pp. 1293-1323.

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A partire dal periodo di Wiirzburg (1804-1805), la Filosofia dell'Arte, seppur sen:,.a riferimento esplicito a Coleridge, enuncia chiaramente il principio metodologico della tat1tegoria: Giove o Minerva non sign!ficano o non devono significare questo o quello, poichéciò equivarrebbe ad annichilire tutta l'indipendell7.a poetica di queste figure. Nonsign!ficano qualcosa, ma lo sono in persona. Le idee in fìlosofia e gli dèi nelle arti sono una sola e medesima cosa, ma ciascuno è per sé ciò che è, nessuno è In vista di altro o per significare altro.5

Il progetto di auto-comprensione è non solo legittimo, ma anche indispensabile dal momento che l'ultima mitologia (quella greca, in quanto mitologia compiuta) si è, essa stessa, alla fine, messa alla ricerca del suo senso, si è rivolta in modo risoluto verso l'elucidazione di sé, del suo primo cominciamento, come è accaduto, in modo eminente, in particolare con la dottrina dei misteri. La parola d'ordine della Selbsterldlirung riceve dunque innanzitutto il suo valore da una messa in guardia: la filosofia della mitologia non deve essere concepita come l'applicazione di principi filosofici già stabiliti a un materiale mitologico indifferente. La filosofia della mitologia non è una semplice disciplina regionale, per la quale basterebbe estendere il campo di applicazione di principi generali a un nuovo territorio lasciato da parte fino ad ora. La filosofia della mitologia risponde ali'orientamento continuo dell'ultima filosofia di Schelling in direzione dei «fatti», dell'empirico. Per una tale filosofia, è fuori questione I'adozione di . Quando Schelling decide di seguire a priori il movimento della Selbsterldlirung, e il modo in cui questo attraversa tutta la mitologia, si basa già su diverse tesi che si riveleranno decisive per tutta l'economia della lìlosolìa della mitologia. Ricordiamolo brevemente: È nella mitologia greca che si espone nel modopiù determinato e più. puro l'insieme del processo mito-teogonico. In ciascu-

63. SW, Xli, p. 670; Filosofia della mitologia, p. 493. 64. SW, Xli, p. 671; Filosofia della mitologia, pp. 493 s.

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na delle grandi mitologie storiche complete (egiziana, indiana, greca), sono all'opera le stesse potenze; vi troviamo gli stessi movimenti di giunzione e disgiunzione delle potenze scisse, entrate in tensione (Spannung). È dunque possibile, nonché legittimo, far apparire in modo strutturale le concordanze o le corrispondenze tra le diverse figure divine delle diverse mitologie. In compenso non vi è derivazione, se non fortuita e non significativa, da una mitologia ali'altra, non vi sono veri prestiti, ma una sorgente comune e degli sviluppi paralleli. Ecco dunque ciò che, di diritto, uno studio comparativo raccomanda. Tutte le mitologie attingono alla stessa sorgente: la mitologia affonda le sue radici nella Urbewufltsein, essa ne deriva, e le sue rappresentazioni costituiscono ogni volta altrettanti episodi nell'avventura della coscienza. Un solo e lo stesso processo mitologico, dunque, con delle «espressioni», delle formulazioni ogni volta diverse. È nella mitologia greca che la mitologia trova la sua presentazione compiuta, con Omero, gli Inni omerici, Esiodo, più che con Pindaro o i tragici. Nella misura in cui il processo teogonico ci compie nella coscienza greca, i Greci sono anche quelli che possono proporre la più completa elaborazione poetica del processo, una volta che questo è compiuto. Lungi dal ritornare qui sulla tesi, criticata a più riprese, della «finzione poetica» o della «favola», Schelling ricava tutte le conseguenze della sua critica, situando per così dire in un'epoca post-mitologica quei poeti che, come Omero o Esiodo, hanno dispiegato in un secondo momento il mondo degli dèi (Ghiques, e nella quale, ricordandoil suo metodo, difendendo la sua lìlosofia ericostituendo il suo itinerario, egli giustificavail suo interesse per la filosofia tedesca, contro gli attacchi reiterati di «germanismo». Schelling tornerà di nuovo sul!' argomento nel 1838 (in una lettera del 23 aprile, ugualmente scritta in francese) sulla questione dell'introduzione della filosofia tedesca in Francia: Se voi aveste trovato opportuno chiedere il mio parere sulla proposta di un concorso sulla fìlosolìa tedesca, vi avrei molto umilmente consigliato di procrastinarlo ancora di qualche anno. Avreste potuto farlo da voi, se aveste aggiunto un po' di fiducia a ciò che vi ho detto più di una volta, ossia che la fìlosofìa tedesca è sul punto e anche nella necessità di subire ancora un'ultima crisi e che non è possibile dare un giudizio né dall'inizio né dal mex,.o né dall'inizio della lìne, prima che un movimento scientifico come quello della fìlosofìa tedesca sia interamente terminato e arrivato alla sua vera lìne.59

