Storia e Antologia del Surrealismo

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Maurice Nadeau

storia e antologia del surrealismo

Documenti Aragon, Breton, Dati, Eluard, Ernst, Péret, Picabia, Tzara

(O Oscar Studio Mondadori

© Editions du Seui!, Paris 1964 re> Arnoldo Mondadori Editore, Milano 1972 Titolo dell'opera originale: Histoire du Surréalisme suivi de Documents surréa/istes Prima edizione novembre 1972

Sommario

Avvertenza

3

Parte prima

L'ELABORAZIONE

9 17 23 31

I II

III

IV

La guerra I poeti e la guerra Dada Gli antenati del surrealismo Parte seconda

.IL PERIODO EROICO DEL SURREALISMO: 1923-1925

41

I

47

II

60 75

III

IV

L'epoca dei sonni La fondazione del movimento Primi passi La guerra marocchina Parte terza

IL PERIODO RAZIONALE DEL SURREALISMO: 1925-1930

85 1 90 II 99 III 109 IV 120 v

La crisi Naville « Alla luce del sole » L'anno delle realizzazioni La crisi del 1929 « Al servizio della rivoluzione» Parte quarta

AUTONOMIA DEL SURREALISMO: 1930-1939

129 136 144

1

II III

Il caso Aragon Dalf e la paranoia critica La politica surrealista

VI

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I '111u·l11,,ì11111.: M11l1 3 pareva che credesse all'amicizia del suo cane,4 Breton dispose il suo pensiero a compiacenze ancora più strane. Dopo avere improvvisamente scoperto che « l'uomo non è il centro, il punto di mira dell'universo ►►, aggiunge: « Possiamo permetterci di credere che esistano al di sopra di lui, nella scala animale, esseri il cui comportamento gli è tanto estraneo quanto può essere il suo all'effimera o alla balena». Tali esseri pare che si manifestino a noi « nella paura e nel sentimento del caso ». « Non c'è dubbio » aggiunge « che a questa idea si offre il più vasto campo speculativo » e fa appello alla testimonianza di Novalis, William James, Émile Duclaux « ex direttore dell'Istituto Pasteur 1840-1904 >► • Non osando andare fino in fondo al suo pensiero perché vuole dissimulare a se stesso gli abissi che sotto di esso si celano, Breton conclude il suo manifesto con questo punto di domanda: « Un nuovo mito? Quegli esseri dobbiamo denunciarli come un miraggio oppure dar loro occasione di scoprirsi? »

3

Breton allude a Lev Trockii.

• « Continuo a credere che questa visione antropomorfica del mondo animale riveli qualche deplorevole pigrizia mentale. » ·

Conclusione Dalla noia si riconosce un uomo; la noia rende diverso un uomo da un bambino. La noia si distingue dagli altri stati affettivi per il suo carattere di legittimità. Jacques Rigaut Sono verità oscure quelle che appaiono nell'opera dei veri poeti; ma sono verità e quasi tutto il resto è menzogna. Paul Eluard

Non çi nascondiamo le lacune di questa storia del movimento surrealista che abbiamo ora terminato. Avremmo potuto raccontare, « per dare vivacità», più aneddoti, cimentarci nell'arte difficile dei profili o limitarci all'aspetto puramente poetico o pittorico del surrealismo. 1 Abbiamo preferito seguire l'evoluzione del surrealismo come movimento di idee di un'epoca e di un gruppo, sicuri come siamo che i problemi ai quali i surrealisti hanno tentato di dare soluzione si ripropongono ai giovani di pggi. Naturalmente ci auguriamo che essi si brucino le ali al fuoco surrealista, e preferiremmo che questo fuoco servisse loro ad altro che a segnare la loro fine. Partito da una ricerca astratta delle possibilità del linguaggio come strumento poetico, il surrealismo approda dapprima a un soggettivismo senza riserve, il linguaggio essendo considerato come una proprietà fondamentalmente personale, di cui ognuno può usare secondo il suo intendimento. Il mondo esterno viene negato a vantaggio del mondo che l'individuo trova in sé, che vuole metodicamente esplorare: da qui l'importapza data all'inconscio e alle sue manifestazioni, che trovano la loro traduzione in un linguaggio nuovo, in un linguaggio liberato. In base a una concezione più profonda di sé, il surrealista contrappone il suo essere al mondo e pretende piegare questo ai desideri di quello. Da qui l'individualismo rivoluzionario insito nell'onnipotenza del pensiero che deve, per contagio, trasformare il pensiero e poi la 1

Cfr. Marce) Raymond. De Baudelaire au surréalisme (trad. il. Da Baudelaire al surrealismo, Einaudi, Torino 1948); Françis Cuzin, Situation du surréalisme, « Conlluences », n. 20, giugno 1943.

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vita degli altri uomini. Anziché fermarsi agli esoterismi di una scuola, il surrealismo dà ad ognuno il modo di raggiungere quello « stato di furore » che è la condizione prima di una vera trasformazione della vita e che deve concludersi con la risoluzione delle contraddizioni all'interno di una surrealtà che comprende e supera il conscio e l'inconscio, l'uomo e il mondo, il naturale e il sovrannaturale. La ricerca di tale stato viene condotta collettivamente e con tutti i crismi dell'esperimento scientifico. La ricerca si conclude con un insuccesso: il mondo continua a vivere come se i surrealisti non esistessero; i modi di pensare e di comportarsi sui quali volevano agire elettivamente non risultano trasformati dalla loro azione. Essi infatti non potevano esserlo se non mediatamente, attraverso le manifestazioni del mondo fisico sulle quali si erano espressamente interdetti di esercitare una qualsiasi azione. Nella sua seconda fase, il surrealismo mira allora a trasformare oggettivamente questo mondo, a superare il soggettivismo con un materialismo capace di agire direttamente sulle cose. I surrealisti si trovano sul terreno scelto dai rivoluzionari politici con cui si sforzano di collaborare. Le loro ambizioni sono diverse: se la rivoluzione economica e sociale sembra loro una condizione necessaria per la trasformazione totale della vita, non è per loro sufficiente perché limitata all'uomo economico. Per l'uomo, non solamente chiedono il diritto di sussistere, ma anche di sognare, di amare, di godere, e preferiscono specializzarsi immediatamente nella ricerca delle condizioni che permetteranno la soddisfazione di questi desideri anziché attenersi alla parola dei politici che per di più non la negano loro. Tali condizioni si trovano nell'attività poetica a cui si danno. Il che equivale a dire che ritornano, con un sotterfugio, al soggetto da cui, per la verità, non hanno mai potuto distaccarsi. Una volta constatato che l'uomo nuovo che, come era stato loro assicurato, si veniva formando in Urss, non differisce nella sua essenza dall'uomo che conoscono, rompono con i comunisti che passavano per essere i soli rappresentanti autentici della rivoluzione politica e sociale. Dalla rottura deriva una concezione più chiara della loro funzione e delle loro possibilità. Al contatto con i fatti, si rendono conto della loro impotenza a far scoppiare con le loro sole forze la rivoluzione totale di cui sono i banditori. Capiscono che la parte più importante deve essere recitata dai politici e che ad essi spetterà un ruolo subalterno. La loro ambizione è limitata ormai a esplorare la strada, a non cessare di mettere sotto gli occhi dei camminatori lo scopo da raggiungere: la soluzione delle antinomie all'interno di una surrealtà, tale solu-

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zione ponendo a sua volta nuovi problemi a cui bisognerà dare nuove risposte. È facile parlare di fallimento surrealista quando si voglia ignorare le ambizioni che sono state le forze motrici del movimento e sostituire loro chissà quale desiderio di creare una nuova letteratura e una nuova pittura; perché non un nuovo umanesimo? Anche i surrealisti, come i romantici, sono travagliati da una profonda disperazione. Non il dolciastro « vague à l'ame » di Lamartine, non l, :< malinconia » di Leopardi, non lo « spleen » di Baudelaire, che si risolvono spesso nell'amore di un Dio ritrovato, ma una disperazione alla Rimbaud, che pianta tutto per rifarsi una vita animalesca, un pessimismo aggressivo alla Lautréamont, che se la prende con Dio, con il mondo, con « i valori buoni e puri ». Ricordiamoci di alcuni passi che si trovano nel Mieux et moins bien di Naville e di certi altri che si trovano nel Traité du style di Aragon. Accanto a questo pessimismo, come appaiono insignificanti l'uomo, il mondo, Dio, la vita, e le svariate soluzioni dell'uomo per uscire dall'incubo. Prima di loro ci si era provati ad addomesticare il mostro. In Vigny aveva mostrato solo le corna e ciò era nondimeno bastato a far tremare lo spettatore; Baudelaire l'aveva portato in chiesa e nei paradisi artificiali; Rimbaud l'aveva buttato nel Mar Rosso con una semplice spallata; Lautréamont, dopo essersene impadronito, l'aveva aizzato contro il mondo; Jarry ne era rimasto vittima. I surrealisti, invece, vivono in compagnia della bestia, sempre a tu per tu con essa, con gli occhi incollati ai suoi occhi, perché essa è pronta ad approfittare della minima distrazione per fare una carneficina: ha solo da ficcare un po' più dentro gli artigli, da affondare un po' di più i denti. Ed è fatta: non è così Jacques Vaché, non è così Rigaut, non è così Nadja, Artaud, Crevel? Rigaut: « Voi siete tutti poeti e io sono dalla parte della morte ».2 Crevel: il suicidio è « la soluzione più verisimilmente giusta e definitiva ». 3 E gli strazianti interrogativi posti dai vivi: « Perché scrivete? ... Il suiciqio è una soluzione? ... Qual è il tipo di speranza che riponete nell'amore? » Pare quasi che questa gente non faccia altro che ripetere: « A che prò vivere e esprimere se stessi? ». Eppure vivono e esprimono se stessi. In maniera strana, si deve riconoscerlo. Non negano forse apertamente l'arrivismo, il carrierismo in un mondo che disprezzano? E non sono arrivati a mantenere scrupolosamente la parola finché hanno fatto parte del movimento? Hanno ri1

2 Jacques Rigaut, Papiers posthumes, Au Sans Parei!. ·• Risposta all'Inchiesta: Il suicidio è una soluzione?, « Revolution surréaliste », n. 2.

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conosciuto nella demoralizzazione il valore per eccellenza, l'hanno cercato e coltivato per se stesso come se la ragione stessa di vivere dovesse essere estirpata come un'erbaccia. In macchina per Asnières, ventiquattro ore di viaggio, non una di meno, dopo di che, ritornando al punto di partenza, sarete meno pretenziosi. Visitiamo Saint-fulien-le-Pauvre, non c'è proprio niente da vedere. Dalle Nuove Ebridi f:luard non ha portato neppure un totem. E la cultura? La gente disillusa ma intelligente non troverà in essa un rifugio accogliente? Disprezzate la somma di conoscenze che sono andate accumulandosi a partire dalla più remota antichità e che dicono all'uomo: « Credi e spera! ». I surrealisti constatano che il famoso arricchimento dell'umanità attraverso le epoche non ha per niente reso più grande l'uomo ma, effetto tra i meno nefasti, l'ha ricoperto con una corazza spessa e dura, che impedisce le comunicazioni con il mondo. Con la loro anticultura i surrealisti mirano a spezzare questa corazza. Tanto che, nonostante tutto, aspettano l'età dell'oro, ne annunciano l'avvento. Si deve vedere in ciò una via d'uscita al sostanziale pessimismo dei surrealisti? Senza dubbio, ma anche una delle sue espressioni. Tutti i valori da loro vantati hanno questo doppio aspetto. Ecco il sogno a cui si sono abbandonati. È una via d'uscita, ma una via d'uscita con un passaggio illusorio: doppia porta di cui uno solò dei battenti è aperto. Sanno che dietro l'altro battente troveranno il nemico, un nemico acquattato nella luce del sole e che riafferrerà la sua preda. Gli sforzi di Breton per mescolarlo alla realtà vanno a vuoto. Il sogno è solo una rivincita passeggera e che si deve indefinitamente ricominciare. Con Dalf, si sono creduti vincitori: eccoli che si modellano un mondo su misura per loro. Ahimé, l'allucinazione più bella finisce con lo svanire e con il lasciare sulla riva l'uomo che si dispera ancora di più per avere intravisto il paradiso e non averlo conquistato. Nella vita stessa dunque, sul terreno della realtà, ci si deve misurare col proprio destino. Anche in questo caso i surrealisti intendono usare mezzi diversi. Uno di questi aveva permesso a Lautréamont, a Jarry, a Vaché di superare il mondo e di trionfare momentaneamente di esso: l'humour, che Breton e gli amici hanno sempre venerato come prima divinità e a cui hanno fatto sacrifici costanti. In forza della catacresi che comporta nei confronti del mondo, esso permette di prendere una certa rivincita sulla vita e sulla morte. Ma è una porta per la quale si passa da soli, e il surrealismo non mira tanto a creare una parola d'ordine per ogni singolo individuo quanto a fornire un apriti Sesamo valido per tutti.

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Sulla strada si incontra l'amore, porta di uscita per la quale si passa in due. Sé e « l'altro », è già l'inizio di una forma di collettività, è la prigione individuale che spalanca le sue finestre sugli uomini. A condizione di non farne una prigione per due, il che capita alquanto spesso. Da qui la loro critica all'amore quale è concepito e non vissuto dai contemporanei, i quali nell'amore vedono solo un'esaltazione non un superamento dell'egoismo individuale. Da qui la loro tesi dell'amore folle, dell'amore unico; folle perché abbatte tutte le barriere entro cui la società ha voluto imprigionarlo, perché si concede tutte le licenze compatibili con la sua natura; unico perché fa dell'essere amato, del1'« altro », la sintesi vivente di un mondo che è lecito ormai possedere, in cui è ormai possibile perdersi. Non si può più amare dopo Breton e f:luard come si aml:!,va prima di loro: la donna che più di ogni altro poeta hanno magnificato, è diventata il pane vivente di tutti i giorni, il cielo delle contrade sumeriche, l'alfa e l'omega di tutte le ricerche, è il mondo commestibile a portata di bocca. « Io mangio Gala » ha scritto Dalf. Hannò voluto fare dell'amore una forza rivoluzionaria che abbatte sul suo passaggio, con un bel disprezzo di ciò che ne deriva, tutti gli ostacoli che gli impediscono di prendere il volo e di dare la misura di sé. Ciò appare in quello che hanno scritto o dipinto, ma infinitamente più visibile è, ancora una volta, nella vita di ciascuno di loro. Ci sono esempi, che nort possiamo citare, che si accalcano nella mente per mostrare come le loro soluzioni fossero innanzi tutto legate alla vita, fossero provate nella carne, e come le confidenze che hanno lasciato sfuggire dalla penna siano pure concessioni a un alibi artistico di cui non ci si può rammaricare che non abbiano potuto fare a meno, grazie ai singolari squarci di luce che in quelle confidenze scopriamo. L'amore è ancora una « porta stretta » da cui si scoprono orizzonti filosofici, cioè illusori, se si rapporta al mostro da cui essi sono straziati. La rivoluzione, ecco finalmente la vera uscita, l'uscita dove si passa in tutti, e ciò è così vero che per un momento Breton ebbe la certezza che dai essa potesse venire sconfitta la famosa disperazione che li attanagliava. Solo di qui potevano far passare la loro azione collettiva come gruppo, e la cosa permise anche che la loro unione si cementasse. La loro attività collettiva non fu da poco. Per primi hanno osato fare delle poesie in comune, distruggendo con ciò la figura del poeta che dettava le sue leggi al mondo all'alto di un Sinai, e anche quella del letterato che si crede troppo spesso unico autore di quello che scrive. Per loro, il poeta è un uomo tra gli uomini, un uomo che con gli uomini cammina « in pieno sole», e reciprocamente, ogni uomo è poeta. I giochi collettivi a cui quotidianamente gio-

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cavano mettevano in questione qualcosa di ben diverso dalla morte del tempo: gioco delle cartine, gioco delle domande e delle risposte,« cadaveri squisiti », gioco della verità che si risolvevano non solamente in creazioni di cui ognuno separatamente sarebbe stato incapace, ma anche in una_ conoscenza più profonda di ciascuno di loro attraverso gli altri. Anche le manifestazioni, e di ogni tipo, contribuivano a instaurare questo clima di collettività, si basavano su azioni capaci di sconfiggere il nemico. Abbiamo cercato di riviverle; non staremo a raccontarle di nuovo. Osserveremo solo che esse furono sempre meno gratuite di quanto si sia pensato, e suggerite meno dalla ricerca dello scandalo di quanto si sia creduto. Dal piano della manifestazione episodica, i surrealisti sono passati, e ciò fin dai primi passi, al piano della manifestazione generalizzata contro la società e i suoi valori, al piano della rivoluzione, il più alto dei valori collettivi, e il più indicato per trasformare il loro pessimismo originario in un ottimismo ragionato. Per un momento credettero di avere fatto il salto, e, felicissimi, celebrarono con grande gioia questa liberazione. Ma si sbagliavano. Dall'altra riva, Naville cercò di aiutarli, cercò di convincerli che anche i rivoluzionari erano dei pessimisti radicali, e che, pertanto, non dovevano scoraggiarsi se non trovavano nella rivoluzione quell'ottimismo che, ingenuamente, consideravano il motore della rivoluzione stessa. Tutto fu inutile, vennero le delusioni, e la ricaduta tra i mostri. Costretti al ruolo di rivoluzionari diligenti •:! coscienziosi, con ogni probabilità non sarebbero stati neppure contenti del successo della rivoluzione. Sarebbe erroneo credere che la lezione surrealista debba limitarsi a un'amara constatazione. Niente è stato più volontariamente costruito del destino di Breton e del gruppo, il cui cammino, come abbiamo visto, è lastricato in ogni momento da determinazioni volute. Strada facendo, hanno scoperto un valore che avrebbe potuto controbattere efficacemente il pessimismo che ha sempre albergato in loro. Anche questo valore l'hanno creato i surrealisti ma l'hanno scoperto nel cuore dell'uomo, sotto dei rottami, ed è un valore comune a tutti gli uomini: il desiderio. Niente è stato oggetto delle loro cure costanti quanto il portarlo alla luce, riconoscerlo e lasciarlo andare per il mondo munito di pieni poteri. Non è essenzialmente proteiforme, rivoluzionario, e capace, se occorre, di travestirsi per vincere? Non è l'espressione fondamentale dell'uomo e la sua forza più originale? Se il desiderio si trova ad essere controllato, colpito, intimidito, la colpa è della società, di quella società che esso potrebbe scalzare dalle fondamenta, ed è colpa,

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di conseguenza, dell'uomo, che si è un po' troppo facilmente lasciato persuadere che non si debba concedergli eccessiva libertà. Di qui la doppia deliberazione rivoluzionaria dei surrealisti: « trasformare il mondo », « cambiare la vita», mediante un'oggettivazione del desiderio, forza onnipotente e in grado di operare ogni sorta di miracolo.

Luglio 1944

Molto tempo dopo ...

Ora, meglio che una volta, vedo i difetti e i punti deboli di questa storia che ho scritto durante gli ultimi mesi dell'occupazione tedesca a spron battuto e con i mezzi che avevo allora a disposizione. Ai primi hanno ovviato e ai secondi hanno rimediato i numerosi autori che si sono interessati, dopo di me, dell'argomento, e poi lo stesso André Breton negli Entretiens tenuti alla radio nel 1952. Io avevo la scusante di essere il primo. Modestia a parte, credo che sia anche il mio solo merito. Non rinnego nulla di quanto ho scritto. Le speranze concepite in queste pagine, l'esaltazione che in esse lascio ingenuamente trasparire, mi appartengono ancora. Tuttavia molti anni sono passati, e ciò mi ha permesso di avere una visione più esatta del movimento surrealista, se si considera che sono stati per me anni di scoperte, di esperienze, e in una certa misura di riflessione. Non vedo più le cose nello stesso modo. Il surrealismo si fondava su una concezione rivoluzionaria dell'uomo e del mondo, in un'epoca in cui le concezioni tradizionali relative ai rapporti tra l'uno e l'altro erano sprofondate nella guerra. Mai la sottomissione dell'uomo al mondo era apparsa altrettanto intollerabile: l'acuta consapevolezza di questa sottomissione e il desiderio di porvi fine sono i veri elementi che presiedono alla nascita dell'artista. Proprio perché intendono far cessare la loro alienazione, il poeta, il pittore, Io scrittore cercano di creare nuovi rapporti, rapporti personali, con quel mondo. Essi ci riescono con le loro opere ma senza che qualcosa sia cambiato attorno a loro. Ciò che rappresentano è un'avventura

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personale, spesso drammatica, alle volte tragica, un'avventura che, per ognuno, ricomincia sempre da zero. Su quello che è il punto essenziale questa avventura si conclude sempre con una sconfitta, sia che trovi la propria fine in se stessa sia che approdi al silenzio: i libri si aggiungono ai libri, le tele alle sinfonie, senza altro effetto che quello di riempire di incantesimi una prigione da cui l'artista può evadere solo idealmente. Non c'è grande scrittore, per quanto possa confidare nella posterità, che non muoia disperato. Il surrealismo aveva l'ambizione di superare i limiti della soggettività e non intendeva contentarsi di chiacchiere. Per coloro che lo fondarono, dopo essere passati attraverso il dadaismo, non si trattava più di ricominciare tutto come prima. L'uomo non era la creatura confezionata da un secolo di positivismo, di associazionismo e di scientismo, ma un essere fatto di desideri, di istinti e dì sogni, così come lo era venuto scoprendo la psicanalisi. In Russia• si andava costruendo una società su nuove basi. Più ancora che Rimbaud o Lautréamont, i profeti della nuova era erano Marx e Freud. Con modalità proprie, i surrealisti si fecero marxisti e freudiani, insistendo sull'attuazione della doppia rivoluzione: « trasformare il mondo », « cambiare la vita». Pensavano di riuscirvi mediante un'attività creativa totalitaria a partire da un uomo considerato esso stesso come una totalità e utilizzando uno strumento, la poesia, che veniva confuso con l'attività stessa dello spirito. Tale costante attività creatrice doveva esercitarsi con una libertà incondizionata di sentire e di agire, fuori degli schemi fissi della vita e dell'arte, e con la volontà di recuperare qualsiasi uomo. Di qui l'accento posto sulle qualità notturne dell'essere, sull'immaginazione, l'istinto, il desiderio, il sogno, sulle manifestazioni irrazionali o semplicemente ludiche del comportamento, al fine di farla finita con l'uomo mutilato, dimezzato, alienato, ridotto alle categorie del « fare » e dell'« avere». Il surrealismo creava un'area di rinnovamento totale per l'uomo, sia in rapporto alla propria vita sia in rapporto alla vita degli uomini riuniti in gruppo', sia in rapporto all'evoluzione delle forme di pensiero, morali, artistiche e letterarie. Dopo la seconda guerra mondiale le rivendicazioni del surrealismo restavano le stesse; ma sarebbe da miopi rimproverargli di non avere saputo integrare le nuove correnti di sensibilità o le nuove forme di pensiero. La filosofia dell'assurdo, una certa disperazione romantica e perfino l'impegno esistenzialista, era da un pezzo che li praticava e fino in fondo, cioè fino al suicidio (Rigaut, Crevel), fino alla pazzia (Artaud), fino alla militanza rivoluzionaria (Aragon, Éluard, Péret), e, per certuni, fino al definitivo silenzio « artistico ». Se improvvisamen-

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te ci è sembrato che i surrealisti mancassero di una « presenza ►>, ciò si deve al fatto che avevano in realtà scavalcato il tempo in cui vivevamo, al fatto che il movimento aveva svolto in una certa misura il su.o ruolo storico. Capita spesso di incontrare nella storia delle società situazioni del genere, situazioni cioè in cui grandi movimenti e grandi uomini, di cui le società stesse sentono l'urgente bisogno, siano soggetti nello stesso tempo a perenzione: il babuvismo vegetò un secolo dopo Babeuf senza influenzare il movimento operaio; uno dei due grandi artefici della rivoluzione russa fu condannato all'esilio, poi assassinato in un tempo in cui il suo pensiero e la sua azione avrebbero potuto svolgere un'azione decisiva sui destini della società sovietica. Di fatto fu la sensibilità, fu la situazione morale e intellettuale della seconda guerra mondiale a mostrarsi non « all'altezza » del surrealismo. Dopo avere inutilmente cercato il contatto, Breton desistette. Spinse il movimento verso una delle direzioni che era stata del· movimento stesso una delle tentazioni costanti: esplorare le sorgenti dell'attività poetica, fare l'inventario delle vie e dei mezzi possibili, cercare le basi metafisiche di quella particolare forma di conoscenza. Fece presente che esisteva una « tradizione iniziatica » da cui avevano più o meno dipeso i grandi ispirati della storia: alchimisti, occultisti, maghi e alcuni poeti le cui opere sono tra le più dense di mistero. Considerò della massima importanza recuperare « la chiave geroglifica del mondo che preesiste più o meno coscientemente ad ogni forma di poesia sublime», imboccare « le vie di quella rivoluzione interiore la cui perfetta realizzazione si sarebbe potuto benissimo confondere con quella della GraQde Opera quale l'intendono gli alchimisti », Nicolas Flamel, il Grand Albert, Fabre d'Olivet, Swedenborg e, tra i poeti, Hugo, Nerval, Baudelaire, Jarry, Roussel riassunsero la loro funzione di ricercatori maledetti, di esploratori notturni, di iniziati. La missione della poesia moderna era di continuare la loro ricerca, di continuare per la strada da loro aperta, verso quel famoso punto in cui si risolvono le contraddizioni. Ma le rivoluzioni interiori si realizzano sulla pubblica piazza, in gruppo e con un semplice decreto? Ai giorni nostri il surrealismo si rivela avaro di opere che potrebbero servirci come punti di riferimento. Come non considerare una confessione di sconfitta il ripiegamento del surrealismo sui suoi minima poetici, la sua trasformazione in scuola esoterica? Non è forse viziata alla base questa sua affermazione: la tesi che al pensiero basta esistere per diventare immediatamente esecutivo e esecutivo in qualsiasi momento? Se la poesia, che si credeva di potere liberare dalle pastoie dell'arte, che si voleva esercitare al di fuori di ogni tipo di convenzione e di cen-

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sura, e di cui si voleva fare, secondo le parole di Lautréamont, un bene comune, equivale all'attività stessa dello spirito, in che modo può trovare il suo punto d'impatto con le cose, modificare il mondo reificato dei rapporti sociali? Postulando l'esistenza di un ordine umano che era esattamente quello che si proponeva di creare, il surrealismo è andato a cozzare contro un ordine che era prima di tutto economico, sociale, politico e artistico e che non si poteva trasformare con il solo pensiero: se questo ordine è una creazione umana, è anche quella di un uomo incatenato a una storia e a un tempo superato dal suo proprio oggetto che lo contiene e di cui è prigioniero. Tra il pensiero e l'azione esiste una mediazione indispensabile: la storia stessa degli uomini. Ad eccezione di alcuni tentativi di intervento politico (nel senso lato), episodici e in genere di tipo anarchico, il surrealismo non possedeva i mezzi per un simile intervento. Ha creduto di potervi supplire predicando una rivoluzione più vasta e radicale: lo spirito che diventava esso stesso soggetto e oggetto della propria rivoluzione. Era sicuramente il solo 2mbito in cui il pensiero potesse diventare immediatamente esecutivo. Esistono, per l'esattezza, società che sono fuori del tempo e della storia e in cui il pensiero diventa immediatamente esecutivo: lo sciamano fa piovere, lo stregone guarisce l'ammalato pronunciando certe formule, la selvaggina viene uccisa non dalla freccia ma dal potere di certi riti, il bambino che viene al mondo non sempre procede dalla ;nadre secondo la carne. Non è che per questo l'universo mentale di queste società sia incoerente, illogico. È un universo in cui il pensiero, insito nella parola, si sostituisce al fatto e determina l'evento. Poco importano le spiegazioni razionali che vorremmo che gli uomini di queste società ammettessero come sole accettabili. L'intera esperienza della loro vita li costringe a respingerle perché insufficienti, inadeguate, i:1.finitamente secondarie. Essi vivono in un universo magico. Ci si può chiedere se l'attuale tentazione del surrealismo non sia quella di costituire, all'interno della nostra società iperlogica, tesa verso l'autodistruzione in forza dei progressi stessi della scienza operati in vista della sola « utilità », l'universo magico che converrebbe agli uomini di questo tempo. Un universo che si basi sulle risorse profonde e rimaste in generale inesplorate dell'uomo, sulle leggi misterio'le di una realtà alle soglie della quale devono segnare il passo le con~etture esplicative della scienza, sulla volontà di stabilire il microcosmo e il macrocosmo alcune « corrispondenze » essenziali di cui bi3ognerebbe fare un inventario rigoroso e a cui si dovrebbe dare forma di legge se si volesse trasformarle in cultura e potere. Ma occorrerebbe allora che, sull'esempio delle sette gnostiche, delle scuole pitagoriche e

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dello stesso sansimonismo, i seguaci del surrealismo mirassero con tutti i mezzi (dalla società segreta al partito politico) a un'influenza diretta sul governo degli uomini e delle cose, che si potesse crederli capaci di formare degli scienziati, dei filosofi, degli uomini d'azione, e anche dei militanti. In attesa di un supplemento di istruttoria, bisogna rassegnarsi a considerare il surrealismo una scuola letteraria, molto diversa da tutte quelle che l'hanno preceduto e la più prestigiosa di quelle formatesi dopo il romanticismo. Volente o nolente, esso dovrà percorrere tutte le tappe, incarnare tutte le mediazioni con le quali un movimento di pensiero finisce col determinare, tra le altre cause, e a condizione che la storia gli conceda vita, la coscienza degli uomini. Novembre 1957 Poscritto. La storia del surrealismo dalla seconda guerra mondiale in poi è stata di recente narrata da un giovane del gruppo: Jean-Louis Bédouin che, nel 1948, ha avuto la gentilezza di scrivermi per informarmi della « scoperta » che il mio libro gli aveva permesso di fare; egli mi chiedeva inoltre come potesse mettersi in contatto con André Breton. Non sono quindi nelle migliori condizioni per parlare della sua opera: Vingt ans de surréalisme, 1939-1959 (Denoel, 1961), in cui il lettore troverà utili indicazioni. Con uno zelo degno di lode, l'autore si sforza di far vedere che il surrealismo «continua». La prova, secondo lui, risiede nella serie di dissidi interni vissuti dal gruppo, nel diluvio di intimazioni, di esclusioni, di riaccettazioni, di accuse rivolte contro gli altri, e senza che niente di essenziale sembri, ahimè, essere messo in discussione. Bédouin conferma così la mancanza di presa sul reale che travaglia oggi il surrealismo e, di conseguenza, la scarsa importanza che i nostri contemporanei hanno prestato a quanto è parso loro agitazione, nient'altro che agitazione. Suo malgrado e nonostante il tono incessantemente celebrativo, l'autore dimostra che quando una storia sopravvive a se stessa, si degrada inevitabilmente in aneddotica. Nondimeno, a proposito della guerra d'Algeria, dopo il colpo di stato del 13 maggio 1958 e in alcune altre occasioni decisive, il movimento surrealista ha preso posizione con franchezza e energia, ha fatto sentire le parole che si dovevano dire, ha adottato atteggiamenti la cui intransigenza era in quelle occasioni giustificata. Basato su opzioni di capitale importanza, è forse necessario affermare che tali opzioni sono sempre di attualità? Dicembre 1963

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Un cadavere Era diventato così brutto che passandosi la mano sul viso senti la sua bruttezza. Anatole France, Thais

L'errore Anatole France non è morto: non morirà mai. Fra una decina d'anni ci sarà qualche abile scrittore che avrà inventato un nuovo AnatoJe. C'è gente che non può fare a meno di un personaggio così comico, il « più grande uomo del secolo» o « un maestro». Di lui si raccolgono le più piccole parole, si studiano con la lente di ingrandimento le più piccole frasi e poi si sbotta nel belato: « Che bello ... ma è magnifico, ma è splendido! Il maestro eterno». Eppure lo scomparso non era molto simpatico. Non ha mai pensato se non alle sue piccole cose, alla salute malferma. Aspettava la morte, pare. Una soluzione carina. Ma a parte ciò, che cosa ha fatto seriamente, a che cosa ha pensato seriamente? Poiché oggi si deve deporre una palma su una bara, sia la palma il più pesante possibile e tale ricordo soffocato. Un po' di dignità, signori della famiglia! Piangete pure tutte le vostre lacrime. Anatole ha esalato la sua presunta anima. Niente potete aspettarvi da questo ricordo fiacco e secco. È tutto finito! La notte sta già scendendo. Si resta stupiti, se si ha il coraggio di scorrere i necrologi, dinanzi alla banalità degli elogi tributati alla buon'anima di France. Sono povere corone in finta celluloide! Si ripete regolarmente la battuta di Barrès: « Era un custode». Che crudeltà! Il custode della lingua francese fa cosf pensare a un caporale o a un pedantissimo maestro di scuola. Penso che sia un'idea singolare quella di voler perdere qualche minuto per dire addio a un cadavere a cui è stato asportato il cervello! Insomma, siccome è tutto finito non parliamone più. Quest'oggi ho assistito a spettacoli davvero divertenti. I becchini che litigavano mentre camminavano davanti a una bara. Ho visto anche una donna in lutto, coperta di veli neri, andare all'ospedale per fare quattro chiacchiere con il marito moribondo e per mostrargli i begli abiti nuovi che si era comperata la matti~a mentre aspettava che lui morisse. Philippe Soupault

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Un vecchio come gli altri Il volto della gloria, il volto della morte, quello di Anatole France da vivo o da morto. I tuoi simili, o cadavere, a noi non piacciono. Eppure quante buone ragioni non hanno per continuare a esistere, così come continuano a esistere quella bellezza e quella armonia che li riempiono di gioia, che trasmettono alle loro labbra un sorriso buono, un sorriso da padre di famiglia. La bellezza, o cadavere, noi la conosciamo bene, e ad essa ci abbandoniamo perché non ci fa, ad essere esatti, sorridere. Il fuoco e l'acqua ci piacciono solo da quando ci ha preso la voglia di gettarci dentro. L'armonia, ah, l'armonia, il nodo della tua cravatta, mio diletto cadavere, e il tuo cervello messo da parte, ben disposto entro la bara e le lacrime che sono così dolci, non ti pare. La Vita, non posso più immaginarmela senza che mi vengano le lacrime agli occhi, risiede ancora oggi nelle piccole e ridicole cose a cui la tenerezza sola serve ora da sostegno. Lo scetticismo, l'ironia, la vigliaccheria, o France, lo spirito francese, che cosa è mai tutto ciò? Come un gran colpo di vento, l'oblio mi sta trascinando lontano da tutto questo. Non ho mai letto niente forse, visto niente di ciò che disonora la Vita? Paul Eluard

Rifiuto di inumazione Se era già troppo tardi per parlare di Anatole France quand'era ancora in vita, non resta ora che gettare uno sguardo di riconoscenza al giornale che se l'è portato via. e che è lo stesso quotidiano da quattro soldi che l'aveva portato tra noi. Loti, Barrès, France, sottolineiamo con un bel segno bianco l'anno che ha dato sepoltura a questi tre tipi sinistri: l'idiota, il traditore e il poliziotto. Riserviamo a quest'ultimo, non ho nulla in contrario, una parola di speciale disprezzo. Con France se ne va un po' del servilismo umano. Si faccia festa il giorno in cui saranno seppelliti l'astuzia, il tradizionalismo, il patriottismo, l'opportunismo, lo scetticismo e la mancanza di coraggio! Ricordiamoci che i peggiori istrioni del nostro tempo hanno avuto un complice in Anatole France, e non perdoniamogli mai di avere sposato alla bandiera della rivoluzione il suo · inerte sorriso. Togliamo, se vogliamo, da una delle cassette che si trovano sui lungosenna i vecchi libri « che amava tanto», rinchiudiamoci dentro il suo cadavere e gettiamo il tutto nella Senna. Neppure da morto quest' uomo deve fare più polvere. André Breton

Avete già preso a schiaffi un morto? Vado in bestia quando, per stanchezza, con gesto meccanico, consulto alle volte i giornali degli uomini. Perché in essi si manifesta un po' di quel

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pensiero comune sul quale, bene o male, un bel giorno finiscono coll'essere d'accordo. La loro esistenza è fondata nella fede in questo accordo, è tutto qui ciò che esaltano, e perché un uomo possa raccogliere infine i loro suffragi, perché possa raccogliere anche i suffragi degli uomini più in basso, deve essere una figura in vista, una materializzazione di questa fede. I consigli municipali di località che conosco vagamente sono oggi sconvolti per una morte, vanno a porre sui frontoni delle foro scuole · delle targhe in cui si legge un nome. Ciò basterebbe da solo per fare il ritratto dello scomparso; è impossibile infatti immaginarsi un Baudelaire, per esempio, o un qualsiasi altro che, come lui, abbia occupato quel limite estremo dello spirito che solo rappresenta una sfida alla morte, esaltato dalla stampa e dai suoi contemporanei come un volgare Anatole France. Che cosa aveva quest'ultimo per riuscire a commuovere tutti coloro che sono la negazione stessa della commozione e della grandezza? Uno stile incerto, e il fatto che tutti si credono autorizzati a giudicare per desiderio stesso del suo proprietario; un linguaggio universalmente apprezzato quando il linguaggio, invece, esiste solo al di là, al di fuori dei volgari apprezzamenti. Scriveva malissimo, ve lo giuro, questo uomo dell'ironia e del buon senso, questo povero scontatore della paura del ridicolo. Ed è pochissima cosa ancora lo scrivere bene, lo scrivere, accanto a ciò che merita soltanto uno sguardo. Tutta la mediocrità umana, la limitatezza, la paura, la conciliazione ad ogni costo, la speculazione senza senso, il compiacimento nella sconfitta, il genere soddisfatto, sentenzioso, ingenuo, canna pensante, si ritrovano, sfregandosi le mani dalla contentezza, in questo Bergeret di cui inutilmente si cercherebbe di farmi apprezzare la dolcezza. Grazie, io non andrò a finire sotto un clima così facile una vita che non si cura delle scuse e del pettegolezzo. Per me ogni ammiratore di Anatole France è un essere degradato. Mi fa piacere che il letterato oggi acclamato sia da quel tapiro di Maurras sia da Moscou la gateuse sia anche, con un'incredibile truffa, da Paul Painlevé stesso, abbia scritto, per offrirci un campione di un istinto più che spregevole, la più disonorante delle prefazioni a un racconto di Sade, il quale ha passato la vita in prigione per vedersi alla fine appioppare il calcio dell'asino, di questo asino della letteratura ufficiale. Ciò che seduce in lui, ciò che lo rende sacro, lasci!'}temi dire, non è neppure il talento, così discutibile, ma la volgarità, tanto che la prima venuta delle donnicciole potrebbe esclamare: « Come mai non ci avevo pensato prima! ». Questo eseçrabile istrione dello spirito doveva veramente corrispondere all'ignominia francese perché un popolo così oscuro fosse a tal punto felice di avergli prestato il suo nome! Balbettate pure con comodo su questa cosa putrescente, per questo verme che i vermi a loro volta possiederanno, o rifiuti dell'umanità, o genti di ogni luogo, bottegai e ciarloni, domestici di stato, servi del ventre, individui che nuotate nel fango e nell'oro, voi che perdete ora un così bravo servitore della suprema

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compromissione, divinità dei vostri focolari e delle vostre garbate felicità. Oggi io mi trovo al centro di questa muffa, Parigi, in cui il sole è pallido, in cui il vento confida ai camini una visione spaventosa e il suo languore. Attorno a me c'è agitazione e miserabile si fa la vita in un universo in cui ogni grandezza è diventata oggetto di derisione. Il mio interlocutore ha il fiato avvelenato dall'ignoranza. In Francia, a quanto si dice, tutto finisce in canzoni. Che colui, quindi, che è crepato mentre era al centro della felicità generale, se ne vada a sua volta in fumo! Resta poca cosa di un uomo; è inoltre disgustoso pensare che comunque costui sia esistito. Certi giorni mi è capitato di sognare una gomma per cancellare l'immondezza umana. Louis Aragon

Prefazione al primo numero della « Révolution surréaliste » Il processo alla conoscenza non dovendosi più fare, l'intelligenza non essendo più da considerare, solo il sogno lascia all'uomo tutti i suoi diritti alla libertà. Grazie al sogno, la morte non ha più un significato oscuro e il significato della vita ci diventa indifferente. Ogni mattina, in tutte le famiglie, gli uomini, le donne e i bambini, se non hanno niente di meglio da fare, si raccontano i sogni che hanno fatto. Noi siamo tutti alla mercé del sogno ed è nostro dovere subirne il potere nello stato di veglia. Il sogno è un tiranno terribile, specchi e balenii sono il suo vestito. Che cosa sono la carta e la penna, che cosa è lo scrivere, che cosa è la poesia dinanzi a questo gigante che racchiude i muscoli delle nubi nei suoi muscoli? Siete là che balbettate dinanzi al serpente, senza sapere delle foglie secche e delle trappole di vetro, temete per i vostri beni, per il vostro cuore e i vostri piaceri e cercate nell'ombra dei vostri sogni tutti i segni matematici che vi renderanno la morte più naturale. Altri, i profeti, dirigono ciecamente le forze della notte verso l'avvenire, l'aurora parla per bocca loro, e il mondo rapito si spaventa e si rallegra. Il surrealismo apre le porte a tutti coloro con cui la notte si fllOStra avara. Il surrealismo è il ritrovo degli incantesimi del sonno, dell'alcool, del tabacco, dell'etere, dell'oppio, della cocaina, della morfina; ma è anche lo spezzatore delle catene, noi non dormiamo, non beviamo, non fumiamo, non fiutiamo tabacco, non ci droghiamo, eppure sogniamo, e la rapidità delle lancette delle lampade introduce nei nostri cervelli la meravigliosa spugna sfiorita dell'oro. Ah, se le ossa fossero gonfie come i dirigibili, visiteremmo le tenebre del Mar Morto. La strada è una sentinella che si erge contro il vento che ci avvolge e ci fa tremare dinanzi alle nostre fragili sembianze di rubino. Incollatt agli echi delle nostre orecchie come la piovra-orologio sulla parete del tempo, voi potete inventare povere storie che ci faranno sorridere con

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noncuranza. Non ci incomodiamo più, si ha un bel dire: l'idea del movimento è prima di tutto un'idea inerte, 1 e l'albero della velocità ci appare. Il cervello gira come un angelo e le nostre parole sono i pallini che uccidono l'uccello. Voi a cui la natura ha dato il potere di .accendere l'elettricità a mezzogiorno e di restare sotto la pioggia con il sole negli occhi, i vostri sono atti gratuiti, i nostri sono sognati. Tutto è bisbiglii, coincidenze, il silenzio e la scintilla si rapiscono la rispettiva rivelazione. L'albero carico di carne che sorge dal selciato è sovrannaturale soltanto nel nostro stupore, ma il tempo di chiudere gli occhi, ed ecco che aspetta l'inaugurazione. Ogni scoperta che apporti un cambiamento nella natura, la destinazione di un oggetto o di un fenomeno, costituisce un fatto surrealista. Tra Napoleone e il busto con cui i frenologi lo rappresentano, ci sono di mezzo tutte le battaglie dell'Impero. Lungi da noi l'idea di volere sfruttare e modificare queste immagini in un senso che potrebbe far credere a un progresso. Che dalla distillazione di un liquido appaia l'alcool o il latte o il gas per l'illuminazione, ecco qua altrettante immagini soddisfacenti e invenzioni senza valore. Non avviene nessuna trasformazione ma tuttavia, ancora invisibile, chi scrive sarà annoverato tra gli assenti. Solitudine dell'Amore, l'uomo che si corica su di te commette un fatale delitto senza fine. Solitudine dello scrivere, non sarai più conosciuta invano, le tue vittime, prese in un ingranaggio di stelle violente, risuscitano in se stesse. Constatiamo l'esaltazione surrealista dei mistici, degli inventori e dei profeti e tiriamo via. In questa rivista si troveranno poi la cronaca delle invenzioni, quella della moda, della vita, delle belle arti e della magia. La moda sarà trattata secondo la gravità delle lettere bianche sulle carni notturne, la vita secondo le divisioni della luce e dei profumi, l'invenzione secondo i giocatori, le belle arti secondo il pattino che dice: « temporale» alle campane del cedro centenario e la magia secondo il movimento delle sfere negli occhi colpiti da cecità. Già gli automi si moltiplicano e sognano. Nei caffè chiedono che si porti loro in fretta il necessario per scrivere, le vene del marmo sono i grafici della loro evasione e le loro macchine vanno da sole al Bois. La rivoluzione... la rivoluzione... Se realismo vuol dire mondare gli alberi, surrealismo vuol dire mondare la vita. f. A. Boifjard, P. É/uard, R. Vitrac «

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Berkeley.

