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Italian Pages 301 [302] Year 2016
Michele Colombo Passione Trivulziana
Beihefte zur Zeitschrift für romanische Philologie
Herausgegeben von Claudia Polzin-Haumann und Wolfgang Schweickard
Band 406
Michele Colombo
Passione Trivulziana Armonia evangelica volgarizzata in milanese antico Edizione critica e commentata, analisi linguistica e glossario
Buona parte della stesura di questo libro è stata realizzata durante un soggiorno di undici mesi all’Universität des Saarlandes, finanziato da una borsa di studio per ricercatori esperti (Forschungsstipendium für erfahrene Wissenschaftler) della Fondazione Alexander von Humboldt.
ISBN 978-3-11-047649-1 e-ISBN (PDF) 978-3-11-048028-3 e-ISBN (EPUB) 978-3-11-047828-0 ISSN 0084-5396 Library of Congress Cataloging-in-Publication Data A CIP catalog record for this book has been applied for at the Library of Congress. Bibliografische Information der Deutschen Nationalbibliothek Die Deutsche Nationalbibliothek verzeichnet diese Publikation in der Deutschen Nationalbibliografie; detaillierte bibliografische Daten sind im Internet über http://dnb.dnb.de abrufbar. © 2016 Walter de Gruyter GmbH, Berlin/Boston Satz: jürgen ullrich typosatz, Nördlingen Druck und Bindung: CPI books GmbH, Leck ♾ Printed on acid-free paper Printed in Germany www.degruyter.com
Non è linguaggio e non sono parole, di cui non si oda il suono (salmo 19) A Carmela, amica preziosa
Sommario 1 1.1 1.2 1.3
La Passione del manoscritto Trivulziano 1993 Il codice: localizzazione e datazione 1 Il testo: localizzazione e datazione 4 Le fonti 18
1
2 2.1 2.2 2.3 2.4
I volgarizzamenti delle Passioni di Cristo armonizzate nell’Italia del Tre e Quattrocento 24 Armonie evangeliche e Passioni 24 Le Passioni armonizzate in volgare: i codici 26 Le Passioni armonizzate in volgare: i testi 31 Sequenze narrative e glosse 37
3 3.1 3.2
Edizione critica e commentata Nota al testo 43 Passione Trivulziana 47
4
Analisi linguistica
4.1 4.2 4.3 4.4 4.5 4.6 4.7
Grafia Rappresentazione dell’occlusiva velare 100 Rappresentazione dell’affricata palatale 102 Rappresentazione dell’affricata alveolare 103 Rappresentazione delle nasali 104 Rappresentazione delle sibilanti 105 Uso di ‹y› e ‹ij› 107 Latinisimi e pseudolatinismi grafici 108
4.8 4.9 4.10 4.11 4.12 4.13 4.14 4.15 4.16 4.17
Vocalismo 109 Esiti di A tonica 110 Esiti di Ĭ tonica 112 Esiti di Ē tonica 113 Esiti di Ō tonica 113 Esiti di Ŭ tonica 114 Esiti di AU tonico e atono Vocali in iato primario e secondario in posizione finale 117 Esiti di Ĭ , Ē , Ĕ e AE in protonia 119 Esiti di Ĭ , Ē , Ĕ protoniche nei prefissi 121 Esiti di A , Ī , Ŏ , Ō e Ŭ protoniche
43
100
115
VIII
4.18 4.19
Sommario
Vocali postoniche interne Vocali atone finali 122
122
4.20 4.21 4.22 4.23 4.24 4.25 4.26 4.27 4.28 4.29 4.30 4.31 4.32
Consonantismo Esiti delle occlusive labiali intervocaliche e intersonantiche 131 Esiti delle occlusive dentali intervocaliche e intersonantiche 133 Esiti delle occlusive velari intervocaliche e intersonantiche 136 138 Esiti di QU 139 Esiti di C e G davanti a vocale palatale 141 Esiti di J iniziale e intervocalico 142 Esiti dei nessi di occlusiva più J 144 Esiti dei nessi LJ , NJ , RJ , SJ 146 Esiti di L e nessi con L 147 Esiti di N , MN e R 149 Esiti di X intervocalica e di SC davanti a vocale palatale 150 Esiti di CT , JD , LS , V Consonanti geminate 151
4.33 4.34 4.35
Fenomeni generali Aferesi, sincope, apocope 152 Prostesi, epentesi, epitesi 153 Assimilazione, dissimilazione, metatesi
4.36 4.37 4.38 4.39 4.40 4.41 4.42 4.43 4.44 4.45 4.46 4.47 4.48 4.49 4.50 4.51
Morfologia Nomi e aggettivi 155 Articoli e preposizioni articolate 158 Pronomi personali: forme soggettive libere 160 Pronomi personali: forme oggettive libere 163 Pronomi personali: forme soggettive clitiche 163 Pronomi personali: forme oggettive clitiche 169 Pronome riflessivo, impersonale e passivante 171 Pronomi e aggettivi possessivi 172 Pronomi e aggettivi relativi e interrogativi 172 Pronomi e aggettivi dimostrativi 175 Pronomi e aggettivi indefiniti 175 Pronomi e aggettivi numerali 176 Avverbi, locuzioni avverbiali e interiezioni 177 Verbi: desinenze, coniugazioni e temi 180 Verbi: indicativo presente 181 Verbi: indicativo imperfetto 183
154
Sommario
4.52 4.53 4.54 4.55 4.56 4.57 4.58 4.59 4.60 4.61 4.62
Verbi: indicativo perfetto debole 184 Verbi: indicativo perfetto forte 185 Verbi: indicativo futuro 186 Verbi: congiuntivo presente 186 Verbi: congiuntivo imperfetto 187 Verbi: condizionale 187 Verbi: imperativo 188 Verbi: infinito 188 Verbi: gerundio 189 Verbi: participio presente e passato 190 Verbi particolari 190
4.71
Sintassi Uso dell’articolo e delle preposizioni 195 Legge Tobler Mussafia 196 Ordine e salita dei pronomi clitici 200 L’accordo 201 La coordinazione 202 La subordinazione esplicita: espressione del soggetto, frasi completive, interrogative e dichiarative, che polivalente 205 La subordinazione esplicita: frasi temporali, causali, consecutive e finali 208 La subordinazione esplicita: frasi concessive, comparative, avversative, limitative e condizionali 212 Paraipotassi 215
5
Glossario
6
Bibliografia
4.63 4.64 4.65 4.66 4.67 4.68 4.69 4.70
219 275
IX
1 La Passione del manoscritto Trivulziano 1993 1.1 Il codice: localizzazione e datazione La Biblioteca Trivulziana di Milano custodisce, tra i suoi molti tesori, un manoscritto che tramanda un racconto in volgare della Passione di Cristo narrato armonizzando tra loro le pericopi dei quattro vangeli canonici e interpolandole con ampliamenti e brevi digressioni.1 Del codice, segnato Trivulziano 1993, dava notizia il catalogo di Giulio Porro (1884, 190–191), il quale, a riguardo della lingua impiegata nel racconto della Passione (che d’ora in avanti si designerà come Passione Trivulziana), notava con una sicurezza malriposta: «lo scrittore era certamente Veneto, perchè egli vi mescola l’italiano col suo dialetto». A distanza di quasi un secolo, il manoscritto, che nel mentre non aveva goduto dell’attenzione degli studiosi, fu di nuovo e più ampiamente descritto nel catalogo di Caterina Santoro (1965, n° 468), la quale, correggendo il giudizio di Porro, definiva la Passione Trivulziana «uno dei rari documenti contemporanei del volgare lombardo del XIV secolo». Di lì a pochi anni, Giovanni Piazza (1975) pubblicò una trascrizione della Passione Trivulziana, ripromettendosi di far seguire al testo un commento linguistico che, tuttavia, non vide mai la luce. Riannodando le fila di un discorso iniziato tempo fa, ma passibile di precisazioni e approfondimenti, è consigliabile prendere le mosse dai dati materiali offerti dal codice, di cui si fornisce qui di seguito una descrizione dettagliata: Milano, Archivio Storico Civico e Biblioteca Trivulziana, Trivulziano 1993. Sec. XV1. Membr.; ff. II, 32, I’; numerazione recente a matita dei ff. sul margine superiore destro; bianco il f. 32; mm 254 × 184 (29 | 169 | 56 × 18 | 122 | 44), 31 rr. / 30 ll.; rigatura orizzontale a inchiostro eseguita a telaio, rigatura verticale a piombo (con il primo rigo orizzontale pure a piombo); guasti originali della pergamena al f. 10. Fascicolazione: 1–48; lato carne esterno, con irregolarità nel terzo fascicolo, che presenta il lato carne interno nel secondo e terzo bifoglio; due o tre parole di richiamo al v di ogni f., eccettuati 13v e 14v (a 17r il copista omette la parola «alcun» presente come richiamo a 16v). Scrittura gotica libraria di unica mano; comma alla fine di ogni paragrafo; inchiostro bruno (più tendente all’ocra dalla metà di 27r),
1 Desidero ringraziare Daniele Baglioni, Milvia Bollati, Elisabetta Canobbio, Andrea Canova, Roberta Cella, Irina Chelysheva, Francesco Crifò, Elisa De Roberto, Mirella Ferrari, Giuseppe Frasso, Christoph Groß, Thomas Hohnerlein, Franco Lurà, Marta Mangini, Sara Natale, Massimo Palermo, Paolo Pellegrini, Max Pfister, Rosa Piro, Gabriella Pomaro, Jan Reinhardt, Marco Rossi, Francesco Sestito, Lisa Šumski e Raymund Wilhelm: i loro consigli mi sono stati di grande aiuto nel migliorare il libro; prezioso è stato inoltre il privilegio di poter accedere allo schedario del Lessico Etimologico Italiano. A Claudia Polzin-Haumann e Wolfgang Schweickard, che hanno accettato di accogliere il lavoro nei Beihefte zur Zeitschrift für romanische Philologie, la mia speciale gratitudine.
2
1 La Passione del manoscritto Trivulziano 1993
rosso per le iniziali gotiche maiuscole, alte due linee, e per i filetti dell’explicit «DEO GRATIAS AMEN»; nei margini superiore e inferiore le aste si prolungano in svolazzi e fioriture a inchiostro bruno del copista, con faccine a 11r e 17r; al f. 1r iniziale maggiore abitata dalla figura di Cristo e bordure vegetali. Il f. II di guardia è un atto privato riguardante un mutuo, datato Como 1251: il testo è leggibile sul v (lato carne). Legatura sette o ottocentesca in cartoncino rivestito in carta beige con dorso in pelle; il rivestimento interno del piatto anteriore e il primo f. di guardia sono costituiti da un unico f. di carta (all’interno del piatto anteriore ex libr. BIBLIOTECA TRIVULZIO). Ff. 1r–31v: [Passione di Cristo armonizzata], inc.: «Questa sie listoria dela passion del nostro segnor (Yesu) (Cristo)»; expl.: «de yosepo lo venardi [con r aggiunta in interlinea in inchiostro grigio-nero] da sira. | DEO GRATIAS AMEN». Segue un’aggiunta manoscritta in inchiostro grigio-nero vergata in una gotica del sec. XV2: «Iste liber est ieronimi del nato et (con)stavit sibi de suis denariis grossos xxv a presbitero ambroxino de massonibus | Dum sumus in mondo vivamus corpore mondo | Ille plene omnia omnia possidet qui plene (con)tempnit omnia». Bibliografia: Porro (1884, 190–191); Santoro (1965, n° 468); Piazza (1975).
Come si sarà notato, il codice è collocabile, piuttosto che nel Trecento, come finora si pensava, nella prima metà del Quattrocento: su tale giudizio convergono le perizie paleografiche di Gabriella Pomaro (Società Internazionale per lo Studio del Medioevo Latino, Firenze; comunicazioni scritte del 23.05 e del 31. 05. 2014) e Mirella Ferrari (Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano; comunicazione orale del maggio 2014), che si fondano in particolare sull’impiego (seppur non frequente) della ‹d› diritta all’interno di una tarda e massiccia libraria e sulla presenza di iniziali gotiche maiuscole (le I e una N) con pallini quasi alla greca. A tali conclusioni vanno aggiunte quelle ricavabili dall’analisi dell’iniziale miniata al f. 1r, che rappresenta un Cristo a mezzo busto di profilo che indica il testo. L’esecuzione della figura con tratto molto semplice non escluderebbe la possibilità che sia stato lo stesso copista a realizzarla; in ogni caso, sia lo stile miniaturistico sia i dati paleografici orientano a considerare il codice come prodotto da una bottega di livello mediocre. Per la verità, la posa del Cristo miniato è piuttosto singolare, poiché la raffigurazione a mezzo busto nell’atto di indicare l’incipit dell’opera è di solito riservata a rappresentare l’autore del testo. In ogni caso, una simile soluzione, unita a un semplice apparato decorativo a foglie di acanto, pare richiamarsi a esempi rinvenibili in manoscritti milanesi del secondo Trecento che tramandano per lo più testi classici.2 Tale liaison suggerisce – sebbene la corsività della
2 Cf. Avril/Gousset/Aniel (2005, ni 16: Latin 8045, f. 1r; 20: Latin 6395, f. 1r; 21: Latin 4932, f. 1r; 37: Latin 8055, f. 179r; 41: Latin 7797, f. 1r); i due ultimi riferimenti non valgono per la decorazione fogliacea, ma per il solo busto di profilo.
1.1 Il codice: localizzazione e datazione
3
figurazione del Trivulziano 1993 consigli prudenza – una possibile datazione del codice al primo quarto del XV secolo, conclusione sulla quale convengono i pareri di Milvia Bollati (Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano; comunicazioni scritte del 27 e 28.05 e dell’01.06.2014) e Marco Rossi (Università Cattolica del Sacro Cuore, Milano; comunicazione scritta del 31.05.2014). Per quanto riguarda la provenienza del codice, va considerato innanzitutto l’indizio proveniente dal secondo foglio di guardia, ricavato da una pergamena che tramandava un atto privato duecentesco riguardante un mutuo: la datatio topica, come si è accennato, rinvia a Como e induce dunque a ritenere probabile che, dovunque il manoscritto sia stato prodotto, esso sia stato a un certo punto rilegato nella città lariana, forse per conto di un notaio. A tali dati va aggiunta una considerazione attenta della nota vergata al f. 31v, dove si dichiara che il codice, venduto «a presbitero ambroxino de massonibus», è entrato in possesso di «ieronimi del nato». Ora, un «Ieronimo de Nato» è citato come pronotario in tre atti rogati a Como dal notaio Francesco da Cermenate nel 1429 (cf. Clerici 1983, 161): considerando che la nota di possesso è databile alla seconda metà del Quattrocento, l’acquirente del codice potrebbe essere stato lui stesso o un suo discendente. Non è chiaro, d’altronde, se il personaggio si possa associare con il Gerolamo Natta terziario francescano abitante a Como citato in un documento del 09.11.1457, e se entrambi coincidano con il Gerolamo Natta il cui testamento (perduto) fu rogato il 21.12.1454. Di sicuro, comunque, andrà esclusa l’identificazione con il Gerolamo del Nato (o Natta: il cognome varia nella documentazione) prima canonico e poi arciprete a Balerna (oggi nel Canton Ticino): se l’acquirente del Trivulziano 1993 fosse stato un presbitero, il titolo certo comparirebbe nella nota di possesso.3 L’accertamento di chi fosse il Gerolamo del Nato acquirente del manoscritto non è dunque esente da dubbi irrisolti. Informazioni più precise si hanno invece per Ambrogino (o Ambrogio) Massoni:4 il sacerdote risulta titolare dal 1418 di un beneficio ad Arese, una città a circa 15 chilometri a nord ovest di Milano, il che lo farebbe supporre (ma il condizionale è d’obbligo) originario del Milanese. Nel 1428, d’altro canto, Ambrogio Massoni ottenne il primo dei suoi benefici nella diocesi lariana, dove si trasferì seguendo il vescovo Gerardo Landriani. Con Ambrogio si trasferirono altri membri della famiglia: nell’estimo comasco del 1439, infatti, figurano suo fratello, Francino, residente nella centralissima parroc-
3 Cf. rispettivamente Archivio di Stato di Como, Notarile, 29, f. 4182r; ASCo, Notarile, 27–28, f. 2695r e, sul del Nato di Balerna, ASCo, Notarile, 71, ff. 36r, 84v (e 685v?), ASCo, Notarile, 74, vol. 1, f. 336r; ASCo, Notarile, 106, f. 547. Devo la documentazione dell’Archivio di Stato di Como citata in questo paragrafo a due comunicazioni scritte di Elisabetta Canobbio del 28 e 30.05.2014. 4 Cf. Canobbio (2001, 97 n. 4); Ostinelli (2003, 132, 145, 167–168 e la bibliografia ivi indicata).
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1 La Passione del manoscritto Trivulziano 1993
chia di S. Fedele (ASCo, Archivio Storico Civico, Volumi, 168, f. 15r) e una congiunta, Luchina, residente nella parrocchia di S. Maria (ivi, f. 5v) e madre, verosimilmente, di Marco Massoni, canonico presso la cattedrale lariana almeno dal 1435. Con ottima probabilità, dunque, fu a Como nel XV secolo che il Trivulziano 1993 passò dalle mani di Ambrogio Massoni in quelle di Gerolamo del Nato. Tuttavia, ciò non implica in alcun modo che a Como il codice sia stato anche prodotto, tanto più se si considera la possibile provenienza di Massoni dalla diocesi ambrosiana, dove, si è detto, deteneva un beneficio prima del 1428. Per quanto riguarda l’origine del manoscritto, l’unico dato certo è che l’iniziale miniata (sul punto concordano Milvia Bollati, Gabriella Pomaro e Marco Rossi) è senz’altro lombarda. D’altra parte, sebbene essa goda di riscontri in area milanese, la conoscenza attuale delle miniature comasche del XIV e XV secolo non è tale da permettere l’esclusione della città lariana.5
1.2 Il testo: localizzazione e datazione Volgendosi dal codice Trivulziano 1993 al testo che esso tramanda, numerosi problemi si affiancano a quelli già considerati: il volgarizzamento ha attinto da un testo latino dove le fonti (evangeliche e non) erano già fuse in un’unica narrazione o opera ex novo tale intreccio? La lezione tramandata coincide con l’originale o è copia di un antigrafo? Si può datare la composizione dell’opera attraverso elementi interni? Esistono dati linguistici che permettono di collocare geograficamente la Passione Trivulziana con ragionevole certezza? Per tentare una risposta a tali quesiti sarà necessario anticipare qui, perspicuitatis causa, dati che troveranno una più compiuta esposizione nel resto del volume. Per quanto riguarda il primo interrogativo, si può partire dall’osservazione che, essendo disponibili tra Trecento e Quattrocento numerose versioni in latino che fondevano i quattro vangeli (Vaccari 1931, 330–331), appare inverosimile pensare che l’autore della Passione Trivulziana, già impegnato nel compito di volgarizzare, si sia sobbarcato anche quello di realizzare in proprio una nuova armonizzazione. Tanto più considerando che a volte l’intreccio delle fonti è assai fitto, come nel passo che racconta la preparazione dell’ultima cena:
5 Certo sarebbe teoricamente possibile prendere in considerazione anche altri centri lombardi di produzione, cosa che d’altronde, alla luce dei dati finora esposti e di ciò che si dirà al §1.2, appare improbabile.
1.2 Il testo: localizzazione e datazione
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Passione Trivulziana, 4–5:6 Siando donca venudo lo tempo in lo qua era de necessità a servare le cosse digie de sora, sì disse lo nostro Segnor aly soy discipuli: «Andé e sì aparegié de fare la Pascha». Et illi disseno: «Onde vo’ tu Segnor k’ela sia aparegiada?». Illora disse Yesù Criste a du dely soy discipuli: «Andéven in la cità e trovarì uno homo ki porta una amora d’aqua», la qual poeva esse una barì, «e quelo debié seguì fin in la casa in la qual elo à intrà. E dirì al padre dela fameia, al segnor de quela casa: ‹Lo magistro ce manda. Apresso de ti con li me discipuli fazo la pascha: ond’è la mia refection et ond’è quello logo k’eo possa cenar con li mei discipuli?›. Et coluy ve mostrarà un cenaculo grande e spatioxo e inlò aparegiarì a nu la Pascha». Li duy discipuli andón et trovón sì com lo Segnor g’aveva digio e aparegión la Pascha. L’un de quisti discipuli fo san Pedro, l’altro san Iohane evangelista. E quando fo l’ora de vespero sì ven lo nostro Segnor con li soi discipuli XII per fare la Pascha in Yerusalem.
La pericope segue qui, soprattutto in principio, Lc 22,7–14:7 Venit autem dies azymorum, in qua necesse erat occidi pascha. Et misit Petrum et Iohannem dicens: «Euntes parate nobis Pascha, ut manducemus». At illi dixerunt: «Ubi vis paremus?». Et dixit ad eos: «Ecce, introeuntibus vobis in civitatem, occurret vobis homo amphoram aquae portans: sequimini eum in domum in qua intrat, et dicetis patri familias domus: ‹Dicit tibi magister: ‘Ubi est diversorium, ubi Pascha cum discipulis meis manducem?’›. Et ipse vobis ostendet cenaculum magnum stratum, et ibi parate». Euntes autem invenerunt sicut dixit illis, et paraverunt Pascha. Et cum facta esset hora, discubuit, et duodecim apostoli cum eo.
Tuttavia, l’iniziale riferimento generico all’invio di due discepoli con l’omissione dei nomi di Pietro e Giovanni (recuperati in fine), l’espressione «al segnor de quela casa», il passo «ond’è la mia refection et ond’è quello logo k’eo possa cenar con li mei discipuli? Et coluy ve mostrarà un cenaculo grande e spatioxo e inlò aparegiarì a nu la Pascha» discendono piuttosto da Mc 14,12–17: Et primo die azymorum, quando pascha immolabant, dicunt ei discipuli: «Quo vis eamus et paremus tibi ut manduces Pascha?». Et mittit duos ex discipulis suis et dicit eis: «Ite in civitatem et occurret vobis homo laguenam aquae baiulans; sequimini eum et, quocumque introierit, dicite domino domus quia magister dicit: ‹Ubi est refectio mea, ubi pascha cum discipulis meis manducem?›. Et ipse vobis demonstrabit cenaculum grande stratum; et illic parate nobis». Et abierunt discipuli eius et venerunt in civitatem et invenerunt sicut dixerat illis et praeparaverunt pascha. Vespere autem facto, venit cum duodecim.
Il comando di entrare in città («Andéven in la cità») e la chiusa con il riferimento al vespero possono provenire sia da Marco sia da Matteo. Senz’altro da Mt 26,17– 20 proviene invece la notazione «Apresso de ti con li me discipuli fazo la pascha»: 6 Si cita naturalmente il testo della Passione Trivulziana secondo l’edizione offerta al §3.2, facendo riferimento alla suddivisione in paragrafi numerati lì introdotta. Per comodità, qui e in seguito i numeri di paragrafo della Passione Trivulziana non sono introdotti dal segno §. 7 Le citazioni dalla Bibbia seguono la lezione della Vulgata.
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1 La Passione del manoscritto Trivulziano 1993
Prima autem azymorum accesserunt discipuli ad Iesum dicentes: «Ubi vis paremus tibi comedere pascha?». At Iesus dixit: «Ite in civitatem ad quendam et dicite ei: ‹Magister dicit: ‘Tempus meum prope est; apud te facio pascha cum discipulis meis’›». Et fecerunt discipuli sicut constituit illis Iesus, et paraverunt pascha. Vespere autem facto, discumbebat cum duodecim discipulis.
Se pare dunque improbabile un intreccio dei quattro vangeli realizzato in volgare senza un precedente latino, resta però da chiedersi se l’interpolazione dell’armonia evangelica con glosse tratte da altre fonti, che trova spesso luogo nella Passione del Trivulziano 1993, fosse o non fosse già nel testo latino da volgarizzare. Un esempio di tale pratica si è già offerto nel passo poc’anzi citato, nel quale la notazione «la qual poeva esse una barì», che dichiara «una amora d’aqua», prende forse spunto dall’osservazione di Pietro Mangiatore «Quod Marcus dicit lagenam, Lucas amphoram, unus expressit genus vasis, alter modum» (Petrus Comestor, Historia scholastica, 1615). Per dirimere la questione proposta, è utile il confronto tra la Passione Trivulziana e quella tramandata dal codice trecentesco segnato MA 460 della Biblioteca Civica Angelo Mai di Bergamo (d’ora in avanti: Passione Mai), che corrono parallele in molti luoghi. Si consideri l’episodio della cattura di Gesù: Passione Trivulziana, 80–82: Quando Iuda ave basado Criste e quela gente armada fo inlò, e Criste vene inverso de loro e sì ge disse: «Ki domandé vu?», e illi disseno: «Nu domandemo Yesù de Nazeret», e Iuda era con loro in quela fiada. Disse Criste: «Eyo son quelo». Quan Criste ave digio: «E’ son quelo», quela parola fo de tanta vertù ke illi caden tuti per terra sì com morti. Do cosse fè quilò lo nostro Segnor: l’una k’el ge andò incontra per dare a intende a tuti k’el [no] receveva la sova passion sì com constreto, anze la receveva de propia voluntà; l’altra cossa sì fo k’el i fè cadere in terra, azò ke illi, vezando la soa vertù, se deveseno retrà de tanto peccado; ma illi no se retrén, anze quando illi fon levadi su, Criste li domandò ancora e sì ge disse: «Ki domandé vu?». Sapié segn[u]ri ke Criste no feva questa domanda perkè el no savese ben ke illi domandaveno, anze lo feva perkè illi lo deveseno cognosce, ke illi no lo cognoscevano, che con tuto zò ke illi avevano lanterne e fanzele e con tuto zò ke Iuda g’avese dato lo segnio del baxo, ampoy illi no ’l cognosevano e no l’avraveno acognosudo, s’el no fosse stado de soa voluntà. Doncha azò ke illi lo cognoseseno ben, ello ge feva questa domanda: «Ki domandé vu?», et illi dissen: «Nu domandemo Yesù de Nazaret». Disse Criste: «E’ v’ò zà digio k’e’ son quelo. Adoncha se vu domandé mi, tolì mi e fé de mi zò ke vorì e lasé andar quisti mei discipuli». Passione Mai, ff. 5v–6r: Siando miser Iesù Cristo in queste parole et aprosimando la moltitudine deli armadi, elo no scampà, ch’elo podeva ben scanpare, elo no se defese, ch’elo se podeva ben defendre, mai cum grandissima mansuetudine et humilitade elo li andà incontra e disse: «Quem queritis?», çò è «Chi querì vu? Chi demandé vu?». Et illi cum gran furore començà cridare: «Nui demandemo Iesù naçareno». E miser Iesù Cristo disse: «Ego sum», çò fo a dire: «Eo sonto instesso». Incontinente aldida questa parola illi ave sì gran timor che tuti quanti cadé çó in terra e Iuda insenbre cum illi. Qualoga fé miser Iesù Cristo doe cose: la una quando elo andà incontra ad illi, a mostrare e dar ad intendere ch’elo
1.2 Il testo: localizzazione e datazione
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receveva la soa passione per soa spontana voluntade e no sì como constreto per força. L’altra cosa fo ch’elo ala soa voxe li fé cader in terra, açò che illi vegando la soa virtude devesse cessare da cotanto pecado; mai illi açegadi dalo pecado no nde fé niente, anço s’aprosimà cum gran furor plù provo a miser Iesù Cristo. Ancora miser Iesù Cristo cum grandissima humilitade li demandà e disse: «Quem queritis?», çò è «Chi demandé vu?». Sapié signori che miser Iesù Cristo no faseva questa demandança perch’elo no savese bene chi illi demandava, mai sì la faseva pur perch’illi lo devesse ben cognosser, che cum tuto çò che Iuda li aveva dado le fateçe e li signi e cum tuto çò ch’ili aveva lumere e lanterne, anpo’ no lo cognossev’eli, e no lo averave cognosudo s’elo avesse voiudo. E perch’ili lo cognossesse bene, elo li faseva questa demandança: «Quem queritis?». Et illi respose: «Nui demandemo Iesù Naçareno», quasi a dire: «Nui no lo cognossemo». E lo signor li respose: «Eo v’ai dito che eo sonto instesso», quasi a dire: «Echomi, tolìme e fé de mi çò che vui volì, e laxé andar quisti altri, çò è li disipoli».
In entrambe le Passioni, i versetti di Io 18,4–88 sono interrotti dalle stesse glosse esattamente negli stessi punti: dopo la caduta della folla armata (versetto 6), quando si spiega che Cristo le andò incontro per mostrare la sua libera accettazione della croce e fece cadere gli uomini in terra perché si ravvedessero; dopo la seconda volta che Gesù chiede chi cerchino (a metà del settimo versetto), dove si chiarisce che la domanda è posta per farsi riconoscere; infine nell’aggiunta, inserita nell’ultimo versetto, del permesso dato dal Signore a coloro che lo catturano di fare di lui ciò che vogliono. Considerando ogni interpolazione singolarmente, l’ipotesi di una poligenesi non è troppo remota, ma se si prende il passo nel suo complesso, la probabilità che gli autori delle due Passioni abbiano interrotto in modo indipendente il dettato giovanneo nei medesimi punti con le medesime glosse senza che fossero già precedentemente incastonate nel testo evangelico è piuttosto bassa: sembra senz’altro più economico supporre l’esistenza di modelli simili, in cui la fusione fosse già avvenuta. Che poi tali modelli vadano pensati in lingua latina è suggerito dalla diversità di formulazione del dettato delle medesime glosse: la divergenza per esempio tra «Do cosse fè quilò lo nostro Segnor», «el [no] receveva la sova passion sì com constreto, anze la receveva de propia voluntà» e «se deveseno retrà de tanto peccado» della Passione Trivulziana da un lato e «Qualoga fé miser Iesù Cristo doe cose», «elo receveva la soa passione per soa spontana voluntade e no sì como constreto per força» e «devesse cessare da cotanto pecado» della Passione Mai dall’altro si spiega senza
8 Iesus itaque sciens omnia, quae ventura erant super eum, processit et dicit eis: «Quem quaeritis?». Responderunt ei: «Iesum Nazarenum». Dicit eis Iesus: «Ego sum!». Stabat autem et Iudas, qui tradebat eum, cum ipsis. Ut ergo dixit eis: «Ego sum!», abierunt retrorsum et ceciderunt in terram. Iterum ergo eos interrogavit: «Quem quaeritis?». Illi autem dixerunt: «Iesum Nazarenum». Respondit Iesus: «Dixi vobis quia ego sum. Si ergo me quaeritis, sinite hos abire».
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troppa difficoltà pensando a due volgarizzamenti indipendenti della medesima pericope in latino. Venendo alla seconda delle domande poste in apertura di paragrafo, si può ritenere che la lezione tramandata dal Trivulziano 1993 sia tratta da un antigrafo. A questa ipotesi indirizzano alcune delle mende testuali, la cui genesi è verosimilmente da indentificare in un’errata interpretazione della grafia del modello: così è per «coto e mangiado li zude» (f. 1r) al posto di «coto e mangià dali Zudé» (2) o per lo scambio tra ‘reggere’ e ‘ricevere’ in «a(n)na no rezeve lo pove(r)o» (f. 17r) invece che «Anna no rezeva lo povero» (124). Ancor più probante è, però, la lacuna al f. 11r, segnalata, oltre che dal difetto di senso, dal fatto che il sì com iniziale rimane irrelato: «Si co(m) lo segnior uosse predire ali soy discip(u)li lo logo dela soua resurection. Azo ke si co(m) illi auraueno t(ri)steza i(n) vedere la soua passion ke altersì aueseno alegreza in uedere la soua gloriosa resurection». Considerando il parallelismo antitetico tra passione e risurrezione che segue la congiunzione Azo ke, è facile ipotizzare che prima di essa debba essere caduto un segmento relativo alla passione. La conferma proviene dalla fonte latina del passo in questione, la Glossa ordinaria a Mt 26,32: «Sicut praedixit locum passionis, sic praedicit locum resurrectionis, ut sicut sunt tristes ex passione, sic laetentur glorificati resurrectione vel visione» (cf. §1.3). La spiegazione più semplice del guasto testuale sembra quella di pensare a un classico errore di copiatura, il saut du même au même, che sulla base del latino e del materiale linguistico disponibile nel resto della Passione Trivulziana potrebbe essere così integrato: «Sì com lo Segnior vosse predire ali soy discipuli lo logo dela sova [passion, cusì predisse lo logo dela sova] resurection, azò ke sì com illi avraveno tristeza in vedere la sova passion, ke altersì aveseno alegreza in vedere la sova gloriosa resurection» (60). In parte simile è il caso al f. 16r: «Mo poristu dire: p(er)que lo meno illi do(n)cha acaxa de a(n)na i(m)p(ri)ma, de po ke lera i(n)sudo fora del so rezime(n)to. La caxon po esse q(ue)sta. Illi lo menaueno dela soa casa. Eper fare godio ealegreza illi gel menò de na(n)ze». Che tra menaueno e dela ci sia una lacuna è mostrato, oltre che dal senso zoppicante, dal parallelo della Passione Mai, che reca al f. 7r un passaggio simile: «Perqué menà li Cristo cusì ligado imprima a casa de questo Anna? La casone pote eser questa, perçò ch’ili lo menava per denançi la soa casa, et açò ch’ili li fesse gaudio, illi lo menà imprima ad elo». La lacuna nella Passione Trivulziana si spiega con un buon grado di verosimiglianza pensando che il copista sia stato tratto in inganno dal fatto che, nell’antigrafo da copiare, a denanze seguisse la preposizione dela, le cui due prime lettere coincidono con quelle della parola omessa. Altrettanti errori intercorsi nella trascrizione da un antigrafo paiono poi le altre lacune di intere parole o frasi che si riscontrano nel Trivulziano 1993, come «fosse menado cussì ligado a
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caxa de Caifax, [onde] li scribi e li antixi se congregaveno» (95), «Unde in verità ve [digo] ke ancora vu vedarì venire lo fiolo del’omo in le nuveri del celo» (104), «E li principi deli sacerdoti e li scribi sì ge stevano denanze e sì lo acusaveno costantemente denanze de Herodex, e dixevano k’el [no] aprexiava Herodex nì soa [***]. Vezando Herodex ke Criste no ge respondeva, sì lo desprexiò» (120– 121), e così via. In mancanza di appigli ricavabili dal contenuto del testo, il terminus ante quem per la datazione dell’originale della Passione Trivulziana coincide con il limite più avanzato per l’allestimento del Trivulziano 1993, cioè la metà del XV secolo (o forse il primo quarto del secolo, a giudicare dall’iniziale miniata). Per determinare il terminus a quo del testo latino sotteso al volgarizzamento, e di riflesso del volgarizzamento stesso, risultano purtroppo di scarso aiuto gli indizi offerti dalle fonti non evangeliche impiegate (cf. §1.3). Tra esse infatti non può essere presa in considerazione la Postilla di Nicolaus de Lyra, perché mostra punti di tangenza troppo labili con il dettato della Passione Trivulziana; sicura è invece la presenza delle Meditaciones vite Christi: la loro datazione, però, offre un terminus a quo assai alto, dal momento che secondo gli studi più recenti va fissata all’inizio del XIV secolo.9 Di conseguenza, la composizione della Passione Trivulziana va prudentemente collocata nell’ampio arco cronologico che si estende dal principio del Trecento alla prima metà del Quattrocento.10 Da ultimo, è necessario occuparsi della possibilità di localizzare il volgarizzamento su base linguistica. Considerando da subito, secondo il suggerimento di Santoro (1965, n° 468) e Piazza (1975, 30), l’area lombarda, è innanzitutto da scartare l’intera zona a est dell’Adda: contro Bergamo, Brescia e Mantova giocano, per non citare che alcuni fenomeni caratterizzanti la lingua della Passione
9 Cf. McNamer (1990; 2009, 905 n. 1 e 946; 2010, 95–115); Tóth/Falvay (2014); Falvay/Tóth (2015, 403–406). 10 Non sembra sufficientemente fondata la datazione della Passione Trivulziana al primo Trecento sostenuta da Vitale (2005, 47 n. 40) in base al fatto che «il testo presenta una lingua, nei suoi elementi fono-morfologici e lessicali, strettamente affine a quella di Bonvesin e del tutto aliena dagli usi anche popolari trecenteschi», perché va tenuta in debito conto la «netta sfasatura culturale» che mostrano gli scritti di tradizione religiosa (Stella 1994, 192): l’esempio del Laudario comasco (per cui cf. Stella 1994, 195, e qui poco più avanti) mostra la possibilità di trovare in area lombarda occidentale testi linguisticamente ben connotati sul piano locale ancora all’inizio del XV secolo. Cf. in proposito anche lʼosservazione di Wilhelm (2011, 155), secondo cui nel Tre e Quattrocento, «während die Kanzleisprache und die gelehrte Dichtung sich dem toskanischliterarischen Modell zuwenden, führen die religiösen Gebrauchstexte […] noch längere Zeit – und trotz zunehmender toskanischer Einflüsse – eine regional geprägte Sprachform fort». D’altro canto, sull’appartenenza della lingua della Passione Trivulziana a una fase ancora medioevale, cf. l’analisi linguistica, §4.64.
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Trivulziana, i casi di dileguo delle dentali intervocaliche,11 l’evoluzione dei nessi 12 PL e BL in [pj] e [bj] e la 4a pers. dell’ind. pres. in -amo e -emo (nessuna attestazione utile per la IV classe) piuttosto che in -om, -um o secondo il tipo HOMO AMAT ; Crema e Cremona sono escluse, oltre che dal citato trattamento delle dentali, dall’esito palatalizzato, invece che assimilato, del nesso CT (fatto che si oppone anche a bresciano e mantovano).13 Per quanto riguarda la Lombardia occidentale, allontanano da Pavia, tra l’altro, la presenza di metafonesi nei sostantivi m. pl. in -ŌRI e -ŌSI , la conservazione di [dr] primario e secondario e semo, piuttosto che soma o somo, come 4a pers. dell’ind. pres. di essere; mentre Lodi va accantonata in ragione del rotacismo di L intervocalica e della 5a pers. del cong. pres. esclusivamente in -é (mai in -di), nonché per l’assenza di e impiegato come pron. sogg. di 4a pers.14 Più arduo è il discorso riguardante Novara, per la mancanza di ricerche su cui fare affidamento.15 L’unico punto di appoggio che mi è noto è il manoscritto quattro-cinquecentesco contenente laudi, orazioni e testi di pietà appartenuto alla confraternita dei Battuti di Novara, ora custodito nell’Archivio Molli della Fondazione Marazza di Borgomanero e parzialmente pubblicato da Pier Giorgio Longo (1986). Sebbene i testi volgari del codice non possano vantare una buona caratterizzazione linguistica (frequente per esempio la terminazione toscaneggiante -iamo alla 4a pers. dell’ind. pres.), scorrendo le preghiere e meditazioni vergate da una mano del XV secolo ai ff. 3r–5r, 6v–7r, 8r–v, 11r–13r, 14r–15r si
11 Sebbene Mantova conosca participi passati in -à, -ù, -ì (accanto a -ad, -ud, -id), le risulterebbero estranee forme attestate nella Passione Trivulziana come poè sost. 182, po[e]re sost. 54, poeva ind. impf. 3a pers. 4, 16, 91, 99, poevano ind. impf. 6a pers. 16, 113, 149, poè ind. perf. 3a pers. 77, 100, poese 92 e poesse 96, 154, entrambe 3e pers. del cong. impf., e poeseno cong. impf. 6a pers. 101: cf. Ghinassi (1965, §25). 12 Nei testi mantovani trecenteschi analizzati da Borgogno (1972, 54, 91) si trovano esiti sia con l conservata sia con evoluzione in [j]. 13 Cf. per gli esiti della Passione Trivulziana l’analisi linguistica, §§4.21, 4.28, 4.31, 4.50; per il bergamasco Lorck (1893, 29: [pl], [bl] accanto a [pj], [bj], 47–51, 54–55), per la cui silloge vale però l’avvertenza di Contini (1934, 224), secondo cui «sull’origine bergamasca» dei testi «non è mai da giurare»; Corti (1965, 352), che pubblica tuttavia una Passione in versi «di localizzazione malcerta» (Ciociola 1979, 51); Corti (1974, 361–362); Ciociola (1979, 65); Tomasoni (1984, 79); per il bresciano Bonelli/Contini (1935, 144, 146–147); per il mantovano Ghinassi (1965, §§25–26, 31, 46); Schizzerotto (1985, 12); per cremasco e cremonese Grignani (1980, 66) e (1987, 100–101, 104); Saccani (1985, 67–68). Cf. inoltre Tomasoni (1989, 183–184) e Arcangeli (1990, 15, 17–18, 29). 14 Cf. più oltre l’analisi linguistica, §§4.11, 4.21, 4.28, 4.38, 4.55, 4.62: per il pavese Salvioni (1902a, 411–413); Grignani/Stella (1977, 127, 134, 137); per il lodigiano, Salvioni (1904b, 474–475); si aggiunga Arcangeli (1990, 17). 15 Sull’ascrizione di Novara alla Lombardia dal punto di vista linguistico si vedano per esempio Massariello (1988, 68–69); Lurati (2002, 226, 229); Loporcaro (2009, 94 e 99).
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nota la chiara tendenza a ciò che sembra interpretabile come restituzione con -i dell’atona finale caduta (fenomeno che non trova riscontri, se non per un caso isolato, nella Passione Trivulziana): anchori 3v, benedicioni sg. 14r, criatori sg. 11r, devotissimamenti 14v, guardari 5r, lori 3v, madri sg. 11r, manteniri 12r, paci sg. 12r, pregari 11v, principalmenti 4v, secondariamenti 6v, signori sg. 3r, 5r, specialmenti 11r e, più dubbio, omnipotenti sg. 14v, forse un dativo latino.16 Restano dunque, tra i centri principali, da un lato Milano e la vasta area che attorno ad essa ruotava, dall’altro Como: il fatto che le due zone siano proprio quelle coinvolte nelle vicende del codice Trivulziano 1993 (cf. §1.1), sebbene non costituisca in alcun modo un dato dirimente, pare un’indicazione non disprezzabile. La possibilità di distinguere tra Milano e Como, d’altronde, è guardata da più parti con scetticismo: in proposito, è spesso citato il giudizio di Bertolini (1985, 16), secondo cui «nei testi tre-quattrocenteschi le due città mostrano una koiné linguistica raramente incrinata da spie linguistiche caratteristiche dell’una o dell’altra». Tuttavia, osservando con più attenzione, si nota che il parere ora ricordato poggia su basi poco solide: la stessa Bertolini, infatti, cita come esempi noti dell’antico comasco le «mostre» di Monti (1845, XXXV–XLIV) e la Passione edita da Salvioni (1886a, 207–228). Le prime consistono in sei estratti da testi antichi conservati nelle biblioteche di Como, dei quali tuttavia il secondo e il terzo sono in latino, il primo («Mostra del catechismo ms. membranaceo della Biblioteca di Como»), stando allo stesso Monti (1845, XXX), «è dettato generalmente in buona lingua italiana, salvo poche voci de’ dialetti lombardi», il quinto è tratto da un poema cavalleresco, adespoto e anepigrafo, sulla cui localizzazione è lecito interrogarsi e il sesto è la «Mostra del Rabisch», estratta da una ristampa del 1612 del volume di Giovan Paolo Lomazzo e dell’Accademia della Val di Blenio, contenente «prose e versi di vario metro, quasi tutto in dialetto di Blenio e di argomento burlesco».17 La quarta «mostra», infine, è appunto uno stralcio della Passione pubblicata quarant’anni più tardi da Carlo Salvioni, e da lui commentata linguisticamente contrastandola con la parafrasi pavese del Neminem laedi nisi a se ipso di san Giovanni Crisostomo (Salvioni 1898). La quale Passione – che, a voler essere
16 Cf. Longo (1986, 287–298) e, per la Passione Trivulziana, l’analisi linguistica, §4.19. Che per il novarese si tratti proprio di restituzione di una finale caduta o che l’interpretazione dei dati qui offerti vada altrimenti condotta è materia che non è possibile dirimere qui. Può essere utile segnalare, in considerazione di ciò che si dirà più oltre, che nei fogli considerati del laudario di Novara la forma soggettiva del pronome di 3a pers. m. è al (11r tre volte, 14v); il dato coincide oltretutto con la situazione attuale (Turri 1973, 84). 17 Monti (1845, XXXIV); cf. inoltre Giovan Paolo Lomazzo e i Facchini della Val di Blenio, Rabisch.
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precisi, bisognerebbe chiamare piuttosto Meditazione sulla Passione – è tramandata da un codice quattrocentesco della Biblioteca comunale di Como nel quale «non v’ha nessuna indicazione di tempo o di luogo, o d’autore o copista»; e sebbene nel testo si rintraccino allusioni al committente e al compositore del testo, ciò avviene «per modo che non se ne possa cavare alcun criterio circa l’esser loro» (Salvioni 1886a, 207).18 Che dunque il testo spesso ambiguamente chiamato Passione comasca sia un testimone certo dell’antico volgare comasco è in realtà un abbaglio, peraltro piuttosto diffuso, dal momento che, oltre a Bertolini (1985), ha tratto in inganno anche altri studiosi.19 Del possibile equivoco si era forse accorto lo stesso Salvioni, che, pubblicando gli statuti in volgare della confraternita di S. Marta dei Disciplinati di Daro (oggi una frazione di Bellinzona), avvertiva a riguardo della Meditazione sulla Passione – e dell’esposizione del decalogo e dello stralcio di lauda con essa pubblicati nel 1886:20 «questi testi provengon da un codice conservato a Como; ma ciò non implica, s’intende, che siano di origine comasca» (Salvioni 1904a, 564). Non è un caso che la precisazione fosse avanzata in quella sede: gli statuti ivi pubblicati e commentati linguisticamente, infatti, sono i medesimi della confraternita di S. Marta di Como, «adottati tali e quali dal sodalizio di Daro, il quale non fece copiar quelli per proprio conto, […] ma si procurò addirittura un esemplare che serviva a quei di Como. Come documento storico della confraternita, gli statuti valgon dunque tanto per Como che per Daro. Ma come saggio di lingua, essi valgon solo per Como» (Salvioni 1904a, 563). L’aspettativa di un buon punto di riferimento per caratterizzare l’antico volgare lariano, d’altra parte, appare disattesa dalla constatazione che, a giudizio dell’editore, nel documento «di specificamente comasco non […] appare nulla» (Salvioni 1904a, 563–564). È dunque necessario volgersi altrove, in cerca di testimonianze più sicure: tra esse sembra di poter annoverare un codice quattrocentesco di 130 fogli, conservato senza segnatura presso l’Archivio della diocesi di Como e segnalato per la prima volta da Baserga (1925).21 Il manoscritto (d’ora in poi Laudario comasco) 18 Per quanto riguarda la datazione del manoscritto, andrà aggiunto che una nota di redazione nella sezione «Comunicazioni e appunti» del «Giornale storico della letteratura italiana» avverte: «Lo stesso dr. Salvioni ci comunica che un più attento esame del cod. com. l’ha indotto ad attribuire questo alla 2a metà del sec. XIV» (Percopo 1886, 303). 19 Cf. per esempio Spiess (1956, 24–25) e, più di recente, Bertoletti (2005, 42–43 n. 73), Wilhelm (2007, 12) e Colombo (2010, 8 n. 15). 20 Quella che in Salvioni (1886a, 207) è chiamata «canzone di argomento sacro» è in realtà una delle laudi di Jacopone da Todi, come segnala Percopo (1886). 21 Sul manoscritto si veda la bibliografia citata in Ciociola (1986, 161 n. 61) e Larghi (1998), cui si aggiunga Stella (1994, 194–195). La descrizione è consultabile in rete sul sito Manus: (ma la numerazione dei ff. nella descrizione del contenuto è inaffidabile).
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tramanda una cinquantina di testi poetici, soprattutto laudi, insieme a preghiere, litanie e testi devozionali in prosa. Fino al foglio 123r (124r nella numerazione antica) si riconosce la mano di un unico copista, che in fine si firma «Nicololus de Ventretis de Plurio»:22 il personaggio risulta già morto nel 1441, anno in cui un certo Giovanni, figlio del fu «Nicololi Ventrete de Plurio», è citato come testimone in un atto di procura conservato presso l’Archivio parrocchiale di S. Fedele a Como.23 Sempre al f. 123r del Laudario comasco si legge che «iste liber est scolarum Sancte Marte de Cumis et fuit factus MCCCCXX » (con de Cumis soprascritto). Quale che fosse il grado di inurbamento del copista originario di Piuro in Val Bregaglia, l’impiego del codice nella confraternita comasca dei Battuti di S. Marta – la stessa da cui provengono gli statuti dei Disciplinati (o Battuti) di Daro – pare sufficiente a considerarlo un esempio affidabile dell’antico volgare comasco, giudizio sul quale concordano Ciociola (1986, 161) e Stella (1994, 194). Sotto il rispetto linguistico, tuttavia, le laudi appaiono un terreno sdrucciolevole che necessiterebbe di analisi accurate, dato l’alto grado di riuso di materiali di varia provenienza: nel codice comasco si trovano ad esempio un rimaneggiamento della jacoponica Quando t’alegri, omo d’altura, uno del Pianto di Enselmino da Montebelluna (smembrato in diverse laudi), una versione dell’assai diffusa Voi ch’amate lo Criatore (Vui ke amasti lo creator), e così via.24 L’assunto che per i testi devozionali prosastici non valesse una simile pratica di reimpiego è, in effetti, illusorio: il lamento in prosa di Maria di Magdala, san Giovanni e Maria madre di Gesù sotto la croce ai ff. 106r–109r del Laudario comasco coincide infatti quasi esattamente con la quinta tra le meditazioni del già menzionato laudario dei Battuti di Novara (Longo 1986, 346–347 n., 350–353) e presenta forti somiglianze con la Passione drammatica del codice Trotti 502 della Biblioteca Ambrosiana (Banfi 1973, 416–417). Ciò nonostante, si può forse concedere che le preghiere confraternali introduttive alla pratica della disciplina (ff. 1r–2r), le intenzioni di preghiera (ff. 5r–14v; si esclude però l’invocazione a Maria in rima al f. 9r) e la formula di confessione (ff. 120v–122r) possano riflettere in maniera non troppo insincera i tratti del comasco antico. Essi coincidono sostanzialmente con i fenomeni fonetici, rilevabili anche nella Passione Trivulziana, che caratterizzano il milanese antico e i testi ad esso di solito reputati linguisticamente coerenti: basti qui citare, con un’esemplificazione dal laudario incompleta e asistematica, la metafonesi sia nella serie palatale (qui ‘quelli’ 7v e quili 5r, arciviscovi 6v e viscovi 6v, le 5e pers. dell’ind. pres. permagnì ‘permanete’ 9v e sì 22 Anche se, come nota Larghi (1998, 61), gli interventi correttori in questa sezione si devono a due altre mani. 23 Cf. Baserga (1925, 7); Casnati/Re (1954, 21). 24 Cf. Casnati (1947); Casnati/Re (1958); Larghi (1998).
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‘siete’ 10r e quelle dell’ind. fut. dirì 10v e sarì 11r), sia in quella velare (benfactù ‘benefattori’ 12r, nu 6v e nuy 1r, peccadù ‘peccatori’ 5r),25 l’evoluzione palatale di 26 MN (condegnati 6r, condegniadi 7r, colognia ‘colonna’ 13v), il rotacismo di L originariamente intervocalica (benché sporadico: sono attestati solo purixele < 27 PULICELLAS 7v e piaxevre 121r) e la palatalizzazione di CT (benedegio 5r, frugio 8r, 28 fagio 9v). Un indizio che permetta di scalfire una simile omogeneità sceverando tra milanese e comasco antichi proviene però dalla morfologia, e precisamente dal quadro dei pronomi personali soggetto: nel Laudario comasco sono infatti numerose le forme costituite dall’unione del clitico soggetto a’ con clitici soggetto di 3a e 6a pers., assenti o scarsamente rappresentate in milanese antico.29 Si tratta, oltretutto, di una divergenza valevole anche per la fase moderna: al milanese el, impiegato come personale ed espletivo (Salvioni 1975, 356–357), risponde, nella parabola del figlio prodigo tradotta «nel dialetto di Como», esclusivamente a’ ’l (Monti 1845, 422–423). Questo il prospetto esaustivo delle forme pronominali soggettive di 3a e 6a pers. del Laudario comasco (relativamente alle sezioni sopra citate): 3a pers. m. a’ ’l (12 occorrenze in tutto): «per sua grandissima misericordia a’ ’l se degna da prestare un poco dela gratia» (1r), «che a’ ’l se possa regoye» (8r), «ke a’ ’l ne faza questo dono» (8r), «zinque piage le quele a’ ’l rezevè lo nostro Segniore» (8r), «ke a’ ’l ne perdona li nostri peccadi» (9v), «ke a’ ’l ne daga gratia» (9v), «ke a’ ’l ne perdona li nostri peccadi»
25 Per la Passione Trivulziana cf. l’analisi linguistica, §§4.9, 4.10, 4.11; per l’area linguistica milanese Mussafia (1868, §§9, 16, 26, 32, 88–89); Keller (1896, 4–5); Domokos (2008, 120–129); Colombo (2010, 13); sebbene sia plausibile l’appartenenza all’area lombarda nordoccidentale dei volgarizzamenti dell’Elucidarium di Honorius Augustodunensis e del De confessione di Roberto di Sorbona pubblicati da Degli Innocenti (1984a e b) e quello del Purgatorio di San Patrizio pubblicato da Bertolini (1985), la loro ascrizione all’area milanese è invece da considerarsi sub iudice (cf. Stella 1994, 192–194; Morgana 2012, 24; secondo Bertolini 1986, 328, invece, «l’affermazione della milanesità del testo [dell’Elucidarium volgarizzato], sebbene non accompagnata da dettagliata dimostrazione linguistica, è pienamente condivisibile»). Degni di attenzione, tra l’altro, gli infiniti dari, fugiri, moriri in Degli Innocenti (1984a, 66), diri, hobediri, olziri in Degli Innocenti (1984b, 266); cf. in proposito Stella (1994, 194). 26 Cf. l’analisi linguistica, §4.29; Mussafia (1868, §44); Keller (1896, 3). 27 Cf. l’analisi linguistica, §4.28; Mussafia (1868, §34); Keller (1896, 9); Colombo (2010, 16). 28 Cf. l’analisi linguistica, §4.31; Mussafia (1868, §61); Keller (1896, 11); Domokos (2008, 129); Colombo (2010, 13). Si può aggiungere all’elenco, sul piano della sintassi, la posposizione dell’avverbio insema al complemento di compagnia, tipica però non solo del milanese antico, ma della Lombardia occidentale in genere (cf. l’analisi linguistica al §4.48). 29 Per una disamina più approfondita dei nessi pronominali con a’ e per la loro attestazione nei volgari settentrionali, cf. l’analisi linguistica, §4.40.
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(10r), «ke a’ ’l se regorda dela nostra fragelità e ke a’ ’l se domentega la nostra iniquità» (10r; tra nostra e iniquità le lettere la n cassate), «ke a’ ’l te piaza» (12r), «che a’ ’l ne perdona li nostri peccay» (13r), «pregé lo me Segnó ke a’ ’l me perdona» (122r); a’ l’ (2 in t.): «amare tute quelle cosse le que a’ l’ama luy e avere in odio tute quelle cosse le que a’ l’à in odio luy» (1v);30 el (7 in t.): «in questa vita presente el ge presta a tugi quel dono» (6r), «tu dixisse […]: ‹Femena, el è kilò lo toy fiolo›, e poi dixisse al to dissipolo: ‹El è qui la madre tova›» (11r), «pregé lo vostro maystro k’el ne deffenda» (12v), «azò ch’el ne sia premio» (12v), «ch’el se regorda dela nostra fragilità e ch’el se domentega la nostra iniquità» (13r). 3a pers. f. a’ la (5 in t.): «azò ch’a’ la sya nostra guida» (1r), «k’a’ la sia consegniada ala gloria» (6v), «ke a’ la romagna sempre in mane dei fedeli» (8v) «k’a’ la sia consegniada ala gloria» (9r), «k’a’ la sia consegniada ala gloria» (12r);31 la: «quando la rezevè la gratia del Spirito Santo» (6r).32 6a pers. m. a’ y (20 in t.): «ke a’ y posseno fà veraxe ovre» (5r), «ke a’ y possano reduxe ale soe caxe» (5r), «ke a’ y siano tuti denanze al’altissimo creatore» (6r; precede al’altissimo una d cassata), «ke a’ y pregano» (6v), «ke a’ y posseno rezere […] quelle anime le que a’ y àno soto sova cura» (6v), «ke a’ y fosseno in stadio de peccado» (6v), «azò k’a’ y posseno perseverà» (7r), «se a’ y fosseno strapassadi» (7r), «se a’ y fosseno condegniadi» (7r), «ke a’ y posseno conservà» (7r), «ke a’ y posseno far» (7v), «ke a’ y posseno portare» (8r), «ke a’ y posseno redure» (8r), «ke a’ y ne posseno aguadagniar» (8r), «ke a’ y posseno mantegnì» (8v), «ke a’ y posseno aquistare» (8v), «ke a’ y posseno venire» (8v), «k’a’ y intercedano per nuy» (11v), «sover la croxe a’ y te fon ingioday» (14r); a’ i: «se a’ i fosseno in questa vita» (6v); ey (2 in t.): «s’ey fosse in stadio de gratia» (7r), «le toe sacratissime mane quando in la croxe ey te fon ingiodade» (13v; con riferimento femminile).33
Com’è noto, tra gli antichi volgari lombardi che contemplano l’uso di a’ o di pronomi formati con a’ figura il bergamasco (cf. §4.40). Il fatto potrebbe legittima-
30 Con la forma obliqua luy postverbale in funzione di soggetto. 31 Se, come nella Passione Trivulziana, la congiunzione ka è usata solo con valore comparativo (o con sfumatura comparativa nella locuzione congiuntiva temporale e avversativa inanze ka: cf. §4.68), la suddivisione ch’a’ e k’a’ appare pienamente giustificata, perché nei luoghi citati le congiunzioni che precedono il pronome hanno tutte valore finale. Nei testi esaminati del Laudario comasco si trova un’unica occorrenza di ka non seguito da pronome di 3a pers., e ha valore comparativo («più ka nuy medesmi», 1v). 32 Al f. 109v la forma obliqua le in funzione di soggetto: «se n’andava ala sancta croxe […] ke le l’adorava». 33 In cinque casi l’obliquo loro compare come soggetto: «se loro fosseno condegniati» (6r), «ke loro posseno fà veraxe penitentia» (6r), «ke loro posseno vegnire» (7r), «ke loro posseno fà» (7r), «lor lo faza [‘essi lo facciano’] per la soa grande bontà» (11v).
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mente insospettire, dal momento che, tra le tradizioni testuali che confluiscono nel Laudario comasco, una delle più rilevanti, cui si riconnette buona parte dei testi poetici, «si colloca con i testimoni di origine bergamasca» (Larghi 1998, 100). Che tuttavia non si tratti qui di interferenza linguistica – o quantomeno che non si tratti di interferenza dovuta alle fonti del Laudario comasco – è mostrato dal fatto che anche negli statuti comaschi impiegati a Daro è «frequente l’elemento a disposato alla forma enclitica del pron. soggetto di 3a: ala, al e XI, al no sia XI, XII, XVIII, ecc., al spende, al receue, ay fazano XVII, ay possano VIII» (Salvioni 1904a, 571). Non basta: all’Archivio di Stato di Como è disponibile per la consultazione una tesi di laurea nella quale sono trascritti numerosi testi quattrocenteschi latini e volgari custoditi nel medesimo archivio (Gabaglio 1997, 13–442). L’autore, scomparso nel 1999 all’età di 71 anni, dopo una carriera come giornalista prima alla «Provincia» di Como, poi al «Corriere d’Informazione» e infine al «Corriere della Sera», una volta in pensione conseguì la laurea all’Università di Pavia, svolgendo il lavoro di tesi sotto la supervisione di Angelo Stella.34 Tra le trascrizioni di Gabaglio, importano qui specialmente il modello in volgare di testamento redatto nel 1458 dal notaio Martino Castelli da Argegno (CO)35 e una lettera datata «ex Campo […] 1469», indirizzata al notaio Francesco Vaccani, attivo a Como, verosimilmente dal notaio Lodovico Riva da Lenno, contenuti rispettivamente nelle cartelle 66 e 7 (fascicolo 5, f. 43bis) dell’Archivio notarile (Gabaglio 1997, 158–159, 162–163). Si tratta di testi pratici che presentano una discreta caratterizzazione idiomatica, che sono collocabili linguisticamente con forte probabilità in area comasca e che attestano forme soggettive di pronomi di 3a e 6a persona. Ebbene, nel modello di testamento si contano sei occorrenze, tutte indubbie, di a’ ’l e due di a’ y (con riferimento femminile), a fronte di tre el;36 nella missiva tre
34 Cf. il trafiletto pubblicato sul «Corriere della Sera» il 15. 03. 1999, a p. 47. 35 La data e l’identità dell’estensore sono ricostruite in modo convincente: «Tutti gli atti del fascicolo [che tramanda anche il modello di testamento] (si tratta di minute, quindi facevano parte di un protocollo) sono stati rogati nel 1458 da una sola mano. La caduta delle carte iniziali ha fatto scomparire anche il nome del notaio. Però a carta 6r, a chiusura di un atto, si legge: Actum Arzegnij in strata publica justa domum habitationis mei notari, eccetera. In quegli anni, a quanto si sappia, ad Argegno rogava soltanto il notaio Martino Castelli. Una conferma che di costui si tratti viene dal riscontro della grafia – identica – negli atti che, appunto, il notaio Martino Castelli ha rogato tra il 1421 e il 1459 e che sono conservati all’Archivio di Stato di Como, cartella 6 del Notarile. Nel fascicoletto di cui si parla, a carta 3r, dopo un atto datato lunedì 10 aprile (ulteriore conferma che si tratti del 1458), viene la ‹simulazione› di testamento» (Gabaglio 1997, 158 n. 5). 36 Ai tre el si arriva considerando che il passo «domente che l’om vive e che ’l pò parlà» sarà da intendersi ch’el pò parlà; forse si può riconoscere un’occorrenza di a’ y con riferimento maschile
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a’ ’l, sempre in funzione di pronome espletivo. Il computo, bisogna dirlo, è reso insicuro dal fatto che in alcuni passaggi la prima delle due trascrizioni mostra fraintendimenti o comunque problemi interpretativi irrisolti, che potranno essere riconsiderati in futuro da un nuovo esame dei testi meritoriamente sottratti all’oblio da Gabaglio; ciò nonostante, si può affermare che, nelle sue linee generali, la prevalenza del pronome a’ ’l su el e la buona rappresentanza di a’ y nei testi documentari citati sono fuori di dubbio. Pare dunque fondato ritenere, sulla base dei dati fin qui presentati, che la presenza consistente di forme soggettive dei pronomi di 3a e 6a pers. composte con il clitico a’ unita a tratti fonetici propri di Milano e della Lombardia nordoccidentale sia una spia che consenta di riconoscere il comasco antico nel gruppo dei dialetti lombardi. Se ci si volge ora alla Passione Trivulziana, si nota che, per le forme pronominali soggettive libere o proclitiche di 3a e 6a pers., a fronte di 7 occorrenze di a’ ’l o a’ l’ e una di a’ y, se ne contano 294 di el, 6 di elo, 38 di ello, 11 di ell’ e una di e’ per il m. sg.; 5 di ella, 17 di ela, 4 di el’ e una di la per il f. sg.; 4 di eli, 2 di elli, 144 di illi, 2 di i e una di e’ per il m. pl. e, infine, 3 di elle per il f. pl. (cf. l’analisi linguistica, §§4.38, 4.40). È un quadro che orienta a escludere l’area lariana e a classificare la scripta del codice Trivulziano 1993 come milanese antico: denominazione con la quale, beninteso, non ci si riferisce esclusivamente al volgare della città di Milano, ma anche all’idioma impiegato nel vasto territorio con essa congruente dal punto di vista linguistico (proprio come ancor oggi si parla di milanese «di città» e «arioso»).37
nella pericope trascritta «se à y facte», che potrebbe essere letta «s’è a’ y facte» ‘se essi sono fatti’. 37 Il ragionamento qui esposto si presta a una apparente obiezione: poiché la Passione Trivulziana potrebbe essere collocata anche al principio del Trecento, poiché non possediamo documentazione del comasco del XIV secolo e poiché sappiamo che verso la fine del Quattrocento i nessi pronominali con a’ conoscono anche a Milano una qualche diffusione (cf. §4.40), si potrebbe affermare che sia milanese che comasco hanno conosciuto, dal Trecento, una progressiva diffusione delle forme con a’, che poi a Milano è regredita mentre a Como si è stabilizzata. Una simile linea argomentativa, d’altronde, equivale ad asserire, come pure è stato fatto, che non ci sarebbe nella fase tardomedioevale nessuna differenziazione tra milanese e comasco, cioè che quest’ultimo fosse semplicemente il milanese parlato a Como: il che sarebbe ancora una buona ragione per affermare che la lingua della Passione Trivulziana è milanese. Nella Meditazione sulla Passione e nell’Esposizione del Decalogo, Salvioni (1898, 378 n. 1) contava «una dozzina d’esempj» di forme soggettive di pronomi personali con a’ (sempre a’ ’l, tranne un caso di a’ la), a fronte di una netta preponderanza di forme del tipo el, ela: il dato suggerirebbe dunque una collocazione dei testi in area ambrosiana. Di milanese arioso si parla, per non citare che un esempio, nella nota editoriale di Giovanni Testori al Dio di Roserio: «Il dialetto usato è il milanese, cosiddetto ‹arioso› che si parla alla periferia nord» (Testori 1996, 1273).
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Riassumendo, si può perciò affermare con un buon grado di certezza che la Passione tramandata dal codice Trivulziano 1993 è la copia di un volgarizzamento in milanese antico realizzato tra l’inizio del Trecento e la prima metà (o forse il primo quarto) del Quattrocento e tratto da un testo latino unitario.
1.3 Le fonti Come si è già avuto modo di notare nel paragrafo precedente, l’intreccio delle fonti evangeliche nella Passione Trivulziana (o, per meglio dire, nell’armonia latina che ne è alla base: d’ora in poi si darà tale precisazione per presupposta) si presenta assai fitto per gli episodi narrati in più di un vangelo. Altrimenti si ha, ovviamente, l’alternarsi di passi tratti di volta in volta dal vangelo che li riporta, come accade per il secondo interrogatorio di Pilato (115–118), narrato secondo Io 18,33–38 (benché il rumoreggiare della folla e l’espressione «non ò trovado alcuna caxon de morte in lu» rimontino a Lc 23,22–23) e seguito dall’invio a Erode, tratto da Lc 23,5–12. Le glosse e le espansioni narrative discendono da fonti disparate. Non sono infrequenti i paralleli con l’Antico Testamento, come il riferimento alle prescrizioni riguardanti la cena pasquale nell’Esodo (3), a una sentenza del Siracide (12), al sacerdote Eli e ai suoi figli (13), alla pazienza di Giobbe (15), alla tunica di Giuseppe intinta nel sangue di un capro (18), all’offerta di Melchisedek (29), all’apparizione dell’angelo a Gedeone (68), e così via. Una presenza di rilievo è poi quella delle Meditaciones vite Christi, un racconto della vita del Signore intessuto di meditazioni, elaborato in ambiente francescano e popolarissimo nel Basso Medioevo (cf. Bestul 1998, 48–51; McNamer 2010, 95–102; Tóth/Falvay 2014; Falvay/Tóth 2015), da cui sono trasportati in volgare numerosi passi: quelli riguardanti il modo di mangiare l’agnello pasquale (6) e di sedere a tavola nell’ultima cena (16), l’interpretazione allegorica di Pietro e Giovanni nell’episodio in cui il secondo poggia il capo sul petto di Cristo (21– 23), la descrizione del passaggio dal cenacolo alla stanza della lavanda dei piedi (24), l’interpretazione dell’Eucaristia come nuova alleanza (28) e l’esplicitazione del suo nesso con la professione di fede (31), la discussione della presenza di Giuda alla distribuzione del corpo e del sangue di Cristo (32), insieme a diversi altri. Alcuni prelievi sono di notevole ampiezza, come quando si racconta del dialogo tra Gesù e l’angelo nel Getsemani (68–71) Passione Trivulziana, 68–71: E orando lo nostro Segnior, […] el ge aparite meser san Miché arcangelo, e in la sova venuda sì lo asaludò digando: «Dé ve salva, dé me e signor me: la oration vostra e ’l sudor vostro del sangue eyo sì l’ò prexentado al Padre vostro denanze a
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tuta la corte del celo, e tuti quanti se ingenogiamo e pregamo lo vostro Padre k’el tolesse via da vu questo calix. Et ello respoxe: ‹Lo me dilectissmo fiolo sa ben ke l’umana generation [no se pò] convenievelmente recomparare senza lo sparzimento delo so sangue prezioxo, e sa quanto nu desideramo questo cotale recup[er]amento, et imperò, s’el vore la salvation dele anime, coven al postuto k’el moyra per loro›. Vu doncha que determiné-vo de fare?». E Yesù Criste respoxe: «E’ voyo al postuto la salvation dele anime, e imperò eyo alezo inanze de morire, azò ke le anime le que lo me Padre à creade ala soa imagine siano salve, ka ke eyo schiva la morte s’elle den esse dampnade». Illora disse l’angelo: «Confortéve e sté seguramente, inperò ke a persona grande se dexe a far le grande cose. Tosto pasaran le vostre pene et in[c]õtanente ve conseguirà la perpetua gloria. Lo vostro Padre dixe k’el è sempre con vu insema». Meditaciones vite Christi, cap. LXXV, rr. 88–105: Cum autem sic orat et anxiatus Dominus Iesus, ecce angelus Domini, princeps Michael, astitit confortans eum, dicens: Salvete Domine Deus meus Iesu. Oracionem vestram et sudorem vestrum sanguineum Patri vestro optuli in conspectu tocius curie superne, et omnes procidentes supplicavimus ut calicem hunc transferret a vobis. Et respondit Pater: Novit dilectissimus Filius meus Iesus, quod humani generis redempcio quam sic optamus, sine sui sanguinis effusione sic decenter fieri non potest: et ideo, si vult salutem animarum eum oportet pro ipsis mori. Quid ergo facere decernitis? Tunc respondit Dominus Iesus Angelo: Salutem animarum omnino volo, et iccirco pocius eligo mori ut salventur anime quas ad suam imaginem Pater creavit, quam velim non mori et eciam anime redimantur. Fiat igitur voluntas Patris mei. Et Angelus ad eum: Confortamini ergo et viriliter agite. Excelsum enim decet magnifica facere et magnanimum ardua tolerare. Cito pertransibunt penosa et perpetuo gloriosa succedent. Dicit Pater quod semper vobiscum est.
Si tratta di uno dei pochi inserti di natura narrativa, e non esegetica, della Passione Trivulziana, con cui si può ricordare il dialogo tra Pilato e i Giudei tratto dall’apocrifo Vangelo di Nicodemo (133). Altri prelievi dalle Meditaciones hanno invece un’estensione contenuta, come quello che tratta della colonna alla quale Gesù fu flagellato: Passione Trivulziana, 128: Illora Pillato comandò ke Criste fisse batudo ala colonia, et illi lo baténo sì crudelmente ke tuto lo so corpo pioeva vivo sangue. E possa ke illi l’aveno batù cusì, sì lo desligón dala colonia, e quella colonia demostra ancora li signi del sangue segondo ki se trova in lo libro del’Istorie. Meditaciones vite Christi, cap. LXXVI, rr. 41–46: Fluit undique regius sanguis de omnibus partibus corporis […]. Columpna autem ad quam ligatus fuit vestigia cruoris ostendit, ut continetur in Historiis.
Il riferimento all’Historia scholastica («lo libro del’Istorie») è qui mediato dalle Meditaciones; in altri casi la possibile convergenza tra l’opera storica di Pietro Mangiatore e la Passione Trivulziana non appare sufficientemente stretta da poter essere sostenuta al di là di ogni dubbio. In un passo, tuttavia, si può forse
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riconoscere una citazione diretta: si tratta dell’episodio in cui alla domanda di Giuda «Sono forse io?», che si unisce a quella degli altri apostoli dopo l’annuncio del tradimento, Gesù risponde «Tu l’hai detto». Nella Passione Trivulziana (9) segue la glossa «No disse avertamente k’el fosse lu, ma se pò intende per quela parola k’a’ l’era lu, quasi digando: ‹Eio no ’l digo, ma tu lo dixe›», che richiama molto da vicino la formulazione dell’Historia scholastica, 1617: «Nondum coram omnibus exprimit eum. Potest enim sic intelligi: Ego non dico, sed tu dicis». Più pezze d’appoggio ha invece l’ipotesi dell’impiego nella Passione Trivulziana della Glossa ordinaria biblica, il commento canonico alla Sacra Scrittura elaborato intorno al XII secolo (Smalley 2008, 117–136). Sebbene tale affermazione vada considerata alla luce dell’avvertimento che la Glossa fu «soggetta a continue interpolazioni e contaminazioni, al punto che ogni suo testimone sembra rappresentare una redazione diversa» (Pollidori 1998, 96), la consonanza di passi come i seguenti non pare attribuibile semplicemente a percorsi paralleli: Passione Trivulziana, 29: «In verità ve digo ke eio no beverò vino de qu[e]sta generation tanfin k’eio beverò del novo in lo regno de· Padre meo», a dare a intende ke ’l corpo so ki [era] tragio dal’homo vedre e mortale, zò fo Adam, firave renovado possa la soa passione e morte de immortalità. Glossa ordinaria, Mt 26,29: Dicens illud novum, hoc vetus, ostendit corpus scilicet de veteri Adam quod immortalitate immutabitur. Passione Trivulziana, 61: E quando Criste fo inlò, sì disse aly soy discipuli: «Sedì zoxo kilò un pocho, domente k’e’ vago a orare un pocho», a dare a intende ke illi steseno de mente sì com illi stevano firmi de corpo in un logo. Glossa ordinaria, Mt 26,36, in interlinea sopra sedete hic: non moveamini sicut nec loco ita nec mente. Passione Trivulziana, 67: Tre volte orò lo nostro Segnor a nostro exemplo, ke nu demo orare per tre caxon: la prima azò ke Deo ne perdona li peccay strapasadi; la segonda azò k’el ne defenda dali presenti; la tersa azò ke ne provega dali periculi ki den avenire. Glossa ordinaria, Mt 26,44: Tribus vicibus oravit, ut et nos a praeteritis peccatis veniam et a praesentibus malis tutelam et a futuris periculis cautelam oremus.
Di qui discende, mi pare, la possibilità di usare la Glossa come appiglio per l’integrazione di una lacuna testuale (cf. §1.2): Passione Trivulziana, 60: Sì com lo Segnior vosse predire ali soy discipuli lo logo dela sova [passion, cusì predisse lo logo dela sova] resurection, azò ke sì com illi avraveno tristeza in vedere la sova passion, ke altersì aveseno alegreza in vedere la sova gloriosa resurection.
1.3 Le fonti
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Glossa ordinaria, Mt 26,32: Sicut praedixit locum passionis, sic praedicit locum resurrectionis, ut sicut sunt tristes ex passione, sic laetentur glorificati resurrectione vel visione.
Non è possibile invece affermare con certezza che nella Passione Trivulziana rifluisca la Postilla esegetica di Nicolaus de Lyra, dal momento che sui punti di contatto tra i due testi aleggia sempre il sospetto che si possa trattare di coincidenze. Per esempio, l’affermazione di Giuda «piélo e menélo saviamente k’el no ve esca de man» (76) potrebbe rifarsi a Nicolaus de Lyra, Postilla, Mc 14,44: «ducite eum caute, ne forte rapiatur de manibus vestris», ma, come mostra Pellegrini (2012a, 22), la glossa ha altre possibili fonti, come l’Historia scholastica o il Sermo XI de rebus gestis in diebus Passionis di Abelardo. Parimenti, è difficile stabilire un rapporto sicuro tra il commento di san Tommaso d’Aquino Super Evangelium s. Iohannis, §2275: «ipse satisfaciebat pro peccato primi hominis in horto commisso» e la Passione Trivulziana, 86: «nota ke Adam pechò in l’orto, […] e imperò Criste vosse esse prexo in l’orto, azò k’el fesse nu liberi del pecado e ne menase al Paradixo del celo». D’altro canto, l’osservazione secondo cui dopo il canto del gallo Cristo non guardò Pietro fisicamente, ma spiritualmente, attraverso l’opera della grazia (99), che risale senza dubbio al De gratia Christi di Agostino, sarà però stata mediata da un’altra fonte. Di certo la menzione esplicita di «sancto Augustin» (22) giunge alla Passione Trivulziana attraverso le Meditaciones vite Christi, proprio come quella del «libro del’Istorie» di Pietro Mangiatore di cui si è detto. Nel volgarizzamento sono inoltre citati «l’istorie deli sancti» (139), cioè la Legenda aurea di Iacopo da Varazze,38 il Liber de passione Christi di «san Bernardo» (142) e l’esposizione del vangelo di Luca di «meser sancto Ambroxo» (161). Altrimenti si hanno riferimenti generici, per esempio «sì com nu lezemo» (14), «segundo l’opinion de alcun doctore» (32), «segondo ke nu trovamo scripto per li doctori» (69), e così via. Da segnalare, infine, che in tutto il testo si rinvengono due sole glosse lessicali: «una amora d’aqua, la qual poeva esse una barì» (4) e «no la podeva passare, zò è fare passo nì portare» (146).39
38 Diverso è invece il valore del riferimento «segundo ke/segondo ki dixe li sancti» (23, 147). 39 Sulle glosse lessicali nei volgarizzamenti biblici cf. Pollidori (1998).
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1 La Passione del manoscritto Trivulziano 1993
1. Milano, Archivio Storico Civico e Biblioteca Trivulziana, Trivulziano 1993, f. 1r (copyright@Comune di Milano – tutti i diritti di legge riservati).
1.3 Le fonti
2. Milano, Archivio Storico Civico e Biblioteca Trivulziana, Trivulziano 1993, f. 31v (copyright@Comune di Milano – tutti i diritti di legge riservati).
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2 I volgarizzamenti delle Passioni di Cristo armonizzate nell’Italia del Tre e Quattrocento 2.1 Armonie evangeliche e Passioni La Passione Trivulziana, come si è accennato nel capitolo precedente, si inserisce nell’ampio quadro delle armonie evangeliche, cioè dei testi che fondono i quattro vangeli in un unico racconto ordinato cronologicamente, omettendo le ripetizioni e risolvendo le contraddizioni. In particolare, essa appartiene alla tradizione del Diatessaron, l’armonia verosimilmente composta attorno al 170 da Taziano di Siria e subito diffusa a largo raggio: se ne può citare a riprova la tipica tecnica di composizione a intarsio delle pericopi evangeliche continuamente alternate (cf. §1.2 e Pellegrini 2012a, XXVII ).1 La tradizione testuale del Diatessaron si può ricondurre a due rami principali, quello orientale e quello occidentale; in questo secondo ramo, un ruolo centrale è giocato dalla versione latina tramandata dal codice di Fulda, Bonifatianus I , letto e approvato definitivamente il 12 aprile 547 da san Vittore di Capua, dove l’armonia è uniformata alla Vulgata di san Gerolamo.2 Dalla prolungata fortuna del Diatessaron procedette uno stuolo di volgarizzamenti in diverse lingue europee: antico e medio inglese, medio neerlandese, antico sassone, antico e medio alto tedesco, alemanno e antico italiano (forse anche islandese e antico norvegese: cf. Petersen 1994, 463–489). Nell’Italia medioevale, i volgarizzamenti del Diatessaron erano molto diffusi: secondo i calcoli più recenti, si contano trentatré codici che li tramandano, a fronte di circa trentacinque che recano o i quattro vangeli distinti o tre o due o un vangelo soltanto (Corbellini 2013a, 271). Si tratta di una caratteristica peculiare della Penisola, che la accomuna ai Paesi Bassi e la separa invece dalla Francia medioevale, dove il Diatessaron non conobbe alcun volgarizzamento (Hoogvliet 2013a, 293). Rispetto ai vangeli considerati separatamente, la loro armonia pre-
1 Il nome Diatessaron deriva dal greco dià tessárōn ‘(fatto) di quattro (vangeli)’; in alternativa si parla di Unum ex quattuor, Quattuor in unum, armonia o concordia evangelica, vangelo unificato. Se il dilemma posto da Schmid (2004, 7: «Ist die gesamte mittelalterliche Harmonieüberlieferung nur eine Ausdifferenzierung der europäischen Diatessaronüberlieferung […] oder gibt es davon unabhängige Überlieferungen […]?») andasse sciolto in favore dell’ipotesi secondo cui le armonie evangeliche medioevali non sono tutte riconducibili alla tradizione dell’opera di Taziano, la Passione Trivulziana sarebbe comunque da riferire al genere di armonia il cui capostipite è il Diatessaron, anche se resterebbe da dimostrarne l’appartenenza specifica alla tradizione diatessaronica. A tutt’oggi, comunque, la domanda di Schmid resta senza risposta definitiva. 2 Cf. Blackburne Daniell (1887, 1126); Vaccari (1931, 329–332); Gambino (2001, 537–542); Pellegrini (2012b).
2.1 Armonie evangeliche e Passioni
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sentava il vantaggio di un’esposizione ordinata e semplificata della materia narrativa, garantendo un più facile accesso degli illetterati alla conoscenza della vita di Gesù. Non stupisce dunque che i dati ricavati dai codici latori di volgarizzamenti italiani che risalgono alla versione del Fuldense, databili tra la metà del Trecento e il Quattrocento inoltrato, mostrino una circolazione specialmente diffusa tra i laici. Tale ambito è suggerito dai nomi di copisti e possessori, dalle caratteristiche paleografiche (diffusa la scrittura mercantesca) e da quelle codicologiche (molti dei manoscritti sono cartacei e di dimensioni ridotte). Alla pietà laicale rinvia anche il fatto che in alcuni manoscritti si trovano tavole o rubriche o note a margine che permettono di associare alla liturgia le pericopi dell’armonia evangelica, trasformandola per così dire in lezionario, allo scopo di consentire al fedele di comprendere il vangelo proclamato in un certo giorno (le indicazioni paratestuali si concentrano in particolare sul periodo quaresimale e sulla Settimana Santa, fulcro dell’intero anno liturgico). Nel complesso, tuttavia, è sconsigliabile erigere separazioni nette tra religiosi e laici: in particolare, andrà messo in conto il diffuso interscambio di codici tra gli uni e gli altri, attivo nei due sensi e favorito specialmente dalle confraternite. Spesso tra le file del clero militavano i produttori dei volgarizzamenti biblici, che si dedicavano a tale operazione anche per preservare il rispetto del senso delle Scritture, a volte travisato da traduttori inesperti. È celebre in proposito il giudizio del domenicano Iacopo Passavanti, secondo cui «certi libri della Scrittura e de’ dottori che sono volgarizzati […] si truovano molto falsi e corrotti, e per difetto degli scrittori [i.e. dei copisti], che non sono comunemente bene intendenti, e per difetto de’ volgarizzatori, i quali i passi forti della santa Scrittura e’ detti de’ santi sottili e oscuri non intendendo, no gli ispongono secondo l’intimo e spirituale intendimento, ma solamente la scorza di fuori della lettera, secondo la gramatica, recano in volgare» (Lo specchio della vera penitenza, 420–421). Proprio all’intento di favorire una comprensione effettiva del testo biblico si deve la pratica di interpolare con glosse o excursus esplicativi la narrazione, come si riscontra nel Diatessaron veneto: E era Bethania quasi appresso Yerusalem per .xv. stadi, zoè per dui miari (Todesco 1938, 118). E Yesu sapiando e conosando tute le cose che dovea vegnire andè encontra a quella zente: «Che ademandè voi?». Elli resposono: «Iesu Nazareno». E Iesu disse: «Io son desso». No dimandò Iesu che li adomandava perchè ello no lo savesse bene, ma si como persona che volea morire per noi azò ch’eli savesseno ch’elo era quelo ch’i domandava. E Iuda stava con esso questi (Todesco 1938, 145).3
3 Per la giunta extraevangelica cf. Glossa ordinaria, Io 18,4, in interlinea: dixit eis: «Quem quaeritis?», «Non ignorans quid vellent, sed ut scirent esse eum quem quaerebant».
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2 I volgarizzamenti delle Passioni di Cristo armonizzate
Oltre che inserti esplicativi, al testo potevano essere aggiunti ampliamenti narrativi: in quattro casi si riscontra per esempio un’incorporazione in calce al testo della descrizione fisica di Cristo contenuta nell’apocrifa Epistula Lentuli, che mira a favorire un’immedesimazione più partecipata con l’umanità del Salvatore.4 Dalle armonie evangeliche iscritte nella tradizione del Diatessaron fu estratto in alcuni casi il solo racconto della Passione, a volte seguito da quello della Risurrezione e da altro materiale, secondo un procedimento del tutto analogo a quello secondo cui, dalle Meditaciones vite Christi, vennero estrapolate le Meditaciones de passione Christi.5 Rispetto alle armonie complete, le Passioni sono testi più nettamente orientati a coinvolgere il lettore o il pubblico, indirizzandolo a quella contemplazione della sofferenza redentrice di Cristo che costituì un aspetto centrale della spiritualità e della cultura bassomedioevali. Tra i suoi principali promotori va annoverato san Bernardo di Chiaravalle, che indicò con forza l’immedesimazione con il Christus patiens come via alla perfezione spirituale; il tema, come è noto, venne poi ripreso, elaborato e largamente diffuso dagli ordini mendicanti, in specie dal francescanesimo (Bestul 1996, 26–68). Alcuni studi recenti hanno rinnovato l’interesse per tale genere testuale: in area tedesca, Petra Hörner (2012) ha analizzato e pubblicato otto Passioni armonizzate in volgare tramandate da codici del XIV e XV secolo; in area italiana, Paolo Pellegrini (2012a) ha procurato l’edizione di una passione armonizzata in antico veronese corredata da un’escussione delle fonti, un commento linguistico e un glossario, esaminandone in un articolo a parte la struttura compositiva (Pellegrini 2012b). Il suo lavoro apre la strada a una considerazione delle Passioni che le valuti non solo isolatamente, ma nel loro complesso: ciò che rende consigliabile un loro censimento.
2.2 Le Passioni armonizzate in volgare: i codici Per quanto riguarda i volgarizzamenti dell’area italoromanza, un primo tentativo, di certo perfettibile, di noverarli può essere fondato sull’inventario di Cornagliotti (1976) relativo agli apocrifi neotestamentari e su quello di Leonardi (1993) riguardante i manoscritti biblici italiani.6 Nel selezionare i dati lì esposti, si sono prese
4 Cf. Vaccari (1931, 337–345); Barbieri (1998); Corbellini (2008; 2011; 2012a; 2012b; 2013a; 2013b). 5 Cf. Stallings (1965, 3–35), dove si rigettano l’attribuzione a san Bonaventura delle Meditaciones de passione Christi e l’ipotesi che esse costituissero il nucleo attorno al quale le Meditaciones vite Christi furono elaborate. 6 Il lavoro di Cornagliotti (1976) è stato integrato dalla compulsazione degli Inventari dei manoscritti delle biblioteche d’Italia dal vol. 90 del 1977 al vol. 116 del 2013, senza peraltro che
2.2 Le Passioni armonizzate in volgare: i codici
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in considerazione Passioni che fossero in prosa, che costituissero delle armonie evangeliche, che non fossero precedute dal racconto dell’intera vita di Gesù (si sono cioè escluse le armonie evangeliche stricto sensu) e che fossero tramandate da codici anteriori al principio del XVI secolo. In omaggio a tali criteri, sono escluse dal novero perché in versi (o in versi e in prosa) le Passioni dei mss. Firenze, Biblioteca Riccardiana, 2918 (cf. Inventario Riccardi, 56; Cornagliotti 1976, 678); Napoli, Biblioteca Nazionale Vittorio Emanuele III, XII.F.17, ff. 110v–119v (cf. Miola 1882, 212–223; Cenci 1971, 897–898; Leonardi 1993, n° 224); Udine, Biblioteca arcivescovile, 26 (Qt.13.I.26), ff. 9r–15v (cf. Cornagliotti 1976, 678; Scalon 1979, 97); Volterra, Biblioteca Guarnacci, 5537, ff. 1–106 (cf. Mazzatinti 1892, 228; Cornagliotti 1976, 678);7 Wellesley (MA), Wellesley College, The Plimpton Collection, 520, ff. 1r–35r (cf. Hastings Jackson 1929, 429; Cornagliotti 1976, 678). Le Passioni del ms. München, Bayerische Staatsbibliothek, Ital. 362, sono tratte dal vangelo di Matteo (ff. 58r–65r) e da quello di Marco (ff. 65v–68v, mutila), mentre contiene i quattro vangeli «liberamente compendiati e accresciuti con varie leggende» (Vaccari 1930, 900) il Vaticano Latino 7208 (entrambi i codici sono segnalati da Cornagliotti 1976, 678; per il monacense cf. inoltre Thomas 1858, n° 1054 e le «Digitale Sammlungen» sul sito della Bayerische Staatsbibliothek). Si è esclusa inoltre la Passione armonizzata in antico genovese tramandata dal ms. Genova, Biblioteca Franzoniana, 56 (Coveri/Petracco Sicardi/Piastra 1980, n° 129): benché essa costituisca una redazione parallela a quelle delle Passioni dei codici della Biblioteca Berio, citati oltre ai ni 2–3 (cf. Guarnerio 1893, 272–273), fa infatti parte di «una specie di compendio del Vecchio e del Nuovo Testamento» (per dirla con Parodi 1898, 37; cf. Cocito/Farris 1994, 15); il che mostra d’altronde che il criterio di considerare solo testi che inizino con la Passione di Cristo va inteso come meramente di comodo. Sono meditazioni sulla Passione piuttosto che armonie evangeliche il testo pubblicato da Salvioni (1886a, 209–224) e quelli contenuti nei mss. Bologna, Biblioteca Universitaria, 1798, ff. 99v–111r nella numerazione moderna a matita
l’indagine aggiungesse qualcosa. In Natale (2014, 350) si apprende che all’inventario di Leonardi (1993) «farà presto seguito la pubblicazione del catalogo», contenente «un ampio repertorio di descrizioni»; in esso tuttavia non saranno incluse le armonie evangeliche (comunicazione scritta di Sara Natale del 09. 06. 2015). Non sono pertinenti alla ricerca qui condotta Fischer (1932); Vaccari (1952); Ramello (1992). 7 Si omette di indicare se il testo comincia o finisce sul recto o sul verso di un foglio qualora l’informazione non sia disponibile nella bibliografia secondaria e non sia stata recuperata nell’esame diretto del codice.
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2 I volgarizzamenti delle Passioni di Cristo armonizzate
vergata in basso a destra (cf. Sorbelli 1914, 147; Cornagliotti 1976, 678);8 Paris, Bibliothèque Nationale de France, Italien 7712, ff. 47–65 (cf. Mazzatinti 1886, vol. 1, 12; vol. 2, 66; Cornagliotti 1976, 678); Perugia, Biblioteca Comunale Augusta, M.16, ff. 1r–164v (cf. Mazzatinti 1895, 223; Cornagliotti 1976, 678); Pesaro, Biblioteca Oliveriana, n° 56, ff. 1r–69v (cf. Sorbelli 1923, 24; Cornagliotti 1976, 678); Venezia, Biblioteca Nazionale Marciana, Italiano V 22 (5855), ff. 23r–29r nella numerazione moderna (cf. Cornagliotti 1976, 678; Frati/Segarizzi 1911, 258). All’elenco si può aggiungere il ms. San Pietroburgo, Biblioteca dell’Accademia delle Scienze, O № 71, segnalato da Irina Chelysheva (2008, 153–155), che tramanda un volgarizzamento mutilo delle Meditaciones vite Christi.9 Al netto delle esclusioni, si è ricavato un mannello di cinque testi, due dei quali in più redazioni, tramandati in nove codici che si elencano qui di seguito (per i ni 1, 4–5 si offre una succinta descrizione di prima mano; per i ni 2, 6–8 si sono consultate riproduzioni fotografiche). Per quanto riguarda la localizzazione linguistica, le indicazioni relative ai ni 1, 4–8 sono da intendersi come frutto di una valutazione asistematica, e perciostesso precisabile o riformabile alla luce di ulteriori disamine.10 1. Bergamo, Biblioteca Civica Angelo Mai, MA 460, olim Σ.4.23. Sec. XIV. Membr.; ff. I, 23, I’; bianco il f. 23v; mm 223 × 156 (17 | 161 | 45 × 15 | 120 | 21), 29 ll. Fascicolazione: 18, 28, -2°, 38 (strappato il f. tra 9 e 10: expl. del f. 9v: «li dolse molto cheli çudei lilo aueua dado i(n)le mane | p(er) chelo cognosseua bene chetuto ço cheli çudei li fa»; inc. del f. 10r: «pilato ali çudei. p(er) que siuu cusi impij ecusi importuni co(n)|tra questo homo.»); parole di richiamo incorniciate con inchiostro rosso al centro del margine inferiore dei ff. 8v e 15v; numerazione recente a matita sul margine superiore destro dei ff. 1, 5, 10, 15, 20, 23. Scrittura gotica libraria di unica mano; inchiostro bruno, iniziali gotiche maiuscole rosse e blu (con filetti rossi) alternate, alte una linea tranne la D al f. 1r e la E al f. 1v, alte due linee. Ff. 1r–23r: [Passione di Cristo armonizzata (= Passione Mai)], inc.: «Questa sie la passione de mis(er) | iesu (crist)o. trata i(n) uolgare de tuti qua|tro li guagnelisti. tuto como fo la | ueritade de ponto en ponto | Egressus iesus. et c(etera). La passione de | miser iesu (crist)o çaschadun fedel (crist)i|ano la de uenerar»;11 expl.: «Iue intro p(er) che lo molimento
8 Il racconto della passione è qui, per di più, solo un capitolo (il XII) tra molti, preceduto da quello che narra «come la vergine Maria fu anutiata [sic] dal’angielo Chabriello» (f. 93v) e seguito da quello «della resuressione del nostro signore Yesù Cristo» (f. 111v). 9 Simili i criteri di selezione adottati da Hörner (2012, 21), la quale nota che «etliche Texte, die gewöhnlich als Passionsharmonien deklariert werden, keine Harmonien sind, sondern Werke, die zwar auf den Evangelien basieren, sich aber der poetischen Bearbeitung, der Erschließung der Heilsmysterien, der Kommentierung, Meditation, Erbauung etc widmen». 10 Negli scioglimenti, si è mantenuta la ‹h› di Ihesus e Christus nelle pericopi in latino, ma non in quelle volgari (cf. Monteverdi 1943, 216–217). 11 In inchiostro rosso fino a «ponto», rosse e blu la E di «Egressus» e la L di «La passione».
2.2 Le Passioni armonizzate in volgare: i codici
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era | iue da prouo illi mete lo corpo de mis(er) iesu (crist)o. Chi e co(m)plida la passione de miser iesu (crist)o. amen.».12 Lingua: veneziano antico. Bibliografia: Leonardi (1993, n° 352).13 2. Genova, Biblioteca Civica Berio, m.r.cf.bis.4.1, olim Dbis.I.2.7. Sec. XIV. Cart.; ff. 66. Ff. 40ra–47rb: [Passione e risurrezione di Cristo armonizzate (= Passione Beriana prima)], inc. «Pensando in mi mestesso che he | som ordenao e misso in lo campo | de (crist)e qua(m)uisdee in degno couien | me houerar elauorar lauor chi | sea acceptao daua(n)ti da dhee»;14 expl.: «ello ne faza (con)sorti e participi alla soha | gloria (christ)us fructus benedictus uentris | tui (ihesu)s s(an)c(t)a maria mat(er) d(e)i ora p(ro) nob(is) amen | Explicit passio d(omi)ni n(ost)ri (ihes)u (christ)i deo grac(ias) am(en)» (dopo «benedictus» segue «fru» cassato). Pubblicata fino al f. 43va in Parodi (1898, 27–36). Lingua: genovese antico. Bibliografia: Crescini (1883b, 351); Parodi (1898, 27–36); Mostra Berio, 27; Coveri/ Petracco Sicardi/Piastra (1980, n° 120); Cornagliotti (2000). 3. Genova, Biblioteca Civica Berio, m.r.II.1.6, olim Dbis.I.3.19. Sec. XV. Cart.; ff. 134. Ff. 132r–164v: [Passione e risurrezione di Cristo armonizzate (= Passione Beriana seconda)]. Pubblicata in Guarnerio (1893, 275–295, 369–383). Lingua: genovese antico. Bibliografia: Crescini (1883a); Guarnerio (1893); Coveri/Petracco Sicardi/Piastra (1980, n° 121, con ulteriori indicazioni bibliografiche). 4. Milano, Biblioteca Ambrosiana, A 38 inf. Sec. XV (1445). Cart.; ff. III, 57; bianchi (con rigatura) i ff. 56–57; mm 305 × 208 (30 | 192 | 83 × 24 | 130 | 54), 2 coll. di 34 ll. Fascicolazione: 110, 2–58, 68, -8°; parole o lettere di richiamo al centro del margine inferiore dei ff. 10v, 18v, 26v, 34v, 42v, 50v; numerazione recente a matita sul margine superiore destro dei ff. 1–57. Scrittura gotica libraria di unica mano; inchiostro grigio-nero (più tendente al bruno nei ff. 1r–6r, 43r–55v), rosso per le rubriche e le iniziali gotiche maiuscole, alte due linee tranne la A al f. 1r, alta 10 linee con bordure vegetali. Ff. 1ra–55va: [Passione, risurrezione e ascensione di Cristo armonizzate, Pentecoste e racconti apocrifi (= Passione Ambrosiana)], inc.: «Questa sie la passion del | nostro segnore mes(er) y(es)u | (crist)o translatada da tuti li | eua(n)gelij. E la sua resurrec|tion. E la sua asce(n)sion. Eli | miracoli dela uergene ma|ria. E como ella fo assum|pta in celo dal so fiollo. | APROXIM|ando el tempo dela passione | del nostro signor mis(er) y(es)u (crist)o | Regnando tyberio cesaro | imperadore de li romani»;15 expl.: «doname gratia chila | possa uedere inperpetua glo|ria. Ad quam gloriam ille | nos p(er)ducat. qui est benedic|tus (et) gloriosus in secula se|culorum. Amen. | Laus (christ)o yh(es)u. Amen. | Fenisse el libro dela passion | del n(ost)ro segnor me(ser) y(es)u (crist)o | con la soa s(an)c(t)a beneditione. | M.cccc.xlv. Adi. xvi. de | Otubrio». Lingua: veneto antico. Bibliografia: Leonardi (1993, n° 198).
12 In inchiostro rosso da «Chi» in poi, blu la I di «Iue». 13 Conto di offrire in futuro un’edizione completa della Passione Mai, specialmente rilevante sia per la buona caratterizzazione linguistica sia per ragioni che si chiariranno nel corso del capitolo. 14 Rossa la P iniziale, alta dieci linee con bordure vegetali rosse e blu. 15 In inchiostro rosso fino alla «A» di «APROXIM|ando», dove le lettere dalla seconda alla sesta sono disposte in verticale a destra della prima alta 10 linee.
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2 I volgarizzamenti delle Passioni di Cristo armonizzate
5. Napoli, Biblioteca Nazionale Vittorio Emanuele III, XII.F.31. Sec. XV. Cart.; ff. I, 251, II’; lacerazione con intacco del corpo scritto sull’angolo superiore interno dei ff. 246–251; mm 211 × 145 (13 | 162 | 36 × 10 | 120 | 15), due coll. di ll. di numero variabile, attorno alle 50. Fascicolazione: 1–312, 412, -2°, 5–2112 (manca il f. tra 37 e 38, ma il testo continua senza lacune; nel medesimo fascicolo linee più spaziate per riempire il f. a partire dalla metà della seconda colonna del f. 47v; nel margine superiore dei ff. 125v e 126r si trova l’avvertimento a penna: «Tra queste due pagine fù trouata una cartolina di pergameno scritta con queste parole 3. || Tonica p(er) Frà Beneditto de Cremona quale fù donata a Monsig(no)r Ill(ustrissi)mo di Trivento quest’Ottobre 1701»); parole di richiamo incorniciate con inchiostro rosso (la cornice manca ai ff. 47v, 143v) al centro del margine inferiore dell’ultimo f. dei fascicoli 1–20; numerazione recente a matita sul margine inferiore destro di ogni f. e sul margine superiore destro del f. 2 e poi, a partire dal 10, ogni 10 ff. Scrittura gotica corsiva di unica mano; inchiostro bruno, in alcuni punti tendente al nero, e rosso, usato per le rubriche, per le iniziali gotiche maiuscole alte due linee (alte 9 linee la M al f. 2r e la I al f. 100v; alte 6 linee la I al f. 100v, la A al f. 176r, la L al f. 189v, la Q al f. 198v; alte 3 linee la I e la E al f. 215r, la A al f. 233v), per i segni di paragrafo e per i filetti. Ff. 100vb–147va: [Passione di Cristo armonizzata (= Passione BNN)],16 inc.: «INcip(i)t lapaxio(n)e de y(es)u (crist)o (et) p(rim)o como | fo ve(n)duto Et como lo s(an)cto sacra(men)to de | la messa fo ordi(n)ato Et como fo p(r)iso | et legato (et) admo(r)te s(e)n(tent)iato (et) como | fo posto i(n) c(ro)ce (et) alo sep(o)l(c)r(o) sep(o)lto»;17 expl.: «auer(e) parte nel me(r)ito de q(ue)lla s(an)cta | mo(r)te (et) paxion(e) de lofiglio de dio. Am(en). | Deogra(tia)s Amen.».18 Lingua: napoletano antico. Bibliografia: Miola (1883, 289–295); Cenci (1971, 906–907); Leonardi (1993, n° 226). 6. Oxford, Bodleian Library, Canon. Ital. 275. Sec. XV (ante 1435). Membr.; ff. II, 54, II’. Miniato. Ff. 1r–54r: [Passione, risurrezione e ascensione di Cristo armonizzate, Pentecoste e racconti apocrifi (= Passione Bodleiana)], inc. «Questa sie la passion del n(ost)ro signo(r) miser y(es)u (crist)o soura la traslacio(n) | et la sua resureccion et la sua assension (et) li miracolli dela verçene m(ari)a | et como ella fo uenuda driedo lamorte del suo fiolo et la soa assensio(n)e | como ella fo tolta in cielo dal suo fiolo. | Aprossimando lo tempo del n(ost)ro signo(r) mis(e)r y(es)u (crist)o regna(n)do | Tiberio cesaro imp(er)adore deli romari [sic]»;19 expl.: «lo sol ela luna | ele stelle eli altri planeti perse lo splendor dela sua beleça per | charita che rendeva quello glorioso chorpo. | Amen [preceduto da un altro «Amen» cancellato]». Lingua: veneto antico. Bibliografia: Mortara (1864, 246); Cornagliotti (1976, 678).
16 Ai ff. 176r–198v una [Meditazione sulla passione e risurrezione di Cristo], ai ff. 198v–215r una [Meditazione sulla passione di Cristo secondo le ore del giorno]. 17 In inchiostro rosso, bruna la I iniziale. Sul margine est. le partizioni del racconto indicate nella rubrica (ognuna preceduta da un segno di paragrafo) sono scandite da una numerazione in inchiostro rosso da «1°» a «6°». 18 In inchiostro rosso «Deogra(tia)s Amen.» e il riempimento della A di «Am(en)». 19 Le riproduzioni in bianco e nero non permettono di giudicare con sicurezza il colore dell’inchiostro, probabilmente rosso fino alla A di «Aprossimando», alta quattro linee con ornamenti vegetali.
2.3 Le Passioni armonizzate in volgare: i testi
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7. Rovigo, Biblioteca dell’Accademia dei Concordi, Silvestriano 122, olim 29 (6, 5, 11). Sec. XV. Membr.; ff. I, 38; lacerazione con intacco del corpo scritto nei ff. 1, 37–38, guasti diffusi dovuti all’umidità; manca il f. tra 30 e 31: expl. del f. 30v: «tu eri | mio padre e maestro dilectissimo . e io inter»; inc. del f. 31r: «gloria ne laresurrectione ne mai auere ardime(n)to». Ff. 1r–38r: [Passione e risurrezione di Cristo armonizzate (= Passione Concordiana)], inc.: «[Dopo rubrica illeggibile tranne l’iniziale maiuscola «Q»] AProximando el tempo della p[….]one del [..]|stro signore y(es)u (crist)o. Regando [sic] tiberio cesa[..] | imperatore delli romani»;20 expl.: «liquali disepoli p(er)seue[…] | ala fine della so vita. E aquistono [……….] | ala qu[…………] iddio [.]mf[…………] | seculor[..]». Lingua: veneto antico. Bibliografia: Mazzatinti (1893, 7); Cornagliotti (1976, 678). 8. Venezia, Biblioteca Marciana, It. V 28 (5644). Sec. XV (1464–1472). Cart.; ff. 172; bianchi (con rigatura) i ff. 166–172. Ff. 27v–78ra (la scrittura si dispone su due coll. dal f. 43r): [Passione, risurrezione e ascensione di Cristo armonizzate, Pentecoste e racconti apocrifi (= Passione Marciana)], inc.: «In nomine domini nostri Jesu (chr)isti. AMEN. Q Vesta [sic] sie lap|asion del nostro Signor y(es)u (crist)o edeli altri miracholj liquali sie tra(n)slatadj | di letera i(n) vulgar trati dela schritura p(er) vno sauio dotore E de tiberio | ede herodex Herodex [sic] | APRosima(n)do lo tempo dela pasion del n(ost)ro Signor Misier Jexu | (crist)o regna(n)do Tiberio cesaro Jnperador deli Romanj»;21 expl.: «lospiricto sancto loqual nuj die sal|uare e alscriptor dequesto libro debia | p(er)donare eq(ue)lla dolce poncela debia dio p(re)|gare ch(e) p(er) lasua bontade no(n) lo laga senza | veraxia penite(n)cia trapasare. Aloqual | sia lauda e gloria p(er) infinita secula se|culor(um). Ame(n)».22 Lingua: veneto antico. Bibliografia: Frati/Segarizzi (1911, 263–265); Cornagliotti (1976, 678). 9. Verona, Biblioteca Civica, 753. Sec. XIV. Membr.; ff. 79. Ff. 21r–57r: [Passione di Cristo armonizzata (= Passione veronese)]. Pubblicata in Pellegrini (2012). Lingua: veronese antico. Bibliografia: Pellegrini (2012), cui si rinvia per l’elenco degli studi precedenti.
