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Italian Pages X,470 [466] Year 2004
AVVERTENZA
Questa raccolta di studi è il frutto di un incontro a carattere seminariale su «Aspetti di trasmissione di letteratura gnomologica e apoftegmatica», tenutosi a Pisa, presso la Scuola Normale Superiore, il 5-7 giugno 2003 e fa seguito al primo tomo (a sua volta frutto di un precedente Incontro di studi), Aspetti di letteratura gnomica nel mondo antico I, pubblicato in questa stessa serie nel 2003 («Studi», 218). Ad esso rimandiamo per le informazioni riguardanti le finalità e le modalità dei nostri interventi. Resta soltanto, in questa sede, il gradito compito di ringraziare quanti hanno cooperato a vario titolo: Francesca Maltomini nella fase di organizzazione del seminario, Lucia Prauscello, in quella delle verifiche bibliografiche, Elena Gritti nella fase degli adeguamenti redazionali e correzione delle bozze. Sono grata a Carlo Pernigotti per gli utili suggerimenti. Un particolare ringraziamento a Fernanda Decleva Caizzi per l'aiuto nella preparazione del volume. Rivolgo un ringraziamento, non solo formale, alla Scuola Normale Superiore – in particolare al Direttore, prof. Salvatore Settis, e al Preside della Classe di Lettere, prof. Carmine Ampolo – che ha consentito lo svolgimento dell'Incontro al suo interno e ha contribuito a finanziarne l'organizzazione insieme agli Atenei di Firenze, Milano e Pisa in relazione al progetto M.I.U.R. Corpus dei Papiri Filosofici. Alle Istituzioni che hanno consentito la pubblicazione delle riproduzioni fotografiche vada la nostra riconoscenza: all'Agyptisches Museum - Preu1 ischer Kultur Besitz di Berlino, alla Biblioteca Apostolica Vaticana, alla Biblioteca Medicea Laurenziana, all'Egypt Exploration Society, alla Österreichische Nationalbibliothek. Un particolare ringraziamento a Nikolaos Gonis, Rosario Pintaudi, Gíinter Poethke. Per quanto riguarda í criteri editoriali di questo volume ci si è attenuti a quelli della serie «Studi» dell'Accademia `La Colombaria', cercando di rispettare ove possibile all'interno dei singoli contributi le peculiarità di ciascun autore. Per quanto riguarda l'ordinamento del volume, è stata rispettata la successione delle relazioni che furono tenute durante l'Incontro di studio. M.5. FUNGHI
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PRESENTAZIONE
Questo volume, come il Convegno di cui esso rappresenta gli Atti, suscita indubbiamente stupore, e per molte ragioni. In primo luogo perché dimostra una vitalità inaspettata negli studi classici, in un periodo in cui le scienze umane periclitano e i governi, più disposti a gestire le finanze che a lanciare programmi politici, investono in misura sproporzionata nelle `scienze dure', mentre praticano economie draconiane nelle discipline umanistiche. In secondo luogo, perché questa vitalità è ben dimostrata dal numero e dalla qualità dei contributi dei giovani ricercatori, che mostrano una conoscenza ammirevole della lingua e della cultura greca, privilegio della tradizione classica italiana, che purtroppo non trova uguali riscontri Oltralpe, dove la lingua greca comincia ad essere considerata esotica e í suoi adepti sono preziose rarità. In terzo luogo, e su questo vorrei soffermarmi più a lungo, per il tipo di ricerche cui questo Convegno e questi Atti sono dedicati: la gnomologia greca. L'argomento è quanto mai circoscritto, specialistico, e — diciamolo senza pudori — arido, se considerato con il metro della stilistica e della creazione artistica. Per queste ragioni, questa particolare branca della filologia non ha entusiasmato i ricercatori, che si sono volentieri fermati alla bibliografia di fine '800 o inizi '900. La ricerca di frustuli del passato conservati nelle compilazioni sentenziose ha spesso fatto sottovalutare il portato di queste opere, il loro ruolo nella trasmissione del sapere, il loro utilizzo come strumento di conoscenza, il loro apporto alla produzione letteraria. È a partire dagli anni '80 che è nato un nuovo approccio agli gnomologi. Anche se íl desiderio di comprendere meglio il perché di determinate attribuzioni, quando si studia la tradizione dí un autore, e la volontà di ritrovare qualche frustulo dimenticato restano sempre in primo piano, ci si è posti il problema di cosa significhi la codificazione del sapere gnomologico in sé, e quale portato esso abbia nella cultura medievale. Nel contempo ci si è resi conto che servono nuove edizioni, basate su criteri filologici più completi e complessi di quelli utilizzati dalle generazioni precedenti di filologi. Credo che un punto importante nella riflessione sia stato marcato —VII-
PRESENTAZIONE
dal primo convegno «Aspetti e forme di tradizione letteraria sentenziosa nel mondo antico» organizzato da Maria Serena Funghi nel 2002 e pubblicato l'anno successivo. Quello che mi ha più piacevolmente sorpreso allora è stato questo approccio globale al fenomeno gnomologico, con riferimenti e contributi all'insieme delle tradizioni sentenziose, dall'antico Egitto alla cultura araba. Questo secondo Convegno, forte del bagaglio accumulato l'anno precedente, ha potuto dunque concentrarsi più specificatamente sulla cultura greca, sia antica che medievale, che è l'oggetto del presente volume. Certo, in questo tipo di studi è difficile separare quello che appartiene alla creazione da quello che è proprio della trascrizione, e tutto il problema della trasmissione del sapere gnomologico si trova proprio lì. La preoccupazione maggiore di chi si occupa dei sentenziare è sapere a quale epoca essi risalgano, quale venga prima e quale dopo, quali siano le fonti di ciascuno. Tuttavia questo processo di ricerca è in qualche modo perverso, perche privilegia ancora una volta l'atto di creazione rispetto alla questione dell'utilizzazione: si tratta insomma di categorie moderne di apprezzamento che non corrispondono in nulla alla mentalità tardo antica e medievale, che considera queste opere come strumenti, in cui il nome dell'autore cui una gnome attribuita ha una valenza propria, al di là di ogni realtà storica. Quello che è importante per il compilatore è dichiarare la paternità di una sentenza, anche se questa paternità è solo un nome e non una realtà: possiamo osservare lo stesso processo, per esempio, negli autori delle cronache a partire dalla fine dell'Antichità. D'altra parte esiste la necessità di stabilire dei processi di filiazione, per poter osservare in ciascun momento dell'evoluzione dei sentenziare di quali materiali il compilatore si è servito. Tuttavia anche questo processo di analisi presenta i suoi punti deboli: in primo luogo ricostruire questi processi è estremamente difficile; in secondo luogo, la diffusione contemporanea di opere che non hanno alcuna fissità permette una compresenza di sillogi strutturate in maniera differente. Credo che negli anni a venire si debba puntare soprattutto allo studio dei manoscritti compositi, avvicinando il più possibile le edizioni alle condizioni di circolazione, riservando lo studio contenutistico delle raccolte a quelle che maggiormente pesano dal punto di vista dell'elaborazione del pensiero. Penso in particolare agli specula principis, e mi rallegro all'idea che questo secondo Convegno sarà seguito nel 2005 da un terzo, dedicato all'Educazione al governo e alla vita. La preoccupazione di rimontare nel tempo fino alle fonti gnomologiche antiche è stato alla base degli interventi pubblicati in questo volume, ma non sono mancate le interrogazioni più generali, come — VIII —
PRESENTAZIONE
quelle relative alla struttura e all'utilizzo degli gnomologi. Si veda in questo senso l'intervento di C. Pernigotti, che studia la tradizione della Comparatio Menandri et Philistionis, aggiungendo all'esame della tradizione manoscritta anche l'analisi dell'apporto dei papiri. O ancora, la necessità di operare distinzioni all'interno della mole di sentenze pervenutaci, tra raccolte di natura gnomologica e quelle che si rifanno alla tradizione paremiografica: si tratta di raccolte diverse, e questa diversità era ben presente fin dall'Antichità; lo studio d' R. Tosi è illuminante a questo proposito. A queste due categorie, raccolte di citazioni e raccolte di proverbi, ne va aggiunta una terza, la raccolta di apoftegmi, che parte dalle diverse redazioni che caratterizzano la trasmissione dei «Detti» dei Sette Sapienti, messe in luce da F. Maltomini, a quelle degli apophthegmata patrum, così cari alla tradizione cristiana: è questo il compito che si data E. Giannarelli, che studia il "patrimonio d' saggezza orale" nella sua codificazione scritta e nei processi di redazione che lo caratterizzano. Un discorso a parte meritano ancora le chreiai, ovverosia – secondo la definizione di Aftonio – aneddoti in forma concisa che si riferiscono ad un dato personaggio. Vari contributi sono stati dedicati alle chreiai, a partire dalla brillante premessa al loro studio da parte di M.T. Luzzatto, che si interroga sul loro utilizzo nell'educazione antica. Preziosi sono í papiri, che spesso riportano frammenti di chreiai meritevoli di uno studio particolare: è quello che hanno fatto G. Bastianini, M. Manfredi, G. Messer e M.S. Funghi con i loro contributi sulla tradizione papiracea. Questo volume presenta interventi che si prestano a letture multiple. Una parte importante di interventi è dedicata a particolari filoni della saggezza antica, spesso considerata sotto l'angolo della `fortuna' di un solo autore. Questo tipo di analisi può permettere di seguire il percorso che va dalla estrapolazione di passi fino alla loro integrazione in sentenziari diversi. Così T. Dorandi si interroga sulla tradizione gnomologica di Epicuro e degli epicurei; A. Brancacci studia il contributo dei papiri alla gnomica di tradizione cinica; M. Curnis guarda alla tradizione platonica in Stobeo; J. Gerlach e A. Carlini si occupano delle raccolte che portano più chiaramente l'impronta di un autore e del loro adattamento a contesti differenti: il primo con Democrito, il secondo con i rifacimenti cristiani di Epitteto e di Sesto; un discorso parallelo è fatto da S. Azzarà, che indaga le antologie pseudoepigrafe nelle citazioni dei Padri. Resta abbondantemente da studiare il problema della trasmissione della letteratura sentenziosa, e questo problema è abbordato sia da R.M. Piccione, per quanto riguarda Stobeo e Orione, sia da me, re-
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PRESENTAZIONE latinamente agli gnomologi sacro-profani bizantini. Un discorso a parte va fatto per la tradizione gnomica in area araba, così importante per lo studio della trasmissione del sapere da una cultura all'altra, che mostra la permeabilità delle civiltà medievali: dobbiamo questa indagine a P. Bettiolo, per la tradizione siriaca, e a C. D'Ancona. Di questi contributi, molti hanno studiato la tradizione papiracea, che ci permette un maggiore avvicinamento alla produzione gnomologica antica, prima della trasmissione manoscritta bizantina che ha spesso complicato le trascrizioni attraverso nuove produzioni. Sono profondamente convinto che questo volume, accanto al primo, servirà a ridare slancio allo studio di questo tipo particolare di produzione, che — inutile ripeterlo — è fondamentale per la conoscenza delle modalità di trasmissione del sapere. Vorrei chiudere questa mia breve presentazione con una citazione riportata nel contributo di C. D'Ancona (p. 334): «nessuno consegue la verità, così come la verità esige, con il solo sforzo della sua ricerca, e neppure tutti insieme la conoscono completamente [...] ma se si mette insieme quel poco che ciascuno di noi ha trovato della verità, alla fine si raggiungerà un insieme di grande valore». Penso che questo scopo sia stato ottenuto, come il lettore potra constatare. PAOLO ODORICO, E.H.E.S.S., Parigi
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FRANCESCA MALTOMINI
SULLA TRASMISSIONE DEI «DETTI DEI SETTE SAPIENTI» Il lavoro filologico sui Detti dei Sette Sapienti è stato sinora di natura essenzialmente editoriale e di indagine sulle parentele fra i vari testimoni: in anni recenti sono stati messi a punto resoconti accurati e affidabili sul contenuto di alcuni testimoni medievali e antichi, che vanno ad affiancarsi alle testimonianze indirette (non indifferenti per numero e qualità) su molte delle problematiche che qui interessano. 1 Ma non si è ancora tentato di realizzare, sulla base di tutto il materiale a disposizione, una panoramica più ampia che renda conto dell'andamento di questa trasmissione, degli eventuali `snodi tradizionali' che l'abbiano caratterizzata, delle sue modalità e, in definitiva, dei suoi tratti peculiari: sarà questo lo scopo delle osservazioni che seguono. Ritengo sia utile procedere attraverso un duplice approccio ai testi: da un lato si tratta infatti di ricavare e vagliare tutte le informazioni che í nostri testimoni forniscono sugli aspetti più strettamente legati alla trasmissione dei Detti (presenza di antenati comuni ricoDopo W. BRUNCO, De dictis VII sapientium a Demetrio Phalereo collectis, in Acta Seminarli Philologici Erlangensis III, 1884, pp. 299 397 e J. STANJEκ, Quaestionum de sententiarum septem sapientium collectionibus, Pars I, Vratislaviae, Koebner 1891, si vedano i recenti lavori di W. B~κLεR, Zur handschriftlichen Überlieferung der Sprüche der sieben Weisen, Göttingen, Vandenhoeck & Ruprecht 1989, M. TZIATZI PAPAGIANNI, Die Sprüche der sieben Weisen. Zwei byzantinische Sammlungen. Einleitung, Text, Testimonien und Kommentar, Stuttgart Leipzig, Teubner 1994 («Beiträge zur Altertumskunde», 51), EAD., Eine gekürzte Fassung der delphischen Sprüche der Sieben Weisen, «Hermes», CXXV, 1997, pp. 309 329 e R. FÜHRER, Zur handschriftlichen Anordnung der Inschriftlichen 7-WeisenSprüche, «ZPE», CXVIII, 1997, pp. 153-161. Accanto al poco riportato da DIELS-KRANZ, I, n. 10, la più ricca raccolta di testimonianze sui Sette Sapienti (comprendente anche materiale relativo agli Apoftegmi) rimane quella di B. SHELL, Leben und Meinungen der Sieben Weisen, München, Heimeran 1938: il taglio del lavoro è però sostanzialmente divulgativo e le diverse fonti, spesso accostate e `fuse' in modo arbitrario, sono prive di un adeguato supporto critico; rimandi a un gran numero di passi interessanti si trovano sparsi in A. BARKoWSKI, RE 'l.A 2 coli. 2242-2264. '
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noscibili e/o ricostruibili per le raccolte a noi giunte, unicità o molteplicità di canali tradizionali ecc.); il valore dei singoli testimoni, d'altronde, è talvolta appurabile solo se si cerca di contestualizzarli correttamente, se se ne individuano l'ambito di pertinenza e la funzione. Un simile procedimento è essenziale anche per far luce sulle diverse modalità di fruizione che hanno caratterizzato lungo i secoli í Detti dei Sette. I. LE GRANDI RACCOLTE È bene chiarire subito che í Detti dei Sette Sapienti vengono tramandati in raccolte di due tipi diversi, dotate di origini distinte e sostanzialmente indipendenti dal punto di vista tradizionale, sebbene molti testimoni le conservino, come vedremo, insieme o `mischiate'. Il punto di riferimento per entrambe è il testo fornito dallo Stobeo all'interno del capitolo περ'~~ ~ρετ~ ς del suo Anthologium (III 1, 172173); lo Stobeo è per i Detti il più antico testimone che tramandi una raccolta completa di ognuno dei due tipi, ed è questo (non una sua comprovata superíorítà tradizionale) a giustificare il fatto che abbia rappresentato e continui a rappresentare la `pietra di paragone' per tutti gli altri testimoni in nostro possesso. Descrivere subito in dettaglio le raccolte riportate dallo Stobeo sari comunque utile non solo perché torneremo a discuterne diffusamente, ma anche per il loro valore esemplare: le caratteristiche essenziali di conformazione che saranno elencate di seguito si ripresentano infatti, in linea di massima, in tutte le raccolte dl cui si parlera in questa prima parte. La prima raccolta è attribuita dallo Stobeo a Demetrio di Falero (il titolo introduttivo recita ∆ηµητρíoυ Φαληρ~ως τωΩν επτσ σοφ ~ν ~ποφΘ~γµατα) ed è caratterizzata dalla ripartizione delle sentenze fra i Sette Sapienti: sotto il nome di ciascuno (Cleobulo, Solone, Chilone, Talete, Pittaco, Biante, Periandro) vengono elencati un certo numero di apoftegmi (in media una quindicina), di forma variabile; per comodità, questa raccolta viene indicata con "Dem.". La seconda raccolta, la cui compilazione è attribuita nello Stobeo a un certo Sosiade ( Σωσι~ δον τωΩν ~πτà σοφ~ν vποθ~κα~), consiste in una lunga serie di sentenze (147, per l'esattezza), tutte formate da due parole (in genere complemento + imperativo di seconda persona singolare, non necessariamente in quest'ordine: ν~ jq πε~ θoυ, ti¡3ρww µ ~ σει ecc.); 2 esse non vengono riz Per la precisione, si dovrebbe parlare per queste sentenze di una struttura `bimembre' (parte nominale + parte verbale): talvolta si trovano infatti elementi accessori quali —2—
SULLA TRASMISSIONE DEI «DETTI DEI SETTE SAPIENTI»
ferite a nessuno in particolare dei Sette Sapienti, ma sono presentate come comuni a tutti. Una parte dei detti di questa raccolta (che si indica con "Sos.") si trovano anche in Dem., attribuiti a uno dei Sette: esiste insomma una parziale sovrapposizione fra Dem. e Sos. In Dem., inoltre, si trovano sia sentenze di Sos. in una forma ampliata, sia altre massime di due parole che in Sos. mancano. Cíò detto, il quadro tradizionale in nostro possesso dei Detti dei Sette Sapienti è decisamente complesso e tale complessità deriva dalle caratteristiche stesse del materiale e delle raccolte che lo tramandano. Una corposa sequenza di frasi brevi, concettualmente indipendenti l'una dall'altra e non organizzate secondo criteri che aiutino a preservarne l'ordine e/o la quantità, si presta infatti di per sé ad essere manipolata in vario modo, subendo tagli (intenzionali o meno), aggiunte e cambiamenti nella successione dei contenuti. Α ben vedere, le raccolte di Detti senza distinzione fra i Sette (ossia, per intenderci, analoghe a Sos.) avevano in sé un unico, esile, `deterrente' da manomissioni, vale a dire la forma delle sentenze contenute: un apoftegma che non rispondesse alla caratteristica struttura di due parole non poteva risultare omogeneo col resto ed essere quindi impunemente interpolato; di fatto, nessuno dei nostri testimoni di raccolte di questo tipo contiene sentenze formulate diversamente. 3 Differente la situazione per í Detti distribuiti fra í Sette: la paternità non è costante (una stessa sentenza risulta attribuita a personaggi diversi nel diversi testimoni) e la forma sintattica più variabile delle sentenze ha fatto si che si verificassero contaminazioni e inclusione di materiale estraneo. Il risultato di una simile debolezza tradizionale è che, di fronte ai testimoni in nostro possesso, non sembra possibile tentare di ricostruire `un testo' di ognuno dei due tipi di raccolta di cui si è detto, dato che ci troviamo di fronte a diverse redazioni (otto quelle individuate sinora)" che vanno ad affiancarsi a quanto riportato dallo Stobeo e condividono solo una parte del materiale, aggiungendo ognuna sentenze sue peculiari e presentando il tutto in un ordine almeno parzialmente caratteristico. L'analisi di somiglianze, divergenze e sistemi
negazioni o preposizioni che fanno salire il numero effettivo di parole, ma l'assetto della massima non varia mai (cfr. e.g. ö ρΙφ µ ~~χρ~ ; µ ~~λ~ λει πρ~ ς ~ δσν~ ν). L'unica eccezione a me nota è rappresentata da un apoftegma della raccolta tramandata dal codice Vrat. Rhed. 12, su cui v. infra: ~~ µ ~~Θ~λεις παθε~ν, ~λλoις µ ~~διδoυ. " Per quanto í testimoni appartenenti a ll e biblioteche più importanti siano stati individuati e studiati in modo generalmente soddisfacente, uno spoglio completo dei numerosissimi manoscritti che riportano redazioni dei Detti dei Sette non pu~~dirsi realizzato.
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di dipendenza fra le varie redazioni condotta da Β~hler e, in maniera più circostanziata, dalla Tziatzi-Papagianni conferma la difficoltà di ricostruire qualcosa di simile ad uno stemma per le nostre raccolte: solo alcune paiono raggrupparsi in uno stesso ramo tradizionale, senza peraltro fornire elementi dirimenti per capire quale sia il loro rapporto col testo dello Stobeo. Vale allora la pena di chiedersi se un testo dei Detti sia mai esistito, cioè se queste sentenze – che facevano parte di un patrimonio culturale comune ed ebbero sempre una vasta `circolazione sparsa' – abbiano mai ricevuto, in quanto corpus, una sistemazione autorevole, capace di in fl uenzare (in una misura eventualmente da definirsi) la tradizione successiva. La risposta a questa domanda ci è nota solo in parte e attraverso la combinazione di varie testimonianze. Partiamo dalle sequenze prive dell'attribuzione a ciascuno dei Sapienti e caratterizzate dalle sentenze di due parole: se lo Stobeo non fornisce nessuna informazione ad eccezione del nome del `responsabile' della raccolta, le redazioni medievali di questa stessa tipologia di sentenze conservano invece un breve cappello introdut tilo, in cui si spiega (con espressioni che variano da testimone a testimone) che i detti che seguono si trovavano iscritti su una colonna a Delfi. La presenza di un elenco di sentenze a Delfi è autorevolmente confermata da un'iscrizione di Ai Khanum, in Afghanistans (III sec. a.C., indicata come A.-K. nei recenti lavori sui Detti): si tratta di una base che doveva sostenere una stele (ora quasi interamente perduta) e sulla quale si leggono un epigramma tetrastico e cinque detti di due parole; questi rappresentano con ogni probabilità la fine del testo riportato sulla stele: il lapicida, terminato lo spazio a sua disposizione, utilizzò in parte la superficie della base per completare il suo lavoro. L'epigramma dice che le sentenze riportate sulla stele derivano da un esemplare approntato da Clearco (con ogni probabilità il peripatetico Clearco di Soli) copiando fedelmente il testo di Delfi, e non mi pare ci sia ragione di dubitare di questo racconto; 6 le sentenze conservate coincidono con le ultime cinque di Sos. e della redazione medievale
5 Ed. L. ROBERT, De Delphes 'i l'Oxus. Inscriptions grecques nouvelles de la Bactriane, «CRAI», 1968, pp. 416-457 = Opera Minora Selecta, V, Amsterdam, Hakkert 1989, pp. 510-550. 6 Ecco il testo del componimento: 'Ανδρ ~ν τοι 0000 Τα~Τα παλαιοτ~ ρων ~ν~ κει[τα]ι ρ~ µατα~ ριyν~των ΠυΟο ~ ν ~yαθ~ αι• ~νθεν ταvτ[α] Κλ~ αρχος ~n~Ψραδ~ ως ~ΝαΥρ ~Ψαςεi σατο τηλαυγ~~Κιν~ ου ~ν τει~νει.
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SULLA TRASMISSIONE DEI «DETTI DEI SETTE SAPIENTI»
indicata come Rhed. 7 È stato anche rinvenuto un frammento della stele: le poche lettere in esso contenute sono compatibili con l'esordio di sentenze note, che, come si è detto, derivano dichiaratamente dal testo deifico; l'iscrizione testimonia anche che questo testo rappresentava, per la sua stessa collocazione, l'esemplare di riferimento, e fornisce la notizia di una copia manoscritta completa e accurata (quella approntata da Clearco). Una connessione fra sentenze dei Sette e Delfi si trova anche in testimonianze indirette píù antiche, e in particolar modo in alcuni passi del corpus platonico; in questi si citano però sempre soltanto le sentenze più celebri e funzionali al discorso (yν ~θι σαντ~ν, ΜηδYν ~γαν e, in un caso, ~yyv α π~ ρα δ ' ατα), e con espressioni tali che non consentono di capire se la presenza di altre massime fosse nota;$ non è chiaro, in sostanza, se Platone sapesse dell'esistenza di una redazione delfica ampia come quella di cui si è parlato fin qui o parli piuttosto di un'iscrizione che recava solo le sentenze maggiormente significative. Si configura la possibilità che a Delfi fosse registrato in un primo momento soltanto un nucleo originario di massime, poi notevolmente ampliato. Rhed., di cui la Tziatzi-Papagianni, cit., pp. 447-448, ha fornito un'edizione diplomatica, è una redazione molto particolare: tramandata dal codex unicus Vrat. Rhed. gr. 12 (datato al 1491), non presenta contatti stretti con gli altri testimoni medievali. Va comunque precisato che le cinque massime che chiudono Mu et. Sos. e Rhed. costituiscono un insieme omogeneo (o, piuttosto, una sola sentenza `atipica' articolata in cinque parti), in quanto forniscono regole di comportamento per le cinque età dell'uomo: παîς div κ~ σΜtoς 1091., ~ β~ν εΥκρατης, µ ~ σος δ~καιος, πρεσβ~Της εvλoγoς, τελεντι~ν ~ λΥπος. La coincidenza fra í testimoni, quindi, non è significativa per l'ordine delle sentenze, ma soltanto per la loro collocazione in chiusura. 8 Un passo del Carmide (164Ε-165 Α) presuppone che y ν~ Οι σαντ~ ν sia stata la prima massima ad essere stata iscritta a Delfi, rispetto alla quale le altre hanno rappresentato un'aggiunta: 01 τ~~ïí σΤεΡον γρ ~ µµατα ~ ναθ~ ντες, τ~~τε Μηδ~ ν ö~γαν και τ~~'Εyy η π~ ρα δ' d τη; è un fatto, del resto, che lo y ν~ θι σαντ~ν rappresenti in tutta la letteratura filosofica la massima delfica per eccellenza, con un suo statuto particolare e autonomo, spesso svincolato dalle altre sentenze analoghe. Secondo alcune delle nostre fonti, poi, l'importanza centrale dello y ν~ιΡθt σαντ~ ν era sancita da ll a sua collocazione, a Delfi, sul frontone del tempio di Apollo. Nel Protagora (343Β) si fa riferimento a massime pronunciate da ciascuno dei Sette, ma, parlando della loro comune dedica a Delfi, se ne nominano sol~ ων Παιtanto due: οντοι π~ντες ζηλωται κα' ~ ρασται και Μα0ΗΤαι ~ σαν Τ~ ς Λακεδαιµον δε~ ας, καì ΚαταΜ~ θΟΙ ~ν τις aY ΤUUΝ τ~ ν σοφ~ αν Τοιa~ Την oi σαν, p~ ΜaΤα βραχε a α ξι0Μ1ΗΜ~ νε0Τα εΚ~ στω ε~ ρηµ ~ να• OYTOl καì κoιν~~συΝελθ~ Ντες απαρχ~ν τ~ ς σοφ~ας ~ν~ θεσαν τg 'Απ~ λλωνι εΙς τòν νε~Ν τòν εν ∆ελφοîς, yρ~Ψαν ες ΤαUΤα ä δ~~π~ντες 1µ νoûσιν, Γν ~ θι σαντ~ ν και Μηδ~ν ~yαν; l'espressione usata in Hipp. 228E (il dialogo viene generalmente ritenuto spurio, ma fu scritto con ogni probabilità entro il IV sec. ed quindi per noi ugualmente interessante), pare d'altronde implicare la presenza di un numero maggiore di sentenze rispetto alle due che vengono elencate, numero, però, non precisabile: ΤU εν ∆ελφοîς γρ~ µµαταU Τ σoφU, [...] ΤU τε Γν ~θι σαντ~ ν και τ~~Μηδ~ν λyαν καì τ~λλa ΤU ΤO~ α~τα. '
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Su questo punto torneremo ancora infra, ma è ora doveroso citare IG XII 3, 1020, un'iscrizione murale di Thera che riporta cinque sentenze delfiche: le prime quattro sono state scritte da una mano ascrivibile al IV sec. a.C. ed erano, in un primo tempo, le sole incise sulla pietra (non siamo quindi di fronte ad un ulteriore testimone di una redazione vera e propria); l'ultimo detto fu aggiunto in età imperiale e poteva essere seguito da altri ora perduti; si ricostruiscono senza difficoltà la terza e la quarta sentenza ( Μηδ Y ν ~yαν e yν ~θι σαυτ~ν); della prima si legge 871[, che verrebbe naturale integrare con εγ~[~α π~ ρα δY dm, anche se non è sicuro che lo spazio sulla pietra sia sufficiente a contenere tutta la frase: possibile forse una formulazione più breve con lo stesso significato (e.g. εyy~ην eεvyε, presente in alcune redazioni medievali). 9 La seconda sentenza iniziava con sigma, seguito forse da pi (dell'iscrizione è purtroppo disponibile soltanto un disegno, sul quale è difficile farsi un'idea precisa delle tracce): l'editore proponeva dubitativamente σπoυδα~α µελ ~ τα, inattestato fra le sentenze di tipo `deifico' ~ τα Si trova invece nelle redazioni divise per autore). Ii( τ ~~σπονδα~α µελ konomides suggeriva di leggere la seconda lettera come epsilon e rimandava quindi alle tre massime contenute in Sos. σεc'ντ~ν 'σθi, σεαντòν αιδov, σεαντòν ε 15 πO~ει. Qualunque fosse la sentenza riportata, si deve riconoscere che la più antica attestazione epigrafica dei Detti presentava, insieme alle tre più note, una massima `minore'. Tornando alla redazione p'.ù ampia di cui Α. -K. era copia e di cui costituisce, quindi, un terminus ante quem, la sicura presenza, a Delfi, di un testo autorevolmente fissato non implica che non circolassero, al tempo di Clearco o anche prima, redazioni d i altro tipo, indipendenti o solo in parte coincidenti con quella deifica. C' da porre, inoltre, la questione di eventuali ramificazioni antiche della stessa tradizione deifica. Fondamentale a questo proposito è la terza (e notevolmente ampia) iscrizione in nostro possesso, proveniente da Miletopolis (SIG3 1268, d'ora in poi Milet.), 10 in M'.sia, e databile fra la fine del IV e l'inizio del III sec. a.C. Si tratta di un frammento di stele piuttosto consistente (mutilo in alto e in basso) che contiene, disposti su due colonne, 56 detti di due parole. Fra questi, 28 trovano un preciso riscontro in Sos. e in altre redazioni; dei rimanenti 28, 14 ritornano soltanto in due redazioni medievali (la già citata Rhed. e Par. 2), 11 talvolta
9 Cfr. A. OIKONOMIDES, Records of "The Commandments of the Seven Wise Men" in the 3rd c. B.C., «CB», LXIII, 1987, pp. 66-76: 72. '° Ed. pr. a cura di H. DIELS, SIG3, III, pp. 392-397, con un'introduzione piuttosto ampia sulle testimonianze dei Detti fino ad allora individuate; nuova edizione in Die Inschriften von Kyxikos and Umgebung, hrsg. von E. SCHWERTHEIM, II, Bonn, Habelt 1983,
nr. 2.
Par2 è la raccolta dí, sentenze di due parole contenuta nella redazione Parigina,
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SULLA TRASMISSIONE DEI «DETTI DEI SETTE SAPIENTI»
in una delle due, talvolta in entrambe; 13 sono analoghi (ma non identici) a sentenze tramandate in varie redazioni; uno è completamente privo di paralleli. La vicinanza con Rhed. è particolare, in quanto questa redazione riporta, complessivamente, 33 dei 56 detti dell'iscrizione e i due testimoni condividono `in esclusiva' 7 sentenze. Si è osservato che le ultime cinque sentenze di A.-K. coincidono con quelle che chiudono Sos. e Rhed.; si è detto anche che Rhed. mostra, da parte sua, significativi contatti con Milet. Dato che A.-K. rappresenta dichiaratamente una riproduzione del modello delfico, basandosi sulla rete di sovrapposizioni che si viene a creare potrebbe essere legittimo ipotizzare che anche Sos. Rhed. e Milet. derivino dalla stessa fonte. Si tratta però di un'idea che, se sottoposta a verifica, pone dei problemi; le possibilità che si prospettano, infatti, sono, schematicamente, due: il testo di Sosiade è, al pari di A.-K., una trascrizione fedele e completa del modello delfico. Milet. e Rhed. sarebbero in questo caso testimoni di una tradizione `arricchita' da elementi estranei (in modo diverso in ciascuno dei due esemplari) e al contempo depauperata – almeno per come ci è giunta – di materiale originale (una buona metà delle sentenze di Sos. mancano, infatti, in Rhed.). l'iscrizione delfica comprendeva anche le sentenze di Rhed. e Milet. assenti in Sos. In questo caso, Sos. costituirebbe (ammettendo una parentela col testo delfico) una versione ridotta del suo modello ultimo. Rhed. e Milet., dal canto loro, avrebbero subito ognuna per proprio conto, tagli e aggiunte di notevole entità. A proposito del contenuto delle nostre `redazioni delfiche' si impone peraltro un'osservazione: Sos. e le altre in nostro possesso contengono solo una minima parte di quelle celebri sentenze la cui presenza nel santuario è testimoniata, come si è visto, già da Platone: in Sos. mancano, in particolare, y ν~8ι σαντ~ν e ~yyYα π~ ρα δ ' ~τα, mentre µηδ ~ ν ~yαν si trova in una posizione non significativa (è la trentottesima massima elencata) possibile, d'altronde, che ~γγvα π~ ρα δ ' ~τα sia stato sostituito dal più comprensibile ~yyvην φε~γε, n. 68 in Sos. e incluso anche in altre redazioni. In queste sono assenti i rimanenti detti principali: fa parzialmente eccezione solo Rhed., che ; 12
redazione che ebbe una grossa importanza tradizionale, dato che da essa dipendono in varia misura diverse altre raccolte note. 12 Fra le sentenze che rientreranno fra le più celebri al momento della definizione del canone dei Sette Sapienti (su questo problema cfr. infra) mancano, in Sos., anche µ ~ τρον ä ριατον, oi πλεîστo~~κακο~~e µελ ~ τη ~ò καtρ~ν γνιΒθι è invece il decimo apoftegma della lista.
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riporta come quarto apoftegma y ν~θι σαντ~ν. Questa situazione sorprende non poco: nelle copie del testo deifico le massime principali dovrebbero comparire e dovrebbero, presumibilmente, occupare una posizione incipitaria. Se tale assetto non è verificabile per le due iscrizioni, mutile della parte iniziale, è sicuro che esso non trova riscontro in tutti gli altri testimoni, alcuni dei quali, lo si è appena visto, presentano una parte (e solo una parte) di questi detti in posizioni non marcate. Per lo stesso motivo, anche la soluzione alternativa che viene in mente (ossia che le sentenze principali costituissero, nel modello deifico, un insieme a sé stante separato dalla lunga serie posteriore) non basta a giustificare in toto il contenuto delle nostre redazionr. 13 La completa mancanza di informazioni su Sosiade impedisce poi di approfondire la questione dell'attribuzione a questo personaggio della raccolta riportata dallo Stobeo (attribuzione che non ha paralleli nelle redazioni medievali, tutte anonime). Anche alla luce di quanto appena detto sulle relazioni fra Sos. e altri testimoni, non è chiaro che significato dare al titolo dello Stobeo: Sosiade ebbe un ruolo di semplice trascrittore come Clearco (i.e. si curò di approntare una copia del testo delfico), o lavorò come un vero e proprio compilatore, mettendo insieme una sua personale raccolta dei Detti dei Sette? Abbiamo appena visto le coincidenze con un testo di comprovata derivazione delfica quale A.-K., e, al contempo, i motivi che fanno dubitare di una fedeltà di Sos. a questo modello; niente impedisce di pensare ad un parziale rimaneggiamento della versione (o delle versioni) che Sosiade poteva avere a disposizione. Allo scopo di enucleare tutti gli elementi potenzialmente utili, noterei infine che una formulazione come quella che troviamo nello Stobeo (che corrisponde ad un'indicazione autoriale), farebbe pensare che Sosiade abbia avuto un ruolo `attivo', non di semplice trascrittore. Comunque sia, dall'insieme dei dati presentati fin qui, sembrano rilevabili tracce di una significativa molteplicità tradizionale anche nei testimoni che riportano sequenze sovrapponibili, tanto più che ciascuno contiene alcune massime particolari, assenti negli altri: non possiamo appurare se il modello delfico sia stato la fonte ultima per tutte
13 Nel lavoro de ll a Tziatzi-Papagianni (pp. 267-268) si trova qualche tentativo di porre rimedio ad alcune di queste imbarazzanti assenze; la studiosa pensa, in particolare, che lo ~ ν riportato da Sosiade (nr. 6) sia una corruzione dell'originario y ν~ θι σανyν~ θι µαθ τ~ ν; analogamente, lo yν~ θι παθ~ν di Pare (nr. 22) deriverebbe da un'erronea conflazione di 7\ 501 σαντ~ ν con µ á θε παθ~ν.
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le raccolte che circolarono, ma, anche in questo caso, è certo che manipolazioni di vario tipo intervennero presto. Per quanto riguarda l'altra tipologia di sentenze, quelle generalmente più articolate e divise per autore, come detto lo Stobeo attribuisce la raccolta a Demetrio di Falero, ed è l'unica notizia (non confermata, peraltro, da nessun altro testimone dei Detti o delle opere di Demetrio) che rimandi ad un autore o ad un' `istituzione' che provvide a fissarne il testo. Per questo tipo di raccolta mancano anche testimoni diretti antichi, ma sappiamo per certo che una sua codificazione era disponibile in età imperiale, dato che Diogene Laerzio la utilizzò, in una versione che è molto vicina a quella riportata dallo Stobeo, per le sentenze dei Sette inserite nelle sue Vite dei Filosofi. 14 Dato che per questi apoftegmi non esistono notizie di un testo autorevole e antico (come era quello deifico per l'altro gruppo di sentenze), nel momento in cui lo Stobeo fa il nome dí Demetrio Falereo, si è portati a credere che, se davvero questo personaggio ha avuto un ruolo in relazione al testo in nostro possesso, il suo sia stato un vero e proprio lavoro di raccolta e sistemazione del materiale. Opere metodologicamente analoghe e un'attenzione per testi affini sono peraltro ben attestati per Demetrio, che realizzò diverse raccolte di scritti non suoi (fra cui una intitolata Αiσ~πεiα [Díog. Laert. V 81 = fr. 113 Wehrli = fr. 1 SOD]) 15 e a cui viene anche attribuito un libro di χρεî ςυ (Diog. Laert. V 81 = fr. 112 Wehrli = fr. 1 SOD) su cui niente sappiamo, ma che certo va nella direzione che qui interessa. L'intervento di Demetrio rimanderebbe significativamente a metodi e ambiti 14 Le prime sette biografie di Diogene sono, come s i sa, dedicate proprio a i personaggi inclusi nel canone dei Sette Sapienti di Dem. Per ciascuno, Diogene fornisce un elenco di apoftegmi che coincide in gran parte con Dem., riportando tuttavia un numero minore di sentenze (solo per Chelone quanto presentato da Diogene esaurisce Dem.); il biografo tramanda comunque anche alcuni apoftegmi assenti in Dem., nonché una certa quantità di lezioni superiori: i l tutto fa pensare che la sua fonte ultima (rispetto alla quale fu operata una scelta) fosse la stessa raccolta riportata dallo Stobeo, ma in una forma migliore. Diogene dichiara che la serie di apoftegmi attribuiti a Sohne era elencata da A ρillοdorο ~ν τuî Περι τ~ν φιλοσ~ φων α~ ρ~ σεων (si tratta probabilmente di Apollodoro l'Epicureo, vissuto nella seconda metà del II sec. a.C.); non sappiamo se dalla stessa opera provenissero anche le sequenze riportate nelle biografie degli altri sei Sapienti (quest'ipotesi, avanzata da F.A. ΒοηRΕΝ, De Septem Sapientibus, Bonn, formis Caroli Georgi 1867, p. 5, non è stata ripresa negli studi successivi), ma, se ci basiamo sulla complessiva vicinanza a Dem. di quanto riportato da Diogene, una fonte omogenea appare plausibile. 15 Sugli Αισ~πε~α s i veda da ultimo E. MATELLI, Gli Aesopica di Demetrio Falereo, in Demetrius of Phalerum. Text, Translation and Discussion, W.W. FORTENBAUGH - E. SclüTRUMPF (eds.), New Brunswick-London, Transaction Publishers 2000 («Rutgers Univ. Studies in Classical Humanities», IX), pp. 413-447, che pone particolarmente- l'accento sull'ambiente e gli interessi culturali in cui l'opera è stata composta.
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di studio cari ai peripatetici: ci sarebbe cioè la testimonianza di un lavoro erudito di raccolta volto a dare una fisionomia precisa ad un insieme di testi che doveva essere estremamente fluido, stabilendo corrispondenze fra i detti noti e í personaggi che li avevano pronunciati. Una ragione non trascurabile di instabilità tradizionale, ancora in età ellenistica, doveva peraltro essere rappresentata, oltre e prima ancora che dall'attribuzione di una sentenza ad uno o all'altro dei Sette, dalla definizione stessa del canone dei Sapienti. Dettagliate testimonianze su quest'ultimo problema ci vengono da Clemente Alessandrino e Diogene Laerzio: Clem. Alex. Strom. I 14, 59, 1-5 (dopo aver elencato Talete, Biante, Pittaco, Cleobulo, Solone e Chi.lone): τò ν δ~~~ βδοµον οι~ νµΠεριανδρον ε ναι λ~γουσιν Τ~ν Κορινθιον, oï δ~~'Αν~χαρσιν τò ν ΣΡκ~ θην, οι δ~~'Επιµενιδην τò ν Κρ~τα ·... oî δY 'Ακουσιλαον τòν 'Αργε~ ο\ ~ γκατ~ λεξαν το~ ς ~πτ~~σο φο~ ς, ~ λλοι Φερεκ~ δην τòν ΣY ριον. Díog. Laert. Ι 13 ( dalla Prefazione): Σοφοi δ~~ ~νοµιζοντο ~οδε• Θαλ~ ς, Σ~ λων, Περ ~ ανδρος, Κλε~ βουλος, Χειλων, Β~ ας, Πιττακ~ ς. το~τonς πρΟσαριθµ ovσιν 'Αν~χαρσιν τò ν Σκ~ θην, Μ~ σωνα τòν Χην~ α, Φερεκ~ δην τòν Σ~ ριον, 'Επιµενιδην òτν Κρ~τα• ~νιοι δ~~καì, Πεισιστρατiν τò ν τY ραννον. ~~αΥτ~ν (scii. Díog. Laert. I 41-42: στασι~ ζεται δ καì περì, τov ~ ριθµο ~ ν y~ ρ ~ντì Κλεοβο~λου καì Μ~ σωνος Αε~τ~ν ~Πτ~~σοφ~ν). Αε~νδριος µ φαντον Γορσι ~δα, Αεβ~ διον ~~' Εφ~ σΙον, 8γκ pwει καì 'Επ~Μενιδην τòν Κρ~τα. Πλ~ των δ~~ ~ ν Πρωταγ~ ρ á Μ~ σωνα ~ντì Περι ~νδρου• "Εφορος δ ~~ ~ντì Μ~σωνος 'Αν~χαρσιν• oi δ~~καì Πνθαγ~ ραν προσΥρ ~φουσιν. ∆ικαιαρχος δ~~ ~νους ηµ lν παραδιδωσι, Οαλ~ν, Βιαντα, Πιττακ~ν, Σ~λωνα. τ~σσαρας ~µολογηµ ~µφυλον, ~ ζει ξ, ~ν ~ κλ~ ξασθαι τρε~ ς, 'Αριστ~ δηµον, Π ~λλους δ~~ ~νοµ ~νιiν, Κλε~ βονλον, 'Αν~χαρσιν, Περιανδρον. ~νιοι προΧιλωνα Λακεδαιµ ' ~ν τ~~Περì ιτιθ~ ασιν 'Ακονσ~λαον Κ~ βα ~~Σκ~ Πρα 'Αργεîον. "Ερµιππος δ τ~ν σοφ~ν ~πτακαιδεκ ~~φησιν, ~ν -où; ~πτà ~λλους ~λλως αiρε~ σθαι• ε ναι δ~~Σ~ λωνα, Θαλ~ν, Πιττακ~ν, Βιαντα, Χιλωνα, Κλε ~ βονλον, Πε~ δην, Αε ~φαντσν, Φερεκ~δην, ριανδρον, 'Αν~χαρσιν, 'Ακουσιλαον, 'Επιµεν íδου ~~Σισυµβρινου,~~~' 'Αρt~ ραν, λâ σον Χc ρµαντ 'Αριστ~ δηµον, Πνθαγ ~ α, 'Αναξαγ ~ ραν. `~ππ~ βοτος δ~~ ~ν τ~~Τ~ν Φι στ~ ξενος ΧαΠρινου, `Ερµιον λοσ~ φων ~ναyρα ~ · 'Ορφ~ α, Αινον, Σ~ λωνα, Περιανδρον, 'Αν~χαρσιν, Κλε~ ~ ραν. βονλον, Μ~σωνα, Θαλ~ν, Βιαντα, Πιττακ ~ν, 'Επιχαρµον, Πνθαγ
Se il passo del Protagira cui Diogene si riferisce (343 Α, in cui sei dei sette Sapienti elencati corrispondono a quelli fissati nelle testimonianze successive) può far pensare che il canone fosse sostanzialmente già stabilito negli anni in cui Platone scriveva,lb le altre fonti 16
L'ipotesi avanzata da D.
FEHLING,
Die Sieben Weisen und die frühgriechische Chro-
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menzionate dal biografo mostrano che grosse oscillazioni sussistevano anche diversi decenni dopo: gli autori citati a noi noti sono compresi fra il IV e la fine del III sec. a.C.I' C'è da credere quindi che chi si accingeva, a questo stadio di tradizione, ad approntare una redazione divisa per autore dei Detti dei Sette fosse mosso dal bisogno di fissare delle informazioni a diversi livelli, e sappiamo che Demetrio di Falero si soffermò sui Sette in un'altra sua opera, 1' ~ρχ~ντων ~ναγραφ~~(frr. 149-154 Wehrli; 92-94 S ΟD). Si trattava di un lavoro storico-cronologico, in cui per ogni anno si indicavano, oltre al nome dell'arconte eponimo, gli avvenimenti degni di nota; da Diogene Laerzio sappiamo che Demetrio segnalava l'anno in cui furono proclamati i Sette Sapienti (Diog. Laert. I 22 = fr. 149 Wehrli = 93 S ΟD): è del tutto probabile che i loro nomi venissero specificati in quella sede. Ai fini del nostro discorso è importante a questo punto notare che tutte le redazioni medievali pervenuteci presentano lo stesso canone dei Sette ehe si trova in Dem , e in Diogene Laerzio, pur modificando spesso l'ordine delle sette sezioni e, in parte, il contenuto delle stesse. Abbiamo quindi testimonianza di una redazione compilata in età ellenistica che si è imposta almeno per quanto riguarda la definizione dell'identità dei Sette: tale redazione ha rappresentato una strozzatura tradizionale, in quanto diede forma a tutta la trasmissione successiva a noi nota; il fatto che Diogene Laerzio abbia accolto questa versione del canone pur essendo a conoscenza di molte altre ha due risvolti: da una parte significa che per l'epoca in cui il biografo scriveva, essa godeva già di una maggiore credibilità; 18 dall'altra, proprio il testo di Diogene può averne accresciuto il prestigio.
nologie. Eine tradition-geschichtliche Studie, Bern, Lang 1985, secondo cui proprio il passo del Protagora costituirebbe la prima codificazione del canone, poi affermatasi grazie all'autorità platonica, non convince (contro le posizioni di Fehling si veda la critica di J. BOLLAΝSÉE in G. SCHEPENS (ed.), FGrH continued IVA.1, Boston, Brill 1998, pp. 112119). Sulla questione si veda ora l'equilibrata analisi di A. BUSINE, Les sept sages de la Grèce antique, Paris, De Boccard 2002, pp. 29-34. Una rassegna degli autori citati da Diogene Laerzio ín questo passo fu realizzata da pp. 25 - 33. 18 Dal papiro delle Diegheseis sappiamo che già Callimaco, nel primo Giambo, presentava un gruppo dei Sapienti coincidente con quello di Dem. (cfr. PMilVogliano 118, col. VI, rr. 1-21). Anche in AP VII 81 (attribuito ad Antípatro di Sidone, II sec. a.C.) troviamo lo stesso elenco. Plutarco, d'altronde, se in De E apud Delphos, 385D mostra di conoscere lo stesso canone di Dem., nel Convivio dei Sette Sapienti inserisce invece Anacarsi al posto di Periandro (quest'ultimo figura nell'opuscolo come l'organizzatore del banchetto). Anche Pausania, X 24.1 e diverse fonti posteriori che nominano i Sette riportano la lista di Dem. (cfr. BARKOWSKI, cit., col. 2244), ma non mancano, specialmente in testi tardi e marginali, `aberrazioni' anche notevoli (BARKowsKl, cit., col. 2246). "
BOHREN, cit.,
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Stretti contatti con Dem. si rintracciano anche in una `redazione breve' molto diffusa nei testimoni medievali e consistente nell'elenco dei Sette Sapienti con l'indicazione per ciascuno della patria (nonché, in certi casi, del patronimico) e della loro sentenza pù. ιΡ significativa. 19 Queste sette sentenze principali sono quelle che in Dem. aprono ciascuna delle sette sezioni; in Diogene Laerzio, invece, esse non risultano incluse nelle sequenze attribuite a ciascuno dei Sapienti, ma vengono citate a parte nel corso della biografia, ricevendo in tal modo un particolare rilievo. 20 Ecco gli `abbinamenti': Chilone: y ν~θι σςιυT~v; Solone: µηδ ~ v ~γαν; Talete: ~yy' α π~ ρα δ' ~Ρα; Pittaco: καιρ ~ν yν~θι; Biante: ο~~πλεîσΡοι κακο~ ; Cleobulo: µ ~τρον ~ ριστον; Periandro: µελ ~ τη τ~~Π~ν. Alcune di queste sentenze coincidono, come si vede, con í detti la cui presenza a Delfi è testimoniata dalle nostre fonti indirette più antiche. Se Platone li cita senza attribuirli a nessun personaggio in particolare, abbiamo numerose prove di un disaccordo fra autori posteriori riguardo alla paternità di questi `detti principali'; riporto di seguito soltanto le più rilevanti, segnalando comunque la presenza di una parte di queste stesse informazioni in diversi altri testimoni (soprattutto letteratura dossografica e lessicografica): Clem. Alex. Strom. 114, 60, 3-61, 3: τ~~ µ Y ν ovv «yν~ θι σαυτ~ ν» οï µ ~ν Χ~ λωνος vπειλ~ φασι, Χαµαιλ ~ ων 68 ~Ν Τ~~ πεΡ i θε~ν Θαλo~ , 'Αριστοτ~ λης δ~~τ~ ς HuEiaO. [...] π~ λιΝ ~~Χ~ λωνι τcû Αακεδαιµον ~ ω ~ναφ~ ρουσι τ~~ «µηδ ~ ν ~yαν»• Στρ ~των δ~~~ν ~~ περì ε ~ ρηµ ~ των 10)8 á.ιq τι Τεγε~τη προσ ~ΠΤει Τò ~π~ φθεγµα, ∆ ~ δυµος δ ~~Σ~ λωνι αYτ~~ ~νcτ~ θησιν, ~σπερ ~ µ ~ λει Κλεο ο~ λω Τò «µ ~ τρον ~ ριστον». Τò δ ' «~yy~c, π~ ρα δ ' ~τ α» Κλεοµ ~ νης µ ~ν ~ν Τ~~περì 'Ησι~ δου 'Οµ ~ ρω φησì προειρ~ σθαι δι~~TOYTUV δειλα~~τοι δειλ~ν γε καì ~yyYαι ~yyυ~ ασθιι . [Od. VIII 351] oi δ~~περì 'Αριστοτ~λη Χιλωνος α~τò νοµ ~ ζουσι, ∆~ δυµος ~δ~Θαλο~~ φησΙν ε~ναι Τ~Ν π~ρα~νεσιν. ~πειτα ~ξ~ ς Τò «π~ντες ~νθρωποι κακ oì» i «o~~πλεî στοι Τ~Ν ~Νθρ ~πων κακoì» (διχ~ς 7àß ~ Ι~~ ρεΤαι 'ò α~τò ~π~ φΘεγµα) ο ~~περ ì Σωτ~ δαν TUV Bυζ~ντιον Β~ αντος λ~Υουσιν εivαι καì Τò «µε -
19 Questa redazione si presenta sotto tre forme: (1) un componimento esametrico incluso nell'Antologia Palatina (IX 366), che circolò ampiamente anche al di fuori delle sillogi epigrammatiche; (2) un componimento in distici elegiaci, edito in Cougny 4.48 e presente in un gran numero di manoscritti medievali; (3) una breve lista in prosa, pubblicata da BoτssoNADE, Anecdota Graeca, I, p. 144 e anch'essa molto diffusa. Si vedano í resoconti di BulLER, cit., pp. 29-33 e TZIATZI-PAPAGIANNI, cit., pp. 435-446, che segnala anche un certo numero di altre liste in prosa, tramandate in pochi manoscritti e derivanti per lo piii dal componimento esametrico. 2 0 Nelle redazioni medievali divise fra í Sette, invece, il detto principale di ciascuno non occupa quasi mai la posizione incipitaria e risulta anzi, in diversi casi, omesso.
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SULLA TRASMISSIONE DEI «DETTI DEI SETTE SAPIENTI» λ~τη π~ντα καθαιρε~ » Περι~νδρου τνγχ~νειν ßο~λοντα , ~~λοιω «yν~θι καιρ ~ ν» nαραιΝεσww Πιττακο~~κcθεστ~ναι.
δ8 την
Schol. Eur. Hipp. 264: τ~~µηδ ~ ν ~~ αΝ il µ Y ν Xιλωνι ~~ Αακεδα µονι ~~ δηλο~ ' ~ νατι8~ ασi ν, ~ς Κριτ~ ας, ο δ~~/054(9, ~ς τ~~~ν Tεy~~ ~n~γραµµα ~ ν ~γαΝ, καιρ ~~π~ντα τα~τα λεγεν Σ~δαµος'Επηρ ~τον, ~ ς µ ' ~ν~ θηκεν µηδ Πρ ~ σεστι καλ~ . Schol. Plat. Phlb. 48C: παροιµ ~ α yν ~θι σαντ~ ν, ~π'. τ~Ν ~ΠY ρ δ~ναµιν ~ ν X~λωνος ε~ναι τ~~απ~ φθεγµα, Ο.δ~~ΛáκοµΠαζ ~ ντων. λ~γουσι 68 σ. µ ~ νου τò ν ßυος ε~νο~χου τιν~ ς νεωκ~ ρο~~ο ~~ δ~~φησιν ~ τι Χíλωνος ~ ροµ θε~ν τ~~ εiη ~ ριστον, ε~πεν ~~Πuθια ' τ~~ yν~θι σαντ~ν. PSI IX 1093 (II sec. d.C.), rr. 24-51: [' Ερµ]ιππο c δ ' ~ν [τ~ι nρ] ~τωι nε[ρì 'Αρ]ιcτοτ~ λovc [λ~ ßvv] ∆ε/46\ ε~ [νο~χ] ~ν φηcιν εí[ ρηκ~να]ι α~τò (scii. ~ ων 88 θαλ] ~ν τ~~yν~ θι cαυτ~ ν) νε[ωκ~ ρον] ~ ν[τ]α τον Πυθ~ ου, X] αµαι[λ τòν ['Eξαµ ~ ο]ν, Κλ~ α[ρχοc δ ' ~ν το]îc Περ [Παροιµι ~]ν ~ ρ ~ [cθαι ποτ~~τ~ ]ν Χ~λι[να τò ν θε] ~ν τ~~ ρ[ιcτον ~ν εi]η, τ~ν [δ~~Πuθι cν] ~Ποκρι[ναc θαι ~τι] ~~yν~ [θι cεαντ~ ν. ν]ιοι δ ' α['5 .... Cωδα]µοντον [Τεγε~τον] φα cìν 4 αvτην[.........] ετνα[ u ~ δ ' ] λεyεν C ~δcιµ9[ c [µηδ ~ ν áy]cαν ';[...]9 'Ε]πηρ ~τον, ic µ ' α[ν] ~ θηκεν. µηδ[ ~ ]ν ~γαν, καιρ ~', n[~ν] á ρεcτι καλ[6. 2 ' [.]
Díog. Laert. I 40: Το~τον (stil. Χí λωνος) ~ Στ~~ τ Γν~ θι σαντ~ν, ~περ 'Αντισθ~νης ~ν τα~ ς ∆ιαδοχα~ ς Φηµον ~ ης ε~να~~ φησιν, ~ξιδιοnοι~ σασ8α~~68 α~τò Χ~ λωνα. Díog. Laert. I 41 (il passo precede immediatamente quanto citato supra a proposito delle varie versioni del canone dei Sette): διαφωνο~νται 88 κα . α αποφ~ σεις αYτc~ν κα ~ λλον ~ λλo φασìv ε~ναι, ~ ς ~ κενο. ~ν Λακεδαιµ ~ νιος Χ~ λων σοφ~ ς, ö ς τ~ δ ' λεξε• µηδ ~ ν ~γω/• καιρ ~~π~ντα nρ ~ σεστι καλ~ .
21 Il testo del papiro qui riprodotto è quello pubblicato, in seguito ad una revisione dell'originale, da B. SNELL, Zur Geschichte vom Gastmahl der Sieben Weisen, in Thesaurismata. Festschrift fi~r Ida Kapp zum 70. Geburstag, Míínchen, Beck 1954, pp. 105-111 = Gesammelte Schriften, Göttingen, Vandenhoeck & Ruprecht 1966, pp. 115-118. Il passo citato è preceduto da un brano frammentario in esametri, non noto da altre fonti, che parlava dell'incontro fra i Sette Sapienti e dei loro detti. Nell'ultima parte del papiro (rr. 52-60), invece, veniva riportato un verso di contenuto gnomico e se ne discuteva l'attribuzione (Euripide o Dionigi il Vecchio). L'origine comune di questi primi quattro brani sull'attribuzione dei detti è abbastanza evidente. Nell'ed, pr. del PSI, pp. 153-154, Vitelli accoglieva un suggerimento di W. Crönert, secondo cui la fonte ultima delle diverse testimonianze sarebbe da individuare in un'opera di Didimo. L'ipotesi è stata valutata positivamente da F. MONTANARI in CPF I.1**, Hermippus 2 Τ, che contestualizza la discussione sulla paternità de lle varie sentenze (evidenziando, tra l'altro, il ruolo predominante della scuola peripatetica) e analizza gli elementi che possono ricondurre ad opere note di Didimo.
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Stob. 111 21, 12: Γν~θι σαντ~ν ~~παροιµ ~ α παραλαµβ ~ Νεται, ΜαΡτνρεî ~Ν. Ο . πΟλλΟ L δ~~Χεí λωνσς ε~να τ~~ ~π~ Θ ε~ φραστος ~ν τ(il περ'. παρσ~µι φθεγµα, Κλ ~ αρχος δ~~üπ~~Toû θεο~~λεχθ~ναι Χε{λωνι.
La situazione complessiva sembra essere, schematicamente, questa: esisteva un gruppo di sentenze delfiche particolarmente importanti, che furono forse iscritte nel santuario prima di tutte le altre. Parallelamente ai tentativi di definire il canone dei Sette Sapienti, si presentò la necessità di attribuire queste sentenze a ciascuno di loro: le due operazioni andarono avanti presumibilmente di pari passo 22 e, se Clemente mostra di conoscere quali sono i sette detti principali, la testimonianza più antica di una loro corrispondenza univoca con ciascuno dei Sapienti ci è data da Dem. Possibile, quindi, che la `redazione breve' derivi da Dem.; comunque sia, rientra di sicuro nella stessa tradizione seguita da questa raccolta. L'insieme delle testimonianze riportate sin qui sui problemi di definizione (dell'identità dei Sette, dei detti di ciascuno) confermano quanto osservato supra sulla possibilità che l'attribuzione a Demetrio Falereo della raccolta riportata dallo Stobeo sia degna di fede in quanto coerente con interessi peripatetici: è un fatto che la grande maggioranza degli autori che si occuparono dei Sette Sapienti apparteneva a questa scuola. Gli interessi storico-filosofici e biografici di Aristotele e dei suoi discepoli si applicarono anche alle figure dei più antichi sapienti, tentando di dar loro contorni più definiti. E la volontà di mettere insieme i vari detti e di accertarne la paternità, oltre ad indicare genericamente una certa curiosità erudita e ad inscriversi nell'ambito della letteratura di raccolta, si addice ad un approccio al materiale sentenzioso e aneddotico che ebbe largo impiego nei lavori dei peripatetici: le parole attribuite ad un personaggio potevano servire a svelare lati della sua personalità ed episodi della sua vita. Se tentiamo di tirare le somme di quanto detto sin qui, ognuna delle due tipologie principali di raccolte dei Detti appare dotata di
zz Non è detto (e non pare suggerito da ll e fonti) che le sentenze delfiche principali fossero sette: come si è visto que ll e citate più anticamente sono γν ~θι σαυτ~ ν, ΜηδY ν dyav e ~ yy~ α π~ ρα δ ' ä τα; non è da escludere, allora, che le altre siano state scelte solo al momento in cui si voleva creare una corrispondenza con ciascuno dei Sapienti. A questo proposito, è probabilmente significativo quanto riferito da Clemente nel passo citato supra relativamente agli ultimi tre detti: alle attribuzioni sostenute dai seguaci di Sotade di Bisanzio (fil osofo di cui niente sappiamo: il terminus ante quem per la sua cronologia è fissato, oltre che da questo passo di Clemente, dall'essere citato in un'opera di Aristocle, peripatetico del II sec. d.C.) non se ne affiancano altre, il che pare indizio di una mancanza di discussione e, quindi, della minore importanza dei detti in questione.
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sue caratteristiche e connotazioni particolari, che spiegano e sono all'origine dei due differenti percorsi tradizionali che si delineano e che cercherò di precisare meglio. Le sentenze di due parole avevano il loro modello nello yν~6θt σαντ~ν, massima delfica per eccellenza, talvolta ricondotta (in quanto responso oracolare) alla sfera stessa del divino; significativamente attribuiti all'insieme dei Sette, i detti di questo tipo erano sentiti come l'espressione di una sapienza arcaica e pangreca (della forma più antica di filosofia, potremmo dire: di fatto í Sette erano considerati gli iniziatori della riflessione etica), e furono pertanto fissati in un esemplare collocato a Delfi. Esemplare che sicuramente rivestì una grande importanza e diede origine a copie ufficiali, alle quali si affiancarono comunque anche redazioni almeno in parte diverse (e la creazione ex novo di detti di questo tipo può essere intervenuta lungo tutto l'arco della loro trasmissione). 2 3 La creazione di raccolte di Detti divisi fra í Sette, dotate (almeno negli intenti) di una dimensione biografica, si colloca in una temperie culturale precisa e rimanda all'ambiente peripatetico. Le sentenze in questione (e segnatamente quelle dotate di una forma più articolata) andavano quindi a rientrare — per la loro struttura e per il fatto stesso di possedere un'attribuzione, di essere ricondotte ad un personaggio — in un ambito in parte differente e più composito, vale a dire quello dei `detti dei grandi uomini'; sentenze analoghe sono, come si sa, tramandate per tutti i maggiori pensatori greci ed ebbero sempre una notevole circolazione sia all'interno della letteratura biografica, sia in raccolte specifiche di apoftegmi. Esiste poi una vicinanza col genere più propriamente aneddotico, caratterizzato dalla presenza, `intorno' alla sentenza, di un contesto che la motivi e la giustifichi. 24 Ci sono insomma tutti i presupposti per una contaminazione con ma teriale affine, contaminazione che si è verificata ampiamente in ogni direzione. Il risultato, nelle raccolte che ci interessano, è che ciascuna presenta, all'interno delle sue sette sezioni, qualche sentenza sua particolare tratta da testi analoghi. Un'altra conseguenza dei processi di contaminazione è la frequenza delle attribuzioni discordanti: la confusione non è circoscritta all'insieme dei Sette, ma coinvolge per lo
23 Manca uno studio volto ad individuare in modo esauriente le stratificazioni presenti in tutto il materiale a noi giunto, restituendo le varie sentenze ai diversi periodi ed ambiti culturali che possono averle prodotte. Un esempio istruttivo dei risultati che simili indagini possono produrre è rappresentato da A. SANTONI, Temi e motivi di interesse socio-economico nella leggenda dei "Sette Sapienti", «ASNP» , s. III, XIII.1, 1983, pp. 91-160. 24 Le forme più comuni sono que lle consistenti nella risposta del personaggio ad una domanda che gli viene posta ed iniziano tipicamente con ~ ρωττθε~ς.
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più altri autori (ci si può fare un'idea dell'ampiezza di questo fenomeno scorrendo l'apparato che la Tziatzi-Papagianni dedica ai Testimonia di ogni sentenza). L'incertezza sull'attribuzione, come si è visto, esisteva già in età ellenistica per i detti più celebri: essa continuò e si ampliò col passare del tempo e in parallelo alle commistioni con materiale analogo di cui si è appena detto; si tratta quindi di un fenomeno che ha caratterizzato tutto l'arco della trasmissione dei Detti. La volontà di stabilire delle corrispondenze precise fra ogni Sapiente e i suoi detti che portò alla compilazione di queste raccolte non ebbe, in sostanza, un seguito duraturo, lasciando il posto ad un `deterioramento' progressivo del materiale originariamente assemblato. L'intervento erudito ebbe un successo assai maggiore relativamente alla definizione di un canone dei. Sette, fissato in una redazione autorevole che è stata seguita da tutte le raccolte in nostro possesso e da diversi testimoni che elencano í nomi dei Sette. Nelle redazioni a noi giunte, quindi, i nomi dei Sapienti restano costanti, ma perdono di importanza, non hanno valore in relazione all'insieme dei detti che li seguono: nella parte più recente della trasmissione, arrivarono a costituire semplicemente sette sezioni in cui veniva indifferentemente affastellato materiale omogeneo per forma e contenuti ma di provenienza varia. II. L'APPORTO DELLE TESTIMONIANZE ANTICHE: COMPLETAMENTO DEL QUADRO TRADIZIONALE; CIRCOLAZIONE E MODALITA DI FRUIZIONE DEI «DETTI»
Dopo aver indagato sulle redazioni più ampie, è necessario completare questa panoramica tradizionale affrontando testimoni di altro tipo. Essi, come vedremo di seguito, rappresentano per lo più scelte, estratti o rielaborazioni variamente utilizzati, ii che non significa che non siano portatori di tradizione, che si collochino necessariamente su un gradino qualitativo inferiore rispetto alle raccolte di cui si parlato sin qui: sono invece parte integrante della trasmissione dei Detti, in quanto fanno luce sulle sfaccettature della trasmissione stessa, mettendo in evidenza altre modalità dí circolazione, altri canali tradizionali molto significativi. Papiri ed ostraka, affiancandosi alle iscrizioni di cui si è detto, vanno poi a comporre un quadro diversificato delle finalità dei vari testimoni dei Detti, del tipo dl fruizione per cui furono pensati. Le iscrizioni rappresentano dei documenti ufficiali: A.-K. si trovava nel temenos dedicato a Kineas, l'ecista della città; la collocazione di Mi-16—
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let. rimane ignota, sebbene si sia affermata, lungo il corso degli studi, l'idea di una sua connessione al ginnasio cittädino. 25 La forma dell'epigrafe (un pilastro di dimensioni notevoli, che doveva poggiare su una base) è comunque vicina a quella di A.-K. e rimanda ad una destinazione pubblica e `prestigiosa'. In un ginnasio era sicuramente collocata l'iscrizione proveniente da Thera e di cui si è detto supra. Si trattava, in tutti í casi, d ~~ testi posti in luoghi importanti della città, dove potevano essere letti dalla popolazione ed avere un'autorevole funzione paideutica e di diffusione di una morale pangreca. Le testimonianze che vedremo ora, invece, esulano completamente dalla sfera pubblica, attestandosi su livelli di `divulgazione' ben diversi, in prevalenza scolastici, e mostrano una buona gamma dí contesti in cui í Detti venivano inseriti. Credo che questa rassegna possa contribuire, nel suo insieme, a chiarire meglio come l'intrinseca fluidità del materiale e la diversificazione di uso siano stati i due fattori che hanno dettato i meccanismi e le proporzioni della trasmissione dei Detti dei Sette.
Ognuno dei testimoni discussi di seguito fa luce su aspetti particolari e necessita di alcune precisazioni, che tenterò di fornire senza allontanarmi troppo dal discorso principale. Pixy LXI 4099
Il frammento (scritto sul recto, il verso è bianco) contiene la parte destra di una colonna (resti più o meno ampi di 31 righi di scrittura), l'intercolumnio e poche lettere della colonna successiva. La mano, abbastanza esperta, è databile al I sec. a.C.-I sec. d.C. La parte di colonna conservata contiene, l'uno dopo l'altro, due testi di contenuto diverso; l'editor princeps R.L. Fowler aveva riconosciuto la tipologia del primo (rr. 1-12), un compendio mitografico in cui si elencano í nomi dei componenti di alcuni `gruppi' di divinità e personaggi del mito (gli Epigoni, le Moire, le Ore, le Eumenidi ecc.), senza soffermarsi su quanto segue. È stato M. Huys 26 ad accorgersi che i rr. 1328 contengono i resti di alcune sentenze dei Sette, tutte di due parole, precedute da un'introduzione analoga a quelle presenti in diversi 25 La stele fu rinvenuta lontano da ll a sua collocazione originaria (cfr. ROBERT, cit., p. 440 (= 534), n. 4); la provenienza da Miletopolis è certa, ma non è stato possibile individuare, sul posto, il sito esatto del ritrovamento. 26 M. HUVs, P. Oxy. 61.4099: A Combination of Mythographic Lists with Sentences of the Seven Wise Men, «ZPE», CXIII, 1996, pp. 205-212.
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manoscritti medievali cui si è già accennato. La ricostruzione della mise en page proposta da Huys, con due sentenze per rigo (per cui il frammento conserva solo la parte finale della seconda sentenza di ogni `coppia'), sembra molto verosimile: l'ampiezza della colonna di scrittura (cui si risale grazie alle integrazioni certe che si possono apportare al testo mitografico) consentiva in effetti questo tipo di disposizione del testo; pensare invece ad una sola sentenza per rigo comporterebbe, rispetto al testo precedente, un'eisthesis decisamente troppo marcata e quindi scarsamente plausibile. La ricostruzione di Huys è accettabile anche per quanto riguarda il lemma introduttivo che doveva trovarsi al r. 13 e forse proseguiva al r. 14: lo studioso propone di integrare τ] à [~ ]ν ∆ελφο~ ς áváγ[εγραµµ ~να, formulazione breve che si adatta all'ipotesi (altamente probabile) che una parte del r. 13 fosse occupata dalla fine del compendio mitografico, e in particolare dell'indicazione di altre due Esperidi. Nessuna delle nostre fonti, infatti, registra due soltanto di queste ninfe; Fowler e Huys pensano che il r. 13 riportasse i nomi di Aretusa ed Esperia, ma dobbiamo comunque tenere in considerazione che le Esperidi sono spesso tre, e che la terza insieme ad Egle e Eritea si chiama Esperetusa (il che comporterebbe un testo più corto). Il papiro conteneva quindi almeno una trentina di sentenze, ma non è dato sapere se la serie proseguisse fino alla fine della colonna o anche oltre. Alcune affinità nell'ordine delle sentenze fra il papiro e la redazione medievale Rhed. sono state notate da Huys e riprese in un più ampio schema di confronti da Führer: è possibile, quindi, che esista un rapporto con una redazione vera e propria dei Detti (sia che il papiro la riportasse integralmente, sia che l'abbia utilizzata come fonte per una selezione). Per quanto riguarda la natura complessiva del testimone, Huys ha avanzato, seppure con cautela, un'ipotesi che non mi pare particolarmente convincente e che tenta, in sostanza, di unificare compendio mitografico e sentenze facendoli rientrare in uno stesso testo. Il papiro riporterebbe cioè una versione epitomata (forse per uso scolastico) dell'originale greco delle Fabulae di Igino. Questo, schematicamente, il ragionamento di Huys: il papiro presenta, nella parte mitografica, stretti contatti con le Fabulae; nelle Fabulae non si trova un elenco di sentenze come quello del papiro, ma è presente una versione di quella `redazione breve' (elenco dei Sapienti e apoftegma principale di ciascuno) di cui si è detto supra; è possibile allora che il testo da cui le Fabulae derivano riportasse in origine anche le sentenze dei Sette (o che esse vi siano state ad un certo punto interpolate), e che il papiro conservi una testimonianza di ciò. Le debolezze di una simile proposta consistono, in sostanza, nel sopravvalutare i —18—
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contatti del papiro con le Fabulae, prestando al contempo poca attenzione alle differenze fra i due testi. Le sovrapposizioni fra Igino e la parte mitografica del papiro si riducono alla presenza di un elenco simile degli Epigoni (cfr. i rr. 1-4 con Hyg. Fab. LXXI); per '.1 resto, alcuni dei gruppi di divinità elencati nel papiro si trovano (come ovvio) nella Prefazione genealogica delle Fabulae, ma l'ascendenza esiodea delle liste e la loro banalità rendono questi contatti molto poco significativi. Inoltre, alcuni dei gruppi citati sia nel papiro che nelle Fabulae non sono accompagnati, in Igino, dall'elenco dei loro membri (che compaiono invece nel papiro); altri insiemi presenti nel papiro, infine, non ritornano affatto in Igino. Ha senso, su questa base, postulare la presenza, nel modello greco delle Fabulae, di una sezione con í Detti 'lei Sette (sezione che, diversamente dalla `redazione breve', non sembrerebbe peraltro particolarmente coerente col resto del contenuti e l'impostazione stessa dell'opera) solo perché nel papiro seguono '.1 compendio mitografico? L'ipotesi più plausibile mi sembra un'altra: il papiro non è il testimone di un libro, di un'opera unica ed omogenea (per quanto epitomata), ma riporta invece due testi indipendenti e semplicemente giustapposti (non importa se qui per la prima volta o già in un antigrafo). Pensando (come già faceva Huys) ad una pertinenza scolastica, si notera che liste di nomi e brevi sentenze si trovano abitualmente in testi di questo tipo e potrebbero rimandare allo stesso livello di apprendimento: dopo aver imparato le regole basilari de ll a scrittura, l'allievo era messo davanti a elenchi di parole e brevi frasi. 27 Quello che abbiamo di fronte è probabilmente un manuale scolastico, un `sussidiario' approntato da un maestro, che lo utilizzava di volta in volta per trarne test'. ed esercizi per le sue lezioni. PAth 2782 (Cribiore 238)
Il contenuto del papiro fu identificato da A. Oikonomides, che ne diede un'edizione commentata nel 1980. Lo stesso Oikonomides ritornò qualche anno dopo su questo testimone, inserendolo in un ten27 II repertorio della Cribiore [Writing, Teachers, and Students in Graeco-Roman Egypt, Atlanta, Scholars Press 1996 («American Studies in Papyrology», 36] contiene numerosi esempi di elenchi di nomi e sentenze usati in ambito scolastico; PMich 1111 1100 (Cribiore 209), in particolare, mostra un accostamento analogo a quello che troviamo nel nostro papiro: riporta infatti una lista di parole (soprattutto nomi propri), seguita da una massima morale. La VAN ROSSUM-STEENBEEK, Greek Reader's Digests? Studies on a Selection of Subliterary Papyri, Leiden-New York- Κδln, Bri ll 1998, nel raccogliere ed inquadrare culturalmente i cataloghi mitografici su papiro (pp. 119-156), esclude programmaticamente í testimoni che si qualificano senz'altro come esercizi di scrittura; segnala tuttavia il possibile uso in ambito scolastico di alcuni esemplari, fra cui il nostro (cfr. p. 156).
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tatuo di ricostruzione píù ampio di cui dirò fra breve. 28 Il frammento riporta, sotto poche lettere di difficile lettura che l'editore riconduce ad un titolo (v πo θ~ κan τ~ν ~πτ~ ), otto sentenze di due parole: sette di queste ritornano anche in Sos. ed in altri testimoni, mentre una non ha paralleli. 1l gruppo di sentenze è delimitato da due paragraphos. La mano appare molto incerta: le lettere sono di modulo grande, tracciate una per una con scarsissima precisione; l'interlineo e la forma delle lettere sono variabili. Nel suo primo contributo, Oikonomides assegnò il testimone al III sec. d.C., mentre nel secondo articolo forni una datazione al IΙI sec. a.C. Nessuna di queste due proposte è accompagnata da argomentazioni di sorta, e nella letteratura successiva sono passate ora l'una ora l'altra. 29 Ferma restando la difficoltà di collocare con precisione una mano tanto irregolare e approssimativa, la seconda proposta sembra la più vicina al vero e una datazione ad età tolemaica appare plausibile. L'interpretazione delle tracce ai rr. 1-2 come titolo di quanto segue è difficilmente accettabile soprattutto a causa dell'estrema difficolta dí decifrazione del testo in questo punto. 30 Data la presenza, sotto il r. 2, di una paragraphos, è ben possibile che i primi due righi rappresentino la fine di un testo diverso dalle sentenze, e da esse distinto graficamente.3 Ι Alcuni degli elementi fin qui elencati sembrano fornire, se accostati, indicazioni univoche: siamo di fronte ad un testo `informale', scritto per dí più da una mano inesperta, con complessive caratteristiche di estemporaneità; la presenza, a chiudere la breve sequenza di sentenze, di una paragraphos è indice sicuro che il papiro non conteneva una raccolta ampia di Detti, ma ne registrava solo otto. Su questa base non mi sembra accettabile l'accostamento (proposto da Oikonomides nel suo lavoro del 1987) fra PAth, Milet. e A.-K. allo scopo 28 A. OIK0N0MIDES, The lost delphic Inscription with the Commandments of the Seven and P. Univ. Athen 2782, «ZPE», XXXVII, 1980, pp. 179 - 183; ID., Records of "The Commandments of the Seven Wise Men", cit. (supra, n. 9), pp. 67 - 76. 29 Cfr. FÜHRER, cit., p. 153, che riporta la datazione all-Il sec. d.C. e Cribiore, che accoglie quella al III a.C. pur aggiungendo l'osservazione «perhaps later». 30 Molto indicative, a questo proposito, le due diverse trascrizioni dei rr. 1-2 date da Oikonomides nei suoi due lavori: nel primo si trova ['Υπο8~κιι τ~ν ë] ΙπΤ~ , nel secondo
['Υπoθ~ κιn] Ι [τ~]y [πτ] á.
L'uso della paragraphos per separare il titolo dal testo a cui si riferisce è assai meno frequente rispetto a ll a consueta collocazione del segno a separare due testi diversi; paragraphoi fra titoli e relative sezioni si trovano tuttavia in PBerol ínv. 13044 recto (Cribiore 380, II - I sec. a.C.), contenente í cosiddetti Laterculi alexandrini. "
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di ricostruire una redazione precisa dei Detti dei Sette. Lo studioso descrive così la sua operazione: «reconstruct part of an older edition of the "Commandments of the Seven" (as they were known to the Hellenistic world in the 3rd c. B.C.)»; e poco più avanti definisce i testimoni da lui presi in considerazione come «the fragments of this Hellenistic edition of the "Commandments of the Seven"». I presupposti dello studioso sono quindi chiari: tutti í testimoni coevi in nostro possesso fanno riferimento ad una sola, non meglio precisata, edizione dei Detti e possono quindi essere impiegati per ricostruirla. In altre parole, l'appartenenza ad uno stesso periodo delle nostre testimonianze è, di per sé, elemento sufficiente a garantire per tutte una fonte comune. Ipotizzare l'esistenza di una sola redazione circolante ad un certo stadio cronologico rischia di rappresentare, sulla base di quanto si è detto nella prima parte, già una posizione azzardata, ma se A.-K. e Milet. sono almeno accomunate dalla loro destinazione pubblica (e potrebbero quindi contribuire a ricostruire il modello deifico, al quale Oikonomides peraltro non fa mai esplicitamente riferimento), PAth ci porta in tutt'altro ambito. Questo non significa, naturalmente, che le sentenze non potessero coincidere con le prime otto di un'edizione completa che il nostro scriba prese a modello, ma di fronte ad una serie così breve in un testo di questo tipo è verosimile pensare a sentenze `sparse' o, se si preferisce, ad una selezione. 32 Invece di cercare di dare una sistemazione unitaria a tutti i testimoni coevi in nostro possesso, nel tentativo dí ricostruire una presunta ed aleatoria redazione unica, mi pare più corretto restituire ad ogni singola fonte la sua effettiva collocazione (a livello di ambiente di provenienza e di funzione), cercando di trarre ogni volta da ciascuna il maggior numero di informazioni possibili, di definirla in quanto prodotto specifico, creato per un certo tipo di fruizione e quindi dotato di caratteri propri. OGN 1129 e 130 (Cribiore 285-286)
Si tratta di due ostraka provenienti da Narmuthis, scritti entrambi dalla stessa mano e databili al II-III sec. d.C. 33 Contengono sentenze 32 La conformazione dei nostri testimoni ha fornito a Oikonomldes spunti invitanti per tentare una ricostruzione unitaria («a New Text of the Commandments», secondo le sue parole): PAth conservava secondo lui un titolo e quindi (con un passaggio comunque non così sicuro, vista la natura del testimone) l'inizio de ll a serie di Detti; A.-K. ne riportava la fine; il resto (essenzialmente il contenuto di Mu et.) poteva essere collocato nel mezzo. 33 Oltre all'edizione in OGN si vedano anche le note di commento in R. PINTAUDI-
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di due parole ordinate alfabeticamente: il primo ostrakon conserva la serie α-ι (con l'omissione di ε), e il secondo ρ -~. La pertinenza scolastica del materiale è assicurata dal contesto di ritrovamento: í due ostraka fanno parte di un gruppo omogeneo, contenente esercizi a vario livello. Fra le dodici sentenze conservate, solo due trovano un'esatta corrispondenza nei Detti dei Sette; per la maggior parte delle altre esistono dei paralleli piuttosto stretti (si tratta per lo più di variazioni sinonimiche), mentre due risultano del tutto isolate all'interno delle nostre testimonianze. Inattestato altrove anche l'ordinamento acrostico di questo tipo di massime. Mi pare che questi ostraka rappresentino un buon esempio di alcuni fra i procedimenti di rielaborazione a cui certo materiale si prestava ad essere sottoposto: un ordinamento alfabetico poteva essere ritenuto congeniale alla memorizzazione delle massime che si volevano elencare e il desiderio di realizzare una successione di questo tipo potrebbe aver a sua volta influenzato il contenuto delle sentenze, facilmente modificabili per rientrare nell'acrostico. Fermo restando che le sentenze riportate dagli ostraka potevano essere già disponibili in quella forma, citerei alcuni casi per cui un procedimento di scelte sinonimiche operate ad hoc sembrerebbe plausibile: la prima sentenza ( ~ ρετ~ν ~ σκει), è inattestata in questa forma ma è simile alla ben nota φρ~νησιν ~ σκει; δ~νεια Ψεvγε è variazione del diffuso ~yyvην φε~Υε, e ikαµο ù ς µεισειriecheggia ~ βριν µ ~ σει. Chiuderei questa carrellata ricordando due papiri che contengono detti dei Sette mischiati ad altro materiale sentenzioso. L'unione di PBerol inv. 21312 e PSchubart 27 ( ΜΡ3 1570)34 (II/III sec. d.C.). conserva i resti di un'antologia gnomologica divisa, a quanto pare, in sezioni tematiche. Ad una serie di citazioni che affrontano il tema del comportamento dell'uomo ne segue una incentrata sui temi del καιρ~ ς e del χρ~νος. Prosa e versi sono mischiati e i passi (tutti privi di attribuzione o lemmi di sorta) sono separati da paragraphoi. Si riconoscono un frammento epicureo, diversi Monostici di Menandro, citazioni dai tragici e due. Detti dei Sette noti da altre fonti più un'altra sentenza di due parole inattestata; un ulteriore apoftegma P.J.
SIJPESTEIJN, Ostraka di contenuto scolastico provenienti da Narmuthis, «ZPE», LXXVI, 1989, pp. 89 91. 34 Cfr. O. BOUQUTAUX SIMON, Additamenta pour une anthologie mutilée (P. Berol. inn. 21312 + P. Schubart 27), in Proceedings of the XIXth International Congress of Papyrology (Cairo, 2 9 September 1989), Cairo, Aín Shams Univ., Center of Papyrological Studies 1992, pp. 461-480 e EAD., CPF I.1**, Epicurus 5T. -
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dello stesso tipo potrebbe adattarsi ad un altro esordio conservato. Il testo è scritto sul verso di un documento, la mano è esperta ma informale, con tratti corsiveggianti: il tutto rimanda ad un prodotto privato. Di fronte all'alternativa fra una copia di un'antologia preesistente e identificazione fra scriba e compilatore, la Bouquiaux-Simon preferiva la seconda possibilità e pensava ad uno gnomologio messo insieme per essere usato nella scuola. Ipotesi perfettamente plausibile, anche se spesso si è avuto la tendenza ad attribuire alla scuola ogni prodotto antologico di contenuto sentenzioso; un uso privato più ristretto, senza finalità didattiche `ufficiali' è parimenti possibile per il nostro esemplare. Comunque sia, il papiro ci interessa qui perché mostra bene l'impiego delle nostre sentenze in raccolte `miste', organizzate cioè non su base formale (i. e. comprendenti solo testi dello stesso tipo) ma tematica. Il secondo gnomologio da prendere in considerazione è PSI II 120 (II sec. a.C.), per il cui esame dettagliato rimando agli articoli di M.S. Funghi e di G. Messeri nel presente volume." Qui sarà utile porre l'accento sulla conformazione di questa raccolta, forse organizzata per temi e contenente sentenze di quattro tipi: sentenze che coincidono perfettamente o quasi con detti dei Sette sentenze che, pur essendo accostabili a detti dei Sette, presentano variazioni o slittamenti concettuali sensibili sentenze in varia misura accostabili a gnomai note ma estranee alla tradizione dei Sette sentenze senza paralleli Se alcune brevi sequenze di sentenze riconducibili all'ambito dei Sette sono sovrapponibili a stralci di redazioni note (cosicché pare plausibile che un testo dei Detti del tipo più articolato sia stato a disposizione del compilatore), sembra prospettarsi una molteplicità di fonti e quindi un lavoro di estrazione e ricomposizione. Comunque si vogliano intendere le sigle rintracciabili nel papiro, va poi osservato che il respdnsabile della raccolta non mantenne (perché non le conosceva o perché non gli interessavano) le attribuzioni dei detti ai diversi Sapienti. Α ciò si affianca l'impressione di una rielaborazione anche ad altri livelli, con alcune sentenze che si presentano come variazioni (non sempre particolarmente ben riuscite) di detti noti, ap35 M.S. FUNGHI, Su alcuni testimoni di «chreiai» di Diogene e di «Detti dei Sette Sapienti», pp. 369 401; G. MESSEru, Osservazioni su alcuni gnomologi papiracei, pp. 339 364. -
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prontate per mettere in particolare evidenza determinati concetti. 36 Le finalità della raccolta rimangono ignote, ma è certo che siamo di fronte ad un prodotto, realizzato in un'epoca di grande interesse per i test'. sentenziosi, che presuppone procedimenti non banali e mostra bene la libertà con cui questo tipo di materiale poteva essere trattato.
36 L'esempio pili chiaro di modifica intenzionale di una sentenza mi sembra rappre~~βovλoυ δο~ναι ‚ τ~~~ λλων ~ γsentato da ll a nr. 14 (col. III, rr. 12-13), che recita µικρ γν~ σaσΟαι. 11 modello si individua nella prima parte di Democr. Β 302 D.-K., nr. 192 ~λλον ~~µεγ ~ λα ëγγv~ν), alterata per inserire e sottolineare il (µικρ ~~διδ~ ναι ~lο~ λóv µ concetto dell' `altrui', centrale anche nelle sentenze limitrofe nel nostro gnomologio. Il risultato della variazione non è però del tutto chiaro concettualmente: è venuta meno — ~ λα che nell'originale ~~e µεγ senza che ve ne fosse la necessità — l'opposizione fra µικρ era molto efficace ed è rimasta solo quella, di per sé non immediatamente evidente, fra δο~ναι e ~γγν~ σaσθαι.
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CΑRLΟ PERNIGOTTI
LA «COMPARATIO MENANDRI ET PHILISTIONIS»: TRADIZIONE DEL TESTO E MORFOLOGIE TESTUALI
Sotto il titolo di Comparatio Menandri et Philistionis sono raccolti, nell'ultima edizione critica,' quattro testi diversi (Comp. I-IV), riportati da un numero limitato di manoscritti medievali, e simili fra loro per la struttura generale (Menandro e Filistione, in veste di personaggi, intrattengono una sorta di dialogo sentenzioso su vari temi), per il tipo di contenuto gnomologico, e per un buon numero di sovrapposizioni testuali. D'altra parte, i tratti specifici dei singoli test'. sono piuttosto marcati: ognuno presenta caratteristiche peculiari, sia sul piano della distribuzione delle battute, che tendenzialmente hanno la misura di un distico – ma in Comp. II sono lunghe e articolate, nonché suddivise per aree tematiche – sia su quello della qualità del testo, che a seconda delle redazioni può presentare traccia della confluenza di altre tradizioni note (i Monostici di Menandro per Comp. I, altro e più ricco materiale gnomologico per Comp. II), o di creazioni recenziori; sarebbe quindi preliminarmente più opportuno parlare di quattro diverse redazioni. L'arbitrio di accomunare sotto un unico titolo entità testuali cosi distinte è stato probabilmente determinato dalle reciproche sovrapposizioni e dall'insolita e comune strategia di disposizione del testo, ma, se l'intento è quello di indagare la storia delle singole unità redazionali restituiteci dalla tradizione, la loro destinazione, e la natura dei loro rapporti reciproci, non è lecito basarsi su degli elementi tutto sommato esteriori per proporre un quadro condizionato in partenza da un atteggiamento pregiudiziale; è preferibile attenersi a quello che abbiamo, cercando di comprendere '.l perche di questa sua particolare fisionomia. ,
' S. JEKEL (ed.), Menandri Sententiae. Comparatio Menandri Teubner 1964 («Bibliotheca Teubneriana»).
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et
Philistionis, Lipsiae,
CARLO PERNIGOTTI
L'approfondito lavoro che gli studi di Studemund2 e Meyer3 (per quanto datati e in più punti correggibili) hanno condotto sulla tradizione manoscritta delle redazioni (al momento attuale, a parte un caso di apografia, ogni redazione, eccezion fatta per Comp. I, conosce un unico testimone medievale4), permette di concentrare il lavoro sulla parte per ora meno battuta, o battuta con meno impegno dagli studiosi, e cioè quella del potenziale apporto di informazioni e dati ricavabile dall'analisi serrata dei testi presi in sé, un'analisi che, si intende, deve essere condotta sulla base di una consapevole valorizzazione della loro natura gnomologica e, di conseguenza, del peso che questo fattore ha nella ricostruzione delle dinamiche di storia e trasmissione delle singole redazioni e del significato che determinati fenomeni di coincidenza, sovrapposizione e distanza fra testi e fonti possono avere. Uno degli aspetti più interessanti di tutta la questione riguarda proprio la morfologia delle quattro redazioni, ciò che le distingue e ciò che le accomuna, problema cui sono strettamente e direttamente correlati quelli delle relazioni reciproche d'uso e della collocazione in un contesto ricostruibile. Il contenuto, come detto, orienta senz'altro verso la letteratura gnomologica, all'interno de ll a quale queste redazioni si collocano comunque in un modo particolare, in quanto utilizzano tutte una strategia di disposizione testuale senza altri paralleli, in questo ambito specifico. Tutte le redazioni di Comparatio che conosciamo, infatti, impiegano lo schema del `botta e risposta' fra Menandro e Filistione: i due 2 W. STUDEMUND, Index lectionum in Uniuersitate litterarum uratislauensi per aestatem anni 1887 a die 16 Aprilis habendarum. Praemissa est Menandri et Philistionis Comparatio cum appendicibus edita a Guilelmo Studemund, Iratislavia, Typis officínae Universitatis
1887: uno studio esemplare e complessivo delle varie problematiche relative a questi testi, con anche il panorama completo degli interventi editoriali e critici (da li in poi poco cambiati, vedi nota successiva) e, soprattutto, con le edizioni di riferimento di Comp. II, III, IV e I, 1-22 (il frammento laurenziano, vedi infra). W. MEYER, Die athenische Spruchrede des Menander und Philistion, «Abhandlungen der Philosophisch-philologischen Classe der Königlich Bayerischen Akademie der Wissenschaften», XIX, 1892, pp. 228-295, che contiene soprattutto la pubblicazione di riferimento di Comp. I, nella versione del codice ateniese K. 4 Ma sapeva di prospettare una situazione realistica lo Studemund quando affermava «spero enim id unum hoc libello me effecturum esse, ut homines dotti tandem perquirant codices miscellaneos et novas Menandri Philistionisque sententias indagent» (art. cit., p. 42). D'altra parte, la conoscenza e la fortuna de ll a Comparatio è per lungo tempo dipesa da due edizioni a stampa (Rigaltius 1613, Rutgers 1618), tratte dai manoscritti parigini che vedremo dopo (í testimoni di Comp. II e III) e pesantemente modificate da interventi di correzione e eliminazione arbitrari di tutto il materiale ritenuto non originario (cfr. Studemund, art. cit., pp. 3-8).
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personaggi5 si rimbalzano gnomai sui temi più tipici in un modo che non prevede uno svolgimento coerente e regolare, ma che procede, nei casi migliori, per parole chiave, semplici associazioni. Dal punto di vista della struttura generale, così, si registra, con l'impiego di una sia pur embrionale forma `drammatica', il tentativo di escogitare un procedimento capace di articolare la successione di argomenti in un modo più lineare di quello tipico degli gnomologi, ed al tempo stesso un sostanziale fallimento di questo tentativo: di fatto non si registra praticamente mai una linearità diversa dalla media di tante gnomologie (se l'unico filo logico è quello dell'associazione per parole chiave, si possono succedere, come ovvio, sentenze di tono e contenuto anche del tutto diversi), e, di conseguenza, lo stesso meccanismo principale perde il più delle volte senso per un evidente collassamento della struttura testuale, nella quale svanisce ogni legame fra le battute dei personaggi. 6 Scorrendo di seguito í diversi testi così come ci sono giunti, si nota cioè che nell'articolazione dei dialoghi le opinioni, le prese di posizione — anche se diverse e 5 La scelta, è chiaro, rappresenta un segnale importante, e la difficoltà maggiore risiede nel comprendere il perché della presenza di Filistione (nome che non a caso ha spesso dato fastidio soprattutto ai primi esegeti, inclini a modificarlo nel più ovvio Filemine): si intrecciano probabilmente due tipi di strategie. Da un lato si ricorre ad un nome evidentemente già connesso con l'idea di saggezza, e cioè Menandro; dall'altro vengono contrapposti in un certo senso due `campioni' di due generi diversi. Si sovrappone cioè il dato dell'auctoritas pura e semplice ad una maggiore specificazione legata all'appartenenza a due generi teatrali e letterari diversi (commedia e mimo), con un procedimento non estraneo alla tradizione aneddotica, o, più genericamente, ad uno schema — che potremmo definire retorico — di contrapposizione fittizia fra due `campioni' di specialità diverse. Quanto questo tipo di schema contrastivo potesse essere diffuso anche in altri contesti lo mostra un interessantissimo frammento ciceroniano segnalatomi dall'amico C.M. Lucaríni (Cic. Pro Q. Gallia fr. 2, p. 400, 6 sgg. Schnell = Men. Test. 85 K.-A.) in cui si all ude a conuiuia poetsrum ac philosophorum, cum facit Euripidem et Menandrum inter se et olio loco Socratem atque Epicurum disserentes, la cui fisionomia e la successiva allusione ad una presenza di condiscipulos ... in theatro, ha fatto pensare agli studiosi a veri e propri mimi, la cui forma potrebbe non essere del tutto estranea, almeno come matrice o modello ideale, a quella cui si ispira la scelta `dialogica' che sottosta alle redazioni della Comparatio a noi note. Del resto è proprio al genere del mimo che il nome di Filistione tradizionalmente legato (cfr. H. RrnCH, Der Minrus. Ein litterar-entwicklungs-geschichtlicher Versuch, Berlin, Weidmann 1903, pp. 423-436 [rist. an. Hidelsheím-New York-Dublin-Ziirich-Vaduz, Olms 1974]). 6 La presenza di unità tematiche marcate da capita in forma di titoli in Comp. II segnala un tentativo di arginare questa incoerenza e, al tempo stesso, denuncia l'interferenza di un altro e ben più diffuso sistema di divisione tipico di tante gnomologie: ma, a sua volta, non basta a impedire deviazioni dai temi stessi. D'altra parte, la stessa Comp. II, già con l'eliminazione dello scambio di battute brevi — come detto conserva estratti lunghi e non i più consueti distici — evidenzia uno scarto significativo rispetto alla restante tradizione.
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contrastanti —, le reciproche correzioni o le riprese coerenti delle rispettive opinioni non si succedono in modo naturale, ed il senso dell'impiego di. una struttura dialogica si perde praticamente da subito; e se non fosse per gli incipit di Comp. I e II, che serbano traccia di un abbozzo di dialogo in cui i due personaggi veramente sembrano interloquire, di un reale andamento dialogico non rimarrebbe traccia alcuna.' Una medesima struttura, quindi, applicata a quattro testi diversi, ed in ognuno di questi casi in modi che tradiscono quello che parrebbe l'intento iniziale: ma vi sono altre differenze, anche píù importanti, che coinvolgono í testi veri e propri, la loro trasmissione, l'articolazione interna e l'origine, e che, per essere meglio sottolineate, devono essere viste redazione per redazione. Comp. I
Riportata per intero dal cod. Athen. Bibl. Nat. 1070 (K8) e, limitatamente ai vv. 1-22, dal Laur. LVIII 32 (L), sotto il titolo di Μεν~νδρου και Φιλιστ íωνος yν~î~jα καì δι~λεκτοι, 9 consta di 314 versi ed è caratterizzata da un altissimo numero di coincidenze con versi 7 Limitandosi ad indicare i punti in cui sembra possibile seguire un reale scambio di opinioni, per Comp. I si vedano í vi. 1-14: Μεν. Φιλιστ~ωνα τ~ν καλ~ν τε κ~γαθ~ν / βγω / Μ~νανδρος noλλ~~χα~ ρειν ßo~λoµαι.- Φιλ. K~y~~τ~δ' αυτ~~ßο~λοµα ΦιλιστιωΝ nρoσενν~πειν, Μ~νανδρε, τ~ν ~~n Ν χ~ ριν. - Μεν. 'Απαρεν~χλητος ~~τ~πος 1)Μ1 τνγΧ~νεΙ, / ε σεις µε. καßà2 τ~ς καì Τoú λ~γειν ~ΡξασΟ ' < ~y~ > δ~~ßo~λοµαι.- Φιλ. "Ετοιµον ~ρ~ σχολ~ς / ενκαΙρΙα nΡοτρ ~ψεταΙ λ~γειν 'o0**. - Μεν. ΟΡ ~eì Υ~ς ~ΝΘΡΩΠοΙ tτεθνη' ~ λως. - Φιλ. 'Αρ ' σ1Τσς oY κατε~ δε τ~ν ~αΥΡσ ú κ~τα; / äi µει vο" ~Μ~ς 01 γεν~σθαι µηδ χρ ~νον / fi δι' ~στρων ~ΡιθΜ~ν ο~κ ~Υν~ΡισεΝ; - Μεν. Ei 762 µασ ~ν ~ν καì χρ~ νο~ς ~ní στατo, / δει Τ~τ' ain&v Θν~τ~ν ~ντα Μ ~~θανεν; In Comp. II, rimane traccia di uno sviluppo `a due' solo nella prima parte della tirata iniziale di Menandro (iv. 1-11, e s i noti che il titoletto Μ~νανδρος περ ~~τ~χης stampato da Jäkel subito dopo non è presente nei manoscritti): 'Ο Π~σΙΝ ~Ρ~σας ~ν σσ~~~i ς nοι~µασιν, /Ö το û β~ο~~~ν nρ~ξΙν ~nιδειξας σοφο~ς, / Μ~νανδρος ~~σοφ~ ς ν~ν n~λΙΝ παραιν~σω, / χα~ ρειν nΡο {σ }τ~ξας το ~ νη / τ~" το~~β~ου t ευθε~αν, i'v ~ΚΟ~ΟνσΙΝ ν~οις, / δπως ~καστος t ~κο~ωv µουµανθ )Μ~Ν φρ~σω, / nαΡ~γορ~Ν ~καστον ~ς Τ~~συµφ ~ ρον, / ~χων ~γ~να πρ~ ς Φιλιστ~ωνα VYV, / TUV τερπν ~ν καì φιλΗτ~ν κ&. βιωφελ~ , / ~κ τ~Ν καΤU µ ~ρος ~κλεγ~ντων πραγµ ~ των. / 'Αρξ~µεθαλοιπ~ν nερi Τ~χης σοφ~ς. $ Testimone chiave de ll a classe II de ll e Menandri Sententiae e di altri testi fondamentali dell a tradizione gnomologica, su cui si veda almeno M. TZIATZI-PAPAGIANNI, Die Spri'che
der sieben Weisen. Zwei byzantinische Sammlungen. Einleitung, Text, Testimonien and Kommentar, Stuttgart-Leipzig, Teubner 1994 ( «Beiträge zur Altertumskunde», 51), pp. 7478, e P. ODOmCO, Lo Gnomologium Byzantinum e la recensione del Cod. Bibl. Nat. Ath. 1070, in Miscellanea Agostino Pertusi, «RSBS», II, 1982, pp. 41 70. -
Il Laurenziano ha Μεν~νδρου καi Φιλιστιωνος δι ~λεκτος e presenta una interessante impostazione del testo: le sigle dei personaggi sono scritte, in rosso, sul margine 9
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della tradizione delle Menandri Sententiae; 10 in tre casi (I 39, 135 e 252-253) si accorda da sola con lo Stobeo; 11 in due (I 91 e 294-296) condivide tale accordo con la Comp. II. 12 Come già visto, contiene una sorta di introduzione drammatica (vi. 1-14) in cui i due personaggi si scambiano complimenti ed in qualche modo si presentano, e poi si sviluppa prevalentemente con battute di un distico per personaggio. 13 I temi si alternano senza ordine. Comp. II I testimoni di questa redazione sono í medesimi di Comp. III, che contiene comunque un testo molto diverso. Si tratta del Par. gr. 2720 (Q, redatto da Bartolomeo Comparini, 1493), e del Par. gr. 1773
destro, mentre su quello sinistro, ogni distico è preceduto da un numero progressivo, sempre in rosso. Non è tuttavia possibile capire se il testo sia frammentario perché frutto d i un taglio voluto o perché il foglio sia stato riutilizzato: nel verso del medesimo foglio inizia il testo successivo (la Parafrasi di Temistio agli Analitici I II di Aristotele, 114 ν-171 ν) e non sembrerebbe che il testo sia stato vergato su di una precedente cancellatura. Per il resto il manoscritto, che, soprattutto nel testo di Temistio mostra di essere stato sottoposto ad un'opera di restauro filologico risalente al XV sec., è occupato dalle Ε~κ~νες, ff. 2-45, e dall" Ηρω~κ~ ς di Filostrato, ff. 63-114. lo Comp. I 43 = Mon. 316; I 47 = Mon. 567 (e nel manoscritto V dei Monostici [Vindob. theol. gr . 128, della classe II], come in [Anton.] Mel. I 25 [PG 136, 853c], segue anche I 48); 150 cfr. Mon. 578; I 55 = Mon. 633; I 56 - Mon. 628; I 61 = Mon. 645; I 81 = Mon. 392; I 82 = Mon. 104; I 108 (= II 115) - Mon. 207; I 110 = Mon. 759; I 126 = Mon. 225; I 128 = Mon. 305; I 129, 191 = Mon. 409; I 146 = Mon. 626; I 153 = Mon. 103; I 163 = Mon. 472; I 165 = Mon. 385; I 173 = Mon. 370; I 174 = Mon. 805; I 187188 = Mon. 57-58; I 195, 209, 292 (= II 51) = Mon. 475; I 236 = Mon. 168; I 246 = Mon. 471; I 247 - Mon. 843 (cfr. anche 565); I 250 = Mon. 410; I 254 = Mon. 469; I 302 = Mon. 27. Da questo elenco sono esclusi i casi in cui i legami fra Comp. I e Monostici non sembrano diretti, pur essendo spesso molto diffic il e delimitare i confini del riuso o de ll a semplice rielaborazione autonoma di comune materiale g ~omologico: si tratta di casi spesso molto diversi tra loro, in cui il confronto fra le due tradizioni viene fatto per via di espressioni, tessere uguali e significative, e comuni. A questa categoria appartengono i rapporti che legano Comp. I 91 (= II 22)-92 e Mon. 708, I 111 e Mon. 215; I 129 e Mon. 710; I 201-202 e Mon. 636, I 256 e Mon. 581; I 279 e Mon. 15. 11 Comp. I 39 (Μεν.) = Stob. IV 32b, 33, 1 ( Κρ~ντορος); 1135 (Μεν.) = Stob. IV 32b, 24, 1 (Μεν~νδρου Γεωργυ)), fr. 1, 1 Sandbach; I 252-253 ( Μεν.) - Stob. IV 44, 29 ( Μεν~νδρoυ 'Ανδρoγ~νoυ); Men. fr. 50 K.-A. ~ 2 Comp. I 294-296 = Comp. II 111-112 + 114 ( Φιλ.) = Stob. III 22, 5 ( Ε~ρ πíδoυ); Comp. I 91-92 = Stob. I 6,15, TrGF 71 Chaer. F 19: Comp. I 92 = II 22. 13 A parte i casi in cui gli studiosi, spesso di fronte a testi del tutto irriducibili ad una misura metrica, hanno ritenuto di ravvisare tracce di omissioni o errori (Comp. I 97, 120121, ma anche 229), non sono pochi, in realtà, i casi in cui la dimensione delle battute dei personaggi è molto più ampia del distico, soprattutto verso la fine del testo: vv. 132134, 175-178, 258-260, 269-273, 294-297, 298-302, 303-314. -
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(ρια), un apografo vergato da Scipione Forteguerri sempre alla fine del XV secolo: questi, con una procedura che in un certo modo anticipa quella degli editori moderni, ha conglutinato le due redazioni disponendole di seguito (ff. 226r-229r la prima, 229r-230 ν la seconda), mentre il modello le presentava distinte ed inframezzate ad una redazione dei Detti dei Sette Sapienti. 15 Il titolo di Comp. II è Μεν~ νδρου κα ì Φ~λwwτí ωνσς σ~yκρισις, ed il testo consta di 210 versi. Si tratta della redazione piii particolare, sia per l'alto numero di coincidenze con la tradizione dello Stobeo, 16 sia per il regolare ricorso ad un altro tipo di articolazione dei versi, in cui la struttura dialogica, atrofizzata — nonostante l'incipit — è di fatto sostituita da una per argomenti, segnalati da capitoletti nella forma περì + il genitivo," e all'interno dei quali si susseguono di solito delle pericopi di alcuni versi attribuite ciascuna ad un personaggio; in non pochi casi queste pericopi possono essere a loro volta scomposte, sulla base del contenuto, in pericopi minori, spesso equivalenti a distici, e che ricompaiono come tali in altre redazioni. 18 Un ulteriore tipo di disposizione si nota 14 Il manoscritto non è nemmeno menzionato da Jiikel: sigla e descrizione si trovano nello studio di Studemund. Per entrambi i manoscritti s i vedano TZIATZI-PAPAGIANNI, Die
Spri.che, cit., pp. 25 26, e W. BΟHLER, Zenobii Athoi Proverbia. I. Prolegomena, Göttin-
gen, Vandenhoeck & Ruprecht 1987, pp. 132-135 (su Par. gr. 1773) e pp. 259-261 (su Par. gr. 2720). 15 La redazione di Comp. II occupa infatti i ff. lr-2 ν; segue una redazione dei detti dei Sette Saví (ff. 2ν 5r) e, quindi, Comp. III (ff. 5r-5v). Sulle interessanti relazioni che possono essere osservate fra Comp. I e II e redazioni in versi dei Sette Savi (Comp. I 157158 — Byz.Chil. 7; II 163-165 — Byz.Pitt. 1 e II 90 — Byz.Bi. 2), si veda ancora TzιeτzιPAPAGIANNI, Die Sprikche, cit., p. 31. 16 In particolare i casi di accordo unico sono: II 12-15 (Μεν.) = Stob. II 46, 11 (eq**Μονoς : (Φ)ιλη' ms.); II 59-67 ( Φιλ.) = Stob. IV 33, 19 ( Φιλ~τον); II 68-76 ( Μεν.) = Stob. IV 31, 30 ( Μεν~νδρου), Men. fr. 838 K.-A.; II 77-82 ( Φιλ.) = Stob. II 1, 5 abc (000'Μoνoς Clericus : Φιλ~τα FP : Μιλ~ τ L); II 105-106 ( Μεν.) = Stob. IV 2, 3, 1-2 ( Μεν~νδρoυ 'Αδελφoις), Men. fr. 10, 1-2 K.-A.; pap. MID-MID 552L face 1; II 189-191 ( Φιλ.) = Stob. II 4, 3 ( Φιλ~µ oνο Τ : Φιλ~τ S : (φ)ιλ~ τα A). Minore è il numero de ll e coincidenze esclusive con Monostici di Menandro: Comp. II 35-36 = Mon. 869-870; II 48 = PCopt, 85 TionEp, 11 (?) PBour 1, f. VII°, 7-9 (cfr. C. PERNIGOTTI, Raccolte e varietà redazionali nei papiri dei «Monostici di Menandro», in Papiri Filosofici. Μiscellaneα di Studi III, Firenze, Olschki 2000 [«STCPF», 10], p. 194); 11 182 = Mon. 452; meno diretti i rapporti di Comp. II 32 con Mon. 752 e dill 59 con Mon. 482. Per i casi in cui tali legami sono condivisi con Comp. I vedi nota supra. " I titoli riportati dai manoscritti sono: περì πεν~ ας (vv. 23-34); περì γ~ ρoυς (vv. 3548); περ ì πλο~του (vv. 49-67); περì Θε~ν (vv. 68-82); περì φιλου (vv. 83-104); περì πονη ρια (vv. 105-114); περì δο~λου (vv. 115-132); περì γειτον ~ ας (vv. 133-143); περì ν~ Μov -
(vv. 144-152); Μεν~ νδρου παραtν~ σεtς περì το~~τ~ ν πατ~ ρα TijiUi καì τ~ν µητ ~ ρα (vv. 153-156); περì γ~ λωτος (vv. 157-165); περì Θαν~του (vv. 166-181); περì λ~ γον ( vv. 182194); περ ì λ~πης ( vv. 195-210). 18 Quindi, a seconda della prospettiva con cui si considera il problema, Comp. II può
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ai vi. 153-165, in cui, sotto il titolo M εν~νδρoυ παραιν~ σεις περì τοû τòν πατ~ ρα nnilâv καì τ~ν ρητ~ ρα, si leggono alcuni versi sull'argo-
mento (153-156); segue, senza nuova indicazione di personaggio un'altra pericope (vi. 157-165) introdotta solamente dal titolo περì γ~λωτος, dopo di che, a v. 166, ricompare la forma consueta con indicazione del personaggio che `parla' (Menandro) e dell'argomento (περì Θαν~ του).
Comp. III
Tutt'altra la natura di questa redazione, anche se, come visto, è riportata dai medesimi testimoni di Comp. II. Molto breve (62 versi), priva di titolo (la redazione è comunemente indicata con titolo di Disticha Parisina), rispetta rigidamente la struttura per distici e presenta contatti verbali soprattutto con Comp. I (solo in quattro casi, 19 e mai in modo isolato, si registrano coincidenze con Comp. II, contro dieci casi di accordo unico con Comp. 120), ma non ha paralleli – né isolatamente né in accordo con altre redazioni – né nello Stobeo né nella tradizione delle Menandri Sententiae. Comp. IV
Riportata, allo stato attuale delle conoscenze, solo dal Par. gr.
essere vista come una sorta di redazione dí risulta, costituita cioè dall'assemblaggio di uniti diverse e di componenti minori, tra cui í distici delle altre redazioni, oppure, al contrario, come un grande serbatoio da cui è stato attinto il materiale costitutivo de lle altre redazioni. In realtà, entrambe le ipotesi sono plausibili, e proprio la possibilità di individuare una `direzione', una cronologia relativa sarebbe probabilmente decisiva, anche se, realisticamente, non esistono al momento attuale le coordinate relative necessarie ad accrescere le nostre conoscenze in questo senso. Come casi esemplari di questo stato di cose nel rapporto fra Comp. II e le altre redazioni, si segnalano la pericope unitaria e completa di Comp. 11 133-136, spezzata in due in Comp. IV 43-46 o qualche caso in cui, all'interno di lunghe pericopi apparentemente unitarie, il confronto con le altre Comparatio permette di isolare distici noti: per esempio, all'interno della lunga ecloga di Comp. II 23-34, si possono isolare II 27-28 = I 240-241 e II 29-30 = I 286-287. Cosi, in Comp. II 49-58, si isolano II 49-50 = I 197-198, II 51-52 = I 292-293 (con II 51 = 1195 e 290), II 55-56 = I 219-220 = III 23-24 e II 57-58 = I 221-222 = III 21-22. 19 Comp. III 21-22 = I 221-222 = II 57-58; Comp. III 23-24 = I 219-220 = II 55-56; Comp. III 33-34 = 11 103-104, con III 34 = I 228; Comp. III 35-36 = I 225-226 = 11 101102. 20 Comp. III 1-2 = I 209-210; III 3-4 = I 215-216; III 7-8 = I 207-208; III 9-10 = I 217-218; III 15-16 = I 77-78; III 17-18 = 73-74; III 38-40 = I 258-260; III 43-44 = I 261262; III 45-46 = I 213-214; III 51 = I 236.
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116621 (R) con il titolo Γν~µς ω Μεν~ νδρου κα Φ~λιστιωνος, si presenta in una struttura articolata: dopo tre pericopi di una certa lunghezza (vv. 1-7, 8-15 e 16-20), utilizza il consueto alternarsi di distici. La conformazione del testo attuale (54 versi) non può tuttavia essere valutata in pieno da quando Paolo Odoric ο22 ha mostrato che il manoscritto soffre, in corrispondenza del passaggio da v. 22 a v. 23, di una lacuna causata dalla perdita di un quaternione: quindi, non solo non siamo in grado di stabilire l'andamento complessivo del testo, ma neanche possiamo escludere che la diversa conformazione fra la parte in pericopi lunghe e quella in distici (che inizia proprio dal distico di v. 21) non dipenda in realtà dal fatto che le redazioni fissero due o più. Con la sola eccezione di v. 1 (una versione modificata del Monostico di Menandro 630 J. 23 ), neanche Comp. IV mostra legami significativi con la tradizione gnomologica classica (né Stobeo né Menandri Sententiae) e presenta accordi sia con Comp. I che con Comp. II. 24
In ogni caso, nonostante le differenze e le peculiarità delle singole redazioni, non una di esse mostra di sviluppare coerentemente i temi che tocca, ed in nessun caso il ricorso alla struttura dialogica contribuisce a rendere la successione dei temi lineare o chiara. Così, anche se sembra difficile negare che nell'intento originario di questo tipo di organizzazione una coerenza nell'esposizione dei temi dovesse essere cercata (ammesso che la struttura sia `originaria'), ci troviamo comunque di fronte al dato di fatto di una totale perdita di ogni linearità: tematica, argomentativi, ecc. È chiaro che nel determinare questa circostanza devono aver giocato un ruolo cruciale í tipici processi di alterazione che conosce la letteratura gnomologica, causati dalla libertà totale con cui i testi di questo tipo venivano manipolati, arricchiti, depauperati, riadattati, stravolti; ma, d'altra parte, 21 Su questo manoscritto, si veda P. ODORICO, Il prato e l'ape. Il sapere sentenzioso del monaco Giovanni, Wien, Verlag der Österreichischen Akademie der Wissenschaften
1986 («Wiener Byzantinische Studien», XVΙΙ), pp. 38-39. 22 Il prato e l'ape, cit., p. 38, n. 74. 23 Diffic il e stabilire í contorni del legame verbale che unisce Comp. IV 3 (... ov κ οιδcς o λ~ ς R]) e Mon. 745 (τà θνητ~~π~ντα ~ ς Μετα~lOλ~ ς πολλàς gχει [~ς πολλàς µεταβ µεταβ o λàς πολλàς ~χει). 24 Sempre comunque con una predominanza di Comp. I con cui presenta le seguenti coincidenze: Comp. IV 16-20 = I 269-273; IV 23 = 1 136; IV 25-26 = I 137-138; IV 26-27 = 1 139-140; IV 29-30 — I 132-133; IV 35-36 = I 274-275; IV 53-54 = I 276-277. Comuni solo a Comp. IV e II sono: Comp. IV 33-34 = 11 144-145; IV 39-40 = 11 107-108; IV 4346 = 11 133-136. In comune a Comp. IV, II e I è IV 31-32 = 1 143-144 = 11 147-148.
