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Italian Pages 364 [344] Year 2007
Indice Introduzione di Fausto Zevi
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Ringraziamenti
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Premessa (1.1 - Lo studio dei monumenti... 20; 1.2 - Lo studio della decorazione architettonica... 21; 12.1 - Problemi di metodo... 21; 1.22 - Il catalogo: provenienza degli oggetti ed organi; zazione dei dat. 24)
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L'Anfiteatro Flavio Bibliografia
Fonti epigrafiche 1. Gli scavi e gli studi: linee per una stori 2. Descrizione. (2Σ - Sistema idraulico... 38; 2.2 - Materiali c tecniche edilizie... 41)
3. Decorazione architettonica G.1 - Colonne e capitelli restauri e rilavorazioni... 45; 3.2 - Capitelli tipologia e cronologià. 50; 33.1 - 1 capitelli dellanfteatro: proposta per una lettura analitica del segno... 50; 332 Il modello e Vofficina... 55; 333 - Gli artigiani... 57; 33.4 — L'organizzazione delTofficina..66; Tabella 1. 58; Tabella 2... 67)
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4. Fonti scritte e dati monumentali: cronologia e committenze ul 11 Macellum
Bibliografia Fonti epigrafiche 1. Gli scavi e gli studi: linee per una storia 2. Il monumento Q.1 - Ingressi... 83; 2 - Tabernae... 83; 2.3 - Latrine... 86; 24 — Vani scala... 88; 25 — Esedra... 89; 26 — Portici.. 91; 2.7 — Corte centrale e tholus macelli. 93; 2.8 - Sistema idraulico... 95; 29 - Tecniche edilizie... 97) 3. Gli elementi architettonici G.1 - Proposta ricostruttiva degli ordini... 98; 3.2 - L'aspetto decorativo... 102) 4.11 progetto (4.1 - L'impianto generale, portici, cortile, latrine, tabernae e vestibolo principale... 105; 42- Il sacello: l'esedra ed il pronao... 106; 4.3 — La tbolos.. 108) 5. Fonti scritte e dati monumentali: la cronologia del monumento
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Indice 115
1. Decorazione e struttura del Tempio Corinzio (1.1 - Ricostruzione dell'elevato... 140; 1.2 — Pianta: ipotesi ricostruttive... 141; 1.3 - Cronologia, contesto, materiali, identificazione... 146) L'edicola da via Girone 11 clipeo con busto del Genius Coloniae Culti attestati da fonti epigrafiche Iuppiter Optimus Maximus Heliopolitanus Fortuna Augusta Victoria Augusta
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Av
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m. Gli Edifici Sacri (Unità Topografican. 1. 116; Unità Topografican. 2. . 128; Unità Topografican. 3. . 134; Unità Topografican. 4. . 134; Unità Topografica n. 5. . 138)
Serapide
(8.1 — Il tempio ed il culto di Serapide in epoca imperiale: le dediche di Pompeii ed Herennii.. 156; 82 - Testimonianze iconografiche... 157)
9. Genius Coloniae (9.1 — giochi per Nerone, Agrippina, Juppiter Optimus Maximus ed il Genius... 158; 9:2 — Le dediche dei Nemonii... 158; 9.3 — L'iscrizione di Chrysantbus e le dediche degli Aurelii. 159; 9.4 — Galeria Cuprogenia... 159; 9.5 — Sintesi. 159; 9.6 — Documenti iconografici. 160)
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10. Antonino Pio 11. Venus-Caelestis (11.1 - 1 sacerdotidi Venere Celeste... 162; 11.2 - 1 fedeli: Herennit, Volustt e Hosidit... 163; 113 — La dedica dell'aedes architetti ©) e committenti, Appius Claudius... 164; 11.4 - L'aedes di Venere Celeste come monumento ufficiale... 165)
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12. Honos (et Virtus ?)
13. Linee di sintesi
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Gli Edifici del foro
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Bibliografia Fonti epigrafiche 1. Gli scavie gli studi: linee per una storia 2.1 materiali architettonici da via Rossini: gli scavi degli anni ‘50
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3. Sintesi
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La decorazione architettonica. Analisi formale: tipologia
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1. Introduzione
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2. Tipologia degli elementi ornamentali
(Baccellature... 182; Kyma ionico... 182; Kymatia lesbi... 185; Kymatia vegetali... 187; Astragalo a perline e fusarole... 188; Dentell... 192; Antbemia... 192)
Indice vi La decorazione architettonica. Analisi formale, stile e materiali: le officine c i marmi
1. Generalità. Arte e produzione artistica: la specificità della decorazione architettonica 2.11 concetto di officina ed i criteri per l'identificazione nella storia degli studi sulla decorazione architettonica 3.11 materiale G.1 - Il materiale puteolano... 203; 3.2 — Analisi... 204; 3.2.1 - Analisi: la fase flaviotraianea... 204; 3.2.2- Analisi: i capitelli... 207; 3.2.3 - Analisi: le trabeazioni... 211; 3,3 — Sintesi... 218; 3.3.1 — Sintesi: i modelli stilistici e la cultura formale dell-Officina Campana»... 218; 3.3.2 — Sintesi: l’attività dell'«Officina Campana... 227; 3.4 — Casi particolari... 227; 3.4.1 - L'edicola da via Girone... 227; 3.4.2 - Uno strano capitello... 228) 4. La decorazione architettonica puteolana tra Il e III secolo: l'attività delle officine microasiatiche 5.1 marmi 6. L'uso dei marmi policromi nell'architettura ufficiale della Campania, il ruolo della committenza
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VIL La decorazione architettonica. Analisi formale, tipologia e stile: Catalogo
Antefisse marmoree Corni Fregi ed architravi Capitelli Corinzi Occidentali Capitelli Corinzi Orientali Capitelli Corintizzanti Capitelli Compositi Capitelli lonici Fusti di colonna. Basi di colonna lisce Basi di colonna decorate. Transenne Mensole Clipeo Conclusioni Abbreviazioni bibliografiche
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Introduzione
L'immagine con cui si apre il lavoro di Filippo Demma è per più versi emblematica: quei mille e più elementi architettonici marmorei venuti con il tempo ad ammassarsi qua e là fino ad occupare ogni spazio disponibile nell'anfitcatro flavio puteolano, divenuto con il tempo una sorta di grande deposito all'aperto, costituiscono un genere di visione assolutamente familiare a chiunque abbia dimestichezza con i grandi Musei del mondo romano, ma specialmente quelli di Roma col suo circondario e dell'area campana. Nei primi tempi degli scavi di Ercolano e di Pompei, non ci si faceva scrupolo di riutilizzare come materiali da scalpellino i frammenti marmorei che non si ritenevano sufficientemente interessanti ὁ ben conservati per essere esposti; una pratica del resto non lontana da quella degli scultori di bottega romana che, anche in tempi più vicini a noi, usavano integrare le parti mutile di antiche sculture sacrificando altri marmi antichi meno conservati. Da tempo, naturalmente, pratiche del genere sono cessate; e tuttavia restano tuttora in uso, spesso quasi inevitabili procedure di conservazione selettiva, che per quei resti antichi (quasi sempre la più gran parte) avviati alla distruzione dal prevalere di interessi diversi rispetto a quello archeologico, suggeriscono la scelta di salvaguardare i materiali marmorei, soprattutto se recanti ornamenti o quanto meno segni di lavorazione, rispetto ad altri resti del monumento non prelevabili né conservabili in sito. Accade così che, nella maggioranza dei casi, gli elementi marmorei sparsi, come nel caso di Pozzuoli, costituiscano oggi la sola testimonianza superstite di strutture e complessi la cui rilevanza architettonica, talvolta notevole per sé, e i cui significati e valori come evidenza urbana, vengono a disperdersi in una situazione come quella in cui alla inevitabile frammentarietà del rinvenimento si unisce lo smontaggio degli elementi superstiti. La decontestualizzazione sollecita il campionario, la tipologia; una tendenza non a caso fortemente prevalente negli studi dei nostri tempi, che hanno peraltro apportato risultati notevolissimi con lordinare serie e sequenze, determinando cronologie e isolando le produzioni delle diverse botteghe. Il rischio è di incorrere nel peccato di astrazione, in cui il forte specialismo può confinarsi in codificazioni autoreferenziali che non facilmente si collegano con altri settori disciplinari nell'intento di ricostituire l'identità storica degli insiemi monumentali e delle stesse strutture urbane delle diverse città. Si trattava dunque, in primo luogo, di metter ordine in una congerie di pezzi di per sé difficili da rimuovere e esaminare, rintracciando quanto gli inventari e gli archivi possono ancora restituirci di utili informazioni: un lavoro già per sé di largo e meritorio impegno, di cui danno testimonianza gli oltre cinquecento pezzi presentati nel catalogo che costituisce la seconda parte del presente volume. Ma il titolo dello studio di Demma, archeologia dei monumenti di Pozzuoli, rivela il proponimento di andare ben oltre un pur esauriente catalogo di elementi architettonici, evidenziando l'indirizzo metodologico che egli ha inteso seguire. Lo studio della decorazione, infatti, è stato sempre condotto parallelamente all'esame del monumento di appartenenza, sì che questa dispiegasse tutte le sue potenzialità come fonte di informazioni sul monumento stesso, e, viceversa, in maniera che i dati forniti dal contesto architettonico aiutassero a chiarire i problemi (cronologici, estetici, funzionali) connessi con i materiali marmorei. L'ineguale sorte toccata ai monumenti pubblici di Puteoli nello sviluppo della ricerca archeo-
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Introduzione
logica, ha indotto a focalizzare la attenzione sulla loro architettura e decorazione, entro la cornice della storia e delle vicende edilizie di questa città così particolare e vicina a Roma per la situazione geografica e la rilevanza dei suoi impianti portuari. E tuttavia, nello stesso tempo, c con marcata differenza da Ostia (che sempre più verrà acquisendo fisionomia di vera «struttura di servizio» dell'Urbe), Pozzuoli mantiene anche con l'Impero una composizione variata e polietnica della popolazione, e soprattutto una propria fisionomia mercantile che comportava risorse economiche e investimenti produttivi e di commercio; basti considerare l’attività evergetica che le grandi famiglie puteolane dispiegano, soprattutto in età augustea e giulio-claudia, in una competizione intesa come manifestazione di prestigio cittadino e, al tempo stesso, di ossequio all'imperatore, che a Ostia non trova termini di raffronto. Colpisce anche la insistenza dei Puteolani sul culto del Genius Coloniae, segno di orgogliosa consapevolezza di un passato civico importante e del proprio ruolo «strategico» per Roma (e ne sono conferma le ripetute deduzioni coloniarie) che corrisponde in effetti ad una storia cittadina movimentata e ricca di contrasti, ma anche ad una autonomia di esperienze creative che, nel contesto flegreo, si segnala a cominciare dal Tempio marmoreo detto di Augusto, di cui uno studio recente ha evidenziato la originalità della struttura realizzata dall'architetto L. Cocceio Aucto. Ma i monumenti della Puteoli primo-imperiale, a partire proprio dallo straordinario complesso del Rione Terra, sono, come si è accennato, oggetto di indagini e scavi tuttora in corso, e i relativi materiali architettonici dovrebbero, così si spera, venir studiati dalle équipes che li hanno riportati in luce,: solo un nucleo rilevante di sculture e ritratti è stato pubblicato nel precedente volume di questa stessa serie di Monografie di Archeologia Classica (Claudia Valeri, Marmora Pblegraea) rispetto al quale il presente lavoro di Filippo Demma, pur nella sua autonomia e nella diversità del suo oggetto, si pone in certo modo come una pagina in sequenza del ricchissimo dossier della archeologia puteolana che gli scavi incrementano senza sosta di nuovi materiali, di acquisizioni scientifiche e, beninteso, di nuovi problemi. Lasciando dunque alle ricerche in corso la parola definitiva sul corredo monumentale della Puteoli augustea e giulio-claudia, la scelta del periodo di riferimento del presente lavoro è apparsa quasi obbligata: tra la seconda metà/ultimo quarto del I e la prima metà del III secolo d.C., quando la città, divenuta colonia neroniana prima e flavia poi, amplia i suoi apparati monumentali con l'impianto di grandiose costruzioni sulla ripa, ma anche con Yoccupazione di estesi spazi sulle terrazze mesourbane, prima di allora utilizzate con una maglia edilizia rada a prevalente scopo residenziale. Lo snodo urbanistico in questa zona è rappresentato dall’ancora enigmatico Foro di Via Rosini. Che si tratti di un complesso di natura forense sembra indubitabile specialmente dopo gli scavi recenti di C. Gialanella. Ma la valutazione funzionale dipende anche dalla cronologia. Un tempo sembrava indubbio che si trattasse del foro della nuova cità augustea, la colonia Iulia Puteoli rivelata dalle tavolette dell'archivio dei Sulpicii trovate a Pompei. E tuttavia, proprio l'analisi degli elementi architettonici qui rinvenuti, in confronto con quelli dail'opposta collina del Rione Terra, impongono su tale assunto un forte dubbio: in effetti, colpisce proprio il fatto che i due complessi appaiono realtà totalmente distinte, al punto da non presentare o quasi sovrapposizioni, perché i materiali architettonici del Rione Terra sono praticamente tutti di età giulio-claudia salvo un lotto, peraltro rilevante, del periodo flavio; quelli di Via Rosini invece, pur forse con qualche antecipazione neroniana, si s glionano dall'età flavia in poi, per tutto l'impero. Pur se la provvisorietà dei dati impone risposte prudenti, sembrerebbe doversi dunque desumere che l'impianto forense di Via Rosini appartenesse piuttosto alla colonia Claudia Neronensis che non a quella augustea. Indicazioni non contrastanti forniscono le analisi condotte da F. Demma, con importanti precisazioni, su alcuni dei monumenti maggiori, in primo luogo l'anfiteatro flavio, vero punto di svolta nella storia urbana di Pozzuoli, di cui una recente suggestione del Camodeca vorrebbe peraltro riportare la costruzione alla età di Nerone, scenario per la magnificenza dispiegata dall'imperatore nei giochi in onore di Tiridate d'Armenia: quindi non una ricaduta della progettualità realizzata con il Colosseo, come normalmente lo si intende, ma, al contrario, un prototipo tipologico e strutturale per il posteriore anfiteatro romano. Lo studio analitico dei capitelli della porticus in summa cavea, prodotto di una officina locale indubbiamente attiva in età flavia, e della quale il Demma ha ricostruito la composizione, l'organizzazione, i modelli culturali, porterebbe ἃ chiudere, secondo tutta apparenza, la questione della cronologia del monumento. E tuttavia sembrerebbe
