Matematica, scienza e epistemologia. Scritti filosofici II [1 ed.]

«II rispetto dell'uomo per la conoscenza è una delle sue caratteristiche più peculiari. Conoscenza in latino è scie

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Italian Pages 372\374 [374] Year 1985

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Matematica, scienza e epistemologia. Scritti filosofici II [1 ed.]

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Irnre Lakatos

Matematica, scienza e epistemologia Scritti filosofici

II

a cura di John Worrall e Gregory Currie edizione italiana a cura di Marcello D'Agostino

il Sae:lriatore

Ri ngraziamo la Commissione delle Comunità Europee e il Gruppo degli editori di libri della CEE per !'intervento a favore dell'edizione italiana di quest'opera. © Cambridge University Press 1 978 e il Saggiatore, Milano 1 985 Titolo originale: Mathematics, science and epistemology

Philosophical Papers Volume /I

Prima edizione: novembre 1985

Sommario

p.

9

Introduzione dei curatori inglesi Parte prima Filosofia della scienza

15

4 1·

1. Regresso infinito e fondamenti della matematica

Introduzione 15 l. L'arresto del regresso i nfinito nella scienza 16 2. L'arresto del regresso infinito mediante la banalizzazione logica della ma· tematica 24 3. L'arresto del regresso infi nito mediante una meta· teoria banale 36

2. C'è una rinascita del l ' empirismo nella recente filosofia della matematica? I ntroduzione 41

1. Empirismo e induzione: la n uova moda in filosofia della matematica? 42 2. Teorie quasi-empiriche e teorie eucl idee 46 3. La matematica è quasi-empirica 48 4. I « falsi ficatori potenziali » in matematica 55

64

3. Cauchy e il continuo: l ' importanza del l 'analisi non- standard per la storia e la filosofia della matematica

l. L'analisi non-standard suggerisce una radicale rivalutazione della storia del calcolo infinitesimale 64 2. Cauchy e i l problema della convergenza uniforme 66 3. Una nuova soluzione 69 4. Che cosa causò la caduta della teoria di Leibniz? 77 5 . Fu Cauchy un «precursore » di Robinson? 78 6. Metafisica e tecnica 82 7. Valutazione delle teorie matematiche 84

87

4. Che cosa dimostra una dimostrazione matematica?

98

5. Il metodo dell 'analisi e della sintesi l. Analisi - sintesi: uno schema dell'euristica euclidea e la sua critica 98 a ) Prol ogo sull'analisi e sulla sintesi 98 b ) Analisi, sint�si ed euristica 101

c) Il Circuito Cartesiano e i l suo crollo 1 05

VI

Sommario

2. Anal isi·sintesi: come i tentativi fal liti di confutazione possono essere il punto di partenza euristico di programmi di ricerca 125 a) Un'anal isi·sintesi in topologia che non dimostra ciò che si propone di dimostrare 125 b) Un'analisi·sintesi in fisica che non spiega ciò che si proponeva di spiegare 1 30 c) L'analisi·sintesi di Pappo nella geometria greca 133 d) [ Casi di falsa coscienza riguardo all'analisi·sintesi) 1 34

Parte seconda Saggi critici 141

6. I l problema della valutazione delle teorie scientifiche: tre approcci l. Tre principali scuole di pensiero riguardanti il problema normativo della valutazione delle teorie scientifiche 141 a) Scetticismo 1 4 1 b) Demarcazionismo 142 c) Elitismo 146 2. L'élitismo e le posizioni filosofiche affini 147 a) Elitisti per lo psicologismo e/o il sociologismo 148 b) Elitisti per l'autoritarismo e lo storicismo 152 c) Elitisti per il pragmatismo 1 54

158

7. Necessità, Kneale e Popper 1. Il livello ontologico 1 58 2. Il livello epistemologico· metodologico 162 3. La continuità fra necessità naturale e necessità logica 165

167

8. Mutamenti nel problema della l ogica induttiva Introduzione 167 l. I due problemi principali dell'empirismo classico: la giustificazione in­ duttiva e il metodo induttivo 168 2. Il solo problema principale dell'empirismo neoclassico: la giustificazione induttiva debole ( grado di conferma) 1 7 1 3. La tesi ateorica debole e forte 179 a) Carnap abbandona il postulato di ]effreys· Keynes. Conferma di un esempio qualificato e conferma delle teorie 179 b) La tesi ateorica debole: teoria della conferma senza teoria 1 84 c) La confusione fra la tesi ateorica debole e la tesi ateorica forte 1 88 d) L'interconnessione fra la tesi ateorica debole e quella forte 1 90 e) Una logica della sco· perta carnapiana 1 93 4. Probabilità, sostegno empirico, credenza razionale e quozienti di scom· messa 196 a) I gradi di sostegno empirico sono delle probabilità? 197 b) I «gradi di credenza razionale» sono uguali ai gradi di sostegno empirico o ai quozienti razionali di scommessa? 204 c) I quozienti razionali di scommessa sono uguali alle probabilità? 205 5. Il crollo della tesi ateorica debole 207 a) «Correttezza del l inguaggio» e teoria della conferma 207 b) L'abdi· cazione del giudice induttivo 2 1 3 6. I l solo problema principale dell'empirismo critico: i l metodo 2 1 9 a) «Accettabilità,» 2 2 0 b) «Accettabilità 2 " 224 c) «Accettabilità, .. 234

Sommario

VII

Sostegno teorico delle predizioni e sostegno empirico (di controllo) del· le teorie 248 Appendice. Le tre note di Popper sul grado di corroborazione 250 7.

260

9. Sulla storiografia popperiana Appendice sull' «ultra-falsificazionismo » 269

273

lO. Anomalie ed esperimenti cruciali ( una replica al Professor Grunbaum) Introduzione 273 1. Non ci sono mai stati esperimenti cruciali nella scienza 274 2. L'impossibilità degli esperimenti cruciali di Grunbaum di valutare la cre­ scita della scienza senza di essi 279 3. Sul consiglio pratico 282 4. La caratteristica della scienza non è la credenza razionale ma la sostitu­ zione razionale delle proposizioni 284

289

11. Understanding Toulmin

Introduzione 289 1. Tre scuole di pensiero riguardanti il problema normativo della valutazio­ ne delle teorie scientifiche 290 2. Toulmin e la «polizia del pensiero » wittgensteiniana 295 3. Toulmin fa una sintesi darwiniana di Hegel e Wittgenstein 303 4. Conclusione 3 1 1

Parte terza Scienza e d educazione

317

12. Una lettera al Direttore della London School of Economics

326

13. L'insegnamento della storia della scienza

328

14.

La responsabilità sociale della scienza

333

Bibliografia delle opere di Lakatos

337

Bibliografia

357

Indice dei nomi

363

Indice analitico

Introduzione dei curatori inglesi

Quando I mre Lakatos morì , nel 1 974, molti amici e colleghi formularo­ no la speranza che i suoi saggi non pubblicati venissero resi disponibili. Alcuni erano anche interessati a vedere riuniti i n un l ibro i suoi contributi alle riviste e gli atti delle conferenze. Su richi esta del Comitato Direttivo del l lmre Lakatos Appeal Fund abbiamo preparato due volumi di saggi scelti che speriamo soddisfino queste richi este. Nessuno dei saggi pubbl icati qui per la prima volta era considerato da Lakatos pienamente soddisfacente. Alcuni sono prime stesure, altri non sembra fossero destinati alla pubbl icazione. Abbiamo seguito una politica molto l iberale incl udendo saggi che, almeno nella forma attuale, Lakatos non avrebbe permesso di stampare. Per quanto riguarda i lavori preceden­ temente pubblicati, l i abbiamo inclusi tutti eccetto due saggi, "The Role of Crucial Experiments in Science » e "Criticism and the Methodology of Scientific Research Programmes », che avrebbero introdotto eccessive ripe­ tizioni, e Proofs and Refutations,l che è recentemente apparso in forma di l ibro. Le informazioni sul materiale qui pubbl icato sono contenute nelle note introduttive a ciascun saggio. Queste e le altre note dei curatori sono in­ dicate da asterischi . (Abb iamo puntato a minimizzare i l numero di note dei curatori, specialmente per i saggi già pubblicati. ) Fra i l materiale rinvenuto nella bibl ioteca di Lakatos vi erano g l i estratti di alcuni dei saggi pubblicat i , con l'aggi unta di correzioni a mano che abbiamo incorporato ogn i volta che ci è stato possibi le. Nel preparare per la stampa i saggi precedentemente non pubblicati, ci siamo presi la l ibertà di introdurre alcune modifiche espositive laddove il testo originale risul ­ tava i ncompleto o sembrava potesse condurre a fraintendimenti, oppure quando leggere modifiche sembravano produrre un notevole m igl iora­ mento nella leggibi lità del testo. Abbiamo ritenuto di essere autorizzati ad '

I

Per la !rado il. si veda la bibliografia delle opere di l.akatos.

lO

Introduzione

dei C/lratori inglesi

apportare questi mutamenti perché Lakatos dedicava sempre molta cura a tutto il materiale che doveva essere pubblicato e, prima della pubblica­ zione, lo faceva sempre c i rcolare diffusamente fra i colleghi e gli amici per ottenere critiche e suggeriment i . ] saggi pubblicati qui per la prima volta sarebbero stat i indubbiamente sottoposti a questo trattamento e le mod i fiche risu ltanti avrebbero avuto una portata molto più vasta di quelle che noi abbiamo osato introdurre. Abbiamo adottato l 'espediente di rac­ chi udere le nostre modifiche all'interno di parentesi quadre ogni volta che la sua applicazione risu ltava semplice e agevole. (Tuttavia le parentesi quadre che si trovano a l l ' interno di citazioni da altri autori racch i udono interpolazioni dello stesso Lakatos. ) Quando Lakatos menziona u n saggio ristampato i n uno dei present i vo­ l u m i , abb iamo modificato la forma del riferi mento. Così, per esempio, «Lakatos [ 1 970a)>> diventa «volume 1, cap. 1» e « Lakatos [ 1 968 b)>> diventa «questo l'olume, cap. 8». Il capitolo 1 è ristampato dagli Aristotelian Society Supplementary Vo­ lu mes 36, 1962, per gentile concessione del direttore . Il cap. 8 è ristampa­ to con i l permesso della North Hol land Publish ing Company. La revisione del saggio «Cauchy and the Continuum .. [Cauchy e il continuo) (questo /'Olume. cap. 3) è stata cortesemente effettuata dal Dr. J.P. C leave dell 'Uni­ versità di Bristol. Le note del curatore contenute in quel capitolo ( contras­ segnate «J. P.c. .. ) sono state scritte da lui ( Per un interessante sviluppo, a opera dello stesso Cleave, del problema che Lakatos tratta in quel cap ito­ lo, cfr. il suo [ 1 97 1 ) .) Un generoso fi nanziamento del Fritz Thyssen Stiftung ha reso possibile la creazione di un archivio degl i scritti di Lakatos - un preliminare es­ senziale per la pubblicazione di questi due vol u m i . Vorremmo ri ngraziare Nicholas Krasso e i professori Kneale, Pearce Wi l l iams e Szabo per averci ai utato a fornire alcuni riferimenti mancanti, e il Dr. Cleave per il suo lavoro sul capitolo 3. Siamo grat i ad All i son Quick che ha compi lato gli indici di questo vol ume. Dobbiamo ancora una volta ringraziare Sandra Mitchell per l'ai uto che ci ha dato nel preparare questi volumi, John Wat­ kins per i suoi ut i l i consigli e G i l lian Page per la sua generosa coopera­ zione nel reperimento dei testi di Lakatos. John Worrall Gregory Currie ,

Matematica, scienza ed epistemologia

Parte prima Filosofia della sCienza

1. Regresso infinito e fondamenti della matematica·

INTRODUZIONE

[La fil osofia scettica ha insegnato per più di duemila anni che non è possibile stabilire né il significato né la verità in modo definitivo. Ma sta· bilire il significato e la verità della matematica è esattamente lo scopo dei «fondamenti » . ) I l classico argom ento scettico è basato sul regresso infinito. Si può cer­ care di fissare i l significato di un termine o definendolo per mezzo di altri termini, e questo conduce al regresso infinito, oppure definendolo per mezzo di «term ini perfettamente noti ». Ma i tre termini dell'espressione «termini perfettamente not i » sono davvero tutti perfettamente noti? È chiaro che i l baratro del regresso infinito si spalanca nuovamente. Ma allo­ ra, come può la fil osofia matematica sostenere ancora che i n matematica si hanno, o si dovrebbero avere, concetti esatti? Come spera di evitare le . critiche degli scettici? Come può sostenere di aver offerto fondamenti del• Questo saggio fu pubblicato per la prima volta nell'Aristotelian Society Supplementary Volume, 36, 1962. Un estratto rinvenuto nella biblioteca di Uikatos conteneva correzioni a mano, alcune delle quali sono state incluse. Il saggio di UikalOs, in origine, venne letto come seconda relazione a un convegno sui fondamenti della matematica dell'Aristotelian Society - Mind Association ]oint Session svoltosi presso l'Università di Leicester nel luglio 1962. Esso iniziava con una breve discussione della prima relazione, tenuta da R.L. Goodstein (Goodstein ( 1962) ). Questa discussione è difficile da comprendere fuori dal contesto e perciò l'abbiamo omessa. Il tema dominante del saggio non è per nulla in· fluenzato da questa omissione. Nella nota introduttiva di Uikatos si legge: «Gli esperti riconosceranno !'influsso della filosofia di Karl Popper in tutto il saggio. Era tecnicamen· te impossibile per me fornire gli appropriati riferimenti e devo quindi assumere che il lettore riconoscerà in ciò che segue molte delle idee della Logica della Scoperta Scienti· fica e di Congetture e Confutazioni. Sono inoltre debitore ad A. Musgrave e al dotto T.]. Smiley, che hanno letto la prima stesura, per i loro numerosi e validi suggerimenti critici. W.W. Bartley ha attiralO la mia attenzione sul ruolo centrale della controversia fra scettici e dogmatici nella storia dell'epistemologia. Mi è stato molto utile anche discutere i primi due paragrafi con i proff. S. Korner e].c. Shepherdson». (Nota dei curo ingl.). • I numeri fra parentesi quadre che seguono immediatamente i riferimenti di Uikatos ad opere di altri autori indicano le pp. delle trad. it., le cui indicazioni bibliografiche sono state inserite nella bibliografia generale. Tali trad. it. sono state utilizzate liberamente per la traduzione dei brani citati. [N.d.C.i.].

16

Ma/ell/alica, scienza ed epis/ell/% p,ia

la matematica, logic isti, meta- matemat ici o intuizionisti ? Ma anche ammet­ tendo che vi siano concetti "esatti » , come possiamo di mostrare che una proposizione è vera? In che modo si può evitare il regresso infin ito nelle dimostrazioni amm esso che si possa evitarlo nelle definizioni? Il signi fica­ to e la verità possono solo essere trasferiti, non stabi l i t i . Ma, se le cose stanno così, come è possibile sapere? Questa cont rovers ia fra dogmatici, che affermano che è possibile sape­ re, e scettici, che affermano che non è possib i l e sapere o almeno che non è possibile sapere che è possibile sapere e quando è possibile sapere, è il problema d i fondo del l'epistemologia_ Nel discutere i tentativi modern i di stabi l ire fondamenti per la conoscen za matemat ica, si tende a di ment icare che essi non sono che un capitolo del grande tentativo di sconfiggere lo scett icismo stabilendo fondamenti per la conoscenza in generale_ Lo scopo del mio colltributo è quello di mostrare che la moderna filosofia matema­ tica è profondamerzte immersa neU'epistem ologia generale e può essere compresa solo in questo contesto. Perciò il primo paragrafo contiene inevi· tab i l mente una storia sommaria dell'epistemologia. Gli storici rispettabili affermano talvolta che i l tipo di « ricostruzione raz i ona l e» che qui si tenta di delineare è una caricatur a della storia reale, del modo in cui le cose sono effettivamente accadute, ma s i potrebbe dire altrettanto giustamente che sia la storia sia i l modo in cui le cose sono effettivamente accadute non sono altro che caricature della ricostruzione raz i onale. 1.

L'ARRESTO

DEL REGRESSO

INFINITO

NELLA SCIENZA

Gli scett ici ricorrevano al regresso infinito per mostrare che è impossi­ bile trovare fondamenti della conoscenza. Proprio come i loro avversari dogmatici, essi erano giustificazionisti epistemologici, cioè il loro princi ­ pale problema era Come lo saz? M a pensavano di dover ripiegare su u n o scon fortante n o n s o dato che n o n ci possono essere fondamenti solidi per il sign i ficato e la verità. Concludevano perciò che qualsiasi tentativo ra­ zionale di raggiungere la con"scenza è van o : sc ienza e matematica non sono altro che sofisticheria e i l lusione. Così è diventato un problema vita­ le per i l raz ional ismo quello di arrestare questo duplice ed esasperante regresso infinito e di fornire una base solida alla conoscenza. Tre grandi programmi razionalisti hanno cercato di realizzare questo scopo: (1) il programma euclideo, (2) il programma empirista e ( 3) il programma

induttivista.

