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Italian Pages [161] Year 2016
INDICE
CAPITOLO I – Le piattaforme aeree 1.1 Definizione 1.2 Elementi costituenti le piattaforme aeree 1.3 I possibili movimenti
CAPITOLO II – Ottimizzazione della cesta 2.1 Oggetto della tesi 2.2 Pericoli
CAPITOLO III – Norma UNI EN 280 2005 3.1 Campo di applicazione 3.2 Classificazione delle piattaforme aeree 3.3 Carichi strutturali e di stabilità
CAPITOLO IV – Scelta del materiale 4.1 Relazione tra sforzo e deformazione 4.2 La struttura cristallina 4.3 Stato di sforzo e di deformazione
4.4 Materiali per applicazioni ingegneristiche 4.5 Leghe di Alluminio 4.6 La lega 2024-T4
CAPITOLO V – La nostra soluzione 5.1 I due casi 5.2 Analisi agli elementi finiti 5.3 Analisi del primo caso 5.4 Analisi del secondo caso
APPENDICE – I comandi di ANSYS
Bibliografia
I. LE PIATTAFORME AEREE
1.1 Definizione
Unapiattaforma di lavoro mobile elevabileè unamacchina destinata a spostare operatori nei lavori in quota ed è costituita almeno da una cesta con comandi, da una struttura estensibile e da un telaio.
Esiste un’ampia varietà di modelli in grado di lavorare nella massima sicurezza negli ambienti più difficili, muovendosi con relativa agilità in spazi ristretti, all’esterno come all’interno degli edifici.
1.2 Elementi costituenti la piattaforma aerea
Lacestaè una cabina recintata che può essere spostata sotto carico nella posizione di lavoro richiesta e dalla quale possono essere eseguite operazioni di costruzione, riparazione, ispezione o altri lavori simili.
La struttura estensibileè una struttura collegata al telaio e ai supporti della piattaforma di lavoro. Consente gli spostamenti della piattaforma di lavoro richiesti. Può essere, per esempio, un braccio o una scala singolo o telescopico o articolato, o un meccanismo a forbice o qualsiasi loro combinazione, e può ruotare sulla base o meno.
Nel caso in esame nella presente tesi la struttura estensibile è costituita dal braccio estensibile e dal jib, che collega il braccio alla cesta consentendo a questa i vari movimenti.
Il telaio è unabase della piattaforma di lavoro mobile elevabile. Può essere di tipo a trazione, a spinta, semovente, ecc. Il suo peso dà stabilità all’intera struttura.
Altri elementi individuati nella piattaforma aerea elevabile sono glistabilizzatori, dispositivi e sistemi utilizzati per stabilizzare le piattaforme di lavoro mobili elevabili
supportando e/o livellando l'intera piattaforma di lavoro mobile elevabile o la struttura estensibile, per esempio martinetti, dispositivi di blocco della sospensione, assi estensibili.
La posizione di accesso consente di accedere alla piattaforma di lavoro.
La posizione di trasporto è la posizione della piattaforma di lavoro richiesta dal fabbricante, nella quale la piattaforma di lavoro mobile elevabile è trasportata nel luogo di utilizzo.
1.3 I possibili movimenti
I movimenti che possono compiere i vari elementi costituenti la piattaforma aerea elevabile sono:
-abbassamento: tutte le operazioni per spostare la piattaforma ad un livello inferiore;
-sollevamento: tutte le operazioni per spostare la piattaforma ad un livello superiore.
-rotazione: movimento circolare della piattaforma di lavoro rispetto all'asse verticale.
-orientamento: movimento circolare della struttura estensibile rispetto all'asse verticale.
-spostamento: qualsiasi movimento del telaio con la piattaforma di lavoro in una posizione diversa da quella di trasporto.
La piattaforma di lavoro mobile elevabile può essere montata su di un veicolo. In questo caso i comandi di spostamento sono posizionati nella cabina del veicolo. Invece, nel caso dipiattaforma di lavoromobileelevabile con comandi a terra, i comandi per il trasporto (movimento) motorizzato sono collocati in modo da essere azionati da un operatore che lavora accanto alla piattaforma di lavoro mobile elevabile. Nel caso di piattaforma di lavoro mobile elevabile semovente, i comandi di spostamento si trovano sulla piattaforma di lavoro stessa.
La piattaforma aerea elevabile è caratterizzata da un carico nominale che rappresenta il carico di progetto che la cesta può sostenere nel normale impiego.
Il carico nominale comprende persone, attrezzi e materiali che agiscono verticalmente sulla piattaforma di lavoro. Una piattaforma di lavoro mobile elevabile può avere più di un carico nominale.
Il ciclo di carico è la sequenza dei carichi applicati durante le varie fasi di utilizzo: posizione di accesso, esecuzione del lavoro, ritorno alla posizione di accesso.
La piattaforma aerea è spesso dotata di un sistema di rilevamento del carico per il controllo del carico verticale e delle sollecitazioni verticali agenti sulla cesta di lavoro. Il sistema di rilevamento del momento è in grado di rilevare l’entità del momento e valutare la tendenza al ribaltamento dell’intera macchina. Il sistema include il/i dispositivo/i di misurazione, la soluzione tecnica di montaggio dei dispositivi di misurazione e il sistema di elaborazione del segnale collegato ai comandi ed attuatori di sicurezza chimati ad intervenire qualora il margine di sicurezza al ribaltamento divenga insufficiente.
L’area di lavoro è lo spazio all'interno del quale la piattaforma di lavoro è progettata per lavorare, entro i carichi e le sollecitazioni specificate nelle normali condizioni di utilizzo. Le piattaforme di lavoro mobili elevabili possono avere più di un'area di lavoro.
II. OTTIMIZZAZIONE DELLA CESTA
2.1 Oggetto della tesi
Oggetto della presente tesi è minimizzare il peso della piattaforma di lavoro scegliendo soluzioni tecniche e materiali opportuni per la realizzazione di una struttura adatta a sostenere i carichi normativi previsti.
La piattaforma di lavoro deve essere più leggera possibile perché l’intera struttura deve sopportare il carico pagante, costituito da 4 uomini e da materiale e attrezzatura che essi utilizzano per il loro lavoro. Nella progettazione tale carico non può essere limitato e va considerato agente nelle condizioni più severe come indicato dalle norme UNI.
Nel settore aeronautico carichi minimi possono influire molto sulla vita delle strutture. Nel presente caso un carico eccessivo può causare danni alla struttura, in particolare alla cesta e al braccio.
Nello stesso tempo si è cercata una soluzione che rispondesse ai bisogni di semplicità ed economicità di produzione e messa in opera della stessa. In particolare si è pensato di realizzare la cesta della piattaforma in una lega di alluminio, essendo questo materiale piuttosto leggero e diffuso.
Il telaio invece deve avere un peso notevole affinché dia un effetto stabilizzante alla piattaforma aerea elevabile. Pertanto l’aggiunta di zavorra al peso del telaio è considerata utile ai fini di stabilità.
2.2 Pericoli
I danni (rotture, cricche, insufficiente serraggio di bulloni) possono essere visibili o rilevabili solo con controlli accurati e sono fonti potenziali di numerosi pericoli, che sono inclusi nel documento di analisi dei rischi messo a punto per prevenire problemi nell’uso della piattaforma, sia per l’integrità della, ma soprattutto per la sicurezza degli operatori. Tutti i pericoli sono elencati di seguito:
1 Pericoli di natura meccanica
1.1 Pericolo di schiacciamento
1.2 Pericolo di cesoiamento
1.3 Pericolo di taglio o di sezionamento
1.4 Pericolo di impigliamento
1.5 Pericolo di trascinamento o di intrappolamento
1.6 Pericolo di urto
1.7 Pericolo di perforazione o di puntura
1.8 Pericolo di strisciamento o abrasione
1.9 Pericolo di iniezione di fluido ad alta pressione
1.10 Eiezione di parti
1.11 Perdita di stabilità (del macchinario e delle parti della macchina)
1.12 Pericoli di scivolamento, inciampo e caduta
2 Pericoli di natura elettrica causati, per esempio, da:
2.1 Contatto elettrico (diretto o indiretto)
2.2 Fenomeni elettrostatici
2.3 Radiazioni termiche
2.4 Influenze esterne sulle apparecchiature elettriche
3 Pericoli di natura termica, che causano, per esempio:
3.1 Bruciature e scottature da un possibile contatto di persone con fiamme o
esplosioni e anche per radiazioni da sorgenti di calore
3.2 Effetti dannosi per la salute provocati da un ambiente di lavoro caldo o freddo
4 Pericoli generati dal rumore, che provocano, per esempio:
4.1 Perdita dell'udito (sordità), altri disturbi fisiologici (per esempio, perdita
dell'equilibrio, perdita di percezione, ecc.)