58. F.W.J. Schelling, Aus Schelling:s Leben, cit., p. 42. 59. lvi, p. 136.

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Cosl, come in eco alla recensione di de Villers, si ritrova qui, trentacinque anni dopo, l'idea di una crisi aperta nella filosofia tedesca, in quanto tedesca, da parte di Kant e della Critica, ripetizione senza dubbio e trasposizione della crisi luterana, alla quale è importante lasciare il suo tempo proprio e la sua determinatezza nazionale: sono, dirà ancora Schelling, «i nostri anni di apprendistato» ed essi possono «essere risparmiati ai francesi». Ma sono anche quelli - così come le sovradeterminazioni (provinciali) che li avrebbero segnati - che devono infine o alla fine permettere l'elaborazione di un'«opera di pura speculazione», ma «scritta in modo da essere traducibile ai francesi». Dal rifiuto della francesizzazione del 1803 agli annunci, nel 1828, di un'opera «traducibile» in francese, o meglio che ha bisogno solo di essere tradotta e non «interpretata»ro, il cammino percorso è lungo, e il dialogo lìlosofico franco-tedesco sembra riallacciato: ciò emerge in particolare, senza ambiguità apparente, da questo passaggio della Prefazione a Cousin nel quale Schelling si mostra di nuovo preoccupato della Darstellungsweise e denuncia questa volta il provincialismo tedesco: Che infatti dai nosbi vicini occidentali ci sia qualcosa da imparare per ciò che concerne l'esposizione (Darstellung) chiara, semplice e ben riflettuta delle materie scientifiche, è ammesso pressoché da tutti. La modalità di esposizione (Darstellungsweise ), però, qualora ad essa sia ascritto un qualche

60. lvi, pp. 42 s.: «Le idee, anche in Germania, non sono ancora mature fino al punto da essere presentate ai francesi. È al solo scopo di portare la fìlosofìa a questa alta generalità di idee e di espressioni, dove sarà in grado di essere compresa da tutti i popoli pensanti, che ho dedicato tanto tempo alle mie opere che saranno pubblicate nel corso dell'inverno. Spero che cosl facendo finiscano d'un sol colpo le discussioni subalterne nelle quali vi vedo ancora implicato. Non appena pubblicate mi basterà trovare un buon traduttore, e spero di poter far a meno di un interprete».

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valore, si ripercuote sempre in pari tempo sulla cosa e sul contenuto. I tedeschi avevanosemplicemente 6losofato tra di loro percos'l lungo tempo che si allontanarono gradualmente in pensieri e parole sempre piil da ciò che è universalmente comprensibile (non solo, come in questo caso, in Germania) e il grado di allontanamento alla fine si trasformò quasi in un me7_.zo per misurare l'abilità filosofica. Non abbiamo bisogno di addurre degli esempi. Come famiglie che isolandosi dalle relazioni comuni vivono semplicemente tra di loro, alla fine oltre ad altre caratteristiche riprovevoli adottano tra loro anche espressioni particolari (Eigenheiten), che sono comprensibili soltanto a loro, cos'I in 6losofia era accaduto ai tedeschi, e quanto piil essi, dopo alcuni tentativi falliti di diffondere la filosofia kantiana fuori della Germania, rinunciarono a farsi comprendere da altri popoli, tanto piÌl considerarono la filosofia come qualcosa di esistente (etwas Daseyendes), per così dire, soltanto per loro, senza considerare (bedenken) che l'intento originario di ogni filosofia, anche se spesso mancato, e al quale tuttavia non bisogna mai rinunciare, mira proprio all'accordo (Verstlindigung) universale. Da qui tuttavia non può seguire che delle opere di pensiero siano da giudicare come F.xercitia Styli, ma piuttosto che una filosofia, ti cui contenuto non possa essere reso comprensibile ( begreiflich) ad ogni nazione colta e accessibile a tutte le lingue, già solo per questa ragione non può essere quella universale e vera. L'interesse che gli stranieri mostrano per la 6Iosofia tedesca non può pertanto mancare di ripercuotersi favorevolmente su di essa stessa.61

Tuttavia, potrebbe restare integra l'opposizione - veramente difficile da pensare - tra due concezioni dell'universalità, eredità sen1.a dubbio, ed eredità traviata, del lungo regno della lingua francese nella sua «universalità europea» e nella sua «prerogativa» all'interno dell'Accademia delle Scienze di Berlino. 61. SW, X. p. 204; Prefaxionea Cou.sin, p. 236.

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o

Resterebbe ancora da affrontare, per noi oggi - e in particolare alla luce di questi Annali, dei quali abbiamo considerato solo una brave sequenza - e rispetto a tutt'altra «prerogativa», quella dell'anglo-americano dominante, la doppia tensione, non più relativa alla nazionalità, ma all'idioma62 e all'universalità: nessuna filosofia può definirsi «nazionale» sen:r.a rinunciare anche insieme all'universalità e all'unità del filosofare, sen:r.a rinnegare la filosofia in ciò che costituisce della sua mira originale; ma essa deve anche rivendicare il privilegio singolare dell'universale cosl come si inscrive ogni volta in modo storico e carnalmente in una tale lingua, epoca, «nazione» sempre determinate, nel ritmo del pensiero e dei «suoi anni di apprendistato», salvo riproporre la pericolosa illusione, coltivata a suo tempo dall'Accademia di Berlino, di una «universalità europea» nella quale dovrebbe tradursi e riflettersi, in virtù della sua perfetta chiarezza, ogni altra determinazione filosofica

62. Prendiamo in prestito da Jacques Derrida, pur correndo il rischio necessario di una deviazione, questo motivo insistente: Schibboleth, poor Paul Celan [tr. it. di G. Scibilia, Schibboleth, per Paul Celan, Gallio, Ferrara 1991); Le monollngulsme de l'autre [tr. it. di G. Berto, Il monolinguismo dell'altro, Cortina, Milano 2004), e I.A langue n'appartientpas. Entrmen aoec Evelyne Grossman, in «Europe•, n. 861-862, 2000 (Paul Celan), pp.81-91.