2.3 Le Passioni armonizzate in volgare: i testi Per quanto riguarda il racconto della passione e morte di Cristo, la Passione Ambrosiana, la Bodleiana, la Concordiana e la Marciana sono redazioni diverse di un medesimo testo (suddiviso in capitoli titolati). Basti qui a riprova riferirne più ampiamente l’inizio del racconto:23
20 In inchiostro rosso la rubrica, blu con decorazioni vegetali rosse la Q iniziale e la A di «AProximando», alte tre linee. 21 In inchiostro rosso fino alla A di «APRosima(n)do». 22 Non ho verificato il colore dell’inchiostro dell’explicit. 23 Per quanto riguarda il prosieguo dopo la sepoltura di Gesù, le Passioni Ambrosiana, Bodleiana e Marciana procedono insieme nel racconto delle apparizioni del Risorto, benché la Marciana
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Passione Ambrosiana, f. 1ra–b: Aproximando el tempo dela passione del nostro Signor mis(er) Yesù Cristo, regnando Tyberio Cesaro imperadore deli Romani, e in lo tempo de Herodex re de Galilea, lui abiando regnado anni xviiij, del mexe de março, e regnando Pillato in Yerusalem in quelo tempo e siando consuli deli Zudei Ioseph e Nicodemo, li quali fon discipuli del pretioxo e glorioxo Yesù Cristo, del quale per sua compassione ei’ò scrita e ystoriata tuta a compimento la sua passione, la qual manifestamente e compidamente se vederà tuta per ordene. Passione Bodleiana, f. 1r: Aprossimando lo tempo del nostro Signor miser Yesù Cristo, regnando Tiberio Cesaro imperadore deli Romari, in lo tempo de Erodes re de Galilea et abiando regnado anny xiiij, del mese de março, et regnando Pillato in Jerusalem in quel tempo et siando consoli deli Çudei Josep e Nicodemo, li quali fo discipoli de questo pretioso e glorioso Yesù, lo qual per so compassione sì è scrita et insturiada tuta a complimento la sua passione, la qual manifestamente et vesebelmente vedessemo tuto per ordene. Passione Concordiana, f. 1r: Aproximando el tempo della p[….]one del [..]stro Signore Yesù Cristo, regando Tiberio Cesa[..] imperatore delli Romani, e in lo tempo de [..] Herodes re de Galilea, a[..]ando regnando anni xiiij, del mese de março, e regnando Pilato in Ierusalem in quello tempo, andò a conseio con li Çiudei Josep et Niccodemo, li quali fono discepoli del […]tioso Yesù, el quale per soa copassione sì [………..] a complimento la soa santa passione [………..]festamente e visibilmente vedesimo [….] per [……]. Passione Marciana, ff. 27v–28r: Aprosimando lo tempo dela pasion del nostro Signor misier Iexù Cristo, regnando Tiberio Cesaro inperador deli Romanj, et in lo tempo de Herodex re di Galilea, abiando regnado annj xviij dȷ̀ xxv del mese de marzo e regnando Pilato re de Ierusalem in quel tempo e anchora siando Ioxep e Nichodemo soli, li qual fo desipolj de questo precioxo e glorioso Iesù, lo qual per soa compasione sì ò scrita questa instoria tuta a complimento e la soa pasione, la qual manifestamente e vixibelmente jo vidi tuto per ordene.
ne conti tredici e non quattordici (manca la terza di Ambrosiana e Bodleiana, che narra di Pietro e Giovanni al sepolcro – dove, in realtà, Gesù non appare). La Passione Concordiana coincide con Ambrosiana e Bodleiana fino all’undicesima apparizione, narrando la quale dopo qualche rigo si stacca proponendo un volgarizzamento del solo vangelo di Giovanni e divergendo anche nel capitolo seguente (l’ultimo superstite). Dopo le apparizioni, la Passione Ambrosiana, la Bodleiana e la Marciana continuano di pari passo fino alla lettera di Pilato all’imperatore Claudio, dopo la quale l’Ambrosiana (f. 51r) riporta la storia della Veronica, mentre le altre due trattano la vita di Maria dopo la risurrezione del figlio. Benché la Passione Bodleiana ometta alcuni miracoli della vergine che sono invece nella Marciana, le narrazioni si ricongiungono nel racconto della morte e dell’assunzione di Maria, ma mentre la Passione Bodleiana si interrompe al racconto di «como la vergine Maria passà diversi cieli e come lo sol e la luna con altri pianeti perse lo so color» (ff. 53v– 54r), quella Marciana continua esponendo «chomo la verzene Maria fo recevuta dali angolj e da tuti li altri sancti», «chomo san Stefano prothomartore recevé la vergene Maria», «chomo lo re de gloria, lo Padre zelestial recevé la vergene Maria», «chomo lo fiol de Dio recevé la sua dilecta madre», «chomo lo Spiricto Sancto recevé la vergene Maria» e infine «chomo la sancta Trinità recevé la vergene Maria» (ff. 76rb–78ra).
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Anche le due Passioni Beriane sono, come già segnalava Guarnerio (1893, 272– 273), redazioni di un medesimo testo, che nella Passione Beriana seconda è suddiviso in capitoli, ognuno con titolo. Si veda l’episodio di Giovanni che pone il capo sul petto di Cristo: Passione Beriana prima (Parodi 1898, 29): E messer sam Zohanne se voze a Criste e si li demanda e disse: «Maystro, he te prego che tu me digui chi e lo traytor.» E Criste si gue disse pia[d]namenti: «Ello e quello a chi he daro lo pam bagnao.» E allaor Criste si de lo pam bagnao a Juda. E quando messer sam Zohanne aue uisto zo, si fo monto smarrio e vosse responder a sam Pero so che Criste gue auea dyto, ma lo Segnor non vosse inpaihar la soa passiom, che si sam Zohanne auesse dito a sam Pero, Juda si e quello chi de trahir lo Segnor, sam Per l’auerea morto incontenente, e Criste non voleyua. E inperzo sam Zohanne si cayte in schosso a Criste e si se adormi monto forte, e non poe responder a sam Pero zo ch’ello voleyua. Passione Beriana seconda (Guarnerio 1893, 278): E lantora san zoane si se uoze inuer christe, et si lo demanda, e disse maistro e te priego che tu me digi chi e quello chi te de trair. Et christe gi respoxe pianamenti, ell e quello [a] lo quar e daro lo pan bagnao, e lantora christe si de lo pan bagnao a Iuda. Et quando messer san zoane aue zo uisto ello fo monto stremio, e uosse responder a san piero, zo che christe gi aueiua dito, ma lo segnor non uosse impedii la soa passion. che se san zoane auesse dito a san piero che iuda si e quello chi lo de trair, subito san piero l auereiua morto, e christe non uoreiua che san piero lo sauesse, e lantora san zoane si se buta e si se aremba son lo scosso de christe e si se adormi monto forte, e non respoxe niente a san piero.
A sé stanno la Passione BNN, il cui testo è pure diviso in capitoli, e la Passione veronese, mentre la Passione Mai va posta in rapporto con la Trivulziana. Benché non si possano dire redazioni di uno stesso testo, le due attingono frequentemente dal medesimo serbatoio per quanto riguarda l’inserimento di glosse nel tessuto della narrazione evangelica. Il legame è evidente sin dall’incipit della Passione Trivulziana, che trova rispondenza in una pericope del testo tramandato dal codice bergamasco, posta di seguito a un prologo su cui si tornerà a breve: Passione Trivulziana, 1: Li quatro evangelisti sì parlavano in diversi modi dela passion del nostro Segnior, ma no sé però k’eli se descordaseno, ma quelo che l’uno lasà l’altro compiì, unde de tuti quatro nu avemo fato una istoria, la qual sì comprende tute quele cosse ke fon fagie e digie in la sova passione. Passione Mai, f. 1v: De questa gloriosa passione e de questo die [i.e. venerdì] li vagnelisti ende parlà in diverse maynere, no perçò ch’ili se descorde, mo quelo che no disse l’uno l’altro lo comple; unde eo ai guardado tuti quatro li vagnelii dela passion de miser Iesù Cristo, e de tuti sì ai fato una ystoria la qual conprende tuto quelo che fo fato in lo dì d’ancoy.
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È solo apparentemente significativo come riferimento a un comune ambiente storico l’accenno ai «gazari» e «patarin» della Passione Trivulziana, 64, cui risponde la menzione dei «patarini» nella Passione Mai, f. 3v, perché l’impiego del termine patarino nel senso del tutto generico di ‘eterodosso’ o ‘disobbediente al papato’ era invalso sin dal XII secolo (cf. Lucioni 2009, 281–282). Rivestono invece sicuro interesse le glosse esegetiche che entrambe le Passioni presentano a commento dell’appellativo «amico» rivolto da Cristo a Giuda, dell’infingardaggine del traditore, del comportamento di Gesù verso i soldati e le guardie che lo catturavano, del silenzio di Cristo di fronte a Erode, dei chiodi della croce, del dolore di Maria, della quarta e della sesta parola di Cristo in croce (sitio, consummatum est) e della ferita della lancia nel costato di Gesù morto (cf. rispettivamente Passione Trivulziana, 77, 79, 81, 120, 150–151, 163–165, 168–173, 177, 183; Passione Mai, ff. 5r, 5r–v, 5v, 10r–v, 15v–16r, 18v, 20r–21r, 21v, 22v). In tutti questi casi, la materia viene articolata in distinctiones, che servono o ad attirare l’attenzione su alcuni aspetti del racconto (per esempio, il consummatum est si può intendere in tre modi: ‘è compiuta la salvezza del genere umano’, ‘sono compiute le profezie delle Scritture’, ‘sono giunte al termine la vita di Cristo e la malvagità dei suoi persecutori’) o a esplicitarne le ragioni (per esempio, Cristo stette in silenzio di fronte a Erode per non dare occasione ai Giudei di aggravare il loro peccato continuando ad accusarlo e per non dare occasione a Erode di scagionarlo, allontanando così la redenzione degli uomini). Basti riportare qui il primo degli esempi menzionati, rinviando al testo e alle note per i restanti (§3.2): Passione Trivulziana, 77: Questa pare maraveia, com Criste poè apelare amigo quelo ki era so mortale inimigo. Questa parola se pò intende in tri modi: lo primo modo sì è ke Criste apelò Iuda per amigo no miga perk’el fosse so amigo segundo la verità, ma imperò k’el infenzeva esse amigo e llo salutava sì com amigo. La segunda caxon per que Criste [l’apelò amigo] sì fo perzò k’el deva esse amigo perzò k’el era so discipulo, quamvisdé k’el fosse deventado so inimigo. La terza cason per que Criste l’apelò amigo sì fo quax a dire: «Quant’è dala mia parte eyo sonto aparegiado e contento a recevete per amigo e per discipulo, quamvisdé ke tu m’abii tanto ofexo» Passione Mai, f. 5r–v: Quialoga par meraveia como miser Iesù Cristo lo clamà per amigo quelo ch’era so inimigo mortale. Vedì signori, questa parola se pò exponere en tri modi: lo primo sì è che miser Iesù Cristo lo clamà per amigo no che per veritade elo fosse so amigo, mai perçò ch’elo faseva signi d’amigo, saludandolo, abraçandolo e baxandolo; e però li disse miser Iesù Cristo: «Cum baxo tradissi tu lo fiiol de Dio?», quasi a dire: «Es tu vegnudo a tradirme cum segno de amore?». La segonda rasone per que elo l’apellà amigo sì è no perch’elo fosse verasio amigo, mai perch’elo deveva eser verasio amigo per li servisii ch’elo aveva recevudi da miser Iesù Cristo. La terça rasone per ch’elo l’apelà amigo sì è quasi a dire: «Eo sonto aprestado a receverte per amigo e per disipolo, quamvisdio che tu m’abis cotanto ofendudo».
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Si tratta di un modo di procedere che si può accostare alle distinctiones e divisiones del sermo modernus, praticato specialmente da predicatori domenicani e francescani come Giordano da Pisa o Bernardino da Siena.24 La diffusione delle distinctiones nelle Passioni Trivulziana e Mai potrebbe dunque essere un indizio del nesso dei testi lì volgarizzati con la temperie culturale degli ordini mendicanti, verso cui indirizzerebbe anche l’ampio uso, nella prima, di inserzioni tratte dalle Meditaciones vite Christi, che vanno assegnate, perlomeno nella maggior parte delle versioni in cui circolarono, all’ambiente francescano (dato l’enorme successo delle Meditaciones, tuttavia, il dato non è dirimente). Le glosse parallele della Passione Trivulziana e della Passione Mai, oltre che frequenti distinctiones, presentano diversi casi di allocuzione al pubblico in 5a persona, simili al «Vedì signori» che nel passo or ora citato sul bacio di Giuda ricorre nel testo tramandato dal codice bergamasco. In parallelo si possono citare «sapié seg(n)[u]ri» 82, «vedì segnuri» 140, 161, 173 e «no ve maravelié carissimi» 143 nella Passione Trivulziana, cui corrispondono «sapié signori» 5v, «vedì signori» 14v, 18r, 21r, «de questo no ve fé meraveia signori» 15r nella Mai; la sola Passione Trivulziana ha inoltre «sapié» 10, «fradelli carissimi» 10, «devì savè» 16, 22, «poì-vo vedere» 109, «devì intende» 114, «vu lo poỳ vedere» 130, «vu savì ben» 164; proprie della Passione Mai sono invece le apostrofi «signori» 1r, «se Dio ven darà la gracia» 1r, «dire a vui» 1v, «vu savì» 2r, «vedì karissimi» 3v, «vedì signori» 5r, 13v, «o karissimi» 5v, «sapié signori» 7r, 14r, «o vui pecatori delicadi, li quali metì tuto lo vostro studio a dare ali corpi vostri tuto lo vostro deleto, […] mo inpensé…» 9r, «signori mei» 9v, «signori sì como eo ve dixi» 10r, «or podé vu veder signori» 15v, «vui avì aldido» 16r, «ora vardé pecatori, or consideré e vedì: ancoi è dreçado e levado in alto lo vostro confalone, […] no ve fa bisogno temer algun vosto inimigo» 16r, «vu devì savere signori» 16v, «vui savì bene» 18r, «signori» 18r, «vu savì bene» 18v, «vui devì saver signori» 20r. Per quanto riguarda la Passione Mai, tali allocuzioni, che potrebbero essere giudicate un mero topos letterario, trovano invece una motivazione ben più pregnante nel prologo che apre la narrazione, dove è fornita la prova che il volgarizzamento fu concepito con uno scopo ben preciso, la lettura ad alta voce durante il venerdì santo. In esso sono infatti contenute le parole che il predicatore doveva rivolgere al pubblico prima di declamare la Passione vera e propria, precedute da un’indicazione inequivocabile: «Dise e parla quelui che dé predicare de questo dì santissimo e recitare la passion de miser Iesù Cristo». Il «dì santissimo» è «lo venerdì santo», giorno in cui «propriamente se leçe e se predica questa gloriosa passione», da intendere dunque come testo pensato per l’uso paraliturgi-
24 Cf. Delcorno (1975, 83–111; 2009, 105–106); Colombo (2014a, 279–283).
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co, a sostegno della predicazione, come si ricava dall’affermazione messa in bocca dal testo al lettore ad alta voce: «Eo no sai como eo possa ancoy fare o dire plù propria e plù covegnivele e plù devota predicatione como è a dire a vui la passion delo nostro Signor miser Iesù Cristo». Data l’eccezionalità della documentazione, vale la pena di citare il passo per esteso, con un solo breve taglio: Passione Mai, f. 1r–v: Questa sì è la passione de miser Iesù Cristo trata in volgare de tuti quatro li guagnelisti tuto como fo la veritade de ponto en ponto. Egressus Iesus et c. La passione de miser Iesù Cristo çaschadun fedel cristiano la dé venerar e plançere cum gran devocione e cum gran contricion de core e dé sparçer lagreme devotissime per quelo dolce Cristo, lo qual ancoy sparse lo so sangue glorioso sulo legno dela croxe per nui miseri pecatori, çò fo lo venerdì santo. In quello dì propriamente se leçe e se predica questa gloriosa passione e sì comença questa passione su modo de predication e comença sulo vagnelio qual scrisse miser san Çane vagnelista dela passion de miser Iesù Cristo, lo qual vagnelio comença In illo tempore egressus Iesus cum discipulis suis trans torentem Cedron. Dise e parla quelui che dé predicare de questo dì santissimo e recitare la passion de miser Iesù Cristo: «Signori eo no sai çò che sia ancoy meio fare, o plançere o predicare, che quando eo inpenso como miser Iesù Cristo, lo nostro Signor, lo nostro salvador, lo nostro pare, lo nostro fradelo, è ancoy morto e crucificado, certo el non è alguna criatura che no debia ancoy plançere, perch’è ancoy morto lo fiiol de Dio. Mo quando eo vego cotanta bona çente esere assenblada per aldire la passione delo Salvadore, a mi par eser covegnivele cosa no solamente plançere, may etiandio predicare. Unde nui faremo cusì, che nu plançeremo cum lo core e cum li ogli, se Dio ven darà la gracia, cum le oregle aldiremo e cum la bocha predicheremo la passione delo nostro Salvadore. […] Eo no sai como eo possa ancoy fare o dire plù propria e plù covegnivele e plù devota predicatione como è a dire a vui la passion delo nostro Signor miser Iesù Cristo. Veritade25 è che lo nostro Signor miser Iesù Cristo in quisti dì dela soa passione sì fé molte cose le qual no pertene alo dì d’ancoy, sì como fo dela Madalena che li onse li pei e26 Juda che mormorà sì como fo lo sabado ch’è pasado, e sì como fo delo pato deli trenta dineri che fé Iuda cum li Çudei sì como fo lo mercore ch’è pasado, e sì como fo dela cena la qual fé miser Iesù Cristo cum li soi disipoli in tal dì como fo eri. Unde tute queste cose laxeremo e [d]iremo solamente quelo che pertene alo dì d’ancoy, çò è de vener santo. De questa gloriosa passione e de questo die li vagnelisti ende parlà in diverse maynere, no perçò ch’ili se descorde, mo quelo che no disse l’uno l’altro lo comple; unde eo ai guardado tuti quatro li vagnelii dela passion de miser Iesù Cristo, e de tuti sì ai fato una ystoria la qual conprende tuto quelo che fo fato in lo dì d’ancoy.
Quello della Passione Mai è dunque un testo strettamente legato alla predicazione, nel quale le fitte allocuzioni figurano con la stessa funzione che esse rivestono nell’oratoria sacra, di cui costituiscono infatti uno dei fenomeni linguistici tipici (Colombo 2014a, 285–286). Le implicazioni di una simile osservazione sono molte: tra esse, vale la pena sottolinearne almeno una, cioè che la lingua traman-
25 Con V aggiunta nel margine da mano moderna. 26 Nell’originale «ee».
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data dal testo – comprese le sue componenti colte – era considerata adatta alla comprensione popolare attraverso l’ascolto. Non è consentito affermare con pari certezza che una simile destinazione riguardasse anche la Passione Trivulziana: tuttavia l’ipotesi non è da escludere, anche considerando il fatto che, proprio come il codice della Biblioteca Civica di Bergamo, quello Trivulziano si presenta come un oggetto privo di particolare pregio, di formato maneggevole e con un’estensione di pochi fogli, ciò che ne avrebbe favorito il trasporto e l’impiego nella lettura ad alta voce davanti a un pubblico.27 Non è dunque impossibile che il laico Gerolamo del Nato, che acquistò il Trivulziano 1993 (cf. §1.1), ne abbia notato l’esistenza sentendolo recitare nella Como del XV secolo.28
2.4 Sequenze narrative e glosse Tutte le Passioni menzionate si iscrivono nella tradizione del Diatessaron (o perlomeno nel genere di armonia che in esso trova il modello), tranne la Passione BNN, dove la narrazione segue il dettato evangelico in maniera alquanto lasca, percorrendo vie proprie. Ponendo da un canto quest’ultima, perciò, per le altre può essere consigliabile, sulla scia di Pellegrini (2012b), offrire dei prospetti della serie delle sequenze narrative di ascendenza (almeno latamente) evangelica. Per consentire i raffronti necessari, si premette una serie di riferimento, puramente di comodo, che valga da pietra di paragone. Nell’elencare poi le serie di ogni Passione (la Passione Beriana prima vale anche per la seconda; la Passione Bodleiana anche per l’Ambrosiana, la Concordiana e la Marciana), si indica con una sbarretta (/) l’omissione dell’episodio, si scrive in corsivo il numero di una sequenza quando essa occupi una posizione diversa rispetto alla serie di riferimento (il che naturalmente si riscontra innanzitutto per l’infrazione dell’ordine numerico); si fanno precedere dal segno + le sequenze narrative assenti nella serie di riferimento. Serie di riferimento: 1. Cena in Betania 2. Tradimento di Giuda 3. Preparativi della cena pasquale 4. Annunzio del tradimento di Giuda 5. Partenza di Giuda 6. Lavanda dei piedi 7. Istituzione dell’Eucaristia 8. Discorso di addio 9. Predizione del rinnegamento di Pietro 10. Al Getsemani 11. Bacio di Giuda 12. «Chi cercate?» 13. Ferimento di Malco 14. Un giovane fugge nudo 15. Arresto di Gesù 16. Da Anna: primo rinnegamento di Pietro 17. Da Anna:
27 Sulla lettura ad alta voce di testi religiosi nell’Europa medioevale cf. Coleman (1996, 138–140) e Hoogvliet (2013b, 255–257), con la bibliografia ivi citata. 28 Sullo scambio di manoscritti biblici tra laici e religiosi si sofferma Corbellini (2013a, 267–270; 2013b, 48–50).
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2 I volgarizzamenti delle Passioni di Cristo armonizzate
schiaffo della guardia 18. Da Caifa: secondo e terzo rinnegamento di Pietro 19. Da Caifa: processo davanti al sinedrio 20. Da Caifa: oltraggio dei Giudei 21. Gesù condotto davanti a Pilato 22. Morte di Giuda 23. Primo interrogatorio di Pilato 24. Secondo interrogatorio di Pilato 25. Gesù davanti a Erode 26. Liberazione di Barabba 27. Corona di spine 28. «Ecco l’uomo» 29. Terzo interrogatorio di Pilato 30. Moglie di Pilato 31. Pilato si lava le mani 32. Consegna di Gesù 33. Nuovo oltraggio a Gesù 34. Apostrofe alle donne 35. Il Cireneo 36. Crocifissione 37. «Padre perdonali» 38. INRI 39. Divisione dei vestiti 40. Gesù in croce deriso 41. Il buon ladrone 42. Gesù e sua madre 43. «Ho sete» 44. «Elì, Elì» 45. «Tutto è compiuto» 46. «Consegno il mio spirito»: morte di Gesù 47. Prodigi dopo la morte di Gesù 48. Colpo di lancia 49. Sepoltura. Passione Trivulziana: 1. / 3. Preparativi della cena pasquale 4. Annunzio del tradimento di Giuda 5. Partenza di Giuda 2. Tradimento di Giuda 6. Lavanda dei piedi 7. Istituzione dell’Eucaristia 8. Discorso di addio 9. Predizione del rinnegamento di Pietro 10. Al Getsemani 11. Bacio di Giuda 12. «Chi cercate?» 13. Ferimento di Malco 15. Arresto di Gesù 16. Da Anna: primo rinnegamento di Pietro 17. Da Anna: schiaffo della guardia 14. Un giovane fugge nudo 18. Da Caifa: secondo e terzo rinnegamento di Pietro 19. Da Caifa: processo davanti al sinedrio 20. / 21. Gesù condotto davanti a Pilato 22. Morte di Giuda 23. Primo interrogatorio di Pilato 24. Secondo interrogatorio di Pilato 25. Gesù davanti a Erode 26. Liberazione di Barabba (quesito al popolo) 30. Moglie di Pilato 27. Corona di spine 28. «Ecco l’uomo» 29. Terzo interrogatorio di Pilato 31. Pilato si lava le mani + Liberazione di Barabba (rilascio del prigioniero) 32. Consegna di Gesù 33. Nuovo oltraggio a Gesù 34. Apostrofe alle donne 35. Il Cireneo 36. Crocifissione 37. «Padre perdonali» 38. INRI 39. Divisione dei vestiti 40. Gesù in croce deriso 41. Il buon ladrone 42. Gesù e sua madre 43. «Ho sete» 44. «Elì, Elì» 45. «Tutto è compiuto» 46. «Consegno il mio spirito»: morte di Gesù 47. Prodigi dopo la morte di Gesù 48. Colpo di lancia 49. Sepoltura. Passione Mai: 1. / 2. / 3. / 4. / 5. / 6. / 7. / 8. Discorso di addio 9. Predizione del rinnegamento di Pietro 10. Al Getsemani 11. Bacio di Giuda 12. «Chi cercate?» 13. Ferimento di Malco 14. Un giovane fugge nudo 15. Arresto di Gesù 16. Da Anna: primo rinnegamento di Pietro 17. Da Anna: schiaffo della guardia 18. Da Caifa: secondo e terzo rinnegamento di Pietro 19. Da Caifa: processo davanti al sinedrio 20. Da Caifa: oltraggio dei Giudei 21. Gesù condotto davanti a Pilato 22. Morte di Giuda 23. Primo interrogatorio di Pilato? (f. mancante) 24. Secondo interrogatorio di Pilato? (f. mancante) 25. Gesù davanti a Erode 27. Corona di spine 29. Terzo interrogatorio di Pilato 30. Moglie di Pilato 26. Liberazione di Barabba 28. «Ecco l’uomo» 31. Pilato si lava le mani 32. Consegna di Gesù 33. Nuovo oltraggio a Gesù 34. / 35. Il Cireneo 36. Crocifissione 39. Divisione dei vestiti 37. «Padre perdonali» 38. INRI 40. Gesù in croce deriso 41. Il buon ladrone 42. Gesù e sua madre 43. «Ho sete» 44. «Elì, Elì» 45. «Tutto è compiuto» 46. «Consegno il mio spirito»: morte di Gesù 47. Prodigi dopo la morte di Gesù 48. Colpo di lancia 49. Sepoltura.29
29 Per quanto riguarda le sequenze iniziali, alcune tra esse sono menzionate ai ff. 1v («lo nostro Signor miser Iesù Cristo in quisti dì dela soa passione si fé molte cose le qual no pertene alo dì d’ancoy, sì como fo dela Madalena che li onse li pei e Juda che mormorà sì como fo lo sabado ch’è pasado, e sì como fo delo pato deli trenta dineri che fé Iuda cum li Çudei sì como fo lo mercore ch’è pasado, e sì como fo dela cena la qual fé miser Iesù Cristo cum li soi disipoli in tal dì como fo
2.4 Sequenze narrative e glosse
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Passione Beriana prima: 1. Cena in Betania 2. Tradimento di Giuda 3. Preparativi della cena pasquale 7. Istituzione dell’Eucaristia 4. Annunzio del tradimento di Giuda 5. Partenza di Giuda 9. Predizione del rinnegamento di Pietro 6. Lavanda dei piedi 8. Discorso di addio 10. Al Getsemani 11. Bacio di Giuda 12. «Chi cercate?» 13. Ferimento di Malco + Nuovamente «Chi cercate?» 15. Arresto di Gesù 14. Un giovane fugge nudo 16. Da Anna: primo rinnegamento di Pietro 17. Da Anna: schiaffo della guardia 18. Da Caifa: secondo e terzo rinnegamento di Pietro 19. Da Caifa: processo davanti al sinedrio 20. Da Caifa: oltraggio dei Giudei 21. Gesù condotto davanti a Pilato 23. Primo interrogatorio di Pilato 25. Gesù davanti a Erode 24. Secondo interrogatorio di Pilato (solo menzionato) 27. Corona di spine 28. «Ecco l’uomo» 29. Terzo interrogatorio di Pilato 30. / 26. Liberazione di Barabba 31. Pilato si lava le mani 32. Consegna di Gesù 22. Morte di Giuda 33. / 34. Apostrofe alle donne 35. Il Cireneo 36. Crocifissione 39. Divisione dei vestiti 37. «Padre perdonali» 38. / 40. Gesù in croce deriso 41. Il buon ladrone 42. Gesù e sua madre 43. «Ho sete» 44. «Elì, Elì» 45. «Tutto è compiuto» 46. «Consegno il mio spirito»: morte di Gesù 47. Prodigi dopo la morte di Gesù 48. Colpo di lancia 49. Sepoltura. Passione veronese: 1. Cena in Betania 2. Tradimento di Giuda + Palme + Cacciata dei mercanti dal tempio + Fico infruttifero 3. Preparativi della cena pasquale 4. Annunzio del tradimento di Giuda 6. Lavanda dei piedi 7. Istituzione dell’Eucaristia 5. Partenza di Giuda 8. Discorso di addio (solo menzionato) 9. Predizione del rinnegamento di Pietro 10. Al Getsemani 12. «Chi cercate?» 11. Bacio di Giuda 13. Ferimento di Malco 15. Arresto di Gesù 14. Un giovane fugge nudo 16. Da Anna: primo rinnegamento di Pietro 17. Da Anna: schiaffo della guardia 19. Da Caifa: processo davanti al sinedrio 20. Da Caifa: oltraggio dei Giudei 18. Da Caifa: secondo e terzo rinnegamento di Pietro 21. Gesù condotto davanti a Pilato 22. Morte di Giuda 23. Primo interrogatorio di Pilato 24. Secondo interrogatorio di Pilato 25. Gesù davanti a Erode 26. Liberazione di Barabba 31. Pilato si lava le mani 27. Corona di spine 28. «Ecco l’uomo» 29. Terzo interrogatorio di Pilato 30. Moglie di Pilato 32. Consegna di Gesù 33. Nuovo oltraggio a Gesù 35. Il Cireneo 34. Apostrofe alle donne 36. Crocifissione 38. INRI 37. «Padre perdonali» 39. Divisione dei vestiti 42. Gesù e sua madre 40. Gesù in croce deriso 41. Il buon ladrone 44. «Elì, Elì» 43. «Ho sete» 45. «Tutto è compiuto» 46. «Consegno il mio spirito»: morte di Gesù 47. Prodigi dopo la morte di Gesù 48. Colpo di lancia 49. Sepoltura. Passione Bodleiana: + Il sinedrio decreta di uccidere Gesù 1. Cena in Betania 2. Tradimento di Giuda 3. Preparativi della cena pasquale 4. Annunzio del tradimento di Giuda 7. Istituzione dell’Eucaristia 6. Lavanda dei piedi 8. / 9. Predizione del rinnegamento di Pietro 10. Al Getsemani + Trasfigurazione 5. Partenza di Giuda 12. «Chi cercate?» 11. Bacio di Giuda 13. Ferimento di Malco 14. Un giovane fugge nudo 15. Arresto di Gesù 17. Da Anna: schiaffo della guardia 16. Da Anna: i tre rinnegamenti di Pietro unificati 20. Da Caifa: oltraggio dei Giudei 22. Morte di Giuda 18. / 19. / 21. Gesù condotto davanti a Pilato 30. Moglie di Pilato
eri») e 2r («Sapiando miser Iesù Cristo ch’elo deveva tosto morire, elo convocà la çobia santa la soa mare e tuta la soa fameia in Ierusalem in quela casa lò ch’elo cenà cum li soi disipoli. E quando illi fo assembladi, quasi in la ora del vespro, elo cenà cum illi e sì ge lavà li pei e sì ge dè lo so corpo e lo so sangue»).
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2 I volgarizzamenti delle Passioni di Cristo armonizzate
(all’interno di narrazione apocrifa) 23. Primo interrogatorio di Pilato (all’interno di narrazione apocrifa) 24. Secondo interrogatorio di Pilato (all’interno di narrazione apocrifa) 26. Liberazione di Barabba (quesito al popolo all’interno di narrazione apocrifa) 25. Gesù davanti a Erode 27. Corona di spine 28. / 29. Terzo interrogatorio di Pilato (con passi del processo davanti al sinedrio) 31. Pilato si lava le mani + Liberazione di Barabba (rilascio del prigioniero) 32. Consegna di Gesù 33. Nuovo oltraggio a Gesù 34. Apostrofe alle donne (all’interno di narrazione apocrifa) 35. Il Cireneo + Seconda corona di spine 36. Crocifissione 37. «Padre perdonali» 40. Gesù in croce deriso 38. INRI 39. Divisione dei vestiti 41. Il buon ladrone 42. Gesù e sua madre (secondo una narrazione apocrifa) 44. «Elì, Elì» 43. «Ho sete» 45. «Tutto è compiuto» 46. «Consegno il mio spirito»: morte di Gesù 47. Prodigi dopo la morte di Gesù 48. Colpo di lancia 49. Sepoltura.
Considerando quello che Vaccari (1931, 335) indicava come tratto comune alle tradizioni orientale e occidentale del Diatessaron, vale a dire la successione «lavanda dei piedi (Ioh. 13, 1–20); preparazione per la Pasqua e cena legale (Lc. 22, 7–16 e paralleli); uscita di Giuda dal cenacolo (Ioh. 13, 21–32); istituzione della SS. Eucaristia (Mt. 26, 26 e paralleli)», si nota da subito la difficoltà di istituire legami tra le Passioni qui considerate. Ognuna di esse presenta infatti un caso peculiare (le combinazioni possibili sono, d’altronde, ventiquattro): nella Passione Trivulziana si ha la serie Preparativi della cena pasquale, Partenza di Giuda, Lavanda dei piedi, Istituzione dell’Eucaristia; nella Passione Mai la narrazione omette le quattro sequenze; nella Passione Beriana prima la successione è Preparativi della cena pasquale, Istituzione dell’Eucaristia, Partenza di Giuda, Lavanda dei piedi; nella Passione veronese Preparativi della cena pasquale, Lavanda dei piedi, Istituzione dell’Eucaristia, Partenza di Giuda; nella Passione Bodleiana, infine, Preparativi della cena pasquale, Istituzione dell’Eucaristia, Lavanda dei piedi, Partenza di Giuda. Se si aggiungono le Passioni contenute all’interno del Diatessaron toscano (Vaccari/Vattasso 1938, 332–359) e del Diatessaron veneto (Todesco 1938, 133–157), mentre il primo presenta lo stesso ordine della Passione veronese, il secondo offre quello già menzionato citando Vaccari: Lavanda dei piedi, Preparativi della cena pasquale, Partenza di Giuda, Istituzione dell’Eucaristia. Anche quando si estende il paragone alle serie nel loro complesso, le eventuali concordanze tra i testi non sono tali, mi pare, da permettere di istituire nessi che non possano essere attribuiti semplicemente al caso. È una situazione che combacia con quella rilevabile per le Passioni armonizzate in tedesco medioevale e che è legata alla natura di per sé stessa combinatoria dell’armonia evangelica, che favorisce una notevole libertà di dislocazione delle scene in punti diversi della narrazione.30 A questa stessa peculiarità risale l’inserimento di materiale
30 Per le Passioni armonizzate tedesche cf. Hörner (2012, 11), che annota in apertura del proprio studio: «Es erweist sich, dass kaum ein Text mit einem anderen identisch ist», aggiungendo
2.4 Sequenze narrative e glosse
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non evangelico nella trama, che caratterizza per qualità e quantità ogni Passione. Già si è detto della Passione Trivulziana (cf. §§1.3, 2.3), mentre per la Passione veronese, dove si riscontrano «inserti molto brevi, che hanno per lo più scopo di parafrasi letterale, sebbene non manchi qualche nota succinta di natura teologico-morale», si può rinviare alla disamina di Pellegrini (2012b, 82–86; la citazione a p. 82). La Passione Mai condivide con la Trivulziana, come si è detto, alcune glosse esegetiche; altre ne riporta poi per suo conto, quasi sempre giocate sulle distinctiones, come quando si spiega il sonno degli apostoli nel Getsemani: Non era meraveia s’illi dormiva […]. Questo fasev’eli per tre casone. La prima perch’elo era tardi e note, et illi era forsi fadigadi et agrevadi da sompno […]. La segonda rasone perqué illi dormiva sì è perch’ili era tristi e grami, e la tristicia sì fa dormire l’omo […]. La terça rasone sì è perché en illi era ancora piçolo amore e pocha fé (f. 4r).
Più rade le glosse lessicali apposte quando si cita il latino evangelico: «‹Echo che nu avemo chialogo dui gladii›. E lo Signor disse: ‹Sufficit›, quasi a dire: ‹Ben basta dui gladii, perché poche arme ne fa bisogno›» (f. 2v). In alcuni punti, si trovano invece apostrofi allo scopo di aumentare la drammaticità, come nel passo seguente, in cui andrà notata l’epanalessi di quanto: Alora elo [i.e. Pilato] tolse miser Iesù Cristo e menàlo dentro. O fiiol de Dio, quanto, quanto tu fussi portado d’un logo ad un altro e d’un albergo in un altro e da una signoria ad un’altra, et anpo’ no fis tu laymentança, may sì como agnello mansueto tuto portassi in paxe per lo nostro amore! (f. 12r).
Si registra poi, come inserto narrativo di notevole estensione, il tradizionale lamento di Maria sotto la croce, rivolto alle donne, alla Maddalena, ai Giudei, al figlio, alla croce e infine alla morte (f. 19r–v). La Passione Beriana prima si caratterizza soprattutto per le numerose espansioni narrative dedicate alla Madonna: Giovanni e Maria dialogano dopo la cattura di Gesù (Parodi 1898, 32–33), Maria assiste al processo a Gesù (Parodi 1898, 35), Maria vede il figlio dopo gli oltraggi e le percosse (Parodi 1898, 36), Maria difende il figlio davanti a Pilato (ff. 43vb–44ra), Maria segue Gesù sulla via del Calvario (f. 44va), Maria e Gesù in croce si parlano (f. 45rb), Maria si lamenta davanti a Gesù assetato (f. 45va), Maria richiede il cadavere di Gesù (f. 45vb), Maria si lamenta sul cadavere di Gesù (ff. 45vb–46ra), Maria si lamenta con
poche righe sotto: «Die Verschiedenheit der Werke ist maßgeblich durch die Möglichkeiten begründet, die der Viererkanon für das Anliegen, die Aussagen in einer Harmonie zusammenzuschauen, anbietet». Si vedano inoltre le prudenti conclusioni di Pellegrini (2012b, 87–88), che sottolinea la «naturale inclinazione che questi materiali [i.e. le armonie evangeliche] manifestano verso percorsi poligenetici».
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2 I volgarizzamenti delle Passioni di Cristo armonizzate
l’angelo Gabriele dopo la sepoltura (f. 46rb). A parte questi casi, le interpolazioni più frequenti sono esortazioni di carattere morale rivolte al lettore, come nel passo seguente, successivo al racconto dell’oltraggio a Cristo nel sinedrio: O misero pechaor, chi non say sostegneyr un pocho de peynna in seruixio dello to payre, chi a tanto approbrio e vituperio sostegnuo per aurir te la porta de vita eterna, quando poressi tu satisfar a cotanta benignitae? Va, leze, o pechaor, quante iasteme lo Segnor butaua a quelli chi ge faxeam cotanto mal, guarda che ello dixea: «Payre me celestial, questi non cognossem lo mal che elli me faxem. Perdonay gue, si ve piaxe» (Parodi 1898, 35)
Qualche volta si trovano anche chiarimenti di carattere storico: Saver devemo segnoy che Iudea era monto grande fayto, sì che non gue era solamenti un segnor, ma gue n’era doy principay, zò è Herodes chi rezeyva in Gallilea e Pillato chi rezeyva in Jerusalem, e questi doy non eran Zuey, che li Zué non aveyvan re de lor gente, ma eram tuti sotemissi alla segnoria de Roma. E Pillato sì era ordenao segnor in Ierusalem per l’imperaor, e Herodes in Gallilea per l’imperaor atressì. Questo Herodes e Pillato sì stava monto mal inseme e non se parlavan e eran in lo tempo de Criste tuti doy in Ierusalem (f. 43va–b).
Per quanto riguarda la Passione Bodleiana, essa si segnala specialmente per i numerosi e lunghi inserti narrativi apocrifi inframmezzati al dettato evangelico. Poiché darne conto minutamente richiederebbe troppo spazio, basti qui citare soltanto il lungo racconto su Gesù davanti a Pilato (ff. 6v–10v) modellato sull’ Evangelium Nicodemi (317–336): nella narrazione prima avvengono gli inchini miracolosi del messo e dei vessilli davanti a Cristo, poi i Giudei accusano il Signore di essere un figlio bastardo, infine si presentano per scagionare l’accusato Nicodemo e molti da lui risanati, tra cui la Veronica (identificata con l’emorroissa).
3 Edizione critica e commentata 3.1 Nota al testo Si distinguono ‹u› e ‹v› e si trascrive ‹ij› con ‹ii›. Si impiegano maiuscole e punteggiatura secondo l’uso moderno; si introduce l’apostrofo; si introducono gli accenti sulle parole polisillabe tronche terminanti in vocale (anche quando si tratti di verbi seguiti da pronome in enclisi), sulle seste persone dei perfetti deboli in -àn / -àno, -ón, -én / -éno, -ìn / -ìno e sui monosillabi à ‘ha’, àn (anche bisillabo àno) ‘hanno’, cà ‘casa’, cò / chò ‘capo’, crè ‘credere’, dà ‘dare’ o ‘dato’, dè ‘deve’ o ‘diede’, dé ‘giorno’ o ‘Dio’, dì ‘giorno’ o ‘dire’, è, é ‘sei’ o ‘hai’, fà ‘fare’, fè ‘fece’, fé ‘fate’ o ‘fede’, fì infinito o 3a persona del perfetto indicativo, giò ‘chiodo/-i’, ìn ‘sono’, nì ‘né’, ò ‘ho’, pà ‘padre’, pè ‘piede’, più, pò ‘può’, sé ‘sai’ o ‘sì’, sì avverbio, pronome personale tonico o 5a persona del presente indicativo di essere (cf. sì se turbò in sì medesmo 7; Vu sì niti, ma no tuti 25), tò ‘togliere’ (da intendersi con vocale turbata), vé ‘vai’ o ‘vede’, zà ‘già’, zè ‘andò’, zò ‘ciò’ o ‘giù’.1 Si modificano i capoversi dell’originale; si separano e si uniscono graficamente le parole secondo le norme comunemente in uso nell’edizione degli antichi testi in volgare: in particolare, per quanto riguarda le sequenze del tipo kel, sel, ecc., si opta per ke ’l, se ’l, ecc. in posizione preconsonantica quando si tratta di un articolo o di un pronome clitico oggetto, per k’el, s’el, ecc. ogni volta che si tratti di un pronome soggetto;2 per quanto riguarda le sequenze che, ke, se, considerata la buona documentazione nel testo della forma pronominale sogget-
1 Per la qualità dell’accento si rinvia alla sistemazione offerta in Colombo (2014b; per zò ‘giù’ cf. Salvioni 1975, 334). Il compito di sceverare tra sì e sé avverbi asseverativi e si e se pronomi clitici non è sempre ovvio: si è scelto di accentare ogni volta che lo statuto di pronome non fosse indubitabile. Tuttavia si rende quilli ki ve olziran se penseran… 46 per il parallelo con el no se pensasse 92 e ello se andase 89 perché sé compare solo in posizione preconsonantica (cf. l’analisi linguistica, §4.48). 2 Per il caso dell’articolo, si vedano le osservazioni di Bertoletti (2005, 213 n. 545). Per quanto riguarda i pronomi soggetto, si adotta la suddivisione k’el, s’el, ecc. non solo davanti a consonante (cf. Bertoletti 2005, 221), ma anche davanti a vocale; parallelamente, si divide k’elo, s’ela, ecc. La scelta si fonda sulla morfologia pronominale della Passione Trivulziana: in tutto il testo si rinviene infatti un unico caso sicuro di lo soggetto, ma situato in posizione enclitica postverbale (com era-’lo doncha abandonà da Deo? 173), e mancano del tutto esempi di li e le al plurale. Meno netto il quadro al f. sg., dove si registra un’occorrenza di la soggetto proclitico (inficàn la croxe in terra sì forte ke no la podesse cadere 153): tranne per s’ela no te fosse dada 132, k’ela no avesse 143, perzò k’ela no aveva 156, dove la negazione posposta al pronome induce a propendere per ela, gli altri casi restano in dubbio (cf. §§4.38, 4.40). D’altro canto, si trovano un paio di passi che depongono con certezza per l’elisione di ke davanti a pronome: se pò intende per quela parola k’a’ l’era lu 9, Mo ve digo k’a’ l’è venudo un altro tempo 73, dove la congiunzione ka è esclusa dalla
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3 Edizione critica e commentata
tiva libera e’ per la 1a pers., si è optato ogni volta che fosse possibile per l’elisione (ch’e’, k’e’, s’e’, ecc.) qualora il verbo della subordinata fosse alla 1a pers.;3 non si è invece proceduto allo stesso modo per i pronomi soggetto e’ di 3a e 6a pers. e i’ di 1a pers. (nel caso della sequenza ki), perché tali forme contano un’unica attestazione ciascuna (cf. §4.38);4 il trattino è impiegato per segnalare la continuità grafica e fonetica dei pronomi soggetto enclitici -’l, -’lo, -to e -vo; l’accento circonflesso indica l’assorbimento di congiunzione vocalica da parte dell’identica vocale iniziale della parola seguente nel caso di el guardà êl vite la soa madre 166;5 la tilde la nasalizzazione di una vocale originariamente precedente una nasale (per es. in grãde 104 e quãdo 129, 141; cf. §4.29); il punto in alto l’assenza foneticamente giustificata della consonante finale in seguito ad assimilazione in sandhi seguita da scempiamento in co· 53, de· 29, 31, 109; si sciolgono le abbreviazioni senza segnalarne la presenza (gli scioglimenti sono invece tra tonde nelle forme citate in sede di analisi linguistica).6
natura completiva, e non comparativa, della subordinata (cf. §§4.68, 4.70; Salvioni 1898, 375 n. 5). 3 Si contano 27 occorrenze di e’ ‘io’ indipendenti dall’elisione della forma precedente (6, 7 2a occ., 32, ecc.), contro 27 attestazioni a essa dovute (7 1a occ., 25, 35, ecc.); non si elidono mai anze 11, 19, 36, ecc. (17 in t.), che conosce altrimenti una sola occorrenza elisa anz’è 38 (o forse apocopata: cf. §4.19 n. e Gökçen 1996, xviii), né denanze 59, 67, 69, ecc. (22 in t.) e inanze 252, 39, ecc. (17 in t.), altrimenti mai elisi (e nemmeno apocopati: cf. Gökçen 1996, xviii–xix). 4 Per i’ si avrebbero sei occorrenze dipendenti dall’elisione dell’antecedente (27, 43–44, 84, 90, 154); per e’ ‘essi’ sarebbero tre (12, 56, 60); per e’ di 3a pers. dieci (67, 86, 91, 933, 98, 1552, 176; senza contare le possibili occorrenze di e’ espletivo e il passo imperò ke, segundo ki dixe sancto Augustin, sed elo avesse sapiudo l’avrave scarpado con li denti 22, dove la suddivisione imperò k’e’ pare implausibile). Una strada diversa è battuta da Wilhelm (2006, 23–28; 2007, 23–26), che propone per la Vita di sant’Alessio di Bonvesin tramandata dal codice Trivulziano 93 una suddivisione favorevole a e’ pronome di 3a e 6a pers. anche a fronte della mancanza di attestazioni altrimenti sicure di tali forme all’interno del testo, in forza della frequenza dell’espressione del soggetto nelle subordinate esplicite (valida anche per la Passione Trivulziana: cf. l’analisi linguistica, §4.68). Il criterio qui impiegato, che mira a coniugare le ragioni della sintassi con quelle della morfologia, è ben descritto dall’osservazione di Palermo (1997, 38), relativa al comportamento solitamente adottato per l’italiano: «se in contesti in cui non è possibile la doppia interpretazione è frequente l’uso della forma pronominale ridotta [e’], allora anche nei contesti incerti, qualora il senso complessivo del brano militi a favore della scelta pronominale, si adotta quest’ultima; altrimenti no». 5 Le stesse ragioni poc’anzi citate che motivano la suddivisione k’el, s’el, ecc. depongono a favore di êl contro e ’l. 6 In particolare, si opta sempre per -(m)b- e -(m)p- (ma i(n) p(er)sona de (Crist)e 156), benché nel testo si trovino sia le grafie -mb-, -mp- sia -nb- (menbre 170, menbro 170), -np- (inp(er)ò 23, 30, 44– 45, 71, 163; inp(er)zò 45, 148; inp(ri)ma 87; inp(ri)mam(en)te 44); si scioglie discip(u)li in forza delle occorrenze di discipuli scritte per esteso (per discip(u)lo mancano invece appigli nel
3.1 Nota al testo
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Si segnalano tra aste verticali la numerazione dei fogli del manoscritto, tra parentesi quadre le integrazioni congetturali di lettere o parole (anche per semplice omissione di segno abbreviativo), con tre asterischi tra quadre le due lacune insanabili (120, 183). Si introducono inoltre tra parentesi tonde una numerazione per paragrafi e tra quadre la segnalazione delle fonti bibliche. Le lezioni abbandonate del manoscritto, seguite dalle correzioni promosse a testo e, qualora necessario, dalle delucidazioni opportune, sono le seguenti: mano se pono ke li se descorda se | no > ma no sé però k’eli se descordaseno 1;7 una listoria > una istoria 1; coto e mangiado li zude > coto e mangià dali Zudé 2; segu(n)|do ki fen ki dixe > segundo ki dixe 24; ne ma|nifestaro > me manifestarò 37; eiio | zo no ue apello s(er)ui > Eiio zà no ve apello servi 43 (zà traduce lo iam di Io 15,15); Mo padre clarificamo > mo, Padre, clarificame 54; illi steseno do | me(n)te si co(m) illi steuano firmi de corpo > illi steseno de mente sì com illi stevano firmi de corpo 61; sa quando nu desi|deramo > sa quanto nu desideramo 70 (nessun altro caso di quando per ‘quanto’ nel testo), trai|tadame(n)te > traitamente 79; a(n)na no rezeue lo poue(r)o i(n)quello a(n)no > Anna no rezeva lo povero in quello anno 95; Ello ge uosse rende li .xxx. dane ma loro no li uo|sseno rezeue. eper gra(n)de tristeza ello si spa(n)tego fo|ra > Ello ge vosse rende li XXX dané, ma loro no li vosseno rezeve, e per grande tristeza ello li spantegò fora 110; i(n)traueuno > intraveno 112; co(m)bareraveno > combateraveno 117; sige mixe p(en)ation dubi-
manoscritto, ma la forma è ben attestata negli antichi volgari italiani settentrionali); m(u)lti per multi desnuri 107 e multi corpi 179 (ma molti ben aparegiadi 75); peccat(ur)i per molto peccatu(r)i 145, li peccaturi 152, ali peccaturi 160; p(ri)ncipo per princepo 47, 103, pri(n)cepo 106 (pre(n)cepo 39); q(ui)li, q(ui)lli e q(ui)sti per i molti quilli e quisti; (Yesù) per Questo era co(n) yesu de nazaret 97 e Yesu saluatore efiore | de nazaret 155; (Crist)e per i diversi casi in cui si legge estesamente Criste (e in proposito si veda anche Monteverdi 1943, 216–217). 7 Lo scambio di e per o si riscontra anche in clarificamo per clarificame e do per de (per cui cf. poco oltre), né sembra problematico ammettere quello tra r e n; meno ovvio è invece il caso di sé: mentre per l’avverbio asseverativo (sul quale cf. l’analisi linguistica, §4.48), la variante fonetica sé per sì davanti a consonante conosce un numero sufficientemente congruo di attestazioni (sia nella Passione Trivulziana sia in altri antichi testi lombardi occidentali o settentrionali), lo stesso non vale per sé nell’accezione ‘così’. Una compulsazione non sistematica degli antichi testi settentrionali ha permesso di individuare due soli passi in cui sé è sicuramente un avverbio di modo: «Ançelo, cum’ tu à’ dito, sé sia» e «Ov’ài lo capo sé petenato? / Con chi t’açufasti, che l’hai sì pellato?», entrambi nel Laudario dei Battuti di Modena (Elsheikh 2001, 5 e 62); non si sono giudicate probanti invece le occorrenze con sé associato al verbo dire seguito da discorso diretto del Grisostomo pavese («A molti peccaor Cristo se dixeua Va che te perdono», «Pero ghe respoxe per tuti . e se disse. Tu e Cristo . figlio de de uiuo»: Förster 1883, 61, 63), dove probabilmente si tratta di avverbio asseverativo (cf. in proposito l’ultima nota al §4.48). Se dunque dal punto di vista teorico nulla osterebbe a un sé ‘così’ (< SIC ), la scarsità documentaria consiglia di considerare l’emendazione qui discussa come probabile piuttosto che certa.
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ta(n)do > sì ge mixe pena, non dubitando 124; tuto zoe kian digio li profeti > tuto zò ki àn digio li profeti 177. Questi invece i casi di semplici duplicazioni grafiche o di impiego erroneo dei segni abbreviativi: l’agnelo 2, nel ms. la ag|nelo; subiecti 13, nel ms. subi(n)ecti; lo pongio e l’ora 20, nel ms. lo pongio lo pogio elora; Siando 20, nel ms. Sia(n)|ndo; in principio apud Deum 21, nel ms. inp(ri)ncipio a | apud deu(m), con l’ultima parola in parte abrasa; vu darì testimonio 45, nel ms. testimo(n)io con titulus erroneamente posizionato su i e non su o; digando 76, nel ms. diga(n)do. Digando; põtifico 87, nel ms. potififico; e diligentemente 118, nel ms. ediligente(n)teme(n)te; humana 120, nel ms. hu | humana; a caxa de Cayfax, là onde 140, nel ms. acaxa de cayfax la onde la onde; importabile 143, nel ms. i(m)portabile, con impiego erroneo del titulus solitamente usato per r; altra zente 144, nel ms. a(n)ltra ze(n)te. Qui si può citare anche alcun sì vile 92: nel ms. alcun è presente come parola di richiamo al f. 16v ma è omessa al principio del f. seguente. Le autocorrezioni del copista sono le seguenti: una barì 4, con la prima a nell’interrigo; ke Criste sa 8, con Criste nell’interrigo; Gexia 13, con l’ultima a nell’interrigo; prexo lo povero so 14, con so nel margine sinistro e segno di inserimento dopo povero; in q[ue]la squela 16, con in nell’interrigo; dané 19, con né (ne) nell’interrigo; alcuna via 23, nel ms. alcuna cosa uia, con cosa espunto tramite puntini sottoscritti; lo sovran 29, con so nell’interrigo; digo da mi 36, con da mi nell’interrigo; ti medesmo 38, con ti nell’interrigo; el so segnor 43, con or nell’interrigo; no cognoscon 46, con no nell’interrigo; in lo me nome alo 52, con a nell’interrigo; prego 58, con o nell’interrigo; feva 65, nel ms. feua | feua, con il secondo feua espunto tramite puntini sottoscritti; illi no fisseno 66, con la negazione no nell’interrigo; convenievelmente 70, con il secondo ve (ue) nell’interrigo; mand[é] 72, con rasura della lettera successiva alla d, poi non sostituita; digio 80, con la seconda i nell’interrigo; k’el [no] receveva 81, con un ge cancellato (ma ancora leggibile) e non sostituito prima di receveva; propia 81, con i nell’interrigo; savese 82, nel ms. saue|seno, con erronea espunzione di seno tramite puntini sottoscritti; illi l’avevano 83, nel ms. illi no laueuano, con espunzione di no tramite puntini sottoscritti; smarido 89, con a nell’interrigo; k’el se scoldava 89, nel ms. kel era se scoldaua, con espunzione di era tramite puntini sottoscritti; no dè 94, con o nell’interrigo; fogo 99, a fine rigo, con la seconda o nell’interrigo; tu é Criste 104, con l’abbreviatura di Criste nell’interrigo; Disse lo princepo 106, con pri(n)cepo nel margine destro e segno di inserimento dopo lo; Vu avỳ oiudo 106, nel ms. Vu auy aui oiudo, con aui espunto tramite puntini sottoscritti; prexio per lo qual 111, nel ms. p(re)xio del p(er) lo qual, con del espunto tramite puntini sottoscritti; no ge respondeva 113, con no nell’interrigo; homo 121, con la seconda o nell’interrigo; ali Zudé 127, con i nell’interrigo; morta 143, con a vergata su una precedente e; que ne sarà fagio 145, nel ms. que ne | sara fagio, con sara fagio aggiunto in fine al
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rigo successivo e unito a que ne tramite un segno a L; com fiore 148, nel ms. com | fiore, con fiore aggiunto in fine al rigo successivo e unito a com tramite un segno a L; sì fo molto glorioxo 155, nel ms. sifo | m(o)lto glo(r)ioxo, con m(o)lto glo(r)ioxo aggiunto in fine al rigo successivo e unito a sifo tramite un segno a L; fen li cavaleri de Pillato 156, nel ms. fen li caualeri | de pillato, con de pillato aggiunto in fine al rigo successivo e unito a li caualeri tramite un segno a L; in quelo dì lo ladro 161, nel ms. i(n)quelo di co(n) lo ladro, con co(n) espunto tramite puntini sottoscritti; Simeon 165, con o vergata su una precedente u; niãche eyo no ’l farò 165, nel ms. niache | eyo nolfaro, con eyo nolfaro aggiunto in fine al rigo successivo e unito a niache tramite tre puntini in verticale; quela 167, con a vergata su una precedente o; spiritual 169, con u nel margine destro e segno di inserimento dopo t; lengua 171, con e vergata su una precedente a poi cancellata parzialmente; venardì 186, con r nell’interrigo, vergata in inchiostro grigio-nero, con tutta probabilità dalla mano che appone in calce la nota di possesso (per cui si veda la descrizione del ms. al §1.1).
3.2 Passione Trivulziana |1r| (1) Questa sì è l’istoria dela passion del nostro Segnor Yesù Criste tragia da tuti li quatro evangelisti tuto a poncto segondo la verità. Li quatro evangelisti sì parlavano in diversi modi dela passion del nostro Segnior, ma no sé però k’eli se descordaseno,8 ma quelo che l’uno lasà l’altro compiì, unde de tuti quatro nu avemo fato una istoria, la qual sì comprende tute quele cosse ke fon fagie e digie in la sova passione.9 (2) Ora dixe k’el s’aprosima la Pasqua deli Zudei, quando eli devevano sacrificare l’agnelo e la nocte lo deveno mangiare colo pane lixo e con lactuge agresto,10
8 ma no sé però k’eli se descordaseno: se il restauro della lezione è corretto (cf. §3.1), il passo è da intendere ‘ma non (fecero) così perché discordassero tra loro’. Tranne poche eccezioni, le delucidazioni linguistiche sono demandate al glossario. 9 Questa sì è… passione: cf. Passione Mai, f. 1v: «De questa gloriosa passione e de questo die [i.e. venerdì] li vagnelisti ende parlà in diverse maynere, no perçò ch’ili se descorde, mo quelo che no disse l’uno l’altro lo comple; unde eo ai guardado tuti quatro li vagnelii dela passion de miser Iesù Cristo, e de tuti sì ai fato una ystoria la qual conprende tuto quelo che fo fato in lo dì d’ancoy». 10 e la nocte… lactuge agresto: cf. Ex 12,8, «et edent carnes nocte illa assas igni et azymos panes cum lactucis agrestibus».
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stagando drigi in pey, sengy e calziati con li bastoni in mane,11 e mangiarlo viazamente e tuto, k’el non g’aromanisse alcuna cossa perfine ala domane, e ssi per aventura alcuna cossa gen romanisse, illi lo devano brusare in lo fogo; e quelo agnelo ki è coto e mangià dali Zudé e li antixi sì significava lo nostro Segnor Yesù Criste. (3) E comandava la sova leze, segundo ke fy cantao in un libro ke fi digio Ysodo, ke questo agnelo devesse esse coto tuto integro e arosto in una asta, e deveva esse bello e neto senza alcuna macula; e cotal fo lo nostro Segnore Yesù Criste, ke per nu peccaturi sofrite morte e passione sover lo |1v| legno dela sancta croxe e rezevè morte in torto a vespero. E imperò ke li Zudé mangian lo pan lixo con l’agnelo, la sancta Gesia sacrifica lo corpo del nostro Segnore con pan lixo, e li Grexi lo sacrificano com pan levado [2–3: Lc 22,1; I Cor 5,7; 12 Ex 12,5–11]. (4) Siando donca venudo lo tempo in lo qua era de necessità a servare le cosse digie de sora, sì disse lo nostro Segnor aly soy discipuli: «Andé e sì aparegié de fare la Pascha». Et illi disseno: «Onde vo’ tu Segnor k’ela sia aparegiada?». Illora disse Yesù Criste a du dely soy discipuli: «Andéven in la cità e trovarì uno homo ki porta una amora d’aqua», la qual poeva esse una barì,13 «e quelo debié seguì fin in la casa in la qual elo à intrà.14 (5) E dirì al padre dela fameia, al segnor de quela casa: ‹Lo magistro ce manda. Apresso de ti con li me discipuli fazo la pascha: ond’è la mia refection et ond’è quello logo k’eo possa cenar con li mei discipuli?›. Et coluy ve mostrarà un cenaculo grande e spatioxo e inlò aparegiarì a nu la Pascha». Li duy discipuli andón et trovón sì com lo Segnor g’aveva digio e
11 sengy e calziati con li bastoni in mane: con i fianchi cinti (sengy), i calzari ai piedi e il bastone in mano, secondo la prescrizione di Ex 12,11. 12 E imperò ke… levado:. cf. Nicolaus de Lyra, Postilla, Mt 26,17: «Prima autem die azymorum: ista dies fuit feria quinta, quae erat vigilia Pasche in qua immolabatur agnus paschalis ad vesperam illius diei que erat dies quartadecima primi mensis, et tunc tenebantur vesci panibus azimis usque ad vesperam vigesimeprime diei eiusdem mensis, ut habetur Exodi xij. Advertendum tamen est quod Greci dicunt Christum cenasse cum discipulis suis ante passionem suam tertiadecima die primi mensis, ita quod anticipavit immolationem agni paschalis per unam diem […]. Ex quo […] concludunt quod Christus confecit corpus suum in pane fermentato, quia Iudei non vescebantur azimis ante vesperam quartedecime diei»; si veda inoltre Petrus Comestor, Historia scholastica, 1615: «Verba Joannis ministraverunt Graecis fomitem erroris. Dicunt enim in parasceve lunam fuisse quartamdecimam, et ita in vespera ipsius fuit Pascha. Dominus autem sciens se passurum ea die in vespere antecedenti anticipavit comedere Pascha. Et quia ea nocte licite potuit comedi fermentatum, de fermentato conficiunt corpus Domini. Quod si verum est, credibile est Dominum comedisse agnum, ut praeceptum erat in lege, et azyma comedisse. Et sic, etiamsi constet quod dicunt, errant consecrando fermentatum». 13 una amora… una barì: cf. Petrus Comestor, Historia scholastica, 1615: «Quod Marcus dicit lagenam, Lucas amphoram, unus expressit genus vasis, alter modum». 14 à intrà: con futuro di tipo analitico, per cui cf. l’analisi linguistica, §4.54.
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aparegión la Pascha. L’un de quisti discipuli fo san Pedro, l’altro san Iohane evangelista. E quando fo l’ora de vespero sì ven lo nostro Segnor con li soi discipuli XII per fare la Pascha in Yerusalem [4–5: Mt 26,17–19; Mc 14,12–17; Lc 22,7–14]. (6) E quando fo ora dela cena illi se lavàno le man e ’l Segnor benedisse la mensa. Siando benedeta la mensa dela drita man del nostro Segnor, il |2r|li se asetàno con luy insema alla mensa. E sancto Iohan se asetò apreso de Criste dal so lado: ma qui se pò intende in duy modi. L’un modo stagand i asetai com e’ ò digio; l’altro modo stagand i drigi in pey con li baston in man, mangiando l’angnelo con la lactuga agreste et observando le altre cosse ki se comandeno in la leze vegia. Com zò sia cossa se illi foseno stati tutavia in pei, san Iohane no porave avere reposà la testa sur lo pegio de Criste, ma possemo crè ke illi mangiàno alcuna cossa innanze l’agnelo et inlora sedevano, e poi ke l’agnelo fo portado sì se drizón in pei segundo la observãzia dela leze.15 (7) Ora, cenando lo nostro Segnore con li soy discipuli, infra le altre parole sì disse cosỳ: «Grande tempo è k’e’ ò desidrà de far questa Pascha con vu insema, innanze k’eo sofrisca passion e morte», e quando el ave digio k’el vosse, sì se turbò in sì medesmo e disse: «In verità e’ ve digo ke uno de vu me dè traire», e de zò li discipuli aveno grande tristeza. Guardòsse l’un l’altro e, spiando l’un l’altro de ki el podeva dire, e zescaun de loro spiava: «Sunto mi Segnor ke te debio tradire?», però ke illi credevano più al so magistro k’a loro instisi, e temando dela lor fragilità sì domandaveno de quel peccado ki no ge reprendeva la consienzia 16 [7: Mt 26,21–22; Mc 14,18–19; Lc 22,15 e 23; Io 13,21–22]. (8) Disse Criste: «Un de vu XII, sì è ki con mego mete la man in la squela ki me traisse, e llo filio del’omo sì va sì com de lu è scrigio, |2v| e guai a quello per ki lo fiol del’omo fi tradì: bon per lu s’el no fosse nado quello homo», quas diga meyo fosse a no esse nado k’a esse nado per esse reo per luy.17 Quel k’el predisse ala cena dela sova passion e tradizon no fo altro se no a dar logo de penitentia alo traditore, azò ke quando Iuda avesse intexo ke Criste sa tuti li soi penseri e llo oculto conselio ke contra luy aveva fagio,
15 Siando benedeta… leze: cf. Meditaciones vite Christi, cap. LXXIII, rr. 58–66: «Benediccione igitur facta per dexteram Domini, sedent circa mensam, Iohanne sedente iuxta Dominum Iesum. Tunc eis defertur agnus paschalis. Sed attende quod dupliciter potes hic meditari: uno modo, ut sedeant, ut dixi; alio, ut stent recti cum baculis in manibus, comedentes agnum cum lactucis agrestibus, et ita observantes que in lege mandabantur; dummodo postea mediteris ad aliquid ad manducandum, ut ex pluribus locis textus colligi potest, nam nec Iohannes recumbere supra pectus Domini nisi sedendo potuisset». 16 però ke illi… consienzia: cf. Glossa ordinaria, Mt 26,22: «Quia plus credunt magistro quam sibi; et timentes etiam fragilitatem suam quaerunt de peccato cuius non habent conscientiam» (cf. anche Mc 14,19 e Nicolaus de Lyra, Postilla, Io 13,22). 17 quas diga… per luy: cf. Petrus Comestor, Historia scholastica, 1617: «melius esset ei, non esse, quam male esse»; similmente la Glossa ordinaria, Mt 26,24.
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k’el se devesse pentir de zò k’elo aveva pensado [8: Mt 26,23–24; Mc 14,20–21].18 (9) Ora, quando lo Segnore disse ke un de loro aveva la man in la squela con sego, in quela fiada tuti XII avevano la mane in la squela con sego.19 Quando li discipuli ogìne20 quela novela, sì fon contristati e traseno tuti la man indré, s’el no fo Iuda ki la reten digando: «Sonte mi quelo, magistre?».21 Respoxe Criste: «Tu lo dixe». No disse avertamente k’el fosse lu, ma se pò intende per quela parola k’a’ l’era lu, quasi digando: «Eio no ’l digo, ma tu lo dixe» [9: Mt 26,25].22 (10) Dixe meser san Luca ke in questa fiada li discipuli sì aven contention intra lor ki deva esse lo maior deli altri. Sapié ke li discipuli de Criste sì erano ancora carnali, quando illi contendevano intra loro ki deveva esse maior; ma nu, fradelli carissimi, in omia stadio sé devemo sempre cõtende de esser maiuri in tute le bone ovre, e no devemo aver de[si]derio de aquistare lo honore de questo seculo, ma sempre devemo pensar per qual modo nu possemo piaxere a Deo. (11) Ma lo nostro Segnor, ki era magistre spirituale, vezando la contenzion deli soy discipuli sì ge disse: «Li re e li principi del mondo |3r| sì voreno segniorezare li soy subiecti e da loro voren aver servixio e honore, ma de vu no volio ki sia così, anze volio ke quello k’è maior de vu sì debia fì sì com vostro ministro, e quello ki è comandator debia vorè esse sì com ministrador» [10–11: Lc 22,24–26].23 (12) In questa parte no represe zà lo nostro Segnore li soy discipuli dela contention ke illi avevano intra loro, mo sì li amaistrà ke debiano servare sempre humilità, e imperò ge dè exemplo de quili ki teneno la segnoria del mondo, li que sempre desidrano de esse dali subiecti servidi et honoradi; ma quilli ke desidrano de seguir lo exemplo delo Re eternal in omia modo den mostrar humilità ali soy
18 Quel k’el predisse… pensado: cf. Glossa ordinaria, Mc 14,18: «Sicut de passione praedixerat, ita de proditore praedicit dans locum poenitendi, ut cum intellexisset cogitationes suas praesciri a Deo poeniteret eum facti sui»; cf. anche Lc 22,21. 19 Ora, quando lo Segnore… con sego: cf. Petrus Comestor, Historia scholastica, 1617: «Duodecim in eodem catino cum Domino edebant, et alii non, quasi dicat: Unus de duodecim tradet me». 20 ogìne: ‘udirono’, su cui si veda l’analisi linguistica, §§4.1, 4.13, 4.19, 4.21, 4.34, 4.52. 21 Quando li discipuli… magistre?: cf. Glossa ordinaria, Mt 26,23: «Alijs contristatis et a cibo manum retrahentibus; ea impudentia qua tradidit manum cum magistro mittit, ut audacia bonam conscientiam mentiretur»; parallelamente nelle Meditaciones vite Christi, cap. LXXIII, rr. 75–79: «comedere cessaverunt, inspicientes seipsos dicentes: Nunquid ego sum? […] Ille autem proditor, ne viderentur hec verba pertinere ad ipsum, comedere non cessavit». 22 No disse avertamente… dixe: cf. Petrus Comestor, Historia scholastica, 1617: «Nondum coram omnibus exprimit eum. Potest enim sic intelligi: Ego non dico, sed tu dicis»; si veda anche Glossa ordinaria, Mt 26,25. 23 Sapié ke li discipuli… ministrador: per l’accenno ai discepoli carnali e al maestro spirituale cf. Glossa ordinaria, Lc 22,24: «qualibet ex causa contenderint, non quid adhuc carnales gesserint, sed quid spiritualis magister iusserit videamus».
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subiecti,24 sì com dixe Salomon: «Se ’l povero te constituisse duxo no te exaltare, ma fa’ ke tu sii intra loro quasi sì com so inguale» [12: Eccli 32,1]. (13) Ma permodezò quello ki fii constituido pastor dela sancta Gexia debia ben sempre provedere k’el no abia falsa pietà contra li soy subiecti, sì com ave Heli prevede contra li fioly, azò k’el no perisca sì com periti Heli con li fioli soy, e imperò sì è necessario ke illi abiano pietà et humilità contra quilli ke servano a Deo, e contra quilli ki àn superbia sempre den esse forti e contrarii, che nesũ homo ki abia superbia in lo so core no pò piaxè a Deo, e sempre da tuta gente devrave fiì confunduo, e ki ama humilità sì è iusto e aceptao da Deo, azò ke da tuta gente el sia honorado e servido [13: 1 Sam 2 e 4]. (14) Certo li pastù dela sancta madre Gexia sempre sì den rezeve exemplo dal Segniore: sì com ello dè l’anima soa a morte |3v| per nu, cusì è necesario ke illi metano le soe anime per li soy subiecti, s’el farà besognio, sì com nu lezemo de Paulino vescovo dela cità nolitana, ke quando ello vite menar via prexo lo povero so, sì lo seguì ad exemplo de Criste, ke per lo fiolo d’una dona vegia lu medesmo se dè per servo e sì lo redemete de man deli inimixi, et imperò k’el se humiliò tanto, lo Segnore lo degniò liberare de captivitade con tuto lo povero so.25 (15) Possa ke ’l Segnore ave amaistrà li soy discipuli ke illi aveseno sempre humilità, sé ge disse: «Vu sì quilli ki devì permanire con mego in le temptation, et eo dispono vu alo regno sì com lo me Padre à desponudo mi». Quilò possomo acognoscere ke quilli ki sustenano tribulation in questo seculo per amor de Deo veraxemente seran coronai dal Segnior, e la gloria del regno serà donada a quilli ki àn permanire in patientia [k]’è madre dele vertù, e p[er] la pacientia lo beado meser san Iob sì piaxè a Deo [15: Lc 22,28–29; Iob].26 (16) Abiando digio lo Segnore ke un de loro sì meteva con sego la man in la squella ki ’l traiva, el no fo alcun de loro ke lo intendeseno, et imperò ke tuti XII avevano la man in la squela dala salza, ki era in mezo la tavora e era quadra et era tanta larga ke a’ y poevano stare in acadun lado tri discipuli, e llo Segnore pò esse ki steva in un canton dela tavora, sì ke cadun de loro poeva ben mete la man in q[ue]la squela; e devì savè ke quela mensa sì era posada in terra segundo l’uxanza
24 In questa parte… subiecti: cf. Glossa ordinaria, Lc 22,25–26: «Pius magister non initae contentionis arguit, sed formam humilitatis quam sequantur describit, quasi dicens: ‹Vos more saecularium per praelationem pervenire vultis ad regni possessionem, sed ad summam virtutum non potentia venitur sed humilitate›. […] Ad verba exhortationis explendae exemplum de se ponit». 25 sì com nu lezemo… povero so: la storia di san Paolino di Nola si legge in Gregorio Magno, Dialogi, 135–139. 26 p[er] la pacientia lo beado meser san Iob sì piaxè a Deo: Giobbe è santo e beato già secondo Tb 2,12 e 15 (nella lezione della Vulgata), e come tale ricordato in diversi martirologi.
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deli antixi ki sedevano in terra a cenar.27 |4r| (17) Ora, abiando digio lo nostro Segnore k’el deveva esse tradido da un deli soy discipuli, e no disse da quale: in quela fiada meser san Pedro fè segno a meser san Iohane k’el domandasse al Segnore qual era quello ki deva esse lo traditore, e inlora san Iohane se volse inverso de Criste e sì ge disse: «Ve piaza Segnore de dirme ki è quelo ki ve dè tradire»; e llo Segnore secretamente e familiarmente lo manifestò a san Iohane, sì com a persona k’el amava più singularmente ke tuti li altri.28 (18) Disse lo Segnore a san Iohane: «El serà quelo al quale eo sporzerò lo pan tincto». Illora Criste tollè un bocon de pan e tenzèllo in la salza, e possa lo sporzè a Iuda Scariot, a dare a intende ke lo corpo de Criste tuto deveva esse tengio in lo so proprio sange per la traition de Iuda; e questo sì è figurado per la tonega de Yosepo, ki fo tengia in lo sangue del becho. (19) Quando Iuda Scariot ave mangiado quelo bochon de pan ke Criste g’ave sporto, incõtanente lo diavoro ge intrò intel corpo. Disse Criste a Iuda: «Zò ke t’è da fare fa’ tosto», e no fo nesuno deli altri discipuli ke intendeseno zò per que ello dixesse quella parola a Iuda, anze pensón, perkè Iuda teniva li dané, ke ’l Segnore g’avesse comandà k’el devesse agatare alcuna cossa ke fesse mestere al dì dela festa, on k’a’ ’l donasse alcuna cossa ali poveri. (20) Quando Criste ave digio a Iuda zò k’el vosse, ello sen zè incontanente, k’el era nocte, e vaseno29 ali Zudei per rezeve li XXX dané del trahimento, |4v| e guardava lo pongio e l’ora com ello podesse meio trahir Criste in le man deli Zudei. Siando partì Iuda, disse Criste ali soy discipuli: «Mo sì è clarificado lo fiolo del’omo, e llo Segnor Deo sì è clarificado in lu, e lu per sì medesmo sì è clarificado in Deo» [17–20: Mt 26,15–16; Mc 14,11; Lc 22,5–6; Io 13,24–31; Gn 37,31]. (21) Ora dixe quando san Iohane ave visto ke Iuda deveva tradir lo so Segnor sì fo tuto stramido, e sì com el fosse de gladio ferido sì mise la testa a reposare sul
27 Abiando digio lo Segnore… cenar: cf. Petrus Comestor, Historia scholastica, 1617: «‹Qui intingit mecum manum in catino, hic me tradet›. Duodecim in eodem catino cum Domino edebant, et alii non, quasi dicat: Unus de duodecim tradet me. Forte ideo dixit: intingit, quia succus agrestium lactucarum necessarius ad esum agni erat» (si vedano in proposito le lactuge agresto 2 e lo pan tincto 18); Meditaciones vite Christi, cap. LXXIII, rr. 48–52: «Scire autem debes quod ipsa mensa erat in terra, et more antiquorum in terra sederunt ad cenam. Erat autem ut creditur quadra, de pluribus tamen tabulis quam ego vidi Rome in ecclesia Lateranensi, et eam mensuarui. Est autem in uno quadro duorum brachiorum, et trium digitorum et plurium, vel circa: ita quod, licet arte, tamen in quolibet quadro, ut creditur, tres discipuli sedebant et Dominus humiliter in aliquo angulo; ita quod omnes in uno catino comedere poterant. Et propterea non intellexerunt discipuli eum quando dixit: Qui intingit mecum mano in catino, hic me tradet, quia omnes intingebant». 28 e llo Segnore… altri: cf. Meditaciones vite Christi, cap. LXXIII, rr. 81–82: «Et Dominus Iesus familiariter ei tanquam singularius dilecto aperuit». 29 vaseno: ‘se ne va’, con restituzione erronea della vocale finale (cf. l’analisi linguistica, §4.41).
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pegio de Criste, e inlora imprexe san Iohane la subtilità dela divinità,30 unde ello sapiè dire quella marevelioxa parola: «In principio erat Verbum et Verbum erat apud Deum et Deus erat Verbum. Hoc erat in principio apud Deum», e questa parola fo de tanta subtilità k’el no fo may homo vivente ke compidamente la podesse comprende [21: Io 13,25; 1,1–2]. (22) E devì savè ke Criste no vosse revelà a san Pedro ki fosse lo traditor imperò ke, segundo ki dixe sancto Augustin, sed elo avesse sapiudo l’avrave scarpado con li denti. Ancora dixe sì g’è altra raxon, ke per san Pedro ne fi dado a intende coloro ki servano a Deo in la vita activa, e per san Iohane fi dado a intende coloro ki àno gratia de stare in la vita contemplativa. (23) Unde nu avemo chilò un exemplo ke ’l cõtemplativo non se dè intremete delle cosse corporé, nì della offension de Deo dè querì svengianza, mo sì sen dè dolere et pianze con lo core e convertìsse a Deo per ovra e aprosimarse più stregiamente a lu per contemplation; e sapii ke tu di far questo quando tu é copia del |5r| spoxo, inperò ke alcuna via lo contemplativo per zello de Deo e dele anime se dovra in la utilità del prossimo segundo ke dixe li sancti.31 (24) Ora dixe san Iohane ke Criste levà su dela cena e incontanente se levàn tuti li discipuli altersì e no savevano unde el voresse andà, e andò zoxo del cenaculo con loro insema e vene in un altro logo ki era de soto in quella medesma caxa, segundo ki dixe coloro ki l’àn veduo, et illò li fè tuti asetare32 et trase fora la soa vestimenta ke ello aveva indosso de sovra, e poy tosse un lenzolo e torzèllo un poco e ne fè sengiura, e poy tollè del’aqua colda e sì ne mise in una concha e comenzò a lavar li pey ali soy discipuli e sugàli con quelo lenzò del qual el era
30 e inlora imprexe san Iohane la subtilità dela divinità: cf. Glossa ordinaria, Io 13,25, dove il petto di Cristo è definito secretum sapientiae. 31 Ora dixe quando… sancti: l’espressione «segundo ke dixe li sancti» non si riferisce alla Legenda aurea di Iacopo da Varazze (cf. §147), perché la fonte sono qui le Meditaciones vite Christi, cap. LXXIII, rr. 82–96: «Iohannes vero stupefactus, cordialiter gladiatus, versus eum se inclinavit et super pectus eius recubuit. Petro autem Dominus non dixit, quia ut dicit Augustinus, si ipsum scivisset dentibus illum proditorem discerpisset. Sed per Petrum figurantur activi, per Iohannem contemplativi, ut idem Augustinus in omelia Evangelii quod legitur in festo sancti Iohannis dicit. Unde habes hic argumentum et figuram quod contemplativus non intromittit se de actibus extrinsecis, de ipsis eciam offensis Dei vindictam non expetit; sed inde interius gemit, per oraciones ad Deum se convertit, et forcius ei per contemplacionem approximans eique inherens, omnia sue disposicioni committit. Et de tempore vacacionis intellige cum habet copiam sponsi, nam aliquando ipse contemplativus ex zelo Dei et animarum exterius exit». 32 Ora dixe san Iohane… asetare: cf. Meditaciones vite Christi, cap. LXXIII, rr. 109–112: «surgit Dominus Iesus a cena; surgunt statim et discipuli, ignorantes quo ire velit. Ipse autem descendit cum eis in alium locum inferius in eadem domo, ut dicunt qui locum viderunt, et ibi omnes sedere facit».
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sovra sengio, et altersì li lavà alo traditor de Iuda.33 (25) E quando el fo per lavar li pey a san Pedro, disse san Pedro: «Segnior, tu me lave li pey?». Disse Criste: «Zò ch’e’ te fo, tu no ’l sé mo, ma tu lo savré ben possa». Re[s]poxe sa[n] Pedro: «Segnor, may in nesun tempo eyo no sofrirò ke tu me lave li pey». Disse Criste: «Se eyo no te lavo li pey, tu no avré parte con mego in lo meo regno». De zò san Pedro fo stremido e disse: «Segnor inanze ke zò sia, no solamente me lave li pey, inanze me lava le mane e ’l chò e tuto quanto». Disse Criste: «Quelo ki è lavado no g’à besognio lavar se no li pey. Vu sì niti, ma no tuti», e zò disselo per Iuda Schariot, k’el saveva ben ke elo lo deveva tradire. (26) Ora dixe possa ke Criste ave lavadi li pey aly soy discipuli, si tornò34 la soa vestimenta indosso, |5v| e possa vene con loro insema a sedere ancora alla mensa e sì ge disse: «Savì-vo quello k’ei’ò fato a vu? Vu me clamé segnore et maistro e certo eio son bene, sì ke vu dixì bene. E imperò v’ò dado questo, che se eyo ke sonto vostro segnore e maistro sì v’ò lavadi li pey a vu, cusì devì vu lavar li pey l’un l’altro. (27) In verità ve digo ke ’l servo n’è maior del so segnore, nì l’apostolo non è maior de quelo ki l’à mandado. Se vu savì queste cosse, e vuy li observarì, sì serì beay. No digo de tuti, ke eio so quilli ki ò elegi, azò k’el se co[m]pisca la scriptura ki dixe: «Quelo ki mangia lo me pane sì levarà contra de mi lo so calcagno». Eio vel digo innanze ke zò sia fato, azò ke quando el sarà fagio vu cognoserì k’io sonto» [24–27: Io 13,2– 19]. (28) Dige queste parole, voyando lo nostro Segniore mete fin ali sacrifitii del vedro testamento e comenzare del novo,35 sì fè de sì medesmo veraxe e novo sacrifitio.36 Ora dixe ke Criste toyè lo pane e sì lo benedise, e possa lo rompè e sì lo sporzè ali soy discipuli e sì ge disse: «Rezevì e mangié, ke questo sì è lo me corpo, lo qual per vu serà tradido e morto». Possa toyè lo calix con lo vino e sì lo benedisse, e poy lo sporzè ali soy discipuli e sì ge disse: «Partì questo intra vu ch’è in lo calix del novo testamento consegrado in lo me sangue, lo qual serà sparso per multi in remision deli lor peccadi; e questo farì in mia memoria. (29) In verità ve digo ke eio no beverò vino de qu[e]sta generation tanfin k’eio beverò del novo
33 alo traditor de Iuda: la deduzione che Giuda fosse presente si basa probabilmente su Io 13,10: «vos mundi estis sed non omnes». Si veda anche la Passione BNN, che specifica (f. 107vb): «Dicese che prima lavò li pedi ad Juda». 34 si tornò: ‘si rimise’; che non si tratti qui di sì asseverativo bensì di pronome si ricava dal confronto con tornòge indosso le soe vestimente 138. 35 comenzare del novo: resta il dubbio sull’opportunità di integrare quello, ma l’uso assai flessibile delle preposizioni nel testo sconsiglia l’intervento. 36 Dige queste parole… sacrifitio: cf. Meditaciones vite Christi, cap. LXXIII, rr. 143–145: «volens finem dare legalibus sacrificiis et novum incipere testamentum, seipsum sacrificium novum facit»; Glossa ordinaria, Mt 26,26.
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in lo regno de· Padre meo», |6r| a dare a intende ke ’l corpo so ki [era] tragio dal’homo vedre e mortale, zò fo Adam, firave renovado possa la soa passione e morte de immortalità;37 sì com in soa prefiguration Melhisedeh lo sovran prevede de Deo pane e vino fè ofrì, cusì in verità lo so corpo e sangue representò [28–29: Mt 26,26–29; Mc 14,22–25; Lc 22,19–20; Gn 14,18]. (30) Ora sì è questa quela memoria ki fa l’anima graziosa in conspecto de Deo quando se receve degniamente, e pensando sovra zò l’anima devotamente, tuta se devrave infiamà et inivrià et transfor[m]à tuta in lu medesmo per grandismo amor e per devotion, inperò k’el no pò lasar maior cossa, nì più cara, nì più dolze, nì più utel ka sì medesmo. (31) Unde questo è quelo pane ke nu mangemo ancoy in lo sacramento del’altare: el è quello medesmo lo quale fo maravelioxamente incarnado e nado dela vergene Maria, e sustene passion e morte per nu, e descendè al’inferno, e lo terso dì sì resusitò gloriosamente, e possa montò in cello, e sede dala drigia parte de· Padre, e da inlò venirà a zudigar lo mondo e li vivi e li morti; è quelo medesmo ki creò lo celo e lla terra e tute le altre cosse, ell’è quello ki ne pò dar vita e morte, paradixo e inferno.38 (32) Possa ke li discipuli mangión e beven del corpo e del sangue del Segnior e Iuda altersì, avegnia no fosse ala comunion segundo l’opinion de alcun doctore, dixe ke in tanto ke Iuda tene a tornà lo nostro Segnior sì fè ali soy discipuli un bello sermon e una bella predication,39 digando cusì: «Fioli mei, un pocho de tempo e’ starò con vu e possa me |6v| n’andarò, e là onde eo vaga vu no me poỳ seguir mo. E imperò ve dago un novo comandamento, ke vu ve debié amar intra vu sì com e’ v’ò amadi vu; e [da] questo achadun cognoserà ke vuy sì mei discipuli, se vu ve amarì intra vuy». (33) Disse san Pedro: «Segnor, onde vé tu?».
37 a dare a intende… immortalità: cf. Glossa ordinaria, Mt 26,29: «Dicens illud novum, hoc vetus, ostendit corpus scilicet de veteri Adam quod immortalitate immutabitur». 38 Ora sì è… inferno: cf. Meditaciones vite Christi, cap. LXXIII, rr. 152–163: «Hoc est illud memoriale quod animam gratam, cum ipsum suscipit manducando vel eciam fideliter meditando, deberet totam ignire et inebriare, et in ipsum Dominum pre amoris et devocionis vehemencia totaliter transformare. Nichil enim maius, carius, dulcius vel utilius nobis relinquere potuit quam seipsum. Ipse namque quem in sacramento sumis illud idem est qui de Virgine mirabiliter incarnatus et natus pro te mortem sustinuit, et qui resurgens et gloriose ascendens sedet a dexteris Dei. Ipse est qui creavit celum et terram et omnia: et qui ea gubernat et moderatur. Ipse est a quo dependet salus tua; in cuius voluntate et potestate est tibi dare vel non dare gloriam Paradisi». 39 Possa ke li discipuli… predication: cf. Meditaciones vite Christi, cap. LXXIII, rr. 167–170: «Facit enim eis sermonem pulchrum ignitis plenum carbonibus dulcedinis et amoris ignitum. Communicatis autem discipulis et pessimo Iuda, licet secundum aliquos in communicacione non fuerit, dicit ipsi Iude Dominus Iesus: Quod facis, fac cicius». Cf. inoltre Passione Mai, f. 2r: «Dredo la cena elo fé lo so testamento, çò fo un molto bel sermone et una bella predicacione».
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Respoxe Criste: «Unde eyo vaga tu no me po’ seguir mo, ma tu me seguiré ben possa». Disse san Pedro: «Perquè no te posso seguir mo, k’eio sonto aparegiado de mete la vita mia per ti?». Disse Criste: «Tu meteré la vita toa per my? Ma eyo te digo in verità k’el no cantarà gallo una volta, ke tu me renagaré tre volte». (34) Quando el ave digio zò, sì disse ali soy discipuli: «No se turba lo core vostro. Credì in Deo et in mi. In la casa delo meo Padre sì è molte abitation et imperò alegréve, k’eio vago per aparegàve lo logo, pertanto ke là onde eio sonto e vu sié. E no savì là onde eio sia nì onde eio vaga, ma vu savrì ben la via». (35) Disse san Thomaxe: «Segnor nu no savemo là onde tu vagi, e in qual modo podemo saver la via?». Respoxe Criste: «Eio sonto la via, verità e vita, e nesun pò venir a my nì alo me Padre se no per mi. E sse vu cognoserì mi, vu cognoserì anche lo me Padre, e mo sì lo vedì e sì lo cognosì». Disse san Filipo: «Segnor, mostra a mi lo to Padre, e tuto zò ke tu ne dixe sì ne basta». Respoxe Criste: «Ell’è tanto tempo k’e’ son stato con vu e no m’avỳ acognosudo, Filipo? Quelo ki vé mi sì vé lo me Padre. Adoncha com dixi tu k’eo te mostra lo meo Padre? Non cri tu ke lo meo Padre sia in mi e eio in lo meo |7r| Padre? (36) E lle parole k’e’ ve digo, eio no le digo da mi, anze lo me Padre ki sta in mi, et eio parlo per lo me Padre e llo me Padre sì è quelo ki fa le ovre. Almen ale ovre vu devì crè. In verità ve digo ke quello ki crederà in mi, le ovre k’eo fazo ello le farà, e ancora maior ka quelle k’e’ fazo. Eo vago alo me Padre, e tuto zò ke vu domandarì al me Padre in lo me nome ello vel darà, azò ke ’l Padre sia glorificado in lo fiolo e lo fiolo in lo Padre. E tuto quelo ke vu domandarì alo me Padre eyo lo farò. (37) Se vu me amarì e servarì lo meo comandamento, e eio pregarò lo meo Padre e ello ve darà Spirito consoladó ke tuto tempo starà con vu insema; e quello Spirito serà de verità, lo qual no pò intende tuto lo mondo, e nesun lo pò rezeve ki no lo cognosce, ma veramente vu lo cognoserì e con vu ello starà. E no dubité k’eo no ve lasarò orfani, eyo vegnirò ancora a vu de grando tempo.40 Lo mondo no me cognosce, ma vu me vedì e sì me cognoscì, et imperò ke eyo vivo, e vu viverì, e in quello vu cognoscerì ke eyo sonto in lo me Padre e vu in mi e eio in vu. Chi oye lo me comandamento e observalo, quello me ama, e quello ki mi ama serà amado dalo me Padre e eyo amarò quello e sì me manifestarò mi medesmo a ello». (38) Disse san Iuda, no miga lo Scarioth: «Quen cossa ke ti medesmo te manifesti a nu e no al mondo?»41. Respoxe Criste: «Quello ki ama mi sì ama la parola mia e sì l’observa e lo me Padre amarà lu; e ki no ama mi nì la |7v| mia parola guarda nì la
40 eyo vegnirò ancora a vu de grando tempo: la determinazione temporale che nel vangelo di Giovanni pertiene al versetto successivo (14,19) è qui associata al precedente, e sembra valere come assicurazione della permanenza di Gesù tra i suoi dopo la risurrezione. 41 Quen cossa… mondo?: l’inizio della domanda traduce, forse con ellissi di è, il giovanneo «quid factum est quia».
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serva. E la parola ke vu avì oiuda non è mia, anz’è delo me Padre ki m’à mandado; e queste parole ve digo stagando con vu presente, ma lo Spirito Sancto lo qual mandarà lo me Padre in lo meo nome, quello ve amagistrarà e sì ve segniarà zò k’e’ v’ò digio. (39) La mia paxe ve dago, la mia paxe ve lago; sì com lo me Padre la dona a mi, cusì la dono a vu, non sì com lo mondo la dona. No siano turbai li vostri cori e no pianzì. Vu avì oiudo zò k’e’ v’ò digio: ‹E’ vago e sì vegniarò a vu; e’ sì vago alo me Padre›. Se vu amesse-vo mi certamente vu ve alegrarisse-vo, imp[er]ò k’eyo vago alo me Padre e lo me Padre sì è maior de mi. Tute queste cosse ve digo inanze k’elle siano fagie, pertanto ke vu le credì quando elle serane fagie. Mo no parlo molte cosse con vu, ke ’l prencepo de questo mondo sì è venudo incontra de mi, ma ello no à alcuna caxon in mi, ma pertanto [ke] cognosca lo mondo k’eyo amo lo me Padre e segundo lo comandamento del me Padre eyo fazo. (40) Eio sonto la vide e llo me Padre sì è lo lavorador: tute le rame ki son in mi [ki] no faran fructo, tuti li taiarà e buterà de fora, e tuti quili ki faran fructo sì li purgarà azò k’eli fazano più fructo; e vu sì zà mondi per la parola k’e’ v’ò zà dita: permanì in mi e eio permanirò in vu. Ma una cossa voio ke vu sapié: che cussì com la rama no pò far fructo per sì medesmo s’el no perman in la vide, anze secha, cusì vuy no poỳ far |8r| fructo se vu no permanì in mi, che eyo sonto la vide e vu sì le rame. (41) E quilli rami ke eyo permanirò in loro, e quilli faran molto fructo, imperò ke senza mi vu no poỳ far alcuna cossa, ke eyo sonto lo principio de far ovra in vu; e quilli rami ki no staran in mi seran butai de fora sì com rami sichi, e possa seran acolegi e butai indel fogo et arderan. Se starì in mi e lle me parole staran in vu, tute quele cosse ke vu domandarì sì ve seran aparegiade. In questo sì è clarificado lo meo Padre, azò ke vu fazé molto fructo e sié mey discipuli. (42) Sì com lo me Padre m’à amado, cusì eyo amo vu. Permanì in lo me amor. Se vu servarì li mey comandamenti sì permanerì in lo meo amore, sì com e’ ò servado li comandamenti del me Padre e imperò sto in lo so amor. Zò digo pertanto ke ’l meo godio sia in vu e ’l vostro godio sia compiudo. Questo sì è lo meo comandamento, ke vu v’amé l’un l’altro sì com e’ ò amay vuy: maior amor no pò esse in alcun com s’el dà l’anima soa per li amixi soy. (43) Vu serì mei amixi se vu farì quelle cosse ki [ò] comandà.42 Eiio zà no ve apello servi, ke ’l servo no sa zò ke ’l so segnor faza, mo sì ve apello amixi, ke tuto zò k’e’ ò ozudo dalo me Padre, e’ ll’ò manifesto a vuy. Vu no avỳ elegio mi, ma eio sì ò elegi vu, azò vu andé e fazé fructo e llo vostro fructo permanirà; e cadauna cossa ke vu domandarì alo me Padre in lo meo nome sì vel darà, se zò k’eo v’ò digio vu farì e ve amarì intra vu.
42 Per l’integrazione cf. Salvioni (1897, 98), che esclude la possibilità che amagistra sia una 1a pers. dell’ind. perf., e §4.52.
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3 Edizione critica e commentata
(44) No ve ma |8v|ravaié se ’l mondo v’à in odio. Sapié k’el à abiudo odio a mi
inprimamente inanze k’a vu. Inperò lo mondo v’à in odio, ke vu no sì del mondo. Se vui fusi del mondo v’amerave sì com soa cossa, ma in verità vu no sì del mondo, anze v’ò levai del mondo, e però v’à lo mondo in odio. Aregordéve dela parola ki v’ò digia, ke ’l servo non è maior del so segnior: unde si illi àn perseguido mi, illi perseguiran anche vu, e se illi guardaran ala mia parola, illi guardaran ala vostra. Ma tute queste cosse ve farano tuto per lo meo nome, imperzò ke illi no cognoseno mi né lo meo Padre. (45) E se eyo no fosse venudo e no g’avesse parlado, illi no avraveno peccado, ma mo illi no avran scusa deli soy peccady, inperzò [ke] ki à odio a mi sì à odio al me Padre. E sse eio no avesse fagio le ovre in loro43 le que alcun homo no porave aver fagie, ke illi no avraveno peccado, e tute le àn viste in mi, e imperzò illi no àn voludo cognoscere nì mi nì lo me Padre. Ma tuto aven azò k’el se compiisca tuto zò k’è scripto in la lor leze, ke illi me avraveno odio per li servixii.44 Ma quando verà lo mesagere lo qual mandarà lo me Padre, zò è lo Spirito de verità lo qual procedarà dal me Padre, quelo darà testimonio de mi; e vu darì testimonio de mi, inperò ke dal comenzamento vu sì stadi con mego. (46) E queste cosse ve digo pertanto ke vu no sié scandelizai in mi, che illi ve butaran fora dela sinagoga, e vegniarà an’ tempo ke qui |9r|lli ki ve olziran se penseran de zò far servixio grande a Deo, e tuto zò ke illi faran [lo faran] imperò ke illi no cognoscon lo me Padre nì mi. E queste cosse ve digo pertanto ke quando illi seran, vu ve aregordé k’e’ ve l’ò dito. (47) Queste cosse eio no vel disse al comenzamento imperò k’e’ con vu era, ma mo e’ vel digo imperò k’e’ vago a quello ke m’à mandado, e nesun de vu me domanda unde eio vago, et imperò k’e’ ve digo ke eyo men vago li vostri cori son pien de tristeza. Ma in verità ve digo k’el fa mesté ke eyo men vaga, imperò ke, s’e’ no men vago, lo Spirito Sancto no verà in vu, e se eyo men vago, eio vel mandarò. E quando ello venierà, el reprenderà lo mondo de iustixia, de zudixio e de peccado. De peccado reprenderà quilli ke no àn credudo in mi; de iustixia imperò ke eyo vago alo me Padre e de qui inanze vu no me vederì; de zudixio imperò ke ’l princepo de questo mondo serà despoestado e butado de fora. (48) Molte altre cosse v’ò da dire, ma mo vu no le poỳ rezeve tute; ma quando venierà quel Spirito de verità, ello ve inseniarà tuta la verità, e no parlarà da sì medesmo, ma tute quelle cosse k’el oyrà da me Padre, sì vel farà a savere. In quelo dì ello vel
43 in loro: l’uso della preposizione in ricalca il latino di Io 15,24. 44 per li servixii: traduce etimologicamente, per così dire, il gratis di Io 15,25, avverbio derivato dall’ablativo plurale di gratia ‘favore, servizio’.
3.2 Passione Trivulziana
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clarificarà et anuntiarà a vu tute le cosse del me Padre, imperò k’el receverà da mi e anuntiarà a vu. (49) E adveniarà ke in poco de tempo vu nom vederì, e ancora un altro poco tempo vu me vederì, ke eio vago alo me Pà. Disse li discipuli intra loro medesmi: «Que vol |9v| dire zò k’el ne dixe: ‹Un poco vu nom vederì, e un altro poco vu me vederì, ke eyo vago alo me Padre›? Nu no savemo que voia dire questo ‹poco›». (50) E Criste sé cognosè ke illi volevano domandare e sì ge disse: «De zò ke vu ve maraveié intra vu k’e’ v’ò digio ‹Un poco vu nom vederì e un altro poco vu me vederì›, in verità ve digo ke vu sospirarì e pianzarì, e llo mondo se alegrarà, e vu ve contristarì, ma la vostra tristeza se convertirà in alegreza. La femina, [quando] ella pa[r]turisse, sì à tristeza imperò k’ella sente lo dolore del parto, e possa k’ela à parturido no aregorda più del dolore tant’è l’alegreza k’el’à quando el è nado lo fiolo il mondo. (51) E vu avrì dolore, ma possa ve darò alegreza e godio, e lla vostra alegreza nesun no la porà tò nì fà perde, et in quello dì vu no me domandarì alcuna cossa. In verità ve digo ke se alcuna cossa vu domandarì al me Padre in lo me nome, ello vel darà tuto. Tro mo vu no avì domandà alcuna cossa in lo me nome: domandé e sì ve firà dado, pertanto ke ’l vostro godio sia compì. (52) E mo zò k’e’ ve parlo sì ve parlo per proverbii, ma el verà tempo ke eio no ve parlarò in proverbii, anze ve parlarò palesmente del me Padre. In quel dé ke vu domandarì in lo me nome alo me Padre, e eyo lo pregarò e ello ve darà altro Spirito consolator. E no pregarò per vu lo me Padre,45 k’el non è mesté, imperò ke ’l me Padre v’ama perkè vu amé mi. Eio insì dalo Padre e sì veni in lo mondo, e mo lasso lo mon |10r|do e sì vago alo me Padre». (53) Re[s]poxe li discipuli: «Segnor, mo vedemo nu ke tu parle paresmente e no dixe alcun proverbio; mo vedemo nu ke tu é insudo da Deo; mo savemo ke tu sé tute le cosse e non è besognio ke alcun te domanda; in questo credemo nu ke tu é insudo da Deo». Disse illora Criste: «Mo credì vu? Ma per certo el ven l’ora ke vu me lassarì soleto; ma eio no posso esse soleto, ke me Padre sì è co· mego. Ma questo ve digo azò ke vu abié paxe in mi, ke grande tribulation avrì in lo mondo, ma confiduxiéve k’e’ ò vẽzudo lo mondo». (54) Quando Criste ave digio sì, levò li ogii al cello e sì disse: «Padre, clarifica lo to fiolo azò ke ’l to fiolo possa clarificà ti, e sì com tu g’é donà po[e]re sovra le creature e k’el daga vita eterna a tuti quilli ke tu g’é dàge.46 E quest’è vita eterna, ke illi cognosano ti solo Deo veraxe e ’l to fiolo ke tu mandasi Yesù Criste. Padre, e’ t’ò clarificado sovra terra e sì ò compiido l’ovra ke tu me comitis de fare: mo,
45 E no pregarò per vu lo me Padre: che si tratti di congiunzione e non di pronome (e’) si ricava dal confronto con Io 16,26. 46 sì com tu… dàge: la traduzione del sicut giovanneo come intoduttore di proposizione comparativa anziché causale conduce a un anacoluto.
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Padre, clarificame apresso de ti, dela clarità ke tu me dessi inanze ke ’l mondo fosse. (55) Padre, e’ ò manifestado lo to nome a quilli ke tu m’é day, et elli eran toy et a mi li é day et illi observàno la mia parola. Mo illi cognoseno ke tute cosse ke son to son me e tute le me son to, e zò ke tu me dexisse ke eyo disesse a loro, tuto zò e’ g’ò digio e fagio a saver, et elli sì lo rezevano per talle e cognoseno veraxemente ke eyo sonto insudo da ti, e cren |10v| veraxemente ke tu me mandessi. (56) Et eyo pregarò per loro, e no per lo mondo, anze pregarò per quilli ke tu m’é day, ke son toy,47 e lle toe cosse son me, e lle me son to; zà più no sonto in lo mondo, inanze sé venio a ti Padre sanctissimo. Padre, guarda tuti quilli ke tu m’é day in lo to sanctissimo nome, azò ke illi no periscano e ke illi siano una cossa insema, sì com mi e ti semo una cossa insema. E quando eio era con sego, i’ lli conservava in lo to nome, e non è perido alcun de loro, acepto lo fiolo de perdition, azò ke la scriptura fosse compiia; e mo eyo men venio a ti. (57) Padre, glorifica lo to nome, azò ke eyo ò compiio godio con li mey discipuli. Eio dago a loro la toa parola et illi più no son il mondo, ke eyo y ò levadi dal mondo; eio no te prego ke tu li levy dal mondo, ma ke tu li conservi e guardali dal male, ke illi no ìn del mondo altersì com eio no son del mondo. Padre, santificali azò ke la toa parola sia veraxe, e cusì com tu me mandessi il mondo, e cusì eio li mando il mondo, e santifica mi azò ke loro siano santificadi. (58) Padre, eyo no te prego soramente per loro, ma per tuti quilli ki crederan per la lor parola: fa’ sì ke illi siano tuti una cossa insema, sì com mi e ti semo una cossa insema, e zò sia perkè lo mondo cognosca ke tu [me] mandessi. Padre, quili ke tu m’é day, voyo ke illi siano là onde eyo sonto, e ke illi ve |11r|gano la clarità mia, la qual tu me dessi inanze la constitution del mondo. Padre, lo mondo no te cognosce, e eyo sé te cognosco, ke tu me mandessi, et [quilli] ali que e’ ò fagio acognose lo to nome, voio ke l’amor ke tu é abiudo in mi, sì lo debio avere in loro» 48 [32–58: Io 13,33–17,26]. (59) Quando Yesù Criste ave digio queste parole, sì cantàn uno ymno, e questo ymno no sa alcun.49 Possa andò lo nostro Segnor in monte Oliveto con li soy discipuli, e sì ge disse illora: «Tuti sarì scandelizadi in mi in questa note, imperò
47 ke son toy: dove ke sarà da intendere come congiunzione piuttosto che come pronome, sulla scorta di Io 17,9 «quia tui sunt». 48 Padre, lo mondo… in loro: l’integrazione di quilli restituisce un plausibile antecedente al relativo que, ma il compito è complicato dal fatto che il testo volgare mostra di dipendere da una versione corrotta, o comunque diversa da quella della Vulgata, di Io 17,25–26. 49 e questo ymno no sa alcun: cf. invece la Glossa ordinaria, Mt 26,30, secondo cui «hoc est quod psalmus dicit: Edent pauperes et saturabuntur etc. Vel hymnum secundum Iohannem Patri gratias agens cantabat in quo pro se et discipulis et credituris precabatur».
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k’el è scripto: ‹Eio ferirò lo pastore e lle peccore del grezo seran disperse› – zò è a dire: la unità dela fé ke li apostoli avevano in Criste serave rota e dispersa, ke per manchamento de fé tuti fuziraveno da lu50 – ma quando eyo serò resusitado e’ andarò denanze da vu in Galelea». (60) Sì com lo Segnior vosse predire ali soy discipuli lo logo dela sova [passion, cusì predisse lo logo dela sova] resurection, azò ke sì com illi avraveno tristeza in vedere la sova passion, ke altersì aveseno alegreza in vedere la sova gloriosa resurection.51 Disse san Pedro: «Segnore, se tuti li altri t’abandonaseno, eio no t’abandonarò in alcun modo». Disse Criste: «In verità te digo ke ancoy in questa nocte, inanze ke canta gallo doa fiada, tre fiada m’é renegà ke tu no me cognose». Disse san Pedro: «Certo s’el me covenise morì con tego eyo no t’eve renegare». E tuti li altri diseno lo someliante [59–60: Mt 26,30– 35; Mc 14,26–31]. |11v| (61) Ilora vene Criste con li soy discipuli a una vill’ala qual fi digio Gethsemani,52 ki era in la valle ala radixe del monte Oliveto.53 E quando Criste fo inlò, sì disse aly soy discipuli: «Sedì zoxo kilò un pocho, domente k’e’ vago a orare un pocho», a dare a intende ke illi steseno de mente sì com illi stevano firmi de corpo in un logo.54 Inlora el tollè con sego san Pedro e san Iacomo e san Iohan evangelista, e partìsse tanto lonze dali altri quanto serave lo tragio d’una prea. E illora comenzò a contristare in sì medesmo e pariva molto tristo [61: Mt 26,36–37; Mc 14,32–33; Lc 22,39,41]. (62) Contristado era, ma no per tema dela passion, ke per quelo lu era venudo al mondo, azò k’el rezevesse morte e passion per salvare l’umana generation. Ma era contristado per lo malo aventurado Iuda ke se deveva desperà, e per li apostoli soy ki se devano scandelizà, e per li Zudé ke se devano danià, e per la cità de Yerusalem ki se deva desfà.55
50 zò è a dire… da lu: cf. Glossa ordinaria, Mt 26,31, dove et dispergentur oves gregis è chiarito in interlinea con «ab unitate fidei solventur». 51 Sì com lo Segnior… resurection: cf. Glossa ordinaria, Mt 26,32: «Sicut praedixit locum passionis, sic praedicit locum resurrectionis, ut sicut sunt tristes ex passione, sic laetentur glorificati resurrectione vel visione». 52 una vill’ala qual fi digio Gethsemani: ‘una villa alla quale è attribuito il nome «Gethsemani»’; cf. il glossario, s.v. dire. Meno probabile il caso di mancato accordo di genere tra il soggetto e il participio del passivo (una villa la qual fi digio Gethsemani), che costituirebbe un caso unico nel testo. 53 ki era… Oliveto: cf. Glossa ordinaria, Mt 26,36: «Lucas in montem olivarum, Iohannes trans torrentem Cedron, quod idem est, quia Gessemani locus in quo oravit est ad radicem montis Oliveti ubi est ortus». 54 a dare a intende… logo: cf. Glossa ordinaria, Mt 26,36, in interlinea: sedete hic, «non moveamini sicut nec loco ita nec mente». 55 Contristado era… desfà: cf. Glossa ordinaria, Mt 26,37: «Contristatur autem non timore patiendi, qui ad hoc venerat, sed propter infelicem Iudam et scandalum apostolorum et eiectio-
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(63) Illora disse Criste: «Trista sia l’anima mia fin ala morte. Sostenì con mego
lo carego dela tribulation e vegié con mego allo sonio dela infedilità».56 Et illora ello se alongà anche un pocho da quisti tri e inzenogàsse in terra, azò k’el manifestasse la humilità dela mente in l’abito del corpo.57 E illora el fè oration al Padre so cusì digando: «Padre me, s’ell’è possibel cossa fa’ k’el strapassa via questo calix da mi, imperò ke a ti Padre sì è possibe caduna cossa. Ma perzò no sia fagia ala mia voluntà, anze |12r| sia fagia ala tova» [63: Mt 26,38–39; Mc 14,34–36; Lc 22,42]. (64) In questa parola n’amonis lo nostro Segnor ke nu demo demete la voluntà humana per far la voluntà divina, e che in tempo de tribulation nu sé demo recore ale oration e domandare del’aitorio de Deo. Ancora fè questa oration a mostrare k’el era veraxe homo e ch’el sentiva deli dolori dela morte sì com li altri homini, per lo scandalo deli heretici, che s’el no avesse digio cusì, li gazari e li patarin avraven digio k’el no fosse stado veraxe homo, e con tuto zò illi lo dixeno, mo illi no ’l pon dire con verità, i[m]però k’el mostra veraxemente com el era veraxe homo.58 (65) Ancora dixe li savii e li exponituri ke Criste pregava lo Padre no tanto per pagura dela pena, quanto el lo feva per compasion k’el aveva ali Zudey, li que se devano danià e perde per la soa morte, i[m]però ke illi no aveveno alcuna cason in lu de ulcirlo. Doncha ello pregava lo Padre: se far se pò con salvation deli Zudé k’el se salva l’umana generation, ello voreva schivar la passion, ma se li Zudé deveno esse acegadi e dampnadi azò ke
nem Iudaeorum et eversionem Hierusalem», da san Girolamo; anche nella Passione veronese (Pellegrini 2012a, 19), ma assai più genericamente: «se començà a contristaro e a esser gramo, non per si ma per igi», e nella Passione BNN, f. 112va: «Cristo pregava lo Padre non tanto per pagura de pena, quanto per misericordia del popolo de’ Judey, inperò che avia compassion ali Judey, li quali se deveano perdere per la sua morte». 56 Trista sia… infedilità: il congiuntivo sia al posto dell’indicativo che ci si attenderebbe è anomalo, ma non a tal punto da suggerire che si tratti di un errore per sì è. Per la frase successiva cf. Glossa ordinaria, Mt 26,38, in interlinea: sustinete «pondus tribulations», vigilate «a somno infidelitatis». 57 azò k’el manifestasse… corpo: cf. Glossa ordinaria, Mt 26,39, in interlinea: «ut humilitatem mentis habitu corporis ostendat». 58 Ancora fè questa oration… homo: cf. Passione Mai, f. 3v: «Unde miser Iesù Cristo fé questa oratione a mostrare ch’elo era verasio homo, lo qual sentiva li dolori dela morte cusì como li altri homini, perché se miser Iesù Cristo no avese dito cusì, li patarini averave dito ch’elo no serave stado verasio homo, e cum tuto çò sì è de quili che lo dise, mai illi no lo pò dire, che manifestamente elo se mostra ch’elo era verasio homo»; Glossa ordinaria, Mt 26,39, in interlinea («Docet humanae voluntati voluntatem Dei praeponi») e in margine («Coepit contristari ut veritatem assumpti hominis probaret», da san Girolamo).