Tutti e tre si proponevano di organ izzare la conoscenza in sistemi de-

I, /-imdml/(,II/i della ma/l'ma/i",,,

17

duttùli. La caratterist ica hasilare che definisce un sistema deduttivo (non necessariamente formale) è il principio di ritrasmissione della falsità, �al "fondo » alla "cima » , dalle conclusion i alle premesse: un controesempio a una concl usione sarà anche un controesempio ad almeno una delle pre­ messe. Se è valido il pri ncipio di ritrasmissione della falsità, lo è anche il princiPio di trasmissione della Ilerità dalle premesse alla concl usione. Non si rich iede , tuttavia, che un sistema dedutt ivo dehha trasm ettere la falsità o ritrasmettere la verità. (1) Dico che un sistema dedutt ivo è una "teoria euc:lidea .. se le propo­ sizioni in cima al sistema ( assiomi) sono costituite da term ini perfetta­ mente noti ( ter m itl i primititJi), e se vi sono immissioni infallibili di "alore di IJerità, sempre in cima, del val ore di verità Vero, çhe scorre verso il hasso l ungo i canali deduttivi della trasmissione della verità ( dimostra� zion;) e inonda !'intero sistema. ( Se il valore di verità immesso in cima fosse i l Falso non ci sarebbe, naturalmente, alcun flusso di valore di verità nel sistema. ) Poiché il programma euclideo impl ica che tutta la conoscen­ za può essere dedotta da un insieme fi nito di proposizioni banalmente veFe costituite solo da termini con un banale carico di sign i ficato, lo chiamerò anche il Programma di Banalizzazione della Conoscenza.) Poi ­ ché una teoria euclidea contiene solo proposizioni indubitabilmente vere, essa non opera n é con congetture né con confutazion i . In una teoria euclidea pienamente matura i l signi ficato, così come la verità, viene im­ messo in cima a l sistema e scorre giù i n modo sicuro l ungo i cana l i , che conservano i l significato, delle definizioni nominali, dai termini primitivi ai termini defin iti ( puramente abbreviativi e quindi teoricamente super­ fl u i ) . Una teoria eucl idea è eo ipso coerente , dal momento che tutte le proposizioni che ricorrono in essa sono vere e un insieme di proposizioni vere è certamente coerente. (2) Dico che un sistema deduttivo è una "teo r ia empirista» se le propo­ sizioni in fondo al sistema ( asserzioni di base) sono costituite da termini perfettamente noti ( te rm i n i empirici) ed è possibile un'immissione infal­ libile di "alore di "erità, sempre in fondo, tale che, se il valore di verità è il Falso, esso scorre verso l 'alto l ungo i canal i deduttivi ( spiegazioni) e in­ onda l ' i ntero sistema, (Se i l valore di verità è i l Vero non c 'è , naturalmen­ te, alcun fl usso di valore di verità nel sistema. ) Così una teoria empirista o è congetturale ( eccetto forse che per alcune asserzioni vere proprio in fò ndo al sistema) oppure consiste di proposizioni definit ivamente false. 2 I1/oCIIs classicusper la descrizione di questo programma s i trova in Pasca I [ 1 659]. Per una d escr i z i one assai ispirata di alcuni aspetti delle teorie e mp i ri ste , si veda M, Schlick [ 1934], tradotto in Ayer (a cura di) {19'i61, pp, 209·27 {per la trad, it. si veda la I

2

18

Matematica, scienza ed epistemologia

In una teoria empirista vi sono termini teorici o « occulti» che - come i l termine medio d e l sillogismo aristotel ico - n o n figurano in alcuna asser­ zione di base, ma non vi sono canali che conservano il significato in grado di condurre in alto verso di essi . Se n el fervore razionalistico di escludere la «metafisica » permettiamo immissioni di sign i ficato solo i n fondo al sistema, a parte le imm issioni di significato logiche, abbiamo una «teoria strettamente empirista». Questo requisito, volto a distinguere la scienza dai discorsi insensat i , è tuttavia suicida, dal momento che una teoria strettamente empirista in cui ricorro­ no termini teorici è, se non si considerano le proposizioni che apparten­ gono al l ivello p i ù basso, priva di significato.3 Una teoria empirista può essere coerente o incoerente. Dunque per le teorie empiriste sorge l'esi­ genza di una dimostrazione di non contraddittorietà.4 Il p rogramma euclideo si propone di costruire teorie euclidee i n cui i fondamenti del significato e del valore di verità stanno in cima al sistema, illuminati dalla luce naturale della Ragione, in particolare dal l ' intuizione aritmetica, geometrica, m etafisica, morale, ecc. I l programma empirista si propone d i costruire teorie empiriste i n cui i fondamenti del sign ificato e del valore di verità stanno in fondo al sistema, illuminati dalla luce natu ­ rale dell'Esperienza. Entrambi i programmi, ad ogni modo, si affidano alla Ragione ( in particolare all'intuizione logica) per la sicura trasmissione del significato e del val ore di verità. Vorrei sottolineare la differenza fra l 'usuale concetto di teoria empirica e quello p i ù generale di «teoria empirista» . La sola condizione che i m ­ pongo a u n a teoria empirista è c h e i l valore di verità sia immesso in fondo al sistema, qualunque sia la sua natura - non i mporta se «fattual e » , «spa­ zio-temporal e » , «aritmetica » o di altro tipo. Lo scopo di questa tensione del concetto di asserzione di base è quello di rendere i concetti del pro­ gramma empirista e del p rogramma induttivista applicab ili alla matemati­ ca - o anche alla metafisica, all'etica, ecc. Nell'epistemologia tradizionale i due concetti cruciali non sono «Eucli­ deo» ed «Empirista», ma da una parte a priori e a posteriori, dall'altra

bibliografia in fondo a questo volu me. N.d. C.i. ] _ Per una discussione molto lucida ed efficace, si veda R.H. Braithwaite ( 1 9531. passim, ma in particolare pp. 350-54 ( 324-7 ] . 1 R.B: Braithwaite ha mostrato che una teoria strettamente empirista priva di termini teo­ rici può essere sensata, ma è incapace di crescita ( ( 1 9531. p. 76 (66] ). Gli empiristi stretti, come Schlick e Ramsey, cercano di sfuggi re all'imbarazzante insensatezza delle ipotesi di alto l ivello chiamandole «regole». • Cfr. K.R. Popper (19591. pp_ 9 1 -2 (83 ] . Non so chi abbia suggerito per primo l'idea di controllare la non contraddittorietà delle teorie scientifiche.

19

1. Fondamenti della matematica

«analitico » e « sintetico» . Questi concetti s i riferiscono a proposizioni e non a teorie; gli epistemologi sono stati lenti a notare l ' emergere della conoscenza altamente organi zzata e il ruolo decisivo gi uocato dalla strut­ tura specifica di questa organizzazione. Fa u n ' immensa d i fferenza, dal punto di vista epistemologico, a quale l ivello im mettiamo il valore di veri­ tà nella teori a ; è questo i n fatti, che regola i l fl usso della verità e della falsità nel sistema. Da quale fonte provenga l ' imm issione - dall 'esperien­ za, dal l ' auto· evidenza, o da qualunque a ltra cosa è, i nvece , di seconda­ ria importanza per la soluzione di num erosi problemi. Si possono fare notevoli progressi soltanto discutendo come qualcosa scorre in un sistema deduttivo, senza affrontare i l problema di che cosa in effetti s�orra in esso, se sia la verità i n fal libile o solo, per fare degl i esemp i, la verità «psi­ cologicamente non correggibi l e » di Russe l l , la verità «logicamente non correggib i l e » di Braithwaite, la verità « l i nguisticamente non correggibi l e » d i Wittgenstei n , 5 o ancora l a falsità correggibile e la «verosimil itudine» d i Popper, o l a probab i l ità carnapiana. L'affasc inante storia del programma eucl ideo e del suo crol lo non è an­ cora stata scritta, nonostante sia generalmente noto che nelle regioni su­ periori delle strutt· u re deduttive la scienza moderna ha condotto a termini sempre più teorici e a proposizioni sempre più inverosi m i l i , i nvece che a term i n i e a proposizioni sempre più bana l i . È stato arduo passare al pro­ gramma empirista e fissare i fondamenti in fondo alle teorie ; si è trattato davvero di uno dei traumi più drammatici nella storia del pensi ero uma­ no, i n quanto ha comportato drastici m utamenti nella prospettiva origina­ ria della razional ità euclidea. Se si può immettere il valore di verità solo in fondo a una teoria, a l l ora la teoria è o congetturale o falsa. Così , mentre una teoria euclidea è verificata, una teoria empiri sta è falsificabile ma non verificabile. Entrambi i programmi offrono verità che, considerate iso­ latamente, risu ltano banali e prive di interesse, tuttavia la verità banale in virtù della sua posizione i n onda interamente una teoria euclidea ma non una teoria empirista. Un eucl ideo non è mai costretto ad ammettere la sconfitta: i l suo pro­ gramma è inconfutabile. Non si può mai confutare l'asserzione puramente esistenziale secondo cui esiste un insieme di primi principi banalmente veri da cui seguono tutte le altre verità. Così lo spettro del programma eucl ideo può tormentare per sempre la scienza co me principio regolativo, «metafisica infl u ente » . � -

5 6

Cfr. Braithwaite, Russel l e Waismann [ 1 938] . Watkins [ 1 958] .

20

Matematica, scienza ed epistemologia

Quando una particolare teoria che aspira a essere una teoria eucl idea è pericolante, un euclideo può sempre n egare che, globalmente, il suo pro­ gramma sia stato sconfitto. Anz i , sono gli stessi eucl idei rigorosi a mostra­ re incessantemente che le teorie «eucl idee » dei loro predecessori non erano realmente euclidee, che l ' intuizione che stabi l iva la verità degli as­ siomi era inaccettab ile, i l l usoria, che si trattava di un fuoco fatuo e non del l 'autentica Luce della Ragione. I n tal caso essi possono o ripartire da zero o sostenere che nel l'euclideo paese delle fate il cammino tortuoso verso le luminose vette della banalità deve inevitab i lmente condurre at­ traverso gole tenebrose. Si deve solo sper are e proseguire la scalata. Euclidei stanchi o miopi possono essere tratti in inganno e scambiare una gola oscura per una vetta l u minosa. Mentre da una parte la critica, e certamente la confutazione, possono rivelare i l carattere non banale della conoscenza di sfondo apparentemente più banale - uno splendido esempio è la critica einsteiniana della simu ltaneità - dal l ' altra un atteg­ giamento autoritario e la corroborazione possono rendere banale ( spinge­ re nella conoscenza di sfondo non problematica) la congettura apparen ­ temente più sofisticata - un esempio divertente è l ' atteggiamento di Kant nei confronti della meccanica newtoniana. La confutazione ci fa i mparare, la corroboraz ione ci fa di menticare . Così un razionalismo presuntuoso, con una spec ie di «euclideismo di gomma » , può estendere forzatamente i confini dell ' autoevidenza, e non solo in un periodo di vittoria, ma anche in u n periodo di disastrosa ritirata. 7 (3) Alcuni dogmatici hanno cercato di salvare la Conoscenza dagli scet­ tici con un metodo non eucl ideo. La r�gione, sconfitta in cima, ha cercato rifugio ancorandosi al fondo. Ma la verità in fondo a un s istema deduttivo non ha lo stesso potere della verità in cima a esso. Ci si aspettava che l'induzione ristabilisse la simmetria. I! Programma Induttivista fu il tenta­ tivo disperato di costrui re un canale attraverso cui la verità fl u isse verso l'alto, a partire dal le asserzioni di base, stabilendo così un principio logi­ co addizionale, i l principio di ritrasmissione della verità, Un tale principio

L'eucl ideismo di gomma fornisce talvolta dimostrazioni che sono divertenti esempi di pseudorigore. Mach chiama l'euclideismo nella scienza «mania della dimostrazione » ( Mach ( 1 882 ] , cap. I, par. 5 (trad. it. p. 105 ] ) . Fornisce un elenco notevole: «In questo modo Archimede dimostra la sua legge della leva, Stevin la legge del piano inclinato, Daniel Bernoulli il parallelogramma delle forze, Lagrange il principio degli spostamenti virtuali » (trad. it. p. 1 04 ] . Avrebbe owiamente potuto aggiungere molti altri nomi, come quelli di Maupertuis ed Euler, le cui tendenze eucl idee sono da lui discusse, in un altro contesto, nel cap. IV, par. 2. ( Ma omette le dimostrazioni di Euler degli assiomi newtoniani. )

7

1.

Fondamenti della matematica

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avrebbe consentito all'induttivista di inondare di verità, dal basso, l ' intero sistema. Una «teoria induttivista » , proprio come una teoria euclidea, è ov­ viamente coerente, dal momento che tutte l e proposizioni che ricorrono in essa sono vere. Nel diciassettesimo secolo l ' i mpossibil ità di un canale induttivo non appariva così ovvia come appare oggi, specialmente a chi basava la dedu­ zione s u l l ' intuizione cartesiana e denigrava la logica formale aristotel ica. Se c'è un'intuizione deduttiva, perché non dovrebbe esserci u n ' intuizione induttiva? Tuttavia la storia della logica ( c i oè della teoria dei canali del valore di verità ) da Descartes fi no a oggi è essenzialmente la storia della

critica e del miglioramento dei canali deduttivi e della distruzione dei canali induttivi, realizzati rendendo la logica «formale » . Se l ' i nduttivismo si prefigge di dimostrare proposizioni teoriche , occul­ te, dubitab i l i , dal basso, dalla fami l iare base empirica, deve anche chiarire alla perfezione il sign ificato dei ter mini teorici - non ci sono verità ulti­ me senza concetti ultimi. Così l'induttivista deve definire i termi n i teorici mediante quelli "osservab i l i » . Poiché non può farlo per mezzo di defini­ zioni espl icite, tenta di farlo mediante definizioni implicite, contestuali, per mezzo di «costrutti logic i » . Quando in matematica si voleva dimostra­ re tutto dal l 'alto, si doveva ridefinire, ricostru ire tutto nei termini perfet­ tamente noti delle proposizioni in cima al sistema. Quando nella scienza si vuole dimostrare tutto dal basso si deve prima ridefin ire, ricostruire tutto nei termini perfettamente noti delle proposizioni i n fondo al siste­ ma. ( Questo vale specialmente se si è «induttivisti stretti », poiché i n tal caso non solo la verità, ma anche i l significato deve fluire verso l ' alto, dal momento che la verità non può circolare in proposizioni prive di sign i fi ­ cato . ) Il problema della dimostrazione induttiva e i l problema della defi ­ nizione d e i termini teorici mediante gli osservabi l i - si potrebbe dire il problema della definizione induttilla sono, dunque, problemi gemelli e l ' idea che sia possibile risolverli dà luogo a i l l usioni gemelle.8 La versione originaria del programma induttivista è stata distrutta dal la critica scettica. Ma molti non riescono ancora ad accettare la rivoluz ione empirista, continuano a considerarla un affronto alla dignità della Ragio­ ne. Alcuni ideologi modern i dell'i nduttivismo - mi riferisco a una tipica varietà di positivisti logici - hanno prodotto un'i mmensa letteratura volta a difen dere una versione indebolita del vecchio programma : l 'lnduttivi-

8 Il metodo russell iano delle «costruzion i » 1 constructionalism ] fu un tentativo di risol· vere il problema della defi n izione induttiva e di stabi l ire così un solido fondamento concettuale per il suo indullivismo. Per un'eccel lente discussione, cfr. Weitz 1 1 944J.

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Matematica, scienza ed epistemologia

smo Probabilistico. Innanzitutto essi - gi ustamente - non possono amo mettere che un s istema deduttivo scientifico sia privo di significato tranne che per l e proposizioni sit uate al suo livello più basso. Anz i , per loro una teoria è dotata di significato se la sua base tocca il l ivello delle asserzioni osservat ive. Ma, nonostante i loro «principi di verificazione » ammettano che l e asserzioni teoriche sono significanti, si è lasciati all'oscuro per quanto riguarda il loro effettivo signi ficato. Gli induttivisti stretti - erro· neamente - non ammettono immissioni d i significato se non in fondo alle teori e. Ma all ora le asserz ioni teoriche sarebbero forse dotate di sign i · ficato senza averne u n o in particolare? Essi tentano di sfuggire al di lemma estendendo drasticamente i l concetto di defin izione, di trasferimento del sign ificato, in modo tale da abbracciare la «riduzion e » , un vero e proprio gioco di prestigio logico escogitato per ritrasmettere, se non l ' intero sign i ­ ficato, almeno qualche s u o parziale surrogato verso l 'alto, dai term i n i os­ servab ili a quel l i teoric i. 9 I noltre, poiché conoscono e accettano la logica formale, essi n o n pos­ sono considerare val ida l ' i nduzione. Ma dopo aver esteso il concetto di trasferimento del significato, essi estendono quello di trasferimento della verità, in modo tale da incl udere la ritrasmissione, se non della verità, almeno della verità parziale, probabile, di qualche «grado di conferm a » , verso l 'alto, dalle asserzioni osservative a l l e asserzioni teoriche. lO Una teoria confermata mediante l ' induzione probabil istica è probabi l ­ mente coerente. C'è da aspettarsi da un momento all 'altro una teoria pro­ babil istica della coerenza probab ile. Ne l crit icare il sorpassato, inadeguato, e pretenzioso induttivismo mo­ derno, non si dovrebbero diment icare le sue nobili origin i . I l credo indut­ tivi sta del diciassettesimo e del diciottesimo secolo ebbe un ruolo davve­ ro importante e progressivo. Era la grande lebensluge [ menzogna vitale ) della giovane scienza specu lativa nell'oscura era pre-popperiana del l ' i l ­ l u m i n ismo, quando le mere congetture erano disprezzate, confutare sign i ­ ficava smascherare un ragionamento scorretto e stabi lire u n a fonte autore­ vole di verità era una questione di vita o di morte. Il trasferimento dell 'a,u­ torità dalla Rivelazione ai fatti incontrò, ovviamente, l'opposizione della Chiesa. I logici scolastici e gli «umanist i » ripetevano continuamente che i l destino del l'avventura induttivista e r a segnato e mostravano, s u l l a base 9 Cfr. Carnap [ 1 936J e, per quanto riguarda la letteratura recente, alcuni articoli e riferi· menti in Feigl, Maxwell e Scriven (a cura di) [ 1 958] . IO L"idea può essere fatta risalire a Leibniz [1678] e a Huygens ([ 1690J Prefazione ) . La Logica Induttiva è stata rimpiazzata da Keynes, Reichenbach e Carnap con la nuova e più debole Logica della Probabilità. Per riferimenti e critiche si veda Popper [1959J, cap. X .

1. Fondarrumti deUa matematica

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del la sil logistica formale aristotelica, che non ci possono essere inferenze val ide dagli effetti alle cause, per cui le teorie scientifiche non possono essere vere , ma solo strumenti per fare predizioni fall i bi l i : «ipotesi mate­ matiche » . Essi s i opponevano a quegli ideologi della scienza moderna che respingevano la l ogica aristotel ica e predicavano la logica intuitiva, infor­ male, e l ' induzione. Mentre difendevano la verità della Rivelazione, sotto­ posero la verità della ragione e dell ' esperienza a una critica devastante. Nel diciassettesimo secolo, l'alleanza fra euclideismo e induttivismo dife­ se la scienza dal l ' u m i l iazione e lottò per il suo prestigio. Gli empiristi bri l larono nella critica dell 'euclideismo. Criticarono ciò che gli euclidei presentavano come garanzia delle l oro i m missioni di veri­ tà intuitive : l'autoevidenza. Tuttavia la definitiva distruzione empirista del l'induttivismo è stata compiuta, paradossalmente, da un filosofo che ha condotto la rivol uzione epistemologica oltre l 'empirismo: Popper. Nella sua critica della versione probabil istica della teoria ·dell'inferenza indutti­ va, Popper ha mostrato che i l sign ificato e la verità non possono essere trasferiti verso l'alto neppure parzialmente. Ma ha mostrato anche che le immissioni di significato e di valore di verità in fondo alle teorie sono lungi dal l ' essere banali; che non ci sono term ini «empirici » , ma solo ter­ m i n i «teorici » , e che non si può dire n u l la di definitivo sul valore di verità delle asserzioni di base, rinnovando in tal modo l'antica critica greca del­ l ' esperi enza sensoriale. (4) Il fal/ibilismo critici; di Popper prende sul serio il regresso infinito nelle dimostrazioni e nelle definizioni, non si fa i l lusioni sulla possibi l ità di «arrestarlo » , accetta la critica scettica delle immissioni di verità infal l i ­ b i l i . I n questo approccio n o n c i s o n o Fondamenti d e l l a Conoscenza, né in cima né in fondo alle teorie, ma ci possono essere immissioni ipotetiche d i sign i ficato e di verità in qualsiasi punto del sistema. Una «teoria empi· ' r ista » è o falsa o congetturale. Una «teoria popperia n a » può essere solo congetturale. Non possiamo mai sapere, ma solo fare delle congetture. P ossiamo, tuttavia, rendere criticabili le nostre congetture, criticarle e mi­ gliorarle. I n un simile Programma Critico molti dei vecch i problemi come quelli dell' induzione probab i listica, della riduzione, della giustifi ­ cazione d e l sintetico a priori, d e l l a giustificazione del l ' esperienza senso· riale, ecc. - diventano pseudoproblemi, dal momento che sono tutte ri­ sposte al falso quesito dogmatico Come lo sat? AI posto di questi vecchi problemi, tuttavia, emergono molti problemi nuovi. La nuova qu estione centrale, Come si migliora una congettura?, darà abbastanza da fare ai fi ­ losofi per seco l i ; il problema di come vivere, agire, lottare, morire quando non ci si può affidare che a congettu re, darà ancora più da fare ai filosofi

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Matematica, scienza ed epistemologia

della politica e agli educatori del futuro. Ma l ' in faticab i l e scettico chiederà ancora: «Come fai a sapere che m i ­ gl iori le tue congetture? » Ma ora la risposta è faci l e : « È una mia congettu­ ra ». Non c'è nulla di vizioso in un regresso infinito di congetture. 2 . L'ARRESTO DEL REGRESSO INFINITO MEDIANTE lA BANALIZZAZIONE LOGICA DELlA MATEMATICA Dal diciassettesimo al ventesimo secolo l'euclideismo è stato costretto a una grande ritirata. Le occasionali scaramucce di retroguardia volte ad aprire u n varco al di là delle ipotes i , verso l e vette dei primi principi hanno portato solo a sconfitte. La sottigliezza fal libile del programma em­ pirista ha vinto, la banalità infal libile degli euclidei ha perso. G l i euclidei sono riusciti a sopravvivere solo in discipline meno svil uppate, in cui la conoscenza è ancora banale, come l ' etica, l 'economia, ecc. l l Questi quattrocento anni d i ritirata sembrano però aver completamente risparmiato la matematica_ In essa gli euclidei hanno mantenuto la loro roccaforte originaria. I l pasticcio dell'analisi del diciottesimo secolo costi­ tuì naturalmente una battuta di arresto. Ma a partire dalla rivoluzione del rigore di Cauchy essi puntarono, lenti ma sicuri, verso la vetta. Con una deliberata euclideizzazione Cauchy e i suoi successori realizzarono i l m i ­ racolo: tradussero la «tremenda oscurità dell'analisi» 1 2 i n u n a teoria eucl idea crista l l ina . «Questa grande scuola di matematic i , in virtù d i una serie di stupefacenti definizioni, ha salvato la matematica dagli scettici, fornendo rigorose dimostrazioni del l e sue proposizioni . »13 La matematica è stata banalizzata, derivata da assiomi ovvi , indubitabil i , in cui figurano solo term i n i banali di assol uta chiarezza, e dai quali la verità si riversa in limpidi canali. Concetti come «continuità », « l imite », ecc. vennero defin iti mediante concetti come «numero naturale » , «classe », « e » , «o» ecc. J-'a,­ ritmetizzazione della matematica fu una delle più m i rab ili i mprese eucli­ dee. Perfino gli empiristi dovettero ammettere che Euclide, il «genio ma­ lefico » della scienza, va riconosciuto, a un tempo, come il «genio benefi Il Per l ' etica cfr. Sidgwick [ 1874 ] , Libro III, Intuizion ismo, e per riferimenti recenti M . Warnock [ 1 960) . Per l'economia c fr. p e r esempio L.e. Robbins [ 1 932 ] , pp. 78·9 e L . von Mises [ 1960] , pp. 1 2·3. 12 Abel [ 1 826b] , p . 263. n Ramsey [ 1 925 1 . p. 56 [73 ) e , seguendo i l suo esempio, Russell [ 1959], p. 1 2 5, usano questa frase per caratterizzare il loro scopo e il loro metodo.

