Pier Paolo Pasolini. Il cinema come periscopio ansiolitico e come progetto, e l'universale desiderio 9788899315290

Vincenzo Camerino ha insegnato “Storia e critica del cinema” e “Semiologia del cinema” presso l’Università del Salento.

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Italian Pages 39 [38] Year 2015

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Pier Paolo Pasolini. Il cinema come periscopio ansiolitico e come progetto, e l'universale desiderio
Pier Paolo Pasolini.
Il cinema come periscopio
ansiolitico e come progetto,
e luniversale desiderio
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Pier Paolo Pasolini. Il cinema come periscopio ansiolitico e come progetto, e l'universale desiderio
 9788899315290

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Vincenzo Camerino Pier Paolo Pasolini. Il cinema come periscopio ansiolitico e come progetto, e l'universale desiderio Progetto grafico: Bookground Musicaos Editore Via Arciprete Roberto Napoli, 82 Neviano (Le) – Tel. 0836 - 618232 © Musicaos Editore, 2015 Tutti i diritti riservati Nessuna parte di questa opera può essere riprodotta senza il consenso dell’Editore. [email protected] www.musicaos.it I edizione nel volume “Le vele incantate del cinema e lelogio della malinconia”: Febbraio 2015 ISBN 978-88-99315-009 I edizione ebook: Novembre 2015 ISBN 978-88-99315-290

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VINCENZO CAMERINO

PIER PAOLO PASOLINI.

IL CINEMA COME PERISCOPIO

ANSIOLITICO E COME PROGETTO, E LUNIVERSALE DESIDERIO

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Il cinema come periscopio ansiolitico e come progetto, e l’universale desiderio.

Ho voluto la mia solitudine. Per un processo mostruoso Che forse potrebbe rivelare Solo un sogno fatto dentro un sogno. E, intanto, sono solo. Perduto nel passato. (Perché l’uomo ha un periodo solo, nella sua vita). Pier Paolo Pasolini Nella giornata dedicata a “Il mito di Medea e il cinema di Pier Paolo Pasolini” chi scrive avrebbe voluto redigere alcuni segmenti dello svolgimento cinematografico del nostro poeta civile (di sinistra) per eccellenza, ma il pudore e il senso di travaglio nel non rivelarne la complessità poetica e il magma “corsaro” della produzione filmica, hanno impedito al momento di indugiare. Si relazionerà con puntualità (perlomeno si crede) sul suo ingresso nella “città del cinema” e nella capitale del Capitale. Nel prosieguo si tenterà di testare-esaminare il lavorio creativo del “poeta in missione” e dell’intellettuale “giacobino-politico”. In quanto egli “è stato politico da intellettuale. Ma non è stato politico intellettuale, né un intellettuale politico. Ha cercato di comprendere gli oppressori, oltre che gli oppressi; ha cercato di capire 1

l’amore ‘deviato’ nell’odio; ha cercato di ‘spiegare’ al diverso l’atroce eguaglianza della sua diversità, perché imparasse a ribellarsi con la diversità della sua ‘eguaglianza’ ” (Gianni Scalia). Ora, sulla scia del suo inclusivo pensiero, un breve “scatto” indagativo sul cinema, come omaggio o privato sollievo. Non è tuttavia uno “slancio” originale, perché recentemente trattato, pur se emendato, limato, rinverdito. Eppure altamente intriso di realtà, di “mania della verità”. Il cinema. Il potere delle immagini. L’universo filmico. Non esiste più alcuna persona che possa permettersi discorsi fuorvianti in merito alla galassia audiovisiva. Sono trascorsi quasi centovent’anni anni dalla nascita del rosseggiante “giocattolo”; convertito, dapprima, in oggetto di divertimento e di “manovra” per il consenso. Nel coevo modus vivendi, pur conservando, in parte, le stigmate della indotta persuasione può funzionare da guida per l’ottenimento dello spirito critico e della “purezza” conoscitiva. Eliminati i supporti del mero mito e della esclusiva fascinazione che imbalsamano la grazia nutritiva dei nuclei concettuali, esso, ossia il film di entità estetica, è divenuto lo scardinatore (soave e “mediato”) delle pubbliche insane opinioni e il vitale protagonista dei personali fermenti e delle ricercate riflessioni. Chiaramente l’impalcatura (dato l’intrinseco e necessario meccanismo economico) lascia i suoi segni per ricavare profitto, però, in virtù del gioco delle contraddizioni, si dischiudono spiragli di iconoclastie valoriali. Di testualità che mobilitino le “sonorità” psicologiche per innovare il perturbato paesaggio, stagnante e arredato di gretto conformismo. In questa oasi-boomerang, lo spri2

gionamento di centri di libertà e di benestanti conflittualità. Vero è che “il bombardamento di immagini e parole coagula ed incanala le risposte, gli atteggiamenti, le mode, i consumi del pubblico, avviando processi di auto-rispecchiamento collettivo nei quali trovano spazio non solo la mimesis del divo, ma anche l’accentuazione di una morale collettiva ‘proposta’ dall’alto, tutte e due interne alla funzione sociale affermata e conquistata dai mezzi di comunicazione di massa e spettacolo” (Giacomo Martini), pur vero, anche, che il martellamento dei segnali iconici, con un dispotismo che non conosce numeri e cifre, non può continuare all’infinito. La raffica a raggièra delle immagini che si succedono sul piccolo schermo ha annientato l’immaginazione, ha tramutato la fulgida spettacolazione (il sogno) in una linea poggiante sul terreno dell’asettica informazione. La totalità del conscio e dell’inconscio visitate dalla fabbrica del Dominio. Nulla più sfugge alla “crociera” del Capitale. Anche i minimi approcci, accenni, speranze, estasi. La dimensione dei rapporti sociali come la dinamica delle relazioni percezionali. A tal proposito è urgente infrangere e fare deragliare la dannosa introiezione del complessivo “messaggio” che ammalia le menti, ben sapendo che l’offerta dei “documenti” cinematografici si materializza in cultura del potere, non in potere della cultura. Si abbisogna di una inversione di tendenza e di un volitivo “spostamento collocativo” dell’individuo nella ricezione dei pochi interventi linguistici e tematici rimasti a misura dei consociati; un lauto ingresso nelle spirali delle filiazioni, quest’ultime intese nella veste erogatoria di trasgressività ed “erotismo”. Il cinema intravisto come possesso di utopie. Non nelle coordinate di evasioni 3

estetizzanti, quanto forma intellettuale del desiderio e tensione al cambiamento. L’utopia stessa che si agita negli status coscienziali e nei ripostigli dell’attivo pulsare. La fuga dalla confezione, il rifugio all’aria aperta negli itinerari del creativo. È l’unico sentiero, per adesso, vincente. Necessita, infatti, una seria e attendibile selezione, propriamente per essere nei lidi del sapere e del dubbio. Per la scelta: un corredo conforme ai tempi. Il cinema medesimo educa, comunica, suggerisce, sollecita, spalanca finestre sul mondo, rallegra l’orario della vita, rende meno pigmei gli “atteggiamenti”, compie operazioni di fertili “eversioni”. Le composizioni che denudano il mito e che piegano il reale sull’immaginario, comunitariamente. Il cinema può trasformare il soggetto in militante di festose comprensioni. Esso può divenire campus “optante”, purché si sostanzi di sperimentazione e pratica estetiche, di ritmi di progressiva sistemazione drammaturgica, telai visivi che abbandonino la “dimostrazione” e le melliflue felicità. “Il cinema è erotico in quanto cinema”, e il cinema stesso, sulla scia del profeta Pasolini, inizia lattività percorsuale sullindagine della capibilità dellintera società e di quali “diavolerie” si colora il capitale. Egli desidera attraversare per merito del suo intendere scandaloso tutti i gangli del potere. Propriamente per il riscontro cinematografico che si avvia con Accattone, veritiero epos del sottoproletariato. Il fiero e “maestro” Pasolini: “Accattone può essere visto anche, in laboratorio, come il prelievo di un modo di vita, cioè di una cultura. Se visto così, può essere un fenomeno interessante per un ricercatore, ma è un fenomeno tragico per chi ne è direttamente interessato: per esempio per me, che ne sono l’autore”. E lo sperimentale e riuscito amalgama creativo si ammanta 4

del fascino del mito e della sacralità ispiratrice avendo come fortificato principio la contemplazione della passione e dell'esposizione filmica sulla sofferenza del mondo. Il cinema, il nostro ammirato “fanciullo in crescita”, come vicissitudine ansiolitica e progetto. Rilevatore di frammenti di gaudio per le “rivelazioni”. Per non soccombere. E se si riveste di “ristori” culturali può essere talmente “educato” da permettere la piena capibilità, tenacemente dalle deliberazioni delle acquisite partiture.

