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Italian Pages 68 Year 2014
XIV COLLOQUIO INTERNAZIONALE DEL LESSICO INTELLETTUALE EUROPEO
LESSICO INTELLETTUALE EUROPEO CXXII
Secondo le norme dell’ILIESI tutti i volumi pubblicati nella collana sono sottoposti a un processo di peer review che ne attesta la validità scientifica
Segreteria di redazione: Maria Cristina Dalfino
ISTITUTO DEL CNR LESSICO INTELLETTUALE EUROPEO E STORIA DELLE IDEE
L ESSICO I NTELLETTUALE E UROPEO
LOCUS-SPATIUM XIV C OLLOQUIO I NTERNAZIONALE Roma, 3-5 gennaio 2013 Atti a cura di
DELFINA GIOVANNOZZI e MARCO VENEZIANI
LEO S. OLSCHKI EDITORE 2014
Questo volume è stato pubblicato grazie ai contributi del Consiglio Nazionale delle Ricerche e del PRIN 2009: Translatio studiorum e formazione dell’identità intellettuale europea
2014 © Copyright Istituto per il Lessico Intellettuale Europeo e Storia delle Idee (CNR, Roma) e Leo S. Olschki Editore, Firenze ISBN 978 88 222 6308 7
INDICE
PAUL TOMBEUR, Eloge du père Roberto Busa . .
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1
FRANCESCO FRONTEROTTA, Luogo, spazio e sostrato ‘spazio-materiale’ nel Timeo di Platone e nei commenti al Timeo . .
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ENRICO BERTI, Il luogo dei corpi secondo Aristotele .
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43
LUCA SIMEONI, Il lessico dello spazio in Lucrezio
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LUCIANO CANFORA, Cwrßon ejklipevò: tra Lucrezio e Tucidide .
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73
GAETANO LETTIERI, ‘Fuori luogo’ Topos atopos dal Nuovo Testamento allo Pseudo-Dionigi . . . . . . . . . . .
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81
GIULIO D’ONOFRIO, I loci della mente: l’essenza dello spazio nel primo Medioevo (e in Dante Alighieri) . . . . . . .
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149
PASQUALE PORRO, Il luogo sotto processo. La condanna del 1277 e il problema della localizzazione delle sostanze separate nel XIII secolo . . . . . . . . . . . . . . . .
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195
RICCARDO POZZO, Loci communes: Agricola, Latomus, Melanchthon, La Ramée, Cano, Martini . . . . . . . . .
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221
MARCO LAMANNA, Tópos e trópos: Ramo, i ramisti e le controversie eucaristiche nella Germania riformata . . . . . .
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237
MASSIMO L. BIANCHI, Il pensiero di Dio come luogo in Valentin Weigel e le sue basi dottrinali . . . . . . . . . .
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249
VINCENZO DE RISI, Francesco Patrizi e la nuova geometria dello spazio . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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269
JEAN-ROBERT ARMOGATHE, Sémantèse de spatium-locus chez Descartes . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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329
CLAUDIO BUCCOLINI, Dallo spazio immaginario all’empireo: locus / spatium in Mersenne . . . . . . . . . . .
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345
MARTINE PÉCHARMAN, La construction de la doctrine de l’espace chez Hobbes: spatium/space, locus/place . . . . . . .
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Indice
VIII
DANIEL GARBER, Vacuum Boylianum
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453
MARIO SINA, Spazio e luogo in Locke e Berkeley
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467
ROBERTO PALAIA, Locus e spatium in alcuni scritti leibniziani .
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507
HANSMICHAEL HOHENEGGER, La terminologia della spazialità in Kant . . . . . . . . . . . . . . . . . .
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WAYNE MARTIN, Fichte’s Deduction of Pragmatic Space
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Indice dei nomi . .
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LA TERMINOLOGIA DELLA SPAZIALITÀ IN KANT 1 HANSMICHAEL HOHENEGGER
L’intelligence, telle que Kant nous la représente, baigne dans une atmosphère de spatialité à laquelle elle est aussi inséparablement unie que le corps vivant à l’air qu’il respire.2
Le acute ed eleganti metafore di Bergson sono particolarmente appropriate per introdurre una ricognizione in un ambito terminologico così onnipervasivo e difficilmente delimitabile come quello della spazialità. L’atmosfera di cui parla Bergson dice bene dell’indeterminata disposizione a significare dei termini dello spazio sia nel linguaggio comune sia in quello tecnico della filosofia. Il linguaggio comune è intessuto del vocabolario della spazialità, e quello tecnico della filosofia ha fin dall’antichità messo a frutto l’istanza di ordine, orientamento, unità comprensiva e molteplicità che molti termini della spazialità possiedono.3 Kant non fa certo eccezione, tanto più 1 Le opere di Kant sono citate da Kant’s gesammelte Schriften, a cura della Königlich Preussischen Akademie der Wissenschaften (e successori), Berlin, 1900- (d’ora in avanti KGS). In numeri romani si indica il volume, in numeri arabi la pagina delle Reflexionen si indica anche il numero progressivo e tra parentesi la datazione, in forma semplificata, proposta dal curatore. Talvolta si è usato il testo tratto da Werke in zehn Bänden, a cura di Wilhelm Weischedel, Darmstadt, WBG, 1981, A la prima e B la seconda edizione. Le tre Critiche sono citate indicando la sola paginazione originale. Le modifiche apportate alle traduzioni dei testi citati non sono segnalate. Non si cita la pagina della traduzione italiana quando contiene l’indicazione di pagina dell’originale o dell’edizione dell’Accademia. – Dedico questo lavoro alla memoria di mia madre, Antonia Gallas. 2 HENRI BERGSON, L’Évolution créatrice (1907 ed. originale), in Œuvres, a cura di André Robinet, Paris, PUF, 1959, p. 668. 3 Cfr. riguardo alla pluralità di parole per dire «spazio» nella lingua greca l’Historisches Wörterbuch der Philosophie, a cura di Joachim Ritter, Karlfried Gründer, Gottfried Gabriel, 13 voll., Stuttgart-Basel, 1971-2007, VIII, s.v. «Raum». Per la spazialità sia nel linguaggio comune sia in filosofia cfr. la voce Spazialità che EMILIO GARRONI ha scritto per l’Enciclopedia Einaudi, 14 voll., Torino, Einaudi, 1977-1981, XIII, pp. 244-272. Sempre di E. GARRONI, Comprendere e narrare in L’arte e l’altro dall’arte, Roma-Bari, Laterza, 2003. L’approccio cognitivista, non molto innovativo filosoficamente, ha, però, fornito una ricca raccolta di esempi tratti dal linguaggio comune riguardo al rapporto tra linguaggio, esperienza e spazialità, anche perché parte dall’assunto che «Most of our fundamental concepts are organized in terms of one or more spatialization metaphors». GEORGE LAKOFF, MARK JOHNSON, Metaphors We Live By, Chicago, University of Chicago Press, 1980, p. 17.
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Hansmichael Hohenegger
che lo spazio, oltre ad essere un tema importante nel suo nuovo sistema filosofico – è intuizione e forma della sensibilità nell’Estetica trascendentale della Kritik der reinen Vernunft (1781, 1787, KrV) –, è anche a vario titolo strumento costruttivo della sua filosofia; basti pensare all’organizzazione spaziale della topica basata sulla tavola delle categorie.4 La ricchezza della terminologia della spazialità dipende, almeno in Kant, da questa duplicità o molteplicità di piani del discorso in cui è necessario passare continuamente dal piano teorico a quello metateorico. Sono, appunto, le metafore a permettere questo passaggio, costituendo in tal modo sistemi terminologici complessi, non sempre facili da organizzare anche perché non sempre è chiaro se in una data espressione la metafora è intenzionale o no, oppure se ha valore euristico, espositivo o sistematico. Per evitare di descrivere un sistema terminologico in modo arbitrario, prima di esaminare l’uso metaforico, è opportuno considerare ciò che Kant pensa delle metafore in filosofia. Una forte coscienza del valore espressivo ed euristico delle metafore – il suo linguaggio è ricco di immagini molto efficaci e varie – è bilanciata in Kant da un’altrettanto forte coscienza dei possibili abusi. Nel paragrafo della Kritik der Urteilskraft (1790, KU) in cui è esposta la semantica delle espressioni analogiche, Kant propone una serie di esempi: Il nostro linguaggio è pieno di simili esibizioni indirette, secondo un’analogia, per cui l’espressione contiene non il vero e proprio schema per il concetto, ma solo un simbolo per la riflessione. Così le parole fondamento (appoggio, base), dipendere (essere tenuti dall’alto), derivare da (al posto di seguire), sostanza (come Locke si esprime: il supporto degli accidenti), e innumerevoli altre, sono ipotiposi non schematiche, ma simboliche, ed espressioni per concetti non per mezzo di un’intuizione diretta, ma solo secondo un’analogia con questa, cioè secondo il trasferimento della riflessione su un oggetto dell’intuizione a un concetto affatto diverso, cui forse un’intuizione non può mai corrispondere direttamente.5
L’importanza di questa modalità analogica per la concezione del linguaggio in genere non può essere sottovalutata, ma ciò non rende meno appariscente il fatto che gli esempi di ipotiposi simboliche siano tutti rappresentati da termini filosofici. Naturalmente da ciò non segue che per Kant la verità sia un «mobile esercito di metafore, metonimie, antropomorfismi».6 La fi4
1967.
KrV B 109/A 83; trad. it., Critica della ragion pura, a cura di Pietro Chiodi, Torino, UTET,
5 KU § 59, B 257; trad. it., Critica della facoltà di giudizio, a cura di Emilio Garroni e Hansmichael Hohenegger, Torino, Einaudi, 1999. 6 FRIEDRICH NIETZSCHE, Über Wahrheit und Lüge im außermoralischen Sinne, in Nietzsche Werke, kritische Studienausgabe, a cura di Giorgio Colli e Mazzino Montinari, Berlin, De Gruyter, 1980, I, p. 880; ed. it., Milano, Adelphi, 1964-, III, 2, p. 361.
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losofia si serve del linguaggio in tutte le sue capacità 7 e quindi non esclude le espressioni analogiche o le metafore che servono per riflettere e indagare, o anche per semplicemente parlare di concetti limite (Grenzbegriffe); esse, tuttavia, non devono mai essere presentate come se avessero forza probativa. L’esibizione simbolica è, infatti, semplice modo rappresentativo (Vorstellungsart) che si può chiamare conoscenza solo quando serve per la «determinazione pratica dell’oggetto».8 La conoscenza di Dio, in questo senso, è solo simbolica. I concetti filosofici in genere hanno, però, sempre un tratto per il quale possono essere detti concetti limite, «cui forse un’intuizione non può mai corrispondere direttamente». In questo caso l’esibizione simbolica serve unicamente per poterne parlare, la loro forza argomentativa deriva dal loro essere condizioni di possibilità. In ogni caso l’elemento intuitivo che è nella loro esibizione simbolica non ha alcun potere argomentativo, come risulta chiaramente nella recensione delle Ideen di Herder: non vogliamo qui indagare se lo spirito poetico che ravviva l’espressione non sia penetrato talvolta anche nella filosofia dell’autore; se, qua e là, i sinonimi non valgano per spiegazioni e le allegorie per verità [Synonymen für Erklärungen und Allegorien für Wahrheiten gelten]; se invece di passaggi marginali dal dominio della lingua filosofica al distretto della lingua poetica talvolta non siano stati piuttosto del tutto sconvolti i limiti e i possedimenti di entrambi, e se in alcuni luoghi l’intreccio di audaci metafore, di immagini poetiche e di allusioni mitologiche non sia servito piuttosto a nascondere il corpo dei pensieri come sotto un guardinfante, piuttosto che a farlo risaltare piacevolmente sotto un abito che lo lascia indovinare.9
7 La filosofia è storicamente condizionata dal linguaggio, sebbene non determinata in modo assoluto. A Moses Mendelssohn che riteneva si potessero risolvere le dispute filosofiche come semplici dispute di parole (bloße Wortstreitigkeiten) mediante definizioni più accurate, Kant replica che in esse si deposita la stessa antinomia della ragione, e volerle risolvere come equivoci linguistici è rendersi facile il «gravoso compito di decidere il conflitto della ragione con se stessa». Einige Bemerkungen von Herrn Professor Kant aus L. H. Jakobs Prüfung der Mendelssohnschen Morgenstunden (1786) A LII, KGS VIII 152. Il linguaggio, per Kant, non è veste esteriore del pensiero: la ragione è inseparabile dal linguaggio. Non è questa certo l’occasione per tornare sulla questione del rapporto tra filosofia e linguaggio in Kant, tema meritoriamente sollevato da Tullio De Mauro (Introduzione alla semantica (1965), Roma-Bari, Laterza, 19755, pp. 73-83). Una solida interpretazione di Kant deve rispondere all’obiezione su perché Kant non abbia tematizzato questo rapporto come per esempio Locke in una sezione apposita del sistema, per poi mostrare come in luoghi fondamentali del suo sistema Kant abbia sviluppato un’articolata concezione del linguaggio, che l’interprete deve ricostruire per non fraintendere nei suoi stessi principi il sistema kantiano. Sul tema, con argomentazioni decisive, cfr. MIRELLA CAPOZZI, Pensare, parlare e udire in Kant, in Scienza e coscienza tra parola e silenzio, Atti del Convegno di Monte Compatri (2-4 maggio 2002), a cura di Pietro Ciaravolo, Roma, Aracne, 2006, pp. 183-211. 8 KU § 59 B 257. 9 Recensione di J. G. Herders Ideen zur Philosophie der Geschichte der Menschheit (1785) A 154, KGS VIII 60; in Scritti di storia, politica e diritto, trad. it. a cura di Filippo Gonnelli, Roma-Bari, Laterza, 1995, p. 67.
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Le metafore possono avere dunque un ruolo nell’esposizione o nella rappresentazione dei pensieri, ma anche per aiutare a indovinarli. Per analizzare questa funzione euristica può servire da esempio un’annotazione dell’Opus postumum che riguarda proprio la spazialità: La parola intuizione (intuitus) allude al vedere. Il concetto (conceptus) allude al [com]prendere del tatto. Nient’altro che determinazioni soggettive della facoltà conoscitiva. Il terzo [momento] è la fondazione dei fenomeni quasi fossero eretti su di un saldo terreno immobile. Un possesso fondato.10
Kant usa qui tutte metafore spaziali per stabilire una tripartizione di concetti conoscitivi che, come tutte le tripartizioni kantiane, è architettonica.11 Gli elementi della conoscenza (intuizione e concetto), se si trova il modo di superare la loro soggettività (suggerita dalla concretezza sensoriale dell’etimologia), possono dare luogo a una conoscenza fondata e oggettiva espressa dalla metafora giuridica. An-schauung (schauen è guardare) e Be-greifen (greifen è prendere) sono, infatti, metafore sensoriali che servono per caratterizzare le determinazioni soggettive della conoscenza, mentre la metafora giuridico-architettonica della proprietà di un terreno su cui erigere solide costruzioni serve a caratterizzare la sua determinazione oggettiva. Come la spazialità entri in modi diversi in tutte queste metafore può mettere in luce l’uso che Kant ne fa. L’analogia esplicita tra il vedere e l’intuizione, già presente nell’Anthropologie in pragmatischer Hinsicht (1798), pone in rilievo il fatto che la vista tra i sensi esterni è quello più oggettivo o, se si vuole, il meno condizionato da sentimento e sensazione. L’organo della vista, infatti, meno di tutti sente l’affezione (altrimenti non sarebbe un semplice vedere), e per questo è più vicino a un’intuizione pura (la rappresentazione immediata dell’oggetto dato senza commistione di una sensazione apprezzabile).12
La priorità della visione sul piano empirico e psicologico ha il suo corrispettivo trascendentale nel fatto che l’intuizione per eccellenza è quella spaziale. Il tempo, in quanto tale, infatti non può essere percepito 13 e può 10 «Das Wort Anschauung (intuitus) deutet aufs Sehen. Der Begriff (conceptus) auf Zusammenfassung des Berührens. Lauter subjective Bestimmungen des Erkentnisvermögens. Das dritte ist die Begründung der Erscheinungen gleichsam in einem unbeweglichen festen Boden errichtet. Ein fundirter Besitz». KGS XXII 97. Cfr. KGS XXII 124. 11 Cfr. KU Intr. § IX nota, B LVII. 12 Anthropologie in pragmatischer Hinsicht (1798, Anthr.); trad. it., Antropologia pragmatica, a cura di P. Chiodi, Torino UTET, 1970. Anthr. B 50, KGS VII 156: «[…] sein Organ am wenigsten afficirt fühlt (weil es sonst nicht bloßes Sehen sein würde), hiemit also einer reinen Anschauung (der unmittelbaren Vorstellung des gegebenen Objects ohne beigemischte merkliche Empfindung) näher kommt». 13 «Nun kann die Zeit für sich nicht wahrgenommen werden». KrV B 225. In verità nean-
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essere un’intuizione solo mediatamente, cioè solo se tutti i rapporti che comporta si possono esprimere in un’intuizione esterna.14 Il Be-greifen (afferrare) del concetto (in questo caso l’etimologia vale anche, sia pure in modo meno evidente, nell’espressione latina), mette bene in evidenza la funzione sintetica del concetto, che rimane una determinazione soggettiva fin tanto che il suo riferimento all’intuizione corrispondente non sia legittimato. Il terzo momento è quello del Boden, il suolo o territorio della conoscenza, una metafora che Kant usa spesso e in contesti assai importanti per illustrare i modi vari e diversamente articolati in cui si può legittimare il riferirsi dei concetti alle intuizioni o alle sensazioni empiriche. Nella KU questa metafora è svolta in tutte le sue possibilità: i concetti possono avere un semplice riferimento agli oggetti senza pretese conoscitive e quindi possedere un semplice campo (Feld, Kant non aggiunge l’equivalente latino); se questi concetti si riferiscono a un’esperienza possibile hanno un territorio (Boden, territorium) e, in quanto sono conformi a leggi, hanno un domicilio (Aufenthalt, domicilium). Invece si può parlare di dominio (Gebiet, ditio) solo per concetti molto particolari come le categorie, che sono legislatrici per gli oggetti che esse stesse rendono possibili.15 Nella KrV la metafora della determinazione giuridica dello spazio è molto meno articolata ed esplicita, ma è assolutamente centrale in quanto riguarda l’argomentazione più importante della filosofia critica, la deduzione trascendentale dei concetti puri dell’intelletto. «Deduzione», infatti, in questo caso, non è l’inferenza logica deduttiva, ma la legittimazione della pretesa di un certo tipo di concetti di valere per l’esperienza, come se in un processo si trattasse di legittimare il diritto di proprietà su un certo terreno. Nel caso cioè di quel tipo peculiare di concetti, le categorie, che non solo abbiano
che lo spazio può essere percepito in quanto forma della sensibilità. C’è, però, una differenza tra spazio e tempo su questo punto; una differenza che avrà conseguenze sempre più importanti nella concezione dello spazio almeno a partire dalla seconda edizione della KrV (1787). Se per la descrizione di uno spazio la condizione è il tempo, il tempo non può mai essere percepito se non attraverso la rappresentazione spaziale di una linea, lo spazio è dunque la condizione dell’intuitività del tempo. Non c’è infatti un tempus aspectabile, mentre, come si vede nell’Opus postumum, oltre che dello spazio non percepibile (spatium insensibile) si deve parlare di uno spatium aspectabile (cfr. infra nota 155). Su spatium insensibile cfr. HANS VAIHINGER, Kommentar zu Kants Kritik der reinen Vernunft (1881-18921) 2 voll., a cura di Raimund Schmidt, Stuttgart-Berlin-Leipzig, Union Deutsche Verlagsanstalt, 1922, II, p. 62. Per il termine aspectabile v. CHRISTIAN FREIHERR VON WOLFF, Philosophia prima, sive Ontologia, methodo scientifica pertractata, qua omnis cognitionis humanae principia continentur (17301), Francofurti et Lipsiae, 1736, Prol. § 7, in Gesammelte Werke, a cura di Jean École e Hans Werner Arndt, Hildesheim, Olms, 1962, II sez., II, § 70. 14 KrV B 51/B 33, § 6. 15 Cfr. KU Intr. § II, B XVI-XVII.
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Hansmichael Hohenegger
un Boden come i concetti empirici, ma anche un Gebiet, un dominio in cui impongono alla natura stessa la legge delle loro modalità sintetiche. Le metafore per caratterizzare il sapere oggettivo, in questo passo dell’Opus postumum, sono entrambe spaziali ma di natura mista. Tutte e due appartengono all’area semantica della spazialità, ma in modi diversi. Kant mette accanto alla tradizionale metafora del saldo terreno (festen Boden) sul quale si possono gettare sicure fondazioni (Begründung), la metafora giuridica del possesso fondato ( fundirter Besitz). L’espressione fundiren, piuttosto rara in Kant, non ha qui il valore di begründen : è infatti usata solo in contesti giuridici quando si tratta di fornire la giustificazione della prima presa di possesso (erste Besitzung) 16 di un certo terreno (Boden) che, benché valga solo in virtù di una legge permissiva (Erlaubnissgesetz), in quanto è unilaterale presa di possesso, presuppone già una comunione originaria del suolo (communio fundi originaria),17 cui corrisponde un’ideale volontà generale,18 che non è altro che l’anticipazione di quella «volontà collettiva universale (comune) investita di potere» che realizzerà compiutamente il diritto pubblico.19 Quando Kant sceglie questa metafora giuridica per illustrare la legittimazione oggettiva della conoscenza, sembra suggerire che ogni conoscenza come appropriazione è fondata sull’originaria comunanza di un fundus, ovvero presuppone un’universale ragione umana: non si dà universalità oggettiva del riferimento all’esperienza possibile senza universalità soggettiva.20 16 È significativo che il Besitz, in quanto strettamente legato al suolo, dipenda da quanto a lungo e con quali intenzioni esso sia occupato, e così deve essere distinto dal Sitz (sedes), mentre la presa di possesso del suolo (Besitznehmung des Boden) è distinta dall’insediamento, dal prendere dimora (Niederlassung, incolatus). Metaphysik der Sitten (1797, MdS), KGS VI 251; trad. it. a cura di F. Gonnelli della Rechstlehre: Primi principi metafisici della dottrina del diritto, RomaBari, Laterza, 2005. 17 MdS, KGS VI 251. 18 «Il possessore si fonda sul possesso comune innato del suolo terrestre e sulla volontà generale a esso corrispondente a priori di un possesso privato di tale suolo che gli viene autorizzato [Der Besitzer fundirt sich auf dem angebornen Gemeinbesitze des Erdbodens und dem diesem a priori entsprechenden allgemeinen Willen eines erlaubten Privatbesitzes auf demselben]». MdS, KGS VI 250, c.vo mio. 19 MdS, KGS VI 256. 20 Nella KrV la comunicabilità della conoscenza, ovvero che nei giudizi ci sia accordo fondato, dipende dal fatto che, nonostante le diversità dei giudicanti, ci si riferisce allo stesso oggetto il quale, per questa ragione, è principio comune (gemeinschaftlicher Grund, KrV B 848/A 820) secondo la regola, che vale anche per i sillogismi: «consentientia uni tertio consentiunt inter se». Nella KU la situazione è invertita: «Conoscenze e giudizi, insieme alla convinzione che li accompagna, si devono poter comunicare universalmente, ché altrimenti non spetterebbe loro alcun accordo con l’oggetto» (KU § 21, B 65). Il fundirter Besitz di cui si parla nell’Opus postumum sembra mettere insieme sia l’universalità soggettiva che quella oggettiva.
