Scenari tecnologici. Matrix, la fantascienza e la società contemporanea 9788898298136


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Scenari tecnologici. Matrix, la fantascienza e la società contemporanea
 9788898298136

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Rossella Catanese RobeRto GueRRa antonio saCCoCCio MaRCo teti MaRio tiRino

sCenaRi teCnoloGiCi Matrix, la fantasCienza e la soCietà ConteMpoRanea

Avanguardia 21 Edizioni

ScEnAri tEcnologici. MAtrix, lA fAntASciEnzA E lA SociEtà contEMporAnEA. roSSEllA cAtAnESE, robErto guErrA, Antonio SAccoccio, MArco tEti, MArio tirino

coordinamento editoriale: Elisabetta Mattia, Antonio Saccoccio © 2017 - Edizioni AVAnguArDiA 21 AVAnguArDiA 21 Società cooperativa a r.l. roma, 00165 - Via Aurelia, 424 Email [email protected] u.r.l. www.avanguardia21.it prima edizione ebook: febbraio 2017 prima edizione stampa: luglio 2017 iSbn: 978-88-98298-13-6

l’editore è a disposizione degli aventi diritto con i quali non gli è stato possibile comunicare, per eventuali involontarie omissioni o inesattezze nella citazione delle immagini e delle fotografie riprodotte nel presente volume.

inDiCe

premessa

5

Strategie di marketing e narrazione tranSmediale in MAtrix di Marco teti

7

thE MAtrix e il Cyberpunk di rossella catanese matrix

21

reConStruCted: note SintetiChe Sull’ambiguo rapporto tra

uomo e maCChina nella fantaSCienza diStopiCa degli anni

duemila

di Antonio Saccoccio

41

la galaSSia in una pupilla. SoCiologia del tempo in contAct di Mario tirino

63

the man-maChine di roberto guerra

89

brevi note biografiche

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premessa

Questo non è un libro che parla di matrix. È un libro che parte da matrix. il cult movie dei fratelli (ora sorelle) Wachowski costituisce lo spunto iniziale, l’incipit primario per un discorso a 360° sulla fantascienza contemporanea. Ecco allora che i saggi presenti nel volume non prendono in esame solo la trilogia di matrix, ma si soffermano su un’ampia produzione filmica (Strange days, the truman Show, Contact, the Congress, 2001: a Space odyssey, Star trek, the thing etc.), romanzi di fantascienza (la matrice spezzata, neuromante), serie animate (animatrix), serie televisive (black mirror, Westworld), fumetti (transmetropolitan, razzi amari). Sembra invecchiare piuttosto bene matrix. È passato ormai quasi un ventennio dal primo episodio ed è ancora un perno del dibattito contemporaneo su diverse tematiche. Destino forse inevitabile per un film realmente postmoderno, in cui un rimando a baudrillard figura accanto ai più strabilianti effetti speciali. proprio l’autore di Simulacres et simulation nel 2003 parlava di matrix in questi termini: «ci sono già stati altri film che trattavano questa crescente indistinzione fra reale e virtuale. truman Show, Minority report o anche Mulholland Drive, il capolavoro di David lynch. Matrix vale soprattutto come sintesi parossistica di tutto questo. [...] Matrix dà l’immagine di un’onnipotenza monopolistica della situazione attuale, e collabora dunque alla sua rifrazione. in fondo, la sua diffusione su scala mondiale fa parte del film stesso. Qui, bisogna riprendere Mcluhan: il medium è il messaggio. il messaggio di Matrix è la sua stessa diffusione, per contaminazione proliferante e incontrollabile». in poche righe il filosofo francese traccia le lineeguida del dibattito intorno alla Matrice: l’indistinzione tra reale e virtuale; il confronto con altre grandi opere che affrontano gli stessi problemi; Mcluhan e la relazione tra medium e messaggio. il volume è nato da un felice dialogo tra ricercatori e scrittori, che hanno incrociato le loro strade nel nome di matrix. È nata così l’idea di intraprendere una riflessione ad ampio raggio sulla fantascienza contemporanea, sul ruolo della tecnica e dei media nel mondo odierno. 5

il saggio di Marco teti prende in esame alcuni degli aspetti realizzativi ed economici più rilevanti di matrix. l’attenzione viene focalizzata sulle strategie e le sofisticate procedure ideate allo scopo di sviluppare il racconto attraverso differenti media. Accogliendo il suggerimento di numerosi esperti, teti non giudica matrix una semplice produzione audiovisiva, bensì un complesso «universo narrativo», articolato (e soprattutto fruibile) tramite molteplici mezzi di comunicazione. matrix diviene pertanto il campo di applicazione di nozioni concepite nell’ambito del marketing quali franchising, brand o “posizionamento” del prodotto. Anche il saggio di rossella catanese the matrix e il cyberpunk si sofferma sulla multimedialità e l’immaginario di fumetti e graphic novel internazionali. Vengono inoltre individuati importanti precursori delle tematiche sviluppate nel film: i romanzi e i racconti di William gibson e bruce Sterling. nel mio saggio matrix reconstructed avanzo alcune ipotesi sulle modalità con cui nell’opera dei fratelli Wachowski e in altre pellicole degli ultimi decenni viene rappresentato il complesso rapporto tra esseri umani e tecnologie, tra realtà e finzione/simulazione. in queste opere, generalmente dominate da una visione angosciante del futuro e da una manichea contrapposizione tra bene e male, le scene maggiormente significative sono proprio quelle che mettono pesantemente in dubbio tali tecnofobiche certezze. Mario tirino concentra la sua attenzione su Contact (robert zemeckis, 1997) e quindi un altro filone molto prolifico della fantascienza contemporanea, quella che vede al centro il contatto con eventuali civiltà aliene. in questo caso l’obiettivo è mostrare come in Contact si proponga un interessante e originale modello sociologico di esperienza del tempo, organizzato in relazione ai media, ai processi di visualizzazione tecno-estetica, alla problematizzazione dell’iconologia dell’alterità extra-terrestre e, infine, alla cruciale questione della relazione tra saperi tecnoscientifici, religiosi e “magici”. concludono il volume alcune recensioni in cui roberto guerra presenta con piglio visionario autori legati alla fantascienza e alla scienza (curt Siodmak, robert J. Sawyer, lawrence M. Krauss, raymond Kurzweil e altri). una carrellata di spunti tra robotica, intelligenza artificiale, crionica, transumanesimo e... Singolarità. Antonio SAccoccio

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MaRCo teti

strategie di marketing e narrazione transmediale in Matrix

Definizione di franchising e Matrix come brand Al centro della storia raccontata in matrix vi è la lotta tra un esercito composto da macchine dotate di intelligenza e gli ultimi esponenti della razza umana, i quali si sono rifugiati in un luogo chiamato zion. All’inizio del conflitto gli uomini hanno oscurato il cielo nel tentativo di bloccare l’avanzata dell’esercito formato da queste creature meccaniche «senzienti», la cui fonte di alimentazione è costituita dall’energia solare. i risultati ottenuti sono stati però soltanto quelli di ridurre il pianeta terra ad una landa nuda e desolata e di trasformare gli essere umani nella nuova fonte di approvvigionamento energetico delle macchine, le quali hanno soggiogato sin dalla nascita le menti degli individui portandoli a vivere un’esistenza soltanto «virtuale». nel corso degli anni alcuni uomini hanno preso coscienza della propria situazione, hanno rigettato la realtà simulata creata dalle macchine e sono fuggiti su zion. uno di loro è thomas Anderson, un hacker conosciuto con il nome di neo e dotato di straordinarie capacità sia fisiche che psicologiche. Affiancato dal suo mentore Morpheus e da trinity, la donna amata, neo affronta a più riprese e sconfigge l’agente Smith (un programma-sentinella in seguito divenuto un virus informatico) e riporta la pace. il sintetico riassunto della trama appena fornito a malapena rende l’idea dell’universo narrativo di matrix, ideato dai fratelli Andy e larry Wachowski, provenienti dal mondo del fumetto. l’universo diegetico di matrix è complesso, affascinante, ricco di personaggi e vicende rilevanti. 7

la principale particolarità che esso possiede è costituita però da una articolazione estrema perlopiù attuata attraverso numerose piattaforme mediali differenti. Entriamo dunque subito nel cuore del discorso. ciò che noi qui esaminiamo, in particolare a livello di strategie economiche, promozionali e di marketing adottate, non è soltanto un film (o meglio una serie di film) bensì una «operazione narrativa» per la quale vengono utilizzati svariati mezzi espressivi e di comunicazione. federico zecca afferma emblematicamente a riguardo che l’universo narrativo [di matrix] si compone di tre film, un videogioco, un comic book e una miniserie animata, tutti legati da un rapporto di stretta complementarità. l’utente interessato a conoscere l’intera fabula di matrix deve percorrerne l’intreccio attraverso questi media, seguendone passo passo la scansione1.

per la precisione la trilogia cinematografica è composta dai lungometraggi matrix (the matrix, uSA-Australia, 1999), matrix reloaded (the matrix reloaded, uSA, 2003) e matrix revolutions (the matrix revolutions, uSA, 2003); i titoli dei videogiochi sono enter the matrix (id., giappone, 2003) e the matrix – path of neo (id., giappone, 2005) mentre quelli della serie animata e del comic book sono rispettivamente animatrix (the animatrix, uSA-giappone, 2003) e the matrix (id., uSA, 2003). zecca considera matrix una «narrazione transmediale», o per meglio dire l’esempio perfetto di una tendenza ormai sempre più diffusa nell’ambito dell’industria culturale o dell’intrattenimento, sorretta finanziariamente da enormi compagnie specializzate e operanti nel campo della comunicazione, le cosiddette conglomerate media2. tale tendenza consiste nel realizzare prodotti mediali legati da una forte e reciproca dipendenza, sul piano narrativo quanto su quello commerciale, e nella conseguente attuazione (in una maniera seppure radicalmente diversa dal passato) della politica del franchising. giovanni boccia Artieri asserisce eloquentemente che “la logica del franchise [è quella] su cui si basa l’industria dell’intrattenimento moderna”3. per franchising si intende una pratica messa in atto nel campo economico-industriale. come ricorda zecca, diffusasi originariamente in ambito alberghiero e ristorativo (a partire dagli anni cinquanta) questa pratica mira alla disseminazione del medesimo business model (denominato franchise) attraverso diverse «riproduzioni aziendali». per l’esattezza,

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il franchising stabilisce la relazione fra un’«impresa madre», che detiene i diritti di sfruttamento di un franchise (in genere identificato da uno specifico brand), e una serie di operatori indipendenti autorizzati (dietro pagamento di una quota) a riprodurlo in proprio4.

il franchise non è più solo pensabile nei termini di «un prodotto che può essere replicato in altri formati mediatici», come sostengono giandomenico celata e fabio caruso5. oggi più che mai di sicuro esso rinvia a e si identifica con un brand, un “marchio”, qualcosa di riconoscibile e di apprezzato da parte del pubblico o meglio dei fruitori-consumatori. Scrive a proposito del brand Stefania carini: il brand è concepito in modo che sia associato con certe qualità positive, in modo che il consumatore sia portato a riconoscere quel nome, a fidarsi, a consumarlo. fedeltà al marchio, meno rischi per l’azienda. il brand è una strategia economica dai significati più ampi, soprattutto quando applicata a un prodotto culturale. [...] l’elemento fondamentale di questa strategia è il nome dello studio, di un regista, di un attore, di un personaggio o di un precedente film di successo, che diventa un marchio, una firma, un brand, le cui qualità positive possono riversarsi sul film in uscita e invogliare lo spettatore alla visione. [...] nell’età della convergenza [mediale], però, il brand amplia il concetto stesso di testo. non è solo un nome riconoscibile, ma indica un insieme di qualità estetiche e affettive. il marchio identifica un universo narrativo e autoriale, capace di firmare e attrarre a sé altri testi, media, oggetti6.

bisogna dunque ritenere matrix un autentico «testo espanso», nell’accezione appena indicata da carini. matrix si configura soprattutto come un brand. tutto in matrix funge infatti con chiarezza da “firma”, da “garanzia di qualità”: il nome degli autori, quello dell’attore principale (Keanu reeves), il filone cine-letterario in cui è inseribile (la fantascienza cyberpunk), i personaggi e l’intero mondo rappresentato, il coreografo (Yuen Wo-ping, il quale al pari dei responsabili degli effetti speciali fornisce un enorme contributo per quanto riguarda l’assunzione di un aspetto estremamente spettacolare da parte dei tre lungometraggi cinematografici), la colonna sonora. matrix coincide in definitiva con un concept (cioè un progetto al contempo narrativo ed economico) promuovibile mediante numerose piattaforme mediali7. in ciò risiede la sua paradigmaticità. 9

D’altronde il franchise odierno si presenta proprio come «un sistema plurale, da disseminare in diverse piattaforme [per l’appunto] attraverso un meccanismo di estensione»8. come verificheremo meglio in seguito il «complesso narrativo (o se si preferisce il franchise) matrix»9 attesta la cosa in maniera lampante.

i selling elements e il target di Matrix le strategie promozionali e di marketing attuate dai produttori di matrix hanno puntato con evidenza sulla possibilità di sviluppare la narrazione mediante svariati mezzi di comunicazione. Questo è stato fatto in particolare allo scopo di sottolineare la dimensione diciamo così «ludica» posseduta da matrix, ovvero la capacità potenziale che la produzione ha di coinvolgere emotivamente il fruitore stimolandone una partecipazione il più possibile attiva. tale partecipazione non è limitata soltanto alla ri-costruzione percettivo-cognitiva del senso, ma riguarda letteralmente la «manipolazione» del testo e dei suoi contenuti (personaggi, vicende, luoghi, e così via). Secondo boccia Artieri l’esperienza di intrattenimento prodotta dalla dispersione tra media, formati narrativi diversi e logiche di fruizione differenziate non è sempre così «unificata e coordinata» ma implica livelli di profondità diversi e percorsi di senso soggettivi con livelli di possibile partecipazione e personalizzazione da parte dello spettatore che prevedono meccanismi di interattività ed appropriazione della narrazione molto diversi10.

matrix si presta molto a essere manipolato, quindi a sollecitare l’attività ludica del fruitore, a essere quasi vissuto come una “esperienza di gioco”. non bisogna dimenticare che al centro delle operazioni di marketing sono collocati proprio i consumatori. riferendosi specificamente all’ambito del cinema celata e caruso scrivono che: «[infatti] fare marketing cinematografico significa applicare la filosofia e gli strumenti di marketing all’industria del cinema allo scopo di raggiungere il target, rappresentato dallo spettatore, e persuaderlo ad acquistare il prodotto film»11. la decisione di rendere matrix un oggetto manipolabile sembra nascere a 10

tavolino, appare cioè programmatica. Su di essa in buona parte si fonda il posizionamento dei tre lungometraggi e delle opere (animate, video ludiche e a fumetti) che vi sono collegate. posizionare un prodotto equivale a mettere in atto quel procedimento fondamentale tramite cui il prodotto stesso assume un aspetto, una forma o più semplicemente una identità precisa differenziandosi dagli altri. ci affidiamo ancora alle parole di celata e caruso per spiegare meglio il concetto: «posizionare [per esempio] un film significa […] costruire e veicolare la sua identità presso un pubblico di spettatori potenziali, in modo da collocarlo correttamente nel loro sistema di percezione e differenziarlo efficacemente dalle pellicole concorrenti»12. la costruzione dell’identità di un prodotto in questo caso culturale, a cui le operazioni di marketing (e promozione) primariamente mirano, avviene attraverso la definizione e la valorizzazione dei selling elements, i suoi elementi giudicati non tanto più peculiari quanto più «essenziali» allo scopo di raggiungere velocemente e con immediatezza il target previsto. per essere corretti i selling elements vanno ritenuti i principali “attributi chiave”. Sempre parlando dell’industria cinematografica celata e caruso forniscono in merito le seguenti osservazioni: «conoscere le caratteristiche del destinatario consente di selezionare alcuni attributi-chiave del prodotto filmico, e non altri, puntando su quelli che si ritiene esercitino un’attrazione maggiore sullo spettatore (i selling elements): su questi verrà implementata la campagna promozionale»13. il target al quale matrix vuole indirizzarsi è senza dubbio costituito da individui di sesso maschile e di giovane età. con maggiore esattezza la sua ideale primary o core audience, i fruitori che le analisi di mercato stabiliscono come più probabili, pare essere composta di adolescenti e giovani adulti come detto di sesso maschile e di età compresa all’incirca tra i dieci ed i trent’anni. Si tratta di coloro che numerosi studiosi chiamano “nativi digitali” e fanno appartenere alla cosiddetta “generazione Y”. gianluca Arnesano offre dei chiarimenti a riguardo: le generazioni più giovani, [in particolare] quella che […] è definita generazione Y, [risultano composte] cioè dai cittadini nati dopo il 1980 […]. Sono quelli che [tra gli altri] prensky ha definito nativi digitali, cioè nati in un’epoca di cambia-

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menti digitali notevole che li ha resi completamente differenti […]. Essi hanno dunque sviluppato un nuovo linguaggio che l’altra parte della popolazione ha dovuto a fatica imparare, allo stesso modo di come un immigrante impara la lingua del paese in cui giunge14.

i potenziali fruitori di matrix sono soprattutto i giovani, ovvero i principali alfieri e beneficiari di quella autentica rivoluzione sociale, estetica ed economica scaturita dall’avvento delle tecnologie digitali15. non a caso per il discorso che stiamo qui conducendo, essi sono particolarmente avvezzi al linguaggio audiovisivo e prediligono una comunicazione di tipo perlopiù multimediale effettuata soprattutto attraverso l’ausilio del computer. Questi individui hanno modificato radicalmente l’assetto dei sistemi economici mondiali, facendo diventare come nota chris Anderson la rete, internet, il principale canale di diffusione dei prodotti (siano essi culturali o commerciali) e frammentando il mercato in una galassia composta da mini-mercati di nicchia. Anderson è dell’opinione che il web e in generale gli strumenti informatici abbiano contribuito all’assunzione di un ruolo molto più attivo da parte del fruitore, il quale si è trasformato da passivo consumatore in partecipe e consapevole produttore di contenuti16; nonché nel tastemakers dotato di maggiore autorevolezza. per esprimere con maggiore chiarezza il concetto costituito dall’appropriazione dei mezzi di produzione da parte dei consumatori Anderson conia l’efficace neologismo di pro-Am, ottenuto dall’unione delle lettere iniziali che compongono le parole ‘produttore’ e ‘amatore’. il tastemaker è, ricordiamo, colui che sperimenta un prodotto ed esprime conseguentemente un’opinione. Anderson constata che «la fede nella pubblicità e nelle istituzioni che la finanziano sta declinando, mentre la fede negli individui si sta rafforzando. i pari si fidano dei pari. la comunicazione dall’alto sta perdendo potere, mentre il passaparola dal basso ne sta guadagnando. […] la stessa inversione di potere sta cambiando il gioco del marketing in qualsiasi ambito, dai singoli prodotti alla gente». E significativamente continua: «il collettivo ora controlla il messaggio. […] i nuovi tastemakers siamo noi. il passaparola è oggi una conversazione pubblica, che avviene nei commenti dei blog e nelle recensioni dei clienti, raccolte e misurate in modo esaustivo»17. gli attributi-chiave di matrix sono in grado, come abbiamo detto, di fare presa facilmente sul pubblico giovanile. il primo degli attributi in questione 12

coincide con la spiccata propensione fumettistica manifestata dai personaggi, dalla trama, dallo stile visivo e più in generale dalle immagini18. il secondo attributo-chiave (che si lega strettamente al primo), la cui importanza è pressoché fondamentale, consiste invece nella suggestiva commistione, sia sul piano tecnico che espressivo, tra fantascienza cyberpunk di derivazione letteraria, cinema live action, animazione e videogioco19. riferendosi ai videogiochi celata e caruso emblematicamente dichiarano che essi meriterebbero una trattazione più diffusa e articolata, soprattutto in relazione alle contaminazioni sempre più frequenti che avvengono tra i codici veicolati dai giochi interattivi e il linguaggio cinematografico. Da guerre stellari (1977) in poi, passando per tron (1982), sino ad arrivare, inevitabilmente, a matrix (1999), non si può più parlare di un flusso imitativo unidirezionale (dal cinema al videogioco) ma bidirezionale20.

l’identità attribuita a matrix dai propri creatori risulta insomma essere quella di un “giocattolo” il più possibile interattivo, di un testo plurimo, di un oggetto complesso ma affascinante dalla dimensione volutamente multimediale. nel paragrafo che segue vedremo quali sono gli strumenti e le componenti che concorrono alla costruzione di questa identità regolando il meccanismo di posizionamento del prodotto.

Gli elementi del posizionamento A nostro avviso è indispensabile puntualizzare innanzitutto che qui ci si riferisce quasi esclusivamente ai tre lungometraggi cinematografici. i principali elementi su cui viene fondato il processo di posizionamento delle opere filmiche che la parola matrix identifica sono il titolo assunto, il genere (o sotto-genere) narrativo di appartenenza, gli attori ingaggiati per interpretare i personaggi di maggiore rilievo, alcuni membri del cosiddetto cast tecnico e l’accompagnamento musicale. A tali elementi abbiamo in precedenza soltanto accennato. il titolo assegnato a un film, e più in generale a una produzione di tipo artistico-culturale, può essere a buon diritto considerato l’equivalente del 13

nome posseduto da una persona. Esso distingue l’opera e ne consente la «catalogazione» da parte del fruitore a livello in primo luogo percettivo, assolvendo in questo modo dei compiti fondamentali. i titoli attribuiti ai lungometraggi che costituiscono la trilogia cinematografica di matrix risultano dotati di qualità imprescindibili. ci riferiamo in particolare alla facilità che essi hanno di essere pronunciati e memorizzati. Sotto l’aspetto sia percettivo che cognitivo la classificazione di un prodotto filmico viene anche effettuata dallo spettatore sulla base del genere o del filone narrativo a cui tale prodotto è ascrivibile. i generi attivano le «mappe» cognitive del fruitore, il quale riconosce i consolidati schemi del racconto e i personaggi che ne stanno al centro. l’importanza dei generi o dei filoni narrativi nell’ambito delle strategie di posizionamento cinematografico risiede nella creazione, da parte del pubblico, di una serie di aspettative e nella costruzione di una ideale immagine del film. Sergio brancato scrive che, prescindendo dal campo espressivo in cui sono inseriti, i generi corrispondono ad un orizzonte di attesa all’interno del quale il fruitore del prodotto culturale di massa sa di poter ritrovare una formulazione di tipo convenzionale dei propri bisogni, di poter riconoscere il complesso di segni cui intende fare riferimento, di poter interagire con l’universo della comunicazione21.

la classificazione di un film fondata sui parametri visivi, tematici e stilistici stabiliti dai generi cinematografici appare oggi per la verità abbastanza problematica. bisogna infatti tenere conto che i confini dei generi sono con evidenza sempre più labili. le componenti principali dei vari generi tendono con maggiore precisione a combinarsi. l’ibridazione dei caratteri specifici dei generi sembra indicare il profondo cambiamento avvenuto nel processo di ricezione che da alcuni decenni investe i fruitori. il cambiamento riguarda anche (o ancor più) le pratiche di consumo messe in atto dal pubblico, composto in prevalenza da adolescenti e giovani adulti. le scelte di questo pubblico risultano estremamente consapevoli in quanto effettuate sulla base di un discreto numero di informazioni raccolte. A partire dagli anni novanta, dunque con l’avvento delle tecnologie digitali, l’attività di visione dell’opera filmica acquisisce poi soprattutto una dimensione spiccatamente multimediale. il lungometraggio cinematografico viene cioè considerato uno dei tanti “contenuti” circolanti 14

nella rete informatica internet e il suo consumo non si verifica di conseguenza solamente in sala o in televisione ma anche attraverso il computer. la trilogia di matrix pare in tal senso esemplare. le produzioni cinematografiche da cui è formata mescolano con chiarezza elementi specifici di vari generi e, come abbiamo a più riprese rimarcato, articolano (espandendolo) il proprio universo diegetico su diverse piattaforme mediali nel tentativo di avvincere e fidelizzare i ragazzi, ovvero la più ampia fascia di spettatori potenziali. gli strumenti utilizzati per posizionare sul piano percettivo e cognitivo la trilogia cinematografica di matrix fanno innanzitutto leva, oltre che sul titolo e sul genere, sugli attori più importanti. Questi strumenti sono il manifesto promozionale, il trailer, lo spot radiofonico e il teaser22. per quanto concerne i manifesti pubblicitari notiamo che in quello relativo al film da cui la serie viene inaugurata l’interprete principale e all’epoca maggiormente conosciuto, Keanu reeves, viene non a caso collocato in posizione centrale. nei manifesti promozionali di matrix reloaded e matrix revolutions invece reeves divide la scena con laurence fishburne, Monica bellucci o carrie-Ann Moss, attori divenuti nel frattempo abbastanza celebri23. com’è ormai risaputo, nel cinema contemporaneo il fenomeno del divismo riguarda anche alcune figure rientranti nel cast tecnico. Al fine di posizionare le tre opere filmiche recanti nel titolo la parola matrix viene quindi sottolineata la presenza di Yuen Wo-ping, attore, regista, produttore e coreografo di origini cinesi. A livello internazionale Yuen Wo-ping raggiunge l’affermazione proprio collaborando, nel ruolo di coreografo, alla realizzazione del film matrix e dei suoi due sequel. in seguito egli cura la coreografia di lungometraggi in grado di riscuotere un notevole successo commerciale quali la tigre e il dragone (Crouching tiger, hidden dragon, taiwan-uSA, 2000) di Ang lee e kill bill (id., uSA, 20032004) di Quentin tarantino. il coreografo e regista di nazionalità cinese si specializza nel genere avventuroso e in quello action basato sulle arti marziali. le produzioni cinematografiche da lui firmate a partire dagli anni Settanta e finanziate da compagnie di hong Kong sono contraddistinte da un ritmo incalzante dell’azione esibito com’è ovvio soprattutto nelle scene in cui vengono mostrati dei combattimenti. tali produzioni concorrono a generare sin dagli anni novanta una sorta di venerazione o 15

meglio di vero e proprio “culto”, da parte di un pubblico di nicchia costituito da critici, da esperti, ma anche da semplici appassionati di giovane età, nei confronti del cinema di hong Kong. lo scopo per cui il nome di Yuen Wo-ping viene usato in matrix consiste ovviamente nel suggerire agli spettatori, in primo luogo a quelli giovani, il grande dinamismo visivo e la spettacolare rappresentazione delle vicende descritte peculiari della trilogia ideata dai fratelli Wachowski. la dinamicità quasi esasperata (ottenuta anche grazie all’utilizzo di sofisticati effetti speciali digitali) e la dimensione diciamo così «cultuale» di matrix, matrix reloaded e matrix revolutions viene evocata senza dubbio dall’accompagnamento musicale. tramite la musica risulta possibile associare inoltre ai lungometraggi sopra indicati la qualità della provocazione e quella della trasgressione, tanto apprezzate sovente dai ragazzi e caratteristiche della letteratura cyberpunk, da cui i fratelli Wachowski prendono le mosse in maniera dichiarata. i brani che accompagnano le sequenze più rilevanti sono eseguiti da cantanti come rob zombie, rage Against the Machine, prodigy o Marilyn Manson, i quali fanno della trasgressione la personale cifra estetica e musicale. i brani in questione rientrano non a caso spesso nell’industrial, un genere o filone della musica elettronica affermatosi negli anni ottanta e influenzato, tra le altre cose, dalla forma espressiva del videogioco, dai nuovi media e più in generale dalle innovazioni tecnologiche. la trilogia di Matrix si configura come una autentica saga cinematografica capace, lo abbiamo visto, di fare presa mediante svariati strumenti sugli spettatori a cui desidera rivolgersi e per i quali è pensata. per saga cinematografica bisogna intendere secondo caruso e celata il frutto di un progetto narrativo e produttivo di ampio respiro [...], di cui si conoscono dall’inizio i personaggi, i punti nodali della storia, la scansione temporale delle uscite in sala e gli altri elementi definitori. [...] ciò che contraddistingue le [...] saghe cinematografiche è il fatto che per realizzarle è spesso necessario un unico sforzo produttivo, economicamente consistente, che renda però possibile una distribuzione ravvicinata degli episodi24.