(Pasolini a Broadway, da «L’Europeo», 13/10/66, foto di Duilio Pallottelli) Per opporsi al Palazzo non basta fare opposizione; genialità è armarsi dell’edificio dell’apprendimento delle 5

“cose così come sono”. Al contrario, si resta avvinghiati alle corde dell’impotenza. Non esiste una via cinematografica alla|per la rivoluzione. Permane, oltremodo, lo straripante ausilio, con il medium per squisitezza, per far perire il Re. Il film di “graffiante melodia”, se ingurgitato nelle sue calibrate valenze, conduce a una nuova cultura, nell’accezione antropologica del termine; ad un florido “ritenere” in contrapposizione alla torrenzialità del temario della dominazione tecnologica. Il Kino (così in lingua russa) in conclusione: crepuscolo dell’a-critico melodramma e, in pari tempo, le provviste per il piacere delle fiction. Un vascello portatore di sussulti di qualità. Un arcipelago di fantasie, nonché il sagace dialogo con il firmamento intersoggettivo. Ora la tipica verità che fuoriesce non dai ritardi mentali ma dall’universo orrendo che proviene dai tanti tasselli scrutatori del cinismo della merceologia “palazzinaria” e del metaromanzo-Petrolio. L’agire della scoperta (non tanto): l’ingresso di Pasolini nella metropoli del cinema e nell’agone della politica, maggiormente nel grande “condominio” letterario e il copione dell’intellettualità tutta. La città di Roma divenne il personale vivere, con accanto lo scintillio del rendersi conto della nuova realtà abitativa, verniciata di “cristologia” e di miserabilità mercanteggiante in ogni suggello del coesistere umano. Certamente fu un vulcano nell’apprensione genetica della Capitale e nella conoscenza delle mille regole della conduzione psicologico-storica. Anche se, nel complesso, egli rimane “straniero”. Pur emergendo nell’economia politica della vita e nella solerzia delle passioni. Infatti, per porre subitamente equilibrio pensante, così lo scrittore Paolo Volponi: “Considero Pasolini soprattutto se non 6

esclusivamente, un grande poeta civile, forse il più grande poeta della nostra letteratura dopo Leopardi”. Sempre il Volponi: Pasolini comincia la sua vita romana: ha già alle spalle un libro di poesie importanti, La meglio gioventù, in dialetto friulano, e sta scrivendo altre poesie. Ha rapporti con Roberto Longhi, con sua moglie Anna Banti, con Attilio Bertolucci, grande dolce poeta emiliano, con Giorgio Bassani e poi via via con Gadda, Moravia, la Morante, con Penna, che diventa uno dei suoi amici più affettuosi, direi anche uno dei suoi seguaci più attenti e innamorati, nel senso più dolce e puro della parola. Con lentezza perentoria il buon-concentrato-impegnato Pasolini inizia a sondare il terreno culturale e quello innervato di totalità pensante e desiderante, di più afferrare lo snodarsi delle Cose in sé e di quelle nascoste e consumate dagli Onnipotenti padroni. Si avvia ad essere il profeta di puntuali provocazioni producenti lo scandalo e il descrivere e rimarcare il dolore del popolo. In quanto emette in maniera vertiginosa evidenti e molteplici oggettività che delineano l’avvenuta degenerazione nel corpo fascistizzante della vita quotidiana con la complicità del pragmatico americanismo. L’espletamento: “Il suo fine è la riorganizzazione e l’omologazione brutalmente totalitaria del mondo”. È nel proprio collage degli scritti corsari il genuino inviato alla perlustrazione dello stato d’assedio prodotto negli ’50 e ’60 dell’autonomia del fluente NeoCapitalismo (meglio nell’oggi la perturbante e malsana tecnica) dello spietato edonismo di massa. Il cambiamento, ossia la voluta robustezza della metamorfosi atta alla frantumazione del tessuto societario e dell’abbandono della classe lavoratrice. E Lui si lacerava con la continuità dei forti d’animo esplorando se stesso e la passività della collettività. Era sempre logorato 7

dall’ansia di sommuovere le coscienze della gente, tenendo in attenzione le reali modificazioni dell’assetto proletario. E nelle risposte, pur se tacite della “nuova preistoria” e in quelle pertinenti del perenne Io verseggiante che si articola lo Scandalo del possesso. Ciononostante “Pasolini non era scandaloso. Pasolini, ecco, si scandalizzava. È una reazione sempre meno frequente, non praticata, impensata. Sfruttamento, oppressione, corruzione, violenza, dolore, male ci fanno sempre meno scandalizzati “... Lo scandalo è nell’assenza dello scandalo per cui non soltanto una parte degli uomini è oppressa, ma è diviso, scisso e offeso il rapporto sociale, il rapporto tra gli uomini” (G. Scalia). Il Poeta: Uno straccetto rosso, come quello arrotolato al collo ai partigiani e, presso l’urna, sul terreno cereo, diversamente rossi, due gerani. Lì tu stai, bandito e con dura eleganza non cattolica, elencato tra estranei morti: Le ceneri di Gramsci... Tra speranza e vecchia sfiducia, ti accosto, capitato per caso in questa magra serra, innanzi alla tua tomba. Al tuo spirito restato quaggiù tra questi libri. (O è qualcosa di diverso, forse, di più estasiato... È un brusìo la vita, e questi persi in essa, la perdono serenamente, se il cuore ne hanno pieno: a godersi eccoli, inermi per essi, il mito rinasce... Ma io, con il cuore cosciente di chi soltanto nella storia ha vita, potrò mai più con pura passione operare, se so che la nostra storia è finita? Le ceneri di Gramsci. Il sapiente e intuitivo intellettuale ha compreso anzitempo che vi è stata una dose di manipolazione antropologica nei confronti dei “deboli” e del paesaggio coscienziale delle masse contadine e prettamente del ceto bracciantile. Oltre che felicità da rispettare e una cordialità rivoluzionaria! È accaduto l’imponderabile: il lestofante sistema della costruzione dello sviluppo unificante e confederativo completamente divelto a 8