La Révolution surréaliste », n. 1, primo dicembre 1924

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Volantini surrealisti Tutti i testi portano l'indirizzo dell'Ufficio di ricerche surrealiste: 15, rue de Grenelle, Parigi-7' con l'orario di servizio.

La canonica non ha perso niente del suo fascino né il giardino del suo splendore. Voi che avete del piombo nella testa Fondetelo per fame dell'oro surrealista. IL SURREALISMO è la scrittura negata. «

Non ci si può aspettare nulla di troppo grande dalla forza .e dal potere dello spirito. » Hegel GIOIA ENORME COME I TESTICOLI DI ERCOLE! Arianna sorella mia! da quale amore ferita Moriste sulle rive in cui foste lasciata? Se amerete l'Amore amerete il SURREALISMO L'ombrello di cioccolata si è sdorato, Immergetelo nella porta e intrecciate.

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IL SURREALISMO è alla portata di tutti gli inconsci. GENITORl! Raccontate i sogni che fate ai vostri bambini. VOl CHE NON VEDETE Pensate a quelli che vedono. Il surrealismo è il comunismo del genio? Polemica tra surrealisti e comunisti, sorta in seguito alla pubblicazione di « Un Cadavre ».

Comunismo e rivoluzione Nel numero di « Clarté » del 15 novembre 1924, Jean Bernier, commentando il libello Un Cadavre, diretto contro Anatole France, mi rimproverava: « La sciocchezza veramente più comica che odiosa di cui diede prova Aragon scrivendo: "Mi fa piacere che il letterato oggi acclamato sia da quel tapiro di Maurras sia da Moscou la gateuse ... " » ,e, pubblicando nel numero del primo dicembre della stessa rivista, la risposta che gli rivolgevo e che faccio qui seguire: Parigi, 25 novembre 1924 Mio caro Bernier, Lei ha voluto vedere una sorta di insulto in una frase da cui traspare la mia scarsa simpatia per il governo bolscevico e, con essa, per ogni forma di comunismo. Eppure Lei sa bene che dire sciocchezze non è il mio forte, e che non spetta né a un uonio né a un partito esigere da me di conoscere o ignorare una cosa. Se Lei mi considera una persona che non ha sensibilità per lo spirito politico, Le dirò anche che sono violentemente ostile a quel disonorante atteggiamento pragmatico che mi dà diritto, se non altro, di accusare di moderatismo ideale coloro che finiscono col rassegnarvisi; e ciò perché, glielo posso assicurare, lo spirito di rivolta è sempre stato ed è per me molto al di sopra della politica, qualunque essa sia. Che cosa avete fatto, in fin dei conti, voi, famosi uomini di azione, clie vi vantate tanto di non curarvi dei mezzi, da che mondo è mondo? La rivoluzione russii.? Lei non mi può impedire di rispondere con un'alzata di spalle. Dal punto di vista delle idee, essa appare tutt'al più come una vaga crisi ministeriale. Sarebbe veramente più degno di Lei trattare con un po' meno di disinvoltura coloro che hanno sacrificato l'esistenza per le cose dello spirito.

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Mi preme tornare a dire sulla· stessa « Clarté » che i problemi che pone l'esistenza umana non hanno niente a che vedere con la spregevole e meschina attività rivoluzionaria che in questi ultimi anni ha avuto per teatro l'Oriente del nostro continente. Aggiungo che essa può essere definita rivoluzionaria solo con un'improprietà di linguaggio. Il terrore, lo creda, mio caro Bernier, so di che cosa parlo. Non mi succederà di premunirmi contrò l'eventualità di un governo comunista in Francia. Io non mi baso né sul futuro, che è piuttosto confuso, né su un presente infame. Non mi si può accusare di guardare indietro. Ho gli occhi fissi a un punto così lontano che da nessuno mi sarà mai perdonata questa mia ridicola pretesa. Ecco pe.rché non accetterò da nessuno, fosse pure da Lei, una lezione in nome di un dogma sociale, fosse pure quello di Carlo Marx. Con amicizia Louis Aragon

Bernier così la commentava: Non ci si può stupire di vedere un idealista di tale specie lanciare i suoi fulmini contro ogni forma di pragmatismo. Ritroviamo in ciò un po' del violento 'conflitto a cui, a suo modo, aveva dato vita Péguy quando volgeva la mistica contro la politica. Fatte le debite riserve per quanto riguarda il misterioso avvenire, noi ci troviamo qui di fronte a una questione importante del nostro dramma. Il monachesimo di Aragon, questa specie di apostolato dell'impossibile in cui egli intende consumarsi, non senza gustare tuttavia il piacere acre, segreto, del vaticinatore, assumerebbe tutto il suo valore se il deserto si estendesse, al cospetto di Dio, fino alle porte delle nostre città. Al nostro materialismo, mio caro Aragon, al nostro materialismo arrabbiato, non la si dà a bere tanto facilmente. Del resto, che io sappia, quello sguardo sperduto, « fisso a un punto così lontano » non basta stella - alla nostra vita. Il pragmatismo è proprio il « Suo » punto debole, il nostro peccato originale.

E, ritenendo che non si fosse detto abbastanza, Marce[ Fourrier: E così veniamo inquadrati sia gli uni sia gli altri. Aragon, semplice anarchico, si limita espressamente al piano culturale. Combatte la cultura borghese da dentro. Preferisce restare nel suo campo anziché unirsi ai nemici di fuori. Sul piano culturale come su tutti gli altri piani, noi abbiamo rotto i ponti. Ciò che importa prima di tutto è l'azione di classe, quell'azione di classe che, buttando giù l'edificio del mondo borghese, permetterà una trasmutazione totale dei valori umani. Non possiamo costringere Aragon, così come non possiamo costringere

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i letterati borghesi, ad ammirare e neppure pm semplicemente a comprendere la rivoluzione russa. Dinanzi ad essa Aragon prova lo stesso sacro orrore che proverebbe un qualsiasi altro francese benpensante della sua classe. Il suo anarchismo che, nonostante abbia una veste accademica - proprio come quello di Barrès - contiene una buona dose di misticismo, non potrebbe impedirci di classificarlo tra i nostri avversari. Tra noi e lui, e finché resterà su tali posizioni, problema di classe, problema di forza. Péguy per uno, borghese per l'altro, eccomi sistemato a dovere. E che cosa siete voi due se non dei letterati borghesi? I ponti rotti, guardatevi dall'abusare di qualche immagine. Il materialismo che infantilmente contrapponete all'idealismo, non ammette l'abbandono di alcunché, e neppure di quella cultura borghese che solo l'ignoranza vi fa attribuire ai borghesi. Perché una tale cultura voi non la possedete, vi credete dei proletari, cercate di mantenere questa infame distinzione tra gli uomini, voi gli apostoli dell'eguaglianza. Una scarsa conoscenza della sintassi e del vocabolario non può bastare a mettervi tra gli operai. Signor Fourrier, da che cosa deduce Lei che io provi un sacro orrore per la rivoluzione russa? ·È, questa, una di quelle vostre espressioni tanto improprie quanto balorde. Non accetto le vostre mezze misure, lo volete capire? I vostri Millerands valgono i loro. Spetta a me ora rimproverarvi di parlare un po' troppo in fretta di ciò che ignorate. Noi siamo tra coloro che non permetteranno che si ripeta, a vantaggio di un partito politico, l'inganno del 1830. Voi non deruberete il popolo il giorno in cui scorrerà il sangue per le strade. Voi non organizzerete il popolo. Saranno i veri rivoluzionari a impedirvelo. Quei rivoluzionari che vi chiederanno di rendere conto di tutta la vostra vita, che scenderanno armati nelle vostre coscienze, e che, alla luce del sole, nella chiarezza che sorge dal terrore, giudicheranno i politici, i materialisti e tutti coloro che per dei progetti a breve scadenza e per delle decisioni prese affrettatamente avranno, con un solo compromesso, una concessione anche minima allo spirito dei banchieri di cui voi siete ora i frenetici difensori, ridotto alle proporzioni di semplice crisi legale la causa illimitabile della rivoluzione. L. A. « La Révolution surréaliste », 15 gennaio 1925

Il mezzo di ricerca preferito dal movimento surrealista è stato l'inchiesta. Già il dadaismo aveva un tempo proposto il famoso « Perché scrivete?». L'interesse di quest'ultimo si trovò ad essere superato dalla seguente inchiesta.

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Inchiesta Viviamo, moriamo. Quale parte ha la volontà in tutto questo? Pare che ci si uccida così come si sogna. Non poniamo un problema morale! Il suicidio è una soluzione? « La Révolution surréaliste », n. 2, 15 gennaio 1925

Lo stesso anno 1925 abbondò in proclami di ogni tipo. Alcuni fur-ono il contenuto di volantini: « Lettera a Paul Claudel », « La Rivoluzione prima e sempre» ( firmata anche da non surrealisti); altri furono semplicemente pubblicati nei numeri della rivista. In questi ultimi (« Lettera di supplica al Papa», « Lettera ai. primari dei manicomi», « Lettera di supplica al Dalai-lama », ecc.) l'esposizione delle idee e la presentazione di rivendicazioni per/ettamente « ragionevoli » non mancano di una certa dose di humour, che si coglie ancora oggi a distanza di tempo.

Aprite le prigioni Sciogliete l'esercito Non vi sono crimini di diritto comune Gli obblighi sociali hanno fatto il loro tempo. Niente potrebbe costringere l'uomo a privarsi della libertà, né il riconoscimento di uno sbaglio commesso né il contributo alla difesa nazionale. L'idea di prigione, l'idea di caserma sono oggi idee correnti; sono mostruosità che non stupiscono più. L'infamia sta tutta nella tranquillità di coloro che hanno aggirato l'ostacolo ricorrendo ad abdicazioni morali e fisiche di vario genere (onestà, malattia, patriottismo). Una volta ripresa coscienza dell'abuso che costituiscono da una parte l'esistenza di tali prigioni e dall'altra l'avvilimento, l'abiezione che producono sia in coloro che da quelle vengono fuori sia in coloro che in quelle vengono rinchiusi - e pare che ci siano degli stolti che al suicidio preferiscano la cella o la camerata -, ripresa insomma una tale coscienza, nessuna discussione può essere ammessa, nessuna palinodia. Mai l'opportunità di farla finita è stata altrettanto propizia, che non ci vengano a parlare dell'opportunità. I signori assassini cominciano: se vuoi la pace prepara la guerra; tali proposizioni fanno da schermo al timore più meschino o ai cksider.i più ipocriti. Non abbiamo paura di confessare che attendiamo, che invochiamo la catastrofe. La catastrofe? Sarebbe la continuazione di un mondo in cui l'uomo ha dei diritti sull'uomo. La sacra unione davanti ai coltelli o alle mitragliatrici, come fare appello ancora a un argomento così squalificato? Restituite alle campagne soldati e carcerati. La vostra libertà? Non c'è libertà per i nemici della libertà. Non saremo complici dei carcerieri. Il parlamento sta votando un'amnistia incompleta; la prossima primavera partirà una classe; in Inghilterra un'intera città non è riuscita a salvare un uomo, si è venuti a sapere, senza stupirsene, che in America, in occasione del Natale, è stata sospesa l'esecuzione di alcuni condan-

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nati a morte perché avevano una bella voce. E ora che hanno cantato, possono ben morire. Nelle garitte, sulle sedie elettriche c'è gente in procinto di morire che aspetta: permetterete che venga uccisa? APRITE LE PRIGIONI SCIOGLIETE L'ESERCITO «

La Révolution surréaliste », n. 2, 15 gennaio 1925

Lettera ai rettori delle Università europee Chiarissimo Rettore, nella cisterna stretta che Lei chiama « pensiero », i raggi della spiritualità imputridiscono come paglia. Basta con i giochi stilistici, gli artifici sintattici, i funambolismi formali, c'è ora da trovare la grande Legge del Cuore, la legge che non sia una legge, una prigione, ma una guida per lo spirito smarrito nel proprio labirinto. Più lontano di quanto potrà mai giungere la scienza, là dove i fasci di luce della ragione vanno ad infrangersi contro le nuvole, un tale labirinto esiste, punto centrale in cui convergono tutte le forze dell'essere, le nervature più lontane dello spirito. Iri questo dedalo di muraglie mobili e sempre in spostamento, al di fuori di qualsiasi forma nota del pensiero, si muove il nostro spirito, spiando i moti più segreti e spontanei di sé, quei moti che hanno il crisma della rivelazione, quella cert'aria che spira non si sa da dove, che cade dal cielo. Ma la razza dei profeti si è estinta. L'Europa sta cristallizzandosi, mummificandosi lentamente e avvolgendosi in bende a causa delle sue frontiere, delle sue fabbriche, delle sue università. Divenuto ghiaccio, lo spirito va incrinandosi preso nella morsa sempre più stretta delle assi minerali. t-: colpa dei vostri sistemi ammuffiti, della vostra logica del 2 più 2 fa 4, la colpa è vostra, rettori, voi che vi siete lasciati prendere nella rete dei sillogismi. Voi costruite ingegneri, magistrati, medici a cui sfuggono i veri misteri del corpo, le leggi cosmiche dell'essere, costruite falsi scienziati che non vedono nell'oltreterra, filosofi che aspirano a ricostruire lo spirito. Il più piccolo atto di creazione spontanea è un mondo più complesso e più rivelatore di quanto non lo sia una qualsiasi metafisica. Lasciateci quindi, signori, perché non siete altro che degli usurpatori. · Con quale diritto pretendete di incanalare l'intelligenza, di conferire i diplomi dello spirito? Voi non sapete nulla dello spirito, non ne conoscete le ramificazioni più nascoste e più importanti, certe impronte fossili così vicine alle fonti di noi stessi, certe tracce che riusciamo alle volte a rilevare nei giacimenti più oscuri dei nostri cervelli. In nome della vostra stèssa logica, vi diciamo: la vita puzza, signori. Guardate un momento le vostre facce, considerate un po' i vostri pro-

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dotti. Attraverso il vaglio dei vostri diplomi passa una gioventù stremata, perduta. Siete la piaga di un mondo, signori, e tanto meglio per questo mondo, ma che pensi un po' meno di essere alla testa dell'umanità. «

La Révolution surréaliste », n. 3, 15 aprile 1925

Lettera di supplica al Datai-lama Noi siamo i fedelissimi tuoi servitori, o grande Lama; concedici, mandaci i tuoi lumi in una lingua che sia comprensibile per i nostri spiriti impuri di europei e, se occorre, cambia il nostro spirito, fa di noi uno spirito che aspiri unicamente a quelle vette di perfezione in cui lo spirito dell'uomo non soffre più. Fa di noi uno spirito senza abitudini, uno spirito che veramente geli nello spirito, o uno spirito con abitudini più pure, le tue, se queste sono buone per la libertà. Siamo circ~mdati da papi rugosi, da letterati, da critici, da cani, il nostro spirito è tra i ·cani, che pensano immediatamente con la terra, che pensano incorreggibilmente nel presente. Insegnaci, o Lama, la lievitazione materiale dei corpi, e come potremmo non essere più legati alla terra. Sai benissimo tu a quale liberazione trasparente delle anime, a quale libertà dello spirito nello spirito, o Papa degno di essere accettato, o Papa nello spirito vero, alludiamo. Con l'occhio del di dentro guardo, o Papa, alla vetta del di dentro. Da di dentro io assomiglio a te, io, spinta, idea, labbro, lievitazione, sogno, grido, rinuncia all'idea, sospeso tra tutte le forme e in attesa solo dell'affiato. « La Révolution surréaliste », n. 3, 15 aprile 1925

Lettera di supplica al Papa Non sei tu il confessionale, o Papa, ma noi; ma cerca di capirci e, con te, anche la dattolicità. In nome della patria, in nome della famiglia, tu spingi alla vendita delle anime e alla libera macerazione dei corpi. Tra la nostra anima e noi, abbiamo tante strade da percorrere, tali distanze da potervi interporre i tuoi preti cadenti e quel mucchio di teorie avventurose di cui si nutrono tutti i castrati del liberalismo mondiale. Il tuo Dio cattolico e cristiano che, come gli altri dei, ha pensato tutto il male: I. Te lo sei messo in tasca. II. Non sappiamo che farcene dei tuoi canoni, indice, peccato, confes-

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sionale, pretaglia, noi pensiamo a un'altra guerra, guerra a te, Papa, cane. Qui lo spirito si confessa allo spirito. In tutta la tua mascherata romana ciò che trionfa è l'odio delle verità immediate dell'anima, di quelle fiamme che bruciano direttamente lo spirito. Non c'è Dio, Bibbia o Vangelo, non ci sono parole che fermino lo spirito. Non siamo al mondo. O Papa confinato nel mondo, né la terra né Dio parlano per bocca tua. Il mondo è l'abisso dell'anima, Papa espulso, Papa esterno all'anima, lasciaci nuotare nei nostri corpi, lascia le nostre anime nelle nostre anime, non abbiamo bisogno dei tuoi lumi taglienti. « La Révolution surréaliste », n. 3, 15 a,prile 1925

Lettera alle scuole di Budda Voi che non siete nella carne, e che sapete a quale punto della sua traiettoria carnale, del suo folle andirivieni, l'anima trovi il verbo assoluto, la parola nuova, la terra interiore, voi che sapete come ci si rigiri nel proprio pensiero, e come lo spirito possa salvarsi da sé, voi che siete interni a voi stessi, voi il cui spirito non è più sul piano della carne, qui ci sono mani per le quali prendere non è tutto, cervelli che vedono più lontano di una selva di tetti, di una fioritura di facciate, di un popolo di ruote, di un'attività di fuoco e di marmi. Avanzi questo popolo di ferro, avanzino le parole scritte con la rapidità della luce, avanzino i sessi l'uno verso l'altro con la forza delle palle di cannone. Che cosa verrà cambiato sulle strade dell'anima? Negli spasmi del cuore, nell'insoddisfazione dello spirito? Perciò buttate a mare tutti quei bianchi che arrivano con le loro testoline, e i loro spiriti così ben guidati. Bisogna qui che questi cani ci capiscano, non parliamo del vecchio male dell'uomo. Di altre necessità soffre il nostro spirito che non sono quelle inerenti alla vita. Soffriamo di putredine, della putredine della ragione. L'Europa della logica schiaccia lo spirito eterno tra due termini che sono come martelli, apre lo spirito e lo chiude. Ma ora l'opera di strozzamento è giunta al culmine, da troppo tempo andiamo soffrendo nella nostra professione. Lo spirito è più grande dello spirito, le metamorfosi della vita sono innumerevoli. Anche noi, come voi rifiutiamo il progresso: venite ad abbattere le nostre case. Continuino ancora per qualche tempo a scrivere i nostri scribacchini, i nostri giornalisti a blaterare, i nostri critici a recitare le loro lezioni come pappagalli, i nostri ebrei a costruirsi stampi per i loro guadagni illeciti; i nostri politici a perorare, e gli assassini, che amministrano la nostra giustizia, a covare in pace i loro misfatti. Sappiamo noi che cosa sia la vita. I nostri scrittori, i nostri pensatori, i nostri dottori, i nostri

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imbrattacarte sono bravi a rovinare la vita. Sbavino pure su di noi tutti questi scribacchini, vi sbavino per abitudine o per mania, o per castrazione spirituale, o per l'impossibilità di accedere alle sfumature, a quei limi vetrosi, a quelle terre girevoli in cui il superno spirito dell'uomo si intercambia senza fine, perché noi tanto abbiamo captato la parte migliore del pensiero. Venite. Salvateci da queste larve. Inventateci nuove case. « La Révolution surréaliste », n. 3, 15 aprile 1925

Lettera ai primari dei manicomi Egregi signori, le leggi e la consuetudine vi concedono il diritto di misurare lo spirito. Con il vostro intelletto esercitate questa giurisdizione sovrana, temibile. Lasciateci ridere. La credulità dei popoli civili, degli scienziati, dei governanti gratifica la psichiatria di non si sa quali lumi sovrannaturali. La causa della vostra profess"ione è giudicata prima del tempo. Non intendiamo qui discutere il valore della vostra scienza e se esistono o no le malattie meritali. Ma per cento patogenesi pretenziose in cui si registra la più scatenata confusione tra materia e spirito, per cento classificazioni di cui le sole utilizzabili sono ancora le più vaghe, quanti nobili tentativi per avvicinarsi al mondo cerebrale in cui vivono tanti vostri prigionieri? Per quanti di voi, per esempio, il sogno del demente precoce, le immagini di cui è preda, non sono altro che un'insalata di parole? Non ci stupiamo di trovare inferiori a un compito per il quale ci sono solo pochi predestinati. Ma noi insorgiamo contro il diritto attribuito a certi uomini, limitati o no, di sancire le loro investigazioni nel regno dello spirito con l'incarcerazione a vita. E quale incarcerazione! Si sa - non si sa abbastanza - che le case di cura, lungi dall'essere delle case, sono carceri spaventose, in cui i detenuti forniscono una manodopera gratuita e comoda, in cui le sevizie sono di prammatica, e voi lo permettete. Il manicomio, nonostante il pretesto della scienza e della giustizia, è paragonabile alla caserma, alla prigione, al bagno penale. Non solleveremo qui il problema degli internamenti arbitrari, per evitarvi la faticà di facili dinieghi. Noi affermiamo che un gran numero dei vostri ospiti, perfettamente pazzi stando alla definizione ufficiale, sono stati, anch'essi, arbitrariamente internati. Non ammettiamo che si ostacoli il libero svilupparsi di un delirio che è legittimo, logico tanto quanto qualsiasi altra serie di idee o di atti umani. La repressione delle reazioni antisociali è, per principio, altrettanto chimerica quanto inaccettabile. I pazzi sono le vittime individuali per eccellenza della dittatura sociale; . in nome di tale individualità, che è la caratteristica di ogni uomo, noi reclamiamo che questi forzati della sensibilità vengano liberati, dal momento che è egualmente al di fuori delle leggi rinchiudere tutti gli uomini che pensano e agiscono.

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Senza insistere troppo sulla natura assolutamente geniale insita nelle manifestazioni di certi ·pazzi, nella misura in cui siamo adatti ad apprezzarle, affermiamo l'assoluta legittimità della loro concezione della realtà e di tutte le azioni che da essa derivano. Possiate ricordarvene domani mattina all'ora della visita, quando, privi di lessico, tenterete di conversare con uomini sui quali, dovete ammetterlo, non avete altro vantaggio che non sia quello della forza. «

La Révolution surréaliste », n. 3, 15 aprile 1925

Lettera aperta a Paul Claudel ambasciatore di Francia in Giappone

Quanto ai movimenti attuali, non ce n'è uno che possa condurre a un vero dnnovamento o a una nuova forma di creazione. Né il dadaismo né il surrealismo che hanno un solo significato: quello, pederastico. Più di qualcuno si stupisce non che io sia buon cattolico, ma scrittore, diplomatico, ambasciatore di Francia e poeta. Ma io in tutto questo non trovo niente di strano. Durante la guerra sono andato nell'America del Sud ad acquistare grano, carne congelata e lardo per l'esercito e ho fatto guadagnare duecento milioni al mio paese. « Il Secolo», intervista a Paul Claudel ripresa da « Comoedia », il 17 giugno 1925

Signore, la nostra attività non ha nient'altro di pederastico all'infuori della confusione che introduce nella mente di chi non vi partecipa. Poco ci importa la creazione. Ci auguriamo, con ogni nostra forza, che le rivoluzioni, le guerre e le insurrezioni coloniali sopraggiungano ad annientare questa verminosa civiltà occidentale che Lei difende persino in Oriente, e dichiariamo che questa distruzione è lo stato di cose meno inaccettabile per lo spirito. Per noi non può esistere né equilibrio né grande arte. Già da molto tempo l'idea di bellezza è ammuffita. Non resta in piedi altro che una idea morale, come, per esempio, che non si può essere a un tempo ambasciatore di Francia e poeta. Approfittiamo di questa occasione per scindere pubblicamente la nostra solidarietà da tutto quanto è francese, in parole e in azioni. Dichiariamo che il tradimento e tutto quel che in un modo o nell'altro può nuocere alla sicurezza dello stato ci sembra molto più conciliabile con la poesia che non la vendita di « grosse partite di lardo » per conto di una nazione di porci e di cani. Un singolare disconoscimento delle capacità proprie e delle possibilità dello spirito vuole che cialtroni della Sua specie ricerchino periodicamente la propria salvezza in una tradizione cattolica o grecoromana. La

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salvezza, per noi, non è in nessun posto. Consideriamo Rimbaud come un uomo che ha disperato della propria salvezza e la cui opera, nonché la vita, sono mere testimonianze di perdizione. Cattolicesimo, classicismo grecoromano, li lasciamo alle sue infami bacchettonerie. Buon prò le facciano; ingrassi ancora, crepi sotto l'ammirazione e il rispetto dei suoi concittadini. Scriva, preghi e sbavi; noi reclamiamo il disonore di averle dato una volta per tutte del cafone e della canaglia. Parigi, I luglio 1925 Maxime Alexandre, Louis Aragon, Antonin Artaud, J.-A. Boiffard, Joe Bousquet, André Breton, Jean Carrive, René Crevel, Robert Desnos, Paul Éluard, Max Ernst, T. Fraenkel, Francis Gérard, Eric de · Haulleville, Miche/ Leiris, Georges Limbour, Mathias Liibeck, Georges Malkine, André Masson, Max Morise, Marce/ Noli, Benjamin Péret, Georges RibemontDessaignes, Philippe Soupault, Dédé Sunbeam, Roland Tual, facques Viot, Roger Vitrac

La rivoluzione prima e sempre Il mondo è un groviglio di conflitti che, agli occhi di qualsiasi uomo un po' attento, superano il quadro di un mero dibattito politico o sociale. La nostra epoca manca stranamente di veggenti. Ma è impossibile per chiunque non sia sprovvisto di una qualche perspicacia non subire la tentazione di calcolare le conseguenze umane di uno stato di cose assolutamente sconvolgente. , Più che al risveglio dell'amor proprio di popoli da lungo asserviti e che sembrerebbero non desiderare altro che riconquistare la loro indipendenza, o più che al conflitto sempre aperto delle rivendicazioni operaie e sociali in seno a condizioni che persistono ancora in Europa, noi crediamo alla fatalità di una liberazione totale. Sotto i colpi sempre più duri che gli vengono sferrati, bisognerà pur che l'uomo finisca col cambiare i propri rapporti. Ben coscienti della natura delle forze che sconvolgono attualmente il mondo, no~ vogliamo, ancora prima di contarci e di metterci all'opera, proclamare· il nostro assoluto distacco, e in qualche modo la nostra purificazione, dalle idee che stanno alla base della civiltà europea ancora vicinissima e anche di ogni altra civiltà che si basi sui principi insopportabili di necessità e di dovere. Più ancora del patriottismo, che è una forma di isteria come un'altra, ma più vuota e più. micidiale, ciò che a noi ripugna è l'idea di patria, perché è veramente il concetto più bestiale e meno filosofico nel quale si cerchi di fare entrare il nostro spirito.1 1

Quegli · stessi che rimproveravano ai socialisti tedeschi di non avere « fraternizzato ,. nel

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Dobbiamo senz'altro essere dei barbari dal momento che una certa forma di civiltà ci disgusta. Dovunque [email protected] la civiltà occidentale è cessato qualsiasi rapporto umano, ad eccezione di quei rapporti che avevano per ragion d'essere l'interesse, « il duro pagamento in contanti». Da più di un secolo la dignità umana è ridotta al rango di valore di scambio. È già una cosa ingiusta, mostruosa che il nullatenente sia schiavo del possidente, ma quando l'oppressione va al di là del semplice pagamento di un salario e assume, per esempio, la forma di schiavitù che l'alta finanza fa pesare sui popoli, allora è un'infamia che nessun massacro riuscirà a far espiare. Noi non accettiamo le leggi dell'economia- e dello scambio, non accettiamo la schiavitù del lavoro e, in un ambito ancora più ampio, ci dichiariamo insorti contro la storia. La storia si regge su leggi che sono condizionate dalla vigliaccheria degli individui, e noi non siamo certo degli umanitari, a nessun livello. Ciò che ci fa volgere lo sguardo verso l'Asia 2 è il nostro rifiuto di ogni legge accettata, la nostra speranza nelle forze nuove, in forze sotterranee, capaci di sconvolgere la storia, di rompere l'insignificante concatenazione dei fatti. Insomma noi abbiamo bisogno della libertà, ma di una libertà che ricalchi le nostre necessità spirituali più profonde, le esigenze più imperiose e più umane della nostra carne (in verità, saranno sempre gli altri ad avere paura). L'epoca moderna ha fatto il suo tempo. L'indole stereotipa dei gesti, degli atti, delle menzogne dell'Europa sta a dimostrare che il ciclo del disgusto si è concluso.3 Spetta ai mongoli ora accamparsi nelle nostre piazze. Non si deve in nessun momento temere che la violenza, a cui noi qui ci impegniamo, ci prenda alla sprovvista, ci scavalchi. Eppure, secondo noi, questo non basta ancora, qualunque cosa possa succedere. È importante che nel nostro tentativo non si veda altro che l'assoluta fiducia che accordiamo a un certo sentimento che ci è comune, e esattamente al sentimento della rivolta, di quella rivolta su cui si basano le sole cose valide. Ponendo al di sopra di tutte le differenze il nostro amore per la rivoluzione e il nostro proposito di un'azione efficace, in quell'ambito piuttosto limitato che è ancora i_l nostro, noi, « Clarté », « Correspondance », « Philosophies », « La Révolution surréaliste », ecc. dichiariamo quanto segue: I. il magnifico esempio di un disarmo immediato, totale e senza contro1914 si sdegnano se qualcuno intita qui i soldati a fuggire. L'appèllo alla diserzione, semplice reato di opinione, è considerato un delitto: « I nostri soldati » hanno il diritto di non essere colpiti alle spalle. (Hanno anche il diritto di non essrre colpiti al petto). 2 Facciamo giustizia di questa immagine. L'Oriente è dappertutto: rappresenta il conflitto tra la metafisica e i suoi avversari, i quali sono gli avversari della libertà e della contem• plazione. Nell'Europa stessa chi può dire dove non sia l'Oriente? Per strada, l'uomo che incontrate può averlo in sé: l'Oriente è nella sua coscienza. 3 Spinoza, Kant, Blake, Hegel, Schelling, Proudhon, Marx, Stirner, Baudelaire, Lautréamont, Rimbaud, Nietzsche: questa sola enumerazione è l'inizio del vostro disastro.

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partita che nel 1917 è stato dato al mondo da Lenin a Brest-Litovsk, disarmo il cui valore rivoluzionario è infinito, non crediamo che la vostra Francia potrà mai seguire un simile esempio; Il. in quanto, per la maggior parte che sarà mobilitata e destinata ufficialmente a rivestire l'ignobile cappotto blu aviazione, respingiamo per l'avvenire, con energia e in tutti i modi, l'idea di sottomissione a tale ordine, dato che per noi la Francia non esiste; III. è ovvio che, in tali condizioni, noi approviamo pienamente e controfirmiamo il manifesto lanciato dal Comitato d'azione contro la guerra marocchina, tanto più che gli autori del manifesto sono oggetto di una azione giudiziaria; IV. preti, medici, professori, letterati, poeti, filosofi, giornalisti, giudici, avvocati, poliziotti, accademici di qualsiasi specie, voi tutti firmatari dello stupido documento: « Gli intellettuali a fianco della Patria », noi vi denunceremo e vi confonderemo in ogni occasione. Cani ammaestrati a bene approfittare della patria, da niente altro siete mossi se non dal pensiero di rodere questo osso; V. noi siamo la rivolta dello spirito; consideriamo la rivoluzione cruenta come la vendetta ineluttabile dello spirito umiliato dalle vostre opere. Non siamo degli utopisti: questa rivoluzione la concepiamo solo nella sua forma sociale. Se in qualche posto esistono uomini che abbiano visto ergersi contro di loro una coalizione tale da non esserci nessuno che non li riprovi (traditori di tutto ciò che non è libertà, renitenti di ogni sorta, prigionieri di diritto comune), si ricordino che l'idea di rivoluzione è la migliore e più efficace salvaguardia dell'individuo. Georges Altman, Georges Aucouturier, Jean Bernier, Vietar Crastre, CamiUe Fégy, Marcel Fourrier, Paul Guitard, G. Montrevel. Camille Goemans, Paul Nougé. André Barsalou, Gabriel Beauroy, Émile Benvéniste, Norbert Gutermann, Henri Jourdan, Henri Lefebvre, Pierre Morhange, Maurice Muller, Georges Politzer, Paul Zimmermann. Maxime Alexandre, Louis Aragon, Antonin Artaud, Georges Bessière, Monny de Boully, Joe Bousquet, Pierre Brasseur, André Breton, René Crevel, Robert Desnos, Paul Éluard, Max Ernst, Théodore Fraenkel, Miche/ Leiris, Georges Limbour, Mathias Lubeck, Georges Malkine, André Masson, Douchan Matitch, Max Morise, Georges Neveux, Marce! Noli, Benjamin Péret, Philippe Soupault, Dédé Sunbeam, Roland Tua[, Jacques Viot. Herman Closson, Henri Jeanson, Pierre de Masso!, Raymond Queneau, Georges Ribemont-Dessaignes. «

La RévolUJtion surréa1iste », n. 5, 1925

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Dichiarazione del 27 gennaio 1925 Tenuto conto della falsa interpretazione del nostro tentativo che stupidamente si è diffusa tra il pubblico. Ci preme dichiarare quanto segue a tutti i pappagalli della critica letteraria, teatrale, filosofica, esegetica e perfino teologica contemporanea: I. Noi non abbiamo niente a che vedere con la letteratura; Ma siamo capacissimi, se occorre, di servircene come chiunque altro. Il. Il surrealismo non è un mezzo d'espressione nuovo e più facile, e neppure una metafisica della poesia; È un mezzo per la liberazione totale dello spirito

e di tutto ciò che è affine allo spirito. III. Siamo decisissimi a fare una rivoluzione. IV. Abbiamo accoppiato il termine surrealismo al termine rivoluzione unicamente per indicare il carattere disinteressato, distaccato e anche affatto disperato di questa rivoluzione. V. Non pretendiamo cambiare nulla negli errori degli uomini, ma pensiamo di potere dimostrare loro la fragilità dei loro pensieri, e come siano instabili le basi, le fondamenta su cui hanno costruito le loro case pericolanti. VI. Lanciamo alla società questo solenne avvertimento: Si guardi bene dal fare errori, dal fare uno qualunque dei passi falsi tipici del suo spirito perché non falliremo il bersaglio. VII. A ciascuna delle svolte del suo pensiero, la società ci avrà di fronte. VIII. Siamo degli specialisti della rivolta. Non c'è mezzo d'azione che non siamo capaci, all'occorrenza, di utilizzare. IX. Diciamo in maniera più particolare al mondo occidentale:

il surrealii,mo esiste Ma che cos'è dunque questo nuovo ismo che si attacca a noi? » Il surrealismo non è una forma poetica. » È un grido dello spirito che ritorna verso se stesso ed è decisissimo a frantumare, nella disperazione, le sue pastoie, e, se occorre, con martelli materiali! « «

Dall'ufficio di ricerche surrealiste 15, rue de Grenelle Louis Aragon, Antonin Artaud, facques Baron, foe Bousquet, f.-A. Bo,iffard, André Breton, fean Carrive, René Crevel, Robert Desnos, Paul Eluard, Max Ernst, T. Fraenkel, Francis Gérard, Miche/ Leiris, Georges Limbour, Mathias Lubeck, Georges Malkine, André Masson, Max Morise, Pierre Naville, Marce[ Noll, Benjamin Péret, Raymond Queneau, Philippe Soupault, Dédé Sunbeam, Roland Tua[.

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Due documenti interni I sottoscritti membri della « Révolution surréaliste », riunitisi il 2 aprile 1925, per decidere quale, tra il principio surrealista e il principio rivoluzionario, fosse il più indicato a guidare la loro azione, senza arrivare a una intesa in proposito, si sono accordati sui seguenti punti: I. ciò che predomina nel loro spirito, prima di qualsiasi preoccupazione surrealista o rivoluzionaria, è un certo stato di furore; II. pensano che nell'ambito di questo stato di furore esistano le maggiori probabilità di attingere a quella che si potrebbe definire l'illuminazione surrealista .. IV. scorgono per il momento un solo punto positivo a cui pensano che dovrebbero acconsentire gli altri membri della « Révolution surréaliste »; e il punto positivo è questo: che lo spirito è per sua essenza irriducibile e che non c'è luogo nella vita né oltre la vita, dove esso possa stabilirsi. Antonin Artaud, J.-A. Boiffard, Michel Leiris, André Masson, Pierre Naville (Comunicato scritto da Raymond Queneau) .