La terminologia della spazialità in Kant
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La metafora, come è nella natura stessa delle metafore, potrebbe essere ulteriormente indagata: se non si stabilisse un limite all’interpretazione, si potrebbe sostenere, per esempio, che anche Besitz ha un riferimento spaziale e, in quanto Be-sitz (be con funzione rafforzativa e Sitz, sede), potrebbe rientrare nell’area semantica della spazialità. Per quanto suggestiva e parzialmente legittima (nel resto della citazione dall’Opus postumum Kant tratta del Setzen e del positus), con questa interpretazione si vuole vedere troppo. Se è vero che Kant spesso pensa secondo l’analogia, lo fa per scopi euristici, per sperimentare con le metafore; l’interprete deve, dunque, fermarsi a questa constatazione e non ritenere di poter sviluppare la metafora per proprio conto sfruttandone la naturale implicita ricchezza. Per cogliere l’esatta funzione dell’uso metaforico si deve perciò poter determinare, anche grazie alle dichiarazioni esplicite di Kant, quando la metafora ha il valore euristico della riflessione o del meditare, oppure quando serve all’articolazione e all’esposizione del sistema filosofico. In quest’ultimo caso è essenziale stabilire il ruolo della metafora nell’argomentazione e la sua collocazione nel sistema, e cioè determinare il diverso valore che la stessa metafora ha nei diversi contesti architettonici. Così, per esempio nel caso del passo esaminato dell’Opus postumum, è plausibile che il rimando metaforico alla concretezza psicologica dei sensi serva a rendere fruttuosa per la ricerca l’equivocità della nozione di soggettività,21 ma certo non può portare a cancellare la fondamentale differenza tra soggettività della sensazione come materia e oggettività dell’intuizione spaziale come forma, che rimane un risultato essenziale della filosofia trascendentale.22 21 Lo spazio come forma della sensibilità è, certo, forma soggettiva, ma questa soggettività, in quanto condizione per la conoscenza oggettiva, addirittura dei giudizi sintetici a priori della geometria, è ben diversa dalla soggettività della sensazione, che anch’essa può essere considerata a sua volta oggettiva in quanto elemento conoscitivo (Erkentnißstück). Solo il sentimento è essenzialmente soggettivo in quanto non può avere, in linea di principio, un uso logico. Cfr. Lettera di J. S. Beck dell’11 novembre 1791, KGS XI 310, nota. Il valore di «oggettivo» e «soggettivo» in Kant dipende, infatti, dal punto di vista (trascendentale o empirico) sulle facoltà, ovvero dall’uso logico o estetico delle rappresentazioni. 22 Per Kant lo spazio non è il risultato di una generalizzazione a partire da sensazioni esterne: «Der Raum ist kein empirischer Begriff, der von äußeren Erfahrungen abgezogen worden». KrV § 2, B 38/A 23. Un risultato che era già acquisito nel 1770: «Conceptus spatii non abstrahitur a sensationibus externis». De mundi sensibilis atque intelligibilis forma et principiis (1770, Dissertatio) § 15, KGS II 402; trad. it. in Scritti precritici, a cura di Pantaleo Carabellese, rev. di Rosario Assunto, Rolf Hohenemser e Angelo Pupi, Roma-Bari, Laterza, 1982, pp. 419-461, p. 440. Lo spazio, infatti, è forma e «per formam seu speciem obiecta sensus non feriunt», ivi, § 4, KGS II 393; trad. it., p. 428. Solamente grazie a questa assunzione è possibile quell’isolieren (cui si aggiunge il prescindere dai concetti dell’intelletto) che rende pensabili le intuizioni pure come forme pure dello spazio e del tempo. KrV B 36/A 22. Secondo Carl Stumpf, gli psicologi sperimentali dell’Ottocento ( Johann F. Herbart, Hermann Lotze, Alexander Bain), che si sono occupati della psicologia dello spazio, hanno assunto acriticamente questa separabilità tra spazio e sensa-
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Räumlichkeit, räumlich La funzione euristica delle metafore rende possibile il passaggio dall’uso filosofico a quello metafilosofico dei termini, arricchendo e complicando l’area semantica della spazialità a tal punto da imporre la ricerca di fili conduttori che permettano la collocazione sistematica dei termini della spazialità nei vari contesti argomentativi e architettonici. Un’immagine semplificata della ricostruzione di un tale sistema terminologico vorrebbe che si potesse partire da una nozione generale di spazialità da cui muovere come da un principio che sussuma sotto di sé ogni spazio metafisico, fisico, logico, geografico, politico, antropologico, giuridico, percettivo. Un indizio dell’impossibilità di questo modo di procedere è il fatto che il termine «Räumlichkeit» (spazialità) non compare mai nel corpus degli scritti di Kant.23 Anche zioni spaziali. Cfr. HANS VAIHINGER, Kommentar, cit., II, p. 71, ma anche NORMAN KEMP SMITH, A Commentary to Kant’s Critique of Pure Reason (19181), a cura di Sebastian Gardner, New York, Palgrave Macmillan, 2003, p. 86 nota. Interessante che Kemp Smith veda in questa critica, ripresa da William James, lo spunto per Bergson per stigmatizzare la mancata problematizzazione della genesi della sensibilità in Kant, sia pure da una prospettiva non empiristica. In Kant si può e si deve porre il tema dello spazio empirico, ma spatium insensibile e spatium aspectabile o dabile (vedi infra nota 155) devono essere però sempre separabili trascendentalmente. Se queste due nozioni di spazio non fossero separabili neanche filosoficamente, le conseguenze sarebbero disastrose per l’impostazione critica. Quando nell’Opus postumum, Kant indaga la possibilità metafisica di uno spazio come oggetto (quindi esamina anche il suo rapporto con il soggetto empirico in genere), per l’uso che se ne deve fare in fisica, non sta rimettendo in questione la Abtrennbarkeit di forma e materia, o di intuizione e sensazione. 23 L’espressione è, tuttavia, corrente per parlare dello spazio in Kant (per esempio H. Vaihinger, che cita anche altri studiosi, Kommentar, cit., II, p. 38, 88, 90, 98, 118, 144, 171, 228, 257, 273, 322, 343, 358, 362, 406, 480, 494, 523, 532 ecc. ma anche das Räumliche, pp. 71, 96. Significativo l’uso che ne fa Otfried Höffe nell’espressione Theorie der Räumlichkeit per suggerire che l’Estetica trascendentale non è solo una teoria dello spazio euclideo, ma della spazialità in genere, e dunque non è resa obsoleta dalle geometrie non euclidee. Brandt, come obiezione a Höffe, sottolinea che la parola non esiste in Kant: «Das Wort Räumlichkeit wird auch von Kant nicht benutzt». REINHARD BRANDT, Immanuel Kant. Was bleibt?, Hamburg, Felix Meiner Verlag, 2010, p. 240, nota 45, al paragrafo Ein Einwand, p. 36 sgg. Naturalmente ha ragione Brandt, ma questo non tocca la legittimità dell’uso della nozione di spazialità assunta problematicamente, se questa, per esempio, serve per porre la domanda se si possano pensare le geometrie non euclidee nel sistema kantiano. Per esempio per parlare del tipo di necessità dei giudizi sintetici a priori della geometria a partire dalla ripetuta affermazione di Kant sulla contingenza del menschlicher Standpunkt. È un punto qualificante della filosofia critica il fatto che «Possiamo […] parlare di spazio di esseri estesi ecc. solo dal punto di vista di un essere umano [Wir können demnach nur aus dem Standpunkte eines Menschen, vom Raum, von ausgedehnten Wesen usw. reden]». KrV B 42/A 26, ma cfr. anche la differenza tra intuitus derivativus e originarius KrV B 72; B 343-344/A 287, o del «Geheimnis des Ursprungs unserer Sinnlichkeit». KrV B 334/A 278. Nicholas Rescher ha sostenuto che tutta la teoria della necessità e universalità dei giudizi sintetici a priori (teoretici e pratici, quindi anche dei giudizi della geometria) «derives from something that is ultimately a matter of brute fact, namely the “special constitution” of the human mind». NICHOLAS RESCHER, Kant and the ’Special Constitution’ of Man’s Mind: The Ultimately Factual Basis of the Necessity
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se si volesse considerare casuale questa assenza, l’assunzione di una nozione unitaria e onnicomprensiva di spazialità nella filosofia di Kant condurrebbe in ogni caso a interpretazioni deformanti. La spazialità come «designazione di una qualità comune e più generica di tutti gli spazi possibili» 24 non può essere assunta dogmaticamente a principio. Il punto di partenza della filosofia kantiana è, infatti, proprio il rifiuto di ogni filosofica architettura di castelli in aria (philosophische Projektmacherey) 25 basata su generalizzazioni arbitrarie: i concetti filosofici fondamentali hanno la concretezza che deriva loro dal fatto che la ragione non dà conto se non delle domande che sono nate con essa e che non può allontanare da sé: 26 nel rispondere ne delimita l’ambito, ne determina l’esatta portata ed elabora i concetti filosofici per la loro soluzione solo nella misura in cui sono necessari per rispondervi. In questo senso sono proprio i concetti più rilevanti per il sistema filosofico come lo spazio, la coscienza, il linguaggio, o anche Dio a richiedere rigorosa contestualità, ovvero di essere assunti solo per quel che serve a dar conto del problema necessario della ragione. Tale contestualità impone, tuttavia, nello stesso tempo, di anticipare l’orizzonte complessivo che collochi i concetti nelle loro relazioni reciproche, dato che questi concetti non hanno valore rispetto a un assoluto, ma rispetto a quel sistema che è la ragione stessa a costituire. L’elemento paradossale, come suggerisce Emilio Garroni, è che una nozione di «spazio and Universality of A Priori Synthetic Truths in Kant’s Critical Philosophy, in Akten des 4. KantKongresses, Mainz 6.-10. April 1974, Teil II.1, a cura di Gerhard Funke und Joachim Kopper, II,1, pp. 318-328, p. 325. Da questa assunzione Rescher ritiene, tuttavia, che non sia necessario derivare che la teoria dei giudizi sintetici a priori sia, come voleva Bertand Russell, «radically vicious», p. 326. Essa impone, tuttavia, di domandarsi come facciamo a sapere della nostra stessa contingenza: se lo sappiamo empiricamente, come si può dare un sistema in cui sia pure condizionatamente ci siano pretese a priori, ovvero i giudizi siano necessari e universali? Per Kant, naturalmente, questa «special constitution» della mente umana dobbiamo poterla pensare come non empirica e anche analizzabile logicamente: «we must have some cognitive route to factual (and so synthetic) judgments that is not empirical (but somehow a priori)», p. 327. La modalità delle condizioni di possibilità dell’esperienza non si potrà, quindi, presentare come necessità logica assoluta, ma come «necessità condizionata, relativa che ha una struttura formale in tutto isomorfica con la necessità assoluta», p. 328. Sulla questione dello human standpoint, vedi anche il recente libro di BÉATRICE LONGUENESSE, Kant On the Human Standpoint, Cambridge, Cambridge University Press, 2005. 24 E. GARRONI, Spazialità, cit., p. 244. 25 Lettera a Lambert del 31 dicembre del 1765, KGS X 56. 26 KrV A VII: «In una specie delle sue conoscenze la ragione umana ha il particolare destino di essere tormentata da problemi che non può scansare, perché le sono imposti dalla sua stessa natura, ma ai quali tuttavia non è in grado di dar risposta, perché oltrepassano ogni potere della ragione umana [Die menschliche Vernunft hat das besondere Schicksal in einer Gattung ihrer Erkenntnisse: daß sie durch Fragen belästigt wird, die sie nicht abweisen kann, denn sie sind ihr durch die Natur der Vernunft selbst aufgegeben, die sie aber auch nicht beantworten kann, denn sie übersteigen alles Vermögen der menschlichen Vernunft]».
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comune a tutti gli spazi definibili (formalmente e no)», deve essere pensabile proprio per «la messa in rilievo della loro condizione di possibilità».27 Ma questa problematica nozione di spazialità impone di esplicitare, di volta in volta, il rapporto paradossale tra orizzonte e applicazione contestuale. Forse per questo motivo Kant, che non può non essere consapevole di questa peculiarità dell’impostazione trascendentale del discorso filosofico, non la tematizza: se se ne potesse fare una teoria, non sarebbe solo paradossale ma contraddittoria.28 Il caso delle parole «räumlich» e «das Räumliche», che, come è lecito attendersi, Kant usa molto di rado,29 può servire ad illustrare questa condizione paradossale della terminologia kantiana. Nella Religion innerhalb der Grenzen der bloßen Vernunft (1793), Kant pone la questione della presenza spaziale dell’anima nel mondo, ma dal punto di vista del destino dell’anima dopo la morte, chiedendosi, cioè, che cosa comporti il parlare di un viaggio dell’anima dopo la morte. In una lunga nota di quest’opera, Kant sostiene che la risurrezione e ascensione di Cristo risorto narrata nei Vangeli è una storia più segreta (geheimere), vale cioè solo agli occhi dei discepoli di Cristo e per questa ragione «non si può farne uso in una religione nei limiti della sola ragione, rimanendo il suo valo-
27 E. GARRONI, Spazialità, cit., pp. 244-245. Presupporre un livello metateorico in cui si possa parlare della spazialità prima che siano definiti gli spazi costruibili dai più diversi punti di vista disciplinari, proprio per poter parlare di questa diversità, si presenterebbe paradossalmente «come qualcosa di definito e non definito», p. 245. In questo senso, Garroni vedeva l’importanza del tema filosofico della spazialità come esemplare di un tema che mette in questione la stessa nozione di filosofia trascendentale (p. 249 e sgg.), rendendo impossibile intenderla come fondazionalismo, ma sempre solo come risalimento, interno all’esperienza, alle condizioni di possibilità di quella stessa esperienza. 28 Kant è ben consapevole della paradossalità del linguaggio filosofico: «I concetti e i principi della ragione che sono corretti in concreto riguardo a oggetti del mondo o dei sensi, tanto di quelli reali quanto di quelli possibili, ci conducono, se li si risale, a limiti che non possono essere comprensibili a partire da queste stesse regole; poiché la loro utilizzabilità vale solo all’interno di questi limiti. Tuttavia, della conoscenza di ciò che pone questi limiti non possiamo fare a meno, in quanto serve a confermare e spiegare ciò che sta all’interno di questi limiti [Die Begriffe und Sätze der Vernunft, welche in concreto in Ansehung der Gegenstande der Welt oder der Sinne richtig sind, so wohl der Wirklichen als Moglichen, führen uns, wenn man zurükgeht, auf Grentzen, die nicht nach eben diesen Regeln begreiflich seyn könen; denn ihre Brauchbarkeit gilt nur innerhalb diesen Grentzen. Gleichwohl könen wir uns der Erkentnis dessen, was diese Grentzen setzt, so fern nicht entbrechen, als es nach Regeln unsrer concreten Venunft das, was innerhalb der Grentzen ist, zu erklären und zu bestätigen dienet]». KGS XVII 526; Refl. 4379 (1772-1778). 29 Nei Metaphysische Anfangsgründe der Naturwissenschaft (1786, MANW), Kant parla di «velocità spaziale [räumliche Geschwindigkeit]» e di «significato spaziale [räumliche Bedeutung]» della velocità per distinguerla dalla rapidità della rotazione, che non sarebbe spaziale. MANW, KGS IV 484; trad. it., Princìpi metafisici della scienza della natura, a cura di Paolo Pecere, Milano, Bompiani, 2003. «Räumlich» ha qui, dunque, un senso restrittivo riguardo a un senso più generale in cui sarebbe, come è naturale, spaziale anche la velocità angolare, secondo il periodo.
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re storico intoccato».30 Se invece se ne volesse fare uso nella fede razionale, sarebbe la fede razionale a venirne danneggiata, perché imporrebbe un materialismo della personalità dell’essere umano (Materialism der Persönlichkeit des Menschen), e con esso il materialismo di una presenza che non potrà che essere spaziale (nicht anders als räumlich sein könne).31 Kant ritiene, invece, che lo spiritualismo della personalità sia più vantaggioso per la ragione (der Vernunft günstiger).32 Dopo la morte il corpo «può restare morto nella terra» e questa stessa persona, che è vivente «come spirito (nella sua qualità non sensibile)», può raggiungere «la sede dei beati [Sitz der Selige] senza essere spostata [versetzt] in un luogo qualunque nello spazio infinito che circonda la terra (e che noi chiamiamo anche cielo)».33 Il racconto della risurrezione di Cristo verrebbe certo incontro «al modo rappresentativo sensibile degli esseri umani», così come il pensare spazialmente la sede dei beati. Se, però, questo modo rappresentativo sensibile è preso alla lettera (buchstäblich genommen), cioè non è inteso come un modo conoscitivo solamente simbolico, ma come conoscenza vera e propria, le conseguenze sono gravi sia dal punto di vista dell’interesse teoretico sia da quello pratico.34
30 Die Religion innerhalb der Grenzen der bloßen Vernunft (1793, Rel.), KGS VI 128; trad. it., La religione entro i limiti della sola ragione, a cura di Alfredo Poggi, revisione e introduzione di Marco M. Olivetti, Roma-Bari, Laterza, 1980, p. 141 nota: «kann ihrer historischen Würdigung unbeschadet zur Religion innerhalb der Gränzen der bloßen Vernunft nicht benutzt werden». 31 Ibid. 32 Ibid. 33 Ibid. Lo spostamento (l’essere versetzt) dell’anima in un’altra regione dell’universo, un non ben precisabile cielo, richiederebbe, secondo Kant, di pensare altre materie come condizioni dell’esistenza e della conservazione di questi esseri viventi, Rel., KGS VI 129; trad. it., p. 142. «vermuthlich andere Materien die Bedingung des Daseins und der Erhaltung lebender Wesen ausmachen möchten». 34 Anche il punto di vista mistico si oppone alla teologia popolare che vuole potersi rappresentare i viaggi delle anime e i luoghi di paradiso e inferno: «Molti credono che il cielo o l’inferno siano un luogo chiuso e corporeo [Viel wehnen der Himmel oder die Helle sey ein beschließlicher, leiblicher Ort]» VALENTIN WEIGEL, Ein nützliches Tractätlein vom Ort der Welt, Halle, Christoph Bißmarck, 1614, cap XIV, p. 47. Cit. in ALEXANDRE KOYRÉ, Mystiques, spirituels, alchimistes du XVIe siècle allemand, Paris, Gallimard, 1971, p. 162. Anche alcuni termini, come «localiter», ricordano la terminologia kantiana: «16. Che l’ascensione in cielo di Cristo non è avvenuta localiter, come neanche la sua discesa agli inferi, ma che è salito in cielo dal Padre, che tutte le creature adempie, e non è legato ad alcun luogo. E la sua discesa agli inferi è che Dio prese dimora nella nostra carne terrena, nello strazio, angoscia, miseria e lutto, e con la sua opera distrusse il regno del diavolo [16. Das Christi Himmelfahrt nicht sey geschehen localiter, gleich wie auch seine Hellenfarth, sondern er ist in Himmel gefahren zum Vater, welche alle Creaturen erfüllet, und an keinen Ort gebunden ist. Und seine Hellenfahrt ist, daß sich Gott in unser irdisch Fleisch lies, in Jammer, Angst, Noth, Todt, und durch sein Werck des Teufels Reich zerstörete]». Cap. 16, § 16, p. 54. Interessante notare che di questo libro Leibniz farà ampi riassunti, quasi delle trascrizioni. Cfr. GOTTFRIED WILHELM LEIBNIZ, Sämtliche Schriften und Briefe, Sechste Reihe: Philosophische
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Benché sia chiaro che ciò corrisponde alla necessità di tenere separato il mondo fenomenico della causalità naturale dalla causalità noumenica della libertà, nel parlare spazialmente dell’altro mondo sia pure simbolicamente, c’è sempre una possibilità di fraintendimento. Chi d’altronde «esclude ogni elemento intuitivo [wenn er alles Intuitive wegläßt]» nel parlar di Dio, non ne può neanche parlare simbolicamente e cade dall’antropomorfismo nel deismo.35 La rinuncia assoluta a parlare simbolicamente ha, tuttavia, conseguenze più generali. Un altro caso interessante, che non appartiene alla sola sfera pratica, è quello rappresentato dalle considerazioni che fa Kant nella Dissertatio sul tradizionale tema della localizzazione dell’anima. È un caso interessante anche dal punto di vista terminologico, perché volendo trovare in Kant un termine per «spazialità» si potrebbe pensare al termine «localitas» 36 che Kant usa solo una volta per parlare, appunto, della spazialità di ciò che è immateriale (localitas immaterialium). Naturalmente Kant sostiene che la presenza dell’immateriale nel mondo corporeo è non localis nonostante comunemente se ne parli in questo modo improprio (ita impropie vocitetur).37 Il tema, in questo caso, è più generale di quello del destino dell’anima dopo la morte, perché riguarda il rapporto tra anima e corpo non solo dal punto di vista pratico: Non c’è commercio [commercium] tra corpo e anima (immateriale) perché essa è legata a un luogo, ma gli si attribuisce semmai un luogo determinato nell’universo perché è in un commercio comune con un certo corpo; quando questo commercio è sciolto, cessa ogni suo luogo nello spazio [omnis ipsius in spatio positus tollitur].38 Schriften, a cura della Berlin-Brandenburgischen Akademie der Wissenschaften, VI (1677 - giugno 1690), a cura di Heinrich Schepers et. al., Berlin, Akademie Verlag, 1999, p. 2675: «daß Christi Hollenfarth und Himmelfarth nicht sey geschehen localiter, denn seine hollenfarth ist daß sich gott in unser irdisch fleisch ließ, in jammer angst, noth todt, und durch sein werck des teufels willen zerstorete». Sull’interessante questione del perché un autore come Weigel, di interessi essenzialmente religiosi e spirituali, si occupi così diffusamente in questo libro di determinazioni spaziali di questo mondo, v. MASSIMO L. BIANCHI, Osservazioni sulla sfera tra Paracelso e Böhme, in Sphaera. Forma immagine e metafora tra Medioevo ed età moderna, a cura di Pina Totaro e Luisa Valente, Firenze, Olschki, 2012, pp. 291-306: 303; ma, più in generale, cfr. MASSIMO L. BIANCHI, Natura e sovrannatura nella filosofia tedesca della prima età moderna. Paracelsus, Weigel, Böhme, Firenze, Olschki, 2011, pp. 219-220, in particolare pp. 236 sgg. 35 Sempre KU § 59, B 257-258. 36 Dissertatio Nota § 30, KGS II 419. Il termine tedesco che usa Norbert Hinske per tradurla (nell’edizione delle opere di Kant a cura di W. Weischedel, cit., V, p. 107) è Örtlichkeit che non ha occorrenze negli scritti di Kant, nei quali si trova solo l’aggettivo örtlich. Il termine Localität è usato solo nel senso di localizzazione, KGS II 442. Forse si dovrebbe distinguere in italiano tra la spazialità (spatialitas) come generale sia pur problematica concezione dello spazio, dalla spazialità come la qualità dell’essere un luogo, o in un luogo, la localitas, appunto. 37 Dissertatio § 27, KGS II 414; trad. it., p. 455. 38 Dissertatio § 30, nota, KGS II 419; trad. it., p. 461. Kant riprende qui quasi alla lettera quel che aveva scritto LEONHARD EULER, Briefe an eine deutsche Prinzessin über verschiedene Ge-
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L’espressione commercium rende chiaro che si tratta di una comunanza non solo o non tanto spaziale, quanto legata alla reciprocità di forze, infatti la presenza è non localis, ma virtualis. Si potrà, dunque, parlare di localitas solo derivativa.39 È interessante notare che, sia nella Dissertatio sia nella Religion, i termini räumlich e localis sono usati per caratterizzare esclusivamente il mondo sensibile: parlare di una spazialità soprasensibile è sempre improprio. Già sulla base di questo esempio, si può dire che non esiste una teoria unitaria della spazialità in Kant che possa tenere insieme la spazialità del mondo sensibile e la spazialità della «sede dei beati» 40 o la localitas animae. Tuttavia, negare spazialità al «Sitz der Selige» o alla localitas derivativa è, sia pure linguisticamente, una contraddizione; serve però proprio a rendere evidente che per parlare di fatti spirituali (risurrezione, comunanza delle anime) si possono usare solo espressioni simboliche, cioè secondo un modo rappresentativo che può dirsi conoscitivo unicamente quando ha un uso pratico.41 Per dire della non spazialità della sede dei beati dobbiamo, tuttavia, conservare un residuo intuitivo senza il quale non c’è neanche modo rappresentativo simbolico. Devono pur esserci aspetti dello spazio che servono per esibire simbolicamente la comunanza degli spiriti, o la vita non sensibile dopo la morte come movimento, passaggio, ecc. Un residuo analogico di spazialità, un’intuitività minimale, deve pur aderire alla parola sede dei beati, e deve essere in qualche modo qualificata per poter essere distinta dalla non spazialità, per esempio, della sensazione.42 I modi per dire la spazialità sono diversi tra di loro: la spazialità simbolica non è la
genstände aus der Physik und Philosophie, trad. dal francese (1768-1772), 3 voll, Leipzig, J. F. Junius, 1769-1773, lettera 92 del 10 gennaio 1761, II, p. 52. È assurdo domandarsi «“in quale luogo esiste uno spirito?”, non appena si lega uno spirito a un certo luogo, gli si attribuisce un’estensione [in welchem Orte ein Geist existiere?, sobald man einen Geist an einen gewissen Ort bindet, so legt man ihm eine Ausdehnung bey]». Se invece pensiamo alla facoltà di uno spirito di agire su un corpo «allora questo effetto si realizza senza dubbio in un certo luogo [so geschiehet diese Wirkung ohne Zweifel in einen gewissen Orte]». 39 Kant ritiene che lo spazio newtoniano (spatium sensorium omnipraesentiae divinae) «intima praesentia fanatice repraesentatur». KGS XVII 432; Refl. 4144 (1769-1775). Dio è ens extramundanum: non si dà, infatti, «commercium ut anima mundi». KGS XVIII 473; Refl. 6164 (1780-1789). Negli anni Settanta il rapporto tra Dio e lo spazio è, sì, simbolico, ma molto ricco di conseguenze; cfr. KGS XVII 456; Refl. 4208 (1769-1770). Basti considerare, d’altronde, che, se non newtoniana, la sua posizione di quegli anni è non lontana dall’occasionalismo di Malebranche. Cfr. Dissertatio, KGS II 410; trad. it., p. 450. 40 La traduzione italiana rende «Sitz» con «soggiorno», ovvero, con una metafora temporale (come sarebbe però anche «dimora»); l’incongruità del parlare di una sede non spaziale risulta però in tal modo meno evidente. 41 Cfr. KU § 59, B 257. 42 Cfr. supra i riferimenti nella nota 22.
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stessa di quella che entra nelle nozioni giuridiche di possesso, e tanto meno di quella dell’organizzazione topica delle conoscenze. Questo vale anche per le modalità spaziali non necessariamente simboliche: c’è una differenza tra la spazialità del corpo animato (Leib) e quella del corpo fisico (Körper). Per parlare di queste modalità spaziali, o non spaziali, si deve quindi supporre una almeno problematica nozione di spazialità che possa variamente servire nel discorso filosofico. Se questa nozione solo regolativa rende possibile il discorso filosofico in quanto discorso sistematico, essa è anche alla base della sua interpretazione, serve cioè per cercare sistematicità e interrelazioni nella terminologia dello spazio. Per abbozzare una empirica e provvisoria delimitazione dell’area semantica della spazialità bisogna quindi non essere limitati a un unico punto di vista o a metodi aprioristici, ma usare gli strumenti della lessicografia volta per volta utili per determinare il valore dei termini in un sistema sia pure dinamico e non coerente dappertutto. Topik, Stelle: una mappa terminologica Un tentativo di mappa terminologica potrebbe essere fatto seguendo le stesse indicazioni di Kant, mettendo così in evidenza anche un importante aspetto metateorico della terminologia della spazialità. Quando Kant introduce la funzione metodologica delle categorie (e per non distrarre il lettore dallo scopo principale dell’opera si dispensa dalla loro definizione) 43 afferma che già dalle poche indicazioni che ha fornito sarebbe possibile e anzi facile realizzare «un vocabolario completo [vollständiges Wörterbuch]».44 Per illustrare questa completezza sistematica basata sulla tavola delle categorie, Kant introduce la topica, collaudato strumento per organizzare (spazialmente) le conoscenze: 43 KrV B 108/A 82. Al lettore questa può sembrare un’affermazione irritante, o perfino ipocrita; corrisponde, invece, alla concezione kantiana di sistema per la quale il ruolo della definizione è ben diverso da quello che ha nella concezione razionalistica. Per Christian Wolff la definizione è cellula costruttiva del sistema, la filosofia ha la matematica come modello: «non utitur terminis nisi accurata definitione explicatis», CHR. WOLFF, Philosophia prima, cit., II sez., II, p. 4. Per Kant, invece, «[n]ella matematica la definizione spetta ad esse, nella filosofia ad melius esse». KrV B 758/A 730. 44 KrV B 109/A 83. Nei Prolegomena zu einer jeden künftigen Metaphysik die als Wissenschaft wird auftreten können (1783, Prolegomena) la funzione topica delle categorie è altrettanto chiara: «Questo sistema delle categorie rende poi anche sistematica ogni trattazione di un qualunque oggetto della ragione pura [Dieses System der Kategorien macht nun alle Behandlung eines jeden Gegenstandes der reinen Vernunft systematisch]», Prolegomena § 39, A 121, KGS IV 325; trad. it. di Pantaleo Carabellese riv. da H. Hohenegger, Roma-Bari, Laterza, 1996, p. 165. Sulla questione rimane attuale INGEBORG HEIDEMANN, Die Kategorientafel als systematischer Topik, in Akten des 4. Kant-Kongresses (Mainz 6.-10. April 1974), cit., III, pp. 55-66.