danno della vitalità dei lavori. Nell’occasione l’inferiorità delle condizioni socializzanti e la perdita degli acquisiti valori e i modelli del passato. Poeta, poeta di “esibizioni” immense. Le lettere luterane costituiscono la più sostanziale dei corali canti. L’elaborazione utopica del manifesto vita - morte più attrattiva della poiési. Lo spettacolo divino della adorabilità del pensiero. Che tu sia benedetto figlio del sole, della luna, più della lucente eternità. Pasolini docet in un campo di grano. Nel primo commento l’incedere del Processo con l’immagine folgorante dello “scompenso” tra l’acculturarsi e la circostanza economica. Oggi tutto è cambiato: quando parliamo di padri e di figli, se per padri continuiamo sempre a intendere i padri borghesi, per figli intendiamo sia i figli borghesi che i figli proletari. Il quadro apocalittico, che io ho abbozzato qui sopra, dei figli, comprende borghesia e popolo. Le due storie si sono dunque unite: ed è la prima volta che ciò succede nella storia dell’uomo. Il primo paragrafo, sino a una copioso abbraccio con Gennariello, alias il simbolo di Napoli che dell’integrale avviso al giovane per scuoterlo dai procuranti prodotti di mercanzia qualunquista e di compromissioni nella marea della barbarie con intonazioni del vuoto di immaginazione sociale e della pronta disperazione. Con Pasolini nella veste del pedagogo di turno e di appurata moralità. Si aprono i fermenti dell’illuminismo e della conoscenza la più ricca per capacità investigativa e per serietà politica. Succede spesso in questa nostra società, che un uomo (borghese, cattolico, magari tendenzialmente fascista) accorgendosi consapevolmente e inconsapevolmente di tale ansia di conformismo, faccia una scelta decisiva e divenga un progressista, un rivoluzionario, un comunista: ma (molto spesso a quale scopo? Allo scopo di poter finalmente vivere 9

in pace la sua ansia di conformismo. ... Vedi, Gennariello, la maggioranza degli intellettuali laici e democratici italiani si danno grandi arie perché si sentono virilmente la storia: accettano realisticamente il suo trasformare le realtà e gli uomini, del tutto convinti che questa sia frutto dell’uso della ragione. La loro lingua è la lingua della menzogna. E poiché la loro cultura è una putrefatta cultura forense e accademica, mostruosamente mescolata con la cultura tecnologica, in concreto la loro lingua è pura teratologia. Non la si può ascoltare. Bisogna tapparsi le orecchie. … Fatto essenziale: ciò che al contrario il Processo renderebbe chiaro - folgorante, definitivo - è che il contesto in cui governare non è più quello clerico-fascista, e che proprio nel non aver capito questo consiste il vero reato politico, dei democristiani. Il processo renderebbe chiaro - folgorante, definitivo - che governare e amministrare bene non significa più governare e amministrare bene in relazione al vecchio potere bensì in relazione al nuovo potere. Si completa, che gioia salire tutti i gradini di un pulito palazzo. Nel 1961 Accattone ha scatenato fenomeni di per la prima volta espliciti in Italia. Donde una feroce “persecuzione” a me, e anche al povero - sottoproletario - Franco Citti. Ma oggi 1975, le cose non vanno molto diversamente. Il in confronto o uno scontro diretto col sottoproletariato - viene fuori sempre esplicitamente, esce da quel sopore e da quella potenzialità che determinano del resto, tanto più rigidamente quanto più inconsapevolmente, l’idea dell’esistenza e l’esistenza del borghese. … Che cos’è che ha trasformato i proletari e i sottoproletari italiani, sostanzialmente, in piccolo borghesi, divorati, per di più, dall’ansia economica di esserlo? Che cos’è che ha trasformato le masse dei giovani in masse di criminaloidi? Il consumi10

smo che ha distrutto cinicamente un mondo , trasformandolo in una totale irrealtà, dove non c’è più scelta possibile tra male e bene. … Tutti sanno che gli quando (attraverso gli sfruttati) producono merce, producono in realtà umanità (rapporti sociali). Gli della Seconda rivoluzione industriale (chiamata altrimenti Consumismo: producono cioè grande quantità, beni superflui, funzione edonistica). L’eclettico ed erudito uomo di tutte le stagioni culturali si ammanta (meglio vuole introdursi) di inebrianti viaggi perlustrativi, bensì nell’ambito di realismi a lui scoperti: l’India, L’Arabia. Oltre a procedere nei viali della cinematografia. Da cittadino senza sosta nelle stigmate delle varianti neo-sperimentali. “Il cinema lo risucchiò, anche perché egli cercava di scrutare e di superare, in questo modo, il problema delle polemiche letterarie, per porsi da un’altra parte e ottenere un successo ancora più grande (l’amico Volponi). Per di più prontamente essere nella Città da “corsaro”, ideologo, e da scopritore del miglior Marx. Vivace e organico a se stesso si offrì all’attivismo ben “contaminandosi” come soggettista, dialoghista, sceneggiatore. Per adempiere ad una maggiore evidenza due ipotesi: la prima nel mai dimenticare che Pasolini è stato (e lo sarà sempre per la meraviglia del lettore) un poeta, il personaggio più sublimato dalla “musicalità” poetante in ragione di un eccessivo duellare tra i fulcri del vivere: da una parte l’amore verso l’incontro delle salutari socialità, dall’altro dalla volgarità e produzione di morte incanalata e coniugata dall’Eversivo e Nevrotico di chi padroneggia il saccheggio degli inconsci comunitari (forse il giovane linguaggio si addice alle “officine” della vita). La seconda: la nostrana “spia” desiderata da Dio con accompagnamento dei 11

tanti fanciulli prematuramente deceduti si perita osservando (con la gentilezza dei tempi) che “Forse, come in ogni poeta vero, la cui crudeltà è appunto, di ricordarci che dobbiamo e , come in ogni poeta vero, questa crudeltà è la sua dolcezza. Pier Paolo Pasolini, questo nostro amico assassinato, è, precisamente, nel non farci dimenticare di questa crudeltà, che ancora, forse, ci resta” (G. Scalia). Quante volte ho pensato che l’eccidio fosse l’andare in direzione dell’inattuale, lo“spolverare” la pena del suo vivere. Non si capacitava di essere riuscito nel dominare quelle anime in tormento, sconvolte dalla totalità del Capitale e gettate nel calderone della immoralità e dei “giochi” perdenti della omosessualità. Egli era arrivato laddove si riteneva che i “quartieri alti” producevano ideali testimonianze appaganti. Le idilliache vitalità spostavano le c.d. multiforme contraddizioni nelle razionalità vittoriose dei poteri industriali e tecnologici che causarono, pur nelle bontà eseguite dai riusciti dialoghi artistici, l’incontro-scontro con il sistema alienante della innegabile e perversa modernizzazione. “È incontestabile infatti che Pasolini fu un escluso dal suo tempo, anzi fu tenuto escluso e fu di continuo ribattuto con una durezza piena di risentimento ogni qualvolta egli proponesse un contatto o una offerta piena e disinteressata di collaborazione, mettendo sul tappeto la propria accidia di conoscenza (o rabbia di conoscenza)” (Roberto Roversi). Sebbene “ispirato” e convinto di poter aiutare (preferibilmente incrociare tutti gli emarginati del fallace convegno umano), la spaesata degradazione comunicazionale e dell’assenza della storia, causa la società imperniata sulla ramificazione della ciarlatana borghesia. Il fluttuante e amicale Pasolini non si accorge della orrenda mutazione 12