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sulla base dei testi che ci sono giunti, non è al momento possibile isolare segnali chiari di interventi di sorta e, soprattutto, capire se sia mai esistito, per ognuno di questi testi, un nucleo originario e coerente. Meyer pensava ad un modello originario, rispetto al quale le quattro redazioni rappresenterebbero diverse e progressive alterazioni, valorizzando in questo giustamente la particolare tipologia di tradizione che dobbiamo ipotizzare per questo testo, ma dando per dimostrato un assunto (l'esistenza di un unico e comune capostipite) che non possiamo né verificare né postulare in nessun modo. Quello che resta veramente difficile da capire, in un quadro cosi delineato, è quale principio, origine o scopo leghi ed al contempo divida queste entità testuali cosi simili e cosi fra loro distinte: possono cioè bastare numerosi ma non infiniti casi di sovrapposizioni testuali (mai meccaniche25), accompagnati a cosi tante differenze, per permettere una teoria di dipendenza verticale da un modello unico? E, al contempo, è possibile sottrarre peso alla contemporanea utilizzazione in testi diversi di uno stratagemma organizzativo così peculiare come quello del botta e risposta fra Menandro e Filistione (sempre loro due) per propendere per una semplice poligenesi di testi da questo certo punto di vista cosi simili? Il confronto fra le peculiari caratteristiche delle quattro raccolte restituite dai manoscritti deve essere fatto tenendo presente sempre questa tensione fra possibili estremi, e deve essere alla base dell'analisi combinata di quelle stesse caratteristiche, siano esse di origine `strutturale' (organizzazione per temi, selezione di unità di misura fisse, come per esempio il distico), o semplicemente testuale (tendenza a contenere testi di chiara origine recenziore o a raccogliere fonti di origine diversa); quello che non si può perdere di vista è il fenomeno per cui – nonostante le differenze profonde – la struttura basilare rimane quella del botta e risposta. Tutto sta a capire se questa comunanza abbia un'unica origine o se non dipenda invece da una specie di riverbero successivo di una formula che si è imposta per le sue qualità specifiche. Un'altra domanda, che da queste problematiche si distacca solo apparentemente, è quella relativa all'impiego di queste raccolte, alla loro funzione, cioè, ma al tempo stesso alla loro effettiva fruibilità: una volta appurata la debolezza della struttura architettata e ponendo 25 Con questo si intende che i casi di coincidenze fra redazioni comportano spesso una diversa distribuzione delle parti difficilmente compatibile con un processo di semplice scomposizione: abbiamo visto già alcuni casi in cui da una Comparatio all'altra í versi tornano, ma non sempre nella stessa suddivisione o con la stessa funzione.
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a confronto questa tipologia di testo con le altre note della tradizione gnomologica, è possibile fare qualche considerazione sul loro uso, e, al tempo stesso, sulla loro trasmissione? Abbiamo a che fare con testi di cui è difficile presupporre una fruizione privata, una semplice lettura, almeno non nella forma in cui ci sono giunti, e d'altra parte si pone necessariamente il problema di capire quale fosse la destinazione per cui erano pensate, e se le compagini testuali che a noi sono giunte fossero in qualche modo utilizzate e, in definitiva, se devono proprio a qualche uso speciale la loro conformazione. 26 Un possibile punto di partenza verso una risposta a queste domande, e, forse, un possibile contributo alla comprensione delle dinamiche che hanno determinato una situazione così complessa può venire dal confronto con i testimoni più antichi, i papiri. Non utilizzati nell'edizione di Jäkel perché identificati in un momento successivo, i testimoni su papiro in realtà interagiscono con la tradizione medievale in un modo del tutto particolare, che, proprio nella sua specificità, indica probabilmente un possibile percorso interpretativo della situazione nel suo complesso. Non esistono cioè testimoni del testo della Comparatio definibili come tali, che, per esempio, conservino frammenti di struttura o anche semplicemente sezioni di botta e risposta: abbiamo piuttosto a che fare con coincidenze testuali significative ma ridotte, derivanti da contesti diversi, quando non del tutto isolate. Un'osservazione diretta dei casi può permettere qualche utile osservazione. PBerol inv. 9772 (BET V 2, pp. 123-128; Packz 1568, sec. II a.C.), col. I rr. 6-8 = Ferecrate? (] κρατονc pap.), fr. 286 K.-A. (CGFP 205) = Comp. I 51 52. A. GUIDA, Note a pap. Berol. inv. 9772, «RhI», CXVI, 1973, p. 361. All'interno di un ampio gnomologio, introdotto dal lemma dell'autore (in parte perduto), si legge un distico comico di cui è stata identificata una possibile rielaborazione in un distico di Comp. I. -
26 Il problema riguarda cioè lo scarto fra la debolissima struttura interna dí queste composizioni e la possibilità di postularne una fruizione comprensibile. Pare difficile pensare, soprattutto per Comp. I, III e IV, ad un uso come repertori — tanta e tale è la confusione con cui si succedono i temi — e d'altra parte l'ipotesi di una lettura continua appare alla sensibilità moderna diffic il e da accettare. Si tratta o di riconsiderare una píù ampia gamma di possibilità di impiego (non direttamente finalizzato all'acquisizione di precetti morali ma píù strumentale) o di ripensare forme di lettura estranee alla nostra sensibilità ma non a quella di epoche píù antiche.
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Comp.: î, Μεν. "Οστις γνναικ~ ς ~ποθανο~σης ~πιγαµε ~~ τοιοντος dντως ο~ κ ~π~ στατ' ε~τυχεîν. PBerol: ' Οστις γνναικ~ ς ~ ]ποθανο~ σης δυσφορ[εî, ~~ τοιοντος dντως OYE] ~π~ στατ' ε~τνχεîν.
PFreib inv. 12r (W. ALV, Mitteilungen aus der Freiburger Papyrussammlung. I. Literarische Stücke, «Sitzungsberichte der Heidelberger Akademie der Wissenschaften. Stiftung Heinrich Lanz. Philosophisch-historische Klasse», Jahrg. 1914. 2. Abhandlung, Heidelberg, Carl Winter's Universitätsbuchhandlung 1914, pp. 7-14, nr. 1, rr. 113; Packe 1577; CGFP 297; PCG VIII 1027; Cribiore 27 248, sec. II -I a.C.), vv. 7 - 8 = Comp. II 131 - 132. D. HAGEDORN, Zwei Bemerkun gen zu gnomischen Versen, «ZPE», XXXII, 1978, p. 35. Otto versi comici restituiti dal papiro di Friburgo contengono una riflessione sulla schiavitù (argomento classico della gnomologia): i vv. 7-8 del frammento ricompaiono, notevolmente modificati, ed alla fine di una lunga pericope di tredici versi, in Comp. II, nella sezione sulla schiavitù. 28 Le caratteristiche del manufatto, che riporta il brano insieme ad operazioni matematiche e brani omerici, rimandano ad un
contesto scolastico, seppure di un livello non basso. Comp.:
~ σατο. ~~δ (~~δ' av Rígaltius et Rutgers) τ~χη τ~~σ~µα κατεδονλ τ~~δ~~γ~νος ~i~ ρχεt ~~ φ~σεt (< ~ λε~ θερον> {δ ~ } T.y.Y.T.O. add. Jäkel). PFreib: τ~~σ~ννους κατα ΜJ~νας σαΥτ« λαλεî ς δοκε~ ς τε Παρ ~χειν ~ µφασ ~ νου; ~ ν λυπουµ ~ Μο' προσαν~ θου, λαβ~~µε σ ~ µβουλον π ~ νων• µ ~~κατα ρονησης OIEYTOu συµβουλιας. πολλ~ κις ö δovλος το~ ς τρ~πους χρηστους χων τ~Ν δεσποτ~ν ~γ~νετο σωφρον~ στερος. ει δ' ~~τ~χη τ~~σ~µα κατεδονλ ~ σατο. ~~γε νο~~ ~π~ ρχει τοi ς τρ ~πο~ς ~ λεΥθερος.
27 R. CRIBIORE, Writing, Teachers, and Students in Graeco-Roman Egypt, Atlanta, Scholars Press 1996 («American Studies in Papyrology», 36). 28 D'altra parte, questa stessa pericope (`pronunciata' da Filistione) è a sua volta divisibile, sulla base del contenuto, in almeno sei parti: vv. 120-121, 122, 123-127, 128-129 (= Comp. I 100-101), 130, e, appunto, 131-132.
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PBerol inv. 21166r (BET IX, p. 98, nr. 69, sec. II/III) = Comp. I 59-60 (W. BRASHEAR, Gnomology, «YC1St», XXVIII, 1985, pp. 91229) .
In un frustulo di papiro che conserva tracce di un esercizio di scrittura, e senza che sia possibile stabilire in che relazione si trovino con le tracce di righi seguenti, si leggono due versi che corrispondono a quelli di Comp. I (in cui sono riportati come distico autonomo, attribuito a Menandro). Comp.: Μεν. Πολλ~ν ~~λ~γος χρηστ~ς (λ. prop. Meyer) ~~δε τρ~πος κακ~ ς o τc~~ λ~γω δε δεi tχρ~σθαt, ~λλ~~τι τρ~πω (ο.τ.λ. n~στενσον prop. Meyer)
PBerol• Πολλ~ν µ ~ν ~~λ~γος χρηστ~ ς, ~~ δ~~τρ~πος κακ~ς Υ ο' τ~ν λ~γον δ î χρηστ~ν εi[ν] á[t ~]λλ~~τ~Ν τρ~πον [ ]λονµενον ο τ , .ν. yα λον κα Τtc [.. ]. t ακαταντα [1. [ ]... [ [
MID MID 552 L Face 1 (Cribiore 396) = Comp. 11 105 108 (107 108 = Comp. IV 39 40) + Men. Mon. 16 (B. BOYAVAL, Le cahier scolaire d'Aurèliοs Papnouthion, «ZPE», XVII, 1975, pp. 228232). All'interno di un quaderno scolastico di un buon livello di istruzione, si susseguono, scritti l'uno dopo l'altro, ma separati verso per verso da un segno di divisione, quattro versi riportati nello stesso ordine anche nella Comp. II - gli ultimi due, separati anche nella Comp. IV – chiusi da un Monostico di Menandro (16 J.). C' infine un ulteriore parallelo in un frammento attribuito dallo Stobeo a Menandro ~~~ θ~ν], 3 [Mεν~νδρου Áδελφoîς] = Men. (Stob. IV 2 [περì ν~ µων κο fr. 10 K.-A.), í cui primi due versi coincidono sia con il papiro che con la Comparatio. -
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29 Sulla relazione fra questo papiro ed un testimone chiave de ll a tradizione antica dei Monostici, vedi M.S. FUNGHI, Tipologie delle raccolte papiracee dei Monostici: vecchie e nuove testimonianze, in Aspetti di letteratura gnomica nel mondo antico I, a cura di M.S. FUNGHI, Firenze, Olschki 2003 (Accademia Toscana di Scienze e Lettere `La Colombaria' «Studi», 218), pp. 15-16.
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Comp.:
σ~~παντελ~ς δεî
τοîς ( äεî τοîς QP) πονηροîς ~πιτρ~πειν ( ~πιτρ ~πει
QP),
ä λλ' ~ντιτ~ σσον, µ ~~τö~νω κ~τω γ~νητ'. (µ ~ τ' ö~νω γεν~~κ~τω QP)
MID: ονπαντελωcεςεδιτ τοιcπονηροιcεπιτρεπιν // αλλαντιτα cεονµη τανωκατωγενη // ογαρµηδικαιον καθεταιρ~νζητωνκακον // αν τοεπροποαεχιτονκακοντηναιρε cιν // αξιγαρτοθιοντονcκακονc προετηνδικην // επο c -
Stob.: σ~~παντελ~ς δεî τοîς πονηροî ς ~πιτρ~πειν TUVU κ~τω äλλ' äντιτ~ ττεσθ '• ε~~δ~~ ~µ ~ν ~~β~ος λ~σει µεταστραφεις δλος.
Si noti come la pericope di Comp. II (titolo περì πονηρ~ ας) prosegua ancora con altri quattro versi: due che compaiono come distico autonomo anche in Comp. IV 39-40 (~~7àß ~ δικως καθ ' ~τ~ ρου ζητ~ν καΙ~ν / c~τ~ ς προπ~σχει ΤΟ ~~κακο~~Τ~Ν ~κβασιν), due che hanno lo stesso comportamento in Comp. I 155-156 ( δταν πσνηρ o~~πρ ~γµαΤ o ς κ~ ρδος λ~ βης, / τo~~δυστοχε ν ν~ µιζε σ ' ~ ρραβ~ν' χει"). Un buon esempio di aggregazioni molteplici, non solo fra fonti diverse, ma anche fra diverse redazioni del medesimo testo: gli esempi in questo senso, come già visto, non mancano all 'interno della tradizione della Comparatio, ma proprio il confronto diretto fra una procedura di questo tipo in atto in fasi così diverse e nel passaggio fra contesti così diversi apre secondo me uno spiraglio notevole alla comprensione delle dinamiche tradizionali delle varie redazioni della Comparatio.
Come abbiamo visto, l ' apporto delle testimonianze papiracee non si risolve in modo chiaro ed univoco; la definizione stessa dei testimoni e del loro valore sfugge ad una collocazione precisa: abbiamo a che fare con frammenti, possibili modelli o momenti diversi del percorso tradizionale dei medesimi versi, e non siamo in grado di mettere a fuoco la reale collocazione temporale dei singoli passaggi. Inoltre, manca una corrispondenza di contesto: singole entità testuali vengono scomposte in cellule minori che possono poi avere vita autonoma oppure vengono estratte da pericopi maggiori in cui erano incastonate con naturalezza per assumere nuove sfumature. Si tratta naturalmente di una serie di procedimenti assai comuni nella tradizione —37-
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gnomologica, e che soprattutto grazie all'apporto dei papiri conosciamo sempre meglio,30 ma proprio il confronto fra fase antica e recenziore mette in luce il punto cruciale di tutta la tradizione del testo della Comparatio. Abbiamo a che fare, a quanto pare, con una tipologia di testo la cui vita è indissolubilmente legata alla sua utilizzazione; le diverse redazioni della Comparatio devono la loro vita ad uno scopo che genericamente potremmo identificare con l'apprendimento, e che proprio per la sua genericità può coprire una gamma svariata di possibilità: dall'esercizio scrittorio 3 t fino alla rapida successione di detti buoni per ogni occasione. L'importante è sottolineare lo scopo strumentale di questi testi, l'assoluto predominio della loro fase d'uso. Questo stato di cose determina che chiunque abbia avuto a che fare con questi testi lo ha fatto pensando non a lla conservazione della loro fisionomia, ma principalmente alla propria personale necessità. Questo non comporta soltanto che questi testi siano del tutto permeabili a infiltrazioni di questo genere, ma significa che non è pensabile che la loro stessa struttura possa essere interpretata come più che un canovaccio: le quattro redazioni di Comparatio che abbiamo sono il frutto di altrettante possibili combinazioni di materiali comuni basate su di un modello strutturale che, se esistito, difficilmente sari stato seguito più che nella sua forma esteriore, e questo stato di cose non fa altro che riproporre la normale vicenda di tutti gli .gnomologi, rispetto ai quali la formula dialogica rappresenta un'infrazione solo apparente.
3° Molto importanti, in questa direzione, í casi presentati e discussi da FUNGHI, Tipologie, cit., pp. 7-8, n. 16, soprattutto perché dal confronto degli esempi portati si può
osservare come sia diffuso, in un tipo di documentazione per molti versi estremamente eterogenea, un tipo di elaborazione e riscrittura continua di testi sulla base di temi — e giri di concetti e parole — spesso molto diffusi e comuni. La diffusione di tematiche, patterns formali e tratti espressivi simili ma mai identici costituisce un elemento caratteristico ed identificativo di questa tradizione in un modo che, dalla documentazione antica a quella medievale, deve sempre servire da confronto e modello. 31 Cfr. ancora FUNGHI, Tipologie, cit., p. 16 a proposito proprio di PBerol 21166 recto.
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APPENDICE
UNO GNOMOLOGIO INEDITO (brani di «Comp.» I, «Menandri Sententiae» e altro materiale gnomico) Un contributo molto interessante al quadro della tradizione testuale della Comparatio ed in generale alla comprensione delle modalità di formazione e trasmissione degli gnomologi proviene dalla raccolta conservata ai ff. 143 r144v del manoscritto 3 del Collegio Greco d~~Roma,32 in cui, sotto un unico titolo e senza alcuna suddivisione interna (né alcun lemma d'autore o di argomento), si susseguono brani della Comp. I, estratti dalla classe II delle Menandri Sententiae33 (non sfuggirà la coincidenza importante per cui Comp. I e classe II hanno in K per ora rispettivamente l'unico – per Comp. – e il
32 Cartaceo, degli inizi del XIV sec. Una descrizione sommaria ma attendibile s ~~ può leggere in S. LAMBRIS, T~~ ~ ν Ρ~µη `Ελληνικ~ ν Γvµν ~ σιον κα ~~oi ~ ν τ ~ ρχεíω α~το~~ ~ λλi νικο' κ~ δικες, «Ν~ ος 'Eλληνο ν~ µων », X, 1913, pp. 3-32: 8-11 [rist. in C. SAMBERGER, Catalogi codicum Graecorum qui in minoribus bibliothecis Italicis asseruantur in duo volumina cullati et nouissimis additamentis aucti, II, Lipsiae, Zentral-Antiquariat der deutschen demokratischen Republik 1968, pp. 255-284: 260-2637: si tratta di una raccolta di materiale estremamente eterogeneo, con soprattutto testi devozionali, grammaticali ed epistolari scritti da una mano principale (ff. 1-198v: da qui fino alla fine del manoscritto, f. 227v, altre due mani successive) precisa e estremamente leggibile. 33 Pur accennando alla presenza di questa collezione, JAKEL, cit., p. IX, fornisce un elenco incompleto delle sentenze; e nemmeno nell'apparato dei monostici di classe II, registrati a p. IX, riporta sempre Coll fra í testimoni. L'appartenenza di questo estratto (che, per distinguerlo dall'altro, indico con Co112) alla classe II dei Monostici è indicata da una serie di fattori: per prima cosa sono tramandati solo da testimoni della classe II i Mon. 318, 350, 360, 680, 794 e 795; in secondo luogo, tutte le altre sentenze hanno fra í loro testimoni almeno un rappresentante di questa classe (solo K per il Mon. 550, KU per il Mon. 630): più in particolare K è sempre presente fra i testimoni di questi Monostici. Ulteriore conferma, poi, viene dall'analisi delle lezioni. Co112 s~~ isola rispetto ai testimoni di classe II solo nei seguenti tre casi: Mon. 318 [KPDiCo112]: ε~ σκ~ πως Co112 : ε~ κ~ πως cett.; Mon. 358 [ΑΒ KPDiCo112 v γ Γ]: ~ σο Co112 : i σo~ς ( sic) P : ~ Σ θ~~ cett.; Mon. 546 [x KPDiVUCo112 v γ Γ]: νovv ~~λ~ γος Co112 : νονν λ~γος cett. Mostra í seguenti accordi significativi con classe II contro il resto de ll a tradizione: Mon. 358 ü περβ~λλης Co112 P : vπερβ~λλεις Di : ~περβ~λης K : ερ~ χης v : ~περ~ χεις A : πρσ~χης B Γ 1 TYXn Co112 KPDi: πλσ~Τ~~A : τ πλο~τω u : τ~~β í γ : βι ov B : βíω cett. Mon. 395 [A KPDíColl2 γ]: καιρ ~ν µεταβολ ~ ν π~ντοτε δε~~σκoπε~ Ν Co112 KPDi : κακο~~µεταβολ ~ ν ~ νδρ ~ ς oY δYî σε σκοπεîν A : κακον µεταβολ ~ ν ~νδρ ~ ς χρ~~σιωΠ~ν γ : καΚoû µεταβολ ~ ν ~νδρ ~ ς o1)
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principale — per classe II — testimone delle rispettive tradizioni), frammenti di varia origine e forma gnomica (Detti dei Sette Sapienti, apoftegmi e detti vari), ancora estratti della Comparatio I, 34 e, a chiusura della raccolta (ma,
δε~~προσδοκ~ν Jäkel (Thierfelder). Mon. 690 [Β KPDiVCo1L1 γ Γ]: καιρ~ν τ~ν óλo\7 ~ΝαΤρ~πει 13ío1/ Colle KPVDi : τ~ν $λον] ρη8~ν BA (Jäkel) : καιρ~ν ~νατρ~πει 13ιον Υ. Mon. 747 [BR KUColl2 γ Γ]: τ~ν α~τ~ν επαινεîν (αινε~ν URA [Jäkel]) κα~~ψ~γειν ~ν800; κακο~~Colle K : τ~ν (in&& ~πa~Νε ν καì ν~γειν ovκ ~νδρ~ς σoφo~~W : τ~ν °inδΡ& ~παινεîν καì ψ~γειν ο' κ χρηστο~~ΠΡò ~νδρ~ς λ. Quest'ultimo esempio pu~~servire per introdurre un aspetto particolare riguardo alla posizione dí Colle all'interno della tradizione dei Monostici, e a cui abbiamo già accennato a proposito del contenuto, e cioè il particolare legame che sembra mostrare con K. In particolare, Mon. 212 lx KPDíVUColl2 F], ~ σ8λι y~ ρ ~νδρì ~σθλ~~κα~~διδoî Θε~ς: il primo y~ρ (omesso in V) è sostituito con LLτ, Estraδ~~solo da K e Co112, cui si unisce P nell'omissione del κα~~ (dr. M.C. Μµ ΤΙΝΣ zione e rielaborazione dei Monostici. Problemi di testo e metrica, in Aspetti, cit. (supra, n. 29), p. 33, n. 47, anche per altri dettagli sulla trasmissione di questo verso). Mon. 391 (Β KPDíCo112 Γ): κρîναt K Coll : κρ~νε ceti. (nonostante lo scambio cu/ε sia naturalmente possibile in modi e contesti p'lurími, tanto che si legge anche nella collezione dí classe ν, om. Β) βλ~πτωΝ (µε λυπ ~ν corr. JäMon. 458). Mon. 805 [Β KPVColl2 Γ], φ~λος µε (µε kel) ο~δ~ν ~χΘροi διαφ~ρει: o~δ~ν] ο~κ K Colle. Tutti questi confronti si basano su di unα nuova analisi completa della tradizione manoscritta de lle Menandri Sententiae che sto conducendo da tempo in previsione di unα nuova edizione cri tica; risultano quindi molte differenze con l'apparato di Jäkel, sia nella registrazione de lle varianti che in quella dei manoscritti. Mí sono limitato solo a conservare la sigla x per indicare il complesso dei testimoni della classe I anche laddove ad uguale sigla non corrisponde esattamente ugual numero di testimoni di quella classe per non appesantire ulteriormente dí dati non stret-
tamente utili questa nota. i4 Questo il dettaglio completo dei rapporti di Coll con gli altri testimoni a noi noti di Comp. I (sono preceduti dall'asterisco í punti in cui Coll anche solo in parte è isolato ~~ rispetto al resto della tradizione): *I 47: con K nell'ordo verborum τ~~κρuπτ~~φ~λον µ ~~εκφ~νης φιλoυ sulla ~ κφ~νης: pero φ~λου Coll : 01 λ K. Da parte sua Jäkel stampa µ base del confronto con Men. Mon. 567 (nella cui tradizione, pero, esistono anche altre versioni; µ ~~εκφ~νΙς φ~λων U Ar.I 234 1 µ ~~φ~νης φ~λωι KPDi : ~~φ. φιλoυ V [Anton.]
~~~κφ~νης 011014 A). I 126: Mel. I 25 (PG 136, 853c) 1 ~ρy~~(sic) κρ~τεt τ~~κρuπτ~~ µ
Coll ha, con K, ~στι e ~~βλ~πων π~ντα contro Jäkel, che stampa δς τ~~π~νθ' 444' (ex Mon. 225). I 128: Coll ha πoλλοiς γ~νεται con K (πολλ~ν ~ στιν Jäkel ex Mon. 305, dove pero parte della tradizione ha πoλλoις éστìν). *I 129: solo Coll inserisce Tolvuv (κρε~τTol TOlVuV σιωπ~ν κτλ.). I 176: δρc Coll K : σκ~ πει Jiikel (ex Meyer). I 178 πoι~σει 'Wino e πρ~ς φ~λον Coll K : mmi n&& ποι~ σει e πρ~ς φ~λοΙ Jäkel (ex Meyer). I 10: ' δλως (scritto µηδ ~ λω4) Coll K (Jäkel) γενν~σθαι Coll con í mss. : γεν~σθαι Jäkel 1 µηδ : το~~βροτοYς L. *I 23: Coll omette τ~ ς. *I 36: Coll aggiunge l'articolo e scrive ~~Θε~ς. aσι, e non offre appoggio all'integrazione I 66: Coll omette ~ λος di K, ha (con K) χρ~µ di Thierfelder accolta a testo da Jäkel *I 70: το~~uhu Coll : της ειιαρµ ~ νης K. *I 101: ~Ποιησε Coll K : µετεΤο í ησεν Jäkel (ex Meyer), coli. Comp. 11 129: (solo di Coll l'erroneo πλεoνεξι aς). *1102: δο~λους δotλευσον Coll : δο~λε δο~λενσον K: δotλευε δo~λε Jäkel ex Meyer coll. Comp. I 267. *I 105: π~ντως o1S Coll : π~ντως ~v K (παντ~ς ο prop. Meyer) : πâσιν ~ν Jäkel (Thierfelder). *I 107: τ~χης per *ícotς Coll (ma esistono esempi di scambi η/οι da parte dí questo scriba: es. διδοî è scritto διδ~~in Mon. 212) e scriptio plena per µηδ ~ ποτε. *1109: αργ~ας per 447 001; Coll.
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LA «COMPARATIO MENANDRI ET PHILISTIONIS»
ancora, senza indicatori particolari) un α collezione completa de ll a classe ν dell e Menandri Sententiae. 35 L'interesse non risiede soltanto nel semplice dato dell'aggiunta di un ul-
i5 Sulle osservazioni che sí possono fare riguardo all a stesura ed al rapporto reciproco fra queste due redazioni (generalmente del tutto indipendenti) nel manoscritto di Roma, si veda C. PERNXGOTTX, La tradizione manoscritta delle «Menandri Sententiae» : linee generali, in Aspetti, cit. (supra, n. 29), pp. 127-128: particolarmente interessante, an che per poter meglio delineare il livello del redattore di questa raccolta, l'attenzione, che emergeva chiara, ad evitare la ripetizione di singole sentenze, comuni a lle due redazioni così come compaiono nel manoscritto. Ma, omissioni a parte, l'appartenenza de lla collezione che inizia con il Mon. 94 all a classe v è resa sicura dal numero, la disposizione ed il testo dei Monostici che rimangono. Per quanto riguarda la collocazione di Coll all'interno della sua lasse, non sono pochi gli accordi o le lezioni singolari che contraddistinguono questo testimone, an che limitandosi ad un α selezione. Ricorro qui ancora a mie collazioni dirette, ed in alcuni casi adotto sigle nuove, relative a manoscritti di classe ν non noti a Jäkel (e da me già segnalati in C. PERNIGOTTI, Appunti per una nuova edizione dei Monostici di Menandro, in Papiri Filosofici. Miscellanea di Studi I, Firenze, Olschkí 1997 («STCPF», 8), p. 79, n. 19: Cs = Par. Coisl. 236, sec. X; Rs = Vat. Ross. gr. 986, sec. XV; Ps = Par. Suppl. gr. 1254, sec. XVI). Mon. 94 (esclusivo di classe u): λ~γε Coll Vat 1276 : λ~λει cett. Mon. 148: Coll è l'unico testimone de lla sua classe ad avere ~~κ~ σµος.Mon. 225 (ζ W v Γ): tutta la tradizione dei Monostici ha g στι iniziale, come dei resto Comp. I 126 che compare nella prima parte di questa raccolta (vedi n. 34). Mon. 267 (v): ~ν ä47'000q) lezione condivisa con i mss. Ps Vat 1276 Vat 742 Coll contro ~ν ~ργυρgι del resto de ll a tradizione. Mon. 285 (v): τρ~πον Coll : χρ~νον ceti. Mon. 284 (ν): προσδoκ~ντες per πρΟσδoΚΟ~ΝΤες an che in Ps (προδoκ~ντες Vat 1276). Mon. 323: si segnala l'omissione del primo και esclusiva di Coll in tutta la complessa tradizione dí questo Monostico. Mon. 373: si pu~~segnalare che la versione di Coll è quella, ignorata da Jäkel, di tutta classe ν. Mon. 358: è uno dei due Monostici che tornano nelle due collezioni di Monostici; entrambe rispecchiano il testo de ll a rispettiva classe di appartenenza (con un minimo scarto di significato che, in un certo senso, le rende diverse e `giustifica' il mancato taglio). Mon. 385: secondo caso di `doppione', in cui Coll presenta la lezione singolare πειρασµ ~ ς per καιρ~ ς (in classe u parte de lla tradizione ha χρυσ~ ς). Mon. 458: un analogo scambio κρ νε/κρ~ναt (presente an che in Vat 1276) lo avevamo già segnalato riguardo al Mon. 391 dí Colle (vedi n. 33). Mon. 512: σεaυτ~ν Coll : σαυτ~ν cett. Mon. 467 (ΑΒ v Γ): ~ε~γε Coll A : φενγ' cett. Mon. 521: Coll ha il testo di tutta classe u, del tutto ignorato da Jä kel. Mon. 541 (solo di u): ~χεις Coll : €χnς cett. Mon. 542 ( χ ζ ν Γ): παρεΚδρ ~ µηςColl Cs Vat 742 R KPVDi : παραδρ~Μοις F : πaρaδρ~Μνς cett. La vari an te di Coll (esdusiva in lasse II), come si vede, è diffusa nelle varie classi, mentre παραδρ ~µης trova testimoni soprattutto in cl. I e Γ, ma an che nei restanti testimoni di classe u. Mon. 544 ~tαρκ~ν Coll Vat 1276 : ~πaρκ~ν cett. Mon. 675: Coll ha l'assetto testuale di tutta classe u (Taur escluso; U, unico altro testimone de lla sentenza, ha πε~ρ~~Ιiλ~ βην µ ~ λιστα [in ras. pro µ âλλoν] ~~δικας ~χειν; il testo di Jäkel è frutto di una correzione). Mon. 701: Coll ha la versione di classe u, ignorata da Jäkel. Mon. 762: Π~σιν (sic) Coll : πâσιν ~στι cett. (in ν). Mon. 819 (v): τ 6ν8ρ ~π Coll : τ~ν νο~ν Taur : ~~ ~~ cett. Mon. 820 (u): gunn Coll S Rs : ~ στιν cett. Mon. 839 (u): et; φ ~ς &yet di Coll è vicino a Π. ι~ν εις φ~ς ~γει di Vat 1276; ε~ς φ~ς περιφ~ρει Ps : πρ~ ς φ~ς ärm cett. Mon. 840 (χ ε v Γ): molto complessa la tradizione di questo verso (e molto semplificata nell'apparato dí Jäkel); all'interno di classe ν, si formano due schieramenti, φ~ρµ a κ~ν ~στι λ~γος Coll Cs Ps Vat 1276 Vat 742 : ~στι φ~ρµ a κον λ~γος S Rs. Mon. 876 (solo dí ν): Coll : ~v cett. Mon. 871 (v Γ): αυτ~ ν µ ~ θοι Coll Vat 1276 : αυτ~ν o~~µ ~θοι Cs : αυτ~ν µ ~~ µ ~ θη cett.
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tenore testimone di Comp. I, quanto nella particolarissima fisionomia di questa raccolta, che si riproduce qui di seguito per sottolinearne l'aspetto più rilevante, e cioè quello struttúrale. 36 f. 143r, r. 8 'Εκ τ~ν ~ ξω σοφ~ν αντιρρητικ ~~Μεν~νδρου κα~~Φιλιστ~ ωνος37 c~νθρωπον ντα · π~ντα προσδοκ âν σε δε~~: ~~δ ' ~ κκακ~ σας ~λεσε τας ~ λπ~ δας (Comp. I 41 [= 252]-42) : οργ~ ς χ~ ριν τ~~κρνπτ~~φ~ λου µ ~~ ~ κφ~νης : ~λπιζε yUp α~τ~ Ν π~ λιν γεν~ σθαι φ~λον (Comp. I 47-48) : ~ στι δ~κης οφθαλµ ~ ς ~~βλ~πων π~ντα (= Mon. 225) : κα~~πρ~ ς ~~ποιε~~τις, ο~τως
(µ ~ θοι Brit. Mus. Add. 16409 di Γ). Infine, per una collocazione ρ~~ι perspicua de ll e omissioni, si noti che Mon. 431 manca fra Mon. 429 e 456; Mon. 546 è saltato fra 559 e 575; Mon. 564 dovrebbe stare fra 575 e 625; i due Mon. 630 e 638 fra 626 e 653 (ne consegue una sezione d i Monostici in π composta da due sole sentenze in una successione 653675 oltretutto inversa rispetto a quella normale); il Mon. 710 salta fra 711 e 705; Mon. 781 doveva essere fra 755 e 777; infine, Mon. 841 denuncia una lacuna fra 844 e 872. 36 La trascrizione è stata effettuata sciogliendo le abbreviazioni, correggendo ex silentio tutti gli errori e le abitudini scrittorie piii banali (iotacismi, accenti, dieresi su iuta e hypsilon, omissioni quasi costanti dello iota mutum) e segnalando solo le particolarità testuali a mio giudizio piti significative. La suddivisione delle sentenze rispetta l'originale anche laddove è difficile capirne il senso, e così la punteggiatura, anche se con qualche isolata eccezione d i scarso rilievo. S i noterà la presenza di tre segni: una sorta di dicolon, che serve a dividere le sentenze ma anche a scandirle al loro interno (con funzioni di punteggiatura), un segno :- che sembra indicare una divisione p ~ù forte ma che, a parte un caso (prima d i Mon. 175, primo Monostico dopo la prima sezione d i Comp. I), non sembra indicare particolari stacchi o punti d'interesse all'interno della raccolta e, una volta soltanto, una croce con dei tratti obliqui nei quattro angoli (piiti o meno simile ad un asterisco, dopo Mon. 348), di cui ancora non è possibile stabilire il significato. Per quanto riguarda le fonti dei singoli passi, laddove s i siano trovati paralleli, s i è curato di segnalarli, priv ilegiando le edizioni d i florilegi o di frammenti che permettessero d i ricostruire la tradizione e l'assetto testuale di ciascun testo. S i è fatto ricorso alle seguenti abbreviazioni: ~ θηµα,«WS», XI, 1989, pp. AnM = Η. SCHENKL, Das Florilegium '~ριστον κα ~~πρ~τον µ 1-42; Georgid. = ODORICO, Il prato e l'ape, cit.; Gnom. Bas. = Gnomica Basileensia, ed. by J.F. KINDSTRAND, Uppsala, Almgvist & Wiksell 1991 («Acta Universitatis Upsaliensis. Studia Byzantina Upsaliensis», 2); Gnom. Byz. = Gnomologium Byzantinum εκ τ~v ∆ηµ oκριτον ~σοκρ~ τονς É,rικτ~τoν e variis codicum exemplis restitutum, ed. C. WAcHsiuTH, in Studien zu den Griechischen Florilegien, Berlin, Weidmann 1881, pp. 167-216; Gnom. Vat. = Gnomologium Vaticanum e codice vaticano graeco 743 edidit L. Sternbach, hrsg. von O. GIGON, F. ΗΕΙΝΙΜANI, O. Lυscηνλτ, Berlin, De Gruyter 1963 («Texte und Kommentare», 2); [Max.] = S. lui, Ps.-Maximus Confessor. Erste kritische Edition einer Redaktion des sacro-profanen Florilegiums Loci communes, Stuttgart, Steiner 2001 («Pal mngenesia», 73); per i Detti dei Sette Sapienti, s i ricorre a lle sigle utilizzate da TzτΑτzτ-
PAPAGIANNI, Die Sρri~che,
cit.
Il titolo è scritto in rosso a pieno rigo ma senza accorgimenti particolari, come cambi di modulo o spaziature diverse, secondo una pratica adottata in tutto il manoscritto (e soprattutto in questa sezione) per la maggior parte dei testi. 37
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και κοµ ~ ζεται (Comp. I 126-127) : ~~γλ~σσα πολλο~ ς γ~νεται αιτ~ α κακ~ν κρε~ ττον το~ννν σιωπâν ~~λαλε~ν ~~ µ ~~Θ~ µις(Comp. I 128-129; 1128 = Mon. 305) : ~ ταν φ~λος σον κατ~~φ~ λου µ ~ λλη λ~γειν, µ ~~τι'? λ~γω π~ στε~ε, αλλ' αντον ~ ρα : ~~yUp προχε~ ρως πρ ~ ς σ~~διαβ~λλων φ ~λον, ποι~ σει το~το και κατ~~σον πρ ~ ς φ~λου (Comp. I 175-178) :- δε~~τους φ~ λους την π~ στιν ον λ~ γοι; ~ χει» (Mon. 175) : ~ σθλ~~δ~~~νδρ'ι ~ σθλ~~διδο~~Θε~ ς (Mon. 212) : ~~γλ~σσα πολλους ει ~ λεθρον ~ βαλεν (Mon. 289) : ~~γλ~ σσ~~σον χα λιν~ ν ~χ~ τω ~~ενσκ~πως λ~λει (Mon. 318) : Θνητ~ ς γεγον~ ς ~ νθρωπος · µ ~~ φρ ~νει µ ~ γα (Mon. 350) : ï σος ~ σο πασι, κ ~ν υπερβ~λλη; τ~χη (Μοη. 358) : '~ σχυε µ ~ ν• µ ~~χρ ~~δ~~σνντ~ νω; τι!) σ Θρ ~ σει (Mon. 360) : κρ ~νει φ~ λους ~~καιρ ~ · ~ς χρυσ~ν τ~~π~ ρ (Mon. 385) : κρ~ναι τ~~δ~ καιοι · και µ ~~τ~~συµ φ~ ρον Θ~λε (Mon. 391) : κακ ~ ν φ~ ρονσι καρπ ~ ν οι κακο' φ~ λοι (Mon. 412) : καιρ ~ν µεταβολ ~ ν π~ντοτε δε~~σκοπε~ν (Mon. 395) : λ~ αν φιλ~ν σεαντ~Ν ουχ ~ξεις φ~ λους (Mon. 431) : ξ~νοι αδικ~ σεις µηδ ~ ποτε καιρ ~ν λαβ~ν (Mon. 550) : ξ~ φος τιτρ ~σκει σ~µα, τον ~δ~νονν ~~λ~ γος (Mon. 546) : οïι δε~ ς µετ ' ~ ργ~ ς ασφαλ~ς βονλενεται (Mon. 564) :f. 143 ν πολλ~ν ~~καιρ ~ ς γ~νεται διδ ~ σκαλος (Mon. 630; ' Comp. Ιl 1) : πλο~ σιος ~π~ ρχων, µ ~~φρ ~ νει υπ~ ρ µ ~ τρον (Mon. 680) :ρ~ µα παρα καιρ ~ ν τον ~ λον ανατρ ~πει β~ ον (Mon. 690) : τ~ν α~τ~ ν ~παινε~ ν και ψ~γειν ανδρ ~ ς κακο~~(Mon. 747) : ~περηφαν~ α µ ~γιστου ~νθρ ~ποι; κακ~ ν (Mon. 794) : ~ βρις κακ ~ ν µ ~ γιστον ~νθρ ~ποι; YOu (Mon. 795) :υπ~ ρ ενσεβε~ ας και λ~ λει και µ ~ νθανε (Mon. 781) : φ~λοι δι ' ~ ργ~ν ~ν κακο~ ς µ ~~προδ~û ς (Mon. 800) : φ~λος µε βλ ~ πτων ουκ ~χθρο ~~διαφ~ ρει (Mon. 805) : ψευδ~ µενος ον δεις λανθ~νει πολ~ν χρ ~νον (Mon. 841) : ψευδ~ς διαβολ~~τ~ ν β~ον λν µα ~ νεται (Mon. 845) : µ ~ νοις (Rec. Par. 1 Cleob. ~~ ~πιγελâ το~ ; κωπτοµ 19) : µ ~~υπερ~ φανος γ~νου ε~πορ~ σας (Rec. Par. 1 Cleob. 20) : κακο~ς ~ µι λε~ν µ ~~χρ ~~(Rec. Par. 1 Sol. 12) : ~~ ~~ ν µ ~~'Ιδη, µ ~~λ~ λει• ιδ ~ν δ~~σ~γα (Rec. Par. 1 Sol. 14) : π~νων µ ~~πολλ~~λ~λειΡ• διαµαρτ ~ σεις γ~ ρ (Rec. Par. Chil. 1 38) : µ ~~απε~ λει το~; ~ λενθ~ ροις ον γ~ ρ δ~ καιου (Rec. Par. 1 Chil. 2) : µ ~~κακολ~γει τ~ ν πλησ~ον : ει δ~~ µ ~~ακο~σεις, ~ φ' οτς λνπηθ~ ση (Rec. Par. 1 Chil. 3 39) : 'Αντισθ~νης ~παιιο~µενος υπ ~~πονηρ ~ν ανθρ ~πων, ~γωνι~~φη : µ ~~τι κακ~ν ε~ ργαστα ~~ µοι,~τι τοιοντοι; ~ ρ~ σκω ( Gnom. Vat. 940) : ψ~ θνρον και δ ~γλωσσον καταρ ~ σασθαι : πολλο ~ς γαρ ε~ ρηνενοντας
38 Per la lezione δια αρτ~σεις cfr. TZIATZI-PAPAGIANNI, Die Sprüche, cit., p. 96 (accordo in errore con A [= Athen. Bibl. Nat. 1070] y). 39 Sia ακο~σεις che λνπηθ~ ση parlano ancora per un accordo con A, vd. TziATzi -PA PAGIANNI, Die Sprüche, cit., p. 95 e apparato ad loc. 4° µοχθηρ ~ν Gnom. Vat. : πονηρ ~ν Diοg. Laert. VI 5 : πονηρ ~ν ανθρ~πων Coll [Anton.] Mel., PG 136, II 32, 172c, p. 1084. Cfr. A. BERTIVI- MALGARNI, 'ρχα~ων φιλοσ~φων
yν~µαι κα ~~ ~Ποψθ~υµαταin un manoscritto di Patmos, «Elenchos», V, 1984, pp. 153-200: nr. 42. Il detto è attribuito ad Antistene anche nello Gnom. Vat.: il nome compare al nr. 1 ed è sostituito quindi dalla forma con ~~αiιτ~ς iniziale (Antisth. fr . V A 88 Giannantoni).
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~π~λεσαν ( Georg. G 1151 Μ 39041 ) : Θεοδ~ κτης ~~φιλ~ σοφος (Θε ~ τεκνον τ~ν φιλ~ σοφον ms.)• προδ~ τον τιν~ ς : κακ ~ς αυτ~ν (αντον ms.)• λ~γοντος ε~πε : χα~ ρω εχθρ~ ς σον γεν ~ µενος• σν ~γρ ον το~ ς ~χθρονς• ~ λλ~~το~ ς φ~λο~ς κακ~ς ποιε~ ς ([Max.] 10.28./31. 42) : φα~λου ανδρ ~ ς• ~σπερ κακο~~ κνν~ ς µ â λλον δε~~τ~ν σιγ~ν ~~τ~ν φων~ν ενλαβε~ σθαι ([Max.] 20.31./40. 43 ) : κακοι κολακεν~µενοι, κακ ~ τεροι γ~νονται (Antisth. fr . 83 Decleva Caizzi 44) ταντ~~~ στι µαινοµ ~νω µ ~ χαιραν δο~ναι, και πονηρψ ~ξονσ~ αν ( – [Max.] ~ ν τ~~ενθυµ ~ µατα•~ τερα δ~~τ~~ρ ~ µατα, 9.77./80. 45 ) : τον φανλον• ~τερα µ ~ λλαι δ~~αι πρ ~ ξεις : δι~ φορα δ ~~και µαχ ~ µενα παντ ~ πασιν ([Max.] 1.29./26. 46) : τ~~λ~γειν ~νευ τον πρ ~ττειν, ουδ~ν ~ στιν : ~σπερ τ~ν κ~ ραµον~ χ~ σαντα γιν~σκοµεν ει~ στιν υγι~ ς, ο~τω κα~~το~ς ανθρ ~πους ~ κ τον λαλε~ν ( – [Max.] 15.59./71. 47) : γλ~σση πολυλ~λω• α~φν~ f. 144r - διος επ~ ρχεται κ~νδ~νος : ει δι ~~τ~~συνεχ~ ς και πολλ~~λαλε~ν ~νοµ ~ζοντο ο~~φρ ~ νιµοι : αι χελιδ ~ νες ~ λ~γοντο ~µ ~ν φρονιµ ~ τεραι ( – Nicostr. fr. 28 K.-Α.48) : ~ν µ ~ ν τοις κατ~πτροις, ~~τ~ ς ~ ψεως : ~ ν δ~~τα~ ς ~ µιλ ~ αις
41 Si tratta di una rielaborazone di VT Sirac. 28, 13, 1, per cui si veda anche Jo. Dam., Sacra Parallela, PG 96, 727Β, p. 436 (soprattutto), e PG 95, 440C, p. 1385. 42 Gnom. Vat. 354; Gnom. Bas. 236. In Gnom. Vat. c' è la stessa attribuzione, con incipit ~~αυτ~ ς (il nome si trova al nr. 353, di cui si veda la nota anche per la forma in cui il nome compare nel manoscritto vaticano), mentre in [Max.] e negli Gnomica Basileen sia il detto è attribuito a Diogene (= Diog. fr. V B 428 Giannantoni). 43 Numerose altre le versioni di questo detto (che [Max.] attribuisce a Socrate): si veda almeno Gnom. Byz. 171; AHI 144 e M.D. SEARBY, Aristotle in the Greek Gnomo -
logical Tradition, Uppsala, University Library 1998 («Acta Universitatis Upsaliensis. Studia Graeca Upsaliensia», 19), p. 125 (116, II). 44 Assente nell 'edizione di Giannantoni, proviene da [Anton.] Mel., PG 136, II 32, 172C, p. 1084, in cui segue immediatamente il detto Gnom. Vat. 9 (νd. n. 40). 45 ~ πισφαλ~ ς µαινοµ ~ χαιραν κα~~µοχθηρι ~δναµιν:Stob. III 2, 39 e IV ~νω δo~νaι µ 1, 70; Gnom. Bas. 444; CPG II, 559 (= Apost. XII 70b); Antisth. fr . V A 76 Giannantoni: ~ µ oιως ~π. add. Gnom. Bas. µοχ8ηρ ] πσΝΗΡ(A Mac. (Stob.) Apost. Si tratta della rielaborazione di un passo del Protrettico di Giamblico (I, p. 9, 8 Pistelli = II 17-18 Des Places: και ~ πισφαλ ~ ς Κα~~ δµοι oν µαινοµ ~νω δο~ναι µ ~ χαιραν κα' µ oχθτιοω δνναµιν:le due citazioni dello Stobeo sono tratte da quest ' opera) alla cui base sta probabilmente il proverbio citato a sua volta da Aristotele nel suo Protrettico (fr. 4 Diiring): τ~~γà ρ " 01 παιδ~~ µ ~ χαιραν " Τσ~Τ' ~ στι τ~~ µ ~~τοις φα~λσις τ~ν ~ξονσιαν ~γχειριςε~ν: vedi anche Pixy LIII 3699, fr. (d), col. I 6-7: ~σπερ πα[ιδι] µ ~ [χ]áιρα. La versione dello gnomoligio, tuttavia, non sembra avere paralleli. α6 Lemma Φ~λωνος: il testo di MaxU, stampato dalla Ihm, ha ~ νθ~µιαper 6/0v40µατ a (riportato però dal manoscritto H) e π~ντα και µαχ ~ µεναper και µαχ ~ µενα ΠαΝτ~πασιν. 4' ' Ρωµνλον. Ο ~τος τ~ ν µ ~ ν κ~ ραµον~ κ το~~κ~ µπου~φη δοκιµ ~ ζεσθαι, τ~ν δ~~ ~νθρωxον ~κ το~~λ~γον. 48 εï τ~~συνεχ~ς καιΩ πολλα Κα~~ταχ~ ως λαλddν / v το~~φρoνειν παρ ~ σηΜον αι χελιδ ~ νες / ~ λ~γσντ' ä ν ~ µ ~ν σωφρων~ στερα~~πολ~~(Stob. III 36, 8; e [Max.] 40.28./36.,
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~~τ~ ς ψυχ~ ς γνωρ ~ ζεται χαρακτ~ ρ ([Max.] 15.38./50. 49) : ~ ταν Ιδης πονηρ ~ν εις ~~ψος φερ~ µενον, το ~ τον ταχ~ στην την πτ~σιν ε~ θ~ ς προσδ~ κα (Meyer, Athenische, cit., p. 292 nr. V [Tur. Parall. f. 193 α] 50) : φιλ~ σοφος ~ ρωτηθε~ ς ~ ντι µ ~ν π~ τε µ ~ λλον ~γωνιι , ε~πεν : ~ ταν πρ ~ ς ~ττονα αγων~ ζοµαι : ληφθ γ~ ρ, µ ~ γα ~ νειδος παρακολονθε~~: νικ~ σαντι (νικ~ σαντα ms.) 88, ο~κ Ισος ~~ ~ παιΝΟς (ΑΠΜ 13551 ) : Πλ~των ~~φιλ~ σοφος ~ φη : τους ενειδε~ ς και ~ παιδε~ τονς, ~ λσ ~ συ ~ Ψησεν ειναι ~ λαβ~ στροις ~χο ~ σαις δξος ([Max.] ~ ς µη γεν 37.20./44.20. 52) : ~ ρcχς ~π~~ γ~ ς ~νθρωπου τεθνηκ~ τα, ~λεινον ηµ ν~ σθαι µηδ ' ~ λως (Comp. I 9-10) : ο~ δ~ν π~ φνκε κρε~ττον ευκαιρ ~ ας : καιρο~~γ~ ρ ~ σχ~ οντος ο ~ δ~~εις κριτ~ ς (Comp. I 23-24) : κακο ~~ γ~ ρ ευτνχονντες• ~ κπλ~ττουσ~~ µε αδ ~ κως : πονηρο~ ς πλο~του δωρε~ται ~~Θε~ ς (Comp. I 35-36) : ~ς θνητ~ ς ~ν ~νθρωπος• και λιπ~ν φ~ ος : χαλ~ναγωγε~ν δε~~τ~ν τ Θ~νατον ~ ξωνο ~ µεθα, τεταγµ ~ νον χρ ~ νον (Comp. I 37-38) : ει χρ~ µασι ~ν ~ ς ~ αντ~ν µακ ~τ~ν πλο~σ~ ων ~~κ~ σµος~ τ~γχανεν (Comp. 165-66) : µηδε ~ ου (Comp. I 69-70) : τ~~ τ Θαριον νοµιζ ~ τω• πριν ~~ µ ~ θη τ~~τ~ ρµα τον β ' ηδον~ς ~φ~ κε κο~κ ~ χρ~ σατο (Comp. ν~ ντι δ~ρα λαµπρ ~~προσφ~ ρεις : ~~µεθ I 73-74 = ΙΙΙ 17 -18) δο~ λους ποιονσι π ~ντας τους ~ λενθ~ ρονς : γ~µοι τεκν~σεις, ~ δονα~~ φ~ βοι ν~ µοι(Comp. 198-99) : ~λενθ~ ρους ~παντας η φ~ σις ποιε~ • δο~λους δ~~ ~πο~ησε πλεονεξ~ ας (Comp. I 100-101 = ΙΙ 128 ~ ας : β~ ρος γ~ ρ ~ ξεις ~κ κε129) :- ∆ο~λους δονλενσον• µ~ λλον ~ κ προθυµ λε~ σεως (Comp. 1102-103 = I 267-268) : ~~φιλ~ σοφον δει τ~ν π~νητα τνγ χ~ νειν, ~~δο~ λον ειναι π ~ντως ον χρε~ αν ~ χει (Comp. I 104-105) : ~ κ ~ ποτε : οιδε γ ~ ρ σον τ~~ψε~ δουλε~ ας δεσπ~την ει τ~χης ~ ωΝ, ψε~ ση µηδ σµατα(Comp. I 106-107) :-
J.FR.
BOISSONADE, Anecdota Graeca e codicibus regiis, I, Paris, in Regio Typographeo 1829 [rist. an. H il desheim, Olms 1962], p. 114). 4 9 Gnom. Bas. 260; Georg. G 369; CPG II, 400 (= Apost. VII 16í), tutti con ~ σ~ ΠΤρoις per κατ~ πτρ oις, mentre la parte finale della sentenza conosce varie versioni, anche se quella di questo gnomologio non sembra avere paralleli e prevale la chiusa con χαρακτ~ ρ βλ~ πεται. Il detto è normalmente attribuito a Democrito (= 68, fr. B 302.181 D.-K.). so Questo punto dell'articolo del Meyer consente di scorrere tutte le versioni di questi versi, rielaborati anche in Comp. I 294-296. La versione che si legge in [Max.] 34.33./28. attribuita a Filistione. 51 Che ha µ ~λιστα per µ ~λλo«, ~Πaκoλoυθε~~per παρακολονθεî, e che omette ~~prima di ~Πα~νoς. 52 Gnom. Vat. 336. ~ χo~ σaις Co11 Vat. 633 : ~ χουσιν cett. In [Max.] il detto è attribuito a Senofonte, mentre dallo Gnom. Vat., ed in particolare dal ms. Vat. 633 proviene anche l'unica altra attribuzione a Platone di questo detto (nei restanti testimoni di Gnom. Vat. si trova — con incipit ~~α~τ~ ς — all'interno di una serie di detti di Teofrasto, vd. nr. 322, mentre nelle altre varie fonti compaiono anche attribuzioni a Diogene e Democrito): Co11 non ha del medesimo manoscritto la lezione erronea ~λ~ βa στρoν (vd. app. Sternbach ad loc.). Da notare infine come l'inserzione de ll a tessera Πλ~ των ~~φιλ~ σοφος Φη sia stata fatta senza intervenire nel testo del detto e provocando quindi un errore che in Gnom. Vat. e nelle altre fonti note non pare presente. Diog. fr. V B 378 Giannantoni; Democr. 68, fr. B 302 D.-K., p. 222 comm. ad 4.
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f. 144ν δο~λω γενοµ ~ νω δο~λε, δονλενειν φοβον : ~µνηµονε ~~γαρ ταû ρος αρ γ~ ας ζυγο~~ (Comp. I 108-109 = ΙΙ 115-116 [I 108, cf. Mon. 207]) : ~γαθ~~ προθ~ µως και λ ~ γε και µ ~ νθανε (Mon. 94) : ~κουε π~ντων ~ κλ~γον δ' ~~ συµφ ~ ρει (Mori. 95) : ανδρ ~ ς χαρακτ~ ρ ~κ λ~γον γνωρ ~ ζεται (Mon. 27) : ~ θ~νατον ~χθραν µ ~~φ~λαττε θνητ~ ς ~ν (Mon. 5) : βο~λου τ~~πρ ~τον εν σεβε~ν πρ ~ ς τον Θε~ ν (Mon. 133) : β~ βαιος i σθι και βεβα ~ οις χρ ~~φ~λοι; (Mon. 100) : βουλ~~πονηρ ~ • χρηστ~ν ουκ ~χει τ~ λος (Mon. 134) : β~ον καλ~ ν ζ~ ς ~ν γννα~ κα µ ~~ ~χης (Mon. 118) : γλ~ττης µ ~ λιστα πανταχο ~~ πειρ ~~κρατε~ ν (Mon. 136) : γονεις δ~~τ~µα και ~γροντας α~ σχννον (Mon. 162) : γ~λως τ~~σεµν ~~τον β~ ου τοις σ~φροσιν (Mon. 172) : γνναικι ~~κ~ σµος~~τρ ~πος ον τ~~χρυσ~ α (Mon. 148) : δ~ καιος i σθι και φιλοισι καì. ξ~ νοι; (Mon. 208) : δι~~πεν~ αν µηδεν ~ ς καταφρ ~νει (Mon. 209) : δι ~~τ~ ς γννα~κας π~ντα τ~~κακ~~γ~νεται (Mon. 203) : δειναι γ ~ρ αι γυνα~κες ενρ ~σκειν τ~χνας (Mon. 194) : ει θνητ~ ς ε1 β~ λτιστε θνητ~~και φρ ~νει (Mon. 246) : ~ στι δ~ κης οφθαλµ ~ ς 6ς τ~~π~νθ' ~ ρ ~~(Mon. 225) : ~ λεγχε σαντ~ ν δστις ετ πρ ~ττων κακ ~ς (Mon. 266) : ~ν ~ ργνρ~ φ µ ~ λιστα κρ ~νεται τρ ~πος (Mon. û κρατ~ ς (Mon. 269) : ζω~ ς πονηρ ~ ; 267) : ζ~ σεις βιΡον κ ~ λλιστον ~ν θνµο Θ~νατος αιρετ~τερος (Mon. 276) : ζ~ σαν µετρ ~ σας TUV βιον πρ~ ς τον τρ~ πον (Mon. 285) : ζ~µεν αλογ ~ στως µ ~~προσδοκ~ντες θανε~ν (Mon. 284) : ~~λ~γε τι σεµνο ~ • ει δ~~~λ~~σιγ~ν ~χε (Mori. 292) : ~ θος κακοû ργον µακρ ~ν ο~ κ~ ζει θεοû (Mon. 319) : ~~γλ~σσα πολλ~ν ~ στιν αιτ~ α κακ~ν (Mon. 305) : ~ θη τ~~π~ντων ~ν χρ ~ νω πειρ ~ ζεται (Mon. 320) : Θνµ ~ ν φυλ~ ττο~~τ~~φρονε~ν yUp ουκ ~ χει (Mon. 355) : Θηρ ~ν ~π~ντων ~γριωτ~ ρα γνν~~(Mon. 342) : θνµο û κρατ~ σαι και ~πιθυµ ~ ας καλ~ ν (Mon. 348) * Θ~ λασσα πû ρ και γνν~ , τρ~ τον κακ~ ν (Mon. 323) :' σος iσθι κρ ~νων και φ~λοισι και ξ~νοι; τ φ~λων τ~ ς συµφορ ~ ς (Mon. 370) :(Mon. 373) : ~ δ~ ας ν~ µιζε ~ν
f. 145r ' σος i* σθι π~ σι καν νπερ ~χης πλο~τψ (Mon. 358) : ' σον εστ~ν ει πυρ και γννα~ κας ~ µπεσε ~ν (Mon. 380) : καλ~ν φ~ ρονσι καρπ ~ν οι σεµνοι τρ ~ποι (Mon. 402) : καλ~ς π~νεσθαι κρε~ττον ~~πλοντε~ν κακ~ς (Mon. 421) : κρ ~νει φ~λους ~~πειρασµ ~ ς• ~ς χρνσ~ ν τ~~πυρ (Mon. 385) : κ~ λαζε κρ ~νων ~ λλ~~µ θυµο ~µενος(Mon. 429) : λ~πης ιατρ ~~εστιν ~~χρηστ~ ς φ~λος (Mon. 456) : λιµ ~ ν π~ φνκε πâ σι παιδε~ α βροτο~ ς (Mon. 436) : λ~οντι σνζ~ν ~~γνναικι συµβιονν(Mon. 453) : µ ~~κρ~ναι βλ~πων κ~λλος ~ λλ~~τον τρ ~πον ~ ποτε δονλον ~ δον~ ς σεαντ~ ν ποιει (Mon. 512) :- µ ~~φε~γε (Mon. 458) : µηδ ~τα~ ρον ~ν κακο~ σι κε~µενον(Mon. 467) : µ ~ µνησο πλουτ ~ ν τονς π~νητας ~φελε~ν (Mon. 478) : νους ~ στι π~ντων ~γεµ ~ ν τ~ν χρησ~µων (Mon. 540) : ν~ µοις~πεσθαι π ~ντα δε~~TUV σ~φρονα (Mon. 527) : ν~~ δ~~σιγ~ν ~~λα~ λλον πρ~πει (Mon. 521) : ν~ µιζε πλοντε λε~ν µ ~ν ~ν φ~ λους πολλο~ς ~χεις ~~παρεκδρ ~µης ιδ ~ ν (Mon. 542) : ξ~νοι; ~ξ(Mon. 541) : ξ~νο~ς π~νητας µ αρκ ~ν τ~ν i σων τε~ξη ποτ~~(Mon. 544) : ξ~νο~ς ν~ µιζε το ~ ς αρετ~ ς οντας ξ~νο~ς (Mon. 559) : ο κ ~ στιν ο~ δ~ν κτ~ µα κ ~ λλιον φ~ λο~~(Mon. 575) : ~~
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LA «COMPARATIO MENANDRI ET PHILISTIONIS»
β~ ος ~ δ~ λους τας µεταπτ ~ σεις ~χει (Mon. 625) :- ο~ δεì ς ποι~ν πονηρ ~~λαν θ~νει Θε ~ ν (Mon. 626) : πολνπραγµονε îν ~ λλ~τρια µ ~~βο ~ λου κακ ~~(Mon. â λλον η δ~ κην λ~γειν (Mon. 675) : ρ ~ ον σεαντ~ ν 653) : πειρ ~~βλαβηναι µ παντ~ ς ~ χρ~ στον τρ ~πον (Mon. 701) : ρ ~πος γνν~~π~ φνκεν ~ ργνρωµ ~ νος (Mon. 702) : ρυπαρ ~ ς ~π~ ρχων χρηστ~ ν οχ ~ξεις φ~λου (Mon. 703) :- ρ ~ ον παραινεîν ~~παθ~ ντα καρτερεîν (Mon. 693) : σαντ òν φ~λαττε τοî ς τρ ~ ποις ~ λε~ θερον (Mon. 711) : σοφο~~παρ ' ~νδρ ~ ς προσδ~ χου σνµβονλ ~ αν (Mon. ~ ν κα~τ~ ς ~ κβ~ ση σοφ~ ς (Mon. 383) : τ~~γν~ θι σαντòν 705) : σοφοî ς ~ µιλ πâ σ~ν η ( sic) χρ~ σιµον(Mon. 762) : το~τ' ~ στι τ~~ζην µ ~~σεαυτ~~ζην µ ~ νω (Mon. 775) : τ~~κ~ ρδος ~γον κ~ ρδος äν δ~ καιον ~~(Mon. 729) : τ~~δ' α~ σχρα κ~ ρδη σνµφορ à ν ~ ργ~ ζεται (Mon. 755) : ~φ' ~ δονης φρ ~ νιµος ο ~χ α λ~ σκεται (Mon. 777) : ~πονλος ~ν~ ρ δ~κτνον κεκρνµµ ~νον (Mon. 797) : υδωρ Θαλ~ σσης ~~
f. 145 ν τρ ~πος τ~ν δ~σκ~ λων (Mon. 798) : φ~ς ~ στι τ( ~νθρ ~πω, πρ ~ ς Θε~ ν βλ~πειν αε~~(Mon. 819) : φιλ~ πονος ~ σθι και β~ ον κτ~ ση καλ~ν (Mon. 811) : φενγ ' ~ δον~ν φ~ ρονσαν i~ στερον βλ~ βην (Mon. 806) : φ~ λος φ~λου δε~ µενος ο ~ κ ~ στι φ~λος (Mon. 820) : χα~ ρειν προσ~ κει τοî ς παθ~ν ~ λενθ~ ροις (Mon. 838) : χειµ ~ν µ ~ γιστος οικ ~ ας γνν~~κακ~~(Mon. 823) : χρ ~ νος τ~~κρνπτα π ~ντα εις φ~ς σ~γει (Mon. 839) : χα ~ ρειν ~π' αï σχροî ς ο~~δ~ λως δεî πρ ~γµασιν(Mon. 833) :ψυχ~ ς νοσο~σης φ~ ρµακ ~ ν ~ στι λ~ γος (Mon. 840) : Ψυχ~ ς ~ λεθρ~ ς ~ στι σωµ ~ των ~ ρως (Mon. 851) : Ψυχ~ ς µ ~ γας χαλιν~ ς ~νθρ ~ποις ~~νους (Mon. 844) : ~ς µ ~ γα τ~~µικρ ~ ν ~στιν ~ν καιρ ~~ δοθ~ν (Mon. 872) : qi ~ ρξε γαστ~ ρ τ~~φρονεîν ~φηρ~ θη (Mon. 876) : ~ς ~ δ~ ς ~~β~ ος ε~ν τις α~τ~ν µ ~ θοι (Mon. 871) : ~~γ~ ρας ~νθρ ~ποισιν ε~κταî ον κακ~ ν (Mon. 877).
Con un procedimento paragonabile a quello che avevamo enucleato sulla base del confronto fra tradizione antica e medievale delle diverse redazioni della Comparatio, il materiale gnomologico grezzo è anche in questo caso trattato con una libertà estrema: frammenti di provenienza e conformazione diversa vengono estratti e ricombinati per creare una entità testuale nuova, la cui funzionalità doveva essere evidentemente dettata dalle necessità particolari del redattore. Il materiale nel suo insieme è etichettato con l'attribuzione generica ai due protagonisti della Comparatio, i cui nomi però sono omessi nelle parti che di questo testo sono riportate. E anche se il nome di Menandro continua ad essere in qualche modo `pertinente' per quello che concerne í Monostici riportati, non si deve dimenticare né che vi è presente anche molto materiale estraneo (in alcuni casi compare addirittura il nome di altri personaggi che pronunciano le rispettive sentenze), né che nella restante tradizione dell'altra redazione di Menandri Sententiae riportata (classe u) il nome dell'autore putativo non compare mai. I contorni sono quindi quelli di una tipica operazione gnomologica, in cui però il fatto di possedere gli strumenti per evidenziare l'origine o co-
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munque il `colore' delle varie inserzioni permette di smascherare il tipo di lavoro in corso," la sua natura del tutto impossibile da ridurre ad un procedimento lineare e, quindi, il suo portato di indicazioni generali. Ribadita la natura esclusivamente gnomologica della Comparatio – in cui l'omissione definitiva dei lemmi d'autore è il punto d'arrivo conclusivo dello smembramento strutturale interno –, si tocca con mano il problema dell'irriducibilità fisiologica di questo tipo di compilazioni, che si nutrono di tradizioni che procedono per lo più attraverso nuove creazioni e nuove elaborazioni ed in cui tentare di definire rapporti chiari e coerenti di derivazione, rielaborazione ed impiego secondario è spesso impossibile e, in molti casi, inutile.
53 Il fatto cioè di possedere per gran parte del materiale paralleli e confronti permette l'evidenziazione di una pluralità di innesti che altrimenti rimarrebbero poco definiti: addirittura, con la Comp. I osserviamo un `doppio passaggio', per cui il primo estratto mizia in un punto, prosegue e si ferma; il secondo riprende da un punto precedente del testo, prosegue e va oltre. In questo caso, o si pensa ad una doppia consultazione — con il redattore della nuova raccolta che ha passato in rassegna in due momenti successivi un testo simile al nostro — oppure si deve riconsiderare la morfologia della fonte in altro modo, del tutto diverso — che è un'ipotesi meno economica ma non impossibile. Comunque sia, la datazione del manoscritto ed i paralleli dei testi impongono di considerare un'opera di estrazione in corso.
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Rετνzο Τοsτ TRADIZIONE DEI «MONOSTICI» E TRADIZIONE PAREMIOGRAFICA
1. La tarda antichità vede il fiorire di due generi eruditi tra loro strettamente imparentati, ma in realtà radicalmente differenti, la tradizione degli gnomologi e la paremiografia. La prima dà vita a raccolte di belle sentenze, desunte da vari autori `classici', o attribuite a quanti di loro – innanzi tutto Menandro ed Euripide – godevano della fama di essere `gnomici'; tali sillogi avevano come prima funzione quella di fornire un repertorio di `frasi fatte' per gli scrittori, ma le massime dovevano anche essere pronte all'uso nella conversazione dell'uomo colto e raffinato e rappresentare una facile via d'uscita per chi si trovava in difficoltà. Rivelatore è a questo proposito Plutarco, De uitioso pudore, 532F-533 Α κ&ì πρ~χειρ ~~γε δε~~καì συχνà τ~ν ~πι-
φαν~ν καì 67006\ ~νδρ~ν χειν ~πoφθ~Υµατα καì µν nµ oνεvεww πρ ~ ς το~ ς δΥσωπo~ΝΤας• oτον τ~~Φωκ~ωνος πρ ~ ς Αντíπατρον "o~~δ~νασα~~ ì φ~λω χρ~ σθαι καì κ~ λακι ". καì πρ ~ ς τo ~ς Áθηναíoυς ~πιµοι κα δo~ναι κελεvoντας α~τ~ν ~ν ~ορ~η~~ καì κρoτo~ντας " αισχvνoλαι " εΙπεΙ "YΜ~Ν 118v ~πιδιδoYς το~τω δ~~ µ ~~~πΟδιδovς " Καλλικλ~α δειξας τ~ν δανειστ~ν. " πεΝ~αΝ γαρ o~χ ~ µ oλογε ν αισχρ ~ν " ~ς 0oυκυδιδης φησιν (II 40.1) " αλλ' ιρyq µ ~~διαΨεvγεww α~ σχwwν ", dove una serie
di espressioni famose, di detti dl uomini illustri costituisce un repertorio per l'autodifesa verbale. Si può poi constatare che esse non sono dí derivazione esclusivamente aneddotica, dato che è richiamata anche una massima desunta dall' `Epitafio di Pericle' tucidideo: a tale proposito è anzi interessante notare come una gnome che in Tucidide funzionale alla descrizione politica dello status del cittadino ateniese diventi una norma morale, valida per sempre, per l'uomo `magnanimo'. La rilettura in chiave moralistica del passato, che trova in Plutarco uno dei suoi primi momenti culminanti, sarà spesso ripresa, e fínírà per fare della classicità una civiltà esemplare, un modello per l'educazione di un uomo visto come sempre uguale a se stesso: in tale processo, culturalmente rilevante per l'intera storia occidentale, le raccolte di belle frasi `esemplari' hanno giocato un ruolo non trascura-49—
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bile, e non solo — come appare evidente — in età moderna e contemporanea, ma probabilmente già nella tarda antichità e nel Medioevo. La paremiografia nasce invece dall'interesse degli alessandrini per í proverbi, visti non come una forma di sapienza popolare, né come, secondo la tradizione aristotelico-peripatetica, il residuo di un'antichissima cultura, precedente al mitico diluvio, 1 ma come un elemento importante della lingua e dello stile letterario: è proprio questa `letterarietà', questa presenza nei classici che interessa primariamente i paremiografi. 2 Se negli gnomologi le sentenze sono allineate senza spiegazione e raggruppate secondo un criterio tematico, le `paroimie' sono per lo più presentate in ordine alfabetico, adeguatamente interpretate e corredate da opportuni richiami ai testi in cui sono attestate. Questi materiali assumono dunque la stessa duplice funzione che si può ravvisare in altri generi eruditi bizantini, e in particolare nella lessicografia: da una parte le voci costituiscono un valido supporto esegetico per la lettura degli autori, dall'altra le loro raccolte danno vita ad `archivi' di topoi, che possono venire fruttuosamente ripresi e riusati. Proprio a causa di questa duplice funzione, la paremiografia, al pari della lessicografia, rappresenta un'importante cinghia di trasmissione tra la grande letteratura classica e la cultura dí Bisanzio e, se conserva sempre la funzionalità interpretativa nei confronti dei loci classici, di norma non assume la connotazione dell'esemplarità morale. La separazione tra gnomologi e raccolte paremiografiche ha radici í α~~ ed äπOantiche, deriva innanzi tutto dalla distinzione tra παροιµ φθ~γµατα,attestata con assoluta certezza in àmbito peripatetico. Da alcuni frammenti deduciamo che Teofrasto aveva ben chiara la diffeí αι (proverbi), e ¿m:40171 αmm (detti celebri), 3 e che renza fra παροιµ per lui tale distinzione era innanzi tutto di tipo funzionale: egli notava infatti come i secondi potessero assumere nell'uso lo status delle prime, come cioè il detto famoso potesse perdere la sua unicità, il suo legame con un personaggio o con un episodio per diventare di uso comune. Interessanti sono soprattutto í frr. 737 e 738 F., dove le note
Cfr. J. KINDSTRAND, The Greek Concept of Proverbs, «Eranos», LXXVI, 1978, pp.
71-85.
z Rinvio al mio La lessicografia e la paremiografia in eta alessandrina ed il loro sviluppo successivo, in La philologie grecque a l'époque hellénistique et romaine: sept exposés suivis de discussions, éd. par F. MONTANARI, Vandoeuvres-Genève, Fondation Hardt 1994 («En-
tretiens Hardt», XL), pp. 143-209. 3 Cfr. W. TscHAJKAiOvITscH, Quaestionum paroemiographorum capita selecta, Tübingen, Laupp 1908, p. 27 sgg.; K. RUPPREcHT, RE XVIII.2, 1949, col. 1737.
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TRADIZIONE DEI «MONOSTICI» E TRADIZIONE PAREMIOGRAFICA
espressioni ~ ρχ~~~νδρα δεικνυσι e yν~θι σαοτ~ν sono definite apoftegmi, rispettivamente di Biante e di Chilone, e del secondo si afferma che ~ς παροιµ ~ α λαµβ ~ νεται, che acquisisce una funzione proverbiale. 4 La stessa distinzione era d'altra parte probabilmente operante anche tra gli Stoici: appare infatti netta in schol. Pind. Isthm. 2.17, che testimonia il fr. 2 (SVF III 202) del Περì παρo~µ ~~ν di Crisippo, ~ν~ ρ è un apoftegma di un in cui si asserisce che χρ~µατα tal Aristodemo di Argo, come giustamente riporta Crisippo, e non ~ α, come erroneamente dicono alcuni: stando alla lettera una παροιµ dello scolio, che la differenza fra apoftegma e proverbio fosse in Crisippo non è sicuro, ma, a mio avviso, appare comunque verisimile. Gli gnomologi sono molto diffusi ed importanti nella cultura medievale, sia in Oriente che in Occidente, dove tali sillogi (cui appartengono anche í cosiddetti Libri proverbiorum, anche se sono organizzati alfabeticamente) uniscono massime desunte da classici (nel mondo latino soprattutto da Ovidio, Orazio e Virgilio) ad altre (che ne costituiscono il numero maggiore) di ascendenza biblica. La paremiografia è invece caratteristica del mondo bizantino, dove si crea una `vulgata costituita da numerose raccolte, che hanno come capostipite quella di un `grammatico' dell'età di Adriano, Zenobio: ogni codice che rispecchia questa tradizione ha una propria individualità, e i materiali subiscono interpolazioni ed epitomazioni tutte le volte che vengono trascritti, come è logico che accada quando í copisti intendono fornire il loro centro culturale di uno strumento d'uso e non trascrivere fedelmente un autore classico. 5 Il fatto che la paremiografia sia limitata alla cultura orientale non significa però che la sua importanza sia scarsa e limitata, perché le raccolte umanistiche di Adagia – e in particolare quella, monumentale e fondamentale, di Erasmo da Rotterdam – ne riprendono sia la struttura (í lemmi sono seguiti da ampio commento e dalle citazioni dei foci in cui l'espressione è attestata o si riscontrano suoi paralleli) sia, spesso, í materiali (Erasmo stesso
4 Appare ingannevole il caso del fr. 132 Wimmer, che sembrerebbe testimoniato da Stob. III 36.17.2 e Apost. 5.55a 5 = CPG II 348 γλ~σσ µαται ζηµ ~ α πρoστριβετα~ · Aiσχ~λoυ (P.1. 329)• τ~~ µ è ν ~π~ φθεΥµα Βιαντo ς, ~ς παροιµ ~ α δ~~λαµβ ~ νεται, e che invece nato da una falsa lettura di Stobeo (cfr. Mant. Prov. 1.43 = CPG II 750). A ragione Fortenbaugh non lo recepisce. Su questa caratteristica de ll a letteratura `strumentale' (una categoria enucleata da A. GλRΖυλ, «Jahrbuch der Österreichischen Byzantinistík» XXX Ι, 1981, pp. 263-387 = li man danno e il quotidiano. Saggi sulla letteratura tardoantica e bizantina, Napoli, D'Auria 1983, pp. 37-71) si veda da ultimo il mio intervento in L'erudizione scolastico grammaticale a Bisanzio, a cura di Paola VOLPE CACCIATORE, Napoli, D'Auria 2003, pp. 139-156. -
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era venuto in contatto con l'ultimo dei paremiografi, Arseni ο6). È d'altra parte notorio che gli Adagia espletano una funzione di trait d'union fra le letterature classiche e quelle moderne, analoga a quella della paremiografia bizantina: anch'essi, infatti, non si limitano a spiegare e illustrare espressioni, detti, modi di dire dell' αntichità, ma, soprattutto, finiscono per creare un repertorio di topoi di ascendenza classica, cui attingono i successivi scrittori europei. Se, anzi, per tutta l'epoca bizantina í contatti fra tradizioni gnomologica e paremiografica sono scarsi, qui notiamo una reale fusione dei due generi, sia perché materiali gnomologici confluiscono copiosamente nell'ultima paremiografia, con Apostolio e Arsenio,' sia perché gli Adagia finiscono per inserire nello stesso contenitore topoi, espressioni proverbiali, apoftegmi, sentenze, gefliigelte Wdrte (cíoè frasi `d'autore' particolarmente note). 2. Di solito, dunque, la penetrazione di materiale gnomologico nella paremiografia avviene tardi, con Apostolio ed il figlio Arsenio. Gli esempi di questo tipo sono molti: µισ ~~σοφιστ~ ν ~ στις oYχ α'n4i σοφ~ ς, ad es., è un frammento euripideo (905 1 .2), la cui valenza proverbiale in ambito greco è indiscutibile: ritorna infatti nei cosiddetti Monostici di Menandro (457 J.), viene citato come gnomico da Cicerone (Ad fam. 13.15.2) e da Plutarco (Vita di Alessandro, 695C; An recte dictum sit latenter esse vivendum, 1128 Β), è ripreso da Massimo Tirio (21.409) e da un anonimo poeta (Anecd. Par. IV 343.21): nella paremiografia, tuttavia, esso è registrato solo da Arsenio (11.71d = CPG II 534). Emblematico è anche il caso di un frammento del comico Filemone (165 K.-A.: ~ θ~νατ~ ν ~ στι κακ~ ν ~ναγκ ~~ ον yυν~ ), sentito come gnomico: esso è testimoniato da Stobeo (IV 22b.30e), e si riallaccia a un topos ancora reperibile, in ambito comico, in Menandro (fr. 801 K.-A.: τ~~yα λε ν, ~~ν τις τ~v ~λ~ θειαν σκοπ~ , / κακòν µ ~ ν ~ στιν, ~ λλ' ~ναyκα ον κακ~ν, anch'esso testimoniato da Stobeo, IV 22c.77), nonché in Strabone (IV 2.26) e nell'Antologia Pa-
Cfr. M.I. MAνοussλκλs, Gli umanisti greci collaboratori di Aldo a Venezia (14941515) e l'ellenista bolognese Paolo Bombace, Bologna 1991 (Prolusione per la laurea honoris causa in Storia, tenuta il 28.11.1991), p. 18. Questo accade programmaticamente con l'ampliamento dell'opera di Apostolio curata da Arsenio, che desunse molto materiale da Stobeo e organizzò le singole lettere con una divisione tra παρo~Μιςt, yν~~αι, ~ποφθ~Υµαταe ~ στορ ~ αt. Cfr. W. BιΗLΕR, Zenobii Athoi Proverbio, I, Prolegomena, Göttingen, Vandenhoeck & Ruprecht 1987, p. 298 sg. '
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TRADIZIONE DEI «MONOSTICI» E TRADIZIONE PAREMIOGRAFICA
latina (Pallada, XI 286.3); una sentenza molto simile è poi attestata anche fra i Monostici di Menandro (398 J.: κακ~ν φυτ~ν πYφΥκεΝ ~ν β~~ yuν~ , / καì κτ~λεθ ' α~τàς ~ς ~ναγκα ον κακ~ν).8 La nostra espressione – in cui al male necessario si unisce un ~ θ~νατον che ricorda il «donne donne eterni di» dí rossiniana e léhariana memoria – compare nella paremiografia solo con Arsenio (1.57a = CPG II 254): si nota dunque una sostanziale indipendenza delle due tradizioni erudite, in un caso in cui il materiale proviene sì dalla commedia, ma non da quella del quinto secolo (che fu ampiamente commentata già ad Alessandria, e che fu poi costantemente proposta come modello linguistico), bensì da autori come Filemone e Menandro, che furono famosi non per l'uso linguistico ma come `serbatoi' di frasi fatte e belle sentenze. Lo stesso discorso vale per π~Ντ' ~κκ~iλ~πτων ~~χρ~νος εiς φ~ς ~~γει, una gnome, attribuita a Sofocle (fr. 918 R.: la fonte è anche in questo caso Stobeo [I 8.1]), che rappresenta uno dei topoi più diffusi nelle letterature classiche: 9 essa compare nei Mono-
In latino esiste la locuzione malum necessarium (ad es. nella Vita di Alessandro Severo di Elio Lampridio [46.5], dove è riferita agli esattori), ma malum est mulier sed necessarium mal un adagio medievale; lo stesso concetto, invero, è già in un discorso $
sul matrimonio tenuto da Metello Numidico, riportato da Gellio (I 6). In italiano esiste il matrimonio è un male necessario; un puntuale parallelo è in tedesco, mentre leggermente diverso è l'inglese wives and wind are necessary evils. 9 Formulazioni sim il i a quella del frammento si hanno in Eliano (fr. 62 Hercher) e nella Vita di Esopo (110 = 102.17 Perry). Una sentenza equivalente è poi il σοφ~τατoν χρ~ νoς• ~νευρ ικεt 744 π~ντα, attribuito da Diogene Laerzio (I 36) al filosofo Talete (11 A 1 D.-K.), mentre un altro frammento di Sofocle (301 R. 2) attribuisce in più al tempo la qualità di vedere e ascoltare tutto. Nei Vangeli (Matteo, 10.26 e Marco, 4.22) ritorna il concetto che tutto ciò che ora giace nascosto verra a galla, peraltro presente anche altrove nella letteratura rabbinica (cfr. H.L. STnAcκ - P. BILLERBECK, Kommentar zum Neuen Testament aus Talmud und Midrash, vol. I, München, Beck 1926, p. 578 sg., e in particolare una massima di Hillel, cfr. Aboth. 2.4). Tertulliano (Apologeticum, 7.13), d'altro canto richiama proverbi e sentenze i quali ribadiscono che omnia tempus revelat (la stessa formula è registrata da Walther 31301d). In àmbito latino il motivo ritorna — con un espressivo poliptoto (tempore ... temporibus) — nei Distici di Catone (II 8.2: Temporibus peccata latent et tempore parent); s i ha spesso, inoltre, una variante secondo cui il tempo scopre la verità, come nel veritatem dies aperit di Seneca (De ira, II 22.3), e nella conclusione della favola di Fedro sulla creazione de ll a Verità e de ll a Menzogna (App. 4.21-24). Una variazione, invece, presente ad es. ancora in Sofocle (Aiace, 646 sg.) e in Orazio (Ep. I 6.24 sg.), accosta al fatto che il tempo porta alla luce ciò che è nascosto quello che esso sommerge nell'oblio ciò che ora emerge, aggiungendo così un'allusione a ll a imprevedibilità del futuro. Tra le variazioni medievali, particolarmente significativa mi pare l'immagine di Walther 30544 (= 25890.2) sub nive quod tegitur, cum nix perit, orane videtur, che ricorda il triviale quando si scioglie la neve, si vedono gli stronzi. Molte le riprese di questo topos nei proverbi moderni: in tutte le lingue esiste il parallelo del nostro il tempo scopre ogni cosa (cfr. A. ARTHABER, Dizionario comparato di proverbi e modi proverbiali, Milano, Hoepli 1929, nr. 1347; R. SCHWAMENTHAL - M.L. STRANIERO, Dizionario dei
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stici di Menandro (639 J.), 10 con la variante ~νακαλ~πτων, ed è in . questa stessa redazione e senza nessuna esegesi, recepita da Arsenio (13.86c = CPG II 599). Questo `flusso' di materiale gnomologico in Arsenio non è tuttavia sistematico: anche la parallela formulazione χρ~νος τ~~κρνπτα π~ντα #εiς φ~ος# cíγει (Tr. ad. fr. 511 Sn.-K., un tempo attribuito al comico Filemone, fr. 192 K.: la fonte è Stobeo [I 8.26]) compare nei Monostici (839 J.: con πρ~ ς τ~~φ~ς invece di εις φ~ος), ma – stando all'edizione di Leutsch-Schneidewin – non ritorna nella raccolta di Arsenio. ,
3. Ovviamente, quanto si è detto non comporta che non esistano casi in cui gli stessi materiali compaiano già prima del XV sec. sia nella tradizione gnomologica sia in quella paremiografica: se infatti quest'ultima si occupa propriamente dei proverbi usati in letteratura, non potranno non esserci coincidenze, ad es., con raccolte di sentenze come quella attribuita – per lo píù pseudoepigraficamente – a Menandro. Talora l'identità di materiali è proprio dovuta alla `proverbialità' di un'espressione: si veda ad es. il Z ~µενyàρ oYχ ~ ς θελoΜεν, ~ λλ' ~ς δυν~µεθαche rientra tra quei Monostici (273 J.) che gli editori riconoscono come autentici frammenti menandrei (45 K.-Th. = 47 * K.-A.), attribuendolo all'Andria perché nell'omonima commedia di Terenzio al v. 805 si legge ut quimus ... quando ut uolumus non licet. 11 Gli editori riportano nella rubrica dei testimoni anche un canone ricorrente nei paremiografi (Zenob.vulg. 4.16 = CPG I 88; Diogen. 4.100 = CPG I 248; Diogen.Vind. 2.81 = CPG 11 31; Greg.Cypr. 2.58 = CPG I 363; Greg.Cypr.M. 3.57 = CPG 11 116; Macar. 4.31 = CPG 11 170; Apost. 8.38 = CPG II 438; Suda ζ 133), il cui lemma coincide con questa gnome, come se ciò costituisse una conferma della paternità menandrea del verso. In realtà, la tradizione paremiografica cita esplicitamente un passo di Platone (Ippia Maggiore, 301C: τoιαvτα, ~~Ιππ~α, τ~~ Μ~ τερ ~~~ στιν, o~χ α~α βo~λεται τις, φασìν ~νθρωποι ~κ~ατοτε παρ oιµιαζ ~ µεν o ι, ~λλ' ο~ α δ~ναται), in cui Socrate fa chiaro riferimento a un proverbio sul fatto che gli uomini fanno ciò che pos-
proverbi italiani, Milano, Rizzoli 1991, nr. 5499); tra le variazioni, segnalerei il tedesco die Sonne bringt es an den Tag e il nostro il tempo è galantuomo (per le versioni dialettali, cfr. ancora SCHWAMENTHAL - STRANIERO, cit., nr. 5488). 10 Cfr. anche 13 J. ιι Cfr. anche vi. 305 sg. quoniam non potest id fieri quod vis / id nelis quod possit. Il motivo per la verità ritorna ancora nell'Heautontimoroumenos (v. 666) e in Cecilio (177 R.'). L'ipotesi è dunque molto probabile, ma non sicura.
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sono e non ciò che vogliono. Appare logico che la tradizione paremiografica riprenda un commentario al luogo platonico, nel quale la nostra espressione doveva comparire come 11 proverbio ripreso (lo schol. ad loc afferma: παροιµ ~ α ~iì τ~~ν λεγοµ ~ νων ~~Πραττοµ ~ νωΝ κατU δ~ναµιν~φ ' ~κ~ στου λεγοµ ~ νη• τà ~µ ~τερα ο~χ οiα βο~λετα~~ τις, ~ λλ' οΤα δ~ναται). Si ha dunque una duplice possibilità: o Menandro riprese una formulazione precedente del proverbio, o – più probabilmente – il riuso del topos da parte di un autore `gnomico' per antonomasia fece sì che il verso menandreo godesse di particolare notorietà, diventasse anzi la forma `vulgata' del proverbio. 12 ,
4. Destano inoltre interesse i casi in cui i paremiografi forniscono una sintetica sentenza-base, un modo di dire proverbiale, del quale le γν~µαιcostituiscono particolari sviluppi. Il caso più semplice è quello del tipo di Macar. 4.74 = CPG 11 174, App.Prov. 3.26 = CPG I 421, che registrano il lapidario i θι ~ ρθ~ ς, spiegandolo con ~πì τ~ν ~κτρεποµ ~ νων τov δικα~ ου, mentre nei Monostici di Menandro (101 J.) si legge uno gnomico-moralistico Β~ διζε τ~' ε~ θε~αν, ινα δ ~καιος ~ ς. Ancora: Men. Mon. 157 J. Γυναικì, δ' ~ ρχει" ο~~δí δωσιν ~~φ~σις rispecchia quella mentalità dei Greci, secondo cui doveva essere l'uomo
12 Il concetto si ha già in Demostene (57.31); cfr. anche Herond. 2.9 sg. I Monostici di Menandro, inoltre, riportano sue applicazioni particolari, in cu ~~ il volere ma non potere è applicato all'arricchirsi (104 J. = Comparatio Menandri et Philistionis, I 82), e al vi-
vere bene (329 J.). Al di fuori della commedia, va segnalata la bella massima di Plinio il giovane (Panegirico, 61): felicitatis est quantum velis posse; sic magnitudinis nelle quantum possís, che probabilmente riecheggia il simile luogo terenziano. Il topos trova poi parecchie riprese in ambito cristiano, a volte anche con esplicito riferimento ai passi di Terenzio (rinvio ad Α. ΟΤΤΟ, Die Sprichwörter und sprichwörtlichen Redensarten der Römer, Leipzig, Teubner 1890, nr. 1456, C. WEYMAN, Zu den Sprichwörten und sprichwörtlichen Redensarten der Römer, in R. HAUSSLER, Nachträge zu Α. Otto, Darmstadt, Wíssenschaftliche Buchgesellschaft 1968, pp. 78, 285; Α. Soiiy, Neue Sprichwörter und sprichwörtliche Redensarten der Römer, in HAUSSLER, cit., p. 115); tra le massime medievali compare inoltre sia il luogo dell'Andria (Walther 32529) sia la sua banalizzazíone si non ut volamas, tarnen ut possumus (Walther 28756). In tutte le lingue europee e in molti dialetti presente il corrispettivo dell'italiano non può fare come vuole, faccia come può (cfr. ARTHABER, cit., nr. 1141); numerose anche le riprese letterarie, come ad es. il famoso vuolsi così colà dove si punte / ciò che si vuole, e più non dimandare, con cu~~ Dante (Inferno, III 95 sg.) caratterizza il potere divino (un importante precedente è in Sant'Agostino, De civitate Dei, XIV 15.2) o il Chi non può quel che vuol, quel che può voglia di Leonardo da Vinci., che è erede della tradizione di Terenzio e Plinio, come pure l'arguta massima di Montaigne (2.19), secondo cu ~~ scegliendo la libertà di coscienza i re di Francia finsero di volere quello che potevano, non potendo quello che volevano, ed il non può quel che vuole, vorrà quel che può del libretto di Così fan tutte di Da Ponte - Mozart (2.2).
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a decidere mentre la donna doveva semplicemente ubbidire, che trova spesso riscontro nella tragedia attica (emblematica è ad es. la gnome ~ των di Euripide, El. 923 sg.: κα~ τοι τ~ δ' αισχρ ~ν, προαταΤε~Ν γε δωµ / γυνα~ iα, Μ~~Τ~ ν ~νδρα) 13 e fu teorizzata da Aristotele (Pol. 1254a14); nei paremiografi compare, invece, y ον~~στρατηyεî, come evidente paradosso (cfr. Diogen. 4.1 = CPG I 233; Greg.Cypr.M. 60 = CPG II 107, Macar. 3.12 = CPG II 154; Apost. 5.76 = CPG II 353; Suda γ 502), un proverbio che è probabilmente tenuto presente da Virgilio in un luogo dell'Eneide (I 364), dove il lapidario Dux femina facti fa stagliare ancor più la superba figura di Didone, proprio grazie al contrasto con l'abituale valenza negativa dell'espressione. Ma le cose non stanno sempre in modo così elementare. Si veda ad es. Zenob.vulg. 3.1 = CPG I 57; Greg.Cypr.M. 2.76 = CPG II 108; Apost. 5.32 = CPG II 341; Suda γ 180 riportano come lemma y ερ~νδρυον µεταφυτεv ειν, un proverbio che, secondo i paremiografi, equivaleva ad un ammonimento a non pretendere che i vecchi facessero gli stessi lavori dei gioú εtν δvσκολoν si ritrova vani. La versione δ~νδρoν παλcπ~ν µεταφντε nelle redazioni dei Monostici di Menandro a noi pervenute grazie a papiri (Pap. II 4, Pap. XIII 11 Jäkel) e nella Comparatio Menandri et Philistionis (II 48), accanto a un'altra sentenza in cui s i raccomanda di non cercare d i smuovere un vecchio dall'errore. I paremiografi riportano dunque un modo di dire proverbiale, che indica genericamente la poco prudente operazione di `sradicare' un vecchio albero, ma sia il peculiare yερ~νδρυον 14 sia la peculiare spiegazione evidenziano come alla sua origine dovesse stare uno specifico locus classicus a noi sconosciuto; i Monostici, invece, presentano 10 stesso topos sotto forma di gnome, ne esplicitano la valenza, risolvendo ogni potenziale ambiguità. E infatti interessante come il modo di dire greco trovi una ripresa di segno affatto opposto nel quamvis vetus arbustum posse transferri di Seneca (Ep. 86.14), 15 che indica una rivalutazione del
13 Un'ampia documentazione su questo argomento è stata raccolta da V. Cerri, Tragedia e lotta di classe in Grecia, Napoli, Liguori 1978, passim). I perniciosi effetti del go-
verno femminile ritornano ovviamente anche in molti altri autori, come ad es. Eschine (In Timarch. 171). 14 Si tratta di un termine tecnico, che compare però in ambito letterario una decina di volte (cfr. ad es. Cor. Ad. fr. 229 K.-A. [dove però è tra cruces]; Ap. Rh. 11118; Plut. An seni 796Β; Ph il . Proem. 177; AP VI 233.1; 253.5). 15 Già famoso e spesso citato nel Medioevo (si vedano í luoghi segnalati da M.C. SurΡΗΕΝ, Α Further Collection of Latin Proverbs, in HEUSSLER, cit., p. 202). Per quanto riguarda le tradizioni proverbiali moderne, si vedano in particolare il tedesco ein alter Baum ist schwer zu verp flanzen e l'inglese remove an old tree and it will wither to death.
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ruolo e delle possibilità dell'anziano. Ancora p ~ù complesso è il caso di Oεov θ~λοντος κ äν ~Πì 011ò* πλ~oις: la sentenza, che esprime completa ma fatalistica fiducia nell'onnipotenza divina, rientra nei Monostici di Menan'&o (349 J.) e doveva derivare dal teatro tragico, visto che Orione (Anthologion, 5.6) la diceva appartenere a un non meglio identificato Tieste (si è di solito pensato alla tragedia euripidea, cfr. fr . 397 1 .2) e che un verso della Pace di Aristofane (699: κ~ ρδο~ς κατt κäν ~πì p ιπòς πλ~οι) ne costituisce con ogni probabilità la parοdia; 16 unico indizio contrario all'attribuzione tragica è un passo di Plutarco (De Pythiae oraculis, 405Β), che lο dice pindarico, ma con una palese confusione con il fr. 230 Μ. del lirico (cit. infra, nota 17). Con ogni probabilità, come in molti altri casi, è l'uso euripideo della gnome a favorirne la notorietà e il diffuso `riuso'. Quanto ai paremiografi, essa è recepita, senza spiegazioni, da Macario (4.69 = CPG II 173), che probabilmente la desumeva dai commenti al luogo di Aristofane (il cui materiale ci è pervenuto grazie agli sc οlî e alla voce della Suda, cfr. nota 16); in essi compare altresì l'espressione idiomatica che ne sta alla base, ~πì p ιπòς πλεiν, «su un fuscello», che per Macar. 4.3 = CPG 11 166 si dice επι τ~Ν εiς κινδυνον ~ αυΤovς ~µβεβληκ~ των, mentre Arsen. 7.64a = CPG II 413 riprende esplicitamente Luciano (Hermotimus, 28) dove la locuzione assume una valenza scherzosa (il navigare si specifica nell'attraversare il mare Egeo o Iοniο). 1 È dunque evidente che il materiale rientra nella `vulgata' paremiografica attraverso una pluralità di vie, ed in particolare che alla tradizione antica che chiosa il modo di dire επι pιπòς πλε ν si affiancano elementi desunti dalla tradizione esegetica, prima di Aristofane e, in un secondo tempo, di Luciano. Qualcosa del genere capita anche per ∆ρυ~~πεσotí σης Πâς ~'v~ρ ξνλεvεται, attestato nei Monostici di Menandro (185 J.), in Gregorio Nazianzeno (De vita sua, 374) e Niceforo Gregora (Historia Romana, II 1057), 18 e testimoniato da uno scolio a Teocrito (5.65a) che chiosa un passo dove si legge τ~ν δρυτ~~ον βωστρ~σοµες,δς Τ~ O ~ ρεí κας / τ~ να' τà ς παρ ~~τιν ξνλοχí ζεται. Nella tradizione paremiografica la nostra frase – che do-
16 Esso è ripreso dalla Suda p 184: lo scolio al passo e la Suda citano anche la versione che ha come protagonista la divinità. 17 Simile era ~ πì λεπΤgî δενδρ ~ Q βαινειν, «andare su un piccolo arboscello», che Libanjo (Ep. 1218 [11.299.2 sg. Förster]) attribuiva a Pindaro (fr. 230 M.). Nel latino medievale è attestata la traduzione della nostra massima (Deo favente naviges uel vimine [Walther 5398]). 18 Tradotto Deiecta quivis arbore ligna legit da ll o Ps.Publilio Siro (52 R. 2 ); più puntuale la corrispondenza nelle sentenze mediolatine, cfr. Walther 2205.
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veνa aver assunto, come anche in séguitο, 19 valenza proverbiale ad indicare che, quando un potente cade, chi prima non osava neppure avvicinarsi ne approfitta per colpirlo – rientra da una parte con una adeguata spiegazione di tipo `paremiografico' (più generica in Macar. 3.39 = CPG 11 158, puntuale in Ap οst. 6.36 = CPG II 372), dall'altra – in App.Prou. 2.1 = CPG I 394 – con una struttura in cui è evidente la derivazione dall'esegesi teocritea ( δρυ~ ς πεσovσης πâ ς 6\44 ξυλεúεται• yp. καì ξνλoχισδετςυ. ∆ωρικ ~ς). È evidente dunque l'importanza dell'esegesi antica per la paremiografia, e come questo sia un elemento distintivo rispetto agli gnomologi: nella nostra esemplificazione è emerso il ruolo non solo degli antichi commenti ad Aristofane e Platone ma anche di Teocrito e perfino – anche se in Arsenio – di Luciano. 5. Non mancano poi casi in cui la paremiografia presenta una variante significativa rispetto alla tradizione rappresentata dai Monostici di Menandro: si può spesso sospettare che essa nasca da un errore antico. Un esempio. Amici mores noveris, non oderis è un proverbio riportato da Porfirione, nel commento alle Satire di Orazio (I 3.32), e nelle sentenze di Publilio Siro (A 56), mentre Frontone, in una lettera in greco (20.18-20 van den Hout), lo dice romano. Malgrado questa testimonianza, si deve precisare che esiste anche in greco, dato che l'augurio di trovare un amico che sappia comprendere e sopportare il carattere dell'amico è presente nella Silloge teognidea (97-100 = 1164a-d), e che nei Monostici di Menandro (804 J.) si ha Φ~λων τρ ~ ~ σει δ ' δλως.2Ó Nei paremiografi (Macar. 4.40 = ΠΟΥς γ~νωσκε, µ ~~ µ CPG 11 171; App. Prou. 3.4 = CPG I 416) abbiamo un ~ θη Φ~ λων γ~νωσκε, λ ~ση δ~~gi, che – benché sia spiegato come un invito a non seguire sempre l'esempio altrui – sospetto che dal nostro sia derivato
19 In tutte le lingue europee e nei vari dialetti (cfr. SCHWAMENTHAL - STRANIERO, cit., nrr. 247, 5346) esiste il corrispettivo dei nostri sopra l'albero caduto ognuno corre a far legna e a albero che cade accétta accétta (variante degna di nota è la russa na pokljapoe derevo i kozy ska ut [cíoè: «sull'albero caduto anche le capre saltano»]); a livello letterario famoso un distico dell'Orlando furioso (37.106.3 sg.: com'è in proverbio, ognun corre a far legna / dell'arbore che 'Z vento in terra getta), ma ampio e diffuso è il topos della «quercia caduta» (per il quale rinvio da ultimo a V. CITTI, La parola ornata, Bari, Adriatica 1986, pp. 173-197). 20 Nelle tradizioni proverbiali moderne si vedano in particolare il nostro ama l'amico tuo secondo il suo vizio (che ritorna anche in alcuni dialetti, come ad es. in calabrese), e í tedeschi der Freunde Weis sill man wissen, aber nicht hassen, e Freunde Gebrechen soll
man kennen und tragen aber nicht nennen und nagen.
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attraverso un'antica confusione fra µιρ i οµαι«imito» e µισ ~ ω «odio», favorita dall'assoluta omofonia, in età bizantina, tra µΡ~~ιιισει e ιµ ~ ση. Numerosi sono infine í casi in cui diverse formulazioni di un topos ci sono pervenute grazie a gnomologi e a paremiografi. Un esempíl. La massima g χ8ρ ~ν ~δωρα δ~ρα κο ~κ ~ν~ σιιια è riportata come proverbiale nell'Aiace di Sofocle (v. 665), è riadattata alla sua situazione da Medea nell'omonima tragedia di Euripide (v. 618: κακο~ς γ~ ρ ~νδρ~ ς δ~ρ ' 3νηrnν o'κ χει) ed è poi ripresa da autori tardi. 21 Essa è puntualmente registrata dai paremiografi (Zenob.vulg. 4.4 = CPG I 84; Diogen. 4.82a = CPG I 245; Greg.Cypr.L. 2.15 = CPG II 69; Apost. 8.22 = CPG II 432; Suda α 519, 1144, ε 4028), dove è costante il richiamo a Sofocle, emerge talora (come in Zenob.vulg. 4.4 = CPG I 84) un riferimento a Euripide, e altrove (Suda α 519) sono puntualmente ripresi gli scolî al passo dell'Aiace. 22 Ancora una volta, dunque, è palmare la dipendenza della paremiografia dall'antica esegesi dei classici, ma del topos che poi diverrà famoso nella versione virgiliana timeo Danaos et dona ferentes (A en. II 49) ci pervengono altre redazioni greche: due grazie ai Monostici di Menandro (239 J.: 'Εχ8ρ o~ς παρ ' ~νδρ~ ς o~δ~ν ~ Στι χρ~ σιµονe 451 J.: Λ~γον παρ ' ~χθρov ιι~Πo8' ~γ~ ση φιλον) e una perché penetrata nella tradizione paremiografica (App.Prov. 2.94 = CPG I 414; Macar. 4.27 = CPG II 169), ~χθρ ~ ς δ~~κ~ν καλ~~πoι~ ση κακ~~gστww, senza spiegazioni né richiami ai classici, anche se il dettato non pare stilisticamente banale (si notino la paronomasia καλ~~/ κακ ~~e la differenza di soggetto fra la protasi e l'apodosi). 6. Concludendo, si può affermare che gli gnomologi e le raccolte paremiografiche non sono semplicemente generi che raccolgono materiali diversi – le sentenze gli uni, proverbi e modi di dire proverbiali gli altri – ma che in genere rispondono ad esigenze diverse e, soprattutto, tradiscono una concezione differente dell'antichità classica. Se le seconde sono funzionali alla visione dei grandi autori greci come testi da leggere ed interpretare e modelli linguistici ed espressivi, í primi costituiscono il necessario supporto a ch i li sente come
1 2 Si vedano Clemente Alessandrino (Stromata, VI 1.8), Luciano (De mercede conductis, 38), Teofilatto Simocatta (VII 13.110), Eustazio (Ep. 7.317.86 Tafel). 22 risaputo che í compilatori della Suda avevano a loro disposizione un manoscritto di Sofocle corredato di scoli, come fu dimostrato già da Ada Adler (Suidae Lexicon, vol. I, Lipsiae, Teubner 1928, ρ. XVIII; RE IV.A 1, 1931, col. 698.
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veicolo di esemplarità morale e mostrano come affondi le proprie radici in un'epoca lontana un'idea dei classici che nella cultura moderna e contemporanea ha prodotto numerose incomprensioni, storture e mitizzazioni. La differente impostazione si nota talora anche nei materiali che compaiono in entrambi i generi, soprattutto perché per la paremiografia assume primaria importanza la tradizione esegetica. Ciò emerge con evidenza se si studiano i casi in cui la tradizione dei paremiografi è parallela ai Monostici di Menandro, sia che si tratti di espressioni chiaramente tradite come proverbiali, sia che la paremiografia fornisca una sintetica sentenza-base, sia che offra una significativa variante: non si può infatti per lo più ipotizzare una diretta fruizione del materiale gnomologico, bensì una sua mediazione nei commenti agli autori classici. La situazione cambia con la raccolta di Apostolio e soprattutto di Arsenio, il quale intende inserire nel proprio repertorio tutto il materiale gnomico tramandato dalla cultura greca, pur organicamente dividendolo in sezioni. Si tratta, certo, di un'opera paremiografica, ma nella quale il desiderio dí una nuova esaustività va contro a quelle che erano le più tipiche caratteristiche del genere: è stata decisamente imboccata la strada che trasformerà la paremiografia nelle raccolte umanistiche di Adagia.
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GLI GNOMOLOGI GRECI SACRO-PROFANI UNA PRESENTAZIONE
I. INTRODUZIONE: GLI STUDI GNOMOLOGICI
La particolare area gnomologica costituita dalle raccolte sacro-profane assomiglia un po' alla giungla amazzonica, piena di piccoli e medi corsi d'acqua, gli gnomologi, che gettano le loro acque in bacini di raccolta píù importanti, fino a confluire in uno o due grandi fiumi; questi, prima di sfociare nel mare, si dividono in innumerevoli bracci. Come per il Mato Grosso, le spedizioni di scoperta si sono sviluppate tra la fine dell"800 ed i primi del '900. Solamente più tardi la giungla è stata resa accessibile: se Brasilia fu fondata nel 1956 e lo Stato omonimo creato nel 1960, lo studio di Richard, che ha posto le basi della penetrazione nella giungla gnomologica, fu pubblicato nel 1962. 1 Da allora certi progressi sono stati fatti, ma in fondo la foresta resta ancora vergine. Lo scopo di questa mia presentazione non è quello di disegnare una nuova carta geografica di questa area di produzione letteraria, ma solamente di riassumere í percorsi finora esplorati dai cartografi. Continuiamo nella metafora per esaminare da vicino la consistenza di questo territorio gnomologico. Le prime mappe furono disegnate soprattutto da Elter, 2 da Wachsmuth 3 e da Sternbach, 4 che si inte-
I M. RICHARD, Florilèges grecs, ín Dictionnaire de Spiritualité XXXIII XXXIV, Paris, Beauchesne 1962, pp. 475-512. 2 Tra gli studi di A. Elter segnalo in particolare: De gnomologiorum Graecorum historia atque origine commentatio, in Natalicia Regis Augustissimi Guilelmi II, Imperatoris Germanici, Ab Universitate Fridericia Guilelmia Rhenana, Bonnae, ex Caroli Georgi typographeo academici 1893; e Gnomica homoeomata des Socrates, Plutarch, Demophilus, Demonax, Aristonymus u.a., I-IV, in Natalicia, cit., Univ.-Progr. Bonn, 1900-1904. 3 C. Wachsmuth fu con Hense l'editore dell'Anthologium di Stoben: b annis Stobaei Anthologium, edd. C. WACΗSMUTH - O. HEISE, voll. I-V, Berlin, Weidmann 1884-1912 -
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ressò particolarmente ad un bacino di raccolta molto importante, il Corpus Parisinum, e alla Melissa Augustana o Barocciana. Tuttavia la pubblicazione, completata nel 1912, dell'Anthologium di Stobeo ad opera di Wachsmuth e Hense, 5 aveva avuto per effetto l'abbandono degli studi gnomologici: si giudicava infatti l'Anthologium sufficientemente ricco di citazioni di autori antichi, vero obiettivo della ricerca, lo si considerava autorevole e prossimo dell'Urflorilegium, dal quale sarebbero derivate tutte le sillogi medievali. Da parte loro, le sentenze sacre interessavano soprattutto la ricerca di frustuli di autori poco conservati dalla tradizione manoscritta, come per esempio Origene. Anche in questo caso era disponibile, benché mal edita, un'opera di vaste dimensioni, gli Hiera di Giovanni Damasceno, 6 ricchi di citazioni; la paternità sicura (che sarà più tardi contestata') garantiva al filologo la serietà del compilatore. Marcel Richard fu il vero esploratore che cambiò l'approccio a questo vasto territorio. Da un lato, la ricerca costante di fondi manoscritti greci gli faceva scoprire nuove opere; dall'altro lato il suo interesse per gli scrittori cristiani lo spingeva a cercare frammenti di opere perdute in sillogi ancora sconosciute. Quando la redazione del Dictionnaire de Spiritualité gli chiese di scrivere la voce "florilèges grecs", egli realizzò un vero capolavoro di cartografia gnomologica medievale. Accingendosi a descrivere i sentenziare bizantini, lo studioso prese la decisione di indagare í cataloghi dei manoscritti. Lavorando all'Institut de Recherche et d'Histoire des Textes di Parigi, dove si trova una importante collezione, che egli stesso aveva contribuito a creare, di microfilm di codici, Richard entrò nel vivo del problema filologico, analizzando le diverse recensioni di ogni gnomologio: un lavoro immane, punto di partenza per tutte le ricerche in questo campo. Qualunque critica o riserva portata al suo lavoro sa(rist. an. Berlín, Weidmann 1958). Ma fu anche uno studioso molto attivo di tutta la tradizione gnomologíca e la sua opera Studien zu den Griechischen Florilegien, Berlín, Weidmann 1882 (rist. an. Amsterdam, Rodopí 1971), resta ancora oggi un punto di riferimento.
Photii Patriarchae Opusculum Paraeneticum, Appendix Gnomica, Excerpta Parisina,
ed. L. STERIBACH, «Rozprawy Akademii Umigjetnogci, Wydzial Filologíczny», s. II, vol.
V, Krak~w 1894; ID., Gnomologium Vaticanum, «Wiener Studien», IX, 1887, pp. 175-206; X, 1888, pp. 1-49, 211-260; XI, 1889, pp. 43-64, 192-242 (risi. an. Berlín, De Gruyter 1963).
Vedi sopra, n. 3. Gli Hiera o Sacra Parallela furono editi da M. LEQUIEN, Sancti Joannis Damascena /...] opera omnia quae extant, t. II, Parigi 1712, pp. 278-730, e ristampati nella Patrolo6
gia Graeca, vol. 95, co11. 1041-1588 e 96, coll. 9-442. Particolarmente da J.M. HOECK, Stand und Aufgaben der Damaskenos Forschung, -
«Oríentalia Christiana Periodica», XVΙΙ, 1951, pp. 29-30.
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GLI GNOMOLOGI GRECI SACRO-PROFANI
rebbe ingiusta e infondata, sia perché la precisione scientifica della sua indagine non presta il fianco a nessuna osservazione negativa, sia perché la mole del materiale considerato è immensa, sia perché questo lavoro pionieristico non solamente ha tracciato la carta geografica della produzione gnomologica, ma ha anche inaugurato nuovi percorsi, i soli che possiamo seguire con una qualche sicurezza. Guardiamo dunque la carta tracciata da Richard, cominciando dal sistema tassonomico usato dallo studioso. Richard non solamente aveva considerato tutta la produzione florilegica bizantina che aveva conosciuto una certa diffusione, ma era entrato anche nel merito delle qualità di ciascun gnomologio. Inoltre il suo articolo era solo il secondo pannello di un trittico del Dictionnaire de spiritualité, che sotto il lemma "Florilegi spirituali greci" presentava anche i florilegi latini e í florilegi medievali d'etica. II senso dello studio è dato nella presentazione del lemma, laddove si afferma che il campo d'indagine previsto
«si limita alle raccolte destinate a ricordare, in funzione dell'ideale evangelico, le leggi dell'ascesi cristiana, le norme della lotta spirituale e le vie della preghiera, insomma i florilegi che trattano di spiritualità cristiana».$ Richard si occupò della catalogazione del materiale bizan-
tino e del suo contenuto spirituale, studiando più di trecento manoscritti e operando una divisione tassonomica in tre categorie: florilegi damascenici, cioè sentenziari derivanti in qualche modo dai Sacra Parallela attribuiti a Giovanni Damasceno, di cui esistono numerose varianti; Richard ne enumera 10; florilegi sacro - profani, cioè sentenziari in cui l'insegnamento cristiano si mescola a gnomai derivate dalla saggezza pagana; Richard identifica 10 diversi gnomologi; florilegi monastici, cioè sentenziari costituiti da estratti ascetici; Richard iscrive a questa categoria 12 sentenziari. II. LE SILLOGI SACRO -PROFANE: PRIMI CARATTERI
Richard partiva dal presupposto che «l'idea di invocare in una sola esortazione l'insegnamento della Bibbia, dei Padri della Chiesa e della saggezza pagana, non poteva venire a cristiani, anche se intrisi di cultura antica, se non dopo la scomparsa totale del paganesimo».9 Il senso
B P. DELHAYE, Florilèges latins, in Dictionnaire de Spiritualité XXXIII - XXXIV, París, Beauchesne 1962, cil. 436. 9 RICHARD, op. cit., coi. 487.
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PAOLO ODORICO
della sua tassonomia si trova proprio in questo apprezzamento: le sillogi sacro-profane dovevano datare al IX o meglio al X secolo, epoca che prelude all' `enciclopedismo' bizantino; questa doveva essere l'epoca di composizione dello Pseudo-Massimo, primo vero sentenziario spirituale sacro-profano da cui molte raccolte sono derivate: la carta geografica da lui disegnata comincia esattamente con quest'opera. Questo apprezzamento è tuttavia riduttivo, perché presuppone un uso unico degli gnomologi, quello appunto di manuale di perfezionamento spirituale cristiano. In realtà i sentenziari, depositi di saggezza e di apprezzamenti sulla vita, sul bene e sul male, su Dio e sui doveri di ogni cristiano, erano sicuramente utilizzati da un pubblico ben píì.I largo di quello che cercava solamente il conforto della fede e i consigli necessari per avanzare lungo la strada della virtù. II fatto che anche le collezioni non cristiane fossero copiate, lette, usate, mostra che non c'era una separazione netta tra il pubblico dei fruitori di queste opere. Proprio come un qualunque cristiano dell'impero bizantino leggeva la Vita di un santo, magari del suo santo protettore, e il Romanzo di Alessandro, cristianizzato certo, o un romanzo d'amore, una cronaca e una omelia, e proprio come una antologia poetica poteva raccogliere le riflessioni morali di Gregorio di Nazianzo, i lamentosi epitimbi ricchi di amare considerazioni sulla futilità della vita, e i carmi pederotici di Stratone di Sardi o gli elegiaci giochi amorosi di Paolo Silenziario e di Agazia, così uno gnomologio poteva mescolare sapienza sacra e profana, senza per questo essere spirituale. Dato che lo scopo dello studioso era lo studio dei florilegi dal punto di vista spirituale, la sua analisi era centrata soprattutto sulla struttura delle raccolte, sulla loro divisione e organizzazione dei capitoli. Per questo motivo da un lato non considerò il Corpus Parisinum, che divide il materiale per autore, se non in quanto fonte delle sillogi, e dall'altro lato prestò poca importanza allo gnomologio di Giovanni Georgide, che – disponendo le sentenze in ordine alfabetico – non dava un'idea chiara della sua utilizzazione spirituale. Richard aveva tentato anche di costruire una sorta di genealogia degli gnomologi sacro-profani. Siccome le sillogi sacro-profane sono, appunto, sacre e profane, ciascuno dei due filoni avrebbe una sua tradizione propria. Per quanto riguarda le citazioni sacre, Richard pensava che la maggior parte delle citazioni provenissero dalle raccolte `damasceniche', cioè sillogi derivate da un unico fl orilegio databile a1l'VIII secolo e composto probabilmente in Palestina. Per le sentenze profane, il discorso è molto più complesso. La difficoltà di stabilire le filiazioni deriva dal fatto che gli excerptori hanno utilizzato numerosi sentenziari, che circolavano in gran numero a Bisanzio, come —64—
GLI GNOMOLOGI GRECI SACRO-PROFANI
lo Gnomologium Byzantinum (che ha conosciuto numerose varianti) 10 ~~ e altri ancora. È probabile che o l' '~ρτστον firmi πρ ~τον µ ~ Θηµα, l'autore di una nuova silloge si servisse di una silloge precedente, arricchendola con prestiti da altre collezioni. La gran parte delle raccolte sacro-profane sarebbero derivate dallo Pseudo-Massimo e Richard si sforzò d'identificarne le fonti. Alla base dello Pseudo-Massimo ci sarebbe, per la parte profana, il Corpus Parisinum; per la parte sacra l'excerptore avrebbe fatto ricorso ancora una volta al medesimo Corpus, arricchendolo di sentenze provenienti da uno o più florilegi di tradizione damascenica, ed in particolare il PML". Insomma, per riprendere la metafora, il Corpus Parisinum sarebbe un grande bacino di raccolta, in cui sarebbero confluite numerose correnti derivate da fonti gnomologiche antiche; lo PseudoMassimo sarebbe formato da sentenze provenienti da questo bacino e dall'altro grande bacino, gli Hiera o Sacra Parallela, che sarebbe a capo della "tradizione damascenica". Lo Pseudo-Massimo sarebbe insomma il grande fiume percorribile, la via che ci permette di attraversare la giungla gnomologica. Lungo il suo percorso esso avrebbe conosciuto una seconda versione `aucta', arricchita da un nuovo ricorso alla tradizione damascenica, e sarebbe sfociato nella moltitudine di rivoli che tramandano il testo, i manoscritti che noi possediamo. D'altra parte, esisterebbero altri corsi indipendenti, come per esempio il Florilegium Atheniense, che devono ancora essere studiati. Questo, per sommi capi, è l'impianto tassonomico proposto dal Richard. La progressione degli studi gnomologici non è stata molto rapida durante l'ultimo quarantennio, anche se la realizzazione di alcune edizioni hanno fatto avanzare le nostre conoscenze. Circa vent'anni fa comparve l'edizione completa dello gnomologio di Giovanni Georgide. 12 Il caso del Georgide è interessante: da un lato si tratta di una
10 Di cui esistono molte recensioni: la principale è lo Gnomologium Byzantinum a κ τ~ν ∆ηjοκρ(τον Ìσοκρ~ τους κα~~ ~πικ-τ~zo υ e variis codicum exemplis restitutum, ed. C. WACHSMUTH, in Studien zu den griechischen Florilegien, cit., pp. 162-216; una nuova recensione è stata da me pubblicata: Gnomologium Byzantinum litterarum ordine dispositum, quod in codice Bibliothecae Atheniensis 1070 servatur, ed. P. ODORICO, «Rivista di studi
Bizantini e Slavi», II, 1982, pp. 41-70 (con bibliografia sul soggetto: l'edizione è stata purtroppo maltrattata dal tipografo).