4.2 Interferenze con comunicazioni verbali, segnali acustici, ecc.
5 Pericoli generati da vibrazioni (risultanti in una varietà di disturbi neurologici e vascolari)
6 Pericoli generati dalle radiazioni, in particolare da:
6.1 Archi elettrici
6.2 Laser
6.3 Fonti di radiazioni ionizzanti
6.4 Macchina che utilizzi campi elettromagnetici ad elevata frequenza
7 Pericoli generati da materiali e sostanze lavorati, utilizzati o prodotti come scarto da macchina, per esempio:
7.1 Pericoli da contatto o inalazione di fluidi dannosi, gas, nebbie, fumi e polveri
7.2 Pericolo di incendio o di esplosione
7.3 Pericoli biologici o microbiologici (virus o batteri)
8 Pericoli provocati dall'inosservanza dei principi ergonomici in fase di progettazione della macchina (dovuti alla mancata corrispondenza del macchinario con le caratteristiche e le capacità umane) causati, per esempio, da:
8.1 Posizioni insalubri o sforzi eccessivi
8.2 Inadeguata considerazione dell'anatomia mano-braccio o piede-gamba
8.3 Inosservanza dell'uso dei dispositivi di protezione individuale
8.4 Inadeguata illuminazione dell'area
8.5 Eccessivo o scarso impegno mentale, tensione, ecc.
8.6 Errore umano
9 Combinazione di pericoli
10 Pericoli causati da guasti nell'alimentazione di energia, dalla rottura di parti del macchinario e da altri guasti operativi, per esempio:
10.1 Guasto nell'alimentazione elettrica (dei circuiti elettrici e/o di comando)
10.2 Eiezione imprevista di parti della macchina o di fluidi
10.3 Guasto/malfunzionamento del sistema di comando
10.4 Errori di accoppiamento
10.5 Ribaltamento, perdita imprevista di stabilità della macchina
11 Pericoli causati dall'assenza (temporanea) e/o dalla posizione incorretta di misure/mezzi di sicurezza, per esempio:
11.1 Tutti i tipi di protezioni
11.2 Tutti i tipi di dispositivi (di protezione) relativi alla sicurezza
11.3 Dispositivi di avvio e arresto
11.4 Insegne e segnali di sicurezza
11.5 Tutti i tipi di dispositivi di informazione o avvertimento
11.6 Dispositivi di scollegamento dell'alimentazione elettrica
11.7 Dispositivi di emergenza
11.8 Mezzi di alimentazione/estrazione dei pezzi in lavorazione
11.9 Apparecchiatura e accessori essenziali per una regolazione e/o manutenzione sicura
11.10 Apparecchiatura per l'evacuazione dei gas, ecc.
12 Illuminazione inadeguata del posto di lavoro
13 Pericoli dovuti a movimenti improvvisi/instabilità durante le operazioni
14 Progetto inadeguato/non ergonomico del posto di guida/esercizio
14.1 Pericoli dovuti ad ambienti pericolosi (contatto con parti in movimento, gas di scarico, ecc.)
14.2 visibilità insufficiente dal posto del guidatore/operatore
14.3 Inadeguatezza di sedile/seduta (punto di riferimento del sedile)
14.4 Inadeguatezza/mancanza di ergonomicità del progetto/posizionamento dei comandi
14.5 Avvio/movimento del macchinario semovente
14.6 Ingombro stradale del macchinario semovente
14.7 Movimento del macchinario con conducente a piedi
15 Pericoli di natura meccanica
15.1 Pericoli per le persone circostanti, dovuti a spostamenti non controllati
15.2 Pericoli dovuti alla rottura e/o all'eiezione di parti
15.3 Pericoli dovuti al ribaltamento
15.4 Pericoli dovuti alla caduta di oggetti (FOP)
15.5 Inadeguati mezzi di accesso
15.6 Pericoli causati da traini, accoppiamenti, connessioni, trasmissioni
15.7 Pericoli causati da batterie, fuoco, emissioni, ecc.
16 Pericoli dovuti alle operazioni di sollevamento
16.1 Mancanza di stabilità
16.2 Deragliamento del macchinario
16.3 Perdita di resistenza meccanica del macchinario e degli accessori di
sollevamento
16.4 Spostamenti non controllati
17 Inadeguata visibilità delle traiettorie delle parti in movimento
18 Pericoli causati dai lampi
19 Pericoli dovuti a carico/sovraccarico
20 Pericoli dovuti al sollevamento delle persone
20.1 Resistenza meccanica
20.2 Controllo del carico
21 Comandi
21.1 Spostamento della piattaforma di lavoro
21.2 Comando di sicurezza dello spostamento
21.3 Comando di sicurezza della velocità
22 Caduta delle persone
22.1 Dispositivi di protezione individuale
22.2 Botole
22.3 Comando di ribaltamento della piattaforma di lavoro
23 Caduta/ribaltamento della piattaforma di lavoro
23.1 Caduta/ribaltamento
23.2 Accelerazione/frenata
24 Marcature
III. NORMA UNI EN 280 2005
3.1 Campo di applicazione
La norma specifica i requisiti tecnici e le misure di sicurezza per tutti i tipi e per tutte le dimensioni di piattaforme di lavoro elevabili, destinate a spostare persone nelle posizioni di lavoro. Tali persone possono svolgere mansioni stando sulla piattaforma di lavoro ed accedendo ed uscendo da questa attraverso uno posizione di accesso definita.
La presente norma si applica a macchine prodotte 12 mesi dopo la pubblicazione della presente norma.
3.2 Classificazione delle piattaforme aeree
Le piattaforme di lavoro mobili elevabili sono suddivise in due gruppi principali:
Gruppo A: le piattaforme di lavoro mobili elevabili nelle quali la proiezione verticale del baricentro del carico è sempre all'interno delle linee di ribaltamento.
Gruppo B: le piattaforme di lavoro mobili elevabili nelle quali la proiezione verticale del baricentro del carico può essere all'esterno delle linee di ribaltamento.
Relativamente allo spostamento, le piattaforme di lavoro mobili elevabili sono suddivise in tre tipi:
tipo 1 Lo spostamento è consentito solo quando la piattaforma di lavoro mobile elevabile
è in posizione di trasporto;
tipo 2 Lo spostamento con la piattaforma di lavoro sollevata è controllato da un punto di comando sul telaio;
tipo 3 Lo spostamento con la piattaforma di lavoro sollevata è controllato da un
punto di comando sulla piattaforma di lavoro.
I tipi 2 e 3 possono essere combinati.
3.3 Carichi strutturali e di stabilità
E’ responsabilità del fabbricante:
a) per i calcoli strutturali, valutare i carichi e le sollecitazioni individuali nelle posizioni, direzioni e combinazioni che producono le sollecitazioni meno favorevoli per i componenti, e
b) per i calcoli di stabilità, identificare le diverse posizioni della piattaforma di lavoro mobile elevabile e le combinazioni di carichi e sollecitazioni che creano, insieme, le condizioni di minima stabilità.
Carichi e sollecitazioni
Devono essere presi in considerazione i seguenti carichi e le seguenti sollecitazioni:
a) carico nominale;
b) carichi strutturali;
c) carichi del vento;
d) sollecitazioni manuali;
e) carichi e sollecitazioni particolari.
Determinazione di carichi e sollecitazioni
Carico nominale
Il carico nominale m è il carico sollevato dalla piattaforma ed è composto di persone,
attrezzi e materiali. Tale carico, agente verticalmente sulla piattaforma di lavoro, è
dato da:
m = n•mp + me
dove:
mp = massa per persona = 80 kg = 784.8 N
me = massa materiali ed equipaggiamento = 40 kg = 392.4 N
n = numero di persone ammesse sulla piattaforma = 4
Il valore della portata, utilizzando un fattore di sovraccarico pari a 1.5, risulta:
G = 1.5•(4•80 + 40) = 540 kg = 5297.4 N
Si suppone che la massa di ciascuna persona agisca come carico puntiforme sulla piattaforma di lavoro ad una distanza orizzontale di 0.1 m dal bordo superiore interno del parapetto superiore. La distanza tra i carichi puntiformi deve essere di 0.5 m, come mostrato nella seguente figura:
Si suppone che la massa dell’attrezzatura agisca come carico regolarmente distribuito sul 25% del piano della piattaforma di lavoro. La pressione risultante non supera i 3 kN/m². Infatti:
me/(0.25•Ap) = 0.93 kN/m²
essendo Ap = area pianale della piattaforma di lavoro = 2m•0.84m = 1.68m²
Si suppone che tutti questi carichi siano collocati nelle posizioni che determinano i risultati più severi, come mostrato di seguito:
Carichi strutturali
Le masse dei componenti della piattaforma di lavoro mobile elevabile quando non sono in movimento devono essere considerate come carichi strutturali statici.
Le masse dei componenti della piattaforma di lavoro mobile elevabile quando sono in movimento devono essere considerate come carichi strutturali dinamici.
Carichi del vento
Tutte le piattaforme di lavoro mobili elevabili utilizzate all’esterno si ritengono soggette al vento ad una pressione di 100 N/m², equivalente ad una velocità del vento di 12.5 m/s.
Si suppone che le sollecitazioni del vento agiscano orizzontalmente al centro dell’area delle parti della piattaforma di lavoro mobile elevabile, delle persone e degli equipaggiamenti sulla piattaforma di lavoro e devono essere considerate come sollecitazioni dinamiche.
Ciò non è applicato alle piattaforme di lavoro mobili elevabili destinate esclusivamente all’impiego all’interno.
I coefficienti di forma applicati alle aree esposte al vento sono:
a) 1.6 sezioni a L,U,T,I
b) 1.4 sezioni scatolate
c) 1.2 grandi aree piatte
d) 0.8/1.2 sezioni circolari, in base alla dimensione
e) 1.0 persone direttamente esposte
L’intera superficie di una persona deve essere 0.7 m² (0.4 m larghezza x 1.75 m altezza) con il centro dell’area 1.0 m al di sopra del piano della piattaforma di lavoro.
La superficie esposta di una persona in piedi su una piattaforma di lavoro dietro una sezione non perforata di recinzione alta 1.1 m deve essere 0.35 m² con il centro dell’area 1.45 m sopra il piano della piattaforma di lavoro.
Pertanto la forza del vento agente su una persona è
Wp = (100 N/m² x 0.7 m² x 1)x 1.1 = 77 N
Dove 1 è il fattore di forma e 1.1 è un fattore moltiplicativo.
Il numero di persone direttamente esposte al vento deve essere calcolato come:
a) la lunghezza del lato della piattaforma di lavoro esposta al vento, con arrotondamento di 0.5, e divisa per 0.5 m, o
b) il numero di persone ammesse sulla piattaforma di lavoro se minore del numero calcolato nel punto a).