riprendendo di nuovo le parole di caruso e celata possiamo in conclusione asserire che «matrix ha conquistato una posizione così solida nella cultura 16

cinematografica delle vaste platee da consentire ai responsabili di marketing un flusso comunicativo “ridotto”, basato su informazioni tanto specifiche quanto condivise, e dunque comprensibili, dal pubblico di riferimento»25.

note f. zEccA, dal movie franchise al (trans) media franchise, id. (a cura di), Speciale transmedia Storytelling, in “cinergie – il cinema e le altre arti”, n. 19, marzo 2010, p. 49. 2 per quel che riguarda le conglomerate media cfr. g. cElAtA - f. cAruSo, Cinema. industria e marketing, guerini e Associati, Milano 2003, pp. 41 e ss. 3 g. bocciA ArtiEri, narrazioni trans mediali e pubblici connessi. dalla corporate alla grassroots fiction, f. zEccA (a cura di), Speciale transmedia Storytelling, in “cinergie – il cinema e le altre arti”, n. 19, marzo 2010, p. 55. 4 f. zEccA, op. cit., p. 47. 5 g. cElAtA - f. cAruSo, op. cit., p. 44. 6 S. cArini, branding, marketing, merchandising. l’espansione economica della narrazione transmediale, Speciale transmedia Storytelling, in “cinergie – il cinema e le altre arti”, n. 19, marzo 2010, p. 51. 7 cfr. ivi, p. 50. 8 f. zEccA, op. cit., p. 49. 9 noi riprendiamo questa definizione, data dal noto studioso henry Jenkins, dal saggio di Valentina re intitolato persistenza e trasformazione. Quale testualità nell’epoca delle narrazioni trans mediali?, comparso in Speciale transmedia Storytelling, “cinergie – il cinema e le altre arti”, n. 19, marzo 2010, pp. 60-62. Alcuni saggi che fanno da base al presente studio partono dalla accurata analisi dedicata da Jenkins a matrix e cercano di sviluppare idee e osservazioni in essa contenute. tale analisi si trova in h. JEnKinS, Cultura convergente (ed. or. 2006), Apogeo, Milano 2010, pp. 81 e ss. 10 g. bocciA ArtiEri, op. cit., p. 56. 11 g. cElAtA - f. cAruSo, op. cit., p. 86. 12 ivi, p. 94. 13 ivi, p. 98. 14 g. ArnESAno, Viral marketing. e altre strategie di comunicazione innovativa, franco Angeli, Milano 2007, pp. 110-111. il saggio di Arnesano esamina le nuove e originali procedure comunicative sperimentate nel campo del marketing contemporaneo. le più interessanti e significative vengono classificate con i nomi di buzz e di guerrilla marketing. Entrambe le strategie poggiano su un principio che è possibile chiamare di «propagazione virale», o più semplicemente passaparola. Arnesano descrive il buzz marketing in questi termini: «rappresenta ogni genere di “impegno” comunicativo usato, nel breve periodo, al fine di generare un evento dall’elevato impatto. pertanto il vero scopo è quello di creare 1

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un notevole picco di conversazioni attorno ad un brand». E ancora: «usando una metafora, il processo che permette al buzz di espandersi può essere rappresentato attraverso l’evoluzione vitale di un virus: nella prima fase vi è l’inoculazione (conoscenza del prodotto), poi l’incubazione (l’uso del prodotto attraverso i primi consumatori inoculati) ed infine la diffusione e l’infezione (che rappresentano il passaggio del prodotto)» (ivi, p. 39). per quanto concerne il guerrilla marketing Arnesano scrive invece: «raggiunge il consumatore nei momenti e nei luoghi in cui non è attiva la sua advertising consciousness […], quando cioè le sue difese nei confronti dei messaggi pubblicitari sono abbassate. pertanto non si tratta di colpire la massa indifferenziata ma il singolo, invertendo il meccanismo di generazione di notorietà». in pratica «gli attacchi di guerrilla […] generano spiazzamento, lo spiazzamento produce passaparola, il passaparola si diffonde in maniera “virale” nella popolazione. E la diffusione virale garantisce notorietà al prodotto» (ivi, pp. 59-60). 15 cfr. c. AnDErSon, la coda lunga. da un mercato di massa a una massa di mercati, codice edizioni, torino 2006, passim. cfr. anche g. ArnESAno, op. cit., pp. 25 e ss. 16 cfr. c. Anderson, op. cit, pp. 55-57. 17 ivi, pp. 93-94. 18 cfr. g. cElAtA - f. cAruSo, op. cit., p. 97. 19 ivi, p. 116. 20 ivi, nota 29, p. 170. 21 S. brAncAto, fumetti. guida ai comics nel sistema dei media, Datanews, roma 1994, p. 28. 22 «il teaser si differenzia dal trailer standard per la durata (non più di 90 secondi), e per il fatto che precede la release di due-tre mesi circa» (g. cElAtA - f. cAruSo, op. cit., p. 154). 23 A onor del vero si ha l’impressione, abbastanza vivida, che non siano gli attori a guadagnare la popolarità bensì i personaggi che interpretano. 24 g. cElAtA - f. cAruSo, op. cit., pp. 174-175. 25 ivi, p. 177.

RifeRiMenti biblioGRafiCi e lettuRe ulteRioRi c. AnDErSon, la coda lunga. da un mercato di massa a una massa di mercati, codice edizioni, torino 2006. g. ArnESAno, Viral marketing. e altre strategie di comunicazione innovativa, franco Angeli, Milano 2007. g. bocciA ArtiEri, narrazioni trans mediali e pubblici connessi. dalla corporate alla grassroots fiction, f. zecca (a cura di), Speciale transmedia Storytelling, in “cinergie – il cinema e le altre arti”, n. 19, marzo 2010. g. bocciA ArtiEri, Stati di connessione. pubblici, cittadini e consumatori nella (Social) network Society, franco Angeli, 2012. 18

J. D boltEr - r. gruSin, remediation. Competizione e integrazione tra media vecchi e nuovi, guerini e Associati, Milano 2003. S. brAncAto, fumetti. guida ai comics nel sistema dei media, Datanews, roma 1994. S. cArini, branding, marketing, merchandising. l’espansione economica della narrazione transmediale, Speciale transmedia Storytelling, in “cinergie – il cinema e le altre arti”, n. 19, marzo 2010. g. cElAtA - f. cAruSo, Cinema. industria e marketing, guerini e Associati, Milano 2003. M. fAnchi, audience, laterza, roma-bari 2015. h. JEnKinS, Cultura convergente, Apogeo, Milano 2010. g. pEScAtorE (a cura di), matrix. uno studio di caso, hybris, bologna 2006. M. tEti - V. tEti (a cura di), alchimie digitali. linguaggi, estetiche, e pratiche video-artistiche al tempo dell’immagine numerica, città del Sole, reggio calabria 2012. f. zEccA, dal movie franchise al (trans) media franchise, id. (a cura di), Speciale transmedia Storytelling, in “cinergie – il cinema e le altre arti”, n. 19, marzo 2010. f. zEccA (a cura di), il cinema della convergenza. industria, racconto, pubblico, Mimesis, Milano-udine 2012.

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Rossella Catanese

the Matrix e il Cyberpunk

il film matrix di lana e lilly Wachowski (precedentemente noti come larry ed Andy) uscito nel 1999 e seguito dai due titoli del 2003 che completano la trilogia, può essere definito a pieno titolo un cult movie, con un’influenza diretta e vastissima sulla cultura popolare, e non solo nell’ambito della cinefilia. Addirittura alcuni tra i più importanti filosofi contemporanei, come Jean baudrillard e Slavoj Žižek, hanno riflettuto sulle tematiche e sulle implicazioni teoriche sollevate da questo film, oltre ad un’ampia letteratura di settore1. baudrillard è stato a detta dei Wachowski una fonte d’ispirazione per il film con il suo libro Simulacres et simulation2, citato in un’inquadratura del film per la sua analisi della proliferazione delle immagini nella società capitalistica, in cui i media inducono un passaggio da “rappresentazione” a “simulazione”, con il potere di modellare il reale. il filosofo interpreta la dialettica reale/virtuale secondo il mito platonico della caverna, poiché l’immersione totalizzante del soggetto nello schermo e nel computer determina una forma di scomparsa della realtà. Žižek, invece, riprende l’ironico saluto di Morpheus, il capo della resistenza, «benvenuto nel deserto del reale!» per il titolo di una sua analisi politica sulla realtà contemporanea, in cui le ideologie progressiste e neocapitaliste dei governi occidentali occultano l’informazione e censurano ogni pluralismo, attualizzando la metafora di milioni di esseri umani che conducono una vita claustrofobica in uno stato semi-fetale dentro loculi pieni d’acqua, tenuti in vita solo per generare energia elettrica necessaria a Matrix3. in quanto oggetto culturale di grande seguito e impatto, la trilogia di matrix ha creato il suo successo attraverso una costituzione prototipica, 21

sfruttabile attraverso la logica del sequel, che caratterizza la ciclicità di un modello facilmente replicabile4, attraverso la presenza di tratti di ripetizione e riconoscibilità. come tutti gli oggetti culturali e multimediali che forgiano un immaginario collettivo, sebbene rivolte all’innovazione e alla descrizione di un immaginario futuribile, anche matrix non manca di presentare una grande serie di rimandi e di fonti. A cominciare dal “white rabbit” che il protagonista neo viene esortato a seguire dalla schermata del suo computer, evidente citazione di alice in Wonderland di lewis carroll, già simbolo della cultura hippie e psichedelica degli anni Sessanta5. Si tratta di una pietra miliare di quell’estetica che elabora temi già anticipati dalla letteratura e dalla cultura popolare degli anni ottanta, affrontando riferimenti socio-culturali relativi all’intrusione radicale della tecnologia informatica nei media e nella quotidianità dei paesi occidentali. l’estetica a cui faccio riferimento, e in cui il film s’inscrive a pieno titolo, è quella del cyberpunk. Vero e proprio sottogenere della letteratura e della cultura fantascientifica, la corrente cyberpunk si sviluppa nella prima metà degli anni ottanta del Ventesimo secolo, divenendo interprete dello zeitgeist di quella contingenza storica. l’origine del nome risulta un ibrido tra cibernetica e punk, originariamente coniato dallo scrittore bruce bethke come titolo per un suo omonimo racconto, pubblicato nel 1983, che narrava una storia di pirati informatici adolescenti6. piloti e pirati la corrente cyberpunk descrive un avanzato immaginario scientifico, caratterizzato da una conoscenza molto approfondita delle tecnologie informatiche, ibridata ad uno spirito di ribellione e disobbedienza contro lo status quo, le istituzioni e la società costituita. la definizione di cyberpunk, dunque, mira ad accostare la pirateria e la protesta sociale all’immaginario della cibernetica, ovvero la ricerca interdisciplinare dedicata alle tecnologie di comunicazione e calcolo matematico, così definita nel 1947 dal matematico americano norbert Wiener7. l’accoppiamento tra cibernetica e punk può apparire anomalo, data la tendenza ad associare la prima con idee di 22

ordine, controllo e logica e la seconda con anarchia e caos. oltre a rappresentare la contraddittoria condizione dell’emergenza tecnologica nella società globale, questa associazione risponde anche ad un’effettiva similitudine tra due entità che di fatto non sono diametralmente opposte come può apparire. la cibernetica offre strumenti di organizzazione secondo principi astratti che possono essere rappresentati in dati ed in prodotti che assumono significato come possibilità di superamento dei limiti e dell’identità dell’umano; il cyberpunk esprime l’ambiguità della cibernetica associandola con la sottocultura punk, che nel minare tutti i valori socialmente accettati, ha costruito un’intera estetica al di fuori della realtà di un’alienazione socioeconomica. tale estetica non ha solo mostrato come e perché le ideologie dominanti tendano a marginalizzare gli strati diseredati della società; in fatti, ha anche idolatrato tutto ciò che la cultura mainstream avrebbe considerato di cattivo gusto, esagerando deliberatamente quelle caratteristiche che lo rendono oggetto di repulsione e avversione, intensificando la propria marginalizzazione dalle strutture sociali costituite. la sottocultura punk prevede una determinazione autodistruttiva in una sfida dissacrante e la pirateria informatica degli anni ottanta e novanta si è spesso manifestata come una formula più “tecnologica” della stessa attitudine di ribellione al sistema costituito. Da un punto di vista teorico di ampio respiro, la cibernetica è stata recentemente accostata a differenti prospettive estetiche e analisi (metodologicamente affini all’archeologia mediale) che hanno ravvisato anche analogie con il medium cinematografico. Whilst cinema, at first sight at least, comes across as a technology of the industrial era, belonging to the family of mechanical apparatuses that includes the steam engine, the bicycle, the train, and the clock, cybernetics is an invention of the Second World War, of (electronic) signals and computation. Whilst cinema was originally conceived by the Scientist and then quickly appropriated by the capitalist, cybernetics belonged in its very beginnings to the general, that is to say, to the military-industrial complex. norbert Wiener’s “anti-aircraft predictor” (built in 1948) was one of the first incorporations of the cybernetic idea of modeling and controlling a system’s behavior and particularly its future states. how does this compare with f ilm, a technology we normally associate with storage rather than anticipation, pure recording rather than feedback? the common denominator can be found in the etymology of “cybernetics”, that is to say, governance and control8.

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la cibernetica è infatti la scienza che studia in teoria e in pratica la riproduzione in sistemi artificiali dei meccanismi di autoregolazione dei sistemi organici; deriva dal greco kyberneticos, ovvero l’arte del pilota, a sua volta da kybernao, dirigere, governare. Sia i sistemi cinematografici che quelli cibernetici connettono gli esseri viventi con le macchine, creando una connessione atta a determinare le emozioni, la cognizione e il comportamento umano, che vengono “pilotati”. «il cinema è dunque un buon osservatorio per esaminare i processi cibernetici, poiché i collegamenti tra sistemi nervosi e apparati sono stati costantemente sincronizzati, allineati e ottimizzati nella sua storia»9: questa sincronizzazione dei sensi si annette alle meccaniche proprie dell’apparato filmico, la cui funzione operativa viene attivata nel rapporto osmotico tra lo spettatore e lo schermo. Questo rapporto determina scambi, ripetizioni e trasmissioni di impulsi, sensazioni ed emozioni tra il nostro sistema nervoso e la “macchina sinestetica”10, ovvero il processo che porta a suscitare un’emozione dalla visione di una sequenza cinematografica. nel 1965 lo scienziato informatico ivan Edward Sutherland – inventore del pionieristico software di computer grafica Sketchpad, nonché ideatore del primo visore per la realtà virtuale, precusore dell’oculus, aveva scritto il saggio the ultimate display, che concludeva citando il paese delle meraviglie di Alice: «the ultimate display would, of course, be a room within which the computer can control the existence of matter. A chair displayed in such a room would be good enough to sit in. handcuffs displayed in such a room would be confining, and a bullet displayed in such a room would be fatal. With appropriate programming such a display could literally be the Wonderland into which Alice walked»11. la cyberculture entra a pieno titolo nell’occhio del ciclone: i fenomeni culturali di un ambiente saturo di tecnologia elettronica risentono dell’impatto della scienza postmoderna e delle tecnologie digitali nei termini sia del loro rilievo contemporaneo sia della oro relazione con strutture significanti precedenti e più antiche, come ad esempio l’epica e la mitologia. in questo modo la cyberculture investiga una peculiare interazione tra forme specializzate di competenza tecnologica e più ampi discorsi sul quotidiano, pertinenti al panorama urbano, che includono formazione, sessualità ed intrattenimento12. Quello che il cyberpunk aggiunge alla cibernetica 24

è un orizzonte di aspettative connesse al sostrato socioculturale. infatti, l’applicazione di una tensione politica alla prospettiva tecnologica denota l’immaginario e l’estetica del cyberpunk, che rappresentano una «scrittura tecno-urbana, riflesso delle nuove trasformazioni prodotte sui nuovi soggetti sociali dal moderno»13. Se negli anni Settanta la violenza politica culminava in attentati e stragi, negli anni ottanta il benessere delle società occidentali determina la crisi delle ideologie radicali. Eppure una radicalizzazione del discorso politico rimane tra i gruppi delle sottoculture giovanili, tra cui il movimento punk spicca emblematicamente come simbolo di sovversione. l’aggettivo “punk”, che in inglese definisce un qualcosa “di scarsa qualità” o “di poco valore”, è stato attribuito alla sottocultura nata tra Stati uniti e gran bretagna nella seconda metà degli anni Settanta proprio per identificare la musica ribelle e rumorosa dei giovani musicisti afferenti al movimento, nonché il loro look eccentrico e provocatoriamente anti-grazioso, che stilizzava un rifiuto dei canoni della moda. È interessante notare come la connessione con i movimenti delle sottoculture giovanili avvenga anche sul piano della tecnologia: anche sul piano musicale gli strumenti elettrici come le chitarre distorte attualizzano l’aggressività sonora delle canzoni punk, coi loro ritmi sincopati e selvaggi, conferendo a quei brani un’estetica ed uno stile unici. in maniera analoga, gli scrittori cyberpunk recuperano organicamente tensioni sociali esistenti in uno stile analitico e al contempo nervoso, rapido e scarno. tale spirito di sovversione del cyberpunk, vicino ad un’ideologia anarchica, è presente anche nella trilogia di matrix, in cui il personaggio di neo palesa il proprio dissenso stravolgendo le regole precostituite del sistema14: neo sceglie la pillola rossa, ovvero la conoscenza e il rifiuto della coercizione, per accedere ad una verità preclusa alla massa. il suo messaggio all’umanità recita «Adesso appenderò il telefono e farò vedere a tutta questa gente quello che non volete che vedano. Mostrerò loro un mondo senza di voi, un mondo senza regole e controlli, senza frontiere e confini. un mondo in cui tutto è possibile. Quello che accadrà dopo, dipenderà da voi e da loro». neo è un Eletto che è anche un anarchico individualista, ma opera in funzione di una collettività, sia umana che tecnologica; è una sorta di versione superomistica dei personaggi 25

cyberpunk (solitamente descritti come emarginati, trafficanti, ladri e pirati informatici), poiché per lottare contro il sistema si dedica ad una disciplina a metà strada tra arti marziali e religioni. Matrici spezzate lo scrittore americano William gibson nel giugno del 1984 pubblicava neuromante, il suo romanzo di debutto nel genere della fantascienza. È la storia di case, un hacker, anche detto “computer cowboy” (alludendo alla dimensione solipsistica degli eroi western), ovvero un operatore illecito della rete, della “Matrice” (una rappresentazione globale dei database di tutti i computer nel sistema umano) e degli inganni, i crimini e lotte per il potere associate ai suoi utenti. la sua prosa e in particolare la descrizione dei personaggi in un futuro distopico e perturbante facevano da sfondo all’introduzione del concetto di cyberspazio, pietra miliare nell’immaginario fantascientifico di quegli anni e tuttora in voga. pochi mesi dopo la sua uscita, gardner Dozois15, uno dei curatori della rivista «Science fiction Magazine» di isaac Asimov, recensì sul Washington post il romanzo di gibson abbinandolo ad altri scritti di fantascienza usciti nello stesso anno, riferendosi agli autori come “cyberpunk”. un genere letterario che tratta esplicitamente le implicazioni sociali dei modi in cui la tecnologia interviene su tutti gli aspetti della nostra esistenza. la saga di matrix ha un ampio debito con questo genere e l’immaginario da esso evocato: the term “cyberspace,” made popular by William gibson’s neuromancer (1984), irresistibly suggests the image of a sphere that would be like a virtual extension or prosthesis of reality, a free zone where everyone could live out one’s dreams or nightmares. Yet describing the Matrix as a form of collective hallucination, by reducing it to the extensionless, purely spiritual representations of a “brain in a vat” (a reference to hilary putnam’s famous parable), is not fundamentally different from projecting the Matrix onto an ethereal domain, as the imaginary “stage” or “locus” of illusion itself, a kind of legendary landscape with its special shape and topography16.

il romanzo la matrice spezzata (Schismatrix), scritto nel 1985 da bruce Sterling, è un altro dei lavori pionieristici nell’ambito della letteratura cy26

berpunk. il romanzo, che già dal titolo introduce il concetto della matrice che sarà fulcro dell’analisi dei Wachowski, è ambientato in uno scenario futuro che Sterling ha già descritto in cinque racconti precedenti, pubblicati tra il 1982 e il 1984 e poi raccolti nella sua antologia del 1989, Crystal express. Secondo Sterling, «the cyberpunks are perhaps the first Sf generation to grow up not only within the literary tradition of science fiction, but in a truly science-fictional world»17; con il cyberpunk la distanza tra il presente e il futuro diviene sempre più stretta, parallelamente al fatto che le fantasie “futuristiche” della fantascienza classica si dimostrano parte della nostra quotidianità, dell’hic et nunc del nostro tempo. Eppure oltre a questo senso di immaginari futuribili e contemporaneità è evocata anche una sorta di eco distorta di un passato remoto; nelle distopie cyberpunk è infatti evidente l’influenza dell’immaginario gotico, che ne connota le ambientazioni, la composizione delle psicologie dei personaggi e le attitudini verso la corporeità, nonché le tecniche narrative. così come gli spazi e i luoghi del gotico, le ambientazioni cyberpunk sono permeate da un senso del sublime, in una proliferazione fantastica di strutture e dettagli ornamentali e rovine inesorabili. Questi luoghi sono mappe psicologiche, labirinti attraversati da segreti e traumi, in cui un passato rivive negli echi perturbanti al di fuori degli schemi trascendentali. historically, the gothic often refers to archaic, anti-classical and mediaeval epochs. these temporal associations are frequently invested with ethical and moral significance to suggest the barbaric, the savage and the primitive. these connotations are also evident in cyberpunk’s exposure of the violent, brutal and anarchic core of cyberculture at large. on the psychological plane, the gothic refers primarily to tropes of transgression and haunting. in this respect, some of the key words shared by cyberpunk and the gothic are: decay, decomposition, disorder, helplessness, horror, irresolution, madness, paranoia, persecution, secrecy, unease, terror18.

nel saggio del 1992 giro di vite contro gli hacker (poi ripubblicato in formato elettronico in modalità open source nel 1994), Sterling analizza le implicazioni socio-politiche della pirateria informatica, attraverso un’accurata descrizione di quello che nei primi anni novanta era diventato il cyberspazio, nonché uno studio del panorama legale annesso ai crimini informatici, allora ancora pressoché ignorati. Sterling racconta anche la 27

vicenda della cosiddetta “operazione Sundevil” avvenuta l’8 maggio del 1990, in cui il corpo di polizia united States Secret Service fece irruzione con agenti armati nelle abitazioni private di attivisti informatici collegati ai server bbS (bulletin board system, computer che consentivano ad utenti esterni di collegarsi la linea telefonica, con funzioni di file sharing centralizzato). l’operazione fece emanare mandati di perquisizione in diverse città statunitensi: vennero sequestrati 23.000 floppy disk, varie decine di computer e chiuse numerose bbS, ma la finalità era l’identificazione dei partecipanti alla legion of Doom, ovvero un gruppo di hacker accusati di aver causato un disservizio nella rete telefonica At&t del 15 gennaio 1990. tra gli episodi di quella vicenda è nota la storia descritta da John perry barlow di un padre a new York che aprì la porta alle sei del mattino e si trovò un fucile puntato sul naso: «A dozen agents entered. While one of the kept the man’s wife in a choke-hold, the rest made ready to shoot and entered the bedroom of their sleeping 14 yearold. before leaving, they confiscated every piece of electronic equipment in the house, including all the telephones»19. Si tratta di un caso emblematico, che ha rilevato una vera e propria repressione da parte delle forze dell’ordine verso una realtà misconosciuta e equiparata al terrorismo, poiché gli interessi delle megacorporazioni si stanno imponendo sulla totalità del ciberspazio e non sono tollerati ficcanaso digitali. Questo potrebbe spaventare qualcuno, ma altri pirati, come la misteriosa legion of Doom o la lega nuprometheus (che ha fatto circolare illegalmente codici Macintosh altamente protetti) accetteranno la sfida ora che un nemico dell’innovazione, dell’individuo e della libertà personale gli si è chiaramente palesato20.

tutto ciò molto prima della popolarità della rivoluzione informatica data dal cosiddetto Web 2.021, che implica una modalità d’interazione dinamica e integrata, dall’impatto molto più radicale e quotidiano rispetto alle esperienze precedenti di utenza internet. con il Web 2.0 si parla infatti di nuove formule di cultura visuale contemporanea, che ha specifiche modalità di attuazione nella sfera della fruizione quotidiana degli atti comunicativi, secondo i criteri di dinamismo e reperibilità22, in cui le interrelazioni tra contenuti e utenti esplorano un modello di complessità, un modello “eco28

logico”, nell’accezione, presa in prestito dalle scienze naturali, di uno studio di organismi in relazione all’ambiente in cui si muovono, ovvero studio delle interrelazioni dinamiche tra organismi ed habitat23. la brillante analisi antropologica che Sterling opera negli anni novanta, prefigurata dalla sua esperienza nella letteratura di science fiction, anticipa con grandissima efficacia la transizione tra epoche storiche, fenomeni mediatici, linguaggi artistici, modalità comunicative, memorie collettive della società odierna, in cui il rapido avanzamento tecnologico ha un notevole impatto in svariate pratiche quotidiane e relazioni sociali. l’introduzione dell’informazione digitale nei sistemi di comunicazione consente operazioni dotate di un’ampia flessibilità di azione, nonostante siano legate a sistemi di codificazione e decodificazione numerica. il panorama contemporaneo della media art è radicalmente trasformato dalla rivoluzione tecnologica in atto e cominciata tra gli anni ottanta e gli anni novanta. Questo cambiamento ha prodotto nelle abitudini collettive una modifica percettiva a proposito del concetto di illusione; l’illusione, alla base della genesi dell’arte, si è determinata nell’idea di “immersione totalizzante” dello spettatore in un evento artistico, in un happening, in un’installazione, in un film, tutte esperienze di un’esplorazione sensorio-motoria nuova24. È negli anni ottanta che comincia ad intricarsi il legame tra tecnologia, mercificazione e corpo umano: basti pensare all’impatto antropologico della diffusione dei dispositivi portatili, come il walkman25, i compact disc26 e le videocamere, ma anche a tutta la rete di personal computer, antenne paraboliche, cavi a fibre ottiche, che si svilupparono prevalentemente in quegli anni. Sono anni di integrazione fra gli apparati tecnologici e la corporeità: si pensi anche alla diffusione popolare della chirurgia plastica. in questa dimensione organica, l’importanza del sottogenere cyberpunk, in particolare la concezione del cyberspazio e l’interazione tra umano e digitale, si basa su una notevole capacità di riflessione critica sul postumanesimo nella società del tardo capitalismo, in particolar modo a proposito dell’interazione uomo-macchina, come formula estrema di alienazione all’inurbamento.

