Orfismo e tradizione iniziatica 8885405789, 9788885405783

Quale messaggio può offrire l'Orfismo all'uomo di oggi? Come ci si può accostare a una filosofia che a prima v

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Orfismo e tradizione iniziatica
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Quale messaggio può òffrire l'Orfismo all'uomo di oggi? Come ci si può accostare a una filosofia che a prima vista può sembrare tanto remota ma che in realtà rappresenta il fulcro, il sorgere di tutto il pensiero specula­ tivo dell'Occidente? Con l'Orfismo si inizia a parlare di qual­ cosa di divino e non mortale presente nell'uo­ mo, della "divinità" dell'anima e della sua "caduta", ma soprattutto si àncora in Europa, e quindi in Occidente, la visione metafisica dell'Essere. «Si può ben dire - scrive Ra­ phael - che la Tradizione orfica è stata la prima a proporre una visione autenticamente metafisica; anzi, si può persino credere che sia non-duale (advaita), dal momento che intende reale assoluto solo l'Essere supremo di cui Dioniso è una rappresentazione univer­ sale. E senza Orfeo, Parmenide non potrebbe concepire l'Essere supremo (l'Orfismo si sviluppa con notevole successo in Sicilia e nella Magna Grecia in genere), né Platone il mondo intelligibile e l'Uno Bene». L'importanza dell'Orfismo viene rico­ nosciuta anche da alcuni studiosi i quali affermano che: « ... senza l'Orfismo noi non spiegheremmo Pitagora, non Eraclito, non Empedocle, e, naturalmente, non Platone e quanto da lui deriva». L'instaurazione dell'Orfismo si è deter­ minata quando la "religione omerica" do­ minante stava perdendo la sua funzione, quindi la figura di Orfeo si colloca in un contesto di trasformazione e rinnovamento delle coscienze. Orfeo ha rettificato il culto di Dioniso, che era stato degradato e trasformato in su­ perstizione, ha svelato verità di ordine intel­ ligibile, ha composto una scienza del Rito e del Numero attraverso la musica, ha istituito i piccoli e i grandi Misteri.

In quest'opera Raphael dà un'autentica impostazione tradizionale dell'Orfismo met­ tendo in evidenza l'aspetto metafisico e ini­ ziatico presente nei due "miti-simboli" legati alla figura di Orfeo: la sua morte e la "discesa agli inferi". Il "mito" non è una "fantasti­ cheria" ma contiene il simbolo e la produzione di una vera esperienza perché esso è catar­ tico; se non diventa tale perde la sua fun­ zione. Mediante un "mito", dunque, possiamo carpire uno "stato esistenziale" per essere. I Misteri istituiti dal divino Orfeo rappre­ sentano vari stati di essere, e il neofita, più che procedere discorsivamente per dimostrare empiricamente l'indimostrabile, dovrebbe porsi nella giusta posizione psicologica e formale. Ci sono cose che, non essendo sem­ plici fenomeni da osservare e catalogare, non sono oggetto di dimostrazione scientifica o empirica concettuale, ma di realizzazione coscienziale. Il lettore attento e amante della Conoscen­ za-Sophia potrà, quindi, ben comprendere la funzione altamente catartica e l'attualità del messaggio orfico e, se saprà accostarsi alla lettura del libro con una mente libera da preconcetti, o mens informalis, potrà trarre quei benefici che la Tradizione iniziatica di tutti i tempi, quale Fonte inesauribile, con­ tinuamente offre, tenendo presente ciò che dice Plotino: «Il magistero non va oltre questo limite, di additare cioè la via e il viaggio: ma la visione è già tutta un'opera personale di colui che ha voluto contemplare». In sovraccopertina: Il particolare di un busto in bronzo (I sec. a.C.), ritrovato nella Villa dei Papiri a Ercolano, identificato con Platone con tratti del volto che richiamano Apollo con cui la tradizione lo aveva connesso. Napoli, Museo Archeologico Nazionale. € 15,00

Raphael

Orfisn10 e

Tradizione iniziatica

COLLEZIONE VIDYA• ----- 17 -----

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I proventi che si ricavano da questo libro - per il quale non si richiedono diritti d'Autore - verranno impiegati per la ristampa dell'opera. Il contenuto di questo libro non può essere riprodotto con nessun mezzo e in nessuna forma senza il preventivo consenso scritto dell'Editore, ad eccezione di brevi citazioni per recensione riportandone la fonte. © Asram Vidya - Via Azone 20 - 00165 Roma 1985 Prima edizione 2017 Terza edizione riveduta ISBN 978-88-85405-78-3

Raphael

Orfismo e Tradizione iniziatica

«Coloro la cui vita dev'essere piena di conten­ tezza e di gioia, se è partecipazione ai Misteri e perfettissima Iniziazione ... Poi staremo seduti laggiù in religioso silenzio e con dignità: di­ fatti nessuno si lamenta quando è iniziato ... ». Aristotele, Sulla filosofia, Jr. 14

PREFAZIONE

Dioniso! Questo nome è stato sulle labbra di migliaia di persone in luoghi diversi, fin da epoche remotissime e, se ancora se ne scrive, vuol dire ch'Esso è ancora presente. Erodoto lo fa derivare dall'Egitto, altri dalla Tracia, dal­ la Lidia, dalla Frigia; chi, ancora, da Creta, ove sono state trovate tavolette del lontano secolo XV a. C. su cui era in­ ciso il nome di Dioniso e della "Signora del Labirinto", vale a dire, Arianna. Anche Omero nomina Dioniso prima ancora che la maggioranza dei Greci lo riconoscesse come il Salvatore. Bisogna convenire che dietro determinati nomi si nasconde un Principio universale: difatti, tutte le Tradizioni, dell'est e dell'ovest, del nord e del sud, parlano di divinità che, in definitiva, si equivalgono; non solo, ma si equivalgono an­ che quelli che vengono denominati "miti". Demetra, ad esempio, è l'equivalente di Iside; Dioniso di Osiride; Iside e Osiride dell'Egitto sono poi il compendio di un "mito" che è uguale, identico a quello di Demetra e Dioniso della Grecia. La stessa religione babilonese e quella assira, con nomi diversi, hanno gli equivalenti di Demetra e Dioniso, oltre allo stesso "mito" del morire e del rinascere del Dio. Vi sono, dunque, "miti" e nomi che non appartengono a nessun popolo in particolare, a nessun individuo per il semplice fatto che essi rappresentano, come sopra si è detto, Princìpi universali, Idee (nel senso platonico).

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Storici ed etnologi si dibattono per scoprire se quel "mito", o quella Divinità, riguarda un determinato popolo o µn altro; come molti storici della filosofia si affannano a dimostrare che, per esempio, quella di Pitagora, Parmenide, Platone, Plotino, ecc., è una filosofia prettamente personale non importata da altre menti, ma sviluppata dalla mente-intui­ zione dell'autore. Per tutti costoro considerare Dioniso, Iside o la Mahiidevl dell'India, oppure Pitagora, Platone, ecc. in termini troppo impersonali o sovranazionali significa sminu­ ire l'intuizione stessa di quelle persone o di quei fondatori di "miti". I vari storici ortodossi cercano di individualizzare la conoscenza innalzando un altare ali'individuo creatore di "sistemi", siano questi religiosi, filosofici o scientifici. Ma se si ha la capacità di accostarsi a ciò che quelle menti hanno detto, superando l'atteggiamento individualisti­ co e spesso anche campanilistico, si può riconoscere senza timore di errare, che l'essenza, il tema, il noumeno di ogni filosofia, religione, scienza tradizionali sono identici. Ogni ente, poi, secondo il suo grado di risveglio coscienziale e intuitivo-contemplativo, riveste tale essenza con dovizia e bellezza di forma, ma soprattutto con la potenza della pro­ pria irradiazione. Per esempio, la Filosofia di Platone, per quanto possa avere fautori entusiasti o critici astiosi, rimarrà pur sempre una pietra miliare e un fondamento della scienza filosofica e della stessa mistica spirituale. Se tutti i vari "miti" e le essenze delle varie filosofie hanno profonde analogie e anche delle identità, ciò vuol di­ re che la Verità è una e una sola, e che questa Verità non è di ordine individuale, ma sovraindividuale e sovrasensibile, quindi tradizionale. Per Verità, Insegnamento, Dottrina, ecc., tradizionali s'intende appunto questo. La Tradizione si fon-

Prefazione

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da non sull'opinione individuale, ma sull'intellezione noeti­ ca. D'altra parte, se la Verità fosse prettamente individuale, non sarebbe Verità universale, valida per tutti, perché ogni individuo rappresenterebbe una verità a sé stante e sarebbe persino assurdo pretendere che un'individualità comprendes­ se un altro individuo-verità la cui natura non potrebbe coin­ cidere con quella del primo. Ciò comporterebbe il famoso detto: "Torre di Babele" e la "confusione delle lingue". Se possiamo capirci, avere idee affini, analoghe e anche iden­ tiche, vuol dire che entro di noi abbiamo un qualcosa che ci lega, ci unifica e ci accomuna a un unico denominatore. Quello delle individualità sensibili, secondo il divino Platone e lo stesso Parmenide, solo per citare due grandi Filosofi, rappresenta unicamente un mondo di opinione, non di cono­ scenza o scienza. E se l'opinione è soggettiva, individuale e sensoriale, la conoscenza-scienza deve appartenere a un'altra dimensione, a un'altra sfera esistenziale alla quale si può ac- · cedere. E se la conoscenza appartiene al dominio del sovra­ sensibile, allora essa non è appannaggio né dell'individuo, in quanto tale, né di un popolo né di un'epoca storica; essa è, così, tradizionale. E se, ancora, il "mito" non è altro che conoscenza espressa in una determinata forma rappresentati­ va, perché si riconosce che la Verità suprema non può essere concettualizzata né dimostrata empiricamente, allora il "mi­ to" ha un valore universale e non individuale e particolare. «Il mito è un'immagine spezzata della verità come l'arcobaleno è il riflesso della luce del sole, i cui raggi si rifrangono nella nuvola. Ma di questo specchio infranto si possono raccogliere e riaccostare i pezzi e così ricostituirlo ... ». 1 1

Plutarco, Lettura dei poeti X. Tratto da Plutarco di J. Mallinger. Editrice Atanòr, Roma.

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«Aristotele stesso riconosce la carica filosofica del mi­ to nelle pagine iniziali della sua Metafisica (A2, 982 b 18), affermando testualmente: "anche colui che ama il mito è, in certo qual modo, filosofo"».' E Severino scrive: «Il mito non intende essere una in­ venzione fantastica bensì la rivelazione del senso essenziale e complessivo del mondo. Anche nella lingua greca il signi­ ficato più antico della parola mythos è "parola", "sentenza", "annunzio"; a volte mythos significa persino "la cosa stessa", la "realtà". Solo in modo derivato e più tardo nella lingua greca mythos indica la "leggenda", la "favola", la "fola", il "mito"».2 E che cosa possono rappresentare queste persone che hanno scritto o detto cose che il comune mortale non osa neanche immaginare? Per quei pochi che vanno di là dal­ l'individualismo riduttivo, essi: Filosofi, Mistici, Religiosi, ecc., sono dei mediatori tra l'intelligibile e il sensibile, atti o capaci, per la loro cospicua elevatezza coscienziale, a sve­ lare nel tempo-spazio aspetti di Verità noetica, a rettificare l'eventuale decadimento di tale Verità, a stimolare e innalza­ re non l'individualità ma la coscienza assonnata della stessa umanità. Per questi pochi, essi, più che una semplice indivi­ dualità, creatrice di sistemi religiosi o filosofici "originali", sono dei ponti mediante cui i qualificati possono riprendere la strada del ritorno in Patria. Per questi pochi, un Orfeo, un Pitagora, un Parmenide, un Platone, un Plotino, ecc., non sono un Locke, uno Hume, un Fichte, ecc., per quanto questi ultimi siano di grande stimolo mentale-concettuale. 1

G. Reale, Storia della filosofia antica, voi. V. Vita e Pensiero, Milano. 2 E. Severino, La filosofia antica. Rizzoli, Milano.

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Dire che la Filosofia di Pitagora, Parmenide, Platone, ecc., appartiene alla Philosophia perennis perché non è, ap­ punto, individuale e temporale, non significa sminuire la loro personalità; tutt'altro, significa riconoscerli dei "mediatori", dei "divini trasmettitori"; l'Oriente direbbe degli avatiira. Se si potesse comprendere nell'essenza, e incarnare la Filosofia di Platone, si arriverebbe di certo alla trasfigura­ zione del proprio essere.' Quella di Platone è una Filosofia-metafisica che pone le basi di un Principio sovraontologico, di una teologia, di una ontologia, di una mystica e di un'etica individuale e sociale che si concretizzano in un autentico insegnamento iniziatico nel senso più pieno di tale parola. E Orfeo? Che cosa si può dire di questo grande Saggio, Mago, Teologo, Innovatore, Rettificatore; di questo r�i. per dirla in termini vediinta? Come si cercherà di dimostrare nelle pagine che seguono, Orfeo è un altro mediatore-ponte,· un grande avatiira, che ha rettificato il culto di Dioniso de­ gradato e trasformato in superstizione, ha svelato Verità di ordine intelligibile e apollineo, ha composto una scienza del Rito e del Numero attraverso la musica, ha istituito i Misteri Piccoli e Grandi, sotto l'egida di Apollo (à-noÀÀcov = non­ molti) ha lasciato dietro di sé una tale impronta, una tale vibrazione e un tale influsso che possono essere percepiti a tutt'oggi; inoltre, ha influito in modo considerevole sulle menti dei filosofi dell'antica Grecia e, di conseguenza, su tutti gli altri filosofi posteriori. Che cosa, dunque, si può dire di Orfeo? Poco o molto, dipende dalla prospettiva da cui ci si vuole porre. Ma di 1 Per questo aspetto si veda Iniziazione alla Filosofia di Platone di Raphael. Collezione Vidyii..

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simili coscienze vibranti sarebbe meglio non parlare, ben­ sì cercare di captare, con l'intuizione noetica o con la pura contemplazione, il loro "stato" coscienziale e, innalzandosi lungo i vari gradi contemplativi, poter arrivare fino a essere "da solo a solo" con Lui, il Bene, unità indivisibile. I Misteri istituiti dal divino Orfeo rappresentano vari stati di essere, e il neofita, più che procedere discorsivamen­ te per dimostrare empiricamente l'indimostrabile, dovrebbe porsi nella giusta posizione psicologica e coscienziale onde poter entrare nel "tabernacolo" del Mistero e ivi fondersi e stabilizzarsi. Ci sono cose che, non essendo semplici fenomeni da osservare e catalogare, non sono oggetto di dimostrazione scientifica o empirica concettuale, ma di realizzazione co­ scienziale. «Tale conoscenza difatti non è per nulla comunicabile in pa­ role, come lo sono le altre, ma dopo una lunga convivenza indirizzata appunto all'oggetto e dopo che si è vissuti assieme, istantaneamente - come luce che scaturisca da una fiamma palpitante - una volta sorta nell'anima, ormai è lei stessa a 1 nutrire se stessa».

Nelle poche pagine che seguono si cercherà di mettere in rilievo per via diretta e indiretta, come "certe cose" sono sovrastoriche, come esse appartengono a una Fonte unica, come ci si può "rappacificare" con sé e con gli altri nel ri­ volgersi a quest'unica Fonte, come alcuni "miti" di persone e fatti non sono morti, ma semplicemente sopiti, e basterebbe un niente per farli riemergere alla luce del sole se solo si possedesse l'ispirazione che deriva da tale Fonte. Platone, Settima lettera 341 c-d. Traduzione di G. Colli. (Il corsivo è nostro). 1

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È certo un fatto, coloro che si ispirano a quell'unica Fonte possono riconoscersi negli stessi piani del sensibile per alcuni fattori che si rendono palesi; eccone solo alcuni: a) il primo, e fondamentale, è proprio quello di vivere, incarnare, vibrare' l'unica Fonte; bisogna distinguere gli abili "dicitori" dalle umili coscienze vibranti, ciò implica il comprendere, prendere con sé, integrare tutti i possibili punti di vista; b) avere quella compostezza, riservatezza, umiltà (nella sua vera accezione) che caratterizzano il possessore di deter­ minate qualità; c) abbandonare le polemiche, le critiche e i sofismi, anche quando il "volgo spirituale" (degli altri non ponen­ dosi problema essendo troppo lontani da certe prospettive) afferma opinioni: ciò è frutto del trascendimento della mente empirica o di relazione; d) l'avere quella Dignità di grado 1 che implica il supe­ ramento del proprio subconscio, di quello collettivo e il dominio delle energie-qualità della sostanza o xropa, in termini platonici; e) svelare quelle Verità che appartengono a determinati domini dell'Essere, ciò è molto importante: da quello che si scrive, si dice, si vive si può capire se l'Ispirato proviene dalla Fonte unica o da fonti eterogenee e persino individuate anche se esprimenti contenuti apprezzabili; da quello che si scrive, si dice e si vive si può capire se si esprimono qualità­ facoltà dell'individualità, per quanto elevate, oppure se è la stessa Fonte che vive e si manifesta nel Filosofo. 1 Cfr. "Dignità sulfurea" nel capitolo "Fuoco di Vita" de La Triplice Via del Fuoco di Raphael. Associazione Ecoculturale Parmenides, Roma.

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I più, anche quelli ritenuti grandi persino da menti avan­ zate, esprimono solo facoltà-qualità individuate sufficiente­ mente allenate. Non è neanche la quantità delle parole o dello scritto che denota l'appartenenza all'unica Fonte. Colui che si ispira all'unica Fonte possiede una nota inconfondibile, inesprimibile, ma che difficilmente può sfug­ gire a chi vive il Segreto gioioso del proprio cuore. Di que­ sti Ispirati ve ne sono a diversi gradi di maturità, e ognuno svolge il proprio compito coscientemente nel grande contesto, sottile e grossolano-fisico, della rete universale. Si sono riportati diversi passi significativi di insigni autori in riferimento a Orfeo e all'Orfismo che l'Autore di questo libro condivide completamente. Associazione Ecoculturale Parmenides

INTRODUZIONE

L'Autore di questo libro riconosce che ha semplicemen­ te sfiorato il problema dei Sacri Misteri, come ha sfiorato gli eventi che hanno caratterizzato la vita di Orfeo. D'altra parte, non è suo compito dilatare una problematica che non porterebbe alcun giovamento, ma servirebbe solo a soddisfare la curiosità intellettiva empirica. L'Autore non ha mai scritto o parlato per i molti, ma per quei pochi che, acceso il fuoco dentro di sé, sanno poi alimentarlo fino a farlo diventare una grande fiamma di amo­ re verso la Conoscenza-realizzazione. Il momento storico dell'umanità è caratterizzato da un intenso intorpidimento delle coscienze e da una profonda attenzione alla sfera del sensibile corporeo che assorbono tutte le energie. Anche quei "molti" che si interessano a questioni spiri­ tuali, religiose o iniziatiche sogliono porre l'accento soprat­ tutto sull'aspetto contingente e particolare, anche se si espri­ mono in termini di trascendenza dell'empirico o, addirittura, di metafisica realizzativa. Alcuni, e non sono pochi, sono poi afflitti da problemi psicologici, di disadattamento ambientale, da frustrazioni varie sì da ricorrere allo yoga o alla letteratura esoterica occiden­ tale come semplice mezzo di sfogo o terapeutico. Altri ancora, e ci si ferma qui, seguono insegnamenti che possono assecondare lo sprigionamento del devozionalismo passivo, dell'energia sessuale o del potere psichico (siddhi);

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anzi, si cerca persino di potenziare questi fattori per gratifi­ care esigenze mondane. Gli insegnamenti originali dei r#, o di uno Salikara, di un Orfeo, di un Ermete, di un Platone, di un Plotino, di un Buddha e dello stesso Gesù hanno perso, all'occhio dello "spiritualista profano", la loro Dignità, Autorità, Austeri­ tà, la loro vera autentica essenza. Le loro dottrine vengono commercializzate, degradate, snaturate e interpretate in mo­ do tale che I "'io empirico" possa trovare il suo spazio e la sua sopravvivenza. "Levigare la propria pietra grezza" è arduo, soprattutto oggi, perché in definitiva riesce più facile devolvere ad altri il compito di farlo. La condizione dell'umanità della ,presente "età del ferro" ormai è tale che sembra difficile attuare anche una semplice rettificazione; però non c'è da disperarsi perché l'abbatti­ mento e la disperazione fanno parte dell'avidyii (ignoranza metafisica) o dell'annebbiamento emotivo. Sul piano del di­ venire ogni cosa è ciclica: vi è una nascita, una crescita e un decadimento; poi si ricomincia; e questa ciclicità si perpetua fin dalla notte dei tempi; non c'è da meravigliarsi dunque: il tutto è al suo giusto posto. Coloro che sentono il senso della responsabilità, che sen­ tono la chiamata dell'Anima a una vita di trasfigurazione, che sono sordi alle lusinghe del potere mondano, dell'opinione eruditiva, della critica per innalzare o demolire gli altri, che vogliono veramente denudarsi dei propri paludamenti egoici e se, ancora, si sentono umili e fiduciosi, possono di certo prepararsi all'avvento del risorgere della Verità tradizionale la quale, per la sua stessa natura, non potrà mai essere scon­ fitta dall'opinione dei più, anche se gran parte deli 'umanità dovesse perire in qualche immane cataclisma.