Se il numero di persone ammesse sulla piattaforma di lavoro è maggiore di quello definito nel punto a) deve essere applicato un coefficiente di forma di 0.6 al numero eccedente di persone.
La forza del vento agente sugli attrezzi e sui materiali esposti sulla piattaforma di lavoro deve essere calcolata come il 3% della loro massa, che agisce orizzontalmente ad un’altezza di 0.5 m al di sopra del piano della piattaforma di lavoro.
We = 0.03• 40 kg = 1.2 kg = 11.892 N
La forza del vento sulla cesta è pari a:
Wc = (100 N/m² x 0.781 m² x 1.2)x 1.1 = 103.09 N
Sollecitazione manuale
Il valore minimo della sollecitazione manuale M è stimato in 400 N per piattaforme di lavoro mobili elevabili progettate per portare più di una persona, applicato all’altezza di 1.1 m sopra al piano della piattaforma di lavoro. Inoltre tale forza va moltiplicata per un fattore 1.1
M = 1.1•400 N = 440 N
Qualsiasi sollecitazione maggiore ammessa deve essere dichiarata dal fabbricante.
Carichi e sollecitazioni particolari
Carichi e sollecitazioni particolari sono creati da metodi di lavoro e condizioni d’uso particolari della piattaforma di lavoro mobile elevabile, come gli oggetti portati sulla parte esterna della piattaforma di lavoro e le sollecitazioni del vento su grandi oggetti trasportati sulla piattaforma di lavoro.
Se un utente richiede tali metodi di lavoro e/o condizioni d’uso particolari, i carichi e le sollecitazioni risultanti devono essere presi in considerazione, come modifica del carico nominale, del carico strutturale, del carico del vento e/o delle sollecitazioni manuali, a seconda dei casi.
Calcoli di stabilità
Sollecitazioni create dalle masse strutturali e dal carico nominale
Le sollecitazioni create dalle masse strutturali e dal carico nominale, che causano momenti ribaltanti o stabilizzanti, devono essere moltiplicate per un fattore di 1,0 e calcolate come sollecitazioni che agiscono verticalmente verso il basso. Per l'azionamento della struttura estensibile, queste sollecitazioni devono inoltre essere moltiplicate per un fattore di 0,1 considerando la loro azione nella direzione del movimento che crea il maggiore momento ribaltante. I fabbricanti possono utilizzare fattori minori di 0,1, purché siano stati provati mediante la misurazione degli effetti di accelerazione e decelerazione.
Per i movimenti di spostamento delle piattaforme di lavoro mobili elevabili di tipo 2 e 3, il coefficiente di 0,1 deve essere sostituito da un coefficiente " z ", che rappresenta le sollecitazioni prodotte dall'accelerazione e dalla decelerazione o dalla prova del cordolo.
Prove del cordolo: le piattaforme di lavoro mobili elevabili di tipo 2 e 3, ad eccezione delle piattaforme di lavoro mobili elevabili montate su rotaia, devono essere azionate a livello del terreno alla massima velocità di spostamento consentita per portare:
a) una ruota motrice per volta a contatto con un cordolo di altezza di 0,1 m perpendicolare alla direzione di guida, e
b) entrambe le ruote motrici contemporaneamente a contatto con lo stesso cordolo, e
c) una ruota motrice per volta, non a contatto con lo stesso cordolo, e
d) entrambe le ruote motrici contemporaneamente non a contatto con lo stesso cordolo.
Le prove devono essere ripetute nelle direzioni avanti e indietro, in ciascuna posizione estesa della piattaforma di lavoro mobile elevabile e, se sono consentite diverse velocità di spostamento per le diverse altezze, a ciascuna di tali altezze alle massime velocità consentite per tali altezze.
Durante queste prove non è necessario simulare l'effetto della velocità del vento ammessa.
Durante l'esecuzione delle prove precedenti, la piattaforma di lavoro mobile elevabile non deve ribaltarsi.
Il coefficiente z deve essere determinato mediante calcolo o prove, come nell’esempio in figura:
a) Energia cinetica della piattaforma di lavoro mobile elevabile
Ecinetica = m• v²/2 = (m/2)• 0.7² m²/s² = m• 0.245 m²/s²
(cioè z = 0,0245)
b)Energia potenziale necessaria per il ribaltamento
Epot = m•x = m• (y-s) = m• [(s²+a²)½ - s] = m• 0.6 m²/s²
Conclusione:
Ecinetica < Epot, cioè nessun ribaltamento
Sollecitazioni del vento
Le sollecitazioni del vento devono essere moltiplicate per un coefficiente di 1.1 e considerate nella loro azione orizzontale.
Sollecitazioni manuali
Le sollecitazioni manuali applicate dalle persone sulla piattaforma di lavoro devono essere moltiplicate per un coefficiente di 1.1 e considerate nella loro azione nella direzione che crea il maggiore momento ribaltante.
Calcolo dei momenti ribaltanti e stabilizzanti
I massimi momenti ribaltanti e i corrispondenti momenti stabilizzanti devono essere calcolati considerando le linee di ribaltamento più sfavorevoli.
Le linee di ribaltamento devono essere determinate in conformità alla ISO 4305, ma per i pneumatici pieni e riempiti di materiale espanso le linee di ribaltamento possono essere considerate a 1/4 della larghezza di contatto del pneumatico con il suolo dalla parte esterna della larghezza di contatto con il suolo.
I calcoli devono essere effettuati con la piattaforma di lavoro mobile elevabile nelle posizioni maggiormente sfavorevoli estese o retratte, con l'inclinazione massima consentita del telaio, definita dal fabbricante. Tutti i carichi e le sollecitazioni che possono agire contemporaneamente, devono essere considerati nelle loro combinazioni più sfavorevoli. Per esempio, quando il carico ha un effetto stabilizzante, deve essere fatto un ulteriore calcolo di stabilità, supponendo che solo una persona (80 kg) sia sulla piattaforma di lavoro. Una tolleranza di 0,5° per imprecisione nell'impostazione della piattaforma di lavoro mobile elevabile deve essere aggiunta all'inclinazione massima consentita del telaio, ammessa dal fabbricante. Esempi sono illustrati nel prospetto 2 e nelle figure da 5 a 8. Possono essere utilizzati metodi grafici.
In ciascun caso, il momento stabilizzante calcolato deve essere maggiore del momento ribaltante calcolato.
Nel calcolo devono essere presi in considerazione i seguenti fattori di influenza:
a) tolleranze nella produzione dei componenti;
b) gioco delle connessioni della struttura estensibile;
c) deformazioni elastiche dovute agli effetti delle sollecitazioni;
d) cedimento di uno qualunque dei pneumatici qualora le piattaforme di lavoro mobili elevabili siano supportate da pneumatici nella posizione di lavoro;
e) caratteristiche di funzionamento del sistema di rilevamento del carico, del sistema di rilevamento del momento e del controllo della posizione. Ciò deve contenere almeno le seguenti informazioni:
- picchi transitori causati da effetti dinamici a breve termine,
- isteresi,
- inclinazione della piattaforma di lavoro mobile elevabile,
- temperatura ambientale,
- diverse posizioni e distribuzione del carico sulla piattaforma di lavoro,
- precisione del sistema.
La determinazione delle deformazioni elastiche deve essere ottenuta per via sperimentale o calcolo.
Calcoli strutturali
I calcoli devono essere conformi con le leggi e i principi della meccanica applicata e con la resistenza dei materiali. Se sono utilizzate formule particolari, devono essere riportate le fonti, se generalmente disponibili. In caso contrario, le formule devono essere sviluppate in base a principi primi, in modo da poterne controllare la validità.
Tranne qualora diversamente dichiarato, si deve ritenere che carichi e sollecitazioni individuali agiscano nelle posizioni, direzioni e combinazioni che producono le condizioni più sfavorevoli.
Per tutti i componenti e giunti portanti, le informazioni richieste su sollecitazioni o coefficienti di sicurezza devono essere incluse nei calcoli, in maniera chiara e verificabile.
Se necessario per controllare il calcolo, devono essere forniti dettagli sulle dimensioni principali, sulle sezioni trasversali e sui materiali dei singoli componenti e giunti.
Metodi di calcolo
Il metodo di calcolo deve essere conforme con una delle norme di progettazione nazionali riconosciute, come quelle dei Paesi EEA per le apparecchiature di sollevamento, che includono metodi di calcolo di resistenza alla fatica, fino a quando non sarà disponibile una norma europea o internazionale idonea.
I requisiti definiti ai precedenti punti (calcoli di stabilità) devono essere presi in considerazione per la determinazione di carichi e sollecitazioni da utilizzare nei calcoli. Il ricorso ad una norma nazionale non deve modificare tali requisiti.
Devono essere prese in considerazione le deformazioni elastiche dei componenti sottili.
Le sollecitazioni calcolate non devono superare i valori ammessi. I coefficienti di sicurezza calcolati non devono essere minori dei valori richiesti.
I valori ammessi per le sollecitazioni e i valori richiesti per i coefficienti di sicurezza dipendono dal materiale, dalla combinazione del carico e dal metodo di calcolo.
L'analisi che verrà sotto definita deve essere fatta per le peggiori combinazioni di carico e deve includere gli effetti della prova da sovraccarico e della prova operativa.
Prova di sovraccarico: il carico di prova deve essere 125% del carico nominale
per le piattaforme di lavoro mobili elevabili motorizzate e 150% del carico nominale delle piattaforme di lavoro mobili elevabili ad azionamento manuale.
Tutti gli spostamenti con i carichi di prova devono essere eseguiti con accelerazione e decelerazione appropriate, con un sicuro controllo del carico. Se devono essere eseguiti diversi spostamenti con il carico di prova (per esempio sollevamento, abbassamento, torsione, spostamento), gli spostamenti desiderati devono essere eseguiti separatamente e con attenzione, tenendo in debita considerazione le posizioni meno favorevoli e quando le vibrazioni associate ai precedenti spostamenti si sono attenuate.