3.2 Passione Trivulziana
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li altri fosseno illuminadi e salvadi, sì fosse fagia alla volontà del Padre e no ala sova.59 (66) Fagia l’oration lo Segnior levò su e tornò aly soy discipuli e trovò ke illi dormiveno, e sì represe san Pedro cusì digando: «Simon dormi tu? No po’ tu vegiare una hora con mego? Lo spirito sì è prompto |12v| a confesare, ma la carne è inferma a portare». Criste sì represe san Pedro sovra tuti li altri, i[m]però k’el s’aveva gloriado sovra tuti li altri de morì per lu. Disse Criste: «Vegié e sì adoré azò ke vu no intré in temptation». No ge disse Criste ke illi oraseno azò ke illi no fosseno temptadi, ma azò ke illi no fisseno venzudi dala temptation.60 (67) Digie queste parole Criste se partì da loro e tornò a orare la segonda fiada digando cusì: «Padre me, s’el pò esse ke questo kalix strapassa da mi, ke eyo no ’l beva; sì fiza ala toa voluntà». E tornò ancora ali soy discipuli e sì li trovò dormire, ke illi avevano agrevadi li ogy de sonio e no saveveno ke illi devesseno responde, e partìsse da loro e tornò a orare la tersa volta e disse quele medesme parole k’el aveva digie denanze. Tre volte orò lo nostro Segnor a nostro exemplo, ke nu demo orare per tre caxon: la prima azò ke Deo ne perdona li peccay strapasadi; la segonda azò k’el ne defenda dali presenti; la tersa azò ke ne provega dali periculi ki den avenire [66–67: Mt 26,40–44; Mc 14,37–40].61 62 (68) E orando lo nostro Segnior, per grande angusti[a] k’el aveva, el strasudò tuto, e ’l so sudor era sì com gotte de sangue ke covrivano tuta la persona e spesso
59 Ancora dixe li savii… sova: cf. Meditaciones vite Christi, cap. LXXV, rr. 116–123: «Dicunt tamen sapientes et expositores quod oravit Dominus Iesus Patrem non tam timore paciendi quam misericordia prioris populi: quia compaciebatur Iudeis, qui de sua morte perdebantur. Non enim ipsi eum occidere debebant quia ex eis erat, et in lege eorum continebatur et tanta eis contulerat beneficia; unde orabat Patrem: si fieri potest, cum salute Iudeorum, quia credat multitudo gencium recuso passionem. Si vero Iudei excecandi sunt ut alii videant, non mea voluntas sed tua fiat». Cf. anche Glossa ordinaria, Mt 26,39. 60 Lo spirito sì è prompto… temptation: cf. Glossa ordinaria, Mt 26,40–41, in interlinea: dicit Petro, «quia prae caeteris erat gloriatus, prae caeteris erat increpandus»; vigilate et orate, «non ne temptemini, sed ne temptatione superemini», spiritus quidem promptus est «ad confitendum», caro autem infirma «ad tolerandum». Nella Passione BNN, f. 110ra, si trova un’annotazione parallela a quella riguardante vigilate et orate, con l’indicazione della fonte: «Dice Beda che non disse lo Segnore: ‹Che non siate temptati, orate et vegliate›, ma ‹Che non intrate in temptatione›, cioè che non siate superati dale temptatione». 61 Tre volte orò… avenire: cf. Glossa ordinaria, Mt 26,44: «Tribus vicibus oravit, ut et nos a praeteritis peccatis veniam et a praesentibus malis tutelam et a futuris periculis cautelam oremus»; si veda anche Nicolaus de Lyra, Postilla, ivi. 62 angusti[a]: remota la possibilità che si tratti di un plurale angusti, benché grande ‘grandi’ non osti: la forma plurale in -i è documentata solo in antico messinese (angustij: cf. TLIO, s.v. angustia) e nel toscano della Bibbia volgare pubblicata da Carlo Negroni nel 1885, con una sola, malcerta, occorrenza (non è chiaro se si tratti del plurale di angustia o di quello di angusto; cf.
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gotaveno in terra. In quella fiada sì ge aparite l’angelo ke ’l confortò, sì com antigamente fivano confortadi li pugnaduri quando illi devano andare ala batalia. E questo è figurado in lo libro deli Zudixii, |13r| che quando Gedon, ki era cò de tuto lo povero de Deo, deva andare ala batalia contra li inimì del povero de Deo, sì ge aparite l’angelo ki l’aconfortò e sì ge disse: «Vaten seguramente tu homo vertuoxo, ke [’l] Signor sì è con tego» [68: Lc 22,43–44; Idc 6,12]. (69) Ora qual angelo aparisse al nostro Segnor nì que el ge disese, lo sancto evangelista no ’l dixe, ma segondo ke nu trovamo scripto per li doctori, el ge aparite meser san Miché arcangelo, e in la sova venuda sì lo asaludò digando: «Dé ve salva, dé me e signor me: la oration vostra e ’l sudor vostro del sangue eyo sì l’ò prexentado al Padre vostro denanze a tuta la corte del celo, e tuti quanti se ingenogiamo e pregamo lo vostro Padre63 k’el tolesse via da vu questo calix. (70) Et ello respoxe: ‹Lo me dilectissmo fiolo sa ben ke l’umana generation [no se pò] convenievelmente recomparare senza lo sparzimento delo so sangue prezioxo, e sa quanto nu desideramo questo cotale recup[er]amento, et imperò, s’el vore la salvation dele anime, coven al postuto k’el moyra per loro›. Vu doncha que determiné-vo de fare?». (71) E Yesù Criste respoxe: «E’ voyo al postuto la salvation dele anime, e imperò eyo alezo inanze de morire, azò ke le anime le que lo me Padre à creade ala soa imagine siano salve, ka ke eyo schiva la morte s’elle den esse dampnade». Illora disse l’angelo: «Confortéve e sté seguramente, inperò ke a persona grande se dexe a far le grande cose. Tosto pasaran le vostre pene et in[c]õtanente ve conseguirà la perpetua gloria. Lo vostro Padre dixe |13v| k’el è sempre con vu insema».64
sempre il TLIO e il Corpus OVI). L’integrazione è invece sostenuta dal fatto che angusti si trovi nel manoscritto in fine di uno dei righi più lunghi del foglio. 63 se ingenogiamo e pregamo lo vostro Padre: da intendersi naturalmente al perfetto. 64 E orando lo nostro Segnior… insema: cf. Meditaciones vite Christi, cap. LXXV, rr. 88–105: «Cum autem sic orat et anxiatus Dominus Iesus, ecce angelus Domini, princeps Michael, astitit confortans eum, dicens: Salvete Domine Deus meus Iesu. Oracionem vestram et sudorem vestrum sanguineum Patri vestro optuli in conspectu tocius curie superne, et omnes procidentes supplicavimus ut calicem hunc transferret a vobis. Et respondit Pater: Novit dilectissimus Filius meus Iesus, quod humani generis redempcio quam sic optamus, sine sui sanguinis effusione sic decenter fieri non potest: et ideo, si vult salutem animarum eum oportet pro ipsis mori. Quid ergo facere decernitis? Tunc respondit Dominus Iesus Angelo: Salutem animarum omnino volo, et iccirco pocius eligo mori ut salventur anime quas ad suam imaginem Pater creavit, quam velim non mori et eciam anime redimantur. Fiat igitur voluntas Patris mei. Et Angelus ad eum: Confortamini ergo et viriliter agite. Excelsum enim decet magnifica facere et magnanimum ardua tolerare. Cito pertransibunt penosa et perpetuo gloriosa succedent. Dicit Pater quod semper vobiscum est».
3.2 Passione Trivulziana
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(72) Partito l’angelo, e ’l Segnor tornò aly soy discipuli e sì li trovò dormir per
grande tristeza ke illi aveveno in lo so core.65 Illora disse: «Dormì e sì ve reposé. Levé su, k’el basta zò ke vu avì dormì,66 k’el se aprosima l’ora ke ’l fiolo del’omo serà tradido in man deli pecaturi». Disse Criste: «Quando ve mand[é] senza dané e senza tasca, avise-vo desaxio d’alcuna cossa?». Et illi diseno: «Segnor no». (73) Disse Criste: «Mo ve digo k’a’ l’è venudo un altro tempo: ki à tasca nì sacho nì tonega sì la debia vende e comprà gladii, che eio ve digo k’el coven k’el se compisca zò ki è scripto de mi e zò ki àn dito li profeti, ke eyo serò reputado con li malvaxi e zudigado con loro». Disse li discipuli: «Segnor, quilò sì è du gladii». Disse Criste: «Quisti basteno», e poy disse: «Levé su e partìve da qui, k’el s’aprossima quelo ki me dè traỳ». In quela fiada illi levón su e veneno via con Criste [72–73: Mt 26,45–46; Mc 14,41–42; Lc 22,35–38 e 45]. (74) Ora dixe san Iohane evangelista ke ’l nostro [Segnor] passò oltra un flume ki si clamava lo torente Cetron, lo qual alcuna fiada aveva aqua e alcuna fiada no: fiva apelado Cedron imperò ke in la riva de quello flume erano multi albori ke fivano apeladi cedri.67 Quando lo Segnor fo pasado que[l] flume,68 sì intrà con li soy discipuli in uno orto ki era inlò d’apreso. E lo traditor de Iuda saveva ben onde era quel logo, imperò ke Yesù Criste ge veniva spesse volte con li soy discipuli [74: Io 18,1–2].69 (75) [O]ra70 s’acordeno tuti li evangelisti in questo, |14r| ke quando Iuda ave recevudo li XXX dané dali principi deli sacerdoti, sì ven via con una grande compania de serventi ki fivano mandà dali principi deli
65 per grande tristeza… core: cf. Glossa ordinaria, Mt 26,40, in interlinea: «prae tristicia somnum vincere non possunt». 66 k’el basta zò ke vu avì dormì: cf. Glossa ordinaria, Mc 14,41: «Nota quod hoc dicto aliquantulum siluit et requieverunt, unde dicitur ‹Sufficit› quasi ‹Requievistis›». 67 lo qual alcuna fiada… cedri: cf. Nicolaus de Lyra, Postilla, Io 18,1: «Et dicebatur ille torrens Cedron eo quod in ripa illius fluminis sive illius torrentis nascebantur multi cedri. Hic enim fluvius appellabatur torrens pro eo quod modum torrentis quandoque habebat aquas, quandoque non»; la Passione Mai riporta un passo parallelo al f. 3r: «Passà oltra torente Cedron, lo qual era un flume che ala fiada aveva aqua et ala fiada no, unde elo vegniva apelado torente; Cedron li vegniva dito perçò che su per la riva naxeva multi arbori che ven diti cedri» (nell’originale oltra torente(n) con titulus erroneo). 68 Quando lo Segnor fo pasado que[l] flume: sebbene sia ben possibile che si tratti qui di un guasto testuale (per fo pasado [oltra] que[l] flume), si è preferito non intervenire sulla lezione in ragione della documentazione dell’impiego di essere con verbi transitivi in alcune aree dialettali moderne, tra cui il Novarese, e dell’attestazione del tipo sono avuto in antico lombardo (cf. Rohlfs 1969, §730). 69 E lo traditor… discipuli: cf. Glossa ordinaria, Lc 22,39: «Tradendus a discipulo Dominus consuetum locum adit ubi facile posset inveniri, ne mortem putaretur timuisse» (nell’originale Domini). 70 [O]ra: nel manoscritto si nota lo spazio bianco per una maiuscola poi non realizzata.
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sacerdoti e dali antixi del povero, li que erano molti, ben aparegiadi d’arme e de fanzele e de lanterne, imperò k’el era de nocte [75: Mt 26,47; Mc 14,43; Lc 22,47; Io 18,3]. (76) Ora veniando lo traditor de Iuda con questa gente armada, sì ge disse cusì: «Eyo ve digo un cotal segnio: e’ veniarò oltra denanze da vu e no parirà ke eio sia con vu e no se guardaran da mi e quelo k’e’ baxarò el è quelo, piélo e menélo saviamente k’el no ve esca de man».71 Ora quando Iuda fo aprovo de Criste, sì lo saludò digando: «Dé te salva, magistro». E Criste sì ge rexpoxe e disse: «Amigo a que é tu venudo?» [76: Mt 26,48–50; Mc 14,44]. (77) Questa pare maraveia, com Criste poè apelare amigo quelo ki era so mortale inimigo. Questa parola se pò intende in tri modi: lo primo modo sì è ke Criste apelò Iuda per amigo no miga perk’el fosse so amigo segundo la verità, ma imperò k’el infenzeva esse amigo e llo salutava sì com amigo. La segunda caxon per que Criste [l’apelò amigo] sì fo perzò k’el deva esse amigo perzò k’el era so discipulo, quamvisdé k’el fosse deventado so inimigo. La terza cason per que Criste l’apelò amigo sì fo quax a dire: «Quant’è dala mia parte eyo sonto aparegiado e contento a recevete per amigo e per discipulo, quamvisdé ke tu m’abii tanto ofexo».72 (78) Quando Iuda ave saludà Criste, sì zè a lu e sì lo abrazò e sì ’l baxò. El se dixe quando Criste mandava li soy discipuli |14v| in alcuna parte, in la lor tornada illi lo basaveno. E però Iuda dè lo segnio del baxo ali Zudé e vene oltra denanze da loro quando ello baxò Criste, quax voya dire: «Eyo no sonto con quela gente armada, ma tornando da oltra parte a ti Segnor, segundo la tova usanza eyo te saludo e sì te baxo».73 Illora disse Criste quando Iuda l’ave basado: «A,
71 k’el no ve esca de man: cf. Nicolaus de Lyra, Postilla, Mc 14,44: «ducite eum caute, ne forte rapiatur de manibus vestris quia populus communis habebat devotionem ad eum»; lo stesso rilievo nella Passione veronese: «menèlo scaotriamentre, açò ch’el no ve fuçisso» (Pellegrini 2012a, 22; il commento elenca altre possibili fonti della glossa). 72 Questa pare maraveia… ofexo: cf. Passione Mai, f. 5r–v: «Quialoga par meraveia como miser Iesù Cristo lo clamà per amigo quelo ch’era so inimigo mortale. Vedì signori, questa parola se pò exponere en tri modi: lo primo sì è che miser Iesù Cristo lo clamà per amigo no che per veritade elo fosse so amigo, mai perçò ch’elo faseva signi d’amigo, saludandolo, abraçandolo e baxandolo; e però li disse miser Iesù Cristo: ‹Cum baxo tradissi tu lo fiiol de Dio?›, quasi a dire: ‹Es tu vegnudo a tradirme cum segno de amore?›. La segonda rasone per que elo l’apellà amigo sì è no perch’elo fosse verasio amigo, mai perch’elo deveva eser verasio amigo per li servisii ch’elo aveva recevudi da miser Iesù Cristo. La terça rasone per ch’elo l’apelà amigo sì è quasi a dire: ‹Eo sonto aprestado a receverte per amigo e per disipolo, quamvisdio che tu m’abis cotanto ofendudo›». 73 El se dixe… te baxo: cf. Meditaciones vite Christi, cap. LXXV, rr. 142–147: «Dicitur enim quod moris erat Domini Iesu discipulos quos emittebat in osculo recipere redeuntes; et propterea proditor illis osculum in signum dedit, et precedens alios cum osculo rediit, quasi diceret: Non sum ego cum istis armatis; sed rediens more solito, te osculor et dico: Ave Rabbi»; nella Passione Mai, f. 4v, il tutto è trasferito nel discorso diretto di Giuda: «Elo sì è usança deli soi disipoli che,
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Iuda,74 con un baxo tu é tradido lo fiolo del’omo» [78: Mt 26,49; Mc 14,45; Lc 22,47–48]. (79) Iuda fè quillò tri signi de grande traitoria e de grande falsità: lo primo fo k’el salutò e apelò per magistro quelo de ki el no voreva ese discipulo; lo segondo fo k’el abrazò quelo da ki el se voreva partì; lo terso fo k’el baxò quelo ki a’ ’l traiva a morte.75 E questo sì è figurado in lo segondo libro deli Re: quando Iohab asaludò Amasan, sì ge disse: «Dé te salva, fradelo», e cusì l’ulcixe traitamente [79: 2 Sam 20,9–10]. (80) Quando Iuda ave basado Criste e quela gente armada fo inlò, e Criste vene inverso de loro e sì ge disse: «Ki domandé vu?», e illi disseno: «Nu domandemo Yesù de Nazeret», e Iuda era con loro in quela fiada. Disse Criste: «Eyo son quelo». Quan Criste ave digio: «E’ son quelo», quela parola fo de tanta vertù ke illi caden tuti per terra sì com morti. (81) Do cosse fè quilò lo nostro Segnor: l’una k’el ge andò incontra per dare a intende a tuti k’el [no] receveva la sova passion sì com constreto, anze la receveva de propia voluntà;76 l’altra cossa sì fo k’el i fè cadere in terra, azò ke illi, vezando la soa vertù, se deveseno retrà de tanto peccado; ma illi no se retrén, anze quando illi fon levadi su, Criste li domandò |15r| ancora e sì ge disse: «Ki domandé vu?». (82) Sapié segn[u]ri ke Criste no feva questa domanda perkè el no savese ben ke illi domandaveno, anze lo feva perkè illi lo deveseno cognosce,77 ke illi no lo cognoscevano, che con tuto zò ke illi avevano lanterne e fanzele e con tuto zò ke Iuda g’avese dato lo segnio del baxo, ampoy illi no ’l cognosevano e no l’avraveno acognosudo, s’el no fosse stado de soa voluntà. Doncha azò ke illi lo cognoseseno ben, ello ge feva questa domanda: «Ki domandé vu?», et illi dissen: «Nu domandemo Yesù de Nazaret». Disse Criste: «E’ v’ò zà digio k’e’ son quelo. Adoncha se vu domandé mi, tolì mi e fé de mi zò ke vorì e lasé andar quisti mei discipuli». E zò dis’elo per compiir zò k’el aveva dito al so Padre: «De quili ke tu m’é day eyo no n’ò perduo alcun» [80–82: Io 18,4–9].
quando illi ven de fora, illi lo saluda e dàli baxo, e perch’io lo cognosso elo no me pò inganare. Adoncha eo anderai inanço, ch’el no parerà ch’io vegna cum vui, e quando eo serai aprovo de lui eo lo saluderai e sì li darai paxe, et elo crederà ch’io sia so disipolo segondo ch’io era usado, e no se guarderà da mi, e vu vegnì tosto e piiélo incontinente». 74 A, Iuda: dove A va naturalmente intesa come interiezione. 75 Iuda fè quillò… a morte: cf. Passione Mai, f. 5r: «Iuda fé chialoga tri signi de falsitade: lo primo fo ch’elo abraçà quelui da chi elo se voleva partire; lo segondo fo ch’elo baxà quelui qual elo voleva tradire; lo terço fo ch’elo saludà quelui qual elo voleva alçire». 76 l’una k’el ge andò… voluntà: cf. Nicolaus de Lyra, Postilla, Io 18,5ss., dove si insiste sulla libera accettazione della passione da parte di Gesù. 77 Sapié segn[u]ri… cognosce: cf. Glossa ordinaria, Io 18,4, in interlinea: dixit eis: «Quem quaeritis?», «Non ignorans quid vellent, sed ut scirent esse eum quem quaerebant».
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(83) Illora quando Criste g’ave digio e dado licentia, illi lo pilión, ke denanze
illi no l’avevano posudo piare.78 Quando li discipuli viteno ke illi l’avevano piado, sì disseno a Criste: «Que faremo Segnor? Feriremo de gladio?». Illora un deli discipuli, zò fo san Pedro, no aspetà la responsion de Criste per lo grande amore k’el ge portava, anze tantosto trase fora un cortelo79 dela guaina e vose dare in la testa a un de loro: lo colpo falò e sì ge tayò puro la oregia drigia.80 (84) E questo era servo del princepo deli sacerdoti et aveva nome Marcho, e Criste ge tornò l’oregia sana e salva. Possa disse Criste a san Pedro: «Torna lo gladio alo logo so. No vo’ tu ki beva lo calix ki m’à dado lo me Padre?», quax diga: «Cesemo dela svengianza, e aparegiemo la patientia azò |15v| ke nu amaistremo li nostri amixi a patienzia».81 «Sapié ke tuti quili ke ferano de gladio sì àn perir de gladio con la iustixia. Pensi tu ke eyo no possa pregare lo me Padre? Sapié ke se eyo lo voresse pregare, ke più de XII legion de angeli m’aveno incontanente aidare dali inimixi mei, e cusì fosse,82 el no se compiirave le scripture e li digi deli
78 Do cosse fè quilò… piare: cf. Passione Mai, ff. 5v–6r: «Qualoga fé miser Iesù Cristo doe cose: la una quando elo andà incontra ad illi, a mostrare e dar ad intendere ch’elo receveva la soa passione per soa spontana voluntade e no sì como constreto per força. L’altra cosa fo ch’elo ala soa voxe li fé cader in terra, açò che illi vegando la soa virtude devesse cessare da cotanto pecado; mai illi açegadi dalo pecado no nde fé niente, anço s’aprosimà cum gran furor plù provo a miser Iesù Cristo. Ancora miser Iesù Cristo cum grandissima humilitade li demandà e disse: ‹Quem queritis?›, çò è ‹Chi demandé vu?›. Sapié signori che miser Iesù Cristo no faseva questa demandança perch’elo no savese bene chi illi demandava, mai sì la faseva pur perch’illi lo devesse ben cognosser, che cum tuto çò che Iuda li aveva dado le fateçe e li signi e cum tuto çò ch’ili aveva lumere e lanterne, anpo’ no lo cognossev’eli, e no lo averave cognosudo s’elo avesse voiudo. E perch’ili lo cognossesse bene, elo li faseva questa demandança: ‹Quem queritis?›. Et illi respose: ‹Nui demandemo Iesù Naçareno›, quasi a dire: ‹Nui no lo cognossemo›. E lo Signor li respose: ‹Eo v’ai dito che eo sonto instesso›, quasi a dire: ‹Echomi, tolìme e fé de mi çò che vui volì, e laxé andar quisti altri, çò è li disipoli›. O glorioso Cristo, che plù amassi l’omo cha ti instesso! E l’omo fa pur lo contrario. Quando lo Signor li ave dado la licencia, illi lo piià, che avanti illi no lo podeva piiare». Per l’ultima osservazione cf. Nicolaus de Lyra, Postilla, Mt 26,50: «quando enim voluit tentus est, et non ante». 79 un cortelo: il termine si spiega in rapporto alla Postilla di Nicolaus de Lyra a Lc 22,38 («Domine ecce gladii duo hic»): «Dicit autem Chrisostomus quod illi duo gladij erant duo magni cultelli ad scindendum carnes agni» e a Io 18,10: «Apostoli fuerunt piscatores, in piscatione autem […] usus magnorum cultellorum est necessarius et probabile est quod aliqui de apostolis illos cultellos sibi retinuerant ad scindendum cibaria, unde etiam cum illis carnes agni pascalis conscinderant. Petrus autem unum ex illis retinuerat apud se» (nell’originale retinuera(n)t apud se)». 80 vose dare in la testa… drigia: cf. Nicolaus de Lyra, Postilla, Lc 22,50: «Petrus […] amputavit unius auriculam intendens eum interficere vel graviter vulnerare». 81 quax diga… patienzia: cf. Glossa ordinaria, Mt 26,52, in interlinea: «Cesset vindicta, exhibeatur patientia, ut patientiam nostros doceamus, non vindictam». 82 e cusì fosse: con omissione della congiunzione introduttiva della protasi (errore del copista?).
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profeti, ma el fa pur besonio k’el sia» [83–84: Mt 26,50–52; Mc 14,46–47; Lc 22,49–51; Io 18,10–11]. (85) Illora disse Criste a quili ki l’erano venudo a piiare: «Vu sì venudi a mi sì com eyo fosse un ladro, con gladii e con bastoni; continuamente sedeva apreso de vu in lo templo e sì ve amaistrava: nesun de vu me prexe nì me tene d’andare per la strada. Ma tuto zò de questo sì è fato azò k’el se compiisca le scripture deli profeti. Ma questa sì è l’ora vostra e podestaria dele tenebre», quax diga: «Vu vorì fà le vostre ovre in tenebre imperò ke ki mal fa sì à odio ala lux».83 Illora li discipuli fuzìn tuti de pagura ke illi avevano e lasón Criste solo in le man deli Zudei, e questo sì è figurado in lo libro di Re, ke quando lo re Sedechia fo prexo da quili de Caldea, tuti li soy cavaler fuzìn dala batalia e lasón lu solo in le man deli soy inimixi [85: Mt 26,55–56; Mc 14,48–50; Lc 22,52–53; 2 Reg 25,5]. (86) In quela fiada li ministri deli Zudé sì ligón lo fiolo de Deo: nota ke Adam pechò in l’orto, zò fo in Paradixo tereno, unde el fo fato servo de peccato, e imperò Criste vosse esse prexo in l’orto, azò k’el fesse nu liberi del pecado e ne menase al Paradixo del celo.84 Questa fo la prima iniuria la qual fè li Zudé al nostro Segnor, k’el fo ligado lo Segnor deli angeli sì com fi ligadi li ladron, azò ke disligasse nu |16r| dalo ligamo deli peccadi. (87) Ora cusì ligado illi lo menón lo nostro Segnor inprima a caxa de un princepo deli sacerdoti ki aveva nome Ana, et era soxero de Caifax ki era vescovo in quelo ano, e Anna era stado l’ano passado vescovo, e per questo modo l’un anno receveva lo vescovado l’un põtifico e l’altro anno l’altro. Mo poris tu dire: perquè lo menò illi doncha a caxa de Anna imprima, depo’ k’el era insudo fora del so rezimento? La caxon pò esse questa: illi lo menaveno [denanze] dela soa casa e, per fare godio e alegreza, illi gel menò denanze digando: «Nu avemo prexo lo to inimigo»; l’altra caxon sì fo per farge reverenzia, imperò k’el era più antigo.85
83 quax diga… lux: si incrociano qui la Glossa ordinaria, Lc 22,53, in interlinea: «Noctis nequitie vestre congrua» e Io 3,20: «omnis enim qui mala agit odit lucem». 84 nota ke Adam… celo: cf. Thomas Aquinas, Super Evangelium s. Iohannis, §2275: «ipse satisfaciebat pro peccato primi hominis in horto commisso». 85 Mo poris tu dire… antigo: cf. un po’ alla lontana la Glossa ordinaria, Io 18,13: «primum ductus est Iesus ad Annam non quia collega, sed quia socer eius erat; vel domus sic erant positae ut non deberet Annas a transeuntibus praeteriri» e Nicolaus de Lyra, Postilla, Mt 26,57: «At illi tenentes Iesum duxerunt eum ad Caypham: licet enim primo fuerit ductus ad Annam, ut dicitur Iohannis xviij; tamen Mattheus de hoc non facit mentionem, quia non fuit ibi ductus nisi propter quandam reverentiam, quia erat socer Cayphe, ut ibidem dicitur» e Io 18,13: «Quia eundo ad domum Cayphe habebant transire ante domum istius Anne, ideo introierunt domum eius propter eius reverentiam». Parallelo lo svolgimento della Passione Mai, f. 7r: «Perqué menà li Cristo cusì ligado imprima a casa de questo Anna? La casone pote eser questa, perçò ch’ili lo menava per
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(88) Ora fizando menà lo nostro Segnor a caxa de Anna, san Pedro e sa[n]
Iohane evãgelista sì lo seguivano tanfin ke illi fon a cà del princepo, et intrò dentro san Iohane imperò k’el aveva alcuna cunteza con sego, e san Pedro romaxe de fora e no fiva lasado intrar dentro. Et illora ven san Iohane e sì pregò tanto quella femina ostiaria86 ki steva ala porta ke lassò intrar san Pedro. Quando san Pedro fo dentro, sì ge disse quela ancila ostiaria: «Tu é discipulo de questo homo ki è prexo». Disse san Pedro: «No sonto». (89) Questa fo la prima volta ke san Pedro renegò Criste e incontanente lo galo cantò la prima volta. Ma san Pedro era insì smarido, imperò ke la femina l’aveva acasonado k’el era discipulo de Criste, k’el no prexe a mente del galo quando el cantò. Stagando li servi e li ministri al |16v| fogo, e se scoldaveno imperò k’el era fregio, e san Pedro era con loro k’el se scoldava. De san Iohane no se leze onde ello se andase: mo sì possem crè k’el steva con meser san Pedro.87 (90) In quela fiada Anna sì comenzò a xaminà Criste de molte cosse, deli soy discipuli e dela soa doctrina, digando: «Quente doctrina è quela ke tu prediche e quenti discipuli son quisti ki te veneno dré?», quax diga: «Non è suffitiente la doctrina de Moyses, k’el pare ke tu voye renovare tuto lo mondo?», quax diga: «La toa doctrina è falsa e li toy discipuli son falsi».88 Rexpoxe Criste: «Tuto tempo ey’ò parlado parexemente in la sinagoga et indel templo, là onde li Zudé se congregano, et ocultamente non ò parlado alcuna cossa: perquè me domandi tu de zò? Domanda da quilli ki m’àn oiudo, quilli san zò ki ò dito e quilli san rende testimonianza de mi». (91) Do domande fè Anna a Criste: al’una respoxe e al’altra no, zò fo dela soa doctrina e deli discipuli; Criste rexpoxe ala soa doctrina imperò k’el era bona e sancta, ma no vose dire alcuna [cossa] deli soy discipuli i[m]però ke de loro no poeva dire alcuna ben illora.89 E questo sì è exemplo a nu: quando
denançi la soa casa, et açò ch’ili li fesse gaudio, illi lo menà imprima ad elo, digando: ‹Echo che nui avemo piiado lo vostro inimigo›». 86 femina ostiaria: è riecheggiamento del «dixit ostiariae et introduxit Petrum» di Io 18,16. 87 Ma san Pedro… Pedro: cf. Nicolaus de Lyra, Postilla, Lc 22,34: «Post binam autem negationem Petri gallus cantavit, sed Petrus non advertit, sed post tertiam cum iterum gallus cantavit» (e Io 18,27); Glossa ordinaria, Io 18,15: «Quis sit iste [i.e. alius discipulus], quia hic tacetur, non temere diffiniatur. Solet tamen iste Johannes sic se significare»; ma soprattutto il parallelo della Passione Mai, f. 7r–v: «Mai san Pero era smarido ch’el no se percevé delo gallo e no tene lo core là. […] De san Çuane no se leçe lò che elo andasse, mai da creer sì è ch’elo era cum san Pero». 88 In quela fiada… falsi: cf. Passione Mai, f. 7v: «In quela fiada Anna demandà miser Iesù Cristo dela soa dotrina e deli soi disipoli, digando: ‹O Iesù Cristo, que dotrina nova è questa toa che tu predichis e que disipoli è quisti toi che te ven dredo?›, quasi a dire: ‹Questa toa dotrina è falsa e li toi disipoli è falsi›» (nell’originale dotrina e | e de li soi disipoli). 89 Do domande fè Anna… illora: cf. Nicolaus de Lyra, Postilla, Io 18,23: «Hic ponitur Christi responsio. De discipulis autem suis nihil boni poterat pro tunc bene respondere, quia principalio-
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fimo domanday d’alcun, se nu ne possemo ben sì lo demo dire, e se nu no possemo dire ben sì devemo taxere. Quando Criste ave digio, un servo del princepo sì ge dè una grande voltada e disse: «Com’é-to ardido a responde cusì al segnor?», quax diga: «Tu devrissi avè respoxo con grande reverentia» [86–91: Io 18,12–13 e 15–22]. (92) Questa fo la segonda grandissma iniuria la qual fo fagia al nostro Segnor, k’el fo ferido in la masela. Non è |17r| alcun sì vile homo, s’el fosse ferido d’alcun in la masela, s’el fosse ben nobile, k’el no sel reputasse per iniuria grande e k’el no se pensasse de svengiarse s’el poese: quanto maior iniuria fo quella, quando un vilissimo homo e servo in logo parexe senza cason ferì Criste in la massela, colù lo qual sì è Segnor de tuti e creator! (93) E questo vosse Criste sofrì azò k’el satisfesse al peccado de Eva, ke peccò in la massela mastigando lo pomo. Molte cosse son quelle ke agravano questa colpa: l’una sì è i[m]però ke ’l servo sì à ferido lo segnor; la segonda imperò ke l’à ferido in lo più honevre logo dela persona, zò è in la fazia; la tersa imperò ke l’à ferido in publico de omiomo; la quarta imperò ke l’à ferido senza cason. (94) Unde questa ofexa sì fo molto gravissima, e permodezò meser Yesù Criste no responde a costù sì com homo ferido, ma sì respoxe patientemente con grande humiltà digando: «S’e’ ò digio male, rende testimonio de male», quax diga: «Eyo sonto aparegiado a mendar lo digio me s’e’ ò digio male; e s’e’ ò digio ben, perquè me feri tu?», quax diga: «l’omo no dè portar pena del mal k’el non à fagio». Questa fo la vendeta ki fè Criste per la sova iniuria [94: Io 18,23]. (95) Mo imperò ke Anna no rezeva lo povero in quello anno no se vosse intromete de Criste, ma sì comandò k’el fosse menado cussì ligado a caxa de Caifax, [onde] li scribi e li antixi se congregaveno, lo qual era iudexe e ordinario in quello anno. Ora fizando menado Criste a caxa de Cayfax, un zovene ki era so discip[u]lo sì veniva pox lu e no aveva alcuna vesta indoso, salvo k’el era involupado in un lenzolo. Vezando, li serventi k’erano |17v| con Criste sì lo voseno piare, et ello de pagura k’el ave sì se desvolupò delo lenzolo e sì gel lassò in man e fuzì da loro tuto nudo, e questo sì fo san Iohane evangelista [95: Mt 26,57; Mc 14,51– 90 53; Io 18,24]. (96) Ora san Pedro sì seguiva Criste pure da lonze, k’el no fosse acognosudo, e andò dré perfin k’el fo a caxa deli principi deli sacerdoti, e intrò dentro e se asetò con li ministri al fogo e se scoldava con loro insema, e steva ello azò k’el poesse vedere quente zudixio feva lo vesco de Criste. No se vosse aprosimare a Criste azò
rem inter eos statim audierat ipsum in sua presentia negasse, sed de doctrina sua respondit, ostendens quod non erat mala vel suspecta, sed sana». 90 e questo sì fo san Iohane evangelista: cf. Glossa ordinaria, Mc 14,51: «Quis iste [i.e. adulescens] fuerit evangelista non dicit. […] Possumus tamen hunc Iohannem fuisse intelligere»; si veda anche Petrus Comestor, Historia scholastica, 1623.
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k’el no nasese suspition in loro k’el fosse discipulo de Criste.91 (97) Stagando san Pedro con li ministri de fora a un fogo ki era aprexo de soto dal palaxio, e sì se scoldava imperò k’el era fregio, et el vene una servente del vesco e vite san Pedro e no ge disse niente,92 ma se volse ali altri ki erano inlò e disse: «Questo era con Yesù de Nazaret». Et ancora renegò con sagramento k’el no cognoseva quelo homo, et illora tuti quilli inlò disseno: «Veramente tu é pur de quilli e la toa loquela sì manifesta ke tu é galileo». (98) Et in queste parole sì vene un k’era cugnado de quello al qual san Pedro taiò l’oregia e disse: «Com po’ tu dir ke tu no sii de quilli? No te vite in l’orto con sego?». E inlora san Pedro con grangi sconzuraminti sì renegà k’el no cognoseva Criste e ke no l’aveva maii visto. E quilò se nota quanto è noxevre cosa le praverse parole le que induxeno san Pedro a renegare lo Segnor con sagramento inter li ministri, lo qual el aveva confessado de poco tempo denanze inter li discipuli.93 (99) In q[ue]lla fiada lo gallo cãtò la segunda volta e Criste guardò san Pedro. Ma ello no ’l guardò con li ogi |18r| corporali, k’el no poeva segundo natura, ke Criste era de sovra e san Pedro era de soto dal palaxio al fogo con li ministri; ma questo cotal guardo sì fo k’el ge mixe a memoria zò k’el g’aveva digio, zò è: «Inanze ke gallo canta do volte tu me renegaré tre volte».94 (100) E quando san Pedro si fo aregordado, sì insite de fora e
91 azò k’el poesse… Criste: cf. Glossa ordinaria, Mt 26,58 e 69, in interlinea: ut videret finem, «quid iudicaret pontifex de Ihesu»; sedebat foris, «non appropinquabat Ihesu ne ministris aliqua suspitio oriretur». 92 e no ge disse niente: la stessa inserzione, che non compare nei quattro vangeli, si riscontra nella Passione Mai, f. 8r: «una femena lo guardà e no li disse niente, mo sì se volse inver deli altri ch’era al fogo». 93 E quilò se nota… discipuli: cf. Glossa ordinaria, Mt 26,72: «Quam noxia pravorum colloquia quae cogunt Petrum negare Christum vel hominem se nosse, quem confessus est inter discipulos Dei filium». 94 In q[ue]lla fiada… tre volte: cf. Passione Mai, f. 8r: «Incontinente lo gallo cantà la segonda fiada, et in quela ora miser Iesù Cristo guardà miser san Pero; mo no lo guardà cum gli ogli del corpo, perch’elo no podeva, che miser Iesù Cristo era dentro e san Pero era de fora. Mo como lo guardà lo? Çò è ch’elo li fé vegnire a memoria la parola ch’elo li aveva dita quando ch’elo li disse: ‹Avanti che lo gallo cante doe fiade, tu me negeras tre fiade›». L’osservazione sulla natura spirituale dello sguardo di Cristo dovrebbe risalire a Augustinus, De gratia Christi, 382: «Legant isti Evangelium et videant Dominum Jesum tunc intus fuisse, cum a sacerdotum principibus audiretur: apostolum vero Petrum foris et deorsum in atrio cum servis ad focum nunc sedentem, nunc stantem, sicut veracissima et concordissima Evangelistarum narratione monstratur. Unde non potest dici, quod corporalibus oculis eum Dominus visibiliter admonendo respexerit. Et ideo quod ibi scriptum est, Respexit eum Dominus (Luc. XXII , 61); intus actum est, in mente actum est, in voluntate actum est. Misericordia Dominus latenter subvenit, cor tetigit, memoriam revocavit, interiore gratia sua visitavit Petrum, interioris hominis usque ad exteriores lacrymas movit et produxit affectum».
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sì comenzò a pianze amaramente lo so peccado, e zamay in soa vita no stete quax senza lagrime, sì k’el covene k’el portasse continuamente un sudario per sugàsse li ogii.95 No poè stare in la tenebria del peccado quelo ke dala lux del mondo era guardà [96–100: Mt 26,58 e 69–75; Mc 14,54 e 66–72; Lc 22,54–62; Io 18,26].96 (101) Ilora lo princepo deli sacerdoti e tuto lo consilio cercava falsi testimonii contra Criste, azò ke illi lo poeseno condù a morte, e no se troava nesun falzo testimonio, et ala perfin el vene du falsi testimonii e disseno: «Questo homo à dito k’el à destrù lo templo de Deo ke Salamon fè fà e poxo tri dì un altro ki no serà fagio con man sì à redifichà». Dixe san Iohane evangelista che, siando lo nostro [Segnor] voltà al templo, sì disse ali Zudé: «Vu farì destrù questo templo e eyo in tri die l’ò retificà». (102) Respoxe li Zudé: «XLVI anni se tene a edeficare questo templo, e tu dixi ke in tri dì l’é retificà?». Mo Criste intendeva del templo del corpo so ke li Zudé devano crucificà e poxo tri dì de soa propia posanza el ave resusitare, e li Zudé intendevano del templo materiale ke Salomon fè fare, e imperò li testimonii soy no erano covenivri. Ma lo nostro Segnor steva mansuetamente in quili malvaxii sì com l’agnelo in mezo deli luvi ravaxi e no respondeva nesuna parola [101–102: Mt 26,59–61 e 63; Mc 14,55–59 e 61; Io 2,19–21]. (103) Inlora se levò in pey lo princepo deli sa |18v|cerdoti sì inrado imperò k’el no ge trovava alcun logo de calompnia.97 E voiando provocare Criste a farse responde alcuna cossa per la qual el avesse caxon de acuxarlo, sì ge disse: «No respondi tu a cotante acuxation com quisti te dixeno?». E Criste taxeva imperò k’el saveva ben, sì com Deo k’el era, ke la soa responsion li avrave indugii a calonnià e a peccar.98 (104) Illora disse lo princepo deli sacerdoti: «Eyo te sconzuro da parte de Deo vivo ke tu me dige se tu é Criste fiolo de Deo». Respoxe Criste: «Se eyo ve dirò la verità vu no mel crederì. E se eyo ve domandarò alcuna cossa
95 zamay in soa vita… ogii: cf. non troppo da vicino Nicolaus de Lyra, Postilla, Mt 26,75: «Et egressus foras flevit amare, et ex tunc Petrus traxit in consuetudinem ut a primo gallorum cantu usque ad horam matutinam staret in oratione flens pro ista negatione» (cf. anche la postilla a Io 13,9). Parallele le Passioni Beriane prima (Parodi 1898, 34): «E allaor se parti e insi for della casxa e ze in una fosse li presso, e incomenza a pyanzer monto forte lo so pechao, e zamay in lo tempo della soha vita quasi non stete senza lagrime; si che conuegne che ello portasse continuamenti un sudario per essugar se li ogi» e seconda (Guarnerio 1893, 287). 96 No poè stare… guardà: cf. Glossa ordinaria, Mt 26,75: «Nec potuit in tenebris permanere quem lux mundi respexit». 97 sì inrado… calompnia: cf. Glossa ordinaria, Mt 26,62, in interlinea: «iratus quia non inveniebat calumniae locum». 98 E voiando provocare… peccar: cf. Glossa ordinaria, Mc 14,60–61: «Ad responsum provocat ut ex qualibet occasione sermonis locum accusandi inveniat; Ihesus autem non respondit quia praevidit quidquid responderet in calumniam verti»; cf. anche Mt 26,63, in interlinea: «sciens ut Deus quicquid respondisset torquendum in calumniam».
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vu no me responderì, nianche per zò vu no me lasarì. Tu lo dixe ke eyo son fiolo de Deo. Unde in verità ve [digo] ke ancora vu vedarì venire lo fiolo del’omo in le nuveri del celo in quela forma ke vu me vedì mo al zudixio99 con grãde posanza e vertù sedere dala drita parte de Deo Padre». (105) Disse doncha tuti illora: «Doncha dis tu ke tu é fiol de Deo?». Disse Criste: «Vu lo dixì ke eyo sonto fiol de Deo». Illora lo princepo deli sacerdoti per grande ira de zò se scarpò la soa vestimenta k’el aveva indosso (usanza era inter li Zudé ke quando alcun oiiva alcuna biastema sì se scarpava la soa vestimenta).100 (106) Disse lo princepo: «Que ne fa besonio aver testimonianza incontra questo homo? Vu avỳ oiudo per la soa bocha la grande biastema k’el à digio. Unde que pare ke sia fagio de questo homo?». E tuti respoxeno a una voxe: «Ell’è degnio de morte». Et illora illi lo pióne e sì ge imbindón li ogii azò k’el no ge podesse vedere, e ge spudaveno in la faza e ge devano le grande goltade e possa sì ge dixevano: «Profetiza Criste a nu ki è quello |19r| ki t’à ferido». E in questo modo sì lo befàno e schernìn per una grande hora [103–106: Mt 26,62–68; Mc 14,60–65; Lc 22,67–71]. (107) Ora poy ke la gente del vesco aven vegià in quella nocte uno grande tempo in fare multi desnuri e iniurie al nostro Segnor,101 sì lo menò possa zò delo palaxio e sì lo metén in una prexon k’era de soto, la qual se pò ancora vedere, e sì lo ligón dentro a una colonia de prea, e un pezo de quella colonia fo metudo in quello medesmo modo per memoria de Criste et ancora g’è, segundo ki dixeno coloro ki l’àn veduda, e lasón con sego alguanti homini armadi per maior guarda e poy andón a dormir.102 (108) Quando vene dadoman per tempo, sì se congregàno insema tuti li principi deli sacerdoti e li antixi del povero, e fen conseglio contra Criste azò k’el fosse condugio a morte, e sì lo mandón cusì ligado a Pilato, ki era zudex e
99 in quela forma… zudixio: cf. Glossa ordinaria, Mt 26,64, in interlinea: «ad iudicium in nube». 100 usanza era… vestimenta: cf. Glossa ordinaria, Mt 26,65: «Furor qui fecit de solio surgere facit et vestem scindere. […] Mos est Iudaeorum: cum aliquid blasphemiae audiunt scindunt vestimenta»; cf. anche la Glossa a Mc 14,63, Nicolaus de Lyra, Postilla, Mt 26,65, e Petrus Comestor, Historia scholastica, 1624 («consuetudinis Judaicae erat audita blasphemia in Deum, scindere vestimenta sua»). 101 E in questo modo… al nostro Segnor: cf. Nicolaus de Lyra, Postilla, Mt 27,1: «a media nocte usque ad illam horam illuserunt eum conspuendo et palmis cedendo» (nell’originale illu(m) hora(m)). 102 sì lo menò… andón a dormir: cf. Meditaciones vite Christi, cap. LXXV, rr. 171–178: «Tandem illi maiores recesserunt, mittentes eum in quendam carcerem ibi subtus solarium, qui adhuc videri potest vel eius vestigium; et ligaverunt ibi eundem ad quandam columpnam lapideam, cuius pars postea minuta fuit et adhuc apparet, ut hoc habeo a fratre nostro qui vidit. Dimiserunt nichilominus aliquos armatos ad tuciorem custodiam qui eum per totam residuam noctem vexaverunt derisionibus et maledictis vacantes»; cf. inoltre Glossa ordinaria, Lc 23,22: «ipsa columna […] ad quam ligatus fuit Dominus […] usque hodie dominici sanguinis cernentibus certa signa demonstrat».
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procurator de Tiberio [C]esaro imperator de Roma in la terra de Iudea, e quando illi insivano de fora dela caxa de Cayfax, sì g’andaven dré digando grande iniurie [108: Mt 27,1–2; Mc 15,1; Lc 3,1]. (109) Illora quando Iuda vite ke Criste era metudo in le mane de Pillato azò k’el fosse condugio a morte, sì fo gramo de zò k’el aveva fagio, e illora andò ali principi deli sacerdoti et ali antixi de· povero e sì ge disse: «E’ ò peccado, k’e’ ò traido lo sangue iusto», e illi disseno: «Que fa zò a nu? Tu lo vederé»103 (e ben lo poì-vo vedere). Illora Iuda oiando cotal responsion sì fo tuto stremido e partìsse da loro desperado. (110) Ello ge vosse rende li XXX dané, ma loro no li vosseno rezeve, e per grande tristeza ello li spantegò fora per lo templo et andò a picarse per la gola, e illora fo compiido zò ke aveva profetado David: «Siano fà |19v| li soy fioli orfani e la muliere vedova e li soy fioli vegneno mendigi e siano descazadi dele lor abitation». Ilora li principi deli sacerdoti sì fen regoie quilli XXX dané ki ereno spantegadi in lo templo sì com Iuda traditor li aveva butadi. (111) «El no è licito a nu a mete quisti dané in lo texoro propio del templo perzò k’el è prexio de sangue», et aveno conseglio intra loro de agatàne un campo de terra creenia dra qual si feva le pignate, e era quelo campo d’un pignatere, e fo delivrado quelo campo al comun per esse sepultura deli pelegrin, e fi apelado tanfin al dì d’anchoy Alchedemach, ki tanto vol dire com campo de sangue, e illora fo compiida la profetia de Yeremia profeta ki dixe in persona del Segnor: «Illi àn rezevudo li XXX dané d’ariento del prexio per lo qual e’ sonto aprexiado dali fioli de Ysarel e li àn day in un campo d’un pignater» [109–111: Mt 27,3–10]. (112) Ora quando li Zudé aveno menado Criste a caxa de Pillato, illi no voseno intrar dentro, ke illi pensaveno ke illi maculeraveno la lor festa se in quilli dì dela Pascha illi intraveno in caxa d’alcun pagan,104 sì ke illi stevano de fora ala porta e fevano grande rumor. Illora Pillato insite de fora per vedere que era zò, e disse ali Zudé: «Quente acuxation porté-vo contra questo homo?». Et illi disseno: «Se questo homo no fosse malfactor, nu no te l’avravemo menado kilò. Unde sapié ke questo homo sì è seductor e inganator del populo, e sì ne veda ke nu no dagemo lo trabuto a Cesaro imperator de Roma, e sì se fa apelare Criste re deli Zudé», e sì lo acusaveno de molte altre cosse.
103 Tu lo vederé: il volgarizzatore sceglie la seconda delle due possibilità esplicitate da Petrus Comestor, Historia scholastica, 1624: «Tu videris (Matth. XXVII), quasi dicant: Tu vidisti quid feceris, et sic est praeteritum subjunctivi. Vel tu videbis, cum senties in poena te peccasse, et sic est futurum subjunctivi». 104 ke illi pensaveno… pagan: cf. Glossa ordinaria, Io 18,28: «Quia diebus azimorum contaminatio erat illis in alienigenae habitaculum intrare».
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(113) Disse Pillato: «No oii tu de quante cosse quisti t’acuxano?». |20r| E Criste
no ge respondeva a nesuna acusation ke illi ge fesseno, unde Pillato sen mareveyava molte. Illora Pillato sì fè menar Criste dentro dal palaxio. Disse Pillato a Criste: «É tu re deli Zudé?». Disse Criste: «Tu lo dixe». In quanto Pillato no vosse examinar Criste d’altro se no s’el era re deli Zudé, sì se pò notar la lor malitia, imperò ke illi no ’l poevano acuxar d’altro se no falzamente ma k’el era re deli Zudé.105 (114) Illora Pillato lo tornò ali principi deli sacerdoti et al povero deli Zudé e sì ge disse: «Eyo no trovo alcuna caxon in questo homo per la qual el sia degnio de morte. Toỳlo vu e segondo la vostra leze sì lo zudigé». Rexpoxeno li Zudé: «El no è licito ulcir alcun», e devì intende k’è in quisti dì dela festa, tuto zò ke à d’aven[ir] azò k’el se compiise la scriptura, significando a quente morte deveva morì Criste, et in qual maynera el deveva receve morte [112–114: Mt 27,11–14; Mc 15,2– 106 5; Lc 23,2–4; Io 18,28–32]. (115) Illora Pillato tornò ancora dentro dal palaxio e sì disse a Criste: «É tu re deli Zudé?». E avegnia ke li Zudé avesseno acusado Criste k’el prevaricava lo populo e ch’el devedava lo trabuto a Cesaro, no lo vosse examinar de queste cosse, k’el saveva ben Pillato ke queste cosse no erano verità, ma sì ’l vosse examinar pur solamente s’el era re deli Zudé, ke Pillato pensò cusì: «Se Criste fosse veramente re deli Zudé, questo me porave noxe».107 (116) Onde Pillato curava molte de domandare se Criste era re deli Zudé. E perzò disse Criste a Pillato: «Fé tu questa domanda da ti on son altri ki tel fan dire?». Disse Pillato: «Qu’è zò a dire, k’e’ no sonto iudeo? Li toy princepi e la toa gente sì t’àn dà in le me man. Dime que tu é fagio». E Criste respoxe solamente ala parola digia denanze. (117) Disse Criste: «E’ voyo ke tu sapii Pillato |20v| ke ’l me regno non è
105 In quanto Pillato… Zudé: cf. Glossa ordinaria, Mt 27,11: «In hoc quod Pylatus nichil aliud criminis interrogat nisi an sit rex Iudaeorum arguuntur impietatis Iudaei, qui nec falso invenire potuerunt quod obijcerent Salvatori» e Mc 15,2. 106 e devì intende… morte: ‘E dovete intendere che è illecito in questi giorni della festa, benché debba avvenire affinché si compisse la scrittura, che indicava di quale morte Cristo doveva morire e in che maniera doveva ricevere morte’: sottotraccia c’è Io 18,32 («ut sermo Iesu impleretur, quem dixit, significans qua esset morte moriturus»), tuttavia modificato. Per la prima parte cf. Glossa ordinaria, Io 18,31, in interlinea: «non licet interficere quemquam, scilicet in festivis diebus, quia in alio tempore licebat secundum legem». 107 Illora Pillato tornò… noxe: cf. Glossa ordinaria, Mt 27,11: «De regno ergo Pylatus quia nescit interrogat, de tributis […] quasi apertum mendacium invidorum negligit» e Nicolaus de Lyra, Postilla, Lc 23,2: Coeperunt autem accusare illum «de tribus [i.e. di sovvertire la legge di Mosè, di impedire il tributo a Cesare e di voler usurpare il regno dei Giudei]. Pylatus autem de primo non curavit, […] secundum reputabat falsum, […] sed de tertio inquisivit quia videbatur esse contra dominum suum» (cf. anche Io 18,33).
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in questo mondo, e si lo me regno fosse in questo mondo, li mey servi sì combateraveno in tal mainera per mi ke eyo no stareve ligado ki, legà denanze da ti, nianche li Zudé no avraveno abiudo bailia de dàme in le to man, et imperò volio ke tu sapii ke ’l me regno non è qui». Respoxe Pillato: «Doncha é tu ben re?». Disse Criste: «Tu lo dixe ke eyo sonto re, e in zò sonto nado e in zò sonto venudo al mondo, azò ke eyo renda testimonio ala verità, e tuti quilli ki son da verità oyeno vontera la mia voxe». Disse Pillato: «Quen cossa è verità?» [115–117: Io 18,33–38]. (118) E inanze ke Criste respondesse a quella parola, per lo grande rumor ki fevano quilli malvaxii Zudé ki erano de fora ala porta, Pillato insite de fora del palaxio e andò a loro e disse: «Perquè fé-vo cotamanio rumore? E perquè sì-vo cusì importuni contra questo homo? E’ sì l’ò esaminado ben e diligentemente e non ò trovado alcuna caxon de morte in lu». E illi disseno a Pillato: «Questo homo sì è un grande inganator et à comenzado a seduro lo populo e inganar la zente de Galilea tro qui» [118: Lc 23,5 e 22–23; Io 18,38]. (119) Pillato, oyando anomar Galilea, sé domandò se Criste era de Galilea nado, e quando Pillato seppe ke Criste era galileo, sì ’l mandò ad Herodex perzò k’el era soto soa iu[ri]dition, lo qual in quilli dì era venudo in Yerusalem ala festa. E quando Herodex ave vedù Yesù Criste, sì fo molte alegro, imperò k’el era gran tempo k’el aveva desidrà de vederlo, imperò ke molte maraveye el aveva oyudo dir de lu, e sperava de vedere alcuna maravelia, alcun miraculo denanze da lu, e domandòlo de molte cosse, e a tuto zò k’el ge domandava Criste no ge respoxe alcuna cossa. (120) Mo perquè no respondeva Criste ad Herodex? |21r| Quilò sì fo do caxon: l’una per no dar caxon ali Zudé de peccar più com illi aven peccado, ke se Criste avesse respoxo a Herodex, li Zudé avraveno ancora digio più peccado contra Criste ke illi no avevano digio denanze. L’a[l]tra caxon sì fo k’el no voreva ke la redemption dela humana generation se prolongasse più, che s’el avesse respoxo ad Herodex, Herodex l’avrave liberado e lassado andare. E li principi deli sacerdoti e li scribi sì ge stevano denanze e sì lo acusaveno costantemente denanze de Herodex, e dixevano k’el [no] aprexiava Herodex nì soa [***]. (121) Vezando Herodex ke Criste no ge respondeva, sì lo desprexiò e ’l reputò per mato, imperò k’el pensò cusì: «Se questo homo me respondesse eyo lo lassareve andare, onde perk’el no me responde sì pare k’el voya morire, e s’el vore morire doncha è-’l mato», sì ke vezando Herodex ke Yesù Criste no ge respondeva, sì lo desprexiò e sì lo reputò esse mato, e sì lo fè vestire d’una vestimenta sì com era uxanza ki fiva vestì li mati, e con quella vestimenta lo remandò indré a Pillato, e sì cometè omincha iuridition k’el aveva de meser Yesù Criste. (122) E da quelo dì inanze sì fon fagi amixi Herodex e Pillato, e denanze eran inimixi, e questo sì fo imperò ke Herodex ave molte per ben e sì tene per grande honore quando Pillato ge mandò
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meser Yesù Criste,108 e cusì fo compiida la profetia de David profeta ke dixe: «Li princepi dela terra s’acordaran a una voluntà incontra lo Segnor et incontra lo so Criste». Questa fo la quarta iniuria la qual fo fagia a Criste, k’el fo reputado esse mato quello lo qual è fontana e nasimento dela sapientia de Deo Padre [119–122: Lc 23,6–12; Ps 2,2]. (123) Ilora Pillato, quando Criste ge fo ancora mandà, sì |21v| fè com vosse tuti li principi deli sacerdoti e li scribi e tuta l’altra zente109 e disse: «Vu m’avì menado questo homo denanze sì com inganador del populo, et eyo no ge trovo alcuna caxon de zò ke vu l’acuxé, nì Herodex altersì, e perzò el l’à mãdà a mi, k’el no ge trova alcuna caxon de morte. Ma nu farem cusì: vu savì ben segnuri ke a’ l’è una usanza intra vu ke a questa festa eyo debio donarve un prexoné qual vu vorì», e in zò pensò Pillato de fare asolve Criste, k’el aveva in prexon un malvaxio homo ki aveva nome Baraban, famoxo in malitie, lo qual per umicidie era metudo in 108 Mo perquè no respondeva… Criste: cf. Glossa ordinaria, Lc 23,11: «Principibus ergo sacerdotum accusantibus apud Pylatum pauca, apud Herodem nulla respondet ne crimen diluens dimissus a principe crucis utilitatem differret»; Nicolaus de Lyra, Postilla, Lc 23,11–12: et remisit [i.e. Iesum] ad Pilatum «ut eum honoraret, sicut et Pylatus ei detulerat», et facti sunt amici Herodes et Pilatus «propter mutuam reverentiam factam, ut dictum est»; ma soprattutto si veda il parallelo della Passione Mai, f. 10r–v: «Qua se porave demandare: ‹Perqué no respondev’elo ad Herodes?›. Questo sì fo per doe casone: la una per no dar casone ali Çudei de pechar plù como illi aveva pechado, che se miser Iesù Cristo avese respondudo ad Herodes, li Çudei averave dito ancora peço contra miser Iesù Cristo ch’illi no aveva dito denanço. L’altra casone sì fo p[er]ch’elo no volse che la humana salvacion, çò è la salvacion dela humana generacion, se prolongasse plù, che s’elo avese respondudo ad Herodes, Hero[des] lo averia liberado e laxado andare; e perch’elo no ge volse responder, Herodes lo reputà eser mato, perch’elo inpensà cusì: ‹Se questui me respondesse, eo lo laxerave andare, unde perch’elo no me vol respondere sì par ch’el vol morire, e s’elo vol morire doncha sì è lo mato›. Unde vegando Herodes che Cristo no li respondeva, sì lo desprisià e reputàlo mato. […] Perché Herodes reputà miser Iesù eser mato, elo lo fé vestire d’una vesta blanca, sì como era usança che se vestiva li mati, e mandàlo indredo a Pilato, e sì cometé Herodes ogna iurisdicion ch’elo aveva in Cristo. E da quelo dì ananço sì fo fato paxe intro Herodes e Pilato, che denanço illi era inimisi. E questo sì fo perché Herodes ave molto per gran plaser e sì se tene per grande honor quando Pilato li mandà Cristo». La stretta vicinanza tra Passione Mai e Passione Trivulziana potrebbe far supporre che in quest’ultima la mancanza dell’aggettivo blanca (o forme similari) riferito alla vestimenta fatta indossare da Erode a Gesù sia frutto di una svista del copista. Il motivo del silenzio di fronte a Erode per non rinviare la passione ricorre anche nelle Passioni Beriane prima, f. 43vb: «Criste non gue vosse responder, inperzò che la soa passiom non fosse inpahaiha, che se Criste avesse satisfaayto a Herodes de zò che ello gue demandava, Herodes sì l’averea liberao e inperzò Criste taxea. […] E laor vegando Herodes che Criste non respondea, sì pensava che ello fosse um mozo e félo vestir de biamcho a guixa d’un mozo e sì lo remandà a Pillato» e seconda (Guarnerio 1893, 293). 109 fè com vosse… zente: è ben possibile, in base a Lc 23,13 («convocatis principibus sacerdotum et magistratibus et plebe»), che si tratti di un guasto per fè convocare; tuttavia il fatto che il senso del testo non risulti fatalmente compromesso consiglia di conservare la lezione.
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prexon.110 (124) Voiando Pillà satisfare al populo, sì ge mixe pena,111 non dubitando ke Criste devesse esse asolto. Disse Pillato al populo congregado: «Qual vorì vu de quisti du ki sia liberado, on Baraban on Yesù al qual fi digio Criste?». El saveva ben Pillato ke per invidia illi g’aveno metù Criste in le soe man, temando loro ke tuta la zente credeseno in Criste.112 (125) E li principi deli sacerdoti e li antixi conselión lo populo ke illi devesseno domandar Baraban e ke illi fessano ulzir Criste, ma questo Baraban era ladro e aveva morto du homini a grande traitoria. Or sedando Pillato al logo dela iustixia, soa mulier sì ge mandò a dire k’el se guardasse ben ke per nesuna cossa113 el no fesse incontra quello homo k’era prexo, imperò k’el è iusto e senza peccado, che molte pene el’aveva soferto per lu in vixion in tuta quela nocte [123–125: Mt 27,15–20; Mc 15,7; Lc 23,13–15 e 19–20; Io 18,39–40]. (126) La muliere del’omo pagan sì intexe dormindo quello ke li Zudé no vosseno crè vegiando; e zò fevano li diavoli per desturbar la passion de Criste, pertanto ke illi no perdesseno la possanza ke illi avevano sovra la humana generation, |22r| cognoscando lo diavolo ke per Criste el deveva perde zò k’el aveva aquistado:114 sì com per la femina e per la soa ovra lo diavolo portò imprimamente la morte in lo mondo, cusì simiantemente in tal modo per la femina vosse liberar Criste de man deli Zudé, azò ke per la morte de Criste la morte no perdesse lo so imperio.115 (127) E quando Pillato ave intexo la muliere, zò k’ela ge mãdava a dire, sì disse ancora ali Zudé: «Qual vorì-vo de quisti du ki sia liberado?». E li Zudé disseno Barabas. Disse Pillato: «Que faremo de Yesù al qua fi digio Criste? In lo qual e’ no trovo caxon de morte in lu, unde eyo lo castigarò e possa lo lassarò andà». Illora
110 e in zò… prexon: cf. Glossa ordinaria, Mt 27,16, in interlinea: insignem, «vulgatum in malicia». 111 sì ge mixe pena: probabilmente ‘gli attribuì la decisione sulla pena’; si noti però che, come segnalato nella nota al testo, il passo è guasto e il restauro qui proposto costituisce solo un’ipotesi. 112 temando loro… Criste: cf. Glossa ordinaria, Mt 27,18, in interlinea: per invidiam «timentes ne omnes crederent in eum». 113 per nesuna cossa: ‘per nessun motivo’ (TLIO, s.v. cosa n° 1.7). 114 e zò fevano li diavoli… aquistado: una notazione in parte simile in Petrus Comestor, Historia scholastica, 1628: «Tunc misit ad Pilatum uxor sua dicens: Nihil tibi, et justo illi. Multa enim passa sum per visum, dormiens, propter eum (Matth. XXVII). Jam Dei ortu poterat cognoscere diabolus mysterium crucis, et ideo laborabat, ne Christus moreretur». 115 La muliere… imperio: cf. Glossa ordinaria, Mt 27,19: «Uxor viri gentilis hoc in visione intelligit quod Iudaei vigilantes intelligere noluerunt. […] Nunc demum Dyabolus, intelligens per Christum se spolia amissurum, sicut primum per mulierem mortem intulit, ita modum per mulierem vult Christum de manibus Iudaeorum liberare, ne per mortem eius mortis amittat imperium» e Nicolaus de Lyra, Postilla, ivi.
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illi cridón tuti a una voxe: «Sia crucificado!». Disse Pillato: «Quente mal à-’l fagio?», et illi più forte cridaveno: «Sia crucificado!». (128) Illora Pillato comandò ke Criste fisse batudo ala colonia, et illi lo baténo sì crudelmente ke tuto lo so corpo pioeva vivo sangue. E possa ke illi l’aveno batù cusì, sì lo desligón dala colonia, e quella colonia demostra ancora li signi del sangue segondo ki se trova in lo libro del’Istorie.116 E possa ge mixeno una vestimenta de porpora indosso e una corona de spin in testa, possa ge mixeno in la man drita una cana e se inzenogiaveno denanze da lu per beffe digando: «Deo te salve, tu ki é re deli Zudé», e possa ge spudaveno adosso e ge toievano la cana de man e ge devano su per la testa e ge devano de grande sguanzade [127–128: Mt 27,21–23 e 28–30; Mc 15,14– 15; Lc 23,22; Io 19,1–3]. 117 (129) Quãdo Criste fo cusì flagelado e [s]c[h]ernido, Pillato vene ancora de fora e sì disse ali Zudé: «Eyo vel fo menar de fora pertanto k’e’ volio ke vu cognosì ke eyo no lo posso iudicare per la mia leze iustamente». Fizando Criste menado de fora con la corona de spine in testa e con la vestimenta de porpora indoso, disse |22v| Pillato ali Zudé: «Ke l’omo», quax voya dire: «Ven venia compasion, ke vu ne agaté gran peccado». Pillato comandò ke Criste fosse batudo e possa lo mixe in baylia deli soy cavaleri a fì beffado e scherniido, azò ke per quelle pene e per quel desnó li Zudé fisseno satiadi e da inlò inanze no curasseno dela soa morte.118 (130) Criste vosse esse flagelado azò k’el ne liberasse day nostri flageli.119 Quando li principi deli sacerdoti e li soy ministri aveno vedù Criste sì flagelado e vituperado, illi no se movén più a compasion de lu, com se illi fosseno serpenti venenuxi. Anze comenzón tuti a cridar: «Crucificalo! Crucifìcalo!». Questa fo la quinta grande iniuria la qual Criste susten per nu: s’ela fo grande vu lo poỳ vedere, che quelo ki era fiolo de Deo, re deli angeli, honore de tute le creature, homo senza peccado, fo a tal modo cusì beffado [129–130: Io 19,4–6]. (131) Ilora disse Pillato: «Toiìlo vu e sì lo crucifiché, ke mi no ge trovo caxon de morte». Respoxeno li Zudé: «Nu avemo leze, e segondo la nostra leze el dè
116 tuto lo so corpo… Istorie: cf. Meditaciones vite Christi, cap. LXXVI, rr. 41–46: «Fluit undique regius sanguis de omnibus partibus corporis […]. Columpna autem ad quam ligatus fuit vestigia cruoris ostendit, ut continetur in Historiis» (il riferimento è a Petrus Comestor, Historia scholastica, 1628). 117 [s]c[h]ernido: un ipotetico cernido sarebbe semanticamente inaccettabile (cf. LEI, vol. 13, 1109–1136); le integrazioni si modellano su scherniido, poco oltre nel medesimo paragrafo (e si vedano inoltre inschergniido 138, 140, schernìn 106). 118 Pillato comandò… morte: cf. Glossa ordinaria, Mt 27,26: «Ideo credendus est Pylatus Ihesum flagellasse et militibus ad illudendum dedisse ut saciati poenis eius et obprobrijs Iudaei mortem eius ultra non sitirent» (nell’originale obprobrij); cf. anche Nicolaus de Lyra, Postilla, Lc 23,16. 119 Criste vosse… flageli: cf. Glossa ordinaria, Mt 27,26, in interlinea: «Ideo flagellatum ut nos a flagellis liberemur».
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morì perzò k’el se fa fiolo de Deo». Quando Pillato ave oyudo zò, ancora ave mayor pagura de ulzirlo, e tornò ancora dentro dal palaxio e disse a Criste: «Dond’é tu?», e Criste no ge respondeva niente. Illora disse Pillato: «Com nom re[s]pondi tu? No sé tu k’e’ ò possanza sovra de ti de poderte crucificar e de poderte lassare?». (132) Illora respoxe Criste: «Tu no avrisse nesuna possanza sovra mi, s’ela no te fosse dada de sovra», zò è da Deo. «Et imperò quilli ki m’àn dado in le to man sì àn maior peccado ka ti», quax diga: «Quello ke illi fan, illi lo fan per la soa grande malitia, ma quello ke tu fé, tu lo fé per tema».120 Illora Pillato sì gen fè gran |23r|de compasion e pietà e vosse lassar Criste, e li Zudé con grande crido sì disseno: «Se tu lassi andar questo homo tu no ey amigo de Cesaro, imperò ke cadun ke se fa re contradixe a Cesaro» [131– 132: Io 19,6–12]. (133) Illora Pillato fo inrado e disse: «Traditori ke tuto tempo fussi vu traditori». Respoxen li Zudé: «Qual tempo fo quelo ki stete intra nu e nu ge fomo tradituri?». «Lo vostro Deo ki ve trasse de tera e de servitudeni de Faraon e ve fè passare per lo mare Rosso sì com per una via secha e nudrigòve dela mana del cello XL anni in lo deserto e sì ve aveva fagii segnuri del mondo, ala perfin sì dixise-vo ke vu no ’l vorì-vo k’el fosse vostro Deo?».121 Respoxeno li Zudé: «Segnor no ’l dixemo per vu, anze lo dixemo perzò ke nu volemo in tute guixe ke questo moyra».122 (134) Quando Pillato ave oiudo queste parole, sì fè menar Criste de fora del palaxio in mezo dela piaza denanze a tuto lo populo, e era quax ora de sesta. E fiva apelado quel dì dali Zudé Paraseve, ke tanto vol dire com aparegiamento, imperò ke in quelo dì li Zudé devano aparegiare tute quele cosse ki fevano mesté al dì dela Pasqua. Illora disse Pillato con grande voxe: «Vedì kilò lo vostro re». Diseno li Zudé: «Crucificalo!». (135) Disse Pillato: «Com volì-vo [ke eyo crucifiche]
120 quax diga… tema: cf. Glossa ordinaria, Io 19,11: «Maius peccatum est ei qui tradidit me tibi invidendo quam tibi qui exerces potestatem metuendo». 121 ala perfin… vostro Deo?: ‘alla fine avete detto (alla lett. diceste) che voi non volete che sia (alla lett. fosse) vostro Dio?’. 122 Illora Pilato fo inrado… moyra: il passo è una rielaborazione dell’apocrifo Vangelo di Nicodemo: «Tunc repletus furore Pilatus dixit ad eos Sempre gens vestra seditiosa fuit, et qui pro vobis fuerunt, contrarii eis fuistis. Responderunt Iudaei Qui sunt pro nobis? Dicit eis Pilatus Deus vester qui eripuit vos de dura servitute Egyptiorum, et eduxit vos ex Egypto per mare sicut per aridam terram, et in eremo cibavit vos manna et coturnice, et eduxit vobis de petra aquam et potavit vos, et legem dedit vobis: et in his omnibus irritastis deum vestrum, et quaesivistis vobis vitulum fusilem deum. Et exacerbastis deum vestrum, et voluit vos occidere: et deprecatus est Moyses pro vobis ut non moriemini. Et nunc dicitis quia regem odio» (Evangelium Nicodemi, 337– 338).
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lo vostro re?»,123 quax diga: «Questo v’è gran desnore»,124 et illi respoxeno: «Nu no avemo re se no Cesaro impera[to]r de Roma». Illora Pillato, vezando ke quanto el feva per aiar Criste no zoava ma maiormente noxeva,125 ke lo populo se levava a rumor se Criste a morte no sentenziava, in quela fiada se asetò Pillato alo logo dela [iustixia] là onde se deva le sentenzie contra li malfactor,126 e fiva digio a quel logo Lithostrato, e aveva nom Gabatà in ebraico. (136) E se fè dare de |23v| l’agua ale man denanze a tuto lo populo e disse: «Eyo sonto senza colpa in lo sparzimento del sangue de questo homo iusto, e vu altri guardé quelo ke vu fazé». Respoxe tuto lo populo: «Lo sangue so sia sovra nu e sovra li fioli nostri». Illora Pillato sì ge dè Baraban azò k’el fosse liberado, e Criste ki era tuto batudo sì misse in le soe man azò k’el fosse crucificado. Questa fo la sesta iniuria ki fo fagia al nostro Segnor, ke contra l’actore de vita eterna fo dado sentenzia de morte, e no ampoy a omincha morte, ma ala morte deli ladron [134–136: Mt 27,24–26; Mc 15,15; Io 19,13–15]. (137) In quela fiada li cavaleri de Pillato e apresso de loro lo populo deli Zudé sì toléno Criste e sì lo menón fora del palaxio, e tuto quel desnor e deresion ke illi g’avevano fagio de pocho tempo denanze illi gel fen ancora.127 Illi ge miseno la vestimenta dela porpora indosso e la corona dele spine in testa e in la man drita ge mixeno una cana, e possa se inzenogiaveno denanze da lu per beffe digando: «Dé te salve, tu ki é re deli Zudé», e poy ge spudaveno adosso e ge toyevano la cana de man e ge devano su per la testa. (138) E quando e’ l’aveno inschergniido e beffado al so talento, sì ge despoión la vestimenta dela porpora e tornòge indosso le soe vestimente. Nota ke Criste no fo beffado in le soe vestimente, ma in quelle
123 Com volì-vo … re?: l’integrazione si appoggia sul passo parallelo della Passione Mai, f. 13r: «Disse Pilato: ‹Como volì vu ch’io crucifiche lo vostro re?›», rielaborandolo alla luce delle forme linguistiche della Passione Trivulziana. 124 quax diga: «Questo v’è gran desnore»: cf. Glossa ordinaria, Io 19,15: Pilatus «de ignominia eorum volens eos frangere, quos de ignominia Christi non poterat mitigare» e Nicolaus de Lyra, Postilla, Io 19,15: «Dicit eis Pilatus, allegans in crucifixione Christi eorum verecundiam, dicens: regem vestrum crucifigam». 125 Illora Pillato, vezando… noxeva: cf. Glossa ordinaria, Lc 23,24, in interlinea: Et Pylatus, «videns quia nichil proficeret sed magis tumultus fieret», adiudicavit fieri petitionem eorum; all’interno di un passo strutturato diversamente, la Passione Mai (f. 13r) presenta una formulazione affine: «Vegando Pilato che tuto çò ch’elo faseva per scapolar Cristo no li valeva niente, anço li noseva…». 126 alo logo… malfactor: cf. Glossa ordinaria, Io 19,13, in interlinea: in loco qui dicitur lichostratos, «id est iudicium vel iudiciale»; si veda pure la Passione veronese: «s’asentà sulo logo là o’ fieva dà le sententie, per dar la sententia» (Pellegrini 2012a, 45). 127 In quela fiada… ancora: cf. la Passione Mai, f. 14r: i soldati di Pilato «sì tolse miser Iesù Cristo e tute quele derisione ch’ili aveva fate de lui un poco avanti che Pilato li desse la sentença de morte, tute quele medesime illi li fa da recavo».
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k’el portava per li nostri pecadi. E quando el fo crucificado, sì recevè lo so ornamento, ke li elementi sse turbavano e le creature devano testimonio al so creatore.128 Quando illi g’aveno tornade le so vestimente indosso, sì ge butàn una soga in colo129 e sì lo menaveno alo logo dela soa passion [137–138: Mt 27,27–30]. (139) Menando lor lo nostro Segnor a crucificare, sì pasàn |24r| per quela via ond’era quelo sanctissimo legno lo qual nassè in la bocha de Adam, segondo ke [se] trova scrigio in l’istorie deli sancti, e quando illi fon a quela pesina senza mane de homo sì insite fora del’aqua, e li Zudé viteno k’el era tal com el ge feva bexognio, e tolén quel legnio e sì lo mixen in spala al nostro Segnor, e sì gel fevano portare.130 E questo sì è figurado in Genexis, là ond’è scrigio ke Ysach sì portava in spala le legne per le que lu medesmo deva fì sacrificado, e Criste portava lo legno dela croxe sulo qual lu medesmo deva fì sacrificado [139: Gn 131 22,6]. 132 (140) Quilò poris tu dire: «De mo, fradelo meo, el no fo may madre nesuna ke tanto uno so fiolo fosse amado tanto quanto amò la vergene Maria lo so; mo ond’er’ela doncha quando el fiva fagie cotante iniurie e cotante flageli al so fiolo?». Vedì segnuri, el è verità k’el no se leze indelo evangelio ke la vergene Maria fosse al’orto, là onde Criste fo prexo e ligado, nì a caxa de Anna, là onde ge fo dada la sgoltada, nì a caxa de Cayfax, là onde el fo inschergniido e beffado, nì
128 Nota ke Criste… creatore: cf. Glossa ordinaria, Mt 27,28: «In suis vestibus non illuditur, sed in his quae propter peccata nostra portavit. Cum crucifigeretur suum recepit ornamentum statim, quia elementa turbantur et Creatori testimonium dat creatura». 129 sì ge butàn una soga in colo: così anche nella Passione Mai, f. 14r: «illi li gità una soga al collo» e nella Passione BNN, f. 111ra: «lo suo collo fo afflicto dala catena che li legaro per maiore confusione» (cf. anche f. 114rb). 130 Menando lor… portare: cf. il cap. 64 (De inventione sancte crucis) di Iacopo da Varazze, Legenda aurea, vol. 1, 514–525: 514, 516, dove però manca il dettaglio della nascita nella bocca di Adamo: «legitur quod angelus [i.e. Michael] de ligno in quo peccavit Adam eidem [i.e. Seth] tradidit dicens quod quando faceret fructum pater sanaretur. Qui rediens et patrem mortuum inveniens ipsum ramum super tumulum patris plantavit; qui plantatus in arborem magnam crevit et usque ad Salomonis tempora perduravit. […] Salomon igitur predictum lignum inde sustulit et in profundissimis terre visceribus illum demergi fecit. Postea probatica piscina ibidem facta est, ubi Nathinei vel subdiacones hostias abluebant […]. Appropinquante vero passione Christi predictum lignum supernatasse perhibetur. Cum autem illud Iudei vidissent, ipsum acceperunt et crucem domino paraverunt». 131 E questo sì è figurado… sacrificado: cf. Glossa ordinaria, Mc 15,20: «Hic adest Ysaac cum lignis et Abraham cum ariete inter vepres haerente». 132 De mo: si tratta dell’interiezione deh seguita da mo rafforzativo. Un’identica sequenza, oltre che nel passo parallelo della Passione Mai (f. 14v: «De mo, frar, el no fo may mare alguna […]»), si rintraccia nella Passio di Guido degli Scovadori tramandata dal laudario dei battuti di Modena (Bertoni 1909, 63; Elsheikh 2001, 108, v. 95).
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a caxa de Herodex, là onde el fì desprexiado, nì a caxa de Pillato, là onde el fo a morte sententiato. (141) Mo perquè no er’ela in quisti loxi? La caxon pogiè133 esse questa, imperò ke quisti loxi no erano honesti, maximamente per la zente ke stevano, e perzò meser Yesù Criste no vosse ke la soa madre ki era honesta stesse in loxi dexonesti.134 Ver è ke san Lucha dixe ke quãdo Criste insiva fora dela cità de Yerusalem andando al logo dela soa passion, alla porta era |24v|no molte done congregade ki aspetaveno Criste [141: Lc 23,27]. (142) Disse san Bernardo ke la vergen Maria era intra quele done e guardava s’ela podeva vedere lo so fiolo, e quando ela l’ave vedudo, no ’l podeva cognosce imperò k’el era tuto cambiado: el aveva lo volto nizo, li ogi con li meroni nigri, la faza spuazada, la testa pelada, lo corpo era pien de lavagio, e da omia parte sì pieva sangue, sì k’el no pariva in figura umana.135 Doncha ela vite portare lo legno dela croxe culù ki porta tuto lo mondo. (143) Quando ela lo vite cusì mortificado e desformado culù lo qual è gloria e beltade de tute le creature, quando ela vite cusì ligado e descolzo culù ke ella aveva nudrigado con tanto
133 pogiè: ‘poté’, su cui si veda l’analisi linguistica, §4.26. 134 Quilò poris tu dire… dexonesti: cf. la Passione Mai, f. 14v: «Qua porave dire alguno: ‹De mo, frar, el no fo may mare alguna che tanto amasse lo so fiiolo como fé la virgine Maria. Mo o’ er’ela quando fo fato cotanti oprobrii e cotante inçurie alo so fiiolo?›. Vedì signori, elo è ben vero ch’el no se leçe che la virgine Maria fosse al’orto, lò che miser Iesù Cristo fo tradido e piiado, né no se lexe ch’ela fosse a casa de Cayfas, lò che lo Signor fo flagelado, né no se leçe ch’ela fosse a casa de Herodes, dalo qual miser Iesù Cristo fo desprisiado, né no se leçe ch’ela fosse a casa de Pilato, lò che miser Iesù Cristo fo condanado. Perché no fo la in quisti logi? Perçò che quisti logi, maximamente per le persone che nde habitava, no era honeste; inperçò miser Iesù Cristo no volse che la soa mare, che era honestissima, stesse in logo desonesto». 135 Disse san Bernardo… umana: cf., per queste righe e quelle all’intorno, Bernardus Claraevallensis, Liber de passione Christi, 1134–1135: «Dic mihi si in Jerusalem eras, quando fuit captus filius tuus, et vinctus, et ductus, ad Annam tractus? At illa: In Jerusalem eram, quando hoc audivi, et gressu quo potui ad Dominum meum flens perveni. Cumque illum fuissem intuita pugnis percuti, alapis caedi, faciem conspui, spinis coronari et opprobrium hominum fieri, commota sunt omnia viscera mea (Gen. XLIII, 30), et defecit in me spiritus meus (Psal. LXXVI, 4) et non erat mihi fere vox, neque sensus. Erant et mecum meae sorores et feminae multae, mecum plangentes eum quasi unigenitum, inter quas erat Maria Magdalena, quae super omnes alias, excepta illa quae loquitur tecum, dolebat, et dum Christus Deus, clamante praecone, imperante Pilato, sibi bajulans crucem ad supplicium traheretur, et factus est concursus populorum post ipsum euntes, alii super ipsum plangentes, alii [cod. ei] eum illudentes ridebant. Sequebatur et ipsum, prout poterat, ejus moestissima mater cum mulieribus, quae secutae fuerant a Galilaea ministrantes ei, a quibus trahebatur, et tenebatur velut emortua, quousque perventum est ad locum ubi crucifixerunt eum». Corrono parallele le Passioni Beriane prima (Parodi 1898, 36): «Ello aueyua lo so viso tuto nizo, li ogi e li meroym neygri e lo vixo e la faza tuta pynna de spuazo e la testa tuta peraa e lo corpo era tuto pym de lavaglo e da monte parte pioueyua tuto sangue, si che ello non poeyua piu auer figura humana» e seconda (Guarnerio 1893, 291).
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amore, dixe k’ela devene quax morta e per lo grande dolore k’el’aveva cade in terra.136 No ve maravelié carissimi, k’el no è femina nesuna de sì vile condition, s’ela vedesse un so fiolo cusì flagelado e cusì mortificado con era Criste, k’ela no avesse stragrandissimo dolore; e quanto maiormente la vergene Maria, vezando lo so fiolo ki era nobilisimo sovra tute le creature sostenir cotanti dolori e desnori, e senza alcuna colpa. Non è maraveya se ’l so dolore era importabile, e quel dolore era sovra tuti li altri dolori del mondo.137 (144) E cusì mortificada e doloroxa fiva menada la madre de Criste poxe lo so fiolo tro alo logo dela soa passion, e con sego insema andava molte done e altra zente ki pianzeveno e lumentaveno, e Criste se volze inverso de loro e sì ge disse: «Filie de Yerusalem, no pianzì sovra de mi, anze pianzì sovra de vu e sovra li vostri fioli», quax |25r| voya dire: «No pianzì per mi, ke per mi no fa besonio pianze, ma pianzì sovra vu, ki avì mal coregi li vostri fioli, e pianzì sovra loro, perzò ke in l’altra vita vu li vederì sempre in perpetualle tormento».138 (145) «Tempo verà k’el se dirà: ‹Benedegi son li corpi de quelle madre ki no àn inzenerà, e benedegie son quelle mamelle ki non àn alactado›. In quella fiada sì diran ali monti: ‹Cadì sovra nu›, e ale montanie: ‹Debié cobrire nu›, imperò ke se illi faran zò in legnio verde, in legnio secho que serà fagio?», quax diga: «Se illi fan zò a mi ki son legnio verde, zò è senza nesun peccado, vostri fioli ki son legnio secho, zò è molto peccaturi, que ne sarà fagio?» [144–145: Lc 23,27–31].139
136 Quando ela lo vite… terra: cf. Meditaciones vite Christi, cap. LXXVII, rr. 53–54: «cernens eum oneratum ligno tam grandi quod primo non viderat, semimortua facta est». Cade è da intendersi come perfetto. 137 Disse san Bernardo… mondo: cf. Passione Mai, f. 15r: «Dise miser san Bernardo che quando la virgine gloriosa Madona santa Maria vete lo so dolcissimo fiiolo cusì incoronado de spine portando la croxe in spalla, lo [qual] fi portado dali agnoli de Paradiso, e quando ela lo vete cusì ligado e cusì flagellado e cusì desformado, lo so fiiolo qual è gloria e splegó de Paradiso, ela strangoxà per grandissimo dolore e no romase in ela spirito de vita quando ela vedeva la vita soa morire. E fo tanto lo dolore qual ave la virgine Maria che ela per sì no se podeva sostegnire, may le altre donne ch’era cum ela sì la sostegniva. De questo no ve fé meraveia signori, ch’el non è alguna dona né alguna femena de sì vil condicione che, s’ela vedese un so fiiol ligado e fir straxinado e trato per me’ la plaça sì como un laron, ch’ela non de morisse da dolore; e tanto fo maior lo dolor dela virgine quanto lo so fiiolo fo plù nobele d’ogn’altra creatura». 138 quax voya dire… tormento: cf. Glossa ordinaria, Lc 23,28: «Ne lamentemini me moriturum […]. Vos potius vestramque progeniem dignis lacrimarum fontibus abluite ne cum perfidis dampnemini in ultionem meae crucis». 139 quax diga… fagio?: cf. Glossa ordinaria, Lc 23,31 per lo scioglimento della metafora del legno verde e del legno secco: «Viride lignum Christus et sui electi, aridum impij et peccatores». Nella Passione veronese, la metafora è addirittura abbandonata: «S’i fa en mi questa pena che vui veì, en vui que firà fato?» (Pellegrini 2012a, 48).
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(146) Ora con Yesù Criste sì fivano menado du malfacturi ki erano condempna-
di a esse con sego insema crucificadi. L’un aveva nom Desmas e l’oltro aveva nom Gestas.140 E portando lo nostro Segnor lo legnio dela croxe in spalla, el era cusì fievele e cusì debile, per li grandi tormenti ke illi g’avevano fagio e perzò k’el no aveva dormido la nocte passada, k’el no la podeva passare, zò è fare passo nì portare,141 e segondo l’openion d’un doctore la croxe de Criste sì fo longa XV pey,142 e andando sì trovón un homo ki venia de vila e aveva nom Simon Cirineo, e constrẽzén quelo homo per forza a portar quelo legnio perfin al monte Calvario [146: Mt 27,32; Mc 15,21; Lc 23,26 e 32]. (147) Lo monte Calvario al qual Criste fiva menado sì aveva tre condition: la prima sì è ke quelo logo, segondo ki dixe li sancti, sì è in mezo del mondo, a mostrar ke Criste no moriva solamente per una zente, ma per tute le zente del mondo. La segonda condition sì era ke quel logo sì era logo de dampnation, imperò ke inlò fivan morti li malfactori e li ladron, |25v| ma possa ke Criste fo morto inlì in quelo logo, fo fagio logo de salvation, imperò ke inlò sì era metudo lo Salvator del mondo, zò è Yesù, ke tanto era a dì Yesù com salvator. (148) La terza condition sì è ke quelo logo era logo de pudor, inperzò ke el era inlò li corpi deli ladron e deli malfactor, ma possa ke Criste fo morto in quelo logo, fo fagio logo de bon odore, imperò ke inlò fo piantado lo fiore de tuto lo mondo, zò è Yesù de Nazaret, ke tanto è a dire Nazaret com fiore.143
140 L’un aveva nom… Gestas: cf. Evangelium Nicodemi, 339: «Et flagellatum tradidit Iudaeis Iesum ad crucifigendum, et duos latrones cum ipso: unus nomine Dismas et alius nomine Gestas». 141 E portando lo nostro Segnor… portare: cf. Nicolaus de Lyra, Postilla, Mt 27,32: «Exeuntes autem invenerunt hominem et c.: hoc non est contra id quod dicitur Iohannis xix: Et baiulans sibi et c.: ipse enim primo portavit crucem suam quando exivit de domo Pylati, ut dicit Iohannes, sed quia erat fatigatus ex precedenti labore, ieiunijs et vigilijs, ideo milites coegerunt Symonem ad portandum eius crucem», Lc 23,26: «apprehenderunt Simonem […] quia Iesus videbatur nimis debilitatus ex afflictione precedenti» e Io 19,17: «Iesus per totam noctem precedentem afflictus fuerat, et ideo lento gradu incedebat» (nell’originale incidebat). 142 e segondo… pey: cf. Petrus Comestor, Historia scholastica, 1634: «Opinio est crucem Domini quindecim pedes habuisse in altum»; si vedano anche le Meditaciones vite Christi, cap. LXXVII, rr. 36–37, che riprendono l’Historia. 143 Lo monte Calvario… fiore: cf. Passione Mai, f. 15r–v: «Lo logo lò che miser Iesù Cristo deveva eser crucificado sì vegniva apellado ‹Calvario› inperçò che in quelo logo s’alçideva li malfatori quando illi era çudegadi, perçò ch’elo era fetido e logo de dampnacione, mo dapoi la morte de miser Iesù Cristo elo no fo plù logo de dampnacione, anço fo logo de salvacione; elo no fo plù logo fetido, anço fo logo odoroso e suavissimo, perçò che in elo fo afito e plantado l’arbor de Paradiso, lo qual rende odore a tute le creature, çò fo miser Iesù Cristo salvator de tuto lo mondo. Li santi dise che quelo sì è in meço del mondo, a mostrar che la morte de miser Iesù Cristo era salvacion de tuto lo mondo». L’espressione «segondo ki dixe li sancti» (che ricorre anche al
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(149) Quando illi fon al monte Calvario, sì despolión lo nostro Segnor dele soe
vestimente e possa cusì nudo lo mixeno sula croxe, la qual giaxeva in terra. Stagando li cavaleri e li ministri de Pillato de cercho dala croxe, a modo de cani rabiuxi, l’un lo pià per un brazo e l’altro per l’altro, l’un per lo chò e l’altro per li pey, e cusì fortemente lo prexeno a bestirare ke tute quante le soe osse se poevano anumerare.144 E possa ke illi aveno destexo Criste sula croxe, illi toyéno giò longi, grossi e muzi,145 e un clavo inficàn in una man, e l’a[l]tro in l’altra man; li pey ge mixeno l’un sovra l’altro, imperzò ke lo legnio dela croxe era stregio, e con un grosso giò li ficón sur la croxe [149: Mt 27,35; Mc 15,24; Io 19,23]. (150) In quisti giò sì fo zinqui grangi dolori: lo primo sì fo però ke illi erano [grossi] e fevano grande piaga; lo segundo però ke illi erano muzi e intravan con grande dolore in le man e in li pey; lo terzo però ke illi ereno metui in lo più nervoxo logo del corpo, zò è in le man e in li pey, e imperzò maior dolore sentiva, ke quanto lo logo è più [nervoxo] tanto più è lo dolore; (151) lo quarto imperò ke quisti giò erano metui in corpo ke era grandemente destexo, e perzò abondiava lo sangue |26r| sì forte ke quele tre piage parivano tre fontane de sangue ke insiseno dal corpo; lo quinto dolore imperò ke ’l corpo so era greve e nesuna cossa non era in mezo ke sustenise, sì k’el pendeva e cargava sempre in mezo, unde le piage s’avriveno e sempre se fevano maiore, e li nervi e la carne se sguarzava tutavia ancora più, unde lo dolore era importabile e gravissimo.146
paragrafo 23) non pare riferita specificamente alla Legenda aurea di Iacopo da Varazze, dove, per quanto riguarda la posizione del Calvario, si legge che Cristo «magnum fetorem sentire potuit in monte Calvarie ubi erant corpora fetida mortuorum» (vol. 1, 388), e più avanti si afferma che il monte fosse il luogo della sepoltura di Adamo, ma non che fosse al centro del mondo (p. 392). 144 Quando illi fon al monte… anumerare: cf. Meditaciones vite Christi, cap. LXXVIII, rr. 44–55: «Sunt tamen qui credunt quod non hoc modo fuerit crucifixus sed cruce existente in terra eum crucifixerunt, et postea sic crucifixum eum elevaverunt et crucem fixerunt in terram [per l’elevazione si veda più avanti il §153]. Quod si hoc magis placet, conspice qualiter ipsum capiunt despicabiliter sicut ribaldum vilissimum et prosternunt super crucem in terra furibunde, brachia ipsius accipientes et post violentam extensionem cruci figentes. Similiter et de pedibus factum intuere, quos traxerunt quantum valuerunt. Ecce crucifixus est Dominus Iesus, et sic in cruce extensus quod dinumerari omnia ossa eius possunt, sicut per Prophetam ipse conqueritur»; cf. la Passione Mai, f. 15v: «Quando illi ave despoiado miser Iesù Cristo, illi lo levà cusì nudo sula croxe e sì lo destese sì forte sula croxe, le soe braçe e li soi pei e tuto lo so corpo, che tute le osse soe se podeva lonbrare». 145 giò longi, grossi e muzi: la Passione Mai, al f. 15v, parla di «cloldi longi e grossi», che «no era agusi anço era grossi dale ponte». 146 In quisti giò… gravissimo: cf. la Passione Mai, ff. 15v–16r: «Tri dolori grevissimi sostene miser Iesù Cristo per cason deli cloldi: l’un sì fo per cason che li cloldi fo aficadi intro li pei et intro le mane, li qual è logi nervosi, e perçò sì è de maior dolor; l’altro so dolor fo perçò che li cloldi no era agusi e non era ben trati a ponta, sì ch’ili no podeva intrare che illi no li squarçasse tuti li pei e
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(152) Ora stava cusì meser Yesù Criste sur la croxe ingiavado, nì cridava nì
biastemava, ma cusì com agnielo mansueto sì pregava per quilli ki lo crucificava e dixeva: «Padre, perdona, ke illi no san que se fazeno». Questa sì fo la prima parola ki disse Criste sur la croxe, e fo parola de grande humilità e carità, quando el pregava per quilli ki lo crucificavano, et in questo se dà exemplo ali cristian, ke illi debiano pregare no solamente per li amixi, ma etiamdé per li inimixi [152: Lc 147 (153) Quando Criste fo ingiavado sur la croxe, li peccaturi toyéno la croxe 23,34]. ke giaxeva in tera e Criste crucificado e ingiavado sì levàn in alto, e inficàn la croxe in terra sì forte ke no la podesse cadere, et era sì alta ke da tuta zente se podeva vedere, e possa metén li altri du ladron sur do altre croxe, l’un dalo lado drigio, l’altro dal senestro, e in zò fo compiido lo digio del profeta: «Lo fiolo de Deo serà zudigado con li malvaxii e serà tenudo tale con loro» [153: Mc 15,27–28]. (154) Ora stava lo nostro Segnor sur la croxe e no aveva onde el poesse repossare la soa testa. In quela fiada Pillato fè scrive sur una tavora ki era de legnio d’oriva148 un titulo ki dixeva cusì: «Questo sì è Yesù nazereno re deli Zudé», et era scrigio questo titulo in lengua hebraicha e grega e latina, e questo
tute le mane; lo terço dolor sì fo che lo corpo sì era greve e non aveva alguna cosa in meço che lo sostegnisse, unde lo corpo cargava forte in çó, sì che le plage vegniva tuta fiada maior e plù ample». 147 Ora stava cusì… inimixi: cf. Meditaciones vite Christi, cap. LXXVIII, rr. 94–98: Christus in cruce «dixit septem verba, que scripta reperiuntur in Evangeliis. Primum fuit in ipso crucifixionis actu, cum oravit pro suis crucifixoribus dicens Patri: Patre, ignosce illis, quia nesciunt quid faciunt. Quod verbum magne paciencie magni amoris et indicibilis benignitatis fuit». Ma la coincidenza con la Passione Mai, f. 16r, denuncia l’esistenza di una fonte comune diversa dalle Meditaciones: «Quamvisdio che lo dolor era cusì grevissimo, anpo’ miser Iesù Cristo sì como agnelo mansuetissimo no cridava e no blastemava, mai sì pregava per quili che lo crucificava, digando: ‹Pare mio perdonali, ch’ili no sa çò ch’ili faça›. Questa sì fo la prima parola che disse miser Iesù Cristo siando sula croxe, e sì fo parola de gran caritade, quando elo pregava per quili che lo alçideva, et in questo se dà exemplo ali cristiani, che illi debia orare et impregare no solame[n]tre per li amisi, mai eciandio per li inimisi». 148 ki era de legnio d’oriva: da connettere con la descrizione di Petrus Comestor, Historia scholastica, 1630: «Dicuntur autem in cruce Domini fuisse quatuor ligna diversa, et forte in totidem diversis generibus: lignum erectum, transversum, tabula superposita, truncus quidam, cui infixa erat crux, qui in rupe defossus fuit. Invenitur enim lignum Dominicae crucis, et palmae et cupressi, et ut quidam tradunt, olivae et cedri» e il capitolo De inventione sancte crucis di Iacopo da Varazze, Legenda aurea, vol. 1, 517: «In ipsa autem crux Christi quatuor generum lignorum fuisse perhibetur, scilicet palme, cypressi, olive et cedri». Ma la fonte diretta è un’altra, in comune con la Passione Mai, f. 16v: «Or stava miser Iesù Cristo sula croxe e non aveva lò podesse reclinar lo suo cavo, perché la croxe de miser Iesù Cristo fo solamente de tri ligni», uno di cedro, uno di cipresso e uno di palma. «Unde Pilato inpo’ che miser Iesù Cristo fo metudo sula croxe sì fé tor una tavola de legno de oliva e sì la fé meter de dredo dal cavo de miser Iesù Cristo, sì ch’elo reponeva tal fiada lo so cavo su quela tavola». Cedro, cipresso e palma sono citati anche
3.2 Passione Trivulziana
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titulo fo me |26v|tudo in zima dela croxe de Criste, e tuti quilli ki savevano de letre sì podevano leze quel titulo. Illora li principi deli sacerdoti, vezando questo titulo, sì andón a Pillato e sì ge disseno: «Tu no é ben scrito, ke tu dixi k’el è re deli Zudé», quax diga: «Questo è a nu grande desnor»,149 «anze devivi tu scrive k’el dixeva k’el era re deli Zudé». Respoxe Pillato: «Zò ki ò scrigio sia scrigio» [154: Io 19,19–22]. (155) Lo re per la croxe no perdè lo so imperio, ma sì ge fo confirmado, voiano on no voiano li Zudé.150 E questo titulo dixeva cusì: «Hic est Yhesus nazarenus res Iudeorum». Oii titulo glorioxo lo qual dè a intende a tute zente cusì: «Questo, ke tu vy pende in questa croxe, sì è Deo creatore, Yesù salvatore e fiore de Nazaret, re deli Zudé da parte de soa madre, re deli angeli da parte de so Padre celestial, re deli cristian imperò ke li à conquistadi con lo so prezioxo sangue, re de tute le creature imperò ke li à tute creade; unde questo sì fo molto glorioxo».151 (156) Quando Criste fo crucificado, li cavaleri de Pillato toién le vestimente de Criste e partìn l’una in quatro parte, sì com quatro erano li cavaleri,152 e sovra l’altra butàn le sorte, perzò k’ela no aveva nesuna cuxadura et era molto bela vestimenta. Illi la vosen partire, mo quando illi viteno k’el’era cusì bella, sì fo un de loro ki disse: «No partimo questa vestimenta nì la rompemo, anze sì fazemo per sorte de chi ella debia essere», et in zò sé fo compiido lo digio del profeta ke dixe in persona de Criste: «Illi àn partida la mia vestimenta e sovra la mia vestimenta sì àn butade le sorte». E questo fen li cavaleri de Pillato [156: Io 19,23– 24].
nelle Passioni Beriane prima, f. 44va–b, e seconda (Guarnerio 1893, 371), dove manca però l’accenno alla scritta «INRI» sulla tavoletta di legno d’olivo. 149 quax diga: «Questo è a nu grande desnor»: cf. Nicolaus de Lyra, Postilla, Io 19,21: dicebant ergo Pilato pontifices Iudaeorum noli scribere rex Iudaeorum «quia videbant quod talis modus scribendi redundabit in verecundiam eorum». 150 Lo re… Zudé: cf. Glossa ordinaria, Mt 27,37: «Rex per crucem non perdidit sed confirmavit imperium, velint nolint Iudaei». 151 E questo titulo… glorioxo: cf. la Passione Mai, ff. 16v–17r: «E sì diseva cusì questo titulo: ‹Hic est Iesus Naçarenus rex Iudeorum›. O titulo glorioso che das a tuta çente ad intender cusì: ‹Questo che tu vidis pendere su questa croxe sì è Dio creator. Elo è Iesù çò è salvador de tute le creature; naçareno çò è flor e gloria del Paradiso; re deli Çudei da parte dela soa mare; re deli agnoli da parte delo so pare celestiale; re deli cristiani perch’elo li à conquistadi cum lo so proprio sangue; re de tute le creature perch’elo le à tute creade, unde questo fo titulo glorioso›». In forza della lezione della Passione Mai («O titulo glorioso») si esclude che l’oii della Passione Trivulziana, invece che come interiezione, vada inteso come oiì, impt. 5a pers. da AUDITE ; lo stesso varrà per l’occorrenza al paragrafo 167. 152 sì com quatro erano li cavaleri: cf. Glossa ordinaria, Mc 15,24: «Quadripertita vestis Christi secundum numerum militum significat ecclesiam quattuor partibus orbis aequaliter id est concorditer distibuitam».
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(157) Stagando lo nostro Segnor sur la croxe, quilli ki passaveno da inlò via sì
lo biastemaveno scrolando la testa soa e dexevano: «Va’ tu ki di |27r|xivi ke tu destruerise lo templo de Deo et in tri dì l’isse retificà, mo se tu é fiolo salva ti e nu e descende zò dela croxe». Someiantemente li principi deli sacerdoti e li scribi e li farixé e li antixi sì lo befavano digando: «Criste salva li altri, ma ello no pò sì salvare: s’ell’è re deli Zudé sì desenda zò de là e crederamo in lu. S’el à cusì grande fiduxia in Deo, sì ’l dè liberare s’el vore, k’el dixeva k’el era fiolo de Deo» [157: Mt 27,39–43; Lc 23,39]. (158) Se Criste per lo so digio fosse desendù zò dela croxe la vertù dela patientia no serave adovrada. Inganevre promission era la soa, ke maior cossa fo quando ello levò dela sepoltura e no gel criteno: nianche doncha s’el fosse desendù zò dela croxe illi no gel avraveno creto, ma tuto zò ge inspiraveno li diavoli pertanto ke Criste no recevesse morte, azò ke illi no perdeseno la posanza ke illi avevano sovra l’umana generation.153 (159) No solamente li Zudé iniuriaveno lo nostro Segnore, ma etiamdé quelo ladro ki era crucificado dala senestra parte de Criste, zò era Gestas, sì ge dixeva iniurie digando: «Se tu é fiolo de Deo salva ti e nu». E l’altro ki era dalo lado drigio sì lo reprendeva digando: «Tu no temi Deo ki é in questa cusì grande dampnation? Nu degnamente sustenemo pena per le male ovre ke nu avemo fagie, ma questo no fè may peccado in alcun tempo». E illora quelo ladro ki era dala drigia parte de Criste, zò era Dismas, se volse inverso de Criste al meyo k’el podeva154 e disse: «Ay, Segnor, abii merzé de mi peccator quando tu seré in lo regno». E Criste sì ge respoxe e disse: «In verità te digo ke tu seré anche ancoy con mego in paradixo» 155 [159: Lc 23,39–43]. (160) Questa fo la segunda parola ki disse Criste sur la croxe, e fo parola de |27v| grande pietà e de grande misericordia e de grande speranza ali peccaturi, imperò ke quelo k’era sempre stado ladro e per le male ovre k’el aveva fagio era crucificado, e per una parola de contrition k’el disse sé fo salvo, e zò fo quando Criste ge disse: «Tu seré ancoy in paradixo con mego». (161) Ma questo no pare ke fosse verità, imperò ke ’l ladro nì nesun altro no intrà in paradixo inanze ka Criste; nianche Criste no ge intrà tro ki no ven al dì dela asension. Com diss’elo 153 ma tuto zò… generation: cf. Glossa ordinaria, Mt 27,40 e 42: «Si filius Dei es: si insultantibus cedens descenderet de cruce virtutem patientiae non demonstraret. Et credimus ei: fraudolenta promissio. Maius facit surgens de sepulcro et non creditis; si ergo de cruce descenderet non crederetis. Sed hoc daemones immiserunt: statim enim senserunt virtutem crucis et suas vires fractas, et hoc agunt ut de cruce descendat». 154 al meyo k’el podeva: la medesima precisazione nella Passione Mai, f. 17v: «se volçeva a miser Iesù Cristo sì como elo podeva». 155 No solamente… paradixo: per i nomi dei due ladroni, citati già al §146, cf. Evangelium Nicodemi, 340–341: «Similiter et duos latrones suspenderunt cum eo, Dismam a dextris et Gestam a sinistris. Unus autem de suspensis latronibus nomine Gestas dixit ei Si tu es Christus, libera te ipsum et nos. Respondens autem Dismas conturbavit eum».