1. Fondamenti deRa matematica

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CO» della matematica. 1 4 Di fatto i moderni empiristi logici, benché lungi dal l 'essere «empiristi » radicali nella scienza ( la maggior parte di essi sono i nduttivist i ) , sono euclidei,radicali i n matematica. Tuttavia gli euclidei in­ transigenti, c o m e i l giovan e Russe l l , nOI) si ras s egnarono mai a questo dom inio ristretto: lavorarono duramente per completare il loro program­ ma in matematica nella speranza di riconquistare poi i l territorio perduto, di euclideizzare e banalizzare l'intero u niverso della conoscenza. Nessuna teoria eucl idea, tuttavia, può reggere alla critica scettica. Anz i i più incisivi argomenti scettici contro il dogmatismo matematico scaturiva­ no proprio dai dubbi con cui i dogmatici tormentavano se stessi: «Abbia­ mo davvero raggiunto i termini primitivi ? Abbiamo davvero raggiunto gli assiomi? I nostri canali di verità sono davvero sicuri ? » Questi interrogativi giocarono un ruolo decisivo nella grande i mpresa, affrontata da Frege e Russel l , di risalire a principi prim i ancor più fondamentali degli assiomi di Peano per l 'aritmetica. Mi soffermerò in particolare sull'approccio di Rus­ sel l per mostrare come egl i fal l ì nel suo originario Programma Eucl ideo, come alla fin e ripiegò sull 'induttivismo, come preferì la confusione piut­ tosto che affrontare e ammettere il fatto che ciò che è interessante in ma­ tematica è congetturale. I l problema principale della filosofia di Russel l fu sempre quello di sal­ vare la Conoscenza dagli scettici. «Lo scetticismo, sebbene logicamente impeccabile, è psicologicamente impossibile, e in ogn i fi losofia che finge di accettarlo c'è un elemento di frivola insincerità » ( Russe l l [1948], p. 9 [11)). I n gioventù egli sperava di sfuggire allo scetticismo con l 'aiuto di un vasto programma euclideo. La sua «evoluzione fi losofica» non è altro, in pratica, che la graduale ritirata dal l 'eucl ideismo, compiuta combattendo valorosamente metro per metro e salvando quanta più certezza possibile. È interessante ricordare l ' ottimismo dei suoi progetti iniziali. Russell riteneva che prima di «estendere la sfera della certezza alle altre scienze » si doveva arrivare «a una matematica perfetta che non lasci spazi o al dub­ bio» ( Russell [1 959] , p. 36 ) . A questo scopo si doveva «confutare lo scet­ ticismo matematico » ( ibid. , p. 2 09 ) e assicurare così una solida testa di ponte eucl idea per i l successivo attacco generale. Così i l punto di parten­ za della carriera fi losofica di Russell fu costituito dal tentativo di stabil ire la matematica come testa di ponte del Programma Eucl ideo_ Egli considerava le dimostrazioni matematiche scandalosamente inaffi­ dab i l i . "Buona parte de l l e dimostrazioni che mi era stato detto di accetta­ re erano evidentemente fallac i » ( ibid. , p_ 209 ) . Non era nep p ure soddisfat14

R.B. Braithwaite [ 1 953 ] , p. 353 [326] .

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Matelllatica, scienza ed epistelllo{oRia

to de lla certezza degl i assiomi, geometrici o arit metici. Era ben consape­ vo le della critica scettica del l ' intuizione: il leitmotil! della sua prima pub­ blicazione consisteva nel combattere la «confusione fra l'a priori psicolo­ gicamente soggett ivo e l a priori logico » (Russell [ 1 895], p , 245 ) . Come si fa a sapere che le imm issioni di verità in cima ai sistemi deduttivi sono giustificate oltre ogn i dubbio? Cercando di risolvere questo problema egl i esaminò u n o per u n o gli assiomi della geometria e dell 'aritmetica e scoprì che la loro giustificazione era basata su tipi molto diversi di intuizione. Nel suo primo saggi o pubbl icato [1 896] Russell analizza da questo punto di vista gli assiomi della geometria eucl idea e scopre che alcuni di essi sono certamente veri, e in part icolare veri a priori, dal momento che «la loro negaz ione comporterebbe assurdità logiche o fi losofiche » (p. 3). Egl i class i ficava, per esempio, l'omogeneità dello spazio come una verità a priori, la «mancanza di omogeneità e di passività è [ . ] assurda ; nessun fi losofo, per quanto ne so, ha mai avanzato dubbi su queste due proprietà dello spazio vuoto; anzi, esse sembrano scaturire dalla m�ssima secondo cui n ulla può agi re sul n u l la [ ] In tal caso dobbiamo, su basi puramente f i l osofiche, accettare [ . . ] per esempio l 'assioma d i Congruenza » (p. 4 ) . D'altra parte egl i classificava come empirico l 'assi oma sulla tridimensiona­ I ità dello spazio, ma affermava che la sua certezza è «quasi altrettanto grande » che se esso fosse vero a priori ( p . 1 4 ); esso non è, tuttavia, «log i ­ camente inevitab i l e » ( corsivo mio) e, al più, «si può supporre che derivi la sua evidenza dal l ' intuizione » (p. 23), Russe l l tentava così di stabi l i re una gerarchia di verità a priori, di «cre­ denze matematiche » , geometriche o aritmetiche. Egl i «lesse qualsiasi l i ­ bro g l i riuscì di trovare che sembrava forni re a esse una p i ù sol ida fonda­ zione » ( Russe l l [1959], p. 209 ) . Fu così che si imbatté in Frege. Optò subito per la soluzione da lui proposta : derivare tutta la matematica da princ ipi logici bana l i . L'intuizione aritmetica doveva essere messa da parte e condannata a seguire l ' intuiz ione meccanica e geometrica nel ripostigl io del le ex- banalità mentre, al suo posto, doveva essere insediata l' intuiz ione logica, non proprio come « i ntuizion e » , ma come percezione infal libile, come una super-intuizione super-banale . La banal izzazione aritmetica del­ la matematica doveva essere detron izzata e sostituita dal la sua banal izza­ zione logica. Per apprezzare questo passo dobbiamo considerare il ruolo particolare svolto dall ' intuizione logica. La specialità degli euclidei è quella d i scon­ fessare l e fonti intuitive delle i m m issioni di verità in cima ai sistemi de­ duttivi stab i l ite dai loro predecessori. La storia del l 'euclideismo è costel­ lata d i simili sconfession i . Un esemp io è fornito dal l 'eucl ideismo matema'

. .

. . .

.

J. f«mdall/ellli della /IIa/ell/atica

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.

t i co. La sco p e rta d e i n u meri irraz iona l i i n d usse i G reci ad ahhandonare l ' a r i t m et i ca p i tagor ica i n favore d e l l ' i nt u i z i o n e geometrica eucl idea : l 'a ­

r i t m e t i c a doveva essere tradotta n e i term i n i perfetta m e n t e c h i a ri d e l l a g e o m e t r i a . P e r c o m p i ere q u esta tradu z i o n e essi e l ahoraro n o l a l o ro com­ p l i cata « t e o r i a d e l l e p roporz i on i » . I l d i c i an n oves i m o seco l o , n e l « c h i a r i ­ re » i l concetto d i n u m e ro i rra z i o n a l e , r i t o r n ò a l l ' i n t u i z i on e a r i t m e t i ca co­ m e in t u izio n e

do m in a tlte.

Successiva m e n t e l ' i n t u i z i o n e i n s i e m istica di

Cantor, quella logica di Russe l l , ! ' i n t u i z i o n e « g l oba l e » d i H i l b e rt e q u e l l a «costru t t i v i sta » b Brouwer s i contesero q u esto r u o l o . I n q u esta hattag l i a

per i l d i ritto e sc l u s ivo d i i m m ettere i valori d i v e r i t à i n c i m a' a i s i s t e m i dedutt ivi , l ' i n t u i z i one l ogica g i oca u n ruolo m o l t o part i c o l a r e : i n fatt i , c h i u n q u e vinca l a battag l i a p e r g l i ass i o m i ,

è

n ecessa r i o a ffidarsi a l l ' i n t u i ­

z i o n e l og i ca p e r trasfe r i r e l a verità d a l l a c i m a a l l e part i remote d e l s i ste­ ma. Perfi n o gli e m p i ri st i , c h e n e l l a scienza hanno d e m ol i to tutte l e i n t u i ­ z i o n i d i alto l ivel l o

( insediando

\ ' i n t u i z i o n e fat t u a l e di hasso l iv e l l o ) , d e ­

v o n o a ffidarsi a una logica bana l m e n t e s i c ura per d i r igere verso l 'alto le l oro c o n futaz i on i . Se la critica deve essere d e c i s iva, deve c o l p i re con una fo rza l et a l e , convog l i ata da una logica i n esorab i l e . Ciò s p i ega perché an ­ c h e g l i arc i - n e m i c i d e l l ' i n t u i z i o n e n o n i n c l udono affatto l ' i nt u i z i o n e l og i ­ c a , v i sto i l suo particolare status, n e l l a categor i a d e l l ' ,d n t u i z i o n e » , dal m o m e n t o c h e n e hanno b i sogno per c r i t i care l e i n t u i z i o n i d i a l t ro t i p O . 1 5 M a se

qualsiasi

progra m m a dogmat ico - e u c l ideo d i q u a l u n q u e spec i e ,

i n d u tt ivista o e m p i r i sta - necess i ta di u n ' i nt u i z i on e l og i ca ban a l e , davve­ ro i n fa l l ib i l e , a l lora mostrare che per t u tta l a matematica non occorre n i e n t ' altro che l ' i n t u i z i o n e logica cost i t u i rebbe certa m e n t e u n enorme r i ­ s u l t a t o : c i sarebbe u n a sol a fon t e d e l l a certezza s i a p e r g l i ass i o m i s i a p e r la tras m i s s i o n e d e l l a verità. L' i nt u i z i o n e l og i c a , tuttav i a , deve prima essere resa autonoma, deve es­ sere depurata dal l e i n t u i z i o n i est ra n e e . N e l l e teorie euclidee c l as s i c h e og n i passagg i o l og i c o pert i n e n t e doveva e s s e r e g i u st i fi cato da u n a s s i o m a particolare. L a val i d i tà d i ogn i asserz ione d e l l a forma «A i m p l ica B» o p i u t ­ tosto «A i m p l ica ovviamente B» doveva essere esami nata i n d i p e n d ente­ m e n t e . La logica cartes i a n a contiene u n ' i nfi n ità indeterminata d i ass i o m i d i p e n d e n t i dal l ' argom ento

[ topic -dependent) .

Russe l l aveva i n m ente u n a

logica potente c h e c o n s i stesse d i p o c h i ass i o m i determ i n at i , ban a l i e « n e u t ra l i r i spetto a l l 'argomento »

� �opic- neutral) . 1 6

Eg l i non si e ra reso

IS Per esempio, secondo Couturat ( [ 1905 ] , cap. I), ,< l'autoevidenza non era una condi · zione ma un ostacolo per il rigore logico [ . . . ] l'autoevidenza è del tutto soggettiva [ . . . ] e quindi estranea alIa logica ». 1 6 Il termine è di G. Ryle [ 1954 ] .

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Matematica, scienza ed epistemologia

conto, a l l ' inizio, che se la logica deve diventare un sistema deduttivo eucl ideo super-banale, essa deve contenere da una parte assiomi super­ bana l i e dall'altra una logica super-super-banale di questa logica, conte­ nente regole determinate per trasferire la verità i n essa : «Tutta la matema­ tica pura - Aritmetica, Analisi e Geometria - è fatta di combinazioni del l e idee primitive della logica e le sue proposizioni sono dedotte dagli assiomi logici generali, come i l sillogismo e le altre regol e di i n ferenza .. ( Russell [ 1 90 1 b] , p_ 76 [ 80 ] ) _ Adesso questi «assiomi » saranno davvero banalmente veri e splenderanno indubitabi li alla l uce naturale della ra­ gione puramente logica, "pietre angolari , fissate a un fondamento eterno che può essere raggiunto ma non rimosso dal la ragione umana .. ( Frege [ 1 893 ] , p. XVI ) . I termini ricorrenti in essi saranno davvero termi n i logici perfettamente chiari. I l dizionario consisterà essenzialmente di due soli term i n i banali : relazione e classe. « È necessario sapere che cosa s ign i fica­ no queste idee se si vuoI diventare un aritmetico . .. Ma non c'è n u l la di più faci l e . «Si deve ammettere che ciò che un matematico deve conoscere per iniziare non è molto» ( Russe l l [ 1 90 1 bl pp_ 78-9 [ 83 l ) In questo periodo - un mese o due prima della scoperta del suo Paradosso - egl i riteneva che fosse stata real izzata la definitiva euclide izzazione della matematica e che lo scetticismo fosse stato sconfitto per sempre: «Ne l l ' i ntera filosofia della matematica, che era costellata di dubbi almeno q uanto qualsiasi altra parte della fi losofia, l'ordine e la certezza hanno sostituito la confusione e l ' incertezza che prima regnavano » ( ibid. , pp. 79-80 [ 84 ] ) . Perciò: ,

_

a q u e l tipo di scetticismo c h e rinuncia a perseguire gli ideali perché la strada è ardua e la meta non è sicuramente raggiungibile, la matematica, all'interno della propria sfera, ha dato una risposta esauriente. Troppo spesso si è detto che non esiste la verità assol uta, ma solo l'opin ione e il giudizio personale; che ciascuno di noi, nella propria visione del mondo, è condizionato dalle proprie caratteristiche, dal proprio gusto e dai propri pre­ concetti ; che non esiste un regno esterno della verità al quale, se siamo pazi enti e disci­ plinati, possiamo al fine essere ammessi, ma solo la verità per me, per te, per ciascun singolo i ndividuo. Questo abito mentale n ega una d e l l e m e t e principal i degli sforzi d el­ l ' uomo e fa sparire d a l nostro orizzonte morale la virtù suprema de l l 'obiettività, del co­ raggioso riconoscimento di ciò che è . La matematica è la perpetua riprovazione di un simile scetticismo ; l'edificio delle sue verità rimane i n fatti incrollabile e inespugnabile di fronte a tutte le armi del dubitante cinismo. ( Russell [ 1 901 a] , p. 7 1 [ 76J . ) .

È noto come la breve «luna di miele » eucl idea lasciò il posto a una «frustrazione intellettual e » ( Russell [ 1 959] , p . 7 3 ), come la progettata ba­ nal izzazione logica della matematica degenerò in un sistema sofisticato che incl udeva assiomi come quello di riducibi lità, dell ' i nfinito, di scelta, e anche la teoria dei tipi rami ficati, uno dei più complessi labirinti concet-

1.

