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Italian Pages 64 [66] Year 2010
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FONDAZIONE PIETRO PIOVANI PER GLI STUDI VICHIANI
OPUSCOLI
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7
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Alfonso Mirto
CONTRIBUTO ALLA BIOGRAFIA E ALLA BIBLIOGRAFIA CALOPRESIANE Presentazione di Fabrizio Lomonaco
ISSN 2037 - 996X
LIGUORI EDITORE
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Pubblicato con il patrocinio della Regione Campania e il contributo finanziario del Dipartimento di Filosofia «A. Aliotta» dell’Università degli Studi di Napoli Federico II (Fondi della ricerca individuale 2010)
Questa opera è protetta dalla Legge sul diritto d’autore (http://www.liguori.it/areadownload/LeggeDirittoAutore.pdf). Tutti i diritti, in particolare quelli relativi alla traduzione, alla citazione, alla riproduzione in qualsiasi forma, all’uso delle illustrazioni, delle tabelle e del materiale software a corredo, alla trasmissione radiofonica o televisiva, alla registrazione analogica o digitale, alla pubblicazione e diffusione attraverso la rete Internet sono riservati. La riproduzione di questa opera, anche se parziale o in copia digitale, fatte salve le eccezioni di legge, è vietata senza l’autorizzazione scritta dell’Editore. Liguori Editore Via Posillipo 394 - I 80123 Napoli NA http://www.liguori.it/ © 2010 by Liguori Editore, S.r.l. Tutti i diritti sono riservati Prima edizione italiana Dicembre 2010 Stampato in Italia da OGL - Napoli Mirto, Alfonso : Contributo alla biografia e alla bibliografia calopresiane/Alfonso Mirto Fondazione Pietro Piovani per gli studi vichiani, Opuscoli Napoli : Liguori, 2010 ISBN-13 978 - 88 - 207 - 4743 - 5 ISSN 2037 - 996X 1. Bibliografia, filosofia, Caloprese 2. Critica storica, Storia della storiografia filosofica I. Titolo II. Collana III. Serie Ristampe: ——————————————————————————————————————————— 20 19 18 17 16 15 14 13 12 11 10 10 9 8 7 6 5 4 3 2 1 0 La carta utilizzata per la stampa di questo volume è inalterabile, priva di acidi, a PH neutro, conforme alle norme UNI EN ISO 9706 ∞, realizzata con materie prime fibrose vergini provenienti da piantagioni rinnovabili e prodotti ausiliari assolutamente naturali, non inquinanti e totalmente biodegradabili (FSC, PEFC, ISO 14001, Paper Profile, EMAS).
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INDICE
VII
Presentazione di Fabrizio Lomonaco
1
Introduzione Scalea il paese del Caloprese 1; La vita del Caloprese 11; L’estetica e la poetica 15; Il pensiero filosofico, politico e “civile” 22; Caloprese educatore 33.
37
Bibliografia Edizioni delle opere di Gregorio Caloprese 37; Studi generali sul periodo e sull’ambiente calopresiani 38; Studi sul Caloprese 45; Articoli brevi sul Caloprese 47; Opere in cui viene trattato il Caloprese 47; Recensioni sulle opere e sugli studi del Caloprese 52.
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PRESENTAZIONE
Chi è Gregorio Caloprese? Un altro Carneade, meritevole di interesse per quegli studiosi, accreditati e no, in cerca del minore, soddisfati o illusi, a seconda dei casi, del nuovo per il nuovo nel vasto campo della ricerca storico-filosofica? Questo lavoro di Alfonso Mirto, vivace studioso della cultura italiana tra Seicento e Settecento, esperto delle relazioni epistolari tra librai-stampatori europei (dai Borde agli Arnaud, dai Blaeu agli Janson, dagli Huguetan agli Anisson e agli Associati lionesi) ed eruditi italiani (da Magliabechi a Cassiano Dal Pozzo, da Carlo Roberto Dati a Leopoldo e Cosimo III de’ Medici) smentisce un fortunato stereotipo, offrendo questa Bibliografia del filosofo calabrese, articolata in sei dense sezioni (scritti di e su Caloprese, opere sul periodo e l’ambiente storico-culturale, con registrazione di «articoli brevi», di scritti generali e di relative recensioni). Ed è già in tale organizzazione delle “schede” la proposta di un metodo di studio, teso a collegare l’impegno speculativo con la ricerca storica, interessata a ricostruire la vita artistica, culturale e politica di «Scalea, il paese del Caloprese». Così recita il titolo del primo paragrafo che tratteggia una vicenda plurisecolare, ricchissima di eventi come mostrano gli anni bizantini (con la costruzione dei grandi monasteri, quello di Santa Lucia dei Taorminesi e quello di San Nicola dei Siracusani) e i tempi lunghi della dominazione normanno e sveva cui si deve la costruzione del centro storico e l’inaugurazione di una politica di grande influenza su tutta la Calabria grazie agli interventi di Roberto il Guiscardo e Ruggero il Normanno, prima dell’arrivo degli Angioini e della fortuna di due importanti famiglie, i Romano e i Pallamolla. Il ricco e sintetico quadro descritto da Mirto – che si estende al periodo giacobino e sanfedista fino alle guerre di indipendenza – è davvero efficace anche nell’offrire specifici ragguagli sulla vita sociale ed economica di Scalea tra Seicento e Settecento; una cittadina povera, come le altre di provincia e non solo, ma molto attiva nei lavori di vetreria (lo ricorda un filosofo allievo del Caloprese e corrispondente del
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— VIII —
Vico, quel Francesco Maria Spinelli autore di un’importante Autobiografia nel 1753, ricca di esperienze e di studi praticati nella scuola calopresiana), nell’artigianato e nell’attività portuale, intensissima per i notevoli scambi commerciali di ferro e manufatti soprattutto con Napoli. Nella capitale del Viceregno il giovane Gregorio coltivò interessi di scienza e di filosofia, accuratamente descritti con riferimento ai contatti con Porzio, Cornelio e Borelli. Ma le vicende biografiche più rilevanti si appuntano sulla prime opere degne di particolare attenzione come la Lettura sopra la Concione di Marfisa a Carlo Magno (1691) e le Spositioni (1694) delle Rime del Monsignor Giovanni della Casa che assicurarono al curatore fama internazionale anche per gli interventi del Bulifon e del Magliabechi a vantaggio del giovane calabrese. Su questi due scritti si raccolgono i motivi fondamentali della sua poetica (l’inventio e la fantasia, la favola e la rappresentazione) che Mirto prospetta alla luce delle più aggiornate interpretazioni, quelle del Cotugno e del Pepe, del Consoli, del Marvardi e del Giannantonio fino ai più accreditati e recenti studi di Quondam, di Rak e della Syska Lamparska, importanti anche perché hanno riaperto, ognuno a suo modo, un’opportuna riflessione sui modelli narrativi seicenteschi nell’Italia meridionale. Credo sia stato messo bene in rilevo il ruolo della fantasia nella dibattuta questione delle relazioni tra corporeo e non corporeo al centro dell’interrogazione antropologica di un cartesiano originale quale fu il Caloprese, meritevole di grande attenzione speculativa per lo studio delle questioni ontologiche e metodologiche attinenti alla poesia quale via di accesso alla vita civile. Questi interessi, già documentati dalla Lettura del 1691, polemicamente rivolta alle impostazioni razionalistico-utilitarie di matrice machiavelliana e hobbesiana, ritorna negli scritti politici che Mirto esamina, discutendo opportunamente sulle Lezioni all’Accademia Palatina del Medinaceli e sulla relativa letteratura critica, rifiorita nel secondo Novecento italiano grazie agli studi ben noti di Badaloni e Garin, Ricuperati e Quondam, Torrini e Conti, Suppa e Nuzzo. È davvero un fenomeno culturale di prima grandezza quello della fortuna degli scritti delle Accademie moderne. Tra Seicento e Settecento esse mantengono il meridione d’Italia in relazione con le grandi istituzioni europee con un’attività che forse andrebbe enfatizzata anche sulla base delle innovative ricerche su cultura cartesiana e newtoniana, compiute da Ajello, De Giovanni e Ferrone, giungendo a interpretazioni e periodizzazioni alquanto diversificate. Mirto, tuttavia, resta all’accertato e noto passaggio critico dallo sperimentalismo investigante di primo Seicento ai temi di segno antropologico e politico rappresentati dalle Lezioni accademiche calopresiane sull’«origine degl’imperij». È un tema opportunamente confrontato con altre voci accademiche, dal Sersale al principe di Santobuono, dal giovane Vico delle Cene sontuose de’ Romani al Doria delle lezioni di storia, scritti tutti privi di quel tono programmatico che hanno le lezioni calopresiane. Dinanzi alle conseguenze della complicata successione dell’impero spagnolo e del passaggio del Viceregno agli austriaci si impone il ripensamento delle ragioni dell’auctoritas
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— IX —
anche alla luce delle aspirazioni del moderno ceto civile napoletano. Alla fine di un lungo e complicato processo di trasformazione culturale e politica si avverte il bisogno di incrementare quell’opera di collaborazione con la potestas vicereale che le Lezioni calopresiane riconoscono nelle battute conclusive sul governo napoletano che «ha tutta l’autorità per comandare e tutto il merito per dover essere obbedito». E nel «merito» agisce la tendenza a fare pedagogia politica concreta, istituendo a Scalea una vera e propria scuola di vita e di studio delle scienze e delle lettere, della storia e della filosofia come documenta l’Autobiografia dello Spinelli, testimone del «Caloprese educatore», oggetto delle conclusive osservazioni del Mirto. Accanto alle pagine importanti dedicate alla formazione del Gravina e del Metastasio, suo giovane allievo, agiscono limiti e conseguenze del cartesianesimo. Nel «gran filosofo renatista» (come lo ricorda l’amico Vico) l’adesione all’ortodossia cartesiana e alla sua impostazione dualistica dei rapporti tra res cogitans e res extensa – conciliata con la tradizione platonico-neoplatonica (e agostiniana) – regge l’intenzione di denunciare i limiti dell’utilitarismo antico e moderno e i pericolosi esiti monistici dello spinozismo in una riflessione di impegno pedagogico-civile. Prevale, allora, l’interesse a individuare un principio di contenimento e di «governo» delle passioni che abbandoni la loro tradizionale definizione di errori da reprimere e incrementi, invece, un’adeguata pedagogia civile. Questa è ricavabile dalla lezione cartesiana contro la riduzione della politica a tecnica di potere fondata sull’astuzia o sulla forza come in Machiavelli e in Hobbes, mai esplicitamente citati eppure rifiutati e annoverati tra i «corruttori della civil prudenza» e di quella vera «utilità», esito degli «scambievoli beneficii», dell’aspirazione – legittimata dalla divina Provvidenza – all’amore non egoistico, alla benevolenza insita nell’animo umano. L’intenzione di rifondare la vita civile in chiave antropologica (con la polemica antisensistica e il richiamo ai motivi platonici, neoplatonici e agostiniani dell’«interiorità») e secondo un’impostazione metodologica di forte interesse metafisico (cartesiano) è l’eredità che Vico accoglie dalla generazione dei Caloprese e, insieme, trasforma in un impegno teorico innovativo, teso a rifiutare ogni autonomia e primato del momento metodico e, soprattutto, a saldare il metafisico nell’ordine della mens e del facere umani sin dalle «pruove» filosofiche e filologiche del Diritto universale.
Fabrizio Lomonaco
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INTRODUZIONE
1. Scalea il paese del Caloprese Il territorio in cui sorge l’attuale Scalea1, nel passato, ebbe momenti che possiamo definire importanti a cominciare dal periodo bizantino quando costituì lo sbocco naturale al mare del ‘Mercurion’, ed il suo porto era frequentato assiduamente da mercanti di tutto il Mediterraneo; mentre i suoi marinai si spingevano fino a Canterbury, come documenta Fazio degli Uberti nel suo Dittamondo2 e non è ignota a Giovanni Boccaccio, che la ricorda nel Decameron, a proposito di Giovanni da Procida3. La cittadina, difesa da mura e da torri (Castello, Cimalonga, Talao, di Giuda), a partire dall’epoca Normanna appartenne a Roberto il Guiscardo, a suo figlio Roberto detto Scalone. Poi fu feudo di Riccardo di Loria, delle famiglie Sanseverino, Pascale, Milano, Capaccio, Caracciolo, Spinelli, Lanza, questi ultimi la tennero fino all’eversione della feudalità. Nel periodo bizantino Scalea fu sede di grandi monasteri tra cui quello di Santa Lucia dei Taorminesi e quello di San Nicola dei Siracusani detto poi dei Greci4. Il cambiamento del nome da San Nicola dei Siracusani in San Nicola dei Greci fu dovuto ad un intervento di Guglielmo il Malo che per «spogliare i monasteri bizantini dei loro beni, li riunì 1 Per la bibliografia aggiornata su Scalea, vedi C. Manco, Opere, a cura di A. Mirto, Milano, Salviati, 2007. Sull’origine del nome A. Vacchiano, Nuova ipotesi sull’origine del nome di Scalea, «asklea», II, n. 1 (marzo 2005). 2 Fazio degli Uberti, Dittamondo, libro III, cap. XV, vv. 52-54. 3 G. Boccaccio, Decameron, giornata quinta, novella sesta. 4 Sulla storia di questi monasteri e sulla storia di Scalea bizantina, vedi A. Vacchiano – A. V. Valente, San Nicola dei Greci a Scalea. La cappella bizantina tra arte e storia, Milano, Salviati, 2006.
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in una federazione monastica sotto l’egida dei monasteri lucani di S. Elia e di S. Anastasio di Carbone con l’obbligo “ad solam animarum curam” e con il nome generico di monasteri di greci. Essa inglobò “omnia monasteria Graecorum, quae manent in territoriis a Salerno, … et per valium laini descindit ad Bellum videre (Belvedere) et inde revertitur per maritimam et vadit usque Salernum”. I monasteri dell’eparchia de Mercurio furono 25 e con la specificazione “dei greci” anche i monasteri di Scalea, S. Nicola dei Siracusani e S. Lucia dei Taorminesi presero l’appellativo di “S. Nicola dei Greci” e di “S. Lucia dei Greci”, insieme a quello di S. Nicola de Digna»5. I periodi normanno e svevo rappresentarono per Scalea quelli più densi e più ricchi di avvenimenti. Ai Normanni, infatti, si deve la struttura urbanistica del centro storico il cui primo nucleo doveva essere solo quello appena sotto la chiesa di S. Maria d’Episcopio, a Sud-Est con la porta in località ancora conosciuta con il toponimo “u Chiupp@” (il pioppo). Nel corso dei secoli la prima cinta muraria si estese fino a Cimalonga e in seguito sino all’attuale Piazza De Palma, inglobando il Palazzo dei Principi a Sud e seguendo il mare la porta Marina a Nord-Ovest. Scalea in questo periodo fu teatro del patto tra due fratelli d’Altavilla: Roberto il Guiscardo e Ruggero il Normanno. Ruggero aveva ricevuto in dono il castello di Scalea dal fratello Guglielmo per i servigi a lui resi, rendendosi subito conto della posizione strategica del posto. Egli, infatti, utilizzò il luogo come base delle sue scorrerie nei territori occupati dal fratello Roberto fino ad indurre quest’ultimo a scendere a patti, anche perché aveva bisogno del suo aiuto per sedare la ribellione scoppiata nell’attuale Puglia. Roberto, perciò, propose a Ruggero la spartizione delle terre conquistate in cambio della cessazione delle scorrerie e di un cospicuo invio di uomini per vincere i ribelli in terra calabra e pugliese. «Ruggero acconsentì alla proposta del fratello e da Scalea mosse verso il Sud a sedare la rivolta e a conquistare tutta la restante parte della Calabria e, in seguito, la Sicilia, portando con sé il ricordo felice dei mesi trascorsi a Scalea»6. Il risultato di quest’alleanza fu la divisione della Calabria: a Ruggero spettò la parte meridionale, con capitale Mileto; la parte settentrionale la prese Roberto il Guiscardo, assumendo il titolo di duca, elesse capitale San Marco. Durante il periodo svevo Scalea dette i natali al grande ammiraglio Ruggiero di Loria, da molti definito il Nelson della Calabria7, che ebbe parte rilevante nella guerra del Vespro e dopo la pace di Caltabellotta si ritirò in Catalogna, dove morì nel 1303. Dopo gli Svevi arrivarono gli Angioini e Scalea ricoprì ancora un ruolo di tutto rispetto nella storia della Calabria. Nuove famiglie arrivarono al seguito dei francesi, altre ebbero l’occasione di arricchirsi, dato che Scalea passò da feudo a terra demaniale. Tra le famiglie sono da ricordare
5
C. Manco, Opere, cit., p. 14. Ivi, p. 302. 7 Sul luogo di nascita del grande ammiraglio non vi è concordanza tra gli storici locali: i calabresi propendono per Scalea, i lucani sostengono Lauria. 6
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i Romano e i Pallamolla, soprattutto per due esponenti, rispettivamente Ademaro Romano e Lucio Pallamolla. Ademaro Romano nacque intorno al 1280, da Gaudio, personaggio stimato da Roberto d’Angiò, dal quale ebbe incarichi ed onorificenze. Dopo aver trascorso la fanciullezza nel paese natio, fu avviato alla carriera delle armi. La sua passione per il mare lo portò ad intraprendere la carriera militare, «emulando in qualche modo il suo concittadino» Ruggiero di Loria. Nel 1313, fu nominato luogotenente del Grande Ammiraglio del Regno, Corrado Spinola e nel 1317 cavaliere e viceammiraglio del Regno, con provvisione di 30 once. Nel 1325, fu al seguito di Carlo, duca di Calabria, a Firenze e, successivamente, in Sicilia; grazie alla sua abilità e al suo ingegno strategico fu nominato Grande Ammiraglio. Morì nel 1344 e fu sepolto a Scalea, nella cappella di Santa Caterina, adiacente alla chiesa di San Nicola in Plateis, dove ancor oggi i visitatori possono ammirare il bel monumento funerario della scuola di Tino da Camaino8. Lucio Pallamolla o Palamolla nacque nel 1571 da Gian Giacomo, dottore in legge, e da Clarice di Alitto dei baroni di Papasidero, secondo di quattro figli. Compì gli studi presso il Collegio dei Gesuiti in Napoli, ottenendo ottimi risultati. Poi, passò a Roma e qui gli nacque il desiderio di entrare nell’ordine dei Chierici Regolari di S. Paolo, detti Barnabiti, fondato nel 1530 da Antonio Maria Zaccaria ed ebbe ordinamenti definitivi nel 1579. Il padre di Lucio non fu contento della scelta e tentò in ogni modo di dissuadere il figlio, questi, però, fu irremovibile e, grazie anche all’intercessione del vescovo di Cassano, entrò nell’Ordine il 22 maggio 1592. Dopo il periodo di noviziato, trascorso a Monza, il 28 agosto 1594, prese i voti, mutando il nome in Costantino. Poi, fu mandato a Pavia, dove intraprese gli studi teologici e, nel 1597, fu ordinato sacerdote. Nel 1602, fu trasferito a Roma per insegnare Dialettica e Filosofia al collegio dei barnabiti; nello stesso tempo ricevette incarichi dai pontefici, tra cui quello di Esaminatore presso il Cardinale vicario, sotto papa Paolo V, mentre Urbano VIII lo nominò Visitatore apostolico. Dopo aver ricoperto varie cariche all’interno del suo ordine, padre Costantino Pallamolla morì a Roma, quasi ottuagenario, il 21 gennaio 16519. Nel Seicento, Scalea doveva apparire come un piccolo scrigno, chiusa dalle case-mura a partire da Porta Marina, poi la chiesa di San Nicola in Plateis, con la sua bella cripta, che dal mare sembra abbracci tutto il paese, il Palazzo Pallamolla, alto e slanciato, il palazzo Del Buono, il palazzo dei Principi, la Torre Cimalonga, il torrione e la Porta Castello. All’interno dell’abitato la bella chiesa di Santa Maria d’Episcopio, con annessa la cappella della Madonna del Carmine; questa chiesa conserva un finestrone «absidale di stile arabo-normanno del XII secolo (un vero 8 Sull’iscrizione sepolcrale, vedi A. Mirto, Introduzione a C. Manco, Opere, cit., p. 11. Sull’argomento si è soffermato F. Del Buono (I Del Buono di Scalea successori del casato dell’ammiraglio angioino Adimaro Romano, in «Calabria Letteraria», LV, n. 10-11-12, pp. 15-22), che ha sottolineato una leggera variante del testo latino. 9 C. Manco, Opere, cit., pp. 83-87.
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gioiello di quell’epoca) e alcuni pregevoli dipinti»10; il palazzo di epoca normanna con pseudo-loggiato, sede, secondo la tradizione di un corepiscopo11; la chiesetta dello Spedale, scoperta nel 1950 dall’architetto Gisberto Martelli12, che si presenta a due navate con tre absidi, all’interno delle quali si possono ammirare resti di affreschi bizantineggianti, forse risalenti ai secoli IX-XIII13; i palazzi Cupido, appena dentro le mura, con portali e stemmi signorili e altri palazzotti baronali all’interno del centro storico. Fuori le mura, verso Sud-Est, troviamo il convento francescano, di cui oggi non sono rimasti che ruderi soffocati dal cemento dell’urbanizzazione selvaggia, ma che al tempo del Caloprese era ancora funzionante. Nel tardo Medioevo, il convento era stato un centro di studi e possedeva una fornitissima biblioteca, mentre nel XVII secolo conobbe un periodo di crisi, tanto che papa Innocenzo X14, nel 1653, lo soppresse con quelli di Palmi, di Nicastro e altri; il convento, però, non cessò del tutto l’attività tanto che l’abate Pacichelli15, durante il suo viaggio in Calabria nel 1693, lo ricorda tra i luoghi da lui visitati, assieme allo «hospitio de conventuali» e alla cappella francescana, situati poco più a nord, cessando ogni attività con la soppressione dei conventi in seguito alla legislazione napoleonica. A Nord del paese si trova il complesso monastico di Santa Lucia dei Taorminesi, di cui è rimasto pochissimo, ma che al tempo del Caloprese doveva presentarsi in buono stato, almeno nel chiostro e nel pozzo, conosciuto dagli scaleoti come il “pozzo della marina”, il quale ha rappresentato per secoli una riserva idrica per gran parte degli abitanti di Scalea; nelle vicinanze si trova la chiesetta di San Cataldo, che ha subito un discutibile restauro. Nel Seicento, fra i fatti salienti accaduti nella cittadina calabrese è da annoverare quello relativo al naufragio di una piccola imbarcazione avvenuto intorno al 1632. Su questa «imbarcazione vi era anche il Beato [ora Santo] Umile da Bisignano che veniva in Calabria da Roma su consenso di papa Urbano VIII. La tempesta aumentò e la disperazione s’impadronì dell’equipaggio e dei passeggeri. 10
F. Ritondale, In Calabria lungo il Tirreno da Praia a Mare a Scilla, Catanzaro, V. Ursini, 1990, p.
16. 11
Il palazzo, comunemente, è chiamato palazzo del vescovo. Su quest’argomento ha fatto il punto A. Vacchiano (Scalea antica e moderna. Storia e protagonisti dalle origini al Settecento, Milano, Salviati, 2006, pp. 71-75). 12 Gisberto Martelli, allora Soprintendente alle Belle Arti per la Calabria, ne illustrò l’importanza artistica in vari interventi, tra cui negli Atti dell’VIII Congresso Internazionale di Studi Bizantini e Neoclassici, vol. II, Roma, 1953; per un’analisi approfondita di questo monumento rimandiamo al saggio San Nicola dei Greci a Scalea, citato alla nota 4. 13 A questo proposito vedi le ricche argomentazioni di A. V. Valente (San Nicola dei Greci, cit., pp. 155-204). 14 Su Innocenzo X (1644-1655), vedi G. Carpaneto, Le famiglie nobili romane, Roma, Rendina, pp. 301-316; Innocenzo X Pamphilj. Arte e Potere a Roma nell’Età Barocca, a cura di A. Zuccari e S. Macioce, Roma, Logart Press, 20012. 15 Giovan Battista Pacichelli (1634-1695), storiografo romano di origine pistoiese. Fu Protonotario Apostolico e Auditore per la conferenza di Pace di Colonia nel 1672.