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L'adesione a un movimento rivoluzionario, qualunque esso sia, presuppone che si abbia fede nelle possibilità che il movimento può avere di diventare una realtà. La realtà immediata della rivoluzione surrealista non è tanto un cambiamento totale dell'ordine fisico e apparente delle cose quanto la creaz10ne di un movimento negli spiriti. L'idea di una rivoluzione surrealista qualunque mira alla sostanza profonda e alla sfera del pensiero... Mira a creare prima di tutto un misticismo di tipo nuovo ... Ogni vero adepto della rivoluzione surrealista è tenuto a pensare che il movimento surrealista non è un movimento nell'astratto, e specialmente in un certo astratto poetico, sommamente detestabile, ma che esso è realmente in grado di cambiare qualcosa negli spiriti. (Comunicato scritto da Raymond Queneau)

L'ufficio di ricerche surrealiste Il piccolo numero di appelli lanciati per invitare il pubblico a presentarsi all'Ufficio di .ricerche non sono state parole al vento. L'indifferenza che continua ad essere il baluardo più resistente delle moltitudini si trova infine ad essere forzata. Alcuni critici che ignorano tutto della questione hanno tentato, obbedendo a doveri di gruppo, di scherzare dinanzi all'audacia di questa manifestazione; altri, meglio informati, si sono inquietati; altri vi hanno visto un pericolo reale. (Certuni hanno tentato, a questo proposito, di attribuirci un successo fondato sulla curiosità; solo una pessima concezione delle nostre intenzioni può giustificare un tale stato d'animo).

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Tuttavia il numero di persone che accogliamo va aumentando ogni giorno e, nonostante che il valore dei loro tentativi sia variabile, esso comincia però a giustificare la speranza che riponiamo in quell'ignoto che ogni giorno deve rivelarsi a noi. L'Ufficio di ricerche surrealiste è aperto dall'l 1 ottobre 1924, a Parigi, in rue de Grenelle 15, tutti i giorni salvo la domenica dalle 16.30 alle 18.30. Due persone sono incaricate di assicurare il servizio ogni giorno. Parecchi comunicati sono stati mandati alla stampa, a questo· proposito, tra cui uno di cui riportiamo qui una parte e che conserva tutta la sua attualità: « L'Ufficio di ricerche surrealiste si adopera per raccogliere con tutti i mezzi idonei le comunicazioni relative alle diverse forme che può assumere l'attività inconscia dello spirito. A tale scopo nessuna sfera viene fissata a priori perché il surrealismo si propone di mettere insieme il più gran numero possibile di dati sperimentali, ad un fine che non può ancora essere chiaro. Tutte le persone che sono in grado di contribuire, in qualunque maniera, alla creazione di veri e propri archivi surrealisti, sono insistentemente pregate di farsi conoscere: ci illuminino la genesi di un'invenzione, ci propongano un sistema inedito di investigazione psichica, ci facciano giudici di coincidenze sorprendenti, ci espongano le loro idee più istintive sulla moda e sulla politica, ecc ... o, se vogliono, si diano a una libera critica dei costumi, si limitino infine a confidarci i loro sogni più strani e ciò che quei sogni suggeriscono loro. » L'Ufficio di ricerche deve essere prima di tutto un organo di collegamento. Ed è questo il significato della sua .attività. Bisogna che la curiosità che una grande quantità di persone sente nei nostri riguardi diventi interesse reale, che tutte le visite che vengono fatte all'Ufficio di ricerche diano veramente un qualche apporto nuovo. Indipendentemente dai giornalisti, le cui visite ci tengono in contatto con un pubblico molto vasto, abbiamo accolto persone con intendimenti molto diversi, tra cui parecchie ignoravano quasi tutto sulla questione del surrealismo. Incoraggiamo coloro che sono venuti a trovarci spinti solo da simpatia, senza tuttavia portare la loro totale adesione; se costoro fossero infinitamente più numerosi ci sarebbe un più gran numero ancora di individui attivi. Infine abbiamo conosciuto alcune persone i cui propositi erano estremamente simili ai nostri; esse sono già al nostro fianco, in piena attività ... Avviso

In vista di un'azione pm diretta e incisiva, si è deciso il 30 gennaio 1925 che l'Ufficio di ricerche surrealiste debba restare chiuso al pubblico. Il lavoro continuerà ma in maniera diversa. Antonin Artaud assume da questo momento la direzione di questo ufficio. Un complesso di progetti e di manifestazioni precise che i vari comitati eseguono attualmente in collaborazione con A. Artaud saranno esposti nel terzo numero della « Révolution surréaliste ».

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L'ufficio centrale, più che mai vivo, è ormai un luogo chiuso, ma bisogna che il mondo sappia che esso esiste. «

La Révolution surréaliste », n. 2, 15 gennaio 1925

A tavola Abbandonate le caverne dell'essere. Venite. Lo spirito soffia fuori dallo spirito. È ora di abbandonare le vostre case. Cedete al Pensiero-Integrale. Il Meraviglioso è alla radice dello spirito. Noi siamo dentro allo spirito, all'interno della testa. Idee, logica, ordine, Verità (con la V maiuscola), Ragione, noi consegniamo tutto al nulla della morte. Guai alle vostre logiche, signori, guai alle vostre logiche, voi non sapete fino a che punto ci può condurre il nostro odio per la logica. La vita, nella sua fisionomia detta reale, si può fissare solamente con un allontanamento dalla vita, con una sosta imposta allo spirito, ma la realtà non è qui sotto. Ecco perché non bisogna venire a infastidire in ispirito noi che miriamo a una certa eternità, surreale, noi che da tempo non ci consideriamo più nel presente, e che siamo verso noi stessi come le nostre ombre reali. Chi ci giudica non è nato allo spirito, a quello spirito che intendiamo noi e che è per noi al di fuori di ciò che voi chiamate spirito. Non si deve attirare troppo la nostra attenzione sulle catene che ci legano alla pietrificante imbecillità dello spirito. Noi abbiamo messo la mano su una bestia nuova. I cieli rispondono al nostro atteggiamento di insensata assurdità. La vostra abitudine di voltare le spalle alle questioni, non impedirà che i cieli, nel giorno stabilito, si aprano, e un nuovo linguaggio si installi in mezzo alle vostre sciocche contrattazioni, intendiamo dire le sciocche contrattazioni del vostro pensiero. Ci sono dei segni nel Pensiero. Il nostro atteggiamento di assurdità e di morte è quello della migliore ricettività. Attraverso le fessure di una realtà ormai impraticabile, parla un mondo volontariamente sibillino. Antonin Artaud «

La Révolution surréaliste », n. 3, 15 aprile 1925

Perché assumo la direzione della « Révolution surréaliste

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Siamo nel 1925. Parlo per coloro che hanno visto insinuarsi la pace, un discreto numero di governi resistere, per coloro che hanno visto allontanarsi l'ineffabile scopo che si proponevano, che hanno visto alcuni uomini e anche alcune donne cedere. I loro occhi hanno il colore della perdita del tempo. Hanno· torto costoro di non fidarsi l'uno dell'altro,

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di cercare l'uno nell'altro il punto vulnerabile? L'incognito ci salverebbe tutti, ma che farci se tra di noi c'è già chi passa per un interdetto di soggiorno e chi per un re? Non abbiamo fatto tanto da non essere considerati avanti, o indietro. L'utilità, la vaga utilità dispone di noi ingegnosamente. Ci viene attribuita una parvenza di ragione sociale. Artista è una parola che trova l'uomo da essa designato al ministero degli Esteri 1 proprio come lo trova in fondo al manifesto in cui si annuncia lo spettacolo di una compagnia teatrale in provincia; non significa niente dire: « Lei è un artista! » Perciò, qualunque cosa io faccia, qualunque sia il rifiuto che oppongo ai numerosi inviti improntati tutti a volgarità - da uno dei miei amici il divertimento pubblico si aspetta esclusivamente dei racconti, da un altro delle poesie in alessandrini, da un altro dei quadri in cui ci siano ancora uccelli in volo - e qualunque sia la mia incertezza interiore di potere mandare all'aria i piani in apparenza molto lusinghieri che saranno stati fatti su di me, anch'io sono fatto oggetto di una tolleranza speciale, della quale conosco abbastanza bene i limiti e contro la quale, nondimeno, non ho finito di insorgere. Si sa, si potrebbe sapere a quali moventi sei mesi fa hanno ceduto i fondatori di questa rivista. Per loro si trattava prima di tutto di rimediare all'insignificanza profonda che può raggiungere il linguaggio sotto la spinta di un Anatole France o di un André Gide. E che importanza ha se noi abbiamo creduto di potere ritornare alla primigenia innocenza imboccando la strada delle parole! Se peccato ci fu, esso ci fu quando lo spirito colse o credette di cogliere il pomo della « clarté ». Sopra il pomo tremava una foglia, mera ombra. Che cos'era dunque questa foglia? Su ciò tacciono tutti i capolavori letterari. Noi surrealisti lo potremmo dire senza tanti scrupoli. Per quanto mi riguarda, io provo, dinanzi a una certa maniera convenzionale di esprimersi, in cui si hanno riguardi esagerati per l'interlocutore o il lettore, il senso di un tale deterioramento dell'energia che non posso esimermi dal considerare un vigliacco colui che parla. Sarebbe già troppo capirsi sempre: uguagliarsi sempre! Il desiderio di capire, che non ho l'intenzione di negare, ha questo in comune con gli altri desideri: per durare, è necessario che sia incompletamente soddisfatto. Ora tale desiderio è proditoriamente combattuto proprio da coloro che hanno l'incarico di mantenerlo. Essi vi provvedono del resto con così poca spesa che l'intelligenza diventa incline alle soluzioni assurde. Fuori dal surrealismo ho sempre troppo bene capito le opere degli uomini, così poco le opere di Dio . ... Piuttosto di farmi capire, non c'è niente che io possa far imparare loro, sì, far loro imparare a memoria? Che bella espressione! Qui riappare l'orgoglio, il giusto orgoglio, quello che non può trionfare se non dell'innocenza. Esso viene fuori da queste righe di Antonin Artaud, di Robert

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Desnos. Non è comparabile alla vanità che dà un ragionamento impeccabile o qualche altro scherzo ben riuscito. Ma dietro l'amoralità dello stile, di uno stile che per molto tempo continuerà ad avere corso, noi denunciavamo l'amoralità dell'uomo e intendevamo fare giustizia dell'incredibile alterigia che riempie la maggior parte dei suoi libri e dei suoi discorsi. Il mistero è alla sua porta, quanto mai angoscioso, mentre egli attende ad affari di nessuna importanza, sacrifica l'interesse lontano all'interesse immediato. È il manichino che scende le scale della Borsa, dipinto in maniera perfetta da Giorgio De Chirico. Dappertutto ci troviamo alle prese con lui. Ce la prenderemo eternamente con il suo amaro egoismo. Restano da definire le condizioni della lotta, di quella lotta che abbiamo ingaggiato grazie alla giovinezza e al rischio di assoluta inoperosità che correvamo. Siamo gente in grado di misurare già il terreno conquistato e il terreno perduto. Che lo si voglia o no, la nostra volontà è stata sentita. Poco importano le riserve di scarso rilievo che non ho niente in contrario abbia ogni personalità che si trovi tra di noi. Non è men vero che di comune accordo abbiamo deciso una volta per tutte di farla finita con l'antico regime dello spirito. È questa, come d'altra parte si è avuto la compiacenza di constatare, un'impresa così ardita e che ha bisogno così profondamente della fiducia di tutti coloro che ad essa si danno che, perché essa possa mai essere condotta in porto, dobbiamo fin da ora evitare anche il minimo errore di tattica: questo per l'esterno. Quanto all'interno, sarebbe opportuno non lasciare che s'accentuino alcune divergenze di vedute, tutto sommato alquanto artificiali, ma di natura tale da paralizzare un giorno la nostra attività. Ci farebbe forse piacere sapere in che cosa siano consistite finora queste divergenze e su quale nuova intesa io possa veramente basare la presente dichiarazione. Il problema dell'oggettivazione delle idee che domina la discussione da cui siamo presi è, naturalmente, quello che ha dato luogo tra di noi alle più aspre controversie. Nella nostra epoca le idee nuove non incontrano obbligatoriamente l'ostilità generale; per questo abbiamo potuto constatare, guardandoci attorno, che il surrealismo beneficia di buon credito sia all'estero che in Francia. Si aspetta con piacere qualcosa da noi. Se i più restano scettici dinanzi alla formula « Révolution surréaliste », non ci vengono per questo negati né un certo ardore né il senso di qualche possibile saccheggio. Spetta a noi di non fare un cattivo uso di tale potere. Ma il surrealismo è una forza di opposizione assoluta, un insieme di proposizioni puramente teoriche, un sistema che poggia sulla confusione di tutti i livelli, oppure la prima pietra di un nuovo edificio sociale? A seconda della risposta che gli pare richiedere una simile domanda, ciascuno si sforzerà di far esprimere al surrealismo quanto più può: la contraddizione non è tale da spaventarci. Probabilmente abbiamo avuto un po' troppa fretta quando abbiamo decretato che alla spontaneità si

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doveva concedere ogni licenza, o che bisognava abbandonarsi alla generosità degli avvenimenti, o che c'era la possibilità di intimidire il mondo solo ricorrendo a ingiunzioni brutali. Il predominio ora dell'una ora dell'altra di queste concezioni ha avuto per effetto di sottrarci alla vista la fondatezza originaria della causa surrealista e di ispirarci uno spiacevole distacco da essa. Faccio di nuovo appello alla convinzione che qui è da tutti condivisa, e cioè che viviamo in piena società moderna ancorati a un compromesso che ci induce a giustificare qualsiasi eccesso. Chinino pure la fronte sulle nostre tombe la bellezza, la verità e la giustizia, tanto noi siamo sicuri in ogni caso di risuscitare. Sono sufficienti tutte le nostre mani aggrappate a una corda di fuoco lungo la montagna nera. Chi parla di potere disporre di noi, di farci operare a vantaggio delle abominevoli comodità terrene? Noi vogliamo, avremo l'aldilà dei nostri giorni. Basta soltanto ascoltare la nostra impazienza e restare senza alcuna reticenza agli ordini del meraviglioso. Qualunque siano i mezzi ai quali giudicheremo opportuno ricorrere, qualunque sia la falsa apparenza a cui ci condanni momentane.amente la vita, è impossibile che noi, nella fede nella sua attitudine vertiginosa e senza termine, possiamo mai demeritare dello spirito. Sia ben chiaro tuttavia che noi non vogliamo avere nessuna parte attiva nell'attentato che perpetuano gli uomini contro l'uomo. E non abbiamo nessun pregiudizio civico e, nello stato in cui si trova attualmente la società in Europa, continuiamo ad essere per il principio dell'azione rivoluzionaria, quand'anche questa avesse per punto di partenza la lotta di classe, purché solamente essa conduca molto lontano. Quand'anche il movimento surrealista dovesse soffrirne nella sua ampiezza, mi pare giusto si debba concedere ospitalità nelle colonne di questa rivista soltanto a uomini che non siano alla ricerca di un alibi letterario. Senza porvi nessun ostracismo, mi preme inoltre e prima di ogni altra cosa evitare che si ripetano quelle piccole azioni di sabotaggio che si sono già verificate in seno alla nostra organizzazione. [n cielo noi non siamo che una stella. Se su un isolotto quasi sperduto non restassimo più di un gruppetto di anime in via di liberazione e sicure, ma veramente sicure della liberazione, basterebbe perché indefinitamente facessero naufragio le belle navi. André Breton «

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Protesta contro la partecipazione di Mir6 e di Max Ernst allo spettacolo dei balletti russi.

Protesta Non è ammissibile che il pensiero sia alle dipendenze del denaro. Eppure non c'è anno che non rechi la sottomissione di un uomo che era ritenuto avversario irriducibile dèlle potenze a cui fino allora si opponeva. Poco importano gli individui che si rassegnano a tal punto da cedere alle condizioni sociali, perché l'idea a cui si appellavano prima della loro abdicazione sussiste al di fuori di loro. In questo senso la partecipazione dei pittori Max Ernst e Joan Miro al prossimo spettacolo dei balletti russi non può implicare con il declassamento di detti pittori lo scadimento dell'idea surrealista. Idea essenzialmente sovversiva che non può transigere con simili imprese il cui scopo è sempre stato quello di addomesticare i sogni e le rivolte della fame fisica e intellettuale a vantaggio dell'aristocrazia internazionale. Forse è potuto sembrare a Ernst e a Miro che la loro collaborazione con Diagilev, legittimata dall'esempio di Picasso, non avesse una conseguenza cost grave. Nondimeno essa ci pone nell'obbligo, noi che prima di ogni altra cosa abbiamo cura di mantenere fuori della portata dei negrieri di ogni specie le posizioni avanzate dello spirito, essa ci pone nell'obbligo di denunciare, senza tenere conto delle persone, un atteggiamento che fornisce degli argomenti ai peggiori sostenitori dell'equivoco morale. Si sa che diamo un'importanza molto relativa alle nostre affinità artistiche con il tale o il tal altro. Ci venga fatto l'onore di credere che nel maggio del 1926 siamo più che mai incapaci di sacrificarvi il significato che abbiamo della realtà rivoluzionaria. Louis Aragon, André Breton «

La Révolution surréaliste », n. 7, 15 giugno 1926

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Legittima difesa settembre 1926

Dal di fuori al di dentro, dal di dentro al di fuori, surrealisti, noi continuiamo a non potere esprimere se non questa ingiunzione totale e per noi senza esempi, in virtù della quale veniamo indicati per dare e per ricevere ciò· che nessuno degli uomini che ci hanno preceduto hanno dato e ricevuto, per presiedere a una sorta di scambio vertiginoso, in , mancanza del quale ci disinteresseremmo del senso della vita, non foss'altro per pigrizia, per rabbia e per dare libero sfogo alla nostra debolezza. Tale debolezza esiste: essa ci impedisce di contarci ogni volta che ce ne sia bisogno, anche in presenza di idee che siamo sicuri di non condividere con gli altri e che sappiamo abbastanza bene che a un certo grado di espressione - l'azione - ci mettono fuori legge. Senza voler offendere nessuno, voglio dire, senza annettere a ciò una speciale importanza, consideriamo la presenza di Poincaré alla testa del governo francese come un grave ostacolo in materia di pensiero, un'ingiuria quasi gratuita allo spirito, uno scherzo feroce da non lasciare passare. D'altra parte, come si sa, noi non possiamo essere sospettati di blandire l'opinione liberale di questa nostra epoca, ed è chiaro che la rovina di Poincaré ci sembra effettivamente realizzabile solo mediante la rovina della maggioranza dei suoi avversari politici. Non è men vero che sono bastati i lineamenti di quest'uomo per determinare in maniera ammirevole la nostra ripugnanza. Il sinistro « Lorenese » è già una vecchia conoscenza: avevamo vent'anni. Senza soggiacere all'inganno dei rancori personali e pur non accettando di far dipendere in ogni occasione la nostra angoscia dalle condizioni sociali esistenti, siamo costretti in ogni momento ad insorgere, e a odiare. La nostra situazione nel mondo moderno è tuttavia tale che la nostra adesione a un programma come il programma comunista, adesione in linea di massima entusiastica, nonostante si tratti evidentemente, secondo noi, di un programma minimo,1 non è stata accolta senza le più grandi riserve e tutto avviene come se essa fosse stata giudicata in fin dei conti inaccettabile. Puri come eravamo da ogni intenzione critica nei cont Mi spiego. Non abbiamo l'impertinenza di volere opporre qualche programma al programma comunista. Così com'è, esso è il solo che sembra ispirarsi con validità alle circostanw, avere una volta per tutte fissato il suo oggetto in base al! 'assoluta possibilità che ha di raggiungerlo, presentare nel suo sviluppo teorico come nella sua esecuzione tutte le caratteristiche della fatalità. Al di là non vediamo che empirismo e fantasticheria. Eppure ci sono in noi alcune lacune che tutta la speranza che riponiamo nel trionfo del comunismo non riesce a colmare: l'uomo non è un nemico per l'uomo, la noia non finirà forse solo con il mondo, non è inutile ogni sicurezza sulla vita e sull'onore, ecc.? Come evitare che tali problemi arrivino a porsi, a comportare disposizioni particolari che è difficile non prendere in consi• derazione? Disposizioni imperiose che non sempre la considerazione dei fan.ori economici ln uomini non specializzati e per loro natura poco specializzabili basta ad eludere. Se occorre ad ogni costo ottenere la nostra rinuncia. la nostra desistenza da un tale punto. prendetevele pure. Altrimenti continueremo nostro malgrado a fare delle riserve sull 'abb,rndono completo a una fede che, come ogni altra fede, presuppone un certo stato di grazia.

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fronti' del partito francese (il contrario sarebbe stato, data la nostra fede rivoluzionaria, in scarsa conformità con il nostro modo di pensare), facciamo oggi ricorso contro una sentenza così ingiusta. Dico che da più di un anno siamo fatti segno da questo lato a una sorda ostilità a cui non è sfuggita occasione per manifestarsi. Ripensandoci, non so perché dovrei astenermi ancora dal dire che « l'Humanité » - puerile, declamatorio, inutilmente cretinizzante - è un giornale illeggibile, affatto indegno della funzione educativa che pretende di svolgere nei confronti del proletariato. Dietro questi articoli letti in tutta fretta, che riducono i fatti di cronaca in maniera che non vi si può vedere oltre, che si riempiono vistosamente di particolari, che presentano le ammirevoli difficoltà russe come cose di una facilità pazzesca, che scoraggiano ogni altra attività extrapolitica che non sia lo sport, è impossibile non accorgersi che esistono in coloro che li hanno messi insieme un'estrema stanchezza e una segreta rassegnazione a ciò che, con la preoccupazione di mantenere il lettore in un'illusione più o meno generosa, è di così scarso valore. Sia ben chiaro. che io ne parlo dal punto di vista tecnico, dal solo punto di vista dell'efficacia generale di un testo o di un insieme qualunque di testi. Niente mi sembra qui concorrere all'effetto desiderabile, né ciò che c'è in superficie né ciò che c'è in profondità.2 Di sforzo reale, al di fuori del richiamo costante all'interesse umano immediato, di sforzo che tenda a distogliere lo spirito da tutto quanto non sia la ricerca della sua necessità fondamentale - e si potrebbe stabilire che tale necessità potrebbe essere solo la rivoluzione - non ne vedo alcuno così come non vedo alcun tentativo serio volto a dissipare i malintesi spesso formali, che vertono più che altro sui mezzi, e che, senza la divisione in fazioni a cui non ci si oppone per niente per via di quello che da esse può derivare, non sarebbero in grado di mettere in pericolo la causa: difesa.3 Non posso capire come sulla strada della rivolta ci siano una destra e una sinistra. A proposito della soddisfazione di quell'interesse umano immediato che è ·n solo movente o quasi che ai giorni nostri si giudica opportuno assegnare all'azione rivoluzionaria,4 mi sia permesso di aggiungere che in questa manovra ci sono, secondo me, più inconvenienti che vantaggi. Mi sembra ~he l'istinto di classe abbia da prendevi tutto quanto l'istinto

2 Eccezion fatta per la collaborazione di Jacques Doriot, di Camille Fégy, di Marce! Fourrier e di Victor Crastre, che dà ogni garanzia. 3 Credo che sia possibile conciliare a sé in una certa misura più gli anarchici che I socialisti, credo che sia necessario perdonare a certi uomini di primo piano, come Boris Souvarine, gli errori che dipendono dal loro carattere. 4 Torno a dire che molli rivoluzionari, anche di tendenze diverse, non ne concepiscono altre. Secondo Marce! Martinet (« Europe », 15 maggio) la delusione dei surrealisti è nata solo dopo la guerra, per via che avevano male al loro portafogli. « Se il tedesco avesse pagato, nessuna delusione, e il problema della rivoluzione non si sarebbe posto così come non si pone dopo uno sciopero con cui si ottiene l'aumento di quattro soldi. » Affermazione di cui noi gli lasciamo la responsabilità e la cui evidente malafede mi dispensa dal rispondere punto per punto al suo articolo.

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di conservazione individuale ha nel senso pm mediocre, da guadagnarci. Non saranno i vantaggi materiali che ognuno può sperare di trarre dalla rivoluzione a indurlo a giocare la propria vita - la propria vita sulla carta rossa. Inoltre bisognerà che ci siano per lui tutte le ragioni per sacrificare il poco che può mantenere al niente che rischia di avere. Tali ragioni le conosciamo perché sono anche le nostre. Sono, penso, quelle di tutti i rivoluzionari. Dall'esame di queste ragioni potrebbe venire fuori un'altra luce, diffondersi un'altra fiducia, luce e fiducia diverse da quelle a cui la stampa comunista vuole abituarci. Lungi da me il progetto di distogliere per quanto poco l'attenzione che i problemi attuali esigono dai dirigenti responsabili del partito francese, mi limito a denunciare i torti di un metodo di propaganda che mi sembra deplorevole e per la cui revisione i rimedi da apportare non possono, secondo me, essere né troppi, né troppo rapidi. · Senza alcuna presunzione ma anche senza timidezza vado sviluppando queste poche osservazioni. Anche dal punto di vista marxista non possono essermi ragionevolmente proibite. L'azione dell'« Humanité » è lungi dall'essere irreprensibile. Ciò che vi si legge non è sempre fatto per avvincere e a maggior ragione per tentare. Meno che altrove vi si trovano le vere correnti del pensiero moderno. La vita delle idee è quasi nulla. Tutto finisce in vaghe condoglianze, in denigramenti oziosi, in piccole conversazioni. Di tanto in tanto appare qualche sintomo più caratteristico di impotenza: si procede per citazioni, ci si fa scudo delle autorità, all'occorrenza si giunge perfino a riabilitare traditori come Guesde e Vaillant. Si deve per forza passare sotto silenzio questi fatti? In nome di che cosa? Dico che la fiamma rivoluzionaria si accende dove vuole e che non spetta a un piccolo numero di persone, nel periodo di attesa che viviamo, stabilire che può accendersi qui o là solamente. Bisogna essere molto sicuri di sé per una simile decisione, e l'« Humanité », limitata com'è a esclusive di ogni tipo, non è tutti i giorni il bel giornale infuocato che vorremmo avere tra le mani. Tra i servizi, a proposito dei quali non so quale forma ristretta riduca tale giornale ad essere l'eco quasi inintelligibile della grande voce di Mosca, ci sarebbero i nostri servizi stessi che, per quanto speciali, gli apparterrebbero interamente e di cui mi piacerebbe dire una parola. Se il nostro contributo all'azione rivoluzionaria fosse in questo senso gradito, saremmo i primi a non volere oltrepassare i limiti che comporta e che sono in rapporto con i nostri mezzi. Non sarebbe forse troppo chiedere di non essere considerati come una quantità da trascurare. Se alcuni hanno il diritto oggi di servirsi di una penna, senza metterci in mezzo il minimo amor proprio professionale, e non foss'altro perché sono i soli ad avere bandito il caso dalle cose scritte - ogni forma di caso: fortuna e sfortuna, profitti e perdite - questi siamo noi, mi pare, noi che d'altra parte non scriviamo più gran che e che lasciamo a gente

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un giorno più libera di noi l'incarico di un apprezzamento. Non c'era niente da fare per me nel 1926, neppure da rispondere a questa lettera di Henri Barbusse:

· Caro collega, ho assunto la direzione letteraria del giornale l'« Humanité ». Vogliamo farne un vasto organo popolare la cui azione si eserciti su tutti gli ampi settori dell'attività e del pensiero contemporanei. In particolare l'« Humanité » pubblicherà ogni giorno una novella. Le chiedo se vorrebbe offrire in linea di massima la sua collaborazione al nostro giornale per questa rubrica. Inoltre Le sarei grato se avesse la cortesia di suggerirmi proposte e idee relative a campagne di stampa che rientrano nel quadro di un grande giornale proletario destinato a illuminare e a istruire le masse, a contenere la doverosa requisitoria contro le tendenze retrive, le manchevolezze, gli abusi, le perversioni della «cultura» attuale e a preparare l'avvento di una graJ1,de arte umana e collettiva che ci sembra debba imporsi sempre più nei giorni in cui siamo. Anche con la migliore volontà non posso sottomettermi a ciò che Barbusse mi chiede. Potrei probabilmente cedere alla voglia di suggerire proposte e idee all'« Humanité » per delle campagne di stampa, se l'idea che Barbusse ne è il direttore letterario non mi dissuadesse completamente dal farlo. Barbusse ha scritto in passato un libro onesto intitolato Il fuoco. A dire il vero era piuttosto un lungo articolo di giornale, di incontestabile valore informativo, che restituiva la verità elementa~·e a una serie di fatti che si aveva allora tutto l'interesse di mascherare o di falsificare; era piuttosto un discreto documentario, benché inferiore a tutte le pellicole cinematografiche reali in cui sono riprodotte scene di massacri sotto l'occhio divertito dello stesso Poincaré, e della cui rappresentazione siamo stati finora privati. Il poco che conosco, del resto, di Barbusse mi conferma nell'idea che se il successo del Fuoco non fosse arrivato a sorprenderlo e non l'avesse da un giorno all'altro reso tributario della violenta speranza di migliaia di uomini che attendono, esigono quasi che égli si faccia loro portavoce, niente l'avrebbe designato ad essere l'anima di una folla, il proiettore. Ora, intellettualmente parlando, egli non è neppure, sull'esempio degli scrittori che noi surrealisti facciamo professione di ammirare, un esploratore. Barbusse è, se non proprio un reazionario, certo uno che è in ritardo, il che forse non è meglio. Non solamente è incapace di estrinsecare, come ha fatto Zola, il sentimento che può avere del male della comunità e di far passare perfino sulle pelli delicate il soffio terribile della miseria, ma anche è del tutto estraneo al dramma interiore che da alcuni anni a questa parte attanaglia un certo numero di persone e il cui esito, come un giorno si potrà vedere, interessa tutti gli uomini. Per quanto mi riguarda, l'importanza che annetto a quest'ultima parte e l'emozione che essa mi dà sono tali che non mi

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resta tempo disponibile per pubblicare delle « novelle

»,

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neppure sul-

1' « Humanité ». Io di novelle non ne ho mai scritte, non avendo né

tempo da perdere né tempo da far perdere. La novella è un genere, secondo me, sorpassato, e si sa che io la giudico non seguendo la moda, ma secondo il senso generale della domanda che subisco. Oggi, per proporsi di scrivere o per desiderare di leggere una « novella » bisogna proprio essere dei poveri diavoli. Le idiozie sentimentali hanno fatto il loro tempo, che Barbusse lo voglia o no. A parte le rubriche letterarie, le sole novelle che ammett,iamo, che conosciamo, sono quelle che I'« Humanité » ci fornisce sulla situazione rivoluzionaria, quando non si prende la briga di ricalcarle su quelle degli altri giornali. Barbusse e i suoi seguaci non riusciranno a infonderci il « vague à l'àme ». :È chiaro che per noi Barbusse rappresenta un facile avversario. Eppure ecco qui un uomo che gode, sullo stesso piano in cui agiamo noi, di un credito che non si giustifica con niente di valido: non è un uomo di azione, non è un lumin!Jre dello spirito, e non è neppure proprio niente. Con il pretesto che il suo ultimo romanzo (Les enchalnements, pare) gli ha procurato alcune lettere minatorie, si lamenta sull'« Humanité » del I e del 9 :,ettembre dell'aridità del suo compito, delle difficoltà delle sue relazioni con la gente del proletariato, « sola gente di cui conti il suffragio», alla quale egli è « profondamente attaccato», ecc., ecc, Dopo di c.:he, giunge « A proposito delle parole, materia prima dello stile», a riaprire in maniera maldestra una disputa a proposito della quale noi avremmo tutto da dire e nella quale egli non si trova per niente coinvolto: « Nel mio articolo della settimana scorsa ho accennato alla forte corrente di rinnovamento stilistico che si sta attualmente verificando e che mi sembra degna di essere definita rivoluzionaria. Mi sono sforzato di mostrare che tale rinnovamento, che disgraziatamente 5 è limitato al solo piano della forma, nella zona superficiale del modo d'espressione [?] sta modificandu l'intero volto della letteratura». Come sarebbe a dire? Mentre noi non abbiamo mai cessato di avere tante precauzioni per potere restare padroni delle nostre ricerche, ecco che arriva un tizio qualunque che, con un'intenzione di creare confusione che mi spiego anche troppo bene, equipara il nostro atteggiamento, e al di là del nostro atteggiamento; l'atteggiamento di Lautréamont, per esempio, a quello degli uomini di lettere a cui preme a Henri Barbusse di fare cosa gradita. Cito le seguenti righe del « Bulletin de la vie artistique » del I agosto: « Tutta l'attività surrealista non si riduce al solo automatismo. Essi si servono della scrittura in maniera del tutto volontaria e contradditoria rispetto all'idea che di questo automatismo hanno, e per scopi che non è qui il caso di esaminare. Si può semplicemente constatare che i loro atti, e la loro pittura che trova in ciò la sua collocazione, appar-

' Questo « disgraziatamente » è tutto un poema.

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tengono a quella vasta impresa di ri-creazione dell'universo per cui si sono interamente sacrificati Lautréamont e Lenin». Non si potrebbe, mi sembra, dire meglio, senza contare che l'accostamento dei due nomi che registra l'ultima frase non può passare né per arbitrario né per faceto. Questi nomi non ci sembra possano essere messi l'uno di fronte all'altro, e speriamo proprio di fare capire perché. Barbusse dovrebbe stare più attento, così eviterebbe di abusare della fiducia dei lavoratori come fa invece quando si mette ad elogiare Paul Claudel e Cocteau, autori di spregevoli poemi patriottici, di professioni di fede cattoliche disgustose, ignobili approfittatori del regime e controrivoluzionari di prim'ordine. Sono, dice lui, degli «innovatori», ciò che nessuno penserebbe di scrivere di Barbusse, questo vecchio e notissimo scocciatore. Passi pure per Jules Supervielle e Luc Durtain che, secondo lui, rappresentano con grandissima aut"rità e valore le nuove tendenze: sapete, Jules Supervielle e Luc Durtain, questi « due scrittori di spicco in quanto scrittori» (sic), ma Cocteau, ma Claudel! Perché no, per un redattore politico dell'« Humanité »,. in occasione del prossimo monumento ai caduti, un'apologia imparziale anche del talento di Poincaré? Se non fosse un mistificatore della peggiore specie, Barbusse farebbe anche finta di credere che il valore rivoluzionario di un'opera e la sua apparente originalità fanno tutt'uno. Dico: originalità apparente, dal momento che il riconoscimento dell'originalità delle opere di cui si tratta non potrebbe che istruirci sull'ignoranza di Barbusse. Sia chiaro che la pubblicazione sull'« Humanité » dell'articolo « A proposito delle parole, materia prima dello stile », vale per me come segno dei tempi e merita di essere segnalato in quanto tale. È impossibile fare opera peggiore per dove si passa (dico bene: per dove si passa) di quella fatta da Barbusse. Noi abbiamo sempre dichiarato e sosteniamo che l'emancipazione dello stile, realizzabile fino a un certo punto nella società borghese, non può consistere in un lavoro di laboratorio che verta astrattamente sulle parole. In questo campo come in un altro, ci sembra che solo la rivolta sia creatrice e per questo riteniamo che tutti gli argomenti relativi alla rivolta siano buoni. I più bei versi di Hugo sono quelli di un indomabile nemico dell'oppressione; Borel, in un ritratto che illustra uno dei suoi libri, ha un pugnale in mano; Rabbe si sentiva « un soprannumerario della vita». Baudelaire malediva Dio e Rimbaud giurava di non essere al mondo. Non c'era possibilità di salvezza per la loro opera al di fuori di lì. Solo sapendo questo possiamo, nei nostri confronti, considerarli sdebitati. Ma quanto a lasciarci mettere in soggezione da ciò che tende oggi a presentarsi esteriormente sotto lo stesso profilo di quelle opere senza offrircene in sostanza l'equivalente: questo mai. Proprio di sostanza infatti si tratta, e di sostanza da prendersi anche nel significato filosofico di necessità realizzata. Solo la realizzazione della necessità è di ordine rivoluzionario. Non si può dunque permettere di dire che un'opera sia di essenza rivoluzionaria se non quando, contrariamente a quanto avviene

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per quelle che ci raccomanda Barbusse, la « sostanza » in questione non vi faccia assolutamente difetto. Solo in un secondo momento si può passare alle parole e ai mezzi più o meno radicali indicati per operare su di esse. A dire il vero, l'operazione è in genere un'operazione inconscia - in coloro che hanno qualcosa da dire, naturalmente - e bisogna essere il più stupido degli stupidi per accordare una qualche attenzione alla teoria futurista delle « parole in libertà», fondata sull'infantile credenza nell'esistenza reale e indipendente delle parole. Questa teoria è anzi un esempio flagrante di quello che può suggerire all'uomo che abbia la passione soltanto della novità, l'ambizione di assomigliare ai grandissimi e nobilissimi uomini che l'hanno preceduto. È noto che a questa teoria come a molte altre non meno incerte, noi abbiamo contrapposto la scrittura automatica che introduce nel problema un dato di cui non si è ancora sufficientemente tenuto conto, ma che in una certa misura fa in modo che il problema non si ponga. Finché non si porrà, staremo attenti tuttavia per impedire che non venga semplicemente eluso. Per noi non si tratta affatto di ridestare le parole e di sottoporle a una sapiente manipolazione per farle servire alla creazione di uno stile, anche se interessante come si vorrebbe. Il constatare che le parole sono la materia prima è una cosa appena appena più ingegnosa del presentare le lettere come la base dell'alfabeto. Le parole, infatti, sono ben altro e forse sono anche tutto. Abbiamo pietà degli uomini che hanno capito solo l'uso letterario che potevano fare delle parole e che si vantano perciò di preparare « la rinascita artistica che fa pensare e fa prendere forma alla rinascita sociale del domani». Che c'importa, a noi, questa rinascita artistica? Viva la rivoluzione sociale ed essa sola! Abbiamo in sospeso con lo spirito un conto abbastanza grave, viviamo troppo male nel nostro pensiero, subiamo troppo dolorosamente il peso degli « stili » cari a Barbusse per prestare la sia pur minima attenzione a un'altra parte. Lo torniamo a dire ancora una volta, tutto quanto sappiamo è che siamo dotati fino a un certo punto della parola e che, per suo mezzo, qualcosa di grande e di oscuro tende imperiosamente a esprimersi attraverso di noi, che ciascuno di noi è stato lui stesso scelto e designato tra mille per formulare ciò che, finché viviamo, deve essere formulato. Abbiamo ricevuto quest'ordine una sola volta e non abbiamo mai avuto il tempo di discuterlo. Potrebbe sembrarci, e la cosa è anche alquanto paradossale, che ciò che diciamo non sia ciò che ci sia di più necessario da dire e che ci potrebbe essere una maniera migliore per dirlo. Ma è come se vi fossimo stati condannati dall'eternità. Scrivere, voglio dire scrivere in maniera così difficile, e non per sedurre, e non, nel senso con cui lo si intende di solito, per vivere, ma, pare, tutt'al più per bastare moralmente a se stessi, e non potendo restare sordi a un singolare e instancabile richiamo, scrivere così non vuol dire né giocare né barare, che io sappia. Forse abbiamo avuto solamente l'incarico di liquidare una successione

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spirituale, rinunciare alla quale sarebbe interesse di· ognuno, tutto qui. Noi deprechiamo con grande rammarico che dalla completa perversione della cultura occidentale derivi oggi l'impossibilità, per chi parli con un certo rigore, di farsi capire dalla maggior parte di coloro per cui parla. Sembra ormai che tutto impedisca loro di raggiungersi. Ciò che viene pensato (per la sola gloria di essere pensato) è diventato quasi incomprensibile per la massa della gente, ed è per essa pressappoco intraducibile .. A proposito della possibilità generale di comprensione di certi testi, poteva anche trattarsi di iniziazione. Eppure si tratta sempre della vita e della morte, dell'amore e della ragione, della giustizia e del crimine. La partita non è priva di interesse. Tutto il significato di questa mia critica sta qui. Non so, lo ripeto umilmente, come si possa sperare di eliminare nella nostra epoca il malinteso, quanto mai angoscioso, che risulta dalle difficoltà in apparenza insuperabili legate all'oggettivazione delle idee. Noi ci eravamo. di nostra iniziativa, collocati al centro di questo malinteso, con la pretesa di sorvegliare che non si aggravasse. Dal solo punto di vista rivoluzionario, la lettura dell' « Humanité » tenderebbe a dimostrare che avevamo ragione. Pensavamo che rientrasse nelle nostre funzioni denunciare nel giornale le imposture e le deviazioni che ci fossero apparse come più caratteristiche e pensavamo anche che, non avendo nulla da guadagnare a porci direttamente sul terreno politico, potevamo perciò, in fatto di attività umana, usare a buon diritto del richiamo ai principi e fare del nostro meglio per servire la causa della rivoluzione. Dal seno del partito comunista francese non si è cessato di disapprovare più o meno apertamente questo atteggiamento, e anche l'autore di un opuscolo apparso recentemente con il titolo: La Révolution et les intellectuels. Que peuvent faire les surréalistes?, che tenta con la massima imparzialità di definirlo dal punto di vista comunista, ci accusa di oscillare ancora tra l'anarcilia e il marxismo e in qualche modo ci dà l'aut-aut. Ecco qui, per altro, l'interrogativo fondamentale che ci pone: « Sì o no, questa rivoluzione auspicata è quella dello spirito a priori o quella del regno dei fatti? È legata al marxismo oppure alle teorie contemplative, alla purificazione della vita interiore? ». L'interrogativo ha una forma molto più sottile di quanto non appaia, nonostante la principale astuzia mi sembri risiedere nella contrapposizione tra realtà interiore e regno dei fatti, contrapposizione del tutto artificiale che cade a una prima disamina. Sul piano dei fati i nessun equivoco è possibile da parte nostra: non c'è nessuno tra di noi che non si auguri che il potere passi dalle mani della borghesia a quelle del proletariato. Intanto, non è per questo meno necessario, secondo noi, continuare con le esperienze della vita interiore. e ciò, ben s'intende, senza alcun controllo, neppure marxista. Il surrealismo, del resto, non tende forse, al limite, a fare di questi due stati un solo stato, facendo giustizia della loro presunta inconciliabilità pratica, con tutti i mezzi, a cominciare dal più primitivo di tutti, il cui impiego

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incontrerebbe difficoltà ad essere legittimato se così non fosse: intendo parlare del richiamo al meraviglioso? 6 Ma finché la fusione dei due stati in questione resta puramente ideale, finché non è permesso di dire in quale misura essa si opererà alla fine per ora siamo in grado di indicare la sua concepibilità - non c'è motivo di essere in contraddizione con noi stessi a proposito delle varie accezioni che siamo portati a dare a certe parole, a certe parole-cuscinetto del tipo «Oriente». Questa parola infatti che, come molte altre parole, si muove tra un senso proprio e parecchi sensi figurati, e naturalmente anche tra diversi controsensi, viene sempre più pronunciata da qualche anno a questa parte. Mi sa che essa corrisponde a un'inquietudine particolare di questo nostro tempo, alla sua più segreta speranza, a una previsione inconscia; non è possibile che essa ritorni con tanta insistenza proprio per niente. Rappresenta da sola un argomento che è valido come può esserlo un altro, e i reazionari del nostro tempo lo sanno benissimo, loro che non si lasciano sfuggire occasione per chiamare in causa l'Oriente. « Troppi segni » scrive Massis « ci fanno temere che le dottrine pseudoorientali, arruolate al servizio delle potenze del disordine, non servano in fin dei conti che a riaccendere i dissensi che, dopo la Riforma, hanno investito lo spirito dell'Europa, e che l'asiatismo, come il germanismo di qualche tempo fa, non sia se non il primo messaggio dei Barbari. » Valéry insinua che « i Greci e i Romani ci hanno fatto vedere come ci si comporta con i mostri dell'Asia». È un ventre a parlare: « D'altra parte, in queste materie, il problema sta tutto nel digerire». Per Maurt'as, ci confida Albert Gareau, ogni forma contraria alla ragione viene dalle torbide potenze dell'Oriente. « Tutte le grandi catastrofi della nostra storia, tutte le grandi inquietudini vengono interpretate in base ai calori che vengono dai miasmi ebraico e siriano, in base all'indomabile follia dell'Oriente e alla sua religione sensitiva, e in base al gusto per la tempesta proposto così alle menti affaticate. >> Perché, in queste condizioni, continueremo a fare appello all'Oriente, anzi allo « pseudo-Oriente » al quale il surrealismo consente solo di rendere omaggio, così come l'occhio si fissa sulla perla? Tagore, che è un cattivo rappresentante dell'Oriente, pensa che « la civiltà occidentale non morirà se cercherà fin d'ora L'impostazione di questo studio non si presta a dilungarsi sull'argomento. Resta ancora da dimostrare che il surrealismo non si è proposto allro scopo? È ora, continuiamo ad affermarlo con veemenza, è più che mai ora che lo spirito riprenda in esame certe contrapposizioni concepite in termini meramente formali quali la contrapposizione tra atto e parola, tra sogno e realtà, tra presente, passato e futuro. La fondatezza di tali distinzioni, nelle deplorevoli condizioni dl esistenza che offre l'Europa agli inizi del XX secolo, non è più sostenibile neppure un istante neanche dal punto di vista pratico. Perché non mobilitare tutte le potenze dell'immaginazione per porvi rimedio? Se la poesia, con noi, ci guadagna: tanto meglio o tanto peggio, ma non sta qui il problema. Noi siamo, d'accordo con il conte Hermann Keyserling, sulla via di una metafisica monotona. « Essa non parla mai dell'essere uno, in cui Dio, l'anima e il mondo si congiungono, dell'uno che è l'essenza più profonda di ogni molteplicità. Essa è anche soltanto intensità pura; mira alla vita stessa, questo inobiettivo da cui gli oggetti scaturiscono come avvenimenti casuali ...

