Lo scetticismo antico. Vol. II [2, 1 ed.]

La pubblicazione delle relazioni e delle comunicazioni presentate al Convegno su «Lo Scetticismo antico », organizzato d

269 54 17MB

Italian Pages 476 Year 1981

Report DMCA / Copyright

DOWNLOAD PDF FILE

Recommend Papers

Lo scetticismo antico. Vol. II [2, 1 ed.]

  • 0 0 0
  • Like this paper and download? You can publish your own PDF file online for free in a few minutes! Sign Up
File loading please wait...
Citation preview

LO SCETTICISMO ANTICO

ATTI DEL CONVEGNO ORGANIZZATO DAL CENTRO DI STUDIO DEL PENSIERO ANTICO DEL C.N.R. ROMA 5-8 NOVEMBRE 1980

A

cura

di

GABRIELE GIANNANTONI

VOLUME II

BIBLIOPOLIS

Proprietà letteraria riservata

Copyright © 1981 by «

CN .R., Centro di studio del pensiero antico »

diretto da GABRIELE GIANNANTONI

FRANCESCO ADORNO SESTO EMPIRICO : METODOLOGIA DELLE SCIENZE E ' SCETTICISMO ' COME METODO

1.

Il titolo suona, forse, un po' presuntuoso, ma presun­ tuoso non è. Nasce, anzi, da noterelle, da semplici osservazioni, da appunti presi riflettendo su alcune precise letture dirette dei testi di Sesto Empirico, in un tentativo di ripensamento , storico " con particolare riguardo alle sue discussioni di lo ­ gica 1.

1

Nello stendere la presente relazione abbiamo tenuto conto di tutta

la letteratura relativa allo Scetticismo antico in generale, interpretata

secondo il diverso taglio storico-culturale dato al problema da ciascun

autore. Sorvoliamo qui la discussione storiografica e rimandiamo per tutti a 1.0 scetticismo greco di M. DAL PRA, Milano, Fratelli Bocca, 1950, in particolare alla seconda edizione, riveduta e aggiornata, in 2

voll., con bibliografia fino al 1975, Roma-Bari, Laterza, 1975. Si veda an­ che Introduzione e Bibliografia a Scettici antichi, a cura di A.

Rus so,

Torino, UTET, 1978. Per il problema specifico trattato sembrano ora di

particolare interesse, oltre il citato M. Dal Pra, i saggi di C. L. STOUGH, Greek Skepticism: A Study in Epistemology, Berkeley-Los Angeles, Univo of Calif. Press, 1969; A. VERDAN, Le scepticisme philosophique, a ca­ rattere teoretico, Paris-Monttéal, Badas, 1971; J. P. DuMONT, Le Scepti­ cisme et le phénomène, Paris, Vrin, 1972; G. PR ET I, Lo scetticismo e il problema della conoscenza, scritto tta il 1971 e il 1972, edito postumo nella «Rivista critica di storia della filosofia» del 1974 (I pp. 3-31, II pp. 123-143, III pp. 243·263), studio acutissimo e di notevole approfondi­ mento sia storico che teorico: per l'aspetto teorico, in cui si considera l'importanza dello 'scetticismo' relativamente alla 'logica', alla filoso­ fia del linguaggio, e al rapporto con il 'realismo', il Preti si rifà alla problematica sulla 'filosofia della conoscenza', in particolare discussa nel volume a cura di vari Philosophical Scepticism, in Contemporary British Philosophy, III Series, a cura di H. D. LEWIS, London 1956. Sul piano teoretico, nei confronti del problema religioso, interessante è il saggio di W. WEISCHEDEL, Il problema di Dio nel pensiero scettico, 1976, ora a cura di W. MiiIler-Lanter e con una Introduzione al' l edi­ zione italiana di A. Caracciolo, Genova, Il melangolo, 1979. Su Sesto Em­ pirico, oltre il citato Dal Pra e la citata Stough, si vedano: E. DE LACY,

450

FRANCE S CO

ADORNO

Si è detto Sesto Empirico, perché ci si sofferma solo su Sesto ; si è detto nel titolo 'scetticismo ' , perché, in realtà, la prima impo s tazio n e di uno'scetticismo ' come att eggiamen to è dovuta a Sesto ; prima di lui il termine ' scetticismo ' non è usato : non è usato nel significato di 'scuola' ( intendiamo , scuola ' in greco, da rry.oÀi) , da O"XE�V, infinito aoris t o II di EXW, avere: 'avere cioè riflettuto insieme " non presi dall'im­ mediato ' negozio " e, perciò, liberamente, col tempo) 2 ; prima

Meaning and Methodology in Hellenistic Philosophy, «Philosophical Re­ view». XLII ( 1 938) pp. 390-409 ; K. JANACEK, Sextus Empiricus an der Arbeit, « Philologus », c (1956) pp. 1 00-7; J. GRENIER, L'exigence d';ntel­ ligibilité du sceptique grec: considérations à propos de Sextus Empiricus. «Revue Philosophique », CXLVII ( 1957) pp. 3 57-65; K. JANACEK, Pro­ legomena to Sextus Empiricus. Nakladem Palack.eho University v Olmou­ ci, 1958 ; B. MATES, Stoic and tbe Text 01 Sextus Empiricus, «American Journal of Philology », LXX ( 1959) pp. 290-8 (vedi anche Stoic Logic. Berkeley and Los Angeles, 1961 ) ; K. JANACEK, Sexti Empirici Op era . voI. IV. Indices collegit K.J., Leipzig, Teubner, 1 962; Les Sceptiques Grecs, Textes choisis et traduits par J.-P. DUMONT, Paris, PUF, 1966; Introduzione di M. HOSSENFELDER a Sextus Empiricus. Grundriss der Pyrrhonischen Skepsis, Frankfurt a. Main, Suhrkamp, 1968 ; K. JANACEK, Sextus Empiricus' Sceptical Methods, Praha, Universita Karlova. 1972

(opera fondamentale ove si studia il metodo con cui Sesto usa le pa­ role); A. Russo, Introduzioni e note a SESTO EMPIRICO, Contro; mate­ mat ici e Contro i logici, Introduzione, traduzione (da cui riprendiamo nelle citazioni) e note di A. R., Bari, Laterza, voI. I 197 2, voI. II 1975; In., Introduzione a Scettici antichi, raccolta dei frammenti e testimonianze in trad ., a cura di A. R., Torino, UTET, 1978; G. LUCCI, (Criterio' e ' metodologia' in Sesto Empirico e Tolomeo, in «Annali dell'Istituto di Filosofia », Facoltà di Lettere e Filosofia del­ la Univo di Firenze, II 1980, pp. 23-52. Si veda infine Doubt and Dogmatism. Studies in Hellenistic Epistemology, a cura di vari, Oxford, Clarendon Press, 1980 (in particolare Can the Sceptic Uve his Scep­ ticism? di M. F. BURNYEAT, pp . 20-53 ; e Sceptical Strategies, di G. STRIKER, pp. 54-83). 2 Utile è ricordare che Diogene Laerzio, il quale scrive poco dopo Sesto, si rifà a lui per sottolineare che alcuni hanno sostenuto che lo , scetticismo ' non è mai esistito come dottrina, come 'sistema ' filoso· fico, ma come 'atteggiamento ': « Questa filosofia, poi, alcuni dicono

451

SESTO EMPI RICO: METODOLOGIA DELLE S CIENZE

di Sesto il termine non è, dunque, usato nel significato di

, avere fatto proprio ' un comune modo di pensare, di avere fatta propria ' una via ( ò86t;) median te cui ( jJ.E'ta) da cui metodo è possibile una'ricerca ' (crXÉI/JLt;) aperta; una ri­ cerca che non si cristallizzi in insegnamenti assurti a sistemi, non 'criticamente ' vagliati, ma accolti per 'opinione ' ( 86;cx e 86yjJ.cx), e in 'apprensioni ' (jJ.cxl}1)jJ.CX'tCX) , in un definitivo 'modo di apprendere ' (jJ.a1h}crLt;), sia nelle scienze aritmo­ geometriche, sia in quelle fisiche e mediche, sì come in quelle pratiche_ Ma opportuno, sembra, è ricordare subito: che noi traduciamo con terminazione in'ismo ' - per intendere' dot­ trine ' o ' sistemi ' alla fine anonimi e astoricamente esistenti per sé termini che in greco, invece, significano sempre concezioni proprie di qualcuno, fatte proprie da alcuni, come, appunto, ' atteggiamento scettico ' e così via; che Sesto non dice mai , contro la logica " 'contro la matematica " ' contro la fisica ' ; ma 'contro i logici ', contro i matematici ', contro i fisic i " 'contro i dogmat ici ' 3. Altri hanno parlato della corrente o '

-

-

-

'