11 H. SCHENKL, Das Florilegium Αριο ον κα~~Πρ~~τον µ ~ θηµα,«Wiener Studien», XI, 1889, pp. 1-42. 12
P. ODORICO,
Il prato e l'ape. Ιl sapere sentenzioso del monaco Giovanni, Wien, Ver-
lag der Akademie der Wissenschaften 1986 («Wiener Byzantinische Studien», XVII). L'u-
nica edizione precedente non era completa: Γν~µατ συλλε yεîσot ~Πò Ìωcννου ΜΙ VU-
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PAOLO ODORICO
famiglia di sentenziari, comprendente il Florilegium Marcianum, il Georgide vero e proprio e certe .elaborazioni tardive; dall'altro esso mette in dubbio la costruzione di Richard, poiché questo gnomologio è eccentrico rispetto alla definizione di raccolte a carattere morale data agli gnornologi sacro-profani. Proprio in questo tentativo di ridefinizione della funzione delle sillogi, comparvero alcuni interventi su varie riviste. 13 Poco tempo dopo furono pubblicati con grande cura filologica gli Gnomica Βasileensia, 14 preceduti di poco dall'edizione della Melissa Augustana, definita Florilegio Patmiaco.15 L'editore ha seguito le tracce di Richard in quello che concerne la concezione spirituale delle sillogi, senza penetrare a fondo nell'intricato labirinto delle filiazioni. Lo stesso editore ha dato recentemente alle stampe una edizione dello Pseudo Massimo, 16 che ha fatto subito dopo l'oggetto di una nuova edizione. 17 -
III. GLI GNOMOLOGI SACRO-PROFANI: TENTATIVO DI UN PERCORSO DI SCOPERTA Vorrei in primo luogo riprendere la discussione attorno alla `na tura' degli gnomologi sacro-profani. Come abbiamo visto, privilegiando il contenuto `spirituale', Richard non poteva non considerare lo PseudoMassimo come rotta principale della sua esplorazione. Infatti la divisione per capita rispondeva pienamente all'idea di una organizzazione morale delle gnomai. In realtà questa strutturazione gnomologica, certo molto pratica, certo antica, perché utilizzata dallo Stobeo e dagli Hiera, ζοντος τov καi Γεωρ yí δη, ed. J. F. BOISSONADE, in Anecdota Graeca e codicibus regiis, I, Paris, 1829 (rist. an. Hildesheim, Olms 1962), pp. 1 108 (= PG 117, 1055 1164). 13 Segnalo in particolare: P. ODORτCO, La cultura della σολλοy~. 1) Il cosiddetto enciclopedismo bizantino. 2) Le tavole del sapere di Giovanni Damasceno, «Byzantinische Zeitschrift», LXXXIII, 1990, pp. 1 21. Sulla questione si veda P. ODORICO, Un esempio di -
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lunga durata della trasmissione del sapere: Cecaumen ο, Sinadino, l'Antichità, l'Età Moderna, in Aspetti di letteratura gnomica nel mondo antico. I, a cura di M.S. FUNGHI, Firenze, Olschki 2003 (Accademia Toscana dí Scienze e Lettere `La Colombaria', «Studi», 218), pp. 283-299. 14 Gnomica Basileensia, ed. by J.F. KINSTRAND, Uppsala, Almquist & Wiksell 1991 («Acta Universitatis Upsaliensis. Studia Byzantins Upsaliensia», 2).
Un traité de vie spirituelle et morale du ΧΡ siècle: le florilège sacro profane du manuscrit 6 de Patmos, Introd., texte critique, notes et tables par E. SARGOLOGOS, Thessa-
lonique-Asprovalta 1990.
16 Florilège sacro profane du Pseudo Maxime, texte établi avec une introduction et des notes par E. SARGOLOGOS, Hermoupolis-Syros, Typokyladiki 2001. 17 S. IHM, Ps. Maximus Confessor. Erste kritische Edition einer Redaktion des sacro profanen Florilegiums Loci Communes, Stuttgart, Steiner 2001 («Palingenesia», 73). -
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GLI GNOMOLOGI GRECI SACRO-PROFANI
non è assolutamente la sola, anzi, negli gnomologi sacro-profani pare apparire piuttosto tardi. Nell'area cronologica in cui furono prodotte le sillogi sacro-profane (IΧ-X secolo), circolava una varietà notevole di forme gnomologiche: raccolte damasceniche e monastiche, quelle alla Teodoro Dafnopate, che nel X secolo compone delle omelie-centoni costituite di sentenze crisostomee, 18 e i Sermones de Moribus metafrastici formati da passi provenienti da Basilio di Cesarea 19 (queste raccolte hanno sicuramente giocato un ruolo nella formazione delle sillogi sacro-profane, perché i diversi tipi di gnomologi non sono impermeabili l'uno all'altro), raccolte interamente sacre o interamente profane, divise per capita, spesso trasmesse solo in estratti, come l'Anthologium di Stobeo o i Sacra Parallela, raccolte per autore, florilegi alfabetici, e poi sillogi come 1' '4ριστον mai πρ~τον µ ~ θηµα,come lo Gnomologium Byzantinum, in cui prevale l'organizzazione per autore o per autori, raccolte costituite da apoftegmi, etc. Nelle raccolte più antiche l'apporto personale del singolo compilatore pare essere importante, e possiamo supporre che le nuove sillogi fossero composte partendo da una base gnomologica esistente arricchita da letture personali. Allo stesso periodo apparteneva anche la o le misteriose fonti sacro-profane utilizzate dai florilegi Rossianum, Atheniense e Mosquense, su cui ritornerò in seguito. Sulla base delle edizioni uscite nell'ultimo ventennio possiamo cercare di ripercorrere il territorio gnomologico e tentare nuovi percorsi, avendo come guida il Richard. Nel corso di questa presentazione cercherò di identificare le varie strade che possiamo seguire per verificare ed eventualmente aggiustare la mappa abbozzata da Richard. IV. LE SILLOGI
SACRO-PROFANE: UNA CRONOLOGIA IMPOSSIBILE?
Per preparare il nostro viaggio attraverso la giungla gnomologica, sarebbe comodo misurare le distanze tra un bacino e l'altro, tra un
18
Cfr.
ODORICO,
Un esempio di lunga durata della trasmissione del sapere, cit., pp.
290-291.
Il testo si trova in PG, 32, cο11. 1116-1381: cfr. J.F. KINDSTRAND, Florilegium e Basilio Magno ineditum, «Eranos», LXXXIII, 1985, pp. 91-111: 114 e S.Y. RUDBERG, `Morceaux choisis' de Basile sélectionnés par Syméon Métaphraste, «Eranos», LXII, 1964, pp. 100 119; P.J. FEDWICK, The Citations of Basil of Caesarea in the Florilegium of Pseudo-Antony Melissa, «Orientalia Christiana Periodica», XLV, 1979, pp. 32-44. 19
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PAOLO ODORICO
fiume e l'altro, sapere quale sta a monte e quale a valle, e quale i ntervallo ci sia tra una raccolta e l'altra. Ma i punti di riferimento sono pochi e spesso abbiamo solo alcune opinioni e poche prove sulle datazioni proposte; come nella giungla amazzonica circolano alcune `leggende' su luoghi meravigliosi che i ricercatori avrebbero voluto raggiungere, così i filologi hanno tentato talora di indicare qualche punto di riferimento, senza tuttavia riuscire ancora a ben definire la morfologia del territorio. In questo senso l'edizione dello Pseudo Massimo ad opera di S. Ihm è esemplare: la studiosa non propone cronologie esatte, ma riferisce solo le opinioni di chi l'ha preceduta, cosciente della difficoltà di fornire date più o meno precise. Nel tentativo di datare le raccolte possediamo pochi indizi sicuri. Il primo è il terminus ante quem costituito dai codici: nel caso delle sillogi sacro-profane, sappiamo che essi non sono mai anteriori al X secolo. Il secondo indizio, il nome dell'autore più recente citato in una silloge, che potrebbe fornirci un altro terminus post quem, deve essere usato con la più grande precauzione: esiste infatti la possibilità di eventuali inserzioni tardive; inoltre tra l'autore più recente e la data di composizione della raccolta il divario cronologico può essere notevole: lo Pseudo Massimo non conosce autori posteriori al VII secolo, ma nulla c i autorizza a datarlo a quest'epoca. Il terzo indizio rappresentato dalla cronologia relativa delle sillogi. Ma dal momento che finora gli studiosi hanno esaminato solo campioni di materiale, di solito relativi ad un solo autore, e dato che molte sillogi sono ancora inedite, stabilire cronologie relative è molto complesso. Potremmo certo ricorrere allo `spirito del tempo', per proporre alcuni punti di riferimento, ma questo è un elemento estremamente labile: Richard immaginava il X secolo come epoca di redazione delle sillogi sacro-profane perché questa sarebbe l'epoca in cui i l sapere sacro e quello profano potevano mescolarsi senza turbare i l sentimento cristiano del lettori. Ma questa osservazione è poco valida, come abbiamo visto; poco utile è anche il riferimento all'epoca dell' `enciclopedismo', il X secolo, in nome degli interessi promossi da Costantino Porfirogenito. -
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V. LO
GNOMOLΟGIO D'AUTORE
Le due bussole che possiamo utilizzare durante la nostra esplorazione sono, per le ragioni che vedremo fra poco, il Corpus Parisinum e i l Georgide: essi devono essere datati ad un periodo compreso tra l'VIII secolo e la fine del IΧ. — 68 —
GLI GNOMOLOGI GRECI SACRO-PROFANI
Il Corpus Parisinum
Inoltriamoci nella zona cronologica situata a valle delle grandi fonti gnomologiche dell'Antichità e della prima epoca bizantina, cioè dell'Anthologium di Giovanni Stobeo e degli Hiera damascenici, consci del fatto che accanto a queste due sillogi ne esistevano molte altre minori. Consideriamo dapprima il bacino di raccolta chiamato Corpus Parisinum. È questo il mitico Eldorado che gli esploratori gnomologici hanno sempre cercato, il luogo più ricco di tutta la tradizione sentenziosa sacro-profana bizantina? A dispetto dell'importanza che noi diamo a questa raccolta, essa si salva solo in due manoscritti, l'uno del XIV secolo, il Parisinus gr. 1168, l'altro del XVI secolo, l'Oxon. Bodleianus Digby 6. Ad essi bisogna aggiungere un terzo, 20 antico ed illustre, il Parisinus gr. 690 dell'XI secolo, che nei ff. 145-147v contiene una silloge affine a quella del Corpus Parisinum, descritta da Sternbach. 21 Serve tuttavia una precisazione. Quando gli studiosi parlano del Corpus Parisinum, fanno riferimento al codice attuale, composto da: i Capita Admonitoria di Agapeto Diacono; una serie di sentenze sacre divise per autore; una collezione di profezie di autori pagani sulla fede cristiana; una serie di sentenze profane divise per autore; un estratto del III libro di Stobeo; una recensione dello Gnomo ligio bizantino; una collezione di apoftegmi profani; una recensione dei Monostici di Menandro. Così Ríchard, 22 seguendo Elter, 23 considera il Corpus Parisinum, ovvero la totalità delle opere sopra citate, come fonte principale dello Pseudo-Massimo, e di conseguenza di quasi tutta la produzione sacroprofana.24 Ritengo tuttavia questa valutazione del Corpus non corretta. Infatti quella sopra indicata è la composizione del codice attuale, e
20 Ma vedi anche l'articolo di J.F. KINDSTRAND, A Gnomo logical Collection Related to the Corpus Parisinum, in AEIMUN. Studies Presented to Lennart Rydén on his Sixty-Fifth Birthday, ed. by J.O. RosεNQvτsT, Uppsala, Almgvist & Wiksell 1996 («Acta Universita-
tis Upsaliensis, Studia Byzantína Upsaliensia», 6), pp. 143-166. 21 Photii Patriarchae Opusculum Paraeneticum, cit., p. 59 sg. 22 Op. cit., col. 489. 23 ELTER, Gnomica Homoeomata, cit., I, pp. 67-74. 24 Così fa anche Sargologos, che nell'edizione della Melissa Augustana e in quella dello Pseudo-Massimo rinvia al Corpus Parisinum, senza precisare a quale silloge del Corpus egli si riferisca.
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PAOLO ODORICO
nulla ci assicura che un codice sim il e, costituito dalle medesime raccolte (indipendenti l'una dall'altra), esistesse gíà nel IX secolo, in modo da poter essere utilizzato dallo Pseudo Massimo. A mio avviso le tre sezioni b), c) e d) rappresentano uno gnomologio autonomo, opera di un excerptore che ha riunito la sapienza sacra (b) e profana (d), inserendo tra queste due sezioni una serie di sentenze profane cristianizzate (c), cioè di gnomai attribuite ad autori dell'Antichità, ma riferite ad aspetti della teologia cristiana. Quando si parla di Corpus Parisinum, dobbiamo riferirci a questo sentenziario e non al codice attuale. Ciò è tanto più vero che proprio questa sezione (b+c+d) presenta paralleli con la silloge del Par. gr. 690. Per tale ragione mi parrebbe sensato definire l'insieme degli gnomologi contenuti nei codici parigino e oxoniense come Collectanea gnomologica Parisina,mentre le sezioni b), c) e d), che costituiscono apparentemente un unico gnomologio, possono essere definite come Corpus Parisinum. All'opposto della concezione del manoscritto corrispondente nella sua totalità ad un unico corpus, si trova quella della frammentazione anche del Corpus Parisinum vero e proprio in una serie di florilegi minori. Questa strada è stata seguita da I οrdanoglou, 25 che spinge alle estreme conseguenze un intelligente studio di Kindstrand. 26 Le prospettive di ricerca indicate da Iordanoglou sono molto interessanti: la sezione del Corpus Parisinum contenente le sentenze di Gregorio Nazianzeno costituirebbe una sorta di gnomologio autonomo, il Florilegium Nazianzenum; questa ottica è suffragata dalla costatazione che sono esistiti florilegi cristiani tratti da un unico autore, realtà innegabile e mal studiata. Secondo Iordanoglou questo Florilegium Nazianzenum sarebbe costruito a partire dalla silloge del Par. Sappi. gr. 690 arricchito con citazioni provenienti dai Sacra Parallela. Si pone dunque il problema di sapere quali sono le fonti del Corpus Parisinum. In generale, nella ricerca delle fonti di un sentenziario, dobbiamo fare attenzione in primo luogo alla sua struttura: per esempio, una raccolta divisa per capita ha buone possibílítà di ispirarsi ad un'altra che presenta una struttura simile e di ricopiare da questa i titoli, spesso nello stesso ordine. I~~secondo luogo dobbiamo essere certi che la relazione tra una silloge e quella che potrebbe essere la sua fonte sia -
25
D.
IORDANOGLOU,
88-110. 26 KINOSTRAND,
Florilegium Nazianzenum ineditum, «Eranos», XCIV, 1996, pp.
Florilegium e Basilio Magno ineditum, cit.
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GLI GNOMOLOGI GRECI SACRO-PROFANI
suffragata da un importante numero di sentenze comuni, e che queste ritornino nello stesso ordine, almeno a gruppi. Il confronto testuale è possibile solo se disponiamo di edizioni critiche complete, ed in questo caso dobbiamo lavorare con tutte le varianti di un sentenziario, perché non sappiamo a priori da quale manoscritto lo gnomologi, di cui ricerchiamo le fonti ha tratto il materiale. Infine dobbiamo riflettere sulla possibilità di un arricchimento del sentenziario con letture personali. Il Corpus Parisinum presenta una strutturazione per autore. Possiamo immaginare che per ogni autore il compilatore si sia servito di fonti diverse, costituite o dagli scritti stessi di ogni autore, o da disparati gnomologi. Tuttavia è fortemente probabile che il Corpus Parisinum abbia sfruttato in maniera più intensa un numero ristretto di raccolte, arricchite con estrapolazioni personali. Secondo Iord αnoglou, che ha esaminato le sole sentenze di Gregorio di Nazianzo, l'autore del Corpus avrebbe giustapposto due fonti, i Sacra Parallela e una raccolta ancora inedita, di cui si salvano tre manoscritti, divisi in due rami della tradizione: da una parte il Parisinus Suppl. gr. 690 (XI sec.), dall'altro la famiglia costituita dal Vat. gr. 1357 (XV sec.) e dal Vind. philos et philolog. gr. 216 (XV sec.). Sarebbe proprio il primo ramo della tradizione di questo gnomologi,, che non ha ancora nome, ad aver fornito una quindicina di sentenze al Corpus Parisinum, giustapposte ad altre derivate dai Sacra Parallela. L'ipotesi, possibile, deve essere verificata su tutta la parte sacra del Corpus. Va tuttavia osservato che non disponiamo di un'edizione completa e soddisfacente dei Sacra Parallela. Inoltre il confronto deve essere preciso; per esempio la sentenza 24 di Iordanoglou, contrariamente alla tavola presentata da questi, figura in Giovanni Damasceno (PG 96, 228Α). Resta comunque interessante l'ipotesi che la silloge contenuta nel Par. Suppl. gr. 690 possa essere una fonte del Corpus, contrariamente a quanto si credeva. In uno studio del 1981,27 avevo esaminato il tributo che il Corpus deve ai Sacra Parallela. All'epoca avevo preso come campione d'analisi le sentenze di Giovanni Crisostomo presentando la tavola seguente: ,
27 Il «Corpus Parisinum» e la fase costitutiva degli gnomologi sacro-profani. (Prospettive di ricerca sulla letteratura gnomologica bizantina), in Studi-bizantini e Neogreci. Atti del IV
Congr. naz. di studi bizantini (Lecce-Calimera 1980), a cura di P.L. LEONE, Galatina, Congedo 1983, pp. 417-429.
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PAOLO ODORICO
TAVOLA 1
CP 1 2 3 4 5
SP
PM
CP
SP
PM
E XVII, 40
XLΙ, 13
41 42 43 44 45 46 47 48 49 50 51 52 53 54 55 56 57 58 59 60 61 62 63 64 65 66 67 68 69 70 71 72 73 74 75 76 77 78 79
E XX, 10 EX', 3 E XIV, 12 E VII, 40 E VII, 41 E VII, 42 E VIII, 65.2 E VIII, 65.3 E VIII, 65.3 E XVΙΙΙ, 21 K III, 9 Α II, 5 M V, 21 — M III, 55 M IV, 13 M IV, 13 M IV, 13 — Σ VII, 4 Υ XII, 24 Φ II, 29 Φ II, 30.2 Φ VII, 22 Φ VIII, 15 —
LIX, 10 XXΙΙ, 12 LXVI, 22 XIV, 11 XIV, 12 XIV, 13 VII, 23 VII, 30 VII, 31 — XXXI, 9 X, 13 XXX, 10 — XXV, 15 LXII, 13 XXVI, 19 LXII, 14 XXXIII, 4 — XLII, 11 XLVIII, 8 XLII, 12 — — Χ, 14 XLIII, 8
—
I, 19 LXVII, 8 XIV, 10 — XXXVI, 10 XXΙΙ, 14 XXΙΙ, 15 XIII, 8 — XXΙ, 13 XII, 15
6
7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 32 33 34 35 36 37 38 39 40
—
Α Α Α Α Φ
IV,49 IV, 49 IV, 49 IV, 49 VII, 7.1
—
Α XII, 146 Α XII, 146+156 K XI, 35.1 Α XV53 Α XV, 54 Α XVIII, 49 Α XIX, 22 B VIII, 13 Γ V, 12,1.2 Γ IΙ, 27 Γ,II, 27 Γ XII, 24 Γ XV, 30 ∆ XII, 4 ∆ XII, 5 ∆ VIII, 9 ∆ VIII, 10 ∆ XIV, 29,1 ∆ XIV, 29,2 E ΧΧ, 10
XXIV, 10 XXIV, 11 — — VI, 2 LXVII, 10 XXVI , 7 — XLV, 9 XXVΙ, 24 XLV, 8 VI, 20 XXXV, 8 — XXXII, 8 — XXI, 14 — XLVII, 13 XX, 9 X, 11 Χ,12 I,15 — I, 20 LV, 16
— Α VII, 6 — E IX, 82 VII, 24 uguale alla sentenza 39 E XVΙΙ, 40 XLI, 14 Θ III, 16.3 XVΙΙ, 18 XVII, 19 O III, 18 confronta la sentenza 38 LXIII, 9 — XXXIII, 10 Ψ I,32 LXIX, 9 — 0 1,32 —
Come si può ben vedere, sulle 79 gnomai crisostomiche, solo i numeri 2-14 e altre 8 non compaiono nell'edizione dei Sacra Parallela ripubblicata dal ligne. Inoltre appare chiaro che il compilatore ha seguito passo dopo passo la sua fonte; i capita dei Sacra Parallela sono disposti in ordine alfabetico: possiamo seguire il percorso di estra-72—
GLI GNOMOLOGI GRECI SACRO-PROFANI
polazione intrapreso dal Corpus dalla lettera Α in poi, passando attraverso la B (1 sentenza,), la Γ (5), la ∆ (6), la E (11), poi la K (1), la A (1), la M (5), la Σ (1), la Υ (4), la Φ (4), la 0 (2), mentre altre sentenze appartenenti alla E e alla O sembrano spostate. Aiutati dalle edizioni di Kindstrand e di Iordanoglou, prendiamo ora in esame le sentenze di Basilio di Cesarea e di Gregorio Nazianzeno. TAVOLA 2 A: BASILIO
(nella prima colonna sono indicate le sentenze del Corpus Parisinum, nella seconda quelle presenti nei Sacra Parallela)
CP 1 2 3 4 5 6
SP
— Α 44 — —
7 8 9 10
—
11 12 13
14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25
26 27 28 29
30 31 32 33
— ∆ 25 — Μ5 — Φ 12 Π 21 —
— Φ9 — — Α9
All Α 20 Κ4
CP
SP
CP
66 34 35 36 37 38 39 40 41 42 43 44 45 46 47 48 49 50 51 52 53 54 55 56 57 58 59 60 61 62 63 64 65
Π 21
67 68 69 70 71 72 73 74 75 76 77 78 79 80 81 82 83 84 85 86 87 88 89 90 91 92 93* 94 95 96 97
Α 30 Α 46
Alo
Α 12 Α 12
Α 12
Α 14 —
— ∆ 23 ∆ 23 ∆8 ∆ 18 ∆ 19 — — S5 Β 18 9=81 — — Ι 5 Ι 5 Ι 5 Klo
Μ3 Μ5 — Π4
Μ7 Π 15 Π 18
SP Π 22 — —
Γ3 ∆ 14 —
—
Ζ 1/Α 12 —
—
0 9 —
Ε 9 —
Σ 9 Σ 17 —
—
Ψ1 —
∆ 18
All Μ4 — Α 25 Α 25
Σ 19 — Α26 Γ3
* si tratta di un passo di Gregorio Nazianzeno, come giustamente segnalato da SP
—73—
PAOLO ΟDΟRΙCΟ
Sulle 97 sentenze basiliane, 53 sono presenti nei Sacra Parallela, cioè il 54,6%. Il percorso di estrapolazione dai Sacra Parallela non così chiaro come nel caso di Giovanni Crisostomo; tuttavia possiamo ritrovare alcune serie intere che ci fanno ragionevolmente identificare in questi ultimi la fonte del Corpus per oltre la metà del suo contenuto. Certe sequenze, specialmente nella parte centrale, fanno supporre che il compilatore abbia seguito passo passo uno gnomologio damascenico, confermando grosso modo í dati forniti dalle gnomai crisostomiche. Se esaminiamo le sentenze di Gregorio di Nazianzo, otteniamo invece risultati differenti. TAVOLA 2 Β: GREGORIO ΝΑΖΙΑΝΖΕΝΟ
CP
PM
1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31
10,8 38,8 15,7,4 15,7,1 15,7,2 15,7,3 22,12 2,7 38,9 27,9 64,27+ 3,7 44,8 12,12 6,15 6,16 37,6 10,9 34,10 6,17 71,9 44,9
SP
Π11 - Α32 Π 11 Ο 4 (long.) K4 Κ4 Τ 11
Ε9 Π2 Σ 17 -
Π 13 (long.) Π 13 (long.)
-
ΠΑ Φ 7 Φ7 Β 9 (brei.)
CP 32 33 34 35 36 37 38 39 40 41 42 43 44 45 46 47 48 49 50 51 52 53 54 55 56 57 58 59 60 61 62
-74-
PM
SP
-
66,8 10,10 6,1825,11 49,7 1,11 38,1021,7 15,7,5 69,8 11,7 7,13 62,8 -* 9,12 -* 21,8 25,14 52,6 52,7** 38,12 9,13 35,7
-
-
Α 37 Α 37 -
-
Σ5
Σ2 -
-
∆ 14 -
Β 9 (long.) A I1 ∆ 23 Π 1 ∆3 Ε3 Α 21 Ψ 1
GLI GNOMOLOGI GRECI SACRO-PROFANI
CP
PM
63 — 64 6,19 65 — 66 57,7 67 19, 9 68 25,12 69 25,13 70 — 71 — 72 73 —* 34,12 74 75 — 76 — 77 8,8 — 78 22,12α 79 80 —
SP
CP
—
81 38,13 82 16,17 7,14 83 84 7,15 85 — 86 — 34,13 87 88 — 47,12 89 90*** 31,8 91 — 92 57,8+ 12,12+ 93 94 — 95 32,6 96 97 —*
Μ7 — Α 11
— Μ3 —
Μ3 — — Ο 6 — Α 31 — Α 17 Α 17 ∆ 29 Ε 14 - Σ7
PM
—
SP Α 27 Eli Ε8 I3 Μ 3 Μ3 Η3 Γ 15 Γ 15 Α 11 — —
Π 2 Α 25 —
* presente in PG, assente nell'edizione Sargologos ** Nilo e non Teologo *** Metodio e non Teologo
Anche in questo caso, sulle 99 gnomai, una grossa percentuale comune con i Sacra Parallela: 57 sentenze, cioè il 57,6%. Ma quello che più conta è l'assenza di sequenze, che pure erano presenti nelle sentenze di Basilio e di Crisostomo. Certe coppie provengono dalla divisione di uno stesso passo. È certamente possibile – come vuole Iordanoglou – che il compilatore abbia integrato una raccolta damascenica con la silloge del Par. Suppl. gr. 690, anche se bisogna portare prove più sicure per sostenere che essa sia la fonte del Corpus e non viceversa. D'altra parte la fonte damascenica non è facilmente identificabile per le sentenze di Gregorio, mentre lo era per quelle di Basilio e quelle di Crisostomo. Lungi dall'essere delusi da questa analisi, e nell'attesa di una pubblicazione completa del Corpus (edizione che dovrà necessariamente comprendere anche quella della silloge del Par. Suppl. gr. 690), possiamo tirare una conclusione provvisoria. Il Corpus, nella sua parte sacra, non è una mera riproduzione dei Sacra Parallela, che restano tuttavia una fonte importante per certi autori. Cíò fa presupporre che, partendo da una base gnomologica, il compilatore abbia arricchito la propria collezione attraverso altre letture, anche se non sappiamo se queste siano rappresentate dalla fonte stessa: in altre parole, è possí-75—
PAOLO ODORICO
bile supporre che in taluni casi il Corpus sia una fonte gnomologica ρrimaria.28
Una seconda osservazione riguarda il tipo di sentenze estrapolate. Il Corpus Parisinum è certamente una silloge molto ricca, che, oltre alla volontà di giustapporre la sapienza sacra e quella profana attraverso gli `oracoli' di pensatori pagani a proposito de ll a fede cristiana, 29 privilegia l'autore rispetto al contenuto. Gli autori cristiani non sono numerosi, ma presenti con un nutrito numero di citazioni, che occupano i fogli 39`-80t del codice parigino: Basilio, Gregorio Nazianzeno, Giovanni Crisostomo, Gregorio Nisseno, Sirach e Salomone, fanno la parte del leone, mentre altri autori come Dionigi Areopagita, Filone, Clemente, Nilo, Giovanni Climaco, Iob, Ignazio, Cirillo, Evagrio sono meno utilizzati. Per la parte profana (ff. 83`-121x), il discorso è un po' diverso: gli autori citati sono numerosissimi, ma presenti ciascuno con un corpus limitato di sentenze. Fra í più utilizzati troviamo Plutarco, Isocrate, Democrito, Socrate, Diogene. Alla lettura del Corpus, si ha
28 In effetti, si pone il problema di sapere quale gnomologio si rifà direttamente alle fonti e quale invece utilizza sillogi già esistenti. Questa affermazione tuttavia non deve essere presa in senso assoluto: un excerptore normalmente utilizza raccolte in circolazione e le arricchisce con citazioni dovute a ll e sue letture. Il caso del Florilegium Marcianum evidente: ad un fondo di citazioni già presenti in altre sillogi, egli aggiunge sentenze che estrapola direttamente da ll e opere che legge, Concio in primo luogo. L' οriginalιtà dell'excerptore è tuttavia duplice : da un lato questa attività primaria di scelta de ll e sentenze dà l'idea de ll a sua cultura e della sua personalità, d'altro lato il sistema di classificazione delle gnomai mostra quale è lo scopo che si è prefisso con la sua compilazione. In questo senso 1l Corpus Parisinum priv il egia la citazione per autore, il Georgide quella alfabetica, che si rifà — è vero — alla tradizione delle sillogi Κ ατ' ~λψá/3ητον, ma che nel contempo è probabilmente connessa con un uso piuttosto personale della silloge; infine la disposizione per capita, da Stobeo ai Sacra Parallela, a ll o Pseudo-Massimo, è un sistema che priv il egia il contenuto e facilita la ricerca de lla citazione adatta ad un certo contesto, senza dimenticare il ruolo di insegnamento (spirituale, ma soprattutto retorico) che la silloge ricopre. Le grandi raccolte di Stobeo e di Giovanni Damasceno o le Pandette di Antuoco paiono essere il risultato di una attività primaria di estrapolazione: molto spesso le citazioni sono molto lunghe, tanto da far somigliare la raccolta piuttosto ad una antologia di passi, che a uno gnomologio. Il Corpus Parisinum, che priv ilegia più l'autore che il contenuto, raccoglie invece sentenze brevi, che possono essere in parte derivate da altre raccolte, e in parte frutto di una attività primaria di estrapolazione. Il passaggio di gnomai da una silloge all'altra, da un tipo di concezione all'altro, mostra la continuità di utilizzazione del materiale gnomologico e indica chiaramente che gli excerptori non si facevano limitare dalla natura del materiale. In altre parole, la questione non è di sapere se un sentenziarlo è "spirituale" e "cristiano", per riprendere la terminologia di Richard, ma relativa a ll a funzione stessa del sentenziario: in un caso il lettore poteva trovare i "fiori" raccolti nel prato di ogni singolo autore, nel secondo il lettore-ape poteva bottinare il suo miele secondo tematiche determinate. Ambedue i percorsi erano presenti nella tradizione gnomologica antica. 29 H. ERBSE, Theosophorum Graecorum Fragmenta, Stuttgart, Teubner 1995.
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GLI GNOMOLOGI GRECI SACRO-PROFANI
la nitida impressione che l'autore abbia lavorato su raccolte preesistenti più per questi autori profani che per quelli sacri, per i quali possibile che egli abbia attinto direttamente alle fonti. Quanto alla funzione per la quale sembra essere stato pensato, il Corpus Parisinum sembra voler offrire al lettore citazioni di paternità `sicura', dunque utilizzabili più che per costruire un percorso spirituale (anche se la dimensione spirituale è sempre presente), a fini pratici. Ad esso si adatta benissimo il giudizio dato da Fozio a proposito dell'Anthologium stοbeiano:30 «Questo libro (scii. l'Anthologium) è di una utilità evidente per quelli che hanno letto le opere stesse degli scrittori: il libro aiuterà la loro memoria e sarà utile anche a chi non le ha ancora conosciute, poiché in poco tempo a forza di leggerle, essi potranno acquisire una conoscenza sommaria di belle e varie ri fl essioni. Evidentemente gli uni e gli altri potranno trovare senza sforzo e senza perdita di tempo ciò che cercano, se vogliono passare da questi capitoli (scii. in cui è diviso l'Anthologium) alle opere complete. Inoltre il libro è utile per chi si impegna nella retorica e nell'esercizio della scrittura». Il Corpus può essere approssimativamente datato: esso fu utilizzato dallo Pseudo-Massimo, che rappresenta dunque un terminus ante quem, e il cui più antico manoscritto è del X secolo. D'altra parte le sentenze crisostomiche derivano da una silloge damascenica. È vero che non sappiamo quale silloge damascenica fu usata, e che la cronologia precisa di questa famiglia gnomologica non è nota, ma una sua datazione all'VIII secolo sembra la più probabile. Il Corpus Parisinum potrebbe dunque essere stato redatto tra la fine dell'VIII e la fine del IX secolo. La sua struttura `per autore' fa il paio con quella alfabetica del Florilegium Marcianum, mentre – come vedremo – la struttura per capita pare in seguito prendere il sopravvento. Sarei propenso a datare il Corpus Parisinum alla prima metà del IX secolo. Quanto alla silloge del Par. Suppl. gr. 690, essa necessita di studi per poter trovare una definizione cronologica. Se essa fosse veramente una fonte del Corpus, potrebbe datare a ll ' VIII-IX secolo. Il Florilegium Marcianum Il caso del Florilegium Marcianum è particolare: con questo gnomologio siamo di fronte non ad un singolo prodotto, ma ad una intera famiglia gnomologica, il cui capostipite è il Florilegium Marcia30
Phot.
Bibliotheca,
cod. 167, vol. II, p. 159, 22-31 Henry.
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PAOLO ODORICO
num, opera di un dotto che ricorre spesso direttamente alle fonti; da questa raccolta nasce una versione più impersonale, il Georgide, che
conosce una diffusione piuttosto importante. In seguito vedono la luce alcune raccolte sicuramente apparentate con il Georgide, ma che ne modificano spesso il contenuto. Nell'introduzione alla sua edizione" avevo avanzato l'ipotesi che il Florilegium Marcianum fosse dovuto a Giovanni Grammatico o a un omonimo segretario di questi. L'unico codice che tramanda l'opera dovrebbe essere una copia fedele di un manoscritto più antico, forse passato tra le mani di Fozio o di qualcuno del suo entourage. Per quanto riguarda il contenuto del Florilegium Marcianum, un esame delle sentenze ci mostra la sua indipendenza dal Corpus Parisinum e dall'Anthologium di Stobeo. In compenso l'autore può aver utilizzato una fonte damascenica. Come risulta dal Grafo 1, sulle 505 sentenze del Florilegium Marcianum (gnomai a margine comprese), 60 sono presenti solo nei Sacra Parallela (11,8%), appena 23 nel solo Corpus Parisinum (4,55%), e 7 nel solo Anthologium stobeano (1,6%); a queste vanno aggiunte 19 sentenze presenti contemporaneamente nei Sacra Parallela e nel Corpus Parisinum (3,76%), 1 nei Sacra Parallela, nel Corpus Parisinum e in Stobeo (0,2%), 2 nel Corpus Parisinum e in Stobeo (0,4%). Inoltre molte sentenze sono più lunghe o più corte nell'uno o nell'altro testo, riducendo in tal maniera le possibilità di filiazione diretta. Varie gnomai mostrano di avere rapporti con altre raccolte interamente profane, e moltissime di essere derivate da una attività primaria di estrapolazione. Grafo 1 - Florilegium Marcianum
•® ~.. ~.
31
ODORICO,
Il prato e l'ape, cit. (supra, n. 12).
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sent. proprie 392 Q SP 60 SP+CP 19 jf CP 23 CP+St 2 ❑ St 7 SP+CP+St 1 [
]
GLI GNOMOLOGI GRECI SACRO-PROFANI
Anche il tipo di sentenze estrapolate è un elemento che ci rivela la natura della silloge. All'epoca della sua edizione, in assenza di strumenti preziosi come il Thesaurus Linguae Graecae su CD Rom, avevo reperito un numero molto importante di sentenze. Alcuni contributi hanno arricchito le nostre conoscenze, 32 cosicché oggi possiamo disporre di un quadro sufficientemente completo. La gran parte delle sentenze, oltre 1/5 , proviene da Concio di Gaza. L'interesse per la retorica e il bello scrivere è testimoniato dalle numerose citazioni di retori, e questa osservazione vale anche per le molte sentenze estrapolate da Basilio di Cesarea o Gregorio Nazianzeno, cosiderati modelli di retorica. Un numero importante di gnomai proviene dalla Bibbia, e bisogna porsi la domanda se questa fonte non sia piuttosto interpellata come miniera da cui estrarre citazioni per arricchire un discorso, una lettera, una orazione o un panegirico. Alcune sentenze sono derivate da autori di opere ricche di gnomai, come Isocrate (molto presente), Plutarco o i romanzi dell'Antichità, altre sicuramente provengono da gnomologi, come le citazioni di Pitagora o Menandro. A queste considerazioni ne va aggiunta un'altra: la struttura del Florilegium Marcianum struttura poi ripresa in tutta questa famiglia gnomologica – è quella alfabetica; possiamo di sicuro ritenere che lo scopo d~~ questa raccolta non era spirituale, ma serviva come repertorio di saggezza e di citazioni. Certo essa era poco pratica per il reperimento di una citazione, visto che l'ordine alfabetico comprendeva, per esempio, gli articoli. Questa constatazione, aggiunta alla ricchezza di estrapolazioni personali, ci induce a credere che i l Florilegium Marcianum sia stato concepito come uno strumento ad uso in primo luogo del suo compilatore, ma che l'abbondanza e l'originalità delle citazioni abbiano giocato a favore del suo successo presso altri lettori e compilatori. Infatti di questa silloge si sono servite alcune raccolte posteriori, in primissimo luogo il Georgide, che è una sorta di Florilegium Marcianum auctum, ma forse anche la Melissa dello Pseudo Antonio. Anche nel caso del Florilegium Marcianum non possiamo stabilire –
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32 L'identificazione delle fonti è stata proseguita dapprima da G. Danezis, nella recensione all'edizione («Byzantinische Zeitschrift», LXXXII, 1989, pp. 259-263), poi da E.V. MALTESE, Materiale per il Florilegium Marcianum, in Studia Classica lohanni Tarditi oblata, a. cura di L. BELLONI, G. MILANESE, Α. PortO, II, Milano, 1995 (Biblioteca di «Aevum Antiquum», VII), pp. 1263 1280, e Materiale per lo gnomologio di Giovanni Georgide, in Dissertatiunculae criticae. Festschrift für Günther Christian Hansen, hrsg. v. CH. F. COLLATZ et ALII, Würzburg, Konighausen & Neumann 1998, pp. 447 460; infine da I. VVASSIS, Georgidea. Siebzig Sentenzen und ihre Quellen, in Lesarten. Festschrift -
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für Athanasios Kambylis zum 70. Geburstag, hrsg. von I. VASSIS, G.S. HENRJCH, D.R. REINSCH, Berlin-New York, De Gruyter 1998, pp. 67-80.
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PAOLO ODORICO
datazioni sicure. Tuttavia se le ipotesi che avevo avanzato nell'Introduzione all'edizione, alla quale rinvio per ulteriori informazioni, possono essere accettate, esso dovrebbe datare al IX secolo. VI. DALLO GNOMOLOGIO D'AUTORE ALLO GNOMOLOGIO D'ATELIER
Il Georgide Nell'avanzare nella giungla gnomologica, abbiamo proceduto per ipotesi. Se accettiamo le datazioni sopra proposte per il Florilegium Marcianum e per il Corpus Parisinum, e se consideriamo la loro natura, non possiamo non notare che tra il IX ed il X secolo il carattere delle sillogi muta. Un buon esempio di questo cambiamento di interessi è dato dal Georgide, che si serve largamente del Florilegium Marcianum. Certo le dimensioni sono differenti: di fronte alle 505 citazioni del Florilegium Marcianum, il Georgide ne presenta 1233. Di queste, 222 sono comuni alle due sillogi (ca. il 18%). Oltre alla mole, cambia il contenuto: il Florilegium Marcianum mostrava di attingere da fonti retoriche, e Concio, per esempio, era presente con 110 gnomai; il Georgide presenta invece solo 6 sentenze coriciane; talora, come nel caso de ll a sent. 805, il Georgide ne riporta solo la prima parte. La situazione è invece capovolta nel caso delle gnomai derivate dalle favole di Esopo e di Babrio: del primo autore il Georgide presenta una ricca messe, all'incirca una quarantina, contro solo quattro presenti nel Florilegium Marcianum; del secondo presenta una trentina di sentenze, laddove il Florilegium Marcianum ignora quest'autore. Il Georgide più ricco del Florilegium Marcianum in citazioni dei padri dell'ascesi: Marco Eremita (una decina di sentenze contro una sola), Giovanni Climaco (oltre cinquanta, contro una scarsa decina), Giovanni Monaco, Giovanni Nesteute, Evagrio (una ventina di sentenze contro una sola), Nilo, Diadoco di Foticea (una ventina di sentenze contro due). Il Georgide ricorre al Nuovo Testamento, che resta estraneo al Marcianum. Altri autori vanno segnalati, come Filone o Eliodoro o Luciano. Le numerose citazioni tratte da Isocrate, Plutarco, Democrito e Menandro sono probabilmente derivate da raccolte precedenti. Questo ci porta ad un problema ancora insoluto: dove il Georgide una fonte primaria e dove ricorre a sentenziari in circolazione? Va subito detto che i rapporti con le sillogi fin qui citate non danno indicazioni utili: il Georgide presenta 219 citazioni che esistono anche nei Sacra Parallela,ma dubito che una silloge damascenica rappresenti — 80 —
GLI GNOMOLOGI GRECI SACRO-PROFANI
sempre la sua fonte. Da un lato molte di queste sentenze sono contemporaneamente presenti anche nel Florilegium Marcianum o nel Corpus Parisinum. Inoltre molto spesso la sentenza dei Sacra Parallela più breve di quella del Georgide. Con i l Corpus Parisinum i contatti non sono molto frequenti: appena 122 sono presenti in entrambe le raccolte. Stobeo, poi, pare inesistente: soltanto 45 sentenze del Georgide figurano anche nell'Anthologium. Il Georgide presenta molte analogie con lo Gnomologium Byzantinum, che potrebbe essere una sua fonte, e con la Melissa dello Pseudo Antonio, che potrebbe avere utilizzato i l Georgide. Un'ultima precisazione. Se consideriamo lo snodarsi delle citazioni, vediamo che spesso l'autore del Georgide ha inserto serie intere di sentenze provenienti da un unico autore, nonostante la struttura alfabetica che certo non si presta a questo tipo di operazioni. Per fare due esempi, Esopo è presente nelle serie 192-193, 237-238-239, 313-314315, 393-394-395-396-397-398, 418-419-420, 578-579-580-581-582; Glovanni Climaco nelle serie 48-49-50-51-52-53-54-55, 211-212-213-214215-217-218-219-221-222-223-224, 304-305-306-307-308-309-310, 669-670-671-674-1152-1154-1155-1156-1157. Veniamo alle conclusioni. Il Georgide sembra aver ripreso largamente (in oltre 1 /5 del suo materiale) il Florilegium Marcianum, ma
nel contempo pare abbia effettuato una scelta: è stata ridotta la presenza di Concio, mantenuta e allargata quella di scrittori cristiani, come Basilio, Gregorio di Nazianzo o Giovanni Crisostomo, sono stati inseriti autori come Eliodoro e Luciano, ma soprattutto Babrio, Esopo e letture ascetiche, forse spesso citate di prima mano. Probabilmente il compilatore ha utilizzato raccolte gnomologiche, non tanto le grandi sillogi, quanto sentenziari di un solo autore, o d i due-tre, come lo Gnomologium Byzantinum. Meno originale nella scelta delle citazioni, il Georgide mostra comunque chiaramente gli interessi del suo compilatore e rappresenta una sorta di compromesso tra una composizione ad uso personale ed una silloge concepita per un pubblico più largo. Come prodotto librario esso ha conosciuto una notevole diffusione, visto l'alto numero di manoscritti esistenti. La datazione: il manoscritto piii antico, il Par. Sappi. gr. 1246, risale all'ultimo quarto del X secolo. Il Georgide cita il nome di Fozio due volte; inoltre la sua dipendenza dal Florilegium Marcianum mi pare sicura. Credo dunque si possa datare il Georgide al periodo tra la metà del IX e la metà del X secolo: dato il tipo di citazioni presenti, sarei tentato di datarlo piuttosto alla fine del IX secolo, o all'inizio del X. —81—
PAOLO ODOPJCO
VII. LO
GNOMOLOGIO D'ATELIER
Con la composizione dello Pseudo Massimo il carattere delle raccolte sacro-profane cambia ulteriormente. Due sono ormai í caratteri comuni alle sillogi: da un lato, come abbiamo osservato g ι col Georgide, la raccolta sembra divenire più impersonale, in quanto gli gnomologi non sono più fonti primarie di estrapolazione, ma utilizzano in grande misura sillogi g ~à in circolazione. Anche nel caso in cui il materiale costitutivo sia arricchito da letture e ricerche personali, queste sono rivolte piuttosto verso opere meno originali, che mostrano una cultura generica e non specifica del compilatore. Questa osservazione vale per le numerose citazioni bibliche e neotestamentarie, che invece erano proporzionalmente limitate sia nel Corpus Parisinum che nel Florilegium Marcianum, ma anche per altre sentenze, come vedremo fra poco. Dall'altro lato, la seconda innovazione è relativa alla struttura: le nuove compilazioni paiono ormai abbandonare le forme alfabetiche e per autore (la divisione per autore resta valida all'interno di ogni capitolo), e viene privilegiata la divisione per capita. In altre parole, lo sforzo dell'autore non è quello di procurarsi del materiale di prima mano, quanto quello di organizzarlo secondo un percorso più maneggevole, che si rifà al sistema già adottato dai Sa-
cra Parallela.
Seguendo il Richard, agli gnomologi meno personali, più frutto di copia e di compilazione, meno fortemente marcati dalla personalità di un lettore-excerptore, è stata talora data la caratterizzazione di "prodotti librari degli ateliers della capitale". La definizione serve a indicare quelle sillogi che utilizzano raccolte precedenti, fondendole assieme, come per esempio la Melissa dello Pseudo Antonio, mentre lo Pseudo Massimo mostrerebbe una più forte ricerca di un percorso spirituale. Queste tuttavia sono categorie che derivano ancora una volta dalla valutazione delle sillogi come raccolte spirituali. La questione potrebbe probabilmente essere posta in maniera differente: sulla base della struttura e del contenuto, possiamo individuare un circuito di lettori per il quale il prodotto è stato pensato, pur tenendo presente che l'utilizzo di un sentenziario non è mai a senso unico, e che la dimensione spirituale può accompagnare quella retorica? Uno studio sui circuiti dei lettori a Bisanzio è ancora allo stadio embrionale. Accontentiamoci dunque di mantenere la definizione di "prodotto d'atelier" per quelle raccolte pensate per un pubblico più largo, meno interessato a letture particolari. Il fatto che il loro materiale costitutivo sia meno originale e più legato alla tradizione gnomologica potrebbe far supporre che l'autore abbia voluto proporre al fruitore un -
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GLI GNOMOLOGI GRECI SACRO-PROFANI
percorso intellettuale fondato su una tassonomia più agevole delle sentenze, che restano in larga parte di repertorio, e che quindi abbia pensato maggiormente in termini di circolazione del prodotto, di quanto non sembrerebbero aver fatto i suoi predecessori. Ma si tratta evidentemente solo di ipotesi, sulla base delle quali manteniamo la definizione di "prodotto d'atelier", che nella sua perfino insensata genericità vuole solo suggerire una qualità diversa da quella delle sillogi precedenti. D'altra parte non va dimenticato che tutte le raccolte sacro-profane, personali o generiche, alfabetiche, contenutistiche o divise per autore, continuano a circolare e a essere ricopiate: la loro coesistenza assicura la varietà della disponibilità libraria. Lo Pseudo-Massimo
La diffusione straordinaria dello Pseudo-Massimo monopolizza in qualche modo il mercato librario. L'attività dei compilatori futuri pare essere legata al rifacimento o all'arricchimento di questa silloge, che rimodellata, ingrandita, arricchita, resta al centro della produzione. Lo Pseudo-Massimo è il vasto fiume che si è formato a partire da bacini di raccolta grandi e piccoli, e che continua la sua lenta marcia fino a sfociare nelle edizioni a stampa. La raccolta è organizzata in 71 capitoli, dedicati ciascuno ad un aspetto della morale, intesa nel senso più largo: si passa dalla virtù e dal vizio, alla giustizia, all'elemosina, al sonno, all'istruzione, alla nobiltà, alla vanità, alla speranza, alla morte, a ll a vecchiaia, a ll a bellezza etc. Del resto anche Stobeo aveva percorso la stessa strada, e Giovanni Damasceno aveva costruito gli Hiera secondo uno schema sim il e, ma molto più complesso, con rinvii da un caput all'altro. Lo Pseudo-Massimo assomiglia in qualche modo ai Sacra Parallela damascenici, senza tuttavia averne l'ampiezza e la completezza. Richard aveva definito in maniera sintetica le fonti della raccolta, che sarebbero costituite dal Corpus Parisinum e dai Sacra Parallela (o piuttosto da una o più raccolte damasceniche, probabilmente dalla raccolta PMLb), arricchite dal ricorso allo Gnomologium Byzantinum ed a qualche altra silloge. Grazie alle due recenti edizioni di Sargologos e di Ihm, 33 possiamo ora vedere più in dettaglio qual è il suo patrimonio genetico. Il lavoro di Sybilie Ihm è certamente prezioso e le sue conclusioni rimodellano il quadro della famiglia dello Pseudo-Massimo, quale era stato disegnato da Richard. Secondo la studiosa, all'origine ci sarebbe una raccolta andata perduta, l'Ur-Pseudo-Massimo (PM). Da essa sa33
Cfr. nn. 16 e 17.
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PAOLO ODORICO
rebbero derivate in modo indipendente la redazione PII (lo PseudoMassimo di Richard), e la silloge che Richard definì aucta, chiamata
dalla Ihm PiII; quest'ultima raccolta avrebbe dato origine ad una terza versione, abbreviata, caratterizzata dallo spostamento di taluni capitoli, PlU. Certamente alla base della compilazione si trova il Corpus Parisinum, come è stato da molto tempo dimostrato.34 Α questa fonte vanno aggiunte almeno una raccolta damascenica e probabilmente una recensione dello Gnomologium Byzantinum. E possibile che in questa lista vada incluso il Florilegium Marcianum: questa raccolta, come abbiamo visto, è caratterizzata dall'alto numero di sentenze estrapolate da Concio, tanto che dobbiamo ritenerla una fonte gnomologica primaria per questo autore. Nell'edizione di P ΜI realizzata da Sargologos, sono citate 2 sentenze coriciane, in quella dello PlU di Ihm 5 sentenze. Nell'impossibilità di dilungarmi in dettagli, limiterò la mia analisi al PΜI. Il testo edito dalla Ihm è certamente il più rigoroso, ma di consultazione abbastanza complicata. Quello curato da Sargologos di più facile consultazione, ma incompleto nei rinvii ad altri sentenziare, perche Sargologos non conosce la bibliografia più recente. D'altra parte, nello studio degli gnomologi di grandi dimensioni è facile che alcuni rinvii sfuggano: così accade a Sargologos, ma anche alla pure attentissima Ihm, che talora non indica alcune sentenze presenti in altre raccolte." Per facilitare l'analisi, ho seguito il testo edito da Sargologos, controllando tutti í paralleli con gli altri gnomologi sia su questa edizione che su quella della Ihm. Tuttavia, se una sentenza divisa in più gnomai, di solito indicate separatamente dalla Ihm, ho seguito quest'ultima. L'edizione di Sargologos 36 contiene 1970 gnomai divise in capitoli di ineguale estensione. Si passa dalle 103 gnomai del VI capitolo (Su-
34 In particolare H. SCHENEL, Die epiktetischen Fragmente: Eine Untersuchung zur Überlieferungsgeschichte der griechischen Florílegíen, «Sitzungsberichte des kaiserlichen
Akademie der Wissenschaften philos.-historische Cl.», 115, Band I (1887), Wien 1888, pp. 443-546; e A. ELTER, Gnomica Homoeomata, cit., I, p. XLVIII sg.: si veda tutta la questione e la bibliografia in lui, op. cit., p. xvii sgg. 35 Per esempio, nel caput I dello Pseudo-Massimo i rinvii ai Sacra Parallela a proposito delle sentenze da lei indicate come 33/-/30b (PG, 1264C), 35/32 (PG, 95, 1381Α) e 50/47 (Corpus Parisinum 83r, 12). 36 Sebbene questa edizione non sia completamente affidabile, come si è già detto sopra, la scelta di utilizzarla è giustificata dal fatto che Sargologos è anche l'editore de ll a Melissa Augustana e che in tal modo possiamo procedere ad un duplice confronto su opere edite secondo la stessa metodologia.
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GLI GNOMOLOGI GRECI SACRO-PROFANI
gli amici e l'amicizia) alle 8 gnomai del LI capitolo (Sulla fede). Ho voluto analizzare il contenuto dei primi dieci capita di PII, che contengono, secondo il testo della Ihm, 503 gnomai, cioè poco più di un
quarto del totale. Ho voluto analizzare quante di queste sentenze sono presenti nei Sacra Parallela, nel Corpus Parisinum, nella parte del manoscritto parigino che ho sopra definito Collectanea gnomologica Parigina, nell'Anthologium di Stobeo: queste sillogi dovrebbero essere tutte precedenti alla redazione dello Pseudo-Massimo, visto che la Collectanea gnomologica Parigina, anche se più recente nel suo insieme, costituita da raccolte indipendenti, ma più antiche. Inoltre ho verificato anche la ricorrenza delle gnomai nel Georgide ed in altri sentenziare profani, ma per essi la datazione è ancora tutta da stabilire, anche se in via puramente ipotetica possiamo supporre che il Georgide sia grosso modo contemporaneo allo Pseudo-Massimo e che alcune redazioni dello Gnomologium Byzantinum siano precedenti; la questione è tuttavia ancora aperta. Ho disposto quindi i risultati di questa analisi secondo il grafo presentato qui sotto. Sulle 503 gnomai considerate, 193 (ca. 38,5%) sono cristiane e 310 pagane (ca. 61,5%). Di queste sentenze, 430 (85,5%) sono comuni con uno o più sentenziari precedenti allo Pseudo-Massimo, 5 (1%) assenti dalle raccolte più antiche figurano anche in altre sillogi (Georgide e gnomologi profani), mentre 68 (13,5%) potrebbero essere proprie allo Pseudo-Massimo. Tuttavia íl conto deve essere ulteriormente precisato. Le sentenze sacre non comuni ad altre raccolte sono 47 (24,35% delle sentenze sacre e 69,1% delle non comuni), quelle profane 21 (6,77% delle sentenze profane, 30,9% delle non comuni). Possiamo rappresentare la proporzione secondo il grafico seguente:
sacre comuni a sillogi precedenti profan e comuni a sillogi precedenti ❑ profan e comuni a sillogi recenti profan e proprie sacre proprie :: I
Arrotondando le cifre, possiamo osservare che nei capita conside- 85 —
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rati lo Pseudo-Massimo è costituito nei suoi 2/3 di sentenze profane; tuttavia queste sentenze sono al 93 % note da altre sillogi. Il dato tanto ρ'.ù interessante se consideriamo che le sentenze sacre sono appena 1/3, ma di esse solo circa il 75 % sono note da altre sillogi. 37 Non possiamo non notare questa inversione: le sentenze sacre sono meno numerose e maggiore è stato l'apporto personale del compilatore; le s entenze profane sono il doppio delle sacre, ma solo un esiguo numero è proprio allo Pseudo-Massimo. Possiamo cercare di precisare ulteriormente questi dati. Tra le 47 sentenze sacre `proprie', un buon numero proviene da citazioni testamentarie (3 dal Vecchio Testamento e 6 dal Nuovo): si tratta di 9 sentenze, circa il 20% del totale, che potrebbero ben appartere alle letture personal'. del compilatore. Delle restanti 38 sentenze che apparentemente provengono da letture personal'. (ma il dato è da verificare su future edizioni di sillogi sacre) vanno notate 5 sentenze d'. Basilio, 12 di Gregorio di Nazianzo, 14 di Giovanni Crisostomo, 3 di Nilo, 2 di Agapeto, 1 di Clemente e 1 di Filone. Va notato tuttavia che i Capita Admonitoria di Agapeto sono un tipo di silloge, e che le sentenze derivate da questo autore si trovano talvolta tra quelle sacre, talvolta tra quelle profane. Tra le 21 sentenze profane apparentemente proprie allo PseudoMassimo ve ne sono 5 di D'.one Crisostomo, 2 di Menandro, 2 di Libanjo, e 1 per ognuno dei seguenti autori: Aristotele, Dinne Cassio, Pittaco, Democrito, Socrate, Luciano. Inoltre va segnalata la presenza di 2 sentenze di Agapeto, di 1 di Filistione, autore presente nella Cornparatio Menandri et Philistionis, una sorta di gnomologio sui generis, e 3 di Sesto (di cui si tramanda una raccolta d'. sentenze autonoma). Arriviamo alle conclusioni. Tenendo presenti tutti questi dati, si può dire che lo Pseudo-Massimo ha utilizzato in larghissima parte la tradizione gnomologica a lui precedente: le sentenze profane sono quasi tutte presenti in altre raccolte, particolarmente nel Corpus Parisinum ed in Stobeo; quelle sacre sono presenti nei Sacra Parallela o nel Corpus Parisinurn, e probabilmente in un'altra silloge damascenica, quale potrebbe essere lo gnomologio PMLb. Su questa base gnomologica molto importante, che rappresenta all'incirca l'85% del testo, l'autore ha inserito alcune citazioni, forse provenienti da altri gnomologi, ma anche da una sua attività primaria di excerptore: i testi inseriti sono per la maggior parte sacri. Va segnalato che le ag37 Va tenuto tuttavia presente che le fonti gnomologiche sacre sono meno note de ll e profane e che l'edizione del fl or il egio damascenico PMLb sicuramente fornirà una buona messe di sentenze comuni alle due sillogi.
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giunte sono una di seguito all'altra: caput 1, nrr. 12-14 (Gregorio Nazianzeno), 30-31 (Nilo); caput 2, nrr. 1-2 (Vangeli), 6-9 (Basilio, Gregorio, Crisostomo); caput 3, nrr. 9-11 (Crisostomo); caput 4, nrr. 7-9 (Basilio, Gregorio, Crisostomo); caput 5, nrr. 8-9 (Gregorio, Crisostomo); caput 6, nrr. 20-21 (Gregorio), 25-29 (Crisostomo), 90-91 (Sesto, Pittaco), 99-107 (Libanio, Dione Crisostomo, Menandro, Filistione); caput 7, nrr. 16-17 (Gregorio), caput 8, nrr. 9-13 (Gregorio, Crisostomo, Clemente, Filone); caput 9 nrr. 50-51 (Agapeto). Rispetto agli gnomologi dell'epoca precedente, cui avevamo dato il nome poco soddisfacente di "gnomologi d'autore", lo Pseudo-Massimo, come "prodotto d'atelier" (altra qualifica poco precisa) si mostra più debitore della tradizione, e quando innova sembra farlo con ρ~che sentenze, derivate da letture poco originali. Per quanto riguarda la datazione della silloge, alcuni elementi possono aiutarci nella ricerca. La versione P ΜI ha come manoscritto più antico il Coislin. 371, risalente al Χ secolo. Per quanto riguarda Pill, un manoscritto importante di questa recensione è il Vat. gr. 739 dell'XI secolo. Un manoscritto di PlU, Lind. Brit. Mus. Add. 36 756 è del 1198. Tuttavia, se S. Ihm ha ragione 38 e se Richard ha visto giusto nel sostenere che il Florilegium Rossianum utilizza come fonte PΜU,39 dato che questa compilazione è conservata in un manoscritto della fine del X secolo, dobbiamo concludere che PlU è del Χ secolo e che ΡΜΙΙ, sua fonte, è almeno di un po' precedente. Vorrei essere meno prudente di S. Ihm, e affermare che l'insieme dei caratteri sopra descritti della silloge P ΜI, la data di composizione dí PΜI, ΡΜΙΙ e PlU potrebbe essere collocata non prima del Χ secolo. Se PΜI e ΡΜΙΙ derivano da un Ur-Pseudo-Massimo, mi parebbe sensato datare quest'ultimo a cavallo tra IX e X secolo.
VIII. L'ALLUVIONE
GNOMOLOGICA
Sarebbe interessante poter seguire con precisione il corso di questo grande fiume, che occupa un posto centrale nella gnomologia sacro-profana bizantina. Tuttavia la mancanza di edizioni e lo spazio editoriale già troppo importante di questa presentazione non mi permettono di entrare nei dettagli. Per semplificare il processo delle filiazioni, ricordo che secondo Richard tutti gli gnomologi sacro-pro-
38 39
IHM, op. cit. p. Coll. 497-498.
XXIX.
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fani, tranne il Georgide, apparterrebbero a due tradizioni: da un lato quelli che hanno per fonte principale lo Pseudo Massimo (Pseudo Antonio, Melissa Augustana, Florilegium Laurentianum e Florilegium Mutinense), dall'altro la tradizione costituita dal Florilegium Atheniense, con il quale è imparentato il Florilegium Mosquense; inoltre il Florilegium Rossianum rappresenterebbe una mescolanza delle due tradizioni. Per le sentenze sacre, ogni gnomologio avrebbe utilizzato sia la sua fonte, sia altre raccolte damasceniche, che a loro volta erano già utilizzate dalla fonte stessa. Vediamo brevemente la tradizione derivata dallo Pseudo Massimo, fondandoci sullo studio di Richard e su quello di S. Ihm. -
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Dalla redazione PlU sarebbero derivati: Gli Gnomica Basileensia, editi con massima cura da J.F. Kindstrand. 40 II Florilegium Rossianum, su cui torneremo più tardi. Il florilegio slavo studiato dal Semenov. 41 Dalla redazione Pill sarebbero derivati: La Melissa dello Pseudo Antonio, il cui testo si trova nella Patrologia Graeca del tigne, vol. 136, co11. 765-1244. Questa silloge una sorta di versione arricchita dello Pseudo Massimo: secondo Richard, tra le sue fonti ci sarebbe la recensione in 120 capitoli dei Sacra Parallela. A questi, si sarebbero aggiunte alcune sentenze dello Gnomologium Byzantinum, di Teognide, e, credo, del Georgide. Il manoscritto più antico è il Laur. Plut. IX, 23 del XII secolo. Il testo dovrebbe essere stato compilato verso il Χ o al più tardi l'XI secolo. 42 Il Florilegium Laurentianum, inedito, è ben conosciuto dagli studiosi di Stobeo. Conservato in un solo manoscritto frammentario (Laur. Plut. VIII, 22, del XIV secolo), mostrerebbe dí dipendere, oltre che da ΡΜΙΙ, dalla tradizione damascenica e da Stobeo. 43 Il Florilegium Mutinense, inedito, conservato in forma lacunosa in un solo manoscritto del XII secolo, deriverebbe, secondo Rí-
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40 4 ~~
KINDSTRAND, Gnomica Basileensia, cit. (supra, n. 2).
V. SEMENOV, Dreunjaja russkaja pcela po pergamennonó spisku, «Sbornik otdelenija
russkago jazyka í slovesnosti Imperatorskoj Akademii Nauk», 54.4, St. Petersburg 1893. 42 Oltre al RICHARD, coll. 492-494, e a IHm, op. cit., p. Iv, si vedano: FEDWICK, The Citations of Basil of Caesarea, cit. (supra, n. 19) (cfr. P. ODORICO, in «Byzantion», L, 1980, pp. 345 348); e 1. O GOULET -C~z~ , Dictionnaire des Philosophes Antiques, I, Paris, CNRS 1989, pp. 260 261 (s.v. Antonius Melissa). 43 Cfr. RICHARD, col. 495; A.L. DI LELLO F ΙΝUOLτ, Il Florilegio Laurenziano, «Quaderni Urbinati», IV, 1967, pp. 139-173. -
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chard, dalla Melissa dello Pseudo-Antonio, dallo Gnomologium Byzantinum e dal fl orilegio damascenico PML'. Dovrebbe datare dunque
all'XI secolo. IV) La Melissa Augustana (o Barocciana o Florilegium Baroccianum o ancora Florilegium Monacense44) merita un discorso più dettagliato, poiché è stata oggetto di una edizione da parte di Sargologos, che la definisce Florilegium Patmiacum. Il manoscritto píù antico, il Patmiacus 6, è dell'ΧΙ secolo. Wachsmuth aveva fornito alcune tavole per mettere in evidenza i paralleli con lo Pseudo -Massimo e lo PseudoAntonio. 45 Secondo Richard, la Melissa sarebbe stato composta utilizzando le due recensioni dello Pseudo-Massimo, uno gnomologio damascenico e altre fonti non meglio precisate. Disponendo oggi dell'edizione della raccolta, possiamo avanzare qualche analisi. 46 Le sue 3181 sentenze sono divise in 56 capitoli di lunghezza variabile: si passa dalle 18 sentenze del c. 54 (Sulla curiosità) alle 140 del c. 11 (Sull'amicizia). La differenza nel numero dei capita tra lo Pseudo-Massimo (versione PII) e la Melissa Augustana, e il grande numero di sentenze presenti in quest'ultima silloge rendono il confronto piuttosto difficile. Ho comunque voluto mettere in rapporto dieci capitoli dello Pseudo -Massimo (versione PII) con í capitoli corrispondenti della Melissa Augustana. Dal momento che il primo capitolo dello Pseudo-Massimo non trova un corrispondente precisa nella Melissa, ho scelto i capitoli 2-11 dello Pseudo-Massimo. TAVOLA N° 3 Pseudo-Massimo
Melissa Augustana
n° sent.
Περι φρον~ σεως και βουλ~ς 38 Περι äγνε~ ας και σωφροσ~νης 46 Περι ~νδρε~ ας και ισχ ~ ος 26
n° sent.
9. Περι φρον~σεως και βουλ~ ς 41. Περι ~γνε~ας και σωφροσ~νης 40. Περι äνδρε~ας και ισχ~ος
78 45 44
44 I vari nomi sotto cui la Melissa Augustana è conosciuta, si equivalgono, ma bisogna fare attenzione a non generare confusione: Florilegium Monacense è usato da K. HOLL, Die Sacra Parallela des Johannes Damascenus, Leipzig, Hinrichs 1896 («T. U.», NF 1), pp. 323-327; tuttavia esiste un altro Florilegium Monacense, edito da A. ΜΕΙΝΕΚΕ (Joannis Sto baei Florilegium IV, Leipzig, Teubner 1857, pp. 267-290). Florilegium Baroccianum è usato da Richard, ma può essere confuso con lo Gnomologium Baroccianum (I. BYWATER, Gno-
mologium Baroccianum: Sententiae graecae CCLXIII e cod. Bodleiano inter Baroccianos L descriptae, Oxford, Clarendon Press 1878); il titolo di Florilegium Patmiacum datogli da
Sargologos e purtroppo ripreso da Ihm aggiunge solo confusione. 45 C. WAcHsIuTu, Über das byzantinische Florilegium
`Parallela' und seine Quellen,
in Studien zu den Griechischen Florilegien, cit., pp. 90 - 161: 115 sgg.
46 Cfr. anche l'articolo di J.F. KINDSTRAND, Florilegium Baroccianum and Codex Hierosolymitanus Sancti Sepulcri 255, «Byzantion», XLIV, 1984, pp. 536-550.
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Περ~~ δικαιΟσ~νης Περ~~ φ~ λων καì φιλαδελφ~ας Περ ~λεηµοσ ~ νης Περ~~ ε~εργεσ~ας καì χ~ριτος Περ~~ ~ ρχ~ς καì ~ξονσ~ας περ ψ~γο~~κα διαβολ~ ς Περ κολακε~ ας
34 103 32 43 56 37 36
~~ 107 5. Περ~~ δικαιοσ~ νης καì ν~ µο 11. Περι φ~λων 140 2. Περ ~ λεηµοσ ~ νης 65 4. Περì ε~ εργεσ~ας καì χ~ ριτος 60 28. Περ ~ρχ~ ς καì ~ ξονσ~ ας 54 30. Περ ψ~γο~~καì διαβολ~ς 63 24. Περ κολακε~ ας 55
Utilizzando l'apparato dell'edizione Sargologos, ho potuto fare í confronti con lo Pseudo Massimo (PII), la versione aucta di quest'ultimo ( ΡΜΙΙ),47 í Sacra Parallela, il Corpus Parisinum, l'Anthologium di Stobeo, eventualmente lo Stobeo abbreviato presente nella Collectanea gnomologica Parisina. Va tuttavia segnalato che nell'edizione di Sargologos í rinvii sono poco affidabili: l'editore non utilizza i testi e gli studi editi nell'ultimo ventennio. La silloge dello PseudoMassimo da lui edita, per esempio, presenta un buon 20% di omissioni in rapporto a quella della Ihm, che pure presenta le sue lacune. I risultati dell'analisi dovranno dunque essere presi con cautela. Ho comunque tenuto in conto talune sentenze che ho reperito sporadicamente in altre raccolte. Sulle circa48 3181 sentenze della Melissa Augustana, ne ho prese in considerazione 729, il 22,9%. Per quanto riguarda la loro presenza nello Pseudo Massimo, percorrendo l'apparato di Sargologos si può notare che quasi quaranta non sarebbero presenti in PiII; ho verificato dunque queste assenze sull'edizione Ihm, dove invece figurano tutte. Inoltre ΡΜΙΙ presenta più sentenze comuni con la Melissa di quante ne abbia P ΜI. Una sola sentenza in questi dieci capita, la gnome c. 11,27, è presente in PΜI e assente in PiII e PlU: potrebbe trattarsi di una aggiunta autonoma della Melissa. Sulle 729 sentenze considerate, 405 sono presenti in PiII, oltre alla sentenza c. 11,27, nota al solo P ΜI. Delle restanti 324 gnomai, 70 figurano nei Sacra Parallela e spesso riconosciamo delle serie intere; questo ci fa pensare che la Melissa le prenda dalla tradizione damascenica (per esempio nel c. 5). Per quanto riguarda í contatti con il Corpus Parisinum, essi potrebbero apparire abbastanza consistenti; -
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47 Ho effettuato il confronto solamente sull'apparato di Sargologos, senza verificare sistematicamente la versione di PlU nell'edizione della Ihm o la versione ΡΜΙΙ pubblicata in apparato dalla Ihm. 8 4 L'approssimazione nei due casi è dovuta alla presenza di sentenze numerate -a, -b nell'edizione.
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tuttavia solo due sentenze (c. 9,58 e 40,19) figurano nel Corpus Parisinum senza essere contemporaneamente presenti in PMll, e solo una sentenza, c. 30,19, figura sia nel Corpus che nei Sacra Parallela. mnoltre un controllo sulla edizione Ihm ha permesso di stabilire che la sent. c. 9,58 è nota a PMU (c. 9,31) e la sent. c. 40,19 è presente in tutta la tradizione dello Pseudo-Massimo. Il Corpus Parisinum va dunque escluso dal novero delle fonti della Melissa Augustana. Per quanto riguarda gli altri sentenziare, possiamo dire poco, perché Sargologos non pare conoscere bene la bibliografia. Per quanto riguarda Stobeo, ci sono 10 sentenze a prima vista comuni con la Melissa Augustana e ignote alla tradizione dello Pseudo-Massimo (c. 9,42,48,57; c. 40,26a; C. 5,99,107; c. 28,35; c. 30,39,41,42a), mentre un'undicesima presenta alcune varianti (c. 5,86). È interessante notare che nel caso del c. 30 esse sono disposte in fila. Tuttavia, dopo verifica sull'edizione Ihm, alcune di queste esistono in realtà nella tradizione dello Pseudo-Massimo, senza che Sargologos le segnali (c. 9,42 = 31,15/15; c. 9,57 = 9,49/52; c. 28,35 = 9,34/37). Riassumiamo. Sulle 729 sentenze considerate, 409 (56,1%) sono dunque comuni con lo Pseudo-Massimo, 70 (9,6%) con í Sacra Parallela, 8 (1%) con Stobeo. Restano dunque 242 sentenze (33,3%), di cui 200 sacre e 42 profane, che parrebbero proprie della Melissa Augustana. Tra le gnomai sacre ci sono alcuni gruppi importanti che devono essere segnalati. In primo luogo 26 sentenze derivate da Fozio: talune provengono dall'opera del patriarca, altre dalla sua raccolta gnomologica, 1'Opusculum Paraeneticum, presente in casi in cui tacciono sia lo Pseudo-Massimo che í Sacra Parallela: da esso deriva un gruppo compatto di sentenze del c. 5 (82,83,83a,84), le sent. c. 11,47,48, le sent. c. 4,36,40 e la sent. c. 30,38. Α questo gruppo vanno aggiunte le sentenze presenti negli Analecta Photiana:49 c. 4,33,33a,34,34a, 34b,35,35a, c. 11,65,75,81, c. 9,60,75,76,77,78, nonché le sent. c. 30,29 e c. 24,18, attribuite a Fozio. Le sentenze c. 11,71 e 73 sono presenti contemporaneamente negli Analecta Photiana e in ΡΜΙΙ. Un gruppo molto importante di sentenze, 114, sono citazioni bibliche (Vecchio e Nuovo Testamento), certamente frutto di lettura propria. 50 Un gruppo
49 L. STERNBACH, Analecta Photiana, «Rozprawy Akademii Umigjetn οicí, Wydzial Filologiczny», s. 11.5, XX, 1894, pp. 83-124. 5° Naturalmente si tratta di cifre approssimative: se una citazione biblica, per esempio, è nota solo alla Melissa e al Sacra Parallela, non possiamo dire di sicuro che la prima
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di rilievo proviene. da Nilo (una decina), e una dozzina proviene da Massimo Confessore, cui vanno aggiunti Climaco, Efrem, Atanasio e Cirillo. Questi scrittori erano molto cari alla tradizione monastica, ed possibile che l'autore della Melissa li conoscesse per questa ragione. Inoltre 11 gnomai sono di Gregorio di Nazianzo ed altrettante di Crisostomo, qualcuna di Filone e qualche altra di Agapeto Diacono. Sulle 200 sentenze apparentemente proprie alla Melissa, forse una cinquantina possono dunque essere ricondotte all'intervento diretto del compilatore e si aggiungerebbero alle circa 114 che egli ha trovato direttamente nelle Sacre Scritture e a ll e 26 di origine foziana. Tra le gnomai profane vanno segnalate le 9 attribuite a Plutarco e le 8 di Isocrate. Nel primo caso sarei tentato di pensare che il compilatore abbia trovato una silloge plutarchea, da cui avrebbe attinto alcune, mentre altre, come le sentenze plutarchee sull'amiciza, derivate da due opere, potrebbero provenire, piuttosto che da una attività primaria di estrapolazione, da una raccolta, visto che il tema dell'amicizia è particolarmente sviluppato in tutta la tradizione gnomologíca sacro-profana. Quanto agli altri numerosi autori, presenti con una o due sentenze, bisogna pensare che il compilatore le abbia trovate in altre raccolte, edite o non edite, visto che l'edizione di Sargologos spesso imprecisa nel rapportare i paralleli con la restante produzione gnomologíca. Arriviamo dunque alle conclusioni relative a questi 10 capitoli. Sulla base florílegica costituita dallo Pseudo-Massimo (56,1 %), dai Sacra Parallela (9,6%) e forse da Stobeo (1%), l'autore della Melissa Augustana ha inserito un gran numero di citazioni bibliche (15,6%), di sentenze tratte da Fozio (3,5%) o di autori che conosceva personalmente (forse un 6,7%). Ha quindi aggiunto qualche sentenza forse estrapolata da due-tre autori profani (un 2% ?), ed ha attinto ad altre raccolte un numero consistente di sentenze (5,5% ?). Il risultato può essere sintetizzato con il grafico seguente:
l'abbia attinta dai secondi, e che non si tratti di un ricorso autonomo alla fonte. D'altra parte l'edizione dei florilegi damascenici renderanno più cospicui i rapporti tra i due sentenziari.
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ΡΜΙΙ
.... Ι ... ...
Bibbia
Pseudo-Μassímo Stobeo Fozio Autori profani Sacra Parallela Bibbia Autori sacri gnomologi vari
La datazione: l'opera si potrebbe collocare nel X secolo, in un periodo posteriore alla redazione dello Pseudo Massimo auctum (ΡΜΙΙ), e prima del più antico codice della Melissa conservato, databile all' ΧΙ secolo. -
Gli gnomologi non derivati dallo Pseudo Massimo -
Ritorniamo ora ai grandi bacini di raccolta, perché da essi proviene un secondo fiume, meno ricco di derivazioni, costituito da tre raccolte. A) Il Florilegium Atheniense: questa raccolta prende il nome dal principale manoscritto, l'Atheniensis BN 1070 del XIV secolo. Tuttavia il manoscritto più antico della famiglia è un codice torinese, purtroppo distrutto dal famoso incendio che devastò la biblioteca all'inizio del secolo scorso. Di esso si salva un foglio, che ci permette di datare il codice al X-XI secolo, e di assicurarci che la silloge appartiene cronologicamente almeno allo stesso periodo di fioritura degli altri gnomologi sacro-profani. Il Florilegium Atheniense è inedito. Richard ci dice che è composto da due parti distinte, di cui la seconda sarebbe un semplice riassunto dei Sacra Parallela damascenici. La prima parte, secondo Ríchard, sarebbe risultata da una fusione dei Sacra Parallela con una fonte sacro-profana non identificata. Questa osservazione ci rimanda un po' alla casella di partenza, perché ci mostra che durante la fase costitutiva degli gnomologi sacro-profani sarebbero esistite altre rac- 93 —
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colte, di cui noi ignoriamo la portata. La mancanza di spazio mi impedisce di entrare nei dettagli, ma mi propongo di continuare l'analisi del Florilegium Atheniense nel futuro. Il Florilegium Mosquense: la fonte sacro-profana ignota che sarebbe alla base del Florilegium Atheniense avrebbe nutrito, in maniera diretta o indiretta, il Florilegium Mosquense, che secondo Richard sarebbe composto dalla fusione di questa fonte ed un fl orilegio patristico. Il Florilegium Rossianum: questa raccolta costituisce una sorta di canale che mette in relazione varie correnti gnomologiche. Secondo Richard, il Florilegium Rossianum sarebbe derivato da una fusione tra la tradizione dello Pseudo Massimo, arricchito con sentenze della Melissa Augustana, e la tradizione del Florilegium Atheniense. A queste tre si aggiungerebbe una quarta fonte non identificata. Tuttavia, il dato più interessante deriva dall'alta datazione del più antico manoscritto conservato, che risale all'XI secolo (Vat. Rossi 736). -
IΧ.
CONCLUSIONI. UNA CARTA DA RIFARE
Veniamo dunque a ll e conclusioni. La cartografia gnomologica ancora largamente da tracciare, e la selva resta in gran parte una foresta vergine. Possiamo intravvedere certe zone che devono ancora essere esplorate, quelle dei bacini di raccolta delle sentenze, che potremmo datare al periodo compreso tra la Tarda Antichità (Anthologium di Stobeo) e il periodo iconoclasta (Sacra Parallela di Giovanni Damasceno). Contemporaneamente vediamo bene che esistono delle raccolte più modeste, ma molto attive, copiate e utilizzate durante un lungo periodo, arricchite e contaminate, come, per esempio, lo Gnomologium Byzantinum. Nel IΧ secolo questo quadro pare mutare: a quest'epoca si formano nuove raccolte, che ricorrono molto spesso ad una attività primaria di estrapolazione, ma che utilizzano sicuramente anche grandi e piccole sillogi precedenti, fondono sapienza sacra e profana, privilegiando sentenze brevi, senza riportare i lunghi excerpta che caratterizzano Stobeo e Giovanni Damasceno. Questo aspetto accomuna le raccolte sacro-profane a quelle profane di piccole dimensioni. D'altra parte la loro struttur, non è stabile: in qualche modo l'accento è posto sulle sentenze stesse, sia che esse siano disposte in ordine alfabetico, come il Florilegium Marcianum, sia che vengano organizzate per autore, come fa il Corpus Parisinum. In questo periodo anche altre sillogi, a noi ignote, dovrebbero essersi formate, se è vero —94—
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che il Florilegium Rossianum utilizza una fonte sacro-profana non identificata, e che il Florilegium Atheniense e il Mosquense ricorrono ad una (altra?) fonte sacro-profana, anch'essa sconosciuta. La disposizione per capita, che si rifà sia alla tradizione di Stobeo, che a quella di Giovanni Damasceno, privilegia la disposizione contenutistica, ma senza seguire un percorso innovativo e `enciclopedico' come quello damascenico. 51 Lo Pseudo Massimo è il capostipite di una grande e fortunata famiglia, costituita da opere che iniziano a circolare forse dalla fine del IΧ, ma certamente dal X secolo: esse hanno per scopo di riunire tutto il sapere gnomologico in summae dove il sapere è immobile e dove nessun percorso intellettuale è possibile. Non viene confrontato il sapere sacro con quello pagano, viene semplicemente giustapposto per ottenere un prodotto il più possibile completo. I capita damascenici sono banalizzati, non più legati da una visione d'insieme, ridotti nel numero. Quello che conta è lo strumento maneggevole, dove si possano ritrovare subito le belle frasi di cui si ha bisogno. Questa fase, dominata dallo Pseudo Massimo, non porta contributi originali: il ricorso alle fonti è limitato, e quando gli excerptori svolgono una attività primaria di solito si rivolgono a fonti facilmente frequentate, come la Bibbia, o come í Padri (da Gregorio Nazianzeno a Nilo). Per gli autori profani, i compilatori ricorrono a letture abbastanza note. Inoltre attingono abbondantemente agli gnomologi tradizionali, alle raccolte di apoftegmi, e molto probabilmente ad altre sillogi previste per un pubblico ben determinato, come í florilegi monastici. In ogni caso non esiste nessun Urflorilegium da cui queste nuove raccolte attingono: la nuova silloge risulta dalla somma di raccolte precedenti, a poco a poco arricchite attraverso contaminazioni. In questa fase vedono la luce diverse raccolte: in primo luogo lo Pseudo Massimo e il Florilegium Atheniense. Nel X secolo fiorisce e si completa questa fase gnomologica sacro-profana: a partire da questo periodo assistiamo piuttosto a un rimaneggiamento delle sillogi, a una loro ulteriore contaminazione, non a nuove creazioni. Ogni gnomologio tende a svilupparsi e ad arricchirsi con l'apporto di nuove sentenze, dando luce a raccolte auctae e contaminate, come lo PseudoMassimo, da cui nascono due versioni arricchite e la Melissa dello Pseudo-Antonio, la Melissa Augustana, il Florilegium Rossianum, il Laurentianum, il Mutinense e il Mosquense. Questo quadro cronologico e evolutivo è naturalmente una sem-
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51
Cfr. ODoluco, La cultura della σνλλοy~ , cit.
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plíce ipotesi di lavoro, che vuole solo dare ordine all'esistente, creando una tassonomia a posteriori. Ma da un lato bisogna avere ben presente che la disponibilità del materiale è ancora limitata, dall'altro che ogni percorso evolutivo è costruito per meglio avanzare nella giungla, mentre la realtà è molto píù complessa e probabilmente assai diversa. L'idea di una evoluzione può servire a noi per proseguire il nostro cammino, ma ~~ben lontana dalla realtà mobile della produzione. Non dobbiamo infatti dimenticare che sul terreno le cose si presentano in maniera diversa: per meglio comprendere la complessità della situazione dobbiamo necessariamente mettere in conto tutta l'attività di copiatura, che da un lato arricchisce le sillogi, ma che nella sua molteplicità e ricchezza nega l'idea stessa di evoluzione, perche l'uso contemporaneo di strutture diverse presuppone la compresenza e dunque la sincronicità di atteggiamenti diversi. Probabilmente per avere le idee píù chiare dovremmo cercare di rivolgerci all'altro polo del processo produttivo, il lettore. Se immaginiamo che ogni raccolta è realizzata per un determinato circuito, più o meno stretto, più o meno allargato, possiamo spiegare la diversità delle opere in circolazione. In altre parole, non è che il prodotto sia lo specchio di una cultura che gradatamente si banalizza e si semplifica in una normalizzazione pericolosa; sono í bisogni di un pubblico diversificato, ma contiguo, che domandano prodotti diversi. Cosi il successo di opere per noi meno originali (ma questo è un giudizio privo di interesse) si può forse spiegare con il bisogno di un pubblico meno esigente in fatto di particolarismi culturali, ma più interessato a prodotti completi e maneggevoli. Allora forse non si tratta di una banalizzazione della cultura, ma piuttosto del contrario, di una sua straordinaria diffusione. Del resto anche il tentativo di ossatura cronologica qui presentato deve essere verificato sulla base delle future edizioni, perché non sarebbe sorprendente scoprire che la cronologia faticosamente proposta debba essere completamente rovesciata. Alla fine di questa mia presentazione, vorrei formulare l'augurio che giovani esploratori si addentrino di nuovo nella foresta, rimontando i lunghi corsi florilegici dalla loro foce. Il desiderio di arrivare direttamente alle fonti è forte, ma esse non possono esser raggiunte senza percorrere tutto il corso della tradizione. È quello che ho cercato di fare con questo sorvolo della giungla.
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RIFACIMENTI CRISTIANI DI OPERE PAGANE: IL «MANUALE» DI EPITTETO E LE «SENTENZE DI SESTO» La complessità davvero straordinaria della tradizione testuale del Manuale di Epitteto può spiegare, secondo me, che ci siano voluti 200 anni (anzi per la precisione 201) per avere un'edizione veramente critica di quest'opera: nel 1999 la lunga e tenace ricerca di Gerard Boter ci ha dato il nuovo Ερittetο. 1 J. Schweighäuser aveva pubblicato nel 1798 il Manuale con la Tabula Cebetis e poi nei due anni success u vi aveva raccolto negli Epicteteae philosophiae Monumenti tutti i materiali allora conosciuti, utili alla ricostruzione del testo: la Parafrasi cristiana anonima, la Parafrasi di Nilo, il Commento al Manuale di Simplicio.2 Schweighäuser, giustamente celebrato per alcune acquisizioni nel campo della stemmatica (per esempio la dimostrazione della dipendenza di tutti i codici di Ateneo dal Marciano 4473 ), non si arrese di fronte al groviglio tradizionale di Epitteto e cercò di classificare i codici sulla base di criteri `esterni', collegando insieme i manoscritti che contengono il solo Manuale, quelli che contengono il Manuale premesso al Commento di Simplicio, quelli in cui sezioni ampie del Manuale precedono le corrispondenti sezioni del Commento di Simplicio. Spesso è stata ripetuta la denuncia della scarsa validità scientifica di questo metodo perché non sottoponeva a verifica l'informazione testuale di ogni testimone in ogni punto del testo, ma di fatto esso è ancora seguito nella edizione teubneriana d i H. Schenkl e in quella di W.A. Oldfather della Loeb Classical Library 4 fino appunto
I The Encheiridion of Epictetus and its Three Christian Adaptations, Transmission and Critical Editions by G. BOTER, Leiden Boston Köln, Brill 1999. 2 J. SCHWEIGHÄUSER, Epicteti Manuale et Cebetis Tabula, Leipzig 1798; ID., Epicteteae philosophiae monumento, tomi I-V, Lipsiae, Weidmann 1799-1800. Si può vedere S. ΤΙΜΠΑΝARo, La genesi del metodo del Lachmann, Padova, Liviana 1985 2 , p. 59. 4 Epicteti Dissertationes ab Arriano digestae f...] accedunt fragmenta, Encheiridion ex recensione Schweighaeuseri, gnomologorum Epicteteorum reliquiae, indices, recensuit -
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all'imponente lavoro critico di Gerard Boter i cui risultati sono un'acquisizione critica sicura. Boter ha collazionato tutti i manoscritti a lui noti come del Manuale, ha costituito separatamente l'edizione critica (anche qui con completa esplorazione della tradizione manoscritta) delle tre Parafrasi cristiane (che sono preziose fonti, se pur tendenziose, per la ricostruzione del testo di Epitteto), ha messo a frutto i contributi critici di Ilsetraut Hadot, autrice dell'edizione del Commento di Simplicio per l'utilizzazione dei lemmi `autentici' e non allargati indebitamente. Il paradosso è che con í manoscritti delle Parafrasi cristiane, in particolare con quelli della cosiddetta Parafrasi anonima, si attinge uno stato del testo del Manuale (il discorso vale naturalmente per le parti comuni che non hanno subito manipolazioni) ben píù antico di quello dei píù antichi codici del Manuale stesso. È della metà del sec. X il Laur. 55, 4 che contiene in una strana combinazione con testi di tattica e strategia militare la Parafrasi anonima munita di un commento che è stato redatto da qualcuno che mostra di conoscere il Commento di Simplicio; 6 è invece solo dell'inizio del sec. XIV il Par. Suppl. gr. 1164 che guida per anzianità la schiera dei manoscritti dell'Epitteto autentico. Soltanto alcuni manoscritti della Parafrasi anonima e della Parafrasi di Nilo sono sfuggiti alla caccia veramente serrata di Boter (lo ha mostrato Paul Géhin in un recente lavoro'), ma la mancata cattura si spiega: quelle scoperte da Géhin sono fonti per così dire criptiche, celate nel dossier nilo-evagriano. Nella tradizione manoscritta greca ,5
H. SCHENEL, Lipsiae, Teubner 1894, 19162 (rist. an., Stuttgart, Teubner 1965); Epictetus,
The Discourses as reported by Arrian, the Μanυal, and Fragments, with an English Translation by W.Α. OLDFATHER, voll. I II, Cambridge Mass. London, Loeb 1925. s I. HADOT, La tradition manuscrite du Commentaire de Simplicius sur le Manuel d'Εpictète, «Revue d'Histoire des Textes», VIII, 1978, pp. 1 108; EAD., La tradition manuscrite du Commentaire de Simplicius sur le Manuel d' Εpictète, Addenda et corrigenda, «Revue d'Histoire des Textes», XI, 1981, pp. 387-395; Simplicius, Commentaire sur le Manuel d'Εpictète, Introduction et édition critique du texte grec, Leiden, Brill 1996. Un'edizione ridotta del Commento (limitato per il momento ai caPp. I-XXIX) è apparsa anche nella «Collection des Universités de France». ~~ Il Commento è stato scoperto ed edito per la prima volta da Alphonse Dain, quando lavorava sui testi di tattica e strategia m il itare contenuti nel Laur. 55, 4 (che è un prodotto dell'atélier imperiale, confezionato al tempo dí Costantino VII): Introduction inédite 'i l "Εpictète chrétien", in Mélanges de philosophie grecque offerts 'i Mgr Diès, Paris, Irin 1956, pp. 61 68; sari ripresentato in veste critica da Michel Spanneut del quale si può vedere intanto Techne, morale et philosophie chrétienne dans un document grec inédit du IX' (?) siècle, «Orpheus», n.s., II, 1981, pp. 58 79. ' P. G~HIN, Les adaptations chrétiennes du Manuel d'Εpictète, «Bollettino della Badia greca di Grottaferrata», n. s., LIV, 2000, pp. 67-87. -
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le opere dm Evagrio e di Nilo d'Ancira si trovano mescolate percha il secondo è servito da prestanome al primo le cum opere, impregnate dm origenismo, erano destinate altrimenti a scomparire per effetto della condanna dell'autorità ecclesiastica. Arriano, che seguì assiduamente per più anni le lezioni di Epitteto a Nicomedma, ricavandone gli otto (o forse dodici) libri delle Diatribe costruite, ormai sembra di poter dire, sul modello dei Memorabili di Senofonte,$ ha voluto presentare nel Manuale, secondo quanto spiega Simplicio nell'introduzione del suo Commento, «ciò che è più importante e necessario in filosofia e più adatto a muovere gli animi». Il titolo ~γχειρíδιον è chiarito già da Simplicio nel suo valore metaforicο:9 è il pugnale che il filosofo nella sua milizia spirituale deve tenere sempre con sé, pronto all'uso per la propria difesa. E colpiscono proprio, nell'epilogo (cap. 53), espressioni come ~πì παντ~ ς πρ~χειρα ~κτ~ ον ταvτc', con riferimento ai versi riportati fedelmente di Cleante ed Euripide e a due passi platonici (dal Critone e dall'Apologia): queste citazioni costituiscono, per così dire, la punta del pugnale che deve essere sempre tenuto a portata. Ma la cosa vale anche per il corpo dell'opera dove si ritrovano espressioni analoghe (es. cap. 4 Πρ ~ χειρον σται). Píù che alla formulazione dm principi e definizioni, l'attenzione è rivolta ai precetti e alle applicazioni. Molte sono le pericopi che iniziano con Μ~Μνησο ( capp. 1, 3; 2; 3; 10; 15; 17; 20; 32; 42). Questa ed altre simili formule imperative dicono che l'intenzione di Arriano non era tanto di costituire una `summa' del pensiero di Epitteto quanto di predisporre un prontuario, ispirato alle riflessioni di Epitteto, per l'immediata difesa nelle circostanze difficili della vita. 10 È interessante, credo, che nel commento anonimo a lla Parafrasi cristiana già citato (cap. 13 Damn) si dia una seconda spiegazione del titolo ~γχειρíδιον che va però nello stesso senso: non solo «pugnale», ma anche «cassetta di pronto intervento del medico» (che è un significato di ~γχειρíδιον sconosciuto ai lessici e che non compare nella $ Sull'imitazione da parte di Arriano del modello senofonteo nelle Diatribe, si veda soprattutto TH. WIRTH, Arriaos Erinnerungen an Epiktet, «Museum Helveticum», XXIV, 1967, pp. 149-189; 197-216. 9 Sui vari significati che il termine "enchiridion" può assumere quando designa un'opera scritta ("Formtitel", "Inhaltstitel", "Bildtitel"), cfr. G. BROCCIA, Enchiridion. Per la storia di una denominazione libraria, Roma, Edizioni di Storia e letteratura 1979 («Note e discussioni erudite», 14). 10 Questo aspetto è sottolineato con ragione da E.V. Maltese nelle lucide pagine introduttive a Epitteto, Manuale, con la versione latina di Angelo Poliziano e il volgarizzamento di Giacomo Leopardi, Milano, Garzanti 1990, pp. XV Ι-XX.
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rassegna citata di Broccia): οv y~ ρ µ ~ νον ~πì Τov στρατi~του τ~~πρ ~ χειρον ξ~ φος ~ Ρε~ ς ~yχειρι&t ον διΡ~~τ~~ ~ εì µετ ~~χε~ Ρας χεtν αvτ~ · 0v88 ~πì iητpov καλ~ σεις τ~ ν πρ ~ χειρον ν ~ ρθηκα ~γχειρ íδιον. Come
dice Pierre Hadot, il filosofo stoico, continuamente impegnato in un esercizio spirituale, in una meditazione sulla regula vitae, ha sempre sottomano ( πρ~χειρον) e recita a se stesso non solo i principi fondamentali della dottrina, ma anche sentenze morali formulate icasticamente, che possano aiutarlo ad affrontare le circostanze drammatiche della vita. 11 In ambienti monastici, un testo come il Manuale, che esprime valori etici alti e insieme contiene mezzi efficaci per sostenere ed orientare il governo della vita quotidiana che si ispiri a quei valori è stato sentito vicino alla spiritualità cristiana e, con i necessari adattamenti, un libro di meditazione utile per la propria edificazione. Non c'è tempo per parlare della Parafrasi che va sotto il nome di Nilo, né di quella rappresentata dal solo Vat. gr. 2335, che del resto contengono coerenti, ma non rilevanti modificazioni del dettato testuale; vale la pena invece di soffermarsi sulla Parafrasi anonima già menzionata, che ha una ricca tradizione manoscritta e che, come dicevo, spesso si presenta con il corredo di un commento impostato come quello di Simplicio con introduzione, lemmi ed esegesi testuale: l'autore anonimo di questa parafrasi interviene sistematicamente sul testo di Epitteto per modificarlo in senso cristiano-monastic ο. 12 Il nome di Socrate, che è una presenza costante e paradigmatica sia nelle Diatribe sia nel Manuale (come dice Döring, «Epiktets Philosophieren ist Philosophieren in ständigen Hinblick auf Sokrates» 13), nella Parafrasi anonima è sostituito con altre figure: cap. 5a (= Par. 7) Socrate portato ad esempio da Epitteto per il suo comportamento intrepido di fronte alla morte è sostituito dagli "apostoli e martiri"; cap. 46, 1 (= Par. 60) Socrate segnalato per la sua modestia nei rapporti con gli altri è soppiantato dall'ammonimento di Paolo a Timoteo a farsi esempio per i fedeli con la sua vita di fede ('Tim 4, 12); cap. ιι p HADOT, Esercizi spirituali e filosofia antica, Torino, Einaudi 1988 (trad. it. di Exercices spirituels et philosophie antique, Paris, Études Augustiniennes 1987), pp. 35-39. Ampia illustrazione del modo di procedere dell'anonimo parafraste dà M. SPANEpictète, Dictionnaire de spiritualité, IV, 1960, colf. 830 849; ID., Epiktet, RAC V, 1962, coll. 632-681. Quella conservata dal Laur. 55, 4 è una versione breve del Commento; altri codici conservano versioni in varia misura più lunghe, ma in nessuna fonte la Parafrasi anonima è commentata per intero. 12
lEUT,
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13 K. DÖRING, Exemplum Socratis. Studien zur Sokrates Nachwirkung in der kynischstoischen Popularphilosophie der frühen Kaiserzeit und im frühen Christentum, Bonn, Stei-
ner 1979 («Hermes-Einzelschriften», XLII), p. 79.
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51, 3 (= Par. 69), Socrate proposto come esempio di f il osofo che segue soltanto il λ~γος cede il posto ancora a Paolo che i fedeli, impegnati nell'agone della vita, devono sforzarsi di imitare. Ma la stessa figura del φιλ~ σοφος, del σοφ~ς, proposta come ideale nella varie tappe dell'iniziazione filosofica da Epitteto (es. cap. 22) si dissolve nella Parafrasi che fa entrare in scena l' ~ σνχαστ~ς (Par. 60), o l' ~ναχωρητ~ ς (es. cap. 29) indicato come ideale da seguire nei vari gradi del cammino verso la perfezione. L'aspirazione alla φιλοσοφ~ α (cap. 22) diventa l'aspirazione alla vita virtuosa nella comunità (~ ν~ρετος πoλιτεια, Par. 29). Ricorre frequentemente il termine φαντασ~α in Epitteto; il parafraste preferisce λογισµ ~ ς. Προαιρεσ iς in Epitteto ha il significato tutto speciale di `predecisione', `scelta di principio' che serve ad orientare il proprio comportamento nella vita quotidiana e viene addirittura personificata; nella Parafrasi a volte il termine è sostituito da νυχ~~ (es. cap. 9 ν~ σος σ~µατ ~ ς ~στιν ~Μπ~ δ~oν, πρσαιΡΨεσεως [Par. 12 ψυχ~ ς] δ~~ov), a volte invece è mantenuta anche se, si deve pensare, con il valore corrente che ha nel lessico patristico. Chi non si affanna dietro a beni materiali o a cariche pubbliche un giorno diventerà degno convitato degli dei, dice Epitteto (cap. 15); nel testo cristiano leggiamo «un buon convitato del regno di Cristo» (Par. 21). Sono tutto sommato rare le pure e semplici espunzioni (cap. 31, 4, Eteocle e Polinice che lottarono tra loro considerando un bene il trono del tiranno non dicono nulla al pio monaco e vengono perciò eliminati). Nell'epilogo del Manuale (cap. 53) l'autore della Parafrasi si trovava di fronte al manipolo di sentenze poetiche e prosastiche che il saggio stoico deve recitare a se stesso quando sembra abbattersi su di lui il destino non scrutabile nel suo disegno e quando l ο minaccia nella sua libertà la forza ostile del potere. 14 Epitteto fa propria l'invocazione a Zeus e al Fato di Cleante e la promessa del saggio di seguire, con adesione volontaria, il corso delle cose da loro stabilito, quindi ripete, con Socrate, che í nemici possono uccidere, non danneggiare veramente nell'intimo il saggio. Chiaramente l'autore della Parafrasi non poteva mantenere l'invocazione a Z εvς e alla Eιµαρ µ ~νη, il vocativo Κρ~ των o í nomi degli accusatori di Socrate Anito e Meleto. Ma pur determinato a fare cristiano il testo di Epitteto -Arnano, il parafraste si preoccupa dí non abbandonare del tutto il percorso dimostrativo del Manuale nella sequenza delle quattro citazioni
1 Per un'analisi del cap. 53 del Manuale e della sua trasformazione nella Parafrasi, cfr. A. CARmiii, Osservazioni sull'epilogo del Manuale di Epitteto, «Studi Italiani di Filologia Classica», s. III, XIII, 1995, pp. 214-225. "
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che lo concludono, di mantenersi fedele, pur nella diversa prospettiva etico-religiosa, al contenuto tematico degli excerpta (Par. 70 e 71). Intanto l'autore della Parafrasi deve precisare le circostanze della vita nelle quali è opportuno avere a portata massime efficaci: per 1' ~σνχαστ~ς il maggior pericolo è rappresentato dai πειρασµο~ , cioè le «tentazioni» a cui si è esposti. La coppia Zeus-Fato è sostituita nella Parafrasi anonima da Cristo Salvatore e dallo Spirito Santo: il pio anacoreta deve seguire volentieri e docilmente Dio e fare la sua volontà. La famosa formula dell'Apologia platonica ~ποκτεναα µ~ ν δ~νανται, βλ~ψαΙ δ~~ o~~che ha avuto grande fortuna presso filosofi, storici e moralisti (ora analizzata molto bene da Francesco De Nicola in uno specifico lavoro 15) si cristianizza, mantenendo il suo senso profondo, con ricorso a Matteo 10, 23 M~~o(3η8~ τε ~Π~~τ~Ν ~ποκτε~Ν~ΝτωΝ τ~~ ~ νων ~ποκτεîναι. C' un sigillo evanσ~µα,'~v 88 Ψυχ~Ν Μ~~δυναµ gelico nella Parafrasi, ma l'autore procede ancora in parallelo con il
Manuale; chi pronuncia nell'Apologia la frase, ripresa da Epitteto-Arrano, diventata poi simbolica dell'indipendenza spirituale del saggio davanti al potente, è Socrate; nella Parafrasi l'ammonimento a non te-
mere chi può uccidere, ma non recare danno viene dal Signore: παρ~γγειλε y~ ρ ~~κ~ ρ~oς. Che il parafraste abbia concepito tutto l'Encheiridion da lui cristianizzato come una raccolta di massime ed esortazioni si vede bene già dal titolo che è molto articolato: ~π 301κm ~~ ει vr~~νησ ww ~ αντ~ν γεyρ ~~ ασι Σπoυδα οΙ κα ì ~vó.ιασαν ~γχειρι&&ον, «esortazioni che pii saggi hanno scritto per richiamo alla memoria di se stessi 16 e hanno intitolato Manuale». Dunque scompare il nome di Epitteto e si evoca una pluralità di saggi ( σπονδαîοι, saggi e zelanti) che, appartenendo ad uno stesso ambiente monastico, avrebbero operato d'intesa, assicurando organicità alla raccolta e imponendo il titolo: Manuale. 17 Si consideri anche l'interna articolazione della Parafrasi: le sezioni testuali sono ben 71 a fronte dei 53 capitoli dell'opera originale. Il testo di Epitteto-Arriano è stato ulteriormente diviso per cir-
15 F. DE NICOLA, La fortuna' della pericope parafrastica di Plat. Apol. 30cd, «Rivista di Filologia e di Istruzione classica», CXXVI, 1998, pp. 268-278. 16 Questo può significare sia «per muovere se stessi al ricordo», sia (e anche meglio) «per richiamare a mente se stessi» (qual è la propria natura, chi si è veramente). Secondo una variante, inferiore, presente nei codici della prima famiglia (cx), in luogo di ει ~ ν qui avremmo et; ü π~ σεσ~ν, «per la propria edificazione». π~ µνησ 17 Nel solo Ven. Marc. gr. 127 (sec. XIII) c' la variante ~γχειριδια. La forma al plurale è stata introdotta probabilmente per tentare di dare una spiegazione a ll a supposta pluralità di autori e dí sillogi utilizzati dal curatore finale.
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coscrivere le unità significative e favorire l'apprendimento a memoria, la meditazione e il pronto uso in caso di necessità. Questa divisione in brevi kephalaia avvicina la Parafrasi alle collezioni monastiche del tipo dei kephalaia ascetici di Evagrío. 18 In una discussione sul contributo di Guglielmo Cavallo, Conservazione e perdita dei testi greci, 19 io avevo richiamato l'attenzione su parafrasi del tipo della nostra che rappresentano pur sempre un fattore di conservazione dei testi, pur nella radicale manipolazione. Se non potessimo confrontare in ogni punto il Manuale epitteteo, avremmo difficoltà a individuare con precisione le parti aggiunte o modificate e a ricostruire l'assetto originario, ma pensiamo, per esempio, all'operazione fatta da Giamblico nel suo Protrettico: il confronto con í molti brani platonici trascritti ma anche modificati (la soppressione della forma dialogica originaria e l'inserimento di formule di transizione sono gli interventi più vistosi), dice che Giamblico doveva operare così anche con i brani di opere non conservate dalla tradizione medievale, come il Protrettico e l'Eudemo aristotelici che con ogni probabilità sono da considerare tra le fonti copiate nel centone giamblicheο.20 Quindi potremmo parlare di `conservazione/trasformazione' dei testi. Certamente, gli interventi dell'anonimo parafraste sono di natura diversa perché mirano a dare un contenuto etico-cristiano a un testo pagano. Ma non credo si sia nel giusto se si parla semplicemente di interventi tendenziosi e di volontà di censurare un autore che merita condanna. Il compilatore della Parafrasi anonima vuol dare un contenuto nuovo, autenticamente cristiano, a un testo di altro am-
Cfr. G~ΗIN, Les adaptations, cit. (supra, n. 7), pp. 86-87. L'articolo di Cavallo è pubblicato nel volume curato da A. GIARDINA, Tradizione dei classici, trasformazioni della cultura (Società romana e impero tardoantico, vol. IV), Bari, Laterza 1986, pp. 83-172 (note pp. 246-271); la recensione al volume è apparsa nella «Rivista di Filologia e di Istruzione classica», CXVIII, 1990, pp. 225-236: 232-233. 20 All'ottimismo `ricostruttivo' di I. Düring (Aristotle's Protrepticus. An Attempt at Reconstruction by I. D., Göteborg, Erlanders Boktrycken Aktiebolag 1970 [«Studia graeca et latina Gothoburgensia», XII]) si contrappone la grande cautela di O. Gigon, che ritiene í lunghi passi di Giamblico semplicemente dei τ~ ποι προτρεπτικο ~~«aus mehreren Dialogen excerptiert» (Aristotelis Opera ex recensione I. Bekkerí, editio altera, volumen tertium: Fragmenta, collegit et adnotationibus instruxit O. G., Berolini et Novi Eboraci, De Gruyter 1987, pp. 302-333). Importante il lavoro di H. Flashar (Platon und Aristoteles im Protreptikos des Jamblichos, «Archiv für Geschichte der Ph il osophie», XLVII, 1965, pp. 53-79) che ha studiato parallelamente gli excerpta platonici (da dialoghi ben identificati) e í probabili excerpta aristotelici (da opere perdute). Per una bibliografia completa sul problema dell'Aristotele perduto, cfr. ENRICO BERT', La filosofia del «primo» Aristotele, Padova, Cedam 1997 («Temi metafisici e problemi del pensiero antico. Studi e testi», LIX), pp. 501-528. 19 19
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bito etico-filosofico da lui però riconosciuto di grande valore spirituale. Alle radici dell'operazione c'è un giudizio di valore assolutamente positivo. Si riconosce che il Manuale consente pienamente l'innesto sul suo tronco sano di elementi cristiani, che riguardino specificamente l'ideale di vita, lo stile di vita del monaco. La Parafrasi anonima, gli altri due rifacimenti cristiani, come anche il trattato stoico dello Ps. Antonio, attestano un'influenza profonda del Manuale esercitata in certi ambienti monastici della tarda antichità. Ma — ammonisce Spanneut — non si può dire, con affermazione generalizzante, che il Manuale era il `breviario' dei monaci del deserto; nella letteratura ascetica del IV-VII secolo non c'è nulla che prepari, spieghi, accompagni questo pur grande successo. A parte Atanasio, non si trova alcuno scrittore monastico tra IV e VII secolo che sia così nutrito di pensiero stoico-epitteteo. 21 Se, per la composizione della Parafrasi anonima, andiamo, come sembra necessario, oltre la barriera del sec. VII, tanto più è da salutare la `riscoperta' del Manuale, in un'età appunto che è considerata generalmente di oscuramento culturale e tanto più va apprezzata la caparbia cura con cui il parafraste segue passo passo il testo di Epitteto per renderlo cristiano. In età ancora più avanzata Epitteto appare nei florilegi greci morali di tipo sacro-profano che pur hanno un grande interesse per la storia della spiritualità bizantina (Ps.Massimo, Loci communes; Georgides, Γν ~µατ;Gnomologium Byzantinum ~ κ '~ ν ∆ηµοκρ~του Ì0-o1p0'ους ~~ ,ικ τ~του), ma non sembra proprio che in questo caso i compilatori siano mai risaliti alla fonte prima; attingono tutti a fonti secondarie. 22 Inequivocabilmente raccolta di sentenze morali è quella di Sesto pitagorico (Σ~ξτον yν~µατ)che ha avuto rigorose cure critico-editorialí già nel 1959 ad opera di Henry Chadwick, il quale ha insieme pubblicato, per l'evidente connessione, le Sentenze di Clitarco e le Sentenze Pitagoriche. 23 Due soli sono i manoscritti che contengono il testo delle Sentenze di Sesto: Patmiensis 263 (sec. X) e Vat. gr. 742 (sec. XIV). Il tema centrale di questa raccolta, che si ripropone in una serie di forme e variazioni, è la ricerca della perfezione morale e spiri-
Epiktet, cit. (supra, n. 12), coli. 661-662. Il punto di partenza per lo studio dei florilegi è senza dubbio il contributo di M. RICHARD, Florilèges grecs, in Dictionnaire de Spiritualité XXXIII-XXXIV, Paris 1962, coll. 475-512. In particolare sul Georgide, si veda P. ODORICO, Il prato e l'ape. Il sapere sentenzioso del monaco Giovanni, Wien, Österreichische Akademie der Wissenschaften 1986 («Wiener Byzantinische Studien», XV ΙΙ). 21 22
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SPANNETJT,
The Sentences of Sextus. A Contribution to the History of Early Christian Ethics,
Cambridge, Cambridge University Press 1959.
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tuale. L'ideale è quello dell'assimilazione a Dio. Il credente è un uomo eletto, un uomo degno di Dio e avvicinarsi a Dio non è possibile senza purezza morale. Il primo passo in questa ascesa è l'obbedienza al comando del `conosci te stesso' (S. 398, 446) che ha una alternativa nell'ingiunzione delfica `Divieni quello che sei'. La mente dell'uomo saggio è lo specchio di Dio. Il saggio cerca Dio non nel mondo esterno dei sensi, bensì nei recessi della sua coscienza. Ma il saggio non è un solipsista religioso, è un membro della comunità umana e la filantropia è uno dei valori basilari (S. 371, 372). A fronte del testo greco, Chadwick pubblica anche la versione latina che Rufino fece nel 399 ad Aquileia e dedicò ad Avita, moglie di Aproniano. La scelta, motivata da Rufino nella Praefatio, era caduta su Sesto perché da un lato i singoli aforismi, anche se brevi, svolgono ampi concetti e danno un preciso indirizzo di vita spirituale, dall'altro sono così piani e chiari che possono essere proposti anche a una giovane poco esperta. 24 Nel 399 la polemica sulla traduzione rufiniana del De ρrinciρiis era già scoppiata ed era destinata ad inasprirsi sempre di più rendendo insanabile il dissidio con Girolamo. Proprio la traduzione latina delle Sentenze di Sesto che, come si ricava dall'acida testimonianza dello stesso Girolamo, fu un 'instant bestseller' (per multas provincias legitur) era destinata ad alimentare, non ad attenuare il dissidio. Perché? Nella Praefatio Rufino insiste sull'alto valore morale della raccolta di massime e, se accetta pienamente la tradizione che identificava l'autore Sextus con Xystus episcopi et martyris gloria decoratus, ciò vuol dire che non nutre dubbi sulla sua origine cristiana e sul carattere ortodosso dell'indirizzo morale che vi è espresso. Eppure Girolamo, a parte í toni esasperati della polemica (nella foga arriva a negare a Rufino il dono della parola articolata, apostrofandolo «Grunnius»), ha ragione quando nega l'origine cristiana della silloge e contesta la fondatezza della tradizione che ne. assegnava la paternità al vescovo Sisto. Come può essere Sisto o comunque un cristiano l'autore della raccolta di sentenze — dice Girolamo — se non si parla mai di Cristo, né degli apostoli, n6 dei martiri? L'autore è uno che non conosce Cristo, è un pagano (auctoris absque Christo atque ethnici). Girolamo parla espressamente di origine pitagorica e in effetti c'è un nucleo consistente di massime che possono essere facilmente confrontate con altre presenti nella σοναyωy~~di Clitarco, nelle Sentenze 24 Sulla prefazione di Rufino a ll a versione latina di Sesto, cfr. A. CAnuaiI, Le Sentenze di Sesto nella versione di Rufino: vel Enchiridion si graece vel Anulus si latine, in Studi Forogiuliesi in onore di Carlo Guido Mor, Udine, Deputazione di Storia patria per il Friuli
1983, pp. 109-118.
