Manifesti del Surrealismo
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GLI STRUZZI 325

André Breton Manifesti del Surrealismo

EINAUDI

André Breton Manifesti del Surrealismo

Introduzione di G u id o N eri

E inaudi

Titolo originale Manifestes du Surréalisme © c h e z J.-J. Pauvert, Paris © 1966 e 1987 Giulio Einaudi editore s.p. a., Torino

Traduzione di Liliana Magrini ISBN 88-06-59904-6

Introduzione

II primo Manifeste du Surréalisme usci presso le Editions du Sagittale (Simon Kra) nell’ottobre 19 24: segnò la nascita uffi­ ciale del movimento, insieme con la pubblicazione, nel dicembre dello stesso anno, del primo numero della « Revolution Surrea­ liste ». Il volume comprendeva anche Poisson soluble, un testo « automatico » che doveva fornire un esempio diretto dei proce­ dimenti illustrati nel Manifesto, e rispetto al quale il Manifesto assumeva dunque, per l ’occasione, un carattere di ampia introdu­ zione. Benché quel testo sia stato ripreso in alcune delle riedi­ zioni e delle raccolte successive dei Manifesti del Surrealismo (compresa quella uscita nel 1962 da Pauvert, cui, per il resto, si attiene la nostra scelta), non si è ritenuto opportuno includere qui una traduzione italiana di Poisson soluble, nella presunzione che al lettore di oggi non risulti piu indispensabile, né sufficien­ te, questo tipo di esemplificazione per evocare le molteplici risor­ se espressive messe in atto dal metodo surrealista; d’altra parte, l ’interesse autonomo di Poisson soluble sul piano dei valori poe­ tici rimane, a distanza di tempo, piu che confermato. Si è dunque preferito conservare a questa raccolta un carattere relativamente omogeneo, di riflessione e illustrazione teorico-programmatica. Nel 19 29 usciva, sempre presso Kra, una riedizione del primo Manifesto, con un’importante introduzione; il volume compren­ deva anche la Lettre aux voyantes. Del 19 30 (l’anno stesso in cui a «Révolution Surréaliste » succedeva « Le Surréalisme au service de la Révolution ») è il Second Manifeste du Surréalisme (Kra). Il gruppo di conferenze e interventi riuniti sotto il titolo Po-

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sinon politique du Surréalisme usci alla fine del 19 3 5 presso le Editions du Sagittaire (già Kra). I Prolégomènes à un Troisième Manifeste du Surréalisme ou non, che recano la data 19 42, apparvero in un volume compren­ dente la ristampa dei primi due Manifesti (Sagittaire, 1946), con l ’Avertissement pour la réédition du second Manifeste. V i si aggiungeva, in una nuova riedizione del 19 3 3 (Sagit­ taire), Du Surréalisme en ses œuvres vives, datato 19 3 3 . Tutti i testi fin qui citati sono stati ripresi infine nel volume Manifestes du Surréalisme, edito nel 1962 da Pauvert.

Una raccolta come questa ci mette in grado di apprezzare, in­ sieme con la coerenza, la diversità formale degli scritti che la com­ pongono. Un sommario dei temi del primo Manifesto mettereb­ be in evidenza, sotto l’andamento acceso e divagante del discor­ so, un’organicità profonda. In quelle quaranta pagine il Surrea­ lismo è proiettato nei suoi termini essenziali, secondo nessi in­ terni tanto più saldi e carichi di significato quanto meno apparen­ ti. Diversa è la sconnessione del Secondo Manifesto, costruito in modo più sottile, incorniciato da due appendici documentarie in funzione polemica - la prima sul fronte esterno, la seconda su quello interno - con un montaggio di aspri attacchi personali (Artaud, Desnos, Bataille) e di approfondimenti ideologici, a ri­ scontro degli interventi diretti della « voce » surrealista. Questa organizzazione articolata del discorso costituisce già di per sé una risposta alle esigenze dell’azione. Il Surrealismo è qui a un mo­ mento culminante della sua lunga tensione con l’impegno politi­ co rivoluzionario e col pensiero marxista, e incontra tutti i pro­ blemi posti dallo sforzo di uscire da se stesso senza disperdere la propria peculiare identitàj(Vengono in piena luce le antinomie, a cominciare da quella, più appariscente, tra l ’aggressività con cui è espressa l’istanza di rivolta etico-sociale e politica, la tendenza (nel primo Manifesto) a mettere i principali procedimenti surrea­ listi « alla portata di tutti », e l ’energico richiamo, contenuto nel­ le pagine del Secondo Manifesto, all’« occultamento » del Sur­

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realismo. Sempre nel Secondo Manifesto, si parla di « impedire al pubblico di entrare », ma qui l ’apparente contraddizione ha un senso preciso: « on publie pour chercher des hommes, et rien de plus », ripete altrove Breton, d’accordo con Tzara: si tratta dun­ que di passare oltre il pubblico, rifiutando il consumo letterario vigente. Anche in questo senso il Surrealismo continua, sviluppa e chiarisce tutta una tradizione moderna, oggi talmente eviden­ ziata da riprodurre a sua volta, paradossalmente, un suo pub­ blico. La lettura dei Manifesti presenta una serie di punti di riferi­ mento per una storia che, in sostanza, resta ancora da scrivere, a partire dalla complessità di soluzioni che il movimento ha pro­ posto, con l’insieme delle sue attività, anche nel tempo. E si sa che l’ambizione specifica del Surrealismo (quale risulta in parti­ colare, nell’opera di Breton, da un libro come Les vases commanicants, dove sono poste a riscontro e fatte convergere l ’interpre­ tazione del sogno, l’esperienza vissuta dell’incontro amoroso e dello basard, la discussione politica) è stata proprio di contestare l ’incompatibilità di ordini eterogenei di esperienze, o di affron­ tarne le dissonanze.