Introduzione

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D'altra parte, chi sa non può turbarsi di fronte a even­ tuali catastrofi, perché comprende che cosa esse possono rappresentare nel grande gioco del divenire cosmico. L'ente umano, in quanto tale, deve riconoscersi quale elemento doppio: titanico (per parlare in termini orfici) e divino; tocca alla propria coscienza stabilire se essere un tutt'uno col divino o col titanico. L'individuo è elemento di transizione, per cui è tutto e non è niente; la sua lotta, il suo travaglio, la sua stessa impotenza derivano dal non sa­ persi definire e, di conseguenza, dal non sapersi unificare e integrare. Ma questa doppiezza, per fortuna, non è assoluta perché l'elemento titanico è solo una "sovrapposizione" alla pura Realtà; essa può prendere però uno spessore e una con­ sistenza tale da essere considerata reale. Nessuno potrà mai distruggere la D ivinità che è nell'ente umano perché gli è intrinsecamente connaturata; il fattore titanico è una seconda falsa natura che, come prima si accennava, la forza creatrice della mente ha potuto rendere verosimilmente stabile. At­ tualmente l'umanità vive sotto l'impressione di questa falsa natura fino a esserne vittima indifesa. La verità si è capo­ volta: è reale ciò che appare, è falso ciò che realmente è. Se questi "pochi" sanno decisamente distaccarsi da tale cappa ipnotica e altrettanto dall'oppio degli alibi; se hanno l'ardire di essere contro l'opprimente fantasma del "vitello d' oro" , che l'elemento titanico sa offrire magistralmente; se, ancora, sanno mettere da parte interessi individuali e ide­ ologie profane, allora essi potranno prepararsi per eventi futuri. L' unica Fonte sa attendere perché è fuori del tempo e dello spazio. II discepolo dell'oggi, sia esso a dimensione metafisica 0 k� atriya , dev'essere un guerriero e, se non ha determina­ z ione, ardire, decisione incrollabile e direzione univoca, per

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quanto possa interessarsi di cose iniziatiche, per quanto pos­ sa fare la sua brava meditazione mattutina, per quanto possa -scrivere qualche saggio per erudire gli altri, per quanto pos­ sa frequentare gruppi letterari, filosofici o religiosi, rimane il fatto che egli non differisce punto dalla gran massa che sperimenta il narcotico dell'illusione e del nichilismo. È bene ricordare che di Ermete, Orfeo, Gautama, Sankara, Pitagora, Platone, ecc. è morto solo lo strumento fisico, la loro ombra, la loro "prigione", ma non è morto quanto essi hanno espresso e donato all'umanità. Ed è questo ciò che importa. Che un giorno possa ripresentarsi qualcuno di loro, o altri, con diverso nome e diversa intelaiatura mentale e fisica, ha poca importanza; non contano il nome e la forma (per quanto alcuni aspiranti sogliono difendere unicamente nome e forma dei loro Maestri), ma lo spirito di Verità e la forza propulsiva irradiante che esseri del genere possono vibrare e trasmettere. A quei "pochi", o parecchi, che sanno trovare la forza di porsi di fronte al fantasma dell'illusione e dell'annebbia­ mento, vada un incoraggiamento; chi è sulla Via (6o6ç per Parmenide ) 1 non sarà mai solo.

R.

1 Per l'ò66ç si veda Parmenide, Sull 'Ordinamento della Natura, a cura di Raphael. Collezione Vidyii.

OMERO, ESIODO, ORFEO

La società greca dei secoli IX e VIII a. C. è caratterizzata dall'espressione di un politeismo antropomorfico manifestato soprattutto nei poemi omerici. Le divinità sono semplici idealizzazioni concepite a im­ magine dell'uomo; sono individualità che, in forma dilata­ ta, posseggono qualità e svolgono attività che appartengono espressamente all'uomo. Ognuna di tali individualità ha un suo preciso status esistenziale, ha connotazioni proprie e pre­ senta un suo peculiare aspetto formale. Presiede ai fenomeni naturali interferendo in essi secondo la propria disposizione passionale, per quanto abbia dei limiti, dovendo sottostare a una potenza dominante chiamata Fato o Moira. Nei poemi omerici, tuttavia, si può già delineare una prefigurazione di una gerarchia di dèi a capo della quale sta Zeus. Gradatamente, questa esigenza di gerarchia divina si fa sempre più sentire fino al punto da creare una Teogonia e una cosmogonia. La Teogonia di Esiodo, di cui si parlerà più avanti, rap­ presenta il paradigma di questa tendenza. Le più alte qualità espresse dagli eroi, coraggio, vigo­ ria fisica, astuzia, ardore, ecc., vengono attribuite, nei poemi omerici, agli dèi; però, come prima si accennava, in modo più accentuato. Così la gerarchia degli dèi, con a capo Zeus, e le loro relazioni reciproche non sono altro che una copia dell' organizzazione che esiste nell'ambito sociale. Ciò che conta, per la "religione omerica", è l'eroismo, la lotta e il morire da eroe sulla terra. «L'oltremondo omerico - scrive V. Cilento - non è l'im­ mortalità del Fedone, ma è incluso nello stesso mondo ed è

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la fama , la gloria , il canto dei poeti e il nome sulle labbra degli uomini e delle donne . Eroismo e immortalità integrano il sentimento tragico; e una grande luce mediterranea fascia i Numi di Omero, statue sbalzate su cui si specchia la reli­ gione di Achille . La quale non è una religione per gli umi­ li . . . Nell'Iliade , sulle poche persone di umili natali, quali Tersite e Dolone, il disprezzo è gettato a piene mani . Gli è che costoro sono , per i guerrieri achei, meno che uomini. Gli altri, gli eroi , sono semidei perché , anche al dire di Pindaro (Nem . VI. 1 ) "uomini e dèi discendono dallo stesso ceppo"» . ' Questa concezione di vita non si esprime in una direzione educativa ed etica per il popolo; gli eroi sono i meno, per cui come afferma il Lamanna: « . . . La coscienza della dipendenza della vita umana dal volere e dalla potenza degli dèi non si traduce - nello spirito dell'uomo omerico - in una visione etica della vita, nella concezione di un ordinamento morale dell' attività umana . La volontà degli dèi è capricciosa e irri­ tabile: e per quella forza da cui essa è limitata , il Destino , di­ spiega in rapporto agli uomini un' azione cieca che non fa di­ stinzione tra buono e cattivo nell'assegnare a ciascuno la sua sorte . Né vi è idea di una giustizia oltremondana: le punizioni degli dèi non sono che vendette di questi contro quegli uo­ mini che hanno osato opporsi al loro volere capriccioso e passionato. Ciò che l'uomo chiede al favore degli dèi è solo il conseguimento dei suoi fini egoistici, e anche la preghiera e 2 il sacrificio hanno il carattere egoistico di vero contratto . . . » . Una simile visione di vita potrebbe a buon diritto ri­ tenersi di ordine naturalista , immanentista , riduttivo fino a V. Cilento, "La mistica ellenica" , in La mistica non cristiana. Morcelliana, Brescia. 2 E. P. Lamanna, Storia della filosofia , voi. I, "Il pensiero antico". Le Monnier , Firenze . 1

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una visione esistenziale sfi orare ciò che si potrebbe definire materialistica. «Ma quando Pitagora - scrive il Reale - parlerà di "trasmigrazione delle anime", Eraclito parlerà di "un destino ul­ traterreno dell'anima", ed Empedocle spiegherà la via della "purificazione", allora il naturalismo s'incrinerà profondamen­ te; e ta le i ncrinatura non si comprenderà se non rifacendosi1 alla religion e dei Misteri e in particolar modo all 'Orfismo» . Un discorso a parte può essere fatto a proposito della Teogonia di Esiodo (VIII secolo a. C.), anche perché contie­ ne qualcosa di tradizionale. La legge morale che Esiodo espone, ad esempio, ne Le opere e i giorni si contrappone nettamente a quella di Omero. Nella visione omerica, come già si è visto, vengono esaltati esclusivamente la forza, la potenza, l' eroismo di là da ogni legge morale, essendo gli stessi dèi passionali, irritabili, ven­ dicativi, incapaci quindi di un atteggiamento equanime, co­ stante; nella visione di Esiodo vige, invece, una legge morale uguale per tutti, legge che è l' espressione diretta di Zeus il quale trascende ogni passione e comportamento umani. All' irresponsabile giustizia dei re "mangiatori di doni", Esiodo contrappone i "retti giudizi e l' equanime verdetto" di Zeus: «È artefice del proprio male chi fa del male ad altri... L'oc­ chio di Zeus , che osserva tutto, quando vuole si posa su tali eventi e conosce ciò che deve essere giusto nella nostra città. Se l'ingiusto riceverà benefici dalla giustizia, allora è assurdo che un individuo giusto persegua la giustizia. Però non credo che il sapiente Zeus possa compiere simili cose». 2 1

2

Sto ria della filosofia antica, voi . I , op. cit . Esiodo , Le opere e i giorni 265-273 .

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Secondo Esiodo il meritato castigo verso l'ingiusto, sia esso re o umile cittadino, non tarda a scendere. Scrive il Robin: «Nei poemi omerici la potenza di Zeus era lo strumento di una volontà capricciosa e irritabile, oppure di quella Moira la cui azione incomprensibile è di contraria­ re o deludere la nostra volontà di essere giusti. In Esiodo è il decreto di una coscienza che giudica, retta e imparziale, secondo la regola o la misura da essa fissata, e che punisce, tremendo, insieme con chi l'ha trasgredita e oltrepassata, chi, servilmente, si è fatto complice della colpa. Ecco quello che causò la rovina deli '"età dell'argento", e perderà l'"età del ferro". Ora, il principio essenziale di tutte le colpe che ven­ gono commesse contro la legge suprema è la mancanza di misura o la bramosia di mettersi al. di sopra dell'ordine o della regola... Esiodo, invece, crede ardentemente nell'esi­ stenza di un diritto dei deboli; e l'opera specifica di Zeus onnipotente sta nel ripristinare la rettitudine e la misura». 1 Per quanto riguarda la Teogonia, Esiodo fa rientrare in essa anche l'aspetto cosmogonico. Egli chiede prima di tutto ispirazione alle Muse perché esse conoscono la Verità, parlano all'intelligenza, manife­ stano quelle che sono le leggi che governano tutte le cose e svelano ciò che è il principio del tutto. Questa Teogonia si articola nella seguente linea gerarchica: Chaos � Erebo e Notte � Etere e Giorno � Terra � Cielo stellato � Monti e Mare (Ponto) � Oceano � Crono e Rea � Zeus

1

L . Robin , Storia del pensiero greco. Mondadori, Milano.

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Qui Esiodo vuole mettere in evidenza come un filo con­ duttore permei la manifestazione, come vi sia un rapporto gerarchico subordinato, come ciascun elemento costituisca un an ello essenziale del grande tutto, e come l'organizzazione si realizzi in un sistema di rapporti stabili. Con Esiodo v'è dunque uno sforzo di traduzione cono­ scitiva del pensiero tradizionale. I Greci del tempo, comunque, non hanno ancora Dottri­ ne sacre, libri rivelati, non hanno caste sacerdotali detentrici e custodi di qualche Tradizione. I poemi omerici e la Teo­ gonia di Esiodo sono le uniche fonti d'ispirazione. Rappre­ sentano la "religione pubblica" dominante. Ma il fatto che l'Instaurazione orfica-misterica si sia potuta determinare, significa che la religione omerica ha perso la sua funzione, il suo mordente o, meglio, bisogna riconoscere ch'è venuto il momento per trasformare una semplice credenza in una visione realizzativa iniziatica. La figura di Orfeo si colloca in questo contesto di tra­ sformazione e rinnovamento delle coscienze. Riguardo all'Orfismo il Reale scrive che « . . . il suo mes­ saggio - ripensato in vario modo - costituisce un asse por­ tante di gran lunga parte del pensiero filosofico dei Greci... Ora senza l ' O rfismo noi non spiegheremmo Pitagora, non Eraclito, non Empedocle, e, naturalmente, non Platone e quanto da lui deriva ... E sarà proprio la sollecitazione della V isione orfica a portare Platone a intraprendere la sua "se­ conda navigazione" ["'tòv 0EU'tepov nÀouv", Fedone 99 D], cioè a intraprendere quella via che lo porterà a scoprire il mondo del sovrasensibile» . 1 1

Storia della filosofia antica, voi. I, op. cit . (Il corsivo è del Reale.

Le parentesi quadre sono nostre ).

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Vale a dire: la creazione di una visione metafisica dell'Es­ sere in Europa la si deve principalmente all'Orfismo, col suo porre l'Essere reale trascendente la natura. A questo punto è bene accennare che anche Talete e gli altri filosofi, esponenti della physis del VI e V secolo, han­ no un debito verso l'Orfismo il quale aveva già menzionato nella sua cosmogonia i quattro elementi, radici dell'universo manifestato. Si ricorda che Talete, come lo stesso Democrito, ebbe la sua formazione filosofica-scientifica nei templi di Egitto e della Caldea. Si può accennare a un'altra linea di pensiero che paral­ lelamente viene a intrecciarsi con quella omerica e che ugualmente diverge da quella di Omero; qui si hanno riti di iniziazione, culto, simboli, feste popolari; si hanno delle tendenze a sacralizzare certi atti e a elevare le stesse co­ scienze degli iniziati. Questo culto, che si pratica a Eleusi, è per Demetra, Dea della "Madre Terra", a cui viene attribuito un "mito": Perse­ fone, figlia di Demetra, viene rapita e portata sottoterra dove è costretta a vivere per tutto l'inverno, mentre in primavera viene lasciata andare dalla Madre nell'Olimpo. Sotto questa innocente trama mitica, però, si nasconde un preciso simbolismo iniziatico. Un altro culto, di ordine più solare ma anch'esso eso­ terico, fin dall 'VIII secolo a. C., viene tributato ad Apollo nel santuario di Delphi. Questi due santuari, come quelli di Olimpia, Tebe, ecc., diventeranno famosi, sprigionando una particolare influenza spirituale, soprattutto con l'Orfismo. Alcune fonti affermano che Museo (Moucrafoç), profeta e sacerdote, discepolo diretto di Orfeo (e poi Eumolpo, figlio

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di M useo che_ continuerà l'oper� de! pa�re), con_ l'introdu: ione di Diom so Zagreo, àncora 1 M1sten a Eleus1. Museo e o\iginario della Pieria, . come Orfeo; con i Traci passa nella Boezia per poi trovarsi ad Atene. Scrive G. Colli: «Il Marmo Pario ci dice che a istituire i Misteri di Eleusi fu Eumolpo, figlio di Museo. Varie testi­ monianze confermano la cosa e altre parlano di un rapporto 1 tra Museo e i Misteri di Flia». Nello stesso periodo (IX-VIII secolo a. C.) nell'antica Tracia, al nord della Grecia, vi è un movimento religioso di tendenza "lunare" a carattere mistico-evocatorio. Grada­ tamente però alcune sue "Sacerdotesse della luna", o della triplice Ecate, appropriandosi del vecchio culto di Bacco, si danno a delle manifestazioni degradate e dissacranti fino a farne un culto sanguinario. Queste sacerdotesse, che operano soprattutto nelle vallate, di contro poi ai sacerdoti orfici che opereranno sulle montagne, prendono il nome di Baccanti, e Baccanali le loro feste rituali. Licurgo, figlio di Driante, Re di Tracia, cerca di perse­ guitarle assieme ai loro culti, facendo distruggere persino i vigneti il cui vino, adoperato adesso al posto dell'originario latte, è fonte di esaltazione nefasta per gli adepti bacchici. Nello scenario religioso tracciato in precedenza e in questa atmosfera bacchico-orgiastica di Tracia, perversa e mortifi­ cante la stessa virilità maschile, appare l'ispirata e possente figu ra di Orfeo, originario della stessa Tracia. Egli che adora il Sole, quale manifestazione oggettiva del Dio solare immanifesto, va di notte sul monte Pangeo per essere il primo all'alba a rendergli omaggio e recitare l ' Inno al Fuoco. È degno di nota che Pitagora pone come 1

G . Colli, La sapienza greca, voi . I . Adelphi, Milano.

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centro dell'universo il Fuoco, di cui il disco solare non è che un riflesso. Orfeo, diversamente dalle Baccanti, segue la Via Solare, la Via del Fuoco, e un Fuoco viene alimentato dai Sacerdoti orfici quale simbolo vivente del Sole spirituale. Orfeo, sommo Sacerdote di Zeus e di Apollo, citarista e cantore tale da trascinare col suono della sua lira uomini e animali, trae a sé la grande maggioranza dei Traci, trasforma completamente il culto lunare di Bacco orgiastico, disperde le Baccanti sì che la sua influenza si estende anche nella Grecia. Consacra così la sovranità di Zeus in Tracia e quella di Apollo a Delphi, ove getta le basi del tribunale delle Anfizionie che diverrà poi il simbolo dell'unità sociale della Grecia. Introduce inoltre i Misteri portando il Dioniso bacchico-orgiastico alla dignità misterica di Dioniso celeste. Ne consegue che Orfeo diviene il rettificatore del culto bacchico, il Pontefice della Tracia, il grande Sacerdote di Zeus olimpico e di Apollo iper­ boreo e, per gli Iniziati, colui che fonda i Grandi Misteri. «Beato te, Callicle ! , tu sei stato evidentemente iniziato nei Grandi Misteri prima che nei Piccoli . E io credevo che in 1 questo modo non si potesse fare».