Introduzione
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nuovamente riaprirla un bollo laterizio di un liberto di Nerone, apparso in più esemplari negli impianti
fognari, nel senso che all'età neroniana potrebbe appartenere la sistemazione della terrazza su cui poi,
in età flavia, sorgerà il nuovo anfiteatro: se così fosse, non i singoli monumenti, ma quanto meno il grande progetto di espansione urbana sulla collina fronteggiamente l'insediamento primitivo di Puteoli, andrebbe effettivamente ascritto all'ultimo dei Giulio-Claudi: si potrebbe addirittura immaginare, lo aggiungo a puro titolo di suggestione personale, che sulla terrazza l'anfiteatro per i giochi di Tiridate fosse stato realizzato in legno (all'occorrenza i carpentieri della flotta di Miseno avrebbero potuto forni re tutto il sapere tecnico necessario), al pari del consimile edificio imperiale nel Campo Marzio, che le fonti ricordano innalzato alcuni anni prima con stupefacente rapidità e decorato con particolare fasto. Sulla ripa, l'analisi sistematica di tutte le membrature architettoniche pertinenti al cosiddetto Tempio di Serapide (in realtà, come da tempo riconosciuto, un macellum tra i meglio conservati del mondo romano), ha condotto il Demma a riconoscere testimonianze, sparse ma indubitabili, di un’originaria fase flavio-Traianco del monumento, anche con il conforto di documenti epigrafici già noti ma solo ora rivendicati a Pozzuoli. Ma soprattutto ha consentito di distinguere le fasi della grandiosa ricostruzione severiana, in cui l'analisi dei volumi monumentali ha portato alla formulazione di alcune attendibili ipotesi ricostruttive dell'elevato e dei criteri progettuali alla base del disegno dell'edificio, con peristilio ἃ due ordini di colonne e l'ordine gigante dei monoliti di marmo caristio dell'esedra dedicata al culto imperiale, solidale con il resto della costruzione; laddove una lettura accurata delle sovrapposizioni murarie ha consentito di «leggere» nella tholos colonnata al centro del cortile un'aggiunta chiaramente posteriore. Tra le conquiste più rilevanti vi è altresì il recupero scientifico del cosiddetto «Tempio Corinzio», complesso negletto e fondamentalmente inedito di elementi architettonici provenenti da un tempio non grande (uno dei pochi edifici sacri venuti sin qui in luce nella città) di cui lo studio congiunto dei dati archeologici ed epigrafici ha condotto a ricostruire la forma architettonica ed a proporne una possibile identificazione (il tempio del Divo Antonino nel quale, come risulta da un'iscrizione, talvolta teneva le sue sedute il senato locale) ubicato sulla terrazza dell'anfiteatro vicino alle Terme imperiali popolarmente denominate Tempio di Nettuno. Il «Tempio Corinzio», assieme agli altri monumenti citati, e ad altri minori, nell'analisi del Demma diviene un punto fermo per la definizione di una «officina campana» che, come ha sintetizzato Pierre Gros, «arde à adopter les modèles élaborés au Forum de Trajan ct reste assez longtemps attachée à la tradition flavienne qui est sensible aux modèles urbains décentrés (arc de Bénévent, Villa Hadriana, Ostie) et qui, dans l'emploi des marbres d'Asie Mineure, se trouve à Tavant-garde de Vexploitation.. L'impiego dei marmi nella architettura romana, uno degli argomenti di ricerca del nostro tempo (e, credo poter aggiungere, specificamente delia nostra Università romana,
soprattutto con i lavori del Pensabene) costituisce un tema cui il Demma è particolarmente sensibile e cui, in relazione con la commitenza dedica un capitolo illuminante, proponendo un aggiornamento del quadro finora noto per l'uso del marmo in Campania. Nella cornice più ampia della archeologia flegrea, le ricerche su Pozzuoli, di cui si pubblica questa seconda monografia, hanno costituito, a seguito di intese in un recente passato e che ci si augura possano proseguire in futuro, l'oggetto di un congiunto interesse scientifico tra la Soprintendenza napoletana e le università di Napoli e di Roma «La Sapienza-, che su temi flegrei hanno indirizzato gli interessi di alcuni tra i loro migliori giovani studiosi. I risultati di queste esperienze troveranno presto anche un’altra e maggiore ricaduta, l'allestimento di oltre quaranta nuove sale nel Museo dei Campi Flegrei nel Castello di Baia, cui collaborano le stesse istituzioni e gli stessi studiosi, e per il cui ordinamento i lavori che qui si presentano costituiranno un insostituibile fondamento scientifico. STO Zevi
Desidero ringraziare la dott.ssa M.L. Nava Soprintendente ai Beni Archeologici per le Province di Napoli e Caserta e quanti prima di Lei si sono succeduti nel Suo ufficio, segnatatmente la dott.ssa V. Sampaolo, il prof. F. Zevi, ed il prof. S. De Caro, che hanno concesso tutti i permessi necessari allo studio. Un ringraziamento particolare a Costanza Gialanella, funzionario responsabile del territorio puteolano, che ha facilitato in ogni modo il mio lavoro seguendolo con amichevole sollecitudine, Sono molto grato ai funzionari ed al personale della Soprintendenza archeologica napoletana, che hanno agevolato il lungo lavoro nei depositi del Museo Archeologico Nazionale di Napoli e negli archivi, in particolare alle dott.sse MR. Borriello, già direttrice del MANN; A. Lista; M.R. Rubino; A. Villone ed all'amica Floriana Miele, presente sempre ben al di là degli obblighi d'ufficio. Lo studio, che è iniziato durante il dottorato di ricerca in Archeologia Classica svolto presso l'Università la Sapienza» di Roma, è stato condotto a termine anche grazie alla borsa di ricerca annuale dell'Istituto Archeologico Germanico di Roma, assegnatami per l’anno accademico 2002-3. Mi è particolarmente gradito poter esprimere qui tutta la mia riconoscenza all'Istituto ed al prof. D. Mertens, allora suo direttore, per la sua considerazione nei confronti delle mie ricerche e per la squisita cortesia dimostratami in ogni occasione. Questo lavoro non sarebbe mai nemmeno iniziato senza il generoso e costante sostegno che il prof. Fausto Zevi mi ha sempre assicurato, seguendo la mia ricerca durante gli anni del dottorato e nel (lungo)
periodo successivo, fino alla sua pubblicazione. Il confronto continuo con la profondità delle sue intuizioni e la lucidità delle sue argomentazioni è stato per me un'inesauribile fonte di spunti e riflessioni. la sua attenzione nei riguardi della mia attività scientifica mi onora e per questo gli sono riconoscente. Sono particolarmente grato a Patrizio Pensabene, che ha seguito la parte relativa alla decorazione architettonica, con la pazienza e la competenza di sempre. Lo ringrazio per quanto ha voluto insegnarmi durante le molte ore trascorse a tavolino ed i numerosi viaggi in Italia, Turchia, Egitto. ΑἹ suo archi vio appartengono anche le foto di alcuni materiali che mi sarebbero stati altrimenti inaccessibili. Ringrazio il prof. P. Gros, indiscusso maestro nel campo della storia dell'architettura antica, per gli spunti e le osservazioni con i quali ha voluto arricchire il manoscritto, che ha revisionato integralmente. Sono riconoscente a Giuliana Cavalieri Manasse, «sodalis puteolana, per l’attenzione che ha voluto dedicarmi e le produttive e interessanti discussioni che da questa sono nate. Sulle stesse tematiche mi sono confrontato con W.D. Heilmeyer e K.S. Freyberger, ai quali debbo, oltre agli stimolanti suggerimenti, la prospettiva adottata nell'esame delle problematiche relative a manodopera ed officine. Lo studio delle fonti, in particolare di quelle epigrafiche, deve molto ai consigli di M. Letizia Caldelli Le sono grato anche per la pazienza che ha mostrato nei miei confronti. Un ringraziamento anche a Domenico Palombi, col quale ho di volta in volta discusso temi di topografia puteolana. Sono particolarmente grato al prof. C. Gasparri, per i preziosi consigli con i quali ha accompagnato la mia ricerca fin dalla discussione finale della Tesi di Dottorato, ma soprattutto per la continua disponibilità αἱ confronto ed allo scambio di informazioni e di idee che mi ha sempre dimostrato. Il continuo contatto con l'équipe dell'Università di Napoli Federico II in forza alla missione cumana, da lui guidata, ha notevolmente ampliato le mie prospettive; Elsa Nuzzo, in particolare, è stata per me un vero punto di riferimento. Alla professionalità ed all’acribia del lavoro di Alessandro Pintucci devo la maggior parte dei disegni ricostruttivi originali di questo volume; sono veramente contento di aver incontrato una persona così versatile ed intelligente.
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1l cammino lungo la strada che ha portato una persona eccezionale come Claudia Valeri: presente nelle difficoltà, come una vera amica. Le idee e le prospettive alla base di questa e cordiale, e le cose non sarebbero giunte a Giuseppe Mesolella.
a questa pubblicazione si è giovato della compagnia di sempre attenta e puntuale nella discussione e sempre ricerca sono nate in un clima di collaborazione serena buon fine senza la presenza di Antonietta Simonelli e
Premessa
Chi si reca a visitare l'anfiteatro maggiore di Pozzuoli resta immediatamente colpito dalla quantità enorme di materiali marmorei depositati ovunque: lungo i viali d'accesso, nei sotterranei, sotto le arcate esterne ed interne, nei magazzini ricavati tra i fornici. Si tratta di oltre un migliaio di elementi architettodifferenti, e diversamente conservatisi, dal frammento di cornice o di capitello alla colonna monoli tica intera; tutti fanno parte di una raccolta formatasi con gli scavi, i recuperi, i rinvenimenti occasionali avvenuti a partire dall'epoca Borbonica, ed in costante incremento grazie a indagini ancora in corso. La maggior parte di questi materiali è totalmente sconosciuta al mondo scientifico, essendo rimasta completamente inedita; una piccola parte dei reperti ha ricevuto, nel corso degli anni, una sommaria pubblicazione, limitata per lo più ad alcune fotografie ed a qualche notizia in lavori dedicati ad altri contesti. Solo i materiali degli scavi più recenti sono in corso di studio da parte delle équipes di studiosi che li hanno riportati alla luce. Si è posta, dunque, in un momento nel quale la ricerca archeologica sta progredendo in fretta grazie allo scavo ed alla scoperta di interi quartieri dell'antica Pozzuoli, l'esigenza di recuperare anche tutti i dati ricavabili da quanto venuto in luce in passato. Uno studio rigoroso e scientifico di questi materiali non poteva, però, certamente ridursi ad un semplice catalogo e prescindere così da un'impostazione, appunto, rigorosamente scientifica che richiedeva, invece, l'inquadramento degli elementi architettonici nel contesto monumentale di appartenenza. La scelta della cronologia di riferimento, il periodo tra l'ultimo quarto del I ed il III secolo d.C., è venuta, in un certo senso, da sé: da un lato è questo il momento storico nel quale la città romana 5 espande, occupando con un rinnovato corredo monumentale la zona delle terrazze a monte della ripa, fino ad allora prevalentemente riservate a residenze private. Dall'altro lato, i monumenti della Puteoli repubblicana e primo-imperiale sono, come si è detto, oggetto di indagini e scavi, tuttora in corso, fatto che vale da solo ad escluderli dal quadro di riferimento possibile!. 1I titolo di questo volume vuole indicarne così, oltre all'argomento, anche l'indirizzo metodologico. Questo si basa su due punti nodali: il primo è una definizione, per così dire, ad ampio spettro di archeologia come disciplina storica che per indagare il suo oggetto utilizza tutti i dati materiali e tutte le testimonianze scritte a disposizione. Il secondo punto è la consapevolezza che l'architettura agisce con un vocabolario tridimensionale e che una storia dellarchitettura non può che essere la storia delle concezioni spaziali «Ogni edificio è caratterizzato da una pluralità di valori: economici, sociali, tecnici, funzionari, artistici, spaziali e decorativi, e ognuno è padronissimo di scrivere storie economiche dell'arcbitettura, storie 1 risultati di queste ricerche sono stati esposti in nume- — (cfr. Nova Angus 2000), sono oggi presso il Castello Aragorose conferenze e convegni, il più recente, intitolato «Puteoli, | nese di Baia. Recentissimi, oltre allinquadramento topografinuovi scavi e ricerche; si ἃ svolto nell'Aprile 2001 presso il — co delle nuove scoperte steso da C. Gialanella (GIALANELLA DAI di Roma (cfr. ATTI 2003). I materiali dei nuovi scavi, 20018), i saggi sulle sculture di C. Valeri (Vates 2001; atem invece, già in mostra presso la Casina Vanvitlliana di Bacoli, 2005).