che le classi disgregate dall’inciviltà dei consumi si sono modellate sul denaro e sull’ideologia dei mass-media. Allorché si invita Gennariello a comprendere cosa bolle nel guazzabuglio della inesorabile mercenarietà del Conscio si è già fuori dal conflittuale poiché la connivenza tra l’agire proletario detiene la scadenza del visibile e della ragione. Pasolini viene massacrato per la costante bonomìa della passionalità intellettuale. La “giostra” del cinema è sicuramente la sua rivoluzione sentimentale? Senz’altro. “Poiché il cinema non è solo un’esperienza linguistica, ma, proprio in quanto ricerca linguistica, è un’esperienza filosofica.” Si aprono le porte dell’azienda cinematografica non tralasciando la poesia. Piuttosto lieto di coinvolgersi nella bella etnia della settima arte si allea rapidamente con le eccitanti sottigliezze del nuovo disbrigo creativo collaborando con diversi registi, alquanto conosciuti. Negli anni ’50 si spinge in un cospicuo lavorio re-inventivo. Sceneggia La donna del fiume di M. Soldati; Le notti di Cabiria di F. Fellini, Il bell’Antonio di M. Bolognini. Soggettista per La notte brava e La giornata balorda; per La lunga notte del ’43 di F. Vancini. Pubblica i romanzi Ragazzi di vita e Una vita violenta che, ovviamente, comportano trame di malavita e delinquenza. Si confronta, oltre il letterario, con la saggistica e la grammatica filmica. Una briosa e geniale applicazione verso l’arguzia professionale. Si cambia itinerario. In risposta ad un bravo critico: L’esperienza cinematografica e quella letteraria non sono antitetiche. Direi, anzi, che esse sono forme analoghe. Il desiderio di esprimermi attraverso il cinema e rientra nel mio bisogno di adottare una tecnica nuova, una tecnica che rinnovi(…) La mia è una passione 13

più antica. Risale al tempo in cui ero ragazzo e risentivo della influenza di Chaplin e Dreyer, che rientravano nel mio mondo stilistico ideologico. Pasolini si dimostra il fresco e recente Messia nel panorama del cinema italiano. Se, in seguito, incentiva la “Trilogia della vita” con il Decameron, I racconti di Canterbury, Il fiore delle mille e una notte, in pieno 1961 si può assistere alla primogenitura battezzata Trilogia della morte con “Accattone”, “Mamma Roma”, “La ricotta”. “Esordisce con Accattone: il film viene presentato alla Mostra di Venezia ed è accolto con favore da critica e pubblico. Nei quindici anni successivi la sua filmografia cresce di anno in anno regolarmente fino a comprendere in tutto, con i cortometraggi, i documenti e gli episodi di film collettivi, oltre una ventina di titoli. Il cinema diventa, in questa fase della sua vita, il mezzo espressivo più completo, quello che gli consente di mantenere un rapporto vitale e continuamente mutevole con la realtà, con la natura ma anche con la cultura” (Gian Piero Brunetta). Accattone stesso è l’esemplatura dell’aggancio ai misfatti del sottoproletariato con la prostituzione in atto e la logica di miserabilità del contesto. Fino al sorpreso esito: il trapasso del malfattore. Attraverso alcuni riferimenti pittorici e l’esemplare colonna sonora la testualità avvince per quella sorta di mistura tra la innegabilità e l’ indottrinamento borghese. Questo elemento religioso, irrazionale, ha trovato, secondo me, la sua concrezione più plastica, più urgente, più attuale, più immediata, più viva, nel mio film Accattone. È non soltanto per il contenuto di Accattone: forse vi risulterà che molti critici, sia comunisti che cattolici, hanno detto che Accattone è un film religioso. L’hanno detto in molti: i comunisti addirittura con un leggero senso critico, addirit14

tura l’hanno chiamato , per una ragione generale di contenuto. Infatti qual è il contenuto reale di Accattone? Il contenuto reale di Accattone, il contenuto elementare, letterale di Accattone, è la salvezza di un’anima. Mamma Roma è più addensato per il ruolo delle immagini che dettano, anche per l’andamento del “discorso libero indiretto”, le spirali con cui si scardinano sia i personaggi che le migliorie rappresentative della femminilità, consona al dramma del “genocidio culturale” e degli svolgimenti della magnificante tramatura dell’interpretazione della Magnani, quest’ultima decisa a proteggere il figlio, pur ritornando sul marciapiede. Si evince il lato materno della donna e lo scoppio della propria rabbia allorché viene a sapere l’incredibile verità: la morte dell’amato figlio. Il giovane “Ettore è un suicidato dalla società, fagocitato dall’ombra carnivora del nulla di una civiltà che ha smarrito il senso del sacro. Rintrona in una delle < Poesie di Mamma Roma >: . (Jonny Costantino). L’eternale sguardo sulle rovine dell’architettura romana da parte della straordinaria Magnani? L’angoscia per aver arrecato lo scempio (morale e politico). Solo grazie alla morte, la nostra vita ci serve ad esprimerci. Il Vangelo secondo Matteo è uno di quei “filmati” che raggiungono le vette che facilitano il fattibile ancorarsi al padre Celeste, per permettere ai nostri occhi di raggiungere qualche verità. Avendo come piedistallo del coerente retroterra la figura di Cristo che accetta sì la divinità “laica” di predire il verbo del Signore, di più di scandire con forza l’avvento del figlio di Dio, altresì il misurarsi con il mistero della Crocifissione. Il regista sulla scia della lettura del Vangelo di San Matteo irrora di 15

densità spirituale l’assoluta narrazione abbeverandosi non solamente delle precisioni tecniche (piani - sequenze a destra e sinistra a seconda dell’evento e degli armonizzati spazi con il grandangolare per gestire volti e fisicità materiali), anche con il radioso apporto della musica con il campionario “universale” di Mozart e di Bach, con dei canti strutturali russi, in virtù dei quali compone delle esaltanti immagini attenenti un paesaggio impregnato della tenuta della grazia e della speranza. L’intellettuale marxista, come da fervido conoscitore di ogni dettaglio stilistico, si avvale della cultura dell’espressionismo per assestare di superiore solidificazione le figurazioni del portato escogitato. Cristallina filmazione che mette in evidenza una personale interpretazione epico-religiosa dei Vangeli in precedenza attivati da differenti realizzatori. Le motivate iconografie, così come espresse dall’evangelista Matteo: la nascita di Gesù, la visita dei magi, la strage degli innocenti, il battesimo di Cristo, le tentazioni del deserto, la chiamata degli apostoli, la predicazione e i miracoli, la guarigione del lebbroso, l’ultima cena, il tradimento di Giuda, la morte di Battista, la cattura di Cristo sul monte degli ulivi, la cacciata dei mercanti dal Tempio, il giudizio di Pilato, la passione e la crocifissione, la risurrezione dal sepolcro e la vocazione degli apostoli. “L’insistenza con cui Gesù si dichiara Figlio del Padre che sta nei Cieli e Figlio dell’uomo, generato da un ventre di donna, nata e cresciuta nella terra di Palestina, ha il significato di una vera e propria rivelazione di un’irriducibilità degli esseri umani a puri meccanismi riproduttivi, espressione di istintività biologica e necessità ormonale di scarica delle pulsioni” (Pietro Barcellona).