Capitolo VI

Ravaisson discepolo francese di Schelling

L'oggetto di questo capitolo è limitato e del tutto preliminare. Si tratta infatti innanzitutto di ricordare i principali fatti, già ben stabiliti, rispetto alle relazioni personali tra Ravaisson e Schelling, prima di abbozzare qualche accostamento dottrinale o tematico, per quanto molto generale. Per andare più in profondità, occorrerebbe impegnarsi nell'esplorazione sistematica del fondo manoscritto depositato alla Biblioteca Nazionale dopo il decesso di Ch. Devivaise1• Senza poter qui anticipare sull'indispensabile lavoro di archivio ancora da realizzare, vorrei semplicemente - dopo aver ricordato alcuni elementi - interrogarmi sul sapere se e in quale misura è possibile dire, come ha suggerito una volta Alexandre Koyré, in un rapporto sugli studi hegeliani in Francia (rapporto presentato durante il primo Hegel-Kongress nel. .. 1930), che Schel-

l. Un ricercatore belga, Danicl Panis, aveva ini:òato l'inventario dettagliato del fondo. Per quanto attiene al nostro studio è particolarmente significativo il dossier "Schelling" che fa parte del dono 31556 (fondo Devivaise) nel quale compaiono diverse note relative alla libertà, l'esistenza, la personalità, lo spirito, il cuore, l'intui:òone intellettuale. Oltre alle note Mitologia e Rlvelaztone, vi si trova anche un commento seguito da una do-.càna di lezioni prese dalla

Filosofia della rivelazione.

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ling avrebbe avuto in Francia un discepolo nella persona di Ravaisson2• Ma prima di istruire la questione, in tre tempi, e sul piano delle opere pubblicate o dei frammenti postumi, devo ricordare brevemente i fatti noti concernenti le relazioni tra gli uomini. Studierei in seguito le loro rispettive interpretazioni di Aristotele, la dimensione estetica della loro fflosofia, e infine cercherò di ricostruire qualcosa come una filosofia ravaissoniana della rivelazione o più prudentemente qualcosa come la sua costruzione della storia religiosa, confrontandola con quella di Schelling.

Una prima conoscenza indiretta Sappiamo bene, soprattutto grazie al lavoro pionieristico di Joseph Dopp, Félix Ravaisson. ÙJ. formation de sapensée d'après des documents inédits3, come il giovane Ravaisson, al di là dell'eclettismo cousiniano e dell'insegnamento, abbastanza sconosciuto, del suo maestro Hector Poret al Collège Rollin, prende conoscenza del pensiero tedesco moderno in generale e della filosofia di Schelling in particolare all'epoca in cui redige la sua tesi sulla Metafisica di Aristotele, depositata nel 1834 all'Accademia delle Scienze, poi quando prepara la sua

2. A. Koyré, Études d"h.stoire de la pensie philosophique, Annand Colin, Paris 1961, p. 2o.5. Il testo è stato citato anche da Dominique Janicaud, in uno studio eccellente, del quale sono debitore, apparso in «Les Études Philosophiques», n. 4, 1984 (Victor Cousin et Raooi.sson, lecteurs de Hegel et de Schelling}, pp. 451-466. 3. Éditions de l'lnstitut Supérieur de Philosophie, Lovanio 1933. Cfr. anche R. Berthelot, Un romantismeuttlltaJre. Étudesur lemouoementpragmattste, 3voll., Alcan, Paris 1913-1922, voi. II, parte 111,cap. V: Originesromannques dupragmattsme de Bergson: Raooi.sson et Schelllng, pp. 83-110.

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tesi De l'Habitude che sarà sostenuta nel 1837 e pubblicata nel 1838. -Aggiungo immediatamente, tra parentesi, una piccola precisazione: si è spesso fatto notare che Schelling non viene citato né all'interno del Saggio, né nella tesi. Ciò è vero per la tesi De l'Habitude, che tuttavia presuppone un'ampia base schellinghiana, sulla quale tornerò; e ciò è vero anche del Saggio4 così come è stato pubblicato, in una versione profondamente rimaneggiata, come primo volume, nel 1837, ma non è affatto il caso della tesi dell'Accademia propriamente detta. Occorrerebbe potersi riferire direttamente a questa prima versione, il cui manoscritto è conservato presso gli Archivi dell'Institut de France, perché la presenu di Schelling è qui decisamente più netta, soprattutto nella conclusione, di quanto non emerga dal volume rimaneggiato, ampliato, pubblicato più avanti. La stessa questione messa a concorso da Victor Cousin nel 1833 invitava peraltro a: 1) «Far conoscere l'opera di Aristotele intitolata Metafisica attraverso una ampia analisi e determinandone il piano». 2) «Tracciarne la storia, segnalando l'inAuenu sui sistemi ulteriori nell'antichità e nei tempi moderni». 3) «Cercare e discutere la parte d'errore e la parte di verità che vi si trovano, quali sono le idee che sussistono ancora oggi, e quelle che potrebbero utilmente entrare nella filosofia del nostro secolo». Non vi sarebbe dunque niente di stupefacente nel fatto che Ravaisson conclude il suo studio del 1834 con delle considera;doni, peraltro abbastan7.a rapide, sul «realismo-idealista» inaugurato da Leibniz, o nel fatto che critica, attraverso Wolff e il

4. Cfi-. F. Ravaisson, Essai rur la métaphysique d'Aristote, 2 voli., ried. an., Olms, Hildesheim 1963; nuova ried., Éditions du Cerf, Paris 2009; tr. it. di A. Tilgher, Aristotile, Le Monnier, Firenze 1922 [l'ed. it. comprende le pagine 209-59.5 del tomo I e le pagine 1-23 del tomo Il. Tale volume non è mai stato ristampato e risulta oggi decisamente raro. Le traduzioni riportate sono nostre; N.d.T.].