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Pitagoriche, nell'Epistola a Marcella di Porfirio. La raccolta che va sotto il nome di Sesto non è nata cristiana, ma è divenuta `cristiana' grazie all'aggiunta di sentenze di chiara ispirazione biblica e grazie ad efficaci aggiustamenti del dettato di sentenze già presenti. Il Chadwick, proprio giovandosi del confronto con l'Epistola a Marcella di Porfirio, con le Sentenze Pitagoriche e con Ciitarco ha potuto ben illustrare íl processo di cristianizzazione della raccolta originaria di Sesto.25 È stato anche osservato che gli interventi testuali `cristianizzanti' sulle sentenze sono prudenti e che avvengono in un quadro di valori formali che s ~~ richiamano pur sempre alla tradizione ellenica. Appare evidente, p. es., l'intenzione di operare una «Hellenisierung der Form» delle massime ricavate dalla Bibbia. 26 Ci s~~ può sempre chiedere se il compilatore cristiano (da collocare forse nell'età di Clemente Alessandrino) pensasse a lettori cristiani o invece a lettori pagani da conquistare al cristianesimo. Uno degli interventi più scoperti (si direbbe necessari) dell'interpolatore cristiano è la sostituzione (che però non risulta neppure sistematica) di πιστ~ ς a σοφ~ ς per connotare in senso religioso un testo di originaria impronta laico-filosofica. Si manifesta la volontà di proporre l'ideale di vita secondo la fede. Sta di fatto che la raccolta di Sesto con le integrazioni cristiane già nel sec. III ebbe larga diffusione tra i Cristiani. Lo dimostrano i richiami a Sesto presenti in Origene (Contra Ce/sum VIII 30; Comm. in Matth. XV 3) che vanno interpretati con Chadwick come segnale dell'ormai riconosciuto carattere cristiano dell'opera. 27 Il papiro della fine del sec. IV o dell'inizio del V sec. (PPalau Rib. Inv. 225 ν), sul quale tornerò, dice con la forza del documento diretto (gli altri testi dello stesso lotto, affini per caratteristiche bibliologiche e paleografiche, sono biblici, liturgici o contengono discussioni su aspetti dottrinali di fede) che al tempo di Rufino e Girolamo, nonostante le invettive di quest'ultimo, la raccolta era pienamente accolta in ambienti cristiani, anzi era familiare se, come vedremo, poteva essere oggetto, in un ambiente di forte spiritualità cristiana, di ulteriori adattamenti a più particolari ideali di vita e pratiche di comportamento. 28 25 26
CHADWICK, The Sentences of Sextus, cit. (supra, n. 23), pp. 138 - 162. Cfr. G. DELLING, Zur Hellenisierung des Christentums in den "Sprüchen
des Sextus",
in Studien zum Neuen Testament und zur Patristik E. Klostermann dargebracht, Berlin, Akademie Verlag 1961 («T.U.», LXXVII), p. 209 sgg. 27 CHADWICK, The Sentences of Sextus, cit. (supra, n. 23), pp. 107 116. 28 Si veda A. CARLINI, Il piìi antico testimone greco di Sesto Pitagorico. P. Palau Rib. Inn. 225ν, «Rivista di Filologia e di Istruzione classica», CXIII, 1985, pp. 5-26: 11-12. -
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RIFACIMENTI CRISTIANI DI OPERE PAGANE
Il successo immediato della versione di Rufino ha un pieno riscontro nella tradizione manoscritta che è molto ricca (il più antico manoscritto Par. Lat. 10318 è del sec. VII-VIII) a differenza della tradizione manoscritta dell'originale greco, affidata a due soli testimoni. Jean Irigoin (che per l'interesse storico-tradizionale che questo testo presenta ne ha dato illustrazione nella sua lezione inaugurale al College de France nel 1986), ha visto nel Sesto latinizzato uno degli esempi significativi dell'influenza dell'Ellenismo sulla latinità tarda. 29 La condanna di Girolamo non ha il potere di frenare il corso tradizionale. In molti manoscritti è riportato il pesante giudizio di Girolamo, ma nonostante la sua autorità, che purè riconosciuta, il testo non viene censurato. C'è un esempio parallelo di condanna dell'autorità religiosa che determina, ma solo nella tradizione manoscritta orientale, lo spezzarsi della catena di trasmissione: il De principiis di Origene. La condanna del Concilio di Costantinopoli, presieduto da Giustiniano, ha soffocato ogni iniziativa di trascrizione del testo condannato. La versione latina di Rufino, ancora lui protagonista, pur così duramente attaccata da Girolamo, ha invece libero c οrso.30 Il titolo della traduzione di Rufino non è Sexti Sententiae, ma Sexti enchiridion e nella Praefatio è data una giustificazione un po' sorprendente, perché Rufino sembra stabilire una corrispondenza tra il greco enchiridion e il latino anulus (ut merito orane opusculum vel enchiridion graece vel anulus si latine appelletur). Quello che si capisce è che anche Rufino intende enchiridion, oltreché nel valore di «libro d'uso», che si deve avere sempre a portata, anche nel suo valore metaforico, ma non può parlare del «pugnale» del milite cristiano (l'immagine del pugnale mal converrebbe alla mite Avita), né della «cassetta degli strumenti di pronto intervento del medico». Proponendo Anulus (che poi nella tradizione ulteriore diventerà Anulus aureus e anche Leopardi cita la silloge sestina dall'edizione di Orelli con il titolo di Annulus aureus") il traduttore vuol suggerire l'idea di qualcosa di prezioso che si porta con sé in tutte le circostanze della vita, e di qualcosa che si mantiene inalterato nel tempo. È presente in Rufino il «Formtitel», ma presto si insinua, come spesso accade, il significato simbolico («Bildtitel»); sen οnché entrambe le forme di ti29 J. IRΙGΟIN, Tradition et critique des textes grecs, Paris, Les Be lles Lettres 1997, pp. 25-27. 3° Sulla diversa `fortuna' del testo latino tradotto rispetto all'originale, si può fare qualche riflessione: cfr. A. Cλm.ινι, Tradizione testuale e prescrizioni canoniche: Erma, Sesto, Origene, «Orpheus», n.s., VIΙ, 1986, pp. 40-52. 31 Zibaldone, 4463 (17 Febbraio 1829).
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ANTONIO CARLINI
tolo sono applicate non ad enchiridion, ma ad anulus: orane autem opus ita breve est, ut de manu eius numquam possit recedere totus liber, unius pristini alicuius pretiosi anuli optinens locum. Quali sono le novità portate da PPalau Rib. Inv. 225v, che è già stato ricordato come il più antico testimone greco di Sesto? Si tratta
non di un foglio di codice (con una porzione determinata di testo della raccolta generale), ma di un foglietto a sé, autonomo, che nella faccia perfibrale contiene ecloghe di test'. biblici veterotestamentari e nella faccia transfibrale contiene una selezione di sentenze di Sesto, ricavata dalla raccolta completa, ma senza seguirne l'ordine. Non dunque il resto di un esemplare destinato a circolare, ma una trascrizione antologica privata (lo dicono l'invasione dei margini, '.1 carattere stesso del lavoro di copia, con correzioni interlinear'., che rendono difficile il compito dell'editore). Queste considerazioni valgono anche per gli altri fogli della stessa provenienza, forse appartenenti a una comunità religiosa, contenenti raccolte di passi biblici, discussioni su temi teologico-dottrinali, di elevazione spirituale. 32 È interessante considerare il fenomeno dal punto di vista della storia delle antologie. Le sentenze sono 451, ma diventano 610 se si considerano anche le tre appendici. Come diceva Chadwick (ben prima che fosse pubblicato il papiro), raccolte del tipo di quella di Sesto crescono via via su se stesse quasi a valanga fino a diventare un tesoro di sapienza cui poter attingere. A questo punto, dal tesoro di sapienza, dalla raccolta complessiva frequentemente derivano più piccole collezioni di massime messe insieme secondo le personali preferenze e idiosincrasie dell'antologista il quale può introdurre varianti anche significative. 33 Nella selezione operata dal nostro excerptor si possono individuare alcuni blocchi tematici (con Β si indica la faccia transfibrale del papiro dove sono state trascritte le massime, I e II in esponente indicano le colonne di scrittura): 1) Opposizione Dio-Fato (Β1 18-27): rifiuto del destino come regolatore delle vicende umane; il destino va rifiutato perché contrasta con la grazia di Dio; l'uomo è invece sotto la tutela di Dio e al pensiero di Dio deve dedicare tutto il suo tempo. 2) Condanna del lusso e della ricchezza (Β1 28-33, più massima trascritta nel margine sinistro): bisogna dominare il lusso smodato; è difficile che un ricco si salvi; chi non soccorre i bisognosi
32 L'editio princeps del papiro con commento, ín «Rivista di Filologia e di Istruzione classica», CXIII, 1985, pp. 5-26. Gli altri papiri, che hanno la stessa provenienza, sono stati pubblicati da vari studiosi, separatamente e in tempi diversi.
33 CHADWICK,
The Sentences of Sextus, cit. (supra, n. 23), p. 159.
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RIFACIMENTI CRISTIANI DI OPERE PAGANE
meglio che non rivolga preghiere a Dio. 3) Rapporto del fedele con Dio e il prossimo ( Β Ε 1-25): non si può conoscere Dio se non lo si
onora; non lo si può onorare se si fa ingiustizia a un altro uomo; vero figlio di Dio chi si preoccupa per gli altri e prega per gli altri. Per conoscere Dio bisogna conoscere la parte pensante in noi. È la fede che stabilisce il legame tra anima e Dio e senza fede la vita umana vergognosa. Α Dio si deve pensare, raccogliendosi in se stessi in silenzio, con ritmo píì1 frequente del pensiero. L'anima deve evitare di curare cose triviali e deve aderire a Dio. I figli vanno educati nella fede perché i figli senza fede non sono figli. L'uomo si giudica dalle opere, non dalle parole; non a chiunque si deve prestare fede; l'uomo che conosce Dio è modesto. I molti riscontri tematici che si possono fare dicono che l'excerptor ha sicuramente davanti a sé un testo di Sesto già cristianizzato (dunque segnato dal primato della fede sulla sapienza; l'ideale di ascesi del fedele è sostituito a quello del sapiente), ma egli interviene ancora consapevolmente sul testo piegando alcune massime sestine, con interventi materiali diretti, all'ideale da lui professato della ταπεινο φρoσvvη: ταπειν~ ς, ταπειν~ φρων, Ταπε~Ν~Νονς Si incontrano in florilegi tardi, come quello di Georgide (997, 1004, 1008 Odorico), non ricorrono mai in Sesto. Ci troviamo di fronte a un caso (che non certo senza esempi in questo tipo di testi) di interpolazione progressiva. ΒI 21 «il sapiente è sotto la tutela di Dio» dice Sesto, ma il papiro al «sapiente» sostituisce il «tapino»; Β1 26-27 «í1 saggio segue Dio e Dio l'anima del saggio» si legge in Sesto, ma la variante introdotta dal nostro interpolatore propone «l'uomo pio segue Dio e Dio l'anima dei tapini»; ΒIS 18 «l'anima del sapiente aderisce a Dio» è il testo di Sesto che in questo caso non è intervenuto sul dettato originario, ma la cosa non sfugge al devoto che ha vergato il papiro, il quale va oltre la consueta sostituzione di «fedele» a «sapiente»: «l'anima del tapino aderisce a Dio»). Si può stabilire che il nostro excerptor aveva davanti a sé l'intera raccolta già cristianizzata e verosimilmente nell'ordine canonico; l'ha percorsa avanti e indietro per trascegliere e collocare in successione le massime che convenivano ai suoi scopi. Una selezione di massime di Sesto, tradotte in copto, si è trovata in un manoscritto della Biblioteca dí Nag Hammadi (Codex XII, ff. 15 e 16; 27-34) che può essere assegnato al sec. IV Π. 34 Qui però tro-
34
The Facsimile Edition of the Nag Hammadi Codices. Codices XI, XII and XIII, ROBINSON (XII 1: Sententiae Sexti, Leiden, Bríll 1973, pp. 15-34; taw. 85-94;
ed. J.M.
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ANTONIO CÁRLINI
víamo due blocchi nell'ordine stesso della silloge completa (nrr. 15780; 307-97) e, per quello che si può vedere, non ci sono varianti tendenziose. Tra la nostra raccolta su papiro e i due blocchi copti ci sono alcune sentenze comuni e, di più, alcune scelte di massime sestine operate dall'excerptor di PPalauRib Inv. 225v troverebbero giustificazione nel mondo di valori gnostico. 35 Ma questo certo non basta per dire che la comunità religiosa alla quale è riferibile il nostro manufatto, come gli altri vergati da mano simile, era gnostica o percorsa da fremiti gnostici. Quello che si può dire invece è che straordinaria stata la capacità di irradiazione della silloge sestina. I filoni di tradizione testuale `parallela', in altre lingue, oltre alla latina e alla copta, sono stati ben illustrati da Chadwick: le due versioni siriache (che hanno un carattere parafrastico, ma sono rilevanti anche per la costituzione del testo: come si può vedere ora, la maggioranza delle varianti del testo copto concorda con la principale fonte siriaca) e la versione armena.i 6 Ma Chadwick non poteva ancora conoscere la versione in georgiano, pur limitata a ventidue sentenze: ecco un altro caso venuto alla luce di `selezione' dal tesoro di sapienza di Sestο! 37
P.H. POIRIER, Les Sentences de Sextus, Québec, Presses de l'Univ. de Laval 1983 (« Β~blíothèque copte de Nag Hammadi». Textes, XI). La fonte testuale copta è stata tenuta presente nella più recente edizione critica di Sesto: The Sentences of Sextus, Edited and Translated by R.A. EDwMDs- R.A. WILD, Chico, Scholars Press 1981 («Early Christian Literature Series», 5). 35 Cfr. CARLIN', 11 più antico testimone, cit. (supra, n. 28), pp. 13 14. 36 Cfr. CHADWICK, The Sentences of Sextus, cit. (supra, n. 23), pp. 6 8. La versione armena è segnalata nel repertorio di C. ZUCKERMAN, A Repertory of Published Armenian Translations of Classical Texts with an Appendix by A. TERIAN, revised by M.E. STONE, Institute of African and Asian Studies, Hebrew University of Jerusalem 1995, pp. 30-31. i7 G. GARITTE, Vingt deux Sentences de Sextus en géorgien, «Le Muséon», LXII, 1959, p. 355 sgg. -
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SILVIA AZZARA
LE ANTOLOGIE PSEUDOEPIGRAFE NELLE CITAZIONI DEI PADRI All'interno di una vasta produzione pseudoepigrafa di origine giudaica in lingua greca (che comprende tra gli scritti píù noti le Sentenze dello Ps.Focilide, gli Oracoli Sibillini, la Lettera dello Ps.Aristea), un caso particolare è rappresentato da un consistente insieme di versi attribuiti a poeti greci, creati al fine di dimostrare un sostanziale accordo tra la sapienza ellenica e le verità fondamentali della rivelazione veterotestamentaria. 1 Questa sorta di dossier di versi falsificati è giunto a noi attraverso le citazioni presenti negli scritti di due autori cristiani, Clemente Alessandrino (Stromata V 113-133 e Protrepticus VI 68 e VII 73-76) ed Eusebio di Cesarea (Praeparatio Evangelica XIII 12-13), il secondo in chiara dipendenza dal primo, nonché attraverso quella particolarissima opera nota come De Monarchia, trasmessa sotto il nome di Giustino Martire, composta quasi esclusivamente di citazioni; un certo ' Per un quadro sia sulla questione generale della letteratura psedoepigrafa giudaico ellenistica, sia in particolare sui testi falsificati di cui ci occupiamo qui, si vedano E. SCηüRER, Storia del popolo giudaico al tempo di Gesù Cristo (175 a. C. 135 d. C.), Edizione diretta e riveduta da G. VEmmiEs, F. MILLAR, Μ. GooDMAN con la collaborazione di P. VERMES. Edizione italiana a cura di, C. G τAΝOTTO, III. 1 Brescia, Paideia 1997, pp. 791885; N. WALTER, Der Thoraausleger Αristobulos, Untersuchungen zu seinen Fragmenten und zu pseudepigraphischen Resten der jiidisch-hellenistischen Literatur, Berlin, Akademie Verlag 1964 («T.U.», 86), pp. 150 201; ID., Pseudepigraphische jüdisch-hellenistischen Dich-
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tung: Pseudo-Phokylides, Pseudo-Orpheus, Gefälschte Verse auf Namen griechischer Dichter, Gítersloh, Glitersloher Verlagshaus Gerd Mohn 1983 («Jüdische Schriften aus hellenistisch-römischer Zeit», IV.3), pp. 217-276; A.M. DEUS, Fragmenta pseudepigraphorum quae supersunt Graeca, Leiden, Brill 1970; ID., Introduction aux pseudépigraphes grecs d'Ancient Testament, Leiden, Brill 1970, pp. 223 238; ID., Anthologie judéo-hellénistique de citations fictives d'auteurs grecs in Introduction à la littérature religieuse judéo-hellénistique. Pseudépigraphes de l'Ancien Testament, II, Turnhout, Brepols 2000, pp. 1063 1106; N. ZEEGERS VAIDER VORST, Les citations des poètes grecs chez les apologistes chrétiens du 77 siècle, Louvain, Publications Universitaires 1972 («Recueil de travaux d'histoire et de phi-
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lologie», s. IV, 47), pp. 180-228.
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numero di questi versi falsificati è presente poi anche in un'altra opera trasmessa sotto il nome di Giustino, la Cohortatio ad Graecos. L'origine giudaica delle falsificazioni è stata riconosciuta e pacificamente accettata per la maggior parte dei brani attribuiti nei nostri testimoni ai diversi autori greci, 2 ma restano aperti numerosi altri problemi relativi alla circolazione e alla diffusione di questi versi e al loro uso nei testimoni che abbiamo, così come alla loro datazione e ai tentativi di individuarne una paternità. Fin dai primi studi sulla questione si è parlato di una o più raccolte antologiche di versi pseudoepigrafi giudaico-ellenistici, redatte a fine apologetico e propagandistico, che costituirebbero la base per i testi giunti a noi; se í nostri testimoni rivelano chiaramente l'origine antologica delle loro citazioni, bisogna però operare delle distinzioni, essendo í brani citati di natura molto diversa tra loro. Una prima distinzione tipologica del materiale tramandatoci permette di individuare tre categorie di testi che deriverebbero da altrettante raccolte: 1) versi attribuiti a poeti tragici e comici, che rimanderebbero a un florilegio di versi drammatici pseudoepigrafi: sono presenti sia nello Ps.Giustino che in Clemente ed Eusebio; 2) versi attribuiti a Orfeo, probabilmente frammenti di un 0íù vasto poema pseudo-orfico prodotto in ambito giudaico: sono citati da tutti i nostri testimoni, ma con notevoli differenze tradizionali che lasciano presupporre una pluralità di redazioni; 3) pochi versi sul tema del numero sette e del Sabato, attribuiti a Omero, Esiodo e Lino, non riportati dallo Ps.Giustino, ma da Eusebio (che in PE XIII 12 li presenta, insieme a quelli pseudo-orfici e a una citazione da Arato, come estratti da un'opera del filosofo giudaico Aristobulo sulla derivazione de lla filosofia greca da quella ebraica), e da Clemente (che ha il nome di Callimaco in luogo di Lino). Questa distinzione tra categorie di testi citati, cui si fanno corrispondere quasi `automaticamente' delle raccolte originarie, è certamente una semplificazione rispetto a un quadro che doveva essere ben più variegato; anche all'interno di queste categorie di testi bisogna infatti fare i conti con le discrepanze presenti nei nostri testimoni, sia dal punto di vista delle tradizioni testuali, sia per quanto riguarda le attribuzioni ai diversi poeti. Queste difficoltà sono particolarmente evidenti per quanto riguarda il fl orilegio di versi drammatici di cui qui mi occupo. 2 Cfr. L.C. VALCKENAER, Diatribe de Aristobulo Iudaeo, Philosopho Peripatetico Alexandrino, Leiden, Luchtmans 1806, pp. 1 -5; A. BoECKH, Graecae tragoediae principium [...],
Heidelberg, Mohr et Zimmer 1808, pp. 146-164.
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LE ANTOLOGIE PSEUDOEPIGRAFE NELLE CITAZIONI DEI PADRI
I. IL «DE MONARCHIA» DELLO PS.GIUSTINO L'opera tramandata con il titolo Περ~~µοναρχ ~ ας è stata associata al nome di Giustino Martire sulla base dell'inclusione da parte di Eusebio (Hist. Ecc'. IV 18, 4) di un'opera dal titolo Περι θεov µοναρ χιας in un elenco di scritti di Giustino; 3 che si tratti del testo che possediamo non è però affatto certo, soprattutto perché Eusebio presenta l'opera come costituita o' µ ~νον ~κ τ~ν παρ ' Μ~Ν γραφ~ν, ~λλ~~ 10ì τ~ν 'Eλληνικ~ν ... βιβλ~ ων: se da un lato sorprende la menzione delle Sacre Scritture, che non sono mai citate nel De Monarchia, non possiamo d'altra parte ignorare che l'uso da parte di Eusebio del verbo συν~ στησιν sembra particolarmente appropriato per uno scritto che si configura come un insieme di citazioni, esattamente qual è il testo che possediamo; quanto alla presenza di riecheggiamenti neotesta rentar che secondo Marcovich Eusebio avrebbe potuto individuare nell'opera, 4 mi sembrano troppo deboli e generici per giustificare l'eîν γραφ~ν σον~στησιν, che pospressione o' µ ~νον ~κ τ~ν παρ ' ~µ trebbe semmai essere spiegata dalla presenza dí riferimenti all'Antico Testamento, per quanto manchino citazioni letterali. Senza voler risolvere in questa sede la questione, possiamo dire che non è da escludere che Eusebio si riferisca proprio all'opera che conosciamo, probabilmente già inclusa nel III secolo nel corpus delle opere di Giustino. Per quanto riguarda il problema cronologico non abbiamo altro terminus ante quem se non l'epoca di composizione dell'Historia Ecclesiastica (311-312), sempre naturalmente che si accetti l'identificazione con l'opera citata da Eusebio. Secondo Marcovich l'espressione οi ~νθρωποπαθεîς ... τ~ν ~ λων δεσπ~ται che lo Ps.Giustino usa in De Mon. 6, 4-5 sarebbe un'imitazione di Clemente (Strom. V 116, oi ~νθρωποπαθεîς Θεο~ ; cfr. anche Protr. II 36, 1), il che costituirebbe un terminus post e permetterebbe di collocare l'opera nel III secolo; si tratta però solo di un'ipotesi e la datazione del De Mon. resta del tutto incerta. 5 3 L'edizione di riferimento è Pseudo-Justinus, Cohortatio ad Graecus, De Monarchia, Oratio ad Graecus, ed. M. MARCOVICH, Ber lin-New York, De Gruyter 1990 («Patrische
Texte und Studien», 32). 4
MARCOVICH, ed. cit., p. 82.
MΑRCΟVICH, ed. cit., p. 82; riguardo al termine ~νθρωπoπαθ~ ς Marcovich (vedi nota 3) sembra non voler dare molto peso al suo uso in Filone («Phílo's usage of ~νθρωπoπαθ~ς is different»), che è l'unico autore oltre a Clemente e allo Ps.Giustino, fatta eccezione per un passo in Celso ('Αληθ~ς λ~γος IV 71, 1), in cui il termine ricorre (De sacrifici s Abelis et Caini 95, 8, De posteritate Caini 4, 2, Quod Deus sit immutabilis 59, 4; De plantatione 35, 6, De decalogo 43, 3, In Flaccum 121, 5); credo invece che Filone sia da considerare in assoluto, ma anche per questo caso particolare, un punto di riferimento 5
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SILVIA ΑΖΖΑ1 λ
L'importanza dell'opera per noi risiede soprattutto nelle citazioni che condivide con Clemente Alessandrino, ma anche nel fatto che per la sua maggiore coerenza nella struttura e nell'ordine delle citazioni, sembrerebbe rispecchiare in modo più fedele rispetto a Clemente la fonte originaria. Il De Monarchia, suddiviso in sei brevi capitoli, è composto nel suo corpo centrale (capp. 2-5) quasi unicamente da passi poetici attribuiti per lo più a tragici e comici, più un lungo passo pseudo-orfico e quattro esametri attribuiti a Pitagora (con l'eccezione di un'unica citazione in prosa dal Timeo di Platone); si tratta di brani di diversa estensione, la maggior parte dei quali falsi giudaico-ellenistici, ma non mancano, raggruppate nel quinto capitolo del trattato, citazioni di passi genuinamente attribuiti a Menandro e ad Euripide, che presuppongono probabilmente una fonte antologica distinta da quella dei versi pseudo-drammatici, ma che potrebbe anch'essa essere stata assemblata, o almeno utilizzata, in ambiente giudaico, con uno scopo analogo a quello che possiamo presupporre per le falsificazioni; le citazioni autentiche presenti in questo cap. 5 del De Mon., che sono note, come si vedrà, anche a Clemente, devono a mio parere essere considerate in stretta relazione con la raccolta di versi drammatici falsificati: la tendenza di molti studiosi è stata invece quella, una volta stabilita la loro derivazione da una fonte distinta, di metterle da parte per occuparsi prevalentemente dei versi pseudoepigrafi e delle loro presunte fonti. fondamentale, non soltanto per Clemente (per cui l'in fl uenza di Filone è stata ampiamente dimostrata, si veda ad es. A. VAN DEN HOECK, Clement of Alexandria and his use of Philo in the Stromateis. An early Christian reshaping of a Jewish model, Leiden, Brill 1988), ma anche per l'autore del De Mon., ο almeno per la presunta fonte di entrambi. L'uso filoniano del termine non è affatto inconciliabile con quello di Clemente e dello Ps.Giustino: anche per Filone infatti l' ~νθρωποπαθ~ ς, talvolta apparentemente in contrapposizione con l' ~ νθρωπ~ µορψον,è di fatto una sua conseguenza negativa; è vero che Filone parla, in Quod Deus 60-64, di un antropomorfismo positivo, con funzione pedagogica, del Dio biblico, ma ciò nasce dall'esigenza di giustificare il fatto che Μοsè parli de ll a divinità come se avesse sembianze umane, mentre il pensiero di Filone sull'argomento è chiaramente g ν ~νθρωπ~ µορφον~ ρyω δ~~~νθρωespresso a 59, 3-4: ~ σεβ~ν α τα~~ΜυθoΠo~ιαt λ~γcρ µ ~ χoντες τoü θνητo~~κα~~ ποπαθ~ ς ε~ σαγ~ ντων τ~~00.oν; cfr. Sacrif. 95: ~ λλ~~πλε~ στoν µετ t 1η88 ~ κΙ~ ναι TUO ~ διας κ~ ρας ~ σχvoντες Y ν δνν~ µενσ χωρ~ ς ~ αΟΤ~Ν ~πινο~~α~~ µηδ ~κα~~Περ~~ TOU µακαΡ ~ον κα~~ 40~ ρτσυ τ~~(lVne ~~κα~~περ~~ ~ αντ~' δοξ~ ζοµενT ' µ ν τοπ~αΝ TOU λ~ γον, ~ τι ~νθρωΠ~ Μi ροον Τò Θε~ σν, äΠoδιδρ ~ σκiντες, τ~ ν 58 ~ ν 'oi; 44701; ~ σ~ βειαν, ~ τι ~ΝθρωΠOΠαθ~ ς, ~Παναιρ o~ Μενοι; anche in quest'ultimo caso credo che si debba porre l'accento sul legame fondamentale tra rappresentazione dell' ~νθρωΠοπαθ~ ς e ~ σY βεια; cfr. anche Plant. 35, 6, dove í concetti di ~ΝθρωΠ~ ΜΟρφΟΝ e ~ΝθρωΠοπαθ~ ς sono presentati come inscindibilmente connessi e questa volta entrambi in senso esclusio ρφoΝ, ~τι 58 κα~~ ~ νΘρωΠoΠαθ~ ς (lied ε~σαγ~ ντων 8 vamente negativo:... τcδν ~νθρωΠ~ µ ~ λων ~ ρετ~ν, ~ κθεσµ ~ τατα ~ ντα ε~ ρ~ µατα. Π ' εvσεβειας κα~~ ~ σι~ τητος καθαιρ~ σει, µεγ ...
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LE ANTOLOGIE PSEUDOEPIGRAFE NELLE CITAZIONI DEI PADRI
Tornando a considerare la struttura del De Monarchia, soltanto il capitolo introduttivo e quello conclusivo ci rivelano, seppure assai stringatamente, gli intenti dell'ignoto autore, tradizionalmente ritenuto un cristiano, ma che potrebbe senza difficoltà essere lui stesso un giudeo, considerando che nel corso del trattato mancano riferimenti al Cristianesimo, e che dalle idee manifestate non emerge alcuna ragione contro l'ipotesi che si tratti dell'opera di un giudeo ellenizzato, finalizzata a proclamare la superiorità del monoteismo sul politeismo;6 in ogni caso la scarsità di elementi di giudizio non ci permette dí esprimerci in modo definitivo su questo punto. L'asserzione di fondo, espressa nel primo capitolo del De Mon., che la naturale tendenza alla conoscenza della verità, cioè dell'unicità e dell'onnipotenza di Dio, è stata pervertita nel corso dei secoli dall'idolatria; ciò che si propone l'autore-collettore è dimostrare che nella poesia dei Greci si professa il vero culto dell'unico Dio, sebbene legislatori ingiusti abbiano introdotto il politeismo; l'intento qui espresso realizzato nei capp. 2-4. a) De Mon. 2-4
Le citazioni contenute sono le seguenti: Ps.Eschilo = Trag. Fr. Adesp. 617 Sn. K.: si tratta dí un'esortazione a distinguere l'essenza spirituale di Dio dalla dimensione materiale e carnale dell'uomo, un motivo che percorre l'intero De Monarchia; segue poi una celebrazione della potenza di Dio nelle sue diverse manifestazioni, paragonate a fenomeni naturali. Da segnalare l'uso di espressioni tratte dall'Antico Testamento, come πηγ~~χv δατoς συστ~ .ιατα (cfr. Gn 1, 10, ripreso anche in Ezech. Trag. ' Εξαγωγ~~ 134), che coesistono accanto a imitazioni tragiche come γοργ~ν ~ µµα δεσπ~ του, per cui cfr. Aesch. Sept. 537 e Eur. Phoe. 146. Ps.Sofocle = Trag. Fr. Adesp. 618 Sn. K. (= Ps.Soph. Fr. 1025 1.2 ): í temi sono l'unicità e potenza di Dio e la stoltezza degli uomini che costruiscono statue e venerano immagini sacre come conforto per -
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6 A. HARNACK, Die Überlieferung der griechischen Apologeten des zweiten Jahrhunderts in der alten Kirche und im Mittelalter, I-II, Leipzig, Hinrichs 1882 («TU.», 1), p. 154:
«der Verfasser schreibt nichts, was nicht auch ein Jude hätte schreiben können»; MARCOuCH, ed. cit., p. 82: «The author seems to display a strong Jewish background».
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le loro afflizioni, motivi tipici della tradizione giudaica. Si tratta del brano che ha avuto maggiore fortuna e diffusione in ambito cristiano, fino all'età bizantina.' Ps.Filemone = Trag. Fr. Adesp. 622 Sn.-K.: due versi gnomici, che definiscono Dio come «colui che tutto vede senza essere visto». Ps.Orfeo = Orph. Fr. 245 Kern: questo lungo passo attribuito ad Orfeo è presentato come una sorta di inno al Dio unico, che í1 mitico poeta avrebbe composto in seguito a una µετ ~νοια dal politeismo al monoteismo. Ps.Pitagora = Fr. Philos. gr. I, p. 200 Mullach: ancora sull'unicita di Dio e il suo essere il creatore dell'universo. Ps.Sofocle = Trag. Fr. Adesp. 620 Sn.-K.: íl frammento descrive lo scenario apocalittico della `conflagrazione finale', un motivo che ha indotto Pearson a ipotizzare per il brano un'origine stoica anziché giudaica e a suggerire il nome di Cleante come probabile autore dei versi;$ non c'è per ~~alcuna ragione di indirizzare l'indagine sul versante stoico, complicando inutilmente la questione: oltre infatti al tono generale del passo, fortemente biblico, è stata segnalata la familiarità delle idee espresse con altri testi della tradizione giudaica, come Sibyll. III 83 92; 9 possiamo inoltre aggiungere che nell'espressione θησαυρ~ν σχ~ ση / χρυσωΠ~ ς αιθ~ ρ dei vi. 2-3 ritroviamo l'uso specificamente biblico del termine Θησαυρ ~ ς per designare il cielo, che ricorre in Dt 28, 12 ( ~νοιξα φησι σoι κ~ ριος τ~ν Θησανρ ~ν αυτσv τ~ν ~yαθ~ν, τ~ν ο~ ραν~ν) ed è ripreso anche e.g. da Filone (De migr. Abr. 121, ì 8π~νιφει τ~~~ 5): ~~88 τ~ν ουρ~Νιον ~νοιξας Θησανρ~ν ~ µβρει κα γαθ~~~ θρ~ α. Ps.Filemone = Diphili Spuria, Fr. 136 K.-A. (= Philemonis Pseudepigr. Fr. 246 Kock): il tema è la sorte che attende nell'aldilà gli empi e i giusti; V. 5 8 στιν ∆ικης ~ φθαλµ ~ ς, óς ΤU π~νΘ' ~ ρá = Men. Mon. 225 J. = Compar. 1126 = Trag. Fr. Adesp. 421 Sn.-K.; si tratta dí un verso ben attestato nella tradizione sentenziosa, per cui cfr. anche Plut. Adu. Colot. 1124F. In Clemente ed Eusebio il passo è presentato sotto il nome di Difilo; si è discusso sulla possibilità di attribuire i versi a Difilo o a Fi-
'
8
179. 9
Cfr. MARCOVICH, ed. cit., apparato ad loc. A.C. PEARSON, The fragments of Sophocles, III, Amsterdam, Rakkert 1963, pp. 176WALTER,
Pseudepigraphische, cit., pp. 253-254.
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LE ANTOLOGIE PSEUDOEPIGRAFE NELLE CITAZIONI DEI PADRI
lemme, ma l'ipotesi prevalente è che anche questo passo derivi dalla fonte giudaico-ellenistica. Euripide, Fr. 835 Nauck (Frisso) + Ps.Euripide (= Trag. Fr. Adesp. 624 Sn.-K.): l'unione dei due frammenti, il primo euripideo, il secondo pseudoepigrafo, è presentata come un unico passo euripideo, ancora sul tema del castigo futuro degli empi; la citazione dal Frisso, primo frammento di testo autentico che compare nel De Mon., e unica citazione attribuita ad Euripide nella sezione dei capp. 2-4, ha tutta l'aria di un corpo estraneo rispetto alle altre citazioni: ci si chiede quale sia in questo caso la fonte dello Ps.Giustino, se il passo faccia parte del fl orilegio utilizzato fino a questo punto, o se provenga da un'altra raccolta. La parte finale del quarto capitolo risulta in effetti piuttosto confusa da questo punto di vista, come emerge anche dalla citazione che segue. Ps.Filemone = Menandri Fr. 1001 K.-A. (Spuria); il passo è attribuito a Menandro in Clemente ed Eusebio, che non riportano però quattro versi presenti nello Ps.Giustino (De Mon. 4, 1, 14 17) e che nella parte finale del frammento concordano con uno solo dei testimoni testuali del De Mon. (s = Argentoratensis gr. 9), contro il píù autorevole q (Par. gr. 450), preferito dall'editore; 10 l'argomento del brano è l'inutilità dei sacrifici, se compiuti da uomini che non vivono in modo gradito a Dio. Lo scolio di q a margine dei primi versi, introdotto dall'espressione καì τovτo Φιλ~µ ovoς , sembra forse suggerire che questi versi non dovessero essere separati dal passo di Filemone sul giudizio finale (νd. punto 7), e comunque si percepisce che la situazione possa essere stata in qualche modo `turbata' dalla presenza, forse dovuta a un'inserzione successiva, dei versi autentici del Frisso euripideo; 11 se così fosse dovremmo naturalmente pensare alla seconda parte, pseudoepigrafa, del frammento `euripideo' come accorpata al passo attribuito a Filemone, con il quale c'è effettivamente continuità tematica; d'altra parte la specificazione καì τοντο Φιλ~ µονοςriferita solo alla prima parte del passo lascia supporre che la seconda parte recasse l'attribuzione a un altro autore, probabilmente Menandro. che ricorda come Dio veda L'ultimo verso della citazione, la γν~µη -
10 per la discussione sui testimoni testuali del De Mon. si veda MARCOVICH, ed. cit., pp. 83-84. " Cfr. anche SCHÜRER, Storia, cit., p. 856, che parla a questo proposito de ll a possibilità che uno scolio sia penetrato nel testo, ma probabilmente non è necessario arrivare a questo tipo di spiegazione.
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costantemente gli uomini, rιtornerà anche come ultimo verso nel frammento successivo; il motivo è largamente diffuso nella tradizione sentenziosa, cfr. Men. Mon. 605, 688 J. Gli otto versi, qui nel De Mon. introdotti semplicemente da δς, continuazione quindi del frammento precedente, in Clemente ed Eusebio saranno presentati come un brano separato, sempre attribuito a Menandro (cfr. infra); l'oggetto è ancora il disprezzo di un culto soltanto esteriore e l'invito a sacrificare a Dio praticando la vera giustizia. Plat. Tim. 68D 2-7: l'unica citazione in prosa, che l'autore del De Mon. sembrerebbe mettere in relazione con quanto precede (la formula introduttiva è infatti π~λιν τε Πλ~των ~ν ΤιµαιφΡ),riprende in realtà la tematica della radicale diversità tra la natura divina e quella umana e dell'impossibilità che l'uomo partecipi delle prerogative divine; in questo senso la citazione platonica sembra piuttosto introdurre la sezione che segue, ovvero il cap. 5 del De Mon., composto prevalentemente di citazioni autentiche tratte da Menandro ed Euripide, che si aprirà con una serie di passi contro la tradizione pagana dell'antropomorfismo nella rappresentazione degli dei; la responsabilità di questa aberrazione è da attribuire genericamente a una παρ~ δoσις ιαταια (De Mon. 5, 1, 2) e non ai poeti greci, che, come dimostrano gli esempi che seguono, sembrano essere qui chiamati in causa come semplici testimoni, non direttamente colpevoli, di questa tradizione. b) De Mon. 5 Menandro ~ ν `Ηνι~ χω = Fr. 156 Κ .- Α .
Men. ~ν `Ιερε~~~= Fr. 188 Κ .- Α . Men. ~ ν Μισονµ ~ νφ = Fr. 4 Κ .- Α . Men. ~ ν Παρακαταθ~ κη = Fr. 291 Κ .- Α . Eur. Or. 416-418 e 591-598 Eur. ~ν `Ιππολντω = Fr. 445 Ν.2 Eur. Ion, 433 451 Eur. ~ ν Äρχελ~ ω = Fr. 254 1. 2 Eur. ~ν Βελλεροφ~ ντη = Fr. 292 1. 2 Eur. ~ν τι α~ τι = Fr. 286 1.2 -
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LE ANTOLOGIE PSEUDOEPIGRAFE NELLE CITAZIONI DEI PADRI
Men. ~ν ∆ιΨιλ = Diphili Spuria, Fr. 137 K.-A.; si tratta della citazione più singolare presente in questa sezione del De Mon.: attribuita a Difilo in Clemente ed Eusebio, è catalogata dallo Ps.Giustino come di «Menandro nel Difilo» (inutile il tentativo di Sylburg, accolto in a testo da Marcovich, di emendare il testo tradito in ~κ µµφιλου una sezione del testo in cui tutte le citazioni sono introdotte dal nome dell'autore seguito da ~ν e il titolo della commedia o tragedia); il problema della confusione nell'attribuzione e dell'evidente equivoco di una commedia menandrea dal titolo Difilo è qui ancora una volta collegato a quello della fonte: si tratta di un passo proveniente dallo «gnomologio del falsario giudaico-ellenistico», come suggerito da Kassel e Austin, 12 che rimandano al Fr. 136 dello Ps.Difilo, (inserito però nella sezione precedente del De Mon., costituita in toto da passi pseudoepigrafi), oppure dobbiamo comunque considerarlo parte del fl orilegio da cui provengono i passi autentici di Menandro ed Euripide? Se, come sembra, l'attribuzione di Clemente a Difilo è la più corretta (il che non significa che sia un'attribuzione veritiera, ma semplicemente più vicina alla fonte originaria), dovremmo con ogni probabilità pensare che il frammento sia stato dislocato per motivi di affinità tematica, forse per mano dell'autore del De Mon., tra le citazioni tragiche e comiche autentiche, considerando anche il fatto che Clemente in Strom. V non cita altri passi in comune con De Mon. 5 oltre a questo. Men. ~ν Áλιεv σt = Fr. 1, 4 K. A. = Mon. 761 J. Men. ~ν Áδελφοi ς = Fr. 17 K.-A. -
Men. ~ν Α λητρισι = Fr. 70 K.-A. Eur. ( ~~τραγικ~ ς) ~ν Φριξ Fr. 832 1. 2 Eur. ~ν Εκ~ βη = Fr. 480 1. 2 (Μελαν~ππη) Eur. Triad. 886-887
Tra le due sezioni del De Monarchia, i capp. 2-4 e il cap. 5, sono dunque evidenti alcune differenze sostanziali e formali, che si spiegano verosimilmente con l'utilizzo di due fonti antologiche distinte, o almeno nate come tali: 13 nella prima sezione prevalgono infatti le citazioni pseudoepigrafe incentrate sull'unicità e l'onnipotenza di Dio, nella seconda le citazioni autentiche sul tema dell'antropomorfismo
12 13
PCG V, p. 123. Cfr. DENIS, Anthologie, cit., p. 1076.
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pagano; inoltre nel cap. 5 vengono a mancare quasi del tutto gli interventi dell'autore-collettore, per quanto fossero molto limitati anche nella prima parte, e tutte le citazioni sono introdotte con il nome dell'autore e il titolo dell'opera di appartenenza. Il cap. ~~del De Mon. conclude l'opera con una serie di riflessioni dell'autore, sul tema affrontato attraverso le citazioni del quinto capitolo, ovvero l' ~νθρωποπ~ θευΧ degli dei pagani, che viene qui illustrata con altri exempta negativi, come quello di Asclepio ed Apollo, che apprendono la ιατρικη τ~χνη dal centauro Chiro~e, della rappresentazione di Dioniso come µαιν ~ µενοςe di Eracle σχ~τλwwς, e del caso emblematico di Ares e Afrodite, definiti τοvς τ~~µοιχε ~ ας ~ ρχηyο~ς. 14 L'opera si conclude con un invito a venerare τ~~Q ληθιν~ν και 15 come anche gli antichi poeti, precursori della vera ~τρεπτοΝ ~νοµα, fede, hanno esortato a fare ( τ~~ο~χι δι~~τ~~10.; Φων~~ µ ~ νον, ~λλ~~ κα1 δι~~τ~ν εισαyαy~Ντων Ý0â; ε~ς τ~ν ~ ρχην Τ~~Παιδε~ας κηρνασ~ .ενον, 6, 2, 21). Come abbiamo anticipato, tra i testimoni di alcuni dei passi pseudoepigrafi giudaici figura anche l'opera trasmessa come Cohortatio ad Graecos; anche questo trattato, più lungo e complesso del De Mon., citato da Eusebio tra le opere attribuite a Giustino, ma come sostiene l'editore più recente, raccogliendo l'eredità dei suoi predecessori, «both content and style of the Cohortatio cry aloud against the authorship of Justin Martyr». 16 Ricchissima anch'essa di citazioni poetiche, la Cohortatio attinge largamente da Omero, dagli Oracoli Sibillini, in due casi dalla poesia orfica; in un solo caso, al cap. 18, è citato un passo proveniente dalla raccolta di citazioni pseudodrammatiche utilizzate dall'autore del De Mon., il brano pseudosofocleo (Trag. Fr. Adesp. 618 Sn.-K. = 1025 14 Per la diffusione di questi esempi in ambito apologetico cristiano si veda MARcoνιcη, ed. cit., apparato ad 1oc., p. 100; cfr. anche Clemente, Protr. II 36, 1, dove gli esempi
omerici ricorrono in un contesto analogo a De Mon. 6, di critica della rappresentazione antropomorfica degli dei, in cui il riferimento a Omero è introdotto con le parole το~ τοις o~ν εικ~ τως ~πετα~~τοvς ~ ρωτtκσ~ ς ~ µ ~ν Κ&. παθητικο ~ ς τοντσΥς θεΟ YO ~ νθρωποπαθε~ ς ~ κ παντ~ ς εiσ~γει» τρ ~ πον; l'esempio di Ares e Afrodite ricorre ancora in Protr. IV 59, 1, con particolare riferimento al tema de ll a µ oιχεια (Κατ~πανσον, " Οµηρε, ~ν τ ü) δ~ν• οYκ ~ στι καλ~ , µοιχειαν διδ ~ σκει κτλ). Cfr. infra. 15 L'uso del termine ~ τρεπτoν, che leggiamo anche in De Mon. 1, 1, è un altro indizio dell'influenza di Filone sull'autore del De Mon.: ~τρεπτοΝ è infatti una delle definizioni `in negativo' dell'essenza di Dio date dal filosofo (cfr. Quod Deus, passim; De Cherubim 19, 1, etc.). 16
MARcovicH, ed. cit., p. 3.
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1 .2) sul Dio unico, così introdotto dall'autore del trattato: ει 88 κα~~
Τ ~ν due) Τ~ ς σκηΝ ~ ς περ' ~ν~ ς θεov µαρτυριας~µ âς πρoσθε να~~81o1, ~Ιovσατε κι~~Σοφοκλ~ ους ovτω λ~γoντoς. Se il contributo della Cohortatio alla discussione sul problema delle false citazioni è quindi limitato a una sola di queste, è però significativo osservare quali sono le ragioni e le finalità che portano all'utilizzo del passo: l'autore della Cohortatio si propone di dimostrare la priorità cronologica di Μοsè rispetto agli autori greci, in particolare Orfeo ed Omero, e afferma che i saggi greci avrebbero appreso la dottrina mosaica in Egitto; in questo però l'autore della Cohortatio, pur ricorrendo all'autorità di storici non cristiani, è portatore di una interpretatio christiana e risulta influenzato da autori cristiani tra cui probabilmente lo stesso Giustino Martire; la dottrina, certamente ben più antica di questo trattato, della derivazione mosaica della filosofia greca, particolarmente per quanto riguarda Platone, crea poi uno stretto legame con il famoso passo di Eusebio di Cesarea, PΕ XI 9, 1-7, che ebbe una larga fortuna (cfr. anche Suda, su. Plato, IV, 143, 26 Adler); tutto ciò probabilmente da interpretare come l'indizio che la Cohortatio raccoglie in una fase piuttosto avanzata un'eredità tradizionale che ha forse delle radici giudaiche, ma che è ormai filtrata attraverso il pensiero cristiano; ciò pone quindi quest'opera ai margini della nostra indagine. II. CLEMENTE ALESSANDRINO (STROM. V 113-133
VII 76)
E PROTR.
VI 68-
Nella sezione finale del V libro degli Stromata (XIV §§ 89-141), Clemente illustra in modo ampio e dettagliato la teoria secondo cui l'accordo tra il pensiero greco e quello giudaico-cristiano su temi fondamentali della fede e della conoscenza di Dio deriverebbe dal `furto' operato dai Greci nei confronti delle Scritture, una tesi già anticipata all'inizio di Strom. II (~πε' κλ~πτας τ~ ς βαρβ~ρου φιλοσοφ~ας "Ελληνας εivαi. πρΟσεîπεΝ ~~γραφ~ ); rispetto però alle premesse del libro II, in Strom. V Clemente sembra voler esporre la teoria del plagio assumendo un atteggiamento più positivo nei confronti dei Greci e abbandonando i toni di ostilità verso la filosofia greca, interpretata qui come una preparazione alla piena conoscenza della verità.l 7 Clément d'Alexandrie. Les Stromates. Stromate V, I, introd., texte critique et index par A. LE BOULLUEC, París, Les Éditions du Cerf 1981 («Sources Chrétiennes», 278); II, commentaire, bibliographie et index par A. L.B., París, Les Éditions du Cerf 1981 («Sour"
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La prima parte del cap. XIV (SS 89 - 99) è dedicata ad illustrare come le dottrine dei filosofi greci dipendano dalla conoscenza dell'Antico Testamento, mentre nei paragrafi successivi a i filosofi vengono affiancati anche i poeti: è in questa sezione del V libro, ricchissima di citazioni poetiche, che si collocano anche i passi che Clemente condivide con i l De Monarchia; trattandosi però nel caso degli Stromata di un'opera di ben più ampio respiro rispetto al breve trattato dello Ps.Giustino, ci troviamo anche di fronte a un differente grado di rielaborazione del materiale, come dimostra anche solo il diverso ordine nella presentazione delle citazioni, che sono qui distribuite all'interno di una vasta scelta di brani poetici di vario genere, sia autentici che spuri. Anche per Clemente, sebbene la situazione sia più complessa, cerchiamo di dare un'esposizione del contenuto e delle citazioni poetiche in comune con lo Ps.Giustino: 113, 1-2: la prima citazione condivisa con il De Monarchia è il Fr. 1025 1.2 pseudosofocleo (Trag. Fr. Adesp. 618 Sn.-K.) sul Dio unico e creatore e sulla stoltezza del culto delle immagini; l'introduzione del frammento da parte di Clemente c i fornisce però un'informazione in più rispetto al De Monarchia: dopo avere infatti introdotto più in generale i passi tragici che seguiranno attribuendo ad essi la funzione di dissuadere dall'idolatria (κ~. ~~τραyρδια ~π~~τ~ν ειδ~λων ~ποσπ~ σα ε~ ς τ~ ν ο ραν~ ν ~ναβλ~πεww διδ~ σκει), passa a presentare il primo frammento con queste parole: ~~ µ ~ ν Σοφοκλ~ ς, ~ς Φnσιν `Εκατα ος ó Τ~ ς .στορ~ ας συνταξ~ µενος~ ν τ~: Κατ' '~βραµον κα ì το~ ς AiγνπτιΟυς, ~ντικρvς ~Π. τfl ς σκην ~ ς ~ κβο . Clemente dichiara dunque
di aver letto la citazione pseudosofoclea in un'opera dello storico Ecateo, della quale lo Ps.Giustino non fa alcun cenno; tra le opere attribuite ad Ecateo di Abdera, contemporaneo di Tolemeo Soter, figurano due trattati d ι argomento giudaico, un Περ. `Εβρα~ ων e lo scritto menzionato da Clemente su Abramo e gli Egizi, entrambi, e il secondo in particolare, fortemente sospettati di essere produzioni giudaico-ellenistiche. 18
ces Chrétiennes», 279); per la discussione sul contenuto e le fonti del libro si veda introduction, pp. 11 18; cfr. W. BOUSSET, Jüdisch Christlicher Schulbetrieb in Alexandria und Rom, Göttingen, Vandenhoeck & Ruprecht 1915 («Forschungen zur Religion und Lite-
-
ratur des Alten und Neues Testament», 23), pp. 207-213. 18 Su Ecateo di Abdera (FGrHist 264 F 21-22) si vedano F.
JACOBV, Hekataios, in RE VII, 1912, cull. 2765 2768 e M. STERN, Greek and Latin Authors on Jews and Judaism, Jerusalem, Publications of the Israel Academy of Science and Humanities 1974, p. 22; -
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Per quanto allettante potrebbe sembrare l'identificazione di quest'opera con la fonte di Clemente per tutta la sezione degli pseudoepigrafi, si tratta certamente di un passo troppo azzardato; torneremo a parlare in seguito del rapporto tra Clemente e lo Ps.Ecateo. 19 119, 2-120, 2: introdotto dalla citazione di un passo di Isaia contro il culto esteriore, Clemente riporta il brano sui sacrifici attribuito qui a Menandro e nel De Mon. a Filemone (fr. 1001 K.-A.), omettendo quattro versi citati dallo Ps.Giustino, e dividendo il frammento in due parti in modo più netto rispetto al De Mon., ripetendo però in apertura della seconda parte il penultimo verso della prima. Il passo pseudomenandreo è spiegato da Clemente come una `parafrasi' di alcuni passi della Scrittura sul medesimo tema dei sacrifici (Is. 1, 11.16 e Ps. 4, 6); se í riferimenti scritturistici, frequenti in Clemente e assenti nel De Mon., fossero o no già presenti nella fonte originaria non possiamo dirlo, ma è forse più probabile pensare a una loro introduzione da parte di Clemente, essendo molto difficile eventualmente immaginare una loro sistematica omissione da parte dello Ps.Giustino. 121, 1-3: è qui attribuito a Difilo il frammento 136 K.-A., attribuito a Filemone in De Mon., sulla sorte futura degli empi e dei giusti; Clemente divide il passo con un semplice κα~~ dopo il v. 6, e in apertura della seconda parte, in luogo del verso Ei γαρ ~~δ~ καιος κáσεβ~~gξoοσιν ~ν, ha Ei τοv; δ~ω καλ~ψει ~~ y~~(φησí) τ παντ~~ χρ ~ν , che suona decisamente come una parafrasi di Clemente piuttosto che come la traccia di una redazione alternativa. Senza soluzione di continuità, quindi come parte integrante del frammento dello Ps.Difilo, Clemente cita il frammento del Frisso di Euripide, evidentemente già incorporato nella fonte di Clemente al passo pseudocomico, e i versi pseudoepigrafi (Trag. Fr. Adesp. 624 Sn.-K.) che seguono anche in De Mon. (cfr. supra). 121, 4-122, 1: l'introduzione συvá δει δ~~το~τοις ~~τραγωδ~α δι~~ τ~νδε per i versi che seguono è evidentemente una conferma del fatto che Clemente ignorava l'attribuzione a Euripide dei versi precedenti; con il generico ~~τραyιρδ~ α sono qui citati í versi sulla ~κπνρωσις attribuiti a Sofocle in De Mon. Quella che nello Ps.Giustino è un'unica sequenza di versi, è spezzata qui in due parti dall'espressione κcì µετ '
la notizia relativa all'opera di Ecateo su Abramo è riportata anche da Giuseppe Flavio in Ant. lud. 1159; lo stesso Giuseppe ai SS 155-156 sembra dimostrare di conoscere il contenuto del frammento pseudosofocleo. 19 Cfr. infra, p. 131 e n. 34.
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öλιyα αv8ις ~πιφ~ ρει, che sembrerebbe presupporre la presenza di altri versi nella fonte di Clemente. 122, 2-127: sezione `orfica' di cui fanno parte alcuni versi citati anche in De Mon. 2, ma che rivela l'utilizzo di una diversa redazione del poema pseudo-orfico; non tutti i frammenti orfici qui citati sono considerati però di origine giudaica. 20 Altri brevi passi pseudo-orfici torneranno anche nei paragrafi successivi. 131, 1 3: citazione del frammento pseudoeschileo che apre la serie del De Mon. (Trag. Fr. Adesp. 617 Sn.-K.) con alcune varianti testuali (π~ντα δ~ναται Ps.Iust. : π~ντα δυνατ~~Clem.; θεov om. Clem.). 133, 3: attributi a Difilo, sono qui riportati due versi dei tre (ma il primo è implicitamente citato nella breve presentazione d i Clemente) che risultano di «Menandro nel Difilo» in De Mon. 5; s i tratta, come abbiamo detto, dell'unica citazione che Clemente in Strom. V condivide con il cap. 5 del De Mon., cioè con la sezione che deriverebbe dalla raccolta di versi autentici; ma come abbiamo già osservato la citazione è probabilmente falsa anch'essa, seppure inserita dallo Ps.Giustino in una sequenza di passi d i Menandro ed Euripide e l'attribuzione a Difilo proverebbe che Clemente restituisce la tradizione più antica e più c οrretta. 21 -
In conclusione, Clemente cita negli Stromata, lasciando da parte il problema del poema orfico, la quasi totalità dei passi pseudodrammatici contenuti in De Mon. 2-4, più uno, ma anch'esso pseudoepigrafo, contenuto in De Mon. 5. Sarebbe però riduttivo e filologicamente non corretto limitarsi a raccogliere i passi in comune tra Clemente e l ο Ps.Giustino nel tentativo d i ricostruire una presunta fonte comune; una lettura in prospettiva più ampia di questa sezione degli Stromata ci fornisce infatti ulteriori elementi che possono in parte contribuire a questo tentativo, ma che al tempo stesso confermano la complessità della situazione. Tra le altre citazioni tragiche d i questa sezione degli Stromata, non presenti nel De Mon., ve ne sono alcune che possono infatti essere anch'esse ricondotte a ll a raccolta o alle raccolte che dobbiamo presupporre per le citazioni considerate fino a questo punto, o che possono suggerire la presenza di una pluralità d i fonti con caratteristiche analoghe; a 111, 2-3 Clemente cita, senza il nome dell'autore, un
20 21
Si veda a tale proposito LE
LE BOULLUEC, ed. cit.,
II
BOULLUEC, ed. (comm.), p. 344.
cit., II (comm. ad loc.), pp. 346-352.
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LE ANTOLOGIE PSEUDOEPIGRAFE NELLE CITAZIONI DEI PADRI
frammento dall'Antiope di Euripide (210 1 .2), introdotto dalle parole ονκουν ~ τι κατ~~Τ~Ν τ~ν πολλ~ν δ~ ξαν περ. ΤΟû θε~ον ~ποληπτ~ 0V, dove la δ~ ξα τ~ν πολλ~ν sembra perfettamente assimilabile alla παρ~δΟσ~ς µατα ~ α dello Ps.Giustino (De Mon. 5, 1), ovvero la concezione antropomorfica degli dei: la citazione infatti riguarda la rappresentazione di Zeus φωτ~ ς κακovργον σχ~ λατ' 8 κηιλovιιενoν, e potrebbe figurare senza difficoltà nella stessa raccolta che è alla base di De Mon. 5; si veda in particolare l'affinità tematica con í frr. 156 e 188 K.-A. di Menandro che aprono la serie di De Mon. 5; anche il fatto che il passo non sia tramandato da altri testimoni oltre a Clemente (ed Eusebio, che ha Clemente come fonte per PΕ XIII) potrebbe essere significativo in questo senso; naturalmente non bisognerà per questo ricondurre meccanicamente il frammento al medesimo fl orilegio usato dallo Ps.Giustino e da Clemente stesso nel Pritrettico (νd. infra), ma l'affinità riscontrata può farci pensare che Clemente avesse a disposizione una varietà di fonti antologiche simili per argomento e ambiente di origine. Segue, a 111, 4-6, la citazione di un passo attribuito a Sofocle (fr. dub. 1026 1 .2) sullo stesso argomento, che Clemente usa per mostrare e condannare τ~ν ~κρασιαν τov ΜΥ8oπOιoΥΜ~Νον ∆ι~ ς; l'eventuale appartenenza di questo passo allo gnomologio fonte di De Mon. 5 è però più problematica, perché il frammento è trasmesso sotto il nome di Sofocle, mentre i versi che si presume costituiscano questa raccolta sono tutti di Euripide e Menandro; la paternità sofoclea di questi versi molto dubbia, sia per motivi lessicali, che hanno indotto Porson a pensare al dramma satiresco, sia per il tono generale del brano, sentito da Dindorf e da Headlam come inconciliabile tanto con la tragedia quanto con il dramma satiresco: il passo è infatti permeato da una vena polemica e moralistica che si addice piuttosto a una falsificazione, un dato cui si devono aggiungere come altri motivi di sospetto i fattori tradizionali, il fatto cioè che i versi siano trasmessi solo in ambito patristico e che si trovino citati insieme ad altri certamente non autentici. 22 A 114, 1, subito dopo la citazione del passo pseudosofocleo che Clemente avrebbe tratto dall'opera dello Ps.Ecateo, è citato un frammento introdotto dalle parole Ε~ ριπιδης δ8 ~π. α~τ~ ς σκην~ ς τρςγgδ~ν (941 1 .2), sulla grandezza e potenza di Zeus, identificato con l' ~πειρoς ςιιθ~ ρ, molto affine quindi per argomento ai passi del
22
Per la discussione sull'autenticità si veda PEARSON, The fragments, cit., pp. 174-175.
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florilegio di versi drammatici falsi, ma quasi certamente autentico e trasmesso da una pluralità di testimoni (tra cui Stob. I 1, 2, in una sezione dal titolo " Οτι Θε ~ ς δηµιουργ~ ς τc~ν ~ ντων κα~~ δι~πει τ~~ ιλoν τtδ τ~ ς προνο ~ας λ~Υω Κα' πο~ ας Ovσ~ ςς vπ~ ρχει), cosa che non accade mai per í versi dello gnomologio giudaico; il frammento è citato da Clemente anche in Protr. VII 74, 1 (cfr. infra). Attribuiti a Euripide sono anche i versi riportati a 114, 2 (= Fr. 593 1 .2 = Critias, Pirithoüs, Fr. 19 D.-K.), interpretati da Clemente come una celebrazione del νo~ς δηµwοργ~ ς; sono tramandati anche da Satiro (Vita di Euripide 37, II); seguono a 114, 3 due versi eschilei (Eliadi, Fr. 70 1 .2) che celebrano ancora la grandezza di Zeus. È significativo che a 116, 4-117, 1, mentre sta trattando diffusamente il tema dell'essenza della divinità, Clemente riprenda anche la condanna dell'antropomorfismo, introducendo con queste parole una citazione omerica: 23 καì τ~~παραδοξ~ ταΤον, "ΟµΗΡo ς γ~Υν~σκειν φαι νεται 'ò θεîoν ~~ ~ νθρωπoπ~ θε~ ς εïσ~Υων Τovς θεoúς. 24 È evidente come Clemente articoli il suo discorso intrecciando le tematiche dell'essenza di Dio e della condanna dell'antropomorfismo facendo un uso delle fonti ben più libero e personale di quello che emerge dallo Ps.Giustino. A 128, 2 sono citati due versi attribuiti a Sofocle sull'onnipotenza di Zeus (fr. dub. 1028 1 .2): trasmessi soltanto da Clemente ed Eusebio, sono quasi unanimemente considerati pseudoepigrafi (cfr. Nauck, 360, Le Boulluec, ed. cit., II, comm., p. 354), e niente esclude che facessero parte della raccolta giudaica dei versi pseudodrammatici, pur essendo esclusi dalla selezione del De Mon. A 137, 2 Clemente cita il passo euripideo Fr. inc. 913 1 .2 considerato autentico e trasmesso, oltre che da Clemente, solo da Satiro (Vita 38, I), che lo inserisce nella sezione che parrebbe trattare le idee religiose del tragediografo e in particolare il suo legame con la fisiologia anassagorea; 25 il passo definisce ó~ θλιoς colui che non riconosce
23 Il. XXΙΙ 8 -10: ΤΙπτε µε, Πηλ ~ ος v11, ποα~ν Ταχ~ εσσι δι~κεις, / minkk Θνητ~ ς ~~ν, Θε~ ν ~ µ ¡3ροτσν, σüδ~~Ν~~π~~µε ~Υνως / ~; Θε~ ς ε~ µ t. 24 Cfr. n. 5. 25 Si veda Satiro, Vita di Euripide, a cura di G. ARRIGHETTI, Pisa, Goliardica 1964, pp. 107-108 per la discussione sui rapporti tra Satiro, Clemente e la tradizione gnomologica; anche un altro frammento euripideo, il 912 1 .2, citato da Satiro a 37, III 9 è trasmesso da Clemente in Strom. V 70, 2, ma il fatto che Clemente lo presenti in una versione più ampia esclude che vi sia un rapporto di dipendenza diretta; piuttosto la presenza in questa sezione dell'opera di Satiro di una serie di passi condivisi con Clemente ha fatto pensare, escludendo come fa Arrighetti l'ipotesi che Satiro stesso possa aver costituito un
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Dio: l'uso di un brano euripideo contro l'ateismo rende probabile la sua provenienza da un'antologia di versi tragici utilizzata in ambiente cristiano o giudaico. Le citazioni che Clemente condivide con lo Ps.Giustino devono a mio parere essere considerate anche in relazione a queste altre che nel De Mon. non figurano, se non altro per dare conto di una situazione tradizionale sfumata, che certamente sfugge a una ricostruzione meccanica. Anche nel Protrettico, nel quale Clemente si propone di illustrare quanto vi è di accettabile e di condivisibile nella filosofia e nella poesia pagana, figurano alcune citazioni in comune con il De Mon., delle quali solo una, il Fr. 1025 pseudosofocleo, è presente anche in Strom. V. Nei capp. VI-VII del Protrettico sono citati i passi che seguono: VI 68, 3: sono qui attribuiti a Euripide í due versi che lo Ps.Giustino attribuiva a Filemone sulla definizione di Dio (De Mon. 2, 3), con la variante νοητ~oν per νοµιστ ~ oν. Impossibile dire in questo caso quale delle due attribuzioni si avvicini di più a quella della fonte originaria; c'è da notare però che solo questa citazione e la successiva pseudosofoclea nel De Mon. figurano nella sezione dei capp. 2-4, dove nessuno dei brani pseudoepigrafi è attribuito a Euripide. VII 74, 2: di seguito al Fr. 941 1 .2 di Euripide (Strom. V 114, 1) citato il passo pseudosofocleo associato in Strom. al nome di Ecateo, qui non menzionato. VII 74, 4 5: Orph. Fr. 245 e 247 Kern; cfr. De Mon. 2, 4. VII 74, 7 sgg.: si apre qui una sezione in cui Clemente parla dei poeti greci come testimoni parziali della verità, che pur avendo colto ενανσλατá τινα 'ov λ~γον Θε~ον si rivelano ä σθενεîς; per introdurre poi una breve serie di passi di condanna dell'antropomorfismo, condivisi con De Mon. 5, Clemente esprime nei confronti dei pagani l'augurio che possano essere `confusi', e pertanto indirizzati verso la salvezza, per opera delle parole di condanna che gli stessi poeti greci hanno avuto per í loro dei: seguono quindi, a 75, 2-4, le citazioni dei -
nucleo per la formazione dí antologie, che il biografo traesse le citazioni da testi eruditi sulla base dei quali si sarebbero formate poi le raccolte utilizzate anche da Clemente. È interessante notare che Satiro cita a 37, III 26 i vi. 884-887 delle Troiane, che compaiono in De Mon. 5, ma non in Clemente, e che dovevano evidentemente avere una notevole diffusione in ambito genericamente gnomologico, come testimonia anche la loro presenza in Sesto Empirico, Math. I 228, dove il passo è introdotto da ll a celebre definizione di Euripide come ~~σκηνικ~ ς φιλ~ σοφος.
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frammenti dell" Ην~ οχος e della `Ιερει a di Menandro (frr. 156 e 188 Κ. -Α.), a 76, 3-6, due dei passi euripidei citati dallo Ps.Giustino, Or. 591-592, 594-596, 417 e Ion 442-447; sono inoltre citati altri due versi euripidei sul tema della follia di Eracle (fr. 907 1. 2), non citati dallo Ps.Giustino e di cui Clemente è unico testimone: sia l'argomento che la loro collocazione in questo contesto fanno pensare verosimilmente che dovessero appartenere allo stesso fl orilegio. Questa parte finale di Protr. VII ci rivela quindi con certezza che Clemente conosce é utilizza la stessa raccolta di versi autentici di Menandro ed Euripide che sta alla base del cap. 5 del De Mon. 26 Risulta inoltre evidente un rapporto privilegiato di questa sezione dell'opera di Clemente con la parte finale del De Mon., non solo per la presenza delle citazioni in comune, ma anche per i riferimenti di 76, 1-2 alle caratteristiche umane negative che la tradizione attribuisce alle divinità greche, confrontabili con gli esempi analoghi del cap. 6 del De Mon.: in entrambi í casi si fa riferimento a passi della tradizione omerica che, per quanto abbiano un largo uso nei Padri (cfr. n. 14), in questo caso rivelano corrispondenze tanto precise che possiamo risalire anche per essi a una fonte comune. 27 Concludiamo la visione d'insieme sui testimoni dei versi pseudoepigrafi con Eusebio di Cesarea; il cap. 13 di PΕ XIII è interamente costruito sulla base di estratti dal V libro degli Stromata di Clemente ed è così introdotto: 'Ως κα Κλ~ µης~ .οιως τà καλ~ς "Ελλησtν ειρηΜYΝα σ~ µφωνα ΤΥΥΧ UΝεtν τoîς `Εβρα~ ων Παριστησι δ~ γµασιν ~ Πò το~~ε ' Στρωµ ~ τεως Κλ~ µεντος.In questa sezione sono riportate quasi tutte le false citazioni di Strom. V insieme a molte altre citazioni poetiche autentiche di ambito diverso (Omero, Esiodo, Presocratici, etc.);
se come testimone della raccolta di versi pseudodrammatici Eusebio non aggiunge niente rispetto a Clemente, è però interessante il dato per cui nella citazione dei frammenti del poema orfico-giudaico, Eusebio mostra di conoscere una fonte diversa da Clemente; 28 la questione, che qui non approfondiamo, è direttamente connessa a quella
26 Cíò era evidentemente sfuggito a SCHÖRER, Storia, cit., p. 857: «la collezione di citazioni d i Menandro e di Euripide usata da ll o Pseudo-Giustino sembra fosse sconosciuta a Clemente». 27 In particolare lo Ps.Giustino e Clemente condividono il riferimento al passo omerico in cui Dioniso è detto µαιν ~ µενος (11. VI 132) e l'utilizzo dell'esempio negativo della follia d i Eracle, per cui lo Ps.Giustino sembra richiamare in particolare Il. V 403, mentre Clemente s i riferisce esplicitamente a Euripide citando i l Fr. 907 1. 2 28 Cfr. DENIS, Anthologie, cit., pp. 1085-1096.
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LE ANTOLOGIE PSEUDOEPIGRAFE NELLE CITAZIONI DEI PADRI
dell'uso da parte di Eusebio in PE XIII 12 dell'opera del filosofo giudaico Aristobulo (cosi il titolo del cap. 12: " Οπως κα~~ ~~πρ~~fg&& ~ξ `Εβρα~ ων ~ ρ~στ~ βονλoς ~~περιπατητικ ~ ς ~ E τ~ ς παρ ' 'Εβρα~ων φιλoσοφ~ας 44oλ~γε τovς "Ελληνας ~ρµησθαι~ κ τ~ν ~ρυyτo βovλoυ ~ νων). 29 Da Aristobulo Eusebio βασιλεî ΠτoλεΜα~~~πρoσπεφωνηµ avrebbe conosciuto almeno una recensione del poema pseudo-orfico e í versi attribuiti a Omero, Esiodo e Lino sul numero sette, forse d ι origine pitagorica e rielaborati più tardi in ambiente giudaico. La figura di Aristobulo non è quindi da collegare direttamente con le raccolte di versi pseudodrammatici, che le nostre fonti non mettono infatti mai in relazione con lui; il fatto però che questo filosofo ebraico, profondamente imbevuto di cultura greca, abbia utilizzato dei versi falsamente attribuiti a poeti greci per sostenere la teoria della derivazione della sapienza ellenica dal pensiero ebraico, è fondamentale per dare almeno l'accenno di una fisionomia anche all'ambiente che ha prodotto le raccolte di versi attribuiti ai drammaturghi. III. CONSIDERAZIONI SULL'ORIGINE, LA DIFFUSIONE E L'USO DELLE CITAZIONI PSEUDOEPIGRAFE
Dopo aver dato un quadro complessivo della situazione riguardo ai nostri testimoni dei versi falsamente attribuiti, sorgono una serie dí interrogativi e dí problemi, cui abbiamo in parte già accennato discutendo í singoli passi. Una prima questione da porre è quella della relazione tra le nostre fonti, in particolare tra il De Mon. e le parti dell'opera di Clemente in cui sono concentrate le citazioni. L'impossibilità di una collocazione cronologica, se non del tutto approssimativa, 30 per l'opera dello Ps.Giustino lascerebbe teoricamente aperta sia l'ipotesi della dipendenza di questi da Clemente (ciò che suggerisce Marcovich, ma come abbiamo già osservato, senza solide argomentazioni), sia quella opposta della dipendenza di Clemente dal De Mon. Se fino a questo momento abbiamo già implicitamente scartato entrambe queste possibilità, è perché alcuni indizi testuali ci portano piuttosto nella direzione di una fonte comune cui abbiamo già fatto più volte riferí-
29 Aristobulo compose, tra il 176 e il 170 a.C., una Spiegazione della Scrittura Mosaica dedicata a Tolemeo ΝΙ Filometore, caratterizzata dall'applicazione dell'interpretazione allegorica. 3 0 La concreta possibilità di un influsso di Filone sul De Monarchia (cfr. nn. 5 e 15) ci permette al massimo di collocare l'opera dopo il I sec. d.C.
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mento; a favore di essa si pronuncia Walter, adducendo come motivazione la citazione in Protr. VII 76, 6 del Fr. 907 1 .2 di Euripide, che doveva far parte dello gnomologio di versi autentici, ma nel De Mon. non compare;" anche la maggiore affidabilità di Clemente nelle attribuzioni dei versi è stata chiamata in causa in questo senso, particolarmente per i versi attribuiti a Difilo in Strom. V 133, 3 e a «Menandro nel Difilo» in De Mon., per i quali Clemente è portatore non solo della più corretta attribuzione, ma anche della più corretta collocazione; 32 entrambi questi argomenti servono a provare che Clemente non ha utilizzato come fonte l'opera dello Ps.Giustino, e di conseguenza che l'autore del De Mon. non è anche l'autore delle falsificazioni,33 ma non provano ancora che Clemente non possa essere la fonte dello Ps.Giustino. Ciò che dimostra invece che anche lo Ps.Giustino non può avere utilizzato come fonte il testo di Clemente, piuttosto íl fatto che in vari casi Clemente cita i passi, sia quelli pseudoepigrafi che quelli autentici, in una forma più breve: in Strom. V 119, 2 sono omessi quattro versi del frammento pseudomenandreo 1001 K.-A., così come risultano decurtati í due brani euripidei tratti dall'Oreste e dallo Ione riportati nel Protrettico (De Mon.: Or. 416-18 e 591-98, Ion 433-51; Protr.: Or. 591-92, 594-96 e 417, Ion 442-47). Stabilita la non dipendenza reciproca, ci chiediamo che carattere potesse avere questa fonte comune perduta, e soprattutto se è possibile e sensato, in base agli elementi che abbiamo, pensare a una fonte unica; bisogna osservare che, se anche vogliamo immaginarci un'opera compiuta presa a modello dai nostri testimoni, probabilmente questa presunta opera rimanderà a sua volta ad altre fonti, a raccolte più o meno estese che si accorpano in una serie di successive stratificazioni impossibili per noi da ricostruire; un esempio di questa difficoltà è il problema dell'unione della raccolta di brani falsificati con lo `gnomologio' di versi dí Menandro ed Euripide: lo Ps.Giustino, che presenta queste due raccolte unite, ma sostanzialmente non mescolate, ha di fronte a sé un modello che già le univa, oppure è lui il primo a farle confluire? Lo stesso dubbio si ha per Clemente, che utilizza prevalentemente una delle raccolte negli Stromata e l'altra nel Protrettico, ma con delle piccole contaminazioni che rendono difficile 31 WALTER, Der Thoraausleger, cit., p. 179, n. 3; cfr. DEMS, Anthologie, cit., p. 1076 e SCHÜRER, Storia, cit., p. 841. 32 LE BOULLUEC, ed. cit., II (coram.), p. 344. 33 L'identificazione tra lo Ps.Giustino e l'autore de ll e falsificazioni era stata proposta da ELTER, De Gnomologiorum, cit., p. 202, ma ancora DEUS (Anthologie, cit., pp. 11021103) non la considera impossibile.
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pensare a una circolazione separata delle due raccolte all'epoca di Clemente; se poi prendiamo in considerazione anche í brani pseudo-orfici e quelli che a quanto ci dice Eusebio deriverebbero da Aristobulo, la situazione si complica ulteriormente, perché questi testi, che hanno avuto sicuramente origini distinte da quelle delle raccolte di versi drammatici e pseudodrammatici, devono essere confluiti con queste ultime a un certo stadio della tradizione. Evidentemente lo Ps.Giustino e Clemente utilizzarono un'opera giudaica a carattere miscellaneo, una sorta di repertorio di testimonianze che mostravano l'accordo tra i saggi greci e il monoteismo giudaico; impossibile dire se il 'collettore' di questi brani fosse anche l'autore dei falsi, ma è forse più verosimile pensarlo come il punto di arrivo di una tradizione formatasi in tempi più lunghi. È sempre stato al centro della discussione il nome di Ecateo, citato da Clemente come testimone di una delle citazioni pseudosofoclee: per quanto sia quasi certo che l'opera attribuita da Clemente ad Ecateo, Κατ' '~ ßραµον καì τους Αιγυπτ ~ ους, dovesse essere un testo di apologetica giudaica, è lecito identificare questo Ps.Ecateo con l'autore delle falsificazioni, o comunque con la fonte di Clemente, considerando che questi associa il nome di Ecateo a una sola citazione, che è anche il brano che ha avuto in assoluto maggiore fortuna e. diffusione? 34 Credo che non si possa dare una risposta; probabilmente píù prudente pensare che lo Ps.Ecateo sia uno dei testimoni di una tradizione preesistente e niente ci autorizza a credere che nella sua opera fossero citati tutti i brani presenti in Clemente e nel De Mon;" proprio il fatto che Clemente faccia il nome di Ecateo in relazione a questo particolare brano pseudosofocleo potrebbe indicare piuttosto che si tratti dell'unico tra questi passi che Clemente abbia trovato citato anche nell'opera di un . autore, in un contesto diverso da quello `anonimo' delle antologie che utilizza. Il problema della fonte è destinato a rimanere in sospeso e non possibile dare un volto píù preciso all'opera utilizzata da Clemente e dallo Ps.Giustino; anche dal punto di vista della cronologia mancano riferimenti precisi e generalmente si parla di una tradizione che può essersi formata a partire dal III secolo a.C. fino al I d.C. Per quanto riguarda il tipo di cultura che può aver dato origine
L'idea dello Ps.Ecateo autore delle falsificazioni sembra essere quella preferita da Anthologie, cit., pp. 1103-1106. 35 Cfr. WALTER, Der Thoraausleger, cit., p. 198 e Pseudepigraphische, cit., pp. 249-253, LE BOULLUEC, ed. cit., II (comm.), pp. 336-337 e SCHi)RBR, Storia, cit., pp. 841-842. 34
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alle falsificazioni, tutto ci fa pensare all'ambiente del giudaismo alessandrino del II secolo a.C., un giudaismo fortemente ellenizzato e profondamente lontano da quello palestinese; lo stesso ambiente in cui si formò un personaggio come Aristobulo, il quale oltre a sostenere (cfr. supra) la derivazione della filosofia greca da quella ebraica (una tesi presente anche nella Lettera di Aristea, all'incirca contemporanea), si impegnò particolarmente nella critica contro l'antropomorfismo divino, che poteva essere la pericolosa conseguenza di un'interpretazione letterale delle Scritture: 36 una preoccupazione rivolta in particolare quindi, almeno nel caso di Aristobulo, ai giudei ellenizzati, che potevano subire l'in fl uenza dell'immagine antropomorfizzata degli dei greci. Anche la creazione di falsi attribuiti a tragici e comici su temi cardine del pensiero ebraico si può inserire in questo contesto. Sulla destinazione dei testi prodotti non è facile però, e forse non è neppure necessario, dare una risposta univoca; essi possono essere letti da un lato come caratterizzati da un intento `indirettamente apologetico', accogliendo la definizione di Schürer, 37 non concepiti cioè come risposta alle accuse dei pagani, ma rivolti ai giudei stessi per rafforzarne la fede; ma l'uso di auctoritates pagane come i tragici e i comici può allo stesso modo indirizzare verso la scelta di un pubblico pagano, che avrebbe dovuto riconoscere il valore e la verità del pensiero ebraico proprio atttraverso le parole dei rappresentanti più illustri della cultura greca. Non credo si debba necessariamente assumere una posizione rigida che escluda una delle due possibilità. Ciò che per noi riveste l'interesse maggiore è da un lato il lavoro di creazione di falsi cui non mancano però caratteristiche di credibilità, un lavoro colto destinato a un pubblico colto, in grado di apprezzare anche espedienti stilistici e metrici non banali; dall'altro la formazione e la diffusione di raccolte di passi autentici che utilizzano le due maggiori autorità pagane nel campo della letteratura sentenziosa, ovvero Euripide e Menandro; entrambe queste operazioni, rivolte a un medesimo scopo, sono indice di una cultura che nei contenuti privilegia una `filosofia' í cui portavoce non sono più i filosofi, ma i poeti tragici e comici, mentre nelle forme è fortemente caratterizzata da ll a prassi dell'estrazione e dell'antologizzazione.
36 Cfr. E.J. ΒΙC κΕRΜΑν, The Jews in the Greek Age, Cambridge-London, Harvard Univ. Press 1988, pp. 228-229. 3' Storia, cit., p. 841.
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GLI «APOPHTHEGMATA PATRUM ET MATRUM»: FRA SENTENZIOSITA, ESEGESI E `HUMOUR' APPARENTE Gli Apophthegmata Patrum costituiscono uno dei problemi più spinosi della letteratura cristiana antica. Soprattutto negli ultimi anni la bibliografia sull'argomento è cresciuta a dismisura, tanto che queste raccolte si sono meritate uno spazio autonomo nell'Année philologique, dove prima erano inserite alla voce 'Monastica'. 1 È un evidente segno di successo, pur nella raggiunta consapevolezza che, salvo scoperte eccezionali, magari papiracee, 2 certi problemi mai saranno risolti. I «detti dei Padri» hanno goduto di grande fortuna a partire dalla tarda antichità: ciò ha reso la loro tradizione quanto mai complicata ed ha suggerito espressioni colorite ai filologi che se ne sono occupati. Perfino l'austero Padre Jean Gribomont, in un articolo sui generi letterari della produzione monastica, 3 scriveva che le collezioni di apophthegmata fecero «palla di neve» nel corso del tempo, con materiali posteriori che si aggiunsero alla raccolta primitiva, scivolando verso il medioevo. Forse si potrebbe parlare di `effetto slavina', se non addirittura di `effetto valanga', ma è tempo di avviare una veloce ricognizione dello status quaestionis, sulla base degli studi di Guy, 4 di 1 Ciò si è verificato a partire dal 1990, ma la voce era presente in A. MAROUZEAU, Dix années de bibliographie classique, Paris, Les Belles Lettres 1927, vol. I, pp. 22-23. 2 L'apporto di frammenti papiracei non è da sottovalutare: cfr. ad esempio C. GALLAZZI, P. Cair. SR 3726: frammento degli Apophthegmata Patrum, «Zeitschrift fur Papy-
rologie und Epigraphik», LXXXIV, 1990, pp. 53 56. 3 Cfr. J. GRIBOMONT, I generi letterari nel monachesimo primitivo, «Koinonia», X, 1986, pp. 7-28. Allo stesso Padre Gribomont si deve anche un interessante studio su Le vieux corpus monastique du Vatican. Syr. 123, «Le Μuséοn», C, 1987, pp. 131-143, un manoscritto che contiene passi di una versione siriaca dell'Asceticon d i Isaia, dell'Historia Lausiaca ed una collezione di apophthegmata. 4 Cfr. J. C. Guy, Recherches sur la tradition grecque des Apophthegmata Patrum, Bruxe ll es, S οciété des Bollandistes 1962 («Subsidia Hagiographica», 36): rist. con comple-
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un lucido intervento di Bartelink5 e di un contributo di Hinterberger che è tornato sul problema della costituzione dei testi in tutta la sua complessità. 6 L'inizio di una indagine filologica moderna sul complesso degli Apophthegmata risale al 1917 quando Hopfner studiò la versione copta e al 1923 allorché Bousset mise a confronto tutte le collezioni edite nelle diverse lingue ed analizzò il manoscritto greco Berol. Phi ll ips 1624 insieme ad alcuni codici moscoviti.' Sulla loro scia Guy esaminò í manoscritti greci del fondo della Bibliothèque Nationale di Parigi, una quindicina di altri testimoni nonché la versione latina di Pelagio e Giovanni del VI secolo; l'intento di quest'ultimo studioso fu quello di ricostruire non la storia dell'intero complesso di opere che va sotto il titolo di Apophthegmata, ma l'«économie generale des collections». 8 In sintesi ecco i dati fondamentali. Le raccolte complete si dividono in due gruppi. Nel primo si classificano le sententiae secondo l'ordine alfabetico dei nomi dei monaci cui sono attribuite; a queste fanno seguito i `detti' anonimi (raccolte alfabetico-anonime). Nel secondo gruppo, alle virtù monastiche corrisponde l'accorpamento in venti capitoli, all'interno di ciascuno dei quali si segue prima l'ordine alfabetico con la citazione del nome del monaco che parla, poi si pongono gli apophthegmata anonimi (collezioni sistematico-anonime). Da questi due grandi gruppi derivano, per Padre Guy, le collezioni miste.
menti ibid. 1984. A ll o stesso Guy si deve l'edizione Les Apophtegmes des Pères. Collection systématique, I. Chapitres I IX (con un'ottima introduzione alle pp. 13-87); II. Chapitres -
X XVI, Paris, Les Editions du Cerf - 1993 e 2003 («Sourc. Chrét.», 387 e 474). s Cfr. G.J.M. BARTFLINK, Les Apophtegmes des Pères: à propos de deux études recentes, «Vigiliae Christianae», XLVII, 1993, pp. 390-397. Lo studioso prende in esame l'edizione Guy e il lavoro di G.E. GOULD, The Desert Fathers an monastic community, Ox-
ford, Clarendon Press 1993 («Oxford Early Christian Studies»). ~~ M. HINTERBERGER, Probleme der Texterstellung der Apophthegmata Patrum, «Jahrbuch der Österreichischen Byzantinistík», XLVI, 1996, pp. 25-43; íl lavoro è una revisione critica dell'ed. Guy. Cfr. Τη. HoPFNER, Über die koptisch-sa'idischen Apophthegmata Patrum Aegyptiorum und verwandte griechische, lateinische, koptisch-bohairische und syrische Sammlungen,
Wien, kaiserliche Akademie der Wissenschaften philosophisch historische Klasse 61.2, 1918; W. BOUSSET, Apophthegmata: Studien zur Geschichte des ältesten Mönchtums, Tübingen, Mohr 1923, pp. 1-208. 8 Si vedanó l'impianto generale dato da J.-C. Guy alle sue Recherches e gli studi preparatori da questi effettuati. BARTFLINK, Les Apophtegmes, cit., p. 396, n. 8 segnala che quest'ultima formulazione, relativa all'economia generale delle collezioni, è di R. DRAGuET, Le Paterikon de l'Add. 22508 du British Museum, «Le Muséon» , LXIII, 1950, p. 27. Già nel lontano 1950 si era giunti a ll a convinzione dell'impossibilità di procedere, per questi testi, sui consueti sentieri della critica testuale. -
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La mancanza di omogeneità nelle raccolte, l'impossibilità di ricostruire archetipi, il fatto che ciascun copista potesse completare e adattare la collezione da copiare rendono magmatica la situazione. Lo stesso Padre Guy afferma che ogni monastero possedeva un esemplare e questi ultimi erano tutti diversi. Inoltre nella maggior parte dei manoscritti della raccolta alfabetico-anonima un prologo, anonimo anch'esso, chiarisce — si fa per dire — gli intenti del compilatore: raggruppare secondo l'ordine alfabetico la massa dei materiali e per gli anonimi utilizzare una classificazione in capitoli, in base ai soggetti. 9 L'opera del Padre Guy ha colmato parzialmente una lacuna, perché solo la raccolta alfabetico-sistematica era stata edita in gran parte. Nel primo volume dei Monumenta Ecclesiae Graecae, infatti, Cotelier aveva presentato la sua edizione dell'Alphabeticon, poi ripresa in Ρatrologia Graeca, basandosi essenzialmente sul Par. gr. 1599. 10 Fu quindi la volta di parte degli Apophthegmata anonimi, raggruppati secondo i soggetti, ad essere pubblicata da Nau fra il 1907 e il 1913. 11 Agli studi di W. Bousset e R. Draguet, che si erano occupati rispettivamente del ms. Berol. Phillipps 1624 e del ms. Brit. Mus. Addit. 22508, il Padre Guy ha aggiunto proprie ricognizioni su altri testimoni. 12 Il risultato raggiunto e accolto dal massimi studiosi della letteratura monastica è stato la dimostrazione che gli apophthegmata 133 369 della collezione anonima che segue l'Alphabeticon costituiscono la parte più antica, preceduti da tre collezioni più brevi, mentre più di trecento altri pezzi furono aggiunti in seguito a questa appendice della collezione alfabetica. 13 Per quanto riguarda la collezione sistematica, la forma attuale è testimoniata nella già evocata traduzione latina di Giovanni e Pelagio, la redazione più breve giunta fino a noi. 14 Secondo Rosweyde fu durante uno dei numerosi viaggi di Pelagio in Oriente che questi trovò -
9 Ion a caso Guy lo definisce «énigmatique prologue»: cfr. Les Apophtegmes, cit., I (introd.), p. 79; si vedano anche ibid., pp. 27-32. é° Cfr. J.B. COTELIER, Monumenta Ecclesiae Graecae, t. I, Paris 1667, pp. 338-712 (cfr. PG 65, co11. 71-440). 11 F. lau ha editato la collezione del ms. Coislin greco 126 in una serie di articoli pubblicati in «Revue de l'Orient Chrétien» dal 1907 al 1913 col titolo Histoires des soli-
taires égyptiens. Cfr. Guy, Recherches, cit., p. 16 sgg. Cfr. ibid., pp. 63-88. 14 Pelagio I (ppa nel 555 o 556) tradusse í primi diciotto capitoli e Giovanni III (papa nel 560) rese in latino tutto il resto. Il testo fu pubblicato da H. ROSWEYDE, Vitae patrum sine historiae eremiticae libri decem, Ultraiecti-Antverpiae 1615 (1628 2 ); cfr. PL 73-74. Sugli Apophthegmata in latino esiste una vasta bibliografia: cfr. A. WILMART, Le recueil 12 13
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il testo greco, poi da lui tradotto: l'arco cronologico potrebbe essere compreso fra il 538 e il 555. 15 A questa redazione, in una seconda fase, furono aggiunti altri 75 apophthegmata; quindi vi fu integrato il dossier di Isaia di Scete «qui se faisait ou bien "comme lot additionnel, figurant aux fins des chapitres après les 75 pièces" ou bien "intégré à sa place normale dans les séries alphabétiques des débuts de chaque chapitre"». 16 A questo punto altri 85 pezzi anonimi si unirono a questa collezione: pare lecito parlare di evidente stratificazione. Secondo Guy le due grandi collezioni si costituirono verso la fine del V secolo; dal canto suo il Padre Regnault, traduttore francese dell'intero complesso, 17 ricorda come, nella Vita di Eutimio di Cirillo di Scitopoli, scritta nel 537, il protagonista citi gl~~ Apophthegmata e le loro fonti: si tratta sempre di anziani monaci provenienti dall'Egitto e recatisi in visita da lui. 18 Eutimio muore nel 473: se ne ricava che fino agli anni 50/60 del V secolo gl~~ Apophthegmata erano noti in Palestina oralmente. Con ogni probabilΙtà è questo il terminus post quem latin des Apophtegmes, «Revue Bénedectine» , XXXIV, 1922, pp. 185-198; C.M. BAILLE, Die «Adhortationes sanctorum Patrum» («Verba Seniorum») im lateinischen Mittelalter,
(«Beiträge zur Geschichte des alten Mönchtums und des Benediktinerordens», 31), Münster, Aschendorff 1972; J.G. FREIRE, A Versai Latina por Pascdsio de Dame dos Apophthegmata Patrum 1 2, Coïmbre, Instituto de est. cláss. 1971 (= «Humanitas», XX Ι -XXII, 1969-1970, pp. 1-352). Su casi particolari ha indagato ad esempio G. FOLLIET, La "Quae-
stio 12" des "83 Quaestiones" d'Augustin et un recueil de dix-sept «Apophtegmes» des Poemen dans le manuscrit de Nonantola (V at. Lat. 5051), «Augustíníanum», XXXVII, 1997, pp. 165 182; ID., La tradition latine des Septem capitula abbatis Moysi, «Vigiliae Christia-
nae», L, 1996, pp. 200-209. 15 Cfr. ROSWEYDE, in Prolegomenon XIV a Vitae Patrum, PL 73, 49C-D. Per il testo si veda PL 73, 85-1022. Utile anche C.M. BAILLE, Vetera nova. Vorläufige kritische Ausgabe bei Rosweyde fehlender Väterspriche, in Festschrift Bernard Bischoff zu seinem 65. Geburtstag dargebracht, hrsg. von J. ANTEIPJETII - F. BRUNHOELZL, Stuttgart, Hiersemann 1971, pp. 32-42. 16 Cosl BARTELINK, Les Apophtegmes, cit., p. 392. Le citazioni interne sono riprese da Guy, Recherches, cit., p. 187. Per la collezione di Isaia di Scete, cfr. R. DRAGUET, Les cinq recensions de l'Ascéticon syriaque d'Abba Isaie I. Introduction au problème isaien. Version des logoi I -XIII avec les parallèles grecs et latins, Louvain 1968 («CSCO», 293; Scriptores
Syri 122).
17 Cfr. Les sentences des Pères du désert. Troisième recueil et tables, par L. REGNAULT, Solesmes, Abbaye de Saint Pierre 1976; Les sentences des Pères du desert. Collection alphabétique, par L. REGNAULT, Solesmes, Abbaye de Saint Pierre 1981; «Abba, dis moi une parole»: parole mémorables des Pères du désert, par L. REGNAULT, Sablé sur Sarthe, Abbaye de Saint Pierre de Solesmes 1984; Les Sentences des Pères du désert. Série des anonymes, trad et prés. par L. REGNAULT, Bégrolles-en-Mauge, Abbaye de Bellefontaine 1985 («Spiritualité orientale», XL ΙΙΙ). 18 Cfr. L. REGNAULT, Les apophtegmes en Palestine aux Ve We siècles, «Irénikon», LIV, 1981, pp. 320-330. Il testo cui lo studioso fa riferimento è Cyr. Scitop. Vita Euthymii, cape. 19, 21 e 24 (ed. E. Schwartz, pp. 30, 34, 36). -
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del fissarsi per scritto e del diffondersi di queste sententiae. Il terminus ante quem è invece rintracciato da Regnault in una pagina di Zosimo che, nei suoi Alloquia, si riferisce ad un libro di Apophthegmata: «Quando noi leggiamo negli Apophthegmata dei santi vecchi ...»: cosi scritto in quell'opera; è quindi nei primi decenni del VI secolo che si ha la più antica menzione di una raccolta di detti dei Padri già or-
dinata sotto questa titolatura. 19 Guy propone una datazione agli anni 480-490 sulla base anche di confronti con frammenti di una collezione sistematica in copto sahidico studiata da P.E. Kahle. 20 Il luogo d'origine degli Apophthegmata è il deserto di Scete ed stata anche tentata una distinzione fra generazioni di asceti. 21 Regnault pone l'origine del testo scritto in Palestina, sulla scia di Chitty che correlava le collezioni con la diaspora dei monaci successiva all'attacco dei barbari del sec. 1. 22 La tradizione orale era probabilmente parte in copto, parte in greco. Ebbe un peso specifico nella circolazione delle massime la fama dei singoli monaci: ovviamente Antonio viene messo, nelle serie alfabetiche, al primo posto per meriti speciali. Non va dimenticato che furono gli stessi asceti a cominciare l'opera di compilazione, con piccole raccolte, che precedettero le grandi collezioni. Se la sentenziosità fa parte del DNA dei cristiani, questo particolare tipo di espressione è parte essenziale del monachesimo. Esempi di apophthegmata sono già all'interno della Vita Antonii di Atanasio23 e delle vite di altri Padri del deserto. L'insegnamento fra solitari si fondava sull'esperienza diretta della vita ascetica, che veniva posta in comune, e tutto si svolgeva oralmente. Gould in modo opportuno richiama l'attenzione sul fatto che l'ascesi è un `mestiere' che si deve apprendere; da qui la centralità del rapporto maestro-discepolo: 24 quest'ultimo a scegliere la sua guida, non il &ιΡδ~σκαλος a selezionare. ∆~ ς µοι ρ ~ µα«Dammi una parola» è la formula che connota questo Cfr. REGNAULT, Les apophtegmes, cit., p. 323, n. 2. Cfr. P.E. KAHLE, Bala'ixah. Coptic Texts from Deir Ei-Baia'ixah in Upper Egypt, vol. I, London, Oxford Univ. Press 1954, pp. 416-423. Cfr. Guy, Les Apophtegmes, cit., I (introd.), pp. 79-84 per i problemi della data e del luogo di composizione. 21 Si veda ancora Guy, Les Apophtegmes, cit., I (introd.), pp. 46-79. 22 Cfr. D.J. CHITTY, The desert a city. An introduction to the history of Egyptian and 19
20
Palestinian Monasticism under the Christian Empire, Oxford, Blackwell 1966 (1977 2 ), pp.
60-61; 66-71. 23 Cfr. Athanase d'Alexandrie, Vie d'Antoine, introd., texte crít., trad., par G.J.M. BARTFLINK, Paris, Les Editions du Cerf 1994 («Sourc. Chrét.», 400). Cfr. anche Atanasio dí Alessandria, Vita di Antonio. Antonio abate, Detti - Lettere, a cura di L. CREMASCHI, Milano, Pauline Editoriale Libri 1995 («Letture cristiane del primo millennio», 20). 24 Cfr. GOULD, The desert Fathers, cit., pp. 26-87.
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tipo di insegnamento e ne sottolinea la particolare dimensione, in cui l'oralità e il contatto diretto hanno un loro peso specifico. Tipologia
Nella sua introduzione Padre Guy distingue cinque categorie principali di aρορhthegmata. 25 La prima corrisponde alla definizione di `motto': si tratta di pezzi composti dalla domanda rivolta dal discepolo al maestro per «avere una parola di salvezza». Ne segue la risposta, spesso enigmatica, dell'anziano. Un nuovo quesito posto a quest'ultimo per chiarire il senso della sua replica può essere seguito da un'ulteriore, breve espressione del magister. Spesso è stata conservata solo la prima risposta della `guida spirituale'. In qualche caso privilegiato si ha lo stesso apophthegma nella forma completa e abbreviata (ad esempio completa nella raccolta alfabetica, abbreviata nella sistematica). La seconda tipologia è costituita dalle parole di un padre ad un gruppo di eremiti, evento che capitava costantemente nella prassi solitaria antica. Religiosi celebri erano invitati a parlare ai fratelli che andavano a visitare; nella loro stessa comunità veniva loro richiesto di edificare. Il terzo tipo vive di piccoli tratti biografici che hanno valore di parole, per l'insegnamento che possono fornire. Un chiaro esempio è il racconto delle prove superate dall'abba Nikon, che un vecchio riporta a lungo per far comprendere ad un suo discepolo come il diavolo tenti i santi. Il monaco è il migliore modello per il monaco, secondo la paideia caratteristica del mondo dei solitari. I paradigmi sono vivi, presenti e si possono, per così dire, toccare con mano, in una riproposta del rapporto fra Cristo e í suoi discepoli. In effetti, il maestro appare come figura Christi ed í discenti lo interrogano esprimendo i loro dubbi, come avviene spesso nelle pagine dei Vangeli. Altrimenti sono anziani asceti a raccontare le esperienze altrui, a presentare figure realmente conosciute e che diventano punti di riferimento in una catena di esperienze che collega generazioni e luoghi diversi. 25 Cfr. Guy, Les Apophtegmes, cit., I (introd.), pp. 21-23. A questa classificazione lo studioso è giunto attraverso varie fasi di schematizzazione ed un dibattito con altri esperti: si veda ad esempio J. C. Guy, Remarques sur le texte des Apophthegmata Patrum, «Recherches de Science Religieuses», XLIII, 1955, pp. 252-258 ed í suggerimenti di G. GOULD, A note on the Apophthegmata Patrum, «Journal of Theological Studies», XXXVII, 1986, pp. 133-138. -
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Da questo terzo tipo derivano altri pezzi dalla dimensione di racconti, anche di una certa lunghezza, che hanno probabilmente avuto una esistenza autonoma prima di entrare nelle collezioni. È la quarta tipologia. A volte si tratta di estratti di compilazioni tarde; talora si trovano isolati, disseminati nei manoscritti medi οevali. 26 Infine — ed è 1.1 quinto tipo — non si tratta né di parole pronunciate né di racconti autonomi, ma di estratti d i una letteratura anteriore ed in cui è difficile distinguere le vere sententiae. Hanno valenza apoftegmatica i `detti' di Evagrio P οntico, di Giovanni Cassiano, di Marco l'eremita, di Iperech ~o, di Isaia di Scete. Se il dossier di Arma Sincletica sembra l'estratto di una biografia precedentemente scritta, al contrario gli apophthegmata di Giovanni Colobos paiono alle origini della Vita a lui dedicata da Zaccaria. Il che suggerisce prudenza nella valutazione dei singoli casi. Guillaumont, cui si devono studi fondamentali su questo genere letterario, in un saggio dedicato all'insegnamento spirituale dei monaci d'Egitto e in particolare a la formation d'une tradition,27 traccia una panoramica diversa. Egli afferma che, nato in un milieu di monaci votati alla ~σνχíα, l'apophthegma è prima conciso, in forma di sententia; poi appare doppio, con riferimento ad altre sentenze; quindi, col passare del tempo, si costituisce una tradizione. Questa viene trasmessa oralmente ed in seguito per scritto, secondo l'ordine alfabetico degli autori, o secondo un ordine sistematico. È su questa base che qui viene proposta una breve ricognizione sui testi, con il conforto anche di alcune osservazioni del Padre Gribomont, forse non tutte condivisibili, ma certo improntate al buon senso. L'apophthegma antico è con ogni probabilità una sententia di poche parole, facilmente memorizzabile, che risente dell'oralità e che apparenta la saggezza dei Padri alla produzione profana, con in più la presenza di forme analoghe nel Nuovo Test αmento.28 L'analisi di una campionatura può aiutare a delineare alcuni aspetti di questo particolarissimo genere letterario. 29
Cfr. Guy, ibid., p. 23, n. 1: Guy rimanda ad un censimento fatto da F. Halkin nelle Appendici IV e VI della «Bibliotheca Hagíographica Graeca». 27 Cfr. A. GUILLAUMONT, L'enseignement spirituel des moines d'Égypte: la formation d'une tradition, in Maître et disciples dans les traditions religieuses. Actes du colloque or26
ganisé par le Centre d'histoire comparée des religions de l'Université de Paris-Sorbonne, 1516 avril 1988, publ. par M. MESLIN, Paris, Les Editions du Cerf 1990, pp. 143-154. 28 Cfr. GRIBOMONT, Ι generi letterari, cit., pp. 21-22. 29 Utile è anche l'edizione italiana della raccolta alfabetica: Vita e detti dei Padri del deserto, a cura di L. MORTARI, Roma, Città Nuova 1990, in due volumi. Nel 1972, sem-
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Un ventaglio di esempi II 24 Guy: Poe 43 (PG 65, 332C-D) Ετπεν ~ ββ~~Ηοι~~ν Á420 κακ~ν ~ στιν ~~περισπασµ ~ ς. Disse abba Poímen: «Principio dei mali è la distrazione». Nella collezione sistematica è il nr. 24 del cap. II dedicato alla necessità di cercare con tutte le forze la ~σνχια, il raccoglimento. La ~, ma un analogo `giro di frase' struttura è quella tipica delle Υν~µα in 1Tim 6.10 Ρ~ ζα γαρ π~ντων τ~ν κακ ~ν ~ στιν ~~φtλαΡγυΡια. Nella sentenza di Poímen fondamentale è il concetto di περισπασµ ~ ς, espresso tramite un sostantivo che non appartiene alla lingua neotestamentaria,30 ma ben attestato nei Settanta, soprattutto in passi di Qoelet in cui i manoscritti lo presentano in concorrenza con la lezione πειρασµ ~ ς. 31 Il tema nella sua accezione monastica indica ciò che può distogliere un monaco dal retto modo di vivere. Il detto, nella raccolta del ms. Coislin. 126, compare attribuito ad un anziano, il quale afferma che «la dimenticanza è la radice di tutti í mali». 32 I1 problema del distrarsi è in realtà il dimenticarsi di Dio, ossia non porlo costantemente al centro dei propri pensieri, secondo dettati che risalgono ai Salmi (ad esempio Ps 76.4 recita: 1µν ~ σ8ην τov Θεοv κ~ì ε~ φρ ~νθη\) e alla letteratura sapienziale (Sir 1.11-14 sugli effetti positivi del timor Dei per chi informa ad esso la sua vita). Tutto ciò equivale a fuggire il peccato, come teorizza Basilio Magno a più riprese; 33 nelle sue Regulae fusius 5.1 si legge: «l'esercizio per piacere a Dio, secondo il vangelo di Cristo, si realizza con il ritrarsi dalle preoccupazioni del mondo e l'abbandonare assolutamente ogni distrazione». 34
pre per í tipi di Città Nuova, era uscita la traduzione italiana de ll a raccolta sistematica. Si aggiunga il volume di L. Coco (a cura di), Detti dei padri del deserto. Serie alfabetica, Casale Monferrato, Edizioni Piemme 1997. 30 Esiste invece l'avverbio ~περΙσπ~στως in 1Cor 7.35 dove si tratta di stare uniti al Signore «senza distrazioni» e la materia del contendere è il matrimonio. Gerolamo traduce sine impedimento. 31 Cfr. Qo 3.10; 4.8; 5.13; 8.16. 32 Cfr. MORTARI (a cura di), Vita e detti, cit., II, p. 234. 33 Cfr. ad esempio Sermo asceticus 1 (PG 31, 881C). 34 Cfr. PG 31, 920C; Basilio di Cesarea, Le Regole. Regulae fusius tractatae. Regulae scµι, Comunità di Bose, Mabrevius tractatae, introd., trad. e note a cura di L. Cιt µλ gnano, Edizioni Qigajon 1993, pp. 89-90. La distrazione ha un ampio spazio nelle Regulae basiliane e basta scorrere l'indice de ll a Cremaschi (ed. citata sopra, pp. 440-441) per averne conferma. Secondo il Cappadoce, non è possibile osservare il comandamento dell'amore se la mente divaga da un oggetto all'altro (Rd 5.1). In mezzo alle distrazioni non possibile occuparsi seriamente di qualcosa (Rd 8.3) né essere graditi a Dio (Rb 263); la
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Gregorio di Nazianzo, nell'Hom. 27.4 scriverà: Μνηµονευτ~ ον yà ρ Oεσv µ âλλoν ~~~ΝαΠνεΥστ Yον. 35 Abba Poímen è uno dei protagonisti assoluti di questa letteratura. La serie alfabetica edita da Cotelier gli attribuisce 187 apophthegmata. In tutto, comprese la raccolta sistematica e le derivate, si raggiungono le 250 sententiae per questo Padre, della cui vita tuttavia si conosce poco. È fra í solitari di Scete costretti ad abbandonare ii deserto nel 407 e a fissare la loro dimora a Terenouthis. Nella sua nuova residenza egli conserva parole e pratiche di monaci delle generazioni precedenti. Tramanda apoftegmi di 15 maestri antichi. 36 L'uomo dal nome parlante, «il pastore», dimostra l'attaccamento alla tradizione quando afferma che lui stesso ed i suoi confratelli avrebbero voluto morire nel deserto. È probabilmente veicolo di saggezza molto antica. Morì dopo il 449, se è vero che pianse la morte di Arsenio, mancato ai vivi in quella data. 37 Apophthegmata del tipo di quello qui esaminato possono risalire alla fase della oralità per brevità e facilità di memorizzazione. III 26 Guy: Poe 39 (PG 65, 332Β) ΕΤΠε π~ λΙΝ à ββâ Ποιµ ~ ν Τ~~π~νθος διπλο bν ~ σΤιν . ~ ργ~ ζεται καì φυλ~ σσει. Disse di nuovo abba Poímen: «La compunzione è duplice: opera e custodisce».
Il π~νθος, elemento centrale de ll a vita monastica, è stato ottimamente indagato in numerosi studi: 38 si tratta della compunzione, del «lutto» per í peccati propri e altrui, da lavarsi col pianto, secondo il
distrazione proviene dalla mancanza di fede in Dio (Rb 21); la si vince tenendo sempre il Signore dinanzi agli occhi (Rb 201; Rb 306), pensando sempre a lui (Rb 202), custodendo il proposito di essergli graditi (Rd 37.3; Rb 197, 206, 295), vivendo appartati (Rd 6.1). Non ci si lasci distrarre dal desiderio di piacere agli uomini (Rb 34 e 50), dai bisogni del corpo (Rb 17; 180; 206). Si scelgano lavori che non diano luogo a eccessive distrazioni (Rd 38). 35 Così in Gregoire de Nazianze, Discours 27-31, par P. GALLAV- M. JOURJON, Paris, Les Éditions du Cerf 1978 («Sourc. Chrét.», 250), p. 78. 36 Cfr. Guv, Les Apophtegmes, cit., I (introd.), p. 78. 37 Cfr. la ricostruzione di MORTAr, Vita e detti, cit., I, pp. 76-78 e Guy, Les Apophtegmes, cit., I (introd.), pp. 77-79. 38 Cfr. ad esempio I. HAUSHERR, Penthos. La doctrine de la componction dans l'Orient chrétien, Roma, Pontificium Institutum orientalium studiorum 1944 («Orientalia Christiane Analecta», 132); B. MÜLLER, Der Weg der Weinens: die Tradition des «Penthos» in den Apophthegmata Patrum, Göttingen, Vandenhoeck & Ruprecht 2000.
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dettato di Gc 4.9-10. 39 Ciò appare essenziale per tornare allo stato di innocenza perduto col paradiso terrestre. Lo dimostra l'uso dei due verbi ~ ργ~ ζοµαιe φυλ~ττεww, citazione da Gn 2.15: Και ~ λαβεν 1v-
ρu ς ~~Θε~ ς τ~ ν ~νθρωποΙ öν ι πλασεν Καì θετo α~ Τ~ Ν 8v τ~~ παραδεισq ~ ρy~ ζεσΘαι α& ~ ' καì φνλ~ σσειν. 40
La struttura semplice dell'apophthegma con la doppia azione del soggetto rimanda alle antiche γν~µαιed appare perfettamente memorizzabile. VIII 18 Guy: Poe 63 (PG 65, 337Α)
EΤπε π~ λιν . ∆ιδαξον τ~ν καρδιαν σον τηρε ν ~ruvm διδ~ σκει ~~ γλ~σσ~~σον. Disse di nuovo: «Insegna al tuo cuore ad osservare quello che la tua lingua insegna».
È l'invito alla coerenza, necessaria soprattutto al maestro perché non deve esserci discrepanza fra ciò che egli insegna e ciò che egli personalmente vive. La breve sententia si avvale di una patina linguistica veterotestamentaria, per la quale si può richiamare Pr 3.1 τ~~δ~~ ρ~µατ ~~µου τηρειτω σ ~~καρδ~ α. Qui chi parla, secondo la tradizione, Salomone, il saggio per eccellenza, che si rivolge al figlio: 41 la situazione è diversa. Mortari rimanda a Sir 21.26: 8ν ΣΤU Ματι µωρ~ ν ~~ καρδ~ α rnv τ~ν, καρδ~ α δ8 σοφ~ν στ~ µα α vτ~ν.42 Anche in questo caso la sententia ha un significato diverso rispetto all'affermazione di Poimen: l'opposizione fra stolti e saggi si basa sull'affermazione che gli uni hanno sulla bocca il proprio cuore (la stoltezza manifestata, è il caso di dirlo, ex abundantia cordis), per gli altri il cuore (la loro saggezza) è la loro bocca. Entrambi, se vogliamo, sono coerenti in quanto esprimono ciò che hanno interiormente. La patina linguistica veterotestamentaria in realtà viene utilizzata per esprimere un contenuto senz'altro neotestamentario. Si può fare riferimento a Mt 23.2-3 sull'incoerenza dei maestri, quegli scribi e farisei che stanno seduti sulla cattedra di Μοsè. Gesù si rivolge alla folla 39 Vi si legge in riferimento ai peccatori: «Gemete sulla vostra miseria, fate lutto e piangete: il vostro riso si muti in lutto e la vostra allegria in tristezza. Umiliatevi davanti al Signore ed egli vi esalterà». 4 0 Cfr. MORTAm, Vita e detti, cit., I, pp. 43-46 sulla tematica di ritorno all'Eden e l'importanza di Gn 1-2 negli apophthegmata. 41 Cfr. Proverbs-Ecclesiastes, ed. by R.B.Y. ScoTT, Garden City-New York, Doubleday & Co. Inc. 1981, pp. 9-13 sul problema dell'attribuzione del testo al sapiente sovrano. 42 Cfr. MORTAR', Vita e detti, cit., II, p. 99, che richiama anche Ps 14.2.
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ed ai discepoli dicendo loro: π~ντα oúv δσα ~~ Ν ε'Πωσ ~Ν ~ Μ~Ν nοιη σατε καì τηρε~τε, κατò δ8 τ~~~ ργα α~τ~ν λ~~n~ ιειτε• λ~yουσιν γ~ ρ καì 0'6 n ΟWWv σιν. In aggiunta si può richiamare la profezia di Is 29.13 con cui Gesù risponde a scribi e farisei in Mt 15.7-8 e Mc 7.6: ~Πoκριται, καλ~ ς ~ nρ oφ~ τενσεν nεpì ~ µ ~ν 'H σςιiας λ~γων ~~λα~ ς οντας τoîς χειλεσιν µε τιµ ~~ ~~δ~~καρδ~ α (in&v π~ ρρω απ~ χει ~π' ~ 1Ov. IV 80 Guy ΕτΠε yYpwi 'Η γαστριµαργ ~α µ ~ τηρ ~ στì τfj ς Πo ρΝειας. Disse un vecchio: «La gola è madre della fornicazione». IV 81 Guy Εiπε π~ λΙν. 'Ο Κρατ~ν γαστρ ò ς κρατε ν δ ~ναται καì πορνε~ ας καì γλ~σσης. Disse di nuovo: «Chi domina il suo stomaco è capace di dominare la fornicazione e la lingua». I due passi, anonimi, appartengono alla stessa tipologia che ripropone schemi collaudati di γν~µαι;vi si può vedere un esempio di quegli apophthegmata doppi cui si accennava: il secondo amplia il primo. Chi parla è un vecchio non meglio identificato, ma è noto come nel mondo monastico la vecchiaia, intesa non solo fisicamente, quanto come ormai avanzata esperienza nella vita ascetica, sia sinonimo di saggezza. La prima affermazione trova eco in Ep. I 69 di Isidoro di Pelusio, dove la gola è detta madre di ~ λογα π~ Θη. 43 Il concetto è antico: la γαστριµαργ ~ α fa parte di quei vizi che avvicinano gli uomini agli anímali44 e scatena l'intemperanza su vari piani. Saggezza profana e biblica concordano sull'argomento: in Men. Mon. 425 si legge 1(0.6\ γε yαστρ ~ ς κ ~ ΠιθυΜι cς κρατε ν; 45 in 4Μαι 1.3 il λογισµ ~ ς appare dominare sulle passioni capaci di impedire la σωφροσ~νη, ossia γαστρι µαργ ~ α e ~πιθνµια.Fra le variazioni sul tema si possono evocare an-
Cfr. PG 78, 228D. In Pedone 81Ε le anime di coloro che si sono abbandonati alla γαστριµαργ ~α e ad altri piaceri entreranno in forme di asini e di bestie. 45 Cfr. S. JEKEL (ed.), Menandri Sententiae. Comparatio Menandri et Philistionis, Lipsiae, Teubner 1964 («Bibliotheca Teubneriana»), p. 57. 43
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che versi di Gregorio di Nazianz ο. 46 Può apparire perfino superfluo richiamare le teorie antiche che vogliono un organismo satollo disposto all'abbandono di tutti i freni inibitori: Regnault ricorda che restrizioni alimentari erano praticate da filosofi ed asceti pagani per conservare una stretta continenza e dominio perfetto delle passioni. Rileva però che queste pratiche da parte dei monaci rispondevano all'ideale della imitazione di Cristo e della partecipazione alla sua passiοne. 47 Il digiuno cristiano-monastico ripropone ovviamente quello di Gesù nel deserto, si giustifica, sul piano esegetico come `lutto' per la privazione dello sposo e può assumere varie forme. 48 Per la questione del rapporto fra restrizioni alimentari, scelta di frenare la y αστριµαργιαe repressione dell'istinto sessuale si possono richiamare gli studi di Aline Rousselle. 49 «Dominare la lingua» infine è una necessità già attestata nella letteratura gnomica pagana e sapienziale veterοtestamentaria. 5o 1 24 Guy: Poe 66 (PG 65, 337Β) ΕΤΠε π~λιΝ ~ ββâ Ηoιµ ~ ν δτι• 'Εαν δ~ο πρ~γµατα µισ i ~~Μοναχ~ ς, δ~ναται ~λε~ θερoς yεv~ σθcu ~Π~~ToU κ~ αµον.Kαì ειπεΙ α~τ~δ ~~ ~δελφ~ ς. Πο~c τα~τα; Kαì εiπεΙ ~~γ~ ρων• Τ~ν σαρκικ~v ~Ν~πασσιν Kcxì ~ν κενοδοξí αν. Disse di nuovo abba Poímen: «Se il monaco odia due cose, può divenire libero dal mondo». Ε il fratello gli disse: «Quali sono?» Ε il vecchio disse: «Il riposo della carne e la vanagloria».
