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Italian Pages 220 Year 1941
ERNESTO DE MARTINO
NATURALISMO E STORICISMO NELL’ETNOLOGIA
BARI GIUS. LATERZA & FIGLI TIPOGRAF1-ED1TORI-L1BRAI
1941 * XIX
PROPRIETÀ LETTERARIA
ADOLFO OMODEO
INTRODUZIONE La ricerca etnologica è condotta, di solito, naturali sticamente, cioè mercè una logica sostanzialmente natu ralistica: la considerazione storica e la corrispondente logica storiografica che la governa fanno qui difetto. La presente raccolta di saggi intende rivendicare il carattere storico della etnologia, e limitare il procedimento naturalistico all’eurisi filologica \ o al pratico ordinamento dei fatti in attesa di una storiografia che sarà. Di qui il titolo sotto cui va la raccolta. Si tratta dunque di una assegnazione di confini o di limiti, e anche di una esti mazione delle regioni così circoscritte: fuor di metafora,
1 Qui, come altrove, intendiamo per filologia la critica esterna non solo dei documenti scritti (quali si trovano di preferenza nella Schriftgeschichte), ma anche delle suppellettili materiali, o degli istituti religiosi, sociali, etici, etc. che si presentano in azione al Feldforscher, o delle classi e schemi naturalistici di carattere sociologico, psicologico, ecc. o tratti dalla comparazione (tutti documenti non scritti, impiegati pre valentemente nella etnologia). La raccolta e il riordinamento degli sti moli dell’anamnesi storiografica, quale che sia la natura di tali stimoli, costituisce dunque la tecnica filologica: ed è operazione perfettamente legittima, quando si mantenga nella sua sfera. La parola « filologismo > indica invece una esorbitanza della filologia, e cioè la confusione fra momento euristico e anamnesi storiografica effettiva, la surrogazione della logica che presiede alla formazione dei concetti storiografici con la logica naturalistica che presiede alla elaborazione degli stimoli filologici. Se la filologia è legittima, il filologismo costituisce invece la pretesa illegittima della filologia.
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si tratta di impedire al procedimento naturalistico illegit time esorbitanze, e di determinare l’ufficio suo proprio in relazione a quello del diverso procedimento storio grafico. In questa delicata e paziente opera di distinzione e di qualificazione abbiamo tenuto presente i progressi della metodologia della storia compiuti in Italia negli ultimi quarant’anni, poiché ci sembra che in questa ma teria l’Italia abbia sopravanzato le altre nazioni europee. Tanto più si richiedeva che qualcuno si assumesse l’onere di tale fatica in quanto la metodologia crociana, che ha dato frutti così copiosi in molti domini del sapere storico, non ne ha dato alcuno, fin’ora, in quello della storia delle civiltà a noi più lontane. C’ è di più : se si osserva, con mente aperta al vero, il corso della storia della storiografia in questo circoscritto dominio, balza agli occhi che qui ci aggiriamo in un pallido mondo di ombre, in cui si riflette, per così dire, l’iperuranio dei grandi movimenti di pensiero della nostra civiltà negli ultimi cento anni. Invero-, quando imperava il positivismo, l’etnologia fu Grassamente positivistica, e peggiorò ulte riormente il naturalismo della sua età; quando fu pro clamata la bancarotta della scienza, e l’idealismo e lo storicismo ripresero lena, l’etnologia tentò di farsi storica, ma intese tanto poco il significato della storia, da scam biarla con un filologismo scialbo, privo d’ogni lievito di pensiero, ovvero, come suole accadere allorché manca il freno della ragione storica, avventato e arbitrario, e disposto a lasciar credito persino alle « verità » della fede, o addirittura a confermarle; infine, quando, di recente, sembrò che lo storicismo fosse superato, l’etno logia si aggiornò di nuovo, e confessò più apertamente il suo amore verso il metodo naturalistico, amore che, del resto, essa mai aveva sostanzialmente intermesso. E, in ciascuna di queste tre età, giammai il sapere etno
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logico fu mosso da reali interessi di pensiero, ma andò piuttosto raccattando dall'ambiente quel tanto che oc correva per potersi dire al corrente anche sul punto della metodologia e della filosofia. La filosofia che cosi entrava a far parte dell’arsenale culturale dei signori etnologi era quella che poteva essere : non si riattaccava direttamente alla grande tradizione europea, a Kant, a Hegel, a Bergson o a Croce, ma ripeteva, con untuosa compunzione la filosofia professorale e accademica, o, nel caso più favorevole, la filosofia degli epigoni (si pensi a Vaihinger, Husserl, Dilthey, etc.). L’abito filologico di « mantenersi al corrente » e di seguire « l’avanzamento delle ricerche » si tramutava qui nell’accogliere la filosofia di moda, quasi che la moda avesse qualche autorità nelle cose del pensiero. Con la presente raccolta di saggi noi ci lusinghiamo di aver creato almeno le premesse affinchè tale stato di cose abbia fine, di aver iniziato la radicale riforma del sapere etnologico, il riscatto di questa manomorta cultu rale e il suo riassorbimento nel circolo vivo del sapere non ozioso. Confessiamo che la nostra impresa presenta notevoli difficoltà: le pagine che seguono si rivolgono a due pub blici interamente diversi, ai filosofi e ai cultori di Schriftgeschichte da una parte, agli etnologi — e ai paletno logi — dall'altra. I primi stenteranno a seguirci sul terreno speciale della ricerca, sebbene intenderanno molto bene l’interesse generale, e non solo etnologico, di certe questioni di metodo; i secondi, informatissimi per quel che riguarda il settore speciale della ricerca, ci seguiranno molto poco in una polemica che presuppone un minimo di orientamento e di interesse speculativo. Ai primi, o almeno ai più orientati fra essi, sembrerà che da parte nostra si dicano cose ovvie, e che le storture che si com battono sono troppo vistose per meritare l’onore di una
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critica in forma, minuziosa e paziente : ai secondi sfug girà molto probabilmente il nocciolo della quistione, e apparirà invece in un rilievo quasi drammatico questo o quel difetto di informazione, questa o quella lacuna, questa o quella inesattezza. È d'uopo quindi che l’autore tenga, a chiarimento, due discorsi distinti, ciascuno rivolto a un solo tipo di lettore. Agli Schrifthistoriker e ai filosofi diremo, da parte nostra, che qui si intende promuovere, mercè l’etnologia, un allargamento della nostra autocoscienza storica, una migliore determinazione dell’essere e del dover essere della nostra civiltà; che per attuare questo compito è anzitutto necessario liberarsi dalla passività della meto dologia naturalistica oggi più o meno imperante negli studi etnologici ; e, infine, che, per condurre a buon punto tale opera di liberazione è necessario far proprio quei ragionamenti minuziosi e pazienti che ai più orientati possono sembrare ovvii. Certo è fatica dura spiantare la cittadella del naturalismo etnologico : tuttavia, quando anche nessun etnologo si giovasse in qualche modo dei nostri lumi, resterebbe pur sempre un lume dato a noi per proseguire l’opera nostra : il che non è poca cosa. Or cosa diremo agli etnologi e ai paletnologi? Diremo che si sforzino di rifarsi ai principi, di appren dere l’abito di porre, criticamente, la quistione « de jure » per ogni ricerca intrapresa, e, sopratutto, di riaffiatarsi con la grande speculazione europea : in ogni caso, avver tiamo fin d'ora i signori etnologi e paletnologi che le eventuali critiche ch’essi saranno per farci sui difetti di informazione, su inesattezze nei particolari, sul tal libro non citato, etc., non li dispensa affatto di venire al nocciolo dell’argomento, e di impegnar battaglia sui principi : che è quel che conta, data la natura del pre sente libro. E li avvertiamo anche che di questi principi non ci si sbriga in quattro parole, posto che in essi ri
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fluisce la migliore tradizione speculativa europea, con particolare riferimento alla metodologia del Croce. Questi sono i due discorsi che rivolgiamo ai due pub blici eventuali. Or qui cade opportuna una osservazione. È un fatto strano, e che invita a pensare, l’imbarazzo nel quale si trova lo scrivente, nonché la necessità del doppio discorso. La verità è che la cultura europea è attualmente divisa in compartimenti-stagni, e fa difetto quel minimo di unità di pensiero per cui uno stesso lin guaggio è sostanzialmente intelligibile ed opportuno per tutti. Le fedi si moltiplicano, i pubblici si dividono, le ignoranze reciproche si accrescono in numero ed in estensione, 1’ Europa si copre di una fitta rete di barriere feudali, nei cui limiti vivono regimi culturali autarchici. Non si tratta di quella « concordia discors » che è garanzia di progresso : è crisi, divisione, anchilosi, confusione delle lingue. Questo discorso ci porterebbe molto lontano, e precisamente alle scaturigini di tale perdita d’unità, al nostro Rinascimento, allorquando, cioè, la nascente civiltà moderna accusò subito uno scarso potere di espansione e di assorbimento dei relitti del passato, difetto che rimase poi, più o meno, costante sua caratteristica. Ma, per lasciare così ampio argomento, e per tornare al nostro, di tanto più modesto, certo è che i saggi che seguono, col relativo imbarazzo di chi li ha scritti, e col doppio discorso che abbiamo dovuto tenere, costituiscono una conseguenza visibile del fatto or ora denunziato. Orbene: la nostra raccolta di saggi ha la piccola ambizione di provvedere, per la parte che le spetta, a ristabilire la circolazione interrotta, e a mettere almeno in comunica zione due domini che coesistono estranei l’uno accanto all’altro: il dominio etnologico e quello della più pro gredita metodologia della storia. Il nostro ragionamento è abbastanza semplice : noi, per conto nostro, abbiamo adempiuto il nostro dovere meditando le concezioni meto
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dologiche dei signori etnologi, e saggiandone il valore speculativo; chiediamo che i signori etnologi facciano altrettanto con le cose nostre, e, in ogni caso, raccolgano il guanto di sfida. Nel discorso che abbiamo rivolto ai filosofi e agli Schrifthistoriker abbiamo più sopra parlato di un incre mento di autocoscienza a cui dovrebbe provvedere il sapere etnologico. Si tratta di un punto molto importante. La nostra civiltà è in crisi : un mondo accenna ad andare in pezzi, un altro si annunzia. Naturalmente, come accade nelle epoche di crisi, variamente si atteggiano le speranze e variamente si configura il « quid maius » che sta per nascere. Tuttavia una cosa è certa : ciascuno deve sce gliere il proprio posto di combattimento, e assumere le proprie responsabilità. Potrà essere lecito sbagliare nel giudizio : non giudicare, non è lecito. Potrà essere lecito agire male : non operare, non è lecito. Ciò posto, quale è il compito dello storico? Tale compito è sempre stato, ed ora più che mai deve essere, l’allargamento dell’auto coscienza per rischiarare l’azione. E l’autocoscienza storio grafica si allarga non solo dichiarando gli istituti della nostra civiltà, non solo riportando alla consapevolezza il vero essere del nostro patrimonio culturale, ma altresì imparando a distinguere la nostra civiltà dalle- altre, anche da quelle più lontane. La civiltà moderna ha bisogno di tutte le sue energie per superare la crisi che attraversa. Lo storico, per la parte che gli spetta nel dramma, e per il compito che gli è proprio, risponde all’appello dei tempi offrendo il suo contributo : e cioè una maggiore potenza di individuazione, preparatrice di una maggiore potenza di azione. Inoltre, certe forme recentissime di prassi politico-religiosa, certe disposizioni d’animo strane, certi appelli ad esperienze ineffabili (si pensi al Gemiit che stringe in unità sentimentale il suolo e la razza, la razza e il sangue) non si spiegano ab
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bastanza con la storia del secolo XIX, e, in generale, con la storia della civiltà nostra. Non si spiegano del tutto con tale storia la « bramosia di lontane esperienze ataviche » in un Mòser, in un Wagner o in un Bachofen, non si dichiara completamente, per una mente aperta soltanto a esperienze europee, la vibrazione di accento che molti dotti tedeschi conferiscono al prefisso ur (si veda la recente recensione dell’Omodeo ad un libro del Mòser, in Critica XXXVIII, 1940, p. 232 sg.). La verità è che nel compiere la nostra opera di determinazione dei fili che si dispongono nell’ordito di certe disposizioni d’animo moderne, non siamo in possesso di tutti i fili, e quindi l’ordito non riesce, o almeno non riesce comple tamente. E il filo che manca è per l’appunto quello del cosiddetto mondo primitivo, di quel mondo che oggi più che mai dà segni di presenza, simile a tradizione quasi inaridita che rinverdisca, simile a linguaggio liturgico quasi obliato che ritorni in piena evidenza alla memoria. Come possa la ricerca etnologica storicisticamente orien tata mantener fede a questi impegni, solo l’esecuzione nel fatto di una storiografia delle civiltà inferiori può mostrarlo : ma tale esecuzione non rientra nell’economia dei saggi qui raccolti, dato che essi ubbidiscono unica mente al fine di ripensare criticamente i metodi con cui si scrivono le storie etnologiche. L’argomento offre allo Schrifthistoriker e per il metodologo anche un altro interesse generale. La presente raccolta di saggi costituisce un eccellente punto prospet tico per poter abbracciare a colpo d’occhio un gran numero di possibili errori metodologici della storiografia naturalistica : la sostituzione del filologismo alla consi derazione storiografica, la surrogazione delle reali cate gorie storiche (arte, filosofia, religione, ethos...) con le pseudocategorie naturalistiche dello spazio del tempo e della causa, la storia universale e generale, la corru
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zione del cominciamento ideale ed eterno delle categorie nel cominciamento in tempo, il biologismo culturale, la superstizione del documento e la ingenua credenza della storia come un passato e come un di fuori, lo psicologi smo, la risoluzione del nesso dialettico necessità-libertà nella doppia ipostasi della società e dell’ individuo, etc. La Schriftgeschichte degli ultimi cento anni presenta in misura più limitata, e con evidenza minore, questa serie di errori : la storiografia etnologica permette invece di considerarli, per così dire, allo stato naturale, senza quegli avvolgimenti temperamenti o compromessi che nella Schriftgeschichte li rendono meno evidenti, più fatico samente isolabili, e, infine, didatticamente meno efficaci. Insomma, per esemplare gli errori metodologici del natu ralismo storiografico, la etnologia rappresenta un eccel lente punto prospettico. Infine, invitiamo gli Schrifthistoriker e i metodologi della storia a riflettere sul fatto che la metodologia cro ciana, nata da una vivacissima esperienza della storia, raccomanda la sua vitalità e il suo incremento al continuo commercio con nuovi problemi storici. Or è accaduto che la filosofia dello spirito si è imbattuta spesso in troppo accademici censori o fautori, i quali han preso ad esa minare il delicato suo congegno da metafisici più che da filosofi, senza cioè continuarla in una nuova più ampia e vibrante esperienza della storia. E sia che questi metafi sici presumessero di avere scoperto il difetto del sistema, sia che lo stimassero perfetto in ogni sua parte, certo è che rifiuti o correzioni o adesioni tradivano un difetto sostanziale, erano cioè elucubrazioni a freddo. Da parte nostra stimiamo che sia preferibile sottoporre il sistema alla prova di nuove esperienze storiche, affinchè da queste, e solo da queste, tragga il nutrimento che lo farà crescere e fruttificare. Come l’incremento della vita morale ha luogo solo quando i casi della vita ci pongono di fronte
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a nuove decisioni concrete, in cui il carattere è chiamato volta a volta a esprimersi, e giammai quando escogitiamo precettistiche o casistiche sul possibile che non è reale, così, mutatis mutandis, l1 incremento di una metodologia della storia è affidato alla possibilità di provarla inte riormente nella intelligenza di mondi storici nuovi, in cui la sua efficacia non è stata ancora cimentata. Una etnologia storicistica rappresenta per l’appunto un ci mento sconosciuto per la metodologia crociana: di qui un interesse generale nella cosa. Giova ora qualche chiarimento su alcuni criteri par ticolari che ci hanno condotto nella elaborazione dei saggi in quistione. In generale, alla esposizione in esten sione abbiamo preferita quella per punti prospettici: per esempio, ad un esame completo della etnologia evolu zionistica abbiamo preferito un saggio critico intorno ad uno solo fra i più noti rappresentanti dell’ indirizzo, L. Lévy-Bruhl. L’argomento offre infatti un eccellente punto prospettico per valutare, in uno, l’evoluzionismo, il sociologismo, il filologismo mistico-romantico, e, infine, il problema della mentalità primitiva. Inoltre, ad un esame diffuso di tutti gli scritti metodologici della scuola sto rico-culturale abbiamo preferito soffermarci sulla pre fazione-programma del Foy, completandola con le elu cubrazioni filosofiche di H. Pinard de la Boullaye, e con le regole tecniche esposte netì’Handbuch der Methode der kulturhistorischen Ethnologie dello Schmidt. Ancora : ad un esame completo di tutti i mal posti problemi della etnologia, abbiamo preferito la trattazione par ticolare di uno solo di questi, il problema della prima forma di religione nella etnologia religiosa. Infine, val gono per l’etnologia funzionale considerazioni analoghe. La raccolta offre pertanto, sia pure di scorcio, un con tributo alla storia della storiografia europea nella seconda metà del secolo decimonono e nei primi quarant’anni del
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ventesimo. Tale contributo è tanto più necessario in quanto nelle storie della storiografia europea manca una sezione che riguardi l’etnologia. Si veda, per esempio, la classica Geschichte der neueren Historic grafie del Fueter (Miinchen u. Berlin, 1911), dove gli accenni al l'etnologia moderna sono vaghi scarsi e imprecisi, e viziati, fra l’altro, dal pregiudizio metodologico della sto ria universale (più vivaci e penetranti, invece, gli accenni ai primi albori del sapere etnologico, sopratutto durante l’epoca delle scoperte). Ad ogni modo, non tutto ciò che d’importante si poteva dire sul conflitto fra considerazione naturalistica e storicistica nel dominio etnologico ha trovato posto nei saggi raccolti nel presente volumetto : manca, per esempio, la determinazione particolareggiata dei rapporti fra etnologia e antropologia, un argomento che ha sapore di attualità. Ma le integrazioni sono facili per il lettore orientato : altre noi stessi faremo in seguito*.
1 Alla sezione etnologica della biblioteca Di Venere«Ricchetti siamo debitori del materiale bibliografico utilizzato nelle nostre ricerche: il nostro ringraziamento va al direttore della biblioteca, avvocato Damiani, il quale con molta cortesia si adoperò a facilitare per questa parte il nostro compito.
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Saggio
critico sul prelogismo di
Lévy-Bruhl.
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Quando, verso la seconda metà del secolo XIX, la scuola antropologica intraprese in Inghilterra lo studio sistematico delle società inferiori, parve ai rappresentanti di quella scuola dogma inconcusso che la religione dei primitivi ripetesse essenzialmente le sue origini dal biso gno logico di spiegare i fenomeni psichici e fisici. Questo dogma si accompagnava strettamente con la veduta intel lettualistica di una teoreticità completamente risolubile nella forma logica, e di una forma logica identificata alla capacità di astrarre e di generalizzare, di costruire classi e tipi, al modo delle scienze particolari. Su questa base speculativa — mutuata dall’evoluzio nismo allora imperante — i rappresentanti della scuola antropologica inglese costruirono le loro ipotesi generali intorno alle origini delle forme religiose primitive : su questa base fu costruita dal Tylor l’ipotesi più generale e comprensiva della scuola, 1* ipotesi animistica. Secondo il Tylor l’intelligenza umana, in condizioni ancora rudi mentali di cultura, si preoccupò della risoluzione di un duplice ordine di problemi : per un verso cercò di spiegare la causa della vita e della morte, della veglia e del sonno, E. de Martino.
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della malattia e della sanità, per un altro verso si preoc cupò di rendersi ragione delle forme umane che appaiono durante i sogni e le visioni estatiche. Il primo ordine di fenomeni avrebbe suggerito al primitivo l’idea di un principio vitale residente nel corpo, e che poteva abban donarlo temporaneamente, come nel sonno, o durevol mente, come nella morte ; il secondo ordine di fenomeni gli avrebbe invece suggerito l’idea di un altro se stesso, di un suo proprio fantasma, immagine, eco, ombra. Dalla combinazione di queste due idee, sarebbe nata la rappre sentazione dell’anima-apparizionale o anima-fantasma (apparitional-soul, ghost-soul), cioè di un secondo eva nescente se stesso, causa della vita e della morte, e, du rante la vita, del sentire, del pensare e dell’agire “. Infine, un analogo bisogno logico, e precisamente aitiologico, combinato con l’incapacità di distinguere l’animato dall’inanimato, avrebbe indotto il primitivo ad estendere la vita e la psichicità alla natura12. Un altro grande rappresentante della scuola antropo logica, Sir James Frazer, informando i criteri della sua ermeneutica agli stessi presupposti, interpretò la magia come il primo passo di quella conoscenza causale che sarebbe culminata poi, attraverso la religione, nelle scienze positive dell’età moderna3*. Contro l’intellettualismo della scuola antropologica inglese si determinò in Francia, verso la fine del secolo,
1 Tylor, Primitive cultureB, I, p. 428 sgg. Cfr. 499, II, 108, 194. 2 Op. cit., II, 285. 3 Frazer, The Golden Bough3, I, 1, 220 sgg.; VII, 2, 304 sgg. Il logicismo e l’aitiologismo del Frazer si rivelano anche in alcune teorie particolari, come, per es., nella sua ipotesi concezionale della genesi del totemismo. Tracce notevoli di questo persistente intellettua lismo si ritrovano anche nella teoria del Lang intorno all’essere supremo come causa e autore dei fenomeni naturali (Lang, Mith. Ritual and Religion, I, 330).
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una vivace reazione ad opera della scuola sociologica fondata dal Durkheim e dagli altri collaboratori dell’^nnée Sociologique. In generale le critiche mosse dai sociologi francesi alla metodologia della scuola antropologica non mancano di acutezza. Non sfuggì, per esempio, al Durkheim che l’ipotesi animistica non ricostruisce ab intra l’esperienza religiosa, non ci spiega la distinzione fra sacro e profano :
Quand’anche l’analogia del sonno con la morte fosse stata sufficiente a far credere che l'anima sopravvive al corpo (e vi sono delle riserve da fare su questo punto), per quale ragione quest’anima, per il solo fatto che è ora stac cata dall’organismo, dovrebbe cambiare completamente di natura? Se, durante la vita, essa è soltanto una cosa profana, un principio vitale ambulante, come può diventare d’un colpo una cosa sacra, oggetto del sentimento religioso? La morte non le aggiunge nulla di essenziale, salvo una più grande libertà di movimento4. Nè sfuggì a Lévy-Bruhl che l’ipotesi animistica si so vrappone ai fatti che intende spiegare in modo affatto estrinseco e problematico: Nelle società inferiori è quasi universalmente diffuso l’uso di distruggere le armi di un morto, i suoi vestiti, gli oggetti di cui si serviva, anche la sua casa, e di immolare talora i suoi schiavi e le sue donne. Come si spiega ciò ? « Questo costume — dice il Frazer — può essere nato dall’idea che i morti avrebbero serbato rancore a quei vivi che li avessero spogliati delle loro cose. L’idea che, avvenuta la distruzione, le anime degli oggetti raggiungono i morti nel paese delle anime è meno semplice, e probabilmente più recente.» Senza dubbio questo costume può essere nato così: ma * Durkheim, Les Formes élémentaires de la vie religieuse (d’ora in poi FEU, p. 85-
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può essere anche nato in altro modo. L’ipotesi del Frazer non s’impone escludendo tutte le altre, e il suo stesso modo di esprimersi lo confessa56.
Del pari la scuola sociologica coglieva nel segno quando si rifiutava di riconoscere nella magia nient’altro che un tessuto di associazioni illusorie, di falsi ragionamenti analogici e di infondate applicazioni del principio di causalità °. Tuttavia se queste e altrettali critiche sono ragionevoli e accettabili, non altrettanto può dirsi delle soluzioni positive prospettate in cambio di quelle rifiutate. Possiamo dire fin d’ora (alla fine del presente saggio tratteremo l’argomento per esteso) che alla scuola sociologica fran cese fece sempre difetto la solidità speculativa : assuntosi il ragionevole impegno di combattere l’intellettualismo degli antropologi inglesi, restò a sua volta impigliata in un palese intellettualismo. Infatti, dei tre principi pre cedentemente esposti della scuola antropologica, i socio logi francesi rifiutarono solo il primo — il primitivo come filosofo selvaggio —, ma accettarono gli altri due, non sospettando nè l’esistenza di una forma teoretica non concettuale (l’intuizione), nè la distinzione tra logica speculativa e logica empirica : inoltre — ed era conse guenza affatto spiegabile date queste premesse — essi, al pari dei loro avversari, mancarono di senso storico, e la storia mortificarono negli schemi della sociologia. Infine, non essendo in possesso di una vera e propria filosofia dello spirito, facilmente furono indotti a tradurre 5 Lévv-Bruhl, Les Functions mentales dans les sociétés inférieures (d’ora in poi FMSI), p. ir. 6 Si vedano, a questo proposito, i lavori di Hubert e Mauss, e segnatamente 1’ Esquisse d’une theorie générale de la magie (in Année sociologique, VII, 1904, p, 56 sgg.) e V Origine des ponvoirs magiques (in Mélanges d' histoire des religions, p. 130).
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i problemi speculativi e storici in termini di psicologia empirica. Il Durkheim per esempio, basandosi sulla giu sta osservazione che il fenomeno della morte non basta, di per sè, a trasformare l’anima in ispirilo, cioè in obbietto numinoso, credette fosse legittima la ricerca di quella esperienza sui generis che ispira il nume, e la fonte di questa esperienza credette di scoprire nella società, sopra tutto durante i suoi periodici corrobori : (I credenti) sentono, in realtà, che la vera funzione della religione non consiste nel farci pensare, nell’arricchire la no stra conoscenza, aggiungendo a rappresentazioni di carattere scientifico rappresentazioni di altra origine e di altro carattere, ma nel farci agire, nell’aiutarci a vivere... Questa realtà che i mitologi si sono rappresentata sotto forme così diverse, questa realtà che è la causa oggettiva, universale, eterna di tali esperienze sui generis, è la società78. E la società elabora i suoi prodotti, in modo particolare la religione, secondo una logica ed una psicologia che non sono quelle dell’ individuo : chè anzi i naturali strumenti della logica individuale — il concetto di genere e di specie, di spazio e di tempo, di forza sostanza e di causa — si generarono nell’ambito dell’esperienza sociale e reli giosa 8.
*** I motivi irrazionalistici e pragmatistici della scuola sociologica francese sono particolarmente accentuati nel l’opera di Luciano Lévy-Bruhl. Se le cosiddette rappre 7 FEL, 5958 FEL, 597° FEL, 200 sgg., 290 sgg., 518 sgg., 616 sgg. Cfr. Durkheim e Mauss, De quelques formes primitives de classification (in Année so ciologique, VI, p. 1 sgg.), nonché i lavori di Hubert e Mauss preceden temente citati.
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sentazioni collettive in generale, e quelle delle società inferiori in particolare, non si spiegano con la logica e la psicologia individuali, ciò vuol dire che alla loro for mazione presiede un’altra logica, le cui leggi occorre determinare Ciò posto, il Lévy-Bruhl intraprese lo studio delle rappresentazioni collettive nelle società infe riori, con l’intento di determinare la loro logica : e cre dette di venire alla conclusione che, presso i primitivi, la logica individuale, retta dal principio di identità o di non contraddizione, è affatto dominata dalla logica col lettiva, retta dalla legge di partecipazione. La scuola antropologica inglese, malgrado il suo estrinseco aggi rarsi alla superficie del fatto religioso, aveva tuttavia conservato il carattere unitario della forma logica nel primitivo e nell’uomo culto, e su questa base aveva potuto almeno costruire i suoi schemi evoluzionistici e progressistici, i quali, se storia propriamente non erano, almeno la simulavano ; la scuola sociologica francese, prendendo le mosse dalla considerazione in sè giusta e storicamente orientata che il primitivo non è un filosofo selvaggio, e che la religione delle società inferiori non può essere essiccata in una sorta di metafisica ingenua o di scienza grossolana, trascorreva, per opera di uno dei suoi più 10 « Le combinazioni da cui derivano i miti le teogonie e le cosmo gonie popolari non sono identiche alle associazioni di idee che si formano nell’ambito individuale, sebbene le une e le altre si possano chiarire a vicenda. Una sezione a parte della sociologia dovrebbe essere destinata a determinare le leggi dell’ideazione collettiva: tale sezione non esiste ancora » (Durkheim, Representations collectives et représentations individuelles, in Revue de Méthaphisique et de morale, maggio 1898, p. 300 nota). Se l’oggetto della religione è così sconcertante per la ra gione individuale, ciò dipenderebbe dal fatto che « la rappresentazione (di questo oggetto da parte della religione) non è opera della ragione individuale, ma dello spirito collettivo. Ora è naturale che questo spi rito si rappresenti la realtà in modo diverso dal nostro, poiché è di natura diversa. La società ha il suo modo d'essere che le è caratteri stico, dunque il suo modo di pensare » (Durkheim, Année sociologique, II, p. 29).
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cospicui rappresentanti, ad immaginare una umanità senza comune misura con la nostra, capace di rappresentazioni e di esperienze che non è possibile rievocare in noi se non in minima parte e molto imperfettamente, un’umanità che, come tale, non può in alcun modo diventare, per noi, oggetto di storia. Ma non è il caso di anticipare, ora, una valutazione critica del « prelogismo », che troverà più avanti il suo luogo adatto ; infatti, tenuto conto che l’opera del LévyBruhl non è molto familiare al lettore italiano, è neces sario che una esposizione particolareggiata e obiettiva dei metodi impiegati e dei risultati ottenuti dal sociologo francese preceda qui la valutazione critica di quei metodi e di quei risultati. * * *
Cerchiamo anzitutto di determinare che cosa sia propriamente la legge di partecipazione. Secondo LévyBruhl, la mentalità primitiva è dominata da una funzione sintetica sui generis, in virtù della quale tra esseri oggetti o fenomeni per noi diversi o indipendenti è isti tuita una identità sostanziale od una connessione speci fica (per es. un nesso causale), o, con termine generico, una partecipazione11. Quando, per esempio, i Trumai di cono di essere animali acquatici, essi istituiscono una identità sostanziale immediata — una partecipazione — fra esseri assolutamente diversi ; quando gli Abiponesi ricol legano la piaga all’azione dello stregone piuttosto che al colpo di lancia, essi istituiscono una connessione o una partecipazione tra fatti per noi del tutto indipendenti u. u FMSI, 68 sg. u FMSI, 75. Un esempio di partecipazione particolarmente in tima: un churinga associato a un albero nyssa non può essere impie gato per rappresentare, poniamo, un emù: bisogna costruire un altro,
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La sintesi compiuta in tal modo dalla funzione parteci pante non è di natura logica, ma piuttosto, immediata e sentimentale. Più precisamente, la legge di partecipazione è un principio affettivo di unificazione delle rappresen tazioni, e si ricollega a ciò che il Lévy-Bruhl chiama « la categoria affettiva del soprannaturale ». In virtù di questa categoria una moltitudine di rappresentazioni, da un punto di vista logico senza alcun rapporto, sono immediatamente unificate nell’uniformità di emo zione che sollecitanou. Si stabilisce così una virtù con nettiva sentimentale di rappresentazioni eterogenee, virtù connettiva che impedisce di riconoscere ogni difetto di coordinazione e di coerenza “. L’emozione sui generis provocata dalla categoria affettiva del soprannaturale è « immediatamente rivelatrice » della presenza inquietante di una realtà « altra » “. Non è tuttavia da credersi che il primitivo sia un essere irragionevole: il « prelogismo »
ancorché identico. D’altra parte uno stesso disegno, se impresso su un churinga associato al nyssa rappresenta un nyssa, se impresso su un churinga associato a una rana rappresenta una rana, ed infine se è isolato, senza riferimento ad alcun obietto numinoso, non ferma l'at tenzione del primitivo, o per lo meno non ha nessuna significazione (FMSI, p. 125 sgg.). 18 Lévy-Bruhl, Le sumaturel et la nature dans la mentalità pri mitive (d’ora in poi SNM), xxiv; vedi, in generale, i-xl. u Lévy-Bruhl, La mytlwlogie primitive (d’ora in poi (MYP), xv. 15 Lévy-Bruhl, L’expérience mystique et les symboles chee les primitifs (d’ora in poi EM), p. 95 sgg. Sul valore di quest’esperienza scrìve Lévy-Bruhl: « Se l’esperienza non avesse mai rivelato all’uomo una realtà diversa da quella del mondo sensibile nel quale egli è im merso, senza dubbio la sua attività mentale sarebbe rimasta sostanzial mente simile a quella degli altri animali superiori : fors’anche più va riata e più ampia, ma pur sempre, al pari di quella, aderente all’og getto, e incapace di percorrerlo nel concetto. Sarebbe pertanto rimasta un’attività limitata, per così dire, al significato letterale delle cose. Niente l’avrebbe incitata a sollevarsi al di sopra della realtà immediata mente sentita e percepita, a dominarla, a immaginarne un’altra di di versa natura. Solo dall’esperienza mistica poteva nascere 1’ idea che le cose possono essere altrimenti da quel ^he sono ».
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non va confuso con l’illogicismo o l’antilogicismo : piut tosto « noi siamo indotti a pensare che (la mentalità pri mitiva) non obbedisca esclusivamente alle leggi della nostra logica, nè, forse, a leggi che siano tutte di natura logica » ”, In particolare, dominati dalla legge di parte cipazione sono soltanto i prodotti della mentalità collettiva cioè quei prelegami fra esseri e oggetti che l’individuo trova già fissati in precedenza dalla coscienza sociale. Quanto all’ individuo, il suo pensiero si comporta secondo la legge di identità* 17*. Logica e prelogica sono quindi intimamente compenetrate e fuse nella mentalità primitiva e non possono separarsi « corame l’huile et l’eau dans un vase »19 : tuttavia la prelogica, con la sua legge di partecipazione, è dominante nel primitivo, allo stesso modo che, nell’uomo culto, predomina la logica col suo principio di identità. Partendo da queste premesse è sembrato al Lévy-Bruhl di poter meglio penetrare nello spirito della mentalità primitiva e dei suoi atteggiamenti caratteristici. Come operano di fatto la legge di partecipazione e la categoria affettiva del soprannaturale; in che modo ne risultino influenzate le rappresentazioni primitive dello spazio, del tempo, della causalità, della quantità; quale è, per il primitivo, la rappresentazione della personalità; infine, in che modo si effettuò il passaggio a tipi superiori di mentalità : queste sono le principali rubriche sotto le quali conviene, per i nostri intenti, raggruppare la vasta silloge del sociologo francese.
FMSI, 50. 17 FMSI, 79 sg. Cfr. op. cit., p. 115: «Le istituzioni fissano per così dire in precedenza, ne varietur, le combinazioni realmente possibili delle rappresentazioni collettive ». “ FMSI, 113.
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L’argomento della rappresentazione dello spazio nella mentalità primitiva era stato toccato già prima del LévyBruhl in uno scritto di Durkheim e Mauss, apparso nel l’enne^ sociologique1". In questo scritto si sostiene la tesi che il modello delle classificazioni primitive fu of ferto dalla organizzazione sociale : gli obbietti naturali (piante, animali, fenomeni atmosferici) furono cioè ripar tite fra i vari clan e raggruppati sotto i rispettivi totem. D’altra parte, poiché la opposta o diversa funzione sociale dei gruppi tribali si obbiettivo in una solidarietà dei gruppi stessi con regioni dello spazio opposte o diverse, la classificazione originaria per totem e clan finì col trasformarsi nell’altra per spazi orientati : le cose furono cioè riferite a questa o quella direzione dello spazio. La classificazione per spazi orientati, con il venir meno dei clan totemici, restò la sola possibile sopravvivendo anche in età culte, tanto che se ne può scoprire la eco lontana nella teoria aristotelica dei luoghi naturali20. 1& De quelques formes primitives de classification, in Année sociologique, VI, 1901-2, pp. -1-72. Cfr. FEL. 200 sgg. 20 II Cassirer, che si è occupato a sua volta del problema della rappresentazione dello spazio nel mito, afferma che lo spazio mitico è, sì, qualitativamente differenziato (e sotto questo punto di vista si ri congiunge allo spazio sensibile), ma compie tuttavia una funzione ordi natrice e semplificatrice della molteplicità empirica (ricollegandosi per questa parte, allo spazio geometrico). Nell’ambito delle società totemiche, per es., 1’ intricato viluppo di tutti gli esseri individuali e sociali, psi chici e fìsici nei loro molteplici rapporti di parentela totemica può essere abbracciato a colpo d’occhio in modo relativamente facile, tostochè il pensiero mitico procede a conferire a quello sterminato complesso una espressione e traduzione spaziale, come accade nelle classificazioni spa ziali primitive segnalate dal Durkheim e dal Mauss. Nel sistema degli Zuni la totalità dello spazio è ripartita in sette domini e ogni obietto possiede, nell’ambito di questa partizione, un luogo univocamente deter minato; pertanto, a dato che tutti i generi e tutte le specie dell’essere
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Avvalendosi delle ricerche del Durkheim e Mauss, e completandole con una più larga esplorazione nel dominio della mentalità primitiva, il Lévy-Bruhl concluse che ai primitivi fa difetto la rappresentazione astratta di spazio, ponendo essi in cambio una rappresentazione semi-con creta e numinosamente qualificata di esso. Ogni spazio determinato, ogni direzione partecipa misticamente con un determinato gruppo di oggetti: Per i primitivi, la rappresentazione dello spazio, per quel tanto che sussiste esplicitamente nelle loro menti, è di natura essenzialmente qualitativa. Le regioni dello spazio non sono concepite, nè propriamente rappresentate, ma piuttosto sentite in insiemi complessi, in cui ciascuna regione è inseparabile da ciò che la occupa. Ciascuna regione partecipa degli ani mali reali o mitici che vi vivono, delle piante che vi crescono, delle tribù che la abitano, dei venti e delle tempeste che ne procedono, etc. La rappresentazione di uno spazio omogeneo, alla quale noi siamo abituati, non ci consente di restituire completamente questa idea21.