'

che in parte è una setta [nel senso di scelta], in parte no. E in vero ha l'aria di essere una setta, se per setta intendiamo, dicono, quella che aderisce, in conformità del fenomeno, a una certa maniera di ragionare, o pare aderirvi: in questo senso potremmo chiamare setta l'imposta­ zione scettica. Ma se per setta intendiamo una propensione a dogmi, aventi tra loro una certa coerenza [che si costituiscono in sistemi], la posizione scettica non si può denominare setta » (Diogene Laerzio I 20). Per il testo cui si rifà Diogene, cfr. Pyrrh. hyp. I 16-1 7 ; «se per' setta ' (lltPEcn.. .9_I!�Q che , come è facile vedere, l 'a rgomen tazi one megari ca corriseon de addirittura ad una applicazione informale della regola int u izionista di el im inazione della negazione (la cosiddetta regola debole di Duns Scoto) . . Alla neq;!!saria considerazione del problema del rapporto fra logica megarico-stoica e scetticismo antico da un lato, e principio di non contraddizione dall'altro, non dovrebbe mancare an­ �Èe il con tribu to di un._pjnimo di conoscenza dei ri su l t a ti , in tema di ( non) contraddittorietà, della logica posteriore ai temei di H. Maier anche se, su tale problema e sulla effettiva rilevanza di tale con tributo , non è pos sibile soffermarsi, almeno in questa sede. o

2 In W. C. KNEALE - M. KNEALE, Storia della logica, Torino 1972, vedi p . 205, nota 172.

506

MAURO NA STI DE VINCENTIS

466, che presenta forse la versione più chiara e sintetica) è ben nota : p � p -p � p

P V-P p

dove P sta per « esiste almeno una dimostrazione » e la linea separa le tre premesse dalla conclusione 3 . Il fatto che la prima e la terza premessa siano leggi logiche ( di identità e del terzo escluso - o, nell'interpretazione esclu­ siva della disgiunzione stoica, di identità e di non contraddizione - rispettivamente) e che quindi la cosiddetta legge di Clavio « p � P) � P) appartenga già alla logica stoica, ha forse messo in ombra il fatto che la seconda premessa non è una legge logica, o meglio ne ha messo in ombra le conseguenze per quello che sembra essere lo scopo di tutta l'argomentazione stoica : dimostrare che almeno una dimostrazione esiste. La conseguenza più evidente è che la derivazione (e la ve­ rità ) di P, mentre non dipende dall'aver assunto la prima e la terza premessa ( dato che sono leggi logiche, e quindi sono sempre vere, anche quando P è falsa), dipende dall'assunzione della premessa extralogica P � P (che, per le proprietà del­ l'implicazione ordinaria, è a sua volta vera se e solo se P è vera) ; inoltre, s e P sta per « esiste almeno u n a dimostrazione » , p � P non appare affatto evidente, e dovrà essere a sua volta derivata a partire da altre assunzioni, che chiameremo ( Ass . ) e che non possono essere scaricate ( cioè la conclusione p di tutta l 'argomentazione stoica dipenderà ancora da (Ass. » . Occorre dunque una scelta di ( Ass.) che renda plausibile la de-

-

-

3 « � » ha tutte le proprietà dell'ordinaria (filoniana) implicazione, « - » quelle dell'ordinaria negazione, « v » invece è la disgiunzione esclusiva (vedi in/ra) .

LOGICA S CETTICA E IMPLICAZIONE S TOICA

507

rivazione di - P � P, cioè di « se non esiste alcuna dimo­ strazione, allora esiste almeno una dimostrazione », a partire da ( Ass . ) . La testimonianza di Sesto su quale fosse la scelta di ( Ass . ) da parte degli stoici è inequivocabile in Adv. math . VIII 466467 : e la seconda implicazione , mostrazione » è anch'essa

«

se non esiste dimostrazione, esiste di­

[ mIÀtv ]

dimostrazione , che è l'antecedente , mostrazione :

sana : segue

infatti, dal non esserci

[ �1t E't cxd

l'esserci di­

infatti è proprio l'argomentazione che mostra l'ine­

sistenza della dimostrazione che , essendo dimostrativa , conferma che esiste dimostrazione .

In altri termini, l'assunzione da �I!L.4i2ende la ..2relP..��.§.l! extral9.gLc.� . gc;.li:g!g9�entazione ...s.!oica è che_Yargomentazione. scettica contro la dimostrazione è effettivamente una dimostrazione, cioè (A,�s.) è : « ASC è una dimostrazione »j se infatti co�� �..1.�.�yyjQ .çh�.t;�jg� ���l!9. 1,I!1_�4!!TIgm.l!�i�nel-.�.E�_�nd � l'implicazione « se non esiste dimostrazione, allora ne esiste al­ illeno una », se è vera (Ass. ) , non possa avere l'antecedente (�_mm._ �gste djmostrazione ») vero, e guindi non possa che essere verL Questo, naturalmente, è solo un modo di dire che ( Ass . ) � ( P � P ) è una tautologia ( che questo non risulti immediata­ mente evidente dipende dal fatto che, se P è intesa come una variabile enunciativa, traduce « non esiste dimostrazione » in un linguaggio di insufficiente potere espressivo : come si vedrà, oc­ corre almeno un linguaggio del primo ordine con lettere predi­ cative diadiche) , cioè che, nel passo di Sesto appena riportato, e malgrado le apparenze di tutto il contesto, il termine ùytÉç ( ' rxu"t'ou 'ltEpL"t'pÉm:O'ihL di Adv math. VIII 463 . Se questo era il vero terreno della contesa, dimostrare la falsità di ( Ass . ), è difficile sottrarsi all'impressione che la reversione scet­ tica sia stata solo una vittoria tattica che ha preparato una scon­ fitta strategica . Cosa opporre infatti alla tesi che, in base a una elementare dimostrazione per assurdo ( cioè, in definitiva, a un principio di non contraddizione mai negato dagli scettici), è ne­ cessario un assenso razionale, e non in base ad una mera per­ suasione, alla tesi della falsità di (Ass . ) ? Tanto più che, della forma specifica che assume l'argomentazione scettica contro la dimostrazione in Adv. math. V I I I 462, e precisamente dell'ar­ gomentazione contro l'esistenza dei relativi cui ci si riferisce e che si trova in Adv. math . V I I I 46 1 , o di argomentazioni af­ fini, era disponibile una efficace refutazione aristotelica fin dal tempo in cui fu scritto il quinto capitolo degli Elenchi Sofistici. Della loro vittoria tattica , gli scettici furono consapevoli , secondo la testimonianza di Sesto. Essa consiste infatti nel met­ tere in evidenza quella che è una carenza di rilievo dell'argo­ mentazione stoica : se in essa non si assume (Ass. ), non si può derivare P. In altri termini (Ass.), in quella argomentazione, non può essere scaricata, e la desiderata conclusione, che esiste almeno una dimostrazione, ne dipende in modo essenziale. Se gli stoici assumono che ASC non è una dimostrazione, « non sarà possibile, da ciò, mostrare che esiste dimostrazione » ( Adv . math. VIII 47 1 ) IO. .

lO

C he gli stoici non fossero pienamente consapevoli della carenza,

cioè della non scaricabilità di (Ass.) e quindi della dipendenza da (Ass. )

della conclusione P della loro argomentazione, lo fa pensare la discor­

danza, già rilevata, fra il senso troppo debole che di fatto ha uy,�ç in Atlv. malb. VIII 466 (dove non significa altro che « vero » , se (Ass. ) è

LOGICA SCETTICA E IMPLICAZIONE S TOICA

515

Sesto ci tramanda dunque questa fondamentale consapevo­ lezza scettica, ma ce la tramanda insieme ad obiezioni anti­ s toiche sostanzialmente irrilevanti, se non addirittura erronee . Sembra erroneo, ad esempio ( come in Adv . math . VIII 297 , al­ meno se, come risulta abbastanza chiaramente, ù1to'ta:"C'tEw [ ] 't(il vi ha il senso di « dedurre da » } , sostenere che, non essendo possibile dedurre la verità di « esiste questo segno » da « esiste un qualche segno », quest'ultima dev'essere una proposizione falsa. Se dunque sembra che, anche in questo contesto, si possa parlare ( come già G. Calogero ) 1 1 di una « ricostruzione più su­ perficiale » ( in questo caso, delle sue fonti scettiche e stoiche più antiche ) da parte di Sesto, non mancano però anche preziosi indizi, nel testo sestano, su quale potesse essere il significato più profondo delle obiezioni aporetiche . In Adv. ma/h . VIII . . .