Come si può notare, con Orfeo ci si innalza a dimensione metafisica e a procedura autenticamente iniziatica. In riferimento sempre a Orfeo il Reale scrive che « . . . il poeta lbico, nel VI secolo a. e., parla di "Orfeo dal nome famoso", attestando, così, la grande notorietà del personag­ gio a quest'epoca, la quale è spiegabile solo supponendo l'esistenza e la diffusione del movimento religioso che a lui si rifaceva. Platone, Gorgia 497 c. / Dialoghi, l 'Apologia e le Epistole . Versione e interpretazione di E. Turolla. Rizzoli Editore, Milano. 1

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Euripide e Platone attestano, poi, che, nella loro epoca, scritti � orr�va? o s� tto il nome di Orfeo, un gran nume�� di _ az10m orfiche. punf1c le e nt1 i nti da ar u g ri Di riti e di iniziazioni orfiche ci parlano Erodoto e Ari­ stofane. M a fo rse, più di tutte, interessante è la testimonianza di A ristotele , secondo cui Onomacrito aveva messo in ver­ si dottrine attribuite a Orfeo. Ora, poiché Onomacrito visse nel VI secolo a. C., noi abbiamo un punto fermo e sicuro: nel VI secolo a. C., si componevano sicuramente scritti in versi sotto il nome del mitico poeta, e, dunque, esisteva un che in Orfeo riconosceva il proprio movimento• spirituale • I patrono e ispiratore». Ma, secondo alcune testimonianze, Orfeo lo si fa risalire a prima della guerra di Troia, e la sua vita si perpetua per parecchie generazioni. «Orfeo di Lebetra in Tracia, figlio di Eagro e Calliope; Eagro, a sua volta, era il quinto discendente di Atlante, tramite Alcio­ ne, una delle figlie di questi. Nacque undici generazioni prima della guerra di Troia; dicono che fu discepolo di Lino e che 2 la sua vita durò nove o, secondo altri, undici generazioni» . «Ellanico, Damaste e Ferecide fanno discendere Omero da Orfeo . .. ». 3

Sulla nascita e la vita di Orfeo vi sono molte discordan­ ze, ma è anche vero che alcune "figure" hanno la capacità di camminare in mezzo agli uomini, di ancorare verità eterne, istituire organismi sacri e scomparire come nel nulla, lasciando dietro di sé solo il mistero. In altri termini, si vuole dire che vi sono grandi Esseri che non hanno storia personale. Una Storia della filosofia antica , voi. I, op. cit. I Presocr atici . Testimonianze e frammenti, voi. I. Laterza , Bari. 3 lbid. voi. II. 1

2

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cosa comunque è certa: con Orfeo, e l'Orfismo, l'emisfero occidentale s'impossessa dei tradizionali Grandi e Piccoli Misteri, Misteri che nel tempo-spazio subiscono adattamenti e anche sovrapposizioni teologiche; gli stessi Misteri cristiani presentano precise concordanze con quelli orfici. 1 Due "miti-simboli" sono legati alla persona di Orfeo: quello della sua morte avvenuta per opera delle Bassàridi, le quali riducono il suo corpo a brani, e quello della discesa agli inferi (katdbasis) che egli compie per riportare in vita la sposa Euridice. Il primo trova riscontro nella morte di Dioniso-Zagreo, fanciullo divino, figlio di Zeus e Persefone, sbranato dai Titani, ma che Zeus richiama in vita. Dalle ceneri dei Tita­ ni, fulminati da Zeus, nasce l'umanità, che così porta in sé l'essenza divina assorbita da Dioniso-Zagreo e il tellurico elemento titanico. Quindi Dioniso muore, viene risuscitato, innalzato al Cie­ lo e gli viene dato il potere di liberare l'uomo dall'elemento titanico (si veda Plutarco, Diodoro, ecc.). Dioniso viene an­ che identificato con Fanete e questo, a sua volta, con Zeus. Fanete (Cl>cxv11ç), ermafrodito, nasce dall'Uovo cosmico, la cui parte superiore diventa il Cielo, l'inferiore la Terra. L'identificazione di Fanete con Zeus viene rappresentata dall'inghiottimento di Fanete da parte di Zeus (siamo a li­ vello di simboli). Tale "mito", come tutti i "miti", non rappresenta una semplice fantasticheria, ma un fatto, un evento, che dev'es­ sere attualizzato dall'iniziando. Il "mito" contiene dunque il simbolo e la produzione di un' esperienza perché esso è catartico; se non diventa tale 1

Cfr. V . Macchioro , Orfismo e Paolinismo. Edizioni Bastog i , Foggia.

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rde la sua funzione. Il Mistero dionisico, e quindi quello �� O rfeo, è un fatto , non una teoria, è una precisa esperien­ a c h e dev ' essere attuata, ma non è un'esperienza empirica � del piano del sensibile. Anch e nel Cristianesimo abbiamo che Gesù muore, vie­ n e risuscitato, innalzato al Cielo e gli viene dato il potere di redenzione. Ora, la passione di Gesù: morte-rinascita, ascesa è un fatto , più che una teoria, che dev'essere vissuto, speri­ mentato, realizzato dal neofita cristiano, se vuole veramente 1 seguire e inc arnare Gesù. Orfeo istituisce i Misteri, muore (sbranato come Dioni­ so), risuscita e detiene il potere di redenzione-liberazione. Dioniso-Zagreo non è un semplice evento storico, ma sovra­ storico; è un fatto sempre presente, attuale; è un processo che, se ben condotto, produce reali effetti. Da ciò si deduce che l'esperienza mistica del "mito" comporta una morte (per quanto riguarda l'elemento titanico), una rinascita (all'ele.. mento dionisico) e quindi un'identità col Dio. Solo così si è rigenerati in Dioniso, come il Cristiano potrebbe dire che si è rigenerato in Cristo. Ma, di contro, è anche vero che si può creare l'identi­ tà con l' elemento titanico (anche se non in termini di asso­ lutezza), per cui si è degli enti titanici e satanici, potendo disseminare rovine senza limiti. È per ricondurre l'uomo al Divino, è per riportare l'uo­ mo al suo vero e beatifico ovile che la Tradizione iniziati­ ca, di cui quella orfica è un legittimo Ramo, ci soccorre col su o I nsegnamento. 1 •

�1

Cfr. " L ' iniziazione ai Misteri dell' Amore" nel capitolo "Bhaktiyoga"

Ess enza e scopo dello Yoga di Raphael. Associazione Ecoculturale

annenides, Roma.

3 Orfìsmo

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In termini metafisici, il "mito" di Dioniso rappresenta lo "smembramento" dell'Uno nei molti.' L'Unità principiale si differenzia, l'Albero della Vita si polarizza nell'Albero del Bene e del Male (dualità o diade pitagorica e platonica). Questo simbolismo, comunque, è universale: così in Egitto, per esempio, si ha la morte di Osiride per sbranamento. Il secondo simbolismo che si attribuisce a Orfeo è di ordine prettamente iniziatico, pratico. La "discesa agli in­ feri" risponde all'opera nigredo dell'Alchimia; 2 anche Gesù discende agli inferi come vi devono discendere tutti coloro che desiderano la Realizzazione. Solo così il Fuoco solare può splendere nella nostra coscienza purificata, rettificata e rappacificata. Sono, dunque, due simboli -. l'uno universale, l'altro di ordine pratico operativo individuale - che fanno parte dell'Insegnamento tradizionale. Si veda il capitolo "L'ascesi orfica" a pag. 85.

1

Cfr. L"'Inno al Puru,m" nel � g Veda X, 90. Per la "discesa agli inferi" cfr. "Fuoco di Vita" in la Triplice Via del Fuoco , op. cit. 2

INNOVAZIONI DELL'ORFISMO

Già in alcuni· scritti del grande poeta lirico greco Pin­ daro compare una visione del mondo e dello stesso destino dell ' uomo che è sconosciuta ai Greci e che può ritenersi senz' altro stra ordinaria; tale visione ha in sé un aspetto do­ minante tale da capovolgere la concezione culturale e quella dello stesso ordinamento sociale greco del tempo. Fino ad allora, come si è visto, l'uomo è ritenuto mortale e solo con un atto eroico, olimpico, come ad esempio in guerra, può conquistare l'immortalità e sedersi sullo scranno degli dèi. L'immortalità dunque non è offerta a tutti, ma a quei pochi che, sotto la spinta di atti eroici, possono valicare l'abisso della caducità della carne. Con la nuova visione metafisica orfica, l'uomo è rite­ nuto composto di una parte immortale (Anima) che provie­ ne dal divino e di una parte mortale (corpo) che proviene dall'elemento titanico. Quest'Anima immortale può ritrovare se stessa quando il corpo dorme, è quiescente in meditazione­ contemplazione o quando esso muore. Allorché i vincoli che legano l' Anima al corpo sono allentati, v'è maggiore consa­ pevolezza della propria natura immortale e divina. La liberazione dal caduco mortale - vale a dire il do­ no dato all'uomo che essenzialmente era solo connaturato agli dèi e, in via eccezionale, a determinati uomini capaci di eroismo - diventa adesso accessibile virtualmente a tutti e fa ttivamente a quanti, in via di risveglio, dietro opportune st imolazioni (iniziazioni) possono prendere concreta consa­ pev olezza della propria origine divina . Questa concezione _ ri v oluzionaria, almeno per la Grecia del tempo, porta l'uomo

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a dignità divina, lo innalza , da relativo elemento tellurico, alla grandezza di un Dio . Di qui la nascita dei Sacri Miste­ ri ; i quali sostengono l ' identità dell ' Anima umana (la parte dionisica) con la natura divina , la liberazione di tale Anima dal ciclo delle rinascite e la Pienezza finale dell ' essere . In altri termini , l ' Orfismo conduce il Divino nell ' uomo al Divino trascendente: e questo è il compito della vera Tra­ 1 dizione misterica universale . Riportiamo alcuni brani di Pindaro , Senofonte e Aristotele ove sono esposti questi concetti : «E il corpo di tutti soccombe alla morte potente . Ma viva ancora un' immagine rimane di vita, ché sola dagli dèi viene; e dorme , mentre operano le membra; ma dimostra nei sogni ai dormienti sovente il giudizio, che avanza, di gioie e di pene» .2 «Io per mio conto , o figlioli, non sono mai riuscito a per­ suadermi di questo: che l ' anima, finché si trova in un corpo mortale , viva; quando se ne è liberata, muoia. Vedo infatti che l ' anima rende vivi i corpi mortali per tutto il tempo in cui vi risiede . E neppure mi sono mai persuaso che l ' anima sarà insensibile una volta separata dal corpo, il quale è insensibile . Anzi , quando lo spirito sarà separato dal corpo , allora, che è sciolto da ogni mescolanza e puro , è logicamente sensibile più di prima. Allorché il corpo dell' uomo si dissolve , si vedono le singole parti raggiungere gli elementi della loro stessa natura, ma non l ' anima: essa sola, presente o assente , sfugge alla vi­ sta. Osservate poi , proseguì , che nessuno degli stati umani è Si veda Porfirio, Vita di Plotino 2,25. Pindaro, Odi e Frammenti, Jr . 60. Traduzione di Leone Traverso , Sansoni, Firenze. 1

2

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pi ù vicino alla morte del s_onno: e l'anima uman� �llora me­ glio che mai rivela co� chiarezza la ��a ��tura divi_na_, allor� senza dubbio prevede il futuro perche e pm che mai hbera». « . . . la nozione degli dèi ha negli uomini una duplice origine, da ciò che accade nell'anima e dai fenomeni celesti. Più pre­ cisamente, da ciò che accade nell'anima in virtù dell'ispira­ zione e del potere profetico, propri di essa, che si producono nel sonno. Quando, infatti, nel sonno l'anima si raccoglie in se stessa , allora essa , assumendo la sua vera e propria natu­ ra , profetizza e presagisce il futuro. Tale è essa allorché, nel momento della morte, si separa dal corpo. E quindi approva il poeta Omero per aver osservato questo: rappresentò infatti Patroclo che, nel momento di essere ucciso, presagì l'uccisione di Ettore, e Ettore che presagì la fine di Achille. Da fatti di questo genere, egli dice, gli uomini sospettarono che esistesse qualcosa di divino, che è in sé simile all'anima e più di tutte 2 le altre cose è oggetto di scienza».

È una visione che, come si è già notato, inserisce nel­ la civiltà europea un'interpretazione apparentemente nuova dell'esistenza umana. Si scrive "apparentemente" perché in effetti l'Insegnamento iniziatico è sovrastorico, quindi fuori del tempo. Anche Platone si esprime in termini simili in questo passo del Cratilo: «Difatti alcuni dicono che il corpo è tomba [sema] dell'anima, quasi che essa vi sia presentemente sepolta: e poiché d'altro canto con esso l'anima esprime tutto ciò che esprime [semai­ nei] , anche per questo è stato chiamato giustamente "segno" [sema] . Tuttavia mi sembra che siano stati soprattutto i segua1

Senofonte , Ciropedia VIII, 7 , 2 1 , in Anabasi e Ciropedia . Tradu• z ione di Carlo Carena. Einaudi, Torino. 2 Aristotele, Sulla filosofia , Jr. 12 a. Opere, voi. IV. Laterza , Bari.

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ci di Orfeo ad aver stabilito questo nome, quasi che l'anima espii le colpe che appunto deve espiare, e abbia intorno a sé, per essere custodita [sozetai], questo recinto, sembianza di una prigione. Tale carcere dunque, come dice il suo nome, è custodia [soma] dell'anima, sinché essa non abbia finito di pagare i suoi debiti, e non c'è nulla da cambiare, neppure 1 una sola lettera» .

Il fatto che gli Orfici facciano derivare l'Anima dal Di­ vino risulta anche dalle iscrizioni delle Laminette auree tro­ vate nelle tombe. In quella di Turi si legge: «Vengo pura dai puri, o degli inferi Regina, o Eukles ed Eubuleo e voi altri dèi immortali; ché anch'io mi glorio d'essere della vostra stirpe divina; ma mi abbatté la Moira e la folgore scagliata dagli astri. Volai via dal ciclo doloroso e arduo, la bramata corona raggiunsi con piedi veloci e in grembo alla Regina, signora degli inferi, discesi. "Te beato e felice, che d'uomo sarai un dio". 2 Capretto cadesti nel latte».

L'affermazione che l'Anima è di ordine sovrasensibile si trova in altre Laminette come quelle di Petelia e Farsalo: «Io sono figlia di Terra e di Cielo stellato» .

3

Questa visione del percorso dell'ente nel post mortem rivoluziona la corrente culturale del tempo fino a rovesciare la concezione di vita come afferma Euripide in un significativo passo: Platone , Cratilo 400 c. Laminetta di Turi, 1 (IV-III sec. a. C.). 3 Laminetta di Farsalo e Petelia (IV sec. a. C.). 1

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«Chi sa se il vivere non sia morire e il morire invece vivere?».'

E Platone, nel Gorgia (492 e), fa comprendere l' aspetto v eram en te rivoluzionario di questo messaggio: difatti esso è tale da fo rmulare una nuova impostazione di tutta l' esistenza e, in particolare, una mortificazione del corpo, di tutto ciò che a esso appartiene e un vivere in conformità dell' Anima e di ciò che è dell'Anima. In altre Laminette auree ritrovate nelle tombe degli affiliati orfici si afferma la natura divina del morto orfico che ormai ha superato il ciclo delle rinascite e in esse si danno indicazioni sull' itinerario che l' Anima deve percorrere nell' oltretomba. Ciò implica che l' Orfismo, al pari della Tradizione egiziana e tibetana,2 possiede un "libro dei morti", ovvero una conoscenza che riguarda l' oltretomba, ma ciò non deve stupire se si tiene conto che esso, come si è accennato, appartiene pur sempre ali 'unica Tradizione misterica universale. «L' influenza certamente grande esercitata dall' Orfismo sull'evoluzione della vita spirituale greca in genere e della filo­ sofia in particolare deriva da questa accentuata interiorizzazione de ll'esperienza religiosa. Pitagora e Platone trassero dall'Or­ fismo la loro concezione del corpo come "carcere" o "tomba" dell'anima e della metempsicosi come necessario travaglio premesso alla liberazione finale dal ciclo delle nascite e delle morti. Il dualismo anima-corpo è il risultato della razionaliz­ zazione dell' antitesi mitica fra componente dionisica e com­ ponente titanica dell'uomo. Così, entrarono nella cultura greca 1

Euri pide, Polydos , fr . 63 8 . Euripide in Eracle 6 1 3 e in Ciclope 646 ,648 , afferma che ha avuto il privilegio di vedere i riti magici degl i ini­ zi ati . Ciò implica che Euripide è stato, a sua volta, un iniziato ai M isteri orfici . 2

Per un approfondimento cfr. i l capitolo " Post mortem e Bardo Th otrol" in Di là dal dubbio di Raphae l . Collezione Vidya.

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attraverso l'Orfismo l' idea di un "peccato originale", quella di una vita oltre la morte ben diversa dalla mera sopravvivenza larvale della tradizione omerica, quella dell'identificazione con il dio come premio finale del giusto, quella della natura intrin­ 1 secamente corruttrice della corporeità» . E il Colli va ancora più oltre; egli scrive infatti: «Riguardo a Platone, poi, è possibile documentare, quando si avventura a descrivere l'esperienza conoscitiva delle Idee, l'uso di una terminologia eleusiana, cosicché si può suggerire l'ipotesi che la teoria della Idee, nel suo sorgere, fosse un tentativo di divulgazione letteraria dei Misteri eleusini, in cui l'accusa di empietà veniva prevenuta con l'evitare qualsiasi riferimento 2 ai contenuti mitici della Iniziazione» . E a tale proposito citiamo dei passi in cui Platone si esprime in linguaggio misterico: « Sino a questo grado nei Misteri d'Amore, Socrate, forse avresti potuto iniziarti da te. Ma nelle Dottrine perfette e con­ templative, alle quali, ove si proceda rettamente, quelle finora esposte servono di preparazione, non so se ne saresti capace... Giacché colui che sia stato educato fin qui alle cose amorose, contemplando a grado a grado e rettamente il Bello, pervenuto al termine della Via d'Amore, scorgerà d'improvviso una Bel­ lezza di sua natura stupenda, e precisamente quella, o Socrate, per la quale si eran durati tutti i travagli precedenti, quella che innanzitutto è eterna, che non diviene e non perisce, non cresce e non scema. .. Né per di più la Bellezza prenderà ai suoi occhi la forma come di volto o di mano o d' alcunché di corporeo, né di un discorso o di una scienza . . . ma gli apparirà 3 qual è in sé, uniforme, sempre a sé medesima... ». Dizionario di filosofia. Rizzoli Editore, Milano. La sapienza greca, op. cit. 3 Convito 209 e - 2 l l c. Platone , Tutte le opere . Traduzione di E. Martini. Sansoni, Firenze. 1

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«Ma la Bellezza brillava allora intera ai nostri occhi, quando insieme col coro dei beati, seguendo noi Zeus, altri un altro Iddio, godevamo di una vista e d'uno spettacolo beatificante, e ci iniziavamo alla più beata, è ben lecito dirlo, delle Inizia­ zioni che celebcavamo, allorché perfetti e immuni dai mali che ci attendevano nell'avvenire, iniziati ai più profondi misteri, godevamo di quelle visioni perfette, semplici, calme, felici, in una luce pura, puri noi stessi e non sepolti in questa tomba, che chiamiamo corpo e che trasciniamo con noi, imprigionati 1 in esso, come ostriche nel proprio guscio».

Platone, in queste poche righe, ci fa comprendere: a) La conoscenza suprema non è frutto di discorsività mentale indiretta (6tavotcx), ma di apprendimento di­ retto noetico (v611cnç). Ciò implica che la filosofia di Platone non è semplice sofistica filosofica (come in seguito, e in gran parte, è divenuta per opera di filo� sofi dianoetici), ma metodo per condurre alla n6esi. b) È a conoscenza di riti misterici; ne consegue che ha avuto l'Iniziazione e che questa si è attualizzata pie­ namente se menziona: "visioni perfette" e altre frasi che rispondono a ciò che il Vediinta chiama samiidhi. c) Che le parole, tomba, carcere, ecc., in riferimento al corpo fisico sono esclusive della visione orfica. d) Che la descrizione del Bello e dell'Iniziazione al Bel­ lo ci fa intuire che egli sia stato iniziato al Bello e abbia visto il Bello. E ancora G. Colli: « . . . in Aristotele, che non è certo il più mistico tra i filosofi, la cosa viene ribadita, e in termini 1

Fedro 250 b-c. /bid.