In Australia ogni gruppo sociale è solidale, fa corpo, con una regione o una direzione determinata dello spazio : ciascun clan ha, per esempio, un posto univocamente determinato nelle riunioni tribali, un posto cioè univoca mente orientato. La contiguità nello spazio fa talora partecipare misticamente anche uomini che appartengono a gruppi diversi, sì che Spencer e Gillen hanno potuto hanno la loro patria determinata in qualche luogo dello spazio, la asso luta estraneità reciproca di tali specie e generi risulta in tal modo supe rata: la mediazione spaziale conduce alla loro mediazione spirituale, ad una totalità estesa, in un mitico piano cosmico fondamentale 9 (Cassi rer, Philosophic der symbolischcn Formen, II, p. 113). 81 Lévy-Bruhl, La mentalité primitive (d’ora in poi MP), 231 sgg.; cfr. 52, MYP, 92; FMSI, 94, 130, 333 sg. Sullo spazio qualitativa mente differenziato nelle sue direzioni e situazioni numinose vedi anche MP, 91 sg.
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parlare di una parentela di luogo (local relationship) Questa intima partecipazione dei gruppi totali al suolo che occupano (ai tratti salienti del paesaggio, alla sua fauna e alla sua flora, etc.) si riflette in molteplici aspetti della vita religiosa primitiva: talora la divisione dello spazio in regioni corrisponde a una specializzazione di poteri magici : una regione a cui un gruppo partecipa è altresì la sfera propria della sua attività magica. Per esempio presso gli Australiani studiati da A. P. Elkin, ogni totem è associato a una regione determinata dello spa zio tribale, ed ogni clan della tribù è preposto alle ceri monie del proprio centro totemico locale*23. L’associazione mistica o partecipazione è così intensa che un indigeno strappato dal suo spazio sociale perde ogni potere magico e deperisce per il dolore ”. Una regione nuova esercita una potenza malefica, dalla quale è d’uopo proteggersi ; fuori della sua contrada il primitivo è spesso inquieto :
Egli non respira più la sua aria, non beve più la sua acqua, non coglie più nè mangia i suoi frutti, non è più circondato dalle sue montagne, non cammina più sui suoi sentieri : tutto gli è ostile, perchè fanno difetto le partecipa zioni che egli è abituato a sentire. Di qui la sua estrema ripugnanza ad abbandonare il suo territorio, anche momen taneamente ”.
D’altra parte la funzione partecipante non si limita a stringere in una mistica solidarietà gli spazi con i loro contenuti, ma, nell’ambito di uno stesso spazio e di uno
E MYP, 13 sg. ; cfr. FMSI, 2465g. 23 MYP, 16. I centri totemici locali, e, in generale, i luoghi sacri, sono punti determinati del paesaggio in cui si realizzano in modo par ticolarmente intenso e simbolico le partecipazioni in cui è inserito il gruppo sociale: vedi EM, 180 sgg. MYP, 18. 2G MP, 236.
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stesso contenuto, fa partecipare il « qui » e « li », rendendo così possibile l’esperienza di un « questo qui » che sia « quello li », ovvero di un « questo » che sia, insieme, « qui e lì ». Uno stesso individuo, per esempio, può redu plicarsi in un animale, può essere ubiquo : presso i Mossi sussiste una solidarietà tra gli individui e i caimani, si che ferendo o uccidendo un caimano anche l’individuo corrispondente è ferito o muore Del pari presso gli Eskimo, ciò che è qui, sulla terra ferma, un lupo, è lì, nel mare, una sorta di balena Anche gli obbietti ina nimati possono essere magicamente reduplicabili : uno stregone dello stretto di Torres, operando magicamente su un dente, induce un dente invisibile a penetrare nel corpo della vittima *** Le lingue primitive ricchissime di determinazioni spa ziali concrete, specialmente sotto forma di suffissi e di prefissi, sono in cambio poverissime di determinazioni temporali, tanto da potersi avanzare l’ipotesi che la mentalità primitiva è orientata prevalentemente verso lo spazio, e che il « successivo » nel tempo sia stato rap presentato originariamente come « partecipazione » per contiguitàa. Una indagine specifica intorno alla rappre sentazione del tempo nella religione e la magia, era già »• MP, 236; cfr. SNM, 462. 26 Lévv-Bruhl, L'àme primitive (d’ora in poi AP), 212 sgg. Vedi, per altri esempi del genere, l’intero capitolo, p. 192 sgg. Per rappre sentazioni analoghe, implicanti la reduplicazione dell’ individuo e la sua ubiquità, vedi AP, 169 sgg. 27 AP, 218 sg. ; cfr. 250 sgg. 28 Intorno alla ricchezza di determinazioni spaziali concrete nelle lingue primitive, vedi FMSI, 1645g.; per la relativa indifferenza del primitivo alla successione temporale e per la sopradetta ipotesi, vedi FMSI, 333 sg. e MYP, 3 sgg.
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stata condotta dallo Hubert e dal Mauss ” I due sociologi francesi, servendosi di un materiale mutuato alle grandi religioni storiche e al folklore europeo, e fondando le loro ricerche sulle sottili analisi di « Matière et memoire » e dei «Données immediates de la conscience» del Bergson, pervennero alla conclusione che la rappresentazione e l'esperienza del tempo nella religione e nella magia è non già quantitativa e astratta e neppure assolutamente qualitativa e concreta, ma piuttosto semi-quantitativa e semi-concreta: il tempo numinoso sarebbe, cioè, un tempo ritmato secondo periodi qualitativamente omogenei conti nui e insecabili, solidali con gli avvenimenti e con gli atti che in ciascuno di essi sono compresi, e tali che i riti compiuti nelle date critiche con le quali si aprono, prolungano i loro effetti a tutto il periodo in questione e lo contagiano interamente Il Lévy-Bruhl accettò questa interpretazione nelle sue linee generali e se ne servì come conferma della sua ipotesi prelogica. Se il primitivo ha una rappresentazione e un’espe rienza del tempo sempre in qualche modo numinosamente qualificata, ciò dipende, secondo Lévy-Bruhl, dal fatto che presiede alla formazione di quella rappresentazione 29 Hubert e Mauss, Étude sommaire de la représentation du temps dans la religion et la magie, in Année sociologique, t. V., 1900-1, p. 248, rifuso nei Mélanges d'histoire des religions degli stessi autori, p. 1895g. 80 Intorno alla partizione del tempo religioso in ambiti non estensivi ma intensivi, cioè sentimentalmente intensi, si confronti, anche qui, quel che ne dice il Cassirer: «Pertanto, in modo analogo che per lo spazio, nella posizione delle pause temporali delimitanti e separanti, la rappre sentazione fondamentale che qui domina non è già quella di un com plesso di contrassegni puramente convenzionali, ma piuttosto quella di singole divisioni del tempo che in se stesse posseggono ciascuna una qualità e una caratteristica specifiche, una propria natura e una pro pria efficacia. Tali tratti risultanti dalla divisione non formano affatto una semplice ed uniforme serie in estensione, ma a ciascuno di essi compete una pienezza intensiva, in virtù della quale si dispongono l’uno verso l’altro come simili o dissimili, corrispondenti o contrari, solidali od ostili » (op. cit., p. 137).
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non già il principio di identità ma bensì la legge di partecipazione, la categoria affettiva del soprannaturale. Le partizioni del tempo non sono pertanto, per il primi tivo, astratte e capaci di ricevere qualunque contenuto, ma « partecipano » degli accadimenti che in essi si producono, sì che, al ripetersi di una certa partizione temporale, tende a ripetersi anche l’accadimento che le è solidale. I Daiacchi, per esempio, sì rappresentano le giornate numinosamente divise in cinque « tempi » cia scuno dei quali è solidale (« partecipa j>) con certi atti, è il tempo di quegli atti, e di essi soltanto. In generale, « i periodi, i giorni, le ore in cui le sciagure si producono, partecipano di tali sciagure » ". Evidentemente, la sintesi tra i tempi e i loro accadimenti è di natura affettiva, cioè la loro pretesa unità e solidarietà risultano dalla identica colorazione sentimentale con cui sono associati nello spirito del primitivo : è, in una parola, la categoria affettiva del soprannaturale che fa immediatamente par tecipare tempi e accadimenti ". D’altra parte la funzione partecipante non si limita solo a sostituire sistemi solidali di tempi e di accadimenti, mi1, tende anche a far confluire l’uno nell’altro, in una sorte di eternità immediatamente e attualmente vissuta, i momenti temporali del passato del presente e del futuro. In altre parole : non soltanto il tempo è rappresentato e sentito dalla mentalità primitiva come qualitativamente e numinosamente ritmato, ma altresì il tempo non è per essa un corso di momenti irreversibili : quella stessa colorazione affettiva che unifica in un unico sistema solidale tempi e accadimenti determinati, unifica altresì presente passato e futuro nell’attualità del sentire. Il
31 SNM, 20. Cfr. sulla qualificazione numinosa del tempo, MP, 89 sgg. 88 SNM, 19 sg.
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tempo religioso dei primitivi tende perciò all’ intempo ralità, tende, cioè, a configurarsi come un presente che riassorbe in sè il passato e che prefigura il futuro. Dalla tendenziale intemporalità, per esempio, del periodo mi tico ”, ovvero dalla partecipazione mistica fra il suo pas sato il suo presente e il suo futuro, deriva l’efficacia magica del racconto o della messa in iscena del mito. In una grande quantità di riti magici il periodo mitico è reso presente, ed il futuro è, in quei riti, prefigurato, anzi è già attuale34 : così, per esempio, durante le ceri monie Mayo dei Mjarind-Anim è messo in azione il mito che racconta in che modo furono creati gli alberi di cocco, e la imitazione presente del passato mitico prefigura, anticipa, fa già essere il futuro auspicato, e cioè la fecondità di quegli alberi La capacità del presente rituale di riassorbire il futuro è stata abbondantemente esemplificata dal Lévy-Bruhl : per non citare che qualche esempio, i Nagas prefigurano l’abbondante raccolto scendendo dalla collina, dove lavo rano, curvi sotto un peso immaginario30 ; gli Zulù, se bolle l’acqua contenuta nel vaso che simboleggia il ne mico hanno già vinto la battaglia, sì che vincerla poi in effetti è una formalità; gli Australiani del Queensland, imitando gli accadimenti che si accompagnano al cadere della pioggia, la fanno già cadere, qui e subito as. L’auspi-* 86 84 » MYP, 3 sgg. 84 MYP, ii4Sgg., itìosgg. Come la separazione dallo spazio sociale suscita nel primitivo inquietudine e smarrimento, e talora persino la morte (vedi più sopra), così la rottura del legame magico di partecipazione fra presente passato e futuro produce effetti deleteri. 1/ impossi bilità di celebrare le cerimonie che istituiscono quelle partecipazioni è spesso sentenza di morte per la tribù primitiva: vedi MYP, 128. 86 MYP, 160. » MYP, 192. 37 MP, 222. Per la mantica come partecipazione del futuro al pre sente, vedi MP, 219 sgg. “ MYP, 190 sgg.
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cato futuro, rivissuto in una esperienza intensa, si fa presente. Questo rappresentare rivissuto così intensamente da essere reso presente si rivela anche nella esteriore forma verbale di talune formule magiche, nelle quali il verbo non è nè all’ imperativo nè all’ottativo, ma al presente indicativo. « La foca è consenziente, essa mi viene incon tro, viene dritto verso la mia tenda », dice una formula esquimese riferita da Thalbitzer. E un’altra formula : « io carezzo le ganasce del narvalo, esso diviene consenziente e docile ». E un'altra ancora : « Lo spirito malevolo passa vicino a me senza fare attenzione a me ». Anche quando la formula ha un’ intonazione esteriore imperativa o ottativa, c’ è sempre un’ intensità attuale che ne accom pagna la recitazione, un’ intensità che la fa sperimentare, per così dire, come indicativo presente. Analogamente la mimica dei Nagas degli Zulù e degli Australiani è, come dice Lévy-Bruhl, « un indicatìf en acte » “.
*** Le partecipazioni precedentemente segnalate non sono fondate su ciò che noi consideriamo l’esperienza ordi naria, ma piuttosto sono istituite attraverso la mediazione di energie invisibili, di cui il primitivo ha immediata mente l’esperienza mistica : un legame invisibile, positivo ed energico, stringe insieme spazi e tempi determinati con i loro contenuti, nonché il qui con il lì, e il prima con l’ora e con il poi. E in generale verso l’invisibile e l’energico è orien tata tutta la mentalità primitiva : mentre la nostra ricerca
® EM, 261 sgg. Il Lévy-Bruhl cerca di mostrare che la prefigurasiane simbolica a est déjà l’événement lui-ménte » (op. cit., 270), è « un’action efficace, qui en assure dès à present la realité » (p. 290).
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causale è sotto il controllo dell’esperienza e del principio d’identità, la mentalità primitiva, invece, è indifferente o poco sensibile al nesso delle cause seconde, e in cospetto di un fatto sùbito abbandona l’ordine empirico e visibile per un ordine di energie invisibili, fluido, numinoso “. È da dirsi quindi, secondo Lévy-Bruhl, non già che i primitivi ricorrono alle potenze mistiche in quanto trascurano le cause empiriche, ma al contrario, che essi non cercano i legami causali empirici e visibili e quando li avvertono li considerano senza importanza perchè « le loro rappresentazioni collettive evocano immediatamente l’azione di potenze mistiche » Una volta che sia en trata in azione la categoria affettiva del soprannaturale, ciò che per noi è l’esperienza, con le sue conferme e con le sue smentite, cessa, per il primitivo, dall’avere alcun valore. Lévy-Bruhl riferisce il seguente racconto di Bentley :
Un giorno Whitehead vide uno dei suoi operai che, seduto, era espósto ad un vento freddo, in un giorno di pioggia. Lo esortò a rientrare in casa e a cambiare i suoi vestiti. Ma l’uomo gli rispose : « Non si muore di un vento freddo, questo non ha importanza : non si cade malati e non si muore che a cagione di uno stregone » “.
Al pari della malattia, la morte non è mai, come per noi, naturale : se un guerriero è ucciso da un colpo di lancia in uno dei combattimenti rituali, la ragione è che un membro della sua tribù lo ha stregato, togliendogli le forze40 43. Analogamente, se un coccodrillo divora un indi 42 41 geno, o si tratta di uno stregone-coccodrillo, o di un 40 41 42 «
MP, MP, MP, MP,
17 sgg. 19 sgg. ; cfr. p. 85 sgg. 19. 23.
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coccodrillo creato o fabbricato da uno stregone41. Inoltre, una delle caratteristiche della sacralità primitiva è la numinosità del dissueto, il carattere rivelatore del l’accidente, l’impossibilità del fortuito *6. Così, per esem pio, una capra che mangi i suoi escrementi, un bove che batta il suolo con la coda, la prima apparizione dei bianchi, il suono della campana della cappella missionaria, una pianta che dà frutti fuor di stagione, un frutto che non è alla sommità del gambo ma nel mezzo, un duplice frutto sullo stesso gambo, un cane straordinariamente fortunato a caccia, etc., sono accadimenti rivelanti una « trasgressione » alla consuetudine, e perciò la presenza di un’energia numinosa affatturante, di un’ influenza male fica che procurerà danno o che, in ogni caso, esige precauzioni sacrali ".44 si *46 44 MP, 37 sgg. Cfr. MYP, 278 sgg., 295. Non soltanto le sciagure, la malattia, la morte hanno la loro causa mistica, ma anche il successo si ricollega a certe condizioni num inose particolari (MP, 350). 46 SNM, 33 sgg.; MYP, 28, 36, 45, etc.; FMSI, 73. Nell’ultima sua opera, EM, il Lévy-Bruhl chiarisce con maggiore precisione il senso nel quale va intesa la sua affermazione « per il primitivo il caso non esiste »: i primitivi non negano il carattere fortuito dei piccoli fatti che non li interessano per nulla ma piuttosto non vi si arrestano. Vedi EM, 42. Cfr. le osservazioni del Bergson a proposito del fortuito in Les deux sources de la morale et de la religion, p. 150 sgg. 40 SNM, 13-16, 102, 182, 218-224; MP, 27-37, 41, 125, 295-331, 405 sgg. Intorno alla numinosità malefica delle sottane dei missionari, vedi FMSI 70. Secondo Lévy-Bruhl, la mentalità primitiva considera 1* incesto come un « monstrum » sul tipo di quelli elencati nel testo: « il famoso problema della proibizione dell' incesto, questa vexata quae stio della quale etnologi e sociologi hanno con tanto sforzo cercato la soluzione, in realtà non ne comporta nessuna... Nelle società di cui ab biamo testé parlato, è vano chiedersi per quale ragione 1’ incesto è proi bito: tale proibizione non esiste. Non già che 1’ incesto sia lecito o tol lerato... solo che non ci si cura di interdirlo. Si tratta di cosa che non si verifica. Quando, supponendo 1’impossibile, si verifica, è qualcosa di inaudito, un monstrum, una trasgressione che diffonde l’orrore e lo sgomento. Conoscono forse le società primitive una proibizione dell’autofagia o del fratricidio? Esse non hanno altrettanta ragione di proibire l’incesto » (SNM, 247).
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Se la causalità, per i primitivi, è mistica, i presagi acquistano per loro una significazione particolare : il presagio è, per i primitivi, non tanto un’anticipazione quanto una causa, o, per dir meglio, una manifestazione di energie numinose che avrà molta parte nella produ zione dell’evento presagito4’: Non basterà dunque che nessun presagio funesto sia apparso : è d’uopo anche che si siano prodotti i presagi favo revoli... Così, nel momento di cominciare la semina, è assolu tamente necessario aver udito un tal uccello a destra, aver visto un tal altro uccello a sinistra, etc... Il fatto è che le manifestazioni dell’uccello hanno, per se stesse, virtù mi stica che assicura la raccolta nello stesso tempo che l’an nuncia. Se tali manifestazioni non hanno luogo, la raccolta non potrà prodursi ",
Ciò posto, i primitivi hanno problemi che ci sono estra nei, e noi abbiamo problemi che non sono i loro. Imma ginare perciò che il primitivo sia indotto a risolvere pro blemi che sono soltanto nostri, significa disconoscere l’orientamento peculiare della sua mentalità, equivale a fare di lui « un filosofo selvaggio ». Così, circa la concezione che i primitivi hanno della riproduzione, è d’uopo porsi la questione preliminare : il problema della riproduzione si pone per la mentalità primitiva nei termini che sono familiari a quella culta ? In realtà i primitivi trascurano quasi per disposizione naturale le cause seconde, e sono invece sensibilissimi a quelle mistiche:
Quand’anche essi avessero constatato che un bambino viene al mondo solo se la fecondazione ha avuto luogo, non trar 47 MP, 124 sgg. « MP, 131.
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rebbero da ciò la conclusione che ci sembra naturale, ma persisterebbero nella credenza che, se una donna è gravida, vuol dire che uno spirito è entrato in essa". Le stesse ragioni che impediscono alla mentalità primitiva di rappresentare in astratto spazio tempo e causalità, le impediscono altresi di rappresentare in astratto la quantità pura. Come lo spazio il tempo e la causalità, anche la quantità è per il primitivo qualificata, e cioè ancora immersa in un ambito di partecipazioni invi sibili immediatamente sentite. Nelle società che si tro vano al gradino più basso della scala della civiltà, la quantità partecipa immediatamente all’ insieme concreto a cui si riferisce, è sentita come una qualità per cui un insieme determinato differisce da un altro insieme deter minato maggiore o minore. Il primitivo avverte la sot trazione di un elemento ad un insieme non già in virtù di un controllo analitico, ma per l’immediato sentimento che l’insieme in quistione ha perduto una qualità che prima aveva La riprova di ciò sta nel fatto che le lingue primitive non possiedono un sistema di designa zione astratto della quantità pura, e quindi una vera e propria numerazione aritmetica. Anche quando in queste lingue si trovano nomi di numeri si tratta sempre di nomi di numeri in connessione con insiemi determi nati rispetto alla loro forma, attitudine, situazione, movi mento, etc. Così, per esempio, nella lingua tsimseniana della Colombia, l’uno si dirà Gak se riferito a oggetti piatti, g’erel se riferito a oggetti tondi, k’al se riferito a uomini, etc. Analogamente, vi sono in questa lingua molte plici modi di esprimere il due, il tre, etc n. La rappresenta40 MP, 513. 80 FMSI, 205, 01 FMSI, 222'. Lévy-Bruhl chiama a ensembles-nombres » questi nu meri-appartenenze dei gruppi.
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zione del numero, dunque, è presso i primitivi più o meno qualitativamente determinata. Inoltre essa è numinosa mente significativa: gli insiemi che il primitivo si rap presenta sono dei veri e propri luoghi di partecipazioni mistiche, e la quantità è una delle appartenenze dell’ in sieme : ciò spiega come il numero, più o meno astratto o differenziato dall’ insieme di cui fa parte, conserva una individualità mistica, un campo di forza che gli è particolare : « Nelle rappresentazioni collettive, il numero e la sua corrispondente denominazione partecipano ancora così strettamente alle proprietà mistiche degli insiemi rappresentati, da essere essi stessi più realtà mistiche che unità aritmetiche » Di qui la potenza mistica dei numeri, che si conserva molto a lungo anche in forme superiori di civiltà.
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Che la legge di partecipazione sia alla base della mentalità primitiva sembra avere la sua riprova nel fatto che ai primitivi fa difetto una rappresentazione di obietti dai limiti univocamente circoscritti : gli obietti per essi non sono stati ma piuttosto azioni, disposizioni, luoghi di influenza. Ogni obietto dispone, cioè, di una energia numinosa più o meno favorevole, di cui occorre impadronirsi e che è d’uopo piegare alla propria volontà “. Più precisamente il primitivo si rappresenta, e soprat tutto sente, l’universo che lo circonda come attraversato dalla corrente numinosa fluida, una e multipla, personale e impersonale, fisica e psichica. Tutti gli obietti, animati e inanimati, ne partecipano più o meno intensamente. Lo straordinario, il dissueto, l’imprevisto, il potente, » FMSI, 237. » SNM, 41, 118.
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l’eccesso di fortuna o di sfortuna, il malefico o l’eccezionalmente benefico sembrano segnalare la presenza di questa energia numinosa, che i melanesiani chiamano mana, gli Indiani dell’America del Nord wakan, imunu i Papua del delta del Furari, wairua e mauri i Maori etc., e che gli etnologi hanno segnalato da tempo, variamente traducendola nelle loro lingue (Lebenskraft, Seelenstoff, Zielstof, Potenz, etc.) D’altra parte il primitivo non si rappresenta la sua personalità, o quella degli altri membri del gruppo, come psichicità definita entro limiti stabili e univoci, ma piuttosto come energia qualitativamente identica a quella che promana dagli animali dalle piante e dalle coseK, e includente nelle sue frontiere labili e variabili tutto ciò che cresce sul corpo o ne esce (peli, unghie, sudore, sperma, urina, sangue, escrementi, la crime), tutto ciò che è in rapporto particolare con esso (le tracce dei passi sul suolo, i resti degli alimenti, l’ombra e l’immagine, i vestiti e in generale la proprietà per sonale, il grasso dei reni, il cuore, i genitali)M. Queste appartenenze sono talora considerate non come estensione della personalità, ma come appartenenze essenziali o addi rittura reduplicazioni della personalità stessa5’. Rispetto al gruppo la personalità ha limiti altrettanto labili e poco definiti che rispetto alla natura. Nell’ambito dei rapporti familiari, per es., se un uomo è malato, i suoi parenti
64 AP, 3 sgg. 65 AP, 30 sgg. M AP, 30, 134 sg, 139, 161 sgg. Dare un colpo ad un oggetto che appartiene ad un altro è considerato come l’espressione simbolica dell’intenzione di vibrare il colpo alla sua propria persona (AP, 142); quando qualcuno muore, le sue appartenenze sono bruciate con lui (AP, 141). 67 AP, 148 sgg. ; cfr. 169 sgg. Le appartenenze, che per noi sono un’estensione della personalità, per i primitivi sono immediatamente ap prese e sentite, sì che, dal loro punto di vista, la nostra individualità sembra aver subito una sorta di riduzione: AP, 185.
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sono obbligati a seguire le prescrizioni magico-dietetiche del medico-stregone"; c’è una solidarietà fisiologica — una partecipazione — tra padre e figlio, come denun ziano alcuni interdetti che accompagnano spesso le pra tiche della covata”; il fratello è considerato un alter egom, ed il fratricidio un suicidio”; etc. Nell’ambito dei rapporti sociali, la stessa solidarietà organica: tutto il gruppo patisce le conseguenze di un tabu violato da un suo membro, la vendetta si esercita indifferentemente su un membro qualunque del gruppo, etc. ", I limiti dell’ in dividualità sono dunque rappresentati dal primitivo come labili e spostabili : d’altra parte, dentro questi limiti, l’identità personale non è incompatibile con la dualità o la pluralità delle persone: Ai nostri occhi, un individuo, per complesso che sia, ha per carattere primordiale e essenziale l’unità. Se non pos sedesse quest’unità, non sarebbe più un individuo ma un complesso di più individui. Tuttavia, presso il primitivo, il sentimento interiore e vivace della propria persona, non si accompagna del pari con il concetto rigoroso della unità indi viduale. Non soltanto le frontiere della individualità perman gono vaghe e imprecise, dappoiché le appartenenze dell’ indivi duo, il suo reduplicato, la sua immagine, il suo riflesso si identificano con lui: c’è di più: il Tjurunga dell’Australiano, il Kra dell’ Ewe, lo Ntoro dell’Ashanti, l’omonimo dei Ba lla etc., senza confondersi interamente con l’individuo, non ne sono tuttavia neanche distinti... L’individuo non è se stesso che a condizione di essere altro da se stesso. Sotto questo nuovo aspetto, lungi dall'essere uno, come noi lo concepiamo, esso è ancora uno e più insieme. Esso costituisce, per così dire, un vero e proprio luogo di partecipazioni^.
L’unità-dualità dell’ individuo è visibile nei frequentis simi casi di licantropia : l’uomo-leopardo, per es., si « AP, 96. 5» AP, 225. « AP, ® AP, 117 sgg. ® AP, 250 sgg.
101.
« AP, 104.
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sente identico a un determinato leopardo, sì che, se il leopardo è ferito o muore, anche l’individuo, che gli è organicamente solidale, è ferito 0 muore Lo stre gone può restare nella sua capanna e, al tempo stesso, trasformato in coccodrillo, divorare la sua vittima Queste concrete esperienze del primitivo, largamente documentate dal Lévy-Bruhl “, si riflettono in quei miti in cui sono rappresentati esseri misti (uomini e animali) soggetti a metamorfosi non esplicitamente denunziate nel mito, ma desumibili soltanto dai suoi episodi e dalle sue peripezie Questo tentativo di ricostruzione della rappresentazione e della esperienza della personalità presso le società infe riori sembrerebbe confermare pienamente, come si è detto, che la mentalità primitiva è dominata dalla legge di partecipazione : mentre, infatti, la mentalità culta, do minata dal principio di identità e sperimentalmente orien tata, rappresenta la personalità come un’ identità psichica rigorosamente distinta dalle altre individualità e dal mondo fisico, la mentalità primitiva, invece, sperimenta e rappresenta la personalità come energia numinosa cir coscritta entro limiti labili e spostabili, come luogo di partecipazione mutevole per estensione, come ambito includente anche ciò che per noi è altro dalla personalità, ed infine come unità non incompatibile con la dualità nel tempo e nello spazio.•* •* AP, 192 sgg. AP, 205. Questa ambigua unità-dualità dell'uomo e dell’animale è simboleggiata ritualmente dagli esquimesi mediante una maschera animale a battenti, la quale, a un momento dato, si apre, scoprendo il viso umano (MYP, 152, 212). w In generale è da vedersi AP, cap. V (pp. 192-228). 67 MYP, 72. Le trasformazioni avvengono insensibilmente, come nel sogno. Cfr. un interessante parallelo degli esseri mitici primitivi con le figure composite preistoriche, MYP, 148 sgg. * Si veda, in generale, la seconda parte dell’AP (256-436).
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Un grave problema si lega all’ ipotesi prelogica : dato che la mentalità primitiva è dominata, per ciò che ri guarda il suo aspetto collettivo, dalla legge di partecipa zione, e dato che il predominio di questa legge rende scarsamente sensibile alla contraddizione e permeabile all'esperienza l’intelletto individuale dominato dal prin cipio di identità, come si effettua il passaggio a tipi superiori di mentalità, e precisamente alla mentalità culta, nella quale la funzione identificante acquista una attività predominante e la legge di partecipazione si trova allo stato di sopravvivenza, di relitto, e in ogni caso in una posizione affatto subordinata ? Lévy-Bruhl ha tentato di risolvere questo problema nell’ultimo capitolo delle sue Fonctions mentales dans les sociétés inférieures. Nel suo stadio originario, dice il sociologo francese, la mentalità primitiva, più che rappresentare l’oggetto, lo vive lo pos siede e ne è posseduta®. In questo stadio sarebbe quindi più opportuno parlare non già di rappresentazioni col lettive, ma « di stati mentali collettivi caratterizzati da una estrema intensità emozionale, in cui la rappresen tazione è ancora indifferenziata dai movimenti e dalle azioni che rendono effettiva per il gruppo la comunione a cui esso tende » ™. Ma lo stadio corporativo della coscienza umana tende a indebolirsi : sorge allora la necessità di rappresentare in qualche modo, e quindi di mediare, quella partecipa zione che prima era immediatamente vissuta. In virtù di questo processo il sacro si concentra su determinati veicoli di partecipazione : mana, spiriti più o meno indi ®> FMSI, 426. ™ FMSI, ivi.
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vidualizzati, esseri mitici semi-umani o semi-animali, eroi, geni, dei. Si costituisce così ciò che noi chiamiamo propriamente la rappresentazione mitica, la quale nascerebbe in tal modo, dallo sforzo della mentalità primitiva di realizzare in forma mediata una partecipazione non sentita più come immediatan. Per contracolpo di questo accentra mento della sacralità su veicoli determinati di parte cipazione, si dissacrano gradualmente gli altri oggetti ed esseri : il velo mistico che si stendeva sulla natura intiera si ritira almeno da una parte di essa, e comincia ad emergere alla coscienza, e precisamente al suo orienta mento sperimentale e logico, la obbiettiva realtà delle cose. La soprastruttura numinosa, che avviluppava la natura allorquando era immediatamente vissuta, si dis solve gradatamente a misura che la numinosità si concen tra su oggetti specifici di culto, a misura che si consolida la religione propriamente detta. Gli elementi emozionali e motori dell’esperienza immediata sopra descritta si sciolgono col differenziarsi della rappresentazione. La identità e le alterità reali si impongono all’ intelletto sostituendosi a poco a poco alle partecipazioni mistiche : accanto alla sopranatura si costituisce una natura™: (Per la mentalità primitiva) un essere è se stesso e, contem poraneamente, un altro, è in un luogo ed altrove, è individuale e collettivo... La mentalità prelogica si contenta di siffatte affermazioni, e ciò perchè essa fa qualcosa di meglio di ve derne o di comprenderne la verità. La mentalità collettiva sente e vive la verità, in virtù di ciò che io ho chiamato « sim biosi mistica ». Ma ove l’intensità di questo sentimento viene meno nelle rappresentazioni collettive, subito la difficoltà logica comincerà a farsi sentire”.71
71 FMSI, 432 sgg.
72 FMSI, 440 sgg.
73 FMSI, 443.
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D’altra parte, se l’indebolirsi dei prelegami mistici favorisce la rappresentazione isolata, le rappresentazioni affrettano, a loro volta, la decomposizione dei prelegami e delle partecipazioni : Quando i caratteri obbiettivi essenziali della pietra si sono, per così dire, fissati nel concetto « pietra », il quale a sua volta è inquadrato in altri concetti di oggetti naturali diversi dalla pietra per proprietà non meno costanti delle sue, diventa inconcepibile che le pietre parlino, che le rocce si muovano volontariamente e generino uomini, etc. Più i concetti si de terminano, si fissano, si ordinano in classi, più le affermazioni che non tengono alcun conto di questi rapporti appaiono contradittorie Secondo questo piano di sviluppo la mentalità primi tiva si svolgerebbe gradualmente nella mentalità culta, per la quale la natura tende a configurarsi come ordine logico sperimentalmente accertabile.
2.
Va senza dubbio serbata gratitudine a Luciano LévyBruhl per aver raccolto nella sua yasta silloge un copioso materiale concernente la mentalità primitiva, e per averlo catalogato sotto varie rubriche, rendendone in tal modo facile l’utilizzazione. È doveroso inoltre riconoscere che la polemica del sociologo francese con la scuola antro pologica non è stata senza frutto per la etnologia, avendo fortemente sottolineato i limiti e le insufficienze del piatto ed esteriore intellettualismo di quella scuola. Infine non si può negare che la ipotesi prelogica, a cagione della « FMSI, 446.
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sua stessa paradossalità, può offrire al lettore notevoli spunti e suggestioni di carattere speculativo. Tuttavia, se si sottopone al vaglio critico la teoria che Lévy-Bruhl tenta di dare dei fatti raccolti, allora il giu dizio non può non essere recisamente negativo. Invero, per chi sia stato educato allo storicismo ingrata fatica è analizzare, nei suoi teoremi e nei suoi corollari, la filosofia che sta alla base dell’ ipotesi prelogica, tanto è basso il suo livello speculativo e di cosi gran tratto la migliore speculazione europea l’ha distanziata. A dir il vero le teorie di Lévy-Bruhl non hanno in generale trovato buona accoglienza nel mondo etnologico, ma per ragioni alquanto esteriori, e che non toccano il centro dell’argomento. Talora le tesi del sociologo francese sono state combattute con tesi altrettanto errate, si che, nella polemica che ne è nata, il lettore orientato ha più volte l’impressione di ingenuità d’ambo le parti, come di chi munge un capro mentre l'altro tien sotto il setaccio, secondo un’ immagine che piacque a Kant. Si è rimpro verato a Lévy-Bruhl la impossibilità di poter spiegare, mercè il prelogismo, il passaggio dalla mentalità pri mitiva a quella culta: ma chi muoveva questo rimprovero poco o nulla sapeva di svolgimento e di storicismo. La scuola storico-culturale, e, in generale, gli indirizzi storici della moderna etnologia, hanno biasimato, nel metodo di lavoro del nostro etnologo, l'assenza di « prospettive cronologiche », le generalizzazioni affrettate mediante i « partout » i « souvent » e altrettali designazioni av verbiali, la indeterminatezza del concetto di « primitivo », la esagerata valutazione dei motivi « prelogici » nelle società inferiori, etc. E c’era, in queste e altrettali osserva zioni, del giusto: ma, intanto, si proponeva, da parte degli obbiettanti, un concetto cronologico di primitivo, e si avanzava la ridicola teoria che ciò che è prima secondo il tempo è anche prima secondo barbarie. Padre
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Schmidt contestava a Lévy-Bruhl il criterio della civiltà europea e mediterranea come modello e pietra di paragone per la valutazione delle civiltà « inferiori » : e anche su questo punto il giudice onesto dovrebbe dar torto ad entrambi, a Lévy-Bruhl per la sua identificazione della civiltà europea con la filosofia « razionalista » e con la « scienza positiva », a Padre Schmidt per la sua fisima di voler purgare la storiografia da ogni « perturbazione soggettiva», anche, per avventura, dalla perturba zione del pensiero. Fu inoltre osservato che nei procedimenti tecnici dei primitivi è incorporato un ap prezzamento sicuro dei nessi di causa e di effetto, e quindi un procedimento intellettivo sostanzialmente non diverso da quello nostro : ma l’osservazione si limitava a segnalare la deformazione inerente alla classe dei fatti prelogici, ma non mai era superato, con chiara coscienza, lo stesso procedimento classificatorio. Si disse che un mondo pri mitivo radicalmente estraneo all’europeo culto non po trebbe essere da lui penetrato : ma chi muoveva questa obbiezione postulava, nella migliore delle ipotesi, un oscuro Erlebnis, un misterioso Sichhineinsetsen o Nacherleben alla base del processo storiografico. Si proclamò infine da più parti che il pensiero collettivo e la società come ipostasi sopraindividuale costituivano una nozione fan tastica, un postulato gratuito, un trascendente metafisico : ma chi così accusava era poi in condizione di scagliare la prima pietra, senza macchia di trascendenza, di natu ralismo, di illegittima fantasticheria?™
75 Cfr. A. A. Goldenweiser in American Anthropologist, 1915, XVI, p. 240 sgg. ; id. Early civilisation, III, p. 380 sgg. ; A. M. TozZER, Social origins, p. 54 sgg.; B. Malinowski in J. Needham, Science, Religion and Reality, 1925, p. 27 sgg. ; Webb, Group Theories of Religion and the Individual, 1916, p. 86 sgg. ; F. C. Bartelet, Psychology and Primitive Culture, 1923, p. 282 sgg.; W. C. Dougall, The Group Mind, 2* ed., 1927, p. 74 sg. ; Fr. Graebner, Das Weltbild
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Seguendo il filo di queste polemiche non c’ è dunque da farsi un’ idea chiara del come stanno le cose, e del torto e del diritto del nostro etnologo. Noi abbandoneremo dunque quel filo, che poco guida, e procureremo di ripigliar la critica dai principi, com’ è buon costume. Alcuni errori speculativi che viziano tutta l’opera del Lévy-Bruhl ripetono la loro origine dalla scuola socio logica francese, e più precisamente dal fondatore e dal teorico di essa, il Durkheim. La distinzione fra mentalità collettiva e pensiero individuale, su cui riposa il prelogismo di Lévy-Bruhl, fu, per esempio, ragionata nei suoi scritti dal Durkheim: è d'uopo quindi valutare criticamente questa distinzione iniziale. I caratteri che, secondo il Durkheim definirebbero il fatto sociale sarebbero la sua esteriorità e la obbligatorietà rispetto all’ individuo : « È fatto sociale ogni modo di azione, fissato o non, suscettibile di esercitare sull’ individuo una costrizione esteriore » ™. I precetti della morale, le leggi del codice, il sistema dei segni attraverso il quale il pensiero si esprime, il sistema delle monete, le credenze e le pratiche religiose, i grandi moti d’entusiasmo, d’indignazione o di pietà di un’assemblea riunita, rappresenterebbero esempi di fatti esterni all’ individuo, aventi cioè, un’esistenza pro pria, indipendente dalle sue manifestazioni individuali, ed esercitanti sull’ individuo un potere coattivo al quale egli
der Primitiven, 1924, p. 14 sgg. ; W. Schmidt, Der Ursprung der Gottesidee, p. 581 sgg. (intorno alla mentalità primitiva e al pensiero causale, vedi op. cit., pp. 502 e 525); E. E- Evans Pritchard, LévyBruhl’s theory of primitive mentality, Le Caire, 1933 e 1934; Preuss, Lehrbttch der Vòlkerkunde, 1937, p. 32. Le ricerche di Lévy-Bruhl sono state utilizzate nell'epistemologia da Leone Brunschwicg, nella sua opera: L’expérience humaine et la causalità phisique, 1922, pp, 91 sgg. e 101 sgg. 70 Durkheim, Les règles de la méthode sociologique, p. 19.