Qui l' apophthegma assume la forma di minidialogo fra maestro e discepolo, con Poímen che regala pillole di saggezza e tiene desta l'attenzione del secondo rivelando solo alla fine í concetti che chi ascolta deve imprimersi nell'animo. 51 Probabilmente è andata perduta la do46 Cfr. S. AzzλRA, Fonti e rielaborazione poetica nei «Carmina Moralia» di Gregorio di Nazianzo, in Aspetti di letteratura gnomica nel mondo antico Ι, a cura di M.S. FUNGHI, Fi-
renze, Olschki 2003 (Accademia Toscana di Scienze e Lettere `La Colombaria', «Studi», 218), p. 59 con riferimento al Περì ä ρετ~ ς 586-587. 47 Cfr. L. REGNAULT, Vita quotidiana dei Padri del deserto, Casale Monferrato, Edizioni Piemme 1994, p. 96. 4ß Si veda da ultimo G. BoRloLlNl, Vegetarianesimo e astinenza nella mistica, «Rivista di ascetica e mistica», LXXI, 2002, pp. 35-64, con pagine dedicate all'ascesi filosofica, ai Padri, a ll a spiritualità del deserto. 49 Lo stesso REGNAULT, Vita quotidiana, cit., p. 275, n. 162 rimanda al volume di A. ROUSSELLE, Porneia. De la maîtrise du corps '1 la privation sensorielle, Paris, Presses Universitaires de France 1983, pp. 205-244. 5o Cfr. P. DE SURGY, s.v. Lingua, in Dizionario di teologia biblica (sotto la direzione di X. L~ον-DurουR), Torino, Marietti 1968, col. 530. 51 ciò che si suole definire "parola donata da un padre ad un discepolo che inter-
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manda iniziale del discepolo, se ricordiamo lo schema suggerito da Guy. Αν~παυσις σαρκικ~~è nel linguaggio monastico uno dei massimi pericoli per il monaco: interrompere lo sforzo fisico dell'ascesi e trovare ristoro sul piano carnale significa abbandonarsi alla pigrizia e all'indolenza, strettamente legate al diavolo e al peccato. 52 Non a caso in Mt 11.28-29 è Gesù stesso ad invitare gli uomini a prendere il suo giogo su d~~ loro e a seguirlo: solo così potranno trovare ~ν~παvσις ταiς 'υχα ς, che è la vera forma dl refrigerio per il credente e si connota come riguardo a Sir 51.27. Per κενοδοξ~α, inanis gloriae studium, si può richiamare un passo paolino fondamentale per la disciplina monastica: Phil 2.3-4: «Non fate nulla per spirito di rivalità o per vanagloria, ma ciascuno di voi con tutta umiltà consideri gli altri superiori a se stesso, senza cercare ii proprio interesse, ma anche quello degli altri». La vanagloria era stata da Sap 14.14 posta alla base del culto degli idoli (gli uomini divinizzati) ed è ancora negativamente presente in 4Μαι 2.15 e 8.19. V 12 Guy: Isi 3 (PG 65, 236Β) tino π~λιν. Ζ~ σcι σε iατò Θε~ν αδvvατ~ν ~ OΤΙ» φιλ~ δονoν ~ντα καi φιλ~ ρyυρον. Disse di nuovo: «Che tu viva secondo Dio è impossibile, se sei amante dei piaceri e del denaro». È ancora Poimen a parlare, in una sententia breve, che però nella raccolta alfabetica è attribuita a Isidoro, abba e presbitero della seconda metà del IV secolo, di cui danno notizie Cassiano e Rufino. 53 Lo stesso testo ritornerà nella raccolta sistematica a VI 13, con la paternità isidorea. 54 Ciò dimostra quanto gli apophthegmata abbiano sistemazione e attribuzione variabile. Qui appare una evidente spia del peso dell'esegesi – e vengo alla seconda indicazione del titolo dato a questo intervento – nella costruzione di una sententia. Chi parla allude a 2Tim 3.4. Nella presentazione dei futuri χαλεπο~~καιρο~~si dice che ~σονται y~ ρ ο~~ ~νθρωποι φ~λαυτοι, φιλ~ ργυρoι, ~λαζ~νες, vπερ~ φανοι ... φιλ~δονοι µ ~ λλoν ~~φιλ~ θεοι. Tutti costoro sono da roga". Cfr. Abba, dimmi una parola, a cura della Comunità di Bose, Edizioni Qigajon 1989 con i contributi di E. BIANCHI, L'abba del deserto e il padre della koinonia, pp. 139 163 e di A. LOUF, La paternità spirituale, pp. 89-122. 52 Nella serie alfabetica, 1'apophthegma 33 attribuito ad Antonio ripropone la stessa espressione ~ν~πανσις σαρκικ~~in una serie di comportamenti da evitare. Cfr. infra, p. 153, n. 81. 53 Cfr. Guy, Les Apophtegmes, cit., I (introd.), pp. 57-59. 54 Cfr. Guy, Les Apophtegmes, cit., p. 322. -
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evitare. Il cristiano 'e il monaco in particolare devono prendere le distanze dai vizi che essi praticano. Da qui la semplice espressione di Poimen, che si configura come una sintesi del brano neotestamentario di riferimento, con il concetto di φιλ~ θεος che viene esplicitato nell'idea di «vivere secondo Dio». XV 3 Guy: Ant 7 (PG 65, 77Α -B) ΕΤπεν π~λιν ~ (3(3â Αντ~νwwς• ΕΤδον π~σας τ~ς παγ~δας Τov &&αβ~ λoυ ~πλωµΡ~ Νας 81; τ~ν y~ν κα στεν~ξcς εiπον. Τις ~ ρα παρYρχεΤα1 τ ~τας; Kαì ~ κoυσα φων~ς λεγο~σης• `H ταπεινοφροσ~νη. Disse abba Antonio: «Vidi tutti i lacci del diavolo distesi sulla terra e gemendo dissi: "Ch i ne potra scampare?" ed udii una voce che mi diceva: "L'umiltà"». Con Antonio come protagonista, lo schema cambia: il dialogo non si svolge più fra maestro e discepolo, ma è interno al maestro stesso, in conseguenza di una visione. La risposta giunge infatti da una voce `fuori campo' di origine divina, secondo copione neotestamentario. Anche il grande santo ha un διδ~σκαλος e questi è evidentemente Dio. Il protoeremita non sari il solo a godere di questo tipo di 'colloquio' con l'alto: Arsenio ed altri ragguardevoli padri ne saranno protagonisti. Antonio vede distese sulla terra `tutte le reti del nemico': si tratta di una immagine neotestamentaria, per la quale si trovano riscontri in 1Tim 3.7; 6.9 e in 2Tim 3.26. La ταπεινο ροσ~νη può essere definita un elemento basilare della condotta monastica; dal punto di vista linguistico è uno di quei vocaboli in cui si misura la risemantizzazione cristiana di termini di uso comune: Zorrell glossa profanis est vitium pusillanimitas; christianis est virtus: humilitas.55 La virtù che comprime il disordinato desiderio de lla propria eccellenza e fa inclinare l'uomo alla sua pochezza, per conoscere la verità, sottomettendosi a Dio e agli altri a causa di Dio, in At 20.19 ha improntato il comportamento di Paolo. Se ne conoscono numerose definizioni: secondo Clemente Alessandrino ~~ταπεwwο ροΣ~νη πρα~ της 56 per Crisostomo essa significa τ~~τα~ στ~ν, oYχì κaκουχíα σ~µατος; πεινα Ψρονε ν in un senso particolare: ΤαπειΝU δ~~φΡονει ovχ ~~duò ~Ν~ΥΚΗς ταπειν~ ς, ~λλ' ~~~αοτ~ν Ταπειν~ν.57 Fondamentale in ambito ,
55 Cfr. Lexikon graecum Novi Testamenti, cur. F. ΖοΙΕLL, Parisfis, P. Lethielleux 1961, col. 1300. 56 Cfr. Clem. Alex. Strom. III 6,48 (Clemens Alexandrinus, Stromata, hrsg. von Ο. STÄHLIN - L. FRÜCHTEL, Berlin, Akademie Verlag 1960, «GCS», p. 218.18-19. 57 Cfr. Jo. Chrys. Him. 6.2 in Phil. (PG 62, 221).
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monastico, madre di tutte le altre virtù, frutto di sforzo ascetico, ma anche dono dello Spirito Santo, 58 è al centro di numerosi apophthegmata in cui se ne evidenzia il ruolo essenziale. Ad esempio si afferma: ο~κ ~σκησις, ο~τε ~~ρνπΝ~α, ο'vτε παντοîος π~νος σ~ζει• ε ~~ γνησ~α ~ νον διαφθε-ταπεινοφροσvνη 59 Fra i suoi effetti, π~ντα TOU ~ντικειµ ρεται,60 che è quanto afferma la voce del cielo ad Antonio. Il problema posto dall'apophthegma in esame è tuttavia altro ed investe il rapporto con testi di genere letterario diverso, che abbiano per protagonisti quegli stessi eremiti e eremite. È il caso di Antonio, í cui detti possono trovare riscontro nel bios atanasiano e nelle Lettere che gli sono attribuite. Se in Vita Antonii 67.1 l'umiltà è necessariamente una delle qualità del protoeremita, in 30.2 Atanasio mette in bocca al suo protagonista la seguente osservazione: «Una vita retta e la fede in Dio sono un'arma potente contro i demoni. Essi temono il digiuno degli asceti, le veglie, le preghiere, la mitezza, la quiete, il disinteresse per il denaro e la vanagloria, l'umiltà, l'amore per í poveri, le opere di misericordia, la dolcezza e specialmente la fede nel Cristo». Nell'Ep. 4.11 si legge: «È l'orgoglio l'origine della nostra caduta, fu l'orgoglio ad apparire per primo. Per questo non potrete ereditare il regno di Dio se non vi disporrete con tutto il vostro cuore, con tutta la vostra mente, con tutta la vostra anima e con tutto il vostro corpo a una profonda umiltà». 61 Si tratta di tradizioni parallele, in qualche modo coincidenti? Fino a che punto Atanasio ne è debitore? Ε fino a che punto l'Antonio atanasiano è una `costruzione' del biografo? Una risposta definitiva non è stata ancora data. 62 XIV 1 Guy: Ant 36 (PG 65, 88Α-B) ΕΤΠε 00001 Ávτ~νwwς δτι `Υταiσ~~λετ~~ ~~ κρατε~ ας ~Ποτ~ Σσει 0ηρια. Disse ancora: «L'obbedienza insieme alla continenza sottomettono le belve». Cfr. Mac. Aeg. Cast. cord. 14 (PG 34, 840D). Cfr. PG 65, 204Α. Chi parla qui è aroma Teodora (Apoph. nr. 6). 6 ° Cfr. Esaias abbas, Or. 3.1 (ed. Augustinos, Jerusalem 1911, p. 7). 61 Cito dalla traduzione dí CREMASCHI, ed. cit. (supra, n. 23), p. 268. Per la storia de ll e epistole antoniane e le loro edizioni, cfr. ibid., pp. 85-87 e 96. 62 Cfr. J. ROLDANUS, Die «Vita Antonii» als Spiegel der Theologie des Athanasius and ihr Weiterwirken bis ins 5. Jahrhundert, «Theologie and Philosophie», LVIII, 1983, pp. 194 216; S. RUBENSONS, The Letters of St. Antony. Origenist Theology, Monastic Tradition and the Making of a Saint, Lund, Lund University Press & Bromley-Chartwell-Bratt 1990 («Bibliotheca Historico- Ecclesiastica Lundensis», 24); CREMASCHI, ed. cit. (supra, n. 23), pp. 78-84 sulla presenza di Antonio nella letteratura apoftegmatica. 58 59
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Il soggetto è Antonio e la massima potrebbe servire da titolo ad un episodio della Vita atanasiana. Vi si narra al cap. 50 che il santo, messosi a coltivare legumi per offrirne a chi andava a visitarlo, si trovò in difficoltà. Le bestie del deserto, che si avvicinavano per l'acqua, danneggiavano spesso sementi e colture. L'eremita parlò loro con gentilezza: «Perché mi fate del male mentre io non ve ne faccio? Andatevene e nel nome del Signore non avvicinatevi mai più a questo posto». Da quel momento, come spaventate dal suo ordine, non si avvicinarono mai pí0 63 La capacità del monaco dí comandare agli animali feroci, un potere che caratterizza anche il θεAος öν~ ρ pagano, 64 si configura come un topos nella letteratura monastica. 65 Qui l'accento batte sull'obbedienza, virtù neotestamentaria e monastica, che in ossequio alla imitatio Christi Antonio frequenta fin da bambino, 66 e sulla continenza. L'accoppiata permette al solitario di riconquistare la condizione edenica nella quale Dio aveva concesso agli uomini di «dominare sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo e su ogni essere vivente che striscia sulla terra», secondo Gn 1.28. Il ritorno a quella situazione si ottiene con v~c' κο~~(nei codd. esiste la variante v πoταΥ~ ) ed ~yκρ~τεrn, significativamente le due virtù cui vennero meno i progenitori. 67 II 20 Guy: los 7 (PG
65, 284C-285 Α)
ΕΤπεΝ ~ ββâ Μω~ σ~ ς . '~νθρωπος ΨεúγωΝ TOPO ~Νθρ~πovς 80 16 σταφυλ~~ó ΠΤ~ , ó 88 µετ ~~~νθρ ~πων ~ς δµφαξ~ στ~ν. Disse abba Μοsè: «Un uomo che fugge gli uomini è sim il e all'uva matura; quello che invece rimane con gli uomini è come uva acerba». Possono
essere considerati materiali più raffinati quelli che ingag-
Cfr. Athan. Vita Antonii 50.8-9, pp. 272-273 Bartelink (ed. cit.). Nella nota 2, p. 273 Bartelink richiama un episodio analogo a quello antoniano con protagonista Pitagora nel De vita Pythagorica di Giamblico 13.60 e in Vita Pyth. 22-23 di Porfirio. 65 La bibliografia sull'argomento è vasta: cfr. J. BERNHART, Der Heilige and das Tier, Munchen, Muller 1937; H. WADDEL, Beasts and saints, London, Constable & Co. 1945; A. GODDARD ELLIOTT, Roads to Paradise. Reading the Lives of the Early Saints, Published by Univ. Press of New England for Brown University, Hannover and London 1987, pp. 144-170 e 193-213. 66 Cfr. Athan. Vita Antonii 1.3, pp. 130-131 Bartelink (ed. cit.): il modello di riferimento è il piccolo Gesù sottomesso ai genitori in Lc 2.51. Cfr. E. GIANNARELLI, Il παcδιριοy~ρωv nella biografia cristiana, «Prometheus», XIV, 1988, pp. 279-284. 67 Cfr. M. ΒοRκowsκλ, Le motif du Paradis retrouvé dans le Apophtegmes des Pères du désert: ermites et animaux, «Vox Patrum», VIII, 1988, pp. 951-960. 63 6a
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giano un duplice, stretto rapporto con l'esegesi, sul piano della scelta di immagine o paragone veterotestamentario per esemplificare una realtà neotestamentaria? Qualche incertezza sembra proporre il detto di Mosè, la cui avventurosa vita è stata ricostruita da Padre Guy: di origine etiope, di pelle nera, ex brigante, anche assassino, si converti e visse nel deserto fino alla morte, avvenuta per mano dei barbari che devastavano Scete (407). Fu alunno di Macario il Grande e di Isidoro prete. 68 La necessità per il monaco di fuggire i suoi simili è un dato costante della letteratura apoftegmatica. E emblematico l'esempio di Arsenio che pregava Dio di condurlo dove poteva essere salvato ed una voce gli disse: Ä ρσ~νιε, 00676 το ~ς ~νθρ ~πoυς και σ~ ζη, 69 Per contro, l'abba Marco chiese al padre Arsenio «Perché ci fuggi?» e la risposta del vecchio fu: «Dio sa che io vi amo, ma non posso essere contemporaneamente con Dio e con gli uomini». 70 In maniera ancora più esplicita, all'interno della raccolta, si evocherà per l'impossibilità di frequentare gli uomini e contemporaneamente dedicarsi a Dio l'affermazione di Mt 6.24 o~δεις δ~ναται δνσ' κυριο δoυλε~ειν. 71 Gli uomini, o meglio, il consorzio umano, sono quindi mammona, il che radicalizza la consueta opposizione fra otium (monachesimo) e negotium (vita saeculi): a ciò si aggiunga la convinzione che «nella moltitudine lo spirito si disperde», come sosteneva Dula. 72 Anche il paragone di cui si sostanzia il detto di Mosè ha base biblica: Israele, i prescelti dal Signore sono assimilati soprattutto nei libri profetici ad una vigna e/o ad una vite che può essere feconda o sterile secondo il loro comportamento; nel Nuovo Testamento la parabola dei vignaioli fedeli e infedeli e l'identificazione fra Cristo e la vite, i credenti e i tralci rilanciano il tema. 73 Forse per la «uva matura», cotta al sole, si potrebbe evocare il sovrapporsi di una serie di immagini: Cristo è il sole e il solitario si lascia disseccare nella vampa del deserto. Quanto ad 60044 pare invece non si trovino riscontri in ambito monastico. L'uva acerba è utilizzata in letteratura per definire una fanciulla non ancora pronta per le nozze (AP V 19); in una iscrizione napoletana per un ragazzo morto ante diem si rimprovera il dio Cfr. Guy, Les Apophtegmes, cit., I (introd.), pp. 68-70. Cfr. ibid., Apoph. II 3, pp. 124-125. 70 Cfr. ibid., Apoph. II 5, pp. 126-127. 71 Cfr. ibid., Apoph. II 34, pp. 142-143. 72 Cfr: ibid., Apoph. 11 14, pp. 132-133. 73 Cfr. M. F. LACAN, s.v. Vite vigna, in Dizionario di Teologia Biblica, cit., coll. 12301232. 8 6 69
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degli inferi che si ciba di 4444 (IG XIV 769). Nel Vecchio Testamento chi confida in una vanità fallace «sari spogliato come vigna della sua uva ancora acerba» secondo Gb 15.33. V 11 Guy: Poe 115 (PG 65, 352Β) '~ λλος ~δελφ~ ς ~ ρ~τησε τòν ~ ββ~~Ποιµ ~ να λ~γων. Τι ποι~ αω 15Τ1 πολεΜονµαι εις Τ~ ν πoρνε~αν Κα . αρπ~ ζοµαι ε1' τòν θνµ ~ ν; Λ~γει α~τgî ~~γ~ ρων• ∆ιαΡ τovτo ~~∆ςυìδ λεyεν δτι. " Τ~ν µ ~ ν λ~οντα ~ΠUΤασσΟΝ, ~ν 88 ~ ρκoν ~π~πvtyoν " τοντ~ ατι τòν µ ~ ν θυλ~ν ~ΠYΚΟΠτον, τ~ν 88 πορνε~αν ~ν κ~ποις g8λΙβον. Un altro fratello interrogò l'abba Poimen dicendo: «Che cosa farò poiché sono combattuto in relazione alla fornicazi οne 74 e sono tratto verso la collera?» Il vecchio gli dice: «È per questo che David diceva: "Abbattei il leone e strangolai l'orsa", ossia troncavo l'ira e stringevo la fornicazione nelle sofferenze».
Lo schema consueto dello scambio di battute discepolo/maestro ruota nell'apophthegma sopra riportato intorno ad una precisa cita zione da ISam 17.35-36, che viene interpretato allegoricamente. Il contesto è noto: David si offre per combattere contro il Filisteo; Saul non accetta la proposta perche l'uno è un ragazzo, l'altro un uomo d'arme fin dalla sua giovinezza. David però replica: «Il tuo servo custodiva il gregge di suo padre e quando veniva il leone e l'orsa e prendeva una pecora dal gregge, allora lo inseguivo, lo abbattevo, e strappavo la preda dalla sua bocca. Se si rivoltava contro di me, l'afferravo per le mascelle, l'abbattevo e lo uccidevo. Il tuo servo ha abbattuto il leone e l'orsa. Codesto straniero non circonciso farà la stessa fine di quelli». L'identificazione del leone con θυµ ~ ς è diffusissima, a partire dalle similitudini omeriche, fino alla letteratura fisiognomica greca. 75 Per l'orsa intesa come πορνε~ α si deve postulare una scansione anomala: di solito se ne pongono in risalto l'amor materno, positivamente, o la terribilità. 76 L'Antico Testamento si allinea a queste valenze. In 2Sam 17.8 Cusai parla ad Assalonne dicendo: «Tu conosci tuo padre ed í suoi uomini: sai che sono uomini valorosi ed hanno l'animo esasperato come un'orsa nella campagna quando le sono stati rapiti í fi-
74 La costruzione πολεΜο~Μα et; + accusativo ricorre anche in Jo. Mosc. Prato, 14. 19 e 205 (PG 87, 2861C; 2865C; 3096 Β). 75 Cfr. Scriptores physiognomonici graeci et latini, rec. R. FOERSTER, Lipsiae, Teubner 1893, p. 349,10. 76 Cfr. S. ZENZER, su. Bär, in RAC I, co11. 1143-1150.
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gli». Poche righe dopo, il leone maschio sarà evocato per il suo valore. I due animali insieme compaiono anche in Sap 11.17-18 dove si considera la moderazione divina nei confronti dell'Egitto: «certo non aveva difficoltà la tua mano [...] a mandare loro una moltitudine di orsi e leoni feroci»; stessa scansione in Os 13.7-8, nella minaccia da parte del Signore del castigo per l'ingratitudine: «I ο sar~~per loro ~ νη». In Sir 25.17 come un leone [...] li assalir~~come un'orsa ä πορονµ πονηρ~ α yσΝαιΙ~ ς αλλowοî ~~ν δρασιΝ α~Τ~ ς και σκοτοι Τó πρ~ σωπO' αντ~ς ~ς ~ ρκoς. David è figura esemplare anche per il monaco." Il passo più vicino a questa interpretazione attribuita a Poimen è in un'opera spuria di Cirillo (Coli. Dict. Vet. Test., PG 77, 1277.29): ~~ ~ ν λ~γω, ποιµ ~ ν .... ~~~ποκτε~νας τ~ν λ~οντα καì τ~ν ~ ρκτoν, τ~ν θνµ καì τ~ν ~ πιΘνµ ~ αΝ. VI ~~Guy ΕΤΠε yYpwv Cmc ~κ~κτητ~~τις τ~ν ~ δελφ~ν Ε~ αyy~ λιον µ ~ νον, καì το vτο πωλ~Σα δωκεν εις τροφ ~ 0 το~ς Π~ΝησΙΝ C~ξιον µν ~ µης~πιφθεγξáµενος 5 ~ Μα• Αντ~ν, y~ρ φησι, 'rem λ~γον πεπ~ληκα τ~ν λ~ ΥονΤ~~µο ~~ " Π~λησ~ν σον τ~~' n~ ρχοντα καì δ~ ς πτωχσις ". Disse un vecchio che uno dei fratelli aveva solo un Vangelo e dopo averlo venduto dette (il ricavato) per il loro nutrimento ai poveri, pronunciando queste parole degne di essere ricordate: «Ho venduto la stessa parola che mi dice: "Vendi quello che ti appartiene e dallo ai poveri"».
Ad una esplicita ripresa dal Nuovo Testamento si ispira questo apophthegma caratterizzato come "gioco verbale scherzoso" su Mt 19.21, il versetto che sta alla base di ogni narrazione di scelta monastica,78 a partire dalla Vita Antonii di Atanasio. Al cap. 2.3 si racconta che il giovane, rimasto orfano dei genitori e già attratto dall'esempio degli apostoli e di quanti avevano lasciato í loro beni per servire il Signore, entro in chiesa proprio nel momento in cui si leggeva: «Se vuoi essere perfetto, va', vendi tutto quello che possiedi e dallo ai poveri; poi vieni, seguimi ed avrai un tesoro nei cieli». Il comportamento dell'asceta risulta essere la messa in pratica ad litteram della massima evangelica, che viene enunciata alla fine. Il detto è presente in Evagrio, nella Historia Lausiaca ed in vari testi mon αstici. 79 Qui si tratta 77 Cfr. H. LECLERCQ, su. David, DACL IV, coli. 295-303; J. DANIELOU, su. David, RAC III, cο11. 594 -603. 78 Cfr. Theod. Cir. Hist. rel. 12.7 («Sourc. Chrét.», 234, p. 470) e Call. Vita Ip. 1.7-
8 («Sourc. Chrét.», 177, pp. 74-76). 79 Cfr. Évagre le Pontique, Traité pratique 97 («Sourc. Chrét.», 171, p. 704, n. 97).
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di un esempio anonimo. Esso trae autorità come spesso succede da un vecchio, che riporta quanto fatto e detto da un altro. È il valore della testimonianza, che coinvolge il problema della ~κo~ . Raramente il soggetto si espone in prima persona, per tenere fede al precetto della umiltà monastica. Addirittura può capitare che i `filtri' fra il modello e il `discente' siano più di uno. Così l'abba Cassiano raccontava dell'abba Giovanni, che andò presso l'abba Arsenio e sono le parole di quest'ultimo a venire tramandate insieme a quelle dello stesso Giovanni, in una catena che dà il senso della continuità di esperienza e di insegnamento. 80 XI 3 Guy: Ant 35 (PG Ε~πεν ~ ββ~~Ävτ~νιo ς•
65,
88Α)
'O ΤYΠΤωΝ τ~~µαζ ìν τoi σιδ~ ρ oυ, πρ ~τον ~ χαψψαΝ ~~π ~ σΙοπεî Τ λoγισµι Ti µ ~ λλει πOtεiΝ, δρ ~παΝον ~~ µ λνκα. 0ιiτως Και ~ λε~ ς ~ φειλoµεν λο y ιζεσθαt πο ~ αΝ ~ ρετ~ν µετερ χ~ µεθα~να ~Ι~~εις κεΝ~Ν 1οπι ~ σωµεν. Disse abba Antonio: «Chi batte il pezzo di ferro, per prima cosa pensa a quello che ne vuol fare, una falce, una spada, una scure. Cosi anche noi dobbiamo pensare quale virtù vogliamo acquistare per non faticare inutilmente». Antonio segue uno schema che prevede l'utilizzo di un dato di fatto quotidiano come metro per rendere più fruibile l'esempio scritturistico oggetto di allusione, esplicitato in chiusura dell'apophthegma. Qui il rimando è a Phil 2.16 «Allora nel giorno di Cristo io potrò vantarmi di non aver corso invano né invano faticato» ( ~τι ο~κ εις κενòν ~ δραµ o ν o'88 ε~ς κενòν ~Ιοπ~ασα).
Ant
33 (PG 65, 85C)
~ ν ~ χε π~ντοτε 'òv φ~ ßoν τον Οεo~ . 'Ο αΥΤ~ ς ε~πε• Πρ ~~ ~ φθαλµ Μνηµ ~ νε~ε τον θανατο~ντoς κα ζωγονo~ντoς. Μισ~ σατε τòν κ ~ σµο ~~και π~ντα τ~~~ν αΥτ~ . Μισ~ σατε Π~ σαΝ σαρκικ ~ν ~ν~nανσ ~ν. Αnοτ~ ξασθε ~~ ζω~~Τ~L~ΤΙ 'να ζ~ σητε τ O60û. Μνηµονε ~ ετε τι ~iηyOε~ • ζnΤεi y~ ρ αΥτ~~παρ ' 00cî°v ~~ ~ µ ~ ρ á κρ~ σεως. Πει yεíλασθε ν~ σατε, διη,~ σατε, yvλΝητε~ σατε, ~yρυΠν~ σατε, πενθ~ σατε, κλα~ σατε, στεν~ ξατε τ~~ καρδiq ~ λ~v• δοκιµ ~ σατε ει ~ξιo~~ ~ στε τον OεοΥ• καταφρον~ σατε τ~ ς σαρκ ~ ς, ~να σ~σητε Υλ~ν TUO ψυχ~ ς. Lo stesso disse: «Abbi sempre davanti agli occhi il timore di Dio (cfr. per oppositum Rom 3.18, citazione da Ps 35.2). Ricordati di colui che dà la
80
Cfr. Apoph. IV 26, pp. 196-199 Guy.
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morte e la vita (1Sam 2.6). Odiate il mondo e tutto ciò che contiene (At 17.24). Odiate ogni refrigerio della carne. 81 Rinunciate a questa vita e vivete per Dio. 82 Ricordatevi di quello che avete promesso a Dio perché ve ne sarà chiesto conto nel giorno del giudizio (Mt 10.15). Sopportate la fame, la sete, la nudità (1Cor 4.11), vegliate (Le 21.36), affliggetevi, piangete (Ge 4.9) gemete nel vostro cuore. Chiedetevi se siete degni di Dio, disprezzate la carne per salvare le vostre anime».
Allo stesso Antonio, nella medesima collezione alfabetico-anonima si deve anche una sorta di collage di citazioni e allusioni bibliche: in questo manuale in pillole della vita monastica non c' praticamente espressione che non sia riportabile alla Scrittura, a riprova di una conoscenza della medesima da parte del solitario che lo qualifica come `padre' a tutti gli effetti, in quanto frutto di lunga militanza ascetica: la vita del monaco si consuma in meditazione costante dei testi sacri. È la capacità di collegamento e di riutilizzazione della Bibbia da parte dei protagonisti uno degli elementi discriminanti all'interno della letteratura apoftegmatica. III 41 Guy ßiδε γ~ ρων τιν~~yελ~ντα κcì λ~γει α~Τω' . 'ΕΜnρoσθεν oY ρανoû καì y~ ς óλου τον β~ ο~~~ ςυτ~ν ~ χοµεν δο~ναι ~noλoyιαν καì γελ~ ς;
Un anziano vide uno che rideva e gli dice: «Davanti al cielo e alla terra noi dobbiamo rendere conto di tutta la vita e tu ridi?».
III 51 Guy ΕΤδ~~τις νε~τερ~ν τινc Μoνcχ~ν γελ~ντα καì λ~γει αvτω-· Μ~~γ~λα, ~ δελφ~ , ~πεì δι~κεις τòν Φ~ βoν τov Oεσv ~Π~~σov. Uno vide un giovane monaco che rideva e gli dice: «Non ridere, fratello, perché allontani íl timor di Dio da te».
Anche se in alcuni apophthegmata affiora una pointe ironica e l'atteggiamento dei Padri può apparire non univoco, in quanto la neotestamentaria χαρ~~risulta valutata positivamente,ß 3 rimane ben ferma
Cfr. supra, p. 145, n. 52. Il verbo ~ποΤáσσοΜcl~~è tecnico dell'abbandono del mondo: cfr. Orig. Hom. 18.2 in Jer.: á κoλoυθεî (scii. Χρ σ~ι5) 58 ~πoταξ ~µεν o ς τcü κ~ σµν κα ì ai ρωΝ τòν στανρ ~Ν. La sententia vive del contrasto tra l'abbandono della vita nel saeculum/scelta della vita per Dio. 83 Cfr. A. GUILLAUMONT, Le rire, les larmes et l'humour chez les moines d'Égypte, in Hommage 'i Francois Dauwas, Montpellier, Université de Montpellier 1986, II, pp. 373380 che dimostra l'esistenza di atteggiamenti diversi da parte dei Padri: se di Pambone si dice che non rideva mai, Beniamino consigliava í suoi discepoli a stare sempre nella gioia. 81
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la condanna del riso da parte di coloro che sono avanzati nella perfezione ascetica: al vecchio che rimprovera chi vi si abbandona nella prima sententia fa da pendant il giovane monaco che vi indulge nella seconda. In un caso si richiama la necessità di rendere conto della vita: appare operante in filigrana Lc 6.25: «Guai a voi che ora ridete, perché sarete afflitti e piangerete». Nel secondo, allontanare da sé il timor di Dio significa vivere in maniera contraria a quella tipica del giusto, ossia del credente e del monaco in particolare, cime si evince dal già citato passo di Rom 3.18, che riutilizza Ps 35.2. Il tema del γ~λως ci spinge ad affrontare un ultimi punto: lo humour apparente e il distacco fra noi e gli antichi su questo piano particolare, per cui ciò che solletica nei miderni la molla del sorriso era invece inteso da quelli con assoluta serietà e νiceνersa. 84 È necessario introdurre la questione degli apophthegmata matrum, secondo una definizione data da Benedicta Ward che proprio così intitolava un suo intervento oxoniense di qualche anno fa. 85 Tràditi insieme a quelli del Padri, i detti delle Madri si distinguono per alcune caratteristiche e si possono considerare utili testimonianze ai fini della ricostruzione del mondo femminile. 86 Mi limito qui ad accennare alle tre donne cui sono attribuite sentenze per nome, tralasciando la presenza di ascete anonime e il ruolo delle solitarie nell'universo monastícο.87 Teodora e Sincletica sino figure eminenti, la prima con una vita avventurosa, la seconda col compito di guida di monasteri, caratterizzate da un background nm disprezzabile (soprattutto Teodora), una propensione spiccata a parlare per "parabole", con riferimenti alla quotidianità spicciola — infermeria, lavanderia sono í luoghi più spesso evocati — e con un certo gusti per le immagini naturali. Per Sincletica si apre, come per Antonio, il problema del rapporto fra detti e biografia. 88 È tuttavia aroma Sarra la figura più nuova, vera 84 Cfr. E. GIANNARELLI, Le stranezze degli antichi santi, in Cosma e Damiano dall'oriente a Firenze, a cura di E. GIANNARELLI, Firenze, Edizioni della Meridiana 2002, pp. 132-148. 8s Cfr. B. WARD, Apophthegmata matrum, in Studia Patristica XVÍ.2. Papers presented to the Seventh International Conference on Patristic Studies Held in Oxford 1975, ed. by E.A. LIVINGSTONE, Berlin, Akademie-Verlag 1985, pp. 63-66. 86 Cfr. E.M. SYNEK, Ostkirchenkunde and Frauenforschung: zu den Μ~~ttern unter den Vätern, «Ostkirchliche Studien», XL ΙΙΙ, 1994, pp. 170 186. 87 Cfr. M. FORMAN, Desert «arras»: midwives of wisdom, ín Nova doctina vetusque. Essays on early Christianity in honour of F.W. Schlatter S.J., ed. by D. KRmES C. BROwN Τκλcz, Bern Frankfurt am Main, Lang 1999, pp. 187 201. 88 Cfr. E. GIANNARELLI, La biografia femminile: temi e problemi, in La donna nel pensiero cristiano antico, a cura di U. MATTIOLI, Genova, Marietti 1992, pp. 230-232. -
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GLI «APOPHTHEGMATA PATRUM ET MAIRUM»
trasposizione del monaco: si tratta di colei che vive sul Nilo per un numero rilevante di anni senza mai alzare gli occhi e spingere lo sguardo fuori a guardare il grande fiume. 89 La s i trova protagonista di alcuni apoftegmi, due dei quali appaiono utili per concludere questa ricognizione. X 107 Guy: Sar 4 (PG 65, 420C-D) ' Ηλθ~ ν ποτε δ~ο γ~ ροντες µεγ ~λοι ~ναχωρεταì ~Π~~τ(~Ν µερ(δν Τov Πηλoυσιoυ πρ~ ς τ~ν ([01 Σ~ ρραν, κ~. ~περχ~ µεν o ~~ g λεyoν πρ~ ς ~λλ~ λονς. Ταπε ~ν~σωµεν ~τν yραï:δα τα' την. Λ~γονσιν oνν ~ ς σον καì ε~πης πρ~ς ~αΥτην. α~τ~ • βλ~πε, ~ΜΜU, Μ~~~παρθ~~~~λογισµ ~ κα oYσαν. `Η δ~~λ~γει α~ ιδo~~~ναχωρητα ~~ ~ ρχοντςn πρ~ ς µε γννα Τoî ς• τ~~µ8ν ~φσει γΥΝ~~εi4ι, ~λλ' OY τ~~λογισΜιδ. Un'altra volta andarono da lei due vecchi, grandi anacoreti dai territori
intorno a Pelusio e mentre andavano dicevano l'uno con l'altro: «Umiliamo questa vecchia». E le dicono: «Guarda che il tuo pensiero non si inorgoglisca, e non dire "Ecco, gli anacoreti vengono da me che sono una donna"». Dice loro la madre Sarra: «per natura sono una donna, ma non per il mio modo di pensare». Coislin. 126, fol. 149 ν ( Guy, Recherches, p. 34)
ΕΙΠε Π~ λΙ" τοî ς ~δελφoîς• ~y~~ε~µι ~ν~ ρ, *Lei; δ~~~ στε γννα~ Κες. Disse di nuovo ai fratelli: «Io sono un uomo, voi invece siete donne». Si potrà discutere se i due grandi asceti del primo testo vogliano umiliare la vecchia in ossequio alle norme della παιδε~ α monastica o non s i tratti piuttosto di una punta di orgoglio maschile, dettata dalla consueta valutazione dell'inferiorità della donna. 90 Tuttavia, sia nella risposta di Sarra ai due anziani, sia nel secondo caso sono evidenti il gusto della rottura degli schemi e la consapevolezza di una raggiunta virilità cristomorfica che sulla base di Ef 4.13 (il raggiungimento dell' ~ν~ ρ τ~λειος, perfezione umana maschile, essendosi Cristo incarnato al maschile) sta alle fondamenta della tipologia della γνν~~~νδρε~α. Non si tratta quindi di una battuta di spirito, ma dell'affermazione di una diffusa idea la cui storia è stata
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Così in Apoph. VII 26, pp. 356-357 Guy. Ricordo che nella Vita Melaniae, 39 i padri del deserto τ~ ν µακαριαν6); ~ νδρα δ ~-
~ τρον καì φρ~ νηµα~νδρε ον, χοντα~~ ... καì yàp ~ληθ~ς παρεληλ~θει τ~~yυνα~κε ον µ µ ~ λλον 88 ο~ρ~νιoν ~κ~ κτητo. Cfr. Gérontius, Vie de sainte Melanie, par D. GORGE, Paris, Les Éditions du Cerf 1962 («Sourc. Chrét.», 90), pp. 200-202.
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ampiamente indagata. 91 Il dato tuttavia da sottolineare è che ciò che Sarra diceva con estrema serietà può suscitare in noi moderni qualcosa di simile al riso o al sorriso ironico, se lo interpretiamo senza inserirlo nelle corrette coordinate dell'ideologia cristiana tardo-antica di cui è espressione. 92 Esegesi, tecniche proverbiali, un patrimonio di saggezza orale poi fissata per scritto concorrono a formare gli Apophthegmata Patrum, the «last and one of the greatest products of the Wisdom literature of the ancient near East», secondo una suggestiva definizione di Peter Brown. 93
91 Agli studi di Giannarellí, Mazzucco, Mattioli sulla γυν~~~νδρεí α si aggiunge da ultimo l'intervento di K. VOGT, `Diventare maschio": una metafora degli gnostici e degli antichi cristiani, in A immagine di Dio. Modelli di genere nella tradizione giudaica e cristiana, a cura di K.E. BORRESEN, Roma, Carucci 2001, pp. 145 162: 158 159. 92 Cfr. E. G τ~NNARεLLτ, Anche i cristiani sapevano ridere. Ironia e humour dei santi, in ΠΟΙEΙEΙΑ. Studi in onore di M.R. Cataudella in occasione del 60° compleanno, a cura di S. BIANCHETTI, E. GALVAGNO, A. MAGNELLI, G. MARASCO, G. MARIOTTA, I. MASTROROSA, La Spezia, Agorà Edizioni 2001, I, pp. 517-531. Cambridge, Mass.-London, Harvard 93 Cfr. P. BROWN, The Making of Late Antiquity, University Press 1978, p. 82. -
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L'IMPIEGO DELLA «CHREIA» FILOSOFICA NELL' EDUCAZIONE ANTICA I. MATERIALI PER LA SCUOLA (E NON)
Il tema di questa ricerca richiede una precisazione preliminare, perché la nozione di chreia `filosofica' non corrisponde a nessuna categoria antica. I Greci, e i Romani di seguito, non hanno mai classificato le chreiai per aree disciplinari o in rapporto al contenuto espresso, ma sulla base di tipologie formali: esse potevano essere, di conseguenza, assertive, interrogative, responsive e via dicendo,l ma non `filosofiche'. L'ottica degli antichi privilegia in questo modo gli impieghi didattici dell'esercizio, ma le curiosità possono essere, legittimamente, diverse. Dal nostro punto di vista l'aspetto più interessante delle chreiai di scuola risiede piuttosto nella tipica fusione di pedagogia e ideologia che le caratterizza, e che trova espressione anzitutto nella scelta, mai neutrale né casuale, dei personaggi che in esse parlano o agiscono. Questa è perciò la chiave di lettura che intendo proporre, nella speranza di arrivare ad un'ipotesi plausibile sull'origine storica di una prassi `in aula' per secoli diffusa e vitale, che è tuttavia documentata in modo lacunoso e discontinuo: grave è soprattutto il fatto che le nostre più antiche testimonianze appartengono in realtà ad una fase di sviluppo che io credo, per le ragioni che vedremo, molto più avan-
Il sistema di classificazione più complesso compare nella trattazione píù antica a noi arrivata, i Progymnasmata di Elio Teme (infra, n. 4), dove le chreiai sono suddivise in tre γ~νη — «dí parola» (λοytκaι), «di azione» (πρακτικο í), e «miste» (µικτ aι) — a loro volta ripartiti in cinque specie e sei sottospecie (εiδη): Them, pp. 97.11-99.12 Spengel (pp. 1921 Patillon). Una traduzione di questi manuali, tuttora trascurati anche dagli specialisti di retorica, è stata curata di recente da G.A. KENNEDY, Progymnasmata. Greek Textbooks of Prose Composition and Rhetoric, Leiden-Boston, Brill 2003; per l'esercizio de ll a chreia segnalo subito i due volumi (un terzo è previsto) a cura di R.F. HOCK - E.N. l'NElL, The '
Chreia in Ancient Rhetoric, I. The Progymnasmata, Atlanta, Scholars Press 1986 e The Chreia and Ancient Rhetoric, II. Classroom Exercises, Leiden-Boston-Köln, Brill 2002.
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zata di quanto si ritenga comunemente. Uno spunto fondamentale per questa direzione di ricerca è dato già dalla semplice constatazione che í protagonisti delle chreiai di cui abbiamo notizia sono, in grande maggioranza, figure di filosofi, nonostante il fatto che in quanto esercizio di scuola (infra, p. 168 sgg.) la chreia non appartenga all'insegnamento della filosofia: esso fu appannaggio di altri insegnanti, il retore e il grammatico — e almeno nel primo caso il rapporto con lo studio della filosofia fu, notoriamente, conflittuale. Il discorso sarà naturalmente diverso se prescindiamo dall'aspetto de lla `manipolazione' per considerare la chreia solo in quanto aneddoto: non c'è dubbio, infatti, che ricchi repertori di questo tipo circolassero anche all'interno delle scuole filosofiche. Come ancora vediamo nell'opera di Diogene Laerzio, il racconto di gesti e detti dei capiscuola e dei loro successori, spesso istruttivi ma anche solo curiosi, costruiti comunque in modo da imprimersi nella memoria, è sempre in grande evidenza accanto all'esposizione della dottrina e a ll e sezioni dossografiche ed anzi, per quanto ne sappiamo, le raccolte di chreiai più ampie ed antiche furono dovute proprio all'iniziativa di filosofi.z Ma questa letteratura restera appena sullo sfondo della ricerca che qui presento: quelle raccolte entrano in gioco solo come i bacini dai quali, in ultima istanza, sono stati prelevati i testi selezionati per la scuola, ma esse si collocano ad un livello di circolazione libraria che è fondamentalmente distinto da quello della chreia `manipolata' nella classe del retore o del grammatico. È perciò subito necessario circoscrivere l'indagine, perché una delle difficoltà nell'accostarsi a questo genere di testi sta proprio nel fatto che ci sono tantissime chreiai e dappertutto: basta sfogliare qualche opera di Plutarco per vedere cosa potesse produrre un autore antico, e con quale grazia e maestria, usando quasi solo le risorse di un utensile compositivo eccezionalmente versatile, sviluppando e combinando fra loro questi aneddoti `minimi' che la scuola da subito gli insegnava a gustare, e soprattutto a modellare in una molteplícítà di forme. 3 Per non disperdere
2 In Diogene Laerzio troviamo citate raccolte di Metrocle (VI 33), Zenone (VI 91), Perseo (VII 36, in quattro libri), Aristone di Chio (111 163, in undici libri), Cleante (VII 175), Ecatone (VI 4, 32, 95, in più libri). Metrocle fu allievo di Teofrasto e poi Cratete di Tebe, dunque questo tipo di raccolta data già dalla primissima età ellenistica: per í dati
cfr. J.F. KINDSTRAND, Diogenes Laertius and the Chreia Tradition, «Elenchos», VII, 1986, pp. 219 243: 227 229, e M. O. GΟÚLΕT-CAZÉ, Le livre VI de Diogène Laërce: analyse de sa structure et réflexions méthodologiques, ANRW, II 36.6, 1992, pp. 3880 4048: 3910 sg. 3 Sul riuso letterario della chreia in Plutarco si veda M. BECK, Plutarch's Declamations and the Progymnasmata, in Studium Declamatorium. Untersuchungen zu Schulübungen und Prunkreden von der Antike his zur Neuzeit, hrsg. von B.-J. e J.-P. SCΗRÖDεR, h inchenLeipzig, Saur 2003 («Beitrge zur Altertumskunde», 176), pp. 169-192. -
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la ricerca ed arrivare, se possibile, a un risultato concreto mi atterrò dunque ad una accezione volutamente restrittiva dei concetti di `chreia' e di `educazione' enunciati nel titolo: ignorando gli scenari dilatati di Paideia per riferirmi costantemente alla scuola antica in quanto í s t i t u z i o n e — coni suoi ordinamenti, í suoi programmi, le sue quotidiane consuetudini — ed alla chreia come l'esercizio di composizione, scritto secondo regole prestabilite, che era praticato al suo interno. Della chreia in questo senso preciso abbiamo più di una definizione nei trattati di scuola intitolati Progymnasmata, «Esercizi preliminari»: della loro collocazione nella prassi di insegnamento tornerò a parlare fra poco. La più antica fra le definizioni conservate risale ad Elio Teone, un autore comunemente datato all'epoca di Quintiliano, nella seconda metà del I secolo, e in ogni caso posteriore a Dionigi di Αlicarnasso: 4 Χρε~ α εσΤì σ~ντσλoς äπ~ φασις 1' πρ ~ ξις µετ ' εY στοχ~ ας ~ναφεροµενη ε'ι τ ~ ρισµ ~ Νον πρ ~ σωΠον i' ~ναλσyσ vν πρ o σ~πω.5
4 Un riferimento esplicito agli studi dionisiani su Demostene (su un problema di autenticità, cfr. Dion. Halic. Demosth. 57.3 Aujac) ricorre nella parte del trattato perduta in greco, ma conservata nelle antiche traduzioni armene, che è ora finalmente edita (con l'indispensabile traduzione francese a fronte) da G. Bolognesi nella nuova edizione curata da M. PATILLON, Aelius Théon, Progymnasmata, Paris, Les Belles Lettres 1997 («C.U.F.»), p. 106. Abbiamo dunque un terminus post che potrebbe essere in realtà molto vicino a Teme (cfr. nell'ed. cit. le osservazioni a p. 169, n. 546 sul valore del dimostrativo che nel testo armeno accompagna il nome di Dionigi); in ogni caso il fatto che Teme in parte condivida con Quintiliano la reazione contro tendenze che erano tuttavia proprie dell'ambiente di scuola romano già dall'età augustea non costringe ad abbassare la sua datazione, come si fa di solito, verso l'età flavia: W. STEGEMANN, s.u. Theon (5), RE VA, 1934, col. 2037 «wahrscheinlich [...] ein Zeitgenosse Quintilians», M. WEIBENBERGER, su. Theon (6), DIP 12/1, 2002, col. 375 «am ehestens in das I. Jh. n. Chr. zu datieren», KENNEDY, Progymnasmata, cit. (supra, n. 1), p. 1 «almost any time in the first century after Christ». Píù prudente ora Patillon, ed. cit., p. IX «on peut dire que cette doctrine est proche dans le temps de l'époque de Quintilien, et meme, est-on tenta d'ajouter, antérieure». Datazioni alte di Teme (all'età augustea) erano state proposte in studi di fine ottocento, per i quali rinvio alla voce di Stegemann già citata, colf. 2037-8. Sulla recente ipotesi di identificazione dell'autore con un rhetor della tarda antichità si veda infra, n. 59, a proposito dell'articolo di M. Heath. Theon, p. 96.19-21 Sp. (p. 18 Pat.). Patillon (nella nota 120 a p. 133) intende ävoλoγovv come equivalente al πρ~ σωπον ~~ ριστoν in Ermogene, Stas. p. 30. 12 Rabe (il fatto cioè di riferirsi a qualcuno con il solo pronome indefinito), ma non avrebbe senso una definizione che includa un personaggio «determinato» ed il suo contrario. Credo che Teme voglia piuttosto riferirsi a protagonisti parzialmente individuati attraverso qualifiche diverse dal nome, cfr. Hermog. Stas., p. 29.16-7 R.: «la seconda categoria (di personaggi) è quella `riferita a qualcosa', ad esempio: padre, figlio, servo, padrone» (per il concetto cfr. Quint. Inst. III 5.8-9 refertur ad aliquid [...] uelut latens persona).
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La chreia consiste in una dichiarazione in forma concisa o in un'azione riferita con mira precisa ad un personaggio determinato (o che abbia funzione analoga ad un personaggio).
La definizione che fu invece più in uso, se consideriamo le vicende di questo tipo di esercizio nel ciclo quasi millenario della scuola bizantina, è quella che leggiamo nei Progymnasmata nitidi e stringatissimi di un allievo di Libanio, Aftonio, attivo verso la fine del IV secolo: Xpaici εστιν äπoµνηµ ~νεvµα σ ~ ντoλoν ε~στ~χως εΠΙ Tt πρ~ σωπον ~Ναφερoυσα. 6 La chreia è un aneddoto in forma concisa, e si riferisce con mira precisa ad un personaggio.
Definizioni analoghe sono date dallo Ps.Ermogene (che ignora la nozione di ευστοχ~ α) e da Νicοlao.7 La sostanza non cambia, e la chreia si identifica (1) per essere un detto o gesto raccontato in redazione σ~ντοµος,di norma in un unico giro di frase,$ (2) per la prontezza di spirito ( ε~στοχια) che caratterizza la reazione del protagonista, infine (3) perché il protagonista è un personaggio determinato di norma famoso. Le ultime due caratteristiche, come gli antichi maestri puntualmente sottolineano, permettono di distinguere la chreia dalla gnome, la «massima» che è invece anonima ed ha impiego universale: nel nostro caso ci troviamo dunque di fronte ad un aneddoto icastico, non privo di valenza gnomica ma già avviato, grazie alla presenza di un protagonista individuato, sulla strada di un (micro)racconto. Sottolineo subito questo fatto perché, se è vero che da un certo punto di vista la chreia si differenzia dalla `massima', da un altro — che in prospettiva storica credo sia stato più importante — essa fa corpo invece con l'esercizio che consisteva nella narrazione di un fatto ( µ vθoς δι~γηµαrispettivamente, a seconda che il racconto fosse inventato, inteso come realmente avvenuto): qualunque sia l'ordine degli eser6 Aphthonii Progymnasmata, ed. H. RABE, Rhetores Graeci, X, Lipsiae, Teubner 1926, p. 3.21-22. Aftonio è menzionato in una lettera di Libanio del 392 (Ερ. 1065). 7 Rispettivamente a p. 6.4-6 Rabe e p. 19.7-9 Felten (per questi Progymnasmata si veda più avanti, note 13 e 14). Ricordo che un esempio interessante e per ora isolato di definizione in forma catechetica di domanda e risposta è stato restituito da PSI I 85, per il quale rinvio, in questo volume, al contributo di G. Bastianini, pp. 249-261. 8 Il requisito è fondamentale, perché spiega l'esclusione di denominazioni alternative come ~π~ φθεΥµ a e äποµνηµ ~νενµα,che a differenza di χρε~ α non implicano restrizioni riguardo a ll a lunghezza del testo: Theon, p. 97.4-5 Sp. (p. 19 Pat.), Ps.Hermog., p. 6. 1617 R., e cfr. KINDSTRAND, art. cit. (supra, n. 2), p. 221 sgg.
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cizi, che come ora vedremo è mutato nel corso del tempo, la chreia resterà tuttavia sempre parte di questa terna. Di seguito alla definizione i Progymnasmata forniscono le istruzioni per lo svolgimento dell'esercizio, grazie alle quali l'allievo trasformava la redazione «concisa» che gli era stata assegnata in una versione píù o meno estesa; Aftonio allega anche, alla fine di ciascuna sezione, esempi chiari ed eleganti di composizioni finite (per la chreia, pp. 4.16-6.19 R.). Abbiamo dunque un'eccezionale opportunità di entrare, per questa strada, nel mondo della scuola antica, ma non dobbiamo mai dimenticare che í materiali redatti per l'insegnamento, come í manuali, i trattati, í commenti, e appunto i Progymnasmata, sono la faccia visibile di una prassi didattica che ne ha un'altra nascosta: cioè la parte di gran lunga maggiore e più vitale dell'insegnamento antico, la lezione `in aula' infinite volte ripetuta e dimenticata, fatta solo per quella classe — e certamente non per la memoria dei posteri. Esistono però fortunate eccezioni. Accade infatti che il casuale ritrovamento di un papiro9 possa mettere nelle nostre mani il testo di un esercizio che doveva essere cestinato — che anzi riprende vita proprio perché fu gettato via dopo l'uso — in un fl ash subitaneo su qualcosa che non era destinato ad occhi estranei, e tanto meno ai nostri. È il grande fascino di questi prodotti `poveri', 10 ma anche il loro rischio. Perché nel momento in cui noi facciamo l'edizione di quell'esercizio e poi lo stampiamo, come ad esempio avviene egregiamente nel Corpus dei Papiri Filosofici, esso assume una qualità di `testo', ma testo propriamente non è, almeno non a livello degli altri. Vedremo più avanti, a proposito del noto esercizio di flessione su una chreia di Pitagora (infra, p. 172 sgg.), quelle che a me paiono le implicazioni metodologiche di questa inevitabile violenza che noi operiamo, impietosamente divulgando gli errori di quello scolaro in quel momento.
Naturalmente intendo `papiro' estensivamente: proprio nell'ambito de ll a scuola molto alta l'incidenza di materiali alternativi, come gli ostraca e le tavolette; íl papiro stesso è di norma riutilizzato di `seconda mano'. 10 Sui testi di scuola, le loro caratteristiche materiali e la prassi didattica, rinvio al fondamentale contributo di R. CmBI0RE, Writing, Teachers, and Students in Graeco-Roman Egypt, Atlanta, Scholars Press 1996 («American Studies in Papyrology», 36), come al suo bel saggio, dí taglio più storico - culturale, Gymnastics of the Mind: Greek Education in Hel-
lenistic and Roman Egypt, Princeton-Oxford, Princeton Univ. Press 2001. CRIBIORE, Writing, cit., pp. 173-284 offre anche un inventario ragionato di 412 pezzi attribuiti, su vari
criteri, all'ambito della scuola, che ormai sostituisce le liste precedenti (G. 2ALAT=o, «Aegyptus», XLI, 1961, pp. 160-235 e J. DEBUT, «ZPE», LXIII, 1986, pp. 251-278). Un ut il e complemento, con la disposizione dei pezzi in base agli autori citati, in R. CRIBIORE, Literary School Exercises, «ZPE» , CXVI, 1997, pp. 53-60.
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I Progymnasmata di cui ho parlato sono stati scritti per durare, e dunque qui siamo su un terreno noto. Gli esercizi presi in esame sono `preliminari' nel senso che l'apprendimento delle tecniche relative doveva precedere l'altra, superiore forma di allenamento, cioè la melete, a noi più familiare col suo nome romano di `declamazione', che costituiva la tappa conclusiva e professionalizzante della scuola di retorica. Si cominciava con i progymnasmata, si continuava con la melete — e si usciva dalla scuola, se mi si passa una approssimazione moderna, più o meno `avvocati'. La chreia è appunto uno degli esercizi preliminari, anzi si colloca sempre verso l'inizio di questo percorso. Dal momento che nella trattatistica ci appare saldamente incardinata in una taxis nota, vuol dire che quando ne recuperiamo qualche esempio dalle sabbie d'Egitto non dovremmo fare altro che riportare idealmente quella chreia nel suo contesto d'origine: all'interno dei progymnasmata e dunque dentro il ciclo iniziale degli studi di retorica, cioè quello che seguiva la scuola del grammatikos e precedeva gli esercizi di declamazione sotto la guida del rhetor. Però le cose non tornano come vorremmo, a conferma di quello scarto fra le due realtà della scuola di cui parlavo sopra: dove infatti i trattati tendono a farci ragionare in modo normativo, la prassi didattica deve seguire il corso dei tempi e trovare compromessi adatti per nuove esigenze. Quando infatti i nostri ρaρirill ci restituiscono chreiai di scuola il contesto non quello, che ci saremmo aspettati, degli `esercizi preliminari', ed í materiali cui sono aggregate non sono quelli cui si accompagnano nei Progymnasmata di tradizione medievale. 12 In apparenza le due facce non combaciano come vorremmo, ed anche í trattati riservano qualche sorpresa. Proprio a questo livello ci accorgiamo, infatti, che col passare del tempo l'esercizio della chreia muta posto e funzione: mentre in Teone apre l'intera serie, seguito dal mythos e poi dal dieghema,
11 La precisazione è importante: giustamente CRIBIORE, Gymnastics, cit., p. 234 ricorda l'assenza di papiri provenienti dall'area di Alessandria, il solo centro in Egitto dove si potevano frequentare scuole del livello più alto; nel caso della retorica, questo comporta sicuramente una rappresentazione in buona misura distorta. 12 Ritengo sia un'eccezione solo apparente PBour 1 (CPF I.1**, 48 iT), il celebre «cahier d'écolier» pubblicato da P. Jouguet nel 1906 (CRIBIORE, Writing, cit., 393). Le cinque chreiai di Diogene che vi leggiamo sono seguite da gnomai, e questo potrebbe far pensare ad una sequenza che è in effetti attestata nei Progymnasmata posteriori a Teme; ma appartengono a tutt'altro ambito i materiali per la sillabazione che precedono, ed infine il passo di Babrio che conclude la raccolta non è affatto — come ci aspetteremmo all'interno dei progymnasmata — uno dei mythoi, ma è stato confezionato sul Prologo del I libro (cfr. M.J. Luzzatto in Babrii Mythiambi Aesopei, edd. M.J. LuzzArro - A. LA PENNA, Leipzig, Teubner 1986, p. LVIII).
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scivola invece al terzo posto (mythos / dieghema / chreia) negli altri, da Ermogene 13 al già citato Aftonio, al più tardo degli autori di Progymnasmata conservati, Nicolao di Míra. 14 Si potra obiettare: ma è poi tanto importante? Credo che non solo la risposta sia affermativa, ma che proprio la diversa collocazione della chreia offra una chiave di lettura indispensabile per ricostruire correttamente la genesi storica di questa pedagogia. In Teone, infatti, l'esercizio ha la funzione specifica di eisagoghé dell'intero ciclo e sta al primo posto nel senso preciso che non avrebbe potuto stare altrove: far scivolare la chreia in terza posizione significa, di fatto, scardinare un sistema che è stato pensato tutto assieme, e non come serie di blocchi fra loro commutabili. 15 Dobbiamo allora porci due domande: (1) perché l'esercizio della chreia attestato nei papiri è diverso da quello dei nostri Progymnasmata? e (2) perché a partire da un certo momento l'esercizio ha cambiato posto all'interno dei Progymnasmata? La risposta al primo quesito è facile, più complessa e rischiosa la seconda: ma vale la pena di provarci, perché essa nasconde un problema affascinante che ci portera, a ritroso nei secoli, nella culla stessa di una pedagogia illustre e dimenticata. Prima di incamminarci su questa strada è tuttavia necessario definire meglio la nozione, molto inflazionata, di chreia `di scuola', cercando di sgomberare il terreno dagli elementi dí disturbo. Come già ricordavo, gli antichi hanno molto amato ed usato la chreia che sembra essere stata chiamata così proprio per essere «impiego», χρε~ α –
13 Edito da H. RABE, Hermogenis Opera, Rhetores Graeci, VI, Lipsíae, Teubner 1913, Ρ. 1 sgg. In realtà, per quasi unanime consenso degli studiosi, Ps.Ermogene, cfr. G. LINDBERG, Hermogenes of Tarsus, ANRW, II 34.3, 1997, p. 2053 sg., con bibliografia e discussione. Per l'autenticità si pronunciano invece HOcK-O'NEIL, Chreia, cit. (supra, n. 1),
I, p. 160. I dubbi erano già antichi, e troviamo una attribuzione alternativa a Libanio (per dati cfr. la praefatio dell'ed. Rabe, p. IV); l'opera è in ogni caso anteriore ad Aftonio, e sembra probabile una datazione nella prima metà del III sec. d.C. Heath (nell'art. cit. più avanti, n. 59) p. 159 sg., avanza ora l'ipotesi, com'egli ammette, attraente ma non verificabile, che l'autore sia Minuciano. " Allievo di Lacare ad Atene, quindi noto professore a Costantínopoli nell'ultimo trentennio del V secolo, Nicolao era ancora in att~vítà sotto Anastasio (che fu imperatore ne gli anni 491-518): cfr. W. STEGEMAIN, s.v. Nikolaos (21), RE XVII.1, 1936, col. 424 sg. Ant i c i pa invece l'insegnamento a Costantinopoli già alla metà del secolo J. FELTEN, Nicolai Progymnasmata, Rhetores Graeci, XI, Lipsiae, Teubner 1913, pp. xxi-xxvi. 15 Giustamente R. WEBB, The Progymnasmata as practice, in Education in Greek and Roman Antiquity, Y.L. Too (Ed.), Leiden-Boston-Köln, Brill 2001, pp. 289-316: 297 «the particularly complex and carefully graduated system of exercises which he [Theon] describes certainly functions as a whole».
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appunto, κατ' ~ξοχ~ν — e la ragione è che essa serviva alla vita, più che alla scuola, o meglio la si imparava subito a scuola, come avveniva per i brani di poeti famosi, proprio allo scopo di riusarla poi nella vita: necessaria pueris, iucunda senibus, nelle parole di Quintiliano (I 4.5). Una persona colta doveva sempre avere sotto mano detti ed aneddoti; ne acquisiva l'abitudine fin dalla prima infanzia e passava il resto della vita a riusarli e collezionarli. Se però questo è vero, il fatto di ritrovare una chreia analoga, per tipologia, a quelle usate nella scuola non autorizza a dedurre automaticamente la sua appartenenza a questo ambito, né la qualità povera e/o occasionale del supporto può costituire, a mio avviso, un argomento conclusivo in questo senso. La considerazione vale naturalmente per note raccolte, come quelle di due illumina con verso bianco del II Ι sec. a.C., PVindob G 29946, íl nostro più antico testimone su Diogene cinico (CPF I.1**, 48 8Τ Aneddoti su Diogene) o la Trattazione concernente Socrate in PHibeh 182 (CPF I.1***, 95 3Τ): in questi casi nessuno ha messo in dubbio che si tratti di materiali propriamente librari, da valutare come «literature in its own right», 16 nell'ambito della ricca e variegata produzione biografica antica. Sono appunto esempi delle opere, cui accennavo all'inizio, dalle quali era facile prelevare singole chreiai da usare eventualmente nella scuola, una volta ritoccata la redazione del testo nei modi opportuni. Come ciò avvenisse in concreto, capiamo subito mettendo a confronto le due versioni di uno stesso episodio (la reazione di Socrate all'ansia di Santippe per l'arrivo imprevisto di ospiti) nel citato PHibeh 182 (fr. A col. II) e in Diog. Laert. II 34; dove, a differenza di quanto avviene sul papiro, il detto è appunto formulato nelle convenzioni della chreia. Allo stesso modo il frammento letterario restituito da PFlor 113, ancora da un volumen con verso bianco (CPF I.1***, 95 2Τ) non è evidentemente una chreia, ma semplicemente ne utilizza una, 17 e in termini di cautela credo che anche nel caso di un testo pesantemente integrato come PRein 85 (CPF I.1*, 24 62Τ = I.1**, 48 4Τ) la catalogazione come `scolastico' sia quanto meno aperta al dubbio. 18 L'unica certezza è che vi si legge un
art. cit. (supra, n. 2), p. 233. Naturalmente l'impressione di avere a che fare con una chreia si accentuerà se 'scontorniamo' il testo stampandolo senza le parole iniziali, come in I. GALLO, Frammenti biografici da papiri, II. La biografia dei filosofi, Roma, Ed. dell'Ateneo & Bizzarri 1980 («Testi e commenti», VI), p. 229. 18 È incluso in CRIBIORE, Writing, cit., 211. Quanto alle considerazioni paleografiche, il profano resterà perplesso di fronte alle descrizioni molto diverse in GALLO, Frammenti, cit., p. 349 («maiuscola letteraria informale di non troppe pretese») e nella scheda de ll a 16 KINDSTRAND, 17
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noto detto di Diogene, ma il contesto non è píìl ricostruibile, e non detto che l'uso formulare di ~ ρωτηθεìς i~π~~Τ~νος — parole comunque a loro volta completamente integrate — non potesse ricorrere in altri ambiti, soprattutto a questa data ormai tarda (111 Ρ); basti pensare a quante volte ritroviamo queste formule nelle Vite laerziane. Vanno dunque ribadite le riserve già più volte espresse sulla identificazione di prodotti `scolastici': a parte la difficoltà di distinguere fra l'opera di allievi o di maestri, 19 nel caso della chreia, proprio per la funzione che essa ha svolto nelle consuetudini culturali antiche, è reale la possibilità di un uso certamente occasionale, ma non di scuola, l'appartenenza insomma ad uno spazio che vorrei dire di vita vissuta che nel caso di ritrovamenti papiracei entra in gioco di necessità, e che tuttavia le nostre categorie, formatesi su testi di altra tradizione, tendono a sottorappresentare. Alla luce di queste considerazioni dobbiamo chiederci: può bastare il fatto che un testo — identico per tipologia alle raccolte letterarie di cui abbiamo parlato — compaia invece su un supporto non librario per classificarlo come `scolastico'? Penso al noto detto di Socrate riportato su un ostracon di età tolemaica, OBero! inv. 12311 del liIa (CPF I.1***, 95 9T, rr. 4-8). Come dimostra l'attacco iniziale (r. 4 ovχ ~ ρä~ ς), si tratta dell'excerptum da un'opera sul filοsοfο20 che fa subito pensare, per il contenuto, a una chreia socratica, ma formalmente — l'aspetto cui sarebbe stato sensibile un lettore antico — non lo è affatto, anche se la trasformazione era facile: in Diogene Laerzio (II 34) lo ritroviamo appunto come χρε~ α, mentre la Retorica ad Erennio (IV 39), per fare un altro esempio, riporta la stessa battuta in forma di γν~µηanonima. Ma questo è precisamente quanto chi ha vergato OBerol n o n ha inteso fare, con la conseguenza che mentre in tutte le altre testimonianze 21 il detto compare,
Cribiore, che lo pone nella classe «alphabetic», vale a dire (Writing, cit., p. 112) «the hand of a learner [...] who has not yet developed hand-eye coordination». Noto che il verso bianco e l'ampio margine inferiore non sono incompatibili con un manufatto di tipo librario. 19 Per questo ed altri problemi rinvio a ll e osservazioni di G. BASTIANINI, Testi gnomici di ambito scolastico, in Aspetti di letteratura gnomica nel mondo antico Ι, a cura di M.S. FUNGHI, Firenze, Olschki 2003 (Accademia Toscana di Scienze e Lettere `La Colombaria', «Studi», 218), pp. 167-170. In uso di un docente poteva essere il rotolo (PMich inv. 25 e 41 + POslo 177) da cui provengono í frammenti con chreiai di Aristippo (CPF I.1*, 21 1T) e Diogene (CPF I.1**, 48 3T): cfr. CiuBIozil, Gymnastics, cit., p. 139. 20 GALLO, Frammenti, cit., p. 224 «trascrizione da un'opera in forma di dialogo» e G. BASTIANINI, CPF, cit., p. 767 «da un logos Sokratikos del IV a.C., di autore non identificabile». Senza fondamento DEBUT, cit. (supra, n. 10), p. 262 (a1 nr. 207) «paraphrase d'une phrase de Sokrate». 21 Comodamente riportate in GALLO, Frammenti, cit., p. 221.
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secondo le convenzioni della scuola, in forma di microtesto autonomo, ciò non avviene proprio sul nostro ostracon `scolastico'. In casi come questo credo sia giusto fermarsi alla categoria, reale anche se per noi insoddisfacente, di un `effimero' 22 che con la scuola potrebbe non avere nulla a che vedere. Di più, anche quando convergano altri criteri considerati sicuri — come il fatto che una chreia ricorra isolata e che la mano sia decisamente non calligrafica — la convinzione che si tratti dell'esercizio di copia di uno scolaro non sarà sempre giustificata, perché una persona colta e di mondo poteva avere molte ragioni per appuntarsi una citazione utile, e poteva farlo anche con una pessima calligrafia su di un ostracon o un papiro di `seconda mano'. Come spunto per una riflessione farò al riguardo due esempi che hanno in comune con i papiri la qualità diretta della testimonianza, ma provengono da ambiti diversi. In un graffito ercolanese 23 compare una tipicissima chreia di Diogene, misogina come ben le conosciamo e con il suo attacco standard ( ∆ιογ~νης ~~κυνικ~ ς φιλ~ σοφος iδ~ν Γ...]); sarà anche stata appresa a scuola (somiglia molto, come tipologia, alle chreiai copiate, secoli più tardi, su PBour 1) ed all'ambito della scuola sicuramente sarebbe stata attribuita se l'avessimo ritrovata su un ostracon: però è un dato di fatto che lì dove la leggiamo, sulla parete della più nota taberna di Ercolano, non è affatto in un contesto di scuola, .e dunque non si vede perché dovrebbe automaticamente esserlo quando la ritroviamo altrove. La seconda testimonianza viene dall'esperienza 22 Rinvio alle pertinenti osservazioni di M.S. FUNGHI, Tipologie delle raccolte papiracee dei monostici: vecchie e nuove testimonianze, in Aspetti, cit., p. 16 sg., n. 44, in particolare a p. 17 sul lotto di ostraca cui appartiene anche il nostro («un'attività di raccolta di testi per uso personale, non soltanto ad usum scholae»). Aggiungo che un'indagine sulle
motivazioni dello scrivente dovrebbe interrogarsi su stranezze che poco se rv e liquidare come sciocche: penso alla parole che si leggono di seguito alla citazione, ai rr. 1-3 del nostro ostracon, di un frammento dall'Egeo di Euripide (F. JouAN - H. VAN LOOP Euripide, VIII Fragments, 1' partie, Paris, Les Be ll es Lettres 1998, p. 12 «inepte sequitur»). E naturalmente andrebbero considerati nel loro insieme tutti i materiali di uno stesso ritrovamento: per i dati sul nostro e gli altri ostraca dello stesso lotto rinvio a G. BASTIANINI, Testi gnomici, in Aspetti, cit., pp. 172 sg. Con l'eccezione di uno, sono stati tutti inseriti in CRIBIORE, Writing, cit., nrr. 233 236 (il nostro) come opera di «a teacher or an older student». 23 Il nr. 264 nella raccolta di A. Μλιυm, Ercolano. Ι nuovi scavi 1927-1958, Roma, Ist. Poligrafico dello Stato 1958, p. 433 sgg., riedito con ampia discussione in GALLO, Frammenti, cit., pp. 311-324 e, da ultimo, G. STROHMAIER, Die Weisheit des kleinen Mannes. Das Gnomologium — eine ausgestorbene, aber dennoch amisante Literaturgattung, in Selecta colligere, I (Akten des Kolloquiúms "Sammeln, Neuordnen, Neues Schaffen. Methoden der Uberlieferung von Texten in der Spätantike und in Byzanz", Jena 21.-23. November 2002), hrsg. von R.M. PICCIONE - Μ. PERKAMS, Alessandria, Ediz. dell'Orso 2004 («Hellenica», 11), pp. 3-16, per la sua presenza nella tradizione araba. ,
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personale di Quintiliano, e suggerisce una prospettiva che mi pare trascurata sul problema, sempre controverso, della qualità grafica di un reperto. A livello del singolo manufatto il giudizio è notoriamente soggettivo, ma non per questo viene messo in discussione il presupposto di metodo delle classificazioni: che si debba cioè ipotizzare una direzione univoca, dalla grafia (lenta, incerta, disarmonica) dello scolaro che impara a scrivere a quella (sicura, veloce, eventualmente elegante) della persona colta. E questo il principio sul quale poggia la distinzione nelle quattro classi individuate dalla Cribiore. 24 Ma se è vero che in alcune epoche ed ambenti era diffusa la tendenza a trascurare gli esercizi dí calligrafia, il criterio perde molto del suo valore, e questo sari tanto più vero quando vengano a coincidere la cattiva qualità della grafia e della superficie su cui la troviamo. Siamo davvero convinti di saper distinguere fra le classi 'evolving' o 'rapid' della Cribiore e la mano di uno di quei personaggi di rango, gli ponesti, ai quali Quintiliano (I 1.28) rimprovera dí non aver fatto pratica sufficiente di calligrafia? ed il cui stilus resta perciò a vita tardior, rudis, confusus — precisamente le caratteristiche usate dagli studiosi per individuare mani inesperte di scolari? 25 Eppure Quintiliano non parla affatto di scolari né di ragazzi e neppure di maestri, ma di ricchi e colti signori abituati a scrivere con mano pesante pessime brutte — per poi dettare la bella copia ai loro segretari. Non c' ragione di pensare che l'area egiziana fosse immune da un fenomeno tanto diffuso nella società-bene di Roma da indurre un professore eminente ad un monito deciso: non est aliena res, q u a e f e r e ab h o n es t i s ne g l e g i so l e t, cura bene ac velociter scribendi! II. TECNICHE DI `MANIPOLAZIONE' In ogni caso, reperti di questo tipo potrebbero dirci qualcosa solo sulla fase `passiva' dell'apprendimento, durante la quale gli allievi si limitavano a copiare e mandare a memoria brevi testi in poesia e prosa,
Writing, cit., p. 112: nell'ordine, `zero-grade', `alphabetic', `evolving', `rapid'. CRIBIORE, Writing, cit., p. 112 «slow pace», «pur overall effects», «clumsy and uneven looks» (a proposito delle mani `alphabetic' ed `evolving'); forse solo la `zero-grade hand' resta al di sopra di ogni sospetto. Anche la studiosa cita (p. 113) ii passo dí Quintiliano, come attestazione dell'importanza, per lo studente, dí una grafia chiara e leggibile «to meet his future needs in study and life»: ma l'aspetto per noi interessante è che Quintiliano lamenta il fatto che quella pratica s i andava perdendo e che, soprattutto ai livelli sociali più alti, la norma era ormai scrivere piano e male. 24
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fra i quali appunto le chreiai:26 lavoro antico, proprio dei livelli elementari, che non è mai cambiato nel corso dei secoli. Ma per capire la didattica della chreia nella scuola superiore e ricostruirne lo sviluppo storico abbiamo bisogno di passare alla fase `attiva' dell'esercizio, quando gli stessi testi venivano reimp ιegati 27 per l'operazione che nel gergo di scuola andava sotto il nome di γvµνασιa (Theon, p. 101.3 Sp., p. 24 Pat.) o ~ ρyασι c' (Ps.Hermog. p. 7.11 R., Aphthon. p. 4.12 R.),28 cioè la `manipolazione' della chreia. A questo livello lo scolaro doveva lavorare sul brano «conciso» che gli era stato assegnato (vedi le definizioni, supra, p. 159 sg.), come fosse un pezzo di creta cui dare le forme più varie: doveva parafrasarlo, allungarlo, comprovarlo ex contrario, inserire l'elogio del protagonista, aggiungere confronti, esempi e via dicendo. In un compito ben fatto, come vediamo dall'esempio dato in Aftonio (pp. 4.16-6.19 R.), una chreia di due righi diventa un opuscolo di due pagine, 29 freddo e lezioso per il nostro gusto ma a ben guardare molto sofisticato dal punto di vista della stesura formale. Chi è in grado di giocare così abilmente su un 26 Sen. Ep. 33.7 pueris et sententias ediscendas damns et has quas Graeci chrias vocant, Quint. I 1.36 dicta clarorum uirorum e I 9.3 sententiae quoque et chriae [...] aped grammaticos scribantur. Ma cfr. già Isocr. Ad Nicocl. 44, Plat. Leg. VII 811Α 1 sgg., Xen. Mer. 16.14. 27 Questo aspetto è giustamente sottolineato in CRuBIoRE, Gymnastics, cit., p. 224: «Chreiai, for instance, were already a part of previous educational stages [...] rhetorical education purposely pulled chreiai out of their elementary context and made them into something more elaborate». Il riuso diventava fenomeno di gusto: per un esempio concreto rinvio al lavoro della studiosa sulle Fenicie, la cui popolarità a scuola «corresponds exactly to the strong favor it enjoyed among the cultivated public» (R. CRIBIORE, The Grammarian's Choice: the Popularity of Euripides Phoenissae in Hellenistic and Roman Education, in Education, cit., pp. 241-259: 242). La tendenza a limitare la scelta dei passi da studiare va dunque valutata come espressione dí un metodo pedagogico e sarà un errore, in linea di principio, metterla in relazione con una scarsa disponibilità dí testi. 28 Sicuramente píù tarda e non originaria è l'estensione a questi esercizi della terminologia declamatoria (Nicol. p. 24.4 Felten δι~ ρητaa δ~~κεφαλςι oις το ~τοις): si veda infra, n. 31. 29 Che diventano sette volte tante per una chreia di Isocrate, facilmente confrontabile con quella di Aftonio, svolta da Libano (vol. VIII, pp. 82-97 Foerster; il complesso delle chreiai di Libano è pubblicato in Hocκ-Ο'NEIL., Chreia, tit. [supra, n. 1], II, pp. 113197). Qui siamo ormai sul terreno de ll a composizione letteraria: a ll o stesso modo, anche se frutto dí assai píù modesti talenti, saranno da intendere í resti di encomi, etopee, prosopopee e via dicendo restituiti dai papiri, che perciò lascio fuori dal mio discorso. Spesso l'estraneità ai progymnasmata in senso stretto h già dimostrata dal fatto che si tratta dí componimenti in versi; per i dati cfr. CRIBIORE, Gymnastics, cit., p. 228 sgg. (che non tiene conto a sufficienza de ll a possibilità che si tratti di una produzione legata a ll e gare dei πaî δες, com'è il caso del noto componimento su Fetonte di Q. Sulpicio Massimo, ibid., p. 241). Per lo píù abbiamo di fronte «componimenti estemporanei di persone colte,
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solo motivo potrà infine parlare su qualunque argomento e in qualunque scala — precisamente ciò che il rhetor voleva insegnare. Il requisito minimo per una presentazione adeguata restava tuttavia la correttezza grammaticale e ci spieghiamo così il fatto che in Teme, subito dopo la semplice parafrasi, la prima forma di `manipolazione' della chreia consista nella sua klisis, la «declinazione» del testo in tutti i suoi elementi attraverso í cinque casi al singolare e poi di nuovo al duale e al plurale, regolando di conseguenza la coniugazione delle forme verbali. Ad esempio: «Isocrate diceva che gli allievi ben dotati sono figli degli dei». Diventerà, di volta in volta: «Di Isocrate si ricorda che abbia detto [...]» «A Isocrate parve che Γ...] » «Raccontano che Isocrate abbia detto Γ...] » «Ο Isocrate, tu dicesti Γ...] » e poi ancora «I due Isocrati dissero Γ...] » «dei due Isocrati si ricorda [...]» e via dicendo, riprendendo daccapo con tutti i casi del plurale (Progymn. p. 101.16 sgg. Sp., p. 24 sg. Pat.). Dal nostro punto di vista il meccanismo conferisce al testo una dimensione surreale, ma c' poco da sorridere: 30 l'esercizio era veramente difficile e costringeva il ragazzo a padroneggiare con sicurezza una varietà di casi e di forme verbali, applicati sia a nomi comuni che a nomi propri (nella chreia non può mancare quello del protagonista!), molti dei quali poco, o punto usati nella conversazione ordinaria, e qualcuno mai attestato nella letteratura intera. Questi però non erano considerati inconvenienti: da una parte, infatti, l'esercizio aveva la funzione di consolidare l'acquisizione della morfologia su base analogica, dall'altra lo scarto rispetto al parlato realizzava un obiettivo che era insieme culturale (mettendo l'allievo in grado di `leggere i classici') e sociale, perché questa competenza da sola bastava a introdurlo nell'élite dei pepaideumenoi, che sanno usare il duale come Platone. Non saremmo perciò sorpresi che proprio a questo livello si realizzasse l'assegnazione di un primo `titolo di studio' e che la klisis della chreia segnasse la linea di soglia fra l'istruzione media e quella superiore. L'ipotesi sembra in effetti
che continuavano a dilettarsi in età adulta con quegli stessi esercizi che avevano appreso ad elaborare negli anni della scuola»: A. STRAMAGLIA, Amori impossibili. Ρ.Κöln 250, le raccolte proginnasmatiche e la tradizione retorica dell'«amante di un ritratto»,in Studium Declamatorium, cit. (supra, n. 3), pp. 213-239: 229. 3ο S.F. BONNER, Education in Ancient Rome, London, Methuen & Co. 1977, p. 257 «ludicrous». Anche più duro era stato il giudizio di H.I. MARROu, Histoire de l'éducation dans l'antiquité Paris, Ed. du Seuil 1948, trad it. di U. Massi, Roma, Edizioni Studium 19662 , p. 239 che parla di «pratica strana» e «disprezzo d i ogni logica». Una impostazione del genere fraintende del tutto.il significato di un esercizio i cui orizzonti culturali possono sembrare «limitatissimi» (ibid.) solo quando si commette l'errore di scorporarlo dal complesso progetto educativo cui dava avvio. ,
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confermata dal fatto che all'interno della sequenza di esercizi questo un tassello irrequieto, che appare e scompare o, se vogliamo essere più precisi, passa ora da una parte, ora dall'altra di un confine di grande rilievo nel curriculum scolastico. Mentre infatti Teone dedica proprio alla klisis della chreia più di due pagine, nei Progymnasmata più tardi l'esercizio sparisce dal programma. Ma sarebbe un errore pensare che Aftonio o Nicolao l'abbiano soppresso. Cosa sia in realtà accaduto è spiegato dall'autore più tardo, Nicolao, proprio all'inizio della sezione dedicata alla chreia, in una interessante retrospettiva sulla storia dell'esercizio che vale la pena di leggere per intero (Progymn. pp. 17.15-19.6 F.): Nell'ordine la chreia va inserita dopo il dieghema: sarà questa, infatti, la sequenza migliore. Ci sono, è vero, autori che hanno collocato la chreia nell'ordine sia prima del mythos che del dieghema e danno questa ragione del fatto che bisogna farla precedere: posto che la chreia possiede la qualità di insegnare ciò che è onesto e distogliere da ciò che è male «è necessario – dicono – che í giovani siano istruiti per prima cosa su questi temi». Ai quali bisogna replicare: l'argomento non è privo di logica, ma dal momento che l'esercizio della chreia richiede uno schema compositivo 31 più complesso di quanto avviene con il mythos e il dieghema si deve trattarla, nell'ordine, dopo di loro. Altri autori, nel metterla al primo posto, non le hanno però attribuito lo schema oggi in uso, ma hanno ritenuto che nel caso di ragazzi appena usciti da ll o studio dei poeti ed avviati alla retorica la presentazione del testo caso per caso e numero per numero fosse da sola adeguata all'esercizio oratorio, ed hanno impiegato la chreia in questo modo. Ad esempio: «Pittaco di Mitilene, alla domanda se fosse possibile compiere qualcosa di male all'insaputa degli dei, rispose: neppure pensarlo!». Per prima cosa lo presentavano al nominativo, poi negli altri casi di seguito. Al genitivo: «di Pittaco [...] si ricorda la risposta [...]»; al dativo: «a Pittaco [...] venne da rispondere [...]»; all'accusativo: «dicono che Pittaco [...]». Il vocativo è chiaro di per sé: rivolgeremo infatti la domanda direttamente all'autore della battuta «tu, o Pittaco [...] hai detto [...]». E così via, al duale e al plurale – se mai sia ammissibile, a scopo di esercizio, attribuire il discorso ad un secondo o anche a più Pittaci j 32 Questa, invece, è la ragione per cui oggi non bisogna mettere la chreia al primo posto: perché fin tanto che l'esercizio non
" Rendo così il tecnico δι aιρεσις, che indicava l'articolazione in una sequenza prestabilita di κεφ~ λαια, i «punti» da trattare, secondo la quale doveva essere organizzato il componimento finale. Come già ricordavo, questa terminologia deriva da ll a melete, ed il suo uso, insieme ad altri indizi, ci dice che al tempo di Nicolao gli allievi impegnati nei progymnasmata erano già in possesso di un'istruzione retorica di base: su questo tornerò più avanti, p. 182. 32 Si noti il tocco `moderno' (supra, n. 30), spia di una sensibilità che andava cambiando e • dell'avvenuto distacco, a questa data, dallo spirito originario dell'esercizio.
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usava uno schema in punti determinati, poteva andar bene impratichirsi nel discorso attraverso la modifica del testo secondo i casi, ma dal momento che la chreia segue ormai uno schema per punti, sari giusto metterla nell'ordine dopo il dieghema.
Abbiamo qui un esempio tipico di un ben noto fenomeno, 33 cioè la redistribuzione del carico didattico. Via via che i l programma di studi si appesantisce ai livelli più alti con l'arrivo di nuovi materiali, porzioni del vecchio programma vengono smistate all'insegnamento inferiore: così, la forma più elementare di manipolazione della chreia stata infine `sganciata' dalla scuola di retorica — ed assegnata invece a quella dι grammatica. D i questo secondo aspetto Nicolao non parla, perché era cosa notoria: 34 l'esercizio ha accompagnato nei secoli la vita dei ragazzi greci, e chiunque avesse studiato era passato attraverso la tortura della klisis. Ma 1l declassamento è attestato con evidenza materiale dai papiri, e per una volta non ci sono dubbi sulla natura dei reperti: tutti `quaderni' di tavolette cerate, l'utensile di scuola per eccellenza. I tre manufatti che riguardano la chreia sono PBrLibr Add Ms 37516 (CPF I. 1***, 91 2T), PBrLibr Add Ms 37533, e BodlGkInscr 3019 (CmBI0RE, Writing, cit., 364, 385, 388 rispettivamente), e si collocano, se li consideriamo dal punto di vista della letteratura progimnasmatica, nel periodo che va dallo Ps.Ermogene ad Aftonio: la provenienza è ignota, le mani sono diverse e anche le
Già segnalato in MAmtou, Storia dell'educazione, cit., p. 221. Esplicito è invece l'anonimo commentatore ad Aftonio riportato nella Συναγωγ~~ ~ξηγ~σεων di Giovanni di Sardi, Commentarium in Aphthonii Progymnasmata, ed. Η. RARE, Rhetores graeci, XV, Lipsiae, Teubner 1928, p. 37.7-18: «La chreia [...] è più affine al dibattimento e comprende l'argomentazione: non è infatti solo una `chreia', ma una `chreia argomentata'. L'aggiunta della discussione richiede competenze più avanzate: se infatti la chreia mutuasse il tipo di esercizio dai casi e dai numeri, come a v v í e n e a 11 a s c u o 1 a dei grammatici , sarebbe di conseguenza davvero solo una chreia, ma se invece si organizza sulla base di ragionamenti ed esempi, come appunto facciamo quando argomentiamo la chreia — passando a darne la dimostrazione, di seguito al proemio e alla parafrasi — allora non si tratta più di una `chreia' ma di una `chreia argomentata' ( ο~κ~τι χρε~α äλλà χρε~ας ~ατ' κατασκευ~ )». La κατασκευ~~di cui parla l'anonimo sottintende l'uso della διαιρεσις di cui parlava Nicolao (supra, n. 31), ed ambedue attestano il passaggio dalla semplice esposizione di una chreia ad un esercizio più avanzato, in cui l'allievo doveva dimostrare, argomentando punto per punto, la bontà di quanto detto o fatto dal protagonista. Per Teone invece la dimostrazione o confutazione di una chreia è solo una ulteriore tecnica di manipolazione, da riservare agli allievi più progrediti, cfr. pp. 64.30-65.1 Sp. (p. 8 Pat.) e p. 105.28-30 Sp. (p. 30 Pat.). Credo che l'avvenuto spostamento della klisis alla scuola del grammatico escluda l'ipotesi che gli autori cui replica Nicolao siano suoi contemporanei (come suppone HEATH, nell'art. cit. infra, n. 59, p. 149). 33
34
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datazioni proposte oscillano fra III Π e IVΠ,35 ma qui più che mai le perplessità sono forti, e si dovrebbe, credo, prendere seriamente in considerazione l'ipotesi che í tre reperti appartengano ad un unico lotto e provengano in realtà dalla stessa scuola. 36 Essi ci mettono a contatto diretto con il lavoro `in aula' degli allievi — perfino, in un caso, con il loro nome (la tavoletta Add Ms 37533 della British Librar, è il `quaderno' di Epafrodito) — con i loro errori, con i compiti finiti e con quelli interrotti e ripresi. Non c'è dubbio che i materiali di studio restituiti da queste tavolette appartengano alla scuola di un grammatikos: troviamo lunghe liste di verbi con le rispettive reggenze, flessioni di pronomi, prontuari di frazioni aritmetiche, parafrasi dell'Iliade, coniugazioni complete di verbi ed anche, l'aspetto che ci interessa in questa sede, le formule per la klisis di una chreia, identiche (a ulteriore conferma, io credo, dell'ipotesi di un'unica scuola fatta sopra) in tutti e tre í casi. Nel `quaderno' di Epafrodito e in BodlGkInscr 3019 lo schema è vuoto e le applicazioni previste sono in qualche modo evocate dalle `pagine' che seguono, rimaste per sempre in bianco, ma in PBrLibr Add Ms 37516, unica tavoletta sopravvissuta di un `quaderno', troviamo svolta per intero la klisis di una chreia — non attestata altrove — che ha per protagonista Pitagora. L'identità dello schema seguito con quello delle altre tavolette (Add Ms 37533) fu naturalmente subito rilevata dal Kenyon, 37 ma si deve al Brinkmann il collegamento, fondamentale, con la sezione sulla klisis nei Progymnasmata di Teone e con la discussione in Nicolao che ho
35 Per PBrLibr Add Ms 37516 la datazione al III secolo del primo editore (F.G. KENVON, Two Greek School-Tablets, «JHS», XXΙΧ, 1909, pp. 29-40), ripresa in CRIBIORE, Writing, cit., 364, è ora spostata al IV secolo in CPF, cit., p. 681 e ΒΑSτIAνINι, Testi gnomici, cit., in Aspetti, cit., p. 169. Questo suggerisce di portare alla stessa data anche le tavolette di Epafrodito, considerate coeve dal Kenyon e dalla Cribiore, così di fatto riallineando questi due manufatti con BodlGkInscr 3019, assegnato nell'ed. pr. (P.J. PARSONS, A school-book from the Sayce Collection, «ZPE», VI, 1970, pp. 133-149) al tardo III secolo («End III A.D.» in CRIBIORE, Writing, cit., 388). Naturalmente, trattandosi di materiali in uso in una scuola la diversità delle mani è quanto ci aspettiamo. 36 L'unità dei programmi e del metodo di studio sottintesi ai tre reperti dovrebbe a mio avviso prevalere sugli altri criteri dí classificazione, che ne hanno determinato l'inserimento in ordine sparso (anche se con rinvii reciproci) in CRIBIORE, Writing, cit., per di più assegnati a sezioni diverse (`Grammar' per il 364, 'Notebooks' per i nrr. 385 e
388). 37 Nell'ed. cit. p. 32. Ρíìι avanti, p. 40, mette in rapporto la natura elementare dell'esercizio con la provenienza de lle tavolette «from the provincial towns and v illages of Egypt», con fraintendimento tipicamente moderno di una prassi didattica che fu propria di tutto il mondo greco (e romano) e che in realtà discende, come vedremo, da una pedagogia di grande prestigio. ,
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riportato sopra. 38 Un caso insperato ci permette così di ricongiungere, per una volta, ~~ due versanti del lavoro di scuola e di integrare lo schema dottrinario proposto nei trattati con la concreta e laboriosa ergasia di uno scolaro, ma come accennavo all'inizio questo ha conseguenze sul piano del metodo che non mi sembrano acquisite. Quello che leggiamo non è infatti, in alcun modo, un testo `edito' e perciò richiede, da parte nostra, un radicale cambio di prospettiva. Se infatti neppure l'inclusione in raccolte destinate a ll a pubblicazione basta a garantire la stabilità di una chreia39 l'assenza, come è il caso della nostra tavoletta, di qualunque filtro editoriale antico impone di sottrarci alla suggestione del testo stampato e di considerarla per ciò che è — non un esercizio `di scuola' veicolato da canali tradizionali ma, cosa molto diversa, un esercizio fatto a scuola, con ~~ suoi gustosi strafalcioni che proprio per questo diventano, per una volta, la lezione filologicamente giusta.40 L'affanno dell'ignoto scolaro, che sembra entrare in crisi soprattutto di fronte ai vocativi ed ai duali, è l'aspetto che soprattutto incuriosisce il lettore moderno, ma le domande più interessanti riguardano in realtà il modo di lavorare non del ragazzo, ma del suo maestro. Perché appunto non abbiamo di fronte l'autore di una raccolta, ma uno sconosciuto grammatikos che, per quanto ne sappiamo, potrebbe aver dettato quel compito per un'occasione sola — adattandolo di conseguenza alle esigenze del momento. Il problema si pone anzitutto per il significato complessivo dι un aneddoto non privo di stranezze al quale manca, tra l'altro, la qualità fondamentale della εvστοχíα. Lo riporto con la traduzione data in CPF I.1***, 91 2T, p. 682: ö Πυθαγ~ ρας φιλ~ σoφo ς ~πΟβ~ς καì γρ ~ µµατα διδ ~ σκων σvvεβσ~ λευεν το~ ς ~ αΥΤΟU µα8ΗΤαις~ ναΙΜ~ ΝωΝ ~πY χεσθα~ . Il fil osofo Pitagora andato via e facendo il maestro consigliava discepoli di astenersi da animali sanguigni.
ai propri
Con il più neutro «andar via» A. Linguiti recepisce le obiezioni fatte da D. Sedley, in uno studio molto fine e stimolante sulla nostra chreia, alla precedente traduzione di ~πoβ~ς con «when he had dis38
152.
Α. ΒRINKMANν, Aus dem antiken Schulunterricht, «Rhl», LXV, 1910, pp. 149-155:
39 HOCK- Ο 'NEIL, Chreia, cit., I, p. 46: «each part of the chreia form — the character, the prompting circumstance (if any), and the saying or action — can be manipulated in ways that do little to preserve historical reminiscence». 40 È perciò del tutto incomprensibile la scelta di pubblicare l'esercizio ripristinando le forme verbali corrette (!) e mettendo gli errori dell'a ll ievo in apparato, come in HOCKΟ 'NEIL, Chreia, cit., II, pp. 64-65. Ia già nell'ed, pr. dí Kenyon, cit., p. 29 le forme sgrammaticate erano date, assurdamente, come «mistakes of transcription».
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embarked» (con riferimento all'arrivo di Pitagora in Italia) proposta da Hock-O'Nei1: 41 «if ~ποβ~ς meant `having disembarked', it could be so understood only in a context where Pythagoras is already known to be on shipboard. In a continuous narrative that would be fine. But chreiai are not mere decontextualised quotations; they are, above a ll else, self-c οntained».42 Tuttavia la nostra chreia ha in realtà un suo contesto, solo che non possiamo vederlo: è il contesto orale della lezione `in aula' durante la quale il maestro l'ha dettata, dopo aver parlato di Pitagora quanto riteneva necessario. Perc ιò il ragazzo antico avrà comunque attribuito un qualche significato ad ~πo β~ς, anche se probabile che questo fosse l'ultimo dei suoi problemi. Sul participio tornerò fra poco, dopo aver considerato un'altra evidente stranezza, cioè la posizione iniziale dell'articolo anziché, come in ogni chreia che s i rispetti, davanti a φιλ~ σοφος. Non credo s i tratti di scarsa fam~lΙarità del nostro ragazzo con il greco, né di una s u a decisione di spostare l'articolo in quella posizione «to mark out the sequence of cases and numbers down the left-hand side»: 43 Sedley ha visto molto bene quello che è successo, solo che l'iniziativa andrà attribuita, io credo, al maestro. La peculiare `mise en page', evidenziata dalla leggera spaziatura dopo le forme dell'articolo, è funzionale al modo in cui i ragazzi arrivavano a questa forma più complessa d i klisis (applicata ad un intero periodo) dopo aver fatto lunga pratica su parole isolate: se consideriamo un più elementare esercizio, 44 dove lo studente prima declina un nome proprio con il suo articolo ( ~~Πρ~ αµος), quindi separatamente l'aggettivo σοφ~ ς in tutti i casi, vediamo che le due parti ~~Πυθαγ~ ρας / φιλ~ σοφος sulla nostra tavoletta ricalcano una sequenza che doveva essere ormai familiare agli allievi, usando l'articolo come promemoria per la serie completa e ordinata dei casi. Si tratta insomma di una anticipazione convenzionale che non creava difficoltà una volta che si fosse d'accordo sul suo motivo. 45 Possiamo così tornare al punto che ci interessa: nell'ottica dell'ignoto insegnante, e ancor più dei suoi allievi, non è Pitagora a contare, ma le forme ' ι Chreia, cit., I, nel `Catalogue', nr. 55, p. 335. Il testo non era stato tradotto in pre~ σκων: il poco comprensicedenza. Tralascio qui il problema de ll a resa di γρ~ µµατα διδ bile «was teaching writings» è stato modificato dagli stessi Hock-O'Neil in Chreia, cit., 11, p. 62 in «was teaching literature» e p. 65 «was teaching letters». Cfr. D.N. SEDLEY, Pythagoras the Grammar Teacher (PBrLibr Add Ms 37516, 1) in Papiri Filosofici. Miscellanea di studi ΙΙ, Firenze Olschki 1998 (« STCPF», 9,), pp. 167 - 181: 175. 42
SEDLEY,
43 SEDLEY, 44 43
Pythagoras, cit., p. 175. Pythagoras, cit., p. 174, n. 12.
Istituto Vitelli PSI usi. 479, CRIBIORE, Writing, cit. 372, e cfr. ibid. íl 374. Per parte sua, il ragazzo sapeva il greco: comincia infatti d'istinto con Πυθαγ ~ ρας,
e questo lo costringe ad aggiungere l'articolo in un secondo tempo, ormai fuori dall'alli-
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grammaticali. Credo che abbiano visto giusto Hock-O'Neil quando osservano46 che questa chreia è resa píì1 difficile di altre dalla presenza di ben due participi ( ~ποβ~ς e διδ~σκων) e dalla sostituzione dell'uovλε ~ εww. Possiamo agsuale verbo di dire con una forma di συµβ giungere, a conferma, che gli errori del nostro scolaro si addensano proprio sulla resa di questo verbo, e che le formule per la klisis che aveva imparato, come vediamo nelle altre due tavolette citate sopra, prevedono espressamente εiπεΙ. Cominciamo dunque ad intuire il modo di procedere del nostro grammatikos, e capiamo che la prospettiva corretta di fronte a prodotti di questo tipo non è quella, interna, di ciò che il testo significa, ma quella esterna del livello di difficoltà ritenuto opportuno dall'insegnante. La nostra chreia mostra allora tutti i segni di essere stata confezionata ad hoc, solo vagamente rispettando ovvi clichés su Pitagora, che era saggio – visto che insegna – ed aveva le sue (note) manie dietetiche. Ma per fare imparare í verbi il maestro poteva prendersi qualche libertà e magari combinare elementi di piì' chreiai in una: è solo un caso che l'unica chreia con Pitagora attestata in Teme (Progymn., p. 99.7-10 Sp., p. 21 Pat.), pur completamente diversa, abbia il participio ~ναβ~ς, che si coniuga proprio come ~πo β~ς? E che il raro συνεβovλευε compaia riferito allo stesso filosofo nel materiale esegetico confluito nel commentario di Giovanni di Sardi (p. 48.17-18 R. Πυθαγ~ ρας ~~144to; ~πνον φεíδεσθαι συνεβο ~λευε)? Ancora, colpisce il fatto che due segmenti eccentrici rispetto alle forme usuali, il Pitagora che insegna a scuola e il Pitagora che dà consigli (anziché semplicemente `parlare' o `rispondere') costituiscono l'ambientazione di due delle chreiai misogine in PBour 1, dove le caustiche battute di Diogene sono provocate l'una da una donna δtδασκοµ ~ νην γρ ~µµατα, la seguente da una donna yu\ailì συµβ o υλεtíoυσαν ( CPF I.1"*, 48 1T): qui naturalmente le parole sono pertinenti, ed anzi necessarie. Nel nostro caso invece sembra di avere a che fare con il riuso di clichés noti come zeppe pronte al bisogno, con una licenza che naturalmente nessuno si sarebbe permesso per detti da pubblicare in una raccolta. Sedley ha con tutta probabilità ragione a pensare che non esistesse una tradizione su Pitagora come `maestro di scuola', ma credo che l'inedita circostanza sia nata semplicemente dall'esigenza di affiancare al difficile ~ποβ~ ς neamento. Dubito che gli errori di klisis bastino a sospettare «that Greek was not his first language» (SEDLEY, Pythagoras, cit., p. 170): non sarebbe il primo scolaro indotto a soluzioni stravaganti dallo stress d'esame, e nessuno usava quelle forme nella normale conversazione. 46 Chreia, cit., II, p. 62.
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un participio píù semplice e già noto come διδ~ σκων. Possiamo chiederci allora: a che livello era arrivato il nostro scolaro? È evidente che aveva già completato la klisis delle chreiai `di parola' (del tipo «Diogene vedendo Γ...] disse»), che erano le più facili: se prendiamo a riferimento la serie di Teme, la nostra chreia sembra collocarsi a metà strada fra la specie ~πOφαντικφν κατ~~περ~στασ~Ν (una dichiarazione con specificazione delle circostanze in cui avviene: p. 97.20 Sp.), che ha un solo participio mentre la nostra tavoletta raddoppia (mettendo sia ~πo β~ ς che διδ~ σκων), e la specie `mista', molto píù difficile, che Teone esemplifica proprio con la chreia di Pitagora citata sopra: 47 a fronte della sequenza di aoristi attivi e passivi e di un participio presente che troviamo nel suo esempio ( ~ρωτηθεíς / ~ναβ~ ς / παρ~κωεΝ / δηλ~ν), il nostro ignoto maestro assegna un testo che sembra facilitato ( ~πo β~ς / διδ~ σκων / σvvεβo~λενεν), mentre Aftonio (p. 4.6-8 R.), per fare un altro esempio, ripropone la stessa chreia di Teme modificata nella redazione come esercizio per le forme passive e medie ( ~ρωτηθεις / φανε ~ ς / äπεκρνψατο48 / πowo~Μενoς). E così via, passando per le tante chreiai strane ma utili che saranno state confezionate nel secoli da anonimi maestri per le esigenze di quella classe, e che non verranno maí ritrovate. 49 Infatti, per quanto ancora possiamo capire, l'esercizio aveva lunghi tempi di assimilazione e progrediva lentamente in difficoltà: qui più che mai come dice Marrou (Storia dell'educazione, cit., p. 239), «si ripeteva a sazietà». Di conseguenza, i testi da `declinare' saranno stati numerosi e con piccole variazioni dall'uno all'altro: è perciò immetodico mettere le nostre tavolette sullo stesso piano delle istruzioni fornite nei manuali di progymnasmata. Il fatto che in Teme le formule per la klisis prevedano pliι opzioni a fronte dell'indicazione secca, una per ciascun caso, ,
Ricordo a questo proposito l'osservazione importante e sicuramente giusta in SEDPythagoras, cit., p. 172 «these distinctions [fra le varie specie di chreia in Teme] give
47
LEY,
every impression of having been dictated by the needs of the declension exercise». 48 Si noterà, per inciso, che nella diversa redazione di Aftonio subentra un verbo come ~ πoκρ~πτω che però si coniuga esattamente come il παρακ~πΤω nella chreia citata da Teme, un caso analogo al rapporto fra ~να~l~ ς e ~πo β~ ς di cui ho già parlato. Nelle chreiai `declinate a scuola le varianti seguono leggi che hanno poco a che fare con il significato, molto invece con la coniugazione de ll e forme verbali ed il livello di preparazione richiesto. 49 In questa ottica, potrebbe esservi spazio anche per il gioco su ~ναιµ ~ νων supposto da SEDLEY, Pythagoras, cit., p. 176, ma in questo caso il maestro sarà stato il solo a divertirsi: il grado di preparazione testimoniato dalle nostre tavolette non sembra compatibile con discussioni lessicografiche a quel livello.
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che leggiamo su questi antichi `quaderni' 50 non permette di concludere che nel corso del tempo l'esercizio avesse subìto, in parallelo con il passaggio dalla scuola di retorica a quella di grammatica, una semplificazione, 51 perché quello che noi cogliamo sulle tavolette è niente più che un singolo fotogramma: solo nuovi reperti potrebbero dirci se e come l'esercizio si modificava in un momento successivo. Ma í trattatisti come Teone devono dare un quadro di istruzioni completo, non l'esercizio di un giorno, ma il programma intero, tacitamente lasciando all'esperienza del singolo insegnante i dosaggi quotidiani richiesti dalla prassi in aula. È perciò tempo di lasciare il mondo dei papiri per tornare sul terreno più sicuro dei Progymnasmata, ma possiamo farlo meglio ora che abbiamo toccato con mano la realtà dell'insegnamento. Un caso come la chreia di Pitagora testimonia, con píì.1 forza di quanto avvenga nelle raccolte edite e vagliate, lo statuto particolare assunto da questi aneddoti nel concreto lavoro di scuola. Da una parte infatti essi mantengono un legame visibile con l'antica sophia ed usano nomi illustri di filosofi per riproporre al discente, in un formato ridotto e convenzionale, dottrine caratteristiche e valori morali riconosciuti; dall'altra, invece, le tecniche di manipolazione proiettano la chreia in una nuova dimensione squisitamente linguistica, che infine prevale sul valore documentario del testo sino a riconfigurarlo in forme ormai lontane da quella originaria e senza fermarsi di fronte al nonsense dei duali o dei plurali. Questa doppia natura dell'esercizio, a cavallo tra `filosofia' e `retorica', non è stata a quanto mi risulta oggetto di indagine: ma è proprio qui la chiave d'accesso al progetto pedagogico di cui la chreia ha conservato, nei secoli, l'impronta. III. UNA PEDAGOGIA D'AUTORE
Come già ho avuto modo di osservare la chreia è stata, nel tratto ancora visibile del suo percorso, un esercizio di transizione dal ciclo di studi inferiore a quello superiore, oscillazione tra i due curricula
5o HoCK-O'NrnL, Chreia, cit., II, p. 57; per le formule in Teme si veda a p. 101.29
sgg. Sp. (p. 25 Pat.).
5ι HoCK-O'NrnL, ibid.: «when sometime after Them the κλισtς of a chreia became part of the secondary curriculum, this exercise became simplified to suit the younger age of students like Epaphroditus». Quanto a Nicolao, citato a riprova subito dopo, egli si limita a dare un esempio di declinazione, e non intende certo illustrare tutto íl sistema.
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che si spiega appunto con la posizione iniziale ancora attestata nei Progymnasmata di Teone. Α sua volta, questo ruolo di esercizio d'ingresso è in diretto rapporto con la pratica elementare della klisis in una sequenza didattica che è sicuramente quella originaria. Non solo per l'anteriorità del trattato di Teone e perché gli autori successivi (come abbiamo visto già nel passo citato di Nicolao) hanno precisa coscienza del fatto che questa era la taxis più antica,52 ma anche per la conferma data da Svetonio, nella sua importante rassegna antiquaria sugli esordi, a Roma, dell'insegnamento della grammatica e della retorica. L'elenco degli esercizi in uso nella ratio docendi di età repubblicana (Gramm. et rhet. 25.4) si apre infatti proprio con la formulazione dei dicta praeclare secondo i casi grammaticali (per casus) e i tipi di enunciato (per omnes figuras), una descrizione dell'esercizio che coincide con quella di Teone (pp. 99.13-103.2 Sp., pp. 22-26 Pat.), ma ci permette di risalire all'indietro di almeno un secolo e mezzo: il metodo rievocato da Svetonio è infatti quello dei veteres grammatici che a Roma, in seguito all'espulsione dei rhetores con il s.c. del 161 a.C., si erano trovati ad impartire da soli, in aggiunta al proprio, anche l'insegnamento della retorica." Siamo dunque in grado di affermare che già nella seconda metà del II secolo a.C., in piena età ellenistica, gli esercizi di retorica si aprivano, nel mondo greco come nelle prime scuole importate a Roma, con la `flessione' della chreia seguita dalla presentazione del testo nei vari modi di enunciato (in forma di massima, dimostrazione, motto di spirito, sillogismo, entimema, esempio, preghiera e via dicendo: Teone, p. 99.20 sgg. Sp.). Ora tutti í meccanismi sentono l'usura soprattutto nelle giunture, e in quanto eisagoghé allo studio della retorica la chreia ha svolto, nel sistema educativo antico, la delicata funzione di cerniera fra due curricula. Ma si è trovata anche ad essere cerniera fra due discipline, la retorica appunto, cui appartiene in quanto tecnica di manipolazione, e la filosofia che le fornisce i contenuti. Non sempre: ci sono chreiai non `filosofiche', e non c'era nessuna regola per cui dovessero essere tali. Esisteva però sicuramente una convenzione molto forte in questo senso, visto che statisticamente il protagonista del detto o del ge,
52 Ricordo che per í diversi modi di enunciato de lla chreia eliminati, insieme alla klisis, nei trattati più tardi — Ps.Hermog. Progymn., p. 7.7-8 R., rinvia esplicitamente ai —
παλαιο ~ . 53 Svet. Gramm. et rhet., 4.6 e 25.1. I divieti erano sicuramente in vigore ancora al tempo della giovinezza di Cicerone: per questa ricostruzione storica, che ritengo sicura, rinvio ai dati e a ll a discussione nel mio saggio Lo scandalo dei «retori latini». Contributo alla storia dei rapporti culturali fra Grecia e Roma,«Studi Storici», XLIII, 2002, pp. 301346: 340 sgg.
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sto è, nella grande maggioranza dei casi, un filosofo, Diogene soprattutto oppure Socrate. Questo ruolo dominante è di per sé indicativo, tanto più che anche quando il protagonista è un re come Alessandro, o uno stratega come Epaminonda, essi compaiono a loro volta nella veste di sapienti che offrono regole di vita. Il dato è meno Ovvio e banale di quanto sembri, e merita un'attenzione che è finora mancata. Se infatti potessimo idealmente trasferirci in una scuola di retorica dell'ultimo secolo dell'ellenismo, proprio nel momento di píù acuta rivalità tra rhetores e philosophoi, scopriremmo che gli esercizi di ingresso nella login techne non impiegavano brani di oratoria, ma mettevano gli allievi a confronto con microtesti a decisa impronta sapienziale che lasciavano il ruolo di protagonista ad illustri esponenti del campo avverso. Considerata in questa prospettiva la terna iniziale di esercizi (chreia, favola esopica, racconto) non ci appare come un tirocinio propriamente retorico, ma sembra piuttosto esprimere la volontà di far sostare a lungo l'allievo su un terreno dove valori e problemi non sono ancora connotati in senso esplicitamente `politico': un mondo dove l'allievo non incontrerà dirigenti cittadini impegnati a difendersi, accusare, proporre decreti, ma filosofi mordaci e indipendenti, animali come il leone o la volpe, personaggi del mito e della storia passata. In questi testi è assente proprio quello che più ci aspetteremmo di trovare, il mondo autentico della retorica, la polis con le sue istituzioni, i dikasteria, l'ekklesia, la boulé, le leggi, la finanza, la guerra e la pace. La chreia sceglie di ignorare, per il momento, il rapporto del cittadino con la sfera degli interessi collettivi per parlare invece costantemente il linguaggio dell'individuo, alle prese con i suoi valori privati: la strada breve e diretta viene scartata a favore di un lungo giro, che consentira all'allievo di ammirare un panorama píù ampio. Credo si debba cogliere, in questa impostazione e soprattutto nelle preclusioni che la caratterizzano, un preciso modello pedagogico e culturale: per cui l'insegnamento del logos è radicato nella graduale assimilazione di una letteratura parenetica con orientamenti etici ed ideologici molto marcati, e in tutta la prima fase dell'apprendimento l'allievo viene trattenuto al di qua dell'agone politico, dell'assemblea e del tribunale, dei luoghi e dei ruoli cui sarti destinato. Come dire che questo non è, tecnicamente, un percorso `retorico', ma un grande progetto umanistico di cui cominciamo ad intravedere í contorni. Facciamo ora un passo indietro, tornando al modesto esercizio della klisis. Dal nostro punto di vista, si tratta senza dubbio di un esercizio di grammatica ed il contesto in cui lo ritroviamo nel `qua- 179 —
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demo' di Epafrodito e dei suoi anonimi compagni, nell'Egitto del IV secolo d.C., sembra del tutto appropriato. Ma dal momento che la collocazione in apparenza píù logica non è quella originaria, la domanda che dobbiamo porci è per quale ragione, invece, Teone voglia tenere la klisis nel programma del rhetor. Quale può essere il rapporto con la retorica di un esercizio che insegna il nominativo genitivo dativo e così via di due Isocrati o di una pluralità di Pitagora? Per quanto mi risulta, solo Bonner si è posto il problema e la sua soluzione è di ordine contingente: nel senso che la qualità spesso scadente della scuola primaria avrebbe costretto ad iniziare il ciclo successivo con un attento ripasso delle forme grammaticali. 54 Ma c'è più di questo, e per capirlo dobbiamo completare il quadro, perché la presenza della klisis non è la sola differenza fra il trattato di Teone ed i Progymnasmata posteriori. In Teone infatti la chreia è, come dicevo all'inizio, l'elemento fondante dell'intero ciclo e ha di conseguenza una struttura imponente: si divide in tre generi, cinque specie e sei sottospecie, oltre a dodici diversi modi di enunciato e sei γuµνασ í αι, tecniche di manipolazione più avanzate che operano il passaggio dal microtesto ad una composizione estesa. Un'organizzazione altrettanto complessa torna per il mythos e di nuovo per il dieghema, ciascuno dei quali riparte, a sua volta, dall'esercizio di `flessione': 55 ogni passo in avanti è così controbilanciato da lunghe soste e ripetizioni di quanto già imparato. Se è vero, secondo l'acuta definizione di un anonimo commentatore antico, che il ciclo dei progymnasmata costituisce una «piccola retorica» per conto suo, 56 potremmo senza difficoltà applicare una definizione identica alla terna iniziale degli esercizi, che occupa da sola sull'edizione Patillon lo stesso numero di 57 Ma se proviamo a righi dei sette esercizi successivi, fino al ν~ µος. fare lo stesso calcolo sul testo dei Progymnasmata dello Ps.Ermogene, di Aftonio e di Nicolao le proporzioni risulteranno completamente diverse: qui tutti gli esercizi hanno all'incirca la stessa lunghezza, e da una struttura piramidale si è passati ad una disposizione seriale
Education, cit. (supra, n. 30), p. 257 sg. Theon, Progymn., p. 74.24-25 Sp. (p. 33 Pat.) κλιτ~ ον δ~~Το~ ς µ ~ θους ~ς καì ~ ν ~ ς καì τας πλαγ~ ο~ς πτ~σεις; per il `racconto' pp. 85.30 e 86.6χρε~ αν εις τε το~ ς ~ρtθµο 8 Sp. (p. 48 Pat.), con rinvii indietro al mythos. 56 Riportato da Giovanni di Sardi, Commentarium, cit., p. 3.7-8 R.: ~στ~ον 68 $Τt ΤU ~~ρητορικ~~~ στι. nροΥνµΝ~σΜαΤα µικρ 57 Non prendo qui in considerazione i cinque esercizi della seconda serie (conservata solo nelle traduzioni armene), che hanno una diversa funzione di «accompagnamento» dei precedenti, cfr. PATILLON, ed. cit., p. xxviii sgg. 54 55
BONNER,
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nella quale diventa anche facile togliere, aggiungere, spostare.SS A differenza di loro, Teone serba ancora memoria del fatto che chreia, mythos e dieghema costituiscono una raffinata e complessa pedagogia di base, che riflette una dinamica di apprendimento lenta e cauta: un sistema a gradini per cui ciascun esercizio si sovrappone in larga misura al precedente, lo ribadisce e lo consolida aggiungendo via via, con prudenza, un nuovo blocco alla costruzione, finché si arriva al vertice della piramide, cioè al ν~ µος,la discussione di una legge. Si tratta dunque di un progetto che vuole portare l'allievo dal grado zero della correttezza grammaticale alla capacità di esercitare con competenza il ruolo dí dirigente cittadino, al più alto livello possibile nella città democratica. 59 L'esordio con la klisis non presuppone altre conoscenze che quelle fornite dall'istruzione primaria: chi entra a studiare è ancora un ragazzo molto giovane, ma quando uscirà dalla 58 Così certamente è avvenuto più volte, prima di arrivare alla sequenza standard, e ne fanno fede le lunghe discussioni sulla taxis che costellano soprattutto l'opera di Nicolao e le esegesi raccolte da Giovanni di Sardi. Per la chreia ad esempio Ps.Hermog., Progymn., p. 4.7-8 R. attesta indirettamente anche un secondo posto, cioè prima del dieghema (cfr. anche la notizia su Arpocrazione riportata nell'ed. di Aftonio, fr. II, p. 54 R.; per PSI I 85 rinvio al lavoro di Bastianini in questo volume, pp. 249-261). Un esempio rivelatore di `interpolazione' nella serie è costituito dalla gnome, che è in realtà una costola della chreia ed un suo evidente doppione: Ps.Hermog., p. 9.18 R. 1) 88 ~ ργασια παραπλησ~ α ττΙς χρε ~ ας, Aphthon., p. 8.3-4 R. ~ ρy~ σαιo δ'αüτ~ν τoi ς τ~jς χρε~ ας κεφα λαιοις, Nicol., p. 25.3 F. κοινωνο~ σα κατ~~τ~ν π~ σαΝ &&α~ ρεσ~ν e soprattutto p. 29.3 5 «è stato notato più volte e da parte di tutti gli autori di trattati che la gnome adotta uno schema per punti identico a quello de ll a chreia». Rimaneggiamenti di questo tipo sono incompatibili con l'ordinata progressione in difficoltà che invece caratterizza il sistema molto coeso di Teone, con i suoi frequenti rinvii in avanti e all'indietro: qui la gnome è ancora una tecnica trasversale ai primi tre esercizi, e lo stesso vale anche per la kataskeue e la anaskeue, presenti nelle serie posteriori come composizioni autonome, ma in Teone ancora forme di manipolazione da usare all'interno degli altri esercizi. 59 WEBB, Progymnasmata, cit. (supra, n. 15), p. 313 «read as evidence for an educational process, these same exercises emerge as a pragmatic preparation for life as an ebquent member of the elite, able to find something to say about any subject and to say it in accordance with his audience's expectations». La questione, fondamentale, del progetto pedagogico complessivo sottinteso al trattato di Teone, sulla quale tornerò p ~ù avanti, rende a mio avviso non accettabile la datazione dell'opera al V secolo d.C. ora proposta da M. HEATH, Theon and the History of the Progymnasmata, «GRES», XLIII, 2002/3, pp. 129-160. Non vi è qui lo spazio per la disamina che il contributo meriterebbe, e dovrò limitarmi a pochi cenni (si veda a ll a nota 34, supra, e più avanti, a ll e note 63 e 65): credo tuttavia che ipotesi basate su singoli dettagli, di interpretazione in ogni caso non univoca, debbano essere sorrette ed integrate da una lettura storica dei progymnasmata nel contesto generale dell'istruzione retorica antica, pena il rischio di invertire la direzione dei rapporti fra i nostri testi. In particolare, ritengo che quanto dirò nella conclusione di questo lavoro sia incompatibile con l'affermazione che «Theon's work cannot be viewed as a straightforward re fl ection of any given stage in the development [dei progymnasmata]», HEATH, Theon, cit., p. 142. -
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scuola sari in grado di prendere la parola con autorevolezza nell'assemblea dei cittadini adulti. Se invece rileggiamo la discussione sulla taxis della chreia in Nicolao (sopra, p. 170 sg.), è subito chiaro che al suo tempo i giovani impegnati nei progymnasmata non sono affatto digiuni di retorica: hanno appreso la διαιρεσις ed i suoi κεφ~λαια, e organizzano le loro composizioni secondo le parti del discorso, dal proemio all'epilogo, che dunque conoscono già almeno nelle grandi linee. Con tutto ciò questi sono per loro niente più che esercizi `preliminari' alla parte píì1 impegnativa dell'istruzione retorica, la melete: i progymnasmata occupano, in altre parole, uno spazio intermedio — non solo fra la grammatica e la retorica, ma all'interno dell'insegnamento stesso di retorica. Invece nel nostro trattato più antico gli esercizi non sono, a guardarli bene, né preliminari né intermedi: Teme li conosce, con tutta evidenza, come l'intero cursus retorico, anche se vive ad un'epoca in cui questa posizione nel ciclo formativo era seriamente minacciata. È perciò costretto a giocare in difesa: accetta senza discussioni il fatto che il vero coronamento degli studi avvenga con l'esercizio su un tema declamatorio, la hypothesis cui allude più volte come l'orizzonte finale della preparazione fornita, e non contesta il fatto che nella retorica ci sia qualcosa di «altro» (p. 59.12 Sp., p. 1 Pat.) che resterà fuori dal suo libro. La durata degli studi si è ormai allungata ed il baricentro dell'istruzione si è spostato di conseguenza, ma nonostante ciò egli rivendica con forza nella prefazione programmatica all'opera il ruolo imprescindibile delle competenze da acquisire πρ~~τ ~~vπoθY σεως (ibid., p. 59.13). Mi rendo conto che questo è un modo inconsueto di valutare la posizione storica di Teone. Nella nostra bibliografia il suo trattato, non solo il più antico che ci sia arrivato ma anche di gran lunga il più ricco di informazioni, viene identificato piuttosto con l'inizio di una storia: anche chi è disposto a sospingere l'origine di singoli progymnasmata ben entro l'età ellenistica 60 attribuisce però a Teme stesso, o comunque alla sua epoca, la creazione del sistema nella forma compiuta in cui noi lo conosciamo. 61 ,
60 Un ruolo importante ha avuto, da questo punto di vista, il collegamento fra la sezione sulla narratio nella Rhetorica ad Herennium e la dieghesis proginnasmatica fatto da
K. BARWICK, Die Gliederung der narratio in der rhetorischen Theorie und ihre Bedeutung für die Geschichte des antiken Romans, «Hermes», LXIII, 1928, pp. 261-287, a dimostrazione de ll a presenza di progymnasmata «schon im zweiten Jahrh. v. Chr.». (ibid., p. 282). La ricostruzione fu ripresa da Stegemann s.l. Theon, cit. (supra, n. 4), col. 2048. 61 BONNER, Education, cit. (supra, n. 30), p. 250 pur riconoscendo la grande antichità
di alcuni esercizi, ritiene che la graduale formazione dello «standard set» sia arrivata a
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Niente di più errato, perché al contrario Teone si colloca alla fine di un ciclo, è un conservatore che combatte con vigore una battaglia tradizionalista a difesa dell'educazione antica ‚nel momento in cui essa era ormai attaccata e messa nell'angolo dall'invadenza di nuovi ed aggressivi modelli didattici. L'inizio della sua Techne è da questo punto di vista un passo illuminante e fondamentale: I retori antichi ( παλαιο~ ), soprattutto quelli di maggior reputazione, erano
convinti che non si dovesse entrare, per così dire, nel terreno della retorica prima di essersi applicati in una certa misura alla filosofia, impregnandosi della nobiltà di pensiero che ne deriva ( πρ~ν ~ ΜωσΥ~πως ~ινασ8αι φιλoσo~ ναι µεγαλ o νoιας). Oggi invece (1vv 58) sono φ~ ας καì τ~ ς 8κε θεν ~ µπλησθ
per la maggior parte tanto lontani dalla competenza in questi testi da buttarsi nell'attività oratoria senza neppure un'infarinatura nelle cosiddette di~ νων µαθηµ ~των); e si lanciano nelle scipline generali (τ~~ν ~υκυκλ~ ων καλoυµ
v-
yo ρικ ~ ς ïενται cause giudiziarie e politiche ( ~πì τ~ ς δικανικ~ ς καì δηµη πo980.81.0) senza neppure aver fatto pratica – che è il colmo dell'ignoranza! – negli esercizi richiesti: per dirla con il proverbio, imparano il mestiere del
vasaio direttamente sul vaso.