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l'armonia rotta a vantaggio della sua natura materiale». Sia detto tra noi, la cosa è impossibile, ed ecco qui una civiltà bell'e spacciata. Ciò che non possiamo accettare, dico, ed è qui tutto il senso di questo mio articolo, è affermare che l'equilibrio dell'uomo, rotto, è vero, in Occidente a vantaggio della sua natura materiale, si possa sperare di ritrovarlo con il consenso di nuovi sacrifici alla sua natura materiale. Eppure è quanto pensano in buona fede certi rivoluzionari, in special modo all'interno del partito comunista francese. Esiste una sfera morale in cui i simili non sono guariti dai simili, in cui l'omeopatia non vale nulla. I popoli occidentali non possono salvarsi con il « macchinismo » - la parola d'ordine elettrificazione ha voglia di essere all'ordine del giorno -, non sfuggiranno con ciò al male morale che li va distruggendo. Io sono d'accordissimo con l'autore del manifesto La Révolution et [es intellectuels che « lo stato di salariato è una necessità materiale a cui sono soggetti i tre quarti della popolazione mondiale, e non ha nulla a che vedere con le concezioni filosofiche dei sedicenti orientali o occidentali » e che « sotto la ferula del capitale, sia gli uni che gli altri sono solo degli sfruttati » ma non posso condividere la conclusione che trae, e cioè che « le controversie dell'intelligenza sono assolutamente inutili dinanzi a una tale uniformità di condizione». Ritengo, al contrario, che l'uomo debba meno che mai rinunciare al suo potere di discriminazione; che il surrealismo dottrinario cessi precisamente qui di essere valido, e che a un esame più approfondito, che merita di essere tentato, Io stato di salariato non può essere considerato la causa efficiente dello stato di cose che stiamo sopportando; che esso dovrebbe ammettere un'altra causa, per ricercare la quale l'intelligenza, e in particolare la nostra intelligenza, ha il diritto di venire sfruttata.7 Ci rammarichiamo di incontrare in questo senso un gravissimo ostruzionismo. Passi pure se fossimo almeno sospettati di passività nei confronti delle svariate imprese di brigantaggio capitalista, ma neppure di questo si tratta. Noi non difenderemmo per niente al mondo un pollice del territorio francese, mentre difenderemmo in Russia e in Cina fino alla morte anche la più piccola conquista del proletariato. Trovandoci qui, aspiriamo li fare il nostro dovere rivoluzionario come altrove. Se manchiamo forse di spirito politico, nessuno può, però, rimproverarci di

7 Non si tratta per niente di chiamare in causa il materialismo storico, ma di chiamare in causa una volta di più il materialismo in generale. ~ proprio necessario ricordare che, nella mente di Marx e di Engels, il primo è nato dalla negazione esasperata, definitiva del secondo? Non sono ammesse confusioni di sorta in proposito. Secondo noi, l'idea del materialismo storico, di cui pensiamo meno che mai di contestare il carattere geniale, può reggersi e, ciò che più conta, esaltarsi nel tempo, può anche costringerci a considerare concretamente le sue conseguenze, solo se essa si oppone senza timore a tutte le idee antagonistiche, a cominciare da quelle che ha dovuto superare per potere essere e che tendono a manifestarsi sotto nuove forme. Ci sembra che siano queste ultime ad aprirsi sornionamente una strada nella mente di certi dirigenti del partito comunista francese. ~ possibile chiedere loro di meditare le pagine terribili di Théodore Joulfroy: Comment /es dogmes fìnissent?

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vivere ritirati nel nostro pensiero come in una torre attorno alla quale gli altri stanno facendo a fucilate. È sempre stato di nostr-o gradimento non volere mai entrare in questa torre, e non permetteremo neppure di esservi rinchiusi dentro. Può darsi, infatti, che il nostro tentativo di cooperazione durante l'inverno 1925-1926 con i più attivi membri del gruppo « Clarté », in vista di un'azione esterna ben definita, si sia concluso praticamente con un insuccesso, ma se l'accordo tentato non ha potuto realizzarsi, nego che sia « per l'incapacità di risolvere la profonda antinofuia che è alla base del pensiero surrealista ». Credo di avere fatto capire come questa antinomia non esista. Tutto ciò che ha provocato l'urto tra gli uni e gli altri è stato il timore di cozzare contro i veri piani dell'Internazionale comunista, e inoltre l'impossibilità di non volere « conoscere se non la consegna » davvero sconcertante del partito francese. Ecco in sostanza perché non si è pubblicato « La guerre civile». Come sfuggire alla petizione di principio? Mi è stato inoltre assicurato, con piena cognizione di causa, che sto commettendo un errore attaccando, dall'esterno del partito, la redazione di uno dei suoi organi, e mi è stato fatto notare che questa mia azione, in apparenza ben intenzionata e perfino lodevole, era di natura tale da fornire degli argomenti ai nemici del partito, che io stesso giudico essere, dal punto di vista rivoluzionario, la sola forza su cui si possa contare. La cosa non mi era sfuggita, e posso dire che per questo ho esitato un bel po' prima di parlare, e per questo mi sono deciso a farlo a malincuore. Ed è vero, rigorosamente vero, che una tale discussione, che si propone niente po' po' di meno che di colpire il partito, si sarebbe dovuta continuare all'interno del partito stesso. Ma proprio i membri del partito hanno confessato che questa discussione sarebbe stata quanto più possibile abbreviata, ammesso e non concesso che fosse stato permesso di iniziarla. Non c'era per me, per coloro che la pensano come me, niente da aspettarsi, per l'esattezza. A questo proposito mi era noto fin dall'anno scorso come dovevo comportarmi, per questo ho ritenuto inutile farmi iscrivere al partito comunista. Non voglio essere arbitrariamente respinto all'« opposizione » di un partito al quale, a parte ciò, dò la mia adesione con tutte le forze, ma in merito al quale penso che, avendo dalla sua la ragione, dovrebbe, se fosse meglio guidato, se fosse veramente se stesso, sul piano in cui si pongono i miei interrogativi, avere una risposta per tutto. Termino aggiungendo che, nonostante tutto, questa risposta io la sto sempre aspettando. Non sono in procinto di volgermi da un'altra parte. Mi auguro solamente che per l'assenza di un gran numero di uomini come me, impediti da motivi altrettanto validi, le file di coloro che preparano debitamente e in pieno accordo la rivoluzione proletaria, non siano ancora meno numerose, soprattutto se si introducono tra di esse dei fantasmi, cioè degli esseri sulla cui realtà c'è da ingannarsi e che, di questa rivoluzione, non vogliono saperne. [ ... ] Legittima difesa? André Breton

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André Breton: articolo per Capitale de la douleur di Paul Éluard. Paul muard

Capitale de la douleur Répétitions - Mourir de ne pas mourir Les petits justes - Nouveaux poèmes

Su mille righe di punti che non si vedono si apre e si chiude il grande libro di Paul l!luard: Capitale de la douleur. Che cosa è mai successo, che cosa succederà, o amici miei, checché ne pensiamo noi? Essere o non essere, ci si comincia ad accorgere che non è questo il problema. Ed ecco qui, indubbiamente, la prima opera che non sia più o meno costruita su questo falso e persistente dilemma. Capitale de la douleur si rivolge a coloro che da molto tempo non sentono più - si vantano o si nascondono di non sentire più - il bisogno di leggere: o perché hanno rapidissimamente fatto il giro di ciò che poteva essere loro offerto in questo modo e che considerano un onore non incoraggiare i giochi letterari, o perché continuano senza speranza a non lasciare allontanare da sé un'idea o un essere a cui altri non hanno potuto necessariamente accostarsi, o perché per altri motivi, a una certa ora deUa loro vita, sono propensi a sacrificare in sé la facoltà di appren.dere al potere di dimenticare. Il miracolo di questa poesia è di confondere tutti questi segreti in uno solo, che è il segreto di l!luard e che acquista i colori dell'eternità. Com'è vero che questa raccolta regge e spinge al confronto con le più alte opere, così è altrettanto vero che alla sua luce, a differenza di qualsiasi altra azione, la contemplazione cessa di nuocere a se stessa, il tormento umano di implorare misericordia e le cose immaginate di essere un pericolo per le cose vissute: più ancora· della scelta che Paul :Éluard impone a tutti e che è quella, meravigliosa, del modo· con cui accoppia le parole, nell'ordine in cui le accoppia - scelta che si opera d'altra parte attraverso lui e non scelta, per essere esatti, operata da lui - me la prenderei con me, suo amico, se in lui non lodassi solamente e senza mezzi termini i vasti, i singolari, i bruschi, i profondi, gli splendidi, gli strazianti moti del cuore. Capitale de la douleur. Sarebbe, credo, uno scandalo per certuni se la passione e l'ispirazione fossero persuase che non hanno bisogno che di sé. André Breton

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Protesta di Aragon, Breton, Eluard contro una ristampa dei Chants de Maldoror da parte di Philippe Soupault, escluso qualche tempo prima dal movimento.

A proposito di una ristampa

Lautréamont per e contro tutto Tutte le ricerche su Lautréamont sono state inutili. Il 2 aprile del 1921, Félix Valloton, autore di un profilo di Lautréamont apparso nel Livre des masques, ci scriveva: « Questo profilo è una pura invenzione, fatto senza alcun documento - nessuno, nemmeno de Gourmont, ha una sia pur minima idea chiara sul personaggio. Eppure so che si fecero delle ricerche. Si tratta quindi di un'immagine di pura fantasia, ma le circostanze hanno finito col darle corpo, per cui essa viene considerata in. generale come verisimile». L'ombra non ha fatto che estendersi a mano a mano che si riesumavano nuove « opere » di Lautréamont, non foss'altro le Poésies e alcune lettere che non permettono, se non con grande malafede, di passare all'ordine del giorno. L'immagine meramente fantastica ha finito col trionfare sull'immagine vera, quella cioè che sarebbe sfuggita alle contingenze del tempo, degli umori e della lettura. La lunga serie dei profili di Lautréamont, di cui nessuno dal vero, si assomigliano tutti. L'autore dell'ultimo in ordine di tempo, Philippe Sotipault, ce ne ha dato una. riprova. Philippe Soupault lo conosciamo da troppo tempo. Il suo nome, sempre più degno di sprezzo, apparirà sulla copertina di tutti quei libri che credevamo chiusi per sempre nei nostri confronti. Non si cessa di pubblicare le opere complete di ognuno e l'umanità è messa così nel sacco. Quelle del conte di Lautréamont (ma io mi vedo vivere, tu ti vedi vivere, essi muoiono, noi siamo trasparenti come se

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Lauti:éamont avesse mille anni) queste opere vengono pubblicate per la sesta e ultima volta.1 Tutti gli studi, tutti i commenti, tutte le annotazioni del passato, del futuro, ripresi da Philippe Soupault. « Attacca maestro». Ma che razza di musica! La fine del XIX secolo, i cancellieri, l'esotismo, il bizzarro, le case signorili, Edgar Quinet, le citazioni lacrimose, l'ncole Polytechnique, la stupida nostalgia delle donne e del resto, Ducaise, Ducaire, Dutiers o Duquart, quelle « grandi farfalle che ancor oggi si chiamano prostitute », ciò che si fa in meno o in più di un anno, la disperazione degli inquilini, le tazzine di caffè e quella grande tazza che è il mare, sapere dove si va, la critica letteraria, il male fatale del genio, un Plutarco per scrivere Le vite degli editori illustri, le offerte più seducenti delle richieste, i traslochi, la grossa signora Lacroix, la morale che può far pensare a quella di Robespierre o di Saint-Just ma non a una delle due, i funerali senza seguito che procedono al gran trotto e in cui si arriva in ritardo, la mancanza di una cartella personale in questura, tutto questo, tutto questo, tutto questo perc4é siamo dei vigliacchi, dei vigliacchi come il prefatore, perché il nostro cuore si consumi salendo i gradini·, perché la porta sia chiusa, perché raschiamo la parte alta dei muri con le nostre lingue e perché l'effrazione si fermi qui, tutto questo circonda il libro, lo nasconde, lo insozza, lo rende banale, lo soffoca, sotto le basse passioni di quelli che lo leggono, con tradimento da parte di coloro che fingono di capirlo, dietro il distacco gratuito di coloro per i quali non è fatto. Certi rivoluzionari dilettanti non hanno altro desiderio che non sia quello di servirsi oggi di tutto quanto ci aiuta a vivere per farci una carognata. Abusano del nostro amore per Lautréamont e della nostra speranza nel comunismo per ricondurre e l'uno e l'altra a una sola e identica espressione, in modo da discreditarli ai nostri propri occhi, in modo da lasciarci abbandonati a una sorta di punto morto da cui non possiamo più distinguere l'assoluto dal relativo. Per i nostri nemici tutto sarebbe evidentemente più comodo se tra lo spirito e la vita ci fosse solo da superare un ponte. Non è così, invece. Poco ci importa se Lautréamont sia stato o no un militante rivoluzionario, se abbia parlato o no alle folle. Ma, fino a un supplemento di istruttoria, tutto ci induce a credere che sia bhstato disperatamente a se stesso e che inutilmente si sia voluto, finché era in vita, collocarlo sopra un podio. Ci preme far sapere come il detto Ducasse, che nelle riunioni pubbliche del 1869 prese la parola per citare le epistole di San Paolo e dare un saggio di oratoria sfruttando la mania Gnouf-gnouf non era Isidore Ducasse, quello a cui ci richiamiamo per e contro tutto. Il nostro amico Robert Desnos doveva ignorare, quando suggerì che l'autore dei Chants de Maldoror e l'oratore

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Non parliamo dell'edizione (illustrata) che sta preparando il rilegatore d'arte Blanchetière. La copia: 1200 franchi. Dinanzi a un tale prezzo ci sentiamo distruttori di libri.

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citato da Vallès in L'insurgé potevano essere la stessa persona, che il secondo era stato identificato da Charles Da Costa che lo ·aveva intimamente conosciuto così come Alphonse Humbert, Breuillé, Charles Longuet e Ménard.2 Il Ducasse in questione si chiamava Felix Ducasse (cfr. Les Blanquistes di Charles Da Costa, Librairie Marcel Rivière). Il conte di Lautréamont, che sembra non essere stato altrimenti agitato dai problemi politici, aveva quindi in comune con Félix Ducasse solo quella volgarissima omonimia a cui si ispira Soupault per « una rassomiglianza indiscutibile ». Noi diciamo che Soupault ha barato in maniera così scoperta, così miserabile, nella sola partita in cui avrebbe forse avuto il dovere di non barare. Ha barato, non per barare, ma per guadagnare ciò che, in cambio della sua peggiore rinuncia, gli concede la casa editrice Sans Pareil. Quanto? Eppure in passato si parlò di respingere la parte connessa con la povertà e di alimentare il silenzio, la sola dignità che il conte di Lautréamont meritasse. Il che equivale a dire che esisteva nel mondo un atteggiamento con cui si sfidava apertamente ogni iniziativa di volgarizzazione, di classificazione interessata, ogni manifestazione di opportunismo visto soltanto in funzione dell'eterno. Noi ci opponiamo, continuiamo ad opporci perché Lautréamont non entri nella storia, perché non gli venga assegnato un posto tra il tale e il talaltro.3 Signor Soupault, se sulla terra il posto di Lautréamont fosse pure agli angoli della terra, del fuoco, dell'aria e dell'acqua, il Suo non potrebbe essere che tra il vino e l'acqua che taglia il vino. Ma poiché il posto di Lautréamont è altrove, Lei non esiste più. Louis Aragon, André Breton, Paul Eluard

2 Erano stati condannati tutti e cinque a quindici giorni di prigione in seguito a una manifestazione organizzata in occasione dell'arrivo dell'Imperatore d'Austria a Parigi nel 1867. Per esempio, tra Baudelaire e Rimbaud (fascetta del volume delle Oeuvres complètes).

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Protesta contro l'erezione di· un monumento a Rimbaud in Charleville.

Permettete! Senza il surrealismo avrei capito meno Rimbaud. Ernest Delahaye

Parigi, 23 ottobre 1927 Signori rappresentanti delle Ardenne, Signor sindaco di Charleville, Signori notabili, Signor presidente dell'associazione dei poeti ardennesi, vi siete assunti, pare, la responsabilità di inaugurare oggi, per la seconda volta, un monumento alla memoria di Arthur Rimbaud e di organizzare quindi una piccola festa regionale. Dispiace che alla vostra impresa manchi ancora la consacrazione ufficiale, ma sarà per domani, ve lo possiamo garantire. Perché non siete riusciti a scomodare Louis Barthou, a distoglierlo, neppure per un istante, dalle grane che gli procura il comunismo, a ridestare in lui il bibliofilo che in questi ultimi tempi è scomparso un po' per lasciare posto all'uomo che rifornisce le prigioni di materiale umano? Dovete confessare, signori, che non avete scelto l'occasione adatta per abbandonarvi al delirio patriottico, visto che chi celebrate ha avuto per voi solo gesti di disgusto e parole di odio e che non può godere per sempre se non di una gloria del tutto contraria a quella de_gli scrittori morti per la Francia, questi « cavalieri dello spirito in cui si trova concentrato ciò che la Francia ha difeso nel corso dell'ultima guerra ». 1 E vero che non sapete chi sia Rimbaud e che glielo mostrate ancora una volta con chiarezza:

Tra le cittadine di provincia la mia città natale è idiota a un livello superiore, su di ciò, come vede, non ho più illusioni. Perché è vicino a Mézièref - una città che non si trova - perché vede andare su e giù per le sue strade due o trecento reclute, questa popolazione bigotta, con un po' dello spadaccino borioso, gesticola in maniera ben diversa dagli assediati di Melz o di Strasburgo! È spaventoso il numero di droghieri in pensione che si rimettono la divisa! Sbalord'isce la natura cagnesca dei notai, dei vetrai, degli esattori, dei falegnami, e di tutta la razza panciuta, che, chassepot sul cuore, fanno del pattugliottismo alle porte di Mézières; la mia patria è in piedi! Io preferisco vederla seduta; lasciate in pace gli stivali! È il mio principio. · 15 agosto 1870 1

Herriot.

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Siamo curiosi di sapere come farete a conciliare nella vostra città la presenza di un monumento ai caduti per la patria con quella di un monumento alla memoria di un uomo in cui si trova incarnata la più alta concezione del disfattismo, di quel disfattismo attivo che in tempo di guerra mandate alla fucilazione. Guerra: Qua e là tale è lo Mi creda!

niente assedio di Mézières. Per quando? Non se ne parla... qualche franca sparatoria, abominevole prurigine di idiozia, stato d'animo della popolazione. Se ne sentono delle belle. È dissolvente.

2 novembre 1870

Mi auguro vivissimamente che le Ardenne siano occupate e angariate sempre più immoderatamente. Ma tutto ciò è ancora roba ordinaria. Giugno 1872 Ieri l'altro sono andato a Vouziers, una sottoprefettura di diecimila anime a sette chilometri da qui, per vedere i Prussmans. Mi sono risentito in forze. Maggio 1873 Comunque fosse, la Francia lo disgustava. Il suo spirito, i suoi grandi uomini, i suoi costumi, le sue leggi simboleggiavano per lui tutto quanto può esservi al mondo di più insignificante e meschino. Che orrore questa campagna francese ... Che merdume! e che mostri di innocenza, questi contadini. La sera bisogna fare due leghe, e anche di più, per bere un poco. La mother mi ha sbattuto proprio in un brutto buco.

Maggio 1873

Sempre gli stessi vegetali celtici, Arcigni, tubercolotici, ridicoli, Su cui il ventre dei cani bassotti Naviga in pace nei crepuscoli. Musset è quattordici volte esecrabile per noi, generazioni dolorose e in preda alle visioni, - insultate dalla sua angelica pigrizia! Oh, quegli insipidi racconti e proverbi! Oh « Les nuits », oh «Rolla», oh « Namouna », oh « La coupe »! Tutto è francese, e cioè sommamente detestabile; francese, non parigino! Ancora un'opera di quel genio antipatico che ha ispirato Rabelais, Voltaire, Jean la Fontaine! Commentato da Taine! Primaverile, lo spirito di Musset! Delizioso, il suo amore! Ecco la pittura allo smalto, la poesia solida! La poesia « francese » sarà gustata ancora per molto tempo, ma in Francia. 15 maggio 1871

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Rimbaud? Non sopportava che si salutassero i morti in sua presenza, scriveva « merde à Dieu » sui muri delle chiese; non amava la madre « inflessibile come 73 amministrazioni dai berretti di piombo». Rimbaud? Un comunardo, un bolscevico secondo la testimonianza stessa di Ernest Delahaye: Ci sono distruzioni necessarie... Ci sono altri vecchi alberi che bisogna tagliare, ci sono altre fronde secolari di cui perderemo la piacevole consuetudine. Questa società stessa. Accette, picconi, rulli livellatori passeranno su di essa. « Ogni valle sarà riempita, ogni collina abbassata, le strade tortuose diventeranno dritte e quelle accidentate piane. » Le ricchezze saranno livellate e gli orgogli individuali umiliati. Nessuno potrà più dire « lo sono più potente, più ricco ». L'invidia struggente e la stupida ammirazione saranno sostituite dalla pacifica concordia, dall'eguaglianza, dal lavoro di tutti per tutti.

Rimbaud? Visse come voi, Caropolmerdeux, cioè come non si deve vivere: s·i ubbriacava, faceva a botte, dormiva sotto i ponti, aveva i pidocchi. Ma aveva orrore del lavoro. Non lavorerò mai. Lavorare è noioso. Non lavoreremo mai, o fiumi di fuoco! Ho orrore di tutti i mestieri. Padroni e operai, tutti bifolchi, ignobili. La mano dello scrittore vale la mano del contadino. Che secolo di mani! La mia mano io non l'avrò mai.

Senza speranza alcuna, né sulla terra, né altrove, pensò solo ad andare sempre, in preda a quella noia terribile che voi non conoscerete mai; inseguiva attraverso il mondo, nei luoghi più desolati, l'immagine più desolante idi sé e di noi. Ahimè! Alla vita non ci tengo più, e se vivo, vivo perché sono abituato a vivere di fatica ... e ad alimentare in me tristezze tanto ardenti quanto assurde sotto climi atroci ... Potessimo almeno godere di qualche anno di vero riposo in questa vita; e meno male che questa vita è la sola e che sia così è una cosa ovvia, dal momento che non possiamo immaginare un'altra vita con una noia più grande di questa! Aden, 25 maggio 1881

Tutto quello su cui si basa la vostra sporca vita meschina, gli ripugnava, ci sputava sopra.

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Tutto alla guerra, alla vendetta, al terrore, Piegati, o mio spirito! Rigiriamo il ferro nella piaga: passate, Repubbliche di questo mondo! Imperatori, Reggimenti, coloni, popoli: basta!

Voi fate solo finta di aver dimenticato che egli fu contro tutto ciò che esiste. Non cercate di barare: voi non erigete una statua a un poeta « come un altro», erigete questa statua per rancore, per bassezza, per vendetta. Volete ridurre chi ammirava « il forzato intrattabile su cui si richiude sempre l'ergastolo» a un busto grottesco in un luogo ignobile: Charleville, piazza della stazione.

Per la piazza divisa in aiuole striminzite, Giardinetto dove tutto è dignitoso, alberi e fiori, Tutti i bolsi borghesi soffocati dall'afa, Vanno, il giovedì sera, stupidi e invidiosi. Per una singolare legge del ·trapasso che regola le cose di quaggiù, scriveva P. Berrichon, il monumento, .innalzato nel 1901 alla memoria di Rimbaud, si erge, tutto bronzo e granito, su quella piazza della stazione dove gli abitanti di Charleville, il giovedì, vanno più che mai ad ascoltare la banda militare; · e fu proprio la banda militare ad eseguire, alla inaugurazione del monumento, l'adattamento della sinfonia di Emile Ratez ispirata al « Bateau ivre ».

La banda militare! Avete dimenticato i cantori: « La bandiera va nel paesaggio immondo » come le vostre facce sono fatte per « il putrido bacio di Gesù ».

Sembra che l'ombra si faccia sempre più fitta sugli acquitrini dilaganti. L'ipocrisia stende l'orrida mano su uomini, da noi amati, per farli servire alla conservazione di ciò che hanno sempre combattuto. :B evidente che non ci inganniamo sulla portata di tali imprese di confisca, che non ci allarmiamo più del necessario per la vostra dimestichezza con le manovre infami, persuasi come siamo che esista una forza connessa con la realizzazione totale, in grado di far insorgere contro di voi tutto quanto al mondo sia stato veramente ispirato. Poco ci importa se si inaugura una statua a ... , se si pubblicano le opere complete di..., se si trae un qualche vantaggio dalle menti più sovversive, perché tanto il loro meraviglioso veleno continuerà a infiltrarsi eternamente nell'anima dei giovani per corromperli o per renderli più grandi. La statua che oggi si scoprirà subirà forse la stessa sorte della precedente. I tedeschi, dopo averla fatta sparire, se ne sono serviti con ogni probabilità per le loro granate; con quanto piacere Rimbaud si sarebbe

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aspettato che una di queste granate distruggesse da cima a fondo quella vostra piazza della stazione o riducesse in macerie il museo in cui vi apprestate a speculare ignobilmente sulla sua gloria. Preti, professori, padroni, sbagliate a consegnarmi alla giustizia. Non sono mai stato cristiano; sono della razza di quelli che cantavano nel supplizio; non comprendo le leggi; non ho senso morale, sono un bruto: sbagliate. Maxime Alexandre, Louis Aragon, Arp, Jacques Baron, Pierre Bernard, Jacques Boifjard, André Breton, Jean Carrive, Robert Desnos, Marce! Duhamel, Paul Eluard, Max Ernst, Jean Genbach, Camille Goemans, Paul Hooreman, Miche[ Leiris, Georges Limbour, Georges Malkine, André Masson, Max Morise, Pierre Naville, Marce! Noll, Paul Nougé, Benjamin Péret, Raymond Queneau, Georges Sadoul, Ives Tanguy, Roland Tual, P,ierre Unik.

Primo modÒ che aveva Louis Aragon di « tendere la mano » ai cattolici.

Rubava nelle chiese Il 4 settembre 1927, domenica, si poteva leggere nella terza pagina del1' « lntransigeant »: « Melun, 3 settembre (dal nostro corrispondente). La polizia ha arrestato un tizio di nome Louis Aragon, senza professione, domiciliato a Chailly-en-Bière, mentre stava rubando alcuni vasi nella chiesa di Moisenay. Era stato lui, quindici giorni fa, a rubare alcuni oggetti sacri nella chiesa di Bombon e, nel gennaio scorso, in quella di Mormant. Il ladro nega i furti di cui viene accusato, limitandosi a dichiarare che è entrato in quelle chiese per recitarvi delle preghiere e perché si interessa ai monumenti e agli oggetti artistici. » E in « Paris-Soir », allo stesso posto: I

Arresto di un saccheggiatore di chiese « Ultimamente c'è stato un furto nella chiesa di Bombon (Seine-et-Marne). Sono spariti due vasi e una giardiniera antica di porcellana. L'autore del furto, un tizio di nome Louis Aragon, domiciliato a Chailly-en-Bière, è stato arrestato e portato nelle carceri di Melun. Si pensa che sia anche l'autore dei furti commessi nelle chiese di Mormant e di Moisenay. »

Louis Aragon Traité du style, 1928

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Charlot surrealista? Perché no? Molto prima degli studiosi del « mimo geniale», André Bréton e gli amici avevano scoperto in Charlie Chaplin la rivolta « humourosa » dell'individuo contro la società.

Hands off love 1 Ciò che può essere invocato, ciò che rappresenta la forza nel mondo, ciò che è valido, difeso prima di ogni altra cosa, a spese di tutto, ciò che spinge infallibilmente contro un uomo, chiunque egli sia, la convinzione di un giudice, e pensate un po' che cosa sia un giudice, come si dipenda in ogni istante della propria vita da un giudice, a cui, improvvisamente, anche per il minimo sbaglio, si viene deferiti, insomma ciò che destina all'insuccesso ogni cosa, perfino il genio, ecco qui quanto è improvvisamente apparso in luce smagliante da un processo recente. Per la personalità del convenuto e la natura degli argomenti a cui è messo di fronte vale la pena di soffermarsi sulla denuncia della signora Chaplin, così come abbiamo potuto leggerla nel « Grand Guignol ». È chiaro che quanto segue presuppone una documentazione autentica, e, nonostante sia nei diritti di Charlie Chaplin negare i fatti addotti, le frasi riportate, tali fatti e tali frasi saranno considerati rispondenti a verità. Si tratta di vedere che cosa si trovi da contestare in un tale uomo, di prendere in considerazione i mezzi usati per sminuirlo. Questi mezzi riflettono stranamente la moralità dell'opinione media in vigore negli Stati Uniti del 1927, cioè quella di uno dei maggiori raggruppamenti umani, opinione che tenderà a diffondersi e a prevalere dappertutto, nella misura in cui l'immenso serbatoio colmo di merci dell'America settentrionale è anche un immenso serbatoio di sciocchezze sempre pronto a scaricarsi su di noi e in particolare a rendere del tutto cretina l'amorfa clientela europea, sempre alla mercé del maggior offerente. È cosa alquanto fuori dell'ordinario, se ci pensiamo, che esista un segreto professionale per i medici, segreto che non è altro, dopo tutto, che lo schermo di un falso ritegno e che, ciò nonostante, espone i suoi detentori a repressioni implacabili, mentre non c'è segreto professionale per le donne sposate. Eppure lo stato di donna coniugata è una professione come un'altra, dal giorno in cui la donna comincia a rivendicare, perché le spetta, la sua parte di alimenti e di sesso. Un uomo che la legge obbliga a vivere con una sola donna non ha altra alternativa che non sia quella di diyidere con questa donna le abitudini che gli sono proprie, di mettersi in balia di questa donna. Se essa lo espone àlle chiacchiere .della gente, come mai la stessa legge che ha concesso alla sposa i diritti più arbitrari non si ritorce contro di lei con la stessa severità che meritano un'appropriazione indebita e una diffamazione così 1

Contrariamente alla nostra prima intenzione, pubblichiamo qui sotto la versione francese del testo Hands of] love, apparso in inglese nella rivista « Transition » in cui è stato presentato secondo modalità diverse da quelle che avevamo progettato.

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evidentemente legata al più sordido interesse? E poi, come mai le abitudini sonò soggette a legislazione? Che assurdo! Se ci atteniamo agli scrupoli alquanto marginali della virtuosa e inesperta signora Chaplin, troviamo comico il considerare anormale, contro natura, pervertita, degenerata e indecente l'abitudine della fellazione 2 (Tutti gli uomini sposati lo fanno, dice egregiamente Chaplin). Se si potesse ragionevolmente iniziare una libera discussione sui costumi, sarebbe una cosa normale, naturale, sana, decente respingere la denuncia di una sposa convinta di essersi disumanamente rifiutata a pratiche tanto generali e perfettamente pure e difendibili. Come mai dinanzi a una simile stupidità, d'altro lato, non si proibisce di fare appello all'amore, come questa persona, che a 16 anni e 2 mesi contrae coscientemente matrimonio con un uomo ricco e controllato dall'opinione pubblica, osa oggi fare con i suoi due pupi, usciti forse dall'orecchio visto che il convenuto non ebbe mai con essa dei rapporti coniugali come si è soliti tra sposi, quei suoi due pupi che essa brandisce come gli sporchi corpi del reato delle proprie intime esigenze? Questi corsivi sono tutti nostri, e il linguaggio rivoltante che essi sottolineano; l'abbiamo chiesto in prestito alla querelante e ai suoi avvocati, i quali, prima di tutto, cercano di contrapporre a questo uomo pieno di vita il più ripugnante luogo comune che ricorre nelle riviste per idioti, l'immagine della mamma che chiama papà il suo legittimo amante, e ciò al solo scopo di riscuotere da quest'uomo una tassa che neanche lo stato più esigente si è mai sognato, una tassa! che pesa prima di tutto sul suo genio, che tende anzi a privarlo del suo genio e, in ogni caso, a gettare il discredito sul modo preziosissimo di esprimersi. I motivi della signora Chaplin dipendono da cinque capi principali: 1. questa signora è stata sedotta; 2. il corruttore ha voluto farla abortire; 3. si è deciso a sposarsi solo perché costretto e obbligato, e con l'intenzione di divorziare; 4. per questo egli l'ha costretta a subire un trattamento ingiusto e crudele in base a un piano ben preciso; 5. la fondatezza di queste accuse è dimostrata dall'immoralità dei discorsi che abitualmente fa Charlie Chaplin e dalle sue teorie sulle cose anche più sacre. Il reato di seduzione è di solito un concetto molto difficile da definirsi, perché ciò dhe costituisce reato non è altro, per l'esattezza, che una semplice circostanza connessa con la seduzione. L'infrazione nella quale le due parti sono consenzienti, e una sola responsabile, si complica ancora di più per il fatto che è impossibile umanamente dimostrare in quale misura ci siano state iniziativa e provocazione da parte della vittima. Ma nel nostro caso l'innocente è cascata bene; se è vero che il corruttore non aveva l'intenzione di farle fare un bel matrimonio, non è men vero che è stata lei, con tutta la sua ingenuità, ad avere il soprav-

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Per esempio.

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vento su quest'essere demoniaco. Non si può non stupirsi dinanzi a tanta perseveranza, a tanto accanimento in una persona così giovane, così inerme. A meno che non abbia pensato che il solo mezzo per diventare la moglie di Charlie Chaplin fosse quello prima di tutto di andare a letto con lui e poi... ma allora non parliamo più di seduzione, si tratta di un affare, con i suoi vari rischi, quello dell'abbandono, quello della gravidanza. Sollecitata allora ad affrontare un'operazione che essa definisce criminale, l'infelice, incinta al momento del matrimonio, rifiuta di sposarsi per ragioni che vale la pena di esaminare. Si rammarica perché il suo stato è noto al pubblico, perché il suo fidanzato ha fatto di tutto per renderlo tale. Contraddizione evidente: chi ha interesse a tale pubblicità, chi non vuole ricorrere al solo mezzo per impedire ciò che rappresenta uno scandalo in California? Ma ora la vittima è bene armata, potrà ripetere, rendere noto che si è voluto farla abortire. Ecco un argomento determinante; neanche una parola del criminale che è implicato in questo atto, il quale è un grande ,errore sociale, legale e morale e per ciò stesso ripugnante, terrificante, contrario agli istinti della madre (la querelante) e al suo senso del dovere materno relativo alla protezione e alla preservazione, neanche una parola di Charlie Chaplin sarà dimenticata. ~ stato annotato tutto, le frasi con il loro carattere familiare, le circostanze, le date alle volte; dal giorno in cui la futura signora Chapli~ ha pensato per la prima volta a vantarsi dei suoi istinti, ad atteggiarsi a monumento della normalità, eccola, nonostante abbia continuato, prima di essere legalmente sposata, ad amàre, lo sottolinea lei stessa, il fidanzato, pur con le sue orrende proposte, eccola cambiata in spia dell'intimità, eccola che scrive il diario del suo martirio, che tiene il conto esatto delle lacrime versate. Il 'terzo motivo a cui mette di fronte il marito non si dovrebbe applicare a lei al primo capo? Ha contratto matrimonio con il fermo proposito di uscirne, ma ricca e stimata? In quante al quarto punto cioè quello riguardante il trattamento subito durante il matrimonio dalla signora Chaplin, esaminiamolo in tutti i particolari: è il frutto di un tentativo di corruzione da parte di Charlie Chaplin oppure la conseguenza naturale dell'atteggiamento abituale di una donna che fa collezione di lagnanze, le cerca e ne è contenta? Notiamo di passata una lacuna: la signora Chaplin omette di indicare la data a partire dalla quale essa ha cessato di amare il marito. Ma forse lei l'ama ancora. A sostegno di quanto afferma, essa riferisce, CQJlle altrettante prove morali dell'esistenza del piano esposto nelle altre parti della denuncia, i discorsi di Charlie Chaplin, in base ai quali ogni onesto giudice americano non può più considerare il convenuto come un uomo, ma come un sacripante e un « uomo cattivo». A nessuno possono sfòggire la cattiveria e l'efficacia di una tale manovra. Ed ecco che le idee di Charlot, come si dice in Francia, sugli argomenti più scottanti ci vengono di colpo riferite, e in maniera così diretta che non può non apparirci illuminata

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da una luce singolare la moralità di quei film che abbiamo visto con estremo piacere e con un interesse quasi senza pari. Un rapporto tendenzioso, soprattutto nello stato di stretta sorveglianza in cui il pubblico americano mira a tenere i suoi beniamini, può, ne è una prova l'esempio di Fatty Arbuckle, rovinare un uomo da un giorno all'altro. È la carta giocata dalla nostra buona sposa: succede, però che le sue rivelazioni acquistano un valore diverso, un valore che lei non sospettava. Credeva di denunciare il marito, quella stupida, quella carogna. E invece ci fornisce solo una testimonianza della grandezza umana di un essere spirituale che, pensando con chiarezza, con esattezza, una grande quantità di cose mortali nella società in cui tutto, la vita e perfino il genio, lo hanno confinato, ha trovato il modo di dare un'espressione perfetta e viva al suo pensiero senza tradirlo, un'espressione il cui humour e la cui forza, la cui poesia insomma acquista d'improvviso ai nostri occhi una immensa prospettiva se vista alla luce della piccola lampada borghese che agita sopra di lui una di quelle sgualdrine con cui si fanno in ogni paese le buone madri, le buone sorelle, le buone mogli, queste impestatrici, questi parassiti di tutti i sentimenti e di tutti gli amori. Considerato che durante la coabitazione della querelante con· il convenuto, il convenuto ha dichiarato alla querelante in occasioni troppo numerose perché si possa specificarle con un maggior numero di particolari minuziosi e con maggiore certezza, di non essere un sostenitore dell'usanza del matrimonio, di non potere tollerare l'obbligo convenzionale che deriva dalle relazioni matrimoniali e di credere che una donna può onestamente dare dei figli a un uomo anche fuori dal matrimonio; considerato che egli ha anche messo in ridicolo e schernito l'attaccamento e la fedeltà della querelante ai principi morali e sociali che sono di norma dal punto di vista del matrimonio, nonché le relazioni tra i sessi e la procreazione dei figli, e che tiene in poco conto le leggi morali e le regole relative ad essa (da questo punto di vista, il convenuto disse un giorno alla querelante che una certa coppia aveva avuto cinque figli senza essere sposati, e aggiunse: «Per un uomo e una donna è proprio il modo ideale per vivere insieme ») , ed ecco per noi una lezione edificante sul punto essenziale della famigerata immoralità di Charlot. C'è da osservare che certe verità semplicissime passano ancora per mostruosità. C'è da augurarsi che tale nozione si diffonda, dato che si tratta di una nozione meramente umana, una nozione che si illumina qui del prestigio personale di colui che la incarna. Tutti, cioè tutti coloro che non sono né ipocriti né bigotti, la pensano così. Vorremmo proprio vedere se qualcuno osa sostenere, del resto, che un matrimonio contratto sotto la minaccia leghi in tutto e per tutto un uomo a una donna, pur considerando che questa gli ha dato un bambino. Venga pure a lamentarsi allora che il marito, quando rientra, va direttamente nella sua camera, riferisca pure, inorridita, che una volta è tornato a casa ubriaco, che non cenava con lei, che non la portava in società, perché tanto non c'è altro da fare che alzare le spalle.