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non può sottrarsi senza che il suo atto di ribellione non sia annullato dalla società". Come, nella psicologia indi viduale, la vita rappresentativa non è riducibile alla somma delle condizioni dello stato nervoso in un momento dato, ma rappresenta una sintesi nuova, qualitativamente sui generis, e relativamente indipendente — e quindi este riore— a quello stato, così la società non è riducibile alla somma degli individui che la compongono : Senza dubbio, nella elaborazione del risultato comune, cia scuno contribuisce per la sua quota parte; ma i sentimenti privati non divengono sociali che combinandosi sotto l’azione di forze sui generis sviluppate dall’associazione : in conse guenza di tali combinazioni e alterazioni reciproche risultanti, essi diventano alcunché di radicalmente diverso™.
Divengono altra cosa : il che vale a dire che la so cietà è un ente a sé, con una psicologia sua propria, le cui leggi la sociologia dovrà fermare. Nel sociologismo del Durkheim rifluisce un filone culturale francese filtrato attraverso una nebulosa espe rienza mentale d’oltre Reno. Per un verso il Durkheim utilizza una tradizione che aveva salde radici nel suo paese : si pensi alla filosofia dell’autorità e al sociologismo Comtiano. Per un altro verso il Durkheim e la scuola sociologica francese si riattaccano al movimento che fa capo a Lazarus e a Steinthal, e alla Zeitschrift ftir V olkerpsychologie und Spraschwissenschaft, da loro fon data nel 1859. La tradizione sociologica francese si lega al pensiero della restaurazione : già nel 1796 il De Bonald aveva fissato il dogma sociologico, ereditato poi dal
” Op. cit., cap. 1. 78 Durkheim, Representations collectives e répresentations individuelles, in Revue de Méthaphysique et de morale, 1898, p. 195; cfr. FEL, 65 sg»
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Comte, di un individuo che esiste per la società, e di una società che piega costantemente l’individuo ai suoi fini ™. E fu anche il De Bonald che cercò di poggiare l’opera di restaurazione dell’autorità e della tradizione sul mondo primitivo, sulla saggezza e sulla purezza delle origini :
I monumenti storici più antichi, in accordo con la ragione, ci mostrano dappertutto i primi legislatori di popoli nell’atto di accreditare la loro missione mercè l’intervento divino, e di invocare la sua autorità al fine di far riverire e scusare la propria. Senza dubbio queste grandi verità diventano più sensibili man mano che si risale ai primi tempi delle società, o piuttosto della società : poiché, a parlar con rigore, di società non ne esiste che una, e tutti i popoli, come tutti gli uomini, procedenti gli uni dagli altri, e sempre nell’ambito di una società, hanno conservato, nelle loro trasformazioni succes sive, la tradizione a loro trasmessa dalle nazioni primitive, la tradizione dei sentimenti originari di cui erano stati imbe vuti... Pertanto, e lo affermo nel senso più rigoroso, una tribù di Irochesi che nomini il Grande Spirito, costituisce per la ragione un’autorità molto maggiore di venti accademie di valent’uomini che ne neghino 1’esistenza®. La Vòlkerpsychologie germanica rappresenta un di verso filone culturale : nella generale decadenza del pen siero tedesco dell’epoca costituisce una tenue vena di persistente idealismo e storicismo. Anche qui, e soprat tutto per opera del Wundt, le ricerche intorno alla psiche collettiva e ai suoi prodotti si legano allo sviluppo di un’etnologia psicologica e sociologica, poiché il mondo primitivo, secondo i rappresentanti di quest’ indirizzo,
75 In Théorie du pouvoir politique et rcligieu * dans la société civile, démontrée par le raisonnemeni et par 1‘ histoire, ed. 1843, p. 3. ® Recherches philosophiques sur les premiers objcts des connaissan * ees morales, II, ed. 1838, p. 124.
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offriva condizioni pressoché ideali di ricerca, mancando nelle società inferiori l’intervento della coscienza indi viduale come fattore perturbante rispetto alle tendenze anonime della collettività. Il sociologismo del Durkheim innestò su questo tronco di speculazioni germaniche intorno alla psiche collettiva anonima l’idea di società in senso « reazionario », cioè l’idea di un ente che esercita sull’ individuo una « costrizione esteriore », e che, mercè tale carattere, denunzia la sua presenza e la sua qualità specifica. A parte la obbiezione, d’altro canto giusta, che la pretesa riprova etnologica delle verità sociologiche si risolve nel fatto di una deformazione dei fatti etnologici mercè l’antistorica proiezione del pensiero francese della restaurazione nelle più lontane età primitiveM, non v' ha chi non scorga subito la logica naturalistica che è alla base del sociologismo francese. Infatti (e la nostra cri tica può facilmente estendersi ad ogni forma di socio logismo), se per società si intende l’insieme delle condi zioni storiche in cui deve inserirsi l’atto dell’ individuo K, la società non esiste per sè, come ipostasi trascendente all’ individuo, ma rappresenta, nella libertà dell’atto indi viduale, il momento dialettico della necessità. Ogni atto, certamente, nasce in circostanze storiche determinate : tuttavia ogni atto, nel suo prodursi, non ripete mai la situazione storica su cui cresce, ma vi aggiunge un valore nuovo “. Ciò posto, la società rappresenta l’essere, e la
81 Cfr. Leone Brunschwicc, L’experience humaine et la causalità physique, Parigi, Alcan, 1924, pp. 107-110. 82 Non pare che si possa intendere diversamente la collettività di cui parlano i sociologi francesi. La società è per essi non già una *forma zione ideale ma piuttosto una realtà storicamente determinata, tanto vero che la capacità umana di rappresentare l’ideale sarebbe nata dai corrobori sociali periodici (FEL, 602 sgg.). 83 Croce, Filosofia della pratica, p. 111 sgg.
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gl
volontà individuale il dover essere in cui quell’essere continuamente si risolve e si accresce : e non è lecito, neppure per un attimo, spezzare questo nesso dialettico nella duplice ipostasi di un individuo fuori della storia e di una società che preme sull’ individuo dall’esterno, e che sull’ individuo esercita una forza di obbligazione alla quale esso non può sottrarsi : in un certo senso tutto è sociale, cioè storicamente condizionato, e in altro senso tutto è opera individuale. La scuola sociologica francese spezza nelle due sopradette ipostasi il concreto processo dello spirito infinitamente progrediente nelle sue infinite individuazioni, e immagina un individuo astratto costretto a ripetere, nei suoi atti, quel che comanda la mentalità collettiva. Sfugge così l’incremento che la tradizione riceve dalla coscienza individuale, e si determina un orientamento essenzialmente antistorico. Ottenuta la du plice astrazione dell’ individuo e della mentalità collettiva non resta infatti che proseguire ulteriormente nelle astra zioni e costruire una psicologia individuale accanto ad una psicologia collettiva o sociologia : il problema storio grafico non è neppure sfiorato. In luogo di un unico atto spirituale che in sè risolve la realtà, il sociologismo del Durkheim pone tre rigide classi di fatti, tra le quali non c' è svolgimento : la classe dei fenomeni nervosi o subpsichici, quella dei fenomeni psichici, e in fine quella dei fenomeni soprapsichici o sociali. Il dualismo tra individuo e natura si reduplica così nell’altro fra individuo e società. Come possono, infatti, delle modificazioni di cellule cangiarsi in quella sintesi sui generis che sono le rappresentazioni individuali ? E, d’altra parte, come pos sono le coscienze individuali, reagendo una sull’altra nella vita associata, dare luogo a quella sintesi sui generis che è la società? Misterioso è il primo passaggio, altrettanto misterioso il secondo : come non si può uscire dal pensiero per postulare una illusoria natura in sè, così neppure è pos
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sibile uscirne per postulare una illusoria mentalità collet tiva Obiezioni non meno gravi possono farsi al presunto potere coattivo esercitato dal fatto sociale nella volontà individuale. Senza dubbio, una volta ipostatizzate nella « società » le condizioni storiche dell’agire individuale, è naturale che questa collettività appaia come esterna all’individuo ed esercitante un potere coattivo sulla sua volontà. In realtà non si dà mai, nella vita dello spirito, un'azione costretta, ma solo talora deficienza di volontà e di azione : per esempio « nelle leggi sociali si ha ora osservanza ora inosservanza della legge : ma l’una e l'altra liberamente » ®. Chi vieterebbe, infatti, la ribellione ad essa, e che cosa è la sua accettazione se non un atto di libera adesione? Inoltre l’adesione dell’ individuo alle condizioni storiche del suo agire non è mai passiva e meccanica, non è, come si è detto, un ripetere quelle condizioni : è sempre, in misura anche minima, una ribellione, una modificazione attiva della tradizione ". Valga, infine, come saggio della incredibile volgarità speculativa del Durkheim la sua con cezione del linguaggio come « fatto sociale », come un sistema di segni fissato nel vocabolario e indipendente dall’ individuo : come se quei segni, caratteri, suoni, non 84 II Durkheim, che riconosce la incomprensibilità del passaggio dal» l’ordine delle modificazioni cellulari a quello delle rappresentazioni, af ferma che « è compito della metafìsica trovare una concezione che renda rappresentabile tale eterogeneità: per noi basta che la realtà di tale eterogeneità non possa essere contestata » (1. c., p, 296). Ma, che si sappia, egli non è mai riuscito a darci questa metafìsica, ed è da temere che nessuno ne sarà mai capace. ® Croce, op. cit., p. 327. 00 Bergson muove anche un’altra obiezione al Durkheim: come mai, si chiede il filosofo francese, i prodotti della mentalità primitiva « scon * certano » la ragione individuale? Come mai la natura, che ha fatto dell’uomo un animale politico, avrebbe poi disposto le cose in modo che le intelligenze umane si sentono come spaesate quando pensano politi camente? (vedi Les deux sources etc., p. 108).
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fossero in realtà semplici stimoli fisici, e come se fosse lecito confondere la comunicazione con l’espressione Che se il Durkheim avesse almeno sospettato questa distinzione, non avrebbe mancato di accorgersi che la espressione individuale ricrea continuamente il linguaggio, e che la stessa parola non ha mai due volte lo stesso valore. La distorsione che patisce il concreto sviluppo sto rico per l’effetto della dicotomia arbitraria fra società e individuo è certo meno palese nell'ambito delle società primitive perchè quivi fortissimo è il peso della tradizione e poco progredita è la personalità. Ma se è più agevole obliterare l’incremento che la realtà riceve nella coscienza individuale quando questo incremento è scarso, ciò non vuol dire che quell’ incremento non sia, e che lo storio grafo, se è veramente tale, non debba, quando i documenti soccorrano e l’interesse storico sussista, ricordarlo. È certamente facile, nella botanica e nella zoologia, trascu rare l’incremento individuale nella storia delle singole specie : e tuttavia quell’ incremento c’ è, e la storia del mondo sub-umano, quando sia possibile, deve tenerne conto68. L’illusione sociologica di una collettività « subita »*88 ** Croce, Estetica, p. 103 sgg. 88 Alla storia dei popoli primitivi si congiunge la difficoltà gravissima di dovere, noi uomini culti, farci simili ad uomini « tutti immersi nei sensi, rintuzzati dalle passioni, sepelliti nei corpi ». Il che vuole « fatica molesta e grave ». Difficoltà massima, perchè non reggendo lo storio grafo a tanto sforzo, la materia storica troppo spesso minaccia di con vertirsi per lui in natura, da disporsi in bene ordinate classificazioni: che T intelletto è li pronto a spiare le pause della ragione storica e ad approfittare della sua. stanchezza. Tuttavia si tratta solo di una difficoltà di fatto: in idea, quando 1* interesse storico sorge, non pure del mondo umano primitivo, ma anche del mondo subumano, anche della pietra, può tornare alla memoria il ritmo interno di vita. (Sulla difficoltà di intendere il mondo umano-primitivo, si veda Vico, La scisma nuova, p. 378 e passim: sulla « intera conversione di tutti i nostri stati d'animo » per penetrare istericamente le civiltà primitive, vedi lo scritto del Croce, Il Bachofen e la storiografia afilologica (in Varietà di storia letteraria e civile, Bari, 1935, p. 302 sgg.).
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dall’ individuo si svela chiaramente quando dal mondo sub-umano o umano-primitivo ci trasportiamo nell’ambito delle civiltà progredite dove è possibile misurare in tutta la sua ampiezza la reazione della coscienza individuale al fatto sociale. Del resto, anche nell’ambito delle società inferiori o primitive è possibile, allo stato attuale delle ricerche etnologiche, sciogliere in qualche modo lo schema rigido della collettività anonima in un ordine mobile di contri buti o invenzioni individuali. Gli etnologi attestano che l’organizzazione sociale delle tribù australiane può essere modificata per suggerimento di individui determinali. Si tratta talora di maghi ai quali gli esseri soprannaturali comunicano le innovazioni attraverso il sogno, talora di saggi, di capi, di iniziati che, riuniti in assemblea, discu tono le proposte individuali di modificazioni sociali ; talora, infine, di viaggiatori che diffondono occasionalmente nuove cerimonie e nuovi costumi ”. Insomma, modifica zioni politiche, sociali, tecniche, religiose, linguistiche, etc. sono introdotte da individui che esercitano una funzione dirigente rispetto al gruppo. Riassume il Van Gennep:
Gli agenti di queste modificazioni sono, nei casi conosciuti con precisione, un individuo o un molto piccolo gruppo di individui. Questo elemento individuale, che il Durkheim tra scura, sostiene una parte importante nelle società australiane : Talora un individuo, dotato di immaginazione più vivace, è favorito dagli esseri soprannaturali che gli indicano il cambiamento da introdurre. Talora, ed è il caso più frequente,, sono gli uomini più saggi, e la cui scienza è risaputa, che propongono modificazioni... etc. ".
“ Howitt, The native tribes of South East-Australia, pp. 89 sgg., 29S sgg. Spencer e Gillen, The native tribes of Central Australia, p. 12. w Van Gennep, Mythes et légendes d* Australie, p. xliii.
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Anche il mito attesta questo contributo individuale : nell’Australia centrale le invenzioni e le modificazioni del passato sono attribuite a-maghi (oknibarata, pinnaru, etc.), e nell'Australia del sud e del sud-est ad esseri sopran naturali che sono eroi-maghi divinizzati °1. Il Van Gennep giunge addirittura a opinare che dopo un certo periodo di tempo calcolabile intorno a cinque o sei gene razioni, l’inventore individuale di questo o quella ceri monia è obliato e al suo posto subentrano gli antenati dell’Alcheringa °2. Senza dubbio la reintegrazione storio grafica delle astrazioni sociologiche non può dirsi nep pure iniziata, attraverso un semplice elenco delle probabili o accertate iniziative individuali : tuttavia anche le empi riche osservazioni degli etnologi mostrano quanto poco sia fondata, in linea di fatto oltre che in linea di principio, la pretesa contrainte extérieure dei fatti sociali. ** *
La distinzione fra collettivo e individuale non è senza gravi conseguenze. Una volta astratte le condizioni di fatto dell’azione individuale dalla concreta dialettica spi rituale, e una volta scambiata questa astrazione per realtà, sùbito il fatto sociale si configura come causa di certe rappresentazioni ed esperienze in noi, in particolare sùbito la società diventa la causa della vita religiosa. Al problema della genesi ideale della religione si sosti tuisce così quello della sua origine nel tempo : si cerca di farci assistere all’erompere della religione, in un momento M Howitt, op. cit., p. 500 sgg. 09 Van Gennep, op. cit., p. xciv. In generale, per il contributo indi viduale nelle società primitive, vedi A. Viérkandt, Fiìkrende Indivi duai bei den Naturuòlkern, in Zeitschrift fiir Sozialwissenschaft, 11, p. 542 sgg. e Beck, Das Individuum bei den Australiern. Cfr. Schmidt e Koppers, Volker und'Kulturen, Regensburg, 1924, p. 39 sg.
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dato della storia, dal seno della società : « La causa obiet tiva universale ed eterna — scrive il Durkheim — di quelle sensazioni sui generis di cui è fatta l’esperienza religiosa, è la società ì> m. Ma se la società prende coscienza di sè, e quindi si costituisce come tale, quando gli individui sono riuniti e agiscono in comune” (il che accade, per es., nei corrobori sociali periodici delle tribù australiane) °5, e se, d’altra parte, gli individui sono spinti dalle loro credenze religiose a riunirsi e a porsi in istato di efferve scenza (altrimenti perchè mai si riunirebbero?), come si può parlare di una vita religiosa che sia effetto della so cietà ? La società non presuppone forse la religione ? E invece di considerare la coscienza religiosa come il pro dotto di una determinata struttura sociale, non è da invertire il rapporto, attribuendo alla vita religiosa una virtù organizzatrice interna delle singole società storica mente determinate : La verità è che società e religione si condizionano idealmente a vicenda, e invano si cercherà di scindere questa condizionale iniplicanza dei due termini in una successione cronologica causale, in una società che sia cronologicamente prima della religione e causa di essa o viceversa. Se, infatti, si intende per società il complesso di determinate condizioni storiche, la vita reli giosa è correlativa a quelle condizioni e nasce da esse, via via modificandole e producendone di nuove. L’illusione sociologica del Durkheim s’intreccia quindi con quel molto grave errore speculativo che è lo storicizzare le categorie ideali, il cercare una genesi nel tempo di ciò che non ha nascimento nè morte, per la semplice ragione che è la regola interna dei nascimenti e delle morti. E s’intreccia anche con un altro errore, non meno grave :
03 FEL, 597; cfr. 606. M FEL, 598; cfr. 329 sg. “ FEE, 312 sg.
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il cercare naturalisticamente definizioni minime Anche il Durkheim cerca, come altri cultori della scienza delle religioni, una prima forma della religione che sia, al tempo stesso, la definizione minima della religione stessa. Problema, come è chiaro, speculativamente e storicamente mal posto.
***
Una volta dichiarata inaccettabile la distinzione della scuola sociologica fra collettività e individuo, rappresen tazioni collettive e individuali, perde ogni significato la distinzione istituita da Lévy-Bruhl, tra logica e prelo gica, la prima operante del pensiero individuale, la seconda riferibile solo ai prodotti della mentalità collettiva. Del resto questa distinzione, a parte la debolezza organica da cui è affetta, è da rigettarsi anche per altre considera zioni. Infatti, che cosa può voler dire mentalità prelogica ? E anzitutto : che idea si fa il Lévy-Bruhl della logica ? Come intende la funzione identificante? La moderna filosofia è venuta in chiaro che altro è la ragione altro è l’intelletto, altro la funzione identi ficante del suo uso logico e altro la funzione identificante nel suo uso pratico. Nel suo uso logico, la funzione iden tificante è, insieme, unificante e distinguente, nel senso che l’unità non è fuori della distinzione, ma nesso interno e organico della distinzione, e che la distinzione non è fuori dell’unità, ma vita interna e organica dell’unità. Nel suo uso pratico, invece, la funzione identificante riesce a una distinzione che è fuori dell’unità e ad un’unità che è fuori della distinzione : il flusso del reale si spezza in una serie di astratte identità, di immobilità giustapposte, M Vedi, nella presente ragcolta, il saggio: « Un mal posto pro blema etc. », p. 77 sgg.
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simulanti il concreto divenire. La distinzione-unità della funzione identificante concreta non si applica estrinseca mente alla realtà essendo il ritmo immanente del suo sviluppo ; le separazioni astratte sono invece schemi dentro i quali il reale viene solidificato, e si applicano ad esso estrinsecamente. La ragione riesce alle forme dello spirito : forme ideali che si ritrovano nel più piccolo fatto reale, e che non si esauriscono in nessun fatto per esteso che sia ; l’intelletto riesce a schemi che si decreta comprendere questa o quella porzione finita della realtà e che in quella porzione si esauriscono : è possibile solo enumerare gli schemi più generali, come lo spazio, il tempo, la causalità, la quantità. Le forme ideali della ragione non sono a piacere moltiplicabili o ordinabili, ma si dispongono in un ordine ideale logicamente necessario che esaurisce ideal mente la realtà ; gli schemi o identità astratte dell’ intelletto sono ordinabili e moltiplicabili senza logica necessità : un atto di volontà inizia la classificazione, un atto di volontà la ferma, un atto di volontà può modificarla, ridistri buendo i termini o aumentandoli. La ragione placa il suo sforzo nell’universale-concreto, l’intelletto nella pura iden tità, nell’essere eleatico, vuoto assolutamente di realtà. La ragione accompagna il divenire e si muove con esso; l’intelletto una volta spezzato il reale in una somma di immobilità, non riesce poi a riguadagnare il movimento : qualcosa va perduto nell’ambito di ciascun schema e nella separazione di ciascun schema dagli altri che gli sono coordinati, subordinati o sovraordinati. La ragione rifà il reale nella sua storia : ma poiché la considerazione storica non è che una particolare individuazione del reale, è provvidenziale che l’intelletto raccolga in schemi e classi il resto del reale disindividuato, ed in tal modo lo con servi per la storiografia di domani. Questi schemi e classi sistemano nel ricordo una determinata formazione empi rica, e circoscrivono il luogo mentale nel cui ambito sarà
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possibile ritrovare, se occorre, un certo gruppo di rap presentazioni. È provvidenziale altresì che l’intelletto quantifichi il reale, e quantificandolo — mediante la ridu zione dell’eterogeneo all’omogeneo — possa poi numerarlo : anche la quantificazione e la numerazione preparano e agevolano quella compiuta qualificazione a cui mette capo la conoscenza storiografica. Infine, la diversità fra ragione e intelletto si ricapitola nella diversità tra la formula del principio di identità concreta : A è A e non è B e la formula del principio di identità astratta: A è assolu tamente A e non è assolutamente B m. Non pare che la scuola sociologica francese abbia la più piccola consapevolezza del diverso procedere della funzione identificante nella ragione e nell’ intelletto. Il Durkheim, per es., non ne ha il minimo sentore : M distingue, è vero, la generalità dall'universalità del con cetto, ma definisce l’universalità come la proprietà che ha il concetto di essere comunicato a una pluralità di spiriti, o anche, idealmente a tutti gli spiriti ”, Il LévyBruhl fa coincidere la teoreticità con l'intelletto astratto, e interpreta la funzione identificante come funzione astraente 07 Croce, Logica, p. 3 sgg. (Il concetto puro e gli pseudoconcetti), p. 221 sgg. (Le scienze naturali), p. 233 sgg. (Le matematiche e la scienza matematica della Natura): cfr. La storia conte pensiero e come azione, p. 19 sgg. (La conoscenza storica come tutta la conoscenza). 08 Al contrario delle rappresentazioni « il concetto è come al di fuori del tempo e del divenire: esso si sottrae a tutta questa agitazione: si direbbe che il suo luogo è in una regione diversa dello spirito, più se rena e più calma. Esso non si muove di per sè, in virtù di una evolu zione interna e spontanea: al contrario, resiste al cangiamento. Si tratta di un modo di pensare che, in ciascun momento del tempo, è fissata e cristallizzata. Nella misura in cui il concetto è quello che deve essere, esso è immutabile: se cambia, ciò non vuol dire che appartenga alla sua natura il cambiare, ma piuttosto che noi vi abbiamo scoperto un’ imper fezione, si che è d’uopo rettificarlo. Il sistema di concetti con il quale noi pensiamo durante la vita corrente è quello che esprime il vocabolario della nostra lingua materna, ecc. ecc. » (Durkheim, FEL, 618 sgg.). w FEL, 619 nota.
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e generalizzante 10°. Pertanto se per logica e per prin cipio di identità il Lévy-Bruhl intende l’intelletto astratto e la funzione identificante nel suo uso pratico, « prelogica » vorrà dire non già « logica diversa dalla nostra », ma soltanto « orientamento preintellettivo ». Del resto, in linea generale, è impresa quanto mai contradittoria, pretendere di pensare una logica diversa della nostra. Se è possibile pensare il teoretico non-logico sotto la forma positiva dell’ intuizione, è invece impossibile pensare l’etero-logico, cioè un pensiero che afferma resi stenza del reale secondo principi sui generis. Inoltre, non soltanto l’etero-logico, se esistesse mai, non potrebbe essere pensato, ma, poiché non lo possiamo pensare, non esiste : per la stessa ragione per cui è da respingersi il concetto di natura in sé, altra dal pensiero, è altresì da dichiararsi illusoria e contradittoria l’idea di un pensiero altro dal nostro, il cui segreto dovremmo cercare di svelare. La cosiddetta mentalità prelogica, ove alla logica si serbi il suo vero significato speculativo dianzi illu strato, si rivela dunque un mero accozzo verbale di suoni. Resterebbe da vedere se i modi o le categorie dell’ intel letto spazio, tempo, causalità, quantità, etc., funzionano allo stesso modo nella mentalità primitiva e in quella culta, e se sia giustificata, almeno sotto questo rispetto, parlare di una mentalità prelogica, o meglio pre-intellettiva. Resterebbe da vedere se, in una parola, la legge di partecipazione sia altra cosa dal principio di identità nel suo uso pratico. Ma anche così corretta e limitata
100 Si vedano, a questo proposito, i capitoli II e III delle FMSI. In MYP, p. 315 sgg., si tenta istituire una distinzione fra racconti folkloristici e opere ordinarie di letteratura sulla base della seguente conside razione: mentre i racconti folkloristici ignorano ogni scrupolo di logica coerenza, lo scrittore « anche se non è realista, anche se non si preoc cupa di essere il più possibile fedele, ritiene tuttavia necessario che fa sua opera sia vera ».
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la tesi prelogica non può essere accettata. Anzitutto, parlare di « primitivi » in blocco come di un tutto indiscriminato, e quindi di una « mentalità primitiva », è procedimento antistorico per eccellenza, perchè agguaglia in una stessa classe civiltà disparate, alcune meno altre più primitive. Ma occorre subito aggiungere che le cul ture più primitive non sono affatto quelle archeolo gicamente (o cronologicamente) più antiche e che pertanto non è legittimo, come fa per esempio lo Schmidt, basare la mentalità primitiva su tale base archeologica o cronologica. Forse che il più remoto secondo il tempo coincide col più basso secondo barbarie ? In senso ideale, primitiva è la fantasia nella cerchia teoretica e la pura economicità, la pura vitalità economica, nella cerchia pratica M1. Siffatto concetto ideale del primi tivo si basa sul fortissimo documento storico della nostra meditazione intorno alle categorie dello spirito : il qual documento può essere certo impugnato, ma finché i signori etnologi non si decideranno a farlo, lo terremo per buono. Fermo il concetto di primitivo in senso ideale, diconsi primitive in senso reale e storico quelle età e quelle culture in cui prevale la fantasia e la economicità. Le determinazioni cronologiche non possono mutare in nulla il nostro giudizio : se, retrocedendo il corso del tempo, la fantasia diventa meno robusta e la eticità più sviluppata, ciò è soltanto indice di una barbarie seconda o di un ricorso, di una specie di medioevo. Tuttavia, anche limitata alle civiltà più primitive, la tesi prelogica non coglie nel segno. Se ci si riferisce alle classificazioni, il fatto che i primitivi ritagliano la realtà in un ordine di implicazioni e di esclusioni che non coin cide col nostro non basta, per sè, a postulare una menta-
M1. Vedi, nel presente volume, pp. iir-rró, 205 sg.
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lità preintellettiva : anche i primitivi, come noi, isolano e ordinano, ed il fatto che il loro separare e il congiungere si compia sotto il segno del sacro — separare il sacro dal profano o dal sacro il segno opposto — non esclude l’identificazione numinosa. Rappresentarsi e sperimentare che ogni membro della tribù è canguro, che il sole è cacatua bianco, che l’ombra è la persona, non implica forse circoscrivere ambiti nel reale e ordinarli in un certo modo? Certamente il modo di questo circoscrivere non è, nel primitivo, identico al nostro: ma non per questo si può parlare di prelogismo. Lo scienziato moderno, per es., sa che la tavola sostanziale dell’uomo volgare non è che un insieme di cariche elettriche sparpagliate nel vuoto e moventisi in tutte le direzioni a grande velocità: tuttavia si guarda bene dall’affermare che l’uomo volgare fa partecipare arbitrariamente quelle ca riche nella sua « tavola sostanziale » e che viola il prin cipio di identità quando afferma la trasmutabilità, per effetto del fuoco, della sostanza tavola nella sostanza cenere. Si tratta, in entrambi i casi, di schemi arbi trari elaborati dalla funzione identificante nel suo uso pratico, e se la « tavola sostanza » è utile ai fini pratici dell’uomo volgare, le cariche elettriche rispondono meglio ai fini che si propone lo scienziato. L’illusione di una legge di partecipazione diversa dal principio di identità nel suo uso pratico riposa sul pre supposto dualistico di una natura fisica come sistema in sè di identità, di esclusioni e di relazioni contraposto a un intelletto capace di percorrerlo in forza del princi pio di identità che lo governa; riposa altresì sull’altro presupposto, correlativo al precedente, che la sistemazione ordinaria della natura da parte dell’uomo culto sia asso luta e obiettiva. Su questa base è facile trascorrere a pensare una mentalità primitiva « impermeabile all’espe rienza », tale cioè da non esser capace, a cagione di
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un criterio logico diverso (la legge di partecipazione o la categoria affettiva del soprannaturale) di registrare le cose come realmente sono. *** Soffermiamoci ora sul sostanziale antistoricismo dell'ipotesi prelogica. Dato e non concesso che la teoricità si risolva nell’ intelletto astratto, che la funzione logica sia da intendere come funzione astrattamente identifi cante, e che spazio, tempo, causalità, quantità, siano cate gorie logiche; dato e non concesso che la mentalità pri mitiva, nel suo dominante aspetto collettivo, sia invece retta dalla legge di partecipazione e dalla categoria affet tiva del soprannaturale, non è possibile concepire uno svolgimento storico dalla mentalità prelogica a quella logica. Se queste due logiche sono entrambe positive ed entrambe coesistenti (sebbene diversamente dosate nel primitivo e nel culto), come avviene il passaggio dallo stato in cui prevale la legge di partecipazione a quello in cui domina il principio di identità? Ma il problema, così impostato, è insolubile. Mentalità primitiva e men talità culta sono due classi di fatti ipostatizzati, e in quanto tali affette da una organica rigidità, che impedisce ogni possibilità di sviluppo storico. Secondo Lévy-Bruhl — che nell’ultimo capitolo delle Fonctions mentales tenta, come abbiamo visto, di abboz zare i modi di questo impossibile passaggio — l’indeboli mento dei prelegami immediati e delle partecipazioni mistiche provoca, per contracolpo, il sorgere della rap presentazione isolata e della mediazione logica ; e l’esi genza logica, d’altra parte, affretta a sua volta la decom posizione dei prelegami e delle partecipazioni. Ma, in realtà, il processo abbozzato è fittizio : se le due diverse logiche sono concepite (e così le intende Lévy-Bruhl)
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come entrambe" positive, l’individuo non potrà, nel me desimo atto di pensiero, seguirle entrambe, ma solo una delle due. Supponiamo che si lasci dominare, in un atto determinato del suo pensiero, dalla legge di partecipazione. Chiuso completamente in essa, egli resterà immerso nelle sue partecipazioni e nei suoi prelegami immediati, imper meabile all’esperienza, insensibile alla contradizione, mi sticamente orientato. Una tale mentalità tende a mante nersi indefinitamente : solo una irruzione improvvisa di logicità può cambiare le cose. Supponiamo che questa irruzione ab extra sopravvenga, e che alla mentalità pre logica si sostituisca, di colpo, in un altro determinato atto di pensiero, quella logica. Effettuato il salto, che ha del miracoloso, ancora l’individuo si troverà chiuso nella sua nuova logica. E, anche qui, il nuovo orientamento mentale tenderà a mantenersi indefinitamente : almeno che non si voglia concepire una improvvisa irruzione di prelogicità, onde simulare il movimento lì dove è impos sibile che il movimento vi sia102. La vita mentale del primitivo risulterà in tal modo frantumata in una serie di atti ora dominati dalla legge di partecipazione, ora dal principio di identità, e precisamente in una serie discontinua di immobilità nell’una o nell’altra logica, senza che mai si possa, attraverso la serie discontinua, ottenere la continuità di un processo storico. D’altra parte, dato103 103 È difetto generale del concetto naturalistico di evoluzione il simu lare lo sviluppo mercè misteriose successive aggiunzioni ab extra di anelli evolutivi. Ogni fase si atteggia, dal punto di vista dell’evoluzione, come uu1 irruzione di realtà, come un dono che cade dal cielo (cfr. più oltre pp. 91-93). E poiché sviluppo reale interno degli anelli evolutivi non c’ è, è aperto il varco sia al miracolo dell’ inesplicabilmente perfetto, sia alla deprimente constatazione della caduta e della degenerazione: ed è aperto altresì il varco del ricorso al cielo per tentar di spiegare la inesplicabile perfezione, o al peccato per tentar di dichiarare la caduta e la degenerazione (cfr. più oltre, pp. 95, 103-108). In tal modo l’evolu zionismo finisce col negare se stesso, sia perchè abbandona la sua base positiva, sia perchè si accomoda con 1* idea di un regresso assoluto.
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il carattere fittizio del movimento dall'ima mentalità all’altra, non ha senso affermare che l’esigenza logica, una volta sviluppata, acceleri il processo di decomposi zione dei prelegami e delle partecipazioni. Se le due logiche sono entrambe positive, cioè fanno capo a due diverse funzioni della nostra mente, esse saranno altresì irrelative, e pertanto l’una non potrà influire sull’altra, decomponendola: se è legittimo concepire il movimento di un’unica logica come continua risoluzione del falso (negativo) nel vero (positivo), non è possibile concepire, nell’ ipotesi delle due logiche positive, la risoluzione di ciò che è vero secondo la funzione partecipante in ciò che è vero secondo la funzione identificante. Ma il procedimento di Lévy-Bruhl è antistorico per eccellenza anche per un'altra ragione : non solo non riesce a spiegare il passaggio fra mentalità primitiva e mentalità culta, ma non riesce neppure a distinguerle l'una dall’altra. Infatti è stato notato che atteggiamenti prelogici si ritro vano anche nelle civiltà superiori, anche nella civiltà oc cidentale, e si sono citati esempi significativi a riguardo. L’osservazione è giusta : ma il difetto ch’essa segnala non è riparabile se non abbandonando radicalmente il pro cedimento naturalistico, per effetto del quale non solo si oscura il passaggio e lo svolgimento, ma si cancella altresì il discrimen fra i termini del passaggio stesso e si dissolve ogni storica prospettiva. Ad illustrare la scarsa energia individuante del naturalistico concetto di « mentalità pre logica », valga il seguente esempio. Lévy-Bruhl parla di polivalenza temporale degli eventi come caratteristica della rappresentazione del tempo presso i primitivi (vedi più sopra): in realtà anche nel Cristianesimo chi si collochi da questo punto di vista astratto e arbitrario scorgerà un’esperienza affine del tempo, e non in via accidentale e come semplice relitto di un lontanissimo passato, ma piuttosto come fondamento della sua economia. L’espe
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rienza del Regno di Dio, la storia della quale si identifica con la storia stessa del Cristianesimo primitivo, implica infatti un tempo « numinoso » molto affine a quello dei primitivi, sempre, s’intende, che si voglia considerare la cosa da questa cattiva specola. Infatti, come per la men talità primitiva il futuro non è separato dal presente mediante intervalli determinati da percorrersi l’uno dopo l’altro, così, per Gesù, il tempo del Regno è un futuro vago, ondeggiante, indeterminato, e, sopratutto, dinamico : si muove segretamente verso il presente. Vigilate, dice Gesù, affinchè il grande evento non vi trovi impreparati : guardatevi dall’essere simili alle vergini stolte, che non alimentarono il fuoco delle loro lampade. Siano precinti i vostri lombi, siate simili ai famigli che attendono ve gliando il padrone di ritorno dalle nozze. D’altra parte, come i primitivi prefigurano il futuro nel presente dei loro riti magici, anzi, attraverso questi il futuro e già presente, così, per Gesù, il presente della sua predicazione e del suo annunzio già prefigura in qualche modo il futuro, anzi già lo inizia. I Farisei chiedono: «Quando?»: e Gesù risponde : « ovx EpyExat fi Patitala xoù fcon pErà napaTTiQTiaEmg, où8è èpovaiv I8où J>8r| èxe? I8où yàp T] PaciiAeéa xoù deofi èvxòg vpcòv èoxiv »,M. Il regno futuro ed imminente appare qui prefigurato nel presente, anzi è già presente, è già iniziato « tra » (èvxòg) coloro che riconoscono in Gesù il messia del Regno. L’esperienza attuale del Regno futuro è intima mente solidale con la rappresentazione dell’attualità del Regno stesso: dalle lontananze brumose dell’apocalittica il Regno ha ormai raggiunto il presente : « EÌ 8È Èv irvEupoiTi dEofi Eyw ÈxpdXAa» xà 8aipóvia, apa Eqr&aoEv èq>’ ùpàg r| PaaiÀEia xoù Ùeoù »,M. 103 Le.» 17» 20-21. 1M Mt, 12, 28; Le., 11, 20. Si veda, per questa parte, Omodeo, Storia delle origini cristiane, I, p. 101 sgg.