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Corpi postorganici e biopunk in Schismatrix, il personaggio di Kitsune subisce trasformazioni radicali che sembrano quasi miracolosamente vantaggiose, ma la manipolazione tecnologica del suo corpo è sia strumento coercitivo che potenziamento cerebrale. Si parla dunque di un’estensione delle capacità dell’uomo e il superamento dei suoi limiti, dei confini fisici della sua stessa corporeità. Secondo Vivian Sobchack, la fantascienza è «cognitive mapping and poetic figuration of social relations as these are constituted by new technological modes of “being-in-the-world”»27, alludendo anche alla concezione della corporeità innescata dalla costruzione sociale della tecnologia negli immaginari fantascientifici. larry Mccaffery aggiunge che la tipologia di “mappatura cognitiva” operata dal cyberpunk costituisce una ricerca di «suitable means for displaying the powerful and troubling technological logic that underlies the postmodern condition»28; ad esempio, nei romanzi di Sterling vengono sviluppati temi di trasformazione somatica attraverso l’impiego di biotecnologie intrusive: arti protesici, circuiteria impiantata, chirurgia estetica ed alterazione genetica29 sono leitmotiv costanti nell’immaginario cyberpunk. È necessario introdurre il concetto di postumano per comprendere appieno la portata concettuale del cyberpunk. Secondo pierre lévy, il soggetto umano non s’identifica con il corpo, ma con il suo “spazio antropologico”, cioè con la sua capacità di comunicare e di interagire con altri, indipendentemente dai limiti della corporeità. l’origine del vocabolo “postumano” è connessa con il precedente lemma transhuman (abbreviazione di “transitional human”), coniato nel 1966 da fereidoun M. Esfandiary. Esfandiary giudica positivamente ogni impiego delle tecnologie, ritenendo che la specie umana sarebbe il primo gradino di un’evoluzione post-darwiniana, guidata dall’umanità stessa e non più dalla selezione naturale. la definizione di posthuman si deve nel 1977 a ihab hassan, che segue la teorizzazione di Esfandiary applicandola nell’ambito del dibattito filosofico sulla postmodernità, per indicare il superamento di una concezione di umanità meramente biologica, con la sua corruttibilità e debolezza. l’essere umano diviene un essere capace di essere modificato29e l’antropocentrismo non è più l’elemento cardine della cultura umana. l’ingegneria genetica, all’alba dell’human genome project 30

(1990-2003) è stata sotto i riflettori dell’informazione collettiva e ci ha condotti ad una connessione storica che ha prodotto una specifica forma culturale definita “biopunk”31, un sottogenere evoluto dal cyberpunk. Questa analisi si riferisce all’immaginario fantascientifico transmediale dal 2000 in poi, che progetta un intervento postumano sul discorso socio-politico contemporaneo. nel “biopunk” è frequente incontrare concetti postumanisti per criticare la realtà contemporanea come un contesto già distopico, avvisaglia di un futuro in peggioramento, percorso che la società contemporanea necessita di invertire per non distruggere la vita sul pianeta. come afferma rosi braidotti: «there is a posthuman agreement that contemporary science and biotechnologies affect the very fibre and structure of the living and have altered dramatically our understanding of what counts as the basic frame of reference for the human today»32. transmedia storytelling l’intrusione della tecnologia nel corpo umano, dunque, si rapporta direttamente con le teorie sul postumanesimo, ma questa prospettiva non è la sola che viene presa in carico dal cyberpunk. Molto più spesso, infatti, la descrizione di un futuro tecnomorfo ha i caratteri di una distopia, piuttosto che di una promessa neo-lamarckiana di superamento positivista. in questa descrizione dei futuri distopici, la letteratura cyberpunk ha segnato una sorta di punto d’incontro fra la letteratura postmoderna e le narrazioni visuali delle sottoculture, che modificano i confini di produzione e fruizione tra cultura “bassa” e cultura “alta”. la co-presenza del livello iconico e di quello verbale prevede che nel fumetto la coerenza abbia origine non da una semplice giustapposizione tra il linguaggio delle parole e il linguaggio delle immagini, ma da una stretta interazione sinergica tra parole e immagini, in una polifonia sincretica votata all’intermedialità33. le immagini dei fumetti «si compongono in una più ampia trama di convenzioni che viene a costituire un vero e proprio repertorio simbolico»34, in cui la visualizzazione procede per una “grammatica dell’inquadratura”, in cui la rappresentazione persegue un’efficacia cinematografica. 31

l’idea di una cibernetica biologica è già presente in ronin di frank Miller (1983-1984), serie a fumetti che collega le avventure di un samurai decaduto del tredicesimo secolo con le vicende di una compagnia che produce biocircuiti in una new York post-apocalittica. Ma è la serie a fumetti underground di Warren Ellis intitolata transmetropolitan (1997-2002), disegnata da Darick robertson, il cui primo numero precede di due anni il primo film della trilogia dei Wachowski, che richiama più direttamente la poetica cyberpunk, in un variopinto ed eccentrico tentativo di esplorarne il potenziale satirico, dispiegando una rete di complessi riferimenti ibridi. il futuro distopico in cui è ambientato transmetropolitan prevede il superamento dei vincoli etici della società contemporanea, attraverso una sarcastica critica dei tabù, valutati come sintomi di arretratezza culturale, nella tradizione della radicalità corsara del movimento punk. Ad esempio, l’accettazione del cannibalismo, che se applicato ad esseri umani clonati e privi di cervello, è accettato e ha addirittura previsto un business grazie ad apposite catene di ristoranti. Spider Jerusalem, protagonista del fumetto, è un giornalista tossicodipendente, un punk ed un outsider della società costituita, che fra computer portatili e droghe sintetiche punta alla verità fine a se stessa come missione di vita, nonostante il carattere violento e il cinismo crudele facciano di lui un antieroe. nella fine degli anni ottanta in giappone usciva un manga di Masamune Shirow, appleseed, che prima del suo più noto ghost in the Shell descriveva tematiche e ambientazioni cyberpunk, tra politica e tecnologia, in una distopica terza guerra Mondiale. un altro fumetto che dai cultori è stato spesso associato agli immaginari evocato da matrix è l’italiano razzi amari, realizzato nel 1992 da Stefano Disegni e Massimo caviglia, pubblicato dalle Edizioni panini e abbinato ad un’audiocassetta contenente i brani della band gruppo Volante, in cui suonava lo stesso Disegni. poiché gli autori rilevarono numerose somiglianze fra la trama del fumetto razzi amari e il plot di matrix, all’uscita del film Disegni e caviglia pensarono di denunciare per plagio i Wachowski, noti come appassionati fruitori di fumetti e graphic novel, nonché autori essi stessi di un’edizione a fumetti ispirata alla loro trilogia. ci sarebbero stati gli estremi per un processo, ma naturalmente una causa contro due registe hollywoodiane di successo avrebbe avuto costi esosi, che gli autori italiani rinunciarono ad affrontare35. 32

la natura transmediale della cosmologia annessa a matrix prevede una costellazione di fenomeni diversificati e differenti media coinvolti: è il caso dei videogiochi enter the matrix (2003), the matrix online (2005) e the matrix: path of neo (2005). Mentre in enter the matrix la storia comincia con niobe, capitano della logos e di ghost, il suo primo ufficiale, ed il recupero di un pacchetto lasciato in Matrix dall’equipaggio della nave ribelle osiride, in the matrix: path of neo si inizia con la scelta tra pillola rossa (che svela l’enigma di Matrix) o pillola blu (cancellazione di alcuni ricordi su Matrix), con l’avvio dell’azione in corrispondenza dell’incipit del film, negli uffici in cui lavora neo. Se nel primo videogame i filmati di intermezzo con gli attori erano stati girati appositamente per il gioco, contemporaneamente alle riprese di matrix reloaded, nel videogioco del path of neo sono state impiegate inquadrature tratte dal film. la peculiarità del videogame the matrix online era di costituire un seguito ufficiale della storia e dei personaggi creati con la saga di matrix in un ambiente MMo, acronimo di Massively Multiplayer online, cioè un videogame su internet che può supportare centinaia di giocatori contemporaneamente connessi. È una sorta di realizzazione dell’immaginario cibernetico a cui si riferisce matrix, consentendo l’interazione tra utenti in un gigantesco mondo virtuale. con the matrix online la realtà virtuale, chimera dell’universo tecnologico degli anni novanta e Duemila, diviene una possibilità di effettiva interazione sociale e non più una variante della creatività fantastica dell’immaginazione narrativa. Attualmente i game Studies s’interrogano sui termini in cui processi interattivi e immersività si relazionino alla scrittura narrativa del gioco, attraverso un’analisi delle istanze autoriali e ricettive36. la logica videoludica di matrix, oltre ad essere parte del sistema di storytelling che connette i diversi testi della saga, risponde, come tutti i giochi, alle strutture di modelli matematici, connessi anche alle strategie d’interazione alla base dei conflitti militari e di tattiche politiche o commerciali. per questa ragione tale logica è connessa ai processi che consolidano le basi matematico-scientifiche dell’immaginario sotteso alla narrativa cyberpunk ed è una parte integrante di quell’immaginario, nonché della costruzione narrativa del film.

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note 1 cfr. M. l. cAppuccio (a cura di), dentro la matrice. filosofia, scienza e spiritualità in Matrix, Albo Versorio, Milano 2004; J. cloVEr, the matrix, palgrave Macmillan british film institute, london 2004; M. DiocArEtz - S. hErbrEchtEr (a cura di), the matrix in theory, rodopi, Amsterdam 2006; c. grAu (a cura di), philosophers explore the matrix, oxford university press, oxford 2005; W. irWin (a cura di), the matrix and philosophy: welcome to the desert of the real, open court, chicago 2002; M. lAWrEncE, like a splinter in your mind: the philosophy behind the matrix trilogy, blackwell publishing, Malden 2004; g. pEScAtorE (a cura di), matrix. uno studio di caso, hybris, bologna 2006; g. YEffEth (a cura di), taking the red pill: Science, philosophy and religion in the matrix, benbella books, Dallas 2003. 2 J. bAuDrillArD, Simulacres et simulations, galilée, paris 1981. in una delle scene iniziali il personaggio di neo, alter ego di thomas A. Anderson, interpretato da Keanu reeves, usa questo libro per nascondere uno dei software piratati che vende. neo estrae il disco da una scatola a forma di finto libro, con quel titolo stampato sopra, in una sorta di mise en abîme del concetto stesso di simulacro. baudrillard, invitato dai Wachowski a far loro da consulente per gli episodi successivi, ha rifiutato la collaborazione, trovando nel primo film una logica troppo binaria sulla divisione tra la Matrice e zion, la città di coloro che resistono, e nel secondo un’immagine di onnipotenza monopolistica del “regime” digitale, collaborando dunque alla sua espansione. 3 S. ŽiŽEK, benvenuti nel deserto del reale: cinque saggi sull’11 settembre e date simili, Meltemi, roma 2002, p. 47. 4 g. pEScAtorE, Qualche ragione per cui vale la pena parlare ancora di matrix, in id. (a cura di), matrix. uno studio di caso, op. cit., p. 6. 5 A tal proposito Milena contini cita il brano White rabbit della band californiana Jefferson Airplane, edito sul disco Surrealistic pillow del 1967. M. contini, “follow the White rabbit”. the ultimate display e matrix, «parole rubate: rivista internazionale Di Studi Sulla citazione» n. 5, 2014, p. 147. 6 b. bEthKE, regarding Cyberpunk, [ultima visualizzazione 15/02/2017]. 7 n. WiEnEr, Cybernetics, or control and communication in the animal and the machine, the Mit press, cambridge (MA) 1948. 8 p. VäliAho, fade into black, prefazione a u. holl, Cinema, trance and Cybernetics, Amsterdam university press, Amsterdam 2017, pp. 9-10. 9 u. holl, Cinema, trance and Cybernetics, op. cit., p. 25. 10 per il concetto di macchina sinestetica si veda p. bErtEtto, le macchine sinestetiche e l’identificazione. a proposito di cinema, sensazione, emozione, in g. DE VincEnti - E. cArocci (a cura di), il cinema e le emozioni. estetica, espressione, esperienza, fondazione Ente dello Spettacolo, roma 2012, pp. 87-118; p. bErtEtto (a cura di), Cinema e Sensazione, Mimesis, Milano-udine 2016. 11 i. E. SuthErlAnD, the ultimate display, in W. A. KAlEnich (a cura di), proceedings of ifip Congress 65, organized by the international federation for information pro-

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cessing, new york City – may 24-29, Spartan books – Macmillan and co., Washington D. c. – london 1965, vol. 2, p. 508, citato da M. contini, “follow the White rabbit”. the ultimate display e matrix, op. cit., p. 148. il saggio è ora disponibile al link [ultima visualizzazione 15/02/2017]. 12 D. cAVAllAro, Cyberpunk and Cyberculture. Science fiction and the work of William gibson, Athlon press, london & new brunswick nJ 2000, p. xi. 13 r. ScElSi, Cyberpunk. antologia di scritti politici, Shake, Milano 2007, p. 9. 14 Su matrix e anarchia si veda: f. MoncEri, anarchici: matrix, Cloud atlas, EtS, pisa 2014. 15 g. DozoiS, Science fiction in the eighties in «the Washington post» (30 dicembre 1984), p. 9. 16 E. During, is there an exit from “Virtual reality?” grid and network – from tron to the Matrix, in M. DiocArEtz - S. hErbrEchtEr (a cura di), the matrix in theory, p. 138. 17 b. StErling, ‘preface’, mirrorshades. the Cyberpunk anthology, Arbor house, new York 1986, p. ii. 18 D. cAVAllAro, Cyberpunk and Cyberculture, op. cit., p. xiii. 19 J. p. bArloW, Crime and puzzlement: the advance of the law on the electronic frontier, in «Whole Earth review», autunno 1990, p. 135, ripubblicato sul sito di Electronic frontier foundation: J. p. bArloW, Crime and puzzlement, [ultima visualizzazione 15/02/2017]. 20 A. pArfrEY, terrorismo estetico, in A. pArfrEY (a cura di), Culture dell’apocalisse. antologia di pensiero terminale, Venerea, roma 2000 [ed or. apocalypse Culture, feral house, new York, 1990], p. 49. 21 il Web 2.0 è inteso come stato evolutivo del World Wide Web, legato all’impatto di applicativi sviluppati dopo la prima metà degli anni 2000. S’intende infatti per Web 2.0 un eterogeneo insieme di applicazioni online che implementano l’interazione tra la piattaforma web e gli utenti, autori essi stessi di contenuti (si parla infatti di u.g.c., ovvero “user-generated content”). Si tratta di fenomeni sempre più popolari come i blog, i forum, le chat, i social network come facebook, instagram, twitter, e i portali di condivisione di media come flickr, Youtube, Vimeo. tutto questo sistema di applicazioni prevede specifiche modalità di programmazione, che si determinano come afferenti al paradigma del Web dinamico, contrapposto al cosiddetto Web statico (noto come Web 1.0). oltre alla condivisione di contenuti sulla rete, il Web 2.0 è caratterizzato dall’immediatezza della pubblicazione dei contenuti, da subito indicizzati nei motori di ricerca. 22 E. ugEnti, immagini nella rete. ecosistemi mediali e cultura visuale, Mimesis, Milano-udine 2016, p. 78. 23 S. MAnghAni, image Studies. theory and practice, routledge, london-new York, 2013, pp. 29-31. 24 o. grAu, Virtual art. from illusion to immersion, Mit press, cambridge-london, 2003, p. 7.

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25 brevettato e prodotto dalla Sony, il Walkman era un lettore portatile di musicassette immesso sul mercato nel luglio del 1979. la sua diffusione diviene così capillare da estendere il proprio nome a definire diverse marche di lettori portatili di audiocassette. 26 la philips di hannover produsse il primo cD nel 17 agosto 1982 (la Sinfonia delle alpi di richard Strauss, eseguita dalla berliner philharmoniker diretta da herbert Von Karajan. il cD fa il suo debutto nel pop con the Visitors della band svedese AbbA. 27 V. SobchAcK, Screening Space, ungar, new York 1987, p. 225. 28 l. MccAffErY (a cura di), Storming the reality Studio: a Casebook of Cyberpunk and postmodern fiction, Duke university press, london - Durham nc 1991, p. 16. 29 b. StErling, ‘preface’, mirrorshades, op. cit., p. ix. 30 cfr. r. brAiDotti, the posthuman, polity, Malden MA 2013; J. hAlbErStAM, i. liVingSton (a cura di), posthuman bodies, indiana university press, bloomington, 1995; D. J. hArAWAY, a Cyborg manifesto. Science, technology, and Socialist-feminism in the late twentieth Century, in D. J. hArAWAY, Simians, Cyborgs and Women. the reinvention of nature, routledge, london-newYork 1991, pp. 149-181; i. h. hASSAn, prometheus as performer. towards a posthumanist Culture?, in M. bEnAMou - c. cArAMEllo (a cura di), performance in postmodern Culture, coda press, Madison 1977, pp. 201-220. 31 M. WohlSEn, biopunk: diy scientists hack the software of life, current (penguin), new York 2011. 32 r. brAiDotti, the posthuman, op. cit., p. 40. 33 S’intende per intermedialità il dialogo tra diverse forme di discorso nel rapporto differenziale tra i diversi media coinvolti, ovvero «un nuovo paradigma teorico, finalizzato a indagare le relazioni tra i testi filmici e non-filmici tanto nella loro immanenza testuale, quanto per così dire nella loro “trascendenza” mediale, cioè in rapporto alle norme e ai vincoli culturali che il medium impone loro». f. zEccA, Cinema e intermedialità: modelli di traduzione, forum, udine 2013, p. 19. 34 u. Eco, apocalittici e integrati. Comunicazioni di massa e teorie della cultura di massa, bompiani, Milano 1964, p. 146. 35 intervistato dalla rivista «ciak», Disegni racconta: «1992, scriviamo e pubblichiamo razzi amari, storia di un mondo orrendo che le macchine facevano sembrare bello. un tipo se ne accorge e le combatte insieme ai resistenti. 1998 [sic.], esce Matrix, uguale pure nelle scene. un grosso studio legale ci disse che c’erano gli estremi, i Wachowski collezionavano fumetti da tutto il mondo, ma ci volevano tanti soldi... » (S. DiSEgni, i miei ciak d’oro!, «ciak», n. 7, luglio 2011, p. 114). 36 p. coppocK - f. giorDAno - M. roSi (a cura di), filming the game/playing the film. l’immagine videoludica: narrazione e crossmedialità, in «bianco e nero», n. 564, Maggio-Agosto 2009, p. 8.

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biblioGRafia J. p. bArloW, Crime and puzzlement: the advance of the law on the electronic frontier, in «Whole Earth review», autunno 1990, pp. 130135, ripubblicato sul sito di Electronic frontier foundation: J. p. bArloW, Crime and puzzlement, [ultima visualizzazione 15/02/2017]. J. bAuDrillArD, Simulacres et simulations, galilée, paris 1981. p. bErtEtto, le macchine sinestetiche e l’identificazione. a proposito di cinema, sensazione, emozione, in g. DE VincEnti - E. cArocci (a cura di), il cinema e le emozioni. estetica, espressione, esperienza, fondazione Ente dello Spettacolo, roma 2012, pp. 87-118. p. bErtEtto (a cura di), Cinema e Sensazione, Mimesis, Milano-udine 2016. b. bEthKE, regarding Cyberpunk, [ultima visualizzazione 15/02/2017]. r. brAiDotti, the posthuman, polity, Malden MA 2013. M. l. cAppuccio (a cura di), dentro la matrice. filosofia, scienza e spiritualità in Matrix, Albo Versorio, Milano 2004. D. cAVAllAro, Cyberpunk and Cyberculture. Science fiction and the work of William gibson, Athlon press, london & new brunswick nJ 2000, p. xi. J. cloVEr, the matrix, palgrave Macmillan - british film institute, london 2004. M. contini, “follow the White rabbit”. the ultimate display e matrix, «parole rubate: rivista internazionale Di Studi Sulla citazione» n. 5, 2014, pp. 143-153. p. coppocK - f. giorDAno - M. roSi (a cura di), «bianco e nero» n. 564 (filming the game/playing the film. l’immagine videoludica: narrazione e crossmedialità), Maggio-Agosto 2009. M. DiocArEtz - S. hErbrEchtEr (a cura di), the matrix in theory, rodopi, Amsterdam 2006. S. DiSEgni, i miei ciak d’oro!, «ciak», n. 7, luglio 2011, p. 114. g. DozoiS, Science fiction in the eighties in «the Washington post» (30 dicembre 1984). 37

u. Eco, apocalittici e integrati. Comunicazioni di massa e teorie della cultura di massa, bompiani, Milano 1964. c. grAu (a cura di), philosophers explore the matrix, oxford university press, oxford 2005. o. grAu, Virtual art. from illusion to immersion, Mit press, cambridge-london, 2003. J. hAlbErStAM, i. liVingSton (a cura di), posthuman bodies, indiana university press, bloomington, 1995. D. J. hArAWAY, Simians, Cyborgs and Women. the reinvention of nature, routledge, london-newYork 1991. i. h. hASSAn, prometheus as performer. towards a posthumanist Culture?, in M. bEnAMou - c. cArAMEllo (a cura di), performance in postmodern Culture, coda press, Madison 1977, pp. 201-220. u. holl, Cinema, trance and Cybernetics, Amsterdam university press, Amsterdam 2017. W. irWin (a cura di), the matrix and philosophy: welcome to the desert of the real, open court, chicago 2002. M. lAWrEncE, like a splinter in your mind: the philosophy behind the matrix trilogy, blackwell publishing, Malden 2004. S. MAnghAni, image Studies. theory and practice, routledge, londonnew York 2013. l. MccAffErY (a cura di), Storming the reality Studio: a Casebook of Cyberpunk and postmodern fiction, Duke university press, london Durham nc 1991. f. MoncEri, anarchici: matrix, Cloud atlas, EtS, pisa 2014. A. pArfrEY (a cura di), Culture dell’apocalisse. antologia di pensiero terminale, Venerea, roma 2000 [ed. or. apocalypse Culture, feral house, new York, 1990]. g. pEScAtorE (a cura di), matrix. uno studio di caso, hybris, bologna 2006. r. ScElSi, Cyberpunk. antologia di scritti politici, Shake, Milano 2007. V. SobchAcK, Screening Space, ungar, new York 1987. b. StErling, mirrorshades. the Cyberpunk anthology, Arbor house, new York 1986. E. ugEnti, immagini nella rete. ecosistemi mediali e cultura visuale, Mimesis, Milano-udine 2016. 38

g. YEffEth (a cura di), taking the red pill: Science, philosophy and religion in the matrix, benbella books, Dallas 2003. n. WiEnEr, Cybernetics, or control and communication in the animal and the machine, the Mit press, cambridge (MA) 1948. M. WohlSEn, biopunk: diy scientists hack the software of life, current (penguin), new York 2011. f. zEccA, Cinema e intermedialità: modelli di traduzione, forum, udine 2013. S. ŽiŽEK, benvenuti nel deserto del reale: cinque saggi sull’11 settembre e date simili, Meltemi, roma 2002.

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antonio saCCoCCio

Matrix reconstructed: note sintetiche sull’ambiguo rapporto tra uomo e macchina nella fantascienza distopica degli anni Duemila

«Quando guardo queste macchine io non posso non considerare che in un certo senso noi siamo collegati a loro»

la storia del cinema è ricchissima di opere che hanno messo in scena il rapporto dell’uomo con la tecnologia e le macchine. Molto spesso questi film sono ambientati in un futuro, più o meno lontano, per immaginare le conseguenze che l’impiego di alcune tecnologie potrebbe portare nel nostro mondo. le pellicole di questo genere (abitualmente etichettate con il termine “fantascienza”) sono tanto più riuscite quanto più riescono a portare alla luce la fitta trama di opportunità, tensioni, speranze, dubbi e inquietudini che le innovazioni tecno-scientifiche mettono in moto nel mondo contemporaneo; innovazioni che negli ultimi decenni sono divenute impetuose e radicali, stravolgendo spesso la stessa nozione di realtà, ormai quasi indistinguibile dalla finzione e dalla simulazione. A tal proposito il cinema potrebbe e dovrebbe avere un ruolo importante, provando a porre domande, invitare alla riflessione, interpretare i cambiamenti in atto. Mcluhan, ormai mezzo secolo fa, ha sostenuto che «nella nostra epoca […] l’artista è indispensabile per formare, analizzare e comprendere le forme e le strutture create dalla tecnologia elettrica»1. oggi è proprio questo uno dei maggiori compiti di chi è impegnato in un campo come quello cinematografico: cogliere e illustrare le implicazioni della scienza e della tecnica del proprio tempo. la trilogia di matrix ha assolto perfettamente questo compito, dando vita a un intenso e prolungato dibattito, innumerevoli interpretazioni e spiegazioni, in ogni ambito, da quello quotidiano a quello accademico, filosofico e scientifico. l’obiettivo della presente trattazione è avanzare alcune ipotesi sulle modalità con cui 41

nell’opera dei fratelli Wachowski e in altre pellicole degli ultimi decenni viene rappresentato il complesso rapporto tra esseri umani e tecnologie, tra realtà e finzione/simulazione. Matrix e la filosofia? Slavoij Žižek comincia il suo saggio the matrix o i due volti della perversione. riflessioni sulla virtualità cinematografica con un inaspettato riferimento allo spettatore idiota e alla sua «ingenua immersione» in matrix, a suo avviso preferibile alle «letture intellettualistiche e pseudosofisticate che proiettano nel film ricercate articolazioni filosofiche o psicoanalitiche distinzioni concettuali»2. non c’è dubbio che nella trilogia dei fratelli Wachowski siano presenti almeno due riferimenti filosofici importanti: la copertina del volume Simulacres et simulation di Jean baudrillard e il “temet nosce” di Socrate3. E non c’è dubbio che si possa paragonare la vicenda di Matrix al mito della caverna di platone4 o al genio maligno di Descartes5. in italia sono state pubblicate e hanno avuto una discreta diffusione due raccolte di saggi che analizzano il film dal punto di vista filosofico: pillole rosse. matrix e la filosofia, a cura di William irwin (2006; si tratta in realtà dell’edizione italiana di un volume pubblicato in lingua inglese nel 2002) e dentro la matrice. filosofia, scienza e spiritualità in matrix, a cura di Massimiliano cappuccio (2004). nonostante questo, Žižek coglie nel segno: non si può che restare delusi leggendo analisi condotte da alcuni studiosi che vorrebbero fare di matrix quasi un capitolo della storia della filosofia occidentale. matrix può contenere riferimenti filosofici più o meno espliciti, ma non dobbiamo mai dimenticare che il cinema è un mezzo espressivo precipuamente popolare, è arte di sintesi, non ha senso e non è produttivo ingabbiarlo con impostazioni e interpretazioni puramente accademiche, anche e soprattutto quando queste interpretazioni tendono a trasportare i brucianti problemi sollevati dal film in un mondo astratto lontano anni luce dalla realtà contemporanea6. le avventure di Morpheus, trinity e neo costringono lo spettatore ad affrontare, in modo semplice e brutale, i grandi problemi del mondo odierno. per questo matrix è uno dei massimi esempi di un cinema che 42

educa gli esseri umani alla contemporaneità, e lo fa portando sullo schermo almeno due questioni cruciali nel xxi secolo: il rapporto tra umanità e tecnica, la contrapposizione tra realtà e simulazione. uomini e macchine, natura e tecnica: tra distopia e controllo nel cinema il rapporto uomo-macchina è stato rappresentato il più delle volte in termini conflittuali e distopici, generando ben presto un autentico topos. basti pensare al metropolis di fritz lang (1927), apripista nel genere della fantascienza distopica, in cui esseri umani alienati vivono lavorando incessantemente secondo i ritmi dei macchinari. nel prosieguo del novecento il conflitto uomo-macchina è stato filmicamente rappresentato in modo sempre più acceso e allarmante. già in 2001: a Space odyssey Stanley Kubrick immagina hal 9000, un supercomputer dotato di intelligenza artificiale che si ribella agli esseri umani. negli anni ottanta in blade runner (ridley Scott, 1982) e terminator (James cameron, 1984) l’umanità deve fare i conti con replicanti e cyborg dalle fattezze umane e sempre più intelligenti. A partire dagli anni novanta si assiste a un’ulteriore novità: i film di fantascienza iniziano a prendere in considerazione la realtà virtuale, simulazioni sempre più credibili e coinvolgenti, da il tagliaerbe (brett leonard, 1992) a Johnny mnemonic (robert longo, 1995) fino ad arrivare a matrix (larry e Andy Wachowski, 1999). «la minaccia di un mondo futuro distopico è un marchio del genere fantascientifico, soprattutto quando si tratta degli effetti della tecnologia sull’identità umana»7, affermano Deborah e george McKnight proprio in relazione al film matrix. c’è da chiedersi per quale motivo le macchine, le tecnologie, create dagli esseri umani, vengano così frequentemente percepite come nemiche dell’umanità. E c’è da chiedersi il motivo della netta prevalenza delle visioni distopiche e apocalittiche su quelle utopiche. una prima risposta non è difficile, ma merita alcune precisazioni. la visione catastrofistica è frutto di una superficiale e sbrigativa interpretazione del rapporto uomo-macchina in termini di contrapposizione, una tendenza molto diffusa nell’immaginario contemporaneo, tendenza che torna frequentemente nella cinematografia e nella narrativa ma diffusa persino in alcuni 43

contesti accademici. Questa visione, che non riconosce la tecnica come elemento fondante dell’essere umano, genera il proliferare di visioni distopiche del futuro. tutto nasce dalla consueta e superficiale contrapposizione tra natura e tecnica, tra natura e artificio, e l’ancora più errata concezione dell’essere umano nato per vivere in contesti naturali e che percepisce nella tecnica un fattore estraneo alla propria natura. contrapporre semplicisticamente natura e tecnica è di per sé un grave errore, come spiega biuso: la contrapposizione tra natura e tecnica rimane inevitabilmente superficiale. E ciò perché anche gli enti che non hanno in se stessi il proprio principio, gli artefatti appunto, rimangono sempre legati alla natura in quanto l’azione che produce l’artefatto è compiuta dall’uomo, ente che della natura è parte e frammento. per suo tramite anche l’artefatto risplende della luce originaria del mondo, inteso come natura e storia8.