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Eppure sembra che Charlie Chaplin, dopo tutto, pensi in buona fede a rendere possibile la vita coniugale. Ma non è fortunato, perché cozza contro un muro di stupidaggine. Tutto è criminoso per questa donna che crede o finge di credere che la sola sua ragion d'essere sia fabbricare marmocchi, che potranno a loro volta procreare. Bella idea della vita. « Che cosa vuoi fare? Ripopolare Los Angeles?», le chiede lui, esasperato. Essa avrà quindi un secondo figlio dal momento che lo esige, ma che, dopo, lo lasci almeno in pace: non vuole saperne nulla della paternità così come ·era stato del matrimonio. Invece, per fare piacere alla signora, dovrebbe andare a fare lo scemo con i pupi. Non è cosa per lui. Lo si vedrà sempre meno in casa. Lui ha un suo concetto dell'esistenza; contro questo concetto ci si batte, lo si vuole demolire. Che cosa può tenerlo legato alla vita, con una donna che non vuole niente di tutto quello che a lui piace, e che l'accusa di minare e snaturare (i suoi) impulsi morali ... di rendere immorali i suoi principi di decenza, di degradare il suo concetto delle cose morali, perché ha cercato di farle leggere dei libri in cui le cose del sesso venivano trattate con chiarezza, perché ha voluto farle incontrare certe persone che si comportavano con un po' di quella libertà di cui lei era una nemica ostinata. Ebbene, quanta cortesia ancora da parte sua, quattro mesi prima della loro separazione, quando le propone di invitare in casa loro una ragazza che ha la nomea di darsi ad atti di perversità sessuale, dicendo alla querelante che avrebbero potuto divertirsi un mondo. È l'ultimo tentativo di acclimatare questa procreatrice meccanica, di assuefarla a un comportamento naturale nell'amore coniugale. La lettura, l'esempio, ha fatto appello a tutto per far capire a questa ignorante ciò che non riusciva a capire da sé. Dopo di che essa arriva a stupirsi degli scarti di umore in un uomo la cui vita con lei è diventata un inferno. « Stai attenta che non mi capiti un giorno di diventare improvvisamente pazzo perché ti ucciderò»; non ha dimenticato di far entrare tale minaccia nella lista degli indizi a carico, ma su chi ricade però la responsabilità? Perché un uomo possa così rendersi conto. di una tale possibilità, la pazzia, l'assassinio, non deve forse essere stato sottoposto a un trattamento in grado di suscitare la pazzia, di implicare l'assassinio? E anche durante i mesi in cui la malvagità di una donna e il rischio dell'opinione pubblica lo costringono a recitare una commedia insopportabile, egli resta, pur nella sua gabbia, un uomo vivo, un uomo il cui cuore non è morto. « Sì, è vero » disse un giorno, « sono innamorato e non mi importa che lo si sappia, andrò a trovarla 'quando vorrò, che piaccia o non piaccia a lei, signora; io non amo lei, con lei vivo solamente perché ho dovuto sposarla. » Ecco qui il fondo morale di questa vita, ecco qui che cosa questa vita difende: l'amore. In tutta questa faccenda Charlot appare veramente come il difensore dell'amore, e unicamente e solamente dell'amore. Dirà alla moglie che la donna che ama è meravigliosa, vorrà fargliela frequentare, ecc. Questa franchezza, questa onestà, tutto quanto

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c'è di stupendo al mondo, tutto diventa ora un argomento contro di lui... Ma l'argomento supremo è il paio di figli nati contro sua voglia. Anche in questo caso l'atteggiamento di Charlie Chaplin è chiaro. Due volte ha pregato la moglie di abortire. Le ha detto la verità: è una cosa, che si fa, altre donne la fanno, l'hanno fatta per me. Per me vuol dire non per riguardo della gente, per comodità, ma per amore. Con la signora Chaplin era proprio inutile fare appello all'amore. La signora ha voluto i suoi figli solo per mettere in evidenza che: « il convenuto non ha mai manifestato un interesse veramente normale e paterno né alcun affetto», ci preme segnalare questa squisita distinzione, « per i due figli minori della querelante e del convenuto». I pupi! Per lui essi rappresentano forse solo un concetto connesso con la sua schiavitù, mentre per la madre sono la fonte di continue rivendicazioni. Lei vuole fare costruire per loro un'ala attigua alla casa coniugale. Charlot non vuole: « È casa mia e non la voglio rovinare». Questa risposta, superlativamente sensata, i conti del latte, le telefonate fatte e quelle non fatte, le entrate e le uscite degli sposi, il fatto che lui non veda la moglie, che gli succeda di non vedère la moglie quando questa è ìn ricevimenti con degli idioti e che la cosa gli dispiaccia, che abbia delle persone a cena, che porti con sé la moglie, che la lasci a casa tutto questo costituisce per la signora Chaplin un trattamento crudele e disumano, mentre per noi significa chiaramente che esiste un uomo deciso a demolire tutto quanto non è amore, tutto quanto in esso è ferocia e ripugnante caricatura. Più che un libro, più che tutti i libri e tutti i trattati, è la condotta di quest'uomo a fare il processo al matrimonio, alla stupida codificazione dell'amore. Ci viene da pensare a quello splendido momento di Charlot e il conte, quando, improvvisamente, durante una festa, Charlot vede passare una donna bellissima, più che mai attraente, e lascia improvvisamente l'avventura per seguire la donna di stanza in stanza, sulla terrazza, finché la donna non sparisce. Agli ordini dell'amore, sempre egli è stato agli ordini dell'amore, ecco che cosa traspare con grande uniformità e dalla sua vita e da tutti i suoi film. Dell'amore a prima vista, che è, prima di ogni altra cosa, un richiamo forte e irresistibile. Bisogna allora abbandonare ogni cosa, come per esempio, come minimo, un focolare domestico. Il mondo con f suoi beni legali, la massaia, i figli sotto la tutela dei gendarmi, la cassa di risparmio, proprio a tutto questo sfugge continuamente il ricco signore di Los Angeles come il povero in canna dei quartieri suburbani, Charlot galoppino di banca e quello della Febbre dell'oro. Tutto quanto ha in tasca, moralmente, è proprio quel dollaro di secluzione che un nonnulla gli fa perdere, e che nel caffè dell'Emigrante si vede continuamente cadere per terra da un buco dei pantaloni, questo dollaro che forse non è altro che una parvenza, tanto è facile da storcersi con un morso, pura moneta simbolica, che non verrà accettato, ma che gli dà la possibilità per un istante di invitare al suo tavolo la donna simile a una scia luminosa, la donna « meravigliosa » la cui purezza di

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lineamenti sarà per sempre e in tutto il suo cielo. Così l'opera di Charlie Chaplin trova nella sua stessa esistenza la moralità che portava continuamente espressa in sé, seppure tra tutti i sotterfugi imposti dalle condizioni sociali. Insomma se la signora Chaplin ci fa sapere, e lei sa il tipo di argomento che tira in ballo, che suo marito meditava, cattivo americano, di esportare i suoi capitali, le ricorderemo il tragico spettacolo dei passeggeri di terza classe, con tanto di etichetta come fossero animali, sul ponte della nave che porta Charlot in America, la brutalità dei rappresentanti dell'autorità, il cinico controllo degli emigranti, le mani sporche che sfiorano le donne, prima di entrare in questo paese della proibizione, sotto lo sguardo classico della Libertà che illumina il mondo. Ciò che questa libertà proietta dalla sua lanterna su tutti i film di Charlot è l'ombra minacciosa dei poliziotti, sempre a caccia dei poveri, di quei poliziotti che balzano fuori da ogni angolo di strada e sono messi subito in sospetto dallo sbrindellato abbigliamento del vagabondo, dal suo bastone da passeggio, in un curioso articolo Charlie Chapin l'aveva chiamato il suo contegno, quel suo bastone che cade continuamente, dal cappello, dai baffi, e perfino dal suo sorriso spaventato. Non lasciamoci ingannare da qualche lieto fine, perché la prossima volta lo ritroveremo alle. prese con la miseria, questo terribile pessimista che ai giorni nostri ha saputo ridare vigore a quell'espressione corrente sia in inglese che in francese che è dog's !ife, vita da cani. Vita da cani: in quest'epoca è la vita dell'uomo il cui genio non riuscirà a salvare la partita, dell'uomo a cui tutti gireranno le spalle, che verrà impunemente rovinato, che sarà privato di ogni mezzo per esprimersi, che si fa apparire immorale in maniera scandalosissima per salvare una sporca borghesuccia astiosa nonché la più grande e generale ipocrisia che sia possibile immaginare. Il genio per la legge non conta niente quando è in gioco il matrimonio, il santo matrimonio. La legge, d'altro canto, non è niente per il genio, mai. Ma l'avventura di Charlot manifesta, al di là della curiosità della gente e dei loschi cavilli dei legulei, al di là di tutte le turpi rivelazioni sulla vita intima che non manca mai di offuscarsi a questa luce sinistra, l'avventura di Charlot manifesta oggi il destino di Charlot stesso, il destino del genio. Essa ne sottolinea la funzione e il valore più di qualsiasi altra opera. Ecco che ad un tratto comprendiamo il significato del misterioso ascendente che un incomparabile potere espressivo conferisce d'improvviso a un uomo. Ecco che ad un tratto comprendiamo quale sia in questo mondo il posto del genio. Del genio che si impadronisce di un uomo per farne un simbolo intelligibile e la vittima di loschi individui. Il genio serve a mostrare al mondo quella verità morale che l'universale imbecillità oscura e tenta di annullare. Grazie dunque a colui che sull'immenso schermo dell'Occidente, da laggiù, sull'orizzonte dove i soli ad uno ad uno declinano, fa oggi passare le vostre ombre, o grandi realtà dell'uomo, realtà forse uniche, morali, il cui valore si pone più in alto del valore di tutta· la terra.

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Ai vostri piedi la terra sprofonda. Grazie a voi, attraverso la vittima. Vi gridiamo grazie e ci diciamo vostri servitori. Maxime Alexandre, Louis Aragon, Arp, Jacques Baron, Jacques-André Boifjard, André Breton, Jean Carrive, Robert Desnos, Marce[ Duhamel, Paul Éluard, Max Ernst, Jean Genbach, Camille Goemans, Paul Hooreman, Eugène Jolas, Miche! Leiris, Georges Limbour, Georges Malkine, André Masson, Max Morise, Pierre Naville, Marce! Noi!, Paul Nougé, Elliott Paul, Benjamin Péret, Jacques Prévert, Raymond Queneau, Man Ray, Georges Sadoul, Yves Tanguy, Roland Tual, Pierre Unik . . «

La Révolution surréaliste

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n. 9-10, I ottobre 1927

Aragon, Breton, Éluard, Péret, Unik, dopo le tergiversazioni di cui abbiamo narrato la storia, hanno dato la loro adesione al partito comunista. Informano pubblicamente gli amici della loro decisione, si preoccupano di definire i limiti dell'azione che svolgeranno in avvenire e già passano agli avvertimenti.

Alla luce del sole Parigi 1927 L'attività surrealista ha attraversato una crisi che deve assolutamente finire. Nel vuoto di manifestazioni esterne da parte di tale attività, gli equivoci, le interpretazioni tendenziose, le conclusioni affrettate erano inevitabili. Ci è parso giunto il momento di denunciarli perché nella loro varietà, il complesso di argomenti a cui siamo stati posti di fronte è tale che ci basterà affrontarli per rendere oggettiva la nostra vera posizione. Non si mancherà di trovare nuova, venendo da noi, questa preoccupazione delle chiacchiere degli altri. È sempre stato un dovere per noi caratterizzare nel modo più chiaro possibile e in ogni momento il nostro atteggiamento morale. Di questo ancora si tratta, e di questo solamente: invano si cercherà, nei testi che seguiranno, di scoprire la presenza di preoccupazioni poetiche o politiche, a seconda del tipo di interesse che ognuno nutrirà nei nostri confronti. Di esse non tratteremo qui. Abbiamo riunito queste poche lettere perché, da una parte, consideriamo praticamente un vantaggio il fatto che i loro vari destinatari possano confrontarlo. E dall'altra perché non è difficile capire come, al di là dei destinatari occasionali che consideriamo in maniera diversa, a noi interessano, più che le loro persone, le tesi generali da loro sostenute. La pubblicazione di questi documenti ha quindi lo scopo di porre gli atti del processo tra le mani di chiunque si interessi al ·fondo morale delle nostre azioni. In nome di un certo principio, quello dell'onestà, che deve, secondo noi, essere posto prima di qualsiasi altro principio, abbiamo rotto, nel novembre del 1926, con due nostri vecchi collaboratori, Artaud e Soupault. La rilevante mancanza di rigore che tradivano tra di noi, l'evidente controsenso implicito, per quanto riguarda e l'uno e l'altro, nel-

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l'inseguimento isolato della stupida avventura letteraria, l'appropriazione indebita di cui tutti e due sono in qualche modo zelatori, erano stati anche per troppo tempo oggetto della nostra tolleranza. In un batter d'occhio l'abbiamo fatta finita, nei confronti del secondo con quel suo destreggiarsi incomprensibile, nei confronti del primo ... 3 Quando per ciascuno di noi era diventato importante condizionare, condizionare veramente, l'azione surrealista, dopo aver preso coscienza all'unanimità del suo scopo rivoluzionario, e perciò assegnare a tale azione i limiti esatti in essa impliciti, limiti che, rivoluzionarmente parlando, non sono immaginari ma reali, abbiamo avuto solo da far fronte a queste due uniche defezioni. Se, d'altro canto, obbedendo ai nostri rispettivi umori, non abbiamo tutti creduto opportuno di dovere aderire al partito comunista, nessuno di noi, almeno, si è assunto l'impegno di negare la grande concordanza che c'è tra le sue aspirazioni e quelle dei comunisti. Nessuno ha lasciato intendere che non si sarebbe trovato un posto tra le loro file, il giorno in cui si sia stabilito di raggiungere il proprio posto, purché la cosa non avvenga troppo tardi. Siamo ora talmente sicuri gli uni degli altri che non abbiamo neppure bisogno di capirci. Ma qui vorremmo rendere conto di un primo tentativo di esplorazione, compiuto da cinque di noi. Forse è in gioco l'orientamento di qualche uomo del futuro a cui piacerebbe essere informato su certuni dei nostri modi di agire per giudicarli senza partito preso. A parte qualsiasi dogmatismo, e cercando solo di cogliere le parole dal vivo, grazie a quanto permettono di pensare alcune lettere che portano la stessa dàta, speriamo di dare la misura dei nostri mezzi attuali, di far apprezzare il valore di uno sforzo di accomodamento quale, in ogni caso, non avevamo mai fatto, di fare riconoscere questa volontà che si sa essere in noi e che nulla fiaccherà. Aragon, Breton, Eluard, Péret, Unik

Cinque lettere

A Paul Nougé e Camille Goemans 193, rue Belliard, Bruxelles Cari amici, sapete quanto ci sia sempre dispiaciuto di non poterci spiegare con voi sui nostri modi di procedere, se non a lunghi intervalli e in maniera Soupault: Le bon apotre, Coeur d'or, ecc. Non saremmo contenti se non ci mostrassimo più espliciti nei confronti cli Artaucl; è dimostrato che Artaud non ha mai obbedito se non ai moventi più meschini. Tra di nof vaticinava fino a farci venire il clisgusto, la nausea; usando trucchi letterari che non aveva inventati lui, creando in un nuovo ambito il più ripugnante clei luoghi comuni. Da molto tempo volevamo farlo tacere, persuasi come eravamo che fosse animato da qualcosa di bestiale. Artaud voleva considerare la rivoluzione come una metamorfosi delle condizioni interiori dell'anima, il che è tipico dei menomati mentali, degli impotenti e del vigliacchi. Sempre, in qualunque ramo, la sua attività (faceva anche l'attore cinematografico) 3

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globale piuttosto sommaria. Avremmo desiderato che foste spettatori delle nostre difficoltà quotidiane. Le nostre non sono affatto le vostre. Tale differenza non è estranea alla diversità che pesa sul giudizio che diamo, e gli uni e gli altri, di certi fatti. Le attività si equivalgono quasi tutte. Che cosa fosse la nostra nel momento in cui ci siamo incontrati, sarebbe ozioso ritornarci sopra: di essa si è creata un'immagine più o meno bella che ha preso corpo al di fuori di noi e della quale dobbiamo quindi proprio accontentarci. Quanto a voi, confidavate allora nell'esecuzione di quel piano di disgregazione metodica, di quella particolare azione antimorale che trovò espressione durevole in « Correspondance ». Avevate fiducia in voi e in noi. Da voi e da noi vi attendevate l'oggettivazione della nostra volontà rivoluzionaria sotto le specie di certe immagini materializzate che chiamavate « oggetti sconvolgenti ». La cosa era senza rischi, per questo vi attenevate alla mistificazione che ognuno sviluppava con i propri mezzi e che aveva di mira la discrezione attiva, ogni genere di falsificazione insomma. C'è un certo tipo di disfattismo che, benché necessario, non ci è mai sembrato essere sufficiente. Senza voler giudicare a priori un'astensione meditata come la vostra, che vi era stata suggerita per altro da alcuni membri del partito comunista belga, abbiamo preso, dopo avervene esposto i motivi, una decisione diversa dalla vostra: abbiamo aderito al partito comunista francese perché ritenevamo prima di tutto che non farlo poteva implicare da parte nostra una riserva che non esisteva, un secondo fine che sarebbe stato vantaggioso solo per i suoi nemici (che sono tra i nostri peggiori nemici). Ed ecco che un articolo del « Drapeau rouge », e più ancora una risposta fintamente autorizzata a tale articolo, vi spingono a scriverci: « Si è presentata insomma l'occasione per distruggere l'assurda caricatura del vostro pensiero che circola nel partito comunista sia in Francia che in Belgio... Il marxismo ha fornito uno strumento ammirevole: la sua dialettica. Non si può più lasciare che venga ancora sfruttato e falsato a vantaggio di imprese, di uomini e di opere che rappresentano esattamente l'obbiettivo del nostro odio. Avete creduto opportuno di dovere aderire al partito comunista. Nessuno ha capito il vero senso di questa è stata solo una concessione al nulla. Per due anni l'abbiamo visto vivere sul semplice

enunciato di alcuni termini ai quali era incapace di aggiungere qualcosa di vivo. Non concepiva, non riconosceva altra materia se non « la materia del suo spirito », come diceva lui. Lasciamolo al suo detestabile miscuglio di fantasticherie, di affermazioni vaghe, di insolenze gratuite, di manie. Le sue avversioni - e ora la sua sicura avversione per il surrealismo - , sono avversioni senza dignità. Sarebbe incapace di decidersi a colpire se prima non fosse sicurissimo di poterlo fare senza pericolo e conseguenze. Ci diverte il constatare, tra le altre cose, che questo nemico della letteratura e delle arti non è mal riuscito a intervenire se non nelle occasioni in cui c'erano di mezzo I suoi interessi letterari, constatare che la sua scelta è sempre andata agli oggetti più insignificanti, in cui non era in gioco nulla che fosse essenziale per lo spirito e per la vita. Oggi questa canaglja noi l'abbiamo vomitata. Non vediamo perché questa carogna debba ancora aspettare molto per convertirsi o, come probabilmente direbbe lui, a dichiararsi cristiana.

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vostra decisione. Tentano di ridurvi in schiavitù». Vi facciamo notare che nel partito comunista francese non circola alcuna caricatura del nostro pensiero. Non vi si potrebbe trovare neppure un riflesso di tale pensiero. Le varie deviazioni che si possono fare subire al marxismo non proveranno mai nulla contro di esso. Ciò che rappresenta esattamente l'oggetto del nostro odio è troppo vasto perché si possa ridurlo alle dimensioni di un'opera o di un uomo. Il vostro errore in proposito è proprio l'errore di quelli che ci attaccano e ci credono impegnati in qualche particolare ricerca. Solo riducendo questo « sconvolgente » oggetto si avrebbe la possibilità di ridurre anche noi. Non siete stati voi poi a prevedere un simile tentativo? Come potete vedere, noi l'abbiamo preso a coloro da cui ci è venuto. Ma siamo sensibili al vostro turbamento, e sapete che siamo vostri amici. Louis Aragon Pierre Unik André Breton Paul E:luard Benjamin Péret P.S.

Ma non ci ingiungevate di agire al più presto? Volete scherzare.

A Marce! Fourrier 8, boulevard de Vaugirard, Parigi

Caro amico, come sarebbe a dire? Sono due anni che Lei consacra ai surrealisti un tempo che si poteva altrimenti utilizzare, tanto che noi avevamo pensato che lo facesse per ragioni validissime. Mirare solo a fornire a « Clarté » una parte letteraria avrebbe voluto dire per Lei perdere il suo tempo con noi: il mestiere letterario è uno sporco mestiere che non abbiamo mai accettato da nessuno. Se ha avuto la compiacenza di pubblicare alcune poesie, non non l'abbiamo mai pregata di farlo, non Le siamo affatto grati per questo. Qual è la responsabilità, in questa materia, del firmatario della poesia o del direttore della rivista che la pubblica? Lei non è uno psicologo. Credeva di salvare la situazione e invece questa la schiaccia sotto il suo peso. Sentendosi, a torto o ragione, minacciato da un attacco a cui siamo estranei ma di cui aspettiamo non senza curiosità l'esito, Lei non può credere di potere sopperire alle sue responsabilità scindendo la sua solidarietà da quanto le stava tanto a cuore. Ci siamo sempre trattenuti dal tacciarla di opportunismo. Ma oggi Lei risponde a un articolo in nome della redazione di « Clarté ». Orbene, sappiamo con competenza che tale redazione è rappresentata da Naville e da Lei. Forse ha pensato di avere agito con grande diplomazia, visto che il commento che segue la sua risposta non chiama in causa i suoi

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« ottimi studi basati su un'ampia documentazione, scritti con chiarezza e di orientamento nettamente comunista». Documentazione fatta prendendo a sforbiciate i giornali, scrittura affrettata, orientamento in relativo accordo con le direttive del partito comunista francese, tutto questo, anche se i fatti si compiacciono di contraddire le tesi da Lei successivamente difese, può ancora suggerire un buon lavoro in seguito a una lettera che dà ad altri soddisfazione. Lei, naturalmente, sostiene di avere preso le nostre difese, ma in che modo! Non vorrà trarsi d'impiccio proprio nel preciso momento in cui ci fa l'ingiunzione di spiegarci. Questa sostituzione di persona non servirebbe a nulla; Lei sa che abbiamo già spiegato a chi di dovere il nostro atteggiamento per cui non ci ritorneremo più sopra, neppure se i giornali delle diverse capitali europee ci chiedessero di farlo. I suoi

Benjamin Péret Pierre Unik

Paul E.luard André Breton Louis Aragon

Ai surrealisti non comunisti Cari amici, siete stati sempre d'accordo con noi sul fatto che il surrealismo, per esistere, non ha mai cessato di ricorrere alla dialettica hegeliana e che se, nel suo sviluppo, ha tentato di risolvere, con mezzi ancora inusitati, le diverse antinomie che derivano dal processo al mondo reale, la soluzione di tali antinomie è stata da noi trovata nell'idea di rivoluzione. Solo partendo dalla dialettica hegeliana, siamo stati condotti, sia gli uni che gli altri, a vedere nel marxismo la sua soluzione storica. Lo studio del marxismo e delle sue conclusioni ci ha messi in presenza di un sistema organico definito a cui, sul piano rivoluzionario, i surrealisti non avevano nessun sistema da contrapporre, tenuto conto che la rivoluzione non può essere vista se non come un fatto concreto alla cui realizzazione deve concorrere ogni volontà rivoluzionaria. In queste condizioni, abbiamo riconosciuto che il surrealismo non poteva, se non voleva morire, non fare giustizia del malinteso formale che permette abusivamente di contrapporre l'idealismo assoluto al materialismo storico e, tenendo conto a tale riguardo del ruolo assegnato alla persona, di conciliare ad ogni costo il punto di vista del nonconformismo assoluto con quello di un certo conformismo relativo. Così veniva posto, senza implicare la cessazione dell'attività surrealista, il principio connesso con l'adesione dei surrealisti al partito comunista, essendo tale principio la continuazione logica dello sviluppo dell'idea surrealista e la sua sola salvaguardia ideologica. Pure avete continuato. a pensare, se non proprio che il surrealismo bastasse a se stesso, prescindendo dall'adesione al partito comunista, che una tale adesione poteva perlomeno essere ancora evitata. Voi allora

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non propone:vate niente. Ciascuno di voi lasciava piuttosto intendere l'esistenza di qualche dubbio. Siete sicuri che in certi giorni il richiamo al meraviglioso, la precedenza data alla soluzione poetica, risolvendosi tutto considerato in un mezzo di intimidazione, non vi abbia inconsciamente resi solidali contro di noi con quelli per cui questi argomenti sono lettera morta? Non possiamo per questo avercela con voi. Ma tracciavate una linea di punti con gli occhi chiusi, per voi quindi la macchia stellata er.a inevitabile. Non c'era metodo al mondo che non vi costringesse ad aprire gli occhi per constatare che, al posto di miracoli violenti, c'erano delle realtà inaccettabili. Con gli occhi chiusi, non avete fatto un passo avanti.4 Semplice constatazione. Dal canto vostro, forse voi vorrete dei conti. A che pro'? Non abbiamo conti da rendervi: la vita a noi non li rende. E poi non c'è sempre da ricominciare tutto? Nel mondo, accanto al mondo e sempre fuori dal mondo, stiamo diventando più o meno rigorosamente ciò che non eravamo. Il gioco che non vale la candela è ancora troppo divertente! La nostra condotta si apre sull'irresponsabilità come una finestra senza vetri, con le sue grandi idee sul sogno, l'amore e le altre forme della delusione. Ma c'è una sfera in cui non si potrebbe senza ingenuità prendere in considerazione la disillusione. È quella in cui ci proponevamo di agire senza di voi. Non eravamo sorretti da quella sorta di speranza che si può concepire in amore o in sogno. Eppure l'avete forse creduto, così come probabilmente avete creduto che Lautréamont e Rimbaud, più che noi, dovessero considerarsi come dei veri e propri militanti rivoluzionari. È ovvio che la cosa è inutile e senza importanza.5 La rivoluzione dipende dalla morale del divenire, il divenire non può essere dominato dalle preoccupazioni personali, e ciò che gli individui sacrificano spontaneamente in essa non è affatto calcolabile. Mai, neppure quando tutto faceva pensare che foste degli individualisti, avete veramente fatto appello all'ideale anarchico. Come potreste farlo oggi? La sera dell'ultimo « venerdì santo», quelli di voi che assistevano a una conferenza su « il Cristo e i suoi rappresentanti sulla terra», non hanno potuto, senza lasciar trasparire la loro indignazione, veder salire in tribuna un prete, pregato dall'Unione anarchica, che andava a fare il contraddittorio! Gli anarchici di oggi, che accettano il principio della libera discussione, hanno così fatto vedere chiaramente la natura platonica della loro concezione.6 Altri, che non siano gli anarchici, penseranno probabilmente ché il nostro atteggiamento, in tale

• Eccettuato Lei solo, caro Jean Genbach. 5 Cercare dei padrini alla rivoluzione è una vecchia abitudine scolastica. Non si è visto l'autore di un opuscolo recentemente apparso (Prétexte à la fondation d'un organe de révolte di Edouard Kasyade), che riflette per altro preoccupazioni interessanti, dare troppo peso al professore Eddington, a Marce! Proust, alla pittura di Bergson, ecc? Oggi questi, domani altri. Siamo stanchi di ciò. • Forse per un anarchico lo scandalo consiste nel non ascoltare un prete, mentre per noi consiste nell'ascoltare ciò che dice un prete?

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caso, sia in rapporto con l'anticlericalismo borghese. È evidente che è fondamentalmente dettato da un antiteismo ragionato e metodico, che acquista le sue ragioni di essere in Francia verso il 1927. Oggi non più, checché possiate pensare dell'efficacia, non dell'azione comunista, ma dell'atteggiamento di un uomo che, privo di una causa da difendere, si assoggetta a tale azione; nulla, né il gusto per l'indipendenza, né quello per l'eroismo, né quello per l'infrazione alle leggi (come, per esempio, in tutta la sua bellezza, la diserzione in tempo di guerra), può spingervi verso l'anarchia. Tra voi, che credete ancora di potere dare alla vostra vita il senso di una mera protesta, e noi, che abbiamo preso la decisione di mettere la nostra vita al servizio di un elemento esterno capace, crediamo, di portare il più lontano possibile questa protesta, non c'è, ciò nondimeno, alcuno steccato. Veramente non potreste vederne uno là dove non ce n'è. Teniamo per i:ioi il significato della relatività dell'esistenza. André Breton Louis Aragon Benjamin Péret

Pierre Unik Paul Éluard

A Pierre Naville 8, boulevard de Vaugirard, Parigi

Caro amico, non senza pensare a Lei scriviamo queste lettere. Ci affliggerebbe, sotto ogni aspetto, se le procurassimo delle difficoltà inutili e se compromettessimo la posizione che ha assunto con una lucidità che solo Lei può avere. Da molto ci interessiamo profondamente alle stesse cose. La risolutezza di cui ha dato prova, le numerosissime funzioni che le competono, il coraggio i:t1tellettuale che in esse dimostra, sono tali da commuoverci e da ispirarci scrupoli gravissimi. Per questo ci rivolgiamo proprio a Lei per esprimere ciò da cui siamo oggi animati. Anche Lei, come noi, quando ci siamo incontrati, pensava che non fosse possibile una sicurezza se non in un'operazione astratta dello spirito. In seguito ha accettato, senza pensare di ritornare indietro, di passare attraverso .tutto ciò che a noi è ancora proibito, anche se da molto tempo crediamo, proprio come Lei, a una continua e inevitabile accettazione delle circostanze peggiori. Ciò di cui Lei è capace, ciò che Le lascia le mani libere non è ciò di cui noi siamo per definizione capaci, ciò che comporta un minor rischio di incatenamento per noi. C'è Pierre Naville che, senza conoscerne i rischi, va maturando in ambienti di idee eguali alle sue, e noi che, in linea di massima, avremmo tutto da perdere in questa precipitazione. Il fine, che accetta i mezzi, non è tale da non permettere la discussione di questi mezzi. L'attrezzo.che bisogna prendere in mano per mettere o togliere il selciato in una strada rischia, con squa-

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dre d'uomini mal combinate, di fare si che la strada resti dissestata e piena d'erba. Non tutti siamo riusciti a metterci in testa o a toglierci dalla testa il selciato di certe idee, a confidare pienamente nel potere di questo attrezzo così pesante, così imperfetto e, umanamente parlando, così perfezionato. Ci prendono ancora certi timori. Chi comanda qui, chi comanda là? Chi risponde, in ogni momento, del grado di sufficienza di quanto si intraprende? Lei sa fino a che punto siamo sudditi dell'impazienza. Anche il più lieve ritardo nel compimento di ciò che una volta per tutte abbiamo considerato come fatale, ci addolora più di qualsiasi altra più grave sconfitta. Eppure, se più ancora che dei metodi, siamo incerti di noi stessi, del nostro potere, della nostra possibilità di adattamento a tali metodi, non è men vero che ci riteniamo impegnati per sempre. Non è men vero che per sempre abbiamo cessato, come Lei, di confidare unicamente in noi stessi. Invano ci fanno luccicare dinanzi agli occhi ciò che abbiamo perduto. Un po' dovunque ci veniva promesso un destino preciso. Lei sa che proprio quando nulla ce lo rendeva in apparenza improbabile, noi sentivamo solo avversione p€;r questo ruolo determinato. Allora, come oggi, non eravamo disposti 'a passare sotto silenzio, per esercitare tranquillamente una facoltà particolare, il prezzo infame di quel silenzio. Perdono proprio il loro tempo quelli che non cessano di sollecitarci: « La dimenticanza dell'esigenza più intima, ecco che cosa temo, che cosa scopro, che cosa denuncio nel ricorso all'azione da parte di molti pensatori o artisti. La loro azione non è mai della specie migliore, rendono più fiacca l'azione degli altri, e lasciano attaccato alle ortiche un gran pezzo di quel bel vestito che è la meditazione e che la sorte aveva posto loro sulle spalle. » (Drieu La Rochelle nei Derniers iours: « Seconda lettera ai surrealisti ».) Ortiche della meditazione, vestito della sorte, sorvoliamo su questa letteratura. Nel suo opuscolo La Révolution et les intellectuels, Lei è stato il primo a porre il problema che stiamo dibattendo ora. In quell'occasione è stato sottoposto alla prova dell'incomprensione e del tran tran quotidiano. Perfino alcuni grandi spiriti, attraversati dai bagliori dell'idea rivoluzionaria, sono giunti a rimproverarLe il sacrificio stesso a cui ha acconsentito. Testimone André Gaillard (« Les cahiers du Sud», dicembre 1926), che prendendo in esame una delle frasi scritte da Lei ( ... lo spirito pratico i cui fini sono d'altronde assolutamente variabili ... non è affatto una qualità congenita al [solo] capitalismo), tradisce un'apprensione tipica degli intellettuali: « Per me questa è una frase terribile: essa rivela il segreto desiderio nel comunismo attuale di utilizzare, proprio come il capitalismo, questo SPIRITO PRATICO del quale il minimo che io possa dire è che nulla mi è più odioso». Utilizzare lo spirito pratico a fini rivoluzionari, ma come poi! Lei ha capito che disprezzarlo vuol dire permettergli di porsi contro questi fini. E solo avendo presente la difficoltà che abbiamo noi stessi, a prescindere da certune delle nostre abitudini di pensiero, parlavamo per Lei di sacrificio. Lei ci assicura che

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non ha fatto alcun sacrificio. E, sia ben chiaro, non potrebbe essercene. Ma Lei conosce bene almeno quanto noi il turbamento del taumaturgo. Se noi andiamo soggetti in maniera ineguale a tale turbamento, ciò non prova niente contro un certo numero di postulati che ponemmo in passato di comune accordo. Non possono limitare il ruolo così importante che, da otto mesi, Lei ricopre nella redazione di « Clarté ». Infatti, tanto l'attesa piuttosto interessante del surrealismo, dato che si tratta di calcolare il quoziente dell'inconscio mediante il conscio, è, continuiamo a crederlo, irreprensibile, quanto è impossibile lavarsi le mani dinanzi a un certo « stato di fatto » che è una sfida senza fine a qualsiasi impresa disinteressata di finalizzazione. Vogliamo dire, caro amico - e se nel pensiero surrealista dovesse esistere, come Lei crede, una contraddizione profonda, la contraddizione profonda sarebbe questa -, che se la grande incognita del problema resta per noi il quoziente dell'inconscio mediante il conscio, noi non possiamo che dichiarare spontaneamente guerra a un certo stato di fatto che è incontestabilmente di tale natura da impedire che il problema si ponga. Siamo, se preferisce, troppo lontani da quelli che si limitano a deplorare che una cosa sia per augurarsi che ce ne fosse un'altra. O, più o meno metaforicamente parlando, diciamo che la deviazione psicologica in balia della quale, forse, ci troviamo, è completamente contraria alla deviazione di quelli che, considerando il capitalismo come una tappa del socialismo, finiscono con l'essere così fatalisti da non pensare più se non a sviluppare il capitalismo. Il nostro particolare destino sta tutto nella corsa, nel non considerare granché le tappe e il sudore del primo arrivato. · ' Tuttavia, nonostante i nostri istinti e i nostri metodi, sappiamo prendere in considerazione le realizzazioni, anche quando queste sono in apparenza di scarso rilievo; basterebbero ad accreditarLa presso di noi. Sotto questo aspetto, la nuova serie di « Clarté » è una testimonianza impressionante della sua attività. Lei solo ha saputo dare una sistemazione a questa rivista, prima piuttosto velleitaria, e maldestramente sperimentale. È spiacevole tuttavia che, preparandosi probabilmente a far fronte alle cose più importanti, cercando di tenersi a distanza dall'opportunismo, senza potere sempre prevedere accanto a Lei certe pusillanimità e certe topiche, è spiacevole constatare che Lei abbia dovuto permettere che nascesse in « Clarté » o in occasione di « Clarté » un equivoco nei riguardi del surrealismo, che per Lei non ne presenta alcuno. È l'equivoco con cui si tende a far passare il surrealismo per una deformazione a priori del marxismo. È assurdo protestare tanto quanto stiamo facendo noi contro un tal matrimonio tra la carpa e il coniglio. Dobbiamo però constatare che si insiste negli ambienti che non hanno, per altro, alcuna possibilità di essere bene informati, a considerare surrealiste tutte le persone che ci conoscono. Dobbiamo inoltre constatare che si insiste a presentare il surrealismo come una dottrina politica realistica. Questa bestialità ha fatto la sua prima apparizione nel giornale « Le matin ».

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Quello, d'altronde, era il suo posto. Ma la cosa più strana è vedere che questa invenzione idealistico-poliziesca è presa sul serio da alcuni materialisti dichiarati. Dal momento che c'erano perché non hanno anche sospettato il darwinismo,7 la relatività, la psicanalisi, ecc., di gauchismo o di socialdemocrazia? A dire il vero non si tratta qui di un termine errato, e non saremmo qui a formalizzarcene se non dovessimo ammettere che « Clarté » alimenta o perché mancano le spiegazioni o perché le spiegazioni sono di natura privata e tutto considerato inesatte, una confusione di cui pare proprio che solo Lei, a questo riguardo, possa fare giustizia. Per questo ci appelliamo a Lei, con piena fiducia. Con tutta amicizia. Benjamin Péret Paul Éluard

André Breton Louis Aragon Pierre Unik

Ai comunisti Compagni, abbiamo appena avuto il tempo di metterci in contatto con voi, di dissipare le prime apprensioni che la nostra adesione di intellettuali doveva necessariamente procurarvi, ed eccoci qui di nuovo costretti a fornire spiegazioni su un terreno che non è il vostro, e questo perché non vogliamo lasciare che venga falsato il significato della nostra adesione. La maggior parte di voi contesterà forse l'utilità di tali spiegazioni, dato che ci costringono nello stesso tempo a chiamare in causa certuni dei nostri compagni e che possiamo con buona ragione pretendere alla vostra fiducia, sperare che il nostro gesto verso di voi non sarà stato inutile. Se continuaste a essere in collera con noi per un tale atteggiamento, ad attribuirci moventi di ordine personale in contrasto con i moventi generali della vostra attività, non potremmo più che affidarci al tempo in cui una simile ingiustizia sarà riparata, vi chiederemmo solamente e semplicemente di restituirci la parola data. Mai, e su ciò insistiamo con tutte le forze, abbiamo pensato a valorizzarci dinanzi a voi in quanto surrealisti. Inutile dire che una simile proposizione non resiste neanche alla più semplice disamina. Per fortuna siamo venuti a voi senza che avessimo nessun punto dj vista di questo tipo da far prevalere. Sarebbe indegno di voi come di noi se avessimo ancora da difenderci contro questa miserabile ambizione. Gli accaniti attacchi a cui siamo fatti segno, la situazione d'emergenza di cui si tende a renderci responsabili alimentando una grave confusione nei Perché, in fondo, non si potrebbe considerare il surrealismo come un tentativo di riduzione delle svariate ipotesi psicologiche, vestigia più o meno tutte di credenze gnostiche, per lo stesso motivo, per esempio, per cui il darwinismo potrebbe passare per un tentativo di distruzione delle diverse versioni antropocentriche della storia del mondo. Ma non facciamo previsioni.

