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Italian Pages 386 [180] Year 1985
STUDIA
EPHEMERIDIS
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«AUGUSTINIANUM»
23
Manlio Simonetti
LETTERA E/0 ALLEGORIA Un contributo
INSTITUTUM
aJla storia dell'esegesi patristica
PATRISTICUM « AUGUSTINIANUM Via S. Uffizio, 25 00193 ROMA 1 Q R -i
»
INDICE 7
PREMESSA
I. LA SACRA SCRITTURA NELLA CHIESA DEI PRIMI DUE SECOLI
9
. . . . 1. Giudei e greci fra letteralismo e allegorismo 1. Esegesi giudaica, p. 10; 2. greca, p. 13; 3. giudeoellenistica, p. 16. 2. Il Vecchio Testamento negli scrittori d'età apostolica e sub-
apostolica
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1. Utilizzazione e interpretazione
del VT nel NT, p. 19; 2. Il VT in Clemente, Ignazio, Ps. Barnaba, p. 25. 3. Interpretazione gnostica della Sacra Scrittura . . . l. Interpretazione del VT, p. 29; 2. Interpretazione del NT, p. 33
4. Polemica antigiudaica _e antipagana
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5. Omelie pasquali
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29
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37
1. Giustino, p. 37; 2. Ireneo, p. 39; 3. Tertulliano, p. 45; 4. Teofilo. Caratteri dell'esegesi asiatica, p. 47.
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1. Omelia di Melitone e In sanctum Pascha, p, 49; 2. Origene. Omelie pasquali del IV e V secolo, p. 51.
6. Ippolito
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1. Caratteri
delle sue opere esegetiche, p. 53; 2. Analisi dei commentari, p. 55; 3. Tecnica esegetica, p. 59.
65
II. LA SACRA SCRITTURA IN AMBIENTE ALESSANDRINO 1. Clemente . . . . . . . . . . . . . 1. Principi di ermeneutica, p. 66; 2. Vari tipi di interpretazione del VT e del NT, p. 69.
66
2. Origene
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73
3. Diffusione dell'esegesi alessandrina . . . . . . . 1. La Cohortatio ps. giustinea. Dionigi, p. 99; 2. Eustazio e la
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1. Carattere della sua esegesi. L'approccio filologico, p. 73; 2. Principi di ermeneutica, p. 78; 3. Vari tipi d'interpretazione, p. 84; 4. Interpretazione del VT, p. 88; 5. Interpretazione del NT, p. 93; 6. Origene e Giulio Africano, p. 96.
pitonessa, p. 102; 3. Metodio, p. 105.
Stampato
con un contributo
del C.N.R.
III. ATTIVITA' ESEGETICA IN ORIENTE DAL IV ALLA META' DEL V SECOLO
l. Eusebio
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109 113
6
INDICE
2. Esegesi siropalestinese del IV secolo. Alle origini della Scuola di Antiochia . . . . . . . . . . . . .
124
1. Origine della Scuola di Antiochia, p. 124; 2, Acacio, p. 125; 3. Eusebio di Emesa, p. 127; 4. Apollinare, p. 130; 5. Efrem, p. 133.
3. L'esegesi
dei Cappadoci
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135
1. Teodoro di Eraclea e Asterio il Sofista, p. 135; 2. Basilio, p. 140; 3. Gregorio di Nissa: principi di ermeneutica, p. 145; 4. Analisi dei commentari. p. 149.
4. Esegesi
antiochena
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1. Caratteri generali, p. 156; 2. Diodoro, p. 159; 3. Teodoro: interpretazione del VT, p. 167; 4. Fondamenti dottrinali, p. 174; 5, Interpretazione del NT, p. 177; 6. Giovanni Crisostomo, p. 180; 7. Severiano, p. 188; 8. Teodoreto, p. 19().
5. Esegesi alessandrina
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1. Caratteri generali. Atanasio, p. 201; 2 Didimo: principi di ermeneutica, p. 204; 3. Analisi dei commentari, p. 208; 4. Cirillo: indel NT, p. 223; terpretazione del VT, p. 216; 5. Interpretazione 6. Esichio, p. 226.
IV.
231
ATTIVITA' ESEGETICA IN OCCIDENTE DA CIPRIANO AD AGOSTINO
1. Dal III al IV secolo . . . 1. Cipriano, Novaziano, Ps. Cipriano, gesi del IV secolo, p. 234.
2. Esegesi di tendenza letterale
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PREMESSA
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231
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237
p. 231; 2. Caratteri
dell'ese-
1. Fortuna di Paolo, p. 237; 2. Mario Vittorino, p. 239; 3. Ambrosiaster, p. 241; 4. Pelagio e l'Anonimo di Budapest, p. 245; 5. Giuliano di Eclano, p. 248.
3. Esegesi di tendenza allegorica .
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1. Ilario, p. 254; 2. Gregorio di Elvira, p. 264; 3. Zenone, p. 268; 4. Ambrogio, p. 271; 5. Cromazio, p. 280; 6. Rufino e l'interpretazione di Gen. 49, p. 284; 7. Aponia, p. 287.
4. Ticonio e l'interpretazione dell'Apocalissi . . 1. Il Liber regularum, p. 289; 2. L'Apocalissi nel II e III sec.,
289
p. 292; 3. Vittorino di Pettau, p. 295; 4. Girolamo. Ticonio, p. 297 5. L'Apocalissi in Occidente nel VI secolo, p. 300; 6. In Oriente: Ecumenio e Andrea di Cesarea, p. 303.
5. Esegesi ariana della Sacra Scrittura
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6. Girolamo
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1. Il presunto letteralismo di Ario, p. 306; 2. Fortuna di Giobbe: Giuliano e l'Anonymus in lob, p. 309; 3. Interpretazione dei Vangeli p. 313; 4. L'Opus imperfectum in Mathaeum, p. 316.
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1. I 2rimi commentari, p. 321; 2. Interessi filologici e antiquari, p. 324; 3. I Profeti minori, p, 327; 4. I Vangeli, p. 332; 5. I Profeti maggiori, p. 334.
7. Agostino . . . . . . . . . . . . . . . 1. Il De doctrina christiana, p. 338; 2. Genesi 1-3, p. 341; 3. Sermones sul VT, p. 345; 4. En. in Psalmos, p. 348; 5. I Vangeli, p. 351.
338
CONCLUSIONE
355
BÌBLIOGRAFIA, INDICI
361
Quando mi sono accinto a scrivere questo libro, la mia intenzione era di preparare una nuova edizione, riveduta e aumentata, del Profilo storico dell'esegesi patristica, pubblicato presso l'Augustinianum nel 1981. La rielaborazione ha privilegiato soprattutto le problematiche riguardanti le diverse tecniche, i vari modi di interpretare la Sacra Scrittura da parte di esegeti di scuole e ambienti diversi, e le polemiche e i contrasti che da tali diversità sono derivati. In tale contesto ho avuto modo di rilevare con sempre maggiore evidenza che non di rado la tecnica interpretativa variava, anche in uno stesso esegeta, in rapporto ai diversi libri del testo sacro da lui presi in esame, a seconda che si trattasse di un libro del VT o del NT, di un libro storico o profetico, dei Vangeli o di Paolo. Perciò, al fine di dare presentazione adeguata di tale varietà anche all'interno della produzione esegetica di uno stesso autore, più volte la trattazione ha assunto, pur nella sua brevità, andamento analitico, opera per opera, molto lontano dai criteri che avevano ispirato la scrittura del Profilo. Soprattutto per questo motivo la rielaborazione è risultata non soltanto molto più ampia ma anche in più punti, specialmente nella presentazione degli esegeti più importanti, molto diversa dalla stesura originaria. Perciò viene ora pubblicata come opera a se stante, con un titolo che meglio rispecchi la specificità del contenuto. Del Profilo sono rimasti sostanzialmente immutati i criteri in base ai quali è stata ripartita la vasta materia e l'intenzione di proporre di essa un quadro organico e coerente, che però non si prefigge affatto completezza di informazione di tipo manualistico. M.S.
CAPITOLO
I
LA SACRA SCRITTURA NELLA CHIESA DEI PRIMI DUE SECOLI
Il cristianesimo, come il giudaismo, è religione del libro, nel senso che la Saèra Scrittura, considerata frutto della rivelazione di· vina a beneficio della chiesa, vi occupa un posto assolutamente fondamentale, in quanto ad essa deve essere informato ogni atto della vita della comunità, dalla dottrina alla disciplina e alla liturgia, in senso sia collettivo sia individuale. D'altra parte, la Sacra Scrittura è costituita da un complesso di libri eterogenei per argomento forma cronologia, a volte per diversi motivi di non facile accessibilità, sì che la loro effettiva conoscenza e messa in pratica da parte dei cristiani non si presentavano di evidenza immediata e imponevano un preliminare lavoro ermeneutico piuttosto complesso. Esso infatti poteva essere esplicito e diretto, nel senso di affrontare specificamente l'interpretazione dei testi sacri, di un passo più passi un intero libro, in forme letterariamente diverse (omelia commentario questioni, ecc.); ovvero implicito e indiretto, nel senso che l'applicazione del testo sacro alle varie finalità della vita comunitaria imponeva di penetrare significato e valore, al fine di adattarlo ad esigenze e compiti che con quel dato testo potevano anche non avere immediato ed evidente rapporto. Possiamo perciò dire che tutta la vita della comunità era condizionata dall'interpretazione della Sacra Scrittura. E' stato detto che la storia del dogma è storia dell'esegesi, in quanto tutta l'elaborazione della dottrina cristiana si fonda su un certo numero di passi scritturistici, interpretati alla luce di determinate esigenze; ma lo stesso si può affermare di ogni altro aspetto della vita della chiesa, organizzazione disciplina culto, ecc. Per tale motivo lo studio della
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1111111111 .,,111h 11. Ma per introdurre l'argomento è opportuno premeth'I ,, 1111 rnpldo cenno alle tecniche ermeneutiche in uso fra giudei Il J'.11'1 I, pcrd1i~ esse esercitarono forte influsso sulla ratio esegetica dl'I dol luri cristiani.
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I l'I! I 1\11 DUE SECOLI
Giudei e greci fra letteralismo e allegorismo.
1. Per i giudei si poneva, riguardo al Vecchio Testamento ( = VT), lo stesso problema che abbiamo sopra accennato a proposito della chiesa, cioè quello di adattare i dati del testo sacro alle esigenze della vita del popolo, sì da renderli utilizzabili, armonizzandoli anche con i dati della tradizione, la legge orale. Era appunto l'esegesi che rendeva possibile questo processo di attualizzazione deducendo dalla lettera del testo antico nuovi precetti. Quindi l'interpretazione del VT si rivelò d'importanza vitale per il giudaismo dal momento ìn cui, con la riforma di Esdra successiva al ritorno dei giudei in patria dopo la cattività babilonese (VI sec. a. Cr.), il VT e in particolare i libri della Legge mosaica diventarono lo strumento regolatore di tutta la vita del popolo. Due furono gli indirizzi interpretativi fondamentali: uno era di carattere legislativo e aveva il fine di rispondere soprattutto alle questioni poste dall'applicazione pratica del testo sacro agli atti della vita d'ogni giorno (halakha); questo studio era praticato soprattutto nelle scuole rabbiniche. L'altro indirizzo aveva finalità più varie, rivolte soprattutto all'edificazione dei fedeli (haggada), e aveva la sua più importante applicazione nell'omelia che faceva parte del culto sinagogale. Al fine di rendere più chiaro il messaggio trasmesso dal testo biblico, questo modo di interpretare faceva spazio anche all'amplificazione aneddotica e di carattere leggendario. L'approccio dei rabbini al testo sacro era molto, a volte eccessivamente, minuzioso: controllava l'esattezza del testo biblico che aveva sotto mano e ne spiegava le caratteristiche grammaticali e tutti i particolari, nella convinzione che anche il più minuto di essi avesse valore. L'interpretazione di un dato passo era fatta secondo vari procedimenti: mediante il collegamento di uno o più passi della Scrittura in qualche modo richiamati da quello in esame; sulla base del contesto esaminato in modo più comprensivo, mediante
I ,
1:
GIUDEI E GRECI
11
procedimenti dialettici, a fortiori, analogici, di assimilazione generalizzazione inclusione esclusione.1 L'interesse preminente era di natura letterale; e infatti i cristiani considereranno tipicamente giudaico questo modo d'interpretazione della Scrittura. Non era però ignorata l'interpretazione allegorica: 2 basterà ricordare le interpretazioni che si davano dei due sposi del Cantico dei cantici quali simboli di Jahvè e Israele o l'inter· pretazione di passi di questo testo simbolicamente riferiti alle vicende dell'esodo degli israeliti dall'Egitto. Si trattava comunque d'interpretazione marginale e poco sviluppata, che non si concretò in opere omogenee e organiche di contenuto allegorico, ma fu limitata ad interpretazioni slegate inserite in più ampi contesti d'altro genere: 1 Il più antico lavoro interpretativo del VT si svolse soprattutto in forma orale, e solo in un secondo tempo si cominciò a fissarlo metodicamente per iscritto. Come generi letterari ricordiamo qui il targum e il midrash. I targumin erano traduzioni della Bibbia in lingua aramaica, cioè nella lingua parlata in Palestina nei tempi a ridosso dell'era volgare, la cui composizione si rese opportuna per accompagnare la lettura del testo sacro, ormai incomprensibile a molti, nelle funzioni sinagogali. La traduzione era molto libera, vera e propria parafrasi, a volte interpolata con inserzioni di tipo sia halakhico sia haggadico, al fine sia di spiegare difficoltà e contraddizioni del testo sacro sia anche di adattarlo a dottrine più recenti. Non mancavano neppure inserzioni di carattere parenetico. 4 Col s'indica sia un particolare tipo nome di midrash ( = interpretazione)
' Per l'esemplificazione cfr. J. Bonsirven, Exégèse rabbinique et exégèse paulinienne, Paris 1939, p. 77 sgg. 2 Sulle discussioni che si sono avute nel giudicare l'allegoria giudaica e la distinzione fra esegesi allegorica e esegesi parabolica (ambedue indicate col termine mashal), tutt'altro che ovvia e indiscutibile (la parabola, in quanto propone un insegnamento in linguaggio simbolico è, in fondo, una forma di allegoria: cfr. nn. 13. 32), si veda Bonsirven, op. cit., p. 207 sgg. Cfr. anche, più di recente, R. Gogler, Zur Theologie des biblischen Wortes bei Origenes, Diisseldorf 1963, p. 75 sgg. 3 P.es., i 60 guerrieri di Cant. 3, 7 significavano le lettere della benedizione sacerdotale o il sinedrio o le classi di preti e leviti, ecc. Il precetto di Deut. 21, 13, la prigioniera che un israelita vuol prendere per moglie pianga per un mese suo padre e sua madre, poteva significare il rifiuto dell'idolatria: Bonsirven, op. cit., pp. 222. 226, cui si rimanda per più abbondante esemplificazione. 4 P.es., Deut. 33, 6 « Viva Ruben e non muoia » nel Targum palestinese diventa: « Viva Ruben in questo mondo e non muoia nella seconda morte, nella quale muore il malvagio nel regno futuro », con riferimento alla dottrina della risurrezione. Per questo e altri esempi cfr. M. McNamara, I Targum e il Nuovo Testamento, Bologna 1978, p. 83 sgg.
12
CAP. I:
I, 1: GIUDEI E GRECI
I PRIMI DUE SECOLI
d'interpretazione attualizzante del VT, fatto mediante la combinazione di vari passi, sia il prodotto dell'interpretazione, cioè il vero e proprio commentario. I midrashim giunti a noi sono tardi, non anteriori al IV-V sec. d. Cr., ma utilizzano materiali anche molto più antichi. Tali materiali sono aggregati insieme, riportando passo per passo (della Genesi, dell'Esodo, ecc.) interpretazioni di più rabbini distinti per nome. Ovviamente la raccolta del materiale è stata fatta operando una selezione, ma il materiale prescelto è stato riportato allo stato originario, o quasi, senza alcun tentativo di unificazione nè di forma nè di contenuto. 5 · La scoperta dei manoscritti del Mar Morto ha portato a nostra conoscenza un altro tipo di commentario scritturistico, ch'è stato denominato pesher ( = spiegazione). Libri interi del VT o parti di essi sono riportati passo per passo e corredati di una breve spiegazione. Questo tipo di opera è molto importante ai fini del nostro discorso sia per la prossimità cronologica con i commentari patristici sia soprattutto perchè, di tutte le forme in cui si è concretata l'interpretazione giudaica del VT, quella del pesher è la più vicina alla forma di quei commentari. L'interpretazione tende ad attualizzare il testo biblico, scelto a preferenza fra i profeti,6 riportandolo alle vicende storiche della setta di Qumran e più in generale della Palestina del tempo. P. es., il fr. 3 del Pesher di Nahum fa il nome di Demetrio, un principe degli Asmonei; 7 e continuamente vengono messi in scena il Maestro di giustizia e il sacerdote empio, personaggi importanti della letteratura qumranita. Riferimento continuo è anche ai Kittim, un nome che indica gli invasori macedoni e romani. Ecco, p. es., il commento a Hab. 1, 8-9 « I suoi cavalli sono più agili dei leopardi, ecc. »: « L'interpretazione si riferisce ai Kittim, che calpestano la terra con i loro cavalli e con le loro bestie. Da lontano essi vengono, dalle isole del Mare, come aquile per divorare tutti i popoli, senza saziarsi ». 8 Come si vede, si tratta di interpretazione semplice e concisa, che raramente si attarda nel dettaglio. Poichè l'interprete è convinto di vivere nell'era escatologica, il motivo della fine ricorre frequente. 9 Già di per sè, l'interpretazione attualizzante, trasferendo il significato del testo commentato da una data situa-
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zione storica ad un'altra, è di fatto interpretazione allegorica. Ma va aggiunto che talvolta anche alcuni particolari del testo commentato assumono vero e proprio valore di simbolo, con procedimento specificamente allegorizzante. P.es., nel fr. 1 del Pesher di Nahum il mare simboleggia i Kittim, e così anche la terra di Basan, il monte Carmelo è simbolo del loro re, il Libano dei loro capi. 10 2. I greci non avevano testi di valore normativo alla pari della Sacra Scrittura, ma nelle loro scuole di retorica e di filosofia si usava leggere e spiegare opere letterarie e filosofiche, sì che anche presso di loro furono messe a punto raffinate tecniche esegetiche, e anche presso di loro si passò da un insegnamento soltanto orale alla messa per iscritto di commentari di poeti, filosofi, ecc. L'usuale forma in cui ci sono giunti i commenti ad opere letterarie greche (Omero lirici tragici, ecc.) è quello dello scolio marginale, cioè di una serie di osservazioni scritte sui margini del foglio che nella parte centrale contiene il testo letterario. Il commento è solitamente conciso: spiegazione del testo e delle sue eventuali difficoltà di lingua interpretazione o altro, e chiarimento di riferimenti storici mitologici antiquari. E' ovvio che anche nella tradizione scolastica greca e latina, come in quella dei rabbini ebrei, interpretazioni e osservazioni anteriori venissero travasate in altre successive; ma rispetto ai midrashim giudaici i commentari classici, oltre che ordinariamente più concisi, sono più ordinati nella selezione e presentazione del materiale, che di norma viene proposto senza essere nominativamente riferito a questo o a quel grammatico più antico. Il ritrovamento di alcuni papiri ci ha permesso di accertare che questo tipo di commentario marginale fu preceduto, in ambiente alessandrino,11 da un tipo di commentario di. carattere lineare, in cui cioè un dato componimento poetico viene riportato passo per passo e fatto seguire dal relativo commento. Come abbiamo osservato per il pesher qumranico, è questa in ambiente greco la forma di commentario più vicina a quella dei commentari patristici.1 2 I commentari di opere filosofiche sono parecchio diversi da quelli dedicati ad opere letterarie: sono molto più vasti, e nel pre-
5
Per l'esemplificazione si rimanda ancora a Bonsirven, op. cit., p. 219 sgg. • La preferenza si spiega in funzione della maggiore facilità di attualizzare un testo profetico rispetto ad altri libri del VT di genere diverso. Il più importante fra i pesharim qumranici è per noi quello di Abacuc per le condizioni migliori in cui ci è giunto rispetto ad altri. 7 Cfr. L. Moraldi, / manoscritti di Qumran, Torino 1971, p. 547. 8 Cfr. Moraldi, op.cit., p. 557, da cui prendiamo la traduzione. 9 Cfr., p.es., i testi riportati da Moraldi, ov.cit., pp, 531. 535.