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C’ è di più. Sempre continuando a considerare la cosa secondo un naturalismo agguagliante, e perdendo ogni discrimen fra gli eventi storici, si riporrà nella rappre sentazione « primitiva » del tempo la ragione dell’ulteriore progresso della esperienza cristiana. Infatti, se il primitivo annunzio di Gesù, si trasformò lentamente, per opera di Paolo e del quarto evangelista, nella partecipazione pneumatica all’opera del Cristo, se l’attesa del Regno sopravveniente, annunziato dal messia Gesù, si attenuò nella esperienza presente del Regno già realizzato dal Cristo nella sua chiesa, se il Messia finì coll’assorbire il Regno, e la religione della speranza, orientata, preva lentemente, verso un evento futuro-presente, si risolse in un mistero di salvezza, prevalentemente orientato verso un evento passato-presente (verso il passato-presente ine rente all’epifania liturgica del rito eucaristico), ciò potè accadere in virtù di una rappresentazione e di una espe rienza del tempo affine a quella dei primitivi : ecco la conclusione senza prospettiva a cui mettono capo l’indif ferenza storiografica e lo scarso potere individuante dell’ipotesi prelogica. Il nostro sociologo voleva isolare la mentalità primi tiva, penetrarla nell’ intimo : in realtà, 1’ ha penetrata tanto poco che nella mentalità primitiva c’ è posto persino per il Cristianesimo ! Pertanto l’ipotesi prelogica è da respin gere anche per quest’altra ragione : che « prelogica », a ben osservare, si rivela non solo la mentalità primitiva, ma anche la « mentalità cristiana » : conseguenza mani festamente assurda, che dissolve la premessa che l’ha generata. La verità è che Lévy-Bruhl assume come carat teristica della mentalità primitiva, e dopo averla naturali sticamente deformata, una qualità essenziale della vita religiosa. Infatti lit religione implica un ideale che fa corpo con la praxis: il «fu» o il «sarà» sono speri mentati nella vita religiosa con tale intensità etica, in
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un «deve essere» così pregnante, da diventare, al di là di tutte le lontananze spaziali e temporali, un « è » intimo, attuale, vivo, presente. In questa ideale eterna natura della religione si articola una infinita varietà di determinazioni, ed il problema storico risiede, in generale, nel percepire il discrimen delle cose : evidentemente altro è la « presenza » magica, altro la « presenza » euristica. Ma su questo punto Lévy-Bruhl non ci dice, nè può dirci, nulla di preciso. *** La scuola sociologica francese, in quanto rappresenta una reazione all’ intellettualismo e al logicismo della scuola antropologica inglese, appare, almeno in un certo senso, come un aspetto particolare del più vasto modo irra zionalistico della moderna cultura francese ma, in altro senso, resta molto al di sotto, per vigore speculativo, all’ irrazionalismo di un Blondel o di un Bergson, e si ricollega per molteplici fili ai presupposti naturalistici della precedente età positivistica. Inoltre nel prelogismo di Lévy-Bruhl è ravvisabile una tal quale colorazione romantica o, per essere più precisi, decadentistica. Com’ è noto, uno degli aspetti più caratteristici del moto romantico fu il ritorno al primitivo, alle scaturigini della civiltà, alle vecchie tradizioni nazionali regionali e locali : nell’ambito di questa romantica reazione al razio nalismo illuministico sono da considerare (per restare nell’ambito della storia delle religioni) le ricerche intorno al deutsche Volkstum inaugurate dai fratelli Grimm (i quali si ispirarono allo Herder) e la scuola filologica di Max Miiller (il quale fu scolaro dello Schelling). Il ritorno al primitivo si riattacca senza dubbio alla rivalu tazione romantica del sentimento, della fantasia e del mito, e alla romantica esigenza della storia come svol
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gimento: tuttavia, nel suo aspetto deteriore e negativo, quel ritorno fu molto spesso alimentato da una sensibilità morbosa, da una disperata ricerca di esperienze ineffabili, da un volersi far barbaro che era in realtà raffinata e malsana mistagogia del proprio sentire. Questo primitivi smo malsano, talora non consapevole nè dichiarato, fu uno dei tratti più salienti del romanticismo deteriore : furono idoleggiati, e parve che tornassero di fatto, modi di sentire imbestiati: satanismo torbido, esaltazione del sangue e della violenza, licantropismo, algolagnia, sadi smo, etc. Talora, consapevolmente e dichiaratamente, il primitivismo romantico retrocesse il vagheggiato clima psichico sui generis in un passato lontano nel tempo e nello spazio, in un fantasticato mondo primitivo senza comune misura col mondo culto, e che nel mondo culto si poteva resuscitare alla meno peggio105106 . Si maturava cosi, rispetto al problema delle civiltà primitive, una va lutazione antistorica, sia perchè si trasferivano raffinati stati d’animo del decadentismo nell’ambito della spontanea barbarie1M, sia perchè si sequestravano i primitivi dalla storia della umana civiltà, inchiudendoli in un evo miste rioso ed ineffabile. Che questo modo di sentire romantico alimenti in una certa misura la paradossale avventura etnologica del Lévy-Bruhl, non pare che si possa revocare 106 Si pensi, valga un esempio per tutti, all’Atala dello Chateaubriand. 106 Scriveva il Flaubert alla Colet, Corrcsp., I, p. 173: « Ohimè, no! Non sono un uomo del tempo antico: gli uomini del tempo antico non avevano malattie di nervi come me! ». Ma poi, descrivendo l’oriente barbarico e selvaggio: « Sudan... Oh! Avanti sempre, voglio vedere il Malabar furioso e le sue danze che uccidono; i vini danno la morte come i veleni, i veleni sono dolci come i vini; il mare, un mare azzurro riboccante di coralli e di perle, risuona del fragore delle orgie sacre ese guite negli antri delle montagne, il mare è calmo, l’atmosfera è vermiglia, il cielo senza nuvole si Rispecchia nell’oceano tiepido, le gómene fumano quando son sollevate dalle acque, i pescecani seguono i navigli e man giano i morti » (vedi Praz, La carne, la morte e il diavolo nella lette ratura romantica, p. 158 sg.).
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in dubbio. Nell’ultimo capitolo delle Functions mentales dans les sociétés inférieures, il Lévy-Bruhl afferma che le cosidette rappresentazioni collettive, esprimenti una partecipazione intensamente sentita e vissuta, non po tranno mai essere completamente dissolte dalla mentalità logica, per culta che sia, e tenta di dare la ragione del fatto :
Paragonata all’ ignoranza, almeno all' ignoranza cosciente, la conoscenza è senza dubbio un possesso dell’oggetto. Ma paragonata alla partecipazione che realizza la mentalità pre logica, questo possesso è sempre imperfetto, insufficiente, e come esteriore. Conoscere, in generale, è obbiettivare : obbiettivare, significa proiettare fuori di sè, come qualcosa di estra neo, la cosa da conoscere. Quale comunione intima, invece, assicurano le rappresentazioni collettive della mentalità pre logica fra gli esseri che partecipano gli uni degli altri!... Questa esperienza di un possesso intimo e completo dell’og getto, possesso più profondo di tutti quelli che l'attività intel lettuale può procurare, costituisce senza dubbio la forza di tutte le dottrine chiamate anti-intellettualistiche. Queste dot trine riappaiono periodicamente, e ogni volta che riappaiono incontrano favore : poiché esse promettono ciò che nè la scienza positiva pura nè le altre dottrine filosofiche possono lusingarsi di attingere, e cioè il contatto immediato con l’essere attraverso l’intuizione, la compenetrazione, la comu nione reciproca del soggetto e dell'oggetto, attraverso quella piena partecipazione che Plotino ha descritto sotto il nome di estasi... Ancor oggi, l’attività mentale che, in virtù di una partecipazione intima, possiede il suo obbietto, vive di esso e lo fa vivere di se stesso, non aspira a nulla di più, e trova in questo possesso una soddisfazione completa. Ma la semplice conoscenza conforme alle esigenze logiche è sempre incom piuta. Richiede sempre una conoscenza che la prolunghi, e sembra che l’anima aspiri a qualche cosa di più profondo della conoscenza che la ingloba e la conclude107. 107 FMSI, 452 sgg.
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Parrebbe dunque che i primitivi dispongono in sommo grado di un potere che malauguratamente l’uomo culto possiede in misura subordinata e imperfetta: irrazionali smo mistico e nostalgia del mondo primitivo di origine palesamente romantica. Verso la fine de La Mythologie Primitive riaffiora una sottile vena di Sehnsucht: Quando noi ascoltiamo (i racconti del folk-lore), abban doniamo con voluttà l’atteggiamento razionale, e ci liberiamo dalle sue esigenze. Noi non ignoriamo di dover riprendere ben presto tale atteggiamento, nè ignoriamo che non lo ab biamo abbandonato del tutto. Tuttavia, questo rilasciamento, per tutta la sua durata, ci delizia nel profondo. Ci sentiamo ridiventare simili agli uomini che un tempo (come ancor oggi in molte regioni) consideravano l’aspetto mistico della loro esperienza come altrettanto reale, e anche più veracemente reale, dell’aspetto positivo di essa. È più di una ricreazione; è una distensione. La gioia che ci procura va molto al di là del semplice divertimento... Per lontani che siamo dalla mentalità che li ha prodotti, questi spettacoli ci seducono e ci afferrano, et moi-méme, Si peau-d’àne m'était conte J’y prendrais un plaisir extremelos. E torna anche un altro motivo romantico : l’irra zionalità e quindi l’ineffabilità di certe esperienze mi stiche primitive. L’emozione congiunta a queste espe rienze « possiede una qualità unica, che impedisce di confonderla con qualunque altra »: sfugge perciò al discorso logico, che non la può significare. S’insinua così il sospetto di una impotenza storiografica:
Per sforzi che noi facciamo — si chiede Lévy-Bruhl con qualche ansietà — ci è concesso rappresentare queste parte 10S MYP, 3r8. “» EM, 87.
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cipazioni allo stesso modo dell’australiano? D’altro canto rap presentarle non sarebbe ancora sufficiente : occorrerebbe anche, e sopratutto, far rivivere in noi la esperienza corrispondente, sentirne il calore. Come potremo suscitare in noi l'emozione che sveglia nell’australiano il termine « bugari », con tutto ciò che questo termine implica di sacro ? “°. E se ciò non si può, non resta che affidarsi alla de scrittiva, lasciar parlare i fatti, sì che i fatti suggeri scano alla meno peggio quel che le idee non possono restituire. La precisazione discorsiva non può essere spinta tropp’oltre, il più si perde attraverso le maglie del discorso : È possibile precisare meglio (a proposito dei rapporti fra gli esseri visibili e i loro reduplicati invisibili)? Le nostre abitudini mentali, e il nostro materiale linguistico non ce lo consentirebbero senza temerità. Secondo l’espressione di Elsdon Best, lo spirito dei primitivi segue vie per le quali noi non possiamo più passare. Forse, invece di cercare di analizzare processi che ci sfuggono, e che il difetto di una terminologia adatta ci impedirebbe di descrivere esattamente, meglio vale considerare in concreto alcune che non sono, a rigore, identità vere e proprie... etc.m.
E segue un elenco di fatti. Non pare dunque che sia necessario spendere altre parole per provare la motiva zione romantica e decadentistica del prelogismo di LévyBruhl. Si tratta della stessa motivazione che alla base dell’ irrazionalismo di R. Otto : sotto un certo angolo visuale, Lévy-Bruhl può considerarsi una propaggine del decadentismo nella etnologia, e R. Otto nella filosofia della religione. Anche per Otto, infatti, la religione riposa su una commozione sui generis, di qualità unica : ™> EM, 108. 111 EM, 171.
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e anche in Otto sono ravvisabili, sotto il velo di una terminologia ermetica, torbidi modi di sentire romantico. Le forme storiche della vita religiosa primitiva, il sacro che attira e che respinge (fascinans-tremendum), il sacro demonico, il Geistergrauen, il ■ftaup.a^eiv, etc., sono estolte dall’Otto a momento eterno della vita religiosa™: quasi non potesse darsi una religione di tipo Mazziniano, orien tata verso la storia e la civiltà. Anche in Otto, dunque, come in Lévy-Bruhl, certo malsano amore per il pri mitivo ha aperto la via all’aberrazione filosofica: prova questa non trascurabile dell’origine pratica dell’errore teoretico. Il nume « che attrae e che respinge » somiglia invero troppo da vicino alla « tempestosa dolcezza del terrore » — the tempestous loveliness of terror — della bellezza medusea™, o alla fascinosa temibilità degli eroi satanici u4, o alla « delectatio morbosa » delle espe rienze sadico-cattoliche dei decadenti francesius.
*** Giova ora riassumere le critiche che possono essere mosse al prelogismo di Lévy-Bruhl, e concludere la nostra ricerca. In generale, la tesi prelogica è viziata da un esorbitante naturalismo, e pertanto, per una etnologia storicisticamente orientata, essa è del tutto inutilizzabile. Ma q’ è di più : non solo la soluzione prelogica del problema della mentalità primitiva è affetta da natura lismo, ma lo stesso problema di cui vuol essere la solu zione esula sostanzialmente dalla considerazione storica. 112 Un impiego delle ricerche dell’Otto nello studio della vita religiosa primitiva si trova in Vierkandt, Das Heilige in den primitive * Reli * gione (Die Dioskuren, 1922, p. 285 sgg.). ua Praz, op. cit., p. 23 sgg. 124 Op. cit., p. 61. 135 Op. cit., p. 310.
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L’idea di una «mentalità primitiva» si lega infatti al proposito di interpretare quella classe di fatti mentali che è costituita dal mondo primitivo come un tutto indifferenziato. Ora, così impostato, il problema della mentalità primitiva pecca, per così dire, nel sostantivo e nell’aggettivo, e cioè per l’oscurità in cui lascia il concetto di « mente », e per l’arbitrarietà con la quale si parla qui di un « mondo primitivo » indifferenziato. Che cosa si intende per « mente »? Il momento logico dello spirito, ovvero la sfera teoretica logico-intuitiva, ovvero la funzione identificante nel suo uso pratico? E che cosa si intende per mondo primitivo? È lecito assimilare in un’unica generica denominazione civiltà diverse ? E posto che si voglia limitare l’inchiesta ai più primitivi fra i primitivi, quale criterio si userà nella limitazione della scelta ? Quali sono i più primitivi ? Il Lévy-Bruhl, sebbene non ami le distinzioni e le limitazioni per difetto di senso storico e di consapevolezza speculativa, analizza nel fatto il comportamento del1’ intelletto astratto nella cerchia delle culture magiche. Ma a parte la soluzione prelogica, che te niamo per inaccettabile, una inchiesta di tal genere ha pur sempre carattere naturalistico, e, se condotta senza esorbitanze, mette capo nell’ ipotesi migliore a una silloge di fatti con relative rubriche. Rilievo storico avrebbe solo una ricerca volta a determinare la Weltan schauung del magismo e la funzione storica di tale Weltanschauung. E rilievo storico, in siffatta ricerca della funzione storica del magismo, avrebbe anche il tentativo di determinare se e in quale misura il magi smo possa essere considerato come pedagogia della funzione identificante nel suo uso pratico, se e in quale misura il magismo abbia concorso a liberare la potenza laica dell’ intelletto, e cioè quel complesso di strumenti intellettivi (spazio, tempo,
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causalità, quantità) che l’uomo culto maneggia con sicu rezza nella prassi ordinaria e in quella scientifico-natura listica. Tale struttura dell’ intelletto ci appare oggi come una istituzione quasi completamente laicizzata, sottratta cioè a quell’alone di sacralità in cui appare immersa nel l’ambito delle culture magiche: ma ciò che appare a noi come un dato sempre posseduto nelle stesse condizioni, ha invece la sua storia e tale storia sarebbe opportuno dichiarare u‘. In che modo la ricerca che qui si richiede possa essere nel fatto condotta, e quale lume di sapere storiografico sicuro se ne possa ricevere, tutto ciò esula dall’economia del presente saggio, che vuol essere unica mente un esame critico del prelogismo di Lévy-Bruhl.
ue Non diversamente il Vico cercò di determinare la efficacia della vita religiosa rispetto, per esempio, alla vita morale: a Cominciò, qual dee, la moral virtù dal conato, col qual i giganti dalla spaventosa religione de' fulmini furon incatenati per sotto i monti, e tennero in freno il vezzo bestiale d’andar errando da fiere per la gran selva della terra, e, s’avvezzarono a un costume tutto contrario di star in que’ fondi nascosti e fermi; onde poscia ne divennero gli autori delle nazioni e i signori delle prime repubbliche... etc. » {Scienza nuova, §§ 504-19; cfr. §§ 338-40). Onde pietà e pudore, prudenza e giustizia, temperanza e forza e industriosità e magnanimità furono potenze della vita morale che la religione liberò e fecondò {Scienza nuova, ivi). Sì che al detto di Plutarco, essere l’ateismo minor male della superstizione, è da op porsi che colla superstizione « sursero luminosissime nazioni » mentre l’ateismo « non ne fondò niuna » {Scienza nuova, § 518). Per gli « Uni versali fantastici a come pedagogia dei « generi intelligibili a, v. Scienza nuova, §5 933-34.
II Un problema mal posto dell" etnologia
La
religiosa :
prima forma di. religione.
La minorità speculativa della etnologia si rivela dal fatto che ancor oggi molta fatica è spesa dai suoi cultori per risolvere il problema delle origini della cultura umana. In guisa affatto acritica si è cercato di rimuovere le difficoltà tecniche che si oppongono a una obbiettiva determinazione del « primo » nella serie, senza tuttavia risolvere la quistione preliminare se fosse speculativamente corretto cercare, nel tempo, un primo delle forme singole e del complesso della cultura umana. A dissolvere tale problema, e il gioco di immagina zione che lo accompagna e lo sostiene, si frappongono molte difficoltà di fatto : in primo luogo la già denunziata minorità s*peculativa dell’etnologia, così poco affiatata con la severa disciplina del pensiero, in secondo luogo una tal quale congiura di affetti e di sentimenti, quale l’amore per le cose astruse, il fascino romantico che promana dall’assolutamente primitivo, lo zelo illuministico-positivistico di schiarire le menti umane intorno a quistioni turbate di solito dal mito, la ricerca della vaga consola zione morale derivante dalla conferma « scientifica » dell’ipotesi monogenetica, l’ardore confessionale di provare
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obbiettivamente, con metodo rigoroso, le verità della Rivelazione. Che anzi, ad essere precisi, è questa congiura di affetti e di sentimenti a turbare il corso del pensiero, a distorcerlo ed impedirlo, sì da oscurare la verità che altrimenti brillerebbe di luce meridiana. Giova affrontare, per gettar luce sull’argomento, non già il troppo ampio problema delle origini nella etnologia, ma solo una forma particolare di tale problema, e cioè la tentata determinazione della prima forma di religione nella etnologia religiosa. Il problema della prima forma di religione si copre parzialmente e si intreccia con quello della definizione minima della religione stessa \ Il ragionamento che com bina le due ricerche è, nella sua forma originaria e più ingenua, di questo tipo: «La religione, così come si presenta oggi alla nostra osservazione, è un fatto estre mamente complesso. Essa implica il pensiero non meno dell’azione, la fantasia non meno del concetto, l'ethos non meno del calcolo del conveniente, la gioia non meno del dolore, la paura non meno della speranza. Si estrin seca in riti e in atti di culto nei quali rifluisce una vita 1 Per essere precisi, il periodo in cui tale problema fu preponderante coincide con il massimo sviluppo dell'etnologia evoluzionistica. In un secondo momento, per opera della scuola storico-culturale, le ambiziose quanto acritiche costruzioni evoluzionistiche andarono in rovina: ci si accorse che le serie evolutive esistevano solo nell’ immaginazione di chi le aveva istituite. Il problema delle origini della religione subì pertanto una battuta di arresto, fu rinviato per difetto di informazione. L’etno logia diventò sempre più descrittiva e monografica, e le ricerche aventi per oggetto territori relativamente piccoli e ambiti umani circoscritti fu rono preferite alle ampie quanto fragili sintesi dell’etnologia evoluzio nistica. Il problema delle origini della religione era insomma rinviato per difficoltà tecniche di esecuzione, il che implicava che, superate tali dif ficoltà, e compiuti i lavori analitici preparatori, la sua soluzione sarebbe finalmente divenuta possibile. Infatti lo Schmidt ha da recente tentato, nel quarto volume della sua opera Der Ursprttng der Gottesidee (1935), una e Endsynthese » con relativa soluzione del problema della prima forma della religione. Ma, su ciò, più avanti.
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spirituale intensa, in istituti di tradizioni millenarie. Or qual’ è l’essenza di questo fatto complesso ? Dove è la sua sostanza, e quali sono i suoi accidenti ?' Senza dubbio, finché il fatto resta sotto ai nostri occhi nella sua attuale complessità, non è possibile venir a capo di nulla: bisogna decomporre il complesso nel semplice. Secondo quale criterio? Quale sarà il filo di Arianna che ci condurrà in questa riduzione? L’etnologia reli giosa. Invero, la religione non fu in passato altrettanto complessa come lo è oggi. Sopratutto nelle sue forme primitive la religione si estrinseca in modi molto semplici e rudimentali. Interroghiamo dunque il mondo primitivo : è da sperare che sulla base del materiale documentario raccolto sia possibile individuare la forma più semplice, laprimaformadi religione, quella che segnò il trapasso dall’animalità senza religione all’uomo e alle religioni umane. Stabilito questo primo e questo minimo essen ziale, per complicazione del semplice nel complesso, per evoluzione, si potrà tornare al punto di partenza, e cioè alle forme culte di vita religiosa ». Il primo che si provò a ragionare a questo modo, e che, così ragionando, pervenne ad una conclusione che esercitò grande influenza negli studi etnologici, fu il Tylor, il quale credette di poter stabilire che la religione è, al minimo, la credenza in esseri spirituali, e che la prima forrqa di religione fu, appunto, l’animismo. Giova riportare il passo relativo della Primitive Culture: Quando si tratta di studiare le religioni delle razze infe riori, il punto essenziale preliminare da chiarire e da pre cisare è che cosa si intende per religione. Se si vuol far entrare nella parola la credenza in una divinità suprema, in un giudizio dopo morte, o l’adorazione di idoli e la pratica del sacrificio, o altri riti e dottrine diffusi qua e là, senza alcun dubbio un certo numero di tribù si troverà allora escluso dal mondo religioso. Ma questa definizione troppo ristretta
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ha il difetto di identificare la religione con alcuni suoi sviluppi particolari, laddove è opportuno considerarla nel suo movente iniziale e nel suo elemento essen ziale. Meglio vale, per quel che sembra, risalire direttamente alla fonte, e porre semplicemente, come definizione minima della religione, la credenza in esseri spirituali2.
La prima grave obiezione che può muoversi a un ragionamento di questo tipo è che esso ignora il travaglio del più maturo pensiero europeo. È qui infatti del tutto ignorata la distinzione fra categorico e temporale, fra cominciamento ideale e cominciamento in tempo. Senza dubbio tale distinzione importa molto acume speculativo, e solo a gran fatica può essere fermata in tutti i suoi particolari. Persino lo Hegel non fu su questo punto del tutto chiaro e esente da contradizioni, si che nella sua filosofia il significato ideale ed extratemporale del dive nire si intreccia con quello temporale (si pensi alla morte dell’arte e all’ identificazione della prima catego ria della Logica con la prima scuola filosofica greca). Comunque, rinviamo per questa parte l’etnologo deside roso di istruirsi alle scritture che riguardano questo interessante dibattito, e restiamo per conto nostro fermi al vero che la religione come categoria (autonoma o non, qui non importa chiarire) non patisce cominciamento nel tempo, ma è sempre stata3. In secondo luogo coloro che muovono alla ricerca di definizioni minime, e che ciò fanno retrocedendo nel corso del tempo in cerca di un primo cronologico che sia minimo, si accingono alla ricerca vuoti di pensiero, e si attendono che dall’esame « obiettivo » dei fatti si possa ricavare il concetto di religione prima non pos
2 Tylor, Primitive culture, I, p. 424 (5 * ed., 1929). 8 Cfr. Croce, Il concetto del divenire e l'hegelismo (in Saggio sullo Hegel e altri scritti, p. 146 sgg.).
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seduto. In realtà la scelta dei fatti non si compie prima (nè dopo) rispetto a quel concetto, ma dentro di esso, secondo la regola della sintesi a priori. In terzo luogo chi retrocede nel tempo in cerca del primo che sia minimo, procede verso il passato remoto del genere umano trapassando dal prima al prima del prima, per abbandonare, al limite, il mondo umano, e internarsi in quello subumano : salvo a metter più o meno arbitrariamente un termine al regresso all’ infinito, e chiamar questo termine arbitrario primo assoluto in re. Ora è da osservare che il mondo umano non si illumina nella direzione del passato, percorrendo a ritroso la naturalistica catena dei tempi e delle cause, nè tanto meno si illumina internandoci nel mondo animale, che con tanta difficoltà si solleva nella nostra memoria. Piuttosto « l’antico si apre e si dichiara verso il mo derno »‘, l’umano primitivo verso l’umano culto, la vita religiosa delle civiltà più lontane verso la nostra, qui e ora. E ben si comprende come le complicate, e talora anche ingegnose, catene di antecedenti, con o senza primo anello, sono affatto mute per ciò che riguarda la gene razione della serie, cioè non spiegano, o addirittura sottacciono l’incremento qualitativo che il conseguente rappresenta rispetto all’antecedente, e implicano pertanto la rinunzia al tratto propriamente storico della ricerca. In quarto luogo ogni prospettiva storica è perduta in questo regresso verso il primo e verso il minimo : si crede di attingere il primitivo distillandolo diligente mente dalle fonti, ed in realtà si elaborano concetti e 4 Cfr. OmodEO, Alfredo Loisy storico delle religioni, Bari, Laterza, >937. P< 57 sg. Questo errore metodologico della etnologia in genere e di quella religiosa in ispecie si ripete in altri domini della storiografia, per esempio nella storia del Cristianesimo: la ricerca di una «essenza» del Cristianesimo da parte della storiografìa protestante rientra in que sta aberrazione (cfr. Omodeo, Storia delle religioni cristiane, I, xvu).
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schemi privi di ogni energia individuante, nei quali o non si riesce a pensare nulla di preciso, o si pensa il moderno indebitamente fatto antico * B. E che meraviglia di ciò, se la determinazione delle pause ideali, dei momenti e degli incrementi di uno sviluppo è strettamente legata a un centro prospettico che è il mio pensiero storicamente individuato ? Sembra un paradosso ed è invece una sem plice verità: le distanze storiche sono stabilite tanto più energicamente quanto più vivacemente il mio problema storiografico si radica in un qui e in un ora. In quinto luogo il regresso verso il primo e verso il minimo, compiendosi senza vero e proprio problema storiografico, e nell’ illusione di distillare dai fatti la storia reale, mette capo a ipotesi che si sovrappongono ai fatti con un « può », un « è probabile », non escludenti altre possibilità e probabilità : viene meno la spiegazione interna del fatto, che nasce dal farsi presente di esso al pensiero. Senza dubbio non si nega che l’ipotesi possa essere un utile espediente euristico, o una sistemazione provvisoria di ciò che non si è ancora compiutamente inteso : ciò che qui si rifiuta è l'ipotetismo radicale e sostanziale 5 Anche qui il pensiero corre alla storiografìa cristiana dei prote stanti liberali. 8 Come esempio di ipotetismo etnologico valga il seguente. Il M.arett, dopo avere dichiarato che la definizione minima escogitata dal Tylor è insufficiente, aggiunge: « È d’uopo che (il preanimismo in quanto concetto positivo) sia sviluppato criticamente e con cautela alla luce di prove che, potendo sempre aumentare, saranno sempre incomplete. Nes suna teoria antropologica può presumere di starsene al sicuro^ tanto meno una teoria che vuol essere comprensiva al massimo grado... In questo senso il mio primo saggio — e il mio ultimo in misura non mi nore — deve essere considerato come < tatonnante f. Sono del tutto con sapevole di procedere sulla mia strada a tastoni e.nelle tenebre» (.The Threshold of Religion, 1914, p. xm). Dove si potrebbe osservare che l’oscurità e le tenebre in cui il signor Marett presume di avanzare a tastoni, sono, in realtà, l’oscurità e le tenebre sue proprie, del suo metodo naturalistico e della sua filosofìa evoluzionistica. Ma, su ciò, più avanti.
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Il problema della prima forma di religione implica la ricerca, per entro il divenire, di un atto religioso semplice per eccellenza, cronologicamente primo, e che sia la causa prima dell’ulteriore sviluppo religioso del l’umanità. Ma è possibile anche pensare che l'origine della religione sia destinata a sfuggire per sempre al pensiero, e che non c’ è atto religioso semplice (o minimo) che non possa essere risolto in altro più semplice, atto religioso remoto nel tempo di cui non si dia atto più remoto, anello di una successione causale di atti religiosi che non implichi, all’ infinito, un anello antecedente. Così impostato, il problema della origine della religione rientra in quello, molto più ampio, della finitezza e della infinità del divenire. Quest’ultimo problema ha una lunga e complessa storia, che l’etnologia non può ignorare, a meno che, nella pretesa di mantenersi afilosofica, non si rassegni nel fatto ad accogliere acriticamente una filosofia triviale. Nella sezione della Critica della Ragion Pura che tratta delle idee cosmologiche, Kant mostra il conflitto a cui è inevitabilmente condannata la mente allorquando deve decidere tra finitezza e infinità, e mostra altresì come, essendo per l’intelletto la finitezza troppo piccola (cosa c’ è oltre il primo ?), e l’infinità troppo grande (come posso percorrerla?), la soluzione del conflitto sarebbe impossibile per un uomo che avesse solo interessi teoretici. A questo stato di ondeggiamento interminabile fra tesi e antitesi cosmologiche può porre fine solo una scelta dettala da interessi pratici ’. L’antinomia finito infinito non fu dunque sciolta da Kant, e a cagione delle persistenti tracce di naturalismo della sua logica. Per scioglierla era d’uopo la scoperta della vera logica 7 Kant, Critica della ragion pura, trad. it. Gentile-Lombardo Radice, II, pp. 384, 385 sgg.
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speculativa, la dialettica ; e tale scoperta fu, com’ è noto, il grande merito di Hegel. Nella sua Scienza della Logica si leggono a questo proposito pagine che non dovrebbero essere dimenticate. Hegel descrive, riattaccandosi a una esposizione non meno famosa di Kant, quel senso di caduta e di vertigine del pensiero allorché si vota alla noia sublime di avanzare verso l’infinitamente lontano, verso il passato più remoto del più remoto passato, verso l’av venire più protratto del più protratto avvenire:
... numeri sterminati accumulo, giogaie di milioni ; io metto tempo su tempo, e mondi sopra mondi, nel mucchio... Alla tradizionale sublimità del cielo stellato, con relativo senso di annichilimento, Hegel contrappone l’atto del pensiero nel quale si fa intimo e di qua, presente intenso e vivente, quell’ infinito che per l’intelletto è sempre un esterno e un al di là, un futuro o un passato o un lontano che si distende oltre l’ultimo tempo e l’ultimo spazio, un che di morto per il concetto :
... e quando, dalla terribile altezza, preso da vertigine, guardo verso di Te, tutta la potenza del numero, moltiplicata per migliaia non è ancora una particella di Te. Io la tolgo; e Tu sei tutto dinanzi a me’.
8 Hegel, Scienza della Logica, I, 270 (trad. it. Moni), cfr. Enciclopcdia, 104. Un precorrimento di tale soluzione giusta, trovasi, mutatis mutandis, in Bruno (nel De Triplici Ordine et Mensura), e in Spinoza. Si legga, per es. questo passo dell’ Ethica (Propositio XV, Scholium: cfr. Lettera 12)'. «SÌ quis tamen jam quaerat, cur nos ex natura ita propensi sumus, ad dividendam quantitatem, ei rispondeo quod quantitas duobus modis a nobis concipitur, abstracte scilicet, sive *su perfìcialiter, prout nempe ipsam imaginamur, vel et substantia, quod a
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Nocque tuttavia allo Hegel il non aver inteso il ca rattere pratico dell’ intelletto, ed il valore meramente euristico delle sue determinazioni : onde egli, a cagione di questa oscurità, non sottrasse completamente il dive nire a tali determinazioni arbitrarie, e concepì, per es., la prima categoria della logica coincidente con la prima scuola filosofica greca (quasi che l’uomo cominciasse a pensare con Talete milesio !)
L’etnologia in genere, e quella religiosa in ispecie, ha il torto d’ignorare questo travaglio del pensiero mo derno, e di non impacciarsi di sì alti problemi speculativi, che essa stima di competenza non dello storico ma della filosofia professionale e accademica. In realtà, nello sforzo di mantenersi afilosofica, l’etnologia religiosa riesce solo a essere trivialmente filosofica, accettando acriticamente come ben fondato il problema delle origini, che è legato, come si è dimostrato, a una filosofia intellettualistica: tanto poco lo storico può sottrarsi alla filosofia, e, più precisamente, alle severe indagini di Logica. Nel fatto, il problema della origine, nel tempo, della religione, tiene da solo buona parte del campo di ricerca della etnologia religiosa, formando di questa disciplina il presupposto e il fine, espressi o sottintesi. Non rientra nell’economia del presente saggio tracciare la storia di questo genere di ricerche : molto più opportuno ci sembra solo intellectu fit. Si itaque ad quantitatem attendimus prout in imaginatione est, quod saepe et facilius a nobis fit, reperietur finita, divisibilis et ex partibus Gonfiata; si autem ad ipsam prout in intelleetu est, attendimus, et eam quatenus substantia est concipimus, quod difficillime est, tum, ut jam satis demonstravimus, infinita, unica et indivisibilis reperietur ». • Vedi Croce, Il concetto del divenire e l* * hegelismo, in Saggio sullo Hegel e altri scritti di storia della filosofia, p, 144 sgg.; Teoria e storia della storiografia, pp. 41 sgg., 55 sgg.; Conversazioni critiche, I, pa gina 338 sgg.
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ricordare qualche esempio che illustri con particolare evidenza la contradittorietà e la ineseguibilità dell’assunto. E come esempio particolarmente significativo valga, anzi tutto, quello del signor Roberto Ranulfo Marett, al quale parve che la definizione del Tylor non fosse abbastanza minima, cioè semplice ed elementare. Nel giugno del 1900 apparve nel periodico inglese Folk-Lore un suo saggio, Pre-animistic Religion, che è una presa di posi zione contro l’animismo tyloriano. A questo saggio ten nero dietro altri nei quali il Marett ritornò sul pro blema, ora correggendo, ora ampliando, ora restringendo la tesi preanimistica. Il metodo del Marett è abbastanza chiaramente delineato nell’ introduzione della sua opera The Threshold of Religion'.
Per ciò che riguarda il metodo, il mio orientamento gene rale è quello di un antropologo, il mio speciale interesse è psicologico. Io mi avvicino alla storia delle religioni come uno studioso della evoluzione umana. Ma il mio più im mediato interesse è di tradurre un tipo di esperienza reli giosa da noi remota in termini della nostra coscienza scelti in modo da poter valere per la stessa cosa tradotta. Desidero elaborare una descrizione, generale nel più alto grado, di un certo stato della mente che prevale nelle condizioni più rudimentali di cultura Senza dubbio questo metodo è impotente a seguire il corso della realtà in tutte le sue sinuosità concrete : qualcosa va perduto nell’approssimazione schematica. 10 Per citare quelli che qui più particolarmente interessano: From spell to prayer, in Folk-Lore, giugno 1904; Is taboo a negative magici (in Anthropological essays presented to Edward Burnet Tylor in honour of his 75 th. birthday, ottobre 1907); The conception of Mana, in Tran saction of 3rd international congress of history of religion, vol. I, Oxford, 1908; The Taboo Mana formula as a minimum definition of religion, ARW, XII, 1909; Mana, ERE. Vili, Edimburgo, 1915). 11 Treshold of religion, XXV.
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Tuttavia, poiché la scienza « is bound to read rela tive uniformity into this and that aspect of the flux of things»12, e poiché «pensare» equivale a « classificare », l’etnologia come scienza classificatoria dichiarerà il senso della vita religiosa dell’umanità quando avrà dato la definizione minima della religione stessa. Abbracciare la vita religiosa nella sua concreta varietà risultante dalle modificazioni che subisce in virtù del l’ambiente, la permanente possibilità e l’innato potere del credere, è impossibile : classificare — cioè pensare — è semplificare: in particolare risolvere il problema della definizione minima della religione implica anzitutto rag gruppare insieme il molteplice, in modo che vi sia un minimo di differenza fra le varie classi e un minimo di differenza nell’ambito di ciascuna classe presa per sè Come risulta chiaro da questi presupposti metodologici, l’aberrazione non deriva dal proposito classificatorio (ogni classificazione, dentro certi limiti, ha la sua utilità), ma piuttosto dalla confusione dei due piani della ricerca, del piano speculativo-storiografico e di quello astratto e classificatorio. A questa confusione tien dietro l’altra, non meno grave, trajdeale o categorico e reale o storico, ciò che è facilitato dalla corruzione del categorico nel psicologico e dello storico nell’evoluzionistico. Nel saggio Preanimistic religion, il Marett affronta l’indagine della religione primitiva dal punto di vista psicologico. L’ani mismo, in quanto sistema d’idee, trascura intellettuali sticamente l’aspetto emozionale della vita religiosa. Ma quest’aspetto è, secondo Marett, fondamentale. Sia che si voglia accettare la tesi di coloro che affermano l’esi stenza di un impulso specifico dell’esperienza religiosa, sia che si acceda all’altra tesi della religione come sotto “ Op. cit., “ Op. cit.,
xxvn. xxv.
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prodotto dell’evoluzione dell’umano intelletto, il fatto è che, in occasione di emozioni quali lo sgomento, lo stupore e simili, la ragione umana è spinta a obbiettivare e anche a personificare ciò che appare misterioso o soprannaturale, e la volontà, da parte sua, a rendere tale oscura forza innocua o propizia mercè la costrizione o la comunione o la conciliazione11. L’esperienza religiosa ha, quindi, come momenti com ponenti, sentimenti di paura, ammirazione, meraviglia e simili, e, come obbietto, il soprannaturale. I modi particolari di rappresentazione del soprannaturale—per es. la credenza in esseri spirituali o animismo — sono acci dentali e transitori : ma l’esperienza del soprannaturale, come obbiettivazione e personificazione immediate del sentimento del timore reverenziale (aive), è l’universale del fatto religioso, cioè il suo elemento più semplice e più generale. Ciò posto il soprannaturalismo è logica mente anteriore all’animismo : la definizione minima della religione come soprannaturalismo rivela qui il suo chiaro carattere di definizione media o tipica. Allorquando il categorico si deforma nel medio e nel tipico, subito si presenta un possibile senso cronologico del categorico così deformato. Il Marett, infatti, si chiede se il più semplice e il più generale del fatto religioso sia anche in senso cronologico anteriore aH’animismo, se, cioè, la reli gione sia cominciata in tempo prevalentemente come soprannaturalismo (obbiettivazione e personificazione im mediata del timore reverenziale) per evolversi e diffe renziarsi poi come animismo (credenza in esseri spiri tuali). E a questa domanda il Marett risponde che il suo intento è di batter l’accento sulla esigenza psicologico-classificatoria e trascurare quindi il problema gene tico, secondo la buona regola naturalistica che prima14 14 Op. cit., p. io sgg.
