La musica in cento parole. Un piccolo lessico 8843026380, 9788843026388

Questo volume intende spiegare in modo chiaro alcuni termini tecnici del linguaggio musicale (alcune sue forme e alcuni

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La musica in cento parole. Un piccolo lessico
 8843026380, 9788843026388

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Arrigo Quattrocch i

LA MUSICA l N CENTO PAROLE Un piccolo lessico

Carocci editore

la ristampa, giugno

2004 2003

la edizione, novembre © copyright ISBN

2003 by Carocci editore S.p.A.,

Roma

978-88-430-2638-8

Riproduzione vietata ai sensi di legge (art. 171 della legge

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aprile 1941, n. 633)

Senza regolare autorizzazione,

è vietato riprodurre questo volume anche parzialmente e con qualsiasi mezzo, compresa la fotocopia, anche per uso interno o didattico.

Introduzione

Questo libro nasce dalla convinzione che esista, presso un pubblico di lettori-ascoltatori fortemente interessati alla mu­ sica, ma non necessariamente edotti della storia, della teoria e della tecnica musicale, una esigenza diffusa: approfondire il significato di termini tecnici che spesso sembrano oscuri e decodificabili solo da un gruppo di esperti ed "iniziati " (cosa sono la forma sonata, il contrappunto, il serialismo?) e che invece possono essere facilmente compresi anche dai non specialisti. Che questa esigenza esista, è verosimile per la storia stes­ sa dell'educazione musicale nel nostro paese. L'Italia, si dice, è il paese del belcanto, il paese che vanta una produzione e un'attività musicali straordinariamente fertili lungo oltre mil­ le anni di storia , che conserva sul proprio territorio oltre la metà delle fonti musicali dell'intera Europa, che tuttora vei­ cola attraverso la musica, i grandi teatri, direttori, cantanti, buona parte della propria immagine internazionale. È però anche un paese con una conoscenza tecnica della musica in­ credibilmente povera, ben al di sotto di quella diffusa presso i paesi del Nord Europa. Le cause di questa situazione af­ fondano in una tradizione religiosa, come quella della Chiesa romana, che ha sempre affidato la realizzazione della musica , all'interno del rito, a esecutori professionisti e specializzati; mentre nelle Chiese riformate sono gli stessi fedeli a prende­ re parte all'intonazione dei canti liturgici. Su questa tradizio­ ne si è innestato un sistema scolastico, voluto dalla cosiddet­ ta " riforma Gentile " del 1 923, che ha indicato per l'istruzio7

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ne artistica un percorso " separato " . Dunque la musica è ri­ masta fuori dalle scuole ordinarie ed è stata insegnata quasi esclusivamente, fino ad oggi, negli istituti specialistici, con un percorso formativo a sé stante. Da questo stato di cose sono derivati non solo una proverbiale lacuna dei musicisti professionisti nel campo della cultura generale, ma anche il fatto che generazioni di italiani sono cresciute con un amore e una passione verso l'arte dei suoni che prescindeva nella maggior parte dei casi da una conoscenza più approfondita dei fatti musicali. La convinzione che esista un pubblico fortemente deside­ roso di approfondire tale conoscenza tecnica e storica deriva, a chi scrive, da una ormai lunga esperienza nel campo della divulgazione, presso alcune istituzioni musicali. In particola­ re , la collaborazione con l'Accademia Filarmonica Romana si è tradotta, per lungo tempo, nell'estensione delle note illu­ strative per la stagione di concerti di questa istituzione (i co­ siddetti "programmi di sala " ) , e anche nella cura di una ru­ brica pensata per illustrare con parole semplici il significato di alcuni termini tecnici contenuti all'interno delle note illu­ strative. Oltre la metà dei termini contenuti in questo volu­ me deriva - sia pure attraverso un lavoro di revisione ed am­ pliamento - da quella esperienza presso l'Accademia Filar­ monica, istituzione che ha con grande cortesia messo a di­ sposizione quel materiale per la nuova pubblicazione. Questo libro non è dunque un dizionario musicale nel­ l' accezione più comune del termine. Non lo è innanzitutto perché limita al numero di I oo le voci principali prese in considerazione ( anche se all'interno dei singoli lemmi vengo­ no illustrate altre voci secondarie); non lo è, poi, perché adotta un linguaggio che evita deliberatamente l'impiego di termini tecnici per illustrare altri termini tecnici, cercando piuttosto di entrare nel vivo della materia musicale nel modo più semplice possibile. Non lo è, infine, per lo stesso conte­ nuto delle voci, che non cerca di offrire una qualche "verità"