Se, a causa delle diverse combinazioni di carichi o di sbraccio di una piattaforma di lavoro mobile elevabile sono necessari diversi carichi di prova, tutti gli spostamenti devono essere eseguiti con tutti i carichi di prova, ad eccezione di quando le condizioni meno favorevoli possono essere simulate in maniera sufficiente mediante una prova di funzionamento.
Durante la prova di sovraccarico la piattaforma di lavoro mobile elevabile deve essere a livello del suolo e la struttura estensibile deve essere messa in ciascuna posizione che crei la massima sollecitazione su qualsiasi parte portante della piattaforma di lavoro mobile elevabile.
Durante questa prova non è necessario simulare l'effetto della velocità del vento ammessa.
Durante la prova di sovraccarico i sistemi di frenatura devono essere in grado di arrestare e mantenere in posizione il/i carico/carichi di prova. Dopo avere tolto il/i carico/carichi di prova, la piattaforma di lavoro mobile elevabile non deve mostrare nessuna deformazione permanente.
Prove di funzionamento: le prove di funzionamento devono dimostrare che:
a) la piattaforma di lavoro mobile elevabile può essere azionata in modo regolare per tutti i movimenti, mentre supporta il 110% del carico nominale alle velocità nominali;
b) tutti i dispositivi di sicurezza funzionano correttamente;
c) le velocità massime consentite non sono superate;
d) le accelerazioni e decelerazioni massime consentite non sono superate.
Analisi
Analisi generale delle sollecitazioni
L'analisi generale delle sollecitazioni è la prova del cedimento dovuta a snervamento o rottura. L'analisi deve essere fatta per tutti i componenti e i giunti portanti.
Analisi della stabilità elastica
L'analisi della stabilità elastica è la prova del cedimento dovuta a instabilità elastica
(per esempio carico di punta, sciancatura). L'analisi deve essere fatta per tutti i
componenti portanti sottoposti a carichi di compressione.
Analisi della resistenza alla fatica
L'analisi della resistenza alla fatica è la prova della rottura dovuta alla fluttuazione delle sollecitazioni. L'analisi deve essere fatta per tutti i componenti e i giunti portanti, critici per la fatica, prendendo in considerazione le caratteristiche costruttive, il grado di fluttuazione delle sollecitazioni, nonché il numero di cicli di sollecitazioni. Il numero dei cicli di sollecitazioni può essere un multiplo del numero dei cicli di carico.
Poiché il numero di oscillazioni dovute alle sollecitazioni durante il trasporto non può essere calcolato con precisione, la sollecitazione nella posizione di trasporto sui componenti soggetti a vibrazione deve essere sufficientemente bassa da garantire una
durata alla fatica virtualmente infinita.
Il numero dei cicli di carico di una piattaforma di lavoro mobile elevabile di solito è il seguente
da 40000 - servizio leggero intermittente (per esempio 10 anni, 40 settimane
all'anno, 20 h alla settimana, 5 cicli di carico per h)
a 100000 - servizio pesante (per esempio 10 anni, 50 settimane all'anno, 40 h alla settimana, 5 cicli di carico per h).
Nella determinazione delle combinazioni di carico è possibile ridurre il carico nominale del coefficiente spettrale di carico in base alla figura riportata:
I carichi del vento non devono essere tenuti in considerazione.
La verifica dei requisiti dell’analisi si effettua mediante controllo del progetto, prove statiche e prova di sovraccarico.
IV. SCELTA DEL MATERIALE
4.1 Relazione tra sforzo e deformazione
In campo ingegneristico normalmente si parla in termini di sforzi, σ, e deformazioni,∊ ossia grandezze che descrivono il comportamento macroscopico dei materiali, considerati omogenei, rilevato durante le prove meccaniche. Le curve σ-∊ di materiali duttili presentano un primo tratto lineare elastico fino ad un punto di discontinuità, detto punto di snervamento, e un secondo tratto in cui è evidente un comportamento plastico. Tali curve sono ottenute mediante prove di trazione.
Le differenze di comportamento tra le varie classi di materiali dipendono dai legami atomici e dalle microstrutture, che determinano il comportamento macroscopico dei materiali.
L’elasticità nei metalli è data dalle forze interatomiche che agiscono nel senso di riportare gli atomi spostati nella loro posizione di equilibrio. Queste forze derivano da legami primari forti e quindi i moduli sono elevati.
Va osservato che nei cristalli vi sono direzioni in cui la densità di atomi è maggiore e di conseguenza le forze sono maggiori. Il modulo di Young E è maggiore nelle direzioni di maggior impacchettamento. Nei materiali la struttura è costituita da un aggregato di grani diversamente orientati e quindi il modulo è una media dei moduli dei grani ed il materiale può essere considerato isotropo.
L’effetto della diminuzione di temperatura sul modulo è strettamente collegato alla sua influenza sulla contrazione termica, in quanto diminuisce lo spazio interatomico. Quindi il modulo aumenta al diminuire della temperatura, ma in modo molto contenuto e l’aumento tende ad annullarsi avvicinandosi allo zero assoluto.
I materiali metallici sono caratterizzati in misura maggiore o minore dalla capacità di deformarsi plasticamente.
Superato il limite elastico il materiale si deforma in modo permanente, a volume costante per scorrimento dei piani di atomi, l’uno rispetto all’altro. Questo scorrimento non avviene in modo casuale, ma, di preferenza secondo i piani di maggior densità atomica e su questi nelle direzioni di maggior densità. La combinazione di una direzione e di un piano di scorrimento si chiama “sistema
di scorrimento”.
Se per qualche ragione è impedito lo scorrimento lungo un sistema di massima densità, che richiede il minor sforzo (sistema primario), intervengono altri sistemi secondari.
Dovendo rispettare la congruenza con i vicini un grano non può deformarsi secondo un solo sistema di scorrimento. E’ stato dimostrato che per rispettare questa condizione occorre che siano attivi almeno cinque sistemi di scorrimento.
Le differenze che si riscontrano nel comportamento dei materiali possono essere attribuite fondamentalmente ai differenti sistemi microscopici di deformazione che operano nelle diverse strutture cristalline.
In tutti i casi se si valuta lo sforzo necessario per produrre in un cristallo lo scorrimento di un piano di atomi rispetto ad un altro (scorrimento simultaneo), si ottengono valori molto elevati, ordini di grandezza maggiori di quelli riscontrati sperimentalmente.
La spiegazione di questa differenza risiede nel fatto che lo scorrimento non avviene simultaneamente, cioè tutti gli atomi si spostano contemporaneamente di un passo, ma in modo consecutivo secondo un meccanismo che si sviluppa per mezzo delle dislocazioni presenti nel cristallo. La deformazione risulta prodotta dallo spostamento della dislocazione, una distanza atomica alla volta e quando la dislocazione ha attraversato tutto il cristallo si è prodotto uno scorrimento pari ad una distanza atomica.
Il numero di dislocazioni inizialmente presenti non è così elevato da giustificare
le deformazioni complessive che si ottengono, ma debbono intervenire dei meccanismi che funzionano da sorgenti.
Lo spostamento delle dislocazioni è bloccato dai bordi dei grani e nuove sorgenti che richiedono tensioni maggiori devono essere attivate. Questa sequenza provoca un rapido incrudimento già nella fase iniziale della deformazione plastica, tanto più forte quanto più piccoli sono i grani.
Tutte le imperfezioni che interrompono la regolarità del cristallo costituiscono un ostacolo al movimento delle dislocazioni. In particolare le dislocazioni stesse, spostandosi secondo sistemi di scorrimento che si intersecano, interagiscono dando origine a barriere che impediscono il passaggio di altre dislocazioni. La deformazione prosegue con tensioni sempre più alte, sino a raggiungere valori tali che le dislocazioni riescono a superare le barriere trasferendosi su un piano di scorrimento parallelo(cross-slip). L’incrudimento cresce meno velocemente e tende a stabilizzarsi.
In generale i difetti che provocano distorsioni di poche distanze reticolari sono dipendenti dalla temperatura mentre sono poco influenzati i difetti più estesi.
4.2 La struttura cristallina
I metalli sono composti da aggregazioni di piccoli grani, ciascuno dei quali è un cristallo. A seconda della forma della cella elementare si possono distinguere diversi sistemi cristallini. Tutti i materiali metallici impiegati nella pratica costruttiva solidificano in una delle forme cristalline seguenti:
a)cubica facce centrate (Al; Cu; Ni; Fe c)
b)cubica corpo centrato (Fe-α; Nb; Cr; V, W)
c)esagonale compatta (Ti, Be, Mg)
La solidificazione inizia contemporaneamente in diversi punti della massa liquida ed i cristalli, detti grani, crescono indipendentemente, ciascuno con il proprio orientamento sino a venire in contatto. La zona in cui il grano è a contatto con quelli adiacenti, detta bordo del grano, presenta distorsioni e difetti nel reticolo, per la diversa orientazione di questo rispetto a quelli confinanti. Se la lega solidifica dando origine a due fasi si avranno nel solido grani dell’una e dell’altra fase, con una disposizione dipendente dall’ordine di solidificazione.
All’interno il reticolo presenta numerosi difetti di tipo fisico: vacanze, difetti nella successione degli strati, dislocazioni a spigolo, dislocazioni a vite, twinning, e difetti di tipo chimico: dovuti alla soluzione nel reticolo di atomi diversi, introdotti nel processo di produzione o aggiunti appositamente per conferire determinate caratteristiche al materiale.
a) dislocazione a spigolo
b) dislocazione a vite
c) twinning
Le soluzioni possono essere “di sostituzione”, se l’atomo di soluto occupa nel reticolo il posto di uno del solvente, od “interstiziali”, se l’atomo di soluto occupa uno spazio nel reticolo tra gli atomi di solvente.
