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Italian Pages [770] Year 2002
STORIA E LETTERATURA RACCOLTA DI STUDI E TESTI
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OMERO TREMILA ANNI DOPO a cura di FRANco MONTANARI con la collaborazione di PAOLA ASCHERI
ROMA2002 EDIZIONI DI STORIA E LETTERATURA
STORIA E LETTERATURA RACCOLTA DI STUDI E TESTI
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O MERO TREMILA ANNI DOPO a cura di FRANCO MONTANARI con la collaborazione di PAOLA ASCHERI
ROMA2002 EDIZIONI DI STORIA E LETTERATURA
COMITATO SCIENTIFICO
Prof. Franco Montanari- Università di Genova Prof. Richard J anko University College, London Prof. Wolfgang Kullmann- Universitat Freiburg Prof. Joachim Latacz- Universitat Freiburg Prof. Françoise Létoublon - Université Grenoble III P,rof. Luigi Enrico Rossi- Università di Roma "La Sapienza" -
Volume pubblicato con il contributo di: Università degli Studi di Genova Compagnia di San Paolo
Tutti i diritti riservati EDIZIONI DI ST ORIA E LETTERATURA
00186 Roma - Via Lancellotti, 18 Tel. 06.68.80.65.56 Fax 06.68.80.66.40 e-mail: edi. storialett@tiscalinet. it www. weeb.it/edistorialett -
P RE FAZ I O NE
Il titolo del Congresso (e degli Atti qui pubblicati) merita una spiegazione, forse particolarmente in questo caso. Durante la fase preparatoria, qualcuno ha chiesto se Omero tremila anni dopo volesse indicare una presa di posizione esplicita sulla cro nologia del primo poeta dell'Occidente. Poiché "Omero" è col locato ormai comunemente nella parte finale dell'VIII secolo op pure (per alcuni studiosi) nella prima metà del VII secolo, dun que si oscilla grosso modo fra 2650 e 2750 anni fa, naturalmente non è questo il significato dell'espressione "tremila anni dopo". Anzi è chiaro che non c'è un significato così preciso: il senso è un altro, o meglio sono altri due, che giustificano quanto di sem plificatorio e, diciamo pure, di sommario il titolo contiene e che forse può in qualche modo scandalizzare (a prima vista) 1. In primo luogo, il riferimento a un passato "fotografato" nell'idea di tremila anni fa, cioè un millennio prima di Cristo, per un congresso tenuto nell'anno 2000 e dunque alle soglie del terzo millennio dopo Cristo (che sarebbe iniziato pochi mesi dopo), è sembrato avere un valore fortemente evocativo e anche emozionante. Un valore che un'indicazione puntuale e minuta (del tipo "duemilasettecento anni dopo") certo avrebbe avuto in misura molto minore, risultando magari addirittura pedante e inadatta a quello che un titolo deve ottenere: suscitare un'idea in modo icastico e incisivo, colpire l'immaginazione con rapidità e immediatezza. E in questo caso l'idea da mettere "in copertina" era in pri mo luogo quella della grande profondità storico-culturale di una poesia, la cui vitalità risale a un passato lontanissimo e che con tinua a risultare straordinariamente viva e presente nelle radici profonde della società moderna e della civiltà che stiamo pre parando: le origini antiche del nostro futuro, perché un popolo che non ha uno spessore di passato da conservare e che non lo 1 Cf. anche l'intervento volume.