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Una volta date le caselle non bisogna far altro che riempirle e una topica [Topik] sistematica come quella presente non permette di sbagliare il posto [Stelle] al quale appartiene propriamente ciascun concetto e, nello stesso tempo, far notare quelli che sono ancora vuoti.45
La tavola delle categorie è certo il momento sistematico più importante della filosofia critica, la sua cellula generativa. Non può essere un caso se, nella sua funzione architettonica, si presenta con i tratti spaziali di una topica. Già l’espressione tavola delle categorie poteva suggerire che lo spazio in quanto istanza d’ordine come un tutto che precede le parti non può non fare parte degli strumenti del sistema. Quando propone questo vocabolario completo, Kant non sta quindi certo pensando ai lessici filosofici eruditi del XVII secolo, ma neanche a un lessico organizzato more geometrico che abbia, invece di spiegazioni linguistiche del significato delle voci, definizioni rigorose alla base di un sistema in cui tutto si regge in un nesso dimostrativo. L’associazione tra lessico filosofico e ontologia non è però nuova: Wolff fa un esplicito confronto tra ontologia e lessico 46 per evitare che la sua ontologia, così ricca di definizioni, sia confusa con lessici in cui non si trovano che spiegazioni sul significato delle parole: «Ontologia sive philosophia prima Lexicon philosophicum non est».47 Dal punto di vista di Wolff, tuttavia, un lessico che avesse potuto contare su definizioni genetiche e dimostrazioni rigorose sarebbe stato una filosofia prima, o ontologia. Kant non crede, naturalmente, che il «vocabolario completo» basato sui concetti puri dell’intelletto possa essere come KrV B 109/A 83. CHR. WOLFF, Philosophia prima, cit., § 25: «Impositum vero fuit Ontologiae nomen Lexici philosophici, cum moris esset […]». In una lettera a Holland, Lambert scrive che Wolff ha provato a dire che l’ontologia non è un lessico con sole definizioni nominali, e che «Le sue definizioni sono, sì, in alcuni casi migliori di quelle scolastiche, ma appartengono pur sempre a un lessico [Seine Definitionen sind zwar in einigen Fällen besser als di Scholastischen, gehören noch immer in einen Lexicon]». JOHANN HEINRICH LAMBERT, Deutscher gelehrter Briefwechsel, 5 voll. a cura di Johann Bernoulli, Berlin, Selbstverlag, 1781-87, I, p. 58. Ristampa in J. H. LAMBERT Philosophische Schriften, 10 voll. a cura di Hans Werner Arndt e Lothar Kreimendahl, Hildesheim, Georg Olms, 1965-2008. Cit. in VINCENZO DE RISI, Geometry and Monadology: Leibniz’s Analysis Situs and Philosophy of Space, Basel, Birkhäuser Verlag AG, 2007, p. 22, con considerazioni importanti sul rapporto tra Wolff e Leibniz riguardo al ruolo delle definizioni. 47 CHR. WOLFF, Philosophia prima, cit., § 25. Nel suo commento alla Metafisica di Wolff (che Kant almeno all’inizio della sua carriera ha usato), Baumeister ripete che il lessico spiega il significato di una parola o offre la sua traduzione, mentre nella filosofia prima o ontologia i termini sono «affermazioni generali dimostrate secondo un nesso continuo e legittimo [generales positiones continuo legitimoque nexu demonstrentur]». Negare che l’ontologia sia un lessico è anche una forma di difesa contro quanti disprezzandola sostengono che l’ontologia sia un «Lexicon philosophicum, farraginem item terminum barbarorum et horrisonorum». FRIEDRICH CHRISTIAN BAUMEISTER, Institutiones metaphysicae […] methodo Wolffii adornatae (17361), Wittenberg, Zimmermann, 1739, § 13, p. 12. 45 46
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un lessico linguistico,48 ma ritiene che pur rinunciando a definizioni e metodo dimostrativo, ovvero «all’orgoglioso nome di ontologia», questo vocabolario potrà ricevere la sua sistematicità dall’analitica trascendentale, che di quella ontologia vuole essere la versione critica.49 Un vocabolario critico avrà, dunque, caratteristiche proprie: un principio di organizzazione sistematica in qualche modo spaziale, con pretesa alla completezza e, però, anche dinamico grazie alle scoperte suggerite dai posti vuoti nella topica. Se si giudicasse questo vocabolario dal sistema terminologico che Kant ha effettivamente costruito, si dovrebbe pensare che la tavola delle categorie gli sia servita piuttosto come strumento euristico che come principio di ordine e coerenza.50 Nello studio della terminologia, però, bisogna sempre tener presente anche l’esigenza di coerenza che il riferimento a un tale vocabolario esprime. Nel caso della terminologia della spazialità, conferme dei vantaggi di questa impostazione ermeneutica potrebbero venire proprio dallo studio del legame tra la nozione di sistema e quella di spazio, ovvero dall’esame di come la riflessione critica abbia trasformato le nozioni di spazio e di sistema. Il punto di partenza dell’indagine potrà essere la coppia Topik-Stelle, topica-locus, che mette bene in evidenza un’opposizione fondamentale della terminologia spaziale dal punto di vista del metodo. Tale coppia corrisponde bene, inoltre, a quella coppia spatium-locus, in cui nel modo più generale si trova l’opposizione tra spazio come quadro di riferimento, condizione di possibilità, elemento formale della conoscenza e luogo come posto in un sistema, condizionato, argomento in una funzione ecc. A partire da questa coppia si possono, infatti, analizzare altre opposizioni terminologiche. Tenendo, però, sempre presente che questa opposizione più generale si complica in molti modi diversi perché entra in gioco anche ciò che fa da
48 I lessici filosofici sembrano fatti piuttosto per non leggere approfonditamente: Kant era stato critico verso coloro che avevano letto la KrV con l’ausilio del vocabolario, ma non l’avevano seriamente pensata. Über eine Entdeckung nach der alle neue Kritik der reinen Vernunft durch eine ältere entbehrlich gemacht werden soll (1790), KGS VIII 223. 49 KrV B 302/A 247. 50 Si potrebbe costruire una dialettica della terminologia in cui da un lato si pongono i vantaggi di una terminologia euristica e indagativa e dall’altro una terminologia funzionale e coerente. La prima potrebbe essere rappresentata nella regola: «Non legarsi a terminologie e formule [Sich nicht an Terminologien fesseln und an Formeln]». KGS XVI, p. 819, mentre la seconda dall’espressione «algoritmo trascendentale» (transscendentalen algorithmus). Questa curiosa espressione si trova in una Refl. in cui Kant pensa all’elaborazione tecnica di una scienza della ragione nella quale un algoritmo trascendentale possa attribuire a ogni concetto la sua funzione (kann man bey der Bezeichnung iedem Begriffe seine Function geben). Cfr. KGS XVIII, p. 34; Refl. 4937 (1776).
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terzo elemento tra condizione e condizionato, e anche ciò che è al di fuori dell’ambito del rapporto tra condizione e condizionato, ovvero l’incondizionato. Topica trascendentale, logica e fisica L’uso non proprio frequente dei termini Topik e, in latino, topica, è però costante negli scritti kantiani.51 Kant riconosce l’origine del termine nella logica aristotelica e se, per un verso, la topica è caratterizzata negativamente come un abbellimento della vuota arte sofistica, ovvero in quanto dialettica è una logica della parvenza,52 intesa, invece, come «vera topica» ha un importante ruolo architettonico.53 La systematische Topik della KrV si potrebbe dire che stia, infatti, alla topica aristotelica come la tavola delle categorie kantiane sta all’elenco «rapsodico» 54 delle categorie aristoteliche. La transzendentale Topik che si trova nel capitolo Sull’anfibolia dei concetti di riflessione non è una semplice applicazione della topica sistematica, ma una parte fondamentale della KrV: pur facendo parte dell’Analitica è, in qualche modo, già parte della Dialettica trascendentale in quanto serve a svelare gli inganni (Blendwerke) che derivano dalla surrezione trascendentale, ovvero dallo scambio o anfibolia di oggetti dell’intelletto per fenomeni.55 Il compito di cerniera che questo capitolo ha tra Analitica e Dialettica trascendentale consiste proprio nell’individuazione, tramite i concetti di riflessione, del transzendentaler Ort, ovvero nello stabilire per ogni rappresentazione (intuitiva o intellettuale) la facoltà che gli corrisponde. Solo così gli opposti errori (razionalismo ed empirismo) che derivano dall’equivoci51 Data l’origine logica o retorica del termine, stupisce che il termine compaia piuttosto raramente nelle note manoscritte di logica, dove ci si potrebbe aspettare una maggiore frequenza, almeno se la si compara con la frequenza nelle opere pubblicate. KGS XVI 779, 475. 52 KrV B 84/A 61. Cfr. KrV B 324-325/A 268-269. 53 Nella Logik Pölitz si parla della «vera topica [wahre Topik]» che non è «il semplice enumerare di temi [das bloße herzählen der Thematen]», ma «sarebbe un’impareggiabile guida alla riflessione nelle scienze [würde eine unvergleichliche Anleitung zum Nachdenken in Wißenschaften seyn]». Quando il luogo (Ort) è «determinazione di una conoscenza in un possibile sistema [Bestimmung einer Erkenntniß in einem möglichen System]» si tratta di un «locus scientificus», KGS XXIV 2, 597. Se, in questo senso, la topica è una sola, esistono molti modi di organizzare il sapere nelle varie scienze o discipline, locus grammaticus, locus logicus, ma anche un luogo morale o politico, Cfr. Logik Busolt, KGS XXIV 2, 683. Nella Logik Dohna-Wundlacken, si trova una trattazione della Topik in cui è esposto il locus geometricus dal quale deriverebbero il nome gli altri loci, per il fatto che illustra come un problema permetta un’infinità di soluzioni. KGS XXIV 2, 787. 54 KrV B 106/A 81. 55 KrV B 324/A 268. Nota all’anfibolia dei concetti di riflessione.
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tà dei concetti sono superabili: Leibniz che «intellettualizzò i fenomeni» e Locke che «aveva sensualizzato tutti i concetti dell’intelletto».56 La più importante applicazione, già nella KrV, della topica sistematica è la Topik der rationalen Seelenlehre, nel capitolo sui Paralogismi. I suoi momenti seguono, almeno nelle dichiarazioni, il Leitfaden delle categorie, ma fanno riferimento anche alla transzendentale Topik.57 Un uso che chiarisce bene il possibile valore euristico della topica si trova nella Metaphysik der Sitten (1797): la Topik der Prinzipien è in questo caso strumento per trovare un «concetto del diritto recentemente proposto», ovvero per trovargli un posto (Platz) nella tradizionale divisione dei concetti giuridici in diritto personale e diritto reale.58 Si tratta del controverso concetto di «diritto personale di tipo reale [auf dingliche Art persönlichen Rechts]». Nell’Anthropologie la topica è sinonimo di Fachwerk, quasi una scaffalatura per i concetti.59 In questo senso la topica è una forma di memoria, come un receptaculum,60 sebbene interno e mentale. L’Opus postumum è probabilmente il testo in cui il termine ricorre più spesso. Uno degli obbiettivi che vi si propone Kant è, infatti, di trovare una «Topik der bewegenden Kräfte der Materie» che permetta il passaggio dalla metafisica della natura alla fisica.61 Come si vede, per via della sua funzione metodologica, la topica, più o meno esplicitamente, si trova in tutti i contesti disciplinari: logica, filosofia trascendentale, metafisica del diritto e della natura, scienze empiriche. In tutti questi contesti sarà lecito aspettarsi di trovare termini appartenenti all’area semantica della spazialità, ma se si deve scegliere un testo
KrV B 326-327/A 270-271. KrV B 402/A 344. Da segnalare che pur seguendo il filo conduttore della tavola delle categorie, Kant ne cambia l’ordine, come fa quasi sempre nell’applicazione della tavola ai casi concreti. 58 MdS, KGS VI 357, ma anche 363. 59 Anthr. B 95, KGS VII 184. 60 «Absolutum et immensum rerum possibilium receptaculum» è, per Kant, la caratterizzazione negativa dello spazio come contenitore vuoto. Dissertatio, KGS II 403; trad. it., p. 442. Baumeister chiama invece receptaculum la memoria attribuendole la stessa natura ontologica che Kant attribuisce allo spazio: «Ita memoria, cum concipitur vt idearum receptaculum, est ens imaginarium». F. CHR. BAUMEISTER, Philosophia definitiva (1734), Wittenberg, Ahlfeld, 1767, p. 71. Per lo spazio come ens imaginarium, KrV B 347/A 291. 61 KGS XXI 483: «Nella misura in cui la somma di queste forze motrici permette una suddivisione in classi fondata su concetti a priori, si deve dare una topica delle forze motrici della materia nella quale ad ognuna di queste forze viene indicato il suo luogo (locus communis) nel sistema [So fern die Summe dieser Kräfte eine Classeneintheilung a priori zulaßt die auf Begriffe a priori gegründet ist so muß es eine Topik der bewegenden Kräfte der Materie geben wo jeder dieser Krafte ihr Ort (locus communis) im System angewiesen wird]». Cfr. XXI 57, 179, 288, 485, 487, 631, XXII 256, 291, 299, 308, 355, 356, 381 in questo caso la Topik der Begriffe è detta Erörterung. 56 57
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da cui partire per trovare un filo conduttore e un’articolazione del sistema terminologico della spazialità, il candidato migliore è senz’altro il capitolo Sull’anfibolia dei concetti di riflessione in cui è tematizzata la topica trascendentale. Questo capitolo è, infatti, un buon punto di partenza per studiare la concezione dello spazio nella sua massima generalità. Qui si riprende in forma più articolata il tema della necessità di una scientia propaedeutica, quale era stata esposta nella Dissertatio, «quae discrimen docet sensitivae cognitionis ab intellectuali»,62 e si porta a termine la confutazione della monadologia,63 proponendo come unica alternativa la concezione critica dello spazio.64 Non a caso questo capitolo non tratta solo i luoghi trascendentali, ma, oltre a quello logico (logischer Ort),65 anche il luogo fisico (physischer Ort).66 Due cose indistinguibili con le sole determinazioni interne (concettuali) possono essere distinte per il fatto che occupano due diversi posti nello spazio. La conclusione antirazionalistica di questa considerazione è che la differenza tra interno ed esterno (coppia di concetti della riflessione particolarmente importanti per lo spazio e per il tempo) non è una distinzione solo concettuale.67 Nel capitolo sull’Anfibolia è esplicitata la confutazione sistematica, vale a dire secondo l’ordine delle categorie o dei concetti di riflessione, della concezione dello spazio secondo razionalismo ed empirismo. Muovendo da esso si può pensare di organizzare al meglio un percorso lungo una mappa sistematica.
KGS II 395, § 8; trad. it., p. 431. KrV B 319-320/A 263-264, e poi B 339/A 283 sgg. 64 Non è un caso se è sempre in questo capitolo che Kant conduce l’attacco più duro alla pneumatologia, ovvero al fraintendimento (razionalista ed empirista) della natura del senso interno. Per questo motivo, anche per il tempo e il senso interno questo capitolo può valere come punto di partenza e luogo di irraggiamento sistematico della terminologia della coscienza. Cfr. H. HOHENEGGER, La terminologia della coscienza in Kant: pars destruens, in Coscienza nella filosofia della prima modernità, a cura di Roberto Palaia, Firenze, Olschki, 2013, pp. 135-168, p. 167. In una singolare Refl. la relazione tra un posto nella mente (che è categoriale) e i posti tra di loro (relazioni in qualche modo date) sembra possibile solo nel reciproco condizionarsi; si potrebbe dire che Kant si proponga qui una confutazione topica dell’idealismo: «topico. Posto nell’animo, posto tra posti. L’animo non può essere cosciente di sé se non mediante i fenomeni che corrispondono alle sue funzioni dinamiche ed esser cosciente dei fenomeni solo mediante le sue funzioni dinamiche [topisch. Stelle im Gemüth, stelle unter einander. / Das Gemüth kan sich seiner selbst nur durch die Erscheinungen bewust werden, Die seinen dynamischen functionen correspondiren, und der Erscheinungen nur durch seine dynamischen functionen]». KGS XVII 675; Refl. 4686 (1773-1778, 1804). 65 KrV B 324-325/A 268-269. 66 KrV B 328/A 272. 67 KrV B 330/A 274. 62 63
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La terminologia della spazialità tra logica ed estetica Il primo passo su questa mappa può essere quello di indagare la funzione dei termini spaziali nell’ambito della riflessione metafilosofica, ovvero procedere come nell’Anfibolia esaminando i luoghi trascendentali della conoscenza, e in particolare la distinzione tra sensibilità e intelletto. L’ipotesi è che per stabilire questa distinzione trascendentale sia stata determinante proprio la riflessione sullo spazio, nel suo confronto con il tempo. Le novità terminologiche nell’area semantica della spazialità sarebbero cioè dovute alla necessità di elaborare gli strumenti per dar conto criticamente del vizio metafisico della confusione tra sensibilità e intelletto. Nel procedere in questo modo si segue la strada tracciata da Norbert Hinske, il quale in uno dei colloqui del Lessico intellettuale europeo ha sostenuto che il primo importante punto di svolta (Weichenstellung) nella terminologia kantiana è avvenuto negli anni che precedono immediatamente la Dissertatio. Sono gli anni in cui Kant sosteneva che i grandi conflitti della tradizione filosofica derivassero da una «permutatio intellectualium et sensitivorum».68 In questa descrizione della terminologia della spazialità si può provare, appunto, a mostrare come per rispondere criticamente alla peculiare equivocità della nozione di spazio sia stato necessario un arricchimento terminologico e una moltiplicazione dei piani del discorso. Se68 N. HINSKE, Kants neue Theorie der Sinnlichkeit und ihre Sprachregelungen, in Sensus/Sensatio. VIII Colloquio Internazionale del Lessico Intellettuale Europeo (Roma, 6-8 gennaio 1995), a cura di Massimo L. Bianchi, Firenze, Olschki, 1996, pp. 527-540, p. 533. Hinske cita Dissertatio KGS II 412; trad. it., p. 452, il passo certo più vicino al capitolo Sull’Anfibolia dei concetti di riflessione della KrV. In un altro articolo decisivo per gli studi terminologici kantiani, Hinske aveva sostenuto che la svolta terminologica era avvenuta nel cosiddetto decennio silenzioso di preparazione alla KrV (1770-1781); N. HINSKE, Kants neue Terminologie und ihre alten Quellen. Möglichkeiten und Grenzen der elektronischen Datenverarbeitung im Felde der Begriffsgeschichte, in Akten des 4. Internationalen Kant-Kongresses Mainz (6.-10. April 1974), Teil I «Kant-Studien», LXV, 1974, Sonderheft, pp. 68*-85*: 69*, seguendo in questo Giorgio Tonelli, che viene, cit. a p. 72* (GIORGIO TONELLI, Das Wiederaufleben der deutsch-aristotelischen Terminologie bei Kant, während der Entstehung der Kritik der reinen Vernunft, «Archiv für Begriffsgeschichte», IX, 1964, pp. 233-242: 236. Nel 1995 Hinske non ha avuto un ripensamento, ma piuttosto ha sviluppato una valutazione più approfondita del ruolo avuto dalla sensibilità nella svolta critica. Infatti questa prospettiva interpretativa era già in nuce nell’impostazione di Tonelli che partiva dall’«assodata derivazione della teoria della sensibilità della Dissertatio dall’estetica come critica del gusto», G. TONELLI, Kant, dall’estetica metafisica all’estetica psico-empirica. Studi sulla genesi del criticismo (1754-1771) e sulle sue fonti, «Memorie della Accademia delle Scienze di Torino», Serie 3ª, tomo 3, parte II, Accademia delle Scienze, 1955, p. 13. Tonelli, peraltro, muoveva dall’affermazione di Schlapp per il quale era necessario indagare la «Parallelisierung von Logik und Ästhetik, als Kritik des Verstandes und des Gefühls» fin dal 1764 o 1765. OTTO SCHLAPP, Kant’s Lehre vom Genie und die Entstehung der Kritik der Urteilskraft, Göttingen, Vandenhoeck & Ruprecht, 1901, p. 44.
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guendo ancora l’idea di Norbert Hinske, ciò può essere fatto a partire dal filo conduttore della terminologia logica che è sempre la cellula generativa dei concetti filosofici. Per rafforzare questa ipotesi, può essere utile vedere la distribuzione dei termini spatium e tempus nell’unico corpus kantiano che permetta, data la sua omogeneità e completezza, risultati affidabili. Corpus certo molto esiguo, in quanto è costituito dalle quattro dissertazioni latine scritte da Kant tra il 1756 e il 1770.69 In De igne, Nova Dilucidatio, Monadologia physica e Dissertatio il termine spatium compare rispettivamente 12 - 8 - 71 - 63 volte, mentre il termine tempus non compare mai né in De igne, né nella Monadologia physica, e solo 6 volte nella Nova dilucidatio, ma 108 volte nella Dissertatio.70 Un risultato che mostra come, mentre l’attenzione allo spazio è stata costante in Kant, il tempo è divenuto un tema filosofico solo intorno al 1770. Ma questo risultato suggerisce anche che è sbagliato pensare a tempo e spazio come termini quasi in endiadi: essi impongono, invece, esami separati sebbene interconnessi. In un’indagine svolta su tutto il corpus si potrebbero evidenziare asimmetrie e complementarità, e quindi determinare il diverso peso e ruolo dato a spazio e tempo nell’evoluzione del pensiero di Kant. Il dato lessicografico rende subito evidente quel che Friedrich Kaulbach ha sostenuto, ovvero che Kant si sia occupato, nel periodo precritico – segnato da un interesse per i problemi della fisica –, soprattutto dello spazio, e che solo nel 1770 sia iniziato l’interesse per il tempo.71 Nel-
69 L’altro caso è naturalmente il corpus degli scritti logici di Kant elaborato a Trier sotto la guida di Norbert Hinske pubblicati nella Indices zur Philosophie der deutschen Aufklärung della collana Forschungen und Materialien zur deutschen Aufklärung, a partire dal 1982. Cfr. N. HINSKE, Zwischen Aufklärung und Vernunftkritik. Studien zum Kantschen Logikcorpus, Stuttgart-Bad Cannstatt, Frommann-Holzboog, 1998. Sarebbe auspicabile anche uno studio lessicometrico per il resto degli scritti kantiani che non sono però, se non in pochi casi, adatti a tali ricerche. 70 Ringrazio per questi dati Ada Russo, che li ha tratti dal volume di prossima pubblicazione: Stellenindices und Konkordanz zu den vier lateinischen Dissertationen (Kant-Index, III, Indices zum Corpus der vorkritischen Schriften FMDA III, 51.1-2), a cura di Antonio Lamarra, Pietro Pimpinella, e Ada Russo, Stuttgart-Bad Cannstatt, Frommann-Holzboog, 2013. 71 «Kant hat in der Periode seines vorwiegend an der Naturphilosophie orientierten Denkens, die mit der sog. vorkritischen Zeit verbunden war, vor allem den Raum untersucht. […]. Um 1770 herum tritt bei ihm in der Folge der Entdeckung der Innenwelt […] die Zeit vorübergehend in den Vordergrund». FRIEDRICH KAULBACH, Die Metaphysik des Raumes bei Leibniz und Kant, Kantstudien-Ergänzungshefte (79), Köln, Kölner Universitäts-Verlag, 1960, p. 9. In questo libro l’esame del rapporto tra la nozione di realtà e quella variamente esplicitata di spazio (a sua volta nel suo rapporto con il tempo) offre un istruttivo punto di vista sull’insieme della filosofia trascendentale. Il confronto con Leibniz e l’esame entwicklungsgeschichtlich fornisce un’immagine complessa e dinamica della filosofia trascendentale che, nel cercare un equilibrio tra i due fuochi rappresentati dalla legge morale dentro di me e il cielo stellato sopra di me, evita però che la complessa interazione tra spazio e tempo sia ridotta all’opposizione tra natura e libertà.
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la Dissertatio il tempo acquista senz’altro un’importanza centrale che non perderà nella KrV: Il tempo, invece, si avvicina di più a un concetto universale e razionale, in quanto include assolutamente tutti i suoi rapporti, vale a dire lo spazio stesso e oltre ad esso quei suoi accidenti, che non sono compresi nelle relazioni dello spazio, come i pensieri dell’animo.72
Anche nella KrV il tempo sarà sempre «condizione immediata dei fenomeni (delle nostre anime) e quindi mediatamente anche di quelli esterni».73 Il fatto che tutte le rappresentazioni, anche quelle spaziali, debbano essere rappresentazioni del senso interno assicura il ruolo centrale del tempo nella KrV, non solo per la concezione dell’autoaffezione, ovvero per la concezione dell’io empirico, ma, forse soprattutto, per lo schematismo dei concetti puri dell’intelletto. L’intuizione interna temporale non ha, però, Lage né Gestalt 74 e deve quindi supplire con analogie, affinché le relazioni che sono nel tempo (la sequenza temporale) possano essere rappresentate in una linea che si estende all’infinito. Solo grazie a questa analogia possiamo dire che «la rappresentazione del tempo è essa stessa un’intuizione perché tutti i suoi rapporti si possono esprimere con un’intuizione esterna».75 Proprio nel rapporto con lo spazio, il tempo – che è un tema per certi versi nuovo –, dovrà assumere la sua fisionomia critica. Infatti, se il discrimine tra sensibilità e intelletto è il primo passo critico, la reciproca condizionatezza di spazio e tempo è un altro passo importante, che non si compirà tutto in una volta. La metafisica dello spazio e del tempo ha subito in Kant importanti modificazioni, se non nelle motivazioni,76 nella fisionomia: dalla monadologia 72 KGS II 405, A 23 sec. III, Coroll.; trad. it., p. 444: «Tempus autem universali atque rationali conceptui magis appropinquat, complectendo omnia omnino suis respectibus, nempe spatium ipsum et praeterea accidentia, quae in relationibus spatii comprehensa non sunt, uti cogitationes animi». 73 KrV B 50/A 34: «die unmittelbare Bedingung der inneren (unserer Seelen) und eben dadurch mittelbar auch der äußeren Erscheinungen». Cosa possa significare «immediatamente» in diversi contesti si capisce quando si legge insieme a questa affermazione quanto Kant scrive nella Confutazione dell’idealismo: «Solo qui si dimostra che l’esperienza esterna è propriamente immediata, e che solo per suo mezzo è possibile, non certo la coscienza della nostra propria esistenza, ma la sua determinazione nel tempo, ossia l’esperienza interna. [Allein hier wird bewiesen, daß äußere Erfahrung eigentlich unmittelbar sei, daß nur vermittelst ihrer, zwar nicht das Bewußtsein unserer eigenen Existenz, aber doch die Bestimmung derselben in der Zeit, d. i. innere Erfahrung, möglich sei]». KrV B 267-277. 74 KrV B 50/A 33. 75 Ibid. 76 Kant parla della metafisica come un innamorato («La metafisica della quale ho il destino di essere innamorato [Die Metaphysik, in welche ich das Schicksal habe verliebt zu sein]», Träume eines Geistersehers, erläutert durch Träume der Metaphysik (1766, Träume), KGS II 367; trad.