Fondamenti della matematica

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tuali che la mente umana abbia mai i nventato. « Classe" e « relazione di appartenenza» risultarono essere nozioni oscure, ambigue, tutto fuorché «perfettam ente note " . Sorse persino l ' esigenza, del tutto estranea al pro­ gramma euclideo, di una dimostrazione d i coerenza, per accertare che g l i «assiomi banalmente veri " n o n si contraddicessero l'un l 'altro. Qu esta storia e il suo seguito devono apparire come déjà vu a qualsiasi studioso della scienza del Seicento: la dimostrazione ha dovuto cedere il passo alla spiegazione, i concetti perfettamente noti ai concetti teorici , la banal ità alla sottigl i ezza, l ' i n fallibil ità alla fallibilità, la teoria euclidea alla teoria empirista. Si i ncontra anche lo stesso rifiuto di accettare i l mutamento radical e : le stesse scaramucce di retroguardia, le stesse speranz è , le stesse soluzioni di ripiego. Le prime reaz ioni di Russel l ai suoi non progettati , indesiderati e tutt'al­ tro che indubitab i l i Principia, seguono l o stesso schema dei classici tenta­ tivi di salvare il dogmatismo compiuti nel diciassettesimo secolo. Ho ri· cordato due atteggiamenti tipic i : ( 1 ) ri manere attaccat i all 'originario pro­ gramma euclideo e cercare di aprirsi un varco attraverso le ipotesi verso i principi pri m i , oppure forzare l ' i ntuizione e presentare oggi come ovvio ciò che fi no a ieri costitu iva una speculazione paradossal e ; altrimenti, se questo non serve, ( 2 ) cercare di giustificare l ' induzione e di trasmettere così la verità, immessa in fondo, verso l 'alto a riempire l'intero sistema. ( I ) Come Newton sperava di spiegare la l egge della gravitazione trami ­ te i principi d e l l a meccan ica cartesiana dell' urto, così Russel l sperava n e l ­ la banal izzaz ione dell'assioma di riducibil ità ( Russel l [ 1 925 ) , p p . 59·60 ) : «Mentre sembra molto improbab i l e c h e l'assioma risulti essere falso, non è affatto improbab i l e che si scopra che esso è deduc ibi l e da qualche altro assioma più fondamentale e più evidente » , I n seguito abbandonò questa speranza: «Dal punto di vista strettamente logico, non vedo alcuna ragio­ ne per sostenere che l'assioma di riducib i lità sia logicamente necessario ' [ " . j L' immissione di questo assioma in un sist ema di logica costituisce dunque un difetto, anche se l 'assioma è empiricamente vero " ( Russell [ 1 9 1 9 1 . p, 193 [ 2 2 5 ) ) . Russell descrisse questo tipico approcci o i n riferimento all'assioma del· le parallele :

Per il punto di vista kantiano era necessario sostenere che tutti gli assiomi sono autoe· videnti, un punto di vista questo che le persone oneste trovavano difficile estendere all'assioma delle parallele. Di qui nacque una ricerca di assiomi più plausibili, che po· tessero essere dich iarati verità a priori. Ma benché molti assiomi di tal genere venissero suggeriti, tutti potevano essere posti in dubbio e la ricerca condusse solo allo scetticismo ( Russell [ 1 903 J par. 353) [p, 5 1 5 della trad. il. N.d. C. i. J

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Matematica, scienza ed epistemologia

Sarebbe stato d'accordo Russell sul fatto che la sua ricerca di assiomi logici «plausib i l i » , che «potessero essere dichiarati veri a priori» , condus­ se solo allo scetticismo? Nel caso della teoria dei tipi egli ripiegò su un «euclideismo di gom­ ma » . Era convinto che ci fosse una soluzione banale del paradosso da lui scoperto. Doveva trattarsi , ovviamente, di una speranza molto vaga, poiché in questo caso, diversamente da quello del sofisticato paradosso di Burali­ Fort i , veniva mostrata la contraddittorietà dell e più banali asserzioni del senso comune, cosicché per m igliorare la situazione si sarebbe dovuto assumere che la negazione di qualche assioma del senso comune fosse vera. La soluzione d i Zermelo - adottare consapevolmente la n egazione del Principio di astrazione, nonostante esso apparisse banalmente vero segu iva q uesta l inea. Tuttavia Russel l , con la sua mentalità euclidea, abor­ riva una s i m i l e soluzione. Non si adattò mai alla teoria assiomatica degli insiemi. Riteneva che si dovesse dedicare ogn i sforzo a depurare i l senso comune dal l 'errore - ancora una volta un atteggiamento tipico del di­ ciassettesimo secolo - e si sarebbe al lora potuto vedere, in virtù del nuo­ vo lume naturale, che vi era sempre, ovviamente, qualcosa di man i festa­ mente erroneo nell 'argomentazione. Dal momento che local izzare un lemma in un'argomentazione e sostenere che esso non è banal mente ve­ ro, ma banalmente falso, è un procedimento che potrebbe rendere ardua l 'auto- i l l usione euclidea, Russel l scoprì che è possibile rimpiazzare que­ sto metodo per annullare de facto la qualifica di verità banale, con un altro metodo : i l lemma colpevol e non è banalmente falso, ma banalmen ­ te insensato, solo che non ci è mai capitato finora di guardare a esso da questo punto di vista. Così bisogna prima constatare se una proposizione è sensata o se si tratta solo d i una mostruosità insensata. Nel secondo caso essa non può essere né vera né falsa. T.uttavia, se non ci accertiamo subito della sua sensatezza ( manifesta) , ma cerchiamo i nvece di accertarci della sua verità, potremmo essere fuorviati e scambiarla per una proposizione banalmente vera. Questo «metodo di eliminazione delle mostruosità » è un tipico mecca· nismo di difesa euclideo, anche se di solito è steri le. 17 Nondimeno esso divenne uno dei principi fondamental i del positivismo logico, nella veste di una mostruosa generalizzazione della teoria dei tipi russell iana. I l peri · colo principale del metodo di eliminazione delle mostruosità consiste nel fatto che esso nasconde nelle definizion i , e dunque dietro la facciata del 17

Cfr. il

i

m o

[ 1 96 1 ] , cap. I ( " ora ripubblicato i n una versione molto riveduta

Lakatos [ 1976 ,J ,

cap. I, Nota dei curatori inglesi).

come

1. Fondamenti della matematica

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quadro concettuale, assunzioni vitali e sofisticate. Per espri merci nella terminologia della meta- matematica, la teoria dei tipi fa parte delle regole di formazione ( ossia delle regole che stab i l i scono ciò che costituisce una formula ben formata) e non degli assiomi. Possiamo capi re i l significato di questa mossa esaminando quanto viene sostenuto da Kemeny a difesa del logicismo. Nel suo quasi divulgativo [ 1 9591 (p. 2 1 ) egl i sostiene che :

si è mostrato che la matematica non è altro che Logica altamente sviluppata. In questo processo sono stati portati alla luce due nuovi principi logici, l'assioma dell'infinito e quello di scelta, sulla cui natura alquanto controversa non è necessario che ci soffermia­ mo i n questa sede. Basti dire che se li riconosciamo come due principi logici legittimi -come fa la maggior parte dei logici - allora tutta la matematica segue dalla Logica e non diventa altro che Logica Superiore. Kemeny non menziona mai la teoria dei tipi - che naturalmente rovi­ nerebbe questa immagin e del l'infallibile banalità della logica che egl i di­ p inge per i suoi l ettori - e può giustificare questa omissione sulla base del fatto che la teoria dei tipi appartiene alle regole di formazione e non agl i assiom i . Russell ovviamente sapeva c h e p e r i l s u o originario programma eucl i ­ d e o la banalità d e l l a teoria d e i t i p i è i n realtà vitale. È p e r questo motivo che insisteva sul «principio del circolo vizioso », sull'insensatezza delle asserzioni che contengono auto-riferiment i , come idea base della teoria dei tipi. Egl i riteneva che questo principio sarebbe stato riconosciuto co­ me evidente e la contraddittorietà della logica ingenua sarebbe stata così eliminata attenendosi al credo eucl ideo «secondo cui la soluzione avreb­ be dovuto, sulla base della riflessione, fare appello a ciò che può essere detto " i l senso comune logico" - cioè sarebbe dovuta apparire, alla fine, proprio quella che avremmo dovuto aspettarci fin dall ' inizio » ( Russel l [ 1959 1 , p p . 79-80 ) . Così l a ricerca, in quel momento ch iaramente vana, di una soluzione banale, lo intrappolò nella steril ità metodologica del l'eli­ minazione delle mostruosità, nell'errore, particolarmente steri le, della crociata contro l'auto-riferimento e nella deduzione «alquanto approssi ­ · ma tiva .. ( Ramsey [ 1 92 5 1 . p. 24 ( 40 ) ) d e l l a teoria d e i t i p i d a l principio in questione. 1 8 La teoria dei tipi, nel momento in cui viene presentata come autoevidente, come « intrinsecamente credibile .. ( Russell e Whitehead ( 1 92 5 ) , p. 37 ) è un eccellente esempio di euclideismo di gomma. La ri­ cerca della banal ità euclidea spiega anche lo sgomento di Russell nei con ­ fronti della «destrezza logica .. delle specu lazioni di Quine ( Russell [ 1 959 1 , p. 80 ) . Un eucl ideo di gomma tende a respingere i n quanto specu18

Cfr. anche Wang [ 1 959 ) .

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Matematica, scienza ed epistemologia

lazioni quelle che per gli altri sono ovvietà, mentre nello stesso tempo insiste nel presentare come ovvietà le proprie specu lazioni. ( 2 ) Russell, di tanto in tanto, dispera di raggiungere l 'evidenza euclidea e opta per una sorta di induttivismo:

Che l'assioma di riducibilità sia autoevidente è una tesi che ben difficilmente può essere sostenuta. Ma in realtà l'autoevidenza non è che una parte delle ragioni che spino gono ad accettare un assioma e non è mai indispensabile. Le ragioni per accettare un assioma, come per accettare qualunque altra proposizione, sono sempre in larga misura induttive, si basano cioè sul fatto che se ne possono dedurre molte proposizioni quasi ' i ndubitabili, e che non si conosce una maniera altrettanto plausibile di spiegare la verit,à di queste proposizioni se l'assioma fosse falso; infine che non se ne può dedurre nu1\a di p robabilmente falso. Che l'assioma appaia come autoevidente significa solo, in pratica, che esso è quasi indubitabile; infatti tante cose giudicate autoevidenti sono poi risultate false. Se l'assioma stesso è quasi indubitabile ciò non fa che aggiungersi a1\ 'evidenza induttiva derivata dal fatto che le sue conseguenze sono quasi indubitabil i : non fornisce una nuova evidenza di tipo radicalmente diverso. L'infallibilità non può mai essere otte­ nuta e quindi qualche elemento di incertezza deve sempre accompagnare ogni assioma e tutte le sue conseguenze. Nella logica formale l'elemento di incertezza è minore che ne1\a maggior parte delle scienze, ma non è del tutto assente, come appare dal fatto che i paradossi sono stati derivati da premesse di cui non si sapeva, in precedenza, che richie­ dessero delle limitazioni. Nel caso dell'assioma di riducibilità, l'evidenza induttiva in suo favore è molto forte, dal momento che i ragionamenti che esso rende possibi l i e i risulta­ ti a cui conduce sono tutti tali da apparire validi ( Russe1\ e Whitehead [ 1 925 l . p. 5 9 ) E i n seguito:

Quando la matematica pura è organizzata come un sistema deduttivo - cioè come l'insieme di tutte que1\e proposizioni che possono essere dedotte da un insieme stabilito di premesse - è owio che, se dobbiamo credere ne1\a verità della matematica pura, non possiamo farlo solo in virtù del fatto che crediamo nella verità de1\'insieme de1\e pre­ messe. Alcune premesse sono molto meno owie di alcune delle loro conseguenze e sono ritenute vere principalmente in virtù delle loro conseguenze. Si riscontrerà che le cose stanno sempre così quando una scienza è organizzata come un sistema deduttivo. Non sono le proposizioni più semplici a essere le più owie o a fornire la parte principale delle nostre motivazioni per credere nel sistema_ Nelle scienze empiriche questo è evi­ dente, L'Elettrodinamica, per esempio, può essere concentrata ne1\e equazioni di Max­ well, ma queste equazioni sono ritenute vere in virtù della verità osservata di certe loro conseguenze logiche. Accade esattamente lo stesso nel puro dominio della logica; i prin­ cipi logicamente primi de1\a logica - almeno alcuni di essi - devono essere ritenuti veri non per se stessi, ma sulla base de1\e loro conseguenze_ La questione epistemologi­ ca: "Perché dovrei credere nella verità di questo insieme di proposizioni?" differisce totalmente da1\a questione logica: "Qual è il gruppo di proposizioni più piccolo e logi­ camente più semplice da cui può essere dedotto questo insieme di proposizioni? " Le nostre motivazioni per credere nella logica e nella matematica pura sono, in parte, solo induttive e probabili, nonostante il fatto che, per quanto riguarda il loro ordine logico, le proposizioni de1\a logica e della matematica pura seguano, mediante la sola deduzione, dalle premesse della logica_ Ritengo che questo punto sia importante, dal momento che

1. Fondamt'7lti della matematica

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gli errori tendono a sorgere dall'assimilazione dell'ordine logico a quello epistemologi· co e anche, inversamente, dall'assimilazione dell'ordine epistemologico a quello logico. Il solo modo in cui, lavorando sulla logica matematica, si può gettare luce sulla verità o falsità della matematica consiste nel refutare le presunte antinomie. Ciò mostra che la matematica può essere vera. Ma mostrare che la matematica è vera richiederebbe altri metodi e altre considerazioni ( Russell [ 1924 1 . pp. 325-6).

È interessante osservare come logici matematici così schizzinosi in fatto di rigore, e che si propongono di raggiungere la certezza assoluta, possa­ no scivolare nella palude dell' i nduttivismo, Per esempio, A. Fraenkel, l ' i l ­ l ustre logico, n o n esita ad affermare che alcuni assiomi d e l l a logica devo­ no "tutto il loro peso » alI' " evidenza delle l oro conseguenze » ( Fraenkel [ 1 927 ] , p. 6 1 ) . Russel l dovette così rendersi conto in matematica, come Newton aveva fatto nella meccanica celeste, del fal l i mento dell 'avventura euclidea. Al­ cuni suoi seguaci, tuttavia, fecero della sconfitta una virtù, senza affrontare le sue i mportanti implicazion i . Così Rosser: Desideriamo chiarire un punto riguardo al nostro .uso della parola «assioma ». Origina­ riamente la parola venne usata da Euclide per intendere una "verità autoevidente ». Que­ st'uso della parola "assioma » è da molto tempo del tutto obsoleto nella cerchia dei matematici. Per noi gli assiomi sono un insieme di asserzioni scelte arbitrariamente che, insieme alle regole del modus ponens, sono sufficienti a derivare tutte le asserzioni che vogliamo derivare ( Rosser [ 1 953 1 . p. 55). Rosser ovviamente intendeva "tutte e solo tutte » , dal momento che egl i n o n intende certo difendere i sistemi d i assiomi contradditori . M a quali sono le asserzioni che vogliamo derivare? Sono forse quelle autoeviden­ ti? In questo caso la tesi di Rosser si l i miterebbe a spostare il problema dell'autoevidenza dagli assiomi alle "asserzioni che vogliamo derivare » . 1 9 Russel l stesso, proprio c o m e Newton , n o n fece m a i della s u a sconfitta una virtù. Egl i disprezzava questo tipo di "postulazione » : " I I metodo di "po­ stulare" ciò di cui si ha bisogno presenta molti vantagg i : sono gli stessi vantaggi deI furto nei confronti del lavoro onesto » ( Russel l [ 1 9 1 9 1 p. 7 1 ( 96 1 ) . I postulazionisti non sono n ecessariamente autoritari - essi pos­ sono essere " l iberal i » e sostenere di essere interessati ad "assiomatizza­ re » qualunque insieme coerente di asserzioni arbitrarie, non i mporta se vere o false. Questo gioco non ha ovviamente nulla a che fare con la verità 1 9 Oppure: "L'accettazione dei principi logici come legittimi non avviene necessaria­ mente su basi arbitrarie, né sulla base di una loro presunta autorità intrinseca, ma sulla base del fatto che raggiungono efficacemente certi scopi postulati» (E. Nagel [ 1944 1 , p. 82, corsivo miO).

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Matematica, scienza ed epistemologia

o con la sua trasmissione. Russell non- ha mai neanche preso i n considera· zione questa possibilità. Fermamente contrario alla postulazione e deluso nelle sue speranze euclidee, egl i si attaccò disperatamente all' induzione che, sperava, avrebbe allontanato lo spettro del fallibilismo prima dal la matematica e poi dalla scienza: «Non vedo alcuna via d'uscita dal l 'asser· zione dogmatica secondo cui ci è noto il principio di i nduzione o qualco­ sa di equivalente ; la sola alternativa è respi ngere quasi tutto ciò che viene considerato conoscenza dalla scienza e dal senso comune » ( Russell [ 1 944 ) , p. 683 ) . 20 Egli non prese mai in considerazione l 'i dea che la ma­ tematica possa essere congetturale e che ciò non debba necessariamente signi ficare una completa rinuncia alla ragione. Seguire nei dettag l i la «ritirata da Pitagora » di Russel l ( Russell [ 1 959) , cap . XVI I ) rivestirebbe solo un interesse storico: « La splendida certezza che avevo sempre sperato di trovare nella matematica si era smarrita in uno sconcertante lab irinto » ( ibid. , p. 2 1 2 ) . Egli fu costretto ad abbandona· re l ' euclideismo che avrebbe dovuto fondarsi sul «pensiero emancipato dai sensi [ ] La speranza di raggiungere la perfezione, la definitività e la certezza [ era ] ormai perduta » ( ibid. ) . Egl i non riuscì mai a riprendersi realmente dalla confusione in cui era stato gettato dalla matematica recal­ citrante. Nel suo [ 1 9 1 2 ] esitava a esporre le sue opinioni sulla matemati­ ca. Invece, con un sorprendente ma comprensibile voltafaccia, diede creo dito a Kant che, dopo tutto, era un suo alleato nel grande compito di giustificare la scienza e sconfiggere lo scetticismo ( cfr. pp. 82 -4 , 87 , 1 09 ) . Scrisse u n a cauta Prefazione a l s u o [ 1 9 1 9 ) , avvertendo che il l ibro non riguardava la filosofia matematica i n senso proprio, in cui «la certezza re � ativa non" è ancora stata ottenuta » ; esso costituiva solo un' introduzione. « È stato fatto il massimo sforzo per evitare il dogmatismo su questioni che sono ancora aperte a seri dubbi . » Nel suo [ 1 948] la conoscenza matemati­ ca - da l u i i n origine considerata come i l paradigma della conoscenza umana - non viene affatto d iscussa. Il paradosso di Russel l spinse Frege ad abbandonare immediatamente la fi losofia matematica. * Russell tenne duro per qualche tempo, ma alla fi ne seguì l ' esempio di Frege. Vediamo adesso di trarre alcune delle conclusioni che Russell si rifiutò di trarre . Il regresso i nfinito nelle dimostrazioni e nelle definizioni mate­ matiche non può essere arrestato da una logica euclidea. La logica può . . .

Cfr. i l Trilemma di Fries ( Fries [ 183 1 ] ). Cfr. Popper [ 1959 J , pp. 93ss. [ 86ss. ] . Questo è falso, come Lakatos stesso riconobbe in seguito (Si veda ad es. volume 1 6 1 , n. 90 ) . ( Nota dei curatori inglesi). 20 •

l,

p.

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1. Fondamenti deUa matematica

spiegare la matematica, ma non può dimostrarla. Essa conduce a specula· zioni sofisticate che sono tutto fuorché banalmente vere. I l dominio della banalità resta l i m i tato al nucleo decidibile, ma privo di i nteresse, dell'a· ' ritmetica e della l ogica - ma persino questo nucleo banale potrebbe un giorno o l'altro essere rovesciato dalla c ritica scettica. La teoria logica della matematica è una speculazione sofisticata e affa­ scinante, al pari di qualunque teoria scientifica. È una teoria empirista e così , se non si mostra che è falsa, rimarrà congetturale per sempre. I dog­ matici, che disprezzano le mere congetture, possono scegliere se sperare in una banalizzazione finale oppure sperare di giustificare l ' induzione. 2 1 Gli scettici sosterranno che l'aver stab i l ito i l carattere empirista della teo· ria d i Russe l l mostra solo che la matematica non fornisce conoscenza al­ cuna, ma solo sofisticheria e i llusione. çJli scettici puri sono rari : si può constatare , tuttavia, che i dogmatici pessim isti sono scettici potenziali. Vorrebbero che abbandonassimo la speculazione e l i mitassimo la nostra attenzione a qualche campo ristretto che, bontà l oro, riconoscono come sicuro, ma senza alcuna reale giustificazione. Nella moderna fi losofia ma· �ematica l ' Intuizionismo rappresenta questo tipo di dogmatismo scettico e distruttivo, «un tradimento della scienza » come disse Hilbert nel suo [ 1 92 5] . Weyl descrive l'opera di Russell in term i n i molto s i m i l i a quelli del cardinale Bellarmino, che considerava le teorie di Gali l eo come mere «ipotesi matematich e » , Secondo Weyl i Principia basano la matematica «non sulla sola logica, ma su una sorta di paradiso del logico, un universo arredato con "pezzi ultimi" dal la struttura pi uttosto complessa [ . ] Chi, avendo un minimo di senso del realismo, oserebbe dire che crede i n que­ sto mondo trascendente? » (Weyl [ 1 949] , p. 233). G l i intuizionisti hanno certamente ragione di sostenere che l a logica russell iana è anti- intuitiva e fal l ibile. Ma, nonostante tutto, potrebbe anche essere vera. Una teoria empirista dovrebbe e&sere controllata severamente. Come si può controllare la logica russelliana? Tutte le asserz ioni di base vere , il . .