Sia stato il confronto con l’ardua realtà politica degli anni ’30, o un sordo processo di composizione delle attività surrealiste con le leggi del mercato artistico e letterario, sia stata l’insorgenza - attraverso le divergenze politiche interne - di irreducibili que­ stioni personali (Breton respinge questo giudizio, formulato da Jules Monnerot in una nota del suo saggio su La poésie moderne et le sacré), 0 sia stato decisivo, secondo il suggestivo punto di vi­ sta espresso dallo stesso Breton in Arcane 1 7 , il manifestarsi, in quelle controversie, di un dissidio di ordine sostanzialmente eti­ co, a proposito del ruolo dell’amore e della donna: sta di fatto che la crisi intervenuta nella struttura stessa del movimento e una certa trasformazione delle sue ambizioni fondamentali costi­ tuiscono lo sfondo su cui vanno letti i due ultimi scritti compresi in questa raccolta. C ’è - si direbbe - una presa meno serrata sul

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mondo concreto della storia; d’altra parte, è a una situazione sto­ rica cruciale, al frangente estremo della guerra, che si richiama il rilancio della sfida surrealista. La sua continuazione non può es­ sere per Breton che un ricominciamento, un ritorno elettivo alle prospettive più ampie e radicali: il che non esclude, per chi con­ sideri questa evoluzione dall’esterno, un assottigliamento della presenza surrealista, concentrata, di fatto, sui temi della ricerca esoterica e del mito. Resta la straordinaria capacità dimostrata da Breton di riesplorare continuamente, arricchendolo di nuovi si­ gnificati, tutto l’arco dell’esperienza surrealista (come testimo­ nianza specifica di questa capacità autocritica, a parte - in que­ sto volume - la questione degli attacchi personali del Secondo Manifesto, già nettamente ridimensionati nell’introduzione del ’46, vanno ricordati gli elementi di precisazione critica e di di­ scussione storica raccolti nel 19 52 nelle pagine degli Entretiens, che offrono nell’insieme un ricco riflesso retrospettivo della dia­ lettica interna del Surrealismo). Di fronte agli ultimi Manifesti, e più in generale di fronte al­ l ’attività di Breton negli ultimi venticinque anni, si ha l ’impres­ sione di un mutamento di equilibrio tra l ’impulso personale e l’in­ tegrazione di un’impresa collettiva di ricerca. Non troviamo più nelle ultime proposte surrealiste quella sorta di aderenza nega­ tiva 0 corrispondenza polemica ai dati della cultura tradizionale, per cui ogni invenzione 0 gesto dell’avanguardia può anche con­ siderarsi come la denuncia e l’assunzione demoralizzata e capo­ volta di certi punti di consunzione dell’uso dominante: la scrit­ tura automatica e la discontinuità sintattica come replica all’au­ tomatismo effettivo e alla discontinuità inconscia di lettura ri­ scontrabili nei procedimenti della letteratura di consumo, Parteoggetto come rovescio del feticismo mercantile 0 da museo ecc. La parabola dei tempi e delle idee ha finito per situare Breton in una posizione più raccolta e pronunciata, di refrattario, di capo­ scuola, di ispiratore: è forse il prezzo della sua persistente ani­ mosità intellettuale e sociale. Del resto: in che senso, entro quali limiti i Manifesti possono considerarsi opera di Breton? E in che senso questo si può dire

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degli altri libri che ha firmato? Occorre ricordare che tutta l’atti­ vità di Breton testimonia di un’appassionata ripugnanza a espri­ mersi come autore, a secernere una produzione individuale. Si possono distinguere, tra i suoi libri, alcuni episodi piu strettamente orientati su determinazioni di ordine personale (Nadja, Arcane 17 , una parte delle poesie). Nessun dubbio sull’impronta che può avere lasciata una personalità cosi energica e singolare; ma costitutivo di quella stessa personalità è proprio un movimen­ to tenace di resistenza all’opera. Nadja, che si apre appunto con un interrogativo prolungato sull’individualità di chi scrive, è un libro centrale da questo punto di vista, e contiene dichiarazioni significative: « J ’envie (c’est ime façon de parler) tout homme qui a le temps de préparer quelque chose comme un livre, qui, en étant venu à bout, trouve le moyen de s’intéresser au sort de cette chose ou au sort qu’après tout cette chose lui fait. Que ne me laisse-t-il croire que chemin faisant s’est présentée au moins une véritable occasion d’y renoncer! Il aurait passé outre et l ’on pourrait espérer qu’il nous fît l ’honneur de dire pourquoi. Par ce que je puis être tenté d ’entreprendre de longue haleine, je suis trop sûr de démériter de la vie telle que je l ’aime et qu’elle s’offre: de la vie à perdre haleine ».

Nel primo Manifesto si fa allusione a una controversia sul di­ ritto di fare uso del termine « Surrealismo ». Breton e i suoi colla­ boratori ebbero ad affermare questo diritto nei confronti, in par­ ticolare, di Ivan Goff, direttore di una rivista « Surréalisme » di cui usci un primo numero proprio nell’ottobre 19 24, con un Ma­ nifeste du Surréalisme e scritti, tra l ’altro, di Apollinaire, Pierre Albert-Birot, Crevel, Delteil, Dermée, Reverdy. In effetti, il ter­ mine, lanciato da Apollinaire nell’ultimo periodo della sua vita, era stato accolto presso i gruppi del « cubismo » letterario 0 che si ispiravano alle parole d ’ordine apollinairiane dell’« Esprit nou­ veau ». Nel difendere un’accezione originale del termine (come aveva già fatto in Entrée des médiums, uno scritto ripreso nel 19 24 nel volume Les pas perdus) Breton cita Nerval come esem-

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pio di surrealismo « nello spirito » e lo contrappone ad Apollinaire, surrealista nella lettera. Ma di « supernaturalismo », e si­ mili, avevano parlato anche Hugo e Baudelaire, Novalis e Heine. Già attraverso questa ascendenza terminologica si delinea qual­ che tratto importante della tradizione che il Surrealismo si è sco­ perta, sul terreno letterario, nel Romanticismo tedesco e negli au­ tori che in Francia ne hanno costituito il più autentico prosegui­ mento; e più in generale, in quello « splendide dix-neuvième siècle » che Breton salutava nel 19 36 all’inizio di un articolo sul simbolismo (Le merveilleux contre le mystère, ripreso più tardi nel volume La clé des champs). Dopo il primo Manifesto, certi nomi dell’Olimpo letterario surrealista - Sade, Lautréamont (più ancora che Rimbaud e Jarry) - verranno posti in primo piano con aggressiva intransigenza; ma nell’insieme le scelte e i raccordi operati dal Surrealismo nella tradizione letteraria ottocentesca hanno avuto un peso determinante nel configurarsi di prospetti­ ve critiche ormai largamente acquisite su quel passato. Accanto a quest’opera di reinvenzione di una tradizione, l ’al­ tro terreno di confronto su cui il Surrealismo si trovò a precisare una propria fisionomia autonoma è il rapporto con l’arte-letteratura d’avanguardia, e in particolare la sua distinzione e opposi­ zione rispetto a Dada. Le vicende e gli scritti relativi al passaggio Dada-Surrealismo pongono il problema: in che misura il Surrea­ lismo è assimilabile, nel giudizio storico-e sociologico, alle avan­ guardie. Le esperienze di gruppo tentate negli anni 1922-24 e in particolare l’evoluzione testimoniata dagli scritti di Breton, Aragon, Soupault, Eluard in quegli anni muovono dalla consapevo­ lezza dell’elemento di autoliquidazione inerente alla logica stessa di Dada. In certe pagine di Breton si può trovare anzi una pre­ cisa presa di posizione critica sui limiti propri di certi procedi­ menti dell’avanguardia. Del dadaismo i surrealisti cominciarono col riprendere i procedimenti di derisione ( « l’art n’est pas sérieux »), di provocazione e soprattutto di demoralizzazione, tra­ sformando radicalmente i termini di quella logica della contrad­ dizione che ne costituiva la trovata più appariscente. Ma consi­ derando gli sviluppi anche successivi dell’attività surrealista si