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R. Janko nella seduta di chiusura, in fondo al
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sa valorizzare adeguatamente, non ha un buon futuro da conse gnare ai suoi figli. La percezione della particolare antichità del le origini della nostra cultura, nei venerandi versi della poesia america e nella civiltà classica che ne è seguita, è il valore che garantisce la solidità del nostro sviluppo sociale, civile ed eco nomico: sono le fondamenta dell'edificio che abitiamo, edificio magnifico e progressivo, che può rovinosamente crollare se le fondamenta marciscono e si sgretolano. Lo capiscono sufficien temente a fondo gli ingegneri delle nostre sorti? Nessuno può dire quanti anni siano passati da quando co minciarono a esistere i canti, le forme e i contenuti da cui nac que l'epica greca arcaica che conosciamo: probabilmente pz'ù dei tremila anni cui il titolo fa riferimento, anche se non c'è dubbio che "Omero" (come oggi lo intendiamo) sia entrato in scena meno di tremila anni fa. Certo è che in tutti questi secoli l'inte resse per i poemi omerici non è mai venuto meno e oggi è più vivo che mai: malgrado becere affermazioni di rozzi ignoranti nei confronti della cultura classica, malgrado i catastrofismi im provvidi che rischiano di fornire comodi alibi ai classicisti me desimi. Da tre millenni circa essi stimolano e producono pen sieri ed emozioni, che formano gli uomini di ogni tempo, anche quelli che non se ne rendono conto: ne sono abbastanza co scienti gli imprenditori dei nostri domani? Gli studi omerici degli ultimi decenni hanno molto insisti to sulla "tradizione poetica" (almeno per gran parte sicuramen te orale) che stava alle spalle dei poemi Ilz'ade e Odz'ssea come ci sono pervenuti: sul concetto quindi per cui i poemi epici mo numentali, che si sono conservati, rappresentino in qualche mo do un punto di arrivo, il culmine e l'esito sommo di una storia culturale e poetica considerevolmente più antica di loro. Uno dei problemi di fondo rimane capire e ricostruire quale aspetto avesse quel "preomerico" per noi perduto e quale processo ab bia dato luogo all'epica greca arcaica nella forma trasmessa, ana lizzare i termini irrisolti della tensione fra il peso (quanto con dizionante?) della tradizione aedica e l'incidenza (quanto forte e originale?) dell'innovazione realizzata dalla personalità auto riale che ha "creato" (quale che sia il valore da dare a questo termine) l'Iliade e l'Odz'nea. Più che mai vive, nella ricerca at tuale, sono le tematiche legate alla storia della lingua e del me tro dell'epica greca arcaica, ai modi e alle tappe attraverso cui il testo si è consolidato, ha preso la sua forma attuale, è stato trascritto, si è conservato e trasmesso, è stato interpretato e ana lizzato nelle varie epoche. Il rapporto fra la poesia america e i
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dati (peraltro altamente problematici) offerti dall'archeologia e dalla storia ha sempre costituito un groviglio di questioni e di interrogativi: lo sfondo storico, il contesto geografico e politico, le realtà economico-sociali, popolazioni, insediamenti, persone e vicende; in sintesi, la fondamentale questione del rapporto di Omero con la storia reale, fra realtà e invenzione. Nel momen to attuale, questo aspetto degli studi omerici sta vivendo una nuova stagione, con una vivacità di dibattito rinnovato che da tempo non si vedeva: dalla data del Congresso a oggi è sorto un dibattito acceso e appassionante, che mostra quanto siano vive queste problematiche nella cultura attuale. L'epica greca arcaica ha vissuto lunghi secoli in un contesto mediterraneo di ampia portata e le sue più profonde radici (co me hanno ribadito ancora studi recenti) sono in comune con diverse civiltà dell'Egeo e del vicino Oriente. Antiche radici condivise, da cui si sono sviluppati esiti specifici nei diversi am bienti e presso i vari popoli: se gli sviluppi particolari giustifi cano l'identità propria delle singole culture, il quadro delle ori· gini comuni sostiene fortemente l'incontro e il dialogo fra esse. La poesia omerica appartiene al più antico contesto mediterra neo e costituisce la prima manifestazione scritta della cultura occidentale greco-latina, base ineliminabile e irrinunciabile del la cultura europea nella sua unità. Le origini e i connotati cul turali garantiscono l'identità dei popoli in modo non solo più solido e duraturo, ma anche più profondo e ricco di valori ri spetto alle contrapposizioni violente, alle guerre militari o eco nomiche, ai separatismi e particolarismi miopi e meschini: un ti po di identità disposta e propensa al dialogo e al confronto po sitivo e costruttivo, volto al progresso civile dei popoli. La prospettiva dei rapporti culturali nell'area del Mediter raneo deve indicarci l'idea che l'incontro fra culture, rispettose ciascuna della propria identità e nel contempo aperte al con fronto e al dialogo, sia profondamente giusta e a lungo termine vincente. Un'idea senza dubbio lungimirante e anche politica mente importante per il nostro paese, che può svolgere un ruo lo-chiave in quest'area geopolitica (una volta che la scelta del l'integrazione e dello sviluppo europei è stata fatta definitiva mente, malgrado le penose riserve mentali dei più micragnosi ottusi) come rappresentante e sostenitore di una base comune euro-mediterranea. Le fondamenta poste dalle civiltà di Grecia e di Roma sono il presupposto comune dell'Europa, le radici di una unità antica e profonda, la cui identificazione è superiore a