Premessa
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sociali, storie tecniche e volumetriche. Ma la realtà dell'edificio è conseguenza di tutti questi fattori, ed una sua storia valida non può dimenticarne nessuno?. Orbene, i materiali a disposizione dello storico dell'architettura romana sono spesso parziali e frammentari; prima che egli possa esaminare l'evoluzione delle concezioni spaziali antiche è quasi sempre necessario che sia ricostruita nella maniera più attendibile possibile la forma dei monumenti da prendere in esame e le sue evoluzioni nel corso del tempo In una simile ottica, dunque, tentare una «Archeologia dell'Architettura- in senso pieno vuol dire non arrestarsi semplicemente alla lettura di stratigrafie e sovrapposizioni murarie, ma esaminare, collazionandole, tutte le fonti di informazioni disponibili per ogni singolo monumento del quale ci si occupa, tentando una ricostruzione della sua committenza e dei temi economici e politici ad essa legati; della sua forma; della sua decorazione; della sua funzione, e dell'evoluzione di queste nel tempo. In questo quadro lo studio di un dossier così ampio e completo come quello offerto dai monumenti pubblici puteolani è un'occasione unica per tentare un approccio il più completo possibile alla materia. 1.1. Lo studio dei monumenti
Il lavoro è strutturato in due parti. Nella prima (capp. I-IV) si affronta lo studio dei singoli monumenti e contesti monumentali. Ogni capitolo di questa parte è a sua volta suddiviso in diverse sezioni, dedicate alla raccolta della bibliografia; all'elenco delle fonti (le epigrafi appartenenti al monumento in oggetto ed i testi letterari che lo menzionano, nonché quelli discussi nella storia degli studi sono stati trascritti per esteso); alla storia degli scavi e degli studi; all'esame descrittivo di ogni sua parte; alle tecniche costruttive ed ai materiali impiegati; all'analisi dei volumi monumentali con il tentativo di ricostruzione del progetto; alla decorazione architettonica (quando è possibile, în questa sezione vengono presentate le ipotesi ricostruttive). Ogni capitolo è concluso da una sezione nella quale si tenta una lettura parallela dei dati archeologici e delle fonti scritte. Questo in linea generale. In realtà, i monumenti puteolani hanno subito nella storia degli studi sorti diverse, fatto che ha diversificato anche il nostro approccio alle problematiche, trattate in precedenza in modo diseguale. In pratica, il solo Anfiteatro Maggiore era stato oggetto fino ad oggi di una presentazione scientifica sistematica? che, pur con i suoi limiti‘, si è dimostrata completa ed estesa a tutti gli aspetti principali del monumento. In questo caso abbiamo sintetizzato i dati editi, verificandoli per quanto possibile con l'esame autoptico, con lo scopo di perseguire una lettura parallela di strutture e decorazioni. Questa verifica ha portato, ad esempio, alla precisazione di alcune questioni rimaste insolute, come la correzione della lettura dell'unico bollo rinvenuto nella struttura, o la scoperta di un certo numero di capitelli diversi dalla serie principale attribuita alla porticus in summa cavea, finora considerata omogenea, e dunque al riesame di tutta la seconda fase del monumento. 1l cosiddetto Tempio di Serapide, ovvero uno dei macella meglio conservati del mondo romano, scavato tra la fine del XVIII e l'inizio del XIX secolo, è stato oggetto di una strana sorte. Da un lato l'imponenza dei suoi resti lo ha da tempo imposto all'attenzione del pubblico e degli studiosi. Dall'altra parte, le strutture hanno attraversato vicende piuttosto tormentate: parzialmente riutilizzate prima da impianti termali e poi dall'Antiquarium Flegreo, presentano oggi particolari condizioni di conservazione, imposte dall'oscillare del bradisismo e dalla presenza di sorgenti nel sottosuolo, che hanno tenuto a lungo sommersi una parte dei resti. Questa situazione ne aveva finora complicato, scoraggiato, quando non materialmente impedito, l'esame autoptico. Grazie agli attenti interventi seguiti alla demolizione dell'Antiquario Flegreo, è stato possibile studiare da vicino il Macellum e chiarire l'esistenza di due fasi ? B. Zevi, Saper vedere l'architettura, Torino 19972, 30. 3 Maıunu 1955.
^ Uno di questi limiti pu considerarsi la metodologia di scavo impiegata (cfr. infra, cap. I, $ 1).
Premessa
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costruttive del monumento antico. In entrambe i casi i dati pubblicati in saggi precedenti sono stati ripresi in considerazione e verificati, ma nel caso dell'anfiteatro non si è proceduto a formulare nuove tipologie ad esempio per i paramenti murari, perché esistevano quelle proposte nell'edizione del Maiuri, che si sono ritenute affidabili. Nel caso del Macellum, invece, le tecniche edilizie non erano mai state prese in considerazione, ragion per cui si è proceduto ad una schedatura delle strutture sulla quale si è basata una tipologia dei paramenti murari. Si è preferito, a questo proposito, non insistere in classificazioni troppo minute, cercando di presentare invece un quadro sintetico, dal momento che lo scopo del presente lavoro non era quello di stendere la storia delle tecniche edilizie romane a Pozzuoli, ed il loro esame si è ritenuto necessario solo in quanto funzionale alla comprensione della storia edilizia ed architettonica dei singoli monumenti. Riguardo al foro di Puteoli, la mancanza di informazioni precise sui singoli edifici, ha suggerito di accorpare in un solo capitolo l'esame di tutta la decorazione architettonica e delle epigrafi provenienti da via Rosini.
Più complessa la situazione degli edifici sacri. Nell'unico caso in cui le strutture sono ancora parzialmente visibili — il tempietto di via Oberdan* - manca la decorazione architettonica (si tratta di una edificio in laterizi stuccati). In tutti gli altri casi siamo di fronte a contesti non più visibili, tutti ricostruibili, per quanto possibile, solo attraverso l'esame dello stesso gruppo di pratiche d’archivio, relative agli scavi avvenuti nella medesima area, e, dunque, tutte collegate, o collegabili tra di loro. Il Tempio Corinzio, la lunetta con testa fitomorfa; il clipeo con il busto del Genio furono rinvenuti nella zona compresa tra via Terracciano e via Girone, nei fondi Liardo, Cosenza e Oriani. Inoltre è stato, naturalmente, necessa-
rio esaminare congiuntamente le fonti relative a tutti gli edifici sacri, dal momento che nessuno di questi, ad eccezione del Capitolium repubblicano ed augusteo, è stato identificato con sufficiente grado di certezzaS. Per questo si è preferito raccogliere in un unico capitolo lo studio degli edifici sacri e delle attestazioni letterarie ed epigrafiche dei culti, con particolare riguardo a quelli per i quali viene menzionato un tempio. Le questioni topografiche relative ai monumenti ed ai contesti citati sono state trattate nei casi in cui
dati nuovi potessero contribuire alla soluzione di eventuali problemi lasciati aperti dalla storia degli studi, dal momento che la ricerca moderna, a partire dallo studio del Dubois, prosegue intensamente l'indagine sulla forma e l'urbanistica di Pozzuoli romana”. 1.2. Lo studio della decorazione architettonica
la seconda parte (capp. V-VID è dedicata all'esame della decorazione architettonica. Si è ritenuto opportuno in questa sede premettere allo studio dei materiali una breve introduzione di carattere metodologico. 1.2.1. Problemidi metodo
La decorazione architettonica degli edifici di Pozzuoli è stata studiata secondo criteri di analisi formale che tenteremo qui di chiarire in breve. Intendiamo per analisi formale l'esame dei materiali secondo criteri tipologici e stilistici. La distinzione non è puramente terminologica, per quanto l'esame tipologico rientri a pieno titolo nell'analisi stilistica. Nel campo dell’arte decorativa, infatti, ci si trova a lavorare con tipologie di elementi privi di risvolti funzionali, nella classificazione dei quali l'assenza del rapporto forma-funzione in un certo senso svincola dal necessario ancoraggio tra variazione della forma 5 Cfr, SommeLta 1978, nr. 16. ὁ Cfr. cap. IIl, nota 2. 7 Solo per citare gli studi a carattere generale, si vedano:
Dubois 1907; SOMMELLA 1978; GIALANELLA, SamPAOLO 198081; ΟἸαιάνειια, SampAOLO 1987; GIALANELLA 1993; Gian FROTTA 1993,
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Premessa
€ mantenimento della funzione dell'oggetto. Le tipologie così costruite nella storia degli studi sono state spesso utilizzate per la ricostruzione del gusto alla base delle composizioni decorative, in senso, quindi, pienamente stilistico, ma poi, applicate a materiali da classificare, hanno finito per costituire una griglia più o meno stretta utilizzata per la collocazione cronologica dei pezzi. In questo modo il concetto di «tipo» ha finito per assumere un valore ibrido ed ambiguo, riassumendo al suo interno connotazioni morfologiche, stilistiche, cronologiche. Cerchiamo di spiegarci con un esempio tratto da quella che forse è la più nota tipologia finora stilata nel campo della decorazione architettonica, quella costruita dal Leon per lo studio delia decorazione del foro di Traiano, ma che praticamente abbraccia circa un secolo di evoluzione dei materiali urbani. In questa classificazione il termine jp è applicato con due significazioni differenti: da un lato, ad esempio, il kyma lesbio è un tipo di ornamento differente rispetto al kyma ionico?. Dall'altro lato, la stessa terminologia viene riportata nell'analisi interna a ciascuno di questi elementi, e si distingue cosi un tipo di dyma ionico con freccette, da un tipo con lancette, ed infine, all'interno di ognuno di questi ultimi le distinzioni cambiano e finiscono per assumere un valore crono-tpologico!®. Il discorso del Leon, che lavora per lo più sulla base di materiali ben datati dal contesto, finisce col non risentire di questa ambiguità di fondo che, nel suo lavoro, rimane a livello terminologico. Il problema sorge quando questi risultati si cominciano ad applicare alla classificazione di materiali non datati, pretendendo di adoperare le tipologie del Leon (come quelle di chiunque altro) come fossile guida per stabilire cronologie, committenze ed officine, così come si adopererebbe, ad esempio, la sintesi del Morel per classificare ceramica a vernice nera. Questi criteri, e il loro abuso, hanno portato nella ricerca recente, soprattutto in quella tedesca degli ultimi venti anni, al contrasto tra due linee: in una si assiste alla negazione del valore della tipologia come elemento cronologico, riducendo le variazioni alla tradizione delle officine ed alla funzione degli elementi (FREYBERGER 1990, ma soprattutto ROHMANN 1998); mentre nell'altra si riprende la tradizione della tipologia come elemento datante, arrivando ad ignorare le considerazioni legate alla cultura materiale: officine, artigiani, contesto (da ultimo, MATTERN 2001). Era ovvio che, dopo i lavori di Heil meyer (HEILMEYER 1970) e Leon (LeoN 1971), nei quali erano state portate al massimo delle possibilità le osservazioni silistiche (Heilmeyer) e tipologiche (Leon), non si potesse continuare solo in queste direzioni, ma occorresse prendere in considerazione altri parametri: i materiali, i modi di lavorazione, la committenza, i contesti. Ma sembra che nella storia degli studi sia avvenuto una sorta di divorzio tra gli studiosi che privilegiano l'aspetto semantico, e dunque si occupano di messaggi e programmi decorativi, e quelli che continuano a privilegiare l'aspetto formale: cosi nell'ultimo decennio è apparsa una serie di opere dedicate esclusivamente ad alcune sottoclassi, più che classi, di materiali: fregi con motivi vegetali (MarHEA-FORTSCH 1999), pilastri decorati (SCHÖRNER 1995), capitelli corinzieggianti (Gans 1992), cornici (MATTERN 2001). È certo che la classificazione sia uno strumento indispensabile per circoscrivere ambiti
cronologici, ma bisogna tenere conto del fatto che non si possono ottenere gli stessi risultati da tutte le classi di materiali quando queste sono prese singolarmente, e che le informazioni cronologiche ottenibili per esempio, dalla classe dei capitelli sono più circostanziate, di quelle mai deducibili da un esame delle cornici sistemate tipologicamente, per non parlare degli architravi. Il numero ridotto di elementi variabili all'interno dell'apparato canonico di un capitello corinzio, ad esempio, consente facilmente l'individuazione di fasi cronologiche differenziate, in quanto maggiormente isolabili sono le innovazioni, per lo più connesse alle tecniche di lavorazione e ai modi di produzione. Così, nell'iconografia delle foglie d’acanto le varianti tipologiche sono ridotte (mollis, spinoso e frastagliato) e le differenze sono dovute al maggiore Ὁ minore uso del trapano nella definizione delle forme, che semplifica i modi di produzione dando luo80 ad «iconografie» differenti. Nelle cornici, invece, la struttura rettilinea delle superfici consente una minore variazione delle tecniche di lavorazione, e quindi nellintroduzione di elementi tipologici nuovi. Questa introduzione avviene in più diretta corrispondenza con cambiamenti nel gusto e nello stile che * Leon 1971. ? Lron 1971, passim.
10 Lrov 1971, 245 sgg., dove gli elenchi dei tipi di ornamenti sono inquadrati in specchietti cronologici circostanziati.