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Naturalmente lo scenario si erge nella configurazione del Cristo che parla soavemente al popolo e a chi ricerca certezze dapprima rimosse a maggior senno nel momento in cui Gesù con il suo perentorio linguaggio si appella a Dio perché i discepoli possano rinnovare, per interposta persona, la fruttuosa parola del figlio del Divino. In un compendio di asseriti proclami egli, il dettagliato detentore (il magnifico attore Enrique Irazoqui, doppiato magistralmente da E. Maria Salerno) perlustra il riguardante logos per bloccare certune dubbiosità laddove Gesù stesso vuole diversità pensanti. “Nel Vangelo la voce del Cristo risuona in ogni angolo dove sia un possibile luogo d’ascolto, e le altre voci si dispongono attorno ad essa come una serie di liriche consonanze, che si adunano in un loro concerto, anche se il dramma si erige con la sua forza, o irrompe l’animus della tragedia” (P. Lago e P. Landi). Che bellezza e che traversata di facce e volti, voci ed espressioni, sguardi e compimenti di trasmissioni misericordiose che prendono inizio dal suggestivo attraversamento dell’uomo che per volere del soprannaturale Dio si palesa il conduttore della rivoluzionaria impresa! Basti arguire la fratellanza con cui i valorosi seguaci del Creatore sostengono il Messia, la presenza dell’angelica donna che divulga il Prodigio, le fattezze del Cristo ricolmo di fiorenti e prestanti parvenze, l’aspetto piangente della Madonna recitata dalla sua vera madre che si imprimono in verità dalle stimmate della “gioiosa sofferenza” dell’essere madre genuina e insignita. “Volevo un Cristo - dichiarò Pasolini - il cui volto esprimesse anche forza, decisione, un volto come quello dei Cristi dei pittori medievali. Una faccia, insomma, che corrispondesse ai luoghi aridi e pietrosi in cui avviene la predicazione” … “Un Messia esigente e combattivo, che non si ritrae 17

di fronte allo ‘scandalo’ provocato dal suo annuncio. Un Cristo non riconciliato che, secondo il dettato evangelico è venuto a ‘portare la guerra e non la pace’ ” (Cesare Biarese). Sconfinato Capolavoro il Vangelo, nonché redditizio di emozioni estetico-cinematografiche che generano approvazioni da parte della Chiesa più vicina ai rinnovamenti di Giovanni XXIII, tant’è una didascalia viene dedicata “alla cara, lieta, e familiare memoria del Papa. Logicamente egli reagì alle diffamazioni provenienti dal cattolicesimo “ribadendo il suo ateismo e la sua negazione della divinità di Cristo”. Ovviamente, come sovente accade, ci furono consensi e avversioni in merito alla raffinata operosità del sostenitore di Matteo e del Pasolini nei riguardi della percezione dell’Arcano. “Il Vangelo - come ha magistralmente scritto Kierkegaard - è un costante invito alla rinuncia ad ogni ricchezza mondana, non come espiazione dei propri peccati, ma come condizione necessaria per aprirsi ad un vero rapporto d’amore con l’Altro e con lo stesso Gesù. Beati sono i poveri in Spirito, gli ultimi, i diseredati, i pubblicani e le prostitute. Perché possono andare incontro a Gesù senza l’Armatura del Potere”. (sempre su indicazione di Barcellona). Concludendo (si fa per dire) Sussistono nel film due opportunità che rendono dirompente il messaggio evangelico, aldilà di chiarimenti decifrativi, consistente l’uno nell’entusiasmo utopico con cui nel Vangelo vengono completati gli ardori del mito, ossia il disvelamento delle risorse dell’Umano vincente; l’altro la solidale consapevolezza di essere nell’infinito presente. Funzionale all’ascesa dell’irrazionale per poi immergersi negli ambiti del sacro. Qualche volta il segno della croce, pur con calme rivisitazioni, fuggitive e falsificate teorie “cardinalesche”, può connotarsi come 18

piacevole commedia, proprio per arginare il Male e le prepotenze politicamente fuori dai corredi culturali della crescita culturale e morale. Che si avveri presto il pellegrinaggio al tambureggiare dei creativi del Cinema. Speriamo nel Vangelo e nelle società sognanti. “Il Cristo aristocratico, inflessibile e iconoclasta del Vangelo pasoliniano ha appunto la disumana eccezionalità dell’«eroe», più che la mitica aura del dio antropomorfo e, anche se tutto l’apparato, miracolistico-teologico ed escatologico del testo evangelico viene «letteralmente» rispettato e «fedelmente» ripreso, il film appare più il quadro di una assolutistica solitudine intellettuale, caratterizzata da orgoglioso profetismo e da violenza trasgressiva, che la fervida illustrazione di una leggendaria teofania” (Lino Micciché). Ultimo incanto la Supplica a mia madre per una più che verifica di un cosmo che si realizza amorevolmente. È difficile dire con parole di figlio ciò a cui nel cuore ben poco assomiglio. Tu sei sola al mondo che sa, del mio cuore, ciò che è stato sempre, prima d’ogni altro amore. Per questo devo dirti ciò ch’è orrendo conoscere: è dentro la tua grazia che nasce la mia angoscia. Sei insostituibile. Per questo è dannata alla solitudine la vita che mi hai data. E non voglio esser solo. Ho un’infinita fame d’amore, dell’amore di corpi senza anima. Perché l’anima è in te, sei tu, ma tu sei mia madre e il tuo amore è la mia schiavitù: ho passato l’infanzia schiavo di questo senso alto, irrimediabile, di un impegno immenso. Era l’unico modo per sentire la vita, l’unica tinta, l’unica forma: ora è finita. Sopravviviamo: ed è la confusione di una vita rinata fuori dalla ragione. Ti supplico, ah, ti supplico: non voler morire. Sono qui, solo, con te, in un futuro aprile ... Poesia in forma di rosa (1964). 19

Quanto si vorrebbe capire l’intero percorso di Pier Paolo e la sua invincibile “casacca” lavorativa. Tante giudiziose e affermate ricerche nel nucleo dell’arte per dichiarare il degrado del sacro che impone il becero consumismo. La ricotta è la proiezione del facimento di un film sulla passione. Nelle coordinate della messa in ordine il povero “ansimante” di nome Stracci, affamato oltremisura muore sulla croce per indigestione. L’abilità del regista si presenta nella dualità di dare vita a due momenti operativi: quello di girare una falsa storia inzuppata di rigonfiamenti e ornamenti (il monumentale e l’estetizzante cineasta, al secolo Orson Welles). L’altro/a nella identificazione Stracci – Cristo. “Il divino scende sulla terra, si fa uomo, s’incarna nel nuovo Cristo, il sottoproletariato, patisce sotto il neocapitalismo, viene crocifisso e nella morte si redime. I cattolici attuali, per la loro fede tutta esteriore, vengono identificati con i farisei, mentre gli sono ancora vicini al mondo arcaico da cui ha origine l’autentico sentimento religioso” (Guido Aristarco). Quanti “ospiti” vengono condotti nelle stanze delle esperienze estetiche? Numerose ed eterogenee. Il più voluttuoso appare l’angelo del desiderio che sconvolge e miracolizza il mito. Edipo Re (di Sofocle, 1967), Teorema (1968), Porcile (1968-69), Medea (di Euripide, 1969-70) edificano le rivisitazioni delle ambiguità sessuali. Tutti mascherati di rimpianti in attesa della distruzione della inespugnabile borghesia. Il compagno dei giorni migliori: Lavoro tutto il giorno come un monaco e la notte in giro, come un gattaccio in cerca d’amore… Farò proposta alla Curia d’essere fatto santo. Rispondo infatti alla mistificazione con la mitezza. Guardo con l’occhio d’un’immagine gli addetti al linciaggio. Osservo me stesso massacrato col sereno coraggio d’uno 20