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(fisica), ovvero da una concezione dinamica della materia che sapesse coniugare geometria e fisica, lo spazio è divenuto forma pura della sensibilità e, come condizione di possibilità della fisica, spazio realizzato; anche il tempo, che pure avrebbe potuto fornire alla psicologia razionale un sostrato per una pneumatologia, ha mantenuto un primato nella funzione rappresentativa del senso interno, ma al prezzo di rendere costitutiva la distinzione tra io empirico e io trascendentale. Prima del 1770, Kant, infatti, deve aver ritenuto che mediante il tempo si potesse pensare a una qualche sostanzialità del soggetto umano: «Ciò che è in luoghi diversi non permette una conoscenza mediante il senso interno. Quindi nessuna ipseità».77 La svolta critica, nella KrV, è non solo nella distinzione tra un io logico e un io intuitivo, ma anche nel fatto che questo stesso senso interno non può essere rappresentato se non spazialmente. La sintesi figurata ( figürliche Synthesis) è non solo autoaffezione, cioè «influsso sintetico dell’intelletto sul senso interno»,78 ma deve essere rappresentata spazialmente affinché l’intuizione interna sia percepita come determinata; la successione temporale deve essere internamente descritta come una linea, «che sarebbe la rappresentazione esternamente figurata del tempo».79 La duplicità dell’io è resa ancora più marcata dalla necessità di un riferimento allo spazio. Le conseguenze saranno importanti per la concezione dell’oggetto empirico, ma anche per come possiamo pensare il soggetto morale che non potrà essere pensato come sostanza («determinazioni e forze interne riferite a una realtà interna») 80 se non per un uso pratico. Il processo di separazione dell’elemento concettuale da quello intuitivo è ovviamente fondamentale per ricostruire l’evoluzione della terminologia della spazialità. Nel caso del tempo la confusione con l’elemento concettuale era la prossimità a un concetto universale, razionale, o la confusione tra senso interno e appercezione, o anche la speranza di dare un qualche contenuto a una psicologia razionale. Deve esserci una confusione simile anche per lo spazio. Il caso scelto come filo conduttore è quello di un concetto it. in Scritti precritici, cit., p. 399) e, anni dopo, dichiara che, in ogni caso, non ci si deve vergognare a farsi vedere in sua compagnia, MANW, KGS IV 479. 77 KGS XVII, p. 415; Refl. 4103 (1764-1770): «Was in verschiedenen örtern ist, verstattet keine Erkentnis durch einen inneren Sinn. mithin keine Selbstheit». Che a quell’epoca non ci sia ancora una distinzione compiuta tra io empirico e io trascendentale si vede anche dal fatto che in Die falsche Spitzfindigkeit der vier syllogistischen Figuren (1762), Kant ritiene che il senso interno sia la «segreta forza che rende possibile il giudicare [eine geheime Kraft sei, wodurch das Urtheilen möglich wird]». KGS II 60. 78 KrV B 154. «synthetischer Einfluß des Verstandes auf den inneren Sinn». 79 KrV B 154. «die die äußerlich figürliche Vorstellung der Zeit sein soll». 80 KrV B 321/A 265.
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poco indagato nella letteratura critica, il principio comune (gemeinschaftlicher Grund ). Grazie a una rapida ricognizione delle prime tappe dell’evoluzione della concezione dello spazio, sarà possibile dare il giusto valore sistematico a termini che, pur appartenendo alla logica, alla fisica o alla metafisica, non casualmente derivano dalle riflessioni sullo spazio. Sciolta l’equivocità della nozione di spazio, ovvero riconosciuta l’esigenza logica o epistemologica che vi era espressa, si troveranno le corrispondenti funzioni del principio comune. Der gemeinschaftlicher Grund Riguardo alla natura dello spazio, il primissimo Kant dei Gedanken von der wahren Schätzung der lebendigen Kräfte (1746) sembra essere su posizioni leibniziane, almeno riguardo alla questione principale: non si può parlare di «Ort» se non ci sono connessioni esterne (äußerliche Verknüpfungen), posizioni (Lagen), relazioni (Relationen).81 Come si sa Kant rovescerà l’impostazione nello scritto Von dem ersten Grunde des Unterschiedes der Gegenden im Raume (1768): «le posizioni delle parti dello spazio nelle relazioni tra di loro presuppongono la regione»,82 con la conclusione che le determinazioni dello spazio non sono conseguenze delle posizioni [Lagen] delle parti della materia tra di loro, ma queste sono conseguenze di quelle e che quindi nella costituzione dei corpi si possono trovare distinzioni e cioè vere distinzioni che si riferiscono allo spazio assoluto e originario […].83
Rispondendo alle stesse esigenze, non deve stupire che, con quasi gli stessi argomenti, Kant sosterrà pochi anni dopo, nella Dissertatio, che spazio e tempo non sono alcunché di reale o oggettivo (non sostanze, né accidenti, né relazioni), ma condizioni soggettive della sensibilità.84 Prima di 81 KGS I 22. «Weil nun ohne äußerliche Verknüpfungen, Lagen und Relationen kein Ort statt findet, so ist es wohl möglich, daß ein Ding wirklich existire, aber doch nirgends in der ganzen Welt vorhanden sei». La concezione dinamica della materia in Kant ha subito molte trasformazioni nel corso dell’evoluzione del suo pensiero, ma rimane un tema costante. Certo il punto di partenza era assai radicale: per dire che la forza esiste prima ancora dell’estensione, Kant riprende Leibniz per cui «est aliquid praeter extensionem, imo extensione prius». Gedanken § 1, KGS I 17. 82 Gegenden, KGS II 377; trad. it. in Scritti precritici, cit., p. 411. «die Lagen der Teile des Raums in Beziehung aufeinander setzen die Gegend voraus». 83 Gegenden KGS II 383; trad. it., p. 417: «Es ist hieraus klar: daß nicht die Bestimmungen des Raumes Folgen von den Lagen der Theile der Materie gegen einander, sondern diese Folgen von jenen sind, und daß also in der Beschaffenheit der Körper Unterschiede angetroffen werden können und zwar wahre Unterschiede, die sich lediglich auf den absoluten und ursprünglichen Raum beziehen […]». 84 Dissertatio KGS II 400 e 403; trad. it., pp. 441, 437.
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arrivare a questa conclusione, Kant ha però tentato soluzioni in cui ha variamente articolato la surrezione tra la sensibilità e l’intelletto, tra lo spazio (e il tempo) e i concetti logici e fisici di subordinazione e coordinazione, o simultaneità e reciprocità dinamica. Nella Nova dilucidatio, per esempio, Kant aveva sostenuto una nozione di spazio che deriva e si risolve nella presenza di sostanze in un rapporto di reciproca comunanza.85 Non erano però le sole sostanze singolarmente prese a generare lo spazio: perfino l’anima non poteva, secondo Kant, essere concepita senza un legame con altre sostanze. Anzi Kant considerava questa constatazione una confutazione dell’armonia prestabilita leibniziana.86 La conclusione che Kant traeva, a quel tempo, da tutto ciò è che solo la presupposizione di Dio può dar conto di questo nesso universale: Dato che la semplice esistenza delle sostanze non basta per dar conto del commercio reciproco e dei rapporti delle determinazioni, e che, di conseguenza, è, per via del nesso esterno [nexu externo], che si arguisce [arguat] una causa comune di tutte le sostanze [communem omnium causam], nella quale causa la loro esistenza è informata da tali rapporti, e poiché senza la comunanza di questo principio [sine principii communione] non si può concepire un nesso universale, risulta da ciò la testimonianza [testimonium] evidentissima di una causa somma di tutte le cose, cioè di Dio, e di un Dio unico. Il che, almeno a mio parere, sembra superare di molto la usuale dimostrazione della contingenza.87
Lo spazio è quel che appare di questo nesso universale, mentre la communio resa possibile da quel principio è testimonium dell’esistenza di Dio. Non si tratta di principio regolativo anche se viene chiamato Dio in causa, esso fonda più che un ordine teleologico della natura, è condizione di un’esperienza interconnessa; per questo motivo sembra a Kant valere più di 85 Principiorum primorum cognitionis metaphysicae nova dilucidatio (1755, Nova dilucidatio): «spatii notio implicatis substantiarum actionibus absolvitur» KGS I 415; trad. it. in Scritti precritici, cit., p. 51. La stessa cosa vale per il tempo: «Perciò abolito del tutto il nesso tra le sostanze, viene anche meno successione e tempo [Hinc nexu substantiarum plane abolito, successio et tempus pariter facessunt]». KGS I 410; trad. it., p. 44. 86 Nova dilucidatio: «harmoniam praestabilitam Leibnizianam funditus evertit». Infatti, l’assunzione che «l’anima umana, qualora fosse esente dal nesso con le cose esterne, sarebbe del tutto priva di mutazioni del suo stato interno [Animam quippe humanam, reali rerum externarum nexu exemptam, mutationum interni status plane expertem fore]» (KGS I 412; trad. it., p. 47), è del tutto incompatibile con la concezione leibniziana, anzi è già premessa di ogni tentativo kantiano di confutare l’idealismo. 87 Nova dilucidatio: «Cum itaque exsistentia substantiarum simpliciter ad commercium mutuum et determinationum respectus plane sit insufficiens, adeoque nexu externo arguat communem omnium causam, in qua respective informata sit earum exsistentia, neque sine hac principii communione nexus universalis concipi possit, evidentissimum inde depromitur summae rerum omnium causae, i. e. Dei, et quidem unius, testimonium, quod mea quidem sententia demonstrationem illam contingentiae longe antecellere videtur». KGS I 414; trad. it., p. 51.
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un argomento fisico-teleologico. Quel che conta qui sottolineare è, in ogni caso, che spazio e tempo, nella loro diversa funzione, sono, in questo periodo, in stretta e confusa relazione con principi logici. Ancora nella Dissertatio, spazio e tempo, pur non essendo idee razionali oggettive, sono fenomeni che testimoniano (testari), ma non espongono (exponere) un «Principium aliquod nexus universalis commune».88 In una Reflexion risalente all’epoca più o meno della pubblicazione della Dissertatio, il rapporto tra la onnipresenza divina e lo spazio è dichiaratamente simbolico: Gli effetti sono simboli delle cause, allora lo spazio (con il quale sono rappresentate perfino cose reali [wirkliche] come necessariamente connesse mediante un principio comune [gemeinschaftlicher Grund]) è un symbolum della onnipresenza divina, o il phaenomenon della causalità divina.89
Una più sottile separazione degli elementi concettuali dalla nozione di spazio si trova in una notevole Reflexion degli anni immediatamente successivi alla Dissertatio. Kant vi spiega che alcune obiezioni contro l’esistenza di Dio derivano dal fatto che si attribuiscono a Dio proprietà sensibili. Quando, in un secondo tempo, si scopre che ne derivano incongruenze, le prove vengono abbandonate. Il caso che Kant esamina è quello dello spazio che, pur essendo condizione dei fenomeni, contiene un’istanza di totalità che quasi gli conferisce una dimensione noumenica: Lo spazio infinito e unico è la condizione di possibilità fondamentale di ogni presenza esterna delle cose per come esse appaiono, non è cioè la prova dell’esistenza di un fondamento e di un essere originario che tutto comprende e in cui tutto ha la sua sussistenza, da cui deriva anche ogni unità e relazione perché, per così dire, ogni cosa è possibile grazie al suo posto nel tutto; ma è pur sempre la prova che l’animo umano non potrebbe pensare nessun legame senza un principio comune [gemeinschaftlicher Grund] e nessuna determinazione se non in un uno che tutto contiene. La stessa cosa vale per il tempo, nel quale sta ogni esistenza. Ciò serve ad assumere un tale essere come necessario soggettivamente, e quindi anche come sufficiente per la prassi.90 Dissertatio § 2, A 6; KGS II 391; trad. it., p. 426. KGS XVII 456; Refl. 4204 (1769-1772). «Die Wirkungen sind symbole der Ursachen, also der Raum (durch den doch wirkliche Dinge als nothwendig vermittelst eines gemeinschaftlichen Grundes verknüpft vorgestellt werden) ein symbolum der gottlichen allgegenwart oder das phaenomenon der gottlichen causalitaet. Im Raume ist Moglichkeit nicht von der Wirklichkeit unterschieden. Alle sinnliche Vorstellung ist ein symbolum des intellectualen. Alle sinnliche Vorstellung von dem verhaltnis der Wirkung zu ihrer Ursache ist das symbolum». Cit. in F. KAULBACH, Die Metaphysik des Raumes, cit., p. 150. 90 KGS XVII, p. 691 Refl. 4733 (1770-1773). «Der unendliche und einige Raum, die Grund Bedingung der Moglichkeit aller äussern Gegenwart der Dinge, so wie sie erscheinen, ist zwar nicht ein Beweis von dem Daseyn eines Grund und Urwesen, was alles befaßt und in welchem 88
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A questo punto della evoluzione del suo pensiero, per Kant lo spazio non è più testimonianza della necessità di un nesso universale e di una sua causa somma, ma rimane pur sempre principio soggettivo per un uso pratico, e plausibilmente anche per la conoscenza empirica. La nozione di principio comune non viene mai tematizzata da Kant, ma si trova in contesti così diversi che si può dire possieda una generalità notevole. Per certi versi è simile alla nozione di funzione nella KrV: «Intendo per funzione l’unità dell’operazione di ordinare rappresentazioni diverse sotto una rappresentazione comune»,91 che, in quanto legata alla nozione critica di giudizio, è alla base di tutta l’impalcatura logica della filosofia trascendentale. A differenza della nozione di funzione, il principio comune, come principio logico, sembra avere un valore di volta in volta diverso,92 ma i contesti in cui per lo più si trova sono legati da un filo conduttore in cui si ritrovano le ragioni dell’iniziale confusione tra rappresentazione dello spazio e i vari concetti di sintesi. Questi concetti, anche dopo la purificazione dall’elemento intuitivo, conserveranno, sia pure analogicamente, la spazialità della loro origine. Nella KrV il principio comune ha il più alto valore architettonico dove si tratta di guidare alla scoperta dei sistemi che nell’indagine trascendenta-
alles sustentiert wird, wovon auch alle Einheit und Verhaltnis herrührt, weil es gleichsam durch seine Stelle in dem All möglich ist; aber es ist doch ein Beweis, daß das menschliche Gemüth keine Verbindung ohne einen gemeinschaftlichen Grund und keine Bestimmungen ohne in Einem, welches alles enthält, gedenken könne. Eben so mit der Zeit, worin alles Daseyn liegt. Dieses dienet dazu, die annehmung eines solchen Wesens als subiectiv nothwendig, mithin auch als zureichend zur praxi anzunehmen». Cfr. anche una Refl. probabilmente coeva: «dato spatio datur possibilitas compraesentiae plurium, ast non possibilis est plurium compraesentia nisi posito existente principio communi; ergo dato spatio concludi potest ad ens aliqvod primum. sed est unicum spatium; ergo concluditur ad causam primam unicam. itidem est necessarium, qvatenus est mera possibilitas; ergo concluditur ad necessariam». KGS XVII, p. 460; Refl. 4215. (1769-1772). Sulla questione del paragone tra Dio e lo spazio soprattutto dal punto di vista della logica, cfr. M. CAPOZZI, Legge di specificazione e teoria dei concetti in Kant, in Atti del Congresso nazionale di logica di Montecatini Terme (1979), a cura di Sergio Bernini, Napoli, Bibliopolis, 1981, pp. 655-684, p. 678. Cfr. anche GÜNTER WOHLFART, Ist der Raum eine Idee? Bemerkungen zur transzendentalen Ästhetik Kants, «Kant-Studien», LXXI, 1980, pp. 137-157, in particolare il paragrafo con il titolo: Die Parallelität von Gott und Raum, pp. 146-152. 91 KrV B 93/A 68: «Ich verstehe aber unter Funktion die Einheit der Handlung, verschiedene Vorstellungen unter einer gemeinschaftlichen zu ordnen». Sulla nozione di Funktion si rimanda al libro di PETER SCHULTHESS, Relation und Funktion. Eine systematische und entwicklungsgeschichtliche Untersuchung zur theoretischen Philosophie Kants, Berlin, De Gruyter, 1981. Necessaria integrazione per capire questa fondamentale nozione è R. BRANDT, Die Urteilstafel. “Kritik der reinen Vernunft” A 67-76; B 92-101, «Kant-Forschungen» IV, a cura di R. Brandt und W. Stark, Hamburg, Felix Meiner Verlag, 1991. 92 Per un uso per così dire tecnico (non architettonico) del principio comune, cfr. il passo citato supra, nota 20, dove serve a indicare il comune riferimento all’oggetto in genere che rende possibile la comunicazione.
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le esigono la completezza. Nella Prefazione della prima edizione della KrV, Kant scrive che è facile fare l’«inventario di tutte le nostre proprietà ottenute mediante la ragione pura ordinate sistematicamente», se solo se ne scopre «il principio comune».93 Non stupisce quindi che questo principio giochi un ruolo fondamentale in quello che è il sistema che richiede per eccellenza la completezza. Infatti proprio la divisione delle categorie è prodotta in modo sistematico da un principio comune, cioè dalla facoltà di giudicare (che non è altro che la facoltà di pensare), e non è sorta in modo rapsodico da una raccolta di concetti puri fatta a caso.94
Indirettamente questo principio, che sovraintende alla divisione delle categorie nella loro completezza, ordinerà anche la topica sistematica, che, quando riguarda la natura corporea, non potrà che riacquistare il suo senso letterale, ovvero rendere riconoscibile la sua origine spaziale. Nei Metaphysische Anfangsgründe der Naturwissenschaft (1786), Kant lega, infatti, la necessità di uno «schema della completezza di un sistema metafisico, sia della natura in generale, sia di quella corporea in particolare» 95 alla tavola delle categorie, in modo che possa essere esposta compiutamente la «dottrina generale dei corpi, cioè la forma e i principi dell’intuizione esterna».96 Se negli scritti precritici il principio comune aveva anche la funzione di rendere pensabile il commercio come azione reciproca e quindi la stessa possibilità della fisica, esso dovrà avere, in qualche modo, anche una funzione costitutiva dell’esperienza e della fisica. Nelle note manoscritte di preparazione alla KrV che vanno sotto il nome di Duisburgsche Nachlaß, si vede bene come il principio comune diventi il terzo principio delle Analogie dell’esperienza: «Principi sintetici. 1. Tutto è di una sostanza. 2. Ogni contingente ha una ragione. 3. tutto ciò che è unificato ha un principio comune».97 Questo principio corrisponde alla categoria della comunanza (Gemeinschaft), cioè alla condizione per percepiKrV A XX. KrV B 106/A 80, c.vo mio. «Diese Einteilung ist systematisch aus einem gemeinschaftlichen Prinzip, nämlich dem Vermögen zu urteilen (welches eben so viel ist, als das Vermögen zu denken,) erzeugt, und nicht rhapsodistisch, aus einer auf gut Glück unternommenen Aufsuchung reiner Begriffe entstanden […]». 95 MANW, KGS IV 473. 96 MANW, KGS IV 478. Così facendo, la metafisica della natura può distinguersi compiutamente dalla metaphysica generalis, cui in quanto è bloße Gedankenform offrirà esempi, che nella loro mera natura di esempi non potranno essere equivocati, perché non conferiscono «significato e verità», ma solo «significato e senso». Ibid. 97 KGS XVIII 115-116; Refl. 5199 (1776-1778). «Synthetische sätze. Alles ist an einer substantz. 2. Alles Zufallige hat einen Grund. 3. alles Vereinigte hat einen Gemeinschaftlichen Grund». 93 94
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re la simultaneità degli oggetti e, quindi, alla condizione di un’esperienza interconnessa.98 Lo spazio è solo condizione fenomenica della comunanza, mentre la categoria della comunanza può esporre i fenomeni: la terza analogia dell’esperienza presenta, infatti, «l’unità della natura nel nesso di tutti i fenomeni sotto certi esponenti».99 Il riferimento allo spazio rende chiaro che, come già nella Dissertatio,100 questo principio vale solo nel caso in cui gli oggetti sono fenomeni e non cose in sé. La prova e contrario è fornita dall’ipotesi in cui questa restrizione è abbandonata: Per questo motivo quando Leibniz attribuiva una comunanza alle sostanze del mondo, come le pensa l’intelletto da solo, aveva bisogno di una divinità per la mediazione; infatti, a partire dalla loro semplice esistenza gli sembrava, giustamente, del tutto incomprensibile.101
Nelle note manoscritte sulla propria copia della KrV, Kant sostituisce Spinoza a Leibniz, chiarendo come sia proprio lo spazio a rendere possibile la comunanza, cioè come sia necessario il riferimento dei principi dell’analogia dell’esperienza allo spazio: Lo spazio rende possibile la comunanza. Poiché l’essere pensante con tutte le sue facoltà, i cui effetti appartengono solo al senso interno, non è una relazione dello spazio, il commercium dell’anima con il corpo non è comprensibile. La comunanza delle cose in sé deve avere una terza sostanza, nella quale si trovano come accidentia e sono in relazione reciproca – spinozismo –, oppure, poiché la cosa non va, essa rimane incomprensibile. Lo spazio è esso stesso il fenomeno della comunanza possibile. Se considero i corpi solo come fenomeni che sono in me, la facoltà conoscitiva del senso interno può ben stare in comunanza con i fenomeni del senso esterno.102 KrV B 260/A 213. KrV B 263/A 216. Come in una funzione matematica, gli oggetti fenomenici sono determinati a priori dagli argomenti possibili di una funzione logica (deduzione metafisica delle categorie) secondo certi esponenti: «Le leggi di queste funzioni regolano gli esponenti, cioè le relazioni di due grandezze nella matematica, o in genere di due relati. Questi esponenti ora [nel contesto non matematico della KrV] espongono i fenomeni, cioè determinano secondo leggi le loro reciproche relazioni [Was die Funktionsgesetze selber regeln, sind Exponenten, d.i. Verhältnisse zweier Großen in der Mathematik, oder allgemein zweier Relate. Diese Exponenten nun exponieren die Erscheinungen d.h. sie bestimmen nach Gesetzen deren Verhältnis untereinander]». P. SCHULTHESS, Relation und Funktion, cit., pp. 217-218. 100 Nella Dissertatio lo spazio può solo «attestare un qualche principio comune di un nesso universale, ma non esporre [testari quidem principium aliquod nexus universalis commune, non autem exponere]». Dissertatio A 6, KGS II 391; trad. it., p. 426. 101 KrV B 293. Critica che si applica esattamente anche a quanto Kant aveva provato a fare nella Nova dilucidatio, con il suo leibnizismo pur emendato dell’armonia prestablita. 102 KGS XXIII 31; Refl. LXXXVI a p. 211 dell’edizione del 1781. «Der Raum macht die Gemeinschaft möglich. Weil nun das denkende Wesen mit allen seinen Vermögen, 2) deren Wir98 99
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Che l’interazione tra spazio e principi dell’intelletto sia profonda e che Kant la sviluppi in modi assai articolati si vede bene dalle numerose indicazioni che si possono trarre dallo studio degli scritti preparatori all’ultima opera di Kant sul Passaggio dai principi metafisici della scienza della natura alla fisica, il cosiddetto Opus postumum. La Topik der bewegenden Kräfte der Materie dell’Opus postumum, cui si è già accennato, ha in sé l’istanza spaziale dell’organizzazione topica secondo la tavola delle categorie, ma non è certo un caso se l’etere, uno dei concetti centrali dell’Opus postumum, sia realisierter Raum,103 o, come dice Michael Friedman «the representation of a universally distributed and continuous “All of matter” filling all space».104 Per apprezzare la ragione logica della rappresentazione dello spazio come etere quel che importa è considerare che questa «representation of space (and time) as a whole possesses the desired synthetic or collective universality».105 In effetti, come osserva Friedman, questa universalità collettiva come opposta all’universalità distributiva, era già stata considerata nella KU (§ 77), come opposizione tra universale analitico e universale sintetico. In questo paragrafo si spiega che il principio della conformità a scopi della facoltà di giudizio è chiamato in causa perché l’intelletto umano non può determinare un particolare mediante l’universale sintetico, cioè mediante un tutto che precede le parti.106 Da queste peculiarità dell’intelletto deriva la necessità del principio della facoltà di giudizio come principio della conformità formale a scopi. Tale principio deve, infatti, poter anticipare, nella rappresentazione, una totalità,107 così da permettere di pensare l’armonizzazione «del kung blos für den innern Sinn gehört, nicht eine Relation des Raumes ist, so ist darum das Commercium der Seele mit dem Körper, nicht begreiflich. Die Gemeinschaft der Dinge an sich selbst muss entweder eine dritte Substanz haben, in der sie als Accidentia sind und gegen einander im Verhältnis sind – Spinozism –, oder, da dies nicht angeht, so bleibt sie unbegreiflich. Der Raum ist selbst das Phänomenen der möglichen Gemeinschaft. Wenn ich Körper blos als Phänomena betrachte, die in mir sind, kann das Erkenntnisvermögen des inneren Sinns wohl mit denen des äussern in Gemeinschaft stehen». 103 «Spazio e tempo realizzati […]. L’idea collettiva di un tutto di tutte le forze motrici ha la precedenza, a priori, rispetto a quella distributiva di tutte le forze particolari che sono solo empiriche. [Raum u. Zeit realisirt […]. Die collective Idee des Gantzen aller bew. Kräfte der Materie geht a priori vor der distributiven aller besonderen Kräfte als die nur empirisch sind voraus]». KGS XXII 200. 104 MICHAEL FRIEDMAN, Kant and the Exact Sciences, Cambridge Mass.-London, Harvard University Press, 1992, p. 309. 105 Ibid. 106 Cfr. KU § 77, B 349. Per la ricostruzione della struttura logica del principio della facoltà di giudizio, cfr. H. HOHENEGGER, Kant, filosofo dell’architettonica. Saggio sulla Critica della facoltà di giudizio, Macerata, Quodlibet, 2004, pp. 119 sgg. 107 KU B 349-350.