È proprio l’essere umano che fa cadere questo tipo di contrapposizione, perché l’essere umano è il ponte tra natura e artificio. l’essere umano è un animale “naturalmente artificiale”, perché è nella sua stessa natura la capacità di creare tecniche e artifici sempre più complessi. possiamo anzi affermare che l’uomo trova la sua piena realizzazione proprio nello sviluppo della tecnica. le recenti considerazioni di Salvatore natoli possono essere utili a comprendere questo passaggio: propongo una prima considerazione: l’uomo è un animale artificiale, un ente artificiale per natura. Questo fa cadere subito l’opposizione artificio/natura, su cui molte riflessioni sulla tecnica si fondano. l’uomo è un animale artificiale, perché produce se stesso, attraverso la sua azione nel mondo. E qui vado a trarre argomento da luoghi molto antichi. Anassagora diceva che l’uomo è intelligente perché ha le mani, in termini diversi l’uomo è intelligente perché è artificiale ed è artificiale perché è intelligente. l’uomo è capace di techne, e in greco techne non vuol dire solo produzione di oggetti, di manufatti, ma anche ‘destrezza’, ‘abilità’ e in taluni casi ‘astuzia’, capacità di saper evitare una difficoltà o trovare anche un modo per dominare profittando dell’ignoranza degli altri. la tecnica, dunque, è anche inganno. non solo riguarda la produzione, ma anche l’azione. È interessante sottolineare che l’uomo è un animale artificiale, perché questo suppone la trasformabilità del mondo e ha per noi significato in quanto ci sono delle filosofie che sostengono che il mondo non è trasformabile9.

natoli, nella sua argomentazione, ci conduce a un passo successivo, assai importante anche per il nostro discorso: la tecnica può essere anche in44

ganno. E possiamo ben vederlo nella trilogia di matrix (e in altri film degli ultimi due decenni) quest’inganno iper-tecnologico: è l’inganno della simulazione, di una realtà che non è davvero reale. Vedere nelle nuove tecnologie, nelle nuove macchine costantemente un pericolo e una minaccia è sintomatico di una visione assai parziale dell’umanità. Marc prensky l’ha scritto in modo chiaro, proprio riferendosi al cinema dei nostri giorni: ultimamente abbiamo sentito parlare parecchio dell’effetto negativo che la tecnologia può avere su di noi. l’abbiamo visto in film come blade runner e matrix, l’abbiamo letto negli scritti di autori come ray brabdury, george orwell, Arthur c. clark e David brin e in libri come the dumbest generation e the Shallows. […] un’enorme mole di libri, articoli e discorsi apparsi in materia di tecnologia, non solo oggi, ma anche nel corso dei secoli, dipinge il quadro fosco di un futuro distopico. A giudicare dal fedro di platone (nel quale Socrate si lagna degli effetti negativi della scrittura), fahrenheit 451, il nuovo mondo, terminator e matrix, sembra che la gente si diverta a guardare le catastrofi a cui la tecnologia condanna la società. Ma dovremmo chiederci: perché succede questo? perché nei racconti e negli spettacoli la distopia è considerata molto più coinvolgente del suo opposto? perché hanno così tanto successo articoli come quelli di nicholas carr is google making us stupid? (google ci sta rendendo stupidi?) su “Atlantic” […]?10

Anche nel nostro paese abbiamo avuto opinioni come quelle di carr; appena due anni fa il semiologo umberto Eco si è trasformato in un apocalittico qualunque, vedendo nella rete “l’invasione degli imbecilli” e prevedendo per il prossimo futuro una rivincita dei giornali cartacei11. ha ragione evidentemente prensky quando afferma: «al di sotto di tutto questo credo ci sia una profonda, umana paura del cambiamento». È la solita grande paura che attanaglia gli esseri umani nei grandi momenti di transizione. Si ha paura, principalmente, di ciò che non si conosce, non si comprende, non si domina: le nuove tecnologie, i nuovi media, le macchine di ultima generazione. Eppure l’essere umano non ha molta scelta: o comprende le nuove tecnologie o ne diventa schiavo. Marshall Mcluhan lo aveva dichiarato già mezzo secolo fa nella notissima intervista rilasciata a «playboy»: in the past, the effects of media were experienced more gradually, allowing the individual and society to absorb and cushion their impact to some degree. today,

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in the electronic age of instantaneous communication, i believe that our survival, and at the very least our comfort and happiness, is predicated on understanding the nature of our new environment, because unlike previous environmental changes, the electric media constitute a total and near-instantaneous transformation of culture, values and attitudes. this upheaval generates great pain and identity loss, which can be ameliorated only through a conscious awareness of its dynamics. if we understand the revolutionary transformations caused by new media, we can anticipate and control them; but if we continue in our self-induced subliminal trance, we will be their slaves.

Se noi comprendiamo le trasformazioni causate dai nuovi media, possiamo anticiparle e controllarle, altrimenti ne diventiamo schiavi: questo è in sostanza il messaggio di Mcluhan. la trilogia di matrix cerca di fornire all’uomo contemporaneo diversi spunti per comprendere le trasformazioni tecno-scientifiche. in matrix reloaded, in particolare, è contenuta una riflessione di una certa importanza sul rapporto tra uomini e macchine. il consigliere hamann e neo osservano le macchine che alimentano la vita su zion, nello stesso momento in cui le macchine nemiche (le seppie) stanno per attaccare la città. conSigliErE: Queste macchine ci tengono tutti in vita, mentre altre macchine vengono a distruggerci. È singolare, non trovi? il potere di dare la vita e il potere di toglierla. nEo: noi abbiamo lo stesso potere. conSigliErE: Sì, ce l’abbiamo, ma qua sotto penso a tutti quelli collegati a Matrix, quando guardo queste macchine io non posso non considerare che in un certo senso noi siamo collegati a loro. nEo: Ma noi le controlliamo queste macchine, non avviene il contrario. conSigliErE: beh, certo che no, come potrebbero. l’idea stessa è una pura assurdità, ma ti spingo tuttavia a chiederti: “che cos’è il controllo?” nEo: È la facoltà di spegnere quelle macchine conSigliErE: giusto, è così, hai fatto centro, quello è avere il controllo. Se volessimo potremmo farle in mille pezzi. prima però converrebbe valutare cosa accadrebbe alle nostre luci, al calore, alla nostra aria. nEo: noi dipendiamo dalle macchine e loro da noi. È questo il concetto, consigliere?

il rapporto tra uomo e macchina, tra l’uomo e le tecnologie da lui create, viene risolto nell’idea del “controllo”. Quando il controllo viene mantenuto e gli individui valutano e scelgono per loro il meglio, le macchine danno vita, agi e vantaggi agli esseri umani; quando sfugge il controllo e 46

l’uomo non può più scegliere, le macchine causano dolore e morte. l’essere umano, direbbe Mcluhan, diventa schiavo delle tecnologie che lui stesso ha creato. Ed è quest’ultima la condizione in cui sono gli abitanti della virtuale Matrix, lo ricorda Morpheus a neo: MorphEuS: È il mondo che ti è stato messo davanti agli occhi per nasconderti la verità. nEo: Quale verità? MorphEuS: che tu sei uno schiavo, neo. come tutti gli altri, sei nato in catene. Sei nato in una prigione che non ha sbarre, che non ha mura, che non ha odore. una prigione per la tua mente.

A tal proposito è emblematica una scena in Westworld (Jonathan nolan, 2016), recentissima serie televisiva ambientata in un parco tematico che assomiglia al West degli Stati uniti, in cui uomini e donne facoltose scelgono di vivere a contatto con automi resi in tutto identici a esseri umani. nel sesto episodio, intitolato the adversary, felix, un impiegato addetto alla manutenzione dei residenti, dialoga con Maeve, che gradualmente sta rendendosi conto di essere solo un androide. fElix: ogni cosa che fai è perché gli ingegneri di sopra ti hanno programmato per farla. non hai altra scelta. […] la potenza del processore che hai qui è superiore a quella nostra, con lo svantaggio di essere… sotto il nostro controllo.

Di lì a poco, Maeve, ormai consapevole di essere controllata dagli esseri umani, inizierà a desiderare di sfuggire a quel controllo e otterrà di essere riprogrammata portando la sua intelligenza da un livello di 14 al livello massimo di 20. l’aspirazione a emanciparsi dal controllo degli umani diventerà così forte in Maeve che quando bernard lowe le rivelerà che la sua ribellione è stata in realtà programmata da altri, lei ribadirà con decisione di essere padrona delle sue scelte: MAEVE: nessuno può controllarmi. Me ne vado, ho io il controllo12.

tra realtà e simulazione nella trilogia di matrix il rapporto conflittuale tra uomo e macchine presenta scenari distopici forse mai raggiunti in precedenza. Matrix è una 47

neuro-simulazione interattiva creata da macchine intelligenti per controllare gli esseri umani, ormai trasformati in fonti di energia, “pile umane”. le macchine sono padrone della terra, da secoli privata della luce del sole e ridotta a un ammasso di rovine. Ma alcuni ribelli organizzano una vera e propria resistenza in una città sotterranea chiamata zion; neo è stato individuato come l’Eletto, colui che salverà l’umanità nella lotta contro le macchine intelligenti. in matrix la vita che tutti realmente credono di vivere non è che una simulazione creata da macchine. È una vita rassicurante, ordinata, senza problemi. la realtà al di fuori di questa simulazione è ben diversa: il mondo è dominato da macchine che coltivano esseri umani per usarli come risorsa energetica. nonostante questo, i ribelli riescono a transitare dalla realtà alla simulazione, hanno ripreso in qualche modo il controllo delle loro vite. MorphEuS: che cos’è Matrix? È controllo. Matrix è un mondo virtuale elaborato al computer, creato per tenerci sotto controllo, al fine di convertire l’essere umano in questa. [tiene in mano una pila]

Ecco operato il rovesciamento. il termine chiave è ancora una volta “controllo”; ora non sono più gli uomini a controllare le macchine, ma sono le macchine a tenere sotto controllo gli esseri umani, che perdono le proprie caratteristiche di libertà e autonomia per diventare semplici batterie. l’intera trilogia è basata sulla contrapposizione tra il mondo reale e quello simulato, una contrapposizione non semplice da percepire e da accettare. Quando Morpheus introduce neo in un programma di simulazione della realtà, l’Eletto è inizialmente incredulo e mentre tocca una poltrona chiede: «Questo non è reale?». MorphEuS: che vuol dire reale? Dammi una definizione di reale. Se ti riferisci a quello che percepiamo, a quello che possiamo odorare, toccare e vedere, quel reale sono semplici segnali elettrici interpretati dal cervello. Questo è il mondo che tu conosci. il mondo com’era alla fine del Ventesimo secolo. E che ora esiste solo in quanto parte di una neuro-simulazione interattiva che noi chiamiamo “Matrix”. Sei vissuto in un mondo fittizio, neo. Questo è il mondo che esiste oggi. benvenuto nella tua desertica nuova realtà.

neo inizialmente non accetta questa brutale verità («no. non è possibile. io non ci credo»), questo totale ribaltamento della sua percezione. in se48

guito comprenderà la natura simulata di matrix e inizierà la sua lotta per la conquista della libertà e della conoscenza. cypher metterà profondamente in discussione la convinzione che anima i ribelli. per lui Matrix è più reale del mondo in cui vivono i ribelli, come dimostra questo acceso scambio di battute che ha con trinity. trinitY: Matrix non esiste, cypher. cYphEr: non sono d’accordo, trinity. io ritengo che Matrix sia più reale di questo mondo. io qui stacco solo uno spinotto; ma laggiù voi vedrete Apoc morire.

Di fronte alle innovazioni tecno-scientifiche, alle simulazioni sempre più perfette, il senso della realtà svanisce sempre di più. la realtà e la simulazione si confondono a tal punto che l’essere umano ha costantemente bisogno di ricalibrare la propria percezione del mondo. torniamo all’interrogativo iniziale posto da Morpheus: «che vuol dire reale?». Ecco che matrix ci mette in guardia sulla nostra concezione della realtà, prospettandoci un mondo che sembra reale ma che è invece una perfetta simulazione. l’elaborazione di una realtà virtuale è, a partire degli anni novanta del xx secolo, uno dei temi ricorrenti nell’immaginario cinematografico. in Strange days, film scritto da James cameron e diretto da Kathryn bigelow nel 1995, pezzi di vita reale vengono registrati e poi rivissuti da altri individui tramite un lettore SQuiD: si tratta di frammenti di autentica realtà, chi potrebbe metterlo in dubbio? leggiamo come si esprime il protagonista della pellicola, lenny nero, un ex-poliziotto che spaccia queste clips di vita reale: lEnnY nEro: ora senti, voglio che tu sappia esattamente di cosa stiamo parlando. okay? Questa non è come la tV, è un po’ meglio. Questa è vita reale. un pezzo di vita di qualcuno. puro e integrale, dritto dalla corteccia cerebrale. insomma, sei lì, lo stai facendo, lo stai vedendo, lo stai sentendo... lo stai provando. Esattamente qualunque cosa tu voglia, chiunque tu voglia essere, okay? insomma, se tu vuoi andare a sciare senza lasciare il tuo studio, puoi farlo, ma presumo che uno come te quando vuole andare a sciare va ad Aspen, non è certo questa roba qui che ti interessa! È la roba che non vuoi avere, giusto? il frutto proibito. come irrompere in un negozio di liquori con una 357 Magnum, sentire l’adrenalina che ti pompa nelle vene, oppure... Vedi quello laggiù con la filippina superdotata? ti piacerebbe essere quello lì per venti minuti? i venti minuti giusti? Sì, io posso farlo accadere senza neanche farti macchiare la fede nuziale. io posso farti avere quello che vuoi, posso farlo, posso procurarlo, qualunque cosa, non devi fare altro che parlare con me, fidati di me, fidati! perché io sono il tuo confessore... sono il tuo strizzacervelli, io sono il tuo collegamento diretto alla centralina delle anime... io sono l’uomo magico, il babbo natale del subconscio. lo dici, lo pensi, puoi averlo.

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Anche in San Junipero (regia di owen harris, 2016), uno dei più significativi episodi della recente serie televisiva black mirror, il mondo virtuale si propone come reale. Queste le parole di Yorkie, una delle due ragazze protagoniste: YorKiE: Sembra tutto vero. È tutto così reale. […] insomma, guarda, tocca, è tutto vero. […] È vero, tutto questo è vero, e anche questo.

tematiche simili si ritrovano nel parco tematico di Westworld, in cui distinguere un androide da un essere umano non è semplice; d’altra parte anche in questa serie tv sono presenti dialoghi che lanciano significativi interrogativi, come dimostra questo breve scambio di battute tra William e l’affascinante ragazza che lo aiuta a scegliere l’abbigliamento prima dell’ingresso nel parco tematico virtuale: WilliAM: tu sei reale? rAgAzzA bionDA: beh, se non lo capisci, che importa?13

Ancora in Westworld, bernard, che ha appena scoperto di essere un androide, chiede al dottor ford quale sia la differenza tra umani e androidi, tra ciò che è vivo e ciò che non lo è. la risposta di ford è emblematica: non esiste un confine netto tra realtà e finzione, tra ciò che è vivo e ciò che non è vivo; le finzioni appartengono sia al mondo degli ospiti che a quelle dei residenti. bErnArD: non capisco le cose che sento: sono reali? le esperienze che ho vissuto, mia moglie, la perdita di mio figlio… forD: ogni residente ha bisogno di un antefatto, lo sai, bernard. l’io è una sorta di finzione, per residenti e ospiti, una storia che ci raccontiamo, e ogni storia necessita di un inizio. la tua sofferenza immaginaria ti rende più reale. bErnArD: più reale, ma non vivo. il dolore esiste sono nella testa, è solo immaginato. Qual è la differenza tra il mio dolore e il suo, tra lei e me? forD: […] la risposta a me pare ovvia. non c’è un limite oltre il quale siamo migliori della somma delle nostre parti, né un punto dal quale si diventa completamente vivi. non possiamo definire la coscienza, perché la coscienza non esiste. noi umani sogniamo che ci sia qualcosa di speciale nel modo in cui percepiamo il mondo, ma viviamo in cicli tanto stretti e tanto chiusi quanto quelli dei residenti. Senza dubitare delle nostre scelte, contenti per lo più di sentirci dire cosa fare dopo. no, amico mio, non ti sei perso proprio niente...14

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È proprio la confusione tra mondo reale e mondo simulato l’aspetto più interessante di matrix e della produzione filmica di cui ci stiamo occupando. Di questo avviso è David Weberman, secondo cui matrix «è il più intenso film (implicitamente) filosofico che sia stato dedicato a uno dei tratti centrali dell’esperienza postmoderna: la linea indistinta o evanescente tra realtà e simulazione»15. Weberman ha scritto alcune pagine di grande lucidità su matrix, evitando complicazioni cervellotiche e andando al cuore della questione. Ecco come sintetizza la sua interpretazione del film: il mio procedimento consiste nel considerare quattro tesi o proposizioni che costituiscono possibili interpretazioni di ciò che il film dice, suggerisce o mostra riguardo alla distinzione tra realtà e simulazione nella nostra epoca di tecnologia avanzata. Eccole a seguire. i. È in ultima analisi impossibile dire la differenza tra il reale e l’irreale. ii. la realtà può essere simulata e migliorata. iii. la realtà simulata o virtuale può essere (e probabilmente sarà) preferibile alla realtà normale. iV. la realtà simulata è metafisicamente reale quanto la realtà non simulata, se non di più16.

Weberman non è l’unico studioso ad affrontare questi temi. il filosofo svedese nick bostrom, in un noto articolo del 2003 intitolato are you living in a computer simulation?17, ha ipotizzato che la realtà nella quale viviamo possa essere una simulazione creata da altri. this paper argues that at least one of the following propositions is true: (1) the human species is very likely to go extinct before reaching a “posthuman” stage; (2) any posthuman civilization is extremely unlikely to run a significant number of simulations of their evolutionary history (or variations thereof); (3) we are almost certainly living in a computer simulation. it follows that the belief that there is a significant chance that we will one day become posthumans who run ancestor-simulations is false, unless we are currently living in a simulation.

Dal 2003 moltissimi scienziati e filosofi hanno commentato l’ipotesi di bostrom, dando vita a un dibattito che ha destato l’attenzione di numerosi media internazionali. la possibilità che quella che crediamo tutti realtà sia solo una simulazione creata da esseri a noi superiori è talmente sconvolgente da aver affascinato e/o allarmato sia la comunità scientifica sia la pubblica opinione. 51

la scelta tra realtà e finzione: libertà, conoscenza, piacere Quando l’ambiguità tra reale e virtuale viene presentata come una contrapposizione (e questo nella fantascienza distopica accade quasi sempre, come abbiamo visto), diventa necessaria una scelta. E infatti in matrix e opere similari il tema della scelta torna costantemente. D’altra parte la capacità di scegliere è una delle caratteristiche principali che distinguono gli esseri umani dalle altre specie. E proprio con il riaffermare questa loro specificità gli esseri umani provano a risolvere il conflitto che si apre tra natura e tecnica, tra realtà e simulazione. una delle scene più note del primo episodio di matrix è il momento in cui neo è chiamato a scegliere tra la pillola rossa e quella azzurra. MorphEuS: nessuno di noi è in grado purtroppo di descrivere Matrix agli altri. Dovrai scoprire con i tuoi occhi che cos’è. È la tua ultima occasione, se rinunci non ne avrai altre. pillola azzurra, fine della storia. Domani ti sveglierai in camera tua e crederai in quello che vorrai. pillola rossa, resti nel paese delle meraviglie e vedrai quanto è profonda la tana del bianconiglio. ti sto offrendo solo la verità, ricordalo. niente di più.

neo è chiamato a scegliere se vuole continuare a vivere in Matrix, il mondo che fino a ora ha sperimentato e che crede reale oppure se vuole conoscere la verità, che ai suoi occhi appare come il paese delle meraviglie. neo sceglierà di conoscere, perché vuole avere il controllo della propria vita, perché «l’essere umano è tale in quanto conosce, altrimenti la sua esistenza si ridurrebbe a un mero vegetare»18. È un altro tema sempre presente quello della conoscenza, a partire dalla citazione delfica “temet nosce” (“conosci te stesso”) che si trova in casa dell’oracolo. Quella delle due pillole è una scena indubbiamente decisiva, ma pochi hanno notato che è preceduta da due momenti in cui il tema della scelta è già proposto come cruciale. in una delle scene iniziali thomas Anderson è rimproverato dal suo capo, il signor rhineheart, a causa del ritardo in ufficio: rhinEhEArt: È il momento di operare una scelta, signor Anderson: o lei decide di sedersi alla sua scrivania in orario da oggi in poi, o sceglie di cercarsi un’altra scrivania da un’altra parte19.

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il signor Anderson è subito chiamato a una scelta decisiva: stare dalla parte di chi detiene il potere e impartisce ordini oppure liberarsi da quell’autorità superiore. poco dopo è Morpheus che prospetta ad Anderson una nuova scelta, un nuovo bivio: MorphEuS: ci sono due modi per uscire da questo edificio: uno è grazie al ponteggio, l’altro in stato d’arresto. corri comunque un rischio. Sta a te decidere20.

più avanti l’oracolo pone un altro dilemma a neo: orAcolo: presto sarai obbligato a fare una scelta. Sì, perché da un lato ci sarà Morpheus, che rischierà la vita, dall’altro la tua in pericolo. uno di voi due dovrà morire. chi sarà dipenderà da te. Mi dispiace, ragazzo, mi dispiace tanto. tu hai buon cuore, e a quelli come te non mi piace dare brutte notizie. comunque non preoccuparti: non appena avrai varcato quella soglia inizierai a sentirti meglio. ti ricorderai che non hai mai creduto a queste sciocchezze da chiromante. Sei tu che gestisci la tua vita. parole tue. tieni. biscotti caserecci. ti prometto che non appena avrai finito di mangiarlo ti sentirai leggero come l’aria.

«Sei tu che gestisci la tua vita», afferma l’oracolo; neo sa che per tornare padrone della propria esistenza deve compiere delle scelte. in the Congress (di Ari folman, 2013) il problema della scelta ossessiona costantemente la protagonista robin Wright. A robin, attrice in crisi da diversi anni, la Miramount propone di cedere i diritti sulla digitalizzazione della sua persona, in modo che lo studio crei una copia virtuale della donna, utilizzabile in tutti i film futuri. la vera robin Wright non dovrà mai più recitare. inizialmente l’attrice si mostra contraria all’idea di perdere il controllo della propria immagine, mentre il suo agente cerca di convincerla che si tratta di un’enorme opportunità: Al: non è cambiato niente in realtà. tu sei solo il loro burattinaio. Dimmi, qual è la differenza: una fottuta scelta? robin: certo, una fottuta scelta. […] È la libertà di scegliere che ci portano via. Al: Ma che scelta è stata quando ti hanno detto che se non avessi lavorato per un anno saresti scomparsa. È una scelta questa? E quella delle donne che dopo l’ennesimo tiraggio non possono più sorridere o dimostrare paura o emozione. È una scelta? no, è solo un patetico tentativo di sopravvivenza. ci ha salvato un vero miracolo sotto forma di un fottuto programma digitale, siamo stati salvati! Saresti soltanto una pazza a non approfittarne, e in quel caso tutto quello

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che dicono di te sarebbe vero: e parlo delle tue fottute ridicole scelte. Svegliati, robin, qui è in gioco la tua libertà.