scienziato. Sembro provare odio, e invece scrivo dei versi pieni di puntuale amore. Studio la perfidia come un fenomeno fatale, quasi non ne fossi oggetto. Ho pietà per i giovani fascisti, e ai vecchi, che considero forme del più orribile male, oppongo solo la violenza della ragione. Passivo come un uccello che vede tutto, volando, e si porta in cuore nel volo in cielo la coscienza che non perdona. (Poesia in forma di Rosa). “La rivoluzione non è più che un sentimento.” “(…) quando parlo di crisi. Intendo parlare di crisi dei partiti marxisti, non di crisi del marxismo (…) Ma fino a che punto tale distinzione è lecita? (…) Sarebbe come operare, mettiamo, una distinzione tra il Vangelo e la Chiesa: è una distinzione che spesso si fa, ma è polemica e fondamentalmente pseudo-storica”, in Uccellacci e uccellini (Serafino Murri). Dopo tanti tremori e allungati sommovimenti provocati dall’infelicità esistenziale dei ragazzi di vita e della magmatica desolazione che avviene con prepotenza delle più agìte delittuosità l’ormai Gramsciano Pasolini, più attento al terzomondismo, fuoriesce dai rivolo dell’isolamento e della mortuaria disperazione e dalla “confessionale” trilogia. Se, Solo grazie alla morte la nostra vita ci serve ad esprimerci, dall’altra parte del “ciclone” della disperazione perdura un condensato di resurrezione che si dischiude nell’incontro con il Cristo e con la violenta dipartita di Gesù ne Il Vangelo secondo Matteo. Dopo il Vangelo un estro scritturale non tanto del Reale, ma di un linguaggio completamente libero, imbiancato del cifrario dell’apologo umoristico la rappresentazione “Uccellacci e Uccellini, opera in cui realtà è di continuo trasformata in dimensione figurale, allegorica e favolistica” (Gian Piero Brunetta). Due uomini dall’aspetto sano e abbastanza bizzarri (padre e figlio) sono in cammino sol21

cando l’hinterland con l’incarico di predicare ai falchi e ai passerotti l’amore. I due, ossia l’uno personificato frate Ciccillo (il mitico Totò) e frate Ninetto (Ninetto Davoli) vengono accompagnati da un corvo parlante (e ideologo) che dovrebbe incarnare l’intellettuale di sinistra. È un viaggio piacevole e denso di eventi. Il più sentito è quando San Francesco raccomanda agli avventurosi eroi di convertire ambedue i volatili pur se le difficoltà si presentano ad ogni istante. I mesi trascorrono velocemente, il tempo è impietoso in considerazioni: il funerale del leader comunista Palmiro Togliatti e la repentina volontà del Santo di evangelizzare i falchi e i passeri, e di guidarli alla trascendente devozione dietro l’impulso dei due frati stessi. Il tragitto si dilunga, il furbo Totò compie atti impuri e defecazioni nei campi. Il malevolo corvo osserva gli spostamenti degli avvicendamenti, parlando in maniera misurata. Si decide equamente di mangiare il Corvo. Viene agguantato e arrostito. Si crede opportuno sostenere che la fabula raccontata si espande nel privato tant’è che lo scenario pasoliniano scavalca la ciclicità dell’intreccio per connettersi nella crisi del marxismo e nel futuro del proletariato. Il vagabondaggio dei due “picari” non è che il sondaggio di ciò che accade nelle viscere che percorrono, senza i c.d. barlumi della conoscenza, il bloccaggio dell’egualitarismo. “Sotto forma di parabola, ha espresso una critica al ruolo antidemocratico della Chiesa, in quanto portatrice di una generica d’amore che elude la realtà e la lotta di classe” (A. Bencivenni). Esattamente. Nondimeno la beltà del film consiste nell’interpretazione, rigorosamente in quello ordito di stupore che fratello Ciccillo reperisce nelle distese di un mondo alla deriva. Totò, quasi un Chaplin meno esperto di gags, passeggia lungo i gironi delle messinscene con la 22

leggerezza del poetico. Siamo nelle vestigie dell’indefinibile e della dialettica marxismo-cristianesimo. “L’apologo di Uccellacci e uccellini si fa ancora più chiuso: preso atto che la storia è finita o che sono altri a farla, si vagheggia una sorta di regressione verso un mondo infantile e favoloso di cui si sanziona l’improbabilità dell’atto stesso di accennarne l’elegia” (Adelio Ferrero). Uccellacci e uccellini si accoda alla malinconia del soggiornare del fantastico, dell’autobiografismo e dei sentimenti fuori dalle cascate non del Niagara, dentro le persistenze della palingenesi. Teorema, 1968. Vennero i giorni del vivace scoperchiamento della borghesia, intesa perfettamente come danneggiamento - oltraggio del Sociale. In una deliziosa dimora nell’hinterland milanese si accomoda l’Ospite tanto desiderato per poter decidere se il teorema del vivere e dell’eros possono avere cittadinanza subitamente. L’Ospite medesimo, bello da vedere e da amare, scombina gi astanti. Le giornate si succedono con l’ambascia psicologica del falso perbenismo. L’entrata in azione del giovane atterrato in dissimile suolo ha traumatizzato e leso il contesto. “Formulazione complessa e insieme lineare delle tesi poetico- ideologiche di Pasolini, tanto da risultare un saggio didattico: un teorema, appunto” (A. Bencivenni). Si dischiudono gli avvicinamenti corporei. Ben deducendo: se il proletariato, con consumismo fortificato, è l’anello di congiunzione con la trivialità della realtà capitalistica, soltanto la verginità proiettiva sul mito, sulla visibilità del poetare e sull’erotico, rimangono le religioni dell’autenticità filosofica del vivente, non dimidiato, ma sacro con in più il “francescano” giudicante. L’Ospite dall’alto del proscenio civile e del garantismo artistico e voluttuariamente di “calore” insurrezionale mette in riga, pur con taluna sospensione 23

del girovagare, l’integrale famiglia con il piglio della concentrazione deduttiva. In tal modo giunsero le celebrazioni delle sessualità. L’Ospite, forse il Dio delle verità e della concessione dei pruriti (non dei sentimenti, sia chiaro) passionali, si coinvolge, sconvolge, ordina e possiede. Lo sconvolgimento è spaziale. L’inatteso, gran lettore dell’opera omnia di Rimbaud, comincia a beneficiare se stesso. Il rapporto sessuale si decanta celermente con ragionevolezza: lo studente Pietro si consacra ottimo respiratore di affettuosità; l’introversa Odetta “sorride” in imparziale scansione del piacere; Lucia, madre e moglie, è fresca di baci, con i fiori dell’euforia; anche l’industriale Paolo (l’assertore dei beni), si lascia andare; la domestica Emilia (Laura Betti), pur esitante, corre nelle braccia dell’invitato. È sembrato che tutto scorresse sulle ali del “miracolo a mostrare” o per una sorta di volontà nell’osare il volere della natura, eppure le ricorrenze delle giustificazioni e delle “innocenze globali” crollarono, presero il sopravvento tuffandosi nelle onnipotenze, non fluviali, ma nei languori incoscienti della borghesia. La c.d. Serva, per veridicità dell’assunto, dopo l’accoppiamento è l’unica a dichiararsi peccatrice. Fugge nell’adorata campagna per sacrificarsi e per accostarsi alla santità perduta. In seguito il cataclisma, meglio il violento acquazzone. L’Ospite di mille florilegi evade dalla città comunitaria. È in direzione di altre coscienze da psicanalizzare. L’interludio è sospeso. Gli interpellati difensori del gaudio della riproduzione carnale si ammalano cammin viaggiando. Paolo, il ricco imprenditore, si spoglia appieno e nudo girovaga nel deserto invocando gli dei per l’avvenuta dannazione; Pietro mangia dei ramoscelli per porli nella congerie della pittura; l’attraente Odetta si attrezza del pianeggiante delirio; Lucia, una smagliante 24