vero » , cioè, in definitiva, meramente « possibile » ) e, nello s tesso luogo, l'asserita equivalenza fra uy� e ,iÀ.1)Oit;. Tale asserzione non è esplicita, dato che Sesto si limita a dire che « se c'è dimostrazione, c'è dimostra· zione » è vero e che « se non c'è dimostrazione, c'è dimostrazione » è « anch'esso sano », il che può sottintendere sia : « se un condizionale è vero, allora è sano », sia : « un condizionale è vero se e solo se è sano » , m a l a scelta di quest'ultima alternativa è resa plausibile dal confronto con una serie di altri luoghi sestani. Se è cosi, si ha, appunto, una di· scordanza con la situazione di fatto, tanto più che qui, come altrove (vedi infra), à.À.1)6tc; può addirittura significare « necessariamente ( cioè logicamente) vero », insomma « valido » . Valido, in realtà, è solo il condizionale (Ass.) � P, e dunque anche il condizionale ( Ass. ) � (- P � P), e non certo il condizionale - P � P. Ciò non toglie, però, che se tutta l 'argomentazione stoica (cioè tutto lo schema del quale gl i scettici operano la rever�ione) fosse stata ( erroneamente e, come si è detto, per la mancata consapevolezza della non scaricabilità di ( Ass. ) ) dagli stoici intesa come una dimostrazione della verità non ' soltanto ' di (Ass.) � P, ma proprio di P, allora il condizionale - P � P sarebbe evidentemente stato considerato come à.À.1)Otc;. Certo, un simile errore nell'applicazione del teorema di deduzione alla derivazione di P da ( Ass. ) è di poco meno implausibile del senso troppo debole che VYLEç verrebbe qui ad avere. 1 1 I n G. CALOGERO, Studi sull'eleatismo, Roma 1932, p. 166, a pro· posito di Adv. math. VII 67 .

516

MAURO NA STI

DE

VINCENT I S

47 1 -472, non è ben chiaro se come più o meno ironica proposta scettica, o come testimonianza di un autentico tentativo stoico, viene discussa l'iterabilità dello schema argomentativo stoico per sostituzione di ( Ass. ) a P ( ed evidentemente con una nuova assunzione non precisata al posto di ( Ass . » , naturalmente « per dimostrare che l'argomentazione contro la dimostrazione è di­ mostrativa » ( cioè che ( Ass. ) è vera e dunque ASC è una dimo­ strazione ; vedi Adv . ma/h. VIII 472, in fine ). Ma l 'indizio di maggior interesse è forse in Adv. ma/h. VIII 470, là dove si attesta che agli stoici « non è possibile rispon­ dere alla questione sulla quale avevano indagato, se cioè l'argo­ mentazione contro la dimostrazione fosse una dimostrazione o non fosse una dimostrazione » . Se una simile testimonianza è fededegna, sembra difficilmente credibile che, di fronte ad una elementare e pressoché immediata dimostrazione per assurdo ( la quale, come si è visto, dà una definitiva risoluzione del di­ lemma, provando che l'argomentazione scettica ASC non è una dimostrazione), dei logici della forza degli stoici potessero esi­ tare, se non per ragioni connesse con qualche conseguenza in­ desiderabile della loro scelta. Non è difficile del resto rendersi conto del carattere addi­ rittura catastrofico di tali conseguenze, e non tanto ( come nel caso del primo indimostrabile) per il rapporto fra logica e teoria della dimostrazione 12, quanto per i fondamenti stessi della lo­ gica stoica . La dimostrazione per assurdo rende infatti non solo vera, ma anche necessaria ( e , si potrebbe dire, , assolutamente ' ne­ cessaria, dato che la conclusione di tale dimostrazione dipende 1 2 Che le critiche alla legittimità del primo anapodittico siano an­ che un tentativo indiscutibilmente riuscito, da parte scettica, di mo­ strare che, se il modus ponens è dimostrativamente utile, allora per­ mette soltanto derivazioni scorrette dal punto di vista della logica stoica, è persuasivamente mostrato da J. BARNES , art. cito In questo senso si è detto, all'inizio, che è solo apparente il contrasto fra uso del modus ponens in ASC e sospensione scettica del giudizio anche sul modus ponens.

517

LOGICA S CETTICA E IMPLICAZIONE STOICA

solo dalle definizioni di verità e di dimostrazione) l a negazione di ( Ass.) : ( Ass . ) è cioè non solo falsa, ma assurda. D'altra parte, se gli stoici prestavano fede al loro schema di inferenza per derivare P da ( Ass . ) , non potevano negarla alla 1tEpt't'P01t'; scet· tica di tale schema ( dato che, come si direbbe oggi, è ottenuta per mera sostituzione delle variabili e doppia negazione) . Am­ messa dunque la necessità di entrambe le argomentazioni, e dei corrispondenti condizionali 13 (Ass . ) � P, ( Ass . ) � P, era -

1 3 Che, inoltre, 1" analogo ' stoico del teorema di deduzione ab­ bia chiara attestazione in Sesto era già stato mostrato in equivocabil­ mente fin dal 1 949 da B. MATE S , Stoie logie and the text 01 Sextus Empirieus, « The American Joumal of Philology », LXX ( 1 949) pp. 290298, parto p. 290, nota 2 . Quel che sorprende è ch e nessuno dei pro­ tagonisti del recente dibattito su ll a tesi di M . Mignucci circa la no­ zione stoica di necessità intesa come verità onnitemporale abbia notato la rilevanza, a favore della tesi di Mignucci, dell'osservazione di Mates (ibid., ma anche in B. MATE S , Stoie Logie, Berkeley & Los Angeles 19612, p. 46, nota 2 1 ) secondo la quale, nella versione sestana del teo­ rema di deduzione ( in Adv. math. VIII 4 1 5-4 17), il condizionale va in­ teso assai più come diodoreo che non come crisippeo, dato che la cor­ rispondente nozione di necessità è definita in termini di verità onni­ temporale (per tale dibattito cfr. M...Ml1'NUCQ...._Sur la. 19.gifll:!.Lmodalf.

des stotcien-!Ll!!_L.1!� SC!!�!c,Li�:1..bes sto'ieiens et le��Jogique,

Paris 1 978, pp. 3lJ..J.12. .J: le osservazioni di R SORABII, Causation, laws and_-'Jeeessity, in Doubt and Dogmatism, cit. , pp. 250-282, parto 'pj!:_)64-�. Sfortunatamente l'esempio sestano cui Mates si riferisce ( (dove si è usato « implica » anziché « � )� per maggior rigore rispetto a quel che si è fatto precedentemente) . 25 Almeno se essa corrispondesse davvero al rendiconto che fino ad oggi se ne è dato, e che prescinde da A2 . .t inuti le aggiungere che anche il quinto anapodittico era un bersaglio della critica scettica (se ne asserisce l'inutilità dimostrativa in Pyr,.b. bypot. II 159, 1 62 ed un attacco coperto contro la tesi della sua tautologicità si ha in Adv. matb. V I I I 127-129, dato che , per gli scettici , la verità di - P può non ba­ stare per la falsità di P A Q ) . Può essere infine interessante affermare ( anche se lo spazio impedisce di dimostrare qui tale asserzione) che, dal testo sestano, si può trarre, e attribuire agli aporetici, una plausi­ bile versione ' intuitiva ' del calcolo proposizionale intuizionista. Ciò non interessa lo storico (se non è già interessato a certe più generali que­ s tio ni metodologiche in tema di ' interpretazioni moderne ' della logica antica) e può sembrare incredibile, ma naturalmente non significa che gli scettici avessero ' anticipato ' una formalizzazione della logica intui-

531

LOGICA S CETTICA E IMPLICAZIONE S TOICA

S e poi volessimo tener conto anche di A2 , m a ci rifiutassimo di rinunciare a considerare sano un condizionale con antecedente falso e conseguente vero ( cioè se continuassimo a considerare il conflitto coincidente con la contrarietà), allora forse nur fur ungeubte potrebbe essere una sorpresa l 'inevitabile conclusione che la sola aggiunta di A2 ad A l è già incoerente ( per convin­ cersene, se ancora ce ne fosse bisogno, basta ad es. sostituire - Q a p e una tautologia a - Q in A l e A2) , come era, del resto, da attendersi dato che A l , se il conflitto è inteso come incompatibilità, caratterizza l'implicazione stretta, mentre A2 serve proprio ad escluderne una conseguenza ( i suoi cosiddetti paradossi ), per quanto indesiderata 26 . E non è il caso, infine, almeno in questa sede, di discutere a fondo quella che sembra essere stata una effettiva ' soluzione ' stoica : intendere il con­ flitto come mera contraddittorietà e la sanità di un condizionale come validità universale del bicondizionale corrispondente .