2 . Un'altra via d'uscita dogmatica è quella dello struzzo: far finta di non vedere. Questa era la special ità dei positivisti logici. Essi avevano tutto l'interesse di nascondere la scon· fitta dell'awenturoso tentativo russelliano di giustificare la certezza matematica, dal mo· mento che pretendevano di realizzare la più grande rivoluzione della storia della filoso· fia con l'aiuto del «giudizio inesorabile della nuova logica » ( Carnap [ 1930· 1 ] ). «La nuo· va logica segna il punto in cui la vecchia filosofia deve essere scardinata » ( ibid. ) Non c'è da meravigliarsi che nel saggio sia accuratamente evitato qualunque accenno al fatto che la «nuova logica », questo potente baluardo della loro filQsofia, potrebbe anche essere falsa. Secondo Hempel i1 logicismo aveva mostrato che «le proposizioni della matemati· ca hanno la stessa indiscutibile certezza che è tipica di proposizioni come "tutti gli sca· poli sono uomini non sposati " » ( H empel [ 1 945 a] , p. 1 59).

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Matematica, scienza ed epistemologia

nucleo decidibile dell'aritmetica e de lla logica, sono derivab i l i in essa, che sembra così non avere alcun falsificatore potenziale. Il solo modo di criticare questa pecul iare teoria empirista è dunque, apparentemente, quello di controllare la sua coerenza. 22 Questo argomento ci conduce nel­ l'ambito delle idee di Hi lbert. 3 . L' ARRESTO DEL REGRESSO INFINITO MEDIANTE UNA META· TEORIA BANALE

La meta- matematica h i lbert iana si «proponeva di mettere fi ne una volta per tutte agl i atteggiamenti scettici » . 23 Così il suo scopo era identico a quello dei logicist i : Si deve ammettere che la situazione in cui ci troviamo a causa dei paradossi è, a lungo andare, insostenibile. Immaginate: nella matematica, in questo paradigma di certezza e verità, le più comuni inferenze e i più comuni metodi di formazione dei concetti che vengono imparati, insegnati e usati, conducono ad assurdità. Ma se anche la matematica fallisce, dove dobbiamo cercare la cenezza e la verità? Esiste tuttavia un metodo del tutto soddisfacente per evitare i paradossi (Hilbert [ 1925 1 ).

La teoria di H i lbert era basata s u l l ' idea dell 'assiomatica formale . Egl i sosteneva ( a) che tutte le proposizioni aritmetiche formalmente dimostra­ te, ossia i teoremi aritmetici, saranno certamente vere se il sistema forma­ le ,è coerente, nel senso che A e A non sono entrambi teoremi, ( b) che tutte le verità aritmetiche possono essere formalmente dimostrate e ( c) che la meta- matematica, questa nuova branca della matematica fondata per dimostrare la coerenza e la completezza dei sistemi formali , sarà un particolare tipo di teoria euclidea: una «teoria fin itistica », con assiomi ba­ nalmente veri, contenenti solo termini perfettamente noti e con inferenze banalmente sicure. «Si sostiene che i principi usati nella dimostrazione meta- matematica che g li assiomi della matematica non conducono a con ­ traddizioni sono così ovviamente veri, che neppure gli scettici possono metterli in dubbio. »24 Un'argomentazione meta- matematica sarà «una concatenaz ione di verità intuitive ( inhaltlich) e autoevidenti » ( Neumann ( 1 927 ) , p. 2 ) . La verità aritmetica - e dunque, i n virtù della già realizzata aritmetizzazione della matematica, tutti i tipi d i verità matematiche - si 22 In realtà esistono altri metodi. Per esempio, Rosser e Wang ( [ 1950] ) hanno mostrato che il sistema di Quine sarebbe falso anche se dovesse essere coerente. 2 3 Cfr. Ramsey [ 1 926bl , p. 68 [ 85 ] . 2< Ramsey, loe. cit. , p . 69 [86 1 .

/. Fondamenti della

matematica

37

fonderà su lI na solida e banale intuizione «globale» e, perciò, sulla «verità assol uta » . lS I l secor,do teorema d i Gòdel di ede un colpo decisivo alle speranze di real izzare una meta- matematica euclidea. I l regresso infin ito delle dimo­ strazioni non può fermarsi in una meta-teoria «finitisticamente » banale : le di mostrazioni di coerenza devono necessariamente fare ricorso a metodi tanto potenti quanto basta per rendere soggetta al dubbio la coerenza del­ la teoria in cui vengono sviluppate e sono, quindi, irrimediab i l mente fai · l i b i l i . Per esempio, la congettura di Goldbach - secondo c u i ogn i nume­ ro pari è la somma di due numeri primi - potrebbe anche un doman i essere dimostrata formal mente, ma non potremo mai sapere che è vera. Infatti sarebbe vera solo nel caso in cui la meta- matematica, la meta-meta­ matematica . ad infinitu m fossero tutte teorie coerenti. Ma questo non potremo mai saperlo. Può ben darsi che la formal izzazione sia andata a vuoto e che i l nostro sistema assiomatico non abbia affatto modello alcuno. I l primo teorema di Godei mostrò un a ltro modo in c u i una teoria for­ male potrebbe andare a vuoto: se essa possiede modell i , n e possiede tut­ tavia più di quel l i intes i . I n una teoria formale coerente possiamo dimo­ strare tutte e solo le proposizioni che sono vere i n tutti i model l i , 2 6 così non possiamo dimostrare formal mente proposizioni che, pur essendo ve­ re nel model l o inteso, sono tuttavia false in qualche modello non inteso. Il primo teorema d i Godei mostrò che la selettività dei sistemi formali che comprendono l'aritmetica è irreparabilmente insufficiente, dal momento che in nessuna formalizzazione coerente dell 'aritmetica è poss ibile esclu­ dere modelli non intesi che sono essenzialmente diversi da quello inte­ SO. 2 7 Di conseguenza i n ogni formalizzazione coerente ci saranno verità aritmetiche formalmente indimostrab i l i . Se la congettura di Goldbach do­ vesse essere vera nella sua interpretazione intesa, ma falsa in un'interpre­ tazione non intesa, non ci sarà, in qualsiasi formal izzazione, nessuna di­ mostrazione formale in grado di condurre a essa. La scoperta dei sistemi w - incoerenti, sempre da parte d i GOdei , fu anco­ ra più grave. Risultò che «la coerenza del s i stema non è in grado d i i mpe.

2S

.

Per un resoconto più accurato della teoria di Hi lbert si veda sotto, cap. 2, pp. 49· 5 1 . . Henkin [ 1947 J . Usiamo qui la terminologia di Kemeny: «Due modelli sono essenzialmente diversi se ci sono enunciati veri in uno ma falsi nell 'altro. ( I l requisito di essere essenzialmente diversi è più forte di quello che i due sistem i siano non isomorfi. ) >> ( Kemeny [ 1 958] , p. 1 64 . )

26 27

38

Matematica, scienza ed epistemologia

dire la possibil ità di una falsità strutturale » ( Tarski [ 1 93 3 ] , p. 295 ) . Una teoria formalizzata dell 'aritmetica potrebbe essere coerente, avere cioè un modello, ma potrebbe anche dars i che nessuno dei model l i sia quello inteso; ciascun modello, pur contenendo tutti i numeri, potrebbe conte­ nere anche alcuni elementi «estrane i » tali da forni re controesempi a pro­ posizion i che sono vere nel dominio più ristretto dell'interpretaz ione in­ tesa. I n un sistema coerente, ma eu - incoerente, potremmo riuscire a dimo­ strare la negazione della congettura di Goldbach anche se la congettura d i Goldbach fosse vera. I n una formalizzazione c h e è andata a vuoto i n que­ sto modo tortuoso -'-- o i n qualche a ltro modo simile - la verità si separa dal l a «dimostrab i l ità » . Un sistema incoerente dell'aritmetica o della logica non ha alcun modello, cioè non riguarda alcunché, e un sistema eu - i ncoe­ rente del l ' aritmetica o della logica non ha il modello inteso, cioè non riguarda l'aritmetica o la logica. La scoperta dell'eu-incoerenza e dei fenomeni a essa connessi ha posto fine al « formalismo» d i H i l bert, la cui idea centrale era quella secondo cui, dopo la «formalizzazion e » , «non ci sono più ambigu ità riguardo a ciò che costituisce una dimostrazione nella teoria [ . . . ] Lo scopo per cui si formalizza una teoria è quello di ottenere una defi nizione esplicita di ciò che costitu isce una dimostrazione nella teoria. Una volta raggiunto questo scopo non c'è alcun bisogno di fare tutte le volte un ricorso diretto al l ' i n · tuizione » ( Kleene [ 1 9 5 2 ] , p p . 63, 86 ) . I l fatto c h e questa congettura è stata confutata viene usualmente espresso dall'eufemismo secondo cui « i l concetto sintattico di dimostrazione cedette i l passo all' idea semantica di dimostrazion e » , un eufemismo che nasconde la sconfitta di una delle più grandi imprese dogmatiche volte a salvare la matematica dallo scetticismo. Così crollò il programma h i lbertiano di banalizzazione al l ivel lo della meta-teoria. Ma fu presto lanciata una potente campagna per colmare le lacune. Gentzen contribuì a questa operazione con la su a ingegnosa di­ mostrazione di coerenza che, secondo gli hilbertian i , pur rispettando i requisiti i mposti dal secondo teorema di Godei, non superava tuttavia i limiti della banalità. Alcuni risultati di Tarski mostrarono un modo per riempire le lacune nella completezza:

La definizione della verità e, più i n generale, la fondazione della semantica permetto­ no di contrapporre ad alcuni i mportanti risultati negativi che sono stati acquisiti nell'am­ bito della metodologia delle scienze deduttive, dei paralleli risultati positivi, e di colma­ re così , in qualche misura [ corsivo mio) , le. lacune rivelate nel metodo deduttivo e nel­ l'edificio stesso della conoscenza deduttiva (Tarski [ 1956] , pp. 276-7 [671 ] ). Sfortunatamente, alcuni logici tendono a ignorare le caute riserve di

1. Fondamenti della matematica

39

Tarski. I n un recente l ibro di testo apprendiamo che « i l risultato "negati­ vo" [ sic) di GOdeI è bilanciato dal risultato positivo di Tarski » ( Stegm iil ­ ler ( 1 957 ) , p . 2 5 3 ) . È gi usto non mettere «positivo » fra virgolette, come i nvece vorrebbero gli scettici, ma perché mettere «negativo » fra quelle virgolette sdrammatizzanti? Così salta fuori ancora una volta l ' euclideismo di gomma, stavolta come nuova linea d i partito dei post - h i lbertiani . È sorprendente constatare quanto possa essere sofisticata la banalità. Il concetto di autoevidenza una volta ammesso - può ovviamente essere teso, per cui controllare la verità autoevidente di una proposizione è lo stesso che controllare la sua verità: tentare d i mostrare che essa è autocontraddittoria o falsa. Se ci ri­ fiutiamo di tendere indefin itamente la nostra intuizione, dobb iamo am­ mettere che la meta-matematica non arresta il regresso infinito nelle di­

mostrazioni, che riappare ora nell'infinita gerarchia di meta-teorie sem ­ pre Più ricche. ( I I primo teorema di Godei è in realtà un Principio di Conservazione della Non - Banalità o un Principio di Conservazione della F allibil ità. ) Ma questo non ci costringe ad arrenderci allo scetticismo ma­ te nùìtÌ c o ; dobbiamo solo ammettere la fal l ibilità delle specu lazion i auda­ ci. La dimostrazione di coerenza di Gentzen e i risultati se mantici di Tars­ ki sono successi rea l i e non «vittorie di Pirro » come l i chiama Weyl, 28 anche se si ammette che i nuovi metodi presentano non solo «uno stan ­ dard di evidenza sostanzial mente più basso »29 bensì un irriducibile carato tere congetturale. Mano a mano che la meta · matematica si svil uppa, la sua sofisticata banal ità diventa sempre p i ù sofisticata e sempre meno banale. La banal ità e la certezza sono Kinderkrankbeiten [ malattie infanti l i ] della conoscenza. Sottolineiamo ancora che l 'euclideo può sempre rimanere aggrappato alle sue armi dopo qualunque sconfitta : o sperando di trovare , ancora più in alto, i veri principi pri m i , o ingannando se stesso nel credere, con qual­ che salto mortale logico o epistemologico, che sia verità ovvia ciò che in realtà non è altro che speculaz ione fal libile. Per il programma logicista il salto mortale preferito fu l 'induzione. I l salto mortale h ilbertiano è cost i ­ t u i t o dalla stravagante rich iesta di credere nella nuova rivelazione e d a u n improvviso, a n z i sorprendente, ricorso a u n a intuizione meta- matematica di gomma, che prima è solo finitistica alla Brouwer, poi transfinita alla Gentzen e addi rittura semantica alla Tarski.30 Leggiamo in uno dei l ibri

28

Weyl [ 1 949 ] , p. 220. 29 Ibid. 30 Owiamente con la «postulazion e »

si p u ò dissolvere qualsiasi problema. Se si rin u ncia

40

Matematica, scienza ed epistemologia

più qualificati scritti sull'argomento che «il test ultimo [ sic] per ammette­ re un metodo nella meta-matematica deve ovviamente [ sic] consistere nel fatto che è i ntuitivamente convincente .. ( Kleene [ 1 95 2 ] , p . 63 ) . Ma perché non fermarsi un passo prima, perché non dire che «il test ultimo per am­ mettere u n metodo nell' aritmetica deve ovviamente consistere nel fatto che è intuitivamente convincente » e omettere del tutto la meta-matemat i ­ ca c o m e i n effetti fa Bourbaki?3 1 La meta- matematica, c o m e la logica rus­ selliana, ha la sua origine nella critica dell' intuizion e ; ora i meta-matema­ tici - come a suo tempo fecero i logicisti - ci chiedono di accettare la loro intuizione come test « u ltimo » . Entrambi ripiegano dunque sullo stes­ so psicologismo soggettivistico che una volta criticavano. Ma perché mai andare i n cerca di test «ultim i » o autorità «final i » ?32 Perché i fondamenti, se s i ammette che sono soggettivi? Perché non riconoscere onestamente la fallibilità della matematica e non cercare di difendere la dignità della co­ noscenza fallibile contro i l cinico scetticismo piuttosto che i l luderci di riuscire a rammendare i n modo i nvisibile l ' u ltimo strappo nel tessuto del ­ le n ostre intuizioni «ultime »?

all'intuizione, si perde ogni speranza nella certezza e si identifica la conoscenza con la certezza, allora è possibile voltare le spalle alla verità e mettersi a giocare con i sistemi formali, «liberi dalla preoccupazione per la "correttezza" » e da idee russello·hi lbertiane superate, come quella secondo cui «si deve provare che una nuova forma di linguaggio è "corretta" e costituisce una rappresentazione fedele della "vera logica" » ( Carnap ( 1 937 ] , I ntroduzione ( p. 1 7 ] ). È triste constatare come molti logici hanno seguito questo consiglio e si sono presto dimenticati che la logica riguarda la trasmissione della verità e non semplici stringhe di simboli, anche dopo che Carnap ha cominciato a rendersi conto del suo errore. Nei loro lavori la tecnica della logica ha soppiantato i l suo argomento e ha iniziato una perversa vita autonoma. 3 1 Bourbaki ( 1 949a] , p. 8. 3 2 I l matematico «non dovrebbe dimenticare che la sua intuizione costituisce l'autorità finale» ( Rosser ( 1953] , p. 1 1 ).

2 . C ' è una rinascita del l ' empirismo nella recente filosofia della matematica?*

INTRODUZIONE

( Secondo l 'ortodossia dell 'empirismo logico, mentre la scienza è a po­ steriori, dotata di contenuto e ( almeno i n linea di principio) fal l ibile, la matematica è a priori, tautologica e infallibile. q Può essere dunque una

sorpresa per lo storico delle idee i mbattersi in affermazioni di alcuni fra i migliori esperti contemporanei di studi fondazionali che sembrano pro­ clamare una rinascita delle idee di Mill sulla completa assimi lazione della matematica alla scienza. Nel prossi m o paragrafo presenterò un elenco piuttosto l ungo di simili affermazioni. Quindi procederò (nel paragrafo 2 ) a spiegare l e ragioni d i fondo e l e motivazioni che possono spingeie a esse. In seguito ( n e l paragrafo 3 ) esporrò degli argomenti a favore di

• Questo saggio è lo sviluppo di alcune osservazioni fatte da Lakatos a un Seminario di Filosofia della Scienza tenuto a Londra nel 1965. Queste osservazioni costituivano una replica al saggio del Professor Kalmar [ 1967 ] ) e furono pubblicate i n Lakatos (a cura di) [ 1967 al . con lo stesso titolo del presente saggio. Lakatos ampliò queste osservazioni in un saggio più lungo che ultimò nel 1 967. Tutta· via si astenne dal pubblicarlo, in quanto era sua intenzione apportare ulteriori migliora· menti. Altri interessi gli impedirono di ritornare sul saggio, che appare qui essenzialmen­ te come egl i lo lasciò nel 1967. Da parte nostra, abbiamo apportato pochi e marginali mutamenti espositivi, ed eliminato alcune frasi introduttive che riguardavano esclusiva­ mente la discussione del saggio di Kalmar. ( Nota dei curatori inglesi. ) I Questa posizione empirista ( e una delle sue difficoltà centrali ) è descritta molto chia­ ramente da Ayer nel suo [ 1936 ] : .. Mentre si ammette prontamente che una generalizza­ zione scientifica è fallibile, le verità della matematica e della logica appaiono a chiunque come necessarie e certe. Ma se l'empirismo è corretto, nessuna proposizione che ha un contenuto fattuale può essere necessaria o certa. Pertanto l'empirista deve trattare le veri­ tà della logica e della matematica in uno dei due modi seguenti: o sostiene che esse non sono verità necessarie, nel qual caso deve spiegare l'universale convinzione che esse lo siano; oppure sostiene che esse non hanno contenuto fattuale, e allora deve spiegare come è possibile che una proposizione del tutto priva di contenuto fattuale possa essere vera, utile e sorprendente » ( pp. 72-3 [ 76 ] ).

42

Matematica, sciellza ed epistemologia

quella che chiamo la natura «quasi - empirica » della matematica nel suo compl esso_ Ciò pone un problema, e precisamente quello di stabi l ire che tipo di asserzioni possano giocare il ruolo di falsificatori potenziali in matematica. Esaminerò questo problema nel paragrafo 4 . Infine, nel para­ grafo 5, esam inerò brevemente i periodi di stagnazione nella crescita del­ le teorie «quasi- empirich e » . 1.

EMPI RISMO

E INDUZIONE:

lA NUOVA MODA

IN FILOSOFIA DELIA MATEMATICA?