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del tutto espliciti; leggiamo in un suo frammento che la co­ noscenza noetica va riportata alla visione eleusina: " . .. ciò che appartiene ali'insegnamento e ciò che appartiene all'iniziazione. La prima cosa invero giunge agli uomini at­ traverso l'udito, la seconda invece quando la capacità intuiti­ va subisce la folgorazione: il che appunto fu chiamato anche misterico e simile alle Iniziazioni di Eleusi . Infatti l'esperienza sacra non è un dominio della conoscenza o un procedere della mente . . . gli iniziati debbono non appren­ dere [µa0€'ìv] ma patire [na0€'ìv] e mettersi in una determi­ nata disposizione, evidentemente in quanto già predisposti" . 1 "E l'intuizione dell'intuibile e del non mescolato e del santo, la quale lampeggia attraverso l 'anima come un fulmine, permise in un certo tempo di toccare e di contemplare, per una volta sola. Perciò sia Platone sia Aristotele chiamano questa parte della filosofia l'Iniziazione suprema [ epoptéia], in quanto co­ loro.. . che hanno toccato direttamente la verità pura, riguardo a quell'oggetto, ritengono di possedere il termine ultimo della 2 filosofia, come in un'Iniziazione" .

Lasciando una prospettiva così universale - continua il Colli - faccio qui notare come l'esistenza storica di un ver­ tice contemplativo quale fu l'evento eleusino presuppone uno sfondo religioso che l'abbia reso possibile. Ora è appunto Dioniso il Dio che sta alle spalle di Eleusi, che a Eleusi vie­ ne celebrato, che a Eleusi manifesta la sua potenza». 3 Anzi si sostiene che Dioniso non solo rappresenta il Sal­ vatore degli uomini, ma è il fondatore dei Misteri. Scrive infatti il Macchioro: «Dioniso non solo fu la divi­ nità per mezzo della quale il Mistero opera la sua redenzione Aristotele, Sulla filosofia, jr. 15. Aristotele, Eudemo, Jr . I O. 3 La sapienza greca, op. cit. (Il corsivo è nostro). 1

2

Innovazioni dell 'Orfismo

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ide ntifica ndo l'uomo a Dio, ma diventò addirittura l'istitutore de i M isteri, il donatore di questo unico mezzo di redenzione. Nelle Baccanti di Euripide, Dioniso dice di aver istituito i M isteri per rivelarsi quale Dio agli uomini; egualmente at­ tribuiscono la creazione dei Misteri a Dioniso: Diodoro (III, 6 4 , 7), Megastene (38, 22), Strabone (X, 3, 1 0), gli scolia­ sti di Omero (Schol. /l,VI, 1 3 1 ), Aristofane (Schol. Ar. Ran. 3 4 3) , Apollonia Rodio (Schol. Ap. Rh . II, 904) ... Questa tradizione che attribuiva a Dioniso la creazione dei Misteri acquista una grandiosità particolare nell'enorme poema di Nonno che, attraverso innumerevoli digressioni e narrazioni, in realtà è tutta una glorificazione di Dioniso co­ me istitutore dei M isteri... Non si capirà mai il processo religioso dell'Orfismo se non si ha ben chiaro questo pensiero fondamentale che per gli Orfici la Religione (misterica) cominciava con Dioniso, che con lui era entrata la salvezza nel mondo, e con lui l'uomo aveva trovato la via di riconciliarsi con Dio». 1 E Orfeo rappresenta colui che àncora in terra il Decreto misterico di Dioniso, e colui che percorre la via di Dioniso fino a creare l'identità con Dioniso. « Beato chi riceve la grazia di entrare nei divini Misteri: santifica la vita, consacra l'anima nel tiàso 2 e pio si purifica. . . ».

1

2

Orfismo e Paolinismo, op. cit. Euripide, Baccanti 72-77. Traduzione di U. Albini. Garzanti, Milano.

LA TRASMIGRAZIONE

Non vi è dubbio che la concezione della trasmigrazione delle Anime, o di quella parte dell'Anima "caduta" e "co­ stretta" dalla forza titanica, la si deve ancora all'Orfismo. Lo stesso Zeller scrive: «... in ogni modo è sicuro che, fra i Greci, la dottrina della trasmigrazione delle Anime non è venuta dai filosofi ai sacerdoti, ma dai sacerdoti ai filosofi».' Secondo il Reale: «... è da rilevare quanto segue: a) Pin­ daro conosce questa credenza e non si può dimostrare che egli l'abbia derivata dai Pitagorici e non dagli Orfici; b) le antiche fonti, inoltre, quando parlano della trasmigrazione, la riferiscono come dottrina rivelata da "antichi teologi" e "sacerdoti", oppure usano espressioni con le quali solitamente alludono gli Orfici; e) in un passo del Cratilo , Platone men­ ziona espressamente gli Orfici, attribuendo loro la dottrina del corpo come luogo di espiazione della colpa originaria dell'anima, ciò presuppone strutturalmente la metempsicosi, e anche Aristotele riferisce espressamente agli Orfici dottrine che la implicano; d) alcune fonti antiche fanno chiaramente dipendere Pitagora da Orfeo e non viceversa». 2 Ecco i frammenti di Pindaro: «Da quanti Persefone accoglie riscatto d'antica pena, di quelli ridona al sole che splende nell'alto le anime, volti nove anni. Zeller-Mondolfo, La filosofia dei Greci nel suo sviluppo storico, l, I . La Nuova Italia. Firenze . 2 Storia della filosofia antica , voi . I, op . cit. 1

4 Orfismo

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Mirabili ne sorgono monarchi, e uomini di rapida forza, e sublimi in saggezza; e li chiamano gli altri mortali • • , • • I santi er01 per I tempi ventun». «Come dei morti qui le anime ree subito scontano le pene, e alcuno scruta sotterra le colpe commesse in questo dominio di Giove dettando im­ placabile bando , e in sempre eguali notti e giorni eguali il sole rallegra la vita dei giusti libera d'ogni travaglio; né squassano la terra col vigore del braccio né la distesa marina per misero cibo, ma fra dèi venerati quanti serbarono lieti la fede traggono senza lacrime il tempo; e durano tormenti, i malvagi, tremendi. Ma chi poté scampare, dimorando tre volte nell'uno e l'altro regno, l'anima da iniquità, compie il cammino di Giove verso la torre di Crono. Ivi intorno all'isola dei Beati spirano dall'Oceano soffi 2 e d'oro fiammeggiano fiori... ».

Per quanto riguarda il pitagorico Filolao, ecco quanto scrive Clemente Alessandrino: 1

2

Pindaro, Jr. 68. Odi e Frammenti, op. cit. Pindaro, Olimpiche 56- 72. Jbid.

la trasmigrazione

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« Val la pena di ricordare il detto di Filolao . Il pitagorico dice così . "Anche gli antichi teologi e gli antichi vati testimoniano che per espiare qualche colpa l ' anima è unita al corpo e in questo come sepolta"» }

Platone, nel Menone , riportando il frammento 1 27 di Pindaro scrive: «Lo dice anche Pindaro, e molti altri poeti che hanno divina ispirazione . E le cose che essi dicono sono queste . . . Afferma­ no che l ' anima dell 'uomo è immortale , e che talora termina la vita terrena - ciò che si chiama morte - e talora di nuovo rinasce, ma che non perisce mai: per queste ragioni , bisogna vivere la vita nel modo più santo possibile» .2

In altri passi Platone, riferendosi alla dottrina orfica, usa spesso le seguenti espressioni: "i discorsi antichi", "le tradi­ zioni antiche", "discorsi antichi e sacri" . Anche Aristotele allude ai "teologi" e agli "antichi" : «Vi sono alcuni , poi , i quali credono che anche gli antichissi­ mi teologi di molto anteriori a questa generazione . . . E i poeti antichi la pensano in modo simile» . 3 «Chi di noi dunque , guardando a tutto ciò, potrebbe pensare di essere felice e beato? Noi che non appena veniamo alla lu­ ce a opera della natura , come dicono coloro che pronunciano le formule misteriche, siamo destinati all 'espiazione? Questo infatti divinamente dicono i più antichi, e cioè che l ' anima paga una pena e che noi viviamo per espiare grandi peccati . Infatti l ' unione dell'anima con il corpo assomiglia senz'altro 1 Clemente Alessandrino, Stromata III, 1 7 [Il , 203 , 1 ]. Da I preso­ cratici, voi. I, op. cit . (Il corsivo è nostro). 2 Platone , Menone 8 1 b-c. Tutti gli scritti. Bompiani, Milano. 3 Aristotele , Metafisica 983b 27 ; 109 1 b 4 .

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a qualcosa di tal genere; come infatti gli Etruschi, a quel che dicono, spesso torturano i prigionieri, legando faccia a faccia cadaveri con persone vive, facendo esattamente combaciare di fronte ciascuna parte dell'uno con ciascuna parte dell' altro, così sembra che l' anima sia disposta e saldata rispetto a tutte le parti sensibili del corpo» . 1

In riferimento alla dipendenza di Pitagora da Orfeo citiamo questo passo di Diogene Laerzio: «Ione di Chio nei Triagmi attesta che Pitagora attribuì ad Or­ feo alcune sue opere» .

2

Scrive ancora il Reale: «La trasmigrazione ha fonda­ mentalmente un significato morale, il quale è molto ben ri­ levato già da Platone, oltre che in pagine del Fedone a tutti note, in due passi delle Leggi (IX, 870 d-e; 872 e; 873 a) che conviene riportare: "Questo sia detto come preludio alla trattazione di questa ma­ teria, e si aggiunga a questo la Tradizione, alla quale, quando ne sentono parlare, molti di coloro, che nelle iniziazioni ai Misteri s'interessano di queste cose, prestano molta fede, che, cioè, nell' Ade vi è una punizione per tali misfatti, e che gli autori di essi, tornati qui di nuovo, devono necessariamente pagare la pena naturale, quella, cioè, di patire ciò che hanno fatto, terminando in tal modo per mano d ' altri la novella vita . Quel mito dunque, o Tradizione, o comunque si debba chia­ mare, chiaramente dice, come ci è tramandato da antichi sacerdoti, che la vigile giustizia, vendicatrice del sangue di congiunti, segue la legge dianzi riferita; ed ha quindi sta­ bilito che chi commette un delitto di questo genere, deve necessariamente patire quello stesso che ha fatto: se uccide il padre, deve sopportare che Io stesso trattamento gli sia un 1

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Aristotele, Protrettico, fr. 1 0b. Opere , op. cit. Diogene Laerzio, Vite dei filosofi VIII , 8, voi. II. Laterza, Bari.

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giorno violentemente inflitto per opera dei figli; e se la ma­ dre, egli deve necessariamente rinascere di sesso femminile, e lasciare più tardi la vita per opera dei figli: giacché non v'è altra espiazione del comun sangue delittuosamente versato: né la macch.ia può essere lavata senza che l'anima colpevole abbia pagato l'uccisione, il simile col simile, ed abbia placato lo sdegno di tutta la parentela" .

Fra gli studiosi moderni, meglio di tutti chiarisce il si­ gnificato di questi passi il Dodds/ nel modo seguente: "Il castigo d'oltretomba però non riusciva a spiegare perché gli dèi accettino l'esistenza del dolore umano, e in particolare quello immeritato degli innocenti. La reincarnazione invece lo spiega: per essa non esistono anime innocenti, tutti scon­ tano, in vari gradi, colpe di varia gravità, commesse nelle vite anteriori. E tutta questa somma di sofferenze, in questo mondo e nell'altro, è solo una parte della lunga educazione dell'anima, che troverà il suo ultimo termine nella liberazio­ ne dal ciclo delle rinascite e nel ritorno dell'anima alla sua origine divina"». 2 Occorre precisare che queste pene e questi dolori in­ flitti al soggetto trasmigrante, non vengono dati da un Dio cinico e crudele; né, peggio ancora, devono intendersi come atto vendicativo di una qualunque Divinità sovraindividuale. Non è questa la legge del "taglione", come qualcuno po­ trebbe pensare; la grande Vita non punisce né premia alcuno, ci si punisce da sé come ci si premia da sé secondo il tipo di azione, mentale o fisica, che si produce. In altri termini, secondo il detto evangelico: "si raccoglie ciò che si semina".-' E. Dodds , / Greci e l 'irrazionale . La Nuova Ital ia Editrice , Firenze . Storia della filosofia antica , voi . 1 , op. cit . -' Cfr. Matteo 1 3 , 1 -23; Marco 4 , 1 -20; Luca 8 , 4- 1 5 . Anche Osea 8 , 7 e S . Paolo , Lettera ai Calati 6 , 7-8 . 1

2

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Quella dell'azione-reazione è una legge naturale, come qualsiasi altra legge sul piano della manifestazione. Se si osa mettere una mano nel fuoco, ovviamente ci si brucia e si sente dolore, ma questo evento doloroso non viene inflitto da un Dio capriccioso, bensì dall'ignoranza di una legge di fisica. L'universo è governato da leggi e l'in­ frazione della legge provoca necessariamente una risposta. 1 Anche il più umile innocente, ignorando il funziona­ mento di una legge, può incorrere in grossi travagli e in gravi conflitti. Qualcuno potrebbe avere difficoltà ad afferrare questo concetto, si potrebbe dire scientifico, perché è abituato a concepire la Divinità in termini paternalistici, opportunistici, sentimentali, personali e persino capricciosi, Divinità pron­ ta a puntare il dito quando a condannare e punire, quando a premiare e gratificare. Comunque, la legge di azione-re­ azione non è assoluta, come d'altra parte tutte le leggi del divenire, perché può essere neutralizzata con un'altra legge la cui espressione dovrà dimostrarsi uguale e contraria. Co­ sì l'odio va neutralizzato con l'amore, l'ignoranza con la conoscenza, la violenza con la comprensione e l'innocuità, ecc. Se si crede che al Santo non debba succedere niente di negativo, doloroso o conflittuale solo perché è un Santo, ci si sbaglia. Si farebbe bene a dirgli, ad esempio, e se ce ne fosse bisogno, di non toccare i fili elettrici dell'alta tensio­ ne perché rimarrebbe fulminato, a meno che non conoscesse una legge la cui applicazione potrebbe neutralizzare la forte carica dell'alta tensione. Cfr. Il capitolo "Karma o legge di causa-effetto" in Il Sentiero della Non-dualità di Raphael. Collezione Vidyii . Anche Karma in "Note conclu­ sive" alle Upani�ad a cura di Raphael. "Testi a fronte" Bompiani, Milano. 1

La trasmigrazione

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In questa legge, dunque, non c'è niente di strano o im­ proprio; se la manifestazione, a livello fisico, sottile o nel­ l ' ordine etico (H0tK11) , non fosse governata da leggi, dalla Norma, non avremmo la scienza e la filosofia, non avremmo la matematica e· la geometria, né un' etica equanime e inva­ riabile, bensì avremmo il disordine, il capriccio del caso, l' imprevedibilità, l'individualismo integrale e lo stesso caos. «Come l'uccello, i saggi guardano verso l'alto: sembra loro di involarsi fuori del corpo verso una distesa regione luminosa, che dona alla loro anima un rapido slancio, lungi dalle cose mortali. E la filosofia serve loro di preparazione alla morte. Essi considerano la fine della vita come un bene importante e più che perfetto perché credono che solo allora l'anima potrà vivere la sua reale vita, mentre al presente essa sonnecchia e non riporta che delle impressioni simili a quelle che si ri­ 1 cavan dai sogni».

Plutarco , Non si può vivere felici seguendo Epicuro. Tratto da Plutarco, op. c i t . 1

IL FINE ULTIMO DELL ' ANIMA

Se, come si è visto, l' Anima è "caduta" sul piano della generazione, se il corpo rappresenta un limite, una prigio­ ne sì da spezzarle le ali, se il mondo delle esperienze duali non è altro che luogo di espiazione (karma, per il Vedanta), allora finalità dell' Anima dev' essere quella di riprendersi la sua libertà e la sua pienezza. Se nella Grecia di Omero l' immortalità e il premio­ castigo sono riservati a pochissime persone che esprimono coraggio, passionalità e forza olimpica, con l'Orfismo ognu­ no può ritrovare la propria immortalità, e tutti sono soggetti a premi o a castighi secondo le proprie azioni. Ciò implica che gli enti hanno una precisa responsabilità etica: quella di tendere al superamento dell' elemento titanico di cui han­ no ereditato una parte. Dunque l' uomo, con l' Orfismo, ha un imperativo im­ mediato: vivere una vita conforme alla Legge universale o divina e, conseguentemente, ritrovare la propria origine sovrasensibile. L'una cosa è legata all' altra. Non v'è altro scopo sul piano della generazione, tutto il resto non è che attività contingente che serve a tenere in vita e a perpetuare l' elemento titanico. Ciò rivoluziona la visione etico-filosofica dei Greci e dell' Occidente perché a tutta l' umanità è data la responsa­ bilità del proprio destino. Nella concezione omerica i più non hanno storia, non hanno futuro perché non hanno presente; con la visione mi­ sterica dell' Orfismo l' uomo diventa un' Anima intelligibile, con una responsabilità ben precisa, con il dovere immediato di educarsi, conoscersi, essere.

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Orfismo e Tradizione iniziatica

Di ciò si fa interprete Pindaro: «Per essi rifulge la potenza del sole, mentre qui in basso è notte; presso la città è la loro sede, nelle praterie dalle rose rosse, di ombrose piante d'incenso < . ..> ed è carica dai frutti d'oro; e gli uni si rallegrano con le cavalle e gli esercizi del corpo, altri con gli scacchi, altri con il suono della cetra, e fra essi prospera in pieno fiore l'abbondanza: un profumo amabile si diffonde su quella terra, mentre portano sempre nel fuoco che si scorge da lontano offerte d'ogni sorta sugli altari degli dèi». 1

Nella Laminetta rinvenuta a Petelia si dice che l'Anima si troverà con gli altri eroi. In una delle Laminette di Tu­ ri si afferma che l'Anima purificata, così come in origine era simile agli dèi, adesso sarà Dio e non un ente mortale. Ancora in questa Laminetta di Turi si sostiene che da ente umano si rinascerà Dio: «Ma quando l'Anima abbandona la luce del sole segua la via destra . . . Rallegrati, tu che hai patito la passione . . . che mai prima pro­ vasti. Da uomo sei nato Dio: capretto cadesti nel latte. Rallegrati, rallegrati, prendendo la strada a destra verso i sacri prati e i boschi di Persefone» . 2

In riferimento alla frase "capretto cadesti nel latte" ri­ portiamo alcune considerazioni del Turchi che inquadra tale espressione nel contesto iniziatico dell'Orfismo. « Questa frase significa non il ritorno dell'anima (il ca­ pretto) nella Via Lattea, cioè nel cielo (Dieterich) ; non un rito d'immersione dell'iniziato in un bagno di latte (S. Reinach) e 1 2

Pindaro , Jr . 129 Snell.

Laminetta di Turi, 4 (IV-Ili sec. a.C.).

Il fine ultimo del 'Anima

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nemmeno una semplice locuzione proverbiale nel senso che l'iniziato sia puro come un capretto lattante (Comparetti). Ma significa, conforme al meccanismo mistico dell'iniziazione, che l'iniziato assimilandosi al divino capretto che è Dioniso (il quale è di fatto appellato eptq>oç nei cosiddetti inni orfi­ ci) è diventato un Dioniso anche lui; e che si è immerso nel latte, cibo del capretto, nato di fresco, in quanto anche l'Or­ fico, attraverso l'iniziazione si è tuffato in una vita nuova e divina, fatta di quella purità di cui il candido latte, alimento di neonati e alimento di vegetariani, doveva essere presso gli Orfici l'espressione più ovvia e conveniente. Essa equivale a quest'altra: "lo nuovo Dioniso, ho raggiunto la vita divina". Il che è confermato dal fatto che la frase viene subito dopo l'affermazione recisa: da uomo sei diventato Dio, quasi fosse l'espressione trasparente della trasumanazione nel dio, 1 del suo indiarsi attraverso l'iniziazione mistica». "Da uomo sei nato Dio" perché, in fondo, promani dal divino; invero, per la Grecia di allora, questa è la più scon­ volgente novità che il nuovo Insegnamento misterico porta. Come uscire dal ciclo delle rinascite? «Troverai a sinistra delle case di Ade una fonte, e ritto accanto ad essa un bianco cipresso: a questa fonte tu non t'avvicinare. Un'altra ne troverai, fresca linfa scorrente dal lago di Mnemosine: guardiani le stanno dinanzi. Tu dirai: "io son figlia di Terra e di Cielo stellato, e celeste è la mia stirpe: ciò sapete anche voi. Di sete ardo e mi consumo: or datemi tosto della fresca acqua che scorre dal lago di Mnemosine".