Mentre le soluzioni interstiziali hanno limiti di solubilità stretti quelle di sostituzione possono arrivare alla solubilità completa .
In certe leghe la solubilità di alcuni elementi cresce con la temperatura. E’ quindi possibile sciogliere quantità di soluto ad alta temperatura, che nel raffreddamento restano in soluzione in eccesso, in condizioni metastabili. Con un opportuno trattamento termico, costituito da un riscaldamento mantenuto per un tempo abbastanza lungo, si può ottenere la precipitazione del soluto in forma più o meno fine a dispersa, sovente come composto intermetallico. Questo procedimento, noto come “invecchiamento artificiale” od “indurimento per precipitazione”, conferisce al materiale caratteristiche di elevata resistenza meccanica.
4.3 Stato di sforzo e di deformazione
I materiali dei componenti meccanici sono normalmente sollecitati da diverse azioni interne: trazione, compressione, taglio, momento flettente e torcente; lo stato di sforzo che ne consegue è complesso e composto da sforzi normali, σ, e tangenziali, τ, che variano in direzione e ampiezza nelle diverse zone del componente. Per eseguire un dimensionamento o una verifica è necessario poter valutare la posizione e l’entità degli sforzi massimi e quindi più pericolosi.
A questo scopo occorre conoscere in modo sufficientemente dettagliato lo stato di sforzo presente nel componente meccanico; per individuare i valori massimi degli sforzi si devono determinare gli sforzi principali, che agiscono lungo le direzioni principali.
Dall’osservazione sperimentale è noto che i materiali presentano modalità di cedimento diverse a seconda che abbiano un comportamento duttile o fragile, individuato dalle curve σ-∊ .
Per prevenire i cedimenti si deve tener conto dei diversi comportamenti dei materiali e di quali grandezze provochino il cedimento stesso, per esempio lo sforzo massimo per quelli fragili e la sollecitazione di scorrimento massima per quelli duttili.
A questo scopo scopo si devono individuare appositi criteri di cedimento, adatti ai diversi materiali. Nella presente tesi si adotta il criterio di von Mises .
4.4 Materiali per applicazioni ingegneristiche
I materiali che vengono utilizzati nelle applicazioni ingegneristiche appartengono a quattro classi fondamentali: metalli e leghe, polimeri, vetri e ceramici nonché compositi. I materiali che appartengono ad una stessa classe sono caratterizzati da proprietà, per esempio la struttura atomica, da processi di fabbricazione e da applicazioni simili.
La conoscenza dei materiali è fondamentale in tutti i progetti e coinvolge differenti livelli di approfondimento. Infatti dalla dimensione tipica utilizzata nelle strutture meccaniche, che è circa un metro, si può arrivare a una dimensione di dieci ordini di grandezza inferiore, come nella scala degli atomi.
Per studiare il comportamento delle strutture si devono studiare i comportamenti dei componenti e questi a loro volta sono caratterizzati dal comportamento dei materiali.
Lo snervamento e la rigidezza dei materiali dipendono dai legami e dalla struttura atomica.
I materiali più utilizzati nelle applicazioni ingegneristiche sono i metalli e le leghe, caratterizzati da una microstruttura a grani cristallini e da vantaggi, quali resistenza, duttilità, conducibilità, e svantaggi, cioè frattura e fatica.
Le scelte dei materiali e dei processi di fabbricazione sono parte integrante del progetto di qualsiasi componente meccanico. La resistenza e la rigidezza sono tradizionalmente considerati come fattori chiave per la scelta del materiale.
Ugualmente importante è la relativa affidabilità e la capacità di durare a lungo che possiederà un certo pezzo, qualora sia fabbricato con materiali alternativi. Se un componente deve funzionare a temperature molto alte o molto basse, di ciò si deve tener conto attentamente all’atto della scelta del materiale. Negli ultimi anni le scelte dei materiali sono state sempre di più influenzate dalle esigenze di riciclabilità, di risparmio energetico e di riduzione dell’inquinamento. La disponibilità ed il costo sono aspetti essenziali. Il costo da considerare deve essere il costo complessivo del componente così come viene fabbricato, includendovi i costi della manodopera e delle spese generali. Il costo relativo e la disponibilità di vari materiali si modifica nel tempo, con il risultato di costringere gli ingegneri a valutare frequentemente l’opportunità di usare materiali alternativi alla luce delle mutevoli situazioni del mercato. In sintesi, il miglior materiale per una data applicazione è quello che assicura il miglior valore, definito come rapporto tra la prestazione complessivamente resa possibile ed il costo totale.
La vita utile della maggior parte dei componenti meccanici o strutturali è limitata dalla rottura per fatica o dal deterioramento delle superfici.
I metalli sono buoni conduttori di calore e di elettricità e non sono trasparenti alla luce, sono resistenti e in genere deformabili.
Il metallo che è più impiegato nelle applicazioni ingegneristiche è il ferro, in particolare perché è il metallo base nelle leghe più utilizzate, gli acciai.
Altri metalli ampiamente utilizzati nelle applicazioni strutturali sono l’alluminio, il rame, il titanio, il magnesio, il nichel e il cobalto. Altri metalli ancora quali lo stagno, il piombo, lo zinco e l’argento sono impiegati quando gli sforzi applicati non sono elevati.
I metalli refrattari, tra cui molibdeno, niobio, tantalio, tungsteno e zirconio, hanno una temperatura di fusione che è più elevata di quella del ferro e sono adatti per componenti che lavorano ad alte temperature.
Le leghe metalliche sono costituite da uno o più metalli base con l’aggiunta di elementi chimici, che possono essere metalli o non metalli, tra questi si ricordano: il boro, il carbonio, il magnesio, il rame, il cromo, il silicio, il berillio, il nichel, il molibdeno, il manganese, lo zinco e molti altri ancora. A seconda delle quantità e della combinazione degli elementi aggiunti cambiano le caratteristiche delle leghe, in genere l’effetto è quello di migliorare la resistenza meccanica, alla temperatura elevata, alla corrosione, o di incrementare la duttilità. Per esempio se al ferro, che da solo ha una sollecitazione di snervamento pari a 60 MPa, è aggiunto del carbonio si ottiene un valore di snervamento che può raggiungere valori pari a circa 300 MPa, se poi si aggiungono anche altri elementi in lega aumenta fino a valori di circa 600 MPa, se poi vengono effettuati particolari trattamenti termici lo snervamento può superare anche un valore di 1000 MPa.
Per un dato metallo o una data lega è possibile migliorare le prestazioni meccaniche anche con trattamenti termici, o di deformazione.
I primi consistono in una successione di riscaldamento, mantenimento alla temperatura elevata e raffreddamento, tra questi si ricorda la bonifica, che è composta da una tempra, con la quale il materiale è riscaldato a 850 °C e raffreddato velocemente in olio o in acqua, e poi da un rinvenimento, con il quale il materiale è riscaldato a una temperatura inferiore. Con questo trattamento vengono incrementate le caratteristiche di resistenza senza però compromettere la duttilità e la tenacità del materiale.
Tra i trattamenti di deformazione vi sono: la forgiatura, l’estrusione e la trafilatura, che provocano la variazione dello spessore o della forma dell’elemento trattato.
La lavorazione a freddo è un trattamento di deformazione che viene eseguito a temperatura ambiente e che provoca un elevato addensamento di dislocazioni e di modifica della struttura cristallina, con un conseguente aumento di resistenza a scapito, però, della duttilità. In genere è seguito da una distensione.
4.5 Leghe di Alluminio
Esistono centinaia di leghe leggere di alluminio, sia del tipo per lavorazione plastica che del tipo per fonderia. Tra queste verrà effettuata la scelta in base ai valori di tensione massima ottenuti dall’analisi delle sollecitazioni effettuata in ANSYS riguardo alla cesta della piattaforma in esame. Si sceglie una lega di alluminio proprio perché l’alluminio è caratterizzato dalla leggerezza, caratteristica prioritaria per l’ottimizzazione della cesta della piattaforma aerea, oggetto della presente tesi.
La composizione chimica delle leghe di alluminio è indicata (secondo lo standard ASTM) con quattro numeri nel caso di leghe da lavorazione plastica e con tre numeri nel caso di leghe per fonderia. I trattamenti sia termici che meccanici sono specificati per mezzo di una sigla che segue il numero che identifica la lega.
Il trattamento termico che permette di accrescere la durezza delle leghe di alluminio è alquanto differente da quello usato per gli acciai. Dapprima si porta lega di alluminio ad una temperatura sufficientemente elevata e per un tempo sufficientemente lungo, così che gli elementi di lega utili per l’aumento di durezza (rame, manganese, magnesio, nichel, silicio) si trovino in soluzione solida. Seguono la tempra e l’invecchiamento. Questo ultimo causa la precipitazione di alcuni elementi di lega. Alcune leghe subiscono la precipitazione a temperatura ambiente, altre richiedono temperature elevate (invecchiamento artificiale).
Sebbene l’alluminio sia un materiale che si fonde facilmente e che può servire in molte applicazioni, vi sono problemi di fonderia. Il ritiro durante la solidificazione è relativamente grande (dal 3.5 % fino a 8.5% del volume iniziale) e non vi è alcun meccanismo che, a somiglianza di quanto avviene per
la precipitazione della grafite nelle ghise, compensi tale ritiro. Vi possono essere problemi di fragilità a caldo e di assorbimento di gas, a meno che non si usino procedimenti di fonderia ben specificati e controllati.
L’alluminio si ricava, quasi esclusivamente, dalla bauxite, terra rosso -bruna composta essenzialmente da ossidi idrati di alluminio ed ossidi di ferro, silicio e titanio. La metallurgia dell’alluminio può essere divisa in due fasi: produzione di allumina pura per via chimica ed elettrolisi della miscela fusa di allumina e criolite (fluoruri di sodio ed alluminio) per la produzione di alluminio.