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non nei modi di lavorazione. La scarsa leggibilità tecnica del segno rende più difficile l'individuazione cronologica nel riproporsi di tradizioni decorative. Questo fa si che, mentre è quasi impossibile confondere un capitello augusteo con uno traianeo, è molto più difficile riconoscere una cornice augustea da una traianea prodotta dal revival della stessa tradizione decorativa. A questa difficoltà si è reagito, come abbiamo detto, in due modi: da un lato sono state costruite griglie tipologiche rigidissime che, applicate ai materiali, hanno talora prodotto inquadramenti assurdi e totalmente estranei al contesto storico. Un esempio è il recentissimo esame che il Mattem dedica alle cornici dell'arco di Domiziano sul Palatino!!, e che lo porta a datare questi esemplari all'età Severiana! Dall'altro lato, lavori dove la cautela estrema che caratterizza il rapporto tipologia-cronologia, dove anzi questo rapporto viene sostanzialmente negato, quale appunto lo studio del Rohmann sui capitelli di Pergamo, portano ad eccessi opposti. Esempi sono nello studio di contesti Pergameni come l'Asblepieion, o i portici del Traianeo. Il primo ha subito restauri in occasione di almeno due eventi sismici, ma il Rohmann sottovaluta le differenze tipologiche che appaiono tra i due capitelli delle latrine e quelli della Stoà Nord!2, appiattendole, ed attribuendole semplicemente a mani diverse!3. Anche nel Traianeo, le differenze dei capitelli dei portici Est ed Ovest, pertinenti ad un intervento successivo, di età adrianea, rispetto a quelli del tempio, diversità, e seriorità, segnalate dall’Heilmeyer"*, sono state completamente ignorate e attribuite a diversità delle mani degli esecutori. In entrambe i casi si è totalmente trascurata la variabile dovuta ad interventi successivi, che possono meglio giustificare le diversità Ia soluzione sta verosimilmente nel mezzo, nell'inquadrare, cioè, gli elementi tipologici innanzitutto come un fatto morfologico e, soprattutto, tentando di dedurre le informazioni cronologiche in primis dai dati del contesto archeologico, poi, quando questi manchino, dalla convergenza di tutti gli elementi ricavabili dall'analisi formale interna, evitando assolutamente di isolare alcuni elementi ornamentali e sfruttarne i cambiamenti utilizzandoli come fossile-guida. Spesso solo il contesto, la sintassi decorativa, il concetto di ornamentazione alla base di un intero repertorio, o della sua interpretazione, consentono di distinguere (quando lo consentono!) un kyma ionico a freccette di epoca flavia da un omologo severiano prodotto dalla cosiddetta flavische Renaissance. Da qui si capisce come risulti pericoloso adoperare, ad esempio, esclusivamente la forma del suddetto kyma per distinguere un elemento flavio da uno severiano prodotto nella medesima tradizione. Utilizzare un criterio stilistico per spiegare delle differenze vuol dire tentare di ricostruire lo stile alla base delle composizioni, non prendere a unico fondamento la morfologia di un elemento piuttosto che di un altro. Lo stile deve essere un fenomeno ben documentabile, e significativo, perché da un lato intimamente connesso ai processi mentali che presiedono alla realizzazione dell'opera (d’arte come di artigianato), dall'altro storicamente determinato attraverso l'interazione di condizioni culturali, sociali ed economiche. Se così è, allora deve anche essere possibile da un lato riconoscere le modificazioni stilistiche, dall’altro trarre tutte le informazioni ad esse connesse. Per questo riteniamo che il vero punto focale della questione non sia nel riconoscere o meno valore cronologico, o tecnico, al singolo dettaglio, quanto
piuttosto nel porre attenzione alla storia ed al contesto. Ci riferiamo in particolare ad una metodologia che non prenda in considerazione un dato o due, esasperandoli, ma consideri unitariamente tecnica, materiali e rapporto tra modello e continuità d'uso; ed inoltre tematiche architettoniche come le proporzioni dei singoli elementi, non isolati in sottoclassi esaminate per sé, ma considerati nello sviluppo di ogni singolo elevato monumentale. In quest'ottica considereremo, dunque, lo studio tipologico e quello stilistico come correlati, ma indipendenti. Il primo tende ad esaminare una morfologia, il secondo una fenomenologia. Nell'ambito
bra atrbuibile solo alle dimensioni minori, esistono infatti pezδι Mares 2001, 202 kat. I, 47. 12 1 capielli delle larine presentano caulicoli a spigolo e _ zi adrlanei di piccole dimensioni nei quali la struttura rimane foglie appiatite, elici c volute ridote, carater tipici del pieno ^ classcistica, un esempio sono i capitelli del piano superiore porta dell'agorà di Mileto (StrocKa 1981, fig. 3). II secolo; quelli della stoà Nord conservano elici e volute — della 3 Roruaw 1998, 80 sgg. ampie, caulicoli organici e foglie staccate dal kalatbos, carate14 Hennaever 1970, 76 ristiche dell'epoca adrianea. La silzzazione dei primi non sem
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Premessa
della tipologia saranno valutate le variazioni formali per sé, vale a dire l'evoluzione della forma di ogni tema ornamentale nella decorazione architettonica puteolana. La classificazione che ne deriverà avrà un
valore puramente descrittivo. L'analisi stilistica valuterà gli aspetti appunto stilistici della tipologia, vale a
dire l'evoluzione della forma, ma anche la resa dei singoli elementi, nonché associazioni di un tipo ornamentale con altri, la ricostruzione di una sintassi, questa sì cronologicamente significativa. La combinazione dei due livelli di analisi porterà alla classificazione del materiale sotto più punti di vista, condurrà cioè ad un inquadramento cronologico, proposto per confronto con materiali datati di altri contesti, ma anche ad una ricostruzione delle prassi delle officine puteolane, e ad una loro proposta di identificazione. Il primo aspetto sarà trattato nel catalogo, il secondo nel capitolo VI, nel quale verranno utilizzati anche tutti i dati ricavabili dai materiali. Il tutto però tentando di non astrarre la decorazione dal suo contesto, riguardandone cioè lo sviluppo, anche stilistico, nell'ottica della storia di singoli e concreti progetti edilizi, condizionati da materiali, disponibilità economiche, esigenze dei committenti. 1.2.2. Il catalogo: provenienza degli oggetti ed organizzazione dei dati
11 catalogo (cap. VII) è stato posto in coda al testo, e lo si è concepito come un organismo indipendente, dove sono state raccolte tutte le informazioni disponibili su ogni singolo pezzo e lo studio tipologico-stilistico, basato su contesti datati e pubblicati, che ha consentito di formulare proposte di classificazioni cronologiche. Questo per consentirne una facile consultazione anche durante la lettura della prima parte che, naturalmente, contiene ad esso numerosi richiami. Non tutti gli oltre 1000 pezzi esaminati e schedati durante la ricerca hanno trovato posto qui, nella redazione finale: alcuni sono risultati troppo antichi rispetto ai limiti cronologici della ricerca (capitelli e cornici giulio-claudi); altri poco significativi, perché decontestualizzati e privi di caratteristiche utili al loro inquadramento cronologico (ad esempio cornici lisce di provenienza ignota). Quelli inseriti nel catalogo sono circa 500. Molti di questi sono stati ricontestualizzati grazie ad una ricerca a tappeto che ha interessato tutti gli archivi della Soprintendenza Archeologica di Napoli: sono state esaminate le pratiche con la documentazione degli scavi dagli inizi del ‘900; tutto l'archivio fotografico relativo a contesti puteolani; spogliati gli oltre 40 volumi tra inventari e «sottoconti» della Soprintendenza e del Museo Archeologico Nazionale di Napoli. I pezzi che risultano ancora adespoti sono stati utilizzati nell'ottica di un quadro generale delle produzioni puteolane. Nello stesso quadro sono state esaminati i materiali custoditi presso i depositi del Museo Nazionale di Napoli, per i quali è certa solo una generica provenienza dall'area Flegrea. Il materiale puteolano fu, infatti, sistematicamente raccolto in due momenti storicamente distinti: durante gli scavi borbonici, condotti a Pozzuoli a partire dal XVIII secolo!S; e durante gli scavi post-unitari, condotti a più riprese in diversi siti”. I reperti provenienti dagli scavi borbonici furono prima portati alla reggia di Portici, quindi tradotti al Museo Archeologico; i marmi dai nuovi scavi, invece, furono, fino agli anni 960, conservati in parte presso l'Anfiteatro Flavio puteolano, in parte inviati a Napoli. Dopo la bonifica dell'area del cosiddetto Serapeo, negli anni ‘950, fu costruito, presso il Macellum, l'Antiquario Flegreo, contenitore deputato alla raccolta del materiale proveniente non solo da Pozzuoli, ma anche da Baia e Cuma. Furono allora trasportati in quella sede alcuni reperti precedentemente conservati al Museo di Napoli, e vi furono anche raccolti i materiali dagli scavi nuovi» degli anni tra 1950 e 1970 circa!. 25 Esistono, naturalmente, anche pezzi rinvenuti prima del XVIII sec. non frutto di interventi sistematici, la cui provenienza è ormai impossibile ricostruire. 16 In quel peiodo iniziarono le indagini presso il cosiddetto Tempio di Serapide»; cfr. Di Guasco 1773, ? Una fondamentale raccolta ed un esame dei dati provenienti da questi scavi, letti in chiave topografica, è in GaraveLLA, SAMPAOLO 1980-81, pp.133-61.
75 Esiste, a questo proposito, una lista ufficiale presentata a Re Carlo di Borbone con l'elenco dei reperti provenienti dagli scavi del regno tra il 22 Ottobre 1738 ed il 22 Ottobre 1756 sulla quale cfr. G. Guadagno in Cronache Ercolanesi 11 (1981), 129. 19 Si veda, a questo proposito, quanto segnalato in più punti, nei registri dell'Inventario Generale della Soprintendenza Archeologica di Napoli, ad es: il gruppo inventariato
Premessa
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Nel 1975 l'antiquario fu demolito e, in quella occasione, le opere d'arte ivi custodite furono in parte (prevalentemente sculture) riportate a Napoli, ed in parte (prevalentemente architettonici di provenienza puteolana) trasferite al deposito dell'Anfiteatro Flavio, nella stessa Pozzuoli.
Dunque, i materiali puteolani oggi conservati presso il Museo Nazionale di Napoli provengono da
più «fonti» distinte: si tratta di reperti borbonici trasportati direttamente da Portici, oppure di oggetti
custoditi, fino al 1975, nel demolito Antiquario Flegreo, e ricondotti al Museo dopo quella data, o, infine, di materiali da scavi più recenti (anni '990). A questi vanno aggiunti singoli pezzi o piccoli nuclei di materiali trasferiti di volta in volta perché conservati in luoghi la cui sicurezza fu compromessa dal bradisismo o dal sisma del 1980, ma questi sono i gruppi sui quali possediamo maggiore documentazione La certezza sulla provenienza di ogni singolo pezzo, almeno per ciò che attiene al materiale architettonico, probabilmente non si raggiungerà mai. Il catalogo delle trabeazioni è stato organizzato in modo che ogni blocco, o frammento di blocco avesse una sua scheda tecnica (con collocazione, provenienza, misure, dati sul materiale) ed ogni elemento, ricostruito raggruppando più blocchi dello stesso tipo, avesse un suo inquadramento stilistico e tipologico. I capitelli sono stati raggruppati in più tipi: ogni pezzo ha la sua scheda tecnica, ogni tipo il suo profilo descrittivo e la sua analisi stilistica e cronologica. Quanto alla terminologia, i raggruppamenti di pezzi omogenei per caratteristiche tipologiche sono stati definiti «Gruppi», e designati con una lette1a dell'alfabeto nel caso dei capitelli corinzi occidentali, mentre sono stati denominati «Tipi», e identifica-
ti con un numero arabo, nel caso dei capitelli corinzi orientali. Questo per rispettare i caratteri differenti
dei due grandi ambiti produttivi, che vedono nel caso degli esemplari orientali un grado elevatissimo di standardizzazione, certamente dovuto all’organizzazione altamente specializzata delle cave e delle officine ad esse connesse, e che conduce a livelli di uniformità tali nei singoli esemplari da non trovare confronti nemmeno nelle piü tarde, e semplificate, produzioni occidentali. Queste ultime subiscono certamente un processo di banalizzazione del repertorio decorativo, ma mantengono caratteri tutto sommato individuali che consentono, ad esempio nella Pozzuoli di ΠῚ secolo, di individuare ancora tradi zioni ed officine Per le basi si è proceduto a stilare una tipologia fondata sull'esame del profilo. I fusti di colonna sono stati schedati uno per uno e, spesso, grazie allo studio di tracce di restauri e riadattamenti, hanno fornito numerosi dati per l'analisi dei monumenti dai quali provengono, oltre a delineare un quadro sull'uso del marmo a Pozzuoli. Il catalogo è completato da alcuni studi di sintesi. Si è compilata, nel capitolo V, una tipologia deg clementi ornamentali, analizzando singolarmente ognuno di essi; si sono esaminati e riconosciuti, per quanto possibile, i marmi, fissando in una sezione del capitolo VI le considerazioni sul loro uso. Si è, infine, proceduto ad un tentativo di ricostruzione delle officine attive a Pozzuoli tra la fine del 1 ed il III secolo. A questo riguardo, l'identificazione e l'organizzazione dell'atelier dell'anfiteatro è stata discussa in dettaglio nel capitolo relativo al monumento (cap. I, $ 3.3), mentre la sua attività è stata inquadrata nelle produzioni puteolane nel capitolo VI, dove si tenta di identificare anche le maestranze impiegate nella decorazione di II e III secolo, di Pozzuoli come della Campania. Si è fatto talora riferimento a contesti inediti o parzialmente pubblicati (’Anfiteatro di Capua; i teatri di Teano e Benevento), che presentano materiali ben databili per la loro associazione con epigrafi. Si è tentato di utilizzare questi materiali, non ancora discussi nella storia degli studi, il meno possibile come riferimento per il catalogo, ad essi ci si è, invece, costantemente rifatti per ricostruire il panorama di officine e committenze nella Campania tra Adriano e Caracalla. Si è cercato, in ogni caso, per ogni rife-
rimento a pezzi inediti, di presentare tavole fotografiche degli elementi citati.
I dati rilevati sulle committenze sono stati riassunti e commentati nel capitolo conclusivo.
con i nor. da 150526 a 150538, relativi a sculture ed architet- — locazione- la nota: erigendo antiquarium puteolanotonici da Pozzuoli, proprietà Limongelli -- reca, alla voce «Col-
I. L’Anfiteatro Flavio
Bibliografia: Pour 1768; E.G. SCHULTZ in IxsnMrrr 1841, 183 sgg; Ga&UCCI 1851; Henzen in BULINST 1852, 93 seg; Rucca 1852, 239 sgg; ScHERILLO 1865, 244 sgg; Ineu 1865, 44 sgg.; Ipem 1866, 5 sgg.; Ink 1866, 89 sgg.; SOOLIANO in NSc 1888, 143-4; 236 sgg; RuaciERO 1888, 136 sgg.; Dunois 1907, 315 sg; Maroni 1928, 520 sgg; Inr 1955; D’Amsnosto 1976; Soeta 1978, 58 sgg. nr. 37; CAMODECA 1979b; Gatre 1979, 78 sgg. Sanpanni Tumoızst 1980, 57; GomN 1988, 180 sag.; GiataNELLA, SAMPAOLO 1987, 190 sgg.; Camper Frrcrer 1990, 86 sgg. Giatanenta 1993, 91 sgg; JOMANNowskv 1993, 101 sgg; Wüsow Jones 1993; Fora 1996, 19 sgg; SteurrnaGEL 1999, 150 sgg; De Caro 2002, 50 sgg; Baresi 2004; Dem 20042, 327 sgg. Demma 20045.