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ogni particolarismo comunque ignorante. È questa coscienza storica che d rende forti nel contesto mondiale. La forza enor me di una grande cultura comune è la ragione di fondo per cui l'Europa può svolgere in quest'ampia area (ricca e vitale grazie alla sua storia millenaria) un ruolo di primo piano: l'Italia è per questo assolutamente in prima linea, ha un ruolo essenziale e difficile, la storia recente lo dimostra, i maggiori problemi sul tappeto trovano in questo quadro elementi per essere compresi meglio e dunque affrontati meglio. Un grande studioso tedesco di Omero, Wolfgang Scha dewaldt, in un articolo pubblicato per la prima volta nel1938 e intitolato Die homerische Frage, si chiedeva «Oggi noi a che punto siamo?» e proseguiva: «se io vedo bene, siamo in un'e poca di nuovi impulsi e di un nuovo raccoglimento interiore». Con queste parole in mente, abbiamo iniziato i lavori del con gresso e introduciamo anche le pagine di questi Atti. Una caratteristica evidente del Congresso è stata la volontà di mettere insieme i diversi aspetti dell'omeristica di oggi (o, come usava dire, della "questione america", secondo il volto da essa assunto nella ricerca attuale), facendo incontrare studiosi di primo livello e di alta reputazione, provenienti da varie parti del mondo e dunque da diverse aree culturali, portatori di compe tenze specifiche per quanto riguarda l'analisi del testo poetico nelle sue forme e nei suoi contenuti, la storia della lingua, la fis sazione scritta, la trasmissione e l'esegesi antica, il contesto sto rico e gli interrogativi posti dai ritrovamenti archeologici. Su questo ha lavorato il Comitato Scientifico, presieduto dal sotto scritto e formato da: Rlchard Janko, Wolfgang Kullmann, Joa chim Latacz, Françoise Létoublon, Luigi Enrico Rossi. L'articolazione dei lavori congressuali in tre sezioni è ri specchiata nella disposizione degli Atti per quanto riguarda le relazioni principali: l) Il testo: forme dell'espressione e forme del contenuto; 2) La trasmissione del testo: manoscritti ed esegesi an tica; 3) Il contesto: archeologia e storia. La parte del Congresso dedicata ai cosiddetti shqrt papers ha goduto di una maggior libertà e ha lasciato campo relativa mente aperto alle proposte di vari studiosi, giovani e meno gio vani, scaturite dalle interessate reazioni a un call /or papers sor vegliato dal Comitato Scientifico: sembra che questo aspetto sia stato apprezzato e in effetti ha permesso di dare spazio anche a molti giovani, i cui interventi hanno contribuito fortemente a vi vacizzare il panorama e a infondere ottimismo (si vedano gli in-
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terventi nella seduta di chiusura) . Nel volume essi sono dispo sti nell'ordine in cui sono stati pronunciati. Nella seduta di apertma (introdotta dal sottoscritto) il Ma gnifico Rettore dell'Università di Genova, Prof. Sandra Pon tremoli, ha portato il saluto e l'apprezzamento dell'Ateneo; hanno poi preso la parola l'Assessore alla Cultma del Comune di Genova Ruggero Pierantoni; la Dr.ssa Costantina Zagorianou Prifti, Console di Grecia a Milano, in rappresentanza dell'Am basciata di Grecia in Italia; la Prof.ssa Maria Gabriella Angeli, Preside della Facoltà di Lettere e Filosofia. Numerosi tele grammi e lettere di saluto e di augurio sono stati letti, ma non mi sembra il caso di elencarli di nuovo in questa premessa. La relazione di avvio dei lavori è stata tenuta da Anna Morpurgo Davies ed è stata dedicata alle problematiche relative alla lingua dell'epica grec& arcaica: è un peccato che l'autrice non abbia potuto far pervenire il suo testo per questi Atti. Il Congresso ha avuto l'Alto Patronato del Presidente della Repubblica Italiana e il patrocinio di: Presidenza del Senato, Presidenza della Camera dei Deputati, Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ministero degli Affari Esteri, Ministero della Pub blica Istruzione, Ministero dell'Università e della Ricerca Scien tifica e Tecnologica, Ministero per i Beni e le Attività Culturali, Regione Liguria, Provincia di Genova, Comune di Genova, Uni versità degli Studi di Genova, Facoltà di Lettere e Filosofia, Di eartimento di Archeologia e Filologia Classica "F. Della Corte" (D.AR.FI.CL.ET.), Accademia Nazionale dei Lincei, Unesco Italia, Ambasciata di Grecia in Italia, IRRSAE Nazionale. Deve essere sottolineato che una manifestazione di alto si gnificato scientifico e di ampia risonanza nazionale e internazio nale non p uò svolgersi senza il supporto· economico di enti e isti tuzioni, che dimostrano sensibilità culturale e che meritano un ri conoscente ringraziamento; e non si può dimenticare, peraltro, che nella realtà concreta enti e istituzioni significano uomini in carne, ossa e cervello: l'apprezzamento di tutti ne tenga conto. Hanno contribuito generosamente: Università degli Studi di Ge nova; Regione Ligmia; Provincia di Genova; Comune di Geno va; Fondazione CARIGE; Loescher Editore; Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università di Genova; Dipartimento di Archeologia e Filologia Classica "F. Della Corte" (D.AR.FI.CL.ET.) dell'Uni versità di Genova. La stampa degli Atti è stata resa possibile da finanziamenti dell'Università degli Studi di Genova e della Compagnia di San Paolo.