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particolare, nella molteplicità della natura» con l’universale, in modo che possa essere sussunto sotto di esso.108 Anche in questo caso, come ci si poteva attendere, il principio comune ha un ruolo fondamentale, l’universalità collettiva che appartiene all’etere ha, infatti, questa struttura logica: «molte cose in uno [Vieles in einem]», mentre l’universalità distributiva è «uno in molte cose [eines in Vielem]».109 Ma questa è la struttura logica delle inferenze rispettivamente secondo l’analogia e secondo l’induzione, come si vede bene da una Reflexion che fornisce il miglior filo conduttore logico per capire, dal punto di vista della logica, la genesi della terza critica: alla base di esse [analogia e induzione] c’è un principio della facoltà di giudizio, che cioè molte cose senza un principio comune non si armonizzerebbero in uno [vieles in einem], che quindi ciò che così a questo spetta sarà necessario a partire da un principio comune.110
Come si vede, il principio di queste inferenze è di nuovo il gemeinschaftlicher Grund, che quindi ha anche un ruolo regolativo per le scienze empiriche, soprattutto quando nella KU diventa il principio della conformità formale a scopi. Anche questa funzione regolativa era però già presente in nuce negli anni di quella che si potrebbe chiamare la svolta terminologica di Kant, e anzi in un anno particolarmente significativo nell’evoluzione del pensiero kantiano, il 1769: Ogni connessione è della subordinazione o della coordinazione. L’unità, quando a molte ragioni è subordinata una conseguenza, è unità a priori, p. es. nell’utilità delle cose. La seconda: quando qualcosa è ragione di molto, oppure quando molte conseguenze vengono da una ragione. È singolare che quando molte ragioni si armonizzano con una conseguenza, si aggiunge nel pensiero anche un principio comune [gemeinschaftlicher Grund ], p. es. le molte cose per l’utilità dell’uomo, molte membra in un animale.111 KU B 348. «Universalmente analitico è un concetto mediante il quale uno è in molte cose, – universalmente sintetico con cui invece sono come riunite sotto un concetto molte cose in uno [Analytisch// allgemein ist ein Begriff durch den eines in Vielem, – synthetisch// aber wodurch Vieles in einem als zusammen unter einen Begriff gebracht wird]». KGS XXI 247. Cit. in M. FRIEDMAN, Kant and the Exact Sciences, cit., p. 307. 110 KGS XVI 709; Refl. 3200 (1780-1789), c.vo mio. Su questa Refl. e in generale sul principio della facoltà di giudizio cfr. M. CAPOZZI, Le inferenze del giudizio riflettente nella logica di Kant: l’induzione e l’analogia, «Studi Kantiani», XXIV, 2011, pp. 11-48, in particolare pp. 23-24. 111 KGS XVII 369; Refl. 3968 (1769), c.vo mio. L’importanza della peculiare articolazione del rapporto tra coordinazione e subordinazione per la formazione della nozione di sistema in Kant è stato messo in luce, nel suo confronto con Wolff, in N. HINSKE, Die Wissenschaften und 108 109
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Questa esigenza di sistematicità sotto un principio sarà prima espressa, nella KrV, nel principio regolativo per la conoscenza empirica in quanto principio dell’omogeneità del molteplice entro generi superiori 112 per poi essere profondamente modificato sotto il profilo logico-trascendentale, e diventare il principio trascendentale della facoltà di giudizio della KU, che permette di passare dall’analogia generale di un’esperienza in genere (allgemeine Analogie einer möglichen Erfahrung überhaupt) all’analogia particolare (besondere Analogie).113 La metafora presente nella parola scelta da Hinske per indicare il punto di svolta della terminologia kantiana negli ultimi anni Sessanta, Weichenstellung (che significa propriamente il punto in cui si collocano gli scambi ferroviari, determinando così nuovi percorsi e linee per i treni), è particolarmente adatta per illustrare le complessità delle linee terminologiche che a partire da quegli anni Kant inaugura oppure alle quali dà diverso significato e ruolo. Perché ciò avvenga proprio intorno al 1769 è forse la domanda più impegnativa per uno studio non solo terminologico. Riguardo alla nozione di spazio, si può avanzare l’ipotesi che in quegli anni Kant ritenesse che i problemi filosofici potessero essere risolti con l’esplicitazione dell’equivocità della nozione di spazio, la separazione, si potrebbe dire diaframmati-
ihre Zwecke. Kants Neuformulierung der Systemidee, in Akten des Siebenten Internationalen KantKongresses (Mainz 1990), a cura di G. Funke, Bonn, Bouvier, 1991, pp. 157-177, anche in N. HINSKE, Tra illuminismo e critica della ragione. Studi sul corpus logico kantiano, Pisa, Scuola normale superiore, 1999, pp. 133-155. Come possibile fonte, almeno riguardo all’elemento teleologico presente nel principio, si può leggere un passo della Vernunftlehre di Georg F. Meier, certamente l’autore che più di tutti ha condizionato la terminologia logica di Kant: «Quando il molteplice, che in una cosa può essere distinto in essa, o quando le parti di una cosa prese insieme contengono la ragione sufficiente di qualcosa, allora si accordano tra di loro rispetto a questo qualcosa, il quale allora è la conseguenza comune dei diversi elementi che si possono distinguere in una cosa. Questa conseguenza comune si può chiamare, in logica, l’intento comune delle parti che si accordano di una cosa. E l’accordo del molteplice in una cosa per un intento comune è chiamata la perfezione. L’intento di un orologio consiste in ciò, che indica le ore del giorno. Se dunque tutte le parti dell’orologio sono fatte e messe insieme in modo da raggiungere questo intento, allora si attribuisce a questo orologio la perfezione [Wenn das Mannigfaltige, welches sich in einer Sache von einander unterscheiden läßt, oder wenn die Theile einer Sache zusammengenommen, den hinreichenden Grund von etwas enthalten, so stimmen sie mit einander zu diesem Etwas überein, welches also die gemeinschaftliche Folge der verschiedenen Stücke ist, die sich in einer Sache von einander unterscheiden lassen. Diese gemeinschaftliche Folge kan man, in der Vernunftlehre, die gemeinschaftliche Absicht der zusammenstimmenden Theile einer Sache nennen. Und, die Zusammenstimmung des Mannigfaltigen in einer Sache zu einer gemeinschaftlichen Absicht, wird die Vollkommenheit genant. Die Absicht einer Uhr besteht darin, daß sie die Stunden des Tages anzeige. Wenn nun alle Theile einer Uhr so beschaffen und so zusammengesetzt sind, daß sie diese Absicht erreichen, so schreibt man der Uhr eine Vollkommenheit zu]». GEORG FRIEDRICH MEIER, Vernunftlehre, Halle, Johann Justinus Gebauer, 1752, § 36, p. 37. 112 Cfr. KrV B 681 e 685/A 653 e 657. Ma poi anche in KU, Intr. § V, B XXXV. 113 KU B XXXV.
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ca,114 dell’elemento logico da quello intuitivo. Nella Dissertatio questo tentativo è, però, ancora fatto con la speranza di stabilire un riferimento alle cose sicuti sunt e non sicuti apparent,115 mediante la mera astrazione dalle peculiarità sensibili del soggetto. L’idealismo trascendentale, come soluzione ai problemi lasciati aperti da questo tentativo, sarà imposto dalla scoperta della natura inevitabilmente antinomica della stessa ragione.116 Il nuovo compito della scienza preliminare sarà, a questo punto, più complesso e articolato perché la KrV, per porre il discrimen tra sensibilità e intelletto, invece di prescindere dalla soggettività, dovrà indagare proprio le condizioni soggettive sensibili e intellettuali del soggetto.117 L’indagine sul soggetto impone nuovi termini, ma rende disponibili per un uso traslato quei termini che erano usati nel significato letterale, ma di cui Kant, in un secondo momento, scopre la natura anfibolica. Dopo aver ricostruito per brevi accenni
PLATONE, Timeo, 70 a. Dissertatio, KGS II 392; trad. it., p. 428. 116 La Dialettica trascendentale è la prova indiretta della verità dell’idealismo trascendentale, KrV B 534/A 506. Considerazioni terminologiche sullo spazio che muovano dalla considerazione delle antinomie, in particolare quelle matematiche, sarebbero qui molto a proposito. Per mettere in evidenza la natura antinomica di mondo come totalità assoluta nella sintesi dei fenomeni, Kant deve sviluppare un’articolata concezione della quantità e delle modalità sintetiche rispetto all’infinito (quantitas, quantum, totum, totalitas). Una possibile indagine terminologica potrebbe prendere le mosse da ALBERT JOHANNES DIETRICH, Kant’s Begriff des Ganzen in seiner RaumZeitlehre und das Verhältnis zu Leibniz (19161), Hildesheim-New York, Olms, 1975. L’anfibolia è più rilevante soltanto dal punto di vista della terminologia, mentre l’idea delle antinomie è certamente il vero inizio della filosofia critica, cfr. la lettera di Kant a Garve del 21 agosto 1798, KGS XII 257-258. In ogni caso l’anfibolia prepara le antinomie, in quanto presenta le condizioni soggettive della surrezione che rende inevitabili le antinomie. L’«illusione dell’intelletto» di cui Kant cerca di trovare l’origine nel 1769 è plausibilmente tanto anfibolica quanto antinomica. KGS XVIII 69; Refl. 5037 (1776-1778). È curioso notare che nella Refl. 4733 dei primi anni Settanta (già citata perché vi si trova un interessante approfondimento del tentativo della Dissertatio di separare l’intellettuale dal sensibile sviluppando un uso regolativo del principio comune), si trova quel che sembra una minimizzazione dell’importanza della dialettica: «Contro questo gioco di argomenti e controargomenti non bisogna essere troppo zelanti o timorosi. Chi è in una roccaforte non darà fuoco alle batterie per ogni panduro insolente [Man muß wieder dieses Spiel der Gründe und Gegengründe so nicht eifern und ängstlich thun. Wer in einer festung ist, wird nicht auf jeden bravirenden Panduren eine batterie abfeuern lassen]». KGS XVII, p. 691. 117 Marcus Willaschek ha scritto che il capitolo «Sull’anfibolia dei concetti di riflessione» è un residuo (Überbleibsel) del tentativo della Dissertatio. Cfr. M. Willaschek, Phaenomena/Noumena und die Amphibolie der Reflexionsbegriffe (A235/B294-A292/B349), in Immanuel Kant, Kritik der reinen Vernunft, a cura di Georg Mohr e Marcus Willaschek, Berlin, 1998, pp. 325-351. p. 341. Questo capitolo è piuttosto il superamento dei limiti della Dissertatio, la sua critica puntuale. Willaschek ha, invece, senz’altro ragione quando dice che molte idee in questo capitolo sono semplicemente enunciate: questo, tuttavia, lungi dal diminuirne l’importanza, ne indica, proprio, la natura di cellula generativa di terminologia e argomentazioni per la filosofia critica. Cfr. per una parallela valutazione di questa considerazione, ma riguardo al senso interno, H. HOHENEGGER, La terminologia della coscienza in Kant, cit., p. 24. 114
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il principale nodo ferroviario – per rimanere alla metafora di Hinske – rappresentato dalla separazione della struttura logica da quella intuitiva lungo la direttrice dell’evoluzione terminologica del principio comune, si può provare adesso a tracciare alcune linee terminologiche che, se pure si intersecano variamente, hanno percorsi riconoscibili. Form Passando dallo spazio nella sua funzione metodologica allo spazio come oggetto, la linea terminologica principale è quella che considera lo spazio come intuizione, e le prime parole da considerare sono certamente «Form», «äußere Sinne» e «äußere Anschauung», ovvero i termini che Kant usa nell’Estetica trascendentale per dire cosa è lo spazio: Lo spazio non è altro che la sola forma di tutti i fenomeni dei sensi esterni, cioè la condizione soggettiva della sensibilità, sotto la quale soltanto è possibile per noi un’intuizione esterna.118
La nozione di «Form» è così importante da caratterizzare lo stesso metodo critico e, sotto questo rispetto, anche il tempo.119 Nello scritto polemico Von einem neuerdings erhobenen vornehmen Ton in der Philosophie (1796), Kant risponde alla critica di formalismo mossagli da Johann Georg Schlosser: occuparsi di ciò che è formale nella nostra conoscenza (das Formale in unserer Erkenntniß) non è affatto pedanteria che non sa elevarsi al sublime, ma, anzi, è il compito principale della filosofia (das hauptsächlichste Geschäft der Philosophie).120 La vera rivoluzione copernicana in filosofia inizia con il rifiuto dell’immediatezza oracolare del sentimento,121 mentre il lavoro sulla forma è il
118 KrV B 42/A 26. «Der Raum ist nichts anderes, als nur die Form aller Erscheinungen äußerer Sinne, d. i. die subjektive Bedingung der Sinnlichkeit, unter der allein uns äußere Anschauung möglich ist». 119 La forma in quanto coordinazione, non subordinazione, rimanda immediatamente allo spazio, ma anche il tempo è forma. In questo caso conta di più il fatto che si tratti di una sintesi possibile tra omogenei, e non di una subordinazione logica o causale: «FORMA, quae consistit in substantiarum coordinatione, non subordinatione. Coordinata enim se invicem respiciunt ut complementa ad totum, subordinata ut causatum et causa, s. generatim ut principium et principiatum». KGS II 390, § 2, 2, A 6; trad. it., p. 424. 120 KGS VIII 404; A 420, D’un tono da signori assunto di recente in filosofia, trad. it. in Scritti sul criticismo, a cura di G. De Flaviis, Roma-Bari, Laterza, 1991, pp. 255-273: 271. 121 Nel disprezzo verso la filosofia critica come una manifattura di formalità (Formgebungsmanufaktur), si manifesta un tono da signori antifilosofico che favorisce «un dare forma arbitrariamente allestito conformemente a un piano o addirittura alla produzione di fabbrica (a vantaggio
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compito «del soggetto di rilevare ed esaminare la sua propria facoltà (della ragione)».122 Per conoscere le cose come sono in se stesse avremmo bisogno, infatti, di un punto di vista superiore che si potrebbe manifestare solo come oracolo. L’accesso all’essenza delle cose non può avvenire se non attraverso l’esame delle nostre facoltà in quanto forme. Kant interpreta in questo senso il principio scolastico forma dat esse rei: «L’essenza della cosa è la forma (forma dat esse rei, dicevano gli scolastici), nella misura in cui questa essenza deve essere conosciuta con la ragione».123 Il principio vale in generale per la filosofia, non solo per la filosofia teoretica. Riguardo agli oggetti sensibili significa che, se non si può conoscere alcunché «di interno che sia proprio dell’oggetto in sé»,124 filosoficamente, tuttavia, si può conoscere «il rapporto di un oggetto con il soggetto».125 Ciò che conta è dunque la forma: tutto ciò che nella nostra conoscenza è proprio dell’intuizione […] non contiene altro che semplici rapporti; rapporti di luogo in un’intuizione (estensione), di cambiamento di luogo (movimento), e leggi in base alle quali il cambiamento è determinato (forze motrici).126
L’idealismo trascendentale, ovvero la dottrina per la quale gli oggetti dei sensi sono fenomeni, riposa sul fatto che con questi semplici rapporti non dello Stato) [eine plan- oder gar fabrikenmäßig (zum Behuf des Staats) eingerichtete willkürliche Formgebung]», tale che non si può non sospettare che proprio questa prospettiva aristocratica miri in fondo «a un trattamento meccanico delle teste [eine mechanische Behandlung der Köpfe]». KGS VIII 404; A 420; trad. it., p. 272. 122 Ibid. 123 «In der Form besteht das Wesen der Sache (forma dat esse rei, hieß es bei den Scholastikern), sofern dieses durch Vernunft erkannt werden soll». KGS VIII 404; A 420; trad. it., p. 272. «Il modo e la maniera in cui le parti sono composte, cioè la forma. L’essenza di ogni compositum consiste nella forma, cioè in modo compositionis. Gli antichi dicevano forma dat esse rei. Intendevano con ciò che la materia in ogni cosa è qualcosa di reale, ma la forma costituisce la diversità delle cose, e la dobbiamo pensare prima della materia [Die Art und Weise, wie die Theile zusammengesetzt sind, i. e. die Form. Das Wesen iedes compositi besteht in der Form, i. e. in modo compositionis. Die Alten sagten: forma dat eße rei. Darunter verstanden sie, die Materie in iedem Dinge ist was reales, die Form aber macht die Verschiedenheit der Dinge aus; und sie müßen wir uns eher denken als den Stoff]». Metaphysik Mrongovius, KGS XXIX, II, 1, 826. Per il detto Forma dat esse rei, cfr. H. VAIHINGER, Kommentar, cit., II 64 con il rimando a J. H. LAMBERT, Anlage zur Architectonic, oder Theorie des Ersten und des Einfachen in der philosophischen und mathematischen Erkenntniß, 2 voll. Riga, Hartknoch, II, p. 239. 124 KrV B 67. «Nun wird durch bloße Verhältnisse doch nicht eine Sache an sich erkannt». Cfr. KrV B 45/A 30. 125 KrV B 67. 126 KrV B 66-67: «alles, was in unserem Erkenntnis zur Anschauung gehört […] nichts als bloße Verhältnisse enthalte, der Örter in einer Anschauung (Ausdehnung), Veränderung der Örter (Bewegung), und Gesetze, nach denen diese Veränderung bestimmt wird (bewegende Kräfte)».
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si può conoscere una cosa in sé. Trascendentale, infatti, non vuol dire altro se non questa conoscenza del modo in cui il soggetto si riferisce all’oggetto: Chiamo trascendentale ogni conoscenza che si occupi, in genere, non tanto di oggetti, quanto del nostro modo di conoscere [Erkenntnisart] gli oggetti nella misura in cui questo deve essere possibile a priori.127
In questa che è la formulazione della seconda edizione della KrV viene chiaramente in evidenza l’importanza dell’indagine sul modo di conoscere.128 Peter Schulthess ha giustamente ricordato a questo proposito la distinzione tra come e perché, ovvero tra comment e pourquoi in Leibniz,129 rimandando a un articolo di Friedrich Kaulbach il quale aveva mostrato come, già in un passo di Der einzig mögliche Beweisgrund,130 Kant avesse sostenuto l’inutilità delle indagini sull’essenza reale. Per rispondere alla domanda se lo spazio possa significare qualcosa anche nel caso esso non fosse «esistente o non [fosse] dato come conseguenza da qualcosa di esistente»,131 non ci si può richiamare all’essenza reale alla quale corrisponde solo una possibilità fondata sul principio di non contraddizione. Solo il modo in cui ci è data l’esistenza può conferire significato alla nozione di spazio, ovvero se si considera «come poi vi sia dato questo pensabile».132 Dal 1763 al 1781, naturalmente, l’esame di come ci sia dato lo spazio e in che senso esso sia un pensabile o un intuibile cambierà e si approfondirà notevolmente, ma l’attitudine filosofica kantiana, mutuata dal metodo scientifico galileano-newtoniano basato sulla rinuncia alla ricerca dell’essenza reale o di ciò che sta dietro ai fenomeni, non cambierà più. Kant esplicitamente dichiara in una importante nota all’introduzione dei MANW che il sistema della filosofia trascendentale saldamente fondato sulla deduzione dei concetti dell’intelletto, ovvero sul necessario riferirsi delKrV B 25. Nel 1781 al posto di Erkenntnisart sofern diese a priori möglich sind, c’è un secco unseren Begriffe a priori: «Chiamo trascendentale ogni conoscenza che si occupi, in genere, non tanto di oggetti, quanto dei nostri concetti a priori degli oggetti». KrV A 11-12. 129 G. W. VON LEIBNIZ, Die philosophischen Schriften, 7 voll., a cura di Carl I. Gerhard, Hildesheim, 1978, rist. anast. dell’ed. Berlin, 1875-1890, IV, p. 339. Cit. in P. SCHULTHESS, Relation und Funktion, cit., p. 158. 130 F. KAULBACH, Die Entwicklung des Synthesis-Gedankens bei Kant, in Studien zu Kants philosophischer Entwicklung, a cura di Heinz Heimsoeth, Hildesheim, Olms, 1967, pp. 56-92: 62. 131 Der einzig mögliche Beweisgrund zu einer Demonstration des Daseins Gottes (1763, Beweisgrund), KGS II 81; trad. it. in Scritti precritici, cit., p. 122: «Wenn nicht der Raum existirt, oder wenigstens durch etwas Existirendes gegeben ist als eine Folge, so bedeutet das Wort Raum gar nichts». 132 Ibid. c.vo mio. «wie euch denn dieses [in dem Dinge Denkliches] gegeben sei». 127 128
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le forme del giudizio a intuizioni che in tal modo rendono possibile l’esperienza, non deve spiegare come ciò sia possibile, Allo stesso modo è saldamente fondato il sistema della gravitazione universale di Newton, anche se esso si porta dietro la difficoltà di non poter spiegare, come sia possibile l’attrazione a distanza; ma le difficoltà non sono dubbi.133
È interessante notare che, benché questa affermazione sia del tutto in linea con la distinzione cardine (tra Wie e Was) del metodo critico trascendentale, questa distinzione si sia almeno terminologicamente spostata. L’indagine sul come sia possibile la conoscenza ha portato come risultato, che un tutto compiuto di modalità sintetiche ricavato dalle forme del giudizio deve riferirsi alle intuizioni affinché sia possibile l’esperienza, ma come questa attività sintetica stessa sia possibile è qualcosa che assomiglia di nuovo a una ricerca delle cause a partire dagli effetti. Nella deduzione soggettiva delle categorie come è esposta nella Prefazione alla prima edizione della KrV, Kant si pone la domanda sulla possibilità stessa delle facoltà conoscitive, come una «ricerca della causa di un dato effetto».134 Non si tratta di una questione sullo stesso livello della deduzione oggettiva trascendentale, e per questo motivo Kant lascia il lettore libero di opinare diversamente. Da un lato c’è, dunque, la questione di «come è possibile la stessa facoltà di pensare»,135 dall’altro: «che e fino a che punto intelletto e ragione possono conoscere liberi da ogni esperienza».136 Non c’è un passo indietro, Kant può rifunzionalizzare la distinzione tra Wie e Was perché è definitivamente esclusa l’indagine sull’essenza reale; la questione del Was va adesso a qualificare l’equivalente dell’essenza reale, ma in un senso critico, mentre il Wie, diventa la domanda critica su quella che sembra una domanda sull’essenza della facoltà conoscitiva, ma riguarda, invece, il modo della causalità conoscitiva. Il fatto che Kant tornerà più volte su questa distinzione riguardante gli scopi della deduzione trascendentale 137 è un segnale che Kant continua a lavorare sul come dell’attiMANW, KGS IV 474, c.vo mio. KrV A XVII, «eine Aufsuchung der Ursache zu einer gegebene Wirkung». 135 KrV A XVII, c.vo mio, «wie ist das Vermögen zu denken selbst möglich?». 136 KrV A XVII, c.vo mio, «was und wie viel kann Verstand und Vernunft, frei von aller Erfahrung, erkennen». 137 Nelle MANW userà la stessa terminologia: «Poiché, se può essere provato, che le categorie […] non possono avere altro uso che in relazione agli oggetti dell’esperienza […] (rendendo così possibile in essa solo la forma del pensiero), allora la risposta su come esse rendano possibile l’esperienza è, sì, abbastanza importante per compiere questa deduzione, ove possibile, ma riguardo allo scopo fondamentale del sistema […] non è necessario, semmai è meritorio [Denn wenn bewiesen werden kann, daß die Kategorien […] gar keinen anderen Gebrauch, als blos in Bezie133 134
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vità sintetica dell’intelletto e dell’immaginazione. Le tre sintesi conoscitive di cui parla Kant nella deduzione della prima edizione della KrV, le sintesi dell’apprensione, riproduzione e ricognizione, in quanto fonti soggettive della conoscenza (subjektive Erkenntnisquellen),138 non sono semplicemente sostituite dalla sintesi figurata (figürliche Synthesis) 139 della seconda. Anche terminologicamente si può seguire l’approfondimento del rapporto tra deduzione oggettiva e deduzione soggettiva, considerando che i termini usati nelle tre sintesi della versione del 1781 torneranno negli scritti di Kant fino all’Opus postumum. Bisogna avere in mente queste filiazioni per seguire l’evoluzione della nozione di sintesi. Tutte partono, già molto prima della soluzione critica data nella KrV, dalla critica kantiana alla dogmaticità della nozione di essenza. Come si vede bene da una Reflexion degli anni Sessanta, Kant considera il modus compositionis non come essenza del composto (essentia compositi), ma come la stessa attività del comporre (essentia compositionis); la forma è proprio questo comporre, non l’essere composto in un certo modo.140 Sarà inevitabile, dunque che la questione dei modi di questa attività debbano essere indagati a loro volta anche riguardo al lato soggettivo, ovvero in quanto forze. Non sarà mai possibile disgiungere una volta per tutte deduzione oggettiva e deduzione soggettiva delle categorie. Per quel che riguarda lo spazio come forma, questa forma non potrà mai essere, quindi, un «contenitore» (absolutum et immensum rerum possibilium receptaculum),141 ma piuttosto, per rimanere alla terminologia della Dissertatio, sarà «come uno schema che proviene dalla natura della mente seconhung auf Gegenstände der Erfahrung haben können (dadurch daß sie in dieser blos die Form des Denkens möglich machen), so ist die Beantwortung der Frage, wie sie solche möglich machen, zwar wichtig genug, um diese Deduction wo möglich zu vollenden, aber in Beziehung auf den Hauptzweck des Systems […] keinesweges nothwendig, sondern blos verdienstlich]». E, infine anche Über den Gebrauch teleologischer Principien in der Philosophie (1788), KGS VIII 184; trad. it. in Scritti sul criticismo, cit., pp. 59-60. 138 KrV A 97. 139 KrV B 154. 140 «Modus compositionis non est essentia compositi, sed compositionis. Compositio est forma. Partes materia». KGS XVII 293; Refl. 3788 (1764-1766). Su questo punto e con un illuminante confronto con la posizione di Baumgarten, cfr. P. SCHULTHESS, Relation und Funktion, cit., p. 184. 141 Dissertatio, KGS II 403; trad. it., p. 442. Kant usa pochi termini spaziali in senso polemico, per esempio cita le categorie spaziali ubi o situs solo per dire della rapsodicità della lista aristotelica che contiene non solo concetti, ma anche modi della sensibilità (KrV B 107/A 81; Prolegomena, KGS IV 323, KGS XVII 493), oppure, una sola volta, nella locuzione leibniziana analysis situs per speculare su cosa possa aver voluto dire Leibniz. Cfr. Von dem ersten Grunde des Unterschiedes der Gegenden im Raume (1768, Gegenden), KGS II 377; trad. it., p. 412. Cfr. anche KGS I 373-375, 414, insieme a locus.