IntiW uzi*ne

vede bene che il raccordo piu fecondo tra i due movimenti è l’in­ teresse acuto e diretto per il linguaggio (« la pensée se fait dans la bouche »). Se poi Breton arrivò, nel primo Manifesto e altro­ ve, a tracciare gli elementi quasi di una poetica surrealista (il bel­ lo come meraviglioso, 1’« insolite », il « depaysement », il « dé­ sir» come radice dell’esperienza poetica, la «beauté convul­ sive »), dò gli fu possibile proprio perché, oltre le fonti (baroc­ che, preromantiche ecc.) di queste formulazioni, prendeva a rife­ rimento un orizzonte extra-letterario.

Non è stato difficile ai critici mostrare - con diversi accenti e con intenzioni opposte - come i testi espressi dal Surrealismo, quale che fosse la loro carica iniziale di contestazione e di speri­ mentazione, finissero per riassorbirsi in letteratura (o in arte), spostando semplicemente i limiti dei valori poetici pensabili e delle forme consuete di drcolazione (non passeranno inosserva­ te, ad esempio, nelle pagine dei Manifesti, le idee critiche avan­ zate incidentalmente da Breton sul romanzo, non meno signifi­ cative di quelle che si leggono sullo stesso problema in Nadja). G ià i dadaisti (almeno in Francia) avevano oscillato decisamente tra il puro gesto e una serie di espressioni chiaramente destinate a ostacolare e rinviare il livello di un minimo consenso e consu­ mo pubblico; ma, autonegandosi, Dada si risolveva in idea. Il la­ voro del Surrealismo è stato: usare da questa estrema semplifi­ cazione, superare il negativismo Dada, non scartando ma appro­ fondendo e orientando le ragioni anti-letterarie, articolare la con­ testazióne su scelte originali di ordine extra-letterario: ideologi­ che, etiche, politiche. I punti di riferimento essenziali furono, come è noto, Freud, Hegel e Marx, la tradizione del pensiero occultistico ed esoterico. Queste sollecitazioni ideologiche tendevano a ricondurre conti­ nuamente il Surrealismo nei termini di un realismo o di un uma­ nesimo. Anche nella sua versione centrale, sostenuta fino in fon­ do da Breton e da pochi altri, certe istanze eversive finivano per assumere una funzione etica. Nell 'Amour fou (19 37), l’esaltazio­

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ne della chance contro le suggestioni dell’abitudine e della solita-' dine (« Notte chance est éparse dans le monde, qui sait, en pouvoir de s’épanouir sur tout, mais chiffonnée comme un coquelicot en bouton. Dès que nous sommes seuls à sa recherche elle repousse contre nous la grille de l’univers, elle joue pour nous duper sur la triste ressemblance des feuilles de tous les arbres, elle vèt le long des routes des robes de cailloux »), come già nel primo Manifesto la proclamazione dei diritti dell’immaginazione (e, an­ cora nell’Amour fou, quella del « comportement lyrique »), as­ sume il carattere di un imperativo interiore e si salda a una pro­ spettiva di valori, che allinea in una sintesi quasi edificante ami­ cizia, amore e solidarietà sociale. Un libro come UAm our fou riflette indubbiamente, sotto questo aspetto, un momento parti­ colare del discorso di Breton. Ma non si può negare che nell’im­ postazione stessa del movimento e attraverso le sue vicende in­ terne affiorano in modo permanente o ricorrente cristallizzazioni di ordine etico. È anche troppo facile rilevare come la parola d’or­ dine della demoralizzazione cui i surrealisti seppero dare un sen­ so cosi ricco e suggestivo, rimettesse in gioco - in quanto pro­ mossa da un gruppo in opposizione a un’intera società - un com­ plesso di norme elementari di comportamento. Il concetto bor­ ghese di « responsabilità » veniva denunciato in termini radicali, ma non senza l’assunzione, implicita ma sempre meno velata, di uno speciale concetto di responsabilità surrealista. Nel tempo, l ’istanza del gratuito rapidamente si assottiglia (o prende il ruolo di una riserva ricorrente di invenzioni), e ogni atto surrealista tende a trarre valore dal rischio o dal prezzo che implica. Le re­ quisitorie di Breton e di altri contro il valore morale del lavoro (come contro le idee di religione, patria, famiglia) sono inequi­ vocabili; in questo caso la nozione etica tradizionale non viene recuperata o rinnovata; ma è interessante vedere come la pratica dei surrealisti di fronte all’idea del lavoro letterario rifletta un atteggiamento complesso, non univocamente negativo. Infine, ancora in margine a questo rapido catalogo dei probabili riflessi etici del Surrealismo, va rilevata la posizione centrale riservata a ciò che Breton chiama trasparenza: trasparenza intellettuale co­

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me risposta e sensibilità a una trasparenza del mondo, fedeltà a una tensione critico-profetica. Nella storia delle idee surrealiste, è un termine discriminante, nei confronti sia delle soluzioni vo­ lontaristiche e pragmatiche (Aragon, Eluard), sia delle tormen­ tate venature esistenziali e neo-maledette che accomunano alcuni tra i surrealisti dissidenti o indipendenti (Artaud, Daumal, Bataille, Leiris, Michaux) attratti, in nome di un tenace anti-ideologismo, verso gli estremi del tragico del « crapuleux » o dell’espe­ rienza mistica. Dopo queste fratture e la crisi politica del Surrea­ lismo, l’idea di trasparenza si trova mescolata a quella di un « mi­ to collettivo »: il tenace razionalismo di Breton si esprime ormai entro un orizzonte para-religioso.