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Paola Ascheri ha profuso impegno e capacità nel coordina re la segreteria scientifica del Congresso e nella preparazione degli Atti: anche a lei deve andare un grazie di cuore da parte di tutti. Non possiamo trascurare, infine, l'impegno del perso nale amministrativo del D.AR. FI. CL.ET. e l'efficiente organiz zazione dello Studio Viale von der Goltz. Gli studiosi di Omero (o almeno molti di essi, che sono le gioni) certamente ricordano come per alcuni anni a Genova si siano tenuti regolarmente seminari su tematiche americhe, che dal1994 al1999 hanno alternato per sei anni un Seminario ame rica a uno dal titolo Posthomerica 2• La cadenza biennale, giun ta al settimo anno, prevedeva per l'anno 2000 il turno del Se minario omert'co. Al suo posto, si è scelto di dare luogo a una manifestazione di molta maggiore portata e di maggiore respiro scientifico, di fare un salto di qualità: non un breve seminario su un solo argomento, bensì un grande Congresso internazio nale su una vasta gamma di temi connessi agli studi omerici at tuali. Una motivazione è stata certamente quella di cogliere in certo modo il valore simbolico dell'ultimo anno del millennio: nessun cedimento all'irrazionale e a ridicolaggini cabalistiche (del tutto aliene da chi scrive), solo una certa consapevolezza del valore dei simboli per la vita morale e intellettuale degli uo mini; quindi nel Duemila, tremila anni dopo. L'altra motivazio ne è stata l'idea che il Congresso Omero tremila anni dopo con cludesse (e più che degnamente) la stagione di quegli incontri omerici a Genova: almeno per quanto riguarda il sottoscritto, il settimo incontro omedco nell'anno 2000 è stato il più significa tivo e importante, e anche l'ultimo. Ospitare nella splendida cornice di Palazzo Ducale questo Congresso Omerico, che ha visto una così ampia partecipazio ne di studiosi di primo piano provenienti da varie parti del mondo, è stato veramente un onore, un piacere e una grande occasione culturale per Genova, per l'Ateneo e per la città. Mol tissimi giovani hanno assistito alle sedute e hanno potuto senti re dal vivo le parole di insigni personalità: è sicuramente un be ne per il futuro, non certo delle discipline classiche soltanto, ma 2 Dal II Seminario Omerico, del1996, è nato il volume: Omero. Gli aedi, i poemi, gli interpreti, a cura di Franco Montanari, Firenze, La Nuova Italia, 1998. Gli Atti dei tre seminari di Posthomerica sono pubblicati nella collana del D.AR.FI.CL.ET., a cura di Franco Montanari e Stefano Pittaluga: Posthomerica I, 1997; Posthomerica II, 2000; Posthomerica III, 2001.
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della società in cui viviamo e della qualità della nostra vita. Se la celebrazione del Congresso costituisce un evento sotto gli oc chi del pubblico, esso ha pur sempre un carattere transeunte, una scena che si apre e si chiude: negli Atti, successivamente, si concretano e si fissano per il mondo scientifico i risultati e gli stimoli prodotti da quelle giornate di conferenze, discussioni, confronti. È con questa convinzione che abbiamo affrontato la fatica non lieve di preparare e pubblicare il volume, che ora vie ne consegnato agli studiosi. Fiduciosi che ne traggano pensieri ed emozioni, e imparino qualcosa, gli amministratori delegati dell'impresa "vita dell'uomo nel mondo". Franco Montanari
IL TESTO: FORME DELL'ESPRESSIONE E FORME DEL CONTENUTO
GEORG DANEK TRADITIONAL REFERENTIALITY AND HOMERIC INTERTEXTUALITY *
In recent years several articles have posed the question whether one may rightfully speak of "mythological allusions" in Homer's work. It has been doubted that Homer's original audi ence could in any way have possessed the competence to be able to identify what one nowadays considers to be a mytho logical allusion. It has been proposed that even if Homer had desired to make a reference to other texts, it would have been simply impossible for his audience to comprehend or "get" it for the simple reason that within the original oral framework, the referent texts were not readily available, that is, were not as bound written texts having a fixed wording 1• To put it simply: no texts, no intertextuality. For the time being I will leave the question unaddressed whether it was possible for all or just a few of Homer's audience to understand the allusions 2• Of course it is clear that not all 8th and 7th century listeners could have attained the same lev el of competence. In this regard, I agree with the observations of Ruth Scodel who, in this context, speaks of a pseudo-inti macy in the Homeric audience 3: by means of his manner of nar*I wish to thank Jeff Tapia for translating my text into English. 1 Cf. 0. Andersen, Allusion and the Audience of Homer, in M. Paisi-Apo stolopoulou (ed.), Homerica, Ithaca 1998, pp. 137-149. 2 Cf. .R. Scodel, Odysseus' Evasiveness and the Audience of the Odyssey, in E.A. MacKay (ed.), Signs of Orality: The Oral Tradition and its Influence in the Greek and Roman World, Leiden 1999, pp. 79-93 (93): «Sometimes we assume too easily that traditional narrative must be fully transparent to all members of the audience, all the time». 3 R. Scodel, Pseudo-Intimacy and the Prior Knowledge of the Homeric Audi ence, «Arethusa» 30 (1997), pp. 201-219.