I due generi di v ποθ~σεις citati da Teone corrispondono alle controversiae e alle suasoriae dei romani: la bufera che aveva investito la paideia antica è l'esercizio della declamazione, come fu codificato da Ermagora di Terno all'interno del sistema delle staseis, un metodo di studio che dalle scuole rinomate dell'Asia ellenistica si era diffuso inarrestabile arrivando infine anche a Roma, nel primi anni del I secolo a.C. La techne rhetoriké era così uscita dall'alveo della cultura umanistica per diventare una scuola professionale: una pedagogia di grande respiro e lenta progressione, che si proponeva anzitutto di consolidare la cultura generale degli allievi e formarne il carattere preparandoli ad un'ampia gamma di attività — inclusa la poesia, la letteratura, la storia — è scalzata da un efficiente tirocinio `mirato', che mette chiunque in grado di perorare una causa. È a questo punto che, per sopravvivere, gli esercizi dell'antica paideia devono adattarsi a diventare, ciel che non erano affatto, `preliminari'. Ne abbiamo un incompimento «by the first century B.C.». Analogamente A.N. CIZEK, Imitatio und Tracta-
tio. Die literarisch-rhetorischen Grundlagen der Nachahmung in Antike und Mittelalter, Til-
bingen, Max Niemeyer 1994 («Rhetorik Forschungen», VII), rintraccia una «progymnasmatische Praxis» nella scuola ellenistica del II secolo a.C. (p. 241), ma attribuisce a Teone stesso l'iniziativa di unificare esercizi praticati da tempo in un «kohärenten System», cfr. p. 243 (e p. 251 «hat sich in 1. Jahrhundert n. Chr. ein System differenzierter Kompositionsübungen [...] herauskristallisiert»). Secondo KENNEDY, Progymnasmata, cit. (supra, n. 1), p. 1 in Teone il sistema sarebbe addirittura «still in a stage of experiment and deve lopment».
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dizio molto preciso nella sostituzione, in epoca successiva a Teone, dell'originario γ~µνασµα con πρOΥ~ΜΝασΜα: è merito di Hock e l'leil il aver sottolineato fatto che il secondo termine compare solo a partire da Aftonio — ma ancora in alternanza con il píù antico γ~µνασµα — diventando infine la norma con Nic οlaο. 62 Al contrario, il testo di Teone ha costantemente γ~µνασµα, con l'eccezione apparente di tre casi che si concentrano tutti nella prefazione dell'opera, cioè la parte più esposta agli interventi: alla luce dell'uso posteriore la trasformazione era quasi inevitabile e oggi la disponibilità delle traduzioni armene conferma che si tratta in effetti, come si poteva sospettare, di normalizzazioni posteriori. 63 Ma una volta che ci siamo liberati dalla gabbia dei pro-gymnasmata e di una posizione curriculare che rispecchia uno sviluppo storico lontano di secoli dall'impostazione originaria, dobbiamo riconsiderare tutto il problema degli `esercizi' in una luce nuova, e proprio la chreia ci aiuta a farlo. Il ruolo fondamentale della klisis nella prassi di scuola descritta da Teone ci dice infatti che dietro ai suoi `esercizi' non c' la volontà di appropriarsi, come si potrebbe credere, di parte dell'insegnamento svolto dai grammatici,64 ma la memoria storica di una pedagogia in cui la funzione 62 Chreia, cit., I, pp. 12-13. Preciso che su cinque casi Ps.Ermogene ha sempre γ~ µ νασµα pp. ( 19.1, 23.16, 23.21, 26.11, 26.17 R.), ma con tracce di un processo di sostituzione nei primi due, p. 19.1 ( προΥ v µν - nel Laur. gr. 60,27) e p. 23.6 (reso con praeexerc- da Prisciano). Solo .l titolo dell'opera è sempre Προγuµν ~ σµατα.Lo stesso vale per la tradizione diretta di Aftonio, ma nell' ΧΙ secolo Giovanni Dossapatre, nel commentarne l'opera, sembra conoscere il titolo anche nella forma Γνµ vá σµατα s(i veda l'app. vá σµ a τα a p. 17.13 di Rabe ad loc.); all'interno la tradizione è concorde nel dare πρσγvµ e 42.6 Rabe, e γ~µνασµα a ll a p. 46.21, mentre a lle pp. 10.18 e 32.2 .l solo Vat. gr. 2228 - degli altri manoscritti. Quanto a Nicolao, qui ormai registriamo dà yο ν- contro προγνµν solo tre casi di γ~µνασµα, pp. 5.15, 34.22, 35.13 F., contro ben 35 casi d i προγ~ µνασµα che è chiaramente la norma: tanto p.ù che le sporadiche eccezioni potrebbero risalire alle fonti che egli trascrive, come dichiara all'inizio dell'opera, alla lettera ( α~ τα~ ς Γ...] λ~ ξε σιν, p. 1.11 F.). 63 Nel titolo iniziale le traduzioni armene presuppongono Γuµν ~ σµαταcontro προ γνµν - della tradizione greca; quanto al sottotitolo a p. 65.29 Sp. (p. 9 Pat.) si tratta evidentemente d i un'aggiunta posteriore. Resta il solo caso a p. 61.26 Sp. (p. 4 Pat.) ~ν τοi ς πρ oΥvµν ~ σµασιν α ~τò ~τοξα, ma a questo punto il sospetto è lecito: rinvio a p. 64.28 Sp. (p. 8 Pat.), ancora nella parte introduttiva, dove la traduzione armena sostituisce con προ γνµν - il γuµν ~ σµαταconservato, questa volta, nella tradizione greca. Non possiamo sapere cosa avesse .1 PCairo (temp.inv. no. 26/6/27/1-41) del IV/V secolo, che da qui riin questa situazione integrare è immetodico, prende dopo la lacuna (lato —> ] οµνοσµοτων): tanto p.ù che risultano oggi coincidenze sicure fra il papiro e il testo greco usato per la traduzione armena (non ancora disponibile all'editore M. GRΟNεWALD, Ein Fragment aus Theon Progymnasmata, «ZPE», XXIV, 1977, p. 23). A ll a luce di questi dati appare ingiustificato affermare (HEATH, Them, cit., p. 145) che Teone, come Aftonio e Nicolao ma diversamente da ll o Ps.Ermogene, usa sia gymnasma che progymnasma. 64 È generale la tendenza a leggere il problema dei progymnasmata alla luce di con-
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grammaticale e la funzione propriamente retorica non erano state a n c o r a distinte, in cui la ~ ρθο~πε~α di Protagora era ancora in asse con la εYYπεrn di Gorgia, 65 così come 1' εv λ~γειν si associava all' εv φρoνε ν, perché pensiero e parola, formazione del carattere e talento oratorio, 66 non erano stati ripartiti fra campi disciplinari ancora a venire. Una pedagogia, dunque, anteriore al fatale discidium [...] linguae atque cordis che Cicerone deplorava, mettendolo sul conto dell'insegnamento di Socrate (De or. III 61). Ma c'è di più: questo è anche un modello che pone al suo centro non l'oratoria militante, ma la composizione letteraria s c r i t t a (Tenne parla esplicitamente del compiti da stilare giorno per giorno 67), e culmina nella tecnica del `racconto', che è eminentemente descrittiva e non agonale: la trattazione del dieghema occupa, da sola, più di un quarto dell'intero trattato di Tenne. La prima terna di esercizi introduce così l'allievo a quelle che saranno denominate, nella retorica ermagorea, le «circostanze» di un fatto ( περιστ~σεις), e che Tenne preferisce chiamare — io credo, all'antica — στοιχεîα, gli «elementi» del racconto: dal πρ~ σωπον, ingrediente fondamentale della chreia, alla serie Πρ~γµα / ~πος τ / χρ~ νος / τρ ~πος / α~τ~ α che serve da guida al dieghema. 68 Inoltre, flitti di competenza che non solo riguardano una fase storica ormai avanzata, ma sono specifici dell'ambiente romano: così era ancora al tempo di Quintiliano, che lo dichiara esplicitamente (I 9.6 e II 1.13 quod adhuc optinent Graeci; per le ragioni storiche di questa anomalia romana rinvio al mio lavoro, citato sopra, nota 53). Ritengo perciò priva di fondamento l'ipotesi che Tenne insegnasse «both grammar and rhetoric» (KENNEDY, Progymnasmata, cit. [supra, n. 1], p. 2): nella prassi greca l'intera serie degli esercizi è sempre rimasta di competenza del rhetor. 65 Come in Plat. Phaedr. 267C. Il rispetto della norma grammaticale è parte integrante delle qualità indispensabili al linguaggio retorico in Aristotele, Rhet. III 2 (con rinvio alla sezione sulla lexis nella Poetica, dove ritroviamo sia i modi di enunciato, Po. 56b9 sgg., sia le modificazioni flessive, 57a18 sgg.), e così nell'influente sistema delle quattro ~ ρεΤαí (dove la prima è appunto 1' ~ λληνισµ ~ ς) elaborato nel περi λ~ ξεως di Teofrasto (Cic. Orator, 79). L'ipotesi di HEATH, Theon, cit., p. 150, che la posizione iniziale de ll a chreia fosse propria della scuola di Alessandria nella tarda antichità si fonda su una (rischiosa) catena di deduzioni prosopografiche, ignorando del tutto il significato pedagogico di questa taxis e la sua coerenza rispetto ad un progetto educativo molto diverso da quello dei progymnasmata più tardi. 66 Teorie, Progymn. p. 60.16-19 Sp. (p. 2 Pat.) ~~δι à τ~ ς χρε~ ας yυινασια ov µ ~ νον ΤΙΝU δvναµιν λ ~ γων εργ~ ζεται ~ λλ~~καì χρηστ~ ν τι ~ θoς, ~γγυµναζ oµ ~νων ~ µ ~ν τoî' τ~Ν σοφ ~ν ö.πoφθ~γΜααιν. ó7 Cfr. p. 62.10 Sp. (p. 4 Pat.) τα~ ς καθ ' ~ κ~ στην ~ µ ~ ραν yραΨα~ ς. Viene subito in mente l'enfasi sullo stilus optimus et praestantissimus dicendi effector ac magister e sulle cotidianae commentationes che secondo la testimonianza autorevole di Cicerone (De or. I 150 e 154) erano alla base del modo di esercitarsi a Roma già al tempo dei Gracchi, a ulteriore conferma del fatto che stiamo parlando di metodi ben più antichi di Teorie. 68 Them, p. 78.16-21 Sp., p. 38 Pat. In una de ll e esegesi riportate da Giovanni di
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a differenza di quanto avviene con la melete, ma anche di quanto gιà avveniva nelle Technai prearistoteliche, lo sbocco di questo percorso nella discussione o proposta di una legge ( ν~ µος)rivela una precisa avversione alla prevalenza dell'oratoria di tribunale, con la scelta invece di guidare l'allievo in prima istanza all'impegno politico come dirigente cittadino. Infine questi gymnasmata, con il loro percorso sottilmente graduato ed i continui ritorni sul già fatto, sono espressione di una pedagogia molto lenta, che richiede anni di esercizio, con la penna prima che con la voce. L'attenzione per il consolidamento della struttura e il ripudio di ogni scorciatoia trovano espressione proprio nella disposizione, contrariamente all'apparenza, non seriale degli esercizi, nella creazione di un edificio dalla larga base, tenuto assieme da forti nervature rappresentate dalle tecniche trasversali, che percorrono il sistema legando fra loro in orizzontale gli esercizi disposti in verticale. Questa non è una pedagogia nata pezzo a pezzo, ed unificata a posteriori: è al contrario una pedagogia d'autore, lungamente meditata e sperimentata in aula. Le considerazioni sin qui svolte costituiscono, a mio avviso, una vera carta d'identità, e la scelta caratteristica di usare come esercizio d'ingresso proprio la chreia individua, in modo che a me pare inequivocabile, i gusti e gli atteggiamenti culturali di un mondo molto più antico d i Teme, di una scuola in cui la sophia è ancora, indistintamente, grammatica e retorica e filosofia. Quella φιλοσοφ~ α cui infatti Teme subito s i appella nell'apertura accorata e indignata della sua opera, la stessa che alcuni anni prima Dionigi di Alicarnasso, in un manifesto programmatico altrettanto appassionato, aveva chiamato ~ ρχαια e πoλιω ~ : 69 non la filosofia cui siamo più abituati, di Platone o degli Stoici, ma come la concepiva Isocrate, il perfectus magister della Grecia. La chreia `filosofica'
l'anello che infine ci permette di ricongiungere una grande pedagogia senza autore com'è quella dei gymnasmata con un grande autore rimasto senza pedagogia – nonostante il fatto che il mondo antico sia stato concorde nell'attribuirgli la più autorevole prassi `in aula'. Quando lo incontriamo di nuovo, nei tardi trattati o sulle tavolette ritrovate in Egitto, questo metodo antico e prestigioso ha subito infiniti adattamenti e mostra ormai l'usura di mille anni di storia, ma è pronto a resistere per molti secoli ancora nel mondo bizantino.
Sardi troviamo l'interessante descrizione de ll a chreia come &&~yησ~ ς σ~ ντοµοςin quanto comprende un personaggio, un fatto e un discorso (Commentarium, cit., p. 45.17-19 R.). ~69 Ant. or. 1.2 e 4.2. Si noti ibid., 1.3 la associazione fra φιλοσοφ~ α e í πα~δε~µατα λευθ~ ρια, come nel passo su citato di Teone.
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Per il tramite di Isocrate, la chreia manipolata per casus e per figuras entra per sempre nella scuola greca come primo `utensile' della formazione letteraria, lascito modesto ma autentico e straordinariamente longevo dell'età della sofistica.
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MICHELE CURNIS
«DORAI» E «APOPHTHEGMATA» PLATONICI
NELL' «ANTHOLOGION» DI GIOVANNI STOBEO I. INTRODUZIONE
Giovanni Stobeo non è un tardo dossografo, e tanto meno potrebbe rientrare nella categoria di quegli autori (o semplici redattori) che forniscono materiale di compilazione agli stessi dossografi. La qualifica più congrua è piuttosto quella di antologista, ossia redattore di pericopi testuali poste in sequenza tematica, intervallate soltanto dalla didascalia che fornisca un'informazione basilare sul ritaglio proposto (quando presente; ossia quando è intenzione dell'escertore fornirla). 1 Giovanni può permettersi una disponibilità di tradizioni impensabile nell'età feconda dei dossografi greci, ossia tra I secolo a.C. e I d.C. L'antologista di età tardo-antica può infatti squadernare sul suo tavolo di lavoro precedenti dossografiez (raccolte di placito di filosofi e retori su determinati argomenti, di solito concatenati fra di loro in opposizione dialettica), apoftegmi (brevi e incisive narrazioni
' Su Giovanni Stobeo sí veda da ultimo R.M. PICCIONE, Le raccolte di Stobeo e Orione. Fonti, modelli, architetture, in Aspetti di letteratura gnomica del mondo antico I, a cura di M.S. FUNGHI, Firenze, Olschki 2003 (Accademia Toscana di Scienze e Lettere `La Colorbaria', «Studi», 218), pp. 241-261 (specie le pp. 241-253, an che per la bibliografia di riferimento). Alla stessa Rosa Maria Piccione í píù sentiti ringraziamenti per la pazienza e per la generosa disponibilità con cui ha letto queste pagine e suggerito opportune modifiche. 2 Su ll a tradizione della dossografia platonica (e non) e i suoi risvolti prettamente testuali si vedano J. WHITTAKER, Platonic Philosophy in the early Centuries of the Empire, ANRW, II 36.1, 1987, pp. 81-123; J. MANSFELD, Doxography and Dialectic. The Sitz im Leben of the `Placito', ANRW, II 36.4, 1990, pp. 3056-3229; J. MANSFELD - D.T. RUNlA, Aëtiana. The Method and Intellectual Context of a Doxographer, 1, The Sources, Leiden, Brill 1996, soprattutto pp. 196-271 (specificamente dedicate allo Stobeo); Storiografia e dossografia antica, a cura di G. CAMBIANΟ, Torino, Tirrenia 1986; F.E. BRENK, Plutarch, Judaism and Christianity e J. MANSFELD, Notes on the Didascalicus, entrambi in Studies in Plato and the Platonic Tradition. Essays Presented to John Whittaker, ed. by M. JOYAL, Aldershot, Ashgate 1997, rispettivamente pp. 97-117, 245-259; sull'aneddotica e sulla produzione biografica relativa a Platone ci si orienti sulle esaurienti raccolte di A. SWIFT RIGINOS,
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di tipo aneddotico che, a partire da una situazione simulata, sottolineano un elemento della personalità o della dottrina del protagonista), affiancandoli a produzioni eventualmente più originali sul piano letterario (antologie e florilegi di poesia, 3 retorica, storiografia, fisica, filosofia morale, crestomazie di autori specifici, note di varia storia; basterà ricordare i titoli di Caristio di Pergamo, Dioscoride, Geronimo di Rodi, ancora citati da Ateneo). 4 Alle varie tipologie di disponibilità testuali si aggiunge poi quella, di maggiore importanza per la conservazione della letteratura antica ma non necessariamente privilegiata sul piano dell'importanza filologica, della tradizione completa, diretta, delle opere dei vari autori (ossia di quelli conservati integralmente ancora all'altezza del IV-V secolo d.C.). Contaminazione, stratificazione, e a volte confusione delle tre tipologie a supporto della Platonica. The anecdotes concerning the life and writings of Plato, Leiden, Brill 1976 e di K.H. STANZEL, Dicta Platonica. Die unter Platins Namen überlieferten Aussprüche, Diss. Darmstadt 1987. 3 Ma nell'età ellenistica i generi e le contaminazioni fra generi si moltiplicarono, così da permettere di ritrovare materiale dossografico e paradossografico anche in luoghi inaspettati: cfr. e.g. il frammento 19 [52] di Timone di Fliunte (nr. 793 in Supplementum Hellenisticum, edd. H. LLOYD-JONES et P. PARSONS, Berolini et Novi Eboraci, De Gruyter 1983, p. 374). a Soprattutto le Note di storia di Caristio di Pergamo e i Memorabili di Dioscoride, non fosse altro che per indicare la vastità di materiale biografico e paradossografico andato perduto (questi autori sono richiamati perché nelle loro opere erano notizie e aneddoti su Platone e sui filosofi dell'Atene di V secolo). Qualora invece sia possibile un riscontro all'interno dei testi conservati, non di rado dati e attribuzioni (della doxa o dell'apoftegma) divergono da fonte a fonte: in Athen. 505D, per esempio, si racconta come Trasimaco fosse stato rimproverato da Platone con un gioco di parole realizzato attraverso il suo nome; Aristotele però riferisce la vicenda attribuendo il gioco di parole a Erodico (Rhet. II 1400b20 sg.). A proposito de ll a qualità critica di questo tipo di letteratura, va ricordato che non sempre í testimoni (raccoglitori di notizie o redattori essi stessi) intendono esaltare le personalità di cui si occupano. Il finale del libro XI di Ateneo, per fornire ancora un esempio dai Deipnosofisti, è di ispirazione totalmente antiplatonica (una delle fonti dell'impostazione pare essere stato Teopompo di Ch i ). Ε dunque in 505 Ε506Ε vengono denunciati la falsità della forma dialogica e l'artificio con cui il fil osofo aveva strutturato la propria opera; a differenza dei futuri contesti gnomologici, in Deipnosofisti 11 non è alcuna immagine esemplare del filosofo, quale dispensatore di saggezza e modello di humanitas. Se anzi si riporta qualche sua parola o frase, si tratta sempre di esempi discutibili, negativi, o del tutto travisati rispetto al contesto di partenza. Il detto memorabile in quanto deteriore rappresenta l'esatto contrario de ll a doxa (intesa quale opinione di un filosofo, dotata di forte valenza educativa): la raccolta di più detti memorabili (ín negativo) realizza, ossimoricamente, un florilegio di difetti e di modelli mancati. Tale esempio di lavoro paradossografico di Ateneo (tagliente pars destruens che prende di mira un singolo autore) rappresenta una funzione opposta a quella dell'Anthologion di Giovanni Stobeo; in quest'ultimo infatti sembra non venire mai meno l'esigenza paideutica della scelta testuale, e di conseguenza l'implicito valore positivo attribuito a ciascuna delle pericopi selezionate e trascritte.
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compilazione (dossografie, sintesi biografiche, apoftegmi; opere antologizzate ed epitomi; tradizione diretta) vanno intese alla stregua di movimenti irrinunciabili del lavoro, dipendenti sia dalla quantità di materiale a disposizione sia dalle finalità che l'assemblaggio complessivo vuole realizzare. Ma la ricerca su tali ripartizioni tipologiche delle testualità dí fondazione (quando essa sia possibile), non va limitata a quel genere «della Quellenforschung di cento anni fa»; 5 essa va piuttosto indirizzata alla disamina della redazione dell'Antholigion conservata dai manoscritti medioevali, oltre che — per quanto riguarda più nel dettaglio la ricerca filologica — alla ricostruzione equilibrata delle testimonianze (indirette e dirette) di una determinata trasmissione. 6 Sarebbe comunque eccessivamente semplificante individuare nel testo antologico una struttura costruita attorno a griglie di contenuti tematici (le mere titulationes dei capitoli), passibile dí continua e progressiva espansione: in parallelo all'amplificazione del materiale di partenza è evidentissimo il fenomeno della riduzione, di copia in copia, di trascrizione in trascrizione (poiché ognuna di esse potrebbe diventare, in ultima analisi, nuova versione dell'intera opera).' Tale
5 Secondo la quale un autore dedito alla ricerca filosofica su più versanti, come per esempio Cicerone, sarebbe semplicemente uno scrittore «che in un libro segue passivamente una fonte, in quello successivo un'altra fonte, senza mai introdurre nulla di suo, senza ricordarsi i n un libro d i ciò che ha scritto nel libro precedente» ( Μ. Gιusτλ, Ant i co di Ascalona e Carneade nel libro V del de finibus bonorum et malorum di Cicerone, «Elenchos», XI, 1990, p. 43). Il rischio di una considerazione analoga è ancora più forte per l'operato di Giovanni Stobeo, apparentemente dedito al semplice affastellamento del più eterogeneo e disordinato materiale, e — a giudizio dei più — indifferente a fastidiose e continue ripetizioni d i testi identici (anche a esigua distanza tra loro), muto e impersonale redattore della compilazione più estesa trasmessa dalla cultura tardo-antica (per questo tipo di considerazione cfr. e.g. le pagine introduttive di D.H. HAul, The ethical Doxography of Arius Didymus, ANRW, II 36.4, 1990, pp. 2935-3055). ~~In particolare occorrerà tenere in conto un dettaglio storico troppo sovente dimenticato, inerente alla maggiore antichità dell'origine dei prelievi di tradizione indiretta rispetto all'età in cui si siano solitamente formati gli archetipi medioevali delle opere tramandate:per via diretta. Nel caso degli estratti di Giovanni Stobeo, quando si può stabilire con una certa verisimiglianza che i l prelievo sia originario (ossia appartenente al nucleo primo dell'antologia come organizzata dall'escertore macedone), sarà fermo un terminus post quem al V secolo, quale momento in cui una porzione di testo si stacca da ll a tradizione autonoma che lo tramanda complessivamente, e diviene parte di un altro canale di trasmissione. Quando invece i l prelievo i n questione derivi già a Giovanni Stobeo da precedenti compendi, sillogi, e quindi costituisca già supporto di tradizione indiretta, il distacco indicato andrà collocato i n una fase cronologica ancora anteriore, e da ultimo idealmente più vicina alla redazione d'autore di quello stesso testo. ' Luciano Canfora ha inteso appunto riflettere sulla liceità di considerare i l copista quale mero tramite materiale della scrittura, di esemplare in esemplare, oppure di malevolo interpolatore e pretenzioso correttore (corruttore) di testi antichi. In particolare per
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tendenza di trasformazione delle dossografie e delle antologie antiche (giunta al parossismo, come è facile immaginare, nei secoli VI-VIII della cultura bizantina, con la nascita del nuovo genere di sacra parallela, florilegi sacro-profani, e píù tardi con Melisse e Lid communes) rende il prodotto finale estremamente enigmatico. La costituzione stessa del regesto dello Stobeo (appariscente sul piano quantitativo), consegnato all'Occidente medioevale per mezzo di una serie nutrita di manoscritti, suscita più interrogativi. Infatti, quanto dell'Anthologion che i codici restituiscono risale effettivamente alla meditata selezione di Giovanni Stobeo? Quanto invece è andato perduto per sempre, e quanto si è aggiunto nel corso di secoli di rielaborazione antologica e gnomologica? La disamina di detti platonici non consente certo di fornire risposte definitive, ma abbozza ipotesi di lavoro e presenta indizi sulla pratica compositiva dell'escertore tardo-antico e sull'atteggiamento nei confronti di forme testuali platoniche non circostanziate all'opera scritta dall'autore. Una legittima interrogazione di fronte alla smisurata mole di letteratura di raccolta e alle numerose attribuzioni ad autori differenti potrebbe essere la seguente: perché di Platone sono stati trasmessi apoftegmi e detti celebri (o passibili di celebrazione) al pari di un autore di cui non si è conservato nulla autonomamente? Il primo confronto che la dossografia impone è quello con Socrate, oppure con Diogene; l'eredità culturale di pensatori e filosofi che non hanno scritto alcuna opera (o di cui la tradizione non ha conservato integralmente alcun titolo) va necessariamente individuata all'interno di scritti altrui, che cerchino di raccoglierla indirettamente. Di Platone invece, di cui l'antichità e la tarda antichità ebbero sempre a disposizione le opere (in forma integra oppure antologizzata, in edizioni complessive o per florilegia), e il cui corpus costituisce di per sé un notevole oggetto editoriale, sono conservati anche detti e sentenze che non hanno rispondenza nel testo di dialoghi e lettere. Il problema va forse affrontato da una prospettiva diversa, in quanto la percezione dell'autorialità di Platone e di Socrate dovette risultare nell'antichità paradossalmente analoga: se Socrate non scrisse nulla, né organizzò il suo quanto attiene a deviazioni sintattiche e grammaticali, Canfora ricorda che «uno degli errori di prospettiva che i filologi commettono, quando studiano la tipologia degli errori, dunque quello di classificarli assiologicamente in "meccanici" e "concettuali": in alcuni casi persino alcuni errori tipicamente meccanici [...] possono essere agevolati dal fatto che il mostruoso testo risultante non appariva totalmente privo di senso al copista e alla sua idea di coerenza concettuale e sintattica» (L. CANFORA, Il copista come autore, Palermo, Sellerio Editore 2002, p. 21).
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pensiero in una struttura formalmente riconoscibile anche dopo la sua morte, ad altri toccava registrarne dottrina e insegnamenti. Parimenti Platone, autore di svariati dialoghi, nelle opere che la tradizione legittimamente gli ascrive non parla (quasi) mai in prima persona, ma sembra limitarsi a trascrivere dialoghi di altri. Soltanto la raccolta delle Lettere, anche per ragioni autobiografiche, rappresenta il momento di scrittura platonica in cui il lettore identifica la voce del personaggio che parla in prima persona con quella del filosofo. Nei dialoghi è Platone a esporre il suo pensiero, ma attraverso la mediazione di altre voci: quelle di Socrate e dei vari interlocutori, o quella di un personaggio dall'identità nascosta e generica (l'Ateniese delle Leggi).$ La tradizione dell'insegnamento filosofico si basa pertanto sulle δ~ ξaι di un pensatore che non ha scritto nulla (ed è questi Socrate; altri hanno parlato per lui), e di uno scrittore che non parla (quasi) mai direttamente (ed è questi Platone; che pare scrivere esclusivamente opinioni altrui). 9 La piccola aporia, che in entrambi i casi il lettore avverte (probabilmente già il lettore antico), sarebbe stata completamente risolta da Aristotele, che è autore in prima persona di una serie di scritti, a loro volta inseriti in un programma didattico e culturale volto a esporre il suo peculiare pensiero (sempre in prima persona). Per aspetti antitetici Platone e Socrate dovevano apparire sfuggenti in confronto alle modalità con cui altri scrittori imponevano al lettore i loro insegnamenti; di qui, da un lato, l'esigenza di integrare e compendiare la dottrina, di aggiungere (e non illusoriamente) ipsa verba a quanto già conosciuto di quell'autore. E dall'altro lato quella tendenza a coagulare la pregnanza di problemi etici (con relativa risoluzione) in testi brevi, sempre attribuiti a fortissime personalità: che si trattasse dí Socrate, Platone, Diogene, Zenone o altri, aveva poi importanza secon-
«Al centro del grande "coro" ateniese che popola la scena dei. dialoghi sta un protagonista enigmatico: Socrate, il maestro del giovane filosofo. Enigmatico Socrate lo è certamente per noi, ma lo fu probabilmente anche per i suoi contemporanei, e per í suoi stessi discepoli» (M. VEGETTI, Quindici lezioni su Platone, Torino, Einaudi 2003, p. 24). A proposito de ll a cronologia delle opere del f il osofo si sintetizza più avanti che «di fronte a questo insieme di difficoltà interpretative, si è sviluppata negli ultimi decenni un'attenzione critica per la natura specifica dei testi platonici, che consiste, in sostanza, nella decisione ermeneutica di prendere sul serio il loro carattere dialogico, il loro riferimento strutturale ai problemi e ai personaggi coinvolti, e soprattutto, l'assenza del loro autore, l'anonimato filosofico di Platone» (ibidem, p. 71). 9 Al punto che lo studio della δ~ ξα all'interno della dottrina platonica costituisce tema trasversale all'intera produzione dei dialoghi, come ha indicato l'ampia raccolta di E. 8
Die Platonischen Versionen der griechischen Doxalehre. Ein philosophisches Lexicon mit Kommentar, Meisenheim am Gian, Hain 1970. TIELSCH,
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darla. È il mondo della scuola a sunteggiare dottrine e confezionare detti memorabili; in primo luogo spicca la problematica etica, e poi chi ne sia risolutore. Anche la nuova struttura formale con cui Aristotele espone il suo pensiero, al di là della ricezione diretta dei suoi scritti, si presta ugualmente a una fiorente produzione di chrie e di apoftegmi d'età successiva (confluiti in parte anche nello Stobeo: cfr. infra). 10
A sostenere l'ipotesi di questa analogia di fondo tra i due, maestro e discepolo, agli occhi del pubblico di età successive, soccorre Plutarco in un passaggio delle Opinioni dei filosofi. All'inizio della sua esposizione di dottrine fisiche (Περ. τ~~ν ~ ρχ~ν τí εí σiν), dopo l'usuale rassegna di δ~ ξαι di Presocratici e di Pitagorici, Plutarco dedica gli ultimi tre paragrafi del capitolo alle scuole accademica, peripatetica e stoica; ma prima di introdurre le didascalie relative a Socrate e Platone annota en passant: Σωκρ ~της Σωφρ oνισκoυ Äθηνςîoς κα. Πλ~ των Áρí στωνo ς Áθηναîoς, α. y~ ρ αvτα~~Περ. παντ~ ς ~ EαΤYpol δ~ ξαι, τρε~ ς ~ ρχ~ ς, τ~ ν Θε~ ν τ~ ν úλην τ~ ν í δ~ αν (878Β). Non
affatto ozioso ricordare ai lettori di una silloge interamente costituita di insegnamenti diversi e contrapposti sulle stesse tematiche trattate, che le opinioni di due filosofi sono identiche in ogni campo (Πε ρ . παντ~ ς è specificazione determinante). Plutarco rende ragione dí una inevitabile inscindibilità della δ~ ξα dell'uno da quella dell'altro, a causa della modalità con cui la medesima opinione si presenta nell'opera dí partenza. Quella di Socrate è stata mediata dalla scrittura di Platone, che ha provveduto a registrarla; parimenti la δ~ ξα dl Platone va ricercata all'interno delle sue opere, ma nelle parti dialogiche di personaggi che non hanno mai il suo nome (portano anzi nella maggior parte dei casi il nome dello stesso Socrate)•h 1
10 Nel caso della produzione dossografica le raccolte di opinioni esprimono un'esigenza tipica della scuola, di riduzione delle singole dottrine in dogmata, messi in opposizione nella loro essenzialità espositiva con le opinioni di altre scuole. Del tutto diversa invece la produzione aneddotica, con chrie e apoftegmi, grazie alla quale la figura del filosofo è mostrata nella concretezza di singole situazioni fittizie, che ne rivelino pensiero e ideali filosofici. Testimonianze di entrambi í generi sia per Socrate e Platone sia per Aristotele sono indizio dell'esigenza di veicolare gli aspetti fondamentali delle loro dottrine in modo diverso rispetto a quello della tradizione dei testi completi. Si vedano F. WEHRua, Gnome, Anekdote und Biographie, «Museum Helveticum», XXX, 1973, pp. 193-208; J.F. KINDSTRAND, Diogenes Laertius and the Chreia tradition, «Elenchos», VII, 1986, pp. 217243; l'introduzione di M.-O. GoULεΤ-CAZÉ, Diogène Laërce. Vies et doctrine des philosophes illustres, Paris, Vrin 1999. 1' In Plutarco naturalmente il termine xpaia non compare.
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ΙΙ. ∆Οξλι KAI AflOOEEAMATA PLATONICI NELL' « ANTHOLOGION» DI
GIOVANNI STOBEI
ΙΙ 3, 4 = ΙΙ, p. 26 ( Περι ρ ητορικ~ ς) τον αυτο ~ . 'Ιδ~ν Τινα Πλ~των φα~ λα µ ~ ν πρ ~ ττοντα, δ~ κας δ~~υπ~ ρ ~ τ~ ρων λ~γοντα, ε~πεν Ο~τος Viii ~π~~ γλ~σση φ~ρει. ΙΙ 6, 1 = ΙΙ, p. 37 ( Περι χαρακτ~ ρας τ~ν παλαι~ν) Πλ~των τα πολλ~~~ν τινες σνγγρ ~ φονσι τοî ς 'Αδωνιακο~ ς κ~ποις ε~ κα~νονται. ζεν, ο ~ φ~ µερον~χοντες Ρ αδ~ ως µαρα ΙΙ 31, 62 = ΙΙ, p. 212 ( Περι αγωγ~ ς και παιδε~ ας) Πλ~των παρεκελε ~ετο τοî ς µαθητα ~ ς τρ ~ α τα~ τα ~χειν• 8πι µ ~ ν τ~ ς ~ νην, ~π6 δ~~τ~ ς γλ~ττης σιγ~ν, ~πι δ8 τ~ν οφθαλµ ~ ν αιδ~ . γν~ µης σωφροσ ΙΙ 31, 80 = ΙΙ, p. 215 (ibidem) Πλ~των ε~πε τ~ν παιδε~ αν τοî ς ανθρ ~ποις δε~τερον ~ λιον ε~ναι. ΙΙ 31, 110ι = ΙΙ, p. 221 (ibidem) ~ ν το~ ς Πλ~των λ~γοντ~ ς ποτε 'Ισοκρ ~τους, ~ς δ~ καια ποιε~~πολ~ν µισθ µαθητας ~εσπραττ~ µενος, το ~ς µ ~ ν γαρ ευφυε~ ς ωφελο~ν, περι δ~~το~ς ~ φνε~ς πονε~ν, τουναντ~ον η, ποτε ~ς, ~σ~ κρατες• περ ~~ µ ~ ν ydp το~ς εν φνε ~ς ον πονε îς, το ~ς δ~~~φνε ~ς ουκ ωφελε ~ς. ΙΙΙ 5, 36 = ΙΙΙ, p. 266 sg. (Περι σοφρωσ~νης) 'Εκ τ~ν Σερ~ νον. Ευριπ~ δης η~δοκ~µησεν~ ν Θε~τρω ε~π~ν Τ~~ δ'α~ σχρ~ ν, ~ ν µ ~ νοτς δοκ~; ~~το îς γε χρωµ και Πλ~των ~ντνχ~ν αυτ~~~~Ευριπ~δη Ψη α~ σχρ~ ν τ~~γ' α~ σχρ~ ν, κ~ ν δοκ~~κ~νν ~~δοκτ~.
ΙΙΙ 6, 19 = ΙΙΙ, p. 285 ( Περι ακολασ~ ας) Χαλεπ~ ν ~ λεγεν ε~ναι ~~Πλ~ των ε~ ρε~ν τοî ς µ ~ ν ~ κολ~ στοις ~γαθ~ ν ~ δον~ν τοî ς δ~~νοσονσιν ~γιειν~ν.
ΙΙΙ 7, 26 = ΙΙΙ, p. 315 sg. (Περι ανδρε ~ ας) Πλ~τωνος. Πλ~ των φη το ~ ς αγαθο~ ς ~νδρας β~ ου µ ~~µακρον,~ λλα λαµπρο ~~δε~ σθαι. 9 - 10. ΙΙΙ 7, 42 sg. = ΙΙΙ, p. 320 sg. (ibidem) Πλ~τωνος ... τον α~τον. Πλ~ των ~ ρωτηθεις π~ς ~χειν δε~~πρ ~ ς τα περιπτ~µατα,ο ~τως ε~πεν ~στε προ ~δ~ ντα µ ~~~µβ ~ ναι, ~µβ ~ ντα δ κατ' ~γνοταν µηδ ~~φροντ~σαι. Ον τ~~ ~ν περ ~~ πλε ~στον ποιητ~ον, ~λλ~~τ~~ε~~ζ~ ν. ΙΙΙ 10, 59 = ΙΙΙ, p. 423 (Περι αδικ~ ας) Πλ~τωνος. Πλ~των πρ ~~τον αεΙ, ζητονντα χρηµατ ~ ζεσθαι ~~πονηρ~~ε~πε µ ~~πειρ~~ τ~ ν κτ~σιν ανξετν, ~λλ~~τ~ ν ~πτθνµ ~αν µει ~σατ. ΙΙΙ 11, 23 = µνηµονευµ ~των.
ΙΙΙ, p. 433 sg. (Περι αληθε ~ ας) 'Εκ τ~ν Σερ~ νον απο -
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Πλ~των µ ~ νδιστον ε~ναι τ~ν ~κονσµ ~ των την ~ λ~ θειαν ~λεγε, Πολ~ µων ~δ~πολ~~~ δισν τον ~κονειν τ~~λ~γειν ειναι τ~ ληθ~ .
ΙΙΙ 13, 56 = ΙΙΙ, p. 465 (Περι παρρησ~ ας) Πλ~τωνος. ∆ιον~σιος ~~τ~ ραννος ~τιµ ~ ζων αντ~ν δι~~την πρ ~ ς ∆~ ωνα φιλ~ αν, κατ~ κλινεν αυτ ~ ν ~ν τ~~ ~ σχ~ τη χ~ ρα• και µνκτηρ ~ ζων ~~που, ~~ ~~~λ~γον καθ ~µ ~ν Sial~Πλ~των, ~ νθ~ νδε ~πελθ~ν πολ ~ ν ~ ν ~ καδηµε ~~y~ νοττο ~ φη τοσαιΥτη λ ~γων απορ ~α, ~στε περι σον δταλ~σεις. ~~δ~~µ yεσθαι. ΙΙΙ 17, 35 = ΙΙΙ, p. 501 sg. ( Περι ~γκρατε~ ας) Πλ~τωνος. â το ~ δωρ, και ~ξ~ Πλ~των πολλ~ κις διψ~ν ~ κ τον φρ ~ ατος ~νιµ χει, κολ~ ζων την ~πιθυµ ~ αν. ΙΙΙ 19, 5 = ΙΙΙ, p. 530 ( Περ ανεξικακ~ ας) Πλ~τωνος. Πλ~ των λοιδορονµενος~π~~τ~νος λ~γε ~ φη κακ~ς, ~πει καλ~ς ο ~ κ ~µαθες.
ΙΙΙ 20, 42 = ΙΙΙ, p. 547 sg. ( ΠεριΡ ~ ργ~ ς) Πλ~τωνος. Πλ~των ~ ργισθε~ ς ποτ~~τινι τ~ν δο~λων, χ~ ριν ~χειν το~ς θεο~ ς ~ κ~ λενεν αντòν ~ τι οργ~ ζεται• κολασθ~ναι γαρ ~ν π~ντως, ει µη~ ργ~ ζετο.
ΙΙΙ 20, 57 = ΙΙΙ, p. 551 (ibidem) ~~ ~~ οικ~ τη ~πιστ~ντος Εενοκρ ~ τονς λαβ~ν Πλ~των ~ ργιζ~ µενος ποτ ~ φη το ~τον µαστ ~ γωσον• ~γ~~γαρ οργ~ζοµαι. ΙΙΙ 23, 13 = ΙΙΙ, ρ. 599 (ΠεριΡ φιλαυτ ~ ας) Πλ~τωνος. ~ν, ~πιστρ ~ φειν ~ ' ~ Πλ~ των σννεβονλενεν, ~τε καταγελ~ σοµεν τινι î ς αντο~ ς ~ σµ ~ ν ~ νοχοι. πολλ~~γαρ τ~~ αντο~ ς και σκοπε~ ν, µη καιΡ αυτοι το ~ λλον καταγελ~ντι. φ~ λαντον ~πικρνπτει και περιβ~ λλει t παρ ~~τ( µ ~ τωνος. Ι I 22b, 60 = ΙI , p. 520 (ΠεριΡ γ~ µον) Πλ ~ νον Πλ~των ~ ρωτηθεις ει γ~µας Ψιλοσοφ ~ σω; ουκ ε ~ δ~ ς ~ φη ο ~δ~~ µ ~ σεις; και yννâικα ~πι τ~ ν ~µων σννδιασ σαντ~ ν ~ς Ι I 25, 43 = Ι I , p. 628 ("Οτι χρη το ~ς γονεις τ~ ς καθηκονσης τιµ καταξιο~σθαι παρ~~τ~ν τ~κνων, και ει ~ν ~πασιν αντο~ς πειστ~ων) Πλ~τωνος. Πλ~ των θρασνν ~ µενον~ δ~ν τινα πρ ~ ς τον ~ αντον πατ~ ρα ον πα~ση µετ ~yα φρονε î ν ~ξιος; ρ~κτον ε~πε το ~το~~καταφρον~ ν, Si' ôν µ Ι I 31d, 123 = V, p. 778 (ΠεριΡ πλο~του) Πλ~τωνος. 'Ερωτηθε~ς π~ σην δει ο~σ~αν ~χειν, ε~πεν ~ σην ~χων οντ' ~πιβονλενθ~ ση ο~τε τ~ν αναγκα~ ων απορ~ σεις.
22 -23. Ι 1 53, 31 sg. = V, p. 1107 (Σνγκρισις ζω~ς και Θαν~το~) Πλ~τωνος ... τον αυτο ~ . ~νονα ~ ντα παντι Τον πλε~ ονος β~ ου φανλοτ~ ρον δ~~τον ~ λ~ σσονα ~ µε π~ντως προαιρετ~ ον. ~~ ~νθρ ~πω• κακ ~ς ~ ρ ' αναγκ~ ζεις ζ~ν. Ονκ ~ µεινον ~ζν τ µοχθηρυ
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La raccolta dei dicta raffigura un Platone affatto particolare: non certo lo scrittore della dottrina delle idee, o colui che prefigura una perfetta e utopica costituzione politica; del resto le esigenze formali dell'apoftegma inducono a semplificazione e banalizzazione dei test'. di partenza (ammesso che ve ne siano di specifici). La differenza di notazione lemmatica tra i vari testi risulta irrisoria, dal momento che nella maggior parte dei casi (1, 8-11, 13-16, 1823) l'etichetta introduttiva si limita al generico Πλ~ τωνος ( o al relativo τον αï~τov, qualora il testo in questione sia preceduto da altra egloga ascritta all'identica personalità letteraria). Occorrenza alterna, tiva è rappresentata dalle egloghe che non offrono alcun lemma, poiché a incipit del testo compare il nome di Platone, inserito in un discorso indiretto, con funzione introduttiva dell'apoftegma (che renderebbe inutile l'eventuale lemma: 12 2-5, 17). Da ultimo, in soli tre casi all'interno dell'intero Anthologion si riscontra riferimento a un'opera intermedia (tra tradizione platonica e redazioni antologiche), che evidentemente raccoglie materiale filosofico di varia natura. Ed è questa l'unica indicazione d i un titolo utilizzato quale fonte (e tramite) di apoftegmi del filosofo ateniese. Il lemma del testo 6 ('Εκ τ~ν Σερ~ 12 Eventualità comunque attestata: negli esempi 8 9, 11, 14 16, 18 20 al lemma Πλ~τωνος segue immediatamente l'attacco testuale con il nome Πλ~ των. Nei casi di semplificazione de ll a didascalia in opposizione all'iterazione nominale, occorrerà ritenere che il lemma originario, presente in ogni caso, sia stato tralasciato nel corso della tradizione manoscritta, oppure che esso sia stato progressivamente inserito, anche quando non strettamente necessario? II quesito potrebbe essere posto in maniera assai diversa se si ritenesse che Giovanni Stobeo fosse animato dallo scrupolo di segnalare al lettore la letteratura secondaria di cui si serviva per redigere la sua antologia; in tal caso l'editore di Eclogae e Florilegium sarebbe tenuto a ricercare un ipotetico lemma iniziale, che raggruppi serie di apoftegmi, sequenze dossografiche, sentenze, riportati senza distinzioni interne (cfr. nota successiva). In realtà questo procedimento compositivo è presupposto nel caso di Aëtius, citato da Giovanni Stobeo per sezioni molto estese. Nella sua edizione dei Dossografi Greci Diels ha inteso la presenza iniziale del nome del filosofo come indizio del lavoro compilativo; l'ipotesi è stata sostanziata con la segnalazione dei numerosi passi derivanti dai Placito, e trascritti nelle Eclogae physicae et ethicae dello Stobeo nello stesso modo: «Placitorum lemmata summa constantia a philosophorum nomine incipiunt. [...] coniunctionis signum haoúv πεΡ ì 'Aptστoτ~ λης, quae eadem verba Stobaei testimonio conbes in principio: oi µεν firmatur. hinc sequitur Aëtium consilium cepisse Placitorum non solum capita colligere, sed etiam collecta inter se continuationis quidam vinculo connectere» (Doxographi Graeci, coll. rec. prolegom. indic. instr. H. DIELS, Berolini et Lipsiae, De Gruyter 1929 2 [1879], p. 57, et passim nel corso del capitolo De Aetii Placitis, pp. 45-69). Considerazioni metodologiche a riguardo si trovano in J. MANSFELD, Doxographi Graeci, in Hermann Diels (1848-1922) et la science de l'antiquité, Vandοeuνres-Genève 17-21 Août 1998, Genève, Fondation Hardt 1999 («Entretiens sur l'antiquité classique», XLV), pp. 143-164; si veda ora l'impostazione di The sources for Aëtius: Johannes Stobaeus, in MANSFELD - RUNIA, A1tiana, cit., pp. 196-271. -
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νου) parrebbe inoltre parziale o incompleto rispetto a quello di testo 12 ('Εκ τ~ν Σερ~νον ~ποµν ~ρονευΜ~τωΝ); ma, grazie a quest'ultimo, si può desumerne la provenienza con più precisione. 13 Per quanto riguarda il testo 7, esso appare privo di lemma all'interno di un'articolata sequenza dossografica, che sarà opportuno analizzare nel dettaglio. Dopo le citazioni poetiche, i brani in prosa del capitolo Περì ~κολασíας prendono avvio (in III 6, 14 = Stob. III, p. 284) con un generico lemma Σωκρ~τους, cui fanno capo due brevi sententiae e un apoftegma sintatticamente più articolato. Alle frasi di cultura socratica segue l'avvertenza lemmatica ~κ τ~ν Σερ~νον, con un episodio riguardante Diogene, un giudizio generico su Euripide accompagnato da un commento (attribuito a Sofocle), due apoftegmi riportati in forma indiretta, di Platone e di Zenone (III 6, 19 sg.). A partire da III 6, 21 si susseguono passi che chiamano in causa Musonio e alcuni suoi titoli; considerata la presenza di informazioni lemmatiche del tutto diverse, la sezione desunta da Sereno sembra a questo punto terminata. 14
13 L'alternanza di notazione completa e parziale dell'indicazione di questa fonte rappresenta un tratto regolare nell'opera dello Stoben, allorché il riferimento corra ai Me morabilia di Sereno: in II 1, 22; II 2, 17; III 11, 23; IV 6, 20; IV 19, 48; IV 24a, 11 compare il titolo completo. In II 31, 114; 116; III 5, 36-39 (secondo le attribuzioni di Hense; cfr. Stob. III, pp. 267 sg., r. 16 dell'apparato), III 6, 17-20; III 13, 48 sg.; 58; III 29, 96; III 39, 27-30; IV 2, 26; IV 22f, 134 la forma abbreviata; in III 7, 62 il lemma è semplicemente Σερ~νον. Non è dato sicuro — poiché non se ne conoscono i metodi di lavoro — ma forse la frequenza delle ricorrenze dimostra una certa familiarità dell'antologista con la raccolta utilizzata: secondo Hense í prelievi da Sereno sarebbero effettivamente piιι consistenti di quanto dichiarato dalle didascalie introduttive, anche per l'accorpamento di egloghe differenti, di natura apoftegmatica e riferite ad autori vari, sotto un solo lemma iniziale. «Ein solcher Fall liegt Stob. III 39, 27-30 vor. Die Gruppe wird besser nach Ma il gabe von S lediglich mit dem führenden Lemma 27 ' Εκ τ~ν Σερ ~νον gegeben unter Be ,
seitelassung der in ΜΑ zu 28-30 sich findenden Speziallemmata. [...] 28 ' Αριστε~δου und 29 ΣεριφιΡ oυ sind entbehrlich, und Σερ φíoυ auch gegen die Gewohnheit des Stobaios, der weder bei Anführung von Stellen aus den ' ΑπoΜνηΜoνε~ ΜαΤα des Aelius Serenus noch sonst Gentilnamen als Lemmata zu verwenden pflegt» (O. HEISE, b annes Stobaios, in RE IΧ.2, 1916, col. 2565 sg.). 14 Per il fatto che, in III 6, 23 sg. si legge rispettivamente µουσωνιΡου~ κ το~~Περì ä Ψρoδrní ων ed ~ κ Το~~Περ ì κoυpâς, Hense non ha avuto dubbi nel ritenere anche le due precedenti egloghe (III 6, 21 sg.) desunte dalla stessa fonte, vale a dire di provenienza sicuramente altra rispetto a III 6, 17-20 (forse per il presupposto — positivista e ormai anacronistico — secondo il quale le citazioni di uno stesso autore derivavano in blocco da un florilegio originario in cui soltanto un autore era antologizzato). I forti legami lessicali e le stesse evidenze dei termini - guida all'interno delle egloghe documentano piuttosto che III 6, 20 e 21 siano strettamente connesse (grazie all'insistenza sui π~νοι, sia in Zenone sia in Musonio).
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ΙΙΙ 6, 17. 'Εκ τ~ν Σερ~νον. ∆ιογ~νης κατεγ~ λα τ~ν τ~~ µ ~ ν ταµιε ~ α κατασηµαινοµ ~νων µοχλο ~ ς κα~~ κλεισ~~κα~~ σηµ ~ ντροις, τ~~δ~~σ~µα ~~ τα~τ~ν πολλâις Θνρ ~ σι κα~~Θ~ ραις ~νοιγ~ντων δι ~~τε στ~ µατος κα ~~α~ δο~ ων κα~~ ~των κα~~ ~ φθαλµ ~ ν. Περ ~~Ε~ ριπ~ δον τις ~ λεγεν ~ τι µισογ ~νης εiη• κα~~ ~~Σοφοκλ~ ς ~λλοκ ~ν υε τ~~κλ ~ νη ~ φη.
Χαλεπ~ν ~ λεyεν ειναι ~~Πλ~των ε~ ρε~ ν τ~~ ς µ ~ν ~ κολ~ στοις ~ γαθ~ν ~ δον~ν το~ ς δ~~νοσονσιν ~γιειν~ν. Ζ~νωνος. 'Ο Ζ~ νων ~ τιâ το το~ ς πλε~ στονς λ~γων ~ξ~ν ~πò τ~ν π~ νων τας ~ δον~ ς φ~ ρειν ~πò ι~ν µαγειρε ~ ων λαµβ ~ νοντας. ΜονσωνιΡον. Μονσ~νιος λεγεν ~περβολ~ν ~ναισχνντ~ ας ε~ναι τ~~πρ ~ ς µ ~ ν τας ι~ν π~ νων ~ποµον ~ ς µεµν ~ σθαι τ~ ς τοû σ~µατος ασθενε ~ ας, πρ ~ ς δ~~Τ~~ ι~ν ηδον~ν ~κλανθ~νεσθαι. ΜονσωνιΡον. 'Αρχ~~τον µ ~~κατοκνετν τ~~ ~ σχ~ µονα τò µ ~~κατοκνε~ν τ~~ ~ σχ~ µονα λ ~ γειν. ΜονσωνιΡον ~κ τον Περ ~~αφροδισ~ ων. Μ~ ρος µ ~ ντοι τρυφ~ ς ο~~µικρ ~ τατον κ~ν τοî ς ~ φροδισ~ οις ~ στ~ν, UT' ποικ~ λων δ~ ονται παιδικ~ν κτλ.
L'edizione di Hense, giustapponendo i vari brani nella solita sequenza indifferenziata, annulla qualsiasi discrepanza esistente tra í loro caratteri sostanziali, come se il dato lemmatico non avesse alcun valore. Pur tenendo conto di tutte le interpolazioni, le mancanze, le modifiche possibili nate da errata trascrizione, nelle egloghe del passo si può infatti avvertire la presenza distinta di due lemmi fondamentali, strutturalmente e funzionalmente differenti. Un primo tipo è quello che richiama al lettore l'opera di provenienza delle egloghe selezionate (e il lettore dell'Antologia conosce già gli Áποµνηµ oνε~ µαταdi Sereno; 15 a questo punto sembra sufficiente un richiamo al solo au-
1 5 Hense non dubita a identificare il Sereno citato dallo Stoben con Elio Sereno, grammatico ateniese menzionato da Suida (s.v. Σερ~νο) e dall'Etym. M. p. 149, 54; 207, 48. Più prudente von Arnim, che non azzarda identificazioni e si concentra semplicemente su Sereno quale «Verfasser einer ' Αποµνηµονε ~µαταbetitelten Spruchsammlung, aus der Sto -
baíos zahlreiche Aussprüche sowohl von Philosophen (Herakleitos, Anaxarchos, Platon, Polemon, Arkesilaos, Diogenes von Sinope), wie von unberlihmten Personen (auch apophthegmata Laconica) aufgenommen hat» (H. voi AtuIM, Serenus, in RE 11.1, 2, 1923, col.
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tore); un secondo tipo è il semplice lemma che distingue il riferimento dossografico a vari personaggi (lenone a differenza di Musonio). Mentre è l'antologista a riportare i dati della fonte che sta utilizzando (a sua discrezione rammenta al lettore auctores e titulationes: il Περì ~ Φρ o&&σíων di Musonio,16 a prosecuzione del capitolo), non è affatto escluso che negli altri casi egli riporti piuttosto riferimenti lemmatici minimi, indispensabili, che poteva ritrovare già nelle sue stesse fonti. Il solo nomen auctoris in tal caso sarebbe funzionale a distinguere le situazioni descritte dalla fonte dossografica o paradossografica, al fine di non confondere le rispettive attribuzioni. Secondo lo scrupolo espiicativo che muove parte della scelta antologica, il richiamo di Musonio avrebbe potuto essere adeguatamente sviluppato grazie al ricorso all'opera vera e propria dell'autore. Il modello ditale procedura è offerto infatti dal rapporto con il testo platonico, sempre preferito nella sua estensione originale rispetto alla sintesi scolastica successiva: in I 15, 3b — tanto per offrire un saggio d'apertura — una didascalia di Aëtius sulla dottrina platonica, il cui contenuto è tratto dal Timeo, viene immediatamente corroborata dalla trascrizione della pagina di d~alogo. 17 L'antologista sembra talvolta voler dimostrare la realtà dei testi compendiati (quelli di Aëtius, degli anonimi apophthegmata, delle δ~ ξcι filosofiche), ricorrendo direttamente alla parola dell'autore interessato. Anche in tal caso il compilatore di fonti poteva forse arricchire il dettato dei due apoftegmi di Musonio con la citazione del testo autentico di Musonio che aveva a dispos ~zione. 18 1674 sg.); sul genere dei commentario e sulla parentela con gli gnomologi greci si veda Ο. Das Gnomologium, das Gnomologium Vaticanum und die Tradition, «Göttínger Forum für Altertumswissenschaft», IV, 2001, specie le pp. 104-107. 16 Cfr. R. LAURENTI, Musonio, maestro di Epitteto, ANRW, II 36.3, 1989, pp. 21052146. 17 Cfr. infra per la disamina dell'intero passo. Di questa smaccata preferenza per il testo originario, nella fattispecie platonico, si era accorto già Diels, definendo Giovanni Stobeo Ψ~λοπλ~ΤωΝ: «quanto autem studio Platonis monumento volverit, non solum ex excerptorum multitudine elucet vel inde quod eins testimonium alíis eclogis ipse adiunxit» (p. 75); e soprattutto: «sed ílle Platonicorum omnium parcior est excerptor, cum ipsum Platinem creberrime audire soleat. velut illic ecl. I 22 p. 498 Timaeum quam Aëtium transcribere recte praetulit» (Doxographi Graeci, cit., p. 58). 18 Se così fosse, le due estese egloghe di III 6, 23 sg. andrebbero intese quale ampliamento delle informazioni desunte dall'opera di Sereno, in cui Giovanni Stobeo reperiva una serie di γν~µαιinerenti a ll ' ~ κoλaσια in Diogene, Platone, lenone, Musonio; non stupisce certo, in un regesto di dicta et facta memorabilia, la mescolanza di autori di opere scritte, ben individuate dalla tradizione libraria, e di filosofi che, pur non occupando una porzione specifica nella trasmissione degli scritti filosofici (Diogene), erano comunque facilmente identificabili grazie a un altro tipo di tradizione (successiva e ugualmente libraria). Sul piano dell'economia della distribuzione dei lemmi, il raggruppamento ΟΝΕRWΙΕΝ,,
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Píù cospicua risulta invece la differenziazione di carattere strutturale della materia gnomologica vera e propria, ossia le modalità di introduzione d'ogni singola egloga. Nonostante si possa ritrovare concordanza pressoché completa con la sintesi formulare di Quintiliano, non è possibile redigere una griglia in cui far rientrare tutte le componenti (grammaticali e stilistiche) effettivamente presenti nei vari test'. Ma il richiamo del capitolo dell'Institutio oratoria per intero può rivelarsi assai utile a comprendere come le differenze di presentazione formale del materiale gnomologico fossero già state puntualizzate nella prima età imperiale. Quint. I 9, 3-5 Sententiae quoque et chriae et aetiologiae subiectis dictorum rationibus apud grammaticos scribantur, quia initium ex lectione ducunt: quorum omnium similis est ratio, forma diversa, quia sententia universalis est vox, aetiologia personis continetur. Chriarum plura genera traduntur: unum simile sententiae quod est positum in voce simplici: `dixit ille' aut `dicere solebat'. Alterum quod est in respondendum: `interrogatus ille' vel `cum hoc ei dictum esset respondit'. Tertium huic non dissimile: `cum quis dixisset aliquid' vel `fecisset'. Etiam in ipsorum factis esse chriam putant, ut: 'Crates, cum indoctum puerum vidisset, paedagogum eius percussit, et aliud paene par ei, quod tamen eodem nomine appellare non audent, sed dicunt χρει~ôδες, ut: `Milo, quem vitulum adsueverat ferre, taurum ferebat'.
La tipologia maggioritaria per frequenza implica un participio verbale in apertura di detto, congiunto al nominativo Πλ~των che segue di varie egloghe al d i sotto di un'unica didascalia (specchio della fonte di partenza) ri-
sulta il più semplice e il più apodittico allo stesso tempo. Questo criterio, se applicato con rigida determinazione, nega infatti quel meccanismo di progressivi riduzione e accrescimento della mole antologica, che costituisce invece fenomeno basilare in tutta la letteratura gnomologica. Negare la validità assoluta del criterio significa del resto mortificare creatività e originalità degli accostamenti testuali voluti dall'antologista, in un percorso (a tratti anche filologico) che recupera puntualmente la parola dell'autore per convalidare didascalie filosofiche p~ù generiche. Sulle problematiche legate ai lemmi Hense, successivamente all'edizione, avviò un'indagine basata quasi esclusivamente sul confronto dei dati manoscritti: «Man sieht, die Frage, ob in zahlreichen Chrien, Homoiomata, Gnomen,
Apophthegmata der in den Eklogen selbst eingeführte Autor mit dem Archetypus von MA auch als Lemma zu setzen oder mit S darauf zu versichten sei, kann durch veremzelt auftretende Mißgriffe oder durch die Entbehrlichkeit solcher Lemmata nicht ohne weiteres als zu gunsten von S entschieden angesehen werden. [...] Si unschätzbare Dienste aber insbesondere M der Stobaioskritik leistet, man wird doch wohl anzunehmen haben, daß derlei überflüssige und den Einblick in die Vorlagen des Stobaios nicht selten hemmende Lemmata wie regelmässig in MA so hier und da auch in den Handschriften der beiden ersten Bücher erst durch die librarii sei es in der scriptio continua einer schematischen Regelmäßigkeit zu liebe oder auch am Rande als orientirende Vermerke hinzugefügt sind» (HEISE, b annes Stobaios, cit., col. 2566 sg.).
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(ο precede); a seconda della diatesi e del valore del participio, il redattore espone la questione filosofica (o di etica pratica, di Popularphilosophie), che naturalmente chiama in causa Platone o un suo giudizio. Al proposito la struttura ιδ~ν Πλ~των ... εiπε / gφΗ ... si riscontra nei casi 1, 5 sg., 11, 15 18, 20 del regesto complessivo. In quanto deroga particolare del costrutto più generico (poiché viene utilizzato un solo participio), la formula Πλ~των ~ ρωτηθεις ... εiπε, ossia un modulo della χρε~ α propriamente intesa, 19 può essere considerato sottogruppo di questa prima categoria (lo si riscontra nei casi 9 sg., 19, 21 dell'elenco). Un secondo tipo di detto memorabile si individua facilmente nello schema sintattico sorretto da un verbum dicendi (o da suo sostituto), di volta in volta riferito alla personalità filosofica in questione: Πλ~των εiπε ... Πλ~των παρεκελε~ετo .... In base a molteplici possibilità grammaticali, la struttura di partenza porge un discorso che resta comunque di tipo indiretto (esempi 2 4, 7 sg., 12), e desunto abbastanza chiaramente da tradizione e discussione scolastica tout court del problema. 20 A mezzo di caratteristiche sia della prima sia della seconda forma, il testo 16 si presenta con un carattere più composito: data una situazione di contesto minimo (che nella prima classe tipologica è solitamente espressa dal participio iniziale: Πλ~των ~ ρyiσ8εις ποτ~~Till τ~iiν δο~λων, κτλ.), viene poi introdotta una forma sostitutiva del verbum dicendi, a reggenza di un discorso indiretto libero con vari infiniti ( χ~ ριν χειν τoîς 06oς ~ -
-
19 Sulla caratterizzazione della chria, e quindi sulla «strada che porta a ll a nascita del genere della raccolta di aforismi, intesa non come repertorio di proverbi, espressioni topiche e regole etiche, ma come silloge cosciente di pensieri originali», si veda ora R. Tisτ, Ι Greci: gnomai, paroimiai, apophthegmata, in Teoria e storia dell'aforisma, premessa di V. RODA, a cura di G. Ruozzs, Milano, Bruno Mondadori 2004, in particolare pp. 10-12; per una distinzione schematica tra chrie e apoftegmi cfr. OVERWIEN, Das Gnomologium, cit., p. 103 sg. 20 Naturalmente, all'interno della scuola, la semplificazione a fini didattici di elementi paradigmatici incontra una fase di trasmissione in primo luogo non scritta: «Il problema ben vasto del passaggio dall'orale allo scritto rappresenta solo uno degli aspetti più intriganti de ll e composizioni gnomologiche, che comprendono molto spesso apoftegmi di varia natura, dall'enunciato semplice, talora introdotto dall'espressione " ~~δ~~ να φη ", fino alla trasformazione della frase in aneddoto ricreato: per esempio "il tale, avendo visto ... e interrogato ... disse". [...] Un altro aspetto della produzione gnomologica, per sua natura sufficientemente disarticolata, è quella del passaggio da ll o scritto allo scritto, nel senso che ciascun `gnomologista' [...] lavora alla sua opera a partire da raccolte già codificate, ma secondo la propria ispirazione, talora aderendo a modelli precisi e talora innovando, talora semplificando e talora intrecciando le diverse tradizioni. I copisti della sua opera completeranno il processo di articolazione e disarticolazione secondo le proprie inclinazioni, disponibilità, finalità» (P. ODORICO, Un esempio di lunga durata della trasmissione del sapere: Cecaumeno, Sinadinos, l'antichità, l'età moderna, in Aspetti, cit., p.
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sg.).
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κ~λεvεv αúτ~ ν ónn ó ργιζεται. κολασθ~ ναι γαρ äν π~ντως, εï ~ργιζετο). L'esempio e suoi caratteri intermedi dimostrano anzitutto la vacuità di rigide suddivisioni in celle tipologiche; la tradizione del detto memorabile si rivela assai p".ù ricca, problematica e fl uida rispetto alla mera registrazione scritta anche perché soggetta a ogni tipo di variazione redazionale (del resto è lo stesso Quintiliano ad avvertire che chriarum plura genera traduntur).2 I Una terza e ultima classe testuale raggruppa quelle occorrenze di cultura platonica non soltanto sciolte rispetto all'opera di Platone nota per via diretta, ma anche libere da qualunque nesso introduttivo alla materia filosofica. I test". 22 sg. si presentano infatti quali γν~µαιa sé stanti, la cui sententia è priva di qualunque contestualizzazione, riferimento mimetico o cornice sintattica (participi incipitari, verba dicendi, etc.). Interessante il caso di testo 10, in cui l'introduzione probabilmente sottointesa, ovvero mutuata dall'egloga precedente. Se l'associazione dei due detti di III 7, 42 sg. risalisse a Giovanni Stobeo (o comunque a un solo redattore effettivo), il passo offrirebbe forse l'opportunità di un'indagine differente sulle fonti utilizzate. L'assenza di legami tematici e lessicali tra le due sententiae giustapposte rappresenta però una condizione sufficiente perche esse siano considerate estratte dal medesimo contesto? Di conseguenza, diventerebbe lecito supporre una raccolta originaria di apoftegmi platonici? La risposta, nel caso specifico, non può che essere negativa (altrove la situazione testuale suggerisce invece la possibilità di ipotizzare in tale direzione: cfr. infra per il nr. 19). Le raccolte di Sereno rappresentano una testimonianza documentaria valida sia sul piano della titolatura (i Memorabilia della tradizione, a partire da quelli socratici) sia su quello della pertinenza letteraria; doveva infatti trattarsi di una raccolta cui lo Stobeo attinse, trattenendone (perché intende segnalarlo) il riferimento. Ma non per questo occorre pensare che tali regesti fossero monografici, o limitati agli "scritti" di un solo autore.
III. ESEMPI
TESTUALI
All'elenco di sententiae platoniche che appaiono a sé stanti nell'Anthologion, va però aggiunta una tipologia di dossografie già pre-
21 Anche questo costituisce ulteriore indizio della pluralità (e della multiformità) delle fonti di raccolta; sarebbe eccessivamente semplice supporre una fonte unica e preordinata di apoftegmi e battute memorabili, catalogate per autore.
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cedentemente raccolte e ricordate insieme al loro compilatore: è il caso di I 6, 17 α, la cui egloga andrebbe ulteriormente suddivisa a seconda dell'attribuzione delle varie γν~µαι.Si tratta infatti di tre indicazioni filosofiche ricondotte ad Aristotele, Platone, quindi ancora ad Aristotele, derivanti dai Placita di Aëtius. È significativo che í codici dello Stobeo non rechino lemmi indicativi del contesto di raccolta della γν~µη (poiché non è un criterio filologico quello che muove l'accostamento dei testi nell'Antologia), ma semplicemente quelli con il nome dell'autore di cui si riferisce. Questo fenomeno si ripresenta in numerose occorrenze, e naturalmente sta alla base dell'edizione dei Doxographi Graeci di Diels. Stob. I 6, 17 α ( I, p. 87). 'Αριστοτ~λης διαφερειν τ~ ς τ~χης Τ~~ α~τ~ µατον . Τ~~ µ8ν ~γρ ~Π~~ Τ~χης ~κ κ~ì, τον αντοµ ~ Τον ε~ναι εν το~ ς nραΙΤεοις Π ~ΝΤΩς · Τ~~δ α~τ~ µατον σ ~Π~~ τ~χης, εν '44 ΤΟ~ ς ~ξω πρ ~ξεως• ßε ßηκος Πλ~των τ~Ν τ~χην ~nεφαινεΤο α~ Τ~ αΝ εν ~nρΟαΨΨετοις )( mme( συµ καì nαρακΟλΟ~ θηµα κα ì σ~µπτωµα, καì προαιρ ~ σεως κατ~~τ~ν προς Τ~~τε λος nρ ~ θεσww εΝαλλακτικ~Ν σχεσΙΝ. 'Αριστοτ~ λης, α~τ~ αΝ Κατ~~συµ ßε ßηκ~ ς, εv τοî ς καθ ' ~ ρ ~ν ~νεκ~~Τ~νος γιγνοµενο i ς ~ σΤαΤΟΝ καì ~ δηλσν. κτλ. ...
1. All'altezza di 11, 29b (Stob. I, p. 37 sg.) il testo dell'Antologia per la prima volta desunto da Aëtius (secondo la redazione superstite delle Eclogae nell'edizione di Curt Wachsmuth). Πλ~των δ8 τ~~ ~ν, Τ~~ µονοφυες,τ~~ µοναδικ ~ ν, τ~~ 5ντως 3ν, τ~yαθ~ν. Π~ντα 88 τ~~τοrn~τα τ~ν ~νο στων εις τον ΝΟ1V σπε~ δε~ . NiU' ον ~~Θε~ ς, χωρ ~στ~ν εi δος, Τ~~88 χωρ~σΤον ~κουεσθω Τ~~~ Μ~Υ8ς π~ σης ~λης καì µηδεν n εnλεγµεΝσΙ,µηδ ~~τ( nαΘηΤ( τ~ ς φ~σεως σΥµ n αθες. τ~Ν σωµατικ ~ ν συµ δ τε νοητ~ ' Το~του δ~~nατρος καì nο~ηΤο~~τ~~~ λλα Θε~ α g κyονα νοητ~~µεν, ' εστ~~ τον ~~ ατοη κ~ σµο ~, λεγ~ µενος κ ~ σµος, παραδε~γµατα δ ~ γοι 8' ε~ σ~ν ασ~µατοι), κα πρ ~ ς δ8 Το ~τοις ενιιθεριοι τινες δυν~ µεις, (λ εναΥριοι καì Υνυδροι, α~ σθητ~ ς 88 [τον πρ ~τον Θεο~~~ κγονα] ~ λιος, σελ~νη, ~ στερες, γ~~καì ~~nεριεχων π~ντα κ~ σµος.'Αριστοτ~ λης τον ~ ως Πλ~τωνι, εnι ßε ßηκ~ τα τη σφαι µ ~ν ~νωτ~τω Θε~ν 8-180; < χωριστ~ν>, ~ µο n τ~ ν 1Π' α~το~~καλο ~ µε ρ á τον παντ~ ς, ~ τι εστ~ν α~ θεριον σ~µα, τοnεµ ν ν. Oi Στωικο~~ νοηρ ν 6εον ~nοφα~νονταΙ, Π~ ρ τεχν~κ~ν, 686 βαδ~ ζον ~π'. ~ , κτλ. γεν~ σει κ~ σµο
Iella trattazione del compilatore le citazioni quasi sovrapposte di più filosofi sono estremamente frequenti, e sistemate a confronto tra di loro. Si tratta del secolare dibattito a paragone delle dottrine di varie scuole. Un particolare tipo di redattore, che soprattutto sinte- 204 —
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tizza e parafrasa, pone a confronto autori (più che non testi) differenti; ne evidenzia analogie, contatti, opposizioni. Spia linguistica di oιως in p. tale procedura è denunciata dall'uso di avverbi del tipo ~ µ 37 rr. 16-19. Ma in Αëtius non pare di ritrovare uno scrittore al lavoro su materiale di raccolta, e tanto meno intento a registrare apoftegmi e detti legati a un singolo filosofo dell'antichità: si trova invece il commentatore al lavoro, che riprende un confronto con l'ausilio della citazione testuale. Πλ~ των ~ τ8 ;~ t τ~ ν ~ λην, ö τ~~88 τ~ν το~~πΟιαbντος πρ ~ ς τ~ν v λην σχ~ -
~ ν εï ς πρ ~ νο~αν αν ~γει, τα 88 εï ς ~ν~γκην. Λ~γει yο~ν ~ν σ~ν. Καì τ~~ µ
~ νη γ~ρ 0 13 v ~~τovδε τov κ~σµονy~ νεστς, ξ ~ ν~yκης το) Τιµαιι•Μεµιγµ τε καi Vov σνστ~σεως ~ γενν~θη, νο ~~δε ~ ν~γκης ~ρχοντο . ( Tim. 48Α)
Poco appresso (p. 78) è l'antologista (lo Stobeo, o chi per lui) a intervenire attivamente sulla raccolta d i sintesi dottrinarie collazionate, per operare un'ulteriore selezione, a seconda delle finalità che muovono la sua scelta ( i criteri di lessico cui si accennava). All'interno del Περ. ειjαρλ~νης κιY τ~ ς τ~ν yιvoλ~vωv ε~ταξíας il nu~νη cleo del capitolo è appunto costituito dalle opinioni sull' ε.µςρµ di Crisippo, Eraclito, Platone, Posidonio, Zenone, Antipatro Stoico (riportate senza soluzione di continuità e senza alcun lemma in I 5, 15). Si potrebbe anzi supporre che nell'esemplare dei Placita vi fosse ~νη e πρ~ un paragrafo espressamente dedicato al rapporto tra εiµαρµ νoια, poiché ognuna di queste ~ν~iiριn e alcuni brani che seguono (del prediletto Giamblico) porgono puntualmente i termini della titulatio iniziale. 22 Ma la rassegna (di p. 78) non rientra in alcun tipo di manuale dossografico o paradossografico, poiché l'interesse risiede nel confronto sintetico del pensiero di autori diversi a proposito dello stesso tema (di carattere fisico). Anche definizioni e terminologia utilizzate derivano dall'impostazione filosofica dell'autore della rassegna, e non sono determinate da alcuna necessità di raccolta di materiale. Questa costituisce la principale differenza tra il testo di Aëtius, per
22 ~νης YνΟν ... 'Ηρ ~ κλειτος ο σιαν ε~ µαρµ µ ~~διαφ~ ρειν τον ε~ µαρΜ Πλ~ των λ~ γον ~τδιον ~ν ο~ σ~ αν τ~ ς ε~µαρµ ~νης ... Ποσειδ ~νιος τριτην ~Π~~∆ι~ ς. Πρ ~ ~ νην. Ζ~νων ... τον µ ~ν γà ρ ε~ ναι τ~ ν ∆~α, δε~ τερον δ~~~ ν φ~ σιν, τριττν δε ~ ν εï µαρµ ~ ντινα µ ~~διαφ~ ρειν πρ~ νοιαν ... 'Αντ~πατρος ~~Στωικ~ ς Θε~ ν ~nεφαινετo τ~ ν ε~µαρ ~ ν ~ν o~ σιαν τ~ ς ε~µαρµ ~ νης. Le egloghe succesµ ~νην. Χρ~ σιππος δ~ ναµινnνενµατικ sive, di Erma, dalle Lettere di Giamblico, da operette perdute di Plutarco ( il tutto attestato soltanto da questa raccolta di Giovanni Stobeo) rimarca l'attinenza al titolo attraverso reiterata citazione dei due termini chiave (autentiche parole-segnale ειΜαρΜΥνη e πρ ~ νοια): persino l'ultimo brano, indicato come lettera di Aristotele ad Alessandro, insiste su tali lemmi ( οιονεì ~ν~ κητον ο~ σ~ αν, ε~ µαρµ ~ νην δε Sul τ~~ ε~ ρεσΟαι κτλ.). ...
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come restituito a partire da Diels, e il metodo di citazione dello Stobeo, che è in ultima analisi píù complesso. Un tipo di compilatore confronta infatti il pensiero degli auctores sulla base della descrizione di un determinato elemento di ricerca: l'indagine sui problemi fisici si presta particolarmente bene a trattazioni di questo tipo. Ad Aëtius interessano quindi i lessici della definizione, í sintagmi di terminologia filosofica (anche tecnico-specialistica), nell'urgenza di sintetizzare contemporaneamente lo stesso aspetto desunto da dottrine diverse. Un'esigenza del genere non può evidentemente affidarsi al solo testo, ma deve far interagire il maggior numero di informazioni (testuali o meno) nella maniera più economica e rapida. A tale riguardo i pensatori vengono evocati in una forma che non è né quella testuale (perché non di citazioni dirette si tratta), né all'interno di un pensiero originale (in quanto non si tratta mai di un commento diffuso, sistematico, esteso a una determinata questione, bensì di ammonimenti dottrinali, rassegne di riferimenti stringati, il píù possibile eloquenti). E non si tratta neppure di letteratura del Fortleben di un autore, ossia testi biografici, citazioni indirette in opere successive, discussione dossografica degli autori antichi (come avviene per esempio alla figura di Socrate in Senofonte). La modalità di prelievo di Giovanni Stobeo, che nel caso in esame diviene personalità antonomastica dell'antologista-escertore-compilatore, è invece più elaborata. Lo Stobeo non si affida all'iniziativa di un singolo raccoglitore, che già avesse fatto opera di sintesi filosofica, ma si propone — tanto programmaticamente quanto implicitamente — di excutere bibliothecas e materiale di qualunque sorta, con predilezione particolare per la citazione diretta di alcuni autori antichi (Platone in primis). La menzione del materiale scritto di ogni tipologia possibile (purché inerente alla trattazione in corso), non può prescindere da una distinzione fondamentale, legata purtroppo alla spinosa questione dei riferimenti lemmatici nei manoscritti, ossia al nomen auctoris. La lettura dei più estesi e compositi capitoli dell'Anthologion (all'interno delle Egloghe ad esempio il capitolo 2, 7 Περ~~'m~~~ θικov ε~δους τ~~φιλοσοφ~ας, Stob. II, pp. 37-152, oppure III 1 Περ~~ ~ ρετ~ ς, Stob. III, pp. 3-177, o 4, 1 Περ~~πολιτε~ας, Stob. IV, pp. 1-114) rende conto di un aspetto su cui il compilatore doveva aver insistito in maniera tangibile: la referenza, ove gli era possibile, del nome dell'autore e del titolo dell'opera da cui la citazione era tratta. Nel caso di testi privi di tali riferimenti, lo spazio lemmatico viene opportunamente integrato da altro tipo di indicazioni, si da rendere immediatamente percepibile la qualità (letteraria) dell'egloga cui il lettore si trova dinnanzi. - 206 -
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Del resto, nel caso di un autore come Platone, il problema della referenza di dati inerenti alla fonte raggiunge un'urgenza particolare quando il testo accolto nella silloge sia definibile platonico (a mezzo di opportuni lemmi), pur non costituendo citazione testuale (diretta) dalle opere del filosofo. Prima di prendere in esame le diverse modalità con cui í lemmi e le didascalie dell'Anthologion introducono testi di tale sorta, va ricordato un tratto caratterizzante del lavoro compilativo presumibilmente già precedente allo Stobeo, che risolve in maniera ancora differente questo tipo di occorrenze testuali. 23 Diventa sufficiente citare il capitolo Περ. ~νδρει cς ( Stob. III 7 = III, pp. 308340), nella cui struttura pare davvero di imbattersi in una raccolta di detti che sia stata la fonte dello Stobeo. Il capitolo infatti è quasi interamente formato (nella parte in prosa) da apoftegmi, più che da citazioni circostanziate; in III 7, 25-30 si susseguono questi lemmi introduttivi: ∆ηµοκρ ~ του, Πλ~τωνος ( che introduce il detto proverbiale 8 dell'elenco), ∆αρε~ ου, 'Εκ τ~ν ∆~ ωνος Χρει ~ν, 'Εκ τâ~ν Äριστοτ~ λους Χρει ~ν, 'Εν τα~ το5, ∆ηµοκρ ~ του. Ognuno di essi verisimilmente fa capo a una tipologia di fonte differenziata, che a volte implica già un modello di raccolta (l'insieme delle χρε ςι ), altre volte l ο ignora del tutto (quando è presente il solo nomea auctoris). Oltre che indimostrabile sul piano filologico, riesce difficile credere che una parte quantitativamente consistente del materiale gnomologico e dossografico abbia subito una marcata rielaborazione da parte di Giovanni Stobeo, o che sia stata addirittura redatta a opera sua. Si può infatti riscontrare che nella redazione superstite dell'Anthologion le connessioni intertestuali, nei vari capitoli in cui compaiano detti ο interrogazioni filosofiche riferite a Platone, rimandano sempre a quel criterio di scelta lessicografica che guida l'intera selezione del materiale. Non è certo escluso che il materiale di partenza 2 3 In particolare nel caso di Aristotele, che secondo il regesto bibliografico di Rose risulta autore di una raccolta di detti memorabili e apoftegmi sin dall'età ellenistica; il filosofo avrebbe redatto un'opera dossografica riportando pareri e pensieri dei suoi predecessori, secondo la struttura espositiva dell'apoftegma. Il ricorso alle Chreiai di Aristotele nell'Anthologion molto frequente; cfr. V. ROSE, Aristoteles Pseudepigraphus, Lipsiae, in Aedibus B.G. Teubneri 1863 (rist. Hildesheim-New York, Olms 1971), pp. 611-614. A prescindere dalla plausibíl ιtà d~~ ritrovare resti di un tale titolo aristotelico, altro significa possedere il riferimento a un'opera compilativi ascritta a una grande personalità filosofica, che recupera interventi di pensatori (e poter parlare così di contenuti e contenitori); altro invece significa citare un'espressione di Platone senza alcun orientamento di sorta (e poter parlare esclusivamente di contenuti). La differenza così netta rispetto al caso di Platone fa pensare che per Aristotele Giovanni Stobeo si fosse imbattuto in una raccolta già preordinata di chreiai antiche, ascritta all'opera dello Stagirita; per Platone nessun indizio volge in questa direzione.
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possa essere stato rimaneggiato dall'antologista, per motivazioni funzionali alla sua esposizione di contenuti: non però in misura tale da annullare il rimando lessicale che ha determinato la scelta originaria (in altre parole: senza la cassazione di quei termini-guida che tendenzialmente si ritrovano nelle titulationes dei vari capitoli). 2. Naturalmente è assai frequente il caso in cui Giovanni Stobeo includa sezioni dell'opera di Aëtius comprendenti anche sintesi di dottrina platonica; ma si possono ritrovare anche í luoghi di mancate citazioni dirette, come avviene in I 15, 3b sg. (= I, p. 145). Si è di fronte a una serie di egloghe notevoli per il tipo di didascalia introduttiva, all'interno del capitolo Περ σχηµ ~ των. Esso si compone di pochi e brevi estratti, desunti per lo più da Αëtíus, come Wachsmuth ha indicato nella sua edizione (risulta anzi probabile che Giovanni Stobeo abbia realizzato un'epitome della sua fonte mentre la utilizzava). Questa pagina delle Eclogae anticipa il carattere non sistematico del trattamento che tutto il materiale di cultura platonica subisce all'interno dell'Anthologion; essa infatti può rendere in modo adeguato l'idea di una prima tipologia di citazione, relativa al tema del capitolo. La restituzione editoriale di Diels per Aëtii Plac. 114 (appunto Περì ~ των) affianca il materiale dello Stobeo a quello della minuta σχηµ epitome plutarchea (di redazione differente, specie nella voce dedicata ai Pitagorici). Dopo la definizione iniziale e generica dell'oggetto di indagine ( Σχ~ µ ~~στιν ~ πιφ~ νε ~ α κα~~περ ~ΥραΨ~~κα~~ π~ ρας 24 sono riportate le definizioni tecniche relative a orientaσ~µατος), menti dottrinali specifici (lo σχ~~α secondo i seguaci di Pitagora e di Leucippo; quindi secondo nassagora, Cleante, Zenone). Nei codici stobeani alla definizione segue il semplice lemma Πλ~τωνος (ripetuto nel codice Parisinus sia in margine sia nel testo): Πλ~των ~ φησε σφαι -
ροειδ~~τ~ ν κ~ σΜoν vπ~ ρχε~ν. Λ~γει y~ ρ ovτως ~ν τ~~î ΤΙΜαΙω. Σχ~jµα δ' δωκεν α vτι~: 'ró πρ~πον κτλ. Diels aggiunge all'introduzione gene-
rica il riferimento ai Pitagorici, ignorando quanto vi sia di intermedio nei manoscritti delle Eclogae; ma è assai presumibile che la notizia della definizione platonica derivi allo Stobeo dalla stessa fonte aëtiana, e che il compilatore, per scrupolo dí rispondenza testuale, abbia integrato la sintesi ricorrendo alle parole dirette dell'autore, e ritrovando almeno due passi cui il compilatore dei Placita aveva alluso, per riassumerli in una definizione. In tal caso però il riferimento iniziale a Platone, rimarcato da doppia presenza lemmatica nel Pari-
24
Ricavata da Stob. 115, 3b e da Plut. Epit. 1, 14.
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sinus, verrebbe a comporsi in due momenti distinti: (1) menzione di un dato fisico dell'insegnamento platonico ( Πλ~των ~Ψησε σφαιροειδ ~~ Τ~ν κ~ αµονvπ~ ρχειν); (2) giustificazione del riferimento a mezzo di doppia occorrenza testuale ( λ~γει y~ ρ ovτως ~ν τω: Τιλαι q , cui seguono le pagine 33 Β e 62D-63 Α del dialogo). Si può supporre che la proposizione (1) sia parte integrante delle sintesi aëtiane sulla dottrina περì, σχηµ ~ των, in quanto il ricorso alla definizione platonica è funzionale a introdurre la precisazione successiva dei seguaci di Pitagora. 25 Limitatamente a questa eventualità di citazione si può dunque ricostruire un momento compositivo del lavoro dell'antologista: Giovanni Stobeo (o chi per lui) reperirebbe in Aëtius la sezione dedicata agli σχ~µατα,per trascriverne i contenuti nella sua silloge, forse anche con il proposito di corroborare alcune definizioni mediante adeguato riscontro testuale. In tal modo si comprende il valore esplicativo (eminentemente didascalico) della zeppa intermedia λ~γει γ~ρ ovΤως ~ν τω: Τiιαιω, che apre la prima citazione.26 Non si può neppure escludere che questo abbinamento di testi d'autore fosse esteso anche alle definizioni del pensiero di altri au-
25 Appena due capitoli innanzi, nel Περ'ι σωµ ~ των d i Aëtius (Plac. I 12), dopo la definizione generica di σ~µα veniva richiamata una sintesi del pensiero platonico, non già sul Σ~µα,bensì a proposito delle qualità di quanto non sia µ ~ τε βαρ~~ µ ~ τε κoûφoν. A questa didascalia segue quella che riferisce alcuni concetti aristotelici (' Αpιστοτ~ λης βαρ~ΤαΤoν Μ~Ν εiva~~τ~ ν Υ~ν, κουφ~ ταΤoν 88 τ~~π~ ρ, κτλ.). Appare evidente che il richiamo a Platone serve a introdurre la definizione successiva d i Aristotele, più pertinente al tema indicato nel titolo; analoga struttura, comprensiva del rimando platonico, avrebbe potuto presentare anche il capitolo I 14. Diels non incluse la didascalia platonica subito dopo Aët. I 14, 1 forse percha di essa non è traccia nell'epitome aëtiana conservata nei codici d i Plutarco; come per le didascalie d i Leucippo, Anassagora, Cleante, Zenone però, anche su questo riferimento alla filosofia accademica avrebbe potuto intervenire l'espunzione dell'epitomatore. 26 Lo stesso capitolo stobeano I 15 è reso dissestato da un problema lemmatico a capo d i annosa polemica tra editori e studiosi: i n seguito alla citazione di un verso d i Omero, di uno di poeta anonimo, di un altro riconosciuto come di Empedocle, in I 15, 3a i codici FP recano a margine il lemma πoρφυριoυ, a cui però non corrisponde alcun testo. Quanto segue infatti è la definizione di Σχ~ µα desunta da Aëtius, accompagnata dall'amplificazione antologica dei prelievi platonici dal Timeo. Diels aveva dedicato un'annotazione al passo, a proposito del ruolo di Porfirio nella tradizione dossografica: «[...] nolo pluribus refutare, quae R. Volkmannus iride elicuit [N. jahrb. CIII 705, cf. obs , misc. p. 16]. nimirum ne protulisset quidem talis vir eruditissimus, nisi ex Stobaei errore opinione] probaturus fuisset longe falsissimam. nam quod Plac. I 14 1 Porphyrií lemma perverse additur, nemo mirabitur qui eclogarum memoriam cognovit [cf. e. g. p. 148, 10 M ecl. I 25 4]. Theodoreti excerpta neglegit Volkmannus. invenisset ibi Xenophanis sententiam etiam a Stobaeo confirmatam, quae Porphyrií de 0110 sudicio contraria est» (Doxographi Graeci, cit., p. 48, n. 1). Wachsmuth si limitò a riprendere il netto giudizio di Diels: «hujus eclogae nihil praeter lemma in FP mrg relictum est, quod ad perversam de placi-
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tori. I forti tagli e le pericopi subite dalle Eclogae stobeane nel corso della tradizione potrebbero infatti aver cancellato rispettivi ricorsi a test'. pitagorici e stoici all'interno dello stesso capitolo. Una più attenta disamina delle varie componenti testuali consente di recuperare anche all'interno di Aëtius una tessera descrittiva riguardante Platone, che offre occasione di ampliamento alle raccolte successive (dai Placita all'Anthologion, con uno scarto qualitativamente apprezzabile a partire dai titoli stessi delle due raccolte). Ritenere viceversa che la menzione di Platone sia estranea ad Aëtius comporta due problemi, relativi alle peculiarità di composizione sia dei Placita sia delle Eclogae. Senza il cappello introduttivo platonico il capitolo aëtiano si ritrova privo di quel verbum dicendi (proprio o figurato) che solitamente caratterizza l'avvio delle sintesi descrittive, dopo la generica definizione iniziale. 27 D'altra parte, se la doxa platonica d'apertura (Πλ~ των ~ 4ησε σφαΨΨ oειδ~~'òv κ~ σ~ον úπ~ ρχεww) non è ricondotta ad Aëtius, occorre postulare un'altra fonte interposta ai Placita philosophorum, oppure un intervento diretto dei compilatore stesso, di Giovanni Stobeo. A voler prescindere momentaneamente dal problema, importa soffermarsi sulle modalità attraverso le quali la doxa iniziale di Platone può costituire l'innesco del meccanismo di prelievo antologico. L'escertore infatti è molto probabilmente riconoscibile come Giovanni di Stobi, grazie all'evidenza dei termini-segnale che isolano i frammenti riportati. Ed è forse la sola, non scontata, caratteristica che pertorum physicorum opiníonem seduxit Volkmannus ín arm. ph il . 1871 p. 705» (I οaηnis Stobaei Anthologii libri duo priores, qui inscribi soient Eclogae physicae et ethicae, rec. C. WACHSMUTH, I, Berolini apud Weidmannos 1884, p. 145 r. 3 dell'apparato critico). 27 Αët. Plac. I 9 (Περι ~ λης) "Υλη ~ στι τ υnοκειµεν o ν π~ ση γεν~ σει, κτλ. (definizione), Οι ~Π~~Ο~ λεω Κα' Πvθαy~ ρoυ ... ~nεφ~ναντο ... (prima didascalia con verbo esplicito; seguono altre didascalie descrittive ma all'interno di frasi nominali). I 10 (Περι ιδ~ ας) 'Ιδ~ α ~ στ' ν o~ σιa ασ~µατος, κτλ.(definizione), Πυθαγ~ ρας τ~~λεγ~ µενα ~εδη καì Τòς ιδ~ ας ... ~ τιθετο ... ( prima didascalia con verbo esplicito; seguono altre didascalie descrittive ma all'interno di frasi nominali). 111 (Περι αιτι ~ν)• Αi τι~ ν ~ στι δι ' ö τ~~ ~noτ~ λεσµ a κτλ. (definizione), Πλ~ των τριχ~ ς τ~~α kιον ... ~y~iτaι ... (prima didascalia con verbo esplicito; seguono altre didascalie descrittive ma all'interno di frasi nominali). I 13 (Περι ~ λaχ~στου)• 'Εµπεδοκλ ~ ς g4 η πρ~~τ~ν τεττ~ ρων στοιχε~ ων θρα~ σµατα ~ λ~χtστa, κτλ. (nel capitolo manca la definizione iniziale; l'avvio è infatti direttamente affidato a una prima didascalia corredata da verbum dicendi; ne seguono tre altre, riferite a Eraclito, Senocrate, Eraclide, senza alcuna forma verbale di questo tipo). I 14 (Περι χρωµ ~ των) · Χρ~µ ~~~ στι noι~ της σ~µατος~ ρατ~~προηγουµ ~ νως (definizione), Οι Πvθay~ ρεwwι χροι~ ν ~ κ~ λoυν τ~ ν ~ nιφ~νειαν τον σ~µατος(prima didascalia con verbo esplicito; segue una δ~ ξα riferita a Empedocle con analogo verbum dicendi, ma poi altre didascalie descrittive in frasi nominali); etc. (cfr. DIELS, Doxographi graeci, cit., p. 308 sgg.).
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mette di riconoscere in ogni egloga dei vari capitoli la traccia di un progetto-guida complessivo, articolato attraverso temi e lessico dei temi. 28 A seconda dell'argomento di ricerca, il lavoro dell'antologista indirizzato al reperimento di quei lacerti testuali in cui gli stessi termini-guida acquistino rango di evidenza verbale. Ovviamente tale evidenza verbale è parallela all'attinenza della pagina ritrovata negli auctores con il tema del capitolo; guidando però un tipo di selezione su criterio lessicografico, la ricerca dell'antologista diventa mirata e sistematica, pur nel mare magnum di tutti í testi passibili di selezione e trascrizione nell'antologia. Nel caso in esame il termine-guida σχ~ µα,come appare dal titolo del capitolo, ed è interessante notare come allo scarno detto platonico Giovanni Stobeo sappia agganciare i due testi dal Timeo. Anzitutto il lessema decisivo diviene punto dl riferimento della pericope testuale (e quindi l'inizio Σχ~ µα 'δ~ δωκεν α~Τgî τ~~πρ~πον καì τ~~σογγεν~ ς). Segue l'altro termine, propriamente presente nella doxa, quasi corollario del titolo, σφαιροειδ~ ς ( e quindi la seconda citazione, con inizio Toû y ~ ρ παντ~ ς Ο~~αΝov σφαιρoειδov; ~ντος ...). Anche in questa evenienza il blocchetto di scritti platonici è eterogeneo (materiale di raccolta e citazione testuale), ma prende avvio con un detto di origine ignota, che è poi corroborato e argomentato dal ricorso alle parole scritte e trasmesse dello stesso autore. 3. II 3, 4 (II, p. 26). Il primo apoftegma platonico leggibile a1l'interno della redazione superstite dell'Anthologion si trova nel capitolo terzo del II libro, Περi ρητορικ~ ; (secondo la ricostruzione di 28 I temi sono individuati dalle titulationes dei vari capitoli dell'opera, dal momento che la suddivisione in quattro libri non presenta una specificità di relativi argomenti. Il lessico dei temi è formato propriamente dalle singole strutture verbali dei titoli: a seconda dell'argomento su cui l'antologista si concentra, i testi offerti al lettore segnalano puntualmente al loro interno gli stessi termini del titolo. Questo meccanismo non vale soltanto per l'insieme di parole di base di cui qualunque testo di argomento morale non potrebbe essere privo (ä γaθ~ ς, καλ~ ς, κακ~ ς, δ~καιος, ~ δικος, κτλ.), ma si estende alla particolarità dei capitoli più desueti (nel capitolo III 13 Περì παρρησ~ ας, si può riscontrare come quasi tutti i testi selezionati riportino questo termine o suoi derivati, oppure perifrasi; anche nelle citazioni da opere poetiche: cfr. III 13, 2; 24-26; 30). Il rilevamento della presenza dei termini-guida non implica alcuna inderogabilità: tendenza di alta frequenza, ma non segnale immancabile. L'intero Anthologion però appare costruito su questa intelaiatura verbale, su di un lessico etico-filosofico di base che determina articolazione in capitoli e ricerca di testi rispondenti. 11 lavoro dell'antologista è quindi per lo più guidato alla ricerca di testi attinenti per mezzo di un criterio di corrispondenza lessicale.
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Wachsmuth).29 Agli editori antichi il breve capitolo, formato soltanto da cinque egloghe, di natura e referenza affatto differente, appariva interamente confezionato con citazioni platoniche, o riconducibili a tradizione della cultura platonica; la formula poteva anche differenziarsi rispetto a quella del solito prelievo da un'opera scritta da Platone, come nel caso dell'ultima egloga di II 3. Ma va notato che la differenza si coglie una volta esaminato il corpo del testo, non già grazie alla tipologia dei lemmi: questi ultimi infatti restano dello stesso tipo, sia che introducano un prelievo circostanziato (II 3, 1, con il suo lemma accurato), sia che riportino un detto di Platone, inserito in un testo di circostanza (quello di II 3, 4) e adibito a mera funzione referenziale. Il τov αvτov congiunge in questo modo citazioni da fonti testuali che hanno il loro parallelo diretto nei codici integri delle opere di Platone con test'. che costituiscono soltanto pretesto all'introduzione di un detto d'autore (ma sarebbe vano attendere un lemma tipo Περi αντον: esso resta sempre riferito alla specificazione del nome di autore). Il testo si legge in FP (i due testimoni principali delle Edo gae: codici Neap. Farn. III D 15 e Par. gr. 2129, rispettivamente di secc. XIV e XV) senza varianti di sorta: '~ δ~ν 'mme Πλ~ των φα~ λα
µ ~ν πρ ~ ττοντα, δíκας δ~~ ~Π~ ρ ~ τ~ ρων λ~γοντα, εïπεΙ Ο τος νο ~ν ~Πì yλ~σση Ο~ρει. Platone, notando una persona che si comportava in maniera indegna, ma predicava agli altri la giustizia, disse: «Costui tiene il cervello sulla lingua». Va notato come il luogo comune del `predi-
care bene ma razzolare male' sia limitato al testo introduttivo del detto, senza '.1 quale '.1 dictum di per sé non avrebbe senso. Quella offerta al lettore come parola di bocca di Platone diventa così, oltre che ~ π~ φθεγµαvero e proprio, pointe epigrammatica che riutilizza un termine centrale del pensiero filosofico (il νο~ς), piegandolo alla metafora di una battuta di spirito. La tradizione del resto viene raccolta ancora p1ì1 tardi da Eustazio di Tessalonica, In Il. II, p. 252. La terza
egloga del capitolo è costituita da una citazione poetica che ha per lemma la semplice dicitura Πλ~τωνος. Si tratta evidentemente di un frammento di Platone comico (202, inc. fab. K.-A.), che Kassel e Austin stampano a corpo unico con '.1 successivo verso (Stob. II 3, 3b,
inteso invece da Wachsmuth come proveniente da un altro locus di
29 Il titolo infatti è stato desunto dall'indice di Fozio già da Heeren per la sua edizione dei primi due libri dell'Antologia (Ioannis Stobaei Eclogarum Physicarum et Ethicarum libri duo. Ad codd. mss. fidem suppleti et castigati annotatione et versione latina instructi ab A.H.L. HEEREN, I-IV, Göttingen, Vandenhoeck und Ruprecht 1792-1801).
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Platone comico). 30 Ma il codice Par. gr. 2129 delle Eclogae stobeane (P) reca anche un altro indizio, extratestuale, dell'importanza ditali forme testuali all'interno del corpus organico dei vari prelievi. A folium 129ν, in corrispondenza dell'arguto detto platonico, un lettore (certamente una altera manus rispetto a quella del copista) ha aggiunto nel margine sinistro il cartello segnaletico ~π~ φθεΥµα;come a voler invitare se stesso e gli altri lettori a prestare attenzione particolare a quel luogo. La letteratura apoftegmatica si caratterizza anzitutto come momento di sintesi educativa, e perciò basilare nei processi di rammemorazione della materia culturale (specie degli exempla aneddotici). IV. APOFTEGMI PLATONICI IN ALTRE RACCOLTE DI «EXCERPTA»: DAL «FLORILEGIUM MONACENSE» AL «VIOLETUM» DI ARISTOBULO AΡOSTOLIDE (ARSENIO) Testo parallelo, e nello stesso tempo isolato rispetto alla ricca fluidità della trasmissione dell Anthologion (o per meglio dire, della sua seconda parte: í codici del Florilegium stobeano), è il Florilegium Monacense. Dall'edizione di Thomas Gaisford Meineke riprende il testo limitandosi a interventi editoriali minimi 31 (IV, pp. 277, 285 sg., 284). Naturalmente, con questo e con i testi successivi, si è di fronte a prodotti molto più tardi rispetto alla redazione dell'antologia stobeana; si tratta quindi di corpora secondari, di cui è comunque assai difficile individuare con certezza le fonti (í manoscritti risalgono per lo più ai secc. XIII-XV; ma l'elaborazione dei compendi?). Per quanto concerne l'apoftegma platonico, si riscontrano interessanti riprese di alcune egloghe stobeane, unitamente alla presenza di detti proverbiali di altra origine (oppure confezionati ad hoc). '
30 La scelta di Kassel e Austin è assolutamente indubitabile, poiché altra fonte del testo è un passo di Elio Aristide (3, 69 L.-B.), che cita il commediografo secondo l'esatta estensione del testo stobeano, senza soluzione di continuità, confermando quindi l'origine unitaria di tutti e cinque í versi. 31 11 florilegio era già stato pubblicato nel 1833 da Walz in Appendix all'edizione del Violetum: «descripta sum ex Cod. linac. VIII fil. 39. Eadem continentur in Codd. paris. 1983. 2977» ('Αρσεν~ου 'Iωνι~ , Arsenii Violetum ex codd. mss. nunc primum ed. C. WALZ, Stuttgartiae, in Libraria Loeflundiana 1832, pp. 494-512). Eppure Meineke non menziona affatto questa ediziine: «mihi quidem nihil aliud propositum fuit nisi ut Gai sfordi textum stive mea ipsius opera sue aliorum emendationibus adiutus hic íllic correctuln exhiberem» (Ioannis Stobaei Florilegium, rec. A. MEINEKE, IV, Lipsiae, sumptibus et typis B.G. Teubneri 1857, p. LXXXIV); sul Florilegium Monacense, le sue caratteristiche e la parentela con altre raccolte gnomologiche si veda OVERWIEN, Das Gnomologium, cit., p. 112 sg., 128 (schema genealigico complessivo).
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136 Πλ~των ~~φιλ~ σοφος τοî ς ν~ οις τρ~ α τα~τα ~nετ~ θει, εnì µ gν τ~ ς γν~µηςσωφροσ~νην εχειν, ε nì 88 τ~ ς γλ~σσης σιωπ~ν, ~πì 58 Τ Ν 0000,µ ~ν αιδ~ . ~νοντα, XnΙσΚεn=1m/ g λεγε, µ 225 Πλ~των ει ποτε ~~ ρα τιν~~ ~ µαρτ ~~ ποτε και εy~~τοιουτ~~περιπ~ σω. ς 226 Πλ~των ~~φιλ~ σοφος ~ ρωτηθε ì π~ς ~ν ~ ριστα διοικ~νται αi Π~ λ~~ις, ε~nεΙ ~~ ν ο ~~ Ψιλ~σο001 ßισιλε ~σωσιν, ~~ii ßασιλε îς φιλοσοΨ~σωσιν. 227 Πλ~ των ~ ρωτηθεí ς δι~~τ~~ y~ρων ~ν φιλ~ρyνρος ει, g φη κρε îΤΤ~ ν ~ ΣΤΙ µεταλλ ~ ξαντα το îς ~χ8ρο îς ΚαΤαλιnε iΝ ~~ζ~ ντα τ~ν ~χθρ~ν δεηθ~νrn. κατ~γνω Υ~ ρ τ~ν πολλ~ν ä φιλ~ ας. 228 'O α~τ~ ς g φη, καλ~ν ο~ δαµ ~ ς τ~ ν nεΠαΙδεΥµ ~ νον ~ν ~ΠαΙδε~τοις διαλεγεσθαι, ~σΠερ o'688 ν~ φοντα [ ~ν] µεθ ~ ουσιν. ~ λλον] ΚαταλΙnε~Ν ~~χρΥ229 ~~ α' τ~~ τοî παισì σΥνε ßΟ~λεΥεΝ αιδ~~[µ Σ~ Ν. ~ ν τ~ς 230 ~~α~τ~ ς ΠαρεΚελευετο τοî ς ν~ οις τρ ~ α τα~τα ~ χει", εnι µ γν~µηςσωφροσ~νην, εnι 88 τ~ ς γλ~ττης σιγ~ν, εnι 88 τον προσ~πο~~αιδ~ . ~233 Πλ~των το~ ς Πλο~ σιους και ~πλ~ στους ~ δρωΠι ~σιν g λεγεν ~ µο ~ των. ους Ο~~ µ ~ ν '0~ ρ nεΠληρωµ ~ νοι 1δ~των δι0~σιν, Ο ï 88 χρηµ 234 `O α~ Τ~ ς ~ ργιζ~ µενοςτι οικετη και µελλωνα τ~ ν ΜαστιγΟ~Ν, ~ ~γωσαν ~γ~~y~ρ ~ργιnισΤαΤΟ~Ντος 8ενΟκρ ~τΟν, εφΗ λαβ~ ν το ~τον µαστ τ ßακτηρ í αν Τ( παιδ~ , ~ φασì 88 α~τ~ ν καì επανατειν~ µενον ~ν ξ στ~ναι χρ ~ νον Πολ~ν µετεωΡον Ταυτην εχοντα,και τ~ν αιτιαν ~ ρωτ~µενον φ~ ΣαΙ κολ~ ζειν τ~ν εαΥΤΟU Προορµ ~ Σαντα ΘΥΜ~ ν. 236 Πλ~των ερωτη8εις τ~~ ~φ~ λεται εκ τ~ ς φιλοσοφ~ ας, g φη τ~~αYΤ~ ν εν ~νους. ε~ διι εστ~τα ßλεnειν ~ λλους χειµαζοµ
Strutture ugualmente variegate e composite, nessi discorsivi generici, problemi filosofici e soprattutto educativi: ogni componente concorre all'analogia nei confronti dei testi stobeani, quasi che l' Anthologion costituisca punto di raccolta, e poi di deflusso verso altre tradizioni, e quindi sempre nuove rielaborazioni. Come risulterà evidente nel caso di Arsenio, è possibile che i testi autenticamente platonici facenti parte de ll a letteratura gnomologica (ossia le pagine antologiche derivanti dai dialoghi), forniscano occasione di sintesi apoftegmatica, anche tarda e riferibile a buon diritto a Platone insieme al materiale di altri versanti. È il caso del precetto 229, leggibile secondo un'integrazione di Gaisford per nulla necessaria; l'editore inglese ha infatti ritenuto che il redattore del Florilegium Monacense non avesse presenti modelli o fonti determinate. In realtà non è íl caso di postulare che tale compilatore abbia parafrasato íl testo delle Leggi: παισì δ~~ αιδ~~χρ~~Πoλλ~Ν, OY χρΥααν καταλε ~nειΝ (V 729Β 1 sg.), in cui nessun testimone offre l'integrazione facilior Μâλλον. Lo stesso autore si è piuttosto inserito nel grandioso Fortleben di questa pagina — 214 —
«DORAI» E «APOPHTHEGMATA» PLATONICI IN STOBEO
delle Leggi, secondo più attestazioni della letteratura di raccolta: il prelievo di Stob. III 1, 202 (= III, p. 154 rr. 7 sg.) in primo luogo. 32 Dagli Excerpta Vindobonensia inoltre si può ricordare l'unica sententia attribuita a Platone. 33 57 Πλ~των. Eí λ~πης ~ θηλ~ σεις κραΤε ν, περιπ~ λει 'ub; Τ~ φους, κα1 TOU π~ σους ~ ας Ö Ψε~~Πεi TUO ΜεΥ~ στας τ~Ν ~νθρ ~πων ε~δαιµον ~ξεις τ~~φ~ ρµακον κα ~ νας τ~~φ~σηµα. ραιτ~ ρω κ~ νεως Μ~~κεκτηµ
Il Violetum di Arsenio di Monembasia, «l'ultimo grande paremiografo bizantino», 34 si presenta al lettore come una costante alternanza di nomi, citazioni poetiche, proverbi, amenità lessicali, il tutto disposto alfabeticamente e progressivamente (Τ~~ ~~ΜεΤ~~ToY ß, τò ~~ µετ ~~το , κτλ.). Solitamente ogni sezione alfabetica reca anche una sottosezione di apoftegmi, raggruppati secondo la personalità filosofica, il cui nome sia connesso alla sezione alfabetica di cui Arsenio sta trattando. Per la lettera π il capitolo dei detti memorabili riporta sentenze di Pausania, Pedareto, Polieno, Pericle, Eupolide (poiché parla ancora di Pericle), Periandro, Pittaco, Plutarco, Pitagora, Pindaro, Platone, Plitarco, Plistonatte, Polidoro. Pitagora e Plutarco detengono il maggiore spazio all'interno del capitolo, per la quantità di detti raccolti (quindici Pitagora, undici Platone, alla p. 421 sg. dell'edizione Walz). Rispetto alla recensione stobeana superstite, Arsenio ha redatto il testo di altri apoftgemi, di derivazione parimenti sconosciuta; nella serie è citato in apertura il nr. 16 (con la variante banalizzante ~λεγεν al posto di ~κ~ λενεν); seguono una variazione amplificata35 del nr. 17, il nr. 15, con la sola variazione ~~αυτ~ ς al posto di Πλ~των, e una sequenza di altri otto detti che non si ritrovano nello Stobeo: Πλ~των ~ ργιoθεí ς ποτ~~Till. Τ 1 δο~λων, χ~ ριν g χει" τοî ς θεσ~ ς
32 Ma non soltanto: 'O avτος τοîς πaισι συνεβo~λενεν αιδ ~~δεiν καταλιπε1ν ~~χρσσ~ ν è il testo offerto dai Loci communes dello Ps.Massimo il Confessore (23, 33-35 in S.
Ps. Maximus Confessor. Erste kritische Edition einer Redaktion des sacro profanen Florilegiums Loci Communes, Stuttgart, Steiner 2001 [«Palingenesia», 73], p. 544. Quello
IHM,
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che però dall'apparato della Ihm non si comprende è se anche gli altri supporti gnomo logici, Gnomica Basileensia e Florilegium Rossignum, riportino il testo in questa facies, oppure in una versione più fedele alla citazione delle Leggi contenuta nello Subeo). 33 Sempre in Iοannis Stobaei Florilegium, rec. ΜΕΙΝΕΚE, cit., IV, p. 294 sg. 34 Tosi, Greci, cit., p. 2. 35 A proposito di quella dello Stoben, Hense (III, p. 551) fa notare anche altre attestazioni di Flor. Mon. 234, rifluite nella letteratura cristiana: «recurrit Anton. II c. 53 p. 121 (Πλ~τωνος) Maxim. c. 19 p. 594 Combef. ( Πλ~τωνος)». — 215 —
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Ëλεγεν α~τ~ ν ιτι ~ ργí ζεται• κολaσθ~ναι 1àp ~ν π~ντως, εi µ ~~ ~ ργí ζετο. α~τ~ ς ~ λλοτε ~ ργιζ~ µενοςτι οΙκ τη ~πιστ~ντος öεΝοκρ ~τονς, λαβ~ν Ë φη το ~τον µαστ ~ γωσον, εγ~~ydp ~ρy~~οµΡατ. φασ~~8É α~τ~ ν xaì ~nανατε~Ν~ µεΝον hν τ χεî ρ a Τ( nα1&ì, ~ στ~ναΙ χρ ~νον nολYν µετ ~ ωρο~~ τα~τηΝ ~χοντα. κα ì τ~ν αïτí αν ~ ρωτ~µενον ~φσςι κο λ~ ζειν τ~ ν ~ξ αΥΤσv nροορµ ~ σαντα θυµ ~ ν. α~τ~ ς λοιδορο ~ µενοςΥπ~~τ~νος λ~yε Ë φΗ κακ~'C, ~nεi καλ~ς ο~κ µ aθες. αυτ~ ς ε~πεν, n~ς ~~Υπ~ρ 7Ν κ~ì ~n~~ 7 Ν χροσ~ ς αρετ~ς ο κ αντ~ξιος. α~τ~ ς ε~πεν, ~σχ~ΤΗ ~δτκ~α δοκεν δικrnον ε[νrn, µ ~~dντα. αετ~ ς ε~πε, nεΝ~αΝ ~yητ~ον ε ~ναι, µ ~~ τ~~ τ~ ν Ot5 σιαν ~λ~ττω nΟτε iΝ, (WWe τ~~τ~ ν ~nληστιαΝ nλε íω. αΥτ~ ς 'Αντισθ~νους ~ν Τ13 διατριβ~~ποτε µικρολογ ~ σαντος, ~ γνοεî, εïπεν, ern τuv λ~γον µ ~ τρον ~ στ'ιν ο~χ ~~λ~γων, ~ λλ' ~~ ~ κο~ων. mi.~ * Ë φΗ, nτ~ ντα ι~ ν ~νθρωnοΙ îλεω τ~ τε πρ~ τερο ~~yεVY σ8m, ~yισθ~v τε ελπ~δων κα~~ δνν~µεως nληρο ~σΟ~ι, παρρησ~ ας 71Ρ ΜεσΤΟ~ΤaΙ, red ~λενθεριας π~σης κα~~ αφοβ~ας, καì τον nρ~ξ~í Τ~~ ~~ κνως ~χε ~ . óθεν Λακειδαιµ ~ νιοι ~ κραΤοnοτο ~ντες ~nλιςΟνται. αΥτ~ ς Ë φη, π~σα επιστ~µη,χωριζO~~ νη δικαιοσ~ νης κα Τ7]· ~λλης ~ρεΤrlς nανονργ~a, ~λλ ' ο~~σοφ~α φα~ νεται. 'O αΥτ~ ς ε~nε, µεθ ω v κνβερνητης κΡαi. πâς παντ~ς ~p%ωΝ ~ ΝαΤρ~πει π~ ντα, ε ~τε nλσ~ον, ε ïτε ~ρµα, ïετε στρατ~nεδοΝ, ε ~τε d τι ποτ~~ε~η τ~~ κνβερν~µΡενον~Π αΥΤΟ V. 'Ο a~τ~ ς Ëφη• επιστ~µη y6p δε κρινεσθαι, ~λλ ' ο nλ~ θετ τ~~ µ ~ λλον καλ~ς κρ t θ~σεσθαι. '
7 φ~σαι è lezione di tutti i codici consultati da Walz, e anche dell'edizione a stampa dei Proverbi (cf. infra). Il cod. Vat. ha però φ~ναt 11 nä; è lezione dei codici del Violetum, ma nell'edizione a stampa 36 de ll e Παρο ιαι del 1519 si legge ~naς 16 l'edizione dei proverbi ha µ aκρολoγ~σαντος.