N. Turchi, Le religioni misteriosofiche del mondo antico. I Dio­ scuri, Genova. 1

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Orfismo e Tradizione iniziatica

Essi ti lasceranno bere alla divina fonte, 1 e tu allora regnerai in seguito con gli altri eroi» .

«Quella sete che consuma l'anima - scrive ancora il Turchi - non è l'arsura materiale . . . ma è la sete della beata immortalità che si attinge alla fonte di Mnemosine, unico possibile refrigerio per chi sa di essere figlio del cielo stel­ lato. E l'anelito a ricongiungersi al divino da cui è uscita e l'accoramento, quasi, con cui implora l'acqua rinfrescante di immortalità, sono una prova efficacissima dell'elevazio­ ne mistica a cui l'Orfismo poteva sollevare i suoi fedeli» . 2 Scrive il Colli: «Se si beve dalla corrente dell'oblio, si dimentica tutto ma si rinasce a una nuova vita, cioè la sete è solo ingannata, e l'arsura non tarda a ripresentarsi in una nuova individuazione. Ma se si beve' dalla fonte di Mnemo­ sine, come testimoniano queste Laminette, la memoria fa re­ cuperare la conoscenza del passato e dell'immutabile, l'uomo riconosce la sua origine divina e si identifica in Dioniso e l'arsura non viene spenta ma dissetata da una gelida, divina, prorompente conoscenza. La vita non viene negata e neppure sostituita da un'altra arsura, ma travolta da una vita diversa, 3 dalla vita dionisica». L'oblìo-À.iJ811 si riferisce alla condizione di ignoranza dopo la caduta dell'anima nel corpo, e l'assenza di oblìo (cxÀ iJ8eta. = verità) a quello stato in cui si è realizzata la Co­ noscenza. Platone riprende questo concetto dell'oblio, della rimem­ branza; in altri termini, del risveglio, per postulare la cono­ scenza a priori, o quella innata dell'Anima. 1

Laminetta di Petelia (IV sec. a. C . ) . L e religioni misteriosofiche del mondo antico, op. cit. 3 La sapienza greca, op. c i t . 2

li fine ultimo dell 'Anima

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E Proclo, riallacciandosi a Platone, evidenzia così queste due condizioni: «La filosofia imputa all'oblìo (ÀT]9TJ) e alla reminiscenza dei discorsi eterni (à{6tot Myot) la causa dell'allontanamento dagli 1 dèi e della conversione a loro».

Come si è dimostrato in Iniziazione alla Filosofia di Platone , anche il Vediinta segue questa visione metafisica. 2 Nella Bhagavadgitii (XVIII, 73), al termine del dialogo filo­ sofico realizzativo con Kr�i:ia, Arjuna afferma: « . . . ho ritro­ vato la mia memoria. . . ». Egli finalmente si è risvegliato dal lungo "sonno velante", ha ritrovato la sua memoria , offuscata dall'avidyii-ignoranza. Avidyii - più che ignoranza, accezione che si dà a questo termine - rappresenta quella condizione mediante cui si ha dimenticanza, oblìo, inscienza di sé in quanto Unità indivisa. Sarebbe la "rimembranza" platonica. Ciò dimostra che l'Orfismo è un Insegnamento tradi­ zionale e si inserisce in quel filo conduttore che lega i vari 3 Rami tradizionali.

1

Proclo, Filosofia Caldaica 5. Cfr. il capitolo "Platonismo e Vediinta" . 3 Per maggiori approfondimenti si vedano: Iniziazione alla Filosofia di Pla tone, op. cit.; Brahmasiltra di Biidariiyai:ia, a cura di Raphael, Associa­ zione Ecoculturale Parmenides , Roma; Upani�ad a cura di Raphael, op. cit. 2

TEOGONIA

5 Orfismo

Nella sua "Introduzione" agli Inni Orfici, Giuseppe Faggin fa notare che «a prescindere dalla teogonia di �siodo e da quelle attribuite a Museo, ad Acusilao, a Ferecide e a Epi­ monide, tre sono le teogonie orfiche: quella "antiquissima", di cui abbiamo la versione aristotelica-eudemea e la versio­ ne conservataci da Apollonio Rodio; la teogonia ·designata come "hieronymiana", perché esposta da un Hieronymus che si rifà al logografo Ellanico di Lesbo, e conservataci da Da­ mascio, da Apione e da Atenagora; e infine quella _cosiddetta "rapsodica" composta di un numero indeterminato di iepoì Myot distribuiti, in conformità al numero dei canti omeri­ ci, in ventiquattro rapsodie, di cui ci sono rimasti parecchi frammenti; essa ebbe, sin dai tempi di Siriano, una grande importanza per i Neoplatonici perché conteneva il mito di Dioniso-Zagreus, nel quale era facile ritrovare i simboli più affini alla loro metafisica e al loro misticismo». 1 «Orbene, in queste rapsodie orfiche della Tradizione, la teo­ logia seguente . .. è spiegata anche dai filosofi, i quali pongono Tempo in luogo dell' unico principio di tutte le cose, pongono Etere e Chaos in luogo dei due princìpi, riportano l ' Uovo in luogo di ciò che è il tutto e rappresentano questa prima tria­ de. E la seconda triade la costituiscono con l' Uovo creato e quello che porta in sé il Dio, o la tunica splendente oppure la nuvola, poiché da questi balza fuori Fanes ... La terza triade poi è formata da Metis (inteso come intuizione), da Erichepeo

1

Inni Orfici a cura di G. Faggin. Collezione Vidyii..

Orfismo e Tradizione iniziatica

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inteso come potenza e da Fanes stesso inteso come Padre . . . Tale in verità è la teologia orfica abituale». ' «Da principio si rivelò al Tempo l'Etere, creato dal Dio; e di qua e di là dall'Etere vi era Chaos; e Notte tenebrosa copriva tutte le cose e nascondeva quanto era sotto l'Etere . . . E Orfeo disse che la Terra era invisibile a causa delle Tenebre . . . dicen­ do che la Luce che aveva squarciato l'Etere era quell'essere . . . più alto di tutti, il cui nome lo stesso Orfeo, avendolo udito 2 dall'oracolo, rivelò come Metis, Fanes, Erichepeo». «Presso Orfeo si tramandano quattro regni: il primo è il regno di Urano, cui succedette Crono . . . dopo Crono regnò Zeus. . . in 3 seguito, a Zeus succedette Dioniso . . .». «Devi pensare dunque Crono in quanto il Tempo e Rea in quanto lo scorrere della sostanza umida, poiché l'intera mate­ ria portata dal tempo generò, come' un Uovo, il Cielo sferico che tutto avvolge . . . Infatti dall'interno della circonferenza un Animale maschio-femmina è modellato da una forma, per la preveggenza del Soffio divino che è contenuto in esso e co­ stui Orfeo lo chiama Fanes, poiché quando lui appare il tut­ to rifulge per opera sua, per il fulgore del più magnifico tra 4 gli elementi: il fuoco che giunge a perfezione nell'umido».

La Teogonia orfica non è una parodia di quella esiodea, come nota giustamente il Rohde: «Attenendosi chiaramente a quell' antichissima teogonia greca che s'era raccolta nel poema esiodeo, queste Teogonie orfiche descrivono il divenire e lo sviluppo del mondo dagli oscuri impulsi primitivi fino alla molteplicità ben determinata del cosmo ordinato ad unità; e ' Damascio , Sui princìpi 1 23. Giovanni Malalas , Cronografia 4 , 89. ·' Olimpiodoro, Commento al Fedone di Platone 6 1 -c. 4 Apione (in Clemente Romano, Omilie VI , 5). Cfr.fr. 56. [ I ] in Orfici. Testimonianze e Frammenti nell'edizione di Otto Kern. Bompiani, Milano. 2

Teogonia

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lo descrivono come la storia di una lunga serie di Potenze e di Esseri divini che, svolgendosi l'uno dall'altro e l'uno superando l'altro, si avvicendano nell'opera di formare e reggere il mondo assorbendo in sé il tutto per restituirlo poi animato d'un· solo spirito e Uno nella sua infinita pluralità». 1 Per il Guthrie la Teogonia orfica si conclude col mito di Dioniso e dei Titani, dotando l'ente umano di una du­ plice origine anche etica. Ciò implica, contrariamente alla Teogonia di Esiodo, che la visione orfica poteva costituire una vera religio e una specifica esperienza di vita spirituale. Di qui Platone coglie la dimensione dell'ente in intel­ ligibile e sensibile, per quanto le due dimensioni non sono contrapposte. 2 Delle Teogonie che si attribuiscono all'Orfismo ripor­ tiamo quella basata sull'indicazione di Platone, Aristotele ed Eudemo di Rodi (vedi schema a pag. 7 1 ), dando solo un accenno a quella cosiddetta Rapsodica, dal momento che non vi sono differenze sostanziali. «Degli altri numi poi esporre e conoscere la genesi è impresa maggiore delle nostre forze; e bisogna fidarsi di quelli che ne hanno parlato prima di noi ; giacché , essendo essi , come affer­ mavano, discendenti di dèi , dovevano, credo, conoscer bene i loro progenitori ... Per noi dunque la generazione di questi dèi, così come quelli riferiscono, e sia e si dica. Da Gea e da Urano nacquero Teti e Oceano; da questi Rea e Crono, e quanti s'acJ compagnavano con loro; e da Crono e Rea nacquero Zeus . . . ».

Tutti questi nomi sono ovviamente personificazioni di princìpi; gli stessi dèi sono l'oggettivazione di Essenze uni1

E. Rohde , Psiche , voi. II. Laterza, Bari. Per questo aspetto cfr. il capitolo "Dualismo platonico?" in Inizia­ zione alla Filosofia di Platone , op. cit. 3 Platone , Timeo 40 d-e. Tutte le opere , op. cit. 2

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versali, e in quanto Teogonia tradizionale si riallaccia, con vari adattamenti, alle altre Teogonie. La Notte rappresenta l'Ingenerata, il Non-Essere, l' As­ soluto non-qualificato; è lo Zero metafisico o l'Uno meta­ fisico che trascende la manifestazione per quanto ne sia il fondamento. Corrisponde all'Uno-Uno, o Supremo, del Pla­ tonismo, al Brahman nirgu,:ia del Vedanta, al Tem della Dottrina iniziatica dell'Egitto, all'Ain Soph della Qabbalah: «Notte in Orfeo è lo stesso che Ain Soph nella Qabbiilah».'

Gea e Urano rappresentano la prima diade polare metafi­ sica; l"'essenza" e la "sostanza" intelligibili, di ordine divino prima della manifestazione oggettiva . È un'unità polare che contiene tutte le potenzialità della manifestazione. Oceano rappresenta le Acque superne, universali, l'Abis­ so pronto a manifestare l'Uovo che contiene l'intero mondo oggettivo. Esso definisce i confini del creato, il tutto emer­ ge dalle Acque e il tutto ritorna nell'Abisso imponderabile. Crono, col suo aspetto polare, rappresenta l'Uovo co­ smico manifestato; è l'Uovo d'oro (Hira,:iyagarbha) della Tradizione vedanta. È anche il grande Tempo che abbraccia lo scorrere del divenire. «Devi pensare dunque Crono in quanto il Tempo e Rea in 2 quanto lo scorrere della sostanza umida ... » .

Lo scorrere del divenire formale è contenuto nel grande Tempo che, assieme alla Necessità, avvolge come un ser­ pente l'universo. G. Pico della Mirandola, Conclusiones orphicae X, 15. Olschki, Firenze. Cfr. anche La Via del Fuoco secondo la Qabbiiliih di Raphael. Associazione Ecoculturale Parmenides, Roma . 2 Apione, op. cit. 1

Teogonia

Principio metafisico

Notte



Gea

Teti

Rea

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/� l_l l_ l �/ I •



Urano





Oceano Principio ontologico





Crono

aus



Unità principiale metafisica

Principio cosmico

Creatore e ordinatore di tutta la manifestazione

Dioniso Verbo divino

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Secondo G. de Santillana, Platone «cita una versione orfica (donde il suo ritegno a nominare le sue autorevoli fonti), e le strane entità che vi compaiono, come Okeanos e Chronos, meritano la nostra attenzione. Qui non s'inten­ de infatti Kronos-Satumo, bensì proprio Chronos-Tempo».' Secondo Onians, Okeanos viene paragonato all'Acheloo, il fiume primordiale che «era rappresentato come un serpente con coma e testa umana... L'elemento procreativo nel corpo era la ,1rux11 che si manifestava in forma di serpente. È ormai chiaro che 0.Kecxv6ç era la 'l''l>Xll delle origini, concepito per questo come un serpente, connesso al liquido della procreazio­ ne ... Così per Omero, che richiama allusivamente la concezione condivisa dai suoi contemporanei, l'universo aveva la forma di un uovo cinto da 0.Kecxv6ç, che è la generazione di tutto... Si capirà meglio, inoltre, perché in questa visione orfica [fr. 54, 57-5 8 Kern] il serpente fosse chiamato Xp6voç e perché, a chi chiedeva cosa fosse Xp6voç, Pitagora rispondesse che era la psiche dell'universo. . . secondo Ferecide, dal seme di Xp6voç sarebbero stati prodotti fuoco, aria e acqua». 2 E ancora il de Santillana: «La grande entità orfica era Chronos Aion (I'avestico Zurvan akarana), comunemente inte­ so come "Tempo indefinito" ... È noto che per gli orfici Chro­ nos era il paredro di Ananke, la Necessità, la quale, secondo i pitagorici, circonda anch'essa l'universo. Tempo e Necessità che cingono l'universo: ecco una concezione piuttosto chiara e fondamentale: è collegata ai moti celesti indipendentemente dalla biologia e porta direttamente all'idea platonica del tempo come "immagine mobile dell'eternità" [Platone, Timeo 37 d] »., G. de Santillana, Il Mulino di Amleto . Adelphi, Milano. R . D. Onians, Le origini del pensiero europeo . Adelphi, Milano. J I/ Mulino di Amleto , op. cit . 1

2

Teogonia

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Secondo la Teogonia rapsodica, dall'Uovo Cosmico na­ sce Fanes, assimilato a Eros, Metis, Erichepeo. Così scrive il Sabbatucci: «La qualità propria di Eros, quella che ne determina la grandezza, appare nel Convito come la capacità: di integrare e conciliare gli opposti . . . In realtà Eros è escluso dal sistema espresso poeticamente da Esiodo; c'è bisogno della rivoluzione orfica al sistema, perché il dio diventi Protogonos-Fanes ... Ora, gia da quel pic­ colo settore spazio-temporale della civiltà greca che Platone raccoglie e mostra nel suo Convito . . . possiamo ricavare gli elementi per spiegarci la fortuna di Eros in ambiente orfico. Il dio è l'integratore-unificatore in quel cosmo greco-esiodeo che ha ragion d'essere, come "ordine", soltanto in un uni­ verso frantumato e ripartito in tante forme finite e limitate. Persino il giudizio negativo, ossia orfico, della ripartizione cosmica traspare dalle pagine del Convito . . . L'Eros che congiunge, unisce "misticamente" potremmo dire, è l' antitesi stessa del principio che muove la teogonia esiodea, dove tutto prende forma, separandosi, staccandosi, distinguendosi dalla "informe" e "imperfetta" condizione • • • ongmana». I Per Esiodo la frammentazione, la differenziazione delle forme, vale a dire, la molteplicità, rappresenta la perfezione; per Orfeo invece essa è la fonte di degradazione, d'imperfe­ zione, di allontanamento dall'Unità primordiale. Eros, nella Teogonia orfica, rappresenta: « quel felice e perduto momento pre-cosmico quando tutto era il Tutto e offrendo l'immagine-modello di una "ritrovabile" condizio­ ne di felicità». 2 1

2

D. Sabbatucci, Saggio sul misticismo greco. Ateneo, Roma. lbid.

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Orfismo e Tradizione iniziatica

La separazione, la distinzione e lo "sbranamento" del1 ' Unità universale sono effetti di Neikos (ve'ìx:oç = contesa­ . opposizione), mentre la soluzione del dualismo polare sepa­ ratore viene attuata da Eros. Per l'Orfismo, Fanes-Eros è assimilato a Dioniso quale mezzo che unifica e fonde la dualità nell'unità. Anche nel Cristianesimo il Cristo è colui che unifica la creatura deca­ duta al Creatore: «Nessuno va al Padre se non per mezzo mio» .

1

La concezione platonica dell'Eros è soprattutto orfica, come è orfico il Neikos-Eros di Empedocle con gli stessi quattro elementi radici empedoclei e, ancora, è orfica la stes­ sa funzione di Dike-Eros nel Poema di Parmenide. Dalla polarità Crono-Rea nasce ·zeus il quale è il Re e il Signore del mondo; è padre-madre di tutti gli enti mani­ festati, è: «colui che assegna un posto a tutte le cose e l'or­ dinatore dell'intero cosmo». 2 «E i poeti antichi la pensano in modo simile , in quanto dico­ no che a regnare e a dominare non siano gli dèi primordiali , 3 come Notte e Cielo, o Chaos , o Oceano, bensì Zeus» .

Dioniso rappresenta il Logos, il Verbo solare, il Salvatore dell'umanità; egli corrisponde al Vi�,:zu del Vediinta , al Mithra dei Persiani, all'Horus degli Egiziani; Orfeo è colui che lo àncora sulla terra, colui che, trasmettendo i Misteri sacri di Dioniso, rende possibile la redenzione e la libera­ zione dell'uomo aggiogato all'elemento titanico. Il trio teologico cristiano di Dio, Cristo, Gesù è analo­ go ai Misteri di Dioniso. Zeus offre il Figlio Dioniso, quaGiovanni XIV , 6 . Damascio, Sui princìpi 1 23 bis. 3 Aristotele, Metafisica N 4, 1 09 1 b, 4-6. 1

2

Teogonia

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le Verbo divino rigeneratore, incarnato in Orfeo, strumento visibile di liberazione. Anche nel Corpus Hermeticum di Ermete, il tre volte grande, si ha che: «Questa luce sono io, l 'Intelligenza [il Nous della Tradizione greca], il tuo Dio che precede la natura umida uscita dalle Tenebre; ed il Verbo luminoso che emana dall'Intelligenza è il Figlio di Dio» . '

Ciò si ricollega all'Evangelo di Giovanni: «In principio era il Verbo ed il Verbo era presso Dio, ed il 2 Verbo era Dio» .

E ancora nel Corpus Hermeticum: «Il Verbo di Dio si sollevò bentosto dagli elementi inferiori nella pura creazione della natura e si unì al Pensiero creatore» . 3

E in Giovanni: «Tutto fu fatto per mezzo di Lui (il Verbo) e senza di Lui 4 nulla fu fatto di quanto esiste» .