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ration, the Homeric narrator suggests that his audience possess an ideal bulk of knowledge with which to competently under stand not only the narrated story, but also all references to even arcane mythological material. In fact, however, Homer presents his narration in such a way that even a listener knowing little or nothing of the historical or mythological tradition can still fol low the plot's comse without difficulty. Now I believe this to be something which applies to every kind of good literature; how ever, I do not believe that recipient to be a privileged reader who has less or even no pre-information. In any case, I wish here to concentrate on the other end of the spectrum. I wish to pose the following question: how could a listener possessing a large bulk of knowledge and ideal competence come to grips with the Iliad and the Odyssey? I will thus devote my attention to the recipient who is defined by the text itself 4• Why the uneasiness when one hears assumptions of allu sions in Homer's work? One possible explanation could be that �t stems from how "allusion" is held to be a specifically modern and refined literary device - one does not only have to think of the principle of arte allusiva which supposedly characterizes the modernity of certain kinds of texts. Yet it probably also has to do with the fact that one likes to view allusions as a device which is one notch more cunning than any kind of readily ob vious reference. That is, the allusion is considered to be a toned-down and, at the same time, refined form of the direct ci tation 5• So we have once again arrived at the problem broached at the outset of this paper: how can there be in one text a quote from another when the referent text has no verifiable, fixed written form? And if, then, no direct citation be possible, how is an indirect reference to function which, as we understand it, tends to refer only to a specific detail within the referent text?
4 I refer to the work of Wolfgang Iser (Der implizite Leser, Munchen 19943; Der Akt des Lesens, Miinchen 19903) and to the theory of semiotics by Umberto Eco (Lector in /abula. La cooperazione interpretativa nei testi narrativi, Milano 1979; I limiti dell'interpretazione, Milano 1990). 5 It is maybe the same kind of misunderstanding that underlies the common notion of the metaphor as an abbreviated form of an extended simile, starting from the famous definition by Quintilianus, 8. 6.8: «In totum autem metaphora brevior est similitudo».
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Thus, the problem still appears to be unresolved. Yet I be lieve we have to address this question in still larger terms: in Homer, how is a reference made to a specific item which lies outside the text and which the singer presumes the recipient will understand? And how is the text thereby enriched with ad ditional meaning? Homeric studies of the last few decades has tended to seek the answers to these questions along quite different lines. For a long time, following the pi9neering work of Milman Parry 6, re search was wholly preoccupied with the discovery that tradi tional' oral poetry seemed to follow completely different laws than those with which we are accustomed in our modern fields of literature which are characterized by the written word. Then, supported by comparative analysis, an alternative poetological model was systematically worked out which tried to do justice to the special conditions of the oral-traditional epic. In this con text, one spoke for a long time of «oral poetics» 7• It was John Foley who mdst recently raised this interpretory approach to new heights by employing methods of reception aesthetics and applying a line of comparative analysis in a more differentiated manner8• Foley calls the principle, which he analysed above all in the South-Slavic epic and which, as he maintains, is characteristic of every type of oral-traditional epic - he calls this principle «tra ditional referentiality». In this term, Foley sees defined the fact that a version of a song, that is, a story, though presented in one individual performance, is nonetheless only understandable as a metonymy within a larger context. Thus, the version of the per formed song evokes as pars pro toto the entire background of its tradition, doing so on three levels:
( 1) On the level of language through the usage of tradi tional poetic diction and through formulaic phrases.
6 M. Parry, The Making of Homeric Verse: The Collected Papers of Milman Parry (ed. A. Parry), Oxford 197 1. 7 8
A.B. Lord, The Singer of Tales, Cambridge MA 1960.
J.M. Foley, Immanent Art: From Structure to Meaning in Traditional Oral Epic, Bloomington 199 1; Homer's Traditional Art, University Park, Pennsylvania 1999.
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(2) On the level of (the smallest units of) content through the usage of traditional motifs and type-scenes. (3) On the level of song structure through the usage of traditional patterns of plot. On all three levels, the evocation of the traditional back ground is brought about by the principle of repetition, a repe tition, however, of poetic elements which is employed again and again within the tradition. Thus, repetition, characteristic of the oral-traditional epic, does not recur as a point-by-point reference to a singular, concrete text. Instead, it is repetition which acts out the common underlying pattern, which each in dividual statement then shares with countless other anonymous examples. Examples of this principle are well-known and accepted in Homer, and likewise, thanks to the books of Albert Lord and John Foley, in the South-Slavic epic as well. I offer here just short examples of the three levels mentioned above, drawing my examples from both literary traditions.