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occorre preparare gli schemi, poi, in un secondo momento, ordinarli in sequenza dal più semplice al più complesso :
Nel saggio intorno alla religione preanimistica io non ho avuto intenzione di compromettermi con una soluzione definitiva del problema genetico. Secondo me il primo capi tolo della storia delle religioni resta in gran parte indeci frabile. Mio scopo principale è stato di mettere in evidenza che la religione primitiva o rudimentale, quale si ritrova attualmente nei popoli selvaggi, è cosa più ampia, e sotto certi aspetti più vaga, della « credenza in esseri spirituali » di cui ci parla la famosa definizione minima del Tylor. Per tanto è sembrato opportuno provvedere l'antropologo di una nuova categoria nella quale fosse possibile ordinare quei fenomeni che in una interpretazione animistica rigorosa della religione rudimentale sarebbero stati verisimilmente ignorati, o, in ogni caso, fraintesi. Prima che la nostra scienza do gmatizzi intorno al problema genetico, è d’uopo, credo, con durre un’opera' preliminare di classificazione, secondo quadri sinottici, dei dati di cui dispone. Il mio saggio avrà raggiunto il suo scopo se sarà riuscito a introdurre un nuovo termine classificatorio nel vocabolario dell’antropologo “. E qui evidentemente sfugge all’autore che conoscenza è genesi del fatto, e che il precetto del prima classi ficare e poi ordinare nel tempo può metter capo ad una sequenza di idola mentis ma, alla storia, mai. Per conclu dere, secondo il Marett, se il problema genetico deve esser messo per ora in secondo piano, tuttavia nulla vieta che un giorno la classe si trasformi in fase storica, e il preanimismo designi un’epoca : anzi allo stato attuale della scienza etnologica, può affermarsi che il preanimi smo è anteriore all’animismo not only logically but also in some sense chronologically16, e cioè nel “ Thresh., 19x4, VIII sg. M Thresh., 1914, p. 11.
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senso che in una certa fase dell’umana evoluzione pre valgono fenomeni religiosi di tipo preanimistico. Insomma, secondo Marett, nulla vieta, nel fatto o nella possibilità, che il categorico, corrotto nel psicologico, trapassi nello storico corrotto nell'evoluzionistico, e che la definizione minima della religione divenga fase storica. Al tentativo di far trapassare il pseudo-categorico nel pseudo-storico, si accompagna l'opposto tentativo di estollere il pseudo-storico a pseudo-categorico, nel caso specifico di estollere particolari forme storiche della vita religiosa primitiva a definizione minima della reli gione tutta. Questo inverso processo, e questa inversa aberrazione, si ravvisano in altri saggi del Marett, tra i quali sono particolarmente da ricordarsi Is taboo a negative magic?, The conception of Mana (entrambi in The Threshold of Religion, rispettivamente a pp. 73 sgg. e 99 sgg.), The taboo-mana formula as a minimum defi nition of Religion (ARW, XIT, 1909, p. 186 sg.), articolo Mana (in ERE, VIII, 1915). I termini indigeni Mana e Tabu, designanti un orga nismo di esperienze di rappresentazioni religiose geo graficamente e culturalmente definite, sono dal Marett estolti a significare, rispettivamente, l’aspetto positivo e quello negativo del soprannaturale, il Mana a signi ficare il soprannaturale in quanto forza o energia numinosa, il Tabu il soprannaturale in quanto sacro separato dal profano e da non avvicinarsi senza precauzione. Per far assumere alla formula Mana-Tabu il valore di for mula definitoria minima, il Marett ha operato una pro gressiva generalizzazione dei due termini, sì da includere in essi termini più 0 meno affini : « My remarks are intended to apply not merely to the Pacific region, but the world of so called ' savagery ’ in general » ”, E nel 17 ARW, XII, 1909, p. 186.
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saggio contenuto nell’ Enc. of Rei. and Eth. Marett di stingue un significato locale del termine Mana da un significato « scientifico », cioè schematico e pseudo-cate gorico A noi non tocca qui iniziare una ricerca storica e porre in rilievo l'arbitrarietà di tale generalizzazione “ : a noi basta, dal punto di vista metodologico, aver segna lato la doppia aberrazione del Marett, il quale oscilla fra l’abbassamento delle categorie a fatti e la distorsione dei fatti a categorie, con la conseguente perdita, .come si è mostrato, della idealità delle categorie e della indivi dualità dei fatti storici.
Ma il signor Marett ci offre altresì un cospicuo esempio di quello sprofondarsi nel mondo subumano che si accompagna fatalmente, prima o poi, per espresso o per sottinteso, al vano inseguimento di un primo della religione (o, più generalmente, della cultura). Pose infatti termine il nostro autore al suo regresso verso il sem plice solo quando credette di scoprire una magia rudi mentale fra gli animali : e a questo riguardo vale la pena ricordare alcune sue argomentazioni, che basterebbero da sole a definire la levatura del piano culturale su cui egli si muove. Un tale, assalito da un toro arrabbiato, lascia il suo mantello e fugge: il toro prende a cornate il mantello,
“ ERE, VII, 1915, p. 377 sgg. Scrive per es. il Thurnwald (in ARW, XXVII, 1929, p. m): « Non tutte le rappresentazioni di umana dipendenza da forze sopranna turali possono essere stipate nel concetto di Mana, come Marett cerca di fare. Le rappresentazioni amerindiano di forze efficaci sovrumane presenti nelle cose, negli obbietti e nei fenomeni della natura, non si coprono con il concetto Maori di Mana », etc. Vedi anche H. Hian Hobgin, Mana (in Oceania, VI, 1936, 3, p. 241 sgg.). e A. CapELL, Mana, a linguistic Study (in Oceania, IX, 1938, p. 189 sgg.).
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scaricando su questo la sua rabbia. Questo sarebbe, secondo Marett, magia rudimentale. Un mago opera sui capelli della vittima per affatturarla: questa sarebbe, secondo il Marett, magia progredita. Ma come si effet tua il passaggio dalla prima alla seconda forma di magia ? Il toro, avverte il Marett, non è capace di paragonare le sensazioni e di riferirle a un’unica coscienza : la sua vita sensibile è istantanea e irrelativa. Il mantello ordi nario, non commestibile, e quindi affatto indifferente, e il mantello che, nell’acceso di collera, diventa qualcosa che può essere presa a cornate, non sono, per il toro, un unico mantello, ma due. Poniamo ora in luogo del toro un uomo più o meno simile a un bruto (but now put in the bull’s place a more or less brute-like man...): quest’uomo, in quanto tale, sarà capace di paragonare le sensazioni, di riferirle a un unico centro di coscienza. In tal caso l’aspetto normale dell’obbietto gli apparirà veritiero, e quello originale come delusorio. Tuttavia l’uomo, pur distinguendo simbolo e realtà, può gettare un ponte fra la prima e la seconda, per volontà di illudersi o di credere, o per istintiva coscienza che ciò gli rechi giovamento ". Fin qui il Marett. Ma in realtà questa sua descrizione psicologica non spiega nulla. Il passaggio dal mondo umano a quello subumano è infatti spiegato in modo illusorio, più col suono delle parole che con la forza del concetto. Invero, che cosa passi per il cervello di un toro infuriato è cosa alquanto difficile a determinarsi : che si sappia, deve ancor nascere lo storico capace di rifarsi toro infuriato. E se il primo termine del passaggio è un mistero, il passaggio stesso diventa misterioso, e non resta che dire, a un certo punto : « poniamo ora in luogo del toro... etc. », non
30 MaKBTT, Op. cit., p. 120.
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resta cioè che far irrompere ab extra l’umanità nell’ani malità 21. Questa retrocessione dal mondo umano a quello subu mano, aberrazione derivante dal metodo naturalistico delle definizioni minime e dalla superstizione del primo, può spingersi sino al punto di « spiegare » determinate esperienze religiose mercè la loro riduzione a processi del mondo fisico. Codesto spiegare obscurum per obscurius è ravvisabile, per esempio, nel Thurnwald, il quale avanza l’ipotesi che l’esperienza connessa col Mana poggi su un contenuto obiettivo che la scienza moderna ha chiarito come magnetismo o elettricità per sonale. Infatti
Come da recente hanno stabilito i professori F. Sauerbruch e W. O. Schumann, ricerche fisiologiche mostrano che ogni processo negli organismi viventi, sia animali che vegetali, ogni movimento delle dita, ogni moto del sentimento, è legato alla produzione di correnti elettriche tenuissime, le quali sfug gono dalla superficie del corpo. Da ciò risultano anche molte operazioni a distanza22. A questo barbarico luogo del Thurnwald giova porre a riscontro quel classico luogo del Fedone platonico in cui Socrate esprime la delusione che gli aveva arrecata la lettura di Anassagora:
« E mi parve fosse proprio lo stesso che se uno, pur dicendo che Socrate tutto quello che fa lo fa con la mente, 21 Dallo stesso punto di vista si possono criticare gli altri tentativi dell'etnologia di derivare Fumano primitivo dal subumano, per es. il tentativo del Preuss (vedi in particolare Globus, LXXXVII, 1905, p. 419), quello dello Hartland (vedi Transact, of Sect. H in Report of the Brithish Associai, fir the Advancement of Science, 1906, p. 606), e quello del Clodd {Preanimistic Stage of Religion, in Transact, of the third Intern. Congress for the History of Religion, 1908, p, 33 sgg). « ARW, XXVII, 1929, p. 109.
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quando poi si provasse a voler determinare quel che faccio, incominciasse col dire che ora, per esempio, io son qui seduto per ciò che il mio corpo è composto di ossa e di nervi ; e che le ossa sono rigide etc.... E lo stesso anche sarebbe di questo mio conversare con voi chi lo attribuisse a tali cause, alle gando, per esempio, la voce, l’aria, l’udito e infinite' altre dello stesso genere, senza curarsi affatto di dire quelle che sono le cause vere e proprie: e cioè che, siccome agli ateniesi parve bene votarmi contro, per questo anche a me è parso bene restarmene a sedere qui, e ho ritenuto mio dovere non andarmene via, e affrontare quella qualunque pena che costoro abbiano decretato » ”.
Nel caso del Marett il « primo » non vuol esser metafora per indicare il limite più basso a cui sarebbe giunta l’analisi etnologica (o psicologica). Ma allorquando si pone termine al regresso in modo assoluto, assumendo un primo in re, allora si passa dalla mala infinità alla mala finitezza. È questo il caso di Padre G. Schmidt, il più cospicuo rappresentante della scuola storico-cultu rale. Nella sua opera fondamentale, L’origine dell’idea di Dioa Op. cit., I, p. 74.
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parlavano lo stesso linguaggio, da allora si produsse la confusione delle lingue. Ora se Padre Pinard stima di potersi trar d’impaccio attenendosi al tempo in cui i figliuoli di Adamo non avevano ancora edificato la loro Babele, non saremo noi ad anatemizzarlo per questa sua decisione : solo avvertiremo il nostro gesuita che egli, venendo meno all’ impegno di non pronunciare giudizi di valore, ne insinua uno di proporzioni gigantesche su tutta la civiltà moderna. Inoltre dalla sfera della defi nizione del Pinard restano esclusi magia e totemismo : in altri termini, su una base empirica così incerta, il Pinard fonda giudizi storici gravissimi, e cioè che nè la magia nè il totemismo sono, essenzialmente, religione. Infine, le forme mistiche più radicali non trovano posto nella defi nizione del Pinard. Concludendo su questo punto, è fatica vana voler eludere il problema speculativo : il peccato contro la filosofia si sconta abbracciando, più o meno consapevol mente, una cattiva filosofia.
*** Il compito della storiografia consiste nel ricondurre alla loro effettiva intensità ideale, e fuor d’ogni loro apparenza o pretesa i fatti della storia, sì da rigenerarli nel pensiero in una compiuta qualificazione. Solo in questa realtà rigenerata e tolta dal suo esserci sopra e dal suo pesarci come passato, solo in questa ampliata autoco scienza, è possibile creare nuova storia nella libertà della iniziativa individuale. Che se noi non vorremo o non sapremo sottoporci a questa tensione interiore per ri scoprire in noi la cosa e noi nella cosa, ecco subito la intensità qualitativa del reale distendersi nella serie spa ziale e temporale dei nessi causali. Ed è ciò che accade ai rappresentanti della scuola storico-culturale : una volta de
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curtata la storia dal lume speculativo, per un verso la filo sofia diventa metastoria (metafisica e teologia), e per un altro verso la storia si abbassa a filologismo. Il vuoto la sciato dalla ragione storica e dalle sue categorie (Vero, Bello, Buono, Santo, etc.) è occupato subito dall’ intelletto e dai modi propri di questo : in particolare, spazio tempo e causalità si atteggiano indebitamente a categorie del giudizio storico. Tocchiamo qui il secondo punto della prefazione-programma del Foy, e su questo punto giova ora soffermarci. La critica del principio di causalità è stata condotta molto avanti dalla filosofia moderna. Anche nell’ambito delle scienze naturali, acuti metodologi ne hanno messo in rilievo il carattere pratico, e più precisamente eco nomico. Scrive lo Eddington :
La legge di gravitazione è una verità evidente soltanto allorché è considerata da un punto di vista macroscopico. Presuppone lo spazio misurato con apparecchi materiali o ottici grossolani. Essa non può superare in precisione i limiti di questi apparecchi, di modo che è una verità evidente con un errore probabile, piccolo, ma non infinitamente piccolo. Le leggi classiche hanno valore solo in un campo in cui i numeri quantici siano estremamente grandi. Il sistema che comprende il sole, la terra, e la luna ne ha degli elevatissimi, e la possibilità di predire le sue configurazioni non è carat teristica dei fenomeni naturali in generale, ma di tutti quelli che comprendono grandi numeri-di atomi in azione, di modo che non abbiamo a che fare con il comportamento individuale, ma solo con quello medio. La vita umana è probabilmente incerta : tuttavia poche cose sono più certe della solvibilità di una compagnia di assicurazione. La legge basata sulla media è cosi degna di fede che si può considerare come pre destinato che la metà dei bambini supereranno l’età di n anni. Ma ciò non ci dice se la lunghezza della vita di Tizio sia già scritta nel libro del fato o se vi sia ancora possibilità di alterarla insegnandogli a non precipitarsi sotto le ruote degli
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autobus. L’ecclisse del 1999 è sicura come il bilancio di una compagnia di assicurazione sulla vita : invece il salto di un quanto di un atomo è incerto come la vostra vita o la mia
Il carattere statistico della legge di causalità la ricon duce al procedimento naturalistico per medie e per tipi : di ciò i più acuti scienziati sono ben coscienti. Ed allora, se la causalità è tale, alla limitazione del suo significato nelle scienze della generalizzazione e della previsione, non deve forse corrispondere la eliminazione del suo uso nel sapere storiografico ? Invero, nella considerazione causalistica ordinaria, la causa si atteggia come esterna all’effetto, l’effetto è riducibile alla sua causa, le cause si distinguono in efficienti e occasionali, il nesso causaeffetto si dichiara come irreversibile. Ora, in primo luogo, la ragione storica apprende come processo di rielaborazione interiore ciò che all’ intelletto appare come influsso esterno, e coglie l’individuo nell’atto di eleggere secondo libertà le proprie cause (il che la considerazione naturalistica esclude nell'atto stesso che considera l’ef fetto prodotto meccanico della causa) ; in secondo luogo la riduzione dei fatti alle loro cause costituisce il pro cedimento inverso della storiografia, che è determinatrice di incrementi ; in terzo luogo nella storiografia le cause efficienti, al cambiare del punto prospettico, diventano occasionali, e viceversa (e ciò rivela l’arbitrarietà della distinzione) ; in quarto luogo la causa storica può essere facilmente considerata come effetto, e l’effetto causa, vigendo nella storiografia una interazione fra gli ele menti che si sottrae per sua natura ad ogni risoluzione causalistica univoca. Insomma la materia storica repelle, quando sia penetrata, al principio di causalità, ed è as-31 31 Eddington, La natura del mondo fisico, Bari, Interza, 1935, P. 332-
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sunto contradittorio assegnare alla storiografia il compito di canalizzare. Ma altrattanto repelle la materia storica alle deter minazioni di tempo e di spazio perchè subito, con le serie temporali e con lo spazio, sorge la rappresentazione di una storia che sia passata e esterna, una storia da distillarsi dalle fonti e da inseguire vanamente nel regresso senza fine degli istanti. Pertanto, causa tempo spazio rappresentano solo il momento euristico della ri cerca storiografica, la quale si giova di tali appoggi dell’ intelletto per riportare alla memoria, attraverso la causa, l’opposto processo di incremento, attraverso la cronologia quei nessi che occorre riscoprire in sè, nel l’attualità della ragione storica, attraverso le determina zioni spaziali altrettante agevolezze dirette allo stesso scopo La mala signoria che acquistano le determinazioni dell’ intelletto nella inopia della ragione storica apre il varco alla duplice aberrazione della storia generale e universale. E qui tocchiamo il terzo punto della prefa zione-programma del Foy. Prende forma, infatti, nel vuoto di ogni interesse speciale, la vaga immaginazione di una storia generale al di sopra delle storie speciali, e d’altra parte sulla malferma base della serie regressiva dei tempi e delle cause cerca di puntellarsi l’altra vaga immaginazione della storia universale al di sopra delle
38 Per la critica del principio di causa nella storiografia, vedi Croce, Teoria e storia della storiografia, p. 54 sgg. (cfr. p. 82), p. 291, p. 293; La storia come pensiero e come azione, p. 210 sgg. (cfr. p. 16). Sulla insufficienza del causalismo si veda anche, del Croce, l’articolo « La crisi italiana del Cinquecento e il legame col Risorgimento d (in Critica, XXXVII, 1939, p. 401 sgg.). Sulla riduzione degli accadimenti storici ai loro antecedenti è da leggersi quel che ne scrive I'OmodEO in Tradizioni morali e disciplina storica, pp. 49 sgg., 57 sgg.
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storie particolari Quanto radicato sia il preconcetto di una storia universale nell’ambito dell’etnologia storico culturale risulta scorrendo le ultime pagine del recente Handbuch der Methode der kulturhistorischen Etimologie dello Schmidt. Vi si legge, infatti, questo enfatico an nunzio : In virtù del fruttuoso ricollegamento della etnologia con l’archeologia preistorica condotte entrambe secondo il metodo storico-culturale e aiutate dalla linguistica (e dalla antropo logia), sono ora spalancate le porte a una storia universale del genere umano, e nessuno riuscirà più a chiuderle, anche solo di tanto M. Ma il nostro etnologo, preoccupato di eliminare nel fatto le difficoltà tecniche che si frappongono alla esecu zione di una storia universale, non si è mai posto il pro blema se una tale storia possa de jure sussistere, nè ha, per quel che sembra, il minimo sospetto che altri abbia già da tempo chiuso quelle porte ch’egli presume siano ora finalmente spalancate. Naturalmente l’aberrante pretesa di una storia universale del genere umano si accompagna col tradizionale sgomento di poter abbracciar tanta am piezza di tempo e di spazio, e con il solito dubbio di incapacità a poterne eseguire il disegno con le forze di un solo uomo. Osserva lo Schmidt: Se si tien conto della estesa specializzazione e della im mensità del campo della storia delle civiltà superiori non è possibile che un solo uomo padroneggi e svolga, in un unico 33 Per la critica della storia universale, vedi Croce, Teoria e storia delia storiografia, p. 41 sgg. Per la critica della storia generale, ibidem, p. 105 sgg. Cfr. Storia come Pensiero e come Azione, p. 268 sgg. Si veda anche il saggio compreso nella presente raccolta: a Un mal posto problema della etnologia religiosa: la prima forma di religione ». 34 Handbuch, p. 307.
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sapere, la storia di tutto il genere umano. Una storia univer sale umanamente possibile può soltanto abbracciare la prei storia e la protostoria dell’umanità
Ma è poi lecito gratificare della qualifica di storia ■universale una storia che abbraccia la totalità geogra fica dei fatti avvenuti in un tratto di tempo abba stanza ampio ? D’altro canto il concetto di una storia della cultura è da respingersi anche per altre ragioni. Verso la fine dello scorso secolo si accese in Germania un’aspra pole mica se la storia fosse da intendersi come storia dello Stato (Staatsgeschichte) ovvero come storia della cul tura (Kulturgeschichte). La polemica, di cui lo Schàfer e il Gothein furono gli iniziatori, si trascinò poi a lungo, senza tuttavia che nessuna delle due parti in lotta ottenesse vittoria definitiva. Invero, il problema, nei ter mini in cui era stato posto dagli storici tedeschi, non metteva capo a nessuna soluzione : una soluzione l’ebbe soltanto quando, chiarito il nesso dialettico che sussiste fra attività economica ed etica, e ricondotto lo stato a formazione essenzialmente economica, fu possibile inverare le opposte unilateralità della Staatsgeschichte e della Kulturgeschichte nella storia etico-politica Nella defi nizione del Foy (vedi sopra), la Kulturgeschichte rap presenta l’insieme empirico di tutte le storie speciali possibili (della religione, del costume, etc.), un insieme, pertanto, senza alcuna unità di concetto. Quanto poi alle condizioni essenziali a cui la Kulturgeschichte dovrebbe
86 Handbuch, p. 308 sg. M Si veda Croce, Conversazioni critiche, I, pp. 201-24, e IV, pp. 137142; Teoria e storia della storiografia, p. 135 n., e p. 311 sgg.; Eiementi di politica, p. 91 sgg. ; La storia come pensiero e come azione, p. 45 e p. 68.
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attenersi, dando ai fatti un valore subordinato (« per quel che sono assolutamente necessari al concatenamento e alla spiegazione s>), è da osservare che ciò distingue non già la Kulturgeschichte dalla storia in generale, ma ogni genuina storia speciale dal filologismo e dal cro nachismo. Una raccolta di fatti non necessari al con catenamento e alla spiegazione che cosa può essere altro, infatti, se non cronaca ? Giova ora dare uno sguardo retrospettivo al cammino percorso, e fissare le conclusioni. La scuola storico-cul turale presume di poter elaborare una storiografia distinta dalla filosofia e limitata all’ordinamento spaziale tem porale e causale dei fatti. Da parte nostra opponiamo che storiografia e filosofia formano idealmente unità, e che i fatti empirici, di cui si cerca l’ordinamento spaziale temporale e causale, non cadono ancora (o non cadono più) nella sfera della comprensione storiografica, e sono assimilabili piuttosto ai fatti bruti del procedimento naturalistico. L’errore fondamentale della scuola storico culturale consiste quindi nel far valere come sto riografia ciò che costituisce solo il momento euristico di essa. Abbiamo anche messo in rilievo che questo errore è fatale, una volta che la storiografia sia decurtata della filosofia : poiché, privata la storia del suo lume speculativo, alle vere categorie del giudizio storico (arte, filosofia, religione, ethos, utile e simili) subito si sostituiscono i modi dell’ intelletto (spazio, tempo, causalità), i quali si fanno indebitamente valere come categorie. E abbiamo infine mostrato come, sulla stessa base naturalistica, prende consistenza la duplice aber razione della storia generale e universale. Ma un’altra grave difficoltà travaglia la scuola storico-culturale (come del resto ogni forma di filologismo naturalistico) : la impossibilità di risolvere il problema della
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certezza. Tocchiamo qui il punto quarto della prefa zione-programma del Foy : e questo punto conviene ora approfondire. *** Il presupposto di una storia da disserrarsi dai docu menti mercè l’uso di chiavi adatte apprestate da una metodologia coscienziosa, sembra favorire un’assoluta ob biettività di ricerca, e sopratutto la eliminazione di tutti i fattori perturbanti soggettivi. In realtà una storiografia siffatta mette capo solo al probabile e all’ipotetico, malgrado ogni dichiarazione in contrario. Padre Pinard cita con stupore quel luogo del Reinach in cui si riconosce che l’architettura della propria ricerca ha la solidità di un castello di carta37 : tuttavia non ci sembra che i rappresentanti della scuola storico-culturale abbiano vinto l’ipotetismo ch’essi giustamente rimproverano alla etno logia evoluzionistica. Torniamo ancora al Pinard, che intorno al problema della certezza ha ragionato ex pro fesso. Padre Pinard consiglia modestia e prudenza nelle sintesi, e, su questo punto, non gli si potrebbe dar torto : Invece di incitare i ricercatori a edificare prematuramente sintesi ambiziose, veri e propri castelli di carta, secondo la confessione ingenua di un protagonista del totemismo, salvo poi a vederli trasformare la loro macchinosa impalcatura e a cambiar opinione come il camaleonte cambia colore, il 37 « Confesso d’altra parte volentieri che la mia interpretazione non può pretendere alla certezza: mi basta rivendicarle qualche verosimi glianza. A dir il vero, non si tratta di un edifìcio costruito con materiali resistenti, la cui solidità sia provata e verificabile, ma con ipotesi pos sibili e probabili che si sostengono e si puntellano a vicenda. Questo genere di architettura è conosciuto: è quello dei castelli di carta » (Cldtes, Miikes et Religions, III, p. 38).
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metodo storico li invita a costruire lentamente per costruire solidamente, a restaurare passo passo, in attesa di costruzioni definitive, frammenti di storia cosi solidi da consentire ai loro successori di contentarsi di perfezionare il loro lavoro, senza doverlo ripigliare dalle fondamenta, come è accaduto così spesso, con grande discredito della storia delle religioni88. Tuttavia la certezza storiografica non è solo una quistione di prudenza e di modestia. La più prudente e la più modesta asserzione filologica non esce dalla sfera della probabilità (e sia pure della più alta proba bilità). Scrive il Croce :
La critica ha acquistato tale acume ed esperienza (nel denunziare le falsificazioni), che può passare in gloriosa rassegna lo sterminio compiuto di folte schiere di falsifica zioni che l’assaltavano da ogni parte procurando di avvolgerla e di toglierle la vista del vero : e può quasi sorridere dei vani conati, armata come si sente dei suoi metodi infallibili. Senonchè come all'azione dei tribunali molti colpevoli sfug gono e talvolta l'innocente ne viene condannato e il reo assolto, cosi non è da credere che, nonostante l'esercitata prudenza della critica, non rimangono nei musei oggetti falsi che passano per autentici, nè nelle storie notizie che proven gono da sognante e credula immaginazione o da falsificazioni consapevolmente eseguite. Anche i migliori critici qualche volta si ingannano, giudicando falso ciò che è genuino, e al contrario. E ciò basta per dar l’adito al dubbio scettico. Si potrà mai radicalmente strappare dalla storia la possibilità di falsificazioni e stabilire con sicurezza il vero? Chi mai la preserverà dalle abili e verosimili e coerenti favole appog giate a testimoni che si reputano fededegni? Chi ribatterà con argomenti perentori i sospetti che possono investire ogni documento e ogni narrazione pel solo fatto che son cose pratiche e altri può averli manipolati pei suoi fini particolari? E se tutte le testimonianze, tutti i documenti, come tutti38 38 Pinard
de la
Boullave, op. cit., II, p. n8.
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sospettabili, sono messi da banda, quali mezzi avanzeranno per ricostruire la storia? O bisogna contentarsi, in fatto di storia, di affermazioni che non oltrepassano il livello della probabilità, di quel probabile che è tanto fragile e che spesso si dimostra, nella vita quotidiana, ben poca cosa sempre che venga a paragone con la realtà di fatto? Bel guadagno, dopo che il moderno pensiero storico, iniziatore Giambattista Vico, si era dato il vanto d’essere uscito dal mero probabile, e d’aver raggiunto il « certo » e il « vero » ! “* Padre Pinard avverte a suo modo il problema: Senza dubbio si può accettare con assoluta sicurezza, almeno quanto alla sostanza dei fatti, se non sempre rispetto ai particolari, la deposizione ferma e precisa di un testimone unico, se questi è fuor d’ogni sospetto, omni exceptions major : se, cioè, presenta le più forti garenzie di competenza e di sincerità. Ma, al di fuori di questi casi rarissimi, lo storico trova unicamente a sua disposizione, per ricostruire il pas sato, memorie, iscrizioni, medaglie commemorative, avanzi archeologici, alcuni resti oscuri di vecchi usi. Ciascuno di questi indici, presi isolatamente, consente molte spiegazioni, e fonda, tutt’al più, una probabilità : addizionati non possono procurare una certezza".
Per la soluzione del problema il nostro gesuita fa appello alle premesse aristotelico-tomistiche della sua filosofia. Il suo ragionamento è, a un di presso, il se guente : « Conoscere è apprendere l’universale della cosa, e questo universale l’uomo attinge per astrazione, vedendo la cosa nella sua specie e la specie nel genere. Ciò posto la mente umana non può conosefe l’individuale in se stesso, dappoiché il procedimento definitorio, per genere prossimo e per differenza specifica, riesce alla specie \ 30 Croce, La storia come pensiero e come ozio,ne, p. 107 sg. 40 Pinard de la Boullaye, op. cit., p. 112 sg.; cfr. p. 132.
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e giammai all’ individuo, all’uomo e non a Socrate o a Callia. Il singolare è dunque impenetrabile al pensiero umano, è ineffabile : se ne può solo dare una descri zione, una esposizione delle note che lo caratterizzano, e che, in quella qualità e quantità, non si incontrano mai due volte nella realtà Allorquando l’individuo muore, o, più generalmente, l’istituto storico scompare, restano tracce del suo passaggio sulla scena del mondo : tracce fisiche (strumenti di lavoro, abitazioni, etc.) o psichiche (modificazioni esercitate dal singolare nel co stume o sul pensiero, testimonianze di altri sul suo conto). Attraverso queste tracce il singolare si prolunga, per cosi dire, nel futuro, cioè le note che, esso in vita, forma vano un’unità solidale organica ed unica, si sparpagliano ora dopo la sua scomparsa, e diventano segni o indici, più o meno completi data l’usura del tempo, più o meno fedeli data la possibile parzialità delle testimonianze. Questi indici, presi isolatamente, non sono determinanti : l’individuo è contingente e così pure lo sono le sue tracce. Ogni traccia o documento si presta a interpretazioni mul tiple, e di per sè non rinvia necessariamente a quel deter minato singolare Ma se, in un caso-tipo, immaginiamo la convergenza totale della serie virtualmente completa 41 « Pertanto, secondo noi, il problema del singolare si riduce a questa quistione nozionale o logica: quale collezione di note può per* mettere di distinguere un individuo da un altro?... Per designare ciascun individuo occorre supplire la definizione, che è impossibile, con una descrizione di qualità (Pinard de la Boullaye, op. cit., II, p. 512 sg.). Cfr. Schmidt, Hand, der Methode der kulturhist. Ethnol., p. 134: « 1/ individuo umano come tale esiste una sola volta, e lo stesso può dirsi nel caso di un avvenimento storico o in quello in cui uno o più individui operano insieme passivamente o attivamente. Pertanto un tal accadimento può essere rappresentato solo idiograficamente, e non come parte indifferente di una serie o di un processo secondo leggi j>. 48 Pinard de la Boullaye, op. cit., II, p. 514 sgg. Qui sarebbe la differenza, secondo il Pinard, tra accadimento storico e fenomeno fìsico: quest'ultimo è univocamente determinato dai suoi effetti e dalle sue cause, laddove il primo è pura contingenza.
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degli indici probabili a qualunque ordine essi apparten gano, una tale convergenza cosi impressionante deve avere la sua causa proporzionata nella realtà di fatto a cui quegli indici uniformemente rinviano. Si genera allora, in questo caso-tipo, un’evidenza molto diversa da quella, deduttiva, della matematica e della metafisica, e analoga a quella, induttiva, della fisica43. Questa evi denza fa vedere il singolare non in se stesso (il che solo Dio potrebbe), ma nell’ insieme inimitabile delle sue tracce o dei suoi effetti, e se è da meno della verità intuitiva e dell’esperienza (che del resto è impossibile quando si tratta del passato) è tuttavia molto di più di una fede basata sulla veracità d’altri » “. Questa deduzione della prova per convergenza d’indici probabili costituisce, come il lettore orientato avrà già notato, un vero e proprio pezzo archeologico : la premessa su cui poggia appartengono infatti all’archeo logia della storia della filosofia. Certo qui non si so stiene dogmaticamente che l’aristotelismo e la scolastica « Per quel che riguarda la conclusione, la matematica e la meta fisica, scienze deduttive, si presentano nelle condizioni più favorevoli. L’una e l'altra vanno di conclusione in conclusione attraverso un tessuto fitto di dimostrazioni propter quid... Le altre scienze, invece, consta tano, non spiegano (demonstratio quia)... Le scienze storiche (e le con clusioni della vita corrente che possono essere ad esse assimilate) si trovano a questo riguardo all'ultimo grado: giammai esse possono pog giare le loro deduzioni su un legame necessario, su un rapporto speci fico di causa e di effetto, e pertanto non possono apportare allo spirito la stessa soddisfazione delle scienze rivali: la natura delle cose non lo consente» (Pinard de la Boullaye, op. rii., II, p. 5488g.). ** Pinard de la Boullaye, op. cit., II, p. 552. Sulla prova per convergenza 0 concordanza d’ indici probabili vedasi anche ibidem, p. 112 sgg. e p. 132; Langlois et Seignobos, Introduction aux études historique, 2a ed., p. 173; Bernheim, Lehrbuch der historische Me thode, pp. 195, 480 sg., 524 sg. ; Schmidt, Hand, der Methode der kulturhist. Ethnol., p. 137 sg. Come vedremo in altro saggio (p. 177 della presente raccolta), la prova per convergenza degli indici probabili as sume, nella scuola storico-culturale, la forma dei due criteri fonda mentali della qualità e della quantità.
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non possano risorgere a nuova vita e debellare la filosofia moderna, e neppure si sostiene che l’idealismo e lo sto ricismo siano la filosofia definitiva del genere umano : ma tale resurrezione, per essere legittima, deve impli care un superamento effettivo della filosofia moderna, da Kant a Hegel, e da Hegel a Croce. La filosofia moderna ha superato criticamente l’aristotelismo la scolastica, e chiede, pertanto, che, almeno per cortesia, le si ricambi il trattamento, e le si procuri morte con tutti i sacramenti di un esame diligente ed esatto. Questo rilievo è tanto più grave in quanto è rivolto a studiosi che fanno pro fessione aperta di esattezza, e che sono così solleciti a denunziare i difetti di informazione di questa o quella scrittura. Invero, nella deduzione di Padre Pinard tutto accade come se la storia della logica si fosse fermata ad Aristo tele e a Tommaso, ed Hegel non avesse compiuto la sua riforma, e il lavorio successivo di correzione e di rielaborazione della logica hegeliana non avesse avuto luogo. Per esser precisi, il Pinard dedica al pensiero di Hegel qualche pagina del primo volume della sua opera, ma quel che vi si legge tradisce in ogni rigo l'incertezza e la superficialità di chi non se ne intende. I pochi spunti critici sono qui esposti come pensiero d’altri e quasi con l’aria di un relata referre. Si legga, per esempio, questo passo : I filosofi hanno rimproverato fra l’altro ad Hegel la sua confusione fra ordine logico o ideale e ordine ontologico o reale : l’idea, di cui nè lo scetticismo, nè il sensualismo, nè il criticismo riescono a giustificare il contenuto rappre sentativo è divenuta non solo il calco più o meno perfetto del reale, ma la realtà prima, la sostanza universale, e questa realtà lo spirito umano si dichiara capace di comprendere integralmente. C’est une gageurel... Gli storici hanno pro testato contro questa ricostruzione a priori della storia, la
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quale non lascia posto nè alla influenza delle contingenze esterne, nè al libero giuoco 'delle grandi individualità, e la cui arbitrarietà si tradisce attraverso la sottilità nelle spie gazioni dei simboli e la violenza esercitata sui testi, anche sui fatti più chiari “ Nè manca il solito accenno a Dio che sarebbe Hegel filosofante. La critica di Pinard al pensiero di Hegel è tutta qui. Il nostro gesuita, dopo questa rapida sortita, rientra soddisfatto nel suo fortilizio aristotelico-tomistico. Ma gli intendenti sanno che le cose stanno molto diver samente dal modo semplicistico, superficiale, incompleto e largamente inesatto con cui le prospetta il Pinard. Essi sanno quel che di vivo e quel che di morto è nel pensiero dello Hegel ; sanno che il rifacimento hegeliano della logica consisteva nella negazione critica dell’univer sale astratto come organo di scienza e nella scoperta dell’universale concreto, vero organo del sapere ; e sanno anche che il successivo sviluppo della storia della filo sofia, posto in chiaro il carattere economico dell’ intel letto e delle sue determinazioni, impugnato l’abuso hege liano del metodo dialettico, scoperto il nesso dei distinti, dissolta la filosofia della natura e la filosofia della storia, mise capo alla identificazione della filosofia con la sto riografia, al concetto di filosofia come momento metodo logico della ricerca storiografica, e al giudizio storico come forma unica di sapere". 45 Pinard de la Boullaye, op. cit., I, pp. 263-65. Cfr. p. 535 sgg. (Les solutions philosophiques, leurs avantagcs, leur cohèrence respective) e, più generalmente, tutto il cap. X (Les courants du siècle et le cours des siècles). Per la dimostrazione di queste tesi rinviamo l’etnologo storico culturale desideroso d’istruirsi a una più severa meditazione su Kant e su Hegel, alle opere dei metodologi delle scienze (Mach, Avenarius, Poincaré. Bergson, Meyerson, Brunschwicg, Eddington, etc.), e alla filosofia dello spirito di B. Croce.