3.2 Passione Trivulziana
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doncha: «Tu seré ancoy con mego in paradixo»? Vedì segnuri: meser sancto Ambroxo sì dixe ke inlò unde è Criste, inlò sì è paradixo, e Criste sì fo in quelo dì con lo ladro indel limbo, doncha sì fo in quelo dì lo ladro in paradixo com Criste.156 (162) Ora stava apresso ala croxe la madre de Criste e le soe serore Maria Cleophe et Maria Salomè et Maria Macdalena e lo discipulo ki era amado da Criste, zò era sancto Iohane evangelista. Mo poris tu dire: «Perquè no piavano li Zudé meser san Iohane?». Questa sì fo la caxon, ke depoy ke illi aveno fagio zò ke illi vorevano de Criste, illi curaveno pocho deli soy discipuli, et altersì perkè meser san Iohane era de pocho tempo e de pocha prosperità [162: Mc 15,40; Io 19,25]. (163) Ancora è verità ke li evangelisti no parlano del dolor dela vergene Maria nì de so piuro, imperò k’el serave superfluità, inperò ke cadauno pò ben savere s’el fo may madre nesuna doloroxa sì [com] fo la vergene Maria. E sì fo doloroxa sovra tute le doloroxe madran per tre caxon: la prima sì fo perkè la soa anima era più amoroxa, k’el no fo may madre ke tanto amasse un so fiolo com fè la vergene Maria, e tanto com più la persona ama la cossa quando e’ la posede, de tanto el è più dolore quando el la |28r| perde. (164) La segunda raxon sì fo perzò ke ’l so fiolo fo più glorioxo e più nobile ka fiolo ke may fosse, e vu savì ben k’a’ l’è natural cossa ke la persona sì è più grama quando ella perde una cossa nobile ke s’ela perdesse una cossa vile e de pizeno prexio, e perzò ke ’l so fiolo fo più glorioxo e più nobile ke fosse may in questo mondo, imperò no fo may core sì doloroxo com fo lo core dela vergene Maria in la passion del so fiolo. (165) La terza raxon sì fo k’el no fo may creatura ke tante
156 Questa fo la segunda parola… Criste: l’osservazione di Ambrogio, tratta dal libro decimo della sua esposizione del Vangelo secondo Luca (Patrologia Latina, vol. 15, col. 1927), è ripresa (senza citare la fonte) nella Glossa ordinaria, Lc 23,43, in interlinea: «vita est esse cum Christo, quia ubi Christus ibi regnum»; cf. anche Nicolaus de Lyra, Postilla, Lc 23,43: «Non accipitur hic Paradisus pro hortu voluptatis nec pro celo empyreo, sed pro fruitione beata quam habuerunt Sancti Patres in morte Christi qui erant in Limbo detenti statim cum eius anima descendit ad eos; et eadem die illuc descendit anima illius latronis facta princeps beate fruitionis». Ma qui si attinge a un altro testo ancora, comune alla Passione Mai, ff. 17v–18r: «Questa sì fo la segonda parola che disse miser Iesù Cristo stando sula croxe, e sì fo parola de grande pietade e de gran misericordia, che quelo ch’era stado senpre rio homo, e per li mali ch’elo aveva fati sì era crucificado, ad una parola ch’el disse fo salvado, quando miser Iesù Cristo li disse: ‹Tu serà’ ancoi in Paradiso cum mi›. Mo questo no par che fosse veritade, perçò che lo laron né nesun altro no intrà in Paradiso avanti miser Iesù Cristo, e miser Iesù Cristo no nde intrà senoma in lo die dela ascensione. Como doncha li diss’elo: ‹Tu seras ancoi cum mi in Paradiso›? Vedì signori, elo li disse ben veritade. Santo Ambroxo dise che lò che sia miser Iesù Cristo, iveloga sì è Paradiso, e miser Iesù Cristo sì fo in quelo dì in lo Limbo insembre cum lo laron, doncha sì fo lo laron in quelo dì in Paradiso cum elo. […] E fo questa una parola che dé dar gran sperança ali pecatori»; si veda anche Petrus Comestor, Historia scholastica, 1631.
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passion sustenisse nì tanti dolori com susten meser Yesù Criste, e tute le pene k’el susteniva in lo so corpo la vergene Maria le susteniva in la soa anima, sì com g’aveva profetado santo Simeon al templo, e zò fo quando ello ge disse: «Questo to fiolo te serà un gladio ki te passarà l’anima toa». E imperò ke li evangelisti no fane nesuna mention del piuro del[a] nostra dona niãche eyo no ’l farò [165: Lc 157 2,35]. (166) Ora dixe ke vezando Criste k’el se aprosima la soa morte, el guardà êl vite la soa madre e lo discipulo k’el aveva ki ge stevano denanze, sì avrì la soa bocha e disse ala soa madre: «Femina inlò sì è lo to fiolo»; no la vosse apelar «madre» in quela fiada azò k’el no comovesse lo cor so più a tristeza.158 E possa disse al disscipulo: «Inlò sì è la toa madre». Questa fo la terza parola ki disse Criste sur la croxe, e fo parola de compasion quanto ala madre, e fo parola de grande amor quanto al discipulo. Tanto vosse dire Criste: «Imperò ke la morte doloroxa me parte da ti, almen e’ voyo ke tu abii un consolador e voyo ke questo me discipulo e me dilecto sì sia to fiolo in me logo». (167) Oii quen cambio doloroxo! La vergene Maria cambiò quelo ki era |28v| fiolo legiptimo per quelo ki
157 Mo poris tu dire… farò: cf. la Passione Mai, f. 18v: «Perqué no piiava li Çudei miser san Çuane? Questa sì è la raxone, che dapoi ch’ili Çudei aveva fato quelo ch’ili voleva de miser Iesù Cristo, illi no curava molto deli soi disipoli, et altersì perché illi credeva ch’ili manchasse tosto e perché miser san Çane era de poco tempo e de piçola prosperitade. Mo è vero che li vagnelisti no tocha delo dolor e dele lagreme dela virgine Maria, perch’elo serave soperclo, mo çaschadun pò ben credere e savere che s’el fo may alguna mare dolorosa sì fo la virgine Maria. E sì fo dolorosa sovra tute le altre mare per tre rasone: la prima perçò che la soa anima era plù amorosa ch’el no fo may alguna mare lo so fiolo, e lò ch’è maior amore iveloga è maior dolore. La segonda rason sì fo perché lo so fiiolo sì fo plù glorioso e plù nobele, e vu savì bene ch’el è natural cosa che la persona è plù grama quando ela perde una cosa gloriosa e preciosa cha s’ela perdesse una cosa vile e de poco valore, e perché lo so fiiolo fo plù glorioso che fosse may a questo mondo, inperçò no fo may core plù doloroso como fo quelo dela virgine Maria in la passion delo suo fiiolo. La terça rason sì fo perch’el no fo may creatura che cotanti dolori e cotante greve passion sostegnisse como sostene miser Iesù Cristo, e tute le pene ch’elo sostegniva in lo so corpo la virgine Maria le sostegniva in lo suo core, sì como disse miser san Symeon profeta: ‹Lo gladio delo so dolor trapasserà lo to core e la toa anima›». La Passione Mai prosegue con il lungo lamento della vergine rivolta alle donne, ai Giudei, al figlio e alla croce (19r–v), omesso dalla Passione Trivulziana: ma si noti che la specificazione «E imperò ke li evangelisti no fane nesuna mention del piuro del[a] nostra dona niãche eyo no ’l farò» denuncia l’omissione di un passo presente al redattore. 158 no la vosse… tristeza: cf. Nicolaus de Lyra, Postilla, Io 19,26: «Nota quod loquens matri sue de cruce, non dixit ei mater sed mulier, vocans eam communi nomine ne teneritudine nominis materni si exprimeretur aggravaretur animus virginis videntis passionem filij»; simile l’osservazione delle Meditaciones vite Christi, cap. LXXVIII, rr. 100–101: «Non vocavit eam matrem, ne pre amoris vehementis teneritudine amplius doleret» (ma nelle Meditaciones questa è la seconda parola di Cristo in croce, mentre l’apostrofe al ladrone è la terza).
3.2 Passione Trivulziana
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era fiolo adoptivo, quelo ki era magistro per quelo ki era discipulo, quelo ki era fiolo de Deo per quelo ki era fiolo de Zebedeo: questo cambio no fo ben inguà.159 E permodezò la vergen Maria de quela hora inanze recevè san Iohane per so fiolo, e san Iohane recevè la vergene Maria per soa madre [166–167: Io 19,26–27]. (168) Et illora lo sole se comenzò a oscurare e fo tenebria sovra tuta la terra dal’ora de sesta perfin all’ora de nona, a demostrare ke ’l sole de iustixia, zò è Criste, sì moriva,160 e cercho al’ora de nona, sapiando Criste ke omia cossa era consumada, azò k’el fosse compiido la scriptura sì disse: «Ey’ò sede». Questa fo la quarta parola ke disse Criste sur la croxe [168: Mt 27,45; Mc 15,33; Lc 23,44; Io 19,28]. (169) Perquè disse Criste k’el aveva sede? Questo sì fo per tre raxon: la prima sì fo naturalle, ke naturalmente el aveva sede, k’a’ l’è natural cossa: quando le persone moreno, per li moviminti deli spiriti del corpo e per la grande arsura illi àn sede e domandan da beve. L’altra raxon sì fo spiritual, a demostrare ke tuto zò k’el susteniva el lo susteniva per sede, zò è per desiderio dela humana salvation. (170) La terza raxon per que ello domandò da beve sì fo azò k’el sustenisse pena in la bocha et in la lengua et in lo gusto, sì com in tuti li altri sentimenti et in tute le altre menbre del corpo, imperò k’el non era alcun menbro nì alcuno sentimento del corpo in lo qual el no avesse sustenudo grevissima passion: la soa testa fo incoronada de spine, li soy [ogi] fon imbinday, le soe oregie fon piene de iniurie e de desnó, lo so naxo fo pieno de puza quando el fo al monte Calvario, le so mane e li soy pey fon crucificadi e aflicto sur lo leg |29r|nio dela croxe e tuto lo so corpo fo flagelado, e non era remaxo se no la bocha e la lengua e lo gusto ki no fosse flagelado.161 (171) Et imperzò meser Yesù Criste, cognoscando ke illi ge 159 Oii quen cambio doloroxo!… inguà: il tema del cambio svantaggioso è anche nelle Passioni Beriane prima, f. 45rb, in un’apostrofe alla vergine: «O reyna dello cel e de la terra, mayre de lo re de li angeli, che camgio fo questo che tu feysti! Per lo maystro della sapiencia sì te remaxe lo discipulo, per lo figlor de Dee sì te remaxe lo figlo de Zebedey» e seconda (Guarnerio 1893, 374). 160 Et illora… sì moriva: cf. la Passione Mai, f. 21v, dove però il passo segue la sesta parola di Cristo in croce, Consummatum est: «Dita questa parola, poco avanti la nona el vene gran tenebre e grande oscuritade, lo sole se oscurì per tuto lo mondo, a mostrar che lo sole de iusticia, çò è miser Iesù Cristo, sì moriva». 161 La terza raxon… flagelado: la trattazione del tema si può accostare a quella del cap. 51 (De passione Domini) di Iacopo da Varazze, Legenda aurea, vol. 1, 384–401: 384–388: «Dolor autem causabatur ex quinque. […] Quinto ex eo quod fuit universalis, quia per omnes partes et omnes sensus. Primo enim fuit hic dolor in oculis quia lacrimatus est […]. Secundo fuit in auditu, cum ei scilicet obpropria et blasphemie irrogate sunt. […] Tertio fuit in odoratu, quia magnum fetorem in monte Calvarie ubi erant corpora fetida mortuorum. […] Quarto fuit in gusto, unde cum clamaret: ‹Sitio›, dederunt ei acetum cum mirra et felle mixtum […]. Quinto fuit in tactu, quia in omnibus partibus corporis, a planta enim pedis usque ad verticem, non fuit in eo sanitas. De hoc, qualiter in omnibus sensibus dolorem habuit, dicit Bernardus: ‹Caput angelicis tremebundum spiritibus
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daraveno amara bevanda, el domandò da beve azò ke [la] lengua e ’l gusto e la bocha sustenisseno pena e passion sì com li altri sentiminti del corpo. Quando li Zudé oỳno ke Criste domandò da beve, sì corsse un de loro e pià una sponga e bagniàla in un vaselo ki era metudo illò al pè dela croxe, et era pien de fere e d’axé, e metèlo in cima d’una cana per sporze ala bocha de Criste [171: Mt 27,34 e 48; Mc 15,36; Io 19,29]. (172) Aparegiando loro questa bevanda, inanze ke illi gela desseno beve, meser Yesù Criste butò una grande voxe digando: «Hely, Hely, lamà sabactani?», ke tanto è a dire com: «Deo meo, Deo meo, perquè m’é tu abandonà?». Questa fo la quinta parola ki disse Criste sur la croxe, e fo parola de grande dolore k’el sentiva, e perzò el cridò fortissimamente [172: Mt 27,46; Mc 15,34]. (173) In quanto el sentiva lo dolore, el mostrà k’el era veraxe homo; in quanto el cridava fortemente contra natura deli altri homini, li que apena pon tirar lo fiado a sì quando illi moreno, sì mostrà k’el era veraxe Deo.162 Mo s’el era veraxe Deo, com era-’lo doncha abandonà da Deo?163 Vedì segnuri, el era abandonada la
densitate spinarum pungitur, […] oculi lucidiores sole caligantur in morte, aures que audiunt angelicos cantus audiunt peccatorum insultus, os quod docet angelos felle et aceto potatur, pedes quorum scabellum adoratur quoniam sanctum est cruci clavo affiguntur, manus que formaverunt celos sunt in cruce extense et clavis affixe, corpus verberatur, latus lancea perforatur. Et quid plura? Non remansit in eo nisi lingua ut pro peccatoribus exoraret et matrem discipulo commendaret›». 162 in quanto el cridava… Deo: cf., un po’ alla lontana, le Meditaciones vite Christi, cap. LXXVIII, rr. 131–134: «Ad hunc clamorem conversus fuit centurio qui ibi erat, et dixit: Vere Filius Dei erat iste, audiens quod clamans expirasset: nam alii homines, cum moriuntur, clamare non possunt: et ideo in eum credidit». 163 Questa fo la quarta parola… da Deo?: cf. Passione Mai, ff. 20r–21r: «Questa sì fo la quarta parola che disse miser Iesù Cristo sula croxe. Quando elo disse ‹Sitio› el fo a dire ch’elo aveva sede, e sì disse miser Iesù Cristo per tre rason ch’elo aveva sede. La prima fo natural, che verasiamente elo aveva sede, che naturalmente, quando la persona more, per lo movimento de tuti li spiriti del corpo e per la grande anxietade illi à sede e demanda bever. L’altra rason fo spiritual, a mostrar che tuto çò ch’elo sostigniva, elo lo sostegniva per sede, çò è per desiderio dela salvacion dela humana generacione; inperçò elo disse ‹Sitio›, çò è ‹Eo desiro la humana salvacione›. La terça rason sì fo açò ch’elo sostegnisse pena in la lengua et in lo gosto sì como in tuti li altri sensi et in tute le altre menbre, perch’el non era algun menbro né algun senso del corpo so in lo qual miser Iesù Cristo no sostegnisse amarissima pasione: lo so cavo fo incoronado e ponto de spine, li soi ogli fo abindadi, le soe oregle fo plene de desenore e de oprobrii, le soe galte fo feride, lo so naso fo pleno de puça quanto alo logo de Calvario, le se mane e li soi pei fo incloldadi sulo legno dela croxe e tuto lo so corpo fo flagellado, e non era romaso senoma la lengua e la bocha e lo gosto che no fosse flagellado. Inperçò miser Iesù Cristo, cognossando che li Çudei li deveva dare amara bevranda, elo dimandà da bevere, açò che la lengua e la bocha e lo gosto sostegnisse pena sì como tuti li altri membri e li altri sensi delo so corpo. Quando li Çudei aldì che miser Iesù Cristo demandà da bever, illi tolse axedo destenperado cun mira e cun fel e
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humana natura e no la divinità. Criste era Deo e homo: in quanto el era homo, el sustene più passion ke no sustene may nesuna creatura vivente, sì ke per la passion k’el susteniva el pariva quax esse abandonado da Deo quanto al’aparientia de fora.164 (174) Sì com lo fiolo d’un possente ke sustenisse grande pena, e ’l padre lo podesse liberare e no lo liberasse, sì dirave: «Lo |29v| padre me sì m’à abandonà», cusì fo de Criste: ello susteniva grande passion in quanto homo, e Deo Padre lo podeva ben liberare de quelle pene s’el avesse voyudo, ma no vosse; ma vosse k’el sustenisse azò k’el satisfesse per lo peccado del populo, ch’el no fo may persona ki sustenisse passion per amor de Deo k’el no recevesse molte consolation in la soa passion; (175) ma Criste quanto ala soa passion no vosse receve nesuna consolation, azò ke la soa passion fosse più greve e più sufitiente a satisfare a Deo per lo peccado del populo. Doncha in quanto el dixe: «Deo meo, perquè m’é tu abandonà?», ello no se lumentò de Deo, ma mostrà in zò ke le soe passion erano gravissime, per le que ello pariva esse abandonà. (176) Quando li cavaleri de Pillato oiìno ke Criste cridava «Hely, Hely», illi criteno k’el giamasse Helia, perzò ke illi no intendevano ben quela lengua. In quela fiada uno de loro drizò la cana su, per sporzela alla bocha de Criste, et uno altro disse: «Aspegia, no oii tu ke giama Helia? Mo vederemo se Helia venierà a liberarlo e a torlo zò dela croxe». Vezando loro ke Helia no venia, in quela fiada illi ge sporzén ala bocha fere e axé destemperado con mirra amarissima. Quando Criste de quella poxon un pocho ave asazado, no vosse più beve, ma disse illora: «Ell’è compiido e consumado». Questa fo la sesta parola ki disse Criste sur la croxe [176: Mt 27,34 e 47–49; Mc 15,23 e 35–36; Io 19,30]. (177) Questa parola se pò intende in tre manere: la prima, «Ell’è consumado», zò fo a dire: «Ell’è compiida la salvation dela humana generation per la mia
tolse una sponça e rimplìla de questa bevranda e ligàla de cavo d’una cana per sporçer bever alo fiiol de Dio. Aprestando illi questa beveranda, avanti ch’ili li desse bever miser Iesù Cristo trasse una gran voxe digando: ‹Hely, Hely, lechma çabatani›. Questa sì fo la quinta parola che disse miser Iesù Cristo sula croxe, e sì fo parola de gran dolore, perché aproximando miser Iesù Cristo ala morte, per lo grande dolor ch’el sentì elo cridà fortissimamente. E perçò in quanto elo sentì lo dolor, el mostrà ben ch’elo era verasio homo; et in quanto ch’elo cridà contra natura deli altri homini che more, li qual apena pò trar a sì lo flado, elo mostrà ben ch’elo era verasio Dio. Tu poravis dire: ‹Mo s’elo era verasio Dio, perqué doncha disev’elo: ‘Hely, Hely, lechma çabatani’, che fo a dire: ‘Dio, Dio mio, perqué m’às tu abandonado?’? Como er’elo abandonado da Dio, s’elo era verasio Dio?›». 164 Vedì segnuri… de fora: cf. Glossa ordinaria, Mt 27,46, in interlinea: «Humana natura erat derelicta, sed non Dei filius». Un passaggio parallelo nella Passione veronese: «E no devì entendro che Deo abandonaso mai el fiiolo, ma la natura la quala aveva recevù el fiiol de Deo e de madona santa Maria, quella fo abandonà per lo peccà el qualo aveva fato el primer homo, çoè Adam» (Pellegrini 2012a, 51).
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morte». La segunda, «Ell’è consumado», zò fo a dire: «Ell’è |30r| compiido tuto zò ki àn digio li profeti dela mia natività, dela mia vita e dela mia morte». La terza, «Ell’è consumado», quax diga: «E’ ò sustenudo cotante penne cusì grevissime e sì doloroxe ke la mia vita è fenida, e la malit[i]a deli mey inimixi è consumada».165 (178) Digia questa parola in l’ora de nona Criste butà un’altra voxe e disse: «Padre me, in le toe mane recomando lo spirito meo». Questa fo la setena parola ki disse Criste sur la croxe, e fo parola de grande devotion e de grande amaistramento, a mostrar ke in tempo de tribulation, e massimamente in l’ora dela morte, nu se devemo recomandare in le mane de Deo.166 Digia questa parola Criste inclinà la testa e rendè lo spirito [178: Lc 23,46]. (179) Incontanente lo vello del templo se fendè dala cima perfin ala parte de soto, e la terra comenzò a tremar, e lle prede se rompevano, e li morimenti se avrivano, e multi corpi de sancti ki dormivano sé resusitàn e veneno in la sancta 165 Vedì segnuri… consumada: cf. il parallelo della Passione Mai, f. 21r–v: «Vedì signori, miser Iesù Cristo venne in questo mondo a satisfare a Dio per li nostri pecadi, e perçò elo volse sostegnir tanto che fosse sufficiente a satisfare. Unde no fo may persona che tanto sostegnisse passion per l’amor de Dio che no recevesse molte confortacion da Dio intro le soe passione, mo miser Iesù Cristo quanto ala humanitade no volse recever alguna confortacion dala soa divinitade intro la soa passione, açò che la soa passione fosse plù gravosa e plù suficiente a satisfare a Dio. E quando elo disse ‹Dio, Dio mio, perqué m’as tu abandonado?›, elo no se laymentà de Dio, may elo mostrà in çò che le soe passion era meraveiose e grevissime, per le qual pareva che elo fosse abandonado. Quando li cavaleri aldì che elo diseva ‹Hely, Hely›, illi crete ch’el clamasse Helya, perch’ili non intendeva ben la lengua. In quela fiada l’uno de quili dreçà su la canna per dàli bevere cum la sponça, e li Çudei disse: ‹Aspeta, no aldis tu ch’el clama Helya? Mo vederemo nui se Hely li vegnirà a darli bever et a torlo çó dela croxe›. Vegando illi che Helya no vegniva, in quela fiada illi li sporse la sponça ala bocha. A quela bocha dela qual insì mel e late, li Çudei crudelissimi li dè fel et axedo destenperado cum mira amarissima. Quando lo Signor ave gustado un poco de questa bevranda, elo disse: Consummatum est, çò fo a dire: ‹Elo è consumado›. Questa sì fo la sexta parola che disse miser Iesù Cristo sula croxe. Questa parola se pò intendere in tre maynere. La una cusì: Consummatum est, çò è a dire: ‹Elo è complido tuto quelo che disse li profeti e le Scriture de mi, sì dela mia nativitade, sì dela mia vita, sì dela mia morte›. L’altra cusì: Consummatum est, çò è a dire: ‹Elo è complida la salvacion dela humana generacione per la mia morte›. La terça cusì: Consummatum est, quasi a dire: ‹Eo ai sostegnudo tante pene e sì grevissime e dolorose che la vita mia sì è consumada e finida›». Per le prime due maniere di intendere consummatum est cf. Nicolaus de Lyra, Postilla, Io 19,30: «Dixit consummatum est, scilicet quicquid erat scriptum de me, vel aliter consummatum est opus redemptionis humane»; nella Passione veronese, si trova solo il riferimento alle Scritture, incorporato nella narrazione: «et ello disso: ‹El è consumà tute le scriture le quale è profetiçè de mi›» (Pellegrini 2012a, 53). 166 Digia questa parola… de Deo: cf. Passione Mai, ff. 21v–22r: «In la ora de nona clamà miser Iesù Cristo cum gran voxe e disse: In manus tuas Domine commendo spiritum meum. Questa sì fo la septima parola che disse miser Iesù Cristo sula croxe, e sì fo parola de grandissima devocione e de grande nostro amaistramento, a mostrar che in lo tempo dele tribulacione e maximamente in la ora dela morte nuy se debiemo meter e recomandare in le man de Dio».
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città e se demostràn a molta zente. Illora Centurion e quili ki erano con sego alla guarda de Criste, vezando lo terremoto e quelle cosse ki erano fagie, sì aveno grande pagura e disseno: «Veraxe fiolo de Deo era questo». (180) E tornaveno in Yerusalem pianzando e ferindesso delle pugnie per lo pegio del peccado k’eli avevano fagio,167 ma no se ossavano demostrare per tema deli farixey. Ora romaxe lo corpo de Criste sur la croxe, ke nesuna persona era con sego se no la soa madre madona santa Maria e lle soe serore e lla Madelena et alguante altre done e san Iohane evangelista: quisti romaxeno al sepolcro et al |30v| servixio del corpo santissimo de meser Yesù Criste [179–180: Mt 27,51–56; Mc 15,40–41; Lc 23,48–49; 168 Io 19,25]. (181) Possa k’el se prosimava la festa dela Pasca, azò ke li corpi no remaniseno in croxe, sì ven li Zudé a Pillato e sì lo pregàno k’el comandasse k’el fisse rote le gambe a quili ki erano romaxe in croxe, e ke el li fesse tò zò dela croxe, perzò k’el era honore dela festa deli Zudé, ke quela era la soa grande festa.169 Illora Pillato sì fè zò ke illi vorevano, e comandò ali soy cavaleri ke illi andasseno a rompe le gambe a quilli ki erano romaxe in croxe azò ke illi morisseno, e quili andón e rompén le gambe a quili du ladron ki erano crucificadi con Criste, e quando illi fon a Criste per far lo someliante, sì trovón k’el era zà morto e no ge vosseno rompe le gambe, e in zò fo compiido zò ki dixe la scriptura: «Vu no rompirì osso de quelo». (182) Ma un cavaler, lo qual aveva nome Longino et era zà vegio e aveva perdudo la veduda per una grande malatia k’el aveva abiudo, sì disse ali altri cavaleri: «Metìmi la lanza per mezo lo costado de questo homo, et eyo savrò incontanente s’el serà morto», et illi gela mixeno, e quando Longino ave la ponta dela lanza per mezo lo costado de Criste, et ello la inspenzè oltra per grande forsa segundo tuto so poè, e passà la poncta dela lanza oltra per mezo lo core de Criste, e ge fè una grande apertura sì k’el ge avrite lo core in doe parte, e incontanente ne
167 ferindesso delle pugnie per lo pegio del peccado k’eli avevano fagio: ‘colpendosi con i pugni sul petto in ragione del peccato che avevano commesso’. 168 E tornaveno… Criste: cf. Passione Mai, f. 22r: «E tut [i.e. i Giudei e i soldati di Pilato] tornà in Ierusalem dagandose per li peti de quelo pecado ch’ili aveva fato, may no olsava mostrar dolor per paura deli farisei. Mo romase lo corpo santissimo sula croxe solo, sì che nesuna persona no era cum elo, senoma la soa mare la Virgine Maria e le seror dela Virgine e la Madalena cum alquante altre donne e san Çane vagnelista. Quisti sì romase alo obsequio et alo servisio delo corpo santissimo de miser Iesù Cristo». Per la parte finale cf. Glossa ordinaria, Mc 15,47: «Lucas dicit quia astabant omnes noti eius a longe et mulieres quae secutae fuerant eum, sed alijs deposito corpore eius ad sua remeantibus solae mulieres quae artius amabant funus subsecutae quomodo poneretur inspicere curabant, ut ei congruo tempore munus devotionis offerrent». 169 perzò k’el era honore… festa: cf. Nicolaus de Lyra, Postilla, Io 19,31: «Erat enim hoc indecens in tanta solemnitate».
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insite sangue et aygua, e quelo ki vite zò sì rende testimonio de questo, e veraxe sì è lo testimonio so [181–182: Io 19,31–35]. (183) In questa piaga sì fo tre cosse: la prima sì è k’el insite fora sangue puro, la qual cossa no fo segundo natura, che naturalmente, quando 1’o |31r|mo è morto, lo sangue se soprende per lo corpo e no deccorre per le vene, unde questa sì fo cossa mareveioxa, in la qual cossa se mostra ke questo crucifixo sì era veraxe Deo. [***] La terza cossa ki fo in la piaga sì è k’el no insite solamente sangue, ma etiamdé aygua, a demostrare ke la passion de Criste sì è quela ki ne lava da tuti li peccay.170 (184) Quelo colpo fè Longino dalo drigio lado de Criste, e quando el ave fagio, lo sangue decorse zò per l’asta dela lanza, e alcuna cossa de quel sangue intrò in li ogii de Longino, et incontanente el fo aluminado e vite giayramente, sì com pò vedere alcun homo, e vezando zò sì se convertì a Criste, e fo po’ santo e recevè morte per amor de Criste,171 e tute queste cosse fon fagie azò ke le scripture se compiisseno, etiamdé quella ki dixe: «El verà ancora tempo ke illi vederan quello ke illi àn ferido» [184: Io 19,36–37]. (185) Depoxo questo fagio, ad hora de vespero, sì vene Iosepo de Abarimatia, ki [era] dela cità de Galilea, et era un grande nobile homo, et era discipulo de Criste, ma ello se ocultava per tema deli Zudé.172 Questo no aveva consentio ale ovre deli Zudé nì in la morte de Criste, e aveva grande fé e grande speranza in lo regno de Deo. Questo Yosepo andò a Pillato ardiamente e sì ge domandò lo corpo de Criste, e Pillato comandò ke [’l] corpo de Criste fosse donado a Yosepo. (186) Illora vene Yosepo per tore lo corpo de Criste, e menò Nicodemo con sego, e portón mira e aloe quax livre cento, e toyéno lo corpo de Criste e sì l’onzén de quili onguenti segundo k’era ali Zudé a sepelir li corpi, e possa lo fassàn d’un drapo de lino mondo e neto. E aprovo lo logo onde Criste fo crucificado era un orto, e in
170 In questa piaga… li peccay: cf. Passione Mai, f. 22v (che permette di colmare, almeno contenutisticamente, la lacuna della Passione Trivulziana, la cui seconda cosa dovrebbe corrispondere alla prima cosa della Passione Mai): «In quela piaga sì fo tre cose: la una ch’ela fo grande, e perçò disse lo vagnelista ch’elo li avrì lo ladi e no disse ‹elo lo inplagà›, a significare che questa plaga sì fo la porta per la qual tute le divicie del Paradiso è vegnude largamente in questo mondo, per la qual porta scovene tuta la humana generacione intrare in lo regno celestial. La segonda cosa che fo in la plaga fo che de quela insì sangue et aqua, la qual cosa no fo segondo natura, che naturalmente quando l’omo è morto lo sangue s’aprende e no descore, unde questo sì fo miracolo in lo qual se mostrà che questo crucifixo era verasio Dio. La terça cosa che fo in la plaga sì fo quela che ve lavà deli vostri peccadi». 171 Ma un cavaler… Criste: la storia di Longino è in Iacopo da Varazze, Legenda aurea, vol. 1, 354. 172 ma ello se ocultava… Zudé: cf. Glossa ordinaria, Lc 23,50, in interlinea: «et ipse discipulus Ihesu sed occultus, vitans prius inimicicias Iudaeorum, sed in hoc extremo officio minus curat de illis».
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quelo orto era un morimento novo, in lo qual no era an |31v|cora sepelido alcuno homo, e per amore dela festa ki era aprossimada sì lo metén in quelo morimento novo ki era inlò d’aprovo, ki era de Yosepo, e revolzen alla bocha del morimento una grandissima prea, azò k’el no podesse fì averto senza aytorio de pixor persone, e cussì fo lassado lo corpo del nostro Segnor Yesù Criste sepelido in lo morimento novo ki era de Yosepo lo venardì da sira [185–186: Mt 27,57–60; Mc 15,42–43 173 e 46; Lc 23,51–54; Io 20,38–42]. Deo gratias. Amen.
173 Depoxo questo fagio… sira: anche la conclusione trova un parallelo nella Passione Mai, ff. 22v–23r: «Dredo questo in la ora del vespro un çentil homo che nomea Iosep d’Arimathia, lo qual era disipolo de miser Iesù Cristo, mai oculto per paura deli Çudei, sì andà a Pilato e demandàli lo corpo de miser Iesù Cristo, e Pilato lilo donà. Questo Iosep venne e tolse lo corpo de miser Iesù Cristo çó dela croxe, e cum elo fo Nicodemo, quelo che andà la note a favelar cum miser Iesù Cristo, e portà cum sì mesedança de mira e de aloe quasi livre cento, e tolse lo corpo de miser Iesù Cristo e ligàlo cum linçoli e cum faxe e cum unguenti preciosi, sì como era usança deli Çudei a sepelire. In lo logo lò che fo crucificado miser Iesù Cristo sì era un orto, et in questo orto sì era un molimento novo in lo qual no era ancora mai metudo alguno. Ive intro, perché lo molimento era vie da provo, illi meté lo corpo de miser Iesù Cristo».
4 Analisi linguistica Grafia 4.1 Rappresentazione dell’occlusiva velare L’occlusiva velare sorda davanti a vocale palatale è resa con ‹k› davanti a e in ke pron., avv. (solo a 129) e cong. 1, 35, ecc. (449 in t., più 254 casi di k’e-) e perkè 19, 52, 58, ecc. (7 in t., più perk’e- 121); davanti a i in ki pron., avv. e cong. 2, 4, 6, ecc. (187 in t., più un caso di k’io) e in kilò 61, 112, 134.1 Si trova invece ‹ch› davanti a e in anche 35, 44, 63, 159, che 1, 13, 26, 159, crucifiché impt. 5a pers. 131, inschergniido 138, 140, Miché 69, nianche 104, 117, 158, 161, p(re)diche ind. pres. 2a pers. 90, scherniido 129, schernìn 106; davanti a i in chi 37, 156, chilò 23, schiva 71, schivar 65, Sedechia 85 e sichi 41.2 Isolato l’impiego della semplice ‹h› davanti a i nel nome biblico Melhisedeh 29, dove il grafema è adoperato anche in fine di parola; nei due altri nomi scritturali in cui compare un’occlusiva in posizione finale si ha invece ‹ch›: Alchemadach 111 e Ysach 139. Davanti alla vocale a si trova solitamente ‹c›: calziati 2, sacrificare 2, sig(ni)ficava 2, e così via. Talvolta si registra l’uso di ‹ch›: achadun 32, adoncha 35, 82, bocha 106, 139, 166, ecc. (10 in t.), co(n)cha 24, doncha 65, 70, 82, ecc. (15 in t.), hebraicha 154, Lucha 141, ma(n)chame(n)to 59, omincha 121, 136, pocha 162, redifichà inf. 101, Schariot 25, secha agg. 133, secha ind. pres. 3a pers. 40; a parte
1 Nell’analisi grafica e fonomorfologica le abbreviazioni sono sciolte tra parentesi tonde, tranne quando il testo presenta la stessa forma sia con abbreviazioni sia in scrizione estesa univoca. Sempre si tralasciano o si citano a parte i casi in cui una parola intera o le sue lettere rilevanti per l’analisi linguistica risultino dallo scioglimento di un’abbreviazione, da un’integrazione o da un’emendazione. Alle forme segue l’indicazione dei paragrafi in cui compaiono; quando in un paragrafo si registrano due o più occorrenze della stessa parola nella stessa forma, lo si segnala con un numero a pedice, per esempio «volio 112». Per le forme ripetute più di quattro volte si segnalano di solito solo le prime tre occorrenze (più di tre qualora il medesimo paragrafo ne contenga altre oltre la terza) seguite da «ecc.» e, tranne poche eccezioni (per esempio è il caso della congiunzione e), dal numero totale delle attestazioni; qualora sia parso opportuno, si sono indicate partitamente tutte le occorrenze. Quando si rinuncia a elencare tutte le forme pertinenti, l’elenco parziale è chiuso da «e così via». Quando le forme sono elencate in ordine alfabetico, ‹h› conta solo quando segue ‹c› davanti a vocale palatale, ‹k› vale ‹c›, ‹x› vale ‹s› e ‹y› vale ‹i›. 2 In un luogo, che mi pare tuttavia da giudicarsi corrotto, si avrebbe ‹c› davanti a e: [s]c[h]ernido 129. Il sospetto che in Sedechia, dal nome biblico Sedecia, la grafia ‹ch› rappresenti un’affricata è fugato sia dalla constatazione che il caso sarebbe isolato nella Passione Trivulziana sia dal fatto che il Corpus OVI offre alcune attestazioni della grafia Sedechia/-s, per esempio in Fazio degli Uberti e nell’abruzzese «Cronaca volgare» isidoriana, da leggersi senz’altro con l’occlusiva velare sorda.
Grafia
101
va menzionato Pascha 4, 54, ecc. (7 in t.), dove ‹ch› è etimologico. Sporadicamente si ha anche ‹k›, presente in ka 30, 36, 71, 132, 161, 164 e kalix 67.3 Anche davanti a o la soluzione usuale è ‹c›: compiì ind. perf. 3a pers. 1, comprende 1, descordaseno 1, e così via; si ha inoltre ‹ch› in a(n)choy 111, becho 18, bochon 19, cercho 149, 168, chò 25, 149, Marcho 84, pechò 86, pocho 32, 612, ecc. (8 in t.), sacho 73, secho 1452. Solo ‹c› prima di u (alcuna 22, 3, cenaculo 5, macula 3, e così via), se si eccettua il caso di squela 8, 92, 162 e squella 16 ‘scodella’, dove l’impiego di ‹q› è innescato dalla coincidenza grafica in ‹ue› della resa di [u] in iato e di quella di [w] seguita da vocale. Per quanto riguarda l’occlusiva velare sonora davanti a vocale palatale, con un’asimmetria rispetto alla sorda piuttosto diffusa nei monumenti degli antichi volgari dell’Italia settentrionale, l’unico grafema impiegato è ‹g›, mai seguito da ‹h›.4 Davanti a e si hanno dagemo 112, dige cong. pres. 2a pers. 104, lactuge 2, piage 1512, sange 18, zudigé impt. 5a pers. 114. A parte va discusso il caso di ge pron. e avv. 7, 11–12, ecc. (92 in t., più g’è 22, 107, g’é 542), che come pronome compare anche in enclisi (-ge 54, 87, 138) e nei nessi gel 87, 95, 137, ecc. (6 in t.), gela 172, 182, gen 2, 132: sebbene non si possa escludere del tutto l’ipotesi che si tratti della forma [ʤe] < ILLI ( C ) di cui tratta Rohlfs (1969, §902), il fatto che tutte le occorrenze elise davanti a vocale non palatale siano rese graficamente con ‹g› (g’à 25, g’andaven 108, g’aromanisse 2, g’ave 19, 83, g’aveno 124, 138, g’avese 82, g’avesse 19, 45, g’aveva 5, 99, 165, g’avevano 137, 146, g’ò 55) e mai con ‹gi› orienta a preferire l’interpretazione [ge].5 Solo quattro casi di occlusiva velare sonora davanti a i: longi 149, m(en)digi 110, ogìne ‘udirono’ 9 (cf. §4.34) e vagi ‘vai’ 35. Davanti ad o, u e a si trova sempre e solo ‹g› per [g]: segondo 1, segundo 3, stagando 2, e così via. Non si registra nessun caso di occlusiva velare davanti a [j]; davanti a [w] è costante ‹q› per la sorda (quatro 13, questa 1, quisti 5, e così via) e ‹g› per la sonora (guardòsse 7, sangue 18, seguir 12, e così via; cf. più oltre, §§4.23, 4.26).
3 Azzardate paiono le tesi di Degli Innocenti (1982, 148–149), secondo cui l’uso di ‹k› sarebbe indizio di una collocazione del volgarizzamento dell’Elucidarium di Honorius Augustodunensis addirittura nel XIII secolo; cf. in proposito le obiezioni di Bertolini (1986, 334). 4 Cf. per esempio Stussi (1965, XXIV); Degli Innocenti (1984a, 32); Tomasin (2004, 86–87); Bertoletti (2005, 17–18). 5 Cf. per il Veneto o per un’area ad esso vicina, Bertoletti (2005, 17 n. 17); Verlato (2009, 373).
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4 Analisi linguistica
4.2 Rappresentazione dell’affricata palatale Secondo un uso ampiamente documentato per la scripta milanese e lombarda nordoccidentale antica (Keller 1896, 1; Salvioni 1898, 268; Contini 1960, vol. 1, 671; Degli Innocenti 1984a, 34; Gökçen 1996, xxix), l’affricata palatale sorda davanti ad a, o e u è resa solitamente con ‹gi›: aspegia 176, (con)dugio 108–109, digia 44, 116, 1782, digio sost. 94, 153, 156, 158, digio part. 3, 5–6, ecc. (33 in t.), drigia 31, 83, 159, drigio 153, 159, 184, elegio 43, fagia 632, 65, ecc. (7 in t.), fagio sost. 185, fagio part. 8, 27, 45, ecc. (21 in t.), giayramente 184, giama 176, giamasse 176, giò sg. 149, giò pl. 149–151, ingiavado 152, 1532, pegio 6, 21, 180, pongio 20, scrigio 8, 1392, ecc. (5 in t.), sengio 24, sengiura 24, stregiamente 24, stregio 149, tengia 18, tengio 18, tragia 1, tragio sost. 61, tragio part. 29. La grafia ‹gi› è la più frequente anche davanti a e: benedegie 145, digie 1, 4, 672, fagie 1, 39, 45, ecc. (7 in t.), pogiè ‘poté’ 141; la semplice ‹g› è usata solo in dige part. 28. Davanti a i (e y) il rapporto si inverte: predomina ‹g› (acolegi 41, benedegi 145, coregi 144, digi sost. 84, drigi 2, 6, elegi 27, 43, fagi part. 122, grangi 98, 150, sengy 2) allato a un minor numero di casi di ‹gi›: fagii part. 133, i(n)dugii 103. La stessa grafia ‹gi› precedente a e o (nessun caso davanti a u) rappresenta un’affricata palatale sonora in aparegiada 4, aparegiade 41, aparegiadi 75, aparegiado 33, 77, 94, aparegiam(en)to 134, aparegiando 172, aparegiare 134, aparegiarì 5, aparegié impt. 5a pers. 4, aparegiemo 84, aparegión 5, fregio 89, 97, ingenogiamo 69, inzenogiaveno 128, 137, lavagio 142, mangia 27, mangià part. 2, ma(n)giado 19, mangia(n) 3, mangiando 6, mangiàno 6, mangiare 2, mangiarlo 2, mangión 32, oregia 83–84, 98, svengianza 23, 84, svengiarse 92, vegia agg. 6, 14, vegià part. 107, vegiando 126, vegia(r)e 66 e vegio agg. 182, cui andranno pure associati legion 84, per cui pare possibile una pronuncia influenzata da quella del latino, e giaxeva 149, 153, per cui cf. §4.25. In pochi casi si trova la sola ‹g›: aparegàve inf. 34, i(n)zenogàsse ind. perf. 3a pers. 63, sponga 171 (cf. Degli Innocenti 1984a, 34; 1984b, 266; Bertolini 1985, 14). Davanti a e e i (o y), [ʤ] è rappresentata da ‹gi› in mangié impt. 5a pers. 28, ogii 54, 100, 106, 184, oregie 170 e vegié impt. 5a pers. 63, 66, mentre si ha solo ‹g› in Gesia 3, Gexia 13–14, mangemo 31, mesagere 45, ogi 99, 142 e ogy 67, con cui vanno anche amagistrarà 38, diligenteme(n)te 118, flagelado 129, 1302, ecc. (6 in t.), flageli 130, 140, magistre 9, 11 e magistro 5, 7, 76, ecc. (5 in t.; cf. §4.24 per l’interpretazione fonetica).
Grafia
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4.3 Rappresentazione dell’affricata alveolare L’affricata alveolare sorda e sonora è comunemente resa con ‹z›, come in fazo 5, leze 3, senza 3, viazamente 2, Zudei 2, e così via, mentre non trova alcun impiego il grafema ‹ç›; in calziati 2 e fazia 93, mi pare che ‹zi› vada interpretato come digramma per [ts] (cf. fazia e pianzio nella Meditazione sulla Passione lombarda, forme rubricate da Salvioni 1898, 270 come anomalie grafiche). Diffusa anche la grafia latineggiante ‹ti› davanti a vocale, da interpretarsi verosimilmente come rappresentativa di [tsj] sulla base delle oscillazioni tra conte(n)tion 10, co(n)tention 12 e co(n)tenzion 11, patientia 15, 84, 158 e patienzia 84, rev(er)e(n)tia 91 e reverenzia 87 (per i corradicali si vedano gratia 22 e graziosa 30, sententiato 140 e se(n)tenzia 136, se(n)tenziava 135, se(n)tenzie 135) e in ragione del fatto che non si registra mai alternanza tra ‹ti› e la semplice ‹z› non seguita da ‹i› davanti a vocale. L’unico caso in tutto il testo di impiego della grafia ‹ci› più vocale per rappresentare un’affricata alveolare è pacie(n)tia 15; in suffitiente 90, sufitiente 175 e suspition 96 si nota anzi un’estensione anetimologica di ‹ti› più vocale a rappresentare l’evoluzione di CJ (cf. §4.26). Il fono [ts] può anche essere reso con ‹c› davanti a e e i in principio di parola, al confine tra prefisso e base e dopo consonante: acegadi 65, aceptao 13, acepto 56, a(n)cila 88, celestial 155, cello 31, 54, 133, celo 31, 69, 86, 104, cena sost. 6, 8, 24, cenaculo 5, 24, cenando 7, cenar 5, 16, cento 186, certo 14, 26, 53, 60, cedri 74, Cedron 74, Centurion 179, cercho 149, 168, Cesaro 112, 115, 1322, 135, cesemo 84, Cetron 74, cima 171, 179, Cirineo 146, cità 4, 14, 62, 141, 185, città 179, pre(n)cepo 39, p(ri)ncepi 116, 122, princepo 47, 84, 87, ecc. (10 in t.), principi 11, 752, ecc. (14 in t.), principio 41, procedarà 45, receve inf. 114, 175, receve ind. pres. 3a pers. 30, recevè 138, 1672, 184, receverà 48, recevesse 158, 174, recevete inf. 77, receveva 812, 87, recevudo 75, ulcir 114, ulcirlo 65 e ulcixe 79. Dell’interpretazione fonetica fanno fede gli allografi rezeve inf. 14, 20, 37, ecc. (5 in t.), rezevè 3, rezevesse 62, rezevudo 111, ulzir 125, ulzirlo 131 e zima 154 (cui si aggiungono rezevano 55, rezevì 28 e olziran 46).6 In posizione intervocalica, ‹c› precede vocale palatale in crucificà inf. 102, crucificadi 146, 170, 181, crucificado 1272, 136, ecc. (9 in t.), crucificalo 1302, 134, crucificar 131, crucificare 139, crucificava 152, crucificavano 152, crucifiché impt. 5a pers. 131, crucifixo 183, heretici 64, licentia 83, necesario 14, necessa(r)io 13, necessità 4, sacerdoti 752, 84, ecc. (19 in t.) e umicidie 123. Si tratta sempre di una resa dell’esito di C davanti a E o I , funzione per la quale nel testo è impiegato
6 Da notare che in principio di parola è possibile anche l’assibilazione dell’affricata originaria, testimoniata però solo da sengy 2, sengio 24, sengiura 24 (cf. §4.24).
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4 Analisi linguistica
anche il grafema ‹x›, mai però ‹z› (cf. §4.24). Poiché solitamente ‹x› rappresenta una sibilante sonora (cf. §4.5), pare lecito attribuire lo stesso valore fonetico a ‹c›, anche in assenza di casi di allografia (ma alle forme del verbo crucificare si possono almeno accostare croxe sg. 3, 139, 142, ecc.: 38 in t., e croxe pl. 153). Sulla base dell’accostamento di gente 132, 76, 78, ecc. (7 in t.) e zente sg. 118, 123–124, ecc. (8 in t.) e pl. 147, 155, di ingenogiamo 69 e i(n)zenogàsse ind. perf. 3a pers. 63, inzenogiaveno 128, 137, di legiptimo 167 e leze sost. 3, 62, ecc. (8 in t.), pare ragionevole supporre una pronuncia con affricata alveolare sonora di ‹g› davanti a vocale palatale anche in angeli 84, 86, 130, 155, angelo 682, 69, 71–72, arcangelo 69, evangelio 140, evangelista 5, 61, 69, ecc. (8 in t.), evangelisti 12, 75, ecc. (5 in t.), fragilità 7, Gedon 68, Genexis 139, Gestas 146, 159, Gethsemani 61, imagine 71, Longino 1822, 1842, vergen 142, 167, vergene 31, 1402, ecc. (11 in t.) (cf. §4.24); per amagistrarà, diligenteme(n)te, flagelado, flageli, magistre e magistro si veda invece il paragrafo precedente. Al prospetto or ora tracciato dei valori di ‹c› e ‹g› davanti a vocale palatale c’è tuttavia da aggiungere che, in specie per parole che mostrano una veste complessivamente latineggiante o comunque un chiaro nesso con il testo scritturale, come cenaculo, Cirineo, le forme del verbo crucificare, evangelio, Genexis, e così via, non si può escludere vigesse una pronuncia palatale modellata su quella del latino (cf. Stussi 1965, XXV–XXVI; Tomasin 2004, 90).
4.4 Rappresentazione delle nasali Davanti all’occlusiva labiale sorda compare solitamente ‹m›, mentre con ‹np› si registrano inp(er)ò 23, 30, 44, ecc. (6 in t.) allato a imp(er)ò 3, 12, 22, ecc. (15 in t.), inp(er)zò 45, 148 allato a imp(er)zò 171, inp(ri)ma 87 e inp(ri)mam(en)te 44. Si trova ‹mb› in Ambroxo 161 e gambe 1814, ‹nb› in menbro 170 e menbre 170. La nasale palatale è resa solitamente con ‹gn›, per esempio in agnelo 22, 32, ecc. (7 in t.), pugnaduri 68, segnor 1, 2, 42, ecc. (46 in t.; seg(n)or 25, 43, 74, 86), segnuri 123, 133, 140, ecc. (5 in t., più seg(n)[u]ri 82), vegnirò 37, e così via. Si ha un solo caso di ‹ngn› (angnelo 6), mentre più frequente è ‹gni› davanti a vocale: agnielo 152, avegnia 32, 115, bagniàla ind. perf. 3a pers. 171, besognio 14, 25, 53, bexognio 139, degniame(n)te 30, degnio 106, 114, degniò 14, inschergniido 138, 140, legnio 139, 1454, ecc. (10 in t.), pugnie 180, segniarà 38, segnio 76, 78, 82, segnior 1, 15, 25, ecc. (9 in t.), segniore 14, 28, segniorezare 11, vegniarà 46, vegniarò 39. Da interpretare come rappresentante di [ɲ] anche la grafia ‹ni› in adveniarà 49, besonio 84, 106, 144, colonia 1072, 1283, convenievelmente 70, cotamanio 118, creenia 111, danià inf. 62, 65, inseniarà 48, montanie 145, scherniido 129, sonio ‘sonno’ 63, 67, venia cong. pres. 3a pers. 129, veniando 76, veniarò 76 e venierà 47–
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48, 176 (meno sicuro venio 562).7 A tali casi andrà associato co(m)pania ‘compagnia’ 75, dove, a rigore, la nasale palatale è rappresentata solo da ‹n›.
4.5 Rappresentazione delle sibilanti La sibilante sonora in posizione intervocalica (o tra vocale e [j]) derivante da -S -, -CJ -, -SJ -, -TJ - o -C - davanti a vocale palatale è resa prevalentemente con ‹x›: acuxano 113, acuxar 113, acuxarlo 103, acuxation 103, 112, acuxé ind. pres. 5a pers. 123, Ambroxo 161, amixi 42, 432, ecc. (6 in t.), amoroxa 163, antixi 2, 16, 75, ecc. (8 in t.), ap(re)xiado 111, ap(re)xiava 120, axé 171, 176, baxarò 76, baxo sost. 782, 82, baxo vb. 78, baxò 782, 79, bexognio 139, caxa 24, 872, ecc. (14 in t.), caxon sg. e pl. 39, 67, 77, ecc. (18 in t.), (con)fiduxiéve impt. 5a pers. 53, contradixe 132, croxe sg. e pl. 3, 139, 142, ecc. (39 in t.), cuxadura 156, depoxo 185, desaxio 72, desprexiado 140, desp(re)xiò 1212, dexe 71, dexevano ‘dicevano’ 157, dexisse ‘dicesti’ 55, dexonesti 141, destexo 149, 151, dixe ind. pres. 2a pers. 92, 35, ecc. (7 in t.), dixe ind. pres. 3a pers. 2, 10, 12, ecc. (31 in t.), dixemo 1332, dixeno 64, 103, 107, dixesse 19, dixeva 152, 1542, ecc. (6 occ.), dixevano 106, 120, dixi 35, 102, 154, dixì 26, 105, dixise-vo 133, dixivi 157, doloroxa 144, 1632, 166, doloroxe 163, 177, doloroxo 164, 167, duxo 12, famoxo 123, farixé 157, farixey 180, fiduxia 157, Genexis 139, Gexia 13–14, giaxeva 149, 153, glorioxo 1552, 1642, Grexi 3, guixe 133, imprexe 21, inimixi 14, 84–85, ecc. (6 in t.), i(n)texe 126, intexo 8, 127, iudexe 95, iustixia 472, 84, ecc. (5 in t.), lixo 2, 32, loxi 1413, malvaxi 73, malvaxii 102, 118, 153, malvaxio 123, maravelioxame(n)te 31, mareveioxa 183, marevelioxa 21, mixe 99, 124, 129, mixen 139, mixeno 1282, 137, ecc. (6 in t.), naxo 170, nervoxo 150, noxe 115, noxeva 135, noxevre 98, ofexa 94, ofexo 77, palaxio 97, 99, 107, ecc. (9 in t.), paradixo 31, 862, ecc. (9 in t.), parexe 92, parexeme(n)te 90, paxe 392, 53, piaxè inf. 13, piaxè ind. perf. 3a pers. 15, piaxere 10, pixor 186, poxe 144, poxo 101–102, poxon 176, p(re)xe 85, 89, p(re)xeno 149, p(re)xentado 69, prexio 1112, 164, prexo 14, 85–86, ecc. (7 in t.), p(re)xon 1232, p(re)xoné 123, prezioxo 70, 155, rabiuxi 149, radixe 61, raxon sg. e pl. 22, 164–165, ecc. (6 in t.), ravaxi 102, remaxo 170, respoxe 9, 33, 352, ecc. (18 in t.), re[s]poxe 25, 53, rexpoxe 76, 90–91, respoxen 133, respoxeno 106, 131, 133, 135, rexpoxeno 114, respoxo 91, 1202, romaxe ind. perf. 3a pers. 88, 180, romaxe
7 Eslcudo dal novero venia ind. impf. 3a pers. 146, 176, che Verlato (2009, 376) registra invece in base a un’alternanza con vegnia e vegniva (solo veniva nella Passione Trivulziana). Per la palatale in inschergniido, scherniido, cf. Salvioni (1917, 1178), che, a proposito delle forme antiche schiergne e squergne ‘dileggi’ (segnalate in Salvioni 1898, 319), del valsesiano schergnì, scargnì e dell’abruzzese riscrignà, annotava: «non so se siamo a condizioni originarie o a incroci con voci sinonime (sgoñà, sverñà, ghignare)».
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4 Analisi linguistica
part. m. pl. 1812, romaxeno 180, s(er)vixii 45, s(er)vixio 11, 46, 180, soxero 87, spatioxo 5, spoxo 23, taxere 91, taxeva 103, texoro 111, Thomaxe 35, ulcixe 79, uxanza 16, 121, venenuxi 130, veraxe 28, 54, 57, ecc. (12 in t.), veraxemente 15, 552, 64, v(er)tuoxo 68, vixion 125, voxe 106, 117, 127, ecc. (6 in t.), zoxo 24, 61, Zudixi 68, zudixio 472, 96, 104. Per quanto riguarda calix 282, 63, 84, kalix 67, lux 85, 100 e quax 78, 84–85, 902, 91, 942, 100, 129, 132, 135, 143–145, 154, 177, 186, che si trovano davanti a una parola con iniziale consonantica o in fine di frase, la sibilante riuscita finale è probabilmente da considerarsi sorda; in calix 69,8 quax 77, 134, 173 e zudex 108, precedenti parola iniziante per vocale, si tratterà invece di sonora (cf. Rohlfs 1969, §§211, 214). In alcuni casi si trova ‹s› per [z] (sempre impiegata – tranne che in Genexis – quando si tratti di nomi di ascendenza biblica): acasonado 89, acusado 115, acusation sg. 113, acusaveno 112, 120, Amasan 79, basado 78, 80, basaveno 78, besognio 14, 25, 53, besonio 84, 106, 144, brusare 2, casa 4–5, 34, 87, cason sg. 65, 77, 92–93, Cesaro 112, 115, 1322, 135, [C]esaro 108, deresion 137, desaxio 72, des(er)to 133, desideramo 70, desiderio 169, desidrà part. 7, 119, desidrano 122, disese cong. impf. 3a pers. 69, disesse cong. impf. 1a pers. 55, Gesia 3, gloriosa 60, gloriosamente 31, graziosa 30, Yerusalem 5, 62, 119, ecc. (6 in t.), Yesù 1–3, ecc. (31 in t.), Iosepo 185, Yosepo 18, 1852, ecc. (6 in t.), Ysach 139, Ysarel 111, Ysodo 3, Melhisedeh 29, mise 21, 24, miseno 137, mis(er)icordia 160, Moyses 90, p(re)sente 38, p(re)senti 67, quasi 9, 12, represe 12, 662, representò 29, scusa 45, usanza 78, 105, 123, vaselo 171. In due soli casi la sibilante sonora è rappresentata da ‹ss›: disse ind. pres. 3a pers. 142 e misse 136. Per quanto riguarda i possibili casi in cui [z] è rappresentata da ‹c›, cf. §4.3. La sibilante sorda è solitamente resa da ‹s› o ‹ss› in posizione intervocalica o tra vocale e [j], solo da ‹s› in principio di parola (con l’eccezione dei raddoppiamenti in sse e ssi per cui cf. §4.32), in posizione pre o postconsonantica (tranne i casi di corsse 171, dilectissmo 70, gra(n)dissma 92) e in fine di parola, posizione nella quale sono da reputarsi sorde anche le sibilanti riuscite finali di dis ind. pres. 2a pers. 105 e quas 8, precedenti parole che iniziano per consonante. È regolarmente sorda, poiché preceduta da una o derivante dal dittongo AU , la fricativa alveolare resa con ‹ss› in cossa 22, 62, ecc. (42 in t.), cosse 1, 4, 6, ecc. (32 in t.), ossavano 180, repossare 154, con ‹s› in cosa 98, cose 71, posada 16, reposà
8 La posizione di calix in fine di periodo («tuti quanti se ingenogiamo e p(re)gamo lo vostro Padre k’el tolesse via da vu questo calix. Et ello respoxe») è qui irrilevante, perché l’inizio del periodo seguente con et rende possibile anche una diversa articolazione sintattica.
Grafia
107
part. 6, reposare 21, reposé impt. 5a pers. 72 (cf. Rohlfs 1969, §211). Di difficile determinazione è il caso di così 11, cosỳ 7 e cusì 14, 26, 29, ecc. (48 in t.): alla luce per un verso della grafia cussì 40, 95, 186, per l’altro della frequenza dell’avverbio di modo sì 5, 8, 112, ecc. (71 in t.), che avrà reso trasparente la posizione originariamente iniziale della sibilante, pare comunque plausibile intendere il fono come sordo piuttosto che sonoro.9 Alcune poche volte [s] è rappresentata da ‹x›, presente in ap(re)xo 97, Caifax 87, 95, Cayfax 95, 108, 140, Herodex 1192, 1206, ecc. (14 in t.), pox 95, rexpoxe 76, 90, 91, rexpoxeno 114 e, con il sostegno dalla grafia latina, in crucifixo 183, exaltare 12, examinar 113, 1152, exemplo 122, 142, ecc. (8 in t.), exponituri 65, induxeno 98, maximam(en)te 141, xaminà inf. 90 (da segnalare a margine anche la grafia res 155 per il latino rex). Anche l’impiego di ‹sc› per la sibilante sorda è dovuto all’influsso del latino: acognoscere 15, cognosce inf. 82, 142, cognosce ind. pres. 3a pers. 372, 58, cognoscere 45, cognoscerì 37 (accanto a cognoserì 27, 352, 37), cog(no)sceva(n)o 82 (accanto a cognosevano 82), cognoscì 37 (accanto a cognosì 35, 129), desce(n)de impt. 2a pers. 157, descendè 31, discipuli 42, 55, ecc. (53 in t.; al §74 di(sci)p(u)li), discip(u)lo 772, 79, ecc. (11 in t.), discip(ul)o 162, discip[u]lo 95 (cf. §4.30). In un caso si ha disscip(u)lo 166.
4.6 Uso di ‹y› e ‹ij› Da un lato, l’impiego di ‹y› è motivato da ragioni etimologiche o pseudoetimologiche nel grecismo ymno 592 e nei nomi propri biblici Cayfax 95, 108, 140, Hely 1722, 1762, Yeremia 111, Yerusalem 5, 62, 119, ecc. (6 in t.), Yesù 1–3, ecc. (31 in t.), Yosepo 18, 1852, 1863, Ysach 139, Ysarel 111, Ysodo 3, Moyses 90. Dall’altro, il grafema è usato per rappresentare [i] o [j] preceduti da una vocale: ha valore vocalico in a’ y pron. 16, amay 42, ampoy 82, 136, ancoy 31, 60, 159, ecc. (5 in t.), a(n)choy 111, beay 27, coluy 5, day part. 552, 562, 58, 82, 111, day prep. 130, depoy 162, doma(n)day 91, duy 5–6, ey ‘sei’ 132, farixey 180, i(m)binday 170, luy 6, 82, may 21, 25, 140, ecc. (12 in t.), mey 41–42, 57, ecc. (5 in t.), oỳno 171, oyrà 48, peccay 67, 183, pey 2, 6, 24, ecc. (19 in t.; pei 62), poy 242, 28, ecc. (7 in t.), poỳ 32, 40–41, ecc. (5 in t.), soy 42, 7, ecc. (45 in t.), toy 55–56, 90, 116, toỳlo 114, traỳ inf. 73, vuy 27, 322, ecc. (6 in t.), zamay 100, Zudey 65 (nel gruppo rientrano, di per sé, anche i già citati Cayfax e Moyses); semiconsonantico in ay inter. 159, aygua 182–183, aytorio 186, baylia 129, ey’ 90, 168, eyo 252, 26, ecc. (69 in t.),
9 Salvioni (1898, 268 n. 2), escludendo la sibilante sonora, ipotizza una pronuncia «cuçì».
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4 Analisi linguistica
giayramente 184, maynera 114, mayor 131, maraveya 143, maraveye 119, mareveyava 113, meyo 8, 159, moyra 70, 133, oya(n)do 119, oye 37, oyeno 117, oyudo 119, 131, tayò 83, toyè 282, toyéno 149, 153, 186, toyevano 137, voya 78, 121, 129, 144, voya(n)do 28, voye 90, voyo 58, 71, 117, ecc. (5 in t.), voyudo 174. In pochi casi ‹y› è adoperato in posizione finale postconsonantica: aly 4, 26, 61, ecc. (5 in t.), avỳ 35, 43, 106, cosỳ 7, dely 4, fy 3, fioly 13, levy 57, my 33, 35, ogy 67, peccady 45, sengy 2, vy 155; isolato per il pronome maschile di 6a pers. («eyo y ò levadi dal mondo» 57). Per quanto riguarda la grafia ‹ij›,10 alternanze come quelle tra (com)pijsca, co(m)pijsca e co[m]pisca 27, co(m)pisca 73 o tra malvaxij e malvaxi 73 inducono a ritenere verosimile che essa – fatto salvo il caso di sij 12, 98 – rappresenti sempre una semplice [i]. L’interpretazione appare sicura in maij 98, oij ‘ohi’ 155, 167, Zudixij ‘Giudici’ 68, e quando ‹j› è preceduta da digrammi che rappresentano una palatale e hanno ‹i› come secondo elemento grafico: fagij part. 133, i(n)dugij ‘indotti’ 103, inschergnijdo 138, 140, ogij 54, 100, 106, 184, schernijdo 129. Un grado minore di certezza si ha invece per i plurali di sostantivi e aggettivi uscenti al singolare in -io: co(n)trarij 13, gladij 732, 85, malvaxij 102, 118, 153, p(ro)verbij 522, sac(ri)fitij 28, savij 65, s(er)vixij 45, testimonij 1012, 102; per i casi in cui [i] e [j] si sono trovati a contatto nel corso dell’evoluzione fonetica della parola: abij 77, 159, 166, compiȷ̀ 1, compija 56, compijda 111, 122, 177, compijdo 54, 110, 153, 156, 168, 176–177, 181, (com)pijr 82, compijrave 84, (com)pijsca 45, co(m)pijsca 85, (com)pijse 114, compijsseno 184, pijare 85, sapij 23, 1172, toiȷ̀ lo 131; e per alcuni continuatori delle forme di AUDIRE , che si affiancano a quelli in cui si riscontra [j] epentetica (per cui cf. §4.34): oij ind. pres. 2a pers. 113, 176, oiȷ̀ no 176, oijva 105.
4.7 Latinisimi e pseudolatinismi grafici Si rileva ‹h› etimologico a inizio di parola in hebraicha 154, Heli 132, Hely 1722, 1762, heretici 64, Herodex 1192, 1206, ecc. (14 in t.), homini 64, 107, 125, 173, homo 4, 8, 13, ecc. (42 in t.), honevre 93, honoradi 12, honorado 13, honore 10–11, 122, ecc. (5 in t.), hora 66, 106, 167, 185, humana 64, 120, 126, ecc. (6 in t.), humiliò 14, humilità 122, 132, ecc. (7 in t.) e humiltà 94. In tre casi sono presenti anche allografi senza ‹h›: omo 82, 20, ecc. (10 in t.), ora sost. 5–6, 20 (12 in t.), umana 62, 65, 70, ecc. (5
10 Nel testo edito al cap. 3 e nel resto dell’analisi linguistica, giusta i criteri di trascrizione adottati, le forme che qui si notano con ‹ij› sono rese con ‹ii›. Nel ms. ‹ii› si legge solo in (com)piio 57, eiio 43 fii 13 e fiì inf. 13.
Vocalismo
109
in t.). Si rilevano alcune eccezioni alla legge identificata da Mussafia (conservazione di ‹h› etimologica tranne quando segua un elemento proclitico con vocale elisa): «dal’homo» 29 per un verso, «fo ora» 6, «figura umana» 142 e «quax ora» 134 per l’altro.11 All’interno di parola, ‹h› etimologico compare in Iohan 6, 61 e Iohane 5–6, 172, ecc. (23 in t.), ‹th› in Gethsemani 61, Lithostrato 135 e Thomaxe 35, mentre sono anetimologici l’‹h› di Helia 1764, Iohab 79, trahime(n)to 20, trahir 20 e il ‹th› di Scarioth 38. Si ha ‹ph› solo in Cleophe 162, con il probabile valore fonetico [f]. Per quanto riguarda ‹x› e ‹y› cf. §§4.5, 4.6. Nel considerare le rimanenti grafie latineggianti, non è possibile escludere in linea di principio un loro nesso con la pronuncia: è il caso per esempio della conservazione dell’occlusiva originariamente precedente [t] in subtilità 212 e in aceptao 13, acepto 56, adoptivo 167, captivitade 14, p(ro)mpto 66, scripto 45, 59, 69, 73, scriptura 27, 56, 114, ecc. (5 in t.), sc(ri)pture 84–85, script(ur)e 184, te(m)ptadi 66, te(m)ptation 15, 662, con cui va menzionato l’anetimologico legiptimo 167, oppure del mantenimento del nesso ‹ns› in parole come consie(n)zia 7, conspecto 30, transfor[m]à inf. 30, e così via. Per ‹ct› cf. §4.31; per la conservazione dell’occlusiva davanti a [l] cf. §4.28; per ‹ti› davanti a vocale cf. §4.3. Accanto alla scrizione etimologica di ymno 592 si registra la grafia semidotta ‹mpn› in calo(m)pnia 103, (con)de(m)pnadi 146, dampnade 71, dampnadi 65, da(m)pnation 147, 159. La scrizione ‹bs› si presenta in obs(er)va 38, obs(er)valo 37, obs(er)va(n)do 6, obs(er)vàno 55, obs(er)varì 27, obs(er)vãzia 6. Da citare pure adveniarà 49 e infine Macdalena 162, dove al mantenimento grafico del nesso occlusiva velare più occlusiva dentale si associa una resa della velare con ‹c› invece che con ‹g›.
Vocalismo 4.8 Esiti di A tonica Si registra e da A per metafonesi causata da -ISTI nella 2a pers. dell’ind. perf. mandessi 55, 57, 582 (accanto a mandasi 54), da -ETIS nella 5a pers. del cong. impf. amesse-vo 39. Parimenti metafonetica è la e di eve ‘ebbi’ 60 < *HABI ; il vocalismo tonico di seppe 119 è modellato analogicamente su quello della 1a pers. dell’ind. perf. (cf. Rohlfs 1969, §584 e n. 1). Per steva e stevano cf. §4.62.
11 Cf. Mussafia (1884, 614 s.v. homo) e (1900, 395–400); inoltre Debenedetti (1932, 18–19) e Corti (1962, XLII–XLIII).
110
4 Analisi linguistica
Il passaggio di AL a ol davanti a occlusiva dentale o affricata alveolare è testimoniato da colda 24 (cui si aggiungono, con A in atonia, scoldava 89, 96–97 e scoldaveno 89), descolzo 143, oltra 78, oltro 146. Più spesso si ha conservazione: alta 153, alto 153, altra 22, 81, 87, ecc. (11 in t.), altre 6–7, 31, ecc. (8 in t.), altri 10, 17, 19, ecc. (20 in t.), altro 1, 5, 6, ecc. (27 in t.) e, in posizione atona, altersì 242, 32, ecc. (6 in t.), Caldea 85, calziati 2. Per il suffisso -ARIU ( M ) , l’esito al sg. in -é, -er o in -ere (con atona finale toscaneggiante) è testimoniato da pignater 111, pignatere 111 e p(re)xoné 123,12 oltre che dai gallicismi cavaler 182 e mesagere 45 (cf. Castellani 2000, 109, 128; Cella 2003, 57). Al pl. si hanno le forme cavaler 85, cavaleri 129, 137, 149, ecc. (9 in t.) e penseri 8, probabilmente anch’essa di origine transalpina (cf. DELI, s.v. pensare; TLIO, s.v. pensiero), accanto all’esito più genuinamente milanese dané pl. 19–20, 72, ecc. (8 in t.). Altrimenti si incontrano le forme dotte Calvario 146– 147, 149, 170, necesario 14, necessa(r)io 13, ordinario 95, suda(r)io 100 e, al pl., co(n)trarii 13. Per il femminile si hanno il gallicismo manere pl. 177 (cf. Cella 2003, 473) e il latinismo ostiaria 882. Va citato qui anche giayramente 184, che mostra un passaggio di CLARU ( M ) a *CLARIU ( M ) per l’influsso del suffisso -ARIU ( M ) e successiva metatesi (cf. REW, §1963); e si noti che il termine testimonia un’evoluzione finora ipotizzata ma non attestata del milanese.13 Da AQUA ( M ) e ACQUA ( M ) si trovano aqua 4, 24, 74, 139, agua 136 e aygua 182– 183, forma ben documentata negli antichi volgari settentrionali (cf. il glossario, s.v. aqua, e Rohlfs 1969, §27).
4.9 Esiti di Ĭ tonica Presentano i per condizionamento metafonetico da -Ī o *-I covenivri 102, i pron. 62, illi 2, 4, 64, ecc. (144 in t.), i(n)stisi 7, niti 25, quili 179, 1813, 186 (le altre 8 occ. sono abbreviate q(ui)-), quilli 12, 13 (2a occ.), 47, 181 (le altre 29 occ. sono abbreviate q(ui)-), quisti 5, 63, 90, 1412, 180 (le altre 10 occ. sono abbreviate q(ui)-), sichi 41, cui si aggiungono firmi 61, nigri 142 e signi 79, 128, che tuttavia potrebbero anche essere forme dotte. Si ha metafonesi da*-I della 2a pers. dell’ind. pres. in vy ‘vedi’ 155, da -ISTI nelle 2e pers. dell’ind. perf. comitis 54, dexisse ‘dicesti’ 55, isse ‘avesti’ 157 e del
12 L’evoluzione di -ARIU ( M ) è da intendersi attraverso metatesi [arj] > [ajr]: cf. §4.27 e Rohlfs (1969, §15). 13 Cf. Salvioni (1919, 191–192 n. 5), che si sofferma su ['ʧajro] < ['ʧarjo], «non documentato […] nel milanese» ma «indirettamente attestato nell’ant. mil. scuiro -rio oscuro».
Vocalismo
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cond. avrisse 132, destruerise 157, devrissi 91, poris 87, 140, 162 (cf. §4.19), da -ISTIS nelle 5e dell’ind. perf. avise-vo 72, dixise-vo 133 e del cond. alegrarisse-vo 39. Non mostrano condizionamento della tonica benedegi 145, deli 2, 10–11, ecc. (83 in t.), dely 4, e’ 138, eli 1–2, 40, 180, elli 552, medesmi 49, que(n)ti 90, sengy 2 e, tra i verbi, temi 159. La conservazione dotta del timbro di Ĭ si verifica in a(n)cila 88, crucificalo 1302, 134, discipuli 42, 55, ecc. (53 in t.; al §74 di(sci)p(u)li), discip(u)lo 772, 79, ecc. (11 in t.), discip(ul)o 162, discip[u]lo 95, disscip(u)lo 166, evangelista 5, 61, 69, ecc. (8 in t.), evangelisti 12, 75, ecc. (5 in t.), integro 3, i(n)ter 982, 105, i(n)vidia 124, iustixia 472, 84, ecc. (5 in t.), legiptimo 167, libro 3, 68, 79, ecc. (5 in t.), licito 111, 114, malitia 113, 132, malit[i]a 177, malitie 123, ministri 86, 89, 96, ecc. (8 in t.), ministro 11, mira 186 (< MYRRHAM ), mirra 176, possibe 63, possibel 63, põtifico 87, princepo 47, 103, 106 (ma pre(n)cepo 39; sono abbreviate le altre occ. p(ri)ncepo, p(ri)ncepi), principi 11, 752, ecc. (14 in t.), p(ro)fetiza 106, sacrifica 3, sacrificano 3, s(er)vixii 45, s(er)vixio 11, 46, 180, tincto 18 (ma tengio e tengia 18), titulo 1545, 1552; si ha inoltre Ĭ > i nei superlativi assoluti amarissima 176, carissimi 10, 143, dilectissmo 70, g(ra)ndismo 30, grandissima 186, gra(n)dissma 92, gravissima 94, gravissime 175, gravissimo 151, grevissima 170, grevissime 177, nobilisimo 143, sanctissimo 562, 139, santissimo 180, stragra(n)dissimo 143, vilissimo 92. Al novero va aggiunto anche (con)silio 101 (ma conselio 8), per cui è da escludere l’interpretazione come forma toscaneggiante, dal momento che costituirebbe l’unico esempio di anafonesi nella Passione Trivulziana. Diverso è invece il caso di maistro 262: se magistro 5, 7, 76, ecc. (5 in t.) e magistre 9, 11 paiono infatti latinismi, la forma maister è attestata, accanto a maester e maiester, nel milanese moderno (nell’accezione ‘muratore’);14 contro l’ipotesi che si tratti di un cultismo gioca inoltre il fatto che, come si può verificare compulsando il Corpus OVI, le forme risalenti a MAGISTRU ( M ) che presentano i tonica come secondo elemento di uno iato, diffusissime in antico per tutta l’Italia settentrionale, sono invece assenti in Toscana.15 Se si aggiunge che al Nord sono attestati pure saita < SAGITTA ( M ) (cf. per es. Salvioni 1898, 345; Contini 1960, 738, per l’Anonimo genovese; Andreose 2010, 672), pais o paise < *PAGĔNSE ( M ) (per es. in Ciociola 1979, 69; Donadello 1994, 46; Gambino 2007, 174, 209; cf. anche AIS, 817), caina o cainna i in sira 186 è ben documentato nel lombardo nordoccidentale antico (cf. Mussafia 1868, §7; Degli Innocenti 1984a, 37) e in genere nell’Italia settentrionale (Rohlfs 1969, §50). La forma criteno ‘credettero’ 158, 176 sarà modellata analogicamente su viteno ‘videro’ (cf. §4.21).
4.11 Esiti di Ō tonica Si ha condizionamento della vocale da -Ī o *-I nelle forme soggettive e oggettive dei pronomi personali di 4a e 5a pers. nu 1, 3, 5, ecc. (51 in t.), vu 72, 8, ecc. (151 in t.), vui 44, vuy 27, 322, ecc. (6 in t.), nei sost. e agg. in *-ORI desnuri 107, exponituri 65, maiuri 10, malfacturi 146, pastù 14, pecaturi 72, peccaturi 3, 145, 153, 160, pugnaduri 68, segnuri 123, 133, 140, ecc. (5 in t.), tradituri 133 e negli aggettivi in -OSI rabiuxi 149 e venenuxi 130. Manca invece metafonesi nei seguenti sost. e agg. in *-ORI : desnori 143, doctori 69, dolori 64, 1432, ecc. (5 in t.), malfactor 135, 148, malfactori 147, traditori 1332; nei sost. in -ONI o *-ONI baston 6, bastoni 2, 85, ladron 86, 136, 147, ecc. (6 in t.), meroni 142; nei latinismi sacerdoti 752, 84, ecc. (19 in t.) e testimonii 1012, 102.
4.12 Esiti di Ŭ tonica Presentano metafonesi da -Ī o *-I i numerali du maschile 4, 73, 101, ecc. (9 in t.), duy 5–620 e i sost. e agg. luvi 102, multi 107, 179 (è abbreviato m(u)lti 74),21 muzi ( i è la norma per il pron. poss. f. sg. mia 5, 28, 33, ecc. (23 in t.); lo si registra anche in Abarimatia 185, a fronte dell’uscita in -ea degli altri toponimi di ascedenza scritturale Caldea 85, Galelea 59, Galilea 118, 1192, 185 e Iudea 108. I casi di Ĭ in iato davanti ad -a sono sempre continuati da i: nei cong. pres. sia 4, 6, 11, ecc. (28 in t.; da SĬAT , cf. Väänänen 2003, §320) e siano 392, 56–582, 71, 1102 (cui si aggiunge, davanti a -i, sii 12, 98), in via avv. e sost. 14, 23, 34, ecc. (12 in t.) e nel composto tutavia 6, 151. Per Ī meritano di essere segnalati i casi di -io < -ITU ( M ) , conservato in (com)piio 57 e consentio 185, apocopato in co(m)pì 51, dormì 72, partì 20 e tradì 8, accanto ai quali va menzionato compiia 56, unico caso di -ia < -ITA ( M ) .27 È inoltre degno di nota dé ‘dì’ 52, di contro a dì sg. e pl. 19, 31, 48, ecc. (18 in t.), venardì 186 e die pl. 101: il passaggio Ī > e prescinde qui tuttavia dalla posizione in iato, ed è dovuto all’abbreviazione della tonica in fine di parola (cf. Meyer-Lübke 1890, §95; Salvioni 1907, 501; Rohlfs 1969, §30). Il continuatore di Ŏ in iato è sempre o, davanti a -a in soa 14, 24, 26, ecc. (48 in t.), toa 33, 572, ecc. (9 in t.);28 davanti a -e in soe 14, 124, 136, ecc. (11 in t.), toe 56, 178; davanti a -i (-y) in ampoy 82, 136, ancoy 31, 60, 159, ecc. (5 in t.), a(n)choy 111,
25 Da menzionare anche il caso di apocope di -i nel pron soggettivo di 6a pers. i 62, che segue la «palatalizzazione e fusione di -l- con la -i finale plur.», cui succede una fusione tra vocali di uguale timbro (Gökçen 1996, li; la base della tonica è naturalmente Ĭ ). 26 Per quanto riguarda il pron. poss. f. pl. la situazione è solo apparentemente diversa dal milanese di Bonvesin, dove si legge sempre mee: la misura versale attesta infatti con costanza la necessità di una lettura monosillabica. Cf., nelle edizioni Gökçen (1996) e (2001), i vv. A 7, A 28, A 330, A 416, I 10, E 169, I 133, S1 261, S1 395, S3 719, S3 736. 27 Si avrà probabilmente contrazione piuttosto che apocope in VESTITI > vestì 121. 28 Per la quantità della tonica latina si veda Rohlfs (1969, §§68, 71).
Vocalismo
117
depoy 162, poi avv. 6, poy avv. 242, 28 (7 in t.), soi 5, 8, soy 42, 7, ecc. (45 in t.), toy 55–56, 90, 116. Si ha apocope di -e in so 138, 170, to 552, 56, ecc. (5 in t.); di -i in depo’ 87, po’ avv. 184, po’ ‘puoi’ 33, 66, 98, vo’ 4, 84; apocope di -o o contrazione in so 6, 7, 12, ecc. (61 in t.) e to 35, 543, ecc. (13 in t.). Anche Ŭ in iato riesce in o, attestato nel numerale doa neutro 60, doe f. 182 e, con apocope, do f. 81, 91, 99, 120. Al maschile le forme duy e du sono dovute, come si è già detto (§4.12), a metafonesi (attiva anche in nu, vu, vui, vuy, per cui si parte da Ō : §4.11) Per il gruppo vocalico -uo < -ŪTU ( M ) si ha apocope in batù 128, desendù 1582, metù 124, vedù 119, 130, conservazione della vocale atona finale in co(n)funduo 13, p(er)duo 82, veduo 24, come pure, davanti a -i, in metui 150–151. In iato primario nelle forme derivate da *(IL ) LŪI e composti la finale è mantenuta solo in coluy 5 e luy 6, 82, mentre è apocopata in colù 92, culù 142, 1432, lu 82, 92, ecc. (28 in t.), con cui va costù 94 < *( EC ) CU ( M ) ISTŪI .29
4.15 Esiti di Ĭ , Ē , Ĕ e AE in protonia Il continuatore volgare di Ĭ è e, attestato nelle radici delle seguenti forme (per i prefissi cf. §4.16): aparegàve inf. 34, aparegiada 4, aparegiade 41, aparegiadi 75, aparegiado 33, 77, 94, aparegiam(en)to 134, aparegiando 172, aparegiare 134, aparegiarì 5, aparegié impt. 5a pers. 4, aparegiemo 84, aparegión 5, beverò 292, cercava 101, comenzamento 45, 47, come(n)zare 28, comenzò 24, 61, 90, ecc. (6 in t.), comenzón 130,30 cometè 121, (con)selión 125, constrẽzén 146, convenievelmente 70, degnam(en)te 159, degniame(n)te 30, degniò 14, edeficare 102, fendè 179, Galelea 59, i(n)fenzeva 77, inseniarà 48, inspenzè 182, legà part. 117, lenzò 24, lenzolo 24, 952, maravelioxame(n)te 31, mareveyava 113, mareveioxa 183, marevelioxa 21, menà part. 88, menada 144, menado 952, 1122, ecc. (8 in t.), menando 139, menar 14, 113, 129, 134, menase 86, menaveno 87, 138, menélo impt. 5a pers. 76, menò 872, 107, 186, menón 87, 137, metèlo 171, metén 107, 153, 186, meteva 16, metìmi 182, metù 124, metudo 107, 109, 123, ecc. (6 in t.), pelada 142, pesina 139, p(ro)vedere 13, redemete 14, rede(m)ption 120, refection 5, rezevesse 62, rezevì 28, segniarà 38, segniorezare 11 (per la seconda e), senestra 159, senestro 153, sengiura 24, someia(n)teme(n)te 157, someliante 60, 181, sostenì impt. 5a pers. 63, spa(n)tegadi 110, spa(n)tegò 110, stregiame(n)te 23, sustenemo 159, sustenise 151, suste-
29 Per la quantità vocalica di *(IL ) LŪI L ŪI cf. GRADIT, s.v. lui; DELI dà invece *( IL ) LŬI L ŬI (ma *( EC ) CU ( M ) ILLŪI come base per colui). 30 Abbreviata la forma com(en)zado 118.
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4 Analisi linguistica
nisse 165, 170, 1743, sustenisseno 171, susteniva 1652, 1692, ecc. (6 in t.), sustenudo 170, 177, te(n)zèllo 18, vedarì 104, vedemo 532, vederan 184, vedere 602, 96, ecc. (12 in t.), vederemo 176, vederì 47, 494, ecc. (8 in t.), vederlo 119, vedesse 143, vedì ind. e impt. 5a pers. 35, 37, 104, ecc. (7 in t.), vedù 119, 130, veduda sost. 182, veduda part. 107, vedudo 142, veduo 24, vegià part. 107, vegiando 126, vegia(r)e 66, vegié impt. 5a pers. 63, 66, vendeta 94, venzudi 66, vescovado 87, vezando 11, 81, 95, ecc. (12 in t.), vẽzudo 53 (sono abbreviati v(er)tù sg. e pl. 15, 80–81, ecc.: 5 in t., e v(er)tuoxo 68). Il casi non infrequenti di conservazione del timbro di Ĭ protonica vanno interpretati come latinismi: crucificado 1272, 136, ecc. (9 in t.), discipuli 42, 55, ecc. (54 in t.), ministri 86, 89, 96, ecc. (8 in t.), testimonii 1012, 102, humilità 122, 132, ecc. (7 in t.) e humiltà 94, e così via. In alternanza con le forme che presentano Ĭ > e citate di sopra si hanno solo redifichà inf. 101, retificà inf. 101–102, 157, da confrontare con il citato edeficare, e Galilea 118, 1192, 185, allato a Galelea. A ragioni diverse dall’influsso dotto sono dovute le forme amaistrà ind. perf. 3a pers. 12, amaistrà part. 15, amaistramento 178, amaistrava 85, amaistremo 84, che dipendono da maistro (per cui cf. §4.9); comitis ind. perf. 2a pers. 54 (accanto al citato cometè), dove potrebbe aver agito il modello della 2a pers. dell’ind. pres. metafonetica (cf. Bertoletti 2005, 45); desligón 128, disligasse 86, ligadi 86, ligado 86–87, 95, ecc. (7 in t.), ligamo 86, ligón 86, 107, che riflettono un tipo generalmente diffuso negli antichi volgari settentrionali; siando 4, 8, 20, 101, forma gerundiale dipendente dal cong. pres. di ‘essere’ (cf. §4.14, 4.49). Si citano qui anche le forme Desmas 146, Dismas 159, con tutta probabilità pronunciate ossitone (Parodi 1957, 233). Solitamente si conserva e < Ē , Ĕ , AE : segnior 1, 15, 25, ecc. (9 in t.), segniore 14, 28, segniorezare 11, segnor 1, 2, 42, ecc. (50 in t.), segnore 32, 7, ecc. (20 in t.), segnoria 12, segnuri 123, 133, 140, ecc. (5 in t.), seg(n)[u]ri 82, segurame(n)te 68, 71, e così via. La vocale rimane anche in parole non direttamente derivate dal latino, come nei gallicismi besognio 14, 25, 53, bexognio 139 e besonio 84, 106, 144 (per cui cf. Castellani 2000, 105–106), mesagere 45 e mes(er) 10, 15, 172, ecc. (18 in t.). Il passaggio di e < Ē , Ĕ a i in protonia è attestato in Cirineo 146,31 drizò 176, drizó(n) 6,32 i(n)ivrià inf. 30, signor 68–69. A parte vanno citati inguà 167, inguale 12 e insì ind. perf. 1a pers. 52, i(n)siseno 151, insite 100, 112, 118, ecc. (7 in t.), i(n)siva 141, insivano 108, insudo 532, 55, 87, dove si ha estensione analogica del prefisso ĬN - (cf. Ascoli 1879b e inoltre Flechia 1888, 350–351; Salvioni 1898, 353, 366; 1975, 337).
31 Non trovo attestazioni con i in Italia settentrionale né in DI, s.v. Cirène né nel Corpus OVI. 32 La base sarebbe *DIREC DIRE CTIARE TIARE (cf. DELI, s.v. drizzare); ma forse bisognerebbe pensare a *DIRĪCTIARE , in analogia con *DIRĪCTU ( M ) , per cui cf. sempre DELI, s.v. diritto1.
Vocalismo
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Si registra labializzazione davanti a nasale labiale in aromanisse 2, dadoman 108, domanda sost. 822, 116, domanda ind. pres. 3a pers. 47, domanda cong. pres. 3a pers. 53, doma(n)da impt. 2a pers. 90, domandà part. 51, doma(n)day 91, domandan 169, doma(n)dar 125, domandare 50, 64, 116, domandarì 362, 41, ecc. (7 in t.), domandarò 104, domandasse 17, doma(n)dava 119, domandaveno 7, 82, domande sost. 91, domandé ind. pres. 5a pers. 80–81, 822, domandé impt. 5a pers. 51, domandemo 80, 82, doma(n)di 90, domandò 81, 119, 170, ecc. (6 in t.), domandòlo 119, domane 2, romanisse 2, romaxe ind. perf. 3a pers. 88, 180, romaxe part. 1812, romaxeno 180, someia(n)teme(n)te 157, someliante 60, 181. Per lo più -er- protonico all’inizio e all’interno di parola è mantenuto, come negli indicativi futuri crederà 36, p(er)manerì 42, viverì 37, nei condizionali co(m)bateraveno 117 e destruerise 157, in desideramo 70, merzé 159, e così via.33 Si registra però il passaggio ad -ar- caratteristico del milanese in pianzarì 50, procedarà 45, vedarì 104 (accanto a vederì 47, 494, ecc.: 8 in t.), venardì 186 e in adveniarà 49, vegniarà 46, vegniarò 39, veniarò 76, che muovono da forme metaplastiche in -er- (cf. §4.49; Salvioni 1904a, 570–571; 1975, 338, 362, 370). A parte vanno citati i casi di sarà 27 e sarì 59 (accanto a serà 15, 18, 282, ecc.: 15 in t., e serì 27, 43), modellati in analogia all’ind. fut. di dare, fare, stare (Rohlfs 1969, §587) e probabilmente influenzati dal toscano. Per i casi di assimilazione e dissimilazione in a di e protonica derivata da Ĭ , Ē , Ĕ , cf. §4.35.
4.16 Esiti di Ĭ , Ē , Ĕ protoniche nei prefissi Per quanto riguarda le serie prefissali, si registrano bes- < BĬS in bestirare 149 e des- < DĬS o DĒ + ĔX (Rohlfs 1969, §1011) in desaxio 72, descazadi 110, descolzo 143, descordaseno 1, desfà inf. 62, desformado 143, desligón 128, desnó sg. 129, 170, desnor sg. 137, 154, desnore 135, desnori 143, desnuri 107, dexonesti 141, despoestado 47, desponudo 15, desprexiado 140, desp(re)xiò 1212, deste(m)perado 176, destexo 149, 151, desturbar 126, desvolupò 95, di contro a disligasse 86, disp(er)sa 59, disp(er)se 59, dispono 15; da un originario DĬS - è anche il prefisso di dilectissmo 70, dilecto 166, diligenteme(n)te 118 (cf. DELI, s.v. diligere). È costante de prep. 1, 43, e così via, come pure de- prefisso: deccorre 183, decorse 184, defenda 67, delivrado 111, demete 64, demostra 128, demostràn 179, demostrare 168–169, 180, 183, denanze 59, 67, 69, ecc. (22 in t.), depo’ 87, depoy 162, depoxo 185, deresion 137, desce(n)de impt. 2a pers. 157, descendè 31, desenda
33 Per la posizione postonica, si veda per es. liberi 86.
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4 Analisi linguistica
157, desendù 1582, des(er)to 133, desideramo 70, desiderio 169, de[si]derio 10, desidrano 122, desidrà part. 7, 119, desp(er)à inf. 62, desp(er)ado 109, despoión 138, despolión 149, destruerise 157, destrù inf. 1012, determiné-vo ind. pres. 5a pers. 70, devedava 115, devene 143, deventado 77, devotamente 30, devotion 30, 178 (per i casi di labializzazione cf. §4.15). Sono parimenti costanti in prep. 12, 23, e così via, e in- prefisso: i(m)binday 170, i(m)bindón 106, i(m)mortalità 29, i(m)p(er)ator 108, 112, i(m)p(er)a[to]r 135, i(m)p(er)io 126, 155, imp(er)ò 3, 12, 22, ecc. (15 in t.), i(m)però 14, i(m)p(er)ò 13, 16, 26, ecc. (56 in t.), i[m]p(er)ò 64–66, 91, 93, i(m)p[er]ò 39, imp(er)zò 171, i(m)p(er)zò 44–45, 149–150, i(m)portabile 143, 151, importuni 118, imprexe 21, i(m)p(ri)ma 87, i(m)p(ri)mam(en)te 126, inanze 252, 39, ecc. (17 in t.), incarnado 31, inclinà ind. perf. 3a pers. 178, incontanente 20, 24, 84, ecc. (8 in t.), i(n)co(n)tra 39, i(n)(con)tra 81, 106, 1222, in(con)tra 125, incoronada 170, i(n)cõtane(n)te 19, i(n)[c]õtane(n)te 71, indoso 95, 129, indosso 25, 105, 128, ecc. (6 in t.), indré 9, 121, i(n)dugii 103, induxeno 98, i(n)fedilità 63, i(n)fenzeva 77, i(n)ferma 66, i(n)fiamà inf. 30, inficàn 149, 153, inganador 123, i(n)ganar 118, inganator 112, 118, inganevre 158, ingenogiamo 69, ingiavado 152, 1532, inimì 68, inimigo 772, 87, inimixi 14, 84– 85, ecc. (6 in t.), i(n)iuria 86, 923, ecc. (8 in t.), i(n)iuriaveno 159, iniurie 107–108, 140, ecc. (5 in t.), i(n)ivrià inf. 30, i(n)nanze 6–7, i(n)na(n)ze 27, inp(er)ò 23, 30, 44, ecc. (6 in t.), inp(er)zò 45, 148, inp(ri)ma 87, inp(ri)mam(en)te 44, inschergniido 138, 140, insema 6–7, 24, ecc. (14 in t.), inseniarà 48, i(n)sì avv. 89, inspenzè 182, i(n)spiraveno 158, integro 3, intende inf. 6, 9, 18, ecc. (13 in t.), i(n)tendeseno 16, 19, i(n)tendeva 102, intendevano 102, 176, i(n)texe 126, intexo 8, 127, i(n)verso 17, 144, i(n)v(er)so 80, 159, i(n)vidia 124, i(n)volupado 95, i(n)zenerà part. 145, i(n)zenogàsse ind. perf. 3a pers. 63, inzenogiaveno 128, 137. Nella serie rientrano anche illora 4, 18, 53, ecc. (47 in t.), ilora 61, 101, 110, ecc. (5 in t.), inguà 167, inguale 12, i(n)lì 147, inlò 5, 31, 61, ecc. (18 in t.), inlora 6, 17, 21, ecc. (6 in t.), i(n)rado 103, 133, insì ind. perf. 1a pers. 52, i(n)siseno 151, insite 100, 112, 118, ecc. (7 in t.), i(n)siva 141, insivano 108, i(n)stisi 7, insudo 532, 55, 87, dove si tratta di estensione di in- oppure di incrocio con la preposizione (cf. Salvioni 1975, 337 e il glossario). Si ha, infine, sempre re-: aregorda 50, aregordado 100, aregordé cong. pres. 5a pers. 46, aregordéve impt. 5a pers. 44, receve inf. 114, 175, receve ind. pres. 3a pers. 30, recevè 138, 1672, 184, receverà 48, recevesse 158, 174, recevete inf. 77, receveva 812, 87, recevudo 75, recomandare 178, recomando 178, recompara(r)e 70, recore inf. 64, recup[er]ame(n)to 70, redemete 14, rede(m)ption 120, redifichà inf. 101, refection 5, regoie inf. 110, remandò 121, remaniseno 181, remaxo 170, remision 28, renagaré ind. fut. 2a pers. 33, renda 117, rende inf. 90, 110, rende ind. pres. 3a pers. 182, re(n)de impt. 2a pers. 94, rendè 178, renegà inf. 60, renegà ind. perf. 3a pers. 98, renegare 60, 98, renegaré ind. fut. 2a pers. 99, renegò 89, 97, renovado 29, renovare 90, reposà
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part. 6, reposare 21, reposé impt. 5a pers. 72, repossare 154, reprenderà 472, reprendeva 7, 159, represe 12, 662, representò 29, reputado 73, 122, reputasse 92, reputò 1212, responde inf. 67, 91, 103, responde ind. pres. 3a pers. 94, 121, responderì 104, respondesse 118, 121, respondeva 102, 113, 120, ecc. (5 in t.), respondi 103, re[s]pondi 131, responsion 83, 103, 109, respoxe 9, 33, 352, ecc. (18 in t.), re[s]poxe 25, 53, rexpoxe 76, 90–91, respoxen 133, respoxeno 106, 131, 133, 135, rexpoxeno 114, respoxo 91, 1202, resurection 602, resusitado 59, resusitàn 179, resusitare 102, resusitò 31, reten 9, retificà inf. 101–102, 157, retrà inf. 81, retrén 81, revelà inf. 22, rev(er)e(n)tia 91, reverenzia 87, revolzen 186, rezeva 95, rezevano 55, rezeve inf. 14, 20, 37, ecc. (5 in t.), rezevè 3, rezevesse 62, rezevudo 111 (per i casi di labializzazione cf. §4.15).
4.17 Esiti di A , Ī , Ŏ , Ō e Ŭ protoniche Si registra il passaggio di A in u davanti a consonante labiale in lumentò 175 e lum(en)taveno 144, che trovano rispondenza nel milanese moderno lument (cf. Salvioni 1975, 339); per i casi di assimilazione e dissimilazione di A protonica cf. §4.35. Per lo più -ar- in posizione protonica iniziale o mediana si conserva: si vedano, a titolo d’esempio, gli indicativi futuri amarò 37, ca(n)tarà 33, trovarì 4 (cf. §4.54), i condizionali alegrarisse-vo 39, lassareve 121 (cf. §4.57), il sostantivo podestaria 85, e così via.34 Si registra però il passaggio a -er-, probabilmente per influsso toscano, in amerave 44, buterà 40, maculeraveno 112 e pe(n)seran 46. Per nazereno 154 e Nazeret 80, cf. §4.35. Prescindendo dai casi di u < Ŭ che si giustificano come latinismi (co(n)funduo 13, singularmente 17, tribulation 15, 53, 63, ecc.: 5 in t., e così via), si ha u da Ŏ , Ō e Ŭ in cugnado 98, culù 142, 1432 (accanto a colù 92), cunteza 88, cuxadura 156, cusì 14, 26, 29, ecc. (48 in t.), cussì 40, 95, 186 (accanto a così 11, cosỳ 7) e umicidie 123, forme attestate in milanese o comunque negli antichi volgari settentrionali.35 Talora, come per voluntà 63, 642, ecc. (7 in t.; volontà 65), la spinta dotta si confonde con l’esito locale (cf. Salvioni 1898, 354; Verlato 2009, 391). I pochi esempi di Ī > e sono tutti attestati nel lombardo nordoccidentale antico (Salvioni 1898, 352; 1904a, 570): si tratta di deresion 137, openion 146 (accanto a
34 Si ha mantenimento anche in postonia, come in gazari ‘catari’ 64. 35 Cf. Mussafia (1868, §21) e Seifert (1886, 23: cuinteza), Salvioni (1884, §128: cüñā, cüsì ‘cucire’; 1898, 354: cussi); Brugnolo (1977, 161: cului, umicidie); Donadello (1994, 39: chulù’, 57 e passim: chusì, chussì, cusì, cussì, 60 e passim: chullui, chului, cullui, cului, culuy); Gambino (2007, 438: umicidiosi); Verlato (2009, 391: cugnà). Per desvolupò 95 e i(n)volupado 95, da un incrocio di FALUP PA FALUPP A ( M ) e INVOLVERE , INVOLUCRU INVOLUC RU ( M ) , cf. Horning (1897).
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opinion 32) e di due forme del verbo DĪCERE che presentano la radice dex-: dexevano 157 (accanto a dixevano 106, 120), dexisse ind. perf. 2a pers. 55. La a di cuxadura 156 è motivata morfologicamente, per l’impiego del suffisso -ATURA ( M ) esteso a un verbo della IV coniugazione (cf. Mussafia 1873, 121).
4.18 Vocali postoniche interne Si osserva l’esito volgare in e di Ĭ postonica in carego 63, fievele 146, iudexe 95, nuveri 104, possibe 63, possibel 63, pre(n)cepo 39, prevede 13, 29, p(ri)ncepi 116, 122, princepo 47, 84, 87, ecc. (10 in t.), s(er)vitudeni 133, tonega 18, 73, utel 30, vergen 142, 167, vergene 31, 1402, ecc. (11 in t.), zudex 108. Prevalgono tuttavia dal punto di vista numerico i latinismi con i < Ĭ : abito 63, anima 14, 302, ecc. (8 in t.), anime 14, 23, 70, ecc. (5 in t.), ap(ro)sima 2, 72, 166, ap(ro)ssima 73, calix 282, 63, ecc. (5 in t.), kalix 67, clarifica 54, clarificame 54, crucificalo 1302, 134, debile 146, heretici 64, femina 50, 88–89, ecc. (7 in t.), glorifica 57, imagine 71, i(m)portabile 143, 151, lagrime 100, legiptimo 167, licito 111, 114, nobile 92, 1643, 185, homini 64, 107, 125, 173, põtifico 87, p(re)diche ind. pres. 2a pers. 90, principi 11, 752, ecc. (14 in t.), prossimo 23, publico 93, sacrifica 3, sacrificano 3, santifica 57, santificali 57, spiriti 169, spirito 372, 38, ecc. (10 in t.), Zudixii 68, cui sono da aggiungere i superlativi assoluti amarissima 176, carissimi 10, 143, grandissima 186, gravissima 94, gravissime 175, gravissimo 151, grevissima 170, grevissime 177, nobilisimo 143, sanctissimo 562, 139, santissimo 180, stragra(n)dissimo 143, vilissimo 92. Parallelamente, i casi di o < Ŭ (amora 4, porpora 128–129, 137–138, tavora 162, 154, vedova 110) sono superati da quelli con conservazione dotta del timbro: cenaculo 5, 24, discipuli 5, 7, 9, 102, 11–12, 15, 32, 53, 90 (11 in t.; negli altri casi si ha discip(u)li o di(sci)p(u)li), macula 3, miraculo 119, p(er)iculi 67, populo 112, 115, 118, ecc. (14 in t.), seculo 10, 15, titulo 1545, 1552.
4.19 Vocali atone finali Da un punto di vista strutturale, le condizioni di caduta delle atone finali sono grosso modo coerenti con quelle valide nei volgari lombardi nordoccidentali antichi:36 a fronte di un mantenimento costante di -a, nei parossitoni si registra apocope di -e dopo m, n, l, r e dopo sibilante sorda e sonora; di -i dopo n, r e dopo
36 Cf. Salvioni (1911, 165–170); Contini (1935a; 1935b, 239–244); Gökçen (1996, xiii–xxviii); Colombo (2010, 13–15).
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sibilante sorda e sonora; di -o dopo m, n, l e r. Nei proparossitoni -e può cadere dopo n, l, r e dopo sibilante (originalmente) sonora, -o dopo n,37 mentre non si rilevano apocopi di -i.38 In tutti gli altri contesti fonetici – con l’eccezione di Scariot 18–19, Scarioth 38, Schariot 25 – si ha conservazione: tuttavia, alcuni esempi di restituzione erronea della finale caduta mostrano la possibilità di apocope anche al di là dei limiti segnalati: agresto («lactuge a.») 2, cota(n)te («c. flageli») 140, sonte («S. mi quelo, magistre?») 9, p(er)iti («sì com p. Heli») 13, umicidie («p(er) u. era metudo i(n) p(re)xon») 123.39 Da un punto di vista quantitativo, nei parossitoni l’apocope di -e riguarda il 68% dei casi dopo n, il 57% dopo m, il 49% dopo l, il 47% dopo r, l’1% dopo sibilante; quella di -o si attesta all’83% dopo n, all’1% dopo m, al 51% dopo l, al 14% dopo r; quella di -i al 50% dopo n, al 24% dopo r, al 34% dopo sibilante.40 Le tre finali -e, -i e -o tendono dunque a cadere soprattutto dopo nasale dentale, mentre dopo r il fenomeno si verifica in misura più contenuta. Dopo l cadono -e e -o all’incirca nella metà degli esempi utili, mentre -i si preserva; il dileguo dopo m è ristretto in sostanza a -e, quello dopo sibilante a -i.
37 Nessun esempio utile, né di caduta né di conservazione di -o, dopo sibilante. 38 Nei parossitoni al dileguo della finale può seguire quello di n, l e r; quello delle sole l e r nei proparossitoni. Talvolta, come per nat(ur)al cossa 164, 169, la caduta dell’atona finale è favorita dalla fonetica di frase; si noti tuttavia che per nessuno degli intorni fonetici citati tale influsso riguarda la totalità delle occorrenze rilevabili. Non si prendono qui in esame i casi di apocope davanti a vocale; si conteggiano però quelli in cui la caduta della vocale finale è accompagnata (e perciò certificata) dalla caduta della consonante precedente, e quelli in cui la parola successiva appartiene indubitabilmente a un altro periodo (l’eventualità non riguarda i periodi inizianti per e o et e per unde). Si escludono inoltre le occorrenze, pur pertinenti, in cui la consonante riuscita finale risulti dallo scioglimento di un’abbreviazione: alcu(n) 82, bo(n) 8, butara(n) 46, caso(n) 77, cognosco(n) 46, co(m) 112, 122, 15, 392, 40, 42, 54, 58, 60, 64, 68, 77, 80–81, 86, 98, 102–103, 111, 131, 156, 163–164, 174, (com) 103, (con)ditio(n) 143, ess(er) 10, generatio(n) 70, ladro(n) 147, lasa(r) 30, ma(n) sg. e pl. 76, 124, mangia(n) 3, mes(er) sempre abbreviato, nesu(n) 35, p(re)xo(n) 107, Simo(n) 146, so(n) ind. pres. 1a pers. 80. Per l’apocope delle finali precedute da una vocale tonica in iato primario e secondario, del clitico ’l in funzione di soggetto e di oggetto (caso quest’ultimo in cui l’apostrofo precedente è mera convenzione grafica) e dei nessi di clitici, cf. §§4.14, 4.40, 4.41. 39 In Thomaxe 35 la -e trova invece sostegni: cf. il Corpus OVI, s.vv. Tomase, Tomaxe, Thomase, Thomaxe, che offre diverse attestazioni in veneziano, emiliano e, soprattutto, in bolognese. Anche per molte avv. 113, 116, 119, 122 «non si potrà parlare […] di vocale finale erroneamente ricostruita, data la grande diffusione della forma […]. Si tratterà piuttosto di assimilazione agli avverbi in -e» (Bertolini 1985, 45). Si segnala qui che nel caso di anz’è 38, interpretato come elisione, si potrebbe anche pensare all’apocope (cf. Gökçen 1996, xviii). 40 Nelle percentuali tutti i numeri decimali s’intendono arrotondati all’intero più vicino o, nel caso di equidistanza, a quello più basso.
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Nei proparossitoni, invece, la caduta di -o dopo -n si verifica nel 4% dei casi, mentre -e cade il 13% delle volte dopo n, il 25% dopo l, il 96% dopo r, l’83% dopo sibilante. La netta sproporzione tra le due ultime percentuali e le prime tre si spiega alla luce di due considerazioni: la prima è che il tasso di apocope di -e dopo sibilante può essere falsato dall’influenza del latino nel promuovere le forme calix e kalix, uniche rappresentanti del fenomeno. In merito poi alla caduta di -e dopo r, si tratta di un fenomeno morfologicamente determinato, dal momento che si verifica esclusivamente negli infiniti dei verbi di III coniugazione, dove il dileguo della vocale finale è sempre accompagnato da quello di r (cf. §4.29). Alla luce di tali osservazioni, si può quindi affermare che alla posizione dell’accento sulla (originaria) terzultima si associa una maggiore tendenza alla conservazione dell’atona finale. Non è facile dire quanto il quadro offerto dalla Passione Trivulziana diverga dall’effettiva realtà fonetica del milanese antico. Per quanto riguarda la scrizione nei parossitoni delle vocali finali diverse da -a e precedute da n, l e r, il confronto con gli studi di Contini (1935a, 46) e Gökçen (1996, xxiii–xxv) su Bonvesin e di Colombo (2010, 13–14) su un testo pratico milanese di primo Trecento, che mostrano la regolarità dell’apocope in simili casi, induce a riconoscere un influsso congiunto del latino e del toscano. Dopo m e sibilante, invece, non è da escludere che il mantenimento di -e, -i e -o nei parossitoni, certo sorretto nella Passione Trivulziana da modelli dotti e letterari, poggiasse su una possibilità ancora non del tutto spenta della lingua dell’epoca.41 Nei parossitoni dove la vocale d’uscita non segua sonorante o sibilante e nei proparossitoni, infine, sembra ancor più plausibile ritenere che l’apocope si accompagnasse in milanese antico alla preservazione dell’atona finale. Di seguito si elencano partitamente i risultati dello spoglio. Parossitoni. Apocope di -e dopo n: abitation pl. 110, acusation sg. 113, acuxation sg. 112, acuxation pl. 103, asension 161, aven 45, ben avv. 13, 16, 252, ecc. (24 in t.), bocon 18, bochon 19, ca(n)ton 16, cason sg. 92, caxon sg. 77, 872, ecc. (12 in t.), caxon pl. 67, 120, 163, co(m)pasion 65, 130, 166, (com)pasion 129, comun 111, comunion 32, condition sg. 143, 147–148, (con)dition pl. 147, co(n)stitution 58, co(n)tention 12, co(n)tenzion 11, co(n)trition 160, coven ind. pres. 3a pers. 73, dadoman 108, da(m)pnation sg. 159, deresion 137, generation 29, 62, 120, ecc. (7 in t.), Iohan 6, 41 Tale possibilità, a rigore, non si può escludere completamente neppure quando le finali sono graficamente espresse dopo n, l, r, se i medesimi criteri metrici che spesso attestano in Bonvesin l’apocope in tali condizioni indicano talvolta anche la conservazione (cf. Gökçen 1996, xxvi– xxviii).