Quest’ultima replica di Al merita una particolare attenzione, perché viene da lui avanzata l’ipotesi che questi programmi di simulazione virtuale siano da valutare come grandissime opportunità, come la nostra salvezza. Quanto è differente la scelta della simulazione per una donna costretta a trattamenti chirurgici per restare giovane rispetto alla scelta della simulazione virtuale che è stata proposta a robin? Questo tipo di considerazioni, presenti in gran parte delle migliori produzioni di fantascienza, aprono i varchi interpretativi più interessanti. Di fronte alle banali e assai superficiali contrapposizioni reale/virtuale e natura/tecnica, risultano molto più intelligenti osservazioni come queste che lasciano immaginare una serie di gradazioni tra le due polarità. Se si supera la semplicistica contrapposizione tra reale e virtuale, che nelle peggiori narrazioni distopiche si trasforma nel manicheo conflitto tra bene e male (anche matrix cade spesso in questa trappola), bisogna riconoscere che nelle simulazioni esistono un gran numero di opportunità che gli esseri umani possono cogliere. Spesso, ad esempio, non si tratta di operare una scelta radicale e definitiva tra mondo reale e mondo virtuale, ma di riuscire a integrare le simulazioni nella nostra vita e saperne sfruttare i vantaggi, esattamente come in passato abbiamo saputo progressivamente integrare varie tecnologie nella nostra quotidianità. È l’opportunità che in the Congress ha robin per superare il declino causato dal sopraggiungere della vecchiaia. l’attrice potrà continuare a lavorare in un mondo spietato come quello del cinema, in cui l’immagine conta più di ogni altra cosa, e potrà farlo utilizzando una copia digitale della propria persona. Questo non le impedirà di continuare a vivere la propria vita reale, che sarà anzi liberata dai tanti stress che attanagliano le attrici quando invecchiano. un’altra opportunità è quella che si prospetta per chi è gravemente malato, come mostra il già citato San Junipero. Qui siamo di fronte a una doppia realtà. nella prima (un luogo chiamato San Junipero) due ragazze vivono, e si innamorano, pensando solo al piacere e al divertimento: si scoprirà ben presto che questa è una realtà virtuale. la vita reale è un’altra, e qui le due ragazze sono donne anziane sofferenti e malate, che si preparano a morire. Si può accedere al mondo virtuale di San Junipero in due differenti modalità: quando si è an54

cora vivi soggiornando in prova per sole cinque ore ogni settimana; e dopo la morte caricando la propria memoria nel programma e vivendo lì per sempre. per chi è malato trasferirsi temporaneamente nel mondo virtuale di San Junipero rappresenta un’enorme occasione. D’altra parte, rifiutare l’opportunità e chiudersi nel mondo reale presenta altre contro-indicazioni, come lascia intendere saggiamente Kelly durante un intenso dialogo con il giovane greg. grEg: per lei il sistema San Junipero è un’occasione irripetibile, è da prendere al volo. chiaramente finché il passaggio non diventa permanente ha un tempo massimo di cinque ore a settimana. […] in caso contrario potreste avere ripercussioni negative, tendenza all’immobilità, dissociazione corpo-mente. KEllY: più o meno quello che accade nelle case di riposo, in realtà.

per Kelly sarà drammatico il momento della scelta tra la morte completa e la prosecuzione della vita nel mondo virtuale di San Junipero. combattuta tra il desiderio di restare fedele alla scelta del marito, che aveva rifiutato il sistema San Junipero, e l’amore per Yorkie, che ha invece deciso di “fare il passaggio”, cioè essere trasferita in quel mondo virtuale e lì vivere in eterno. inizialmente opta per la prima soluzione: «lo sai, ho fatto la mia scelta. […] io non ci sto. io morirò». Quando tutto sembra deciso, e i titoli di coda ormai incombono, Kelly sceglie invece di passare al sistema San Junipero e incontrare nuovamente Yorkie. il cambiamento nella sua scelta riflette tutta la difficoltà in cui si trovano e si troveranno gli esseri umani dovendo confrontarsi con le opportunità messe a disposizione dalla realtà virtuale. il tema della finzione/simulazione che si propone come rimedio (più o meno temporaneo) per chi è malato non è nuovo. già in avatar (James cameron, 2009) l’ex marine Jake Sully, ridotto sulla sedia a rotelle, aveva potuto provare l’emozione di tornare a camminare e a correre grazie all’impiego del suo avatar. Ancora prima in Strange days si era accennato alle possibilità salvifiche della virtualità, nella scena in cui lenny nero dona a tex, anche lui su una sedia a rotelle, una clip registrata in cui poter provare nuovamente la sensazione di correre sulla riva di una spiaggia. tutto questo è da condannarsi perché virtuale? perché simulazione? Devono spaventare così tanto gli esseri umani queste possibilità? Dobbiamo quindi sempre scegliere la realtà e trascurare le simulazioni? gli episodi 55

sopra riportati propongono allo spettatore una scelta non semplice, un ventaglio di opportunità su cui riflettere attentamente. Ancora in the Congress il signor barker si mostra aperto ai vantaggi offerti dalle simulazioni: bArKEr: non lasciarti ingannare dalle apparenze. restare da questa parte non è certo da eroi. Vedi robin, qui non è cambiato niente in realtà. una volta mascheravamo la verità con forti antidepressivi che la mettevano a tacere, ora la reinventiamo, non cambia granché, è solo migliorata moltissimo la chimica. robin: E non c’è scelta? bArKEr: l’unica scelta è tra aspettare la morte qui, in questa schifosa realtà, o allucinarsi dall’altra parte o magari è meglio di là sognando.

come sostiene barker, restare nel mondo reale non è da eroi, e chi sceglie il mondo virtuale non fa che sfruttare il progresso scientifico per lenire il dolore e la sofferenza in modo più sofisticato che in precedenza. tornando a matrix, una scelta controcorrente è quella operata da cypher, che preferisce abbandonare l’esistenza nel mondo reale per vivere per sempre nel mondo virtuale. proprio per questo motivo la sua figura è forse la più interessante dell’intera trilogia. in particolare il suo dialogo con l’agente Smith ha dato vita a una lunga serie di interpretazioni da parte di critici cinematografici, sociologi, filosofi. AgEntE SMith: Allora siamo intesi, signor reagan? cYphEr: Vede... io so che questa bistecca non esiste. So che quando la infilerò in bocca Matrix suggerirà al mio cervello che è succosa e deliziosa. Dopo nove anni sa che cosa ho capito? che l’ignoranza è un bene.

cypher ribalta l’ottica dominante, quella di neo e Morpheus, che avevano scelto la verità e la conoscenza, e dell’oracolo con il suo “conosci te stesso”. per cypher «l’ignoranza è un bene». A cypher non interessa la vera distinzione tra vita reale e virtuale, a lui interessa solo la sua percezione della realtà. A lui basta non ricordare nulla del passato, della verità, e vivere una bella vita, che sarà pure virtuale, ma a lui sembrerà reale. cYphEr: io non voglio ricordare niente. niente. Sono stato chiaro? E voglio essere ricco. non so, una persona importante. un grande attore. AgEntE SMith: tutto quello che desidera, signor reagan.

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cYphEr: D’accordo. riportate il mio corpo alla centrale, reinseritemi dentro Matrix e vi dirò tutto quello che volete.

cypher preferisce una vita virtuale ma ricca di piacere e soddisfazioni (la vita nel programma Matrix) a una vita reale ma durissima (la vita in zion), «è un inguaribile edonista, un ricercatore di piacere poco disposto a rassegnarsi oltre a sogni eternamente rinviati e ad altre stronzate idealiste»21. per cypher la vita al di fuori di Matrix è ormai talmente avara di piaceri che sceglie la vita virtuale. cYphEr: Sono stanco, trinity. Stanco di questa guerra. Stanco di lottare. Stanco di questa nave, di sentire freddo, di trangugiare quella brodaglia nauseante tutti i giorni.

Vincenzo cicero ha avanzato un’interpretazione alternativa, negando le motivazioni edonistiche di cypher, che invece sarebbe mosso unicamente dalla passione per trinity, dalla gelosia per neo e dalla vendetta nei confronti di Morpheus22. Queste osservazioni non sono prive di fondamento, ma non si comprende perché la triplice motivazione emotivo-sentimentale dovrebbe escludere quella edonistica. l’impossibilità di avere trinity, ad esempio, non fa che offrire a cypher un motivo in più per abbandonare quel mondo e scegliere una vita facile e senza sofferenze. cypher preferisce il piacere virtuale che offre il programma Matrix alla reale ma spiacevole libertà di zion; preferisce evitare sentimenti sgraditi come la passione non ricambiata per trinity e la gelosia per neo. Questa è una sua personalissima scelta. che poi tradisca brutalmente i ribelli, questo è certamente sintomatico di un animo rancoroso e vendicativo, ma non bisogna dimenticare che il tradimento è ciò che gli viene chiesto in cambio della bella vita in Matrix. cypher fa la parte del “cattivo”, ma nell’economia del film il suo personaggio è quello che conduce alle riflessioni meno banali. un’osservazione simile può essere avanzata per un altro “cattivo”, il christof del the truman Show. Di fronte a una vicenda che rischierebbe continuamente di trasformarsi in una banale contrapposizione tra vero e falso, tra bene e male, christof, il creatore e regista della finzione ambientata a Seahaven, apre continuamente nuove prospettive, pone allo spettatore frequenti e inquietanti interrogativi23. chriStof: il mondo, il posto in cui vivi tu, quello sì che è malato. Seahaven è come il mondo dovrebbe essere.

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Attraverso le parole di christof percepiamo che non c’è nulla di chiaro e definitivo. per altri non sarà così, ma per lui la vita all’interno della simulazione di Seahaven costituisce un modello ideale preferibile alla vita malata vissuta nel mondo. in fondo truman burbank finisce per essere una cavia di laboratorio, per osservare le reazioni di un umano posto nelle condizioni di scegliere tra due realtà, quella in cui la finzione è totalmente organizzata e quella in cui la finzione è altrettanto diffusa in quanto caratteristica delle vite di tutti. È ancora christof a rispondere mirabilmente a truman, che chiede spiegazioni sulla natura reale della sua vita. truMAn: non c’era niente di vero? chriStof: tu eri vero, per questo era così bello guardarti. Ascoltami truman: là fuori non troverai più verità di quanta non ne esista nel mondo che ho creato per te. le stesse ipocrisie. gli stessi inganni. Ma nel mio mondo tu non hai niente da temere. io ti conosco meglio di te stesso.

Questa battuta di christof relativizza il successivo gesto di truman, che alla fine sceglie di varcare la soglia della finzione cinematografica per vivere libero nel mondo reale. Ma quanta finzione, quanti attori dovrà incontrare truman in quella sua nuova vita? la finzione è parte anche del mondo reale, non solo del programma televisivo diretto da christof, quindi non è detto che il mondo reale sia migliore del mondo simulato. nel nono episodio di Westworld (intitolato the Well-tempered Clavier) l’androide Dolores, di fronte a logan e William che parlano di una sua evasione dalla simulazione del parco, fa una riflessione di sconvolgente lucidità: «fuori? Entrambi supponete che io voglia andarci. Qualsiasi cosa sia, se è un posto tanto meraviglioso là fuori, perché non vedete l’ora di venire qui?». Su una simile lunghezza d’onda, abbiamo visto, è il dottor ford, un umano (e ancora volta un “cattivo”), che, di fronte all’interesse di bernard per il mondo reale, osserva: «no, amico mio, non ti sei perso proprio niente...». le simulazioni non solo possono essere utili a chi è malato o sta invecchiando, ma possono anche offrire un’opportunità a chi desidera intensificare la propria vita con esperienze pericolose ma senza rischiare nulla. È questa la visione che lenny nero prospetta a lornette “Mace” Mason: lEnnY nEro: io vendo esperienze. per come la vedo io offro un servizio umanitario. probabilmente salvo anche delle vite. Senti tutti hanno bisogno di fare una

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capatina nel vicolo cieco, di tanto in tanto, fa parte di noi. oggi i rischi sono troppo grossi, le strade sono zone di guerra, il sesso pure. così ti infili gli elettrodi e ti spari quello che ti serve. bello quasi quanto la realtà e molto più sicuro.

E su un piano assai simile si pongono le adrenaliniche e disinibite vacanze che donne e uomini facoltosi si concedono in Westworld, parco tematico popolato da automi dove tutto è concesso: dalle quotidiane avventure con prostitute alle sparatorie e agli omicidi. i mondi virtuali e le simulazioni possono offrire notevoli miglioramenti rispetto alla realtà, numerose opportunità assenti nella realtà, per questo stimolano l’immaginazione di tanta letteratura e filmografia, nonostante le preoccupazioni, le ansie e le visioni distopiche. ha scritto Weberman: la realtà può essere non solo simulata, ma anche migliorata. perché simularla altrimenti? Questo significa che la realtà simulante non è solo questione di replicare la sua struttura di base, ma di apportare tutte le migliorie necessarie per portarla in linea con i nostri desideri. […] la simulazione è, per quasi tutti gli intenti e propositi, fondamentalmente un perfezionamento della realtà24.

per concludere possiamo tornare a the Congress e lasciare la parola a Sarah, la figlia di robin, che sorridendo mette in guardia la madre: «Dai mamma, devi ammetterlo, è roba forte. te l’ho sempre detto, la tecnofobia non ha mai portato l’uomo da nessuna parte». grande verità questa messa in bocca di sfuggita a una ragazza svagata. una verità che conferma, ancora una volta, che nella produzione filmica etichettata come distopica gli spunti più interessanti sono assai spesso quelli di segno contrario, che mettono pesantemente in dubbio la consueta vulgata apocalittica.

note M. McluhAn, gli strumenti del comunicare, il Saggiatore, Milano 2008, p. 78. S. ŽiŽEK, the matrix o i due volti della perversione. riflessioni sulla virtualità cinematografica, Mimesis, Milano-udine 2010, p. 7. 3 nicla Vassallo individua in matrix un terzo riferimento filosofico nel fatto che vengano menzionati «episodi di alice in Wonderland, il capolavoro di lewis carroll denso di suggestioni logico-filosofiche» (n. VASSAllo, Quale epistemologia in matrix?, in dentro la matrice. filosofia, scienza e spiritualità in matrix, AlboVersorio, Milano 2004, p. 37). 4 «the matrix non ripete forse esattamente il dispositivo della caverna di platone (gli uomini 1

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comuni come prigionieri, legati fermamente ai loro posti e costretti a guardare la rappresentazione delle ombre di ciò che falsamente considerano la realtà?)» (S. Žižek, op. cit., p. 8). 5 Sulla relazione tra Matrix e Descartes vedi: g.J. Erion – b. SMith, Scetticismo, moralità e Matrix, in AA.VV., pillole rosse..., cit., pp. 24-27. 6 relativamente al film matrix verrebbe da dire che sono proprio queste intepretazioni accademiche le cose più irreali, molto più irreali della simulazione interattiva in cui vivono neo e compagni! 7 D. Knight – g. Knight, genere reale e filosofia virtuale, in AA.VV., pillole rosse..., cit., p. 237. 8 g. biuSo, Cyborgsofia. introduzione alla filosofia del computer, il pozzo di giacobbe, trapani 2004. 9 S. nAtoli, tecnica e rischio, in filosofia della tecnica, a cura di paolo D’Alessandro e Andrea potestio, lED edizioni, Milano 2006, p. 69. 10 M. prEnSKY, la mente aumentata. dai nativi digitali alla saggezza digitale, Erikson, trento 2013. 11 Queste le parole pronunciate da umberto Eco in occasione del conferimento della laurea honoris causa in comunicazione e culture dei Media all’università di torino (giugno 2015): «i social media danno diritto di parola a legioni di imbecilli che prima parlavano solo al bar dopo un bicchiere di vino, senza danneggiare la collettività. Venivano subito messi a tacere, mentre ora hanno lo stesso diritto di parola di un premio nobel. È l’invasione degli imbecilli. la tv aveva promosso lo scemo del villaggio rispetto al quale lo spettatore si sentiva superiore. il dramma di internet è che ha promosso lo scemo del villaggio a portatore di verità». 12 la scena è tratta dal decimo episodio della serie, intitolato the bicameral mind. 13 la scena è tratta dal secondo episodio della serie, intitolato Chestnut. Questo il testo originale in lingua inglese: «Are you real?» - «Well, if you can’t tell, does it matter?». 14 la scena è tratta dall’ottavo episodio della serie, intitolato trace decay. 15 D. WEbErMAn, la simulazione di Matrix e l’età postmoderna, in AA.VV., pillole rosse..., cit., p. 276. 16 ivi, p. 277. 17 n. boStroM, are you living in a computer simulation?, in «philosophical Quarterly» (2003), Vol. 53, no. 211, pp. 243-255, [ultima visualizzazione 13/02/2017]. 18 n. VASSAllo, op. cit., p. 39. 19 Versione inglese. rhinEhEArt: the time has come to make a choice, Mr. Anderson. Either you choose to be at your desk, on time, from this day forth; or you choose to find yourself another job. 20 Versione inglese. MorphEuS: there are two way’s out of this building: one is that scaffold, the other is in their custody. You take a chance either way. i leave it to you. 21 D. WEbErMAn, op. cit., p. 286. 22 V. cicEro, assai più che eutanasia. prolegomeni a ogni futura interpretazione filosofica del tradimento di Cypher in matrix, in «im@go. rivista di Studi Sociali sull’immaginario», Anno ii, numero 1, giugno 2013. in questo saggio cicero, tra le altre cose,

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afferma: «A cypher, una volta constatata l’impossibilità di vedere il proprio amore ricambiato da trinity, non importa più nulla della vita. né di quella reale – desertica, cunicolare, cloacale –, né della vita matrixiana». in realtà a cypher sembra interessare della vita nel programma Matrix, perché si preoccupa di precisare il tipo di vita che vorrà condurvi: vuole essere ricco, una persona importante, un grande attore. 23 Attraverso christof viene proposto continuamente allo spettatore il tema della contrapposizione tra realtà e finzione: «È tutto reale… è tutto vero… non c’è niente di inventato… niente di quello che vedi nello show è finto… è semplicemente controllato. […] Anche se il mondo in cui si muove è in effetti per certi versi falso, simulato, non troverete nulla in truman che non sia veritiero. non c’è copione, non esistono gobbi. non sarà sempre Shakespeare, ma è autentico. È la sua vita». 24 D. WEbErMAn, op. cit., p. 284.

biblioGRafia AA.VV., dentro la matrice: filosofia, scienza e spiritualità in matrix, a cura di Massimiliano cappuccio, Edizioni Albo Versorio, Milano 2005. AA.VV., pillole rosse: matrix e la filosofia, a cura di William irwin, bompiani, 2002. g. biuSo, Cyborgsofia. introduzione alla filosofia del computer, il pozzo di giacobbe, trapani 2004. n. boStroM, are you living in a computer simulation?, in «philosophical Quarterly» (2003), Vol. 53, no. 211, pp. 243-255, [ultima visualizzazione 13/02/2017]. V. cicEro, assai più che eutanasia. prolegomeni a ogni futura interpretazione filosofica del tradimento di Cypher in matrix, in «im@go. rivista di Studi Sociali sull’immaginario», Anno ii, numero 1, giugno 2013. h. JEnKinS, Cultura convergente, Apogeo, Milano 2010, pp. 81-129. M. McluhAn, gli strumenti del comunicare, il Saggiatore, Milano 2008. S. nAtoli, tecnica e rischio, in filosofia della tecnica, a cura di paolo D’Alessandro e Andrea potestio, lED edizioni, Milano 2006. M. prEnSKY, la mente aumentata. dai nativi digitali alla saggezza digitale, Erikson, trento 2013. S. ŽiŽEK, the matrix o i due volti della perversione. riflessioni sulla virtualità cinematografica, Mimesis, Milano-udine 2010. 61

MaRio tiRino

la galassia in una pupilla. sociologia del tempo in Contact

A cavallo tra la fine dell’ottocento e l’inizio del novecento una serie di scoperte scientifiche, ritrovati tecnologici e media di massa appaiono sullo scenario delle metropoli occidentali, incidendo significativamente sulle modalità di percezione dello spazio e del tempo1. tra gli agenti di questa ristrutturazione sensoriale figura anche il cinema: ne sono esempi folgoranti le prime opere filmiche dell’illusionista e mago georges Méliès (barbe-bleue, 1901, le Voyage dans la lune, 1902, le Voyage de gulliver à lilliput et chez les géants, 1902). intuendo abilmente lo spazio di manovra offerto dai trucchi ottici e dalle soluzioni di montaggio, il cinematografo offre agli spettatori punti di vista inediti, connessioni tra ere e luoghi lontani2. il fantastico e la fantascienza si caratterizzano come generi privilegiati della sperimentazione visiva, tipica del cinema degli albori, concorrendo ad acuire le mutazioni percettive del sensorio spettatoriale. nella sua evoluzione dal periodo classico a quello moderno fino alla complessità contemporanea, la fantascienza cinematografica ha alimentato nell’arco di un secolo un filone costante di miti, simboli, narrazioni incistate nell’immaginario collettivo, in un’inesausta opera di sperimentazione sugli statuti, i regimi percettivi e i formati dell’immagine in movimento3. per iniziare ad avvicinarci all’oggetto della nostra ricerca, ci interessa qui sottolineare la teoria di Jay p. telotte4, per il quale, al centro della fantascienza cinematografica, insiste sempre il tema dell’humanness, intesa come insieme dei limiti e delle condizioni del concetto di umano. Se la science fiction è intrinsecamente legata alla fragilità dell’umano, essa si sviluppa soprattutto attraverso narrazioni in grado di condensare le ansie 63

culturali di una determinata epoca. Due esempi possono chiarire meglio le dinamiche di questo processo socioculturale. nei film degli anni cinquanta il terrore dell’invasione aliena è figurazione privilegiata del timore di un attacco sovietico: il film-paradigma di questo filone è invasion of the body Snatchers (l’invasione degli ultracorpi, 1956) di Don Siegel5. tra gli anni cinquanta e Settanta si assiste, inoltre, alla proliferazione di scenari apocalittici o post-apocalittici nei film di fantascienza, come condensazione delle paure collettive circa una catastrofe atomica percepita come imminente6. in entrambi gli esempi citati, il tema dell’accelerazione tecnologica si impone potentemente nell’immaginario culturale statunitense. l’ansia di essere sopraffatti dagli alieni (o dai sovietici) e di piombare in un catastrofico conflitto nucleare su scala globale possono essere ricondotti alla letale possibilità di arrivare secondi nella corsa al riarmo nucleare e alle più avanzate tecnologie elettroniche disponibili, nel mondo diviso tra le due sfere d’influenza in piena guerra fredda. focalizzandosi sul legame ineludibile tra racconto sci-fi e ansie sociali, Susan Sontag ipotizza che la paura che esperiamo guardando opere di questo genere non ha a che vedere con il terrore della morte, quanto piuttosto con quello della vita ed del futuro7. umberto Eco, invece, rivendica la vocazione del genere di «termometro delle tematiche in discussione, e la sua funzione – tra i vari prodotti di una cultura di massa – di ala progressista»8. Sebbene nella fantascienza letteraria e filmica ci sia spazio per diversi prodotti di inclinazione conservatrice quando non reazionaria9, ai fini del nostro discorso ci sembra utile ribadire, con Eco, come, almeno da quel filone noto come social science fiction – definizione coniata da isaac Asimov10 - in poi, tantissimi film e romanzi abbiano posto la humanness al centro delle loro narrazioni. il film di robert zemeckis Contact (1997) va senz’altro incluso in questo elenco, e, contestualmente, è un’opera che interroga incessantemente, ricorrendo al tema del contatto con le civiltà extraterrestri, sia le angosce sull’organizzazione sociopolitica contemporanea, sia i timori sul futuro dell’umanità. l’obiettivo cognitivo di questo saggio è mostrare, attraverso una ricognizione sociopolitica dei temi centrali della pellicola, come zemeckis proponga un nuovo modello di esperienza del tempo, organizzata intorno ai mezzi di comunicazione, ai processi di visualizzazione, alla rappresen64

tazione dell’alterità aliena e, infine, al nodo dei rapporti tra conoscenze scientifiche e saperi religiosi. la trama Contact, tratto da un romanzo di carl Sagan11, narra la vicenda della piccola Eleonor Arroway (Jodie foster) che, orfana di madre e incoraggiata dal padre ad amare la scienza, impara ad usare radio e telescopio. perso anche l’altro genitore, Eleanor corona il sogno di diventare una scienziata, impegnata nel SEti, progetto finalizzato a scoprire tramite onde radio tracce di presenze aliene. nel corso di una missione in Sud America, conosce il giovane teologo Joss palmer (Matthew Mcconaughey), con cui ha una breve relazione. tuttavia l’ostracismo del professor David Drumlin (tom Skerritt) e il taglio dei fondi obbligano la scienziata a cercare nuove risorse, ottenute grazie all’intervento del misterioso magnate S.r. hadden (John hurt). nonostante ciò, la mancanza di riscontri alle sue ricerche porta il progetto a un punto morto, tanto che il governo è pronto a ritirare la concessione. tuttavia Ellie non perde mai fiducia nelle sue ricerche e, una notte, i suoi sforzi sono premiati quando intercetta casualmente un messaggio da Vega. la notizia rimbalza rapidamente in tutto il mondo, mentre l’intero messaggio viene ricostruito e decriptato dagli specialisti: coadiuvata da hadden, Ellie scopre, così, che la comunicazione contiene i dati per la costruzione di un’astronave. il governo statunitense assume il ruolo di capofila di un consorzio di paesi ricchi e avanzati che finanziano la realizzazione del prototipo. frattanto un comitato internazionale è chiamato a vagliare le candidature per selezionare il capo della spedizione interplanetaria. tra i commissari figura lo stesso palmer, vicino al presidente degli Stati uniti, che, con una domanda sull’esistenza di Dio, cui Ellie risponde mostrando il proprio ateismo, ne decreta l’estromissione dalla rosa dei papabili. il selezionato è Drumlin, che, cinicamente, sfrutta a proprio vantaggio la complessa ricerca di Ellie, dopo averla tenacemente osteggiata. A pochi giorni dal varo della missione, durante un test trasmesso in pompa magna in televisione, un fanatico religioso, mimetizzatosi tra l’equipaggio, si fa saltare in aria, facendo esplodere il mezzo e assassi65

nando il professor Drumlin. Ancora una volta hadden, vero e proprio deus ex machina della storia, entra in gioco, rivelando a Ellie che esiste un’altra copia del prototipo, in giappone, e che la prescelta a compiere il viaggio interstellare è proprio lei. Durante il viaggio, la scienziata attraversa una serie di tunnel di luce, alla fine dei quali approda prima su Vega e poi su un imprecisato luogo della galassia, assai simile alla spiaggia che amava disegnare da bambina. l’alieno che incontra qui ha le fattezze del padre deceduto. negli angusti limiti del tempo concesso, l’extraterreste si limita a confermare alla ricercatrice che nell’universo gli umani non sono soli e che altri in passato hanno compiuto un percorso affine al nostro. tornata sulla terra, Ellie scopre però che in realtà il mezzo spaziale non si è mai mosso dal nostro pianeta e che le diciotto ore vissute nell’astronave equivalgono in realtà a un solo istante terrestre. Dibattuta tra il rigore della ricerca scientifica e l’emozione di una scoperta sensazionale, Ellie chiede ai colleghi che la esaminano di prestare fede al suo racconto, pur ammettendo la mancanza di qualsivoglia prova che convalidi la sua esperienza. l’esito dell’esame è sfavorevole e l’esperienza di Ellie non è ritenuta credibile. A esame concluso, tuttavia, una telefonata svela che la durata della registrazione di bordo, peraltro illeggibile, è effettivamente di diciotto ore. la circostanza riavvicina Ellie a Joss, che dichiara di fronte alla stampa di credere al suo racconto, anche in assenza di prove concrete. i media nel determinare l’esperienza del tempo da parte dei personaggi di Contact, il ruolo della comunicazione mediale è centrale, dalla funzione del suono e della radiofonia, alle tecnologie avanzate (e alla loro gestione pubblica e privata), fino al ruolo della televisione nella divulgazione delle scoperte scientifiche e all’incipiente affermazione dei dispositivi digitali. come ricordano robert Scholes ed Eric rabkin12, in un ambito dell’immaginario che privilegia il testo scritto e, soprattutto, le immagini, la radiofonia ha svolto un ruolo non secondario nella storia della fantascienza. grazie alla capacità di evocazione della vocalità e dell’oralità, la radiofonia si struttura come importante terreno di costruzione dell’imma66