ah
Lastra iscritta — ingresso lato Sud — età Flavia AE 1956, 141=MAIURI 1955, 89 nr.V [Clolonia
Alug(usta)) / [Pluteolalna]
a5
Epistilio iscritto — anfiteatro, probabilmente dal portico esterno AE
Fonti Epigrafiche
[Flavia
pelculnlia sua]
1956, 138
Schola Orgliopbantarum]
a. Iscrizioni provenienti dal monumento
a6
al
Lastra marmorea -- presso l'ingresso orientale AE 1928, 120
Lastra iscritta — ingresso lato Nord -- età Flavia CIL X 1789; Maruri 1955, 86 nr. I
[Collonfila. Filahlta Aug(usta) / [Pulteolana plecunia sua]
a7
Pavimento a mosaico — arcata X
a2
Lastra iscritta — ingresso lato Ovest -- età Flavia Maiuri
Divo [---] / navicullar---] / quia DVI---] / et
copia [---]
AE 1956, 137
Pulve / ri Amo / ri Sca / billari / orum
1955, 87 nr. Il
[Colonia Flavia [Aug(usta)) / [Puteoloana peclunia [sua] a3
Lastra iscritta — ingresso lato Est — età Flavia Maturi 1955, 87-8 nnrr. II-IV IClolonia Flavia ] Alug(usta)) / [Pluteolana plecunlia sua
48 Pavimento marmoreo dc.
AE 1956, 136 Gaius)
Stonicius
- sacello arcata I —
pal)imentum sua pequnia
Trophimianus | marmorabit
Filippo Demma
28 a9
Lastra marmorea — reimpiegata nella pavimentazione dell'ingresso E dell’arena. 165-6 d.C. AE
1980, 262
Sexx(t0) Cornelio [Sex(ti)? füilio)] Quirtina tribu) [Repentino / clarissimo) v(iro) plraeftecto)] priaeli(orio) / divi Antonini Pii et imperatorum M(arci) [Aureli(i) Antonini Aug(usti)) Armefniaci et l(uci) Veri Aug(usti) Armjeniaci / Parthici
Maximi. ab epfistulis proc(uratori) XX bereditatium, adjvocatlo fisci sacerdoti Caeninensi / Colonia [Flavia Alug(usta) [Puteoli] 210
Lastra marmorea -- presso l'ingresso E dell’arena. Età traianea
Maiunr 1955, 140 Imp(erator) [Caesar ---ἰ / divi Nervae filius) -| / Aug(ustus) Glermanicus -—] / Pont(fex) Mlaximus) --- trib(unicia)) / potesil(ate) ---]
rimaste sempre in gran parte frequentabili, e principalmente i pilastri di piperno, furono oggetto di spoglio sistematico?. L'8 Marzo 1837 un Regio Rescritto sospendeva,
com'è noto, gli scavi di Ercolano; quasi due anni più tardi le risorse borboniche venivano impiegate nello sterro dell'anfiteatro puteolano. Le operazioni furono dirette dal Bonucci, fino al 1845, poi,
nel quinquennio 1850-55, dal Ruggiero. Un primo parziale resoconto fu pubblicato dallo Schultz nel Bullettino dell'Instituto di Corrispondenza Archeologica del 1841, e ci informa (pag. 184) che l'area interessata dagli scavi corrispondeva al quarto della struttura compresa tra gli ingressi Sud ed Est3. Sembrerebbe quindi da attribuire alliniziativa del Ruggiero quello che il Maiuri chiama «il vero discoprimento dell'edificio, dell’area della cavea, degli ambulacri e d'una parte dei sotterranei L...J4. Dopo un quarto di secolo d'interruzione, gli scavi ripresero nel 1880, per meno di due mesi, e,
di seguito, tra il giugno e l'agosto del 18825. I lavori
furono condotti con una sensibilità logistica tanto scarsa che le terre di risulta vennero scaricate nella Tegola bollata (nr. 6 esemplari) -- fognoli -- stessa area del monumento, e addirittura ricopriroseconda metà Ld.C. In cartiglio circolare no le strutture sempre rimaste in luce nel lato Ti Claudi Aug 1. Potisci meridionale. I tesori d'arte che ci si aspettava di recuperare non riemersero mai, né potevano riemergere da quelle terre”, e la loro mancata scoper1. Gli scavi e gli studi: linee per una storia ta causò, secondo alcuni, l'abbandono precoce delall
le operazioni®.
L'Anfiteatro Flavio di Pozzuoli si trova sul fianco Sudoceidentale della collina della solfatara, al limite Sudorientale della terrazza mesourbana (Tav. A nr. 61), la sua mole condiziona il tracciato del tratto urbano della via Domitiana!. La sua posizione fu, dopo l'abbandono, la causa principale dell'enorme colmata alluvionale che tuttavia non riuscì mai ad obliterarlo completamente. Come avvenne per il c.d. Serapeo, le strutture,
L'ultima grande fase di interventi risale alla prima metà del XX secolo ed all'iniziativa di A. Maiuri. I lavori del 1926 interessarono l'ingresso orientale, con l'obbiettivo di creare un accesso al monumento dal lato di via della Solfatara; quelli del 1928 l’intero settore meridionale? Questa seconda campagna fu propiziata dalla necessità di provvedere alla colmata di alcune zone della città bassa invase dalle acque a causa del bradisismo.
1 βομμεῖσα 1978, 58 sgg. nr. 37; GIALANELLA, SAMPAOLO 1987, 190-2; GIALANELLA 1993, 91 spg. ? Basta uno sguardo alle tavole pubblicate dal Paoli (Pao11 1768, XXI sgg) per accorgersi di come buona parte del circuito esterno c dei vomitoria fossero frequentabili ancora nel XVIII secolo. Si ignorava, invece, la presenza dei sotterranei dell'arena. Per lo spoglio delle strutture cfr. MAILRI 1955, 11 sgg. e nt. 9, 3 resoconti successivi, in Nsc 1880, 1882; 1888 sono piuttosto scami, spesso inesatti e comunque basati sulla sola descrizione dei pochi repent rinvenuti
4 Maturi 1955, 93 nota 12; Ἀυσοιπκο 1888, 137 sgg. 5 Dal 2 Febbraio al 24 Marzo 1880, cfr. NSc 1880, 64 sgg. 6 Matunı 1955, 92:3 nota 12. 7 Le poche sculture sono presentate dal Maiuri (Manni 1955, 77 sgg). Il gruppo più cospicuo fu rinvenuto stipato nell'arcata XXI e pronto per essere trasformato in calce verosimilmente nellofficina impiantata nellarcata adiacente, 1a XII (vedi infra) 5 Maturı 1955, 92 nt. 12. 9 Su questa fase dei lavori cfr. Maıunı 1927; IDeu 1928.
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1. L'Anfiteatro Flavio
Per queste operazioni di bonifica la Soprintendenza propose di «trarre [...] quanto possibile delle terre dell'anfiteatro» e l'Alto Commissario per la Provincia di Napoli accolse la proposta e si assun-
se la maggior parte degli oneri dello sterro!0. Restava quindi da scavare la zona settentrionale, nella quale le proprietà private si spingevano quasi a ridosso del monumento. Le difficoltà causate da questa vicinanza trovarono una soluzione circa dieci anni più tardi,
tra il 1939 ed il 1941.
Gli anni più recenti hanno visto una serie di piccoli interventi di scavo, per lo più collegati ai restauri della struttura. Uno di questi saggi d'emergenza, praticato nel 1975 presso l'ingresso Est, ha consentito il rinvenimento di numerosi frammenti iscritti, reimpiegati nella pavimentazione, che recavano la grande iscrizione onoraria posta dalla Colonia a Sex. Cornelius Repentinus".
Dopo i restauri degli anni 50, immediatamente successivi alla scoperta totale della struttura, e tutto sommato mirati e contenuti, un massiccio inter-
za Archeologica di Napoli; i primi interventi hanno visto la rimozione dei restauri moderni nella parte bassa della cavea, fatto che consente oggi di ammirare i gradoni originali. La storia degli studi sul monumento procede, quindi, di pari passo con l'avanzare della scoperta delle strutture. Già il Paoli, nel 1768, aveva pubblicato una pianta dell’edificio; nonostante gli scavi borbonici, il rilievo rimase l'unico disponibile fino all'inizio del ‘900. In questa prima fase ad eccezione degli studi del Garrucci (Ganruccı 1851) e della comunicazione dello Henzen all’Instituto di Corrispondenza Archeologica (HENZEN 1852), che riguardarono principal-
mente i frammenti fino ad allora scoperti delle iscrizioni di dedica, il lavoro dei dotti si centrò su aspetti particolari del monumento: i sotterranei, l'arena!5, le porte, i cultiV, il podio!8, dando talora luogo ad interpretazioni bizzarre e fantasiose. la vecchia, e per forza di cose approssimativa,
di restauri nella cavea, diretta dalla Soprintenden-
pianta del Paoli rimase l'unica documentazione grafica dell'anfiteatro fino all’inizio del XX secolo, quando la Soprintendenza di Napoli incaricò l'architetto M. Abatino di eseguire nuovi rilievi. Il lavoτὸ dell'Abatino costituì la base grafica adoperata dal Dubois, al quale si deve la prima analisi scientifica del monumento®. Lo studioso francese, che non conosceva ancora l'intero quadrante Sudovest, né la sezione settentrionale dell'ambulacro, distingueva due fasi nella costruzione e collocava la prima, sulla scorta delle due dediche a lui note, all'epoca di Vespasiano, la seconda, dubitativamente, all'età degli Antonini. Il monumento doveva essere, secondo questa interpretazione, privo di sotterranei nel momento iniziale della sua vita, quando avrebbe ospitato naumachie, favorite dal ramo dell'acquedotto campano che vi conduceva l'acqua Venendo di moda le grandi venationes, l'anfiteatro fu, secondo il Dubois, dotato di sotterranei per ospitare le bestie e di macchinari funzionali all'elevazione delle fiere al piano dell'arena.
19 Cfr. Marci 1928, 522. 1 CAMODECA 1979b; iscr. a9, 121 restauri, seguiti da chi scrive sotto la direzione di C. Gialanella, sembrano fornire alcuni dati nuovi sulla struttura se ne renderà conto in un apposito studio. 13 Si tratta della iscr. a.1 del nostro elenco, rinvenuta il 5 Giugno 1942 presso il lato Nord (RuacieRo 1888, 139; Maru-
κι 1955, 85; 97 nt. 72). 1 Rucca 1852. 15 ScueRILLO 1865. 16 ScHeRILLO 18652. 1 ScHeRILLO 1866. 18 ScHenILLO 18662 » Dusors 1907, 315 sgg.
vento di restauro ebbe luogo negli anni 70, terminato nel 1977, e riguardó soprattutto la cavea. In quell'occasione furono ricostituiti in maniera assolutamente corretta il profilo delle volte dei vomitoria e le ghiere degli archi sulla loro facciata, mentre vennero solo frettolosamente puntellate le coperture di alcuni ambienti radiali, pure visibili dallarena. L'intenzione di rendere di nuovo frequentabile la massima porzione possibile della cavea, probabilmente per poter riutilizzare l'anfiteatro come luogo di spettacolo — come avveniva già, ad esempio, all'arena di Verona — condusse a
ricostruire le gradinate superiori ad un livello più alto di quello originale e, di conseguenza, costrinse gli architetti a ricoprire i gradini dell'ima cavea, che erano invece perfettamente conservati. In realtà i| monumento non venne mai utilizzato come teatro all'aperto, fino al 2000, quando furono installati i sedili lignei sull'emiciclo meridionale. Attualmente è in corso una seconda campagna
Filippo Demma
30
Gli studi del Maiuri, che fece correggere ed integrare i disegni dell'Abatino, ed eseguire nuovi rilievi a cura dell'architetto M. Trepiedi, seguirono le ultime grandi operazioni di sterro, e costituiscono l’editio princeps del monumento. L'autore confuta le opinioni del Dubois in merito alla posteriorità dei sotterranei ed alla possibilità di naumachie nel primo momento di vita del monumento. Egli individua sì una seconda fase, ma vi attribuisce
esclusivamente i restauri del porticato esterno e
la realizzazione di sacelli e scholae nel circuito meridionale. La datazione di questi interventi viene posta nel tardo II secolo, sulla base della paleografia dell'iscrizione degli scabillari (supra iscr. a. 7) e della posteriorità del pavimento che la contiene rispetto ai pilastri di rinforzo del portico esterno. Il Maiuri tocca tutti gli aspetti del monumento, dall'impianto idraulico alla decorazione scultorea, € fornisce una quantità di dati tale da lasciare spazio, nella seconda metà del XX secolo, solo a lavori relativi agli aspetti topografici ed urbanistici della struttura (SomMeLLA 1978; GIALANELLA, SAMPAOLO 1980-1; Garaneina 1993), od a sintesi descrittive (Campı FLEGREI 1990; JOHANNOWSKY 1993; De Caro 2002). Fa eccezione l'originale saggio del Graefe (GrAErE 1979, 78 sgg.) che esaminando i velari del mondo romano, prende in considerazione anche l'esempio di Puteoli, La forma architettonica dell’edificio, trascurata nello studio, eminentemente archeologico, del Maiuri, è stata oggetto di un’ampia ed approfondita analisi nel monumentale lavoro che il Golvin ha dedicato agli anfiteatri del mondo romano®, successivamente rivisto per tutte le questioni inerenti le misure ed il progetto dal più recente saggio del Wilson Jones?t. 1 due studiosi hanno esaurito le problematiche relative alla tipologia e le questioni collegate alla progettazione dell'edificio, ed il Golvin ha proposto di riconoscere nei collegi stessi, rappresentati nel monumento, i finanziatori dei restauri cui si è accennato sopra.
Una serie di osservazioni avanzate negli anni 770 del secolo scorso dal Le Glay prima e dal Camodeca poi, partono dalla lettura di fonti epigrafiche e letterarie che hanno stimolato un di? GonviN 1988. 21 Wilson Jones 1993,
battito sull'effettiva costruzione dell'anfiteatro in epoca flavia. I termini della questione verranno discussi in seguito, come di seguito si valuteranno
le ipotesi relative alla committenza dei restauri. Un altro lavoro che tocca problematiche relative al nostro monumento prende in considerazione esclusivamente i sacelli e le sedi collegiali identi cate già dal Maiuri nel lato meridionale dell'anfi teatro, e utilizza le evidenze archeologiche per far luce sull'identità corporativa delle associazioni professionali puteolane?. D. Steuernagel, autore del saggio, suggerisce una lettura congiunta delle ipotesi del Golvin e del Camodeca circa la committenza dei restauri, ma di questo, come si è detto, parleremo nell'ultima sezione del capitolo. I pavimenti delle scholae sono stati presentati da chi scrive in occasione del IX convegno annua-
le dell’Associazione Italiana per lo Studio e la Conservazione del Mosaico (DEMMA
2004a).
Parte
dei risultati del presente studio, segnatamente quelli relativi all'esame della decorazione del loggiato in summa cavea, sono stati anticipati nel convegno «Archaeological Methods and Approa-
ches: Industry and Commerce in Ancient Italye, tenutosi a Roma nel 2002 (Demma 2004b). Nella stessa occasione, e basandosi sui risultati discussi nello studio appena citato, P. Barresi ha presentato una stima dei costi della decorazione dello stesso loggiato, seguendo la traccia del metodo applicato da J. Delaine nello studio delle Terme di Caracalla, opportunamente integrato e corretto in base a una serie di nuove osservazioni (BARRESI 2004).
2. Descrizione
L'edificio (Fig. 2) era circondato da platea pavimentata in lastre di travertino, larga 7.75 m, delimitata da un sistema di transenne lignee agganciate ad una serie di pilastri quadrati (Fig. 3) alti ca. 174 cm e posti ad una distanza media di 277 cm; si sviluppava su due ordini di arcate ed era coronato da un attico porticato. L'asse maggiore misu-
ra 153.8 m; l'asse minore 121.25 m; le misure dell'arena sono: 74.78 x 42 m.