zionista. Significa soltanto che lo storico, con mezzi tecnicamente ' s emplici, può ritrovare quel che da non troppo tempo è diventa to tec­ nicamente ' accessibile : la povertà ' della formalizzazione di Heytin g rispetto alle concezioni originarie di B rou wer ( insomma : un buon esem­ p io di come applicare il ben noto suggerimento di E. A . Moody : « We must use our own science as instrument for studying the history of science, but in so doing we may well e n r ich our own u nderstanding of the science in question », in E. A. MOODY, Review 01 1. M. Bochenski, •





Ancient Formal Logic, and K. Diirr, The Propositional Logic 01 Boe­ thius, « The Jou rnal of Philosophy », XLIX ( 1952) pp . 647-648 ). 26 Na t ura l men t e la derivazione della contingenza d i P e Q di nota 20 supra è corretta, ma è una derivazione dall'as surdo . Una copp i a di contraddittorie P, Q, anche se entrambe contingenti, potrebbe soddi­ sfare simultaneamente la C (P, Q ) -+ - C (P, - Q ) e la C (P, Q) -+ -+ - C ( Q , - P) solo se P assumesse nella seconda il valore di verità che Q ha nella prima e Q facesse altrettanto . Ciò può apparire plausi­ bile a chi, come gli Stoici, considera ad es. « è giorno » com e un'unica proposizione contingente che cambia valore di v erit à ( vera stamane, falsa stanotte) . Ma naturalmente è più semplice pensare a una ridefini­

zione del conflitto come mera contraddittorietà e della sanità del condi­ zionale come necessità del bicondizionale corrispondente che, rendendo vere sia Al che A2, el imina ogni incoerenza, pur escludendo i para•

532

MAURO NAS TI DE VINCENTI S

Sia come sia, solo oggi, forse, è possibile apprezzare piena­ mente la potenza e la durata del veleno introdotto dalla "'Ep�­ "tpo",i) scettica nel campo nemico . E che, in ques to senso, sia interessante parlare anche di ' logica scettica ' cominciamo, credo, solo oggi a scoprirlo n.

dossi ' dell'implicazione stretta anche se, qui come ovunque supra, la riducibilità della necessità alla validità appare tutt'altro che scontata. n Solo ora, grazie alla cortesia dell'autore, ho potuto leggere E. CA­ SARI, Sulla disgiunzione 11ella logica megarico-stoica, in Actes du VIII" Congrès International d'Histoire des Sciences, Firenze 1958, voI. 3 , pp. 1217-1224, parto p. 1223, righe 8-15, dove, i n sostanza, è già una chiara anticipazione (quale ipotesi esplicativa d el significato di Inst. log. 9, 5-16 KalbfIeisch) dell'interpretabilità della cosiddetta implicazione cri­ sippea come coimplicazione (equivalenza) stretta fra antecedente e con­ seguente. Non occorre sottolineare l 'importanza di una simile anticipa­ zione per chi abbia qui letto le pagine che precedono.

WALTER CAVINI SESTO EMPIRICO E LA LOGICA DELL'APPARENZA

Se poi dicessero di preferire qualcosa non perché sanno ma solo perché credono, tanto più do­ vrebbero curarsi della verità, come chi è malato della salute molto più di chi è sano," perché chi crede soltanto, in confronto a chi sa, nOli è in buono stato di salute rispetto alla verità. ( ARIST. Metaph. r 4. 1 008 b 27-3 1 )

Un'aria di paradosso circonda da sempre le conclusioni dello scetticismo, come ben testimonia la tradizione antica. E se ]Jer paradosso si intende, in generale, un'affermazione a prima vista assurda e tuttavia fondata su argomenti, la scepsi greca ci ha lasciato una serie davvero imponente di argomentazioni a so­ stegno delle sue conclusioni. In particolare l 'opera di Sesto Em­ pirico Contro i logici, dove i modi dell'antilogia scettica affron­ tano direttamente i teoremi più sofisticati del dogmatismo logico e i criteri stessi del sapere dogmatico. La celebre conclusione dell'opera, con la dimostrazione della non esistenza della dimo­ strazione, ripropone fra l'altro quello che tradizionalmente è considerato il paradosso fondamentale dello scetticismo e in­ sieme l 'argomento dogmatico per eccellenza contro di esso : cioè che la scepsi si ritorce necessariamente contro se stessa ( per es . la dimostrazione della non esistenza della dimostrazione, se è concludente, « cancella insieme » ( aUIl1tEpLYPa.CPEL) se stessa e ogni altra dimostrazione ; che è poi solo una variante del para­ dosso semantico del mentitore) I . D'altra parte la necessità di rispondere con argomenti agli argomenti dei dogmatici è acutamente sentita dallo scetticismo greco almeno a partire dalla dottrina dei tropi di Enesidemo ; e anzi il quarto dei tropi recenti o modo ipotetico oppone espres­ samente l'esigenza del metodo dimostrativo alle assunzioni in­ dimostrate dei dogmatici, cui infatti è sempre possibile rispon­ dere assumendo, altrettanto arbitrariamente, la tesi contraria . Cosl, insieme al ritorcersi dei propri argomenti contro s e

I Sull'argomento « per ritorsione » ( o « reversione », l x 'ltEPL-CP07> 1 14. A fondamento di questa osservazione carneadea c'era la tesi che la sensibilità mo­ stra le cose solo quando « orientata [ . . ] e in qualche modo impressionata ( nai}oucra) per l'incidenza delle cose evidenti ( è\lapyGN) [ . . ] . Proprio nell'impressione subita dall'anima ad .

.

opera dell'evidenza ( è\lapydat;) bisogna cercare il criterio

»

115 .

Sesto Empirico aveva impiegato il concetto di Èw.ipyE�a ad­ dirittura per esporre il Timeo di Platone . In questo dialogo Platone aveva distinto le cose in intelligibili e sensibili, asse­ gnando le prime alla comprensione attraverso il À.éyot; e le se­ conde all'opinione. L'opinione aveva però una formazione com­ plicata, perché in essa entra oltre al ).,oYOt; anche "t'1}\1 6�à "t''ijt; atcri}1)crEWt; èva.pyE�av 1 16 . Per Platone dunque, nell'inter­ pretazione di Sesto, l' È\la.pYE�a era l 'evidenza sensibile, che tuttavia acquista forza conoscitiva solo se sottoposta al giudizio del À.éYOt; 117 . Gl'immediati successori di Platone si erano mossf, per Sesto, entro questa impostazione. Speusippo aveva àsse­ gnato la conoscenza delle cose intelligibili a un À.éYOt; scientifico, quella delle cose sensibili a una sensazione scientifica, che è par­ tecipe del ).,oYOt; 1 1 8 . E Senocrate aveva si distinto tra scienza, sensazione e opinione come « criteri » ( come si esprimeva Sesto ) per conoscere rispettivamente l'intelligibile, il sensibile e il mi� sto, ma aveva assegnato all' èmcr"t'TJllOV�XÒt; ).,oYOt; il carattere di « criterio sicuro e vero » 11 9 . Quel che Carneade assumeva dalla tradizione platonica, al�

meno collie doveva configurarsi nel lascito scettico che si tra­ smette fino a Sesto, era la tesi della necessità dell' È\la.pYE�a e

della sua insufficienza. Tutta la teoria del 1tLi}a\lov carneadeo era

11 4 SEXT. EMP. Adv. Ma/h.

1 15

Ivi 116 Ivi 1 17 Ivi \ 8 Ivi 1 \19 Ivi

161. 141. -

.

143 44 145. 147-48 .

VII 160.

LO S CETTI C I S MO ANTICO E LA MEDICINA

601

una teoria dell'integrazione dell' l'Va.PYE�a con i l ragionamento che deve darne una valutazione. Carneade insisteva sul lato soggettivo dell' l'Va.PYE�a, cioè sull'aspetto per cui la rappresen­ tazione è qualcosa che riguarda più il cpa'V'ta(1LOU�E'VO'V che il 1 20. cp a'V 'taCT't o'V L'interpretazione del ragionamento come fattore necessario per il raggiungimento della verità insieme con l' l'Va.PYE�a aveva probabilmente subito qualche trasformazione. Se c'era un aspetto costruttivo della dialettica di Platone, ebbene esso era stato messo in ombra. Era emerso invece l'aspetto critico, quello che Aristotele chiamava peirastico, e la dialettica si era configurata come una tecnica per discutere in utramque partem . Arcesilao doveva aver cominciato a far valere questa interpre­ tazione. E su questa linea Carneade aveva sviluppato la con­ cezione del ragionamento come quello che giudica il grado di probabilità della rappresentazione. Ma il fondamento negativo della posizione carneadea era pur sempre il rifiuto opposto da Arcesilao al criterio stoico della verità. Ci possono anche essere rappresentazioni vere ; ma come si fa a dire che esse non po­ trebbero provenire anche da oggetti falsi ? Bastava l'assunzione di questa possibilità per distruggere la "a'ta.À.TJ��ç-perceptio, 1 perché non ci può essere perceptio del falso 12 . Gli accademici scettici ammettono ea de quibus disserent se dilucide perspicere, nec ulla communione visorum imp.edi­ ri 122; ma poi non attribuiscono alcun valore oggettivo a ciò che riescono a scorgere. La tecnica con cui cercano di demolire il valore delle cose che riconoscono di dilucide perspicere co­ mincia con il « mostrare che può sembrare che esistano molte cose che non sono nulla affatto » 1 23 : e sono sogni, visioni, pen­ sieri generati dalla mente . Poi si mostra l'affinità di queste cose

120 I vi 168-69 . 1 2 1 eiC. Ac. I I 40 . 122

3 12

Ivi 44. Ivi 47.