Russell fu probab il mente il primo logico moderno a sostenere che l ' e ­ videnza della logica e d el la matematica può essere « indutt iva ». Egl i , che nel 1 90 1 aveva affermato che l ' o i n ' R tale c h e p e r ciascun x che sodd i s fa I x·.\Q 1 < r esiste una funzione Mx ( n) in R per c u i : n > .\I%( m) � I *{( n. xl - * F(x) 1 < m - I p e r t u t t i gli m f N e tutti g l i n > m in R. In p artic o lare p e r c iascun i ntero i n fi n i t o oo , e per c i a s c u n f positivo in R I x - x" I < r � I *{( X , x) - * F(x) 1 < e . Si fissi un i n tero i nfi nitoOOo. Al lora, per tutti g l i n e * .\" e tutti gli x e * R n > X o & j X - x" i < r --+ i */( n. x) - * F(x) 1 < e . •

,



Co s ì

( E m e * .\" l ( Ere ' R) ( n e * .\' ) (x e * R) ( n > m & r > 0 & I x - x" I < r--+ I * /( n . xl - o F(x) 1 < e )

va l e in



ciascun f

R per c iascun po s i t i vo in R

f

positivo

in

R. Poiché R è un 'estensione elementare di R, per •

( E m e .\" ) ( Ere R ) ( lI e R) (x e R) ( n > m & r > 0 & I x - x" I < � d( n, x) - F(x) I < e ) e in R. Così .).ò è II n p" nto di con/ 'ergenza IIniforme della successione If( n,x) : n

f N} O . P. c . ) . " Ciò r i s u l t a part icolarmente chiaro nella spi egazione di « in fin itement pet i t » ( n . p. 7 0 ) . Q u esto mot iva la defi n i zione di Cauchy· convergenza data nella n. p. 7 2 : �\ n) può essere reso p u ù p icco l o d i m I per qualunque numero m dalO cioè m E N) prendendo lIo l t re lo ( ossia i n N) M ( m) : i n questo modo M è una funzione i n R O · P . c . ) . n V a detto c h e l e spr essione tedesca è d i Crelle c h e l ' h a tradoua dal francese. " C fr . l a sua a n a l i s i nel volume I l , p . 303. •

*

'

,

3. CUIICby e il continuo

75

za di sé, afferma che Abe l , in un �aso particolare, "diede una dimostrazio­ ne diretta d e l l ' esistenza della proprietà che oggi viene detta convergenza uniform e » ; 2 9 Hardy segue il suo esemp io: " L'idea è impl icitamente pre­ sente nella di mostrazione d i Abel del suo celebre teorema».3 0 Bourbaki dà un resoconto altrettanto falso: Cauchy i n u n primo momento non si accorse della differenza fra convergenza sempl ice e convergenza u n i forme I . . . ] ma l 'errore fu scoperto quasi immediatamente da Abel , che d i mostrò che ogni serie d i potenze è continua n e l l ' i nterva l l o aperto in cui essa converge [ . . . ] Per questo caso particolare egl i fece uso, essenzialmente, dell' idea della convergen · za u n i forme. Restava solo da appl icare i n generale questa idea; e ciò fu fatto, indipenden­ temente, da Stokes e Seidel nel 1 847-48 e dal l o stesso Cauchy nel 1853.31

Ahimè, una cantonata in ogn i frase ! Abel non poteva assolutamente «scoprire » l' "errore »' d i . Cauchy. \ Nella: sua ' dimostrazione egl i non «fece uso del concetto di convergenza uniform e » che è estraneo alla sua teoria infin itesimale. I risu ltati di Abel e Seidel non stanno nel rapporto del «particolare » al «generale » , sono su live l l i del tutto differenti e fanno par­ te di teorie compl etamente diverse. Per inciso, Bourbaki non nota neppu­ re che Abel restringe i l dominio delle funzioni ammissib i l i e non i l modo in cui esse convergono ( come fa invece Seidel ! ) . Infine, dire che l 'articolo di - Cauchy del 1853 contiene la.riscoperta indipendente della convergenza uniforme, non è c9sa che si possa affermare senza forti riserve . '

Loc. cit. , p. 3 5 . Hardy 1 1 9 1 8 ] , p . 148. 3 1 Bourbaki I 1949b] , p. 65. Si veda anche Bourbaki 1 1 960 ] , p. 228 . La d i mostrazione di Cauchy d e l suo teorema del 1853 ( si veda n. 18, p. 69 ) viene esposta nel modo seguente ( le parentesi I l . I ) sono state, aggiunte dal curator e ) : "Soient alors s la somme de la série s. la somme de ses n prem iers termes ; et T. = s- s. = u. + U. + ! + . . . le reste de la série indéfi n i ment prolongue à partir du terme néral Un. Si l'on nomme n' un nombre entier supérieur à n, le reste r" ne sera autre chose que la l i m ite vers laquelle convergera, pour des valeurs croissantes de n ' , la d i fférence :

19 30



5.· - 5. u. + u , + . . . + u,. _ I . (3) I Concevons, maintenant, q u ' en attri buant à n une valeur suffisamment grande, o n puis­ =

••

se rende, pour toutes les valeurs de x comprises entre les I i m ites donnés, le module de l ' expression ( 3 ) (quel que soit n ') , et , par suite, le module de T", i n férieyr à un nombre f aussi petit que l 'on voudra. ] Comme un aceroissement attribué à x pourra eneo· re etre supposé assez rapproché de zéro pour que l 'accroissement eorrespondant da s" offre u n module i n férieur à u n nombre aussi petit que l'nn voudra, j i l est c1air q u ' i l suffi ra d'attribuer au nombre n une valeur i n fi n i ment grande, e t à l 'accro i ssement d e x

76

Matematica, scienza ed epistemologia

Adesso si comprende anche perché a Seidel risultò così fac ile scoprire i l lemma nascosto in quella c h e riteneva fosse la dimostraz ione di Cauchy: poiché egli esam inò la propria ricostruzione in termini weierstrassian i del teorema e della dimostrazione di Cauchy. In questa ricostruzione i l teo­ rema è falso e i l lemma colpevole può essere effettivamente scoperto con faci lità. Infine appare chiaro perché Cauchy fino al 1 853 non comprese i l sign i ­ ficato d e l l a convergenza uniforme , pur essendo informato ( come è pro­ babile ) del risultato di Seide l : poiché egli non comprendeva la teoria di Weierstrass proprio come Seide l , non avendo alcuna idea della teoria infi ­ nitesimale di Leibniz-Cauchy, fraintendeva la s u a di mostraz ione. Così , a poco a poco, il mosaico sembra ricomporsi ed emerge la storia affascinante di due teorie rivali del calcolo infinitesimale che presentano, tuttavia, un grado di articolazione sorprendentemente basso. Uno dei fatti di maggiore interesse storico è che Bolzano, la migliore mente logica di quella generazione, fece un serio tentativo di chiarire la questione. Egli fu forse il solo a rendersi conto dei problemi ' connessi alla differenza fra i due contin u i : il ricco continuo leibniziano e, come egl i diceva, il suo sot­ toinsieme «misurabile» - !' insieme dei numeri reali weierstrassian i . Bol ­ zano spiega molto chiaramente che il campo dei «numeri misurabil i » co­ stituisce solo un sottoinsieme archi medeo di un continuo arricchito di quantità non - m i surabili, infinitamente piccole o infin itamente grandi . 32 I l curatore fa un tentativo mal concepito d i ricostruire l a teoria di Bolzano come una mera anticipazione della teoria cantoriana dei numeri real i ( cfr. il suo diz ionario delle due teorie a p . 98 ) ; c'è da chiedersi se egl i non

une valeur infiniment petite, pour démontrer, entre les limites données, la continuité de la fonction s = sn +

rn} ·

Mais cette démonstration suppose évidement que l'expression ( 3 ) remplit la condition ci -dessus énoncée, c'est-à-dire que cette expression devient infiniment petite pur une valeur infiniment grande attribuée au nombre entier n. D'ailleurs, si cette condition est remplie, la série ( 1 ) sera évidemment convergente ». La frase fra parentesi quadre mostra che Cauchy riconosceva che la convergenza uni­ forme era sufficiente ad assicurare la continuità di s. Ma il passo fra parentesi graffe mostra che Cauchy considerava questa condizione come una banale conseguenza della sua nozione di convergenza in un intorno, che si ottiene prendendo n infinito. ( Questo passo è simile al primo passo della dimostrazione riportata nella n. 18 a p. 69. ) Così la convergenza uniforme è implicita nelle idee che Cauchy aveva nel 182 1 e non è una condizione addizionale, aggiunta nel 1853 O.p.c. ). 12 Bolzano lavorò su questa analisi ( > , che può essere invertito a condizione che, se A e B stanno dalla stessa parte o da parti opposte rispetto a E, al lora ED ed EF hanno direzione uguale o opposta.' Credo che i l silenzio i mbarazzato dei Greci per quanto riguarda s i m i l i insuccessi fosse dovuto a l m e n o i n parte alla dottrina centrale dell'essen· zialismo aristotelico secondo cui l e dimostrazioni (o l e spiegazion i ) autentiche devono essere definitive e certe (per es. , cfr. Secondi analitici, l ibro I , cap. 6 ) , che si accordava benissimo con un'euristica che pretende· va d i ideare proprio dimostraz ioni di questo tipo. 8 Questi requisiti di cero tezza e definitività sopravvivono ancora oggi in matematica nella richi esta di condizioni necessarie e suffici ent i . Consentitemi di sol levare ancora un altro problema: perché i Greci non adottarono uno stile euristico in matematica? Perché tenevano nascoste le analisi ed esponevano solo l e sintesi?9 Non l o sappiamo. Probabi l mente c'è qualcosa di vero nella congettura di Descartes : «Era solo della sintesi che gli antichi geometri si servivano nei loro scritti, non perché essi igno­ rassero del tutto il metodo analitico, ma, a mio avviso, poiché attribu ivano a esso un valore talmente alto che desideravano tenerI o per sé come un importante segreto » . I O

, Hankel [ 1874 1 . p. 1 39. 8 Per l 'equivalenza fra i requisiti della definitività e della certezza da una parte, e le condizioni necessarie e sufficienti dall'altra, cfr. il mio [ 1963-4] paragrafo 6b. 9 Va detto che si può trovare uno stile euristico nella prima parte del Libro XIII degli Elementi di Euclide. Secondo Bretschneider e Heiberg questa parte probabilm é nte non fu scritta da Euclide ( cfr. Heath [ 1 92 5 1 . p. 137). Un altro esempio di stile euristico è il trattato Sulla sfera e sul cilindro di Archimede neI quale la soluzione dei problemi è accompagnata sia dall'analisi sia dalla sintesi. ( I I lato interessante delle analisi di Archi­ mede consiste nel fatto che, se trasformiamo i problemi in congetture, allora il suo me­ todo somiglia molto alla nostra procedura di dimostrazione. Le analisi archimedee ter­ minano frequentemente in un « 610p10"1.IcSs » che sembra corrispondere al lemma conver­ tito in una condizione. Secondo Heath questo era il caso generale nelle analisi problema· tiche: «Nei casi in cui è necessario un 610p10"1.IcSs , in cui cioè la soluzione è possibile solo sotto certe condizioni, l'analisi consentirà di determinare tali condizioni » ( op. cit. , volume I, p. 1 4 2 ) . ) I D Haldane a Ross [ 19 1 2 1 . p . 49. Secondo Hankel lo stile deduttivi sta era «una caratteri­ stica nazionale dei Greci » ( op cit. , p. 148). A mio awiso la principale sp�egazione consi­ ste nel pregiudizio infallibilista contro le semplici congetture. Nell 'analisi si va a tentoni, nella sinte�i si dimostra; l'analisi è fallibile, la sintesi è «infallibile». Tutto quanto era fallibile veniva ritenuto «indegno » e perciò veniva omesso.

5. 1/ metodo dell'analisi e della sintesi

c)

Il

1 05

Circuito Cartesiano e il suo crollo

Il programma eucl ideo c lassico è antiempirista ; è fortemente critico nei confronti dei sensi. Le proposizioni indubitab i l i possono essere garantite solo dal l ' i ntuizione infallibile dell'intelletto. I fatti devono essere dimo­ strati a partire da principi primi indubitab i l i o da definizioni essenz i a l i . In un quadro simile i l metodo dell 'anal isi-si ntesi può funzionare al l a perfe­ zione, proprio come nella geometria euclidea. Nella scienza moderna, tuttavia, interve ngono due fattori nuovi . Il primo consiste in un nuovo tipo di propos izioni indubitabilmente vere : i fatti ragionat i . I fatti ragionati possono contraddire l'esperienza sensoria­ le. Possono - per dirla con Galileo - «far violenza al senso » . Vi sono molti esempi d i fatti ragionati : « la terra è rotonda », «tutti i corpi ca­ dono, nel vuoto, con la stessa accel erazion e » , e così via. Ma non è que­ sto l' un ico fattore nuovo introdotto dalla scienza moderna: l 'altro è un nuovo tipo di proposizioni dubitab i l i : l e ipotesi occulte, come «tutti i corpi si attraggono l ' un l 'altro » . Ebbene, questi due nuovi fattori causano non pochi problemi a chi vo­ lesse appl icare il metodo dell 'analisi- sintesi ai fatti , alle ipotesi occulte e ai principi. La caratteristica principale de l l 'analisi-s intesi classica è che essa col l ega il noto e l ' ignoto mediante una catena deduttiva, o mediante un circuito di verità e / o falsità. I mmettiamo la verità o la falsità in qualche punto ed essa sarà trasportata in ogn i parte dal sistema circolatorio. Ma sia in pros ­ simità dei fatti ragionati sia delle ipotesi occu lte si man i festano dei difetti di circolazione. [I fatti e i fatti ragionati sono deduttivamente sconnessi . I fatti ragionati non i mpl icano [ entail] direttamente l e ipotesi occulte, nonostante in questo caso l ' implicazione [ entailment] nella direzione opposta, dalle ipotesi occulte ai fatti ragionat i , possa essere valida . ] M a s e aderiamo a l l ' ideale del l ' infallibilismo scientifico, al lora la circo­ lazione l ibera e sicura del val ore d i verità dai fatti ai fatti ragionat i , dai fatti ragionati alle ipotesi occulte, dalle ipotesi occulte ai principi pri mi e viceversa, deve essere ristabi lita. Dobb iamo portare tutti questi diversi tipi di asserzioni allo stesso l ivel l o di certezza. Così l ' infa l l ibil ismo colmò queste lacune introducendo un nuovo gene­ re di trasferimento della verità : l ' in ferenza «induttiva ». [ Quindi i l circuito di Pappo sopra menzionato potrebbe essere rappresentato come nel dia­ gramma sottostante. ]

1 06 Jl

Matematica, scienza ed epistemologia

Circuito di Pappa

ipotesi I

deduzione

'-------�

l assioma

d e d uz i o n e [ E il Circuito di Descartes può essere rappresentato come segue: l



(\e 1-\O (\ \ ò� , ...

fatt o fatto (esperienza sensor i ale ) :' ... ragionat9

dedu z i one ,

,

IpotesI occu l ta

l''''

dea. Ui!io/]e

I prl' ncl' pl' o p n' m o , - r;;d u zione , l �d. ' , I - - ..... J...eduzione ...-(j ui!I, ... OI]t:' deduzi ò n e i nd u zi o ne '



Questa è una versione estesa del l 'anal isi-sintes i . L'estensione nacque dal tentativo cartesiano di adattare l ' antica anal isi-sintesi alla scienza mo­ derna. Presenta notevoli differenze rispetto allo schema di Pappo: in essa vi sono asserzioni di base quas i - empirichel l e inferenze tanto induttive quanto deduttive. La tesi di questo paragrafo è che uno degli aspetti principali della storia del metodo scientifico moderno è l'elaborazione critica del Circu ito di Pappo nel Circuito di Descartes, seguita - nonostante qualche successo parziale e diverse i nteressanti operazioni di salvataggio - dal suo crollo finale. Vediamo innanzitutto di ch iarire alcuni problemi che riguardano i l cir­ cuito di Descartes. c l ) Il Circuito non è né empirista né raziona/ista, la fonte della cono­ scenza è il circuito nel suo complesso

Nelle storie della filosofia tradizional i emp i rismo e razionalismo sono contrapposti . Si dice che g l i empiristi immettono i valori di verità al l ivel­ lo delle asserzioni fattuali, mentre i razionalisti a quello dei principi pri­ mi: gli empiristi riconoscono l ' autorità dei sensi, i raz ionalisti quella dell ' intelletto, Di fatto gli empiristi puri e i raz iona l i sti puri, se esistono, sono davvero poch i . Descartes, Newton e Leibniz ammettevano tutti certamente che si può intuire la verità e / o la falsità in modo indubitabile a entrambi i IivelI l Nel corso di questo paragrafo chiameremo «proposizioni di base » quelle proposizioni ' tramite le quali il valore di verità viene immesso nel Circuito,

1 07

5. Il metodo deO'anaiisi e della sintesi

l i : al l ivel l o dei facti e al livello dei principi pri m i . Sia g l i uni sia g l i altri possono servire come asserzioni di base. Ma cUHi ammeHevano anche che non si può parlare della vericà del le asserzioni faHuali o dei prinCipi primi pres i isolacameme; solo gli sciocchi si fidano c iecameme dell' esperienza sensoriale e i principi primi piovuti dal cielo sono mere speculazioni né gli uni né g l i alcri hanno un posro nel corpo perfeHo, infal libile, della Conoscenza Scienrifica. Sono candidaci rispeHabi l i per la verità e la falsHà solo se sono già i mmersi nel siscema di circolazione dell 'anal isi-sintesi. Fuori da quesro sistema, «asserzione di base " è un'espressione insensata. Sia Descartes sia Newton sOSCenevano pi utrosro espl icicameme la neces­ sità di far parrire l'anal isi dai facti, per procedere poi alle «cause imerme­ die » e da queste ai principi prim i . Essi d isprezzavano chi cercava di arriva· re ai principi pri m i senza curarsi dei faH i , mediante «avventate amicipa· zioni " invece che amaverso una laboriosa anal isi. Alcuni passi apparememente «enigmatici » di Descartes e Newton do­ vrebbero essere imerpretari in questa luce. Per esempio:

Le ho definite ipotesi solo perché si sappia che penso bensì di poteri e dedurre da quelle prime verità che sopra ho ricordato, ma che, di proposito, non ho voluto farlo onde impedire che alcuni specu latori [ ) possano prendere spunto di là per costruire su quelli che credono i miei princìpi qualche stravagante Filosofia di cui poi mi vedrei attribuita la responsabilità. 1 2 ...

Questo passo corrisponde strettameme all'Hypotheses non fingo di New­ ton o Il suo sign i ficato è che le ipotesi vanno i mmerse in un C ircu iro Canesiano e cessano perciò stesso di essere ipotesi. L'ob i eHivo del Circuito Cartesiano è quello di trasportare la verità in ogn i punto del sistema, craducendo perciò le iporesi in fani e giustifican­ do la vecchia cesi aristote lica secondo cui la scienza pura deve produrre «una convinzione incrollab i l e " . H Il Circuiro non ammette famasie prive di fondamemo che sarebbero incompatibi l i con la dignità della scienza infal­ l i b i l e . Che in questa situazione cause ed effetti , teorie e fatti , siano allo sCesso l ivello logico e quindi epistemologico ( causa aequat effectu), anche se non allo stesso l ivel lo euristico, appare chiaro dal segueme passo (fatto dal la Quinta replica a Leibniz di Clarke :

I l fenomeno in se stesso, l'attrazione, la gravilazìone, ossia la tendenza dei corpi l'uno verso l'altro [ ... ) è ora sufficientemente noto dalle osservazioni e dagli esperimenti. Se questo o qualunque altro dotto autore può spiegare questi fenomeni mediante le leggi 1 2 Descartes ( 1 637 ) . p. 1 29. Nelle ultime parole si notano gli effetti della condanna di Galileo. 13 Secondi analitici, 72 b.