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Il Beato Umile calmò tutti e pregò. La tempesta si dissolse e la navigazione verso il sud continuò tranquilla. Ancor prima di approdare nella rada di Scalea, qui si seppe dell’arrivo. Il principe di Scalea mandò, allora, incontro al Beato la sua feluca. Poi, con la sua corte e guardie, il clero e il popolo andò sulla spiaggia ad attendere il Beato Umile (…). Il Beato, dopo una breve sosta e aver ringraziato tutti per la calorosa accoglienza, partì alla volta del paese natio»16. Nel Seicento a Scalea si afferma anche la devozione per la Madonna del Carmine, attestata sia dalla fondazione della Congrega dello Scapolare (1606), sia dalla «pala di SS. del Monte Carmelo, che si trova nella parete terminale della chiesa parrocchiale di San Nicola in Plateis»17. Secondo l’opinione di Attilio Pepe anche la venerata statua della Madonna del Carmine, di artista napoletano, risale al Seicento18. La popolazione di Scalea al tempo del Caloprese, come del resto fino alla metà del secolo scorso, viveva di pesca e dei prodotti della terra, senza molte possibilità di svago. Una delle poche occasioni era senza dubbio rappresentata dal Carnevale, che era festeggiato, tra l’altro, con il Pizzicandò, di origini antichissime, forse legato al culto di Iside. Si tratta di una danza propiziatoria eseguita esclusivamente da marinai: sei uomini alla base, disposti a cerchio, sostengono altri quattro sopra di loro e ancora due in cima, tanto da formare una piramide umana. Questa piramide voleva simboleggiare un’imbarcazione, tanto che la danza prendeva il nome di “Torre” o “Nave” e l’ultimo giorno di carnevale, partendo dalla Marina, cantando e ballando arrivava fino al Castello, seguita da una folla divertita e festante. Ultimato il giro, i marinai tornavano al punto di partenza allegri e contenti per aver dato un momento di serenità a una popolazione che stentatamente sopravviveva. Della canzone che i marinai cantavano, il compianto Carmine Manco ha raccolto queste strofe: O vui ca state da sutta tinitine forte ca ’n terra cadimo si cadimo pigliamo ’na botta pizzicandò ’ndò ’ndò ’ndò…
16 C. Manco, Opere, cit., p. 65. Il Santo Umile da Bisignano morì nel 1637; Urbano VIII (Maffeo Barberini) fu eletto papa nel 1623 e morì nel 1644; sulla famiglia e sulla Roma barberiniana, vedi I Barberini e la cultura europea del Seicento, per cura di L. Mochi Onori, S. Schütze, F. Solinas, Roma, De Luca, 2005. 17 A. Valente, Devozione alla Madonna del Carmine a Scalea dal 1606 al 1955, in «Calabria Letteraria», XLV (1997), nn. 4-5-6, p. 43. 18 A. Pepe, I Carmelitani in Calabria e la Congrega del Carmine a Scalea, «Brutium», XXXV (1956), nn. 7-8; Id., Storia e tradizione. L’Ordine Carmelitano nella Regione ed una profezia di S. Francesco di Paola. La devozione del Carmelo a Scalea, «Il Mattino», Napoli, 22/7/1964. Sulle confraternite in Calabria, vedi S. Napolitano, La storia assente. Territorio, comunità, poteri locali nella Calabria nord-occidentale (XV-XVIII secolo), Soveria Mannelli, Rubbettino, 2003, pp. 155-185.
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e quelli di sotto O vui ca state da supa tinitivi forti ca ’n terra cadite si cadite pigliate ’na botta sabatu ’a sira, duminica ’a notte e quelli di sopra
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Si cadimi pigliamo ’na botta pizzicandò ’ndò ’ndò ’ndò…19. Le condizioni della maggior parte della popolazione, al tempo del Caloprese e non solo a Scalea ma in tutto il Regno di Napoli, non erano rosee: ognuno cercava di sbarcare il lunario alla meglio, svolgendo le attività più disparate20. A Scalea, oltre alla pesca, alla pastorizia e all’agricoltura, esistevano altre attività, tra cui una vetreria, come testimonia Francesco Maria Spinelli nella sua Autobiografia21, e poi l’artigianato. Tra gli artigiani, ricoprirono un ruolo importante i fabbri e gli scalpellini. Chi si avventura, infatti, per i vicoli del centro storico, che andrebbe maggiormente valorizzato, spesso s’imbatte in lavori artistici relativi a ringhiere di balconi e di verande e ad inferriate a protezione delle finestre, come quelle che si possono ammirare in via San Nicola o in via Municipale: «I fabbri, oltre a creare interessanti e resistenti gangheri a chiodo per reggere porte e finestre di ogni genere, chiavistelli e saliscendi, erano veramente esperti nel creare serrature il cui sistema di scontri della serratura e della mappa davano una chiusura solida, perfetta e sicura; le grossi chiavi con cannelli maschi e femmine avevano delle mappe piatte o cilindriche con risalti e intagli molto ingegnosi che garantivano la chiusura e quasi escludevano il pericolo dell’effrazione»22. Il ferro era prelevato dal “Fondaco del ferro di Scalea”, che approvvigionava anche i fabbri-ferrai dei paesi limitrofi. Medesima importanza ebbero gli scalpellini e i falegnami: dei primi si pos19
C. Manco, Opere cit., p. 305; A. Cotrone (Scalea per Voi usi costumi personaggi poesie, Milano, Pegaso Edizioni, 1991, p. 84) annota un’altra strofa che i componenti della piramide umana cantavano tutti insieme: «’Leru ’leru ’leru ’leru ’leru ’leru ’là / Lu pedi ’nta la rina / chiù pidata non ni dà / amuri mio, amuri di mamma / amuri mio purtatimi a mamma». Il Cotrone preferisce la lezione “pizzicantò” al posto di “pizzicandò”. 20 Per una bibliografia sui temi accennati, vedi A. Placanica, Storia della Calabria dall’antichità ai nostri giorni, Roma, Donzelli, 1999; G. Galasso, Alla periferia dell’impero. Il Regno di Napoli nel periodo spagnolo (secoli XVI-XVII), Torino, Utet, 1994, pp. 371-387; G. Caridi, Popoli e terre di Calabria nel Mezzogiorno moderno, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2001. 21 Su quest’opera vedi, ora, F. M. Spinelli, Vita, e studj scritta da lui medesimo in una lettera, Introduzione e cura di F. Lomonaco, Genova, il melangolo, 2007. 22 G. Guida, Aieta. Pagine della sua storia civile e religiosa, Cosenza, Pellegrino, 1991, p. 226.
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sono ammirare alcuni portali litici del Sei-Settecento, dei secondi, lavori intagliati e intarsiati che ancora oggi si possono vedere nelle case dei discendenti delle ricche famiglie scaleote. Un’attività sempre presente sul territorio è quella dei laterizi: Scalea produceva mattoni, che servivano alla costruzione di case di tutto il suo circondario. Nel Seicento e nel Settecento, a Scalea era sempre attivo il porticciolo, da dove partivano navi destinate verso i maggiori scali del Mediterraneo, cosa che si può constatare analizzando le carte geografiche stampate nel Seicento, tra queste quelle famosissime di Joan Blaeu e di Jean Janson: gli approdi più importanti della costa tirrenica calabrese riportati sono quelli di Scalea e di Tropea; da questi scali partivano legnami e vini, mentre scaricavano ferro e manufatti23. I collegamenti erano fitti principalmente con Napoli, in quanto il mare ha rappresentato per secoli la più importante via di comunicazione per gli abitanti di Scalea e dei paesi viciniori non solo per spostarsi, ma anche per commerciare e quindi intrattenere rapporti economici, sociali e culturali, «aprendosi a una nuova concezione della persona umana e della vita e a nuove prospettive di progresso». Scalea ebbe altri momenti di gloria o perlomeno di notorietà e tra questi due meritano essere ricordati, il primo riguarda gli avvenimenti della Repubblica Partenopea del 1799, il secondo, invece, fu quello del 1848: per il primo evento dobbiamo ricordare Biagio Rinaldi, il prete condottiero, che ebbe parte rilevante nell’organizzare le orde della reazione Sanfedista del cardinale Ruffo contro la Repubblica Partenopea del 1799 e contro i tentativi di coloro che volevano instaurare repubbliche giacobine nel Regno di Napoli24. Com’è noto, durante il periodo che vide la nascita della Repubblica Partenopea, la Calabria fu percorsa da vivi fermenti liberali e, anche a Scalea, come in molti altri centri del Tirreno, fu istituita la municipalità repubblicana e innalzato l’albero della libertà, anzi due: uno a Cimalonga e l’altro nella Crocevia25. 23
Sull’attività tipografica dei Blaeu e degli Janson, vedi A. Mirto, Stampatori, editori, librai nella seconda metà del Seicento. Parte seconda: I grandi fornitori del Magliabechi e della corte medicea, Firenze, Centro Editoriale Toscano, 1994; notizie anche in Id., Il carteggio degli Huguetan con Antonio Magliabechi e la corte medicea. Ascesa e declino di un’impresa nell’Europa Seisettecentesca, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2005; Id., Lettere di Borde, Arnaud, Rigaud e associati lionesi a Carlo Roberto Dati, Antonio Magliabechi, Leopoldo e Cosimo III de’ Medici, in «Culture del testo e del documento le discipline del libro nelle biblioteche e negli archivi», 9 (2008), 26, pp. 5-23. 24 Su questo momento della vita cittadina, vedi A. Mirto, Scalea tra Sanfedisti e Giacobini alla vigilia del 1848, in «Calabria Letteraria», XLVII (1999), n. 10-11-12, pp. 32-35; F. Ritondale, L’insurrezione calabra del 1806-1808, Cosenza, Pellegrini, 1999; sui fatti del 1799, si è svolto il IX Congresso storico calabrese (Roccella Jonica, 12-14 novembre 1999) i cui Atti sono stati pubblicati a cura della Deputazione di Storia Patria per la Calabria (Rivoluzione e Antirivoluzione in Calabria nel 1799, Reggio Calabria, Laruffa, 2003); per gli avvenimenti che riguardano Scalea, vedi l’intervento di A. Savaglio (La “volcanica esplosione”. Le repubbliche giacobine in Calabria Citra, ivi, pp. 199-223). 25 G. Cingari, Giacobini e Sanfedisti in Calabria nel 1799, Messina, D’Anna, 1957 [ristampa Reggio Calabria, Casa del libro, 1978], p. 115; A. Savaglio, La “volcanica esplosione”, cit., pp. 212 e 222-223; anche Verbicaro e Santa Domenica Talao, ex casale di Scalea, videro innalzare il loro albero della libertà. Per Verbicaro, vedi G. Cava, Verbicaro. Spunti di storia e cronaca, Cosenza, Fasano, 1988; per
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Un altro personaggio legato a questi avvenimenti fu Giuseppe Necco, combattente di Campotenese e allievo dello stesso Rinaldi26. Fra il 1806 ed il 1815, fece trucidare, per vendetta personale, una trentina di persone e l’opera sua non si limitò a Scalea, ma agì nella zona tra Maratea e Paola, organizzando corpi volanti assieme ad Alessandro Mandarini o Mandarino, l’eroe della difesa di Maratea contro il tentativo di espugnazione della cittadina da parte del generale francese Lamarque. I Borbonici, appoggiati dalla flotta inglese comandata dal contrammiraglio Sidney-Smith, che operava nelle acque dell’attuale golfo di Policastro, istituirono la loro base di operazione sull’isola di Dino, da dove partivano per attaccare “i galantuomini” dei paesi adiacenti che avevano aderito alle nuove idee. Così attaccarono Lagonegro, Castelluccio, Rotonda, Mormanno e molti centri della costa tirrenica; tentarono anche di sottomettere Aieta, ma il tentativo fallì perché, come annota Giuseppe Guida, evidentemente, la popolazione del centro calabrese manifestava sentimenti antiborbonici27. Con la restaurazione della Casa borbonica, Giuseppe Necco, al contrario del maestro che cadde in disgrazia, si trasferì a Napoli, dove fu promosso ufficiale borbonico per i suoi meriti militari e invece di combattere la delinquenza comune, scaricò il suo odio sui liberali28. A questi ultimi non rimase che rientrare nella clandestinità e infoltire le file delle Società segrete. Una domanda nasce spontanea: perché a Scalea la reazione borbonica ebbe terra fertile, tanto che il prete Biagio Rinaldi, scrisse ai Sovrani che nel breve spazio di un mese sarebbe stato capace di formare un corpo rispettabilissimo di Calabresi e marciare su Napoli contro la Repubblica? – Probabilmente questa certezza gli derivava dal poter contare su un largo strato di consensi e, soprattutto, dal fatto che i contadini ruotassero attorno alla sua figura. Altro aspetto da non sottovalutare è che buona parte dei calabresi ha sempre visto i Francesi come usurpatori, né questi si sono comportati in modo da essere considerati diversamente, anzi, in quel periodo si accanirono contro gli oppositori del proprio regime tacciandoli di briganti, non diversamente da come fecero i Piemontesi all’indomani dell’Unità d’Italia, trovando più semplice eliminarli che inglobarli con l’attuazione di quelle riforme economico-sociaSanta Domenica Talao, vedi G. Celico, Famiglie notabili di Scalea e Santa Domenica Talao nei secoli XVIII e XIX, Scalea, I libri del Diogene, 2006, pp. 135; Santa Domenica da feudo degli Spinelli a terra di briganti, a cura di A. Lucchesi, D. Di Giorgio, M. E. Muscarello, M. G. Paolino, M. M. Paolino, Scalea, La Poligrafica, 2002, passim. 26 Su questi personaggi, vedi C. Giordanelli, Il prete Biagio Rinaldi da Scalea ideatore e combattente della riconquista del Regno di Napoli, Scalea, Tipografia editrice F. Caselli, 1954; Id., A me Necco il Calabrese! Fatti e misfatti di un maggiore borbonico in una sintesi storica (1806-1830), Scalea, Tipografia Ferdinando Caselli, 1957; G. Ruffo, Il Cardinale Rosso, Soveria Mannelli, Calabria Letteraria Editrice, 1999; Id., Il cardinale Fabrizio Ruffo. L’uomo, il politico, il Sanfedista, in «Calabria Letteraria», XLVIII (2000), n. 10-12, pp. 40-44. 27 G. Guida, Aieta. Pagine della sua storia civile e religiosa, cit., p. 136. 28 Archivio Privato Manco (APM), Storia. Quaderno n. 2, c. n.n.
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li di cui la Calabria aveva urgente necessità e che, purtroppo, ancora vanamente attende. La realtà è che né i Francesi né i Piemontesi capirono o vollero capire l’origine e i veri motivi del brigantaggio, che spesso sfociava nella ferocia della delinquenza comune, ma che era anche fenomeno politico-sociale originato e sviluppato dai malgoverni succedutisi a Napoli dalla dominazione spagnola in poi. I contadini hanno sempre avuto nella sussistenza il problema principale, se non unico, da affrontare e da risolvere; perciò, non desta meraviglia che nel 1799 infoltiscano le masse dei sanfedisti, che nel decennio francese diventino briganti e negli anni della restaurazione borbonica siano schierati nel numero di quelli che invocano il ripristino degli usi civici. Chi poteva capire i reali problemi di questa massa affamata? Non certo la classe in ascesa, tutta protesa verso la scalata al potere, né i cosiddetti “radicali”, che da intellettuali propugnavano un’ideale repubblica al di fuori del tempo. Per i contadini e a maggior ragione per i braccianti il vero nemico non era rappresentato dal re e dal potere centrale, ma dai piccoli tiranni locali che nulla lasciavano di intentato pur di aumentare la loro proprietà. Facile per i reazionari convogliare sul loro progetto questo enorme magma umano29. Questa realtà non cambiò nemmeno dopo il ritorno dei Borboni, perché con le leggi eversive della feudalità, si era venuto formando un ceto nuovo di borghesia agricola che prima viveva ai margini e ora tende ad occupare un ruolo sempre più preciso nella vita politica del regno fino a scalzare la vecchia nobiltà parassitaria. Queste leggi, però, vanno contro gli interessi dei più umili; infatti, con l’abolizione degli usi civici, i contadini ed i braccianti si vengono a trovare senza di quello che il più delle volte rappresentava l’unico mezzo di sussistenza. La spigolatura, per esempio, in molte zone fu proibita e il contadino «non ebbe più la scelta tra terreni comunali, feudali ed ecclesiastici, ricevette la legge e non l’impose, pagò per ogni moggiata di terreno tre, quattro e cinque moggi di grano, il proprietario gli disse: se anche pianti origano nel mio fondo ne voglio parte»30. E se i contadini, fino al 1820, speravano ancora sull’intervento regio per la divisione delle terre demaniali, poi capirono che l’unico modo per averle era di occuparle. Questo avvenne in molti paesi della Calabria e non solo alla vigilia del 1848, ma anche successivamente, fino a tempi molto vicini ai nostri31. Le voci dei più umili rimasero inascoltate e la loro condizione andò sempre peggiorando, dando luogo in più occasioni ad episodi di ribellione che non rientrano in nessun quadro prestabilito e che non si riescono né ad evitare, né ad incanalare; come nel caso dell’occupazione di una miniera di sale nel territorio di Orsomarso, comune della Calabria a poca distanza da Scalea, nella valle del fiume Argentino, 29
A. Mirto, Scalea tra Sanfedisti e Giacobini, cit., p. 32. V. Padula, Persone di Calabria, a cura di C. Muscetta, Roma-Bari, Laterza, 1967, p. 296. 31 Per una visione sulla realtà contadina in Calabria nel secolo scorso, vedi P. Pezzino, La riforma agraria in Calabria. Intervento pubblico e dinamico sociale in un’area del Mezzogiorno 1950/1970, Milano, Feltrinelli, 1977. 30
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affluente dello storico Lao. La miniera fu occupata da braccianti per poterla sfruttare, tanto era il loro stato di miseria e solo l’intervento della gendarmeria borbonica stroncò in seguito la loro resistenza32. In Calabria, in misura maggiore che altrove, il distacco fra contadini e liberali era evidente e si radicalizzò sempre di più negli anni seguenti, fino a toccare la punta massima negli anni Cinquanta, quando è chiaro che gli umili subirono le scelte dei nuovi padroni senza avere la forza né di ribellarsi, né di partecipare alle lotte antiborboniche. D’altra parte i borghesi meridionali erano quasi tutti di estrazione contadina, arricchitisi usurpando quelle terre demaniali e baronali che dovevano essere quotizzate. Scriveva Vincenzo Padula nel 1864: «I Comuni spogliati, al vedersi sommersi alla imposta fondiaria per vasti territori che non possedevano, reclamarono. Ma chi potea far dritto a quei reclami? Usurpatori erano i Sindaci, usurpatori i Decurioni, e dei titoli di proprietà posseduti dai Comuni essi falsarono una parte, involarono un’altra, e parecchi che si trovavano in deposito negli uffici d’Intendenza sparirono ancora misteriosamente»33. Il panorama dei liberali meridionali era molto variegato e i radicali, pur non essendo tutti legati da vincoli di parentela ai ricchi proprietari terrieri, avevano posizioni ed interessi più vicini a questi e ai moderati, piuttosto che simili a quelli dei contadini. Il nodo principale di tutto questo periodo, che è quello del ruolo della borghesia e della sua capacità di elevarsi a classe egemone in tutto il Regno e segnatamente in Calabria, si scioglie con gli avvenimenti del 1848, quando negli altri Stati della Penisola, soprattutto nel Regno di Sardegna, la sconfitta servì a far cambiare tattica alla borghesia, anche a quella più radicale, fino a rientrare nell’orbita di una casa regnante. Nel Regno delle Due Sicilie, principalmente in Calabria, dove i radicali avevano pure espresso la loro prova migliore, ciò non avvenne perché qui i radicali erano per lo più intellettuali e i moderati proprietari terrieri, mancava la borghesia industriale ed imprenditoriale, nonché la nobiltà illuminata. Questa realtà si può constatare nella visione di Francesco De Sanctis, che nella Storia della letteratura italiana del secolo XIX, scrisse: «La Calabria è per me terra di grandi speranze, dove la natura è ancor primitiva, e l’uomo ancor forte, appena in principio di trasformazione sotto mano dell’uomo civile, come le Romagne: eran vive nei primi accenni del secolo XIX le persone che avevano assistito a que’ fatti del ’99 che, narrati ai giovani, accendevano le loro immaginazioni. C’è un fondo vivo e reale in quelle poesie [degli scrittori calabresi], tutte le passioni nell’impeto naturale, come tra gli uomini quasi ancora selvaggi, avvicendati vendetta e perdono, generosità ed assassinio; sono di fronte il brigante e l’uomo coraggioso che attacca, l’amore e la gelosia giungono all’estrema punta. Tutte le passioni, che nella città sono stem-
32 33
D. Demarco, Il crollo del Regno delle Due Sicilie, Napoli, L’arte tipografica, 1960, p. 64. V. Padula, Persone di Calabria, cit., p. 296.
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perate dalla mitezza dei costumi, fervono ancora intatte»34. Visione romantica questa, appartenente ad una minima parte del popolo calabrese, dove la maggioranza lottava per sopravvivere e non capiva ciò che attorno stava accadendo35. Una cosa compresero: che per loro non c’era avvenire e che per migliorarsi dovevano abbandonare la propria terra, così dopo l’Unità, cominciarono a partire dando inizio al fenomeno dell’emigrazione che toccò le punte massime durante il periodo giolittiano36. L’altro momento è legato ai moti del 1848, quando a Scalea, dopo la promulgazione della Costituzione concessa da Ferdinando II di Borbone il 29 gennaio, si formò un Circolo liberale in diretto contatto con il Circolo Nazionale istituito a Cosenza da Tommaso Ortale37. Il Circolo di Scalea era presieduto da Francesco Donato, già sindaco della cittadina tirrenica e, al tempo dei fatti, supplente giudiziario, ma le personalità più rilevanti furono quelle di Giuseppe Donato Cupìdo e di Cesare De Bonis. Questi pagarono caro il loro attaccamento agli ideali di libertà, perché, falliti i moti furono ritenuti responsabili degli avvenimenti accaduti a Scalea e perciò processati e condannati: il Cupìdo a sette anni e il De Bonis a venticinque anni oltre ad un’ammenda di cento ducati per ognuno38. Giuseppe Donato Cupìdo, scontata la pena, tornò a svolgere la sua professione di medico; Cesare De Bonis, invece, non riuscì ad apprezzare la libertà, perché morì nel 1858, a 32 anni, nei bagni penali di Ischia.