La storia del Surrealismo si presterebbe a essere ordinata in­ torno ad alcune tentazioni fondamentali: vocazione realistica, riconoscibile nel primo Manifesto - nonostante l’esplicita presa di posizione filosofica in contrario - nell’ambizione di esprimere « il funzionamento reale del pensiero » (su questo punto la critica semplificatrice e polemica rivolta al Surrealismo da un Paulhan, nel quadro della sua denuncia del terrorismo in letteratura, risul­ ta piu appropriata e interessante di quella, ad esempio, di Sartre, impostata dal punto di vista degli autori e della responsabilità dello scrivere, e, come tale, esterna ad alcune delle specifiche po­ stulazioni problematiche del movimento, e strettamente giudica­ toria); maturazione delle rivendicazioni piu aggressive entro una prospettiva universalistica, specie agli effetti del delicato inseri­ mento della rivolta individuale nei dati oggettivi della lotta so­ ciale e politica; esaltazione delle possibilità del pensiero, non so­ lo in direzione dell’inconscio, ma oltre le composizioni logiche acquisite, verso un continuo « au-delà » delle condizioni date al­ l’esperienza (col ricorrente richiamo emblematico ai modelli del­ l’utopia, della ricerca alchimistica, della veggenza, dell’iniziazio­ ne ecc.). A tutto questo si aggiungono le tentazioni di ordine ne­ gativo - come il suicidio, il silenzio, il dilettantismo - di cui il Surrealismo fece ampia esperienza, e che pure dovrebbero trova­

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re una collocazione, in un modo o nell’altro, nelle sociologie del­ la contestazione letteraria.

Considerato nel quadro storico dell’arte-letteratura di contestazione, il Surrealismo offre almeno un aspetto originale all’a­ nalisi sociologica: il particolare carattere del gruppo e delle ra­ gioni chiamate a garantirne la coesione e il dinamismo. Definendosi attraverso un processo di distinzione dai rapporti di collaborazione letteraria (che, in partenza, andavano da Apollinaire a Valéry e Gide) e anti-letteraria (Dada, che in Francia ebbe carattere non-politicizzato), il nuovo movimento si saldò su esperienze di esplorazione psicologica, o para-psicologica, e su un’acuta insofferenza nei confronti dei valori dominanti. A diffe­ renza di altri circoli intellettuali, i surrealisti non intendevano af­ fidare la propria ragione d’essere al puro slancio iconoclastico o a un’astratta dialettica del moderno (di qui la loro severità nei confronti del blando « Esprit nouveau » apollinairiano), ma rea­ givano ugualmente di fronte all’alternativa di risolversi in una scuola tra le altre, in un nuovo indirizzo di ricerche formali. È vero che le loro attività non sfuggivano se non in parte alle sedi obbligate di trasmissione delle espressioni artistiche e letteràrie (libri, riviste, quadri, manifesti); ma vi affermavano almeno una scandalosa svalutazione dell’arte-letteratura come prodotto e, nei momenti di piu pronunciata intransigenza, una disorientante de­ nuncia del pubblico letterario e artistico. Forzando il confine tra pubblico e privato (qui sta il segreto piu significativo del dépaysement surrealista) i surrealisti si preoccupavano soprattutto di illustrare la necessità e possibilità di « cambiare la vita » (secon­ do le parole di Rimbaud), saggiando nuove logiche attinte al so­ gno, al caso, alla contraddizione, inventando continuamente le tecniche, trattando le forme artistico-letterarie e del linguaggio non come specchio o soluzione, ma come schermo sperimentale di prospettive inesplorate di pensiero. Disertori di classe prima ancora di atteggiarsi esplicitamente in opposizione politica, dissacratori militanti dei valori social­

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mente acquisiti, assertori non di un credo ma di una sorta di scommessa conoscitiva per cui la sintesi della realtà umana veni­ va riposta'in un punto di convergenza e risoluzione di tutte le opposizioni empiriche - ma pur sempre aperti a diverse sugge­ stioni ideologiche e partecipi, nonostante tutto, di un sistema di referenze a sfondo umanistico - i surrealisti costituirono un’as­ sociazione che può essere volta a volta assimilata agli schemi del cenacolo meta-letterario, della setta ereticale o sacrilega, dell’accolita di falsi disadattati, del club di illuminati o di utopisti (Breton stesso chiama in causa l ’esempio dei sansimoniani). Del rag­ gruppamento strettamente culturale il Surrealismo conservò il carattere elettivo, la mancanza di obbligazioni e sanzioni forma­ li; ma attuò forme di collaborazione eccezionalmente strette e metodiche, facendone l’espressione precipua delle sue ambizioni positive. Tra queste ambizioni c’era quella di garantire, anche attraverso una disciplina autocritica collettiva - più o meno so­ stenuta di fatto dal prestigio di alcune personalità emergenti, a cominciare da Breton - un coefficiente di continuità e di espan­ sione delle idee surrealiste al di là dei limiti di ima singola gene­ razione intellettuale. Considerandosi interpreti di un’aspirazione umana permanente, i surrealisti si ponevano il problema della tradizione non solo in termini retrospettivi, ma soprattutto in senso attivo, esercitando indirettamente un loro esigente prose­ litismo. Proiettandosi nel tempo, il movimento surrealista incontrava dunque sul suo cammino problemi di ordine organizzativo, e si trovava sempre più esposto al rischio di vedere svuotata o snatu­ rata - sotto la semplice pressione delle inesauribili risorse di as­ similazione predisposte dal mondo borghese - un’esigenza di tra­ sformazione che si voleva in qualche modo effettiva. Sorgeva il bisogno di un termine di verifica; e i surrealisti non esitarono nell ’identificare l’istanza storicamente qualificata come punto di ri­ ferimento a questa verifica nel pensiero marxista e nel partito comunista. In realtà, l’incontro col comuniSmo prese le mosse da una semplice constatazione di concordanze tra le rispettive rivendi-