Silvana Mangano, fugge dal suo focolare per reperire esiti sessuali laddove passeggiano giovanotti in salute, per strada, o in nascosti fossati. Perché si è giunti nella circumnavigazione turbolenta dell’erotismo? “Appena l’Ospite scompare è la devastazione” - Luigi Bini. Poiché i protagonisti (umani o nel regno dell’arcaico o della indolente apatia) sono rimasti incappucciati e imbiancati dalle lotte intestine del ceto dominante e dal cristianesimo fuorviante e disposto a mietere il grano della manipolazione sulle implorazioni della santità, promossa o ricevuta. Teorema è l’urlo dell’ebbrezza lirica. “Non a caso i dialoghi sono così scarni e sommessi: questi personaggi ‘non possono’ parlare ma solo tacere o urlare. Il linguaggio, volutamente spoglio e primitivo nella frequenza dei primi piani frontali coordinati da una sintassi elementare e severa, riporta ogni figura a se stessa, alla propria irredimibile solitudine” (Adelio Ferrero). Teorema dell’angoscioso Requiem mozartiano è una successiva parabola sulla individualità melensa della tracciabile borghesia. E lì l’Ospite, scardinatore e sterminatore totalitario del potere, si dimostra essere profondamente Pasolini. S. Mangano e L. Betti premiate a Venezia con la Coppa Volpi. Il premio OCIC clamorosamente restituito al committente dell’Osservatore romano. “Il crollo del presente implica anche il crollo del passato. La vita è un mucchio di insignificanti e ironiche rovine.” - Pasolini, Abiura della Trilogia della vita. Siamo agli sgoccioli dell’intendere e del volere con Pasolini direttore d’orchestra raziocinante. Non vorrei sbagliare, tuttavia Mamma Roma; Il vangelo secondo Matteo; Teorema; I racconti di Canterbury (con Josephine Chaplin sensualmente equipaggiata in bellezza) sono opere d’arte equilibrate e suadenti. L’ultima “impalcatura” ci25

nematografica (1975) si avvale di segmenti narrativi altamente turbanti e eccentricamente paradossali, pur conservando la drammaticità dell’orrore e dell’abbrutimento in piena scalata, provocati dalla dilagante degradazione. Con Salò e le 120 giornate di Sodoma si assiste alla legittimazione della violazione delle libertà e dei corpi innocenti immersi nelle “fiamme bollenti”. Nella Repubblica di Salò, concertata a misura di fascismo e di una peculiare Gomorra che si autodefinisce il perpetuo concentramento del Porcile. Nella Repubblica di Salò, tra il 1944 e il ’45, un Monsignore, Un Duca, Un’Eccellenza e un Presidente incatenano dei giovani di opposto sesso con atti cruenti e reiterate aberrazioni. “Gli è che il fascismo di Salò costituisce la base agevole di un discorso metaforico sul Potere che egli identifica con il vero fascismo di oggi” (L. Bini). Nell’ora notturna, come miraggio, si sorpassa la reificazione sodomiana per far sussultare con dignità il cinema quale periscopio e progetto. Per quella “mania della verità”. Al batter d’occhio che vengano incontrate le rampanti certezze. Per il cosmico gettito politico. In verità una mia concentrazione psichica e di lievitazione pensante, tenendo in auge la filmazione di Salò, con Mino Argentieri che si ingrandisce criticamente. “L’incontro con Sade equivale a una discesa all’inferno, a un appuntamento con la morte vincitrice, a un dialogo «faccia a faccia», a una resa dei conti immaginata, accarezzata, temuta e rinviata con le forze sempre latenti della distruttività”. “Il mondo attuale, così com’è oggi, la società capitalistica nella sua ultima figura (la , in cui sta accadendo una ), è la società del Potere , del Denaro, della Merce universale, del , della cultura e lingua dei mass-media. Ancora. La società borghese-capitalistica diventa sempre più : per il processo di , per la scelta della ratio industriale e del modello produttivistico-consumistico, per la crescente eteroregolazione sociale , per la progressiva della società civile da parte dello Stato-Capitale; per la rimozione, insomma, di ogni diversità e alterità e, quindi, della possibilità di trasformazione” (sempre lo Scalia). Nel furibondo passaggio dai primordi della onesta Resistenza è apparsa, da vincitore nell’arena bottegaia, la galoppante e meschina scuderia del borseggiare. Ai Signori, si sono amalgamate le pietose “musicalità”. Ovvero l’ingresso del ceto partitico (non politico, pare ineccepibile aggiornare il lessico) negli scompartimenti ferroviari dove ritirare il tesoretto mensile, azionato e gestito sì dallo Stato, ma illuminato e rimpinguato, accolto ed espanso da Sua Maestà non Ejzenštejn. Si vuole conoscere il nome del Re o della Regina? L’unisex Capitale con l’arrendevolezza del Parlamento nazionale e|o sopranazionale. Non “comitato d’affari”, ciò nonostante espressione chiarificatrice dell’onnisciente Mercato, pur con qualche guizzo dissidente o con alcune “disubbidienze” che recano, consapevolmente (e non), la vidimazione della più inarrivabile recitazione d’epoca. Ovvero un’altra chicca. “Dopo Pasolini, dopo la sua morte, è difficile non ammettere che una contraddizione decisiva, nella cultura italiana, si è arrestata. L’intellettuale corsaro è stato sostituito dall’intellettuale professionista, impegnato (neo-impegnato, neo professionista ….), dagli opinion makers, dai (tanti) maîtres-a-penser (pour penser?), dalle tante (buone , eremiti o sentinelle o che so io”. 27

Quiller Memorandum, ossia una esplorazione sul versante del fascismo e suoi correlati esegetici. “È stato quello del fascismo e dello stalinismo nella invariante del Capitale, non della storia delle Rivoluzioni che, falliscono, o, meglio, sono state violentemente espropriate ai rivoluzionari stessi… Pasolini ha dato del fascismo un’interpretazione profonda, ossia poetica”. Si è verificato un passaggio degno di rivelatrici impostazioni. Possiamo tenerlo in incisiva modellazione di pensiero. “Che paese meraviglioso era l’Italia durante il periodo del fascismo e subito dopo! La vita era come la si era conosciuta da bambini, e per venti trent’anni non era più cambiata… Si poteva appassionatamente credere nella rivolta o nella rivoluzione, ché tanto quella meravigliosa cosa che era la forma della vita, non sarebbe cambiata” (Due o tre cose su Pasolini: a un vecchio amico sul ‘Setaccio’). Per non incorrere in sbavature o terribili errori sia esplicito affermare che lo storiografo Pasolini non era contento né filologicamente, altresì, nell’accettazione della vulgata fascistizzante; al contrario del fascino (o meno) in sé. Egli si scandalizzava ancora (logicamente) per la becera mutazione antropologica, non tanto per la estirpazione della tumorale dittatura, quanto dello stabile iniquo progresso e della dissoluzione conscia (e inconscia) del “diritto di sognare” riconoscendo unicamente l’egualitaria risorsa economica. La rivelante teatralità. Ci stanno svuotando la memoria, negando il passato, smembrando e insudiciando il futuro. Un consorzio umano diretto con il cervello nel braciere e con l’autocompiacimento incollato al mellifluo sperone del Marketing. Le elezioni monotematiche: fermezza e ruolità del denaro nell’era del “capriccioso” e conformista educandato economico, con il seguitare dell’abbagliante po28

tere che si svolge nelle aule dell’ippodromo neoliberista. Con relativa invalidazione del nutrimento della Storia. § Per concludere. Lo scrittore Milan Kundera, in La vita è altrove rivela: “Solo il vero poeta sa quanta tristezza abita nella casa di specchi della poesia. Al di là delle finestre, il crepito lontano della sparatoria; e il cuore si stringe nel desiderio di partire. Lermotov abbottova la sua uniforme militare; Byron fa scivolare una pistola nel cassetto del comodino; Wolker, nei suoi scritti marcia insieme alla folla; Halas cerca rime nei suoi insulti, Majakovskij si mette sulla gola del suo canto; negli specchi infuria una magnifica battaglia. Ma attenzione! Se i poeti superano per errore la soglia della casa degli specchi trovano subito la morte, perché non sanno sparare e, se sparano riescono a centrare solo la propria testa”. E Pasolini emette il suo canto poetico sempre da lirico-poeta-attivo cinematografaro. Ossia appare persuasivo includere nelle realtà politiche l’esemplatura simbolica rivoluzionaria per garantire prassi culturale. Ovvero al riconoscimento coscientizzato del raggiante paesaggio del nuovo Vangelo che si è profilato nell’ammucchiata sia dell’angoscia che delle allargate utopie. Per dis(porre) in evidenza le correzioni dello Stato, l’irrazionale violenza del potere, il permanente e dispotico ripristino della borghesia prefascista e fascista. L’ingresso nella salutarietà del cinema non è altro che l’avvio verso le scintillanti onde del cinema per raggiungere la fisicità del Reale e l’avanguardia dell’ordine sensuale. Registrare le pulsioni dell’evocare e il concerto filosofico della conquista semiologica, particolarmente per storicizzare se stesso e produrre Corsarità contro le totalità del Capitale, per non essere aggirati e 29