602

CARLO AUGU STO VIANO

con le visioni a pparentemente vere 1 24. II sorite, cioè il ragio ­ namento che attraverso riduzioni progressive per piccoli passi riconduce tutto all 'unità , è lo strumento preferito dagli scet­ tici

125 .

In questa prospettiva il rilievo delle somiglianze diventa

utilissimo . La somiglianza tra rappresentazioni vere e rappre­ sentazioni false è l 'arma principale della critica scettica. Uno dei cas i preferiti è la somiglianza tra ogge t ti diversi che inviano rappresentazioni indistinguibili, proprio perché esse sono reci­ procamente simili

126.

Antioco non si scandalizzava di queste sottigliezze : il Lu­ cullo ciceroniano riteneva subtilitatem philosophia quidem di­

gnissimam m; ma anche ab eorum ( cioè degli scettici accademici) causa [ . . . ] remotissimam 128 . Essi usano infatti definitiones [ . . . ] et partitiones [ .. . ] similitudines dissimilitudinesque et ea­ rum tenuis et acuta distinctio : tutte cose che sembrano proprio fidentium [ . . . ] hominum illa vera et firma et certa esse quae tutentur, non eorum qui clament nihilo magis vera illa esse quam falsa 1 29. Per Lucullo-Antioco divent ava « assurdo quello che talvolta voi siete soliti dire : quando le rappresentazioni

( visa) si stampano nell'anima, dite non che tra le impressioni (impressiones) stesse non ci sia alcuna differenza, ma che non ce n'è tra le loro specie (species) e quelle che si potrebbero chia­ mare le loro forme (quasdam formas) » 1 30. Lo scetticismo punta dunque sulla differenza tra impressiones e visa, da un Iato, e impressiones e species dall'altro. Le impressiones non si con­ fondono mai ; ma le loro relazioni riguardano le impressioni in quanto tali e non dicono nulla sui visa intesi come rappresen­ tazioni delle cose . Si riproduce qui il dualismo tra cpav't'acnov-

124 I vi 48.

1 25 1 26 127 1 28 129

130

Ivi 49·50. Iv! 54-55 . Ivi 43.

Ibid. Ibid.

Ivi 58.

LO S CETTICISMO ANTICO E LA MEDICINA

603

ll-EVOV

e cptx.v'ttx.IT't6v nel senso di Carneade. Senonché alle cose non si riferiscono neppure le species e formae che sono costruite sulla base delle impressioni. Le impressioni sono in confondibili, cioè hanno relazioni di distinzione reciproca, anche se non sem­ pre facili da cogliere, per le relazioni di somiglianza stretta che possono reciprocamente intrattenere ; ma esse sono opache, cioè non possono trasferire le proprie relazioni alle cose. Invece alle cose pretenderebbero di riferirsi specie e forme ; ma esse sono appunto costruite a partire dalle impressioni, tralasciando alcune delle relazioni di distinzione o di somiglianza intercorrenti tra le impressioni. Pertanto non hanno più capacità conoscitiva delle impressioni, e anzi le impoveriscono : sono cioè costruzioni artificiali che tendono a organizzare somiglianze e differenze. Nell'ambito delle impressioni non ci sono passaggi netti tra so­ miglianza e differenza, se si guarda globalmente il sistema, pro­ prio per l'esistenza di p i c c o l e differenze e s t r e t t e so­ miglianze, sicché da un termine si passa gradatamente a un al­ tro, mentre specie e forme dovrebbero introdurre discontinuità in questo spettro continuo. Neppure tra vero e falso esiste uno stacco netto : « le cose false confinano cosi strettamente ( ita [ ] finitima) con quelle vere e quelle che non possono essere per­ cepite con quelle che possono esserlo ( se mai ce ne sono [ . ] ), che il sapiente non dovrebbe cacciarsi in tal precipizio » 13 1 . Il dogmatico rifiuta lo spettro continuo delle somiglianze strette e delle differenze graduali, nega tantam similitudinem in rerum natura esse 132 . Lo scettico non può respingere questa posizione in modo altrettanto assertorio : può darsi che tanta similitudo non esista in rerum natura, e tuttavia « può certa­ mente sembrare che esista, ingannerebbe dunque il senso, e se anche in un unico caso una somiglianza ha determinato l'inganno del senso, tutte le cose sarebbero rese dubbie »133. Se non si può dire che le cose stesse si dispongono in spettri continui di so. . .

. .

13 1 Ivi 68.

1 32 Ivi 84. 133 Ibid.

604

CARLO AUGU S TO VIANO

miglianza, si può dire che il sist e m a della sensibilità si dispone in questo modo. Gli stoici asseriscono che « tutte le cose sono di un genere proprio e che nulla è identico con un'altra co­ sa » 134 . Ma come si può ammettere che « nella totalità delle cose non ci sia un pelo identico a un altro pelo, un granello identico a un altro ? » 135 . Comunque quel che conta è che nella sensibilità si dia un grado tale di rassomiglianza che renda in­ distinguibili i termini tra i quali la somiglianza intercorre. Del resto, indipendentemente dalla natura delle cose, una situazione di questo genere potrebbe essere prodotta con la costruzione di statue molto simili 1 36. Il mondo delle nostre rappresentazioni e degli oggetti artificiali è un mondo di somiglianze che pos­ sono raggiungere anche gradi tali d'intensità da creare situazioni d'indistinguibilità . Situazioni di distinguibilità vengono prodotte con le specie e le forme ; ma queste sono costruzioni artificiali, che risentono dell'inattendibilità di fondo della sensibilità. In un certo senso c'era una concordanza con l'impostazione stoica : gli stoici avevano considerato le idee platoniche come « nostri pensieri », non esistenti di per sé e pertanto artificia­ li 137 . Ma essi avevano cercato di mantenere quel grado di cer­ tezza che le idee dovevano garantire. Le rappresentazioni, « i

visa saranno giudicati in base alla specie », ma questo giudizio non varrà nulla « una volta eliminata ogni distinzione tra vero e falso » 138. Dalla sensibilità si procede gradualmente alla co­ struzione delle specie e delle forme. Già al livello della sensi­ bilità vero e falso non si confondono, le somiglianze non ven­ gono scambiate con identità. Specie e forme sono sistemi o g g e t t i v i di somiglianze

e

differenze; e al di sopra di esse

134 Ivi 85. 1 35

Ibid.

136 Ibid.

1 37 Zenone riconduceva le idee a two11111t't /1 ( STOB. Ed. I p. 136, 2 1 W.), tWo1n-ta.'tIX 1}J.Lt'tEPIX ( AET. Plal. I lO, 5 ) e perciò negava che aves· sero esistenza autonoma, affermando che sono AW'J1:apx'tou� (STon. Eel. I p. 136 W . ) (I 65 von Arnim ) . 1 38 CIC. Ac. II 58.