(1) On the level of language 9, I will limit myself here to the often discussed noun-epithet formula 10• The formula n68ac; ooKuc; AXtA.A.euc; will always evoke in the traditional listener the typical qualities of Achilles: he is the fleetest of all heroes and is thus superior to all his opponents 11. Likewise Hector, who, through the formula Kopu9a(oA.oc; "EK't"rop, is defined as the one hero whose sparkling helmet causes his opponents to be terror stricken 12• 9 For an overview, cf. M.W. Edwards, Homeric Style and Oral Poetics, in I. Morris- B. Powell (edd. ), A New Companion to Homer, Leiden 1997, pp. 261283, and, in the same volume, J. Russo, The Formula, pp. 238-260. 10
For a recent approach to this problem that built the cornerstone of oral theory, cf. E. Bakker, Noun-epithet Formulas, Milman Parry, and the Grammar of Poetry, in J.P. Crielaard (ed. ), Homeric Questions: Essays in Philology, Ancient History and Archaeology, Including the Papers of a Conference Organized by the Netherlands Institute at Athens (15 May 1993), Amsterdam 1995, pp. 97-125. 11 One may notice here, that Achilles does not excel by the swiftness of feet at all, in our Iliad. So, it is the traditional quality of Achilles that is evoked throughout the Iliad though it never plays a role within its plot.
12 Cf. G. Nagy, Formula and Meter, in B.A. Stolz- R.S. Shannon (edd.), Oral Literature and the Formula, Ann Arbor 1976, pp. 239-260 (244): «A particular ized epithet is like a small theme song that conjures up a thought-association with the traditional essence of an epic figure, thing, or concept».
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As an example drawn from South-Slavic tradition, I men tion the formula vjerna ljuba, «the faithful wife», as the wife of a hero is always characterized. In this way, one is constantly be ing reminded of those qualities which are foremost expected of a wife within this tradition: unconditional faithfulness to her husband 13. (2) On the level of motifs, I will mention the similes within the Iliad. Whenever a hero is compared to a lion, it is the typi cal lion which is evoked, the one which traditional listeners would have known from countless such comparisons. The lion in the simile at hand therefore implicitly takes on all qualities which would have been typical for such a lion simile. At the same time, its individual actions are embedded within a richer background 14• In South-Slavic epics, the plot is usually much more char acterized by type scenes than in Homer. Thus, for example, when a song begins with the motif where all the heroes are drinking and talking and only one hero is remaining silent, the listeners are at once aware that it will be this one hero who will have a main role in the song 15• (3) And finally, we arrive at the level of plot structure. Lord and Foley have elaborated on several occasions how the South Slavic return song, the counterpart to the homecoming plot in the Odyssey, always follows traditional expectations 16• And John Foley, at least, has proposed that one can just as well read the Odyssey with the typical Nostoi structures in mind 17. 13
Cf. Foley 1999, passim. 14 For the traditional background of the Homeric simile, the pioneering
study of H. Frankel, Die homerischen Gleichnisse, Gottingen 1921, remains in dispensable, though much has been done by W.S. Scott, The Oral Nature of the Homeric Simile, Leiden 1974. 1 5 The best known instance of this type scene is the beginning of Avdo MededoviC's monumental epic The Wedding of Smailagic Meho (A.B. Lord- D. Bynum, Serbo-Croatian Heroic Songs Ill, Cambridge MA 1974). Mededovic uses exactly the same beginning in another long epic, The Wedding of Vlahinjic Altj'a (Bosnian text in: «SCHS» VI, 1980; German translation in G. Danek, Bosnische Heldenepen, Klagenfurt [forthcoming]). ·
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Cf. , for instance, L ord 1960, pp. 121-123; 242-265; J.M. Foley, Tradition al Oral Epic: The Odyssey, Beowulf, and the Serbo-Croatian Return Song, Berke ley 1990, pp. 278-328. 17
Song.