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Quanto poco il Pinard abbia sentore di questo com plesso sviluppo dalla filosofià moderna, risulta in modo chiaro da queste sue parole : Il concetto di scienza si è molto modificato dopo l’anti chità. Sulle orme di Aristotele, gli scolastici distinguono due tipi di dimostrazione, l’una propter quid che fornisce la ragione dei fatti, assegnando le loro cause immediate e pro fonde, e l’altra quia, che stabilisce solamente la realtà dei fatti, argomentandola dagli effetti prossimi e dalle cause remote. Poiché quest’ultima non spiega, non facit scire, non costituisce una dimostrazione e una scienza che in senso largo. Da questo punto di vista, scienza sarebbe solo quella che mette capo a una spiegazione razionale. La scienza d’osserva zione, e in particolare la storia, in quanto escludono ogni nesso necessario, sono considerate scienze inferiori : il tipo di scienza è la filosofia prima o metafisica. Al contrario i moderni sono stati indotti a sospettare sempre più della metafisica, e a considerare come certe soltanto le conclusioni più immediate appoggiate sull’esperienza sensibile, poiché forzano in qualche modo l’assenso. Essi riservano dunque il nome di scienza alle scienze sperimentali, e abbandonano le speculazioni ulte riori alla filosofia: la scienza minima degli uni è diventata la scienza tipo degli altri Questa sarebbe, secondo Pinard, l’opinione dei mo derni : invece, come gli intendenti ben sanno, si tratta solo di un’opinione accreditata presso un ramo spurio della modernità, e cioè presso i positivisti. Queste considerazioni fanno giustizia di un primo grosso viluppo di errori che viziano la « deduzione » del Pinard. Una volta criticato il concetto di universale astratto, di ineffabilità del singolare, di certezza storica inferiore a quella metafisica e matematica, tutta l’impal catura speculativa su cui poggia la prova per concordanza P1NABD DE LA BOULLAYE, Op.
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d’indici probabili va in pezzi, trascinando nella rovina la prova in quistione. Del resto, quest’armeggio per provare l’attingibilità di una storia fuori di noi inte ressa unicamente chi ancora postula un fuori di noi, non chi è pervenuto alla consapevolezza che la storia del macrocosmo è nel microcosmo e che la certezza consi ste unicamente nel riscoprirla in noi, nel riportarla alla memoria. D’altro canto, una volta postulata una storicità come assoluto passato, ogni fatica per riguadagnarla è vana : e la prova per convergenza d’indici probabili provvede allo scopo tanto poco quanto ogni altra che si voglia escogitare. Gli indici come tali non convergono nè divergono : sono mute cose materiali, medaglie o pietre o armi o scritture o gesti o suoni. Qui l’occhio vede senza guardare e l’orecchio ode senza ascoltare. La loro eventuale convergenza si dichiara alla ragione sto rica via via che il processo di anamnesi procede e il singolare prende forma e rilievo nella nostra memoria. Questa coscienza più o meno embrionale dell’accadimento storico, questa memoria già in fieri, scoprono nessi mai prima di allora notati : le tracce sparpagliate e morte di ciò che fu un’unità organica e vivente cominciano a convergere, a ricomporsi, cioè, nella fisionomia dell’ac cadimento. D’altro canto la memoria storica meglio si determina mercè l’ausilio delle scoperte convergenze. Il problema, pertanto, non consiste nel garantire un’as surda certezza che dovrebbe scaturire dalla convergenza degli indici in sè, ma piuttosto nello spiegare il talento misterioso che fa guardare ove altri vede, e ascoltare ove altri ode. Ma questo talento sarà sempre un mistero per chi postula la storia come passato assoluto. La evo cazione, l’anamnesi, la memoria storica sono parole prive di senso quando si riferiscono a un fuori di noi : come potremmo, infatti, ricordarci di cosa che non fummo mai e che altri fu assolutamente ? Osserva Padre Pinard :
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Sarebbe senza dubbio una esagerazione il pretendere che la storia debba limitarsi ad accumulare testi ed a enumerare fatti : essa esige, poiché solo a questo prezzo mette capo alla ricostruzione del passato, che si pesino i documenti, che li si spieghino reciprocamente, cercando di ritrovare la corrente di vita di cui sono la morta traccia, e dipingendo la vita in modo cosi efficace che il lettore senta vibrare, attraverso le pagine, l’anima dei popoli scomparsi ",
E altrove: Un uomo mediocre esita tra informazioni incomplete o divergenti : un soggetto meglio dotato districa in un batter d’occhio le connessioni rivelatrici : egli ha visto quando altri cercano ancora... Ora se l’aspetto individuale si determina, in buona parte, in virtù di questo fiuto, di questo senso del reale, non c’è qui bisogno di alcuna giustificazione. O tutta la ragione umana è votata all’errore, o questo procedi mento dello spirito, da lei tenuto in gran conto, è del tutto legittimo ".
Ma, evidentemente, Padre Pinard cerca qui di eludere, con un’osservazione di buon senso, il grave problema che ogni filosofia dualistica deve affrontare : e cioè la ricomposizione della dualità ontologica nell’unità del pen siero “. 48 Op. cit., II, p. 116. 40 Op. cit., p. 520. 60 Lo Schmidt, dopo aver tentato di fermare il concetto di causa lità culturale interna, così continua: a Tuttavia noi non siamo ancora penetrati nel suo intimo, non abbiamo ancora compreso la sua interiorità, non abbiamo ancora afferrato nella sua essenza il significato, l’anima, l’aspirazione di tali fattori di causalità culturale interna. Nella moderna storiografìa si parla qui della necessità di sensibilità (Nachempfinden) storica, di simpatia (Sicheinfuhlen), nel tempo e nello spazio, con l’anima di popoli stranieri » (op. cit., p. 240). Che cosa pensi lo Schmidt di questa facoltà meravigliosa di cui disporrebbe lo storiografo, non è chiaro: probabilmente nulla di ragionevole. L’unica determinazione di questo Nachempfinden 0 Sicheinfuhlen sembra essere piuttosto negativa,
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Del resto la prova per concordanza d’indici proba bili pecca anche per altri rispetti. Nella forma in cui la espone il Pinard, questa prova si fonderebbe sul prin cipio di ragion sufficiente: ma tale preteso principio non è piuttosto il risultato di esperienze più volte ripe tute e la schematizzazione di probabilità che la pratica quotidiana mostra tanto alte da potersi considerare, per comodità di azione, come certezze ? Il principio di ragion sufficiente non è affatto un organo di teoretico sapere e una fonte di teoretica certezza, ma è, esso stesso, una regola di pratico dominio dei fatti, la norma quintessenziata della legalità empirica. Si tratta di un’ ipotesi di lavoro molto comoda, fondata sui fatti, e che serve a sua volta a ordinare altri fatti come se fosse un principio assoluto : la fictio giova ed è perciò pienamente legit tima Inoltre, dato e non concesso il valore logico del
e cioè l’antitesi con la « zergliedernde Verstand » (Schmidt, op. cit,, p. 103). È stato osservato (e l’osservazione cade qui opportuna) che l’appello al sentimento costituisce, nella Istorica, il preannunzio del mo mento intuitivo del concetto storiografico, ovvero il riconoscimento, più o meno consapevole, di una reazione sentimentale dello storico rispetto al dato. « Chi ora — osserva il Croce — dopo la teoria del giudizio come sintesi a priori, parli del sentimento come fattore della storio grafia, torna dal chiaro al confuso, e dalla luce, se non proprio alla tenebre, al crepuscolo» (Croce, Filosofia della pratica, p. 18). Nel caso dello Schmidt il crepuscolo è più notte che giorno. V illustre etno logo, sia detto qui incidentalmente, accetta in generale le tesi metodo logiche del Pinard, da lui stimato un filosofo di tempra: « Mit grosser Klarheit (!) und mit solider philosophischer Unterbauung (II) legte P. H. Pinard de la Boullaye in seinem bedeutungsvollen Werke L’étude compatte des religions die kulturhistorische Methode dar, und wirkt dadurch in fuhrender Stellung mit an ihrer àusseren Verbreitung und an ihrem inneren Ausbau » (Schmidt, op. cit., p. 73). 51 La critica dell’universale astratto e del dualismo fra verità di ra gione e verità di fatto implica la critica dei due principi logici, di identità (astratta) e di ragion sufficiente. Il principio logico è uno solo, la funzione identificante concreta (identificante-distinguente) della mente: quanto al principio di ragion sufficiente, esso appartiene all’ in telletto e ha un valore pratico.
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principio di ragion sufficiente, il Pinard prospetta la cer tezza solo per un caso-tipo (la convergenza totale della serie virtualmente completa degli indici probabili), il che equivale a fondare una certezza-tipo, di cui lo sto rico, che ha bisogno di certezze concrete, non sa che farsi. Meglio dunque avrebbe fatto il Pinard ad accettare la tesi del Seignebos “, il quale, con maggiore coerenza, non esce dall'ambito della probabilità, e non pretende, come il Pinard, di rivendicare per la verità storica l’as soluta certezza (sia pure di qualità inferiore alla cer tezza matematica o metafisica). E che di probabilità si tratti, e non di certezza, è mostrato dal paragone che il Pinard istituisce fra la storiografia e la fisica, e fra la prova per convergenza d’indici probabili e l’induzione baconiana “. Tale assimilazione pericolosa diventa poi esplicita in questa ingenua dichiarazione di Padre Schmidt :
Questo metodo dimostrativo (e cioè la prova per conver genza d’indici che lo Schmidt accetta) è completamente e rigorosamente scientifico, non di semplice natura morale. Un altro metodo non è, nella storia, affatto possibile, ma è d’altra parte sufficiente allo scopo, sempre che lo si usi con tutto il rigore che esso esige, e con i criteri fondamentali e ausi liari di cui abbiamo or ora fatto la conoscenza. Del resto anche la moderna fisica statistica poggia sugli stessi fondamenti filosofici e logici. J. H. Steward mi segnala che anche le più esatte leggi della natura da un punto di vista filosofico sono soltanto determinazioni fornite della più alta probabilità, fatto questo che è stato riconosciuto oggi generalmente dalla moderna alta matematica e dada teoria delle scienze della natura “. 62 Seignobos, introduction aux études historiques, 2* ed., p. 168. 13 Pinard de la Boullaye, op. cit., I, p. 531. 54 Schmidt, op. cit., p. 135: da leggersi 1’ intero paragrafo (Logische Beweiskraft der methodologischen Kriterien).
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Quanto poco una etnologia condotta con i metodi della scuola storico-culturale sia capace di penetrare l’obbietto della ricerca, è dimostrato dal fatto che gli stessi rappre sentanti della scuola affidano tale penetrazione alla psi cologia, rassegnandosi a considerar il metodo storico come una descrizione esterna per cause ed effetti. Se condo lo Schmidt:
I metodi per condurre la storia della cultura (e in partico lare quella religiosa) sono due, e cioè il metodo storico, per comprendere il corso esterno degli avvenimenti e la loro con catenazione per cause ed effetti, e quello psicologico, per penetrare nell’ intimo delle disposizioni psichiche In altri termini, la psicologia dovrebbe realizzare quella Einfiihlung che il metodo storico, come tale, non riesce a compiere ! Or è chiaro, in primo luogo, che le classi e le sequenze psicologiche, e in generale la conoscenza ordinaria dell’anima umana, possono aiutare, come un qualunque documento, la memoria del fatto individuale, ma fermo resta il punto che la simpatia per l’obbietto è, in sè, unicamente il frutto della ragione storica ; in secondo luogo, che la storia esterna, cioè il filologismo, non potrà mai diventare interna nè per intensificazione del suo procedimento, che resta pur sempre esteriore, nè per grazia di quella scienza classificatoria e natura listica che è la psicologia, nè per la combinazione del duplice naturalismo, filologico e psicologico ; in terzo luogo la ricerca delle cause degli atti umani (cause psichiche : altri fatti psichici ; o cause fisiche : clima, spinta razziale, ambiente naturale e geografico, malattia
68 Schmidt, Ursprung der Gottesidee, I, 796; cfr. 573 sgg., 636, 802; Handbuch etc., 256; Pinard de la Boullaye, op. cit., I, p. 446. Per critiche secondarie al psicologismo evoluzionista, vedi Schmidt, Ursprung etc., I, pp, 236, 758.
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o sanità, etc.) non spiega nulla, malgrado l’apparente rigore scientifico. Scrive il Croce: Quando un uomo, che nell’austerità delle lunghe medita zioni, ha formulato una nuova teoria, o che nella migliore purezza del suo cuore ha compiuto un’azione moralmente ispirata, ode gente che si mette a ricercare le cause della sua azione, e che le ritrova, poniamo nella brama di lode o di fama, o in un dispetto o in una vendetta, e magari nella buona salute e nella prosperità di cui egli gode e che si effonde nell’allegra generosità; e altra gente che ricerca la causa della nuova dottrina e la scopre in certe impressioni che l’autore ricevette da giovane, in un certo libro che gli è accaduto di leggere, in un certo effetto personale che si sarebbe proposto di conseguire, giustamente quegli si infa stidisce e si sdegna, perchè il metodo che si adopera verso di lui, quanto iniquo come tessuto di calunniose immagina zioni, altrettanto è logicamente scorretto. Corretto comincerebbe ad essere soltanto se si riuscisse a dimostrare che l’azione di cui si parla non è buona, e la dottrina proposta non è vera; e del male e dell’errore si venissero poi inda gando le circostanze per differenziarli da altri simili mali ed errori M.
Ma è proprio questa qualificazione del fatto secondo le categorie del giudizio storico che la scuola storico culturale si inibisce per la sua fisima di voler mantener la storia pura da valori filosofici, e lo storico perinde ac cadaver per falso amore d’obbiettività. Che meraviglia se, nello sforzo di realizzare questa pretesa, lasci poi insinuare nelle proprie dignità metodologiche una filo sofia discutibilissima, in cui la causalità è assunta come spiegazione degli atti spirituali ? In ogni caso un punto è certo: la scuola storico-culturale non riesce a superare w
Croce, La storia come pensiero e come azione, p. 212 sg.
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l’ipotetismo della vecchia etnologia. Questo ipotetismo non è superabile mercè l’elaborazione o il perfezionamento dei mezzi tecnici di ricerca filologica, ma solo in virtù di un’analisi speculativa che verta sui principi.
♦** Malgrado questi limiti, l’etnologia storico-culturale rappresenta, sempre rispetto al metodo (quanto al resto qui non è discorso), un notevole progresso rispetto all’etnologia evoluzionistica. In primo luogo rivendicò la scuola storico-culturale il valore dell’ individuale nella storia, e tentò di mantener distinto il metodo storico da quello delle scienze naturali. Tuttavia l’efficacia di questa rivendicazione e l’energia e la coerenza di questa distin zione risultano considerevolmente limitate, o addirittura compromesse da un persistente naturalismo. Non basta affermare che le scienze naturali tendono al tipico, lad dove la storiografia valorizza il singolare67 : se questa affermazione non è accompagnata dalla consapevolezza che la storiografia è l’unica- forma di conoscenza che le scienze particolari rappresentano solo un ordina mento pratico-economico della realtà storica, subito il singolare poc’anzi affermato si naturalizza, e la distin zione istituita fra saper storico e scienze particolari vacilla e perde consistenza™. Ora questo secondo passo gli*68
57 Graebner, Methode der Etimologie, p. 3 sg. ; Schmidt, Hand’ bue, p. 16; Pinard, passim. 68 II Croce giustamente lamenta che se il primo punto è ormai acquisito al pensiero europeo, non altrettanto può dirsi del secondo: a Un punto che rimane ormai acquisito è la distinzione del metodo sto rico o individualizzante dal metodo naturalistico o generalizzante, cioè la rivendicazione della storiografia contro il positivismo ed ogni meta fisica positivistica: rivendicazione che fu opera precipua di pensatori tedeschi e italiani ed ebbe L suo culmine intorno al 1900. Ma questa distinzione è rimasta di solito quale si presentava nel Windelband e nel
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etnologi della scuola storico-culturale non lo compiono: ed anche il primo, mancando il secondo, diventa malcerto ed esitante. Secondo il Pinard, per esempio, la prova per convergenza d’indici probabili è assimilata all’ induzione baconiana : ne differisce solo perchè mentre l’induzione sperimentale, dopo aver determinato l’antecedente costante dei fatti uniformi, procede alla formulazione della legge, la prova storica, riconosciuta la causa contingente che giustifica la concordanza degli indici, a questo accerta mento si arresta, senza procedere a generalizzazioni, che qui non sarebbero in alcun caso legittime®. Di qui la conseguenza che il fisico può sperimentare per provare, laddove lo storico, che è di fronte a fatti unici ed irri petibili, non lo può. Sfugge cosi al Pinard che la vera esperienza reale è proprio quella dello storico nell’atto di ricordarsi quel dimenticato se stesso che è l’accadimento, e che l’esperienza del fisico non dà nulla di reale, ma è inopia della mente e del cuore. In un altro punto la scuola storico-culturale ha eser citato un benefico influsso sulla storia dell'etnologia, e cioè nella critica dell’evoluzionismo e dei suoi schemi meccanici dal più semplice al più complesso, dal più basso al più alto. Ma, come già avemmo occasione di notare, la polemica contro la filosofia evoluzionistica si tramutò in polemica contro la filosofia: e qui la giusta esigenza
Rickert, distinzione di due metodi del conoscere, e non si è innalzata alla considerazione che di metodi del vero e proprio conoscere non può esservene se non uno solo, e che perciò l'altro dei due sarà bensì, ed anzi è certamente legittimo, avendo il suo proprio uso, ma non già in quanto forma vera e propria di conoscenza. In altri termini non si vede con chiarezza che metodo del conoscere e metodo della verità è unicamente quello storico e che il naturalistico, invece, è metodo non del conoscere ma dello schematizzare e classificare, e perciò tanto astratto quanto il primo è concreto b (Croce. La storia come Pensiero e come Azione, p. 296). 60 Pinard de la Boullaye, op. cit., II, p. 531.
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tralignò palesemente. In particolare, i rappresentanti della scuola storico-culturale polemizzano contro i giu dizi di valore della etnologia evoluzionistica: ma, a questo riguardo sussiste una confusione che è d’uopo chiarire. La vecchia etnologia, ispirandosi al lucreziano « tanto potuit religio suadere malorum », nascondeva un sottinteso polemico, più o meno esplicito, contro le aberrazioni della superstizione, e intendeva concorrere, per ciò che le spettava, a sgombrare le menti da tanta nebbia, e a far rifulgere in loro la luce della «science». Talora è possibile sorprendere i nuovi illuminati del positivismo e del materialismo nel compiaciuto atteggia mento del navigante dantesco che dalla riva sicura guata l’acqua perigliosa, cioè, fuor di metafora, nell’atteggia mento di adoratori della «Raison» e di spregiatori di quel tessuto di illusioni e di errori, di quella vicenda di patologici atteggiamenti dello spirito che fu l’umanità primitiva. Sfuggiva così quel processo che dai «fi gliuoli dei Politemi» condusse all’umanità degli Aristidi e dei Scipioni africani, nel che è il tratto essenziale di una etnologia storicisticamente orien tata. La scuola storico-culturale si adoperò a por ter mine a questo stato di cose, ma poi andò oltre il segno, confondendo in una stessa formula verbale — i giudizi di valore — due atti dello spirito diversi, e cioè le espres sioni del sentimento e la qualificazione del fatto secondo categorie. Ora è stato mostrato — ed in Italia è verità ormai nota agli intendenti — che le espres sioni del sentimento debbono essere respinte dal racconto storiografico in quanto momento costitutivo di esso (ri fiuto della storiografia di tendenza o praticistica), ma che, d’altra parte, la qualificazione del fatto secondo categorie speculative determinate1 (Vero, Bello, Buono, Santo, Utile, Giusto, e altrettali) non può essere in alcun modo eliminata da quel racconto, almeno che non
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si voglia bandire dalla storiografia quella soggettività universale che, da Kant in poi, è stata riconosciuta come la vera oggettività (rifiuto del filologismo)M. Ed è stato altresì mostrato che la separazione della storia dalla filosofia perde, in uno, la storia e la filosofia: perde la storia, che, decurtata del suo lume speculativo, diventa preda delle determinazioni naturalistiche della spazialità della temporalità e della causalità ; perde la filosofia, che, svuotata di ogni concreto contenuto, si fa o mitica filosofia della storia o inconcludente metafisica e teolo gia °. Ma, evidentemente, i rappresentanti della scuola storico-culturale hanno dimenticato quella profonda di gnità kantiana che dichiara cieche le intuizioni senza concetto e vuoti i concetti senza intuizione. Infine c’ è una terza ragione per cui la scuola storico culturale ha ben meritato dell’etnologia, ed è la grande esattezza filologica ch’essa ha instaurato in tali ricerche. Sebbene l’esattezza filologica non sia storia, tuttavia essa costituisce un bene prezioso, una garanzia solida opposta ai giuochi dell’ immaginazione e agli arbitri del senti mento. Nessuno può contestare che, in tale ambito, l’esat tezza delle informazioni etnologiche sia ora di molto pro gredita rispetto al passato. Restituire l’esatta lezione di un testo, dichiarare le interpolazioni, fissare le attribuzioni e le provenienze, ricostruire le genealogie, distinguere le redazioni successive di un’opera, determinare l’ordine cronologico di successione di una serie di testi, in una parola esercitare con acribia una rigorosa critica te stuale esterna, è fatica indispensabile, eurisi necessaria: non è forse un’agevolezza per riportare alla memoria
00 Si veda il saggio del Croce, « I giudizi di valore nella filosofia moderna» (nel Saggio sullo Hegel, p. 396 sgg.). 61 Cfr. supra, p. 129 sgg.
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lo sviluppo interno del pensiero di Platone l’ordinamento cronologico dei dialoghi platonici secondo il criterio stilometrico del Lutoslawski ? Analogamente, per i popoli senza storia scritta, isolare, nella massa confusa dei fatti etnologici, un certo numero di culture, accertare le zone d’influenza e i tipi culturali misti, seriare cro nologicamente la successione delle varie culture in una regione data, o, addirittura, sulla superficie terrestre, tutto ciò serve a riordinare il materiale documentario in vista di una possibile individuazione storica, ad ap prestare, per così dire, il corpo materiale e sensibile a cui poi, quando Dio vorrà, sarà comandato lèvati e cam mina. Ad ogni modo il guadagno di esattezza conseguito mercè questo ordinamento spaziale e temporale e causale delle culture è, come si è detto, innegabile. Oggi non è più possibile accogliere un gran numero di vecchie tesi evo luzionistiche, come, per esempio, l’evoluzione del pa triarcato dal matriarcato, dell’ istituto monogamico dalla promiscuità, della proprietà dal comuniSmo primitivo, del monoteismo dal preanimismo attraverso l’animismo e il politeismo. Questi semplicistici schemi evolutivi sono contraddetti dall’accertamento filologico: infatti, riguardo il primo punto, la scuola storico-culturale ha accertato che il sistema a quattro o a otto classi matrimoniali (secondo gli evoluzionisti anello intermedio fra il ma triarcato e il patriarcato) si trova esclusivamente lì dove il sistema a due classi con matriarcato entra in contatto con formazioni totemistiche e patriarcali, e cioè per una combinazione di due culture diverse e indipendenti : il matriarcato e il patriarcato non si dispongono quindi come fasi di un'unica evoluzione, ma come due vie per cui si è incamminata la umana società, due vie, che, almeno per un certo tratto del loro percorso si sono man tenute senza contatto. Riguardo al secondo punto, la
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etnologia storico-culturale ha mostrato che l’istituto mo nogamico si trova presso le culture etnologicamente più antiche (per es. quella dei Pigmei), sì che lo schema di Morgan (su cui Freud basa tuttavia la sua edificante teoria 1) si dichiara palesemente una costruzione di fan tasia. Riguardo al terzo punto l’analisi storico-culturale ha mostrato che nelle civiltà più antiche non esiste nè proprietà esclusivamente collettiva nè proprietà esclu sivamente individuale, ma l’una e l’altra insieme, netta mente sviluppata, sebbene ciascuna riferita a una classe di obbietti determinati. Infine, contro la quarta tesi, la etnologia storico-culturale ha messo in evidenza il fatto sconcertante che, col procedere dalle culture più recenti a quelle più antiche, i fenomeni religiosi relativamente inferiori (naturismo, manismo, animismo, magismo) ten dono ad attenuarsi, e la credenza in un essere supremo a farsi dominante e pressoché esclusiva. Qualunque sia per essere la effettiva storia che si vorrà tentare sulla base di tali accertamenti, fermo in ogni caso resta il punto che le sequenze semplicistiche della etnologia evo luzionistica vanno, in blocco, respinte. D’altra parte la identificazione del ciclo dei grandi pastori nomadi ha consentito di rifiutare la derivazione dell’alleva mento del bestiame dal totemismo, dappoiché nel ciclo dei grandi pastori il totemismo è inesistente, ma l’alleva mento del bestiame è attivamente esercitato. Tutti questi accertamenti sono certo preziosi, e anzi l’etnologo mo derno, storicamente orientato, non può in alcun modo trascurarli : e come lo storico, poniamo, del proto-cristia nesimo conduce le sue ricerche su un’edizione critica del Nuovo Testamento, così è d’uopo che lo storico del mondo primitivo abbia sotto gli occhi una carta culturale ag giornata. Ma, anche qui, al riconoscimento di questo me rito della scuola storico-culturale deve subito accompa
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gnarsi una limitazione. Le regole della filologia garan tiscono in pieno la storia dagli arbitri dell’ immagina zione solo quando, nell’ impiego, sono a loro volta frenate dalla prudenza della ragione storica : ma ove questo freno faccia difetto, possono metter capo agli arbitri dell’ in telletto. Or è proprio questa la deficienza della scuola storico-culturale: una esorbitanza continua della filologia dalla sua propria sfera. Quali siano i principali aspetti di tale esorbitanza filologica, e quali danni ne derivano per il sapere storiografico-etnologico, nel presente saggio abbiamo tentato di chiarire.
IV Intorno ad alcune scritture DI METODOLOGIA ETNOLOGICA.
Chi voglia farsi un’ idea esatta dei procedimenti te cnici di lavoro della scuola storico-culturale può consul tare con profitto il recente Hand, der Methode der kulturhist. Ethnol. dello Schmidt (con la collaborazione di W. Koppers) \ Questo manuale costituisce una corre zione, uno sviluppo e una chiarificazione della famosa Methode der Etimologie del Graebner (1911), e, più precisamente, vorrebbe essere, almeno in prevalenza, una raccolta di regole di lavoro della scuola storico-culturale. Come tale il manuale in quistione rientrerebbe nella categoria delle opere di precettistica e di tecnica filologica. Sta di fatto, però, che una distinzione rigorosa tra prin cipi speculativi e regole pratiche non è affatto chiara nella mente dello Schmidt, dappoiché il procedimento naturalistico che presiede alla formazione delle regole è qui operante, come avemmo occasione di notare in altra sede12, anche nella formazione dei principi. Una siffatta confusione ingenera, com’è chiaro, cattive re
1 Mùnster, 1937. 2 Vedasi, nella presente raccolta, il saggio « I principi della scuola storico-culturale », p. 119 sgg.
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gole, in quanto il naturalizzare, che è proprio della pre cettistica tende, per le malferme distinzioni, ad esorbitare dalla sua propria legittima sfera. Non cade nell’economia del presente saggio l’esposi zione sistematica e particolareggiata di questa precet tistica, ma giova accennare quanto basti a sottolineare non tanto la presenza del tratto naturalistico (del che non ci sarebbe luogo ad accusa) quanto l’esorbitanza di tale naturalismo. La sezione del manuale che riguarda le fonti ’ è, in sostanza, un riadattamento alla etnologia della corri spondente sezione del Lehrbuch del Feder , * e pertanto offre qui un interesse specifico limitato. Lo Schmidt classifica le fonti rispetto alle origini e al valore gnoseo logico : rispetto alle origini le fonti possono essere contemporanee o posteriori all’avvenimento, locali o stra niere, immediate o derivate; rispetto al valore gnoseo logico, le fonti si distinguono in reali (o in connessione ontologica con l’accadimento) e in parlanti. Le fonti reali sono virtuali, perchè contengono la storia del fatto solo potenzialmente, e mute, perchè non parlano di per sè ma bisogna farle parlare : le fonti parlanti avrebbero invece il dono di informare attualmente sulla cosa. Le fonti reali virtuali e mute si suddividono, a loro volta, in fonti reali materiali o residui (strumenti, armi, oggetti d’arte, cibi, abitazioni, sepolture e simili), e in fonti reali psi chiche (documenti linguistici, istituti giuridici o etico religiosi, etc.) ; le fonti parlanti sono costituite dalle narrazioni esplicite dell’accaduto, e si suddividono in tradizioni orali o scritte, e in relazioni, orali o scritte, attinenti ai fatti (nel caso dell’etnologia: relazioni di
3 Handbuch etc., p. 81 sgg. 4 Feder, Leehrbuch der geschichtlichen Methode, Regensburg, 1924, 3" ed., p. 85 sgg.
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viaggi o di spedizioni, guide o descrizioni di oggetti raccolti nei musei etnologici) Or è chiaro che in questa pedantesca classificazione si mescolano il legittimo e l’illegittimo, l’opportuno e l’inopportuno. È senza dubbio legittimo, e forse di qualche utilità, classificare le fonti rispetto alle origini in varia guisa (sebbene lo scrivente ha qualche dubbio sull’opportunità di fare sfoggio di tanta scientifica precisione per cose che ogni storico coscienzioso apprende d’istinto, senza leggerle in nessun manuale di precettistica) : ma è illegittimo e falso distin guere le fonti in reali (o virtuali o mute) e in parlanti, poiché questa distinzione poggia sulla già più volte criticata illusione di una storia sigillata nelle fonti, da cui sarebbe possibile attingerla mercè la fatica tecnica di disserrarla. Invero, non esistono fonti mute e fonti parlanti : che, se fossero davvero mute, chi mai le farebbe parlare ? E se fossero davvero parlanti, in che differirebbe il compito dello storiografo da quello dello scolaretto diligente che scrive senza errori il suo bravo dettato? Le fonti sono tutte parlanti e tutte mute, a seconda che il processo di anamnesi, attraverso esse stimolabile, si produce o ' non si produce. Un’arma, una foggia di vestire, un modo di sepoltura (le fonti mute o virtuali della classificazione) possono aiutare a fermare un tratto di storia umana con maggior evidenza di una tradizione orale o scritta, o di una relazione scritta. Evidentemente la distinzione fra storia e cronaca è qui del tutto obli terata ’. Nè si dica che tutto ciò è sottinteso dallo Schmidt, e che la sua classificazione ha solo un valore pratico o di comodo : il fatto è che egli conferisce esplicitamente un significato teoretico alla sua classificazione delle fonti 8 Hand., pp. 83-6; cfr. Feder, op. cit., p. 858g. 6 Cfr. Croce, Teoria e storia della storiografia, p. 3 sgg.
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in mute e parlanti, come prova il fatto che egli la consi dera una « Einteilung der Quellen nach dem Erkenntniswert » D’altra parte la divisione delle fonti mute in materiali e psichiche cela un equivoco analogo. Infatti le fonti materiali, quando sono intese, stimolano il pro cesso di anamnesi di atti spirituali, e le fonti psichiche, quando non sono intese, non sono altro che gesti, colori, suoni, carta a stampa, dischi fonografici e simili, ade guandosi quindi a quelle materiali. Infine perchè restrin gere la denominazione di fonte a ciò che è tale solo nel significato tecnico e ristretto? Perchè non avvertire, al fine di evitare i possibili equivoci, che fonte è tutto ciò che serve al processo di anamnesi storiografica, tutto ciò che costituisce un’agevolezza, un puntello, per dare rilievo forma sviluppo e consistenza all’abbozzo di con cetto storiografico che fermenta in noi ? Perchè, quindi, non includere nelle fonti, oltre quelle che di solito si chiamano tali, anche la varia esperienza storica che portiamo dentro di noi, i nostri pensieri, i nostri sen timenti, i nostri abiti morali, la nostra cultura? Perchè contendere il nome di fonte a quell’ immensa riserva di storicità potenziale che trovasi depositata nelle classi e negli schemi dell’ intelletto, per essere, al momento opportuno, ritrovata e rimessa in circolazione? Perchè non considerare come fonte, come eurisi stimolante, anche il procedimento comparativo, il quale, sebbene in se stesso non sia storico ma naturalistico, può, tuttavia, aiutare a riportare alla memoria nessi e processi che altrimenti ci resterebbero celati ?78 7 Hand., p. 84. ® Cfr. Croce, La storia come Pensiero e come Astone, p. 109. Da questo punto di vista è possibile assegnare il giusto valore che, ai fini di una etnologia storicistica, è da assegnarsi alla psicologia, e alla so * ciologia e alle altre discipline naturalistiche considerate di solito come scienze ausiliarie dell’etnologia. In generale, il criterio in base al quale il procedimento naturalistico è, volta a volta, da accogliersi o
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Dopo aver classificato le fonti rispetto alla loro origine e al loro valore gnoseologico, lo Schmidt passa a considerare più da vicino il carattere delle fonti etnolo giche L’etnologia, nota lo Schmidt, dispone in misura molto ridotta di fonti parlanti : se si fa eccezione delle tradizioni (per es. polinesiane o di parecchie tribù africane) e delle fonti scritte fornite da popoli di più alta cultura intorno a popoli di cultura inferiore in certi periodi della loro storia (per es. Erodoto per il mondo classico, i missionari per il medio-evo e per l’età delle scoperte), le fonti etnologiche sono prevalentemente reali (materiali e psichiche). A questo riguardo la condizione del Feldforscher (il ricercatore sul luogo) è diversa da quella in cui si trova l’Heimatethnologe (l’etnologo che lavora restando in patria), poiché il primo si trova solo davanti a fonti reali, e il secondo, se si fa astrazione del materiale raccolto nei musei, solo davanti a fonti parlanti. Ciò posto, lo Schmidt pone in rilievo che lo storico ordinario solo eccezionalmente è Feldforscher, e che anche quando è partecipe diretto di un avvenimento (per es. la battaglia di Gorlice nella guerra mondiale), la propria esperienza ha sempre un valore limitato come documento, ricorrendo egli ad altre fonti, orali o scritte, di informazione. Invece, per l’etnologo che sia Feld forscher la condizione eccezionale dello storico ordinario diventa condizione normale: Il materiale documentario che serve alla scienza etnolo gica si trova in gran parte ancor oggi in rerum natura,* da respingersi, è quello della opportunità o della non opportunità di tale procedimento ai fini dell'anamnesi storiografica. In particolare le classi psicologiche e sociologiche sono da accogliersi o da respingersi nella misura che giovano o non giovano allo stesso intento. In ogni caso deve la ragione storica piegare al suo fine 1’ intelletto, cioè impie garlo consapevolmente nell'uflicio che gli spetta. • Hand., pp. 85-91.
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nell’ambito dei popoli di natura : lo si può osservare e racco gliere sul posto, laddove per la storia delle culture superiori una ricerca più o meno di questo tipo, sul posto e sul vivo, si verifica solo in via eccezionale10.
Ora è chiaro che il parallelo fra il combattente della battaglia di Gorlice e l’etnologo che sia Feldforscher è del tutto inopportuno, poiché agguaglia in un’esteriore identità di condizioni (la presenza materiale all’accadimento) interiori disposizioni psichiche che vanno, invece, accuratamente distinte. Il combattente della battaglia di Gorlice partecipa passionalmente al fatto: egli è nelle peggiori condizioni per poterne fare la storia. D’altro canto può accadere (e accade nel fatto quasi sempre) che il Feldforscher sia solo materialmente presente alla cultura primitiva, e che i gesti, i suoni, le danze, le armi, i miti, gli istituti etici e sociali siano per lui segni este riori di un passato muto. Sotto questo aspetto la sua condizione è sostanzialmente identica a quella del filologo che non riesce a far parlare le sue fonti scritte: il Feldforscher toccherà cose, vedrà gesti o udrà suoni, il filologo leggerà caratteri a stampa o manoscritti, ma entrambi, da quei segni, non sapranno ricostruire gli atti spirituali correlativi, non riusciranno a fare presente alla loro coscienza il passato documentato. Senza dubbio nulla vieta, dopo aver messo bene in chiaro il carattere empirico della classificazione e dopo aver dissipato i possibili equivoci, continuar a separare gli storici in materialmente presenti e materialmente assenti al fatto di cui fanno la storia; e nulla vieta di assegnare alla prima sezione gli etnologi operanti sul luogo, e alla seconda gli etnologi in patria e, in generale, gli storici delle civiltà superiori. Tale classificazione può essere 10 Op. cit., p. 87.
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praticamente utile al fine di una precettistica: comunque, ciò che importa non è la coincidenza cronologica e spaziale fra noi e il fatto, ma l’assenza o la pre senza di quel fatto nella nostra ragione storica, la con temporaneità interiore o ideale. Il paragrafo sul ritrovamento e sulla raccolta delle fonti etnologiche si chiude con alcuni consigli al Feldforscher, e all’ Heimatethnologeu, sul qual punto non c’ è, da parte nostra, materia di dissenso. La conoscenza della lingua indigena, la permanenza su un territorio non troppo ristretto nè troppo esteso in rapporto al tempo a disposizione, l’opportunità di condurre spedizioni pre paratorie in estensione e solo in un secondo tempo speciali e in profondità, la necessità di acquistarsi la confidenza degli indigeni, la necessità di una preparazione etnologica generale, tutto ciò costituisce, senza alcun dubbio, precetti che il Feldforscher osserverà con pro fitto; la conoscenza specifica dei problemi generali della etnologia, la capacità di combinare i risultati delle singole ricerche locali secondo un metodo obbiettivo, l’opportunità di lavorare almeno una volta come Feldforscher, sono, del pari, qualità preziose per l’Heimatethnologe. Tuttavia gravi riserve si possono muovere da parte di uno storico filosoficamente orientato sul significato che lo Schmidt attribuisce alla eliminazione dei « pregiudizi individuali » e al « metodo obbiettivo » di ricerca. Questi due ultimi punti non trovano posto in una precettistica empirica, e dovrebbero essere trattati nella metodologia speculativa. Nel paragrafo della « critica delle fonti » “ lo Schmidt segnala i criteri filologici per determinare la purezza, la provenienza e la cronologia delle fonti stesse. Si tratta di regole utili al ricercatore e che non prestano il 11 Op. cit., p. 87. 12 Op. cit., p. 91.