ginario fantascientifico: ne è esempio fulgido il noto radiodramma War of the Worlds, adattamento dell’omonimo romanzo di herbert g. Wells (1898), sceneggiato da howard Koch per la regia di orson Welles, trasmesso dalla cbS il 30 ottobre 1938. un’analisi mediologica di Contact deve necessariamente partire dalla centralità del mezzo radiofonico. in primo luogo, Ellie, nell’infanzia, matura la passione per la scienza proprio grazie a una radio, che il padre le insegna a utilizzare. la radiofonia, dunque, è in prima battuta medium della comunicazione intergenerazionale, che rafforza il legame genitorefiglia. in secondo luogo, la radio agisce come medium che incorpora temporalità non umane: come ben sanno i media-archeologi hertz e parikka13, i media mantengono traccia di relazioni tra organico e interorganico che oltrepassano la limitatezza dell’esistenza e delle possibilità umane. rapportata all’opera zemeckisiana, quest’acquisizione è espressa nella canalizzazione, attraverso l’etere, di un messaggio alieno, foriero di altre temporalità che, grazie alle onde radio, giunge sino al pianeta terra. una funzione simile è inscritta dentro le registrazioni cinefotografiche. il discorso registrato da Adolf hitler in occasione dei giochi olimpici di berlino del 1936 è captato dagli alieni e ritrasmesso nel loro complesso messaggio sulla terra. il cinegiornale con il comizio del führer compie un viaggio interplanetario, durante il quale attraversa temporalità difformi – quella umana, quella aliena e di nuovo quella umana. Anche le immagini, dunque, mostrano un’architettura esperenziale capace di oltrepassare i limiti della percezione e della cognizione umana. Contact, tuttavia, mostra un’ampia casistica della percezione sociale e collettiva del tempo attraverso i mezzi di comunicazione. Da un lato, come visto, i media – come la radio e il cinegiornale – servono da strumenti d’espressione di sfere del tempo non-umane o, meglio ancora, an-umane. contemporaneamente, il film offre una rappresentazione visivamente assai affascinante del potere sociale della televisione americana nel pieno degli anni novanta, prima della riconfigurazione digitale del mediascape. gli show televisivi e, più in particolare, le trasmissioni di infotainment testimoniano la capacità del medium di incidere sui fenomeni di massa: riunire masse nel deserto; narrare e nutrire il folklore della civiltà dei consumi di massa (il gesù alieno, i terroristi, i tanti movimenti e gruppi bizzarri tra 67

pop e trash culture); spettacolarizzare la morte. in questa chiave, può risultare proficuo imbastire un confronto iconografico comparato tra le riprese audiovisive, ricostruite finzionalmente nella pellicola di zemeckis, dell’attentato all’astronave perpetrato dal terrorista travestito da membro dello staff tecnico, e le riprese audiovisive trasmesse dalle emittenti di tutto il mondo in occasione dell’attacco del secondo aereo dirottato da Al Qaeda sulle twin towers l’11 settembre 2001. Da una tale comparazione emerge che gli sceneggiatori del film del 1997, James V. hart e Michael goldenberg, sono riusciti a convogliare nelle straordinarie sequenze dell’attentato alla stazione orbitante, il senso pieno della qualità dell’esperienza temporale veicolata dal mezzo televisivo: la televisione, come in occasione dello spettacolo sconvolgente dell’aereo che piomba nel cuore della metropoli-simbolo della superpotenza statunitense, new York14, è il medium popolare per eccellenza, in grado di veicolare diffusamente le onde emotive di un evento, il cui ritmo nell’orologio della socialità contemporanea è dettato dal linguaggio televisivo. la televisione, nell’era pre-digitale, lavora, in sintesi, come potente agente delle emozioni culturali, ne propaga la portata e si erge a medium di compensazione tra poteri istituzionali, società e pubblici. Contact racconta, forse lateralmente, di un medium nel pieno della salute economica e politica. Se la televisione svolge un ruolo pivotale nella società statunitense degli anni novanta, come sistema di mediazione tra il potere politico e i pubblici, ciò richiama in causa il tema caro a zemeckis dell’indipendenza dello sviluppo tecnologico dall’influenza delle multinazionali. il subdolo ruolo svolto dai privati nella ricerca spaziale, esemplificato attraverso il personaggio di hadden, solleva la questione dell’opacità dei finanziamenti delle corporation. nello stesso tempo, Contact rileva che questioni legate all’interferenza della politica e alle ambizioni distorte di membri della comunità scientifica – nel dettaglio, il professor Drumlin – inficiano anche il successo, la correttezza e l’efficienza degli investimenti pubblici nella ricerca e i relativi risultati. le osservazioni, di tenore quasi sociologico, che trapelano dalla trama del film, relative agli ostacoli, pubblici e privati, alla ricerca, esibiscono una microtrama sul tempo perso, inteso come tempo negato alla vita scientifica e al progresso dell’umanità. la parabola di Ellie dice, in questo senso, più dei 68

trattati sulle dinamiche fallimentari degli investimenti sull’innovazione scientifico-tecnologica: anni di osservazioni, studi, prove ed esperimenti risultano vanificati dall’ostracismo dei colleghi più potenti, dalle loro ambizioni narcisistiche, dalla mancanza di aderenze politiche. in Contact, allora, abbiamo già una pluralità di rappresentazioni dell’esperienza del tempo: le temporalità non-umane (la radiofonia e il cinegiornale), la simultaneità spettacolare come indice di potere sociale (la televisione), la negazione degli orizzonti di progresso civile e conoscitivo (le tecnologie politicamente orientate della ricerca scientifica pubblica e privata). non è tutto. in una delle prime sequenze della pellicola, una serie di immagini di galassie lontane si conclude nella pupilla di una giovanissima Ellie. Si tratta di una sequenza leggibile come summa di tutto il cinema di fantascienza: l’occhio, affamato di visioni, è in grado di fagocitare le distanze spazio-temporali; esso può contenere tutto lo spazio, l’intero universo esperibile15. nello sguardo divorante di Ellie c’è la fame di visioni dell’intera comunità spettatoriale. Siamo in presenza di una delle più potenti metafore del cinema zemeckisiano, e del cinema tout court; le immagini filmiche rivelano qui la capacità di trasmettere emozioni culturali, simboli, narrazioni e miti, oltrepassando ogni limite del sensorio umano. Sin dai tempi leggendari del pionerismo, il cinema(tografo), nasce in un milieu tecno-socio-culturale favorevole all’accelerazione del progresso tecnologico e, di conseguenza, foriero di un complessivo riassestamento dei sensi dello spettatore per mezzo di continui shock percettivi, come aveva già compreso benjamin16. Questa ristrutturazione sensoriale passa soprattutto attraverso il potenziale del montaggio, lo specifico filmico, capace di sovvertire l’esperienza quotidiana del tempo e dello spazio. zemeckis riconsegna al medium cinematografico il dono di saper generare nello spettatore lo stupor infantile di fronte all’immagine transtemporale, al “cristallo di tempo” deleuziano, concepito come condensazione istantanea di passato, presente e futuro: «l’immagine-cristallo è proprio il punto di indiscernibilità di due immagini distinte, l’attuale e la virtuale, mentre nel cristallo si vede il tempo in persona, un frammento di tempo allo stato puro, la distinzione stessa tra le due immagini che non finisce più di ricostituirsi»17. 69

infine, Contact invita alla riflessione sulla complessità del processo ermeneutico. le immagini in movimento necessitano del contributo interpretativo delle comunità spettatoriali: tale dinamica di interazione comunicativa tra produttori e fruitori della produzione culturale filmica è metaforizzata dalle sequenze del film, in cui gli esperti di linguaggio coadiuvano gli scienziati del progetto SEti a decrittare il messaggio alieno. la distanza tra le intenzioni di chi forma il messaggio e le competenze e capacità interpretative dei fruitori segna la complessità del processo ermeneutico, che, se considerato in riferimento alla comunicazione filmica, richiede energie ulteriori a causa della confluenza di più codici (iconico, testuale, sonoro, musicale, fotografico e così via). in Contact il segnale extraterrestre nasconde, all’interno del materiale iconico, pagine di testo con le istruzioni per la costruzione del mezzo di trasporto spaziale. zemeckis, da acutissimo osservatore delle dinamiche mediali, sviluppa qui in chiave metaforica un discorso sull’incipiente mutazione dei rapporti tra i mezzi di comunicazione. infatti, dietro la proprietà archiviatoria del manufatto alieno – nelle condizioni di compattare informazioni in formati diversi su uno stesso supporto – si cela il prossimo avvento della digitalizzazione dei sistemi di comunicazione multimediale, ovvero il Web, gli ipertesti e gli ipermedia che stanno soppiantando i mass media tradizionali al centro del mediascape. in quest’ottica d’osservazione dell’intera mediasfera, Contact concentra l’attenzione degli spettatori sull’interpretazione come tempo necessario, vale a dire come tempo faticoso, ma utile, allo stabilire ponti di dialogo tra civiltà (nel film) o, più prosaicamente, tra autori e spettatori, film e cinefili, media e pubblici. processi di visualizzazione del tempo. un’analisi comparata del viaggio interstellare tra 2001: a Space Odyssey e Contact il viaggio del tempo, topos sviluppato particolarmente in opere di genere fantastico e fantascientifico, nell’ultimo decennio è stato preso in prestito da pellicole melodrammatiche e sentimentali (è il caso per esempio di the lake house, la casa sul lago del tempo, 2006, di Alejandro Agresti e di the time traveler’s Wife, un amore all’improvviso, 2007, di robert 70

Schwentke), oppure ancora fantasia desiderante di seconde occasioni (peggy Sue got married, peggy Sue si è sposata, 1986, di francis ford coppola). per inquadrare il viaggio spaziotemporale affrontato dalla protagonista di Contact, ci sembra interessante confrontarlo con il precedente viaggio, effettuato in uno dei capisaldi della fantascienza filmica, 2001: a Space odyssey (2001: odissea nello spazio, 1968) di Stanley Kubrick. la prima evidente diversità tra le due pellicole ha a che fare con la differenza dei mezzi audiovisivi, che nel capolavoro kubrickiano ruotano attorno al regime dell’immagine analogica, mentre nella pellicola zemeckisiana si orientano verso la dimensione cangiante della computer graphics e del morphing digitale. Se, come detto in precedenza, il viaggio nello spazio è innanzitutto un’avventura in grado di superare i limiti della percezione temporale umana, ci sembra fondamentale indagare il ruolo esercitato dalla tecnologia utilizzata. ci viene in soccorso Vivian Sobchack18, che evidenzia il carattere duplice del mezzo di trasporto tecnologico-simbolico con cui tale esperienza di attraversamento spaziotemporale si compie: l’astronave. Da un lato, essa può apparire buona, esteticamente gradevole, foriera di avventure che concorrono al progresso della specie e alla rigenerazione dell’umanità, oppressa dalla complessità della vita terrestre: si tratta, in pratica, della rappresentazione iconografica adottata da Kubrick insieme agli scenografi Ernie Archer, harry lange, tony Master, che incorporano nell’aspetto levigato, minimalista, essenziale e pulito dell’astronave i dettami delle tendenze più avanzate del design degli Anni Sessanta. Di segno completamente opposto è la scelta adottata da zemeckis, grazie all’eccellente lavoro dello scenografo Ed Verreaux: qui l’astronave può rivelare un lato malevolo, pericoloso, può manifestarsi come tomba (allorché diventa mezzo di morte e devastazione con l’attentato a Drumlin), come spazio luttuoso e occlusivo, trappola mortale, da cui emanano idee di prigionia e non di liberazione (quando in effetti non consente il viaggio cosmico di Ellie, lasciandola a terra). in merito ai procedimenti di visualizzazione del tempo, oltre alla rappresentazione dei mezzi con cui si compie l’avventura temporale, 2001 e Contact differiscono circa la natura memoriale di tale viaggio, mettendo 71

in connessione infanzia ed esperienza del tempo. nella space opera di Kubrick, tratta da una sceneggiatura di Arthur c. clarke successivamente confluita in un omonimo romanzo, il viaggio dell’astronauta David bowman «è un’odissea dei nostri giorni, un viaggio che passando attraverso l’infinito spazio-temporale, si conclude in un ritorno a casa e in un recupero dell’infanzia [...] dell’infanzia dell’uomo e dell’infanzia del cinema, ma anche di un uomo nuovo e di un cinema del tutto nuovo»19. il film di Kubrick è popolato di simboli potentissimi, tra le cui ellissi si nasconde un’avventura temporale millennaria che presiede alla fondazione stessa della psiche e della società: il monolite, l’osso, il viaggio sulla luna, la navicella sono altrettante icone con cui l’infanzia del protagonista si lega all’evoluzione filogenetica e ontogenetica dell’uomo sulla terra. curiosamente, a far da collante alle tecniche di visualizzazione del tempo in 2001 c’è un’immagine ad alto tasso metaforico, che precorre quella, poc’anzi analizzata, di Contact: ci riferiamo al primo piano della pupilla, che punteggia la sequenza semilisergica di bowman. Si tratta di un dettaglio dell’occhio, che guarda in macchina, per «sottolineare il carattere centrale della visione»20. nel film di zemeckis è nelle sequenze finali del viaggio che si esplica il portato memoriale e generazionale dell’avventura temporale. nella lettura di roger Ebert21, the beach and sky experienced by Ellie are likewise generated within her own mind. her father is also produced from her wishes and memories, and what he tells her are her own hopes and thoughts, put into his mouth. the absence of her mother in this “afterlife” may possibly be explained by the fact that she has no memories of her.

il ritorno all’infanzia è il cuore e l’esito dell’avventura temporale, costringendo la protagonista a fronteggiare il rimosso della sofferenza per la scomparsa per i genitori e contestualmente offrendo un saggio della diversa natura dell’esperienza temporale aliena. in merito, ancora Ebert avanza due proposte interpretative: «they say Sagan suggests that the father she meets is in fact an alien, who has taken a comforting and reassuring form. these scenarios offer a choice: (1) the alien race is alive at this time, (2) its machine, however ancient, was programmed to generate avatars that would comfort any visitor». Sia 2001 che Contact ricorrono a 72

tecniche di visualizzazione del tempo, che contemplano il legame con l’infanzia dei protagonisti. Ma mentre in 2001 questa tematica ingloba l’evoluzione della specie e il suo destino fatale, per Contact l’infanzia è un mezzo per esplorare le culture aliene. ricorrendo agli strati più profondi del ricordo e della personalità, Ellie avvicina empaticamente l’alieno che ha le fattezze del padre, ricalibrando aspettative sulla possibilità, quantunque remota, di ricompiere quel “piccolo passo” in direzione di una convivenza pacifica tra specie diverse. l’alieno oltre che per i media e i processi di visualizzazione, l’esplorazione dell’esperienza temporale dei personaggi di Contact si fonda sulla figura dell’alieno. com’è noto, si tratta di una figura tipica della science fiction, sin dagli esordi: si pensi, per esempio, a Voyage dans la lune di Meliés (1902). Siamo in presenza di una figura dell’immaginario22 particolarmente adatta a funzionare come metafora del rapporto dell’uomo con l’alterità in chiave culturale, sociale e comunitaria. la raffigurazione visiva dell’alieno, nelle illustrazioni, nel fumetto e, infine, nel cinema di genere, si misura, infatti, con tutta la ricca tradizione iconografica del mostruoso, in cui l’alieno assume, di volta in volta, sembianze teratomorfe o umanoidi. come abbiamo rilevato in precedenza, a partire dagli anni cinquanta del xx secolo, l’alieno incarna le fobie più avvertite negli Stati uniti che escono dalla Seconda guerra Mondiale. Al di là delle declinazioni politiche della figura aliena, essa esprime, più in profondità, la fobia dell’identità, che è il trait d’union di tutto il cinema sugli alieni, fino a Contact e, oltre, fino ai prodotti culturali del xxi secolo. la fobia dell’identità si manifesta in varie forme. in uno dei capolavori assoluti del genere, l’invasione degli ultracorpi, l’invasione aliena funge da collettore di diverse ansie culturali del periodo, tutte in qualche modo collegate alle incipienti trasformazioni identitarie, individuali e sociali: il maccartismo, gli effetti alienanti del capitalismo, l’angoscia per il pericolo nucleare postbellico, il lavaggio del cervello dei soldati americani catturati nella guerra di corea, e anche i timori maschili al cospetto della 73

crisi del patriarcato bianco23. Esiste, tuttavia, un’altra tradizione filmica, in cui il contatto con le civiltà extraterrestri assume contorni più pacificati, diretta emanazione della fede nell’umano e nella sua capacità di neutralizzare il conflitto a favore di forme accettabili di convivenza e dialogo con altre civiltà: è il caso, per esempio, di ultimatum alla terra, film del 1951 liberamente tratto dal racconto farewell to the master (Addio al padrone , 1940) di harry bates, e soprattutto dei due capolavori di Steven Spielberg Close encounters of the third kind (incontri ravvicinati del terzo tipo, 1977) e e.t. (E.t. l’extraterrestre, 1982). che si arrichisca di elementi simbolici di natura mistico-allegorica (incontri ravvicinati) o che fondi la propria possibilità di salvezza sui principi cooperativi della piccola provincia americana (e.t.), la figura dell’alieno spielberghiano può essere considerata la matrice della concezione zemeckisiana dei rapporti umani con le civiltà extraterrestri. come è noto24, è Spielberg a fungere da mentore per zemeckis, consentendogli di avanzare i primi passi nel difficile ambiente hollywoodiano: il regista di Jaws (lo squalo, 1975) produce, infatti, i primi due lungometraggi di bob, i Wanna hold your hand (1964 Allarme a n.Y. arrivano i beatles!, 1978) e used Cars (la fantastica sfida, 1980) e lo chiama alla collaborare alla sceneggiatura del suo 1941 (1941 – Allarme a hollywood, 1979). in realtà, la collaborazione tra i due prosegue negli anni e Spielberg figura nelle vesti di produttore di diversi progetti firmati da zemeckis, dalla trilogia del futuro (back to the future, ritorno al futuro, 1985, back to the future part ii, ritorno al futuro – parte ii, 1989, back to the future part iii, ritorno al futuro – parte iii, 1990) a Who framed roger rabbit (chi ha incastrato roger rabbit, 1988). l’influenza della concezione spielberghiana dell’essenza socievole dell’essere umano, a sua volta mutuata dalla lezione dei film di frank capra, è pertanto del tutto evidente sul cinema di zemeckis. la tenace fiducia di Ellie nel suo progetto, contro ogni evidenza e ogni ostacolo, rispecchia una altrettanto irriducibile fiducia nelle capacità dell’essere umano di stabilire ponti di dialogo e interazione con altre civiltà, in cui riecheggiano umori di matrice spielberghiana. una volta acquisito questo dato inerente le radici storiche dell’immaginario zemeckisiano, appare utile comprendere fino in fondo le modalità attraverso cui, in Contact, la figurazione dell’alieno si fa elemento di co74

municazione dell’esperienza temporale. per rispondere a un tale quesito, ci serviremo della teoria sulla figura aliena recentemente sviluppata da luca bandirali e Enrico terrone25. i due autori partono dalla distinzione tra una ontologia primaria (il reale di cui la pellicola conserva traccia) e una ontologia secondaria (ciò che è reale nel film), affermando che ogni film è trasformazione dell’ontologia primaria in un’ontologia secondaria. nella science fiction, occorre misurarsi, inoltre, con i concetti di estensione ontologica (Eo) e intensificazione tecnologica (it): la realtà narrativa risulta ontologicamente estesa e tecnologica intensificata; quanto più è stretta l’interrelazione tra estensione ontologica e intensificazione tecnologica tanto più è elevato il grado di fantascientificità. più in dettaglio, per quanto riguarda l’estensione ontologica, un film è tanto più realista quanto più è stretta la relazione tra ontologia secondaria e ontologia primaria; il cinema di fantascienza ha un’ontologia secondaria più estesa dell’ontologia primaria (l’universo e le galassie sono più estese del pianeta terra; il futuro è più esteso del presente; gli extraterrestri sono più estesi del complesso umani/animali/vegetali, e così via). Sul piano dell’intensificazione tecnologica, il campo narrativo definito da spazio, tempo e forme di vita, è caratterizzato da epistemologia e tecnica, cioè un sistema di conoscenze attraverso cui controllare il mondo. in un film realistico, sapere e tecnica rientrano nei limiti del progresso scientifico/tecnologico; nel film fantascientifico è normale oltrepassare questi limiti (intensificazione tecnologica), sviluppando nell’ontologia secondaria (il mondo possibile) competenze e applicazioni non possibili nell’ontologia primaria (il mondo reale). nel caso dell’alieno, l’estensione ontologica determina l’intensificazione tecnologica, ovvero l’extraterrestre porta con sé una nuova tecnologia e impone ai terrestri di intensificare il proprio sapere per comprenderne la forma di vita e/o fronteggiarne il pericolo: è esattamente quanto avviene in Contact, allorché la ricezione di un messaggio alieno rende palese la complessa rete di saperi e competenze necessari a far fronte a un’evenienza, variamente letta come opportunità (da Ellie, ma anche da altri scienziati) o minaccia (dai governi, dal teologo). bandirali e terrone introducono quindi una interessante classificazione dell’alieno in base al criterio fenomenologico dell’apparire: nel confronto 75

con le forme prevalenti nell’ontologia primaria, possiamo distinguere tra alieno isomorfo (di fattezze umane o animali, per esempio gli alieni di the brother from another planet, fratello di un altro pianeta, 1984, di John Sayles), difforme (con tratti radicalmente differenti rispetto all’umano, per esempio il mostro de la cosa da un altro mondo), e polimorfo (al tempo stesso isomorfo e difforme, per esempio la creatura di the thing, la cosa, 1982, di John carpenter). in tutta evidenza, il contatto con l’alterità extraterrestre in Contact svela un alieno perfettamente isomorfo. il fatto che questi esibisca le sembianze del padre di Ellie apre il varco innanzitutto alle citate riflessioni sul cortocircuito tra alterità, infanzia, memoria, confronto generazionale e traumi rimossi. inoltre, come scritto in precedenza, Ebert suggerisce che gli alieni possano essere ancora vivi nel momento dell’incontro, oppure che essi siano in possesso di una tecnologia avanzata con cui generare avatar che mettano a proprio agio i visitatori – in entrambi i casi si tratta di possibilità inerenti una modalità di esperienza del tempo radicalmente diversa da quella umana. un’altra interpretazione possibile è, non a caso, relativa a una percezione di un tempo ultra-terreno: in questo caso, il pianeta sul quale approda Ellie sarebbe una sorta di paradiso del xxi secolo, in cui sotto forma di esseri elettronici approdano le anime dei defunti. oltre a stabilire un’affascinante comparazione tra il viaggio di Ellie verso un paradiso possibile, unica chance di reincontrare il padre amato e così precocemente perso, e l’ascesa dantesca nella divina Commedia, una tale interpretazione di carattere spiritualistico, avanzata da gregory M. Sadlek26, invita a riflettere sulle temporalità difformi che regolano le relazioni umane in una chiave ultraterrena. in questa prospettiva, il pianeta misterioso con cui entra in contatto la ricercatrice sembra rinviare a “un” tempo, quello delimitato dalla fede e dalla speranza, in cui due anime che si sono amate potranno ripercorrere un cammino di ricongiungimento in un luogo e in uno spazio, che le ridotte capacità umane faticano ora a riconoscere. scienza, religione ed esperienza del tempo la fantascienza nasce come dimensione dell’immaginario, in cui la conformazione lineare del progresso scientifico-economico, predominante 76

nel pensiero politico occidentale fin dalla rivoluzione industriale, è messa sotto scacco. come sottolinea franco la polla, «nella fantascienza [...] la scienza genera i propri anticorpi e li oppone alla fonte della sua celebrazione e del suo esercizio, interrompendo [...] l’evoluzione, lo sviluppo e in ultima analisi la concezione ottimistica e storicistica»27. il progresso scientifico e l’innovazione tecnologica si muovono dentro una rete di interessi contrastanti, pubblici e privati, e solo una parte degli attori in causa – gli scienziati “puri”, o, meglio ancora, un gruppo di essi – agisce realmente mosso dai valori del progresso civile e della rigorosa ricerca scientifica. il personaggio della dottoressa Arroway risulta ammirevole, come scritto più sopra, innanzitutto perché, consapevole delle oggettive difficoltà di perseguire la propria ricerca, non demorde mai, intravedendo nelle premesse del suo lavoro i possibili risultati. la parabola narrativa della vicenda di Ellie, tra fallimenti e rilanci di un progetto-sogno osteggiato da più parti, sembra avvalorare l’intuizione di Stephane Spriel e boris Vian, per i quali «la fantascienza è una nuova mistica; per una ragione semplicissima: è la resurrezione della poesia epica: l’uomo e il suo autosuperamento, l’eroe e le sue gesta, la lotta con l’ignoto»28. l’obiettivo della scienziata protagonista di Contact – trovare forme di intelligenza extraterrestre – ha, inoltre, a che vedere con quanto afferma philip K. Dick sulla differenza tra fantastico e fantascienza: «il fantastico si occupa di ciò che l’opinione comune considera impossibile, la science fiction si occupa di ciò che l’opinione pubblica considera possibile, date certe condizioni»29. A criticare la distinzione dickiana per l’eccessivo dogmatismo è giorgio cremonini, che evidenzia come, nell’era della modernizzazione susseguente all’illuminismo, il fantastico si caratterizzi come spazio di critica «di un mondo in cui le conquiste scientifiche [...] si accompagnano quasi sistematicamente alla caduta delle illusioni; ci mostrano il possibile accanto all’impossibile; ci offrono delle speranze e ce ne negano delle altre. la scienza è il linguaggio della contraddizione e del dibattito; diventa linguaggio della necessità solo nella versione tecnologica cui la riduce il mercato»30. tuttavia, la distinzione tra un fantastico magico-religioso (proprio dell’horror) e un fantastico laico (proprio della sci-fi) proposta dallo stesso cremonini non regge ad un’analisi dettagliata e, in particolare, è proprio una lettura approfondita di Contact a rendere impraticabile una simile classificazione. 77

Ad attestare la prolificità di un approccio che non separa le sfere dell’esperienza spirituale e scientifica, c’è il lavoro dell’antropologo bronislaw Malinowski31, il quale analizza il ruolo di magia, scienza e religione, in quanto fenomeni sociali e fondamenti delle istituzioni della società, all’interno della cultura del suo tempo. nella sua analisi comparata, lo studioso polacco naturalizzato britannico rinviene più di un’analogia tra magia e scienza: Magic is akin to science in that it always has a definite aim intimately associated with human instincts, needs, and pursuits. the magic art is directed towards the attainment of practical aims. like the other arts and crafts, it is also governed by a theory, by a system of principles which dictate the manner in which the act has to be performed in order to be effective. in analyzing magical spells, rites, and substances we have found that there are a number of general principles which govern them. both science and magic develop a special technique. in magic, as in the other arts man can undo what he has done or mend the damage which he has wrought32.

in cosa consiste, allora, la funzione culturale (e anche cinematografica) della magia? come la scienza, la magia è connessa a un’inclinazione ottimistica: «un sistema dogmatico fondato sull’ipotesi che l’uomo sia in grado di influire sull’ambiente e sul suo stesso destino. la magia, come la scienza, dipende da un procedimento e dai risultati»33. Magia e scienza appaiono dunque simili nella struttura culturale profonda. ciò che le differenzia attiene alla conoscenza del procedimento e dei risultati, ovvero del nesso logico tra causa ed effetto – la scienza opera riconoscendo tale nesso, sul quale si costituisce l’intero processo conoscitivo, la magia no. in questa chiave, il termine magia nasce dall’ignoranza collettiva di una dimensione dell’agire umano che, nondimeno, potrebbe condurci a risultati simili a quelli ottenuti con il metodo scientifico. Magia, allora, nella lezione malinowskiana, è semplicemente il nome che associamo ad un sistema di conoscenze, di cui ignoriamo l’impostazione epistemologica, e, cionostante, che continua a funzionare. in Contact il personaggio ambiguo, ottimista, del miliardario e forse imbonitore hadden (finanzia Arroway, le rivela i segreti dei codici alieni, le costruisce una seconda stazione di lancio, vive in un aereo e a un certo punto corrompe l’agenzia spaziale russa per andare a bordo della Mir e ritardare gli effetti del cancro) è forse più vicino alla magia che alla scienza. 78