2 STEVERNAGEL 1999.
1 L'Anfiteatro Flavio
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300909 20000
Fig. 2 - Pianta (da STEUERNGRI, 1998)
Filippo Demma
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“anello esterno presentava un portico voltato impostato su pilastri di trachite con semicolonne addossate, rinforzato in un secondo momento da pilastri in laterizio interni, con relativi sottarchi,
che ridussero la luce dei passaggi a circa la metà di quella originaria (Figg. 4-5). Il laterizio fu stuccato e dipinto in rosso e bianco (Fig.
©).
Secondo il Maiuri (Maturi 1955, 18) in quest'occasione la stuccatura fu estesa anche alle membratu-
Fig. 3 - I sostegni delle transenne esterne.
re in pietra vulcanica Lungo il tracciato del portico esterno erano sedici punti d'accesso alle gradinate, quattro principali, lungo gli assi maggiore e minore, e dodici secondari distribuiti lungo il percorso. Dal portico esterno, poi, venti rampe di scale conducevano alla terza precinzione, alcune sboccando nei vomitoria, altre direttamente nella ‘galleria dei piano superiore. Il sistema di accessi era completato da una serie di otto scale e di alcune rampe intermedie che, raggiungibili sempre dal portico esterno, partivano dall'ambulacro intermedio e conducevano alle prime due praecinctiones. Tutte le scale di accesso alla summa cd alla media cavea presentano due fasi: a gradini accurata» mente sagomati in pietra vulcanica si sovrappongono gettate di cementizio con scalini i cui rivestimenti, oggetto di spoglio totale, potevano essere formati da lastre litiche 0, forse, da laterizi. La differenza di livello fra le due fasi è variabile,
va da 64 a 102 cm, e testimonia l'innalzamento
del livello di frequentazione dei percorsi dovuto alla ristrutturazione del portico esterno, in cui
SS se ἢ
l'aggiunta dei pilastri in laterizio restrinse e soprelevò l'ambulacro. Presso gli ingressi Sud e Nord sono poi due scalette che sboccavano ciascuna in una galleria ricavata sotto le volte della ima cavea, comunicante con l'arena e dotata di fontane su entrambi
i lati. La scala del lato Nord proseguiva verso il
basso fino al piano dei sotterranei tramite una porta, chiusa in un secondo momento”.
Le galle-
tie sarebbero servite come luogo di sosta per i gladiatori e per le fiere prima di entrare nell'arena,
Fig. 4 - Arcata inferiore della facciata e pianta con indicazione dei pilastri di restauro (da Witsow Jones 1992).
% pilastri in trachite misurano in media cm 181 x 123; la luce dei passaggi del portico fu ridotta dall'aggiunta dei rinforzi in laterizio (in media 180 x 125 cm) da 497 a 2.42 m — cfr. Figg. 45, Il Maiuri non precisa quando.
L'Anfiteatro Flavio
a
33
Fig. 5 - Portico esterno, pilastri in laterizio addossati alle strutture in piperno.
come fa ritenere anche la presenza delle fontane, che, secondo il Maiuri, sarebbero state funzionali alle abluzioni dei gladiatori prima e soprattutto dopo lo spettacolo. Il corridoio più interno (Figg. 7-8), che corre sotto il podio e presenta vari ingressi all'arena,
non doveva essere accessibile agli spettatori, ma
rispondeva verosimilmente ad esigenze di servizio. Questo stesso corridoio conduce, sul lato Sud, ad un sacello con nicchia absidata, forse riservato
ad esigenze cultuali (Fig. 9). L'ambiente misura
8.40 m di lunghezza ed ha una larghezza massima
di m 5.77, presentava pavimentazione marmorea su tutta l’area,
ad eccezione del settore Ovest, con
tessellato bianco, incrostazioni marmoree alle pareti.
La costruzione non deve risalire al primo
impianto dell’anfiteatro, poiché l'ambiente interrompe, con il muro occidentale, il corridoio del retropodio,
mentre
l'accesso dall'ambulacro
inter-
no spezza il percorso della galleria destinata al passaggio ed all'attesa dei gladiatori.
Lungo il portico esterno, ai lati dell'ingresso meridionale, alcuni degli ambienti radiali formati dalle sostruzioni della cavea presentano modifiche strutturali che ne segnalano particolari funzioni, connesse con la vita associativa delle corporazioni puteolane: alcuni erano sicuramente utilizzati come scholae, per altri la funzione di sede sociale è solo indiziari Nell'arcata I lo spazio tra i due pilastri occidentali del portico era chiuso da un muretto «a conci di tufo» spesso ca. 30 cm e conservatosi, al
34
Filippo Demma
Fig. 6 - Portico esterno, pilastri intonacati e dipinti.
Tig. 8 - Corridoio nel retropodio, botole per l'ispezione dei condotti fognari
τον μὰν Fig. 7 - Corridoio nel retropodio, accesso allarena e scaletta di comunicazione con la cavea.
Fig. 9 - Pianta del sacello nel retropodio (da Marux 1955).
1. L'Anfiteatro Flavio
Fig. 11 - Arcata VI, foto di scavo (Archivio SANO),
Fig. 10 - Arcata I, pi
momento dello scavo, per un'altezza massima di cm
65 C
10).
La
parete
Nord,
in reticolato con
ammorsature in laterizio, costituiva il fondo dell'ambiente; ad essa si addossava una struttura costituita da un muretto in «rozza opera muraria» 75 Alcuni frammenti scultorei, un piedee pezzi di panneggio, furono rinvenuti nel riempimento del bancone
(cementizio?) che formava un interstizio largo 75 cm, riempito di terra e sigillato da un'altra struttura orizzontale. Questo «podio» doveva essere rivestito di marmo e servire da basamento per statue di piccole dimensioni. La pavimentazione, in (Maroni 1955, 45).
Filippo Demma
36
moderne, sono state rinvenute nell’arcata LIX, in cui i passaggi tra i pilastri del portico erano chiusi da muri. Le arcate subscalari LX e LXIV presentano il lato
di fondo chiuso da absidi in reticolato, nel primo caso (Fig. 14) la struttura curvilinea si trova discosta dal fondo dell'ambiente e forma, nella parte orientale di questo, un piccolo vano profondo 3.10 m al quale si doveva accedere tramite una porticina nella porzione di abside che non si è conservata. Nell'arcata LXIV (Fig. 15) le tracce sono meglio conservate: l'ingresso dell'ambiente presenta stipiti e soglia marmorea, tracce di preparazione per l'allettamento di una pavimentazione in sectile si leg-
Fig. 12 - Arcata X, schola degli scabillarii - iscrizione pavi mentale (da Maui 1955).
opus sectile con marmi «bianco, giallo, rosso e serpentino», si conservava, al momento dello scavo, per un'area di 260 x 140 cm; su due dischi circolari era incisa l'iscrizione a. 87. La decorazione a stucco della volta dellarcata VI (Fig. 11) sembra indice della funzione particolare anche di questo ambiente, che doveva essere originariamente chiuso sul fondo, come mostrano i tagli che il Maiuri lesse nelle strutture radiali. Agli Scabillari si può attribuire il sacello dell'arcata X, che si segnala per la fodera della volta, successiva 2 quella originaria, per la presenza, a 3 m dalla parete di fondo, di un muretto rivestito di marmo simile a quello descritto nell'arcata I, e per la presenza tra i pilastri in laterizio del porti-
co, ai quali è successivo, di un pavimento a mosaico con l'iscrizione a. 7 (Fig. 12)8.
Dal lato opposto dell'ingresso Sud, vale a dire all'inizio del settore Sudovest, scarse tracce di pavimentazione in sectile, distrutta da costruzioni ? Sui pavimenti si veda ora Drmua 20042, 330-4; 341 fig. 5; 342 figg. 68. 55 Per il collegio a Pozzuoli cfr. CIE X 16423; 1647; sul
gono sul piano di malta visibile, come pure si è conservato il tectorium per il rivestimento marmoreo sulle pareti, sulle quali si distingue l'area dello zoccolo, alta 55 cm, e diversi specchi. Zoccolatura e pannelli si leggono ancora sull'abside. Al centro di questa è un basamento (cm 180 x 150; h 90) in cementizio, pure rivestito di marmo bianco sul quale doveva essere una statua. Una grossa breccia nel muro destro ed una cunetta che doveva contenere una fistula indicano l'originaria presenza di una fontana nell'ambiente. Il vano LXIX (Fig.
13) presenta un muro di
chiusura a conci isodomi di tufo sul lato Ovest,
tra i pilastri in laterizio; lo spazio tra questi era
pavimentato con lastroni di cipollino, mentre quello interno presentava un sectile con rombi © quadrati e grosso pannello quadrato centrale Le grappe nelle pareti indicano che queste erano rivestite di marmo. Due are «di fabbrica» (opera cementizia?) originariamente rivestite in marmo® sono appoggiate ad un muro alto 80 cm, pure munito di cornice marmorea, che doveva svolgere funzione di contenimento di un podio simile a quello dell'ambiente I (misure 3.20 x 1.80 m). Lo svuotamento del podio ha rivelato la presenza di una vasca (N) a pianta irregolare e due piccoli podi rivestiti di stucco, nonché di un canale (s) per l'alloggiamento di una fistula plumbea, non conservata, che dalla vaschetta correva lungo la parete per sboccare nei propilei meridionali. pavimento Drama 20042, 329-330; 341 fig. 4. 9 Ara ‘a cm 72 x 70; b' cm 60 x 60.
37
40.65.
1. L'Anfieatro Flavio
Fig. 13 - Arcata LIX, pianta (da Marni 1955).
Fig. 14 - Arcata LX, pianta (da MAIURI 1955).
Filippo Demma
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Oltre a queste evidenze monumentali il ritrovamento di alcune iscrizioni sia durante gli scavi borbonici che nelle successive campagne del 1926, ci dà notizia anche della presenza nell’anfitcatro anche delle sedi del collegio degli Orgiopbantae, sacerdoti dionisiaci (cfr. supra, iscrizione a. 5), nonché di ambienti con dediche dei Navicularii (cfr. supra, iscrizione a. 6). Le epi-
grafi, purtroppo, non sono più contestualizzabili con precisione.
I sotterranei (Figg. 16-18) erano accessibili gra-
zie a due ripide rampe carreggiabili sugli assi maggiori, coperte da tavolati lignei per consentire il passaggio al livello di frequentazione del portico, risultano strutturati attorno a due corridoi rettilinei assiali che determinano quattro settori serviti da un ambulacro ellittico perimetrale lungo il quale erano ambienti di servizio per le gabbie delle fiere. Un sistema di accessi minori era realizzato tra-
mite otto scalette, di tre rampe ciascuna, che collegavano i sotterranei con il retropodio dell'arena, oltre alle quattro ai lati dell'asse longitudinale. La fossa centrale lungo la media via serviva all'allestimento delle grandi scenografie, mentre macchinari di sollevamento posti lungo i percorsi perimetrali comunicavano con l'arena soprastante tramite botole ricavate sul piano. 2.1.
Sistema idraulico Il sistema di smaltimento delle acque piovane
era basato sull'impianto di due linee di displuvio: la prima serviva la summa cavea e la platea esterna, la seconda incanalava le acque delle restanti sezioni delle gradinate e dellarena. La prima linea utilizzava canalette in laterizio € fistulae plumbee, nessuna delle quali si è conservata, ma alcune di esse recavano il marchio della
Colonia Flavia Puteolana, se il Garrucci (Garruc-
CI 1852, 9) ne poteva leggere l'impronta sulla
Fig. 15 - Arcata LXIV, pianta (da MaruRI 1959)
malta dei pilastri dalle quali furono asportate. La linea di displuvio era ripartita in quattro settori dai quattro varchi principali, in ognuno dei quattro cunei in cui i due assi dividono l'anfiteatro le canalette e le fistule (Figg. 20-21, lettera a") convogliavano i flussi in un condotto ellittico che correva intorno all'ambulacro del portico esterno (Figg. 20-21 lettera A’); da qui partivano canali trasversali
I. L'Anfiteatro Flavio
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Fig. 16 - Sotterranei, pianta (da PUTEOLI 1993).
(Figg. 20-21, lettera A) che sboccavano in fognoni dal tracciato pure ellittico sottoposto alla platea esterna (Figg. 20-21, lettera A? e che si interrompevano in corrispondenza dei quattro ingressi.
Non è nota la struttura delle caditoie, ma, mancando un unico deflusso verso un collettore ester-
no, ogni sezione doveva avere un suo pozzo di
scolo che, secondo l'ipotesi del Maiuri, doveva condurre alla linea di confluenza del bacino interno. Questo bacino era la destinazione finale della seconda linea di displuvio, anche questa impostata su caditoie e canalizzazioni sia coperte che scoperte. L'acqua delle gradinate veniva convogliata in condoni ellitici correnti attorno all’ambulacro
del corridoio principale (Fig. 20-21, lettera b), ed al retropodio (Figg. 20-21, lettere B e B) comuni-
canti tramite canali radiali. Dai raccoglitori ellitti partivano pozzi di caduta comunicanti con condotti radiali posti ad una quota più bassa (Figg. 20-21, rispettivamente lettere c e P) che sboccavano nel collettore principale (Figg. 20-21, lettera C), diretto per via sotterranea al mare. Le due linee impostate sui condotti principali A e B raccoglievano anche le acque delle numerose fontane, alimentate dalle cisterne interne al monumento.
Alcune di queste fontane sono indiziate dalla sola
presenza di bocche di emissione, come nell'arcata III, altre sono meglio conservate.
4o
Filippo Demma
Fig. 18 - sotterranei (foto archivio SANC).