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iuridition 121, iu[ri]dition 119, legion pl. 84, madran 163, man sg. 62, 14, ecc. (9 in t.; cf. §4.36), man pl. 20, 852, ecc. (6 in t.), m(en)tion 165, offe(n)sion 23, openion 146, opinion 32, oration sg. 66, 69, pan 33, ecc. (5 in t.), passion sg. 12, 60, ecc. (20 in t.), passion pl. 165, perfin 96, 133, p(re)dication 32, p(re)figuration 29, p(re)xon 123, raxon sg. 22, 164–165, ecc. (5 in t.), raxon pl. 169, rede(m)ption 120, remision 28, responsion 83, 103, 109, resurection 60, reten ind. perf. 3a pers. 9, salvation 65, 70– 71, ecc. (5 in t.), susten ind. perf. 3a pers. 130, 165, tanfin 29, te(m)ptation 662, tradizon 8, traition 18, tribulation 64, ven ind. pres. 3a pers. 53, ven ind. perf. 3a pers. 5, 75, 88, 181. Conservazione: bene 262, bone 10, covene ind. perf. 3a pers. 100, devene ind. perf. 3a pers. 143, domane 2, done 142, fontane 151, Iohane 5–6, 172, ecc. (23 in t.), mane sg. 2, 9, 139, mane pl. 25, 109, 170, 1782, pane 2, 28–29, 31, passione 1, 3, 29, pene 71, 125, 129, ecc. (5 in t.), penne 177, perfine 2, persone 169, 186, piene 170, spine 129, 137, 170, tene ind. perf. 3a pers. 32, 85, 102, 122, sustene ind. perf. 3a pers. 31, 1732, vene sost. 183, vene ind. perf. 3a pers. 24, 26, 61, ecc. (12 in t.). Apocope di -e dopo m: com 5, 8, 13, ecc. (24 in t.), nom 135, 1463. Conservazione: flume 743, nome 36, 38, 43, ecc. (16 in t.), rame f. pl. 402. Apocope di -e dopo l: barì 4, celestial 155, cotal 3, 76, 99, 109, inguà 167, mal sost. 94, mal avv. 85, 144, nat(ur)al 164, 169, qua ‘quale’ 4, 127, qual 1, 4, 10, ecc. (35 in t.), tal 117, 126, 130, 139, vol 49, 111, 134. Conservazione: cotale 70, elle 392, 71, fanzele 75, 82, inguale 12, male sost. 57, 94, male avv. 942, male agg. pl. 159– 160, mamelle 145, mat(er)iale 102, mortale 29, 77, nat(ur)alle 169, parole 7, 28, 36, ecc. (11 in t.), p(er)petualle 144, quale 17–18, 31, quele 1, 41, 67, ecc. (6 in t.), quelle 36, 43, 48, ecc. (10 in t.), sole 1682, spirituale 11, tale 153, talle ‘tale’ 55, valle 61, vile 92, 143, 164. Apocope di -e dopo r: acuxar 113, aiar 135, amor 15, 423, ecc. (8 in t.), andà 24, 127, andar 82, 132, apelar 166, avè 91, aver 10–11, 45, 106, calo(n)nià 103, cavaler 182, cenar 5, 16, clarificà 54, comandator 11, (com)piir 82, co(m)prà 73, (con)dù 101, consoladó 37, cor 166, crè 6, 36, 89, 126, cridar 130, crucificà 102, dà 135, danià 62, 65, dar 8, 31, 120, desfà 62, desnó 129, 170, desp(er)à 62, destrù 1012, desturbar 126, dì 147, dir 98, 119, dolor 163, doma(n)dar 125, dormir 72, 107, examinar 113, 1152, fà 51, 85, 101, far 7, 23, 402, ecc. (9 in t.), fì 11, 129, 1392, 186, fiì 13, i(m)p(er)ator 108, 112, i(m)p(er)a[to]r 135, i(n)fiamà 30, i(n)ganar 118, i(n)ganator 112, i(n)ivrià 30, i(n)trà 4, i(n)trar 882, 112, lassar 132, lavar 24, 252, 26, lavorador 40, liberar 126, maior sg. 102, 11, ecc. (12 in t.), maior f. pl. 36, mayor 131, malfactor 112, menar 14, 113, 129, 134, mendar 94, ministrador 11, morì 60, 66, 114, 131, mostrar 147, 178, mulier 125, nomar 119, notar 113, ofrì 29, partì 79, pastor 13, peccar 103, 120, peccator 159, pensar 10, pentir 8, p(er)ir 84, piaxè 13, pignater 111, pixor 186, poè sost. 182, portar 94, 146, p(ro)curator 108, pur 84, 97, 115, querì 23, redifichà 101, retificà 101–102, 157, renegà 60, retrà 81, revelà 22, rumor 112, 118,
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4 Analisi linguistica
135, salvator 1472, xaminà 90, savè 16, 22, saver 35, scandelizà 62, schivar 65, segnior 1, 25, 32, ecc. (6 in t.), segnor 1, 2, 42, ecc. (37 in t.), seguì 4, seguir 12, 32, 332, sepelir 186, signor 68–69, sofrì 93, sostenir 143, sudor 68–69, tirar 173, tò 51, 181, tornà 32, tradir 21, traditor 24, 74, 76, 110, traỳ 73, trahir 20, transfor[m]à 30, ulzir 125, vorè 11, zudigar 31; all’elenco va aggiunto anche seduro 118, con restituzione erronea della finale.42 Conservazione: actore 136, agatare 19, aidare 84, altare 31, amore 42, 83, 143, 186, andare 682, 85, ecc. (5 in t.), anumerare 149, aparegiare 134, apelare 77, 112, ap(ro)simare 96, aquistare 10, asetare 24, avenire 67, avere 6, 58, bestirare 149, brusare 2, cadere 81, 153, cobrire 145, come(n)zare 28, co(n)fesare 66, co(n)tristare 61, convocare 123, core 13, 23, 34, ecc. (8 in t.), creatore 138, 155, creature 54, 130, 138, ecc. (6 in t.), crucificare 139, dare 18, 29, 61, ecc. (6 in t.), deccorre 183, demostrare 168–169, 180, 183, desnore 135, dire 7, 21, 47, ecc. (29 in t.), doctore 32, 146, dolere 23, dolore 502, 51, ecc. (15 in t.), domandare 50, 64, 116, dormire 67, edeficare 102, exaltare 12, fare 4–5, 19, ecc. (10 in t.), fere 171, 176, fiore 1482, 155, iudicare 129, lassare 131, liberare 14, 157, 1742, maiore f. pl. 151, manere 177, mangiare 2, mare 133, mesagere 45, mestere 19, morire 71, 1212, mostrare 64, muliere 110, 126–127, odore 148, honore 10–11, 122, ecc. (5 in t.), orare 61, 673, oscurare 168, pare 77, 90, 106, ecc. (5 in t.), partire 156, passare 133, pastore 59, permanire 152, piare 83, 95, piaxere 10, pignatere 111, piiare 85, po[e]re sost. 54, portare 66, 139, 142, 146, predire 60, pregare 842, 152, p(ro)vedere 13, p(ro)vocare 103, pure 96, recomandare 178, recompara(r)e 70, recore 64, renegare 60, 98, renovare 90, reposare 21, repossare 154, resusitare 102, rumo(r)e 118, sacrificare 2, salvare 62, 157, salvatore 155, satisfare 124, 175, savere 48, 163, sc(ri)pture 84–85, script(ur)e 184, sedere 26, 104, segniore 14, 28, segniorezare 11, segnore 32, 7, ecc. (20 in t.), serore 162, 180, s(er)vare 4, 12, stare 16, 22, 100, taxere 91, traditore 8, 17, vedere 602, 96, ecc. (12 in t.), vegia(r)e 66, venire 104, vestire 121, vore 70, 121, 157, tore 186, tradire 7, 17, 25, traire 7. Apocope di -e dopo sibilante: amonis ind. pres. 3a pers. 64, dis ind. pres. 2a pers. 105, lux 85, 100. Conservazione: amasse 163, andase 89, aparisse 69, aromanisse 2, avese cong. impf. 3a pers. 82, avesse cong. impf. 1a pers. 452, avesse cong. impf. 3a pers. 8, 19, 22, ecc. (10 in t.), benedise 28, benedisse 6, 28, cognosce ind. pres. 3a pers. 372, 58, cog(no)se ind. pres. 2a pers. 60, comandasse 181, comovesse 166, (com)piise 114, (con)stituisse 12, contradixe 132, cose 71, cosse 1, 4, 6, ecc. (32 in t.), covenise 60, croxe sg. 3, 139, 142, ecc. (38 in t.), croxe pl. 153, decorse 184, dexe 71, devesse 3, 8, 19, 124, dixe ind. pres. 2a pers. 92, 35, ecc. (7 in t.), dixe ind. 42 Si citano qui, fuori dal novero, i casi di infiniti con enclisi pronominale, sempre apocopati: acuxarlo 103, agatàne 111, aparegàve 34, ap(ro)simarse 23, co(n)v(er)tìsse 23, dàme 117, dirme 17, donarve 123, farge 87, farse 103, liberarlo 176, mangiarlo 2, picarse 110, poderte 1312, sugàli 24, sugàsse 100, svengiarse 92, torlo 176, ulcirlo 65, ulzirlo 131, vederlo 119.
Vocalismo
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pres. 3a pers. 2, 10, 12, ecc. (31 in t.), disese cong. impf. 3a pers. 69, disesse cong. impf. 1a pers. 55, dixesse cong. impf. 3a pers. 19, disligasse 86, disse ind. pres. 3a pers. 142, disse ind. perf. 1a pers. 47, disse ind. perf. 3a pers. 42, 72, ecc. (121 in t.), doloroxe 163, 177, domandasse 17, donasse 19, fesse 19, 86, 125, 181, fisse 128, 181, fosse cong. impf. 1a pers. 45, 85, fosse cong. impf. 3a pers. 82, 9, ecc. (42 in t.), giamasse 176, guardasse 125, guixe 133, imprexe ind. perf. 3a pers. 21, i(n)texe ind. perf. 3a pers. 126, liberasse 130, 174, manifestasse 63, menase 86, mise 21, 24, mixe 99, 124, 129, misse 136, nasese 96, noxe 115, osse 149, parexe 92, pa[r]turisse 50, paxe 392, 53, pensasse 92, p(er)desse 126, 164, podesse 20–21, 106, ecc. (6 in t.), poese 92, poesse 96, 154, portasse 100, predisse 8, p(re)xe 85, 89, p(ro)longasse 120, radixe 61, recevesse 158, 174, represe 12, 662, reputasse 92, respondesse 118, 121, respoxe 9, 33, 352, ecc. (18 in t.), re[s]poxe 25, 53, rexpoxe 76, 90–91, rezevesse 62, romanisse 2, romaxe ind. perf. 3a pers. 88, 180, satisfesse 93, 174, savese 82, spesse 74, stesse 141, sustenise 151, sustenisse 165, 170, 1743, tolesse 69, tosse 24, traisse 8, trase 24, 83, trasse 133, ulcixe 79, vedesse 143, veraxe 28, 54, 57, ecc. (12 in t.), volse ind. perf. 3a pers. (< VOLVERE ) 17, 97, 159, voresse cong. impf. 1a pers. 84, voresse cong. impf. 3a pers. 24, vose 83, 91, voxe 106, 117, 127, ecc. (6 in t.), vosse 7, 20, 22, ecc. (22 in t.); all’elenco si aggiungono avrisse cond. 2a pers. 132, dexisse ind. perf. 2a pers. 55, destruerise cond. 2a pers. 157, isse ind. perf. 2a pers. 157, dove si registra -e per -i, frequente negli antichi testi settentrionali, probabilmente per influsso analogico della 2a pers. del pres. ind. (cf. Salvioni 1898, 353, 384; Verlato 2009, 105).43 Apocope di -i dopo n: cristian 152, ladron 136, 147, 153, 181, pien 47. Conservazione: anni 102, 133, bastoni 2, 85, cani 149, importuni 118. Apocope di -i dopo r: cavaler 85, dané 19–20, 72, ecc. (8 in t.), malfactor 148, pastù 14. Conservazione: cavaleri 129, 137, 149, ecc. (9 in t.), co(n)trarii 13, cori 39, 47, desnori 143, desnuri 107, doctori 69, dolori 64, 1432, ecc. (5 in t.), exponituri 65, maiuri 10, malfactori 147, malfacturi 146, pecaturi 72, peccaturi 3, 145, 153, 160, penseri 8, pugnaduri 68, traditori 1332, tradituri 133. Apocope di -i dopo sibilante: comitis ind. perf. 2a pers. 54, poris cond. 2a pers. 87, 140, 162, quas 8, quax 77–78, 84, ecc. (18 in t.), cui si aggiunge anche romaxe part. m. pl. 1812, con restituzione erronea della finale.44 Conservazione: amixi 42, 432, ecc. (6 in t.), antixi 2, 16, 75, ecc. (8 in t.), dessi ind. perf. 2a pers. 54, 58, devrissi cond. 2a pers. 91, dixi 35, 102, 154, fusi cong. impf. 5a pers. 44, fussi ind. perf. 5a pers. 133, Grexi 3, grossi 149, inimixi 14, 84–85, ecc. (6 in t.), i(n)stisi 7, lassi 43 Si ha conservazione davanti a enclitica in disselo ind. perf. 3a pers. 25; alegrarisse-vo 39, amesse-vo 39, avise-vo 72, dixise-vo 133. 44 Per comitis e poris potrebbe trattarsi anche di caduta di -e sostituitasi ad -i: cf. i già citati avrisse, dexisse, destruerise, isse.
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4 Analisi linguistica
132, loxi 1413, malvaxi 73, malvaxii 102, 118, 153, mandasi ind. perf. 2a pers. 54, mandessi ind. perf. 2a pers. 55, 57, 582, quasi 9, 12, rabiuxi 149, ravaxi 102, venenuxi 130.45 Apocope di -o dopo n: acadun 16, achadun 32, alcun 16, 32, 45, ecc. (15 in t.), àn 13, 15, 24, ecc. (20 in t.), aparegión 5, arderan 41, Augustin 22, avran 45, butàn 156, cadun 16, 132, comenzón 130, (con)selión 125, constrẽzén 146, crederan 58, cren 55, cridón 127, den 12, 14, desligón 128, despoión 138, despolión 149, fan 116, 132, 145, faran 402, 41, 145, fassàn 186, fen 108, 110, 156, ficón 149, fon 1, 9, 81, ecc. (7 in t.), fuzìn 852, guardaran 76, i(m)bindón 106, ìn 57, i(n)ficàn 153, lasón 852, 107, levàn 24, levón 73, ligón 86, 107, mandón 108, menón 87, 137, metén 153, movén 130, nesũ 13, nesun 25, 35, 37, ecc. (7 in t.), olziran 46, onzén 186, pagan 112, 126, partìn 156, pasàn 139, pasaran 71, pe(n)seran 46, pensón 19, pien 142, 171, pilión 83, pon 64, 173, portón 186, rompén 181, san 902, 152, schernìn 106, seran 15, 41, 46, 59, son ind. pres. 1a pers. 26, 35, 57, ecc. (7 in t.), son ind. pres. 6a pers. 47, 553, ecc. (14 in t.), sovran 29, toién 156, tolén 139, trovón 5, 181, un pron. 5, 72, ecc. (18 in t.), vederan 184, zescaun 7; all’elenco sono da aggiungere fane ind. pres. 6a pers. 165, ogìne ‘udirono’ 9, pióne 106, serane 39, con restituzione erronea della finale.46 Conservazione: alcuno 170, 186, a(n)no 872, 952, ano 872, àno 22, asetàno 6, baténo 128, befàno 106, cadauno 163, (con)gregàno 108, dispono ind. pres. 1a pers. 15, dono ind. pres. 1a pers. 39, fara(n)o 44, lavàno 6, lino 186, mangiàno 6, nazereno 154, nesuno 19, obs(er)vàno 55, oiìno 176, oỳno 171, Paulino 14, pieno 170, pregàno 181, tereno 86, toyéno 149, 153, 186, toléno 137, uno pron. 1, 7, 176. Apocope di -o dopo m nel solo farem 123. Conservazione: amaistremo 84, amo ind. pres. 1a pers. 39, 42, aparegiemo 84, avemo 1, 23, 87, ecc. (6 in t.), cesemo 84, credemo 53, crederamo 157, demo 642, 67, 91, desideramo 70, devemo 103, ecc. (5 in t.), dixemo 1332, domandemo 80, 82, faremo 83, 127, fazemo 156, feriremo 83, fimo 91, fomo 133, gramo 109, ingenogiamo ind. perf. 4a pers. 69, lezemo 14, mangemo 31, Nicodemo 186, omiomo 94, omo 82, 20, ecc. (10 in t.), homo 4, 8, 13, ecc. (42 in t.), partimo 156, podemo 35, pomo 93, possemo 6, 10, 72, ecc. (5 in t.), possomo 15, p(re)gamo ind. perf. 4a pers. 69, p(ri)mo 77, 79, 150, ro(m)pemo 156,
45 Nei parossitoni -i si conserva sempre dopo l: carnali 10, corporali 99, eli 1–2, 40, 180, Heli 132, elli 552, fioli 13, 32, 1102, ecc. (9 in t.), fioly 13, fradelli 10, illi 2, 4, 64, ecc. (144 in t.), quili 12, 40, 58, AL I > -é cf. §4.28. ecc. (13 in t.), quilli 12, 132, ecc. (33 in t.). Per i casi di -ALI 46 Si noti che fane sarebbe interpretabile anche come 3a pers. per 6a con enclisi di ne (nel qual caso si avrebbe dislocazione a destra): «li evangelisti no fane nesuna m(en)tion del piuro del[a] nostra dona». Per quanto riguarda alcune delle parole citate, come son < SUM o ìn, ci si può legittimamente chiedere se si debba parlare di apocope. Tuttavia forme come sonto e la diffusione, già in Bonvesin, di 6e persone in -o suggerisce la possibilità di parlare di caduta dell’atona finale anche in questi casi.
Vocalismo
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savemo 35, 49, 53, semo 56, 58, sustenemo 159, trovamo 69, vedemo 532, vederemo 176, volemo 133, cui si aggiunge ligamo 86 con -o motivato da metaplasmo (cf. §4.36). Apocope di -o dopo l: el pron. 22, 72, ecc. (214 in t.), fiol 8, 1052, lenzò 24, quel 7–8, 48, ecc. (14 in t.), que[l] 74. Conservazione: agnelo 22, 32, ecc. (7 in t.), agnielo 152, apello ind. pres. 1a pers. 432, bello 3, 32, cello 31, 54, 133, celo 31, 69, 86, 104, cortelo 83, ello 142, 19, ecc. (39 in t.), elo 4, 8, 22, ecc. (6 in t.), fiolo 14, 20, 362, ecc. (43 in t.), fradelo 79, 140, gallo 33, 60, 992, galo 892, lenzolo 24, 952, malo 62, quello 5, 82, ecc. (32 in t.), quelo 1–2, 4, ecc. (62 in t.), solo 54, 852, vaselo 171, vello 179, zello 25. Apocope di -o dopo r in lor pron. e agg. 7, 10, 28, ecc. (9 in t.) e p(re)xoné 123 (benché non sia escluso si tratti di caduta di -e). Conservazione: coloro 222, 24, 107, loro pron. e agg. 72, 9, ecc. (49 in t.), piuro 163, 165, puro agg. 183, puro avv. 83, sconzuro ind. pres. 1a pers. 104, texoro 111.47 Proparossitoni. Apocope di -e dopo n in vergen 142, 167. Conservazione: imagine 71, vergene 31, 1402, ecc. (11 in t.), zovene 95. Apocope di -e dopo l: possibe 63, possibel 63, utel 30. Conservazione: debile 146, fievele 146, i(m)portabile 143, 151, nobile 92, 1643, 185. Apocope di -e dopo r: acognose 58, asolve 123, beve 169–170, 1712, ecc. (6 in t.), cognosce 82, 142, co(m)prende 21, cõte(n)de 10, demete 64, ese 79, esse 32, 4, ecc. (33 in t.), intende 6, 9, 18, ecc. (13 in t.), intremete 23, i(n)tromete 95, leze 154, mete 16, 28, 33, 111, noxe 115, pende 155, perde 51, 65, 126, pianze 23, 100, 144, receve 114, 175, regoie 110, rende 90, 110, responde 67, 91, 103, rezeve 14, 20, 37, ecc. (5 in t.), rompe 1812, scrive 1542, sporze 171, vende 73.48 Conservazione: acognoscere 15, cognoscere 45, essere 156, peccore 59. Apocope di -e dopo sibilante: calix 282, 63, 84, kalix 67. Conservazione in iudexe 95.49
47 Nei parossitoni -o si conserva sempre dopo sibilante: adosso 128, 137, Ambroxo 161, ap(re)so 6, 74, 85, ap(re)xo 97, apresso 5, 54, 137, 162, baxo sost. 782, 82, baxo vb. 78, crucifixo 183, destexo 149, 151, doloroxo 164, 167, famoxo 123, glorioxo 1552, 1642, grosso 149, indoso 95, 129, indosso 26, 105, 128, ecc. (6 in t.), intexo 8, 127, lasso 52, lixo 2, 32, naxo 170, nervoxo 150, ofexo 77, osso 181, paradixo 31, 862, ecc. (9 in t.), passo 146, posso 33, 53, 129, prexo 14, 85–86, ecc. (7 in t.), prezioxo 70, 155, remaxo 170, respoxo 91, 1202, rosso 133, spatioxo 5, spesso 68, spoxo 23, 79, v(er)tuoxo 68, zoxo 24, 61, terso ‘terzo’ 31; inoltre duxo 12 (< DUCEM , con metaplasmo). 48 A parte si citano i due infiniti apocopati con enclisi pronominale: recevete 77, sporzela 176. 49 Nei proparossitoni -e si conserva sempre dopo m: anime 14, 23, 70, ecc. (5 in t.), gravissime 175, grevissime 177, lagrime 100.
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4 Analisi linguistica
Apocope di -o dopo n: andaven 108, aven 10, 107, avraven 64, beven 32, caden 80, dissen 82, domandan 169, eran 55, fivan 147, i(n)travan 150, respoxen 133, vosen 156. Conservazione: abandonaseno 60, abiano 13, acordeno 75, acuxano 113, acusaveno 112, 120, agravano 93, andasseno 181, aspetaveno 141, aveno 7, 84, 111, ecc. (12 in t.), aveseno 15, 60, avesseno 115, avevano 9, 12, 16, ecc. (15 in t.), aveveno 65, 72, avraveno 453, ecc. (8 in t.), avrivano 179, avriveno 151, basaveno 78, basteno 73, befavano 157, biastemaveno 157, cognosano 54, cog(no)sceva(n)o 82, cognoseno 44, 552, cog(no)seseno 82, cognosevano 82, comandeno 6, co(m)bateraveno 117, compiisseno 184, (con)gregano 90, (con)gregaveno 95, co(n)tendevano 10, covrivano 68, credeseno 124, credevano 7, cridaveno 127, criteno 158, 176, crucificavano 152, curasseno 129, curaveno 162, daraveno 171, debiano 12, 152, descordaseno 1, dexevano (< DICEBANT ) 157, desidrano 122, desseno 172, devano (< DABANT ) 106, 1282, ecc. (5 in t.), devano (< DEBEBANT ) 2, 622, ecc. (7 in t.), deveno 2, 65, deveseno 81–82, devesseno 67, 125, devevano 2, diseno 60, 72, 1342, dixeno 64, 103, 107, dixevano 106, 120, disseno 4, 80, 83, ecc. (12 in t.), domandaveno 7, 82, dormivano 179, dormiveno 66, erano 10, 74–75, ecc. (22 in t.), ereno 110, 150, fazano 40, fazeno 152, ferano 84, fessano 125, fesseno 113, fevano 112, 118, 126, ecc. (7 in t.), fisseno 66, 129, fivano 68, 74–75, 146, foseno 6, fosseno 65–66, 130, fuziraveno 59, gotaveno 68, induxeno 98, i(n)iuriaveno 159, i(n)siseno 151, insivano 108, i(n)spiraveno 158, i(n)tendeseno 16, 19, intendevano 102, 176, i(n)traveno 112, inzenogiaveno 128, 137, lum(en)taveno 144, maculeraveno 112, menaveno 87, 138, metano 14, miseno 137, mixeno 1282, 137, ecc. (6 in t.), moreno 169, 173, morisseno 181, oyeno 117, oraseno 66, ossavano 180, parivano 151, parlano 163, parlavano 1, passaveno 157, pensaveno 112, p(er)deseno 158, p(er)desseno 126, periscano 56, pia(n)zeveno 144, piavano 162, pizeno 164, podevano 154, poeseno 101, poevano 16, 113, 149, p(re)xeno 149, remaniseno 181, respoxeno 106, 131, 133, 135, rexpoxeno 114, rezevano 55, romaxeno 180, rompevano 179, sacrificano 3, savevano 24, 154, saveveno 67, scoldaveno 89, sedevano 6, 16, seguivano 88, s(er)vano 13, 22, siano 392, 56, ecc. (9 in t.), spudaveno 106, 128, 137, steseno 61, stevano 61, 112, 120, ecc. (5 in t.), sustenano 15, sustenisseno 171, teneno 12, toievano 128, toyevano 137, tornaveno 180, traseno 9, turbavano 138, vegano 58, vegneno 110, veneno ind. pres. 6a pers. 90, veneno ind. perf. 6a pers. 73, 179, viteno 83, 139, 156, voiano 1552, volevano 50, voreno 11, vorevano 162, 181, voseno 95, 112, vosseno 110, 126, 181.50
50 Nei proparossitoni -o si conserva sempre dopo m (avravemo 112, dagemo 112, gravissimo 151, Iacomo 61, legiptimo 167, nobilisimo 143, prossimo 23, sanctissimo 562, 139, santissimo 180, stragra(n)dissimo 143, vilissimo 92), dopo l (angelo 682, 69, ecc.: 5 in t., apostolo 27, arcangelo 69, cenaculo 5, 24, diavolo 1262, discip(u)lo 772, 79, ecc.: 11 in t., discip(ul)o 162, disscip(u)lo 166, cui si aggiunga discip[u]lo 95, miraculo 119, populo 112, 115, 118, ecc.: 14 in t., scandalo 64, seculo 10, 15, titulo 1545, 1552), dopo r (Cesaro 112, 115, 1322, 135, [C]esaro 108, diavoro 19, povero ‘popolo’ 12, 142,
Consonantismo
131
Da ultimo, è da menzionare l’aggiunta ipercorretta di vocale atona finale in depoxo 185, poxe 144, poxo 101–102 (cf. Salvioni 1890, 252), accanto a pox 95 ( [ts] in rezevano 55, rezeve inf. 14, 20, 37, ecc. (5 in t.), rezevè 3, rezevesse 62, rezevì 28, rezevudo 111, con cui andranno anche procedarà 45, receve inf. 114, 175, receve ind. pres. 3a pers. 30, recevè 138, 1672, 184, receverà 48, recevesse 158, 174, recevete inf. 77, receveva 812, 87, recevudo 75. Anche all’interno di parola, in posizione postconsonantica sia originaria sia frutto dell’evoluzione fonetica, si ha un’affricata alveolare sorda: dolze 30, fanzele 75, 82, merzé 159, olziran 46, torzèllo 24, ulzir 125, cui si aggiungono venzudi 66, vẽzudo 53, con C > z per analogia paradigmatica; similmente, ‹c› dovrebbe figurare per [ts] in a(n)cila 88, pre(n)cepo 39, p(ri)ncepi 116, 122, princepo 47, 84, 87, ecc. (10 in t.), principi 11, 752, ecc. (14 in t.), principio 41, ulcir 114, ulcirlo 65, ulcixe 79 (cf. §4.3).
60 Per aqua 4, 24, 74, 139 si deve partire da ACQUA ( M ) : cf. LEI, vol. 3/1, 549. In sguarzava 151 si ha sonorizzazione anomala.
140
4 Analisi linguistica
In posizione intervocalica, C dà invece una sibilante sonora: amixi 42, 432, ecc. (6 in t.), antixi 2, 16, 75, ecc. (8 in t.), axé 171, 176, contradixe 132, croxe sg. 3, 139, 142, ecc. (38 in t.), croxe pl. 153, dexe 71, dexevano ‘dicevano’ 157, dexisse ‘dicesti’ 55, dixe ind. pres. 2a pers. 92, 35, ecc. (7 in t.), dixe ind. pres. 3a pers. 2, 10, 12, ecc. (31 in t.), dixemo 1332, dixeno 64, 103, 107, disese cong. impf. 3a pers. 69, disesse cong. impf. 1a pers. 55, dixesse cong. impf. 3a pers. 19, dixeva 152, 1542, ecc. (6 occ.), dixevano 106, 120, dixi 35, 102, 154, dixì 26, 105, dixise-vo 133, dixivi 157, disse ind. pres. 3a pers. 142, giaxeva 149, 153, Grexi 3, inimixi 14, 84–85, ecc. (6 in t.), iudexe 95, loxi 1413, noxe 115, noxeva 135, noxevre 98, paxe 392, 53, piaxè inf. 13, piaxè ind. perf. 3a pers. 15, piaxere 10, radixe 61, ravaxi 102, soxero 87, taxere 91, taxeva 103, veraxe 28, 54, 57, ecc. (12 in t.), veraxemente 15, 552, 64, voxe 106, 117, 127, ecc. (6 in t.), Zudixii 68 e inoltre duxo 12 (< DUCEM , con metaplasmo). In parallelo, una [z] è il probabile valore di ‹c› davanti a e e i in crucificà inf. 102, crucificadi 146, 170, 181, crucificado 1272, 136, ecc. (9 in t.), crucificalo 1302, 134, crucificar 131, crucificare 139, crucificava 152, crucificavano 152, crucifiché impt. 5a pers. 131, crucifixo 183, heretici 64, licentia 83, licito 111, 114, necesario 14, necessa(r)io 13, necessità 4, sacerdoti 752, 84, ecc. (19 in t.) e umicidie 123 (cf. §4.3). Quando, trovatasi in fine di parola, precede una parola principiante per vocale, la sibilante originatasi da C mantiene la propria sonorità (calix 69, zudex 108), altrimenti si assordisce: calix 282, 63, 84, kalix 67, dis ind. pres. 2a pers. 105, lux 85, 100 (cf. §4.5). Il timbro velare è preservato nei nomi propri Miché 69 e Sedechia 85 (cf. §4.1). In principio di parola, G davanti a vocale palatale si continua in un’affricata alvolare sonora in zente sg. 118, 123–124, ecc. (8 in t.), zente pl. 147, 155. Lo stesso sviluppo riguarda G interno dopo consonanti diverse da laterale alveolare: constrẽzén 146, i(n)fenzeva 77, inspenzè 182, i(n)zenerà part. 145, i(n)zenogàsse ind. perf. 3a pers. 63, inzenogiaveno 128, 137, lonze 61, 96, onzén 186, pianze inf. 23, 100, 144, pia(n)zeveno 144, pianzì 39, 1445, sparzime(n)to 70, sparzim(en)to 136, sporze inf. 171, sporzè 18, 282, sporzela inf. 176, sporzén 176, sporzerò 18, te(n)zèllo 18, con cui si citano pure gli analogici pianzando 180 e pianzarì 50. Nelle stesse posizioni, pure ‹g› sembra esprimere una [dz]: angeli 84, 86, 130, 155, angelo 682, 69, ecc. (5 in t.), arcangelo 69, evangelio 140, evangelista 5, 61, 69, ecc. (8 in t.), evangelisti 12, 75, ecc. (5 in t.), Gedon 68, generation 29, 62, 65, ecc. (8 in t.), Genexis 139, gente 132, 76, 78, ecc. (7 in t.), Gestas 146, 159, Gethsemani 61, ingenogiamo 69, Longino 1822, 1842, vergen 142, 167, vergene 31, 1402, ecc. (11 in t.) (cf. §4.3). Dopo L si ha invece il passaggio di G a iod, con successiva riduzione del nesso [lj] al suo secondo elemento: regoie inf. 110 (cf. §4.27); sui continuatori di COLLIGERE sono modellati per analogia toyè 282, toién 156, toyéno 149, 153, 186, toievano 128, toyevano 137, toiìlo 131, toỳlo 114, accanto a tolén 139, toléno 137, tolì 82, tollè 18, 24, 61, e così via (cf. §4.49; Rohlfs 1969, §617).
Consonantismo
141
Quando G intervocalica si trova in posizione postonica, si ha – come in principio di parola e dopo consonante diversa da L – un’affricata alveolare sonora: leze sost. 3, 62, ecc. (8 in t.), leze inf. 154, leze ind. pres. 3a pers. 89, 140, con cui va anche grezo 59 (< GREGE ( M ) , con metaplasmo); pur muovendo da basi con occlusiva velare sonora intervocalica pretonica, presentano [dz] per analogia paradigmatica con le voci in cui G è postonica fuzì ind. perf. 3a pers. 95, fuzìn 852, fuziraveno 59, lezemo 14 e rezime(n)to 87. Parimenti, si potrebbe avere ‹g› per [dz] sia in imagine 71 sia in fragilità 7 e legiptimo 167, altrimenti da intendere con affricata palatale sonora. Si ha invece il dileguo quando G intervocalica precede l’accento: amaistrà ind. perf. 3a pers. 12, amaistrà part. 15, amaistramento 178, amaistrava 85, amaistremo 84, guaina 83 (< VAGINA ( M ) ), maistro 262, niente 97, 131 (< *NĒ GENTE ( M ) ; cf. Nocentini 2010, s.v. niente).61 Si trova però un’affricata palatale sonora nei latinismi amagistrarà 38, diligenteme(n)te 118, flagelado 129, 1302, ecc. (6 in t.), flageli 130, 140, magistre 9, 11 e magistro 5, 7, 76, ecc. (5 in t.) (cf. §4.2; Tomasin 2004, 139).
4.25 Esiti di J iniziale e intervocalico A inizio di parola o quando segue un confine morfemico, J riesce solitamente in un’affricata alveolare sonora: sco(n)zurami(n)ti 98, sconzuro 104, zà 12, 402, ecc. (7 in t.; zà 43 è un’emendazione: cf. §3.1), zamay 100, zè ind. perf. 3a pers. 20, 78 (da IRE : cf. Rohlfs 1969, §585), zò 107, 1572, ecc. (8 in t.), zoava 135, zoxo 24, 61, zovene 95, Zudé 2–3, 62, ecc. (63 in t.), Zudei 2, 202, 85, Zudey 65, zudex 108, zudigado 73, 153, zudigar 31, zudigé impt. 5a pers. 114, Zudixii 68, zudixio 472, 96, 104.62 Si mantiene nei latinismi Iacomo 61, i(n)iuria 86, 923, ecc. (8 in t.), i(n)iuriaveno 159, iniurie 107–108, 140, ecc. (5 in t.), Iohan 6, 61, Iohane 5–6, 172, ecc. (23 in t.), Iob 15 (cf. Salvioni 1884, §159), Yeremia 111, Yerusalem 5, 62, 119, ecc. (6 in t.), Yesù 1–3, ecc. (31 in t.; cf. Salvioni 1884, §159), Iosepo 185, Yosepo 18, 1852, ecc. (6 in t.), Iuda 8–9, 182, ecc., Iudea 108, iudeo 116, iudexe 95, iudicare 129, iuridition 121, iu[ri]dition 119, iustame(n)te 129, iustixia 472, 84, ecc. (5 in t.), iusto 13, 109, 125, 136 e subiecti 11, 122, ecc. (5 in t.). A parte va la forma giaxeva 149, 153, dove [ʤ] – generalmente diffuso nei continuatori delle forme di IACERE tra gli 61 È dubbio che in questa serie si possa iscrivere anche arie(n)to 111, forma per la quale la ARIGENT U ( M ) o *AREGENTU ARE GENTU ( M ) pare «inverosimile» (LEI, vol. 3/1, 1095; cf. derivazione da una base *ARIGENTU ARIGENT UM , *AREGENTUM AREGENT UM è accettata invece da Salvioni (1909b, anche Rohlfs 1969, §264). L’ipotesi *ARIGENTUM L IV ); Tomasin (2004, 139); Bertoletti (2005, 171). 425); REW, §640; Stussi (1965, LIV 62 Per zò e zoxo meglio partire da IŌSUM IŌS UM , piuttosto che da DEORSUM : cf. LEI, fasc. D7, 1153–1183.
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4 Analisi linguistica
antichi testi volgari della Lombardia occidentale63 – va interpretato come frutto di dissimilazione (Salvioni 1902b, 679). È da giudicarsi genuina, e non esito latineggiante, la conservazione di J interno intervocalico in maior m. sg. e f. sg. e pl. 102, 11, ecc. (15 in t.), mayor f. sg. 131, maiore f. pl. 151, maiorm(en)te 135, 143, maiuri 10 (cf. Salvioni 1898, 355).
4.26 Esiti dei nessi di occlusiva più J Il nesso PJ si conserva in sapiando 168, sapiè ind. perf. 3a pers. 21, sapié 10, 40, 44, ecc. (7 in t.) e nei latinismi copia 23, principio 41, sapie(n)tia 122, mentre è probabilmente ridotto alla sola occlusiva labiale sorda davanti a -i in sapii 23, 1172. Parallelamente, BJ è preservato in abia 132, abiando 16–17, abiano 13, abié 53, abiudo 44, 58, 117, 182, ca(m)biado 142, ca(m)bio sost. 1672, ca(m)biò 167, debia 112, 13, 73, 156, debiano 12, 152, debié 4, 32, 145, debio 7, 58, 123, rabiuxi 149 e nelle voci dotte p(ro)verbio 53 e sup(er)bia 132, mentre perde [j] davanti a [i] in abii 77, 159, 166, p(ro)verbii 522 (cf. §4.6). Dal nesso TJ risulta un’affricata alveolare sorda in alegreza 502, 512, ecc. (6 in t.), anz’ 38, anze 11, 19, 36, ecc. (17 in t.), com(en)zado 118, comenzamento 45, 47, come(n)zare 28, comenzò 24, 61, 90, ecc. (6 in t.), comenzón 130, cunteza 88, denanze 59, 67, 69, ecc. (22 in t.), descazadi 110, drizó(n) 6, forza 146, inanze 252, 39, ecc. (17 in t.), i(n)nanze 6–7, i(n)na(n)ze 27, lenzolo 24, 952, muzi (< *MŬTII ; cf. il glossario) 149–150, nizo 142 (< *MĪTIU ( M ) ; cf. il glossario), pezo 107, piaza 134, posanza 102, 104, 158, possanza 126, 131–132, puza 170, senza 3, 41, 70, ecc. (14 in t.), sguarzava 151, terza 77, 148, 165, ecc. (7 in t.), terzo 150, testimonia(n)za 90, 106, tradizon 8, tristeza 7, 47, 502, ecc. (8 in t.), usanza 78, 105, 123, uxanza 16, 121. Qualche interessante indizio di ulteriore evoluzione dall’affricata alveolare alla sibilante sorda si affaccia dopo r in forsa 182, tersa 672, 93, terso 31, 79 (cf. Rohlfs 1969, §291). Numerosi i latinismi: abitation 34, 110, acusation sg. 113, acuxation sg. 112, acuxation pl. 103, anuntiarà 482, aparientia 173, condition sg. 143, 147–148, (con)dition pl. 147, consie(n)zia 7, consolation sg. 175, consolation pl. 174, co(n)stitution 58, co(n)templation 23, conte(n)tion 10, co(n)tention 12, co(n)tenzion 11, co(n)trition 160, da(m)pnation 147, 159, devotion 30, 178, etiamdé 152, 159, 183–184,
63 Cf. Mussafia (1868, §73); Keller (1896, 8); Salvioni (1898, 355; 1902a, 428); Grignani/Stella (1977, 131); Degli Innocenti (1984a, 48); se non ho visto male, nel Corpus OVI si rinviene un unico caso pertinente di affricata alveolare relativo alla Lombardia occidentale: è in Pietro da Barsegapè, peraltro in un luogo corrotto, visto che il manoscritto reca çarer, che Keller (1935, 48) corregge in çaxer.
Consonantismo
143
generation 29, 62, 65, ecc. (8 in t.), gratia 22, graziosa 30, iuridition 121, iu[ri]dition 119, licentia 83, malitia 113, 132 (con cui si nomina anche malit[i]a 177), malitie 123, m(en)tion 165, obs(er)vãzia 6, oration 63, 642, ecc. (5 in t.), pacie(n)tia 15, patie(n)teme(n)te 94, patientia 15, 84, 158, patienzia 84, penitentia 8, p(er)dition 56, p(re)dication 32, p(re)figuration 29, prezioxo 70, 155, rede(m)ption 120, refection 5, resurection 602, rev(er)e(n)tia 91, reverenzia 87, sac(ri)fitii 28, sacrifitio 28, salvation sg. 65, 70–71, ecc. (6 in t.), sapie(n)tia 122, satiadi 129, sententiato 140, se(n)tenzia 136, se(n)tenziava 135, se(n)tenzie 135, spatioxo 5, te(m)ptation 15, 662, traition 18, tribulation 15, 53, 63, ecc. (5 in t.), con cui si cita anche p(ro)fetia 111, 122, dove la probabile lettura affricata è da attribuire a una falsa analogia, diffusasi in ambito dotto, con parole latine terminanti in -TĬA ( M ) .64 Si trova una sibilante sonora in poxon 176, raxon sg. 22, 164–165, ecc. (5 in t.), raxon pl. 169 per lo scambio tra le terminazioni -TIONE ( M ) e -SIONE ( M ) (cf. Stussi 1965, LIV); nelle voci dotte ap(re)xiado 111, ap(re)xiava 120, desprexiado 140, desp(re)xiò 1212, iustixia 472, 84, ecc. (5 in t.), palaxio 97, 99, 107, ecc. (9 in t.), prexio 1112, 164, s(er)vixii 45, s(er)vixio 11, 46, 180;65 nei gallicismi malvaxi 73, malvaxii 102, 118, 153, malvaxio 123, con cui si menziona qui anche desaxio 72, unico caso di [z] per DJ . Da STJ si ha una sibilante sorda in possa 15, 18, 25, ecc. (34 in t.), mentre angusti[a] 68 e ostiaria 882 sono chiari cultismi. A sé sta il caso di pogiè ‘poté’ 141, una forma modellata in analogia alla 1a pers. dell’ind. perf. (cf. Salvioni 1898, 355 n. 3, 356, 385), che mostra dunque il possibile esito palatalizzato di -TI , assente per il resto dalla Passione Trivulziana. Il nesso DJ riesce in un’affricata alveolare sonora in mezo 16, 102, 134, ecc. (9 in t.), segniorezare 11 e, per analogia paradigmatica, in ozudo ‘udito’ 43, modellato sul continuatore di AUDIO , e vezando 11, 81, 95, ecc. (12 in t.), rifatto su quello di VIDEO (cf. §4.50). Si conserva in voci dotte o semidotte: diavoli 126, 158, diavolo 1262, diavoro 19, gladio 21, 83, 843, 165, godio 422, 512, ecc. (6 in t.), i(n)vidia 124, odio 444, ecc. (8 in t.), mis(er)icordia 160, stadio 10, umicidie 123. Per aiar 135, aidare 84, aito(r)io 64 e aytorio 186, cf. §4.21; per ancoy 31, 60, 159, ecc. (5 in t.) e a(n)choy 111 si deve probabilmente risalire a una forma ridotta *OI di HODIE (cf. Rohlfs 1969, §277).
64 Cf. Salvioni (1905b); meno convincente la spiegazione avanzata sotto il lemma abbatia nel LEI, dove si afferma che l’evoluzione fonetica «corrisponde a quella di tio (< ϑεῖος) > zio»; Aebischer (1978, 70–77), infatti, riconduce l’affricazione di t nel caso citato all’analogia con tianus, tiana, che naturalmente non vale per le voci in -zìa. 65 Cf. Castellani (2000, 130–131, 136); Cella (2003, 19–20); considerano invece i continuatori di PALAT IU ( M ) , PRETIU ( M ) e SERVITIU PALATIU SE RVITIU ( M ) come gallicismi Stussi (1965, LV) e Bertoletti (2005, 168); ancora diversa la posizione di Tomasin (2004, 146–147).
144
4 Analisi linguistica
Si riscontra il passaggio di -DI a una palatale sorda in grangi 98, 150, accanto a grandi 146 (cf. Salvioni 1884, §120c). Da CJ si ha un’affricata alveolare sorda in abrazò 78–79, brazo 149, descolzo 143, faza sost. 106, 142, faza cong. pres. 3a pers. 43, fazano 40, fazé 41, 43, 136, fazemo 156, fazeno 152, fazo 5, 362, 39, lanza 1823, 184, piaza 17, sguanzade 128 ( t testimoniati da aspetà ind. perf. 3 pers. 83, aspetaveno 141, benedeta 6, co(n)streto 81, coto 2–3, dita part. 40, dito part. 46, 73, 82, ecc. (5 in t.), drita 6, 104, 128, 137, fato 1, 26–27, ecc. (5 in t.), note 59, ponta 182, santa 180, santifica 57, santificali 57, santissimo 180, santo 165, 184, vendeta 94 e scrito 154.70 Restano da segnalare l’affricazione della sibilante nel gruppo LS in falzamente 113, falzo 101, revolzen 186, salza 16, 18, volze (da VOLVERE ) 14471 e il dileguo di -V tra vocali in pieva 142, pioeva 128, zoava 135 e in pagura 65, 85, 95, ecc. (5 in t.), dove lo iato è estirpato da successiva epentesi di [g] (cf. §4.34).
70 Molto simile la situazione descritta da Salvioni (1898, 361–362) per le Antiche scritture lombarde nordoccidentali; sul rapporto tra grafia e fonetica nella resa degli esiti del nesso C T in lombardo occidentale cf. Wilhelm (2011, 161–162). 71 Cf. Salvioni (1884, §297; 1898, 364); Rohlfs (1969, §267); Degli Innocenti (1984b, 267). Per revolzen e volze si potrebbe trattare anche di perfetti deboli, con affricazione di g analogica: cf. Rohlfs (1969, §617).
Consonantismo
151
4.32 Consonanti geminate È probabilmente da considerare intensa la nasale dentale di i(n)nanze 6–7, i(n)na(n)ze 27: come ha mostrato Formentin (2002b, 33), infatti, anche in diversi degli antichi volgari e dei moderni dialetti settentrionali (compresi i lombardi nordoccidentali) si può riconoscere il «rafforzamento fonosintatticamente condizionato di /-n/ davanti a vocale» tipico delle varietà centromeridionali. Il fatto è certificato dall’opposizione tra il tipo innanzi e il tipo dinanzi, che in effetti ricorre anche nella Passione Trivulziana, dove si trova solo denanze 59, 67, 69, ecc. (22 in t.) con la scempia.72 Ammoniscono però alla prudenza per un verso le numerose occorrenze di inanze 252, 39, ecc. (17 in t.), per l’altro l’osservazione (dello stesso Formentin 2002b, 30 e n. 17) che nel codice berlinese di Bonvesin e nel Sermone di Pietro da Barsegapè si trovano solo inançe, inanze, inanz. Secondo Bertolini (1985, 14 e n. 6; cf. inoltre Contini 1935b, 242), una grafia come quella di penna ‘pena’ indicherebbe la brevità della vocale tonica precedente; considerando i casi che nella Passione Trivulziana mostrano un raddoppiamento grafico dopo tonica non sostenuto dall’etimologia in parole parossitone,73 per cello 31, 54, 133, nat(ur)alle 169, p(er)petualle 144, talle 55, vello 179, zello 23 l’ipotesi di Bertolini è ammissibile solo a condizione di non ritenere meramente grafica la scrizione della vocale finale e della consonante precedente, il che comporterebbe una vocale lunga (cf. §§4.19, 4.28 e Salvioni 1884, §188; 1911, 176); per penne 177 a condizione di non ammettere la correlazione tra timbro chiuso (davanti a nasale) e vocale lunga che sussiste nel milanese moderno (cf. Salvioni 1911, 163–164; 1975, 330; Colombo 2014b, 94). Solo grafico il raddoppiamento di ‹l› e ‹s› rappresentanti le consonanti iniziali di alcuni monosillabi: il fenomeno, già descritto da Salvioni (1898, 270), riguarda gli articoli lla 31, 51, 180, lle 36, 41, 562, 59, 179–180, llo 82, 16–17, 20, 36, 40, 43, 50 e le congiunzioni sse 35, 45 e ssi 2, tutti preceduti dalla cong. e; inoltre i pronomi personali proclitici nelle sequenze e’ ll’ò 43, i’ lli 56, e llo 77, elem(en)ti sse turbavano 138 e gli enclitici in guardòsse 7, i(n)zenogàsse ind. perf. 3a pers. 63, partìsse ind. perf. 3a pers. 61, 67, 109, sugàsse inf. 100, te(n)zèllo 18, torzèllo 24.
72 Sul tema si veda inoltre Andreose (2013), con i rinvii bibliografici citati a p. 1 n. 1. 73 È Salvioni (1884, 156) a notare che il fenomeno cui Bertolini fa riferimento avviene in milanese «in parola parossitona o primitivamente tale».
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4 Analisi linguistica
Fenomeni generali 4.33 Aferesi, sincope, apocope Meritano segnalazione le aferesi vocaliche di a- in dovra ind. pres. 3a pers. 23 (cf. Rohlfs 1969, §1001), sugàli inf. 24, sugàsse inf. 100, di e- in mendar 94, xaminà inf. 90,74 di i- in Scariot 18–19, Scarioth 38, Schariot 25 (assai diffuso; cf. per es. Verlato 2009, 761). Casi notevoli di sincope di vocale interna protonica o postonica si verificano in adovrada 158, cargava 151, creto 158 (< *CRED ( I ) TU ( M ) ; cf. §§4.35, 4.61 e Salvioni 1898, 283; 1909a, 743; Rohlfs 1969, §626; Marri 1977, s.v. recreto), delivrado 111, desidrà part. 7, 119, desidrano 122, desnó sg. 129, 170, desnor sg. 137, 154, desnore 135, desnori 143, desnuri 107, dovra ind. pres. 3a pers. 23, olziran 46, ovra 23, 41, 54, 126, ovre 10, 363, ecc. (9 in t.), palesm(en)te 52, paresme(n)te 52, ulcir 114, ulcirlo 65, ulzir 125, ulzirlo 131, vedre 29 e vedro 28, entrambi da VETERE ( M ) , e vontera 117, da VOLUNTARIE (probabilmente con sincope della prima vocale seguita dalla caduta di l: cf. PIREW, §9437, dove si cita a riprova luntera nel dialetto di Mirandola); nel suffisso -IBILE ( M ) , -IBILES : covenivri 102, inganevre 158, noxevre 98, honevre 93 (con sincope anche nella radice, seguita forse da dissimilazione: cf. §4.35); nel superlativo: dilectissmo 70, g(ra)ndismo 30, gra(n)dissma 92;75 in iato: Gedon 68, pieva 142, retrén 81 (cf. Colombo 2010, 13). Sono invece formazioni analogiche fessano 125, fesse 19, 86, 125, 181, fesseno 113 e satisfesse 93 (cf. Rohlfs 1969, §560). All’inverso, è da citare la mancata sincope nei futuri andarò 32, 59, beverò 292, vederan 184, vederemo 176, vederì 47, 494, ecc. (8 in t.), venirà 31 (accanto a verà 45, 47, 52, ecc.: 5 in t.) e nel latineggiante humilità 122, 132, ecc. (7 in t.; accanto a humiltà 94). Apocopi degne di menzione, oltre a quelle già trattate altrove (cf. §§4.14, 4.19), sono testimoniate da an’ ‘anche’ 46, cà 88, kilò 61, 112, 134, chilò 23, dè ( ii > i in protonia, cf. Bertoletti (2005, 218 n. 552).
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4 Analisi linguistica
Per in al m. sg. davanti a consonante il 50, 573 e in lo 2, 4, 13, ecc. (49 in t.), davanti a vocale in l’ 63, 862, 98; al m. pl. davanti a consonante e vocale in li 1502, 184; al f. sg. davanti a consonante in la 1, 43, ecc. (42 in t.), che in un caso compare anche davanti a vocale (23), accanto a in l’ 144, 149, 1782; al f. pl. davanti a consonante in le 15, 20, 852, ecc. (16 in t.), davanti a vocale in l’ 139. Per su si registrano sul 21, sulo 139, sula 1492; per con al m. sg. davanti a consonante colo 2 e con lo 23, 28, 155, 161, davanti a vocale con l’ 3; al m. pl. davanti a consonante con li 2, 53, ecc. (19 in t.), in un caso pure davanti a vocale (99); al f. sg. con la 6, 84, 1292, sempre davanti a consonante. Da segnalare anche indel 41, 90, 161 davanti a consonante, indelo 140 davanti a vocale (probabilmente da INDE + ILLU ( M ) ; cf. Nocentini 2003) e intel 19 davanti a consonante (< INTUS + ILLU ( M ) ; cf. Rohlfs 1969, §858). L’articolo indeterminativo maschile davanti a consonante è solitamente un 3, 5, 6, ecc. (53 in t.), ma si trova anche uno 107, 140; parimenti, davanti a vocale un 23–24, 492, ecc. (10 in t.) predomina su uno 4, 59, 74, 176. L’articolo indeterminativo femminile è una 1, 3, 42, ecc. (29 in t.), sia davanti a consonante sia davanti a vocale, posizione in cui si trova anche un’occorrenza di un’ 178. Da segnalare infine il partitivo non articolato impiegato, come in toscano antico, con un sostantivo preceduto da aggettivo qualificativo in «ge devano de grande sguanzade» 128 (cf. Rohlfs 1969, §424).
4.38 Pronomi personali: forme soggettive libere Le forme del pronome personale libero di 1a pers. sono eo 5, 7, 15, ecc. (10 in t.), e’ 6, 72, ecc. (54 in t.), eiio 43, eio 9, 26, 272, ecc. (37 in t.), eyo 252, 26, ecc. (69 in t.), ei’ 26, ey’ 90, 168, cui si affiancano le forme letterarie io 27 e i’ 56;96 si registra l’impiego come soggetto della forma obliqua libera mi in coordinazione con un altro soggetto pronominale («com mi e ti semo una cossa i(n)sema» 56, «co(m) mi e ti semo una cossa insema» 58) e in casi di enfasi («Su(n)to mi Segnor ke te debio tradire?» 7, «Sonte mi quelo, magistre?» 9, «Toiìlo vu e sì lo crucifiché, ke mi no ge trovo caxon de morte» 138).97
96 Per quanto riguarda le forme pronominali di 1a, 3a e 6a pers. precedute da k’, s’, ecc., cf. la nota al testo al §3.1. 97 Mi pare che la categoria dell’enfasi, impiegata da Verlato (2009, 411), serva bene a spiegare i casi «Su(n)to mi», «Sonte mi» associandoli a «mi no ge trovo caxon de morte» e, più oltre, «ti medesmo te manifesti», «loro siano santificadi», «loro no li vosseno rezeve». In alternativa, per «Su(n)to mi», «Sonte mi» si potrebbe invocare la posizione postverbale, seguendo Benincà (1983, 194–195) e Vanelli (1987, 58), ma una simile spiegazione non riguarda il luogo «mi no ge trovo» (e
Morfologia
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Alla 2a pers. si hanno tu 4, 92, ecc. (110 in t.)98 e la forma obliqua libera ti in funzione di soggetto, sia coordinata con mi (nei luoghi appena citati) sia in frase nominale («q(ui)lli ki m’àn dado i(n) le to man sì àn maior peccado ka ti» 132) sia in un caso di enfasi («Quen cossa ke ti medesmo te manifesti a nu e no al mondo?» 38).99 Alla 3a pers. m. si trovano elo 4, 8, 22, 25, 82, 161 (6 in t.), ello 142, 19, 202, 21, 24, 362, 372, 39, 47, 482, 51–52, 63, 652, 70, 78, 82, 89, 95–96, 99, 1102, 157–158, 165, 170, 174, 1752, 182, 185 (38 in t.), el 22,73, 83, 92, 133, 142, 16, 173, 18–19, 202, 212, 242, 252, 26–27, 30–31, 33–34, 40, 42, 44–45, 472, 482, 49, 50, 522, 53–54, 59–62, 633, 646, 653, 66, 673, 682, 693, 702, 71, 722, 733, 75, 762, 775, 78, 795, 813, 823, 83, 843, 85, 863, 872, 88, 896, 90–91, 926, 93–94, 953, 965, 973, 982, 993, 1002, 1012, 102, 1034, 105, 1062, 107, 1092, 1112, 1132, 1144, 1154, 1195, 1203, 1216, 122, 1233, 124, 1253, 1262, 130, 1312, 133, 135, 1362, 1382, 1392, 1407, 1423, 1432, 145, 1463, 148, 151–152, 1544, 1574, 158–159, 1602, 1636, 1652, 1665, 168, 1694, 1704, 171, 1722, 17311, 1745, 175–176, 1816, 1823, 1832, 1843, 186 (294 in t., compreso êl 166), ell’ 31, 35, 63, 106, 157, 176, 1775 (11 in t.), e’ 163.100 L’utilizzo dell’obliquo lu come soggetto si verifica preva-
gli altri citati con ti e loro). Agli studi ora menzionati di Benincà e Vanelli si rinvia invece per i casi citati in questo paragrafo in cui il pronome obliquo è soggetto di un verbo di modo non finito o si accompagna a un altro soggetto congiunto. Wilhelm (2007, 17) segnala due casi di mi soggetto nel codice Trivulziano 92 allestito a Milano alla fine del Quattrocento da Giovanni de’ Dazi. 98 Sulla possibilità che in alcuni casi tu sia un pronome clitico cf. §4.40. 99 Nel corpus di testi non letterari considerato da Videsott (2009, 403), la prima attestazione di una forma obliqua libera di 1a o 2a pers. impiegata come soggetto data, per l’area milanese, al 1451; tra i testi letterari, invece, mi compare come soggetto già in Pietro da Barsegapè (cf. Rohlfs 1969, §434); per le attestazioni nel codice Trivulziano 92 di fine ’400 cf. Wilhelm (2007, 17). 100 Ci sono buone probabilità che in molte, o forse tutte, le occorrenze citate di el si abbia a che fare in realtà con un pronome clitico, prodromo della forma del milanese moderno (per cui cf. Salvioni 1975, 357): in nessun caso ci sono indizi probanti la sua natura libera, non contando le presenze a inizio di frase in «El se dixe» 78; «‹El no è licito a nu›» 111; «‹El no è licito ulcir›» 114, «El saveva ben Pillato» 124, «‹El verà ancora tempo›» 184, visto che la legge Tobler Mussafia sembra inapplicabile ai clitici in funzione di soggetto (cf. §4.40). Specialmente indiziabili di cliticità sono le occorrenze di el in «No disse av(er)tamente k’el fosse lu, ma se pò intende p(er) quela parola k’a’ l’era lu» 9, «pensón […] ke ’l Segnore g’avesse comandà k’el devesse agatare alcuna cossa […], on k’a’ ’l donasse alcuna cossa ali poveri» 19, dove el compare in giri frasali paralleli a quelli dove sono attestati i nessi pronominali a’ ’l e a’ l’, senz’altro clitici. Tuttavia, il fatto che in Bonvesin sia sicuramente dimostrabile che el è, perlomeno in alcuni casi, pronome libero (cf. Vanelli 1987, 56), consiglia di rubricarlo come tale anche nella Passione Trivulziana, in assenza di prove positive del contrario (in tal senso, conta anche il fatto che non si trovi mai una forma ridotta ’l seguente la negazione: cf. Wilhelm 2005, 74–75; 2007, 27–30). Lo stesso ragionamento vale per ell’ e e’. Di quest’ultimo pronome (su cui cf. anche §§3.1 e 4.71) si potrebbe sospettare l’inesistenza, visto che la sequenza grafica ‹ela posede› («e’ la posede»), parallela a
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lentemente in casi di enfasi (cf. Wilhelm 2007, 15): «p(er) lo fiolo d’una dona vegia lu medesmo se dè per s(er)vo» 14, «Mo sì è clarificado lo fiolo del’omo, e llo Segnor Deo sì è clarificado in lu, e lu p(er) sì medesmo sì è clarificado in Deo» 20, «Ysach sì portava i(n) spala le legne per le que lu medesmo deva fì sacrificado, e Criste portava lo legno dela croxe sulo qual lu medesmo deva fì sacrificado» 1392; all’infuori di essi si trova «Contristado era, ma no p(er) tema dela passion, ke p(er) quelo lu era venudo al mondo» 62. Alla 3a pers. f. si trovano ela 4, 50, 127, ecc. (17 in t.), ella 502, 143, 156, 164, el’ 50, 125, 143, 156. L’unica forma di pronome soggetto libero per la 4a pers. è nu 1, 102, ecc. (32 in t.), mentre alla 5a pers. si hanno il maggioritario vu 15, 25, 263, ecc. (101 in t.), vui 44, vuy 27, 32, 40 e in un caso vu altri 136. Per la 6a pers. maschile predomina illi 2, 4, 64, ecc. (144 in t.), oltre a cui si registrano eli 1–2, 40, 180, elli 552, i 62 e la forma e’ 138 («qua(n)do e’ l’aveno inschergniido»), un hapax legomenon sospetto.101 L’obliquo loro è adoperato
quella di poco successiva ‹ella || perde› («el la perde»), può semplicemente essere dovuta a uno scempiamento di l in fonosintassi oppure addirittura ad aplografia (cf. §4.36); tuttavia si è preferito lasciare la forma e’, in ragione del fatto che essa è attestata negli antichi volgari settentrionali anche in Lidforss (1872, 84); Salvioni (1898, 378), Verlato (2009, 95; ma il luogo segnalato è errato; si vedano piuttosto 176 ultimo rigo, 178 quart’ultimo rigo, 236 ultimo rigo; e si veda anche 413, dove si nota la riduzione di ol a o) e Wilhelm/De Monte/Wittum (2011, 193, s.v. el); pare invece un abbaglio quello di Ascoli (1879a, 263), relativo alla veneziana Cronica deli imperadori romani. Per la scelta editoriale di suddividere k’el, s’el, ecc. sia davanti a consonante sia davanti a vocale e, parallelamente, di scrivere k’elo, s’ela, ecc., cf. §3.1. 101 Il pronome i, sebbene ricorra due sole volte in un unico luogo nella Passione Trivulziana, è ben attestato nel lombardo occidentale antico (cf. Mussafia 1868, §89; Keller 1896, 19; Salvioni 1898, 377) e in generale al Nord. Potrebbe trattarsi di una forma enclitica (-i) invece che libera («stagand i asetai», «stagand i drigi»): si noti tuttavia che, se si accetta la riduzione di illi a i proposta dall’editore, in Bonvesin si hanno alcuni casi sicuri di i sintatticamente libero (Gökçen 1996, 59 v. B 824, 192 v. O 31, 200 v. O 226, 209 v. P 91; Gökçen 2001, 123 v. S2 99). Non segnalano invece attestazioni (indipendenti da scelte editoriali) di e’ pronome soggetto di 6a pers. negli antichi testi lombardi occidentali da loro esaminati Mussafia (1868, §89; si noti che l’ei del verso A 292 «s’ei havessen» è risolto da Gökçen 1996 in se i, come già ipotizzato dallo stesso Mussafia); Lidforss (1872, 84); Keller (1896, 19); Salvioni (1898, 377–378); Spiess (1956, 7, 19); Stella/Grignani (1977, 136); Degli Innocenti (1984a, 68); Wilhelm (2006, 87 s.v. eli); Wilhelm/De Monte/Wittum (2011, 194 s.v. eli) e neppure, per i documenti milanesi più toscanizzati, Vitale (1953, 88) e Brown (2013, 70). Si può tutt’al più ricordare l’attestazione della forma ei / ey (ma non di e’) nella Meditazione sulla Passione (cf. Salvioni 1898, 378, che tuttavia precisa in nota «forse: e i = et illi») e, fuori dall’area lombarda occidentale, nel mantovano di Belcalzer (Ghinassi 1965, 81) e nella Passione bergamasca in versi pubblicata da Maria Corti (1965, 355). È possibile che l’e’ della Passione Trivulziana sia dovuto a uno scempiamento di l in fonosintassi (per el ‘essi’, forma attestata anche nella Meditazione sulla Passione lombarda, cf. Salvioni 1898, 378) o sia da valutare come toscanismo (cf. Andreose 1999, 97–98).
Morfologia
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come soggetto in casi di enfasi («santifica mi azò ke loro siano santificadi» 57, «Ello ge vosse rende li XXX dané, ma loro no li vosseno rezeve» 110) e, insieme a lor, con verbi al gerundio («Menando lor» 139, «temando loro» 124, «aparegiando loro» 172, «vezando loro» 176). Al femminile si ha solo elle 392, 71.
4.39 Pronomi personali: forme oggettive libere Per la 1a pers. la forma obliqua mi 27, 34, 353, ecc. (48 in t.), pure nella grafia my 33, 35, è impiegata anche come diretta (15, 352, ecc.: 16 in t.), come è tipico nei volgari settentrionali (cf. Rohlfs 1969, §442); da segnalare inoltre la forma comitativa mego 8, 15, 25, ecc. (11 in t.), sempre preceduta dalla preposizione con. Anche per la 2a pers. la forma obliqua ti 5, 33, 54, ecc. (12 in t.) vale pure come diretta (542, 157, 159); la comitativa è tego 60, 68, preceduta da con. Alla 3a pers. m. le forme oblique sono ello 37, luy 6, 82 e, preferenzialmente, lu 82, 92, ecc. (21 in t.), impiegata anche come forma diretta (38, 85); mancano attestazioni per il femminile. Per la 4a pers. si trova sempre nu come forma diretta (862, 145, ecc.: 5 in t.) e obliqua (3, 5, 14, ecc.: 19 in t.), per la 5a si ha vu diretto (15, 32, 42, ecc: 5 in t.) e obliquo (72, 8, ecc.: 44 in t.) che predomina su vuy diretto (42) e obliquo (32, 43). Alla 6a pers. si ha l’obliquo loro 72, 9, ecc. (44 in t.), apocopato solo in un caso (10). Il riflessivo è sì diretto (30, 157) e obliquo (7, 20, 28, ecc.: 7 in t.).
4.40 Pronomi personali: forme soggettive clitiche Per quanto riguarda la serie proclitica, alla 3a pers. m. si trovano a’ ’l 19, 79 davanti a consonante e a’ l’ 9, 73, 123, 164, 169 davanti a vocale (cf. §1.2), con cui è opportuno citare da subito, per la 6a pers., a’ y, di cui andrà notata la cooccorrenza con un sintagma nominale soggetto in posizione postverbale: «era ta(n)ta larga ke a’ y poevano stare i(n) acadun lado tri discip(u)li» 16. I nessi pronominali a’ ’l o a’ l’ e a’ y sono formati dall’unione del pronome clitico soggetto a’ con i clitici soggetto ’l / l’ e y. Il tipo è specialmente diffuso in area bergamasca: nella Passione in versi edita da Piera Tomasoni (1984) si hanno a’ 3a pers. (v. 57 ms. L), a’ ’l o a’ l’ (v. 2 mss. A, Bo, v. 18 ms. L, v. 30, 2 volte, tutti i mss., e così via), a’ y (v. 21 ms. A – ma è un trascorso di penna, v. 25 ms. Bo, vv. 43–44 mss. Bo, L, e così via), a’ la (v. 171 ms. Bo); si ha inoltre a’ in unione con un clitico posto dopo la negazione in «a no y vols in lu credì» (v. 62 ms. Bo), «pocho fo de me’ che a nol morì» (v. 86 ms. Bo; una disposizione simile è oggi rinvenibile in varietà friulane: Manzini/Savoia 2005, vol. 1, 134–136). I
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due ultimi sono luoghi particolarmente degni di attenzione: per un verso, infatti, essi rivelano in modo lampante la natura composita del tipo pronominale e ne suggeriscono la resa grafica con a’ ’l, a’ y, ecc. piuttosto che con al, ay, ecc.; per l’altro, provano la cliticità del secondo elemento del composto, che segue la negazione invece che precederla (cf. Benincà 1983, 193 e più oltre in questo stesso paragrafo le osservazioni su la sogg. proclitico nella Passione Trivulziana). Proseguendo con le allegazioni, nei testimoni di area bergamasca della parafrasi in versi del Decalogo di Colò (o Colo) da Perosa (o Peròla) pubblicata da Buzzetti Gallarati (1982) si trovano a’ 3a pers. (v. 58 mss. A, L), a’ ’l o a’ l’ (vv. 13, 16 tutti i mss., v. 17 ms. B, e così via; con negazione interposta tra a’ e ’l al v. 49 mss. A, B: «a’ no ’l se dé»), a’ li (vv. 83, 166 ms. B), a’ y (v. 28 mss. A, B, v. 35 ms. B, v. 68 mss. A, L, e così via; con negazione interposta tra a’ e y ai vv. 72 ms. L: «a no y peccasse», 180 ms. A: «se a no y vol morir», ms. L: «s’a’ no y vol morir»), a’ la o a’ l’ (v. 56 ms. B, v. 61 tutti i mss., v. 62 ms. B, e così via; con negazione interposta tra a’ e la al v. 165 ms. A: «perché a no la volse consentir del corpo so», ms. B: «perqué a no la y vole consentire»). Nella lauda bergamasca databile con buona probabilità al XIII secolo pubblicata da Ciociola (1979), tramandata però da testimoni di fine Trecento e inizio Quattrocento, si ha un caso di a’ ’l (v. 50 entrambi i mss.; qualunque cosa sia, non mi pare invece un clitico soggetto a’ in «ke vo’ a’ n’avés del fïol vost’» v. 10 ms. L, poiché esso segue, invece che precedere, vo’). Nel lombardo occidentale, il pronome a’ o le forme con esso composte, sempre alla 3a o 6a pers. come in bergamasco antico, si ritrovano in pavese antico (Salvioni 1902, 426 n.; Grignani/Stella 1977, 135–136), in lodigiano antico (Salvioni 1904b, 476), nelle copie della bonvesiniana Vita di sant’Alessio e della Vita di santa Margherita (il cui colorito linguistico originale è incerto) tramandate dal codice Trivulziano 93, di fine Trecento e verosimilmente collocabile nella Lombardia occidentale (Wilhelm 2006, 87, s.vv. el, eli; Wilhelm/De Monte/Wittum 2011, 193–194, s.vv. el, ela, eli; con negazione interposta tra a’ e l’ al v. 117: «Po’ ch’ a’ no l’è de so piazimento»), nel Contrasto della rosa e della viola tramandato dall’Ambrosiano N 95 sup. (Biadene 1899, 115), negli statuti confraternali originalmente comaschi impiegati a Daro (Salvioni 1904a, 571), nel Laudario comasco, nei testi comaschi trascritti da Gabaglio (1997, 158–159, 162–163) e, in numero ridotto, nella Meditazione sulla Passione e nell’Esposizione del Decalogo (Salvioni 1898, 378 n. 1): per i casi comaschi e per gli ultimi due testi citati si rinvia a quanto detto al §1.2. In milanese le attestazioni sono sporadiche: si rintracciano in tutto tre casi di a’ ’l in Bonvesin (ai vv. B 34, 354, 379 del Vulgare de elymosinis: Gökçen 1996, 26, 40–41); qualche occorrenza utile anche nei testi cancellereschi commentati da Vitale (1953), il quale, sebbene trattando la morfologia citi solo «il
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frequentissimo el» (88), altrove menziona pure a’ ’l (60). A quanto pare, tra fine Quattrocento e Seicento le forme con a’ conoscono una qualche diffusione a Milano (Maschka 1879, 4–5; Vai 2014, 125–126), specialmente notevole nel secentesco Prissian de Milan (cf. Lepschy 1978); proprio commentando la frequenza di a’ ’l in tale testo, d’altronde, Salvioni (1884, §114) osservava che «nel milanese però l’uso di questo pronome è alquanto limitato» (cf. §1.2). Allargando il campo, a’ solo o in composizione si incontra per esempio in piemontese antico (Salvioni 1886c, 503), nel testimone trecentesco del Fiore di virtù esemplato a Bologna (Corti 1960, 34: «al bisogna») e, come è noto, in padovano antico, dove a’ è però innazitutto clitico di 1a, 4a e 5a pers., benché in Ruzante compaia anche al di fuori di tali funzioni (D’Onghia 2010); altri casi ancora sono segnalati in Bertolini (1985, 46). Uno tra i luoghi sin qui citati presenta senz’altro a’ proclitico, vista la sua occorrenza insieme a un pronome relativo in funzione di soggetto: «E’-t quel c’ a’ ’s fa re d’i zudé?» (Tomasoni 1984, v. 57 ms. L); sebbene siano meno cogenti, mi paiono indicatori di cliticità anche i casi in cui nessi con a’ cooccorrono con un sintagma nominale soggetto preverbale: «lo spirto so al dé’ partir» (Ciociola 1979, 68 v. 50 entrambi i mss.), «[La dona che va desohnestamente,] alla offende a Cristo omnipotente» (Buzzetti Gallarati 1982, 53 v. 56 ms. B; ma potrebbe anche trattarsi di semplice ripresa del soggetto). In tutte le altre occorrenze, a’ e i nessi con a’ sono sempre in posizioni compatibili con lo statuto di clitici, stando all’esame dei testi o al giudizio ricavabile dalle analisi linguistiche compulsate (restano in dubbio solo i casi citati da Vitale 1953); le uniche eccezioni apparenti sono costituite da casi in cui tali forme compaiono in posizioni che secondo la legge Tobler Mussafia non possono essere occupate da un clitico, il che si verifica nel v. B 379 del Vulgare de elymosinis di Bonvesin (Gökçen 1996, 41: «El fo mandao per lu, al venne a tuta fiadha»), dove a’ ’l figura all’inizio di una coordinata per asindeto alla frase principale, e in diversi luoghi della parafrasi in versi del Decalogo, dove a’ e i nessi pronominali con a’ si trovano all’inizio assoluto di frase principale (Buzzetti Gallarati 1982, 52 v. 49 ms. A: «A nol se dé andar tavernezando», ms. B: «A nol se dé andar tevernezando», ms. L: «Al no se dé andare tavernezando», 57 v. 121 ms. B: «Al deventà levros amantenento», 58 v. 151 ms. B: «Al se leze che a’ l’era zinque citade», 60 v. 185 ms. B: «Al fi penetencia de quel grand pecato») o, come in Bonvesin, all’inizio di frase coordinata per asindeto alla principale (Buzzetti Gallarati 1982, 51 v. 28 ms. A: «[in dolatri cre miser pecatore,] a’ y cre ay indevì et ay incantadori», ms. B: «a’ y cre ay indivini et ay incantadore», 53 v. 68 ms. A: «[I so dodes fradeyi s’ol ten a desenore,] ay piòne la citat cum grando furore», ms. L: «ay piòne la citad con gran forore», 60 v. 182 ms. L «[De Davit profeta e’ ve voy dire:] al tolse la moyer ad un so cavalere», v. 183 ms. A: «[la moyer tolse ad un so cavalere;] al ordenà e po’ sil fi morir», ms. L: «al
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ordenò e po’ ol fi morire», 61 v. 189 ms. B: «[l’altro fradel sì ·l ten a desenore:] ali ulzis Amon ad ira et a furore»). Si è detto che simili casi sono un’eccezione solo apparente, perché la legge Tobler Mussafia non interessa i clitici soggetto.102 Per quanto riguarda i testi settentrionali, si vedano per esempio i casi in cui il Corpus OVI offre occorrenze di l’è con l’ sogg. all’inizio del periodo (o quando la sequenza sia preceduta solo da un vocativo; cf. Rollo 1993, 10 n. 24) o all’inizio una di frase coordinata per asindeto: «anuntiarge: ‹L’è nato Deo nostro Segnore›», «El se fa filius Dei, l’è caçù in male sorte» nel Laudario dei Battuti di Modena (Elsheikh 2001, 8, 108); «Segnuri, l’è ben vero la vixione de san Piedro» nella bolognese Vita di san Petronio (Corti 1962, 12); «L’è meio a texere che a †pretare† novele» nell’Atrovare del vivo e del morto, cantare emiliano trecentesco (De Robertis 1960, 160); «Segnor meo, l’è verità» in un testo pratico veronese trecentesco (Bertoletti 2005, 421; forse si potrebbe aggiungere «Notifico, segnor meo, l’è verità» 348); «L’è morto questo anno lezieramente in Omgarya Lm chavally», «L’è vegnù i(n) Dalmazia a dý 28 d’ap(ri)lle XXX gallye» in un testo pratico padovano trecentesco, dove si legge anche «yo avi questo anno a fare cu(m) Francescho de B(er)nardo: l’à zurà ch’el ne schovene desfare Francescho e mi, ma p(er) la grazia de Dyo el no llo pò fare» (Tomasin 2004, 59–60); «L’è da savere», «L’è tre spetie de sandali», «L’è pu(r) vero», «Dixe Dyascorides: L’è do spetie de fungi», «L’è principalementre tre spetie de poro» nel Serapiom padovano (Ineichen 1962, 7, 366, 366, 370, 382), «Ello respose loro e disse: ‹L’è vignoda l’ora›» nel Diatessaron veneto (Todesco 1938, 120). Con minore forza probante si possono inoltre allegare «no dij çurare d’una cosa e dire ‹l’è cussì›, s’ela no fosse» nel codice ferrarese dei Servi di Maria, di datazione non del tutto sicura (Stella 1968, 218), «L-e complida la cronica» nella veneziana Cronica deli imperadori (Ceruti 1878, 243), trecentesca ma tramandata da una copia del pieno Quattrocento. Sono infine da aggiungere i casi rinvenibili in testi di area settentrionale ma linguisticamente influenzati in maniera cospicua dal toscano oppure di localizzazione incerta: «perché sonto ora primeramente leva’ intra vue; l’è usança et raxon che per novitate sia portato honore a l’arengatore» (Giovanni da Vignano, Flore de parlare, 236), «tant’ha possanza; / l’è
102 Per i testi settentrionali, è corrente l’opinione contraria: cf. per esempio Benincà (1983, 195); Vanelli (1987, 56–57); Tomasin (2004, 171) e Bertoletti (2005, 258), che tuttavia è ritornato tangenzialmente sul tema osservando come già anticamente le «forme atone del pronome soggetto l(o) e l(a), superficialmente identiche alle forme del pronome oggetto, fossero ammesse a occupare l’inizio di frase» (Bertoletti 2009, 63 n.). Per i testi toscani quattrocenteschi l’inapplicabilità della legge Tobler Mussafia alle forme soggettive atone la, gli, le è stata mostrata da Palermo (1997, 160–161), che mette inoltre in dubbio l’opinione di Renzi (1983, 228–229), secondo cui nel fiorentino delle origini il vincolo era valevole anche per i clitici soggetto.
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specchio di virtute», «e’ lla domando con dolze preghiera: / l’è cosa a voi lizera», «Ogni atto grazïoso in lei s’aferra; / ogni allegreza, ogni nobil costume: / l’è specchio, fonte e fiume» in Antonio da Ferrara (Manetti 2000, 276, 284, 291), «tale fue la sua voxe: / ‹L’è uno qui ch’àe cinque pani d’orço›», «Segnor, l’è vero», «dicea: ‹L’è cosa soçça›», «L’è quivi et molto par che il se confida», «et disse a lui: ‹L’è costei, maestro, / trovata a l’adu[l]terio sempre accexa›», «‹Che te feo ello?›, l’è pur d’esto greçço, / ‹Come te pot’el con man aprir gli ochi?›», «Ancora disse: ‹L’è vero et non fallo›», «La verità ve dico […]: l’è pur a voi de bisogno ch’eo vada», «L’è ressussitato» in Jacopo Gradenigo, Gli Quatro Evangelii concordati in uno (rispettivamente 103, 115, 150, 153, 179, 205, 254, 261, 293); «L’è fatto» in una caccia trecentesca (Corsi 1970, 84), «L’è tempo da godere», «L’è fatto», «L’è fatto ’l brodetto» nel toscano-veneto di Francesco di Vannozzo (edizione di Roberta Manetti per il Corpus OVI: n° 148 vv. 82, 188, 291), «o desperado! / L’è sì scuro e brutto el tuo pechado!» in un componimento tramandato da un frammento trecentesco conservato nel codice 464 della Biblioteca comunale di Bologna (De Bartholomaeis 1926, 43). Quanto all’origine di a’, nel padovano cinquecentesco (forse già tardoquattrocentesco), il punto di partenza è senz’altro il pronome di 1a pers.; altrove si potrebbe invece pensare a un conguaglio di forme pronominali monosillabiche movente dalla 3a e 6a pers.:103 non darei comunque per scontato che, in tutte le varietà antiche dove si presentano a’ e forme composte con a’, esse siano da giudicare autoctone. Pare poco probabile l’ipotesi di Ciociola (1979, 72), secondo cui «all’art. el si sarebbe affiancato al, assumendone pure, s’intende, le funzioni pronominali […]; in tal veste avrebbe subito flessione […]; dalle forme flesse sarebbe infine stato estratto, e generalizzato, a’»; in essa riecheggia l’idea di Lorck (1893, 164), ricordata di recente da Vai (2014, 121), secondo cui a’ deriverebbe da una scomposizione del pron. di 3a pers. al in due parti. Tornando alla rassegna delle forme pronominali soggettive clitiche nella Passione Trivulziana, l’unica occorrenza sicura in proclisia per la 3a pers. f. è l’attestazione di la nel passo «i(n)ficàn la croxe i(n) terra sì forte ke no la podesse cadere» 153. Il fatto che il pronome segua la negazione depone a favore della sua natura di clitico, opponendolo al pronome tonico ela che invece la precede: «s’ela no te fosse dada de sovra» 132, «k’ela no avesse stragra(n)dissimo dolore» 143, «perzò k’ela no aveva nesuna cuxadura» 156.104
103 Cf. Salvioni (1886c, 503 n. 1); Silvio Sganzini propone invece tre basi diverse per a pron. pers., pron. impers. e particella pronominale (cf. VSI, vol. 1, 12–13). 104 Cf. l’osservazione già citata a testo di Paola Benincà (1983, 193) sull’ordine negazionesoggetto clitico nei dialetti moderni. La scelta di suddividere k’ela, s’ela nei passi citati si basa appunto sulla posizione del pronome rispetto alla negazione (cf. §3.1, in nota). Esempi di pronomi
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In enclisi dopo un verbo al modo indicativo si trovano in frase interrogativa per la 2a pers. -to: «Com’é-to ardido a respo(n)de cusì al segnor?» 91; per la 3a pers. m. sia -’l: «Quente mal à-’l fagio?» 127 sia -’lo: «Mo s’el era veraxe Deo, com era-’lo doncha abandonà da Deo?» 173;105 per la 5a pers. -vo: «Savì-vo quello k’ei’ò fato a vu?» 26, «Vu doncha que determiné-vo de fare?» 70, «Quando ve mand[é] senza dané e senza tasca, avise-vo desaxio d’alcuna cossa?» 72, «Que(n)te acuxation porté-vo co(n)tra questo homo?» 112, «P(er)què fé-vo cotamanio rumo(r)e? E perquè sì-vo cusì importuni (con)tra q(ue)sto homo?» 118, «Qual vorì-vo de q(ui)sti du ki sia liberado?» 127, «ala p(er)fin sì dixise-vo ke vu nol vorì-vo k’el fosse vostro Deo?» 133 (dove solo dixise-vo è in frase interrogativa), «Com volì-vo [ke eyo crucifiche] lo vostro re?» 135; in frase affermativa si hanno -’l per la 3a pers. m. in «s’el vore morire do(n)cha è-’l mato» 121 e -vo per la 5a pers. in «ben lo poì-vo vedere» 109 e nella già citata «vu nol vorì-vo k’el fosse vostro Deo» 133. Inoltre -vo si appoggia a un verbo al congiuntivo in amesse-vo 39, al condizionale in alegrarisse-vo 39: sono casi nei quali, in processo di tempo, in milanese il clitico sarà incorporato nella morfologia verbale (cf. Rohlf 1969, §453; Salvioni 1975, 365–366).106 Si noti che anche tu e vu compaiono in diversi casi in posizione postverbale. Dopo un verbo al modo indicativo in frase interrogativa tu ricorre in «Onde vo’ tu Segnor k’ela sia aparegiada?» 4, «Segnor, onde vé tu?» 33, «Adoncha com dixi tu k’eo te mostra lo meo Padre? Non cri tu ke lo meo Padre sia i(n) mi e eio i(n) lo meo Padre?» 35, «Simon dormi tu? No po’ tu vegia(r)e una hora co(n) mego?» 66, «Amigo a que é tu venudo?» 76, «No vo’ tu ki beva lo calix ki m’à dado lo me Padre?» 84, «Pensi tu ke eyo no possa p(re)gare lo me Padre?» 84, «perquè me clitici soggetto di 3a pers. m e f. seguenti la negazione sono stati rilevati da Wilhelm (2005, 74–75; 2007, 27–30) sia nella bonvesiniana Vita di sant’Alessio tramandata dal codice Trivulziano 93 sia nella Vita di santa Margherita tramandata dal medesimo codice e dall’ambrosiano N 95 sup., allestito dal milanese Giovan Francesco Cignardi tra il 1429 e il 1435 (cf. per la Margherita del Trivulziano anche Vai 2014, 119). Si veda inoltre Bertolini (1985, 46). 105 Forse anche i casi di E zò dis’elo 82 (in frase affermativa) e Com diss’elo doncha 161 (in frase interrogativa) si potrebbero interpretare dise-’lo, disse-’lo. Va anche menzionato il fatto che potrebbe trattarsi di apocope, invece che di elisione (dis elo, diss elo). 106 L’incorporazione del clitico si realizza anche nella 5a pers. dell’ind. perf. (cf. per esempio vedissev in Maggi: Isella 1964, 430), ma per i ricordati avise-vo 72, dixise-vo 133, conta piuttosto la natura interrogativa della frase. Nel milanese moderno si ha enclisi del pronome soggetto in frase interrogativa alla 2a e 3a pers., ma non alla 5a (Salvioni 1975, 357). Nella bibliografia sugli antichi volgari lombardi nordoccidentali si trovano menzionati -’lo (Mussafia 1868, §90; Salvioni 1898, 378; Contini 1935b, 243; Degli Innocenti 1984a, 68; Wilhelm 2007, 11) e -vo (Keller 1896, 18; Salvioni 1898, 375; Contini 1935b, 243; Vitale 1953, 55, 89). Cf. inoltre le attestazioni di lo soggetto enclitico in testi settentrionali allegate da Bertoletti (2009, 53–54 n.; cf. inoltre 65–67); -to, -’lo (e -ve) sono attestati in Verlato (2009, 96).
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doma(n)di tu de zò?» 90, «perquè me feri tu?» 94, «Co(m) po’ tu dir ke tu no sii de q(ui)lli?» 98, «No respondi tu a cota(n)te acuxation (com) q(ui)sti te dixeno?» 103, «Do(n)cha dis tu ke tu é fiol de Deo?» 105, «No oii tu de qua(n)te cosse q(ui)sti t’acuxano?» 113, «É tu re deli Zudé?» 113, 115, «Fé tu q(ue)sta doma(n)da da ti on son altri ki tel fan dire?» 116, «Do(n)cha é tu ben re?» 117, «Dond’é tu?» 131, «Co(m) nom re[s]pondi tu? No sé tu k’e’ ò possanza sovra de ti de poderte crucificar e de poderte lassare?» 131, «perquè m’é tu abandonà?» 172, 175, «no oii tu ke giama Helia?» 176; meno numerosi i casi di vu: «Mo credì vu?» 53, «Ki domandé vu?» 80–82, «Qual vorì vu de q(ui)sti du ki sia liberado, on Baraban on Yesù al qual fi digio Criste?» 124. In frase affermativa dopo un verbo al modo indicativo sia ha tu in «devivi tu scrive k’el dixeva k’el era re deli Zudé» 154 e vu in «Traditori ke tuto te(m)po fussi vu traditori» 133; inoltre si trova tu dopo un verbo al modo condizionale in «Mo poris tu dire» 87, 162, «Quilò poris tu dire» 140; il pronome vu ricorre dopo un verbo all’imperativo in «se eyo ke sonto vostro segnore e maistro sì v’ò lavadi li pey a vu, cusì devì vu lavar li pey l’un l’altro» 26, «Toỳlo vu» 114, «Toiìlo vu» 131. Ora, prescindendo dalle due ultime frasi citate, dove il pronome soggetto è sicuramente tonico, negli altri casi si resta in dubbio sulla sua natura libera o clitica; per tu, oltretutto, conta il fatto che, come notava Salvioni (1911, 174), nel corpus bonvesiniano alla 2a pers. «il metro ci rivela un t soggetto, scritto sempre tu e appoggiantesi alla voce verbale che precede» (cf. anche Contini 1935b, 243; 1960, vol. 1, 676 n. 99). Ciò nonostante, in un testo in prosa è parso più prudente valorizzare l’aspetto morfologico, considerando enclitici -to e -vo e sempre liberi tu e vu.
4.41 Pronomi personali: forme oggettive clitiche Per la 1a pers. le forme accusativali proclitiche sono me 7–8, 26, ecc. (31 in t.; me 37 in «me manifestarò» è un’emendazione: cf. §3.1), m’ 35, 38, 42, ecc. (12 in t.), il toscanismo mi 37 e la forma asillabica m in nom 492, 50, 131 (cf. Formentin 2002a, 99; Egerland/Cardinaletti 2010, 441–443); in enclisi c’è -me in dàme inf. 117, dime 116 (clarificame 54 è un’emendazione: cf. §3.1); le dativali proclitiche sono me 254, ecc. (18 in t.), m’ 55, 562, ecc. (6 in t.); in enclisi si hanno -me in dirme 17, -mi in metìmi 182. Per la 2a pers. le forme accusativali proclitiche sono te 7, 122, ecc. (18 in t., compreso te domanda ‘ti interroga’ 53) e t’ 54, 602, ecc. (6 in t.); in enclisi c’è -te in poderte 1312, recevete inf. 77; le dativali proclitiche sono te 252, 33, ecc. (12 in t.) e t’ in «zò ke t’è da fare» 19; nessun esempio in enclisi.
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Per la 3a pers. m. le forme accusativali proclitiche dopo vocale davanti a consonante sono lo 22, 3, ecc. (89 in t.), ’l 9, 16, 25, ecc. (18 in t.);107 dopo vocale davanti a vocale lo 16, 69, 78, ecc. (5 in t.), l’ 22, 24, 27, ecc. (30 in t.), llo 77, ll’ 43 (cf. §4.32); dopo consonante davanti a consonante si ha lo 37, 65, 109, ecc. (5 in t.); dopo consonante davanti a vocale l’ 120, 123; in enclisi c’è -lo in acuxarlo 103, crucificalo 1302, 134, disselo 25, domandòlo 119, liberarlo 176, menélo impt. 5a pers. 76, metèlo 171, obs(er)valo 37, piélo impt. 5a pers. 76, te(n)zèllo 18, toiìlo 131, toỳlo 114, torlo 176, torzèllo 24, ulcirlo 65, ulzirlo 131, vederlo 119; le forme dativali proclitiche sono ge 17, 19, 683, ecc. (64 in t.) e g’ 192, 542, ecc. (10 in t.); in enclisi c’è -ge in dàge part. 54, farge 87, tornòge 138. Per la 3a pers. f. le forme accusativali in proclisi sono davanti a consonante la 9, 21, 38, ecc. (15 in t.), davanti a vocale la 182 e l’ 38, 107; in enclisi c’è -la in bagniàla ind. perf. 3a pers. 171, sporzela 176; le dativali proclitiche (nessun esempio in enclisi) sono ge 76, 165 e g’ davanti a vocale 165. Per la 4a pers. le forme accusativali proclitiche sono ne 672, 86, ecc. (5 in t.), davanti a vocale n’ 64, se 69, 178 e in un caso ce 5; ne è pure la forma dativale proclitica 22, 31, 352, ecc. (8 in t.) (nessun esempio di 4a pers. in enclisi). Per la 5a pers. le forme accusativali proclitiche sono ve davanti a vocale e consonante 17, 322, ecc. (23 in t.), v’ davanti a vocale 32, 42, 445, 52; in enclisi si trova -ve in alegréve impt. 5a pers. 34, (con)fiduxiéve impt. 5a pers. 53, confortéve impt. 5a pers. 71, nudrigòve 133, partìve impt. 5a pers. 73; lo stesso panorama offrono le forme dativali: in proclisi ve davanti a vocale e consonante 5, 7, 17, ecc. (40 in t.), v’ davanti a vocale 262, 38, ecc. (11 in t.); in enclisi -ve in aparegàve inf. 34, aregordéve impt. 5a pers. 44, donarve 123. Per la 6a pers. m. le forme accusativali proclitiche sono i 81, y 57, li 12, 242, ecc. (21 in t.; li 110 in «li spa(n)tegò» è un’emendazione: cf. §3.1), lli 56 (cf. §4.32); in enclisi si ha -li in guardali impt. 2a pers. 57, santificali impt. 2a pers. 57, sugàli inf. 24; le dativali proclitiche sono ge davanti a consonante e vocale 7, 11–12, ecc. (22 in t.), g’ davanti a vocale 5, 45, 55, 82–83. Per il femminile non si rilevano esempi in enclisi; le forme accusativali sono le 362, 39, ecc. (6 in t.) e li 27, 155 (cf. Salvioni 1890, 254; 1904a, 570; nel Laudario comasco, f. 121r, si legge: «le gratie e li benefitij ke Dé m’à dao, e’ no li ò recognosude»); al dativo ge 144. Le forme in proclisi del clitico genitivo sono ne davanti a consonante e vocale 242, 91, ecc. (6 in t.), n’ davanti a vocale 32, 82; in enclisi si ha -ne in agatàne inf. 111. Per il clitico locativo si trovano i proclitici ge davanti a consonante e vocale 74, 106, 161, g’ davanti a vocale 2, 22, 25, 54, 107; notevole è l’occorrenza «Quelo ki
107 S’intende che, mancando qualsiasi attestazione di una forma accusativale clitica el, l’apostrofo nella grafia ’l è da considerare un puro espediente grafico.
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è lavado no g’à besognio lavar se no li pey» 25, dove si può apprezzare un esempio di quella associazione tra g’ e le forme dei continuatori di HABERE che in processo di tempo si stabilizzerà (cf. Rohlfs 1969, §903). Nei nessi di clitici si presentano in veste asillabica la forma genitivale (men 474, 56, gen 2, 132, sen 202, 23, 113, ven 129 in proclisi, in enclisi -ten in vaten 68, -ven in andéven impt. 5a pers. 4; in vaseno 20 si ha invece restituzione erronea della finale) e quella accusativale di 3a pers., usata in proclisi non solo al m. sg. (tel 116, gel 87, 95, 137, ecc.: 6 in t., sel 92, vel 27, 36, 47, 51, 129; sul pron. riflessivo cf. il paragrafo seguente), ma anche al f. sg. e pl. (mel ‘me la’ 104, vel ‘ve la’ 43, 51, ‘ve le’ 472, 482).108
4.42 Pronome riflessivo, impersonale e passivante La forma libera del pron. riflessivo di 3a e 6a pers. sg. e pl. è sì 7, 20, 28, 30, 40, 48, 61, 157, 173.109 Le forme proclitiche sono davanti a vocale e consonante il predominante se 1, 64, ecc. (83 in t.), davanti a vocale s’ 2, 66, 73, ecc. (6 in t.), cui si aggiungono sse 138 (cf. §4.32) e il toscaneggiante si 26, 74, 100.110 In enclisi si trova sempre -se, in ap(ro)simarse 23, co(n)v(er)tìsse inf. 23, farse 103, guardòsse 7, i(n)zenogàsse ind. perf. 3a pers. 63, partìsse ind. perf. 3a pers. 61, 67, 109, picarse 110, sugàsse inf. 100, svengiarse 92, oltre al metatetico ferindesso 180 (cf. §4.35). Come pronome impersonale o passivante si trova se 62, 9, ecc. (22 in t.) e, in un caso, si 111. La forma comitativa è sego 9, 61, 186, usata spesso in accezione non riflessiva (9, 16, 56, ecc.: 10 in t.) e sempre preceduta dalla preposizione con.
108 Per riscontri dell’uso del clitico asillabico l di genere femminile in antichi volgari settentrionali cf. «E lì avì tanta gloria trovar / Ke boca nol pò dir nè cor pensar» (Mussafia 1864, 64, passibile però anche di interpretazione al maschile); «E grandmentre ne recresia / Le parole k’ella disea / E nol volsemo plu aldir» (Wiese 1890, 14 vv. 253–255; l’interpretazione di nol come ‘non le’ mi pare indubbia, benché nell’analisi linguistica Wiese interpreti la forma come ‘non lo’); «Lo fiolo no po far alcuna cosa da sì s’el nol vede far dal so par» (Todesco 1938, 78). 109 I pronomi personali liberi e clitici di altre persone adoperati come riflessivi sono stati considerati insieme ai non riflessivi nei §§4.39, 4.41. 110 Nella prima occorrenza («si tornò la soa vestime(n)ta i(n)dosso» 26), il fatto che si abbia a che fare con un pronome e non con un sì asseverativo si ricava dal parallelo con «tornòge indosso le soe vestim(en)te» 138.
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4.43 Pronomi e aggettivi possessivi Alla 1a pers. si trovano al m. sg. meo 25, 29, 34, ecc. (21 in t.) e me 15, 27, 282, ecc. (69 in t.); al m. pl. mei 5, 322, ecc. (6 in t.), mey 41–42, 57, ecc. (5 in t.), me 5; al f. sg. mia 5, 28, 33, ecc. (23 in t.); al f. pl. me 41, 552, ecc. (6 in t.).111 Alla 2a pers. m. sg. to ‘tuo’ 35, 543, ecc. (13 in t.); m. pl. toy 55–56, 90, 116; f. sg. toa 33, 572, ecc. (9 in t.) e tova 63, 78; f pl. toe 56, 178 e to 552, 56, ecc. (5 in t.).112 Alla 3a e 6a pers. m. sg. so 6, 7, 12, ecc. (61 in t.); m. pl. soi 5, 8, soy 42, 7, ecc. (45 in t.); f. sg. soa 14, 24, 26, ecc. (48 in t.) e sova 1, 3, 8, ecc. (10 in t.); f. pl. soe 14, 124, 136, ecc. (11 in t.) e so 138, 170.113 Per la 6a pers. si trova inoltre lor 7, 28, 45, ecc. (8 in t.). Alla 4a pers. m. sg. nostro 12, 2, ecc. (37 in t.); m. pl. nostri 84, 130, 136, 138; f. sg. nostra 131, 165; nessun esempio per il f. pl. Alla 5a pers. m. sg. vostro 11, 26, 34, ecc. (14 in t.); m. pl. vostri 39, 47, 1442, 145; f. sg. vostra 44, 50–51, ecc. (6 in t.); f. pl. vostre 71, 85. Il possessivo ‘proprio’ si trova adoperato autonomamente e in unione col possessivo di 3a pers., sempre con riferimento al soggetto: «lo corpo de Criste tuto deveva esse tengio i(n) lo so p(ro)prio sange» 18, «la receveva de p(ro)pia volu(n)tà» 81, «de soa p(ro)pia posanza el ave resusitare» 102; come aggettivo non possessivo, ‘proprio’ è attestato in «El no è licito a nu a mete q(ui)sti dané i(n) lo texoro p(ro)pio del te(m)plo» 111 (per le forme dissimilate p(ro)pia e p(ro)pio cf. §4.35).
4.44 Pronomi e aggettivi relativi e interrogativi Per quanto riguarda i continuatori dei pronomi latini QUI , QUAE , QUOD e QUIS , QUID , in funzione di soggetto predomina la forma nominativale ki (< QUI ): «quelo agnelo ki è coto e mangià dali Zudé e li antixi» 2, «uno homo ki porta una amora d’aqua» 4, «le altre cosse ki se comandeno i(n) la leze vegia» 6, ecc. (138 in t.). Anche la forma accusativale ke (< QUE ) può rivestire la stessa funzione, sebbene in un numero ridotto di casi: «tute quele cosse ke fon fagie e digie in la sova passione» 1, «un libro ke fi digio Ysodo» 3, «lo nostro Segnore Yesù Criste, ke p(er) nu peccat(ur)i sofrite morte e passione sover lo legno dela sancta croxe» 3, ecc. (34 in t.).114
111 Per me ‘mio’, ‘miei’, ‘mie’ cf. §4.14; per la chiusura di Ĕ in i in mia, comune in diversi testi settentrionali, cf. Bertoletti (2005, 229–230). 112 Per so ‘suo’, ‘sue’, to ‘tuo’, ‘tue’ cf. §4.14; per tova §4.34. 113 Per so ‘suo’, ‘sue’ cf. §4.14; per sova §4.34. 114 Si esclude dal novero «el no fo may madre nesuna ke ta(n)to uno so fiolo fosse amado» 140, dove la funzione sintattica del relativo non è determinabile. L’uso di ki e ke non mostra una
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Si ha inoltre k’ in «quello k’è maior de vu» 11, «tuto zò k’è sc(ri)pto» 45, «li s(er)ve(n)ti k’erano con Criste» 95, ecc. (11 in t.).115 Per la funzione di oggetto diretto invece la più frequente è la forma accusativale ke: «llo oculto conselio ke contra luy aveva fagio» 8, «dela co(n)tention ke illi avevano i(n)tra loro» 12, «quelo bochon de pan ke Criste g’ave sporto» 19, ecc. (49 in t.); in un caso si trova la grafia che: «quelo che l’uno lasà l’altro compiì» 1. A volte compare anche ki: «quel peccado ki no ge reprendeva la consie(n)zia» 7, «parola ki v’ò digia» 44, «lo calix ki m’à dado lo me Padre» 84, ecc. (12 in t.).116 La forma elisa k’ è attestata, sempre davanti a e-, in «Quel k’el predisse ala cena» 8, «de zò k’elo aveva pensado» 8, «a p(er)sona k’el amava più singularmente ke tuti li altri» 17, ecc. (45 in t.). Riassumendo, se si scarta la forma k’, che non può essere ricondotta con certezza a QUI o QUE , la funzione di soggetto è appannaggio di ki nell’80% circa dei casi; specularmente, il ruolo di oggetto diretto è rivestito da ke l’80% delle volte:117 appare dunque ancora ben riconoscibile sia dal punto di vista morfologico, sia da quello sintattico, benché con qualche segno di cedimento a un impiego indifferenziato, la flessione bicasuale del pronome relativo, diffusa in diversi antichi volgari italiani e in larga parte della Romània occidentale (cf. Schafroth 1993; Formentin 1996, 133 n. 1). Di conserva, il relativo obliquo senza preposizione (sempre con referenti non personali) vede una sola occorrenza di ki temporale: «qual te(m)po fo quelo ki stete i(n)tra nu» 133, mentre ke è attestato più ampiamente, come complemento di tempo: «vegniarà an’ te(m)po ke q(ui)lli ki ve olziran» 46, «el verà te(m)po ke eio no ve parlarò» 52, «in quel dé ke vu domandarì» 52, «el ven l’ora ke vu me lassarì»
chiara relazione né con il genere maschile o femminile, a differenza di quanto registrato da Salvioni (1898, 351) per il Grisostomo pavese e da Formentin (1996, 140) per il volgarizzamento napoletano dell’Historia destructionis Troiae, né con il fatto di riferirsi o no «a persone o a cose di genere maschile e femminile» (distinzione per cui cf. ancora Formentin 1996, 142). 115 Val forse la pena di notare che in tutti i passi k’ è seguito da e-. Nel novero sono compresi «el saveva ben, sì co(m) Deo k’el era» 103, dove il relativo è nome del predicato, e i casi dove al relativo in funzione di soggetto è associato un pronome espletivo: «san Ped(r)o era co(n) loro k’el se scoldava» 89, «questo cotal guardo sì fo k’el ge mixe a memoria» 99, «no fo may p(er)sona […] k’el no recevesse» 174. 116 Il computo esclude le sette occorrenze di ki davanti a parola principiante per vocale («q(ui)lli ki ò elegi» 27, «zò ki àn dito li p(ro)feti» 73, «quelo ki a’ ’l traiva» 79, «zò ki ò dito» 90, «Zò ki ò scrigio» 154, «zò ki àn digio li profeti» 177, con cui va anche «quelle cosse ki [ò] comandà» 43), per cui si potrebbe trattare di chiusura di -e in fonosintassi: cf. Salvioni (1898, 351); Formentin (1996, 139 n. 10). 117 Naturalmente si prescinde qui dal pronome relativo soggetto o oggetto del tipo ‘il quale’, per cui si veda oltre.
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53, «el se ap(ro)sima l’ora ke ’l fiolo del’omo serà tradido» 72, «la p(ri)ma volta ke san Pedro renegò» 89, «el verà ancora tempo ke illi vederan» 184; come indeclinato con ripresa pronominale: «q(ui)lli rami ke eyo p(er)manirò in loro» 41; come indeclinato con antecedente retto dalla stessa preposizione che reggerebbe il relativo, secondo un tipo diffuso in antico (cf. Bertoletti 2005, 231 e la bibliografia ivi citata): «de zò ke vu ve maraveié» 50, «i(n) q(ue)la forma ke vu me vedì mo» 104, «de zò ke vu l’acuxé» 123. Si ha inoltre k’ relativo obliquo senza preposizione come complemento di luogo in «ond’è quello logo k’eo possa cenar» 5, come complemento di tempo in «te(m)po ve(r)à k’el se dirà» 145. Per quanto riguarda il relativo obliquo con preposizione, secondo l’osservazione di Nello Bertoletti (2005, 231–235), si trova ki usato per referenti personali: «quello p(er) ki lo fiol del’omo fi tradì» 8, «q(ue)lo de ki el no voreva ese discip(u)lo» 79, «q(ue)lo da ki el se voreva partì» 79; per referenti non personali si ha invece que (opposto per altro verso al relativo obliquo apreposizionale ke): «i(n)tendeseno zò p(er) que ello dixesse quella parola» 19, «La segunda caxon per que Criste [l’apelò amigo]» 77, «La terza caso(n) per que Criste l’apelò amigo» 77, «La terza raxon per que ello domandò da beve» 170. Per il pronome relativo del tipo ‘il quale’, al m. sg. si trovano lo quale sogg. 31, al quale 18; lo qual sogg. 282, 45, ecc. (13 in t.) e ogg. 37–38, 45, 98, del qual 24, al qual 98, 124, 147, in lo qual 127 (con ripresa pronominale), 170, 186, sulo qual 139, p(er) lo qual 111; al qua 127, in lo qua 4. Al m. pl. li que sogg. 12, 65, 75, 173, ali que 58. Al f. sg. si hanno la qual sogg. 1, 4, 92, ecc. (5 in t.) e ogg. 58, 86, 107, 130, dra qual 111, ala qual 61, i(n) la qual 4, p(er) la qual 103, 114. Al f. pl. le que sogg. 98 e ogg. 45, 71, per le que 139, 175. Da citare qui inoltre l’aggettivo relativo quale, impiegato in un unico caso: in la qual cossa 183. Il pronome relativo misto è ki: «sì è ki con mego mete la man i(n) la squela» 8, «ki ama humilità sì è iusto e aceptao da Deo» 13, «ki no ama mi nì la mia parola guarda nì la s(er)va» 38, ecc. (6 in t.); in un caso si ha chi: «Chi oye lo me comandame(n)to e obs(er)valo, quello me ama» 37. Per ‘ciò che’ si trovano k’ in «el ave digio k’el vosse» 7, quant’ e quanto in «Qua(n)t’è dala mia parte eyo sonto aparegiado e co(n)te(n)to a recevete p(er) amigo» 77 (con omissione della preposizione introduttiva del complemento di limitazione), «vezando ke quanto el feva per aiar Criste no zoava» 135. Il pronome interrogativo neutro è que: «Que vol dire zò […]?» 49, «Nu no savemo que voia dire q(ue)sto» 49, «que el ge disese, lo sa(n)cto evangelista no ’l dixe» 69, «que determiné-vo de fare?» 70, «Amigo a que é tu venudo?» 76, «Que faremo Segnor?» 83, «Que ne fa besonio […]?» 106, «que pare ke sia fagio de q(ue)sto homo?» 106, «Que fa zò a nu?» 109, «p(er) vedere que era zò» 112, «Dime que tu é fagio» 116, «Que faremo de Yesù […]?» 127, «que serà fagio?» 145, «que ne sarà fagio?» 145, «no san que se fazeno» 152, eliso in «Qu’è zò a dire […]?» 116; in
Morfologia
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un solo caso si trova ke («el no savese ben ke illi doma(n)daveno» 82): minima dunque l’incrinatura della corrispondenza tra que e QUID interrogativo, su cui cf. §4.23 e Formentin (2008, 192). Con riferimento a persone, si registra il pronome interrogativo ki: «spiando l’un l’altro de ki el podeva dire» 7, «aven conte(n)tion i(n)tra lor ki deva esse lo maior deli altri» 10, «co(n)tendevano i(n)tra loro ki deveva esse maior» 10, «Ve piaza Segnore de dirme ki è» 17, «Criste no vosse revelà a san Pedro ki fosse lo traditor» 22, «Ki domandé vu?» 80–82, «P(ro)fetiza Criste a nu ki è» 106, una volta nella grafia chi: «fazemo p(er) sorte de chi ella debia essere» 156. Si trovano inoltre quale: «no disse da quale» 17 e qual: «el domandasse al Segnore qual era quello ki deva esse lo traditore» 17, «eyo debio donarve un p(re)xoné qual vu vorì» 123, «Qual vorì vu […]?» 124, «Qual vorì-vo […]?» 127. Oltre che come pronome, qual compare come aggettivo interrogativo sg. m. (10, 35, 69, 133) e f. (114); nella stessa accezione si trovano quen sg. m. (167) e f. (38, 117), quente sg. m. (96, 127) e f. (90, 112, 114), que(n)ti m. pl. (90); tra gli aggettivi interrogativi manca solo da citare qua(n)te f. pl. 113.