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do una salda legge».142 In quanto forma dovrà possedere una qualche spontaneità, o almeno un’autonomia, non il risultato di una composizione, ma, appunto, un modum compositionis. Certo la nozione di schema come forma nella Dissertatio non è lo schema delle categorie nella KrV, ma già la parola indica il necessario riferimento a un’attività che, se non ha già la funzione schematica dell’immaginazione produttiva, almeno la rende pensabile. Se si esaminassero, da questa prospettiva, le molte parole spaziali, come schema, appunto, ma anche Monogramm,143 Gestalt,144 e si volesse estendere la rete terminologica a tutti i termini collegati come Figur, species, o Hypotypose, non si troverebbe un limite, ma si coglierebbe, ogni volta articolata diversamente, questa duplicità (sia a parte subjecti sia a parte objecti) tra indagine sulla soggettività della causalità sintetica e legittimazione oggettiva e logica della sua funzione.145 Due esempi dalla KU e dall’Opus postumum possono chiarire la necessità della distinzione dei punti di vista, ma anche della necessaria integrazione. Nella KU, questo duplice punto di vista riguardo alla sinteticità raggiunge la sua compiuta legittimazione nella nozione centrale nell’opera, quella di «forma estetica».146 Nella sua essenziale equivocità essa è condizione di possibilità soggettiva, conformità formale a scopi ma, nello stesso tempo, è forma conforme a scopi, che quindi si presenta come se fosse oggettiva. Ciò che è formale nella rappresentazione dell’oggetto (das Formale in der Vorstellung eines Dinges) 147 è tanto soggettivo (sentimento) quanto oggettivo (forma), però nella modalità del dilemma, quindi altrettanto non soggettivo quanto non oggettivo.148 Nell’Opus postumum, rimane naturalmente valido il principio impreIbid. KrV B 181/A 142. 144 Riguardo a Gestalt si può pensare all’importante distinzione della costruzione o esibizione del concetto di quanta nello spazio e nel tempo mediante la sua qualità (Gestalt), o mediante il numero, la quantità (la semplice sintesi del molteplice omogeneo [die bloße Synthesis des Gleichartigmannigfaltige]). KrV B 748/A 720. Cfr. una Refl. che mostra come questa terminologia venga dai manuali scolastici di Wolff e Baumgarten: «La qualità del limite di ciò che è esteso è la figura [Die Qvalitaet der Grenze des Ausgedehnten ist die Figur]». KGS XVII 87; Refl. 3604 (1773-1779). 145 Proprio per la sua importanza, in quanto è alla base di tutte le nozioni di spazio come spazio dato, il termine «formale Anschauung» in quanto opposto a «Form der Anschauung» (KrV § 26) è escluso da questa lista. Si tratta di una nozione assai controversa e che richiede una trattazione separata. Un chiarimento del suo ruolo potrebbe venire da un confronto sistematico con le altre nozioni che esprimono la datità dello spazio, non solo geometrico. 146 KU § 31, B 135. Rimando per una trattazione estesa a H. HOHENEGGER, Kant, filosofo dell’architettonica, cit., pp. 166-177. 147 KU § 45. 148 KU §§ 32 e 33. 142
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scindibile della filosofia critica, della separabilità di forma e materia della conoscenza, ma, se consideriamo la nozione di forma (in quanto condizione di possibilità) come assolutamente vuota, essa assomiglia al noumeno: lo spazio, infatti, come forma del senso esterno, non può mai essere percepito. Nell’Opus postumum non a caso Kant chiama spatium insensibile lo spazio in quanto impercepibile: Lo spazio di cui non è possibile alcuna percezione (spatium insensibile) non sarebbe nulla al di fuori di me, ma solo la forma dell’intuizione pura degli oggetti esterni e quindi né positivamente vuoto né positivamente pieno, nessun oggetto esistente fuori di me.149
Per quanto linguisticamente sconcertante questa espressione, che sembra contraddire l’appartenenza alla sensibilità dello spazio, è in linea con la natura ontologica di spazio come ens imaginarium nella Tavola della suddivisione del concetto di nulla della KrV.150 Questa tavola è, come prevedibile, strutturata secondo le categorie: spazio puro e tempo puro come forme dell’intuizione sono gli esempi del nulla rispetto alla categoria di relazione. In quanto condizioni puramente formali, infatti, sono non-oggetti, «intuizioni vuote senza oggetto [leere Anschauung ohne Gegenstand]», senza però per questo essere Undinge (nihil negativum).151 In ogni caso, solo se si ha in mente l’ontologia dello spazio si capisce perché Kant ponga, nell’Opus postumum, la questione del rapporto tra uno spazio vuoto (insensibile) 152 e un qualcosa che sia in esso. La domanda che si pone è: come può lo spazio, in quanto nulla, avere una relazione con un qualcosa? La soluzione nell’Opus postumum è la stessa della KrV, l’idealismo trascendentale; lo spazio e il tempo sono «prodotti della mia facoltà rappresentativa, cioè non sono cose in sé».153 Solo perché entrambe le nozioni di spazio dipendo149 «Der Raum von welchem keine Warnehmung möglich ist (spatium insensibile) wäre nichts ausser mir sondern blos die Form der reinen Anschauung der äußeren Gegenstande und so weder positiv leer noch positiv voll gar kein ausser mir existirendes Object». KGS XXI 232. 150 KrV B 347/A 291. 151 KrV B 348/A 292. Quale sarebbe il corrispondente spaziale in una tavola della suddivisione del qualcosa (Etwas) organizzata nello stesso modo? La domanda è legittima, infatti Kant ritiene di non dover fornire questa tavola perché «la suddivisione del qualcosa, parallela a questa [la tavola della suddivisione del nulla], va da sé [denn die dieser gleichlaufende Einteilung des Etwas folgt von selber]». KrV B 348/A 291. Se lo spazio nella tavola del nulla come ens imaginarium è intuizione vuota senza oggetto; nella tavola dell’Etwas, al suo posto si dovrebbe avere un’intuizione piena, ovvero lo spazio inteso come oggetto, cioè l’intuizione formale della nota al § 26 della KrV, B 160. 152 KGS XXII 342. Nell’Opus postumum lo spazio è addirittura ens rationis, che nella tavola del nulla della KrV è correlato alla categoria della quantità, cioè al Keines, nessuno, di cui l’esempio è il noumeno in quanto può essere pensato senza contraddizione. KrV B 347/A 290-291. 153 KGS XXII 45. «Geschopfe meines Vorstellungsvermögens also nicht ein Ding an sich».
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no dal soggetto conoscente, Kant può parlare di due spazi: lo spatium cogitabile e lo spatium dabile,154 che altrove chiama spatium aspectabile.155 Il rapporto dello spazio come cogitabile con lo spazio come dabile, è reso possibile dal fatto che anche il dabile è sempre soltanto fenomeno, ossia un qualcosa che è dato in rapporto a un soggetto. Poiché dipendono dal «rapporto di questa rappresentazione [spazio-temporale] con il soggetto [Verhältnis dieser Vorstellung zum Subject]», si può pensare senza contraddizione che «ci sia pure alcunché di dato (dabile) che corrisponde al pensabile (cogitabile)».156 Per mostrare come questo sia possibile, Kant indaga nell’Opus postumum questo «peculiare rapporto [besondere Beziehung (respectus)]»,157 secondo le modalità con cui il soggetto pone se stesso (sich selbst setzt): Spazio e tempo sono intuizioni con la funzione dinamica di porre un molteplice dell’intuizione come fenomeno (dabile), cioè di porre anche un aspectabile come fenomeno che precede ogni rappresentazione dell’apprensione (percezione come rappresentazione empirica con coscienza), e che viene pensato sinteticamente a priori secondo un principio come determinante in modo assoluto (intuitus quem sequitur conceptus) nel quale il soggetto, nell’unità collettiva del molteplice dell’intuizione, pone se stesso.158
Der äußerer Sinn Una diversa opposizione tra spazio come forma e spazio come materia dei sensi – che sempre articola pure la duplicità tra condizione e condizioKGS XXII 342. KGS XXII 35. «Lo spazio è un oggetto dell’intuizione (aspectabile) ed esso stesso un’intuizione, un oggetto della percezione (apprehensibile), non una cosa in sé (ens per se), ma solamente ciò che è formale della posizione e sintesi [Setzung und Zusammensetzung] del molteplice soggettivamente in riferimento all’oggetto = X nel fenomeno, non come cosa in sé, ma ciò che ad esso corrisponde, cioè il pensabile della sintesi di una conoscenza sintetica a priori, la quale fonda la filosofia trascendentale [Der Raum ist ein Gegenstand der Anschauung (aspectabile) und selbst Anschauung kein Ding für sich (ens per se) ein Gegenstand der Warnehmung (apprehensibile) sondern nur das Formale der Setzung und Zusammensetzung des Manigfaltigen subjectiv in Beziehung auf den Gegenstand = X in der Erscheinung nicht als einem Dinge an sich sondern was einem solchen correspondirt das Denkbare der Zusammensetzung einer synthetischen Erkentnis a priori welches die Transscendentalphilosophie begründet]». Cfr. XXII 33, 39, 42, 44, 76, 438. 156 KGS XXII 45. «doch etwas gegebenes (dabile) welches den denkbaren (cogitabile) entspricht». 157 KGS XXII 44. 158 «Raum u. Zeit sind Anschauungen mit der dynamischen Function ein Manigfaltiges der Anschauung als Erscheinung zu setzen (dabile) also auch ein aspectabile als Erscheinung welches vor aller Apprehensionsvorstellung (Warnehmung als empirischer Vorstellung mit Bewustseyn) vorhergeht und a priori synthetisch nach einem Princip als durchgängig bestimmend gedacht wird (intuitus quem sequitur conceptus) in welchem das Subject in der collectiven Einheit des Manigfaltigen der Anschauung sich selbst setzt». KGS XXII 44. 154 155
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nato –, può essere indagata a partire dallo studio delle espressioni «äußerer Sinn» e «äußere Anschauung». Alcune indicazioni potrebbero già venire da una lista di occorrenze in cui si trovasse «äußerer Sinn» al singolare o al plurale. Nel secondo caso gli «äußere Sinne» sono, in genere, da prendere nel senso fisiologico psicologico,159 o semplicemente in quanto la sensibilità ha a che fare con «äußere Dinge», come il senso interno ha a che fare con «innere Ursachen».160 Usate spesso insieme, le due locuzioni di senso esterno e senso interno 161 indicano rispettivamente lo studio della fisica, cioè del corpo, o della psicologia, cioè dell’anima.162 In generale, e in modo più indiretto, senso interno e senso esterno non identificano solo questi due tipi di oggetti, ma anche due modi di essere oggetto. A partire dal senso interno e dal senso esterno, in quanto forme a priori di ogni fenomeno, si pone, infatti, non solo il tema dell’oggetto in genere, ma anche, di cosa sia un oggetto dato in genere. A guardare bene, in Kant si possono trovare due nozioni di oggetto, una esemplata sull’oggetto esterno e l’altra sulla nozione di soggetto, ovvero, rispettivamente, sullo spazio reale e sul tempo come senso interno. Di un oggetto possiamo dire che è un oggetto esterno perché non può essere solamente un fenomeno del senso interno, la cui forma è il tempo, e il tempo ha una sola dimensione, mentre l’oggetto spaziale ne ha tre. All’obiezione che anche nel sogno si hanno percezioni spaziali, e che non si può distinguere lo spazio nell’immaginazione dallo spazio nella percezione reale, Kant risponde che possiamo distinguere l’intuizione sensibile (sinnliche Anschauung) spaziale nel sogno dall’intuizione dei sensi (Sinnenanschauung) della veglia perché la coscienza può accompagnare tutte le rappresentazioni e quindi anche quelle dell’immaginazione, le quali, e anche il loro stesso gioco, sono un oggetto del senso interno, e di esse deve essere possibile essere coscienti in quanto tali, perché pos-
Träume, KGS II 338, nota; trad. it., p. 370, nota. KrV A 98. 161 Per la distinzione tra senso interno e senso esterno, Kant sembra riprendere Locke che, sebbene usi il termine «internal sense», esita a chiamare sense il senso interno perché gli sembra che i sensi riguardino propriamente solo gli oggetti esterni. JOHN LOCKE, An Essay Concerning Human Understanding, a cura di Peter H. Nidditch, Clarendon Press, Oxford 1975, II, i, § 4, p. 105. «This source of Ideas [“Perception, Thinking, Doubting, Believing, Reasoning, Knowing, Willing, and all the different things of our own minds”, in quanto ne siamo coscienti e le osserviamo in noi] every Man has wholly in himself: And though it be not Sense, as having nothing to do with external Objects; yet it is very like it, and might properly enough be call’d internal Sense». J. LOCKE, An Essay, II, 1, § 4; p. 105. Il vero e proprio senso, infatti, è quello con cui percepiamo gli oggetti esterni e che Locke chiama sensation o external sensory. 162 KrV B 400/A 342. 159 160
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siamo distinguerle realmente, come rappresentazioni interne e quindi esistenti nel tempo, dalla intuizione dei sensi (Sinnenanschauung).163
Nel sogno stesso, naturalmente, non sapremmo fare questa distinzione, ma per Kant deve solo essere provato «se in genere non sia possibile distinguerle».164 Queste considerazioni si trovano in un appunto manoscritto degli anni Novanta, ben dopo la pubblicazione della seconda edizione della KrV (1787) in cui Kant, tra le poche ma rilevanti modifiche, aveva proposto una Confutazione dell’idealismo.165 Evidentemente il lavoro su questo tema non era solo occasionato dalla necessità di rispondere alla famosa recensione in cui la KrV era stata tacciata di idealismo superiore (höheren Idealismus),166 ma contribuiva a chiarire la questione generale di cosa è l’oggetto dato in genere. In una Reflexion di molti anni prima, all’epoca del cosiddetto Duisburgsche Nachlaß, quando lavorava ancora alla KrV, Kant aveva scritto che porsi la domanda sull’esistenza di qualcosa fuori di noi equivale a chiedersi se io mi possa rappresentare uno spazio reale (wirklichen Raum). Non si tratta, naturalmente, di esistenza assoluta, poiché l’unica nota caratteristica di un oggetto fuori di me sono le «rappresentazioni della veglia concordanti con altri esseri umani».167 Di questa nota caratteristica non possiamo essere coscienti in modo immediato, ma sappiamo che il fenomeno esterno dell’intuizione dei sensi è «l’originale di ogni possibile immaginazione, cioè esso stesso non è un’immaginazione».168 È forse possibile che nel passo citato degli anni Novanta, Kant rispondesse ancora alle accuse di idealismo di Garve e Feder, come nel secondo passo degli anni Settanta è plausibile che prendesse posizione rispetto all’idealista per il quale non esistono se non gli spiriti.169 L’accostamento tra le due citazioni così distanti serve a mostrare che la preoccupazione kantiana rispetto all’idealismo non riguarda tanto questioni di etichetta filosofica, quanto piuttosto serve per mettere a punto la sua concezione di oggetto. L’oggetto, infatti, si modella chiaramente sull’intuizione esterna, cioè su qualcosa che, KGS XVIII, p. 621; Refl. 6315 (1790-1791). Ibid. «ob sie überhaupt nicht unterschieden werden können». 165 KrV B 274-279. 166 JOHANN H. FEDER-CHRISTIAN F. GARVE, recensione della KrV in «Göttingischen Anzeigen von gelehrten Sachen», 1, 1782, 3, 19. Januar, pp. 40-48. Cfr. Prolegomena, KGS IV 373. 167 KGS XVIII 172; Refl. 5400 (1771-1778). «mit anderen Menschen consentierenden Vorstellungen des Wachens». 168 KGS XVIII 172; Refl. 5400 (1771-1778). «die originale aller moglichen Einbildungen, also selbst keine Einbildungen sind». 169 ALEXANDER BAUMGARTEN, Metaphysica (1739), a cura di Günter Gawlick e Lothar Kreimendahl, Stuttgart-Bad Cannstatt, Frommann-Holzboog, 2011, § 402. 163
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per il fatto che ce lo rappresentiamo spazialmente (als räumlich vorstellen), è «una rappresentazione di qualcosa d’altro dal nostro soggetto».170 È significativo che, sempre in quegli anni, Kant scriva che Original o Urbild dell’oggetto è proprio il soggetto, l’io: «Io sono l’originale di tutti gli oggetti».171 Anche nella filosofia del razionalismo il modello degli oggetti è la sostanza spirituale: la res cogitans precede la res extensa. Il modello della sostanzialità è fornita dal soggetto, la nozione di sostanza esterna è solo derivativa: la monadologia si basa, cioè, sulla pneumatologia. In Kant, sempre rimanendo nel contesto della citazione precedente (tratta dal Duisburgsche Nachlass), l’io non è mai monade sostanziale, è solo «il substrato di una regola in genere e l’apprensione riferisce ogni fenomeno a essa».172 Queste considerazioni saranno solo perfezionate, non modificate nella KrV: il primo oggetto, infatti, è quello che otteniamo quando facciamo di noi stessi un oggetto, cioè quando pensiamo l’io come oggetto. Naturalmente questo oggetto non potrà che essere colto come fenomeno, quindi non per quello che è in se stesso: se si potesse trovare un’intuizione, cioè alcunché che può esserci solo dato, per esibire la pura spontaneità del soggetto, avremmo un’intuizione intellettuale.173 Ma se poi di tutte le rappresentazioni che sono nel senso interno prendiamo solo le relazioni, il come, o la forma, abbiamo un modello di oggetto che possiamo usare come substrato di regole possibili, così da poter determinare gli oggetti dati in genere. Questo è il «senso interno secondo la sua forma», che è senso o intuizione in quanto è l’unica rappresentazione che può precedere ogni operazione del pensiero, ed è forma in quanto «non contiene se non rapporti», ed è senso in170 KGS XVIII 310; Refl. 5653 (1785-89). «eine Vorstellung von etwas anderem als unserem Subjekte». In questo passo Kant, per provare il dualismo di senso interno e senso esterno, sostiene che tutti gli oggetti dei sensi sono nel tempo; ma non tutto ciò che è nel tempo è nello spazio. Se, però tutte le rappresentazioni di cose fuori di noi fossero oggetti del senso interno e rappresentazioni di noi stessi, allora gli oggetti del senso interno sarebbero nello stesso tempo tutti gli oggetti e lo spazio sarebbe il tempo. «Da aber auf die letztere Art [se la percezione dello spazio fosse fondata solo su noi stessi senza oggetti fuori di noi] nur immer die Anschauung der Zeit herauskommt, so muß der Gegenstand, den wir uns als räumlich vorstellen, auf einer Vorstellung von etwas anderem als unserem Subjecte beruhen», c.vo mio. 171 «Ich bin das original aller obiecte». KGS XVII 646; Refl. 4674 (1775). In un’altra Refl. della stessa epoca: «L’animo è quindi per se stesso il modello [Urbild] di una tale sintesi mediante il pensiero originario e non derivato [Das Gemüth ist sich selbst also das Urbild von einer solchen synthesis durch das ursprüngliche und nicht abgeleitete Denken]». KGS XVII 647; Refl. 4674 (1775). 172 KGS XVII 656; Refl. 4676 (1775). «Das Ich macht das Substratum zu einer Regel überhaupt aus, und die apprehension bezieht iede Erscheinung darauf». 173 KrV B 68. «La coscienza di se stesso (appercezione) è la rappresentazione semplice dell’io, e se ci venisse dato tutto il molteplice nel soggetto solo per mezzo di essa, spontaneamente, l’intuizione interna sarebbe intellettuale [Das Bewußtsein seiner selbst (Apperzeption) ist die einfache Vorstellung des Ich, und, wenn dadurch allein alles Mannigfaltige im Subjekt selbsttätig gegeben wäre, so würde die innere Anschauung intellektuell sein».
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terno in quanto, non rappresentando se non quel che è posto nell’animo, «non può essere che il modo in cui l’animo è affetto dalla sua stessa attività, cioè da questo porre la sua stessa rappresentazione, vale a dire da se stesso».174 L’autoaffezione, in questo senso è l’anticipazione, o l’elemento formale, dell’oggetto in genere in quanto dato effettivamente, non l’oggetto in genere costituito da categorie e forme spazio temporali come condizioni della sua possibilità. I due modelli di oggetto, basati su senso esterno e senso interno intesi non solo come condizioni di possibilità, in Kant non sono in conflitto, devono anzi essere sempre considerati insieme perché entrambi sono il risultato del superamento critico dell’equivoco tra monadologia e pneumatologia. Spatiolum Non sempre le linee terminologiche sono uniformi e continue; per raccogliere indicazioni su come Kant abbia formato la nozione di oggetto in quanto insieme di relazioni esterne o quella di sostanza dinamica, si può provare a considerare alcuni momenti della sua evoluzione iniziando da quando la distinzione non era ancora chiara. Un buon esempio è quello dello spostamento di un termine da un ambito all’altro seguendo la breve vita del termine spatiolum. Nel 1756 questo termine serviva per pensare una monadologia fisica. Gli spatiola sono piccoli spazi, non atomi ma sphaerae activitatis; 175 in quanto monadi fisi-
174 KrV B 67-68. «Nun ist das, was als Vorstellung vor aller Handlung irgend etwas zu denken vorhergehen kann, die Anschauung und, wenn sie nichts als Verhältnisse enthält, die Form der Anschauung, welche, da sie nichts vorstellt, außer so fern etwas im Gemüthe gesetzt wird, nichts anders sein kann als die Art, wie das Gemüth durch eigene Thätigkeit, nämlich dieses Setzen seiner Vorstellung, mithin durch sich selbst afficirt wird, d. i. ein innerer Sinn seiner Form nach». Nella Lettera del 25 Settembre 1790 a August Wilhelm Rehberg, Kant dice che per provare «la realtà oggettiva delle rappresentazioni di oggetti esterni [der objectiven Realität der Vorstellungen äußerer Dinge]», oltre all’autoaffezione («quando il soggetto stesso si fa oggetto della sua rappresentazione [wenn sich das Subject selbst zum Objecte seiner Vorstellung macht]» è necessario che il tempo sia «rappresentato come una linea per conoscerlo come quantum, così come all’inverso, una linea può essere pensata come quantum solo se deve essere costruita nel tempo [als eine Linie vorgestellt werden muß, um sie als Qvantum zu erkennen, so wie umgekehrt eine Linie nur dadurch, daß sie in der Zeit construirt werden muß, als Qvantum gedacht werden kan]». KGS XII 210. Alla luce di ciò si capisce come il rapporto analogico tra spazio e tempo possa essere il vero schematismo delle categorie: «Che il tempo venga espresso mediante una linea (che è uno spazio) e lo spazio mediante un tempo (nello spazio di un’ora) è uno schematismo dei concetti dell’intelletto. Compositio [Daß die Zeit durch eine Linie (die doch ein Raum ist) und der Raum durch eine Zeit (eine Stunde gehens) ausgedrükt wird, ist ein Schematism der Verstandesbegriffe. Compositio]». KGS XVIII 687; Refl. 6359 (1797). 175 FRITZ KRAFFT, Sphaera activitatis – orbis virtutis Das Entstehen der Vorstellung von Zentralkräften, «Sudhoffs Archiv», LIV, 1970, pp. 113-140. V. anche la sua voce Kreis und Kugel nel
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che sono centri di forze (attrattiva e repulsiva) che come quantità intensive sono indivisibili, mentre lo spazio che implent, e naturalmente anche le relazioni esterne tra queste sostanze, sono quantità estensiva e dunque divisibile.176 Quando, molti anni dopo, negli appunti preparatori allo scritto contro Eberhard, Über eine Entdeckung, nach der alle neue Kritik der reinen Vernunft durch eine ältere entbehrlich gemacht werden soll (1790), Kant riaffronterà questo tema, chiamerà Grille la concezione che aveva sostenuto nel 1756, e sposerà piuttosto la concezione spirituale delle monadi di Leibniz: Un grillo è un’idea cervellotica che non si lascia acciuffare, anche se qualcuno dà un segnale di cattura come fosse qualcosa di reale al di fuori di noi. Una monade nello spazio è un oggetto dei sensi esterni, ma non ha alcuna determinazione esterna e non può essere una parte dello spazio. Lo devo, dunque, sempre dividere. Si tratta di rappresentazioni in un posto nello spazio, dove non c’è che il posto. Leibniz, o la Critica, inferì qualcosa di soprasensibile dalla mancanza del semplice nella materia, non però che il soprasensibile in esso fosse contenuto come parte, ché in questo caso non sarebbe, infatti, soprasensibile.177
Del grillo che doveva pur aver avuto in testa anni prima, Kant non poteva aver eliminato il problema di tenere in qualche modo insieme spazio geometrico e sistema di forze che lo riempiono. Se la soluzione monadologica (fisica o no) doveva essere abbandonata, l’idea di sfera di attività invece poteva essere conservata nei casi in cui non c’era un conflitto tra spazio divisibile e indivisibile punto di forza materiale, perché la spazialità è intesa solo metaforicamente. Un caso è, per esempio, quello già citato della localitas animae,178 ovHistorisches Wörterbuch der Philosophie, cit. Nella sua edizione della Monadologia, N. Hinske rimanda per questa parola all’uso di un contemporaneo di Kant, FRANZ ULRICH THEODOR AEPINUS, Tentamen theoriae electricitatis et magnetismi, Typis Academiae Scientiarum, Petropoli, 1759 cap. IV nr. 274 p. 257: «designant nempe mihi verba ista, nil nisi spatium, ad quod se attractio et repulsio electrica aut magnetica, circa corpus quoddam, quaquaversum sensibiliter extendit». Kant usa anche l’espressione «ambitum activitatis», Metaphysicae cum geometria junctae usus in philosophia naturali, cuius specimen I. continet monadologiam physicam (1756, Monadologia physica), KGS I 481; trad. it. in Scritti precritici, cit., p. 66. 176 Monadologia physica, KGS I 480-482; trad. it., pp. 64-67. 177 KGS XX 367-368, Vorarbeiten zur Schrift gegen Eberhard. «Grille ist ein Hirngespinst das sich nicht haschen laßt wie wohl es einen Laut von sich giebt als ob es was wirkliches ausser uns wäre. Eine Monas im Raume ist ein Gegenstand äusserer Sinne aber es hat doch keine außere Bestimung und kan kein Theil vom Raume seyn. / Also muß ich ihn immer theilen. Das sind Vorstellungen in einer Stelle im Raume wo nichts als die Stelle ist. Leibnitz oder die Critik schloß aus dem Mangel des Einfachen in der Materie auf etwas Übersinnliches nicht aber daß das Ubersinnliche in demselben als Theil enthalten sey denn alsdann wäre es nicht übersinnlich». 178 Una Refl. molto chiara al riguardo: «Dobbiamo sì collocare l’anima nel mondo sensibile
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vero della comunanza tra anima e corpo in cui, dato che l’attività è solo interna,179 la spazialità non può essere che derivativa. Nei Träume eines Geistersehers (1766), in un contesto di pneumatologia, Kant scrive che l’anima non è un «microscopicamente piccolo posticino del cervello»,180 ma che il sano intelletto ha ragione a dire che è in tutto il corpo così come è disegnata per i bambini nell’Orbis pictus.181 Essa, cioè, è una sfera della attività esterna (Sphäre der äußeren Wirksamkeit).182 In questo caso si può usare l’immagine della sphaera activitatis, con la precisazione che, a differenza della monadologia fisica, la presentia è solo virtualis, e si tratta di una virtus che non è fisica ma spirituale. Questo naturalmente non vuol dire che Kant non usi l’opposizione localiter-virtualiter anche in contesti fisici: l’opposizione è così generale che Kant la usa non solo, come è ovvio, per tutte le forze interne rappresentative non motrici, ovvero per le forze vitali, ma anche per stabilire una differenza tra le vires locomotivae e quelle interne motivae. Queste ultime sono forze vive che agiscono anche a distanza «durch Tätigkeit (virtualiter)» non «mit körperlicher Gegenwart (localiter)», mentre le altre agiscono per contatto (Flächenkraft) e quindi localiter.183 Non si tratta soltanto di una semplice questione di classificazione, ma tocca di nuovo la concezione dello spazio come forma e come spazio dato: Lo spazio considerato per sé non è ancora un oggetto dei sensi, ma solo la forma dell’intuizione di oggetti esterni, così come il tempo di quelli interni, ed è ciò che è soggettivo del modo rappresentativo degli oggetti in genere. Una cosa (ens, dabile, phaenomenon), che manifesta nello spazio con la sua forza motrice (virtualiter) la sua esistenza, è oggetto dei sensi e cioè nella misura in cui o afferma nella sostanza il suo luogo ed è in relazione con altri oggetti della percezione (rappre-
(mediante il tempo), ma non possiamo farlo nel mondo corporeo, possiamo tuttavia collocarla nella semplice rappresentazione del mondo corporeo. Perciò l’anima in quanto tale non ha un luogo nel corpo umano, e il suo luogo è il luogo del corpo nel mondo. Dunque nessuna sedes animae in communi sensorio. Nessun distacco dal corpo. Virtuale. [Wir müssen die Seele zwar (vermöge der Zeit) in die Sinnenwelt, wir können sie aber nicht in die korperliche Welt, sondern diese nur in ihre Vorstellung versetzen. Daher hat die Seele als solche keinen Ort im menschlichen Korper, und ihr Ort ist der Ort des Korpers in der Welt. Daher kein sedes animae in communi sensorio. Kein Abscheiden aus dem Körper. Virtuel]». KGS XVIII 259; Refl. 5621 (1769-1777). 179 MANW, KGS IV, 544. Cfr. anche KGS XV, p. 248; Refl. 573 (1776-1778): «Facultas substantiae, qvatenus consistit in caussalitate repraesentativa est vita». 180 KGS II 325; trad. it., p. 357. «mikroskopisch kleines Plätzchen des Gehirns». 181 Il riferimento è a JOHANNES AMOS COMENIUS, Orbis Sensualium Pictus (1653), Noribergae, Endter, 1698, XLII, p. 88. http://digi.ub.uni-heidelberg.de/diglit/comenius1698/00900. Cfr. la figura a p. 566. 182 KGS II 325; trad. it., p. 357. 183 KGS XXI 182. Cfr. KGS XXII 125, 196 (in riferimento al tempo), 198, 538, 595.