2. La vita del Caloprese Gregorio Caloprese nacque a Scalea in Calabria nel 1654, da Carlo e da Lucrezia Gravina. Nella sua cittadina, egli ricevette i primi insegnamenti; per la «meravigliosa vivezza di ingegno ed acume di intendimento», fu molto apprezzato dai suoi coetanei e dai suoi maestri al punto che i genitori pensarono di farlo trasferire a Napoli per ultimare il ciclo di studi. La Napoli che trovò il filosofo di Scalea era quella che, uscita dalle rivolte di metà secolo e dalla peste 34
Cito da A. Placanica, Storia della Calabria, cit., pp. 333-334. Sulla realtà della Calabria e sullo stereotipo del Calabrese, vedi le penetranti osservazioni di A. Placanica (Storia della Calabria, cit., pp. 335-339). 36 Secondo la ricostruzione di G. Guida, nel primo cinquantennio dell’unità italiana, dalla sola Aieta emigrarono ben 2208 persone adulte (Aieta. Pagine della sua storia civile e religiosa, cit., p. 152). 37 Sugli avvenimenti del 1848 a Scalea, vedi A. Mirto, La rivoluzione del giugno 1848 nel circondario di Scalea, in «Calabria Letteraria», XXVII (1979), nn. 4-5-6, p. 14 e sgg.; Id., La rivoluzione del giugno 1848 nel circondario di Scalea. Processi e condanne, in «Calabria Letteraria», XXVII (1979), nn. 7-8-9, p. 40 e sgg.; C. Manco, Opere, cit., pp. 191-229. 38 Come scrive C. Manco: «I soli che la Gran Corte Speciale di Cosenza ritenne responsabili nel circondario di Scalea furono: Tommaso De Bonis, Cesare De Bonis, Giuseppe Donato Cupido, Filippo La Gioia, Francesco Cupido e Giuseppantonio Lamboglia di Santa Domenica» (C. Manco, Opere, cit., p. 227). 35
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del 1656, si avviava a vivere quell’altra parte del Seicento non meno greve di difficoltà e di problemi politici e sociali. Nella capitale del Viceregno seguì, dapprima, i corsi del celebre e dotto letterato Giuseppe Porcella; successivamente si interessò di anatomia e frequentò le lezioni di Lucantonio Porzio, uno dei maggiori rappresentanti dell’Accademia degli Investiganti39; il Porzio, pensatore di grandissimi interessi scientifici, ebbe come costante riferimento Giovanni Alfonso Borelli, esponente dell’Accademia fiorentina del Cimento40, e Tommaso Cornelio, al quale si deve l’introduzione della filosofia cartesiana in Napoli41. Il Caloprese si addottorò in medicina, ma quasi mai esercitò la professione di medico se non per gli amici e per i poveri, senza pretendere “mercede alcuna”. Terminati gli studi fece ritorno a Scalea quasi in volontario esilio «che è segno storicamente indicativo della crisi dell’esperienza investigante e della chiusura in atto nella situazione intellettuale napoletana alla fine del Seicento»42. Pur vivendo isolato, egli non perse i contatti con la capitale, le cui accademie lo cercavano per averlo come socio. Né disdegnò qualche viaggio a Roma per incontrare il cugino Gian Vincenzo Gravina, che era al servizio di monsignor Francesco Pignatelli, nipote di papa Innocenzo XII; forse il Caloprese sperava in un insegnamento alla Sapienza, cosa che non avvenne43. Nel 1690, durante uno dei suoi viaggi a Napoli, il Caloprese partecipò ad una seduta dell’Accademia degli Infuriati e vi tenne una Lettura sopra la concione di Marfisa a Carlo Magno contenuta nel “Furioso” al canto trentesimottavo, la cui prima parte fu pubblicata l’anno seguente da Antonio Bulifon, stampa39 Sull’Accademia degli Investiganti vedi: M. Torrini, L’Accademia degli Investiganti. Napoli 1663-1670, «Quaderni storici», 48, XVI (1981), pp. 845-883; sul Porzio, vedi A. Dini, Filosofia della natura, medicina, religione. Lucantonio Porzio (1639-1724), Milano, F. Angeli, 1985; sulla circolazione delle idee scientifiche in Italia in questo periodo, vedi B. Dooley, Comunicazione scientifica e Seicento italiano, «Intersezioni. Rivista di storia delle idee», XVI (1996), 1, pp. 23-55, con ricche note bibliografiche. 40 Sull’Accademia del Cimento vedi I Medici e le scienze. Strumenti e macchine nelle collezioni granducali, a cura di F. Camerota e M. Miniati, Firenze, Giunti, 2008, pp. 327-355; The Accademia del Cimento and its European Context, M. Beretta, A. Clericuzio, L. Principe Editors, Sagamore Beach, Watson Publishing International, 2009. 41 Su Tommaso Cornelio vedi: F. Crispini, Metafisica del senso e scienze della vita, Napoli, Guida, 1975; A. Mirto, Rapporti culturali tra il Viceregno e la Toscana nella seconda metà del Seicento, in «Calabria Letteraria», XLII (1994), n. 10-12, pp. 32-35, con bibliografia, da aggiornare almeno con S. Contarini, Il mistero della macchina sensibile, Pisa, Pacini, 1997. 42 A. Quondam, Gregorio Caloprese, Dizionario Biografico degli Italiani (DBI), XIII, Roma, Treccani, 1973, p. 801. 43 Il soggiorno romano del Caloprese è testimoniato dalle lettere del Gravina al Pignatelli (G. Gravina, Curia Romana e Regno di Napoli. Cronache politiche e religiose nelle lettere a Francesco Pignatelli (1690-1712), testo, introduzione e note a cura di A. Sarubbi, Napoli, Guida, 1972, passim); nella lettera del 13 gennaio 1700, il Gravina scriveva: «Gregorio è partito per Napoli, insieme con monsignor Caraffa, nipote di V.S.I.» (ivi, p. 30). Il Gravina non fa, invece, cenno ad incarichi del cugino alla Sapienza. Ricchissima è la letteratura su Gravina, per la bibliografia fino al 1968 vedi A. Quondam, Cultura e ideologia di Gianvincenzo Gravina, Milano, Mursia, 1968; per gli studi più recenti, vedi bibliografia in G. Gravina, Della ragion poetica. Libri due, introduzione e cura di F. Lomonaco, Napoli, ScriptaWeb, 2008.
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tore di origine francese, che tanta importanza ebbe per il rinnovo degli studi nella realtà napoletana44. In questa occasione, sempre per mezzo del Bulifon, il Caloprese entrò in contatto epistolare con il bibliotecario fiorentino Antonio Magliabechi45, al quale inviò alcuni esemplari dell’opera, sottolineando che non vi erano propositi di guadagno, ma che il libro era stato fatto stampare per soddisfare la curiosità dei dotti e per donarli «a padroni et amici»46. Il Magliabechi, infatti, gran mediatore culturale, ma anche commerciale, come sappiamo dalla ricchissima corrispondenza custodita nella Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, appena ricevuto i testi del filosofo di Scalea, aveva pensato bene di consegnarli al libraio Charlier47, per poterli vendere, ma come si evince dalla lettera il Caloprese volle rassicurarsi che prima venissero esaudite le curiosità degli eruditi toscani e solo in ultima istanza consegnare al libraio il rimanente delle copie. Nello stesso anno, il Bulifon incaricò il Caloprese di ultimare le note sulle Rime di Monsignor Giovanni della Casa, iniziate da Marco Aurelio Severino48, altro calabrese illustre. Si può costruire la vicenda di questa pubblicazione leggendo le lettere dello stampatore franco-napoletano indirizzate sempre ad Antonio Magliabechi; egli, infatti, si lamentava con il bibliotecario del Granduca di Toscana che l’opera andava per le lunghe e, che forse, non sarebbe stata mai portata a termine. Il Bulifon aveva ragione, poiché solo dopo quattro anni poteva avvertire il Magliabechi di aver finalmente terminato la stampa della prima parte delle Rime con il commento del Quattromani, del Severino e del Caloprese. Le rimanenti parti non videro mai la luce, come del resto era successo con la Lettura sopra la concione di Marfisa a Carlo Magno, per la riluttanza del pensatore scaleoto a sistemare per iscritto le proprie idee. D’altra parte, questa era una caratteristica comune a molti 44 Su queste vicende vedi A. Mirto, L’ambiente e la cultura di Gregorio Caloprese, in «Calabria Letteraria», XXIX (1981), n. 4-5-6, pp. 46-49. 45 Antonio Magliabechi (1633-1714), bibliotecario dei granduchi di Toscana Ferdinando II e Cosimo III de’ Medici; su di lui, vedi DBI, 67 (2006), pp. 422-427, voce curata da M. Albanese; E. Vaiani, Lettere di Raffaele Fabretti ad Antonio Magliabechi, «Studi Secenteschi», XLVIII (2007), pp. 311-354; A. Mirto, Lorenzo Legati e Firenze: carteggio con Francesco Redi e Antonio Magliabechi (1667-1676), «Studi Secenteschi», L (2009), pp. 261-316. 46 Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze (BNCF), Ms. Magl. VIII 1148, c. 6r-v. 47 Si tratta di Jacopo Charlier, figlio di Nicolò, libraio e stampatore di origine francese, trapiantato a Firenze, perciò a volte si trova nella forma italianizzata di Carlier o Carlieri; l’attività fu continuata dalla moglie e dai figli, il più importante dei quali appunto fu Jacopo, attivo sino alla fine del Seicento (R. L. Bruni, Editori e tipografi a Firenze nel Seicento, «Studi Secenteschi», XLV (2004), pp. 350-352), mentre la stamperia la troviamo sotto Luigi Carlieri anche nel Settecento inoltrato (M. A. Morelli Timpanaro, Autori, stampatori, librai per una storia dell’editoria in Firenze nel secolo XVIII, Firenze, Olschki, 1999, pp. 380, 384, 412, 459-460, 478). 48 Sul Severino, vedi A. Mirto, Una lettera di Marco Aurelio Severino a Lucas Holstenius conservata nella Biblioteca Apostolica Vaticana, in «Calabria Letteraria», XLV (1997), 1-3, pp. 40-42; O. Trabucco, Scienza e comunicazione epistolare: il carteggio fra Marco Aurelio Severino e Cassiano dal Pozzo, in «Giornale critico della filosofia italiana», LXXVI (1997), pp. 204-249.
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intellettuali di quel periodo come Lorenzo Magalotti, Luca Tozzi e Leonardo di Capua, per citarne solo alcuni. Di questi anni sono anche due lettere del Caloprese: una indirizzata a Niccolò Caracciolo, principe di Santobuono, intorno all’«invenzione della favola rappresentativa», l’altra diretta a Niccolò Gaetano d’Aragona «ragiona sopra le cagioni de’ fenomeni che nel monte della Solfonaria presso Pozzuoli si veggono»; entrambe incluse nel quarto volume delle Lettere memorabili, pubblicate nel 1698 da Antonio Bulifon. Nello stesso anno, egli fu chiamato da Federico Pappacoda e da Niccolò Caravita a partecipare alla seduta inaugurale dell’Accademia Palatina, meglio conosciuta come Accademia di Medinaceli49. Nelle successive ‘adunanze’ vi tenne le quattro lezioni sulle Origini delli Imperij, in cui esponeva la sua concezione politica. A questo periodo dovrebbe risalire la Confutazione a Spinoza, a noi non pervenuta, ma che doveva essere opera di un certo respiro, tanto da alimentare la polemica che condusse, qualche decennio più tardi, Francesco Maria Spinelli con Paolo Mattia Doria50. Il Caloprese si interessò anche di problemi estetici e in questo senso l’opera di maggior peso è il Commento alle Rime di monsignor Giovanni della Casa. Fu arcade, dal 1691, col nome di Alcimedonte Cresio e quando, nel 1711, avvenne la famosa scissione ad opera del cugino Gianvincenzo Gravina, egli rimase fedele alla linea del Crescimbeni51. Scrisse anche poesie, che furono incluse da Giovanni Acampora nella raccolta di Rime di poeti napoletani, assieme a quelle di Giambattista Vico, di Agostino Ariani, di Bastian Biancardi e di altri52. Si tratta quasi sempre di sonetti di occasione, che elogiano personalità note del Viceregno, tra cui Andrea D’Afflitto e personaggi della Casa Reale. Dal 1701, il Caloprese fece definitivo ritorno nella sua cittadina natale, dove continuò il suo alto magistrato, iniziato qualche decennio prima con l’educare il Gravina. Ebbe, in questo periodo, come allievo Francesco Maria Spinelli, già suo discepolo a Napoli assieme a Paolo Mattia Doria; il Principe della Scalea ci ha lasciato una preziosa testimonianza sui metodi di insegnamento del filosofo calabrese, che analizzeremo più avanti. Ultimo tra i suoi allievi 49
L’Accademia di Medinaceli spesso viene citata come Medinacoeli o Medina Coeli, ma il ducato spagnolo e l’omonima cittadina si chiamano Medinaceli. 50 Sulla polemica Doria-Spinelli vedi A. Mirto, Nota sulla polemica Doria-Spinelli, «Argomenti storici», VI-VII (1981), pp. 146-158; su Spinoza, vedi S. Nadler, Spinoza. A Life, Cambridge University Press, 1999, [tr. it.: Baruch Spinoza e l’Olanda del Seicento, Torino, Einaudi, 2002]; Id., Spinoza’s Heresy, Oxford University Press, 2001 [tr. it.: L’eresia di Spinoza. L’immortalità e lo spirito ebraico, Torino, Einaudi, 2005]; B. Spinoza, Trattato teologico-politico, a cura di A. Dini, Milano, Bompiani, 2001. 51 Sull’Arcadia, vedi M. P. Donato, Accademie romane. Una storia sociale (1671-1824), Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 2000, pp. 58-76; vedi anche L. Marinella, Arcadia felice, introduzione e note di F. Lavocat, Firenze, Olschki, 1998; sul ruolo delle accademie, illuminante è M. Fumaroli, Il salotto, l’accademia, la lingua. Tre istituzioni letterarie, Milano, Adelphi, 2001 (titolo originale: Trois institutions littéraires, Paris, Gallimard, 1994). 52 G. Acampora, Raccolta di Rime di Poeti Napoletani non più ancora stampate, In Napoli, nella Nuova Stamperia di D. A. Parrino, 1701.
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fu Pietro Metastasio, che fu condotto a Scalea dal Gravina nel 171153. Il Caloprese morì nel marzo del 171554.
3. L’estetica e la poetica Già agli inizi del Settecento, Giovan Battista Casotti, erudito di origine bolognese nato a Prato55, amico di Gilles Ménage56 e di François-Séraphin Régnier-Desmarais57, aveva utilizzato l’edizione del Caloprese del commento alle Rime del Della
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Vita, e studj di Francesco Maria Spinelli principe della Scalea scritta da lui medesimo in una Lettera, in Raccolta di opuscoli scientifici e filosofici, Venezia, presso S. Occhi, 1753, t. 49, pp. 463-526 (ora nell’edizione citata alla nota 21); su cui vedi A. Mirto, Nota sul pensiero di F.M. Spinelli, in «Calabria Letteraria», XXXI, 7-9, 1983, pp. 74-78; sull’aspetto pedagogico, vedi A. Valente, Antropologia e politica in Gregorio Caloprese, tesi di laurea discussa all’Università degli Studi della Calabria, Facoltà di Lettere e Filosofia, relatore prof.ssa G. Mocchi, a.a. 1994-95; notizie anche in F. Del Buono, Il primo amore del Metastasio durante la sua dimora in Scalea, in «Calabria Letteraria», XLVI (1998), n. 4-5-6, pp. 13-17 ed A. Vecchio Ruggeri, La visione dell’etica e della politica in Gregorio Caloprese filosofo di Scalea, in «Calabria sconosciuta», XXVIII (2005), 108, pp. 17-20. 54 Riportiamo l’epigrafe della tomba di Gregorio Caloprese, sita nella cripta della chiesa di San Nicola in Plateis di Scalea: «D.O.M. // Heic sunt // Gregorii Caropresii // Italorum philosophorum // maximi // viri omnigena eruditione // praestantis // virtutibus pietate moribus // praeclarissimi // Iani Vincentii Gravinae I.C. // Petrique Metastasio // magisteri // sita ossa // Viator // tametsi properas siste // da sacro cineri flores // et ne sit tibi dicere // grave // molliter Caropresii ossa // cubent // Ob. An. R.S. MDCCXV Kal. // Aprilis aetatis suae LXI // Marcus Belli Rs. Iudex // et Aloysius Calvano Lomb. // in grati animi // obseqium // P. P. M. AN. Dom. // MDCCCXXXV»; sulla chiesa di San Nicola e sul commento dell’epigrafe, vedi A. V. Valente, La chiesa di San Nicola in Plateis a Scalea, Milano, Salviati, 2003, pp. 40-42. 55 Sul Casotti (1669-1737), accademico della Crusca, apatista, arcade e socio dell’Accademia Fiorentina, vedi DBI, 21 (1978), pp. 426-428, voce curata da C. Mutini; sulla sua appartenenza all’Accademia della Crusca, Catalogo degli Accademici della Crusca dalla fondazione, a cura di S. Parodi, Firenze, presso l’Accademia, 1983, p. 179. Notizie anche in M. A. Morelli Timpanaro, Il cavalier Giovanni Giraldi Firenze 1712-1753 e la sua famiglia, Firenze, Olschki, 2001, p. 60 e nota; al Casotti dobbiamo le Notizie intorno alla vita ed alle opere di M. Giovanni Della Casa, […] poste in fronte all’edizione fatta in Firenze, da G. Manni l’anno 1707; il commento del Caloprese lo troviamo nell’edizione di Venezia del 1728. 56 Gilles Ménage (1613-1692), erudito francese, letterato di primo piano, mordace e caustico, non ebbe molti amici in patria, tanto che gli vennero chiuse le porte dell’Accademia di Francia. Al contrario in Italia ebbe estimatori sia tra i letterati che tra i principi, e fino dal 1654 appartenne all’Accademia della Crusca. Su di lui vedi Menagiana, Paris, F. Delaulne, 1715; Gilles Ménage (1613-1692). Le rayonnement de son oeuvre linguistique. Actes du colloque international tenu à l’occasion du tricentenaire du Dictionnaire étymologique ou Origines de la langue françoise (1694). (Université Jean Moulin Lyon III, 17-19 mars 1994), Lyon, Société d’Etudes Historiques et Linguistiques des Dictionnaires Anciens Université Jean Moulin, 1995; per i rapporti con la Crusca, vedi Catalogo cit., pp. 101-102. 57 Régnier-Desmarais François-Séraphin (1632-1713), ecclesiastico ed erudito francese; membro dell’Académie Française, di cui fu segretario dal 1683; nel 1667, venne ascritto, per volere del principe Leopoldo de’ Medici all’Accademia della Crusca (Catalogo, cit., pp. 118-119). Di lui scrisse il Magalotti: «Ho finito la giornata in casa di monsieur Conrad, dov’ho trovato monsieur Raynier. Questi fu a Roma col duca di Créqui in qualità di segretario dell’imbasciata del re, e non dell’ambasciatore: è giovane, al parer mio, di poco più di 32 o 33 anni, ed è cosa meravigliosa la sua perfettissimo intelligenza della lingua spagnola, senz’esser mai stato in Spagna, e della italiana, anche prima ch’egli venisse in
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Casa, ma il primo studioso che realmente ha affrontato il problema estetico del Caloprese fu, all’inizio del secolo scorso, Raffaele Cotugno nel suo breve saggio sul pensatore calabrese58. L’ultima, in ordine di tempo, la studiosa Rena A. Syska-Lamparska in alcuni suoi articoli dedicati al Caloprese, principalmente quello apparso con il titolo de Il “sensismo sublime e razionale” di Gregorio Caloprese59, ora refuso in Letteratura e scienza. Gregorio Caloprese teorico e critico della letteratura60. La tematica è sempre la medesima, e cioè se nell’estetica il Caloprese rimase fedele al suo maestro Cartesio. Com’è noto, la qualifica di ‘cartesiano’ fu data al Caloprese direttamente da Vico, che lo definì «gran filosofo renatista»61, qualifica condivisa da Pietro Giannone62 e dal Metastasio, che così ricorda il maestro dopo molti anni: «Sento di nuovo la veemente voce dell’insigne filosofo Caloprese, che adattandosi per istruirmi alla mia debole età, mi conduceva quasi per mano fra i vortici dell’allora regnante Renato, di cui era egli acerrimo assertore, ed allettava la fanciullesca mia curiosità, or dimostrandomi colla cera quasi per giuoco, come si formano fra i globetti le particelle striate, or trattenendomi in ammirazione colle incantatrici esperienze della diottrica. Parmi ancora vederlo affannato a persuadermi che un suo cagnolino non fosse che un orologio, e che la trina dimensione sia definizione sufficiente dei corpi solidi, e lo veggo ancora ridere, quando dopo avermi per lungo tempo tenuto in una tetra meditazione, facendomi dubitar di ogni cosa, si accorse che io respirai a quel suono: ego cogito, ergo sum, argomento invincibile d’una certezza, ch’io disperava di mai più ritrovare»63. Tra i primi studiosi dell’estetica calopresiana va segnalato Attilio Pepe che, riprendendo le tesi del Cotugno, arrivò a sostenere che il Caloprese fu addirittura un anticartesiano, in quanto per questi «l’arte è tutta “in una particolare maniera” di immaginare e rappresentare le cose nelle quali il poeta traduce un suo stato d’animo, consistente nel dar loro una forma non più veduta e originale perché varia col variare delle circostanze e delle situazioni»64. Secondo Italia. Questa, benché la sappia benissimo, non la parla felicemente, ma la scrive bene a una foggia che non è possibile ad alcun toscano l’accorgersi mai ch’egli sia franzese […]. È cortese, ma un poco affettato, e credo che si stimi assai; ma s’ei lo fa bisogna compatirlo, perché n’ha gran ragione» (Diario di Francia dell’anno 1668, a cura di M. L. Doglio, Palermo, Sellerio, 1991, pp. 126-127). 58 Gregorio Caloprese, estratto dalla Rassegna Pugliese di Trani, XXV, 1910, II ed. 1911, poi refuso in La sorte di G.B. Vico e le polemiche scientifiche e letterarie dalla fine del XVII alla metà del XVIII secolo, Bari, Laterza, 1914. 59 «Studi Filosofici», XXIII (2000), pp. 15-38. Altri studiosi che hanno trattato l’argomento sono: F. Nicolini, La giovinezza di G.B. Vico, Bari, Laterza, 1932; V. Galati, Gregorio Caloprese, in «Almanacco Calabrese», 1955, pp. 109-114. 60 Napoli, Guida, 2005, pp. 177-205. 61 G. Vico, Autobiografia, a cura di M. Fubini, Torino, Einaudi, 1977, p. 24. 62 P. Giannone, Vita scritta da lui medesimo, a cura di S. Bertelli, Milano, Feltrinelli, 1960, p. 38; sul Giannone, vedi L. Mannarino, Le mille favole degli antichi. Ebraismo e cultura europea nel pensiero religioso di Pietro Giannone, Firenze, Le Lettere, 1999. 63 P. Metastasio, Lettera a Saverio Mattei, in Opere, a cura di M. Fubini, Milano-Napoli, Ricciardi, 1968, p. 763-764; lettera CVI, p. 761. 64 A. Pepe, La dimora di Metastasio in Calabria, in «Atti dell’Accademia Cosentina», XIV (1929), p.
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il Pepe, fu proprio il Caloprese a rompere con la retorica e a sentire il bisogno di generalizzare quando chiedeva alla filosofia, che stimava «il vivo fonte di tutte le cose», «un metodo migliore di quelli che si possono cavare da’ retori, e proclamava la vanità e l’inutilità di ogni precettistica»65. Ma il Pepe va oltre: nell’analizzare le Spositioni, egli vede affinità addirittura con il De Sanctis, soprattutto quando il Caloprese descrive il momento creativo in cui l’attività fantastica diviene perno centrale di ogni opera d’arte: «E però il poeta, nell’atto di comporre, deve cercare di tenere scolpita nella fantasia qualche azione particolare nella quale concorrano tutti quegli effetti di cui egli vuol fare immagine. In tal modo, le composizioni ritengono le attitudini così naturali che a riguardarle attentamente hanno sembianza piuttosto di corpi veri che d’immagini formate con parole»66. Questa posizione è criticata aspramente da Domenico Consoli, il quale afferma che il Caloprese rimase legato ad una precisa realtà intellettualistica e ad una normativa retorica «nelle cui maglie viene irretita e bloccata la fiducia nei poteri della fantasia. Afferma in vero che ogni attenta contemplazione delle cose pretende il concorso di intelletto e fantasia, e che l’immagine formata dalla fantasia muove il cuore, il senso e le passioni, ma tale contemplazione e mozione degli effetti considera precipuamente in colui che gode la poesia e non in colui che la fa»67. Simile è la posizione di Umberto Marvardi, il quale afferma che per fantasia il Caloprese intende «non un’attività lirica creativa ed a priori, ma quella facoltà dell’anima che gli scolastici chiamano immaginazione, parte inferiore dell’intelletto, legata quindi al senso ed ai moti delle passioni»68. Secondo il Marvardi, in Caloprese, il rapporto tra intelletto, senso e fantasia è di natura psicologica e non estetica, mentre il compito della fantasia consiste nel rivestire di immagini i concetti e guidare le passioni, non discostandosi, in questo, dalla filosofia “delle scuole”. La posizione del Marvardi sembra troppo polemica e poco equilibrata soprattutto quando sostiene che quei «baleni d’intuizione», che si trovano nelle Spositioni, «storicamente giustificano l’apparentemente improvvisa insorgenza del pensiero vichiano; baleni che però non troviamo soltanto in lui, ma anche regredendo storicamente, in precedenti pensatori e critici, o in precedenti poeti, in quanto indagatori del problema dell’arte»69. Molto più pacata è la posizio120; i primi studi del Pepe relativi al Caloprese risalgono al gennaio 1923 ed apparsi sulla rivista cosentina «Il Rinnovamento» sotto il titolo de L’estetica del Gravina e del Caloprese, ripubblicati nel 1955 con altri scritti dallo Stabilimento Tipografico G. D’Agostino; il Pepe tornò ancora sull’argomento in un articolo pubblicato su «Cronaca di Calabria» del 7 giugno 1959 (Le teorie estetiche moderne e la poetica del Caloprese), nel quale annunciava un nuovo studio che non vide la luce. 65 A. Pepe, L’estetica del Gravina e del Caloprese (con recensione di B. Croce) e altri scritti, Napoli, D’Agostino, 1955, p. 11. 66 G. Caloprese, Spositioni; A. Pepe, L’estetica del Gravina e del Caloprese, cit., p. 13. 67 D. Consoli, Realtà e fantasia nel classicismo di G. V. Gravina, Milano 1970, p. 17. 68 U. Marvardi, Il pensiero estetico e il metodo critico di G. Caloprese, in «Lettere Italiane», XIV (1962), p. 205. 69 Ivi, p. 209.