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confronti del surrealismo, presentato come tendenza politica, il che è assurdo, se non come un « contrassegno » in mano ad alcuni abili reclamisti, il che è da vili, per quanto queste manovre non ci diano alcuna tregua, non riusciranno, compagni, ad allontanarci da voi. Da voi, i soli su cui noi facciamo affidamento. Con i- quali, volenti o nolenti, condivideremo integralmente, qualunque cosa succeda, il significato della realtà rivoluzionaria. All'interno di un partito rivoluzionario e finché la situazione non è insurrezionale, non ci possono essere buone ragioni per privare taluno del diritto di critica, nei limiti in cui questo può validamente essere esercitato. Per quanto riguarda i firmatari di queste righe, non è affatto dimostrato che manchino di lucidità, qualunque sia l'argomento; basta riconoscere a costoro - e non è chiedere troppo - un certo coraggio e una certa fede, perché ognuno di loro, alla stessa stregua morale di ciascuno di voi, rappresenti una forza che non è trascurabile e che aspetta, per farsi sentire, solo che il suo punto di applicazione venga determinato con almeno un minimo di rigore. A che cosa serve costringerci ad esprimere prematuramente il nostro parere su questioni che finora non sono state di nostra competenza ma che non disperiamo affatto che lo divengano? Dibattiti puramente economici, discussioni che richiedono una conoscenza profonda della metodologia politica o almeno qualche esperienza di vita sindacale, sono cose di cui non ci disinteressiamo affatto ma a cui non siamo affatto preparati se non per il riconoscimento, formale della loro importanza e della loro assoluta necessità rivoluzionaria. Al contrario siamo chiamati, crediamo, a giudicare senza incertezze e senza debolezze tutto quanto, da vicino o da lontano, riguarda la verità morale che il nostro partito, solo nel mondo, difende e imporrà. Tale verità la sappiamo riconoscere solo nel quadro di queste precise rivendicazioni di cui gli organi comunisti si fanno portavoce. E se parliamo di verità forse un po' vagamente, non state a pensare che miriamo a spogliare queste rivendicazioni del loro significato occasionale: stiamo parlandovi proprio da dentro la realtà. 8 Non c'è nessuna delle parole d'ordine di cui contestavamo l'opportunità e il valore: Difesa dei salari. Rispetto assoluto delle otto ore. Lotta contro la disoccupazione, contro la razionalizzazione capitalistica e il carovita. Amnistia generale e totale! Abbasso la legge Boncour! Abbasso la militarizzazione dei sindacati! Contro la guerra imperialista! Abbasso l'intervento in Cina! 8

ti: un piacere per noi riconoscere In quel terribile pezzo di carne l'origine della rivolta della Corazzata Poti!mkin.

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Nessuna delle parole d'ordine alla cui applicazione chiedevamo di nuovo di farci servire. Ma intendiamo anche dire quanto sia penoso che l'organizzazione del partito comunista in Francia non gli consenta di utilizzarci in un ambito in cui ci sia possibile realmente renderci utili e che nessun'altra decisione sia stata presa nei nostri confronti che non sia quella di segnalarci un po' dovunque come persone sospette. Di qui una campagna contro di noi, soltanto abbozzata per ora, ma che per farsi più violenta aspetta solo una qualsiasi manifestazione della nostra presenza in seno al partito. :È risaputo che, su altri terreni, abbiamo sempre accettato battaglia. Quella alla quale ci si vuole costringere, data l'impossibilità di considerare dei comunisti come nostri avversari, non potremo rifiutarla. In tal caso, aspetteremo con dispiacere che arrivino giorni migliori, quelli durante i quali la rivoluzione bisognerà pure che riconosca i suoi. Lasceremo, senza dire parola, che si pubblichino sull' « Humanité » e altrove le « ammirevoli » novelle di Blaise Cendrars ( « I/ mio giovane

passato sportivo potrà bastare... Balzo addosso al mio antagonista. Gli allungo un colpo terribile. La testa è quasi staccata. Ho ucciso il tedesco ». 9 Ma, vi pare, Cendrars non è un comunista. Lasceremo che si pubblichi su « Le premier mai » di oggi l'ignobile paginetta intitolata Devant le cirque d'hiver, tratta da un'opera di Jules Romains, e che è uno scritto degno di un poliziotto. Come si può permettere che in un tal giorno e in un tale posto appaia una simile glorificazione del crimine, dell'idiozia e della vigliaccheria? A questo proposito, abbiamo qualche tempo fa ricevuto una lettera di Jules Romains:

Parigi, 29 aprile 1927

Gli ambienti artistici e letterari della Francia e dell'Urss hanno sempre desiderato di poter conoscersi, ma ne sono stati impediti dalla mancanza di un'organizzazione. Di recente si è costituito un gruppo che si propone di instaurare il collegamento necessario. Approfittando del passaggio per Parigi di O. Kameneva, presidentessa dell'associazione per il riavvicinamento intellettuale dell'Urss con l'estero, ci rivolgiamo a voi perché la vostra attività è tale da attirare in maniera del tutto particolare l'attenzione degli ambienti letterari e artistici dell'Urss così come succede per quelli francesi. Ci fareste cosa gratissima se aveste la compiacenza di accettare di collaborare con noi per la realizzazione di quest'opera la cui grande importanza non può certo non essere capita da voi. Una prima riunione si terrà il 5 maggio prossimo, alle ore 21, a rue Chevreuse, 4, e avrà lo scopo di cercare le basi pratiche dell'organizzazione che dovrà assicurare il collegamento auspicato. • Blaise Cenclrars: /'ai tué (1919). SI veda anche La guerre au Luxembourg (1916).

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Speriamo che vi sia possibile assistere a tale riunione. Pensate, compagni, che abbiamo avuto torto a rispondere:

«

Merde »?

Paul Éluard Louis Aragon Pierre Unik

André Breton Benjamin Péret

La determinazione dei « Cinque» e la pubblicazione delle loro lettere neU'opuscolo « Alla luce del sole » provocano delle reazioni nel· gruppo e attorno al gruppo. Antonin Artaud che l'anno precedente era stato escluso dal movimento risponde ai «surrealisti» con l'opuscòlo « Nella notte fonda». Antonin Artaud

Nella notte fonda o il bluff surrealista A Parigi, in casa dell'autore, giugno 1927

Che i surrealisti mi abbiano cacciato o che io stesso mi sia messo alla porta dei loro grotteschi simulacri, è da un pezzo che non si tratta più di questo. 10 Sono uscito dal gruppo perché ne avevo abbastanza di una buffonata che era durata anche troppo tempo, sicurissimo come ero poi che i surrealisti non avrebbero fatto nulla né sul piano che si erano scelti né su nessun altro piano. E il tempo e i fatti non hanno mancato di darmi ragione. È il caso di chiedersi come possa interessare alla gente se sia il surrealismo a doversi accordare con la rivoluzione o la rivoluzione debba farsi al di fuori e al di sopra dell'avventura surrealista, quando si abbia presente la scarsa influenza sui costumi e le idee di questo nostro tempo che i surrealisti sono riusciti ad avere. Ma esiste ancora un'avventura surrealista, e il surrealismo stesso non è morto il giorno in cui Breton e i suoi seguaci hanno ritenuto giusto di dovere dare la loro adesione al comunismo e cercare sul piano dei fatti e della materia immediata, lo sbocco ad un'azione che avrebbe potuto, 10 Insisterò appena sul /atto che i surrealisti non abbiano trovato nulla di meglio per cercare di stroncarmi che di servirsi dei miei scritti. Bisogna proprio che si sappia che questa nota che figura in fondo alle pagine 6 e 7 dell'opuscolo Alla luce del sole e che mira a distruggere le basi stesse della mia attività, non è altro che la riproduzione pura e semplice, la copia appena appena mascherata di frammenti presi da testi che io mandavo loro e in cui il mio scopo era di porre nella vera luce la .loro particolare attività, un'attività tutta percorsa da odi miserabili e da velleità senza avvenire. Di questi frammenti avevo fatto una sorta di articolo che mi fu successivamente rifiutato da due o tre riviste, tra cui la « N.R.F. », perché troppo compromettente. Importa poco sapere il nome dello spione che ha reso il servizio di mettere nelle loro mani questo articolo. L'essenziale è che loro l'abbiano trovato così imbarazzante da sentire il bisogno di neutralizzarne l'effetto. Quanto alle accuse che destinavo loro e che loro ritorcono contro di me, lascio alle persone che mi conoscono bene, e non al loro ignobile modo di agire, il compito di distinguermi da loro. Tutta la sostanza della nostra controversia e tutte le sue esasperazioni hanno per oggetto la parola rivoluzione.

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in base alla normalità, avere luogo solo negli schemi intimi del cervello. Credono di potersi permettere di annettermi al loro gruppo quando parlo di metamorfosi delle condizioni interiori dell'anima,11 come se alla parola anima dessi il significato infetto che loro stessi danno e come se dal punto di vista dell'assoluto potesse essere di scarsissimo interesse vedere cambiare l'armatura sociale del mondo oppure vedere passare il potere dalle mani della borghesia a quelle del proletariato. Se realmente cercassero questo, sarebbero perlomeno scusabili. Il loro scopo sarebbe banale e limitato, ma in fin dei conti esisterebbe. Ma hanno uno scopo, anche minimo, verso cui indirizzare un'azione e quando sono stati in grado di formularne uno? Si lavora poi per uno scopo? Si lavora con dei moventi? I surrealisti credono di poter giustificare la loro aspettativa dicendo semplicemente

11 'Come se un uomo che ha riconosciuto una volta per tutte i limiti della sua azione, che non vuole impegnarsi al di là di quelli che crede in coscienza essere i suoi limiti, fosse meno degno di interesse, dal punto di vista rivoluzionario, di qualche energumeno immaginario che nel mondo soffocante in cui viviamo, mondo chiuso e eternamente immobile, fa appello a non si sa quale stato insurrezionale per quanto riguarda la priorità da dare ad atti e a gesti che tutti sanno bene che non farà. Per questo precisissimo motivo ho rigettato da me il surrealismo: la conoscenza dell'impotenza innata, della debolezza congenita di questi signori in contrasto con il loro atteggiamento di incessante ostentazione, con le loro minacce nel vuoto, con le loro imprecazioni nel nulla. E che cosa stanno facendo oggi se non mostrare una volta di più la loro impotenza, la loro insopprimibile sterilità? Perché non avevo voluto impegnarmi al di là di me stesso, perché avevo proclamato il silenzio attorno a me e la fedeltà negli atti e nei pensieri a quella che sentivo essere la mia profonda, la mia irremissibile impotenza, questi signori hanno giudicato inopportuna la mia presenza tra di loro. Ma ciò che parve loro sommamente condannabile e blasfemo fu il fatto che io abbia voluto affidare a me solo la cura di determinare i miei limiti, e preteso di essere lasciato libero e padrone della mia azione. Ma che importanza ha per me l'intera rivoluzione del mondo se posso restare eternamente addolorato e miserabile in seno alla mia propria carne. Per me il punto di vista della rivoluzione integrale è quello di un uomo che non voglia nulla considerare al di là della propria profonda sensibilità, del proprio io intimo. Per me non c'è buona rivoluzione al di fuori di quella che riesce vantaggiosa a me e a gente come me. Le forze rivoluzionarie di un movimento qualsiasi sono quelle in grado di spostare l'asse della base attuale delle cose, di cambiare l'angolo della realtà. Ma in una lettera scritta ai comunisti essi ammettono la loro assoluta impreparazione sul terreno in cui si sono da poco impegnati. Anzi, che il genere di attività che si vuole da loro non è conciliabile con il loro spirito. E qui io e loro abbiamo, loro malgrado, in parte qualcosa in comune, che è un'inibizione di sostanza affine, anche se da attribuirsi a cause diversamente gravi, diversamente significative pe.r me e per loro. Alla fin fine essi si riconoscono incapaci di fare ciò che io non ho mai voluto tentare. Quanto all'azione surrealista in sé·, io mi sento tranquillo. I loro giorni essi possono passarli solo a condizionarla, Fare il punto, fare il punto dentro di loro come un qualsiasi Stendhal, questi Amiel della rivoluzione comunista. L'idea di rivoluzione sarà per loro sempre e solo un'idea senza che questa idea, invecchiando, acquisti una parvenza di efficacia. Ma non capiscono che hanno rivelato l'inanità del movimento surrealista stesso, del surrealismo refrattario ad ogni contaminazione, quando hanno sentito il bisogno di romperne lo sviluppo interno, quello vero, per puntellarlo con un'adesione di principio o di fatto al partito comunista francese. Era questo il movimento di rivolta, l'incendio da appiccare alla base di ogni realtà? Per vivere il surrealismo aveva bisogno di incarnarsi in una rivolta di fatto, di confondersi con le rivendicazioni relative alla giornata di otto ore, con l'adeguamento dei salari o con la lotta contro il carovita. Che burletta, che animo meschino! Eppure è proprio ciò che sembra vogliano dire, cioè che l'adesione al partito comunista

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di averne la consapevolezza? L'aspettativa non è uno stato d'animo. Quando non si fa niente non si rischia di rompersi la faccia. Ma non è una ragione valida per far parlare di sé. lo disprezzo troppo la vita per pensare che un cambiamento qualunque che avvenisse nell'ambito delle apparenze possa cambiare qualcosa della· mia odiosa condizione. Ciò che mi separa dai surrealisti è il fatto che essi amano la vita tanto quanto io la disprezzo. Godere in ogni occasione e da tutti i pori, ecco il nucleo delle loro ossessioni. Ma l'ascetismo non è anima e corpo con la vera magia, anche la più sporca, anche la più nera. Lo stesso gaudente diabolico ha dei lati ascetici, una certa inclinazione alla macerazione. Non parlo dei loro scritti che sono splendidi, anche se inutili dal punto di vista in cui si sono posti. Parlo del loro atteggiamento più vistoso, di quell'esempio che è l'intera loro vita. Non provo odio per il singolo individuo. lo li respingo e li condanno tutti in blocco, tributando a ciascuno di loro tutta la stima e anche tutta l'ammirazione che meritano grazie alle loro opere o al loro spirito. In ogni caso, da questo punto di vista non avrò, come loro, la puerilità. di fare voltafaccia nei loro confronti, e di dire che non hanno alcun talento per il fatto che non sono più miei amici. Ma, fortunatamente, non si tratta di questo. Si tratta di quello spostamento del centro spirituale del mondo, di quell'operazione di dislivello delle apparenze, di quella trasfigurazione del possibile che il surrealismo avrebbe dovuto contribt1ire a provocare. Si comincia sempre col provocare uno scompiglio spirituale. Affidarsi alle cose, alle loro trasformazioni per quanto riguarda il compito di guidarci, è un punto di vista da individui volgari, da profittatori della realtà. Nessuno ha mai capito niente, e i surrealisti stessi non capiscono e non possono prevedere dove li condurrà la loro volontà di rivoluzione. Incapaci di immaginare, di rappresentarsi una rivoluzione che non potrebbe svilupparsi entro gli schemi sconfortanti della materia, si affidano alla fatalità, a un certo destino fatto di debolezza e di impotenza per spiegare la loro inerzia, la loro sempiterna sterilità. Per me il surrealismo è sempre stato una nuova forma di magia. L'immaginazione, il sogno, tutta l'opera di intensa liberazione da parte dell'inconscio che ha lo scopo di fare affiorare alla superficie dell'anima ciò

francese pareva loro come la continuazione logica dello sviluppo dell'idea surrealista e la sua sola salvaguardia ideologica!!! Ma io nego che il surrealismo sia stato condotto dal suo sviluppo logico fino a tale forma definita di rivoluzione nota con il nome di marxismo. Ho sempre pensato che un movimento indipendente come il surrealismo non fosse soggetto ai procedimenti della J.ogica corrente. Questa, d'altra parte, è una contraddizione che mette in grave Imbarazzo i surrealisti, i quali non vogliono lasciare perdere nulla di tutto quanto può essere loro vantaggioso, di tutto quanto può momentaneamente essere loro utile. Parlate loro di logica, essi risponderanno con l'illogica, ma parlate loro di illogica, disordine, incoerenza, libertà, essi vi risponderanno con la necessità, la legge, gli obblighi, il rigore. Alla base del loro intrighi c'è questa malafede di fondo.

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che abitualmente essa tiene nascosto non può non introdurre profonde trasformazioni nell'ambito delle apparenze, nel valore relativo al significato e nel simbolismo del creato. L'intero concreto cambia vestito, scorza, non si applica più agli stessi atti mentali. L'aldilà, l'invisibile respingono la realtà. Il mondo non si regge più in piedi. Aflora soltanto si possono passare al vaglio i fantasmi, si può mettere fine alle finzioni. Crolli una volta per sempre la spessa muraglia dell'occulto sull'impotenza di tutti questi ciarloni che sprecano la propria vita in biasimi e in vane minacce, su questi rivoluzionari che non rivoluzionano nulla. Questa razza di bruti mi invita alla conversione. Ne avrei certo un gran bisogno. Ma, se non altro, io mi riconosco infermo e immondo. Aspiro a un'altra vita. E tutto considerato, preferisco essere al mio anziché al loro posto. 12 Che cosa resta dell'avventura surrealista? Poche cose, a parte una grande speranza delusa, ma forse sul piano della letteratura i surrealisti hanno effettivamente portato qualcosa di nuovo: La loro collera, il loro ardente disgusto versato sulla cosa scritta, rappresentano un atteggiamento fecondo e che potrà essere utile forse un giorno, più avanti. La letteratura viene a trovarsi come purificata, più vicina alla verità sostanziale del. cervello. Ma è tutto qui. Di conquiste concrete, ai margini della letteratura, di immagini, non ce ne sono, eppure era il solo fatto importante. Da una buona utilizzazione dei sogni poteva nascere un nuovo modo di guidare il proprio pensiero, di collocarsi al centro delle apparenze. La verità psicologica veniva sp9gliata di ogni escrescenza parassitaria, inutile, veniva colta ancora più da vicino. È indubbio che allora si vivesse, ma forse è una legge dello spirito che l'abbandono della realtà non possa mai condurre se non ai fantasmi. Nei limid ristretti della sfera dei nostri sensi, siamo incitati, sollecitati da ogni parte. L'abbiamo constatato nell'aberrazione di certi rivoluzionari che, dopo avere raggiunto il livello più alto possibile, sono stati costretti ad abbandonare totalmente tale livello, ad attribuire alla parola rivoluzione il suo senso utilitario e pratico, il senso sociale che si sostiene essere il solo senso valido, dato che

12 La bestialità di cui parlo e che li disgusta tanto è, ciò nonclimento, la cosa che li caratterizza meglio. Il loro amore per il piacere immediato, cioè per la materia, ha fatto perdere loro l'originario punto di riferimento, il magnifico potere di evasione di cui credevamo ci avrebbero consegnato il segreto. Una tendenza al disordine, alle piccole beghe, li spinge a sbranarsi Ira loro. Ieri siamo stati io e Soupault ad andarcene nauseati. L'altro ieri è stato il turno di Roger Vitrac, la cui esclusione è una delle loro prime porcherie. Avranno voglia loro di urlare dal loro angolo e dire che non è cosi, perché io risponderò loro che per me il surrealismo è sempre stato un'insidiosa propaggine dell'invisibile, l'inconscio a portata di mano. I tesori dell'inconscio invisibile diventati palpabili e che conducono direttamente la lingua al getto immediato. Per me Rusbroeck, Martinez de Pasqualis, Boehme sono una giustificazione sufficiente. Qualunque azione spirituale, se giusta, si materializza al momento necessario. Le condizioni interiori dell'anima! Ma esse portano con sé il loro vestimento di pietra, di vera azione. t,; un fatto scontato e scontato di per sé, irremissibilmente sottinteso.

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di chiacchiere inutili non si vuol saperne. Strano ripensamento, strano livellamento. Pensate che possa bastare mettere in evidenza un semplice atteggiamento morale se tale atteggiamento è profondamente segnato dall'inerzia? Il surrealismo viene sospinto dai suoi esponenti interni verso la rivolu-· zione. Questo è il fatto positivo. La sola conclusione efficace possibile (dicono loro) e che un gran numero di surrealisti non ha voluto accettare; ma agli altri tale adesione al comunismo che cosa ha dato, che cosa ha fatto restituire? Non li ha fatti andare avanti di un· passo. Di questa morale del divenire da cui dipenderebbe, pare, la rivoluzione, io non ho mai sentito la necessità nel cerchio chiuso della mia persona. Al di sopra di qualsiasi necessità reale io pongo le esigenze logiche della mia propria realtà. Questa è la sola logica che mi sembri valida e non certa logica superiore le cui irradiazioni non mi colpiscono se non in quanto toccano la mia sensibilità. Non c'è disciplina alla quale mi senta costretto ad obbedire, per quanto rigoroso sia il ragionamento che mi trascini ad accettarla. Due o tre principi di vita o di morte sono per me superiori a qualsiasi sottomissione precaria. E ogni tipo di logica mi è sempre sembrato artificioso. Il surrealismo è morto per il settarismo imbecille dei suoi adepti. Ciò che di esso rimane è una sorta di massa eterogenea sulla quale i surrealisti stessi sono incapaci di porre un nome. Eternamente al limite delle apparenze, disadatto ad attecchire nella vita, il surrealismo sta ancora cercando la sua via d'uscita, sta ancora calcando le sue orme. Impotente a scegliere, a decidersi nella totalità dei suoi membri o per la menzogna o per la verità (vera menzogna della spiritualità illusoria, falsa verità del reale immediato, ma distruttibile), il surrealismo insegue quell'insondabile, quell'indefinibile interstizio della realtà in cui introdurre la sua leva, un tempo potente e oggi caduta in mano a dei castrati. Ma la mia debolezza di mente e la mia vigliaccheria, difetti noti a tutti, si rifiutano di trovare il sia pur minimo interesse in sconvolgimenti che investirebbero solo questo lato esterno, immediatamente percepibile, della realtà. La metamorfosi esterna è una cosa, a mio giudizio, che può essere concessa soltanto come un sovrappiù. Il piano sociale, il piano materiale verso i quali i surrealisti dirigono le loro povere azioni velleitarie, i loro odii irreversibilmente virtuali, non sono per me che una rappresentazione inutile e da sottintendersi. Io so di avere dalla mia parte nella controversia attuale tutti gli uomini liberi, tutti i veri rivoluzionari, tutti coloro che pensano che la libertà individuale è un bene superiore a quello di qualsiasi altra conquista ottenuta su un piano relativo. I miei scrupoli di fronte all'azione reale?

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Sono scrupoli di ordine assoluto e di due tipi. Sono rivolti, dal punto di vista dell'assoluto, al significato radicato della profonda inutilità di qualunque azione spontanea o non spontanea. È il punto di vista del pessimismo integrale. Ma una certa forma di pessimismo porta in sé la sua lucidità. La lucidità della disperazione, dei sensi esacerbati, come se fossero sull'orlo di precipizi. E accanto all'orribile relatività di qualunque azione umana, questa spontaneità inconscia che spinge, nonostante tutto, all'azione. E anche sul terreno equivoco, insondabile dell'inconscio, segnali, prospettive, intuizioni, tutta una vita che assume ampiezza quando la si prenda in considerazione e che si rivela capace di inquietare ancora la mente. Ecco quindi i nostri scrupoli comuni. Ma in loro si sono risolti, pare, a vantaggio dell'azione. Ma una volta riconosciute la necessità dell'azione, si affrettano a dichiarare che non ne sono capaci. È un terreno da cui li tiene per sempre lontani la loro configurazione spirituale. Ed io, per quanto mi riguarda, ho mai detto altro? Con il beneficio tuttavia per me delle· circostanze psicologiche e fisiologiche disperatamente anormali di cui loro non potrebbero vantarsi. Aragon presenta una retrospettiva di De Chirico. In essa figurano soltanto tele del passato, tele da cui il surrealismo ha attinto il meglio di sé. In virtù degli stessi principi e in nome deU'« impersonalità del genio», il singolare presentatore si abbandona a una satira graffiante del pittore e, in particolare, cambia il titolo delle creazioni. L'ispirazione non si cura dei tramiti che dovrebbe chiedere in prestito per venire alla luce.

L'appendice cambia autore Prefazione . Libello Ah, il signore chiama così le strade. Il signore non è per niente un porco.

Proprietà in vendita, sì, finché tale idea resta in voga. Della proprietà io mi sono fatto un concetto sperimentale in cui i disgusti hanno la loro parte. Eppure mai, a parte che nell'amore, l'idea di proprietà mi è sembrata così priva di fondamento come nell'ambito del pensiero. Ci sono ancora certi uomini che vanno per le strade tutti impettiti, che invocano la testimonianza di ciò che è passato loro per la zucca. Filosofi, cirtofi. Esempio: Giorgio De Chirico. È curioso come un uomo si preoccupi di ciò che si è staccato da lui. Anime, se così posso dire, di signori-avvoltoi. Gli immobili che loro affittano per lucro, non sarebbe bene cambiarne i numeri, per quanto arbitrario sia questo catasto. Qualche tempo fa il nostro pittore protestò perché una rivista aveva pubblicato una riproduzione di uno dei suoi

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quadri con un titolo apocrifo. Ci sarebbe da parlare dei titoli. Gli uni dettati da Apollinaire, gli altri scritti da Paul Guillaume (questi ultimi spesso di gran spicco). Benissimo d'altronde. Ma la questione se ne va a spasso come i poliziotti. Dalla pittura di un tempo di De Chirico sta nascendo una mitologia e morendo De Chirico stesso. Se lo merita. Se questo signore, perché lui è un signore, viene oggi a dirci che non si trattava di questo, che cosa vuole, caro mio, che ce ne freghi? Impersonalità del genio. Basta considerate le ultime produzioni di un pittore che fu teatro, e che teatro, di tutto quanto di grande avveniva nel mondo, riflesso dell'inconoscibile di un'epoca, per accorgersi con esattezza degli scarsi diritti che ha il fabbricante sulle proprie visioni anteriori. D'altra parte non ho forse dalla mia, che beffa incantevole, la legislazione corrente? Possessore di un noto e bellissimo De Chirico, o Raffaello per dare un contentino ai maniaci, non ho forse il permesso di correggerlo? State certi che non mancherò. Così come qui, in un catalogo commerciale, provo un certo piacere a segnalare che l'attuale modo di dipingere del Metafisico di Sicilia è la pessima buffon1lta di un rimbecillito, alla quale tra dieci anni un Bernheim qualsiasi preferirà con ragione il più brutto dei Roybet, tra gli altri! Il domestico può ben produrre ottime referenze: non è una buona ragione per far passare i suoi escrementi per lanterne. Il vecchio tipo di militante dell'arte! Lo credo bene. Non si dovrebbe immaginare che si sta dando un saggio del proprio valore. Al diavolo quelli che vivono sugli allori. Il mistero appartiene a tutti. t una vera e propria comunità. Dopo di che, pezzi di tela dipinta, di tela, si sosteneva, imbrattata,. in cui si tirava in ballo il mistero, il senso del mistero. Poco importa, un povero diavolo in fondo in fondo, il pretesto dell'interrogativo posto. La Sfinge sta divorando chi le ha aperto la gabbia. E ora un primo viaggiatore! « Viaggiatore, che cosa nel sapone ricorda un biscotto?» Lo mangia. « Secondo viaggiatore, che cosa pensano le bandiere degli occhiali neri?» Lo mangia. « Terzo viaggiatore, delizioso carciofo, un cannone incontra un orologio, che cosa gli dice?» ... Centesimo viaggiatore, una piccola locomotiva senza colore è andata a smarrirsi accanto a un guanto di ferro, dove siamo? Ecco un temporale. Basta con i falsi Edipi, la Bestia non è altro che un cagnolino, un cagnolino piccolo piccolo per la nonnina, al quale basta un osso di pollo viaggiatore, che si alza sulle zampe posteriori per un po' di zucchero e fa la pipì per un po' d'acqua, un vero cagnolino da appartamento, o da portineria, come le amiche delle nostre Porche Miserie di madri ne hanno sognato durante tutte le defecazioni della loro vita. A cuccia, il tipo canecane. Cambio quindi, due punti, il titolo dei suoi quadri: 1. Il pessimismo passato. 4. Il sogno trasformato. 2. L'enigma di una gioia. 5. Andrò ... il cane di vetro. 3. Il cervello del bambino. 6. La Società delle Nazioni.

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7. Il cattivo genio di un re. 8. Il duetto, o i due manichini dalla torre rosa. 9. La sorpresa. 10. L'arco delle scale nere. 11. Il giorno di festa.

12. 13. 14. 15. 16. 17.

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La nostalgia del poeta. II fiorellino blu. Il servo fedele. Le pene della regina. L'angelo ebreo. II trionfo dell'empio. Disegni Louis Aragon

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Il cinquantenario dell'isteria (1878-1928)

Noi, surrealisti, teniamo a celebrare qui il cinquantenario dell'isteria, la più grande scoperta poetica della fine del XIX secolo, e ciò proprio nel momento in cui lo smembramento del concetto di isteria pare cosa fatta. Noi ai quali nulla piace tanto quanto queste giovani isteriche, il cui tipo perfetto ci viene dalle osservazioni relative alla persona della deliziosa X.L. (Augustine) entrata il 21 ottobre 1875 all'età di quindici anni e mezzo, nell'ospedale della Salpetrière, al servizio del dottor Charcot, come dovremmo reagire dinanzi alla laboriosa confutazione dei disturbi organici il cui processo, per i medici e per loro soltanto, coinciderà sempre con quello all'isteria? Che pena! Nel 1913, Babinski, la persona più intelligente che abbia studiato la questione, osava scrivere: « Non c'è più posto per l'isteria quando un'emozione è sincera, profonda, scuote l'anima umana». Ed ecco inoltre qualcosa che ci ha dato di sapere di più. Si ricorda Freud, che tanto deve a Charcot, del tempo in cui, secondo le testimonianze delle persone che vivono ancora, gli interni della Salpètrière confondevano il loro dovere professionale con la loro inclinazione all'amore, in cui, al cadere della notte, le ammalate andavano a raggiungerli fuori o li accoglievano nel loro letto? Essi enumeravano poi pazientemente, a sostegno della causa della medicina che è impossibile difendere gli atteggiamenti passionali cosiddetti patologici che eraoo per loro così umanamente preziosi come lo sono ancora per noi. Dopo cinquant'anni la scuola di Nancy non esiste forse ancora? E il dottor Luys, ammesso che viva ancora, ha forse dimenticato? Ma dove sono le osservazioni di Néri sul terremoto di Messina? Dove sono gli zuavi silurati da quel Raymond Roussel della scienza che è Clovis Vincent? Alle svariate definizioni dell'isteria che fino ad oggi sono state date, dell'isteria, divina nell'antichità, infernale nel Medioevo, dagli invasati di Loudun ai flagellanti di Notre-Dame des Pleurs (viva madame Chantelouve!), definizioni mistiche, erotiche o semplicemente liriche, defini-

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zioni sociali, definizioni colte, è troppo facile contrapporre questa « malattia complessa e proteiforme chiamata isteria e che sfugge a qualsiasi definizione » (Bemheim). Gli spettatori dello splendido film « La stregoneria attraverso le epoche » non possono non ricordare di avere ricevuto dallo schermo o in sala insegnamenti più stimolanti di quelli che si trovano nei libri di Ippocrate, di Platone, secondo i quali l'utero fa dei salti come fosse una capretta, e di Galeno secondo il quale la capra di Fernel è immobile, il che non le impedisce di rimettersi in moto nel XVI secolo e di far sentire alla mano che la tocchi che è capace di risalire fino allo stomaco; essi hanno visto le coma della Bestia farsi così grandi, ma così grandi da diventare quelle del diavolo. Poi tocca al diavolo sparire. Le ipotesi positivistiche se ne dividon·o la successione. La crisi isterica prende forma a scapito dell'isteria stessa, con il suo alone d'orgoglio, con i suoi quattro periodi tra i quali ce n'è uno, il terzo, che ci avvince al pari di certi quadri pieni di vita, di espressività e di purezza, con la sua naturalissima soluzione nella vita normale. La isteria classica perde i suoi lineamenti nel 1906: « L'isteria è uno stato patologico che si manifesta attraverso disturbi che è possibile in certi soggetti riprodurre mediante la suggestione con un'esattezza perfetta, e che possono sparire sotto l'influenza della sola persuasione (controsuggestione) » (Babinski). In questa definizione c'è, secondo noi, solo un momento del divenire dell'isteria. Il movimento dialettico che l'ha fatta nascere segue il suo corso. Dieci anni dopo, nelle vesti miserabili del pitiatismo, l'isteria tende a tornare in possesso dei suoi diritti. Il medico stupisce. Si sforza di negare ciò che non è di sua competenza. Noi proponiamo, dunque, nel 1928, una nuova definizione dell'isteria: l'isteria è uno stato mentale più o meno irriducibile, caratterizzato dalla sovversione dei rapporti che si stabiliscono tra il soggetto e il mondo morale da cui crede praticamente di dipendere, all'infuori di ogni sistema delirante. Questo stato mentale si basa sul bisogno di una reciproca seduzione, che spiega i miracoli affrettatamente accettati della suggestione (o controsuggestione) medica. L'isteria non è un fenomeno patologico e può, sotto ogni . riguardo, essere considerata un mezzo supremo di espressione. Aragon, Breton

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Definizione umoristica del surrealismo

Il surrealismo nel 1929 gli oggetti sconvolgenti, il rompimento di musi, la pittura fantastica, il genere maleducato, i rivoluzionari da caffè, lo snobismo della pazzia, la scrittura automatica, l'anticlericalismo elementare, la disciplina tedesca, l'esibizionismo, le freddure. «

Variétés », Numéro surréaliste, 1929

l prossimi documenti si riferiscono a una delle più gravi crisi del movimento, conseguente all'adesione di un certo numero di surrealisti al partito comunista. Come si vedrà, essa non ha solamente dei risvolti politici. Proponendosi di prendere in esame « il grado più o meno grande di qualificazione morale » di ognuno dei partecipanti alle controversie riunite qui, Breton intendeva debellare l' «alibi artistico » che allignava tra le fìl'e del surrealismo. Ancora più esplicite appaiono le sue intenzioni nel Second Manifeste. che, pubblicato verso la fine del dicembre del 1929, ratificherà lo smembramento del movimento.

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Continua Piccolo contributo alla cartella personàle di certi intellettuali di tendenze rivoluzionarie (Parigi 1929)

Si conosce abbastanza bene il genere di rimproveri rivolti ai surrealisti e ai loro metodi. Lo stesso carattere stereotipo di tali rimproveri (abitudini da cricca, gusto per i processi, nessun rispetto per la vita privata, credersi « puri », molto rumore per nulla) è tale da farceli riprendere per nostro conto. E, per quanto comiche appaiano a distanza le scomunicazioni clamorose che si dice che noi lanciamo, è sufficiente aver visto come si difendevano, farfugliavano, si dibattevano quei nostri ex com·pagni di cui abbiamo pensato più opportuno sbarazzarci, per ammettere che, dopo tutto, simili sanzioni non sono prive di motivi e neppure di effetti reali. Non sempre abbiamo dato tutta la pubblicità che desideravamo alle nostre piccole sedute battagliere in cui, curiosamente, preva~ levano nello stesso tempo l'humour e la morale, ma non è detto che ci atterremo sempre a una discrezione così tranquillizzante. Come saggio, informiamo oggi i lettori di « Variétés » della nostra ultima impresa. Per chiarire le idee, riport~remo l'ordine del giorno di un'assemblea tenutasi al caffé « le Prophète » verso la fine del novembre 1926, assemblea che decretò l'e;:sclusione di Artaud e di Soupault. Ci sembra che il testo di quest'ordine del giorno metta bene in luce i metodi di cui veniamo accusati e che con ogni probabilità ci sarebbero ancora meno perdonati se fossero meglio conosciuti.

I.