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Matematica, scienza ed epistemologia

della meccan ica, egli non solo non sarà contraddetto, ma riceverà inoltre sentiti ringra­ ziamenti da parte del mondo erudito. Ma, nel frattempo, paragonare la gravitazione ( che è un fenomeno, ossia una reale questione di fatto) con la declinazione degli atomi di Epicuro ( che secondo il suo corrotto e ateistico travisamento di filosofi più antichi e forse migl iori di lui, era solo un'Ipotesi o una Finzione, e per giunta impossibile, in un mondo in cui si supponeva non fosse presente alcuna intell igenza ) , m i sembra un Meto­ do di ragionamento piuttosto stravagante. '4 La regola euristica secondo cui la catena deduttiva dovrebbe in iziare con i fatti è una regola assoluta sia per Descartes sia per Newton. Questo va sottolineato ripetutamente perché risulta fortemente controintuitivo nella nostra era popperiana che ultra - incoraggia le speculazion i . La regola costituisce, per esempio, l ' interpretazione corretta di questa asserzione : «Come in matematica, così nella fi losofia naturale, l ' i nvestigazione delle cose difficili mediante i l m etodo dell'analisi dovrebbe sempre precedere il metodo di compos izione » . 1 5 Essa fornisce anche la corretta interpreta­ zione della quinta delle Regulae di Descartes:

a tale regola deve badare chi sta per affrontare la conoscenza delle cose, non meno di quanto debba badare al filo di Teseo chi sta per entrare in un labirinto. Ma molti o non riflettono su ciò che essa prescrive, o lo ignorano del tutto, o presumono di non averne bisogno, e spesso esaminano questioni difficilissime in una maniera così disordinata, che a parer mio fanno il medesimo che se si sforzassero di giungere con un solo salto da un luogo bassissimo al culmine di un edificio, o non avendo fatto alcun conto dei gradini della scala che sono destinati a questo scopo, o non avendoli visti. Così fanno tutti gli astrologhi che, senza conoscere la natura dei cieli e non avendo neppure osservato bene i loro movimenti, sperano di poter svelare i loro effetti. Così fanno anche la maggior parte di coloro che si occupano di meccanica senza occuparsi di fisica, e si propongono sconsideratamente di fabbricare nuovi strumenti per produrre il moto. Così anche quei filosofi che, trascurate le esperienze, reputano che la verità sprizzi fuori dal loro cervello come Minerva dalla testa di Giove.'6 In un altro passo, nella Regola IV, Descartes paragona coloro che credo­ no di poter trovare sul loro cammino la verità manifesta senza appl icare il laborioso metodo del Circuito, con «un uomo divorato dal l ' ottusa cupi d i ­ gia di trovare un tesoro, che continuamente -andasse vagando p e r le strade cercando se per caso non ne trovasse uno perduto da un viandante » . De­ scartes ammette che questo «metodo » - seguito da «quasi tutti i chimici, dalla maggior parte dei geometri e da non pochi fil osofi » - può di tanto in tanto condurre a risultati inaspettati. Ma tali successi occasionali ven ­ gono pagati a caro prezzo, perché « l e indagini sregolate e le riflessioni

" Alexander ( a cura di ) [ 1959 ] , p. 1 1 9. 15 Newton [ 17 1 7 J Query 3 1 . 1 6 Descartes [ 1628 ] , pp. 14-5.

5.

Il metodo dell'analisi e della sintesi

1 09

confuse di questo tipo non fanno che corrompere i l Lu me Naturale e ac­ cecare i poteri della nostra mente » . ! 7 Questa era l'effettiva opi n ione di Descartes su quel tipo di raz ionalismo che gli venn e in seguito attribuito! Ma, mentre respi ngevano l ' uso dei principi pri m i isolatamente dal Ciro cuito, sia Descartes sia Newton l i consideravano una parte essenziale di esso, che contribu iva in modo decisivo alla sicurezza di questa struttura epistemologica. È risaputo che Newton era insoddisfatto del carattere oc­ culto della gravitazione e che cercò di dedurla - per mezzo della teoria degli «effetti a ombre l l o » - dai principi pri m i cartesian i . Descartes criticava aspramente Gali leo p e r aver omesso i principi primi «costruendo così senza un fondamento ». ! 8 I l motivo era molto ragionevole. I fatti , da sol i , non sono abbastanza affidabi l i da garantire l a verità del Circu ito. Mersenne e Rocco semplice­ mente si rifiutarono di accettare i «fatti » di Gali leo. ( Prima della macch ina di Atwood i fatti relativi alla caduta li bera dei corpi erano, i n effett i , al­ quanto dubitabil i . ) I l l avoro di Newton era intralciato da falsi dati astro· nom ici. L'inaffi dab i l ità de l l ' evidenza empirica non era al lora mascherata dal rituale del le procedure statistiche di decisione. c 2) L 'induzione e la deduzione nel Circuito Un a ltro problema che merita di essere chiarito è la relazione fra ! ' indu­ z i one e la deduz ione nella logica cartes iana. Entrambe sono i n ferenze ba· sate sull' intuizione, che trasmettono la verità [ dalle premesse alla conclu­ sione l e ritrasmettono l a falsità [ dalla concl usione alle premesse l . Nel sistema cartesiano esse non differiscono in alcun aspetto essenziale. Per Descartes, e anche per Newton, l ' i nferenza i nduttiva è la gemella infal libi­ le di quella deduttiva. Che l ' induzione non abbia nulla a che fare con le congetture fallibili è chiarito nella famosa lettera di Newton a Cotes:

Infatti qualunque cosa che non sia dedotta dai fenomeni dovrebbe essere chiamata ipotesi , e le ipotesi di questo tipo, siano esse fisiche o metafisiche, che riguardino le qualità occulte () le qualità meccaniche, non trovano posto nella filosofia sperimentale. In questa fi losofia le proposizioni sono dedotte dai fenomeni , e successivamente rese generali per induzione.'9 O ancora, nella stessa lettera, i n cui l ' induzione viene eguagl iata alla deduzione : «la fi losofia speri mentale è basata unicamente sui fenomeni e deduce da essi proposizioni generali solo mediante induzione ». 2o p. 9.

17

Ibid. ,

20

Op. cito

Descartes ( 1 638 ) . 1 9 Newton ( 17 1 3 ) , p . 1 55. 18

1 10

Matematica, scienza ed epistemologia

C'è certamente uno scarto fra la logica formale aristotel ica, con le sue diciannove forme val ide di inferenza, e l ' i nduzione, che deve affidarsi al­ l ' intuizione. Ma Descartes ignora sprezzantemente la logica aristotel ica,2 1 e rimpiazza la m iseria del sillogismo con l'infin ita ricchezza delle dedu­ zioni intuitive, la cui i n fallibil ità è garantita da Dio. Ma allora perché Dio non dovrebbe garantire anche ! ' inferenza induttiva così come garantisce quella deduttiva?22 Un'altra caratteristica del Circu ito Cartesiano che è stata frequentemente fraintesa è costitu ita dalla lunghezza e dall ' importanza dei passaggi dedut­ tivi in confronto a quel l i induttivi nella catena di inferenze che trasmette la verità dai fatti alle ipotesi occulte. Newton, in realtà, desiderava fortemente dedurre la sua teoria intera ­ metlte dai fatti. Nella sua disputa di priorità con Hooke, sottol ineò ripetu­ tamente che questi aveva solo indovinato la legge del l ' i nverso del quadra ­ t o , mentre l u i , Newton, l ' aveva dedotta d a l l e leggi empiriche di Kepler. Egl i respingeva con sdegno i l metodo congetturale d i Hooke : come faceva a sapere che l ' esponente del raggio era 2? Avrebbe potuto essere un n u ­ mero ricino a 2 ! M a l u i [ Newton ] sapeva che era 2 perché lo aveva dedotto.23 La pretesa di Newton di aver dedotto la sua teoria dai fatti è stata ridico­ l izzata dai fi losofi , a parti re da Duhem. Il solo fisico che prese le sue difese fu Born , i l primo nella storia della scienza a ricostruire la deduz io­ ne d i Newton. 2 4 Sfortunatamente Born ha trascurato un punto importante : la catena deduttiva di Newton non conduce e non può condurre alla legge di gravitazione, ma solo alla legge dell'inverso del quadrato.25 C'è un pic­ colo, ma cruciale, salto induttivo dalla legge del l ' i nverso del quadrato alla Legge Universale di Gravitazione. Ma questo salto non dovrebbe essere sopravvalutato. Newton quasi dedusse la sua teoria dai fatti e non sarei sorpreso se si mostrasse che lo stesso vale anche per i risu ltati di Planck, Einstein o Schrodinger. Oggi viene generalmente ammesso che mentre la deduzione conduce dal l e teorie ai fatti, essa non ha la più piccola parte nel percorso che va dai fatti alle teori e. Sia il Circu ito di Pappo sia quello di Descartes sono 2\

Descartes [ 1 637 1 , p. 9 1 . Che l a deduzione e l'induzione sono allo stesso livello nelle Regulae di Descartes è stato riconosciuto con estrema chiarezza da joachim. (Si veda il suo [ 1906] , pp. 7 1 -2 . ) 2 � Newton [ 1 686 ] , i n Brewster [ 1855 ] , volume I , p. 44 1 . 2 < Born [ 1 949] , Appendice 2. 2 S Questo è stato messo in evidenza da Popper, si veda i l suo [ 1 957 1 , p. 1 98, n. 8. [ p 273 della trad. it. di Popper [ 197 2 1 . 1 22

.

.5.

Il metodo dell'analisi e della sintesi

111

caduti nell 'oblio. L'ultimo fi l osofo a prendere i l Circuito di Pappa abba­ stanza sul serio da criticado è stato J.M.C. Duhamel. Egli tratta l'antico metodo con un certo disprezzo, come qualcosa di antiquato e largamente superato. Il metodo moderno dell 'analisi, afferma, non è deduttivo, ma riduttivo, e procede dalla proposizione discussa a proposizioni da cui es­ sa segue, finché non si giunge a una proposizione indubitabilmente vera. ( I n questo senso Duhamel è ancora un cartesiano . ) Secondo questo pro­ cedimento, ovviamente, la sintesi viene esegu ita simultaneamente all'ana­ lisi ; ogn i analisi è meccan icamente convertibile. 26 Oggi, i nvece, i l metodo antico non solo non viene criticato, ma è stato dimenticato quasi del tutto. Solo un occasionale studioso di storia della geometria può ricordarsene.27 Se uno di questi studiosi, di quando in quando, si i mbatte in esso e ap­ prende così che i Greci deducevano le teorie matematiche dai fatti (cioè gl i assiomi dal l e congetture ) , è probabile che non creda ai suoi occhi . Così F.M. Cornford non solo riteneva, come Duhamel, c h e qu esto metodo è sorpassato, ma insisteva sul fatto che si tratta di un metodo paradossale, .. irragionevole ", che i Greci non potevano assolutamente aver seguito, e sosteneva quindi che l 'anal isi di Pappa è in realtà identica a quella che Duhamel chiamava la moderna analisi riduttiva. 28 Secondo Cornford, chiunque abb ia i nterpretato il metodo di Pappo in senso deduttivo .. lo ha frainteso in modo deplorevol e " . E afferma: «Non si può seguire la stessa serie di passi prima in un senso e poi nel senso opposto e ottenere conse­ guenze logiche in entrambe le direzion i . ,,29 Che cambiamento! Pochi secoli prima si dava per scontato che tutte le 26

Duhamel [ 1 865 ) , pp. 37-57 e 62-8. Cfr. Heath, op. cit. , I , pp. 1 37-42. 2 8 Cornford [ 1932 ) , pp. 37ss. e 173ss. La replica di Robinson alla tesi di "Cornford è stata pubblicata quattro anni dopo ( Robinson [ 1936 ) ). 2 9 Mentre Cornford è del tutto in errore, Kneale ha ragione di sottolineare che non esiste un percorso ( completamente) deduttivo che va dai fatti alle ipotesi trascendenti. Ma non si rende conto del fatto che una parte piuttosto lunga può essere coperta deduttivamente: «Si sarà notato che Newton parla, molto stranamente, di dedurre proposizioni dai fe­ nomeni. Questa espressione ricorre in altri luoghi e dobbiamo assumere che Newton la usasse deliberatamente; ma è chiaro che con essa non si può intendere ciò che ordina­ riamente viene detto deduzione, e posso solo concludere che Newton intendeva riferirsi al fatto che le proposizioni che lo interessavano erano rigorosamente derivate dai fatti. Lasciando perdere, tuttavia, il suo peculiare modo di esprimersi, il passo è del tutto chiaro. Quello che Newton sembra sostenere, in effetti, è che egli crede nella possibilità di spiegare ·Ia gravitazione, ma che questa spiegazione debba essere scoperta mediante l'ordinaria induzione a partire dai fatti rinvenuti nel corso dell 'esperienza, dal momen­ to che nessun altro metodo è ammissibile nella scienza naturale " ( Kneale [ 1949) , pp. 98-9, corsivo miO). 27

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Matematica, scienza ed epistemologia

dimostrazioni ( o spi egaz ioni ) vere e proprie fossero reversibi l i e si era resti i a notare i casi recalcitranti . Oggi alcuni danno per scontato che non possono affatto esserci dimostrazioni reversibilPo Tutto c i ò non fa che illustrare i l declino dell'euristica nell 'era moderna. In realtà Euclide dedusse con questo metodo la maggior parte dei suoi teoremi e, come mostra la d imostrazione di Cauchy della formula di Eul er, esso costituisce ancora uno dei principal i paradigmi dell 'euristica matematica. Ma torn iamo a Descartes e Newton . I ndubbiamente Newton sostiene qua e l à d i aver dedotto l e sue teorie dai fatti. Ciò può essere interpretato i n due modi a ltrettanto plausibi l i : il primo è che egli ritenesse trascurabi­ le i l salto i nduttivo; i l secondo, che la distinzione fra i due tipi di inferen­ ze intuitive, la deduzione e ! ' induzione, fosse piuttosto confusa nella filo­ sofia cartes iana. In realtà non c'è nulla di en igmatico nel l ' « interdeducibi l ità » di fatti e teorie nel Circuito cartesiano: al contrario, si tratta di una delle sue carat­ teristiche più owie. Come i l lustrazione, c ito ciò che Descartes dice, alla fine del Discorso, riguardo ai suoi trattati la Diottrica e le Meteore:

il me semble que les raisons s'y entresuiuent en telle forte que, com me les dernières sont démontrées par les premières qui sont leurs causes, ces premières le sont récipro· quement par les dernières qui sont leurs effets. Et on ne doit pas imaginer qui ie com­ mette en cecy la faute que les Logiciens nomment un cerde; car l 'expérience redant la plus part de ces effets tres certains, les causes dont ie les déduits ne seruent pas tant à les prouver qu'à les expliquier; mais, tout au contraire, ce sont elles qui sont prouvées par eux.31 Descartes stesso alterna frequentemente i termini forma l i aristotel ici «deduzion e » e (< induzion e » per intendere « i n ferenza informale » . Così quando nella Regola I I I delle sue Regulae ad directionem ingenii dice che ci sono solo due modi i n fal l i b i l i di gi ungere alla conoscenza - l ' i ntui­ zione e l ' induzione ( >. 14 Adesso Popper sostiene che qua e là, sebbene i nconsapevolmente, poso siamo raggiungerla. Ritengo che questo sia un difetto nel suo fal l i b i l ismo, e così ho cercato d i correggerlo i n un vero e proprio spirito marxista me· diante l a mia dottrina deg l i enunciati di l unghezza infinita nel Libro Divi· no del l ' Universo. Secondo questa dottrina n essuna asserzione umana può espri mere una Legge Naturale. Ritengo che l ' esigenza di col locare le as· serzioni necessari e per natura fra le asserzioni del l inguaggio umano sia una i nopportuna caratteristica antropomorfica sia della trattazione di Kneale sia di quella di Popper. I l loro approccio, a mio avviso, presenta una certa analogia con quello di Campbell·Braithwaite che seleziona le asserzioni necessarie dal complesso di quelle contingenti . Dopo aver cercato di mostrare le basse ragioni epistemologiche che stanno di etro la nobile divergenza ontologica, mostrerò ora che i l pro­ blema della differenza tra le asserzioni u niversali fisicamente necessarie e le asserzioni accidental mente un iversali, o, per dirla in breve, i l problema del dodo, non sorge affatto al l ivel l o epistemologico o metodo logico nel sistema popperiano. I n questo sistema possiamo falsificare l'asserzione­ legge «tutti i dodi muoiono [ necessariamente ] prima dei sessant'an n i » sempl icemente producendo un controesempio che falsificherà anche la corrispondente asserzione universale più debole. Inoltre è ugualmente i mposs i b i l e tanto stab i l ire che l ' asserz i o n e u n iversa l e «tutti i dod i muoiono prima dei sessant 'ann i » è vera quanto stab i lire che essa è neces­ sariamente vera. Questo è i l motivo per cui Popper originariamente non sentì il b isogno di formulare la differenza al l ivello metafisico e questa è anche la ragione per cui Kneale, facendog l i torto, lo etichettò come un positivista. 1 5 La risposta di Popper mostrò chiaramente che quello di Knea­ le era un giudizio affrettato. Il sistema epistemologico knealiano è diver­ so: quegli enunciati che esprimono una necessitazione naturale non sono noti soltanto come veri , ma anche come necessariamente ver i . Gli stessi enunciati, nel sistema popperiano, non sono noti come veri né necessa­ riamente né universalmente. Nel mio si stema non ci possono essere affatto asserz ioni necessari e per I ; Lenin [ 1 908 ] , p . 1 37 [ 1 39 ] ' Sia la traduzione inglese citata da Lakatos sia quella italia­ na riportano . ( senza mai esaurirla) >> . [ N. d. C. i. ] 1 5 Kneale [ 1 949 ] , p . 76. «__

7.

Necessità, Knea/e e Popper

165

natura di l unghezza finita; inoltre tutte l e asserzioni universal i [ di lun­ ghezza fin i ta ] , non i mporta se si presume che siano necessarie o acciden­ tali , sono sempl icemente false. 3.

lA CONTINUITÀ FRA NECESSITÀ NATURALE E NECESSITÀ LOGICA

Popper è un arci-nemico del convenzionalismo nel campo della cono­ scenza scientifica, ma è un convenzional ista nel campo della conoscenza matematica e l ogica. Secondo lui la fonte della necessità matematica e logica è la struttura del l inguaggio umano, mentre quella del la n ecessità naturale è l 'attività di Dio. Così esse non hanno nulla in comune ed è infatti fuorviante usare la parola «necessario » in entrambi i casi. Kneale è un arci- nemico del convenzionalismo sia nella scienza sia nel­ la matematica e nella logica. Ritiene che la necessità naturale e la necessi­ tà logica siano i mparentate: la prima consiste di principi di necessitazione specifici, la seconda di principi di necessitazione generali. Così per Kneale è un problema cruciale quello di rendere plausibile questa omogeneità fra la necessità naturale e la necessità logica. Questo è il nocciolo della sua presente relazione, che suggerisce che i due tipi di necessità differiscono solo nel numero delle costanti logiche . Sfortunata­ mente non penso che egl i sia riuscito a mostrare la fondatezza della sua tes i . Vedo solo due possib i l ità. O prendiamo in considerazione le usual i costanti logiche e otteniamo così la suddivisione delle asserzioni in logi ­ camente necessarie e logIcamente contigent i , o consideriamo tutti i ter­ mini del l inguaggio come l ogici . Il concetto di verità logica verrebbe quindi a coincidere con quello di verità materiale. Ebbene, possiamo con ­ siderare alcuni term ini come costanti logiche ( chiamiamoli costanti qua­ si- logiche) e altri come variabili prestanome. Se è questo quello che il Professor Kneale suggerisce, al lora tutte le asserzioni saranno quasi- logi­ camente false perché potremo fac il mente costru i re mode l l i i n cui esse risulteranno false. Così non si può eliminare la dicotomia con qu esto metodo. A ogn i modo, una delle caratteristiche più essenziali della storia del rigore matematico è la graduale e l i minazione delle costanti quasi- logiche. Il rigore weierstrassiano ammette ancora i numeri naturali come costanti quasi- logiche, mentre i l rigore russell iano elim ina anche queste ultime superstiti e ci lascia con le sole costanti logiche. I l punto cruciale i n que­ sto progresso è che le costanti logiche devono essere termini perfetta­ mente noti e che i term i n i quas i - l ogici sono caduti , uno dopo l 'altro, in discredito per la loro vaghezza, e sono stati sostituiti da definizioni

166

Matematica, scienza e d epistemologia

espresse in term i n i perfettamente not i . Non ho difficoltà ad ammettere che qualche volta riportare indietro l ' orologio può essere un' idea eccel­ lente e che recuperare alcune delle screditate costanti quasi- logiche per­ fettamente note può essere ragionevole, purché prima si affrontino l e dif­ ficoltà che condl,lssero alla loro elim inazione_ Sono molto interessato a questo problema e ho infatti lavorato su di esso, sono tuttavia dell 'opin ione che i l concetto risultante di necessità quasi- logica non coinciderà con la necessità naturale ma costituirà una specie di necessità matematica non- Iogica . Così , c o m e potete constatare, sono d a l l a parte di Kneale nell 'assumere una certa continu ità fra i d iversi concetti di necessità che egli difende e mi dispiace che i l suo presente tentativo , per quanto posso vedere , sia fal l ito . Ma ho una forte avversione per la teoria l ingu istico-convenzional ista della matematica e della logica sostenuta da Popper. Ritengo, con Kneale, che la necessità logica sia una specie di necessità natural e ; penso che il grosso della matematica e della logica consista nell'attività di Dio e n on nelle convenzioni umane. C'è il grande i nsieme dei mondi logicamente possibi­ li, c'è i l sottoinsieme dei mondi matematicamente possib i l i , c'è i l sottoin­ sieme d i questo sottoinsieme: l ' insieme dei mondi fisicamente possib i l i ; e p o i c ' è il mondo attuale. Ma, di conseguenza, sono un fal l i b i l ista non solo n e l l a scienza, ma an­ che i n matematica e i n logica.