4.45 Pronomi e aggettivi dimostrativi Da *(EC ) CU ( M ) ISTU ( M ) , - I , -A ( M ) , -AS si hanno rispettivamente questo 3, 10, 15, ecc. (4 in t.), quisti 5, 63, 73, ecc. (16 in t.), questa 1, 7, 10, ecc. (45 in t.), qu[e]sta 29, queste 27–28, 38, ecc. (15 in t.). Da *(EC ) CU ( M ) ILLU ( M ) , - I , -A ( M ) , -AS quel 7–8, 48, ecc. (14 in t.), que[l] ‘quel’ 74 (cf. §4.28), quelo 1–2, 4, ecc. (62 in t.), quello 5, 82, ecc. (32 in t.), quili 12, 40, 58, ecc. (13 in t.), quilli 12, 132, ecc. (33 in t.), quela 5, 93, ecc. (30 in t.), q[ue]la 16, quella 19, 21, 24, ecc. (14 in t.), q[ue]lla 99, quele 1, 41, 67, ecc. (6 in t.), quelle 36, 43, 48, ecc. (10 in t.). Da *(EC ) CU ( M ) ILLUI si hanno colù 92, coluy 5, culù 142, 1432, da *( EC ) CU ( M ) ILLORU ( M ) coloro 222, 24, 107. Da TALE ( M ) tal 117, 126, 130, 139, tale 153, talle 55, da *( EC ) CU ( M ) TALE ( M ) cotal 3, 76, 99, 109, cotale 70. H OC si ha sempre zò 6–8, ecc. (98 in t.), da ISTI IPSI i(n)stisi 7 (per cui Da ECCE HOC cf. §4.16), da *METIPSIMU ( M ) , -I , -A ( M ) , -AS derivano medesmo 7, 14, 20, ecc. (16 in t.), medesmi 49, medesma 24, medesme 67.
4.46 Pronomi e aggettivi indefiniti Da ALTERU ( M ) , - I , -A ( M ) , -AS si hanno rispettivamente altro 1, 5, 6, ecc. (27 in t.), a[l]tro 149, oltro 146, altri 10, 17, 19, ecc. (20 in t.), altra 22, 81, 87, ecc. (11 in t.), a[l]tra 120, oltra 78, altre 6–7, 31, ecc. (8 in t.).
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4 Analisi linguistica
I continuatori di UNU ( M ) , UNA ( M ) adoperati come pronomi indefiniti sono un 5, 72, ecc. (19 in t.), uno 1, 7, 176, una 81, 91, 93, ecc. (5 in t.). Per i composti con UNU ( M ) , da *ALICUNU ( M ) , -A ( M ) si hanno alcun 16, 32, 45, ecc. (20 in t.), alcuno 170, 186, alcuna 22, 3, ecc. (33 in t.),118 da CATA UNU ( M ), - A ( M ) acadun 16, achadun 32 (cf. §4.34), cadauno 163, cadauna 43, cadun 16, 132, caduna 63 e, per incroci «con il francese chascun, provenzale cascû» (Rohlfs 1969, §501), zescaun 7, da N ( E ) IPSU ( M ) UNU ( M ) , -A ( M ) nesũ 13, nesun 25, 35, 37, ecc. (9 in t.), nesuno 19, nesuna 102, 113, 125, ecc. (13 in t.). Tipicamente lombardi i continuatori di OMNIS , da solo o in composizione: dal neutro pl. OMNIA si ha l’aggettivo omia ‘ogni’, che si accompagna a sostantivi sg. tanto m. (10, 12) quanto f. (142, 168); da OMNIS HOMO il pronome omiomo 93, da 119 OMNIS UNQUAM l’aggettivo omincha ‘ogni’ 121, 136. Trascorrendo infine dal ‘tutto’ al ‘niente’, da TOTTU ( M ) , - I , -A ( M ) , -AS si hanno rispettivamente tuto 1–3, ecc. (47 in t.; al §25 nella locuzione tuto qua(n)to), tuti 12, 8, ecc. (43 in t.; al §69 nella locuzione tuti quanti 69), tuta 132, 302, ecc. (12 in t.), tute 1, 10, 31, ecc. (28 in t.; al §149 nella locuzione tute quante 149). Da MULTU ( M ) , - I , -A ( M ) , -AS : molto 412, molti 75, multi 74, 107, 179, molta 179, molte 34, 39, 48, ecc. (12 in t.). Dal fr. plusieurs: pixor 186 (cf. il glossario). Da TANTU ( M ) , - I , -A ( M ) , -AS : tanto 32, 35, 81, ecc. (5 in t.), ta(n)ti 165, ta(n)ta 16 (in funzione avverbiale: ta(n)ta larga), 21, 80 e tant’ 50, ta(n)te 165; da *( EC ) CU ( M ) TANTI , -AS : cotanti 143 (più cota(n)te flageli, con restituzione errata della finale: cf. §4.19), cotante 103, 140, 177; da *( EC ) CU ( M ) TAM MAGNU ( M ) cotamanio 118 (cf. il glossario). Da ALIQUANTI , -AS : algua(n)ti 107, alguante 180. Da PAUCU ( M ) , -A ( M ): poco 492, 98, pocho 137, 162, 176, pocha 162. Da *NĒ GENTE ( M ) (cf. Nocentini 2010, s.v. niente) niente 97, 131.
4.47 Pronomi e aggettivi numerali Tra i numerali cardinali, per ‘uno’ è attestato solo il f. una: «el no ca(n)tarà gallo una volta» 33, «illi siano una cossa i(n)sema, sì com mi e ti semo una cossa i(n)sema» 562, ecc. (10 in t.). Per ‘due’, si trovano al m. du e duy: «du dely soy discip(u)li» 4, «du gladii» 73, «du falsi testimonii» 101, ecc. (9 in t.), «duy discip(u)li» 5, «duy modi» 6; al f. do e doe: «Do cosse» 81, «Do domande» 91, «do volte» 99, ecc. (5 in t.), «doe parte» 182; in un caso si ha il neutro doa 60 (cf. Formentin 2002a, 99), il cui impiego è forse innescato dall’unione con l’invariabi118 In un caso si trova impiegato l’aggettivo alcun nel senso di ‘un qualsiasi’ («vite giayramente, sì com pò vedere alcun homo» 184): cf. in proposito LEI, vol. 2, 50–51). 119 Cf. Rohlfs (1969, §500); Marri (1977, s.v. omia) e, per un parallelo all’impiego di omia al m. e f., Bertoletti (2005, 490).
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le fiada, su cui cf. §4.36. Per ‘tre’ si registrano al m. tri e al f. tre: «tri discip(u)li» 16, «se alongà […] da quisti tri» 63, «tri modi» 77, ecc. (9 in t.), «tre volte» 33, 67, 99, «tre fiada» 60, «tre caxon» 67, 163, ecc. (12 in t.). Il numerale quatro vale per il m. e il f.: «quatro evangelisti» 12, «tuti quatro» 1, «quatro erano li cavaleri» 156, «quatro parte» 156. Per il resto, si trovano «zinqui grangi dolori» 150 (cf. Rohlfs 1969, §972, che cita l’«antico lombardo zinqui ani») e «livre cento» 186. Gli ordinali sono p(ri)mo 77, 79, 150 e prima 67, 86, 892, ecc. (10 in t.), segondo 792, segundo 150 e segonda 672, 92–93, 147, segunda 77, 99, 160, ecc. (5 in t.), terso 31, terzo 150 e tersa 672, 93, 79, terza 77, 148, 165, ecc. (7 in t.), quarto 151 e quarta 93, 122, 168, q(ui)nto 151 e quinta 130, 172, sesta 136, 176, setena 178 (con il suffisso settentrionale -ENA ( M ) : cf. Rohlfs 1969, §977). Usati come sostantivi sesta 134, 168 in «ora de sesta» e nona 1682, 178 in «ora de nona».
4.48 Avverbi, locuzioni avverbiali e interiezioni Come avverbi e locuzioni avverbiali di tempo,120 si trovano impiegati ala p(er)fin ‘infine’ 101, 133, ancoy ‘oggi’ 31, 60, 159, ecc. (5 in t.), a(n)choy 111, ancora ‘anche ora’, ‘anche allora’, ‘di nuovo’ 10, 26, 37, ecc. (19 in t.), denanze ‘prima’ 67, 83, 98, ecc. (7 in t.), illora 4, 18, 53, ecc. (47 in t.), ilora 61, 101, 110, ecc. (5 in t.), i(m)p(ri)ma 87, inanze ‘in poi’ 47, 122, 129, 167, incontanente 20, 24, 84, ecc. (8 in t.), i(n)cõtane(n)te 19, i(n)[c]õtane(n)te 71, inlora 6, 17, 21, ecc. (6 in t.), inp(ri)ma 87, may 21, 25, 140, ecc. (12 in t.), maii 98, mo ‘ora’ 20, 25, 32, ecc. (29 in t., compresi i casi in accezione rafforzativa), per una grande hora 106, po’ 184, poy 242, 28, ecc. (6 in t.), possa 18, 25–26, ecc. (24 in t.), pure ‘sempre’ 96, sempre 102, 122, ecc. (14 in t.), spesse volte 74, spesso 68, ta(n)tosto 83, tosto 19, 71, tutavia ‘sempre’ 6, 151, zà 402, 56, ecc. (6 in t.), zamay 100. Diverse le locuzioni composte con tempo: de pocho te(m)po ‘poco t.’ 137, gran te(mp)o ‘molto t.’ 119, grande tempo 7, nella medesima accezione anche con articolo indeterminativo (uno grande te(m)po 107) e preposizione (de grando te(m)po 37),121 p(er) te(m)po ‘presto’ 108, ta(n)to te(m)po 35, tuto te(m)po ‘sempre’ 37, 90. Gli avverbi e le locuzioni avverbiali di luogo sono adosso 128, 137, ap(re)xo 97, ke ‘qui’ 129, ki ‘qui’ 117, kilò 61, 112, 134, chilò 23, d’ap(re)so 74, d’aprovo ‘vicino’ 186, de fora 40–41, 47, ecc. (16 in t.), denanze 87, 120, 123, 166, dentro 883, ecc. (6 in t.), de sora 4, de soto 107, 179, de sovra 24, 99, dré ‘dietro’ 90, 96, 108,
120 Alcuni tra gli avverbi menzionati ai §§4.48–49 sono classificati come congiunzioni in certe grammatiche o dizionari. 121 Sull’interpretazione, non del tutto chiara, di de grando te(m)po cf. però la nota al testo edito.
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fora 24, 83, 110, 183, illò 24, 171, i(n)(con)tra 81, indoso 95, 129, indosso 26, 105, 128, ecc. (6 in t.), indré ‘indietro’ 9, 121, i(n)lì 147, inlò 5, 31, 61, ecc. (18 in t.), là 32, 342, ecc. (14 in t.), oltra 76, 78, 1822, qui 6, 47 (in accezione temporale), 73, ecc. (5 in t.), q(ui)llò 79, quilò 15, 73, 81, ecc. (6 in t.), sovra 24, 132, su 128, 137, via 14, 63, 69, ecc. (6 in t.), zò ‘giù’ 107, 1572, ecc. (8 in t.), zoxo 24, 61. Come avverbi e locuzioni avverbiali di quantità si hanno almen 36, 166, altersì 242, 32, ecc. (6 in t.), an’ ‘anche’ 46, anche 35, 44, 63, 159, ancora ‘in aggiunta’ 22, 36, 64, ecc. (8 in t.), apena 173, molte 113, 116, 119, 122 (con assimilazione agli avverbi in -e: cf. §4.19 in nota), molto 61, 94, 145, ecc. (5 in t.), più 7, 17, 23, ecc. (35 in t.), pocho 162, pur rafforzativo 84, 97, 115, un poco 24, 493, 502, un pocho 612, 63. L’avverbio tanto, oltre che autonomamente (14, 77), compare nelle seguenti correlazioni: tanto… com 111, 134, 147, ecc. (5 in t.), tanto com più… de ta(n)to […] più 163, ta(n)to… qua(n)to 61, 65 (anche a membri invertiti: quanto… ta(n)to 150), ta(n)to… ta(n)to quanto 140. Per gli avverbi e le locuzioni avverbiali di modo si registrano al meyo 159, ben 13, 16, 252, ecc. (30 in t.), bene 262 (per ben e bene si comprendono i casi in accezione rafforzativa), com 112, 12, ecc. (20 in t.),122 con ‘come’ 143, così 11, cosỳ 7, cusì 14, 26, 29, ecc. (48 in t.), cussì 40, 95, 186, forte 127, 151, 153, i(n)sì ‘così’ 89, i(n) tute guixe 133, mal 85, 144, male 942, meio 20, meyo 8, per avent(ur)a 2, p(er) certo 53, 60, sì ‘così’ 5, 8, 112, ecc. (71 in t.; sé ‘così’ 1 è un’emendazione: cf. §3.1), oltre alla serie di avverbi in -mente, come amarame(n)te 100, fortemente 149, 173, viazamente 2, e così via. Sono inoltre da menzionare vontera 117 e insema 6–7, 24, ecc. (14 in t.), dove si riscontra l’estensione, milanese e settentrionale in genere, della terminazione in -a, a partire da avverbi come ancora, illora o possa (cf. Rohlfs 1969, §889). Per quanto riguarda insema, si noti che l’avverbio compare sempre posposto al complemento di compagnia: «con luy i(n)sema» 6, «con vu insema» 7, 71, «con vu i(n)sema» 37, «co(n) loro i(n)sema» 24, 26, «con loro i(n)sema» 96, «co(n) sego i(n)sema» 144, «con sego insema» 146. L’esclusività di tale posizione – qualora non sia un abbaglio dovuto a scarsezza documentaria – è una caratteristica microsintattica che, stando al Corpus OVI, parrebbe accomunare i testi della Lombardia occidentale, come i vulgaria bonvesiniani (per es. «nu semọ contego insema per generatïon»: Gökçen 1996, 148, v. I 111), il Grisostomo pavese (per es. «demoron con la dolce mare insemo»: Förster 1883, 80–81) o l’Elucidario (per es. «illi in involtay in le rede de questo mondo con loro insema»: Degli Innocenti 122 Com compare sempre in nesso con un altro avverbio: solitamente si tratta di sì, immediatamente precedente (cf. il lat. sicut): 112, 12, 17, 41, 44, 64, 68, 77, 80–81, 94, 102–103, 123, 133, 170– 171, ma in un caso si ha cusì co(m) 152. Lo stesso si può notare per com congiunzione comparativa, per cui cf. §4.70.
Morfologia
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1984a, 146). Si aggiungano alla lista la Meditazione sulla Passione conservata a Como (per es. «se tu planzare comego insema […] tu te porre alegra comego insema»: Salvioni 1886a, 209) e le sezioni del Laudario comasco indicate nel §1.2 (per es.: «con tuto nuy insema» 1r), mentre non offrono nessun esempio utile gli statuti dei Disciplinati di Daro (Salvioni 1904a). Fuori della Lombardia occidentale invece si rilevano casi di collocazione degli avverbi del tipo ‘insieme’ non solo dopo, ma anche prima del complemento di compagnia: cf. per esempio per la Liguria Porro (1979, 191: «inseme cum ella»), per l’Emilia Corti (1962, 3: «inseme con la soa dona»), per la Lombardia orientale Tammi (1986, 262: «insema cum tuta la congregatione»), per il Veneto Donadello (2003, 166: «insema cum loro») e Stussi (1965, 97: «ensembre cum li altri»).123 Gli avverbi interrogativi ed esclamativi sono com 20, 35, 77, ecc. (9 in t.), dond’ 131, ond’ 52, 140, onde 4, 33, 342, ecc. (8 in t.), perquè 33, 87, 90, ecc. (12 in t.; cf. §4.23), quanto 92, 98, 143 (quanto 70 è un’emendazione: cf. §3.1), unde 24, 33, 47.124 I relativi sono ond’ 1392, onde 32, 34, 58, ecc. (11 in t.), unde 161. Si cita qui inoltre l’avverbio coordinativo ora 2, 7, 9, ecc. (25 in t.; cf. Benincà/Poletto 2010, 52–54). Per il continuatore di SIC impiegato come avverbio asseverativo in funzione di connettivo testuale (cf. Benincà/Poletto 2010, 49–52), si trovano sì 13, 2, ecc. (318 in t.) davanti a vocale o consonante, sé 10, 15, 50, ecc. (10 in t.) esclusivamente davanti a consonante, secondo la distribuzione notata da Salvioni (1898, 352).125 Come avverbio negativo assoluto c’è no 72, 74, 91; gli altri avverbi negativi sono non 2, 23, 27, ecc. (21 in t.; non 124 è un’emendazione: cf. §3.1) e no 1, 6–7, ecc. (309 in t.), entrambi attestati sia davanti a consonante sia davanti a vocale (in un caso si ha anche la forma elisa n’ 27); da citare inoltre niãche 165, nianche 104, 117, 158, 161. Come rafforzativi seguenti no si trovano miga 38, 77, e zà 12, che in un caso (43) precede la negazione. Le interiezioni sono ay 159, de 140, oii 155, 167.
123 Il corpus OVI non offre esempi pertinenti in testi piemontesi. L’occorrenza citata della Vita di san Petronio pubblicata da Corti si trova in nota ma, curiosamente, non a testo. 124 Si è scelto di considerare avverbi (e non congiunzioni) gli interrogativi sia in caso di interrogativa diretta sia in caso di frase indiretta. 125 Si sono giudicati sì asseverativi anche i casi del tipo sì disse seguito da discorso diretto, sulla scorta di «sì disse cosỳ» 7, «sì ge disse cusì» 76, che escludono l’interpretazione di sì per ‘così’ (cf. sul problema di distinguere si e sì in italiano antico Salvi 2010, 204; sul sì asseverativo in milanese antico cf. Domokos 2008, 64–65).
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4 Analisi linguistica
4.49 Verbi: desinenze, coniugazioni e temi È ancora ben viva la distinzione tra 3a e 6a persona, diffusa negli antichi testi della Lombardia occidentale (cf. Mussafia 1868, §93; Keller 1896, 21; Salvioni 1898, 383–388; Degli Innocenti 1984a, 73–81); per i casi di impiego della 3a pers. per la 6a, che trovano giustificazione sul piano sintattico piuttosto che su quello morfologico, cf. §4.66. Per i cambi di coniugazione degni di essere notati, si citano qui le forme che documentano il passaggio di un verbo dall’una all’altra, rubricando poi di conseguenza nei paragrafi seguenti tutte le voci del paradigma. Si rileva il transito dalla II alla IV coniugazione nei continuatori dei derivati di MANĒRE aromanisse 2, p(er)manirà 43, permanire 152, p(er)manirò 40–41, remaniseno 181, romanisse 2, e nei continuatori di TENĒRE e dei suoi derivati sostenir 143, sustenise 151, sustenisse 165, 170, 1743, sustenisseno 171, susteniva 1652, 1692, ecc. (6 in t.), teniva 19; si notino tuttavia le eccezioni p(er)manerì 42 e sustenemo 159, che restano ancorate alla classe di partenza (e in essa sono state classificate: cf. §§4.50, 4.54). Altri casi di passaggio dalla II alla IV coniugazione sono amonis ind. pres. 3a pers. 64, aparisse 69, aparite 682, 69, co(m)pì part. 51, compiì ind. perf. 3a pers. 1, (com)piir 82, compiirave 84, co(m)piisca 85, (com)piisca 45, (com)piise 114, compiisseno 184, co(m)pisca 73, co[m]pisca 27, parirà 76, pariva 61, 142, 173, 175, parivano 151. Si ha il passaggio dalla III coniugazione alla I in scarpado 22, scarpava 105, scarpò 105 (< EXCARPĔRE : cf. Salvioni 1905a, 710–711; PIREW, §2960a), dalla III alla IV in (con)seguirà 71, conv(er)tì ind. perf 3a pers. 184, conv(er)tirà 50, pentir 8, p(er)seguido 44, p(er)seguiran 44, querì inf. 23, seguì inf. 4, seguì ind. perf 3a pers. 14, seguir 12, 32, 332, seguiré ind. fut. 2a pers. 33, seguiva 96, seguivano 88, tradì part. 8, tradido 17, 28, 72, 78, tradir 21, tradire 7, 17, 25, traỳ 73, traido 109, trahir 20, traire 7, traisse 8, traiva 16, 79, cui si aggiungono i participi passati in funzione aggettivale stramido 21, stremido 25, 109 (da stremire < *EXTREMĒSCĔRE ; cf. FEW, vol. 3, 334) e i continuatori di *AUCĪDĔRE olziran 46, ulcir 114, ulcirlo 65, ulzir 125, ulzirlo 131, dove il metaplasmo è connesso all’evoluzione fonetica (cf. §4.21). Talora si registrano invece metaplasmi limitati all’ind. fut.: dalla III alla IV coniugazione passa rompirì 181 (se non si tratta di assimilazione), accanto a rompe inf. 1812, rompè 28, rompén 181, rompevano 179, dalla IV alla III (o II) venierà 47–48, 176, accanto a vegnirò 37, venirà 31 e, inoltre, avenire 67, covenise 60, venia 146, 176, venir 35, venire 104, veniva 74, 95.126 Sono invece motivate
126 Cf. per il milanese moderno Salvioni (1975, 362, 370); nell’Elucidario lombardo (Degli Innocenti 1984a, 74) si trovano attestate le forme venierà e vegnierà, assieme a inserà e tenierà (pertinente in forza del passaggio delle altre forme di TENĒRE alla IV coniugazione).
Morfologia
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foneticamente le forme pianzarì 50, procedarà 45, vedarì 104 e, proprio in base al metaplastico venierà, adveniarà 49, vegniarà 46, vegniarò 39, veniarò 76 (cf. §4.15). Si cita qui anche l’estensione del suffisso -ATURA ( M ) a un verbo della IV coniugazione in cuxadura 156 (cf. §4.17). L’ampliamento del tema tramite il suffisso -SC - si riscontra in amonis ind. pres. 3a pers. 64, co(m)piisca 85, (com)piisca 45, co(m)pisca 73, co[m]pisca 27, (con)stituisse 12, pa[r]turisse 50, p(er)isca 13, periscano 56, sofrisca 7, traisse 8 (cf. §4.30). Si ha l’estensione dell’esito del nesso di consonante più J nella 1a pers. dell’ind. pres. ad altre voci del paradigma nei seguenti casi: da *TOLLIO dipendono toyè 282, toievano 128, toyevano 137, toiìlo 131, toỳlo 114; da VIDEO vezando 11, 81, 95, ecc. (12 in t.); da VENIO adveniarà 49, vegniarà 46, vegniarò 39, vegnirò 37, veniando 76, veniarò 76, venierà 47–48, 176 (per il valore della grafia ‹ni› cf. §4.4); da *VOLIO voiando 103, 124, voya(n)do 28, voyudo 174. L’influenza del tema della 1a pers. dell’ind. pres. si nota inoltre nel cong. pres. 3a pers. fiza 67, modellato su fizo, a sua volta analogico a crezo ‘credo’ e vezo ‘vedo’ (cf. Salvioni 1898, 382–383; Rohlfs 1969, §§534, 540), nel part. pres. sostantivato possente 174 e nel part. pass. posudo 83, rifatti sul continuatore di POSSUM (e su quelli di POSSUMUS , POSSUNT ), e nei cong. pres. provega 67, vegano 58, che vanno fatti risalire alla forma vego, con epentesi di occlusiva velare sonora estirpatrice dello iato creatosi a seguito del dileguo della dentale sonora intervocalica (cf. Mussafia 1868, §111; Salvioni 1907, 521 n. 2). L’estensione del passaggio di C , G ad affricate alveolari sorde e sonore si rileva in alezo 71, pianzando 180, pianzarì 50, venzudi 66, vẽzudo 53 (cf. §4.24). In analogia con alcune forme del paradigma di ‘dire’ (digo, diga, digando) si hanno daga cong. pres. 3a pers. 54, dagemo 112, dago 32, 39, 57, lago ‘lascio’ 39, stagand 62, stagando 2, 38, 89, ecc. (6 in t.) e vaga cong. pres. 1a pers. 32–34, 47, vagi 35, vago 34, 36, 393, ecc. (15 in t.). Comune nei volgari settentrionali la formazione di alcuni gerundi e participi passati sul congiuntivo presente: abiando 16–17, abiudo 44, 58, 117, 182; fizando 88, 95, 129; sapiando 168, sapiudo 22; siando 4, 8, 20, 101; dal cong. pres. anche il perfetto sapiè 21.
4.50 Verbi: indicativo presente 1a persona. I coniugazione: amo 39, 42, apello 432, baxo 78, dono 39, lago ‘lascio’ 39, lasso 52, lavo 25, mando 57, parlo 36, 39, 522, prego 57–58, recomando 178, saludo 78, sconzuro 104, trovo 114, 123, 127, 131. III coniug.: alezo 71, cog(no)sco 58, digo 7, 9, 27, ecc. (26 in t.), dispono 15, vivo 37. IV coniug.: venio 562.
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4 Analisi linguistica
2a pers. I coniug., desinenza in -e: lave 253, parle 53, p(re)diche 90; desinenza in -i: doma(n)di 90, lassi 132, manifesti 38, pensi 84, temi 159 (cf. Rohlfs 1969, §528 e, per una documentazione delle forme in -e nel lombardo nordoccidentale antico, Salvioni 1898, 353). II coniug.: vy (< VIDES ) 155. III coniug., desinenza in -e: cog(no)se 60, dixe 92, 35, ecc. (7 in t.); con apocope dell’intera desinenza: dis 105; desinenza in -i: cri 35, dixi 35, 102, 154, respondi 103, re[s]pondi 131 (cf. Degli Innocenti 1984a, 72). IV coniug.: dormi 66, feri 94, oii 113, 176. 3a pers. I coniug.: ama 13, 372, ecc. (8 in t.), ap(ro)sima 2, 72, 166, ap(ro)ssima 73, aregorda 50, basta 35, 72, demostra 128, domanda 47, dona 392, dovra 23, giama 176, guarda 38, lava 183, ma(n)da 5, mangia 27, manifesta 97, mostra 64, 183, nota 98, obs(er)va 38, obs(er)va- 37, porta 4, 142, sacrifica 3, secha 40, trova 123, 128, 139, veda 112. II coniug.: dexe 71, sede 31, vé (< VIDET ) 352. III coniug.: cognosce 372, 58, contradixe 132, deccorre 183, dixe 2, 10, 12, ecc. (31 in t.), disse (< DICIT ) 142, leze 89, 140, mete 8, perde 163–164, receve 30, rende 182, responde 94, 121, soprende 183. IV coniug.: (con)stituisse 12 (cf. §4.30), oye 37, pare 77, 90, 106, ecc. (5 in t.), parte 166, pa[r]turisse 50, sente 50, traisse 8; con apocope dell’intera desinenza: amonis 64, aven 45, coven 70, 73, ven 53. 4a pers. I coniug., desinenza in -amo: desideramo 70, trovamo 69; desinenza in -emo: domandemo 80, 82, mangemo 31.127 II coniug.: sustenemo 159, vedemo 532. III coniug.: credemo 53, dixemo 1332, lezemo 14. 5a pers. I coniug.: acuxé 123, agaté 129, amé 52, clamé 26, determiné- 70, domandé 80–81, 822, maraveié 50, porté- 112. II coniug.: vedì 35, 37, 104. III coniug.: cognoscì 37, cognosì 35, 129, credì 53, dixì 26, 105. IV coniug.: p(er)manì 40. 6a pers. I coniug., desinenza in -an / -ano: acuxano 113, agravano 93, (con)gregano 90, desidrano 122, domandan 169, mangia(n) 3, parlano 163, sacrificano 3; desinenza in -eno: acordeno 75, basteno 73, comandeno 6. III coniug., desinenza in -ano: rezevano 55; desinenza in -en / -eno: cognoseno 44, 552, cren 55, dixeno 64, 103, 107; desinenza in -on: cognosco(n) 46. IV coniug., desinenza in -ano: ferano 84, s(er)vano 13, 22, sustenano 15; desinenza in -eno: moreno 169, 173, oyeno 117, teneno 12, veneno 90. L’oscillazione tra le desinenze -ano e -eno non si riscontra nel milanese duecentesco, dove si ha -ano per la I coniugazione e -eno per le altre,128 ma è ben documentata per testi lombardi nordoccidentali di epoca
127 Cf. Rohlfs (1969, §530); per la Lombardia occidentale, si ha oscillazione tra -amo e -emo nel Grisostomo pavese (Salvioni 1898, 383) e nell’Elucidario (Degli Innocenti 1984a, 73); solo -emo in Pietro da Barsegapè (Keller 1896, 24) e nelle Antiche scritture lombarde nordoccidentali (Salvioni 1898, 383), solo -amo in Bonvesin (Mussafia 1868, §93). 128 Per Bonvesin cf. Mussafia (1868, §93) e Domokos (2008, 120), che segnala però un partin per la IV coniugazione; per Barsegapè si ha oscillazione solo nel caso di plançan, plançen (Keller 1896, 24).
Morfologia
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successiva, come la Meditazione sulla Passione o l’Elucidario (per cui cf. Salvioni 1898, 384 e Degli Innocenti 1984a, 73): l’estensione di -ano oltre la I coniugazione sembra perciò interpretabile come tratto evolutivo.
4.51 Verbi: indicativo imperfetto 1a persona. I coniugazione: amaistrava 85, (con)s(er)vava 56. II coniug.: sedeva 85. 2a pers. III coniug.: dixivi 157. 3a pers. I coniug.: abondiava 151, amava 17, ap(re)xiava 120, biastemava 152, cargava 151, cercava 101, clamava 74, cridava 152, 173, 176, crucificava 152, curava 116, devedava 115, doma(n)dava 119, guardava 20, 142, levava 135, mãdava 127, mandava 78, mareveyava 113, ocultava 185, portava 83, 138–139, pregava 652, 1522, p(re)varicava 115, prosimava 181, salutava 77, scarpava 105, scoldava 89, 96–97, se(n)tenziava 135, sguarzava 151, sig(ni)ficava 2, sperava 119, spiava 7, troava 101, trovava 103, zoava 135. II coniug.: giaxeva 149, 153, taxeva 103. III coniug.: cog(no)seva 97–98, dixeva 152, 1542, ecc. (6 in t.), i(n)fenzeva 77, i(n)tendeva 102, meteva 16, noxeva 135, pendeva 151, pieva 142, pioeva 128, receveva 812, 87, reprendeva 7, 159, respondeva 102, 113, 120, ecc. (5 in t.) (rezeva 95 è un’emendazione: cf. §3.1). IV coniug.: i(n)siva 141, moriva 147, 168, oiiva 105, pariva 61, 142, 173, 175, seguiva 96, sentiva 64, 150, 172–173, susteniva 1652, 1692, ecc. (6 in t.), teniva 19, traiva 16, 79, veniva 74, 95 e, con dileguo della labiodentale intervocalica, venia 146, 176. 6a pers. I coniug., desinenza in -avan / -avano: befavano 157, crucificavano 152, i(n)travan 150, ossavano 180, parlavano 1, piavano 162, turbavano 138; desinenza in -aveno: acusaveno 112, 120, aspetaveno 141, basaveno 78, biastemaveno 157, (con)gregaveno 95, cridaveno 127, curaveno 162, domandaveno 7, 82, gotaveno 68, i(n)iuriaveno 159, i(n)spiraveno 158, inzenogiaveno 128, 137, lum(en)taveno 144, menaveno 87, 138, passaveno 157, pensaveno 112, scoldaveno 89, spudaveno 106, 128, 137, tornaveno 180 (i(n)traveno 112 è un’emendazione: cf. §3.1). II coniug.: sedevano 6, 16. III coniug., desinenza in -evano: cog(no)sceva(n)o 82, cognosevano 82, co(n)tendevano 10, credevano 7, dexevano ‘dicevano’ 157, dixevano 106, 120, intendevano 102, 176, rompevano 179, toievano 128, toyevano 137; desinenza in -eveno: pia(n)zeveno 144. IV coniug., desinenza in -ivano: avrivano 179, covrivano 68, dormivano 179, insivano 108, parivano 151, seguivano 88; desinenza in -iveno: avriveno 151, dormiveno 66 (per l’alternanza -vano / -veno nel lombardo nordoccidentale antico, cf. Keller 1896, 25; Salvioni 1898, 384; Degli Innocenti 1984a, 74).
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4 Analisi linguistica
4.52 Verbi: indicativo perfetto debole 1a persona. I coniugazione: solo il ricostruito mand[é] 72.129 IV coniug.: insì 52. 2a pers. I coniug., desinenza in -assi: mandasi 54; con passaggio metafonetico a -essi: mandessi 55, 57, 582. III coniug.: comitis 54, dexisse ‘dicesti’ 55 (su cui cf. §§4.17, 4.19). 3a pers. I coniug., desinenza in -à: alongà 63, amaistrà 12, aspetà 83, bagnià171, butà 178, guardà 166, inclinà 178, i(n)trà 74, 1612, i(n)zenogà- 63, lasà 1, lavà 24, levà 24, mostrà 1732, 175, passà 182, pià 149, 171, renegà 98; desinenza in -ò: abrazò 78–79, aconfortò 68, amò 140, apelò 772, 79, asaludò 69, 79, asetò 6, 96, 135, baxò 782, 79, butò 172, ca(m)biò 167, ca(n)tò 892, cãtò 99, comandò 95, 128– 129, ecc. (5 in t.), comenzò 24, 61, 90, ecc. (6 in t.), confortò 68, creò 31, cridò 172, degniò 14, desvolupò 95, domandò 81, 119, 170, ecc. (6 in t.), domandò- 119, drizò 176, falò 83, guardò 992, guardò- 7, intrò 19, 88, 96, 184, lassò 88, 95, levò 54, 66, 103, 158, lumentò 175, mandò 119, 122, 125, manifestò 17, menò 872, 107, 186, montò 31, nudrigò- 133, orò 67, passò 74, pechò 86, peccò 93, pensò 115, 121, 123, portò 126, pregò 88, remandò 121, renegò 89, 97, representò 29, reputò 1212, resusitò 31, saludò 76, salutò 79, scarpò 105, spa(n)tegò 110, strasudò 68, taiò 98, tayò 83, tornò 26, 66, 673, ecc. (10 in t.), tornò- 138, trovò 66–67, 72, t(ur)bò 7, humiliò 14 (cf. Rohlfs 1969, §569 e, per altre attestazioni dell’oscillazione -à / -ò in lombardo occidentale antico, Keller 1896, 26; Salvioni 1898, 384; Degli Innocenti 1984a, 75). III coniug., desinenza in -è: cognosè 50, cometè 121, descendè 31, fendè 179, inspenzè 182, metè- 171, nassè 139, p(er)dè 155, piaxè 15, recevè 138, 1672, 184, rendè 178, rezevè 3, rompè 28, sporzè 18, 282, te(n)zè- 18, toyè 282, tollè 18, 24, 61, torzè- 24; desinenza in -ete: redemete 14. IV coniug., desinenza in -ì: avrì 166, compiì 1, conv(er)tì 184, ferì 92, fuzì 95, partì 67, partì- 61, 67, 109, seguì 14; desinenza in -ite: aparite 682, 69, avrite 182, insite 100, 112, 118, ecc. (7 in t.), p(er)iti 13 (con restituzione erronea della finale: cf. §4.19), sofrite 3 (per altre attestazioni delle desinenze della IV coniug. in lombardo nordoccidentale antico cf. Salvioni 1898, 384; Degli Innocenti 1984a, 75). 4a pers. I coniug.: ingenogiamo 69, p(re)gamo 69. 5a pers. III coniug.: dixise- 133. 6a pers. I coniug., desinenza in -àn / -àno: asetàno 6, befàno 106, butàn 138, 156, cantàn 59, (con)gregàno 108, demostràn 179, fassàn 186, inficàn 149, 153, lavàno 6, levàn 24, 153, mangiàno 6, obs(er)vàno 55, pasàn 139, pregàno 181,
129 Cf. la desinenza -é attestata in Bonvesin (Mussafia 1868, §93) e negli scritti quattrocenteschi dell’agostiniana Margherita Lambertenghi, comasca inurbata a Milano (mi mandé; cf. Bongrani 1986, 5).
Morfologia
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resusitàn 179; desinenza in -ón: aparegión 5, comenzón 130, (con)selión 125, cridón 127, desligón 128, despoión 138, despolión 149, drizó(n) 6, ficón 149, i(m)bindón 106, lasón 852, 107, levón 73, ligón 86, 107, mandón 108, mangión 32, menón 87, 137, pensón 19, pilión 83, pióne 106 (con restituzione erronea della finale: cf. §4.19), portón 186, trovón 5, 146, 181 (cf. Rohlfs 1969, §569 e, per altre attestazioni dell’oscillazione -àn, -àno / -ón in lombardo nordoccidentale antico, Keller 1896, 26; Salvioni 1898, 385). II coniug.: movén 130 (se MOVĒRE non è passato alla III coniug. come in italiano). III coniug.: baténo 128, constrẽzén 146, metén 107, 153, 186, onzén 186, retrén 81, rompén 181, sporzén 176, toién 156, toyéno 149, 153, 186, tolén 139, toléno 137. IV coniug.: fuzìn 852, ogìne ‘udirono’ 9 (con restituzione erronea della finale: cf. §4.19), oiìno 176, oỳno 171, partìn 156, schernìn 106.
4.53 Verbi: indicativo perfetto forte 1a persona. II coniugazione: vite 98.130 III coniug.: disse 47. IV coniug.: veni 52. 3a pers. II coniug.: cade 143, romaxe 88, 180, vite 14, 97, 109, ecc. (9 in t.; cf. la a 1 pers. vite). III coniug.: benedise 28, benedisse 6, 28, corsse 171, decorse 184, dis’ 82, diss’ 161, disse 42, 72, ecc. (121 in t.), disse- 25, imprexe 21, i(n)texe 126, mise 21, 24, mixe 99, 124, 129, misse 136, predisse 8, p(re)xe 85, 89, represe 12, 662, respoxe 9, 33, 352, ecc. (18 in t.), re[s]poxe 25, 53, rexpoxe 76, 90–91, tosse 24, trase 24, 83, trasse 133, volse 17, 97, 159 e volze 144 (entambi da VOLVERE ). IV coniug.: covene 100, devene 143, reten 9, susten 130, 165, sustene 31, 1732, tene 32, 85, 102, 122, ulcixe 79, ven 5, 75, 88, ecc. (5 in t.), vene 24, 26, 61, ecc. (12 in t.), con cui si menziona anche zè 20, 78 (da IRE : cf. Rohlfs 1969, §585). 6a pers. II coniug.: caden 80, induxeno 98, romaxeno 180, viteno 83, 139, 156 (cf. la 1a pers. vite). III coniug.: beven 32, criteno 158, 176,131 diseno 60, 72, 1342, dissen 82, disseno 4, 80, 83, ecc. (12 in t.), mixen 139, miseno 137, mixeno 1282, 137, ecc. (6 in t.), p(re)xeno 149, respoxen 133, respoxeno 106, 131, 133, 135, rexpoxeno 114, revolzen 186 (da VOLVERE ), traseno 9. IV coniug.: veneno 73, 179.
130 Il perfetto vite ‘vidi’ è analogico su steti < *STETUI o poti < POTUI o crete, a sua volta rifatto sul part. creto < *CRED ( I ) TU ( M ) : cf. Salvioni (1909a, 743 n. 4); Rohlfs (1969, §§582, 585); Bertoletti (2014, 58); la forma compare anche in Verlato (2009, 107). 131 Il perfetto criteno ‘credettero’, foggiato sul participio creto (cf. Salvioni 1909a, 743 n. 4), mostra una tonica rifatta su vite ‘vidi’ e viteno ‘videro’; la forma è attestata anche in Salvioni (1890, 254).
186
4 Analisi linguistica
4.54 Verbi: indicativo futuro 1a persona. I coniugazione, tipo analitico: ò retificà 101 (cf. Formentin 2002a, 99); tipo sintetico: abandonarò 60, amarò 37, baxarò 76, castigarò 127, domandarò 104, lasarò 37, lassarò 127, mandarò 47, manifestarò 37, parlarò 522, pregarò 37, 522, 562. III coniug.: beverò 292, sporzerò 18, con cui vanno pure vegniarò 39, veniarò 76 (cf. §§4.15, 4.49) e inoltre dirò 104. IV coniug.: ferirò 59, p(er)manirò 40–41, sofrirò 25, vegnirò 37. 2a pers. I coniug., tipo analitico: é renegà 60, é retificà 102; tipo sintetico: renagaré 33, renegaré 99. II coniug.: vederé 109. III coniug.: meteré 33. IV coniug.: seguiré 33. 3a pers. I coniug., tipo analitico: à i(n)trà 4, à redifichà 101; tipo sintetico: alegrarà 50, amagistrarà 38, amarà 38, anuntiarà 482, buterà 40 (cf. §4.17), ca(n)tarà 33, clarificarà 48, inseniarà 48, levarà 27, mandarà 38, 45, mostrarà 5, parlarà 48, passarà 165, purgarà 40, segniarà 38, taiarà 40. III coniug., tipo analitico: à destrù 101; tipo sintetico: cognoserà 32, crederà 36, receverà 48, reprenderà 472, con cui vanno pure adveniarà 49, procedarà 45, vegniarà 46, venierà 47– 48 (cf. §§4.15, 4.49) e inoltre dirà 145. IV coniug.: (con)seguirà 71, conv(er)tirà 50, oyrà 48, parirà 76, p(er)manirà 43, venirà 31 e inoltre verà 45, 47, 52, ecc. (5 in t.). 4a pers. II coniug.: vederemo 176. III coniug.: crederamo 157 (cf. il vederamo di Barsegapè cit. in Rohlfs 1969, §588). IV coniug.: feriremo 83. 5a pers. I coniug.: amarì 32, 37, 43, aparegiarì 5, co(n)tristarì 50, domandarì 362, 41, ecc. (7 in t.), lasarì 104, lassarì 53, obs(er)varì 27, s(er)varì 37, 42, sospirarì 50, trovarì 4. II coniug.: p(er)manerì 42, vederì 47, 494, ecc. (8 in t.) e vedarì 104 (su cui cf. §§4.15, 4.49). III coniug.: cognoscerì 37, cognoserì 27, 352, 37, crederì 104, responderì 104, viverì 37, con cui vanno pure pianzarì 50 (cf. §§4.15, 4.49) e inoltre dirì 5. IV coniug.: solo il metaplastico rompirì 181, per cui cf. §4.49. 6a pers. I coniug.: acordaran 122, butara(n) 46, guardaran 442, 76, pe(n)seran 46 (cf. §4.17). II coniug.: arderan 41 (se ARDĒRE non è passato alla III coniug. come in italiano), vederan 184. III coniug.: crederan 58 e inoltre diran 145. IV coniug., tipo analitico: àn p(er)ir 84, àn permanire 15; tipo sintetico: olziran 46, pasaran 71, p(er)seguiran 44.
4.55 Verbi: congiuntivo presente 1a persona. I coniugazione: mostra 35, schiva 71. III coniug.: beva 67, 84, renda 117. IV coniug.: sofrisca 7. 2a pers. I coniug.: (con)s(er)vi 57, levy 57. III coniug.: dige 104 (-e anche nella Meditazione sulla Passione lombarda: cf. Salvioni 1898, 387).
Morfologia
187
3a pers. I coniug., desinenza in -a: ca(n)ta 60, 99, domanda 53, p(er)dona 67, salva 65, 69, 76, 79, strapassa 63, 67, turba 34; desinenza in -e: salve 128, 137.132 II coniug.: piaza 17, provega 67. III coniug.: cognosca 39, 58, defenda 67, desenda 157, diga 8, 84–85, ecc. (13 in t.). IV coniug.: co(m)piisca 85, (com)piisca 45, co(m)pisca 73, co[m]pisca 27, esca 76, moyra 70, 133, p(er)isca 13, venia 129, con cui si può citare anche la congiunzione avegnia, in unione o meno con ke (32, 115). 4a pers. I coniug.: amaistremo 84. 5a pers. I coniug.: amé 42, aregordé 46, i(n)tré 66. III coniug.: credì 39. 6a pers. I coniug.: vegano 58. III coniug.: cognosano 54, metano 14. IV coniug., desinenza in -ano: periscano 56; desinenza in -eno: vegneno 110.133
4.56 Verbi: congiuntivo imperfetto 1a persona. III coniugazione: disesse 55. 3a pers. I coniug.: amasse 163, comandasse 181, disligasse 86, domandasse 17, donasse 19, giamasse 176, guardasse 125, liberasse 130, 174, manifestasse 63, menase 86, pensasse 92, portasse 100, p(ro)longasse 120, reputasse 92. II coniug.: comovesse 166 (se MOVĒRE non è passato alla III coniug. come in italiano), vedesse 143. III coniug.: disese 69, dixesse 19, nasese 96, p(er)desse 126, 164, recevesse 158, 174, respondesse 118, 121, rezevesse 62, tolesse 69. IV coniug.: aparisse 69, aromanisse 2, (com)piise 114, covenise 60, romanisse 2, sustenise 151, sustenisse 165, 170, 1743. 5a pers. I coniug.: amesse- 39. 6a pers. I coniug.: abandonaseno 60, curasseno 129, descordaseno 1, oraseno 66. III coniug.: cog(no)seseno 82, credeseno 124, i(n)tendeseno 16, 19, p(er)deseno 158, p(er)desseno 126. IV coniug.: compiisseno 184, i(n)siseno 151, morisseno 181, remaniseno 181, sustenisseno 171.
4.57 Verbi: condizionale 1a persona. I coniugazione, tipo analitico: eve renegare 60 (cf. Formentin 2002a, 99); tipo sintetico: lassareve 121. 2a pers. II coniug.: isse retificà 157. III coniug.: destruerise 157. 132 Un esempio in -e per la 3a pers. del cong. pres. di I coniug. anche nell’Elucidario lombardo (conserve), dove per il resto si ha sempre il tipo in -a (cf. Degli Innocenti 1984a, 76). 133 Per il livellamento analogico di molte forme del congiuntivo presente sull’indicativo presente cf. Rohlfs (1969, §558).
188
4 Analisi linguistica
3a pers. I coniug., tipo analitico: ave resusitare 102; tipo sintetico: amerave 44 (cf. §4.17). III coniug.: dirave 174. IV coniug.: compiirave 84. 5a pers. I coniug.: alegrarisse- 39. 6a pers. I coniug., tipo analitico: aveno aidare 84; tipo sintetico: maculeraveno 112 (cf. §4.17). III coniug.: co(m)bateraveno 11. IV coniug.: fuziraveno 59.
4.58 Verbi: imperativo 2a persona. I coniugazione: aspegia 176, clarifica 54, clarifica- 54, crucifica- 1302, 134, doma(n)da 90, glorifica 57, guarda 56, guarda- 57, lava 25, mostra 35, nota 86, 138, p(er)dona 152, p(ro)fetiza 106, salva 1572, 159, santifica 57, santifica- 57, torna 84. III coniug.: desce(n)de 157, re(n)de 94, e inoltre di- 116. 4a pers. I coniug.: aparegiemo 84, cesemo 84. III coniug.: ro(m)pemo 156. IV coniug.: partimo 156 (cf. Rohlfs 1969, §608). 5a pers. I coniug.: adoré 66, alegré- 34, aparegié 4, aregordé- 44, (con)fiduxié53, conforté- 71, crucifiché 131, domandé 51, dubité 37, guardé 136, lasé 82, levé 72– 73, mangié 28, maravaié 44, maravelié 143, mené- 76, pié- 76, reposé 72, vegié 63, 66, zudigé 114. II coniug.: cadì 145, devì 16, 22, 26, ecc. (5 in t.), sedì 61, vedì 134, 140, 161, 173. III coniug.: credì 34, metì-182, pianzì 39, 1445, rezevì 28, toỳ- 114, toiì131, tolì 82. IV coniug.: dormì 72, partì 28, partì- 73, p(er)manì 40, 42, sostenì 63.
4.59 Verbi: infinito I coniugazione: acuxar 113, acuxar- 103, agatà- 111, agatare 19, aiar 135, amar 32, anumerare 149, aparegà- 34, aparegiare 134, apelar 166, apelare 77, 112, ap(ro)simar- 23, ap(ro)simare 96, aquistare 10, asetare 24, bestirare 149, brusare 2, calo(n)nià 103, cenar 5, 16, clarificà 54, come(n)zare 28, co(m)prà 73, co(n)fesare 66, co(n)tristare 61, convocare 123, cridar 130, crucificà 102, crucificar 131, crucificare 139, danià 62, 65, demostrare 168–169, 180, 183, desp(er)à 62, desturbar 126, doma(n)dar 125, domandare 50, 64, 116, donar- 123, edeficare 102, exaltare 12, examinar 113, 1152, i(n)fiamà 30, i(n)ganar 118, i(n)ivrià 30, i(n)trar 882, 112, iudicare 129, lasa(r) 30, lassar 132, lassare 131, lavar 24, 252, 26, liberar 126, liberar176, liberare 14, 157, 1742, mangiar- 2, mangiare 2, menar 14, 113, 129, 134, mendar 94, mostrar 12, 147, 178, mostrare 64, nomar 119, notar 113, orare 61, 673, oscurare 168, passare 133, 146, peccar 103, 120, pensar 10, piare 83, 95, picar- 110, piiare 85, portar 94, 146, portare 66, 139, 142, 146, pregare 842, 152, p(ro)vocare 103, recomandare 178, recompara(r)e 70, 98, renovare 90, reposare 21, repossare 154, revelà 22, sacrificare 2, salvare 62, 157, xaminà 90, scandelizà 62, schivar 65, segniorezare
Morfologia
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11, s(er)vare 4, 12, sugà- 24, 100, svengiar- 92, tirar 173, tornà 32, transfor[m]à 30, tremar 179, vegia(r)e 66, zudigar 31, cui si aggiungono nelle forme analitiche di futuro e condizionale aidare 84, i(n)trà 4, redifichà 101, renegà 60, renegare 60, resusitare 102, retificà 101–102, 157. II coniugazione: cadere 81, 153, dolere 23, piaxè 13, piaxere 10, p(ro)vedere 13, sedere 26, 104, taxere 91, veder- 119, vedere 602, 96, ecc. (12 in t.). III coniugazione: acognoscere 15, acognose 58, asolve 123, beve 169–170, 1712, ecc. (6 in t.), cognosce 82, 142, cognoscere 45, co(m)prende 21, (con)dù 101, cõte(n)de 10, crè 6, 36, 89, 126, demete 64, destrù 101, dì 147, dir 98, 119, dir- 17, dire 7, 21, 47, ecc. (29 in t.), intende 6, 9, 18, ecc. (13 in t.), intremete 23, i(n)tromete 95, leze 154, mete 16, 28, 33, 111, noxe 115, pende 155, perde 51, 65, 126, pianze 23, 100, 144, predire 60, receve 114, 175, receve- 77, recore 64, regoie 110, rende 90, 110, responde 67, 91, 103, retrà 81, rezeve 14, 20, 37, ecc. (5 in t.), rompe 1812, scrive 1542, sporze 171, sporze- 176, tò 51, 181, tor- 176, tore 186, vende 7, cui si aggiunge nella forma analitica di futuro destrù 101. IV coniugazione: avenire 67, cobrire 145, (com)piir 82, co(n)v(er)tì- 23, dormir 72, 107, dormire 67, morì 60, 66, 114, 131, morire 71, 1212, ofrì 29, partì 79, partire 156, pentir 8, p(er)manire 15, querì 23, seguì 4, seguir 12, 32, 332, sepelir 186, sofrì 93, sostenir 143, venire 104, vestire 121, tradir 21, tradire 7, 17, 25, traỳ 73, trahir 20, traire 7, ulcir 114, ulcir- 65, ulzir 125, ulzir- 131, venir 35, cui si aggiungono nelle forme analitiche di futuro p(er)ir 84 e permanire 15.
4.60 Verbi: gerundio L’estensione a tutte le coniugazioni della desinenza -ando è generalmente diffusa negli antichi volgari settentrionali (cf. Formentin 2002a, 99); I coniug.: andando 141, 146, aparegiando 172, cenando 7, dubita(n)do 124, mangiando 6, mastiga(n)do 93, menando 139, obs(er)va(n)do 6, orando 68, pensando 30, portando 146, scrolando 157, sig(ni)ficando 114, spiando 7, tornando 78, vegiando 126; II coniug.: sedando 125, temando 7, 124, vezando 11, 81, 95, ecc. (12 in t.); III coniug.: cognoscando 126, 171, digando 92, 32, ecc. (18 in t.), pianzando 180; IV coniug.: oiando 109, oya(n)do 119, veniando 75. Per la IV coniug., in due casi si trova anche il gerundio in -indo (cf. Rohlfs 1969, §618): dormindo 126, ferindesso 180 (cf. §4.35).
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4 Analisi linguistica
4.61 Verbi: participio presente e passato L’unica forma di participio presente attestata è vivente 21, 173.134 Per i participi passati in -ATU ( M ) , -ATA ( M ) , -ATI , -ATAS , -ITU ( M ) , -ITA ( M ) , -ITI , -UTU ( M ) , -UTA ( M ) , -UTI , cf. §§4.14 e 4.21. Per i participi forti in -to, si trovano acolegi 41, aflicto 170, asolto 124, averto 186, benedegi 145, benedegie 145, benedeta 6, coto 2–3, dige 28, digia 44, 116, 1782, digie 1, 4, 672, digio 3, 5–6, ecc. (33 in t.), dita 40, dito 46, 73, 82, ecc. (5 in t.), elegi 27, 43, elegio 43, morti 147, morto 28, 125, 147, ecc. (7 in t.), nado 83, ecc. (7 in t.), rota 59, scrigio 8, 1392, ecc. (5 in t.), scripto 45, 59, 69, 73, scrito 154, soferto 125, sporto 19, tengia 18, tengio 18, tincto 18, tragia 1, tragio 29. Tra i participi forti in -so, si annoverano destexo 149, 151, disp(er)sa 59, disp(er)se 59, intexo 8, 127, ofexo 77, prexo 14, 85–86, ecc. (7 in t.), remaxo 170, respoxo 91, 1202, romaxe m. pl. 1812 (con restituzione erronea della vocale finale: cf. §4.19), spa(r)so 28. Per i participi forti in -sto si rilevano solo viste 45 e visto 21, 98, per quelli in -ito c’è creto 158 (< *CRED ( I ) TU ( M ); cf. §§4.33, 4.35 e Salvioni 1898, 283; 1909a, 743; Rohlfs 1969, §626; Marri 1977, s.v. recreto); da citare infine il participio accorciato manifesto 43, con cui va probabilmente anche arosto 3, su cui cf. DELI, s.v. arrostire.
4.62 Verbi particolari Coniugazione di ‘andare’. Indicativo presente, 1a pers.: vago 34, 36, 393, ecc. (15 in t.); 2a pers.: vagi 35, vé 33; 3a pers.: va 8, va- 20. Indicativo imperfetto, 3a pers.: andava 144; 6a pers.: andaven 108. Indicativo perfetto, 3a pers.: andò 24, 59, 81, ecc. (8 in t.); 6a pers.: andón 5, 107, 154, 181. Indicativo futuro, 1a pers.: andarò 32, 59. Congiuntivo presente, 1a pers.: vaga 32–34, 47; 5a pers.: andé 43. Congiuntivo imperfetto, 3a pers.: andase 89; 6a pers.: andasseno 181. Imperativo, 2a pers.: va’ 157, va- 68; 5a pers.: andé 4, andé- 4. Infinito: andà 24, 127, andar 82, 132, andare 682, 85, ecc. (5 in t.).
134 Tra i part. presenti che sono passati nelle classi di nomi e aggettivi si trovano inoltre possente 174, s(er)ve(n)te 97, s(er)venti 75, s(er)ve(n)ti 95, someliante 60, 181, suffitiente 90, sufitiente 175.
Morfologia
191
Coniugazione di ‘avere’. Indicativo presente, 1a pers.: ò 6–7, 263, ecc. (46 in t., più ò 101 nel futuro analitico); 2a pers.: é 23, 542, ecc. (13 in t., più é 60, 102 nel futuro analitico), é- 91; 3a pers.: à 15, 38, 27, ecc. (35 in t., più à 4, 1012 nel futuro analitico), à- 127; 4a pers.: avemo 1, 23, 87, ecc. (6 in t.); 5a pers.: avì 38–39, 51, ecc. (6 in t.), avỳ 35, 43, 106; 6a pers.: àn 13, 24, 44, ecc. (21 in t., più àn 15, 84 nel futuro analitico), àno 22. Indicativo imperfetto, 3a pers.: aveva 5, 82, ecc. (53 in t.); 6a pers.: avevano 9, 12, 16, ecc. (15 in t.), aveveno 65, 72. Indicativo perfetto, 1a pers.: eve 60 (nel condizionale analitico); 2a pers.: isse 157 (nel condizionale analitico); 3a pers.: ave 7, 13, 15, ecc. (29 in t., più ave 102 nel condizionale analitico); 5a pers.: avise- 72; 6a pers.: aven 10, 107, 120, aveno 7, 111–112, ecc. (11 in t., più aveno 84 nel condizionale analitico). Indicativo futuro, 2a pers.: avré 25; 5a pers.: avrì 51, 53; 6a pers.: avran 45. Congiuntivo presente, 2a pers.: abii 77, 159, 166; 3a pers.: abia 132; 5a pers.: abié 53; 6a pers.: abiano 13. Congiuntivo imperfetto, 1a pers.: avesse 452; 3a pers.: avese 82, avesse 8, 19, 22, ecc. (10 in t.); 6a pers.: aveseno 15, 60, avesseno 115. Condizionale, 2a pers.: avrisse 132; 3a pers.: avrave 22, 103, 120; 4a pers.: avravemo 112; 6a pers.: avraven 64, avraveno 453, ecc. (8 in t.). Infinito: avè 91, aver 10–11, 45, 106, avere 6, 58. Gerundio: abiando 16–17. Participio passato: abiudo 44, 58, 117, 182. Coniugazione di ‘dare’. Indicativo presente, 1a pers.: dago 32, 39, 57; 3a pers.: dà 42, 152. Indicativo imperfetto, 6a pers.: devano 106, 1282, ecc. (5 in t.; cf. Rohlfs 1969, §551). Indicativo perfetto, 2a pers.: dessi 54, 58 (< *DEDESTI ; cf. Rohlfs 1969, §577); 3a pers.: dè 12, 142, ecc. (7 in t.). Indicativo futuro, 1a pers.: darò 51; 3a pers.: darà 36–37, 43, ecc. (6 in t.); 5a pers.: darì 45. Congiuntivo presente, 3a pers.: daga 54; 4a pers.: dagemo 112. Congiuntivo imperfetto, 6a pers.: desseno 172. Condizionale, 6a pers.: daraveno 171. Infinito: dà 135, dà- 117, dar 8, 31, 120, dare 18, 29, 61, ecc. (6 in t.). Participio passato: dà 116, dà- 54, dada 132, 140, dado 222, 26, ecc. (8 in t.), day 552, 562, ecc. (7 in t.), dato 82.
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4 Analisi linguistica
Coniugazione di ‘dovere’. Indicativo presente, 1a pers.: debio 7, 58, 123; 2a pers.: di 23; 3a pers.: dè 7, 17, 233, ecc. (10 in t.); 4a pers.: demo 642, 67, 91, devemo 103, ecc. (5 in t.); 5a pers.: devì 15; 6a pers.: den 12–14, 67, 71, deveno 2, 65.135 Indicativo imperfetto, 2a pers.: devivi 154; 3a pers.: deva 10, 17, 62, ecc. (6 in t.), deveva 3, 10, 17, ecc. (10 in t.); 6a pers.: devano 2, 622, ecc. (7 in t.), devevano 2.136 Congiuntivo presente, 3a pers.: debia 112, 13, ecc. (5 in t.); 5a pers.: debié 4, 32, 145; 6a pers.: debiano 12, 152. Congiuntivo imperfetto, 3a pers.: devesse 3, 8, 19, 124; 6a pers.: deveseno 81–82, devesseno 67, 125. Condizionale, 2a pers.: devrissi 91; 3a pers.: devrave 13, 30. Coniugazione di ‘essere’. Indicativo presente, 1a pers.: son 26, 35, 57, ecc. (8 in t.), sonte 9 (con restituzione erronea della finale: cf. §4.19), sonto 26–27, 33, ecc. (23 in t.), su(n)to 7 (cf. Rohlfs 1969, §540); 2a pers.: é 532, 76, ecc. (17 in t.), ey 132; 3a pers.: è 1–2, 52, ecc. (147 in t.), è- 121; 4a pers.: semo 56, 58; 5a pers.: sì 15, 25, 32, ecc. (9 in t.), sì- 118; 6a pers.: ìn 57 (cf. Salvioni 1886b, 75–76), son 40, 47, 553, ecc. (17 in t.). Indicativo imperfetto, 1a pers.: era 47, 56; 3a pers.: er’ 140–141, era 4, 9, 11, ecc. (146 in t.), era- 173; 6a pers.: eran 55, 122, erano 10, 74–75, ecc. (22 in t.), ereno 110, 150. Indicativo perfetto, 3a pers.: fo 3, 52, ecc. (152 in t.); 4a pers.: fomo 133; 5a pers.: fussi 133; 6a pers.: fon 1, 9, 81, ecc. (12 in t.). Indicativo futuro, 1a pers.: serò 59, 73; 2a pers.: seré 1592, 160–161; 3a pers.: sarà 27, serà 15, 18, 282, ecc. (15 in t.); 5a pers.: sarì 59, serì 27, 43; 6a pers.: seran 15, 413, ecc. (6 in t.), serane 39 (con restituzione erronea della finale: cf. §4.19). Congiuntivo presente, 2a pers.: sii 12, 98; 3a pers.: sia 4, 6, 11, ecc. (28 in t.); 5a pers.: sié 34, 41, 46; 6a pers.: siano 392, 56, ecc. (9 in t.). Congiuntivo imperfetto, 1a pers.: fosse 45, 85; 3a pers.: fosse 82, 9, ecc. (42 in t.); 5a pers.: fusi 44; 6a pers.: foseno 6, fosseno 65–66, 130. Condizionale, 3a pers.: serave 59, 61, 158, 163. Infinito: ese 79, esse 32, 4, ecc. (33 in t.), ess(er) 10, essere 156.
135 Le forme di, dè, demo, den sono attestate anche nel Grisostomo pavese e nelle Antiche scritture lombarde nordoccidentali (cf. Salvioni 1898, 383–384). 136 Per deva cf. le attestazioni venete in Donadello (1994, 51) e Bertoletti (2005, 153 n. 361).
Morfologia
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Gerundio: siando 4, 8, 20, 101. Participio passato: stado 64, 82, 87, 160, stati 6, stato 35.137 Coniugazione di ‘fare’. Indicativo presente, 1a pers.: fazo 5, 362, 39, fo 25, 129; 2a pers.: fé 116, 1322; 3a pers.: fa 30, 36, 84, ecc. (9 in t.); 5a pers.: fé- 118; 6a pers.: fan 116, 1322, 145, fane 165 (con restituzione erronea della finale: cf. §4.19). Indicativo imperfetto, 3a pers.: feva 65, 823, ecc. (8 in t.); 6a pers.: fevano 112, 118, 126, ecc. (7 in t.). Indicativo perfetto, 3a pers.: fè 17, 242, ecc. (29 in t.); 6a pers.: fen 108, 110, 137, 156. Indicativo futuro, 1a pers.: farò 36, 165; 3a pers.: farà 14, 36, 48; 4a pers.: farem 123, faremo 83, 127; 5a pers.: farì 28, 432, 101; 6a pers.: faran 402, 41, ecc. (5 in t.), fara(n)o 44. Congiuntivo presente, 3a pers.: faza 43; 5a pers.: fazé 41, 43, 136; 6a pers.: fazano 40, fazeno 152. Congiuntivo imperfetto, 3a pers.: fesse 19, 86, 125, 181 (più satisfesse 93, 174); 6a pers.: fessano 125, fesseno 113. Imperativo, 2a pers.: fa’ 12, 19, 58, 63; 4a pers.: fazemo 156; 5a pers.: fé 82. Infinito: fà 51, 85, 101 (più desfà 62), far 7, 23, 402, ecc. (11 in t.), far- 87, 103, fare 4–5, 19, ecc. (10 in t., più satisfare 124, 175). Participio passato: fà 110, fagi 122, fagia 632, 65, ecc. (7 in t.), fagie 1, 39, 45, ecc. (7 in t.), fagii 133, fagio 8, 27, 45, ecc. (21 in t., più fagio sostantivo 185), fato 1, 26– 27, ecc. (5 in t.). Coniugazione di ‘fire’. Indicativo presente, 3a pers.: fi 3, 8, 222, ecc. (9 in t.), fy 3, fii 13; 4a pers.: fimo 91. Indicativo imperfetto, 3a pers.: fiva 74, 88, 121, ecc. (8 in t.); 6a pers.: fivan 147, fivano 68, 74–75, 146. Indicativo perfetto, 3a pers.: fì 140. Indicativo futuro, 3a pers.: firà 51. Congiuntivo presente, 3a pers.: fiza 67. Congiuntivo imperfetto, 3a pers.: fisse 128, 181; 6a pers.: fisseno 66, 129. Condizionale, 3a pers.: firave 29.
137 Per il caso isolato in cui essere è adoperato come ausiliare di un verbo transitivo («Quando lo Seg(n)or fo pasado que[l] flume»), cf. la nota al paragrafo 74 nell’edizione del testo.
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4 Analisi linguistica
Infinito: fì 11, 129, 1392, 186, fiì 13. Gerundio: fizando 88, 95, 129. Coniugazione di ‘potere’. Indicativo presente, 1a pers.: posso 33, 53, 129; 2a pers.: po’ 33, 66, 98; 3a pers.: pò 6, 9, 13, ecc. (21 in t.); 4a pers.: podemo 35, possem 89, possemo 6, 10, 72, 912, possomo 15;138 5a pers.: poỳ 32, 40–41, ecc. (5 in t.), poì- 109; 6a pers.: pon 64, 173. Indicativo imperfetto, 3a pers.: podeva 7, 1422, ecc. (7 in t.), poeva 4, 16, 91, 99; 6a pers.: podevano 154, poevano 16, 113, 149. Indicativo perfetto, 3a pers.: poè 77, 100, pogiè 141 (su cui cf. §4.26). Indicativo futuro, 3a pers.: porà 51.139 Congiuntivo presente, 1a pers.: possa 5, 84; 3a pers.: possa 54. Congiuntivo imperfetto, 3a pers.: podesse 20–21, 106, ecc. (6 in t.), poese 92, poesse 96, 154; 6a pers.: poeseno 101. Condizionale, 2a pers.: poris 87, 140, 162; 3a pers.: porave 6, 45, 115. Infinito: poder- 1312 (ma cf. anche i sostantivi poè 182, po[e]re 54). Coniugazione di ‘sapere’. Indicativo presente, 1a pers.: so 27; 2a pers.: sé 25, 53, 131; 3a pers.: sa 8, 43, 59, 702; 4a pers.: savemo 35, 49, 53; 5a pers.: savì 27, 34, 123, 164, savì- 26; 6a pers.: san 902, 152. Indicativo imperfetto, 3a pers.: saveva 25, 74, 103, ecc. (5 in t.); 6a pers.: savevano 24, 154, saveveno 67. Indicativo perfetto, 3a pers.: sapiè 21, seppe 119. Indicativo futuro, 1a pers.: savrò 182; 2a pers.: savré 25; 5a pers.: savrì 34. Congiuntivo presente, 2a pers.: sapii 23, 1172; 5a pers.: sapié 10, 40, 44, ecc. (7 in t.). Congiuntivo imperfetto, 3a pers.: savese 82. Infinito: savè 16, 22, saver 35, 55, savere 48, 163. Gerundio: sapiando 168. Participio passato: sapiudo 22.
138 La forma possomo è forse un’isolata screziatura pavese: cf. Salvioni (1902a, 433). 139 Per l’origine analogica della forma porà cf. Salvioni (1890, 253 n. 3) e Bertoletti (2005, 103– 104).
Sintassi
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Coniugazione di ‘stare’. Indicativo presente, 1a pers.: sto 42; 3a pers.: sta 36. Indicativo imperfetto, 3a pers.: stava 152, 154, 162, steva 16, 88–89, ecc. (5 in t.; cf. Rohlfs 1969, §551); 6a pers.: stevano 61, 112, 120, ecc. (5 in t.). Indicativo perfetto, 3a pers.: stete 100, 133. Indicativo futuro, 1a pers.: starò 32; 3a pers.: starà 372; 5a pers.: starì 41; 6a pers.: staran 412. Congiuntivo imperfetto, 3a pers.: stesse 141; 6a pers.: steseno 61. Condizionale, 1a pers.: stareve 117. Imperativo, 5a pers.: sté 71. Infinito: stare 16, 22, 100. Gerundio: stagand 62, stagando 2, 38, 89, ecc. (6 in t.). Participio passato: stadi 45. Coniugazione di ‘volere’. Indicativo presente, 1a pers.: voio 40, 58, voyo 58, 71, 117, 1662, volio 112, 117, 129; 2a pers.: vo’ 4, 84; 3a pers.: vol 49, 111, 134, vore 70, 121, 157; 4a pers.: volemo 133; 5a pers.: volì- 135, vorì 82, 85, 123–124, vorì- 127, 133; 6a pers.: voren 11, voreno 11. Indicativo imperfetto, 3a pers.: voreva 65, 792, 120; 6a pers.: volevano 50, vorevano 162, 181. Indicativo perfetto, 3a pers.: vose 83, 91, vosse 7, 20, 22, ecc. (22 in t.); 6a pers.: vosen 156, voseno 95, 112, vosseno 110, 126, 181. Congiuntivo presente, 2a pers.: voye 90; 3a pers.: voia 49, voya 78, 121, 129, 144; 6a pers.: voiano 1552. Congiuntivo imperfetto, 1a pers.: voresse 84; 3a pers.: voresse 24. Infinito: vorè 11. Gerundio: voiando 103, 124, voya(n)do 28. Participio passato: voyudo 174, voludo 45.
Sintassi 4.63 Uso dell’articolo e delle preposizioni Ci si limiterà qui alle annotazioni più interessanti: si registra accordo in definitezza tra il complemento di materia e il sintagma nominale specificato (cf. Formentin 2010, 608; Renzi 2010, 323–324) in «’l sudor vostro del sangue» 69, «la vestimenta dela porpo(r)a» 137, «la corona dele spine» 137, «la vestim(en)ta dela porpora» 138,
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allato a «un bocon de pan» 18, «co(m) gotte de sangue» 68, «una colonia de prea» 107, «un ca(m)po de t(er)ra creenia» 111, «co(m) ca(m)po de sangue» 111, «una vestime(n)ta de porpo(r)a» 128, «una corona de spin» 128, «de legnio d’oriva» 154, «un drapo de lino» 185. L’accordo manca in «quelo bochon de pan» 19, «li XXX dané d’arie(n)to» 111, «la corona de spine» 129, «la vestime(n)ta de porpora» 129.140 A proposito dell’impiego di articolo determinativo e preposizione articolata in «alo traditor de Iuda» 24, «lo traditor de Iuda» 74, 76, si veda la documentazione di tale tipo sintattico nelle lingue romanze radunata da Svennung (1958, 117– 125), che per l’italiano cita proprio «il traditore di Juda» (senza però addurre un riferimento testuale preciso). Gli usi particolari delle preposizioni sono trattati nel glossario: merita tuttavia menzione in questa sede l’impiego di a per introdurre un’infinitiva soggettiva dipendente dal verbo essere in unione a un aggettivo: «meyo fosse a no esse nado k’a esse nado p(er) esse reo p(er) luy» 8, «El no è licito a nu a mete q(ui)sti dané i(n) lo texoro» 111 (cf. LEI, vol. 1, 596; Stussi 1965, LXXX ; Dardano 2012, 156, 176); degna di nota è anche l’infinitiva soggettiva preposizionale con a di «a p(er)sona grande se dexe a far le grande cose» 71. Nel passo «Padre me, s’el pò esse ke questo kalix strapassa da mi, ke eyo no ’l beva; sì fiza ala toa voluntà» 67, con il verbo fì usato nel senso di ‘avvenire’, la preposizione ala significa ‘in conformità alla’ (cf. GDLI, vol. 1, 4 n° 13). Lo stesso sembra valere per «Ma p(er)zò no sia fagia ala mia volu(n)tà, anze sia fagia ala tova» 63, «sì fosse fagia alla volontà del Padre e no ala sova» 65, dove è tuttavia peculiare il fatto che il verbo presenti non una costruzione impersonale, bensì una passiva, che suppone ‘volontà’ come soggetto logico.
4.64 Legge Tobler Mussafia Secondo la legge che regola la posizione in enclisi o in proclisi dei pronomi clitici oggetto diretto o indiretto con verbi di modo finito,141 formulata da Adolf Tobler e Adolfo Mussafia e successivamente precisata da altri studi (in particolare Rollo 1993), al principio di frase principale in apertura di periodo si ha per lo più enclisi, con l’indicativo in «Guardòsse l’un l’altro» 7, con l’imperativo in «Andéven i(n) la cità» 4, «Aregordéve dela parola» 44, «Vaten segurame(n)te tu homo v(er)tuoxo» 68, «Confortéve e sté segurame(n)te» 71, «Toỳlo vu» 114, «Dime que tu é fagio»
140 La trattazione è debitrice della prospettiva offerta da Lorenzo Tomasin nel suo articolo Su un’equivoca «legge» dell’italiano antico e sul concetto di «legge» nella linguistica storica romanza, uscito sulla Revue de Linguistique Romane del 2016 e letto quando questo volume era già in bozze. 141 Sui pronomi clitici soggetto, che non sottostanno a tale vincolo, cf. §4.40.
Sintassi
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116, «Crucificalo! Crucificalo!» 130, «Toiìlo vu» 131, «Crucificalo!» 134, «Metìmi la lanza per mezo lo costado» 182; in due casi, tuttavia, entrambi con un congiuntivo esortativo, si ha proclisi: «Ve piaza Segnore de dirme ki è» 17, «Ven venia (com)pasion» 129.142 Nei due esempi in cui all’interno di frase principale all’inizio di periodo il verbo è preceduto da vocativo si ha enclisi, sempre con l’imperativo: «mo, Padre, clarificame apresso de ti» 54, «Padre, santificali» 57 (cf. Rollo 1993, 9–10 e n.). Al principio di frase coordinata con e a una principale si ha enclisi con l’indicativo in «e te(n)zèllo i(n) la salza» 18, «e vaseno ali Zudei» 20, «e torzèllo un poco» 24, «e partìsse ta(n)to lonze» 61, «e i(n)zenogàsse in terra» 63, «e partìsse da loro» 67, «e partìsse da loro» 109, «e domandòlo» 119, «e tornòge indosso le soe vestim(en)te» 138, «e bagniàla» 171, «e metèlo» 171, con l’imperativo in «e partìve da qui» 73, «e menélo saviame(n)te» 76; si ha invece proclisi, sempre con l’indicativo, in «e ne fè sengiura» 24, «e se asetò» 96, «e se scoldava» 96, «e ge spudaveno i(n) la faza» 106, «e ge devano le gra(n)de goltade» 106, «e li àn day» 111, «e ’l reputò p(er) mato» 121, «e se inzenogiaveno» 128, «e ge toievano la cana» 128, «e ge devano su p(er) la testa» 128, «e ge devano de grande sguanzade» 128, «E se fè dare del’agua» 136, «e ge toyevano la cana» 137, «e ge devano su p(er) la testa» 137, «e ge fè una grande apertura» 182. Analogamente, al principio di frase coordinata con e a una dipendente si ha enclisi con l’indicativo in «Chi oye lo me comandame(n)to e obs(er)valo, quello me ama» 37, «Lo vostro Deo ki ve trasse de tera […] e nudrigòve dela mana del cello, ala p(er)fin sì dixise-vo ke vu no ’l vorì-vo k’el fosse vostro Deo?» 133, con l’imperativo in «eio no te prego ke tu li levy dal mondo, ma ke tu li (con)s(er)vi e guardali dal male» 57;143 si ha però proclisi con l’indicativo in «cadauna cossa ke vu domandarì alo me Padre in lo meo nome sì vel darà, se zò k’eo v’ò digio vu farì e ve amarì i(n)tra vu» 43, «Criste apelò Iuda per amigo […] i(m)p(er)ò k’el i(n)fenzeva esse amigo e llo salutava sì co(m) amigo» 77, «Lo vostro Deo ki ve trasse de tera e de s(er)vitudeni de Faraon e ve fè passare p(er) lo mare Rosso […], ala p(er)fin sì dixise-vo ke vu no ’l vorì-vo k’el fosse vostro Deo?» 133, con il congiuntivo in «Criste vosse esse p(re)xo i(n) l’orto, azò k’el fesse nu liberi del
142 La tentazione di appoggiarsi su tali infrazioni alla legge Tobler Mussafia in principio di frase principale per sostenere una data di composizione della Passione Trivulziana posteriore alla metà del Trecento è frenata dall’osservare casi eslegi di proclisi all’inizio di principale asindetica in Bonvesin: cf. per es. Gökçen (1996, 3 vv. A 7–8 «Ella me tollẹ per forza le mee possessïon, / Me fa desnor, me caza con grand turbatïon»; 4 v. A 21 «No iẹ basta quel k’è so, s’intende in robason», vv. A23–24 «De mi, quentẹ k’eo me sia, no iẹ fi compassïon: / Me fa trop grand iniuria, trop grand offessïon»). 143 Per l’uso dell’imperativo in frase subordinata cf. Ageno (1982), che tuttavia non registra casi perfettamente sovrapponibili a quello citato.
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pecado e ne menase al Paradixo del celo» 86. Complessivamente, dunque, dopo e ai sedici casi di enclisi se ne contrappongono diciannove di proclisi, cui ne vanno aggiunti altri due al principio di coordinate con nì a frase principale, uno con l’indicativo («nì la mia parola guarda nì la s(er)va» 38) e uno coll’imperativo («No partimo questa vestim(en)ta nì la ro(m)pemo» 156): la situazione è simile a quella dei vangeli in antico veneziano, per cui cf. Gambino (2007, CXXI ). Al principio di proposizione coordinata con ma a una principale si ha enclisi con l’imperativo in «questo ve digo azò ke vu abié paxe i(n) mi, ke grande tribulation avrì in lo mo(n)do, ma (con)fiduxiéve» 35, proclisi coll’indicativo in «el vene una s(er)ve(n)te del vesco e vite sa(n) Pedro e no ge disse nie(n)te, ma se volse ali alt(ri)» 97. Infine, al principio di frase principale preceduta da una dipendente si ha sempre proclisi: «possa ke Criste ave lavadi li pey aly soy discip(u)li, si tornò la soa vestime(n)ta i(n)dosso» 26, «Se vui fusi del mondo v’amerave» 44. Al di fuori delle posizioni soggette alla legge Tobler Mussafia, con l’imperativo si ha solitamente proclisi: «no solame(n)te me lave li pey, ina(n)ze me lava le mane e ’l chò e tuto qua(n)to» 25, «Dormì e sì ve reposé» 72, «Toỳlo vu e segondo la vostra leze sì lo zudigé» 114, «Toiìlo vu e sì lo crucifiché» 131, tranne nel caso di «In la casa delo meo Padre sì è molte abitation (et) i(m)p(er)ò alegréve» 34. Si registra proclisi anche con l’imperativo negativo: «No ve maravaié» 44, «No ve maravelié carissimi» 143. Con l’indicativo, l’unico esempio di enclisi libera è «e zò disselo p(er) Iuda» 25 (ma potrebbe trattarsi di diss’elo). Per quanto riguarda l’imperativo in frase affermativa, la situazione della Passione Trivulziana è coerente con quella del Due e Trecento, quando la proclisi è prevalente a meno che non si ricada nei casi della legge Tobler Mussafia, mentre diverge dal quadro registrabile nel Quattrocento, secolo a partire dal quale l’enclisi con l’imperativo diviene in tutte le posizioni la norma della prosa, come ha mostrato Patota (1984) esaminando testi (soprattutto letterari) toscani o comunque aventi il toscano come punto di riferimento. Se si guarda ai volgari settentrionali medioevali, il panorama non cambia: nei luoghi sintattici esenti da vincoli, «la proclisi prevale» nei testi pratici veronesi dell’età scaligera (post 1268–1387) studiati da Bertoletti (2005, 259), e il medesimo si può forse dire per la Passione veronese trecentesca edita da Pellegrini (2012), benché vi si trovi un solo esempio utile di imperativo affermativo accompagnato da clitico e non soggetto alla legge Tobler Mussafia: «l’uno cum l’altro ve dî lavaro i pe’» (Pellegrini 2012, 16).144 Per il veneziano trecentesco è purtroppo poco chiara l’affermazione di
144 È invece classificabile all’interno della legge Tobler Mussafia, come mostra Rollo (1993, 21– 22), il passo «Quel che tu fè, fa’l tosto» (Pellegrini 2012, 14; si ha proclisi con l’imperativo
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Gambino (2007, CXXI ), secondo cui nei vangeli in antico veneziano del codice Marciano It. I 3 (= 4889) «a inizio periodo con l’imperativo è normale l’enclisi secondo lo sviluppo moderno: ‹Tuote de qua e va in meço lo mare› Mc, 11 23, ‹Levate suso e vatende› Lc, 5 23, ecc., ma è possibile, pur se con minor frequenza, anche il tipo proclitico: ‹Vui ve vardé!› Mc, 13 23», accompagnata dalla seguente specificazione in nota: «Il dato è significativo, in quanto dallo studio di Patota risulta che al contrario nella lingua del Duecento e del Trecento, nella prosa come nella poesia, la forma privilegiata d’imperativo con pronome atono in simili contesti è quella proclitica».145 Spostandosi dal Veneto alla Lombardia occidentale, tra gli esempi di forme imperativali attestati nelle prime venti pagine del Grisostomo pavese si trova prevalentemente proclisi nei casi qui in esame: «Or me responde», «Or me responde fraello», «Or me di fraello» di contro a «ti chomo bon e sauio arecordate» (Förster 1883, 5, 8, 11 e 10).146 D’altra parte, anche nelle preghiere e nella formula di confessione in prosa del Laudario comasco allestito nel 1420 (cf. §1.2) si trova il dominio della proclisi con l’imperativo non vincolato: «e sì ne da’ gratia da conservà li toy comanda-
preceduto da negazione in «No la fendemo» 49). Per quanto riguarda i testi padovani editi da Tomasin (2004), mi pare vada rivalutato il caso di «ve schuxà» (60), che costituirebbe un esempio utile di imperativo con clitico non interessato dalla Tobler Mussafia, stante la classificazione morfologica della forma verbale (cf. 189): la frase in cui il verbo compare, però («Ma no ghe prestè più nyente, dysège che ’l pare no m’à pagà questy e chomo questo ve schuxà»), sembra suggerire piuttosto una interpretazione del verbo come ind. pres. 3a pers. schuxa (‘Non gli prestate più niente, ditegli che il padre non mi ha pagato questi e come questo [fatto] vi scusa’). Più in generale, l’affermazione di Tomasin (2004, 204), secondo cui nei testi pratici padovani da lui editi «i pronomi atoni che si accompagnano a un imperativo sono di norma enclitici, non solo quando ricorrano le condizioni della legge di Tobler e Mussafia (si tratta della soluzione prevalente in italiano antico, cfr. Patota 1984): Guarentala […], Altro per mo no ve scrivo, mandème lo comandador […], Dyo ve guardy tuty da malle, rechomandàm[e] […], se non potete farllo, schusàve» sarà frutto di una svista, perché per un verso, come si è detto, lo studio di Patota (1984) sostiene che la soluzione prevalente in italiano antico fosse la proclisi, per l’altro i passi citati rientrano tutti nella casistica della Tobler Mussafia (al novero andrebbe aggiunto il già citato «no ge prestè più nyente, disège» 60). 145 Nessun esempio utile nei testi pratici veneziani del XIII e XIV secolo, dove si rinviene solo l’imperativo negativo «Ser Michel, n(o) de tegnì lo cor» (Stussi 1965, 52). Anche nei vangeli in veneziano la proclisi con l’imperativo preceduto da negazione è costante (Gambino 2007, CXXI – CXXII ). 146 Stando a Verlato (2009, 119), pare di ricavare che nelle vite dei santi del Magliabechiano XXXVIII.110 si abbia enclisi con l’imperativo anche oltre i limiti della legge Tobler Mussafia, ma tra gli esempi addotti gli unici pertinenti in tal senso sono quelli del congiuntivo presente in «Unde mostre-ne che queste profecie he scripture sea dite de Cristo» e dell’indicativo futuro «unde tu tirapno unçerà’-te la faça», entrambi in funzione iussiva (si noti di sfuggita che covrì-gi, citato come imperativo, è in realtà un perfetto).
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menti» 12r, «dal’inimigo meo me deffende» 14r e, benché si tratti morfologicamente di congiuntivo, «O veraxe corpo de Cristo, ke dela dolze vergene Madona santa Maria vuy nasissive, da morte subitana vuy ne debié deffende e guardare. Al vostro Padre vuy ne debié recomandà de aver una bona speranza in secula» 10r. Lo stesso Patota (1984, 196) notava che «una scrittura privata dell’inizio del secolo [quindicesimo] (I Ricordi di Giovanni di Pagolo Morelli) presenta una situazione analoga a quella dei secoli precedenti; ma opere toscane e non toscane anche di poco posteriori offrono già un quadro modificato». Se dunque la posizione dei pronomi clitici con l’imperativo nelle posizioni non regolate dalla legge Tobler Mussafia nella Passione Trivulziana ne dimostra l’appartenenza alla fase linguistica bassomedioevale, essa non può tuttavia valere per attribuire la composizione del testo al Trecento piuttosto che agli inizi del Quattrocento.
4.65 Ordine e salita dei pronomi clitici Per quanto riguarda i nessi di clitici l’ordine è sempre dativo accusativo: mel ‘me la’ 104, tel ‘te lo’ 116, gel ‘glielo’ 87, 95, 137, ecc. (6 in t.), gela ‘gliela’ 172, 182, sel ‘se lo’ 92, vel ‘ve lo’ 27, 36, 47, 51, 129, ‘ve la’ 43, 51, ‘ve le’ 472, 482 (cf. §4.41). In nesso col clitico genitivo ne si hanno, sempre con la forma dativale in prima posizione, men 474, 56, gen 2, 132, sen 20, 23, 113, ven 129 in proclisi, in enclisi -ten in vaten 68, -ven in andéven 4, -seno in vaseno 20 (con restituzione erronea della finale).147 Nelle frasi infinitive rette da verbi a ristrutturazione si registra solitamente la salita dei pronomi clitici dall’infinito al verbo reggente (cf. Stussi 1995, 205–206; Egerland/Cardinaletti 2010, 437–441 notano come il fenomeno fosse passibile di eccezioni). Per il modale dovere si trovano «lo deveno mangiare» 2, «lo devano brusare» 2, «te debio tradire» 7, «se devesse pentir» 8, «ve dè tradire» 17, «se dè intremete» 23, «sen dè dolere» 23, «lo deveva tradire» 25, «se devrave i(n)fiamà» 30, «se devano danià e p(er)de» 65, «se deveseno retrà de ta(n)to peccado» 81, «lo deveseno cognosce» 82, «lo demo dire» 91, «nu se devemo recomandare» 178. Per potere: «la podesse co(m)prende» 21, «me poỳ seguir» 32, «ve debié amar» 32, «me po’ seguir» 33, «te posso seguir» 33, «le poỳ rezeve» 48, «la porà tò» 51, «no ’l pon dire» 64, «no l’avevano posudo piare» 83, «ne possemo ben […] dire» 91, «lo poeseno (con)dù a morte» 101, «no ge podesse vedere» 105, «lo poì-vo vedere» 109, «se pò notar» 113, «no ’l poevano acuxar» 113, «me porave noxe» 115,
147 La situazione corrisponde a quella rilevata negli antichi volgari settentrionali da Castellani (1952, 100); Benincà (1983, 189–190); Tomasin (2004, 202–203); Bertoletti (2005, 260); Verlato (2009, 117–118).
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«no lo posso iudicare» 129, «lo poỳ vedere» 130, «de poderte crucificar» 131, «de poderte lassare» 131, «no ’l podeva cognosce» 142, «no la podeva passare» 146, «se poevano anumerare» 149, «lo podesse liberare» 174, «lo podeva ben liberare» 174, «se pò intende» 176 (in «far se pò» 65, a rigore, la collocazione è indecidibile per l’anteposizione dell’infinito). Per volere: «se voreva partì» 79, «lo voresse pregare» 84, «no se vosse i(n)tromete» 95, «lo voseno piare» 95, «No se vosse ap(ro)simare» 96, «ge vosse rende li XXX dané» 110, «no li vosseno rezeve» 110, «no lo vosse examinar» 115, «sì ’l vosse examinar» 115, «la vosen partire» 156, «la vosse apelar» 166, «no ge vosseno rompe le gambe» 181. Per i verbi aspettuali, si ha un esempio utile con comenzare: «se come(n)zò a oscurare» 168; per i verbi di movimento, si veda «l’erano venudo a piiare» 85; per i verbi conativi, si trova «no se ossavano demostrare» 180; si ha inoltre ristrutturazione in «lo degniò liberare» 14, «ge mandò a dire» 125, «ge mãdava a dire» 127. Non sorprende che le eccezioni alla salita del clitico si verifichino, a parte il caso di «eyo debio donarve un p(re)xoné» 123, con infiniti coordinati: «lo deveno mangiare colo pane lixo […] e mangiarlo viazamente e tuto» 2, «sen dè dolere […] e co(n)v(er)tisse a Deo p(er) ovra e ap(ro)simarse più stregiame(n)te a lu» 23, «comenzò a lavar li pey […] e sugàli con quelo lenzò» 24, «venierà a liberarlo e a torlo» 176 (ma si veda di contro il già menzionato «se devano danià e p(er)de» 65; cf. sul tema Bertoletti 2005, 262 e la bibliografia ivi citata).
4.66 L’accordo I casi di cooccorrenza di soggetto pl. e verbo sg. rientrano in due tipologie diffuse in antico. Si può avere disaccordo per un verso in presenza di soggetti coordinati (Salvi 2010b, 548–553): «Ilora lo p(ri)ncepo deli sacerdoti e tuto lo (con)silio cercava falsi testimonii» 101, «li nervi e la carne se sguarzava tutavia ancora più» 151; per un altro quando il soggetto è in posizione postverbale (Salvi 2010b, 557– 558): «Guardòsse l’un l’altro» 7, «In la casa delo meo Padre sì è molte abitation» 34, «Disse li discip(u)li intra loro medesmi» 49, «Re[s]poxe li discipuli» 53, «Ancora dixe li savii e li exponituri» 65, «Disse li discip(u)li» 73, «quilò sì è du gladii» 73, «la qual fè li Zudé al nostro Segnor» 86, «sì co(m) fi ligadi li ladron» 86, «p(er)què lo menò illi do(n)cha a caxa de A(n)na i(m)p(ri)ma […]?» 87, «qua(n)to è noxevre cosa le praverse parole» 98, «Respoxe li Zudé» 102, «Disse do(n)cha tuti illora» 105, «Quilò sì fo do caxon» 120, «sì com era uxa(n)za ki fiva vestì li mati» 121, «co(n) sego i(n)sema andava molte done e altra ze(n)te» 144, «segondo ki dixe li sancti» 147, «In q(ui)sti giò sì fo zinqui grangi dolori» 150, «non era remaxo se no la bocha e la lengua e lo gusto ki no fosse flagelado» 170
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(dove però fosse flagelado segue il pronome soggetto, riferito ai soggetti nominali coordinati), «sì ven li Zudé a Pillato» 181, «In questa piaga sì fo tre cosse» 183. Rientrano nel secondo tipo anche gli esempi seguenti, dove il verbo guadagna un pronome espletivo soggetto preverbale: «el no se compiirave le sc(ri)pture e li digi deli p(ro)feti» 84, «azò k’el se co(m)piisca le sc(ri)pture deli p(ro)feti» 85, «ala p(er)fin el vene du falsi testimonii» 101, «inp(er)zò ke el era inlò li corpi deli ladron e deli malfactor» 148 (più «con Yesù Criste sì fivano menado du malfacturi» 146, dove il disaccordo riguarda solo il participio). L’unica eccezione al quadro delineato è costituita da «illi gel menò dena(n)ze» 87, dove si ha disaccordo con soggetto pl. preverbale. Da citare qui anche il caso di «li soy pey fon crucificadi e aflicto sur lo legnio dela croxe» 170, dove il secondo participio perde, per così dire, l’accordo con il soggetto plurale. Per l’accordo a senso tra soggetto sg. e verbo pl., invece, sono da citare un caso con gente («poy ke la ge(n)te del vesco aven vegià i(n) q(ue)lla nocte» 107), due con zente («temando loro ke tuta la ze(n)te credeseno i(n) Criste» 124, «quisti loxi no erano honesti, maximam(en)te per la ze(n)te ke stevano» 141) e due dove il plurale è innescato dal complemento di specificazione associato al soggetto: «el no fo alcun de loro ke lo i(n)tendeseno» 16, «no fo nesuno deli altri discip(u)li ke i(n)tendeseno zò p(er) que ello dixesse quella parola a Iuda» 19. Il pronome espletivo el può cooccorrere indifferentemente con soggetti postverbali maschili singolari («azò k’el se (com)piisca tuto zò k’è sc(ri)pto» 45), maschili plurali («inp(er)zò ke el era inlò li corpi deli ladron e deli malfactor» 148), femminili singolari («Ora dixe k’el s’ap(ro)sima la Pasqua deli Zudei» 2) e femminili plurali («azò k’el se co(m)piisca le sc(ri)pture deli p(ro)feti» 85).
4.67 La coordinazione Le congiunzioni coordinanti copulative sono e: «quele cosse ke fon fagie e digie in la sova passione» 1, 29, e così via, adoperata sia davanti a vocale sia davanti a consonante; et: «disse lo nostro Segnor aly soy discip(u)li: ‹Andé e sì aparegié de fare la Pascha›. Et illi disseno: ‹Onde vo’ tu Segnor k’ela sia aparegiada?›» 4, «dirì al padre dela fameia, al segnor de quela casa: ‹[…] ond’è quello logo k’eo possa cenar co(n) li mei discip(u)li?› Et coluy ve mostrarà un cenaculo» 5, «lo redemete de man deli inimixi, et i(m)però k’el se humiliò ta(n)to, lo Segnore lo degniò liberare de captivitade» 14, ecc. (54 in t.; le altre 40 occ. sono scioglimenti di abbreviazioni; al §21 due occ. in una citazione latina), impiegata sia davanti a vocale sia davanti a consonante; nì, usata per introdurre frasi o sintagmi di valore negativo, anche in cooccorrenza con no o non: «nu avemo chilò un exe(m)plo ke ’l cõtemplativo non se dè intremete delle cosse corporé, nì della offe(n)sion de Deo
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dè querì svengianza» 23, «In v(er)ità ve digo ke ’l s(er)vo n’è maior del so segnore, nì l’apostolo non è maior de quelo ki l’à mandado» 27, «k’el no pò lasa(r) maior cossa, nì più cara, nì più dolze, nì più utel ka sì medesmo» 303, ecc. (29 in t.; per l’uso disgiuntivo di nì cf. più oltre); in un solo caso è impiegato né: «illi no cognoseno mi né lo meo Padre» 44. Le congiunzioni e locuzioni congiuntive avversative sono anze: «de vu no volio ki sia così, anze volio ke quello k’è maior de vu sì debia fì sì co(m) vostro ministro» 11, «no fo nesuno deli altri discip(u)li ke i(n)tendeseno […], anze penson […] ke ’l Segnore g’avesse comandà k’el devesse agatare alcuna cossa» 19, «E lle parole k’e’ ve digo, eio no le digo da mi, a(n)ze lo me Padre ki sta i(n) mi» 36, ecc. (17 in t.), in un caso nella forma elisa (o apocopata: cf. §4.19 n. 39) anz’: «la parola ke vu avì oiuda non è mia, anz’è delo me Padre» 38; co(n) tuto zò: «s’el no avesse digio cusì, li gazari e li patarin avraven digio k’el no fosse stado veraxe homo, e co(n) tuto zò illi lo dixeno» 64; inanze ‘anzi’: «no solame(n)te me lave li pey, ina(n)ze me lava le mane e ’l chò e tuto qua(n)to» 25, «zà più no sonto i(n) lo mondo, inanze sé venio a ti Padre sanctissimo» 56; ma: «Li quatro evangelisti sì parlavano in div(er)si modi dela passion del nostro Segnior, ma no sé però k’eli se descordaseno, ma quelo che l’uno lasà l’altro compiì» 12, «s(an)c(t)o Iohan se asetò ap(re)so de Criste dal so lado: ma qui se pò i(n)tende in duy modi», «se illi foseno stati tutavia i(n) pei, san Iohane no porave avere reposà la testa sur lo pegio de Criste, ma possemo crè ke illi mangiàno alcuna cossa i(n)nanze l’agnelo (et) i(n)lora sedevano» 62, ecc. (95 in t.), cui si aggiunge un’occorrenza nella locuz. ma p(er)zò ‘nondimeno’: «Padre me, s’ell’è possibel cossa fa’ k’el strapassa via questo calix da mi […]. Ma p(er)zò no sia fagia ala mia volu(n)tà, anze sia fagia ala tova» 63; mo: «In questa parte no represe zà lo nostro Segnore li soy discipuli […], mo sì li amaistrà» 12, «nu avemo chilò un exe(m)plo ke ’l cõtemplativo […] della offe(n)sion de Deo [non] dè querì svengianza, mo sì sen dè dolere» 23, «Eiio zà no ve apello s(er)vi […], mo sì ve apello amixi» 43, ecc. (9 in t.); permodezò ‘ciò nonostante’: «Unde q(ue)sta ofexa sì fo molto gravissima, e p(er)modezò mes(er) Yesù Criste no responde» 94, «questo ca(m)bio no fo ben inguà. E p(er)modezò la v(er)gen Maria de quela hora inanze recevè san Iohane per so fiolo» 167. Della serie fa parte anche ampoy 82, che ricorre all’interno di una subordinata : «illi no lo cog(no)sceva(n)o, che co(n) tuto zò ke illi avevano lanterne e fanzele […], ampoy illi no ’l cognosevano».148 Le congiunzioni disgiuntive sono on («pensón […] ke ’l Segnore g’avesse comandà k’el devesse agatare alcuna cossa […], on k’a’ ’l donasse alcuna cossa ali poveri» 19, «Fé tu q(ue)sta doma(n)da da ti on son altri ki tel fan dire?» 116, «Qual
148 Per ampoy, inanze, ma p(er)zò (s.v. perzò), permodezò cf. il glossario.
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vorì vu de q(ui)sti du ki sia liberado, on Baraban on Yesù al qual fì digio Criste?» 1242, «voiano on no voiano li Zudé» 155; cf. Rohlfs 1969, §762) e, in due occasioni, nì: «Ora qual angelo aparisse al nostro Segnor nì que el ge disese, lo sa(n)cto evangelista no ’l dixe» 69, «ki à tasca nì sacho nì tonega sì la debia vende e co(m)prà gladii» 73 (cf. GDLI, s.v. né n° 6). Le congiunzioni conclusive sono adoncha: «Adoncha com dixi tu k’eo te mostra lo meo Padre?» 35, «Adoncha se vu domandé mi, tolì mi» 82; doncha: «Doncha ello p(re)gava lo Padre» 65, «Vu doncha que determiné-vo de fare?» 70, «Doncha azò ke illi lo cog(no)seseno ben, ello ge feva questa domanda» 82, ecc. (15 in t.), con cui si menziona anche donca, attestato in una gerundiva («Siando donca venudo lo tempo […], sì disse lo nostro Segnor» 4); imp(er)ò: «li amaistrà ke debiano s(er)vare se(m)pre humilità, e imp(er)ò ge dè exemplo de q(ui)li ki teneno la segnoria del mondo» 12, «e p(er)zò ke ’l so fiolo fo più glorioxo e più nobile ke fosse may i(n) questo mondo, imp(er)ò no fo may core sì doloroxo» 164; i(m)p(er)ò: «Ma permodezò quello ki fii co(n)stituido pastor dela sancta Gexia debia ben se(m)pre p(ro)vedere k’el no abia falsa pietà co(n)tra li soy subiecti, […] e i(m)p(er)ò sì è necessa(r)io ke illi abiano pietà (et) humilità (con)tra q(ui)lli ke s(er)vano a Deo» 13, «Vu me clamé segnore et maistro e certo eio son bene, sì ke vu dixì bene. E i(m)p(er)ò v’ò dado questo, che se eyo ke sonto vostro segnore e maistro sì v’ò lavadi li pey a vu, cusì devì vu lavar li pey l’un l’altro» 26,149 «là onde eo vaga vu no me poỳ seguir mo. E i(m)p(er)ò ve dago un novo comandame(n)to» 32, ecc. (11 in t.); imp(er)zò: «non era remaxo se no la bocha e la lengua e lo gusto ki no fosse flagelado. Et imp(er)zò mes(er) Yesù Criste […] el domandò da beve» 171; i(m)p(er)zò: «tute [i.e. le ovre] le àn viste i(n) mi, e i(m)p(er)zò illi no àn voludo cognoscere nì mi nì lo me Padre» 45, «illi [i.e. li giò] ereno metui i(n) lo più nervoxo logo del corpo […] e i(m)p(er)zò maior dolore sentiva» 150; inp(er)ò: «Sapié k’el à abiudo odio a mi inp(ri)mam(en)te inanze k’a vu. Inp(er)ò lo mondo v’à in odio, ke vu no sì del mo(n)do» 44; onde: «Pillato pensò cusì: ‹Se Criste fosse veram(en)te re deli Zudé, questo me porave noxe›. Onde Pillato curava molte de domandare se Criste era re deli Zudé » 116, «Se q(ue)sto homo me respondesse eyo lo lassareve andare, onde perk’el no me responde sì pare k’el voya morire» 121; però: «in verità vu no sì del mondo […], e però v’à lo mondo in odio» 44, «qua(n)do Criste mandava li soy discip(u)li i(n) alcuna parte, i(n) la lor tornada illi lo basaveno. E p(er)ò Iuda dè lo segnio del baxo ali Zudé» 78; perzò: «Pillato curava molte de domandare se Criste era re deli Zudé. E p(er)zò disse Criste a Pillato: ‹Fé tu q(ue)sta doma(n)da da ti on son altri ki tel fan dire?›» 116, «eyo no ge trovo
149 In questo esempio, come in quello successivo di inp(er)ò, si potrebbe alternativamente pensare a una congiunzione causale del tipo imperò ke con separazione dei due elementi.
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alcuna caxon de zò ke vu l’acuxé, nì Herodex altersì, e p(er)zò el l’à mãdà a mi» 123, «quisti loxi no erano honesti, […] e perzò mes(er) Yesù Criste no vosse ke la soa madre […] stesse in loxi dexonesti» 141, ecc. (5 in t.); unde: «quelo che l’uno lasà l’altro compiì, unde de tuti quatro nu avemo fato una istoria» 1, «inlora imprexe san Iohane la subtilità dela divinità, unde ello sapiè dire quella marevelioxa parola» 21, «Unde nu avemo chilò un exe(m)plo» 23, ecc. (16 in t.). Si segnalano infine le locuzioni congiuntive esplicative zò è: «quando v(er)à lo mesagere lo qual mandarà lo me Padre, zò è lo Spirito de verità […], q(ue)lo darà testimonio de mi» 45, «‹Eio ferirò lo pastore e lle peccore del grezo seran disp(er)se› – zò è a dire: la unità dela fé […] serave rota e disp(er)sa» 59, «l’à ferido i(n) lo più honevre logo dela persona, zò è i(n) la fazia» 93, ecc. (13 in t.); zò era: «quelo ladro ki era crucificado dala senestra parte de Criste, zò era Gestas, sì ge dixeva i(n)iurie» 159, «quelo ladro ki era dala drigia parte de Criste, zò era Dismas, se volse i(n)v(er)so de Criste» 159, «Ora stava apresso ala croxe la madre de Criste e […] lo discip(ul)o ki era amado da Criste, zò era sancto Iohane evangelista» 162; zò fo: «’l corpo so ki [era] tragio dal’homo vedre e mortale, zò fo Adam, firave renovado possa la soa passione» 29, «un deli discip(u)li, zò fo san Pedro, no aspetà» 83, «Adam pechò i(n) l’orto, zò fo i(n) Paradixo tereno» 86, ecc. (6 in t.); nel gruppo va annoverata anche com zò sia cossa ‘infatti’: «Com zò sia cossa se illi foseno stati tutavia i(n) pei, san Iohane no porave avere reposà la testa sur lo pegio de Criste» 6.150
4.68 La subordinazione esplicita: espressione del soggetto, frasi completive, interrogative e dichiarative, che polivalente Considerando i primi cinquanta paragrafi della Passione Trivulziana, per le subordinate esplicite in cui il soggetto non sia rappresentato da un sintagma nominale o da un pronome non personale si registra l’espressione del soggetto attraverso un pronome personale nel 97% circa dei casi (158 volte), di contro a cinque omissioni: «sì com de lu è scrigio» 8, «quas diga» 8, «no volio ki sia così» 11, «avegnia no fosse ala comunion» 32, «Se starì in mi» 41:151 si conferma perciò la
150 Per tutto il paragrafo vale il riferimento a Consales (2012a, 99–109), dove si delinea la situazione in italiano antico. 151 Sono escluse dal computo le coordinate a subordinate esplicite senza cambio di soggetto e, naturalmente, le occorrenze che dipendono da una scelta editoriale nella divisione delle parole. Sono altresì esclusi due casi dove la subordinata manca di introduttore, perché si potrebbe sospettare la necessità dei due punti dopo dixe (cf. più oltre in questo stesso paragrafo): «Ora dixe
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tendenza all’espressione del soggetto nelle frasi subordinate esplicite tipica degli antichi volgari romanzi che sviluppano in processo di tempo pronomi soggetto clitici (cf. Vanelli/Renzi/Benincà 1985, 169–170; Tomasin 2004, 198–199; Wilhelm 2006, 27 e 2007, 19–21). Per quanto riguarda i diversi tipi di subordinate, mantenendo l’attenzione puntata sulle frasi con costrutto esplicito (per le relative cf. §4.44), vanno citate in primo luogo le completive soggettive, per le quali è prevalentemente impiegata la congiunzione ke 13–14, 47, ecc. (20 in t.), preceduta sia dal tipo ‘sintagma nominale o aggettivale più è’ («usanza era i(n)ter li Zudé ke qua(n)do alcun oiiva alcuna biastema sì se scarpava la soa vestime(n)ta» 105), sia da verbo impersonale («E adveniarà ke i(n) poco de te(m)po vu nom vederì» 49), sia da verbo passivo («è scrigio ke Ysach sì portava i(n) spala le legne per le que lu medesmo deva fì sacrificado» 139; cf. Dardano 2012, 148–155). In due casi si trova ki: «llo Segnore pò esse ki steva i(n) un ca(n)ton dela tavora» 16, «lo fè vestire d’una vestime(n)ta sì com era uxa(n)za ki fiva vestì li mati» 121; è attestata inoltre la forma elisa k’: «coven al postuto k’el moyra» 70, 73, 793, ecc. (16 in t.). L’alternanza tra le congiunzioni ke e ki è analogica a quella riscontrata per i pronomi relativi (cf. §4.44): su di essa ha attirato l’attenzione Vittorio Formentin (1996, 146), che ne segnala la presenza in Pietro da Barsegapè, nel lombardo nordoccidentale antico del Purgatorio di San Patrizio edito da Bertolini (1985) e nell’Anonimo genovese. Nella Passione Trivulziana la congiunzione ki si rileva anche come introduttore delle completive oggettive e in composizione nelle locuzioni congiuntive comparative segondo ki e segu(n)do ki e nella temporale tro ki, casi per cui si veda più oltre in questo stesso paragrafo e nei due successivi. Tornando alle completive soggettive, come introduttore è attestata anche la forma elisa k’: «coven al postuto k’el moyra» 70, 73, 793, ecc. (16 in t.). Anche le completive oggettive sono di preferenza introdotte da ke: «E comandava la sova leze […] ke questo agnelo devesse esse coto tuto integro e arosto in una asta» 3, «possemo crè ke illi mangiàno alcuna cossa i(n)nanze l’agnelo» 6, «In verità e’ ve digo ke uno de vu me dè traire» 7, ecc. (130 in t., più tre occ. nella grafia che: 40, 64, 101); da segnalare il caso di ripetizione della congiunzione in «Sapié ke se eyo lo voresse pregare, ke più de XII legion de angeli m’aveno i(n)contane(n)te aidare dali inimixi mei» 84 (cf. Dardano 2012, 147–148). Come per le soggettive, si registrano alcune occorrenze di ki: «de vu no volio ki sia così» 11, «No vo’ tu ki beva lo calix» 84, «Qual vorì vu de q(ui)sti du ki sia liberado, on Baraban on Yesù al qual fi digio Criste?» 124, «Qual vorì-
quando san Iohane ave visto ke Iuda deveva tradir lo so Segnor sì fo tuto stramido» 21, «Ora dixe possa ke Criste ave lavadi li pey aly soy discip(u)li, si tornò la soa vestime(n)ta i(n)dosso» 26.