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suo logicismo ( «combinazione matematica di nozioni astratte»), Hegel, opponendogli la metafisica intesa come scienza dell'essere presa nella sua «assoluta attualità». È importante, proponeva ancora Ravaisson, citando Schelling, dare all'idealismo una base per raggiungere un «assoluto in cui l'atto e la poten7.asi identificano», anche se, riconosce anche Ravaisson, Kant era già arrivato, «con un lampo di genio», a intravvedere «l'identità del pensiero e dell'esistenza, del soggetto e dell'oggetto, in una unità superiore». Alla dottrina della «soggettività assoluta» sviluppata da Fichte, Ravai.sson crede di poter ancora opporre il «realismo» restaurato da parte di uno Schelling che riprendeva il realismo aristotelico in una forma rinnovata. Certo, più prudentemente Ravaisson nota anche che è tuttavia difficile pronunciarsi definitivamente rispetto al pensiero di Schelling, poiché il suo sistema non è ancora compiuto, ma che in ogni caso il pensatore di Monaco tende sempre di più verso il realismo e preconizza ora una «filosofia positiva». Il Rapport-0, nella sua versione originale, è certamente un lavoro un po' snello, se comparato ai due volumi del Saggio, tuttavia meriterebbe di essere pubblicato. Possiamo farcene un'idea leggendo il resoconto redatto da Cousin sul concorso aperto nel 1833 (pubblicato presso Ladrange a Parigi nel 1835, e poi in una seconda edizione aumentata nel 1838). Comunque sia, come ha mostrato J. Dopp, sembra che la conoscenza dell'opera di Schelling da parte del giovane Ravaisson sia stata inizialmente indiretta, trasmessa soprattutto da manuali o articoli di rivista5• - La lettura dell'opera di Fried-

5. li manuale di Thaddli Anselm Rixner in particolare (Handbuch der Geschichte der Philosophte, 1822 e 1829), o la storia della fìlosofìa di Tennemann, della quale Cousin aveva predisposto una traduzione francese, accompagnata di appendici redatte da Amadeus Wendt perii periodopostkantiano,

rich Julius Stahl, Die Philosophie des Rechts nach geschichtlicher Ansicht (Heidelberg, 1830-1837), discepolo troppo zelante che tentava di applicare alla filosofia del diritto l'idea schellinghiana di positività, ha potuto giocare ugualmente un ruolo importante nella trasmissione delle dottrine spesso riservate all'insegnamento orale. Noi abbiamo la fortuna di possedere le note di lettura di Ravaisson che riassume le idee formulate da Stahl nel modo seguente: Nella fìlosofìa moderna il pensatore si ritira in se stesso, ottiene il principio soggettivo, la sua ragione. Da ciò il formalismo [ . . .] fìlosofìa astratta: razionalismo. L'essell7.a della fìlosofia astratta è di riconoscere ciò che segue dalla ragione, il necessario logico. Non gli basta che qualcosa sia, occorre che non si possa concepire l'opposto. Il suo principio è dunque la ragione puro, il pensiero prima di qualsiasi contenuto ad essa esteriore, a priori, prima di qualsiasi esperiell7.a. [ . .. ] Ogni fìlosofìa deve inoltre prendere la ragione come misura in un modo negativo, deve cioè escludere tutto ciò che contraddice le leggi del pensiero. Ma il proprio della filosofia astratta consiste nel prendere la ragione come misura positiva, vale a dire che non riconosce altro se non ciò che queste stesse leggi già contengono ed esclude tutto ciò che secondo essa può essere albimenti. Da ciò deriva tutto l'andamento di questa fìlosofìa. Occorre trovare tutto attraverso la ragione. Per trovare l'incondizionato, si astrae fìno ad arrivare a una rappresentazione perfettamente semplice dalla quale non ci si può separare se si pensa, al fondo di qualsiasi pensiero, per esempio alla sostan7.a, alla n07.ione di essere o di incondizionato.

e nella quale una ventina di pagine importanti sono dedicate a Schelling. Lo stesso Wendt aveva presentato al pubblico tedesco i Fragments philosophiques di Cousin. Questa presentazione era stata subito tradotta in francese nella • Nouvelle Revue Gennanique,. nel sette mbre 1834; vi compaiono anche delle informazioni preAose sulla prima e sull'ultima filosofia di Schelling: la questione del panteismo, l'idea di Dio causa, la questione del wie, del come di questa causalità. Cfr. J. Dopp, p. cit., p. 76.