Al di là delle analogie, invece, la funzione culturale della religione lavora in senso opposto rispetto alla funzione culturale della magia. laddove la magia, come abbiamo ricordato poc’anzi, presuppone un individuo attivo e pronto a modificare l’ambiente circostante secondo i suoi bisogni, la religione è istituita su un sostanziale pessimismo circa la capacità degli esseri umani di indirizzare il proprio destino, di affrontare le avversità incidendo sul corso della propria storia. la funzione culturale della religione, per Malinowski, consiste nel rendere più accettabili le conseguenze di una tale incapacità, limitatezza e inadeguatezza dell’essere umano. per affrontare una tale costitutiva debolezza, l’uomo cerca di costituirsi in gruppi, circoli, assemblee, nelle quali il terrore della morte, del mistero, dell’imprevedibile, di ciò che sfugge al controllo, è affrontato comunitariamente sulla base di una comune adesione a una fede. Senza arrivare ad affrontare il fanatismo del terrorista responsabile dell’attentato alla stazione orbitante, è la funzione culturale della religione a manifestarsi nel momento di scegliere l’astronauta da inviare su Vega, quando l’assemblea giudicante, su domanda del teologo Joss palmer, amico ed ex amante della dottoressa, costringe Ellie a professare ail proprio ateismo, perché la cultura religiosa dominante nella società americana impone che si invii nello spazio un credente (e il rivale Drumlin non si fa scrupoli, sebbene scienziato, a dichiararsi credente). Anche la scienza affronta ciò che sfugge alle previsioni, ma lo fa dotandosi del metodo sperimentale, vale a dire una procedura universalmente riconosciuta e soggetta a validazione e possibili confutazioni, che comprende osservazione, sperimentazione, critica logica e innovazione. perché un tale modello produca risultati efficienti, la scienza si serve della tecnologia, con cui gli operatori controllano tutti i fattori, i processi e i fenomeni controllabili. la scienza può essere equiparata ad un sistema dogmatico. in parziale revisione dell’ipotesi di Malinowski, possiamo precisare che quest’aspetto dogmatico del sapere scientifico attiene essenzialmente ai procedimenti con i quali esso è prodotto, distribuito e validato. circa invece la dogmaticità dei contenuti di questo sapere, occorre precisare che le conoscenze scientifiche si presentano non come verità assolute – a differenza delle statuzioni della teologia -, ma come acquisizioni di fenomeni, la cui concreta 79

manifestazione risponde a leggi con diversi gradi di probabilità e possibilità. Se la scienza è un sistema dogmatico, la tecnologia si presenta come una modalità dell’azione, la cui missione è liberare l’uomo dalla limitatezza fisica, che ne mina capacità percettive e cognitive. Contact mostra tuttavia come la tecnologia non risolva il problema della qualità delle relazioni umane che essa stessa rende possibili, come intuisce Joss, quando imbastisce una serrata critica all’ideologia della tecnologia. nella visione di Malinowski, «by acquainting man with his surroundings, by allowing him to use the forces of nature, science, primitive knowledge, bestows on man an immense biological advantage, setting him far above all the rest of creation»34. la funzione culturale della scienza consiste nel produrre prove empiriche che puntellino la fede ottimistica dell’uomo nella sua supremazia biologica, in quanto essere dotato della capacità di assoggettare e modificare sia il corso degli eventi, sia l’ambiente in cui vive. in sintesi, Malinowski ritiene che la funzione culturale della scienza sia quella di rendere concreto, pragmatico ed empirico l’ottimismo umano. concludendo, questi tre sistemi di credenze e modalità dell’azione hanno in comune il tentativo di descrivere e affrontare l’ignoto in maniera tale da soddisfare l’umano desiderio di sicurezza. Scienza, magia e religione esistono in tutte le società, svolgendo funzioni specifiche ma sovrapponendosi in modo velato o manifesto: è quanto accade alla dottoressa Arroway, la quale, quando si ritrova senza prove empiriche per comunicare la sua esperienza spaziotemporale e il suo contatto alieno, deve rifarsi ad un “atto di fede”. possiamo concludere che magia, scienza e religione agiscono in stretta connessione in Contact e, in generale, nel cinema di fantascienza: nel finale è lo stesso teologo Joss ad ammettere che scienza e religione hanno come comune obiettivo la ricerca della verità. proprio quest’ultima circostanza rende manifesta la differente percezione del tempo che si ottiene agendo secondo il metodo scientifico o secondo il sentimento religioso nella pellicola di zemeckis. come scrive gianni canova, «per essere visibile, nel cinema di zemeckis il tempo ha quasi sempre bisogno dello spazio. Di uno spazio. Di un luogo, di un ambiente o di contesto che consentano di misurare e verificare lo scarto temporale, o la dimensione della durata, o il flusso del cambiamento»35. la conoscenza scientifica per accertare un’esperienza del tempo extraterrestre 80

necessita di operare il pieno controllo sulle circostanze di un tale evento. il processo a Ellie, in questo senso, esemplifica l’applicazione del metodo sperimentale. D’altra parte, il luogo in cui tale esperienza si situa è collocato nei ricordi d’infanzia della protagonista, un mondo «rievocato con una serie di cromatismi accesi e di effetti-vortice che sfociano nell’immagine a luce sovraesposta di una cartolinesca spiaggia caraibica»36. Ebbene, nella iconografia del luogo dell’incontro con la civiltà aliena, zemeckis salda due ordini del discorso. Sul piano squisitamente narrativo, l’esperienza temporale avviene sul crinale di un paradosso: le diciotto ore dell’esperienza ultraterrena ed extraterrestre si traducono nei pochi secondi del tempo terreno. risulta chiaro, dunque, che per afferrare e comprendere quest’esperienza del tempo e dell’alterità gli strumenti della conoscenza scientifica risultano inservibili. Sul piano iconografico, inoltre, il cinema si rivela privo di tecnologie audiovisive adeguate a mostrare il viaggio cosmico-siderale della dottoressa Arroway: «zemeckis individua in questo vuoto, e in questo silenzio, e nel bisogno di farceli comunque percepire, l’unico vero set possibile per il cinema del futuro»37. nel film dunque l’esperienza dell’incontro alieno, scontando una temporalità irrudicile sia alle regole del controllo scientifico, sia alle routine della vita quotidiana, può essere comunicata solo attraverso un atto di fede, un’adesione dogmatica e fideistica: non a caso, l’unico a credere a Ellie, il teologo Joss, è la stessa persona che, durante le selezioni per individuare il capo missione della prima spedizione, la aveva messa in crisi con una domanda sull’esistenza di Dio. il tempo percepito spiritualmente, legato a uno spazio che non ha collocazione riconoscibile, se non nella dimensione memoriale dell’infanzia, si propone, pertanto, come connotato da una durata e una comunicabilità, irriducibili alla misurazione scientifica e alla strumentalità tecnologica e tecnocratica. la durata, i cristalli e l’invisibile. il tempo nel cinema di zemeckis in questo saggio abbiamo provato a mostrare come con Contact zemeckis metta a punto una serie di tipologie dell’esperienza temporale, rappresentando la complessità della relazione tra personaggio, spazio e 81

tempo, attraverso gli ambienti mediali, le tecniche e i processi di visualizzazione, la rappresentazione dell’alterità aliena e, infine, l’interazione dinamica dei saperi religiosi, scientifici e magici nella produzione dei significati culturali. in un ultimo passaggio, questa ricognizione andrebbe contestualizzata all’interno della filmografia zemickiasa, intessuta di aporie, inversioni, spazializzazioni del tempo. in sintesi, sembra quasi che zemeckis «giochi continuamente a sottolineare o a rivelare l’arbitrarietà e la convenzionalità di una figura chiave del suo cinema quale è il tempo»38. la percezione del tempo è declinata in modi e forme assolutamente personali e non standardizzabili: per il Marty Mcfly (Michael J. fox) e Doc (christopher lloyd) della trilogia di ritorno al futuro, come per il naufrago chuck noland (tom hanks) di Cast away (2001), nonché per lo stesso omonimo protagonista (ancora hanks) di forrest gump (1994) la stessa durata è variabile soggettiva. in altri termini, «per chi si avventura su sentieri diversi da quelli consueti, il tempo cessa di avere la linearità uniforme, omogenea e misurabile del quotidiano, e diventa una variabile emotiva (in polar express), cognitiva (in Contact) o esistenziale (in Cast away)»39. oltre alla durata, c’è un’altra proprietà fondamentale della dimensione temporale dell’esperienza, indagata da zemeckis: ovvero l’apparire del tempo in forma di faglia indecidibile o immagine-cristallo. nella straordinaria sequenza del viaggio siderale in Contact, lo schermo cinematografico si fa, deleuzianamente, «membrana cerebrale in cui si affrontano immediatamente, direttamente, il passato e il futuro, l’interno e l’esterno, senza distanza assegnabile, indipendentemente da qualsiasi punto fisso»40. come chiarisce gino frezza, infatti nel viaggio [...] della cosmologa Eleanor/Jodie foster, il tempo, l’occhio, la memoria, il presente e il futuro, tutto si addensa in una faglia indecidibile.[...] in questo viaggio, infine, il tempo implode. il viaggio [...] resta paradossalmente inerte: la partenza e l’arrivo sono entrambi compressi nel medesimo istante, senza tempo. [...] Del viaggio [...] restano, però, i [...] minuti sbobinati del nastro di un videoregistratore, che ha continuato a funzionare senza che vi risulti qualcosa di visionabile. forse il nastro si è avvolto intorno a un tempo del quale [...] sono consegnati alla memoria del futuro segnali d’immagine non ancora leggibili e decifrabili41.

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Dunque, il tempo di alcune esperienze può essere testimoniato solo se vissuto in prima persona e ha direttamente a che vedere con una duplicità irrisolvibile dell’immagine-tempo con cui si prova a rappresentarlo. il tempo, in sintesi, ha a che fare con la visione, con l’atto del vedere. E tuttavia, come abbiamo scritto in precedenza, se chi matura direttamente un’esperienza temporale del genere può descriverla e trasmetterla, come Ellie nell’incontro con l’alieno dal sembiante paterno, gli ascoltatori – e noi spettatori – non disponiamo evidentemente di una tecnologia sufficientemente sviluppata da poter accogliere nei nostri sensi una traccia di una tale esperienza. Allora, forse possiamo rintracciare nella citazione di una frase di polar express (2004), la sintesi del pensiero di zemeckis circa l’esperienza temporale maturata nel cosmo da Ellie in Contact e soprattutto circa il potere del cinema di veicolare un’esperienza del genere: «alcune volte bisogna vedere per credere. Altre volte invece le cose più reali del mondo sono quelle che non si vedono»42.

note S. KErn, il tempo e lo spazio. la percezione del mondo tra otto e novecento, il Mulino, bologna 2007 [ed. or., the Culture of time and Space, 1880 – 1918, harvard university press, cambridge 1983]. 2 M. MilnEr, la fantasmagoria. Saggio sull’ottica fantastica, il Mulino, bologna 1989 [ed. or., la fantasmagorie. essai sur l’optique fantastique, puf, paris 1983]. 3 Sulla storia della fantascienza al cinema cfr. r. MEnArini, Cinema e fantascienza, Archetipolibri, bologna 2012, pp. 7-29; r. KAVEnEY, from alien to the matrix: reading Science fiction film, i.b. tauris, london-new York 2005; g. ricKMAn (ed.), the Science fiction film reader, limelight, new York 2004; J. clutE e p. nichollS (eds.), the encyclopedia of Science fiction, orbit, london 1993. 4 J.p. tElottE, replications: a robotic history of the science fiction film, university of illinois press, urbana 1995. 5 S.M. SAnDErS, picturing paranoia: interpreting invasion of the body Snatchers, in Steven M. Sanders (ed.), the philosophy of Science fiction film, university press of Kentucky, lexington 2008. cfr. anche f. lA pollA, la fantascienza, in gian piero brunetta (a cura di), Storia del cinema mondiale. Volume secondo. gli Stati uniti. tomo secondo, Einaudi, torino 2000, pp. 1519-1523. tra gli altri film centrati su un’invasione aliena nel periodo 1950-1960 citiamo the day the earth Stood Still (ultimatum alla terra, 1951) di robert Wise, the thing from another World (la cosa da un altro mondo, 1951) di christian nyby e howard hawks, invaders from mars (gli invasori spaziali, 1

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1953) di William cameron Menzies, the War of the Worlds (la guerra dei mondi, 1953) di byron haskin, it Came from outer Space (Destinazione terra, 1953) di Jack Arnold, earth vs. the flying Saucers (la terra contro i dischi volanti, 1956) di fred f. Sears, Quatermass 2 (i vampiri dello spazio, 1957) di Val guest, kronos (Kronos il conquistatore dell’universo, 1957) di Kurt neumann, i married a monster from outer Space (ho sposato un mostro venuto dallo spazio, 1958) di gene fowler Jr., Village of the damned (1960) di Wolf rilla. 6 cfr. c. hEnDErShot, paranoia, the bomb, and 1950s Science fiction films, bowling green State university popular press, bowling green 1999. tra i film centrati sul terrore dell’apocalisse nucleare nel ventennio 1950-1970 ricordiamo five (1951) di Arch oboler, unknown World (1951) di terry o. Morse, invasion u.S.a (invasione uSA, 1952) di Alfred E. green, Captive Women (1952) di Stuart gilmore, day the World ended (il mostro del pianeta perduto, 1955) di roger corman, on the beach (l’ultima spiaggia, 1959) di Stanley Kramer, the World, the flesh and the devil (la fine del mondo, 1959) di ranald MacDougall, the time machine (l’uomo che visse nel futuro, 1960) di george pal, the day the earth Caught fire (... e la terra prese fuoco, 1961) di Val guest, the day of the triffids (l’invasione dei mostri verdi, 1962) di Steve Sekely, the Creation of the humanoids (1962) di Wesley barry, panic in year zero! (il giorno dopo la fine del mondo, 1962) di ray Milland, fail Safe (A prova di errore, 1964) di Sidney lumet, dr. Strangelove (il dottor Stranamore - ovvero: come ho imparato a non preoccuparmi e ad amare la bomba, 1964) di Stanley Kubrick, planet of the apes (il pianeta delle scimmie, 1968) di franklin J. Schaffner, the bed-Sitting room (Mutazioni, 1969) di richard lester. 7 S. SontAg, Contro l’interpretazione, Mondadori, Milano 1997 [ed. or., against interpretation and other essays, farrar, Straus & giroux, new York 1966]. 8 u. Eco, apocalittici e integrati, bompiani, Milano 1964, p. 371. 9 Si pensi per esempio a r. hEinlEin, Starship troopers, Mondadori, Milano 2008 [ed. or., Starship troopers, new York, g.p. putnam’s Son, 1959]. per una ricognizione complessiva del rapporto tra fantascienza e politica, si veda p. pArrinDEr (ed.), learning from other Worlds: estrangement, Cognition, and the politics of Science fiction and utopia, liverpool university press, liverpool 2000 e J.c. McDonnEll, the politics of big fantasy. the ideology of Star Wars, the Matrix and the Avengers, Mcfarland, Jefferson 2014. 10 i. ASiMoV, Social Science fiction, in r. bretnor (ed.), modern Science fiction. its meaning and its future, coward-Mccann, new York 1953, pp. 157-196. 11 c. SAgAn, Contact, bompiani, Milano 1988 [ed. or., Contact, Simon & Schuster, new York 1985]. 12 r. ScholES e E. rAbKin, fantascienza. Storia, scienza, visione, pratiche, parma 1979 [ed. or., Science fiction: history, Science, Vision, oxford university press, new York 1977]. 13 g. hErtz e J. pAriKKA, zombie media: Circuit bending media archaeology into an art method, in «leonardo», 45:5, 2012, pp. 424 430. 14 g. frEzzA, effetto notte, Meltemi, roma 2006, pp. 186-191. 15 per un’analisi della sequenza, cfr. g. frEzzA, effetto notte, cit., pp. 52-53.

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16 W. bEnJAMin, di alcuni motivi in baudelaire, in id., angelus novus, Einaudi, torino 1962 [ed. or., Über einige motive bei baudelaire, in «zeitschrift für Sozialforschung», Vol. 8, nos. 1-2, 1939-40, pp. 50-91]. 17 g. DElEuzE, l’immagine-tempo. Cinema 2, Milano, ubulibri, 1989, p. 96 [ed. or., Cinéma 2. l’image-temps, Minuit, paris 1985]. 18 V. SobchAcK, Spazio e tempo nel cinema di fantascienza, bononia university press, bologna 2002 [ed. or., Screening Space: the american Science fiction film, rutgers university press, new brunswick 1987]. 19 S. bErnArDi, temi e stili in 2001: odissea nello spazio, in roy Menarini (a cura), Cinema e fantascienza, Archetipolibri, bologna 2012, p. 106. 20 ivi, p. 109. 21 r. EbErt, a Journey to the Center of the mind, in «roger Ebert’s Journal», December 28, 2011, http://www.rogerebert.com/rogers-journal/a-journey-to-the-center-of-the-mind [visitato il 31/05/2016]. 22 per il concetto di figura dell’immaginario si rinvia a g. frEzzA, figure dell’immaginario, Areablu, cava dei tirreni (SA) 2015, e S. brAncAto, fantasmi della modernità, ipermedium, Santa Maria capua Vetere (cE) 2014. Sull’utilizzo della figura aliena nei film, si rinvia in particolare a r. MEnArini, il cinema degli alieni, falsopiano, Alessandria 1999. 23 M. tirino, la globalizzazione, la guerra al sonno, il simulacro e il postumano: la società digitale e l’ecosistema narrativo de l’invasione degli ultracorpi di Jack finney, in Alfonso Amendola e Mario tirino (a cura di), romanzi e immaginari digitali. Saggi di mediologia della letteratura, i gechi, Salerno-Milano 2017. 24 cfr. t. ShonE, blockbuster: how hollywood learned to Stop Worrying and love the Summer, free press, new York 2004, pp. 123-125. 25 l. bAnDirAli e E. tErronE, nell’occhio, nel cielo, lindau, torino 2008, pp. 15-28. 26 g.M. SADlEK, robert zemeckis’s contact as a late-twentieth Century paradiso, in «Journal of religion and film», Vol. 5, no. 2, october 2001,

[visitato il 10/01/2017]. 27 f. lA pollA, la fantascienza, cit., p. 1520. 28 S. SpriEl e b. ViAn, un nuovo genere letterario: la fantascienza, in giuseppe petronio (a cura di), letteratura di massa, letteratura di consumo, laterza, bari 1979, pp. 109119 [ed. or., un nouveau genre litteraire: la science fiction, in «les temps Modernes», n° 72, octobre 1951, pp. 618-627]. 29 lettera di philip K. Dick del 14 maggio 1981, pubblicata in p.K. DicK, prefazione, in id., tutti i racconti. le presenze invisibili, Mondadori Milano 1994, pp. 13-14. 30 g. crEMonini, Viaggio attraverso l’impossibile. il fantastico nel cinema, cineforumEtS, bergamo-pisa 2003, p. 29. 31 b. MAlinoWSKi, magic, Science and religion and other essays, the free press, glencoe 1948. 32 ivi, p. 66. 33 V. SobchAcK, Spazio e tempo nel cinema di fantascienza, cit., p. 45.

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b. MAlinoWSKi, magic, Science and religion, cit., p. 69. g. cAnoVA, il cinema di robert zemeckis. per un’immagine ibrida e meticcia, in gianni canova (a cura di), robert zemeckis, Marsilio, Venezia 2008, p. 15. 36 ivi, p. 13. 37 ivi, p. 14. 38 ivi, p. 15. 39 ibidem. 40 g. DElEuzE, l’immagine-tempo, cit., p. 142. 41 g. frEzzA, dissolvenze. mutazioni del cinema, tunué, latina 2013, p. 29. 42 cit. in g. cAnoVA, il cinema di robert zemeckis,cit., p. 23. 34

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biblioGRafia i. ASiMoV, Social Science fiction, in r. bretnor (ed.), modern Science fiction. its meaning and its future, coward-Mccann, new York 1953. l. bAnDirAli - E. tErronE, nell’occhio, nel cielo, torino, lindau, 2008. W. bEnJAMin, di alcuni motivi in baudelaire, in id., angelus novus, Einaudi, torino 1962 [ed. or., Über einige motive bei baudelaire, in «zeitschrift für Sozialforschung», Vol. 8, nos. 1-2, 1939-40]. S. bErnArDi, temi e stili in 2001: odissea nello spazio, in roy Menarini (a cura), Cinema e fantascienza, Archetipolibri, bologna 2012. S. brAncAto, fantasmi della modernità, ipermedium, Santa Maria capua Vetere (cE) 2014. g. cAnoVA, il cinema di robert zemeckis. per un’immagine ibrida e meticcia, in gianni canova (a cura di), robert zemeckis, Marsilio, Venezia 2008. J. clutE - p. nichollS (eds.), the encyclopedia of Science fiction, orbit, london 1993. g. crEMonini, Viaggio attraverso l’impossibile. il fantastico nel cinema, cineforum-EtS, bergamo-pisa 2003. g. DElEuzE, l’immagine-tempo. Cinema 2, ubulibri, Milano 1989 [ed. or., Cinéma 2. l’image-temps, Minuit, paris 1985]. p.K. DicK, prefazione, in id., tutti i racconti. le presenze invisibili, Mondadori, Milano 1994. 86

r. EbErt, a Journey to the Center of the mind, in «roger Ebert’s Journal», December 28, 2011, [visitato il 31/05/2016]. u. Eco, apocalittici e integrati, bompiani, Milano 1964. g. frEzzA, effetto notte, Meltemi, roma 2006. g. frEzzA, dissolvenze. mutazioni del cinema, tunué, latina 2013. g. frEzzA, figure dell’immaginario, Areablu, cava dei tirreni (SA) 2015. c. hEnDErShot, paranoia, the bomb, and 1950s Science fiction films, bowling green State university popular press, bowling green 1999. g. hErtz - J. pAriKKA, zombie media: Circuit bending media archaeology into an art method, in «leonardo», 45:5, 2012. r. KAVEnEY, from alien to the matrix: reading Science fiction film, i.b. tauris, london-new York 2005. S. KErn, il tempo e lo spazio. la percezione del mondo tra otto e novecento, il Mulino, bologna 2007 [ed. or., the Culture of time and Space, 1880 – 1918, harvard university press, cambridge 1983]. f. lA pollA, la fantascienza, in gian piero brunetta (a cura di), Storia del cinema mondiale. Volume secondo. gli Stati uniti. tomo secondo, Einaudi, torino 2000. b. MAlinoWSKi, magic, Science and religion and other essays, the free press, glencoe 1948. J.c. McDonnEll, the politics of big fantasy. the ideology of Star Wars, the Matrix and the Avengers, Mcfarland, Jefferson 2014. r. MEnArini, Cinema e fantascienza, Archetipolibri, bologna 2012. M. MilnEr, la fantasmagoria. Saggio sull’ottica fantastica, il Mulino, bologna 1989 [ed. or., la fantasmagorie. essai sur l’optique fantastique, puf, paris 1983]. p. pArrinDEr (ed.), learning from other Worlds: estrangement, Cognition, and the politics of Science fiction and utopia, liverpool university press, liverpool 2000. g. ricKMAn (ed.), the Science fiction film reader, limelight, new York 2004. g.M. SADlEK, robert zemeckis’s contact as a late-twentieth Century paradiso, in «Journal of religion and film», Vol. 5, no. 2, october 2001, 87

[visitato il 10/01/2017]. S.M. SAnDErS, picturing paranoia: interpreting invasion of the body Snatchers, in Steven M. Sanders (ed.), the philosophy of Science fiction film, university press of Kentucky, lexington 2008. r. ScholES - E. rAbKin, fantascienza. Storia, scienza, visione, pratiche, parma 1979 [ed. or., Science fiction: history, Science, Vision, oxford university press, new York 1977]. t. ShonE, blockbuster: how hollywood learned to Stop Worrying and love the Summer, free press, new York 2004. V. SobchAcK, Spazio e tempo nel cinema di fantascienza, bononia university press, bologna 2002 [ed. or., Screening Space: the american Science fiction film, new brunswick, rutgers university press, 1987]. S. SontAg, Contro l’interpretazione, Milano, Mondadori, 1997 [ed. or., against interpretation and other essays, farrar, Straus & giroux, new York 1966]. S. SpriEl - b. ViAn, un nuovo genere letterario: la fantascienza, in giuseppe petronio (a cura di), letteratura di massa, letteratura di consumo, laterza, bari 1979 [ed. or., un nouveau genre litteraire: la science fiction, in «les temps Modernes», n° 72, octobre 1951]. J.p. tElottE, replications: a robotic history of the science fiction film, university of illinois press, urbana 1995. M. tirino, la globalizzazione, la guerra al sonno, il simulacro e il postumano: la società digitale e l’ecosistema narrativo de l’invasione degli ultracorpi di Jack finney, in Alfonso Amendola e Mario tirino (a cura di), romanzi e immaginari digitali. Saggi di mediologia della letteratura, i gechi, Salerno-Milano 2017.