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fianco a nessuna critica. Ma lì dove lo Schmidt tratta delle fonti « parlanti » e degli errori speciali che ne possono inficiare il valore e che occorre saper distinguere, ricade nelle solite deficienze speculative. Le fonti etno logiche « parlanti » possono essere senza dubbio inficiate dalla tendenza rousseauiana e romantica di ritrovare nel mondo primitivo una sorta di paradiso perduto, o dalla opposta tendenza materialistica di sottolineare nel pri mitivo soltanto il lato animale e brutale: ciò autorizza a criticare per questa parte il romanticismo e ih materiali smo, ma non mai a considerare, come fa lo Schmidt, una classe generale di errori storiografici derivanti dalle « correnti culturali ». Questa classe avalla l’assurdo di una fonte tanto più vera quanto più si sottrae ad ogni perturbazione filosofica, laddove è da dirsi che se la cattiva filosofia perturba deforma e oscura la storia, la vera la illumina e la fa storia. Questa osservazione si può estendere anche ai «pregiudizi culturali derivanti dalle teorie scientifiche e dalle con vinzioni personali dell’etnologo»: anche lo sto ricismo è da includersi fra queste teorie scientifiche e fra queste convinzioni personali da bandirsi ? Ancora : è opportuno segnalare, come possibile errore storiografico, « la unilateralità del punto di vista », cioè la incomple tezza dei ragguagli, ma occorre subito aggiungere che la specialità dell’interesse storiografico è tanto poco una fonte di errore da essere invece la condizione della verità. Quel che è stato fin qui detto ci dispensa dal com pletare l’esposizione e la critica della sezione riguardante le fonti. Critiche e riserve analoghe possono infatti muo versi ai criteri per « provare un fatto attestato una sola volta » “, agli espedienti per « sottoporre a prova u Op. cit., p. 109.
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fonti contrastanti fra di loro » “, alla spiegazione degli elementi di cultura nel loro significato attuale e in quello originario (Ferninterpetration) “ etc. Una seconda sezione dell’ Handbuch comprende i cri teri per la determinazione dei rapporti culturali ", delle pronvince e delle fasi di cultura (Kulturkreise und Kulturschichten) ”, dello svilupo culturale interno “, e della causalità culturale “. Qui si entra, per così dire, nel vero e proprio possesso feudale della scuola storico-culturale, in un dominio metodologico che non trova sensibili ri scontri nella storiografia delle civiltà superiori. Invero, i fatti etnologici, le manifestazioni culturali dei popoli senza storia scritta, si presentano al ricercatore come una massa confusa, priva di qualsiasi prospettiva cronologica, di qualsiasi ordinamento secondo organismi definiti di cultura. Quali sono i criteri e le regole per isolare, in tale massa confusa, civiltà distinte, ordinate nello spazio e nel tempo, chiarite nel loro interno processo di causa zione e nelle loro reciproche influenze ? Data la domanda, esaminiamo la risposta della scuola. Anzitutto, il criterio fondamentale da seguire nella ricerca è quello, già toccato in altra sede20, della con cordanza degli indici probabili. Le parentele culturali debbono essere stabilite sulla base delle concordanze qualitative fortemente caratterizzate (Qualitàtskriterium) e sul numero di tali concordanze (Quantitàskriterium). Il criterio qualitativo è efficace quando le concordanze non derivano dallo scopo e dalla natura degli elementi comparati (la punta non è criterio qualitativo per la lancia: ma se la punta presenta caratteristiche specifiche, nasce allora un indice qualitativo), nè dalla materia di cui consta l’obbietto (la tecnica litica non forma qualità,* 17 14 Op. cit., p. ni. “ Op. cit., p. 116. 18 Op. cit., pp. 129-60. 17 Op. cit., pp. 161-204. 10 Op. cit., pp. 205-22. 10 Op. cit., pp. 223-50. 20 Cfr. supra, p. 151.
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e analogamente non costituisce criterio qualitativo l’ana loga successione dei tratti in due miti lunari quando tale successione dipenda dalle fasi della luna). Inoltre le concordanze fra elementi debbono essere caratteristiche, e non consistere in tratti generali, nel qual caso la (relativa) somiglianza potrebbe dipendere da un feno meno di convergenza. Il criterio quantitativo consiste in una molteplicità di criteri qualitativi indipendenti, ed è tanto più probante quanto più indipendenti sono gli indici di concordanza qualitativa (il che accade, spe cialmente, quando il complesso degli indici concordanti indipendenti si riferisce a domini culturali diversi : lin guaggio, società, religione, ethos, economia, ergologia...) Il criterio quantitativo rafforza il qualitativo, il quale però può avere da solo efficacia dimostrativa, poiché talora un solo tratto è così caratteristico da stabilire senz’altro una relazione storica. D’altra parte nell’ im piego del criterio quantitativo è d’uopo non lasciarsi impressionare dal numero di concordanze dei piccoli tratti, poiché tali minuzie, ottenute disarticolando un organico elemento 0 complesso culturale, non costituiscono nulla di vivente, ma, piuttosto, disjecti membra poetae. Valgono, infine, accanto al criterio qualitativo e quan titativo, altri due criteri ausiliari : il criterio della conti nuità geografica (la presenza etnologica, attuale o do cumentata dalla paletnologia, di relitti culturali nello spazio intermedio che separa due isole culturali), e quello dei gradi di parentela (territori discontinui, associati per qualità e per quantità di indici, possono presentare indici di affinità tanto più caratterizzati e in maggior numero quanto più i territori in quistione sono vicini nello spazio, e tanto meno caratterizzati e in minor numero quanto più i territori sono separati da grandi distanze : in tal caso la dimostrazione della loro associabilità e parentela cul turale risulta rafforzata).
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I due criteri della qualità e della quantità con l’ausilio di quelli della continuità e dei gradi di parentela, permet tono la compilazione delle carte culturali. La tecnica da seguire è qui la seguente: in base all’esame comparativo del materiale documentario intorno a un determinato elemento di cultura (uno strumento, una foggia di se poltura, un tipo di organizzazione sociale, una forma di vita religiosa, etc.) è possibile circoscrivere l’area definita di diffusione geografica di tale elemento. Estendendo la ricerca ad altri elementi di cultura e considerando il viluppo delle linee isetiche che ne risulta, l’etnologo constata che tali linee tendono talora a ricoprirsi sensi bilmente, pur senza coincidere, si da isolare complessi culturali solidali originali e durevoli, atti a soddisfare tutti gli aspetti della umana attività. L’etnologo si trova allora in cospetto di una civiltà, di una provincia o circolo o ciclo culturale (Kulturkreise)21. La provincia culturale può essere geograficamente discontinua, formata cioè da isole culturali la cui simi larità e cosi caratterizzata da postulare un fenomeno di diffusione e da escluderne uno di convergenza, tanto più se soccorra qui il criterio ausiliario dei gradi di
31 Saggi di carte culturali riguardanti un solo elemento sono: Lignitz, Die Zahnverstiìmtnelungen in Afrika (Anthropos, 1921-22, XVI-XVII, p. 247 sgg.); Schebesta, Der afrikanischer Schlid (ibidem, 1924, XIX, p. 1012 sgg.; 1925, XX, p. 817 sgg.). Una carta culturale limitata ad una sola regione è stata fornita, per esempio, dal Kroeber (Handbook of the Indians of California, Washington, 1925). Le carte culturali continentali più note sono: Graebner, Kulturkreise und Kulturschichten in Oceania, e Ankermann, Kulturkreise und Kulturschichten in Afrika (Zeitschrift fur Ethnologic, 1905, XXVII, rispettiva mente pp. 28 sgg. e 54 sgg.); Schmidt, Kulturkreise und Kulturschichten in Sudamerika (ibidem, 1913, XLV, p. 1014 sgg.); Frobenius, Atlas Africanus, Monaco, Beck, *21921 2. Una carta complessiva delle pro vince culturali di tutta la terra può vedersi nell’atlante annesso al l’opera Die Sprachfamilien und Sprachenkreise der Erde dello Schmidt (Heidelberg, Winter, 1926, tav. Vili),
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parentela. La carta policroma delle culture può inoltre presentare aree culturali interferenti, e tale interferenza può essere limitata ai soli confini geografici delle culture, ovvero può interessare una vasta superficie. In entrambi i casi si è in presenza di fenomeni di «accultura zione», nel primo di acculturazione marginale (Kontaktwirkung, Randmischung, marginale Akkulturation), nel secondo di acculturazione in superficie (Mischung, Flachenmischung, planitiale Akkulturation) “. All’ordinamento spaziale e geografico della massa con fusa dei fatti etnologici in province culturali continue e discontinue, si accompagna l’ordinamento temporale delle fasi di cultura (strati culturali, Kulturschichten). Per ottenere questi strati o fasi culturali, per risolvere il Nebeneinander nel Nacheinander, lo Schmidt, conti nuando e perfezionando la tecnica fondata dal Graebner, intende fornire obbiettivi indici cronologici (Zeitmesser), e abbandonare, una volta per sempre, il vieto procedimento della vecchia etnologia consistente nel convertire ipo tetiche serie psicologiche in reali successioni nel tempo e aprioristici schemi dal più semplice al più complesso in accadimenti storici accertati. In generale, il procedimento fondamentale seguito dalla scuola storico-culturale per ottenere fasi cronolo giche precedenti all’attuale consiste nel sottrarre al com plesso culturale presente tutte quelle determinazioni ch’esso mostra di aver acquistato nel corso del tempo, e nell’assumere il resto così ottenuto come strato o fase
** La determinazione di prospettive cronologiche è comune a tutti e tre i grandi indirizzi della scuola storica (tedesco, americano e inglese), e ne costituisce uno dei tratti caratteristici più significativi dal punto di vista tecnico. E. Sapir, nella sua operetta metodologica Time Per spective (1916), esprime nel modo più incisivo la « Frage » di questo tecnicismo filologico: a How inject a chronology into this confusing mass of purely descriptive facts? ».
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culturale più antica. Dice il Graebner, ed è espressione che può assumersi come regola fondamentale della scuola : « La maggior parte della umana storia della cultura contenuta nella etnologia deve essere ricostruita regre dendo nel senso del passato, e cioè, prevalentemente, mercè un procedimento sottratti vo » In partico lare, i Zeitmesser obbiettivi per compiere quest’opera di trivellazione e di dissociazione di strati, si possono così elencare: i) Ogni nuova forma culturale derivante da un fenomeno di acculturazione è più recente delle singole culture componenti ; 2) Quanto più profonda è la tras formazione subita dal tipo originario nel territorio di acculturazione tanto più tempo è occorso per tale tras formazione; 3) Quanto più esteso è il territorio di accul turazione e quanto maggiori sono gli ostacoli geografici alla velocità di diffusione, tanto maggiore sarà il tempo impiegato per il processo ; e, viceversa, quanto più piccolo è tale territorio e quanto più numerose e forti sono le opportunità geografiche di relazione, tanto più breve sarà il tempo impiegato per il processo; 4) Le variazioni cul turali, sia prodotte per modificazione locale, sia derivate da influenze di altre culture, vanno sottratte per attin gere un livello cronologico più remoto; 5) Quando il territorio di un’unità culturale — 0 un particolare ambito di forme di tale unità — è violentemente interrotto da un altro complesso di cultura, quest’ultimo complesso, almeno nella regione di cui si parla, è il più recente, e d’altra parte una cultura è tanto più antica quanto più frequentemente la sua area di diffusione è interrotta da altre culture e quanto più differenziata si presenta nei frammenti risultanti da tale interruzione ; 6) Se nell’am bito di una determinata cultura è attestata la presenza frammentaria di un’ altra cultura, quest’ultima è più 28 Graebner, Methode der Etimologie, p. 125.
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antica; 7) Le culture che si trovano più vicino alle naturali porte di accesso di determinati regioni sono più recenti ; 8) Le culture ricacciate da altre verso le più remote regioni dove il continente ha termine, o in luoghi difficilmente accessibili e convenientemente pro tetti (foreste, montagne, etc.), sono più antiche; 9) Se una cultura A in diffusione attraversa un’altra cultura B ferma, prosegue il suo corso e porta con sè tracce cul turali dell’attraversamento, la cultura A prima dell’at traversamento rappresenta una condizione più remota ri spetto alla cultura A mescolata con quella B, e la miscela è più antica della cultura A con tracce della cultura B u, io) Il passato di una cultura che si incunea in un’altra è da ricercarsi verso la base del cuneo; 11) Una cultura inglobata da un'altra che la circonda da ogni parte è più antica di quest’ultima — eccezione fatta del caso in cui nella cultura circondante si riscontrano miscele con quella circondata e, nello stesso tempo, la cultura cir condata è nomade e pastorale, con animali da cavalcatura e mezzi di trasporto : in questo caso, infatti, la cultura circondata potrebbe aver effettuato il suo passaggio attraverso quella circondante in modo così rapido da non lasciarvi nessuna traccia, o tracce così deboli da essere assorbite in poco tempo sia pure parzialmente—; 12) Le forme culturali diffuse in una singola unità cul turale 0 almeno a un complesso limitato di un gruppo culturale più esteso sono, con grandissima verosimiglianza, da considerarsi come formazioni particolari di questa più vasta unità, e pertanto, se paragonate alle forme rela tivamente più diffuse del fenomeno, debbono essere con siderate come più recenti ; al contrario forme comuni
u Nel caso in cui due culture si mescolano essendo entrambe in movimento, valgono altre considerazioni: cfr. Hand., p. 185, GkaEBnER, op. cit., p. 142.
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alla totalità del gruppo sono più antiche delle forme particolari di uno o più gruppi particolari, e più pre cisamente se un elemento è rappresentato in tutti i gruppi di primo grado, e sporadicamente in quelli di secondo, c’ è una forte presunzione a favore dell’ ipotesi che si tratti di una forma originaria dell’elemento stesso ; 13) Notevoli indici cronologici possono essere dedotti dall’archeologia preistorica, dall’antropogeografia, dalla linguistica e infine dalla antropologia (o scienza naturale delle razze); 14) Le antiche relazioni di esploratori, fun zionari e missionari possono fornire, se paragonate con quelle più recenti, qualche prezioso indice cronologico; 15) La cronologia stabilita può valere solo relativamente a un determinato territorio, nel senso che un gruppo culturale, più recente in una determinata regione, si può presentare come più antico in un’altra, e viceversa: ma la stessa successione nel tempo accertata dapertutto per mette di stabilire una cronologia assoluta del complesso culturale in quistione. Nell’opera di sottrazione e di riduzione che accom pagna questo risalire il corso del tempo, l’etnologia si imbatte in culture antichissime, cosidette primitive (Urkulturen), ricacciate nelle più estreme terminazioni dei continenti, o in luoghi di difficile accesso (foreste, isole, montagne), ed in particolare la cultura dei Pigmei non è in alcuna relazione con le altre culture primitive identificate (artica, americana, sud-australiana), sì da poterne inferire indici di tempo. Qui l’etnologo deve far ricorso ad altri criteri, e cioè : 16) Ogni elemento che presuppone un altro è necessariamente più recente di quello presupposto (criterio di presupposizione neces saria) : 17) Nell’ambito tecnico e materiale, è più antico quell’elemento che implica una maggiore prossimità alle condizioni naturali, una minore complessità dell’attività umana necessaria per elaborarlo (criterio di complessità) :
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per esempio l’assenza di mutilazione del corpo è, ceteris paribus, indice di antichità, perchè il corpo appare qui più prossimo alle sue condizioni naturali ; l’assenza di una tecnica litica, la limitazione del materiale di lavora zione al legno, alle ossa, alle conchiglie implica una più semplice attività tecnica, ed è quindi indice, ceteris paribus, di antichità ; etc. Si tratta, com’ è chiaro, del vecchio criterio evoluzionistico della complessità (l’evoluzione va dal semplice al complesso, dunque il più semplice è cronologicamente anteriore al più complesso), ma limi tata nell’estensione e nell’applicazione: nell’estensione, perchè si fa valere questo criterio solo nell’ambito dell’at tività tecnica e materiale sottraendogli il controllo di quella etica, religiosa e sociale (qui il più complesso e il più alto può essere alle origini, anzi risulta positivamente essere alle origini : il monoteismo prima della magia del manismo dell’animismo del naturalismo, l’istituto mono gamico anteriore ad ogni altro, etc.) ; nell’applicazione, perchè il suo impiego è dichiarato legittimo solo nel paragone di culture che, per altra via, e per indubbi indici, sono state accertate come appartenenti a uno stesso anti chissimo livello cronologico “. L’ordinamento spaziale e cronologico delle culture e dei loro elementi costituisce, secondo la scuola storico culturale, solo un primo indispensabile passo verso la ricostruzione storica; è la spiegazione causale che com pleta e conclude la fatica dell’etnologo. La ricerca etno logica ha il compito non solo di penetrare nelle profon dità millenarie20, del complicatissimo divenire cultu rale, ma altresì di indagare il nesso delle cause e degli K Cfr. dello Schmidt, lo scritto Critéres pour etablir la position ethnologique des cercles plus anciens in Compte Rendu de la semaine d’ Ethnologic, IV, 1925, p. 126 sgg. Cfr. anche Der Ursprung der Gottesidee, III, p. 11 sgg. e Hand., p. 200 sgg. w Hand., p. 224.
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effetti, essendo la ricerca causale « das letzte und hochste Ziel jeder Wissenschaft » ”, Lo Schmidt distingue la causalità in esterna e interna, la prima esercitata su un individuo, su un popolo o su una cultura, e procedente o dalla natura esterna (causalità esterna naturale), o da un altro individuo popolo o cultura (causalità esterna psichica), la seconda procedente dall’ interno dell’uomo ed esercitantesi o sulla propria persona (corporea o psichica), o su altre persone (educazione etc.), o sulla natura (mercè le modificazioni artificiali introdotte in questa dall’uomo). La causalità esterna è passiva, quella interna è attiva. Sottraendo le influenze passive si otten gono gli elementi propri del ciclo evolutivo, si isolano l’insieme delle influenze attive.
Questa è la risposta della scuola storico-culturale alla richiesta di una « metodologia » dell’ordinamento spaziale temporale e causale dei fatti etnologici. La prima critica che è da muovere a tale costruzione è circa la natura della richiesta. Abbiamo dimostrato in altra sede27 28 che spazio, tempo e causalità non sono categorie del procedi mento storiografico ma schemi pratici aventi semplice valore euristico. Ora nel Manuale dello Schmidt la distin zione fra schemi pratici e categorie storiografiche non è nemmeno sospettata, e, per conseguenza, il procedimento naturalistico, che pur avrebbe, se mantenuto nella sua propria sfera, indubbia legittimità, tende, come si è detto ad esorbitare. Valga qualche esempio. I criteri della qualità e della quantità sono senza dubbio utili per la determinazione delle connessioni cul turali, nel senso che i paragoni fra elementi di cultura,
27 Op. cit.t p. 226. 28 Nel saggio» compreso nella presente raccolta « I principi della scuola storico-culturale », p. 119 sgg.
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sulla base delle loro caratteristiche e del numero delle concordanze, sono certamente agevolezze per promuovere il processo di anamnesi storiografica. L’errore comincia quando, indebitamente confondendo il praticamente oppor tuno con il vero, si mostra di credere che siffatto procedi mento meccanico costituisca in se stesso una garanzia di scientificità, e sia, come tale, produttore di certezza e di verità. Contro questa pretesa si può facilmente osser vare (oltre tutto ciò che è stato a suo luogo osservato2") che il paragone fra atomistici elementi di cultura può condurre ad arbitrarie connessioni, e che il numero di tali connessioni è tanto poco probante in senso assoluto da esser sufficiente talora un solo tratto caratteristico per riportare alla memoria il processo storico, e da esser invece non solo inutile ma addirittura dannoso accumulare prove quando il fatto è stato individuato “. Inoltre, nel para gone dei tratti culturali, lo storico sceglie i più impor tanti : ora questa importanza che regola la scelta accenna a un piano spirituale del tutto diverso da quello della mera eurisi filologica : accenna alla tensione indi viduante dell’ interesse storico. Le obbiezioni che muove il Mùhlmann alla scuola storico-culturale nel suo saggio metodologico compreso nel Lehrbuch der Etimologie di retto dal Preuss 81 hanno dunque un qualche fondamento. Il Mùhlmann vorrebbe surrogare il Formkriterium del Graebner con il Gestaltkriterium, e il Quantitàtskriterium con il Gewichtskriterium, rivendicando a suo modo, e dentro certi limiti, i diritti della storiografia rispetto al mero filologismo. Ma, dal nostro punto di vista, la critica del Mùhlmann è legittima solo fino a un certo punto. In realtà è d’uopo conservare i due criteri di qualità e di quan-* 80
88 Nello stesso saggio citato alla nota precedente. 80 Croce, La storia come Pensiero e come Azione, p. no. c Miinster, 1937, p. 26 sgg.
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tità della scuola storico-culturale, limitando il loro valore all’eurisi e alla stimolazione del ricordo storiografico, ma, d’altra parte, se si vuol accennare al momento più propria mente storiografico, è d’uopo porre in rilievo la funzione degli elementi comparati rispetto al complesso culturale a cui appartengono (Gestaltkriterium), nonché la impor tanza di tali elementi (Gewichtskriterium). Distinguendo dunque i due piani della ricerca, è lecito formulare la se guente regola filologica : « In generale, nella ricerca, delle connessioni culturali, è opportuno lasciarsi guidare, per sol lecitare il processo di anamnesi storiografica, dal criterio della qualità (concordanza di tratti specifici) e da quello della quantità (numero di questi tratti concordanti). Il li mite nell’ impiego di questa regola, onde evitare l’abuso di paragonare tratti atomizzati o irrilevanti, è da ricer carsi nella ragione storica : nessuna regola può suggerire tale limite ». Analogamente, i due criteri ausiliari della continuità geografica e dei gradi di parentela possono con van taggio essere impiegati nel momento euristico. Per ciò che riguarda la compilazione delle carte culturali, il procedimento è accettabile, quando si tenga presente il limite del valore del procedimento stesso. La identi ficazione delle culture deve avere lo stesso significato della critica testuale esterna: qui si chiede se la parola è guasta, se vi sono interpolazioni, se possono distin guersi più redazioni 0 più autori, se hanno avuto luogo influenze di altre scritture, se la data di composizione è questa o quest’altra, etc., lì, invece, si cerca di determinare l’inventario culturale di un dato ciclo, le influenze di altre culture, il complicato giuoco di progressione nello spazio, di successione nel tempo, di causazione di uno o più elementi di cultura, etc. E come il lavoro del filologo ordinario è esposto ad arbitri, a dissezioni e a connes sioni arbitrarie, così il lavoro dell’etnologo-filologo sarà
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esposto allo stesso pericolo, senza che nessuna regoletta tecnica possa qui soccorrere: solo la ragione storica fornisce la grande carta costituzionale che frena gli arbitri del dispotismo filologico. Ciò posto è pienamente legittimo il seguente precetto tecnico : « In generale, nel momento euristico della ricerca etnologica, è opportuno, per sollecitare il processo di anamnesi storiografica (o per renderlo più agevole quando sarà possibile e in chi sarà capace), ordinare la massa confusa dei fatti etnologici in cicli culturali determinati e in fasi o strati culturali. In ogni caso il compito di controllare tale riordinamento è affidata al momento storiografico, sia che lo stesso filologo, superata l’eurisi, si apra alla considerazione sto rica, sia che l’etnologo-storico si avvalga, controllandoli, dei risultati dell’etnologo-filologo ». Ancora una volta, nel caso dello Schmidt (e in gene rale della scuola storico-culturale) manca la distinzione fra i due piani della ricerca, il che genera, inevitabilmente, l’esorbitanza del procedimento naturalistico. Muovendosi sul piano empirico è, per esempio, impossibile attingere la organicità del ciclo culturale: chè anzi la efficacia del criterio quantitativo è condizionata dalla « indipen denza reciproca » delle qualità concordanti. La consi derazione organica dell’obbietto appartiene al momento storiografico sintetico ed individuante, non a quello filo logico analitico e dissezionante. Il Krause mosse alla scuola storico-culturale l’accusa di erigere i suoi cicli di cultura atomisticamente, come aggregato di elementi®:
82 Si vedano, del Krause, i seguenti scritti: Kulturwandel und Volkstum (Mitt. der Wiener Anthropologischen Gesellschaft, 1929, vol. LX, pp. 247X5); Vòlkerkunde-Anthropologie'Ethnologie (Ethnologischen Studien, I, 1931, p. 235 sgg.); Ehtnology and the Study of Culture Change (Africa, V, 1932). Si veda anche lo scritto del Koppers, Fr. Krauses a Strukturlehre » als Teil der kulturhistorischen Methode (Anthropos, XXII, 1927, p. 14 sgg.).
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ma, osserviamo noi, come può il filologismo operare diver samente, data la sua natura ? L’accusa del Krause, dunque, se è fondata contro la pretesa storica del filologismo della scuola, non lo è affatto contro il momento euristico come tale, che è, deve essere, ed è opportuno che sia, anali tico e dissezionante, salvo a cercare un freno a tale procedimento nella norma della ragione storica. L’impotenza del filologismo ad elevarsi con le sue proprie forze alla considerazione storica ed organica, è dimostrata dalla tentata definizione, da parte dello Schmidt, dei cicli culturali come complessi organici di elementi di cultura atti a soddisfare tutti i bisogni fondamentali umani (economici, sociali, religiosi, etc.), come orga nismi tali che nessuna loro parte può essere omessa senza recar danno a un sostanziale bisogno ”. In primo luogo, quali sono questi bisogni o interessi di cultura? Evidentemente solo una filosofia dello spirito può deter minare il quadro delle categorie ideali che costituiscono l'intelligenza della realtà storica. In secondo luogo, per la individuazione storiografica fa d’uopo un interesse speciale, e una storia generale della cultura non può non essere disorganica : ciò che scopre l’organico nel caos atomistico del cronachismo e del filologismo è solo un interesse storiografico specifico “. Per quel che riguarda l’elenco dei Zeitmesser forniti dalla scuola storico-culturale è da dirsi, in generale, che si tratta di espedienti utili, che possono giovare all’eurisi (o al riordinamento provvisorio del materiale etnologico in attesa di interessi storiografici specifici). Si tratta di regole che valgono come indici, e che sono quasi sempre limitate da un « per lo più » o da un < salvo eccezione ».
® Hand., p. 163 sg. Cfr. Schmidt e Koppers, Volker und Kulturen, p. 70. ®* Croce, Teoria e storia della storiografia, p. 41 sgg.
igo
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Ma, anche qui, ove si scambi il mezzo euristico dell’ana mnesi storiografica con la storia vera e propria, si apre il varco all’aberrazione di un regresso verso il passato per sottrazione di determinazioni positive e per progres sivo assottigliamento di resti, fino a un resto praticamente non più assottigliabile che si assume come ultimo e definitivo, cioè come primo anello della catena. In tal modo la fletto, più o meno opportuna, acquista indebita mente pretesa di realtà, e il vuoto della ragione storica è proclamato, indebitamente, storia35. Analoghe limitazioni sono da farsi alla sezione del Manuale che tratta della causalità culturale. Ormai il lettore, che abbia inteso lo spirito della nostra critica, può da sè effettuare, per questa sezione, le integrazioni, le correzioni o i rifiuti necessari. Qui basteranno alcune osservazioni di carattere generale. Il problema, nella sua impostazione naturalistica, è il seguente : « Quali sono i fattori dell’evoluzione culturale?». L’indirizzo antro pogeografico (Ritter, Kapp, Kohl) risolve il quesito considerando come fattori determinanti dell’evoluzione culturale il clima, la configurazione geografica, etc. : anche il Bastian, sopratutto per quel che si riferisce alla sua teoria dei Vòlkergedanken dipendenti dall’ambito geo grafico, si muove sostanzialmente sul medesimo piano. L’indirizzo ecclettico, a cui appartiene lo Schmidt, rico nosce, si, alla natura efficacia causale rispetto all’evolu zione culturale, ma cerca di ristabilire l’equilibrio a vantaggio dello spirito, sia sottolineando un’altra forma di causalità esterna non fisica — la causalità esercitata dall’ambiente umano e dai suoi prodotti —, sia ponendo in evidenza una causalità interna procedente dallo stesso soggetto culturale, sia, infine, riaffermando la reazione ® Si veda, per questa parte, il nostro saggio, compreso nella pre sente raccolta, « Un mal posto problema etc, », p. 77 sgg.
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da parte del soggetto culturale in cospetto delle influenze esterne, e la funzione non determinante, ma pedagogica, esercitata dalla natura sulla cultura umana”. Ora è da osservare che il problema stesso, a cui il materialismo e l’ecclettismo cercano di rispondere, è male impostato : assumere come fondamentale la ricerca delle cause del l’evoluzione è già un porsi fuori della considerazione storiografica, è un risolvere il circolo della vita spirituale nelle singole tangenti per ogni suo punto. Ciò che lo storiografo ha per obbietto della sua ricerca non è mai la causa esterna, e neppure l’azione e la reazione fra esterno ed interno, ma unicamente il nesso dialettico necessità-libertà, cioè il dramma della libertà umana che si fa attraverso certe condizioni. Le quali condizioni (clima, suolo, istituti umani...) hanno questa particolarità: sono elette e riconosciute come tali, e quindi rese condi zionanti, dal soggetto umano nella libertà del suo agire, in questa cernita elettiva subendo un incremento e una elaborazione psichica che costituisce l’obbietto della sto riografia. Anche qui nulla vieta che, in via euristica, la ricerca delle cause giovi e sia indispensabile : e nulla vieta che, dal punto di vista della tecnica filologica si enumerino e si classifichino le possibili cause dello sviluppo culturale : ciò che importa è, come si è ripetuto più volte nel corso del presente saggio, non confondere i due piani della ricerca, il naturalistico e lo storico. L’etnologia funzionale (a cui può associarsi la Strukturlehre del Krause) è nata da una reazione al diffusioni smo talora esagerato e all’atomismo della scuola storico culturale Il funzionalismo puro intende limitare la
88 Cfr. Schmidt e Koppers, Vólker und Kulturen, p. 51 sgg. 87 Qualche voce a favore di una revisione dei principi della scuola storico-culturale si è levata anche neH’ambito che fa capo alla rivista
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ricerca etnologica alla determinazione della funzione di ciascun elemento culturale nell’organismo di cui fa parte, senza preoccuparsi di prospettive cronologiche più o meno ipotetiche. Tale determinazione funzionale è da farsi, secondo l’indirizzo, mercè l’esperimento, attuale e colto sul vivo, del giuoco complesso di azioni e di reazioni fra civiltà europea e mondo primitivo. Il fun zionalismo temperato intende conciliare le due esigenze, funzionale e storica, della più recente etnologia ”. In generale, l’etnologia funzionale (o storico-funzionale) è più espressione che superamento della crisi interna che travaglia il sapere etnologico. Dall’atomismo, dal cronologismo e dal causalismo della scuola storico-culturale si trascorre qui a una organicità che male olet di biologismo, e che in ogni caso stenta a distendersi nella dimensione storica: a percorrer questa strada fino in Anthropos: vedi il contributo metodologico del Van Bulck, Beitràge sur Methodik der Volkerkunde (.Wiener Beitràge sur Kulturgesch. und Linguistik, II, 1931). 38 Un esempio di lavoro condotto secondo i criteri del puro funzio nalismo è quello del Radcliffe-Brown, The Andaman Islanders (Cam bridge, 1922). Ma, da recente, l'autore ha manifestato opinioni più temperate nei riguardi del metodo storico (si veda il suo articolo « On the concept of function in social life », in American Anthropologist, XXXVII, 1935. P- 394 sgg.). In generale il funzionalismo moderato tende a prevalere nella moderna etnologia: si veda l’articolo del Lesser, « Functionalism in social Anthropology » (Amer. Anthr., XXXVII, 1935» 390 sgg.) e lo scritto dello Schapera, «Field Methods in the Study of Modern Culture Contacts» (Africa, 1935, p. 314 sgg.). Funzionalista temperato può considerarsi il Thurnwald. L'espressione e il corrispondente concetto « metodo funzionale » si ritrova per la prima volta nell’opera del Malinowski, Argonauts of the Western Pacific (1922). Vedi anche la prefazione metodologica che precede la terza edizione dell'altra opera del Malinowski, The Sexual Life of Savages (i932)» nonché, dello stesso autore, l'articolo « Culture » in Encyclo paedia of the Social Sciences, vol. IV, p. 21 (1931). Sul concetto di esperimento nell’etnologia funzionale si legga Keiter, Zivilisierung als kulturbiologisches Experiment, in Zeitschrift fiir Ethnologic, LXVII, 1936, P- 294- Del Mùhlmann è da vedere l’opera Rassen-und Vol kerkunde, Braunschweig, 1936.
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fondo, il punto di arrivo è Spengler, non Vico. Nè vale tentar di comporre il dissidio combinando empiricamente le due esigenze, poiché qui si tratta di risoluzioni teoriche, e non di compromessi più o meno diplomatici. Espressione del nuovo orientamento (e più precisamente del funzionalismo temperato) è, per esempio, il già citato scritto metodologico del Muhlmann. L’autore ritiene che l’etnologia sia disciplina che trovasi al punto divisorio fra la biologia e la storia, e come tale appar tenente sia alle scienze della natura che a quelle dello spirito. Dai singoli fatti storici la etnologia cercherebbe, sempre secondo il Miihlmann, di trarre l’uniforme e il tipico, e in ciò non differirebbe in nulla dalla fisica: solo che l’esperienza fisica può ripetersi indefinitamente in eguali, condizioni, e perciò è qui facile determinare il tipico, laddove l’esperimento dell’etnologo che studia il comportamento di una società, per es., Papua a contatto con la civiltà europea non può ripetersi a volontà in eguali condizioni, dato che una società negra di fronte alla civiltà europea reagisce diversamente di una società Pa pua, una società indiana diversamente da una cinese, etc. Anzi due villaggi indiani finitimi non offrono all’esperi mento eguali condizioni. Di qui, conclude il Miihlmann, una maggiore difficoltà della previsione etnologica secondo leggi nei confronti della fisica. Ciò che altrove abbiamo detto38 ci dispensa dal soffermarci su questo scorretto ibridismo : ci basterà ricordare che metodo storico e metodo naturalistico non sono due modi di conoscenza integrantisi a vicenda, e non si dà scienza unitaria con dotta con due metodi, l’uno storico e l'altro naturalistico. L’etnologia è disciplina storica e il momento naturalistico deve essere abbassato ad eurisi del processo39 39 Si veda, a integrazione, il nostro saggio, compreso nella presente raccolta «I principi della scuola storico-culturale», p. 119 sgg.
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di anamnesi storiografica: il voler riportare l’etnologia, come vorrebbe il Miihlmann, al programma della Société d’Etimologie de Paris, (1839), significa, almeno per questa parte, compiere un regresso rispetto alla stessa scuola storico-culturale, la quale, sebbene in modo insuf ficiente, ha sempre rivendicato il carattere storico della etnologia. Un altro punto importante della nuovissima etnologia, e al quale il Miihlmann accenna nel suo scritto, è costituito dal concetto di funzione, col quale si tenta di surrogare quello di causalità. Funzionale — spiega il Miihlmann — è ogni rapporto reciproco, nel quale ad ogni variazione di uno dei termini corrisponde una variazione negli altri tutti. Senza dubbio il concetto di funzione è più adeguato alla materia storica di quello di causalità: sotto questo rispetto la nuovissima etnologia rappresenta un progresso rispetto a quella storico-culturale. Tuttavia non si tratta di un concetto speculativo puro, e quindi, nella misura che lascia adito all’ immaginazione o all’ indeter minatezza o all’equivoco, è da bandirsi. Al più è lecito farlo valere come metafora per designare il concetto pro prio, e cioè il nesso dialettico che lega necessità e libertà, la necessità di certe condizioni storiche e la libertà di certi atti umani qualificati (arte, ethos, etc.) che su quelle condizioni crescono, modificandole, secondo un circolo infinito. Inoltre, come si è già detto, la scoperta dell’or ganico è affidata unicamente alla ragione storica in quanto è svegliata da un interesse speciale. Un altro punto del saggio del Mùhlmann merita un chiarimento. Scrive il nostro etnologo : Un libro intorno alla Germania scritto da un giapponese può essere, da un punto di vista metodologico e in determinate circostanze, più importante di un’opera visibilmente « obbiet tiva » intorno allo stesso argomento scritta da un autore tedesco, i presupposti spirituali del quale non risultino chiari.
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Non senza ragione l’interesse di molti lettori si volge ad opere scritte da un punto di vista del tutto lontano da quello nazionale. Si è desiderosi di sapere come uno straniero con sidera l’argomento. C’ è più istinto di verità in questo che in una eliminazione della soggettività ottenuta con mezzi « scientifici ». Si obbietterà : una struttura spirituale, tedesca o giapponese che sia, deve esser pur conosciuta in modo assoluto, se è vero che la reciproca chiarificazione deve condurre ad una reale conoscenza. Io credo che una struttura spirituale assoluta, nel senso di questa obbiezione, non c’ è. Die erkennbare Wahreit liegt in der Erlebnisstruktur der Auseinandersetzung des Eigenseelischen mit dem Premdseelischena.
Ora. è chiaro che l’Erlebnis diltheyana, a cui il Miihlmann si riferisce, presenta il già notato difetto di essere una misteriosa presenza immediata. A diradar questo mistero, e ad articolare questa sorta di unità mistica del soggetto con l’oggetto storiografico, può provvedere solo il lume della distinzione secondo deter minate categorie. Siamo quindi evidentemente in pre senza del riflesso, per entro il dominio etnologico, di una persistente deficienza del pensiero storiografico tedesco. La opposizione alla mitologica filosofia della storia dello Hegel, iniziatasi con il famoso discorso tenuto da Guglielmo di Humboldt all’Accademia di Berlino il 21 aprile 1821 « Sull’ufficio dello storico » (Ueber die Aufgabe des Geschichtsschreibers), conteneva una esigenza in sè giusta, e cioè che il compito dello storico consiste nel ritrovare le idee nei fatti, e non già nel dedurre i fatti da una iperurania trama dialettica di concetti. Ma poi questa esigenza non trovò compiuto svolgimento, e le 40 Lehrbuch der Ethnologic,
p. 37.