La struttura della sequenza richiama quindi inizialmente i testi presenti nel Florilegium, per poi distaccarsene e proseguire autonomamente. Il caso più evidente è quello del nr. 17, che dalla redazione di Arsenio risulta più pienamente comprensibile rispetto alla brachilogia dei codici del Florilegium. Questione di fondo è naturalmente quanto Arsenio abbia rielaborato da materiale antico che reperiva in codici a noi non giunti (se dello Stobeo o di altre raccolte gnomologiche è di secondaria importanza), e quanto invece abbia fedelmente 36 Praeclara dicta Philosophorum, Imperatorum, Oratorumque, et Poetarum,ab Arsenio Archiepiscopo Monembasiae collecta [Romae 1519], sub voce Πλ~τωνος (s. i. p.).
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«DORAI» E «ΑΡΟΡΗΤΗEGΜΑΤΑ» PLATONICI IN STOBEO
trascritto. Ma, anche in caso di corposa trasformazione di apoftegmi e sentenze, ci si trova di fronte al fenomeno comunque antichissimo della trasmissione di questo tipo di cultura. Si può anche prescindere dal dovere di stabilire se un'interpolazione gnomologica vada attribuita a stesure di età tardo-antica e bizantina, più che non all'epigono Arsenio. Il problema della distinzione cronologica nelle variazioni qualitative del materiale apoftegmatico è forse un falso problema, poiché in questo, più che in qualunque altro genere di forma culturale legata alla sapienza antica, ogni trascrizione tende a plasmare la scrittura del modello in base alle esigenze del momento. E queste ultime sono spesso assai differenti da quelle dell'antigrafo utilizzato: il copista, se non come secondo autore, può comportarsi come nuovo autore. Il nr. 16 dell'elenco di testo dello Stobeo veniva considerato particolarmente indicativo del carattere del filosofo; per questo se ne possono seguire le rielaborazioni in tutte e tre le raccolte prese in esame, unitamente alle rispettive variazioni testuali. Stobaei Florilegium
Florilegium Monacense
Arsenii Violetum
Πλ~ των ~ ργιζ ~ µενος ποτ~~Τ~~ ο ~ κ ~ τη επι στ~ ντος Ξενοκρ ~ τονς λαβ~ ν ~ φη τοντον µα στ~γωσο ν • ~y~~yizρ ~ρ γ~ζοµατ.
Ο α~ τ~ ς ~ ργιζ~ µενος τφ ο~ κ~τη και µ ~ λλων α~τ~ν µαστιγονν,~πιστατονντος Ξενοκρ ~ τονς, ~ φη λαβ~ ν το ûτον µαστ ~ γωσον• ~ γ~~ γáρ ~ρy~ζοµατ•φασι δ~~ α~τ~ν και ~πανατειν~ µενον ~τν βακτηρ ~ αν Τ~~ παιδ~ , ~ στ~ναι χρ ~ νον πολ ~ ν µετ ~ ωρον τα~την ~χοντα, και τ~ν α~τ~αν ~ ρωτ~µενονφ~ σαι κολ~ ζειν τò ν ~ αντοû προορµ ~ σαντα Θν µ ~ ν.
'Ο α~τò ς ~í λλοτε ~ ργι ζ~ µενος τυ î ο~ κ~ τη ~ πιστ ~ ντος 8ενοκρ ~ τονς, λαβ~ν ~φη το ûτον µαστ ~γωσον, ~ γ~~yirp ~ργ ~ ζοµατ• φασ ~~ δ ~~ α~τ~ν και ~πανατειν~ µενον ~ν τ χεîρα Τ~~ παιδ ~ , ~ στ ~ ναι χρ ~ νον πολ~ν µετ ~ωρον τα~την ~χοντα. και τ~ν α~τ~ αν ~ ρωτ~µενον ~φσαι κο λ~ ζειν τ~ ν ~ ξ α~ τον προορµ ~ σαντα Θνµ ~ ν.
Risulta evidente come l'unico segmento testuale a mantenersi inalterato sia appunto quello dei presunti ipsa verba pronunciati dal filosofo, mentre l'introduzione (ossia la zona di trasmissione testuale più labile e più soggetta a subire modifiche) e la spiegazione del contesto possano mutare in modo considerevole. Al proposito va notato come sia proprio il Florilegium dello Stobeo a fornire la presentazione più scarna, se non addirittura brachilogica (almeno, così come si presenta nei codici). — 217 —
MICHELE CURNIS
Ν . CONCLUSIONE: «SENTENTIAE» PLATONICHE NEL PAR. GR . (ANCORA ARSENIO, CON RITORNO ALLO STOBEO)
3058
Dai progymnasmata della tarda antíchítà a quelli filologici di metà Ottocento. Leutsch rilevò la necessità di integrare l'edizione delle Centurie di Michele Apostolio ricorrendo a un codice che contiene la stessa raccolta, organizzata (e anche accresciuta) in maniera diversa; il Par. gr. 3058 è prodotto forse vergato dalla mano di Arsenio, ossia del figlio di Apostolio («quem eiusdem Arsenii manu exaratum saepe quidem homines docti in usum vocaverunt, sed nondum quae contineat et quo ordine dilucide exposuerunt»). 37 Leutsch provvide a integrare i proverbi mancanti nell'opera paterna, verisimilmente aggiunti dalla mano del figlio nella nuova copia, in particolare il gruppo di ~τεραι yν~λα παραwwετικαι, desunte dal Carmina dí Gregorio dí Nazianzo. Ma nell'elenco c'è anche spazio per filosofi e scrittori pagani. Per quanto riguarda testi di cultura espressamente platonica, si ritrovano nel Parisinus riscritto (forse) da Arsenio due detti memorabili, di cui è possibile rintracciare la fonte con precisione filologica (come si addice al lavoro di Arsenio). 81 Πεν~ αν ~yητεον ε~ναι, 1~~τ~~01\ ov σ~ αν ελ~ττω πΟιε ν ~ λλ~~Τò ~~ Ν ~πληστιαΝ πλειω. Πλ ~ τωνος. 82 'Εσχ~τη y~ ρ ~ δικíc δοκε ν δικαιον µ ~~~ ντα. Πλ~τωνος.
In primo luogo si osserva una caratteristica di ambito lemmatico:
il nomen auctoris congiunto ai due testi è apposto in clausola, e non introduce più il materiale raccolto, come i soliti lemmi (forse è già in-
dizio di recenziorità). Ma quello che Leutsch classifica come proverbio 81, da aggiungere all'edizione delle Centurie, in realtà non è nient'altro che cursoria citazione del testo delle Leggi (V 736E 2 sg.), cosi come 1'82 non è nient'altro che trascrizione di una frase della Repubblica (361Α 5 sg.). Si intende quindi per quale motivo Arsenio (o un altro redattore per lui) apponga il nomen auctoris in calce al testo prelevato, e non si preoccupi di inserirlo in una tradizione lemmatica (più antica) formalmente differente. Queste serotine aggiunte di sa-
37 E.L. A LEUTSCH, Commentationes de Violarii ab Arsenio compositi codice archetype particula prima (et altera), in Index Scholarum pub/ice et privatim in Academia Georgia Augusta per semestre aestivum, anni 1856 (et per semestre hibernum, anni 1856-1857), pp. 3-
11 (I), 3-11 (II), Göttingae, typis expressit Officina Academica Dieterichiana (Gull. Fr. Kaestner) 1856-1857, citazione da p. 3 (I). — 218 —
«DORAI» E «APOPHTHEGMATA» PLATONICI IN STOBEO
pienza platonica sono in realtà semplici appunti di chi legge il testo dialogico con la cura di estrapolare, trascrivere a parte, tener pronte all'uso, tutte le sententiae platoniche ritenute interessanti e degne di registrazione ulteriore. Arsenio dunque lavora sull'opera paterna, con lo scrupolo di arricchirne la redazione grazie alle sue personali letture (evidentemente, anche per quanto riguarda Platone). Come si può notare dal raffronto con la precedente trascrizione, anche questi due detti, corredati di una forma minima di introduzione espressiva (il solito verbum dicendi), sono destinati a comparire poi tra le pagine del Violetum. Entrambi í luoghi citati fanno parte di prelievi dí Leggi e Repubblica presenti nel testo dello Stobeo (rispettivamente III 10, 67, egloga costituita dallo stesso testo di Arsenio, e III 10, 71, ossia il secondo appunto di Arsenio: entrambi i riferimenti dunque si leggono nei codici del Florilegium a brevissima distanza, all'interno del capitolo Περ ä&&κí ας, III, pp. 425-427). Dal momento che la composizione del Violetum dipende a pari grado dalle Centurie e dall'Anthologion, pare assai plausibile concludere con l'ipotesi che anche in sede di epilegomena alla silloge paremiografica paterna, Arsenio ritrovasse nei prelievi antologici complementi utili e aggiunte che giudicava adeguate. Egli quindi proseguiva nella compilazione di brani platonici secondo procedimento analogo a quello di antica tradizione gnomologica, e praticava nel XV secolo la continuazione di un metodo plurisecolare, basato sulla riscrittura testuale; il tutto, ricorrendo immancabilmente a Giovanni Stobeo. '.
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ALDO BRANCACCI
IL CONTRIBUTO DEI PAPIRI ALLA GNOMICA DI TRADIZIONE CINICA*
I. LA
TRADIZIONE CINICA
La storia del cinismo greco si svolge su tre piani, assai diversi tra loro, che vale la pena distinguere preliminarmente con chiarezza. Il primo è costituito dall'attività di quei filosofi i quali si definirono esplicitamente κυν κο~ , e come tali furono riconosciuti e denominati dai loro contemporanei, e che anche noi, oggi, possiamo legittimamente chiamare, in senso proprio e pieno, cinici. Il secondo, che può avere, sebbene non necessariamente, forme più o meno significative di tangenza con il primo è costituito dall'opera di quei filosofi e di quegli uomini di dottrina i quali si trovarono, per le più svariate ragioni, a riflettere sulla κυν κ~~φιλοσοφια, a ricostruirne la storia e la genealogia, a proporne una reinterpretazione valida per í loro giorni, ed eventualmente anche per il loro personale credo filosofico. Esso comprende filosofi, moralisti, uomini di cultura, provenienti da diverse esperienze filosofiche, quali Epitteto, Massimo di Tiro, Temi stil, Dione Crisostomo, Luciano, Giuliano, í quali assunsero il cinismo come un punto di riferimento privilegiato della loro attività letteraria e intellettuale, e, ancora, come un elemento — talora addirittura come l'elemento più importante — della loro più intima esperienza e concezione della filosofia, cui esso poté essere pienamente integrato.' Esiste ancora un terzo ramo de lla tradizione cinica, che è ,
* Desidero ringraziare Walter Lapini per aver discusso con me intorno ad alcuni testi oggetto di questo studio. Per questa distinzione cfr. A. BRANCACCI, Cinismo e predicazione popolare, in G. CAMBIANO, L. CANFORA, D. LANZA (a cura di), Lo spazio letterario della Grecia antica, I: La produzione e la circolazione del testo, Tomo III: I Greci e Roma, Roma, Salerno Ediz. 1993, pp. 433 455. Per Dione Crisostomo rinvio aí miei due studi píù recenti, Dio, Socrates and Cynicism, in S. SWAIN (ed.), Dio Chrysostom. Politics, Letters, and Philosophy, Oxford, Clarendon Press 2000, pp. 240-260, e Struttura compositiva e fonti della terza '
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ALDO BRANCACCI
quello nel quale operano, prevalentemente, letterati puri, filosofi e scrittori per noi anonimi e fors'anche gruppi di scuola, i quali assunsero il cinismo come cifra distintiva della loro attività letteraria, dando vita a un complesso fenomeno di ricezione del κυνισι~~, della sua tradizione, dei suoi temi portanti, delle sue figure caratteristiche, ma anche delle sue ascendenze (Socrate), delle personalità a esso costitutivamente legate (Antistene), di quelle che nel cinismo furono accolte o ricevettero un'attenzione particolare (Anacarsi, Eraclito, Democrito e altri). E se il cinismo in senso lato si espande, diluendosi, nella letteratura greca e latina, giungendo a in fl uenzare anche la poesia — basti pensare a personalità così diverse tra loro quali Cercida di Megalopoli e Menippo, Orazio, Varrone — questo terzo ramo della tradizione, importante perche spesso poggia sull'uso di buone fonti, si esprime in una grande varietà di generi, tra i quali primeggia, per importanza, il grande filone dell'epistolografia, mentre a parte sta quello delle raccolte di χρεî αι.2 La documentazione trasmessa dai papiri è per quanto riguarda la tradizione cinica nel suo complesso, ricca e significativa, e riguarda, vuoi per il suo oggetto, vuoi per la sua provenienza, tutti e tre questi ambiti. In questa sede mi propongo di esaminare i testi già pubblicati nel Corpus dei papiri filosofici greci e latini, nel tentativo di approfondirne lo scavo e di verificare se sia possibile guadagnare nuovi risultati all'analisi. In alcuni casi il problema che si pone è quello di integrare le risultanze desumibili dai papiri al resto della nostra do,
orazione `Sulla regalità' di Díone Crisostomo: Díone e l' Árchelao di Antistene, in ANRW, II 36.5, 1992, pp. 3308 3334. Per Epitteto cfr. G. CALOGERO, Cinismo e stoicismo in Epítteto, in Saggi di etica e di teoria del diritto, Bari, Laterza 1947, pp. 140 157, poi in Scritti minori di filosofia antica, Napoli, Bibliopolis 1984, pp. 395-408, e Μ. BILLERBECK (Hrsg.), Epiktet. Vom Kynismus, herausgegeben und übersetzt mit einem Kommentar von Μ. Β., Leiden-New York-Köln, Brill 1978 («Philosophia antiquo», 34). Per Temistio cfr. A. BRANCACCI, Temistio e il cinismo, «Elenchos», XXI, 2000, pp. 381-396. Per Giuliano cfr. R. Asius, Julian und Dion Chrysostomos, Programm Tauberbischofsheim 1895; ID., Kaiser Julians Misopogon und seine Quelle, «Philologus», LXXVI, 1920, pp. 266-292; LXXVII, 1921, pp. 109-141; K. DÖRING, Kaiser Julians Plddoyer für den Kynismus, «Rheinisches Museum», CXL, 1997, pp. 386-400. 2 Per l'epistolografia di tradizione cinica cfr. E. MOSELER, Die Kynikerbriefe, 1. Die Überlieferung, 2. Kritische Ausgabe mit deutscher Übersetzung, Paderborn, Schöningh 1994 («Studien zur Geschichte und Kultur des Altertums», 6/7); H. SCHWABL, Notizen zu den Kynikerbriefen, «Ziva Antika», XLV, 1995, pp. 313-328; Η.W. ATTRIDGE, FirstCentury Cynicism in the Epistles of Heraclitus, Introduction, Greek Text and Translation, Missoula (Montana), Scholars Press 1976 («Harvard Theological Studies», 29), ai quali rinvio anche per ulteriori indicazioni bibliografiche. Per la tradizione della xpeia cfr. J.F. KINOSTRAND, Diogenes Laertius and the Chreia Tradition, «Elenchos», VII, 1986, pp. 217243. -
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IL CONTRIBUTO DEI PAPIRI ALLA GNOMICA DI TRADIZIONE CINICA
cumentazione sul cinismo, onde ottenere informazioni più complete e organiche intorno al filosofo cui essi s i riferiscono, ovviando, anche, a una certa persistente frammentazione degli studi. È questo il caso, fondamentalmente, dei due papiri relativi ad Antistene e del papiro relativo a Metrocle. In altri casi si tratta invece di approfondire lo studio del papiro considerato in sé e, prevalentemente, anche se ovviamente non solo, nella sua autonomia, alfine d ι offrire ulteriori o più precise risposte a i quesiti formali o di contenuto che esso pone. È questo, fondamentalmente, i l caso del papiro relativo a Socrate. Considero questo studio il complemento dell'indagine già avviata alcuni anni or sono con l'esame di PVindob G 29946 (= CPF Diogenes Cynicus 8T), che resta il più ampio e importante documento papiraceo relativo a una figura di Cinico in senso proprio, nonché il più antico documento di una certa estensione relativo a D ιogene. 3 Come già in quello studio, così anche in questo assumer ~~il testo oggetto dell'analisi, e intenderò la questione del contributo, che figura nel mio titolo, non in senso isolato e irrelato, ma come elemento da integrare in una più ampia documentazione, nella quale il papiro, in casi fortunati, può rivelarsi una tessera d ι valore particolarmente elevato. II. ANTISTHENES 1Τ
ΡΚö1η 66 = CPF 18 Antisthenes 1T. 4-8: Stob. II 31, 68 [= Giannantoni SSR V Α 163] ~~ µ ~.1 ~ ν yεωρΥ~ ; τ~ ν 1 y~ν, ~~88 ΦΙλ~ σοφος 1 τ~ ν Φv σ ww ~ ξηµερο δεî τov; µ ~ λλοντας I5 áγαθovς ~ νδρα; yινε ~ σθαι τ~~ µ ~ ν Σ~µα γνµ ~νασ~oις ~σΚε ν, 88 Ι 'ρ'υχ~ν λ~yοις. Il contadino coltiva la terra, il f il osofo la natura umana. Coloro che intendono diventare virtuosi devono esercitare il corpo con prove fisiche, l'anima con i ragionamenti. 4 L'ostrakon di Ossirinco c i trasmette due sentenze, che s i succedono e si giustaρρongono. 5 La prima è particolarmente importante
3 Cfr. A. BRANCACCI, Pericopi diogeniche in PVindob G 29946 (= CPF Diogenes Cynicus 8 T), «Elenchos», XVII, 1996, pp. 407-422. Per l'edizione del papiro, ad opera di G. Bastianini, cfr. Corpus dei papiri filosofici greci e latini, Testi e lessico nei papiri di cultura greca e latina, Parte I: Autori Noti, Vol. 1**, Firenze, Olschki 1992, pp. 99-143. 4 Cfr. Corpus dei papiri filosofici greci e latini, I.1*, Firenze, Olschki 1989, p. 237, traduzione di G. BASΤΙΑΝΙΝI e F. DECLEVA CAIZZI, leggermente modificata. 5 Per l' ostrakon, le due sentenze, i loci similes, ~~da vedersi A. HENRICHS, Zwei Frag-
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perché, se la terminologia è fedele, ne risulta attestato l'uso del termine φιλ~ σοφος da parte di Αntistene. 6 Da questo punto di vista, la sentenza completa e integra la testimonianza di Dione Crisostomo, che ci ha trasmesso la definizione antistenica di φιλoσοφε ν: «ricercare e ambire come diventare uomo di perfetta virtù non è altro che filosofare».' Su questa linea, il concetto di scienza, che da altre testimonianze risulta avere come oggetto il generalissimo campo delle «cose che si debbono fare» (ä δεî ποιεîν), è precisato dall'espressione «ci ~~ che si deve sapere per essere uomo di perfetta vírtù» ( ~~στιν ε~ δ~ τα καλ~ν καì. ~γαθ~ ν ~νδρα ε~ ναι): e in quest'ottica uomo incolto ((παιδεντος) è non colui che ignora í contenuti dell'istruzione tradizionale, ma colui che è privo di conoscenze nel campo del sapere morale ( µηδ ~ ν ~πΙστ~ωνον ~v χρ~ ). 8 La presenza, nel passo dioneo, dell'espressione ~πως τις ~ στςι καλ~ ς καì ~γαθ~ ς, alla quale corrisponde, nella seconda sentenza, l'espressione δεî το~~ µ ~ λλοντας ~ γαθovς ~νδρα γινεσθαι, è un buon indizio a favore dell'ipotesi che le due sentenze, pur se autonome, provengano da un contesto omogeneo. La seconda sentenza è non meno significativa, e tuttavia non è stata finora utilizzata negli studi sul cinismo. 9 Essa è particolarmente importante perché consente di mettere in luce l'origine antistenica di una celebre dottrina attribuita a Diogene cinico nella dossografia laerziana. Vale la pena citare il passo: διττ~ν δ' λεγε ε~ναι τ~ν ~ σκησιν, τ~ν µ g ν ννχικ~ν, τ~ν δ~~σωµατικ ~ν ταvτην καθ ' ~ν ~ν yυ ναΣια συνεχεις yιν~ ρ ναι φαντασιαι ε vλνσιαν πρ ~ ς τ~~τ~ ς ~ ρετ~ ς ~ ργα παρ~ χονται. ε~ναι δ ' ~τελ~~τ~ν ~τ~ ραν χωρ'ι τ~ ς ~τ~ ρας, σüδ~ν ~ττον εvεξιας καì ισχvoς ~ν τοîς προσ~ κουσι γενοµ ~ νης, ~ς Περι τ~ν ΨΥχ~Ν και περι τ~~σ~~α. παρετιθετο δ~~τεκµ ~ ρια τov 15 αδιως ~Π~~ τ~ ς Υυµνασιας~ν ~~~ ρετ~~καταγινεσθαι. 10
mente über die Erziehung (Antisthenes), «Zeitschrift fur Papyrologie und Epigraphik», I, 1967, pp. 45-53. Per la prima sentenza rinvio preliminarmente al commento che ne ho dato in Oikeios logos. La filosofia del linguaggio di Antistene, Napoli, Bibliopolis 1990 («Elenchos», XX), p. 90, n. 14. 6 Per le principali occorrenze preplatoniche di φιλ~ σοφος, φιλοσοφ~ α, φιλοσοφεîν, cfr.
M. DixsAuT, Le naturel philosophe. Essai sur les dialogues de Platon, Paris, Inn Les Belles Lettres 1994 2, pp. 365-369. Dio Chrys. Orat. XIII 28 (= Giannantoni SSR V A 208): τ~~7à2 ζητε ν καì φιλοτιµε ~σ8α1 $πως τις uσται καλ~ ς καì äγαθ~ ς οUκ áλλο τι εivaι ~~τ~~φιλοσοφεîν. B Cfr. Dio Chrys. Orat. XIII, 27-28 (= Giannantoni SSR V A 208). 9 Cfr. peraltro la segnalazione che ne ho fatto in Askesis e logos nella tradizione cinica, «Elenchos», VIII, 1987, pp. 439-447: 443. ° Díοg. Laert. VI 70 (= Giannantoni SSR V B 291). -
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È evidente che la matrice della bipartizione diogenica, che è a lla base di questo testo, proviene direttamente da Antistene. Identica la distinzione tra anima e corpo costitutiva delle due dottrine: al principio antistenico τ~~σ~µα ΥΥΜΝαOιo~ς ~ OΚεUΝ corrisponde 1' ~εΡΣΚΗΣις ~~di Diogene; al principio antistenico ~~ν Ψυχ~ν λ~γοι ς ~ σωµατικ σκε ν corrisponde l' ~ σκησις yrνχικ~~ di . Diogene. Questa puntuale corrispondenza, finora sfuggita, permette di smentire l'affermazione di M.-Ο. Goulet-Cazé, peraltro non supportata da sufficienti basi testuali, né da argomentazioni probanti, che la dottrina diogenica sia di derivazione stoica. 11 È invece di derivazione antistenica, e al riguardo è bene sottolineare la puntualità delle corrispondenze, sia linguistiche che concettuali: al verbo ~ σκε ν di Antistene corrisponde il termine ~σΙΗO~ς di Diogene; alla posizione da parte di Antistene della distinzione di base tra σ~µαe νυχ~~ corrisponde la distinzione diogenica tra σωµαΤ~κ~~e Ψοχuς~ . Dal punto di vista teorico, e per limitarsi in questa sede al solo Antistene, è da notare che il complemento, ma anche il parallelo, più precisi a questa sentenza sono offerti da un noto frammento dell'Eracle, relativo all'equazione π~νος = ~yαθ~ ν, e da una testimonianza laerziana, anch'essa celebre: «la virtù basta alla felicità, e di null'altro ha bisogno se non della forza socratica». 12 Posto che l'acquisizione della virtù è funzione della φρ ~νησις, cioè dell'elemento razionale che guida e dirige l'azione, e che, come precisa la sentenza, l'anima è oggetto di un' ~ σκηOtς che si realizza tramite i λ~γοι, la virtù stessa per Antistene sufficiente a raggiungere la felicità. Essa non richiede null'altro se non la i σχ~ς propria di Socrate, cioè, nei termini della sentenza, la capacità di sottoporre a esercizio il corpo attraverso prove fisiche. La ισχvς fa tutt'uno con il π~νος diretto verso il corpo, cioè con lo «sforzo» richiesto dalla pratica della virtù, laddove il concetto di ~σκεiν è, come di nuovo risulta dalla sentenza, più ampio, potendo esso rivolgersi sia verso il corpo sia, nella sua espressione più alta, verso l'aníma. 13
Υ Cfr. M. O. GOULET-CAΖÉ, L'ascèse cynique. Un commentaire de Diogène Laerce VI 70 71, Paris, Vrin 1986. 12 ~ ς nροσδεο Diog. Laert. 11 11: α~ τ~ ρκη δ~~τ~ν ~ ρετ~ν πρ~ ς ε~ δαιµονιαν,µηδεν n µενν liTι Σωκρατικ~ ς ισχ ~ ος (= Giannantoni SSR V A 134). Ε si ricordi Id. VI 2 (= ~ λο ~~ 'ΗραGiannantoni SSR V A 97): και lTι ~~π~ νος ~yαθ~ν συνY στησε διà. τον µεγ -
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κλ~ ους και το~~Κ~ ρου, τ~~ 11è, du n τ~ν 'Ελλ~νων, τ~~δ~~~ ποΩ τ~ν βαρβ~ ρων ~ λκ~ σςς. 13 Sulla φρ~ ντσις in Antistene, sul π~ νος, e su tutti questi temí, cfr. BRANCACCI, Oikeios logos, cit., pp. 89-97.
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III.
ANTISTHENES 2 Τ
PFlor 113 è uno dei più importanti e più interessanti papiri relativi ad Antistene. Prima di affrontarne l'esame, è opportuno avere presente il testo: PFlor 113, col. II 26-36.= CPF 18 Antisthenes 2T [= Giannantoni SSR VA175] 0ασ1. δ~~καì Äν lτισ[θ~νη] µεψψακιoυ τιν~ ς ~ ρ ~~ν κα~~τινας βo νλoΜ ~νους θη ~ ρεvεww αYΤ~~ ~πì δεîπΝον παρα ~30Τt8~Να λoπ~ δας ïΧΘ~~Ν• καì 1 δì~~ε~πε ν τινας πρ ~ ς ~ντrnθ~~ν[η δι~τ]. παΡεΥ Η ΜεΡovσ~Ν αv ~τ[~ν oi ~ ]yτερασται• " καì µ ~ [λ]α, [ 41, θαλ]αττoκρατovµα ~δ• 135 [~λλò~~ γ] ~ ρ ~~µ8ν~ ξ~gî ~v Τ' α~τε ν, ~ [~γ~~δ ' ~π~]χεσθαι τιδν τ[oWWvτων ". [± 7].[.]αθη λο[± 7 Ι ± 10].λww οιχ[ Dicono anche che Antistene amasse un ragazzo e che certuni, volendo adescare il ragazzo a un banchetto, imbandissero piatti di pesce. Alcuni allora dissero ad Antistene che í rivali avevano la meglio su di lui: «Certo, replicò, per mare sono vinto, non c'è dubbio. In effetti però a lui par bene chiedere quelle cose, a me invece astenermene». 14 Questo brano, la cui struttura formale merita di essere esaminata con una certa cura, non è definibile come una «chria antistenica». 15 È forse super fl uo ricordare che la χρε~ α ha una sua peculiare struttura, la quale prevede alcune tipologie fondamentali, note e descritte, che qui non compaiono. Formalmente, il brano è costituito da una battuta, attribuita ad Antistene, e preceduta da ~ ρη, e da un antefatto, introdotto da φασ~ , necessario per spiegare il significato della battuta stessa. La terminologia che compare nel brano, in cui si impone all'attenzione il verbo 8 αλαττoκρατovµ aι, verbo raro e impegnativo, rarissimo in forma media o passiva; l'inedita e preziosa immagine di un Antistene ~ ραατ~ς, che il brano trasmette; certa evidente farraginosità della prima parte del testo, in cui si notano il φασ~~di 1. 1, seguito dal τινας della stessa riga, e poi ancora dal τινας di 1. 3, fanno comprendere che ci troviamo di fronte a un testo sunteggiato, di cui si cita la battuta che interessa porre in evidenza, e che, nel nuovo contesto creato dall'escertore, appare come una χρε~ α. Ora, sappiamo per certo che Antistene fu prolifico autore di dialoghi so-
14 Riporto la traduzione offerta da A. GUIDA in Corpus dei papiri filosofici greci e latini, I.1*, cit., p. 239. 15 GUIDA, in Corpus dei papiri filosofici greci e latini, cit., p. 239.
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cratici, noti e citati nell'antichità. 16 Molte χρεî αι, o presunte χρεî αι, riportate nella Vita di Antistene di Diogene Laerzio hanno questa origine: sono frasi e battute memorabili di Socrate in dialoghi di Antistene, che, nel processo di `escerpizzazione', furono attribuite direttamente ad Antistene, per renderne riconoscibile la paternità, e per poter così assolvere al loro compito: viaggiare liberamente da una raccolta all'altra, portando con sé il nome del loro autore, che garantiva l'intercambiabilità della collocazione. In generale, tutto dipende dal criterio di lemmatizzazione adottato: se si desiderava mettere in evidenza il nome del personaggio che nella fonte originaria parlava, e sul quale, a partire dalla battuta, si costruiva la χρε~ α, avremmo avuto, per restare al nostro caso, un Σωκρ ~της ~φη; se si desiderava invece rilevare la paternità dell'opera, insomma l'autore della frase, si sarebbe avuto un ~ντισθ~νης z✓φη; e nella nostra documentazione abbiamo tanti e tanti esempi dell'un caso e dell'altro. Tornando al nostro papiro, esso è di grande importanza perché offre esempio di uno stadio ancora iniziale del processo di formazione di una χρε~ α: si parte da un testo dialogico, si identifica la battuta che si desidera escerpire, si riassume il contesto quel tanto che basta per fornire un appoggio alla battuta. E nel nostro caso è ancora evidente la presenza di questo testo e contesto, non ancora ridotto a secca formula introduttiva. La tecnica si codificherà e formalizzerà presto, dando origine ai classici, anonimi e assolutamente interscambiabili ~ ρωτηθεις ... εiπε; πρ ~ ς TUV ε~π~ντa ... φη; ιδ~ν ... ~φη; ειπ~Ντος τιν~ ς δτι ... φη; o áncora il semplice λεγεν preceduto dal nome proprio, e formule simili. Dobbiamo dunque pensare la battuta riportata in questo passo come una battuta di Socrate in qualche dialogo di Antistene, e la poco snella frase che la precede come un riassunto del contesto nel quale questi la pronunciava. Prima di procedere, va ricordato ancora che le due righe finali, nelle quali si leggono alcune lettere, sono state convincentemente integrate da Crönert nel modo che segue: α~ ριον δ' ~Ν παρ]αθ~~λΟ[π~δας ~λλος τις Ι OYK ~ν π] ~λtν οΙχ[otτο Μετα ToUToO. Ma, se domani qualcun altro gli imbandirà piatti di pesce [= come quelli che í miei rivali gli hanno imbandito oggi], non se ne andrà insieme a lui. Alla luce di ci~~che precede – in cui si parla di un banchetto in ι6 Cfr. G. GIANNANTONI, Socratis et Socraticorum reliquiae, collegit, disposuit, apparatibus notisque instruxit G. G., Napoli, Bibliopolis 1990 («Elenchos», XVII), IV, p. 235.
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cui sí imbandiscono λοπ~δcς — παρ] ~θ~~λο[π~δας per ] αθη λο[ appare ottimo, e quasi inevitabile π] áλww oïχ[ουυο per ]. λιν οιχ[. A rigore, la frase ricostruita può essere intesa in due modi: (1) il soggetto di oïχ[οιτο è il παî ς, e το~του è l' ~λλος τις, cioè un rivale; soluzione che io ho scelto; oppure: (2) il soggetto di οïχ[οιτo è 1' ~λλος τις, e Το~Τoυ è il παîς. Il senso complessivo non cambierebbe sostanzialmente, ma è senz'altro preferibile la prima interpretazione. Anche circa il modo in cui questa pointe finale si inseriva nel contesto è possibile fare due ipotesi: (1) per oggi mi dichiaro sconfitto, ma per domani prenderò le mie precauzioni, cioè tratterò il παîς in modo tale che egli non avrà più né motivo né voglia di cedere alle lusinghe dei miei rivali; (2) il παîς si pentirà di aver ceduto a ll e lusinghe dei miei rivali, e farà una così brutta esperienza che domani non ripeterà l'errore. Ciò posto, i motivi per cui il παîς farà una brutta esperienza possono essere molteplici; (1) ad esempio, il pesce sari avariato e gli farà male; (2) oppure: gli ~ντερασται non si comporteranno bene, o qualcuno di essi gli lascerà un ricordo deludente di sé. In ogni caso, il παîς subira un pathei mathos che lo farà tornare da Antistene, cioè da Socrate, e che lo convincerà del fatto che il vero ~ραστ~ς è Socrate. Per comprendere quest'ultimo punto è bene ricordare per sommi capi la posizione di Antistene sull'~ ρως, che il nostro frammento pone in evidenza inedita. Proclo, nel commento all'Alcibiade platonico, riferendosi a una delle più importanti opere del Socratico, attesta: «L'Eracle di Antistene dice di un giovinetto allevato da Chirone: è alto, be ll o, è seducente: chi l'amerà non sarà un amante dappoco». 17 Naturalmente, il riferimento a Chirone porta con sé un'allusione a un'opera di educazione, e quindi a un nesso tra bellezza fisica e virtù nel giovinetto di cui qui si parla: Achille. Ε poiché l'amante che non sari δειλ~ ς è a sua volta da identificare con Eracle, la relazione tra questi e Achille costituisce una perfetta esemplificazione del rapporto omoerotico di ovvia matrice socratica. L'interpretazione propriamente antistenica del rapporto omoerotico è resa dalla prima giustificazione dell'eros ricavabile dai frammenti trasmessi. Per essa, l'eros costituisce un valore positivo quando sia fondato sulla φιλ~α: virtù notoriamente celebrata da Antistene, come mostra anche solo la conversazione che egli svolge su questo tema con Socrate nel II libro dei Memorabili di Senofonte. Egualmente intellettualistica, ma ancora più netta, è la seconda giustificazione dell'eros conservata dalla dosso" Prod. In Plat. Alcib. 98, 14-16 (= Giannantoni SSR V Α 93): λ~γει γοbν κα~~ ~~'Αν~γας γ~ ρ, ~ νον• " µ τισθ~νονς 'Ηρακλ~ ς περ~~τινος νεαν ~ σκον παρ à τ Χε~ρωνι τρεφοµ φησι, κα~~καλ~ ς xaì ~ ραîος, ονκ ~ν αντον ~ ρ~ σθη δειλ~ ς ~ ραστ~ς".
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grafia. Essa è legata alla concezione del sapiente, che è tale perché virtuoso, ed è virtuoso perché possiede la scienza. Conoscendo le verità etiche fondamentali, egli è in grado di sapere a quali condizioni l'amore è degno: «E il sapiente amerà. Solo il sapiente, infatti, sa chi degno d'essere amato». 18 La formula non consente di dubitare che si parli qui di amore in senso proprio, non disgiunto cioè dalla sessualità, anche se resta valido il principio precedentemente messo in luce, per cui fondamento del rapporto omoerotico è, per Antistene, la φιλ~ α. Ciò è confermato da un'altra formula dossografica, tratta quasi certamente dall'Eracle, che va ora citata: «il sapiente è degno d'amore [...] e amico del suo simile». 19 Il fatto che il sapiente sia ö ξι~ ραστος costituisce una giustificazione importante del fatto che l' ~ ρ ~λενος si conceda sessualmente ali' ~ ραστ~ ς: tema di discussione all'interno della cerchia socratica, come risulta in modo inequivocabile dal Simposio senofonteo, dove il problema è risolto in modo conforme alla posizione antistenica, la quale richiede da un lato che l'amore sia principalmente rivolto all'anima e al carattere morale (0oß), dall'altro la presenza della φιλια.2Ó All'interno di questa prospettiva è la filosofia stessa che detta le regole del comportamento, e costruisce, per così dire, l'amore, così come la φρ~νησις e l' ~γκρ~τεrn costruiscono il piacere. E poiché per Antistene non solo il sapiente è degno d'amore, ma degno d'amore è ogni uomo virtuoso,21 è evidentemente Socrate il perfetto amante. Ciò spiega non solo la dichiarazione d'amore che Antistene rivolge a Socrate nel Simposio senofonteo, ma anche la frase conclusiva del discorso di autopresentazione filosofica di Antistene nella stessa opera, là dove Antistene afferma che la sua frequentazione di Socrate è strettamente legata al filosofare: come Socrate passa il suo tempo unicamente con coloro che gli piacciono, così massimo piacere è per Antistene «stare in piena libertà da mattina a sera assieme a Socrate». 22
18 Díog. Laert. VI 11 (= Giannantoni SSR V A 58): κα~~ ~ ρασθ~ σεσθςι δ ~~ (stil. τ~ ν ~ νον y~ ρ ε~ δ~ναt τ~ ν σοφ~ ν τ~νων χρ ~~~ ρ~ ν. σοφ ~ ν) µ 19 Id. 11 105 (= Giannantoni SSR V A 99): αξι~ ραστον τ~ ν σοφ ~ ν ... καi φíλον τ~~ ~ µο ~ φ. 20 Cfr. Xen. Symp. 8, 19-25. Per la concezione dell'erotica di Antistene, anche in connessione alla sua valutazione del piacere, cfr. A. BRANCACCI, Érotique et théorie du plaisir chez Antisthène, in Le cynisme ancien et ses prolongements, Actes du Colloque international du CNRS (Paris, 22-25 juillet 1991) M.-O. GOULET CλΖ et R. GOULET (éds), Paris, PUF 1993, pp. 35-55. 21 Cfr. Du c , ap. Díog. Laert. 11 12 (= Giannantoni SSR V A 134): αξt~ ραστο ~~ ~ γαθ~ ς. 22 ~ υεtν. Xen. Symp. 4, 44 (= Giannantoni SSR V A 82): Σωκρ ~ τει σχολ~ ζων σuvδtηµερ
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Ciò chiarito, torniamo al papiro e osserviamo come nelle parole di Socrate/Antístene vi siano diversi livelli di significato, che si sovrappongono e si sommano, contribuendo alla preziosità, e complessità, del significato d'insieme. Innanzitutto, c'è il piatto di pesce, ma anche il παîς fa da pesce, poiché è oggetto di un θηρεvειν, che vuol dire «cacciare» in tutti i sensi, anche quello di «pescare». Ciò sottolinea che questo παî ς è uno sciocco, perché `abbocca', come í pesci. Il θαλαττoκρατovµαιvorrà dire allora, innanzitutto, che Socrate/Antistene è stato per il momento sconfitto dalle pietanze di mare che i rivali hanno offerto al ragazzo. Antístene poteva usare κραΤo~Μαι; aggiunge θαλαττo- perche è stato sopraffatto con un piatto di pesce. Ma c'è un secondo significato, anch'esso allusivo, di θαλαττoκραΤovΜα~ , che questa volta veicola un'allusione extratestuale (almeno per noi). Questo significato è stato già individuato da Augusto Guida, il quale, però non ne ha tratto tutte le conseguenze. Lo studioso richiama la «talassocrazia ateniese che non aveva però impedito agli Spartani di risultare alla fine vincitori»; rileva che nell'aneddoto «Antistene ammette la propria momentanea sconfitta, ma con la riserva che non è in tale settore, a cui per principio rinuncia, che egli ricerca la vittoria»; conclude, un po' debolmente, che «la chria pare quindi . rientrare nel quadro della polemica antistenica, e in generale cinica, con i costumi ateniesi». 23 In realtà l'allusione è più forte: è di natura politica, e rientra nella polemica antidemocratica di Antístene, polemica sulla quale, peraltro, possibile registrare un forte párallelismo tra il Socrate antistenico e ii Socrate platonico. In Antístene tale polemica è fondata su un complesso intreccio di motivi, che è necessario almeno schematicamente richiamare. Alla base della polemica c'è, innanzitutto, un motivo filosofico, ovvero (1) l'esaltazione del principio di competenza, inteso in senso socratico; da esso conseguono (a) il riconoscimento dell'importanza del διακρινειν nelle cose politiche, (b) la critica del sistema educativo della democrazia ateniese, (c) il principio secondo cui l'amministrazione dello stato deve essere affidata al sapiente. Con questo principio si connettono, coerentemente, (2) le critiche rivolte agli istituti tipici della democrazia ateniese: da un lato (a) la critica della procedura di affidamento delle cariche per sorteggio: Diog. Laert. VI 8 (= SSR V A 72), dall'altro (b) la critica al principio dell'egualitarismo democratico: Arist. Pol. III 13, 1284a11-17 (= SSR V A 68).24 Com,
23 24
Cfr. Corpus dei papiri filosofici greci e latini, 1.1*, cit., pp. 238 239: 239. Per tutto ciò rinvio al mío Oikeios logos, cit., pp. 153-158. -
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pletano questo quadro, sul piano del giudizio strettamente politico, (3), da un lato (a) la polemica antipericlea, dall'altro, più marcata, (b) quella rivolta contro i demagoghi ateniesi; la prima era al centro dell'Aspasia, ove si negava che Pericle fosse vero πολιτικ~ ς, in quanto ~ µαθ ~ ς, e privo quindi del possesso della scienza morale. La seconda era contenuta nel Politico: 1'auctoritas, antica e preziosa, di Erodico, che è la fonte di Ateneo, ci parla di una καταδροµ ~~di tutti i politici ateniesi, nonché di una analoga καταδροµ~~levata contro il retore Gorgia nell'Archela ο. 25 Va a questo punto ricordato che prima di Antistene θcλαττoκρ cΤovΜα~ , θαλαττοκρ ~ τo ρες, compaiono in Erodoto, Tucidide, PseudoSenofonte, con prevalente riferimento agli Ateniesi e al loro orgoglioso dominio sul mare. 26 Nel nostro testo si vuol dire allora che, come Atene, con tutto il suo celebrato dominio sul mare, è vinta se presume e se supera la misura, così Socrate è battuto se si lascia trarre a un comportamento improprio (e a questo proposito si ricordi l'antitesi tra oi κεîoν e äλλ~ τριον che regge tutta l'etica antistenica). 27 Ma Socrate è in grado di comprendere la lezione, e di astenersi dall'adescare íl giovane e dal competere con i suoi rivali. Anche questa volta c' una proposizione teorica che sta dietro il discorso di Antistene ed è bene esplicitarla: si tratta del concetto di ~ δον~~ ~ µεταµ ~ λητoς. Malgrado una certa vulgata, Antistene non così ostile al piacere come si vuol credere. Misura del piacere sono per lui da un lato la φρ ~νηιις, che sceglie e gerarchizza, dall'altro l'yκρ ~τεια, che realizza e conserva, e ciò permette di comprendere l'esatto significato di frammenti quali quello reso da Stobeo, ove Antistene dichiara: «occorre perseguire í piaceri che seguono agli sforzi, non quelli che li precedono», 28 ove il π~νος, lo «sforzo», costituisce un valore antitetico alla passiva condiscendenza, edonistica ma anche solo spontaneistica, alle passioni umane, costituendo un momento diCfr. Herodic. aρ. Athen. V 220D (= Giannantoni SSR V A 204). Cfr. Her. III 122, 8 ( Πολuκρ~της γαρ ~ στι πρ ~τος τ~ν ~ µε ~ ς i δµεν'Ελλ~νων δ 8αλa σσοκρατ~ ειν ~ πενο~ θη); Id. V 83, 6 ( ~~ ντες δι~ φοροι ~ δτλ~ οντο αετο ~ ς, ~ στε δ~~ θαλασσοκρ ~ τορες ~~ ντες); Thuc. VII 48, 2 ( ~ λλως τε κα ~~επ~~πλ~ ον ~ δη ταîς viαρχο ~ muu; νανσι θαλασσοκρατο ~ ντων); Id. VIII 41, 1 ( ~ Πως θa λaσσοκρατoîεν µ ~ λλον); Id. VIII 63, 1 ('Εν το~τω 8~~oi Xîoi τε Θαλασσοκρ ~τορες ρ~ λλον ~γ~ νοντο); [Xen.] Athen. resp. 2, 2, 6: (οι 88 κρατο~ντες Θαλασσοκρ ~τορες εισιν); Id. ibid. 2, 14, 2: (ει γ~ ρ ν~ σο~~οικο~ ντες Θαλασσοκρ ~ τορες ~ σαν 'Αθηνα~ οι). Cfr. inoltre Xen. Hell. I 6, 2 ( ~ τε 8~~ Παρεδ í δο ' ~~Λ~ σανδρος τας να~ ς, ~ λεyε ~~ Καλλικρατ~ δ~~óτι σαλαττοκρ ~ τωρ τε Παραδιδοιη κα~~ νανµαχια νενικηκ ~ ς); Id. I 6, 3 ( ~ µολογ ~ σειν θ aλaττοκρ aτεlν). 27 Cfr. BRANCACCI, Oikeios logos, cit., pp. 260-262. 28 Stob. III 29, 65 (= Giannantoni SSR V A 126): ~ δον ~ ς τàς getà το~ ς π~ νο~ ς διωκ τ~ ον, αλλ oYXi TUO πρ ~~ τ~ν π~ νων. 25
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namíco in vista dell'acquisizione della felicità, nella quale, come si vede, può rientrare il piacere. Ancora più importante è un frammento reso da Ateneo, in cui la posizione del Socratico è così sintetizzata: «Antistene, sostenendo che il piacere è bene, aggiunge: quello di cui non ci si pente». 29 Per concludere, completerò la mia analisi del papiro ricordando che due erano i valori simbolici della potenza ateniese: la talassocrazia e le lunghe mura. Ebbene, è significativo che all'ironizzazione della prima corrisponda una amara e ironica menzione delle lunghe mura in un altro testo, serbatoci da Dione Crisostomo, ove il Socrate antistenico procede dapprima quasi a una dissacrazione delle vittorie ottenute dagli Ateniesi nelle guerre persiane, riconducendole all'inferiorità morale dei loro avversari, poi a una critica del sistema politico ed educativo di Atene. In questo contesto egli rileva: «così, quando i Persiani hanno aggredito gli Ateniesi, talvolta hanno vinto gli Ateniesi, talaltra í Persiani», concludendo poi con la frecciata: «come in epoca posteriore, quando, combattendo al fianco dei Lacedemoni, abbatterono anche le mura della città ( τ~~τε~χη τ ~ ς π~ λεως κατ~ βαλον) ».30 Sulla base di questo testo, è possibile interpretare anche la sentenza riportata da Epifanio («le mura delle città sono fragili») come un'allusione alla traumatica distruzione delle lunghe mura: e si comprende così la seconda parte del frammento, ove, con rinvio all'etica, Antistene osserva che, invece, «le mura dell'anima sono ben ferme ( ~ σ~λευτα) e non possono fendersi ( ~ ρραy~ )», 31 dichiarazione completata da un altro importante frammento: «la φρ~νησuu è la più salda delle fortificazioni: non può essere abbattuta né essere presa a tradimento». 32 IV. METROCLES 1T
POxy 3655 è stato pubblicato nel CPF sotto la voce Stilpone, come giusto, ed è stato quindi oggetto di commento unicamente sotto il profilo stílpοneo. 33 Resta invece da verificare il suo ruolo testimoniale anche relativamente a Metrocle. Per fare ciò, credo opportuno riAthen. XII 513 Α (= Giannantoni SSR V A 127). 3° Cfr. Dio Chrys. Orat. XIII 25 (= Giannantoni SSR V A 208). 31 Epiphan. Adu. haeres. III 2, 9 (ΙΙΙ 26) (= Dox.Gr. 591, 35-38 = Giannantoni SSR VA107). 32 D ic. ap. Díog. Laert. 11 13 (= Giannantoni SSR V A 134). 33 Cfr. Corpus dei papiri filosofici greci e latini, ~.1***, Firenze, Olschki 1999, pp. 780782, edizione a cura di D.N. SEDLEY. 29
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prendere daccapo l'esame del testo, inserendolo, ove possibile, nel contesto più ampio delle relazioni tra Cinici e Megarici. Ma anche in questa prospettiva occorre partire da St'lpone. 34 Circa l'attività letteraria del filosofo megarico le indicazioni delle fonti antiche sono contrastanti. Suda gli attribuisce non meno di venti d ~aloghi.35 Diogene Laerzio, a sua volta, da un lato lo colloca nel primo libro delle Vite tra coloro che non scrissero nulla, 36 dall'altro, nel β~ ος a lui dedicato, gli attribuisce δι~ λογοι ~ νν~ α Ψυχρο ~ . 37 È da credere che nel primo caso egli segua fonti inattendibili, o imprecise, che non controlla, mentre i nove dialoghi, certamente autentici, successivamente elencati paiono riprodurre una lista selezionata, o, meglio, vagliata. I titoli sono i seguenti: Mosco Aristippo o Calla Tolemeo Cherecrate Metriche Anassimene Epigene A sua figlia Aristotele.
Non è difficile identificare le personalità dei filosofi cui si riferiscono questi titoli. Mosco era un discepolo di Fedone: cfr. Diog. Laert. 11 126 (= SSR III Ε 1 3); l'Aristippo cui è intitolato il secondo dialogo è certamente da identificarsi con Aristippo di Cirene; il terzo dialogo si riferisce a Tolemeo Soter. Il Cherecrate del quarto dialogo Cherecrate socratico, menzionato ad esempio in Xen. Me r. I 2, 48 e II 3; il quinto dialogo è intitolato a Metrocle cinico; il sesto alfa roso retore Anassimene di Lampsaco; il settimo a Epigene socratico, discepolo di Socrate, di cui si parla ad esempio in Plat. Apol. 33E; Phaed. 58Β; Xen. Me r. III 12. L'ottavo dialogo, A sua figlia, è indirizzato alla figlia di Stilpone di cui si parla in Diog. Laert. 11 114 (= SSR II 0 17), ed è scritto di indirizzo analogo a quello di Aristippo -
34 Su di luí è da vedere la nota di GIANNANTONI, Socratis et Socraticorum reliquiae, cit., IV, pp. 93-106. 35 Cfr. Suda, sv. Στιλnων (= Giannantoni SSR II 0 1). 36 Cfr. Diog. Laert. 116 (= Giannantoni SSR I H 6). 37 Cfr. Id. 11 120 (= Giannantoni SSR II 0 23): φ~ ρονται δ' avτο~~ δι~ λογοι ενν~α
ψυχρο~~ Μ~ σχος, 'Αρ~ στιππος ~~Καλλ~ας, Πτολεµα ~ ος, Χαιρεκρ~της, Μετροκλ~ς, 'Αναξιµ ~ νης, 'Επιγ~νης, Πρ~ ς τ~ν Υαυτο ~~Θυγατ~ ρα, 'Αριστοτ~ λης.
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intitolato επrnΤΟλ~~πρ ~ ς ~ρ~την ~ν 8υyατ~ ρα. 38 L'ottavo dialogo si riferisce, credo, non ad Aristotele di Stagira, ma, molto più probabilmente, ad Aristotele cirenaico, filosofo al quale, come si legge in Diog. Laert. II 113 (= SSR II Ο 3), Stilpone port ~~via due allievi. Possiamo dunque concludere questa rassegna rilevando come l'insieme di questi dialoghi denunci con chiarezza i rapporti intrattenuti da Stilpone con tutte le altre coeve scuole socratiche: eleo-eretriaca (Mosco), cinica (Metrocle), cirenaica (Aristippo o Callia, Aristotele). Sul piano storico, cí~~evidenzia l'unità del socratismo, inteso come area filosofica, posto che tutti í filoni della tradizione socratica appaiono rappresentati nei dialoghi; quest'ultimo punto è confermato, peraltro, anche dai dialoghi intitolati a due discepoli di Socrate, Cherecrate ed Epigene. Gomperz ha opportunamente ricondotto al Metrocle la citazione del Lexicon Patmense s.v. ενεβριµειdalla quale si deduce che nei suoi dialoghi, o almeno in alcuni di essi, Stilpone compariva come interlocutore, conformandosi in ci ~~non al modello platonico, ma a quello aristotelico. 39 È da rilevare per ~~che tale modello prima di lui era già stato seguito da Diogene cinico, 40 dal quale, quindi, è più verosimile ritenere che muova Stilpone. Dal Lexicon Patmense si ricava quello che è già implicito nel titolo del dialogo, ovvero che Metrocle vi compariva come interlocutore del filosofo megarico: Lex. Patmense, s.v. ~νεβρíµει,ed. Sakkelion, «BCH», I, 1877, 151 [= Glannantoni SSR II 0 25 ~νεβρíµει•~ιντi wov ~ρyιζετo• ΣΤιλπων Mητροκλε . " ενεβριµει Τ~~ Στ~λπωΝ~~Mητρ oκλ~ ς ". ]:
«Si sdegnava» in luogo di: «si adirava». Stilpone nel Metrocle: «Metrocle si sdegnava contro Stilpone» .
I rapporti tra Cinici e Megarici sono bene attestati. Stilpone fu uditore di Diogene di Sinope, 41 e Diogene stesso compose uno scritto
'$ Cfr. Duog. Laert. II 84.
39 Cfr. Τη. GOMPERZ, Marginalien, «Rheinisches Museum», XXXII, 1877, pp. 475478: 477 478; ID. Griechische Denker. Eine Geschichte der antiken Philosophie, 3 Bd., Leipzig, Veit 1893-1909, trad. it. 4 voll., Pensatori Greci, Firenze, La Nuova Italia, 1935-1962, II, pp. 646-647. 40 Cfr. GOMPERZ, Pensatori Greci, cit., II, p. 647. 41 Come risulta da Díog. Laert. VI 46. Non ci sono ragioni serie per dubitare di que-
sta notizia, che alcuni studiosi vorrebbero screditare.
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intitolato al filosofo megarico Ictia. 42 Come risulta da Diogene Laerzio,43 tale Ictia doveva essere scritto in polemica con il filosofo megaríco, 44 o, in ogni caso, avere un carattere di confronto critico su singoli temi legati ai rapporti tra í due filosofi. Al contrasto tra Diogene e Ictia segue quindi quello tra Stilpone e Metrocle, probabilmente anche come risposta al primo. A loro volta Susemihl, Hirzel, von Fritz e Doering hanno già supposto che dal Metrocle di Stilpone derivi l ο scambio dialogico riportato da Plutarco nel De tranquillitate animi [= SSR II O 17]. 45 Ma se così, è anche da identificare con Metrocle il τις che in Diog. Laert. II 114 [= SSR II O 17] apostrofa Stilpone rimproverandogli il disonore che gli reca la vita non morigerata della figlia. Il papiro cornpleta le nostre conoscenze di questo dialogo: POxy 3655, 1-15 = CPF 99 Stilpon 2T [= Giannantoni SSR IV pp. 98-99 n. 27] ~ ν, ~ν οις κ[αì το~ ς ~πολεtποµ ~ υονς τ~îγ τq[v 1 Στ] í λπωνσς µαθητ 1 ~~p~ ]τωρ '~λκιµος~ν ~ δη παρ ~~[ΣτíλΙπω]Ν1 δυυτριβων. "Tov[Tov] ~ ]τε ~ς ~ ντα τιν~ "; κα[ì [τι. " ä✓ ~5φη] "~i~ ~ναισθητot Τòy [πα~ δα τι ~µ ~~Στíλ~πω] y " ~ιοι " ~ η " ~~Mητρ ~ [κλεις ä41 1(î] παιδε~ε"y ~νθρωπ[ον " ~ ς, ~~51. " τ~~βov] λη; π[ ~ ]τερα [πα] îδας ~ [yyρ ~~~ιναι] εις το~ ς µαθητ [~νδρας; πα] î δα yωy ε φη. a ρ qv[ν οτδε τα 1 ~γ]αθα κci τα κα, ~~[ο] v;" φ~ [σcντος 5~~I a~ ]τov " π4 y[ ν ", ";í οi ν κακ~ ν 15 . . ]τ.[....] κα~~τ~~ ~ σ[τι, νεα ~νι]ς δια ~ ρ[ει ". κα~~ ~~'~λκιµος .[ 1 µοιχ[ε ~ ειν (Visitò) í restanti allievi di Stilpone, fra cui c'era anche il retore Alcimo, che già frequentava la scuola di Stilpone: «Voi sciocchi», disse, «perché portate rispetto a questo fanciullo come se fosse realmente qualcuno?». «Per me», rispose Stilpone, «è sufficiente, o Metrocle, educare un uomo». «Che cosa vuoi? iscrivere alla tua scuola fanciulli, o uomini?». «Per quanto mi ri...
Cfr. Id. VI 80. Cfr. Diog. Laert. 11 112 (= Giannantoni SSR V B 124): « Ιιt~α, figlio di Metallo, uomo dal carattere nobile (γεννα~ ος), contro il quale (πρ~ ς 8v) Diogene Cinico scrisse un dialogo». 44 Cfr. R. HIRZEL, Der Dialog. Ein literarischer Versuch, Leipzig, S. Hirzel 1895 (rist. 42 43
Hildesheim, Olms 1963), p. 316, n. 5; K. DOERING, Die Megariker. Kommentierte Sammlung der Testimonien, Amsterdam, Grüner 1972, pp. 100-101; GIANNANTONι, Socratis et Socraticorum reliquiae, cit., IV, p. 463. 43 Cfr. F. SUSEMIHL, Geschichte der griechischen Litteratur in der Alexandrinerzeit, 2 Bd., Leipzig, Teubner 1891-1892, I, p. 18, n. 46; HrnzEL, Der Dialog, cit., p. 312; K. voi FRITZ, su. Metrokles, in RE ΧV.2 (1932), col. 1484; DOERING, Die Megariker, cit., pp. 142 e 150-152.
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guarda, un fanciullo», disse. «Ma allora conosce i beni e i mali, o no?». «Di sicuro», disse. «Allora distingui che cos'è male, ragazzo». (Rispose) Alcimo [...] commettere adulterio [.. ] 46 Con il brano trasmesso dal papiro merita di essere confrontato il dialogo tra Metrocle e Stilpone riportato da Plutarco: Plut. De tranq. an. 6, 468Α Γ= Giannantoni SSR II O 17] ~σπερ ο vδ~~Στ~ λπωΝ~~τ~Ν κατ ' α~ τ~ ν φιλοσ~ φων iλαρ ~τητα ζ~ ν ~ Ι~ λαστος σúσ ' ~~θνγ~ τηρ ~ λλ~~καì Mητροκλ ~ ους ~ νειδισαvτος• "~µ ~ ν ονν ", φη, " ~ µ ~ ρτηµα oτvτ' ~ στìv ~~~ κεινης"; εíπ~ Ντος 88 το v Mητροκλ ~ ους• " ~ κεινης µ8ν~ µ ~ ρτηµα σ ~ ν 8 ' ~ τúχηµα ", " Π~ς λ~-γεις; " εΤπεv " Ο~~χì τα ~~λαρτ~ λατα καì διαπτ~µατ ' ~ στì;" " π~ΝΥ µ ~ν ονν " φη. " τ~~88 διαπτ~µατ ' oüχ ~ν &&αΠτ~Ματα καì ~ ΠοτεvηΙατα; " σvvωµολ ~ γησε ~~Mετροκλ~ ς. " τ~~88 ~ΠoτεYΥΜ~τ' ονχ ~ν ~ΠοτεvyΜατ ', ~τνχ~ µατα; " Πρ ~ ιρ λ~ γω καì 0ιλοσ~~(9 κεν~ ν ~Πoδειξας vλαγµα τ~ν τov κννικov βλασφΗΜιαΝ. Così come la dissolutezza de ll a figlia non impedì a Stilpone di condurre la vita più lieta tra tutti í filosofi del suo tempo. E quando Metrocle gli rinfacciò il fatto, gli chiese: «Ma la colpa è mia o di mia figlia?». E Metrocle ribatté: «Di tua figlia è la colpa, ma tua è la sfortuna». E Stilpone: «Che cosa intendi dire? Le colpe non sono falli?». «Certamente», disse Metrocle. «Ε í falli non sono disgrazie di coloro che cadono in fallo?» Metrocle assentì. «E le disgrazie non sono sfortune di coloro ai quali capitano disgrazie?» Con questo argomento pacato e filosofico Stilpone dimostrò che l'ingiuria del Cinico era un vuoto latrato.
Α Metrocle, che gli rimprovera di vivere lietamente malgrado la dissolutezza della figlia, Stilpone risponde con una serie di passaggi argomentativi i quali danno esempio della dialettica che egli praticava. Essi sono basati sulla successiva parificazione di significato tra parole diverse, che tuttavia appare dedotta dal termine sul quale di volta in volta ci si interroga, in modo tale che essa può dirsi in definitiva stabilita su base tautologica, in ossequio a una tesi logica che fu caratteristica dí Stilpone e dei Megarici. Nello stesso tempo, sul piano dottrinale, non è difficile scorgere come l'argomentazione stilponiana, che da ~ µ ~ ρτηµαconduce a ~ π~ τευΥµα,serbi una certa eco della dottrina socratica dell'in νοlοntarietà del male. Il testo del papiro restituisce la situazione simmetrica e speculare, che doveva, con ogni probabilità, essere collocata ad apertura del dialogo, laddove, come risulta impli-
46
Riprendo la traduzione di D.N. Sedley, con alcune modifiche.
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citamente anche dalle parole di Plutarco, la confutazione di Metrocle doveva chiuderlo. La porzione di dialogo trasmessa dal papiro è interessante perché offre testimonianza del tipo di dialettica praticata da Metrocle. Essa muove dall'iniziale distinzione tra ~γαθ~~e κακ~ , che, mentre riproduce la divisione etica fondamentale di Antistene, e di tutto il cinismο,47 e ha dunque portata dottrinale, costituisce anche, sul piano del metodo, la struttura che doveva reggere tutte le successive distinzioni terminologiche. Ciò mi pare rivelato dal 814í.ß[81. di r. 14, che fa pensare a quella δrnιρεσις dei nomi, che, come ho altrove mostrato, costituiva la base dell'antistenica ~πισκεΨις τ ~ν ~ νσΜ~Των, anch'essa governata da una iniziale posizione delle due classi contrapposte di τ~γαθ~~e τà κακ~ , in cu~~ si incolonnavano i diversi significati distinti. 48 Ma la posizione della && αιρεσiς etica fondamentale del cinismo all'inizio dello scambio dialogico ha anche una spiegazione d'ordine etico, perché sull'etica, e non solo sull'uso della dialettica, verteva il contrasto tra Cinici e Megarici. Oltre che da vari aneddoti, che hanno come protagonisti Cratete e Stilpone, ciò emerge da un testo ben pil ι importante, il fr. 3 Diehl di Cratete, in cui il Cinico ritrae in noti versi Stilpone «in grandi affanni a Megara», attorniato dai compagni, con í quali passa il tempo in vane dispute, «a parole inseguendo la virtù (τ~ν δ' ~ ρετ~ν παρ~~γρ~µµα~κοντες) δι ». 49 Tutta la parte iniziale dello scambio dialogico riflette la diffidenza del cinismo di Metrocle nei confronti della scarsamente rigorosa etica del megarico Stilpone; e anche l'apostofe ~~~ναισθητoι, con la quale Metrocle si rivolge a Stilpone e ai suoi allievi, cela forse una reminiscenza del motto dello stesso Stilpone, il quale celebrava, come uomo pù.1 forte di una statua, l' ~νθρωπoς ~ναισθητος.SÓ L'apostrofe gioca quindi sul doppio senso «insensibile/ottuso». Il particolare mette in luce il modo in cu ~~ dovevano essere costruiti questi dialoghi: essi dovevano accogliere tesi proprie dell'avversario, per confutarle, ma anche detti e sentenze sia dell'autore, sia del suo bersaglio polemico, onde offrire spunto a giochi letterari, repliche, parodie, ritorsioni ironiche. .
4' Su di essa cfr. A. BRANCACCI, I κοιν ~~ ~ρ~ σκοντα dei Cinici e la κοινων~α tra cinismo e stoicismo nel libro VI (103 105) delle `Vite di Diogene Laerzio, in ANRW, II 36.6, -
1992, pp. 4049-4075: 4063-4066. 48 Per il metodo dialettico dí Antistene, cfr. testi e discussione in BRANCACCI, Oikeios logos, cit., pp. 119-146. ~9 Cfr. Díοg. Laert. 11 118 (= fr. 3 Diehl = Giannantoni SSR V H 67). 58 Cfr. Stob. III 4, 88 (= Giannantoni SSR II 0 22).
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V . SOCRATES 3 Τ
PHibeh 182, appartenente alla metà del III sec. a.C., tratta, nel suo complesso, di Socrate, ed è da ricondurre a un testo non risalente alla letteratura socratica antica, come già è stato osservato, ma a uno stadio successivo, ellenistico, della medesima tradizione. Che la trattazione provenga da matrice cinica è convinzione ampiamente condivisa, e Turner e Gallo hanno già rilevato, con diverse sfumature, alcuni elementi che accreditano tale derivazione. 51 Ulteriori e, forse, decisive considerazioni a sostegno ditale ascendenza è possibile fare relativamente al tema delle µοχ8ηρα ~ΠιθνµιαΙ,che è presente a partire dal fr. F e si prolunga poi anche in altre colonne scarsamente leggibili del fr. G, e che costituisce, dal punto di vista filosofico, il tema più significativo tra quelli attestati nel papiro. Del fr. F vale la pena avere presenti in particolare alcune linee de ll a col. IX, che, nel loro insieme, offrono un testo almeno parzialmente intellegibile: PHibeh 182, fr. F, col. IX, 11. 12-19 e 24-31 = CPF 95 Socrates 3T [ ] ετνα κατΙχ~ν Ετ~ν] ~ν [µοχθ]ηρ~ ν ~πι.θνµι Ε....] ....χοντες µ Q[χθηρ]ιk ~Π1θΥµιας. [...]. δε~~δ~~~φρoν.[. [.. ~~Σ]ωκρ~της υ Ψησιν [... α] ~τοv φ~ σιν δονá] µοχθηρà ς [.]..οιω [
[.... ο] i ν διà τον λ~ γον [ai µοχθ]ηρc~~~Π~θvΜιcu [..]κρ~ νονται, Π ~ς ~~Σωκρ] ~της σοφ~ν µοχθηρ~ ς [. . .]σεν ~ΠιθΟµιας; [..] . . διà τον λ~ γον µ ~ν [.. κωλ] vλη γ~νεται, διà δ~~ ~ν [6)]1/ ~ θισµ E si vedano anche le seguenti linee della colonna successiva:
51 Cfr. Corpus dei papiri filosofici greci e latini, I.1***, cit., pp. 720-753, in particolare pp. 742-743, edizione a cura della Redazione e di Italo Gallo, e The Hibeh Papyri, vol. II, ed. E.G. TURNER - M.T. LENGER, London, Egypt Exploration Society 1955, pp. 26-40.
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PHibeh 182, fr. F, col. X, 11. 4-11 ~ λλ~~Μ~ν π[âσα Μοχθη ¡[α βλαβερ ~~ Ρ ~~~πιθνµ ~στ~ν, βλα[βερ ~ν 88 ~πιθuµιανo~~[χρ~~~ χειν το~ς φρονιµον [ς.
8~~λ~~ετ[ c~~~ Τ~ν ~πι[θΥΜ~~Ν ~ναyκαι[ n'cì 8Il discorso riguarda «le ~πι8υΜια~ , in particolare le µοχθ πtθvΜια1, da cui il saggio deve tenersi lontano» (CPF, p. 750). Il punto sul quale occorre soffermarsi, peraltro, è l'espressione µοχθηραì ~πιoχθηθvΜιαι, il cui uso insistito si impone all'attenzione. L'aggettivo µ ραι, e l'espressione nel suo complesso, denotano evidentemente la negatività di certe ~πι8οΜι crι; ciò mostra come nello spazio teorico in cui si muove l'autore del testo 1' ~πιθvΜια non sia solo e unicamente un concetto negativo, di per sé, altrimenti l'uso dell'aggettivo, in funzione di precisazione, non avrebbe senso. Che le cose stiano proprio così è confermato da un passo del fr. B, ove compare espressamente ~ ν τ~Να il tema del desiderio rivolto al bene, 11. 12-13: ~]ρ8 'ηλεî µ ~y [8~ ]. Inoltre, nel fr. F, sono certamente significative le 11. 9-11 (88 λ~γεται Ι τ~ν ~πι[θΥΜt~Ν Ι ~ναyκαι[), ove il genitivo plurale, e l'aggettivo stesso, accennano al tema della distinzione delle ~πtθvΜíαι. La giusta domanda da porsi, allora, è in quale indirizzo filosofico una simile distinzione poteva darsi e trovare spazio. Α questo riguardo va subito notato che nella tradizione stoica 1' ~ πιθvΜía possiede una connotazione intrinsecamente negativa che non lascia spazio ad altre considerazioni. Essa 8, come risulta dalla dossografia laerziana, «una tendenza irrazionale ( ~λογος ö4441.0) alla quale sono subordinate le seguenti specie: bisogno ( σπ~νις), odio (Μî σος), ~vlς), ambizione ( φιλονεικια), ira ( ~ ρy~ ), amore (~ ρως), collera ( µ escandescenza ( θvµ ~ ς) ».52 Ognuna di queste specie è definita a partire dal concetto di ~πι8υΜια ( ad esempio il bisogno, o frustrazione, «è un desiderio determinato dal mancato possesso di qualcosa ed come separato dall'oggetto desiderato e tuttavia proteso verso di esso in uno sforzo disperato»), 53 e in questo orizzonte non c'è spazio per una distinzione tra desideri cattivi e non, ed eventualmente desideri 52
Diog. Laert. 111 113.
53
Ivi.
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ALDO Β1 ΑΝCACCI
rivolti verso il bene (si ricordino le già citate 11. 12-13 del fr. B: ~ ]µ8νΜε ~~ µ ~ ν T Wa ~~α[8à]). Nella tradizione socratica invece questo spazio esiste, e accanto a un desiderio negativo, da condannare perche smisurato, o perché volto a beni esteriori, c'è un desiderio positivamente valutato, che nella sua espressione più alta è l' ρως filosofico. Questo punto vale tanto per Eschine, 54 quanto per Antistene, del quale va ricordato soprattutto íl discorso di autopresentazione nel Simposio senofonteο. 55 In questo testo, peraltro, ricorrono vari altri temi e termini significativi presenti in PHibeh 182: il tema della χαλεπ~~ν~ σος, cui corrisponde la terminologia medico-morale presente nel papiro ( κατοχ~ , πλησµον ~ ); il desiderio di χρ~ µαταe il tema del bisogno, considerati causa di infelicità e sofferenza; l'osservazione che chi è preda di questi desideri immoderati non si sazia mai ( µηδ ~ ποτε ~το, cui corrisponde l'úπερπιΜπλαν[τα del Fr. G, col. XII); ~ µπιµπλα e naturalmente il riferimento a Socrate come modello. 56 Ma anche nel cinismo la distinzione tra ~πtθνµιαper così dire poíc negativa, con il conseguente biasimo di quest'ultima, sitiva e ~πtθυµ trova spazio. L' ~πιθνµιαpositiva è quella rivolta verso il bene, o ancora più nettamente verso la filosofia, come ad esempio nella terza epistola pseud οdiοgeniana.57 Specularmente, nella cinquantesima epi~ των ~πtθΥµιαin senso negativo, nella quarantastola si cita la χρηµ seiesima 1' ~πt8vµ ~~ν ~µετρια,mentre in Dione Crisostomo Socrate condanna l' ~πι8υµια ~τν αi σχιστων, 58 e ancora, testo più importante, Diogene, in Diogene Laerzio, definisce i servitori come schiavi dei
54 Cfr. Ael. Aristid. De rhet. I 61-64 (= fr. 11 Dittmar = Giannantoni SSR VI Α 53): ~ αν "'Εγùι δ ' ει µ ~ ν Τ~ν1 τ~ χνη äí µ ~ν δ~νασθαι ä~φελ~ σαι π~νυ ~ν 70110v ~ ΜaΥΤoU µωρ ~ το δεδ~ σθαι ~Π 'ΑλκιΠι ~ δην κα σ~ δ~ ν κaτεγ~νωσκον ν~ν δ~~θε~α µο ~ ρ ~~υτí41ν µοι το ~ν ~ σaι. Πολλο 1144 καì τ~ν καιν ~ντων ~γιε~ ς yιyνονται oi µ γε το~ των ~ξιον θαυµ ~ ν OYV ~Νθρωnινη τ~ χνη, ~Π~~ ιατρ ~ν θερα~νθρωnινη τ~χνη, il δ~~ Θε~~~ µΟΡ ~~ σΟ ~~ µ t 68 θειcι µοιρ ~~ ~n~8ΥΜια α~ ΤΟ ~ ς ~γει ~Π~~ 'd ~ Ν~ σΟν . Κα' τ~ τε ~ nεnεσ~ µενοι, δσσ θ~ µησαν~Μ~ σαΙ, ~Π~ Τε α~το~ ς ~ µελλεσννο ~ σεΙΝ, Κα τ~ τε κυνηyετ~ σα~ , ~ π~ τε σννο ~σεtΝ ~ µελλεnΟν~ σαι ". ss Cfr. Xen. Symp. 4, 34-44 (= Giannantoni SSR V Α 82). Ho analizzato questo testo in Erotique et théorie du plaisir chez Antisthène, cit., pp. 37-42, cui rinvio per l'analisi dei singoli temi. 56 níµ nλα~το; Cfr. Xen. Symp. 4, 37 per il tema de ll a χαλεπ~~ν~ σος e per il termine µ 44, per il riferimento a Socrate come modello; 35-36 per il desiderio di χρ~ µαταe il tema del bisogno, causa di infelicità e sofferenza; 37-41 per la contrapposizione tra desiderio smodato e desiderio regolato. σε τ~ ς ~Πιθuµιας,UTt τε φιλοσοφ~ ας ~ ρ~ χ8ης yuv~~ο~ σα, 57 [Diog]. Ep. 3, 1: "Αγaµαι κα ~ τι τ~ ς ~ µετ ~ ρας αιρ ~ σεως ~γεν~ θης, ~ν &&à τ~~ α~ Στηρ ~ ν κα i 1 ~νδρες κατεπλ~γησαν. 58 Cfr. [Du g]. Ep. 46, 1; [Du g]. Ep. 50, 1; Dio Chrys. Orat. III 34.
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~ . 59 Inoltre loro padroni, i malvagi come schiavi delle loro ~πιθνµια ugualmente rilevante che in Dione Crisostomo Diogene affermi che il compito del filosofo è liberare le anime dal vizio, κακ~α, dall'inganno, απ~τη, e, appunto, dalle πσΝηραi ~πιθωια~ .60 Che tutti questi temi siano propri del cinismo ellenistico è attestato, infine, dalla diatriba Περì πεν~ας καì πλο~του di Telete cinico, il quale scrive in un'epoca vicinissima a quella cui è datato il papiro. In questa diatriba compaiono pressoché tutti í termini e motivi fin qui rilevati, quelli cioè che ruotano attorno al concetto di ~πιθωια negativa, perché senza fine, di insaziabilità, di infelicità e malattia di chi così vi νe.61 Queste concordanze autorizzano a considerare sempre píù fondata la convinzione che il nostro testo risenta, in modo costitutivo, di tematiche proprie della tradizione cinica. Per approfondirne l'analisi però necessario volgersi ora all'altro termine significativo che appare in questo contesto, peraltro in stretta connessione con il tema delle o ι. Il vocabolo, la cui maµοχθηρς ì ~πιθωιαι, cioè al termine ~ θισµ trice filosofica non è stata finora stabilita, è da considerarsi nel papiro, per ragioni cronologiche e di merito, d'ascendenza aristotelica, si vedrà tra poco per quali ragioni; e a questo proposito va notato che, diversamente da quanto si afferma nell'edizione del CPF,62 esso non compare solo due volte nel corpus Aristotelicum, ma cinque, mentre poi largamente attestato vi è il verbo ~ θιζεtν. 63 Dalle occorrenze aristoteliche si deduce che gli ~ θισΜοι sono le «abitudini», nel senso dei comportamenti acquisiti in grazia dell' ~ θος, concetto notoriamente centrale nell'etica aristotelica. Un passo significativo, sin qui mancato al confronto con il papiro, è compreso nel capitolo 15 del libro III dell'Etica Nicomachea, nel quale Aristotele dimostra che l'incontinenza più volontaria, e quindi più biasimevole, della vigliaccheria. Tra le argomentazioni recate a sostegno di quest'asserzione ν'è quella secondo cui è píù facile e meno rischioso abituarsi a resistere ai piaceri che far fronte ai pericoli: Perciò l'incontinenza è un vizio più volontario; perciò anche píù biasimevole. E infatti è píù facile abituarsi alle situazioni rette dalla moderazione;
Diog. Laert. VI 66. Dio Chrys. Orat. IV 89. 61 Cfr. Teles, Περì πεν~ας καì πλο~του p. 42, 4-8; p. 43, 5-9 Hense. Su questi passi cfr. P.P. FUENTES GONZΑLEZ, Les diatribes de Télès, Paris, Irin 1998 («Histoire des doctrines de l'Antiquité classique», 23), pp. 410-413. 62 Cfr. Corpus dei papiri filosofici greci e latini, cit., I.1***, p. 751. 63 Cfr. H. BONITZ, Index Aristotelicus, editio secunda, Graz, Akademische Druck 1955, p. 216. 59
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molte infatti, durante il corso della vita, sono le situazioni di questo genere; e coloro che contraggono tale abitudine non vanno incontro a pericoli ( καì oi ~θισµ o ι ~κινδυνoι); nel caso invece delle cose spaventose, tutto il contrario ( ~πì, δ~~τ~ν φo βερ~ν ~ν~παλ~ν) ». 64 Passo ancora più significativo, e utilissimo per il confronto con il papiro, è quello compreso nel capitolo 11 del libro VII della stessa Nicomachea, ove Aristotele pone il problema di quale forma d'intemperanza e di qual tipo d'intemperante siano da considerarsi più facilmente guaribili: Delle forme d'intemperanza, quella della quale sono intemperanti gli uomini di carattere irritabile è più facile a guarire di quella di coloro che prendono delle deliberazioni ma non restano saldi in esse; e coloro che sono intemperanti per abitudine sono più facili a guarire di coloro che l ο sono per natura ( καì oi δι' ~8 σµ o15 ~κρατεîς τ~ν Φυσικ ~ν). 65
Infine, assai significativo è un terzo passo, tratto questa volta dalla Politica, in cui, dopo aver stabilito che gli uomini diventano virtuosi con il concorso di tre fattori, la natura, l'abitudine e la ragione, Aristotele rileva: Spesso gli uomini agiscono contro le abitudini ( ~ θισµο ú ς) e la natura proprio in forza della ragione, se sono convinti che sia preferibile agire diversamente. 66 Quest'ultimo passo è importante ai fini del raffronto con il papiro perche giustifica la possibilità non solo di distinguere ma eventualmente di contrapporre «ragione» e «abitudini», che, peraltro, sono in Aristotele elementi non conflittuali ma cooperanti ai fini del raggiungimento della virtù. D'altra parte, non credo neppure che alle 11. 29-31 del fr. F ci~~che si legge giustifichi l'asserzione che nel papiro sia «chiaramente delineata» «la controversia [...] tra λ~γος ed ~ θισµ oí come mezzi alternativi per controllare e reprimere le µοχθηραì ~πιθυµιαι ». 67 Credo piuttosto che la sequela [. .] . . διà τον λ~γον µ ~ν Ι [. . κωλ] v λη γ~νεται, διà δ~~Ι [τ~]ν ~ θισµ ~ ν prospetti due fasi, diverse, ma non alternative, della cura delle inclinazioni sbagliate: dapprima il λ~γος, che è il valore primo e fondamentale per il Cinico; e infatti, nelle righe precedenti, si dice che «í cattivi desideri sono respinti per mezzo della ragione» (11. 24-26); poi le abitudini, convoArist. Eth. Nic. III 15, 1119a24-27. Id. ibid. 111 11, 1152x27-29. 66 Id. Pol. 111 13, 1332b6-8. 64 65
67 Cfr. Corpus dei papiri filosofici greci e latini, cit., I.1***, p. 751. E cfr. pp. 741 742, sulla «prevalenza degli ~ θισµο ~~ rispetto al λ~γος per tenerle a freno». -
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cate in un contesto in cui è prospettata la possibilità, sempre reale, che l'elemento razionale non eviti — senza che per questo il significato del suo ruolo venga meno — íl determinarsi di una situazione degenerata; e infatti il contesto reca un significativo «come mai Socrate?» un ancor più eloquente «cattivi desideri dei saggi?» (11. 26-28). Da queste espressioni si evince che in questa parte della trattazione dovevano essere esposte obiezioni o sollevate difficoltà nei confronti della tesi di fondo difesa dall'autore. La letteratura ellenistica offre molti esempi di analoghe situazioni: che riguardino la tradizione stoica, la pirroniana, o altre, l'elemento comune allo schema polemico, o semplicemente problematico, è che la dottrina filosofica di cui di volta in volta si tratta soffre eccezioni, patisce falle, come in falli incorre, può incorrere, magari solo apparentemente, il comportamento del saggio. L'interesse di questo passo del papiro, per quanto lacunoso, risiede nell'imprestito aristotelico che esso rivela, e al quale l'autore sembra ricorrere in funzione di risposta a obiezioni sollevabili, quasi certamente sulla base di esempi concreti addotti sia relativamente alla persona di Socrate sia alla condotta dei saggi, in ordine al problema dei «cattivi desideri». Altrettanto significativo, dal punto di vista teooí. Per rico, è il recupero, in contesto cinico, degli aristotelici ~ θrnµ il cinismo antico, infatti, la risposta ai problemi che pone il confronto con la realtà è sempre il ricorso alla ragione, al λ~γος, all'uso della φρ~νησις, considerati, in punto di diritto, indefettibili. 68 Proprio per questo, di fronte alle obiezioni e alle difficoltà sollevate da problemi limite, ma non per questo meno reali, quali quelli del fallimento — íl fallimento nell'educazione di Alcibiade da parte di Socrate — del regresso morale 69 — sempre possibile, a causa della natura stessa dell'uomo — della momentanea caduta 70 — che proprio al saggio sarà rimproverata — la risposta può essere ardua per il razionalismo cinico. Efficace, e teoricamente non contraddittorio con questa impostazione, ma anzi complementare ad essa, poteva essere il ricorso al concetto di «abitudine», recuperato nell'ambito della terapeutica morale, in quanto essa aiuta a fissare il comportamento virtuoso, a legarlo alle 8 6 Per Antistene, cfr. le precedenti note 13 e 32, e inoltre D'.ocl. ap. Diog. Laert. VI 13, sul valore indefettibile degli ~ν~ λωτοι λογισµο~ , nonché la definizione della virtù come ~ναφaιρετον óπλoν (= Giannantoni SSR V A 134). 69 Si veda ad esempio, per il tema della διαστροφ~ , relativamente ad Antistene, Diog. Laert. 11 103 (= Giannantoni SSR V A 161). 70 Si vedano ad esempio le accuse di avere abbandonato l'atteggiamento di imperturbabilità richiesto da lla sua dottrina, e di avere ceduto all'ira, ovvero di essere stato colto da turbamento, rivolte a Pirrone in Antigon. ap. Diog. Laert. IX 66 (= T 15 A Decleva Caizzi).
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opere, rafforzarlo, correggendone le cadute e le imperfezioni, e diminuendo la distanza tra ideale e reale. Inoltre, a ben vedere, l'«abitudine» aristotelica poteva costituire un elemento parallelo e accostabile al concetto cinico di «esercizio» e di «sforzo», a11' ~ σκησις e al π~νος di cui avevano parlato Antistene e Diogene, ammettendo con ciò, nell'ambito dell'intellettualismo, la presenza cooperante dell'elemento ascetico, dell'inclinazione educabile, e che educa, del tema di una progressiva costruzione della ragione. 71 Se a questo punto abbracciamo con uno sguardo d'insieme tutti gli elementi di giudizio ricavabili dall'analisi del papiro, possiamo riassumerli, credo, in quattro dati fondamentali: PHibeh 182 è databile alla metà del III sec. a.C.; il testo che il papiro ci restituisce non presenta elementi, formali o di contenuto, che giustifichino il suo riferimento alla tradizione socratica antica: ad esempio ad Antistene; in esso è chiara e costitutiva l'impronta cinica, sia dal punto di vista letterario, sia dal punto di vista teorico; 4.. esso attesta episodicamente il recupero di una terminologia aristotelica, finalizzata peraltro a sostenere la tesi di fondo del suo autore, e riassorbita all'interno della sua problematica. È possibile compiere un passo ulteriore? E domandarsi se, sulla base di questi dati e risultanze, non sia possibile proporre un nome, o una più precisa area del cinismo, cui riferire questo singolare documento? Credo di si, e che, sia pure in via di ipotesi, sia legittimo pensare al cinico Metrocle di Maronea, discepolo di Cratete, attivo negli ultimi anni del IV secolo e forse al primo inizio del III. Il punto fondamentale, che giustifica la mia ipotesi, è che Metrocle è noto nella storia del κυνισµ ~ ς per essere stato, prima, filosofo peripatetico, allievo di Teofrasto, e per essere divenuto, poi, filosofo cinico, 72 sotto l'impulso di Cratete, e certo mosso anche dall'esempio della sorella, la raffinata Ipparchia, la quale abbandonò agi, ricchezze, e gli appannaggi della tradizionale cultura e collocazione femminile, per abbracciare, con Cratete, il κυνικ~ ς βíoς. 73 Una forte impronta cinica, " Resta ancora da segnalare la presenza, nel Fr. F, Col. IX 12, del termine κατοχ~ , attestato in Her. V 35, e presente ín [Arist.] Mir. ausc. 846b24 (nonché in Probl. 963b9), scritto che rinvia ad ambito peripatetico e rende «wesentlich Exzerpte aus Schri ft en des Theophrastos», secondo I. DURING, s.v. Aristoteles, in RE, Supplbd. XI, 1968, col. 315. 72 Cfr. Diog. Laert. VI 94, per il discepolato di Metrocle presso Teofrasto, e per il ruolo cli Cratete nella `conversione' al cinismo di Metrocle, e ancora Buon, ap. Telet. p. 40 Hense. 73 Su di lei cfr. il recente studio di W. LAPINI, Ipparchia desnuda (Diogene Laerzio 6.97), in ID., Studi di filologia filosofica greca, Firenze, Olschkí 2003, pp. 217-230.
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con una moderata in fl uenza peripatetica, riassorbita all'interno di quella impronta, è quanto ci aspetteremmo di trovare negli scritti di Metrocle, se li possedessimo: ma ciò è proprio quanto attesta il papiro, le cui chreiai (se tali sono) già M.S. Funghi ha pensato possano essere «d'autore». 74 La grande antichità di PHibeh 182, e il fatto che Metrocle sia il solo cinico, in quel torno di anni, nella cui persona si sia realizzata una sintesi tra formazione peripatetica e professione di cinismo, sono due ulteriori elementi che si aggiungono a sostegno di questa ipotesi. Resta ora da affrontare il problema del genere letterario cui riferire il testo che il papiro ci ha, sia pure parzialmente e lacunosamente, trasmesso. Turner lo ha definito «a mixture of biography and striking sayings»,75 laddove Gallo sostiene un'ipotesi biografica, e pensa che «un bios filosofico, come parecchi di quelli laerziani, poteva ben mescolare la parte aneddotica con quella dossografica». 76 Tuttavia, va innanzitutto notato che nulla, in quanto ci è trasmesso, permette di parlare di dossografia. La dossografia è un genere altamente codificato, dotato di caratteristiche precise e inconfondibili, che qui non compaiono o di cui non si intravedono tracce: ad esempio l'organizzazione seriale e compatta dei problemi filosofici, la riduzione a δ~ygerm delle tesi riferite in forma compendiosa, il linguaggio tecnico e standardizzato, il preciso riferimento a un filosofo o a una scuola, e tanti altri ancora ben noti. Νé credo, d'altra parte, che colga nel segno l'ipotesi biografica, se più o meno tutto ciò su cui essa può fondarsi sono il riferimento a Socrate presente qua e là nel testo trasmesso e l'aneddoto relativo a Socrate e Santippe che si legge nella col. II del Fr. A, e che a questo punto vale la pena di avere presente: [...] (Avendo Socrate invitato a pranzo dei forestieri venuti ad) Atene, si racconta che Santippe abbia detto a Socrate di prendere a prestito cuscini e coppe, perché gli ospiti non fossero a disagio. «Non c'è bisogno — rispose — di preoccuparsi di nulla, Santippe; tu non curarti di queste cose. Infatti, se sono persone dabbene — disse — accetteranno senza problemi di condividere quello che c'è; se invece non sono persone dabbene, a me non importerà nulla di loro»."
74 Cfr. M.S. FUNGHI, Avvertenza, in: Aspetti di letteratura gnomica nel mondo antico Ι, a cura di M.S. FUNGHI, Firenze, Olschki 2003 (Accademia Toscana di Scienze e Let-
tere 'La Colombaria', «Studi», 218), p. v. 75 Cfr. The Hibeh Papyri, vol. II, cit., p. 28. 76 Cfr. Corpus dei papiri filosofici greci e latini, cit., ~.1***, p. 742. 77 Riporto la traduzione offerta in Corpus dei papiri filosofici greci e latini, cit., Ι.1 ***, p. 723.
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Aneddoti del tutto analoghi si leggono nelle diatribe di Telete, 78 filosofo e maestro cinico del III sec. a.C., con le quali stupisce che non sia stato finora posto a confronto PHibeh 182, e non solo perché Telete è filosofo cinico che si situa all'altezza cronologica del papiro, ma perché Telete è il solo prosatore del III secolo di cui soprawivóno brani omogenei di una notevole estensione. Ricorrono, anzi, simili aneddoti e frammenti di dialogo, con una frequenza altissima, superiore a quella che si osserva o pare di potere sensatamente ipotizzare nel papiro, a dimostrazione del fatto che se anche la figura di Socrate costituiva nel testo perduto una sorta di filo conduttore della trattazione, ciò non significa che quel testo fosse un bios o appartenesse al genere biografico. Ne segue che, se la dossografia assente, neppure gli elementi aneddotici, questi sì presenti, giustificano l'ipotesi biografica. Venendo a Telete, va innanzitutto notato che nella diatriba II, Περ αvταρκεíας, compaiono una serie di aneddoti relativi ai rapporti tra Socrate e Santippe, che sembrano condurci proprio vicinissimo al tessuto narrativo di PHibeh 182. Essi documentano, in tutta la varietà delle sue sfumature, l'interpretazione cinica dei rapporti tra Socrate e la moglie, facente leva sulla pazienza, la mitezza, l'umorismo e la saggezza di Socrate in opposizione al realismo, all'esteriorità e a ll a natura non-filosofica di Santippe. Non creda inutile riportarli: E [Socrate] sopportava con mitezza il carattere intrattabile ( χαλεπ~ τητα) della moglie, e se quella si metteva a gridare lui non se ne curava. Ma, quando Critobulo gli chiese: "Come puoi sopportare di vivere con quella donna?", "E tu come sopporti le oche nel tuo cortile?" "Che cosa vuoi che me ne importi delle oche?", rispose. "Così neppure a me di quella, ma la sto a sentire come se sentissi un'oca! ". E ancora, una volta in cui Socrate aveva invitato a colazione Alcibiade, e Santippe, entrata nella stanza, aveva rovesciato la tavola, egli non gridò, n6 si afflisse atteggiandosi a vittima: "Oh, che infamia dover soffrire questa donna!", ma, raccolto il cibo che era caduto per terra, chiese ad Alcibiade di servirsi di nuovo. E poiché quello non prestava attenzione, ma restava seduto nascondendo il viso, provando vergogna, Socrate esclamò "Ebbene, usciamo, allora: Santippe sembra irritarci con la sua acidità di stomaco!". Poi, pochi giorni dopo, mentre lui stesso stava a pranzo da Alcibiade, e il nobile uccello, volando verso loro, aveva rovesciato il piatto, Socrate rimase seduto, con il viso coperto, senza mangiare. Poiché l'altro rideva e gli domandava se non mangiava perché l'uccello, volando, aveva rovesciato tutto per terra, Socrate rispose: "e chiaro che tu, ier l'altro, non vo-
78 Utilizzo il termine diatriba, uniformandomi a una tradizione consolidata, nel senso che gli conferiscono í moderni.
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levi mangiare perché Santippe aveva fatto cadere tutto; e pensi che io ora voglia pranzare, quando l'uccello ha fatto lo stesso? Oppure credi che Santippe differisca in qualcosa da un uccello sciocco? Ma", proseguì, "se un porco avesse rovesciato tutto, tu non ti saresti irritato. Perché allora, se si tratta di una donna grossolana, ti irriti"? 79 Stretto parallelismo vi è tra Telete e il papiro nel tema del `pranzo', su cui sono costruiti l'aneddoto riportato nel secondo e quelli riportati dal primo: e ciò fa pensare che l'episodio riferito in PHibeh 182 e quelli che si leggono nella diatriba di Telete appartengano a una stessa serie. Analogo parallelismo, questa volta linguistico, sí registra nel tema del "non curarsi", che di nuovo compare in entrambi i testi: nel papiro come invito che Socrate rivolge a Santippe, evidentemente sulla scorta del suo proprio esempio, in Telete come invito che Socrate rivolge ad Alcibiade, di nuovo sulla base del proprio esempio. Che i due testi derivino da fonte comune, o siano tra loro connessi, diventa a questo punto più che verosimile ipotesi. Ma proprio il tono e il modo in cui i rapporti tra Socrate e Santippe sono documentati nei due testi fanno pensare che í1 papiro preceda cronologicamente Telete, perché l'esigenza paideutica di istruire convenientemente la moglie secondo i parametri del filosofo vi è (se è lecito giudicare da un solo esempio) più pronunciata, mentre in Telete prevale l'interesse a rilevare i criteri cui si ispira la condotta di Socrate, e quindi, inevitabilmente, la sua superiorità (onde l'accento sull'inferiorità di Santippe): ma i due aspetti potevano facilmente stare l'uno accanto all'altro e implicarsi. 80 Ai fini del confronto con PHibeh 182 occorre ancora osservare che nella diatriba IVa, Ηερ . πεν~ας κcì πλOvτoυ, di Telete compare un frammento di dialogo tra un interlocutore anonimo e Cratete, costituito da una sola battuta del primo e da una più diffusa risposta del secondo, che appare molto simile a quello che nel papiro coinvolge Santippe e Socrate. Per quanto riguarda la presenza di Socrate come possibile o anche probabile filo conduttore dell'intera trattazione che il papiro ci rende, è utile il confronto con la diatriba V, la quale è interamente costruita sulla figura di Cratete e
Teles, pp. 18, 4-20, 1 Hense. 8 0 La tradizione circa i rapporti tra Socrate e Santippe, che si sviluppa in ambito cinico, ha, per noi, il suo primo documento in Xen. Symp. 11 10 (= Giannantoni SSR V Α 18), ove è Antistene che definisce Santippe «la donna la più fastidiosa ( χαλεπωτ~τη) di quelle che sono, che furono e che saranno», dove è da notare il tema de ll a χςλεπ~ της di Santippe, che ritorna in Telete (cfr. supra, nota 79). Importante è anche il fatto che Antistene, in questo passo, chieda a Socrate di educare ( πα~δεvε~ν) Santippe, che è l'altro asse di quella tradizione. 79
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sul suo pensiero circa il problema di ciò che rende una vita felice. Infine, per quanto riguarda l'elemento aneddotico, presente nel papiro, c'è da osservare che tutte le diatribe di Telete mostrano, con dovizia di documentazione, come esso fosse il loro elemento portante. In particolare lo mostrano la diatriba II, Περì αvταρκεícς, nella quale è riportato un ampio scambio dialogico tra Diogene e un mercante, e che nel complesso è così ricca di riferimenti alle parole di Diogene, Cratete, Bu ne; nonché la VII, Περì áπ~θειας, dove di nuovo torna l'elemento dell'aneddoto, riferito alla persona di Socrate. Sulla base del confronto con Telete possiamo dunque concludere che i due caratteri osservabili in PHibeh 182, l'elemento aneddotico e l'analisi di temi filosofici, sono proprio quelli che sono alla base della nascente diatriba protoellenistica, e che è dunque questa il genere letterario in cui, stando ai dati a nostra disposizione, si inscriveva il testo restituito dal papiro. Ciò è peraltro, del tutto naturale, se si riflette al contenuto e ai presumibili obiettivi del testo in questione. La diatriba protoellenistica ed ellenistica è infatti la firma propria di una trattazione si filosofica, ma non trattatistica, dotata di un certo impegno teorico, non però elevatissimo, e per questo rivolta e accessibile a ogni uditorio, conforme ai modi dell'insegnamento e agli obiettivi dei Cinici, ricca di materiale aneddotico, ma anche di citazioni tratte dagli scritti degli autori di riferimento, e, nel complesso, liberamente strutturata. Se poi, come si è prospettato, PHibeh 182 riferibile a Metrocle di Maronea, o se, in ogni caso, esso precede cronologicamente le diatribe di Telete, noi avremmo in questo documento uno dei più antichi esempi a nui noti del modello da cui muove Telete, il quale nei suoi scritti cita appunto í Diogene, í Cratete, i Metrocle, i Bione, come auctoritates. Sono questi, come si sa, í primi cultori di un genere letterario che, mentre affonda le sue radici in ambito socratico, fu molto probabilmente creato, di certo prediletto, dai Cinici, costituendo per l'età ellenistica il corrispettivo di quello che il dialogo socratico aveva costituito per la tradizione socratica del IV secolo. ,
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PSI 85 E LA DEFINIZIONE DI «CHREIA» In questo medesimo incontro di studio, Maria Tanja Luzzatto ha trattato de "L'impiego della chreia filosofica nell'educazione antica": opportunamente e ben volentieri mi riallaccio alla sua limpida e avvincente esposizione per presentare il mio contributo, che in effetti può configurarsi come un'appendice, l'esplicitazione di un dettaglio nel quadro che la collega ha così brillantemente delineato. Intendo qui riproporre all'attenzione degli studiosi il testo di PSI I 85, pubblicato da Teresa Lodi nel 1912 come "Appunti di retorica": 1 si tratta, in effetti, di un breve scritto che contiene una serie di domande e risposte, attraverso cui vengono definite l'essenza e le caratteristiche della chreia in generale. 2 PSI I 85 (ta v . 1-2), proveniente dagli scavi condotti da Pistelli a Ossirinco nel 1910, è un foglietto di papiro (cm 14 x 13) sfrangiato e lacunoso sulla destra, mutilo della metà inferiore del margine sinistro, ma pressoché integro nel margine superiore (cm 1); un esiguo margine inferiore è in parte visibile anche in basso, dove la scrittura lascia pochi millimetri liberi (circa 5) prima del limite inferiore del foglio.
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Il testo di PSI I 85 è riportato quasi integralmente, con alcuni miglioramenti, nei
Referate di A. KöRTE, «APF», 111.3-4, 1924, p. 228 sg. (nr. 620, Rhetorisches Kathechismus), ed è stato poi ripreso, con ulteriore commento, da Η. Rabe, in appendice a ll a sua edizione dei Progymnasmata dí Aftonio: Rhetores Graeci, X, Lipsiae, Teubner 1926, p. 52 sg. In anni ρ~i~~ recenti, la testimonianza di PSI I 85 sulla chreia è considerata da R.F. Ηοcκ E.N. l'NElL, The Chreia in Ancient Rhetoric, I. The Progymnasmata, Atlanta, -
Scholars Press 1986, p. 9; il testo del papiro è stato poi ripubblicato, per la parte relativa alla chreia, dai medesimi autori, R.F. Hock E.N. l'NElL, The Chreia and Ancient Rhetoric. II. Classroom Exercises, Leiden-Boston-Köln, Brill 2002, pp. 94-97. 2 PSI I 85 [Pack2 2287, LDAB 5248] non è elencato tra i `papiri scolastici' nelle liste di G. ZALATEI, «Aegyptus», XLI, 1961, pp. 160-235 e di J. DEBUT, «ZPE» , LXIII, 1986, pp. 251-278, n6 figura nel volume di R. CRIBIORE, Writing, Teachers, and Students in Graeco Roman Egypt, Atlanta, Scholars Press 1996 («ASP», 36). Una foto digitale del testo è reperibile nel CD ROM Papiri letterari della Biblioteca Medicea Laurenziana, Università degli Studi di Cassino 2002, con descrizione paleografica dí F. Ronconi. -
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La scrittura, o meglio (come vedremo) le scritture, assegnate dalla Lodi al III secolo d.C., corrono contro le fibre: in effetti, il testo di PSI I 85 è scritto sul verso di un foglio ritagliato da un rotolo contenente sul recto un testo documentario. 3 Il testo sul recto (tav. 2),4 scritto secondo le fibre, con l'alto nella medesima direzione del testo sul verso, risulta mutilo su tutti i lati (anche superiormente), meno che in basso, dove è visibile un margine di circa cm 2,5: cíò che rimane è dunque parte della sezione inferiore di un'ampia colonna di scrittura, che era probabilmente preceduta e seguita da altre colonne similari, ora perdute. 5 Il testo superstite, molto mal ridotto e abraso, sembra riguardare beni immobili ( οiκíαι?6): al r. 3 compare la menzione dí una ragguardevole somma dí denaro, (τ~λ.) t (δρ.) ' Vip; al r. 7 si legge ] των ovσ~ν ΜηδYν δvvασQgιι φασΙ περ γεjΝεσ8α[ι.7 Si noti, in quest'ultima frase, la presenza del verbo Ψασí, "dicono": soggetto ne sono forse dei funzionari locali ( κωµο γραµµατε ς?), 8 alle cui relazioni sullo status di beni immobili si fa riferimento: 9 il testo, nel suo complesso, è dunque, forse, un rapporto esteso (che sintetizza una certa situazione) piuttosto che un documento singolo puntuale. Un elemento prezioso dal punto di vista cronologico si può desumere dal r. 4: .
3 «Le scritture così del recto come del verso non sembrano posteriori al sec. III Π»: così Teresa Lodi nell'introduzione a PSI I 85. a Di questo testo, Teresa Lodi diede una parziale trascrizione, per quanto era possibile, nell'introduzione a PSI I 85. La numerazione dei righi ivi adottata non tiene conto dei minimi resti della parte inferiore di alcune lettere, visibili proprio sul bordo superiore del frammento: io preferisco tener conto di tali resti, per cui nella numerazione dei righi che uso in seguito si notera l'aumento di un'unità rispetto alla numerazione data dalla Lodi. 5 È particolarmente frustrante l'impossibilità di leggere qualcosa di continuativo nei righi finali del frammento sul recto: non si capisce, in effetti, se il testo poteva concludersi con l'ultimo rigo visibile, oppure se (come propendo a credere) il testo proseguisse in una colonna successiva. 6 La possibilità che si tratti di oixí.am mi è suggerita dal femminile ο~ σ~ν leggibile al r. 7: vedi oltre, n. 9. Nel linguaggio burocratico, il µηδ Y ν περ Υινεσ8α ~~si riferisce di regola alla `improduttività fiscale' relativa spesso a un bene immobile (un terreno o un'abitazione); cfr. per es. Pixy VI 986 IV 7, PPetaus 13.21-22, PPetaus 14.30, PRossGeorg II 28.26,31,35, PThmouis 1 69.14-15 etc., PPher 93,97,109, PSI X 1170 recto 4,8,10,18, PMarmarica passim (cfr. ivi, introd., p. 20 sg.). í in PThmouis 1. $ Si vedano, per esempio, le numerose occorrenze del verbo φΗµ 9 Al r. 7 si può per esempio immaginare qualcosa come ~ κ τoúτων τ~ν oικι~ν, ~ τι Y ν δ' νασQá ι φασι περιΥεινgσθα[ι : cfr. PPeπ~ λαι ~ δεσπ~ των Καì ~πρ ~ ]~ωΝ Ovσc~Ν, µηδ taus 13.21 sgg., PPetaus 14.28 sgg.
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cτω[ ]ωαπΟλλωΥ ~οmνοµεΝ( ρΟ
Apollonius: se costui è — come sembra plausibile — un pubblico funzionario, la ricostruzione più ovvia è la seguente: Κλανδí] ' ΑπoλλωΥ~~ ωνοµ ~ y ~~ pò; τ [ιδι λ~ γιρ
La menzione di un idiologus in un testo riguardante la gestione di beni immobili improduttivi è del tutto naturale. 10 E un Claudius Apollonius idiologus è attestato in carica il 27 agosto 194 d.C. in SB XVIII 13175 V 12.
Quindi, il testo sul recto di PSI I 85, dove l'idiologus Claudius ~ νω πρò ς τaî [iApollonius è citato come non più in servizio (γενοµ 8í0, λ~γω), deve essere posteriore almeno all'agosto del 194 d.C., e il testo stesso di PSI I 85, scritto sul verso di un ritaglio di quel testo, ancora ulteriormente posteriore, per cui si può con una certa confidenza collocare la stesura di PSI I 85 nell'ambito del III secolo d.C. Il testo di PSI I 85, quello sul verso del foglio, non è però qualcosa di unitario: due mani diverse, infatti, si succedono nella scrittura. La prima mano è responsabile dei rr. 1-22; la seconda mano, dei rr. 23-27. Si noti che il r. 22 (l'ultimo tracciato dalla prima mano) sembra proprio inserito in uno spazio ristretto, dopo che i rr. 23 e sgg. erano già scritti. 11 La prima mano è una libraria di stile severo, realizzata con molta discontinuità e senza nessuna pretesa di eleganza; il plausibile conte-
sto grafico di riferimento è quello ben noto in tante realizzazioni librarie di provenienza ossirinchita, inquadrabili tra la fine del II e il III secolo d.C. 12 La seconda mano è invece una corsiva tendenzialmente rotondeggiante, dal disegno non inesperto, ma del tutto irregolare e trascué° Cfr. P.R. SWARNEY, The Ptolemaic and Roman Idios Logos, Toronto, Hakkert 1970 («ASP», 8), pp. 111-119. O forse tutti i rr. 1-22 del verso sono stati scritti più tardi rispetto ai rr. 23-27? L'ultimo rigo della prima mano (il r. 22) risulterebbe compresso rispetto ai precedenti, perché lo scriba si sarebbe trovato alla fine uno spazio troppo ristretto rispetto al necessario. Quest'ipotesi però mi sembra abbastanza improbabile, in quanto si dovrebbe ammettere un'utilizzazione de ll a superficie scrittoria del verso effettivamente molto strana: perché scrivere nella parte bassa di un foglio appositamente ritagliato, avendo a disposizione una superficie ben píì1 ampia? 12 Per una bibliografia recente sullo stile severo, dopo E.G. TuRNER, Greek Manuscripts of the Ancient World, 2nd Ed. by P.J. PARSONS, London, Institute of Classical Studies 1987 («BICS», Suppl. 46), p. 22 sg., si vedano í vari articoli sull'argomento pubblicati da M.S. FUNGHI e G. MEssEr SAVORELLI in «AnPap» , I, 1989, pp. 37 - 42; «SCI», XLII, 1992, pp. 43-62; «Tyche», VII, 1992, pp. 75-88.
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rato. È possibile, al limite, che si tratti di una medesima persona, alla quale siano riconducibili entrambe le diverse grafie: mi sembra significativa la forma di alpha, che nel contesto della seconda mano (rr. 23-27) presenta un disegno a sacca aguzza triangolare, come spesso (ma non sempre) nella prima mano (rr. 1-22). È difficile dunque dar conto di che cosa sia effettivamente successo sul verso di questo foglietto ritagliato da un formato sicuramente più ampio: qualche idea potremo averla dopo un esame ravvicinato del contenuto, o meglio dei contenuti, del verso. La parte che riguarda la definizione della chreia è quella vergata dalla prima mano (rr. 1-22). Il testo de ll a seconda mano (rr. 23-27) è — sorprendentemente — di tutt'altra specie: nell'ed. pr. Teresa Lodi lo definiva «principio di un contratto fra una donna, maritata, di Oxyrhyn chis ed NN». Ciò, in realtà, non è esatto: ma anche la rilettura che qui propongo per i rr. 23-27 ci porta in una direzione non meno sorprendente. I rr. 23-27 contengono infatti la seconda parte del prescritto di un hypomnema (la parte, cioè, con il nome del mittente — in questo caso, una donna di Ossirinco affiancata dal proprio marito come kyrios), cui seguono le prime parole del corpo stesso dell'hypomnema, bruscamente interrotte alla fine del r. 27. E omesso all'inizio il nome del funzionario cui l'hypomnema doveva essere diretto: ma le ultime parole scritte (ov ~π~ ρ~σα 4 [~ , r. 27) ci garantiscono che qui siamo di fronte al formulario di un documento indirizzato allo stratego (dell'Oxyrhynchites) da un mittente (la donna col suo kyrios 13 ), che trasmette allo stratego stesso la copia di un atto emesso dal katalogeion, cioè l'archivio centrale di Alessandria, cui sovrintendeva l' archidikastes. 14 Le ultime righe di PSI I 85 sono dunque, dal punto di vista del contenuto, la parte iniziale (con la sola omissione del nome del destinatario) di un documento che, se lo immaginassimo nella sua inte-
] e di Thesis; il marito che funge " La donna si chiama Tnephersois, figlia di Sal ]n figlio di Eutychides. Non è possibile affermare che costoro da kyrios si chiama [ siano attestati altrove. In particolare, anche se il nome Tnephersois è ben documentato (ed esclusivamente nell'Oxyrhynchites, come risulta da un controllo sul CD ROM de ll a Duke University), per nessuna Tnephersois è attestato un padre (o una madre) il cui nome collimi con quello attestato nel papiro. 11 nome de ll a madre di Tnephersois, Oεσiς, non sembra ricorrere altrove in questa forma: è invece diffuso θασ~ς, specialmente (ma non esclusivamente) nell'ambito dell'Arsinoites. 14 Cfr. W. Ε.Η. COCKLE, State Archives in Graeco-Roman Egypt from 30 BC to the Reign of Septimius Severus, «JEA», LXX, 1984, pp. 106-122; F. BURKHALTER, Archives locales et archives centrales en Égypte romaine, «Chiron», XX, 1990, pp. 191-216.
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PSI 85 E LA DEFINIZIONE DI «CHREIA»
rezza, sarebbe di estensione notevole. 15 Ma qui abbiamo soltanto un breve appunto. Per la cronologia, potrebbe essere rilevante il fatto che né la donna ossirinchita né il marito che le fa da kyrios portino il gentilizio Aurelius: da ciò si potrebbe inferire che ci troviamo in un momento anteriore alla Constitutio Antoniniana del 212 d.C.; 16 nel prescritto di un testo ufficiale, Aurelius non dovrebbe mancare, se fossimo a una data posteriore alla Constitutio. Poiché, tuttavia, siamo di fronte a un appunto assolutamente informale, la mancanza del gentilizio non cogente: potrebbe trattarsi di un'omissione dovuta al fatto che il gentilizio stesso non è stato considerato essenziale. Se volessimo comunque accettare il 212 d.C. come terminus ante quem e combinassimo questo dato col post — post quem del 194 d.C. ricavabile dal recto, saremmo praticamente obbligati a porre la stesura di PSI I 85 intorno ai primissimi anni del III secolo d.C. Né sembra plausibile pensare che í righi della `seconda mano' (rr. 23-27, il prescritto dell'hypomnema) siano un'aggiunta posteriore —anche di molto — rispetto al testo relativo alla chreia (rr. 1-22): si ricordi, come detto sopra, che il r. 22, l'ultimo della `prima mano', sembra stato scritto quando già esisteva il r. 23. 17 Nel suo complesso, quindi, PSI I 85 testimonia l'interesse contemporaneo, sullo stesso pezzo di foglio, di due persone — o forse anche di una sola — per due ambiti di realtà non agevolmente riconducibili l'uno all'altro: da una parte la definizione della chreia, dall'altra una procedura di alta burocrazia. Dobbiamo dunque immaginare un milieu socio-culturale di un certo livello. Qualcuno aveva a che fare con un documento ufficiale che doveva redigere sulla base di un for-
5 Se pensiamo, per esempio, a ll a procedura di δηµοσιωσιςdi un contratto, il formu~~~ οτιν ~ντilario comporta qualcosa del genere: ov εi~ ρισα ¿md διαλογ ~ ς χρηµατισµο
Υραφον · ~~δε~ να iερε~ ς καì, ~ ρχιδtκaστ~ ς στρατηΥ ~~'Οξνρνγχ~τον χαιρε~ν Τ ~~'remmλειωµενης δηµωσι ~σεως ~ ντíγρα ον µετ aδo0~ τω ~ ς üiτó κειται κτλ (POxy XII 1474; cfr. Platr 2): vedi H.J. WOLFF, Das Recht der griechischen Papyri Agyptens in der Zeit der
Ptolemaeer und des Prinzipats, II. Organisation und Kontrolle des privaten Rechtsverkehrs,
München, Beck 1978, pp. 129-135. Procedure similari s i riscontrano anche per l' ενεχοa (cfr. POxy LI 3610): vedi E. SEIDL, Rechtsgeρασια (Jr. PHeid IV 325) o l' εµβαδει schichte Agyptens als römischer Provinz, Sankt Augustin, Rícharz 1973, pp. 201-208; WOLFF, Das Recht, II., cit., pp. 129-135. Per una rapida sintesi, cfr. H.-A. RUPPRECHT, Introduzione alla Papirologia, a cura di L. MIGLIARDI ZINGALE, Torino, Giappichelli 1999, p. 140 e 150 sg. 16 Cfr. H.J. WOLFF, Das Recht der griechischen Papyri Agyptens in der Zeit der Ptolemaeer und des Prinzipats, I. Bedingungen und Triebkräfte der Rechtsentwicklung, hrsg. v. H.-A. RUPPRECHT, München, Beck 2002, p. 124 e n. 63. 17 Vedi sopra, n. 11.
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GUIDO BASTIANINI
mulario consolidato, e per questo si appunta la `parte mobile' del prescritto (cioè il nome del mittente), con gli elementi indispensabili per il suo corretto inquadramento nel contesto (cioè la preposizione παρ~~ e le parole formulari del corpo del documento al suo inizio, ov ~Π~ ρ1σα ~π[~~διαλοy~ς). 18 È uno scriba di professione? O un privato che si presta ad un servizio in via di amicizia, o di interesse personale? Costui, certo, si serve di un foglio di papiro che era in uso a qualcuno (lui medesimo, forse?) per la stesura di un Katechismus come dice Körte — relativo alla definizione della chreia. Si potra sbrigliare la fantasia quanto si vuole, ma certo sembra poco plausibile che chi ha prodotto í rr. 1-22 di PSI I 85 sia un discente che scrive nell'ambito di una scuola, sia pure di buon livello come quella preparatoria alla formazione retorica. E per quanto sia innegabile che í righi sulla chreia (nella loro struttura a domanda e risposta) abbiano un tenore francamente didascalico, questo lo si dovrà intendere nel senso che l'ignoto estensore di quei righi sia qualcuno interessato all'argomento da un punto di vista di formazione/informazione culturale in senso attivo di docente/studioso piuttosto che di studente. 19 E se questo può essere vero, è tuttavia azzardato ipotizzare che si tratti di un `autore', cioè di qualcuno che scrive con una sua propria autonomia compositiva: è in effetti meno costoso (e fattualmente più plausibile) pensare che questo qualcuno abbia realizzato, su questo foglio, un excerptum da un'opera didattico-letteraria preesistente, un'opera che sarà stata, appunto, uno dei vari Progymnasmata che sono stati composti dall'epoca romana in poi, dei quali solo alcuni noi conosciamo. 20 —
18 Oppure, analogamente, si potrebbe immaginare che í rr. 23-27 siano stati trascritti da un documento esistente, in vista della redazione di un documento ulteriore nella stessa procedura burocratica o nella stessa vertenza. I termini cronologici si sposterebbero, ma non di molto. 19 La stessa mise en page induce a questa conclusione; indipendentemente dal fatto che il testo relativo alla chreia è scritto su un verso, se non vedessimo che quel testo steso su un ritaglio di papiro, potremmo pensare a un frammento di volumen: in effetti, anche se la scrittura in sé non è molto curata, lo scriba rivela un'attenzione molto evidente nell'allineamento in ekthesis delle domande e in eistbesis delle risposte. L'unica eccezione si rileva nell'ultima domanda (r. 22) — scritta in ulteriore eisthesis invece che in ekthesis — che appunto io penso sia stata aggiunta après coup. 20 L'idea che la sezione relativa alla ch reja in PSI I 85 sia un Progymnasmatum fragmentum è già espressa da Rabe, Rhetores Graeci, X, Lipsiae, Teubner 1926, p. 52 (vedi sopra, n. 1).