Il processo generalmente utilizzato per la produzione di allumina è il processo Bayer che si basa sulla reazione della bauxite con una soluzione concentrata di soda caustica, a pressione e temperatura relativamente elevate. La bauxite frantumata ed essiccata viene ridotta in polvere; questa viene portata alle condizioni di reazione (temperatura di 180 - 200 °C e pressione di 150 - 200 MPa =15 - 20 atm) in apposite autoclavi. In queste condizioni l’alluminio solubilizza come alluminato sodico; le scorie sono costituite da ossidi di ferro, silicio, titanio (“fanghi rossi”). La soluzione di alluminato sodico, diluita e filtrata, viene fatta stazionare in decompositori per circa 100 ore. In questo tempo avviene la formazione (innescata con l’introduzione di cristalli di idrossido d’alluminio) di idrossido di alluminio per reazione di idrolisi. L’idrossido di alluminio viene separato e “cotto” in forni rotativi a circa 1200 °C, l’idrossido di sodio (soda caustica) viene reintrodotto nel ciclo produttivo. L’allumina cosi ottenuta ha una purezza >99,5%. Per ottenere l’alluminio è necessario sottoporre ad elettrolisi l’allumina prodotta in precedenza. Il processo di elettrolisi prevede lo scioglimento dell’allumina in criolite fusa, al fine di ridurre la temperatura della cella elettrolitica a valori accettabili (circa 970 °C). Durante l’elettrolisi il metallo si deposita sul fondo della vasca (catodo) e l’ossigeno si sviluppa all’anodo (elettrodo di carbone) che si consuma per combustione. L’alluminio così prodotto (detto di “prima fusione”)ha un titolo di circa il 99,5%, con impurezze costituite da ferro e silicio. Il metallo fuso può essere colato immediatamente in pani o inviato a forni di attesa per la produzione di leghe.
L’alluminio puroha scarse caratteristiche meccaniche e si ossida con estrema facilità, con la formazione di una pellicola compatta di ossido. L’ossido è altamente stabile e non attacca il metallo sottostante, agendo come passivante. L’eventuale presenza di impurezze di varia natura pregiudica la formazione della pellicola compatta di ossido, con conseguente maggiore predisposizione all’ossidazione profonda. L’alluminio presenta, però, interessanti caratteristiche tecnologiche (malleabilità, duttilità, imbutibilità) che si concretizzano con una notevole facilità di lavorazione plastica a freddo e a caldo; particolare notevole risulta essere la conservazione di queste caratteristiche anche per le leghe di alluminio.
Le limitate caratteristiche meccaniche dell’alluminio di prima fusione possono essere notevolmente incrementate mediante l’aggiunta di elementi di lega. I principali leganti dell’alluminio sono: rame, silicio, manganese, magnesio, zinco; possono essere aggiunti singolarmente per formare leghe binarie ma più spesso vengono aggiunti in “gruppo” per formare leghe più complesse. Per modificare o migliorare le caratteristiche fisiche o tecnologiche si aggiungono eventuali elementi correttivi (ferro, titanio, nichel). I vari elementi di lega possono essere aggiunti direttamente all’alluminio fuso o tramite la formazione di una lega binaria alla massima concentrazione del legante (lega madre) che viene introdotta nell’alluminio fuso.
Esaminiamo, brevemente, le caratteristiche che conferiscono alla lega di alluminio i seguenti elementi di lega:
Rame(Cu): forma leghe trattabili termicamente (bonificabili). Con l’aumentare della percentuale si ottiene un aumento della resistenza meccanica e della durezza; la resistenza meccanica si mantiene soddisfacente fino a temperature di circa 100 °C. Anche se in piccole percentuali influisce pesantemente, in modo negativo, sulla resistenza alla corrosione. Nelle leghe da fonderia è presente in percentuali tra il 4% e il 10%; nelle leghe da lavorazione plastica non supera il 6%.
Silicio (Si): non produce leghe bonificabili. Aumenta resistenza meccanica e durezza senza ridurre sensibilmente la duttilità della lega. Non influisce in modo rilevante sulla resistenza alla corrosione; aumenta notevolmente le caratteristiche di colabilità ed è perciò destinato a formare leghe da fonderia. Le percentuali variano tra il 2 ed il 15%.
Magnesio (Mg): aumenta notevolmente le doti di resistenza alla corrosione, permettendo di superare (in alcuni ambienti) le caratteristiche dell’alluminio puro. Consente di aumentare le caratteristiche meccaniche se presente in percentuale massima del 10%. Influisce negativamente sulla fusione, aumentando l’ossidabilità delle leghe di alluminio. Nelle leghe da lavorazione plastica è presente in percentuali comprese tra 1 e 5%; nelle leghe da fonderia tra il 3 ed il 10%.
Zinco (Zn): aumenta resistenza meccanica e durezza ma abbassa la resistenza a caldo e la resistenza alla corrosione. L’aggiunta di circa il 3% di rame, in una lega con il 10-12% di zinco, riduce al minimo questi difetti. Lo zinco influisce grandemente sulle doti di temprabilità delle leghe leggere, permettendo di ottenere, con leghe Al-Zn-Cu-Mg bonificate, resistenze comparabili agli acciai.
Manganese (Mn): contrasta gli effetti indesiderati del ferro ed aumenta la resistenza alla corrosione.
Come si nota da quanto sopra esposto è la presenza di alcuni elementi di lega che rende “bonificabili” le leghe di alluminio, con un sostanziale aumento delle caratteristiche meccaniche.
Le leghe leggere vengono, in prima istanza, classificate in funzione della trasformazione tecnologica cui sono destinate: lavorazione plastica o fonderia. A tale suddivisione si aggiungono anche altri criteri di classificazione: in base alla
composizione chimica ed in funzione alla attitudine al trattamento di bonifica.
Secondo la classificazione chimica, le leghe sono suddivise in base al legante principale; avremo, perciò, i seguenti gruppi di leghe:
Leghe Al-Cu(e derivate: Al-Cu-Si, Al-Cu-Mg, etc.): caratterizzate da buona resistenza meccanica, mantenuta fino a circa 100 °C, e bonificabile.
Leghe Al-Zn(e derivate: Al-Zn-Mg-Cu): caratterizzate da buona resistenza a freddo e lavorabilità, bonificabile.
Leghe Al-Si(e derivate): caratterizzate da buona colabilità.
Leghe Al-Mg(e derivate): caratterizzate da buona resistenza alla corrosione e attitudine alle lavorazioni plastiche e all’utensile.
Leghe Al-Sn: caratterizzate da proprietà antifrizione.
Leghe Al-Mn-Ni: caratterizzate da elevate caratteristiche alle alte temperature.
Leghe Al-Mn e Al-Mn-Mg: caratterizzate da buone proprietà e lavorabilità per deformazione plastica.
Dei vari gruppi sopracitati, nel campo delle costruzioni aeronautiche, si fa uso principalmente di leghe Al-Cu e Al-Zne relative leghe derivate.
In funzione all’attitudine al trattamento di bonifica si hanno leghe bonificabili e leghe non bonificabili. Il trattamento di bonificaviene attuato in due fasi: tempra strutturale ed invecchiamento. Questo trattamento permette di incrementare notevolmente le caratteristiche meccaniche della lega. Nel caso di leghe non bonificabili si possono avere aumenti delle caratteristiche meccaniche tramite incrudimento.
Il trattamento di incrudimento aumenta le caratteristiche meccaniche delle leghe non bonificabili, ovvero, se eseguito subito dopo la tempra, prima dell’invecchiamento, somma i suoi effetti a quelli della bonifica (ovviamente per le leghe bonificabili).
Le leghe leggere di alluminio trattabili termicamente sono quelle in cui sono presenti i composti di Al-Cu, Al-Si, Al-Mg, Al-Zn che sono i leganti fondamentali delle leghe da trattamento termico. In sostanza le leghe da bonifica appartengono ai gruppi 2, 6 e 7(secondo la classificazione A.A.).
I trattamenti termici eseguiti sulle leghe leggere sono:
Tempra strutturale(solution heat treatment)
Invecchiamento o riprecipitazione (precipitation heat treatment)
Ricottura (annealing) di vario tipo.
I primi due, effettuati in successione, costituiscono il trattamento di bonifica.
Tempra strutturale
Il materiale viene riscaldato e mantenuto a temperatura adeguata (in linea di massima tra i 480 ed i 530 °C, per dati più precisi si vedano le tabelle che seguono)per un tempo sufficiente a solubilizzare tutti gli elementi di lega. Si forma, così, un reticolo cristallino stabile, proprio di queste temperature. Raffreddando rapidamente in acqua il materiale, si “blocca” questa struttura cristallina anche a temperatura ambiente.
Invecchiamento o riprecipitazione.
Le condizioni di solubilizzazione degli elementi di lega nell’alluminio sono, di fatto, instabili a temperatura ambiente e i vari componenti tendono a separarsi “riprecipitando”, per portarsi in condizioni di stabilità. Questo fenomeno, detto di invecchiamento, avviene abbastanza lentamente a temperatura ambiente (parecchi giorni); in questo periodo il materiale ha una struttura in evoluzione. Si può accelerare questo processo in modo artificiale riscaldando in forno il materiale alle temperature indicate in tabella. Se il materiale non viene posto in forno per l’invecchiamento artificiale entro 2 ore dalla tempra, è necessario attendere almeno 2 giorni prima di procedere all’invecchiamento artificiale. La riprecipitazione può essere sensibilmente rallentata conservando i materiali in frigorifero a temperature inferiori a 0 °C. La tempra strutturale può limitare in qualche modo le deformazioni plastiche attuabili (a causa dell’aumento di durezza); si possono, tuttavia, aumentare le caratteristiche meccaniche del materiale eseguendo la deformazione plastica subito dopo la tempra strutturale, prima che inizi la riprecipitazione. In questo modo si sovrappongono agli effetti
della bonifica quelli della lavorazione plastica, con evidenti benefici. Come esempio di quanto esposto si considerino i ribattini in lega 2024 che, dopo essere stati temprati, vengono conservati in congelatore a -5 °C fino al momento della messa in opera che deve avvenire entro 15-20’ dall’uscita dal congelatore. I ribattini acquisiscono il 100% delle loro caratteristiche dopo 4 giorni dall’installazione (96 ore). Ricottura
La ricottura sulle leghe di alluminio può essere eseguita secondo vari metodi, in relazione ai risultati che si vogliono ottenere.