Si veda Lakatos [ 1 976c] , cap.

I , par. 9. ( Nota dei curatori inglesi. )

8 . Mutam e n t i n e l prob l e m a d e l l a l ogica induttiva *

INTRODUZIONE

Un programma di ricerca riuscito pu lsa di attività. Ci sono sempre doz­ zine di rompicapo e di problemi tecnici da risolvere ; anche se alcuni di essi - i nevitab i lmente - sono creati dal programma stesso. Ma questa forza autopropulsiva del programma può trascinare i ricercatori e indurii a dimenticare lo sfondo del problema. Essi tendono a non chiedersi più in che m isura hanno risolto i l problema originario, in che m isura hanno ab­ bandonato le l oro posizioni d i base per far fronte alle difficoltà tecniche interne. Nonostante possano al lontanarsi a enorme velocità dal problema originario, essi non se ne accorgono. Slittamenti d i problema d i questo tipo possono i nvestire quei programmi di ricerca che mostrano una note­ vole tenacia nel digerire quasi ogn i critica e sopravvivere. ! L'attività di soluzione dei problemi e, in particolare, i programm i di ri­ cerca sono abitualmente accompagnati da sl ittamenti di problema. Spesso si risolvono problemi molto diversi da quelli che ci si era proposti di risolvere . Si può risolvere un problema più interessante di quello origina­ rio. I n casi s i m i l i possiamo parlare d i uno «slittamento di problema pro-

Questo saggio è stato pubblicato per la prima volta in Lakatos ( a cura di) ! 1968aJ . come parte degli atti del Convegno Internazionale di Filosofia della Scienza tenuto a Londra nel 1965. Il saggio aveva origine da un commento alla relazione di Carnap «Logi· ca Induttiva e Intuizione Induttiva ». Nei ringraziamenti di Lakatos si legge: «Sono debi· tore per la critica delle versioni precedenti a Y. Bar-Hillel, P. Feyerabend, D. Gillies, ). Hintikka, C. Howson, R. )effrey, l. Levi, A. Musgrave, A. Shimony e ).W.N. Watkins, ma soprattutto a Carnap e Popper che hanno contribuito immensamente alla mia compren· sione del problema e della sua storia. Tuttavia temo che Carnap - e forse anche Popper - possano non concordare con la posizione alla quale sono giunto. Nessuno dei due ha avuto modo di leggere l'ultima versione ». ( Nota dei curatori inglesi. ) I Per una discussione generale dei programmi di ricerca, della soluzione di problemi contrapposta alla soluzione di rompicapo e degl i slittamenti di problema, cfr. voI . l . cap. ! . •

1 68

Matematica, scienza ed epistemologia

gressivo » . 2 Ma si possono risolvere problemi meno interessanti d i quello originario; anzi, in casi estremi ci si può trovare a risolvere ( o a cercare di risolvere ) solo i problemi creat i dal tentativo d i risolvere i l problema ori­ ginario. In casi simili possiamo parlare di uno « slittamento di problema

regress;'Jo».3 Ritengo che sia sempre bene arrestare di tanto in tanto i l processo di risoluzione, cercare di riassumere la situazione e val utare gli slittamenti di problema. Nel caso del grande programma di ricerca di Carnap ci si può chiedere cosa lo spinse a ridimensionare la sua audace idea originaria di una logica indutt iva a priori, analitica, fino a giungere alla sua attuale cautela ri­ guardo alla natura epistemologica della sua teoria ;4 come e perché egli ri dusse l ' originario problema del grado razionale di credenza nelle ipotesi ( principalmente nelle teorie scientifiche ) , prima al problema del grado razionale di credenza negli enunc iati particolari5 e infine al problema del­ la consistenza ( T2 ) che quindi rappresenta per Popper uno slittamento regressivo. Man mano che cresce i l nu mero delle ipotesi falsi­ ficanti, la veros i m i l itudine della loro somma può ovvi amente crescere an­ ch'essa ; ma per Popper c i ò equivale a una disintegrazione «induttivista » della scienza in una collezione di fenomeni isolat i . M a , seguendo le l i nee dell'argomentaz ione di Agassi , i m magin iamo c h e dopo TQ ed fl venga immediatamente proposta T2 . T2 verrebbe accettata I e anche accettata 2 , dal momento che f2 è parte del suo contenuto addiz iona­ le. Ebbene, perché mai ! To , TI ' T2 ) dovrebbe rappresentare uno sl itta­ mento regressivo quando ! To , T2 ) rappresenta uno slittamento progressivo? L'argomentazione è interessante. Ma, invece d i essere un'argomentazio­ ne contro i l «modello popperiano », essa dà i l tocco finale alla sua chiari­ ficazione. Secondo Popper l ' essenza della scienza è la crescita: crescita potenziale veloce ( accettabilità ! ) e crescita attuale veloce ( accettab il ità 2 ). La crescita lenta non corrisponde all'immagine ideale della scienza di Popper. Se l ' immaginazione non vola abbastanza velocem ente anticipando la scoperta dei fatti, la sc ienza regredisce. ! 85 Il mode llo popperiano rende man ifesto questo regresso, il modello agassiano lo nasconde. 1 82 Popper usa il suo termine peggiorativo « ad hoc» in due sensi chiaramente distingui· bili. Una teoria senza contenuto addizionale è « ad hoc» ( > . Grunbaum sostiene che: È chiaro che spetta a quegli storici d e l l a teoria d e l l a relatività che negano il ruolo ispiratore degli esperimenti d i Michelson e Morley i l compito di d i rc i con chiarezza q u a l i altri « te n tat i v i i n fruttuosi di scoprire i l moto della Terra relativamente al "mezzo luminoso" » avesse in mente E i nstein in questo passo. Quest'onere dovrebbe spettare anche a Ei nstein stesso quando nella sua maturità, e sulla base di ricordi ha autorizzato la tesi di Polanyi [ secondo cui egl i non era a conoscenza, nel 1 905, dell'esperimento di Michelson e Morley ) . ,

Ma questo passo dell'articolo di Eins�ein potrebbe ri ferirsi alla l unga sequenza di esperimenti compiuti per control lare gli effetti della velocità 31 Gamow [ 1 966 J p. 37 [ 44 ) , corsivo mio. Planck [ 1 929 J . 33 Cfr. Holton [ 1 960) . ,

32

9. Sulla

storiograjia popperiana

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orbitale della Terra sui fenomeni ottici terrestri , a opera di Fizeau , Respi­ ghi , Hoek, Airy e Mascart, fra i l 1 850 e i l 1 87 2 . 34 L' interesse di Grunbaum non è rivolto sempl icemente ai dettagli storici . Per l u i è assurdo pensare c h e « g l i effettivi risultati sperimentali n o n ab­ biano giuocato alcun ruolo quando [ Ei nstei n ] , cercava a tentoni la via verso il principio di relatività » . «Se l e cose stessero in questo modo » , sostiene Grunbaum, « c i sarebbe seriamente d a chiedersi se l e congetture teoriche di un E instei n possano considerarsi davvero più fondate, e non solo più fortunate, delle fantasie subito abortite di quegl i stravaganti pen­ satori scientifici i cui nomi sono caduti nell 'oblio _ » Questa posizione anti-speculativa ha effetti divertenti. Nel 1 960 Bernard ]affe scrisse un l ibretto su Michelson, da l u i molto ammirato come l ' uomo i cui «esperimenti sul trasci namento del l ' etere bandirono la nozione stes ­ sa di etere ».3S Così scrisse a Einstein chiedendogli del suo debito nei con­ fronti di Michelson. La risposta di Einstein fu la seguente : Non c'è dubbio che l'esperim ento di Michelson ha avuto un'influenza consi derevole sul mio lavoro nella m isura in cui ha rafforzato la mia convi nzione della lialidità del principio su cui si basa la teoria della relatività speciale. D'altra parte ero abbastanza convinto della val idità di questo principio anche prima d i sapere dell 'esperi mento e dei suoi risultat i . I n ogni caso, l 'esperimento di Michelson ha rimosso praticamente ogni dubbio sulla validità del principio nell 'ottica, e ha mostrato che un profondo mutamento dei concetti di base della fisica era i nevitabile.�6

]affe ha ritrovato anche i l testo di un breve discorso tenuto da Einstein a Pasadena nel 1 93 1 , nel quale indirizza a Michelson - che allora aveva 80 anni - le seguenti parole: S e i stato tu a condurre i fisici su nuove strade e , attraverso i t u o i meravigl iosi lavori sperimenta l i , ad aprire la via allo svi l uppo della Teoria della Relatività. Hai svelato un insidioso d i fetto nella teoria del l ' etere, nella forma in cui esisteva al lora, e hai dato uno stimolo a l l e idee di H.A. Lorentz e d i Fitzgerald, dalle quali si è svil uppata la teoria della relatività. Senza la tua opera questa teoria sarebbe oggi poco più di un'interessante spe­ culazione; sono state le tue lierijicazioni a dare l a prima base rea le alla teoriaY La concl usione di ]affe è che « Einstein attribu iva pubblicamente l ' orig i ­ ne d e l l a s u a teoria a l l 'esperimento di Michelson ». 38 Ma ]affe travisa i l testo da lui stesso citato. Einstein chiarisce perfettamente di considerare il lavo-

Cfr. Whittaker [ 1 951 1 . Jaffe [ 19601 . �6 Ibid. , pp. 100- 1 0 1 , corsivo mio. �7 Ibid. , pp. 1 67-8, corsivo mio. �8 Jaffe [ 1 9 6 0 ] , p. 1 0 1 . Grunbaum cita, approvandola, q u esta asserzione ( [ 1 963 ] , p. 38 1 ) e ( a p. 380 ) travisa in modo analogo E i nstei n . l4

3S

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ro di Michelson come una corroborazione del suo programma, e quindi come un importante incoraggiamento per i l suo lavoro successivo al 1 905, ma che esso non aveva nulla a che fare con il suo lavoro precedente al 1 90 5 . Così n o n è vero che E instein fu «condotto » dal l ' esperimento d i Michel­ son alla sua teoria della relatività speciale. Anche i l suo lavoro sulla gravi ­ tazione ( la «teoria della relatività generale » ) scaturì dal l 'euristica positiva del programma sulla relatività speciale e non dalla confutazione della teo­ ria gravitazionale di Newton da parte del perielio anomalo di Mercurio! Se critico l ' «u ltra-falsificazionismo » conservatore in questo saggio, non è perché ritengo che Popper sia un «u ltra-falsificaz ionista » , ma perché penso che la sua posizione non offra una base suffici ente per combattere questa tendenza, in quanto egl i sopravval uta, rendendolo troppo diretto, i l ruolo delle confutazioni empiriche n e l la crescita razionale della scienza.

l O . Anomal i e ed «esperimenti cruc i a l i ..

( u na rep l ica al Professor Grunbau m ) *

INTRODUZIONE

Sono grato al Professar Grunbaum per la sua critica delle caratteristiche «ant i - falsificaz ion iste .. della mia metodologia dei programmi d i ricerca sc ientifici e sono l ieto di avere l ' opportunità di una replica. Devo cominciare cercando di chiarire un equ ivoco di fondo. Il m i o saggio si apriva con la domanda: "Che cosa apprer. d iamo esattamente s u l l e teorie scient i fi ­ che dal l ' esperimento e i n che modo l o apprendiamo ? » " A essa segue quella che Grunbaum ha chiamato la mia «tesi provocatoria » secondo cui «non è possibile apprendere dal l ' esperienza che una qualsiasi teoria [ scientifica ) è falsa » . 2 Ebbene, se si interpreta «teor ia » come «proposizio­ ne che rispecchia ( fal l i b i l mente ) un fatto » , al lora a causa dello scarto ( i n ­ colmabile d a l punto di vista epistemologico ) fra fatti e proposizion i , l a mia t e s i è l u n g i dal l ' essere provocatoria: si tratta di un luogo comune d e l tutto ortodosso. Afferma che se gli esperimenti cruciali devono forn ire refutazioni sperimenta l i , allora non esistono esperimenti crucial i . Se i o sostengo u n a t e s i provocatoria si tratta d i una t e s i più forte ; precisamente " Questo saggio costituisce u n contributo a un dibattito che si è svolto tra I.akatos e il Professor Grunbaum sullo status degli esperi menti crucia l i . Nel 1 973 Lakatos lesse un saggio alla Pennsylvania State Un iversity ( pubbl icato come Lakatos [ 1 974 dj ) , al quale Grunbaum oppose una replica. I l presente saggio è la risposta di Lakatos a quella repl ica. La repl ica d i Grunbaum, parte di un più ampio saggio dal titolo «Falsificabilità e Raziona· l ità » , non è stata pubbl icata, ma i l Professor Grunbaum ha genti l mente concesso che ven issero riprodotte qui le citazioni di Lakatos da quel saggio Ci riferimenti sono ai nu­ meri delle pagine del dattiloscritto [ Grunbaum [ 1 973 ] ) . Non si dovrebbe tuttavia suppor· re che queste citazioni esprimano le attuali opi n ion i di Grunbaum. Lakatos considerava il saggio qui pubbl icato come una stesura non defi n itiva. Nella sua nota introduttiva si legge: «Vorrei esprimere i l m i o ringraziamento per le critiche costruttive delle precede n ­ ti versioni che ho ricevuto da Peter Clark, Col i n Howson , John Watkins, John Worrall e anche da Adolf Grunbaum ». ( Nota dei curatori inglesi. ) l Lakatos [ 1 974 dl , p. 309. 2 Op. cit. , p. 3 10.

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della tesi secondo cui nessun risultato speri mentale, preso isolatamente, può sconfiggere una «teoria » , non importa se nel mio senso ( ossia nel senso che lavorare ulteriormente su di essa è i rraz ionale) o nel senso di Grunbaum (che l ' esperi mento dovrebbe trasformare la nostra credenza razionale in una non- credenza razionale ) . Ossia non esistono «esperimen­ ti crucial i » neppure in ciascuno di questi due sensi più deboli.

1. N ON C I SONO MAI STATI ESPERIMENTI CRUCIALI NELlA SCIENZA Ho spiegato ed elaborato la mia posizione negat iva riguardo agl i «espe­ rimenti crucial i » in d iversi saggi fra i l 1 968 e i l 1 97 1 e ho cercato di rac­ chi uderla i n una breve esposizione ( sebbene, lo ammetto, con l 'aiuto di dozz ine di rinvi i ) al nostro congresso di Penn. 3 A mio modo di vedere nella scienza non si apprende semplicemente attraverso congetture e con ­ futazion i . La scienza matura non è un procedimento per tentativi ed erro­

ri, non consiste di ipotesi isolate seguite da conferme o da confutazioni.4 I grandi risultati, le grandi «teorie non sono ipotesi isolate o scoperte di fatti, ma programmi di ricerca. La storia della grande scienza è una sto­ ria di programmi di ricerca e non di tentativi ed errori, né di «congetture ingenue ». 5 Nessun esperimento isolato può giocare un ruolo decisivo, lO,

tantomeno «crucial e » , nel far pendere la bi lancia a favore di uno fra due programmi di ricerca rival i . Naturalmente non nego che di tanto in tanto gli scienziati conferiscano, di solito col senno di poi, il titolo onorifico di «esperimento crucial e » ad alcuni esperimenti che sono stati spiegati con successo in un programma e con meno successo ( ossia solo per mezzo di manovre ad boli') i n un altro. Né voglio negare che alcun i esperimenti abbiano un effetto psicologico decisivo nella guerra d i logoramento fra due programmi e che essi possano causare i l crollo di uno e la vittoria del l 'altro . ' Un'anomalia può anche avere un effetto paralizzante s u l l ' i m J Mi riferisco ai m i e i [ 1 968cl , [ 197 1 cJ e volume l , capp. 1 , 2 e 3. I l Professor Smart, temo correttamente, m i ha ripreso nel suo [ 1972 J per la m i a predi lezione per i con ti n ui autori­ ferimenti i ncrociati che rendono i miei saggi d i ffici l i da seguire. Pur scusandomi per lo stile di esposizione non m i pento del contenuto. • Se le ipotesi isolate dovessero essere considerate risultati scientifici al l ora Hegel , per esempio, dovrebbe essere considerato u n grande scienziato e u n precursore d i Einstein, dal momento che borbottò qualcosa sul l ' i n terrelazione del lo spazio e del tempo. S Cfr. i l mio [ 1 976cl , i n particolare pp. 70·82 [ 1 1 1 - 2 5 ] . 6 Per una discussione di tre differenti tipi di i potesi ad hoc cfr. i l mi o [ 1968c] , pp. 375-90 in particolare p. 389, n . l ; c fr. anche volume l, cap. l , pp. 1 1 2- 1 3 , n n . 327, 328 e 330. 7 Cfr. la d i sti nzione - e la divisione del lavoro da essa impl icata fra stori a i nterna e storia esterna proposta nel volume l , cap 2 e sopra, pp. 1 49 - 50. -

l O. Anomalie ed «esperimenti cruciali »

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maginazione e sulla determ inazione degl i scienziati che lavorano a un programma d i ricerca che è affetto da essa j8 ma ho sostenuto che nessuna di queste anomalie, non importa se vengano ch iamate o meno «esperi ­ menti crucia l i » , è obi ettivamente cruciale. Dove i l falsificazionista vede un esperimento cruciale negat ivo, io «predìco » che non ve n ' era alcuno. Predìco che dietro ogn i presunto duello fatale fra teoria ed esperimento si scoprirà, come fatto storico, una compl essa guerra di logoramento fra due programmi di ricerca rivali,9 nel corso della quale è possibile stab i l ire, in ogni dato momento, quali fossero le forze relative ( ossia le risorse imma­ gi native e la fortuna empirica ) dei due eserciti. Ho anche proposto (e avviato ) un programma di ricerca storiografico per controllare questa tes i . l O La mia posizione ha chiare impl icazioni per una teoria dell'apprendi­ mento scientifico. l l I l vecchio problema «come e che cosa apprendiamo scientificamente dal l ' esperienza? » viene risolto in modo nuovo: «quello che nella scienza apprendiamo dall ' esperienza non riguarda la verità ( o la probabilità ) , né la falsità ( o l ' improbab i l ità) delle "teorie " , ma il relativo progresso e regresso empirico di programmi di ricerca » . Questa soluzione comporta uno slittamento metodologico e d epistemo­ logico, nel corso del quale i l problema stesso della valutazione e del l 'ap­ prendimento viene reinterpretato, «slitta » , e il termine «teoria scientifica » viene anch' esso reinterpretato (