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Fig. da Johannes Amos Comenius, Orbis Sensualium Pictus (1653), Noribergae, Endter, 1698, XLII, p. 88, v. nota 181.
sentazione empirica con coscienza, immediatamente), oppure manifesta con una presenza virtuale non locale la sua esistenza mediante forza motrice in un luogo in cui esso stesso non è.184
Grazie a questa opposizione si possono considerare le due modalità secondo le quali possiamo pensare lo spazio come dato, cioè in quanto viene affermato il suo luogo (seinen Ort behauptet) come sostanza o come forza a distanza, localiter o virtualiter. Un confronto molto interessante tra ambito giuridico e fisico è permesso proprio dall’analogia tra rapporto di proprietà e rapporto conoscitivo, a partire dal ruolo che vi giocano lo spazio e l’opposizione localiter-virtualiter. 184 KGS XXII 428: «Der Raum ist für sich betrachtet noch kein Sinnengegenstand, sondern nur die Form der Anschauung äußerer Gengenstände der Anschauung so wie Zeit der inneren und sie das Subjective der Vorstellungsart der Gegenstände überhaupt./ Ein Ding (ens, dabile, phaenomenon) was durch seine bewegende Kraft (virtualiter) im Raume sein Daseyn offenbart ist Sinnengegenstand und zwar in so fern es entweder in Substanz seinen Ort behauptet und in der Relation zu anderen Gegenständen der Warnehmung (empirischer Vorstellung mit Bewußtseyn unmittelbar) ist oder nur sein Daseyn durch bewegende Kraft an einem Orte wo es selbst nicht ist durch virtuale nicht locale Gegenwart offenbart».
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Come si è già detto, lo spazio ha un ruolo molto importante per definire il rapporto di proprietà (Besitz), ma è significativo che Kant per illustrare il passaggio dal possesso fenomenico a quello noumenico stabilisca un’analogia proprio con la struttura del giudizio sintetico a priori teoretico. In questo principio la sinteticità dipende dall’aggiunta di un’intuizione a priori, mentre nel principio pratico del diritto naturale, che legittima il fondamento giuridico della prima presa di possesso (erste Besitznehmung),185 la sinteticità che prova questo principio deve fare l’inverso, deve, cioè, fare astrazione dall’elemento sensibile in modo che si possa disporre giuridicamente di una cosa anche senza detenerla fisicamente. Solo così è possibile stabilire l’essenziale differenza tra possesso fenomenico e possesso noumenico, e fondare il Mio giuridico (das rechtlich Meinen).186 Quel che qui interessa è come sia possibile questa astrazione. In un altro passo, proprio nella prima pagina della Dottrina del diritto, Kant fornisce gli strumenti per comprendere come ciò sia possibile a partire dalla distinzione tra due significati dell’espressione «un oggetto è fuori di me». Può significare, infatti, «che esso è distinto da me (dal soggetto), oppure anche che è un oggetto che si trova in un altro luogo (positus), nello spazio o nel tempo».187 Solo se dell’oggetto si considera la generica nota di essere la «rappresentazione di qualcosa d’altro dal soggetto»,188 cioè la semplice appartenenza al senso esterno, si riesce a pensare un possesso razionale (Vernunftbesitz), ovvero intelligibile e non solo empirico (detentio). Si deve cioè fare astrazione dall’oggetto pensato come positus,189 cioè da quella X che rende sintetico un giudizio sintetico a posteriori.190 Il positus è, cioè, il dato intuitivo, sensibile (in questo caso spaziale) che è «substrato di una regola in genere».191 Solo se si riesce a prescindere da questo elemento che rende sintetico il giudizio teoretico si può stabilire un’analogia tra principio teoretico e principio giuridico, cioè sostituendo, nel principio giuridico del possesso MdS, KGS VI 251. MdS, KGS VI 252. 187 MdS § 1, KGS VI 245. 188 Cfr. supra il passo della Refl. 5653, cit. alla nota 170. 189 Il termine non sembra essere un’acquisizione tarda nel contesto della scienza della natura: «Determinazione del positus in entrambi [spazio e tempo] mediante oggetti reali [Bestimmung der positus in beyden [Raum und Zeit] durch wirkliche Gegenstände]». KGS XIV 122; Refl. 40 (1773-1775). 190 L’esperienza completa di un oggetto è il semplice referente di un giudizio sintetico a posteriori con la forma «A è B» (KrV A 8); in quanto solo determinabile questo oggetto rimane sconosciuto, è una X (das Unbekannte = X). KrV B 13. 191 Cfr. supra il passo della Refl. 4676, cit. alla nota 172. 185 186
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noumenico, al substrato delle determinazioni spaziali o dinamiche, necessario per affermare la Wirklichkeit dell’oggetto, ciò che rende sintetico il principio pratico (che ne determina il possesso noumenico), ovvero il concetto «dell’avere nella mia potestà l’oggetto esterno».192 In questo modo si può stabilire un nesso tra oggetto esterno e il possessore in quanto «condizione soggettiva della possibilità dell’uso». La X del possesso noumenico diventa così substrato di regole che riguardano forze, in questo caso non forze dinamiche della materia, ma forze giuridiche (gesetzliche Kräfte) 193 che chiamano in causa non un rapporto tra una persona e un oggetto (come in un giudizio conoscitivo), ma un rapporto della persona che possiede l’oggetto con le altre persone che «sono tutte obbligate, in vista dell’uso di cose, per mezzo della volontà di tale persona».194 Per far sì che una persona possa stabilire un rapporto giuridico con un oggetto sensibile (Sinnenobject) è richiesto dunque che si possa «tralasciare, ovvero non tener conto (astrazione) delle condizioni sensibili del possesso» 195 e porre al loro posto la volontà della persona che possiede l’oggetto in conformità «all’assioma della libertà esterna, al postulato della facoltà e alla legislazione universale della volontà pensata a priori come riunita».196 A conferma di questa interpretazione, in un appunto preparatorio della MdS, si dice che il rapporto di proprietà (Besitz) di un soggetto con un oggetto può essere pensato o secondo il concetto dell’intelletto (causa effetto) o come dato secondo lo spazio e il tempo: «nel primo caso la presenza è solo virtuale, nel secondo è locale».197 L’analogia tra principi teoretici e giuridici, che chiama in causa due nozioni di oggetto, mette in evidenza la complessa sistematicità della terminologia spaziale. Il termine «positus» merita, in questo senso, di essere approfondito, ma essendo difficile attribuirgli un significato preciso dato che si tratta di un hapax nelle opere edite di Kant, si dovrà piuttosto lavora192 MdS, KGS VI 268. «den [Rechtsbegriff] des in meiner Gewalt Habens […] des äußeren Gegenstandes». La frase in cui si trova l’espressione citata, è piuttosto tormentata e variamente emendata dagli editori (v. ed. italiana p. 334), ma è chiaramente da leggere in parallelo con gli altri passi citati, in base ai quali risulta piuttosto intelligibile. 193 MdS, KGS VI 257. 194 MdS, KGS VI 268. «diese alle durch den Willen der ersteren […] in Ansehung des Gebrauchs der Sachen zu verbinden». 195 MdS, KGS VI 268. «die Weglassung oder das Absehen (Abstraction) von diesen sinnlichen Bedingungen des Besitzes». 196 MdS, KGS VI 268. «[durch den Willen einer Person] so fern er dem Axiom der äußeren Freiheit, dem Postulat des Vermögens und der allgemeinen Gesetzgebung des a priori als vereinigt gedachten Willens gemäß ist». 197 KGS XXIII 287. «Im ersten Falle ist die Gegenwart blos virtual im zweyten local». Cfr. anche KGS XXIII 235, 287-289.
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re sulle connessioni terminologiche che a partire da esso si possono stabilire.198 Sembra, infatti, depositarsi in questa parola tutta la riflessione di Kant sulla nozione di oggetto. Positus è qualcosa che noi poniamo nello spazio e nel tempo, cioè che ha la caratteristica anfibolica di essere costruzione e dato fenomenico, un oggetto fenomenico che però anticipa, come modello di oggetto, gli oggetti empirici. A giudicare dalle occorrenze, piuttosto numerose nell’Opus postumum, si ricava, infatti, l’impressione che in questo termine si ritrovino tutte le considerazioni sulla costituzione dell’oggetto come modello degli oggetti empirici nella autoaffezione, la necessità di una rappresentazione spaziale del tempo e temporale dello spazio, la stessa nozione di intuizione formale, ma anche la nozione di fenomeno indiretto.199 Il contesto più interessante, anche per i possibili riferimenti alla KrV, è quello dell’autoaffezione, cioè il porre se stessi come oggetto. In un passo dell’Opus postumum si coglie bene il nesso tra Selbstsetzung e l’oggetto come positus: A parte che con la coscienza di me stesso (logica) non ho a che fare con nient’altro se non con la mia facoltà rappresentativa. Io sono per me stesso un oggetto. La stessa posizione di qualcosa fuori di me proviene innanzitutto da me, nelle forme dello spazio e del tempo, nelle quali io stesso pongo gli oggetti del senso esterno e interno, e che per questo motivo sono infinite posizioni [unendliche Setzungen].200 198 Potrebbe sembrare che si voglia attribuire troppa importanza a un termine come positus che compare una sola volta in tutta l’opera edita di Kant, e per giunta con un significato teoretico in un’opera che tratta di diritto. Indizi della sua importanza vengono, però, dall’uso che ne ha fatto Kant in molte fasi del suo pensiero. Cfr. ancora P. SCHULTHESS, Relation und Funktion, cit., pp. 160, 190-191, 195, 234-242. Per alcune importanti conseguenze nell’Opus postumum, v. SILVIA DE BIANCHI, Questioni epistemologiche nella scienza della natura dell’ultimo Kant, Tesi di Dottorato, Facoltà di filosofia, Dipartimento di studi filosofici ed epistemologici, Sapienza-Università di Roma, A.A. 2009/2010, pp. 30 sgg., ma passim. 199 KGS XXII 340. La indirecte Erscheinung (equivalente di Erscheinung einer Erscheinung) la traiamo (herausheben) dall’intuizione «nel momento in cui ve l’abbiamo posta, cioè nella misura in cui essa è un nostro proprio prodotto conoscitivo [als wir sie selbst hineingelegt haben d.i. in so fern sie unser eigenes Erkentnisproduct ist]». 200 KGS XXII 97. «Nächst dem Bewustseyn meiner selbst (logisch) habe ich objectiv mit nichts anderm als meinem Vorstellungsvermögen zu thun. Ich bin mir selbst ein Gegenstand. Die position von etwas ausser mir geht selbst zuerst von mir aus in den Formen von Raum u. Zeit in welche ich selbst die Gegenstände der äußeren u. des inneren Sinnes setze und welche darum unendliche Setzungen sind». In questo caso le posizioni infinite sono ciò che rende sintetici i giudizi sintetici a priori mediante le categorie, intese come funzioni dell’intelletto riguardo all‘omogeneo (spazio e tempo). È interessante che Kant distingua in una Refl. il porre semplicemente qualcosa (blos gesetzt) dal porlo iterative (wiederholentlich gesetzt), nel secondo caso è il porre di una molteplicità (Vielheit), nel primo il porre di un uno (Eines): «Ogni molteplicità è dunque omogenea, e la ripetuta posizione è aggiunta. [Alle Vielheit ist also gleichartig, und die Wiederholte Setzung ist Hinzuthuung]». KGS XVIII 337; Refl. 5726 (1785-1789).
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Ciò che rende interessante il termine è il suo valore spaziale. Kant lo usa come equivalente di Stelle 201 o Lage,202 traendolo plausibilmente dall’uso che ne faceva Baumgarten,203 ma l’area semantica di positus è anche logico-ontologica, se si considerano due termini molto vicini come Position 204 e Setzung.205 Questi due termini hanno un valore così rilevante nella filoso201 KGS XXII 5. Vale la pena citare l’intero passo perché vi si trova un possibile rapporto tra positus e Seyn, che è il più difficile da documentare: «Il tempo non ha durata. Il suo essere (adesso, in futuro, contemporaneamente, prima, dopo) è un attimo. – L’uno presso l’altro e l’uno fuori dall’altro sono positus (posizioni [Stellen]) nello spazio. Spazio e tempo sono oggetti che noi intuiamo? Essi non sono forme del pensiero, ma intuizioni di ciò che non è nulla al di fuori della mia rappresentazione. – Lo spazio non è oggetto dell’intuizione ma intuizione esso stesso [Die Zeit hat keine Dauer. Ihr Seyn (jetzt, künftig, zugleich vordem, nachdem) ist ein Augenblik. – Das Nebeneinander u. außer einander sind positus (Stellen) im Raum Sind nun Raum u. Zeit Obiecte die wir anschauen? Sie sind nicht Formen des Denkens sondern Anschauungen dessen was ausser meiner Vorstellung nicht ist. – Der Raum ist nicht Gegenstand der Anschauung sondern Anschauung selbst]». Per indagare i rapporti tra Position nel senso logico-ontologico e nel senso spaziale sarebbe bene analizzare, sempre negli scritti precritici, l’uso di Position nel suo uso logico-ontologico in Der einzig mögliche Beweisgrund zu einer Demonstration des Daseins Gottes (1763) e l’uso spaziale o comunque reale nel Versuch den Begriff der negativen Größen in die Weltweisheit einzuführen (1763), KGS II 182, 193-195, 203; trad. it. in Scritti precritici, cit., pp. 266, 277-279, 287. 202 Positus in un contesto di fisica traduce Lage: KGS XXI 504. – Solo per fare un esempio della labirinticità dell’indagine lessicale su un termine spaziale, si potrebbe prendere il caso di Lage. Che sia un termine eminentemente spaziale non c’è dubbio, al tempo, infatti, non appartiene Gestalt oder Lage KrV B 49-50. Può significare luogo come Ort, ma si può dire «Lage des Orts» per dire «dove è situato il luogo» KGS XIV 556. In senso concreto, Lage vale la posizione delle montagne, Lage der Gebirgen KrV B 719/A 691; cfr. KrV B 715/A 687. È la posizione reciproca delle stelle (Lage der Fixsterne), Gegenden, KGS I 248;, p. 413. Lage può essere la situazione, la posizione del corpo (Körper) KGS XV 705, ma anche dell’oggetto (Gegenstand), Gedanken, KGS I 80. In senso traslato, Lage è punto di vista (unter allen verschiedenen Lagen) KrV B 63/A 45 o situazione, verschiedenen Lage KrV B 745/A 716. Kant usa Lage come positus nel senso che si trova nel manuale di metafisica di Baumgarten per indicare la peculiare situazione del soggetto che percepisce o giudica soggettivamente: «die besondere Lage des Subiects in der Erfahrung» KGS XVI 633; Refl. 3051 (1776-1789). In senso ancora più metaforico Lage indica la situazione dello Stato, KGS XIX 484, 604, o perfino l’ambigua situazione (zweideutige Lage) delle idee della ragione quando non sono ben distinte dai concetti dell’intelletto, KrV B 396/A 338. 203 Positus ha valore spaziale. Come scrive Schulthess citando Baumgarten: «Der Ausdruck “locus” wird bei Baumgarten (bei Wolff: collocari) mit “positus” wiedergegeben: “Respectus entis ex coniunctione eius cum aliis determinatus est positus (Stelle)”. A. BAUMGARTEN, Metaphysica, cit., § 85». P. SCHULTHESS, Funktion und Relation, cit., p. 190. Lo spazio del positus contiene una norma, dove c’è positus deve esserci una legge che ne ha determinato la collocazione in un dato ordine: «ubi ergo positus, ibi leges». A. BAUMGARTEN, Metaphysica, cit., § 75. 204 Tra gli innumerevoli passi che mostrano come Position è quasi sinonimo di positus: «Spazio e tempo e la posizione di se stesso (dabile) come determinabile nello spazio e nel tempo (cogitabile) [Raum u. Zeit und die Position seiner selbst (dabile) als bestimmbar im Raum und der Zeit (cogitabile)]». KGS XXII 47. 205 Ancora più frequente di Position, Setzung ha una funzione simile a positus in molti passi, per esempio: «1. La coscienza di me stesso come soggetto (secondo la legge di identità). 2. La conoscenza di se stessi mediante intuizione e concetto. 3 La posizione di se stessi nello spazio e nel tempo [1. Das Bewustseyn meiner selbst als Subject (nach der Regel der Identität). 2. Das
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fia critica da doversi considerare quasi sue pietre angolari, in quanto caratterizzano fin dall’epoca precritica il rifiuto kantiano di considerare l’essere come un predicato,206 e contengono un valore logico, quanto ontologico e modale.207 Se e come siano collegabili queste nozioni con la nozione spaziale di positus è un tema da indagare ulteriormente: le poche indicazioni su una possibile linea di ricerca stanno qui a indicare un posto vuoto in una topica idealmente sistematica della terminologia spaziale. Schauplatz Kant non può non aver considerato lo spazio e la sua terminologia anche nella concretezza della geografia, se non altro per aver insegnato geografia fisica all’università per più di quarant’anni. La parola scelta per dare un’idea della terminologia della spazialità nella geografia fisica è Schauplatz, in quanto permette di cogliere anche un’importante relazione tra geografia fisica e antropologia pragmatica. Per Kant, infatti, entrambe sono preparatorie alla conoscenza del mondo (Weltkenntnis): «La conoscenza del mondo è la conoscenza del teatro Erkenntnis seiner selbst durch Anschauung und Begriff. 3. Die Setzung seiner selbst: im Raum und Zeit]». KGS XXII 418. 206 «Il concetto di posizione [Position] o porre [Setzung] è del tutto semplice e in generale identico con quello di essere [Der Begriff der Position oder Setzung ist völlig einfach und mit dem vom Sein überhaupt einerlei]». Beweisgrund, KGS II 73; trad. it., p. 114. Naturalmente, nella KrV B 579/A 551, ma anche B 630/A 602 e infine nella KU § 76, B 340. Nel giovane Leibniz si trova un interessante legame tra esistenza e spazio, L’esistenza di qualcosa in un luogo determinato (localitas) è fondata sulla sua existibilitas che è la possibilità di esistere in un luogo simile e omogeneo. Cfr. G. W. LEIBNIZ, Sämtliche Schriften und Briefe, cit., VI/2, p. 168, cit. in HEINRICH SCHEPERS, s.v. «Existentificatio» in Historisches Wörterbuch der Philosophie, cit., II, p. 853. Curiosamente non ci sono entrate per questi termini nel Kant-Lexicon (1930) di Rudolf Eisler, anche se ovviamente se ne tratta in moltissime voci: Existenz, Ontologischer Beweis, Möglichkeit, Prädikat ecc. 207 Per il valore logico cfr. ancora P. SCHULTHESS, Relation und Funktion, cit., pp. 24, 28, con opportuni riferimenti a Baumgarten. Per il valore modale, si può considerare un passo in cui compare un altro termine candidato a tradurre positus, cioè Stellung: «Possibilità, realtà e da entrambe necessità: non sono concetti di oggetti, né predicati, ma posizioni dell’oggetto. 1 della facoltà inventiva. L’oggetto dell’invenzione è possibile. 2 L’oggetto dei sensi è reale. 3. La posizione [Setzung] mediante la ragione è necessaria [Moglichkeit, Wirklichkeit und aus beyden Nothwendigkeit sind nicht Begriffe von Gegenständen noch praedicate, sondern stellungen des obiects. 1. Von der Dichtungskraft. Das obiect der Erdichtung ist moglich. Die Erdichtung, die sich selbst aufhebt, ist keine Erdichtung. Zu iedem Dichten gehört, daß was Gegeben sey. 2. Das obiect des Sinnes ist Wirklich. 3. Die Setzung durch Vernunft ist nothwendig.]». KGS XVII, 497; Refl. 4288 (1770-1778). Per il valore modale: «Possibilità, realtà e necessità non sono determinazioni, ma modalità della posizione della cosa con i suoi predicati [Moglichkeit, wirklichkeit und Nothwendigkeit sind nicht determinationen, sondern modalitaet der position des Dinges mit seinen Praedicaten]». KGS XVIII 232; Refl. 5557. Cfr. KGS XVII 499; Refl. 4298 (1770-1771).