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sui termini illustrati, ma si propone anzi di mostrare come spesso la terminologia musicale costituisca una rigida classifi­ cazione di concetti e idee che hanno subito invece modifiche profonde nel tempo e nello spazio, e il cui significato non è univoco. La scelta dei cento termini principali è stata com­ piuta secondo un criterio eminentemente pratico: sono stati privilegiati i termini ritenuti di più frequente ricorrenza al­ l'interno di un testo divulgativo. La selezione si è rivolta, in molti casi, a generi musicali che hanno subito una complessa evoluzione storica; come anche ai principali strumenti e fa­ miglie strumentali della moderna orchestra sinfonica; ma, in altri casi, anche all'illustrazione " dall'interno " di come è co­ struita la musica, affrontando inoltre questioni della teoria musicale. Nel desiderio di risultare più accessibili, si è evita­ to programmaticamente di utilizzare esempi musicali su pen­ tagramma e di riportare simboli propri della notazione musi­ cale. Spesso, per facilitare la comprensione di alcuni signifi­ cati, è stata impiegata la formula del parallelo con significati extramusicali dei medesimi termini. Inoltre è stato privilegia­ to il riferimento a procedimenti compositivi che siano chiara­ mente rilevabili anche al semplice ascolto, prescindendo dai dati che sono analizzabili solamente a partire dalla musica scritta. Sono stati inseriti però dei riferimenti a numerose composizioni musicali il cui ascolto costituisce un aiuto per la comprensione dei termini. Il risultato non ha la presunzione di incidere sulle stori­ che lacune della formazione musicale italiana; più modesta­ mente, confida di offrire un utile punto d'appoggio per l'a­ scoltatore che si accosti alla musica con il desiderio di inten­ derne lo sviluppo storico e la logica interna.

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Avvertenza

Il volume prende in esame I oo termini principali, ciascuno dei quali viene illustrato in un apposito lemma, e altri I 3 2 termini secondari, illustrati più sommariamente all'interno di quelli principali. Ogni qual volta ciascuno dei termini princi­ pali appare (o meglio , appare per la prima volta) all'interno di uno degli altri lemmi, viene messo graficamente in rilievo con l'uso del MAIUSCOLETTO. D' altro canto, ogni qual volta uno dei termini secondari appare per la prima volta all'interno di uno dei cento lemmi, viene messo graficamente in rilievo con una maggiore s p a z i a t u r a. Al termine del volume è pre­ sente un indice di tutti e 2 32 i termini presi in considerazione; nell'indice viene indicato, per i termini secondari, il riferimen­ to al lemma principale all'interno del quale si trova la spiega­ zione più dettagliata per il singolo termine secondario. N el testo sono presenti inoltre alcune sigle che necessita­ no di essere illustrate a parte. Queste sigle si riferiscono ai cataloghi più diffusi di alcuni grandi compositori, realizzati a distanza di decenni, talvolta di secoli, dalla morte dei com­ positori stessi. Alcune sigle sono semplicemente l'iniziale o le iniziali dello studioso che per primo realizzò il catalogo. BWV: Bach Werke Verzeichnis ( catalogo delle opere di Johann Sebastian Bach). Pubblicato nel I 9 5 o da Wolfgang Schmieder. BuxWV: Buxtehude Werke Verzeichnis ( catalogo delle opere di Dietrich Buxtehude) . Pubblicato nel I 97 4 da Geor­ ge Karstadt. =

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Hob : è l'abbreviazione del nome di Anthony van Hobo­ ken , il musicologo che realizzò fra il 1 9 5 7 e il 1 9 7 8 il catalo­ go di Franz Joseph Haydn. K: è l'iniziale del cognome di Ludwig von Kochel, lo stu­ dioso che realizzò nel I 862 il catalogo di Wolfgang Amadeus Mozart. WoO: Werke ohne Opus ( Composizioni senza numero d'opera ) . È la sigla utilizzata nel catalogo pubblicato nel 1 955 da Georg Kinsky e Hans Halm per quei lavori di Lud­ wig v an Beethoven che sono rimasti inediti per molti decen­ ni dopo la morte del compositore e che dunque non possie­ dono un proprio numero d'opera. =