Cfr. Moraldi, op. cit., p. 545. Cioè, nell'ambiente culturale in cui soprattutto fiorirono gli studi filologici e letterari nel mondo antico. 12 Su questo cfr. R. Pfeiffer, Storia della filologia classica dalle origini alla fine dell'età ellenistica, Napoli 1973, p. 340 e c. 6 per totum. Per un esempio, molto più tardo, in ambito latino di questo tipo di commentario, si vedano alcuni mss. del commento di Servio a Virgilio, come p.es. il Vat. lat. 3397. 10
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I, CAP. I:
1:
GIUDEI E GRECI
15
I PRIMI DUE SECOLI
sentare il pensiero di Platone Aristotele, ecc., i vari commentatori non soltanto riportano il testo commentato in modo più libero ma soprattutto ne forniscono spesso interpretazioni così personali da proporsi, pur sulla traccia del testo antico, come vere e proprie opere di speculazione originale. Si potevano perciò avere qui commentari molto diversi fra loro per forma e sostanza: da una parte il sistematico commentario perpetuo di Aristotele fornitoci da Ales, sandro di Afrodisia, dall'altra il ben più libero commentario di Platone composto da Proclo. Anche le Enneadi di Plotino in sostanza derivano da corsi d'insegnamento svolti in forma di commento a testi di precedenti filosofi. Ed è in questo ambiente che si diffusero anche opere esegetiche in forma di quaestiones e solutiones, che ritroveremo anche nella esegesi patristica. A noi qui interessa in modo particolare rilevare che proprio in ambiente filosofico fu proposta un'interpretazione dei poeti, soprattutto di Omero, ben diversa da quella usuale in ambito scolastico, in quanto era di carattere accentuatamente allegorico. 13 Per capire come questo procedimento ermeneutico abbia avuto tanta fortuna nell'interpretazione di Omero e dei miti greci, consideriamo il grande prestigio di cui i poemi omerici godettero sempre in tutto il mondo greco, fino a costituire il fondamento dell'insegnamento scolastico e della formazione culturale, per cui il poeta venne addirittura considerato di origine divina. Ma la riflessione filosofica mise subito in chiaro l'inverosimiglianza, l'assurdità, anche l'immoralità dei miti
13 Per allegoria, allegoréin ( = dire altre cose} s'intende il procedimento espressivo per cui si dice una cosa per significarne un'altra. Allegoria è attestato a partire da Cicerone e Filone; lo stesso procedimento era prima indicato con hyp6noia. Nello stesso senso erano anche adoperati tropologia, dinigma e derivati. Si ricordino le definizioni di Quintiliano: l'allegoria è una metafora continuata; quando l'allegoria è oscura diviene dinigma (9, 2, 46; 8, 6, 52). Su tutto ciò cfr. GLNT I 695 sgg.; J. Pépin, Mythe et allégorie, Paris 1958, p. 85 sgg. Si tenga presente che comunemente s'intendono per allegoria due prcedimenti ben distinti: uno, compositivo, è quello per cui uno scrittore esprime concetti che, al di sotto del significato letterale, ne celano un altro più significativo, per cui la selva dantesca è già nelle intenzioni del poeta simbolo del peccato; l'altro procedimento, ermeneutico, consiste nello scoprire in un testo poetico, o di altro genere, un altro significato, oltre quello letterale, a~ di là di quelle ch'erano state le intenzioni dell'autore: è il caso, p.es., d1 Plotino che scorge nel contrastato ritorno di Ulisse in patria il simbolo dell' anima che torna alla sua patria (1, 6, 8). Oggi alcuni distinguono questo secondo procedimento rispetto al primo col nome di allegoresi. Ma in ambito cristiano antico non si fece distinzione fra i due procedimenti fino alla reazione antiorigeniana, perchè si pensava che il testo sacro realmente presentasse uno o più significati nascosti, oltre quello letterale. Noi useremo di norma allegoria per indicare ambedue i procedimenti, e solo eccezionalmente parleremo di allegoresi.
degli dei e degli eroi da lui narrati, sì che, al fine di salvaguardare l'autorità e il prestigio di quei poemi, si pensò che Omero nel raccontare tante storie assurde avesse in realtà inteso adombrare altri argomenti. La fortuna di cui cominciò a godere per tempo, in certe scuole filosofiche (Pitagora Eraclito), il linguaggio simbolico e coperto, al fine di rendere comprensibile il messaggio proposto soltanto a pochi iniziati, favorì l'applicazione di questo criterio ermeneutico ai poemi omerici. Già nel VI sec. a. Cr. Teagene di Reggio avrebbe interpretato le discordie degli dei omerici come allegorie della discordia degli elementi naturali, per cui il caldo si oppone al freddo, il secco all'umido, e così via; e avrebbe identificato il fuoco con Apollo e Efesto, l'acqua con Posidone, l'aria con Era, ecc. 14 Successivamente nella scuola di Anassagora si sarebbe dato inizio all'interpretazione psicologica di questi personaggi: Zeus diventa così simbolo dell'intelligenza, Atena dell'abilità, e così via. 15 E se Platone da una parte condannava l'interpretazione allegorica di Omero, in quanto non riteneva che la sua poesia potesse contenere un messaggio coperto, dall'altra si serviva egli stesso del mito, cioè di un linguaggio allegorico, per comunicare certi contenuti particolarmente espressivi del suo pensiero. Furono comunque soprattutto gli stoici a diffondere l'interpretazione allegorica degli dei tradizionali e delle opere del loro cantore, sì da eliminare il senso letteràle di tutto ciò che la tradizione mitologica attribuiva di sconveniente agli dei e da armonizzare, interpretando gli dei come simboli di forze naturali e altro, il politeismo tradizionale col loro monoteismo filosofico. All'inizio dell'era volgare questo tipo d'interpretazione e la terminologia ad esso relativa erano d'uso corrente in ambito scolastico e fra le persone dotate di una certa cultura letteraria e filosofica. Accenniamo qui, dato che non avremo occasione di occuparcene altrove, che l'utilizzazione del metodo allegorico da parte sia di pagani sia di cristiani per l'interpretazione dei loro testi fu oggetto di critiche da parte degli uni e degli altri. Infatti da una parte Tertulliano Origene e altri rifiutano l'interpetazione allegorica dei miti pagani, intrinsecamente immorali, e dall'altra Celso e Porfirio considerano arbitraria e inaccettabile l'interpretazione allegorica che
14 Per maggiori dettagli su questo e ciò che segue cfr. Pépin, op, cit., p. 95 sgg, 15 II cinico Antistene avrebbe dato un fondamento teorico a questo procedimento allegorizzante in Omero, avendo distinto che il poeta a volte parla secondo l'opinione, a volte secondo la verità: cfr. Pépin, op.cit., p. 106.
16
CAP. I:
I PRIMI
DUE SECOLI
i cristiani davano del VT, in quanto questo testo era troppo rozzo e primitivo per permettere un tale tipo d'interpretazione. 16 In effetti la polemica verteva non sul modo di interpretare, perchè l'allegorismo era accettato da ambedue le parti, ma solo sui contenuti. Infatti il presupposto dell'interpretazione allegorica era che un dato testo aveva valore simbolico e veicolava, al di sotto del senso primo e letterale dell'espressione, un messaggio coperto e accessibile a pochi. Poichè gli uni negavano tale valore simbolico ai miti omerici e gli altri ai testi del VT, ne discendeva che essi non ne potessero ammettere l'interpretazione allegorica, il cui fine era appunto quello di mettere in chiaro quel messaggio simbolico e coperto. 3. Questo procedimento ermeneutico e la terminologia ad esso relativa furono assunti dal giudaismo ellenizzante, soprattutto ad Alessandria, quale mezzo fondamentale per operare l'avvicinamento, che esso vagheggiava, fra le credenze religiose dei giudei, incentrate nel VT, e la cultura greca. La nostra conoscenza in argomento deriva soprattutto da Filone, ma non esclusivamente, e Filone stesso non nasconde l'utilizzazione di fonti più antiche, a significare l'ampia portata dell'iniziativa. In effetti, già la traduzione del VT in greco detta dei Settanta (= LXX),17ben anteriore a Filone, rappresenta un primo tentativo d'interpretazione del testo biblico, più o meno corrispondente ai targumin aramaici, in quanto è spesso parafrastica e la parafrasi sta a significare una data interpretazione del testo originale, sulla base di concetti correnti al tempo dei traduttori e che invece erano stati estranei ai redattori del testo originale. L'intento di queste rielaborazioni è stato essenzialmente dottrinale, per mettere il testo sacro in linea con la riflessione teologica corrente al tempo dei traduttori, e gli argomenti toccati sono stati i più vari, Dio mondo il popolo eletto la speranza escatologica il Messia. Solo per dare un paio di esempi di questo ultimo argomento, a Gen. 3, 15, dove il testo ebraico reca: « Essa (cioè, la discendenza della donna) ti schiaccerà la testa», i LXX hanno tradotto: « Egli (cioè, il Messia) ti schiaccerà la testa». A Num. 24, 7
Per dettagli cfr. ancora Pépin, op. cit., p. 446 sgg. Sui LXX e gli altri traduttori greci del VT cfr. S. Jellicoe, The Septuagint and Modern Study, Oxford 1968; S. Sabugal, La interpretaci6n septuagintista del Antigua Testamento, « Augustinianum » 19, 1979, pp. 341-357. Si ricordi che le altre traduzioni greche (Aquila Teodozione Simmaco) sono posteriori ai LXX (II sec. d. Cr.). 16
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I,
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GIUDEI E GRECI
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(benedizione di Balaam), in luogo di « E scorrerà l'acqua dalla sua brocca» i LXX recano: « Verrà un uomo dalla sua discendenza». Dal canto suo, la lettera del cosiddetto Ps. Aristea, scritta per avvalorare appunto il testo dei LXX, contiene l'interpretazione allegorica dei precetti della Legge mosaica relativi agli animali impuri, precetti che dovevano riuscire ben strani al lettore geco: « (9·, 148) Con questi precetti il legislatore ha fatto capire alle persone intelligenti che bisogna essere giusti, non agire con violenza nè opprimere gli altri confidando nella propria forza, ecc. ». Si tratta di un'allegoria di tipo morale. Nella Sapienza di Salomone, accanto a interpretazioni di questo genere, ce ne sono altre di carattere cosmologico: p.es., con interpretazione destinata a larga fortuna, la veste del sacerdote ebraico, descritta a Ex. 28, viene a simboleggiare l'universo: « Perchè sulla lunga sua veste vi era tutto l'universo sui quattro ordini di pietre» (Sap. 18, 24). Passando a Filone (I sec. d. Cr.), 18 le sue opere esegetiche si presentano di due tipi: per la massima parte si tratta di commenti a vaste parti della Genesi e dell'Esodo, con riferimento agli altri libri della Legge, in cui il testo biblico è proposto e commentato con interpretazione che, non attenta alla spiegazione di ogni singolo dettaglio, è condotta con grande ampiezza e libertà rispetto al testo in esame, sì da ricordare certi commentari filosofici greci. Accanto a queste opere, sempre dèrivate, quanto alla forma, dallo stesso ambiente filosofico, ci sono le Quaestiones in Genesim e in Exodum, che si presentano come raccolte di passi dei due libri di particolare significato, seguiti di volta in volta da un'interpretazione di varia dimensione. Ambedue questi tipi di commentario avranno fortuna nella cristianità alessandrina. L'accostamento operato da alcuni giudei alessandrini fra la Sacra Scrittura e la tradizione greca arrivava fino al punto da mettere a confronto i racconti biblici con i miti greci. Filone disapprova questo procedimento, e gli preferisce quello dell'interpretazione allegorica 19 del testo sacro, secondo le norme che regolavano l'in• terpretazione dei poeti omerici, sviluppando ampiamente quanto prima di lui, da Aristobulo in poi, i giudei alessandrini avevano
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Sull'esegesi di Filone, oltre C. Siegfried, Philo van Alexandria als Ausl~ger des Alten Testaments, Jena 1875 (rist. Aalen 1970), cfr. Pépin, op.~zt., p. 231 sgg.; Id., Remarques sur la théorie de l'exégèse allégorique chez Phzlon, in Aa.Vv., Philon d'Alexandrie, Paris 1967, pp. 131-167. 19 • I termini correnti di cui Filone fa uso per indicare l'interpretazione allegorica del VT sono allegoria e hyp6noia: cfr. l'Indice di Leisegang ad loc.
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gia fatto in questo campo. In questo modo egli da una parte può dare spiegazione accettabile dei tanti antroporfismi che gremiscono i primi libri del VT e che, alla pari dei miti omerici, sconcertavano la sensibilità dei pagani colti, e dall'altra, usando largamente, nell'interpretazione, di concetti e terminologia filosofici, soprattutto platonici e stoici, avvicinava all'intelligenza greca una concezione religiosa che da essa era molto lontana. D'altra parte la Bibbia ha per Filone ben altro. significato che questo o quel mito per il pagano, sì che a differenza degli interpreti dei miti pagani, egli di norma non elimina il senso letterale del passo che interpreta. Ma, convinto che il testo sacro esprima in forma simbolica un messaggio nascosto sotto il senso letterale e che perciò esso vada letto e interpretato a due livelli sovrapposti l'uno all'altro (Praem. 61 sgg.), il valore che egli assegna al senso letterale è del tutto secondario: esso è per i molti, mentre il senso nascosto del testo, raggiungibile con il metodo dell'allegoria, è per i pochi che si interessano alle realtà dello spirito (Abrah. 147). Il passaggio dalla lettera all'allegoria è facilitato da certi indizi del testo che rivestono speciale significato all'occhio dell'esegeta avveduto: si tratta di particolari in cui il senso letterale per vari motivi non è accettabile,2° di numeri, di nomi di animali, piante e altre entità particolari, soprattutto di nomi propri di persone e luoghi, che vengono interpretati sulla base dell'etimologia, secondo un procedimento che gli stoici avevano generalizzato nell'interpretazione filosofica degli dei greci. Sono tutti procedimenti che troveremo correntemente utilizzati anche dall'esegesi scritturistica cristiana d'ambiente alessandrino, e a volte anche fuori di questo ambiente. Quanto ai contenuti dell'allegoria filoniana, essi sono prevalentemente di argomento cosmologico e antropologico (psicologico). Basterà accennarne pochi esempi: il Tempio di Gerusalemme indica il mondo, e le parti del Tempio le parti del simbolicamente mondo (Spec. leg. 1, 66); i quattro colori della veste del grande sacerdote ebreo indicano i quattro elementi naturali (Vit. Mos. 2, 88). Nel racconto della creazione dell'uomo Adamo simboleggia l'intelligenza, Eva la sensibilità, gli animali le passioni (Leg. all. 2, 8-9. 24. 35-38); l'unione di Abramo e Sara indica l'unione della
20 Questo procedimento, che possiamo indicare con defectus litterae, trasferisce in ambito veterotestamentario il modo di interpretazione accomodata che abbiamo visto dare dei miti omerici i filosofi greci. Lo rileviamo perchè esso avrà grande importanza nell'esegesi patristica d'indirizzo allegorizzante.
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intelligenza e della virtù (Abrah. 99). Per Filone molti testi della Scrittura sono suscettibili di una pluralità di interpretazioni allegoriche. A volte questa pluralità dipende da pluralità di fonti: l'albero della vita di Gen. 2, 9 - dice Filone - alcuni l'interpretano come la terra, altri come il sole, altri come la facoltà egemone della anima, altri come simbolo della pietà (Quaest. Gen. 1, 10).21 Ma altre volte la pluralità dipende dal diverso carattere dell'allegoria, che può essere cosmologica o psicolgica: p.es., la scala di Giacobbe (Gen.. 28, 12) può indicare sia l'aria, intermedia fra la terra e il cielo, sia l'anima situata fra la sensibilità e l'intelletto. 22 La tendenza ad attribuire diversi sensi allegorici ad uno stesso passo della Scrittura sarà uno dei caratteri distintivi dell'esegesi cristiana di Alessandria.
2. Il VT negli scrittori
d'età apostolica
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e subapostolica.
1. I primi cristiani sono giudei di razza e di educazione: essi perciò non hanno dubbi e remore ad accettare il VT come rivelazione di Dio a quell'Israele di cui essi hanno coscienza di costituire la parte eletta, e lo interpretano secondo i modi usuali nel giudaismo del loro tempo per adattarlo alle loro nuove esigenze. Nel far questo non si limitano .ad infiorare il loro discorso di citazioni alla lettera o a senso tratte dal VT, anche variamente combinate; ma adottano anche procedimenti più complessi di tipo midrashico, nel senso che, nella predicazione nella liturgia nella polemica, ecc., presentano concetti nuovi, significativi della nuova realtà del cristianesimo nascente, per mezzo di combinazioni di passi veterotestamentari richiamantisi l'un l'altro: il Magnificat (Le. 1, 46-55) è un intreccio di citazioni e richiami veterotestamentari combinati insieme per esprimere una nuova realtà. 24
Filone preferisce questa ultima interpretazione e rifiuta l'interpretazione del passo. 21 Cfr. Somn. 1, 146. Per dettagli sul pluralismo dell'allegoria cfr. Pépin, Remarques, p. 155 sgg. . 23 Dato che oggetto specifico del nostro discorso è lo studio dell'esegesi patristica, questo cenno sull'utilizzazione del VT nel Nuovo Testamento ( = NT) è puramente introduttorio e perciò limitato a quanto interessa in modo diretto il nostro oggetto. Sull'argomento cfr. E. E. Ellis, Paul's Use of the Old Testament, Edinburgh 1957; Bonsirven, op. cit., p. 266 sgg.; P. Grech-G. Segalla, Metodologia per uno studio della teologia del nuovo Testamento, Casale 1978, pp. 47-61, dove è riportata e discussa ampia bibliografia. 24 A volte la lettura che i primi cristiani facevano del VT era mediata attraverso i targumin, e questo filtro non ha mancato di esercitare qualche influenza su tale lettura. Su questo cfr. McNamara, op. cit., p. 109 sgg. 21
letterale
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Ci\P. I:
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il procedimento è più complesso. A Rom. 9, 6-29 Paolo d'Israele secondo la carne e Israel~ secondo lo spirito e il mistero dell'elezione divina come un midrash su (,'e11. 21, 12 « Da Isacco prenderà nome la tua discendenza (sperma)», appoggiato su Gen. 18, 10 « Tornerò in quel tempo e Sara avr~ un figlio»; il concetto viene sviluppato attraverso una trama dr passi relativi all'imperscrutabile volontà con cui Dio attua la sua chiamata (Gen. 25, 23; Mal. 1, 2-3; Ex. 33, 19, ecc.), e il passo che chiude il midrash, I s. 1, 9, richiama il passo iniziale con la parolachiave « discendenza» (sperma). Altre volte il procedimento è sviluppato in forma di questione: a Mt. 15, 1-9 i farisei propongono a Gesù una questione sul rispetto delle tradizioni; la risposta di Gesù si appoggia su Ex. 20, 12 e 21, 17, relativi al rispetto dovuto da ognuno al padre e alla madre, e il ragionamento si conclude con la citazione di Js. 29, 13 « Questo popolo mi onora con le labbra, ma il loro cuore è lontano da me ». 25 Anche quel particolare procedimento di interpretazione attualizzante del VT che viene denominato pesher è rappresentato' nei libri del Nuovo Testamento (~ NT): lo mette in opera Cristo stesso quando (Le. 4, 16-21) nella smagoga di Nazareth legge Is. 61, 1-2 « Lo Spirito del Signore è su di me, ecc.» e lo applica a se stesso: « Oggi si è realizzata questa scrittura che avete udito con le vostre orecchie». E' di questo tipo anche il procedimento per cui Giovanni esempla la bestia che viene dal mare di Apoc. 13 sulle quattro bestie della visione di Dan. 7, ma ne attualizza il significato, trasferendone il valore simbolico dagli antichi imperi all'impero romano. Con gli esempi che abbiamo proposto il discorso non resta limitato agli aspetti formali della incipiente interpretazione cristia· na del VT ma investe anche i contenuti di tale interpretazione; e qui il collegamento della chiesa primitiva con 1~,tradizione giu~aic~ espressa dal VT entra in tensione con la novrta del messaggio di salvezza che proprio tramite il VT i cristiani cercano di avvalorare. Essi infatti ravvisano in Gesù il messia promesso e annunciato dai profeti e di conseguenza interpretano in riferimento a lui tanti passi veterotestamentari che in quel tempo er~no comu~e~ent~ intesi come profezie messianiche. 26 Ma la magg10ranza dei gmdei A volle
pn.·se11la la distinzione
,s Deduciamo questi esempi da E.E. Ellis, Prophecy and Hermeneutic, Tiibingen 1978, p. 155 sgg. , . . 26 Precisiamo in quel tempo, perche success;vament~, propr~o per . contrastare l'applicazione cristologica di tante pr?fez1e messiamche, 1 gmd~1 cominciarono a ridurre l'entità di queste profezie, asserendo che molte d1 ess~ si erano già realizzate nel corso della storia d'Israele. P.es., al t~mpo d1 Origene essi negavano il carattere messianico di Gen. 49, 10: cfr. Prmc. 4, 1, 3; cfr. anche c. III, n. 211.
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non accetta il messaggio e rifiuta di identificare l'atteso messia col Cristo crocifisso; e le polemiche che nascono da questo contrasto si basano proprio sulle profezie messianiche e la loro controversa applicazione ai fatti della vita di Gesù. E' ovvio che tutta la catechesi primitiva ebbe a risentire profondamente di queste polemiche, sì che gli scritti del NT presentano larga traccia delle discussioni che allora si incentrarono sull'interpretazione dei passi messianici del VT: Mt. 22, 41-46 e 21, 42-43 presentano Cristo stesso che riferisce a sè Ps 109, 1 « Ha detto il Signore al mio signore: • Siedi alla mia destra, ecc.'» e Ps. 117, 22-23 « La pietra che gli edificatori hanno rigettato, essa è diventata testata d'angolo, ecc.» e difende il riferimento del primo dei due passi con sottile dialettica. E i vari discorsi di Pietro presentati nei primi cc. degli Atti degli apostoli fanno largo spazio alla citazione di passi messianici riferiti a Cristo. La messianicità di molti passi del VT era riconosciuta sia dai cristiani sia dai giudei, anche se questi ultimi ne rifiutavano l'applicazione a Cristo. Ma la novità di Cristo, messia sofferente e morto in croce, là dove i giudei attendevano il messia trionfatore sui nemici d'Israele, spinse i primi cristiani a interpretare in senso cristo· logico anche altri passi del VT, oltre quelli comunemente considerati messianici: è il caso, p.es., di Ps., 117, 22-23 riportato qui sopra, e soprattutto dei vari passi del Deutero-Isaia che presentano il Servo sofferente di Jahvè: basterà a tal proposito ricordare l'incontro di Filippo con l'etiope in Act. 8, 26 sgg., incentrato appunto sulla citazione e interpretazione messianica e cristologica di 1s. 53, 7-8.27 In questo contesto didascalico e polemico collochiamo le prime del Mar Morto ci raccolte cristiane di Testimonia. I manoscritti hanno fatto conoscere che già i giudei avevano l'uso di fare florilegi di passi veterotestamentari. · I cristiani adottarono subito tale procedimento finalizzandolo proprio a confermare la specificità del loro credo rispetto alla fede comune dei giudei. Raccolte superstiti di questo genere sono molto posteriori all'età apostolica (Testimonia ad Quirinum di Cipriano); ma la ricorrenza degli stessi passi del VT, a volte nelle stesse combinazioni e con le stesse alterazioni, in più punti dei libri del NT è prova che si cominciò per tempo a mettere insieme raccolte di questo genere nella comunità primitiva. La frammentarietà della documentazione superstite non permette di ricostruirle con esattezza e completezza; comunque 21
Si veda anche la parabola dei vignaioli perfidi (Mt. 21, 33 sgg.), che fonda il carattere sofferente del Messia sulla connessione midrashica di Is. 5, 1 sg. e Ps. 117, 22-23.