LO S CETTICI S MO ANTICO E LA MEDICINA

605

stanno le grandi connessioni tra nozioni e da ultimo le leggi della dialettica. L'artificialità e la soggettività non significavano per gli stoici distacco dalla realtà, perché la natura può pur sempre guidare l'uomo nelle sue costruzioni. In questo quadro s'intende il riferimento alle arti. Per lo scettico le arti sono aiuti ai nostri sensi, che si fanno confon­ dere dalle ragnatele delle relazioni di somiglianza intercorrenti tra le impressioni 139. Per Antioco il successo delle arti era una testimonianza del fatto che i sensi possono arrivare alla realtà. Eppure per quegli stoici di cui Antioco era in qualche modo l'erede l'artigiano non possiede scienza, perché essi negano « che qualcuno, se non il sapiente, possa conoscere qualcosa » 140. E tuttavia gli stoici vedevano nello scetticismo una minaccia per il sapere artigianale, come se la negazione della compre­ hensio facesse artificia concidere e come se non fosse vero che « ciò che è probabile ha forza sufficiente per le arti » 14 1 . I l punto di forza della posizione stoica stava nell'ammissione che anche l'insipiens può multa comprehendere 142, e la comprehensio fa parte di quel processo naturale che porta alla costituzione della sapientia. La difesa della comprehensio, cioè della traspa­ renza e della validità oggettiva della sensibilità, sembra compa­ tibile con la difesa della sapientia come grado ultimo del sa­ pere che sta sopra le arti stesse. Ma questa apparente esaltazione del sapere artigianale era in realtà da parte degli stoici un tentativo di restaurare la ge­ rarchia arte-scienza, che aveva costituito l'ossatura centrale della posizione platonico-aristotelica . L'arte diventa cioè una forma di sapere legata alla possibilità della rappresentazione catalet­ tica; la sua difesa fa in qualche modo parte della strategia di difesa dell'attingimento della verità attraverso la sensazione ; ma essa è anche solo un momento iniziale del processo di costru-

1 39 I vi

86-87 . Ivi 144-45. 1 4 1 Ivi 1 46 . 1 42 Ivi 144. 140

606

CARLO AUGU S TO VIANO

zione del sapere e ha, come culmine e come presupposto, la sa­ pientia, sicché artem sine scientia esse non posse 143 . Rispetto a questa posizione la valutazione scettica del sapere artigianale aveva tutt'altro sapore. Il sapere artigianale è una forma di assi­ stenza alla sensibilità, una sensibilità ingannevole, avvolta nelle reti inestricabili della somiglianza. È efficace il sapere artigianale in questa sua funzione, ma non riesce a perforare il muro del­ l 'opacità sensibile, ad aprire un varco verso le cose come sono in se stesse. Al paradosso stoico, che puntava sulla rivalutazione delle arti pur sostenendo che non c'è arte senza sapienza, si opponeva una sorta di paradosso scettico, che sosteneva il valore positivo delle arti proprio perché esse non hanno funzioni o pretese conoscitive. Il tema della relativa autonomia gnoseologica del sapere ar­ tigianale non doveva essere così nuovo nella tradizione plato­ nica. Speusippo aveva rivendicato una componente artigianale a quella « sensazione scientifica che partecipa della verità razio­ naie » 1 44 , simile all'arte che sta nelle dita del suonatore di flauto o di cetra o è insita nella sensibilità musicale capace di cogliere determinati rapporti armonici. Non si tratta di un'arte innata, perché deriva da un À.oyLO'�6e;: e così anche la sensazione scien­ tifica partecipa della pratica scientifica ('tile; È'ltLO''tl)�ovLxile; �E'taÀ.a�(3a:vEL 'tpL�ile;) in base alla ragione e mette capo a una discriminazione senza errori delle cose che a essa vengono sot­ toposte 145 . Esiste dunque un'intelligenza che si lega alla sen­ sazione e che ha carattere artigianale, del tutto distinta dall'in­ telligenza rivolta al mondo intelligibile e da Speusippo ridotta alla conoscenza matematica, che procede deduttivamente dai principi 146. Questa sistemazione gnoseologica si era accompa-

143

I v i 146.

1 44 SEXT. EMP. Adv. Math. VII 145. 1 45

Ivi 146. 1 46 Si veda l a testimonianza di PROCLO ( In primo Eucl. El. libr. , p. 179, 8 sgg. Friedlein, fr. 30 Lang, fr. 35 Isnardi Parente) che è tutta riferita alla conoscenza matematica .

LO S CETTICISMO ANTICO E LA MEDICINA

607

gnata in Speusippo a tagli radicali nell'ontologia platonica : Speusippo aveva eliminato le idee e aveva fatto delle entità ma­ tematiche gli oggetti supremi 147 . Ma cosÌ la matematica aveva perso il carattere di a r t e suprema che aveva nel platonismo e che il Filebo aveva sancito. La matematica diventava una scienza pura, che non ha applicazioni. Alla negazione delle idee Speusippo aveva accompagnato

una concezione dell'universo fisico basata sulla continuità, in­ tesa come una rete di relazioni di somiglianza tra una molte­ plicità di termini 1 48. A suo modo di vedere questo rendeva im­ possibile la definizione nel senso platonico. Platone aveva dato alla definizione un oggetto definito, l 'idea, e attraverso l'idea ne aveva fatto lo strumento per la conoscenza dell'ordinamento e della causa delle cose naturali e sensibili. Speusippo annullava l'oggetto della definizione e metteva la definizione all'interno di un intricato complesso di relazioni di somiglianza 149. Il

147 ARIST. Met. XIII 9, 1086 a 3·5 ; XIV 2, 1090 a 8; XII 1, 1 069 a 33-36 ; 10, 1 075 b 37-3 8 ; XIII L 1 076 a 34-35; 6, 1080 b 14-16; 8, 1083 a

23-24. 148 Il sapere ha per oggetto un sistema di bl1a'tl1 tra cui intercor­ rono ll�cvpopI1L, che vanno tutte esplicitate, sicché alla fine si ha la cono­ scenza di &1tl1v'tl1 [ ] 'tà. oV't11 da cui dipende la definizione di ciascuno (ARIST. An. posto II 1 3 , 97 a 6 sgg., fr. 31 a Lang, fr. 38 Isnardi Pa­ rente). In questo quadro nessun !XI1O"'tov è identico a un altro: tra gli bllO"'tl1 ci sono zone di somiglianza più o meno ampie . Qui si colloca la ricerca degli 6\lO14, che dovette costituire una parte del lavoro di Speu­ sippo. 149 Un'idea di questa concezione è data non solo dai frammenti ri­ cavabili da Ateneo (frr. 5-25 Lang, frr. 123-145 Isnardi Parente), ma anche da ARI ST. Top. I 18, 108 b 24-27 , dove le somiglianze accostano anche cose assai lontane. Aristotele presenta anche la tesi speusippea che il bene appartiene non al principio-inizio, ma alla realtà compiuta, come frutto di una similitudine : Speusippo 1tl1pEl.xli�� 'tà.c; 'toO 8Àou lipxlic; Ti! "\"Wv !;«!lWV XI1L q>U'twv (ARIST. Met. XIV 5, 1092 a 12- 1 3 . Non è detto però che il termine sia di Speusippo : Aristotele lo usa nel contesto ipo­ tetico Et �� 1tt:tPE�xli��) . Si ha comunque l'impressione che le somiglianze costituiscano un sistema complesso di relazioni, i cui termini possono essere complanari o appartenere a livelli diversi. Mentre i numeri ap•••

608

CARLO AUGU S TO VIANO

mondo delle cose non poteva più essere oggetto di una cono­ scenza riducibile a quella matematica, in cui tutto procede per causa e definizione. Sarebbe azzardato supporre che ci fosse in Speusippo un interesse per l'autonomia delle arti o della conoscenza artigia­ nale, o peggio ancora, l 'intento di promuoverne il progresso . Con la sua critica alla teoria delle idee e a molti punti con­ nessi del platonismo veniva a cadere la costruzione entro la quale Platone aveva sistemato la conoscenza che è propria delle arti : una sistemazione che era stata anche una risposta filosofica al problema del grado di conoscenza presente nelle arti e delle loro pretese di autonomia. Quella di Platone era stata una ri­ sposta data in nome di una gerarchia. In Speusippo la gerarchia agiva come strumento di dissoluzione di un ordine complessivo e i rapporti gerarchici erano costituiti piuttosto da tagli tra i diversi livelli

1 50 .

In questo modo le arti si trovano in sostanza

isolate dalla conoscenza intelligibile pura, che solo imitano in qualche modo, ma per oggetti del tutto diversi dagli oggetti matematici. Proprio qui poteva avere le radici la concezione negativa

della dialettica che è propria dello scetticismo accademico. Per Platone la dialettica era a l m e n o

anche

una tecnica per

partengono tutti allo stesso livello e perciò costituiscono un sistema chiaro e ordinato, le entità degli altri livelli fanno riferimento anche al livello numerico e ai livelli intermedi. Ciò pone il problema di un or· dine in questi livelli, che permetta di sistemare le relazioni di somi· glianza. Probabilmente qui affonda le sue radici l'obiezione di Aristo­ tele alla teoria speusippea della definizione, di cui alla nota precedente. 1 50 Per Aristotele nella concezione di Speusippo c'è discontinuità tra i vari livelli, laddove è probabile che Speusippo volesse introdurre continuità e connessione, ma non più basata sulla presenza di entità come le idee. Eliminata l'azione delle idee, tra i diversi livelli s'instau· rava un rapporto di modello a modellato, con l'impossibilità di ricon· durre un l ivello all'altro (donde i tagli, le cesure che appaiono ad Ari· stotele); ma nello stesso tempo le relazioni tra i termini tendono a d i· ventare più numerose e complesse via via che ci si allontana dal li· vello dei numeri.