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ABBELLIMENTI "Abbellire " significa rendere più bello attra­ verso una modifica, una aggiunta; con " abbellimenti " in musi­ ca si intende l'aggiunta di alcune note accessorie a una melo­ dia, allo scopo di renderla più elaborata e più accattivante. Si parla dunque, oltre che di abbellimenti, di f i o r i t u r e od o r n a m e n t a z i o n i, perché la melodia viene fiorita e or­ nata dall'aggiunta di queste note accessorie. Esistono molti tipi di abbellimenti; i più frequenti sono: acciaccatura, ap­ poggiatura, mordente, gruppetto, trillo. L'a c c i a c c a t u r a è l'aggiunta di una nota brevissima, suonata quasi simultanea­ mente a una seguente e più lunga . L ' a p p o g g i a t u r a è simile ma meno rapida, l'aggiunta di una nota attigua a una seguente e più lunga, che sottrae ad essa parte del suo valore. Il m o r d e n t e è la rapida alternanza di una nota di base con una immediatamente superiore o inferiore. Il g r u p p e t t o è un gruppo di note che ruotano intorno a una nota di base. Il t r i 11 o è una rapida e prolungata al­ ternanza fra due note. Gli abbellimenti possono essere già espressamente previsti dal compositore, e quindi indicati sullo spartito con dei simboli convenzionali; la traduzione (o meglio realizzazione) di questi simboli in suoni non è però di interpretazione univoca, poiché è strettamente lega­ ta alla PRASSI ESECUTIVA dell'epoca della composizione; in­ somma esistono, a seconda delle diverse epoche e anche dei diversi stili, diversi tipi di gruppetti o di trilli, non tutti uguali, e lo studio della prassi di questi abbellimenti è di conseguenza assai complesso. Inoltre gli abbellimenti sono

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una delle risorse più comuni da parte dell'interprete per "variare " la composizione, secondo quel principio di crea­ tività dell'interprete che è essenziale per la musica del Sei-Settecento e anche in parte dell'Ottocento. Dunque le VARIAZIONI della ripresa di un 'ARIA barocca o del bel canto italiano, oltre che sugli abbellimenti ricordati, si basano spesso anche sull'aggiunta di SCALE, arpeggi e altri interven­ ti, a proposito dei quali il termine di "fioritura " e "orna­ mentazione " è più appropriato. AGOGICA Nel greco antico il termine agoghé veniva impie­ gato per indicare il movimento della frase musicale verso l'alto o verso il basso. "Agogica " è termine derivato da ago­ ghé, ma ne ha modificato in parte il significato, che si riferi­ sce principalmente al tempo musicale, secondo accezioni dif­ ferenti. Da una parte si parla di agogica a proposito di quel­ le indicazioni convenzionali che il compositore appone all'i­ nizio di un brano per indicarne l'andatura: Presto, Allegro , Allegretto, Andante, Largo ecc. Per queste indicazioni l'uso della lingua italiana si impose in tutta Europa già nel xvn secolo, e solo nel XIX si affiancò la prassi di utilizzare talvolta le lingue nazionali (ad esempio Beethoven , nel primo tempo della Sonata per piano/orte op. 90: Mit Lebha/tigkeit und dur­ chaus mit Empfindung und Ausdruck, Vivo e con molto senti­ mento ed espressione) . Dall'altra parte si parla di agogica a proposito di tutte quelle oscillazioni che rendono il tempo musicale flessibile e non rigido , regolato cioè sulla base delle esigenze espressive della musica stessa; ma anche, più in ge­ nerale e per estensione, a proposito di tutte le indicazioni re­ lative a queste esigenze espressive , incluse la dinamica , il fra­ seggio ecc. Dunque le indicazioni agogiche possono essere suggerite dallo stesso compositore con termini quali: allar­ gando, accelerando, rallentando, tempo rubato , ma anche con crescendo, diminuendo, e con quei segni convenzionali che indicano sullo spartito le variazioni di dinamica, le legature