Con i Sacri Misteri orfici si perviene all'identità con Dioniso e, di conseguenza, con tutti i Princìpi che gli stan­ no dietro. L'elemento titanico spezza il legame col Divino, l'elemento dionisico lo ricollega. Dioniso, per gli Orfici, è, ancora, il reggitore della presente era. Si può aggiungere una rappresentazione geometrica della Teogonia orfica perché forse più comprensibile al lettore (vedi schema a pag. 77). Pimandro I, 6. Editrice Atanòr, Roma. (Le parentesi quadre sono nostre) . 2 Giovanni I, I . ' Pimandro I, 1 0, op. cit . 4 Giovanni I, 3 . 1

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Orfismo e Tradizione iniziatica

In un'altra Teogonia, quella contenuta nelle Rapsodie or­ fiche, si parla anche di Chaos e Etere, il termine Chaos ci è anche noto: è l'immensità dello spazio primordiale; tutto ciò che diviene appare e scompare in esso; rappresenta anche le Acque abissali prima del loro apparire come forma-nome. Le manifestazioni che appaiono in Chaos sono invece K6smos. K6smos è dunque il mondo dei nomi e delle forme, è tut­ to ciò che nasce o si manifesta dal Chaos sotto la spinta di Etere (Spirito universale), l'altra polarità. Per quanto possano cambiare alcuni nomi e altri essere rovesciati, tuttavia il risultato è sempre il medesimo. Ecco come si dispiega questa Teogonia (vedi schema a pag. 78). Qui Crono viene posto come origine del tutto, ma l'es­ senza che informa questo Principio non cambia. Etere e Chaos sono la diade da cui emerge l'Uovo co­ smico che tutto contiene; sono la totalità del cosmo in attesa di essere spezzato e quindi manifestato. Con Fanes e Notte si hanno i due princìpi primordiali usciti dall'Uovo cosmico che possono rapportarsi ali'essenza e alla sostanza e che in Gea e Urano diventano manifestazione oggettiva, dimostran­ dosi come Terra e Cielo o sensibile e intelligibile.

Teogonia



• +-------- •

Principio metafisico o prima determinazione della Notte non-generata

Il Punto principiale si sdoppia e la polarità-diade , allo stato potenziale, si manifesta

• Nascono il grande Tempo e lo Spazio



Zeus mette in moto il processo cosmico, offrendo Dioniso come Verbo redentore degli enti decaduti

77

78

Orfismo e Tradizione iniziatica

Crono

Dioniso

L'ORDINE-ARMONIA UNIVERSALE

«Il misticismo orfico e la speculazione filosofica, la quale si veniva distinguendo dalla religione anche per un supera­ mento del vigente politeismo, e dunque poteva trovarsi nello stesso piano del misticismo in antitesi al sistema politeistico, coincisero talvolta nella formulazione di un principio asso­ luto trascendente (o superiore a) gli stessi dèi, che desse una giustificazione e un senso alle multiformi manifestazioni del divenire, le quali minavano l'attendibilità di una realtà statica efficacemente rappresentata dagli dèi immortali». 1 Di contro all'imprevedibilità individuale e collettiva degli dèi e degli uomini della tradizione omerica, l' Orfismo, con Adrasteia, pone un principio d'ordine e di armonia univer­ sali che sovrastano non solo gli uomini ma anche gli dèi. Adrasteia rappresenta, appunto, questo principio di Legge, di Ordine, di Norma che permea l'intera manifestazione: risponde al Principio Manu , il legislatore della tradizione vediinta . Tale principio viene ripreso più tardi dalle varie correnti filosofiche, con nomi diversi: Ananke, Dike, Ne­ mesis, Themis, ecc. 2 Ciò implica che la manifestazione non è governata dal1 ' imprevedibilità dei suoi molteplici movimenti, o dal caso capriccioso ed esclusivo, ma dalla Legge, da quella Legge che riporta la stessa molteplicità all'unità. Corrisponde al Dharma o conformità al Principio universale e conseguentemente alla Legge di Armonia che esso impone e che da esso promana. 1

2

Saggio sul misticismo greco, op. cit. C fr. Parmenide, Sull 'Ordinamento della Natura , op. cit.

6 Orfismo

Orfismo e Tradizione iniziatica

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Secondo il Vediinta, il Dharma rappresenta ciò attraver­ so cui si manifesta l'Armonia quale espressione dell'Unità dell'Essere. 1 La scienza, la filosofia, la stessa arte, ecc. possono sus­ sistere perché dietro il cangiamento formale esiste una co­ stante, un denominatore comune verso cui tendono tutte le apparenze e che offre la certezza di un processo ordinato di eventi e cose. «Se non esistesse nulla di eterno, neppure il divenire sarebbe 2 possibile».

L'uomo non è frutto di un caso, di un accidente, ma è l'Ente immortale che si inserisce nel grande schema della realtà suprema (Gea-Urano). L'Orfismo in luogo dell'indeterminatezza formale, o del­ la sostanza titanica, pone una realtà universale e noumenica finalistica perché l'essere, per quanto possa concepirsi di­ venire e processo, non può non trovarsi, prima o poi, Essere. "Da uomo ti sei realizzato Dio", e ciò può dirsi possibi­ le perché l'uomo è stato sempre un Dio. La manifestazione e l'espressione dell'essere tendono, consciamente o incon­ sciamente, verso un fine che è quello di ritrovarsi e ricono­ scersi ciò che realmente si è. E in questo processo di rico­ noscimento si è aiutati da una realtà universale la cui nota non è caos ma cosmos, il quale è impersonato da Adrasteia. Adrasteia rappresenta la misura-ordine che giace nell'Uovo Per un approfondimento sul Dharma , quale conformità al Principio universale, cfr. "Ordine universale (�ta)" in Fuoco di Ascesi di Raphael; Bhagavadgitii (IV, 7) a cura di Raphael e in particolare le Considerazioni 1

sul Quarto Capitolo . 2 Aristotele, Metafisica 8 4, 999 b, 5. A cura di G. Reale. Bompiani,

Milano.

L 'Ordine-Armonia universale

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cosmico e al cui svelarsi la manifestazione sottile e grosso­ lana viene ordinata. «Difatti, così sta scritto: "Il primo uomo, Adamo, fu fatto anima vivente", il secondo Adamo è spirito vivificante. Ma non è prima ciò che è spirituale, bensì ciò che è materiale; lo spirituale viene dopo. Il primo uomo, tratto dalla terra, è terrestre; il secondo invece, è dal cielo. E qual è il terrestre, tali sono anche i terrestri; e qual è il celeste, tali sono anche i celesti. E come abbiamo portato l'immagine del terrestre, così porteremo pure l'imma­ gine di quello celeste. Quello che affermo, o Fratelli, è che né la carne, né il sangue possono ereditare il regno di Dio, né la corruzione può ereditare l'incorruzione.. . (Ma) quando questo corpo corruttibile avrà rivestito l'incor­ ruzione e questo corpo mortale avrà rivestito l'immortalità, allora avrà compimento la parola che fu scritta: "La morte è stata assorbita nella vittoria. O morte, dov'è la tua vittoria? O morte, dov'è il tuo pungiglione?"». «Sappiamo, infatti, che se la tenda della nostra dimora viene distrutta, noi ne abbiamo un'altra che è opera di Dio, una di­ mora eterna, non costruita dalla mano dell'uomo, nei cieli. Per questo noi gemiamo nell'attuale corpo, bramosi di rivestirci della nostra abitazione celeste... E finché noi siamo in questa tenda, gemiamo oppressi, perché non vogliamo esserne spo­ gliati, ma sovravestiti, affinché ciò che è mortale sia assorbito dalla vita... Pieni, dunque, pieni di coraggio e consapevoli che mentre viviamo nel corpo siamo pellegrini lungi dal Signore, camminiamo, infatti, per la fede e non per la visione, siamo pieni di coraggio e preferiamo uscire da questo corpo per 1 andare presso il Signore». 1

Paolo, Corinti I, XV, 45 e segg . ; II, V, 1 e segg. Traduzione di F. Pasquero. Edizioni Paoline, Roma. (Il corsivo è nostro). Questa lettera di Paolo può anche essere scritta da un seguace dell'Orfismo, non ci sarebbero discordanze. Cfr. anche Orfismo e Paolinismo, op. cit.

Orfismo e Tradizione iniziatica

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È da notare che anche Ermete Trismegisto, mostrando a suo figlio Tat la via che conduce alla rigenerazione, chiama il corpo "tenda" (crKrìvoç): « Q uesta tenda che abbiamo attraversato , figlio mio, è formata dal ciclo zodiacale . . . Secondo l ' eulogia rivelata da Pimandro , tu ti affretti con ragione , figlio , di uscire dalla tua tenda ( dal 1 tuo corpo ) perché sei purificato» .

Sia le indicazioni di San Paolo sia quelle di Ermete ri­ spondono ali 'insegnamento orfico.

1

Pimandro XIII , 1 2 , 1 5 , op. cit .

L' ASCESI ORFICA

L'Orfismo non pone l'accento solo sull'aspetto cosmo­ gonico e sulla condizione degli dèi, quali princìpi universali, ma, contrariamente alla visione esiodea, rivolge l'attenzione all'uomo in quanto tale, definendolo e volendolo innalzare alla sua vera dignità divina. Di qui la nascita dell'Iniziazio­ ne misterica. Scrive il Sabbatucci: «Esiodo circoscrive la condizione umana in una limitatissima zona del suo universo, e si limita ad insegnare all'uomo come sia fatto l'universo stesso, quale sia la parte umana e quale la divina, e conseguentemente a quali norme l'uomo si debba attenere per un "corretto" com­ portamento. . . Non sarà così per gli Orfici ai quali interesserà 1 l'antropogonia alla pari della Teogonia. . . ». Così, l'Orfismo, come tutti gli Insegnamenti tradizionali, si rifà alla "caduta" di una parte, "riflesso" o raggio di luce, o un "frammento" dell'Anima nel mondo della generazione, della corruzione (come dice S. Paolo) o del mondo titanico. In altri termini, l'essere umano, in quanto tale, ha in sé una parte divina, dionisica, immortale, che appartiene al dominio dell'intelligibile e un suo "frammento", caduto nel corpo fisi­ co, che interagisce con la sfera del sensibile, sfera costituita di corpi e di forme soggetti a corruzione. L'Anima, o psy­ ché, è intermediaria tra l'intelligibile dionisico e il sensibile titanico, o il soma (créòµa) - corpo prettamente sensibile. La psyché lotta tra il Nous, sua controparte divina, che l'attira, e il corpo-soma che la trattiene. ' Saggio sul misticismo greco , op. cit .

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Orfismo e Tradizione iniziatica

Si può quindi dire, con l'Orfismo, che il "frammento" decaduto si è costruito una "tomba" (criìµcx), un carcere, -costretto oramai dalle leggi della necessità e del divenire. È la "Tomba di Osiride" della tradizione ermetica. Di qui la trasmigrazione di questo "frammento" coscienziale il quale rimane operante fino a quando tale riflesso di coscienza incarnato non si reintegra nell'Anima per ritornare unità. Se si tiene presente che l'Orfismo, al pari delle altre Tradizioni, considera l'Anima immortale, se ne deduce che essa è fuori del tempo, dello spazio e della causa. Ora per chi possiede questa natura incorporea e intelligibile, precipitare, pur anche con un suo raggio estensivo, nel sensibile corruttibile significa trovarsi come in una "tomba", in un "carcere"; immagini queste che denotano costrizione, riduttività di capacità, di facoltà e di possibilità. Se qualcuno pensa che l'Orfismo concepisca il corruttibile in termini troppo pessimistici (si vedano poi lo stesso Platone e S. Paolo), occorre avere presente tali presupposti. Il limite per l'Illimite assoluto non può non rappresentare un "carcere", una vera "tomba". Il piano della generazione sensibile, per l'Orfismo, è créòµcx - criìµcx, è un piano anormale, sui generis, un piano di semplice, accidentale precipitazione, un piano che avrebbe potuto anche non esserci, un piano che trova il suo alimento nella non-conoscenza di sé (= avidya per il Vedanta) . La normale e autentica patria dell'essere vero e immortale non è questo mondo duale, ma è un altro mondo fatto di beatitudine: «la nostra patria è quella donde veniamo e lassù è il nostro Padre»; 1 è un mondo, in quanto stato coscienziale, Plotino, Enneadi l , V I , 8 . Cfr. il capitolo "Le vie del ritorno" in Plotino di G . Faggin. Collezione Vidyii. 1

L 'ascesi orfica

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che non nasce e non perisce, mentre questo mondo è nato e deve perire. Anzi, occorre riconoscere che tutti i composti, quindi i corpi, del piano sensibile tendono inesorabilmente verso la loro soluzione, verso il semplice e l'elementare. La tenuta coesiva di un corpo esige violenza, mentre la natura intrinseca degli elementi cerca di riprendersi la li­ bertà. Tutti i componenti delle cose devono svanire; ogni dato, qualunque sia la sua nascita e la sua organizzazione, contiene in sé l'implicita necessità della dissoluzione. Ogni sostanza fenomenica o sensibile è soltanto una continuità di mutamenti, ciascuno dei quali è determinato dalle sue preesistenti condizioni. Un dato è solo una forza, un effetto, una condizione che appare e scompare. L'Anima, in quanto sospesa al suo frammento, è così prigioniera di questo incessante divenire, per cui cerca la soluzione nella libertà. Ermete Trismegisto dice a suo figlio Tat: «È impossibile, figlio, d' attaccarsi, nello stesso tempo, alle cose mortali e alle divine. Gli esseri sono di due specie: corporei e incorporei, e in essi si distingue il mortale e il divino, la scelta dell' uno o dell' altro è lasciata alla volontà. Poiché non ci si può attaccare a tutti e due insieme. Quando si è fatta la scelta, quello che si abbandona manifesta l'energia dell' altro. E la scelta del meglio non solo riesce ottima per chi sceglie, 1 rendendo l 'uomo Dio . ..» .

Secondo le espressioni evangeliche: "non si possono ser­ vire due padroni" (Matteo VI, 24); "non si può mettere il vino nuovo in una botte vecchia" (Luca V, 37), ecc.

1

Pimandro IV, 6-7, op. cit. (Il corsivo è nostro).

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Per Aristotele, l'identità deve permeare ogni mutamento; tutti i cambiamenti implicano un qualcosa di permanente e che rappresenta la causa del cambiamento medesimo. 1 Per Kant, senza il permanente nessuna relazione temporale è possibile; 2 senza il costante, non possono nascere relazioni temporali. Non è possibile considerare la realtà un mero intreccio di relazioni e di connessioni, senza un qualcosa da connette­ re e relazionare. Se ogni dato sensibile trova in altro la sua ragione sufficiente e questo, a sua volta, in un altro anco­ ra, e così via, non è certamente possibile, partendo da tale ipotesi, trovare la vera causa di ogni dato. Ne consegue che dovremo andare oltre la categoria della causa-effetto, fino ad avere un dato che sia causa sui , che sia ipseità e non aba­ lietà e che quindi rimanga identico a .se stesso, trascendendo tutti i possibili mutamenti. L'esistenza sensibile è mutamento e il mutamento non porta stabile conoscenza e summa pax. Sotto questa prospettiva, si può essere d'accordo con Sofocle quando, su ispirazione orfica, afferma: «Non esser nati ! Ecco ciò che trascende ogni pensiero . Ma se qualcuno appare nel mondo dell'esistenza, c'è un'altra cosa 3 che ha senso: tornare al più presto da dove si era venuti».

E Pindaro non è da meno: «Esseri effimeri ! Che cos'è ciascuno di noi? L'uomo è il so­ 4 gno di un'ombra !». Cfr. Aristotele, Fisica VII, 1 , 242 a 35 segg.; Metafisica 11 , 2, 994 b 5 segg. 2 Kant, Critica della ragion pura . Prima analogia dell 'esperienza . 3 Sofocle, Edipo a Colono 1 225- 1 227. 4 Pindaro , Pitiche VIII , 95-97. 1

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Se per un "accidente", o per un libero volere, siamo precipitati nel non-essere, è nostro dovere e destino "ridare le ali all'Anima" in modo che possa volare, senza indugio, verso la sua patria naturale. Scrivevamo in Iniziazione alla Filosofia di Platone che «la "fuga" dal corpo e dal mondo è sì fuga, ma non ver­ so l'annichilimento e l'evasione, bensì è fuga verso la vera Patria dell'Essere, è fuga dal mondo delle ombre, è fuga dal sensoriale-passionale-irrazionale. . . non è una fuga dal dolore fisico o psicologico, non è una fuga da eventuali re­ sponsabilità individuali, ma è qualcosa di più: è la fuga del Filosofo che, mediante la pura contemplazione, ha compreso l'insufficienza, la caducità, la vanità, l'inconsistenza, o non­ sostanzialità, della sfera del sensibile materiale. Diremo di più: quella del Filosofo non è fuga perché da che cosa egli deve fuggire se le cose non sono?». 1 Da qui l'ascesa orfica dell'Anima, la via del ritorno, la via della conversione," della interiorizzazione e della "rimembranza". Per il Colli: «L'aver divinizzato a questo modo il ricor­ do - per cui solo all'indietro il tempo è esaltante - è una decisiva indicazione metafisica. E questo non soltanto per la conseguenza pessimistica e antistorica, ma anzitutto per l'indicazione di un luogo assoluto - che è l'inizio del tempo - e staccato da tutte le altre esperienze. Ora, proprio questo inizio staccato può di nuovo venire afferrato durante la nostra vita se riusciamo a spezzare l 'individuazione: è Mnemosine che ci rende capaci di tanto. Così la trascendenza di Orfeo è anche immanenza, il suo pessimismo è anche ottimismo , se seguiamo l'ispirazione dionisica» . 2 1

2

Cfr. il capitolo "Platonismo e Vediinta" . La sapienza greca, op. cit. (Il corsivo è nostro).

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Orfismo e Tradizione iniziatica

L'ascesi orfica, per "spezzare l'individuazione", viene proposta agli iniziandi in quattro fasi: 1 . Purificazione 2. Discesa agli inferi (katdbasis) 3. Unificazione col proprio Dèmone-Anima 4. Identità col Dioniso celeste. Si è visto in precedenza che uno dei "miti" di Orfeo è quello della "discesa agli inferi". Ora, coloro che sono addentro alla cose iniziatiche pos­ sono capire questo particolare simbolismo. Infatti, esso appar­ tiene a tutte le Tradizioni iniziatiche; per esempio, a quella Sumera, Babilonese e Assira. Così si ha la "discesa agli in­ feri" di lshtar, divinità femminile del pantheon babilonese e assiro; la "discesa agli inferi" di !nanna, dea sumerica della terra madre; la "discesa agli inferi" dello stesso Gesù, ecc. Questa "discesa" rappresenta, inoltre, l'opera al nero dell'Ermetismo/ la soluzione della solidificazione del passa­ to, lo scioglimento dai vincoli di ciò che non si è o, come direbbe il Vediinta advaita, la soluzione di tutte le "sovrap­ posizioni velanti" (adhyiisa) . L'ente, nel tempo-spazio, ha proiettato nella sua spazialità psichica direzioni energetiche (idee, emozioni, desideri, aspettative, comportamenti, ecc.) che poi si sono solidificate, cristallizzate.2 L'io, identifican­ dosi con tali contenuti, si costringe nel divenire, non trovanPer questa fase si veda La Triplice Via del Fuoco di Raphael, op. cit. , in particolare il capitolo "Rettificazione dei fuochi comuni (Nigredo)" . 2 Per un ulteriore approfondimento di questi processi cfr. Oltre l 'il­ lusione dell 'io di Raphael, in particolare i capitoli riguardanti la nascita e la soluzione dei coaguli energetici. Associazione Ecoculturale Parme­ nides, Roma. 1

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dosi mai al suo giusto posto e al suo giusto tempo. In altri termini, non vive mai il suo stato di eterno presente. Oggi si può intendere il termine "inferi" con il concetto di subcoscien�a . Questa è la nostra "cantina" ove sono de­ positate qualità o, meglio, nuclei solidificati di qualità che trattengono e costringono il riflesso dell'Anima incarnato. Questi nuclei sono formati dalla sostanza-materia (Pla­ tone dirà xcopcx) o polarità negativa-ricettiva di cui l'Anima, che dà movimento ai corpi, rappresenta l' altra polarità. Tale sostanza ha quindi carattere femminile; così Orfeo (Anima) deve scendere nella "cantina", prendere Euridice (il riflesso dell'Anima imprigionato dalla sostanza solidificata), scioglier­ la dallo stato di costrizione e riportarla alla luce del sole; vale a dire, ricomporla nella pura consapevolezza in modo che la dualità viene risolta. È interessante notare che Euridice muore (il riflesso dell'Anima è così stordito, addormentato, quasi morto) e Or­ feo deve ridarle vita e consapevolezza attiva. Platone tutto questo lo esprime nel mito della caverna. 1 Tale processo rappresenta solo una parte dell'intera asce­ si orfica. Comunque, risolvere il subconscio individuale non basta perché vi è il subconscio collettivo; la "discesa agli inferi" dev' essere integrale, deve abbracciare l'intero mon­ do infero; ciò implica che occorre sganciare l'Anima anche da tutto ciò che l' umanità - in quanto processo individua­ to - ha cristallizzato. È per questo che all 'iniziando viene suggerito di rimanere sordo alle stimolazioni che provengo­ no dalle istanze sociali. Cosa non facile perché idealismi e sentimentalismi di varia natura impediscono di restare fermi 1

Cfr. Politéia 5 1 4-5 1 7. Nel capitolo "L'ascesi platonica" , in Inizia­ zione alla Filosofia di Platone , Raphael presenta il "mito della caverna" dalla prospettiva dell'Insegnamento tradizionale.