609

LO SCETTIC I S MO ANTICO E LA MEDICINA

la prova della definizione ; e certamente cos1 appariva la dialet­ tica platonica ad Aristotele 1 51 . Proprio la crisi del concetto pla­ tonico della definizione toglieva per Speusippo il presupposto essenziale della dialettica nel senso platonico sopra indicato . Visto che la definizione come unità non esiste più, la dialettica serve per aggirarsi nella zona indefinita della somiglianza e rac­ cogliere sempre nuove somiglianze che mettano in crisi le defi­ nizioni falsamente univoche 152 . La dialettica intesa come stru-

151

Per la complessa questione della « prova della definizione » cfr .

ARIST. Top. VII .3, 15.3 a 6-22, dove lo sfondo è quello del procedimento classificatorio. La questione è ripresa nel Il libro degli

Analitici se­

condi, e qui in particolare si rigetta la divisione come un procedimento di prova della definizione (An. posto Il 5). Questo tema è ancora pre· sente in Met. VII 12. 151

Proprio in relazione

alla

« prova della definizione »

un certo rilievo la teoria della somiglianza (ARIST.

Top.

I

acquista 18, 108 b

2.3-.3 1 ; VII .3, 15.3 b .36-154 a .3). Soprattutto nel secondo luogo il tema della somiglianza è inserito in un complesso di temi tipicamente acca­ demici e si configura come la matrice di strumenti per costruire e di· scutere definizioni. Si direbbe che questi temi ( relazioni tra contrari, identità e diversità, distinzioni di categorie, flessioni verbali ecc.) siano strumenti destinati a porre ordine in un mondo di cose che presentano relazioni molteplici, ma che vanno sistemate . Sembra emergere qui una concezione

relazionale del reale, che corrisponderebbe all'impostazione

della teoria della definizione di cui alla nota 148 : cioè i termini delle definizioni appaiono inseriti in un sistema di relazioni. Potrebbe esser questa una teoria speusippea dovuta all'eliminazione delle idee-specie dalla teoria della definizione. Se si pensa ai rapporti che Speusippo instaurava tra i vari livelli di realtà non è escluso che egli abbia ri· servato un carattere univoco alle relazioni matematiche e una struttura più complessa a quelle degli oggetti appartenenti agli altri livelli, per· ché le relazioni matematiche, soprattutto quelle tra i numeri, apparteno gono tutte allo stesso livello, e le altre no. Questo poteva anche ri. chiedere per la definizione degli oggetti non matematici un procedi. mento più faticoso,

costituito da prove e confutazioni, in

definitiva

più problematico. Anche Platone doveva riservare un certo carattere problematico ai procedimenti divisori. Ma,

da un lato, Platone am­

metteva la presenza ovunque di strutture ideali, mentre Speusippo ten­ deva ad accentuare la divisione tra entità matematiche e cose sensibili ;

610

CARLO AUGU S TO VIANO

mento per distruggere le pretese inconsistenti ha certamente un modello nel Socrate platonico, ma potrebbe esser passata attraverso l 'elaborazione di Speusippo. Tracce di questa conce­ zione troviamo ancora nei Topici aristotelici, che forse da que­ sto processo hanno tratto l'ispirazione per presentare la dia­ lettica come tecnica per in utramque partem disserere 153. Pro­ prio come alternativa a questa concezione della dialettica Ari­ stotele aveva identificato nel metodo apodittico il procedimento unitario per tutte le forme di sapere, negando che esistesse una qualche tecnica per la prova della definizione e assegnando alla definizione un tipo di conoscenza del tutto diversa da quella di­ scorsiva. In parte Aristotele accettava l'interpretazione apodit­ tica che della matematica aveva dato Speusippo ; ma pensava di poter estendere quel procedimento a tutti i livelli di realtà. La chiave di questa operazione stava nel concetto aristotelico di forma, che per certi versi ricuperava il concetto platonico di idea, ma con trasformazioni radicali, che avevano come effetto, tra l'altro, l'estensione del metodo apodittico a tutta la realtà . Una delle conseguenze dell'impostazione aristotelica era la costruzione di una teoria fisica metodologicamente analoga alla matematica, in grado di dare dimostrazioni sulla natura. Tutti i processi naturali risultavano inquadrati entro un sistema ri­ goroso e unitario. In questo sistema si potevano trovare le cause dei processi naturali, anche di quelli in cui intervengono le arti o che sono messi in moto dalle arti. Questa impostazione' aveva un riflesso rilevante sulla medicina . Essa ricuperava il rapporto gerarchico tra medicina e scienza stabilito da Platone. La scienza della natura dà le cause dei processi con i quali il dall'altro, Platon e non applicav a il modello deduttivo neppure alle idee , men tre Speusippo si serviva della contrapposizione dell a UXVIJ a un' t1':L­ CT'tTUI.1) d edu t tiva per designare i procedimen t i validi per la matematica e

per le cose. Queste ul t i me devono presentare una s t r u tt ura relazio­ naIe complicata con rapporti di somiglianza complessi nei quali l' EtXa.­ l;EW e un certo procedimento sensibile e razionale insieme, vicino a quello delle arti, trovano la loro applicazione. 1 53 ARIST. Top, I 1, 100 a 18-2 1 . ,

LO S CETTICISMO ANTICO E LA MEDICINA

61 1

medico ha che fare. Il mezzo attraverso il quale si esprimeva questo nesso gerarchico era il primato della teoria delle parti, suscettibile di elaborazione scientifica autonoma, ma anche ri­ conducibile alla teoria degli elementi. E su questa base la me­ dicina impianterà il principio della localizzazione profonda delle malattie. Lo stoicismo tentò di dare una teoria della conoscenza che per certi versi fosse e q u i v a l e n t e a quella aristotelica ; e non a caso autori neo-stoici, come Panezio, o neo-accademici, come Antioco di Ascalona, insistettero su questa equivalenza, sostenendo che esisteva una tradizione unitaria da Platone a Zenone attraverso Aristotele 1 54. Equivalente però, e non iden­

tica. Di Aristotele (e di Platone) si conservava la tesi della su­ premazia della scienza sull'arte ; ma questa tesi veniva espressa

in termini soggettivi. Se Aristotele aveva fatto ricorso a prin­ cipi delle sostanze per garantire la verità della propria teoria fisica, gli stoici avevano preferito elaborare una teoria del cri­ terio soggettivo della verità e, partendo da questo, arrivare a una teoria dialettica generale. Essi ereditavano la concezione platonica della dialettica, come tecnica per stabilire il fonda­ mento dei principi, ma anziché farne un uso critico-negativo, come gli scettici, ne facevano un uso critico-costruttivo. Le arti si collocano nel processo che conduce dalle percezioni alle su­ preme leggi dialettiche, che solo il sapiente conosce : e in que­ sto senso il sapere artigianale è subordinato alla sapienza. La gerarchia naturale delle attività, che per Platone e Aristotele è contenuta nella natura, si colloca per lo stoicismo tutta all'in­ terno dell'attività del sapiente.

6 . L'interpretazione soggettiva del sapere e la medicina Uno strumento della trascrizione del sapere in termini sog­ gettivi era la teoria dei segni. È assai significativo che un tema 154 Stoico Ind. LXI 2-8, fr. 57 Van Straaten; ele. De finib. bono et mal. IV 79, fr. 55 Van Straaten ; ID., Ac. l 43.

612

CARLO AUGU STO VIANO

marginale della logica aristotelica, un tema comune alla medi­ cina e alla retorica 155, diventi il filo conduttore della gnoseologia