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del fraseggio, gli " staccati " ecc. Al di là delle indicazioni del­ l' autore, tuttavia, l'agogica, essendo così strettamente correla­ ta all'atto esecutivo, è anche una variabile fortemente sogget­ tiva dell'interpretazione, legata quindi alla sensibilità e al gu­ sto del singolo interprete; ma anche alla sua consapevolezza storicistica del significato variabile dei termini agogici nei tempi passati, dello stile e della PRASSI ESECUTIVA d'epoca. ALTEZZA Secondo la fisica acustica, l' altezza è una delle tre proprietà fondamentali di un suono musicale, le altre due es­ sendo l'INTENSITÀ (ovvero se il suono è più o meno forte) e il TIMBRO (ovvero il " colore " del suono). Il significato del termine è intuitivo: altezza del suono significa se un suono è più acuto o più grave , se si trova più in alto o più in basso rispetto alla nostra percezione. L'altezza è legata al numero delle vibrazioni al secondo (frequenze) generate dallo stru­ mento o dal corpo che emette il suono; più un suono è acu­ to, più alto è il numero delle sue frequenze. Il raddoppia­ mento o il dimezzamento delle frequenze di un suono ha come effetto quello di un suono riconoscibile come uguale, ma più acuto, o più grave del primo (nella musica occidenta­ le il rapporto fra un suono e un altro con frequenze doppie o dimezzate si dice "INTERVALLO di o t t a v a " ) . Fra le tre proprietà del suono l'altezza è certamente quella che più è stata approfondita e studiata in modo sistematico fin dai tempi antichi. Infatti la necessità di accordare gli strumenti seguendo dei principi razionali ha portato alla individuazio­ ne di rapporti matematici fra i suoni, e quindi alla elabora­ zione di una teoria degli intervalli, e di SCALE di altezze, che , seppure molto diverse a seconda dei luoghi e delle epoche, sono in genere riproducibili tali e quali a partire da un suo­ no di vibrazioni doppie o dimezzate. Del pari, la determina­ zione dell'altezza del suono è stata una precoce preoccupa­ zione dei vari sistemi di NOTAZIONE musicale; non a caso, con la notazione " diastematica " si è arrivati a stabilire un

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criterio per indicare l'altezza assai prima di tutti gli altri pa­ rametri del suono. L'invenzione, da parte di Guido d'Arezzo (sec. XI) , del t e t r a g r a m m a (ovvero di un sistema di quattro linee sovrapposte, sulle quali inserire dei simboli che, dal basso in alto, riproducono i suoni dai più gravi ai più acuti) ha aperto la strada al moderno p e n t a g r a m m a, ovvero a un codice di segni che determinano con notevole precisione l'altezza dei suoni normalmente impiegati all'inter­ no della musica occidentale. Quella dell 'anthem, ovvero "inno " in inglese, è probabilmente la forma musicale più originale ed importante della liturgia anglicana. I primi esempi risalgono all'epoca dello scisma di Enrico VIII, e consistono in anthems intera­ mente corali, basati su testi delle sacre scritture, che prendo­ no a modello il mottetto·k della liturgia cattolica. Proprio per la sua natura esclusivamente corale questo tipo di anthem, detto full-anthem, sopravvisse nella liturgia anglicana anche nel periodo del Commonwealth ( r 649- r 66o) , quando la re­ pubblica puritana di Cromwell decretò l'estromissione di tutti gli strumenti dalle chiese. Con la Restaurazione fu lecito reintrodurre gli strumenti nella musica sacra; ma gli organici a disposizione delle chiese non erano in un primo momento in grado di venire incontro alle nuove esigenze. Ne derivò l'affiancamento di due stili, il vecchio e il nuovo, quello ap­ punto del /ull-anthem e quello del verse-anthem. Il primo manteneva l'impianto polifonico della tradizione, con le linee vocali intrecciate e accompagnate dal BASSO CONTINUO ( al­ l'oRGANO ) ; il secondo vedeva, nella sua forma più "moder­ na " , l'inserimento di altri strumenti, e l'alternanza fra sezioni declamate affidate a voci soliste, riprese corali e ritornelli strumentali; dunque uno stile internamente molto più anima­ to, volto non all'illustrazione dell"' affetto " complessivo del testo sacro, ma all'intelligibilità ed espressività della parola. Appunto questo tipo di anthem si prestava a soluzioni di ANTHEM