recitati dalla socializzazione dispiegata nei cortili della costante omologazione. Il contestatore globale del nostro tempo. Che turbinio mentale e che coraggio nel confutare, da solitario, l’irregolarità del mondo! Il cinema di Pasolini al Martin Gropius Bau di Berlino (Calendario di proiezioni e osannanti mostre), con proseguimenti fino a gennaio 2015. Platea plaudente in considerazione della versatilità dell’amato regista (anche romanziere e poeta), ed esattamente le tonalità di approfondimento conoscitivo delle parecchie sfaccettature del (suo) periodare artistico, nonché di svelare la conduzione del degrado etico e l’incessante ipocrisia del potere (politico e virtuoso). Inoltre “a incuriosire e attrarre il pubblico al Martin Gropius sembra essere proprio la ricchezza e la varietà dei materiali esposti: il desiderio di sbirciare - grazie ad articoli, lettere e diari - attraverso quelle maschere dietro cui la stessa presenza mediale Pasolini l’aveva nascosto (Maria Buratti). A quando un rivisionamento delle molteplici e disparate creazioni dell’antiqualunquista (talvolta sublime) cineasta? Nel 2014 Pasolini, film di una normalità alquanto strano e discutibile. Di produzione Francia-Belgio-Italia con interpreti assortiti e conosciuti. Girato dallo statunitense Abel Ferrara e con Willem Dafoe alla batteria attorica sembra di assistere a una pochade a-teatrale o a un plotone di esecuzione tanto è doppiamente noioso e bizzarro l’integrale frammento visivo. La scena della fellatio primeggia per squallore visuale e per disonestà cinematografica. 30

Lettura della recensione di Attilio Coco in SegnoCinema (n. 190). Ben concentrata e nettamente ragionevole. I signori della critica esistono e discutono con le immagini. Adesso uno spezzone del garantito corredo professionale. “Di sicuro è un film, questo film, che non aiuta a conoscere e non aiuta a capire. Semplifica. Ma non sempre semplificare è operazione utile. In particolare non lo è quando la questione con cui ci si confronta risulta, di per sé, complessa”. § Cosa ancora “puntellare” nel libro aperto del CristoPasolini se non il profondo vincolo con coloro che vivono nell’angoscia prodotta dal Capitale, ormai padrone anche delle irrazionalità e del profluvio mercanteggiante della/nella autobiografia dell’esistere. Rincuorarsi solamente del proprio ambiente poetico e degli sviluppi creativi dei patimenti interiorizzati? Indubbiamente. Tant’è che il sofferente e acuto saggista di avanguardie da corsaro si stringeva accanto al fascino dell’estetica e del firmamento in via di filmazioni. “I film di famiglia ‘nel senso in cui vengono detti di famiglia’, i romanzi, i racconti mascherati di Freud. Pasolini in fondo ha sempre diretto pellicole su se stesso, su quella che chiama la sua ‘nevrosi’, sulla sua ‘disperata passione di essere nel mondo’ ” (A. Ferrero). Quanto navigare nei flussi dell’universo e delle sue contraddizioni. Voleva nell’immediato sconvolgere se stesso abiurando le variegate “sceneggiature” filosoficamente arguendo.

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Profilo biografico

Vincenzo Camerino, già docente di Storia e critica del cinema, nonché di Semiologia del cinema, presso l’Università del Salento, ha pubblicato diverse e svariate armonie cinematografiche. In precedenza: Nelle utopie del Sud e del cinema; I cristalli della regia; La subalternità della politica, l’orgoglio della cultura, le assonanze del cinema; Le sensualità cinematografiche e le sospensioni delle passioni. Il futuro?… Se l’incanto mentale si svolge secondo le stabilità tra il Vecchio e il Nuovo dei laboriosi sentimenti il possibile prosieguo: La bellezza e le piacevolezze oniriche, ovvero le divinità al femminile. Dello stesso autore, con Musicaos Editore: “Le vele incantate del cinema e lelogio della malinconia”

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Musicaos Editore - Titoli pubblicati LIBRI Fablet 1 - In bilico. Storie di animali terrestri. Nuovi racconti italiani, Paolo Colavero, Gianluca Conte, Luigi De Gregorio, Marco Goi, Belisario Laveneziana, Angela Leucci, Valentina Luberto, Paolo Merenda, Antonio Montefusco, Annarita Pavone, Marina Piconese 2 - I bassisti muoiono giovani, Francesco De Giorgi 3 - Amata tela, Giulia Madonna 4 - E nessuno viene a prendermi, Simone Cutri

Narrativa 1 - Il secondo giorno - Kiss for my angel, Elisabetta Liguori 2 - Storia di Raidha e la chiesetta, Antonella Screti 3 - Le cento care. Variazioni nel tema, Giuseppe Goisis

I Saggi 1 - Le vele incantate del cinema e l’elogio della malinconia, Vincenzo Camerino

Itinerari metacreativi 1 - Il pensiero metacreativo. Nuovi percorsi della mente, Gianluca Conte

Poesia 1 - A nuda voce. Canto per le tabacchine, Elio Coriano

Gli Atalanti 1 - Santa Croce. Misteri di un libro di pietra, Giovanni Matteo, Illustrazioni e testi: Giovanni Matteo, Progetto Grafico: Adriana Adamo, Concept: addastudio.it

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EBOOK Narrativa - Il secondo giorno - Kiss for my angel, Elisabetta Liguori - In bilico. Storie di animali terrestri. Nuovi racconti italiani, Paolo Colavero, Gianluca Conte, Luigi De Gregorio, Marco Goi, Belisario Laveneziana, Angela Leucci, Valentina Luberto, Paolo Merenda, Antonio Montefusco, Annarita Pavone, Marina Piconese - Amata tela, Giulia Madonna - Un romanzo inutile, Manlio Ranieri - I bassisti muoiono giovani, Francesco De Giorgi - Il profumo delle rose inglesi, Anna Scarsella - Diario di una giornalista precaria, Angela Leucci - Due vite in trasferta / Terra senza prezzo, Luciano Pagano - La boutique della carne / Teste d’osso, Gianluca Conte - Cani acerbi, Gianluca Conte - Confessioni di un editore di merda, Luigi Tarantino - E nessuno viene a prendermi, Simone Cutri - Il giorno della fioritura, Luciano Pagano - La Nera, Manlio Ranieri - L’importanza del fattore C, Maria Nadia Stefano - Le cento care. Variazioni nel tema, Giuseppe Goisis

Saggistica - Carmelo Bene inorganico, Gianluca Conte - Il pensiero metacreativo. Nuovi percorsi della mente, Gianluca Conte - Pier Paolo Pasolini. Il cinema come periscopio ansiolitico e come progetto, e l’universale desiderio, Vincenzo Camerino

Poesia - A nuda voce. Canto per le tabacchine, Elio Coriano

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Musicaos Editore, 2015

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