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pu1t1tll>lk 1iparlin· i11 più gruppi 1 passi del VT utilizzati in qllt",lo 1110 du: fesi i apocalittici ed escatologici; testi relativi alla rn 111111i11t, visla come il nuovo Israele; testi relativi al Servo di .lultvè e al Giusto sofferente. 23 D'altra parte, l'esigenza di approfondire il significato della figura e dell'opera di Cristo in rapporto con la tradizione giudaica e l'attesa messianica spinse alcuni cristiani ad interessarsi al VT molto al di là dei limiti rappresentati da tali raccolte di passi: nel discorso di Stefano riportato in Act. 7, 2 sgg. la presentazione del nuovo messaggio viene collegata ad un ampio ripensamento della storia d'Israele, dai patriarchi fino a Salomone, vista in chiave di continua prevaricazione del popolo che ha sempre disatteso la volontà di Dio e misconosciuto la sua benevolenza. Anche Paolo, ad Antiochia di Pisidia (Act. 13, 17 sgg.), inserisce il messaggio in un ampio quadro storico, questa volta teso a dimostrare che in Cristo ha avuto il suo coronamento tutta la storia d'Israele. In altra direzione la riflessione su Cristo per tempo si convinse che la sua figura non era interpretabile come quella. di un _semplice u?mo, anche se particolarmente privilegiato da Dio, ma imponeva ~i. attribuirle, a fianco della dimensione umana, anche una divma. Anche per suffragare questa convinzione si f~ce rico_rso al_V_T: H~b~. 1 propone e attribuisce a Cristo una selez10ne di passi i~ cm 1~ Messia, figlio di Dio, viene presentato come un essere supenore agh angeli: Ps. 2, 7; Deut. 32, 43; Ps. 103, 4; 44, 7-8, ecc. E quando_ Gi~vanni all'inizio del IV Vangelo, presenta Cristo come Logos di D10 e Dio' egli stesso, sviluppa il concetto attribuendogli le note distintive della Sapienza veterotestamentaria. Ma se la convinzione che Cristo fosse il Messia e che perciò in lui si fossero realizzate le profezie messianiche del VT era di tutti i cristiani, quelli di impostazione più rigidamente giudaizzante inserivano la nuova fede in una trama religiosa e culturale di stretta osservanza giudaica, nella quale la vecchia Legge conservava tutto il suo valore: è questo il senso delle parole che Matteo (5, 17 sgg.! mette in bocca a Gesù, facendogli riaffermare solennemente validità e intangibilità della Legge. Questo passo appare polemico nei confronti di altri ambienti della cristianità che si sentivano meno vincolati all'eredità giudaica e alla letterale osservanza delle norme
(1
f!·
" Per dettagli ed esemplificazione cfr. Ch. J?o,dd, ?ec?ndo '.e. Scritture, Brescia 1972, p. 63 sgg.; J. Daniélou, Etudes d exegese 1udeo-chrettenne (Les
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della Legge, con pm piena aderenza allo spirito del messaggio predicato da Cristo: questa tendenza fu rappresentata, dopo Stefano, soprattutto da Paolo, e qui si ebbero, in materia d'interpretazione del VT, le novità che maggiormente avrebbero influenzato tutto lo svolgimento dell'esegesi patristica. Paolo, che considera la Scrittura alla luce di Cristo, vi vede celato il mistero {Rom. 16, 25; JCor. 2, 1, ecc.) che non la lettera che uccide ma solo lo spirito vivificante può rivelare (2Cor. 3, 6). Il velo, disteso sulla Legge e il Vecchio Testamento, che ha offuscato e continua ancora ad offuscare le menti dei giudei, impedendo loro una retta comprensione, è stato tolto da Cristo, (2Cor. 3, 13 sgg.). 29 Letta alla luce di questa convinzione, la vecchia Legge assume una dimensione nuova, spirituale: la vera circoncisione è quella del cuore, propria di chi è giudeo non nell'apparenza esteriore ma nella segreta realtà (Rom. 2, 28 sg.; cfr. Act. 7, 51). La Legge è stata scritta per noi, dice Paolo a proposito di Deut. 25, 4 « Non mettere la museruola al bue che trebbia», che egli interpreta nel senso che chi lavora per la diffusione del Vangelo ha diritto a vivere del suo ministero (JCor. 9, 9 sgg.). Ci troviamo di fronte ad un processo di attualizzazione dei vecchi testi che va molto al di là di quanto non fosse avvenuto a Qumran. Nè si ferma ai soli precetti legali questo procedimento fondato sulla comprensione spirituale della Legge. Con questo termine infatti i giudei intendevano il complesso dei cinque libri mosaici, comprendendovi anche le parti narrative; e anche in esse Paolo scorge il mistero di Cristo, nel senso che quegli antichi fatti hanno prefigurato i fatti di Cristo e della chiesa, e solo questi nuovi fatti forniscono la chiave per intendere il senso profondo dei fatti antichi. Considerati sotto questa nuova luce, Adamo si presenta come prefigurazione ( typos) di Cristo, 30 e i figli di Agar e Sara come prefigurazioni dei giudei e dei cristiani (Rom. 5, 14; Gal. 4, 22 sgg.); il passaggio degli israeliti attraverso il Mar Rosso è simbolo del battesimo, la manna e l'acqua sgorgata miracolosamente dalla roccia sono prefigurazioni dell'eucaristia (JCor. 10, 1 sgg.). Nel IV Vangelo il serpente di bronzo di Num. 21, 9 e l'agnello pasquale sono prefigurazioni della crocifissione e morte di Cristo (lo. 3, 14; 19, 36). In Hebr. 7, 1 sg. Melchisedec è figura di Cristo,
29 Sull'influsso esercitato dalla letteratura targumica sul midrash di Paolo relativo al velo di Mosè cfr. McNamara, op. cit., p. 131 sgg. 30 Propriamente la prefigurazione è antitipica, nel senso che sia Adamo che Cristo ricapitolano in sè tutta l'umanità, ma Adamo nel peccato e Cristo nella salvezza.
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e a 9, 13 sg. il sacrificio del Tempio prefigura il sacrificio di Cristo. A 10, 1 è detto in modo comprensivo che la Legge contiene l'ombra -dei beni futuri, cioè delle realtà di Cristo e della chiesa. In JPt 3, 20-21 l'acqua del diluvio è simbolo dell'acqua del battesimo. Come si vede, il procedimento ermeneutico col quale Paolo e altri autori del NT interpretano spiritualmente, cioè cristologicamente, i fatti di Genesi e Esodo non è riducibile al procedimento di attualizzazione per cui venivano riferite a Cristo le profezie messianiche veterotestamentarie: infatti in esse il passo del VT assume significato solo in senso cristologico e la lettura in tal senso è immediata e a un solo livello; 31 invece vedere nella manna il typos dell'eucaristia non distrugge la storicità del fatto antico ma vi sovrappone un nuovo spirituale e più profondo significato. In tal senso si sovrappongono qui due livelli di lettura, uno relativo al fatto storico veterotestamentario, l'altro indicativo del fatto nuovo riguardante la realtà di Cristo e della chiesa, di cui il fatto antico ha rappresentato la prefigurazione, l'anticipazione profetica e simbolica. E se già il procedimento per cui Paolo attualizzava il significato di Deut. 25, 4 si può definire genericamente allegorico, ben più a ragione va definito tale il procedimento per cui si sovrappone un secondo livello di lettura al livello primo e letterale. Il termine con cui Paolo definisce il rapporto fra i due livelli di lettura e i loro significati è typos ( = forma figura, quindi simbolo prefigurazione: Rom. 5, 14; JCor. 10, 6. 11), un termine che non sembra aver avuto accezione in senso specificamente esegetico nè fra i greci nè fra i giudei ellenizzati. Ma quando a Gal. 4, 24 egli presenta i figli di Agar e Sara come prefigurazioni di giudei e cristiani, dice: « Queste cose sono state dette in allegoria (allegorou· mena)»; e ciò dimostra come egli fosse consapevole che il procedimento ermeneutico da lui applicato all'interpretazione dei fatti del VT era in effetti allegorizzante. 32 Questo modo d'interpretare il
31 Questo unico e immediato livello di lettura si ha sia che la profezia venga applicata a Cristo in senso letterale sia che l'applicazione sia fa!ta sulla base di un testo all'origine simbolico. P.es., sia il parto della vergme di Is. 7, 14 sia il virgulto di Is. 11, 1 per i cristiani hanno solo significazione cristologica, ma il primo passo indica Cristo secondo il senso letterale ~entre il secondo lo indica in forma simbolica, cioè (secondo gli antichi) allegorica. 32 Il fatto che Paolo parli solo eccezionalmente di allegoria mentre di solito si serve di typos, estraneo alla terminologia allegorizzante dei greci e giudeoellcnisti, per indicare le prefigurazioni veterotestamentarie di Cristo e della chiesa, fa pensare che egli non abbia avuto simpatia per allegoria e derivati, quasi che abbia voluto evitare come invece aveva fatto Filone, di conguagliare terminologicamente l'allegorilzazione dei miti pagani coll'interpretazione cristologica
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VT era destinato a grandissima fortuna e avrebbe costituito l'autentica lettura cristiana delle Scritture ebraiche. Esso trasse motivazione - è bene ripeterlo - dal fermo convincimento che la vecchia Legge fosse stata sempre finalizzata al grande evento di Cristo e che perciò disvelasse il suo autentico significato soltanto a chi la sapesse interpretare in chiave cristologica. 2. La scarsa letteratura superstite del periodo subapostolico (fine I / inizio II sec.) ci testimonia la continuazione, nei confronti del VT, della varietà di atteggiamenti che abbiamo rilevato negli scritti del NT. La lettera di Clemente ai corinzi, 33 nonostante gl'influssi evidenti della cultura ellenistica che si fondono con una vistosa componente giudeocristiana, utilizza largamente il VT quasi soltanto nella significazione letterale, e sotto tale angolatura ne fa l'autentico fondamento della fede religiosa e la fonte dell'autorità per cui rivolge il suo discorso alla turbolenta comunità cristiana di Corinto. Così, p.es., la grande preghiera finale (cc. 59-61) è intessuta su una fitta trama di richiami veterotestamentari tratti dai libri più svariati, Legge libri storici profetici sapienziali; e grandi personaggi del VT sono ripetutamente introdotti a guisa d'esempio per
ed ecclesiale dei fatti del VT; e in effetti, mentre l'interpretazione allegorica dei miti pagani ne distrugge il senso letterale, egli - come Filone - sovrappone un nuovo significato al senso letterale del racconto biblico, senza eliminarlo. Vedremo che altri scrittori cristiani manifesteranno la stessa diffi. denza per allegoria, ma sia essi sia Paolo in sostanza sono convinti che il typos è una forma di allegoria. Molti studiosi moderni continuano, per così dire, questo atteggiamento di diffidenza arrivando a negare che si possa assimilare il procedimento paolino, denominato tipologia (gli antichi chiamano questo tipo d'interpretazione spirituale o mistico), con l'allegoria pagana, in quanto la tipologia cristiana è radicata nella storia sia del VT (typos) sia del NT (realizzazione del typos), mentre l'allegoria pagana, come quella filoniana, ne prescinde del tutto. Ma gli antichi esegeti, mentre designano con nomi diversi vari tipi d'interpretazione allegorica (spirituale, morale), adoperano però allegoria per indicare in blocco ogni tipo d'interpretazione non letterale (anche il semplice processo di attualizzazione di Deut. 25, 4 in JCor. 9,9 sgg. è parlare allegorico). Preferisco perciò considerare la tipologia solo come uno dei vari modi di parlare a-l!egorico (altri modi sono l'allegoria cosmologica, antropologica, ecc.). Infatti ogni interpretazione che è tipologica quanto al contenuto (in quanto ravvisa in un dato del VT il typos di un dato del NT), è allegorica quanto al procedimento ermeneutico (perchè dà a quel dato un significato che non è quello letterale). Per un sommario orientamento cfr. H. de Lubac, Typologic et allegorisme, « Recherches de science religieuse », 34, 1947, pp. 180-226;H. Crouzel, La distinction de la « typologie » et de l'« allegorie», « Bullettin de littérature ecclésiastique », 65, 1964, pp. 161-174; Pépin, Mythe et allegorie, p. 247 sgg. 33 Sull'esegesi di Clemente cfr. D.A. Hagner, The Use of the Old and New Testament in Clement of Rame, Leiden 1973.
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confortare l'invito di Clemente alla concordia e alla pace: i funesti effetti della gelosia sono illustrati dal ricordo di Caino Esaù Aronne, ecc. (c. 4); come esempi di obbedienza vengono ricordati Enoch Noè Abramo Lot Rahab (cc. 9-12); i pregi dell'umiltà sono illustrati dall'esempio di Abramo Giobbe Davide (cc. 17-18), e potremmo continuare. A volte le parole dei vecchi testi vengono attualizzate in riferimento ai fatti del momento: lo stato di abbondanza in cui si trovavano i corinzi ha visto la realizzazione di Deut. 32, 15 « Ha mangiato e bevuto, si è allargato e ingrassato, ecc. ». 34 Ma a noi qui interessa soprattutto notare come, nonostante ben 35 conosca l'applicazione a Cristo delle profezie veterotestamentarie e addirittura faccia talvolta di Cristo colui che parla nel VT, 36 Clemente eviti di interpretare il VT in chiave specificamente cristologica alla maniera di Paolo. Infatti vari dei personaggi che abbiamo detto essere proposti da lui come esempi di virtù si prestavano agevolmente a richiami cristologici (p.es., Giuseppe Mosè); e invece l'applicazione di questo principio ermeneutico è assente nella pagina clementina, ad eccezione di un breve ma esplicito richiamo alla corda scarlatta di Rahab (los. 2, 18) come prefigurazione del sangue di Cristo (12, 7). E nè qui nè altrove Clemente fa uso di typos nel modo che abbiamo detto caratteristico di Paolo. Se perciò l'accenno a Rahab è prova che Clemente è a conoscenza dell'interpretazione cristologica del VT inaugurata da Paolo e che al tempo suo era già in sviluppo, la quasi totale assenza di esempi di tale interpretazione nella sua pagina può forse indicare un atteggiamento di riserbo nei suoi confronti. In effetti, in ambienti giudeocristiani più radicali di quello per noi rappresentato da Clemente si giunse alla esplicita condanna di ogni interpretazione non letterale della Sacra Scrittura, ovviamente in conseguenza della recisa condanna da cui qui fu colpita l'azione di Paolo: Ps. Clem. Recogn. 10, 42.37 Il tipo d'interpretazione tipologica del VT è per noi rappresentato in quest'epoca soprattutto dalla lettera del cosiddetto Ps. Bar-
34 Cfr. A, 1. Subito dopo (3, 3) 1s. 3, 5 è applicato ad illustrare i disordini che affliggevano la chiesa di Corinto. 35 Si veda la lunga citazione di 1s. 53, 1 sgg. in 16, 3 sgg. 36 Cfr. 22, 1, dove Clemente dice di Cristo: « E' infatti egli stesso che per mezzo dello Spirito santo ci esorta così: 'Venite, figli, ascoltatemi vi in~egnerò il timore del Signore ' (Ps. 33, 12) ». Questo passo sembra pres~pporre 11 concetto che non soltanto il VT parla di Cristo ma è Cristo stesso che parla di sè e altro nel VT. 31 E' a tutti noto che, se la redazione finale degli scritti ps. clementini fu tarda, essi però hanno utilizzato materiali molto più antichi, rimontanti
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2:
ETA' APOSTOLICA
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naba. Ma prima di presentarla è opportuno accennare ad un altro caso di silenzio, di segno opposto a quello di Clemente, e che neppur esso può essere considerato casuale. Mi riferisco alle lettere di Ignazio in cui, pur se un paio di volte la Legge e i profeti sono ricordati a fianco del Vangelo (Smyrn. 5, 1; 7, 2), di fatto le citazioni veterotestamentarie sono rarissime, meno di una decina, e neppure una è dalla Legge. Per di più, in un passo di significato non del tutto perspicuo (Philad. 8, 2), il Vangelo sembra contrapposto proprio al VT. Questo atteggiamento appare indizio del sospetto, per non dire dell'avversione, che certi ambienti cJ:iistiani d'origine pagana nutrivano nei confronti del VT, come riflesso di un atteggiamento fortemente antigiudaizzante. Troveremo nello gnosticismo la radicalizzazione di tale atteggiamento. Agli antipodi dell'atteggiamento di Ignazio, lo Ps. Barnaba si occupa a fondo del VT, e la sua estrazione giudeocristiana si avverte, oltre che per altri indizi, anche per i procedimenti di tipo midrashico messi in opera per l'interpretazione di passi scritturistici;38 ma il suo giudeocristianesimo culturale è affine a quello di Paolo e Ebrei e si traduce, nei confronti del VT, nella radicalizza· zione della posizione paolina. Paolo infatti non aveva messo in dubbio che per i giudei la Legge avesse avuto valore reale; invece lo Ps. Barnaba interpreta l'episodio di Ex. 32, 15 sgg., in cui Mosè infrange le tavole della Legge, come segno che i giudei per la loro indegnità non erano stati degni dell'alleanza che Dio aveva voluto concludere con loro e che invece è stata trasferita ai cristiani (4, 6-8; 14, 1-5). Di conseguenza egli sostiene che erroneamente i giudei avevano osservato alla lettera una quantità di precetti legali che invece avrebbero dovuto essere inte· si spiritualmente. In questo modo, con procedimento tipicamente midrashico egli interpreta allegoricamente 39 le prescrizioni alimentari: non mangiare carne di porco significa non avere contatto con uomini che si compattano come porci; astenersi dalla carne di lepre significa evitare la pederastia; il divieto di mangiare alcuni volatili significa che bisogna evitare di diventare simili agli uomini che non sanno procurarsi il nutrimento con la fatica e il sudore (c. 10). A 9, 8, nell'interpretare simbolicamente, come anticipazione
38 Per dettagli ed esemplificazione su questi procedimenti cfr. J. Daniélou, Théologie du judéo-christianisme, Tournai 1958, p. 112 sgg.; P. Prigent in SCh 172, 11 sg. 39 Lo Ps. Barnaba non fa mai uso di allegoria e derivati, mentre adopera spesso typos: 7, 3. 7. 10. 11, ecc. A 17, 2 parabolé sta ad indicare un discorso oscuro, non semplice.
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I PRIMI
profetica, la circoncisione di Abramo, lo Ps. Barnaba interpreta il numero 318, indicativo dei servi di Abramo, come simbolo del nome di Gesù e della croce, · inaugurando in ambiente cristiano l'interpretazione simbolica dei numeri già conosciuta dai giudei ma valorizzata soprattutto dai greci e dai giudei ellenizzati. In tal senso i sette giorni della creazione sono visti (c. 15) come simbolo dei 6000 anni della durata del mondo e, nel sabato, del riposo escatologico che seguirà al giudizio finale. Anche l'interpretazione specificamente tipologica viene dallo Ps. Barnaba dilatata rispetto ai precedenti paolini, pur restando circoscritta ai fatti narrati nei libri della Legge, e talvolta i dettagli del testo son fatti oggetto di interpretazione molto puntuale. E' caratteristica di questo autore la presentazione di intere serie di fatti raggruppati intorno a singole tipologie: p. es., i riti del giorno del digiuno, del capro espiatorio, del sacrificio della giovenca (cc. 7-8) sono in blocco presentati come typoi di Gesù sofferente; 40 molto al di là della tipologia paolina, sono interpretati come riferimenti al battesimo una quantità di passi del VT in cui si parla di acqua (c. 11);41 viene riferito alla croce il racconto di Mosè che, durante la battaglia fra israeliti e amaleciti, prega a mani distese (Ex. 17, 8 sgg.): c. 12.42 Giosuè è visto come figura di Cristo (12, 8-10), limitatamente all'episodio dell'esplorazione della terra di Canaan (Num. 13, 8. 16) e a quello della battaglia (12, 8-9).43 Possiamo pensare che in ambienti cristiani così orientati e più o meno in quest'epoca abbiano cominciato a prender forma alcune simbologie destinate a grande fortuna: il sole simbolo di Cristo, 44 la luna e la nave simbolo della chiesa, il mare simbolo del mondo. Infatti da tutto quanto abbiamo fin qui esposto risulta
40 La simbologia della giovenca è ricca di dettagli: la giovenca è Gesù, i peccatori che la offrono sono i giudei che lo hanno ucciso, i fanciulli che aspergono (questo dettaglio non è in Num. 19 ma deriva dalla Mishna) sono simbolo degli apostoli, sono tre a testimonianza di Abramo Isacco e Giacobbe; la lana sul legno indica che il regno di Gesù è sul legno, ecc. (8, 2-6). 41 Su queste citazioni, non sempre di immediata intelligenza, cfr. il com.mento di F. Scorza Barcellona, L'Epistola di Barnaba, Torino 1975, p. 149 sgg. " Subito dopo lo Ps. Barnaba ricorda, come typos della croce, il serpente di bronzo di Num. 21, 9 (12, 6-7). 43 Cioè, senza eccedere i limiti dei libri della Legge, mentre vedremo in Giustino la tipologia Giosuè/Gesù estendersi al libro di Giosuè. Anche in questo limitare alla Legge la ricerca di typoi cristologici il nostro autore si attiene fedelmente al modello paolino. 44 Su questa simbologia si è esercitato forte l'influsso del sole di giustizia di :'via/. 3, 20. Per lo studio di questi e altri antichi simboli cristiani cfr. H. Ralmer, Mythes grecs et mystère chrétien, Paris 1954; J. Daniélou, Les symboles
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DUE SECOLI
3:
INTERPRETAZIONE GNOSTICA
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chiaro che non si può distinguere fra interpretazione letterale e allegorica del VT come proprie una dei cristiani di origine giudaica e l'altra dei cristiani di origine pagana, in quanto ambedue i tipi d'interpretazione sono ben attestati in ambito giudeocristiano.