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ne di Pompeo Giannantonio, che quasi contemporaneamente affrontava la stessa tematica in termini alquanto diversi. Il Caloprese, scriveva, «è tutto dominato dal concetto della fantasia che si delinea nella sua estetica in forma nuova ed anche in termini abbastanza chiari, specie se consideriamo la poca sistematicità del suo pensiero»70. Si deve al Caloprese, secondo il Giannantonio, la nuova formulazione del concetto di fantasia, da cui «muoveranno le successive età per costruire la loro estetica», in quanto per il pensatore di Scalea la fantasia è proiezione dell’anima che, a sua volta, è «sostanza spirituale sciolta dai lacci corporei»71. Lo studioso napoletano, dopo aver sottolineato che per il Caloprese l’origine della fantasia sta nella parte spirituale dell’uomo, rileva come proprio accentuando il momento fantastico e «l’attività individualizzante dello spirito, – il pensatore di Scalea – altro non faceva che respingere quanto aveva preteso teorizzare sull’ufficio della poesia il marinismo, ossia non collocava la poesia tra la retorica e i suoni, tra lo strepito e lo stupore, ma nella sfera della fantasia e delle immagini da essa creata. Egli faceva in tal modo scaturire l’arte non dai precetti retorici ma dalla fantasia, ossia da un libero atto dello spirito che nella sua attività creativa doveva solo tendere con metodo alla perfezione»72. Ribadito il concetto secondo il quale l’arte nasce dalla fantasia e non dai precetti, come il Caloprese più volte sottolinea, il Giannantonio così conclude: «Il poeta svincolato in tal modo dalla preoccupazione di realizzare modelli prestabiliti, liberato dall’incubo dei geni letterari e dei canoni linguistici, poteva liberamente esprimere i propri sentimenti con linguaggio proprio ed aderente. Il Caloprese nell’enunciare tale teoria preannunzia il Romanticismo e la sua vigorosa lotta contro le tradizionali dottrine classicistiche»73. Vista in questo modo la fantasia diventa «vera operatrice dell’arte e della poesia anche se in una sfera di meccanicismo psicologico in cui operano le passioni che Cartesio, suo ideale maestro, aveva discusso nel noto Trattato della passioni»74. Un altro studioso che ha trattato l’estetica calopresiana, in due interessanti lavori, è stato Michele Rak; nel primo, Condizione critica e fantasia poetica (pp. 2770), rispondeva direttamente al Marvardi, sottolineando che il Caloprese, proprio perché aveva presente il De homine e Les passions, aveva superato «le ambiguità di un discorso sui rapporti tra corporeo e non corporeo, facendo leva sulle indicazioni atomiste, tentava una risoluzione, materialistica se si vuole in ogni caso vista come concretamente significativa, degli ambigui dilemmi generati dalle tradizionali, troppo nette, distinzioni tra i fatti dell’una e dell’altra sostanza»75. Nel secondo, 70
P. Giannantonio, L’Arcadia napoletana, Napoli, Guida, 1962, p. 66. G. Caloprese, Spositioni, cit., p. 242. 72 P. Giannantonio, L’Arcadia, cit., p. 78. 73 Ivi, p. 80. 74 Ivi, p. 81. 75 M. Rak, Condizione critica e fantasia poetica. Un tratto della storia delle idee letterarie nell’Italia del XVII secolo, in «La rassegna della letteratura italiana», 1971, I-II, pp. 27-70, p. 36. 71
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La fine dei grammatici, sostiene che il Caloprese tentò strade nuove, ma con cautela e scrive: «Il fatto che fosse la fantasia a regolare la percezione dell’immagine sia della semplice visione che dell’immagine-idea era possibile affermare che le generalizzazioni di ogni precettistica non erano applicabili non solo alla fruizione ma anche alla produzione della poesia per una incompatibilità essenziale tra il generale e il particulare»76. Il pensatore di Scalea, sostiene il Rak, opera una sintesi tra questi termini conflittuali, tentando di spiegare come la fantasia operante al momento della creazione artistica fosse capace di dare «opere di compostezza ed ordine totale, come era appunto il caso dei variopinti ed immaginosi casi del poema tassesco»77. Questo perché, per il pensatore di Scalea, nel momento creativo è il “Giudizio” a reggere l’opera d’arte; ogni contraddizione viene in qualche misura superata proprio nel momento in cui nasce l’opera, il poeta, infatti, non fa altro che una finzione, che assume immediatamente la forma e quindi l’evidenza del reale.78 Il motivo per cui si differenzia l’attività poetica da quella critica, secondo Michele Rak, è proprio questo; infatti, il critico al contrario del poeta per poter analizzare i diversi momenti ed atteggiamenti del “soggetto”, degli “affetti”, dei messaggi e delle immagini fa ricorso alla filosofia e perciò alla razionalità.79 Il Caloprese aveva affermato che «il poeta nel momento di esprimersi, non si comporta da filosofo. I poeti non devono far uso delle filosofiche dottrine. Nell’esprimere le passioni, i sentimenti non hanno da insegnare le cagioni del loro movimento. Siccome gli uomini hanno potuto amare, odiare, adirarsi e sdegnarsi senza l’uso delle filosofiche dottrine, così senza di esse i buoni poeti debbono fingere di fare il medesimo, purché siano aiutati dalla forza di una viva e vigorosa fantasia» e altrove spiega abbastanza chiaramente la differenza tra il filosofo ed il poeta: il primo trasporta il concetto dal particolare al generale e parla alle menti, il poeta, invece, parte dalle cose più semplici per arrivare alle più complesse e fa sì che i «concetti generali accend[a]no nelle menti un lume assai vivo, molto maggiore di quello che farebbero i Rettorici insegnamenti»80. D’altra parte, già Francesco Antonio Gravina, fratello minore di Gianvincenzo81, nella presentazione a’ Lettori, oltre a fornirci notizie sulle vicende delle note manoscritte di Marco Aurelio 76
M. Rak, La fine dei grammatici. Teoria e critica della letteratura nella storia del tardo Seicento italiano, Roma, Bulzoni, 1974, p. 141. 77 Ivi, pp. 141-142. 78 Ivi, p. 200. 79 Ivi, p. 213. 80 G. Caloprese, Spositioni, cit., passim. 81 F. A. Gravina (1668-1711), fratello minore di Gianvincenzo, dopo la morte del padre avvenuta nell’aprile 1671, insieme all’ultimo dei fratelli, Pietro Giuseppe Saverio, si trasferì a Scalea, in casa della zia Lucrezia Gravina, mamma di Gregorio Caloprese. Dopo il primo periodo di studi nella cittadina tirrenica, Francesco Antonio seguì il fratello a Napoli, dove nel 1695 venne ordinato sacerdote e nel 1708 fu nominato Avvocato fiscale della Visita (F. Guzzolino, Gian Vincenzo Gravina, cit., pp. 19-30).
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Severino, sottolineava le diverse caratteristiche dell’intervento calopresiano, tra cui quella tendente a dimostrare come le «costitutioni dell’animo» si generano in noi dalla «consideratione degli accidenti, o buoni o rei, che nel corso dell’humane operationi sogliono accascare». E concludeva che lo Spositore, nell’analizzare e nel commentare i sonetti, aveva tenuto presente tre cose e cioè, «che costitution d’animo si cerchi in ess[i] di esprimere; da quali accidenti, e in che maniera si sia potuto generare in colui, che s’introduceva a favellare, e che similitudine si trovi tra la costitution d’animo imitata e l’imitatione, che ne forma il Poeta». Stabilite queste regole, il commento poetico del Caloprese, secondo il Gravina, lungi dal «contentarsi di isolate chiose di natura retorica, viene (…) a valersi di una continuità narrativa che, per dimostrare le ‘cagioni’ di un testo, ordisce le ‘trame passionali’ con una ‘tela del ragionamento in una forma più larga’ e ‘con più copia di quel che sarebbe bisognato per un semplice Sonetto’».82 L’ultima, in ordine di tempo, che si è soffermata sulle Spositioni è stata Rena A. Syska-Lamparska83, la quale afferma che la riflessione del filosofo calabrese «sulle prerogative della fantasia rende discutibile la tradizionale e rigorosa divisione dell’ente umano in corporeo e non corporeo». La studiosa sostiene, infatti, che il contrasto tra mente e corpo sta solo apparentemente al centro della riflessione del Caloprese nelle Spositioni, mentre «la questione del rapporto tra l’intelletto e la fantasia nel discorso calopresiano entra nell’ambito più vasto delle discussioni scientifiche dell’epoca sulla struttura e sul funzionamento della mente umana, e in particolare sul ruolo dell’immagine e della memoria all’interno di questa struttura»84. L’interpretazione della Syska-Lamparska vede la fantasia «vestita di facoltà conoscitiva e valutativa [considerata] parte corporea con prerogative proprie, empiriche ed estetiche, diverse (…) da quelle dell’Intelletto»85. E, nel suo ultimo lavoro la Studiosa conclude: «Le tesi del Caloprese, pur non essendo ispirate ad un impeto rivoluzionario, sono tuttavia decisive nell’esprimere quella dialettica dei fenomeni sottostanti alle questioni ontologiche e metodologiche della poesia. Ed è proprio nella rivelazione della complessità e della conflittualità della realtà poetica, intesa come “mistero da investigare”, che consiste il merito fondamentale del pensatore di Scalea»86. Anche Nicola Badaloni, nell’Introduzione a Vico, aveva affermato che l’idea del Caloprese sulla fantasia è di carattere conoscitivo e che «l’orientamento generale della ricerca del Caloprese è volto a mostrare i molteplici legami tra corpo ed anima», ma aggiungeva «ciò non 82 A. Battistini, I simulacri di Narciso. Autobiografia e modelli narrativi secenteschi nell’Italia meridionale, relazione tenuta al convegno su «Cultura meridionale e letteratura italiana: i modelli narrativi nell’età moderna», Napoli e Salerno, 14-18 aprile 1982. 83 R. A. Syska-Lamparska, Il “sensismo sublime e razionale” di Gregorio Caloprese, in «Studi Filosofici», XXIII (2000), p. 32. 84 Ivi, p. 33. 85 Ivi, p. 37. 86 R. A. Syska-Lamparska, Letteratura e scienza: Gregorio Caloprese teorico e critico della letteratura, Napoli, Guida, 2005, p. 205.
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toglie (…) che in ultima istanza quest’ultima si presenti come realtà di dimensione completamente diversa» e aveva trovato conferma in un altro scritto del Caloprese e cioè nella Lettera a Nicolò Caracciolo ragionandogli della ’nvenzione della favola rappresentativa, dove l’Autore sottolineava i rapporti tra fantasia e ragione87. Legato al problema dell’estetica, dobbiamo vedere, quello del Caloprese “fattore di arte”, cioè autore di poesie, poesie che furono inserite nella Raccolta di Rime di poeti napoletani fatta da Giovanni Acampora, con l’intendimento di offrire al pubblico i modelli “più purgati da’ difetti e da’ vizi del secolo”. Già Raffaele Cotugno si è soffermato su quest’aspetto, e in proposito scrive: «Certo, nonostante la tenuità dei soggetti, le poesie del Nostro sono di squisita fattura, semplici d’intreccio, chiare, scorrevoli e pure nella locuzione. In esse, più che la imitazione del Casa, si sente il gusto raffinato dallo studio degli ottimi esemplari, la spontaneità della ispirazione avvivata dalla fantasia poetica e manifestata con forme d’arte e di bellezza veramente notevoli»88. Dopo il Cotugno, fu Attilio Pepe a ritornare sull’argomento con un articolo apparso su «Calabria Nobilissima» con il titolo La poesia del Caloprese nella cultura napoletana del suo tempo,89 nel quale sostiene che in alcune ariette del Metastasio fa eco la poesia del suo maestro. Scrive, infatti, il Pepe: «Cosa avrebbe detto il Caloprese leggendo la seguente arietta, molto popolare del discepolo, nella quale si nota lo stesso pensiero che anima il sonetto del maestro ed espresso quasi con le stesse parole?». Le poesie del Caloprese sono tutte d’occasione, cioè commissionate, e riguardano battesimi, nozze, funerali, auguri di recuperata salute, come nel caso del sonetto Nella ricuperata salute di Carlo Secondo Re di Spagna; perciò è difficile trovarvi ispirazione e arte; ma come sostenne il Nicolini, con riferimento ai versi per la recuperata salute di Carlo II, esagerava anche il Confuorto, che rappresentava l’«atteggiamento risolutamente antagonistico e talora canzonatorio contro quel rinnovamento degli studi, che, promosso già da Tommaso Cornelio, Lionardo di Capua e Francesco d’Andrea, era giunto, mentr’egli scriveva, al maggior fulgore»90. Secondo Attilio Pepe, le poesie del Caloprese risentono «maggiormente lo studio del Petrarca che non di altri poeti, lo studio di questo grande incantatore d’anime, non solo per le frequenti reminiscenze d’immagini, quanto per l’intonazione del ritmo, per l’andamento del verso, per una certa aura e morbidezza di stile»91; naturalmente, anche se nei sonetti analizzati non mancano endecasillabi formalmente
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N. Badaloni, Introduzione a Vico, Milano, Feltrinelli, 1961, pp. 269-270. R. Cotugno, Gregorio Caloprese, cit., p. 31; il Cotugno in appendice all’opera ha pubblicato 11 poesie. 89 IX (1955), n. 26-27, pp. 65-75, inserito poi ne L’estetica del Gravina e del Caloprese e altri scritti, cit., pp. 47-57. 90 D. Confuorto, Giornali di Napoli, a cura di N. Nicolini, Napoli, presso L. Lubrano, 1930, I, p. XV. 91 A. Pepe, La poesia del Caloprese, cit., p. 54. 88
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perfetti, vanamente cercheremmo ispirazione poetica tanto da avvicinarlo al grande aretino o anche all’autore che egli stesso annotò, autore, che come sappiamo era stato rivalutato proprio nel periodo tardo barocco per la sua «personalissima trascrizione del petrarchismo»92.
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4. Il pensiero filosofico, politico e “civile” Come già abbiamo sottolineato in altri lavori93, le posizioni politiche del Caloprese si chiariscono a partire dalla lezione tenute nel 1690 all’Accademia degli Infuriati, cioè dalla Lettura sopra la concione di Marfisa a Carlo Magno94, dove attacca in maniera inequivocabile le «impostazioni razionalistico-utilitarie di marca machiavellica e soprattutto hobbesiana, accompagnata dalla rivendicazione (…) del motivo “ottimistico” della innata benevolenza umana»95. La critica agli estimatori dell’“utile” è particolarmente serrata: Quinci scorger possiamo quanto vanno fuori di camino quegli storici, li quali per mostrarsi di sagace avvedimento in discoprire gli altrui consigli, recano il motivo d’ogni attione o buona o rea, che sia, a sola astutia, e a meditato disegno d’ingannare il compagno; senza guardare in niuna maniera né all’incostanza degli humani voleri; né alla forza di molti e varij affetti, li quali ove non sono da virtù soggiogati, signoreggiando in noi, ci possono rimuovere da qual si sia stabilito e determinato modo d’operare. Ma in ciò peccano ancora per un’altra ragione; ed è che han per certo fondamento de’ loro giuditij un massima molto rea, insegnata loro da più reo maestro, cioè che gli huomini siano tutti malvagi e scelerati; come quelli che nelle nostre operationi non attendono ad altro, che all’inganno, alla fraude, e a sollevare se medesimi con la ruina del compagno; la qual massima, oltre l’esser lontana d’ogni humanità ha contraria l’esperienza e la ragione96.
Chi può mettere in dubbio afferma il Caloprese che negli huomini, generalmente parlando, non si eserciti una continua battaglia, tra la parte ragionevole e la sensitiva; e che talhora l’una e talhora l’altra rimanga 92 Sul petrarchismo del Caloprese, vedi R. A. Syska-Lamparska, Gregorio Caloprese e il Petrarca, in Studies for Dante. Essays in Honor of Dante Della Terza, a cura di F. Fido, R. A. Syska-Lamparska e P. D. Stewart, Firenze, Edizioni Cadmo, 1998, pp. 165-197, refuso in R. A. Syska-Lamparska, Letteratura e scienza, cit., pp. 209-243. 93 G. Caloprese, Dell’Origine degli Imperi. Un’etica per la politica, versione moderna con testo a fronte e note di E. Esposito. Introduzione di A. Mirto, Milano, Salviati, 2002, pp. 20-34; G. Caloprese, Opere, a cura di F. Lomonaco e A. Mirto, Napoli, Giannini, 2004, pp. 42-50. 94 Napoli, A. Bulifon, 1691. 95 E. Nuzzo, Verso la «Vita civile». Antropologia e politica nelle lezioni accademiche di Gregorio Caloprese e Paolo Mattia Doria, Napoli, Guida, 1984, p. 66. 96 G. Caloprese, Lettura sopra la Concione di Marfisa a Carlo Magno, contenuta nel Furioso al Canto trentesim’ottavo, fatta da Gregorio Caloprese nell’Accademia degl’Infuriati di Napoli nell’anno 1690, Napoli, presso A. Bulifon, 1691, p. 63.
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— 23 — superiore; secondo che i motivi dell’una o dell’altra parte sono rappresentati per la fantasia e per la mente più o meno vigorosamente97.
E più avanti: se per naturale inclinazione l’huomo, si come essi suppongono, non guarda ad altro bersaglio, che a quello dell’hutile, e del diletto, senza punto curare all’honesto, o al giusto; perché tanto loro dispiace, che quei che, sono stimati giusti, e da bene siano fatti consapevoli de’ loro misfatti? – perché loro dà horrore, non ch’altro la vista di quegli? – Gravis est nobis, etiam ad videndum gridano gli empi parlando del giusto nella sapienza98.
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E conclude: Hora se queste cose sono vere, ed indubitabili da chiunque vi pon mente con sano giuditio; come potrà dirsi asseverantemente, che tutti gli huomini sono tristi e scelerati; e che mai non oprano per altro fine, che per quello dell’utile? – Io non voglio negare, che il numero de’ tristi non sia grande, e per avventura assai maggiore de’ buoni: ma che tutti e sempre siano di questa fatta, e che su questa massima, come sopra a ben saldo fondamento si habbiano d’appoggiare tutte le leggi del viver civile, è così lontano dal vero, che non so come ha huomo di senno si possa affermare99.
Per il Caloprese l’idea che gli uomini mirano esclusivamente alla propria utilità è empia e falsa, in quanto essi risultano composti di spirito e di corpo e «operando in noi così l’una, come l’altra parte, cioè così le naturali notitie dell’anima, come quelle, che ci vengono per mezzo de’ sensi, siamo sottoposti a poter piegare o al vitio o alla virtù, secondo che l’una o l’altra parte è di maggior forza»100. Gli uomini, proprio perché in essi può vincere o la virtù o il vizio, sono diversi, vari e, quindi non tutti buoni né tutti cattivi «né sempre rei si ravvisano». Questa polemica era rivolta non solo contro Machiavelli, ma contro tutti quelli che assolutizzavano un solo aspetto della complessa struttura umana e di conseguenza della società civile. Traspariva già, nella Lettura sopra la concione, quell’aspra polemica rivolta contro Hobbes e contro Spinoza, ma anche contro i seguaci di Epicuro, che probabilmente venne ripresa nella Confutazione alla filosofia di Spinoza, a noi non pervenuta, di cui però abbiamo notizie dallo Spinelli e dal Metastasio, il quale in una lettera all’abate Giuseppe Aurelio Morani (1 giugno 1772) scrive: «Io ho sentito da lui [dal Caloprese] i principii d’una confutazione di Spinoza, alcune lezioni accademiche e vari suoi pensieri scritti in fogli volanti come quelli della 97
Ivi, p. 65. Ibid. 99 Ivi, p. 67. 100 Ibid. 98
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Sibilla»101. Quest’ultima opera, come già detto, alimentò la polemica tra Francesco Maria Spinelli e Paolo Mattia Doria, entrambi allievi del Caloprese. I “cartesiani” di Napoli, dato il gran rumore che stavano suscitando i Discorsi critici filosofici del Doria, temevano che vi fossero gli estremi per intentare contro di loro un processo per ateismo simile a quello svoltosi fra il 1688 ed il 1697. Incaricarono il principe della Scalea di preparare una risposta, cosa che avvenne nel 1733, quando uscirono le Riflessioni, nelle quali si insisteva sul fatto che non solo da Cartesio non scaturiva automaticamente Spinoza, ma proprio il Doria era caduto nello spinozismo sia nei suoi Discorsi sia in alcuni suoi Dialoghi giovanili composti alla scuola del Caloprese. Questi scritti rimasero nelle mani del Caloprese e furono ereditati dallo Spinelli, quando il comune maestro morì; perciò il Doria tenne a precisare di aver sconfessato, da tempo, quei Dialoghi ed avvertì il suo rivale che se mai avesse voluto pubblicarli lo avrebbe dovuto fare sotto la sua esclusiva responsabilità.102 La posizione del Caloprese si chiarisce maggiormente se pensiamo al recupero che, della filosofia moderna, stavano tentando altri intellettuali napoletani. Basti citare l’opera di un Grimaldi o di un Valletta103. L’eco del processo agli ateisti era troppo viva, per sperare che una qualsiasi teoria “moderna” potesse passare inosservata, per cui si tentava un recupero della filosofia antica riletta in senso “moderno”104. Il pensiero politico di Gregorio Caloprese tocca il suo punto più alto e più maturo nelle lezioni tenute all’Accademia Palatina, voluta da Luigi de la Cerda, duca di Medinaceli e viceré di Napoli. Queste lezioni sono state variamente studiate, analizzate ed interpretate: spunti interessanti ed originali si trovano in Giuseppe 101
La lettera si legge in P. Metastasio, Lettere, in Tutte le opere, a cura di B. Brunelli, Milano, Mondadori, 1954, vol. V. 102 Il punto sulla polemica Spinelli-Doria è stato fatto da G. Ricuperati (A proposito di Paolo Mattia Doria, in «Rivista Storica Italiana», XCI (1979), pp. 261-285). 103 Su quest’aspetto vedi C. Grimaldi, Memorie di un anticurialista del Settecento. Testo, introduzione e note a cura di V. I. Comparato, Firenze, Olschki, 1964; V. I. Comparato, Ragione e fede nelle discussioni istoriche, teologiche e filosofiche di Costantino Grimaldi, in Saggi e Ricerche sul Settecento, Napoli, Istituto Italiano per gli Studi Storici, 1968, pp. 48-93; M. Rak, La parte istorica. Storia della filosofia e libertinismo erudito, Napoli, Guida, 1971; G. Ricuperati, Costantino Grimaldi, in Politici ed economisti del primo Settecento, Milano-Napoli, Ricciardi, 1979, pp. 741-830; V. I. Comparato, Giuseppe Valletta. Un intellettuale napoletano della fine del Seicento, Napoli, Istituto Italiano per gli Studi Storici, 1970. Per uno sguardo d’insieme vede S. Mastellone, Pensiero politico e vita culturale a Napoli nella seconda metà del Seicento, Messina-Firenze, D’Anna, 1965; R. Ajello, Cartesianismo e cultura oltremontana, in Pietro Giannone e il suo tempo. Atti del Convegno di studi nel tricentenario della nascita, a cura di R. Ajello, Napoli, Jovene, 1980, pp. 3-181; R. Colapietra, Vita pubblica e classi politiche del Viceregno Napoletano (1656-1734), Roma, Edizioni di Storia e letteratura, 1961; E. Garin, Dal Rinascimento all’Illuminismo, Pisa, Nistri Lischi, 1970; Id., Storia della filosofia italiana, Torino, Einaudi, 1967, vol. II, pp. 877-899; M. Agrimi, Descartes nelle Napoli di fine Seicento, in Descartes: il Metodo e i Saggi. Atti del Convegno per il 350° anniversario della pubblicazione del Discours de la méthode e degli Essais, a cura di G. Belgioioso, G. Cimino, P. Costabel, G. Papuli, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 1990, t. II, p. 561 e sgg. 104 Vicende studiate da L. Osbat, L’Inquisizione a Napoli. Il processo agli ateisti 1688-1697, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 1974.