Ricottura di distensione
Si prefigge l’eliminazione o la riduzione delle tensioni interne che si creano durante la colata in acqua, nel corso del ciclo produttivo di semilavorati in leghe da lavorazione plastica. Si esegue mantenendo per un tempo adeguato il materiale a circa 300 C; in queste condizioni non si verificano variazioni nella struttura cristallina del materiale.
Ricottura di omogeneizzazione
Elimina gli effetti di precedenti trattamenti termici e di bonifica e riporta nelle condizioni ideali una lega in cui si siano formate alterazioni indesiderate nella struttura cristallina. La ricottura di omogeneizzazione si esegue a temperature piuttosto alte (circa 540-560 °C), prossime al punto di fusione, e per tempi abbastanza lunghi; il raffreddamento è lento, in modo da ottenere la struttura cristallina come da diagramma di stato.
Ricottura di ricristallizzazione
Le lavorazioni plastiche a caldo e, soprattutto, quelle a freddo provocano un incrudimento del materiale (con deformazioni della struttura cristallina) tale da ostacolare ulteriori lavorazioni. La ricottura di ricristallizazzione permette di riassestare la struttura cristallina del materiale, eliminando completamente lo stato di incrudimento iniziale.
Ricottura di eterogenizzazione (o di precipitazione)
È un trattamento poco diffuso, applicato principalmente alle leghe Al-Mg che abbiano subito riscaldamenti, anche localizzati (durante la lavorazione) a temperature dell’ordine dei 400 °C. Si ottiene l’eliminazione degli effetti di incrudimento derivanti da precedenti lavorazioni plastiche.
Ricottura di stabilizzazione
Molte leghe leggere, soprattutto quelle bonificabili, non riassorbono completamente la dilatazione che sopportano per effetto dell’aumento di temperatura a cui sono state sottoposte nel ciclo di bonifica. Rimane una dilatazione residua di circa lo 0,3% che, pur essendo di piccola entità, è molto spesso non trascurabile. La ricottura di stabilizzazione rimedia a questa situazione; viene eseguita con un riscaldamento a 240-270 °C per un tempo adeguato, seguito da un raffreddamento in aria. È evidente che questo trattamento, se eseguito su leghe già bonificate, comporta una diminuzione delle caratteristiche meccaniche già raggiunte del materiale.
I materiali placcatidevono essere ricotti con particolare attenzione, al fine di ridurre al massimo il tempo di permanenza ad alta temperatura, poiché alcuni elementi di lega tendono a diffondersi nello stato placcato riducendone la
resistenza alla corrosione.
4.6 La lega 2024-T4
La lega scelta in base ai valori ottenuti dall’analisi delle sollecitazioni nella cesta in esame è la lega 2024-T4. Come si nota dalle tabella seguente questa è una lega che subisce trattamento termico in fluido ed invecchiamento naturale. Tale lega è utilizzata per le strutture aeronautiche e molto diffusa. Le percentuali di leganti presenti in questa lega sono 4.5% di rame, 0.6% di manganese e 1.5% di magnesio.
Si noti nel grafico sottostante come con il passare degli anni siano stati ottenuti notevoli miglioramenti sulle caratteristica della lega in esame attraverso le lavorazioni effettuate e gli elementi aggiunti.
V. LA NOSTRA SOLUZIONE
5.1 I due casi
La cesta può essere incastrata lateralmente e sostenuta da due travi oppure può essere vincolata dal basso. In entrambi i casi il collegamento al jib consente la rotazione della cesta intorno al proprio asse verticale, ma tale rotazione può essere di 360° solo nel secondo caso. Nel primo caso infatti la rotazione è limitata dalla presenza dell’incastro laterale.
La scelta tra le due possibili soluzioni influenza i movimenti che il jib sarà in grado di compiere e quindi la posizione che la cesta potrà assumere rispetto al braccio.
Configurazioni permesse nel caso di vincoli laterali
Configurazioni permesse nel caso di vincoli imposti dal basso
5.2 Analisi agli elementi finiti
Definita la configurazione geometrica e il materiale da adottare si è passati a modellare la cesta utilizzando il software ANSYS. Per semplicità viene analizzata solo la piattaforma di lavoro, sulla quale agiscono i carichi posizionati secondo le norme UNI, non considerando la gabbia.
Le superfici della piattaforma di lavoro sono state realizzate con elementi di tipo SHELL e nel caso dei vincoli imposti lateralmente si utilizzano anche gli elementi di tipo BEAM per la realizzazione delle travi di sostegno della cesta.
Ogni volta che si crea un modello si procede ad una astrazione della realtà; si cerca cioè in sostanza di ricondursi a degli schemi noti e semplificati che possano dare una interpretazione della realtà stessa. Ad esempio la Scienza delle Costruzioni ci fornisce la soluzione analitica per il comportamento delle travi sottoposte all’azione di carichi.
Tuttavia sappiamo che le relazioni di De Saint Venant valgono sotto almeno una ipotesi restrittiva: la trave deve essere un corpo monodimensionale, nel senso che le due dimensioni trasversali devono essere trascurabili rispetto allo sviluppo assiale. E questo rappresenta appunto un modello della realtà, una semplificazione che fornisce validissimi risultati in molti casi della tecnica.
Spesso tuttavia se ne abusa, estendendo arbitrariamente la validità di questo modello oltre i suoi limiti intrinseci e violando le ipotesi sotto le quali era stato originariamente creato.
Per valicare questo e altri confini, senza rischiare di approdare a risultati di calcolo inattendibili, si è reso necessario lo sviluppo di un metodo di validità generale, che soffrisse in misura più ridotta delle limitazioni imposte da ipotesi troppo restrittive e legate a casi particolari.
Va da sé che il metodo ideale sarebbe quello che consente di risolvere in forma analitica il sistema misto di equazioni algebriche e differenziali alle derivate parziali. Ma, come già detto, la soluzione analitica presenta delle difficoltà praticamente insormontabili, salvo casi particolari che, in quanto tali, vanificano il tentativo di approdo alla generalità.
Ecco allora nascere l’idea di sviluppare un metodo che potesse risolvere il sistema almeno in un dominio limitato nello spazio e dalla forma geometrica semplice: in questo modo, suddividendo il dominio di interesse, sicuramente più vasto e dalla geometria più articolata, in un numero opportuno di sottodomini semplici per i quali sia nota la soluzione, è possibile ottenere la soluzione del problema originale “riassemblando” adeguatamente i risultati parziali.
In tal modo il problema è stato discretizzato e la soluzione ottenuta è sicuramente una approssimazione della realtà, ma nei casi pratici dell’ingegneria questo risultato è più che soddisfacente.
I sottodomini in cui si discretizza il dominio di origine vengono chiamati Elementi Finiti.
Tuttavia anche risolvere il problema elastico all’interno di un singolo elemento non
è cosa da poco. Per poter procedere è necessario introdurre una ulteriore approssimazione e imporre che lo spostamento di un generico punto all’interno dell’elemento sia una funzione (lineare, parabolica, bilineare, etc. in relazione alle caratteristiche dell’elemento) degli spostamenti di punti predefiniti (detti nodi) dell’elemento stesso.
Tali relazioni vengono dette Funzioni di Forma. Queste non sono altro che delle equazioni che governano lo spostamento di tutti i punti all’interno dell’elemento, in relazione a come si muovono i nodi che fanno capo all’elemento stesso.
Risulta chiaro che dalla conoscenza delle componenti di spostamento dei nodi, che collegano tra loro gli elementi in cui è stata divisa la struttura, si può risalire agli stati deformativo e tensionale della struttura stessa. Il Metodo degli Elementi Finiti (FEM) è quindi basato sul “metodo degli spostamenti”, che viene insegnato nei corsi di Scienza delle Costruzioni per la risoluzione delle strutture iperstatiche; il solo risultato in uscita da un codice di calcolo FEM, a seguito della soluzione delle equazioni, è proprio il campo degli spostamenti nodali: tutte le altre grandezze vengono da qui derivate.
E allora, per poter analizzare una qualsivoglia struttura utilizzando il Metodo degli Elementi Finiti, è necessario procedere attraverso alcuni punti, indicati sommariamente nel seguito:
• individuazione del tipo di elemento da impiegare, in relazione alla geometria della struttura ed al fenomeno che si vuole indagare
• divisione della struttura in un numero “adeguato” di elementi
• applicazione delle condizioni al contorno (vincoli e carichi)
• risoluzione delle equazioni che derivano dal modello
• interpretazione dei risultati
Ciascuna di queste fasi, più o meno a carico dell’utente, rappresenta una criticità e può vanificare tutte le altre.
Ad esempio una mesh con elementi di pessima “qualità numerica” metterà sicuramente in difficoltà l’algoritmo risolutivo, pregiudicando la validità dei risultati. Oppure un modello “perfetto” può essere sottoposto alla soluzione da parte di un codice scadente, generando risultati di scarsa qualità.