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RobeRto GueRRa

the Man-Machine

«... multivac non viene mai descritto dettagliatamente. di sicuro si sa solo che è enorme (chilometri e chilometri di circuiti e valvole, a volte è grande quanto tutta la terra), e per farlo funzionare, ci vogliono diversi operatori che lo assistano, se non addirittura, poche persone selezionate fra miliardi e miliardi, proprio per quello speciale lavoro. a multivac però mancano corpo e arti, e quindi è capace di interagire con gli esseri umani solo con altoparlanti, fogli stampati, carte forate, contatti telepatici o anche attraverso suoi robot di servizio. Si trova sottoterra in laboratori di ricerca governativi (di solito di Washington) molto avanzati, altrimenti è distribuito superficialmente su tutta la crosta terrestre. possiede una mente simile a quella dei robot positronici tipici di asimov, e come essi, i racconti in cui compare spesso si basano su problemi logico/deduttivi, che il personale al suo servizio deve cercare di risolvere, se vuole farlo funzionare a dovere. a volte non presenta alcuna personalità, una macchina fredda al servizio dei suoi creatori, altre invece è molto emotivo, ed esprime gli stessi desideri che potrebbe avere un qualsiasi essere umano (amore, depressione, offesa). proprio per questo, a lui ci si riferisce semplicemente come “multivac”, e non come “il multivac”, per sottolineare proprio il fatto che ormai è un essere vivente a tutti gli effetti, dotato addirittura di una coscienza propria...» (da Wikipedia) matrix (e cult movie o bestseller simili) non è solo fantascienza, ma la fantascienza che diventa scienza e il virtuale che diventa reale. Al di là dell’immaginario specifico, la percezione generale segnala scenari apocalittici, 89

l’uomo dominato dalla Macchina, o meglio ia (intelligenze Artificiali) coscienti destinata/e, quasi darwiniamente, a schiavizzare gli umani nel futuro più o meno prossimo. nonostante, anche in matrix, tecno-anarchici rivoluzionari e per nulla luddisti siano sempre in primo piano e protagonisti. chi parla di Matrix o anche semplicemente il Web o internet, in tal senso distopico previsionale... lo stesso padre dell’Ai, Marvin Minsky, scomparso recentemente, fin dal secolo scorso, stagione pionieristica delle attuali Computer Science, fu esplicito (mera provocazione, s’intenda): «se saremo fortunati... ci terranno (le entità future artificiali, ndr) come animali domestici». in ogni caso, lo stesso celeberrimo isaac Asimov con i suoi robot positronici e le tre leggi della robotica indica tutt’oggi orizzonti saggiamente tecnofili. in realtà il processo dell’evoluzione tecnologica è ben oltre l’orizzonte degli eventi, la storia e il divenire della tecnologia sono già avviate verso un certo Mondo nuovo. futurologi come raymond Kurzweil prevedono la cosiddetta Singolarità tecnologica (ovvero la svolta cosciente e intelligente di computer e di internet stessa) entro metà secolo circa, altri come nick bostrom, tra il serio e il faceto, persino scoprono “Matrix” non come proiezione dell’avvenire, ma come vero mondo reale: fin dalle cosiddette origini la vita è un gigantesco superprogramma elettronico e Dio il programmatore universale... o qualcosa del genere. Anche nell’italia dell’umanesimo perdurante di un croce contrario alla scienza, nirvana di Salvatores testimonia tale sconcertante riscrittura della storia degli umani. in realtà come sempre hanno ragione i cosiddetti tecnofili e progressisti, altrimenti non saremmo nel 2016 a disquisire di cose del genere. naturalmente certe x esistono sul serio (le solite zavorre socioeconomiche e politiche), ma Web o Matrix o Mondi nuovi vanno letti come simboli del divenire dell’uomo scientifico o tecnologicus, prima e dopo la scienza, per dirla con brian Eno. Mondi nuovi, Matrix o Webmind di un r. J. Sawyer esprimono, gira e rigira, semplicemente la società aperta scientifica, su basi conoscitive razionali e anche tecno-immaginarie, prevista da un popper e molti umanisti scienziati o scrittori, attraverso la fantascienza o la letteratura (arte utopica o d’anticipazione). 90

Ecco quindi un breve multitasking, tra scienza, futuro e letteratura, banale persino menu tra menu, dove, come poi con hal 9000 di Kubrick, captare non la fine dell’umanità, ma la sua formidabile evoluzione rivoluzionaria grazie alla Scienza. Quando, rigira e gira, in principio, chiudendo in certo senso il cerchio e tornando a Asimov: Matrice o netsfera o ciberspazio, c’era già una volta... Multivac! Curt siodmak, il Cervello di Donovan1 oggi, anni Duemila, dopo gli sviluppi costanti, straordinari e anche se si vuole inquietanti delle neuroscienze, delle computer Science, dell’Ai (intelligenza Artificiale), il Cervello di donovan (garzanti) del singolare scrittore curt Siodmak, romanzo di fantascienza thriller o noir vintage… del 1942, potrebbe sembrare persino normale e plausibile. Alla luce, in particolare, del cosiddetto mind uploading o della crionica parziale (il solo cervello o testa dell’ibernato), secondo almeno le prospettive futurologiche o transumaniste più radicali. nel 1942 (il libro apparve soltanto nel 1972 per i gialli garzanti) furono pagine certamente perturbanti e semiinedite, potenziate dal personaggio stesso dello scrittore, poi anche regista e sceneggiatore statunitense, ma di origine tedesca. Siodmak figura anche come operaio attore, uno del cast infinito e clamoroso dell’epoca, per il grandissimo metropolis di un certo fritz lang. E il romanzo, se attinge certamente anche a classici di certo fanta-gotico ante litteram, dal frankenstein di Mary Shelley al dottor Jekyll and mr. hyde di Stevenson, evoca eccome il capolavoro espressionista del più celebre regista tedesco. Muore un noto miliardario in un incidente aereo: per un caso, il protagonista scienziato, dislocato in un’area remota come medico, è chiamato ai primi vani soccorsi… il paziente muore, per una serie di coincidenze, il giovane e ambizioso scienziato, che vuole giocare a essere Dio, riesce a conservare in una specie di contenitore di fortuna il cervello ancora vivente del miliardario (messo in coltura) e a celarlo a tutti, ma non a un fidato collega a cui poi svela l’esperimento inaudito chiedendogli di collaborare. il 91

medico amico dapprima non ne vuole sapere, prigioniero o impaurito da dubbi che oggi chiameremmo bioetici: alla fine, nel bene e nel male, sarà altrettanto protagonista. l’esperimento, grazie ad altre geniali intuizioni dello scienziato “pazzo” o “rivoluzionario” a seconda dei punti di vista, è la cronaca stessa e la trama del romanzo che si sviluppa in modulazioni sorprendenti e sempre più complesse e affascinanti o drammatiche. Ad un certo punto, nasce un contatto con la mente-cervello sopravvissuta del miliardario Donovan, che via via condiziona sempre più per via “telepatica” o “psicotronica” lo scienziato: ben presto, mentre il cervello stesso si sviluppa in modi abnormi e eccezionali ulteriormente, rivelando capacità nuove e mutanti quasi, quest’ultimo perde il controllo se non quando Donovan, il cervello, dorme, sdoppiando la propria personalità ed eseguendo come un automa tutti gli ordini, spesso apparentemente bizzarri ed incredibili, di Donovan stesso, quasi deciso a espiare con donazioni postume molti soggetti nella sua vita danneggiati e ingannati sempre per soldi, inganni alla base anche della sua carriera come miliardario. il romanzo segue poi quel che poi è diventato un copione di certa letteratura superomista e scientistica: lo scienziato, ad esempio, riesce a sfuggire alla maledizione e al condizionamento sistematico del cervello, evitando di uccidere la propria compagna e mecenate, spesso trascurata in nome della scienza, solo grazie o quasi al sacrificio del più anziano e stimato collega di cui prima, che scopre come uccidere il cervello e neutralizzarlo per sempre. tutta la dinamica segue scansioni tipicamente noir o giallistiche o persino horror, visto il tipo di esperimento. Al di là comunque della trama, oggi ovviamente banale, e delle considerazioni bioetiche, il cosiddetto mind uploading dei transumanisti è in certo senso anticipato nel romanzo neuro-avveniristico del 1942 in questione. ovvero la possibilità ancora oggi fantascientifica, ma possibile tra qualche decennio o nel prossimo secolo, di raggiungere, se non l’immortalità, certamente una seconda vita completamente artificiale, trasferendo, se non persino la sola testa con il cervello e con la cosiddetta crionica (in questo caso, poi, si suppone una tecnologia capace anche di riclonare il corpo ex novo…), semmai il cervello (e quindi anche la mente e la coscienza e la memoria personale della precedente vita) in una specie appunto di dow92

nload in un supporto digitale avanzatissimo: diventando, in questo caso, l’ex homo sapiens una specie di microcomputer quantico o qualcosa del genere. Sul piano letterario, il romanzo stesso, alla luce del progresso scientifico, appare oggi, concludendo, probabilmente più bello, apprezzabile e interessante, proprio per il suo linguaggio, per forza attualmente vintage e “paleoscientifico”, colmo di intuizioni sorprendenti. Robert J. sawyer, Psico-attentato2 fantascienza o storia dal futuro, per qualche breccia temporale insinuatasi nel nostro specifico “multiverso” lineare? A volte gli scrittori di science fiction, ad esempio i celeberrimi orwell e Asimov, al di là della pura bellezza letteraria e avveniristica, lasciano certamente, a libro appena chiuso, questa curiosa sensazione. poi come con i sogni la mattina, pochi minuti dopo il futur vu… naturalmente svanisce nell’oblio quotidiano. in ogni caso, psico-attentato di robert Sawyer, forse il più grande scrittore futuribile, non solo di fantascienza, contemporaneo, per gli scenari molto realistici, un clamoroso attentato alla casa bianca, menu sulla scia di certa science fiction sociologica e tecnologica (apparentemente quella meno visionaria e di grande profondità psicosociale), dilata la percezione di cui sopra, fantascienza di fantascienza al quadrato. finito il libro, inevitabili riflessioni sembrano un sequel del libro stesso con il lettore magari protagonista aggiunto. inoltre, quel che si sviluppa superficialmente come un techno noir via via come un bolero simultaneamente lineare e alla rovescia, ricombina all’improvviso certa stessa costante dello scrittore, celebre per la saga di Webmind, storia fantastica dell’emersione dalla rete, di internet, appunto, di una mente collettiva onnisciente, ovvero la cosiddetta Singolarità tecnologica, prevista da diversi futurologi e scienziati cibernetici, in particolare recentemente da raymond Kurzweil, collaboratore anche della nasa e di google. E la Singolarità tecnologica in questo libro di Sawyer è forse centrale e strutturale come non mai. Via via sia l’attentato al presidente usa, sia sempre più i protagonisti coinvolti nella vicenda, dinamica essa stessa metafora degli effetti probabili collettivi e sinergici esponenziali dello stesso fenomeno 93

previsto praticamente darwiniano - la Singolarità… - esitano come una sorta di grande Musica elettronica, un concerto digitale per via letteraria. un canto alla tecnologia come biofilia, amore della scienza e del futuro, con una futura umanità letteralmente tutta interconnessa. non soltanto per mera via cerebrale, ma empatica, se non psicotronica e tele-patica (con la lineetta). Molto importante, in tale danza quasi di neuroni specchio nudi e senza sovrastrutture culturali, quasi come filmare un nuovo DnA nascente, il Sè s-oggettivo resta differenziato, proprio come un concertista in sintonia con l’orchestra. Ma chi è il Direttore d’orchestra, Dio, l’universo, la noosfera di un t. de chardin, la Matrix dei Wachowski in formule meno perturbanti e anzi neoumanistiche sebbene radicali? Ad ogni modo la prospettiva di Sawyer appare prossima all’ottimismo techno degli stessi Kurzweil e larry page (e magari il poeta “maledetto” del Web, il compianto già leggendario Steve Jobs). infine, se – ulteriore amplificazione – l’opera di Sawyer in generale, la saga accennata di Webmind e quest’ultimo psico-attentato… rimanda anche alle teorie estreme del nostro stesso mondo oggi computer, forse già un prodotto proprio della misteriosa Matrice, una considerazione: la singolarità tecnologica, l’evoluzione dell’umanità verso una supercoscienza creata per legge darwiniana memetica con il divenire della tecnologia e con internet anno zero… è ovviamente assai contestata. Va da sé, la specie umana è giovane, 200.000 anni circa. fino a pochi secoli fa, il mondo finiva dalle parti delle colonne d’Ercole. Solo 50 anni fa circa (1969) l’uomo ha conquistato la luna. i computer esistono da pochissimi decenni. Se non la storia concludendo, è il semplice buon senso terrestre che indica certamente la probabilità altissima, nei prossimi secoli, almeno della rivoluzione della Singolarità tecnologica. o è già successo persino? lawrence M. Krauss, La Fisica di Star trek3 già bestseller nella primissima edizione di qualche anno fa, la versione ultima de la fisica di Star trek di l. M. Krauss (bompiani, riedito per i libri Corriere della Sera, collana la Scienza come un romanzo), tratta dal grande scrittore fantascientifico gene roddenbenry, rimodulata e aggiornata par94

zialmente dall’autore, un fisico, proprio come la migliore fantascienza letteraria e nello specifico televisivo-cinematografica, sembra, relativamente parlando, sempre più realismo scientifico… : nel frattempo, alcune delle grandi fantasie avveniristiche narrate nella celeberrima saga di Kirk, Data, picard eccetera, sono già infanzia scientifica, pur a livelli “embrionali”. in esperimenti d’avanguardia, qualche fotone ha già davvero viaggiato nel tempo e nello spazio, i menu da sorgente quasi immateriale degli equipaggi sono quasi annunciati dalle stampanti 3D, certe estensioni della Vr simulano micro-ologrammi ad personam, terre gemelle potenziali ricordano i pianeti di alieni intelligenti scoperti dalla federazione, gli sviluppi dell’ai e le teorie della singolarità quasi anticipano lo stesso Data, i borg, i computer quantici i supercomputer dell’enterprise, teorie e indizi dei multiversi e della materia e dell’energia oscura, dei buchi neri stessi non solo pozzi senza fondo, le leggi non newtoniane e universali del cosmo ma imprevedibili e inimmaginabili “esplorate” nella serie televisiva. E così via, quasi – a ben captare – un imbarazzo nella scelta, dai sottomenu quasi infiniti di Star trek. la prefazione stessa scritta dal genio di Stephen hawking, per la profondità e l’ardimento persino futuribile remoto, non solo prossimo o presente, “suona” quasi come “anteprima musicale” del già leggendario volo spaziale del fisico spaziale, finalmente libero, in assenza di gravità, dalla sua tragica condizione umana. come nella prima edizione, il libro è tutto un bolero, tra la meraviglia narrante e l’improbabile e impossibile che rischia storicamente di diventare quantomeno possibile, coincidenze sincroniche anche, delucidazioni tra fantasie tecnicamente plausibili e inevitabili licenze letterarie, naturalmente anche con il senno di poi, sogni destinati a restare almeno nella fase rem per altri secoli o millenni o per sempre. Ad esempio, è il caso di uno dei presupposti d’evoluzione tecnologica necessaria per una futurologia quotidiana capace di esplorare davvero in carne e ossa la nostra galassia. i famosi motori a curvatura, astronavi capaci di viaggiare alla velocità della luce, o quasi o oltre… la ricerca scientifica attuale non evidenzia scoperte del genere, se non dalle parti del prossimo millennio, stima peraltro ci scommettiamo, fortemente prudenziale, anche per i trekkisti e probabilmente per l’autore e anche molti scienziati. 95

inoltre, come ben discusso e presentato dall’autore nei capitoli comparativi tra la science fiction di Star trek e la reale attuale conoscenza scientifica per l’astronautica, i viaggi spaziali, per forza di cose la fisica ecc., gli alieni della federazione esistono sicuramente in ben 400 galassie come la Via lattea, ma magari si sono estinti da milioni da anni o ci saranno tra centinaia di migliaia... la questione del contatto dipende da un miracolo statistico equivalente al mistero del big bang e la infinitesimale presenza di qualche proto-particella decisiva per fare l’universo come è: l’improbabile coincidenza o quasi proprio cronologico-storica nella storia della Via lattea di civiltà intelligenti. Miracolo del big bang e dell’inflazione cosmica che pure, questo lo sappiamo tutti ovviamente, si è verificato! più facili invece, prima o poi, contatti a distanza astronomica letteralmente, via qualche frequenza radio o matematica..., sorta di wireless stesso cosmico. per le esplorazioni oltre il sistema solare, se hubble e telescopi incredibili già hanno viaggiato nei primissimi attimi del big bang, probabilmente saranno robot e computers intelligenti i nostri eredi futuri nel firmamento, più adatti e meno limitati dalle leggi biologiche di noi umani. in ogni caso con la fisica di Star trek, vera e propria scienza della fantascienza, riassumendo (come dal titolo di un bellissimo saggio di oltre 20 anni fa di renato giovannoli, area umberto Eco) è nato un nuovo genere di divulgazione scientifica: come illustra l’autore si segnalano successivamente molti libri modulati in tale apparente ossimoro, e un grande potenziamento per l’educazione scientifica, con la scienza che diventa immaginazione e viceversa, superando certe storiche resistenze, il complesso di frankenstein che allontana ancora troppi umani dal piacere e dalla rivoluzione mentale e conoscitiva della scienza. Vitaliano teti, Digital Video Future4 Vitaliano teti è un artista contemporaneo nel settore della video-arte e della video-danza, curatore di eventi di arte digitale, e docente accademico nelle scienze della comunicazione. Dal 2007 ha fondato l’Associazione culturale ferrara Video&arte e cura come art director the Scientist, il 96

video-festival internazionale di ferrara in collaborazione con unife e il comune di ferrara, con il patrocinio della regione Emilia-romagna, erede dello storico Centro videoarte di ferrara. nelle edizioni del festival ha realizzato in co-curatela una retrospettiva sul centro videoarte di ferrara (e con il critico M. M. gazzano), presentando video di maestri quali bill Viola, nam June paik, Marina Abramovic, fabrizio plessi, giorgio cattani, Maurizio camerani, i Wasulka. ha selezionato opere in video di diverse accademie e istituzioni nazionali e internazionali come il Coreografo elettronico di napoli, il festival loop di barcellona, le Accademie di belle arti di ginevra, di Weimar, di colonia, di bologna, roma e “brera” di Milano. ha mostrato a ferrara le video-opere dei principali videoartisti italiani contemporanei, tra cui Alessandro Amaducci, Masbedo, laurina paperina, Marinella Senatore, Alterazioni Video, federica falancia, zimmer frei, Massimo Arduini, il collaboratore stesso filippo landini; ha invitato critici d’arte elettronica di fama internazionale come Mariana hormaechea, Wilfred Agricola de cologne, chiara canali, Marco Maria gazzano. Alcune sue curatele da the Scientist sono state presentate anche a livello nazionale e internazionale, ad esempio a Siviglia e barcellona (Spagna), los Angeles e new York. ha curato live media ed eventi di arte contemporanea con la r.t.a col comune di ferrara, presso la porta degli Angeli gallery. come videomaker ha anche prodotto diversi altri videoartisti scelti tra i più talentuosi studenti dell’università di ferrara. ha inoltre partecipato, con una curatela di video-danza, a eventi internazionali sul transumanesimo, quali transvision 2010 a cura del futurologo informatico giulio prisco. nel 2011/12 ha prodotto e montato il documentario di Alessandro raimondi un murales una storia, vincitore della selezione per la produzione di documentario della regione Emiliaromagna. nel 2013 (con c. breda) ha presentato alla casa del cinema di roma il cortometraggio elegia del po di michelangelo antonioni, omaggio per il centenario della nascita del regista; a ferrara la rassegna “corto Divino”, dedicata ai giovani videomaker made in unife e per la mostra collettiva ‘“trames tramites” l’opera video a doppio canale di giovanni tutti Quello che vorrei. nel 2015 è stato protagonista nella importante collettiva video-digitale di roma “ri_bâtiment in moving 3”. 97

ha già pubblicato alchimie digitali, con Marco teti (città del Sole, 2012), uno dei testi più importanti per l’arte video italiana contemporanea ed è stato segnalato/intervista in futurismo per la nuova umanità (di r. guerra, Armando Editore). nel 2016 ha presentato per futur.11+/ a cura di A. gaeta e A. Saccoccio a palermo, il videoset digital Video future. David bowie, L’Uomo che cadde sulla terra5 una premessa è necessaria. nulla di complottistico, come accade per le rock star, da Elvis presley a John lennon e Michael Jackson. Solo considerazioni, quasi omaggio, a uno dei più grandi artisti contemporanei, inventore del rock futurista spaziale, sogno di un fan di rivederlo cadere sulla terra, riprendere la sua fantastica opera d’arte. opera d’arte ancora vivente, in ogni caso. Alcune x che emergono in queste ore (gennaio 2016, ndr.) sul suo addio al mondo, forse celano semplicemente per certe coincidenze un mistero molto semplice e terrestre, umano troppo umano. oppure forse davvero esiste un segreto clamoroso, ma neppure fantascienza in certo senso, possibilità e potenzialità concrete suffragate dal mondo stesso della ricerca scientifica d’avanguardia e certe sue applicazioni recenti. un saluto alla vita programmato. David bowie è scomparso, tornato poeticamente su Marte, il giorno dopo praticamente il suo 69° compleanno e l’uscita ufficiale del suo ultimo disco, blackstar, l’8 gennaio 2016 scorso. uscita in questa precisa data programmata già da diversi mesi, ancora nell’autunno 2015, quando bowie lanciò il video trailer per blackstar, un video o corto di ben 10 minuti dal titolo omonimo. in queste ore il regista che ha curato gli ultimi video di David bowie, tra le righe, ha lasciato intendere qualcosa di pianificato in tali coincidenze. una scelta intenzionale dell’artista, dopo le ultime diagnosi sulla malattia che l’ha ucciso: ovvero, in previsione di mesi futuri destinati a spegnerlo ma altamente dolorosi e insopportabili umanamente, la scelta deliberata, eutanasia volontaria, di sconfiggere almeno per un giorno («we can be heroes just for one day», cantava nel suo hit capolavoro heroes) la morte, beffandola e suicidandosi per via medica anzitempo. 98

pare che sia morto inoltre a new York e non a londra, la famiglia ha chiesto una privacy speciale per il funerale dalle notizie imprecise, pare già cremato in gran segreto e senza familiari e amici..., un fotografo ha postato l’ultima immagine ufficiale di bowie, provato certamente, ma in piedi, in perfetto look, tipo l’uomo che cadde sulla terra, persino straordinariamente sorridente, sempre l’8 gennaio, giorno del suo compleanno e dell’uscita dell’ultimo disco, blackstar. Album e video intrisi di messaggi da brividi sulla sua malattia e a ben vedere, forse qualcosa d’altro. il segreto di lazarus. l’ultimissimo video in assoluto di David bowie è lazarus; fin dal titolo e il significato iconico e storico, al di là della coreografia sconcertante e commovente, David bowie semi-cieco su un letto di ospedale, fa azzardare infine una ipotesi clamorosa, ma non impossibile. lateralmente sorprendono anche i tweet del Vaticano e le dichiarazioni di frati francescani che hanno salutato David bowie con grande bellezza. forse non solo per l’omaggio a lazarus e la resurrezione. in ambito scientifico, una delle scienze di punta emergenti è la cosiddetta crionica e/o ibernazione umana, con la promessa futura di una resurrezione concreta, quando la tecnologia potrebbe permetterlo. tali scienze sono collegate notoriamente al cosiddetto transumanesimo, movimento internazionale futuristico che vanta tra i suoi aderenti grandi nomi della cultura scientifica e medica contemporanea. Movimento probabilmente conosciuto da David bowie, noto amante del futurismo. Max More ad esempio, fondatore dell’extropy institute, non a caso ha fondato una struttura clinica crionica negli Stati uniti, operativa da diversi anni. Anche in russia qualcosa di analogo. David bowie si è ibernato? forse nel 2101 (un secolo dopo 2001 odissea nello Spazio di kubrick, celebrato da David con Space oddity- e David il nome dell’astronauta, e nel film in primo piano le scene crioniche per il lungo viaggio verso giove, per non parlare del suo straordinario film icona come attore protagonista, mr. newton ) il Duca bianco cadrà nuovamente sulla terra!

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note cfr. 2 cfr. 3 cfr. 4 cfr. 5 cfr. 1

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Ci ha salvato un vero miracolo sotto forma di un fottuto programma digitale, siamo stati salvati!

bReVi note bioGRafiChe

Rossella Catanese è dottore di ricerca in tecnologie digitali e metodologie per la ricerca sullo spettacolo, nonché tutor del master in restauro digitale audio-Video presso la Sapienza - università di roma. insegna italian Cinema and Society presso la sede fiorentina della university of north carolina, all’istituto lorenzo de’ Medici. ha pubblicato per bulzoni la monografia lacune binarie. il restauro dei film e le tecnologie digitali, oltre a vari saggi su riviste accademiche nazionali e internazionali, e ha partecipato a numerose conferenze internazionali. i suoi temi di ricerca sono il restauro cinematografico, gli archivi di film, il cinema d’avanguardia, cinema e intermedialità, cinema e storia d’italia, archeologia dei media. Sta lavorando a una curatela internazionale edita da Amsterdam university press sul cinema futurista italiano. RobeRto GueRRa è artista multimediale, scrittore e blogger. ha firmato raccolte poetiche, tra le quali, opere futuriste complete, 1983-2000 (nomade psichico, Mantova 2000), fiori della scienza xxx (la carmelina ebook, ferrara 2015). Del 2010 è il romanzo di fantascienza moana lisa cyberpunk (EDS, roma). ha pubblicato i seguenti saggi: il futuro del villaggio. ferrara città d’arte del 2000 (liberty house, ferrara 1991); marinetti e il duemila e l’immaginario futurista (Schifanoia, ferrara 2000); futurismo per la nuova umanità. dopo marinetti (Armando, roma 2012); gramsci 2017 (Armando, roma 2014); marinetti 70. Sintesi della critica futurista (co-curatore con A. Saccoccio, Armando, roma 2015). antonio saCCoCCio è musicista, oltre-artista, saggista, dottore di ricerca in italianistica presso l’università “tor Vergata” di roma. in qualità di studioso, teorico ed esperto di arte, letteratura e musica d’avanguardia, è intervenuto in conferenze, seminari e convegni nazionali e internazionali, presso università e centri di cultura. Diversi suoi articoli, testi creativi, manifesti, interviste, saggi critici su numerosi scrittori, artisti, musicisti e pensatori del novecento compaiono in volumi pubblicati da editori nazionali e internazionali (rodopi, lothringer, Armando, Vecchiarelli, Sinestesie, Avanguardia 21, De gruyter, franco cesati, Massari, la carmelina, lantana etc.).

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È autore del modulo la musica per film per il Master di i livello “cinema e Audiovisivo nella Didattica Scolastica”, realizzato dall’università “tor Vergata” di roma. nel 2005 ha fondato il net.futurismo, per cui ha curato un’edizione dei manifesti (manifesti net.futuristi, Avanguardia 21, 2011). ha recentemente curato i volumi marinetti 70. Sintesi della critica futurista (Armando, 2014) e debord e il situazionismo revisited (Massari, 2015).

MaRCo teti ricopre attualmente il ruolo di ricercatore (tD) presso l’università degli Studi e-campus (S.S.D. l-Art/06 cinema, fotografia, televisione). ha pubblicato, tra le altre, la monografia generazione goldrake. l’animazione giapponese e le culture giovanili degli anni ottanta (Milano-udine, Mimesis, 2011) e ha curato il volume alchimie digitali. linguaggi, estetiche e pratiche video-artistiche al tempo dell’immagine numerica (reggio calabria, città del Sole Edizioni, 2012). ha partecipato a convegni nazionali e internazionali. Suoi saggi sono apparsi in volumi collettanei e in riviste scientifiche tra le quali “cinergie – il cinema e le altre arti”, “g|A|M|E – the italian Journal of game Studies”, “imago – Studi di cinema e media”, “ocula - occhio semiotico sui media” e “Segnocinema”.

MaRio tiRino è dottore di ricerca in Scienze della comunicazione ed è docente di tecniche e linguaggi dei Media presso la Scuola di giornalismo dell’università di Salerno. collabora alle attività di ricerca delle cattedre di Sociologia dei processi culturali e di Mediologie del sistema editoriale dell’università di Salerno. Si occupa di sociologia delle culture audiovisive e mediologia della letteratura e del fumetto. tra le sue ultime pubblicazioni i saggi il filtro di dante. l’impronta di gustave doré dal cinema muto al digitale (con A. Amendola) (2016); Senza pensieri. gomorra - la serie: dal contesto produttivo alle audience della rete, fenomenologia di un processo culturale transmediale (con A. napoli) (2016); Junkie’s movies. il cinema infetto di William S. burroughs (2016); tecnoimmaginari postumani (2016); once upon a time the Self: cinema and online identity playground tales (con g. frezza, D. Salzano e A. napoli) (2015); l’ur-script. the Walking Dead dal fumetto alla serie tv (2015); Cinefilia 2.0: Web media e processi relazionali nella costruzione delle identità spettatoriali (2015). ha curato, con Alfonso Amendola, i volumi Saccheggiate il louvre. William S. burroughs tra eversione politica e insurrezione espressiva (ombre corte, 2016) e romanzi e immaginari digitali. Saggi di mediologia della letteratura (i gechi, 2017).

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finito di stampare nel mese di luglio 2017 da logo S.r.l. - borgoricco (pD)