Rapporto oggettivo sulla situazione attuale, di Roland TuaL (Il rapporto non sarà discusso), Il. Esame delle posizioni individuali: a) Tutte queste posizioni sono difendibili da un punto di vista rivoluzionario? b) Esiste una posizione comune? e) Questa non è compromessa da certe attività individuali? d) In quale misura queste attività individuali sono tollerabili? III. Possibilità di un'azione futura da parte del surrealismo. a) Fuori dal partito comunista. b) Dentro il partito comunista. IV. Conclusioni. Non ritorneremo qui sopra quello che nella nostra mente aveva presieduto a certi tentativi di avvicinamento con gruppi o individui più o meno lontani da noi, che in un primo momento eravamo stati chiamati a considerare o a combattere. Sia che si tratti del Congresso di Parigi (1922) che, all'indomani del processo fatto dal dadaismo all'arte, dovendo procedere alla « ddìnizione delle direttive e alla difesa dello spirito moderno », accoglieva senza nessun criterio tutti quelli che a questo

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spirito si richiamavano; sia che si tratti, da un tutt'altro punto di vista, del tentativo di raggruppamento che, una volta preso commiato dai negatori impenitenti, desiderosi di limitarsi alla più grossolana delle istanze che veniva loro ·da una sorta di credo dada, riunisce gli elementi rappresentativi del surrealismo alla vigilia della fondazione della « Révolution surréaliste » e dell'apertura di un ufficio di ricerche in rue de Grenelle; sia che si tratti del controllo incessante che gli elementi in questione esercitarono gli uni sugli altri, mettendo a punto, a spese delle persone, le idee di cui queste persone stesse si facevano i portavoce più con· lirismo che con rigore; sia che si tratti di accordi passeggeri che, in occasione di scritti occasionali (Un cadavere, alla morte di Anatole France nel 1924, o la lettera aperta a Paul Claudel nel 1925) o grazie a manifestazioni il cui genere è rappresentato dalla rissa violenta della « Closerie des lilas » (luglio 1925), limitarono e estesero insieme il reclutamento di un gruppo che era giunto a riconoscere la priorità dell'idea rivoluzionaria su ogni altra idea; sia che si tratti del contrastò sorto da questi ultimi avvenimenti e che mise in rapporto i surrealisti e i loro amici di « Correspondance » con Marcel Fourrier e il gruppo « Clarté », gruppo che si è esso stesso riformato dopo la violenta espulsione degli ultimi sostenitori di Barbusse; sia che si tratti dell'elaborazione di un testo di protesta contro la guerra marocchina (la rivoluzione prima e sempre, settembre del 1925), e, a questo proposito, della presa di contatto della « Révolution surréaliste » e di « Clarté » con « Philosophies » (poi divenuto «Esprit»;. sia che si tratti della formazione di un intergruppo comprendente i rappresentanti di queste riviste e alcune personalità isolate che avrebbe dovuto approdare in particolare alla creazione di un giornale « La guerre civile ») e che diede luogo di fatto alla squalifica dei membri del gruppo « Philosophies » (eccezion fatta per André Barsalou, Gabriel Beauroy e Pierre Bernard) i quali intendevano ricercare, al di là della rivoluzione sociale, la realizzazione di una rivoluzione filosofica compatibile con l'uso della parola Dio; sia che si tratti infine della riunione di cui abbiamo più sopra riprodotto l'ordine del giorno, noi non abbiamo nessun bisogno, con ogni probabilità, di portare alla luce il senso generale di simili operazioni. Essa non mancherà mai di apparire abbastanza chiaramente a quel testimone ideale che i fisici, per esempio, si dilettano ad immaginare quando c'è di mezzo la chiarezza delle loro dimostrazioni. Fatto sta che, agli inizi del 1929, forse cc;m un maggior numero di riserve del solito, e sicuramente con maggior freddezza sperimentale che mai, avendo riletto tutti i verbali delle riunioni, tutti i manifesti elaborati ricorrendo a concessioni diverse, tutte le lettere di scusa o di recriminazione, abbiamo passato in rassegna i nomi di una gran quantità di uomini che, tutto sommato, non erano attestati su cattive posizioni, intellettualmente parlando, né completamente sprovvisti di mezzi d'espressione, abbiamo fatto alcune riflessioni sul destino di certi individui tra cui qualcuno ha gravemente fallito, così gravemente da ridursi a essere

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un mascalzone, e tra cui altri sono forse solo colpevoli di cecità o di errore. Abbiamo ritenuto cosa interessante chiedere a questi ultimi a quale punto si trovino oggi; abbiamo ritenuto cosa interessante anche sapere chi di loro potrebbe rispondere a una sorta di segnale lanciato nel vuoto. Da qui la ragione della lettera che segue:

Parigi, 12 febbraio 1929 Egregio signore, Lei non si disinteressa del tutto, per quanto ci è dato di sapere,, delle possibilità di un'azione comune da parte di un certo numero di uomini che sono più o meno stimati da Lei, avendoli più o meno conosciuti, avendo avuto più o meno l'occasione dì giudicarli in base a questa o a quella azione pubblica o privata, e avendo o non avendo, a torto o a ragione, più o meno speranza in loro. Forse giudicherà opportuno procedere a un confronto generale tra ì diversi punti di vista di cui sono sostenitori e che, forse, oggi fanno sì che si trovino in posizioni contrastanti o differenti. Le questioni personali, che si è sempre ammesso di tenere in scarsa considerazione, possono o devono prevalere sulle ragioni che spingerebbero questi uomini ad agire insieme, tenute presenti l'importanza e l'eflìcacia di un accordo che potrebbe di nuovo stabilirsi tra di loro o tra una parte di loro? Esiste una profonda antinomia in quello che essi pensano? Noi ci permettiamo di attirare la Sua attenzione su questo fatto: non si pubblica più niente o quasi che possa interessare o agli uni o agli altri. C'è sì l'annuncio di una rivista marxista, di una rivista di opposizione comunista, di una rivista di psicologia concreta, ecc., ma pare che queste pubblicazioni incontrino difficoltà ad uscire, mentre, d'altro canto, « La lutte de classes », « Le grand jeu », «L'Esprit», « La Révolution surréaliste », ecc. non escono più. Dovremo permettere che si traggano da ciò certe conclusioni e che i nostri nemici facciano sempre più affidamento sull'impossibilità in cui ci troviamo di concertare su una qualsiasi base un'azione comune, oppure dovremo rinunciare a contare quanti siamo attorno a un certo numero di idee, positive o negative che siano, ma comunque piuttosto precise, e il cui valore solo è soggetto a discussione? Un certo numero di noi si rifiuta di credere alla necessità, alla fatalità di una dispersione dei nostri sforzi, e alla eccessiva specializzazione che ne deriva. Per questo Lei è pregata di rispondere per iscritto alle seguenti domande: I. Ritiene che, tirate le somme (importanza crescente delle questioni relative alle persone, mancanza reale di determinazioni esterne, passività notevole e impotenza dinanzi a un'organizzazione degli elementi più giovani, insufjicienza di qualsiasi contributo moderno, e di conseguenza accentuazione della repressione intellettuale in tutti i campi), la sua attività debba o no restringersi, definitivamente o no, a una forma individuale? II. a) Se sì, vuole fare a quel qualcosa che ha permesso alla maggior

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parte di noi di riunirci, il sacrificio di una breve esposizione dei suoi motivi? Definisca la sua posizione. b) Se no, in quale misura pensa Lei che si possa continuare o riprendere un'attività comune; quale dovrebbe essere la sua reale natura; con chi desidererebbe o accetterebbe di condurla? Le risposte dovranno essere indirizzate, prima del 25 febbraio 1929, a Raymond Queneau, rue Caulaincourt, 18, Parigi; rappresenteranno la base di una discussione per la quale saranno convocati in seguito tutti coloro che, indipendentemente dalle diverse posizioni su cui si possono già essere attestati, si saranno presi la briga di rispondere al questionario precedente, dimostrando con ciò che, utopistica o no, l'impresa . attuale, in cui sono a priori compresi, necessita da parte loro di una confessione o di sconfessione concreta. La lettera è stata mandata a: Maxime Alexandre, Georges Altman, Aragon, Arp, Antonin Artaud, Pierre Audard, Jean Baldensperger, Jacques Baron, Georges Bataille, Pierre Bernard, Jean Bernier, Jacques Boiffard, Monny de Boully, Joe Bousquet, André Breton, Jean Carrive, Jean Caupenne, Victor Crastre, René Crevel, René Daumal, André Delons, Robert Desnos, Hubert Dubois, Marcel Duchamp, Marcel Duhamel, Paul Éluard, Max Emst, Camille Fégy, Marcel Fourrier 1 Théodore Fraenkel, Jean Genbach, Francis Gérard, Roger Gilbert-Lecomte, Camille Goemans, Paul Guitard, Norbert Gutermann, Arthur Harfaux, Maurice Henry, Paul Hoereman, Henri Lefebvre, Michel Leiris, Georges Limbour, Édouard Kasyade, Georges Malkine, André Masson, Pierre de Massot, Frédéric Mégret, Édouard Mesens, Joan Mir6, Pierre Morhange, Max Morise, Pierre Naville, Paul Nougé, Benjamin Péret, Pascal Pia, Francis Picabia, Georges Politzer, Jacques Prévert, Man Ray, Georges Ribemont-Dessaignes, Marco Ristitch, Georges Sadoul, Émile Savitry, André Sauris, Yves Tanguy, André Thirion, Roland Tual, Tristan Tzara, Pierre Unik, Roger Vailland, Albert Valentin, Pierre Vital, Roger Vitrac. Nella lista, compilata affrettatamente, veniva espressamente trascurato un certo numero di persone segnate in maniera oggettiva dalla loro stessa attività (Delteil, Soupault ... ). Per sbaglio e non per altro è successo che in essa non figurassero i nomi di Marcel Lecomte, René Nelli e )osef Sima. Sta di fatto che in questa lista, che comprendeva i nomi dei principali collaboratori della rivista « Le grand jeu », veniva per la prima volta riconosciuta non tanto l'esistenza di una attività intellettuale sperimentata con successo quanto l'esistenza di rapporti personali, di dialoghi e di una solidarietà occasionale nata dalle svariate manifestazioni tenute in cinema e teatri, il che basta per poter valutare con maggiore esattezza i limiti di persone che sono molto giovani e ancora indecise. Quando diciamo limiti, pensiamo per esperienza ai limiti di ciascuno.

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... L'll marzo, al bar du Chateau, ha luogo la riunione e la presidenza è affidata a Max Morise. Presenti: Alexandre, Aragon, Arp, Audard,

Bernard, Breton, Caupenne, Crevel, Daumal, Delons, Duhamel, Fourrier, Gilbert-Lecomte, Goemans, Harfaux, Henry, Kasyade, Magritte, Mégret, Mesens, Queneau, Man Ray, Ribemont-Dessaignes, Sadoul, Savitry, Sima, Tanguy, Thirion, Unik, Vailland, Valentin. La parola è data a Raymond Queneau che presenta le risposte alla lettera del 12 febbraio classificandole in base alle loro conclusioni, favorevoli o contrarie a una azione comune; quattro sono contrarie, quattro sono favorevoli o contrarie con riserve, trentasei sono favorevoli. Di ogni lettera è data lettura completa . ... La lettura delle lettere non avendo sollevato alcun incidente, la parola viene data a Breton che, fatta rapidamente giustizia delle manovre che tendono a farlo passare, solo o con Aragon, come colui che deve assumersi la responsabilità diretta, anche se non dichiarata, dell'operazione del 12 febbraio, ammette che l'espressione « repressione intellettuale » è stata usata nel corso della lettera in maniera abusiva e impropria. Dopo di che, resta da affrontare lo scopo stesso della riunione. Non è detto, sia ben chiaro, che l'ordine del giorno non possa essere modificato. Niente è più rischioso e inutile. che sollevare la questione Trockij subito dopo aver preso coscienza delle divergenze che emergono dalle lettere nonché di altre, e il considerare veramente significativo e valido, da qualsiasi punto di vista, l'accordo quasi generale che si potrebbe ottenere a tal riguardo. Parecchie sono le pregiudiziali da risolvere; ci sono di mezzo i diritti che ognuno può avere di prendere posizione in una materia del genere. Spetta all'assemblea pronunciarsi prima di tutto sul grado di qualificazione o no, ma senza dubbio morale, di ognuno. Il grado di qualificazione di ognuno è funzione di ciò che si può sapere, fin d'ora, della sua attività. Esso implica la stretta osservanza del rapporto che esiste tra le manifestazioni oggettive dell'attività di ognuno e ciò che si sa di ognuno fuori di queste manifestazioni. Ora, prescindendo dal fatto che si siano fatte vive dando o no una risposta alla lettera del 12 febbraio, le persone consultate si dividono da sé in due categorie: mentre le une sembrano essersi deliberatamente consacrate all'assolvimento di un impegno rivoluzionario (Bernard, Fégy, Fourrier, Naville, Thirion), le altre, a giudicare dal loro comportamento generale, non sono militanti, nel senso rivoluzionario della parola. Sono ben lontane dal far lega, per questo, le une contro le altre; al contrario, si trovano d'accordo quando si tratta di designare quelle tra loro che si lasciano vincere dalla corruzione, quelle che, da una parte o dall'altra, si comportano in maniera equivoca . ... Le defezioni avvenute all'interno del surrealismo non hanno fatto altro che mostrare nella loro vera luce certe mentalità: l'ignobile arrivismo di Artaud e Vitrac, per i quali non c'è mestiere che sia stupido, neppure quello di confidente della polizia. Proprio come Morhange, costoro si sono d'altronde ben guardati dal richiamare oggi, più di quanto occor-

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resse, la nostra attenzione su di loro. Non saranno gli ultimi a qualificarsi in tal modo: lo si può dedurre da alcune lettere che ci sono pervenute. Resta la speranza, quella speranza che riunisce qui un certo numero di uomini, di poter unirsi senza scopi reconditi, non foss'altro per offrire una conclusione· a certe rivendicazioni comuni affatto fondamentali le quali, in caso contrario, si troverebbero ad essere cancellate dalle divergenze più o meno marcate tra gruppo e gruppo, anzi tra individuo e individuo. La probabilità di fissare un terreno di intesa dipende dalla possibilità di un sacrificio provvisorio da parte di ogni punto di vista particolare. Si tratta quindi per coloro che si richiamano al punto di vista comunista propriamente detto, di prescindere momentaneamente da tale punto di vista (e dai malintesi più o meno gravi che derivano, ora come ora, dalle diverse tesi prospettate: approvazione di tutte le parole d'ordine, discussione nel partito, opposizioni diverse fuori dal partito), per coloro che richiamano al punto di vista surrealista, che sembri o non sembri loro compatibile con quello precedente, di prescindere momentaneamente da tale punto di vista (e dai malintesi più o meno gravi che derivano dalla varia importanza connessa con l'azione sociale, con la sovversione in tutte le sue forme, con la poesia, con l'amore, con il dubbio incombente sulla realtà, con la violenza, ecc ... ) e così pure per gli ex collaboratori di « Correspondance », per alcuni indipendenti e per gli attuali collaboratori di « Grand jeu », di prescindere momentaneamente da ciò che li tiene uniti così come da ciò che li tiene isolati. Solo a questo prezzo (ma .ne è proprio convinto ognuno? La risposta globale di « Grand jeu » non lo dimostra) riusciremo a imporre una piccola parte di quanto vogliamo. Breton, a cui preme che non si proceda all'esame del problema posto dall'esilio di Trockij se prima non sarà stato risolto un certo numero di pregiudiziali e se non ci si sarà accordati su un certo numero di concetti fondamentali, ricorda che, checché se ne sia detto, una posizione rivoluzionaria può essere definita senza implicare per la gente le cui facoltà sono utilizzabili in altro modo, un atteggiamento e una vita da militante. Riferisce le dichiarazioni rilasciate da Panai:t Istrati e pubblicate nel numero di « Nouvelles littéraires » del 23 febbraio scorso. All'intervistatore che ricordava a Panai:t Istrati di avere scritto: « Non faccio lo scrittore di mestiere e non lo farò mai», Istrati risponde: « Non faccio neppure il rivoluzionario di mestiere e non lo farò mai. Contrariamente ai rivoluzionari imbottiti di dottrina la maggior parte dei quali tradisce a tutto spiano, la mia strada, dal 1902 in poi, non ha mai subito una deviazione. Sono rimasto il rivoluzionario sentimentale, con il suo destino saldato a quello dei conquistatori della corazzata Cneaz Potemkin, al cui sbarco a Constanza assistei nel 1905. Ricordo ancora il grande Matusenko, il capo degli ammutinati, con quel suo sguardo e quel suo volto dai lineamenti duri in cui si trovava espressa la fede rivoluzio-

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naria che non diventa mai professione ».1 t poco probabile che di questa fede !strati abbia potuto dire che non diventa mai professione, che abbia usato l'espressione « rivoluzionario sentimentale » ma, al di là di un possibile tradimento da parte di Lefèvre, ciò non toglie che per !strati, come risulta chiaramente dal contesto, non si tratta tanto dell'affermazione individuale e platonica di uno stato d'animo di rivolta e di una imprecisata simpatia nei confronti degli ammutinati quanto piuttosto di una speranza assoluta nella rivoluzione sociale, di una fiducia assoluta nei diritti, e nella forza per imporli, del proletariato. Breton chiede se tutti condividono senza riserve questa speranza. (Sì, all'unanimità). Una volta raggiunto un accordo su ciò, senza il quale nessuna ulteriore discussione sarebbe stata concepibile, è necessario ora affrontare la scottante questione che riguarda i collaboratori del . Si capirà meglio così come la loro somma sia una ragione di separazione e una prova della sua malafede. André Breton ha accusato Philippe Soupault di un certo numero di bassezze. Poneva la questione di fiducia, proprio come Poincaré o Tardieu, quando gli venivano richieste delle prove, eppure, l'anno scorso, confessava a Prévert che nulla l'autorizzava ad accusare Soupault di qualcosa. Stesso identico caso con Roger Vitrac, accusato di non si sa quale macchinazione, senza prove, senza motivi, in assoluta malafede. Sento e vedo ancora Breton che mi dice: « Caro amico, perché fa del giornalismo? :È stupido. Faccia come me, sposi una donna ricca. Si trova facilmente ». André Breton detesta :Éluard e la sua poesia. Ho visto Breton buttare nel fuoco i libri di fluard. :È vero che quel giorno il poeta dell'Amour, della Poésie non aveva voluto prestargli 10.000 franchi ... se Breton non gli avesse firmato in cambio delle cambiali. Perché continua ad essergli amico e a elogiarne l'opera? Perché fluard, nonostante si dica comunista, fa il lottizzatore, e perché il denaro degli acquitrini venduti agli operai serve per comperare quadri e oggetti africani che sono commerciabili, sia gli uni che gli altri. André Breton detesta Aragon sul quale va inventando e raccontando infamie. Perché lo tratta con riguardo? Perché di lui ha paura e perché sa bene che una rottura con lui sarebbe il segnale della sua fine. André Breton si era irritato un tempo con Tristan Tzara per un motivo precisissimo, cioè perché alla rappresentazione del Coeur à barbe il capofila del dadaismo ci aveva fatto arrestare. Breton lo sa. L'ha visto e

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sentito bene· quanto me indicarci agli agenti. Perché si è riconciliato? Perché Tristan Tzara acquista feticci africani e quadri che poi Breton vende. In un articolo sulla pittura, André Breton rimproverara a Joan Miro ·di avere incontrato il denaro sulla sua strada. Eppure è stato lui, André Breton, a rivendere il quadro Terres labourées a sei o ottomila franchi, dopo averlo comperato per cinquecento franchi. Miro ha incontrato il denaro, ma Breton l'ha intascato. Serio come un papa, pieno di dignità come un mago, puro come Eliacin, André Breton scrisse Le surréalisme et la peinture. È curioso comunque constatare come i soli pittori di cui parli bene senza restrizioni siano quelli con i quali gli è possibile fare degli affari. Nel dicembre del 1926, mentre discutevamo sulla adesione o meno al partito comunista, André Breton tentava di farmi passare per un vigliacco; perché, invece di realizzare dei guadagni sulle opere dei pittori, facevo il leccapiedi in giornalismo. Egli esigeva da tutti l'impegno a non collaborare con le riviste borghesi. Sei settimane dopo, consegnava alla rivista « Commerce » un testo scritto da lui «perché», diceva « è pagato bene». Anche lui, che ha rimproverato con tanta leggerezza a Man Ray i suoi rapporti con il visconte di Noailles, accarezzava, .l'anno scorso, la speranza di fare pagare al visconte la « Révolution surréaliste ». Ciò nonostante, Breton continuerà sempre a sostenere che André Masson è un venduto perché ha lasciato pubblicare un testo di Limbour sulla sua opera nella rivista tedesca « Querschnitt ». e meglio vedere in questa contraddizione solo una riv.alità d'affari tra mercanti d'arte. Io, per parte mia, non vedrei niente di male nel fatto che Breton « si guadagni da vivere » in questo o in un altro modo se avesse però la compiacenza di riconoscere che il denaro ha nella sua esistenza una parte importante quanto almeno l'ha nell'esistenza degli altri e se non avesse sempre in bocca e sulla penna la parola bigotta di «purezza». Passi, se fosse puro lui. Ci sono persone, originali e viziose, che hanno un certo gusto per quella cosa immonda che si chiama verginità maschile. Ora, tra verginità maschile e purezza c'è la stessa differenza che passa tra culo e camicia. Ma Breton, prima di tutto, è un uomo di lettere. Non ha mai creato niente. Tutta la sua attività si basa sulla critica letteraria o artistica, il che mi sembra la cosa più superflua della letteratura. Perché è necessario che miri a passare per un campione di moralità, un esempio di vita? Perché a un tale atteggiamento sono connessi vantaggi materiali. Breton che trae degli utili dal surrealismo non è diverso dal papa che percepisce, a proprio vantaggio, l'obolo di san Pietro. Potrei continuare all'infinito il racconto di questi fatti che, uniti ai gravi difetti di carattere (insulti nei confronti delle donne dei suoi amici, gusto per l'autorità spinta fino alla scelta degli aperitivi e altre azioni

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altrettanto ridicole), finiscono non solamente con lo stancare ma anche col rendere odioso un personaggio. In definitiva Breton è un essere spregevole perché la sua vita e le sue azioni non vanno d'accordo con le idee che dice di difendere; perché è un ipocrita, un vigliacco, un affarista {cfr. lettere ai critici perché si parli dei sùoi libri) e perché la sua attività si è sempre sviluppata in senso contrario alla vita, all'uomo e alla verità. Finisco quindi con queste storie da corridoio per le quali il nostro uomo ha più inclinazione di quanta non ne abbia io (i suoi libri ne sono pieni), ma potrei raccontarne a dozzine. Il tono scadente della sua risposta al Cadavre dice molto d'altronde sullo smarrimento a cui va incontro quando gli si parla in maniera decisa. Che cosa prova il fatto che nel 1923 io abbia scritto le lodi di Breton e che nel 1930 passi agli insulti se non che ho cambiato opinione? Per parte mia, ritengo di avere voluto bene a un porco. Non c'è d'altronde bisogno che ritiri fuori qualche scritto di carattere confidenziale perché mi si capisca. Se si rileggono Les pas perdus, Nad;a, Le premier manifeste, Clair de terre, ecc., si può vedere che cosa pensasse di me Breton prima dello squarcio di malafede che ha dedicato a me nel Second manifeste. Che mi importa se dice che i miei alessandrini sono sbagliati, pieni di zeppe e vuoti? ~ una disputa da pedanti. Che mi importa ·se dice che mi prendo per Victor Hugo e Robespierre? Penso che sia a corto di ingiurie. In ogni caso è meglio che prendersi per papa (cfr. Prefazione a Satan à Paris di Gengenbach, e il Second mani/e.sie du surréalisme). Ma c'è un momento in cui colgo il mio Breton nel suo aspetto di furbo matricolato, ed è quando mi accusa di avere scritto, nell'articolo Les mercenaires de l'opiniorì, l'apologia di Clemenceau. Questa è una bugia così flagrante che basta leggere l'articolo incriminato (rivista « Bifur », n. 2, p. 165). Perché non dice anche, dato che c'è, che sono un pederasta, un oppiomane e un massone? 1 Ci sarebbe molto da dire sul puritanesimo, sul protestantesimo di Breton. Non condanna forse l'uso degli alcolici? Sì, ma lui li beve, e così si spiegherebbe benissimo il suo carattere, se si pensa all'azione esercitata sul suo pensiero dalla cirrosi epatica. Ancora una volta si ritrova in lui il rivoltante conformismo religioso. Ma non a questo si deve circoscrivere la controversia. lo non condivido le idee di Breton, questo prete che non ride mai, che non sa che cosa sia ridere, tanto è divorato dall'invidia. Condanna in blocco il teatro perché è incapace di farlo. Borghese più di chiunque altro, ha sempre in bocca la parola rivoluzione non perché gli venga dal cuore, ma

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« Desnos » dice lui « è un tipo losco. Il un intossicato. » droga? »

« Come intossicato? Si « Sì, beve liquori. »

(Conversazione privata riportata da « Le courrier lit!éraire », I marzo 1930).

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perché il boccone è così difficile da ingoiare per la sua debole gola che lo stomaco lo ributta fuori. Breton è il tipo di personaggio che vive non sull'atto rivoluzionario ma sull'idea di rivoluzione. Ai primi disordini è il tipo che parte per Coblenza. Ecco qui dunque questo poeta impotente, questo critico, questo truffatore di idee (e credetemi, vi prego, lui sa come darla a bere), questo sofista, in presenza di Lautréamont. Ah, potete star certi che lui non perde la bussola. Una frase, una sola proposizione di Lautréamont l'ha colpito: il diritto di contraddirsi, e vi posso garantire che se ne è servito parecchio. Questo diritto umano e legittimo si è trasformato in lui in diritto alla ipocrisia, alla restrizione mentale. Gesuita! · Da qui a volere sfruttare il surreale, a osare dire che esiste, c'è solo il passo che separa la menzogna dall'abuso di fiducia. Io che un po' di diritto a parlare del surrealismo ce l'ho, dichiaro qui che il surreale esiste solo per i non surrealisti. Per i surrealisti, c'è solo una realtà unica, intera, aperta a tutti. Forse Breton non è l'essere sospetto che ho or ora denunciato e le cui stesse idee basterebbero a condannare? Credere al surreale vuol dire tornare a lastricare la strada che porta a Dio. Il surrealismo, così come è stato formulato da Breton, è uno dei più gravi pericoli che si possa far correre al libero pensiero, la trappola più insidiosa in cui si possa far cadere l'ateismo, un eccellente contributo a una rinascita del cattolicesimo e del clericalismo. E qui proclamo che André Breton è stato tonsurato dalla mia mano, destituito nel suo convento letterario, che la sua cappella è stata adibita ad altro uso, e che il surrealismo inoltre è diventato di dominio pubblico, a disposizione degli eresiarchi, degli scismatici e degli atei. Ed io sono un ateo. Robert Desnos

Liquidata la crisi del 1929, pur riservandosi di esplorare il terreno che gli appartiene, il surrealismo afjerma di non avere altra linea di condotta all'infuori di quella dell'Internazionale comunista. Testo di un telegramma mandato a Mosca in risposta alle apprensioni formulate dall'Ufficio internazionale della letteratura rivoluzionaria. Quello stesso anno, la rivista « La Révolution surréaliste » diventa «Le Surréalisme au service de la Révolution ».

Telegramma mandato a Mosca Domanda: Ufficio internazionale letteratura rivoluzionaria prega rispondere seguente domanda: quale sarà vostra posizione se imperialismo dichiara guerra ai Soviet stop recapito casella postale 650 Mosca. Risposta: Compagni se imperialismo dichiara guerra ai Soviet nostra

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posizione sarà conformemente alle direttive Terza Internazionale posizione dei membri partito comunista francese. Se riteneste possibile in tal caso un migliore impiego delle nostre facoltà, siamo a vostra disposizione per miss.ione precisa che esiga un uso diverso delle nostre persone di intellettuali stop proporvi suggerimenti equivarrebbe veramer:te a sopravvalutare la nostra funzione e le circostanze. Nell'attuale situazione di conflitto non armato crediamo inutile attendere per mettere al servizio della rivoluzione i mezzi che più particolarmente ci appartengono.

Abbiamo raccontato altrove la bravata del prete Erne:,t de Gengenbach. Articolo per Judas, che non avrebbe poi dovulo ve>dere la luce.

Articolo per « Judas » Nella diabolica sala per fumatori dell'H6tel Lord Byron, l'autore di Satan à Paris manipolava febbrilmente il flacone di profumo « Stasera o mai » che aveva deciso di offrire alla sirena del Miramar, Georgine Chasset, l'affascinante parigina di rue du Laos. « Sì, l'impiccagione » riprese lui. « Ho la segreta speranza che il giorno in cui capiranno che la scienza del bene e del male è andata a rifugiarsi tra i rami di un abete o di una palma, gli uomini si impiccheranno agli alberi a grappoli mostruosi. E Satana non dovrà fare altro che appiccare il fuoco a queste foreste di legna senza linfa ... Tuttavia preferisco immaginare che i preti della Chiesa romana, refrattari al suicidio, sopravviveranno, non foss'altro per berciare un ultimo libera. Accorreranno scon- · volti agli alberi come sciami di corvi... Non me ne preoccupo, la cosa è ovvia, sapendo prima come questi macabri uccelli da seminario non potranno più seminare il seme umano. È divertente pensare che tutta la loro effimera vita non basterà per assolvere ,al compito di becchini in talare. Grazie alla loro esperienza secolare in questo mestiere, riusciranno veramente ad essere quei morti che seppelliscono i morti, ai quali si allude nella Scrittura. Allora la terra diventata fredda, bagnata inutilmente dal sangue del Cristo, si spalancherà improvvisamente per seppellire la Croce dentro i fianchi del Golgota, ma, dalla terra riscaldata e fecondata dallo sperma di Giuda l'impiccato, sorgerà alla fine la mandragora meravigliosa. E così deve pensare un ussaro della morte, satanista e prussiano.

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Salvador Vali e Luis Bufiuel sono andati, tra gli altri, a rinforzare, dopo il Second Manifeste le file surrealiste. Sono gli autori di un film la cui proiezione nello Studio 28 suscita la collera della « Gioventù patriottica». Soggetto del film come risulta dal programma distribuito agli spettatori. Manifesto che spiega e giustifica il film. Questionario a proposito degli incidenti. « L'età dell'oro »

La mia idea generale, scrivendo con Bufiuel il soggetto dell'Età dell'oro, è stata quella di presentare la linea retta e pura di « condotta » in un essere che insegue l'amore attraverso gli ignobili ideali umanitari, patriottici e altri miserevoli meccanismi della realtà.

Salvador Dati

Il soggetto Alcuni scorpioni vivono tra le rocc,e. Arrampicato su una di queste rocce, un bandito scorge un gruppo di arcivescovi ..che cantano in mezzo a un paesaggio minerale. Il bandito corre ad annunciare agli amici che i maiorchini 1 (cioè gli arcivescovi) sono a poca distanza. Giunto nella sua capanna, trova gli amici in uno strano stato di debolezza e di depressione. Prendono le armi ed escono tutti, ad eccezione del più giovane che non può più nemmeno alzarsi. Si mettono a camminare tra le rocce; ma uno dopo l'altro, non potendone più, cadono a terra. Allora il capo dei banditi s'accascia senza più alcuna speranza. Dal punto in cui è arrivato, sente il rumore del mare e scorge i maiorchini ridotti ora allo stato ormai di scheletri, disseminati tra le pietre. 1

Maiorchini: abitanti dell'isola di Maiorca.

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Un'immensa carovana marittima approda in quel luogo scosceso e desolato. La carovana si compone di preti, di militari, di monache, di ministri e di varie persone in borghese. Si dirigono tutti verso il punto in cui riposano i resti dei maiorchini. Ad imitazione delle autorità che guidano il corteo, la folla si scopre. Si tratta di fondare la Roma imperiale. Viene posata la prima pietra, quando acute grida richiamano l'attenzione generale. Nel fango, a due passi, un uomo e una donna lottano amorosamente. Vengono separati. L'uomo viene battuto e alcuni poliziotti lo trascinano via. Quell'uomo e quella donna saranno i prot,agonisti del film. L'uomo, grazie a un documento che rivela la sua alta personalità e l'importante missione umanitaria e patriottica che il governo gli ha affidato, è quasi subito rimesso in libertà. A partire da questo momento, tutta la sua attività si volge verso l'Amore. Durante una scena d(amore incompiuta cui presiede la violenza degli atti mancati, il protagonista è chiamato al telefono dall'alto personaggio che gli ha affidato la responsabilità della missione umanitaria succitata. Il ministro lo accusa. Perché ha abbandonato il suo compito, migliaia di vecchi e di innocenti fanciulli sono periti. Una simile accusa, il protagonista del film la accoglie con ingiurie e, senza volere più sentire niente, ritorna accanto alla donna amata nel momento in cui un caso assai inesplicabile riesce; ancor più definitivamente, a separarla da lui. In seguito lo si vede gettare da una finestra un abete in fiamme, un enorme attrezzo agricolo, un arcivescovo, una giraffa e delle piume. Tutto questo nel momento preciso in cui i sopravvissuti del castello di Selligny ne oltrepassano il ponte levatoio coperto di neve. Il conte di Blangis è evidentemente Gesù Cristo. Questo ultimo episodio è accompagnato da un paso doble. 2

L'età dell'oro Mercoledì 12 novembre 1930 e i giorni seguenti, dovendo giornalmente prendere posto in una sala di proiezione, parecchie centinaia di persone richiamate verso questo posto da aspirazioni diversissime, in fortissimo contrasto, passando quasi su una scala più vasta dalle migliori alle peggiori, queste persone che non si conoscono e che anche legano tra di loro il meno possibile, dal punto di vista sociale, ma che si ·riuniscono, nolenti o volenti, in una congiura propiziata dall'oscurità e dall'inavvertito allineamento nonché dall'ora, che è identica per tutte, per fare riuscire o fallire con l' Age d'Or di Bufiuel uno dei massimi programmi di rivendicazioni che siano stati fino ad oggi proposti alla coscienza umana, conviene forse, più che abbandonarsi alla delizia di vedere finalmente 2

Fra gli altri particolari, questo film ci mostra un cieco maltrattato, un cane schiacciato, un figlio quasi ucciso dal proprio padre senza motivo, una vecchia signora schiaffeggiata, ecc.

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trasgredite al massimo grado le leggi scoraggianti che si consideravano capaci di rendere inoffensiva l'opera d'arte dietro la quale c'è un Cristo e dinanzi alla quale, con l'aiuto della ipocrisia, ci si sforza di riconoscere nella parola bellezza solo un bavaglio, conviene anche certamente misurare con un certo rigore, l'apertura alare di questo uccello da preda oggi ancora del tutto inatteso nel cielo che declina, nel cielo occidentale che declina: L'Age d'Or.

L'istinto sessuale e l'istinto di morte Sarebbe forse chiedere troppo poco agli artisti di oggi di attenersi alla constatazione, per altro geniale, che l'energia sublimata che cova in loro continuerà a consegnarli, mani e piedi legati, allo stato di cose esistente e che essa non farà, tramite loro, altre vittime che loro stessi. Pensiamo che sia il loro dovere più elementare sottoporre l'attività che loro deriva da tale sublimazione, di origine misteriosa, a una critica acuta, e non indietreggiare di fronte a nessuna sofferenza apparente, dal momento che si tratta di sciogliere il bavaglio di cui si parlava prima. Abbandonarsi con tutto il cinismo che comporta una tale impresa alla rinuncia in sé e all'affermazione di tutte le tendenze nascoste la cui risultante artistica è solo un aspetto alquanto frivolo, deve, non solamente essere loro permesso, ma anche preteso da loro. Solo a loro può spettare, al di là della sublimazione di cui sono oggetto, e che non si potrebbe senza misticismo considerare come un fine naturale, proporre al giudizio scientifico un altro termine, una volta che abbiano tenuto conto di tale subli-. mazione. Oggigiorno si pretende dall'artista che sappia a quale essenziale macchinazione debba il fatto di essere un artista e gli si dà atto della sua pretesa ad esserlo solo in quanto si sia sicuri che abbia perfettamente preso coscienza di questa macchinazione. Ma l'esame disinteressato delle condizioni nelle quali si risolve - tende a risolversi - il problema, ci insegna che l'artista Bufiuel non riesce ad essere che il teatro vicinissimo a noi di una serie di combattimenti che si svolgono in lontananza, due istinti che pure si trovano associati in ogni uomo: l'istinto sessuale e l'istinto di morte. Dato che l'atteggiamento ostile universalmente adottato che comporta il secondo di questi due istinti non 'differisce in nessun uomo se non nella sua applicazione, che d'altra parte ci sono nella società borghese attuale ragioni meramente economiche che si oppongono perché un tale atteggiamento non benefici di soddisfazioni se non assai parziali, dal momento che queste stesse ragioni rappresentano da sole una fonte inesauribile di conflitti derivati da quelli che potrebbero esserci e che allora si dovrebbe esaminare, si sa che l'atteggiamento amoroso con tutto l'egoismo che presuppone, e le probabilità di realizzazione molto più rilevanti di cui gode, è quello dei due che riesce a sopportare meglio

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la luce dello spmto. Di qui il gusto deplorevole per il ruolo di dfugio d1c all'arte si va affidando da secoli, di qui la grandissima tolleranza di cui si dà prova nei confronti di tutto quanto, in cambio di abbondanti lacrime e stridor di denti, contribuisce tuttavia a porre l'atteggiamento amoroso al di sopra di ogni cosa. Non è men vero, da un punto di vista dialettico, che uno di questi iillcggiamenti non può umanamente essere valido se non in funzione dell'altro, che questi due istinti di conservazione, come è stato detto molto bene, tendendo a ristabilire uno stato sconvolto dall'apparizione della vita, si equilibrano in maniera perfetta in ogni uomo e solo alla vigliaccheria sociale l'anti-Eros deve la sua venuta alla luce a spese dell'Eros. Non è men vero che dalla violenza che vediamo animare la passione amorosa in un essere, possiamo giudicare la sua capacità di rifiuto, possiamo, dando poca importanza all'inibizione passeggera in cui lo mantiene o no l'educazione, concedergli qualcosa di più di una funzione sintomatica, dal punto di vista rivoluzionario. È proprio il caso che almeno una volta questa passione amorosa appaia in maggior luce per quanto riguarda la sua determinazione, che almeno una volta si rizzi dalle spine stillanti sangue di ciò che si vuole amare e che alle volte si ama, che almeno una volta si tiri in ballo la frenesia· lanto screditata, al di fuori della quale noi surrealisti ci rifiutiamo di accettare per valida qualunque espressione artistica; conosceremo così il nuovo limite drammatico del compromesso per cui ogni uomo passa e per cui, accettando di scrivere o di dipingere, noi siamo i primi e gli ultimi ad avere, pur mancando di una più ampia informazione - questa più ampia informazione essendo L'età dell'oro -, acconsentito di passare.

f':, la mitologia che cambia Nel momento sicuramente più propmo all'investigazione psicanalitica, che tende a determinare l'origine e la formazione dei miti morali, noi riteniamo possibile, per semplice induzione e marginalmente alla esattezza scientifica, concludere che può esistere un criterio, un criterio che emanerebbe da tutto quanto può sintetizzarsi nelle aspirazioni del pensiero surrealista in generale e che risulterebbe, dal punto di vista biologico, dall'atteggiamento contrario a quello che permette di riconoscere nei miti morali una sopravvivenza degli antichi tabù. Del tutto contrari a tale sopravvivenza, noi crediamo (per quanto paradossale possa sembrare la cosa) che proprio nell'ambito di ciò che si ha l'abitudine di ridurre ai limiti (!) del congenito sarebbe ammissibile un'ipotesi svalutativa di questi miti, secondo la quale le divinazioni e le mistificazioni di certe rappresentazioni feticistiche con significato morale (quali la maternità, la vecchiaia, ecc.) sarebbero un prodotto che, grazie al suo rapporto con il mondo affettivo e nello stesso tempo al suo meccanismo

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di oggettivazione e di proiezione all'esterno, potrebbe essere considerato come un caso, certo molto complicato, di transfert collettivo in cui la funzione di demoralizzazione sarebbe assolta da un sentimento potente e profondo di ambivalenza. Le possibilità psicologiche individuali di annientamento spesso completo di un vasto sistema mitico coesistono con la non meno frequente e notissima possibilità di ritrovare in tempi ulteriori, mediante un processo regressivo, miti · arcaici già esistenti. Ciò significa da una parte l'affermarsi di certe costanti simboliche del pensiero inconscio, dall'altra il fatto che tale pensiero è indipendente da qualsiasi sistema mitico. Tutto si riduce quindi a una questione di linguaggio; mediante il linguaggio dell'inconscio noi possiamo ritrovare un mito, ma sappiamo bene che le mitologie cambiano e che i nostri sentimenti, spesso meschini, sono in ogni occasione superati da una nuova fame psicologica con tendenza paranoica. Non bisogna fidarsi dell'illusione che può risultare dalla mancanza di un confronto, illusione simile a quella che fa muovere il treno fermo quando un altro treno passa davanti al finestrino di un compartimento e, nel caso etico, simile a quella che opera la traslazione dei fatti verso il male: tutto avviene come se, contrariamente a quanto succede nella realtà, a muoversi, a cambiare non fossero precisamente gli avvenimenti ma, che è ancora più grave, la mitologia. Nelle prossime mitologie morali occuperanno un posto, come al solito, le riproduzioni scultoree .delle svariate allegorie edificanti tra le quali si distingueranno per il loro carattere straordinario quella di una coppia di ciechi che si divorano tra di loro e quella di un adolescente dallo sguardo nostalgico « che sputa sul ritratto della madre per il solo piacere di farlo ». Con la lotta più accanita contro gli artifici, siano essi di persona intelligente o grossolana, la violenza, in questo film, spoglia la solitudine di tutto quello di cui si adorna. Nella solitudine ogni oggetto, ogni essere, ogni abitudine, ogni convenzione, ogni immagine anche, premedita di ritornare alla sua realtà senza divenire, di non avere più segreti, di venire definito tranquillamente, vanamente dall'atmosfera che crea. Ma ecco che lo spirito che non accetta resta solo e vuole vendicarsi di tutto quanto sj impadronisce così del mondo che gli viene imposto. Nelle sue mani un po' di sabbia, di fuoco, d'acqua, di penne, nelle sue mani l'arido piacere della privazione, nei suoi occhi la collera, nelle sue mani la violenza. Dopo essere stato a lungo vittima di tutti gli sconvolgimenti, l'uomo risponde alla calma che sta per ricoprirlo di cenere. Egli spezza, impone, atterrisce, saccheggia. Le porte dell'amore e dell'odio sono aperte e lasciano il passaggio libero alla violenza. Disumana, essa mette in piedi l'uomo e non accetta la possibilità di una fine per questo suo deposito sulla terra. L'uomo es~e dal suo rifugio e faccia a faccia con la vana disposizione

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degli incanti e dei disincanti si inebria della forza del suo delirio. Che importanza ha la debolezza delle sue braccia dal momento che la testa è così soggetta alla rabbia che la scuote. Non siamo lontani dal giorno in cui ci si accorgerà che, nonostante tutte le scorie e gli strazi che ci corrodono come un acido, e alla base di questa attività liberatrice o tenebrosa che è il tentativo di una vita più propria al cuore stesso del meccanismo in cui l'ignominia industria1izza la città,

L'amore resta solo al di fuori dei limiti immaginabili e domina dalla profondità del vento, dal pozzo di diamante, le costruzioni dello spirito e la logica della carne. Il problema del fallimento dei sentimenti intimamente legato a quello del capitalismo, non è ancora risolto. Si nota in tutti i campi una ricerca di nuove condizioni in grado di aiutare a vivere fino all'ora di una liberazione ancora illusoria. In questo campo la psicanalisi ha creato il più gran numero di pregiudizi, dato che il problema stesso dell'amore è rimasto fuori dalle manifestazioni che l'accompagnano. È merito del1'Age d'Or avere mostrato l'irrealtà e l'insufficienza di una simile concezione. Bufiuel ha formulato un'ipotesi sulla rivoluzione e l'amore che investe le zone più profonde della natura umana con la più patetica delle discussioni, e fissato, profondendo benefiche crudeltà, questo momento unico in cui, con le labbra strette, si segue la voce più lontana, più presente, più lenta, più incalzante fino all'urlo così forte che appena si può udire: Amore ... Amore ... Amore ... Amore ... È inutile aggiungere che uno dei punti culminanti della purezza di questo film ci sembra cristallizzato nella visione che la protagonista ha in gabinetto, in cui la potenza dello spirito riesce a sublimare una situazione in genere barocca in un elemento poetico di una nobiltà e solitudine purissime.