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È da questo Restodell'astrnzione che devedertvare ogni esistenza determinata. In tal modo essa sara puramente logica. Deve contenere le cose in modo tale che il suo opposto non sia concepibile. Tutto ciò si applica a quei sistemi dell'opposizione necessalia che devono costituire una cosa nell'opposizione ali'altra (Ftchte, Hegel) come a quelli che dertvano solamente dal prtncipio di contraddizione. 6

La filosofia nuova, prosegue Ravaisson, deve prend~re al contrario «la libertà e la personalità» come principio. E cosl che il pensiero può «ritornare all'esisten7~ indipendente di essa» e cosl non considerare più «le cose in modo greco come i prodotti delle Idee e delle leggi della natura, ma come l'opera di un Dio libero e attivo». Adottando cosl un nuovo punto di vista, incentrato sull'idea della creazione, la filosofia diventa, come vuole Schelling, «storica, in opposizione al punto di vista logico della filosofia moderna». - La fìlosofia storica, scoprendo che «vi è un'azione libera», può solo considerare la possibilità del Fatto o meglio riconoscere che «qualcosa si fa e si è fatta,,?. Ricordiamo che se le fonti di Ravaisson sono indirette è perché, trattandosi dell'«ultima filosofia di Schelling», non potrebbe essere diversamente: la pubblicazione, postuma, delle lezionisulla mitologia e la rivelazione attenderà gli anni 18561858. Prima di questa data è sempre contro la volontà di Schelling che circolavano analisi o riassunti, a cominciare da quelli pubblicati da Edouard Kolloff nel 1835, poiché è già a partire dagli anni '20 a Monaco che Schelling aveva posto le basi per la sua ultima fìlosofia8•

6. Cit. da J. Dopp, op. cit., p. 137 n.

1. Ibidem. 8. Gli ultimi decenni hanno visto moltiplicarsi le traduzioni fondate sulle Nachschriften che documentano le prime versioni della filosofia positiva: il System der Weltalter del 1827-1828, pubblicato da S. Peetz (Klostennann, Frankfurt a.M. 1990), l'Einleitung indie Philosophle, corso del 1830, pub-

227 Lo Schelling che il giovane Ravaisson conosceva più direttamente, è dunque innanzitutto e complessivamente quello della filosofia dell'identità, caratterizzata dal parallelismo tra filosofia trascendentale e filosofia della natura, e rappresentata essenzialmente dalla Darstellung del 1801, il Bruno, le lezioni sulla Filosofia dell'arte, e sul Metodo degli studi accademici. Numerosi indizi mostrano però che Ravaisson era attento a questa filosofia positiva che il filosofo di Monaco preparava in segreto e della quale non smetteva di rinviare la pubblicazione. Così, nella sua edizione di De l'Habittlde, Jean Baruzi segnalava già tra i fogli di Ravaisson un fascicolo di documenti: «Corsi di Schelling, 1835-1836», corrispondenti a una esposizione della Filosofia della mitologia nei suoi principali lineamenti, quelli stessi di cui oggi possediamo una preziosa trascrizione, in francese, che viene dalle note di Charles Secrétan°. Noi non sappiamo come Schelling abbia preso conoscenza di questo corso e se il suo «dossier» consista unicamente negli articoli (gli «estratti») di Kolloff, dedicati a questa stessa filosofia della mitologia e pubblicati nel 1835 nella «Revue du Nord». Ma sappiamo che Schelling, dopo questo episodio di «indiscrezioni» di Edouard Kolloff, che lo aveva tanto irritato, aveva chiesto a Cousin di intervenire per far bloccare questa pubblicazione, della quale era annunciato il seguito, e di far pubblicare un testo di protesta ufficiale nel «Joumal des débats» 19; penserà in seguito a dare una traduzione francese autoriZ7.ata blicato da W.E. Ehrhardt, cit., o ancora, fìn dal 1972, la Grundlegung der positiven Philosophie, cit., e più di recente, grazie allo zelo di Walter E. Ehrhardt, l'U,fassung der Philosophie der Offenbarung, cli., trascri:i:ione di un corso del 1831- 1832.

9. Cfr. La philosophie de la mythologie de ScheJJing, cit. 10. Si veda la reazione di Cousin, in J. Barthélemy-Saint-Hilalre, M. Vtctor Cousin, sa oie et sa con-es,,ondance, 3 voli., Hachette, Paris 1892, voi. 111, pp. 97s.

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della sua Filosofia della mitologia 11 che potrà essere reali:aata proprio da Ravaisson 12•

Un giudizio senza compiacenza E in effetti, sarà proprio Ravaisson a dare la prima traduzione francese ad un testo di Schelling, anche se non della fìlosofìa della mitologia. Con il suo aiuto, Cousin pubblica in Germania la Prefazione alla seconda edizione dei suoi Fra1nmenti filosofici13 per i quali Schelling redige a sua volta una importante prefazione insieme storica e metodologica in cui situa la sua impresa tanto in rapporto all'empirismo e agli scozzesi che rispetto alla fìlosofìa tedesca kantiana e postkantiana14• Quali che siano le critiche severe formulate da Schelling nei confronti dell'eclettismo, Cousin si preoccupa di far tradurre subito in francese la Prefazione di Schelling. La traduzione, dovuta a Ravaisson, del Giudizio di Schelling sullafiwsofia del

Sig. Cousin e sullo stato della filosofia francese e della filosofia

11. Cfr. la sua lettera a Cousin del 19 ottobre 1835, in G.L. Plitt (a cura di),

op. clt. , pp. 109 s. 12. Cfr. la lettera a Cousin dell"ottobre 1838, ivi, p. 142: «Il tempo nel quale potrò ini~are le mie pubblicazioni si awicina. Mi avevate fatto sperare che il sig. Ravaisson si potrebbe far carico della trad~one della mia prima opera ... » -Cfr. anche la lettera a Cousin del 27 ottobre 1835, in J. BarthélemySaint-Hilaire,op. clt., voi. li[, p. 98: «Perciò che riguarda la trad~onedella mia Fi/asofia della mitologia mi rimetto alla vostra amici~»13. Vlctor Cousin aberfranzosische unddeut:sche Pht!csophle, tr. ted. di H. Beckers, J.G. Cotta, Stuttgart-Tiibingen 1834.