Foley 1999, pp. 115-167: Story-Pattern as Sema: The Odyssey as a Return
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We have thus marked out the basic structure of traditional referentiality. Each instance of a formula, a typical motif, or a traditional plot structure repeats countless other identical ex amples, thereby making reference to them. Of course, regarding this type of repetition, one can not speak of a reference, direct quote, or allusion. Yet on the other hand it should be clear that what we have here is nothing other than a type of intertextual ity- a type of intertextuality, however, as it has been defined by Julia Kristeva 18, namely, as an infinite relationship among (exts, as a relationship of texts to a world which is itself read as a text. The principle of traditional referentiality differs from this bor derless concept of intertextuality only in so far as the referen tial world of epic tradition is limited to that world which is bound within the language of the epic. Now within this general model, there are certain types of relationships between texts which clearly transcend that kind of generic implication. In these cases, a generic model will be evoked only to underscore the fact that a deviation is occurring in a specific case from precisely that model. Yet here too, rep etition is still moving well within the boundaries of the anony mous, non-specific traditional typology. However, precisely due to a deviation from such a model, the reference is thus under stood as something lying outside the text. In contrast to the principle of pars pro toto, in which the singular text is under stood to be a component of the entire tradition, the text here differentiates itself from such a typical model, thereby defining itself as an individual text which is clearly different from the tra dition. We can also find this kind of, as it were, negative evo cation of the generic model in Homer as well as in the South Slavic epic. In fact, we can do so once again on all three levels. (1) The formula KopuecdoA.oc; "EK-trop is unmistakingly evoked in the well-known passage of book six of the Iliad where little Astyanax gets frightened by his father's wagging plume, whereupon Hector takes off his helmet, Il. 6.466-473: "ne; einrov ou nat80c; 6pe�a'to cpai8tiJ.oc; "EK'trop· &\ff 8'0 nai:c; npoc; K6A.nov etiCrovoto 'tt8i}vnc; eKA.iven iaxrov, na1:poc; ( FriedHinder and Hoffleit 1948 no. 8), whereas the stone has AINEO, IATPO and API:ETO ( Hansen 1983, no. 62). 29 Powell 1991, Ruijgh 1995. 30 Plut. Lye. 4; see Merkelbach 1997, pp. 9 f. 31 R. Merkelbach - M. L. West, Pragmenta Hesiodea, Oxonii 1967, pp. 1435. A closed roll with t he inscription XIPONEIA appears on an At tic vase datable to 500-490 BC (Im merwahr 1964, p. 21). 32 Immerwahr 1964, pp. 41 f.
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(c) "Attic alphabet" is a convenient label, but does not ne cessarily correspond to a well defined reality. Everything we know on the subject of the alphabets used in sixth century Athens points to an extremely complex situation. Ionic letters creep into the Attic alphabet as early as the times of the Peisis tratids 33 and literary texts in the Attic alphabet may have been far more "hybrid" than we imagine, precisely because the cul tural influence of East Ionia was so strong. To make things worse, we know that some Ionic letters were used in Attica with values different from those familiar from Ionia: for example, be tween a. 520 - 440 a.C. omega was often used, in texts otherwise written with Attic conventions, for a long close [o], along with OY or Y 34• This complicates matters for those willing to recon struct an "old" alphabet used for the epics. I think that it would be advisable to speak of a Homeric text which was "mainly Attic". (d) An important variable which must be considered is pro vided by the recitations. Since we are speaking of archaic and classical Greece we cannot think exclusively in terms of written texts, as we would for later times; new recitations must have in fluenced new copies. On the other hand, it is also possible that old copies written with archaic conventions in th�ir turn influ enced new recitations (as already suggested by Wackernagel 1916, p. 85). In any case, explanations of problematic Homeric forms as mistakes arising exclusively from misunderstanding of a written text are often lame. To give only one example, 6Kpu6£vttoc; in It. 9. 64 oc; 1tOMf.LOU £pcx.ttat B1tt011f.L{ou 6KpU6£V'toc; is meaningless: it should be Kpu6£vwc; "chilling". As R. Payne Knight recog nized long ago 35 what we have in our manuscripts and papyri 33 Immerwahr 1990, pp. 179 ff. 34 E.g. ['Aptcr]1;e.t8� btt8111ltO' 6Kpu6eV'l:oc;) was favoured by the existence of the adjective 6Kpt6etc;, "rugged", "jagged" usually applied to stones used in battle and causing wounds or death. In Kretschmer's words, in this and in very many other cases «wir kommen [ . . ] durchaus ohne Annahme einer Umschrift aus» 37• The Homeric forms which can only be explained as due to misinterpretation of a written text are very few indeed 38. .
(e) The paramount importance of recitations in archaic times is made clear by a further consideration. The Alexandri an scholars knew well that in the Homeric text some obsolete nouns and adjectives were traditionally accented differently from what one would have expected on the analogy of other words belonging to the same inflection, e.g. Kaucnetpflc; (Il. 4. 342) and Oall.eta{ (Il. 1. 52 etc.) instead of Kaucnetp'llc; (cf. 8o'l:etp11c;) and 8CX!letat (cf. yA.uKetat). Since Wackernagel proved that the "anomalous" accents reflected those of the in herited devi inflection 39, and since archaic copies certainly bore 36 Meillet 1918, p. 279; Chantraine 1958, p. 7. 37 «Glotta» 3, 1912, p. 308; see also G.E. Dunkel, in C. Watkins (ed.) Stu dies in Memory a/Warren Cowgill (1929- 1985), Berlin - New York 1987, p. 15. 38 M.L. West, Epica, «Glotta» 44, 1966 (pp. 135-148), p. 136; 1978, pp. 60 ff.; The Textual Criticism and Editing of Homer, in G W Most (ed. ) Editing Texts/Texte edieren, Gi:ittingen 1998, p. 97 n. 4. 39 Wackernagel 1953, pp. 1154 ff.; M.L. West 1998, p. XXI. See Sihler 1995, pp. 275 ff. .