Situazione nel tempo Non serve più a nulla, oggi, che una cosa purissima e inattacèabilissima sia l'espressione di ciò che un uomo porta in sé di più puro e inattaccabile dal momento che, qualunque cosa egli faccia, qualunque cosa noi facciamo, per salvare la sua opera dall'ingiuria, dall'equivoco e con ciò intendiamo designare il peggiore di tutti gli equivoci, quello che consiste nello sviare questo pensiero per fare posto ad un altro che con il primo non ha nulla in comune, qualunque cosa egli faccia, diciamo, è un tentativo inutile. Nel momento attuale tutto sembra indifferentemente utilizzabile per scopi che abbiamo con troppa insistenza denunciati e disapprovati per potere passare oltre ogni volta che ci vengono posti

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sotto gli occhi, come per esempio, quando abbiamo letto in « Les annales » una dichiarazione in cui l'ultimo dei clowns si abbandonava a commenti deliranti su Un chìen andalou, e prendeva a pretesto la sua ammirazione per scoprire un'identità tra l'ispirazione del film e la sua poesia. Eppure non c'è alcuna possibilità di confusione. Ma qualunque sia lo steccato con cui si circonda un terreno. apparentemente già ben difeso, ci si accorge che la spazzatura non ci ha messo molto a invaderlo. Quantunque basti, ora, che un libro, un quadro, un film contengano in sé i modi aggressivi propri a scoraggiare la truffa, noi continuiamo, ·nonostante tutto, a pensare che la provocazione sia una precauzione come un'altra e, su questo piano, nulla manca all'Età dell'oro per deludere chiunque speri di trovarvi comodamente di che cibarsi. Se lo spirito scandalistico che in esso ci ha offerto Bufiuel, non per capriccio premeditato, ma per ragioni· che, da una parte, sono personali e, dall'altra, sono implicite nel proposito di tenere per sempre lontani i curiosi, gli appassionati, i buffoni, gli esegeti che cercheranno in ciò un'occasione per esercitare le loro più o meno buone capacità discorsive, se un tale spirito è riuscito, questa volta, nell'intento a cui mira, lo potremmo considerare libero da ogni altra ambizione. Spetta ai professionisti della critica essere più esigenti e porre dei problemi a proposito di questo film, sul soggetto, sulla tecnica, sull'introduzione della parola. Non ci si aspetti da noi che forniamo argomenti per alimentare la loro controversia sull'opportunità del silenzio e del rumore e che teniamo in vita così una disputa vana e risolta quanto quella del verso classico e del verso libero. Saremo sempre troppo sensibili a ciò che, in un'opera o in un essere, lascia a desiderare, per interessarci tanto alla perfezione, a una idea della perfezione, qualunque sia la sua origine, qualunque sia il progresso da cui essa sembri procedere. E, per la verità, non è questo il problema affrontato da Bufiuel, ma si può parlare di problema nei confronti di un film in cui niente di ciò che ci agita viene eluso e resta in sospeso? Dell'interminabile bobina di pellicola impressionata, proposta fino ad oggi ai nostri sguardi e oggi svanita nel nulla, alcuni frammenti della quale non furono altro che il divertimento di una serata da passare, e certi altri un motivo di prostrazione o di inconcepibile cretinizzazione, e certi altri ancora il motivo di una breve e incomprensibile esaltazione, che cosa ricordiamo se non la voce dell'arbitrario udita in alcune commedie di Mack-Sennett, quella della sfida in Intel'mezzo, quella di un amore selvaggio in Ombre bianche, quella di una speranza e di una disperazione egualmente illimitate nei film di Chaplin? A parte ciò, nulla, all'infuori dell'invincibile appello alla rivoluzione della Corazzata Potemkin. Nulla, all'infuori del Chien andalou e dell'Age d'Or che si collocano al di là di tutto quanto esiste. Largo dunque a quest'uomo che percorre il film da un capo all'altro, con tracce di polvere e di calcinacci sui vestiti, indifferente a tutto guanto non sia unicamente il

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pensiero di quell'amore che lo permea e lo guida, e attorno al quale si organizza e gravita il mondo, questo mòndo con il quale non sono possibili accomodamenti di sorta e al quale, una volta ancora, noi apparteniamo solo nella misura in cui insorgiamo contro di esso.

Aspetto sociale. Elementi sovversivi Bisognerà cercare un cataclisma di tempi ormai remoti per potere trovare qualcosa a cui comparare i tempi moderni. Bisognerà probabilmente risalire al crollo del mondo antico. La curiosità che ci spinge verso queste epoche di grandi sconvolgimenti, molto simili, fatte le debite riserve, a quella in cui viviamo, preferirebbe ritrovare di quel tempo qualcosa di diverso dalla storia. Ahimè, il cristianesimo è tutto pieno del suo cielo dove non c'è niente che non abbiamo visto prima sul soffitto del ministero degli interni o sulle rocce che sono in riva al mare. l'er questo le tracce lasciate sulla retina dell'occhio umano dalla lancetta di un grande sismografo mentale non mancheranno mai di rivestire, a meno che non spariscano con tutto il resto nel nulla della società capitalistica, un'importanza eccezionale, per coloro a cui importa prima di lutto di determinare il_ punto critico in cui le « parvenze » prendono il posto delle realtà, dipende dalla volontà degli uomini che il sole tramonti una volta per sempre. Proiettato in un momento in cui le banche saltano in aria, in cui scoppiano le rivolte, i cui i cannoni cominciano ad uscire dagli arsenali, l'Age d'Or dovrebbe essere visto da tutti quelli che non sono ancora preoccupati dalle novelle che la censura lascia pubblicare sui giornali. È un complemento morale indispensabile alle apprensioni della borsa e che avrà un effetto direttissimo proprio per il suo carattere surrealista. Non c'è, infatti, affabulazione nella realtà. Si pongono le prime pietre, le convenienze si trasformano in dogma, i poliziotti picchiano come fanno tutti i giorni, così come anche tutti i giorni si verificano incidenti di vario genere nel seno stesso della ·società borghese che sono accolti con la massima indifferenza. Questi incidenti che, come si potrà notare, nel film di Bu:iiuel appaiono filosoficamente puri, indeboliscono la capacità di resistenza di una società in putrefazione e che cerca di sopravvivere utilizzando preti e poliziotti come unico materiale di sostegno. Il pessimismo finale espresso dal seno stesso della classe dirigente dopo la disintegrazione del suo ottimismo, diviene a sua volta una potente forza di decomposizione di detta classe, assume il valore di una negazione, affermandosi subito nell'azione antireligiosa e quindi rivoluzionaria dato che la lotta contro la religione significa anche lotta contro il mondo. Il passaggio dallo stato all'azione da parte del pessimismo viene determinato dall'amore, principio del male nella demonologia borghese, al quale bisogna sacrificare tutto: situazione, famiglia, onore, ma il cui fallimento introduce nell'organizzazione sociale il sentimento della rivolta. Un processo simile si può osservare nella vita e

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nell'opera del marchese de Sade, contemporaneo dell'Age d'Or e della monarchia assoluta, vita e opera stroncate dall'implacabile repressione fisica e morale della borghesia trionfante. Non per caso quindi il film sacrilego .di Bufiuel è un'eco delle bestemmie urlate dal divin marchese attraverso le sbarre delle prigioni. Resta ovviamente da indicare il divenire di tale pessimismo nella lotta e nel trionfo del proletariato che rappresenta la decomposizione della società in quanto classe particolare. Nell'era della «prosperità», il valore d'uso sociale dell'Età dell'oro deve stabilirsi in base alla soddisfazione del bisogno di distruzione negli oppressi e forse anche in base all'incoraggiamento delle tendenze masochiste negli oppressori. Contro ogni minaccia di soffocamento, questo film sarà utilissimo, pensiamo, per far scoppiare cieli sempre meno belli di quelli che esso ci fa vedere in uno specchio. Maxime Alexandre, Aragon, André Breton, René Char, René Crevel; Salvador Dali, Paul Éluard, Benjamin Péret, Georges Sadoul, André Thirion, Tristan Tzara, Pierre Unik, Albert Valentin

•Questionario I. Che cosa pensate del divieto di proiezione del film L'Age d'Or da parte della polizia in seguito alla manifestazione della lega della « Gioventù patriottica» e della lega antiebraica avvenuta il 3 dicembre 1930 ·nello studio 28? II. Da quando in Francia non si ha il diritto d1 mettere seriamente in questione la religione, i suoi fondamenti, i costumi dei suoi rappresentanti, ecc.? Da quando la polizia è al servizio dell'antisemitismo? Dal momento che l'intervento della polizia era un'approvazione del pogrom della lega della « Gioventù patriottica», vuol essere un incoraggiamento all'instaurazione dei metodi fascisti in Francia? Si deve interpretare questo intervento come un'autorizzazione concessa anche a coloro che considerano oltraggiosa la propaganda religiosa allo scopo di interromperne con ogni mezzo le manifestazioni (film di propaganda cattolica, pellegrinaggi a Lourdes e a Lisi~ux, fucine di oscurantismo quali La Buona Stampa, Congregazione dell'Indice, chiese, ecc ... perversione della gioventù in patronati e in manovre militari, prediche alla radio, negozi di crocefissi, madonne, corone di spine)? III. U fatto che L'Age 'd'Or sia stato vietato costituisce un semplice abuso di potere, aricora una volta, da parte della polizia oppure è una prova dell'incompatibilità del surrealismo con la società borghese? Come riconoscimento di questa incompatibilità si deve considerare il fatto che, dopo che un gruppo di giovani borghesi ha distrutto alcuni

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q11udri surrealisti e rubato alcuni libri surrealisti, dopo che i giornali borghesi hanno pubblicato una lettera provocatoria firmatil Le Provost dc Launay e incitato alla repressione contro la rivista « Le Surréalisme m1 service de la Révolution » e al saccheggio della sede di questa rivista, lu loro polizia abbia vietato un film surrealista, così come vieta i film ~ovietici, così come la polizia di Hitler ha vietato in Germania All'ovest niente di nuovo? IV. Il ricorso alla provocazione per legittimare un'ulteriore intervento 1ldla polizia non è il segno della fascistizzazione? Essendo l'intervento stato effettuato con il pretesto di proteggere l'inl'anzia, la gioventù, la famiglia, la patria e la religione, si può per un i~lunte sostenere che questa evidente fascistizzazione non ha lo scopo di distruggere tutto quanto tende a opporsi alla guerra che sta per ~rnppiare? E in maniera specialissima alla guerra contro l'Urss? Maxime Alexandre, Aragon, André Breton, René Char, René Crevel, Salvador Dali, Paul P.luard, Georges Malkine, Benjamin Péret, Man Ray, Georges Sadou(, Yves Tanguy, André Thirion, Tristan Tzara, Pierre Unik, Albert Valentin N.B. Le persone che, per un caso strano, fossero tentate di rispondere a questo questionario sono pregate di scrivere a André Breton, 42, rue Fontaine, Parigi_ JXe.

Retro della copertina di un catalogo di opere surrealiste pubblicate dalla casa editrice }osé Corti, 6, avenue de Clichy, Parigi 1xe /)a leggere

Da non leggere

Da leggere

Da non leggere

Eraclito

Platone Virgilio San Tommaso

Lautréamont

Kraft-Ebing Taine Verlaine Laforgue Daudet

l.ullo l•'lumel Agrippa Scève Swift Berkeley

Rabelais Ronsard Montaigne Molière La Fontaine

I ,u Mettrie Young Housseau Diderot

Voltaire

Rimbaud Nouveau Huysmans Caze Jarry Becque Allais Th.Floumoy Hamsun Freud Lafargue

Gourmont Verne Courteline Mme de Noailles Philippe Bergson Jaurès Durkheim

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Holbach Kant Sade Laclos Marat Babeuf Fichte Hegel Lewis Arnim Maturin Rabbe A. Bertrand Nerval Bore! Feuerbach Marx Engels Baudelaire Cros

Lenin Synge Apollinaire Bern. de St. Pierre Roussel Léautaud Chénier Cravan Mme de Stael Picabia Reverdy Vaché Hoffmann Majakovskij De Chirico Schopenhauer Savinio Yigny Neuberg Lamartine Balzac Renan

Schiller Mirabeau

Comte Mérimée Fromentin Leconte de Lisle Banville

Lévy-Bri.ihl Sorel Claudel Mistral Péguy Proust D'Annunzio Rostand Jacob Valéry Barbusse Mauriac Toulet Malraux Kipling Gandhi Maurras Duhamel Benda Valois Vautel ecc ... ecc ...

Volantino pubblicato in occasione dell'« Esposizione coloniale» di Vincennes.

Non visitate l'Esposizione coloniale Alla vigilia del primo maggio 1931 e all'antivigilia dell'inaugurazione dell'Esposizione coloniale, lo studente indocinese Tao viene arrestato dalla polizia francese. Chiappe, per colpirlo, utilizza il falso e la lettera anonima. Si viene a sapere, dopo il tempo necessario a parare qualsiasi agitazione, che quell'arresto, dato come preventivo, non è che il preludio di una espulsione in Indocina.1 Il delitto di Tao? Essere membro del partito comunista, che non è affatto un partito illegale in Francia, e avere osato una volta manifestare dinanzi all'Eliseo contro l'esecuzione di quaranta annamiti. L'opinione mondiale si è vanamente commossa per la sorte dei due condannati a morte Sacco e Vanzetti. Se Tao viene abbandonato all'arbitrio della giustizia militare e della giustizia dei mandarini, non abbiamo 1 Abbiamo creduto di non dovere accettare, per questo manifesto, le firme dei nostri compagni stranieri.

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più alcuna garanzia per la sua vita. Levare così bellamente il sipario era proprio quel che ci voleva, nel 1931, per l'Esposizione di Vincennes. L'idea del brigantaggio coloniale (la parola era brillante e appena abbastanza forte), quest'idea, che data dal XIX secolo, è di quelle che non hanno fatto la loro strada. Ci si è serviti del denaro eccedente per mandare in Africa, in Asia, navi, pale, zappe, grazie alle quali vi è finalmente laggiù di che lavorare per un salario, e questo denaro, lo si raffigura volentieri come un dono fatto agli indigeni. È quindi naturale, si sostiene, che il lavoro di quei milioni di nuovi schiavi ci abbia dato i mucchi d'oro che sono nelle riserve dei sotterranei della Banca di Francia. Ma che il lavoro forzato - o libero - presieda a questo mostruoso scambio, che gli uomini i cui costumi, quali cerchiamo di conoscere attraverso testimonianze raramente disinteressate, è lecito ritenere siano meno pervertiti di noi, ed è dir poco, e forse illuminati come noi non lo siamo più sui veri scopi della specie umana, del sapere, dell'amore e della felicità umana, che tali uomini da cui ci distingue, se non altro, la nostra qualità di bianchi, e che noi, uomini senza colore, chiamiamo uomini di colore, siano costretti, per la sola potenza della metallurgia europea, nel 1914, a farsi bucare la pelle per un vilissimo monumento funebre collettivo - questa era del resto, se non andiamo errati, un'idea francese, rispondeva a un calcolo francese - ecco che cosa ci consente di inaugurare, anche noi, a modo nostro, l'Esposizione coloniale, e di considerare come animali rapaci tutti gli zelatori di simile impresa. I Lyautey, i Dumesnil, i Doumer, che sono ai primissimi posti in questa medesima Francia del Moulin-Rouge, non si sono più limitati a un carnevale di scheletri. Alcuni giorni fa si è potuto leggere a Parigi un manifesto non lacerato in cui Jacques Doriot era presentato come il responsabile dei massacri d'Indocina. Non lacerato. Il dogma dell'integrità del territorio nazionale, invocato per dare a quei massacri una giustificazione morale, è basato su un gioco di parole insufficiente a far dimenticare che non passa settimana senza che nelle colonie non si uccida. La presenza, sul palco dell'Esposizione coloniale, del presidente della repubblica, dell'imperatore dell'Annam, del cardinale arcivescovo di Parigi, di vari governatori e della soldataglia, di fronte al padiglione dei missionari, e a quelli della Citroen e della Renault, esprime chiaramente la complicità dell'intera borghesia nella nascita di un concetto nuovo, particolarmente intollerabile: la « Grande Francia». Per impiantare questo concetto-truffa sono stati costruiti i padiglioni della Esposizione di Vincennes. E ciò per dare ai cittadini della metropoli la coscienza di proprietari, la coscienza necessaria per udire senza battere ciglio l'eco delle fucilate lontane. Per annettere al fine paesaggio di Francia, a cui era stato già dato risalto prima della guerra da una canzone sulla capanna-bambù, una prospettiva di minareti e di pagode. A proposito, non abbiamo dimenticato il bel manifesto di reclutamento per l'esercito coloniale: una vita facile, negre con le tette grosse,

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il sottufficiale elegantissimo nella sua divisa di tela, che se ne va a passeggio in risciò, trainato dall'indigeno - l'avventura, la promozione. Nulla poi viene risparmiato per la pubblicità: un sovrano indigeno in persona verrà a battere la grancassa alla porta di quei palazzi di eartapesta. La fiera è internazionale, ed ecco come il fatto coloniale, fatto europeo, come diceva il discorso inaugurale, diventa fatto acquisito. Non dispiaccia allo scandaloso partito socialista e alla gesuitica Lega dei diritti dell'uomo, sarebbe un po' forte se noi distinguessimo tra il buono .e il cattivo modo di colonizzare. I pionieri della difesa nazionale in regime capitalistico, con l'immondo Boncour in testa, possono essere fieri del luna park di Vincennes. Tutti coloro che si rifiutano di essere i difensori delle patrie borghesi, sapranno opporre al loro gusto per le feste e lo sfruttamento, l'atteggiamento di Lenin che, per primo agli inizi di questo secolo, ha riconosciuto nei popoli coloniali gli alleati del proletariato mondiale. Ai discorsi e alle esecuzioni capitali, rispondete esigendo l'immediata evacuazione delle colonie e la denuncia dei generali e dei funzionari responsabili dei massacri nell'Annam, nel Libano, nel Marocco e nel1'Africa centrale. André Breton, Paul E:luard, Benjamin Péret, Georges Sadoul, Pierre Unik, André Thirion, René Crevel, Aragon, René Char, Maxime Alexandre, Yves Tanguy, Georges Malkine

Volantino sulle prime lotte in Spagna.

Al fuoco! Sii tollerante. Conserva fermamente la tua fede o la tua convinzione, ma ammetti .che si abbia una fede o una convinzione diversa. Non fare nulla, non dire nulla che possa offendere la credenza di un altro uomo: è una cosa intima della coscienza umana, tanto delicata che sfiorandola si sciupa. Paul Doumer

A partire dal 10 maggio 1931, a Madrid, Cordova, Siviglia, Bilbao, Alicante, Malaga, Granada, Valencia, Algesiras, San Roque, La Linea, Cadice, Arcos de la Frontera, Huelva, Badajos, Jeres, Almeria, Murcia, Gijon, Teruel, Santander, La Corufia, Santa Fé, ecc., la folla ha incendiato le chiese, i conventi, le università religiose, ha distrutto le statue, i quadri che questi edifici contenevano, ha devastato gli uffici dei giornali cattolici, ha cacciato con urli i preti, i frati e le monache che ora passano in fretta le frontiere. Cinquecento edifici distrutti all'inizio non chiuderanno questo bilancio di fuoco. Opponendo a tutti i roghi eretti nel passato dal clero

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spagnolo la grande luce materialista delle chiese incendiate, le masse sapranno trovare nei tesori di quelle chiese l'oro necessario per armarsi, per lottare e trasformare la rivoluzione borghese in rivoluzione proletaria. l'er il restauro di Nostra Signora del Pilar a Saragozza, ad esempio, la sottoscrizione pubblica di venticinque milioni di pesetas è già coperta per metà: si esiga questo denaro per i bisogni rivoluzionari e si abbatta il tempio del Pilar dove da secoli una vergine serve a sfruttare milioni di uomini! Una chiesa in piedi, un prete che può ufficiare, sono altrettanti pericoli per la rivoluzione. Distruggere con ogni mezzo la religione, cancellare fin le vestigia di quei monumenti di tenebre dove si sono_ prosternati gli uomini, annienturc i simboli che un pretesto artistico cercherebbe invano di salvare dal grande furore popolare, disperdere la pretaglia e perseguitarla nei suoi ultimi rifugi, ecco ciò che, nella loro comprensione diretta dei compiti rivoluzionari, hanno intrapreso di loro iniziativa le folle di Madrid, Siviglia, Alicante, ecc. Tutto ciò che non sia violenza quando si tratta di religione, di quello spaventapasseri che è Iddio, dei parassiti della preghiera, dei professori della rassegnazione, è paragonabile al patteggiamento con quel verminaio del cristianesimo che deve essere sterminato. Ciò che fu, per secoli e secoli, l'ausilio e il sostegno delle loro cattolicissime Maestà è oggi preda di una bella fiamma che speriamo si estenda 11 tutti i monasteri, a tutte le cattedrali di Spagna e del mondo. Già l'Urss. dove centinaia di chiese sono state fatte saltare in aria con la dinamite, trasforma gli edifici del culto in circoli operai, in capannoni per patate, in musei antireligiosi. La massa rivoluzionaria spagnola si è immediatamente rivolta contro l'organizzazione dei preti che in tutti i luoghi sono, insieme con la polizia e l'esercito, i difensori del capitalismo. Ma se prima cura della repubblica borghese è stata quella di dichiarare che il culto cattolico rimaneva religione di stato, il suo secondo rnmpito è di ridurre con la forza coloro che hanno deciso di abbattere lutti gli edifici sacri. Il passo del nunzio apostolico presso Alcalà Zamora ha posto il governo repubblicano e socialista agli ordini del papa. Una Hiustizia sommaria conduce già dinanzi al plotone di esecuzione i comu11isti colpevoli di iconoclastia. I paurosi borghesi manterranno il clero 11cllc sue terre perché la divisione dei beni ecclesiastici non può essere rhc il segnale della divisione dei beni laici. I borghesi hanno bisogno dei preti per mantenere la proprietà privata e il salariato. Non potrebbero ~l'J111rare la Chiesa dallo stato. Soltanto il terrorismo delle masse effettuerà questa separazione: il proletariato armato e organizzato farà giustizia dei banchieri, degli industriali, aggrappati alle gonne nere dei preti. Il fronte antireligioso è il fronte essenziale della tappa attuale della rivoluzione spagnola. In Francia. l'ampliamento della lotta antireligiosa sosterrà la rivoluiione spagnola. Atei francesi, non tollererete che in nome di un diritto di asilo assolutamente fallace, la Francia, nonostante la separazione della

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Chiesa dallo stato proclamata nel 1905, consenta che sul suo territorio si stabiliscano le congregazioni fuggite dalla Spagna rivoluzionaria. È già abbastanza grave che siano accadute, all'arrivo del re Alfonso, le scandalose manifestazioni di Parigi. Voi imporrete, con un'agitazione che saprà essere degna dei magnifici fasci di scintille apparsi al di sopra dei Pirenei, il riflusso dei religiosi verso la frontiera, dove li aspetteranno ben presto i tribunali di salute pubblica. Esigerete anche il rimpatrio, insieme con i loro confessori, dei banditi reali che devono essere giudicati dai loro sudditi di ieri e dalle loro vittime di sempre. Farete delle vostre rivendicazioni di solidarietà con gli operai e i contadini in armi della Spagna una tappa della vostra lotta per la conquista del potere in Francia a opera del proletariato che, solo, saprà spazzare via Dio dalla superficie della terra. Benjamin Péret, René Char, Yves Tanguy, Aragon, Georges Sadoul, Georges Malkine, André Breton, René Crevel, André Thirion, Paul Eluard, Pierré Unik, Maxime Alexandre'

Secondo volantino relativo ali'« Esposizione coloniale».

Primo bilancio dell'Esposizione coloniale Siamo noi poeti a mettere alla gogna eterna i colpevoli. Coloro che noi condanniamo vengono disprezzati e disapprovati dalle generazioni.

Emi/e Zola

Nella notte tra il 27 e il 28 giugno 1931, il padiglione delle Indie Olandesi è stato interamente distrutto da un incendio. « E uno! » sarebbe tentato in un primo momento di esclamare ogni spettatore che abbia coscienza del vero significato della dimostrazione imperialistica di Vincennes. Qualcuno forse si stupirà di non vederci obbedire a questo primo impulso, dato che non abbiamo la nomea di preoccuparci della conservazione degli oggetti artistici. Infatti come gli avversari dei nazionalismi devono difendere il nazionalismo dei popoli oppressi, così gli avversari di quell'arte che è il prodotto dell'economia capitalistica devono contrapporle dialetticamente l'arte dei popoli oppressi. Il padiglione che i giornalisti non si vergognano di chiamare il padiglione « olandese » conteneva indiscutibilmente testimonianze preziosissime sulla vita intellettuale della Malesia e della Melanesia. C'erano come si sa, i più rari e più antichi esemplari artistici che si conoscessero di quelle regioni, 1

E dieci firme di compagni stranieri.

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oggetti strappati con la forza a coloro che li avevano creati e dei quali governo europeo, per quanto paradossale pos:sa :sembrare la cosa, 11011 aveva esitato a utilizzare come oggetto pubblicitario per i propri Npedfìci metodi di colonizzazione. 1 Non bastavano forse la pirateria e qm:lla scandalosa deviazione di significato nella quale la pirateria stessa Ncmbrava avere trovato un completamento; questi oggetti infatti potevnno anche servire all'antropologo, al sociologo, all'artista. Ciò che è Hluto distrutto, nonostante l'uso che ne faceva il capitalismo, era desti111110 a volgersi e0ntro se stesso, grazie al valore dida:scalico che ricopriva. Soltanto la scienza materialista avrebbe potuto beneficiare di questo vulore didascalico, come hanno perfettamente me:sso in luce Marx e l•:ngcls nelle loro ricerche sull'origine della famiglia riprendendo le osservuzioni di Morgan sugli Irochesi e gli Hawaiani. Le moderne scoperte dell'arte e della sociologia sarebbero incomprensibili se non si tenesse conto di quel fattore determinante che è stata la rivelazione recente del1'urte dei popoli cosiddetti primitivi. Inoltre soltanto il materialismo può, nella sua lotta contro la religione, utilizzare efficacemente il confronto d1e si impone tra gli idoli del mondo intero. L'hanno capito benissimo i missionari il cui padiglione non è andato bruciato, i missionari che hanno l'abitudine di mutilare i feticci e di trascinare gli indigeni nelle loro scuole per costringerli a riprodurre i tratti del loro Cristo secondo le ricette della più spregevole arte europea 2 (in maniera esemplare questo confronto scaturisce dai musei antireligiosi della Russia). Tutti ottimi motivi perché consideriamo come una sorta di atto mancato da parte del capitalismo la distruzione dei tesori di Giava, Balì, Borneo, Sumatra, Nuova Guinea, ecc ... che esso aveva elegantemente riuniti sotto il tetto di una imitazione di capanna. Così si completa l'opera colonizzalrice iniziata con il massacro, continuata con le conversioni, il lavoro forzato e le malattie (a proposito, se i giornali francesi possono smentire che l'importazione indigena all'Esposizione coloniale minacci Parigi con la malattia del sonno e della lebbra, non saremo noi a sostenere che gli addetti all'Esposizione siano garantiti contro ogni rischio derivante dalle piaghe dell'Europa, dall'alcolismo alla prostituzione e alla tubercolosi). Per coloro che fossero tentati di vedere un'illegalità nel considerare il capitalismo responsabile dell'incendio del 28 giugno, faremo notare che contrariamente a come ci si comporta nei confronti di un macchinista, sia esso vivo o morto, di un treno che ha deragliato, il custode notturno del padiglione non è stato pre:so in considerazione. Per fare questo si 1111

1 « Mi affretto a rivolgere a Sua Eccellenza l'espressione del mio vivo dolore e della mia simpatia in occasione dell'incendio del padiglione principale delle Indie Olandesi che avevamo inaugurato insieme e che era una magnifica testimonianza dell'opera colonizzatrice del suo paese. » (Telegramma di Paul Reynaud a! ministro delle Colonie del Paesi Bassi) 2 Vedere « L'année missionaire », 1931.

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deve proprio non avere trovato neppure il più piccolo comunista tra le sue conoscenze! Ciò nondimeno, nel « Figaro » si è parlato, tra l'altro, dell'agitazione comunista in Malesia, mettendola in diretto rapporto con la scintilla che ha fatto scoppiare l'incedio. 3 Noi ci limitiamo saggiamente a considerare che il capitalismo dovrà rispondere di quanto avviene attualmente a Vincennes dove sta facendo i suoi affari, senza giungere ad accusare in maniera più particolare i missionari, ad esempio. Tuttavia tale imputazione potrebbe trovare un certo favore se si pensasse alle cattive abitudini dei preti, dall'iconoclastia alla falsificazione dei testi. Quanto a coloro che dovessero rilevare che è stata fatta una classificazione inopportuna tra i nostri apprezzamenti relativi agli atti purificatori del proletariato che appicca il fuoco ai conventi della Spagna e quelli relativi allo spreco grossolano che mette filosoficamente in luce l'obliquo sorriso del maresciallo Lyautey, noi non ci accontenteremo di rimandarli all'inizio di questo nostro scritto. Per costoro aggiungeremo che mentre i feticci dell'Insulindia hanno per noi un indiscutibile valore scientifico e che, per questo fatto, hanno perso ogni carattere sacro, i feticci, invece, di ispirazione cattolica (quadri di Valdes Leal, sculture di Berruguette, tronchi della casa Bouasse-Lebel) non possono essere considerati né dal punto di vista scientifico né dal punto di vista artistico, finché il cattolicesimo avrà dalla sua le leggi, i tribunali, le prigioni, le scuole e il denaro, e se prima le diverse rappresentazioni del Cristo non faranno universalmente la loro modesta figura tra i tiki e i totem. Senza tenere conto delle nostalgie che potrebbe avere ispirato ai figli dei borghesi - sapevate che la Francia era così grande? - l'Esposizi.one deposita fin da ora il primo bilancio. Tale bilancio accusa un deficit che non sarà colmato dal denaro del tempio di Angkor venduto a una grande casa cinematografica, è chiaro, per essere bruciato. Al riguardo una sola domanda: il padiglione delle Indie Olandesi (salvo parere contrario) non era stato costruito per essere bruciato. Eppure ha preso fuoco come un fiammifero. Il tempio di Angkor, invece, è stato fatto per essere bruciato. Non si è portati a pensare con fondatezza che esso debba essere stato costruito con materiali particolarmente infiammabili e che, perciò, avrebbe potuto comportarsi allo stesso modo prima del tempo_ stabilito? In queste condizioni, nonostante l'assicurazione data al Consiglio municipale dal questore che l'Esposizione sia il posto del mondo più controllato contro gli incendi, l'opera colonizzatrice della Francia non rischia di continuare con essa non solamente a spese dell'arte e della scienza, ma anche a spese della vita di coloro che fanno da comparse all'Esposizione, e di una buona parte della cittadinanza di Parigi? 3 luglio 1931

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Articolo di Eugène Marsan.

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Yves Tanguy, Georges Sadoul, Aragon, André Breton, André Thirion, Maxime Alexandre, Paul Eluard, Pierre Unik, René Char, Ben/amin Péret, René Crevel, Georges Malkine 4

Inizio del « caso Aragon ». Prima di venire in urto con gli amici surrealisti, Aragon è alle prese con la giustizia borghese a causa del poema « Front Rouge» apparso in « Littérature de la Révolution mondiale », organo dell'Unione internazionale degli scrittori rivoluzionari con sede a Mosca.

Il fronte rosso Uno zuccherino per il mio cane Un dito di champagne Sì Signora Siamo chez Maxim's l'anno mille Novecentotrenta Si mettono feltri sotto le bottiglie Perché il loro culo aristocratico non urti contro le difficoltà della vita feltri per nascondere la terra feltri per spegnere il rumore della suola delle scarpe dei camerieri Si bevono le bibite con la cannuccia che si sfila da un indumento protettivo Delicatezza Ci sono dei bocchini tra la sigaretta e l'uomo dei tizi silenziosi per le auto delle scale di servizio per coloro che portano i pacchi e carta di seta intorno ai pacchi e carta intorno alla carta di seta carta quanta se ne vuole non costa nulla la carta né la carta di seta né le cannucce né lo champagne o poco almeno né il portacenere réclame né la caria assorbente réclame ·né il calendario réclame, né le luci réclame hé le figure sui muri réclame né le pellicce addosso alla signora réclame réclame gli stuzzicadenti réclame il ventaglio e réclame il vento nulla costa nulla e per nulla dei servi vivi vi offrono per strada dei prospetti ' E dodici firme di compagni stranieri.

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Prendete è gratis il prospetto e la mano che ve l'offre Non chiudete la porta ci penserà il Blount Tenerezza fino alle scale che sanno salire da sole nei grandi magazzini Le giornate sono di feltro gli uomini di nebbia Mondo ovattato senza urti Voi non siete matti Del fagiolo il Mio cane non ha ancora avuto la malattia O pendolette pendolette quanto avete fatto sognare i fidanzati sui grandi boulevard e il letto Luigi XVI con il credito di un anno Nei cimiteri la gente di questo paese cosi ben lubrificato sta con la decenza del marmo le loro casette assomigliano alle cappe dei camini Quanto costano i crisantemi quest'anno Fiori ai morti fiori ai grandi artisti Il denaro si spende anche per l'ideale E poi le opere pie fanno strascicare neri vestiti femminili sulle scale vi dico solo questo La principessa è. veramente troppo buona Per la riconoscenza che hanno Appena appena se vi ringraziano C'è l'esempio dei bolscevichi Disgraziata Russia L'URSS L'URSS o come dicono loro SSSR SS come mai SS SSRSSRSSSR oh mia cara Pensate dunque SSSR Avete visto le spiagge del Nord Io conosco Berck e Parigi-lido Ma non le spiagge SSSR SSSR SSSR SSSR Quando gli uomini scendevano· dai quartieri di periferia e in piace de la République la nera fiumana si formava come un pugno che si chiude

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i negozi si portavano le persiane davanti agli occhi per non vedere passare il lampo Mi ricordo del primo maggio millenovecentosette quando nei saloni dorati regnava il terrore Avevano vietato ai bambini di andare a scuola nei quartieri occidentali dove solo indebolita arrivava l'eco lontana dell'ira Mi ricordo della manifestazione Ferrer quando contro l'ambasciata spagnola si schiacciò il fiore d'inchiostro dell'infamia Parigi non è poi passato troppo tempo che hai veduto il ·corteo per Jaurès e il torrente Sacco-Vanzetti Parigi i tuoi quadrivi hanno ancora le narici frementi I tuoi selciati sono sempre pronti a schizzare in aria I tuoi alberi a sbarrare la via ai soldati Voltati grande corpo chiamato Belleville Olè Belleville e tu Saint-Denis dove i re sono prigionieri dei rossi lvry Javel e Malakoff Chiamali tutti con i loro arnesi i ragazzi che trottano recando le notizie le donne con le crocchie pesanti gli uomini che escono· dal lavoro come da un incubo con il piede ancora incerto ma gli occhi chiari Ci sono sempre armaioli in città e auto alle porte dei signori Piegate i lampioni come festuche fate ballare i chioschi le panchine le fontane Wallace Fate fuori le guardie compagni Fate fuori le guardie Più lontano più lontano verso ovest dove dormono i ragazzi ricchi e le puttane di prima classe Supera la Madeleine Proletariato spazza con la tua furia l'Eliseo Hai pur diritto al bois de Boulogne infrasettimanale Un giorno farai saltare l'Arco di Trionfo Proletariato impara la tua forza Impara la tua forza e scatenala Esso prepara il suo giorno Sappiate guardare meglio Sentite questo rumore che viene dalle prigioni Esso aspetta il suo giorno aspetta la sua ora il suo minuto il suo secondo

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Documenti surrealisti

quando il colpo inferto sarà mortale e il piombo così sicuro che tutti i medici socialfascisti curvi sul corpo della vittima · avranno un bel far scorrere le dita per frugare sotto la camicia di merletti auscultare con apparecchi di precisione quel suo cuore già in [ decomposizione non troveranno il rimedio abituale e saranno presi dai rivoltosi che li sbatteranno contro il muro Fuoco su Léon Blum Fuoco su Boncour Frossard Déat Fuoco sugli orsi sapienti della socialdemocrazia Fuoco Fuoco sento passare la morte che balza addosso a Garchery Fuoco vi dico al comando del partito comunista SFIC voi aspettate con il dito sul grilletto Fuoco ma Lenin il Lenin del momento giusto Da Clairvaux si alza una voce che nulla riesce a far tacere ~ il giornale parlato la canzone del muro la verità rivoluzionaria in cammino Un saluto a Marty il glorioso ribelle del Mar Nero sarà ancora liberato questo simbolo inutilmente incatenato Yen-Bay Che cos'è questa parola che ricorda che non si imbavaglia un popolo che non lo si doma con la sciabola ricurva del boia Yen-Bay Per voi fratelli gialli questo giuramento Per ogni· goccia della vostra vita Scorrerà il sangue di un Varenne Udite le grida dei Siriani ammazzati con freccine dagli aviatori della Terza Repubblica Udite le urla dei Marocchini morti senza che si sia accennato all'età e al sesso Quelli che aspettano a denti stretti di mettere in atto finalmente la loro vendetta fischiettano un motivo molto chiaro un motivo un motivo UR SS un motivo allegro come il ferro SS SR un motivo ardente è la spe-

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rnnza è il motivo SSSR è il canto il canto d'ottobre dai frntti stupendi Fischiate fischiate SSSR SSSR la pazienza dovrà finire SSSR SSSR SSSR Negli intonachi cadenti i fiori appassiti delle vecchie decorazioni gli ultimi ricami e le ultime mensole rivelano la strana vita dei ninnoli 11 verme della borghesia cerca invano di riunire i suoi dispersi tronconi Qui convulsamente agonizza una classe i ricordi di famiglia si disfanno Piantate il calcagno su queste vipere che si destano Scuotete queste case e i cucchiaini ne cadano fuori con le cimici la polvere e i vecchi com'è dolce com'è dolce il gemito che esce dalle rovine. tra

Assisto alla distruzione di un mondo fuori uso Assisto con ebbrezza al pestaggio dei borghesi C'è mai stata caccia più bella della caccia a questi vermi che si nascondono in tutti i buchi delle città lo canto la dominazione violenta del Proletariato sulla borghesia per l'annientamento di questa borghesia per l'annientamento totale di questa borghesia Il più bel monumento che si possa erigere su una piazza la più sorprendente di tutte le statue la colonna più audace e sottile l'arco che compete con il prisma stesso della pioggia non valgono l'ammasso splendido e caotico Provare per credere che si produce facilmente con una chiesa e un po' di dinamite Il piccone fa breccia nel cuore dell'antica remissività i crolli sono canzoni dove ruotano ì soli Uomini e mura d'altri tempi cadono colpiti dallo stesso fulmine Lo scoppio delle fucilazioni aggiunge al paesaggio un'allegria finora sconosciuta · Si giustiziano gli ingegneri i medici Morte a coloro che mettono in pericolo le conquiste di ottobre Morte ai sabotatori del Piano quinquennale A te Gioventù comunista Spazza :via i resti umani su cui si attarda

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il ragno incantatore del segno della croce Volontari della costruzione socialista Cacciate dalla vostra vista il passato come un cane pericoloso Insorgete contro le vostre madri Abbandonate la notte la peste e la famiglia Avete tra le mani un bambino sorridente un bambino come mai se ne sono visti Egli conosce ancora prima di parlare tutte le canzoni della nuova vita Sta per scapparvi per correre via ride già gli astri scendono familiarmente sulla terra Il meno che possano fare posandosi è di bruciare la nera carogna dei borghesi I fiori di cemento e di pietra le lunghe liane del ferro i nastri blu dell'acciaio non hanno mai sognato una simile primavera Le colline si coprono di primule gigantesche Sono i nidi d'infanzia le cucine per ventimila commensali le case le case i circoli simili a girasoli a trifogli a quattro foglie Le strade si annodano come cravatte Sopra le stanze da bagno spunta un'aurora Il maggio socialista si annuncia con un volo di mille rondini Nei campi si è iniziata una grande lotta la lotta delle formiche e dei lupi non ci si può servire come si vorrebbe delle mitragliatrici contro il tran tran quotidiano e l'ostinazione ma già 1'80 per cento del pane quest'anno proviene dai campi di grano marxisti dei kolchoz ... I papaveri sono diventati bandiere rosse e nuovi mostri masticano le spighe Qui non si sa più che cosa sia la disoccupazione il rumore del martello il rumore della falce salgono dalla terra è proprio la falce è è proprio il martello l'aria è piena di cavallette raganelle e carezze URSS Spari Frustate Clamori È la gioventù eroica Cereali acciaierie SSSR SSSR Gli occhi blu della Rivoluzione brillano di una crudeltà necessaria

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SSSR SSSR SSSR SSSR Per quelli che dicono che non è un poema per quelli che rimpiangendo i gigli o il sapone Palmolive volgeranno le loro teste annuvolate da un'altra parte per gli Allo là i Lei Vuole Scherzare per gli schifiltosi gli sbeffeggiatori per quelli che non mancheranno di svelare le sordide intenzioni dell'autore l'autore Aggiungerà queste poche e semplicissime parole L'intervento avrebbe dovuto prendere il via con l'entrata in scena della Romania con il pretesto, ad esempio, di un incidente di frontiera che avrebbe comportato una dichiarazione ufficiale