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nell'equanimità di animo. D'altra parte, all'iniziando orfico vien detto che, in quanto Anima, non appartiene a questo mondo, la sua vera dimora è quella divina; questo mondo non è altro che un passato cristallizzato che si perpetua per la spinta che l'uomo individuato gli vuole imprimere. Il Vediinta direbbe: questo mondo solidificato non è altro che karma accumulato, non ha una sua realtà intrinseca, as­ soluta, una sua ipseità; il manvantara (ciclo cosmico) futuro non è altro che il karma non risolto dell'attuale manvantara . Il "mito" ha due varianti, ed è bene parlarne perché di particolare importanza. Secondo una versione Orfeo, pur avendo persuaso con il suo divino canto le divinità infere, avrebbe fallito l'impresa, avendo violato la condizione di non voltarsi lungo il percorso in cui doveva precedere Euridice e questa procedere e seguire il percorso di Orfeo. Secondo un'altra versione, le potenze infere, compren­ dendo che Orfeo non avrebbe avuto qualificazioni I adeguate per portare a termine l'impresa, avrebbero proiettato solo un simulacro-ombra di Euridice, trattenendo questa negli abissi infernali. Si hanno così tre condizioni in cui l'iniziando può trovar­ si. L'ultima si presenta quando s'intraprende la rettificazione senza qualificazioni adeguate: la subcoscienza comprende ciò e crea false immagini, alibi e altro per stornare l'ignaro aspirante. È la condizione di alcuni i quali credono di avere effettuato la rettificazione o la soluzione del proprio passato cristallizzato, mentre in verità vivono di illusioni e di ombre; si credono, ma non sono. In altri termini, hanno riportato dal mondo infero solo la proiezione mentale del vero se stessi. 1

Cfr. il capitolo "Le qualificazioni del discepolo" in Fuoco dei

Filosofi di Raphael. Collezione Vidyii.

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La penultima condizione è estremamente penosa perché l'iniziando può avere certe qualificazioni, può avere giusta direzione e buona volontà intelligente, ma in lui v'è ancora qualche "guardiano della soglia" che gli impedisce di volgere veramente le -spalle al suo passato, al subconscio individuale e collettivo. Se si entra nella caverna per riprendere il proprio oro, occorre avere tutta la determinazione, capacità e ardire di non "voltarsi": basta un ripensamento, una debolezza, un alibi, una qualificazione con cui si è vissuti per tanto tempo, un filo karmico non interrotto, che l'opus fallisce. Questa condizione viene sperimentata da discepoli che, per quanto ben intenzio­ nati e con buone qualità iniziatiche, non hanno tuttavia portato a fondo il processo della purificazione. E si sa che l'Orfismo ritiene di estrema importanza la fase preparatoria della puri­ ficazione, costituendo appunto la prima fase dell'ascesi. Di­ fatti, gli affiliati dell'ordine orfico devono condurre la "vita orfica" (l'espressione è platonica) che consiste nell'osservanza di certe norme di purezza psichica e fisica. Gli Orfici hanno persino cimiteri propri ove cremano i loro affiliati defunti. Ecco alcuni passi platonici ove si parla della purificazione. «- Ebbene , o amico, disse Socrate, se questo è vero, grande spe­ ranza ha chi giunga dove io sono per andare , di ottenere appunto colà, nella sua pienezza, come certo in nessun altro luogo, quello per cui grande affanno ci prendemmo nella vita trascorsa; co­ sicché questa emigrazione che ora è ordinata a me , non è senza dolce speranza anche per chiunque altro il quale pensi di essersi a ciò preparato lo spirito come con una purificazione. - Precisamente , disse Simmia. - E purificazione non è dunque , come già fu detto nella parola antica [il riferimento è evidente alla "parola sacra" degli Orfici . La catarsi è idea centrale dell'Orfismo, accettata e par­ zialmente modificata dai Pitagorici] adoperarsi in ogni modo di tenere separata l ' anima dal corpo, e abituarla a raccogliersi e a

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racchiudersi in se medesima fuori da ogni elemento corporeo [titanico] e a restarsene, per quanto è possibile, anche nella vita presente, come nella futura, tutta solitaria in se stessa, 1 intesa a questa sua liberazione dal corpo come da catene?». «Noi vediamo invero che in molti luoghi gli uomini persistono ancor oggi a sacrificare altri uomini; e per contro apprendiamo che in altri luoghi vi fu un tempo in cui non osavano assaggiare nemmeno del bue; le loro offerte agli dèi non consistevano in animali, ma in focacce, frutti innaffiati di miele ed altri doni incruenti di tal genere; e si astenevano dalla carne, ritenendo che non fosse lecito mangiarne, né macchiar di sangue le are degli dèi; insomma quegli uomini vivevano allora quella certa vita che chiamasi orfica, attenendosi a tutto ciò che è inani­ 2 mato, e astenendosi per contro da tutto ciò che è animato» .

La prima condizione, invece, è di colui che sa riportare la vittoria sulle proprie ombre cristallizzate. L'Euridice incatenata dal tempo-spazio la si deve liberare e risolvere nell'atemporalità del senza spazio. Inoltre, occorre tenere presente che l'iniziando viene sot­ toposto a un'Iniziazione, vale a dire a: «un rituale complesso che mirava ad introdurre, attraverso stadi successivi, in una esperienza eccezionale. Il compito affidato alle famiglie sacre degli Eumolpidi e dei Cerici, che reggevano la celebrazione dei Misteri, consisteva dunque, nel suo aspetto culminante, in una selezione. L'Iniziazione in senso largo avveniva in due tempi, a sei mesi di distanza, attraverso i Piccoli Misteri (ce­ lebrati in primavera ad Agra ) e i Grandi Misteri. . . E infine, lo stadio supremo dei Misteri, l'epoptéia, che non si poteva raggiungere se non era trascorso un anno dall'iniziazione ai 1

Platone, Fedone 61 b-c-d . Opere, voi. I. Traduzione di Manara Valgimigli. Laterza, Bari. (Le parentesi quadre sono nostre). 2 Platone, Leggi 782 c. Tutte le opere, op. cit.

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Grandi Misteri. Le fonti non precisano che cosa si richiedes­ se a chi voleva essere ammesso all' epoptéia, ma c'è da pen­ sare che qui, al vertice di un processo che ha tutti gli aspetti di una selezione, il numero dei prescelti non fosse grande... Del resto . a confermare la tesi di una rigorosa selezione c'è il precetto fondamentale che avvolge l'evento eleusino: la segretezza assoluta, proclamata enfaticamente dall'Inno a Demetra, e rimasta inviolata per un millennio, sino alle 1 malevoli, frammentarie rivelazioni degli scrittori cristiani». Si presume che a Eleusi ai Piccoli Misteri presiedesse­ ro Demetra e Core, mentre ai Grandi Misteri e all 'epoptéia finale, Dioniso. «O sulle ruvide rive illuminate dalle torce, là dove le signore, per i mortali, sono nutrici dei Santi Misteri, la cui chiave d'oro si trova sulla lingua 2 dei Sacerdoti Eumolpidi » . « . .. Ma ho avuto il privilegio di vedere 3 i riti magici degli iniziati... » . «E però è giusto che soltanto l ' intelletto del filosofo riabbia le ali, giacché egli, per quanto è possibile, ha sempre la mente fissa a questi obietti [soluzione del subconscio individuale] pei quali Dio è divino appunto perché in continua comunione con essi. E l' uomo che si giovi di questi ricordi, perché iniziato ai perfetti Misteri, è il solo che divenga perfetto. Staccatosi dalle cure umane [soluzione dell' inconscio collettivo] e aderen­ do a ciò che è divino, viene ripreso come demente dal volgo, 4 il quale non s' avvede che egli è invece posseduto da Dio» . La sapienza greca , op. cit. Sofocle, Edipo a Colono 1049- 1053. 3 Euripide, Eracle 6 13. 4 Platone, Fedro 249 c-d. Tutte le opere , op. cit. (Le parentesi quadre sono nostre). 1

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«Oh Misteri veramente sacri ! Oh Luce pura; al chiarore delle fiaccole io ho una epoptica visione del Cielo e di Dio. Son fatto puro dall'Iniziazione. Il Signore è lo Ierofante che svela i Misteri; egli segna l'Iniziato con il suo suggello, illumina il suo cammino, e lo raccomanda, perché ha creduto, alle cure 1 di Dio dal quale è protetto per l'avvenire».

Senza dubbio Pitagora, Parmenide, Empedocle, Sofocle, Euripide, Platone, Plutarco, Apuleio, ecc. sono stati iniziati ai Grandi Misteri, e alcuni di loro anche alla epoptéia. L'altro "mito" si riferisce allo sbranamento di Orfeo da parte delle Bassàridi e si ricollega al "mito" dello sbrana­ mento dello stesso Dioniso; vale a dire della morte-rinascita del Dio. Esso va analizzato sotto un duplice aspetto: rituali­ stico e metafisico; il primo aspetto, .a sua volta, prende due direzioni: l'una prettamente rituale, considerando il rito una ripetizione di atti soggettivi e oggettivi capaci di produr­ re certi effetti; l'altra direzione consiste nel giusto uso del suono quale mezzo utile per creare sintonia. I due aspetti ovviamente non sono distinti, separati o in opposizione. Per quanto riguarda la prima direzione, si può dire che il ritualismo orfico è incentrato soprattutto sulla morte-rinascita di Dioniso; il Cristiano direbbe sulla "Passione". Viene quindi rappresentata una sequenza drammatica in cui si può vedere la morte del Dio-Zagreo e la sua resurrezione. Il miste deve rivivere tale sequenza, deve interiorizzar­ la, coscientizzarla fino a un punto in cui tutte le sue facoltà vengono assorbite per immedesimazione con l'evento. È lo stesso neofita che, caduto sul piano della generazione, deve rinascere, deve svegliarsi; e Dioniso, che rappresenta il sim­ bolo eternamente vivente di tale evento, si offre come forza, influsso, grazia per la rinascita spirituale. 1

Clemente Alessandrino , Protrettico XII, 92.

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Il "mito" della morte-rinascita è dunque un'esperienza ben precisa la quale deve coinvolgere, più che il semplice emotivo, lo strato coscienziale più profondo; in altri termi­ ni, deve coinvolgere l'ente stesso nella sua essenzialità. Solo in tal modo. esso diventa catartico. L'immedesimazione, ad esempio, con la "Passione" di Gesù può portare il neofita ad avere le stimmate o, addirittura, come in Therese Neuman, a rivivere coscienzialmente l'intera sequenza della "Passione". Ora, bisogna tenere presente un fatto: se il neofita non è pronto perché manca di fuoco, di eros , di aspirazione alla morte-rinascita, l'evento rappresentato non può dare gli effetti dovuti. Se non ci sono l'adeguato combustibile, la coscien­ za anelante d'identità col Dio e il giusto rapporto con l'atto rituale, questo può diventare una semplice rappresentazione teatrale o folcloristica. Nel momento culminante del rito i misti qualificati subiscono la "rottura di livello dell'io" e non solo vedono, ma riconoscono ciò che realmente sono; vale a dire, si riconoscono e si scoprono Dioniso. In termini del Vedii.nta si può dire che si entra in samii.dhi. Il rito è forza magica che, se ben compreso e seguito, opera precisi effet­ ti. L'arte sacerdotale consiste anche nel saper comprendere e utilizzare il rito. Il "mito", cioè il simbolo di un evento, di un fatto, con­ tiene una particolare sequenza, un preciso schema che rimanda alla sua realtà esoterica. Dunque, esso va vissuto; il miste vi deve trovare il filo conduttore, la strada da percorrere, la mèta da raggiungere. Il "mito" di Dioniso narra che egli viene fatto a pezzi dai Titani, per poi essere ricomposto da Zeus; così il neofita, fattosi a pezzi (molteplicità) con la caduta nella generazione, deve rinascere all'elemento dionisico, deve ri­ comporsi per ritrovarsi unità metafisica. L'elemento titanico ha diviso l'unità, ha rotto l'equilibrio e l'armonia primordiale,

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occorre così morire a questo elemento separatore e rinascere all'unità primigenia. Data questa realtà, l'unità col Dio si realizza riproponen­ do l'iter di Questi: "ciò che Tu sei, io lo sarò", "ciò che Tu hai fatto, io lo farò". Questa necessità d'identità non è solo for­ male, ma reale; la morte-rinascita del Dio è mezzo e fine nello stesso tempo perché l'azione del miste poggia sull'evento, sul fatto del Dio e sfocia nell'identità con lo stesso Dio. Si ripetono alcune idee espresse precedentemente: tale identità può non essere completa, e allora si ha un'identi­ ficazione puramente formale alla quale non partecipano né la coscienza né la psiche; si può avere così una caricatura dell'evento, un'imitazione esteriore che si risolve in una semplice parodia. Si può avere ancora un'imitazione mentale, psicologica, per cui il miste potrebbe credersi in identità, ma in pratica non lo è. È il falso iniziato, spesso anche in buona fede. Al­ cuni si credono ciò che in realtà non sono. L'identificazione è avvenuta solo con una forma-immagine proiettata, costruita su misura dal proprio io-mente. Si può avere invece la vera identità, per cui si determina un'autentica trasformazione, conversione, rivolgimento (1tept­ aycoy11) del proprio essere; da qui la nascita a un nuovo stato di coscienza. Rinascendo nel Dio-Dioniso il miste ovviamen­ te viene trasfigurato, uscendo dal ciclo della generazione. «Raggiunsi il limite della morte. Varcata la soglia di Proserpi­ na fui condotto attraverso tutti gli elementi , e poi feci ritorno. Nel mezzo della notte vidi un sole irradiante di splendida luce. Mi presentai al cospetto degli dèi superni e di quelli inferi e 1 da vicino li adorai» . 1

Apuleio, Metamorfosi 11, 23 .

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«Raggiunta l a morte, l ' anima sente una sensazione simile a quella degli Iniziati ai Grandi Misteri . Difatti il termine "mo­ rire" (teleutai) e quello "essere iniziato" (teleisthai) si asso­ migliano, così gli stessi eventi. Anzitutto. vi è il vagare logorante, senza fine, attraverso le te­ nebre [è il passaggio tra un piano e un altro caratterizzato dal buio], al loro svanire si vedono cose impressionanti [bardo] ; poi si hanno brivido e tremiti, sudori e sbigottimenti . Dopo di ciò si fa incontro una luce mirabile e l ' anima si trova in luoghi puri ove si odono voci e solennità di sacre melodie, si vedono danze e sante apparizioni» . 1 «Però conosco un rito di Orfeo molto efficace, per cui il fuoco sale spontaneamente verso la testa e brucia da sotto il figlio 2 monocolo della terra» .

Questi passi sono molto significativi e illuminanti per coloro che hanno intuizione e sono edotti di cose iniziatiche. «Orfeo ci ha dato le Iniziazioni e ci ha insegnato ad astenerci dall ' uccidere. Museo, a sua volta, ci ha insegnato gli oracoli 3 e a risolvere del tutto le malattie» . «Qui Platone allude a quei miti orfici, secondo cui Dioniso viene sbranato dai Titani e risuscitato da Apollo. Per questo afferma: "raccogliersi e racchiudersi in se stessi", ossia pas­ sare dalla vita titanica a quella unitaria . Anche Core viene portata nell' Ade, però viene ricondotta alla luce da Demetra, 4 per abitare dov 'era prima» .

«Orfeo e la sua morte straziante - scrive il de Santillana - potrebbero essere una creazione poetica sorta ripetutamente Plutarco, Jr. 1 78 . (Le parentesi quadre sono nostre). Euripide , Ciclope 646-648 . (Il corsivo è nostro) . 3 Aristofane , Le rane 1 032- 1 03 3 . 4 Olimpiodoro , Commento al Fedone d i Platone 6 7 c . 1

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in luoghi diversi. Ma quando personaggi che suonano non la lira, ma il flauto, finiscono scorticati vivi per motivi assurdi di varia specie, e quando la loro identica fine viene ripetuta e rievocata in diversi continenti, allora sentiamo di aver mes­ so le mani su qualcosa, poiché racconti simili non possono essere collegati per sequenza interna. E quando il pifferaio magico compare sia nel mito medievale tedesco di Hamelin sia nel Messico in età di molto anteriore alla Conquista, e in entrambi i luoghi è connesso con certi attributi come il colore rosso, è ben difficile che si tratti di una coincidenza. Di solito sono assai poche le cose che penetrano nella mu­ sica per puro caso . Così pure non è accidentale che numeri come 1 08 oppure 9 x I 3 si trovino ripetuti in vari multipli, nei Veda, nei templi di Angkor, a Babilonia, negli oscuri detti di Eraclito e anche di Bakoll norrena». 1 Per la seconda direzione del primo aspetto si ricorda che Orfeo è "cantore", usa la cetra con la quale incanta uomi­ ni, bestie e dèi. Per questa sua natura di musico, egli viene considerato altresì figlio di Apollo. Rimane naturale pensare che Orfeo con la lira sappia intonare note che corrispondono a stati di coscienza. La lira non costituisce un semplice diversivo o passa­ tempo; la Tradizione ci dice che con essa Orfeo addolcisce le belve, incanta gli uomini, parla agli dèi; ciò implica che egli con il suono si sa sintonizzare con la vita e con gli enti. Si ricorda che Pitagora più che l 'aspetto rituale trae dall' Orfismo questa direzione musicale e con il monocordo riesce a scoprire le "Armonie delle sfere". Ma Orfeo è co­ lui che dà le precise indicazioni di connessione tra suono­ vibrazione e ritmo della vita. 1

Il Mulino di Amleto, op. cit.

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La stessa lira di Apollo non coshtmsce un oggetto di pura piacevolezza, egli non ha alcuna necessità di simili co­ se; ma su precisi rapporti tonali costruisce i mondi. Anche Kp�l).a è rappresentato nell'atteggiamento di suonare il flau­ to. L'universo manifestato è la sintesi di Numero (quanti­ tà), Suono e Luce; di vibrazione-qualità e colore,' e Orfeo conosce questa legge e il modo di applicarla su determinati piani esistenziali. Da alcuni cultori come Ficino, Pico della Mirandola, Agrippa, ecc., Orfeo viene considerato il più grande Mago sacerdotale che, mediante il Numero, la Dignità del rango e lo strumento adatto, sa attirare la Qualità divina o l'influsso spirituale, soprattutto nelle Iniziazioni superiori. Scrive F. A. Yates: «La magìa orfica di Ficino [Magìa spirituale, naturale o sacerdotale] costituiva un ritorno a un antico priscus theologus . . . Orfeo è secondo, dopo Ermete, negli elenchi ficiniani di Prisci theologi. "Egli è detto il primo autore d i Teologia [Ermete Trismegi­ sto] : gli successe Orfeo, secondo tra i Teologi dell' antichità; Aglaofermo , che era stato iniziato all ' Insegnamento sacro di Orfeo, ebbe come successore in Teologia Pitagora, di cui fu discepolo Filolao, maestro del nostro divino Platone . C ' è , quindi, una Teologia antica (prisca theologia) ... che h a la sua origine in Ermete e culmina nel divino Platone" .2

La raccolta di Inni conosciuta sotto il nome di Orphi­ ca costituiva la fonte principale... nota al Rinascimento ... Ficino e i suoi contemporanei credevano che gli Inni orfici fossero stati scritti dallo stesso Orfeo, quindi in una remota antichità, e che riflettessero il carattere religioso di un pri1 2

Cfr. il capitolo "Vita vibrante" in Di là dal dubbio di Raphael, op. cit. Marsilio Ficino , Argomentum al Pimander.