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PSI 85 E LA DEFINIZIONE DI «CHREIA»
A questo punto presento il testo completo di PSI I 85: preferisco adottare una trascrizione diplomatica, per meglio dar conto al lettore delle realtà grafiche dell'originale, limitandomi soltanto a distinguere le singole parole. L'apparato sottostante fornirà gli elementi essenziali alla comprensione del lavorio esegetico condotto sul testo a partire dall'ed, pr. di Teresa Lodi fino alla recentissima edizione di Hock e l'Neil. La successiva stesura del testo in forma corrente servirà a meglio evidenziarne il contenuto. .
τ]ι εcτι η χρια cνντο αποµνηµονενµα µο ~~ επι προc ωπον T1.VOC επενετον 5
δια τι αποµνηµονενµα η χρι
α
10
15
20
25
~εται οτι αποµνηµονε
ινα λεχθη δια τι cνντοµον οτι πολλακι c εκταθεν η διηγηc ιc γινεται η αλλο τι δια τι επι προcπον οτι πολλακι c ανεν προ
cωπον cνντοµον απ g µνη µονενµα η γνωµη εcτ~~ η αλλο τι δια] Ti ειρηται χρια δια το χριωδι c ιναι. ουκ we ον και των αλλων [χ]ρια[ν εχοντων αλλα χρι[ω]ν q[c ~το ιδtg ν εχον9ων σ[νοµα το τι εcτ. η διηγη[ c ]
Traduzione: I. (rr. 1-22) Che cosa è la chreia? Un `memorabile' conciso citato riguardo a un personaggio. Perché la chreia è un `memorabile'? Perché viene ricordato a memoria per essere detto. Perché conciso? Perché spesso, se esteso, diventa una narrazione o qualcos'altro. Perché riguardo a un personaggio? Perché spesso, senza personaggio, un `memorabile' conciso è una sentenza o qualcos'altro. Perché si chiama chreia (utilità)? Perché sono utili, non in quanto anche gli altri esercizi non abbiano utilità, ma in quanto le chreiai hanno questo nome come proprio. Che cosa è la narrazione? II. (rr. 23-27) che ho ottenuto in seguito all'accertamento dell'ufficio, ~>>ν ç~ y
,
~τ Ν.
, ,
~~.,
~~ ~ • h~ ~ ι~~'~ ~~~
Tay. 1 — PSI I 85 (© Biblioteca Medicea Laurenziana, Firenze) - 262 -
Tay. 2 — PSI I 85 recto (© Biblioteca Medicea Laurenziana, Firenze) — 263 —
MANFREDO MANFREDI
A PROPOSITO DI PSI 1476
Le ricche relazioni presentate a questo Convegno hanno sottolineato la complessità e l'ampiezza del tema trattato. Aggiungerò brevi parole su un singolo esempio. Nel 1965, all' ΧΙ Congresso Internazionale di papirologia, Vittorio Bartoletti presentava l'edizione provvisoria di un nuovo papiro della Società Italiana, che subito stimolò l'attenzione degli studiosi per i suoi riferimenti ad autori classici che – in quegli anni – ancora tutti attendevano veder recuperati attraverso i papiri. Niente di meglio di un testo gnomologico. Il testo della comunicazione fu edito negli "Atti" del Congresso l'anno successivo. Lo studio del papiro fu poi ripreso per la preparazione di un'edizione ufficiale nei volumi dei PSI, ma purtroppo Vittorio Bartoletti veniva a mancare nell'aprile del 1967. Toccò ad altri proseguire nel lavoro, sia dal punto di vista editoriale e più propriamente papirologico, sia per il riesame dei frammenti testuali recuperati e della strutturazione dello gnomologio nel suo insieme. L'interesse per lo gnomologio si è accresciuto sia per l'estendersi delle ricerche sui frammenti degli autori greci soprattutto lirici, tragici e comici, sia per lo stimolo che è venuto dal lavoro al Corpus dei Papiri Filosofici Greci e Latini, dove non potevano mancare le gnomai. E Serena Funghi ha il merito di aver continuamente sollecitato la redazione a non sottovalutare l'arduo compito di dare una forma organica a tale tipo di testo. Diciamo subito che í recenti risultati degli studi condotti da Carlo Pernigotti per la sua tesi di dottorato sulla tradizione delle Menandri Sententiae sono un'ottima base per portare qualche considerazione sul papiro. E forse queste mie considerazioni sono già superate! Molti dei presenti sanno (ed è possibile vederlo dalla trascrizione oggi disponibile) che l'ordinamento dei frammenti è probabilmente da modificarsi, come avviene in questi casi in cui un testo ignoto deve essere ricostruito sulla base materiale del supporto scrittorio. Ricordo molto bene come negli stessi anni venivamo ricomponendo con rela- 265 —
MANFREDO MANFREDI
tua facilità un pezzo di un rotolo dell'Odissea che pure era stato ridotto in minutissimi frammenti. Fu in gran parte Iginio Crisci che operò con pazienza ed acribia su questi brandelli di papiro. Per lo gnomologio dobbiamo ancora essere aperti ad ogni suggerimento. Tenterò di proseguire la storia complessa dello studio di questo papiro in base alla documentazione che mi è disponibile. Già nella stesura predisposta per gli Atti del Congresso, Vittorio Bartoletti in una Postilla citava alcune proposte di Vincenzo Di Benedetto e di Bruno Snell di cui aveva avuto notizia nel frattempo. E già allora parlava di una prima aggiunta al papiro con un frammento che andava a collocarsi nel frammento C. Il testo riveduto da Vittorio Bartoletti fu mandato in tipografia (la tipografia Ariani) per la composizione, assieme ad altri papiri previsti per il vol. XV dei P.S.I. Sulle bozze allora ottenute, dopo la morte di Bartoletti, si sono succedute revisioni e correzioni fondate su un riesame diretto del papiro, talvolta motivato da suggerimenti critici di vari studiosi, i quali facevano per lo più riferimento alla prima edizione del papiro negli Atti del Congresso di Papirologia di Milano (1966). Minime varianti di lettura erano state anche da me annotate fin dagli anni '70 sulle bozze preparatorie della edizione definitiva. Non vale la pena di richiamare l'attenzione su di esse, se non per porre in guardia dalle integrazioni congetturali che potrebbero essere più o meno avvalorate dalle tracce di scrittura. Nel periodo 1968-1971 Richard Kannicht si mise in contatto con l'Istituto con richiesta di chiarimenti e per disporre di riproduzioni fotografiche utili al suo lavoro sui Tragicorum Graecorum Fragmenta. Ne segui uno scambio di lettere. Sempre in quegli anni avevo avuto modo di precisare agli studiosi con cui ero in corrispondenza che stavo facendo ogni sforzo per «rendere giustizia al compianto prof. Bartoletti, che ha avuto tante benemerenze nella edizione di testi della collezione fiorentina». Per questo volevo procedere alla revisione di tutti gli appunti in mio possesso, perché l'edizione rispecchiasse al meglio quanto era dovuto a ciascuno studioso, magari in successione diacronica. Alcuni suggerimenti erano pervenuti in tempi diversi da più parti, oltre che derivare dalle occasionali revisioni del manufatto. Quanto questo non sia facile è ovvio. E intanto, come avevo avuto occasione di scrivere anche ad altri studiosi che si erano rivolti all'Istituto per maggiori informazioni, era stata approntata una prima stesura dell'introduzione e delle note al papiro redatta in base agli appunti di Bartoletti stesso. — 266 —
Α PROPOSITO DI PSI 1476
Non sono mancate le note e le osservazioni scritte o orali di diversi studiosi, come Guido Bastianini. Il giovane Bastianini, in una lettera fattami avere in Egitto tramite il topografo Angelo Pericoli che raggiungeva la missione di scavo ad Antinoe, lettera un po' singolare scritta a puntate tra il 17 e il 29 dicembre 1975, mi dava notizia di alcune sue letture circa il testo documentario sul recto del papiro richiamando l'attenzione sul nome di un personaggio Gaios lulios Iollas che consentiva di datare il documento alla metà del I sec. d.C. (Il nome ricompariva pochi anni dopo, nel 1980, in un lavoro concernente gli strateghi dell'Heracleopolites pubblicato da Bastianini sulla «ZPE», vol. XXXIX, p. 151). Nel 1978 Richard Kannicht ci spediva le bozze del suo lavoro sui frammenti dei tragici che — per quanto concerne il PSI 1476 — corrispondono ai suoi numeri 702 704 e allegava alcune considerazioni a proposito del fr. C, I 4 perché avendo avuto a disposizione una foto con il nuovo frammento e in base alla fotografia aveva fatto una lettura di alcuni righi e rimandava al fr. 698 Page di Terpandro, ma si chiedeva se quegli `anapesti' non avessero potuto appartenere a una tragedia. Ma già in una lettera del 1976 Bruno Snell rinviava per lo stesso contesto — di cui aveva avuto informazione o direttamente dall'Istituto o da Kannicht — a Orph. fr. 21 K. Nella stessa lettera per il fr. 10 Bart. confrontava fr. trag. ad. 506 e per íl fr. 16 Bart. Soph. fr. 191 P. -
Un elemento indispensabile è quello della sistemazione reciproca dei frammenti in cui è smembrato il papiro, con la aggiunta di qualche modesto ulteriore pezzettino riconosciuto e sistemato soprattutto dalla dr.ssa Giovanna Menci, che ha avanzato alcune proposte ed osservazioni. Nel 1992, si cominciavano a saggiare quelle procedure di utilizzazione di particolari strumentazioni ottiche rese disponibili a Firenze grazie all'interesse scientifico e alla collaborazione dell'Istituto di Ottica che nel decennio successivo hanno riscosso notevole interesse e poi ottenuto grande successo anche in altri centri papirologici. Grazie all'uso di quella strumentazione ed in séguito al riconoscimento di altri frammenti dello stesso rotolo, si è imposta la revisione di base della connessione e dell'ordine di successione dei frammenti. E questo problema — per quanto ne so io — non è a tutt'oggi del tutto risolto. La Menci ottenne alcuni risultati collocando frammentini sparsi e proponendo il ricongiungimento dei fr. Ε e B, senza alterare la successione dei temi. Ma, dicevo, a tutt'oggi permane almeno una difficoltà della collo- 267 —
MANFREDO MANFREDI
cazione reciproca dei frammenti. Mi riferisco in particolare a quella iunctura (fr. A col. II) che permetterebbe di connettere il nome ΠοΤαµωνοc, ma che crea dei problemi per l'allineamento dei righi successivi, che non risponderebbe a nessuna analogia. E forse anche il colore (sia pure deteriorato) dei due frammenti da porre in successione non sembra corrispondere abbastanza. Sarebbe il caso di leggere alcune note che riassumerebbero gli interrogativi di fondo e delle quali si terrà conto nel preparare l'edizione definitiva. Ma mi si perdoni se ho abbreviato ulteriormente l'esposizione, con parole mie. Infine la cosa dal punto di vista letterario della massima importanza: il recupero dei frammenti degli autori classici citati nello gnomologio. Come sempre, la lettura (spesso incerta), lo stile, l'attribuzione sono interdipendenti. Come ha bene esposto Carlo Pernigotti, gli gnomologi a noi pervenuti, grazie anche ai ritrovamenti papiracei che ci hanno consentito di risalire nei tempi, si differenziano per tipologie contenutistiche e per la rispettiva destinazione immediata. Bisognerebbe dunque anche qui dare molto più di un sommario. Intanto, si è potuto confermare che lo gnomologio è organizzato per contrapposizione tra epainos e psogos, come avviene in molti altri casi; ed era anche divi s o in sezioni tematiche: peri plutu, peri aretes, peri tyches, peri logu. Questi elementi di fondo, sempre che si possano considerare abbastanza costruttivi e fededegni, possono contribuire alla sistemazione fisica dei frammenti e alla verifica della successione dei contenuti. Dico questo perché, mutando l'ordine materiale dei frammenti di papiro, bisogna vedere se la ricostruzione risponde abbastanza bene agli altri criteri interni. Sarà anche utile fornire qualche dato sintetico circa gli autori citati, e i modi della citazione. Si nota subito che nella parte a noi pervenuta, lo gnomologio dà spazio, come avviene in molti casi analoghi, alla tragedia e alla commedia. Non possiamo constatare se sempre o soltanto in alcuni casi veniva citato il poeta e il titolo dell'opera da cui la gnome era tratta. Per quello che riguarda la tragedia predomina – come altrove – Euripide. Oltre a due o tre frammenti senza titolo dell'opera (ma su di uno la cui appartenenza all'Issipile era stata proposta, vedi le osservazioni di Vincenzo Di Benedetto!), si citano le Cretesi, due volte le Fenicie, una volta il Bellerofonte, una volta l'Andromeda. Accanto ad Euripide ricorre un frammento tragico adespoto, un frammento nuovo di Sofocle, un frammento nuovo di Eschilo, e uno di Moschione. — 268 —
Α PROPOSITO DI PSI 1476
Per la commedia, oltre a Menandro – di cui è citato un frammento dagli Achei, un altro senza il titolo dell'opera, e forse un terzo dubbio dalla Theophorumene, (fr. D , 17 sgg.) – troviamo un frammento di Filemone, dal Pacratiaste, un altro da opera ignota, un frammento di Fenicide di Megara, uno di Antifane, uno di incerta assegnazione (sembrerebbe da un Prometeo, come suggerisce Bartoletti) e infine forse il nome di un comico Apollonio (vedi anche le osservazioni di Rosa Otranto). Per l'epica, un frammento da Esiodo, Opere e i giorni, è l'unico conservato. Infine per il genere satirico, un frammento di Cercida di Megalopoli. Resta per ultimo il nome di Potamone, dal quale sembra proprio che si citino parole in prosa, e sarebbe interessante potersi orientare meglio a proposito di questo autore, il cui nome sembra ricorrere almeno due volte (un problema è quello del ricongiungimento di due frammenti su uno dei quali si leggerebbe la fine del nome, e sull'altri il principio). Quale lavoro ci attende per il futuro prossimo? Dico ci attende perché questo PSI è stato affidato congiuntamente a Guido Bastianíni e a me ai fini della preparazione di una stesura (il più possibile concisa) dell'introduzione all'edizione nella serie dei volumi dei PSI. Ricontrollare sull'originale nel miglior modo possibile le letture proposte sia in base a considerazioni paleografiche sia in base a ricostruzioni filologiche. Rivedere tutti i frammenti disponibili per verificarne la collocazione reciproca, per segnalare i casi dubbi, per eliminare ove possibile í dubbi che potevano nascere. In questa revisione sarà opportuno rileggere tutto il testo, e non dimenticare il documento sul recto che deve essere anch'esso leggibile in maniera rispondente alla sua propria tipologia. Per parte mia, attendo con fiducia ogni proposta dai grecisti e dai papirologi, nella speranza di poter effettivamente prestare ancora la mia opera.
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ΤΙΖΙΑΝΟ DORAΝDI
ASPETTI DELLA TRADIZIONE `GNOMOLOGICA' DI EPICURO E DEGLI EPICUREI La tradizione `gnomologica' di Epicuro e degli Epicurei consiste in una abbondante messe di testi già parzialmente accessibili a Hermann Usener al momento della redazione degli Epicurea (1887) e accresciutasi ulteriormente anche dopo l'edizione dei frammenti delle Opere di Epicuro curata da Graziano Arrighetti (1973 2 ). Le due principali raccolte sono le Massime Capitali e lo Gnomologium Vaticanum. Alla fine del decimo libro delle Vite dei filosofi, dedicato a Epicuro, Diogene Laerzio, dopo avere trascritto le tre Epistole a Erodoto, a Pitocle e a Meneceo, «epitome di tutta la filosofia» del fondatore del Giardino, riproduce, come colofone all'intera sua opera e alla biografia di Epicuro, quaranta Massime capitali. Esse sono raggruppate, grosso modo, in tre nuclei: etica (I-XXI e XXVI-XXX); gnoseologia (XXII-XXV); giustizia e rapporti sociali (XXXI-XL). L'altra raccolta dí ottantuno massime di carattere etico intitolata 'Eπtκο~ ρου προσφ ~νησtς, conservata nel codice Vaticano greco 1950, venne scoperta dal Wotke pochi mesi dopo la pubblicazione degli Epicurea.1 Una ventina dí queste sentenze sono uguali alle Massime capitali (1 = I; 2 = II; 3= IV; 5 = V; ~~= XXXV; 8 = XV; 12 = XVII; 13 = XXVII; 20 = XXIX; 22 = XIX; 49 = XII; 50 = VIII; 72 = XIII). Altre ancora erano già note per tradizione indiretta sia greca sia latina.2
K. WoTKE - H. USENER, Epikurische Spruchsammlung, «WS», X, 1888, pp. 175-201 e H. USENER, ibid. XI, 1889, p. 170 = H. USENER, Kleine Schriften, I, Leipzig-Berlin, Teubner 1912, pp. 297-321. 2 L'ultima edizione (né la migliore né la píù affidabile) dell'insieme delle due raccolte è quella di M. MΑττcowτcH, Diogenes Laertius. Vitae Philosophorum, I, Stutgardiae et Lipsiae, Teubner 1999 («Bibliotheca Teubneriana»), pp. 802-813 (MC) e 815-826 (SV). Vedi, in particolare, le critiche di M.F. SMIτH, Quotations of Epicurus Common to Diogenes of Oinoanda and Diogenes Laertius, «Hyperboreus», VI, 2000, pp. 188-197.
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TIZIANO DORANDI
Un'ampia scelta di sentenze è riapparsa con la scoperta dei resti della grande iscrizione filosofica epicurea fatta incidere da un ignoto Diogene sui muri del portico della città di Enoanda, nelle montagne dell'Anatolia. 3 Alcune sono del tutto nuove; altre uguali alle Massime capitali (I-VI, VIII, X, XIII, XVI, XXV-XXVI, XXIX, XXXII e XXXVII) e alle Sentenze Vaticane (oltre ai casi in cui le MC e le SV si sovrappongono, Diogene cita probabilmente anche la SV 33) • 4 Numerose massime vengono infine attribuite a Epicuro e agli Epicurei della prima generazione — Ermarco, Metrodoro e Polieno, i Maestri o καθηγεµ ~ νες del Giardino — da Seneca, Plutarco, Porfirio, Stobeo e nelle raccolte gnomologiche e paremiografiche. La piena fruizione dell'insieme di questo materiale è resa più difficile dal fatto che í frammenti non sono pubblicati nelle edizioni moderne in una apposita sezione, ma sparsi in più luoghi disparati. Spetta dunque al lettore il compito di recuperarli e riunirli, seppure in maniera virtuale. Non è su questi testi più familiari e più indagati che intendo concentrare la mia attenzione, ma piuttosto su una scelta di raccolte `minori' e meno conosciute anche perché, in qualche misura, assenti dalle collezioni dei frammenti di Epicuro e dei suoi primi successori. Gli esempi che ho scelto sono tre frammenti di `gnomologi' (non sempre né esclusivamente epicurei) conservati in tre papiri di Berlino; un paio di sentenze lette su due pannelli musivi di Autun; una iscrizione latina di Grottaferrata con resti di uno `gnomologio' epicureo; un manipolo di massime trasmesse in due manoscritti medievali oggi conservati a Heidelberg e nella Città del Vaticano; alcune sentenze epicuree tramandate nei Loci communes dello pseudo-Massimo Confessore. Epicuro, Ermarco e Metrodoro su papiro
Mi soffermo solo brevemente sui tre papiri di Berlino perché recentemente riproposti nel secondo tomo della prima parte del Corpus
3 M.F. Sµιτη, Diogenes of Oinoanda. The Epicurean Inscription, Napoli, Bibliopolis 1993 («La Scuola di Epicuro», Suppl. I). Nuovi frammenti sono venuti ulteriormente alla luce: M.F. Sµ IτH, Excavations at Oinoanda 1997: The New Epicurean Texts, «Anatolian Studies», XLVIII, 1998, pp. 125-170. Vd. anche M.F. SMITH, Supplement to Diogenes of Oinoanda The Epicurean Inscription, Napoli, Bibliopolis 2003 («La Scuola di Epicuro», Suppl. III). SMITH, Quotations of Epicurus, cit. (supra, n. 2).
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ASPETTI DELLA TRADIZIONE `GNOMOLOGICA' EPICUREA
dei papiri filosofici e riesaminati dalla Messen Savorelli nell'intervento a questo C οnvegnο.5 Un accenno appena al PBerol mv. 7426 (prima metà del sec. III d.C.) che tramanda, sul verso, dopo quattro estratti dall'orazione Ad Demonicum dello pseudo-Isocrate (§ 39, 41, 50, 51 = rr. 1-20), una sentenza a andamento ritmico (rr. 21-22) attribuita a Ermarco ( Ερ µ ~ ρ[Χ] gν): ~τ~κµ c ρτο[ς ~ ] π[âς] βíoς, «Indecifrabile è tutta la vita». 6
La massima era gιà nota da Stobeo (IV 34, 66, p. 845 Hense), che la cita in una forma più completa e l'attribuisce a un ' Ερµολ ~ χου (vi. `Ερµολ ~ ον). La paternità di Ermarco, dopo í dubbi del Krohn, è stata confermata dagli studiosi più recenti.' Poiché il papiro si interrompe dopo β~ος, è impossibile stabilire se la sentenza fosse limitata a questa sola frase o se continuasse la citazione quale è tramandata da Stobeo:$ ~τ~κµαρτος~~π~ς β~ος, où δ~ν ~χων πιατ~ν πλαν~ται συντνχ~ αις. ~λπìς 88 φρ ~Να παραΟαρσ~ΝεΓ• τ~~88 µ ~ λλον ~κpιβuîς oiδεν o~δεìς θνατ~ ς dπη φ~ ρεταu• 066; 88 π~Ντας ~ν κινδ~ νο ς θνατoùς κυβερν . ~Ντ~Πν~ει 88 πολλ~κις ε~τΥχí αiς δειν~~τις α~ ρα Indecifrabile è tutta la vita, senza alcuna certezza erra trascinata dagli eventi. La speranza sforza gli animi al coraggio. Nessun mortale sa esattamente dove porti il futuro. Un dio governa tutti í mortali nei pericoli. Spesso un'aura terribile soffia su eventi felici.
Un documento di estrema importanza, non ancora sfruttato nella sua interezza, è il PBerol inv. 16369 (metà del sec. II d.C.): frammento di papiro scritto sul verso di un rotolo (sul recto, registro ufficiale relativo a rendite). Si conservano, disposti su due colonne di scrittura, resti di sei testi epicurei di ineguale ampiezza; tre di questi sono sconosciuti: 9 1) I 1-4; 2) I 6-10; 3) I 12-14 = CPF I.1**, 70 2T; 4) 16-18; 5) II 1-12 = CPF I.1**, 70 1T (= SV 51); 6) II 14-16 = CPF I.1**, 51 3T. Il primo editore del papiro, A. Vogliano, pensava a un frammento di un nuovo Gnomologio epicureo redatto a uso delle comunità epicuree d'Egitto, derivato da una probabile raccolta originaria di let'
5 Vedi, in questo volume, pp. 356-364. La datazione dei tre reperti è quella nuovamente proposta dalla Messen Savorelli. 6 CPF I.1**, 58 1T (T. DORANDI). Cfr. D οRAIDτ, in CPF I.1**, pp. 246-247. 8 Stob. IV 34, 66 (p. 845 Hense) = Herm. fr. 24 Longo (da cui è tratta la traduzione). 9 Si tratta dei testi 1, 2 e 4. Una loro riedizione è prevista nel CPF 1I.2-3.
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tere dei Maestri del Giardino. 10 Non si deve tuttavia escludere la possibilità che c i s i trovi di fronte a una antologia di passi dei primi Epicure di argomento etico e non a un vero e proprio `gnomologio'. Si spiegherebbe meglio in tal caso l'apparente disorganicità con cui le sei massime si susseguono. 11 Lascio da parte le tre massime non ancora identificate, e mi limito a presentare brevemente il contenuto delle restanti seguendo la loro successione sul papiro. La prima massima (I 12-14) era già nota attraverso Stobeo, che l'attribuisce a Metr οdoro. 12 Si tratta con buona verisimiglianza di un estratto di una lettera di Metrodoro. Questo i l testo del papiro quale ho pubblicato nel CPF:13 [ov µακαρ ~ς ε Τ~ν yYpOVTQ κα]8' ó σoν yηρ~σκων I [τελεντ~ , ~λλ' ει Το~ς ~γcθο~ς σΥ]yπεπλ~ ρωτα~ • Ι [gνεΙα yà ρ χρ~νον π~ντες] ~ σµ ~ ν ~ ωρo~~ Non riterrai beato il vecchio in quanto muore da vecchio, ma se ha avuto una vita piena di beni; in rapporto al tempo infatti [...] noi tutti siamo `prematuri'. La recensione trasmessa dal papiro ha messo in evidenza una lacuna nella tradizione dello Stobeo (tra χρ ~νον e π~ντες), probabilmente il nome, al vocativo, del personaggio al quale era indirizzata la lettera (Vogliano) e ha confermato la congettura ~ωροι di Wyttenbach invece d i ~δωροι dei codici Trincavelliani. Ancora sotto la forma originaria di lettera, indirizzata da Metrodoro a Pitocle ( Μητρ ~ δωρος Πνθοκλε~~χαιρειν), s i presenta la quinta massima. Il corpo centrale della lettera (rr. 2-10) era già conosciuto attraverso lo Gnomologium Vaticanum (SV 51) che ne attribuisce la paternità a Epicuro. Il papiro non solo ha migliorato in alcuni punti il testo del manoscritto Vaticano, ma ha anche consentito di stabilire che la SV 51 deriva da una lettera di ammonimento scritta da Metrodoro al giovane Pitocle troppo incline a i piaceri venerei. L'ultima parte della lettera (rr. 10-12) corrisponde a una delle doxai che Diogene Laerzio (X 118) registra come dottrina di Epicuro e dei suoi seguaci e che Usener riteneva derivare dal Simposio dello stesso Epi-
1° Α. VOGLIANO, Frammento di un nuovo `Gnomologium Epicureum', «SIFC», n.s. XIII, 1936, pp. 267-281 (tav. p. 268 f.t.): pp. 279-281. 11 DORANDI, in CPF I.1*', p. 475. 12 Stob. IV 50b, 77 (p. 1047 Hense) = Metrod. fr. 52 Koerte. 13 DORANDI, in CPF I.1**, pp. 477-478.
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ASPETTI DELLA TRAD ΙΖΙΟΝΕ GΝOMOLOGICA' EPICUREA
curo: «I piaceri venerei infatti non giovano mai e bisogna esser contenti se non arrecano danno» (fr. 62 Us.). La presenza di questa doxa nella lettera di Metrodoro non può essere addotta come prova contro la paternità di Epicuro. Come ha ben sottolineato il Vogliano, Metrodoro richiama il testo del Maestro alla fine della sua lettera quasi a porre un sigillo alle proprie raccomandazioni: «Qui Metrodoro riprende la sentenza del Maestro, introducendovi una variante formale [ä φροδíσια invece di συνουσιη], per riattaccarsi evidentemente alla frase iniziale della lettera. Il Maestro ha affermato un principio generale. Metrodoro, nel caso specifico, esamina il problema nei suoi vari aspetti. Pare che debba concedere qualche cosa. Finisce invece col chiudersi nel rigorismo più assoluto ed invoca il precetto del Maestro» (278). 14 Non bisogna comunque dimenticare che nella pagina di Diogene Laerzio la massima è attribuita genericamente a degli Epicurei ( Ψασιν) e non al solo Epicuro ( φησιν), un dato di fatto che potrebbe portare a supporre che la doxa originaria del Maestro, a partire da un certo momento, era divenuta di dominio comune nella scuola e che non ci si preoccupava più di determinare chi ne fosse il vero autore. 1s L'ultimo testo trasmesso dal papiro corrisponde a una sentenza di Epicuro nota anch'essa da Stobeo: 16 vδατι καì ~ ρτιu χρ ~ .εΝσς, βρυ~ ζω τ~: κατα ~~ καì προσπΤv ω Ταî ~~ πoλΥτελειας ~ δoνα~~ ov δι ' (v τák, ~ λλα &jet τ~~~ ξακολοvθο~ντα α' ταις δυσχερ ~~ Trabocco di piacere nel piccolo del mio corpo, quando ho pane e acqua e sputo sui piaceri del lusso, non per se stessi, ma per í fastidi che ne conseguono.
La versione tramandata dal papiro, decurtata della fine, a causa di una lacuna, presenta qualche variante testuale. Questo il testo che ho pubblicato nel CPF: [βρν~ ζω τqδ] κατU τ~~σωµ ~ τιον ~ δεî, ií[ δcτι Ι τε καì ~ ρτεu] { προσ} χρ[~µ]εν o ς, κα [ροσ~πΤvω ταîς ~κ πολυτελε~ ας ~ δοναîς ... . 17
14 Per un presunto caso analogo, vedi infra, p. 278 a proposito del pannello di Metrodoro nel mosaico di Autun. 15 Cfr. A. KoERTE, «APF», XIII, 1939, p. 111. Vedi anche D. CLAY, Lucretius and Epicurus, Ithaca-London, Cornell University Press 1983, p. 78. 16 Stob. III 17, 33 (p. 501 Hense) = fr. 181 Us. = 124 Arrighetti. 17 DORANDI, in CPF I.1**, pp. 157-158.
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Il confronto con un passo della Vita di Epicuro di Diogene Laerzio (X 11) mostra che, anche in questo caso, la massima deriva da una lettera di Epicuro. Passo al terzo papiro. PBerol mv. 21312+PSchubart 27 si ricompongono in un foglio papiraceo (fine del sec. II d.C.), scritto sul verso di un documento. 18 Il papiro conserva resti di «una antologia tematica composta da estratti in prosa e in versi, separati da paragraphoi, con gli inizi di oltre venti sentenze morali di cui alcune identificate. Nessun nome d'autore ci è stato trasmesso». 19 Nel fr. a, subito dopo una massima di Epicuro/Metrodoro (= SV 14), si trovano resti di sei massime più brevi di cui una dei Sette Sapienti e un'altra tratta dai monostici di Menandro. Soggetto di queste sentenze sono il χρ~νος e il καιρ~ ς. Negli altri frammenti (PBerol. inv. 21312 frr. b-c + PSchubart 27), «sono contenute sentenze di carattere morale, che riguardano la condotta individuale (conoscenza e dominio di sé) e trattano, o σvvη. Alcune si p. es., della πρ cvτης, della πρâξις, della πoλvπρ cΥµ riallacciano ai monostici di Menandro, alle massime dei Sette Sapienti e, fra gli altri, ad Euripide, a Cheremone e a Menandro». 20 La sentenza che ci interessa è contenuta nel fr. a, 2-6 e corrisponde alla SV 14, tramandata da una pluralità dí fonti, e assegnata alternativamente a Epicuro o a Metrodoro: l'attribuiscono a Epicuro, oltre al codice Vaticano, Plutarco, Stobeo, Apostolio e Arsenio; 21 a Metrodoro, lo Gnomologio Vaticano 743 e il mosaico di Autun di cui parler~ . 22 Nel papiro di Berlino la sentenza è citata anonima, ma nel CPF essa è pubblicata nella rubrica dedicata a Epicuro. Un caso fortunato ha voluto che la medesima massima sia riapparsa su un pannello musivo scoperto a Autun (in Borgogna) iscritta intorno a un ritratto dí Metrodoro. Prima di affrontare í problemi legati al testo e all'attribuzione della SV 14, ritengo sia dunque necessario passare a una descrizione del mosaico di Autun.
18 0. BOUQUTAUX-SIMON, Additamenta pour une anthologie mutilée (P. Berol. ini. 21312 + P.Schubart 27), in Proceedings of the XIXth International Congress of Papyrology (Cairo
2-9 September 1989), Cairo, Aín Shams University, Center of Papyrological Studies 1992, I, pp. 461-480, e 0. BOUQTJIAUX-SIMON - CHR. RUTTEN, in CPF I.1**, 51 ST, pp. 158-161. 19 BOUQUTAUX-SIMON - RUTTEN, in CPF I.1**, p. 159. 20 BOUQUTAUX-SIMON - RUTTEN, in CPF I.1**, pp. 159-160. Il testo nella sua interezza sari pubblicato nel CPF 11.2-3. 21 Plut. Suai. iii. Epic. 1104E, 1106F (che ne cita solo l'inizio); Stob. III 16, 29 (p. 488 Hense); Apostol. V 30c e Arsen. XIV 67 (= CPG II 341). 22 Gnom. Vat. 410 Sternbach. Per il mosaico di Autun, vedi infra, pp. 277-279.
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ASPETTI DELLA TRADIZIONE 'GNOMOLOGICA' EPICUREA
Epicuro e Metrodoro su mosaico
Due pannelli di un pavimento a mosaico (sec. II d.C.) scoperti a più riprese (tra il 1965 e il 1990) nelle rovine di una villa romana a Autun (Augustodunum), 23 raffigurano Epicuro e Metrodoro inquadrati ciascuno in una iscrizione anch'essa musiva. Il ritratto di Epicuro circondato dal testo della MC V, quello di Metrodoro dal testo della SV 14.24 Questa scoperta ha riproposto il problema della paternità della SV 1425 e ha gettato nuova luce sulla constitutio textus della medesima sentenza e della MC 1. 26 Poiché la discussione sul papiro di Berlino è restata aperta, comincio con la SV 14:27 γεy~ να ιεν ~παξ, 5ì; 58 ivκ ~ ΣΤι γενεσθαι• δεî δ~~τ~ν α~~να Μη1~τι ε~ναι. Σv δ~~ονκ ~ν τ~ ς α ~ρtον κ~ ρwς ~ναβ~λλΙ3 Τ~~χα~~σΝ ~~δ~~β~ ος µελλησµι παραπ ~ λλνται κα ì εi ς Καστoς ~ µ1 1~ σχολο-µεΝος~ποθΝ~ σΙε~~ ~ τι εινα om. Autun II τ~~χαιρον ~ναβ~ λλη Autun : ~ . τ. δεî 8è τ~ ν αι ~να µηκ χ. Beni: ä. τ~ ν καιρ~ ν Stobaeus II καì εiς εκαστος ~ µ ~ν ασχολov µενος~ ποθν~ σκει om. Beni
Si nasce una volta sola, nascere due volte non è concesso, e dobbiamo non esser più per l'eternità; tu, che pur non sei padrone del domani, differisci la gioia, ma la vita si consuma nell'indugio e ciascuno di noi muore affaccendato. 23 La storia degli scavi e una descrizione delle scoperte nel Catalogo Métrodore un philosophe, une mosaïque, pubblicato dalla Ville d'Autun nel 1992 e nell'articolo di M. BLANCΗΑRD-LEM~E e Α. BLANCHARD, Épicure dans une anthologie sur mosaïque 'i Autun, «CRAI», 1993, pp. 969-984. 24 Su un terzo pannello è raffigurato il poeta Anacreonte, del quale sono riprodotti i versi che corrispondono al fr. 38 Gentili (= 396 Page) e una redazione pi~~completa del fr. 49 Gentili (= 429 Page). Cfr. M. e A. BLANCHARD, La mosaïque d'Αnacréοn à Autun, «REA», LXXV, 1973, pp. 268-279 e tavv. XI-XII. 25 A. BLANCHARD, Epicure `Sentence Vaticane' 14: Épicure ou Métrodore?, «REG», CIV, 1991, pp. 394-409. Solo un accenno al problema in BOUQUTAUX-SIMON - RUTTEN, CPF 1.1**, p. 161. 26 MC V: A. BLANCHAED, in BLANCHARD-LEMÉE e BLANCHARD, Épicure dans une anthologie sur mosaïque, cit. (supra, n. 23), pp. 972-976 — SV 14: BLANCHARD, Épicure 'Sentence Vaticane' 14, cit. (supra, n. 25), pp. 398-399; M. GIGANTE, Quel che Aristippe non aveva detto, in La tradizione socratica, Napoli, Bibliopolis 1995 («Memorie dell'Istituto Italiano per gli Studi Filosofici», 25), pp. 48-51; ID. «CErc», XXV ΙΙ, 1997, p. 151; G. BURZACCHIII, Epicuro, Sent. Vat. 14, «Eikasmos», V, 1994, pp. 187-188. Vedi anche BOuQUΙAUX-SIMON e RUTTEN, CPF I.1**, pp. 160-161. Marcovich non tiene conto del contributo né del papiro di Berlino (= Berol) n6 del mosaico di Autun (= Autun). 27 Propongo il testo della sentenza accompagnato da un breve apparato limitato alle varianti che intendo discutere in rapporto alla testimonianza del papiro di Berlino e del mosaico di Autun. Il testo corrisponde a quello difeso da Burzacchini.
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L'omissione della frase δεî 88 τ~ν αι~να Μηκ~ τι 61ναι nel mosaico di Autun è spiegata da Blanchard, col confronto anche del papiro di Berlino (che tralascia la frase finale), supponendo la soppressione volontaria di questa `formula scandalosa' che escludeva ogni forma di vita nell'aldilà e che rischiava di rattristare coloro che frequentavano la sala di ricevimento sul cui pavimento la massima era iscritta. 28 Il papiro e íI mosaico appoggiano la lezione τ~~χα ρoν ( comune anche allo Gnomologium Vaticanum) invece di τ~ν καιρ ~ν ( Stobeο).29 Nel papiro, per ragioni di spazio, la massima non poteva contenere la fine ~ν ádel testo che conosciamo da altre fonti ( καi 61; εκαστo; ~ µ σχολovµενοςäποθν~ σκει). Una `variante' che Bouquiaux-Simon e Rutten giustificano così: «Il testo possiede, indipendentemente da questo "élargissement final" (J. Bollack) un senso compiuto. Un compilatore d'antologia può dunque aver giudicato inutile l'ultima frase». 30 Nel mosaico, la sentenza è `firmata' Metrodoro. Fino alla scoperta del nuovo documento, la critica era propensa a restituire la sentenza a Epicuro sulla base dell'autorità di Plutarco e di Stobeo, trascurando l'attribuzione a Metrodoro dello Gnomologio Vaticano 743 in quanto testimone recentior. La paternità di Metrodoro è difesa da Blanchard." La maggiore difficoltà consiste, a dire dello studioso, nello spiegare perché Plutarco ascriva la massima a Epicuro. È difficile pensare che Plutarco si sia sbagliato. La «solution de synthèse» di Blanchard quella di vedere nella prima frase «une citation d'Épicure par Métrodore» (p. 406), come nel caso della Lettera di Metrodoro a Pitocle conservata dal PBerol mv. 13639, la cui ultima frase altro non è che una `citazione' di Epicuro richiamata da Metrodoro a conclusione della sua lettera al giovane discepolo. 32 Nel caso della SV 14, conclude Blanchard, «St οbée – ou sa source – aura été influencé par Plutarque ou un autre témoin de la formule d'Épicure et il aura attribué, tort, l'ensemble de la sentence de Métrod οre à Epicure» (p. 406).
28 BLANCHARD, in Mitrodore un philosophe, une mosaïque, cit. (supra, n. 23), p. 52. Cfr. anche BLANCHARD, Épicure `Sentence Vaticane' 14, cit. (supra, n. 25), pp. 399 e 406-
407.
29 Cfr. BLANCHARD, Épicure `Sentence Vaticane' 14, cit. (supra, n. 25), pp. 398 399 e ΙD., in Mitrodore un philosophe, une mosaïque, cit. (supra, n. 23), p. 52; BOUQUTAUX SIµ Oν RUTTEN, in CPF I.1**, pp. 160 161. Dubita della genuinità della lezione τ~~χαî ρον GIGANTE, Quel che Aristippe non aveva detto, cit. (supra, n. 26), pp. 49 51 a partire dal confronto con l'Ode I 11 di Orazio (ma vedi le giuste riserve di BURZACCHINI, Epicuro, Sent. Vat. 14, cit. (supra, n. 26), p. 188, n. 8). 30 BOUQUTAUX-SIMON - RUTTEN, in CPF I.1**, p. 161. 31 BLANCHARD, Épicure `Sentence Vaticane' 14, cit. (nota 25, supra), pp. 406-407. 32 Supra, p. 275. -
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ASPETTI DELLA TRADIZIONE `GNOMOLOGICA EPICUREA Questa ipotesi mi appare convincente. Più cauto sarei semmai per il corollario: fu forse Stobeo (o la sua fonte) che introdusse «à cette occasion dans le texte de la sentence de Métrodore qui ne la comportait pas la petite phrase qu'il trouvait chez Plutarque et dont nous avons remarque l'absence — qui serait alors parfaitement justifiée — dans la mosaïque d'Autun» (p. 407). La decifrazione del testo della MC V su un secondo pannello musivo di Autun è stata assai laboriosa. 33 La ricostruzione del dettato della massima nella `tradizione' del mosaico resta ancora, in qualche punto, incerta a causa del pessimo stato di conservazione del reperto. Questo il testo stabilito da Blanchard: 34 [ο~κ ~ στιν ~ ]δ~ως ζ[~ν ~νευ mov Ι ρο]νι jλως κ[α] ì 1[αλ~ς καì ì κ]α ~ [λ~ς καì &&κα]ιω[ς ~νε]υ ~~ [τov &&]και ~ [ως o]v δ~~φρο[ν] í[µως κα Ι ~ δ~ ως] Non è possibile vivere felicemente senza vivere saggiamente, bene e giustamente, né vivere saggiamente e bene e giustamente senza vivere felicemente.
La massima era già nota da diverse fonti: Cicerone, Seneca, Plutarco, Diogene di Enoanda, Diogene Laerzio e lo Gnomologium Vaticanum. 35 Il mosaico di Autun conferma, insieme con l'iscrizione di Enoanda, 36 la validità delle congetture dí Estienne e Gassendi per sanare due evidenti corruttele nei due luoghi di Diogene Laerziο. 37 In entrambi i casi, i manoscritti di Diogene Laerzio omettono (per facile `saut du même au même') la frase ο~ δ~~φρον~µωςκαì καλ~ ς καì διì καλ~ς καì καιως dopo il primo δικα~ ως. La frase ovδ~~φρον~ µως κα nella redazione della SV 5 • 38 δικα~ ως ~ νευ 'ov ~ δ~ ως manca anche mosaico sono di aiuto per Purtroppo, né Diogene di Enoanda né il δ~~ della seconda parte della MC V (öτ0 risolvere il problema testuale
33
BLANCHARD,
in BLANCHARD-LEMÉE e BLANCHARD, Épicure dans une anthologie sur
mosaique, cit. (supra, n. 23), pp.
972-973.
in BLANCHARD LEMÉE e BLANCHARD, Épicure dans une anthologie sur mosaique, cit. (supra, n. 23), p. 974. 35 Cic. De fin. 118, 57 e Cassius, ap. Cic. Ad fam. XV 19, 2; Sen. De vita beata VII 1; Plut. Suai. vii. Epic. 1087C; Díog. Oen. fr. 37 Smith; Díog. Laert. X 132 (Ep. ad Menoec.) e 140 (MC V) e SV 5. Cfr. BLANCHARD, in BLANCHARD-LEMÉE e BLANCHARD, Épicure dans une anthologie sur mosaïque, cit. (supra, n. 23), p. 975. 36 SMITH, Quotations of Epicurus, cit. (supra, n. 2), p. 191. 37 BLANCHARD, in BLANCHARD LEMÉE e BLANCHARD, Épicure dans une anthologie sur mosaique, cit. (supra, n. 23), p. 975 sg. 38 Il testo dei manoscritti di Diogene è difeso da J. BOLLACi, La pensée du plaisir. Épicure: Textes moraux, commentaires, Paris, Seuil 1975, p. 251. 34
BLANCHARD,
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το~ το ~~~iτ~pχει o ζ φρον~ µως. και καλ ~ ς και δικα ~ ως νπ~ ρχει, ο~κ ~~ » το~τον ~δ~ ως ζ~ν) perduta a Enoanda e forse omessa a Autun. La frase ο~~ζ ρον~ µως.καì καλ~ς καì δικα~ ως νπ~ ρχει
sicuramente corrotta. Von der Miihll la soppresse nella sua t οtalità;39 Bollack si limita a espungere il solo ~rc~pχει. 40 Uno `Gnomologio' epicureo su marmo
Resti di uno `gnomologio' latino in assai cattivo stato di conservazione venne scoperto nel 1932 da Roberto Paribeni su una iscrizione della chiesa della Badia Greca di Gr οttaferrata. 41 La lastra dí marmo (cm 72 x34), databile tra la fine del I e l'inizio del II sec. d.C., forata da otto fori a scalpello, era stata reimpiegata per chiudere una finestra della navata centrale della chiesa. Mancano í margini superiore, destro e inferiore. Dopo la pubblicazione sommaria del Paribení, 42 l'iscrizione attirò l'attenzione del Sabbadíní43 e soprattutto dell'Ussani 44 al quale si deve il tentativo dí ricostruzione di ampie porzioni del testo nonché l'identificazione del contenuto come epicureo. A quanto sembra, se si esclude un accenno di Arrighetti, l'iscrizione è caduta nell'oblio. 45 Mi sembrato pertanto utile riproporne il testo tenendo conto degli interventi di Paribeni, Sabbadini e Ussani. Ho aggiunto un apparato critico-esegetico (fondato sulle note di Ussani) e una traduzione (anch'essa largamente ispirata alla parafrasi dí Ussani). 46
39 Cfr. E. BIGNONE, Studi critici sulle Kúpic" &gg ιxm e sopra la «Vita» di Epicuro, «Aegyptus», XIII, 1933, pp. 419 428. 40 BOLLACK, La pensée du plaisir, cit. (supra, n. 38), pp. 251 253. 41 Tracce di massime epicuree sono state ravvisate anche in alcuni graffiti. Le formule più frequenti sono: non fui, fui, non sum, non desidero (ΙLS 8162); non fui, fui, memini, non sum, non curo (ΙLS 8163) e non fueram, non sum, nescio, non ad me pertin(et) (ILS 8165). Si tratta di `volgarizzazioni' del genuino pensiero epicureo quale conosciuto dalla MC II, dalla SV 14 e dal fr. 204 Usener. Cfr. J.-M. ANDRÉ, Les écoles philosophiques aux deux premiers siècles de l'Empire, ANRW, II 36.1, 1987, p. 42, n. 355 e soprattutto J. FERGUSON, Epicureanism under the Roman Empire, ibid., II 36.4, 1990, pp. 2297 2298. 42 R. PARJBENI, «Not. Scavi», VIII, 1932, pp. 117-119 (tav. p. 117 f.t.). 43 R. SABBADINI, «BFC», XXXIV, 1932, pp. 171-172. 44 V. USSANI, Il fl orilegio di Grottaferrata, «RAL», VI s., X, 1934, pp. 388-393 (tav. p. 388 f.t.). 45 G. ARRIGHETTI, Epicuro. Opere, Torino, Einaudi 1973 2 («Biblioteca di cultura filosofica», 41), p. 556. Æ6 Ho verificato l'iscrizione sulle due fotografie disponibili. Il testo è spesso congetturale. Alla 1. 14, p. es., aureo di Ussani è buono per il senso, ma corto per lo spazio. Una revisione dell'originale potra forse migliorare singoli passaggi. Sigle: v = vacat. -
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ASPETTI DELLA TRADIZIONE `GNOMOLOGICA' EPICUREA
L'inizio delle singole massime è indicato, nell'iscrizione, o con uno
spatium vacuum (rr. 12, 17, 20, 27, 31, 34, 35) o, se al principio della línea, da una ekthesis (rr. 11, 18, 25. Col. II rr. 4, 11, 16, 21-24, 27,
29, 33-34).
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[ ± 16 le diligenter cayeto ne cui quid deminuas, s [i] tute minus accipias, neglegentius [id feras na]rn boni aequique stateram ± 8 ca]utiorem esse[ oport]et [ [ ± 12 ]quequa[ [ ± 12 ]evita.[ [ ± 12 ]parab[ fact[a et] dicta tua laudern [ pudica ?] verecundiae atq(ue) aetati apponant. satius est multum esse quam multum b[ibe]re v de crabatto virum bonum [ ± 5 stre]nuum surge[re qualm [in aurato] lecto n[ullam rem ?] [ ±12 ]males[ [ ± 16 q] uam in cu [bili cul Ta sol[licit]á.ri v mores bonis artibus quam domum supellectile ornatiorem habere oportet v non cono[.. ma]ledictum [ ± 7 ] ferre leviter [ ± 10 ]e [cuivis maledici po[test ± 4 1m ]usma[ ]n [ ± 13 ] peccato .[ ]. est [ ± 13 na[m quae vera infamia est non [t]am ob dicta a]liorum quam ob sua delicta poenitur v at si cui falso maledictum est, plerumque veris factis superávit [ ± 11 lest sine bo.[ ± 10 ]ne [ ± 10 ]quam 9.[ [ ± 10 ]sse v n[am fieri potest [ut tam te c]onsciu[m tuo peccato fece[rit qualm si tuo peccato tute conscius sis v fornatus modestus infortunatus fortis esto v ius[...]....[
.. [ n. [ a. [ am[ .[ m.[ ta[ am[ νο[ bo[ quo[ n[ 1[ d[ d[ lo[ .
a[ m.[ xnul[ pavi.[ ni[ do[ sati. [ .[ s9.[ .[
..[ pe[ Π. [
3 Sab(badini) : sin] autem Pa(ribeni) II 4 5 Uss(ani) coll. Pers. IV 10-11 (Scis etenim iustum gemina suspendere lance 1 anclpitis librae) et symbolum illud pythagori-
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cum τ~~ζυγ~ ν µ ~~úπερβαινεww i.e. τ~~δíκςυον κ ~. {σον Μ~~úπερβαívειν (ap. Díog. Laert. VIII 17) II 6 usq]uequa[que Uss II 7 evita[b.] vel d]evita[b.] Uss II 9 Uss : faci[to ut] Sab : fac [ut] Par II laudem [ pudica ?] Uss : laudi Sab : laudeEnt Par II 12-13 Uss II 13-14 ex. gr. Uss. (14 curato conieci : aureo Uss spatio brevíor) coli. Epic. fr. 207* Us. (= 126 Arrighetti) κρε1ττον δ~~σοι θαρρεîv ~Πì στιΠ~ δος κaτaκει ι~ν ταρ ~ττεσθαι χροσ~ν ~χoντι κλívην xαι πολυτελ~~τρ ~πεζαν. De crabatto (1. grabatto), vid. Sen. Ad Luc. 20, 9 Magnificentior, mihi crede, sermo tuus in grabatto videbitur et in panno; non enim dicentur tantum illa sed probabuntur (Epic. fr. 206 Us. = 125 Arrighetti) II 16 Uss II 20 Par II 20-22 Vid. Sen. De const. sap. 16, 1 iniurias tolerabiles esse sapienti (Epic. fr. 585 Us.) II 22 Uss II 25 Uss coll. Sen. Ad Luc. 28, 9 Initium est salutis notitia peccati (Epic. fr. 522 Us. = 224 Arrighetti) : Na[m si qua in]famia Sab : a... quae ín]famia Par II [dam Par II 26 Sab : d[elicta a]liorum Par II 27 poenitur Sab : ponitur Par II 28 superavit Uss : se purgavit Sab : s....avit Par II 3134 Uss ex. gr. II 33 peccato Par II 34 fortunatus Par II 36 legi II II 1-6, 7-8 legi II 21 legi : e Par II 22-25, 27-30, 32 iegi
[...] fa' scrupolosamente attenzione a dare a ciascuno quello che gli spetta, ma se tu riceverai meno non dare troppa importanza a ciò, poiché bisogna che la bilancia del buono e del giusto sia ben guardinga [...] (9) Le tue azioni e le tue parole procurino lode [con il loro riserbo ?] alla tua modestia e alla tua età. È preferibile mangiare molto che bere molto. L'uomo virtuoso si levi operoso da un giaciglio piuttosto che [poltrire ?] in un letto [dorato ?]. Bisogna che la tua condotta di vita sia adorna più di buone conoscenze che una casa di suppellettile. [...] (25) Poiché la vera infamia non tanto quella di essere puniti per cíò che dicono gli altri, ma per le proprie mancanze. Ma se si è detto male di qualcuno a torto, il píù delle volte (costui) prese il sopravvento con le vere azioni [...] (31) Poiché egli poté renderti cosciente della tua colpa come se tu stesso ne fossi divenuto cosciente. Iella buona sorte sii moderato, nella cattiva forte [...].
La lastra marmorea di Grottaferrata, conclude l'Ussani, conserva resti di uno «gnomologio non alieno dalla latinità di Cicerone, conforme alla reazione classicheggiante dell'età del Flavii e di Traiano, e da espressioni che possono presentare riscontri con altre scuole, ma [...] sostanzialmente epicureo, composto da un seguace del maestro, le cui esclamationes [sic] (προσφων~σεις) del resto, così come quelle del suo discepolo Metrodoro, erano in voga a quel tempo, e troviamo raccomandate anche dal severo autore del dialogo De oratoribus (31, 6) allo studio di ch i coltiva l'eloquenza» (p. 393). Il colorito `epicureo' è evidente, ma si tratta, a mio avviso, di un epicureismo alquanto diluito. Miscellanea codicologica
Pochi mesi dopo la scoperta nel Vaticanus gr. 1950 dello Gnomologium Vaticanum e la sua pubblicazione, l'Usener poteva, su segna- 282 —
ASPETTI DELLA TRADIZIONE `GNOMOLOGICA EPICUREA
lazione di Maximilian Treu (Breslau) e Gustav Heylbut (Hamburg), comunicare la presenza di materiale `gnomologico' epicureo inedito in altri due codici: il Palat. gr. 129 (sec. XIV) della Biblioteca Universitaria di Heidelberg e il Vatic. gr. 952 (sec. XIV). 47 Al f. 23r rr. 9-14 del Palat. gr. 129 48 sono trascritte sei massime attribuite a Epicuro. Questo il testo edito da Usener: 49 π~ σΙ 8αν~ σιµον yεκ~ χvτςι τ~~τ~ ς γεν~ σεως Ο~ ρµακον πρ~ ς µεν ~τλλα, δυνατ~ ν (δ~νατον cod.) ~ σφ~ λειαν πoρισασθαι• χ~ ριν δε θαν~του π~ λιν ~ τειχrnτoν oi κουµεν ~ νoυ ~ λλον στρεβλουµενος,~~στρεβλoυµ ~ λγεî µ ~ν ~~σoφ~ ς ου µ του 4 ~ λου ο~ δ~ ν ικαν ~ ν ~~~ λιyον τ~~.καν~ ν ~µειρακιειαν κατ ~~(µυρακιειαν καιcod.) τ~ν εν λ~ γοις ε~ ρυθµ oµ ~νη µεγ ~ λων στερισκεται αν παρ ~τητ~ ον. µικρ ~~y~ ρ θαυµαζ οι κ~ λακες, τ~ χης ευηµερ o υσης δι~ κονοι Α tutti fin dalla nascita è versato il veleno della morte Contro ogni altra cosa è possibile procurarsi sicurezza, ma a causa della morte abitiamo una città senza mura Il sapiente messo alla tortura non soffre píù che se è messo alla tortura l'amico Niente è sufficiente a ch i il sufficiente è poco Si rigetti una puerile ricerca dell'euritmia nello stile; apprezzando infatti cose di poco valore si lasciano sfuggire quelle importanti Ministri di prospera fortuna, gli adulatori.
All'Usener non sfuggi che le prime quattro sentenze corrispondevano (in una forma abbreviata) alle SV 30, 31, 56, 68 e che la loro successione è la stessa nelle due raccolte. Ancora più importante gli apparve comunque il fatto che le prime due massime, note anche da
47 H. USENER, Epikurische Spruchsammlung. II., «WS», XII, 1890, pp. 1-4 (= Kleine Schriften, I, cit. [supra, n. 1], pp. 322-325). Il testo delle ultime due sentenze è riproposto da MARCOVICH, Diogenes Laertius, cit. (supra, n. 2), p. 826. 48 Codice miscellaneo scritto di mano di Niceforo Gregors (ca. 1293-1361). Per uno studio del manoscritto e del suo contenuto, cfr. A. BIEDL, Der Heidelberger cod. Pal. gr. 129 die Notizensammlung eines byzantinischen Geleherten, «WJA», III, 1948, pp. 100106 e ID., Das grosse Exzerpt Φ, Città del Vaticano, Biblioteca Apostolica Vaticana 1955 —
(«Studi e Testi», 184), pp. 83-85 e 104-106. Per gli autografi di Niceforo Gregors, mi limito a rimandare all'articolo recente di M. MENCHELLI, Appunti su manoscritti di Platone,
Aristide e Dione di Prusa della prima età dei Paleologi. Tra Teodoro Metochite e Niceforo Gregors, «SCI», XLVII, 2000, pp. 141 208. 49 USENER, Epikurische Spruchsammlung. II., cit. (supra, n. 47), p. 2 (= Kleine Schriften, I, cit. [supra, n. 1], p. 323). -
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TIZIANO DORANDI
altre fonti, sono probabilmente frammenti di Metrod οrο.50 Ne traeva dunque come conseguenza che l'attribuzione di queste parole di Metrodoro a Epicuro trovava «con sicurezza» la sua origine in una raccolta di estratti delle Lettere di Epicuro e degli altri fondatori del Giardino, raccolta che risaliva a un'epoca posteriore allo St οbeο. 51 La recensione delle sentenze 2 e 3 del codice Palatino presenta qualche variante rispetto a quella delle SV 31 e 56. 52 Particolarmente interessante è il caso della Sent. 3 (= SV 56): il Vaticano è affetto da ~ λλον στρεβλο vµενος una lacuna evidente ä λγεî µ ν ~~σοφ~ ς ο~~ µ τ~ν φ~λοΙ. Nella redazione del codice Palatino leggiamo ä λγεî µ ~ν ~~ ~ λλον στρεβλοvµενος,i' στρεβλουµ ~ νιυ Τov φíλον. Nonσοφ~ ς σ~~ µ ostante questa novità testuale, Usener preferiva mantenere la sua precedente congettura στρεβλοvµενος τ~ν φíλον (lo segue Bailey). A partire dalla testimonianza del Palatino, Von der Μ~h11 (seguito da Marcovich) ha invece così corretto il testo della SV 56: στρεβλοvµενος τον φíλον. Bignone (seguito da Arrighetti) è stato più audace unendo insieme le SV 56 e 57 e congetturando στρεβλονµενος τ~ν φíλον ~~β~ος α~το~~κτλ. Le due sentenze sono unite anche nell'edizione di Bailey e di Marcovich, che congettura < ε~~δ8 äδικ~ σεται vπ' αντον> dopo φíλον, rimaneggiando una suggestione di Bailey (< ε~~δ8 ä δικ~ σει cïτ~ν> ~~φ~λος). Bollack distingue le due sentenze e non interviene sul testo.53 Le ultime due massime restano sconosciute, ma non ci sono motivi per dubitare della loro matrice `epicurea'. Usener rinvia per il contenuto della Sent. 5 al fr. 53 degli Epicurea (= 20, 4 Arrighetti); o ~σα della Sent. 6 cita il fr. 488 (= 201 Arrighetti): per la τ~χη εYηµερ ~ µασιν~χαυν~θη, Ταîς 58 συµφο ~~Ταπειν~~Ψυχ~~ΤΟîς µ ~ ν εvηµερ ρα~~καθηρΥ001. 54 50 Come tali vennero pubblicate, su segnalazione dell'Usener, da A. KOERTE nella raccolta Metrodori Epicurei Fragmenta, «JKPh», Suppl. XVΙΙ, 1890, p. 562 (Sent. 1 = ad fr. 51; Sent. 2 = ad fr. 52). La fortuna della Sent. 2, conosciuta anche da Teodoro Metochite (che l'attribuisce a Epicuro), è indagata da Μ. GIGANTE, Ricerche Filodemee, Napoli, Macchiaroli 1983 2 , pp. 194-197. Non sari inopportuno ricordare che Niceforo Gregory fu di scepolo del Metochite.
5ι USENER, Epikurische Spruchsammlung. II., cit. (supra, n. 47), p. 2 (= Kleine Schriften, I, cit. [supra, n. 1], p. 323). 52 USENER, Epikurische Spruchsammlung. 77., cit. (supra, n. 47), pp. 2 3 (= Kleine Schriften, I, cit. [supra, n. 1], pp. 323 324). 53 BOLLACK, La pensée du plaisir, cit. (supra, n. 38), pp. 518 521. 54 USENER, Epikurische Spruchsammlung. II., cit. (supra, n. 47), p. 3 (= Kleine Schriften, I, cit. [supra, n. 1], p. 324). -
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ASPETTI DELLA TRADIZIONE GNOMOLOGICA EPICUREA
Tra le 65 sentenze copiate nei fogli 80`-124° del Vatic. gr. 952, Usener indaga la decima (f. 911) con il nome di Ερicuro: 55 'Επικουρoς ~~φιλ~ σοφος íδ~ν ποτ~~ππΙα vπ~~πΤ~Ν~Ν &&ασπ~ΜεΝOΝ ~ ν ειρ~κεu ~ δi OÚχ Ëξει τ~ν )1'1\7 καì θηρ~ ων αiµοβ ~ ρων καì alµοχαρ ~ ριον äφ ' ς ~ΥεΥ~Νε1, äλλ~~κοιλ~ας ~ ρν~ ων καì θηρ~ων Il filosofo Epicuro avendo visto una volta un tale dilaniato da uccelli e da fiere che si nutrono di sangue e che godono del sangue disse: Costui non avrà come tomba la terra genitrice, ma ventri di uccelli e di fiere.
Usener scorse in questa sentenza «insipida e fiacca» traccia dell'ostilità di Epicuro nei confronti del disprezzo mostrato da Teodoro l'Ateo verso la tradizione sepolcrale. Più di recente, Anna Angeli l'ha studiata in relazione con il titolo περì παροιµι ~ν καì τ~ν ~ µοιωνche Filodemo attribuisce al suo maestro Zenone Sidonio. 56 La Angeli ha richiamato l'attenzione sull'interesse `paremiografico' dei primi Epicurei e ha sottolineato come Zenone, continuatore di questa tradizione epicurea, «si accostò all'indagine sulle πcροιµ ~ αι insieme a quelle sulle forme affini, inserendo l'Epicureismo in una tradizione paremiografica coltivata soprattutto dal Peripato» (p. 287). Il suo scritto Sui proverbi «costituisce molto probabilmente la fonte cui Filodemo attinge numerose forme proverbiali disseminate nelle sue opere» (p. 288). La massima del codice Vaticano può aiutare a spiegare la punta polemica del trattato zenoniano: «A1 di là della problematica individuazione della scuola filosofica contro cui si rivolge la sentenza, questa dimostra come il rielaborare in forma di proverbi e sentenze popolari, principi etici potesse dar facile adito a polemiche tra scuole filosofiche, nelle quali l'ironia ed il beffeggiamento divenivano accentuati e giustificati dallo stesso genere letterario» (p. 98). Gli «Epicurea» dello Ps.Massimo Confessore
Un progresso nella ricostruzione dell'albero `genealogico' delle massime `epicuree' nella tradizione degli gnomologi bizantini è stato fatto
s5 USENER, Epikurische Spruchsammlung. II., cit. (supra, n. 47), pp. 3 4 (= Kleine Schriften, I, cit. [supra, n. 1], pp. 324-325). 56 A. ANGELI, ín A. ANGELI - M. COLAIZZO, I frammenti di Zenone Sidonio, «CErc», IX, 1979, pp. 97-98 e EAD., Filodemo. Agli amici di scuola, Napoli, Biblíopolis 1988 («La Scuola di Epicuro», VII), pp. 286-288. Il titolo è citato da Filodemo, Ad contubernales (PHerc. 1005), col. X 17-18 Angeli. -
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grazie alla prima edizione critica, curata da Sibylle Ihm, 57 della redazione U del Florilegio dello Ps.Massimo Confessore. 58 Lo Ps.Massimo conserva dieci massime attribuite a Epicuro, tre a Metrodoro e tre a Polien ο. 59 Tutte le massime erano già note da altre fonti e pubblicate, all'eccezione di una, nelle raccolte dei frammenti di Epicuro e dei suoi due discepoli. 60 Mi sono esclusivamente soffermato sulle sentenze attribuite a Ρoheno. La loro analisi mi ha consentito non solo il recupero di un frammento mancante nell'edizione della Tepedino, 61 ma anche l'individuazione di un altro falsamente assegnato all'Epicureo. Comincio col registrare le tre sentenze che lo Ps.Massimo attribuisce a Polieno. Le prime due si ritrovano nella collezione della Tepedino: 36.23./43.25 62 (p. 694 = fr. 25 Tepedino) παρ~ ντα τε '~yε µ ~ τε ~πα~νεΓ• τ~~ µ ~ ν ya ρ ~ χ8ραν φ~ ρει, τ~~ 88 κολακειαν Non vituperare né lodare chi è presente, perche il vituperio apporta inimicizia, la lode apporta adulazione. 65.32./36.36 (p. 961 = fr. 24 Tepedínο) 63
~Πì τOîς ~πΙθΝ~ σΚovσι Μ~~λΥπΙ ~ · ~ναyκα~oν y~ ρ ~λλ' ~πì
τοî ς
αi σχρ ~ς τελεντ~σι
57 S. Iηµ, Ps. -Maximus Confessor. Erste kritische Edition einer Redaktion des sacro-profanen Florilegiums Loci communes, Stuttgart, Steiner 2001 («Palingenesia», 73). Non ho avuto accesso all'edizione della recensione I (MaxI) del medesimo Florilegio curata da É. SARGOLOGOS, Florilège sacro-profane du Pseudo-Maxime, Hermoupolis -Syros, Typokyladiki
2001.
58 Del Florilegio sacro-profano in 71 capitoli intitolato Loci communes e falsamente attribuito a Massimo Confessore, restano tre recensioni: una recensione breve ( ΜαχΙ), una più lunga (ΜαχΙI) e una recensione abbreviata di MaxII nella quale í capitoli sono stati riorganizzati (MaxU: U = Umstellung, `trasposizione'). Ihm pubblica MaxU, ma grazie ai suoi minuziosi e accurati apparati è possibile avere un'idea, se non addirittura recuperare per intero, anche il testo di MaxI e MaxII. MaxI e MaxII derivano indipendentemente da un modello comune che Ihm denomina 'Ur-Maximus'. Il terminus post quem per `Ur-Maximus' è il 650, per laxI il X sec., per laxII la fine del IX o inizi del X sec., per MaxU la fine del X sec. 59 Un elenco di tutti í passi nell'indice degli autori profani della Ihm, s.v. Epic(urus), Metrod(orus) e Polyaen(us). 6 ο I riferimenti alle edizioni moderne sono segnalati negli apparati ad lbc. della Ihm. 61 A. ΤΕΡΕDINO GUERRA, Polieno. Frammenti, Napoli, Bibliopolis 1991 («La Scuola di Epicuro», XI). La traduzione dei frammenti di Polieno è quella de ll a Tepedino. 62 Per una spiegazione de ll a maniera di citare í Loci communes, vedi l'introduzione dell a Iim, op. cit. (supra, n. 57), pp. cv-cvuτ. 63 L'attribuzione di questa sentenza all'epicureo Polieno non è unanime. In MaxU, la
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ASPETTI DELLA TRADIZIONE `GNOMOLOGICA' EPICUREA
Non affliggerti per chi muore, perché la morte è una necessità, ma per
chi pone fine a una vita vergognosa.
La terza è sfuggita alla Tepedino: 6.87./122 (p. 147) 64
~ λλoν τ~~Σασδσω ~ν πλ~ ον ε~ερyετ~ σ13 Τ~ν φιλον, Τοσο~Τ(9 µ Τo~~συµφ ~ ρον πο~~ Σε~ · αντεΠισΤΡεφεΙ 001) π ~λΙ» ε~ ς ~Μ~ ς ~~ ~ξ 8 κεινων ε~νοια
Quanto più beneficerai l'amico, tanto più farai il tuo proprio interesse. La loro benevolenza si ritornerà verso noi. Se questa sentenza manca, un'altra allotria si legge come fr. 26:
55.24./62.29 (p. 877). ~ ζω ~ θος ~ ρχε'αι λ~ν απ~~µικρ ~ ν, αµελο ~ µενον δ8 ~τν lσχυν µε λαµβ ~ νει L'abitudine prende inizio da piccole cose, ma trascurata prende forza.
La paternità di Polieno è evidente, ma dobbiamo chiederci: quale Polieno? Α partire dal confronto con Stobeo (IV 1, 53, p. 17 Hense) che ne conserva una versione ampliata accompagnata dal lemma ~κ τov Πoλυαινου 'ΥπY ρ τσ v κοινο~~τ~ν Μακεδ~νων, Jacoby (FGrHist 639 F 5) aveva correttamente assegnato questa massima allo storico del II sec. d.C. Polieno di Macedonia, conosciuto come autore di un trattato sulla strategia ( Στρατηy~µ ceα). 65 Nel caso in cui si accetti la scelta della Tepedino, perché non raccogliere allora tra í frammenti dell'Epicureo anche l'altra massima attribuita a un Polieno nei Loci communes (22.32./37, p. 527), che Stobeo (IV 1, 41, p. 12 Hense) tramanda con il lemma Πολυαινoσ εν τιδ 'Υτ~ ρ τo~~σσνεδρ íoυ e che Jacoby assegna all'omonimo storico di Macedonia (FGrHist 639 F 4)?
sentenza ha come lemma Polibio ( Πολυβ~ου). Il nome di Polieno ( Πολυαινου) si ritrova in MaxI e in una parte della tradizione di MaxII ( πολνα~νον CVFH : πολυβíoυ A). La paternità di Polieno è confermata anche da Stobeo IV 56, 31 (p. 1130 HEISE) e dal Corpus Parisinum (a), Par. gr. 1168 (sec. XIV), f. 119g 1-3. La massima è invece trasmessa anonima dal PSI 120 col. III 29-31 (sec. II a.C.), un papiro che conserva una collezione di ventotto sentenze strettamente collegate con la tradizione dei Sette sapienti (vedi l'intervento di Maria Serena Funghi in questo volume, pp. 369-401). La Tepedino, Polieno, cit. (supra, n. 61), pp. 169-170, che conosce solo la recensione dello Stobeo, ribadisce che il tema della sentenza è tipicamente epicureo (ma vedi le osservazioni della Funghi, p. 398). 6a La massima è conosciuta (con minime varianti) anche dal Violetum di Arsenio (p. 417 Walz). Segnalo che nel manoscritto autografo di Arsenio (Par. gr. 3058, f. 3110 l' υltimα parola della sentenza è εvvoιa (come nello Ps.Max) e non ~ννοια ( come stampa Walz). 65 Cfr. K. MEISTER, Pu yainos [4], DIP X, 2001, coli. 40-41 (con ulteriore bibliografia).
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TIZIANO DORANDI
Conclusioni
Quali conclusioni trarre da questa sommaria esposizione di alcuni momenti della presenza dí Epicuro e degli Epicurei nella tradizione `gnomologica'? Mi limito a una sola osservazione. La scoperta del pannello di Metrodoro a Autun ha riproposto in tutta la sua gravità il problema, comune non solo agli Epicurei, ma anche a tutti gli altri autori e personaggi i cui dicta riemergano nella tradizione 'gnomologica', relativo alla paternità di talune sentenze. Apud istos — scrive Seneca in una Lettera a Lucilio (33, 1) quic—
quid Hermarchus dicit quicquid Metrodorus, ad unum refertur. Omnia quae quisquam in illo contubernio locutus est, unius ductu et auspiciis dicta sunt. «Sceverare il genuino dallo spurio», ammonisce Arrighetti ,
a proposito della tradizione `gnomologica' epicurea, 66 «è naturalmente problema ben arduo, e spesso insolubile, a meno che nuove scoperte non portino in proposito qualche elemento decisivo». Purtroppo la Τ χη non è stata così benevola. È alla soluzione di vecchi problemi legati alla constitutio textus di talune sentenze che le «nuove scoperte» hanno contribuito in misura veramente sostanziale: e non è cosa da poco.
se ARRIGHETTI, Epicuro, cit. (supra,
n. 45), p. 556.
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«GNOMOLOGIA» SIRIACI: UN CENSIMENTO I. UNA PREMESSA
In una pagina dell'ampio scritto che dedica, probabilmente intorno agli anni '50 del IX secolo, alla storia degli igumeni e monaci del grande centro monastico siro-orientale di Bet `Awe, in cui lui stesso aveva ricevuto la propria formazione, li dove traccia la biografia del «beato mar Narsai, vescovo della città di senna», vissuto tra VIII e IX secolo, Tommaso di Marga sottolinea l'osservanza stretta della quiete che questi per un certo tempo aveva praticato. Indotto a ricordare acquisto e dolcezza di quest' "arte", egli allora indugia in una serie di citazioni tese ad accreditarne l'eccellenza. «La quiete del corpo» – scrive – «genera infatti la quiete dell'intelletto, dice il beato Abba Isaia. Nella quiete dell'intelletto e nella custodia del corpo, che s i produce nella preghiera e nella lettura e nel resto della pratica del solitario, l'anima di fatto acquisisce l'unione col Cristo e diviene un solo spirito con lui. Beato chi compie in ciò la sua vita, perché entra in cielo incoronato di corone di luce, com'è detto! La quiete poi non rese grandi e gloriosi (solo) i santi della nuova e i giusti dell'antica (alleanza) – ed essi divennero dei tra gli uomini –, ma anche i filosofi pagani, che (vissero) prima della venuta di nostro Signore e della manifestazione della sua economia, ne furono resi ricchi, nella ricchezza di conoscenze alte e lodevoli, e resero ricchi pure altri. Pitagora, infatti, il maestro dei filosofi, avendo ricavato dalla prova di molto tempo che senza 1'acquietamento del corpo nella reclusione e il silenzio della lingua, (trattenuta) da (ogni) discorso, non si acquisisce la filosofia, comandò a tutti coloro che erano discepoli nelle sue scuole di custodire il silenzio per cinque anni, e che l'accesso a ll a sapienza fosse loro insegnato solo a partire dall'ascolto e dalla vista. E il sapiente Omero, rimasto per molti anni in luoghi desolati, facendo volare i l suo intelletto alla raccolta di conoscenze, pervenne a sottigliezza, che assunse dalla quiete e dal silenzio, e mutò per mezzo di farmaci e fuoco e una fornace piombo in argento e rame in oro e (fece) un'opera di pietre preziose con l'uso di radici, di (cose) comuni e di altri materiali.
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Di Platone invece, che fu il più sapiente di tutti in filosofia e portò il nome (più) i llustre tra gli ateniesi, si dice e scrive che si edificò una ce ll a nel deserto interiore, fuori da ogni insediamento e terra coltivata, e che prese l'alleanza del beato M οsè e meditò il versetto: Ascolta Israele, il Signore, il tuo Dio, il Signore è uno (Dt 6, 4), 1 per tre anni, finché il Dio Signore di tutto vide il suo lavoro e la sua pena e gli diede la sua misericordia e (gli) fece scrivere: II Dio del giudei è (uno) solo per natura e trino nelle ipostasi – ed ecco, questa sua affermazione, sull'uguaglianza di natura e la sua unicità e sulla trinità de ll e ipostasi e le loro proprietà, (si trova) nei libri della chiesa. Di lui poi si dice e scrive anche un'altra (cosa), (cioè) che una volta era intento in una qualche contemplazione delle creature, e (vi) lavorava e (vi) si faceva sottil e ed era in molto lavoro e pena. Quando si distrasse (del tutto) dal suo desiderio e apprese il movimento de ll a sua contemplazione e ricavò persuasione dal di dentro, perché (disse): Davvero ne ho colto (qualcosa)!, restò nella sua gioia per tre notti (e tre) giorni, in silenzio, senza. moto alcuno. il maestro deli medici e dottore degli archiiatri, il filosofo Ippοcrate, con tutta la sapienza che ricevette da ll a quiete e dal silenzio si immerse nella sua mente, pensosamente, nella rissa delle investigazioni, intellettualmente, pervenne (a capire) come il bimbo è nutrito nel ventre di sua madre. se Dio, Signore di tutto, regalava, nel lavoro de ll a profondità de ll a quiete e del silenzio e della mancanza di (rapporti con ogni altro) uomo, la sapienza delle cose che loro premevano a pagani di fuori, che erano lontani dalla conoscenza spirituale, o a motivo de lle loro pene, per renderli gioiosi, per il profitto di altri, quanto più dark non la sapienza del mondo, di cui non hanno avuto premura, ma il regno [...] ai santi, custodi dei suoi comandamenti e seguaci de lla sua volontà, nella fame e nella veglia [...]». 2 Ritengo il versetto vada tradotto così, per consentire la simultanea affermazione dell'unità e della trinità di Dio — quest'ultima allusa tramite la sua triplice, successiva designazione. Cfr. in questo senso, ad esempio, Babai Magni, Liber de unione, ed. A. ΝΑSCHALDE, Parisfis 1915 («CSCO», (t) 79 - (v) 80), qui I.4 (De Trinitate adorando in una '
essentia aeterno; quod aenigmatice in Vetere Testamento lam adumbrata est indicatio hypostaseon) (t) pp. 25 1. 30 — 26 1. 30; (v) pp. 21-22, soprattutto, per la citazione di Dt 6, 4,
(t) p. 26 Υ. 34-24; (v) p. 21 (ricordo che Babai, morto nel 628, è testimone nodale dell'ortodossia siro-orientale, ben noto a Tommaso di Marga, che lo cita pure per la pa rt e che ebbe nelle vicende che portarono alla fondazione del monastero di cui narra la storia). Su lla teologia `trinitaria' di Platone, cfr. almeno una notizia di scuola quale quella tradita da un testo de lla fine del VI secolo, Mar Barhadb"sabba `Arbaya évèque de Hawan (VIe siècle), Cause de la fondation des écoles, A. SCHER éd., Paris 1908 («PO», IV.4), pp. 363-364: «(Platone), pur avendo insegnato rettamente su Dio e avendo parlato del suo Figlio unigenito, che come parola è nato da lui, naturalmente, e dello Spirito di santità, che potenza ipostatica che esce da lui, 1...]». Che filosofi greci, chini sulle scritture di Israele, la cui sapienza meditavano insistentemente, intuissero e attestassero qualcosa del mistero di Dio, è luogo comune dell'apologetica sia ebraica sia c ristian a, sollecitata a simi li affermazioni da parte de lla stessa letteratura filosofica ellenistica e, più tardi, d'epoca imperiale. 2
The Book of Governors: The Historia Monastica of Thomas Bishop of Marga A.D. 840,
Edited from Sy ri ac Manuscripts in the British Museum an d Other Libraries by E.A. WAL-
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«GNOMOLOGIA» STRIACI: UN CENSIMENTO
Il testo, che ho voluto citare interamente, nonostante la sua relativa lunghezza, è un buon esempio dell'uso in un ambiente monastico siro-orientale, in pieno periodo abbaside, di quella letteratura sapienziale, varia nella provenienza dei suoi materiali, eppure in sé in qualche modo una, costituita di aneddoti, apoftegmi, massime, che ha avuto ampia fortuna e incessante rielaborazione fin dall'età ellenistica nei più disparati contesti culturali e linguistici del mondo mediterraneo e dei suol retroterra, nutrendo la formazione etica ed intellettuale di innumerevoli studenti, poi a loro volta maestri o retori o medici o filosofi o più o meno autorevoli esponenti de lle élites dell'amministrazione imperiale o cittadine, ma anche, infine, presbiteri o vescovi, cenobiti o solitari. 3 Di parte di questi materiali, quelli relativi a raccolte di sentenze (e, tra loro, a quelle meglio attestate), le note che seguono intendono offrire una sommaria elencazione, accompagnata da poche, essenziali informazioni sulle edizioni e traduzioni, sulle fonti da cui eventualmente dipendono, sui mss. che li ospitano — nulla più di un minimo contributo bibliografico, a integrazione di invecchiati o più sommari elenchi e come avvio ad una ricerca che, studiandone la circolazione manoscritta, ne individui con più esattezza, per quanto ci è dato, utilizzi e fortuna. LΙS BUDGE, 2 voll ., London, Kegan Paul, Trench, Triibner and C., Ltd. 1893, (t) I, pp. 297 1. 5 — 2991. 7; (v) 11, pp. 529-533. Budge, nelle pagine della sua versione, fornisce alcune, assai generiche indicazioni sulle notizie relative ai sapienti greci citate da Tommaso; cfr., per ulteriori informazioni su materiali simili, raccolti in uno scritto di circa cinquant'anni anteriore, A. BAuMsTARK, Griechische Philosophen und ihre Lehren in sy rischer (Íberlieferung, «Oriens Christianus», V, 1905, pp. 1-25, cui rinviano, ad esempio, R. Draguet e A. de Halleux nella nota 1 alla versione di Théodore bar Koni, Livre des Scolies (recension de Siert), II. Μimr8 VI-XI, traduit par R. HESPEL et R. DRAGUET, Lovanii 1982 («CSCO», 432), qui X1.7 (notizia relativa a Pitagora), p. 217, scrivendo che Baumstark, come fonti per tali annotazioni, «conjecture une compilation hérésiοlogíque syriaque, p.-ê. nestorienne et du VIe-VIIIe s., qui aurait puisé à Af ricanus (ou à une autre chronique), à la Philosophes Historia de Porphyre (ou à des extraits de celle-ci), au Ps-Plutarque (d'après Aétius), à l'Anakephalaiosis d'Épiphane et, p.-ê., à la Preparation dvangilique d'Eusèbe». 3 Per l'area siriaca, cfr. la recente messa a punto di S. BROCκ, Sy riac Translations of Greek Popular Philosophy, in Von Athen nach Bagdad. Zar Rezeption griechischer Philosophie von der Spätantike bis zum Islam, P. BRUNS (ed.), Bonn, Borengässer 2003, pp. 9-28, in particolare, per i materiali di seguito presi in esame, il paragrafo 2(d), Collections of Sayings, pp. 14-16. Un primo bilancio della «littérature gnomique», che avrebbe avuto «un charme spécial pour les syriens», si legge nello studio, vecchio di quasi un secolo, ma spesso ancora utile, di R. DuviL, La littirature syriaque des origines jusqu'à la fin de cette littirature après la conquête par les arabes au Xllle siècle,Paris, Librairie Lecoffre 1907 (rist. an. Amsterdam, Philo Press 1970), pp. 258-262; pure an cora imprescindibile, soprattutto in relazione all'indicazione dei mss. che contengono i singoli testi, risulta A. BAUMSTARκ, Geschichte der sy rischen Literatur mit Ausschluβ der christlich palästinensischen Texte, Bonn, Ahn 1922 (rist. an. Berlin, De Gruyter 1968).
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PAOLO BETTIOLO
Le collezioni di seguito citate sono disposte secondo un affatto congetturale ordine cronologico — evidentemente relativo alla loro data di traduzione. II. LE
COLLEZIONI
1. Sentenze di Theano (III/IV sec.)
Studio di riferimento (con prima traduzione in lingua moderna): U. POSSEKEL, Der "Rat der Theano". Eine pythagoreische Spruchsammlung in syrischer Übersetzung, «Le Muséon», CXI, 1998, pp. 7-36. Nelle pagine conclusive di questo studio si suggerisce, data la popolarità di Theano a partire dal II secolo d.C., che la raccolta, nella sua forma originale, sia stata costituita «in etwa dieser Zeit» (ivi, p. 32); per quanto concerne la traduzione siriaca, l'assenza di rielaborazioni cristiane la collocherebbe in un tempo «in der das Christentum noch nicht in allen Bewölkerungsschichten dominierte, also vielleicht im dritten oder vierten Jahrhundert» (ibid.). Lo scritto viene poi accostato alla Lettera di Mara bar Serapione al figlio: 4 i due testi sarebbero accomunati da una stessa «Moralität und Lebensweisheit», così come dall'estraneità al cristianesimo, dal riferimento a Pitagora (ma, osservo, nella Lettera la notizia su Pitagora è errata e il saggio di McVey,5 che Possekel cita, contro la sua tesi accredita l'opera di Mara, che menziona un "sapiente re" dei Giudei, da loro messo a morte, ma vivo attraverso le "nuove leggi" che ha promulgato, quantomeno non esente da un uso cristiano) e dall'assenza dí «griechischer Lehnwörter», «ein Kennzeichen den frühen syrischen Übersetzungen» (ivi, pp. 32-33). In conclusione, si propone l'Edessa del III (o IV) secolo come luogo e tempo della versione (ivi, pp. 35-36). Mss.: Sin. syr. 16 (copista edesseno, scritto alla fine del VII o, più veri-
—
Su questo scritto cfr. le brevi note che vi dedico in Letteratura siriaca, in Patrologia 1 Padri orientali (secoli 1 VIII), a cura di A. Dι BERARDINO, Genova, Marietti 2000, pp. -
413 493: 438. Si tratta del saggio dí K.E. MCVEY, A Fresh Look at the Letter of Mara bar Sarapion to His Son, in V Symposium Syriacum 1988, R. LAVENANT ed., Roma, Pont. Institutum Studiorum Orientalium 1990 («Orientalia Christiana Analecta», 236), pp. 257-272. -
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«GNOMOLOGIA» SIRIACI: UN CENSIMENTO
similmente, lungo l'VIII secolo; 6 il codice, di 204 ff., in estranghelo, scritto su una colonna fino al f. 93, su due dal f. 93 alla fine, con 31 linee a pagina), ff. 106.a.18-108.c30 – cfr. Zeegers-Vander Vorst, Une gnomologie, p. 175 e, ivi, n. 55; BL Add. 14.658 (987 - VII secοlο).26 – Edizione (da questo ms., con varianti desunte dal successivo): E. SACHAU, Inedita Syriaca. Eine Sammlung syrischer Übersetzungen von Schriften griechischer Profanliteratur, aus cien Handschriften des Britischen Museums herausgegeben, Halle 1870 (rist. an. Hildesheim, Olms 1968), pp. 70-75; BL Add. 14.614 (773 - VIII secolo; contiene 5 sentenze della collezione attribuite a Platone).5; Borg. syr. 17 (cfr. sotto, Sentenze di Pitagora; il ms. contiene 15 sentenze, dal testo meno affidabile di quello edito da Sachau a partire dai 2 precedenti mss.; edizione in un saggio del 1910 di G. Levi della Vida dal titolo Sentenze pitagoriche in versione siriaca, ora in Pitagora, Bardesane e altri studi siriaci, a cura di R. CoiTiii, Roma, Bardi Editore 1989, pp. 1-16). Due sentenze dí Theano, che non appartengono alla collezione in esame, sono tradite, tra altre attribuite a Psello, Teocrito, Anassagora, Protagora e Timaco, nel ms. di Oxford Liber Syriacus 331 (inizi XII secolo, edizione in Sachau, Inedita Syriaca, pp. vII-Ix; traduzione in V. RYSSEL, Neu aufgefundene greco-syrische Philosophenspri che, «Rheinisches Museum für Philologie», LI, 1896, pp. 529-543: 542 sg.). Nel ms. della collezione Mingana, Syriac 662 (frammento di un'opera ampia sulla storia e la mitologia greco-romane dell'VIII secolo, risalente al IX secolo) si leggono due frammenti `pitagorici', il secondo dei quali narra la morte di Theano. 2. Sentenze di Pitagora (IV sec. ?)
Studi di riferimento: Duval, Littérature syriaque, pp. 258-259, e ora soprattutto A.R. SODANO, Le sentenze « pitagoriche » dello pseudo-Demofilo, Roma, Accademia Nazionale dei Lincei 1991, pp. 49-56. 7 Dei
6
Cfr.
N.
ZEEGERS-VANDER VORST,
Une gnomologie d'auteurs grecs en traduction syria-
Roma,
Pont. Institutum Studiorum Orientalium 1978 («Orientalia Christiana Analecta», 205), pp. 163-177: 166, n. 13, ove si segnala come ai ff. 201ra.1 sgg. del ms. si legga il Commento sul paradiso di Giacomo d'Edessa (633-708). 7 Per la tradizione manoscritta siriaca Sodano dipende, oltre che dallo studio di D. Wüνscη, Zur syrischen Übersetzung der "Ρythagorasspriiche", in Paul de Lagarde und die syrische Kirchengeschichte [...], hrsg. vom Göttinger Arbeitskreis für syrische Kirkengeque, in Symposium Syriacum 1976,
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tre mss. che ospitano il testo, A B C, A e B dovrebbero derivare, in modo tra loro indipendente, «dall'esemplare della traduzione siriaca delle sentenze» — direttamente, il primo; più probabilmente per via indiretta il secondo. C per i suoi caratteri «va eliminato dall'apparato critico e citato tra i parallela» (Sodano, Sentenze, pp. 52 e 53). Per quanto concerne la datazione della raccolta, ivi, a p. 56 si legge che «il subarchetipo del ramo [pitagorico] alfabetico» delle sentenze «probabilmente databile al I-II secolo d.C., l'età fiorente del neopitagorismo greco»; Syr., da cui procedono i due mss. siriaci del VIIVIII secolo, non riceve datazione alcuna. Può essere interessante, tuttavia, richiamare un'annotazione di Sodano relativa alla comparazione di Syr. con le recensioni greche dello scritto: raffrontandolo con Π, lo studioso scrive che «nessuna delle sue varianti caratterizzanti un'accentuazione spirituale-cristianeggiante del testo» si ritrova in Syr. (ivi, p. 54 — Possekel, Der Rat der Theano, n. 161 a p. 33, annota similmente: «Der syrische Text ist durch Zusätze und Erläuterungen gekennzeichnet, ist aber keine christliche Überarbeitung»). Questo permette, credo, un raffronto di questa collezione con quella delle Sentenze di Theano, pure `intatte' nel tenore originale del loro testo, che Possekel tra l'altro caratterizza, nei confronti delle stesse restanti raccolte pitagoriche greche, per la loro «starke Betonung der Diesseitigkeit» (ivi, p. 32) — il che, osserva, induce ad ipotizzare una datazione alta (IV secolo?) anche per la loro versione siriaca. Si potrebbe, dunque, far valere il medesimo argomento pure per la data dí traduzione delle sentenze in esame, così come per quella del testo dello Ps.Menandro, che subito citeremo, anch'esso assai poco attento all' `aldilà'. A minima indicazione dell'ampiezza della circolazione di questa raccolta, almeno in sue singole parti, segnalo il caso di tre sentenze trascritte, tra altre che nell'insieme compongono una collezione di Capitoli scelti di san Nilo il solitario, sui margini di alcuni ff. del ms. BL Add. 14.617 (770 - VII-VIII sec.). 8 Si tratta di massime dall'insegnamento assai generale — e per questo qui inserite in un corpus di capita attribuiti ad un monaco —, che di seguito riporto in una traduzione leggermente ritoccata nei confronti di quella pubblicata: «21.
schichte, Göttingen, Lagarde-Haus 1968, pp. 252-264, dai consigli e da una traduzione del testo a stampa fatta per lui in francese dal Padre R. Lavenant (cfr. Le sentenze, cit., p. 50). $ Cfr. Gli scritti siriaci di Nilo il solitario. Introduzione, edizione e traduzione, a cura di P. BETTIOLO, Louvain-la-Neuve, Université Catholique de Louvain-Institut Orientaliste 1983, p. 3, per le indicazioni relative al ms., e p. 8, per lo studio de ll e sentenze di tale raccolta che non appartengono ai gnomologia riportabili a N il o (29 su 50, di cui solo 3, quelle pitagoriche, appunto, sono risultate identificabili).
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Ricevi prova di un uomo dalle sue opere e non dalle sue parole. [...] 26. Quelle cose per cui vuoi vivere, per loro non ti tedi morire. [...] 29. Si scelga da (parte) tua tra il far perire la tua anima e il dire una parola di bestemmia contro Dio».9 Mss.. BL Add. 14.658 (987 d.C. = A - cfr. supra, Sentenze di Theano).20 - Edizione: P. DE LAGARDE, Analecta Syriaca, Leipzig, 1858 (rist. an. Osnabrück, Zeller 1967), pp. 195-201; analisi della collezione in J. GILDEMEISTER, Pythagorassprüche in syrischer Überlieferung, «Hermes», IV, 1870, pp. 81-98 («Gildemeister a reconnu que la collection syriaque de ces sentences procede de la même rédaction que la collection grecque de Demophilus», scrive Duval in Littérature syriaque, p. 259; sui limiti del suo studio cfr. Sodano, Sentenze, pp. 49-50); Sin. syr. 16 (= B - cfr. supra, Sentenze di Theano), ff. 121v-126r (sul rapporto del testo delle sentenze in questo ms. con quello offerto dal BL Add. 14.658 cfr. Wünsch, Zur syrischen Übersetzung); Borg. syr. 17 (1631 d.C. = C - cfr. Sodano, Sentenze, pp. 50-51: «questo minuscolo ms. (0,10 x 0,07), dopo l'Inno di Elia di Nisibe, contiene in 20 fogli una specie dí piccola crestomazia `pitagorica', in cui, dopo 8 `simboli' con le relative interpretazioni, seguono 12 sentenze non più ordinate alfabeticamente [...], che tuttavia si ritrovano tutte» nei due precedenti mss.; «ad esse seguono 16 detti della scuola pitagorica [cfr. supra, Sentenze di Theano, per le prime 15], l'ultimo dei quali è anche» nel ms. di Londra e in quello sinaitico, cui succedono «di nuovo 74 `simboli' con le loro spiegazioni» - il tutto è edito da Levi della Vida, in Sentenze pitagoriche10 )
3. Sentenze di Menandro (IV/V sec. ?)
Studio di riferimento: P. BETTIOLO, Dei casi delta vita, della pietà e del buon nome. Intorno ai `detti' siriaci di Menandro, in Aspetti di letteratura gnomica nel mondo antico i ( a cura di M.S. FUNGHI), Fi-
Ivi, (t) pp. 31-32 ; (v) pp. 44-45 - in nota alla traduzione di ogni singola sentenza si leggono í rinvii al testo ad essa parallelo nella raccolta siriaca edita da de Lagarde e a quella greca pubblicata da H. CHADWICK, in The Sentences of Sextus. A Contribution to the History of Early Christian Ethics, Cambridge, Universit y Press 1959, pp. 84-94 (5. The Pytagorean Sentences). 10 Sulla pubblicazione di Levi della Vida, che si rapporta in parte anche alle Sentenze di Theano e ai Versi d'Oro pseudopita gorici, cfr. supra e poi píìi sotto le notizie dedicate
alle due collezioni appena menzionate.
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renze, Olschki 2003, pp. 83-103. Per la versione siriaca, corrispondente ad uno scritto pseudo-menandreo, forse composto in greco, con materiali prevalentemente `pagani' che correggeva introducendovi elementi monoteisti, da un autore ebraico o prossimo alle tradizioni d' Ι sraele in epoca imperiale, tra metà II e inizi IV secolo, vi si suggeriscono una data inizi V secolo e un ambito edesseno, forse bardesanita – seppure ormai divenuto `ortodosso' (ivi, p. 103). S. Brock,u colloca invece la raccolta, il cui autore – scrive – «has little knowledge of Judaism» e in cui «there are no traces of Christianity», tra í testi tradotti negli ambienti intellettuali `greci' della Siria già nel corso del III secolo. 12
Mss.: BL Add. 14.658 (987 – cfr. supra, Sentenze di Theano).18, ff. 163νb167vb) – Edizione: J.P.N. LAND, Anecdota Syriaca I, Leiden, Brill 1862, pp. 64 1. 21-73 1. 18 (correzioni in Anecdota Syriaca II, Leiden, Brill 1868, pp. 17-19). Esistono diverse traduzioni del testo; la più recente è quella di T. BAARDA, The Sentences of the Syriac Menander (Third Century A. D.), in The Old Testament Pseudepigrapha II, J.CH. CHARLESWORTH (ed.), New York, Doubleday & Co. 1985, pp. 583606 (583-590, introduzione; 592-606, traduzione). BL Add. 14.614 (773 - cfr. supra, Sentenze di Theano – si tratta di un'epitome della raccolta, edita da Sachau in Inedita Syriaca, pp. 8081.10, e tradotta da Baarda, in Sentences, pp. 591-592).4b. 4. Sentenze di Sesto (IV/V sec. ?) Studi di riferimento: Chadwick, Sentences of Sextus – analisi delle diverse collezioni, con edizione di talune di loro, greche e latine; per quella siriaca, fortemente cristianizzata, cfr. ivi, pp. 6-7 e 159. «The Syriac translation – vi si legge – are two separate and distinct versions in origin, which have become merged in the manuscript tradition» (ivi, p. 6), così che la forma lunga in cui cí sono pervenute si 11 In Α Brief Outline of Syriac Literature, Kottayam, St. Ephrem Ecumenical Research Institute 1997, p. 18 12 Noto che le collezioni fin qui menzionate si caratterizzano per la loro possibile appartenenza ad una sta gione e ad ambienti di traduttori e lettori o fruitori non caratterizzati dall'affermazione del cristianesimo, che su altri scritti si se gnala anche solo attraverso q uei pur minimi ritocchi che rendevano privi di scandalo testi per tanti versi altrimenti condivisi.
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articola in tre sezioni: un'epitome, comprendente 131 sentenze sotto un titolo che recita, nella versione inglese fornita da Chadwick: Select sayings of St Xystus bishop of Rome; una collezione assai píù completa, introdotta dal lemma: Of the same St Xystus, e un'aggiunta, ritenuta «unimportant» dallo studioso inglese, attribuibile allo stesso traduttore della sezione immediatamente precedente. Possekel, Der Rat der Theano, pp. 34-35, suggerisce, per la traduzione siriaca delle Sentenze, opera, «möglicherweise», di ambienti monastici, «das späte vierte oder frühe fünfte Jahrhundert». Edizione: DE LAGARDE, Analecta syriaca, pp. 1-31 (l'edizione di de Lagarde si basa su 7 mss.: «Quae Xysti sententias in libro meo sequuntur, desumpta sunt e codicibus hisce: 12152 scr. A.D. 837. 12154 saec. VIII. 12156 scr. A.D. 562. 14532 saec. VII vel VIII. 14597 scr. A.D. 569. 14658 saec. VI vel VII. 17209 saeculi ut mihi videtur noni» ivi, p. xI); traduzione tedesca in V. RYSSEL, Die syrische Übersetzung der Sextussentenzen I, «Zeitschrif für wissenschaftliche Theologie», XXXVIII, 1895, 'pp. 617-630; II. Übersetzung, ivi, XXXIX, 1896, pp. 568 624; III. Übersetzung (Fortsetzung und Schluss), ivi, XL, 1897, pp. 131-148). -
-
Mss.: 13 BL Add. 17.166 (737 - VI sec.).4; BL Add. 12.169 (741 - VI sec.).1; BL Add. 12.166 (742 - VI sec.).2; BL Add. 14.616 (744 - VI-VII sec.).2; BL Add. 12.160 (942 - VII sec.),II, 2; BL Add. 12.167 (785 - 876 d.C.),II; BL Add. 17.168 (788 - IX sec.).2; BL Add. 18.817 (801 - IX sec.).2; BL Add. 17.218 (802 - IX sec.).1; BL Add. 14.583 (929 XI sec.).3; BL Add. 17.262 (837 - XII sec.).13; BL Add. 14.738 (849 - XIII-XIV sec.).5; Vat. syr. 126 (1223 d.C.). ΧΙΙΙ, e 377.3 (copia del precedente); -
13 L'elenco che segue è desunto da ll a n. 6 a p. 170 di BAUMSTARK, Geschichte, cui pure Chadwick rinvia. Ad essa, la cui esattezza ho ; controllato, apportando alcune correzioni, su W. WRIGHT, Catalogue of Syriac Manuscripts in the British Museum, Acquired since the Year 1838, I-III, London, British Museum 1870-72, sí aggiungono solo poche ulteriori indicazioni relative a mss. londinesi che ospitano estratti delle Sentenze, desunte da questo stesso catalogo, e íl rinvio al ms. sinaitico.
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estratti: BL Add. 14.612 (753 - VI-VII sec.).3; BL Add. 17.173 (762 - VII sec.).4.10; BL Add. 12.160 (942 - VII sec.). ΙΙ, 2; BL Add. 14.577 (793 - IX sec.).6.10; BL Add. 14.535 (798 - IX sec.).7; BL Add. 14.613 (806 - IX-X sec.).25; BL Add. 17.178 (828 - XI -XII sec.).9.15; Parisinus syr. 201 (XIII sec.).4; Sin. syr. 16 (cfr. supra, Sentenze di Theano), ff. 84.c.21-89.b.19.
5. Gnomologion (inizi VII sec.) Studio di riferimento: Zeegers-Vander Vorst, Une gnomologie. Le conclusioni dello studio sottolineano «la rédaction tardive et le caractère pseudépigraphique de la gnomologie gréco-syriaque» (p. 174); suggeriscono che sia «(imitation ou non d'un modèle païen) l'ceuvre d'un faussaire chrétien Γ...] de langue grecque», e che quindi il siriaco sia una traduzione, «faite avant Martyrius Sahdona (premier tiers du VII s.), qui cite plusieurs fragments» della collezione (p. 176 e, ivi, n. 64). Mss.: Sin. syr. 16 (cfr. supra, Sentenze di Theano), ff. 110νb.1-114 να.26: 35 sentenze; BL Add. 14.618 (768 - VII o VIII sec. – Edizione: Sachau, Inedita Syriaca, pp. 76-79 [numerazione in lettere siriache]).7, ff. 26.b.2028.a.16: 11 sentenze; BL Add. 14.614 (773 – cfr. supra, Sentenze di Theano).7, ff. 119.a.17121.b.17: 8 sentenze; Vat. syr. 144 (IX sec.), f. 86.a.9-d.30: 23 sentenze; Vat. syr. 14 (X sec.), ff. 150.b.1-151.b.29: 12 sentenze; BL Add. 17.178 (828 - XI o XII sec.).6, ? - ff. 69.b.20-71.a.16, secondo Zeegers-Vander Vorst, Une gnomologie, p. 166: 12 sentenze; Oxford, Bodl. Library, Liber syriacus 331 (cfr. supra, Sentenze di Theano – Edizione: Sachau, Inedita Syriaca, pp. vII-Ix), ff. 97.a.2598.a.22 e 145.b.28-146.a.9: 7 sentenze; Cambridge Add. 2012 (XIV sec.), ff. 172.b.8-177.a.11: 13 sentenze; Birmingham, Selly Oaks College, Mingana 4 (copiato a Mossul, nel 1895 – anno dei Greci 2206 –, da un ms. "vecchissimo" ritrovato nel Tur `Abdin), ff. 81.c.15-85.c.8: 45 sentenze; — 298 —
«GNOMOLOGIA» SIRIACI: UN CENSIMENTO
Vat. syr. 596 (i ff. contenenti le sentenze risultano copiati a Mossul nel 1917 dallo stesso scriba che ha curato il Mingana 4), ff. 105.a.2111.a.13: 50 sentenze. Dí ulteriori 3 mss. Zeegers-Vander Vorst, Une gnomologie, p. 167, scrive che le sono risultati inaccessibili, pur dovendo verisimilmente, per le note pubblicate che li riguardano, contenere un testo conforme a quello tradito dai mss. sopra elencati: K.V. Hiersemann, Katalog 487, N. 225°, 4 = Katalog 500, N. 2, 4 (VIII-IX sec. – ms. distrutto nell'incendio della Biblioteca di Leuven nel 1940); Diyarbakir 114 (copia ultimata ad Amid nel 1698 – disperso). Mardin 81, 2° (XVΙΙ sec. – secondo W.F. MACOMBER, New Finds of Syriac Manuscripts in the Middle East, «Zeitschrift der Deutschen Morgenlaendischen Gesellschaft», Suppl. I - XVII. Deutscher Orientalistentag vom 21. bis 27. Juli 1968 ím Würzburg, Teil 2, Wiesbaden 1969, p. 481 e ivi, n. 55). 6. Sentenze di Platone, Diogene, Socrate e altri (due raccolte) Studio di riferimento: Zeegers-Vander Vorst, Une gnomologie, n. 25 a p. 167. Mss.: Vat. syr. 135 (IX sec.).18, f. 100.a.28-d fine (cfr. S.E e J.S. AsCodicum manuscriptorum Catalogus in tres partes distributus, Pars I, Torus III, Romae 1758, p. 216); Dublin, Trinity College 1505 (XIII sec.), ff. 203a-208a (cfr. Baumstark, Geschichte, p. 351). SEMANT,
7. «Definizioni» platoniche (due raccolte, A e B), cui è accluso un breve dialogo apocrifo di Platone con un discepolo (C) 14 Studi di riferimento: Duval, Littérature syriaque, p. 259; Baumstark, Geschichte, p. 170 e, ivi, nn. 3-5; Zeegers-Vander Vorst, Une gnomologie, p. 175, nn. 56-57 (B è tradotto da B.H. COWPER, Syriac Miscellanies, London, Williams & Norgate 1861).
p. 14, inserisce pure delle contenute nel ms. Harvard syr. 47, ff. 205b207a, di cui segnala imminente l'edizione: sicuramente esito di una versione dal greco, il 14
Tra í materiali `platonici', BRICK, in
Syriac Translations,
Instructions of Anton, the Doctor of Plato,
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PAOLO BETTIOLO
Mss.: Sin. syr. 16 (cfr. supra, Sentenze di Theano), ff. 106.a.18-108.c.30; BL Add. 14.658 (987 – cfr. supra, Sentenze di Theano).23; BL Add. 17.193 (861 – datato 874 d.C.).32; BL Add. 14.658 (987).25; BL Add. 14.614 (773 – cfr. supra, Sentenze di Theano).32 – Edizione: di A e B: Sachau, Inedita Syriaca, pp. 66 sg. e 69 sg.; Sin. syr. 16 (cfr. supra, Sentenze di Theano), f. 109.a.29-d.10; BL Add. 14.658 (987).24; BL Add. 14.618 (768).9; BL Add. 14.614 (773).6 – Edizione: Sachau, Inedita Syriaca, pp. 67-69.
8. Versi d'Oro15 (IX sec.)
Studi di riferimento: Duval, Littérature syriaque, p. 262; Baumstark, Geschichte, p. 280 (soprattutto n. 4); Brick, Syriac Translations, p. 15 (e ivi, n. 30). Si tratta di una collezione di 112 massime pitagoriche che Teodosio Romano o `il Romano', 16 patriarca siri -occidentale tra 887 e 896, data della sua morte, e, prima, monaco e medico nel monastero di Qartamin, aveva tradotto in massima parte dal greco, «et auxquelles il ajouta de courtes explications en syriaque et en arabe». 17 Edizione e traduzione: M.H. ZOTENBERG, Les sentences symboliques de Théodose patriarche d'Antioche, «Journal Asiatique», VII/VIII, 1876, pp. 425-476. Levi della Vida ne pubblica varianti tratte dal Borg.
testo che traducono non è identificato. Nello stesso studio, pp. 19-21, si segnalano, entro un'analisi del ms. Sin. syr. 14, un'antologia monastica melchita del X secolo, diverse brevi collezioni di detti di filosofi o racconti loro relativi, attribuite a Platone (f. 128 r-v); relative a 107 filosofi pitagorici (ff. 129ν -130r) o, più genericamente, riportate a `filosofi' o `saggi' (ff. 131v-132v e 150 ν-151 ν). 15 Così titola la raccolta BRICK, Syriac Translations, p. 14. Prima e altrove sí preferisce parlare di Symbola pitagorici. 16 A. PALMER, Monk and Mason on the Tigris Frontier. The Early History of Tar Ab din, Cambridge, Cambridge University Press 1990, p. 189: «Theodosius `the Roman' owed
his surname to his knowledge of Greek». Su Teodosio cfr. ora le note di K. PINGGÉRA,
All-Erlösung and All-Einheit. Studien zum `Ruch des heiligen Hierotheos" and seiner rezeption in der syrisch-orthodoxen Teologie, Wiesbaden, Reichert 2002, pp. 158-168, entro uno studio relativo alla sua opera maggiore, il commento a ll o scritto dello pseudo-Ieroteo. 17
DUVAL, Littérature syriaque,
p. 262.
— 300 —
«GNOMOLOGIA» SIRIACI: UN CENSIMENTO
syr. 17, comprensive di estratti provenienti forse dal Contra Julianum
di Cirillo d'Alessandria (molti di questi si trovano anche in Teodoro bar Koni, Liber Scholiorum II, pp. 291-292 — cfr. Baumstark, Griechischen Philosophen, pp. 1-25): cfr. Sentenze pitagoriche. Mss.: Parisinus syr. 197 (1540/1 d.C.).16; Parisinus syr. 215 (XVII sec.).4; Parisinus syr. 300 (1844 d.C.).4; Oxford Bidl. Marsh 20; Borg. syr. 17 (cfr. supra, Sentenze di Pitagora).
III. UN
ESEMPIO MAGGIORE DI RECEZIONE
Poco sopra, in relazione alla raccolta che nel contributo di ZeegersVander Vorst, teso a studiarne le numerose forme, reca il titolo di Gnomologion, si è osservato che la sua data ante quem è costituita dalla citazione di alcune sue sentenze nel Liber perfectionis di Martirio/Sahdona (prima metà VII secolo). 18 Di seguito, a conclusione di questi rapidi appunti, traduco in extenso la piccola sezione che le ospita, segnalata pure da Brick, nel suo saggio, già più volte citato, sulle versioni siriache di scritti di "filosofia popolare", come felice esempio della fortuna incontrata da simili testi negli ambienti monastici della Siria. 19 In nota riporto anche la versione delle varianti registrate dall'editore del Liber perfectionis a loro singole lezioni nel confronto istituito coi testi del Gnomologion editi da Sachau, su cu~~ insisteranno le poche osservazioni finali di questo contributo. Ricordo che Sachau utilizzava due mss., lo Oxford, New College syr. 331 (= I) e il BL Add. 14.618 (= II): nelle note al testo le varianti segnalate sono precedute da un I, quando si riferiscano al primo dei mss. menzionati, da un II, nel caso in cu~~ compaiano nell'altro; quando a tale designazione segua, tra parentesi, un numero, esso rinvia al posto occupato dalla sentenza che si cita nella serie propria a ciascun testimone. 18 Su questo autore, condannato come eretico dalla chiesa siro-orientale, e di cui pure Tommaso di Marga celebra l'altezza dell'intelligenza e l'eleganza della scrittura (cfr. Book of Governors (t) p. 62 Η. 14-15; (v) p. 112), si veda quanto scrive A. DE HALLEUX, La christologie de Martyrios-Sahdona dans l'évolution du nestorianisme, «Orientalia Christiana Periodica», XXIII, 1957, pp. 5 32, e Martyrios-Sahdona. La vie mouvementée d'un «héretique» de l'Église nestorienne, ivi, XXIV, 1958, pp. 93 128. 19 BRICK, Syriac Translations, p. 22. -
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PAOLO BETTIOLO
Lo scritto di Martirio, osservo ancora, risulta articolato in due parti, di cui la prima, strutturata in quattro trattati suddivisi a loro volta in ventidue capitoli, «a pu commencer par exister indépendamment de la seconde» e si presenta oggi al suo inizio ampiamente lacun οsa.20 Di fatto i suoi due primi trattati sono quasi del tutto perduti, così che il testo ora comincia per noi con il terzo capitolo del secondo trattato, cui segue l'ottavo capitolo dello stesso. È in questa sezione che l'autore, rimproverando coloro che vivono serbando solo l'apparenza della giustizia, li apostrofa come segue: 21 «(26) Ecco, o stupefacenti! Anche i filosofi d i fuori, quanti vogliono acquisire la sapienza mondana, s i trattengono dai cibi pesanti e grassi e da ogni allettamento del corpo per poter purgare il loro intelletto con pochi cibi, leggeri e magri, e acquisire sapienza e lucentezza di moti (interiori). Come ha detto uno di loro: 22 Questo è molto bello, che uno si accosti casto nel corpo e santo nell'anima 23 al lavoro dell'apprendimento della dottrina, così che il suo pensiero 24 si vuoti dei pensieri odiosi, che impediscono e turbano la dottrina, e i suoi 25 detti siano lucenti, quando * zampil lano da lui, da dolce bevanda, da fonte non intorbidata. 26 Infatti, *la dilezione del mondo e l'amore dei desideri 27 sono un tesoro di miseria per gli stolti e un deposito di debiti duraturi. Un altro, poi, ha detto: 28 Voi, che amate il lavoro della dottrina, allontanatevi da tutto! Voi, che amate acquisire la virtù, allontanatevi dal corpo! Voi, che correte nell'agone della comprensione delle (cose) che sono, sfug-
20 La nota si legge nell'introduzione a Martyrius (Sahdona), ~Εuυres spirituelles I, Livre de la perfection, le Partie, traduit par Α. DE HALLEUX, Louvain 1960 («CSCO, 201»), Ρ. ντ. Si deve segnalare che Α. de Halleux ha più tardi pubblicato un ulteriore capitolo
della sezione perduta del libro di Martirio, da collocarsi probabilmente tra i capitoli del secondo trattato che ci sono pervenuti: cfr. Un chapitre retrouvé du `Livre de la perfection" de Martyrius, «Le Muséon», LXXXVIII, 1975, pp. 253-296. 21 11 testo si legge in Martyrius (Sahdona), ~uures spirituelles I, Livre de la perfection, le Partie, édité par Α. DE HALLEUX, Louvain 1960 («CSCO, 200»), pp. 15 1. 4-17 1. 5; la traduzione, nel volume citato alla nota precedente, pp. 14 1. 33-16 1. 18. La divisione in paragrafi è dell'editore e traduttore belga. 22 I (2) (inc.): Targadis dice — II (6) (inc.): Theokridas dice. 2; I e II: corporeità (gusm ο, `organisme', di contro a pagro, il corpo nella sua articolazione in membra). 24 II: la sua intelligenza. 25 II: loro. *26 Così in Martirio, ove, nota De Halleux ad lic., il testo è «manifestement corrompu». quando zampillano da lui come dolce bevanda che (zampilla) da fonte non intorbidata; quando zampillano da loro come dolce bevanda da fonte non intorbidata. *27 II: la dilezione delle donne e l'amore dei possessi. 28 Sentenza priva di corrispondenze: Jr. ZEEGERS-VANDER VORST, Une gnomologie, p. 169.
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«GNOMOLOGIA» STRIACI: UN CENSIMENTO
gite ai lacci dell'anima! Lacci dell'anima, infatti, sono tutte quelle (realtà) che sono prive di saldezza e d'ordine. È molto bello, infatti, quando il corpo è unito all'anima, più di quando l'anima è unita al corpo. Infatti, il corpo unito all'anima quando segue la sua volontà, che ama la virtù, mentre l'anima è unita al corpo quando è condotta dalle passioni dei suoi desideri. Questo hanno insegnato i sapienti del mondo a ch i cercava di acquisire la sapienza del mondo. Dunque, quanto più di questo debbono fare coloro che bramano acquisire la sapienza celeste e il timore del Signore! Ma per gli stolti e il disobbediente sono super fl ue tutte le parole dei sapienti, come ha detto uno di loro: 29 Chi s'è posto in mente di non lasciarsi persuadere da alcunché, non sarà persuaso da una miriade di *scribi e sapienti 30 e gnοstici 31 che32 si propongano di persuaderlo, perché si è persuaso (appunto) di questo, 33 di non *lasciarsi persuadere 34 — e loro gli sono divenuti superflui, ma anche lui è divenuto loro straniero, a causa della sua ostinazione. 35 Tuttavia la sapienza non è perduta perché non si è lasciato persuadere: lui36 ad essere perduto (lontano) da lei, *e non lei ad essere perduta (lontano) da lui. 37 Ma com'è apprezzabile la sapienza da (parte de)i pigri e da chi ama i desideri? Infatti, il riposo e la soavità del desiderio corporale sono per loro migliori di tutte le virtù dell'anima come ha detto un altro sapiente: 38 Per il pigro, il boccone della39 sua bocca è migliore di *tutte le sapienze dell' αnima,40 e la bevanda che lo stordisce per lui è migliore di *tutte le conoscenze della verità 41 e per i suoi denti il rosicchiare è meglio di tutte le glorie *della virtù 42 e non abbisogna *di legislazioni e ammonizi οn~,43 perché la sua propr~a44 volontà (è) le sue leggi e bada che le leggi ed anche i legislatori seguano il suo pensiero».
29 I (7) e II (5): Timachos dice (De Halleux, ad loc., suggerisce, senza insistere, di identificarlo con «le philosophe cynique alexandrin Timarchos»). *30 II: sapienti e scribi. 31 II: + e maestri. 32 II: se. 33 II: + solo. *34 Lett.: ricevere persuasione (così anche I, con semplice inversione dei termini: persuasione non ricevere. II ha il testo di I, ma aggiunge a persuasione: (da parte) di alcuno). 35 I: scelleratezza. 36 II: + infatti. *37 1: ~ιuT κe~α
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