14. SW, X, pp. 203-224; Prefazione a Cousin, pp. 25.5 ss. Cfr. anche la recensionedi Schelling apparsa nei «BayerischeAnnalen»,n. 135, 1833, ripubblicata da L. Pareyson, in Schelllngiana rariom, Bottega d'Erasmo, Torino 1977, pp. 545 ss.

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tedesca in generale, viene pubblicato nell'ottobre 1835, nella «Nouvelle Revue Germanique,,, preceduto da una breve nota in cui Schelling è presentato come «il più grande filosofo del nostro secolo», quello che annuncia un nuovo periodo della filosofia, per il quale «egli potrà ancora una volta far da maestro,, e permettere di scuotere «il giogo inflessibile della Logica hegeliana» 15• Il Giudizio è in realtà un testo importante nell'economia delle pubblicazioni schellinghiane, poiché esso segna la rottura di un lungo silenzio aperto dalla polemica con Jacobi, consecutiva allo scritto del 1809 sulla libertà umana. In favore della sua discussione, relativamente secondaria, con Cousin, Schelling critica lo hegelismo severamente interpretato come filosofia razionale nella tradizione del wolffismo, e definisce il suo metodo proprio (storico) come un vero empirismo, ascendente e discendente, rigorosamente contraddistinto da qualsiasi filosofia razionale, la quale non può né progredire né cominciare, poiché essa ha sempre a che fare con il puro concetto logico: con ciò che deve necessariamente essere pensato, con ciò che non è possibile non pensare 16• Come comprendere in realtà, chiede Schelling «un auto-movimento logico del concetto», come anticipare il «passo che ci condurrà alla realtà effettiva», che permetterà di rompere la noia del puro essere logico? Schelling, si sa, avrebbe sempre deriso, in Hegel, la transizio-

15. Le prime traduzioni francesi delle grandi opere del primo Schelling compariranno qualche anno pili tardi: nel 1842, la traduzione da parte di Grimblot del Système de l'idéalisme transcendantal. Nel 1845, quella di Bruno, da parte di Husson. Nel 1847, la traduzione dovuta a C . Bénard degli Écrits phimophiques de Schelling et morceaux propres à donner une idée générak de son système (comprese le Leçons sur la méthode des études académiques e il discours di Monaco (1807]sur les artsplastiques). Inutile precisare che oggi queste traduzioni hanno un valore solamente documentario. 16. «das notwendig m-Denkende•, «das nur nicht nicht-m-Denkende• .

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ne, il passaggio dalla logica alla natura. Al metodo regressivo, Schelling oppone un metodo progressivo, al negativo il positivo, al «ciò senza cui», il «ciò per cui»; di fronte a ciò che è solo «necessità di pensiero» (Denknotwendlgkeit), egli difende i diritti di ciò che vuole il pensiero o meglio il cuore: «Ich will nicht das blo8 Seyende, ich will das Seyende, das 1st oder existirt» 17• Giocando per una volta il francese contro il tedesco, Schelling nota che il termine "ttre" [Essere] non designa nella lingua di Malebranche, per esempio, come per Hegel, «das reine Seyn», l'«astrazione di una astrazione», un concetto vuoto che è come niente o che non è niente18• Il francese "ttre", nota ancora Schelling, può, o almeno sembrerebbe signifìcare insieme "étre" [astratto] e "étant" [ente], ma, filosoficamente, si riferisce al)'ente e non al)'essere. Cosl la «scienza dell'essere» non deve essere compresa come «Wissenschaft des Seyns», ma piuttosto come «Wissenschaft des Wesens» o meglio «des Seyenden». Per tale ragione essa deve partire non da un preteso Prius assoluto, il prius solamente logico - «das schlechthin Allgemeine und Notwendige (als das tiberall nicht und in nichts nicht zu Denkende [croi:ò i:ò ov])» 10 - , da un Prius che

17. SW, X. p. 215; Prefazioru: a Cousin, p. 245. 18. «Das Seyn als Erstes :tU sett.en, hei8t, es ohne das Seyende :tU sett.en. Aberwas istdas Seyn ohru: das Seyende? Das, was 1st, ist das Erste, das Seyn nur das Zweite, fiir sich gar nicht denlcbare» (ibidem). 19. SW, X, p. 214. Cfr. F. Ravaisson, Essai sur la métaphysique d'Aristote, cit., voi. I, p. 572: «il primo pensiero non ha potuto pensare al pensiero, poiché si procederebbe all'infinito senu poter provare ini:ào. Il primo oggetto del pensiero non può dunque essere un'idea che si oppone a se stessa come una pura idea che si oppone a un'idea: è un essere che agisce conii suo stesso essere sull'intelligenuche lo contempla. Non ci sarebbe niente al mondose prima di tutto non fosse l'essere come principio di tutto. (Ravaisson rinvia qui a Métaph., A 6, 1011b 5-6); così, anche nell'ordine degli intelligibili, che in generale è l'oppooto dell'ordine delle intelligenze e degli esseri, il primo termine è l'essere».