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particolare solennità e magniloquenza, che vennero sfruttate in modo magistrale da Henry Purcell (My heart is inditing, I 68 5) e, dopo di lui, da Haendel, con i Chandos anthems ( I 7 I 7 circa) e i Coronatio n anthems (scritti per l'incoronazio­ ne di Giorgio n nel I 7 2 7 ) . N ella seconda metà del secolo il genere venne tenuto vivo da William Boyce, ma declinò poi rapidamente nel corso dell'Ottocento. ARCHI È questo il nome che viene dato a una intera fami­ glia strumentale, quella dei cosiddetti " strumenti ad arco " . Dai primi antichi modelli fino agli strumenti della moderna ORCHESTRA sinfonica, gli strumenti ad arco hanno delle ca­ ratteristiche affini: sono strumenti a corde; le corde sono tese sopra un manico collegato a una cassa armonica e vengono stimolate da un archetto, formato oggi da crini di cavallo tesi fra le due estremità di una lunga asta. Lo strumento viene impugnato con la mano sinistra, e l'archetto con la destra. È intorno al x secolo che viene importato dall'oriente l'uso di suonare i LIUTI con un archetto piuttosto che pizzicandoli. Gli strumenti ad arco medievali più diffusi sono la r i b e c a e la v i e I l a , ma una vera e propria rivoluzione nella liute­ ria si verifica all'inizio del XVI secolo , con la creazione di strumenti di alta perfezione tecnica, destinati a rimanere in auge per secoli (v i o l i n o , v i o l a d a g a m b a) o anche a un rapido declino (l i r a d a b r a c c i o ) . Grande dif­ fusione ebbe dunque la famiglia delle viole, caratterizzata dalla forma a spalle spioventi della cassa armonica e dalle sei corde; comprendeva i tipi principali " da braccio " e " da gamba" e si articolava in vari modelli (soprano , contralto, te­ nore, contrabbasso ecc. ) . Tipi particolari erano la v i o l a b a s t a r d a (con caratteristiche miste della lira da braccio e della viola da gamba) , il b a r y t o n (una viola da gamba tenore, dotata di sette corde superiori e quindici inferiori che vibravano "per simpatia " , ovvero senza essere diret­ tamente stimolate) e la v i o l a d' a m o r e (una viola ba-

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starda contralto, anch 'essa con corde che vibravano "per simpatia " ) . È soprattutto nel XVII secolo che la famiglia delle viole si impone in Francia, Inghilterra e Germania come c o n s o r t, ossia complesso di strumenti, presente presso le principali corti. La viola da gamba viene suonata alla corte del re Sole da insigni solisti (Marin Marais, Jean-Baptiste Forqueray) . La famiglia delle viole doveva però essere sop­ piantata nel corso del XVIII secolo da quella dei violini, che aveva un suono più brillante, linee più tondeggianti e usava quattro corde. Ne facevano parte strumenti " da braccio " come v i o l i n o e v i o l a (uguale per nome ma diversa per fattura da quella della famiglia delle viole) , e strumenti " da gamba" come v i o l o n c e l l o e c o n t r a b b a s s o (quest'ultimo suonato in piedi, un tempo detto "v i o l o n e " , dotato oggi di una quinta corda ) ; insomma gli strumenti della moderna orchestra sinfonica. Sono i grandi liutai bre­ sciani (Gas paro da Salò) e cremonesi (Andrea Amati, Anto­ nio Stradivari) che portarono a perfezione questa famiglia. Se il violino si impose precocemente sulla viola da braccio , il violoncello e il contrabbasso si affermarono nell'uso con lentezza, nel corso del XVIII secolo. Nei primi decenni del­ l'Ottocento, la necessità di ampliare il volume sonoro per adeguarlo alla realtà delle nuove sale pubbliche portò a in­ terventi di modifica sulla struttura di violini e viole , con l' allungamento del manico, anche per gli esemplari antichi. Anche la tecnica si modificò, portando allo sviluppo di un VIRTUOSISMO trascendentale , grazie all'arte di Niccolò Paga­ nini e dei suoi epigoni. N egli ultimi decenni l'affermarsi del movimento della PRASSI ESECUTIVA ha portato al recupero degli strumenti delle epoche passate, della loro tecnica e del loro stile esecutivo. ARIA Il significato più diffuso e meno tecnico di questo ter­ mine è quello di melodia dal profilo cantabile e orecchiabile . L'aria però - ed è questo il significato più specifico e più