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[Schauplatz] nel quale possiamo esercitare tutte le abilità».208 Parole simili a quelle che aveva scritto nell’annuncio delle lezioni del 1775: Questa conoscenza del mondo è quella che serve a fornire l’elemento pragmatico a tutte le scienze e le abilità [Geschicklichkeiten] altrimenti acquisite, di modo che diventino utilizzabili non solo per la scuola ma per la vita, una conoscenza mediante la quale lo scolaro al termine degli studi viene introdotto nel teatro [Schauplatz] della sua destinazione, vale a dire il mondo.209
Le conoscenze geografiche e quelle antropologiche sono accomunate dal fatto che entrambe contribuiscono alla preparazione al mondo come nostra destinazione (Bestimmung).210 Esse, cioè, non servono solo ad acquisire conoscenze ma, con espressione antiquata, anche ad avere uso di mondo. Questa conoscenza pragmatica si raggiunge in entrambi i casi sviluppando delle abilità (Geschicklichkeiten), un altro termine chiave che appartiene alla forma dell’agire pratico della prudenza (Klugheit).211 La duplice esperienza del viaggio e della conoscenza degli uomini risponde all’esigenza della Erweiterung, ovvero dell’estendere le proprie conoscenze mettendosi nei panni degli altri, osservando le cose da un diverso punto di vista, anche in senso letterale, cioè viaggiando.212 208 «Die Kenntnis der Welt ist eine Kenntnis des Schauplatzes, auf dem wir alle Geschicklichkeit anwenden können». Vorlesungen über Anthropologie, KGS XXV 469. 209 «Diese Weltkenntniß ist es, welche dazu dient, allen sonst erworbenen Wissenschaften und Geschicklichkeiten das Pragmatische zu verschaffen, dadurch sie nicht bloß für die Schule, sondern für das Leben brauchbar werden, und wodurch der fertig gewordene Lehrling auf den Schauplatz seiner Bestimmung, nämlich in die Welt, eingeführt wird». Von den verschiedenen Racen der Menschen zur Ankündigung der Vorlesungen der physischen Geographie im Sommerhalbenjahre (1775), KGS II 443. Cfr. WERNER STARK, REINHARD BRANDT, Introduzione a KGS XXV, p. XX. Cfr. anche Nachricht von der Einrichtung seiner Vorlesungen in dem Winterhalbenjahre, von 1765-1766, KGS II 312. Anche nella Physische Geographie (1802) curata da Friedrich Theodor Rink: «il mondo è il substrato e il teatro sul quale si svolge il gioco delle nostre abilità [Geschicklichkeiten]. Esso è il terreno sul quale possono essere acquisite e applicate le nostre conoscenze [Die Welt ist das Substrat und der Schauplatz, auf dem das Spiel unserer Geschicklichkeit vor sich geht. Sie ist der Boden, auf dem unsere Erkenntnisse erworben und angewendet werden]». Vorlesungen über die physische Geographie, KGS IX 158. In questo caso il testo proposto da Rink corrisponde piuttosto bene a quel che si trova in molte trascrizioni di lezioni. Cfr. http://kant. bbaw.de/physische-geographie/dokumentation-der-vorlesungen. 210 Cfr. R. BRANDT, Die Bestimmung des Menschen bei Kant, Hamburg, Felix Meiner Verlag, 2007, p. 112. 211 CLEMENS SCHWAIGER, Kategorische und andere Imperative. Zur Entwicklung von Kants praktischer Philosophie bis 1785, Stuttgart-Bad Cannstatt, Frommann Holzboog, 1999, in part. pp. 113 sgg. 212 Cfr. per esempio la Messina Vorlesung, p. 3: «I rapporti con altri e i viaggi sono gli ausili con cui io estendo le mie conoscenze e la loro portata [Umgang und Reysen sind diejenigen Hülfsmittel, wodurch ich meine Erkentnieße und den Umfang derselben erweitere]». Gli altri strumenti possono essere anche i libri, da cui Kant trae fini osservazioni di psicologia sullo spa-
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Se basta dire che il teatro è il luogo della rappresentazione di una vicenda, alla nozione di Schauplatz non manca neanche la dimensione storica. In un passo della Allgemeine Naturgeschichte und Theorie des Himmels (1755) le distruzioni, le manifestazioni della ricchezza della natura, sono descritte come il passaggio da una scena all’altra in un teatro: «Allo stesso modo interi mondi e sistemi abbandonano la scena dopo aver recitato fino in fondo la loro parte».213 Già la scelta del termine Schauplatz dice molto riguardo alle ragioni dell’insegnamento congiunto di geografia fisica e antropologia pragmatica. Il termine «Schauplatz», teatro, ha, innanzitutto, l’immediatezza del luogo (Platz) in cui si svolge un’azione visibile, contiene la descrizione sia dello spazio (geografia) sia del tempo (storia), e inoltre permette di organizzare il sapere in modo ordinato. Infatti la metafora del teatro, come la intende Kant, più che dalla classica immagine del theatrum mundi in cui l’uomo è marionetta e il mondo scena della vanità, deriva probabilmente dalla potente immagine rinascimentale del teatro come scena del sapere e dei saperi, macchina della memoria. Si pensi agli innumerevoli libri rinascimentali che hanno il termine theatrum nel titolo, come per suggerire lo spettacolo della natura e dell’uomo riunito in uno spazio chiuso e organizzato. Questi Theatri, per padroneggiare l’enorme aumento di informazioni determinato dall’invenzione della stampa e dalle scoperte geografiche, raccolgono citazioni, mappe e aneddoti in sistemi di conoscenze organizzati in topiche assai complesse. Lo sfondo sia pur lontano, ma non estraneo alla cultura di Kant, per la scelta del termine Schauplatz è evocato già semplicemente citando due titoli assai rappresentativi, il Theatrum orbis terrestris (1570) di Abraham Ortelius, e il Theatrum humanae vitae (1565) di Theodor Zwinger. Per l’importanza epistemologica data da Kant al viaggio si può considerare anche la trattazione dello stesso Zwinger dedicata a rendere metodico il viaggio, la Methodus apodemica, in cui per illustrare il suo metodo zio. Una per tutte è una considerazione presa dal Tristram Shandy di Sterne: «Tristram. Quando qualcuno pensa a una cosa passata, guarda in alto. A una futura: in basso. [tristram. Wenn iemand an eine vergangene sache denkt, so sieht er aufwarts. An eine künftige: Abwarts]». KGS XV 149; Refl. 375. Sarebbe da correggere l’inversione tra alto e basso, dovuta plausibilmente a un lapsus calami. «It is said in Aristotle’s Master-Piece, “That when a man doth think of any thing which is past, – he looketh down upon the ground; – but that when he thinketh of something which is to come, he looketh up towards the heavens.” My uncle Toby, I suppose, thought of neither, – for he look’d horizontally». LAURENCE STERNE, The Life and Opinions of Tristram Shandy, Gentleman (1759-1767), Chap. VII. 213 «Auf gleiche Weise verlassen ganze Welten und Systemen den Schauplatz, nachdem sie ihre Rolle ausgespielt haben» KGS I 318; Storia universale della natura e teoria del cielo, trad. it. di Stefano Velotti, Bulzoni, Roma, 2009, p. 138. Di questo senso storico della rappresentazione teatrale, Kant conserva oltre al monito sulla non permanenza delle cose umane, il privilegio (solo teoretico) del punto di vista dello spettatore. Cfr. Der Streit der Fakultäten (1798), KGS VII 85.
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misto (la topica locorum bilanciata con la pragmatica rerum) si rimanda al principio di Ippocrate secondo il quale occorre fornire esempi dei precetti generali.214 Già in quel tempo, almeno in Germania, l’espressione «storia pragmatica» aveva il significato che ha in Zwinger, di conoscenza utile basata sui fatti, in cui, cioè, i precetti generali devono essere animati (sunt animanda) con esempi. Non siamo lontani da Baumgarten, per il quale la cognitio pragmatica è movens, ovvero viva quando è cognitio intuitiva,215 e neanche da Kant che da Baumgarten, con notevoli trasformazioni, riprenderà il termine. Geografia della ragione Nelle metafore e immagini spaziali si trovano sempre possibili relazioni. Questo può essere un vantaggio, ma è anche il maggior pericolo quando per il loro moltiplicarsi queste si trasformano in un labirinto. Nel caso della relazione tra geografia fisica e geografia della ragione, il legame è tuttavia piuttosto saldo, dato che ciò che le unisce sono comuni caratteristiche architettoniche. Per Kant c’è un principio di ordine e di intelligibilità che vale per le conoscenze empiriche della geografia, e, in modo curiosamente simile, anche per conoscenze razionali della filosofia. La geografia fisica è tipicamente un sapere empirico e il Boden da cui si traggono le conoscenze per riapplicarle ad esso potrebbe essere senza ordine. C’è, tuttavia, un dato, anch’esso empirico, che fa sì che la Weltkenntnis possa essere anticipazione di un tutto: il mondo è finito e sferico. Per questo motivo la sfericità del mondo può essere idea architettonica delle scienze in cui ogni oggetto ha un suo luogo non solo logico, ma fisico: «Se qui consideriamo la terra, osserviamo il teatro e i diversi scomparti [Fächer] dove poi collochiamo le diverse creature terrestri».216 La geografia fisica diviene in tal modo una scienza architettonica empirica con un’idea del tutto che la precede: 214 «Come secondo Ippocrate “bisogna tradurre la sapienza in arte”, ovvero si debbono spiegare i precetti universali con esempi singoli e per così dire animarli [Quandoquidem ex Hip. consilio, ten sophien eis ten technen metagein dei, hoc est, praecepta universalia exemplis singularibus explicanda sunt et veluti animanda]». THEODOR ZWINGER, Methodus Apodemica, Strasburgo, Zetzner, 1594, cap. III, p. 159. Cfr. LUCIA FELICI, La Methodus apodemica di Theodor Zwinger: un osservatorio cinquecentesco della città come spazio politico, in Viaggio e politica, V Giornata di studio «Figure dello spazio, politica e società» (Firenze, 23-24 febbraio 2006), a cura di Lea Campos Boralevi e Sara Lagi, Firenze, Firenze University Press, 2009, pp. 45-73. 215 A. BAUMGARTEN, Metaphysica, cit., § 669. 216 «Wenn wir hier die Erde erwägen, so betrachten wir den Schauplatz und die verschiedenen Fächer wo wir hernach die verschiedenen ErdGeschöpfe hinsetzen». V. sul sito citato, Messina Vorlesung, p. 17.
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Questa preparazione è dunque anche un’idea della conoscenza del mondo; io mi faccio un concetto architettonico, che è un concetto nel quale il molteplice è tratto dal tutto. Il tutto è qui il mondo, il teatro in cui io farò tutte le esperienze.217
L’immagine della sfericità 218 usata per illustrare l’anticipazione architettonica di un tutto rimanda immediatamente al famoso passo della Dottrina del metodo della KrV, nel quale Kant vuole descrivere la ragione come sapere architettonico per eccellenza. Per porre la completezza come criterio di verità, Kant usa l’immagine della geografia della ragione, riformulando nei suoi termini la mental geography di Hume.219 Kant non sta qui semplicemente riutilizzando un’immagine felice, sta propriamente rispondendo all’obiezione humiana sulla necessità e universalità del legame causale. La sua idea è che l’unico modo per superare il dubbio humiano è trovare tutti i modi sintetici legittimabili (categorie) ma anche dialettici (idee). Solo così si può diventare geografo trascendentale della ragione.220 Secondo Kant, Hume ha posto il problema della necessità di una descrizione completa delle nostre capacità conoscitive, ma ha negato la possibilità di disegnarne i limiti (come si trattasse di semplici limitazioni, Schranken). Questa indeterminatezza delle facoltà conoscitive (ignoranza accidentale benché infinita), che condanna all’empirismo, è descritta come un piano infinito. L’alternativa che tenta 217 «Diese Vorbereitung ist also auch eine Idee von der Kentnieß der Welt ich mache mir einen architectonischen Begrif, welches ein Begrif ist, worin das Mannigfaltige aus dem Ganzen hergezogen wird. Das Ganze ist hier die Welt, der Schauplatz wo ich alle Erfahrungen anstellen werde». Messina Vorlesung, p. 3. 218 Esiste un caso intermedio di significato della sfera per la filosofia tra quello empirico della geografia fisica e quello trascendentale della Dottrina del metodo, quello della metafisica del diritto. Il fatto che la superficie terrestre sia sferica (Erdfläche als Kugelfläche) e ci sia quindi l’unità di tutti i luoghi (Einheit aller Plätze), e non un piano infinito (unendliche Ebene), MdS § 13, KGS VI 262, rende pensabile il possesso comune. Su un piano infinito gli uomini disperdendosi non verrebbero a contatto e non stabilirebbero una comunanza, probabilmente, anzi, non ci sarebbe neanche la necessità del diritto come qualcosa che serve a determinare il Mio e il Tuo giuridici. Nel caso del diritto, per legittimare filosoficamente la proprietà si muove da un dato empirico, la forma della terra, per elaborare le condizioni a priori della possibilità dei rapporti giuridici. Sui principi metafisici come opposti ai principi trascendentali, cfr. KU § V, B XXIX. 219 «And if we can go no farther than this mental geography, or delineation of the distinct parts and powers of the mind, it is at least a satisfaction to go so far; and the more obvious this science may appear (and it is by no means obvious) the more contemptible still must the ignorance of it be esteemed, in all pretenders to learning and philosophy». DAVID HUME, An Enquiry Concerning Human Understanding 1.13 (1748), in Essays Moral, Political, and Literary, a cura di Thomas Hill Green e Thomas Hodge Grose, 2 voll., London 1889, II, p. 10; Ricerche sull’intelletto e sui principi della morale, a cura di Mario Dal Pra, Roma-Bari, Laterza, 1978, p. 13. 220 Per la questione, soprattutto del rapporto con Hume, cfr. H. HOHENEGGER, Kant geografo della ragione, in Sphaera. Forma immagine e metafora tra Medioevo ed età moderna, a cura di Pina Totaro e Luisa Valente, Firenze, Olschki, 2012, pp. 411-428. La concezione e le metafore spaziali del sistema delle scienze empiriche kantiano sono esaminate soprattutto nel confronto con Francis Bacon.
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Kant è quella di provare a descrivere i limiti dell’esperienza possibile enumerando tutte le possibili sintesi che producano tutte le conoscenze legittimabili, senza assumere un punto di vista che trascenda l’esperienza stessa, proprio come quando si descrivono volume e superficie di una sfera possedendo solo la curvatura di un arco della sua superficie (fuor di metafora, la natura delle proposizioni sintetiche a priori). Questo sapere dei suoi limiti (ignoranza inevitabile, come confini che possono essere determinati a partire da principi, Grenzen) è condizione della Critica della ragione pura, ma in generale dell’impresa filosofica in genere perché la ragione architettonica è proprio «la facoltà di descrivere la sua propria sfera».221 L’altra immagine geografica di cui si potrebbe trattare in una geografia della ragione è legata alla necessità dell’orientamento piuttosto che alla misura dello spazio. Stellung, nel contesto del saggio del 1768, Von dem ersten Grunde des Unterschiedes der Gegenden im Raume (un vero primo passo verso la concezione critica dello spazio),222 vuol dire la posizione del corpo dalla quale si producono le regioni nello spazio al centro della proiezione di tre superfici ortogonali secondo le tre coppie di orientamenti assoluti (alto-basso, destra sinistra, avanti-indietro). In questa divisione in regioni Kant vede un esempio del fatto che per determinare le posizioni relative dei corpi dobbiamo presupporre le determinazioni dello spazio che si riferiscono allo spazio assoluto e originario.223 Il nostro percepire la destra e la sinistra rispetto ai lati del nostro corpo permette di orientarci perfino nelle regioni cosmiche, ma non è, certo, questo sentimento soggettivo a fondare quel principio di determinazione dello spazio. Il soggetto, però, può sentire la distinzione in regioni (Gegenden), e direzioni (Richtungen) che quel principio fonda. Da spazio assoluto, questo spazio che è condizione delle relazioni spaziali diventerà forma soggettiva della sensibilità, non un sentimento, benché di quel sentimento avrà ereditato la soggettività e la non concettualità. Quella tradizionale concezione dello spazio come proiezione del corpo che genera «sei orientamenti assoluti» secondo «la positura naturale dell’organismo» è, per usare le parole di Giorgio Stabile in riferimento alla cosmologia dantesca, una struttura spaziale «qualificata e orientata secondo una topografia essenzialmente biologica», che in quanto «nasce e cresce come riflesso immediato della struttura del corpo vivente […] acquisisce orientamenti e valori assoluti in rapporto alla collocazione che in esso ha l’esseKGS XV 186; Refl. 451 (1772-1778). Benché l’argomentazione si proponga di provare la realtà dello spazio assoluto, già si intravede l’impostazione della soggettività e intuitività dello spazio. Gegenden, KGS II 377-383; trad. it., pp. 411-418. Cfr. F. KAULBACH, Die Metaphysik des Raumes, cit., p. 92. 223 Cfr. Gegenden, KGS II 383, cit. supra, nota 83. 221
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re vivente organizzato».224 Naturalmente in Kant non c’è un cosmo che rifletta in sé valori, non c’è una cosmologia morale, come non c’è ontologia morale,225 garanti oggettive del senso, ma, sì, la necessità di orientarsi rispetto alla posizione che il soggetto occupa nel mondo. La Stellung del corpo 226 permette di orientarsi secondo le regioni dello spazio, ma anche di avere coscienza del proprio punto di vista per sapere della relatività del proprio percepire e valutare. Proprio questa percezione della relatività fa sì che si senta, come sentimento di una mancanza, la necessità di orientarsi rispetto a un assoluto, come il soprasensibile in senso pratico. Orientarsi, in questo senso, è un compito di tipo morale, come coscienza dell’assenza di ogni garanzia conoscitivamente assoluta. Questo è il senso della ripresa dell’immagine dell’orientamento nello spazio in Was heißt: sich im Denken orientieren (1786). La ragione può orientarsi nel pensiero, «nello spazio smisurato del soprasensibile e per noi pieno di spessa notte», solo secondo un principio soggettivo del giudizio, che è il bisogno della ragione.227 Conclusione Si può riprendere, infine, la citazione d’apertura di Bergson che, pur essendo radicalmente antikantiano, o forse proprio per questo, già in quella breve frase mostra di cogliere bene la relazione che c’è in Kant tra spazio, linguaggio e simbolismo anche dove non è esplicita. Bergson, lettore assiduo di Kant, è interessante sia dove lo segue sia dove lo critica. Infatti, Bergson approva la concezione critica dello spazio che emerge dalle antinomie («définitive dans ce qu’elle nie») 228 e si dichiara d’accordo, per una parte, anche riguardo alla soluzione positiva trascendentale: lo spazio ha, 224 GIORGIO STABILE, Dante e la filosofia della natura. Percezioni, linguaggi, cosmologie, Firenze, SISMEL, Edizioni del Galluzzo, 2007, p. 143. 225 Cfr. F. NIETZSCHE, Werke, cit., VIII, 3, p. 265. Cit. in WILLIE P. ESTERHUYSE, Nietzsches Typierung der Kantischen Philosophie als “moralische Ontologie”, in Akten des 4. Kant-Kongresses Mainz 6.-10. April 1974, cit., II, 2, pp. 743-750. 226 Il primo punto di riferimento per la terminologia kantiana è sempre A. BAUMGARTEN, «Anima mea est vis repraesentativa universi pro positu corporis sui». Metaphysica, cit., § 512. La traduzione in tedesco di Baumgarten è «nach der Stelle meines Leibes». Per un altro uso kantiano cfr. KGS XVIII 406; Refl. 5964 (1783-1784). 227 Was heißt: sich im Denken orientieren, KGS VIII 137; trad. it. in Scritti sul criticismo, a cura di Giuseppe De Flaviis, Roma-Bari, Laterza, 1991, pp. 13-30: 19, «im unermeßlichen und für uns mit dicker Nacht erfüllten Raume des Übersinnlichen». Seguendo Emilio Garroni, il soprasensibile o l’orizzonte di senso in filosofia è «dover essere del senso» in cui si deve rinunciare tanto alla fiduciosa considerazione che un senso ci deve pur essere, quanto all’abissale sconforto (per qualche verso metafisicamente confortante) per la mancanza di ogni senso. Cfr. E. GARRONI, Estetica. Uno sguardo-attraverso, Milano, Garzanti, 1992, pp. 245-270. 228 H. BERGSON, L’Évolution, in Œuvres, cit., p. 669.
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cioè, una posizione speciale tra gli attributi materiali, non è comparable con il calore, il colore o il peso, conduce, infatti, ad altre conoscenze a priori e lo fa prescindendo dall’esperienza.229 La sua critica, però, non è meno radicale: lo spazio kantiano è «une forme toute faite de notre faculté de percevoir», cioè un «véritable deus ex machina dont on ne voit ni comment il surgit, ni pourquoi il est ce qu’il est plutôt que tout autre chose».230 Per Bergson, Kant fa l’errore capitale di non considerare la genesi dello spazio dalla confusione tra qualità e quantità, tra eterogeneo e omogeneo, tra realtà e suo simbolo; una confusione che pur essendo utile, se non necessaria, per la vita pratica, il linguaggio e le scienze quantitative, ci preclude la via metafisica alla realtà. È significativo che per criticare Kant Bergson usi parole o filosofemi kantiani. Viene infatti alla mente la famosa lettera a Marcus Herz del 21 febbraio 1772, in cui Kant parla del trucco metafisicoteatrale del Deus ex machina per dire che non si possono introdurre questi stratagemmi «per determinare l’origine e validità delle nostre conoscenze».231 Bergson vuole abbattere la filosofia kantiana alla radice e con le sue stesse armi. Così facendo vuole evidentemente negare proprio ciò che qualifica propriamente la filosofia critica, ovvero la rinuncia all’assolutezza di un punto di vista, sia essa l’accesso diretto e immediato all’oggetto o il punto di vista di Dio. La visione diretta e dunque assoluta dell’oggetto è secondo Kant preclusa, la nostra facoltà conoscitiva, soprattutto la parte sensibile, è contingente e non si può dare conto della sua origine,232 come non si può intendere l’interno delle cose come se avessimo un’intuizione diversa dalla nostra («Non comprendiamo per nulla l’interno delle cose»).233 Non si può, infatti, prescindere dalla contingenza del punto di vista: nell’Estetica trascendentale, proprio parlando dello spazio, Kant afferma che «Possiamo quindi parlare di spazio di esseri estesi ecc. solo dal punto di vista di un essere umano».234 Bergson ritiene invece che la coscienza può isolarsi dal mondo Ivi, p. 668. Ibid. 231 KGS X 131. 232 KrV B 334/A 278: «il segreto dell’origine della nostra sensibilità [das Geheimnis des Ursprungs unserer Sinnlichkeit]». Cfr. anche Anthr., B 84-85, KGS VII 177. Non si tratta di un interdetto dogmatico, ma del riconoscimento che il tema dell’origine delle facoltà o forze conoscitive, o anche che si possa parlare di radice comune ai due ceppi della conoscenza umana, sensibilità e intelletto, benché sia sconosciuta (gemeinschaftlichen, aber uns unbekannten Wurzel. KrV A 15), è una domanda che riguarda le facoltà come forze, e assomiglia a una domanda cui si può rispondere solo a posteriori, avanzando ipotesi. Cfr. KrV A XVI. Per porre correttamente il tema dell’origine delle facoltà bisogna riconoscere i limiti della filosofia: presupporre sensibilità e intelletti altri, di cui non si sa neanche se siano possibili, significa trascendere il punto di vista umano. 233 KrV B 333/A 277, tutto spaziato nel testo. «Wir sehen das Innere der Dinge gar nicht ein». 234 KrV B 42/A 26. 229
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esteriore e ridiventare se stessa «par un vigoureux effort d’abstraction» riconoscendo così che la vrai durée non ha alcun rapporto con lo spazio.235 Lo sforzo metafisico è quello di liberare il tempo dal «fantôme de l’espace obsédant la conscience réfléchie».236 In un certo senso, Bergson riprende proprio l’idea della via metafisica della Dissertatio per conoscere le cose sicuti sunt grazie a un’altrettanto potente astrazione dalle condizioni sensibili, cioè dalla specialis indoles subiecti. Kant, invece, come si sa cambierà idea e riterrà che l’unica via rimanga quella di indagare proprio il soggetto in tutta la sua antinomicità e contingenza. Per interpretare la via positiva alla metafisica di Bergson è suggestivo pensare che potrebbe aver preso da Leibniz l’analogia tra aria ed essere vivente, da un lato, e spazio e intelletto, dall’altro. Secondo Leibniz, infatti, per pensare è necessario il senso esterno, ma solo come condizione esterna: Je demeure d’accord cependant que les sens externes nous sont necessaires pour penser et que si nous n’en avions eu aucun, nous ne penserions pas. Mais ce qui est necessaire pour quelque chose, n’en fait point l’essence pour cela. L’air nous est necessaire pour la vie, mais nostre vie est autre chose que l’air.237
Certo è ben diversa la monade nel mondo logicista dell’armonia prestabilita di Leibniz dall’intuizione della pura qualità della «durée vraie», monade creativa e libera di Bergson. In entrambi i casi, tuttavia, è interessante che, per arrivare alla sostanza metafisica, la strategia sia sempre quella di rendere secondario e accessorio lo spazio come simbolo e apparenza. Per Kant il necessario riferimento del pensiero all’elemento empirico, dell’intelletto alla sensibilità (e quindi allo spazio), è parte della stessa natura dell’intelletto, e quindi è necessario assumere la duplicità della coscienza come qualcosa che appartiene non accidentalmente alla sua natura. L’io penso empirico in quanto segno è quell’elemento non spontaneo e non concettuale dell’io penso che è «la condizione empirica per l’applicazione o l’uso della facoltà intellettuale pura».238 Senza di essa l’io penso puro non sarebbe esprimibile. L’io penso è designato (wird bezeichnet) come esistente: esso «esprime» (ausdrückt) l’«intuizione empirica indeterminata».239 Goethe ha interpretato in modo profondo soprattutto l’impostazione della metafisica di Kant. Nel capitolo Sull’Anfibolia Kant dice quanto sia 235 H. BERGSON, Essai sur les données immédiats de la conscience (1888), in Œuvres, cit., p. 61; cfr. p. 85 dove si tratta di un «effort vigoureux d’analyse» per ritrovare il «moi fondamental». 236 Ivi, p. 67. 237 G. W. LEIBNIZ, Die philosophischen Schriften, cit., VI, p. 491. 238 KrV B 423; trad. it., p. 436. 239 KrV B 422-423; trad. it., p. 435.
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ingiusto e irragionevole (unbillig und unvernünftig) chi lamenta che Wir sehen das Innere der Dinge gar nicht ein. Lo scrive avendo in mente i versi di Haller: «Ins innre der Natur dringt kein erschaffner Geist, / Zu glücklich, wann sie noch die äußre Schale weist!».240 Goethe, sia pure nel suo peculiarissimo modo, è del tutto kantiano: «la natura non ha né nocciolo né scorza, è tutto in una sola volta»: Ort für Ort / sind wir im Inneren.241
ALBRECHT VON HALLER, Das Innere der Natur, in Gedichte, Versuch Schweizerischer Gedichte, Die Falschheit menschlicher Tugenden, 1730, vv. 289-290, a cura di Ludwig Hirzel, Frauenfeld, 1882, p. 74. «Nessuno spirito creato penetra l’interno della natura / Già contento quando essa mostra la scorza esterna». 241 «Natur hat weder Kern / Noch Schale, / Alles ist sie mit einemmale». JOHANN WOLFGANG VON GOETHE, Allerdings. Dem Physiker 1820, e poi Ultimatum 1821, in Goethes Werke. Weimarer Ausgabe a cura di Max Freiherr von Waldberg und Bernhard Seuffert, Weimar, Böhlau, 1892, sez. I, III, pp. 105-106. 240