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non è universale se non negativamente, ma, e questo è il vero empirismo, da una causa positiva, considerata nella modalità concreta, il wie della sua causalità come creazione libera. Cos} la filosofia in generale, e la filosofia tedesca in particolare, ben lungi dall'essere compiuta con Hegel, come credeva Cousin, è ancora in attesa e come sulla soglia di un'ultima trasformazione (Umanderung), di una vera crisi; è dunque vano, come pretendeva Cousin, tentare di stabilire un bilancio definitivo20. Questa crisi, della quale la natura e la portata si preciseranno con l'articolazione della filosofia positiva e della filosofia negativa, dovrà condurre la filosofia al Prius stesso della deità o meglio a ciò che è prima del Prius, ma a cui si può accedere solo a cose fatte: l'imprepensabile, das Unoordenkliche o ancora, in termini più tradizionali, «il vero Dio», non più colto come «un essere (We.sen) semplicemente universale, ma esso stesso in pari tempo [come] particolare o empirico»21 • Le poche righe di presentazione della sua traduzione francese non permettono di determinare in modo più preciso ciò che il giovane Ravaisson ha potuto trattenere di questo testo: la critica dell'ov come 1ea1:syouµsvov µ6vov? L'accento posto sull'individualità22 ? Si può pensare, in ogni caso, che questo Giudizio di eclettismo abbia potuto costituire ai suoi occhi uno scritto-programma, ricco di sviluppi a venire.

20. Cfr. la lettera a Cousin, in G.L. Plitt (a cura di), op. clt., p. 136. 21. SW, X. p. 216; Prefazione a Cou.sin, pp. 245 s. 22. F. Ravaisson, Essai sur la métaphysique d'Aristote, cit., voi. I, p. 487: «nella misura in cui ci si innalza in una scala, le funzioni si accumulano in un cerchio sempre piil stretto, la materia si comprime in forme sempre piil circoscritte. [ ... ) i lati di un angolo si awic:inanocontinuamente fìno alla cima indivisibile dell'individualità assoluta e dell'attività pura».

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Il segreto di Schelling Senza dubbio è solo nel 1839, in occasione del suo soggiorno a Monaco, che Ravaisson - in quel momento ha 26 anni comprende tutta la portata della critica schellinghiana della metaJìsica e scopre il suo «segreto». Attraverso la sua corrisponden1.a con Edgar Quinet, conosciamo alcuni preparativi di questo soggiorno in Germania. Dopo la pubblicazione della sua tesi nel 1838, Ravaisson, inizialmente membro del gabinetto di Salvandy, viene nominato ispettore generale delle biblioteche, proprio nel momento in cui progetta un viaggio a Heidelberg per il quale chiede dei consigli a Quinet. Si rivolge a lui di nuovo verso fine luglio-inizio agosto 1839: «Vorrei anche, da Heidelberg, fare un viaggio a Monaco, soprattutto allo scopo di vedere Schelling» 23• Non sappiamo esattamente quanto sia durato questo soggiorno del quale Jean Baruzi, nell'introduzione alla sua edizione di De l'Habitude (Alcan, Paris 1927), aveva sottolineato, con una magnifica formula, l'importan1.ae il mistero: «Ravaisson, nato nel 1813, morto nel 1900, nostro contemporaneo e nostro antenato, ha conosciuto personalmente Schelling. Poco, ci assicurano: Schelling non conosceva bene il francese, Ravaisson non conosceva bene il tedesco. Tuttavia molte coincidenze restano da spiegare». Se parlare di «coincidenza» non è qui certamente adeguato, l'espressione ha in ogni caso il merito di non porre esclusivamente la questione del rapporto tra le opere nei termini classici di influenza o, come si dice oggi più volentieri, di ricezione. Due testimonianze inegualmente importanti chiariscono questo soggiorno a Monaco dell'autunno 1839: una lettera che Ravaisson indirizza al suo maestro H. Poret e una lettera a Qui net

23. Si vedano le lettere di Ravaisson, Quinet e Schelling pubblicate da P.-M. Schuhl,in«Revue de Métaphysiqueetde Morale», XLIII, n.4, 1936, pp.4~ss.

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del 23 ottobre. Poret aveva chiesto a Ravaisson di informarsi circa i riferimenti bibliogralìci su Aristotele e la lirica greca. Prima di lasciare Monaco, Ravaisson gli invia dunque qualche parola: non vi scriverò di tutto ciò che ho visto, letto, ascoltato, appreso qui; avremo presto occasione di parlarne con calma. Vi darò soprattutto le notizie più fresche della lìlosolìa tedesca; ho visto spesso Schelling, ed è stato lui stesso, per quanto ha potuto, a mettermi al corrente delle sue nuove idee che sen7.a dubbio costituiranno una nuova e forse feconda epoca di questa fìlosolìa. Purtroppo la mia conoscen7.a troppo Imprecisa del tedesco non gli ha permesso di leggermi, come aveva intenzione di fare, la prima parte di un libro che finalmente si decide a pubblicare [ ... j.M