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vo de q(ui)sti du ki sia liberado?» 127. Si ha inoltre la forma elisa k’ 2, 4, 92, ecc. (56 in t., più due casi di ch’: «fè questa oration a mostrare k’el era veraxe homo e ch’el sentiva deli dolori dela morte» 64, «avegnia ke li Zudé avesseno acusado Criste k’el p(re)varicava lo populo e ch’el devedava lo trabuto a Cesaro, no lo vosse examinar de q(ue)ste cosse» 115). In un caso si registra co(m): «el mostra veraxeme(n)te co(m) el era veraxe homo» 64 (cf. Dardano 2012, 121, 148). Talora si ha invece omissione della congiunzione, come in «Ora dixe quando san Iohane ave visto ke Iuda deveva tradir lo so Segnor sì fo tuto stramido» 21, «Anco(r)a dixe sì g’è altra raxon» 22, «Ora dixe possa ke Criste ave lavadi li pey aly soy discip(u)li, si tornò la soa vestime(n)ta i(n)dosso» 26, o «El se dixe qua(n)do Criste mandava li soy discip(u)li i(n) alcuna parte, i(n) la lor tornada illi lo basaveno» (benché in alcuni casi si possa forse pensare a una diversa articolazione periodale, da segnalare con i due punti dopo dixe; ma cf. i paralleli «Ora dixe k’el s’ap(ro)sima la Pasqua deli Zudei» 2, «Ora dixe ke Criste toyè lo pane e sì lo benedise» 28, e così via). Per quanto riguarda gli introduttori delle frasi interrogative indirette, oltre a pronomi e aggettivi interrogativi e agli avverbi interrogativi in funzione di congiunzioni (per cui cf. §§4.44, 4.48), si trovano se e s’: «Eyo te sconzuro da parte de Deo vivo ke tu me dige se tu é Criste fiolo de Deo» 104, «Pillato no vosse examinar Criste d’altro se no s’el era re deli Zudé» 113, «sì ’l vosse examinar pur solame(n)te s’el era re deli Zudé» 115, ecc. (10 in t.). Come frasi dichiarative (che in Dardano 2012, 142–146 e Frenguelli 2012, 316– 318 sono trattate in parte nel gruppo delle completive, in parte in quello delle causali) si classificano sia quelle in cui ke o k’ precisa un sintagma nominale: «Anco(r)a dixe sì g’è altra raxon, ke p(er) san Pedro ne fi dado a i(n)tende coloro ki s(er)vano a Deo in la vita activa» 22, «Unde nu avemo chilò un exe(m)plo ke ’l cõtemplativo non se dè intremete delle cosse corporé» 23, «ve dago un novo comandame(n)to, ke vu ve debié amar i(n)tra vu sì co(m) e’ v’ò amadi vu» 32, ecc. (12 in t.); sia quelle in cui ke o k’ illustrano un pronome neutro: «Ma tuto aven azò k’el se (com)piisca tuto zò k’è sc(ri)pto in la lor leze, ke illi me avraveno odio p(er) li s(er)vixii» 45, «De zò ke vu ve maraveié i(n)tra vu k’e’ v’ò digio ‹Un poco vu nom vederì e un altro poco vu me vederì›, in v(er)ità ve digo ke vu sospirarì» 50, «eio ve digo k’el coven k’el se co(m)pisca zò ki è sc(ri)pto de mi e zò ki àn dito li p(ro)feti, ke eyo serò reputado con li malvaxi» 73, «[O]ra s’acordeno tuti li evangelisti i(n) questo, ke quando Iuda ave recevudo li XXX dané dali p(ri)ncipi deli sacerdoti, sì ven via» 75, «q(ue)sto sì è figurado i(n) lo libro di Re, ke qua(n)do lo re Sedechia fo p(re)xo da q(ui)li de Caldea, tuti li soy cavaler fuzìn dala batalia» 85, «Tu lo dixe ke eyo son fiolo de Deo» 104, «Vu lo dixì ke eyo so(n)to fiol de Deo» 105, «Tu lo dixe ke eyo so(n)to re» 117, «ala p(er)fin sì dixisevo ke vu no ’l vorì-vo k’el fosse vostro Deo?» 133.
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Assai diffuso è il che polivalente, che si presenta nelle forme ke o k’: «eli devevano sacrificare l’agnelo e la nocte lo deveno mangiare colo pane lixo […] e mangiarlo viazamente e tuto, k’el non g’aromanisse alcuna cossa perfine ala domane» 2, «quando ello vite menar via prexo lo povero so, sì lo seguì ad exemplo de Criste, ke p(er) lo fiolo d’una dona vegia lu medesmo se dè per s(er)vo» 14, «mes(er) san Pedro fè segno a mes(er) san Iohane k’el domandasse al Segnore» 17, 20, 25, 27–28, 332, 34–35, 39, 41, 432, 492, 52, 533, 56, 572, 58–59, 62, 67–68, 722, 73, 76, 82–83, 90, 96, 992, 109, 112, 115, 119, 120, 1232, 129, 131, 133, 135, 138, 143– 144, 146–148, 152, 157–158, 163, 1692, 180–181 (64 in t.); che o ch’: «co(n)tra quilli ki àn sup(er)bia se(m)pre den esse forti e co(n)trarii, che nesũ homo ki abia sup(er)bia in lo so core no pò piaxè a Deo» 13, «E i(m)p(er)ò v’ò dado questo, che se eyo ke sonto vostro segnore e maistro sì v’ò lavadi li pey a vu, cusì devì vu lavar li pey l’un l’altro» 26, «vuy no poỳ far fructo se vu no p(er)manì in mi, che eyo sonto la vide e vu sì le rame» 40, 46, 64, 68, 73, 82, 120, 125, 130, 174, 183 (13 in t.). Si citano qui anche tre casi di frasi scisse temporali, un tipo sintattico proprio dell’area italiana (cf. Roggia 2012, 213–214): «grande tempo è k’e’ ò desidrà» 7, «ell’è ta(n)to te(m)po k’e’ son stato con vu» 35, «el era gran te(mp)o k’el aveva desidrà» 119.
4.69 La subordinazione esplicita: frasi temporali, causali, consecutive e finali Per le frasi temporali che esprimono relazione di anteriorità si hanno come locuzioni congiuntive inanze ka: «nesun altro no i(n)trà in paradixo inanze ka Criste» 161; inanze ke o inanze k’: «Tute q(ue)ste cosse ve digo inanze k’elle siano fagie» 39, «Sapié k’el à abiudo odio a mi inp(ri)mam(en)te inanze k’a vu» 44, «Padre, clarificame apresso de ti, dela clarità ke tu me dessi inanze ke ’l mondo fosse» 54, ecc. (7 in t.), anche nella variante i(n)na(n)ze ke 27, elisa i(n)nanze k’ 7. Più ampio, come in italiano antico (Bianco/Digregorio 2012, 273), il ventaglio di introduttori per le temporali di posteriorità: depoy ke: «depoy ke illi aveno fagio zò ke illi vorevano de Criste, illi curaveno pocho deli soy discip(u)li» 162 (ma sarebbe ammissibile anche un’interpretazione causale); poi ke o poy ke: «poi ke l’agnelo fo portado sì se drizó(n) i(n) pei» 6, «poy ke la ge(n)te del vesco aven vegià i(n) q(ue)lla nocte uno grande te(m)po i(n) fare multi desnuri e i(n)iurie al nostro Segnor, sì lo menò possa zò delo palaxio» 107; possa ke o possa k’: «Possa ke ’l Segnore ave amaistrà li soy discipuli ke illi aveseno se(m)pre humilità, sé ge disse» 15, «possa ke Criste ave lavadi li pey aly soy discip(u)li, si tornò la soa vestime(n)ta i(n)dosso» 26, «Possa ke li discip(u)li mangión e beven del corpo e
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del sangue del Segnior […], dixe ke […] lo nostro Segnior sì fè ali soy discip(u)li un bello s(er)mon» 32, ecc. (8 in t.); quando: «quando el ave digio k’el vosse, sì se t(ur)bò i(n) sì medesmo» 7, «Quando Iuda Scariot ave ma(n)giado quelo bochon de pan ke Criste g’ave sporto, i(n)cõtane(n)te lo diavoro ge i(n)trò intel corpo» 19, «Qua(n)do Criste ave digio a Iuda zò k’el vosse, ello sen zè i(n)co(n)tane(n)te» 20, ecc. (34 in t.), anche nelle forme quãdo: «Quãdo Criste fo cusì flagelado e [s]c[h]ernido, Pillato vene ancora de fora» 129 e qua(n): «Qua(n) Criste ave digio: ‹E’ son q(ue)lo›, quela parola fo de ta(n)ta v(er)tù ke illi caden tuti p(er) t(er)ra sì co(m) morti» 80. Per le temporali di contemporaneità si annoverano: dome(n)te k’: «Sedì zoxo kilò un pocho, dome(n)te k’e’ vago a orare un pocho» 61; p(er)fin k’: «andò dré p(er)fin k’el fo a caxa deli p(ri)ncipi deli sacerdoti» 96; quando: «el s’ap(ro)sima la Pasqua deli Zudei, quando eli devevano sacrificare l’agnelo» 2, «E quando fo l’ora de vespero sì ven lo nostro Segnor» 5, «E quando fo ora dela cena illi se lavàno le man» 6, ecc. (59 in t.), anche nella forma quãdo: «Quãdo Criste fo cusì flagelado e [s]c[h]ernido, Pillato vene ancora de fora» 129, «quãdo Criste i(n)siva fora dela cità […], alla porta erano molte done (con)gregade» 141; tanfin ke o tanfin k’: «eio no beverò vino de qu[e]sta generation tanfin k’eio beverò del novo in lo regno de· Padre meo» 29, «san Pedro e sa[n] Iohane evãgelista sì lo seguivano tanfin ke illi fon a cà del p(ri)ncepo» 88; tro ki «Criste no ge i(n)trà tro ki no ven al dì dela asension» 161. Tra le principali congiunzioni e locuzioni congiuntive causali (cf. Frenguelli 2012a, 329–337) si registrano depo’ k’: «p(er)què lo menò illi do(n)cha a caxa de A(n)na i(m)p(ri)ma, depo’ k’el era i(n)sudo fora del so rezime(n)to?» 87 (ma sarebbe ammissibile anche un’interpretazione temporale); il tipo imperò ke, attestato nelle varianti grafiche imp(er)ò ke: «E imp(er)ò ke li Zudé mangia(n) lo pan lixo con l’agnelo, la sancta Gesia sacrifica lo corpo del nostro Segnore con pan lixo» 3, «Criste no vosse revelà a san Pedro ki fosse lo traditor imp(er)ò ke […] sed elo avesse sapiudo l’avrave scarpado co(n) li denti» 22, «el era gran te(mp)o k’el aveva desidrà de vederlo, imp(er)ò ke molte maraveye el aveva oyudo dir de lu» 119, ecc. (11 in t.), i(m)p(er)ò ke 16, 37, 41, ecc. (26 in t.), i[m]p(er)ò ke 65, 91, 93, inp(er)ò ke 23, 45, 71, 163 (per il medesimo tipo la forma elisa si trova nelle varianti imp(er)ò k’ 121, 170, i(m)p[er]ò k’ 39, i(m)però k’ 14, i(m)p(er)ò k’ 473, ecc.: 19 in t., i[m]p(er)ò k’ 64, 66, inp(er)ò k’ 30); il tipo imperzò ke, attestato nelle varianti i(m)p(er)zò ke: «Ma tute queste cosse ve fara(n)o tuto p(er) lo meo nome, i(m)p(er)zò ke illi no cognoseno mi né lo meo Padre» 44, «li pey ge mixeno l’un sovra l’altro, i(m)p(er)zò ke lo legnio dela croxe era stregio» 149, inp(er)zò ke 148, inp(er)zò [ke] 45; si trovano poi perkè o perk’: «pensón, p(er)kè Iuda teniva li dané, ke ’l Segnore g’avesse comandà k’el devesse agatare alcuna cossa» 19, «’l me Padre v’ama p(er)kè vu amé mi» 52, «Criste apelò Iuda per amigo no miga
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p(er)k’el fosse so amigo segundo la v(er)ità» 77, ecc. (6 in t.);152 p(er)ò ke: «zescaun de loro spiava: ‹Su(n)to mi Segnor ke te debio tradire?›, p(er)ò ke illi credevano più al so magistro k’a loro i(n)stisi» 7, «In q(ui)sti giò sì fo zinqui grangi dolori: lo p(ri)mo sì fo p(er)ò ke illi erano [grossi] […]; lo segundo p(er)ò ke illi erano muzi […]; lo terzo p(er)ò ke illi ereno metui i(n) lo più nervoxo logo del corpo» 1503 (però k’ 1 è un’emendazione: cf. §3.1); p(er)ta(n)to k’: «Eyo vel fo menar de fora p(er)ta(n)to k’e’ volio ke vu cognosì ke eyo no lo posso iudicare» 129; perzò ke o perzò k’: «La segunda caxon per que Criste [l’apelò amigo] sì fo p(er)zò k’el deva esse amigo p(er)zò k’el era so discip(u)lo» 772, «El no è licito a nu a mete q(ui)sti dané i(n) lo texoro p(ro)pio del te(m)plo p(er)zò k’el è p(re)xio de sangue» 111, ecc. (13 in t.). Introduce una causale temporale possa k’: «Possa k’el se prosimava la festa dela Pasca, […] sì ven li Zudé a Pillato» 181. Le frasi consecutive con correlazione di tipo intensivo presentano come anticipatori nella reggente cusì: «el era cusì fievele e cusì debile, […] k’el no la podeva passare» 146, «cusì fortem(en)te lo p(re)xeno a bestirare ke tute quante le soe osse se poevano anumerare» 149; cusì e sì: «E’ ò sustenudo cotante penne cusì grevissime e sì doloroxe ke la mia vita è fenida» 177; i(n)sì: «Ma san Pedro era i(n)sì smarido, […] k’el no p(re)xe a me(n)te del galo qua(n)do el ca(n)tò» 89; sì: «Non è alcun sì vile homo, s’el fosse ferido d’alcun i(n) la masela, […] k’el no sel reputasse p(er) i(n)iuria gra(n)de e k’el no se pensasse de svengiarse s’el poese» 92, «no è femina nesuna de sì vile (con)ditio(n), s’ela vedesse un so fiolo cusì flagelado […], k’ela no avesse stragra(n)dissimo dolore» 143, «abondiava lo sangue sì forte ke quele tre piage parivano tre fontane de sa(n)gue» 151, «i(n)ficàn la croxe i(n) terra sì forte ke no la podesse cadere, et era sì alta ke da tuta zente se podeva vedere» 1532, ta(n)to (e ta(n)ta avverbiale): la tavora «era quadra (et) era ta(n)ta larga ke a’ y poevano stare i(n) acadun lado tri discip(u)li» 16 (cf. §4.46), «illora ven san Iohane e sì pregò ta(n)to q(ue)lla femina ostiaria ki steva ala porta ke lassò i(n)trar san Pedro» 88. Si hanno inoltre una consecutiva con correlazione di tipo valutativo, con l’anticipatore sì legato al verbo fare («fa’ sì ke illi siano tuti una cossa i(n)sema» 58) e una di tipo modale, anticipata da i(n) tal mainera: «si lo me regno fosse i(n) questo mondo, li mey s(er)vi sì co(m)bateraveno i(n) tal mainera p(er) mi ke eyo no stareve ligado ki». Le consecutive senza correlazione nella reggente sono introdotte da sì ke o sì k’: «la squela dala salza […] era i(n) mezo la tavora […], sì ke cadun de loro poeva ben mete la man in q[ue]la squela» 16, «Vu me clamé segnore et maistro e certo eio son bene, sì ke vu dixì bene» 26, «zamay in soa vita no stete quax senza lagrime, sì k’el covene k’el portasse (con)tinuame(n)te un suda(r)io p(er) sugàsse
152 Su perquè avverbio interrogativo cf. §§4.23, 4.48.
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li ogii» 100, ecc. (9 in t.), oppure dal semplice ke o k’, sempre in dipendenza da fare: «fa’ ke tu sii intra loro quasi sì co(m) so inguale» 12, «fa’ k’el strapassa via questo calix da mi» 63, «se far se pò co(n) salvation deli Zudé k’el se salva l’umana generation, ello voreva schivar la passion» 65 (cf. Frenguelli 2012b, 348– 356). Nelle frasi finali (su cui cf. D’Arienzo/Frenguelli 2012, 369–374) ricorrono le congiunzioni e locuzioni congiuntive azò: «Vu no avỳ elegio mi, ma eio sì ò elegi vu, azò vu andé e fazé fructo» 43; azò ke o azò k’: «permodezò quello ki fii co(n)stituido pastor dela sancta Gexia debia ben se(m)pre p(ro)vedere k’el no abia falsa pietà co(n)tra li soy subiecti, sì com ave Heli prevede co(n)tra li fioly, azò k’el no p(er)isca sì com p(er)iti Heli co(n) li fioli soy, e i(m)p(er)ò sì è necessa(r)io ke illi abiano pietà (et) humilità (con)tra q(ui)lli ke s(er)vano a Deo» 13, «ki ama humilità sì è iusto e aceptao da Deo, azò ke da tuta gente el sia honorado e s(er)vido» 13, «eio so q(ui)lli ki ò elegi, azò k’el se co[m]pisca la scriptura» 27, ecc. (55 in t.), che si presenta anche in due casi con ripetizione di ke quando tra congiunzione e verbo si intromette una subordinata esplicita: «Quel k’el predisse ala cena dela sova passion e tradizon no fo altro se no a dar logo de penitentia alo traditore, azò ke quando Iuda avesse intexo ke Criste sa tuti li soi penseri e llo oculto conselio ke contra luy aveva fagio, k’el se devesse pentir de zò k’elo aveva pensado» 8, «[predisse lo logo dela sova] resurection, azò ke sì co(m) illi avraveno t(ri)steza i(n) vedere la sova passion, ke altersì aveseno alegreza in vedere la sova gloriosa resurection» 60; perkè (col congiuntivo): «zò sia perkè lo mondo cog(no)sca ke tu [me] mandessi» 58, «Criste no feva questa domanda p(er)kè el no savese ben ke illi doma(n)daveno, anze lo feva p(er)kè illi lo deveseno cognosce» 822; permodezò: «Ma permodezò quello ki fii co(n)stituido pastor dela sancta Gexia debia ben se(m)pre p(ro)vedere k’el no abia falsa pietà co(n)tra li soy subiecti, […] e i(m)p(er)ò sì è necessa(r)io ke illi abiano pietà (et) humilità (con)tra q(ui)lli ke s(er)vano a Deo» 13; p(er)tanto ke (col congiuntivo): «eio vago p(er) aparegàve lo logo, p(er)tanto ke là onde eio so(n)to e vu sié» 34, «Tute q(ue)ste cosse ve digo inanze k’elle siano fagie, p(er)tanto ke vu le credì quando elle serane fagie» 39, «Zò digo p(er)tanto ke ’l meo godio sia in vu» 42, ecc. (8 in t.), più p(er)ta(n)to [ke]: «’l pre(n)cepo de questo mondo sì è venudo i(n)co(n)tra de mi, ma ello no à alcuna caxon i(n) mi, ma p(er)ta(n)to [ke] cognosca lo mondo k’eyo amo lo me Pad(r)e e segundo lo comandame(n)to del me Padre eyo fazo» 39 (con la principale ‘ciò accade’ sottintesa).
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4.70 La subordinazione esplicita: frasi concessive, comparative, avversative, limitative e condizionali Si hanno frasi concessive con avegnia: «Possa ke li discip(u)li mangión e beven del corpo e del sangue del Segnior e Iuda altersì, avegnia no fosse ala comunion segundo l’opinion de alcun doctore, dixe ke […] lo nostro Segnior sì fè ali soy discip(u)li un bello s(er)mon» 32; avegnia ke: «E avegnia ke li Zudé avesseno acusado Criste k’el p(re)varicava lo populo e ch’el devedava lo trabuto a Cesaro, no lo vosse examinar de q(ue)ste cosse» 115; co(n) tuto zò ke, sia con il congiuntivo sia con l’indicativo: «co(n) tuto zò ke illi avevano lanterne e fanzele e co(n) tuto zò ke Iuda g’avese dato lo segnio del baxo, ampoy illi no ’l cognosevano» 822; qua(m)visdé k’: «La segunda caxon per que Criste [l’apelò amigo] sì fo p(er)zò k’el deva esse amigo p(er)zò k’el era so discip(u)lo, qua(m)visdé k’el fosse deventado so inimigo», «eyo sonto aparegiado e co(n)te(n)to a recevete p(er) amigo e p(er) discip(u)lo, qua(m)visdé ke tu m’abii ta(n)to ofexo» 772; tuto zò ke con l’indicativo: «Rexpoxeno li Zudé: ‹El no è licito ulcir alcun›, e devì i(n)tende k’è i(n) q(ui)sti dì dela festa, tuto zò ke à d’aven[ir] azò k’el se (com)piise la sc(ri)pt(ur)a» 114 (cf. Consales 2012b). Nelle frasi comparative di analogia il tipo secondo che è sempre impiegato, tranne in un’occorrenza (con segundo k’: «segundo k’era ali Zudé a sepelir li corpi» 186), per rinviare in maniera formulare alle fonti del racconto; si trovano le forme segondo ke: «segondo ke nu trovamo sc(ri)pto p(er) li doctori» 69, «segondo ke [se] trova scrigio in l’istorie deli sancti» 139; segondo ki: «segondo ki se trova i(n) lo libro del’Istorie» 128, «segondo ki dixe li sancti» 147; segundo ke : «segundo ke fy cantao i(n) un libro ke fi digio Ysodo» 3, «segu(n)do ke dixe li sancti» 23; segu(n)do ki: «segu(n)do ki dixe sancto Augustin» 22, «segu(n)do ki dixe coloro ki l’àn veduo» 24, «segundo ki dixeno coloro ki l’àn veduda» 107. Per il resto, si trova la congiunzione com, per lo più irrelata, ma a volte con antecedente nella reggente: «sì co(m) lo me Padre la dona a mi, cusì la dono a vu» 39, «cussì co(m) la rama no pò far fructo p(er) sì medesmo […], cusì vuy no poỳ far fructo» 40, «Sì com lo me Padre m’à amado, cusì eyo amo vu» 42, «cusì com tu me mandessi il mondo, e cusì eio li mando il mondo» 57, «azò ke sì co(m) illi avraveno t(ri)steza […], k’e’ altersì aveseno alegreza» 60, «el era tal com el ge feva bexognio» 139, «Sì co(m) lo fiolo d’un possente ke sustenisse grande pena […] sì dirave: ‹Lo padre me sì m’à abandonà›, cusì fo de Criste» 174, più, se l’integrazione congetturale è corretta, «Sì co(m) lo Segnior vosse predire ali soy discip(u)li lo logo dela sova [passion, cusì predisse lo logo dela sova] resurection» 60. Per quanto riguarda l’aspetto della congiunzione, in tre casi com compare in forma semplice («L’un modo stagand i asetai com e’ ò digio» 6, «p(er) no dar caxon ali Zudé de peccar più com illi aven peccado» 120, «el era tal com el ge feva
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bexognio» 139), in un caso è unita a altersì («illi no ìn del mondo altersì com eio no son del mondo» 57), in un altro a cusì («cusì com tu me mandessi il mondo, e cusì eio li mando il mondo» 57), altrimenti è sempre preceduta da sì: «Li duy discip(u)li andón (et) trovón sì com lo Segnor g’aveva digio» 5, «llo filio del’omo sì va sì com de lu è scrigio» 8, «quilli ke desidrano de seguir lo exe(m)plo delo Re et(er)nal in omia modo den mostrar humilità ali soy subiecti, sì co(m) dixe Salomon» 12, ecc. (32 in t.). Per le comparative di analogia ipotetiche si trovano co(m) (preceduta da sì): «sì co(m) el fosse de gladio ferido sì mise la testa a reposare sul pegio de Criste» 21, «Vu sì venudi a mi sì co(m) eyo fosse un ladro» 85; com se e co(m) s’: «maior amor no pò esse i(n) alcun co(m) s’el dà l’anima soa p(er) li amixi soy» 42, «illi no se movén più a co(m)pasion de lu, com se illi fosseno s(er)penti venenuxi» 130; quas e quax, sempre nelle formule quax diga o quax voya dire: «‹bo(n) p(er) lu s’el no fosse nado q(ue)llo homo›, quas diga meyo fosse a no esse nado» 8, «Iuda […] vene oltra denanze da loro quando ello baxò Criste, quax voya dire: ‹Eyo no sonto con quela ge(n)te armada›» 78, «‹Torna lo gladio alo logo so. No vo’ tu ki beva lo calix ki m’à dado lo me Padre?›, quax diga: ‹Cesemo dela svengianza›» 84, ecc. (16 in t.). La congiunzione com introduce anche le comparative di uguaglianza: «No respondi tu a cota(n)te acuxation (com) q(ui)sti te dixeno?» 103, «el no fo may madre ke ta(n)to amasse un so fiolo co(m) fè la v(er)gene Maria» 163, «no fo may core sì doloroxo co(m) fo lo core dela v(er)gene Maria» 164, «el no fo may creat(ur)a ke ta(n)te passion sustenisse nì ta(n)ti dolori com susten mes(er) Yesù Criste» 165; per le comparative di ineguaglianza si hanno ke: «lo manifestò a san Iohane, sì co(m) a p(er)sona k’el amava più singularmente ke tuti li altri» 17, «li Zudé avraveno a(n)cora digio più peccado co(n)tra Criste ke illi no avevano digio dena(n)ze» 120, «’l so fiolo fo più glorioxo e più nobile ke fosse may i(n) questo mondo» 164, «el sustene più passion ke no sustene may nesuna creatura vivente» 173; ka: «el no pò lasa(r) maior cossa, nì più cara, nì più dolze, nì più utel ka sì medesmo» 30, «le ovre k’eo fazo ello le farà, e ancora maior ka q(ue)lle k’e’ fazo» 36, «q(ui)lli ki m’àn dado i(n) le to man sì àn maior peccado ka ti» 132, «’l so fiolo fo più glorioxo e più nobile ka fiolo ke may fosse» 164; k’: «illi credevano più al so magistro k’a loro i(n)stisi» 7, «quas diga meyo fosse a no esse nado k’a esse nado p(er) esse reo p(er) luy» 8 (cf. Pelo 2012). Non troppo distanti dalle comparative sono le subordinate avversative introdotte da inanze ke («Segnor inanze ke zò sia, no solame(n)te me lave li pey, ina(n)ze me lava le mane e ’l chò e tuto qua(n)to» 25) e i(n)a(n)ze… ka («eyo alezo i(n)a(n)ze de morire, azò ke le anime […] siano salve, ka ke eyo schiva la morte s’elle den esse dampnade») 71. Per le frasi limitative si registrano le congiunzioni e locuzioni congiuntive in quanto: «In qua(n)to Pillato no vosse examinar Criste d’altro […] sì se pò notar la
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lor malitia» 113, «In quanto el sentiva lo dolore, el mostrà k’el era veraxe homo» 173, «in quanto el cridava fortemente co(n)tra natura deli altri homini, […] sì mostrà k’el era veraxe Deo» 173, «in quanto el era homo, el sustene più passion ke no sustene may nesuna creatura vivente» 173, «in quanto el dixe: ‹Deo meo, perquè m’é tu abandonà?›, ello no se lumentò de Deo» 175, salvo k’: «un zovene ki era so discip[u]lo sì veniva pox lu e no aveva alcuna vesta i(n)doso, salvo k’el era i(n)volupado i(n) un lenzolo» 95; s’el no fo: «traseno tuti la man indré, s’el no fo Iuda ki la reten» 9; se no: «In qua(n)to Pillato no vosse examinar Criste d’altro se no s’el era re deli Zudé, sì se pò notar la lor malitia» 113. Le frasi condizionali (su cui cf. Colella 2012) sono introdotte da se, sed o sse (cf. §§4.32, 4.34): «se illi foseno stati tutavia i(n) pei, san Iohane no porave avere reposà la testa sur lo pegio de Criste» 6, «Se ’l povero te (con)stituisse duxo no te exaltare» 12, «sed elo avesse sapiudo l’avrave scarpado co(n) li denti» 22, ecc. (43 in t.) e da si o ssi: «ssi per avent(ur)a alcuna cossa gen romanisse, illi lo devano brusare in lo fogo» 2, «si illi àn p(er)seguido mi, illi p(er)seguiran anche vu» 44, «si lo me regno fosse i(n) questo mondo, li mey s(er)vi sì co(m)bateraveno» 117; si trova inoltre la forma elisa s’: «bo(n) p(er) lu s’el no fosse nado q(ue)llo homo» 8, «è necesario ke illi metano le soe anime p(er) li soy subiecti, s’el farà besognio» 14, «la rama no pò far fructo p(er) sì medesmo s’el no p(er)man i(n) la vide» 40, ecc. (27 in t.). In un caso la protasi non ha introduttore: «cusì fosse, el no se compiirave le sc(ri)pture e li digi deli p(ro)feti» 84; da segnalare infine l’uso isolato di ke introduttore di apodosi al condizionale composto: «E sse eio no avesse fagio le ovre i(n) loro le que alcun homo no porave aver fagie, ke illi no avraveno peccado» 45. Per quanto riguarda l’uso di modi e tempi, considerando sempre l’ordine protasi-apodosi si registrano le combinazioni ind. pres. e ind. pres.: «se nu no possemo dire ben sì devemo taxere» 91; ind. pres. e ind. impf.: «se far se pò co(n) salvation deli Zudé […], ello voreva schivar la passion» 65; ind. pres. e ind. fut.: «se eyo men vago, eio vel mandarò» 47; ind. pres. e cong. pres. (esortativo): «s’el pò esse ke questo kalix strapassa da mi, ke eyo no ’l beva» 67; ind. pres. e cong. impf. (nell’indiretto libero): «Doncha ello p(re)gava lo Padre: […] se li Zudé deveno esse acegadi e dampnadi […], sì fosse fagia alla volontà del Padre» 65; ind. pres. e impt.: «se vu domandé mi, tolì mi» 82; ind. impf. e ind. pres.: «Non è maraveya se ’l so dolo(r)e era i(m)portabile» 143; ind. impf. e ind. impf. (in frase dipendente): «quanto el feva per aiar Criste no zoava ma maiorm(en)te noxeva, ke lo populo se levava a rumor se Criste a morte no se(n)tenziava» 135; ind. impf. e cond. semplice (in frase dipendente): «illi pensaveno ke illi maculeraveno la lor festa se i(n) q(ui)lli dì dela Pascha illi i(n)traveno i(n) caxa d’alcun pagan» 112; ind. passato composto e ind. pres.: «se eyo ke sonto vostro segnore e maistro sì v’ò lavadi li pey a vu, cusì devì vu lavar li pey l’un l’altro» 27; ind. fut. e ind. fut.:
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«achadun cognoserà ke vuy sì mei discipuli, se vu ve amarì i(n)tra vuy» 32; ind. fut. e cong. pres. (in frase dipendente): «è necesario ke illi metano le soe anime p(er) li soy subiecti, s’el farà besognio» 14;153 cong. impf. e ind. fut.: «Segnore, se tuti li altri t’abandonaseno, eio no t’abandonarò i(n) alcun modo» 60, cong. impf. e cong. impf. (in frase dipendente): «Non è alcun sì vile homo […] k’el no se pensasse de svengiarse s’el poese» 92; cong. impf. e cond. semplice: «Se vui fusi del mondo v’amerave sì com soa cossa» 44; cong. impf. e impt.: «Se ’l povero te (con)stituisse duxo no te exaltare» 12; cong. impf. e ellissi del verbo: «bo(n) p(er) lu s’el no fosse nado q(ue)llo homo» 8; cong. trapassato e ind. impf.: «Deo Padre lo podeva ben liberare de quelle pene s’el avesse voyudo» 174; cong. trapassato e cond. semplice: «Se Criste p(er) lo so digio fosse desendù zò dela croxe la v(er)tù dela patie(n)tia no serave adovrada» 158; cong. trapassato e cond. composto: «s’el avesse respoxo ad Herodex, Herodex l’avrave liberado» 120.
4.71 Paraipotassi I casi di paraipotassi attestati presentano tutti la congiunzione e come introduttore della frase principale (per una rassegna degli studi sull’argomento cf. De Caprio 2010). Con prolessi di subordinata esplicita si trovano: «Se vu me amarì e s(er)varì lo meo coma(n)damento, e eio pregarò lo meo Padre» 37, «In quel dé ke vu domandarì i(n) lo me nome alo me Padre, e eyo lo pregarò» 52, «Quando Iuda ave basado Criste e quela ge(n)te armada fo i(n)lò, e Criste vene i(n)v(er)so de loro» 80; a questi esempi se ne aggiungono altri in cui la congiunzione coordinante che introduce la frase reggente riprende un’altra e precedente la subordinata prolettica: «e, spiando l’un l’altro de ki el podeva dire, e zescaun de loro spiava» 7, «(et) i(m)p(er)ò ke eyo vivo, e vu viverì» 37, «E q(ui)lli rami ke eyo p(er)manirò in loro, e q(ui)lli faran molto fructo» 41, «e cusì com tu me mandessi il mondo, e cusì eio li mando il mondo» 57, «e quando Longino ave la ponta dela lanza per mezo lo costado de Criste, et ello la inspenzè oltra per grande forsa segundo tuto so poè» 182, cui si aggiunge, con subordinata implicita, «e, spiando l’un l’altro de ki el podeva dire, e zescaun de loro spiava» 7 (cf. Mazzoleni 2011).154
153 Per le protasi all’indicativo, è da segnalare pure il caso di doppia protasi con ind. pres. e fut. e apodosi con ind. fut.: «Se vu savì queste cosse, e vuy li obs(er)varì, sì serì beay» 27. 154 A parte andrà considerato il caso seguente, in cui la frase reggente è costituita non da una principale o da una coordinata a una principale, ma da una subordinata causale: «Questa fo la segunda parola ki disse Criste sur la croxe, e fo parola de grande pietà e de grande mis(er)icordia e de grande speranza ali peccaturi, imp(er)ò ke quelo k’era se(m)pre stado ladro e p(er) le male ovre k’el aveva fagio era crucificado, e p(er) una parola de co(n)trition k’el disse sé fo salvo» 160.
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Si ha paraipotassi con prolessi di subordinata implicita in «Partito l’angelo, e ’l Segnor tornò aly soy discip(u)li» 72 e, verosimilmente, in «Ora, abiando digio lo nostro Segnore k’el deveva esse tradido da un deli soy discip(u)li, e no disse da quale» 17, «Staga(n)do li s(er)vi e li ministri al fogo, e se scoldaveno i(m)p(er)ò k’el era fregio» 89, «Staga(n)do san Pedro co(n) li ministri de fora a un fogo ki era ap(re)xo de soto dal palaxio, e sì se scoldava» 97. L’ipotesi che negli ultimi tre esempi si debba pensare a paraipotassi piuttosto che a espressione del pronome personale soggetto di 3a e 6a pers. e’ è sostenuta da tre pezze d’appoggio: per un verso, le scarse e dubbie attestazioni di tale tipo pronominale all’interno del testo (cf. §4.38); per un altro, l’osservazione di Palermo (1997, 145) secondo cui in italiano antico i casi di paraipotassi con protasi di tipo participiale o gerundivo presentano spesso un’apodosi senza pronome personale soggetto (ciò che è invece più raro con protasi esplicita, «anche quando protasi e apodosi condividono il soggetto»); infine, pesa il fatto che nella Passione Trivulziana l’esplicitazione in frase principale in apodosi del pronome soggetto coreferente al soggetto nominale o pronominale espresso nella subordinata implicita prolettica si registri in soli tre casi («E orando lo nostro Segnior, p(er) grande angusti[a] k’el aveva, el strasudò tuto» 68, «E portando lo nostro Segnor lo legnio dela croxe in spalla, el era cusì fievele» 146, «Vezando loro ke Helia no venia, in quela fiada illi ge sporzén ala bocha fere e axé» 176), di contro a otto esempi di omissione: «cenando lo nostro Segnore con li soy discip(u)li, infra le altre parole sì disse cosỳ» 7, «voya (n)do lo nostro Segniore mete fin ali sac(ri)fitii del vedro testame(n)to e come(n)zare del novo, sì fè de sì medesmo veraxe e novo sacrifitio» 28, «pensando sovra zò l’anima devotamente, tuta se devrave i(n)fiamà» 30, «Ora veniando lo traditor de Iuda con questa gente armada, sì ge disse cusì» 76, «Veza(n)do Herodex ke Criste no ge respo(n)deva, sì lo desp(re)xiò» 121, «Voiando Pillà satisfare al populo, sì ge mixe p(en)a» 124, «Menando lor lo nostro Segnor a crucificare, sì pasàn per quela via» 139, «sapiando Criste ke omia cossa era consumada, azò k’el fosse co(m)piido la scriptura sì disse» 168. È una situazione che si ripete, seppure in proporzioni meno nette, nel caso di subordinate prolettiche con costrutto esplicito: per un verso, si hanno 20 esempi in cui compare nella principale in apodosi un pronome personale soggetto coreferente con il pronome o il sintagma nominale soggetto della dipendente in protasi,155
155 Cf. «E sse vu cognoserì mi, vu cognoserì anche lo me Padre» 35, «Se vu amesse-vo mi certamente vu ve alegrarisse-vo» 39, «si illi àn p(er)seguido mi, illi p(er)seguiran anche vu, e se illi guardaran ala mia parola, illi guardaran ala vostra» 442, «E quando ello venierà, el reprenderà lo mondo de iustixia» 47, «quando venierà quel Spirito de verità, ello ve inseniarà tuta la verità» 48, «E quando eio era con sego, i’ lli (con)s(er)vava i(n) lo to nome» 56, «E qua(n)do Criste fo inlò, sì disse aly soy discip(u)li» 61, «Ora quando li Zudé aveno menado Criste a caxa de Pillato, illi no
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per l’altro, si contano 33 casi di omissione.156 Il quadro riflette piuttosto fedelmente la notazione di Palermo (1997, 147), avanzata a riguardo dell’italiano antico, secondo cui la protasi con soggetto coreferente inibisce al massimo grado l’espli-
voseno i(n)trar de(n)tro» 112, «s’el vore morire do(n)cha è-’l mato» 121, «Quando li p(ri)ncipi deli sacerdoti e li soy ministri aveno vedù Criste sì flagelado e vitup(er)ado, illi no se movén più a co(m)pasion de lu» 130, «Se tu lassi andar q(ue)sto homo tu no ey amigo de Cesaro» 132, «E possa ke illi aveno destexo Criste sula croxe, illi toyéno giò longi» 149, «In quanto el sentiva lo dolore, el mostrà k’el era veraxe homo» 173, «s’el era veraxe Deo, com era-’lo doncha abandonà da Deo» 173, «in quanto el era homo, el sustene più passion» 173, «Doncha in quanto el dixe: ‹Deo meo, perquè m’é tu abandonà?›, ello no se lumentò de Deo» 175, «Quando li cavaleri de Pillato oiìno ke Criste cridava ‹Hely, Hely›, illi criteno k’el giamasse Helia» 176, con cui si contano anche «quando v(er)à lo mesagere lo qual mandarà lo me Padre, zò è lo Spirito de verità lo qual procedarà dal me Padre, q(ue)lo darà testimonio de mi» 45, dove il soggetto della principale è un pronome dimostrativo invece che personale; «Que faremo de Yesù al qua fi digio Criste? In lo qual e’ no trovo caxon de morte i(n) lu, unde eyo lo castigarò» 127, con struttura eslege. 156 Cf. «quando el ave digio k’el vosse, sì se t(ur)bò i(n) sì medesmo» 7, «Quando li discipuli ogìne q(ue)la novela, sì fon contristati» 9, «Possa ke ’l Segnore ave amaistrà li soy discipuli ke illi aveseno se(m)pre humilità, sé ge disse» 15, «Se vu savì queste cosse, e vuy li obs(er)varì, sì serì beay» 26, «Quando el ave digio zò, sì disse ali soy discip(u)li» 34, «Se vu s(er)varì li mey comandame(n)ti sì p(er)manerì i(n) lo meo amore» 42, «possa k’ela à parturido no aregorda più del dolore» 50, «Quando Criste ave digio sì, levò li ogii al cello» 54, «Quando lo Seg(n)or fo pasado que[l] flume, sì i(n)trà con li soy discip(u)li i(n) uno orto» 74, «qua(n)do Iuda fo ap(ro)vo de Criste, sì lo saludò» 76, «Quando Iuda ave saludà Criste, sì zè a lu» 78, «Quando li discip(u)li viteno ke illi l’avevano piado, sì disseno a Criste» 83, «qua(n)do fimo doma(n)day d’alcun, se nu ne possemo ben sì lo demo dire, e se nu no possemo dire ben sì devemo taxere» 912, «Mo i(m)p(er)ò ke A(n)na no rezeva lo pove(r)o i(n) quello a(n)no no se vosse i(n)tromete de Criste» 95, «E quando san Pedro si fo aregordado, sì i(n)site de fora» 100, «Ora poy ke la ge(n)te del vesco aven vegià i(n) q(ue)lla nocte uno grande te(m)po i(n) fare multi desnuri e i(n)iurie al nostro Segnor, sì lo menò possa zò delo palaxio» 107, «quando illi insivano de fora dela caxa de Cayfax, sì g’andaven dré» 108, «qua(n)do Pillato seppe ke Criste era galileo, sì ’l mandò ad Herodex» 119, «E quando Herodex ave vedù Yesù Criste, sì fo molte alegro» 119, «sì com p(er) la femina e p(er) la soa ovra lo diavolo portò i(m)p(ri)mam(en)te la morte i(n) lo mondo, cusì simia(n)teme(n)te i(n) tal modo p(er) la femina vosse liberar Criste de man deli Zudé» 126, «E qua(n)do Pillato ave i(n)texo la muliere, zò k’ela ge mãdava a dire, sì disse a(n)cora ali Zudé» 127, «E possa ke illi l’aveno batù cusì, sì lo desligón dala colonia» 127, «Quando Pillato ave oyudo zò, ancora ave mayor pagura de ulzirlo» 131, «Quando Pillato ave oiudo queste parole, sì fè menar Criste de fora del palaxio» 134, «E qua(n)do e’ l’aveno inschergniido e beffado al so tale(n)to, sì ge despoión la vestim(en)ta dela porpora» 138, «E qua(n)do el fo crucificado, sì recevè lo so ornam(en)to» 138, «Quando illi g’aveno tornade le so vestim(en)te indosso, sì ge butàn una soga i(n) colo» 138, «Quando illi fon al monte Calvario, sì despolión lo nostro Segnor dele soe vestime(n)te» 149, «s’ell’è re deli Zudé sì desenda zò de là» 157, «in quanto el cridava fortemente co(n)tra natura deli altri homini, […] sì mostrà k’el era veraxe Deo» 173, «Quando Criste de q(ue)lla poxon un pocho ave asazado, no vosse più beve» 176, «quando illi fon a Criste per far lo someliante, sì trovón k’el era zà morto» 181.
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4 Analisi linguistica
citazione del pronome soggetto in apodosi quando essa è «una subordinata implicita con un soggetto nominale o pronominale espresso» (la scala digradante contempla poi «una subordinata esplicita con un soggetto nominale o pronominale espresso»; «una subordinata implicita senza soggetto espresso»; «una subordinata esplicita senza soggetto espresso»). È da notare che il quadro offerto dalla Passione Trivulziana pare distanziarsi da quello degli antichi testi veneti, dove le percentuali di espressione del pronome soggetto nelle condizioni qui in esame sembrano assai più consistenti (Benincà 1983, 189; Andreose 1999, 106–107; Bertoletti 2009, 62).
5 Glossario Si raccoglie il lessico più rilevante della Passione Trivulziana. Come d’uso, i verbi sono lemmatizzati all’infinito, i sostantivi al sg., gli aggettivi al m. sg.; in mancanza dell’attestazione di tali forme, si ricostruiscono gli infiniti verbali in veste non apocopata e preceduta da asterisco, mentre i sostantivi possono essere registrati anche al pl., gli aggettivi al m. pl. o al f. L’elenco segue l’ordine alfabetico, con l’avvertenza che ‹h› conta solo quando segua ‹c› davanti a vocale palatale, ‹k› vale ‹c›, ‹x› vale ‹s› e ‹y› vale ‹i›. Come entrata si adopera la forma grafica e fonetica con il maggior numero di occorrenze o, a parità di attestazioni, la prima che compare nel testo (a meno che sia elisa o presenti pronomi in enclisi). Le varianti sono elencate nel corpo della voce; qualora esse risulterebbero distanti nella successione alfabetica, compaiono anche come entrate, con rinvio al lemma principale. Le abbreviazioni sono sciolte secondo gli stessi criteri usati nell’analisi linguistica (cf. §4.1). Per quanto riguarda la struttura delle voci, di norma all’entrata seguono la classificazione grammaticale e la definizione tra apici (omessa per i verbi particolari del §4.62 – tranne andare, fì, savè – e qualora risulti ovvia); una linea ondulata orizzontale (~) introduce l’elenco delle forme e delle occorrenze, quest’ultime indicate secondo i criteri esposti nella prima nota al §4.1 e seguite, ogni volta che sia parso opportuno, dalla menzione del contesto racchiusa tra tonde; se si distinguono più accezioni, queste vengono numerate e seguono l’elenco delle forme dopo un punto fermo. Qualora sia opportuno, dopo due sbarre verticali (||) si trovano l’esplicitazione dell’etimo, i rinvii ad altri lemmi o all’analisi linguistica, le citazioni della bibliografia pertinente (tra cui si annoverano sempre, quando registrino i lemmi o le forme in questione, GAVI, LEI e TLIO) e le annotazioni del caso. Abarimatia: sost. f. ‘Arimatea’ ∼ 185 («vene Iosepo de A.») || Da AB A RIMATHAEA , con concrezione della preposizione; cf. Dardano (1992, 185: Abaramattia); Donadello (1994, 183–184: Abaramatia; 186, 207: Abarimatia), Gambino (1999, 291: Abaramatia); Cignoni (2005, 85: Abarimactina); Gambino (2007, 181, 298, 375: Abarimathia); Pellegrini (2012a, 55: Barimatia; cf. inoltre 99 n. 202 per altra bibliografia pertinente). *abondiare: vb. ‘fluire copiosamente’ ∼ ind. impf. 3a pers. abondiava 151 («a. lo sangue sì forte ke quele tre piage parivano tre fontane de sa(n)gue») || Cf. §4.34; GAVI, vol. 18/1, 165; TLIO, s.v. abbondare n° 2; Seifert (1886, 2). acadun: agg. e pron. indef. ‘ciascuno’ ∼ 16, achadun 32 || Cf. §§4.34, 4.46.
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5 Glossario
*acasonare: vb. ‘accusare’ ∼ part. pass. m. sg. acasonado 89 («l’aveva a. k’el era discip(u)lo de Criste») || Derivato dal sost. lat. volg. *ACCASIONE ( M ) , per il classico OCCASIONE ( M ) (DEI, s.v. accagione); cf. GAVI, vol. 18/1, 281 (acasonao in Bonvesin); TLIO, s.v. accagionare; Salvioni (1898, 271); Marri (1977, s.v. acasonar). *acegare: vb. ‘accecare’ ∼ part. pass. m. pl. acegadi 65 («li Zudé deveno esse a. e dampnadi»). acepto: prep. ‘eccetto’ ∼ 56. acognoscere: vb. ∼ 15, acognose 58; part. pass. m. sg. acognosudo 35, 82, 96. 1 ‘apprendere’ 15 («Quilò possomo acognoscere ke…»), 58 («ò fagio acognose lo to nome»); 2 ‘avere consapevolezza delle qualità interiori di qlcn., identificare qlcn.’ 35 («Ell’è ta(n)to te(m)po k’e’ son stato con vu e no m’avỳ acognosudo, Filipo?»), 82 («no l’avraveno acog(no)sudo, s’el no fosse stado de soa voluntà»), 96 («san Pedro sì seguiva Criste pure da lonze, k’el no fosse acognosudo») || Da AD - e COGNOSCERE ; cf. più avanti cognoscere; GAVI, vol. 18/ 2, 6–8; TLIO, s.v. acconoscere; Salvioni (1898, 271); Wilhelm (2006, 83). *acoiere: vb. ‘cogliere’ ∼ part. pass. m. pl. acolegi 41 («q(ui)lli rami ki no staran in mi […] seran a. e butai indel fogo») || Cf. GAVI, vol. 18/1, 382–384; LEI, vol. 1, 295;1 TLIO, s.v. accogliere; Salvioni (1898, 271). *aconfortare: vb. ‘incoraggiare’ ∼ ind. perf. 3a pers. aconfortò 68 («l’a. e sì ge disse: ‹Vaten segurame(n)te›») || Cf. più avanti *confortare; il TLIO, s.v. acconfortare, riporta un’unica altra attestazione del verbo, usato pronominalmente, dall’Esopo veneto: «ell’è licita cossa asperare e aconfortarse»; il passo tuttavia è dubbio, perché si tratterà, senz’altro nel caso di asperare e probabilmente anche in quello di aconfortarse (entrambe attestazioni uniche), di infiniti soggetti di una costruzione copulare introdotti da a (cf. Egerland/Cennamo 2010, 827). actore: sost. m. ‘originatore’ ∼ 136 («a. de vita et(er)na») || Cf. GAVI, vol. 18/12, 87– 88; TLIO, s.v. attore.
1 Quando nel LEI sono registrate forme del milanese antico – in cui si comprende il Sermone di Pietro da Barsegapè – ci si limita al semplice rinvio (a meno che, accanto alla forma o alle forme milanesi, si intenda segnalarne altre); altrimenti si specifica la varietà presa a riferimento.
5 Glossario
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*adorare: vb. ‘pregare’ ∼ impt. 5a pers. adoré 66 («Vegié e sì a.») || Cf. LEI, vol. 1, 792; TLIO, s.v. adorare. *adovrare: vb. ∼ ind. pres. 3a pers. se dovra 23; part. pass. f. sg. adovrada 158. 1 trans. ‘impiegare’ 158 («la v(er)tù dela patie(n)tia no serave adovrada»); 2 rifl. ‘affaccendarsi’ 23 («lo co(n)templativo […] se dovra i(n) la utilità del prossimo»). agatare: vb. ∼ 19, agatàne 111; ind. pres. 5a pers. agaté 129. 1 ‘comprare’ 19 («agatare alcuna cossa»), 111 («agatàne un ca(m)po»); 2 ‘ottenere’ 129 («vu ne agaté gran peccado») || Cf. §4.22; GAVI, vol. 18/1, 298–299, 301; TLIO, s.v. accattare. agreste: cf. più avanti lactuga. *agrevare: vb. ‘appesantire’ ∼ part. pass. m. pl. agrevadi 67 («avevano a. li ogy de sonio»). agua : cf. più avanti aqua. ay: inter. ‘ahi’ ∼ 159 («A., Segnor, abii merzé de mi peccator»). aiar: vb. ∼ 135; cond. 6a pers. aveno aidare 84. 1 ‘favorire’ 135 («Pillato, vezando ke quanto el feva per aiar Criste no zoava…»); 2 ‘difendere (da qlcn.)’ 84 («XII legion de angeli m’aveno i(n)contane(n)te aidare dali inimixi mei») || Cf. §4.21; GAVI, vol. 18/3, 251–252, 271; LEI, vol. 1, 715; TLIO, s.v. aiutare; Seifert (1886, 5); Salvioni (1898, 272: aidar); Keller (1935, 77: aidar e aiar). aygua: cf. più avanti aqua. aito(r)io: sost. m. ‘aiuto, sostegno’ ∼ 64 («a. de Deo»), aytorio 186 («a. de pixor persone») || Cf. §4.21; GAVI, vol. 18/3, 295; LEI, vol. 1, 735; TLIO, s.v. aiutorio (1); Seifert (1886, 5: aiutorio); Salvioni (1898, 272). *alegrarse: vb. ‘rallegrarsi’ ∼ ind. fut. 3a pers. se alegrarà 50; cond. 5a pers. ve alegrarisse-vo 39; impt. 5a pers. alegréve 34. *alezere: vb. ‘scegliere’ ∼ ind. pres. 1a pers. alezo 71 («a. […] de morire») || Cf. LEI, fasc. E2, 333; TLIO, s.v. eleggere; Marri (1977, s.v. alez(er)).
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5 Glossario
*alongare: vb. ‘allontanare’ ∼ ind. perf. 3a pers. alongà 63 («se a. […] da quisti tri») || Cf. GAVI, vol. 18/4, 294–295; TLIO, s.v. allungare; Salvioni (1898, 272). altersì: avv. ‘similmente, inoltre’ ∼ 242 («Criste levà su dela cena e i(n)co(n)tanente se levàn tuti li discip(u)li a.»; «comenzò a lavar li pey ali soy discip(u)li […] (et) a. li lavà alo traditor»), 32 («li discip(u)li mangión […] e Iuda a.»), 57 («illi no ìn del mondo a. com eio no son del mondo»), 60 («sì co(m) illi avraveno t(ri)steza i(n) vedere la sova passion, ke a. aveseno alegreza in vedere la sova gloriosa resurection»), 123 («eyo no ge trovo alcuna caxon de zò ke vu l’acuxé, nì Herodex a.») || Cf. §4.35; LEI, vol. 2, 301 (ven. a. e, nell’accezione ‘diversamente’, it. sett. occ. a. altersì; cf. inoltre it. a. altresì (…) come, né… altressì). *aluminare: vb. ‘rendere la vista’ ∼ part. pass. m. sg. aluminado 184 («incontanente el fo a. e vite giayramente») || Cf. GAVI, vol. 18/4, 291; LEI, vol. 2, 173; TLIO, s.v. alluminare (1) n° 1.2. amaistramento: sost. m. ‘insegnamento’ ∼ 178 || Cf. §§4.15, 4.24. *amaistrare: vb. ‘istruire, educare qlcn.’ ∼ ind. perf. 3a pers. amaistrà 12 («li a. ke debiano s(er)vare se(m)pre humilità»), impf. 3a pers. amaistrava 85, fut. 3a pers. amagistrarà 38; cong. pres. 4a pers. amaistremo 84 («azò ke nu a. li nostri amixi a patienzia»); part. pass. amaistrà 15 || Cf. §§4.15, 4.24; GAVI, vol. 18/5, 230–232; TLIO, s.v. ammaestrare; Keller (1935, 78); Wilhelm (2006, 83). *amonire: vb. ‘ammonire’ ∼ ind. pres. 3a pers. amonis 64 («In questa parola n’a. lo nostro Segnor ke nu demo demete la voluntà humana»). amora: sost. f. ‘brocca’ ∼ 4 («uno homo ki porta una a. d’aqua») || Da HAMULA H AMULA ( M ) , diminutivo di HAMA ( M ) (DEI, s.v. amola); cf. GAVI, vol. 18/5, 468, che ricorda tra l’altro amola nel milanese di Benedetto Dei (cf. Folena 1952, 112–113); TLIO, s.v. amola; REW, §4024. ampoy: avv. e cong. ∼ 82, 136. 1 ‘tuttavia’ 82 («co(n) tuto zò ke Iuda g’avese dato lo segnio del baxo, a. illi no ’l cognosevano»); 2 locuz. avv. no a. ‘neanche’ 136 («fo dado se(n)tenzia de morte, e no a. a omi(n)cha morte, ma ala morte deli ladron») || Da *ANQUE + POST (LEI, vol. 2, 1495–1496: ven. a., venez. a., pad. a. ampoi); cf. §4.67; TLIO, s.v. ampoi (2): non attestata la combinazione con no; Salvioni (1898, 273).
5 Glossario
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anche: avv. ∼ 35, 44, 63, 159, an’ 46. 1 ‘similmente’ 63 («se alongà anche un pocho da quisti tri»); 2 ‘in aggiunta’ 35 («sse vu cognoserì mi, vu cognoserì anche lo me Padre»), 44, 46; 3 ‘di nuovo’ 159 («tu seré anche ancoy con mego i(n) paradixo») || Da *ANQUE (DELCat, vol. 1, 298–302; LEI, vol. 2, 1486: it. anche, lomb. a. an; FEW, vol. 24, 632); per la forma apocopata an’ cf., oltre al LEI, Keller (1896, 41; 1935, 78) e Degli Innocenti (1984a, 255). ancoy: avv. ‘oggi’ ∼ 31 («questo è quelo pane ke nu mangemo a. i(n) lo sacrame(n)to del’altare»), 60, 159, ecc. (5 in t.), a(n)choy 111 || Da *ANQUE + HODIE (DEI, s.v. ancoi; DELCat, vol. 1, 300; FEW, vol. 24, 632); cf. GAVI, vol. 18/6, 35; TLIO, s.v. ancoi; Seifert (1886, 7–8); Salvioni (1898, 273); Keller (1935, 78); Wilhelm (2006, 83). andare: vb. ∼ cf. §4.62. 1 ‘moversi da un posto a un altro’ (anche pron.) 42 («Andé e sì aparegié de fare la Pascha»; «Andéven i(n) la cità»), 5, 8, 20, 242, 322, 332, 342, 35–36, 393, 43, 477, 492, 52, 59, 61, 683, 81–82, 85, 89, 107, 109–110, 118, 120–121, 127, 132, 144, 154, 1812, 185; 2 locuz. a. denanze da qlcn. ‘precedere qlcn.’ 59 («e’ andarò denanze da vu i(n) Galelea»); 3 locuz. a. dré a qlcn. ‘seguire qlcn.’ 96 («san Pedro sì seguiva Criste […] e andò dré p(er)fin k’el fo a caxa deli p(ri)ncipi deli sacerdoti»), 108 («sì g’andaven dré digando grande i(n)iurie»); 4 all’impt. per disapprovare 157 («Va’ tu ki dixivi ke tu destruerise lo te(m)plo de Deo») || Per la seconda accezione cf. LEI, vol. 2, 619: andare avanti, con attestazioni solo moderne; per la terza cf. LEI vol. 2, 611–612; TLIO, s.v. andare (1) n° 2.2.14; per la quarta cf. LEI vol. 2, 706: andate. anomar: vb. ‘nominare’ ∼ 119 («Pillato oya(n)do a. Galilea») || Cf. GAVI, vol. 18/6, 330–331; Seifert (1886, 8); Keller (1935, 78); il derivato con AD - è diffuso quasi esclusivamente in area settentrionale. antigamente: avv. ‘nel tempo antico’ ∼ 68 («sì com a. fivano confortadi li pugnaduri»). a(n)tigo: agg. ‘di età avanzata’ ∼ 87 («el era più a.») || Da ANTICU ( M ) (LEI, vol. 2, 1631) ; cf. GAVI, vol. 18/6, 415–417; TLIO, s.v. antico (1); Salvioni (1898, 273); Keller (1935, 78). antixi: sost. m. pl. ∼ 2, 16, 75, ecc. (8 in t.). 1 ‘membri del consiglio degli anziani’ 75 («p(ri)ncipi deli sacerdoti e […] a. del povero»), 95, 108–109, 125, 157; 2 ‘coloro che sono vissuti nel passato’ 2 («mangià dali Zudé e li a.»), 16 («l’uxanza deli a.») || Cf. a(n)tigo; TLIO, s.v. antico (2).
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anumerare: vb. ‘contare’ ∼ 149 («tute quante le soe osse se poevano a.») || Cf. GAVI, vol. 18/6, 349–351; TLIO, s.v. annumerare. aparegiam(en)to: sost. m. ‘preparazione’ ∼ 134 («Paraseve, ke ta(n)to vol dire (com) a.») || Cf. GAVI, vol. 18/7, 16; LEI, vol. 3/1, 200: it. apparecchiamento; TLIO, s.v. apparecchiamento. aparegiare: vb. ∼ 134, aparegàve 34; ind. perf. 6a pers. aparegión 5, fut. 5a pers. aparegiarì 5; impt. 4a pers. aparegiemo 84, 5a pers. aparegié 4, ger. aparegiando 172; part. pass. m. sg. aparegiado 33, 77, 94, pl. aparegiadi 75, f. sg. aparegiada 4, pl. aparegiade 41. 1 ‘preparare, predisporre’ 42 («Andé e sì aparegié de fare la Pascha»; «Onde vo’ tu Segnor k’ela sia aparegiada?»), 52, 33 («eio sonto aparegiado de mete la vita mia p(er) ti»), 34, 77, 84 («aparegiemo la patientia»), 94, 134, 172; 2 ‘fornire’ 41 («tute quele cosse ke vu domandarì sì ve seran aparegiade»), 75 («ben aparegiadi d’arme e de fanzele e de APPAR ICULARE (LEI, vol. 3/1, 191, 193: it. a. apparecchiare q. di lanterne») || Da *APPARICULARE qc.); cf. GAVI, vol. 18/7, 17; TLIO, s.v. apparecchiare (1); Wilhelm (2006, 83). aparientia: sost. f. ‘sembianza’ ∼ 173 («el pariva quax esse abandonado da Deo quanto al’a. de fora») || Cf. §4.27. apelare: vb. ‘chiamare, nominare’ ∼ 77 («Questa pare maraveia, co(m) Criste poè a. amigo quelo ki era so mortale inimigo»), 112, apelar 166; ind. pres. 1a pers. apello 432, perf. 3a pers. apelò 772 (1a occ.: «Criste a. Iuda per amigo»), 79 («a. p(er) magistro q(ue)lo»); part. pass. m. sg. apelado 74, 111, 134, pl. apeladi 74. *aprexiare: vb. ∼ ind. impf. 3a pers. ap(re)xiava 120; part. pass. m. sg. ap(re)xiado 112. 1 ‘attribuire un prezzo’ («li XXX dané d’arie(n)to del p(re)xio p(er) lo qual e’ so(n)to ap(re)xiado»); 2 ‘valutare positivamente’ 120 («dixevano k’el [no] ap(re)xiava Herodex»). apresso: prep. e avv. ∼ 5, 54, 137, 162, ap(re)so 6, 74, 85, ap(re)xo 97. 1 locuz. prep. a. de ‘vicino a’ 6 («s(an)c(t)o Iohan se asetò ap(re)so de Criste»), 85; 2 locuz. prep. a. a ‘vicino a’ 162 («Ora stava apresso ala croxe la madre de Criste»); 3 locuz. prep. a. de ‘nel luogo di residenza di’ 5 («Apresso de ti con li me discip(u)li fazo la pascha»), 54 («Padre, clarificame apresso de ti»); 4 locuz. prep. a. de ‘dietro di’ («li cavaleri de Pillato e apresso de loro lo populo deli Zudé sì toléno Criste»); 5 avv. ‘vicino’ 97 («un fogo ki era ap(re)xo»); 6 locuz. avv. d’a. ‘vicino’ 74 («uno orto ki era i(n)lò d’ap(re)so»).
5 Glossario
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aprovo: prep. e avv. ∼ 76, 1862. 1 prep. ‘vicino a’ 186 («a. lo logo»); 2 locuz. prep. a. de ‘vicino a’ 76 («Iuda fo a. de Criste»); 3 locuz. avv. d’a. ‘vicino’ 186 («quelo morimento novo ki era inlò d’a.») || Da *AD PROPE (LEI, vol. 1, 819); cf. GAVI, vol. 18/8, 194–195, 197; TLIO, s.v. aprovo (1) e (2); Salvioni (1898, 274); Keller (1935, 78); Marri (1977, s.v. provo); Wilhelm (2006, 84). aqua: sost. f. ‘acqua’ ∼ 4, 24, 74, 139, agua 136, aygua 182–183 || Da ACQUA ( M ) > aqua e AQUA ( M ) > agua, aygua (LEI, vol. 3/1, 388: mil. a. agua e pav. a. aygua, 394); cf. §§4.8, 4.23; GAVI, vol. 18/2, 120–123 (che segnala aygua in Degli Innocenti 1984a); Keller (1935, 77: aigua, aqua, acqua); Wilhelm (2006, 84: aqua). *aregordare: vb. ∼ ind. pres. 3a pers. aregorda 50; cong. pres. 5a pers. ve aregordé 46; impt. 5a pers. aregordéve 44; part. pass. m. sg. aregordado 100 (si fo a.). 1 trans. pron. ‘ricordarsi’ 46 («ve aregordé k’e’ ve l’ò dito»); 2 intr. ‘ricordare’ 50 («no aregorda più del dolore»); 3 intr. pron. ‘ricordarsi’ 44 («Aregordéve dela parola»), 100 || Cf. §4.22; GAVI, vol. 18/9, 288–296; Seifert (1886, 9); Salvioni (1898, 274); Keller (1935, 78). *aromanire: vb. ‘restare come residuo’ ∼ cong. impf. 3a pers. aromanisse 2 («mangiarlo […] tuto, k’el non g’a. alcuna cossa») || Cf. più avanti *remanire e §§4.15, 4.49; nel Corpus OVI non si rinvengono attestazioni settentrionali del tipo con il prefisso AD -. *asaludare: vb. ‘salutare’ ∼ ind. perf. 3a pers. asaludò 69 («lo a.»), 79 || Cf. più avanti *saludare; le attestazioni di forme con AD - sono quasi esclusive della Lombardia occidentale, cf. GAVI, vol. 18/10, 28–29; Seifert (1886, 9: asalutare) axé: sost. m. ‘aceto’ ∼ 171 («pien de fere e d’a.»), 176 («ge sporzén ala bocha fere e a.»). asetare: vb. ‘sedere’ (anche pron.) ∼ 24 («li fè tuti a.»); ind. perf. 3a pers. se asetò 6 («Iohan se a. ap(re)so de Criste»), 96, 135, 6a pers. se asetàno 6, part. pass. m. pl. asetai 6. avegnia: cong. ‘benché’ ∼ 32 («a. no fosse ala comunion»), a. ke 115 («a. ke li Zudé avesseno acusado Criste») || Cf. §4.70; GAVI, vol. 18/13, 228–229; LEI, vol. 1, 892–893; TLIO, s.v. avvengaché ni 1, 1.1; Salvioni (1898, 276). avent(ur)a: sost. f., nella locuz. avv. per a. ‘per caso’ ∼ 2.
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5 Glossario
aventurado: agg., nel sintagma malo a. ‘sventurato, infelice’ ∼ 62. avere: vb. ∼ cf. §4.62. *bagniare: vb. ‘immergere’ ∼ ind. perf. 3a pers. bagniàla 171 («pià una sponga e b. in un vaselo»). bailia: sost. f. ‘potere’ ∼ 117 («no avraveno abiudo b. de dàme i(n) le to man»), baylia 129 («i(n) b. deli soy cavaleri») || Cf. GAVI, vol. 2, 80–82; LEI, vol. 4, 464–465 (mil. a. baylia e it. a. in bailia, avere baillia); TLIO, s.v. balia (2); Seifert (1886, 13); Salvioni (1898, 276); Keller (1935, 79). barì: sost. f. ‘barile’ ∼ 4 («una b.») || Documentato, ma non comune, l’impiego al femminile: due esempi in Castellani (1952, 840; cf. anche TLIO, s.v. barile); altri in LEI, vol. 4, 1454–1455, nessuno in milanese (o lombardo occidentale) antico. *baxare: vb. ‘baciare’ ∼ ind. pres. 1a pers. baxo 78, impf. 6a pers. basaveno 78, perf. 3a pers. baxò 782, 79, fut. 1a pers. baxarò 76; part. pass. m. sg. basado 78, 80. baxo: sost. m. ‘bacio’ ∼ 782, 82. batalia: sost. f. ‘combattimento’ ∼ 682, 85 || Cf. §4.27 per il mantenimento, probabilmente solo grafico, di -LJ -; GAVI, vol. 2, 134–135; LEI, vol. 5, 321 (berg. a. bataya); TLIO, s.v. battaglia. *batere: vb. ‘percuotere’ ∼ ind. perf. 6a pers. baténo 128 («illi lo b. sì crudelm(en)te»); part. pass. m. sg. batù 128, batudo 128–129, 136 (col valore aggettivale: «Criste ki era tuto b.»). beado: agg. ∼ 15, m. pl. beay 27. 1 ‘ammesso alla felicità del Paradiso’ 15 («lo beado mes(er) san Iob»); 2 ‘felice’ 27 («Se vu savì queste cosse […] sì serì beay») || Cf. GAVI, vol. 2, 149–151; LEI, vol. 5, 654 (in milanese antico beao, beai, ma non beado; ma beado è registrato in Wilhelm 2006, 84); TLIO, s.v. beato; Keller (1935, 79: beai, beati). becho: sost. m. ‘maschio della capra’ ∼ 18 («lo sangue del b.») || Cf. GAVI, vol. 2, 152–154; LEI, vol. 5, 888 (ven. a. beco); TLIO, s.v. becco (2).
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*befare: vb. ‘dileggiare’ ∼ ind. impf. 6a pers. befavano 157 («li antixi sì lo b.»), perf. 6a pers. befàno 106; part. pass. m. sg. beffado 129–130, 1382, 140. beffe: sost. f. pl. nella locuz. avv. per b. ‘per dileggio’ ∼ 128 («se inzenogiaveno denanze da lu p(er) b.»), 137 || Prima attestazione della locuz. con il sost. al pl.: cf. GAVI, vol. 2, 156–157; LEI, vol. 5, 827 (it. per beffe prima del 1913, D’Annunzio); ma in TLIO, s.v. beffa n° 3.1, è segnalato per b. nel senso di ‘per finta’. *benedire: vb. ∼ ind. perf. 3a pers. benedise 28, benedisse 6, 28; part. pass. m. pl. benedegi 145, f. sg. benedeta 6, pl. benedegie 145. 1 diatesi attiva ‘invocare la protezione divina’ 6 («’l Segnor benedisse la mensa»), 282; 2 diatesi passiva ‘godere della protezione divina’ 6 («Siando benedeta la mensa»), 1452 || Cf. §4.9. besognio: sost. m. ∼ 14, 25, 53, bexognio 139, besonio 84, 106, 144. 1 locuz. avere b. ‘avere necessità’ 25 («Quelo ki è lavado no g’à besognio lavar se no li pey»); 2 locuz. essere b. ‘essere necessario’ 53 («non è besognio ke alcun te domanda»); 3 locuz. fare b. ‘essere necessario’ 14 («è necesario ke illi metano le soe anime p(er) li soy subiecti, s’el farà besognio»), 84, 106 («Que ne fa besonio aver testimonia(n)za i(n)(con)tra questo homo?»), 139, 144 || Cf. §4.15. bestirare: vb. ‘tirare da più parti’ ∼ 149 («l’un lo pià p(er) un brazo e l’altro p(er) l’altro […] e cusì fortem(en)te lo p(re)xeno a b.») || Prima attestazione: cf. GDLI, s.v. bistirare, dove si segnala un unico esempio del vb. nell’edizione postuma del Serraglio degli stupori del mondo di Tommaso Garzoni (1613); per attestazioni moderne cf. Melchiori (1817, s.v. bistiras ‘protendersi’); Cherubini (1839, vol. 1, s.vv. bestirà ‘tirare di nuovo’, bestiràss ‘protendersi’; 1843, s.v. bestirà ‘tirare per isbieco malamente’); Peri (1847, s.v. bestiraa ‘trascinare’); LSI, vol. 1, s.v. bistirá ‘distendere’, ‘tirare in qua e in là’, ‘litigare’; per l’uso del prefisso BĬS - cf. Rohlfs (1969, §1006). beve: vb. ‘bere’ ∼ 169–170, 1712, ecc. (6 in t.); ind. perf. 6a pers. beven 32 («b. del corpo e del sangue del Segnior»), fut. 1a pers. beverò 292 («eio no b. vino […] tanfin k’eio b. del novo»); cong. pres. 1a pers. beva 67 («ke eyo no ’l b.»), 84 («ki b. lo calix») || Cf. GAVI, vol. 2, 195–197; LEI, vol. 5, 1411. biastema: sost. f. ‘bestemmia’ ∼ 105–106 || Retroformazione da *BLASTEMARE (LEI, vol. 6, 186: lomb. a., lodig. a. biastema); cf. GAVI, vol. 2, 200; TLIO, s.v. bestemmia; Salvioni (1898, 277).
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*biastemare: vb. ∼ ind. impf. 3a pers. biastemava 152, 6a pers. biastemaveno 157. 1 intr. ‘imprecare’ 152 («Criste sur la croxe […] nì cridava nì biastemava»); 2 trans. ‘vituperare qlcn.’ 157 («lo biastemaveno scrolando la testa soa») || Da *BLASTEMARE (LEI, vol. 6, 173: blastemare in Barsegapè, cf. Keller 1935, 79; le forme in bi- sono diffuse negli antichi volgari settentrionali); cf. GAVI, vol. 2, 201–203; TLIO, s.v. bestemmiare; Salvioni (1898, 277). bocha: sost. f. ∼ 106, 139, 166, ecc. (10 in t.). 1 ‘cavità boccale’ 106 («Vu avỳ oiudo p(er) la soa b. la grande biastema»), 139, 166, ecc. (9 in t.); 2 ‘apertura’ 186 («revolzen alla b. del morimento una grandissima prea»). bocon: sost. m. ‘tozzo (di pane)’ ∼ 18 («Criste tollè un b. de pan»), bochon 19 («Iuda Scariot ave ma(n)giado quelo b. de pan») || Cf. GAVI, vol. 2, 250–252; LEI, vol. 7, 1314 (it. boccone di pane); TLIO, s.v. boccone; Salvioni (1898, 278). brazo: sost. m. ‘braccio’ ∼ 149. brusare: vb. ‘bruciare’ ∼ 2. *butare: vb. ∼ ind. perf. 3a pers. butà 178, butò 172, 6a pers. butàn 156, fut. 3a pers. buterà 40, 6a pers. butara(n) 46; part. pass. m. sg. butado 47, pl. butadi 110, butai 412, f. pl. butade 156. 1 ‘imprimere un movimento a qlcs. per allontanarlo da sé o fargli assumere una nuova posizione’ 41 («q(ui)lli rami […] seran acolegi e butai indel fogo»), 110, 1562 («butàn le sorte»; «àn butade le sorte»); 2 locuz. b. fora / de fora ‘allontanare da sé, costringere a uscire’ 40 («li taiarà e buterà de fora»), 41 («q(ui)lli rami […] seran butai de fora»), 46 («ve butara(n) fora dela sinagoga»), 47 («’l princepo de questo mondo serà […] butado de fora»); 3 ‘emettere (un grido)’ 172 («Criste butò una grande voxe»), 178 («Criste butà un’altra voxe») || Cf. GAVI, vol. 2, 345–347; TLIO, s.v. buttare; Salvioni (1898, 278–279, 333). cà: cf. più avanti caxa. calix: sost. m. ‘calice’ ∼ 282, 63, 84, kalix 67. calziati: agg. m. pl. ‘che indossano calzature’ ∼ 2 («drigi in pey, sengy e c. con li bastoni i(n) mane»). carego: sost. m. ‘peso’ ∼ 63 («lo c. dela tribulation»).
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*cargare: vb. ‘gravare’ ∼ ind. impf. 3a pers. cargava 151 («’l corpo so era greve e nesuna cossa non era i(n) mezo ke sustenise, sì k’el pendeva e c. se(m)pre i(n) mezo») || Cf. GAVI, vol. 3/1, 231–234; LEI, vol. 12, 582–584; TLIO, s. v. caricare (in GAVI e TLIO manca l’attestazione dell’uso assoluto nell’accezione qui pertinente, e così pure nel LEI per le forme con sincope tardiva; ma cf. gli usi assoluti e intransitivi delle forme non sincopate alla col. 528). caxa: sost. f. ∼ 24, 872, ecc. (14 in t.), cà 88, casa 4–5, 34, 87. caxon: sost. f. ∼ 77, 872, ecc. (14 in t.), cason 65, 77, 92–93, pl. caxon 39, 67, 120, 163. 1 ‘motivo, ragione ’ 65 («illi no aveveno alcuna cason i(n) lu de ulcirlo»), 67 («nu demo orare p(er) tre caxon»), 772, 872, 92–93, 114, 118, 1203, 1232, 127, 131, 141, 162–163; 2 ‘pretesto’ 39 («ello no à alcuna caxon i(n) mi»), 103 («el avesse caxon de acuxarlo»). ke: avv. cf. più avanti qui. cercho: prep. e avv. ∼ 149, 168. 1 locuz. prep. de c. da ‘intorno a’ 149 («Stagando li cavaleri […] de Pillato de c. dala croxe»); 2 avv. ‘pressappoco’ 168 («c. al’ora de nona») || Da CĬRCU ( M ) ; in TLIO, s.v. cerco (2) e (4), non si trovano riscontri precisi; per la locuz. prep. cf. Salvioni (1898, 284 s.v. decercho). chilò, kilò: cf. più avanti quilò. ki: avv. cf. più avanti qui. Cirineo: agg. ∼ 146 || Cf. DI, vol. 1, 531. *clamare: vb. ‘chiamare’ ∼ ind. pres. 3a pers. giama 176, 5a pers. clamé 26, impf. 3a pers. clamava 74; cong. impf. 3a pers. giamasse 176; 1 trans. ‘invitare qlcn. ad accorrere’ 1762 («el giamasse Helia»; «giama Helia»); 2 trans. ‘appellare’ 26 («Vu me clamé segnore et maistro»); 3 intr. pron. ‘avere nome’ 74 («un flume ki si clamava lo tore(n)te Cetron»). clavo: sost. m. ‘chiodo’ ∼ 149 («un c. inficàn in una man») || Cf. più avanti giò. chò: sost. m. ‘capo’ ∼ 25 («me lava le mane e ’l c. e tuto qua(n)to»), 149, cò 25.
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5 Glossario
cognoscere: vb. ∼ 45, cognosce 82, 142; ind. pres. 1a pers. cog(no)sco 58, 2a pers. cog(no)se 60, 3a pers. cognosce 372, 58, 5a pers. cognoscì 37, cognosì 35, 129, 6a pers. cognosco(n) 46, cognoseno 44, 552, impf. 3a pers. cog(no)seva 97–98, 6a pers. cog(no)sceva(n)o 82, cognosevano 82, perf. 3a pers. cognosè 50, fut. 3a pers. cognoserà 32, 5a pers. cognoscerì 37, cognoserì 27, 352, 37; cong. pres. 3a pers. cognosca 39, 58, 6a pers. cognosano 54, impf. 6a pers. cog(no)seseno 82; ger. cognoscando 126, 171. 1 ‘avere la nozione esatta di qlcn. o qlcs.’ 35 («mo sì lo vedì e sì lo cognosì»), 37 (1a, 3a–4a forma), 44, 46, 552, 58 (2a– 3a forma), 60, 97–98, 126, 171; 2 ‘acquisire la nozione esatta di qlcn. o qlcs., riconoscere’ 27 («qua(n)do el sarà fagio vu cognoserì k’io sonto»), 32, 35 (1a– 2a forma), 37 (2a, 5a forma), 39, 45, 50, 54, 58 (1a forma), 824, 129, 142 || Cf. più indietro acognoscere. colda: agg. f. sg. ‘calda’ ∼ 24. colonia: sost. f. ‘colonna’ ∼ 1072 (1a occ.: «una c. de prea»), 1283. com: avv. e cong. ∼ 112, 12, ecc. (80 in t.), con 143. 1 avv. di modo ‘come’ 112 («quello k’è maior de vu sì debia fì sì co(m) vostro ministro»; «quello ki è comandator debia vorè esse sì co(m) ministrador»), 12, 17, 41, 44, 64, 68, 77, 80–81, 94, 102–103, 123, 133, 143, 152, 170–171; 2 avv. interrogativo ‘come’ 20 («guardava lo pongio e l’ora co(m) ello podesse meio trahir Criste»), 35 («Adoncha com dixi tu k’eo te mostra lo meo Padre?»), 77, 91, 98, 131, 135, 161, 173; 3 avv. di quantità ‘quanto’ (in correlazione con tanto) 111 («ta(n)to vol dire co(m) ca(m)po de sangue»), 134, 147–148, 163, 172; 4 cong. comparativa ‘come’ 5 («trovón sì com lo Segnor g’aveva digio»), 6, 8, 12, 132, 142, 15, 29, 32, 392, 40, 423, 54, 56, 572, 58, 602, 61, 68, 86, 103, 110, 120–121, 123, 126, 139, 156, 163, 164, 1652, 174, 184; 5 cong. comparativa ipotetica ‘come se’ 21 («sì co(m) el fosse de gladio ferido sì mise la testa a reposare sul pegio de Criste»), 85 («Vu sì venudi a mi sì co(m) eyo fosse un ladro»); 6 locuz. cong. comparativa c. se ‘come se’ 130 («illi no se movén più a co(m)pasion de lu, com se illi fosseno s(er)penti venenuxi»), c. s’ 42 («maior amor no pò esse i(n) alcun co(m) s’el dà l’anima soa p(er) li amixi soy»); 7 cong. completiva oggettiva 64 («el mostra veraxeme(n)te co(m) el era veraxe homo») || Cf. §§4.48, 4.68, 4.70. com: prep. cf. più avanti con. comandator: sost. m. ‘chi impartisce ordini’ ∼ 11 («quello ki è c. debia vorè esse sì co(m) ministrador»).
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*cometere: ‘affidare la competenza su una determinata causa’ ∼ ind. perf. 3a pers. cometè 121 (Herodex «c. omincha iuridition k’el aveva de mes(er) Yesù Criste »). co(m)pidame(n)te: avv. ‘completamente’ ∼ 21. com zò sia cossa: locuz. cong. ‘infatti’ ∼ 6 («C. se illi foseno stati tutavia i(n) pei, san Iohane no porave avere reposà la testa sur lo pegio de Criste») || Cf. §4.67; GDLI, s.v. conciossiaché. con: prep. ∼ 22, 32, e così via, com 3, 6 (nella locuz. cong. c. zò sia cossa), 161. con: avv. cf. più indietro com. co(n)cha: sost. f. ‘catino’ ∼ 24 («tollè del’aqua colda e sì ne mise i(n) una c.») || Cf. GAVI, vol. 3/3, 43–45; TLIO, s.v. conca n° 4. (con)dù: vb. ‘condurre’ ∼ 101 («lo poeseno c. a morte»); part. pass. m. sg. (con)dugio 108–109 || Cf. §4.12 per (con)dugio. *confiduxiarse: vb. ‘confortarsi’ ∼ impt. 5a pers. (con)fiduxiéve 53 («c. k’e’ ò vẽzudo lo mondo») || Cf. Ghinassi (1965, 101 s.v. confidusiarse); per derivati da FIDUCIA ( M ) in area lombarda occidentale cf. inoltre Biadene (1899, 126 s.v. feduxiar). *confortare: vb. ∼ ind. perf. 3a pers. confortò 68; impt. 5a pers. confortéve 71; part. pass. m. pl. confortadi 68 || Cf. più indietro *aconfortare. *confundere: vb. ‘ridurre moralmente in condizioni gravi’ ∼ part. pass. m. sg. co(n)funduo 13 («homo ki abia sup(er)bia […] da tuta gente devrave fiì co(n)funduo»). consoladó: agg. (anche sost.) ‘consolatore’ ∼ 37 («ello ve darà Spirito c.»), co(n)solator 52, consolador 166 («voyo ke tu abii un c.»). conte(n)tion: sost. f. ‘disputa’ ∼ 10, co(n)tention 12, co(n)tenzion 11. contra: prep. ∼ 8, 134, ecc. (15 in t.). 1 per indicare ostilità 8 («llo oculto conselio ke c. luy aveva fagio»), 68, 101, 108, 112, 118, 120, 135–136, 173; 2 locuz. prep. c. de, sempre per indicare ostilità 27 («Quelo ki mangia lo me pane sì levarà c. de mi lo so calcagno»); 3 ‘nei confronti di’ 134 («no abia falsa pietà c. li soy subiecti, sì
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com ave Heli prevede c. li fioly»; «abiano pietà (et) humilità c. q(ui)lli ke s(er)vano a Deo, e c. quilli ki àn sup(er)bia se(m)pre den esse forti») || Cf. GAVI, vol. 3/3, 358–360; per la seconda accezione cf. GDLI, s.v. contro n° 12. co(n)tristare: vb. ‘provare tristezza o dolore, affliggersi’ (anche pron.) ∼ 61 («comenzò a c. in sì medesmo»); ind. fut. 5a pers. ve co(n)tristarì 50, part. pass. m. sg. contristado 622, pl. contristati 9 || Cf. GAVI, vol. 3/3, 390; TLIO, s.v. contristare. co(n) tuto zò ke: locuz. cong. ‘benché’ ∼ 822 («c. illi avevano lanterne e fanzele e c. Iuda g’avese dato lo segnio del baxo, ampoy illi no ’l cognosevano»), tuto zò ke 114 («Rexpoxeno li Zudé: ‹El no è licito ulcir alcun›, e devì i(n)tende k’è i(n) q(ui)sti dì dela festa, t. à d’aven[ir]») || Cf. §4.70; le due forme della locuzione sono da accostare a tutto ciò, tutto che, con tutto che, per cui cf. GAVI, vol. 17/ 4, 561 e 564–565; GDLI, vol. 3, 712 e vol. 21, 477; nel Corpus OVI è attestato l’impiego della locuz. cong. concessiva con tutto ciò che con i modi ind. e cong. all’interno del Bestiario del Tesoro volgarizzato di area senese (Squillacioti 2007). convenievelmente: avv. ‘adeguatamente’ ∼ 70 («l’umana generatio(n) [no se pò] c. recompara(r)e senza lo sparzime(n)to delo so sangue prezioxo»). *corezere: vb. ‘liberare qlcn. da difetti, educare’ ∼ part. pass. m. pl. coregi 144 («avì mal c. li vostri fioli»). corporé: agg. f. pl. ‘corporali’ ∼ 23. cotamanio: agg. indef. ‘tanto grande’ ∼ 118 («P(er)què fé-vo cotamanio rumo(r)e?») || Da *( EC ) CU ( M ) TAM MAGNU ( M ) , unica attestazione finora nota. Si potrebbe sospettare un semplice trascorso di penna per cotamanto, che conosce quattro attestazioni nel TLIO (s.v.); tuttavia la discreta diffusione di tamagno in lombardo occidentale antico (cf. Salvioni 1898, 322, 342–343; Marri 1977, 198 e la bibliografia ivi citata; Bertolini 1985, 38 §24.3) depone a favore della forma tramandata dal ms. *covenire: vb. ‘occorrere, essere necessario’ ∼ ind. pres. 3a pers. coven 70, 73, perf. 3a pers. covene 100; cong. impf. 3a pers. covenise 60 || Cf. §4.29. covenivri: agg. m. pl. ‘conformi al giusto’ ∼ 102 («li testimonii soy no erano c.») || Cf. TLIO, s.v. convenevole.
5 Glossario
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crè: vb. ‘credere’ ∼ 6, 36, 89, 126; ind. pres. 2a pers. cri 35, 4a pers. credemo 53, 5a pers. credì 53, 6a pers. cren 55, impf. 6a pers. credevano 7, perf. 6a pers. criteno 158, 176, fut. 3a pers. crederà 36, 4a pers. crederamo 157, 5a pers. crederì 104, 6a pers. crederan 58; cong. pres. 5a pers. credì 39, impf. 6a pers. credeseno 124; impt. 5a pers. credì 34, 39; part. pass. m. sg. credudo 47, creto 158 || Cf. §4.21 per crè, cri, cren, §4.53 per criteno, §§4.33, 4.35, 4.61 per creto; GAVI, vol. 3/4, 266–273; TLIO, s.v. credere. creenia: agg. f. sg. ‘argillosa, di creta’ ∼ 111 («un campo de terra c.») || Cf. LEI, vol. in c.s., s.v. creta: derivati dell’aggettivo *CRETINEU ( M ) , anche impiegati come determinanti di terreno, sono attestati dal Trecento (cf. terren crettegno in Medin 1928, 227 e 294). La forma cregno, con dileguo della dentale, si ritrova nel chioggiotto come sostantivo nell’accezione di ‘fondo marino arenoso, ma duro e resistente’ (Kahane/Bremner 1967, s.v. cretigno n. 22). crucificare: vb. ‘crocifiggere’ ∼ 139, crucificà 102, crucificar 131; ind. impf. 3a pers. crucificava 152, 6a pers. crucificavano 152; impt. 2a pers. crucificalo 1302, 134, 5a pers. crucifiché 131; part. pass. m. sg. crucificado 1272, 136, ecc. (9 in t.), crucifixo 183, pl. crucificadi 146, 170, 181 || Cf. TLIO, s.v. crocificare; Seifert (1886, 21); Salvioni (1898, 284). cugnado: sost. m. ‘cognato’ ∼ 98 («vene un k’era c. de q(ue)llo al qual san Pedro taiò l’oregia») cunteza: sost. f. ‘familiarità’ ∼ 88 («el aveva alcuna c. co(n) sego»). cuxadura: sost. f. ‘cucitura’ ∼ 156 («no aveva nesuna c. et era molto bela vestim(en)ta») || Cf. 4.17; GAVI, vol. 3/4, 378–379; TLIO, s.v. cucitura (dove mancano forme in -ATURA ( M ) ). dadoman: sost. f. ‘indomani’ ∼ 108 («quando vene d.») || Da notare che d. è qui in funzione di sost., mentre TLIO, s.v. domani ni 2.1, 2.2, registra da domani solo come locuz. avv.; così anche in LEI, vol. 19, 957, 960 e passim; cf. anche GAVI, vol. 4/1, 125. dané: sost. m. pl. ‘denari’ ∼ 19 («Iuda teniva li d.»), 20, 72, ecc. (8 in t.). danià: vb. ‘dannare’ ∼ 62 («li Zudé ke se devano d.»), 65 || Cf. §4.29. dare: vb. ∼ cf. §4.62.
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5 Glossario
Dé: cf. più avanti Deo. de: inter. ‘deh’ ∼ 140 («D. mo, fradelo meo»). *decorrere: vb. ‘scorrere’ ∼ ind. pres. 3a pers. deccorre 183 («lo sangue […] no d. per le vene»), perf. 3a pers. decorse 184 («lo sangue d. zò per l’asta dela lanza») || Cf. GAVI, vol. 4/1, 281–282; TLIO, s.v. decorrere. *delivrare: vb. ‘dare in possesso’ ∼ part. pass. m. sg. delivrado 111 («fo d. quelo ca(m)po al comun») || Cf. GAVI, vol. 4/1, 324; GDLI, s.v. deliberare2; TLIO, s.v. deliberare (3). demete: vb. ‘rinunciare a qlcs.’ ∼ 64 («nu demo d. la voluntà humana p(er) far la voluntà divina»). denanze: prep. e avv. ∼ 59, 67, 69, ecc. (22 in t.). 1 locuz. prep. d. da ‘davanti a’ 59 («andarò d. da vu i(n) Galelea»; cf. il lemma andare), 76 («e’ veniarò oltra d. da vu»), 78, 117, 119, 128, 137; 2 locuz. prep. d. de ‘davanti a’ 120 («lo acusaveno costa(n)teme(n)te d. de Herodex»); 3 locuz. prep. d. a ‘davanti a’ 69 («d. a tuta la corte del celo»), 87 («illi gel menò d.»), 120 («ge stevano d.»), 123 («Vu m’avì menado q(ue)sto homo d.»), 134 («d. a tuto lo populo»), 136 («d. a tuto lo populo»), 166 («ge stevano d.»); 5 avv. ‘prima’ 67 («disse quele medesme parole k’el aveva digie d.»), 83, 98, 116, 120, 122, 137 || Cf. §§4.32, 4.48; TLIO, s.v. davanti ni 1, 4, 7.2, per impieghi paralleli. Deo: sost. m. ‘Dio’ ∼ 10, 133, ecc. (63 in t.), Dé 692, 76, ecc. (5 in t.). depoy ke: cong. ∼ 162, depo’ k’ 87. 1 ‘dopo che’ 162 («depoy ke illi aveno fagio zò ke illi vorevano de Criste, illi curaveno pocho deli soy discip(u)li»); 2 ‘dal momento che’ 87 («p(er)què lo menò illi do(n)cha a caxa de A(n)na i(m)p(ri)ma, depo’ k’el era i(n)sudo fora del so rezime(n)to?»; ammissibile tuttavia anche un’interpretazione temporale || Cf. §4.69. depoxo: prep. ‘dopo’ ∼ 185 («D. questo fagio») || Cf. più avanti poxo e il §4.19. desaxio: sost. m. ‘mancanza’ ∼ 72 («avise-vo d. d’alcuna cossa?») || Cf. GAVI, vol. 4/3, 34–36; TLIO, s.v. disagio. *descazare: vb. ‘scacciare’ ∼ part. pass. m. pl. descazadi 110.
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descolzo: agg. ‘privo di calzature’ ∼ 143 («ela vite cusì ligado e d. culù ke ella aveva nudrigado») || Cf. GAVI, vol. 4/3, 75–76; TLIO, s.v. discalzo; Salvioni (1898, 285 s.v. descoççar); Marri (1977, s.v. descolzar). *dexerse: vb. ‘addicersi’ ∼ ind. pres. 3a pers. se dexe («a p(er)sona grande se d. a far le grande cose»). desfà: vb. ‘distruggere’ ∼ 62 («la cità de Yerusalem ki se deva d.»). desformado: agg. ‘sfigurato’ ∼ 143 («Quando ela lo vite cusì mortificado e d.»). *desligare: vb. ‘slegare, sciogliere’ ∼ ind. perf. 6a pers. desligón 128 («lo d. dala colonia»); cong. impf. 3a pers. disligasse 86 («d. nu dalo ligamo deli peccadi») || Cf. GAVI, vol. 4/3, 262–264; TLIO, s.v. dislegare; Marinoni (1962, 242). desnó: sost. m. ∼ 129, 170, desnor 137, 154, desnore 135, pl. desnori 143, desnuri 107. 1 ‘vergogna, onta’ 135 («Questo v’è gran desnore»), 154; 2 ‘oltraggio’ 107 («fare multi desnuri e i(n)iurie al nostro Segnor»), 129 («Pillato comandò ke Criste fosse batudo […], azò ke […] per quel desnó li Zudé fisseno satiadi»), 137, 143, 170. *despoiare: vb. ∼ ind. perf. 6a pers. despoión 138, despolión 149. 1 ‘privare qlcn. di un abito’ 149 («sì despolión lo nostro Segnor dele soe vestime(n)te»); 2 ‘togliere un abito a qlcn.’ 138 («sì ge despoión la vestim(en)ta dela porpora»). *desprexiare: ‘insultare’ ∼ ind. perf. 3a pers. desp(re)xiò 1212 (1a occ.: «Veza(n)do Herodex ke Criste no ge respo(n)deva, sì lo d. e ’l reputò p(er) mato»); part. pass. m. sg. desprexiado 140 || Cf. GAVI, vol. 4/3, 396–399; TLIO, s.v. disprezzare n° 2. *destrù: vb. ‘distruggere’ ∼ 101; ind. fut. 3a pers. à destrù 101, cond. 2a pers. destruerise 157. *desvolupare: vb. ‘sciogliere da ciò che inviluppa’ ∼ ind. perf. 3a pers. desvolupò 95 (rifl.: «sì se d. delo lenzolo») || Da un incrocio di FALUPPA ( M ) e INVOLVERE , INVOLUCR U ( M ) (Horning 1897). INVOLUCRU digio: sost. m. ∼ 94, 153, 156, 158, pl. digi 84. 1 ‘discorso’ 94 («Eyo so(n)to aparegiado a mendar lo digio me»), 158; 2 ‘sentenza’ 84 («li digi deli p(ro)feti»), 153, 156.
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5 Glossario
dire: vb. 7, 21, 47, ecc. (29 in t.), dì 147, dir 98, 119, dirme 17; ind. pres. 1a pers. digo 7, 9, 27, ecc. (26 in t.), 2a pers. dis 105, dixe 92, 35, ecc. (7 in t.), dixi 35, 102, 154, 3a pers. dixe 2, 10, 12, ecc. (31 in t.), disse 142, 4a pers. dixemo 1332, 5a pers. dixì 26, 105, 6a pers. dixeno 64, 103, 107, impf. 2a pers. dixivi 157, 3a pers. dixeva 152, 1542, ecc. (6 occ.), 6a pers. dexevano 157, dixevano 106, 120, perf. 1a pers. disse 47, 2a pers. dexisse 55, 3a pers. dis’ 82, diss’ 161, disse 42, 72, ecc. (121 in t.), disselo 25, 5a pers. dixise-vo 133, 6a pers. diseno 60, 72, 134, dissen 82, disseno 4, 80, 83, ecc. (12 in t.), fut. 3a pers. dirà 145, 5a pers. dirì 5, 6a pers. diran 145; cong. pres. 2a pers. dige 104, 3a pers. diga 8, 84–85, ecc. (13 in t.), impf. 1a pers. disesse 55, 3a pers. disese 69, dixesse 19; cond. 3a pers. dirave 174; impt. 2a pers. dime 116; ger. digando 92, 32, ecc. (18 in t.); part. pass. m. sg. digio 3, 5–6, ecc. (33 in t.), dito 46, 73, 82, ecc. (5 in t.), f. sg. digia 44, 116, 1782, dita 40, f. pl. dige 28, digie 1, 4, 672. 1 trans. ‘esprimere, affermare, comunicare con la voce’ 1 («tute quele cosse ke fon fagie e digie in la sova passione»), 43 e nella maggior parte dei casi; 2 trans. ‘significare, intendere’ 8 («quas diga meyo fosse a no esse nado k’a esse nado p(er) esse reo p(er) luy»), 492 («Que vol dire zò», «Nu no savemo que voia dire q(ue)sto ‹poco›»), 59 («zò è a dire: la unità dela fé […] serave rota e disp(er)sa»), 77, 78 (2a forma), 84 («quax diga: ‹Cesemo dela svengianza›»), 85 (2a forma), 90 (2a e 3a forma), 91 (7a forma), 94 (3a e 6a forma), 111 (1a forma), 116 (3a forma), 129 (3a forma), 132 (1a forma), 134 (1a forma), 135 (2a forma), 144 (2a forma), 145 (3a forma), 147 (2a forma), 148, 154 (4a forma), 166 (5a forma), 172 (2a forma), 1773; 3 trans. ‘esprimere, affermare, comunicare per iscritto’ 2 («Ora dixe k’el s’ap(ro)sima la Pasqua deli Zudei»), 6, 10, 12, 212, 222, 23, 24 (1a forma), 26 (1a forma), 27 (3a forma), 28 (2a forma), 32 (1a forma), 65, 69 (2a forma), 74, 78 (1a forma), 101 (3a forma), 111 (2a forma), 122, 141–143, 147, 154 (1a e 3a forma), 155, 156 (2a forma), 161 (2a forma), 166 (1a forma), 181, 184; 4 trans. ‘chiamare qlcn. o qlcs. con un certo nome, attribuire un certo nome a qlcn. o qlcs.’ 3 («un libro ke fi digio Ysodo»), 61 («una vill’ala qual fi digio Gethsemani»), 124 («Yesù al qual fi digio Criste»), 127 («Yesù al qua fi digio Criste»), 135 («fiva digio a quel logo Lithostrato»); 5 intr. ‘parlare’ 7 («spiando l’un l’altro de ki el podeva dire»), 27 (2a forma), 83 («qua(n)do Criste g’ave digio e dado licentia»), 912 («se nu no possemo dire ben sì devemo taxere», «Qua(n)do Criste ave digio»), 94 (2a, 4a e 5a forma) || Per la quarta accezione, la costruzione con il dativo della persona o cosa cui è assegnato un nome e il verbo in diatesi passiva trova diversi paralleli, tra cui per es. «la dita pertinencia, a chi Ronco de Guarnero fi dito» in un documento veronese duecentesco (Bertoletti 2005, 285), «a quela ysora zém drito / a chi Scurzola fi dito» nell’Anonimo genovese (Contini 1960, vol. 1, 735), «Margarita è una [petra] blanca a la qual fi dito ‹perle›» nel Lapidario estense trecentesco (Tomasoni 1976, 161), «Enanci lo
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batesmo eio avea nome Reprobo, e mo me fi dito Cristofalo», «El ge fi dito Anglici», «El ge fi dito Dehyri», «El ge fi dito Ellee» nel leggendario trecentesco del codice Magliabechiano XXXVIII.110 (Verlato 2009, 522 per la prima citazione, 530 per le seguenti). Per la medesima costruzione con il verbo in diatesi attiva, basti la citazione del passo celeberrimo «Aveva frate Cipolla un suo fante, il quale alcuni chiamavano Guccio Balena e altri Guccio Imbratta, e chi gli diceva Guccio Porco» (Giovanni Boccaccio, Decameron, 430–431). *disligare: cf. più indietro *desligare. do, doa, doe: cf. du. domandare: vb. ∼ 50, 64, 116, doma(n)dar 125; ind. pres. 2a pers. doma(n)di 90, 3a pers. domanda 47, 4a pers. domandemo 80, 82, 5a pers. domandé 80–81, 822, 6a pers. domandan 169, impf. 3a pers. doma(n)dava 119, 6a pers. domandaveno 7, 82, perf. 3a pers. domandò 81, 119, 170, ecc. (6 in t.), domandòlo 119, fut. 1a pers. domandarò 104, 5a pers. domandarì 362, 41, ecc. (7 in t.); cong. pres. 3a pers. domanda 53, impf. 3a pers. domandasse 17; impt. 2a pers. doma(n)da 90, 5a pers. domandé 51; part. pass. m. sg. domandà 51, pl. doma(n)day 91. 1 ‘chiedere un’informazione a qlcn.’ 7 («domandaveno de quel peccado»), 17 («el domandasse al Segnore qual era»), 47, 50, 51 (1a forma), 902 («perquè me doma(n)di tu de zò?»; «Doma(n)da da q(ui)lli ki m’àn oiudo»), 91 («qua(n)do fimo doma(n)day d’alcun»), 104, 116, 1192 (1a e 3a forma); 2 ‘interrogare qlcn.’ 53 («non è besognio ke alcun te domanda»), 81 (1a forma), 119 (2a forma); 3 ‘chiedere una cosa a qlcn.’ 362 («tuto zò ke vu domandarì al me Padre»; «tuto quelo ke vu domandarì alo me Padre»), 41, 43, 513 (2a–4a forma), 52, 64 («nu sé demo […] domandare del’aito(r)io de Deo»), 125 («illi devesseno doma(n)dar Baraban»), 169 («domandan da beve»), 170, 1712, 185; 4 ‘cercare’ 802 («Ki doma(n)dé vu?»; «Nu domandemo Yesù de Nazeret»), 81 (2a forma), 824 || Cf. GAVI, vol. 4/4, 227–241; LEI, vol. 19, 915–919, 928–930. domane: sost. f. ‘mattina’ ∼ 2 («el non g’aromanisse alcuna cossa perfine ala d.») || Cf. LEI, vol. 19, 975–976; TLIO, s.v. domani n° 1.2; Marri (1977, s.v. domà); per il genere cf. Rohlfs (1969, §395). dome(n)te k’: cong. ‘mentre’ ∼ 61 («Sedì zoxo […], d. k’e’ vago a orare un pocho») || Da DUM INTERIM ; cf. §4.69; GAVI, vol. 4/4, 268–269; TLIO, s.v. domentre; Salvioni (1898, 288); Marri (1977, s.v. doment). *dovere: vb. ∼ cf. §4.62.
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*dovrarse: cf. più indietro *adovrare. dré: avv. ‘dietro’ ∼ 90, 96, 108. drigio: agg. ∼ 153, 159, 184, m. pl. drigi 2, 6, f. sg. drigia 31, 83, 159, drita 6, 104, 128, 137. 1 ‘che si erge verticalmente’ 2 («drigi in pey»), 6 («drigi i(n) pey»); 2 ‘destro’ 6 («Siando benedeta la mensa dela drita man del nostro Segnor»), 31, 83, 104, 128, 137, 153, 1592, 184. du: agg. e pron. numerale ‘due’ ∼ m. 4, 73, 101, ecc. (9 in t.), duy 5–6, f. do 81, 91, 99, ecc. (5 in t.), doe 182, neutro doa 60 || Cf. §4.47. *elegere: vb. ‘scegliere’ ∼ part. pass. m. sg. elegio 43, pl. elegi 27, 43. examinar: vb. ‘interrogare’ 113 («Pillato no vosse e. Criste»), 1152, xaminà 90 || Per xaminà cf. §4.33. esse: vb. ∼ cf. §4.62. etiamdé: avv. ‘anche’ ∼ 152 («no solam(en)te p(er) li amixi, ma e. p(er) li inimixi»), 159, 183–184. *falare: vb. ‘mancare il bersaglio’ ∼ ind. perf. 3a pers. falò 83 («lo colpo f.»). fameia: sost. f. ‘famiglia’ ∼ 5. fanzele: sost. f. pl. ‘fiaccole’ ∼ 75 («ben aparegiadi d’arme e de f. e de lanterne»), 82. || Nessuna attestazione di forme con epentesi di n (cf. §4.34) in TLIO, s.v. facella; si trova nfancella nel dialetto centrale di Amaseno (Vignoli 1926, s.v.) e, con epentesi di l, falsella (Azzi 1857, s.v.), falsela (Ferri 1889, s.v.) a Ferrara. far: vb. ∼ cf. §4.62. fazia: sost. f. ‘faccia’ ∼ 93 («i(n) lo più honevre logo dela persona, zò è i(n) la f.»), faza 106 («e ge spudaveno i(n) la f.») || Cf. §4.3 per fazia. fere: sost. m. (?) ‘fiele, liquido amaro (secondo alcuni velenoso, secondo altri narcotizzante)’ ∼ 171 («pien de f. e d’axé»), 176 («ge sporzén ala bocha f. e axé») || Cf. TLIO, s.v. fiele; Keller (1935, 84).
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*ferire: vb. ‘colpire’ ∼ ind. pres. 2a pers. feri 94, 6a pers. ferano 84, perf. 3a pers. ferì 92, fut. 1a pers. ferirò 59, 4a pers. feriremo 83; ger. ferindesso 180; part. pass. m. sg. ferido 21, 922, ecc. (10 in t.). 1 ‘colpire’ 59 («Eio ferirò lo pastore e lle peccore del grezo seran disp(er)se»), 83–84, 923, 934, 942, 106, 180; 2 ‘trafiggere’ 21 («sì co(m) el fosse de gladio f.»), 184 || Cf. §4.35 per ferindesso. fì: vb. ∼ cf. §4.62. 1 ausiliare del passivo 32 («segundo ke fy cantao i(n) un libro ke fi digio Ysodo»), 8, 132, 222, 29, 51, 61, 66, 68, 742, 75, 86, 882, 91, 95, 111, 121, 124, 127–128, 1293, 134–135, 1392, 1402, 144, 146, 1472, 181, 186; 2 ‘divenire’ 11 («quello k’è maior de vu sì debia fì sì co(m) vostro ministro»); 3 ‘avvenire’ 67 («Padre me, s’el pò esse ke questo kalix strapassa da mi, ke eyo no ’l beva; sì fiza ala toa voluntà»). fiada: sost. f. ‘occasione, volta (in senso temporale)’ ∼ 9 («in quela f. tuti XII avevano la mane i(n) la squela»), 10, 17, ecc. (19 in t.), pl. neutro fiada 602 («inanze ke ca(n)ta gallo doa f., tre f. m’é renegà») || Cf. §4.36. fievele: agg. ‘privo di forze’ ∼ 146 («el era cusì f. e cusì debile»). fiolo: sost. m. ‘figlio’ ∼ 14, 20, 362, ecc. (43 in t.), fiol 8, 1052, pl. fioli 13, 32, 1102, ecc. (9 in t.), fioly 13. fregio: agg. ‘freddo’ ∼ 89 («se scoldaveno i(m)p(er)ò k’el era f.»), 97. gazari: sost. m. pl. ‘eretici’ ∼ 64 («li g. e li patarin») || Dal gr. katharós, attraverso il lat. CATHĂRU ( M ) ; cf. §2.3; Marri (1977, s.v. gazaro); Castellani Pollidori (2001, 273–274). gente: cf. più avanti zente. Gexia: sost. f. ‘comunità dei fedeli cristiani’ ∼ 13 («pastor dela sancta G.»), 14, Gesia 3 || Cf. GAVI, vol. 3/2, 198–200; LEI, fasc. E1, 87–89; TLIO, s.v. chiesa; Keller (1935, 85); Wilhelm (2006, 88). giayramente: avv. ‘chiaramente’ ∼ 184 («vite g., sì com pò vedere alcun homo») || Cf. §4.8; GAVI, vol. 3/2, 165, che registra piairamenti, con passaggio CLARU ( M ) > *CLARIU ( M ), nell’Anonimo genovese; TLIO, s.v. chiaramente, che segnala iairamenti, in Porro (1979). *giamare: cf. più indietro clamare.