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cazioni. Si apriva una lunga e confusa questione di competenze, con una certa tendenza da parte dei surrealisti a riproporre, di fronte a certe forme sommarie di riduzione storico-materialisti­ ca, una coesistenza in parallelo delle due distinte sfere d’azione. L ’esperienza politica del Surrealismo può essere variamente valutata. Dal punto di vista del partito, si deve almeno riconosce­ re che molte delle critiche e delle esigenze avanzate dai surrealisti coincisero con un movimento di idee che non fu represso, piu tardi, senza grave danno. Dal punto di vista dei surrealisti, non ha forse molto senso chiedersi se gli sforzi compiuti per radicare le loro rivendicazioni nel movimento reale e organizzato della lotta di classe siano da considerare, nella prospettiva dello stali­ nismo nascente, come un inutile equivoco, un’illusione scontata in partenza; ma piuttosto occorre osservare come questa espe­ rienza discendesse da una necessità logica fondamentale, intrin­ seca alle premesse stesse del movimento. La vicenda politica del Surrealismo comincia quasi subito: del 1925-26 sono gli incontri, fattisi presto frequenti e sistematici., coi redattori di « Ciarte ». È una vicenda lunga e complessa, pun­ teggiata da una serie di crisi e di episodi polemici (il caso Naville, il caso Aragón, il caso Crevel ecc.). Nelle pagine comprese in que­ sto volume (Position politique du Surréalisme) se ne coglie in scorcio un momento particolare, ma significativo, perché vi si ri­ flette efficacemente la tenace riluttanza di Bretón e di altri ad ac­ cettare l’alternativa tra un impegno volontaristico e strumenta­ lizzato e il ripiegamento apolitico; e inoltre, la tensione critica che precede e accompagna la presa di posizione antisovietica, con la decisione di operare ormai, all’interno della sinistra, in termi­ ni di opposizione. È piu che comprensibile che in quelle pagine si alternino - agli occhi del lettore di oggi - ingenuità più 0 meno casuali e vedute penetranti, singolarmente confermate nell’inter­ vallo storico. Nella discussione del rapporto cultura-politica (0 cultura-ri­ voluzione) - che doveva trovarsi riprecipitata, pochi anni dopo, verso termini molto più arretrati e generici - Bretón interviene con una serie di energiche prese di posizione: rifiuto della conce­

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zione pragmatico-pedagogica dell’arte, di ogni contrapposizione e subordinazione della forma al contenuto; rifiuto del concetto di cultura proletaria, e della possibilità di un’arte e di una lette­ ratura ad uso della classe operaia, nelle condizioni economicosociali dell’Occidente capitalistico. « Lo spirito attuale deve ma­ nifestarsi nello stesso tempo e in ogni campo »: alla luce di que­ ste parole si chiarisce il valore distinto e autonomo che Breton tiene a restituire alle espressioni della sinistra politica e a quel­ le della « sinistra » artistico-letteraria. Egli sembra vicino, qual­ che volta, a liquidare l’idea della responsabilità politica speciale (idealizzata e privilegiata) ancora connessa alla moderna nozione di intellettuale (se non fosse per la singolare idea-limite, espres­ sa in queste pagine, del « voto consultivo » riservato ai poeti nel declino del mondo borghese e nella prospettiva di una società nuova). Non si limita a battersi per la salvaguardia o la riafferma­ zione di valori universali; la stessa libertà di critica è prospettata qui non come un diritto da difendere, ma, con un richiamo a Le­ nin, come necessità funzionale dell’azione rivoluzionaria. Breton interviene responsabilmente in termini politici nei problemi po­ litici del momento (i suoi giudizi riflettono in parte le posizioni di Trockij, non senza qualche ingenuo eccesso nelle critiche rivol­ te alla politica e alla diplomazia dell’antifascismo internazionale). Non si mostra disposto, comunque, a lasciare ai politici di pro­ fessione il diritto di definire e cristallizzare unilateralmente i mo­ di e i limiti del dibattito. È coerente, in questo, allo stesso impul­ so che aveva portato prontamente il movimento surrealista a cri­ ticare da sinistra i primi riflessi ideologici e sociali dello stalini­ smo e a rilanciare con insistenza i temi polemici eversivi. Ma ine­ vitabilmente, anche per Breton, l’adesione a una linea politica di punta finisce per configurarsi nei termini di un valore irrinuncia­ bile, e dunque di una sorta di ultimatum posto da una coscienza al processo storico obbiettivo.

L ’incontro col comuniSmo diede luogo, presso i surrealisti, a una serie di soluzioni individuali divergenti; il movimento vi gio­

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cò il suo slancio politico di gruppo; ne usci anzi attraverso una trasformazione evidente dei suoi connotati programmatici e orga­ nizzativi. È facile concluderne che il lavoro originale del Surrea­ lismo si è svolto nell’approssimazione e nella resistenza attiva al­ le istanze ideologiche, etiche, politiche su cui volta a volta si orientò. Ma ciò non può significare, in questo caso, contrapporre l’insieme delle intenzioni all’insieme dei testi di invenzione let­ teraria e artistica, considerati come semplice materiale da conse­ gnare ai manuali storiografici. In una raccolta come questa è fa­ cile constatare come anche gli scritti di intenzione programmati­ ca o di discussione politica siano quasi sempre intonati, nel Sur­ realismo, a quella sorta di eloquenza sostenuta e rigoristica che risulta dalla tensione verso forme e suggestioni poetiche. Ma un tale rilievo va completato e spiegato con un altro, di ordine piu generale, che dobbiamo allo stesso Breton (Da Surréalisme en ses oeuvres vives): l’intera esperienza surrealista, senza distin­ zione possibile tra produzione di opere e riflessione metodologi­ ca, va considerata, in conclusione, come una « operazione di va­ sta portata svolta sul linguaggio ». Dai « giochi surrealisti » alla strana epica del Paysan de Paris, dai testi automatici alle compo­ sizioni pittoriche piu premeditate, dall 'humour noir alla « para­ noia critica », dai giuochi di parole (ma, nel Surrealismo, « les mots ont fini de jouer. Les mots font l’amour ») alla « vague de rêves », dalla poesia d’amore alle invettive, tutto concorre a de­ scrivere - attraverso o al di fuori delle opere - un movimento di ricerca sull’immaginazione, sul linguaggio, sulla letteratura, sugli oggetti. Questo modo di vedere è avvalorato da alcuni tra i critici piu attenti del Surrealismo, a cominciare da Blanchot. Ma la defini­ zione data da Breton nel ’53 e ora citata non riflette un punto di vista elaborato a posteriori nell’ultima fase del movimento. Mol­ te pagine, anche in questa raccolta, ne attestano la preminenza e la continuità. È probabile che tra i passi del primo Manifesto che si rileggeranno ora con piti vivo interesse ci sia quello che comin­ cia: « Il linguaggio è stato dato all’uomo perché ne faccia un uso surrealista... »

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Sotto questo profilo del linguaggio, l ’esperienza surrealista ci appare oggi straordinariamente ricca di consequenzialità e di con­ seguenze (conséquences è una delle parole cui il Surrealismo ha dato un senso forte: Les nécessités de la vie et les conséquences des rêves). Si direbbe che il rischio, oggi, più ancora che di rele­ garla tra i valori scontati in una storicizzazione sommaria, sia quello di lasciarci prendere di sorpresa dalla sua aderenza alle preoccupazioni culturali del momento che viviamo, in una paro­ la, dalla sua attualità. A quarantadue anni dal primo Manifesto, la questione piu imbarazzante sembra essere quella - prelimina­ re - della nostra distanza dal Surrealismo. Lasciamo al critico - e al lettore - il compito che gli è proprio: di riaprire a questi testi un angolo attivo di inattualità. GUIDO NERI Rom a, settem bre 19 6 6 .