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Ricuperati, (nel saggio La prima formazione di P. Giannone, l’Accademia di Medinacoeli e Domenico Ausilio, rifuso in L’esperienza civile e religiosa di Pietro Giannone)105; in Maria Donzelli (in Natura e humanitas nel giovane Vico)106; in Maurizio Torrini (in Antonio Monforte. Uno scienziato napoletano tra l’Accademia degli Investiganti e quella Palatina di Medinacoeli)107; in Vittor Ivo Comparato (in Giuseppe Valletta, un intellettuale della fine del Seicento); in Raffaele Ajello (in Cartesianesimo e cultura oltremontana al tempo dell’“Istoria civile”. Introduzione a Pietro Giannone e il suo tempo); in Vittorio Conti (in Paolo Mattia Doria e l’Accademia di Medinacoeli rifuso in P. M. Doria, dalla repubblica dei togati alla repubblica dei notabili108; fino ai tre lavori più organici e più completi sull’argomento: L’Accademia di Medinacoeli fra tradizione investigante e nuova scienza civile di Silvio Suppa109; Verso la “Vita civile” di Enrico Nuzzo110; Filosofia, poesia e vita civile in Gregorio Messere di Clementina Cantillo111 ed, infine, ai contributi di Rena A. Syska-Lamparska112. L’Accademia è per la classe intellettuale napoletana un importante momento di riflessione e di sistemazione delle nuove tendenze di pensiero che circolavano negli ambienti della capitale; non a caso il duca di Medinaceli fu lieto dell’idea di Federico Pappacoda e di Niccolò Caravita di far partecipare a queste adunanze «i più valentuomini della città». La prova generale era già stata fatta nel novembre del 1696, quando il Caravita prese l’iniziativa di radunare in Palazzo i più noti eruditi del Viceregno a recitare sonetti e canzoni in occasione della guarigione di Carlo II. A nessuno poté sfuggire il significato politico che il Caravita voleva dare alla riunione, in un momento in cui la dinastia spagnola stava per estinguersi. Gli autori dei componimenti poetici, e tra questi anche Gregorio Caloprese, ripeterono più o meno gli stessi concetti «ora lodando il re ed ora il viceré, deplorando il pericolo corso e manifestando il sollievo effettivo che tutti provavano nel vedere rimandato per un poco il difficile momento della successione di Spagna»113. L’anno seguente, la morte di Caterina d’Aragona dette occasione per un’altra rassegna politico-letteraria, che vide l’entrata nel circolo del Caravita di Giambattista Vico, amico carissimo del nostro Caloprese114. Nella sua Orazione il Vico 105
L’articolo del Ricuperati è apparso su: Saggi e ricerche sul Settecento, cit., mentre il libro è uscito per i tipi Ricciardi, Milano-Napoli, 1970. 106 Napoli, Istituto Italiano per gli Studi Storici, 1971. 107 Apparso su: Ricerche sulla cultura dell’Italia moderna, a cura di P. Zambelli, Bari, Laterza, 1973. 108 L’articolo di V. Conti è apparso su «Il pensiero politico», VII (1975), pp. 203-218; il libro è stato edito da Olschki, Firenze 1978. 109 Napoli, Istituto Italiano per gli Studi Storici, 1971. 110 Napoli, Guida, 1984. 111 Napoli, Morano, 1996. 112 Vedi soprattutto L’Eutifrone nella Medinacoeli. Gregorio Caloprese «civile» e politico, in «Esperienze Letterarie», XXVII (2002), 1, pp. 45-64, refuso in Letteratura e scienza, cit., pp. 247-265. 113 V. I. Comparato, Giuseppe Valletta, cit., p. 245. 114 Nella sua Autobiografia il Vico cita ben due volte il Caloprese, la prima volta proposito del Cartesianesimo e la seconda per sottolineare il fatto che il filosofo calabrese lo definiva «autodidascalo»,
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«scopre l’azione come prudenza, soprattutto nella forma di arte di governo (…) al centro dell’orazione – infatti – è (…) la prudenza e sullo sfondo la naturafortuna (…) È prudenza somma, ci dice il Vico, quella che acuisce la capacità della mente a prevedere il futuro che ha possibilità di scegliere tra le cose cattive e quelle buone, e sa indicare subito come debbano essere fuggite quelle cattive, e ricercate quelle buone, e mentre la mente utilizza consigli di tal fatta, regge l’animo, in modo tale da espellere ogni paura e da dominare ogni cupidità»115. A partire dal 1698, e quasi ininterrottamente per tre anni, cominciarono a riunirsi i dotti napoletani per tenere lezioni di argomento storico, politico e scientifico. Più che una linea comune, gli accademici espressero in maniera palese «una serie di fermenti unificabili sotto il denominatore comune dell’antifeudalesimo e dell’esigenza di un rafforzamento del potere centrale». In questa prospettiva era chiaro quale fosse il disegno del viceré, duca di Medinaceli: egli tentava di mettere insieme un’ideologia dello stato assoluto per poter superare e sconfiggere ogni residuo particolaristico116. L’analisi delle lezioni tenute all’Accademia Palatina ci permette di comprendere da una parte il passaggio dalla cultura “investigante” a quella “civile” e dall’altra le polemiche fra gli intellettuali del “ceto civile” stesso. A queste polemiche possono essere riportate le posizioni antimachiavelliche, antihobbesiane ed antispinoziane, che caratterizzarono gli interventi di non pochi accademici117. Niccolò Capasso, nella sua lezione Se la Ragion di Stato possa derogare alla legge naturale118, prospettò una soluzione regalistica e assolutistica di tipo hobbesiano, che ben si confaceva al disegno spagnolo. Per il Capasso, quando il Principe non si oppone alla legge rivelata da Dio, può, per «la sola regola del buon governo», abrogare quella che noi chiamiamo legge naturale, e continua: ovvero maestro di se stesso (G. Vico, Autobiografia. Seguita da una scelta di lettere, orazioni e rime, a cura di M. Fubini, Torino, Einaudi, 1977, p. 21 e p. 27); sul Vico, vedi Vico tra l’Italia e la Francia, a cura di M. Sanna e A. Stile (Atti del Convegno tenutosi a Napoli e Vatolla il 13 e 14 febbraio 1998), Napoli, Guida, 2000; Momenti vichiani del primo Settecento, a cura di G. Pizzamiglio e M. Sanna (Atti del Seminario presso la Scuola Normale di Pisa, maggio 1999), Napoli, Guida, 2001; M. Martirano, Giuseppe Ferrari editore e interprete di Vico, Napoli, Guida, 2001; M. Sanna, La Fantasia, “ch’è l’occhio dell’ingegno”, Napoli, Guida, 2001; R. Caporali, La tenerezza e la barbarie. Studi su Vico, Napoli, Liguori, 2006, con ricca bibliografia; V. Vitiello, Vico: storia, linguaggio, natura, prefazione di Fulvio Tessitore, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2008. 115 N. Badaloni, Introduzione a Vico, cit., p. 309. 116 V. Conti, P.M. Doria, dalla repubblica dei togati alla repubblica dei notabili, cit., p. 10. 117 Vedi A. Mirto, Appunti sul pensiero ‘civile’ di Gregorio Caloprese, ne «Il pensiero politico», XIV (1981), p. 458. 118 N. Capasso, Se la Ragion di Stato possa derogare alla legge naturale, Biblioteca Nazionale di Napoli (BNN), ms. XIII. B. 73, cc. 23r-28r, ora edite da M. Donzelli in appendice a Natura e humanitas, cit. (pp. 156-163). Sulla lezione del Capasso si sono soffermati: R. Colapietra, Vita pubblica e classi politiche, cit., pp. 105-107; G. Ricuperati, L’esperienza civile e religiosa di P. Giannone, cit., pp. 27-29; S. Suppa, L’Accademia di Medinacoeli, cit., pp.139-149; G. Galasso, Napoli spagnola dopo Masaniello, Firenze, Sansoni, 1982, p. 534 e p. 538; R. Ajello, Arcana juris. Diritto e politica nel Settecento italiano, Napoli, Jovene, 1976,
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— 27 — Egli è certo che l’uomo, considerato nello stato naturale, in solitudine malagevolmente può vivere, perché non è bastante un uomo a procacciarsi tutto ciò che bisogna per nudrimento del corpo, e molto meno è bastevole a potersi difendere dagli insulti, sì delle fiere, come ancora dagli altri uomini. Quali cose ci persuadono esser necessario assolutamente per la conservazione della vita il viver in comune, in un certo e determinato paese, il quale sia con le leggi opportune da qualcheduno governato che le forze e la potenza di tutti venga a collocarsi in uno solo; e benché molte siano le specie di governo, niuno però di sana mente può dubitare che migliore sia la monarchia d’ogni altre, come la più naturale e la più antica119.
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Più si va avanti nella lettura della lezione di Capasso e più si avverte l’eco di Hobbes: ma per non entrar in controversie che non fanno al proposito, o che il governo stia appresso d’uno o di molti, sempre è necessario che li sudditi si spoglino d’ogni loro ‘ius’, e quello trasferiscano nel principe, o sia altri, siccome si fé in Roma per la legge regia nello stabilimento dell’imperio d’Augusto, secondo l’Istoria di Dione; e con ragione, perché non si può concepir potenza nel principe se il privato vuol fare ciò che può, ma tanto in colui se ne considera, quanto ai sudditi se ne scema 120.
Nella concezione capassiana, quindi, il cittadino si spogliava del suo diritto naturale e dipendeva tutto dal cenno del principe e dal suo modo di governare, poiché «ogni legge soggiace alla ragion di Stato, ch’è la legge suprema»121. Impostazione del tutto diversa è in Gregorio Caloprese: mentre per il Capasso il principe rappresentava il ministro di Dio in terra, e al cittadino non rimaneva che la cieca obbedienza, il Caloprese per prima cosa tentò, nelle sue quattro Lezioni122, di studiare l’origine degli imperi partendo dall’analisi dell’uomo. In questa impostazione alcuni hanno voluto vedere una differenza con l’Accademia degli Investiganti123, mentre invece per il filosofo di Scalea significò piuttosto polemica p. 173; V. Conti, Paolo Mattia Doria, cit., p. 11 e p. 15. 119 N. Capasso, Se la Ragion di Stato, cit., c. 24v. 120 Ibid. 121 N. Capasso, Se la Ragion di Stato, cit., c. 26v. 122 G. Caloprese, Dell’Origine dell’Imperij, BNN, mss. XIII, B. 69, cc. ir-32r. Le lezioni sono quattro, e sono state pubblicate in appendice da S. Suppa, L’Accademia di Medinacoeli, cit., pp. 177-213; ora in G. Caloprese, Opere, cit., pp. 533-565; mentre M. Rak ha pubblicato il manoscritto custodito a Madrid (Biblioteca Nacional, ms. 9110). Sull’Accademia di Medinaceli oltre agli studi già citati vedi G. Rispoli, L’Accademia Palatina del Medina-coeli: contributo alla storia della cultura napoletana, in «Nuova Cultura», 1924; F. Nicolini, La giovinezza di G.B. Vico, Bari, Laterza, 1932; G. Ricuperati, A proposito dell’Accademia Medina Coeli, in «Rivista Storica Italiana», LXXXIV (1972), pp. 57-79; B. De Giovanni, La vita intellettuale a Napoli fra la metà del ’600 e la restaurazione del Regno, in Storia di Napoli, vol. VI, tomo I, Napoli, Società editrice Storia di Napoli, 1970, pp. 444 sgg.; M. Rak, Le “Rime” dell’Accademia di Medinacoeli, in «Bollettino del Centro di studi vichiani», IV (1974), pp. 148-159; Id., Le lezioni dell’Accademia di Medinacoeli: la tradizione manoscritta, in Pietro Giannone e il suo tempo, cit., pp. 659-689. 123 M. Torrini, Antonio Monforte, cit., pp. 121-146; Id., La discussione sullo statuto delle scienze tra la fine del ’600 e l’inizio del ’700, in Galilei e Napoli, a cura di F. Lomonaco e M. Torrini, Napoli, Guida, 1984, p. 380.
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nei confronti di coloro i quali, in politica, seguivano gli insegnamenti di Hobbes, Machiavelli e Spinoza, ed in morale l’utilitarismo e le dottrine di Epicuro, anche se a quest’ultimo, come vedremo, concedeva molto124. Già dall’esordio il Caloprese fa capire dove si orienta il suo discorso e quale tipo di cultura chiami in causa. Gran parte, infatti, di questa riflessione ha come obiettivo le tesi hobbesiane, anche se l’autore del De cive non è mai citato: Perché le cose, eccellentissimo Signore, non si conoscono se non per quelle che si compongono, e gl’imperij sono fondati su le città, e le città non d’altro che d’huomini composte si ravvisano, cosa chiarissima si è che ha voler conoscere la natura ed origine degl’imperij… prima d’ogni altra cosa fa d’uopo investigare qual costitutione d’animo habbiano l’huomini sortito dalla natura, e quali sono i principij per li quali si muovono ad operare; ed è certo altresì che tutte le regole della civil prudenza prendono diverso camino secondo la diversa idea, o buona o rea, che noi habbiamo di questi principij e di questa costitutione d’animo125.
Il punto di partenza del Caloprese è proprio l’indagine sulla costituzione della natura dell’uomo, per confutare le tesi di coloro i quali «si sono inoltrati a corrompere tutta la scienza del viver civile». Si tratta, come ha sottolineato il Nuzzo, di una fondazione «rigorosamente antropologica della meditazione politica, ancorata a un’impostazione metodica di chiara marca “cartesiana”»126. E a Cartesio, il nostro si rifà quando opera una netta distinzione tra i beni del corpo e quelli dell’anima, dando a quest’ultima la prerogativa di discernere il bene dal male127. Se le Lezioni calopresiane possono servire come esempio per verificare il grado di rottura con la precedente cultura investigante ed individuare il tipo di alternativa prospettata, non possiamo non mettere in risalto lo sforzo che egli compì nel presentarci il cartesianismo come teoria “religiosa”, non contraria cioè alle sacre scritture. La contrapposizione della teoria cartesiana a quella hobbesiana e spinoziana, con l’utilizzo di tutto il pensiero italico è evidente128. Il Caloprese nelle Lezioni si muoveva in due direzioni, una antihobbesiana ed antimachiavelliana, facendo ricorso alla cultura platonica, e l’altra antispinoziana recuperando il Descartes metafisico, anch’esso, tuttavia, venato di un certo platonismo: Niuna cosa dagli antichi savij è stata raccomandata con tanta caldezza, quanto quella d’intendere alla conoscenza di noi medesimi. Eglino, non contenti d’haverci inculcato 124 Sulla diffusione di Hobbes a Napoli, vedi E. Sergio, Hobbes a Napoli (1661-1744): note sulla ricezione della vita e dell’opera di Hobbes nel previchismo napoletano e nell’opera di Vico, in «Bollettino di studi vichiani», XXXVII (2007), pp. 113-139. 125 G. Caloprese, Dell’Origine dell’Imperij, cit., Lezione prima, c. 1r; su quest’aspetto, vedi R. A. SyskaLamparska, L’Eutifrone nella Medinacoeli, cit., p. 52 e p. 57. 126 E. Nuzzo, Verso la «Vita civile», cit., p. 134. 127 G. Caloprese, Dell’Origine dell’Imperij, cit., Lezione quarta, cc. 28r-28v. 128 A. Mirto, Appunti sul pensiero ‘civile’ di G. Caloprese, cit., p. 462. Il Caloprese dedica tutta la seconda lezione a questo argomento (G. Caloprese, Dell’Origine dell’Imperij, cit., Lezione seconda cc. 6r-13r).
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in ogni occasione quel celebre avvertimento Nosce te ipsum, perché questo ricordo fosse esposto alla veduta di tutti, vollero che si vedesse scolpito nel frontespizio del famoso tempio di Delfi dandoci con ciò a divedère che tra tutte le virtù e tra tutte le perfezioni di che gli huomini sono capaci, non ve n’ha alcuna ch’uguaglia il bene e ’l comodo che reca il possedere una piena conoscenza di se medesimo129.
La ripresa del Conosci te stesso non è «una ideale e sterile riassunzione del cogito cartesiano, a livello di mera fiducia nelle facoltà razionali della mente umana e nella validità del suo “movimento”; essa è invece un consapevole ritorno al cogito stesso, riletto però in una accezione sempre più rivolta al neoplatonismo. L’innatismo spiritualistico diviene un collegamento con la filosofia di ispirazione neoplatonica; e in un ambiente assai composito – come quello napoletano di fine Seicento, inizio Settecento – esso giunge a fondersi perfettamente con la tradizione cartesiana e galileiana e trova una sua precisa collocazione proprio all’interno di una atmosfera genericamente “renatista”»130. Nell’analisi delle Lezioni emergono le tesi che il Caloprese contrappose a quelle dei filosofi dell’“utile”, i quali si sono immaginati l’uomo a guisa di un mostro spaventoso, formato dalla natura senza altro fine che danneggiare il suo simile. In sostanza, secondo questi novelli politici, esistono tre caratteristiche antropologiche fondamentali: «l’huomo non have altra indipendenza che dal suo arbitrio; che l’huomo non have inclinatione ad amare e conversare con altri huomini; che l’huomo non opera che per propria utilità. A queste tre propositioni sta appoggiato tutto il sistema della loro morale»131. Nella confutazione della prima tesi, il Caloprese combatteva la teoria atomistica, la quale negava il ruolo della provvidenza, utilizzando la filosofia stoica, dopo averla depurata dei «suoi eccessi ‘ottimistici’ ed assimilata, per quanto possibile, in un lessico concettuale debitore della cultura cartesiana e tardo-cartesiana, influenzato dalle esperienze del pensiero giansenista e “oratoriano”»132. Rivolgendosi ad Epicuro, pur criticandolo aspramente, il Caloprese si schierava per l’interpretazione rivalutativa della sua filosofia e della sua morale, la quale «è così rigida e così severa, che per essere conforme alla morale christiana sembra che altro non le manchi che l’esser drizzata ad un buon fine, cioè a dire, che si faccia per carità quello che si vuol che facciamo per amor proprio»133. La confutazione della seconda tesi, portava il Caloprese a considerare quei personaggi che nella storia hanno anteposto il bene altrui al proprio:
129 130 131 132 133
G. Caloprese, Dell’Origine dell’Imperij, cit., Lezione quarta, c. 24r. S. Suppa, L’Accademia di Medinacoeli, cit., p. 92. G. Caloprese, Dell’Origine dell’Imperij, cit., Lezione prima, c. 3v. E. Nuzzo, Verso la «Vita civile», cit., p. 147. G. Caloprese, Dell’Origine dell’Imperij, cit., Lezione prima, c. 4r.
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Come possiamo credere che l’amor proprio e non l’amore della madre e della sorella – afferma il Caloprese – havesse indotto Coriolano a scioglier l’assedio di Roma, quando a lui dovea esser chiaro che questo atto gli havrebbe costato la vita? Come crederemo che Zaleuco non havesse amato la sua patria, quando egli, perché si fussero conservate le leggi di quella, fe’ cavare un occhio a sé et un altro ad unico suo figliuolo? Come possiamo credere che Codro re di Atene non havesse amato altro che il proprio utile, allhora che combattendo co’ popoli dorici, et havendo inteso dall’oracolo, che quel popolo havrebbe ottenuto la vittoria, il cui capitano fusse rimasto morto da’ nemici, andò sconosciuto al campo contrario per farsi uccidere da quelli? (…) Dunque bisogna dire, o che queste operazioni nascano da altro principio che da quello dell’utile, o che noi siamo così stolidi che crediamo per utile quello che non può havere niuna apparenza di utilità134.
La confutazione della terza tesi si ricollegava in pratica al discorso dell’amore altrui e del senso dell’antimachiavellismo che abbiamo già notato nella Concione: nella terza lezione, come da chi scrive è stato già messo in evidenza nel lontano 1981, in un articolo apparso sul «Pensiero politico»135, il Caloprese ne riporta addirittura ampi passi, senza citarli. Partendo dalla concezione cartesiana, il Caloprese rifiutava i principi di quei filosofi che basavano la vita civile sulla distruzione della virtù136. Invece per lui la scienza civile era fondata sulla retta interpretazione di tutto ciò che riguarda la natura del corpo e la natura dell’anima, poiché proprio in questo rapporto possiamo cogliere l’inclinazione dell’uomo a far del bene o a far del male. A questo proposito affermava: Per trattare questa materia colla maggiore chiarezza che per me si può, la dividerò in tre parti. Nella prima ragionerò della natura e delle varie specie delle inclinationi che sono in noi. Nella seconda dimostrerò la natura del bene e del male, ch’è l’oggetto al quale sono dirizzate le nostre inclinationi. Nella terza dirò delle cose principali alle quali siamo inclinati, e delle varie sorti d’inclinationi che habbiamo verso ciascuna di esse137.
La prima analisi accennava alla differenza fra inclinazione e desiderio, ma ciò che è importante, è certamente l’analisi del secondo punto, dove erano tratteggiati i beni del corpo e quelli dell’anima: «I beni del corpo sono quelli che sono ordinati a mantenere in buono stato la machina del nostro corpo, e con essa la vita. Questi beni si restringono a poche cose, perché effettivamente di poche cose ha bisogno la nostra vita per conservarsi. I beni dell’animo sono quelli che vagliono ad accrescere e conservare la perfezione dello spirito; li quali non 134 135 136 137
Ivi, Lezione seconda, cc. 9r-9v. A. Mirto, Appunti sul pensiero ‘civile’ di G. Caloprese, cit., pp. 461-463. Vedi G. Ricuperati, L’esperienza civile e religiosa di P. Giannone, cit., pp. 18-19. G. Caloprese, Dell’Origine dell’Imperij, cit., Lezione quarta c. 25r.
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consistono in altro, che in havere una mente che conosce il vero, et una volontà che ha vigore di praticarlo?»138. Sul senso non si può costruire nessuna scienza e nessuna virtù, perché esso ci dà solo “un segno all’ingrosso” e non la vera natura delle cose: mentre l’anima, come abbiamo già rilevato, per il Caloprese è la sola che può distinguere il bene ed il male. Si nota in questo passo la sovrapposizione del platonismo, magari venato da letture agostiniane e malebranchiane, al cartesianismo e, per così dire, ad una sorta di spinozismo rovesciato. Infatti, mentre in Spinoza il rapporto mente-corpo si risolveva in una corporeità assoluta, qui avviene precisamente il contrario, perciò solo l’anima può pronunciarsi su ciò che è bene e su ciò che è male, e su di essa dobbiamo costruire ogni rapporto con noi stessi e con gli altri. Non si tratta, però, di una rigida differenziazione fra corpo e anima, fra senso e ragione, ma è la ragione la sola garante della verità, per cui non si riesce a capire come l’uomo possa essere attratto dall’egoismo e cadere nel vizio e nell’errore, essendo, queste, prerogative del corpo, benché inutili alla conservazione del corpo e alla perfezione dell’anima. Nell’armonia del rapporto corpo-anima, il filosofo di Scalea costruiva il suo soggettivismo e la sua teoria politica. Infatti, a conclusione della quarta Lezione, precisava «che l’huomo non può essere amico di se medesimo se non vive in amicizia col tutto di cui è parte, e colle parti che compongono questo tutto» e ciò può avvenire soltanto se egli riesce a capire le sue inclinazioni relative al corpo e distaccare la mente dalle immagini sensibili. A queste posizioni si ricollegò un altro accademico di primo piano, Niccolò Sersale, anche se dalla lettura della sua lezione, Introduzione all’esame delle scienze, la preminenza della ragione non appare del tutto chiara, come abbiamo notato in Caloprese139. Ad ogni modo molti spunti teorici del filosofo calabrese lì troviamo anche in Sersale140; la ragione, tuttavia, aveva solo funzione regolatrice dei sensi, non arrivando ad innalzarsi a garante della verità, perciò per giungere al giudizio della verità sia di uopo la cognizione per mezzo della cogitazione formatrice delle ragioni, restando la prima sempre dubbiosa ed oscura senza l’aiuto della cogitatione, la seconda incerta e fallibile senza il soccorso de’ sensi, e l’unione d’ambedue ben governata atta e proporzionata a condurci allo scorgimento della sopraddetta verità. Imperciocche la cogitatione umana non va mai separata da’ sensi che possa delle cose, che diconsi pure metafisiche e spirituali, formar idea perfetta, se non appoggiata alle fisiche, essendo pur troppo chiaro che da noi non si potrebbe mai formar idea e pensare del punto matematico [per esempio] se prima il punto fisico non concepissimo;
138
Ivi, c. 28r. N. Sersale, Introduzione all’esame delle scienze, BNN, ms. XIII. B. 71, cc. 138r-155r, ora in M. Donzelli, Natura e humanitas, cit., pp. 145-155. 140 N. Sersale, Introduzione, cit., cc. 152r-152v. 139
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e più avanti il Sersale così concludeva:
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la ragione ajutata per lo più da’ sensi e questi regolati dalla ragione possano esser giudici, benché sempre infermi, della bramata verità141.
Lo sforzo del Caloprese fu quello di trovare principi universali che valessero sia per la scienza sia per la società. Se in questo tentativo possiamo vedere il superamento del particolarismo “investigante” e la critica alla filosofia dell’‘utile’, non possiamo non scorgere anche lo scadimento della scienza sperimentale a momento della coscienza umana; meglio ancora la coscienza diviene scienza, vanificando così gli sforzi di coloro che la scienza avevano faticosamente conquistata sulla scorta dell’esperienza142. In questa direzione la scienza sperimentale napoletana subiva un arresto, pur non rompendo del tutto i legami con i circoli scientifici italiani e soprattutto europei, legami attivati dalla precedente esperienza investigante, i cui echi sono presenti in alcuni discorsi accademici di Antonio Monforte, Agostino Ariani, Tommaso Donzelli e Lucantonio Porzio143. D’altra parte lo stesso Caloprese, medico di professione, si era cimentato con gli studi matematici e fisici, sebbene in una prospettiva cartesiana; e Celestino Galiani, nel 1714, gli indirizzò una lettera per sottoporgli due tesi anticartesiane sui vortici e sulla gravità. Dalla documentazione che abbiamo, non possiamo stabilire se il Caloprese abbia risposto, ma ciò che importa maggiormente è che anche sui problemi scientifici, il pensatore di Scalea occupò una posizione di rilievo, anche se da molti non condivisa, nella cultura napoletana del primo Settecento144. La principale novità del pensiero espresso dagli accademici riguarda, però, la prospettiva politica: il ceto civile si mostrava ormai pronto ad entrare a pieno titolo nella vita dello Stato, a fianco del potere monarchico ed a scapito del ceto baronale. In questo contesto vanno collocate ed interpretate le Lezioni del pensatore di Scalea, che rappresentavano una specie di programma; il Caloprese, infatti, dissertò su un aspetto generale della storia, che era poi anche politico, mentre gli altri accademici si soffermarono su momenti particolari. Le conclusioni del filosofo calabrese erano un invito alla successiva ricerca, ricerca che egli stesso aveva intenzione di proseguire: 141
Ivi, cc. 152v-153r. Vedi M. Torrini, Antonio Monforte, cit., p. 125. 143 Lezioni matematiche, parti prima-sesta del Signor Antonio Monforte, BNN, ms. XIII. B.73, cc. 124-131; Discorso geometrico, col quale generalmente si dimostra la diffinizione quinta del libro sesto de gli Elementi d’Euclide, per fondamento della proposizione 23. di detto libro, di Agostino Ariano, BNN, ms. XIII.B.73, cit., cc. 40-42; I lode della geometria, intorno all’utilità della suddetta scienza [tre lezioni] d’Agostino Ariano, BNN, ms. XIII.B.73, cit., cc. 43-59 [Ora in M. Donzelli, Natura e humanitas, cit., pp. 164-188]; Lezioni su la misura della terra, BNN, ms. XIII.B.71, cc. 93-120; Dell’inondazioni de’ fiumi, del dr. Fisico Luc’Antonio Porzio, BNN, ms. XIII-B.73, cit., cc. 75-81. 144 Su quest’aspetto vedi Celestino Galiani-Guido Grandi. Carteggio (1714-1729), a cura di F. Palladino e L. Simonutti, Firenze, Olschki, 1989. 142
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Questo è per soddisfare brievemente – concludeva il Caloprese – al tema proposto: ma perché questa si è una materia capace di lungo esame, mi riserberò a parlarne più distesamente quando tornerà l’altro giro.