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giò: sost. m. ‘chiodo’ ∼ 149 («li pey ge mixeno l’un sovra l’altro, […] e con un grosso g. li ficón sur la croxe»), pl. 149–151 || Cf. più indietro clavo; GAVI, vol. 3/2, 210; TLIO, s.v. chiodo. godio: sost. m. ‘gioia’ ∼ 422, 512, ecc. (6 in t.). goltade: sost. f. pl. ‘schiaffi’ ∼ 106 («ge devano le gra(n)de g.») || Dal gallico *gauta (DELI e Nocentini 2010, s.v. gota); cf. più avanti sgoltada, voltada; la forma è attestata in Veneto (cf. Mussafia 1864, 109: galtaa; Todesco 1938, 156: goltade; Gambino 2007, 419 s.v. galtada; Elsheikh 1999, 85; altre attestazioni citate in Seifert 1886, 32 s.v. golta) e in Emilia (Elsheikh 2001, 146); in altre forme (gotata, gualtata, gautada, ecc.), i continuatori del derivato di *gauta sono piuttosto diffusi negli antichi volgari italiani. *gotare: vb. ‘gocciolare’ ∼ ind. impf. 6a pers. gotaveno («gotte de sangue ke […] spesso g. in terra»). gotte: sost. f. pl. ‘gocce’ ∼ 68 («e ’l so sudor era sì co(m) g. de sangue»). gramo: agg. ‘triste, infelice’ ∼ 109, f. sg. grama 164 || Dal germ. *gram (DELI, s.v. gramo); cf. REW, §3834; DEI, s.v. gramo; Salvioni (1898, 293); Keller (1935, 85); Marri (1977, s.v. gramo); Wilhelm (2006, 88). grande: agg. ∼ 5, 7, 46, ecc. (17 in t.), m. pl. grandi 146, grangi 98, 150, f. sg. grande 7, 53, 68, ecc. (41 in t.), f. pl. grande 71, 106, 108, 128; comparativo maior 102, 11, ecc. (10 in t.), m. pl. maiuri 10, f. sg. maior 30, 92, 107, 158, mayor 131, f. pl. maior 36, maiore 151; superlativo g(ra)ndismo 30, stragra(n)dissimo 143, f. sg. grandissima 186, gra(n)dissma 92 || Cf. §4.36; §4.26 per grangi; §4.25 per il comparativo; §4.33 per i superlativi sincopati gra(n)dissma, g(ra)ndismo; Mussafia (1868, §133) per il superlativo in -issimo con il prefisso EXTRA - stragra(n)dissimo, attestato anche in Bonvesin. grezo: sost. m. ‘gregge’ ∼ 59. guarda: sost. f. ‘sorveglianza’ ∼ 107 («lasón […] algua(n)ti homini armadi p(er) maior g.»), 179 («quili ki erano […] alla g. de Criste») || Cf. DELI, s.v. guardare; REW, §9502; dal Corpus OVI la forma risulta diffusa al Centro e al Nord. *guardare: ∼ ind. pres. 3a pers. guarda 38, impf. 3a pers. guardava 20, 142, perf. 3a pers. guardà 166, guardò 992, guardòsse 7, fut. 6a pers. guardaran 442, se
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guardaran 76; cong. impf. 3a pers. se guardasse 125; impt. 2a pers. guarda 56, guardali 57, 5a pers. guardé 136; part. pass. m. sg. guardà 100. 1 trans. ‘volgere lo sguardo su qcls. o qlcn.’ 7 («Guardòsse l’un l’altro»), 992, 100, 166; 2 trans. ‘considerare’ 136 («guardé quelo ke vu fazé»), 142 («guardava s’ela podeva vedere lo so fiolo»); 3 trans. ‘cercare’ 20 («guardava lo pongio e l’ora»); 4 trans. ‘custodire’ 56 («Padre guarda tuti q(ui)lli ke tu m’é day»), 57 («guardali dal male»); 5 trans. e intr. ‘rispettare’ 38 («la mia parola guarda»), 442 («se illi guardaran ala mia parola, illi guardaran ala vostra»); 6 rifl. ‘difendersi, stare in guardia’ 76 («no se guardaran da mi»), 125 («el se guardasse ben ke p(er) nesuna cossa el no fesse»). guixe: sost. f. pl., nella locuz. avv. i(n) tute g. ‘in ogni modo’ 133. il: prep. art. ‘nel’ ∼ 50, 573. illò: cf. più avanti inlò. illora: avv. ‘allora’ ∼ 4, 18, 53, ecc. (47 in t.), ilora 61, 101, 110, ecc. (5 in t.), inlora 6, 17, 21, ecc. (6 in t.) || È probabile che tutte le forme – e non soltanto l’ultima elencata – risalgano a un incrocio tra ĬLLĀ HŌRĀ e la prep. ĬN (DEG, s.v. ignora; DVT, s.v. igliura). L’ipotesi è suggerita dalla conservazione del timbro di Ĭ protonica, perché dal semplice ĬLLĀ HŌRĀ ci si aspetterebbe *elora (cf. §§4.15, 4.16; per Salvioni 1975, 337, si tratterebbe invece di sostituzione di a- con in-, come per «incorg accorgere»); per altre attestazioni del lemma in lombardo occidentale antico, cf. Salvioni (1898, 294); Marri (1977, s.v. illora); Wilhelm (2006, 88 s.v. illora). *imbindare: vb. ‘bendare’ ∼ ind. perf. 6a pers. i(m)bindón 106 («sì ge i. li ogii azò k’el no ge podesse vedere»), part. pass. m. pl. i(m)binday («li soy [ogi] fon i.»). *imprendere: vb. ‘apprendere’ ∼ ind. perf. 3a pers. imprexe 21 («inlora i. san Iohane la subtilità dela divinità») || Cf. GDLI, s.v. imprendere n° 4; Keller (1935, 85); Marri (1977, s.v. imprende). inanze: prep., avv., cong. ∼ 252, 39, ecc. (17 in t.), i(n)nanze 6–7, i(n)na(n)ze 27. 1 prep. ‘prima di’ 6 («illi mangiàno alcuna cossa i(n)nanze l’agnelo»), 58; 2 avv. ‘in poi’ 47 («de qui inanze vu no me vederì»), 122, 129, 167; 3 cong. coord. avversativa ‘anzi’ 25 («no solame(n)te me lave li pey, ina(n)ze me lava le mane e ’l chò e tuto qua(n)to»), 56; 4 locuz. cong. subord. avversativa i. ke ‘piuttosto che’ 25 («Segnor inanze ke zò sia, […] me lava le mane e ’l chò e tuto
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qua(n)to»), i. ka 71 («alezo i(n)a(n)ze de morire […] ka ke eyo schiva la morte»); 5 locuz. cong. subord. temporale i. ke ‘prima che’ 27 («Eio vel digo i(n)na(n)ze ke zò sia fato»), 54, 60, 99, 118, 172, i. ka 161 («’l ladro nì nesun altro no i(n)trà in paradixo inanze ka Criste»), i. k’ 7 («ò desidrà de far questa Pascha con vu insema, i(n)nanze k’eo sofrisca passion e morte»), 39, 44 || Cf. §§4.32, 4.48, 4.67, 4.69, 4.70. incontanente: avv. ‘subito’ ∼ 20, 24, 84, ecc. (8 in t.), i(n)cõtane(n)te 19, i(n)[c]õtane(n)te 71. i(n)(con)tra: prep. e avv. ∼ 81, 106, 1222, in(con)tra 125. 1 prep. ‘contro’ 106 («Que ne fa besonio aver testimonia(n)za i(n)(con)tra questo homo?»), 1222, 125; 2 avv. ‘incontro’ 81 («el ge andò i(n)(con)tra»). indré: avv. ‘indietro’ ∼ 9 («traseno tuti la man i.»), 121 («lo remandò i. a Pillato»). *indure: vb. ‘indurre’ ∼ part. pass. m. sg. i(n)dugii 103 («la soa respo(n)sion li avrave i. a calo(n)nià e a peccar») || Cf. §4.12. *infenzere: vb. ‘simulare’ ∼ ind. impf. 3a pers. i(n)fenzeva 77 («el i. esse amigo»). *inficare: vb. ‘conficcare’ ∼ ind. perf. 6a pers. inficàn 149 («un clavo i. in una man»), 153 («i. la croxe i(n) terra»). inganevre: agg. ‘ingannevole’ ∼ 158 («I. p(ro)mission era la soa»). *ingenogiarse: cf. più avanti *inzenogiarse. *ingiavare: vb. ‘inchiodare’ ∼ part. pass. m. sg. ingiavado 152 («stava cusì mes(er) Yesù Criste sur la croxe i(n)giavado»), 1532. inguale: agg. ‘di pari valore (anche sostantivato)’ ∼ 12 («Se ’l povero te (con)stituisse duxo no te exaltare, ma fa’ ke tu sii intra loro quasi sì co(m) so i.»), inguà 167 («questo ca(m)bio no fo ben i.») || Cf. §4.16; LEI, vol. 1, 1016–1017; TLIO, s.v. eguale. inimigo: sost. m. ‘nemico’ ∼ 772 (1a occ.: « Questa pare maraveia, co(m) Criste poè apelare amigo quelo ki era so mortale i.»), 87, pl. inimixi 14, 84–85, ecc. (6 in t.), inimì 68 || Cf. 4.33 per inimì.
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i(n)ivrià: vb. ‘esaltare’ ∼ 30 («pensando sovra zò l’anima devotamente, tuta se devrave i(n)fiamà (et) i.») || Cf. LEI, fasc. E1, 52; Marri (1977, s.v. ivriarse). i(n)lì: avv. ‘lì’ ∼ 147 («Criste fo morto i. i(n) quelo logo») || Dall’incrocio paretimologico della prep. ĬN con ĬLLĪC (cf. inlò). Dal semplice ĬLLĪC o, forse meglio, da *ĪLLĪC , base parallela a *ĪLLŎCO (VSES, vol. 1, 354–355), discende illì che, stando al Corpus OVI, è attestato in lombardo occidentale (Bertolini 1985, 32, 352, 39) e in siciliano antico (si ha inoltre un’occorrenza di ilì in un documento senese trecentesco); in siciliano antico è pure diffuso l’avv. illà (o ilà; si trovano poi due casi di inlà in Branciforti 1953, 22; due occorrenze di illà anche in senese e toscano antichi). Le forme qui citate sono da mettere in relazione con avverbi consimili al di fuori dell’area italoromanza, come ila in francese antico o aylla in provenzale antico (per cui in FEW, vol. 4, 548–549, si ipotizza una prostesi sillabica di rafforzamento); allà e allí in catalano (interpretati in DELCat, vol. 3, 268, come continuatori non apocopati di ĬLLĀC e ĬLLĪC ); alá e ali in portoghese (in DELP, vol. 1, 199; vol. 3, 365, spiegati il primo come un composto di a-, particella espletiva forse preromana, e lá, il secondo come composto di AD e ĬLLĪC ). inlò: avv. ‘là’ ∼ 5 («coluy ve mostrarà un cenaculo grande e spatioxo e i. aparegiarì a nu la Pascha»), 31, 61, ecc. (18 in t.), illò 24, 171 || Illò deriva dal lat. tardo *ĪLLŎCO , prodotto da un incrocio di ĬLLŌC con LŎCO per un verso, con ĪLICŌ o HĪC per l’altro (FEW, vol. 4, 559–560; Rohlfs 1969, §909; VSES, vol. 1, 354– 355); la forma inlò è dovuta un ulteriore incrocio paretimologico con la prep. ĬN (EWD, vol. 4, 23; cf. §4.16); cf. Salvioni (1898, 294); Marri (1977, s.v. illoga); Wilhelm (2006, 88 s.v. illoga). inlora: cf. più indietro illora. i(n)nanze, i(n)na(n)ze: cf. più indietro inanze. *inschergnire: vb. ‘dileggiare’ ∼ part. pass. m. sg. inschergniido 138 («e’ l’aveno i. e beffado al so tale(n)to»), 140 («el fo i. e beffado ») || Cf. più avanti *schernire; §4.4; GAVI, vol. 16/2, 66–71; REW e PIREW, §7999. insema: avv. ‘insieme’ ∼ 6 («illi se asetàno con luy i. alla mensa»), 7, 24, ecc. (14 in t.) || L’avverbio è sempre posposto al complemento di compagnia: cf. §4.48. i(n)sì: avv. ‘così’ ∼ 89 («san Pedro era i. smarido […] k’el no p(re)xe a me(n)te del galo qua(n)do el ca(n)tò») || Da ĬN SĪC ; cf. REW e PIREW, §7892; Rohlfs 1969,
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§946; per il lombardo occidentale antico cf. Salvioni (1898, 295; 1902a, 445); Degli Innocenti (1984a, 88–89); Bertolini (1985, 29); Wilhelm (2006, 89); Wilhelm/De Monte/Wittum (2011, 197). *insire: vb. ‘uscire’ ∼ ind. impf. 3a pers. i(n)siva 141 («Criste i. fora dela cità de Yerusalem»), 6a pers. insivano 108, perf. 1a pers. insì 52 («Eio i. dalo Padre e sì veni i(n) lo mondo»), 3a pers. insite 100, 112, 118, ecc. (7 in t.); cong. impf. 6a pers. i(n)siseno 151 («quele tre piage parivano tre fontane de sa(n)gue ke i. dal corpo »); part. pass. m. sg. insudo 532 («mo vedemo nu ke tu é i. da Deo», «credemo nu ke tu é i. da Deo»), 55, 87 || Cf. §§4.16, 4.34; PIREW, §3018; Seifert (1886, 40); Keller (1935, 86); Salvioni (1898, 295); Degli Innocenti (1984a, 259); Wilhelm (2006, 89). *inspenzere: vb. ‘spingere’ ∼ ind. perf. 3a pers. inspenzè 182 («quando Longino ave la ponta dela lanza per mezo lo costado de Criste, et ello la i. oltra per grande forsa segundo tuto so poè») || Cf. GAVI, vol. 16/6, 469, che segnala forme con in- in Bonvesin, nell’Elucidario lombardo e nell’Anonimo genovese. intende: vb. ∼ 6, 9, 18, ecc. (13 in t.); ind. impf. 3a pers. i(n)tendeva 102, 6a pers. intendevano 102, 176, perf. 3a pers. i(n)texe 126; cong. impf. 6a pers. i(n)tendeseno 16, 19; part. pass. m. sg. intexo 8, 127. 1 ‘apprendere’ 127 («qua(n)do Pillato ave i(n)texo la muliere, zò k’ela ge mãdava a dire»); 2 ‘comprendere’ 6 («se pò i(n)tende in duy modi»), 8–9, 16, 19, 37, 77, 114, 126, 176–177; 3 ‘voler dire’ 1022 (1a forma: «Criste i(n)tendeva del te(m)plo del corpo so»); 4 locuz. dare a i. ‘far capire, significare’ 18 (Cristo intinse il pane «a dare a intende ke lo corpo de Criste tuto deveva esse tengio i(n) lo so p(ro)prio sange»), 222, 29, 61, 81, 155 || L’articolazione semantica si mostra distante da quella riscontrabile nell’opera bonvesiniana, dove intende è comune per ‘ascoltare’ e ricorre inoltre nelle accezioni ‘avere il pensiero a’ (anche pron.) e, come riflessivo reciproco, ‘accordarsi’ (Marri 1977, s.v. intende). i(n)trar: vb. ‘entrare, penetrare in un luogo’ ∼ 882, 112; ind. impf. 6a pers. i(n)travan 150 (li giò «erano muzi e i. con grande dolore in le man e in li pey»), i(n)traveno 112 («illi i. i(n) caxa d’alcun pagan»), perf. 3a pers. i(n)trà 74, 1612 (1a occ.: «nesun altro no i. in paradixo inanze ka Criste»), intrò 19, 88, 96, 184 («alcuna cossa de quel sangue i. in li ogii de Longino»), fut. 3a pers. à i(n)trà 4; cong. pres. 5a pers. i(n)tré 66. intremetese: vb. ‘intromettersi’ ∼ intremete 23 («non se dè i. delle cosse corporé»), i(n)tromete 95 («no se vosse i. de Criste») || Cf. §4.35 per intremete.
*
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*involupare: vb. ‘inviluppare, avvolgere’ ∼ part. pass. m. sg. i(n)volupado 95 («el era i. i(n) un lenzolo») || Da un incrocio di FALUPPA ( M ) e INVOLVERE , INVOLU CRU ( M ) (Horning 1897). *inzenerare: vb. ‘generare’ ∼ part. pass. m. sg. i(n)zenerà 145 («quelle madre ki no àn i.»). *inzenogiarse: vb. ‘inginocchiarsi’ ∼ ind. impf. 6a pers. se inzenogiaveno 128 («se i. denanze da lu p(er) beffe»), 137, perf. 3a pers. i(n)zenogàsse 63 («i. in terra»), 4a pers. se ingenogiamo 69 («tuti quanti se i.»). iudeo: agg. e sost. ‘giudeo’ ∼ 116 («Qu’è zò a dire, k’e’ no so(n)to i.?»), pl. Zudé 2 («quelo agnelo ki è coto e mangià dali Z. e li antixi sì sig(ni)ficava lo nostro Segnor Yesù Criste»), 3, 62, ecc. (63 in t.), Zudei 2, 202, 85, Zudey 65. iuridition: sost. f. ‘giurisdizione’ ∼ 121 («sì cometè omincha i. k’el aveva de mes(er) Yesù Criste»), iu[ri]dition 119. lactuga: sost. f., designa l’indivia nella locuz. nom. l. agreste 6 («mangiando l’angnelo con la l. agreste»), pl. lactuge agresto 2 («la nocte lo deveno mangiare [i.e. l’agnello] colo pane lixo e con l. agresto») || Cf. §4.19; TLIO, s.vv. agreste, lattuga n° 1.1; Marri (1977, s.v. agrest). lasa(r): vb. ∼ 30, lassar 132, lassare 131; ind. pres. 1a pers. lago 39, lasso 52, 2a pers. lassi 132, perf. 3a pers. lasà 1, lassò 88, 95, 6a pers. lasón 852, 107, fut. 1a pers. lasarò 37, lassarò 127, 5a pers. lasarì 104, lassarì 53; cond. 1a pers. lassareve 121; impt. 5a pers. lasé 82; part. pass. m. sg. lasado 88, lassado 120, 186. 1 ‘abbandonare’ 52 («mo lasso lo mondo»); 2 ‘non portare con sé’ 95 («gel lassò i(n) ma(n) [i.e. il lenzuolo]»); 3 ‘rimettere in libertà’ 104 («vu no me lasarì»), 131, 132 (1a forma); 4 ‘tralasciare’ 1 («quelo che l’uno lasà l’altro compiì»); 5 ‘affidare’ 30 («el no pò lasa(r) maior cossa […] ka sì medesmo»), 39 («La mia paxe ve dago, la mia paxe ve lago»); 6 ‘indurre qlcn. in una condizione (con compl. predicativo)’ 37 («eo no ve lasarò orfani»), 53, 852, 107 («lasón co(n) sego algua(n)ti homini armadi»), 186; 7 ‘permettere’ 82 («lasé a(n)dar q(ui)sti mei discip(u)li»), 882, 120–121, 127, 132 (2a forma). lavagio: sost. ‘fango’ ∼ 142 («lo corpo era pien de l.») || Forse da *LAVACULU ( M ) , a sua volta da LAVACRU ( M ) , con cambio di suffisso (DEI, s.v. lavacchio). La voce è attestata anticamente in area ligure (cf. Aprosio 2003, parte II, vol. 1, 609 s.
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v. lavagio; cf. inoltre ivi e alla pagina seguente i sost. lagiu, lavaggia, lavaglo, lavaio, lavaü’giu, lavaü’me, il vb. lavaiarse, l’agg. lavaiento, i toponimi Lavagello, Lavaggi, Lavaggini, Lavaggio, Lavaglio), dove i documenti latini ne certificano la circolazione sin dal decimo secolo (cf. Aprosio 2003, parte I, vol. 1, 483 s.v. lavaclo; cf. inoltre ivi le vv. lavachium, lavagius, lavaglum); lavagio è pure in lodigiano antico (Salvioni 1904b, 481); per il milanese, cf. Cherubini (1839, s.v. lavésg). legnio: sost. m. ∼ 139, 1454, ecc. (10 in t.), legno 3, 1392, 142, pl. f. legne 139. 1 ‘il materiale fornito dai tronchi delle piante’ 1454 («legnio verde», «legnio secho»), 154 («legnio d’oriva»); 2 ‘pezzo di legno’ 3 («lo legno dela sancta croxe»), 1394, 142, 1462, 149. lenzolo: sost. m. ‘telo di stoffa’ ∼ 24 («tosse un lenzolo» per la lavanda dei piedi), 952 («un zovene […] i(n)volupado i(n) un lenzolo»), lenzò 24 («comenzò a lavar li pey ali soy discip(u)li e sugàli con quelo lenzò»). levado: agg. ‘lievitato’ ∼ 3 («pan l.») || Cf. più avanti lixo; GDLI, s.v. levato n° 29. *levare: vb. ∼ ind. impf. 3a pers. levava 135, perf. 3a pers. levà 24, levò 54, 66, 158, se levò 103, 6a pers. levàn 153, se levàn 24, levón 73, fut. 3a pers. levarà 27; cong. pres. 2a pers. levy 57; impt. 5a pers. levé 72–73; part. pass. m. pl. levadi 57, 81, levai 44. 1 trans. ‘alzare’ 27 («Quelo ki mangia lo me pane sì levarà co(n)tra de mi lo so calcagno»), 54 («levò li ogii al cello»), 153 («Criste crucificado e ingiavado sì levàn i(n) alto»); 2 intr. ‘alzarsi’ (anche pron.) 242 («Criste levà su dela cena e i(n)co(n)tanente se levàn tuti li discip(u)li altersì»), 66, 72, 732, 81, 103 («se levò i(n) pey»); 3 intr. ‘risorgere’ 158 («ello levò dela sepoltura»); 4 trans. ‘togliere’ 44 («vu no sì del mondo, anze v’ò levai del mondo»), 572; 5 locuz. l. a rumore ‘ribellarsi’ 135 («lo populo se levava a rumor») || Cf. GDLI, s.vv. levare, ni 1, 2, 35, rumore n° 28. leze1: sost. f. ∼ 3, 62, ecc. (8 in t.). 1 ‘il complesso delle norme di uno stato’ 129 («eyo [i.e. Pilato] no lo posso iudicare p(er) la mia l. iustame(n)te»); 2 ‘il complesso delle norme rivelate da Dio al popolo ebraico’ 3 («E comandava la sova l. […] ke questo agnelo devesse esse coto tuto integro»), 62 (1a occ: «la l. vegia»), 45, 114, 1312. leze2: vb. ‘leggere’ ∼ 154 («tuti q(ui)lli ki savevano de letre sì podevano l. quel titulo»); ind. pres. 3a pers. leze 89, 140, 4a pers. lezemo 14.
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*ligare: vb. ‘legare’ ∼ ind. perf. 6a pers. ligón 86 («In quela fiada li ministri deli Zudé sì l. lo fiolo de Deo»), 107; part. pass. m. sg. ligado 86–87, 95, ecc. (7 in t.), legà 117, pl. ligadi 86 || Cf. §4.15 per ligón, ligado, ligadi. lixo: agg. ‘non lievitato’ ∼ 2 («pane l.»), 32 || Da *LISIU ( M ) (DCECH, vol. 3, 666– 667). In antico, la voce nell’accezione qui pertinente compare in un testo genovese, dove, come nel §3 della Passione Trivulziana, il «pam lizo» è opposto a quello «levao» ‘lievitato’ (Parodi 1899, 66). Come ricorda lo stesso Parodi, in Liguria il vocabolo è sopravvissuto nell’accezione di ‘mal lievitato’ (cf. Casaccia 1964, s.v. liso); cf. inoltre, tra le parlate galloitaliche di Basilicata e Sicilia, il trecchinese ḍḍisu ‘non lievitato’, il sanfratellano pesta ddiesa, che designa un tipo di focaccia senza lievito, il gallosiciliano lisu ‘mal lievitato’ (De Gregorio 1899, 115; Rohlfs 1972, 213). logo: sost. m. ∼ 5, 8, 24, ecc. (30 in t.), pl. loxi 1413. 1 ‘sito, località’ 60 («lo logo dela sova [passion]»), 61, 74, 92, 125, 1352, 138, 1414, 144, 1475, 1484, 186; 2 ‘posto assegnato’ 34 («eio vago p(er) aparegàve lo logo»), 84 («Torna lo gladio alo logo so»); 3 ‘stanza’ 5 («ond’è quello logo k’eo possa cenar co(n) li mei discip(u)li?»), 24; 4 ‘parte del corpo’ 93 («l’à ferido i(n) lo più honevre logo dela persona»), 1502; 5 ‘occasione’ 8 («dar logo de penitentia alo traditore»), 103; 6 locuz. prep. in l. de ‘al posto di’ 166 («voyo ke questo me discip(u)lo e me dilecto sì sia to fiolo in me logo») || Cf. GDLI, s.v. luogo ni 1, 2, 5, 12, 17, 28. lonze: avv. ‘lontano’ ∼ 61 («partìsse ta(n)to l. dali altri qua(n)to serave lo tragio d’una prea»), 96 («san Pedro sì seguiva Criste pure da l.»). *lumentare: vb. ‘esprimere a voce la propria sofferenza’ (anche pron.) ∼ ind. impf. 6a pers. lum(en)taveno 144 («co(n) sego i(n)sema andava molte done e altra ze(n)te ki pia(n)zeveno e l.»), perf. 3a pers. se lumentò 175 («ello no se l. de Deo») || Cf. §4.17. madre: sost. f. ∼ 14–15, 140, ecc. (16 in t.), pl. madre 145, madran 163 || Cf. §4.36. maynera: sost. f. ‘maniera’ ∼ 114 («i(n) qual m. el deveva receve morte»), mainera 117. maior: cf. più indietro grande. maistro: sost. m. ‘maestro’ ∼ 262 («segnore et m.») || Cf. §4.9.
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man: sost. f. ‘mano’ ∼ 62 («Siando benedeta la mensa dela drita m. del nostro Segnor», «drigi i(n) pey con li baston in m.»), 8, ecc. (19 in t.), mane 2 («drigi in pey […] con li bastoni i(n) m.»), 9, 139, pl. man 6 («illi se lavàno le m.»), 20, 852 (12 in t.), mane 25 («no solame(n)te me lave li pey, ina(n)ze me lava le m. e ’l chò e tuto qua(n)to»), 109, 170, 1782 || Cf. §4.36. maraveia: sost. f. ‘cosa che desta meraviglia’ ∼ 77 («Questa pare m., co(m) Criste poè apelare amigo quelo ki era so mortale inimigo»), maraveya 143, maravelia 119, pl. maraveye 119 || Cf. §4.35. *maraveiarse: vb. ‘meravigliarsi’ ∼ ind. pres. 5a pers. ve maraveié 50 («De zò ke vu ve m. […] in v(er)ità ve digo ke vu sospirarì e pianzarì»), impf. 3a pers. sen mareveyava 113; impt. 5a pers. ve maravaié 44, ve maravelié 143 || Cf. §4.35. maravelioxame(n)te: avv. ‘in modo da destare meraviglia’ ∼ 31 («fo m. incarnado») || Cf. §4.35. marevelioxa: agg. f. sg. ‘meravigliosa’ ∼ 21 («m. parola»), mareveioxa 183 || Cf. §4.35. masela: sost. f. ‘guancia’ ∼ 922 (1a occ.: «el fo ferido i(n) la m.»), massela 92–93. meyo: avv. 8, 159, meio 20. 1 avv. di modo ‘meglio’ 8 («quas diga meyo fosse a no esse nado k’a esse nado p(er) esse reo p(er) luy»), 20 («guardava lo pongio e l’ora co(m) ello podesse meio trahir Criste in le man deli Zudei»); 2 locuz. avv. al m. ‘al meglio’ 159 («al meyo k’el podeva»). menar: vb. ‘portare, condurre’ ∼ 14 («ello vite m. via prexo lo povero so»), 113, 129, 134; ind. impf. 6a pers. menaveno 87, 138, perf. 3a pers. menò 872, 107, 186, 6a pers. menón 87, 137; cong. impf. 3a pers. menase 86; impt. 5a pers. menélo 76; ger. menando 139; part. pass. m. sg. menà 88, menado 952, 1122, ecc. (8 in t.), f. sg. menada 144. menbro: sost. m. ‘membro’ ∼ 170 («el non era alcun m. nì alcuno sentimento del corpo in lo qual el no avesse sustenudo grevissima passion»), pl. f. menbre 170 («tute le altre m.») || Cf. §4.36. mendar: vb. ‘correggere’ ∼ 94 («Eyo so(n)to aparegiado a m. lo digio me s’e’ ò digio male») || Cf. LEI, fascc. E2–E3, 384–385; Salvioni (1898, 300); Marri (1977, s.v. mendar).
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meroni: sost. m. pl. ‘zigomi’ ∼ 142 («el aveva lo volto nizo, li ogi con li m. nigri, la faza spuazada») || Da MĒLU ( M ) < MĀLU ( M ) , già in latino col significato traslato di ‘guancia’ (Parodi 1899, 68; TLL, s.v. mālum); cf. il genovese antico meroni (nel citato studio di Parodi), il pavese antico mellon (Salvioni 1902a, 446), le forme malono, melonis attestate in documenti latini di Chivasso (Ahokas 1986, 134) e il milanese moderno melonna (Cherubini 1839, s.v.). mesté: sost. m. ∼ 47, 52, 134, mestere 19. 1 locuz. fare m. ‘essere necessario’ 19 («alcuna cossa ke fesse mestere al dì dela festa »), 47 («ve digo k’el fa mesté ke eyo men vaga»), 134; 2 locuz. essere m. ‘essere necessario’ 52 («E no p(re)garò p(er) vu lo me Padre, k’el non è mesté») || Cf. GDLI, vol. 10, 231. mete: vb. ∼ 16, 28, 33, 111; ind. pres. 3a pers. mete 8, impf. 3a pers. meteva 16, perf. 3a pers. mise 21, 24, mixe 99, 124, 129, misse 136, metèlo 171, 6a pers. mixen 139, miseno 137, mixeno 1282, 137, ecc. (6 in t.), metén 107, 153, 186, fut. 2a pers. meteré 33; cong. pres. 6a pers. metano 14; impt. 5a pers. metìmi 182; part. pass. m. sg. metù 124, metudo 107, 109, 123, ecc. (6 in t.), pl. metui 150–151. 1 ‘collocare’ 8 («sì è ki con mego mete la man i(n) la squela ki me traisse»), 162, 21, 24 («tollè del’aqua colda e sì ne mise i(n) una co(n)cha»), 1072 (1a forma: «lo metén in una p(re)xo(n)»), 111, 123, 128 (2a forma), 137, 139, 147, 1492, 150–151, 153–154, 1712, 1822, 186; 2 m. (indosso) ‘far indossare’ 128 (1a forma: «E possa ge mixeno una vestime(n)ta de porpo(r)a indosso»), 137; 3 ‘spendere, impiegare’ 14 («è necesario ke illi metano le soe anime p(er) li soy subiecti»), 332 (1a forma: «eio sonto aparegiado de mete la vita mia p(er) ti»); 4 ‘rimettere qlcs. a qlcn.’ 124 (ma il senso è incerto: «Voiando Pillà satisfare al populo, sì ge mixe p(en)a»); 5 locuz. m. a memoria ‘ricordare’ trans. 99 («el ge mixe a memoria zò k’el g’aveva digio»); 6 locuz. m. fin ‘terminare’ 28 («mete fin ali sac(ri)fitii del vedro testame(n)to»); 7 locuz. m. in baylia ‘consegnare’ 129 («lo mixe i(n) baylia deli soy cavaleri»); 8 locuz. m. in le mane ‘consegnare’ 109 («Criste era metudo i(n) le mane de Pillato»), 124, 136. miga: avv. ‘mica’ ∼ 38 («Disse san Iuda, no m. lo Scarioth»), 77 («Criste apelò Iuda per amigo no m. p(er)k’el fosse so amigo segundo la v(er)ità») || Cf. §4.48. ministrador: sost. m. ‘chi esegue gli ordini di qlcn.’ ∼ 11 («volio ke […] quello ki è comandator debia vorè esse sì co(m) m.»). ministro: sost. m. ‘chi esegue gli ordini di qlcn.’ ∼ 11 («volio ke quello k’è maior de vu sì debia fì sì co(m) vostro m.»), pl. ministri 86 («li m. deli Zudé sì ligón lo fiolo de Deo»), 89, 96, ecc. (8 in t.).
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mo1: avv. ‘ora (anche rafforzativo)’ 20 («M. sì è clarificado lo fiolo del’omo»), 25, 32, 332, 35, 39, 47–48, 51, 522, 534, 54–56, 73, 87 («M. poris tu dire: p(er)què lo menò illi do(n)cha a caxa de A(n)na i(m)p(ri)ma […]?»), 104, 120 («M. perquè no respondeva Criste ad Herodex?»), 1402 («De m., fradelo meo», «m. ond’er’ela doncha […]?»), 141 («M. p(er)què no er’ela i(n) quisti loxi?»), 157, 162, 176 (29 in t.). mo2: cong. ‘ma’ 12 («no represe zà lo nostro Segnore li soy discipuli dela co(n)tention ke illi avevano i(n)tra loro, m. sì li amaistrà»), 23, 43, 64, 89, 95, 102, 156, 173 || Cf. §4.67; Rohlfs (1969, §765). morì: vb. ∼ 60, 66, 114, 131, morire 71, 1212; ind. pres. 6a pers. moreno 169, 173, impf. 3a pers. moriva 147, 168; cong. pres. 3a pers. moyra 70, 133, impf. 6a pers. morisseno 181; part. pass. m. sg. morto 28, 125, 147, ecc. (7 in t.), pl. morti 147. 1 intr. ‘cessare di vivere’ 60 («Certo s’el me covenise morì con tego eyo no t’eve renegare»), 66, 70–71, 114, 1212, 131, 133, 147, 168–169, 173, 1812, 182, 183; 2 trans. ‘uccidere’ 28 («questo sì è lo me corpo, lo qual p(er) vu serà tradido e morto»), 125 («questo Baraban era ladro e aveva morto du homini a gra(n)de traitoria»), 1472, 148. morimento: sost. m. ‘tomba’ ∼ 1864 (1a occ.: «in quelo orto era un m. novo»), pl. morimenti 179 || Dal lat. tardo MOLIMENTU ( M ) per il classico MONUMENTU ( M ) (REW, §5672; FEW, vol. 6/3, 121–122). muliere: sost. f. ‘moglie’ ∼ 110 («Siano fà li soy fioli orfani e la m. vedova»), 126– 127, mulier 125 || Cf. §4.36. muzi: agg. m. pl. ‘ottusi, spuntati’ ∼ 149 («illi toyéno giò longi, grossi e m.»), 150 || Probabilmente da *MŬTIU ( M ) (REW e PIREW, §5792; EWD, vol. 4, 481–482; DELI, s.v. mozzo1), ma l’etimo è problematico: cf. DCECH, vol. 4, 95–97, dove, considerando la «variedad desconcertante de tipos vocálicos y consonánticos» degli esiti romanzi che appaiono legati allo sp. mocho, si conclude che «el vocablo non tiene etimología, o dicho en otras palabras, es una creación divergente, realizada espontánea e independientemente por los varios idiomas». L’ampia varietà di forme succitata si registra anche restringendosi all’ambito italoromanzo settentrionale: cf. Salvioni (1896, 238), che lega l’italiano mozzo, il ticinese e piemontese mot, il genovese muttu, i lombardi moch e moc; per il periodo antico, nell’accezione di ‘spuntato’ si trovano muc in mantovano (Ghinassi 1965, 110), mozzo nella Leandreide di Giovanni Natali e nel Libro dell’arte di Cennino Cennini (cf. GDLI, s.v. mozzo1 n° 2); si aggiunga-
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no mocço, mucço, moço, riferiti a un monte, in Debanne (2011, 271), mozzo, muso, con lo stesso riferimento, in Kahane/Bremner (1967, s.v. mozzo), benché negli studi citati siano parafrasati come ‘troncato, mozzato’; si trovano inoltre nelle carte latine muzos (acc. pl.) a Bologna nel 1252, musos (acc. pl.) in Liguria (Calvini 1984, s.v.), muzus, mozus nel glossario quattrocentesco del milanese Bartolomeo Sachella (Marinoni 1962, 248). Quanto all’applicazione dell’aggettivo ai chiodi impiegati per crocifiggere Cristo, cf. Salvioni (1904b, 483), a proposito di remozo: «la chiave di questa voce ci è fornita dal passo […] dove dei chiodi della croce è appunto detto che non erano acuti, ma spuntati. remozo andrà quindi coll’it. mozzo, col lomb. mot». nervoxo: agg. ‘ricco di nervi’ ∼ 150 (i chiodi «ereno metui i(n) lo più n. logo del corpo, zò è in le man e i(n) li pey») || Cf. GDLI, s.v. nervoso n° 2; Marri (1977, s. v. nervusi). niti: agg. m. pl. ‘netti, puliti’ ∼ 25 («Vu sì n., ma no tuti»). nizo: agg. ‘livido’ ∼ 142 («el aveva lo volto n., li ogi con li meroni nigri, la faza spuazada») || Da *MĪTIU ( M ) , su cui ha influito INITIARE (Battisti 1926, 287–289; FEW, vol. 6/2, 182–183; direttamente a INITIARE risalgono Salvioni 1905c, 301; Jaberg 1926, 60); l’agg. è già in Bonvesin (Marri 1977, s.v. niz). nolitana: agg. f. sg. ‘di Nola’ ∼ 14 («Paulino vescovo dela cità n.») || La forma manca in DI, s.v. Nola. noxe: vb. ‘nuocere’ ∼ 115 («Se Criste fosse veram(en)te re deli Zudé, questo me porave n.»); ind. impf. 3a pers. noxeva 135. noxevre: agg. ‘che induce al peccato’ ∼ 98 («qua(n)to è n. cosa le praverse parole») || Cf. GDLI, s.v. nocevole. *nudrigare: vb. ‘nutrire’ ∼ ind. perf. 3a pers. nudrigòve 133 («Lo vostro Deo […] n. dela mana del cello»), part. pass. m. sg. nudrigado 143. nuveri: sost. f. pl. ‘nuvole’ ∼ 104 («vu vedarì venire lo fiolo del’omo i(n) le n. del celo») || Dall’agg. NŪBĬLU ( M ); cf. Cherubini (1839, s.v. nivol), che nomina nùver come voce ancora viva nel contado; il metaplasmo di genere (cf. §4.36), favorito dall’influsso di NĔBŬLA ( M ) (cf. FEW, vol. 7, 223), trova riscontri medioevali in ambito italoromanzo (cf. GAVI, vol. 18/6, 377; GDLI, s.v. nuvola).
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offe(n)sion: sost. f. ‘offesa’ ∼ 23 («o. de Deo [i.e. ‘offesa recata a Dio’]»). ogii: sost. m. pl. ‘occhi’ ∼ 54 («levò li o. al cello»), 100, 106, 184, ogi 99, 142, ogy 67. oii: inter. ‘ohi’ ∼ 155 («O. titulo glorioxo»), 167 («O. quen ca(m)bio doloroxo!»). *oire: vb. ∼ ind. pres. 2a pers. oii 113, 176, 3a pers. oye 37, 6a pers. oyeno 117, impf. 3a pers. oiiva 105, perf. 6a pers. ogìne 9, oiìno 176, oỳno 171, fut. oyrà 48; ger. oiando 109, oya(n)do 119; part. pass. m. sg. oiudo 39, 90, 106, 134, oyudo 119, 131, ozudo 43, f. sg. oiuda 38. 1 ‘percepire con l’udito’ 9 («Quando li discipuli ogìne q(ue)la novela, sì fon contristati»), 39, 43, 48, 105–106, 109, 113, 1192, 131, 134, 171, 1762; 2 ‘ascoltare con intenzione’ 37 («Chi oye lo me comandame(n)to e obs(er)valo, quello me ama»), 38, 90, 117. || Cf. §§4.6, 4.13, 4.21, 4.34. *olzire: cf. ulcir. omia: agg. indef. invariabile ‘ogni’ ∼ 10 («i(n) o. stadio»), 12, 142 («da o. parte»), 168 || Dal neutro pl. OMNIA ; cf. §4.46; Rohlfs (1969, §500); Salvioni (1898, 303, 338); Keller (1935, 88); Marri (1977, s.v.). omincha: agg. indef. invariabile ∼ 121, 136. 1 ‘ogni’ 121 (Erode «sì cometè o. iuridition k’el aveva de mes(er) Yesù Criste»); 2 ‘qualsiasi’ 136 («co(n)tra l’actore de vita et(er)na fo dado se(n)tenzia de morte, e no ampoy a o. morte, ma ala morte deli ladron») || Da OMNIS UNQUAM ; cf. §4.46; Rohlfs (1969, §500); Salvioni (1898, 303–304, 338); Keller (1935, 88); Marri (1977, s.v. omia); Degli Innocenti (1984a, 261). omiomo: pron. indef. ‘ognuno’ ∼ 93 («i(n) publico de o.») || Da §4.46; Rohlfs (1969, §500); Marri (1977, s.v. omia).
OMNIS HOMO ;
cf.
on: cong. ‘o’ ∼ 19 («pensón […] ke ’l Segnore g’avesse comandà k’el devesse agatare alcuna cossa ke fesse mestere al dì dela festa, o. k’a’ ’l donasse alcuna cossa ali poveri»), 116, 1242, 155 || Cf. §4.67; Rohlfs (1969, §762). honevre: agg. ‘degno di onore’ ∼ 93 («l’à ferido i(n) lo più h. logo dela persona») || Cf. §4.35; la forma non è altrimenti attestata. ordinario: agg. sostantivato ‘prelato investito di un potere di giurisdizione connesso alla carica (per es. il vescovo)’ ∼ 95 (Caifa «era iudexe e o. i(n) q(ue)llo
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a(n)no») || Cf. GDLI, s.v. ordinario n° 38, che riporta come prima attestazione un passo di Giovanni dalle Celle del 1388. oregia: sost. f. ‘orecchia’ ∼ 83 («sì ge tayò puro la o. drigia»), 84, 98, pl. oregie 170 («le soe oregie fon piene de iniurie e de desnó»). oriva: sost. f. ‘olivo’ ∼ 154 («legnio d’o.») || Cf. TLIO, s.v. olivo n° 1.1. orto: sost. m. ‘giardino’ ∼ 74 («sì i(n)trà con li soy discip(u)li i(n) uno o. ki era i(n)lò d’ap(re)so»), 862, ecc. (7 in t.). osso: sost. m. ∼ 181 («Vu no rompirì o. de quelo»), pl. f. osse 149 («tute quante le soe o. se poevano anumerare») || Cf. §4.36. ostiaria: sost. f. ‘portinaia’ ∼ 882 («femina o.», «a(n)cila o.») || Cf. GDLI, s.v. ostiaria; Salvioni (1898, 304 s.v. ostiario). ovra: sost. f. ‘opera’ ∼ 23 («co(n)v(er)tisse a Deo p(er) o.»), 41 («eyo sonto lo principio de far o. in vu»), 54 («sì ò co(m)piido l’o. ke tu me comitis de fare»), 126 («p(er) la femina e p(er) la soa o. lo diavolo portò i(m)p(ri)mam(en)te la morte i(n) lo mondo»), pl. ovre 10 («le bone o.»), 363 (1a occ.: «llo me Padre sì è quelo ki fa le o.»), ecc. (9 in t.). *ozire: cf. più indietro *oire. padre: sost. m. ∼ 5, 15, 29, ecc. (89 in t.), pà 49. 1 ‘uomo che ha generato figli’ 5 («padre dela fameia»), 1742; 2 ‘Dio’ 15 («eo dispono vu alo regno sì co(m) lo me Padre à desponudo mi»), 29, 31, ecc. (86 in t.) || Cf. Cherubini (1839, s.v. pà); nel Corpus OVI si trova solo un’attestazione della forma apocopata pa’, nel Centiloquio del fiorentino Antonio Pucci. pagura: sost. f. ‘paura’ ∼ 65 («p. dela pena»), 85 («fuzìn tuti de p.»), 95, ecc. (5 in t.) || Cf. §4.34. parexe: agg. ‘aperto al pubblico’ ∼ 92 («i(n) logo p.»). paresme(n)te: avv. ∼ 53, parexeme(n)te 90. 1 ‘chiaramente’ 53 («mo vedemo nu ke tu parle paresme(n)te e no dixe alcun p(ro)verbio»); 2 ‘in pubblico’ 90 («Tuto te(m)po ey’ò parlado parexeme(n)te i(n) la sinagoga et i(n)del te(m)plo»).
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*parlare: vb. ∼ ind. pres. 1a pers. parlo 36, 39, 522, 2a pers. parle 53, 6a pers. parlano 163, impf. 6a pers. parlavano 1, fut. 1a pers. parlarò 522, 3a pers. parlarà 48; part. pass. m. sg. parlado 45, 902. 1 intr. ‘esprimersi linguisticamente’ 36 («eio parlo per lo me Padre»), 45 («E se eyo […] no g’avesse parlado, illi no avraveno peccado»), 48, 52 (2a–3a forma), 53, 90 (1a forma); 2 intr. ‘trattare un argomento’ 1 («Li quatro evangelisti sì parlavano in div(er)si modi dela passion del nostro Segnior»), 52 (4a forma), 163; 3 trans. ‘dire, discutere’ 39 («Mo no parlo molte cosse con vu»), 52 (1a forma), 90 (2a forma). partì: vb. ∼ 79 (se voreva p.), partire 156; ind. pres. 3a pers. parte 166, 4a pers. partimo 156, perf. 3a pers. se partì 67, partìsse 61, 67, 109, 6a pers. partìn 156; impt. 5a pers. partì 28, partìve 73; part. pass. m. sg. partì 20, partito 72, f. sg. partida 156. 1 trans. ‘dividere in due o più parti’ 28 («Partì questo intra vu ch’è in lo calix»), 1564; 2 trans. ‘separare’ 166 («la morte doloroxa me parte da ti»); 3 intr. pron. ‘separarsi, allontanarsi’ 61 («partìsse ta(n)to lonze dali altri qua(n)to serave lo tragio d’una prea»), 672, 73, 79, 109; 4 intr. ‘allontanarsi’ 20 («Siando partì Iuda, disse Criste»), 72. paxe: sost. f. ‘pace’ ∼ 392, 53. passare: vb. ∼ 133, 146; ind. impf. 6a pers. passaveno 157, perf. 3a pers. passà 182, passò 74, fut. 3a pers. passarà 165; part. pass. m. sg. pasado 74 («Quando lo Seg(n)or fo p. que[l] flume»). 1 intr. ‘transitare’ 742 (1a forma: «passò oltra un flume»), 133, 157, 182; 2 trans. ‘trafiggere’ 165 («Questo to fiolo te serà un gladio ki te passarà l’anima toa»); 3 trans. ‘sopportare’ 146 («E portando lo nostro Segnor lo legnio dela croxe in spalla, el era cusì fievele […] k’el no la podeva passare») || Cf. per le tre accezioni GDLI, s.v. passare ni 1, 42, 59; per l’uso dell’ausiliare essere nel passato composto, cf. la nota al luogo interessato nell’edizione del testo. pastor: sost. m. ‘pastore (anche fig.)’ ∼ 13 («p. dela sancta Gexia»), pastore 59 («Eio ferirò lo p. e lle peccore del grezo seran disp(er)se»), pl. pastù 14. patarin: sost. m. pl. ‘eretici’ ∼ 64 («li gazari e li p.») || Cf. §2.3. pè: sost. m. ∼ 171, pl. pei 62, pey 2, 6, 24, ecc. (19 in t.). 1 ‘piede’ 24 («comenzò a lavar li pey ali soy discip(u)li»), 256, 263, 1492, 1502, 170; 2 locuz. prep. al p. di ‘ai piedi di’ 171 («al pè dela croxe»); 3 locuz. avv. in pei / pey ‘in piedi’ 2 («stagando drigi in pey»), 63, 103; 4 ‘unità di misura’ 146 («segondo l’openion d’un doctore la croxe de Criste sì fo longa XV pey»).
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pegio: sost. m. ‘petto’ ∼ 6 («se illi foseno stati tutavia i(n) pei, san Iohane no porave avere reposà la testa sur lo p. de Criste»), 21 («sì mise la testa a reposare sul p. de Criste»), 180 («tornaveno in Yerusalem pianzando e ferindesso delle pugnie per lo p. del peccado k’eli avevano fagio») || Cf. per il sintagma per lo pegio la locuz. darsi per il petto ‘battersi ripetutamente il petto con i pugni in segno di dolore’ (GDLI, vol. 13, 217). perfin: prep., avv. e cong. ∼ 96, 101, 133, 146, 168, 179, perfine 2. 1 locuz. prep. p. a ‘fino a’ 2 («perfine ala domane»), 146 («p(er)fin al mo(n)te Calvario»), 168, 179; 2 locuz. avv. ala p. ‘infine’ ∼ 101, 133; 3 locuz. cong. p. k’ ‘finché’ 96 («andò dré p(er)fin k’el fo a caxa deli p(ri)ncipi deli sacerdoti») || Cf. §4.69; Salvioni (1898, 306, 339); Marri (1977, s.v. perfin). p(er)ir: vb. ‘andare in rovina, morire’ ∼ ind. perf. 3a pers. p(er)iti 13 («sì com p. Heli co(n) li fioli soy»), fut. 6a pers. àn p(er)ir 84 («tuti q(ui)li ke ferano de gladio sì àn p. de gladio»); cong. pres. 3a pers. p(er)isca 13, 6a pers. periscano 56 («guarda tuti q(ui)lli ke tu m’é day […] azò ke illi no p.»); part. pass. m. sg. p(er)ido 56 || Cf. §4.19 per p(er)iti. permanire: vb. ‘permanere’ ∼ 15 («Vu sì q(ui)lli ki devì p. co(n) mego i(n) le te(m)ptation»); ind. pres. 5a pers. p(er)manì 40 («p. i(n) mi»), fut. 1a pers. p(er)manirò 40–41, 3a pers. p(er)manirà 43, 5a pers. p(er)manerì 42, 6a pers. àn permanire 15 («la gloria del regno serà donada a q(ui)lli ki àn p. i(n) patie(n)tia»); impt. 5a pers. p(er)manì 40. permodezò: cong. ∼ 13, 94, 167. 1 finale ‘affinché’ (col congiuntivo) 13 («p. quello ki fii co(n)stituido pastor dela sancta Gexia debia ben se(m)pre p(ro)vedere k’el no abia falsa pietà»); 2 avversativa ‘ciò nonostante’ 94 («Unde q(ue)sta ofexa sì fo molto gravissima, e p. mes(er) Yesù Criste no responde a costù sì com homo ferido»), 167 || Originalmente locuz. cong.: ‘per amore di ciò’; cf. §§4.67, 4.69; Rohlfs (1969, §765); Marri (1977, s.v. per mor de). *perseguire: vb. ‘perseguitare’ ∼ ind. fut. 6a pers. p(er)seguiran 44 («si illi àn p(er)seguido mi, illi p. anche vu»), part. pass. m. sg. p(er)seguido 44. p(er)tanto ke: locuz. cong. ∼ 34, 39, 42, 462, 51, 126, 158, p. k’ 129, p. [ke] 39. 1 finale ‘affinché’ (col cong.) 34 («eio vago p(er) aparegàve lo logo, p(er)tanto ke là onde eio so(n)to e vu sié»), 392, 42, 462, 51, 126, 158; 2 causale ‘perché’ 129 (Eyo vel fo menar de fora p(er)ta(n)to k’e’ volio ke vu cognosì ke eyo no lo posso iudicare») || Cf. §4.69; GDLI, s.v. pertantoché.
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perzò: cong. 63, 772, ecc. (19 in t.). 1 conclusiva ‘pertanto’ 116 («p. disse Criste a Pillato»), 123, 141, 151, 172; 2 locuz. cong. avversativa ma p. ‘nondimeno’ 63 (Padre, passi da me questo calice. «Ma p. no sia fagia ala mia volu(n)tà»); 3 locuz. cong. causale p. ke ‘perché’ 133 («lo dixemo p. ke nu volemo i(n) tute guixe ke q(ue)sto moyra»), 144, 1642, 176, p. k’ 772, 111, 119, 131, 146, 156, 181 || Cf. §§ 4.67, 4.69; GDLI, s.v. perciò. pesina: sost. f. ‘piscina’ ∼ 139 («qua(n)do illi fon a quela p. senza mane de homo sì i(n)site fora del’aqua» il legno della croce). piare: vb. ‘prendere’ ∼ 83 («illi no l’avevano posudo p.»), 95, piiare 85; ind. impf. 6a pers. piavano 162, perf. 3a pers. pià 149 («lo p. p(er) un brazo»), 171 («p. una sponga»), 6a pers. pióne 106 («illi lo p. e sì ge i(m)bindón li ogii»); impt. 5a pers. piélo 76; part. pass. m. sg. piado 83 || Cf. Marri (1977, s.v. piar); Wilhelm (2006, 89). piaxere: vb. ‘piacere’ ∼ 10 («sempre devemo pensar p(er) qual modo nu possemo p. a Deo»), piaxè 13; ind. perf. 3a pers. piaxè 15; cong. pres. 3a pers. piaza 17 («Ve p. Segnore de dirme ki è quelo ki ve dè tradire»). *picare: vb. ‘impiccare’ ∼ picarse 110 («andò a p. p(er) la gola») || Cf. REW, 6495; EWD, vol. 5, 271–272; Keller (1935, 90). pignate: sost. f. pl. ‘pentole di terracotta’ ∼ 111 («un ca(m)po de t(er)ra creenia dra qual si feva le p.») || Da PĪNEA ( M ) (Nocentini 2010, s.v. pignatta). pignatere: sost. m. ‘fabbricante di pignatte’ ∼ 111 («era quelo ca(m)po d’un p.»), pignater 111 || Cf. §4.8; nel Corpus OVI si trovano occorrenze degli antroponimi Iacopo Pignattaro o Pignatario (in Matteo Villani, Cronica, 168, 176, e in Migliorini/Folena 1952, 43) e Bartolomeo di Pingnattaro (Sapori 1934, 95 e 530) e del toponimo Caser Pingnataro o Pinataro, che designa un «insediamento non identificato sulla costa tunisina» (Debanne 2011, 80, 301); in GDLI, s.v. pignattaio, la prima attestazione (di pignattaro) è a cavaliere tra Quattro e Cinquecento, nel diario dell’orvietano Tommaso di Silvestro; per il milanese moderno, cf. Cherubini (1839, s.v. pignattée). *pioere: vb. trans. ‘emettere (sangue)’ ∼ ind. impf. 3a pers. pioeva 128 («tuto lo so corpo p. vivo sangue»), pieva 142 || Cf. GDLI, s.v. piovere n° 19, che ha come primo testo esemplificativo dell’accezione le cinquecentesche novelle di Matteo Bandello.
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pixor: agg. f. pl. ‘molte’ ∼ 186 («p. persone») || Probabilmente dal fr. plusieurs, benché non sia del tutto escluso uno sviluppo autoctono da *PLUSIORES (FEW, vol. 9, 102); cf. per altre attestazioni in lombardo occidentale antico Salvioni (1898, 308); Keller (1935, 90 s.v. piexor); Marri (1977, s.v. pisor); Degli Innocenti (1984a, 261 s.v. pezor). piuro: sost. m. ‘pianto’ ∼ 163 («li eva(n)gelisti no parlano del dolor dela v(er)gene Maria nì de so p.»), 165 || Deverbale da piurare < PLORARE ; per il passaggio O > u sono state avanzate diverse spiegazioni: l’influsso di [j] e la posizione protonica (Salvioni 1898, 421 n. 1), l’incrocio con PIULARE ‘pigolare’ (DEI, s.v. piurare), l’influsso di un onomatopeico piu- (FEW, vol. 9, 79, dove si nota che il passaggio a u si verifica anche quando la vocale non è preceduta da [j], come in retoromanzo). Stando al Corpus OVI, la prima comparsa del sost., nella forma plurọ, si ha in Franceschino Grioni, La legenda de santo Stadi, 127, anteriore al 1321; per il milanese antico quella della Passione Trivulziana pare la prima attestazione, ma plurare è già in Bonvesin e Barsegapè (anche piurare nel codice Trivulziano 93: Wilhelm 2006, 92), piorare in Salvioni (1898, 307). pizeno: agg. ‘piccolo’ ∼ 164 («una cossa vile e de p. prexio»). po’: cf. più avanti poy. *podere: vb. ∼ cf. §4.62. podestaria: sost. f. ‘impero, dominio’ ∼ 85 («Ma questa sì è l’ora vostra e p. dele tenebre»). po[e]re: sost. m. ∼ 54, poè 182. 1 ‘energia fisica’ 182 («per grande forsa segundo tuto so poè»); 2 ‘onnipotenza divina’ 54 («po[e]re sovra le creature»). poy: avv. e cong. ∼ 242, 28, ecc. (5 in t.), po’ 184, poi 6. 1 avv. ‘dopo’ 242 («trase fora la soa vestime(n)ta […], e poy tosse un lenzolo […], e poy tollè del’aqua colda »), 28, 73, 107 (2a forma), 137, 184; 2 locuz. cong. p. ke ‘dopo che’ 6 («poi ke l’agnelo fo portado sì se drizó(n) i(n) pei»), 107 (1a forma). pongio: sost. m. ‘punto’ ∼ 20 («guardava lo p. e l’ora co(m) ello podesse meio trahir Criste»). populo: sost. m. ‘popolo’ ∼ 112, 115, 118, ecc. (14 in t.), povero 12, 142, ecc. (10 in t.) || Cf. per povero §§4.20, 4.28, 4.35; la medesima forma si ritrova nella
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Meditazione sulla Passione lombarda (Salvioni 1898, 354) e nell’Anonimo genovese (Cocito 1970, s.v.); peculiare il fatto che all’uso di povero, la cui ultima occorrenza è al §114, si sostuisca quello di populo nella seconda parte della Passione Trivulziana. poxo: prep. ‘dopo’ ∼ 101 («p. tri dì»), 102, pox 95 («p. lu»), poxe 144 («fiva menada la madre de Criste p. lo so fiolo») || Da POST (Rohlfs 1969, §§811, 937); cf. più indietro depoxo e il §4.19. poxon: sost. f. ‘bevanda’ ∼ 176 («Quando Criste de q(ue)lla p. un pocho ave asazado, no vosse più beve») || Cf. TLIO, s.v. pozione. possa: prep., avv. e cong. ∼ 15, 18, 25, ecc. (34 in t.). 1 prep. ‘dopo’ 29 («p. la soa passione e morte»); 2 avv. ‘poi, dopo’ 18 («Illora Criste tollè un bocon de pan […], e p. lo sporzè a Iuda Scariot»), 25–26, 282, 31–33, 41, 51, 59, 84, 106–107, 127, 1283, 129, 137, 149, 153, 166, 186; 3 locuz. cong. temporale p. ke ‘dopo che’ 15 («P. ke ’l Segnore ave amaistrà li soy discipuli»), 26, 32, 128, 147–149, p. k’ 50; 4 locuz. cong. causale p. k’ ‘poiché’ 181 («P. k’el se prosimava la festa dela Pasca») || Cf. §4.69; GDLI, s.vv. poscia, posciaché. possente: agg. ‘che ha grande potere per la propria posizione sociale’ ∼ 174 (sostantivato: «lo fiolo d’un p.») || Largamente attestato in antico, a partire dallo Splanamento di Girardo Patecchio (cf. GDLI, s.v. possente; Corpus OVI). possibel: agg. f. sg. ‘possibile’ ∼ 63 («p. cossa»), possibe 63 || Cf. §4.28 per possibe. povero: cf. più indietro populo. praverse: agg. f pl. ‘malvagie’ ∼ 98 («le p. parole»). prea: sost. f. ‘pietra’ ∼ 61 («lo tragio d’una p.»), 107 («colonia de p.»), 186 («revolzen alla bocha del morimento una grandissima p.»), pl. prede 179 («la terra comenzò a tremar, e lle p. se rompevano»). pre(n)cepo: cf. più avanti princepo. prexio: sost. m. ‘prezzo’ ∼ 1112 (1a occ.: « è p. de sangue»), 164. p(re)xon: sost. f. ‘prigione’ ∼ 1232 («aveva i(n) p. un malvaxio homo […], lo qual p(er) umicidie era metudo i(n) p.»).
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p(re)xoné : sost. m. ‘prigioniero’ ∼ 123 («a questa festa eyo debio donarve un p.»). princepo: sost. m. ∼ 47, 84, 87, ecc. (10 in t.), pre(n)cepo 39, pl. p(ri)ncepi 116, 122, principi 11, 752, ecc. (14 in t.). 1 ‘sovrano’ 11 («Li re e li principi del mondo»), 122; 2 p. de questo mondo ‘capo delle potenze demoniache’ 39, 47; 3 ‘persona autorevole in un gruppo’ 752 («p(ri)ncipi deli sacerdoti»), 84, 87–88, 91, 96, 101, 103–106, 108–110, 114, 116, 120, 123, 125, 130, 154 157. p(ro)mpto: agg. ‘pronto’ ∼ 66 («Lo spirito sì è p. a co(n)fesare»). *prosimarse: vb. intr. pron. ‘farsi imminente’ ∼ ind. impf. 3a pers. se prosimava 181 («Possa k’el se p. la festa dela Pasca») || Cf. GDLI, s.v. prossimare. p(ro)vedere: vb. ∼ 13; cong. pres. 3a pers. provega 67. 1 ‘procurare che qlcs. accada’ 13 («p(ro)vedere k’el no abia falsa pietà»); 2 ‘difendere qlcn. da qlcs.’ 67 («azò ke ne provega dali p(er)iculi») || Cf. GDLI, s.v. provvedere ni 1, 12. p(ro)verbio: sost. m. ‘parabola’ ∼ 53 («mo vedemo nu ke tu parle paresme(n)te e no dixe alcun p.»), pl. p(ro)verbii 522 (1a occ.: «sì ve parlo per p.») || Cf. GDLI, s.v. proverbio n° 4; in quest’accezione, si tratta qui di un latinismo che riprende Io 16,25 e 29. pudor: sost. m. ‘puzzo’ ∼ 148 («quelo logo era logo de p., inp(er)zò ke el era inlò li corpi deli ladron e deli malfactor») || Da PUTORE ( M ) (REW, §6883); cf. TLIO, s.v. putore. pugnaduri: sost. m. pl. ‘guerrieri’ ∼ 68 («sì com antigamente fivano confortadi li p. quando illi devano andare ala batalia»). pugnie: sost. f. pl. ∼ 180 («tornaveno in Yerusalem pianzando e ferindesso delle p. per lo pegio») || Cf.4.36. puro: avv. ‘di netto’ ∼ 83 («ge tayò p. la oregia drigia») || Sull’impiego dell’aggettivo in funzione avverbiale cf. Rohlfs (1969, §885). *reputare: vb. ‘considerare alla stessa stregua’ ∼ part. pass. m. sg. reputado («eyo serò r. con li malvaxi») || Cf. GDLI, s.v. reputare n° 8 (parimenti con la prep. con). qua(m)visdé ke: locuz. cong. concessiva ‘sebbene’ ∼ 77 («eyo sonto aparegiado […] a recevete p(er) amigo […], q. ke tu m’abii ta(n)to ofexo»), q. k’ 77 || Da
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più DEU ( M ) usato come rafforzativo (REW, §6931); cf. §4.70; GDLI, s.v. quamvisdeo; Seifert (1886, 60); Salvioni (1898, 310). QUAMVIS
quente: agg. interrogativo ‘quale, che’ ∼ m. e f. sg. 90 («Q. doctrina è q(ue)la ke tu p(re)diche […]?»), 96, 112, 114, 127, quen 38, 117, 167, m. pl. que(n)ti 90 || Da QUĬD più il suffisso avverbiale -mente (REW, §6953; DEI, s.v. chente); cf. TLIO, s.v. chente; Salvioni (1898, 311); Marri (1977, s.v. quent). querì: vb. ‘cercare’ ∼ 23 («q. svengianza») || Cf. TLIO, s.v. chèrere; Keller (1935, 91); Marri (1977, s.v. querir); Wilhelm (2006, 93). qui: avv. ∼ 6 («ma q. se pò i(n)tende in duy modi»), 47, 73, ecc. (5 in t.), ke 129 («K. l’omo»), ki 117 («eyo no stareve ligado k.») || Per ke e ki cf. Rohlfs (1969, §892), che registra la forma ki per Liguria, Lombardia e Trentino, ké per l’Emilia; in Lombardia si trova comunque [kɛ] a Vigevano (PV), [ke] nel Bergamasco, nel Bresciano e nel Mantovano (AIS, 1609). quilò: avv. ‘qui’ ∼ 15 («Q. possomo acognoscere»), 73, 81, ecc. (6 in t.), kilò 61, 112, 134, chilò 23, q(ui)llò 79 || Da ( ĔC ) CŬ ( M ) HĪC * ĪLLŎCO (cf. inlò; Rohlfs 1969, §909; EWD, vol. 2, 112). rama: sost. ‘ramo, tralcio’ ∼ f. sg. 40 («la r. no pò far fructo p(er) sì medesmo s’el no p(er)man i(n) la vide»), f. pl. rame 402, m. pl. rami 413 || Cf. §4.36. raxon: sost. f. ‘motivo’ ∼ 22 («Criste no vosse revelà a san Pedro ki fosse lo traditor imp(er)ò ke, […] sed elo avesse sapiudo l’avrave scarpado co(n) li denti. Anco(r)a dixe sì g’è altra r.»), 164–165, ecc. (5 in t.), pl. raxon 169. ravaxi: agg. m. pl. ‘rapaci’ ∼ 102 («luvi r.»). receve: cf. più avanti rezeve. recompara(r)e: vb. ‘riscattare’ ∼ 70 («l’umana generatio(n) [no se pò] convenievelmente r. senza lo sparzime(n)to delo so sangue prezioxo»). recore: vb. ‘ricorrere’ ∼ 64 («demo r. ale oration»). redifichà: cf. più avanti retificà.
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refection: sost. f. ‘il pasto’ ∼ 5 («ond’è la mia r. (et) ond’è quello logo k’eo possa cenar co(n) li mei discip(u)li?»). *remanire: vb. ∼ cong. pres. 3a pers. romanisse 2, 6a pers. remaniseno 181; part. pass. m. sg. remaxo 170. 1. ‘essere lasciato in un luogo’ 181 («azò ke li corpi no remaniseno in croxe»); 2. ‘restare come residuo’ 2 («ssi per avent(ur)a alcuna cossa gen romanisse [i.e. dell’agnello pasquale], illi lo devano brusare in lo fogo»), 170 («non era remaxo se no la bocha e la lengua e lo gusto ki no fosse flagelado») || Cf. più indietro *aromanire, §§4.15, 4.49. renegare: vb. ∼ 98; ind. perf. 3a pers. renegà 98, renegò 89, 97, fut. 2a pers. renegaré 99, é renegà 60; cond. 1a pers. eve renegare 60. 1 ‘sostenere di non conoscere una persona’ più oggetto diretto 60 (2a forma: «eyo no t’eve renegare»), 89, 98 (2a forma), 99; 2 ‘negare’ più completiva oggettiva 60 (1a forma, anche con ogg. diretto: «tre fiada m’é renegà ke tu no me cog(no)se»), 97 («renegò co(n) sagrame(n)to k’el no cog(no)seva q(ue)lo homo»), 98 (1a forma) || Cf. GDLI, s.v. rinnegare. reposare1: vb. ∼ 21, repossare 154; part. pass. m. sg. reposà 6. 1 intr. ‘giacere’ 21 («sì mise la testa a reposare sul pegio de Criste»); 2 trans. ‘poggiare’ 6 («san Iohane no porave avere reposà la testa sur lo pegio de Criste»), 154 || Cf. GDLI, s.v. riposare1. *reposare2: vb. ‘prendere ristoro’ ∼ impt. 5a pers. reposé 72 («Dormì e sì ve r.»). resusitare: vb. ‘risuscitare’ ∼ perf. 3a pers. resusitò 31, 6a pers. resusitàn 179; cond. 3a pers. ave resusitare 102; part. pass. m. sg. resusitado 59. retificà: vb. ‘ricostruire’ ∼ ind. fut. 1a pers. ò retificà 101 («Vu farì destrù q(ue)sto te(m)plo e eyo in tri die l’ò r.»), 2a pers. é retificà 102, 3a pers. à redifichà 101; cond. 2a pers. isse retificà 157. *retrarse: vb. ‘astenersi’ ∼ retrà 81 («se deveseno r. de ta(n)to peccado»); ind. perf. 6a pers. se retrén 81. *rezere: vb. ‘reggere’ ∼ ind. impf. 3a pers. rezeva 95 («A(n)na no r. lo pove(r)o i(n) quello a(n)no»). rezeve: vb. ‘ricevere’ ∼ 14 («r. exe(m)plo dal Segniore»), 20 («r. li XXX dané»), 37, ecc. (5 in t.), receve 114, 175, recevete 77; ind. pres. 3a pers. receve 30, 6a pers.
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5 Glossario
rezevano 55, impf. 3a pers. receveva 812, 87, perf. 3a pers. recevè 138, 1672, 184, rezevè 3, fut. 3a pers. receverà 48; cong. impf. 3a pers. recevesse 158, 174, rezevesse 62; impt. 5a pers. rezevì 28; part. pass. m. sg. recevudo 75, rezevudo 111. *romanire: cf. più indietro *remanire. sagrame(n)to: sost. m. ‘giuramento’ ∼ 97 («renegò co(n) s.»), 98. *saludare: vb. ‘salutare’ ∼ ind. pres. 1a pers. saludo 78, impf. 3a pers. salutava 77, perf. 3a pers. saludò 76, salutò 79; part. pass. m. sg. saludà 78 || Cf. più indietro *asaludare. salza: sost. f. ‘salsa’ ∼ 16 («la squela dala s.»), 18 || Cf. §4.31. xaminà: cf. più indietro examinar. sangue: sost. m. ∼ 18, 28–29, ecc. (24 in t.), sange 18. satisfare: vb. intr. ∼ 124, 175; cong. impf. 3a pers. satisfesse 93, 174. 1 ‘corrispondere al desiderio di qlcn.’ più oggetto indiretto 124 («satisfare al populo»); 2 ‘espiare’ più oggetto indiretto 93 («azò k’el satisfesse al peccado de Eva»); 3 ‘dare soddisfazione a Dio per i peccati commessi’ assoluto e con oggetto indiretto 174 («azò k’el satisfesse per lo peccado del populo»), 175 («satisfare a Deo per lo peccado del populo») || Cf. §4.62; GAVI, vol. 16/4, 443–450; GDLI, s.v. soddisfare ni 14, 16, 22. savè: vb. ∼ cf. §4.62. 1 ‘avere la nozione esatta di qlcs.’ 8 («Criste sa tuti li soi penseri»), 22, 24–25, 272, 34 (1a forma), 352, 43, 49, 53 (2a forma), 59, 67, 702, 74, 82, 90 (1a forma), 103, 115, 123–124, 131, 164, 168; 2 ‘acquisire la nozione esatta di qlcs.’ 10 («Sapié ke li discipuli de Criste sì erano ancora carnali»), 16, 22, 25, 34 (2a forma), 40, 44, 53 (1a forma), 82, 842, 112, 1172, 119, 182; 3 ‘capire’ 252 («Zò ch’e’ te fo, tu no ’l sé mo, ma tu lo savré ben possa»), 26, 152, 163; 4 ‘essere capace’ più inf. 21 («ello sapiè dire quella marevelioxa parola»), 90 (2a forma); 5 locuz. s. de letre ‘essere alfabetizzato’ 154 («tuti q(ui)lli ki savevano de letre sì podevano leze quel titulo»); 6. locuz. fare a s. ‘rendere noto’ 48 («tute q(ue)lle cosse k’el oyrà da me Padre, sì vel farà a savere»), 55 («tuto zò e’ g’ò digio e fagio a saver») || Per la quinta accezione cf. GAVI, vol. 18/10, 274–277; TLIO, s.v. assapere.
5 Glossario
263
*scarpare: vb. ‘strappare, dilaniare’ (anche pron.) ∼ ind. impf. 3a pers. se scarpava 105 («qua(n)do alcun oiiva alcuna biastema sì se s. la soa vestime(n)ta»), perf. 3a pers. se scarpò 105, part. pass. m. sg. scarpado 22 («l’avrave s. co(n) li EXCAR PĔRE (Salvioni 1905a, 710–711); cf. GAVI, vol. 16/1, 393– denti») || Da EXCARPĔRE 394; LEI, vol. 12, 337–339; TLIO, s.v. scarpare; Salvioni (1898, 315); Marri (1977, s.v. scarpar); Degli Innocenti (1984a, 263); Wilhelm (2006, 93). *schernire: vb. ‘dileggiare’ ∼ ind. perf. 6a pers. schernìn 106 («sì lo befàno e s. per una grande hora»); part. pass. m. sg. [s]c[h]ernido 129, scherniido 129 || Cf. più indietro *inschergnire; §4.4; GAVI, vol. 16/2, 66–71; REW e PIREW, §7999. *scoldare: vb. ‘scaldare’ ∼ ind. impf. 3a pers. rifl. se scoldava 89 («san Ped(r)o era co(n) loro k’el se s.»), 96–97, 6a pers. rifl. se scoldaveno 89. sco(n)zurami(n)ti: sost. m. pl. ‘scongiuri’ ∼ 98 («san Pedro co(n) gra(n)gi s. sì renegà k’el no cog(no)seva Criste»). sé: cf. più avanti sì. *segniare: vb. ‘rendere noto’ ∼ ind. fut. 3a pers. segniarà 38 (lo Spirito Santo «sì ve segniarà zò k’e’ v’ò digio») || Cf. GDLI, s.v. segnare n° 13. sengio: agg. ‘cinto’ ∼ 24 («quelo lenzò del qual el era sovra s.»), m. pl. sengy 2 («stagando drigi in pey, s. e calziati con li bastoni i(n) mane») || Dal part. CĬNCTU ( M ) ; cf. §§4.24, 4.31; la forma con sibilante e palatalizzazione del nesso -CT - non è attestata né in TLIO, s.vv. cinta, cinto, cingere, né in GAVI, vol. 3/2, 255–256, 262–263, né nel Corpus OVI; in AIS, 1565 (la cintura; la fibbia) all’interno dell’area linguistica lombarda si trovano, per il tipo ‘cinta’, ['ʃenʧa] a Trasquera (VB), ['ʃɔnʧǝ] ad Antronapiana (VB), ['ʃinʧǝ] a Cavergno (TI); a Milano si ha zenta (dove l’iniziale è una sibilante sorda: cf. Salvioni 1884, §§311, 328, 332). sengiura: sost. f. ‘cintura’ ∼ 24 («poy tosse un lenzolo e torzèllo un poco e ne fè s.») || Da CĬNCTŪRA ( M ) ; cf. §§4.24, 4.31; la forma con sibilante e palatalizzazione del nesso -CT - manca in TLIO, s.v. cintura, in GAVI, vol. 3/2, 264–266, nel Corpus OVI e in AIS, 1564. sentimento: sost. m. ‘facoltà sensoriale’ ∼ 170 («s. del corpo»), pl. sentimenti 170, sentiminti 171.
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*sentire: vb. ∼ ind. pres. 3a pers. sente 50, impf. 3a pers. sentiva 64, 150, 172–173. 1 trans. ‘percepire fisicamente (sempre con dolore come oggetto)’ 50 («ella sente lo dolore del parto»), 150, 172–173; 2 intr. ‘soffrire di qlcs.’ 64 («el sentiva deli dolori dela morte») || Cf. GAVI, vol. 16/3, 359–366; GDLI, s.v. sentire ni 1, 31. serore: sost. f. pl. ‘sorelle’ ∼ 162 («Ora stava apresso ala croxe la madre de Criste e le soe s.»), 180 || Cf. §§4.35, 4.36. s(er)vare: vb. ∼ 4, 12; ind. fut. 5a pers. s(er)varì 37, 42; part. pass. m. sg. s(er)vado 42. 1 ‘osservare, rispettare’ 4 («s(er)vare le cosse digie de sora»), 37 («s(er)varì lo meo coma(n)damento»), 422; 2 ‘conservare, mantenere’ 12 («li amaistrà k’e’ debiano s(er)vare se(m)pre humilità»). s(er)vitudeni: sost. f. pl. ‘schiavitù’ ∼ 133 («s. de Faraon») || Cf. GAVI, vol. 16/3, 466–467; GDLI, s.v. servitudine. setena: agg. numerale ordinale f. sg. ‘settima’ ∼ 178 («Questa fo la s. parola ki disse Criste sur la croxe») || Cf. TLIO, s.v. setteno. sgoltada: sost. f. ‘schiaffo’ ∼ 140 («ge fo dada la s.») || Dal gallico *gauta (DELI e Nocentini 2010, s.v. gota); cf. le voci goltade, voltada; §4.34; della forma con il prefisso s- non si trovano attestazioni nel Corpus OVI, ma si veda il mil. sgolta ‘guancia’ (Cherubini 1839, s.v.; Salvioni 1884, §310, che giudica s- prostetico) e il parallelo di sguancia, sguanciata (GAVI, vol. 16/4, 161). sguanzade: sost. f. pl. ‘schiaffi’ ∼ 128 («ge devano de grande s.») || Denominale da sguanza, a sua volta dal long. *wankja (Nocentini 2010, s.v. guancia) con il prefisso s- (< EX -); cf. GAVI, vol. 16/4, 161; inoltre TLIO, s.v. guanciata; in Bonvesin si trova una volta il pl. sguanze ‘guancie’, due volte sguanzae ‘guanciate’ (Gökçen 2001, 105 v. S1 780, 117 v. S2 21, 123 v. S2 102). *sguarzare: vb. ‘lacerare’ (qui pron.) ∼ ind. impf. 3a pers. se sguarzava 151 («li nervi e la carne se s.»). sì: avv. ∼ 13, 2, ecc. (389 in t.), sé 10, 15, 50, ecc. (10 in t.). 1 ‘così’ 5 («trovón sì com lo Segnor g’aveva digio»), 8, 112, ecc. (71 in t.); 2 con valore asseverativo 13 (1a forma: «Questa sì è l’istoria dela passion»), 2, ecc. (318 in t.) || Cf. §4.48.
5 Glossario
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simia(n)teme(n)te: avv. ‘similmente’ ∼ 126 («sì com p(er) la femina […] lo diavolo portò i(m)p(ri)mam(en)te la morte i(n) lo mondo, cusì s. i(n) tal modo p(er) la femina vosse liberar Criste»). sofrì: vb. ∼ 93; ind. perf. 3a pers. sofrite 3, fut. 1a pers. sofrirò 25; cong. pres. 1a pers. sofrisca 7. 1 ‘subire qlcs. di doloroso’ 3 («sofrite morte e passione»), 7, 93; 2 ‘permettere’ 25 («eyo no sofrirò ke tu me lave li pey»). soga: sost. f. ‘corda’ ∼ 138 («sì ge butàn una soga i(n) colo») || Da SŌCA ( M ) (FEW, vol. 12, 12–13); cf. GAVI, vol. 16/5, 46–47; Salvioni (1898, 318, 341 s.v. sogeto ‘capestro’); per il milanese antico si tratta della prima attestazione. soleto: agg. ‘tutto solo’ ∼ 532 («el ven l’ora ke vu me lassarì s.; ma eio no posso esse s., ke me Padre sì è co· mego») || Cf. GAVI, 16/5, 99–100; GDLI, s.v. soletto. someia(n)teme(n)te: avv. ‘similmente’ ∼ 157. someliante: agg. sost. lo s. ‘la stessa cosa’ ∼ 60 («tuti li altri diseno lo s.»), 181 («far lo s.») || Cf. GAVI, vol. 16/5, 153–154; Keller (1935, 94); Marri (1977, s.v. someiar). sonio: sost. m. ‘sonno’ ∼ 63 («vegié con mego allo s. dela i(n)fedilità»), 67 («illi avevano agrevadi li ogy de s.») || Cf. §4.29. *soprenderse: vb. ‘rapprendersi’ ∼ ind. pres. 3a pers. se soprende 183 («quando l’omo è morto, lo sangue se s. per lo corpo e no deccorre per le vene») || Probabilmente da PREHENDERE più il prefisso SŬB -; l’accezione si continua nel milanese moderno (cf. Cherubini 1856, s.v. sopprend), ma manca per il lemma sopprendere registrato in TLIO (e così pure per il francese antico sousprendre, cui il TLIO fa dubitativamente risalire la voce italiana: cf. FEW, vol. 9, 351; in GDLI i lemmi sopprendere e soppreso non sono distinti da sorprendere e sorpreso; per soppreso si trova una citazione dal commento alla Commedia dantesca di Cristoforo Landino dove il termine è usato nel senso di ‘rappreso, coagulato’, con riferimento al latte (vol. 19, 501–502). sora: cf. più avanti sovra.
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sorte: sost. f. ∼ 156, pl. sorte 1562. 1 ‘sorteggio’ 156 («fazemo p(er) s. de chi ella debia essere»); 2 locuz. buttare le s. ‘procedere a un sorteggio’ 1562 («butàn le sorte», «sovra la mia vestim(en)ta sì àn butade le sorte»). soxero: sost. m. ‘suocero’ ∼ 87 («era s. de Caifax»). sover: prep. ‘sopra’ ∼ 3 («sofrite morte e passione s. lo legno dela sancta croxe») || Cf. Rohlfs (1969, §814). sovra: prep. e avv. ∼ 242, 30, ecc. (28 in t.), sora 4. 1 ‘sopra’ 30 («pensando sovra zò»), 542, 662, 99, 126, 132, 1362, 1432, 1443, 145, 149, 1562, 158, 163, 168; 2 locuz. prep. s. de ‘sopra di’ 131 («e’ ò possanza sovra de ti»), 1442; 3 avv. ‘sopra’ 24 («quelo lenzò del qual el era sovra sengio»), 132 («Tu no avrisse nesuna possanza […], s’ela no te fosse dada de sovra»); 4 locuz. avv. de s. 4 («le cosse digie de sora»), 24 («la soa vestime(n)ta ke ello aveva indosso de sovra»), 99 («Criste era de sovra») || Cf. Rohlfs (1969, §815), che cita il milanese antico sovra e lo «sviluppo successivo» sora. *spantegare: vb. ‘spargere’ ∼ ind. perf. 3a pers. spa(n)tegò 110 («ello li s. fora p(er) lo te(m)plo [i.e. i trenta denari]»); part. pass. m. pl. spa(n)tegadi 110 («q(ui)lli XXX dané ki ereno s. i(n) lo te(m)plo») || Da *EXPANDICARE (a sua volta da EXPANDERE ), influenzato dal part. pass. spanto (FEW, vol. 3, 303); cf. Salvioni (1898, 318 s.v. spantear); Marri (1977, s.v. spantegao). *spiare: vb. ‘chiedere per sapere’ ∼ ind. impf. 3a pers. spiava 7 («zescaun de loro s.: ‹Su(n)to mi Segnor ke te debio tradire?›»), ger. spiando 7 («s. l’un l’altro de ki el podeva dire») || Cf. GAVI, vol. 16/6, 428–432; TLIO, s.v. spiare n° 2. sponga: sost. f. ‘spugna’ ∼ 171 («pià una s. e bagniàla in un vaselo») || Cf. §4.2; GAVI, vol. 16/6, 596–599; Salvioni (1898, 319). sporze: vb. ‘porgere’ ∼ 171 («pià una sponga e […] metèlo in cima d’una cana per sporze ala bocha de Criste»), sporzela 176; ind. perf. 3a pers. sporzè 18, 282, 6a pers. sporzén 176, fut. 1a pers. sporzerò 18; part. pass. m. sg. sporto 19 || Cf. GAVI, vol. 16/6, 547–549; GDLI, s.v. sporgere n° 2; Degli Innocenti (1984a, 265). spuazada: agg. f. sg. ‘coperta di sputi’ ∼ 142 («el aveva lo volto nizo, […] la faza s.»).
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squela: sost. f. ‘scodella’ ∼ 8 («sì è ki con mego mete la man i(n) la s. ki me traisse»), 92, 162, squella 16 || Cf. §4.1. stadio: sost. m. ‘stato di vita’ ∼ 10 («nu, fradelli ca(r)issimi, i(n) omia s. sé devemo se(m)pre cõte(n)de de ess(er) maiuri in tute le bone ovre») || La forma stadio, di origine non chiara, ricorre anche Bonvesin (ms. Bergamo, Biblioteca Civica Angelo Mai, Σ.IV.36: cf. Marri 1977, 190 e 217, s.v. stao); un’altra attestazione si trova in Boccalata de Bovi (Schizzerotto 1985, 17); in GAVI, vol. 16/7, 241 si ha statio. *stare: vb. ∼ cf. §4.62. stragra(n)dissimo: cf. più indietro grande. stramido: cf. più avanti stremido. *strapassare: vb. ∼ cong. pres. 3a pers. strapassa 63, 67; part. pass. m. pl. strapasadi 67. 1 ‘passare da un luogo a un altro’ 63 («Padre me, s’ell’è possibel cossa fa’ k’el strapassa via questo calix da mi»), 67; 2 ‘accadere’ 67 («li peccay s.») || Da trapassare con il prefisso EX -; per il lemma, cf. GDLI, s.v. strapassare; Seifert (1886, 71); Salvioni (1898, 370), che registra il verbo come prefissato con EXTRA -; Keller (1935, 94); per le accezioni, cf. GAVI, vol. 16/8, 60–62; GDLI, s.vv. trapassare n° 12, trapassato n° 2. *strasudare: vb. ‘sudare copiosamente’ ∼ ind. perf. 3a pers. strasudò 68 («E orando lo nostro Segnior, p(er) grande angusti[a] k’el aveva, el s. tuto») || Da sudare con il prefisso EXTRA -; cf. GAVI, vol. 16/8, 74; GDLI, s.v. strasudare; Salvioni (1898, 370). stregiame(n)te: avv. ‘strettamente’ ∼ 23. stregio: agg. ‘stretto’ ∼ 149 («lo legnio dela croxe era s.»). stremido: agg. ‘spaventato’ ∼ 25 («De zò san Pedro fo s.»), 109, stramido 21 || È il part. pass. di stremir < *EXTREMĒSCĔRE (FEW, vol. 3, 334); cf. GAVI, vol. 16/8, 103–106; Salvioni (1898, 321); Keller (1935, 95); Marri (1977, s.v. stremir); Wilhelm (2006, 94). suda(r)io: sost. m. ‘fazzoletto per detergere sudore o lacrime’ ∼ 100 («un s. p(er) sugàsse li ogii»).
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*sugare: vb. ‘asciugare’ ∼ sugàli 24 («comenzò a lavar li pey ali soy discip(u)li e s. con quelo lenzò»), sugàsse 100 («s. li ogii») || Cf. §4.33. svengianza: sost. f. ‘vendetta’ ∼ 23 («della offe(n)sion de Deo […] querì s.»), 84 || Deverbale da svengiare, svengiarse; cf. GAVI, vol. 16/8, 490; GDLI, s.v. svengianza; TLIO, s.v. svengianza; Seifert (1886, 72); Salvioni (1898, 322). *svengiare: vb. ‘vendicare’ ∼ svengiarse 92 («Non è alcun sì vile homo, […] k’el no se pensasse de s. s’el poese») || Dal fr. antico venger con il prefisso EX -; cf. GAVI, vol. 16/8, 489; GDLI, s.v. svengiare; TLIO, s.v. svengiare; Seifert (1886, 72); Salvioni (1898, 322). *taiare: vb. ‘tagliare’ ∼ ind. perf. 3a pers. taiò 98 («san Pedro t. l’oregia»), tayò 83, fut. 3a pers. taiarà 40 («tute le rame ki son i(n) mi [ki] no faran fructo, tuti li t. e buterà de fora»). tale(n)to: sost. m., nella locuz. avv. al so t. ‘a loro piacere’ 138 («qua(n)do e’ l’aveno inschergniido e beffado al so t.»). tanfin: prep. e cong. ∼ 29, 88, 111. 1 locuz. prep. t. a ‘fino a’ 111 («t. al dì d’a(n)choy»); 2 locuz. cong. t. ke ‘finché’ 88 («lo seguivano t. ke illi fon a cà del p(ri)ncepo»), t. k’ 29 || Cf. §4.69; GAVI, vol. 17/2, 169–170; Rohlfs (1969, §771); Seifert (1886, 72); Salvioni (1898, 322); Wilhelm (2006, 95: tanfin che). ta(n)tosto: avv. ‘subito’ ∼ 83 («no aspetà la responsion de Criste […] anze ta(n)tosto trase fora un cortelo») || Cf. GAVI, vol. 17/2, 170–173; GDLI, s.v. tantosto. tasca: sost. f. ‘borsa’ ∼ 72 («Quando ve mand[é] senza dané e senza t., avise-vo desaxio d’alcuna cossa?»), 73. tavora: sost. f. ∼ 162, 154. 1 ‘mobile per consumare i pasti’ 162 (1a occ.: «tuti XII avevano la man i(n) la squela dala salza, ki era i(n) mezo la t.»); 2 ‘asse di legno’ 154 («Pillato fè scrive sur una t. ki era de legnio d’oriva un titulo»). tema: sost. f. ‘timore’ ∼ 62 («t. dela passion»), 132, 180, 185. tempo: sost. m. ∼ 4, 7, 25, ecc. (25 in t.). 1 ‘momento’ 4 («lo t. i(n) lo qua era de necessità a s(er)vare le cosse digie de sora»), 25, 46, 52, 64, 73, 133 (2a occ.), 145, 159, 178, 184; 2 ‘intervallo tra due termini più o meno precisi’ 32 («un
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pocho de t. e’ starò con vu e possa me n’andarò»), 492; 3 ‘età della vita umana’ 162 («mes(er) san Iohane era de pocho t. e de pocha p(ro)sp(er)ità»); 4 locuz. avv. grande t. ‘lungamente, molto’ 7 («Grande t. è k’e’ ò desidrà de far questa Pascha»), 37 («eyo vegnirò ancora a vu de grando t.» 37),2 107 («la ge(n)te del vesco aven vegià i(n) q(ue)lla nocte uno grande t.»), 119 («el era gran t. k’el aveva desidrà de vederlo»); 5 locuz. avv. tanto t. ‘lungamente, molto’ 35 («Ell’è ta(n)to t. k’e’ son stato con vu»); 6 locuz. avv. de poco t. dena(n)ze ‘poco prima’ 98 («el aveva (con)fessado de poco t. dena(n)ze»), 137; 7 locuz. avv. p(er) t. ‘presto, di buon’ora’ 108 («Quando vene dadoman p(er) t. sì se (con)gregàno i(n)sema»); 8 locuz. avv. tuto t. ‘sempre’ 37 («ello ve darà Spirito consoladó ke tuto t. starà con vu i(n)sema»), 90, 133 (1a occ.) || Cf. 4.68 per i ni 4–5, GDLI, vol. 20, 849 per i ni 1–4, 7–8. tenebria: sost. f. ‘oscurità completa’ ∼ 100 («la t. del peccado»), 168 («fo t. sovra tuta la terra») || Cf. GAVI, vol. 17/4, 12; GDLI, s.v. tenebria; Seifert (1886, 72); Keller (1935, 95). *tenir: vb. ∼ ind. pres. 6a pers. teneno 12, impf. 3a pers. teniva 19, perf. 3a pers. tene 32, 85, 102, 122, part. pass. m. sg. tenudo 153. 1 ‘trattenere’ 85 («nesun de vu me p(re)xe nì me tene d’andare p(er) la strada»); 2 ‘custodire’ 19 («Iuda teniva li dané»); 3 ‘impiegare (un tempo)’ 32 («i(n) ta(n)to ke Iuda tene a tornà»), 102 («XLVI anni se tene a edeficare q(ue)sto te(m)plo»); 4 ‘detenere l’autorità’ 12 («q(ui)li ki teneno la segnoria del mondo»); 5 ‘ritenere’ 122 («Herodex […] sì tene p(er) gra(n)de honore qua(n)do Pillato ge mandò mes(er) Yesù Criste»), 153 («Lo fiolo de Deo serà zudigado co(n) li malvaxii e serà tenudo tale (con) loro») || Cf. §4.49. *tenzere: vb. ‘intingere’ ∼ ind. perf. 3a pers. te(n)zèllo 18 («Criste tollè un bocon de pan e t. i(n) la salza»); part. pass. m. sg. tengio 18 («lo corpo de Criste tuto deveva esse t. i(n) lo so p(ro)prio sange»), tincto 18 («lo pan t.»), f. sg. tengia 18 («la tonega de Yosepo […] fo t. i(n) lo sangue del becho»). terso: agg. num. ord. ‘terzo’ ∼ 31 («lo t. dì sì resusitò»), 79, f. sg. tersa 672, 93. testimonio: sost. m. ∼ 452, 94, ecc. (8 in t.), pl. testimonii 1012, 102; 1 ‘testimonianza’ 452 («lo Spirito de verità […] darà testimonio de mi; e vu darì testimo(n)io de mi»), 94, 102, 117, 138, 1822; 2 ‘testimone’ 1013 (1a forma: « lo p(ri)ncepo
2 Sull’interpretazione, non del tutto chiara, di de grando te(m)po cf. però la nota al testo edito.
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deli sacerdoti e tuto lo (con)silio cercava falsi testimonii co(n)tra Criste») || Cf. GAVI, vol. 17/4, 95–98; GDLI, s.v. testimonio. *tingere: cf. più indietro *tenzere. titulo: sost. m. ‘scritta’ ∼ 1545 (1a occ.: «Pillato fè scrive sur una tavora […] un t.»), 1552. tò: vb. ∼ 51, 181, tore 186, torlo 176; ind. impf. 6a pers. toievano 128, toyevano 137, perf. 3a pers. toyè 282, tollè 18, 24, 61, tosse 24, 6a pers. toién 156, toyéno 149, 153, 186, tolén 139, toléno 137; cong. impf. 3a pers. tolesse 69; impt. 5a pers. toiìlo 131, toỳlo 114, tolì 82. 1 ‘prendere con le mani’ 18 («Criste tollè un bocon de pan»), 242, 282, 139, 149, 153, 156; 2 ‘prendere con sé qlcn.’ 61 («el tollè co(n) sego san Pedro e sa(n) Iacomo e san Iohan»), 82 («tolì mi […] e lasé a(n)dar q(ui)sti mei discip(u)li»), 114, 131, 137; 3 ‘rimuovere, portare via’ 176 («torlo zò dela croxe»), 181, 1862; 4 ‘sottrarre’ 51 («lla vostra alegreza nesun no la porà tò nì fà perde»), 69 («p(re)gamo lo vostro Padre k’el tolesse via da vu questo calix»), 128 («ge toievano la cana de man»), 137 || Cf. §§4.24, 4.49; GAVI, vol. 17/4, 143–150; GDLI, s.v. togliere ni 1, 8, 53, 80; Salvioni (1898, 323); Keller (1935, 95); Marri (1977, s.v. to(r)). tonega: sost. f. ‘tonaca’ ∼ 18 («la t. de Yosepo»), 73. tornà: vb. ∼ 32; ind. impf. 6a pers. tornaveno 180, perf. 3a pers. tornò 66, 673, ecc. (10 in t.), si tornò 26, tornòge 138; impt. 2a pers. torna 84; ger. tornando 78; part. pass. f. pl. tornade 138 (g’aveno t.). 1 intr. ‘recarsi nel luogo da cui ci si era allontanati’ 32 («i(n) ta(n)to ke Iuda tene a tornà»), 66, 67 (2a forma), 72, 78, 115, 131, 180; 2 intr. ‘rimettersi a fare qlcs.’ 67 (1a e 3a forma: «tornò a orare»); 3 trans. ‘rimettere qlcs. nel posto da cui era stato rimosso’ 842 (1a forma: «Criste ge tornò l’oregia sana e salva»); 4 trans. pron. t. indosso (un indumento) ‘indossare o far indossare di nuovo’ 26 («si tornò la soa vestime(n)ta i(n)dosso»), 1382; 5 trans. ‘restituire’ 114 («Pillato lo tornò ali p(ri)ncipi deli sacerdoti») || Cf. GDLI s.v. tornare ni 1, 5, 28, 30–31. tornada: sost. f. ‘ritorno’ ∼ 78 («qua(n)do Criste mandava li soy discip(u)li i(n) alcuna parte, i(n) la lor t. illi lo basaveno ») || Cf. GAVI, vol. 17/4, 178; GDLI, s.v. tornata. tosto: avv. ‘presto’ ∼ 19, 71.
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trabuto: sost. m. ‘tributo’ ∼ 112 («sì ne veda ke nu no dagemo lo t. a Cesaro»), 115. tradire: vb. ‘consegnare proditoriamente’ ∼ 7 («Su(n)to mi Segnor ke te debio t.?»), 17, 25, tradir 21, traỳ 73, trahir 20, traire 7; ind. pres. 3a pers. traisse 8, impf. 3a pers. traiva 16, 79; part. pass. m. sg. tradì 8, tradido 17, 28, 72, 78, traido 109. tradizon: sost. f. ‘tradimento’ ∼ 8 («el predisse ala cena dela sova passion e t.»), traition 18 («la t. de Iuda») || Da TRADITIONE ( M ) ; cf. GAVI, vol. 17/4, 228; GDLI, s.v. tradigione; Seifert (1886, 73 s.v. traitoria); Salvioni (1898, 323 s.v. traiççon); Keller (1935, 95 s.v. traito). tragio: sost. m. ‘tiro, atto di tirare’ ∼ 61 («partìsse ta(n)to lonze dali altri qua(n)to serave lo t. d’una prea»). trahime(n)to: sost. m. ‘tradimento’ ∼ 20 («li XXX dané del t.»). trahir, traire: cf. più indietro tradire. traitame(n)te: avv. ‘a tradimento’ ∼ 79 («l’ulcixe t.») || È frutto di un’emendazione: cf. §3.1 traitoria: sost. f. ‘tradimento’ ∼ 79 («Iuda fè q(ui)llò tri signi de grande t.»), 125 («aveva morto du homini a gra(n)de t.») || Cf. GAVI, vol. 17/4, 232; Seifert (1886, 73); Salvioni (1889, 323). *trarre: vb. ∼ ind. perf. 3a pers. trase 24, 83, trasse 133, 6a pers. traseno 9; part. pass. m. sg. tragio 29, f. sg. tragia 1. 1 ‘spostare una parte del corpo’ 9 («traseno tuti la man indré»); 2 t. fora ‘sguainare’ 83 («trase fora un cortelo»); 3 t. fora ‘togliere un indumento’ 24 («trase fora la soa vestime(n)ta»); 4 ‘ricavare, derivare’ 1 («l’istoria dela passion […] tragia da tuti li quatro evangelisti »), 29 (il corpo di Cristo «[era] tragio dal’homo vedre e mortale»); 5 ‘liberare’ 133 («ve trasse de tera e de s(er)vitudeni de Faraon»). tri : agg. e pron. numerale ‘tre’ ∼ m. tri 16 («t. discip(u)li»), 63, 77, ecc. (9 in t.), f. tre 33 («t. volte»), 60, 672, ecc. (12 in t.) || Cf. §4.47. tro: prep. e cong. ∼ 51, 118, 144, 161. 1 prep. t. ‘fino a’ 51 («T. mo vu no avì domandà alcuna cossa i(n) lo me nome»), 118 («à com(en)zado a […] i(n)ganar la ze(n)te de Galilea t. qui»); 2 locuz. prep. t. a ‘fino a’ 144 («fiva menada la madre de Criste […] t. alo logo dela soa passion»); 3 locuz. cong. t.
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ki ‘finché’ 161 («Criste no ge i(n)trà [i.e. in paradiso] t. ki no ven al dì dela asension») || Da INTER più HŎC (FEW, vol. 4, 748–749); cf. §4.69; GAVI, vol. 17/ 4, 458; GDLI, s.v. tro2; Salvioni (1902a, 455); Marri (1977, s.v. mintro); Wilhelm (2006, 95). tutavia: avv. ‘sempre’ ∼ 6, 151. ulcir: vb. ‘uccidere’ ∼ 114 («El no è licito u. alcun»), ulcirlo 65, ulzir 125, ulzirlo 131; ind. perf. 3a pers. ulcixe 79, fut. 6a pers. olziran 46 || Da *AUCĪDERE ; cf. GAVI, vol. 19/1, 129–159; TLIO, s.v. aucidere; Seifert (1886, s.v. olcir); Salvioni (1898, 324 s.v. ulcir); Keller (1935, 96). umicidie: sost. m. ‘omicidio’ ∼ 123 || Cf. §§4.17, 4.19. vaselo: sost. m. ‘piccolo vaso’ ∼ 171 («pià una sponga e bagniàla in un v.») || Cf. GAVI, vol. 19/5, 246–257; Keller (1935, 96). vedere: vb. ‘vedere’ ∼ 602 («v. la sova passion», «v. la sova gloriosa resurection»), 96, ecc. (12 in t.), vederlo 119; ind. pres. 2a pers. vy 155, 3a pers. vé 352, 4a pers. vedemo 532, 5a pers. vedì 35, 37, 104, perf. 1a pers. vite 98, 3a pers. vite 14, 97, 109, ecc. (9 in t.), 6a pers. viteno 83, 139, 156, fut. 2a pers. vederé 109, 4a pers. vederemo 176, 5a pers. vedarì 104, vederì 47, 494, ecc. (8 in t.), 6a pers. vederan 184; cong. pres. 6a pers. vegano 58, impf. 3a pers. vedesse 143; impt. 5a pers. vedì 134, 140, 161, 173; ger. vezando 11, 81, 95, ecc. (12 in t.); part. pass. m. sg. vedù 119, 130, vedudo 142, veduo 24, f. sg. veduda 107. vedro: agg. ‘vecchio’ ∼ 28 («v. testame(n)to»), vedre 29 («homo v. e mortale») || Da VETER E ( M ) ; cf. §§4.21, 4.33, 4.36; GAVI, vol. 19/6, 244; Keller (1935, 96); Marri VETERE (1977, s.v. vedre). veduda: sost. f. ‘senso della vista’ ∼ 182 («aveva perdudo la v. per una grande malatia») || Cf. GAVI, vol. 19/6, 245–248; GDLI, s.v. veduta. vegia(r)e: vb. ‘vegliare’ ∼ 66 («No po’ tu v. una hora co(n) mego?»); impt. 5a pers. vegié 63, 66; ger. vegiando 126; part. pass. m. sg. vegià 107. vegio: agg. ‘vecchio’ ∼ 182 (Longino «era zà vegio e aveva perdudo la veduda»), f. sg. vegia 6 («la leze v.»), 14 («d’una dona v.»). venenuxi: agg. m. pl. ‘velenosi’ ∼ 130 («s(er)penti v.»).
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*venir: vb. ‘venire’ ∼ 35; ind. pres. 1a pers. venio 562, 3a pers. ven 53, 6a pers. veneno 90, impf. 3a pers. venia 146, 176, veniva 74, 95, perf. 1a pers. veni 52, 3a pers. ven 5, 75, 88, ecc. (5 in t.), vene 24, 26, 61, ecc. (12 in t.), 6a pers. veneno 73, 179, fut. 1a pers. vegniarò 39, vegnirò 37, veniarò 76, 3a pers. vegniarà 46, venierà 47–48, venirà 31, verà 45, 47, 52, ecc. (5 in t.); cong. pres. 3a pers. venia 129, 6a pers. vegneno 110; ger. veniando 76; part. pass. m. sg. venudo 4, 39, 45, ecc. (9 in t.), pl. venudi 85 || Cf. 4.49 per venierà, vegniarà, vegniarò, veniarò. *venzere: vb. ‘vincere’ ∼ part. pass. m. sg. vẽzudo 53 («e’ ò v. lo mondo»), pl. venzudi 66 («illi no fisseno v. dala te(m)ptation»). vescovo: sost. m. ∼ 14, 872, vesco 96–97, 107. 1 ‘prelato nominato dal papa che ha il governo di una diocesi’ 14 («Paulino vescovo dela cità nolitana»); 2 ‘alta autorità religiosa’ 872 («Caifax ki era vescovo i(n) q(ue)lo ano», «A(n)na era stado l’ano passado vescovo»), 96–97, 107 || Cf. LEI, fasc. E3, 517–523; TLIO, s.v. vescovo; per vesco cf. inoltre Bertolini (1985, 16). vestimenta: sost. f. ‘abito’ 24 («trase fora la soa v.»), 26, 1052, ecc. (14 in t.), pl. vestim(en)te 1383, 156, vestime(n)te 149 || Cf. §4.36. via: avv. e sost. ∼ 14, 23, 34, ecc. (12 in t.). 1 sost. ‘strada’ 34 («E no savì là onde eio sia nì onde eio vaga, ma vu savrì ben la v.»), 352, 133, 139; 2 avv. ‘lontano (anche enfatico)’ 14 («ello vite menar v. prexo lo povero so»), 63, 69, 73, 75, 157 («passaveno da i(n)lò v.»); 3 sost. ‘volta’ 23 («alcuna v. lo co(n)templativo […] se dovra i(n) la utilità del prossimo») || Per la terza accezione cf. Salvioni (1902a, 456) e la bibliografia ivi segnalata; Marri (1977, s.v. via). viazamente: avv. ‘velocemente’ ∼ 2 || Dall’agg. comparativo VIVACIU ( M ) più il suffisso avverbiale -mente (REW, §9408; FEW, vol. 14, 575); cf. TLIO, s.v. vivacciamente; Keller (1935, 96 s.v. viaço); Marri (1977, s.v. viazo); Degli Innocenti (1984a, 266); Wilhelm (2006, 96). vila: sost. f. ‘campagna’ ∼ 146 («un homo ki venia de v.») || Ricalca il villa di Mc 15,21 e Lc 23,26. voltada: sost. f. ‘schiaffo’ ∼ 91 («un s(er)vo del p(ri)ncepo sì ge dè una gra(n)de v.») || Dal gallico *gauta (DELI e Nocentini 2010, s.v. gota); cf. le voci goltade, sgoltada; peculiare la forma in v-, di cui non trovo altre attestazioni; la spiegazione più plausibile sembra un incrocio tra goltada e il sost. volto.
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5 Glossario
vontera: avv. ‘volentieri’ ∼ 117 || Da VOLUNTARIE ; cf. §4.33; Marri (1977, s.v. vontera). *vorè: vb. ∼ cf. §4.62. zà: avv. ‘già (anche rafforzativo)’ ∼ 12 («no represe z. lo nostro Segnore li soy discipuli»), 402 («vu sì z. mondi per la parola k’e’ v’ò z. dita»), ecc. (8 in t.). zamay: avv. ‘mai più’ ∼ 100 («z. in soa vita no stete quax senza lagrime»). zente: sost. f. ∼ 118, 123–124, ecc. (8 in t.), gente 132, 76, 78, ecc. (7 in t.), pl. zente 147, 155. 1 ‘numero indeterminato di persone considerate collettivamente’ 132 (1a forma: «da tuta gente devrave fiì co(n)funduo»), 76, 78, 80, 107, 118, 123– 124, 141, 144, 179; 2 ‘popolo’ 116 («Li toy p(ri)ncepi e la toa gente sì t’àn dà i(n) le me man»), 1472, 153, 155. *zire: vb. ‘andare’ ∼ ind. perf. 3a pers. zè 20 (pron.: «ello sen z. i(n)co(n)tane(n)te»), 78 («Quando Iuda ave saludà Criste, sì z. a lu») || Da IRE ; cf. §4.25. zò: avv. e prep. ∼ 107, 1572, ecc. (8 in t.). 1 avv. ‘giù’ 1572 («desce(n)de z. dela croxe», «sì desenda z. de là»), 1582, 176, 181, 184; 2 locuz. prep. z. de ‘sotto’ 107 («sì lo menò possa z. delo palaxio»). *zoare: vb. ‘giovare’ ∼ ind. impf. 3a pers. zoava («quanto el feva per aiar Criste no z. ma maiorm(en)te noxeva»). zoxo: avv. e prep. ∼ 24, 61. 1 avv. ‘giù’ («Sedì z. kilò un pocho») 61; 2 locuz. prep. z. de ‘sotto’ 24 («andò z. del cenaculo»). Zudé: cf. più indietro iudeo. zudex: sost. m. ‘giudice’ ∼ 108 («era z. e p(ro)curator de Tiberio [C]esaro»), pl. Zudixii («lo libro deli Z.»). zudigar: vb. ‘giudicare’ ∼ 31; impt. 5a pers. zudigé 114 («Toỳlo vu e segondo la vostra leze sì lo z.»); part. pass. m. sg. zudigado 73, 153. zudixio: sost. m. ‘giudizio’ ∼ 472 (1a occ.: «el reprenderà lo mondo de iustixia, de z. e de peccado»), 96, 104.
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