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« idee » da ritrovare nei fatti restarono nel vago, ovvero furono determinate, sì, ma empiricamente, mediante « tabelle » di valori, e cioè secondo una logica non spe culativa. La controversia fra Kulturgeschichte e Staatsgeschichte (Riehl, Lorenz, Schafer, Gothein, Steinhausen, Bernheim, Lamprecht, etc.), la richiesta di un organo della ragione storica (Gervinus, Humboldt, Droysen, Dilthey), la opposizione fra storicismo e vita morale (Troeltsch), lo scambio dello storicismo con l’erudizione priva di pensiero e con la critica delle testimonianze (Heussi, Cassirer) o con una sorta di irrazionalismo che coglie nella vita l’individuale e il contingente pur senza trascurare il tipico e il generale (Meinecke), il biologismo spengleriano, e, sopratutto, il ricorso alla presenza immediata, alla Erlebnis psicologica (Dilthey), costituiscono una somma di problemi mal posti o mal risolti, idealmente dipendenti dalla mancata elaborazione, in Germania, di una compiuta filosofia dello spirito, che deduca le categorie secondo una logica speculativa, e che distingua, senza ombra di equivoco, logica speculativa e logica empirica, ragione ed intelletto “. Per questa 11 Idealmente o nel fatto, la piattaforma metodologica dalla quale muove la migliore moderna storiografia tedesca è costituita dal trava gliato pensiero del Dilthey. VAntoni, in una sua recente raccolta di saggi (Dallo storicismo alla sociologia, Firenze, Sansoni, 1940), pone in evidenza il carattere dell' Erlebnis diltheyana, che è attività « ele mentare ed immediata », « atteggiamento anteriore ad ogni distinzione, matrice comune delle successive attività e momenti » (op. cit., p. 12), germe vitale contenente in potenza tutte le distinzioni (op. cit., ivi), « dolce morbido Gemiit, nucleo irrazionale da cui si dipartono poesia, musica, religione, filosofia» (op. cit., p. 15), fluida e infinitamente varia sostanza della storia che si solidifica in « tipi » di Weltanschauungen in numero finito (op. cit., p. 30 sgg.). Di qui il trapasso dalla ineffabilità di un’attività immediata alla pseudorazionalità di una descri zione sociologica e tipologica. Anche il Troeltsch cercò, più da sociologo che da storico, di stabilire la composizione, per così dire chimica della nostra civiltà, i blocchi culturali che sono entrati in combinazione nel composito Kulturkreis occidentale (op. cit., p. 82 sgg.).
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parte il pensiero italiano ha attinto una consapevolezza molto maggiore, e qui da noi la controversia fra Kultur geschichte e Staatsgeschichte è stata risolta mercè il concetto di storia etico-politica; la richiesta di un organo del pensiero storico si è chiarita come richiesta, sic et simpliciter, di una filosofia dello spirito; la condanna dello storicismo in nome della vita morale si è dimostrata infondata quando si accetti il nesso dialettico tra pen siero ed azione; l’erudizione e la critica delle testimo nianze, la cronaca e la ricerca filologica sono tenute accuratamente distinte dalla storiografia ; l’individuale è stato sottratto al contingente, dichiarandosi come il vera cemente razionale, come l’universale vivente ; il biologismo e ogni forma di naturalismo è stato eliminato dàlia storiografia, e, sopratutto, la presenza dell’oggetto nel soggetto che fa storia è stata assunta come presenza mediata, secondo un pensiero che distingue in base a determinate categorie. Non fa pertanto meraviglia che il Miihlmann, ispiratosi alle correnti filosofiche germaniche più recenti, di queste risenta i limiti: solo che qui si rendono più. palesi i germi naturalistici circolanti in quelle correnti. Comun que, pur nell’ambito di tali limiti, un concetto giusto par farsi luce a fatica, e cioè che il saper etnologico deve lumeggiare noi attraverso il mondo pri mitivo e il mondo primitivo attraverso noi: e sebbene tale wechselseitige Erhellung rivesta qui la forma impropria ed inadeguata di un esperimento più o meno naturalistico delle azioni e reazioni fra civiltà euro pea e quelle inferiori, pure un tale intravedimento non è poca cosa, e merita sviluppo, chiarificazione e appro fondimento.
Lo scritto del Miihlmann è speculativamente tra i più elevati che ci sia accaduto di leggere nello spoglio che
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abbiamo fatto della materia. Di solito, il livello di tali scritti di metodologia etnologica è molto basso, per non dire infimo. Si consideri, per esempio il saggio Logische Studien sur Methode der Ethnologie del professor H. Hulrich Il saggio in quistione si apre con una con siderazione dei fatti etnologici tripartita in storica (ordina mento cronologico dei fatti, determinazione dei fatti sin goli), scientifica (ritrovamento delle uniformità o delle leggi prescindendo dai fatti singoli), filosofica (interpreta zione del valore e del significato della totalità dei fatti). Per quanto è stato in altro luogo detto, questa tripar tizione è uno sproposito, e nell’atto stesso in cui vor rebbe garantire il dominio storico dall’ intrusione ille gittima della filosofia, insinua, senza deduzione di sorta, una filosofia contestabilissima. La verità è che non esistono fatti reali da interpretarsi o secondo individualità o se condo uniformità o secondo valore, sebbene il reale è tutto nella considerazione storiografica penetrata da cate gorie speculative. Più oltre" il professore Hulrich, nella sua critica dell’evoluzionismo, dopo aver ricordato che « il presupposto generale di questa teoria è che l’umanità si sviluppi tendendo ad una condizione ideale di civiltà, in riferimento a cui gli stadi precedenti sono considerati come presupposti necessari », crede opportuno avvertire che si possono dare tre casi diversi : o la condizione ideale è riposta nel futuro, o è identificata ad un qualunque momento del passato, o è conguagliata con la nostra stessa civiltà. Ora da parte nostra è da osservare che il profes sore Hulrich mostra di non sospettare che il processo ad finitum, con relativo termine a quo e ad quern, non è il vero divenire. La debolezza speculativa del punto di partenza vizia, 42 Anthropos, XVIH-XIX, 1923-24, pp. 447 sgg. e 733 sgg. Op. cit., p. 451.
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com’ è facile immaginare, tutto il saggio : ciò è palese, per esempio, nella critica degli Elementargedanken del Bastian. Si tratta di un concetto, a detta dello stesso Hulrich, poco chiaro, e che può intendersi in vari modi, fra cui come « was am Anfang der Entwicklung steht » Ora 1’ Hulrich critica tale significato degli Elementargedanken non già, come dovrebbe, dissolvendo il problema dell’ori gine in tempo del divenire, ma con il preteso chiarimento che tale origine costituisce soltanto una determinazione ipotetica nel quadro di una teoria, e che dal punto di vista dello storico è possibile solo un’ infinita retrocessione cro nologica. Cioè l’Hulrich scambia per storia la mala infinità del regresso all’ infinito di antecedente in ante cedente, e per filosofia l’arbitraria ipotesi metafisica con la quale si pone fine a tale regresso, e si decreta una sosta che costituisca il principio dei tempi e della storia. Analoghe considerazioni possono farsi per ciò che ri guarda la critica che il nostro etnologo tenta della Sozialpsyche del Bastian “. Infine, il ridicolo proposito del Bastian di stendere una rete di stazioni metereologiche sulla superficie terrestre per stabilire la efficacia dei fattori metereologici (e delle province geografiche) sulla evoluzione culturale, il professore Hulrich non sa op porre una critica radicale, ma, al contrario, pur negando la possibilità di spiegare esclusivamente tutte le variazioni evolutive mercè la provincia geografica metereologicamente caratterizzata, ritiene che molto più varrebbe ricercare « quali specifiche componenti concrete dei feno meni culturali sono caso per caso condizionate (bedingt) dal momento climatico o da momenti di natura puramente geografica », e avverte con enfasi che si tratta « di un problema difficile a risolvere, ad onta di certe possibilità di procedere sperimentalmente » ** . 46 44 Op. cit., p. 459.
46 Op. cit., p. 460.
44 Op. cit., p, 461.
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Giova, a conclusione, leggere il seguente passo, nel quale il professore Hulrich dichiara le proprie alte con vinzioni filosofiche intorno al sapere storico in generale: Il compito dello storico consiste anzitutto nell’ordinamento cronologico degli avvenimenti ( ! ), e in tale ordinamento è da riporsi il « minimo » ( ? ) dell’opera propria dello storico... Nella misura che la storia della natura presenta tale mi nimum, essa è storia, sebbene la struttura logica di tale storia della natura è interamente diversa da quella della storia umana ( ! ? ). Tutte le quistioni che eccedono l’ambito del singolo fatto storico come tale e toccano il generale e il regolare sono da raccogliersi nella problematica della teoria della storia (Geschichtstheorie), sia che si tratti di teorie evo lutive, di questioni sociologiche, psicologiche o d’altra natura, concernenti l’obbietto storico. Le teorie che presuppongono un sapere totale (Wissen um Ganzheit) — di tipo hegeliano, marxista, etc. — appartengono alla filosofia della storia (Geschichtsphilosophie), poiché abbisognano di un fondamento metafisico. Teorie storiche, nel senso sopra dichiarato, sono quelle che implicano una molteplicità di sviluppi storici di popoli, di ambiti culturali, etc., e che pertanto non concernono il divenire storico nella sua totalità o nella sua unicità. Una teoria della storia è possibile solo quando è preso in consi derazione un piano dell’oggetto più formale di quello storico, allorquando si fa astrazione dalle individualità come tali determinate nello spazio e nel tempo, e si considera queste al di fuori delle determinazioni storiche di tempo e di situa zione... Nella storia è quistione di persone, avvenimenti e situazioni accaduti una sol volta, e di serie uniche ed irri petibili; questa unica serie costituisce, per ogni teoria della storia, il fondamento. Ma tale teoria considera degli avveni menti solo ciò che si riferisce ad un piano più formale, attingendo così relazioni e uniformità secondo leggi nell’ambito dei fatti storici. Tutti i problemi, che si riferiscono al signi ficato e al valore della storia, cosi come anche i problemi riguardanti l’origine degli elementi ( ! ) costitutivi della natura umana (lingua etc.), fanno parte della problematica della
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filosofia della storia, la quale ad ogni avvenimento assegna, nell’ambito di una generale interpretazione di valore, il suo proprio relativo posto determinato. Intendiamo pertanto per filosofia della storia la metafisica del divenire storico, ossia dei fattori che rendono possibile la cultura... La filosofia della storia è quindi un settore della ' problematica della metafisica, così come i problemi logici e gnoseologici concer nenti la storia rappresentano un settore della problematica della logica * 7.
A dir il vero, non ci regge l’animo di penetrar in questo groviglio di errori : cecidere manus. È oramai venuto il tempo di dichiarare esplicitamente come debbano essere determinati, dal punto di vista dello storicismo, il concetto, i compiti e il fine del sa pere etnologico, nonché entro quali limiti possono essere utilizzati le tre principali metodiche che si sono avvicen date nella storia di questo dominio della riflessione storio grafica, la metodica evoluzionistica, quella storico-cul turale e quella funzionale. Per maggior chiarezza di esposizione fisseremo in vari articoli il codice della etnologia storicista: i) Nei confronti dell’evoluzionismo, l’etnologia sto ricista respinge il concetto di un’evoluzione meccanica per fasi che tutta l’umanità in blocco avrebbe attraversato, procedendo dal semplice al complesso e dal basso verso l’alto. E respinge questo concetto perchè implica una storia universale e generale vuota di pensiero e di realtà, una storia procedente per schemi, nei quali si perde la varietà, la complicazione, l’organicità e la determinatezza dell’efifettivo divenire storico. Dal punto di vista filologico, l’etnologia storicistica rifiuta la tecnica di lavoro della47
47 Op.
p. 746 a.
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etnologia evoluzionistica perchè insufficiente a determinare prospettive cronologiche sicure, e quindi incapace a for nire allo storico quelle agevolezze di cui questi deve pur avvalersi nella sua ricostruzione. Inoltre la tecnica evo luzionistica assumeva il mondo primitivo come una tota lità: non ne sapeva ordinare la massa confusa di fatti in aree culturali distinte o interferenti. 2) Nei confronti della scuola storico-culturale, la etnologia storicistica accoglie, in generale, l’idea, e, in parte almeno, anche l’esecuzione che ne è stata tentata di una tecnica e di una precettistica filologiche per risol vere la massa confusa dei fatti etnologici in una varietà di culture e in prospettive cronologiche determinate. Ma respinge altresì la pretesa storica della scuola, chiarendo che l’eurisi non va confusa con l’anamnesi storiografica effettiva, nè l’ordinamento spaziale temporale e causale dei fatti con la qualificazione secondo categorie e con la determinazione di processi e d’incrementi. 3) Nei confronti del funzionalismo, l’etnologia sto ricistica respinge il concetto biologico di funzione, nonché il rinnovato materialismo e naturalismo dell’ indirizzo. Respinge altresì il concetto di esperimento pur rico noscendo, nella tentata determinazione delle azioni e delle reazioni fra la civiltà europea e le civiltà inferiori, la forma inadeguata di un concetto giusto : e cioè che il mondo primitivo si apre e si dichiara solo nel rapporto con la nostra civiltà, senza di che l’etnologia resta al grado di sapere più o meno ozioso, e non attinge la storicità. Quanto poi al contributo che la etnologia fun zionale darebbe, mercè la conoscenza del mondo primi tivo, ai problemi della colonizzazione e dell’amministra zione coloniale, e quanto all’auspicata collaborazione fra l’etnologo militante e il funzionario coloniale, è da osser vare che i servigi che l’etnologia può rendere alla civiltà sono anche di questo genere, ma non le appartengono
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in proprio: è chiaro che una politica coloniale, che si illumini di sapere etnologico, è politica e non etnologia, com’ è anche chiaro che l’etnologo che offre servigi al funzionario coloniale è egli stesso, almeno in quell’atto dell’offrir servigi politici, un politico e non un etnologo. Il che certo non guasta, sempre che la ragion politica non induca l’etnologo a tradire il vero (il contrario, e cioè che il fuzionario coloniale tradisca la vera politica per amore della etnologia è in minore misura nell’ordine delle cose). In ogni caso, qui non tratta tanto di orien tare la nostra civiltà o il nostro paese nella pratica am ministrazione e colonizzazione di altre civiltà (si tratterà anche di questo, ma in una cerchia estranea a quella del concetto di etnologia come tale), quanto di promuovere un orientamento d’altra natura, di noi in noi stessi, mercè l’ampliata coscienza del nostro essere che deve risultare dal sapere etnologico. 4) L’etnologia è storia delle civiltà più lontane da quella occidentale. Come tale non è affatto una scienza autonoma, con metodi suoi propri, ma costituisce una delimitazione empirica — e pertanto approssimativa — di una sfera di possibili ricerche sto riografiche. Il carattere scientifico (nel senso idealistico del termine) dell’etnologia dipende esclusivamente dalla sua natura storica, essendo la storia l'unica scienza. Come vi sono i medievalisti, i sinologi, gli egittologi e altret tali, così vi sono gli etnologi, cioè quella classe di studiosi che si occupano delle civiltà che sono da noi più lontane. Senza dubbio la ricerca etnologica si avvale, nel suo ambito, di espedienti euristici particolari che molto opportunamente potranno essere raccolti e illustrati in appositi manuali tecnici: ma non si creda che la natura storica e scientifica dell'etnologia dipenda dalla inge gnosità di tali espedienti e dalla compiutezza di tali manuali !
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5) Come stòria della civiltà più lontana da quella occidentale, l’etnologia ha per obbietto le cosidette civiltà primitive, le quali sono da noi lontane per eccellenza. È indifferente che tali civiltà siano attualmente viventi ovvero già scomparse: pertanto l’etnologia deve com prendere nel suo concetto anche ciò che in oggi costi tuisce l'ambito della paletnologia, la quale inopportuna mente è tenuta distinta dall’etnologia. Più precisamente la paletnologia deve costituire il momento di riattacco della etnologia strido sensu con la storia della civiltà occidentale, ovvero, più precisamente ancora, attraverso la ricerca paletnologica l’etnologo deve aiutare l’anamnesi di quel momento di scelta e di elezione da cui procede sia la direzione a cui egli appartiene, sia la direzione che attualmente è così remota dalla sua civiltà. Per me europeo culto, il presente cronologico, idealmente cosi lontano, di un membro di una qualche tribù totemistica può diventare idealmente presente solo se riuscirò a ricordare il momento storico in cui ebbe inizio la diver genza le due direzioni di cultura che mettono capo, ri spettivamente, a me e a lui. In ogni caso occorre disan corare il concetto di etnologia da quello di mondo primitivo a noi contemporaneo, e identificarlo con quello di civiltà idealmente più lontane, materialmente viventi o morte che siano “. Naturalmente anche nell’am46 «Idealmente più lontane», s’intende, per il non etno logo: poiché per l’etnologo che sia storico il mondo primitivo è vicino e presente quanto la civiltà del Rinascimento o la Rivoluzione francese per lo storico di questi periodi. Anzi, la storia di un istituto primi tivo si dichiara all’etnologo con più vivace e intima presenza di molti particolari della sua propria biografìa, oramai disindividuati e caduti nella sfera grigia della naturalità. I/espressione « idealmente più lon tane » riferita alla civiltà di cui si occupa l’etnologia ha sopratutto il vantaggio di designare il compito proprio del sapere etnologico: e cioè l’allargamento della nostra autocoscienza mercè l’inclusione, in essa, di un ambito storiografico che di solito non entra nel giuoco dialettico del pensiero e dell’azione vivi ed operosi.
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bito della paletnologia è opportuno determinare i mezzi tecnici di ricerca e di lavoro più adatti alle condizioni particolari in cui la ricerca e il lavoro si svolgono ". 6) Il mondo primitivo non può essere definito in senso cronologico, come l’umanità che visse « all'alba dei tempi » o che « iniziò la storia umana ». In questo senso l’espressione « più primitivo » equivarrebbe all’altra « cronologicamente più antico ». Ora il concetto di mondo primitivo deve essere determinato logicamente come prevalenza della fantasia nell’ambito della teoreticità e della mera vitalità economica nell’ambito della praxis. Ciò che viene prima nel tempo potrebbe essere dal punto di vista logico e storiografico meno « primitivo » di ciò che viene dopo : questo scambio del senso logico col senso cronologico del primitivo vizia tutta l’opera, per altri rispetti notevole, dello Schmidt. I criteri della sem plicità dei mezzi tecnici, della situazione geografica, della struttura linguistica, del tipo razziale e simili, possono certamente concorrere a indicare con sufficiente sicurezza i Negriti d’Asia, i Negrilli d’Africa, i Paleoasiatici, gli Ainu, i Paleoamericani, i Paleocaliforniani, i Figini, i Tasmaniani, i Paleoaustraliani come genti e stirpi cro nologicamente più remote, presso le quali si trova in certo modo depositata la testimonianza più o meno ben con servata di un mondo culturale anteriore ad ogni altro a noi noto. Ma questo accertamento cronologico non ci
40 Un intravedimelo della funzione del sapere paietnologico nell’am bito etnologico e storico non manca in qualche studioso: per esempio nel Menghin, del quale è da vedere la Welt geschichte der Steinzeit (Wien, 1931). Si vedano anche alcune opere del Kern, Die Welt worein die Griechen traten (Anthropos, XXV, 1930. p. 195 sgg.); Wcltgeschichte der schriftlosen V'ólker (Archiv f. Kulturgesch., XXII, 1931, p. 21 sgg.); Die Anfange der Weltgeschichte, Berlino-Lipsia, 1933. Cfr. Schmidt, Handbuch etc., p. 307 sg. È stata lamentata la mancanza di una partico lareggiata e completa tecnica del lavoro paletnologico: vedi Schmidt, op, cit., p. 310 sg.
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naturalismo e storicismo nell’etnologia
autorizza affatto a cercare il più primitivo (nel senso logico e storiografico) nell’ambito del cronologicamente più antico, nè a considerare il cronologicamente più antico come il primo assoluto nel tempo”. 7) È d’uopo altresì disancorare il concetto di etnolo gia da quello di civiltà esterne alla nostra. Anche nello spazio geografico del nostro continente o del nostro paese, anche nell’ambito della civiltà occidentale, possono ritro varsi relitti di atteggiamenti culturali idealmente più o meno lontani. Pertanto anche la Demologia (Folk lore, Volkskunde) deve essere considerata come momento di una etnologia storicistica : nella determinazione degli anelli che ci legano al mondo primitivo, la demologia può fornire un materiale documentario notevole. 8) L’etnologia non può non essere europeocentrica, non può, cioè, non essere accompagnata dalla coscienza che la civiltà occidentale, maturatasi at traverso il cristianesimo, la riforma, l’illuminismo e lo storicismo, rappresenta il livello più alto a cui, fin ora, il genere umano è riuscito ad elevarsi. 9) L’antropologia, o scienza delle razze, è disci plina naturalistica : come tale è da tenersi rigorosamente distinta dall’etnologia, che è storia. Purtroppo un pre potente naturalismo, giovandosi in parte di contingenze extrascientifiche, sembra tornare in onore e tende di nuovo a cancellare quella distinzione fra antropologia e etnologia che è merito della scuola storico-culturale avere, in un modo o nell’altro, mantenuto. Si parla ora di qualità spirituali della razza, di trasmissione ereditaria di tali qualità, di una « Etnobiologia », e simili60 61. La cosa meriterebbe un lungo discorso, 60 Vedi il saggio, compreso nella presente raccolta, « Intorno a un mal posto problema etc. », p. 77. 61 Come esempi di questo indirizzo si veda Scheidt, Allgemeine Rassenkunde als Einfiìhrung in das Studium der Menschenrassen, Mo-
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tanto più che anche negli etnologi che impugnano queste tesi fa difetto quella solida preparazione speculativa che per l’occorrenza è necessariaK. io) Tale concezione del sapere etnologico implica l’idea di uno Spirito che storicamente si attua in una molteplicità di cosmi culturali, umani e subumani. A questo proposito giova.qualche chiarimento. Un’umanità che cominci ad essere nella storia — sia che questo cominciamento sia unico, come vuole l’ipotesi monogenetica, sia che si tratti di più punti originari di irradiazione culturale, come vuole l’ipotesi poligenetica — è mitologia includente lo stesso errore della religione che comincia ad essere con una sua forma particolare: e se le forme dello spirito hanno un cominciamento ideale eterno, al trettanto è da dirsi per l’umanità o lo Spirito, che è il vivente organismo articolantesi in queste forme. È opportuno soffermarsi su questo punto, poiché qui si tratta, come altra volta abbiamo messo in rilievo, di buon punto prospettico per criticare gli errori del procedimento naturalistico. Lo spirito non comincia la sua storia uscendo mira colosamente dal grembo della natura senza storia : in realtà tutto è nello spirito e nella storia, anche la natura, che è spirito e divenire, ma non più presente alla nostra ragione storica, e perciò rovesciato e solidificato negli schemi dell’ intelletto. La duplice fictio di una natura fuori della storia, e di uno Spirito o di una umanità che naco, 1925; id. Rassenkunde, Vòlkerkunde und vòlkerbiologische Forschungs-und Lehraufgaben (Mitteilungen des Museums fùr Vòlkerkunde in Hamburg, XIII, 1928, p. 75 sgg.); id., Lebensgesetze der Kultur: biologische Betrachtungen sum Problem der Generation in der Geistesgeschichte, Berlino, 1929; id. System und Bibliographic der Kulturbiologie, Amburgo, 1932. Cfr. Schmidt, Hand., p. 289 sgg. 68 Si veda, per esempio, Krause, Vblkerkunde-Anthropologie-Ethnobiologie (Ethnologischen Studien, I, 1931, p. 135 sgg.) e Schmidt, Rosse und Volk (trad. ital. edita dalla Morcelliana nel 1938).
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naturalismo e storicismo nell’etnologia
cominciano a divenire, nasce da un dualismo non risolto : che se poi lo si risolve, allora l’umanità, in senso lato, si dichiara a noi come sempre stata, come concetto coin cidente con gli altri, di realtà, di spirito e di storia. Questa umanità lata, che meglio chiamasi Spirito, si articola in una molteplicità di centri di individuazione storiografica, in atto, cioè, di rifare un certo ordine di accadimenti, lasciando cadere il resto e disindividuandolo : centri di individuazione storiografica che sono altresì centri di azione o di incremento del reale, agenti anzi con tanta maggiore potenza quanto più ricca e ampia è la loro esperienza storica, e procedenti d’altra parte, nelle loro individuazioni storiografiche sotto lo stimolo di un biso gno della praxis. Questi centri di individuazione della universa realtà si dispongono secondo sistemi di com prensione storiografica maggiore, avvertendo prevalen temente come natura, cioè non rifacendo per lo più con la ragione storica, altri sistemi di individui. Uno di questi sistemi di reciproca possibile comprensione, suf ficientemente solidale perchè giovi costituirlo come classe a sè, è ciò che noi chiamiamo umanità strido sensu, il resto essendo per noi natura, animali o piante o minerali che siano, tutte formazioni storiche senza storia da noi scritta, civiltà e culture sempre più lontane dalla nostra memoria, ma pur presenti in qualche modo alla memoria degli individui che la compongono. La storia degli ani mali attualmente solo l’animale può farla, quella della pianta solo la pianta, salvo il caso che l’uomo ridiscenda fino all’animale e alla pianta su cui è assorto. Ma il concetto empirico di umanità non designa soltanto un ambito approssimativo di centri di indivi duazione tendenti a circoscrivere fra di loro la compren sione storiografica, ma anche una direzione di sviluppo del reale nella quale, in senso assoluto, la comprensione fra i centri di comprensione storiografica è, in generale,
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più alta e più piena, e, quindi, l’incremento del reale più vivace. Par quasi che il mondo animale é vegetale non muti, tanto lentamente muta : nella storia degli uomini, invece, in un relativamente breve volger di anni istituti nascono e muoiono e si compiono profonde rivo luzioni spirituali. L’umanità strido sensu circoscrive dunque una tendenza del reale, una sua direzione di svi luppo, la quale si articola a sua volta in varie direzioni secondarie e terziarie, le cosiddette culture e civiltà umane strido sensu. Le quali culture e civiltà umane si diramano dal tronco ascensionale del reale secondo iniziative geniali che fanno flettere più o meno energica mente la direzione precedente in altro senso. E si ripete, nell’ambito dell’umanità strido sensu, ciò che vale per il reale nella sua totalità, e cioè il disporsi degli individui secondo gruppi in cui la comprensione storiografica è relativamente più frequente : in particolare la civiltà occi dentale stenta a intendere nel loro valore le cosiddette civiltà inferiori o primitive, che si atteggiano di solito a lei quasi come natura, almeno che un’etnologia stori cisticamente orientata non le richiami in vita, il che in massima parte è ancora da farsi. Da questo punto di vista diventa possibile una conciliazione fra la raffigura zione bergsoniana dello sviluppo del reale come espan sione ramiforme, la critica antievoluzionistica della scuola storico-culturale e la metodologia crociana che dissolve radicitus il dualismo tra spirito e natura. 11) Il centro della storiografia è il presente e non il passato, ed il suo compito è la migliore autocoscienza della civiltà alla quale apparteniamo. Per questo scopo non servono le profondità millenarie, le sequenze cronologiche, i nessi causali e neppure una descrittiva e una tipologia delle varie direzioni di sviluppo del genere umano. Il grande albero della storia si diffonde in una molteplicità di rami, e noi ci troviamo su uno solo di essi.
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NATURALISMO E STORICISMO NELL’ETNOLOGIA
Compito dell’etnologia è, sì, di ripercorrere a ritroso quella linfa che ci alimenta e che proviene da lontane radici, ma al fine di cogliere quei punti in cui la corrente devia verso l’alto, in una direzione diversa da quella da cui proveniamo. Son questi i punti in cui, fra le infinite pos sibilità di vita e di sviluppo, il corso del divenire si è ulteriormente differenziato secondo rami più o meno divergenti. Ora la individuazione di queste alternative da cui siamo usciti determina meglio ciò che noi siamo, qui ed ora. 12) L’etnologia deve illuminare la storia della civiltà occidentale, e deve concorrere, per quel che le spetta, a dare incremento e consapevolezza al nostro essere e al nostro dover essere. Se questo farà, e nella misura in cui riuscirà a farlo, l’etnologia ‘diventerà sapere vivo e vitale : nella misura in cui si lascerà vincere dal natura lismo, l’etnologia costituirà ora un sapere ozioso o mala mente operoso, ora un utile riordinamento di storia che fu per una possibile storiografia che sarà: e tuttavia mai costituirà quel che più o meno consapevolmente avrebbe l’ambizione di essere: una storiografia che è, formatrice di pensiero, rischiaratrice di azione.
INDICE DEI NOMI Anassagora, 93. Ankermann B., 121, 124, 179. Antoni C., 196. Aristotele, 154. Avenarius R., 153.
Bachofen J. J., i3j S3> Bartelet F. C., 46. Bastian A., 120, 199. Beck C., 55. Benedict R. F., 122. Bergson H., 9, 30, 35, 52, gg 153, 209. Bernheim E., 126, 151, 19g Best (Elsdon), 72. Birket-Smith K., 122. Blondel M., 68. Bogoraz W. G., 122. Breysig K., 128. Bruno G., 84. Brunschwicg L., 47, 50_ , Capell A., 91. Cassirer E., 26 sg., 30 , Clodd E.» 93, ’ Comte A., 48, 49. Croce B., 8, 9, iI; ,4> SQ 52, 53, 59, 85, 110, i33 M3, 144. 145, 148 sg.’, ’35, ’53, ’57, 160, 161 sg ’52, 171, 172, 186, 189, 2Q ’ 164, Czekanowski J. U., i22
De Bonald L. G. A. 4a Delafosse M., 122. ’ ’ 49 De Quatrefages A., ,22
Dilthey W., 9, i95i J9®Dixon R. B., izi. Dougall W. C„ 46. Droysen G. G., 196. Durkheim E., 19, 21, 22> 2 > 47, 48, So, 51, S2, 56, 57,
59Eddington A. S., I41 s8-> ’S3, Ehrenreich P., 120. Elliot-Smith G.f 122. Erodoto, 173. Evans-Pritchard E., 47 * Feder A., 170. Flaubert G., 69. Flieberg C. H., 122. Foy W., 15, 121, 125-29, 141, 143, i45, 149. Frazer J., 18. Freud S., 166, i22> I24 Frobenius L„ i22 • '* Fueter E„ 16. 79' Gillen F. J., 27, Gervinus G. G., Goethe W., n2 Goldenweiser A. Gothein E., i4j Graebner Fr., 12s, 128, 161/ Grimm J. e W. Gusinde M., i2j
54’96. A- 46, ’96.
*79,’ 18?’ 68. '■ ’Ba. l24-
Hartland S., g3 Hatt S., 122.
’21.
212
NATURALISMO E STORICISMO NELL'ETNOLOGIA
Hegel G. W. F., 9, 84 sgg., 152, 153. >95. 200. Henne Am-Rhyn O., 126. Heussi, 195. Hian Hobgìn H., 91. Howitt A. W., 54. Hobhouse L. T., 122. Hubert H., 20, 30. Hulrich H., 120, 198-201. Humboldt (von) W., 195, 1^5 Husserl E., 9. Iselin, 127.
Jackson J. W., 122. Jochelson W., 122. Jodl F.( 125.
Kant E„ 9,45,83, 135, ,52j 1Ó4 Kapp, 190. Kaudern W., 122. Keiter F«, 192. Kern Fr., 205, Kidder A. L122. Klemm, 125, 126. Kohl, 190. Koppers W., ss, 96, I20, I21 122, 124, 169, 188, 189. ’ Krause Fr., 188, 207. Kreìchgauer D., j2i. Kroeber A. L., i22 I70 Krohn I., 122. Krohn K., 122. Lamprecht C„ I27, Ia8> Langlois P., 151. Lang A., 18, 106 sg., ,,0 Lazarus M.» 48. Lebzelter V., i2J Leroys O., i22. Lesser A., 192. Lessing G. E., 107. Lévy-Bruhl L., is I7 7 Lewis A. B., I22/ Lignitz, 179, Lindblom G., X22. Lippert J., 126. Lorenz O„ 196,
g
*
Lowie R. H., 121, 122. Luca, 66. Lutoslawski, 165.
Malinowski Br., 46, j$2> Marett R. R., 82 sg., 86-93, 94 Matteo, 66. ’ Mauss M., 20, 2i, 26, 30. Mazzini G., 73. 118. Me Lennan, 120. Meinecke F.» 196. Menghin O., 121, 205. Meyer R. M.» 127. Meyerson E., 153. Montadon G., 122. Morgan L., 120, 166. Mòser J., 13. Miihlmann W. E., 186 sg., 192, 193-95. 197. Miiller M., 68. Needham J., 46. Nordenskiòld (von) E., x22.
Omodeo A., 13, 66, 8l 118, 143. Otto R., 72 sg. Perry W, J., 122. Pettazzoni R., no. Pinard de la Boullaye H., 120 122, 123, .29-37, i32, rjwo, I47-5S, 162. Platone, 93. Poincaré H., 153. Praz M., 69, 73. Preuss Th., 47, 93, l86. Radcliffe-Brown A. R„ ,92 Rasmussen K., i22< Ratzel Fr., n2, x24 Reinach S., 147, Rickert H., 162. Riehl W. H., igg. Ritter K., 190. Rivers W. H. R., I22 Rivet P., 122. Rousseau J. J., 17g
INDICE DEI NOMI Sauerbruch F., 93. Sapir E., 121, 180. Schafer D., 145, 196. Schapera J., 192. Schebesta P., 121, 124, 17g. Scheldt W„ 206. Schelling F., 68. Schmidt W., 15, 46, 47, 55, 61, 94-IO6, IO8-IO, II2-T4, 120, 121, 122, 123, 124, 128, I3tsg„ 134. 144 sg.. 150, 151, 156 sg., 158 sg., 161, 169-91, 205, 207. Schulien P., 102, 121, 124. Schumann W. O., 93Schwarz, 120. Seignobos C., 151, 158. Shirokoroff M., 122. Spencer B., 27, 54Spengler O., 193Spier L., 121. Spinoza, 84. Steinhausen G., 196. Steinthal H., 48Sternberg L., 122.
213
Steward J. H., 158. Swanton J. R., 121. Talete, 85. Thalbitzer W., 122. Thilenius G., 120. Thurnwald R., 91, 93. :92. Tozzer A. M., 121. Troeltsch E., 196. Tylor E. B., 17 sg., 79 sg., 82, 86, 89, 120.
Vaihinger H„ 9. Van Bulk G., 192. Van Gennep A., 54, 55. Vico G. B., 53, 75, 149, ’^3. 193. Vierkandt A., 55, 73-
Wagner R., 13. Webb, 46. Williamson R. W., 122. Windelband W., 161. Wisser Cl., 121. Wundt W., 49.
INDICE ANALITICO . p.
7
Saggio critico sul prelogismo di Lévy-Bruhl p.
17
Introduzione
La scuola antropologica inglese e il suo intellettualismo : il pri mitivo come filosofo selvaggio. La reazione della scuola socio logica francese a tale intellettualismo. Accentuazione di motivi irrazionalistici e prammatistici nell’opera di Lévy-Bruhl. La legge di partecipazione e la categoria affettiva del sopranna turale dominanti i prodotti della mentalità collettiva. Posizione affatto subordinata del pensiero individuale retto dal principio di identità. La legge di partecipazione e i modi dell’ intelletto. La personalità. Passaggio a tipi superiori di mentalità. Critica della distinzione sociologica fra mentalità collettiva e pensiero individuale. Critica della genesi sociale della religione. Errori speculativi nella filosofia della religione del Durkheim : la ri cerca della genesi storica delle categorie ideali e le definizioni minime. Lévy-Bruhl non ha alcuna notizia di quel che sia la logica speculativa e risolve la teoreticità nell’ intelletto astratto: tuttavia l’espressione « mentalità prelogica » non può essere accettata neppure nel senso di «mentalità preintellettiva». Il sostanziale antistoricismo dell’ ipotesi prelogica, impossibilità del passaggio dalla mentalità primitiva a quella culta, perdita di prospettive storiche. Motivazioni romantiche e decadentisti che del prelogismo. Conclusione.
Un problema mal posto dell’etnologia religiosa: La prima forma di religione . . p.
77
Il problema delle origini e quello della prima forma della reli gione. Definizioni minime e ricerca del « piimo » nella storia delle religioni. Deficienze di tale procedimento: il problema
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naturalismo e storicismo nell’etnologia
del cominciamento nella storia della filosofia. Il tentativo del Marett: la deformazione del categorico nel medio e nel tipico e la generalizzazione di forme storiche definite per attingere il pseudo-categorico. La ricerca degli antecedenti della magia nel mondo animale, e la « spiegazione » del Mana mercè i processi del mondo fìsico. Il passaggio dalla mala infinità del regresso all'infinito alla mala finitezza del primo assoluto in re-. Schmidt e la Urreligion. Fragilità speculativa del tentativo dello Schmidt. La superstizione del tempo e il concetto cro nologico di primitivo. Necessità per l’etnologia in genere e per quella religiosa in ispecie di liberarsi da tale superstizione. Il concetto di religione va ricercato nel quadro di una filosofia dello spirito.
I principi della scuola storico-culturale
. p.
119
La etnologia evoluzionistica e le sue deficienze. L’indirizzo « sto rico » in etnologia e le sue varie ramificazioni. La scuola sto rico-culturale. La prefazione programma del Foy buon punto prospettico per una valutazione critica dei principi della scuola storico culturale. La separazione della storia dalla filosofia in H. Pinard de la Boullaye e in W. Schmidt. Critica di tale separazione. La risoluzione della storia nell’ordinamento spa ziale temporale e causale dei fatti e la surrogazione delle vere categorie storiografiche con le pseudo-categorie dell’intelletto. La storia universale e generale, pretesa ineseguibile. La sto riografia naturalistica è necessariamente ipotetica. Vani tenta tivi del Pinard di vincere l’ipotetismo mercè la prova per indici convergenti. Valutazione complessiva dei principi della scuola.
Intorno ad alcune scritture di metodologia etno logica . ....................................................p. 169 L’Handbuh der Methode der Kulturhistorische Ethnologie dello Schmidt. La classificazione e la critica delle fonti. I cri teri per la determinazione dei rapporti culturali, delle province e delle fasi di cultura, dello sviluppo culturale interno e della causalità culturale. I criteri della qualità e della quantità e i criteri ausiliari della continuità e dei gradi di parentela. Me todo della scuola per ottenere prospettive cronologiche: il pro-
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INDICE ANALITICO
cedimento sottrattivo. I < Zeitmesser ». Difetto fondamentale di questa metodologia : la mancanza di distinzione fra tecnica filologica e ricerca storiografica. Il torto e il diritto di una obiezione mossa dal Krause alla scuola storico-culturale. Il funzionalismo puro e quello temperato. Uno scritto metodolo gico del Miihlmann nel Lehrbuch der Ethnologic diretto dal Preuss. Il funzionalismo come espressione e non come supe ramento della crisi che travaglia la etnologia contemporanea. L’ibridismo di metodi e il più o meno latente materialismo dell’indirizzo funzionale. Uno scritto metodologico dell’Hul rich. Conclusione: il codice della etnologia storicistica.
Indice dei nomi .
.
. p.
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FINITO DI STAMPARE
IL 12 OTTOBRE I94O - XVIII NELLO STABILIMENTO D’ARTI GRAFICHE
GIUS. LATERZA & FIGLI IN BARI
(89808)