1. L'Anfiteatro Flavio
a
Nell’arcata XI una transenna impostata su una
soglia marmorea posta tra i pilastri interni del portico disciplinava l'accesso ad un'altra fontana alimentata da una delle doppie cisterne del quadrante Sudest, Nell'arcata XXIII! (Fig. 22) restano gli avanzi di due bocche, la prima, all'esterno, presenta ancora il bacino marmoreo (Fig. 23), la seconda conserva la sola bocca, posta però nellambulacro interno. Le bocche sono alimentate dalla doppia cisterna sotto la sostruzione delle gradinate. Le cisterne sopra citate sono situate in alcuni
dei vani radiali di sostruzione della summa e della media cavea, la loro fonte di alimentazione non può essere che l'acqua piovana. Lacquedotto campano, infatti, passava con un ramo ad una quota inferiore di ben 4 metri rispetto al piano di frequentazione dei sotterranei. Il braccio sottoposto al monumento, lungo in tutto 69 m presenta una sezione di 1.05 m nel primo tratto (lungh. 29.30 m), che si incrementa a m 2,50 nei 26.30 m del secondo tratto ed a 4 m nel tratto finale di 13.40 m. Secondo un'ipotesi del Dubois, contestata dal Maiuri, il ramo serviva ad allagare lo spazio dell'arena per lo svolgimento di naumachie, in una prima fase nella quale il monumento doveva essere privo di strutture sotterranee (aggiunte, secondo lo studioso, nel tardo II secolo). Il Maiuri, che dimostra l'esistenza dei sotterranei già nella realizzazione originaria, riconduce il diverticolo dell'acquedotto alle esigenze di pulizia che portavano periodicamente allallagamento di sotterranei ed arena. 2.2. Materiali e tecniche edilizie 1 materiali
impiegati
nella
Fig. 19 - Sotterranei: sistema di sollevamento delle gabbie delle fiere secondo Dubois (da Dunors 1907).
L'opera reticolata ed i tufelli sono di tufo dalle cave del monte Barbaro. Per quanto riguarda i marmi impiegati nei pavimenti, le relazioni di scavo citano, oltre al serpentino, «marmi rossi, bianchi e gialli-®, senza ulteriori specificazioni, a parte il caso del cipollino, impiegato nella pavimentazione dellarcata LXIX. Le colonne della porticus in summa cavea sono, invece, tutte in marmo proconnesio; le trabeazioni dovevano essere in trachite. Le tecniche prevedono l’impiego di opera qua-
costruzione
del
drata nel portico esterno, mentre l'opera laterizia
monumento sono in gran parte di origine locale: nel portico esterno, per i basamenti dei pilastri dell'ingresso meridionale viene impiegato il calcare del Massico; la trachite dai Campi Flegrei (c.d. ‘piperno’) è stata usata per i pilastri della prima fase. Un tipo di trachite più chiara, proveniente dalla «cava regia» del Monte Olibano è stato adoperato per le scale, i plutei e le soglie.
è usata sulle pareti dei grandi ingressi e dei vani
2 Si tratta probabilmente di rosso antico G porfido, molto più prezioso, sarebbe stato riconosciuto e identificato dal
Maiuri) e giallo antico, mentre il marmo bianco sembra esseτὸ in realtà pavonazzetto, cfr. DEMMA 2004a, 329.
di passaggio dal portico esterno all'ambulacro
interno; lungo gradinate e rampe e intorno al
podio dell'arena, nei tratti più esposti all'usura ed al traffico del pubblico. Tutte le altre strutture sono in un'opera mista che presenta ammorsature in laterizio (6/7 filari di un piede), specchiature di reticolato con zoccolo laterizio alla base, catena
42
Fig. 21 - Pianta ricostruttiva dell'impianto di smaltimento delle acque (da Marunı 1955).
Filippo Demma
1. L'Anfiteatro Flavio
4
intermedia e coronamento con filari aggettanti a sagoma obliqua, tonda e piana. I mattoni sono lunghi da 16 a 24 cm, spessi da 2.7 a 3.2 cm, intercalati nei registri inferiori da ricorsi di bipedali sempre ricavati da tegole. Gli archi di scarico sono realizzati con laterizi rastremati di cm 44. I pilastri laterizi dell'ingresso meridionale, sovrapposti a basamenti di calcare locale, presentano spessore maggiore (4.4 cm). Il reticolato è tagliato in cubilia di 8 x 8 cm. Nei sotterranei il reticolato si limita alle pareti di fondo delle celle. I tufelli isodomici sono pure impiegati nei muretti laterali dei sotterranei (h 7.2 x 8 cm) e negli archetti di scarico sul fondo delle cellette. Il laterizio dei pilastri esterni è meno spesso (cm 2.5-3; letti di malta di cm 1-1.5), con ricorsi in
bipedali (spessore cm 4.5) ogni 4 piedi (ca. 120 cm). Per quanto riguarda l'origine dei laterizi ed i bolli del produttore, vedi infra. Stucchi: il tipo più antico presenta un tectorium di 6.2-6.3 cm di cui un terzo con polvere di marmo, e si incontra nel vano nr. LXII; nonché in laceri più piccoli, lungo il corridoio settentrionale del retropodio. Il tipo II, attestato nel portico, ha un tettorio di 6-7 cm con schegge di mattone (assenti nel precedente), senza polvere di marmo e presenta incisioni a scacchiera. Dai numerosi fori per le grappe si deduce che gli ingressi principali dovevano essere rivestiti di marmo per un'altezza di almeno m 2.45. La progettazione ed il tracciato degli anfiteatri romani sono stati, come si è detto, oggetto di un'indagine specifica e dettagliata nel lavoro che il Golvin ha dedicato a questa categoria di monumenti. In un'ampia sezione del saggio?! sono studiati tutti i rapporti dimensionali che definiscono le forme geometriche alla base delle singole realizzazioni e i loro valori in ognuno degli edifici esaminati; nonché le regole alla base della progettazione ed i sistemi materiali per tracciare sul terreno le linee base per l'effettivo innalzamento dei muri. Le ricerche del Golvin si possono integrare, e talora correggere, con i risultati ottenuti da M. Wilson Jones®, il quale esamina più dettagliata-
3 Gorvis 1988, Libro III, 279 spg. 9 WILSON Jones 1993,
a
B
Fig. 22 - Arcata XXIII, pianta (da Marmi 1955)
Fig. 23 - Arcata XXIII, bacino di fontana
Filippo Demma
44
—
|
3. Decorazione architettonica 1l portico esterno, su doppio ordine, era costituito da semicolonne di trachite stuccate. Il Maiuri (Maturi 1955, 73 sgg) ne pubblica una ricostruzione incompleta. Verosimilmente anche il livello superiore presentava colonne corinzie, nelle quali le membrature dovevano essere completate e disegnate con lo stucco. ΤΙ loggiato superiore, invece doveva essere largo circa 7.50 m, contava in tutto 72 colonne, scanalate, poste in corrispondenza dei pilasui degli archi della summa cavea, distanti l'una dall'altra circa 3.90 m, pari a 442 volte il diametro di base®. Non è nota la forma delle trabeazioni che dovevano essere in trachite. Un certo numero di fusti, oltre a 18 capitelli, fu spogliato e ridotto in calce, come del resto numerosissime sculture, in fornaci rinvenute negli stessi locali dell'anfiteatro**. Le colonne (Fig. 24)
Fig. 24 - Colonne della porticus in summa cavea, disegno ricostruttivo (da MATURI 1955).
mente anche la struttura della facciata, e prende in considerazione l'anfiteatro puteolano come una delle basi del suo studio. Il rimando a questi due testi appare, quindi, più che scontato, oltre che esauriente. 55} rapporto indicato da Vitruvio (V, 9, 45) per il dimensionamento degli intercolumni nei portici ionici e corinzi è di 15V, tra diametro di base e spazio tra le colonne, e risulta doppio rispetto alla ratio da utilizzare nei portici dorici 257). Questo rapporto si riscontra nella nostra porticus tra il diametro di base e l'interasse. * Durante gli scavi del 1939 alcune statue furono rinvemute nell'arcata XXIII del settore Nordovest, sotto una delle
presentano rapporti non canonici: quello tra il diametro di base (86-88 cm, pari a circa 3 piedi) c l'altezza del fusto (473 cm, 16 piedi) è di 1:5 1/3, e identico è il rapporto tra l'altezza del capitello (poco più di 3 piedi) e quella del fusto, contro ad una norma che vede rapporti di 2:15; 7:50 e 11:805. Le colonne si presentano, quindi, tozze e con un capitello sproporzionatamente alto. Con un fusto di 16 piedi ci saremmo aspettati un capitello alto più o meno 2 piedi, cioè tra i 56 ed i 60 cm. II fatto potrebbe essere messo in relazione con la presenza del velario. Il telo, infatti, era retto da antenne perpendicolari alle colonne, dunque orizzontali, ed appoggiate direttamente sulla trabeazione del portico”. In questo caso, maggiore è l'altezza della colonna, maggiore deve essere la lunghezza delle antenne per consentire di coprire la porzione maggiore degli spalti sottostanti. II fusto è, quindi, così tozzo per consentire l'utilizzo di travi orizzontali, lignee, di minore lunghezza, il capitello sproporzionatamente granscale della cavea, affiancate sul terreno e raggruppate per essere cotte, se le strutture rinvenute nell'ambiente attiguo, come sembra verosimile, vanno attribuite all'impianto di una calcara (cfr. Marunr 1955, 78 e Tav. XVID. 5 Wuson Jones 1989, 39 e sag 35 Wilson Jones 1989, 42-4. 3 Cfr. GRAEFE 1979, 79 e fig. 98.
1. L'Anfiteatro Flavio
de perché, visto dal basso, non risulti eccessivamente schiacciato. Oltre a questi, i materiali conservatisi forniscono un gran numero di dati di ogni tipo: ἃ infatti possibile dedurne indizi cronologici per il completamento dell'opera e per i restauri; una serie di modalità d'intervento nello sviluppo dei restauri stessi — dei quali si hanno tracce su numerosi capitelli e su quasi tutti i fusti conservati; nonché le informazioni utili a ricostruire l'articolazione dell'officina che li produsse Esamineremo i vari aspetti dei nostri elementi architettonici separatamente. 3.1. Colonne e capitelli: restauri e rilavorazioni 1 fusti delle colonne della porticus in summa cavea erano ricavate da un unico blocco di marmo proconnesio, alte circa 473 cm (16 piedi), con un diametro di base di cm 86-8 (3 piedi). L'imoscapo (diam. cm 90) è modanato con una stretta fascia liscia (h 6-7 cm) ed il piano di posa presenta, soli tamente, tre fori per perni di 5 cm di lato. Il sommoscapo (diam. cm 80) è modanato con un basso
listello ed un quarto di cerchio, sul piano d'attesa è solitamente un solo foro per perno, per la connessione con il capitello, di dimensioni variabili tra 8 x 8e 9 x 12 cm, fornito di canaletta. Il fusto è scandito da 24 scanalature larghe in media 6 cm al sommoscapo, 9 cm all'imoscapo, profonde 3.4 cm, separate da listelli lisci larghi 3 cm. Si conserva un solo esemplare intero (cat. 351, Fig. 25), e 127 frammentari, tra i quali 7 sono ridotti a semplici schegge. Unica anche la base attica conservata (cat. 410): è alta 47 cm per un diametro superiore di 97 cm, ed ha un plinto lungo 120 cm. Sul piano d'attesa sono tre fori quadrati, da perno, di 8 x 8 cm, dotati di canalette per la colatura. Numerosissimi frammenti presentano tracce di restauri e rilavorazioni riconducibili a tre diverse tipologie: alcuni fusti sono stati suddivisi in sezioni più piccole, nelle quali uno dei piani, quello di posa o quello di attesa, è stato lisciato, e vi è stato ricavato, in genere, un foro rettangolare per un grosso perno (in media 10 x 10 cm), Si conservano 17 esemplari così rilavorati (Figg. 26-7), che presentano un'altezza minima di 61 cm (cat. 293) ed un'altezza massima di 300 cm (cat. 269)
45 Spesso su uno o più lati sono stati ricavati
incassi per la giunzione di un’altra sezione di fusto o, forse, per tasselli di restauro o staffe. La presenza di rilavorazioni per staffe o tasselli è stata riscontrata in 9 casi (esemplare il caso del pezzo nr. 259, Fig. 28). Infine, molto spesso l'imoscapo 0 il sommoscapo hanno subito rilavorazioni e riadattamenti. In alcuni casi è stata semplicemente tagliata una sezione del cerchio, magari per regolarizzare una frattura; in altri la parte è stata completamente riprofilata, come nel caso del fusto cat. 281, dove il profilo circolare del sommoscapo è stato ridotto ad un rettangolo di 50 x 70 cm.
Non riconducibili alle tipologie sopra descritte sono due casi isolati: il fusto cat. 379 presenta un foro per perno su una frattura non lisciata, mentre quello cat. 348 (Fig. 29) presenta sul piano d'attesa un profondo incasso a 'V' con le pareti lavorate a subbia e lisciate a gradina, evidentemente per essere incastrato e ricongiunto con il fusto 338, sagomato a cuneo (Figg. 30-31) Anche numerosi capitelli presentano tracce evidenti di rilavorazioni. L'intervento più macroscopico si nota in alcuni casi in cui gli elementi si sono evidentemente spezzati nella caduta. In questi casi i pezzi sono stati rilavorati per essere ricongiunti, come avviene ad esempio per i nnrr.
51; 53; 78; 88. Il capitello cat. 89 (Fig. 32) è stato diviso nel senso dell'altezza in due metà, le superfici delle fratture sono state lavorate a scalini per essere incastrate e fissate forse con malta, di cui restano piccole tracce, e, quasi sicuramente, anche cerchiate. Il capitello 88 (Fig. 33) è stato invece diviso in due metà nel senso della larghezza appena sotto l'abaco, la superficie delle fratture presenta uguale lavorazione a scalini e simili tracce di malta. Il capitello nr. 78 (Fig. VII.95)
obliqua.
è
Quando
stato
scalpellato
secondo
una
linea
il restauro non è stato così macrosco-
pico le zone più interessate dagli interventi sono, naturalmente: abaco, fiore, elici e volute, caulicoli, ma anche la zona inferiore del kalathos. La caduta delle colonne deve aver causato frequentemente la rottura degli angoli dell'abaco, in questi casi per lo più gli scalpellini si sono limitati a staccare eventuali pezzi lesionati o fratturati,
come si deduce chiaramente dalle tracce di strumenti, per lo più subbia e, più raramente, gradi
46
Hlippo Demma
Fig. 27 - Sotterranei: tamburo di colonna dalla porticus in summa cavea - particolare.
Fig. 26 - Sotterranei: tamburo di colonna dalla porticus in
Fig. 28 - Sotterranei: fusto di colonna dalla porticus in summa cavea con incasso per tassello di restauro (cat. 259).
a
1. L'Anfiteatro Flavio
Fig. 30 - Sotterranei: fusto di colonna dalla porticus in summa cavea lavorato per l'incastro (cat. 338).
Fig. 29 - Sotterranei: fusto di colonna dalla porticus in summa cavea lavorato per l'incastro (cat. 348).