Oppure ancora la non perfetta comprensione della fisica che sta alla base dei fenomeni che si vogliono indagare può portare alla realizzazione di un modello non corretto (tipo di elemento sbagliato, condizioni al contorno errate, descrizione del materiale inadeguata, etc.).
L’interpretazione dei risultati, poi, è la fase che maggiormente pone le proprie basi sulla preparazione dello strutturista. Non bisogna mai dimenticare, infatti, che l’elaboratore, e tutti i codici di calcolo su di esso implementati, sono solamente degli strumenti atti a gestire e manipolare equazioni e numeri. Solamente il giudizio ingegneristico dello strutturista può validare i risultati di un calcolo.
Chiaramente l’elemento migliore è quello in grado di rappresentare qualsiasi stato tensionale e deformativo, nella sua generalità. Tuttavia esistono delle condizioni in cui i problemi possono essere ricondotti a casi più semplici, senza per questo perdere nell’accuratezza dei risultati. In virtù di questo fatto sono stati creati degli elementi finiti appositi.
In generale ricorrere alla semplificazione significa avere minori difficoltà nella realizzazione del modello (che si traduce in minori possibilità di errore), tempi di calcolo inferiori, dimensioni dei files più contenute. È quindi sempre auspicabile ricorrere a modelli piani, a patto ovviamente che la semplificazione sia lecita.
5.3 Analisi del primo caso
Consideriamo prima il caso in cui la piattaforma sia vincolata nella parte sottostante.
Come si nota dall’immagine la struttura ottimizzata pensata per la piattaforma di
lavoro è una struttura piana a griglia spessa 60 mm e coperta da una lamina dallo
spessore di 3 mm. La piattaforma ha dimensioni 2 m x 0.84 m.
Tale struttura permette di ottenere un peso di circa 70 kg grazie al fatto che la lega ha un peso specifico di circa 2600 kg/m³, un terzo di quello dell’acciaio. Risulta pertanto molto vantaggioso ai fini dell’ottimizzazione utilizzare la lega di alluminio.
Nelle due immagini precedenti le frecce indicano i carichi applicati alla piattaforma di lavoro secondo le norme UNI. Tali carichi consistono nel peso delle 4 persone, dei materiali e dell’attrezzatura e nella forza del vento sulle 4 persone.
I carichi vengono disposti nelle condizioni più severe, come dettato dalle norme e schematizzato di sotto:
Due persone sono investite dal vento quindi reagiranno per mantenersi in posizione ferma con una forza, aggiuntiva al loro peso, agente nella zona opposta a quella da cui proviene il vento. Sulla stessa zona è considerato agente il carico esercitato dall’attrezzatura e dai materiali in quanto le norme dettano che esso sia collocato nelle condizioni più severe e su di un quarto del piano di lavoro. Questi carichi sono distribuiti quindi sulla zona estrema della piattaforma di lavoro. Il peso delle altre due persone viene invece considerato come forza puntuale agente a 0.6 m dal bordo della cesta e con una distanza di 0.5 m tra i due carichi delle persone stesse.
Dall’analisi strutturale statica è emerso che la sollecitazione massima secondo von Mises è pari a circa 48 MPa:
Pertanto la lega di alluminio scelta, la 2024-T4, ha le caratteristiche idonee a tale utilizzo, essendo il suo carico di snervamento pari a 325 MPa.
Nell’immagine si nota come il carico, collocato nelle condizioni più severe, fletta la piattaforma secondo una freccia massima di circa 2.7 mm, valore ritenuto accettabile.
5.4 Analisi del secondo caso
In questo altro caso le condizioni di carico più severe rimangono le stesse viste in quello precedente. L’aggiunta delle due travi comporta un piccolo aumento del peso della cesta pari a circa 16 kg avendo i due sostegni una sezione scatolata dalle dimensioni 50 mm x 70 mm e uno spessore di 4 mm.
Dai risultati emergenti dall’analisi effettuata attraverso il software si riscontra che la sollecitazione massima nella piattaforma di lavoro si raggiunge in corrispondenza dell’incastro e secondo un valore di quasi 38 MPa :
Mentre nell’estremità della trave si rileva una tensione di circa 78 MPa:
Infine si rileva che il carico, collocato nelle condizioni più severe, flette la piattaforma secondo una freccia massima di circa 5.8 mm, valore ritenuto accettabile.
Quindi anche in questo caso la lega di alluminio 2024-T4 risulta idonea al suo impiego nel problema di ottimizzazione ponderale affrontato nella presente tesi.
APPENDICE – I COMANDI DI ANSYS
1) Analisi del primo caso (cesta vincolata dal basso)
Finish
/clear
/prep7
dx=50 ! dimensione cella lungo x
dy=60 ! dimensione cella lungo y
dz=60 ! dimensione cella lungo z
nbx=20 ! numero di celle lungo x da raddoppiare per simmetria
nby=7 ! numero di celle lungo y da raddoppiare per simmetria
nvx=3 ! numero di celle vincolate lungo x
nvy=3 ! numero di celle vincolate lungo y
et,1,shell63
ex,1,70000
dens,1,26/1000000
nuxy,1,0.34
r,1,3
esize,,1
block,0,dx,0,dy,-dz,0
amesh,2,6
vgen,nbx,all,,,dx
vgen,nby,all,,,,dy
vsymm,x,all
vsymm,y,all
ksel,r,loc,x,-1-nvx*dx,nvx*dx+1 ! vincoli lungo x
ksel,r,loc,y,-1,1
ksel,r,loc,z,-dz-1,-dz+1
dk,all,all,0
ksel,all
ksel,r,loc,y,-1-nvy*dy,nvy*dy+1 ! vincoli lungo y
ksel,r,loc,x,-1,1
ksel,r,loc,z,-dz-1,-dz+1
dk,all,all,0
ksel,all
nummrg,node
dtran
! carichi
ksel,r,loc,x,nbx*dx-199,nbx*dx
ksel,r,loc,z,-1,1
fk,all,fz,-534.4/60
ksel,all
ksel,r,loc,x,nbx*dx-400,nbx*dx-200
ksel,r,loc,z,-1,1
fk,all,fz,-1427.6/75
ksel,all
ksel,r,loc,x,nbx*dx-601,nbx*dx-599
ksel,r,loc,y,nby*dy-121,nby*dy-119
ksel,r,loc,z,-1,1
fk,all,fz,-784.8
ksel,all
ksel,r,loc,x,nbx*dx-601,nbx*dx-599
ksel,r,loc,y,nby*dy-601,nby*dy-599
ksel,r,loc,z,-1,1
fk,all,fz,-784.8
ksel,all
acel,0,0,1
finish
/solu
solve
finish
/post1
plnsol,s,eqv
2) Analisi del secondo caso (cesta vincolata con travi)
Fini
/clear
/prep7
dx=50 ! dimensione cella lungo x
dy=60 ! dimensione cella lungo y
dz=60 ! dimensione cella lungo z
nbx=20 ! numero di celle lungo x da raddoppiare per simmetria
nby=7 ! numero di celle lungo y da raddoppiare per simmetria
ntx=6 ! distanza travi come numero di celle
bas=50
alt=70
sp=4
et,1,shell63
et,2,beam4
ex,1,70000
dens,1,26/1000000
nuxy,1,0.34
r,1,3
r,2,bas*alt-(bas-2*sp)*(alt-2*sp),bas**3*alt/12-(bas-2*sp)**3*(alt-2*sp)/12,
bas*alt**3/12-(bas-2*sp)*(alt-2*sp)**3/12,alt,basrmore,,
4*(bas-sp)**2*(alt-sp)**2*sp/(2*bas+2*alt-2*sp)
esize,,1
block,0,dx,0,dy,-dz,0
amesh,2,6
vgen,nbx,all,,,dx
vgen,nby,all,,,,dy
vsymm,x,all
vsymm,y,all
! TRAVI
ksel,r,loc,x,-ntx*dx-1,-ntx*dx+1 ! posizione trave x negative
ksel,r,loc,z,-dz-1,-dz+1
lskp,1
latt,1,2,2
lmesh,all
ksel,r,loc,y,nby*dy-1,nby*dy+1
dk,all,all
ksel,all
ksel,r,loc,x,ntx*dx-1,ntx*dx+1 ! posizione trave x positive
ksel,r,loc,z,-dz-1,-dz+1
lskp,1
latt,1,2,2
lmesh,all
ksel,r,loc,y,nby*dy-1,nby*dy+1
dk,all,all
ksel,all
ksel,all
esel,all
nummrg,node
! CARICHI
ksel,r,loc,x,nbx*dx-199,nbx*dx
ksel,r,loc,z,-1,1
fk,all,fz,-534.4/60
ksel,all
ksel,r,loc,x,nbx*dx-400,nbx*dx-200
ksel,r,loc,z,-1,1
fk,all,fz,-1427.6/75
ksel,all
ksel,r,loc,x,nbx*dx-601,nbx*dx-599
ksel,r,loc,y,nby*dy-121,nby*dy-119
ksel,r,loc,z,-1,1
fk,all,fz,-784.8
ksel,all
ksel,r,loc,x,nbx*dx-601,nbx*dx-599
ksel,r,loc,y,nby*dy-601,nby*dy-599
ksel,r,loc,z,-1,1
fk,all,fz,-784.8
ksel,all
acel,0,0,1
dtran
ftran
allsel,all
/solu
solve
/post1
plnsol,s,eqv
Bibliografia
-[1] Manuale di ANSYS
- [2] L. Vergani, Meccanica dei materiali, McGraw-Hill 2001
- [3] R. C. Juvinall, K. M. Marshek, Fondamenti della progettazione dei componenti di macchine, Edizioni ETS 2001
- [4] Norma UNI EN 280 2005
- [5] G. Belingardi, Il metodo degli elementi finiti nella progettazione meccanica, Levrotto&Bella 1995
ISBN | 9788893068918
Prima edizione digitale: 2019
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