Ancora più significativa è la lettera che Ravaisson invia, sempre da Monaco, al suo amico Edgar Quinet; questa è importante anche per definire la natura delle relazioni tra Ravaisson e Cousin in quest'epoca. Evocando le procedure e le trattative preliminari alla nomina di Quinet al Collège de France, Ravaisson scriveva: L'opposizione di M. Cousin non mi ha sorpreso, e ancor meno la sua scaltre7.7.a; l'esperien7.a mi ha insegnato troppo bene non solo ciò che ci si può, ma anche ciò che ci si deve aspettare da un simile amico. [ ... ) Ho trovato Schelling - prosegue Ravaisson - nel pieno delle forze e della giovine7.7.a del suo grande spirito, e ho potuto studiare da vicino questa fase nuova e veramente importante della fìlosofìa tedesca della quale lui sarà l'autore. No, non è tutto finito, qui, con Hegel. Schelling esce ora da questa nuvola scolastica, rinuncia a ciò che chiama il seccc formalisnw e la sterile ampollosità di questa logica, e ha già dato nei suoi corsi, che leggo, gli elementi di una lìlosolìa libera e sostanziale e, come lui la chiama, veramente positiva. Io trovo, e anche lui, una conformità singolare tra questa di-

24.

J. Dopp, op. clt., pp. 291 s.

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rezione nuova e quella che credevo di intravvedere e che h o tentato di abbo7.7.are. È forse questo che mi fa guardare con speranza alla fìlosofìa positiva. [ ... ] Ed è forse in Francia, in una terra vergine, che noi potremo realizzare la promessa e riempire l'Ideale che si scopre[ .. . ].25

È con lo stesso entusiasmo che Ravaisson saluterà Schelling nel 1840, nel suo articolo su Hamilton, pensando di nuovo a un incontro spirituale franco-tedesco: Schelling colloca nell'azione, nella personalità, nella libertà, la base della metafisica futura. La Francia e la Germania, attraverso vie così diverse, inlìnesi incontrano, la patria di Descartes sembra vicina ad unirsi nel pensiero, ma direi anche nel cuore e nell'anima, con la patria di Leibniz.215

Alla lettera inviata da Monaco in ottobre, Quinet risponde il 10 dicembre 1839, con lo stesso tono entusiasta: Tutto quello che voi mi dite di Monaco e dei vostri lavori aumentano la voglia di rivedervi! Cosl avete il segreto di Schelling! È tempo che voi ritorniate alla filosofia che qui da noi muore. Nessuno conosce esattamente lo stato delle cose e gli spiriti migliori non sono più in grado di orientarsi.27

Questo breve soggiorno in Germania può certo contribuire a spiegare il tono e la libertà dell'articolo della «Revue des deux mondes» del 1840 sulla Filosofia contemporanea che segna una netta rottura con il cousinismo. La questione resta quella di sapere qual è la prossimità, la comunan1.a di ispirazione 25. Lettera pubblicata da M . David, Le séjour de F. Raoaisson à Munich d'aprèsune lettreinédite, in «Revue philosophiquede la France etde l'Étranger», voi. 142, 1952, pp. 454--456.

26. F. Ravaisson, Philosuphle contemporaine. Fragmens de philosophiepar M. Hamilton, in «Revue des deux mondes", XXIV, n. 3, 1840, pp. 396-427: p. 421; ripreso in Id., Métaphysique et Morale, Vrin, Paris 1986, p. 26. 27. Lettera pubblicata da P.-M. Schuhl, in «Revue de Métaphysique et de Morale-, XLIII, n. 4, 1936, pp. 500 s.

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o meglio la «conformità» - per usare il termine della lettera a Quinet - delle vedute e degli orientamenti che farebbero di Ravaisson un discepolo francese di Schelling.

Nel segno di Aristotele Nella tesi De l'Habitude, che tuttavia brulica di riferimenti più o meno espliciti, Schelling brilla per la sua assenza; non sarebbe tuttavia troppo difficile far emergere sullo sfondo del progetto di Ravaisson alcune intuizioni centrali della fìlosofia dell'Identità, quando evoca per esempio il ,,mistero dell'identificazione dell'ideale e del reale, della cosa e del pensiero, e di tutti i contrari che l'intelletto separa», o quando, definendo la natura con lo sfor:7.o o il desiderio, scopre in essa, come elemento propriamente dinamico, quella che chiama ,ç e alla sua accentuazione della causa finale (il Bene) a detrimento della causa efficiente (causa causarom, dioeva Schelling)36-, la distanza tra i due pensatori, peraltro cosl differenti, non è forse talmente grande. Per Ravaisson infatti, non troppo diversamente da Schelling, Aristotele non rappresenta un compimento, un punto di perfezione o di equilibrio, come testimonia questo frammento tardivo pubblicato da Devivaisse: «Così la metafisica peripatetica restava, nel mei.zo del mondo della religione e della dottrina della natura, come una promessa che non poteva compiersi. È in un altro mondo e in un'altra dottrina che essa doveva ricevere il suo compimento, nel mondo e nella dottrina dello Spirito»37• Schelling, da canto suo, aveva lodato Aristotele per essersi fermato sulla soglia della filosofia positiva38 • L'atteggiamento di Schelling nei confronti di Aristotele sarebbe sempre rimasto

Aristate/es undKant, LIT, Mllnster 1998; cl permettiamo di rinviare anche a J.-F. Courtine, La critique de l'ontologie, in Id., E:xtase de la roison, cit., pp. 263-311 (tr. it. cit., pp. 299-351), e Schelling leaeur d'Aristote, le «cas» ~ò 'ti i\v dva,, in Id., Les catégories de l'étre. Études de philcsophie ancienne et mé