3. Interpretazione
gnostica della Sacra Scrittura.
1. Se la linea interpretativa di Clemente era destinata ad acclimatare il VT, alleggerito di molte prescrizioni rituali tipicamente giudaiche, come canone di condotta morale accanto al NT, la linea interpretativa di Paolo e dello Ps. Barnaba, progressivamente dilatata, si sarebbe sempre più imposta quale lettura specificamente cristiana del VT. Essa, interpretandolo in chiave tipologica, ne assicurava la validità per la chiesa opponendosi alla radicale svalutazione di esso da parte di gnostici e marcioniti. 45 In conseguenza della loro impostazione dualista, i marcioniti deprezzavano completamente il VT in quanto rivelazione del dio inferiore, in confronto del NT, rivefazione del Dio sommo, il Padre di Cristo. Sappiamo che l'interpretazione che essi ammettevano per il VT era esclusivamente e strettamente letterale: coincidendo in sostanza con l'interpretazione giudaica, Marcione interpretava le profezie che venivano considerate messianiche dai cristiani, o come realizzatesi nel corso della storia stessa d'Israele o destinate a realizzarsi in futuro con la venuta del futuro messia guerriero.46 Anche gli gnostici, a causa del loro dualismo e del deprezzamento radicale del mondo materiale, erano portati a svalutare il VT per gli stessi motivi dei marcioniti; ma d'altra parte proprio dal VT essi ricavavano alcune notizie fondamentali sulla loro origine e la loro natura. Dalla combinazione di questi due atteggiamenti deriva una ratio ermeneutica del VT molto complessa.47 Da
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Qui non interessa se e in che limiti anche i marcioniti possano essere considerati gnostici. Vi accenniamo separatamente perchè in ambito esegetico le loro posizioni non furono congruenti. . _.. Cfr. Tert. Mare. 5, 18, 5; Orig. Co. Mt. 15, 3; A.v. Harnack, Marcion, Le1pz1g 1924, p. 260 delle Beilagen; E.C. Blackman, Marcion and His Influence, London 1948, p. 114 sgg. · 47 Sull'esegesi gnostica si veda C. Barth, Die Interpretation des Neuen Testaments in der valentinianischen Gnosis, Leipzig 1911: M. Simonetti Note sull'interpretazione gnostica dell'Antico Testamento, « Vetera Christian~rum ,, 9, 1972, pp. 331-359; 10, 1973, pp. 103-126; G. Filoramo-C. Gianotto L'interpretazione gnostica dell'Antico Testamento. Posizioni ermeneutiche e t~cniche esegetiche, « Augustinianum » 22, 1982, pp. 53-74.
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CAP. I:
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I PRIMI DUE SECOLI
un lato abbiamo la tendenza all'esegesi letterale col duplice intento di mettere in cattiva luce il Dio del VT (il Demiurgo) rilevando gli antropomorfismi di cui sono gremiti i primi libri della Scrittura, 48 e di confermare alcuni punti fondamentali della loro dottrina, quale quello delle diverse nature degli uomini. 49 E d'altra parte proprio l'avversione al Dio del VT li portava a valutare positivamente episodi che il VT valuta negativamente. E' esemplare in questo senso una pagina del Testimonium veritatis (NHC IX 3, 45 sgg.), in cui l'autore gnostico presenta in modo positivo la trasgressione, da parte di Adamo ed Eva, del divieto di mangiare dall'albero della conoscenza del bene e del male, trasgressione loro ispirata dal serpente, il più sapiente di tutti gli animali, perchè i due acquistassero conoscenza del loro vero essere, 50 e poi si chiede che sorta di Dio sia quello che, nel contesto dei fatti narrati in Gen. 1-3, si dimostra invidioso ignorante e cattivo. In vari testi gnostici questi fatti sono interpretati in modo accentuatamente mitizzante, sia dando a particolari del racconto biblico delle origini significato diverso da quello originale sia aggiungendo dettagli del tutto nuovi, al fine di far vedere come nell' uomo psichico e materiale, creato dagli arconti per volere del Demiurgo, Sophia ( = il Logos divino) avesse infuso il seme divino di natura spirituale, che lo rende superiore al Demiurgo e ai suoi aiutanti e che perciò costoro tentano di recuperare o neutralizzare in qualche modo. 51 A volte poi la valutazione positiva del peccato di Adamo e di altri episodi biblici si dilata in una linea interpretativa che in modo quasi sistematico apprezza in senso antidemiurgico i personaggi che il VT presenta sotto luce negativa: Caino sodomiti Esaù, ecc. Una setta gnostica, in tal senso, prendeva addirittura nome da Caino (cainiti), il primo uomo nemico del Demiurgo, un prototipo dell'uomo spirituale, cioè dello gnostico. Un testo di Ippolito relativo ai perati (Refut. 5, 16, 4-12) presenta una vera e
INTERPRETAZIONE
GNOSTICA
31
~ropria st?~ia sacra in funzione antidemiurgica, vedendo all'opera 11 Logos d1vmo con questo intento in una serie di personaggi biblici che per lo più (ma non sistematicamente) il testo sacro valuta in modo negativo: il serpente Eva Caino Giuseppe Esaù Giacobbe Nemrod il serpente di bronzo, fino alla citazione del prologo di Giovanni. 52 Questo atteggiamento di rifiuto, che prende forma in una esegesi per lo più molto tendenziosa, 53 può essere sintetizzato in queste parole riportate da Ippolito (Refut. 6, 35, 1): « Tutti i profeti e la Legge hanno parlato per opera del Demiurgo, cioè di un dio sciocco, essi sciocchi che nulla sapevano ».54 Al polo opposto si collocano testi, come l'Esegesi dell'anima (NHC II 6) e la Pistis Sophia, in cui l'opposizione Dio sommo/ Demiurgo non è molto rilevata e dove perciò il VT è considerato rivelazione del Logos divino, che vi ha adombrato le vicende di Sophia e dell'anima umana in modo che la superiore rivelazione del NT ha permesso alfine di decifrare. 55 Altri testi assumono una posizione più complessa e s_fumata. Nella Lettera a Flora 56 il valentiniano Tolomeo (metà del II sec.) assume nei confronti della Legge mosaica un atteggiamento intermedio fra la totale accettazione dei
52
Va comunque rilevato che il fondamentale orientamento antidemiurgico testo no1;1 è_ c~erente in tutti i dettagli: infatti, se alcuni dei per~onagg1 presentati effettivamente erano stati nemici del Dio del VT (Caino Esau Nemro~), n~n così erano stati Giuseppe e Giacobbe. Per un'altra fonda· menta!~ test1m~manza dell'~tteggiamento antidemiurgico degli gnostici si veda F1loramo-G1anotto, art.cit., p. 59 sg., che riportano un lungo passo del Secondo trattato del Grande Seth (NHC VII, 2, 62 sg.), in cui Gesù Cristo presenta come o~getto di d~risione i principali personaggi del VT: Adamo Abr~mo Isacco Giacobbe Davide Salomone i profeti Mosè e perfino Giovanni Battista. ~ulla comples~a esegesi gnostica del Battista vedi ora. E. Lupieri, L'ar•
dr questo.
c?nte d_ellutero. Cor:tributo per lfna storia dell'esegesi della figura di Giovanm Battista con particolare attenzione alle problematiche emergenti nel secondo sec?l?, « Annali_ ~i storia ~ell'~segesi » 1, 1984, p. 165 sgg. Per una valutazione pos1~1v~ delle vittime del d1luv10, della torre di Babele e dei sodomiti cfr. Parafrasi di Sem, NHC VII/1, 25 sgg. 53
48 Cfr. Orig. Princ. 2, 5, 1, dove sono riportati alcuni episodi (diluvio, distruzione di Sodoma e Gomorra, ecc.), dai quali gli gnostici ricavavano che il Dio del VT era giusto ma non buono come il Dio del NT. .., Cfr. ancora Orig. Princ. 3, 1, 7 sgg., dove sono riportati i passi del VT da cui gli gnostici ricavavano l'esistenza di uomini materiali per natura: Ex. 4, 21 (Dio indurisce il cuore del Faraone); Ez. 11, 19 sg., ecc. so Cioè, che essi racchiudevano dentro di sè un germe di natura spirituale, superiore alla natura del Demiurgo, che perciò cerca di mantenerli nella ignoranza. 51 Per dettagli su questo punto cfr. le mie Note, p. 352 sgg. e FiloramoGianotto, art. cit., p. 69 sgg.
3:
~al punto di vista della tecnica esegetica, questa interpretazione che valuta m modo opposto all'intenzione dell'agiografo personaggi e fatti del VT resta formalm~nt~ letterale, ma in realtà implica una reinterpretazione deforma;1te de_l ~esto biblico. Essa rappresenta un caso a sè nel panorama dell'esegesi patnstrca. 54 • • Il ~o.tivo d~ll'ig_noranza del Demiurgo circa l'esistenza del mondo d1vmo e SJ?mt~a)e e d1 norma fondata dagli gnostici sulla citaz. di Js. 4,5, ~ e p~ss1 affm1 (Deut. 32, 39, ecc.) in cui il Dio del VT proclama di essere l.umco D10: cfr., p.es., Iren. Haer. 1, 5, 4 e per altri esempi, le mie Note p. 121 sgg. ' :: Per dettagli su questo punto cfr. Filoramo-Gianotto, art.cit., p. 65 sg. _, Oues_to testo, tramandato da Epifanio, Panarion 33, 3-7, è pubblicato in SCh 24 (Qmspel).
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I PRIMI
DUE SECOLI
cattolici e il rifiuto radicale dei marcioniti, e vi distingue tre parti: legislazione ingiusta, destinata ad essere abolita dal Salvatore; legislazione imperfetta, destinata ad essere perfezionata; legislazione avente valore simbolico e da interpretare perciò in modo spirituale. Alla base di questa valutazione sta una concezione non del tutto negativa del Demiurgo, dio ignorante ma non cattivo, e la convinvinzione che nel VT per suo tramite e a sua insaputa ha operato, sia pur saltuariamente, Sophia, cioè il Logos; in tal modo, mentre alcune profezie derivano solo dal Demiurgo, altre derivano invece proprio da Sophia (Iren. Haer. 1, 7, 3; 1, 30, 11). In quest'ordine d'idee l'Apokryphon Iohannis più volte rimprovera Mosè, in quanto autore dei primi libri del VT, di non aver detto cose esatte riguardo allo Spirito che vagava sopra le acque, alla creazione di Eva, al sonno di Adamo, all'arca di Noè (BG 45. 58. 59. 73). Dobbiamo intendere il rimprovero nel senso che .Mosè, ispirato non solo dal Demiurgo ma anche da Sophia, ha scritto cose che, nel loro significato profondo, cioè spirituale, trascendevano le sue capacità di uomo soltanto psichico, e così le ha descritte in modo non sempre conforme alla realtà dei fatti. Perciò per una serie di passi privilegiati del VT questi gnostici distinguono due fonti d'ispirazione: il Demiurgo, che ispira il significato letterale e perciò il contenuto psichico del testo, destinato agli uomini psichici; e Sophia, che ispira il significato più profondo, quello spirituale, destinato ai soli gnostici. 57 Questo tipo di lettura del VT, in quanto carica il testo di significati ad esso originariamente estranei, va definita già allegorica. In effetti gli gnostici sono maestri in questo tipo di esegesi e ne usano in modo molto più specifico nei contesti più vari, oltre quelli così tecnici che abbiamo sommariamente esaminato. Basterà qui ricordare la cosiddetta Predica dei naasseni (presso Hipp. Refut. 5, 7, 2 sgg.), in cui passi del VT e del NT sono addotti, insieme con passi di poeti greci e il ricordo di vari miti, a significare simbolicamente l'elemento divino degradato e imprigionato nel mondo, di cui viene a costituire il principio vitale: esso, p.es., è simboleggiato nella coppa che Giuseppe, secondo il racconto di Gen. 44, 1 sgg., fa nascondere nel sacco di grano di Beniamino, che è assunto come
57 Abbiamo così anche qui una lettura del testo del VT a due livelli. Ma rispetto a quella che abbiamo rilevato, da Paolo in poi, nell'interpretazione cattolica del VT, questa lettura gnostica si differenzia in modo fondamentale, pcrchè i cattolici ravvisano per ambedue i livelli del VT una medesima fonte d'ispirazione, mentre gli gnostici ne affermano due radicalmente difformi fra loro.
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simbolo del corpo (5, 8, 6).58 E nella Grande rivelazione dei simoniani, sulla base di Is. 44, 2. 24 « Sono io che ti plasmo nell'utero di tua madre», il paradiso in cui viene plasmato Adamo è assunto a simbolo dell'utero materno, in cui Dio plasma ogni uomo. L'interpretazione è attenta ai dettagli: il paradiso è l'utero, Eden la placenta, il fiume che scorreva da Eden il cordone ombelicale, e così via (Hipp. Refut. 6, 14, 7-8).59 2. E' giunto il momento di parlare dell'interpretazione del NT. Infatti gli scritti in esso riuniti, variamente riecheggiati dagli autori dell'età subapostolica ma non ancora canonizzati in un corpus parallelo a quello del VT, sono adoperati dagli gnostici, o meglio da alcuni gnostici più cristianizzati, e dai marcioniti come opere fornite di piena autorità e perciò contrapposte al VT in quanto rivelazione di Cristo, il Logos, il Figlio del Dio sommo. Basterà appena ricordare in proposito che il primo canone del NT fu quello fissato da Marciane sulla base della tradizione. paolina (alcune lettere e III Vangelo). · di Marciane, come per Mentre anche per il NT l'interpretazione il VT, è rigidamente letterale, 60 gli gnostici, che abbiamo visto interpretare volentieri il VT in modo letterale, e sappiamo per quali motivi, per il NT si servono invece di un'esegesi accentuatamente allegorica, al fine di far quadrare il dato scritturistico con la loro dottrina e perciò servirsene di appoggio. Di. tale ratio interpretativa siamo informati soprattutto per i valentiniani, i più cristianizzati e insieme i più raffinati di tutti gli gnostici. 61 La loro tecnica ermeneutica avrebbe influenzato a fondo quella dei loro grandi avversari alessandrini, Clemente e Origene. · A stare ai dati forniti da Ireneo, essi sfruttavano molto la simbologia numerica ma in modo piuttosto esteriore: p. es., le ore
58 II simbolismo è fondato esegeticamente sul collegamento di questo episodio biblico con la citazione di Anacreontea 52, 10 sgg. Preisendanz, dov'è detto: « La coppa mi dice che cosa io devo divenire, parlando con silenzio indicibile » cioè mi rivela il mio vero essere di uomo spirituale. 59 Sul valore simbolico che gli gnostici usavano attribuire alle indicazioni numeriche che trovavano nel VT, collegandole con elementi della loro dottrina, cfr. Note, p. 342 sg. 60 Valgono anche per il NT le indicazioni riportate a n. 46. 61 Anche affermando per il NT, a differenza che per il VT, una sola fonte d'ispirazione cioè lo Spirito del Dio sommo, i valentiniani distinguevano in esso due livelli di lettura, quella letterale ad uso dei cristiani comuni (= gli psichici)_ ~ quella spiritual~, _ci~è allegorica, _ad uso degl,i spir~tuali, cioè degli gnost1c1. Anche questa d1stmz10ne avrebbe mfluenzato 1 esegesi cattolica degli alessandrini.
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CAP. I:
I PRIMI
DUE SECOLI
prima terza sesta nona undicesima della parabola degli operai dell~ vigna {Mt. 20, 1 sgg.) simboleggiano i 30 eoni del Pleroma perche la somma di quei numeri dà appunto 30 (Iren. Haer. 1, 1, 3). E sappiamo che Marco il Mago dilatava la simbolica numerica fino a ridurre a rapporti numerici tutta la sua dottrina (Iren. Haer. 1, 14). Ma altre volte l'interpretazione gnostica, p~r ne~l~ sua a~bi~ trarietà, è fine e sottile. P.es., le tre nature degli uomm1, matenah psichici spirituali, sono indicate rispettivamen:e: da Mt. ~• _19 sg., in cui Gesù risponde a chi voleva segmrlo « Il F1gho del• l'uomo non ha dove posare il capo»; da Le. 9, 61 sg., in cui Gesù dice a chi lo voleva seguire ma prima voleva dare disposizioni ai suoi servi: « Nessuno che abbia posto mano all'aratro e poi si volga indietro, è adatto per il regno dei cieli »; da Mt. 8, 22, in cui Gesù dice al discepolo che voleva andare a seppellire il padre: « Lasciate che i morti seppelliscano i loro morti ». Infatti la prima risposta poteva essere interpretata come rifiuto, la seconda come un avvertimento, la terza come un comando; e perciò esse caratterizzano, rispettivamente: la natura degli uomini materiali, che non è suscettibile di salvezza; quella degli psichici, dotata di libertà di scelta; quella degli spirituali, destinata infallibilmente alla salvezza (Iren. Haer. 1, 8, 3). 62 I valentiniani valorizzarono soprattutto il IV Vangelo, perchè si prestava bene ad una lettura in chiave gnostica, anche con ~estinazione diversificata. All'uso interno della scuola appare destmato un lungo passo in cui Tolomeo con un sottile gioco di riferimenti interpreta il prologo di Giovanni, cioè il passo dottrinalmente più pregnante dell'opera, in modo da ricavarne i nomi deg!i eon~ de!la Ogdoade, i più importanti del Pleroma: Padre Grazia U~1gemto Verità Logos Vita Uomo Chiesa (Iren. Haer. 1, 8, 5-6). A pn~ vast~ destinazione sembra essere stato indirizzato il Commento a Giovanni di Eracleone; e non considereremo affatto casuale che per fare opera di propaganda presso i cattolici il discepolo di Vale?tino, abbia avuto l'idea di commentare questo Vangelo, dandoci cosi la prima opera cristiana di carattere specificamente esegetico, ~i cu~ siamo a conoscenza. 63 Dai 49 frammenti che ce ne sono nmast1
6 ' Per un altro esempio: Le. 2, 40 « Il fanciullo cresceva e pr?grediva !n sapienza » è interpretato in riferimento alle_ due nature che sus~1~tevano m Gesù quella psichica che cresceva progressivamente, e quella sp1ntuale, che avev~ bisogno dell'as~istenza di Sophia ( = sapienza); Exc.ex Theod. 61, dove sono anche altri esempi. 63 Infatti non abbiamo precisa notizia del contenuto degli Exegetica che sappiamo essere stati scritti da Basilide.