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no accents, this is a strong indication that the recitations were never discontinued: on the sole basis of a written text a rhap sode would certainly have pronounced KAl'LTEIPHL and E>AMEIAI as Kaucrrrtfp11c; and 8aj..letcxt. This is obviously a warn ing to those who believe in an oral dictated text; their theory is acceptable provided that it is not meant to imply a «rebirth» of the epics on the sole basis of a written text. 4. The plain truth is that the epics as we have them are like ly to be the result of extremely complicated processes involving both orality and writing which we can no longer reconstruct 40. Oral fixation may have been more of a reality than those who live in a literate society are prepared to believe; on the other hand the registration in writing of an epic text was tecnically perfectly possible already in the eight century BC. In some cases there may have been a reason for written fix ation; as I said elsewhere, if the extremely regular layout of Nestor's cup is really due to the influence of epic texts written .on papyrus or leather, they may have answered the needs of a recently founded colony, where professional rhapsodes were very rare or even non-existent 41; obviously "epic texts" does not necessarily mean Homer's text as we have it. Incidentally, I do not think that it is very likely that copies of Homer were re sponsible for the spread of the alphabet among the Greeks 42 nor that linguistic archaisms were kept in Homer's text thanks to the alphabet alone 43• In any case, one has the impression that by the late seventh century at least the text of the Iliad must have "crystallized", either orally or in written form. As Wilamowitz put it 44, «gedichtet haben Athener an der Ilias nicht; die war lange fer tig, ehe sie zu ihnen kam». 40 Rossi 1978, pp. 118 ff. argues for a «mistione di oralita e scrit tura» in the epic poems. The idea that Homer could write is now less popular than it was in t he past: see R.B. Rutherford, Homer («Greece & Rome. New Surveys in the Clas sics» no. 26), Oxford 1996, p. 27 n. 60. 41 Cassio 1999, p. 79. 42 As maintained by Powell 1991, p. 232. I agree on this point with D. Ridg way, «CR» N.S. 42, 1992, pp. 350-353, R. Schmitt, «Kratylos» 37, 1992, pp. 6973, and C.J. Ruijgh, «Bibliotheca Orientalis» 54, 1997, pp. 533-603. 43 As asserted by Haslam 1997, p. 80; see Cassio 1999, pp. 76 ff. 44 1916, p. 509.
EARLY EDITIONS OF THE GREEK EPICS AND HOMERIC TEXTUAL CRITICISM
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In my opinion the text of the Iliad must have been fixed for some decades by 560 BC, when the lines A'Cac; 8' eK LCXACX!ltvoc; l:J:yev 8uoKaf8eKa vf1ac;, cnf1cre 8' a:yoov tv' A8f]vafoov tO''tCXV'tO cpaA.anec; (Il. 2. 557 f.) were used. as evidence by the Athenians against the Megarians in an interstate arbitration over Salamis (a fact attested by Aristotle-45). Unless the text of the second line (cr'tf1cre 8' ayoov K'tA..) was fixed, either orally or in written form, and generally accepted 46, I cannot see how the Athenians could have decently offered it as proof of their claims, and how the Spartans (who were the arbitrators) could have accepted it. La ter on the line was argued by the Megarians to be a Solonian in terpolation 47; in fact it must have been part of the «large scale updating of the inherited map of heroic Greece» made in the latest phases of the epics, before the text was definitely fixed «in the interest not only of Athens, but of other Greek states, too» (Finkelberg 1988, p. 38). It is no accident that M. Skafte Jensen, who believes in a Peisistratean oral dictated text, has to resort to shifting the date of the arbitration to ea. 510 BC, which is hardly credible 48• My impression is that Peisistratus and/or the Peisistratids regulated the recitations and gave Homer an unprecedented role in Athenian public life, p robably to reassert the role of Athens as the leader of the Ionians (Janko 1992, p. 30) but were not responsible for the final composition of the Iliad. The same may well be true of the Odyssey. Its language is on the whole less conservative than that of the Iliad 49 and Attic interests more evident 50, but Athens was obviously powerful and influential well before the time of Peisistratus and his sons (as shown by the addition of the line O''tllO'e ()' ayoov K'tA. just
45 Aristot. Rhet. 1375 b 30: MrtV(A.o(A.o