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scus magus vissuto molto prima di Platone. La ripresa, da parte del Ficino, dei Canti orfici riveste per lui una profon­ da importanza, perché egli è convinto di avere a che fare con l'esperienza di un antichissimo teologo, di un uomo che 1 aveva profetizzato la Trinità» . G. Pico della Mirandola in una delle sue Conclusiones orphicae così si esprime: «Per le operazioni di magìa naturale niente è più efficace degli Inni di Orfeo, purché si applichi la musica dovuta, la dovuta intenzione dell' animo, e tutte le altre circostanze che i sapienti conoscono». «I nomi degli dèi cantati da Orfeo sono nomi non di dèmoni ingannatori, dai quali venga male e non bene: bensì di virtù o energie divine distribuite nel mondo dal Dio vero, ad utilità 2 speciale dell' uomo che sappia fame uso».

Agrippa, trattando della magìa orfica, scrive: «Orfeo, scrivendo a Museo, numera le varie divinità e ne as­ segna i nomi, gli aspetti e le funzioni, invocandoli ciascuno in particolare negli inni che ha loro dedicato. Né bisogna credere che tali nomi si riferiscano a demoni malefici e ingannatori, ma ci si persuada che sono appellativi di virtù divine e na­ turali, che l'Eterno ha stabilito per l ' utilità di quegli uomini 3 che sapranno acconciamente farne uso».

Ficino sottolinea che occorre seguire la magìa natura­ lis , spirituale o sacerdotale, che è buona, utile e necessaria e non quella demonica che è illecita, perversa e di ordine inferiore. F. A. Yates, Giordano Bruno e la tradizione ermetica . Laterza, Bari. Conclusiones orphicae, X, 2-3, op. cit. 3 Cornelio Agrippa, La Filosofia Occulta , voi. II. Edizioni Mediter­ ranee, Roma. (Il corsivo è nostro). 1

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Mediante la scienza del suono , Orfeo, come gli antichi IJ# vedici, richiama Enti divini nel Santuario sì che possano fungere da "Anima", da Archetipo nei riti e nelle forme sen­ sibili. Le qualità principiali Urano-Gea si riflettono nell'Ani­ ma universale Crono-Rea e, mediante l'Ordinatore del mondo Zeus, si riflettono ancora nella sfera del sensibile concreto. Ora il suono (si veda l'efficacia dei mantra vedici) ha la possibilità di penetrare nel mondo intermedio e di attirare Qualità, o Influssi, di ordine intelligibile e canalizzarle, ad esempio, in un Tempio o durante il rito di un'Iniziazione. Un suono, un mar:iç/,ala , uno yantra e lo stesso rito pos­ sono costituire vasi risonatori mediante cui si trasmettono Influssi che provengono dall'universale. Una forma, sia es­ sa corporea o di qualunque altra natura, si deteriora perché manca dell' influsso divino dal quale dipende; mediante quei vasi risonatori essa può essere attivata e ricostruita. Una Forma tradizionale, ad esempio, può subire anche deterioramento nel tempo-spazio sia per mancanza di persone qualificate al magistero, sia per elementi introdotti senza le dovute qualità psicologiche e coscienziali. In considerazione di questo stato di cose, delle grandi Anime si esteriorizzano dal piano intelligibile in quello sen­ sibile fungendo da vasi risonatori (di qui le elevate figure di Ermete, Orfeo, Pitagora, Platone, Saòkara, Buddha, ecc.) e, trasmettendo l ' influsso del mondo intelligibile, riescono a rettificare la Forma, a meno che Questa, avendo adempiuto la sua funzione, debba essere ritirata e "astratta". Così, l'autentico Sacerdote svolge un ruolo estremamente importante e divino; fungendo da ponte tra l'intelligibile e il sensibile tiene aperto il circuito vitale. Ciò può avvenire perché il cosmo non è a scompartimenti separati, esso è una unità indivisibile.

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L'altro aspetto del "mito" è più di ordine metafisico. Come si è accennato in precedenza, tale simbolismo, non esclusivo ovviamente dell'Orfismo, fa comprendere come l' Unità principiale, scindendosi, si polarizzi in altrettante unità, determinando così la molteplicità. Quindi si ha che l' Uno, polarizzandosi, appare due (som­ ma di 1+ 1 ), il due appare tre ( 1 + 1 + 1) e il tre quattro; som­ mando queste unità, figlie dell' Unità-principio, si ottiene la cifra di nove (il numero dell' Iniziazione perfetta), e inclu­ dendo l'Unità-Principio si ha il dieci che rappresenta la per­ fezione integrale e totale, e per la Qabbaliih dieci sono le Sephiroth perché l'Ain Soph è trascendente. 1 Si è detto che l' Uno appare il due, non si è detto che l' Uno si "trasforma" o si "cambia" nel due, e in ciò v'è una considerazione filosofica. L' Uno, se veramente è tale, non può cambiare natura e trasformarsi in due o in altra natura. La natura dell' Uno, in quanto Realtà-principio, non può tradire se stessa, non può snaturarsi perché diversamente crollerebbe la manifestazione che ha oggettivato. Il due, il tre, ecc., sussistono e trovano la loro ragion d'essere perché l' Uno permane nella sua co­ stante realtà. Si può dire: l' Uno rappresenta il fondamento per cui la molteplicità può sussistere ed essere ciò che è. Ma mentre il molteplice senza l' Uno non può essere, perché non ha in sé la sua ragion d'essere, l' Uno, invece, sussiste anche sen­ za la molteplicità. L' Uno dunque, può apparire due, tre, ecc., ma in realtà esso sottostà a ogni cifra senza sminuirsi; esso rappresenta il 1

Per ulteriori approfondimenti e in particolare per l'aspetto metafisi­ co dell 'Ain Soph, si veda il capitolo "Sentiero metafisico" in La Via del Fuoco secondo la Qabbiiliih di Raphael, op. cit.

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sostrato e l'essenza in abscondito dell'intera serie numerica. Il Vediinta direbbe: Brahman appare il mondo molteplice, ma non è il mondo molteplice. L'Uno non è il due, il tre, ecc., l'Uno è sempre uno e sempre sarà uno e non può es­ sere che uno sé la sua natura è tale. La mente (è solo un'analogia), per quanto possa proiet­ tare (si veda soprattutto nel sogno) indefiniti dati, tuttavia rimane la stessa mente senza esaurirsi nella sua apparente molteplicità ideata. Ora, l'Orfismo sembra dirci: tu sei l'Anima immortale, non sei questo corpo-prigione; per quanto ti possa conside­ rare corpo-prigione, fino a dimenticare la tua reale natura, rimarrai pur sempre Anima immortale. Nell'annullarti come Anima, nell'estraniarti dall'Anima, nell'alienarti dal tuo au­ tentico stato esistenziale, nel frammentare il tuo essere trovi la "morte" (Dioniso che si frammenta), trovi altresì il tuo conflitto e il tuo "suicidio". Se vuoi uscire da questa scissura, da questo oblìo (espres­ sione platonica, ma fondamento della visione orfica), da que­ sta alienazione atterrante e velante devi riprendere la via del ritorno, della conversione e in ciò possono esserti di guida la Conoscenza orfica, i Misteri orfici e lo "stile di vita" orfico. Riportiamo un passo di Plotino molto significativo: «L'Intelligenza (Nouç) è dunque eternamente indivisa e inse­ parata; e anche l'anima è lassù indivisa e inseparata; ma è nella sua possibilità di natura di essere divisa (EXEt 6t cpootv µepiçeo0at). La sua divisione consiste nell'allontanarsi da las­ sù e nel venire in un corpo. Si dice giustamente che essa "è divisa nei corpi", poiché in tal modo essa si allontana e si divide. Come dunque può rimanere anche "indivisa"? È per­ ché non si è allontanata tutt'intera, ma c'è una sua parte che non è venuta quaggiù non avendo la natura di essere divisa.

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Che essa "sia composta di un'essenza indivisibile e di un'es­ senza divisibile nei corpi" vuol dire dunque che consiste di un'essenza che resta in alto e di una che viene quaggiù e che dipende da quella e che procede sin qui come un raggio 1 dal centro».

L'unione con il proprio Dèmone può effettuarsi dopo la fase della preliminare purificazione che secondo Platone, riferendosi all'Orfismo, significa separare l'Anima dal corpo e ciò può avvenire dopo la "discesa agli inferi", non prima. Inoltre, in riferimento alla purificazione occorre precisare che gli Orfici primitivi vivono in comunità iniziatiche appartate, portano speciali vesti bianche, osservano numerose norme e interdizioni e hanno cimiteri propri. La "vita orfica" è per­ meata da una consistente normativa tutt'a improntata alla so­ luzione dell'identificazione con l'elemento titanico. Si è accennato in precedenza che le istituzioni orfiche prediligono le alture, mentre quelle "lunari", le vallate. In ciò concorrono tanti fattori; per esempio: le masse umane, in quanto tali, sprigionano potenti correnti di energia quali­ ficata dalla pesante vibrazione-radiazione individuata; questa grossolana corrente vibrazionale colpisce negativamente or­ ganismi sensibili che tentano di alzare le note, i toni, i ritmi. Il problema può essere anche inquadrato in altri termini: l'inconscio collettivo è una potente forza qualificata che in­ fluisce sulla psiche di un individuo. Il potenziale umano nel suo insieme, come sotto altri aspetti le macchie solari, i ple­ niluni, ecc., influisce sulle funzioni basilari degli organismi sensibili. Tutte le passioni sono vortici di forze prodotti da altrettanti vortici vitali; occorre riconoscere che un determi­ nato campo manifesto è un gioco di influssi che attira o re1 Enneadi IV , 2 , I . Vedi ancora 11, 9 , II; IV , 3 , XII; IV , 8 , IV , op . cit .

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spinge tutto ciò che gli si avvicina. Una persona, un pianeta, ecc., costituiscono un centro, un punto-vortice vibratorio che può influenzare positivamente o negativamente altri apparati vitali. Chi non è sensibile, non se ne avvede, ma ciò non toglie che il fenomeno sussista lo stesso. V'è poi un altro aspetto riguardo alla purificazione; mentre nella sede di Eleusi e di Delphi, prima dell'avvento dell'Orfismo, la purificazione era imposta solo per alcuni giorni precedenti l'Iniziazione del neofita, gli Orfici inve­ ce propongono la pratica della purificazione come norma di vita. L'unione col proprio Dèmone non può realizzarsi senza questa tenace e continua purificazione, anche perché l'assenza di essa impedisce la radicale soluzione del mondo infero-titanico. Se l'Orfismo professa il convincimento dell'Anima im­ mortale e l'altrettanto convincimento della sua "caduta", è consequenziale che scopo ultimo della "vita orfica" dev'es­ sere quello di "riunire ciò che si è sparso" e dimenticato. 1 Se si è Anima immortale e l'Anima per sua natura è libera dalla materialità corporea, allora il neofita orfico non ha altra mèta, altro intento, altra sete se non quella di ritrovarsi in ciò che realmente è; tutto il resto, vale a dire ogni possibile esperienza mondana, per quanto nobile e straordinaria, non può non rappresentare un sempre maggiore allontanamento dalla propria autentica natura. Ogni esperienza individuata viene fatta dall'ombra del vero essere, la quale oscura sem­ pre più la realtà del Dèmone; ogni esteriorizzazione non è che un perdersi in altro, un dipendere da altro; in altri ter­ mini, un non-essere. Cfr. il sutra 41 del capitolo "Fuoco di Vita" de La Triplice Via del Fuoco , op . cit. 1

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La riflessione filosofica che nasce da Talete in poi la si deve all'Orfismo, non alla concezione di vita omerica. I Misteri sorgono con Orfeo, e di conseguenza la Tradizio­ ne iniziatica occidentale scaturisce da Orfeo. Una credenza vuole che Orfeo sia vissuto nello stesso periodo di Mosè e che entrambi, iniziati entro i sacri Templi egizi, ne siano usciti con tesori conoscitivi e realizzativi non comuni. Per l'affinità con gli Insegnamenti orientali l'Orfismo, come le Upani�ad, vuole "strappare" tutto l'essere dal contingente titanico e innalzarlo alle vette della realtà metafisica e ciò sembrerebbe in contrasto con le varie visioni spirituali del suo tempo. Difatti Orfeo, e quindi l'Orfismo, non solo vuo­ le strappare l'uomo dal contingente e ricongiungerlo col suo Dèmone immortale, ma anche integrare lo stesso Dèmone col Dioniso celeste, che è di ordine universale e metafisico. Ecco perché si accennava prima che la purificazione e la "discesa agli inferi" possono rappresentare solo una tappa dell'iter realizzativo orfico, non già lo scopo ultimo. In ciò si possono trovare due aspetti di straordinaria im­ portanza: l'uno deriva dal riconoscimento che Orfeo parla in termini di Grandi Misteri, l'altro emerge dal riconoscimen­ to che l'Anima, o Dèmone, appartiene alla stessa natura di Dioniso, per cui vi è soluzione di identità non di semplice "salvezza" del Dèmone il quale, per quanto salvo, rimane pur sempre tale. "Da uomo [anima] rinascerai Dio". L'uno aspetto è collegato all'altro. Orfeo predica l' identità dell'Anima umana con quella divina, e questa verità, occorre notarlo, viene espressa anche dalle Upani�ad. Tutte le varie forme religiose occidentali post-orfiche si esprimono non in termini di Identità, ma di dualità: Creatore, creatura. Si può ben dire che la Tradizione orfica è stata la prima a proporre una visione autenticamen-

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te metafisica; anzi, si può persino credere che sia non-duale (advaita) , dal momento che intende reale assoluto solo l'Esse­ re supremo di cui Dioniso è una rappresentazione universale. E senza Orfeo, Parmenide non potrebbe concepire l'Essere supremo (I ' Orfismo si sviluppa con notevole successo in Si­ cilia e nella Magna Grecia in genere), né Platone il mondo intelligibile e l' Uno Bene. Proclo afferma: «Quello che Orfeo ha insegnato per mezzo di esoteriche alle­ gorie, Pitagora l ' insegnò dopo essere stato iniziato ai Misteri orfici e Platone mediante i Misteri orfici e gli stessi scritti dei Pitagorici» . 1

I Misteri che potevano esistere al tempo di Orfeo non erano autenticamente tali; essi erano diretti solo alla puri­ ficazione emotiva e all' ottenimento di qualche aspetto con­ tingente, avendo carattere soprattutto naturalistico; ma con Orfeo si ha uno scatto di qualità notevole sia a livello co­ noscitivo che operativo. La stessa cosa accade in India con Gauçlapada e Sarikara i quali sviluppano dai Veda- Upani�ad la più alta forma di spiritualità di contro alla religiosità ri­ duttiva e pragmatica del ritualismo della Karma Mimiimsii . Si può ancora accennare che la stessa Genesi mosaica, per quanto consideri l' uomo creato a immagine di Dio, per quanto gli dia il potere su tutte le creature subumane, non dice che l' uomo-Adamo, anche prima della sua "caduta", è per natura un essere divino; esso è pur sempre nato dalla polvere della terra. Per la visione orfica, invece, l'Anima umana è divina, è un riflesso dello stesso Dioniso, è della stessa natura di Zeus, e tale natura viene recuperata trascen1

Proclo, Teologia platonica l , 6, 1 3.

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dendo l' elemento titanico. La "caduta" dell'uomo orfico è sempre una "caduta" di ordine contingente. La dottrina e l'ascesi orfiche trovano riscontro anche nella Tradizione di Ermete Trismegisto: «E così , o Asclepio, l 'uomo è un magnum miraculum, un essere degno di reverenza e di onore . Poiché egli perviene alla natura divina come se fosse egli stesso un Dio , ha fami­ liarità con la razza degli dèi sapendo di condividere con essi l'origine; disprezza quella parte della sua natura che è sol­ tanto umana, perché ha riposto la sua speranza nella divinità 1 dell' altra parte di sé» .

1

Asclepio 6 .

ASPETTI NUOVI DEI MISTERI ORFICI

8 Orfismo

Le "in,:iovazioni" dell'Orfismo che riguardano le sfere dell'intelligibile, del sensibile e dell'etica come "stile di vita" nella società greca, si possono sintetizzare in questi punti: a) Il porre una sfera Intelligibile oltre quella sensibile. Di ciò si avvalgono tutti i Filosofi iniziati, da Pitagora a Parmenide, Platone, ecc. b) Il dare l'idea di un Principio supremo trascendente, di contro alla concezione immanentistica e pluralistica della visione omerica. Di ciò si avvalgono soprattutto Parmenide, Platone e poi lo stesso Cristianesimo. Ecco un frammento in cui si espone questa idea: «Zeus nacque per primo, Zeus dalla fulgente folgore per ultimo; Zeus è il principio, Zeus è il mezzo: da Zeus tutto è compiuto; Zeus è il sostegno della Terra e del Cielo stellato; Zeus nacque maschio, Zeus immortale fu fanciulla; Zeus è il soffio di tutte le cose, Zeus è l ' impulso del Fuoco indomabile, Zeus è la radice del mare, Zeus è il sole e la luna; Zeus è il Re, Zeus dalla fulgente folgore è il signore di tutte le cose: infatti , dopo aver nascosto tutti , di nuovo dal cuore sacro li ricondusse alla luce piena di gioia, compiendo ardue imprese» . 1 Cfr. Jr. 2 1 a [ I ] Kem in Orfici. Testimonianze e Frammenti, op. cit.; cfr. anche Trattato sul cosmo per Alessandro (7 p. 401 a 25) attribuito ad Aristotele, a cura di G. Reale. Luigi Loffredo, Napoli. 1

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Un altro frammento orfico, riportato da Platone, dice: «Il dio [Zeus] , come dice anche l 'antico discorso, "che possiede il principio, la fine e il mezzo di tutte le cose che sono . . . "» . 1 Questo frammento ci rimanda senza dubbio alla visione upani�adica; basti menzionare solo qualche sutra dalla Mii1J,(,iiikya Upani�ad: «Om è tutto questo . . . [ciò che è] il passato , il presente e il futuro è soltanto l ' omkiira. E ciò che oltrepassa il triplice tempo è ancora la sillaba Om» .

«Invero, pratJava [in quanto Brahmii] è il principio, il mezzo e anche la fine di tutto». 2 c) Il mettere in evidenza l' esistenza.di un' Anima immor­ tale nell' uomo di contro a una mera sopravvivenza larvale della tradizione omerica. Di ciò si avvalgono tutte le posteriori Tradizioni iniziati­ che, compreso il Cristianesimo. «L' Orfismo, come il Cristia­ nesimo - scrive il Cilento -, vuole tutto l' uomo, lo strappa dalla sua radice terrena e lo trasporta in un più spirabil aere». 3 d) L'enunciare l' idea tradizionale della "caduta" dell 'Ani­ ma nel mondo della generazione corruttibile. Con ciò si pone, di conseguenza, il problema del bene e del male nell'uo­ mo e quindi la sua responsabilità diretta di procedere a una purificazione dell' elemento titanico incorporato nella natuPlatone, Leggi IV , 7 1 5 e-7 1 6 a. Cfr. anche Eschilo, Le Eliadi (Le figlie del Sole) Jr. 48: «Zeus è l'aria, Zeus è la terra, Zeus è il cielo, Zeus è tutte le cose e ciò che ancora c'è di superiore ad esse». 2 Cfr. Gau