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ricaviamo che il commento, con ogni pro:habilità, non giungeva fino alla fine del Vangelo e non prendeva sistematicamente in esame ogni singolo versetto. Non si trattava comunque di una raccolta di passi scelti, ma di un commento piuttosto comprensivo, che seguiva passo passo la citazione del testo giovanneo ed era piuttosto conciso, all'incirca secondo l'uso dei commenti greci di argomento letterario.64 Il commento di Eracleone a Giovanni, in quanto non destinato ad un pubblico di soli iniziati, evita di proposito gli argomenti troppo tecnici e insiste sui due capisaldi della dottrina valentiniana: distinzione fra il Dio sommo del NT e il Demiurgo del VT; distinzione degli uomini in tre nature diverse per origine e destino. Solo per fare un esempio, il Demiurgo e tutta la sostanza psichica sono simboleggiati dal funzionario reale, cui Gesù guarisce il figlio, di Io. 4, 46 sgg. (fr. 40); l'uomo spirituale è simboleggiato dalla samaritana (fr. 17 sgg.); l'uomo materiale dai giudei di Io. 8, 44, cui Gesù dice: « Voi avete come padre il diavolo» (fr. 44-47).65 Singolarmente raffinata appare poi l'interpretazione del Battista: il personaggio è al limite fra la vecchia e la nuova economia, e perciò Eracleone lo vede operare a volte come uomo psichico a volte come uomo spirituale {fr. 3 sgg.).li6 L'interpretazione di Eracleone è prevalentemente allegorica, ma non trascura del tutto la lettera del testo (fr. 32. 39, ecc.); qualche
64 I frammenti del commentario di Eracleone sono riportati (e confutati) nel Commento a Giovanni di Origene. Questi riporta il testo dello gnostico in modo sistematico e per lo più alla lettera. Se esso ci è giunto in forma così frammentaria, ciò è dovuto al fatto che dell'opera di Origene ci sono giunti solo pochi libri dei 33 originari, e questi pochi in genere non conse• cutivi. Per il testo cfr. W. Vi:ilker, Quellen zur Geschichte der christlichen Gnosis, Ttibingen 1932, p. 63 sgg. " Quest'affermazione, unita all'opposizione nei confronti di Gesù, spiega perchè Eracleone abbia assunto i giudei a simbolo dell'uomo materiale; la sa• maritana invece è stata assunta a simbolo dello spirituale in forza della prontezza incondizionata con cui crede alle parole di Cristo; il funzionario reale è simbolo dell'uomo psichico perchè ha bisogno di segni e prodigi per credere in Gesù. Per dettagli su questo e in genere sull'esegesi di Eracleone, cfr. il mio Eracleone e Origene, « Vetera Christianorum » 3, 1966, pp. 111-141;4, 1967, pp, 23-64. 66 P.es., per Io 1, 29 Eracleone spiega (fr. 10) che le parole « Agnello di Dio » sono pronunciate da Giovanni in quanto profeta, cioè psichico; invece « che prende su di sè il peccato del mondo » sono dette da lui in quanto più che profeta, cioè spirituale. Esegeticamente la distinzione è fondata sul fatto che l'agnello è animale imperfetto (rispetto all'ariete) e perciò sottolinea la componente psichica del Salvatore; invece la missione di redimere il mondo, che racchiude in sè anche gli spirituali, è propria della natura divina
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CAP. I:
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passo è interpretato prima alla lettera e poi allegoricamente (fr. 8, è ela22).67In definitiva, il rapporto fra i due tipi d'interpretazione stico e non appare riconducibile a una norma precisa. In effetti, mancano in questi testi chiarimenti e prese di posizione di carattere metodologico; e del resto non consta che nè Eracleone nè altri gnostici si siano preoccupati di fondare teoricamente il loro modo di interpretare la Scrittura. Il più delle volte l'interpretazione allegorica è fondata su un apprezzamento puntuale e minuzioso della lettera del testo, che ne forza al massimo alcune caratteristiche peculiari (fr. 11. 13. 38. 40). A questo criterio d'interpretazione possiamo ricondurre la tendenza a fondare l'interpretazione allegorica su una vera o presunta incongruenza del senso letterale di un passo (fr. 18), sull'assenza di particolari che logicamente ci si sarebbe aspettato di trovare nel testo (fr. 11), su particolari che, pur non riportati nel testo, possono essere facilmente supposti (fr. 13. 27), sul collegamento di due fatti di per sè indipendenti fra loro (fr. 26). E' superfluo aggiungere che per Eracleone ogni espressione numerica ha valore simbolico (fr. 15. 16. 18. 38. 40). Per qualche esempio, su lo. 1, 23 « Io sono voce di colui che grida nel deserto, ecc.», l'inferiorità di Giovanni rispetto a Cristo, e dello psichico rispetto allo spirituale, è rilevata dal genere femminile di phoné (voce) rispetto al maschile di logos (parola), indicativo di Cristo (fr. 5). Cafamao è considerata simbolo della materia perchè situata sulla riva del lago, sulla base della corrente simbologia acqua stagnante = mondo (fr. 11. 40). II pozzo cui la samaritana va a attingere è simbolo della realtà psichica, in quanto a quel pozzo attingeva Giacobbe, personaggio del VT, con i suoi animali (psyché = anima); il pozzo è profondo, perciò di difficile accesso, e questo simboleggia la precarietà e l'insufficienza dell'economia psichica in cui la samaritana, simbolo dell'uomo spirituale, si trova momentaneamente immersa (fr. 17).68 E' chiaro che Eracleone sa applicare con finezza la tecnica esegetica propria del-
67 P.es., Io. 4, 22 « •.. poichè la salvezza viene dai giudei» prima è interpretato da Eracleone alla lettera, cioè in riferimento all'originale giudaica di Gesù, poi in senso spirituale, assumendo i giudei come simbolo degli angeli del Salvatore, suoi collaboratori nell'opera di salvezza (fr. 22'). 68 Ancora, il calzare di Gesù (Io. 1, 27) simboleggia il mondo in quanto rivestimento della parte inferiore del corpo, come il mondo della materia è inferiore rispetto ai mondi superiori (fr. 8). Gesù resta presso i samaritani (lo. 4, 40) ad indicare che essi simboleggiavano gli psichici. Se infatti avessero ~imholf'Q'Q'iatoQ"]i soirituali. avrebbe detto non vresso di loro ma in loro (fr. 38).
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l'allegorismo pagano e filoniano; per questo è stato opportuno soffermarci un po' su questo primo ma già raffinato prodotto dell'esegesi scritturistica cristiana.
4. Polemica antigiudaica
e antignostica.
La cristianità del II secolo è ormai profondamente ellenizzata, ha però finito coll'accettare, dopo polemiche accese, la validità del VT, almeno a livello di chiesa ufficiale, e tale posizione difende, nella seconda metà del II secolo, sul fronte sia antigiudaico sia antignostico, soprattutto sulla base dell'interpretazione tipologica, cioè cristologica, della vecchia Legge, che perciò viene progressivamente amplificata e approfondita. Conosciamo i due atteggiamenti, che alla base coincidono anche se l'obiettivo è diverso, soprattutto da Giustino e Ireneo. 69 1. Giustino
dà una valutazione della Legge meno radicale di quella dello Ps. Barnaba, nel senso che sa distinguere fra prescrizioni di morale naturale e prescrizioni legali, le prime valevoli per sempre e le altre ormai diventate prive di valore; e non nega che a suo tempo la Legge abbia avuto valore, anche se essa è stata data ai giudei a causa della loro incapacità di osservare una legge spirituale. Ma per lui, come per Paolo e lo Ps. Barnaba, la Legge è soprattutto typos 71 della realtà futura, quella di Cristo e della 70
6' La polemica antimarcionita ci è nota soprattutto grazie a Tertulliano. Essa comunque, dal nostro punto di vista, non si diversifica rispetto a quella antigiudaica, in quanto giudei e marcioniti erano fra loro accomunati, agli occhi dei cattolici, dalla interpretazione letterale del VT, e contro ambedue ne veniva proposta l'interpretazione cristologica con procedimento allegorizzante. 70 Conosciamo l'esegesi di Giustino essenzialmente grazie al Dialogo con l'ebreo Trifone, essendo andato perduto lo scritto contro Marciane, la cui importanza è testimoniata dall'ampio uso che ne ha fatto Tertulliano. Sulla esegesi di Giustino cfr. J. Daniélou, Message évangelique et culture hellénistique, Tournai 1961, pp. 185-202; W.A. Shotwell, The Biblical Exegesis of Justin Martyr 1956; G. Otranto, Esegesi biblica e storia in Giustino (Dial. 63-84), Bari 1979. 71 E' questo il termine prediletto da Giustino: Tryph. 40, 1; 41, 1; 91, 2. 3. 4, ecc. Ma in questo senso egli adopera anche symbolon (40, 3; 42, l; 53, 4; 86, 1, ecc.) e tropologia (57, 2; 114, 2; 129, 2). Nel Dialogo con Trifone non è mai attestato allegoria; ma il termine è presente, insieme con parabolé, in un passo, probabilmente del Contro Marciane, citato da Ireneo, Haer. 5, 26, 2, come di Giustino. Per parabolé vedi anche Tryph. 52, 1. La frequenza, del tutto sporadica, di allegoria rispetto a typos fa pensare a scarsa simpatia per il termine, come in Paolo e Ps. Barnaba. Invece l'autore della Cohortatio ad
lii
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1'111t•su. Infatti
solo l'incarnazione di Cristo ci ha fornito la chiave intendere il vero significato del VT, che i giudei invece hanno misconosciuto perchè hanno interpretato il testo sacro solo alla lettera ('ramw&ç) e non vogliono riconoscere che le profezie si sono ormai realizzate in Cristo (Tryph. 100. 112). Dal punto di vista ermeneutico è fondamentale il passo in cui Giustino distingue fra typoi e logoi (profezie): « Talvolta lo Spirito santo faceva sì che con chiarezza si realizzasse ciò che era typos di accadimenti futuri; altre volte poi pronunciava profezie (logous) relative a fatti che si sarebbero realizzati» (Tryph. 114, 1), dove è chiara la distinzione nel senso che le profezie vanno riferite a Cristo secondo la lettura prima e immediata del testo, mentre i typoi impongono due livelli di lettura perchè il significato cristologico si sovrappone, senza sopprimerlo, al significato storico del fatto narrato. 72 Nell'applicare questo criterio ermeneutico Giustino, come del resto Ireneo e gli altri asiatici, di preferenza riferisce typoi e logoi a fatti concreti di Cristo e della chiesa: l'offerta per la purificazione dalla lebbra è figura dell'eucaristia; i dodici sonagli che ornavano il bordo della veste del sacerdote ebraico sono simbolo dei dodici apostoli (Tryph. 41, 1; 42, 1). La tipologia non è applicata con sistematicità al testo del VT, come avrebbe fatto Origene, ma è comunque ulteriormente dilatata rispetto allo Ps. Barnaba. Fra gli esempi più importanti basterà ricordare la correlazione antitipica Eva/ Maria, destinata a larghissima fortuna (Tryph. 100, 4-5);73 la duplice interpretazione, escatologica e cristologico-battesimale, del diluvio (2Apol. 7; Tryph. 138); la lunga serie di simboli della croce ravvisati in oggetti di legno presentati nel VT (Tryph. 86); 74 il grande rilievo Jll'I'
Graecos ps. giustinea non sembra aver avuto remore ad adoperare allegoria: cc. 19. 34. Eppure questo autore ha nei confronti della cultura greca un atteggiamento molto più chiuso di quello di Giustino. 72 Vedi su questo quanto abbiamo osservato a proposito di Paolo a n. 31 e contesto relativo. Va anche rilevato che, quando discute di argomenti di cara~tere ~ottrinale! _Giustino è portato a respingere l'interpretazione figurata dei testi a benef1c10 della lettera: p.es. si veda Tryph. 129 2 in tema di teofanie e dottrina del Logos. ' ' ' n Mentre Eva, ancora vergine, ha generato per l'uomo disobbedienza e morte, invece Maria vergine ha generato il Salvatore. 74 In questo senso Giustino propone la verga di Mosè che dissecca i) mare e fa scaturire l'acqua dalla roccia, i rami utilizzati da Giacobbe a Gen. 30, 37; la verga di Aronne che dà frutto (Num. 17, 23); il legno che Eliseo getta nell'acqua e che fa venire a galla la scure (2Reg. 6, 1 sgg.), ecc. Il comune denominatore di questi passi è l'uso positivo e fruttuoso del legno da parte dei vari personaggi. E' ovviamente ricordato anche il virgulto della radice di Jesse di I s. 11, 1.
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dato alla tipologia Giosuè/Gesù, dove Giosuè, che ha introdotto gli Israeliti nella terra promessa, è figura di Cristo che introduce tutti gli uomini nella salvezza eterna (Tryph. 113).75 Quanto agli specifici la Scrittura con procedimenti esegetici, Giustino sa interpretare la Scrittura, sa sfruttare per l'interpretazione allegorica il valore simbolico dei numeri, le etimologie dei nomi ebraici, le supposte incongruenze del senso letterale, ma usa di questi mezzi con parsimonia e semplicità. 76 Va ancora notato che, per sviluppare il discorso cristologico, Giustino fa largo uso di testimonia, e senza accorgersene talvolta propone passi scritturistici che erano stati adattati e modificati, con procedimento targumico, proprio dai cristiani per meglio dichiararne il significato. Ne risulta che egli accusa i giudei di aver alterato questi passi, p.es., di aver eliminato da Ps. 95, 10 l'espressione « dal legno», che invece era un'aggiunta fatta da cristiani per collegare il regno di Cristo con la croce (Tryph. 73).77 Scarsa sensibilità e preparazione filologica costituirono un preciso limite della esegesi di Giustino e di altri autori di formazione asiatica. 2. In polemica contro gli gnostici Ireneo 78 sviluppa la stessa interpretazione tipologica del VT, ma contro il divisismo dei suoi avversari egli tende soprattutto a dimostrare che non c'è frattura fra la vecchia e la nuova economia, in quanto ambedue sono dirette e governate dalla provvidenza di un solo Dio, che si è servito peda-
75 Quindi qui, come del resto per il bastone di Eliseo, Giustino applica la lettura tipologica, cioè cristologica, al di là dei libri della Legge in cui l'aveva contenuta, come Paolo, Io Ps. Barnaba. Cfr. anche n. 43. Per la tipologia di Giosuè in Giustino cfr. G. Otranto, La tipologia di Giosuè nel « Dialogo con Trifone ebreo » di Giustino, « Augustinianum » 15, 1975, pp. 2948. Parallelamente alla tipologia, anche l'argomento profetico è dilatato da Giustino rispetto ai predecessori. P.es., egli è il primo, almeno a nostra conoscenza, che abbia collegato Js. 33, 16, in cui si parla di spélaion, con la mangiatoia in cui nasce Gesù (Tryph. 78, 6), che perciò è diventata nella tradizione la grotta di Betlemme. Più volte Giustino ha occasione di confutare Trifone, che riferiva ad Ezechia passi profetici ritenuti messianici dai cristiani e perciò applicati a Cristo, come salmo 109 e Js. 7, 14; 8, 4 (Tryph. 33, 1; 43, 8; 68, 7, 77, 2-3; 83): cfr. Otranto, Esegesi, p. 80 sg. 182. 221, e infra c. III, n. 211. 76 Si veda, p.es., Tryph. 57, 2; 125, 3; 138, 1. Giustino in genere è conciso nel presentare le tipologie; ma non mancano passi in cui anche l'interpretazione dei dettagli è curata: cfr., p.es., Tryph. 40 (Cristo agnello pasquale); 113 ( Giosuè/Gesù). 77 Per dettagli su questo argomento, cfr. Otranto, op.cit. a n. 70, p. 123 sgg. 78 Sull'esegesi di Ireneo cfr. Daniélou, Message, pp. 203-213; D. Farkasfalvy, The Theology of Scripture in S. Irenaeus, « Revue Benédictine » 78, 1968, pp, 318-333; M. Simonetti, Per typica ad vera. Note sull'esegesi di Ireneo, « Vetera Christianorum » 18, 1981, pp. 358-382.
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gogicamente prima della Legge e poi dei profeti per assuefare gradualmente l'uomo a entrare in contatto con lui, e poter passare, con l'incarnazione di Cristo, per typica ad vera et per temporalia ad aeterna et per carnalia ad spiritalia et per terrena ad caelestia (Haer. 4, 14, 2-3; 4, 20, 11; 4, 32, 2). Cristo era nascosto nel VT come il tesoro di Mt. 13, 44 nel campo, e solo il suo avvento ce lo ha fatto scoprire (Haer. 4, 26, 1), dopo che i profeti, cioè per Ireneo tutto il VT, ce lo avevano preannunciato con le parole, le visioni e le azioni simboliche (4, 20, 8).79 D'altra parte va rilevato che, pur avendo Ireneo enunciato con chiarezza il concetto della rivelazione progressiva, di fatto però non è ben riuscito a tradurre a livello esegetico questo concetto, nel senso di adeguarvi analiticamente i mille passi del VT che gremiscono la sua pagina. A questo livello, contro il frammentarismo dell'interpretazione gnostica della Scrittura, egli ha preferito insistere sul carattere unitario e globale della rivelazione veterotestamentaria, dove ogni profezia s'inserisce armonicamente come singolo membro di un unico corpo (Haer. 4, 33, 10). L'uso della tipologia 80 che fa Ireneo è altamente tradizionale ed egli a volte si rifà esplicitamente all'autorità dei presbiteri che lo hanno preceduto (Lot figura di Cristo a Haer. 4, 31). Rispetto a Giustino, da lui ben conosciuto, il procedimento è ulteriormente dilatato. Basti ricordare, tra le novità, i due figli di Thamar typoi di giudei e cristiani; il regno di Salomone figura del regno di Cristo; le mogli di Osea e Mosè simboli della chiesa; la cavità della roccia in cui trova riparo Mosè sul Sinai prefigurazione del Logos (Haer. 4, 25, 2; 4, 27, 1; 4, 20, 12; 4, 20, 9). Comincia ad avere spazio l'interpretazione escatologica: le calamità che colpiscono gli egiziani prefigurano quelle che nell'Apocalissi affliggeranno tutte le genti (4, 30, 4); e l'interpretazione dei dettagli è sempre più curata: p.es., per il precetto alimentare di Lev. 11, 3, gli animali puri che ruminano e hanno l'unghia divisa sono simbolo dei cristiani, che hanno fede nel Padre e nel Figlio ( =unghia divisa) e meditano la parola di Dio
79 Rispetto alla distinzione di Giustino in typoi e logoi, Ireneo aggiunge le visioni profetiche di Mosè Elia Ezechiele (4, 20, 9-11), il cui significato, ora letterale ora simbolico, nulla aggiunge alla distinzione di due livelli di lettura che abbiamo più volte fissato. ,., Anche Ireneo predilige typos e derivati (Haer. 4, 14, 3; 4, 20, 8. 12; 4, 32, 2).). Insieme con quello di parabolé è attestato anche l'uso di allegoria (i due termini sono considerati come di solito equivalenti); 1, 3, 6; 2, 22, 1; 4, 26, 1. Ma, come vedremo fra breve, Ireneo è critico nei confronti dell'allegoria gnostica, e il termine è di conseguenza molto meno adoperato rispetto a typos.
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notte e giorno (=ruminano). Invece, fra gli animali impuri, quelli che ruminano ma non hanno l'unghia divisa sono simbolo dei giudei, che meditano la Scrittura ma hanno fede soltanto nel Padre, mentre gli animali che non ruminano ma hanno l'unghia divisa simboleggiano gli eretici, che dicono di credere nel Padre e nel Figlio ma non meditano la parola di Dio (Haer. 5, 8, 3).81 Ireneo non ha simpatia, di fronte all'arbitrarietà dell'esegesi gnostica, per l'interpretazione allegorica fondata sul simbolismo numerico ed etimologico. Non ha invece remore a fondare l'interpretazione allegorica su quella che a lui appare una carenza del senso letterale: se interpretiamo alla lettera la benedizione che Isacco rivolge a Giacobbe (Gen. 27, 27 sgg.) ci troveremo in difficoltà, come i giudei, perchè i beni predetti dal patriarca al figlio non si sono realizzati in lui. Ciò vuol dire che il passo va inteso in senso figurato, in riferimento ai beni di cui godranno i giusti nel regno esca· tologico (Haer. 5, 33, 3).82 Sporadicamente è attestata in Ireneo anche l'allegoria di tipo verticale, destinata a buona fortuna fra gli alessandrini, che consiste nel ravvisare nelle realtà terrene il simo bolo delle realtà celesti. 83 Quanto all'importanza che anche per Ireneo riveste l'argomento profetico, basterà accennare che tutta la seconda parte della Demonstratio apostolica, da c. 57 in poi, è una rassegna sistematica delle principali profezie cristologiche, presentate secondo lo svolgimento della vita di Cristo, dalla nascita alla risurrezione e ascensione. Come in Giustino, l'applicazione di que· ste profezie a Cristo è fatta secondo il senso primo e immediato del passo, 84 cioè a un solo livello di lettura, mentre per i typoi i livelli di lettura, come ormai sappiamo, sono due.
' 1 Anche la tipologia Eva/Maria si arricchisce di particolari rispetto a Giustino: al legno ( = albero) della disobbedienza di Eva si contrappone il legno ( = croce) dell'obbedienza di Maria; all'angelo malvagio che seduce Eva l'angelo buono che persuade Maria (5, 19, 1). Anche la tipologia di Lot/Cristo è particolareggiata, con simbologia positiva della moglie di Lot, simbolo della chiesa, di uso non comune (4, 31, 1-3). " Ireneo, come Giustino, è millenarista e perciò molto sensibile alla dimensione escatologica del messaggio cristiano. Egli interpreta in questo senso, oltre ovvi passi profetici (5, 34, 1-4), anche la benedizione di Dio ad Abramo di Gen. 13, l.4 sgg., con rifiuto ancora una volta dell'interpretazione letterale (5, 32, 2), e le piaghe d'Egitto come typos delle punizioni finali dei malvagi (4, 28, 1. 3, ecc.). " Cfr. Haer. 4, 19, 1; 4, 32, 2, con influsso di Ex. 25, 40 (Mosè vede il modello celeste del Tabernacolo): cfr. 4, 14, 3, ma con significato generalizzato. 04 E ciò sia che la profezia vada riferita a Cristo alla lettera sia simboin licamente (cfr. n. 31). P.es., a Demonstr. 57 Gen. 49, 10-11 è interpretato senso cristologico per il v. 10 alla lettera, per il v. 11 secondo l'allegoria.