Indice

p. ix ) ( Introduzione di Guido Neri 3

9

)( Prefazione alla ristampa del Manifesto (1929) Manifesto del Surrealismo (1924)

51

Avvertimento per la ristampa del Secondo Manifesto (1946)

57

Secondo Manifesto del Surrealismo ( 1930)

121

Lettera alle veggenti (1923)

13 1

Posizione politica del Surrealismo ( 1935)

13 3

Prefazione alla posizione politica

138

Posizione politica dell’arte di oggi

165

Discorso al Congresso degli scrittori

17 3

A l tempo che i surrealisti avevano ragione

r8 j

Situazione surrealista dell’oggetto

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Prolegomeni a un Terzo Manifesto del Surrealismo 0 no ( x942 )

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Del Surrealismo nelle sue opere vive (1953)

Manifesti del Surrealismo

P refazio n e alla ristam pa del M an ifeste (19 2 9 )

Era prevedibile che questo libro cambiasse e che, nella misu­ ra in cui rimetteva in gioco l ’esistenza terrestre, investita qui di tutto quanto essa comporta al di qua e al di là dei limiti che sia­ mo soliti assegnarle, la sua sorte avesse a dipendere strettamente dalla mia che consiste, ad esempio, nell’avere e non avere scritto dei libri. Non direi che quelli che mi vengono attribuiti esercitino su di me piu che tanti altri un’azione determinante, anzi non ne ho ormai neppure quell’intelligenza perfetta che sarebbe possi­ bile averne. Quale che sia stato il dibattito prodottosi tra il 19 24 e il 1929 intorno al Manifesto del Surrealismo, senza un impegno valido né prò né contro, è chiaro che, a prescindere da questo di­ battito, l ’avventura umana continuava ad essere tentata col mini­ mo di prospettive, quasi da tutte le parti a un tempo, secondo i capricci dell’immaginazione che fa da sola le cose reali. Lasciar ristampare una propria opera, allo stesso modo di quella di un altro che abbiamo più 0 meno letta, equivale a « riconoscere » non dico un figlio di cui ci si sia preliminarmente assicurati che abbia aspetto amabile e costituzione robusta, ma piuttosto una qualsiasi cosa che essendo stata, per quanto vitale, non può più essere. Non posso farci nulla, se non condannarmi per non essere stato sempre e in tutto profeta. Resta ancora d’attualità la do­ manda famosa posta da Arthur Cravan « in tono esausto e decre­ pito » ad André Gide: « Monsieur Gide, a che punto siamo col tempo? » « Sei meno un quarto », rispondeva questi, senza ve­ derci malizia. Ah, diciamolo pure, siamo messi male, molto male col tempo. Qui come altrove, si sovrappongono confessione e sconfessio­

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ne. Non capisco perché, né come, né come ancora vivo, né a mag­ gior ragione ciò che vivo. Di un sistema che faccio mio, che adat­ to lentamente a me, come il surrealismo, se resta, se resterà sem­ pre di che seppellirmi, non sussisterà mai qualcosa che abbia po­ tuto fare di me quello che volevo essere, anche mettendoci tutta la compiacenza di cui do prova verso me stesso. Compiacenza re­ lativa, in funzione di quella che sarebbe stato possibile avere per me (o per un noiyme, non so). Eppure vivo, ho scoperto perfino che tenevo alla vita. Quante più erano le ragioni che ho potuto trovare, a volte, per farla finita, tanto più mi sono sorpreso ad ammirare quel qualsiasi listello del pavimento: era davvero co­ me seta, di una seta bella come l’acqua. Amavo quel lucido dolo­ re, come se tutto il dramma universale fosse passato attraverso di me, come se ad un tratto io ne valessi la pena. Ma l’amavo alla luce, come dire, di cose nuove che non avevo ancora mai viste scintillare cosi. Ho capito in questo modo che nonostante tutto la vita era data, che una forza indipendente da quella di esprime­ re e spiritualmente di farsi intendere presiede, in ciò che riguar­ da un uomo vivo, a reazioni di un interesse inestimabile, di cui porterà via con sé il segreto. Neppure a me questo segreto è sve­ lato, e il riconoscerlo non infirma la mia flagrante inettitudine al­ la meditazione religiosa. Credo soltanto che tra il mio pensiero, quale risulta da ciò che si è potuto leggere sotto la mia firma, e me, in quanto impegnato dalla vera natura del mio pensiero a qualcosa che ancora non so, sta tutto un mondo, un mondo irri­ vedibile di fantasmi, di realizzazioni d’ipotesi, di scommesse per­ dute e di menzogne la cui rapida esplorazione mi dissuade dall ’arrecare a quest’opera la minima correzione. Ci vorrebbe tutta la vanità dello spirito scientifico, tutta la puerilità di quel biso­ gno di mettersi a distanza che ci vale gli aspri riguardi della sto­ ria. Per questa volta ancora, fedele alla volontà che mi sono sem­ pre conosciuta di passare oltre a qualsiasi specie d’ostacolo sen­ timentale, non indugerò a giudicare quelli tra i miei primi com­ pagni che hanno preso paura e fatto macchina indietro, non mi lascerò andare alla vana sostituzione di nomi grazie alla quale questo libro potrebbe passare per aggiornato. Salvo ricordare

Prefazione alla ristampa del Manifesto (1929)

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soltanto che i doni piu preziosi dello spirito non resistono alla perdita di un briciolo d ’onore, mi limiterò ad affermare la mia fiducia incrollabile nel principio di un’attività che non mi ha mai deluso, cui mi sembra che piu generosamente, piu assolutamente, più follemente che mai valga la pena di dedicarsi, perché è la sola dispensatrice, sia pure a lunghi intervalli, dei raggi trasfiguranti di una grazia, che persisto punto per punto a contrapporre alla grazia divina.