155 Aristotele colloca i segni, accanto alle premesse verisimili, come quelli da cui derivano i ragionamenti retorici o entimemi (Rbet. I 2, 1357 a 32-b 5 ; 3, 1359 a 6-10). I segni non sono annoverati da Platone tra gli strumenti tecnici teorizzati dai retori (Pbaedr. 266 D-268 E, anche se in 266 E compaiono i "tEXIl1JP.Ilt, che Aristotele connette ai segni, e gli ELxo"tllt, che Aristotele colloca accanto ai segni come premesse degli entimemi), e Platone finisce con il ricondurre tutta la retorica sotto il concetto di ELxoc; e 1':.illlt'Jo'J ( ivi 272 n-273 A). Ma i segni dovevano esser presenti nella teoria retorica pre-aristotelica perché la Retorica ad Ales­ sa1tdro li illustra senza usare la teoria aristotelica del segno (Rbet. ad Alex. 12) e in un contesto in cui "tEXIl1JP'O'J ( ivi 9), entimema ( ivi lO) e l"1IWIl1J ( ivi 11) sono definiti in modo ben diverso rispetto ad Aristo­ tele. Si direbbe che Aristotele assuma una concezione di fondo per cui il segno è la connessione di due cose o eventi ( An. pro II 27, 70 a 7-9 ) secondo un significato del termine comune fin dal V sec. e ben pre­ sente nella Retorica ad Alessandro (Rbet. ad Alex. 12, 1430 b 30·35). Lo sforzo principale di Aristotele consiste nel tentativo di formulare questa connessione nel linguaggio della propria teoria logica. Uno dei modi seguiti da Aristotele consiste nel ricondurre il segno a una rela­ zione tra universale e particolare (Rbet. I 2, 1 357 b 1-3, 10-2 1 ) . Il 1:EXIl1JP'OV si distingue dal segno perché è necessario, e cioè da esso de­ riva un sillogismo ( ivi 3-7 ; dr. anche ivi II 25, 1403 a 2·5, che con­ tiene un rinvio agli Analitici). Proprio qui Aristotele tenta di svilup­ pare una teoria sillogistica del segno, dalla quale è assente il riferi. mento all'universale e al particolare, e che dovrebbe far rientrare il se­ gno nelle tre figure sillogistiche (An. pro II 27, 70 a 1 1-24 ). In realtà il sillogismo è una riformulazione del segno, che consta di due sole pro­ posizioni (p. es. « se ha latte, ha partorito » o « se Pittaco è buono, i sapienti sono buoni ») , perché tace una delle premesse ( rispettivamente « chiunque abbia partorito ha latte » e « Pittaco è sapiente », ivi 2428). In realtà solo il segno riformulabile in un sillogismo di I figura tiene, se la premessa universale implicita è vera, mentre quello di III figura pretende di ricavare una conclusione universale non ammissibile in questa figura e quello di II figura contravviene alla regola per cui una delle premesse di questa figura deve essere negativa (ivi 29-38). Qui il "tEXIl1JP'OV è non più il segno vero di I figura come nella Reto­ rica, ma il medio in questo tipo di segno ( ivi 70 b 1-6) . Ma una volta ammessa la premessa universa:le implicita del segno autentico, riformu­ lato in un sillogismo di I figura, questa premessa può essere necessaria

613

LO S CETTICISMO ANTICO E LA MEDICINA

post-aristotelica . Stoici, epicurei e scettici assumono i segni come punto centrale della loro teoria della conoscenza . Per gli stoici i segni sono segni indicativi e cioè sono costituiti da cose evi­ denti che servono a far conoscere cose oscure, e cose oscure non solo o c c a s i o n a l m e n t e , ma p e r n a t u r a . Questi segni si fondano su nessi implicativi del tipo « se c'è passaggio di liquido, ci devono essere canali » . Sono nessi che stabiliscono una connessione necessaria tra segno e significato, perché al rapporto « se A, allora B » nel senso che A è segno di B corrisponde « se non-B, allora non-A » da interpretare nel senso che se B non esistesse non esisterebbe neppure A . Il che vuoI dire che il segno r i v e l a la cosa significata, ma 1' e s i s t e n z a della cosa significata è il f o n d a m e n t o dell' e s i s t e n z a del segno 1S6. La teoria stoica dei segni presuppone o probabile ( ivi 70 a 6-7 ), sicché non tutti i ''l'EXI-L-nPlct sono necessari, come sembra supporre la Retorica. Ma l'interpretazione del segno data dagli Analitici primi complicava il problema, perché bisognava distin­ guere il segno derivante da premessa necessaria dalle dimostrazioni scientifiche vere e proprie. E allora Aristotele stabiliva una differenza tra sillogismi indicanti le cose che ineriscono di per sé alle cose e ]a causa dell'inerenza e quelli che non lo fanno, come i sillogismi attra­ verso i segni (An. posto I 6, 75 a 28-35). � assai significativo che Ari­ stotele menzioni quasi sempre segni tratti dalla medicina. Nella lette­ ratura medica ippocratica il termine « aTIl-LEtoV » (e quelli ad esso legati) non è molto frequente (HIPPOCR. Veto Med. 1 8 ; Praec XIV lO; Progno 5; Acut. 6, 35; termini della famiglia di UXI-L-npI.OV in ID. Aer. 20 ; Acut. 2 ; Nat. Hom. 1 , 7 ; Èvltvp.Etai)CtI in ID. Aer. 2 ) ; m a soprattutto questi ter­ mini non compaiono là dove si tenta di elaborare una metodologia espli­ cita e relativamente astratta della medicina. � probabile che proprio nell'età di Aristotele retorica e medicina vengano tematizzando un con­ cetto legato a un termine entrato nell'uso prosastico nel V sec. Aristo­ tele ne dà una teoria esplicita, che ha anche una funzione limitativa nei suoi confronti. L'interpretazione aristotelica confina il O'TJl-LEtov nella sfera delle connessioni non necessarie o necessatie ma non essenziali, inca­ paci di dare spiegazioni causali. Essa corrisponde all'interpretazione della medicina e delle arti come attività alle quali sfugge la conoscenza delle cause più alte. 156 SEXT. EMP. Pyrrh. Hyp. I I 97-103 ; Adv. Math. VIII 145-155; PHILOD. De sign. I a 12-16; XXXVI 2 1 -24. .

614

CARLO AUGU S TO VIANO

perciò un armamentario di connessioni condizionali, che legano l'esistenza delle cose apparenti i n s u p e r f i c i e all'esistenza di cose giacenti i n p r o f o n d i t à ; e alle spalle di queste connessioni condizionali le grandi leggi della dialettica permet­ tono di applicare i condizionali ai casi concreti

151.

Gli epicurei davano dei segni un'interpretazione diversa, fondata sull' a n a l o g i a d e I l ' e s p e r i e n z a . Il segno è costituito dalla somiglianza tra una cosa osservabile e una non osservabile simile alla prima; se nella prima c'è una relazione osservabile tra due termini, allora nella seconda uno di quei termini è segno dell'altro

158 .

Secondo gli stessi epicurei questa

157 La qnil;Lt; e la xtl'ttlCTXeul) che sta a fondamento del funzionamento del segno indicativo è in sostanza una connessione implicativa in cui viene svelato il cons eguente ( SEXT. EMP. Py"h. Hyp. II 101 ). li fonda­ mento di questo nesso sta nel fatto che « l'uomo differisce dagli ani­ mali privi di ragione non per il discorso che si rivolge verso l'esterno [ ... ] ma per il discorso interno, né soltanto per la rappresentazione sem­ p lice [ ... ] ma anche per la rappresentazione che si connette con un'al­ tra. Perciò avendo la nozione della conseguenza (à.xoÀov&Ux� MoI4V), l'uomo coglie immediatamente anche l'idea (v61)CTLt;) del segno attraverso la conseguenza : perché il segno è proprio questo ' se questo, allora que­ sto ' . Dunque l'esistenza del segno è una conseguenza della natura (cpUat.�) e della struttura ( XtI'ttlaxeui) dell'uomo » ( ID. Adv. Ma/h. VIII 275-276). Gli stoici doveva no a vere q u alche problema per collocare ques ta teo­ ria del s egno nella prop ri a teoria gen erale della conoscen za , che pun ­ tava sulla sensazione come criterio della verità. Essi t en tavano perciò di ri cos truire un i t inera rio che portasse dalle sensazioni alle rappresen­ t a zion i raz ionali . Proprio la rapp resen t azione costituiva una t a p pa fon­ damentale di questo itinerario (DIOG. LAERT. VII 50). La sensazione mette capo alla rappresentazione, ma rappresentaz ioni genera anche lo spirito razionale ( ivi 5 1 ; AET. Placo IV 1 1 , Il 83 von Arnim). Il segno dunque si collocava nello spazio delle rappresentazioni r azion ali e in quel set­ tore dell'immaterialità che gli stoici riconoscevano alle proposizion i lo­ gich e ( SEXT. EMP. Adv. Ma/h. VIII 409). La ragione faceva cos1 valere le p roprie capacità di connettere e si n te t izz are rappresentazioni e dava luogo alle connessioni che cos titui scono i fondamenti dei segni ( ivi 56-60 ; IX 393-395) . 158 Per Epicuro 'tÒ lio1JÀoV è qualcosa cui s i giu nge s e CTTJl.LEI.WCTOlJ.Elta: « second o le sensazioni [ . . . ] e le apprensioni direttamente pre se n t i , o

LO S CETTICI S MO ANTICO E LA MEDICINA

615

interpretazione dei segni s 'inquadrava entro due presupposti : 1 ) l'omogeneità di fondo di tutta la natura, costituita di ma­ teria e di vuoto 1 59; 2) la non-univocità dei rapporti che fordel pensiero o di qualsiasi altro criterio, come anche secondo le affezioni che subiamo »; infatti «assumendo distintamente queste cose si arriva poi a cogliere le cose oscure» (EPIC. Ad Herod. 38, 4-8). Anche per Epicuro la CI"IllU'w01.