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Il Giustino che conosciamo, impegnato soltanto contro i giudei, non ha bisogno di porsi problemi di carattere ermeneutico: è per lo più letteralista nell'interpretare cristologicamente le profezie, è allegorista nell'interpretare tipologicamente la Legge e i fatti storici d'Israele. Ma Ireneo, impegnato contro gli gnostici, si trova in ben più complessa situazione: infatti egli si vale del procedimento allegorico per interpretare in chiave cristologica il VT e poter così collegare, contro il divisismo degli avversari, il VT al NT; ma è perfettamente consapevole che costoro si servono proprio dello stesso metodo ermeneutico per sufiragare le loro dottrine con l'autorità della Sacra Scrittura, indispensabile in ambito cristiano. Egli perciò non può rifiutare il principio ermeneutico in sè, come Giustino rifiutava il letteralismo dei giudei, ma deve insistere sul modo scorretto con cui gli gnostici facevano uso del modulo interpretativo da lui stesso applicato con sistematicità. In effetti Ireneo più volte rimprovera gli avversari di allegorizzare arbitrariamente la Scrittura, valendosi del modo di esprimersi figurato e coperto, per adattarla alle loro dottrine sfigurandone il significato (Haer. l, 3, 6; 1, 8, 1; 1, 9, 1, ecc.). Più specificamente, dato il suo interesse in campo escatologico, egli nega che i passi della Scrittura di tale significato possano essere interpretati allegoricamente, ma senza poter fondare questa preclusione su altro argomento che non sia quello ricavabile dall'evidenza stessa dei passi in questione (5, 35, 1-2). L'idea di fondo è che gli gnostici si limitano a estrapolare dal testo biblico i passi che fanno loro comodo isolandoli dal condella Scrittura è testo, 85 mentre invece autentica interpretazione quella che la prende in considerazione nella sua globalità (Haer. 1, 9, 4; 4, 33, 10). Così letta, la Scrittura presenta, accanto a passi oscuri e ambigui, altri evidenti, sulla cui base vanno interpretati i passi oscuri, salvando la coerenza globale dell'interpretazione, la sua armonia a lode di Dio, nonostante qualche residua incertezza (2, 27, 1; 2, 28, 3). La difficoltà che incontra Ireneo nel contrastare l'interpretazione gnostica della Scrittura 86 deriva in buona parte dal fatto che
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rifee li non s1 e preoccupato affatto di regolare. I·1 rappo rto fra . interp!etazione letterale e interpretazione alleg~'!i:~in~nt::~~ i~u~risto rirmi non tanto al fatto c~e Iren;; c~:U1: inte~e letteralmente, la realizzazione delle profezie d~l p . p d i fatti storici abi1 f tt he anche nell'mterpretaz1one e , quanto a . a o c . . h.1ave cristologica mercè l'interpretazione • si nificative tualmente mterpretatl m c tipologica: cioè di tipo ~lleg;,r~~o~a!~l:~;:a~f~~t~r~~e;~::, ,;str. 11-29, 10 aperture m senso lettera e. Ad a Mosè condotta in
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ch'è un'esi:osizion~ di e~~~r~:tt::~:. :entr::l~rove lo abbiamo visto senso quasi esclusivam . d" fatti relativi ai pa. t anche ronto a rifiutare il senso pnmo e lettera 1e i_ p . h" ·n favore della lettura cristologica, qm egh accet a tnarc 1 i . . pm . , mgenm. . . E d'altra parte, in questo. contesto 1· antropomorfismi 1 p gi r l'isolata apertura allegorica: a aletteralista non manca qua e ~ d. C . to la tenda della testimosqua giudaica è typos :~Ila P(assi~;\ ; {~~idngiamo che in qualche 6 . . e livelli di lettura in modo nianza è typos della e resa cc. caso sporadico Ireneo sovrappone I u . è riferito alla lettera r ·t . Gen 3 9 Dio chiama Adamo, pnma 4) 87 esp i~i v~~to c~m~ ;refigurazione dell'incarnazione (Haer. e poi . . l"rmp ressione che anche là dove I noDa questi esempi . ricaviamo II lettera
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5,1\ .
il testo sacro prevalenteme~te a ~ e l'al~ stro autore interpreta 1. . . ritenuto sempre autorizzato a sovrapporgli, medrnnt . . eg i s1 sia . . • uesto modo d1 mlegoria, l'interpretazione spirituale. Ma proprio q . . . . . d' fa Più avvertire la carenza di un qualsiasi prmc1p10 l ~rprearet .
ffieto ~;:~!':~::•::i:~:~ccia dei ;:•~ti, 1::~;•iJP;;::!':u~:• 0
. . correntemente del NT, assegnandogli la stessa va I i~a ~ m~m,_t~s:he al VT.88E poichè egli legge tutta la Scrittura in f~nzione au on a . ha biso no dell'allegoria per arrivare a g . , ormalmente letterale.B9 cristologica, per il NT non_ . erciò qui la sua mterpretaz10ne e n P . l' um"t'a del Dio del VT e del Cristo.e P .es., all'inizio di Haer. 4, per dimostrare
85
Per illustrare l'arbitrarietà di questo procedimento, Ireneo riporta (1, 9, 4) un collage di versi omerici, tratti dai contesti più disparati, che messi abilmente insieme acquistano un significato nuovo rispetto a quello originario. 86 In effetti Ireneo è più felice nell'enunciazione dei criteri esegetici d'ordine generale che nella confutazione delle singole interpretazioni gnostiche. Nel 1. 2 di Adversus haereses egli discute alcune di queste interpretazioni in modo evidente arbitrarie e deboli; ma non si impegna mai su alcuni testi, da lui stesso prodotti nell'esemplificazione gnostica, di particolare significato, nè su altri importanti che conosciamo da altre fonti, come il Commento a Giovanni di Eracleone. Su questo punto cfr. il mio art. cit. a n. 78, p. 373 sgg.
1 Ireneo adduce in senso letterale Gen. 2, 16-17, " Analogamente, a 5, 23_, . d ll'albero· ma poco prima (5, 20, 2) Dio fa divieto ad Ada11;o dr ma~rare·ca:nente in' funzione antieretica. egli aveva interpretato 11 passo a egon rare non danno a vedere " Infatti le citazioni di Giustino, pur non , · · ne fra VT e NT · I una perfetta eqmparaz10 d bb'amo tener presente che reneo non " Più che mai a questo punto _oh l a si è servito delle Scritture per ha scritto oper_e specificamentf1 e~}ge~~es~e~sigenze hanno comportato _spess~ esigenze polemiche; e se per . del VT per lo stesso motivo d1 l'adozione della inte~pretazione b~ipolog1~~ allontan~rsi dalla lettera del testo. norma per il NT egli non ha rsogno l
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NT, egli adduce nel senso ovvio e immediato parole di Gesù che identificano suo Padre, cioè il Dio sommo, col Dio creatore del VT.w Ma neppure l'interpretazione del NT è del tutto omogenea, perchè non vi mancano casi di interpretazione allegorica. Soprattutto le parabole si prestavano ad amplificazioni allegorizzanti, data la loro natura già di per sè simbolica; e basterà in questo senso ricordare la parabola dei vignaioli perfidi (Mt. 21, 33 sgg.), il cui significat~ messianico Ireneo puntualizza specificando i vari tempi della stona della salvezza: Adamo Mosè Davide i profeti (Haer. 4, 36, 1-2). Ma sporadiche allegorie si trovano anche al di fuori di questi contesti privilegiati: Lazzaro morto diventa simbolo dell' uomo imprigionato dal peccato (5, 13, 1);91 Gesù che prega nell' orto del Gethsemani prima lascia dormire i discepoli e poi li sveglia a significare prima la sua pazienza nei confronti dell'uomo peccatore e poi la sua opera redentrice ( 4, 22, 1), il cui effetto è dilatato in proiezione escatologica, concludendosi nel giudizio finale ( 4, 22, 2); 92 il giudice iniquo di Le. 18, 2 sgg. è simbolo dell'Anticristo, e la vedova che si rivolge a lui è simbolo della Gerusalemme terrena che, dimentica di Dio, si rivolge a quello (5, 25, 4). ' L'interpretazione scritturistica di Ireneo si fa apprezzare per la grande e suggestiva ricchezza dei contenuti. 93 Ma la sua ratio ermeneutica appare un po' carente quanto a metodo, sì che non so quanto la sua polemica antignostica sia stata effettivamente efficace nei confronti degli avversari. 94 Forse di ciò consapevole egli ripetutamente ha affermato, come norma fondamentale di valutazione nel confronto fra sè e i suoi avversari, il richiamo alla regula veritatis cioè alla dottrina tramandata dagli apostoli attraverso la succession~ episcopale, ora insegnata dai legittimi presbiteri, fondata sulla custodia integerrima delle Scritture, senza aggiunta nè sottrazione (Haer. l, 9, 4; 4, 26, 2; 4, 33, 8).
9° Cfr. 4, 2, 1-5 con citaz. di Mt. 11, 25; 5 34-35. Per un caso più raffinato di utilizzazione letterale del Vangelo vedi' Haer. 3 11 5. :: E,. qui il sin:ibolis~o corrisp?nde. proprio all'int:nzi~ne dell'evangelista. L mterpretaz1one d1 Ireneo e qm fondata su un fraintendimento del testo evangelico: in realtà Gesù la prima volta sveglia i discepoli addormentati e la seconda volta li lascia dormire. Ireneo è stato tradito dalla memoria 3 • ~ Fra i t~nti lavori di A. Orbe volti a dichiarare questa ricchezza, basti qm ricordare I due volumi di Pardbolas evangélicas en San Ireneo Madrid 1972. , 94 Se però co~sideriamo che i più immediati destinatari dell'opera di Irenc_o. sa:a:1n? stati non tanto gli gnostici veri e propri quanto i cattolici da quelli ms1diat1, allora anche i punti in cui la polemica di Ireneo appare a noi debole e forzata potranno essere invece risultati più centrati ed efficaci.
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3. Tertulliano fu, a cavallo fra il II e il III secolo, in Africa esponente della cultura d'importazione asiatica, e in campo esegetico ci presenta sostanzialmente la stessa problematica che abbiamo già 5 esaminato in Ireneo. Basterà perciò dedicargli un cenno essenziale.9 Alle prese con vari avversari, pagani giudei marcioniti gnostici, e per temperamento portato ad assumere senza difficoltà atteggiamenti fra loro contraddittori, Tertulliano, alla pari di Ireneo, non riesce a trovare una precisa norma interpretativa sulla quale fondare la sua utilizzazione della Scrittura in funzione polemica. Da una parte respinge l'allegorica argumentatio che i pagani applica· vano all'interpretazione dei loro miti, facendo di Saturno un simbolo del tempo (N at. 2, 12, 17); ma dall'altra, assimilando fra loro giudei e marcioniti per il rifiuto di accettare la messianicità di Cristo (Mare. 3, 6, 2; 3, 7, 1), contesta anche il rifiuto rnarcionita dell'allegoria, e conforta la sua dimostrazione di quella messianicità non soltanto con testi profetici ma anche con fatti storici d'Israele interpretati secondo l'ormai tradizionale tipologia, facendosi forte del passo paolino in favore dell'allegoria già da noi più volte ricordato (Gal. 4, 24).% Fra i passi da lui addotti in senso cristologico basterà qui ricordare Giuseppe perseguitato dai fratelli; il toro ucciso da Simeone e Levi di Gen. 49, 6; il serpente di bronzo innalzato da Mosè {Num. 21, 8-9); le braccia di Mosè distese in preghiere a simboleggiare la croce, durante la battaglia contro gli amaleciti (Ex. 17, 10 sgg.); il sacrificio di Caino e Abele assunto a figura 97 del sacrificio di giudei e cristiani (Mare. 3, 18; Iud. 5, 2-3). E' in questo contesto che Tertulliano parla di aenigmata, allegoriae e parabolae del VT aliter intellegenda quam scripta sunt (Mare. 3,
5, 3).98
di Tertulliano cfr. T.P. O'Malley, Tertullian and the Bible, 95 Sull'esegesi Nijmegen 1967; J.H. Waszink, Tertullian's Principles and . Methods_ . of Exegesis in Aa.Vv., Early Christian Literature and the Classtcal Tradttton, Paris 1979, pp. 17-31; J. Daniélou, Les origines du Christianisme latin, Paris 1978, pp. 241-258. era molto significativo in forza dell'autorità 96 Citato a 3, 5, 4. Il passo che Marcione riconosceva a Paolo. riporta da Giustino Ps. 95, 10 con l'inter~o97 A Mare. 3, 19, 1 Tertulliano Jazione cristiana a ligno (su questo cfr. il contesto di n. 77), senza avvertire nessun problema o difficoltà. Per altri esempi di tipologie cfr. ancora 3, 7, 6-8 (il sacerdote Gesù in Zaccaria); 3, 16 (Giosuè); 3, 24, 8-9 (Giacobbe e Esaù), 98 Tertulliano che adopera correntemente figura per rendere typos m latino non ha re~ore ad operare anche allegoria, pur rifiutando l'eccessivo allego~ismo degli gnostici, in quanto è l'abuso che egli depreca e non il procedimento esegetico: cfr. p.es., Mare. 3, 5, 4; 3, 14, 5; 4, 17, 12; Res. 19, 2; 20, 9; 28, 5; 29, 1, ecc. Si rilevi la sequenza aenigmata parabolae allegoriae in senso positivo a Mare. 3, 5, 3 e in senso negativo a Scorp. 11, 4.
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CAP. I:
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DUE SECOLI
M~ questo atteggiamento di apertura verso l'interpretazione allegoi::1ca mette Tertulliano in difficoltà nei confronti dell'allegorismo gnostico, che egli ovviamente respinge in quanto addotto in modo _arbitrario a suffragare una dottrina inaccettabile. Così, quando egli combatte l'allegorismo eccessivo degli gnostici che vanificano i~ ~ogma ~ella risurrezione della carne (Res. 19, 2), enuncia il princ1p10 che Il sermo propheticus non semper nec in omnibus assume forma allegorica, ma solo interdum et in quibusdam (20, 9). Ma nel prosieguo della dimostrazione, insieme con passi da interpretare letteralmente ~n a~poggio alla dottrina della risurrezione,99 riporta (28, 1) anche 11 miracolo per cui la mano di Mosè messa in seno prima_ di:en_t~ le?brosa e poi guarisce (Ex. 4, 6-7), cioè un passo la cm. s1gmfica~1one escatol~gica scaturiva da un'interpretazione all~gonca,_ e t~tt altro che ovvia ed elementare, in definitiva proprio un allegoria d1 quelle che egli rimproverava ai suoi avversari. Comunque egli propone contro di loro un principio di carattere metodologico; è proprio degli eretici isolare poche affermazioni nelle tante della Scrittura e difenderle adversus plura, mentre è buona norma secundum plura intellegi pauciora (Prax. 20).100 Più in generai~ egli osserva che bisogna por freno all'uso dell'allegoria, in n?1:1e d1 una ma_ggiore simplicitas (An. 35, 2; Prax. 13, 4). L'esigenza d_11?:erp~etare 11 testo sacro in modo letterale, senza dargli altri s1gmficat1 per mezzo di allegoriae, parabolae, aenigmata, è proposta soprattutto là dove leggiamo parole pronunciate da Cristo e nella fattispecie quelle che impongono di non sottrarsi al martirio, che volen:ieri gli g~ostici allegorizzavano (Scorp. 11, 4).101 E d'altra parte proprio Tertulliano, e non solo contro i marcioniti ma anche contro ?lignostici, afferma tranquillamente che anche Cristo aveva parlato m m?do allegorico (allegorizavit: Mare. 4, 17, 12; Res. 37, 4). E' vero che m ambedue i passi effettivamente il linguaggio di Cristo è simbolico, 102 ma - come abbiamo già accennato 103 - di norma gli
". Si tra~t~ sop\~ttutto di passi paolini da Tessalonicesi. A Prax. 13, 4 Tert~lhano. nf~uta l mterpretazione allegorica di Gen. 19, 24 in contesto dottn ~ale, m d1pen~enza da Iust: Tryph. 129 (cfr. 1:1·. 72) . 1 . Il concetto e addotto pnma m senso specificamente antimonarchiano ~a POI è est~so contro tutti_ gli eretici .. A Mare. 1, 9, 7 Tertulliano riprend~ 11 concetto d1 Ireneo, che s1 debbono mterpretare gl'incerta sulla base dei certa. 101 _ Sull'atteggi~mento degli gnostici di fronte al martirio, cfr. A. Orbe, Los przmeros here1es ante la persecuci6n 1 Roma 1956 • 102 • I passi trattano dell'albero buono che non può dare frutto cattivo ecc. (Le. 6, 43-45), e del pane di vita (lo. 6, 51 sgg.). ' 103
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antichi non distinguono fra allegoria e allegoresi, sì che l'ammissione di Tertulliano si prestava a facile ritorsione. Non meraviglia perciò che anch'egli, come già Ireneo, abbia fatto ricorso al principio d'autorità: autenticità e maggiore antichità dell'interpretazione cattolica della Scrittura rispetto a quella degli eretici (Praescr. 20-21 e passim). 104 4. Negli autori che abbiamo sin qui considerato interpretazione letterale e interpretazione allegorica del VT si alternano senza essere regolate da norme precise, a seconda delle esigenze cui l'autore è chiamato a far fronte di volta in volta, in contesti che sono polemici e non ancora specificamente esegetici. L'impressione generale che si ricava dai dati, per altro frammentari, a nostra disposizione tende a confermare la distinzione giustinea fra typoi e logoi anche nel senso che i typoi esigono per l'interpretazione cristologica, l'unica che interessa, l'adozione dell'allegorizzazione e di due livelli di lettura, mentre le profezie 105 sono applicate a Cristo con interpretazione per lo più letterale e con lettura del testo ad un solo livello. 106 I typoi sono ricercati soprattutto nei libri della Legge, ma con tendenza ad allargare la ricerca anche al di là di questo limite (Giosuè), mentre di contro è prevalente l'interpretazione letterale per il racconto della creazione e del peccato di Gen. 1-3. L'interpretazione letterale è prevalente anche per il NT e per il complesso di passi vetero e neotestamentari relativi alla fine del mondo (passi profetici sopratutto di Isaia e Apocalissi giovannea). E' qui evidente la finalità dottrinale che soggiace all'interpretazione letterale. Infatti gli gnostici allegorizzavano sia per far quadrare i dati neotestamentari con la loro dottrina sia per vanificare il dogma della risurrezione della carne. E su questo ultimo punto l'opposizione di Giustino Ireneo Tertulliano è particolarmente vivace perchè la loro escatologia millenarista, e perciò materialista, li collocava proprio agli antipodi dell'accentuato spiritualismo dei loro avversari. Anche nell'esegesi letterale di Gen. 1-3 ravvisiamo il fine di contrastare l'interpretazione mitizzante e deformante che gli gnostici
104 In questo senso è da intendere Prax. 20, dove Tertulliano privilegia, insieme con plura rispetto a pauciora, anche i priora rispetto ai posteriora. 105 Si tenga presente che in tutti questi autori il concetto di profezia è molto ampio, non ristretto ai profeti in senso stretto (Isaia, Geremia, ecc.), in quanto ogni personaggio del VT in determinati casi può profetare (Abramo, Mosè, ecc.). 106 Per la distinzione fra lettera e allegoria anche nella lettura biblica ad un solo livello, cfr. n. 31.
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davano del racconto biblico della creazione e del peccato; ma a questo proposito dobbiamo anche tener presente che la fondamentale impostazione materialista tipica della cultura asiatica 107 portava i nostri autori a non dar troppo peso ai crudi antropomorfismi del racconto biblico che invece scandalizzavano lettori di tendenza più spiritualista. E' in questo contesto che va, sia pur brevemente, ricordato Teofilo di Antiochia, anch'egli appartenente allo stesso ambiente culturale. Infatti la lunga esposizione che, in polemica con le antiche storie dei popoli pagani, egli ci ha dato della storia sacra da Adamo alla discendenza dei suoi figli (Autol. 2, 10-32) 108 riporta alla lettera tutti i dettagli del testo biblico senza alcuna riserva nei confronti degli antropomorfismi anche più ingenui: Dio che passeggia nel paradiso, parla con Adamo, ecc. (2, 22). 109 E' qui di particolare interesse notare che Teofilo non fa distinzione fra i due racconti relativi alla creazione dell'uomo, Gen. 1, 26-27 (creazione dell'uomo ad immagine di Dio) e Gen. 2, 7 (creazione dell'uomo da parte di Dio che plasma il fango della terra) in Autol. 2, 19: infatti si tratta di un'interpretazione che egli divide con tutti gli esponenti più o meno coevi della tradizione asiatica e che, come vedremo, si oppone all'interpretazione alessandrina. 110 Di suo Teofilo introduce una spiegazione molto elementare della ripetizione del racconto: sarebbe stato un problema insolubile per gli uomini comprendere come Dio avesse realizzato la creazione dell'uomo; per questo la Scrittura ha spiegato il cenno di Gen. 1, 27 col racconto di Gen. 2, 7 (ibid.).