M a n ife sto del S urrealism o ( 19 2 4 )

Tanto credito prestiamo alla vita - a ciò che essa ha di più precario: la vita reale, naturalmente - che quel credito finisce per perdersi. L ’uomo, questo sognatore definitivo, di giorno in giorno più scontento della sua sorte, fa a stento il giro degli og­ getti di cui è stato portato a fare uso, e che gli sono stati conse­ gnati dalla sua incuria, e dal suo sforzo, dal suo sforzo quasi sem­ pre, visto che ha acconsentito a lavorare, o almeno non si è rifiu­ tato di tentare la fortuna (ciò che egli chiama la fortuna!) Quel che gli tocca ora è una grande modestia: sa quali donne ha avute, per quali avventure risibili è passato; il fatto di essere ricco o po­ vero non conta, a questo riguardo è ancora un bambino appena nato, e quanto all’approvazione della sua coscienza morale, ne fa a meno con disinvoltura, glielo concedo. Se conserva un tanto di lucidità, non potrà non volgersi indietro verso l’infanzia che, per quanto massacrata grazie allo zelo di chi lo ha ammaestrato, gli appare pur sempre piena d’incanto. Qui, l ’assenza di ogni rigore noto gli lascia la prospettiva di più vite vissute simultaneamente; egli mette radici in quell’illusione; non vuol sapere più altro che la facilità momentanea, estrema d’ogni cosa. Ogni mattina, dei bambini escono senza inquietudine. Tutto è vicino, le peggiori condizioni materiali sono eccellenti..! boschi sono bianchi o neri, non si dormirà mai. Ma è vero che non si riesce a andare tanto lontano, e non si tratta soltanto della distanza. Le minacce s’accumulano, cediamo, abbandoniamo una parte del terreno da conquistare. A quell’im­ maginazione che non ammetteva limiti, permettiamo appena di esercitarsi, adesso, secondo le norme di un’utilità arbitraria; essa

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è incapace di assumere per molto tempo questa funzione inferió- : re, e intorno ai vent’anni, preferisce, di solito, abbandonare l ’uo­ mo al suo destino senza luce. Che piu tardi tenti, in qualche modo, di riprendersi, sentendo- ; si a poco a poco mancare ogni ragione di vivere, divenuto incapa­ ce di trovarsi all’altezza di una situazione eccezionale come l’a­ more: non ci riuscirà. Appartiene ormai, corpo e anima, a un’im­ periosa necessità pratica che non gli è consentito perdere di vista. Tutti i suoi gesti saranno privi d’ampiezza; tutte le sue idee, d’a­ pertura. Di quanto gli accade e può accadergli, si rappresenterà appena ciò che collega quell’evento a una folla di eventi simili, eventi cui egli non ha preso parte, eventi mancati. Che dico? lo considererà in relazione a uno di quegli eventi, piu rassicurante degli altri nelle sue conseguenze. Non vi vedrà, sotto alcun pre­ testo, la propria salvezza. Cara immaginazione, quello che più amo in te è che non per­ dimi. La sola parola libertà è tutto ciò che ancora mi esalta. La credo atta ad alimentare,'indefinitamente, l ’antico fanatismo umano. Risponde senza dubbio alla mia sola aspirazione legittima. Tra le tante disgrazie di cui siamo eredi, bisogna riconoscere che ci è la­ sciata la massima libertà dello spirito. Sta a noi non farne cattivo uso. Ridurre l’immaginazione in schiavitù, fosse anche a costo di ciò che viene chiamato sommariamente felicità, è sottrarsi a quel tanto di giustizia suprema che possiamo trovare in fondo a noi stessi. La sola immaginazione mi rende conto di ciò che può esse­ re, e questo basta a togliere un poco il terribile interdetto; basta, anche, perché io mi abbandoni ad essa senza paura di essere tratto in inganno (come se fosse possibile un inganno maggiore). Dove comincia a diventare nociva e dove si ferma la sicurezza dello spi­ rito? Per lo spirito, la possibilità di errare non è piuttosto la con­ tingenza del bene? Resta la follia, la follia « da rinchiudere », come è stato detto giustamente. Questa o l’altra... Ognuno sa infatti che i pazzi de­ vono il loro internamento a un certo numero di azioni legalmente reprensibili, e che, in mancanza di queste azioni, la loro libertà

Manifesto del Surrealismo (1924)

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(quello che si può vedere della loro libertà) non può essere messa in causa. Che essi siano, in qualche misura, vittime della loro im­ maginazione, sono pronto a concederlo, nel senso che essa li spin­ ge all’inosservanza di certe regole, fuori delle quali il genere si sente leso, come ogni uomo sa a proprie spese. Ma il profondo distacco che dimostrano nei confronti della nostra critica, e per­ sino dei diversi castighi che vengono loro inflitti, lascia supporre che attingano un grande conforto dall’immaginazione, che ap­ prezzino abbastanza il loro delirio per sopportare che sia valido soltanto per loro. E, in effetti, le allucinazioni, le illusioni, ecce­ tera, sono una fonte non trascurabile di godimenti. Anche la sen­ sualità più ordinata vi trova alimento, e so che certe sere mi pia­ cerebbe molto addomesticare quella graziosa mano che, nelle ul­ time pagine de Uintelligence di Taine, si dà a curiosi misfatti. Quanto alle confidenze dei pazzi, passerei la vita a provocarle. Sono persone di scrupolosa onestà, la cui innocenza è pari soltan­ to alla mia. Colombo dovette partire con dei pazzi per scoprire l’America. E vedete come ha preso corpo quella follia, quanto è durata.

Non sarà la paura della pazzia a farci lasciare a mezz’asta la bandiera dell’immaginazione. Dopo il processo dell’atteggiamento materialista, ci sarebbe da fare il processo dell’atteggiamento realista. Il primo, che è più poetico, implica da parte dell’uomo un orgoglio mostruoso, è ve­ ro, ma non una nuova e più completa decadenza. Dobbiamo con­ siderarlo, in primo luogo, una felice reazione contro certe irriso­ rie tendenze dello spiritualismo. Infine, esso non è incompatibile con una certa elevatezza di pensiero. Invece l’atteggiamento realista, che si ispira al positivismo, da san Tommaso ad Anatole France, mi sembra davvero avverso a qualsiasi slancio intellettuale e morale. Ne ho orrore, perché è fatto di mediocrità, di odio, di piatta sufficienza. È da un tale at­ teggiamento che derivano oggi tutti questi libri ridicoli, queste commedie insultanti. Si consolida giorno per giorno nella stampa