“Giro” che mai avvenne perché in conseguenza della Congiura di Macchia, il Medinaceli fu sostituito e l’Accademia cessò ogni attività145. Scorrendo i nomi dei partecipanti all’Accademia, troviamo che non pochi erano, direttamente o indirettamente, allievi del Caloprese e svilupparono le tesi del maestro. Lo stesso Vico, come ha affermato Maria Donzelli, nelle Cene sontuose de’ Romani si pose «sulla linea di Gregorio Caloprese e del suo richiamo all’interiorità»146. Anche nel Doria delle lezioni di storia possiamo intravedere posizioni che lo collocano sulla scia del filosofo calabrese, così come nella dissertazione del principe di Santobuono147, un altro accademico suo allievo, il quale, ispirandosi alle lezioni del maestro, trattava della felicità umana servendosi di un ragionamento matematico, e concludendo che le radici delle scienze «risiedono fuori della mente umana, ma possono essere perfettamente recuperate con una riflessione metafisica»148. Nell’Accademia di Medinaceli, perciò, Caloprese rappresentò, con la sua visione civile, un punto di riferimento essenziale, al quale la maggior parte degli accademici si rifece per lo sviluppo delle proprie tesi. La figura del Caloprese, infatti, è considerata dai suoi contemporanei, ma anche dalla critica più recente, come quella più emblematica per poter ricostruire il «tessuto culturale di un’epoca (…) nella fattispecie del tardo Seicento napoletano»149.
5. Caloprese educatore Uno dei momenti qualificanti della vita del Caloprese fu senza dubbio la fondazione di una “scuola”, che divenne ben presto famosa. «La prima caratteristica della scuola del Caloprese è offerta dall’impostazione del tutto lontana dalla pratica del tempo sia per l’articolazione dei programmi sia per il metodo didattico»150. Ma 145 G. Caloprese, Dell’Origine dell’Imperij, cit., Lezione quarta c. 32r; sulla congiura vedi S. Mastellone, La congiura nobiliare di Macchia (1701), estratto dal vol. II degli Atti del Congresso internazionale di studi sull’età del Viceregno (Bari, 7-10 ottobre 1972), Bari 1977, pp. 39-48. 146 M. Donzelli, Natura e humanitas, cit., p. 33. 147 N. Caracciolo, principe di Santobuono, Discorso dell’utilità delle scienze e delle buone arti, BNN, ms. XIII-B.73, cit., cc. 93-96. 148 S. Suppa, L’Accademia di Medinacoeli, cit., pp. 123-124. 149 R. A. Siska-Lamparska, L’Eutifrone nella Medinacoeli, cit., p. 46. 150 A. Quondam, Gregorio Caloprese cit., p. 801; il Caloprese ebbe allievi sia a Napoli che a Scalea, tra i più noti sono da citare oltre a Gianvincenzo Gravina, anche il fratello Francesco Antonio, Nicolò Cirillo, Paolo Mattia Doria, Francesco Maria Spinelli e ultimo in ordine di tempo Pietro Trapassi detto Metastasio (1711-12). Su Caloprese maestro, vedi l’Introduzione di F. Lomonaco a F. M. Spinelli, Vita, e studj, cit., pp. 14 e sgg. e R. A. Syska-Lamparska, Letteratura e scienza, cit., pp. 93-100.
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non per questo costituiva un’esperienza approssimativa e poco rigorosa, anzi dalla testimonianza del principe di Scalea Francesco Maria Spinelli risulta che nulla era lasciato al caso e che la ‘scuola’ si pose all’attenzione degli studiosi e suscitò notevole interesse. Il Caloprese soleva dividere la giornata in quattro parti, due al mattino e due al pomeriggio, la sera, dopo il pranzo, faceva fare il riepilogo del lavoro svolto durante il giorno. Il primo periodo della mattinata era riservato alla lettura di un brano delle Sacre Scritture e successivamente gli allievi erano impegnati nello studio della matematica. Nel pomeriggio si studiavano la filosofia e l’eloquenza. Tutti i giorni, prima del tramonto, il Caloprese lasciava a disposizione degli allievi un po’ di tempo per la passeggiata, perché andava ripetendo che in un corpo sano anche la mente avrebbe reagito meglio. Anzi, lo Spinelli segnala che per i primi quattro mesi, era stato sottoposto ad intensi esercizi fisici «che dovessero servir per mezzi a condurre alla virtù della fortezza pratica, e quindi alle eroiche azioni»151. Parlando del metodo usato dal filosofo calabrese, molti studiosi si sono fatti fuorviare dal duro giudizio del Vico sul cartesianesimo e sullo stesso Cartesio espresso nella sua Autobiografia, in cui affermava: «ma sopra le meditazioni di Renato delle Carte, delle quali è séguito il suo libro Del metodo, in cui egli disapprova gli studi delle lingue, degli oratori, degli storici e de’ poeti, e ponendo su solamente la sua metafisica, fisica e matematica, riduce la letteratura al sapere degli arabi»152. Gabriel Maugain, prendendo alla lettera il passo citato dell’Autobiografia del Vico, afferma che alla scuola del Caloprese nulla si insegnava di lingue moderne e poco di latino, ma dallo Spinelli apprendiamo, che il Maestro spiegava tutti i principali libri latini a partire da Cicerone, per finire ad Orazio, Tibullo, Catullo e Properzio, non tralasciando Sallustio e Tito Livio, Plauto e Terenzio153; si leggevano Dante e 151
F.M. Spinelli, Vita, e studj, cit., p. 473. G.B. Vico, Autobiografia, cit., p. 29. 153 F.M. Spinelli, Vita, e studj, cit., p. 478; ecco il lungo passo in cui lo Spinelli tratta della fase letteraria della sua educazione: «Ma più di tutto sembra incredibile l’esercitazione, che si fece intorno all’eloquenza: poiché il giovane tradusse dal latino tutta la Rettorica di Aristotile, ne studiò la Poetica, studiò Demetrio Falereo col Panigarola, le Idee di Ermogene, spiegò tutti i principali libri latini, come Plauto, Terenzio, Orazio, Catullo, Tibullo, e Properzio, le orazioni di Cicerone, il suo libro de Officiis, Sallustio, Titolivio, con mandare a memoria la Miloniana, la seconda Filippica, e quella pro Ligario, alcune parlate di Sallustio, e di Livio, le due Ajace, e di Ulisse nelle Metamorfosi, qualche bello squarcio del Dante, dell’Ariosto, e del Tasso, e quasi tutto il Canzoniere del Petrarca; nel quale egli malamente impiegò il suo tempo, per essere un tal libro egualmente pernicioso (massimamente per la prima gioventù) di quello che sarebbe l’Aretino, perché quantunque questo oscenissimo, laddove quello per castissimo si ravvisi, nulla di meno le sporche oscenità di questo, quantunque muovano il senso, non può alla fine l’animo non nausearsene, come avviene in tutti i vizj scoverti, e sfacciati; laddove nel Canzonire del Petrarca esaltandovisi la M. Laura ad un grado quasi di divinità, con ciò si viene a corrompere l’intelletto, avvezzandolo a dare alla Creatura quel culto, che a Dio solo s’appartiene: la quale spezie d’Idolatria, quantunque cattivissima, e della quale l’animo difficilmente si distacca per non ravvisarvisi quella patente corrutela dell’Aretino; nulla di 152
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Petrarca, Ariosto e Tasso; il Gravina tradusse dal francese il Traité de la Comédie et des spectacles del principe di Conti Armando di Borbone e il Traité de la comédie di Pierre Nicole154; certamente l’uso del francese, come del resto quello del latino, lingua nella quale il Gravina scrisse le sue opere, anche le prime, lo aveva appreso alla scuola del Caloprese. Chiara, d’altra parte, è la testimonianza dello Spinelli: «forse recherà meraviglia il sentire in quante cose si esercitò quel giovane nel corto spazio di quattro anni, che durò il non interrotto studio con il Caloprese. Perché con l’occasione della prima lezzione, che può dirsi spirituale, non solamente si esercitò su molti commentatori della Sacra Scrittura, tradusse la conferenza di Monsignor Bossuet col ministro Claudio intorno l’autorità della Chiesa, e su questo punto volle il Caloprese maggiormente raffermarlo, come quello che sosteneva tutti gli altri combattuto dagli Eretici. Lesse i Saggi della Morale di Nicole, i quali cominciò a tradurre, ma ne fu distolto dal suo Maestro per timore, che lo stile conciso franzese alterasse con quelle traduzioni quel placido corso non interrotto, che dee aver la nostra lingua»155. La traduzione del Bossuet e la lettura del «Rainaldo abbreviator degli Annali del Baronio»156 vanno interpretate sia come difesa dell’ortodossia che come difesa personale in un momento tragico per il libero filosofare nel Viceregno napoletano. Non a caso in quegli anni, il Caloprese andava componendo quella Confutazione alla filosofia di Spinosa, che lo doveva mettere al riparo da ogni accusa di ateismo.
meno né anche in quella falsa apparente sublimità può rimanere, dovendo necessariamente quella pretesa pura venerazione dell’oggetto in appetito sensibile per esso degenerare». 154 Sull’influenza degli studiosi francesi su quelli italiani, vedi F. Waquet, Le modèle français et l’Italie savante (1660-1750), Rome, École Française, 1989, per il Caloprese, pp. 95, 114-115, 197, 217. 155 F. M. Spinelli, Vita, e studj, cit., p. 476; ciò si rileva dallo studio del Quondam (Cultura e ideologia cit., p. 45) e ripreso da F. Lomonaco (Le Orationes di G. Gravina: scienza, sapienza e diritto, Napoli, La Città del Sole, 1997). 156 Si tratta degli Annali ecclesiastici […] (tratti da quelli del cardinale Cesare Baronio per Odorico Rinaldi Trivigiano prete della Congregazione dell’Oratorio), In Roma, presso Zenobi Masotti, e Niccolo Cellini, ad instanza del Baglioni, 1683.
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BIBLIOGRAFIA
I. Edizioni delle opere di Gregorio Caloprese * Lettura sopra la Concione di Marfisa a Carlo Magno, contenuta nel Furioso al Canto trentesim’ottavo, fatta da Gregorio Caloprese nell’Accademia degl’Infuriati di Napoli nell’anno 1690, Napoli, presso Antonio Bulifon, 1691; ora in Opere, pp. 63-166 Rime di M. Gio. Della Casa sposte per Marco Aurelio Severino secondo l’idee d’Hermogene, con la giunta delle Spositioni di Sertorio Quattromani et di Gregorio Caloprese, Date in luce da Antonio Bulifon. Dedicate all’Altezza Serenissima di Cosimo Terzo Gran Duca di Toscana, Napoli, presso Antonio Bulifon, 1694, (edizione delle Rime di Giovanni Della Casa in Opere, a cura di G. B. Casotti, Venezia, Appresso Angiolo Pasinello, In Merceria all’Insegna della Scienza, 1728, tomo II); ora in Opere, pp. 167-481 Gregorio Caloprese all’Illustriss. Ed Eccellentiss. Sig. Niccolò Caracciolo, Principe di Santobuono, ragionandogli della ’nvenzione della favola rappresentativa, del 30 maggio 1696, in A. Bulifon, Lettere memorabili, istoriche, politiche ed erudite scritte o raccolte da Antonio Bulifon, Napoli, presso Antonio Bulifon, 1698, raccolta IV, pp. 150-177; ora in Opere, pp. 483-510 Gregorio Caloprese all’Illustrissimo ed Eccellentissimo Sig. D. Niccolò Cajetano d’Aragona, Primogenito del Sig. Duca di Laurenziana, &c. ragionando sopra le cagioni de’ fenomeni, che nel monte della Solfonaria presso a Bozzoli si veggono, ivi, pp. 177-188; ora in Opere, pp. 510-521 * La I sezione è dedicata alle edizioni delle opere del Caloprese; la II agli studi di carattere generale, anche se articoli; nella III sezione, sono stati inclusi gli studi che hanno trattato direttamente del Caloprese, anche studi di limitata estensione; nella IV sezione abbiamo gli articoli apparsi su quotidiani e periodici che hanno studiato il Caloprese, ma di estensione modesta; nella V sezione, sono stati raccolti studi che non hanno come soggetto il Caloprese, la cui opera viene analizzata sommariamente; nella VI sezione abbiamo le recensioni relative a studi sul Caloprese. Non sono state riportate le noticine che alcuni giornali locali hanno dedicato al Filosofo di Scalea.
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Lettera ad Antonio Magliabechi (Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze, Ms. Magl. VIII 1148, c. 6r-v), apparsa in Lettere dal Regno ad Antonio Magliabechi, a cura di A. Quondam e M. Rak, Napoli, Guida, 1978, pp. 223-224 e in A. Mirto, L’ambiente e la cultura di Gregorio Caloprese, «Calabria Letteraria», XXIX, 1981, n. 4-5-6, p. 47, ora in Opere, p. 531 Dell’origine dell’Imperij (Biblioteca Nazionale di Napoli, Manoscritto XIII.B.69, parte I, libro I, cc. 1-32), pubblicato da S. Suppa, in appendice a L’Accademia di Medinacoeli fra tradizione investigante e nuova scienza civile, Napoli, Istituto Italiano per gli Studi Storici, 1971, pp. 177-212, di cui abbiamo una versione moderna (Dell’Origine dell’Imperi. Un’etica per la politica. Versione moderna con testo a fronte e note di E. Esposito. Introduzione di A. Mirto, Milano, Salviati, 2002); della stessa opera abbiamo la versione del codice della Biblioteca Nacional di Madrid, ms. 9110, pubblicato in Lezioni dell’Accademia di Palazzo del duca di Medinaceli [Napoli 1698-1701], t. I, a cura di M. Rak, Napoli, Istituto Italiano per gli studi filosofici, 2000, pp. 7-48; edizione critica in Opere, pp. 533-565 Sonetti e Ottave, in Raccolta / Di Rime/ Di Poeti Napoletani / Non più ancora stampate / E Dedicate / All’Illustriss. Ed Eccellentiss. Sig. / D. Paolo / Di Sangro / De’ Conti di Marsi / Principe di Sansevero, Duca di Torre-maggiore, Marchese di Castelnuo-/ vo, Signor di Castelfranco, ec. /, In Napoli, MDCCI. / Nella Nuova Stamparia di Domenico-Anto / nio Parrino a Strada Toleto, all’In/ segna del Salvatore! / Con Licenza de’ Superiori, pp. 276-281; ora in Opere, pp. 523-528 Opere, a cura di F. Lomonaco e A. Mirto, Napoli, Giannini, 2004
II. Studi generali sul periodo e sull’ambiente calopresiani Pietro Giannone, Istoria civile del Regno di Napoli […], Palmyra, all’insegna della verità, 1753 Giusto Fontanini, Della eloquenza italiana […]. Libri tre, In Venezia, appresso Cristofaro Zane, 1737 Antonio Lombardi, Storia della letteratura italiana nel secolo XVIII, Modena, Tipografia Camerale, IV, 1830 Bartolommeo Gamba, Serie dei testi di lingua e di altre opere importanti nella italiana letteratura scritte dal secolo XIV al XIX, Venezia, Co’ tipi del Gondoliere, 1839 Annali delle edizioni e delle versioni della Gerusalemme liberata e d’altri lavori al poema relativi, per Ulisse Guidi, Bologna, Libreria Guidi, 1868 Le biografie degli uomini illustri delle Calabrie, a cura di L. Accattatis, Tipografia Municipale, 1869 Giuseppe Jacopo Ferrazzi, Torquato Tasso: studi biografici, critici, bibliografici, Bassano, Tipografia Sante Pozzato, 1880 Giuseppe Jacopo Ferrazzi, Bibliografia ariostesca, Bassano, tip. Sante Pozzato, 1881 Raffaele Cotugno, Giovambattista Vico: il suo secolo e le sue opere, Parte I [unica], Trani, V. Vecchi e C., 1890 Isidoro Carini, L’ Arcadia dal 1690 al 1890: memorie storiche: contributo alla storia letteraria d’Italia del secolo 17. e de’ principi del 18., Roma, tip. di F. Cuggiani, 1891
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— 39 — Francesco Fòffano, Ricerche letterarie, Livorno, Tipografia Giusti, 1897 Gabriel Maugain, Étude sur l’évolution intellectuelle de l’Italie de 1657 à 1750 environ, Paris, Librairie Hachette, 1909 Angelo De Gubernatis, Pietro Metastasio. Corso di lezioni fatte nell’Università di Roma nell’anno scolastico 1909-1910, Firenze, Successori Le Monnier, 1910 Tommaso Persico, Gli scrittori politici napoletani dal ’400 al ’700, Napoli, Francesco Perrella, 1912 Louis Berthé de Besaucèle, Les cartésiens d’Italie. Recherches sur l’influence de la philosophie de Descartes dans l’évolution de la pensée italienne aux XVIIe et XVIIIe siècles, Paris, , 1920 Luigi Russo, Metastasio, Bari, Laterza, 1921 Antonio Belloni, Storia letteraria d’Italia. Il Seicento, Milano, Vallardi, 1929 (ristampa: 1943) Benedetto Croce, Storia dell’età barocca in Italia. Pensiero, poesia e letteratura, vita morale, Bari, Laterza, 1929 (altra edizione, ivi, 1957) Benedetto Croce, Storia del Regno di Napoli, Bari, Laterza, 1931 Domenico Conforto, Giornali di Napoli dal 1679 al 1699, a cura di N. Nicolini, Napoli, 1931 Bruno Barillaro, Preestetica e filosofia del diritto in G.V. Gravina, parte seconda, Napoli, Morano, 1939 Carmelo Ottaviano, L’unità del pensiero cartesiano e il cartesianesimo in Italia, Padova, Cedam, 1943 Giulio Natali, Storia letteraria d’Italia. Il Settecento, Milano, Vallardi, 1944 Ettore Rota, Le origini del Risorgimento, Milano, Vallardi, 1948 Benedetto Croce, Nuovi saggi sulla letteratura italiana del ’600, Bari, Laterza, 1949 Eugenio Garin, Cartesio e l’Italia, in «Giornale critico della filosofia italiana», terza serie, vol. IV (XXIX), 1950, IV, pp. 385-405 Lino Marini, Pietro Giannone e il giannonismo a Napoli nel Settecento, Bari, Laterza, 1950 Francesco Flora, Storia della letteratura italiana, Milano, Mondadori, 1952, II, pt. 2 Mario Fubini, Arcadia e Illuminismo, Milano, la goliardica edizioni Universitarie, 1950 Mario Apollonio, Storia del teatro italiano: il teatro dell’età barocca; il teatro dell’età romantica, Firenze, Sansoni, 1954 Pietro Metastasio, Opere, a cura di B. Brunelli, voll. IV e V, Milano, Mondadori, 1954 Raffaele Ramat, La critica ariostesca dal secolo XVI ad oggi, Firenze, Nuova Italia, 1954 Benedetto Croce, La letteratura italiana. Per saggi storicamente disposti, a cura di M. Sansone, II, Il Seicento e il Settecento, Bari, Laterza, 1956 Biagio De Giovanni, Filosofia e diritto in Francesco D’Andrea. Contributo alla storia del previchismo, Milano, Giuffrè, 1958 Pietro Piovani, Il pensiero filosofico meridionale tra la nuova scienza e la «Scienza nuova», in «Atti dell’Accademia di Scienze di Scienze morali e politiche della Società Nazionale di Scienze, Lettere e Arti in Napoli», LXX, 1959, pp. 77-109, poi in Id., La filosofia nuova di Vico, a cura di F. Tessitore, Napoli, Morano 1990, pp. 11-53 Nicola Carranza, Antonio Magliabechi e Alessandro Marchetti, in «Bollettino storico pisano», XXVIII-XXIX, terza serie, 1959-1960, pp. 393-446 Nicola Badaloni, Introduzione a Vico, Milano, Feltrinelli, 1961 (seconda edizione: Roma-Bari, Laterza, 1988)
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— 40 — Raffaele Colapietra, Vita pubblica e classi politiche del Viceregno napoletano (1656-1734), Roma, Edizioni di Storia e letteratura, 1961 Tullio Gregory, Scetticismo ed empirismo. Studio su Gassendi, Bari, Laterza, 1961 Salvo Mastellone, Note sulla cultura napoletana al tempo di Francesco D’Andrea e Giuseppe Valletta, estratto da «Critica storica», I, 1962, 4, pp. 369-398 Emilia Boscherini Giancotti, Nota sulla diffusione della filosofia di Spinosa in Italia, «Giornale critico della filosofia italiana», terza serie, vol. XVII (XLII), 1963, III, pp. 339362 Costantino Grimaldi, Memorie di un anticurialista del Settecento, testo, introduzione e note a cura di V. I. Comparato, Firenze, Leo S. Olschki, 1964 Pasquale Lopez, Riforma cattolica e vita religiosa e culturale a Napoli dalla fine del Cinquecento ai primi anni del Settecento, Napoli-Roma, Istituto editoriale del Mezzogiorno, 1964 Nino Cortese, Cultura e politica a Napoli dal Cinquecento al Settecento, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane, 1965 Lino Marini, Per uno studio della civiltà politica meridionale nel secondo Seicento, Napoli, Società napoletana di Storia Patria,1965 Salvo Mastellone, Pensiero politico e vita culturale a Napoli nella seconda metà del Seicento, MessinaFirenze, D’Anna, 1965 Eugenio Garin, Storia della filosofia italiana, Torino, Einaudi, 1966, vol. II, in particolare, pp. 877-879 (dedicate al Caloprese) Vittor Ivo Comparato, Ragione e fede nelle Discussioni istoriche, teologiche e filosofiche di Costantino Grimaldi, in Studi e ricerche sul Settecento, Napoli, Istituto Italiano per gli Studi Storici, 1968, pp. 48-93 Mario Agrimi, Filosofia e politica a Napoli nel primo Settecento, in «Trimestre», II, 1968, nn. 3-4, pp. 9-23 Salvo Mastellone, Francesco D’Andrea politico e giurista (1648-1698). L’ascesa del ceto civile, Firenze, Leo S. Olschki, 1969 Franco Venturi, Settecento riformatore. Da Muratori a Beccaria, Torno, Einaudi, 1969 Vitto Ivo Comparato, Giuseppe Valletta Un intellettuale napoletano della fine del Seicento, Napoli, Nella sede dell’Istituto Italiano per gli Studi Storici, 1970 Biagio De Giovanni, La vita intellettuale a Napoli fra la metà del Seicento e la restaurazione del Regno, in Storia di Napoli, vol. VI, t. I, Napoli, Società editrice Storia di Napoli, 1970, pp. 401-534 Lino Marini, Mezzogiorno d’Italia di fronte a Vienna e a Roma e altri studi di storia meridionale, Bologna, Patron, 1970 Amedeo Quondam, Dal Barocco all’Arcadia, in Storia di Napoli, vol. VI, t. II, Napoli, Società editrice Storia di Napoli, 1970, pp. 837-845 e 912-920 Romeo De Maio, Società e vita religiosa a Napoli nell’età moderna, 1656-1799, Napoli, Edizioni Scientifiche Italiane,1971 Michele Rak, La parte istorica. Storia della filosofia e libertinismo erudito, Napoli, Guida, 1971 Giuseppe Galasso, Napoli nel Viceregno spagnolo 1696-1707, in Storia di Napoli, vol. VII, Napoli, Società editrice Storia di Napoli, 1972, pp. 3-346 Giuseppe Ricuperati, Napoli e i vicerè austriaci 1707/1734, in Storia di Napoli, vol. VII cit., pp. 349-457