Fig. 32 - Sotterranei: capitello dalla porticus in summa cavea - particolare del restauro antico (cat. 89)
Fig. 31 - Sotterranei: fusto di colonna dalla porticus Fig. 33 - Sotterranei: capitello dalla porticus in summa in summa cavea lavorato per l’incastro (cat. 338) - — cavea - particolare del restauro antico (cat. 88). particolare,
Filippo Demma
48
na larga, leggibili sulle fratture®. In altri casi l'angolo dell'abaco è stato ridisegnato abbassando la superficie di uno dei lati, come accade nel capitello nr. 62, oppure interamente ridotto e rilavorato: le misure standard del lato dell’abaco, che si aggirano intorno ai 110 cm (3 piedi e1/3)9, sono state in alcuni casi ridotte di 2/3 di piede, e portate a circa 90 cm?) restituendo il profilo rettangolare ai capitelli danneggiati, ma naturalmente riducendo la curvatura dei lati dell’abaco. In questi casi le volute, evidentemente spezzatesi nella caduta, sono state completamente tagliate e le fratture normalizzate lisciando la superficie ed abbassandola in modo da nascondere la lesione dietro la cima aggettante delle foglie, o quanto di questa restasse (cat. 61 e 62). Lorlo del kalathos è stato talvolta riprofilato. Nel capitello nr. 61 (Fig. VII.81), per esempio, la frattura degli spigoli di uno dei lati ha portato a ridurre le misure dell'abaco come sopra descritto, ma anche a ridisegnare l'orlo del kalathos, che diventa una sorta di listello liscio che sottolinea il cavetto, e perde il caratteristico andamento circolare. Numerosi i casi in cui il fiore è stato scalpellato, la superficie che rimane esposta è stata spesso rilavorata con subbia e scalpello, o unghietto (cfr. cat. 62, Fig. VIL82).
Elici e volute, sia del tipo piatto che di quello con profilo concavo, subiscono rilavorazioni. quando la frattura lascia allo scalpellino abbastanza marmo a disposizione, egli regolarizza il profilo degli elementi che rimangono abbassando la superficie e lisciandola. Se gli elementi erano in origine a sezione concava, e l’artigiano ne ha la possibilità, restituisce il profilo originario, altrimenti si limita a lisciare la superficie. Due sono gli esempi migliori: nel nr. 73 (Fig. 34) si nota chiaramente che la superficie dell'elice danneggiata è stata abbassata usando una subbia, la cui punta ha lasciato segni evidenti alla base dell'elemento, e lisciata a gradina e scalpello. Nella fattispecie,
come si vede chiaramente, il profilo originale era a sezione concava, mentre la rilavorazione lascia
la superficie piana. Nel caso di cat. 51 (Fig. 35)
» Cfi. per esempio i nnm. 50; 52; 54 e 75. 9 Cfr. ad es. cat. 56 e 65, che conserva l'abaco pratica-
volute e foglie dei caulicoli sono state scalpellate, l'elice, molto ridotta, è stata abbassata e l'originario profilo a sezione concava restituito. Anche le fratture delle foglie d'acanto in cima sono state talvolta regolarizzate, ma, tranne in un caso (cat. 67), non vi è traccia dei tasselli che, solitamente, vengono inseriti per integrare le lacune (Fig. 36).
Infine, quando le fratture riguardano la zona inferiore del capitello, la sezione circolare della base viene restituita scalpellando la superficie delle foglie inferiori, come avviene ad esempio in cat. 75. Un caso a sé è il capitello nr. 67. La faccia che meglio conserva l'aspetto originale (lato ‘a’ — 37) consente chiaramente di capire che il pezzo apparteneva alla serie più antica: i caulicoli sono ben rilevati, per quanto presentino le foglie fortemente danneggiate; l'acanto è del tipo attestato nel gruppo più numeroso, etc. Le rilavorazioni sono però numerose e sostanziali: l'abaco è stato rimpicciolito e riprofilato; le elici, su tutti i lati, abbassate e rilavorate; le fratture dei caulicoli sono state tutte ‘normalizzate’; tre volte su quattro, vale a dire su tutti i lati tranne quello ‘a’, la superficie visibile del kalathos è rilavorata a gradina ed abbassata; i calici completamente ridisegnati con un rilievo più basso ed in una forma molto tozza ed ingrossata. Anche le foglie sono state interessate da rilavorazioni sostanziali: di solito la costolatura mediana è stata semplificata e ridotta ad una serie di solchi paralleli (cfr. lati 'b' Fig. 38 e 'c' Fig. 39); la punta delle fogliette, ridisegnata, risulta più aguzza, come è evidente ad esempio nel lobo superiore sinistro della foglia centrale del lato "b. 1 lato ‘e’ (Fig. 39) è il più interessato da interventi di restauro: oltre a tutti quelli sopra descritti la presenza di un perno metallico ancora visibile presso la cima della foglia centrale, che presenta anche la superficie abbassata e scalpellata, lascia pensare ad un'integrazione fissata appunto col piombo; mentre gli artigiani hanno dovuto tenere conto di una frattura, dissimulata rilavorando immediatamente a ridosso della sua linea tutti gli elementi decorativi, mente intatto. ^ Cfr. cat, 61
1. L'Anfiteatro Flavio
Fig. 34 - Soterranei capitello dalla porticus in summa cavea particolare del restauro antico (cat. 73)
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Fig. 37 - Souerranei: capitello dalla porticus in summa cavea at. 67): lato ^.
Fig. 38 - Sotterranei: capitello dalla porticus in summa cavea (cat. 67): lato Ῥ' Fig. 35 - Sotterranei: capitello dalla porticus in summa cavea con tracce di restauro antico (cat. 51).
Fig. 36 - Sotteranei: capitello dalla porricus in summa causa - — Fig. 39 - Sotterranei: capitello dalla porticus in summa cavea particolare del restauro antico (cat. 75). at. 67: lato c
Filippo Demma
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cole incisioni presenti in alcuni tipi cronologicamente precedenti‘!, che segnalavano l'attacco del1 54 capitelli attribuibili al portico furono dal le fogliette laterali della cima. Le fogliette, treMaiuri tutti considerati appartenenti allo stesso quatro per ognuno dei cinque lobi, formano tipo e datati al passaggio tra il regno di Domizia- quattro zone d'ombra a triangolino allungato. T no e quello di Traiano. In realtà la serie non è cauli verticali, sono appena rilevati dal corpo del affatto omogenea. Nel gruppo più numeroso, 50 Ralathos, segnati da una profonda scanalatura pezzi (cat. 50-99), le foglie d'acanto delle due allargata in alto ad Y, a simulare ai lati le due luncorone presentano una costolatura centrale ampia ghe fogliette d'acqua. Presentano un fine collarino e quattro minori, due per lato, che raccolgono î di sepali, in alcuni casi lavorati in foglioline acancinque lobi. La costolatura mediana è percorsa al tizzanti a cinque lobi, punteggiate di fori di trapacentro, per tutta la sua lunghezza, da un profondo no. Volute ed elici sono piatte. L’abaco reca ovolo solco, e, in alto, da due piccole scanalature che quasi piatto e cavetto poco profondo. L'orlo del segnalano l'articolazione delle fogliette della cima. kalathos è molto allargato e, talora, non perfetta1 lobi inferiori si articolano in tre fogliette, quelli mente circolare. Il fiore è, generalmente, privo di superiori in quattro, la cima in sette. Le digitazioni stelo; quando questo è presente è appena accenformano, sovrapponendosi, in ogni foglia quattro nato, decisamente disorganico, con un calice molzone d'ombra ad occhielli stretti ed allungati. Elici to alto, formato da fogliette frastagliate che arrivae volute sono per lo più a sezione concava, anche no all'altezza delle elici Il tipo al quale appartengono questi capitelli è se in alcuni pezzi sono lisce, sempre però ricomolto diffuso a partire dall'epoca antonina e fino perte, nel tratto inferiore, dalle foglie dei cauli Queste ultime presentano le fogliete che si alla piena età severiana (per il quadro cronologico sovrappongono, formando, sotto le volute, zone cfr. Catalogo, Gruppo FD. Sembra, dunque, che si possa aggiungere a d'ombra a goccia, sotto le elici generalmente la classica sequenza di un occhiello e due triangoli- quanto già noto per le strutture inferiori, anche il ni. I caulicoli sono fortemente inclinati, con il cor- dato di una ristrutturazione della porticus in sumpo ricoperto da tre-quattro fogliette d'acqua. Il ma cavea, operazione che comportò, come abbiacollarino può presentarsi in forma di elemento mo visto, il restauro di numerosissimi pezzi, tra tortile; essere dotato di coroncina di sepali, sia colonne e capitelli, e la sostituzione di alcuni semplice che alternata a fogliette d'acqua, oppure capitelli. Quanto alla cronologia di questo intervento, l'esame stilistico dei quattro pezzi più tardi recare un kyma lesbio continuo. L'abaco presenta ovolo semicircolare e cavetto sembra confermare l'ipotesi avanzata dal Maiuri molto profondo; l'orlo del kalathos è ben distinto per i restauri dei fornici. ed ha andamento perfettamente circolare. Il fiore dell'abaco si imposta su uno stelo ingrossato che 33.1. 1 capitelli dell'anfiteatro: proposta per una sorge, solitamente, da un calicetto a due foglie. lettura analitica del segno. Il tipo in esame si inserisce in una tradizione 1 capitelli del loggiato superiore dell'anfiteatro claudio/flavia di capitelli che presentano caratteri tipologici analoghi e morfologia in evoluzione, a maggiore di Pozzuoli offrono un'ottima occasione partire dalla metà del I d.C. e terminare in epoca per approfondire l'indagine sulla decorazione adrianea (per il quadro cronologico cfr. Catalogo, architettonica da un punto di vista finora poco sviluppato nella storia degli studi. La circostanza di Gruppo C). Quattro capitelli (cat. 127-130), invece, presen trovarsi di fronte ad una serie numericamente tano le foglie d'acanto con la costolatura mediana consistente e tipologicamente omogenea ci conlarga ed appiattita, sulla quale, in alto, due lunghi sente di analizzare le variazioni formali e stilistisolchi paralleli si prolungano fin oltre la metà del- che, nonché i particolari esecutivi dei pezzi e di la sua lunghezza. Si tratta dello sviluppo delle pic- proporre un quadro interpretativo. 3.2. Capitelli: tipologia e cronologia
^^ Cfr. catalogo, gruppi A-B.
1. L'Anfiteatro Havio
Fig. 41 - Caulicolo tipo 2
1 capitelli del gruppo più antico, se confronta-
ti tra loro, presentano una serie di piccole e
grandi differenze. Tenteremo di rendere ragione di queste differenze, proponendo un modello
interpretativo in cui speriamo esse possano tro-
vare posto. Il primo ordine di variazioni riguarda la forma
assunta da alcuni elementi ornamentali, a partire
da volute ed elici, inquadrabili nella tipologia che segue, e che tiene conto delle frequenti rilavorazioni subite dai capitelli in questa zona: Tipo 1: superficie liscia e piana; Tipo 2 nastro a sezione concava, più o meno angolosa, inquadrata da due listelli; Tipo 3: superficie originaria abbassata e rilavorata a sezione concava; Tipo 4. superficie originaria abbassata e rilavorata con superficie liscia e piana.
Ancora, i caulicoli possono distinguersi sotto più rispetti. La distinzione più macroscopica riguarda la forma assunta dalla decorazione del collarino, secondo il seguente elenco Tipo 1: motivo a treccia (Fig. 40);
Tipo2. fila di sepali lisci (Fig. 41);
Tipo 3: kyma di sepali lisci separati da elementi
lanceolati (Fig. 42); Tipo 4: kyma di foglioline cuoriformi alternate ad elementi lanceolati (Fig. 43); Tipo 5: kyma capovolto di foglioline cuoriformi alternate ad elementi lanceolati. Il calicetto del fiore dell'abaco è sempre presente, così come lo stelo ed il fiore stesso. Proprio questo elemento decorativo dà luogo alla maggior parte delle variazioni riscontrabili nel repertorio dei nostri capitelli, ma non tutte sono di natura
Filippo Demma
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Fig. 42 - Caulicolo tipo 3.
Fig. 43 - Caulicolo tipo 4
tipologica. sono solo Tipo 1: Tipo 2
Questo tipo di variazioni nella decorazione superficiale è, in numerosi casi, del tutto evidente D'altra parte, però, le pessime condizioni di con-
Da questo punto di vista, le varianti due: calicetto aperto (Fig. 46); calicetto chiuso (Fig. 65).
L'acanto si presenta tipologicamente omogeneo; le foglie differiscono però nella decorazione della costolatura centrale, che si articola nelle seguenti varianti: Tipo a (Fig. 75): foglietta lanceolata sovrappo-
sta alla costolatura mediana con digitazioni che formano occhielli circolari interi sul margine, completati dall'indicazione del profilo interno della digitazione ottenuto con un sottile intaglio obliquo. Tipo al (Fig. 74): semplificazione del prece-
dente, la decorazione si limita all'indicazione degli occhielli circolari sul margine della costolatura centrale, la cui continuità è interrotta dai forellini
ste:
Tipo b (Figg. 73; 51): serie di incisioni oblique condotte dalla linea mediana della costolatura centrale al suo margine. Tipo c (Fig, 71): costolatura liscia.
servazione di molti pezzi non consentono una
piena lettura di tutti i particolari, e non lasciano
quindi discernere se una foglia di tipo 'c' non sia in realtà stata in origine ornata da un motivo tipo ‘a’ oppure Ῥ'.
Le variazioni morfologiche sopra descritte sono state schematizzate nella Tabella 1 (Vedi infra). Si è preferito indicare la descrizione schematica di tutti i lati leggibili di ognuno dei capitelli, poiché
all’interno di ogni singolo pezzo sono evidenti
significative variazioni nella forma di singoli elementi Un semplice sguardo alla tabella basta a chiarirsi le idee sulla natura delle variazioni sopra descritte. Il ricorrere all’interno di uno stesso capitello di tipi differenti di caulicoli, calicetti, volute, decorazioni accessorie delle foglie d'acanto, chiarisce incontrovertibilmente che le suddette variazioni non dipendono da differenti modelli utilizzati dagli artigiani. Qualche esempio. Per quanto riguarda volute ed elici, solo per limitarsi ai tipi 1 e 2, vale a dire a quelli sicuramente originali e
1. L'Anfiteatro Flavio
TABELLA 1
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