107
Sul concetto e i limiti di cultura asiatica cfr. DPAC 414 sgg. Conosciamo Teofilo solo dall'Ad Autolico, opera apologetica e quindi non particolarmente interessata all'esegesi scritturistica. In questo senso certamente saranno state più interessanti · le opere perdute che egli scrisse contro Marcione ed Ermogene. Girolamo conosceva, come di Teofilo, commentari a Matteo e a Proverbi, ma dubitava della loro autenticità: Co.Mt. praef., PL 26, 20; Vir. ill. 25. Su Teofilo cfr. il mio La Sacra Scrittura in Teofilo d'Antiochia, in Epektasis (Mélanges J. Daniélou), Paris 1972, p. 197 sgg. 109 In questa presentazione così antropomorfica di Dio l'unica preoccupazione di Teofilo è di chiarire che il Dio che si presentava ad Adamo non era Dio Padre bensì il Logos divino (2, 22), concepito come immagine visibile di Dio invisibile. Anche l'etimologia di Eden = delizie (2, 24) è riportata per avvalorare l'interpretazione letterale del paradiso in terra, e non per fondare l'allegoria alla maniera alessandrina. Sull'influsso giudaico nell'esegesi di Teofilo cfr. R.M. Grant, Theophilus of Antioch to Autolycus, « Harvard Theological ReYiew » 40, 1947, p. 237 sgg. ' 110 Basti ricordare Iust. Tryph. 62, dove l'uomo creato ad immagine di Dio è identificato con gli elementi corporei. Si veda anche il fr. 7 del De res11rrectione di contestata paternità giustinea, e di Ireneo Haer. 4, praef., 4; 5, 6, 1; Demonstr. 11. Per Teofilo cfr. anche Auto[. 1, 4, dove l'uomo è detto im108
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Non mancano comunque nel racconto di Teofilo alcuni spunti di carattere allegorico: la differenza di potenza e gloria che distin• 1,tue il sole dalla luna è t_ypos111 della distanza che separa Dio dagli 11omini; i primi tre giorni della creazione sono simbolo della Trinità, mentre il quarto è simbolo dell'uomo; l'ordine e la disposizione degli astri simboleggiano il diverso rapporto degli uomini con Dio; gli animali creati in Gen. 1 simboleggiano tipi diversi di uomini, 112 ecc. (Autol. 2, 15-17). Va notato che questi spunti allegorizzanti non hanno lo scopo, come l'allegoria filoniana, di eliminare le inverosimiglianze e incongruenze del racconto biblico letteralrncnte inteso, ma si sovrappongono ad esso senza escluderlo e con procedimento tutt'affatto occasionale. In complesso, questi scrittori di formazione asiatica nell'inter• pretazione della Scrittura ci appaiono sollecitati da tendenza ed esigenze diverse e contrastanti: l'esigenza antigiudaica e antignostica di leggere in chiave cristologica il VT li spingeva all'allegoria, men· tre l'impostazione materialista di fondo e l'esigenza di contrastare l'allegorismo esagerato degli gnostici li orientavano piuttosto verso la lettera del racconto biblico. Ci si aggiunga la scarsa sensibilità filologica. Di qui le sfasature che abbiamo ravvisato nella loro esegesi.
5.
Omelie pasquali.
1. Gli scritti di Giustino Ireneo Tertulliano, di cui ci siamo occupati, sono di carattere polemico-dottrinale. Ci spostiamo invece in un genere letterario molto diverso con due omelie pasquali, anch'esse da assegnare all'ambiente asiatico fra la metà del II sec. e l'inizio del III: una è di Melitone di Sardi, l'altra, detta In sanctum Pascha, di autore ignoto. 113 Si tratta di testi predicati al popolo ma in un'occasione liturgica di particolare solennità, che ha determinato una prosa ritmica asianamente studiatissima nel fitto gioco di rispondenze di brevi cola collegati fra loro per anafora
Questo termine è adoperato più volte ad Auto[. 2, 15. 17. I quadrupedi e le bestie selvagge sono typoi degli uomini che guardano solo ai beni terreni, mentre gli uomini che vivono secondo giustizia si elevano con l'anima come gli uccelli. Si tratta di un'allegoria di tipo psicologico (antropologico ), nel gusto di Filone. 113 Questo testo è stato edito da Nautin in SCh 27. Non considero validi i tentativi di attribuirlo ad Ippolito. Per l'omelia di Melitone si veda l'edi111
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allitterazione ripetizione e mille altre figure retoriche. I due testi interessano il nostro discorso perchè, secondo l'uso giudaico, anche la Pasqua cristiana vi viene celebrata sulla base della lettura e interpretazione di Ex. 12, il testo fondamentale che racconta l'istituzione e la normativa della Pasqua giudaica. 114 Ambedue i testi, che in quanto di osservanza quartodecimana fanno centro essenzialmente sulla passione di Cristo, collegano erroneamente il termine « Pasqua » col verbo greco paschein ( = patire) - com'è normale in ambiente asiatico - e propongono la fondamentale tipologia che fin dai primordi della vita della chiesa ravvisava nella Pasqua giudaica la prefigurazione della Pasqua cristiana e nel sacrificio dell'agnello pasquale il typos della passione di Cristo. Su questo comune fondamento i due autori sviluppano in modo diverso il rapporto fra le due pasque. Melitone descrive questo rapporto nella prima parte dell'omelia, nella seconda biasima l'ingratitudine dei giudei nei confronti del Salvatore e conclude esaltando la sua risurrezione. Il rapporto fra le due pasque è visto ovviamente sulla base della tipologia, 115 il cui meccanismo è lungamente descritto in SCh 123, 78: « Tutto ciò che accade e viene detto partecipa del simbolo (nocpa~oÀ~ç): ciò ch'è detto, del simbolo, ciò che accade, della prefigurazione (npo'rnnòcrzwc;J, perchè come ciò che accade è dimostrato per mezzo della prefigurazione, così ciò che viene detto è chiarito (cpwncr0?j) per mezzo del simbolo ». 116 Questo principio ermeneutico viene applicato da Melitone a grandi linee, ricordando che la Pasqua giudaica è figura della Pasqua cristiana e presentando i principali personaggi del VT che erano considerati typoi di Cristo: Abele Isacco Giuseppe Mosè Davide profeti che hanno sofferto a causa di Cristo (92. 98). 117
114 Questo modo di celebrare la Pasqua cristiana si spiega bene in ambiente asiatico, dato il forte influsso giudaizzante che vi si esercitò. Ma lo ritroveremo in ambiente d'influenza alessandrina, a testimonianza della sua popolarità. 115 Typos è molto usato in questo testo, e più volte anche parabolé (cfr. l'indice di Perler ad voc.). Sono assenti allegoria, symbolon. 116 Mi pare che ritorni qui in sostanza la distinzione di Giustino fra typoi e logoi (Tryph. 114, 1). Abbiamo infatti già più volte chiarito (cfr. n. 31) che le parole profetiche a volte erano espresse in forma simbolica. 117 Si noti il progressivo dilatarsi della tipologia rispetto allo Ps. Barnaba e a Giustino. Qui infatti, oltre Davide, anche i profeti sono considerati typoi di Cristo, in quanto non solo l'hanno preannunciato con la parola ma l'hanno anche prefigurato nelle sofferenze che hanno accompagnato la loro predicazione.
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L'ln sanctum Pascha stabilisce una più stretta relazione fra le due parti dell'omelia: la prima presenta i typoi, cioè la Legge in generale e la Pasqua giudaica in particolare, la seconda presenta la realizzazione dei typoi, l'avvento di Cristo in generale e la passione in particolare. 118 In tale contesto i particolari del racconto dell'Esodo sono riferiti puntualmente alle circostanze materiali della pas• sione di Cristo, senza comunque escludere riferimenti più generici: p.es., il periodo di custodia dell'agnello (Ex. 12, 6) prefigura le ore di prigionia di Cristo presso il sommo sacerdote; il vicino invitato a mangiare l'agnello (Ex. 12, 4) indica i cristiani che avrebbero sostituito gl'increduli giudei come destinatari della promessa divina;119 l'immolazione dell'agnello la sera puntualizza l'ora in cui Cristo fu messo a morte; il fatto che l'immolazione avveniva ad opera di tutta l'assemblea d'Israele indica la responsabilità del popolo giudaico nell'uccisione di Cristo; il sangue che asperge il frontone e gli stipiti della porta simboleggia il sangue di Cristo versato per la chiesa composta di giudei e pagani (151. 153). 2. L'usanza di celebrare la Pasqua cristiana sulla base del racconto di Ex. 12 continuò a lungo. Perciò interrompendo per un momento l'andamento sistematico del nostro discorso, seguiamo diacronicamente lo sviluppo di questo tema fino al V secolo sulla base di una serie di testi pubblicat{ o comunque valorizzati di recente. II Sulla Pasqua di Origene di recente pubblicato da parte di Nautin,1 20 pur essendo non un'omelia ma un breve trattato in due libri, segue l'usuale schema fornito dalla lettura di Ex. 12; ma l'orizzonte concettuale e culturale in base al quale l'autore interpreta questo testo è molto lontano da quello caratteristico degli asiatici. Preliminarmente egli, sulla base della lingua ebraica, dà a Pasqua il significato di « passaggio » 121 e collega perciò il termine con
118 Tutto ciò è detto chiaramente all'inizio della spiegazione, p. 129 sgg. In questo testo è attestato l'uso di typos, symbolon, e termini derivati: 129, 8; 133, 1; 137, 4; 151, 4. .. . hè 119 « Il vicino sono io dice l'autore nella forma pm diretta -, pere . . . . l'agnello non è stato compreso da te, o Israele_» (_151)_.. 120 Origene, Sur la Paque, Paris 1979 (le mdicaz10m numeriche si nfenscono alle pagine e linee del papiro di Tura, che ci ha fatt~ cono~cere_,questo testo). Il papiro è molto malridotto, e nonostante che Nautm abbia pm V?l!~ integrato ricorrendo a testi catenari,. i passi poco o ni~nte :=tffatto legg:bih sono parecchi. Nell'introduzione Nautm ha messo b_ene m ev!d~nz~ le differenze di fondo, nel concepire la Pasqua, fra Ongene e 1 asiatico autore dell'ln sanctum Pascha. 121 In questo punto « passaggio " è reso con didbasis, ma altrove anche
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CAP.
r: I PRIMI DUE SECOLI
l'esodo degli israeliti dall'Egitto ( 1, 11 sgg. 2, 19 sgg.), e questo del testo in senso già è sufficiente a orientare l'interpretazione diverso rispetto all'interpretazione asiatica. Inoltre Origene ribadisce anche qui ( 40, 30 sgg.) il criterio, a lui caro, che le realtà materiali del VT debbono essere interpretate spiritualmente in relazione al NT e alla vita attuale della chiesa. Perciò il suo discorso, pur assumendo ovviamente la tipologia tradizionale agnello pasquale Cristo, insiste soprattutto sull'effetto che questo avvenimento deve esercitare sul cristiano e sulle condizioni spirituali indispensabili a questo per potersi accostare a Cristo. Ricordiamo a tal proposito che, sulla traccia di Paolo, l'esodo degli israeliti dall'Egitto era interpretato nella chiesa come typos della liberazione del cristiano dal regno del peccato e della morte in forza della redenzione apportata da Cristo. Solo per esemplificare qualche dettaglio dell'interpretazione origeniana così orientata, il periodo di custodia dell'agnello indica che noi possiamo mangiare la Pasqua ( = comprendere i misteri di Cristo) solo dopo adeguata preparazione spirituale; 122 l'unzione di sangue è simbolo della fede in Cristo (25, 15 sgg.); le carni dell'agnello arrostito di cui si cibano gl'israeliti sono simbolo delle Scritture che noi interpretiamo spiritualmente. 123 Ancora lo stesso schema troviamo in tre brevi omelie sulla Pasqua pubblicate da Nautin in SCh 36. L'ignoto autore appare di formazione alessandrina, in quanto non soltanto interpreta Pasqua come passaggio (hypérbasis) ma enuncia anche il criterio origeniano che le realtà materiali del racconto biblico vanno interpretate in senso spirituale (57).124 L'interpretazione dei dettagli è indipendente da quella origeniana ma evita di riferirli, alla maniera asiatica, ai dettagli della passione di Cristo: così, p.es., i cinque giorni di custodia dell'agnello qui simboleggiano le cinque età della storia della salvezza, Adamo Noè Abramo Mosè Cristo (61). L'unzione di sangue sul frontone e i montanti della porta simboleggia
122 I cinque giorni di custodia sono messi in rapporto con 1 cmque sensi spirituali, un tema prediletto da Origene (il testo si trova in un passo catenaria con cui Nautin ha parzialmente colmato una lacuna a pp. 17-18 del papiro). 123 Anche questo testo è tratto dalle Catene e utilizzato per colmare una lacuna di p. 26. 124In questo contesto l'autore adopera le forme -&e:Cùp'ijcrou e X()(,()(\lo'ìjcr()(t tipiche del linguaggio esegetico alessandrino di fondo platonico. Anche a p. 99 egli parla di significato spirituale; e adopera symbolon ma mai typos: cfr.
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il dominio della ragione sulle passioni (83), un'interpretazione di Origene, anche se non ricorre nel Sulla Pasqua. 125 Con queste omelie siamo giunti al IV secolo. 126 Invece le omelie pasquali pubblicate da Aubineau in SCh 187 ci trasportano in pieno V secolo; 127 e qui constatiamo la scomparsa dello schema di sviluppo impostato sull'interpretazione di Ex. 12. Neppure una delle sette omelie della raccolta vi si uniforma. Si tratta di composizioni per lo più brevi o molto brevi, in cui il centro d'interesse gravita più sulla risurrezione che sulla passione, con svolgimenti più banali rispetto a quelli che abbiamo esaminato, consistenti per lo più in una serie di variazioni di ovvio contenuto sul tema della vittoria di Cristo: il sole di giustizia, la croce fonte di salvezza, simboli e profezie della risurrezione, elementi nanativì, esortazione ai neobattezzati. Il passaggio dalla Pasqua di passione alla Pasqua di risurrezione, con abolizione di ogni residua traccia della celebrazione quartodecimana, non ha giovato allo sviluppo di questo genere letterario così ben specificato.
6. Ippolito. 1. Con Ippolito l'esegesi cattolica, finora ristretta a serv1z10 di finalità polemiche catecbetiche dottrinali, si svincola da queste pastoie e diventa genere letterario autonomo, con opere dedicate espressamente all'interpretazione, se non ancora di un intero libro della Sacra Scrittura, di passi anche ampi, così come tempo prima aveva fatto lo gnostico Eracleone. 126 Infatti, anche se non mancano
Cfr. PG 12, 285. Per un caso di defectus litterae cfr. il testo a p. 87. Un chiaro cenno antiariano (73) spinge a collocare questi testi dopo il 320. Recentemente E. Cattaneo (Trois homélies pseudo-chrysostomiennes sur la Po.que camme oeuvre d'Apollinaire de Laodicée, Paris 1981) ha attribuito i Ire testi ad Apollinare. Non posso qui discutere dettagliatamente questa ipotesi. Qualcuno degli argomenti proposti fa pensare, ma il confronto di lingua stile e idee fra le omelie e ciò che ci è rimasto di Apollinare, che a Cattaneo (p. 140) sembra decisivo in favore dell'identità dei due autori, a me invece sembra poco conclusivo. E certi caratteri alessandrini delle tre omelie sconsii;diano di attribuirle ad un autore di tutt'altra formazione culturale. A tale l'ormazione culturale accenniamo nel c. III, 2, 4. . 127 Esse sono di Esichio di Gerusalemme, Basilio di Seleucia, Giovanni di Berito, Leonzio di Costantinopoli ( da non confondere nè con Leonzio di Bi• sanzio nè con Leonzio di Gerusalemme). 128 Ippolito è per noi l'iniziatore dell'esegesi scritturistica in ambito cattolico, ma è difficile dire se lo sia stato realmente. Teofilo, che certa1ncnte gli è stato anteriore, passava come autore di commentari al Vangelo ll ai Proverbi, che però Eusebio non conosceva (HE 4, 24) e Girolamo, cui dobbiamo la notizia (Vir. ill. 25), considerava di sospetta autenticità. Rodone poi, 125
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in queste nostre opere spunti dottrinali
ìn funzione antieretica e aperture di carattere morale e parenetico, l'intendimento specifico è esegetico in senso stretto e diretto, realizzato quasi sempre con citazione del testo in esame passo per passo, seguita da un commento, per Io più stringato ma ben lontano dalla semplice glossa, che arieggia nella forma i pesharim qumranici e i commentari greci di carattere letterario, ma mediamente è più ricco e diffuso. Se il trattato Sull'Anticristo, che in realtà è un florilegio di passi scritturistici di carattere escatologico collegati a formare un tutto organico sulla base del tema assunto, usa variamente materiale tratto sia dal VT sia dal NT, 129 i commenti veri e propri, Davide e Golia, Commento a Daniele, Commento al Cantico, Benedizioni di Giacobbe e di Mosè, sono tutti di argomento veterotestamentario: segno forse di preoccupazione antignostica e antimarcionita - che comunque nelle spiegazioni di dettaglio non appare in rilievo - o piuttosto di maggiore prestigio che il nostro autore ancora attribuiva a questi antichi libri rispetto a quelli del NT, più recenti e solo da poco definitivamente canonizzati. E' sintomatico che i forti interessi escatologici abbiano indotto Ippolito a interpretare in modo sistematico non !'Apocalissi giovannea, che pure è ampiamente utilizzata nel Sull'Anticristo, bensì Daniele. All'infuori dell'evidente rapporto che Io lega ad Ireneo, Ippolito appare tributario di tradizioni esegetiche anteriori, che dobbiamo pensare · essergli pervenute in buona parte per via orale: ma dobbiamo pensare a tradizioni non soltanto ancora
che Eusebio conosceva come autore di un commentario all'Esamerone (HE 5, 13, 8), in quanto vissuto fra la fine del II e gl'inizi del III secolo, deve essere stato più o meno coevo di Ippolito, così come Candido e Apione, autori anch'essi di commentari all'Esamerone (Eus. HE 5, 27), dei quali null'altro sappiamo. Quanto a Ippolito, non intendiamo qui occuparci neppure di sfuggita dell'intricata questione della sua reale identità e fisionomia di scrittore, per cui rimando alle v. Ippolito e Ippolito (Statua di) in DPAC 1791 sgg. Qui basterà accennare che le opere che interessano il nostro discorso (Commenti a Daniele e Cantico, Davide e Golia, Benedizioni), insieme con Sull'Antiun blocco omogeneo di scritti tutti opera di un solo cristo costituiscono autore. Collochiamo questo autore a cavallo fra la fine del II e l'inizio del III secolo e lo consideriamo piuttosto un orientale che un romano. Sul rapporto fra queste opere e altre di carattere esegetico giunteci sotto il nome di Ippolito, cfr. infra n. 159. Per l'esegesi d'Ippolito, cfr. Daniélou, Message, pp. 235-248. '" Merita di essere riportata almeno la dettagliata interpretazione allegorica di Is. 18, 1-2 (c. 59): le ali delle navi sono le chiese, il mare è il mondo, l'albero della nave è la croce, la prora è l'Oriente, la poppa l'Occidente, i timoni sono i due Testamenti, i cavi sono l'amore di Cristo, ecc.
· t e per 1o più a temi esegetici fluttuanti quanto soprattutto 1.imita di carattere generale che il nostro autore non solta~to ha provveduto a fissare con precisione, selezionand? il maten~le, a sua_ cosoprattutto ha arricchito e dilatato merce I estensione noscenza, ma t 1 · t reta di certe tipologie da un contesto all'altro e la pun ua e m er~ . zione dei dettagli. I suoi commentari, se appaiono omogenei fra l~ro dal punto di vista ideologico e dottrina!~, non_ lo sono altret~ tanto quanto alla forma e alla tecnica esegetica, e m manca~a d1 . .· relativa si dispongono agevolmente una precisa crono 1ogm . . m. t un ordine logico che ce Ii presenta come risul;ato ~1_ una ratio m er• . . , a ffinata e coerente. pretativa sempre pm , . E perc10 opportuno presentarli uno per uno secondo quest ordme.
2. Il Davide e Golia ci è stato tr~mand~to_ con la _qualifica di omelia 130 e questa originaria destinaz10ne si nvela chi~ramente ~ 13 · · e a Ila fine• svolgimento non soltanto a 11•· miz10 . , I e anche se lo 17 I alito ade non risce strettamente al racconto biblico di lSam. , PP si preoccupa di riportare il testo passo per ~~sso e c_omme~tarl~ f ·sce uno svolgimento di carattere pm narrativo. Gm a~l ma pre en . e · t 132 GohaI inizio è proposta la tipologia di base Davide = ns o, e iù volte è presentato come typos del diavolo (7. ~• ecc.): ma e ~ue tipologie non sono affatto sviluppate in modo s,st~_m_auco,)a~ so per passo, dettaglio per dettaglio. Saul, che ~II mi_zi? \3 t Erode alla fine diventa un altro Golia, c10e figura • · d monti e la paragona o a , ' . e del diavolo (21). Non manca qualche altra tipo 1ogia: i ue . 11 d . JSam 17 3 sono simbolo rispettivamente della vecchia e della va e i • , h ' f' ra nuova Legge e della concupiscenza del mondo (6-7); Jo~at an e igu di Israele che crede in Cristo (20). Anche. i numen sono oggett? · · di· mterpretazione si'mbolica (8 · 15) ·133 Ma m complesso prevale tt ll racconto proposto in senso letterale. ~nche il punto forte, 1a 1o a fra Davide e Golia, è presentato solo m questo senso.