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— 41 — Nicola Badaloni, La cultura: Dal primo Settecento all’Unità, in Storia d’Italia, vol. III, Torino, Einaudi, 1973, pp. 699-984 Giulia Belgioioso, I Discorsi Critici filosofici di Paolo Mattia Doria, in «Bollettino di Storia della filosofia dell’Università di Lecce», I, 1973, pp. 199-242 Gaetano Compagnino/Giuseppe Savoca, Dalla vecchia Italia alla cultura europea per il Settecento, Bari, Laterza, 1973 Paolo Mattia Doria, Massime del governo spagnolo a Napoli. Introduzione di G. Galasso. Testo e note a cura di V. Conti, Napoli, Guida, 1973 Luciano Osbat, L’Inquisizione a Napoli. Il processo agli ateisti 1688-1697, Roma Edizioni di Storia e Letteratura, 1974 Paul Renucci, La cultura, in Storia d’Italia, vol. II, tomo II, Torino, Einaudi, 1974, pp. 10831466 Francesco De Sanctis, Storia della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 1975 [2a edizione Struzzi] Giulia Belgioioso, I manoscritti napoletani di P.M. Doria, in «Bollettino di Storia della filosofia dell’Università di Lecce», IV, 1976, pp. 257-286; V, 1977, pp. 81-98 Raffaele Ajello, Arcana juris. Diritto e politica nel Settecento italiano, Napoli, Jovene, 1976 Mario Rosa, Religione e società nel Mezzogiorno tra Cinque e Seicento, Bari, De Donato, 1976 Pasquino Crupi, Storia tascabile della letteratura calabrese, Cosenza, Pellegrini, 1977 Antonio Piromalli, La letteratura calabrese, Napoli, Guida, 1977 (altra edizione, Cosenza, Pellegrini, 1996) Maurizio Torrini, Tommaso Cornelio e la ricostruzione della scienza, Napoli, Guida, 1977 Gino Benzoni, Gli affanni della cultura. Intellettuali e potere della Controriforma e barocca, Milano, Feltrinelli, 1978 Henri Gouhier, Cartésianisme et Augustinisme au XVIIe siècle, Paris, J. Vrin, 1978 Lettere dal Regno ad Antonio Magliabechi, a cura di A. Quondam e M. Rak, Napoli, Guida, 1978 Politici ed economisti del primo Settecento, a cura di R. Ajello [ed altri], Milano-Napoli, R. Ricciardi, 1978 Tullio Gregory, Theophrastus redivivus. Erudizione ed ateismo nel Seicento, Napoli, Morano, 1979 Maria Rosa De Simone, La sapienza romana nel Settecento: organizzazione universitaria e insegnamento del diritto, Roma, Edizione dell’Ateneo, 1980 Pietro Giannone e il suo tempo. Atti del Convegno di studi nel tricentenario della nascita, a cura di R. Ajello, Napoli, Jovene, 1980 Il libertinismo in Europa, a cura di S. Bertelli, Milano-Napoli, Ricciardi, 1980 Giuseppe Giarrizzo, La storiografia meridionale del Settecento, in Id., Vico, la politica e la storia, Napoli, Guida, 1981 Filippo Mignini, Ars Imaginandi. Apparenza e rappresentazione in Spinoza, Napoli, ESI, 1981 Pier Luigi Rovito, Repubblica dei Togati. Giuristi e società nella Napoli del Seicento, Napoli, Jovene, 1981 I manoscritti napoletani di Paolo Mattia Doria, a cura di G. Belgioioso (ed altri), Galatina, Concedo, 1981-1982, 5 voll. Vincenzo Ferrone, Scienza natura religione. Mondo newtoniano e cultura italiana nel primo Settecento, Napoli, Jovene, 1982
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— 42 — Giuseppe Galasso, Napoli spagnola dopo Masaniello, Firenze, Sansoni, 1982 Vico e Venezia, a cura di C. De Michelis e G. Pizzamiglio, Firenze, Leo S. Olschki, 1982 Girolamo de Liguori, Paolo Mattia Doria tra platonismo e riformismo, in «Giornale critico della filosofia italiana», sesta serie, LXII (LXIV), 1983, II, pp. 226-233 Cristina Santinelli, Spinosa in Italia. Bibliografia degli scritti italiani su Spinosa dal 1675 al 1982, Urbino, Università degli Studi, 1983 Manfredi Piccolomini, Il pensiero estetico di Gianvincenzo Gravina, Ravenna, Longo, 1984 Francis Bacon. Terminologia e fortuna nel XVII secolo, seminario internazionale (Roma, 11-13 marzo 1984), a cura di M. Fattori, Roma, 1985 Convegno indetto in occasione del 2. centenario della morte di Metastasio d’intesa con Arcadia, Accademia letteraria italiana, Istituto di studi romani, Societa italiana di studi sul sec. 18., Roma, 25-27 maggio 1983, Roma, Accademia nazionale dei Lincei, 1985 (d’ora in poi si cita con Atti Lincei: cfr. spec. G. Giarrizzo, L’ideologia del Metastasio tra cartesianismo e illuminismo, ivi, pp. 43-77) Paolo Mattia Doria fra rinnovamento e tradizione, a cura di G. Papuli, Lecce, Congedo, 1985 Settecento calabrese, a cura di M. De Bonis, P. Falco, M. F. Minervino, Cosenza, Edizioni Periferia, 1985 Claudio Varese, Scena, linguaggio e ideologia dal Seicento al Settecento: dal romanzo libertino al Metastasio, Roma, Bulzoni, 1985 Il Seicento, a cura di C. Jannaco e M. Capucci, 3a ed. riv. e aggiornata, Milano, F. Vallardi; Padova, Piccin nuova libraria, 1986 Galileo e Napoli, a cura di F. Lomonaco e M. Torrini, Napoli, Guida, 1987 Materiali della Società italiana di studi sul secolo XVIII. La memoria, i Lumi, la Storia a cura di A. Postigliola, Roma, [nella sede della Società], 1987 Luigi Marsico, Pagine di storia e di letteratura calabrese, Cosenza, Pellegrini, 1988 Giuseppe Galasso, La filosofia in soccorso de’ governi. La cultura napoletana del Settecento, Napoli, Guida, 1989 Françoise Waquet, Le modèle français et l’Italie savante. Conscience de soi et perception de l’autre dans la République des lettres (1660-1750), Rome, École française de Rome, 1989 Descartes. Il metodo e i saggi. Atti del Convegno per il 350° anniversario della pubblicazione del Discours de la Méthode e degli Essais, a cura di G. Belgioioso, G. Cimino, P. Costabel, G. Papuli, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, 1990 Dino Carpanetto-Giuseppe Ricuperati, L’Italia del Settecento. Crisi, trasformazioni, lumi, RomaBari, Laterza, 1990 Giulia Belgioioso, Cultura a Napoli e cartesianesimo. Scritti su G. Gimma, P.M. Doria, C. Cominale, Galatina, Congedo, 1992 Enrico Nuzzo, Descartes nella cultura napoletana, in Cartesiana, a cura di G. Belgioioso, Galatina, Congedo, 1992, pp. 125-134 Pasquino Crupi, Storia della letteratura calabrese: autori e testi, Reggio C., Periferia, 1993 (altra ed., ivi, 2003) Giovanni Pugliese Carratelli, Il Settecento, Napoli, Electa, 1994 Girolamo De Liguori, La reazione a Cartesio nella Napoli del Seicento. Giovambattista De Benedectis, in «Giornale critico della filosofia italiana», sesta serie, vol. XVI (LXXV), 1996, III, pp. 330-359
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— 43 — Eugenio Garin, A proposito di centenari cartesiani, in «Giornale critico della filosofia italiana», sesta serie, vol. XVI (LXXV), 1996, III, pp. 495-499 Maria Teresa Marcialis, Il Cogito e la coscienza. Letture cartesiane nella Napoli del Settecento, in «Rivista di storia della filosofia», LI, 1996, 3, pp. 581-612 Antologia della poesia italiana. Seicento-Settecento, diretta da Cesare Segre e Carlo Ossola, Torino, Einaudi, 1997 Dalla scienza mirabile alla scienza nuova. Napoli e Cartesio. Catalogo della mostra bibliografica e iconografica, Napoli, Biblioteca Nazionale di Napoli, Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, 1997 Lo storicismo e la sua storia. Temi, problemi, prospettive, a cura di G. Cacciatore, G. Cantillo, G. Lissa, Milano, Guerini e Associati, 1997 Harold Samuel Stone, Vico’s cultural history : the production and trasmission of ideas in Naples, 16851750, Leiden, E. J. Brill, 1997 Rosy Candiani, Pietro Metastasio da poeta di teatro a “virtuoso di poesia”, Roma, Aracne, 1998 Augusto Placanica, Storia della Calabria dall’antichità ai nostri giorni, Roma, Donzelli, 1999 (con bibliografia ragionata) Giambattista Vico nel suo tempo e nel nostro, a cura di M. Agrimi, Napoli, Cuen, 1999 Walter Lupi, Introduzione a S. Quattromani, Scritti, a cura di W. Lupi, Cosenza, Centro Ediroriale e Librario-Università degli Studi della Calabria, 1999, pp. VII-LXVII Andrea Battistini, Il Barocco: cultura, miti, immagini, Roma, Salerno, 2000 Maria Conforti, Echi dell’Accademia Medinaceli nell’epistolario vichiano, in «Bollettino del Centro di Studi Vichiani», XXX, 2000, pp. 93-108 Pietro Metastasio: il testo e il contesto, a cura di M. Columbro e P. Maione, Napoli, Altrastampa, 2000 Maria Rascaglia, Gli interlocutori di Vico nei manoscritti della Biblioteca Nazionale di Napoli, in «Bollettino del Centro di Studi Vichiani», XXX, 2000, 109-124 Roberto Tufano, Michele Torcia: cultura e politica, Napoli, Jovene, 2000 Vico tra l’Italia e la Francia, a cura di M. Sanna e A. Stile, Napoli, Guida, 2000 Tiziana Carena, Critica Della Ragion Poetica di Gian Vincenzo Gravina. L’immaginazione, la fantasia, il delirio e la verosimiglianza, Milano, Mimesis, 2001 Jonathan I. Israel, Radical Enlightenment. Philosophy and the Making of Modernity (1650-1750, Oxford, Oxford University Press, 2001 (edizione consultata: Les Lumières radicals. La philosophie, Spinoza et la naissance de la modernité 1650-1750, Paris, Éditions Amsterdam, 2005) Legge, poesia e mito: Giannone Metastasio e Vico fra tradizione e trasgressione nella Napoli degli anni venti del Settecento: atti del Convegno internazionale di studi, Palazzo Serra di Cassano, Napoli, 3-5 marzo 1998, a cura di M. Valente; saggio introduttivo di G. Galasso, Roma, Aracne, 2001 Il melodramma di Pietro Metastasio: la poesia, la musica, la messa in scena e l’opera italiana nel Settecento, a cura di E. Sala Di Felice e R. M. Caira Lumetti, Roma, Aracne, 2001 Maurizio Torrini, Cartesio e l’Italia: un tentativo di bilancio, in «Giornale critico della filosofia italiana», sesta serie, vol. XXI (LXXX), 2001, II, pp. 213-230 Descartes e l’eredità cartesiana nell’Europa Sei-Settecentesca. Atti del convegno “Cartesiana 2000”.
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— 44 — Cagliari, 30 novembre-2 dicembre 2000, a cura di Maria Teresa Marcialis e Francesca Maria Crasta, Lecce, Conte, 2002 Fabio Angelo Sulpizio, “Parlar philosophice” – “parlar medice”. Erudizione, filosofia, medicina nell’abate Giacinto Gimma (1668-1735), Lecce, Conte, 2002 Maria Luisa Astaldi, Metastasio, Milano, Fabbri, 2003 [1a ed., Milano, Rizzoli, 1979] Biografia: genesi e strutture, a cura di Mauro Sarnelli, Roma, Aracne, 2003 Commedia dell’Arte e spettacolo in musica tra Sei e Settecento, a cura di A. Lattanzi e P. Maione, Napoli, Editoriale Scientifica, 2003 Sandro Gentili-Luigi Trenti, Il petrarchismo nel Settecento e Ottocento, Roma, Bulzoni, 2003 Ettore Lojacono,“Immagini di René Descartes nella cultura napoletana dal 1644 al 1755”, bibliografia di Fabio A. Sulpizio, Lecce, Conte, 2003 Eroi ed eta eroiche attorno a Vico: atti del Convegno internazionale di studi, (Fisciano, Vatolla, Raito, 2427 maggio 1999), a cura di E. Nuzzo, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2004 Carla San Mauro, Gianvincenzo Gravina e il De Romano imperio liber secundus, Napoli, Guida, 2004 La scienza nel Periodo Borbonico ovverosia l’Occasione Mancata, a cura di M. Capaccioli e G. Longo, Osservatorio Astronomico di Capodimonte [www.na.astro.it/biblioteca/annuario 04/testi/borbone.pdf] La Biblioteca della Fondazione Piovani: la Collectio Viciana, a cura di P. Annunziata; introduzione di F. Lomonaco; presentazione di F. Tessitore, Napoli, Liguori, [2005] Giosue Alfredo Greco, Il pensiero di Gianvincenzo Gravina nella cultura di oggi, Cosenza, Pellegrini, 2005 Giuseppe Nicoletti, Dall’Arcadia a Leopardi, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2005 Anna Maria Rao, Fra amministrazione e politica. Gli ambienti intellettuali napoletani, in Naples, Rome, Florence. Une histoire comparée des milieux intellectuels italiens (XVIIe-XVIIIe siècles), sous la direction de Jean Boutier, Brigitte Marin et Antonella Romano, Rome, École française de Rome, 2005, pp. 35-88 John Robertson, The case for the Enlightenment: Scotland and Naples, 1680-1760, Cambridge, Cambridge University Press, 2005 Enrico Nuzzo, Vite e scritti di capitani. Attorno alla Vita di D. Andrea Cantelmo di Leonardo di Capua, Napoli, Guida, 2006 Carla San Mauro, Gianvincenzo Gravina giurista e politico. Con un’appendice di scritti inediti, Milano, Angeli, 2006 Pasquino Crupi, Conversazioni di letteratura calabrese dalle origini ai nostri dì, Cosenza, Pellegrini, 2007 Martha Feldman, Opera and sovereignty: transforming myths in eighteenth-century Italy, Chicago; London, The University of Chicago, 2007 Nuzzo, Enrico, Tra religione e prudenza: la filosofia pratica di Gianbattista Vico , Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2007 Eugenio Garin, History of Italian Philosophy, I, Translated and Edited by Giorgio Pinton, Amsterdam/New York, Rodopi, 2008 Elena Sala Di Felice, Sogni e favole in sen del vero: Metastasio ritrovato, Roma, Aracne, 2008
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— 45 —
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III. Studi sul Caloprese Francesco Antonio Gravina, A’ Lettori, in Rime di M. Gio. Della Casa sposte per Marco Aurelio Severino secondo l’idee d’Hermogene, con la giunta delle Spositioni di Sertorio Quattromani et di Gregorio Caloprese, Date in luce da Antonio Bulifon. Dedicate all’Altezza Serenissima di Cosimo Terzo Gran Duca di Toscana, Napoli, presso Antonio Bulifon, 1694, pp. I-XI (non numerate) Giambattista Ranucci, Vita di Gregorio Caloprese. Fra gli Arcadi Alcimedonte Cresio, scritta dal Sig. Giambattista Ranucci Napoletano, in Notizie storiche degli Arcadi morti, tomo II, Roma, De Rossi, 1720, pp. 111-114 Francesco Maria Spinelli, Vita, e studj / di Francesco Maria / Spinelli Principe della Scalea / Scritta da lui medesimo in / una Lettera, in Raccolta d’opuscoli scientifici e filologici […], In Venezia, presso S. Occhi, 1753, t. XLIX, pp. 465-526 (ristampa anastatica con Introduzione di Fabrizio Lomonaco, Genova, il melangolo, 2007) Angelo Zavarrone, Bibliotheca calabra […], Neapoli, ex Typographia Johannis de Simone, 1753, pp. 177-178 Andrea Mazzarella da Cerreto, Gregorio Caloprese, in Le Biografie degli Uomini Illustri delle Calabrie, raccolte a cura di L. Accattatis, Cosenza, Tipografia Municipale, 1869-1877, pp. 295-300 [ristampata in Italica Gens. Repertori di bio-bibliografia italiana, n. 89, Bologna, Arnaldo Forni Editore, 1977] Raffaele Cotugno, Gregorio Caloprese, Trani, Vecchi, 1910 [1911] Attilio Pepe, L’estetica del Gravina e del Caloprese, ne «Il Rinnovamento», Cosenza, 1923 Bruno Barillari, Preestetica e filosofia del diritto in Gianvincenzo Gravina, parte prima, Bari, Laterza, 1937 [a Caloprese sono dedicati i capitoli II, III, oltre a riferimenti in tutto il libro] Egisto Lupetti, Gregorio Caloprese e il maestro renatista, nel ricordo del Metastasio, in «Cenobio», III, 1954, pp. 409-422 Vito G. Galati, Gregorio Caloprese, in «Almanacco calabrese», V, 1955, pp. 109-114 Attilio Pepe, L’estetica del Gravina e del Caloprese (con recensione di B. Croce) ed altri scritti, Napoli, Stabilimento tipografico G. D’Agostino, [1955] (raccoglie vari articoli apparsi su riviste nazionali dal 1923 al 1955) Umberto Marvardi, Il pensiero estetico e il metodo critico di Gregorio Caloprese, in «Lettere italiane», XIV, 1962, pp. 204-216 Pompeo Giannantonio, Il problema della fantasia nella poetica di G. Caloprese, in «Filologia e letteratura», VIII, 1962, IV, pp. 434-448 Silvio Suppa, L’Accademia di Medinacoeli fra tradizione investigante e nuova scienza civile, Napoli, Istituto Italiano per gli Studi Storici, 1971 Amedeo Quondam, Gregorio Caloprese, in «Dizionario Biografico degli Italiani», Roma, Istituto dell’Enciclopedia Treccani, 1973, 13, pp. 801-805 Michele Rak, La fine dei grammatici. Teoria e critica della letteratura nelle storia delle idee del tardi Seicento italiano, Roma, Bulzoni, 1974 Alfonso Mirto, Appunti sul pensiero ‘civile’ di Gregorio Caloprese, ne «Il pensiero politico», XIV, 1981, pp. 458-466 Enrico Nuzzo, Verso la «Vita civile». Antropologia e politica nelle lezioni accademiche di Gregorio Caloprese e Paolo Mattia Doria, Napoli, Guida, 1984
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— 46 — Luigi Reina, Caloprese e la letteratura, in Percorsi di poesia. Occasioni, proposte, indagini, Napoli, Guida, 1993, pp. 7-23 Massimo Lollini, Le muse, le maschere e il sublime. G.B. Vico e la poesia nell’età della «ragione spiegata», Napoli, Guida, 1994, pp. 215-216 Paul Albert Ferrara, Gregorio Caloprese and the Subjugation of the Body i Metastasio Drammi per musica, «Italica», 73, 1996, 1, pp. 11-23 Ettore Lojacono, Letture cartesiane da Cornelio a Caloprese (1638-1694), in Dalla scienza mirabile alla scienza nuova. Catalogo della mostra bibliografica e iconografica, Napoli, Biblioteca Nazionale di Napoli, Istituto Italiano per gli Studi Filosofici, 1997, pp. 13-73 Rena A. Syska-Lamparska, Gregorio Caloprese e il Petrarca, in Studies for Dante. Essays in Honor of Dante Della Terza, a cura di F. Fido, R. A. Syska-Lamparska e P. D. Steward, Firenze, Edizioni Cadmo, 1998, pp. 165-197 Rena A. Syska-Lamparska, Gregorio Caloprese al Principe Niccolò Caracciolo sulla ’nvenzione, in «Lingua e Letteratura», Università Jagellonica, IV, 1999, pp. 205-212 Rena A. Syska-Lamparska, Il “sensismo sublime e razionale” di Gregorio Caloprese, «Studi Filosofici», XXIII, 2000, pp. 15-38 Fabrizio Lomonaco, Tra “ragion poetica” e vita civile: Metastasio discepolo di Gravina e Caloprese, in Legge, Poesia e Mito. Giannone, Metastasio e Vico fra “tradizione” e “trasgressione” nella Napoli degli anni Venti del Settecento, a cura di M. Valente, Roma, Aracne, 2001, pp. 165-202 Franco Ratto, ¿Un filósofo “cartesiano” precursor de Giambattista Vico? Gregorio Caloprese entre Hobbes y Vico, in «Cuadernos sobre Vico», 2001-2002, n. 13-14, pp. 205-231 Rena A. Syska-Lamparska, L’Eutifrone nella Medinacoeli. Gregorio Caloprese “civile” e politico, in «Esperienze Letterarie», XXVII, 2002, pp. 45-64 Rena A. Syska-Lamparska, Cenni sulla meraviglia nel pensiero degli Investiganti e di Gregorio Caloprese, in Maestro e Amico. Miscellanea in onore di S. Widtak, M. Swiatkowska et al. editors, Kraków, Uniwersytet Jagiellonski, 2004 Fabrizio Lomonaco, Un “gran filosofo renatista”. Corpo, mente e vita civile in Gregorio Caloprese, in «Archivio di Storia della Cultura», XVII, 2004, pp. 3-39, poi in G. Caloprese, Opere, Napoli, Giannini, 2004, pp. 9-36 Alfonso Mirto, La vita, gli studi, la critica, in G. Caloprese, Opere, Napoli, Giannini, 2004, pp. 37-60 Rena A. Syska-Lamparska, Letteratura e scienza. Gregorio Caloprese teorico e critico della letteratura. Introduzione di Fabrizio Lomonaco, Napoli, Guida, 2005 Angelo Vecchio Ruggeri, La visione dell’etica e della politica in Gregorio Caloprese il filosofo di Scalea, in «Calabria sconosciuta», XXVIII, ottobre-dicembre, 2005 Silvia Contarini, Descartes in Naples: The reception of Passion de l’âme, in Reason and Its Others. Italy, Spain, and the New World, Edited by David R. Castillo and Massimo Lollini, Nashville, Vanderbilt University Press, 2006, pp. 39-60 Alessandro Ottaviani, Modernità del Casa nelle “Spositioni” di Gregorio Caloprese, www.italianisti. it, 2008 Adriana Luna-Fabritius, Passion and the early Italian Enlightenment: human nature and Vivere civile in the thought of Gregorio Caloprese, in «European Review of History: Revue europeenne d’histoire», 17, 2010, 1, pp. 93-112
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IV. Articoli brevi sul Caloprese Giuseppe Talarico, Gregorio Caloprese e l’estetica della fantasia, in «Panorama», Roma, 25 febbraio 1949 Attilio Pepe, Le teorie estetiche moderne e la poetica del Caloprese, in «Cronaca di Calabria», LVII, 1959, 7 giugno [M. L.], Studi sul Caloprese, in «Cronaca di Calabria», LIX, 9 maggio 1961 Attilio Pepe, Caloprese e Scalea ai primi del Novecento, in «Cronaca di Calabria», LIX, 1 settembre 1961 Attilio Pepe, Gregorio Caloprese e i suoi tempi, in Terra di Calabria, Cosenza, Pellegrini editore, 1963 Giuseppe Cupìdo, A 250 anni dalla morte. Le celebrazioni a Scalea del filosofo G. Caloprese, ne «Il Mattino», 2 febbraio 1965 Carmine Manco, A proposito di alcuni dati sull’età del filosofo Gregorio Caloprese, in «Calabria Letteraria», XXV, 1977, n. 1-2-3, pp. 52-53 Alfonso Mirto, Gregorio Caloprese, in «Calabria Letteraria», XXVI, 1978, n. 3-4-5-, pp. 13-15 Alfonso Mirto, L’ambiente e la cultura di Gregorio Caloprese, in «Calabria Letteraria», XXIX, 1981, n. 4-5-6, pp. 46-49 Enrico Esposito, Convegno di studi su Caloprese, in «Santa Caterina News», V, 1991, 3, p. 4 Maria de Felice, Uno sconosciuto illustre, in «Nuovo Diogene moderno», V, Aprile, 2001 Antonio [V.] Valente, Gregorio Caloprese un grande calabrese da riscoprire, «Nuovo Diogene moderno», V, Giugno, 2001 Antonio Vincenzo Valente, Gregorio Caloprese un grande meridionale da riscoprire, in «Nugae», 1, 2003, p. 27 Alfonso Mirto, Tutto Caloprese in edicola, in «asklea», I, ottobre 2004, n. 0, p. 2 Enrico Esposito, L’opera omnia di Caloprese, ne «il Quotidiano», 01/11/2005 (rubrica Idee e società) Fabrizio Lomonaco, Due maestri del pensiero ai tempi di Vico (Caloprese e Gravina), ne «Il Mattino», CXIV, 1 maggio 2005, n. 119, p. 48 Ercole Serra, Gregorio Caloprese è “ritornato”, in «Nuovo Diogene moderno», IX, GiugnoLuglio 2005, n. 4, pp. 1 e 7 Alfonso Mirto, Scalea: il paese di Gregorio Caloprese, in «Calabria Letteraria», LIV, 2006, n. 1-23, pp. 101-104