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e tiene in scacco la scienza, l’arte, adoperandosi a lusingare nell’o­ pinione pubblica i gusti più bassi; la chiarezza che confina con la stupidità, la vita dei cani. L ’attività degli intelletti migliori ne ri­ sente; anche a loro, come agli altri finisce per imporsi la legge del minimo sforzo. Una curiosa conseguenza di questo stato di cose, è, per esempio, l ’abbondanza di romanzi. Ciascuno si fa avanti con la sua brava « osservazione ». Per esigenze di epurazione, Paul Valéry proponeva di recente di riunire in un’antologia il più gran numero possibile d’inizi di romanzo; e si aspettava grandi cose in fatto di imbecillità. Si trattava di scegliere tra gli autori più famosi. Una simile idea fa ancora onore a Paul Valéry che una volta, a proposito di romanzi, mi assicurava che quanto a lui, si sarebbe sempre rifiutato di scrivere: La marchesa usci alle cin­ que. Ma ha mantenuto la parola? Se lo sóle di pura e semplice informazione, di cui la frase cita­ ta offre unfesempio, è quasi il solo che abbia corso nei romanzi, bisogna riconoscere che l ’ambizione degli autori non va molto in là. Il carattere circostanziale, inutilmente particolare, di ognuna delle loro notazioni, mi fa pensare che si divertano alle mie spal­ le. Non mi fanno grazia della minima esitazione del personaggio: sarà biondo, come si chiamerà, rincontreremo per la prima volta d’estate? Tutte questioni risolte una volta per tutte, a casaccio; il solo potere discrezionale che mi sia lasciato è quello di chiude­ re il libro, ed è quello che faccio, più o meno alla prima pagina. E le descrizioni! Niente è paragonabile al nulla delle descrizioni; è il puro e semplice sovrapporsi delle illustrazioni di un catalogo, e l ’autore prende sempre più confidenza, approfitta dell’occasione per rifilarmi le sue cartoline, cerca di strappare il mio consenso su una serie di luoghi comuni: La stanzetta in cui il giovane venne introdotto era tappezzata di carta gialla; c’erano dei gerani e delle tende di mussola alle fi­ nestre; il sole al tramonto gettava su tutto ciò una luce cruda... La camera non conteneva niente di particolare. I mobili, di legno giallo, erano tutti molto vecchi. Un divano con un grande schie­ nale inclinato, un tavolo di forma ovale di fronte al divano, una

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toilette e uno specchio contro il muro tra le due finestre, alcune sedie lungo ì muri, due 0 tre stampe senza valore che rappresen­ tavano delle signorine tedesche con degli uccellini in mano - ciò costituiva tutto il mobilio Che lo spirito si proponga, sia pure di; sfuggita, simili motivi, è cosa che non sono in vena d’ammettere. Qualcuno sosterrà che quel disegno scolastico viene al momento giusto, che in quel pun­ to del libro l ’autore ha le sue buone ragioni per deprimermi. In ogni caso, è fatica sprecata, perché io non entro nella sua camera. La pigrizia, la stanchezza degli altri non fanno presa su di me. Ho della continuità della vita una nozione troppo instabile per equi­ parare ai miei momenti migliori i minuti di depressione, di debo­ lezza. Voglio che si taccia, quando non si sente nulla. E sia chiaro che non sto incriminando la mancanza di originalità per la man­ canza di originalità. Dico soltanto che non faccio conto dei mo­ menti nulli della mia vita, che da parte di ogni uomo può essere indegno cristallizzare quelli che gli sembrano tali. Quella descri­ zione di una camera, permettetemi di saltarla, con tante altre. Alto là, vengo ora alla psicologia, argomento sul quale non so­ no disposto a scherzare. L ’autore se la prende con un personaggio e, dato questo, fa pe­ regrinare il suo eroe attraverso il mondo. Qualunque cosa accada, questo eroe, le cui azioni e reazioni sono mirabilmente previste, è tenuto a non sventare, pur avendo l’aria di sventarli, i calcoli di cui è oggetto. Potrà sembrare che i frangenti lo trascinino, lo tra­ volgano, lo facciano precipitare in basso, egli apparterrà sempre a quel tipo umano formato. Semplice partita di scacchi di cui mi disinteresso, perché l ’uomo, quale che sia, mi è un mediocre av­ versario. Ciò che non posso sopportare, sono quelle insulse di­ scussioni a proposito di una mossa o di un’altra quando non si tratta né di vincere né di perdere. E se il gioco non vale la cande­ la, se la ragione obbiettiva smentisce terribilmente, come in que­ sto caso, chi vi faccia appello, non conviene fare astrazione da

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quelle categorie? « La diversità è tanto ampia, che tutti i toni di voce, l ’incedere, il tossire, il soffiarsi il naso, lo sternutire... » Se un grappolo non ha due chicchi che siano uguali, perché voletè che vi descriva un chicco in base all’altro, a tutti gli altri, che ne faccia un chicco buono da mangiare? I cervelli si lasciano cullare da queU’incurabile mania che consiste nel ricondurre l’ignoto al noto, al classificabile. Il desiderio d’analisi prevale sui sentimen­ t i 2. Ne risultano quelle esposizioni tirate per le lunghe, che trag­ gono la loro forza di persuasione soltanto dalla loro stranezza, e si impongono al lettore solo perché fanno appello a un vocabolario astratto, ma in fondo piuttosto indefinito. Se in questo modo le idee generali che la filosofia si propone finora di dibattere affer­ massero la loro definitiva incursione in un campo piu vasto, sarei il primo a rallegrarmene. Si tratta invece di pura preziosità: fin qui, le brillanti trovate e i procedimenti eleganti fanno a gara per nasconderci il vero pensiero che cerca se stesso, invece di preoc­ cuparsi di qualche effetto ben riuscito. Mi sembra che ogni atto porti in se stesso la propria giustificazione, almeno per chi è sta­ to capace di commetterlo, e abbia un potere d’irradiazione che la minima chiosa potrebbe soltanto attenuare. Anzi, per effetto di questa, l’atto cessa in certo modo di prodursi. Non ha niente da guadagnare in questo genere di distinzione. G li eroi di Stendhal cadono sotto gli apprezzamenti dell’autore, apprezzamenti più o meno felici, che non aggiungono niente alla loro gloria. L i ritro­ viamo veramente là dove Stendhal li ha perduti. Viviamo ancora sotto il regno della logica: questo, natural­ mente, è il punto cui volevo arrivare. Ma ai giorni nostri, i proce­ dimenti logici non si applicano più se non alla soluzione di pro­ blemi d’interesse secondario. Il razionalismo assoluto che rimane di moda ci permette di considerare soltanto fatti strettamente connessi alla nostra esperienza. I fini logici, invece, ci sfuggono. Inutile aggiungere che l’esperienza stessa s’è vista assegnare dei limiti. Gira dentro una gabbia dalla quale è sempre più difficile

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farla uscire. Anch’essa poggia sull’utile immediato, ed è sorve­ gliata dal buonsenso. In nome della civiltà, sotto pretesto