"' Conosciamo questo test? in_tegralmente soltanto in traduzione geor. 14 4 . bbl' ta a cura di Gantte m CSCO 264. giana, pu ica I ssioni in seconda persona d1 10, 10 e ' . rn Si veda1;10, Ph-~s.,. e esp~e 2 in senso generale, sulla traccia d'Ireneo, m E Ippo!Ito c iansce a . 1. t Cristo con le loro parole ma lo che i patri~rchi non sol~ hrnno ~h~ perciò appaiono preordinate in han~o e portato a compimento la Legge e funzione pre~1gura!o d1 colm c hcon e avreebbororea!izzat~ e "
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133 profeti.
b't' dell'altezza di Golia simboleggiano le quattro estremità I quattro cu 1 1 . . • 1 za · le cinque pietre raccolte della terra, dove il d~avolo. es~rcita \\ s_ua e~egge con simbologia destida Davide simboleggiano I cmque I n '
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Anche il Commento a Daniele 134 presenta tracce evidenti di una originaria destinazione omiletica,135 rna qui gli episodi più importanti del libro, che sono oggetto specifico della trattazione, sono riportati sistematicamente, a passi molto lunghi, e poi fatti seguire dalla spiegazione, sì che la forma complessiva dello scritto risulta un ibrido con caratteri sia dell'omelia sia del commentario vero e proprio. Il carattere peculiare di Daniele, basato su un seguito di visioni, favoriva singolarmente l'interpretazione allegorizzante; e in effetti nella spiegazione delle visioni non manca qualche dettaglio significativo di questo genere; 136 ma in complesso Ippolito preferisce un'interpretazione attualizzante. Anch'essa qualche volta si concreta in vera e propria allegoria: Babilonia è simbolo del mondo, i satrapi simboleggiano il potere pubblico, la fossa dei leoni l'inferno, ecc. (258); ma gli interessi prevalenti di Ippolito per il tema del martirio e per quello della più o meno imminente fine del mondo prendono forma generalmente secondo il senso letterale. 137 E il fortissimo animus antiromano del nostro autore si dispiega, soprattutto nella spiegazione delle visioni della statua e delle quattro bestie (144 sg. 270 sgg.), con procedimento di attualizzazione che non ha bisogno di ricorrere a particolari artifici di tipo allegorico. 138 La tipologia cristologica si con-
134
• Per il Commento a Daniele, giuntoci incompleto nell'originale greco, da mtegrare con una traduzione in paleoslavo, ci serviamo del testo di Bardy in SCh 14. Ai fini di una nuova, più adeguata edizione, sono importanti gli studi di Richard, ora ripubblicati in Opera minora, Turnhout-Leuven 1976, I, nn. 12. 13. 14. I frequenti riferimenti di questo testo al tema del martirio hanno spinto a fissarne la composizione al tempo della persecuzione di Settimio Severo (202), ma l'argomento non è cogente. 135 Questo carattere è ben evidente soprattutto nelle chiuse dei quattro logoi in cui l'opera è ripartita, e anche all'interno non mancano tratti parenetici che indicano questa destinazione (113. 184). Abbiamo comunque parlato di originaria destinazione omiletica, perchè nello stato attuale l'opera appare rimaneggiata in vista della pubblicazione. 136 P.es., nella spiegazione della visione dell'albero (Dan. 4, 7 sgg.), le foglie indicano l'editto del re inviato a tutta la terra.i molti frutti indicano le grandi entrate del regno, le bestie sono i guerrieri, gli uccelli le nazioni soggette, ecc. (212). 137 Sul' martirio cfr. 117. 156. 184, 244, ecc. L'interesse escatologico è evidente soprattutto nei calcoli · relativi alla fine del mondo, considerata non imminente (292 sgg.), corredati anche dal racconto di aneddoti (296 sgg.) e da simbologie numeriche (308). In sostanza, da p. 292 alla fine la trattazione è quasi tutta di argomenti attinenti all'escatologia. 138 L'attualizzazione è evidente soprattutto nell'interpretazione della quarta bestia, che simboleggia l'impero romano ( originariamente simboleggiava l'impero macedone) tramite la mediazione della bestia di Apoc. 13, 2 sgg, Quanto alla valutazione di questi procedimenti attualizzanti dal punto di vista esegetico, già abbiamo chiarito, parlando dei mss. di Qumran e di Paolo (sopra cc.
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centra quasi esclusivamente nell'episodio di Susanna, sovrapponendosi come secondo livello di lettura all'interpretazione letterale data per prima (94 sgg.): Susanna è typos della chiesa, il marito Joakim è simbolo di Cristo, i due vecchioni che insidiano la donna simboleggiano rispettivamente giudei e pagani in quanto persecutori della chiesa; ma la spiegazione allegorica, abbozzata all' inizio, non è sviluppata organicamente lungo la spiegazione del racconto ma soltanto supposta, e solo qualche dettaglio è oggetto di più specifico interesse allegorizzante. 139 Anche il Commento al Cantico presenta forma ibrida in cui si mescolano i caratteri dell'omelia e del commentario; 140 ma qui l'interpretazione, certamente favorita anche dal contenuto del testo, che è molto omogeneo nel dialogo d'amore fra i due sposi, diventa coerente e sistematica. Il canto d'amore è assunto esclusivamente in senso simbolico e perciò è interpretato allegoricamente senza affatto accennare ad un eventuale significato letterale. La tipologia di base, che assume l'amore dei due sposi come typos dell'amore di Cristo e della chiesa, cristianizza l'interpretazione giudaica che aveva visto nei due i simboli di Jahvè e Israele, e certamente va considerata anteriore ad Ippolito. Ma contrariamente a quanto abbiamo rilevato a proposito dell'episodio di Susanna, qui l'esegeta è ben attento a sviluppare la tipologia tradizionale in modo organico, con attenzione a tutti i dettagli del testo. Per un minimo di esemplificazione: il profumo dello sposo è simbolo della generazione del Logos e della successiva incarnazione (26 sg.), e il tema viene sviluppato con una lunga digressione che presenta un vero e proprio sommario di storia della salvezza, da Noè fino a Cristo e alla chiesa (28 sgg.); la nerezza della sposa è simbolo dei passati peccati della chiesa proveniente dai gentili (31); la vigna di Engaddi è simbolo della croce (36); 141 il soffitto della casa è simbolo degli
interpretazione allegorica. Ma si tratta di un'allegorizzazione molto elementare rispetto, p.es., al trattamento allegorizzante dei dettagli della visione dell'albero di cui a n. 136 e di quelli di Co. Dan. 258. Perciò a volte, per comodità, come qui, ci occorre di contrapporre attualizzazione e allegorizzazione, per distinguere fra un'allegoria elementare ed una più complessa. m Vedi, p.es., il bagno come simbolo del battesimo e l'interpretazione ecclesiale del giardino (100. 103 sgg.). 140 Sull'attuale carattere omiletico di questo scritto vale quanto abbiamo osservato a n. 135 sul Commento a Daniele. Il Commento al Cantico, che si estende dall'inizio del Cantico fino a 3, 7, ci è giunto integralmente solo in versione georgiana, pubblicata da Garitte in CSCO 264. Per una parafrasi libera e abbreviata del testo originale, in greco, si veda Richard in Opera minora, I, Il. 18. 141
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apostoli (37); le volpi sono simbolo degli eretici (40); la mirra è simbolo della passione e della sepoltura di Cristo (50); il giaciglio di Salomone simboleggia ancora una volta Cristo stesso (ibid.). 142 Merita di essere ricordata anche l'apertura del commento: il Cantico viene collegato con gli altri due libri attribuiti a Salomone, Proverbi e Ecclesiaste, con interpretazione trinitaria, per cui il primo esprime la sapienza del Padre, il secondo la venuta di Cristo nel mondo, il terzo la letizia e la consolazione arrecati dallo Spirito santo. Il complesso delle Benedizioni rappresenta l'intrapresa esegetica più ambiziosa di Ippolito. Per valutarla esattamente, consi• deriamo che alle Benedizioni di Giacobbe, relative a Gen. 49, e alle Benedizioni di Mosè, relative a Deut. 33, originariamente si affiancavano le benedizioni di Balaam, relative a Num. 23-24, ora perdute; 143 e che le Benedizioni di Giacobbe non si limitano ad interpretare Gen. 49, ma integrano questo passo con Gen. 37, visione di Giuseppe, Gen. 27, benedizione di Isacco a Giacobbe, Gen. 48, benedizione di Giacobbe ai due figli di Giuseppe. Per realizzare quest'opera Ippolito disponeva di una serie di tipologie già tradizionali in senso cristologico: Gen. 49 per totum o quasi; Num. 24, 17-19; Esaù e Giacobbe figure di giudei e cristiani; Giuseppe figura di Cristo. Egli ha rilevato l'affinità che lega fra loro tutti questi passi biblici di evidente contenuto profetico, perciò li ha combinati insieme e ne ha fatto un tutto omogeneo e di ampie proporzioni, sia estendendo ulteriormente la tipologia ad altri passi sia proponendo l'interpreta· zione puntuale di tutti, o quasi, i dettagli in chiave rigorosamente cristologica e, più specificamente, in riferimento all'incarnazione. 144
42 ' Nel senso che noi m Cristo troviamo il riposo. A questa simbologia Ippolito collega un'ampia digressione di tono parenetico impostata sui benefici apportati da Cristo (51). I sessanta prodi che circondano il giaciglio di Salomone simboleggiano le sessanta generazioni da Adamo a Cristo (52). 143 Ad eccezione di due frammenti, uno dei quali conservato sotto il nome di Ireneo: PG 7, 1240; PG 10, 605. Le Benedizioni di Giacobbe ci sono giunte nell'originale greco sotto il nome di Ireneo, oltre che in traduzione armena e georgiana; le Benedizioni di Mosè solo in traduzione armena e georgiana. Per il testo cfr. PO 27 (a cura di Brière-Mariès-Mercier). Delle Benedizioni di Giacobbe I'ep. 36 di Girolamo e le Catene ci hanno tramandato sotto il nome di Ippolito una serie di testi che discordano largamente da quelli dell'opera di cui qui ci occupiamo, e non è affatto chiaro in che rapporto stiano fra di loro le due interpretazioni. Cfr. su questo Ippolito, Le Benedizioni di Giacobbe (a cura di M. Simonetti), Roma 1982, p, 38 sgg. 144 P.es., a proposito della benedizione d'Isacco, Ippolito ripete le obiezioni di Ireneo contro l'interpretazione letterale; ma mentre quello aveva interpretato il testo in riferimento ai giusti nel regno millenario (Haer. 5, 33,
Questo tipo d'interpretazione è così esclusivo che l'autore giunge a negare ogni riferimento, per es., di Gen. 49 ai figli di Giacobbe e alle loro vicende, pur chiaramente riecheggiati in questo testo. Per arrivare a tanto, egli sfrutta l'inizio del passo, in cui Giacobb~ morente dice ai figli di ascoltare ciò che sarebbe accaduto negh ultimi giorni (Gen. 49, 1), rileva il carattere profeti~o del p~sso ~ perciò esclude che esso possa far riferimento ai _f~tti. dell~ vita dei vari figli di Giacobbe, in quanto si erano verificati pnma delle sue parole (PO 27, 50. 52. 54. 62). In tal modo il passo, n~mina~do i vari figli di Giacobbe, assume tutto e soltanto valore simbolico, come anticipazione profetica dei fatti di Cristo e della chiesa. Il tema sviluppato qui da Ippolito è soprattutto · quello del contrasto fra i giudei e la chiesa, visto in modo particolare sotto l'angolatura della sostituzione di questa in luogo di quelli come destinataria delle promesse divine. In questo ~enso sono interpretati i vari episodi che presentano un fratello mmore che prevale sul maggiore: Giacobbe e Esaù, Efraim e Manasse, Giuda e Ruben. Dal punto di vista della forma, va rilevato che le Benedizioni di Giacobbe e Mosè si presentano come un'opera unica in due parti,145 che non ha più nulla dell'omelia ma costituisce un vero e proprio commentario, con citazione sistematica dei versetti che costituiscono il testo biblico, interpretati volta per volta con un commento che, senza essere prolisso al modo di Filone, non è neppure essenziale e succinto. 3. Ad un apprezzamento critico della tecnica esegetica di Ippo• lito nuoce l'impossibilità, già rilevata, di stabilire fra le varie opere una cronologia relativa. Infatti la linea di presentazione che abbiamo seguito, da un inizio in cui l'esegeta è ancora molto aperto alla interpretazione letterale fino ad un esito che apprezza soltanto l'allegoria in chiave cristologica, se trova una certa ragion d'essere dal punto di vista formale,1 46 non è altrettanto valida dal punto di vista della tecnica esegetica. Infatti le quattro opere di Ippolito in questo senso si ripartiscono in due gruppi, Davide e Golia e il Commento a Daniele da una parte, il Commento al Cantico e
1~s Il carattere unitario dei due scritti è ben rilevato dal passo di trarisizione fra l'uno e l'altro (116 sg.). . . . 1"' In quanto si può ravvisare l'evoluzione dalla form~ ~i om 7ha d1 Davide e Golia a quella di commentario attraverso le forme 1bnde dei Com-
menti a Daniele
e
Cantico.
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dall'altro, due gruppi ben specificati uno rispetto all'altro non tanto per la coesistenza di lettera e allegoria nel primo rispetto all'assoluta prevalenza dell'allegoria nel secondo, quanto soprattutto perchè nel primo gruppo l'interpretazione cristologica si sovrappone a quella letterale, mentre nel secondo è essa sola rappresentata. Orbene, se tale discrepanza può essere spiegata diacronicamente come conseguenza di un progressivo affinamento della tecnica esegetica di Ippolito in funzione di una tipologia sempre più esclusiva, non si può neppure escludere che causa di tale discrepanza sia stata soltanto il diverso genere dei testi commentati, storici quelli del primo gruppo, 147 profetici o simbolici quelli del secondo: infatti nel primo caso l'interpretazione cristologica si doveva necessariamente sovrapporre a quella letterale,· mentre nel secondo poteva essere proposta a primo e unico livello di Iettura.148 E se si dà peso a questa seconda spiegazione, non c'è più alcuna necessità di postulare la posteriorità delle opere del secondo gruppo rispetto a quelle del primo. Comunque, anche lasciando aperta questa questione, è fuor di dubbio che l'esegesi sistematica di Ippolito segna un progresso notevole, nella storia dell'interpretazione patristica della Scrittura, rispetto all'esegesi, che potremmo definire episodica, di Giustino Ireneo Tertulliano. Essa trova solido ·fondamento nella ormai tradizionale convinzione che il VT nasconda, sotto il velo della lettera, i misteri di Cristo (PO 27, 2. 22. 42), che l'esegeta deve disvelare coll'assistenza dello stesso Cristo, che diventa così rivelatore dei suoi misteri (PO 27, 2). Solo la rivelazione portata dalla venuta di €risto ci dà· la chiave per comprendere i fatti del VT nel loro esatto e profondo significato (PO 27, 160); e in questo consiste l'istruzione che dobbiamo ricavare dalla lettura del testo sacro, in cui nulla è stato scritto senza motivo (SCh 14, 80). Su questo fondamento Ippolito sviluppa un'interpretazione allegorica di contenuto, nel Commento al Cantico e nelle Benedizioni, esclusivamente cristologico, al punto tale da escludere - come abbiamo già rilevato - anche accenni evidenti di carattere storico. 149 In tal modo l'interpretazione di Ip-
147 Per Daniele, la componente storica l'abbiamo vista rappresentata, ai fini dell'interpretazione cristologica, essenzialmente dall'episodio di Susanna. 148 Con le forzature che abbiamo rilevato, là dove Ippolito giunge a negare evidenti riferimenti alle storie dei patriarchi. 149 Abbiamo visto che l'esclusione è raggiunta sia adducendo il carattere profetico, perciò rivolto al futuro, delle benedizioni dei patriarchi, sia sfruttando il procedimento del defectus litterae (cfr., p.es., n. 144).
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polito, anche perchè sempre contenuta in limiti medi di ampiezza, presenta una compattezza d'insieme, che raramente è dato di incontrare nei più prolissi, e per ciò stesso più ricchi ma anche dispersivi, commentari di tipo alessandrino. Un limite evidente di questa esegesi, cui l'andamento sistematico poneva problemi diversi di carattere critico e filologico, 150 è dato dall'assoluta insufficienza che Ippolito rivela proprio in questo ambito, e il rilievo non apparirà anacronistico a chi consideri quanto giudei e greci fossero progrediti in questo campo. Se infatti nel Commento al Cantico egli sa imbastire un abbozzo di discussione sulle opere che si attribuivano a Salomone, 151 quando accenna di sfuggita al rifiuto dei giudei di accogliere l'episodio di Susanna in Daniele, adduce solo motivi di carattere moralistico e sembra ignorare che dell'episodio si conosceva solo il testo greco e non quello ebraico (SCh 14, 96 ). E si veda anche la fantasiosa genealogia di Susanna a p. 92 della stessa opera. Anche la ratio interpretandi, oltre che disinteressata a cercare una norma che regoli il rapporto fra lettera e allegoria, non manca di sfasature. Si veda, p.es., l'assurda lettura di Gen. 49, 25-26 « ... le benedizioni delle mammelle, le benedizioni dell'utero di tuo padre e di tua madre », in luogo di « le benedizioni delle mammelle e dell'utero, le benedizioni di tuo padre e di tua madre», per far scaturire dal controsenso « l'utero del padre » una spiegazione allegorica di senso dottrinale.1 52 Eppure, in tanto rigore di interpretazione cristologica, 153 è inopinatamente ammesso, per la benedizione di Dan (Gen. 49, 16-18), il riferimento
150 Questi problemi si presentavano molto di meno a Giustino Ireneo Tertulliano dato il carattere non sistematico della loro esegesi. E comunque abbia~o rilevato la posizione falsa in cui si viene a trovare Giustino in merito alle presunte interpolazioni giudaiche del VT proprio per carenza di senso critico. " 1 La questione nasceva dal contrasto fra l'entità globale dei tr~ libri attribuiti a Salomone (Cantico, Ecclesiaste, Proverbi) e i 3000 proverbi e 5000 canti composti da Salomone. secondo JReg. 5, 12. Il contrasto viene risolto postulando la perdita di gran parte dell'opera di Salomone sulla base della cernita fatta al tempo di re Ezechia, secondo l'indicazione fornita da Prov. 25, 1 (24-25). E' probabile che qui Ippolito ripeta in modo non perspicuo una spiegazione ben più antica di lui. m Cfr. PO 27, 108. 110. La spiegazione tratta dell'origine divina del Logos, su cui è molto importante Co. Cant., 26 sg. Sul Logos cfr. anche Co.Dan., 176 e a p. 170 dello stesso testo un cenno polemico antignostico sulla risurrezione.della carne. Ma in complesso l'interesse dottrinale è rappresentato solo margmalmente nell'opera esegetica di Ippolito. 1s3 Abbiamo infatti avuto modo già più volte di notare come Ippolito non rifugga dal far violenza alla lettera del testo biblico, pur di affermarne la significazione cristologica.
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parziale a Sansone (PO 27, 90), cioè un'interpretazione giudaica; e per spiegare perchè in Deut. 33 Mosè abbia omesso di benedire Sia fatti del patriarca, della meone, si fa ricorso indiscriminato tribù e di Cristo (PO 27, 155 sgg.).154 Anche se Ippolito codi spiegare la Scrittura con la Scrittunosce il procedimento ra,155 più volte l'allegoria è presentata senza alcun tentativo di giustificarla in relazione al contesto. 156 Solo in modo eccezionale, e perciò abnorme, l'interpretazione è fondata sull'etimologia di un nome ebraico, Aser = ricchezza (PO 27, 96).157A volte l'interpretazione allegorica appare forzata o comunque inadeguata rispetto alla difficoltà offerta dal testo, quando addirittura non ignora tale difficoltà: è il caso di Gen. 49, 7 « Li dividerò in Giacobbe e li disperderò in Israele», dove la tipologia Israele-Giacobbe = Cristo spinge Ippolito a dare a « in » improbabile significato strumentale: disperderò i giudei per mezzo, a causa di Cristo (PO 27, 66. 68); e la difficoltà proposta da Gen. 49, 24-25 « ... il Dio di tuo padre ... il mio Dio » non viene neppure presa in considerazione.158
154 Ancora: a proposito della benedizione di Ruben, dopo aver osservato che il passo, in quanto profetico, ha significato futuro e non passato (54), poi Ippolito ammette che l'inizio della benedizione: « Ruben, tu sei il mio primogenito, mia forza e inizio dei miei figli» (Gen. 49, 3) sia stato indirizzato da Giacobbe proprio al suo primogenito (56. 58). 155 Solo per fare un esempio: per avvalorare l'interpretazione di « Prendi la faretra e il tuo arco» (Gen. 27, 3), detto da Isacco a Esaù, come indicativo della bellicosità del popolo giudaico, Ippolito adduce a rincalzo Deut. 33, 29 « La spada è il tuo vanto» (14). Va comunque osservato che Ippolito fa uso moderato di questo procedimento, rispetto all'ampiezza e sistematicità con cui esso sarà messo in opera da Origene. 156 P.es., rimanendo nello stesso contesto di Gen. 27, le parole di Isacco a Esaù « Va' nella pianura e cacciami della selvaggina» (Gen. 27, 3), simboleggiano per Ippolito il vivere nel mondo, senza che questa allegoria venga in qualche modo spiegata o giustificata (12). 157 Nelle Benedizioni la simbologia numerica è trascurata, come nel Commento al Cantico, a differenza delle altre due opere. Ma questo può esser dipeso soltanto dalla scarsezza d'indicazioni numeriche nei testi in questione. 158 Cfr. su questo il mio testo cit. a n. 143, p. 99. Quanto alla terminologia esegetica, basterà accennare che, come gli altri asiatici, anche Ippolito predilige typos: Co.Dan. 96, 14; Co.Cant. 36, 25; 51, 4; Bened. 4, 14; 10, 11; 102, 5, ecc. Sono in particolare predilette le forme del verbo rrpo1:urrouv Co.Dan. 96, 10; 100, 10; Bened. 4, 12; 14, 9; 22, 9; 32, 13. Per un'isolata ricorrenza di allegoria cfr. µ.e:1:aqiop1xw,;&ìJ.·'lyope:i: di Bened. 88, 3 ad indicare la tipologia Issachar = Cristo, che nulla presenta di più ricercato e complesso rispetto alle altre simbologie dei patriarchi. A p. 96, 2 della stessa opera ricorre aMne:1:a1, altra forma cara alla esegesi di tipo allegorizzante, che qui si trova nello otP