V. Opere in cui viene trattato il Caloprese Giovan M. Crescimbeni, Istoria della volgar poesia, Roma, Tipografia de’ Rossi, 1710-1722 Giovambattista Vico, Vita di Giambattista Vico scritta da se medesimo (1723-1728), ora in G.B. Vico, Opere, a cura di A. Battistini, Milano, Mondadori, 1990 (edizione consultata: Autobiografia, a cura di M. Fubini, Torino, Einaudi, 1977) Paolo Mattia Doria, Risposta di P.M. Doria ad un libro stampato in Napoli nella stamperia di Felice Mosca l’anno 1733 col titolo Riflessioni di Francesco Maria Spinelli, Napoli, nella nuova Stamperia di A. Vocola, 1733
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— 48 — Francesco Maria Spinelli, Riflessioni di Francesco Maria Spinelli Principe della Scalea su le principali materie della prima Filosofia, fatte ad occasione di esaminare la prima parte d’un libro intitolato Discorsi critici filosofici intorno alla Filosofia degli Antichi, e de’ Moderni… di Paolo Mattia Doria, Napoli, Felice Mosca, 1733 Vincenzo Ariani, Memoria della vita e degli scritti di Agostino Ariani, Napoli, nella Stamperia di Castello Longobardo, 1778 Pietro Giannone, Vita scritta da lui medesimo (edizione consultata: a cura di S. Bertelli, Milano, Feltrinelli editore, 1960) Vincenzo Julia, Saggio sulla vita e le opere di Gianvincenzo Gravina, Cosenza, Migliaccio, 1879 Giovanni Battista Gerini, I seguaci di Cartesio in Italia sul finire del secolo XVII ed il principio del XVIII, in «Il nuovo Risorgimento», 1889, p. 426 e sgg. Giovanni Battista Gerini, Gli scrittori pedagogici italiani del secolo decimosettimo, Torino, Paravia, 1900 Raffaele Cotugno, La sorte di G.B. Vico e le polemiche scientifiche e letterarie dalla fine del XVII alla metà del XVIII secolo, Bari, Laterza, 1914 Guido Rispoli, L’Accademia Palatina del Medinaceli. Contributo alla storia della cultura napoletana, Napoli, Nuova cultura,1924 Attilio Pepe, La dimora di Metastasio in Calabria e le sue relazioni col Gravina e col Caloprese, in «Atti dell’Accademia Cosentina», XIV, 1929, pp. 103-137 Benedetto Croce, Estetica secentesca, in Conversazioni critiche, serie terza, Bari, Laterza, 1932 Fausto Nicolini, La giovinezza di Giambattista Vico (1668-1700). Saggio critico, Bari, Laterza, 1932 Giuseppe Scerbo, G.B. Vico e il cartesianesimo a Napoli, Roma, Signorelli, 1933 Mario Fubini, Dal Muratori al Baretti. Studi sulla critica e sulla cultura del Settecento, Bari, Laterza, 1946 (1975, edizione riveduta e ampliata) Bruno Barillari, La giovinezza di Vico e gli scrittori cosentini, in «Calabria nobilissima», 19471949, pp. 271-275 Carlo Ghisalberti, Gian Vincenzo Gravina giurista e storico, Milano, Giuffrè, 1962 Pompeo Giannantonio, L’arcadia napoletana, Napoli, Liguori editore, 1962 Walter Binni, L’Arcadia e il Metastasio, Firenze, La Nuova Italia, 1963 (ristampa anastatica, Firenze, La Nuova Italia editrice, 1984) Antonio Piromalli, La letteratura calabrese, Cosenza, Pellegrini editore, 1965 Ezio Raimondi, ‘Ragione’ e ‘sensibilità’ nel teatro di Metastasio, in Sensibilità e Razionalità nel Settecento, a cura di V. Branca, Firenze, Sansoni, 1967, t. 1, pp. 249-267 Biagio De Giovanni, Il «De nostri temporis studiorum ratione» nella cultura napoletana del primo Settecento, in Omaggio a Vico, Napoli, Morano, 1968, pp. 141-192 Amedeo Quondam, Cultura e ideologia in Gianvincenzo Gravina, Milano, Mursia, 1968 Amedeo Quondam, L’Hydra mistica e la formazione culturale del Gravina, ne «La rassegna della letteratura italiana», 72, 1968, I, pp. 65-106 Giuseppe Ricuperati, La prima formazione di Pietro Giannone. L’Accademia di Medina Coeli e D. Aulisio, in Saggi e ricerche sul Settecento, Napoli, Istituto Italiano per gli Studi Storici, 1968, pp. 94-171 Carmine Manco, Scalea prima e dopo. Cenni storici, Scalea, Grafiche Moderne inc., 1969
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— 49 — Michele Rak, Una teoria dell’incertezza (Note sulla cultura napoletana del sec. XVII), in «Filologia e Letteratura», III, 1969, XV, pp. 233-293 Domenico Consoli, Realtà e fantasia nel classicismo di G.V. Gravina, Milano, Bietti, 1970 Maria Donzelli, Natura e humanitas nel giovane Vico, Napoli, Istituto Italiano per gli Studi Storici, 1970 Eugenio Garin, Dal Rinascimento all’Illuminismo, Pisa, Nistri Lischi, 1970 Amedeo Quondam, Filosofia della luce e luminosi nelle Egloghe del Gravina. Documenti per un capitolo della cultura filosofica di fine Seicento, Napoli, Guida, 1970 Giuseppe Ricuperati, L’esperienza religiosa e civile di Pietro Giannone, Milano-Napoli, Ricciardi, 1970 Giuseppe Ricuperati, Studi recenti sul primo ’700 italiano. Gian Vincenzo Gravina e Antonio Conti, in «Rivista storica italiana», LXXXII, 1970, pp. 611-644 Michele Rak, Condizione critica e fantasia poetica. Un tratto della storia delle idee letterarie nell’Italia del XVII secolo, ne «La Rassegna della letteratura italiana», serie VII, LXXV, 1971, n. 1-2, pp. 27-70 Lanfranco Caretti, La letteratura italiana, Milano, Mursia, 1972 Domenico Consoli, Dall’Arcadia all’Illuminismo, Bologna, Cappelli, 1972 Gianvincenzo Gravina, Curia Romana e Regno di Napoli. Cronache politiche e religiose nelle lettere a Francesco Pignatelli (1690-1712), testo, introduzione e note a cura di A. Sarubbi, Napoli, Guida, 1972 Giuseppe Ricuperati, A proposito dell’Accademia di Medina Coeli, in «Rivista storica italiana», LXXXIV, 1972, pp. 57-79 Paola Zambelli, La formazione filosofica di Antonio Genovesi, Napoli, Morano, 1972 Alberto Asor Rosa, L’Arcadia e Goldoni, a cura di C. Colaiacono, Firenze, La Nuova Italia, 1973 Paolo Casini, Introduzione all’Illuminismo. Da Newton a Rousseau, Roma-Bari, Laterza, 1973 Gianvincenzo Gravina, Scritti critici e teorici, a cura di A. Quondam, Roma-Bari, Laterza, 1973 Maurizio Torrini, Antonio Monforte. Uno scienziato napoletano tra l’Accademia degli Investiganti e quella palatina di Medinaceli, in Ricerche sulla cultura dell’Italia moderna, a cura di P. Zambelli, Roma-Bari, Laterza, 1973, pp. 99-146 Paola Zambelli, Il rogo postumo di Paolo Mattia Doria, in Ricerche sulla cultura dell’Italia moderna, cit., pp. 149-198 Vittorio Conti, Paolo Mattia Doria e l’Accademia di Medinacoeli, ne «Il pensiero politico», VII, 1975, pp. 203-218 Giuseppe Valletta, Opere filosofiche, a cura di M. Rak, Firenze, Leo S. Olschki, 1975 Mario Manco – Giuseppe Cupìdo, Scalea / a Scalìa, Scalea, Manco, 1977 Vittorio Conti, Paolo Mattia Doria, dalla repubblica dei togati alla repubblica dei notabili, Firenze, Leo S. Olschki, 1978 Giuseppe Ricuperati, A proposito di Paolo Mattia Doria, in «Rivista Storica Italiana» XCI, 1979, pp. 261-285 Gustavo Costa, La cerchia dei duchi di Laurenzano e una collaborazione di Vico, in «Bollettino del Centro di studi vichiani», X, 1980, pp. 36-58 Alfonso Mirto, Nota sulla polemica Doria-Spinelli, in «Argomenti storici», VI-VII, 1981, pp. 146-158
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— 50 — Alfonso Mirto, Nota sul pensiero di Francesco Maria Spinelli, in «Calabria Letteraria», XXXI, 1983, n. 7-8-9, pp. 74-76 Maurizio Torrini, Le passioni di Paolo Mattia Doria. Il problema delle passioni dell’animo nella Vita civile, in «Giornale critico della filosofia italiana», sesta serie, Vol. III, LXII, (LXIV), 1983, II, pp. 129-152 Andrea Battistini, I simulacri di Narciso. Autobiografia e modelli narrativi secenteschi nell’Italia meridionale, ne «Il Verri», XXXIX, 1984, nn. 3-4, pp. 54-112 Giovanna Gronda, Le passioni della ragione. Studi sul Settecento, Pisa, Pacini, 1984 Claudio Manzoni, I cartesiani italiani 1660-1760, Udine, Università degli Studi, 1984 Manfredi Piccolomini, Il pensiero estetico di Gianvincenzo Gravina, Ravenna, Longo, 1984 Alessandro Dini, Filosofia della natura, medicina, religione. Lucantonio Porzio (1639-1724), Milano, Franco Angeli, 1985 Giuseppe Giarrizzo, Un ‘Regno governato in provincia’: Napoli tra Austria e Spagna (1690-1740), Atti del Convegno di studi (Lecce, 4-6 novembre 1982), Galatina, Congedo, 1985, pp.311-325 Enrico Nuzzo, Educazione della fantasia e durata delle forme politiche nel ‘primo Doria’. Ipotesi per un’interpretazione della Vita civile, in Paolo Mattia Doria fra rinnovamento e tradizione, Atti del Convegno di studi (Lecce, 4-6 novembre 1982), cit., pp. 327-354 Maurizio Torrini, Le passioni di P.M. Doria: Il problema delle passioni dell’animo nella Vita civile, Atti del Convegno di studi (Lecce, 4-6 novembre 1982), cit., pp. 433-454 Claudio Varese, Scena, linguaggio e ideologia dal Seicento al Settecento: dal romanzo libertino al Metastasio, Roma, Bulzoni, 1985 (alle pp. 211-236, è riproposto l’articolo Tempo e struttura nel dramma metastasiano, apparso in Atti Lincei) Vincenzo Barone, Scalea riviera che racconta, London, Edizioni Magna Graecia’s, 1986 [nuova edizione: Milano, Salviati, 2010, con Introduzione di Alfonso Mirto] Maurizio Torrini, La discussione sullo statuto delle scienze tra la fine del ’600 e l’inizio del ’700, in Galileo e Napoli, a cura di F. Lomonaco e M. Torrini, Napoli, Guida, 1987, pp. 357383 Giulia Belgioioso-Enrico Nuzzo-Giovanni Papuli-Maurizio Torrini, Intorno alla recente pubblicazione dei manoscritti doriani, in «Bollettino del Centro di Studi Vichiani», XVII-XVIII, 1987-1988, pp. 263-306 Enrico Nuzzo, Il congedo dalla «saggezza moderna» nella cultura napoletana tra ’600 e ’700: Vico e la tradizione dei «moralisti», in «Bollettino del Centro di Studi Vichiani», XVII-XVIII, 1987-1988, pp. 25-114 Franco Palladino, La formazione scientifico-matematica di Celestino Galiani, in «Bollettino del Centro di Studi Vichiani», XVII-XVIII, 1987-1988, pp. 253-262 Celestino Galiani-Guido Grandi. Carteggio (1714-1729), a cura di F. Palladino e L. Simonutti, Firenze, Leo S. Olschki, 1989 Andrea Battistini, Lo specchio di Dedalo. Autobiografia e biografia, Bologna, Il Mulino, 1990 Mario Agrimi, Descartes nella Napoli di fine Seicento, in Descartes. Il metodo e i saggi. Atti del Convegno per il 350° anniversario della pubblicazione del Discours de la Méthode e degli Essais, a cura di G. Belgiosioso, G. Cimino, P. Costabel, G. Papuli, Roma, Istituto dell’Enciclopedia Italiana, 1990, t. II, pp. 561 e sgg.
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— 51 — Francesco Guzzolino, Gian Vincenzo Gravina, in nuove ricerche archivistiche, Castrovillari, Mario Postorivo Editore, 1993 Nicola Sinopoli, Il testamento di Gian Vincenzo Gravina, in «Calabria Letteraria», XLI, 1994, n. 4-5-6, pp. 56-58 Clementina Cantillo, Filosofia, poesia e vita civile in Gregorio Messere, Napoli, Morano, 1996 Ettore Lojacono, L’arrivo del “Discours” e dei “Principia” in Italia: prime letture dei testi cartesiani a Napoli, in «Giornale critico della filosofia italiana», sesta serie, vol. XVI (LXXV), 1996, III, pp. 395-454 (tutto il III fascicolo è dedicato al cartesianesimo italiano e soprattutto napoletano, con un’Avvertenza di Eugenio Garin) Silvia Contarini, Il mistero della macchina sensibile. Teorie delle passioni da Descartes a Alfieri, Pisa, Pacini, 1997 Fabrizio Lomonaco, Le Orationes di G. Gravina: scienza, sapienza e diritto, Napoli, La Città del Sole, 1997 Franco Del Buono, Il primo amore del Metastasio durante la sua dimora in Scalea, «Calabria Letteraria», XLVI, 1998, n. 4-5-6, pp. 13-17 Giulia Belgioioso, La variata immagine di Descartes. Gli itinerari della metafisica tra Parigi e Napoli (1690-1733), Lecce, Milella, 1999 Brendan Dooley, The Social history of the scepticism. Experience and doubt in Early Modern culture, Amazon UK, JHU Press, 1999 Brendan Dooley, Veritas Filia Temporis: Experience and Belief in Early Modern Culture, «Journal of the History of Ideas», 60, 1999, 3, pp. 487-504 Ettore Lojacono, Immagini di Descartes a Napoli: da Valletta a Costantino Grimaldi, in «Nouvelles de la République des Lettres», 1999, II, pp. 63-92; 2000, I, pp. 45-65 (poi ripubblicate, con le note del 1996, in Immagini di René Descartes nella cultura napoletana dal 1644 al 1755, Lecce, Conte, 2003) Lia Mannarino, Le mille favole degli antichi. Ebraismo e cultura europea nel pensiero religioso di Pietro Giannone, Firenze, Le Lettere, 1999 Vincenzo Napolillo, Scalea culla della storia, Cosenza, De Maria, s. a. [1999?]. Antonio Sarubbi, Politica e diritto in Gian Vincenzo Gravina, in De origine juris civilis di Giano Vincenzo Gravina. Compendio del marchese Scipione Maffei, Cosenza, Walter Brenner, 1999 (copia anastatica, a cura del Centro Studi G.V. Gravina, di quella edita a Napoli, Presso Gennaro Matarazzo, 1822) Giuseppe Giarrizzo, Da Napoli a Vienna: il circolo meridionale della filosofia del Metastasio, in Legge, Poesia e Mito. Giannone, Metastasio e Vico fra “tradizione” e “trasgressione” nella Napoli degli anni Venti del Settecento, in «Atti del Convegno internazionale di studi (Napoli, 3-5 marzo 1998», a cura di M. Valente, Roma, Aracne, 2001 Rosalba Lo Bianco, Gian Vincenzo Gravina e l’estetica del delirio, Palermo, Facoltà di lettere e filosofia; Centro Internazionale di Studi di Estetica, 2001 Alfonso Mirto, Attilio Pepe il pensiero e l’opera, in «Calabria Letteraria», XLIX, 2001, n. 4-5-6, pp. 90-96 Maria Augusta Morelli Timpanaro, Il Cavalier Giovanni Giraldi Firenze 1712-1753 e la sua famiglia, Firenze, Leo S. Olschki, 2001 Giovanni Celico, Santi e briganti del Mercurion, Soveria Mannelli, Editur, 2002 Fabrizio Lomonaco, Introduzione a Gianvincenzo Gravina, Hydra mistica con la ristampa della
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— 52 — traduzione italiana del 1861, a cura di F. Lomonaco, Soveria Mannelli, Rubbettino, 2002 Franco Ratto, Su alcuni temi discussi all’Accademia di Medinaceli, in «Rivista di studi italiani», XX, 2002, 1, pp. 1-25 Franco Ratto, Studi e iniziative sul Settecento napoletano, in «Rivista di studi italiani», XX, 2002, 1, pp. 55-63 Annarita Placella, Gravina e l’universo dantesco, Napoli, Guida, 2003 Marco Vanzulli, Leggi e conflitto sociale in Vico, in «Quaderni Materialisti», 1, 2003, pp. 155164 Carmela Lombardi, Lettura e letteratura. Quaranta anni di teoria, Napoli, Liguori, 2004 Fabrizio Lomonaco, Introduzione a Gianvincenzo Gravina, Originum juris civilis libri tres, a cura di F. Lomonaco presentazione di F. Tessitore, Napoli, Liguori editore, 2004 Alfonso Mirto, Degli studi più recenti su Gianvincenzo Gravina, in «Calabria Letteraria», LII, 2004, n. 7-8-9, pp. 21-24 Enrico Esposito, Metastasio a Scalea. Amori e poesia, Milano, Salviati, 2005 John Robertson, The Case for the Enlightnment. Scotland and Naples 1680-1790, Cambridge, Cambridge University Press, 2005 Riccardo Caporali, La tenerezza e la barbarie. Studi su Vico, Napoli, Liguori, 2006 Enrico Esposito, Scalea: presentata l’Opera omnia di Caloprese, il cartesiano di Calabria, in «Calabria Letteraria», LIV, 2006, n. 1-2-3, p. 5 Fabrizio Lomonaco, Filosofia, diritto e storia in Gianvincenzo Gravina, presentazione di Paolo Rossi, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2006 Alfonso Mirto, Scalea: il paese di Gregorio Caloprese, in «Calabria Letteraria», LIV, 2006, n. 1-23, pp. 101-104 Amito Vacchiano, Scalea antica e moderna. Storia e protagonisti dalle origini al Settecento, Scalea [Milano], Salviati, 2006 Carmine Manco, Opere, a cura di A. Mirto, Milano, Salviati, 2007 Gianvincenzo Gravina, Della ragione poetica Libri Due, Introduzione e cura di F. Lomonaco, Napoli, ScriptaWeb, 2008 Koen Stapelbroek, Love, self-deceit & money. Commerce an Moralità in the Early Neapolitan Enlightenment, [Toronto], Toronto University Press, 2008
VI. Recensioni sulle opere e sugli studi del Caloprese Lettura sopra la Concione di Marfisa a Carlo Magno, in «Giornale de’ Letterati di Parma», 1692, V, pp. 138-140 (articolo non firmato) Attilio Pepe, L’estetica del Gravina e del Caloprese, in [«Il rinnovamento», nn. 3-4-5, gennaio 1923], «La critica», 1923, p. 310 (Benedetto Croce) E. Lupetti, Gregorio Caloprese e il maestro renatista, nel ricordo del Metastasio, in [«Cenobio», III, 1954] «Rassegna della letteratura italiana», 58, serie VII, 1954, n. 4, p. 657 (Walter Binni) Gregorio Caloprese, Opere, rist. anast. A cura di F. Lomonaco e A. Mirto, Napoli, Giannini,
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— 53 — 2004, in «Bollettino del Centro di Studi Vichiani», XXXV, 2005, pp. 217-222 (Rena A. Syska-Lamparska) Id., in «Domenica de “Il sole 24 ore”», 15/05/2005 (Tullio Gregory) Id., in «Per leggere», n. 8, 2005, primavera, p. 241 (Umberto Carpi) Id., in «Rivista di storia della filosofia», 2006, 3, pp. 810-812 (Roberto Mazzola) Id., in «Calabria Letteraria», LIV, 2006, n. 1-2-3, pp. 139-140 (Francesco Carlomagno) Id., in «Logos», n. s. , 2-3, 2007\2008, pp. 393-396 (Corrado Giarratana) Gregorio Caloprese, Dell’Origine dell’Imperi. Un’etica per la politica. Versione moderna con testo a fronte e note di Enrico Esposito. Introduzione di Alfonso Mirto, Milano, Salviati, 2002, ne «il Quotidiano della Calabria. Cosenza e Provincia», a. 8, 2002, 31 ottobre (Alberigo Guarnieri) Id., in «La Provincia cosentina», 31 ottobre 2002 (P.G.S.) Id., in «Bollettino Centro Studi Vichiani», XXXIII, 2003, pp. 357-358 (Fabrizio Lomonaco) Attilio Pepe, L’estetica del Gravina e del Caloprese (con recensione di B. Croce) ed altri scritti, Napoli, Stabilimento tipografico G. D’Agostino, [1955], in «Giornale storico della letteratura italiana», 1956, IV, p. 642 (Mario Fubini) Silvio Suppa, L’Accademia di Medinacoeli fra tradizione investigante e nuova scienza civile, Napoli, Istituto Italiano per gli Studi Storici, 1971, in «Bollettino Centro Studi Vichiani», III, 1973, pp. 244-248 (Maurizio Torrini) Id., ne «Il pensiero politico», V, 1972, 2, pp. 355-356 (Vittorio Conti) Enrico Nuzzo, Verso la «Vita civile». Antropologia e politica nelle lezioni accademiche di Gregorio Caloprese e Paolo Mattia Doria, Napoli Guida, 1984, in «Bollettino Centro Studi Vichiani», XVI, 1986, pp. 416-420 (Vincenzo Ferrone) Rena A. Syska-Lamparska, Letteratura e scienza. Gregorio Caloprese teorico e critico della letteratura. Introduzione di Fabrizio Lomonaco, Napoli, Guida, 2005, in «New Vico Studies», 25, 2007, pp. 116-118 (Gustavo Costa) Ead., in «Studi d’Italianistica nell’Africa Australe/ Italian Studies in Southern Africa», 20, 2007, 1, pp. 79-82. (Domenico Giorgio) Ead., in «La rassegna della letteratura italiana», 111, 2007, serie IX, 1, pp. 291-292 (Franco Fido) Ead., in «Intersezioni. Rivista di storia delle idee», XXVIII, 2008, 3, pp. 531-535 (Andrea Battistini) Ead., in «Italica. Journal of the American Association of Teachers of Italian», 85, 2008, 4, pp. 495-497 (Giuseppe Mazzotta)
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Opuscoli 1. 2. 3. 4. 5. 6. 7.
Bibliografia degli scritti su Pietro Piovani (1948-2000), a cura di P. Amodio (2000) Scritture della vita fra biografia ed autobiografia. Un excursus bibliografico, a cura di R. Diana (2003) La Biblioteca della Fondazione Piovani. La Collectio viciana, a cura di P. Annunziata, introduzione di F. Lomonaco, presentazione di F. Tessitore (2005) F. Lomonaco, Tracce di Vico nella polemica sulle origini delle Pandette e delle XII Tavole nel Settecento italiano, presentazione di G. Cacciatore (2005) A. Perrucci, La dimensione assiologia della storia in Pietro Piovani (2007) R. A. Durán, Problemi e sfide storiografiche all’epistemologia della storia, a cura di S. Principe, presentazione di F. Lomonaco (2009) A. Mirto, Contributo alla biografia e alla bibliografia calopresiane, presentazione di F. Lomonaco (2010)
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La Fondazione cura la pubblicazione della Collana: Collectio viciana 1. 2. 3. 4.
G. Vico, Principj d’una Scienza Nuova d’intorno alla comune natura delle nazioni [1730], a cura di M. Sanna e F. Tessitore (1991) G. Vico, Principj d’una Scienza Nuova d’intorno alla comune natura delle nazioni [1730, con postille autografe, ms. XIII H 59], a cura di F. Lomonaco e F. Tessitore, con una Nota di M. Sanna (2002) G. Gravina, Originum juris civilis libri tres [1713], a cura di F. Lomonaco, presentazione di F. Tessitore, 2 voll. (2004) G. Vico, De universi juris uno principio, et fine uno (Napoli, 1720, con postille autografe, ms. XIII B 62), a cura di F. Lomonaco, presentazione di F. Tessitore (2007)
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