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importante - è soprattutto una composizione vocale solistica, che assume una precisa forma chiusa. Questa seconda acce­ zione si impone all'inizio del xvn secolo con la nascita del m e l o d r a m m a, e si precisa ancor più con la distinzione, all'interno dell'oPERA in musica, di parti dedicate alla narra­ zione dell' azione (RECITATivo) e parti dedicate all'espressione del sentimento ( aria, appunto) . Da allora le vicende dell'aria saranno sempre connesse a quelle del melodramma, ma an­ che di generi affini come la CANTATA e l'oRATORIO; funzione dell'aria sarà quella di esprimere una situazione espressiva precisa, nonché di offrire al cantante l'occasione per l'esibi­ zione personale. Nell'opera del Seicento l'aria è in genere di­ visa in due sezioni gemelle ( A-A' ) o contrastanti ( A-B ) ; con la fine del secolo si impone però il modello più articolato del­ l' aria col DA CAPO, in cui due sezioni gemelle incorniciano una sezione contrastante ( A-B-A' ) (Haendel, Giulio Cesare, "Piangerò la sorte mia " ) . L'opera barocca ha proprio nella successione di arie (separate da recitativi) la sua struttura portante, e queste arie corrispondono a modelli tipologici differenti: aria di "furore " , di " sentimento " , di " carattere " ecc. Alla fine del Settecento si impongono modelli formali più variati, e l'aria acquista una maggiore dinamica interna; si afferma all'inizio dell'Ottocento la cosiddetta ARIA " dop­ pia " ( composta di un " cantabile " e di una "cABALETTA " , se­ parati da una sezione di raccordo ) , la cui funzione è spesso quella di far progredire l'azione, contrapponendo situazioni espressive differenti (Verdi, Il trovatore, " Ah sì ben mio col­ l' essere - Di quella p ira " ) . La maggiore continuità narrativa dell'OPERA di fine Ottocento tende a sopprimere l'aria, e ne rende comunque più duttile e varia la forma. Come molte altre forme vocali, l'aria ha avuto anche delle interpretazioni puramente strumentali, che costituiscono delle stilizzazioni dell'aria vocale; ad esempio la celebre air della terza Sui te per orchestra di Bach BWV r o68, il Preludio, aria e finale per pianoforte di César Franck. Altro caso strumentale è quello

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dell"' aria con variazioni " , in cui le VARIAZIONI prendono spunto da un motivo spesso celebre e assai cantabile. ARMONIA Di armonia si parla , nella vita comune, a proposi­ to di un gruppo più o meno piccolo di persone fra le quali ci sia accordo. In musica il concetto non è troppo dissimile, poiché si parla di armonia quando c'è accordo fra i suoni; un accordo che riguarda la loro proposta simultanea. Di qui ecco l'idea di a c c o r d o: due , tre, quattro o più suoni pro­ dotti simultaneamente, la cui sovrapposizione abbia una logi­ ca intrinseca. L'armonia, intesa come dottrina, riguarda l' av­ vicendamento di gruppi di suoni simultanei, ovvero la conca­ tenazione degli accordi. Questa concatenazione non è affatto casuale, ma segue, nell'armonia classica, delle regole precise, che possiamo paragonare con la sintassi del linguaggio ver­ bale. Così come ogni frase si avvale di un soggetto, un predi­ cato, un oggetto, nonché di altri complementi accessori, an­ che l'armonia si sviluppa secondo delle "funzioni" precise, per cui la proposta di un determinato accordo implica ne­ cessariamente la presenza di un accordo successivo scelto al­ l'interno di una rosa ristretta, se non obbligata, secondo un percorso che sfrutta la DISSONANZA, o la successione di dis­ sonanze, come passaggio fra c o n s o n a n z e lontane. Se la nascita dell'armonia moderna può essere fatta risalire agli inizi del Seicento (in precedenza esistevano altri tipi di ar­ monia ) , è J e an Philippe Rameau a codificare le regole poi se­ guite nei secoli successivi ( Traité de l'harmonie réduite à ses principes naturels, 1 72 2 ) . Alla fine dell'Ottocento la crisi del sistema tonale dà origine a un nuovo tipo di armonia, "non funzionale " , in cui cioè gli accordi sono impiegati a prescin­ dere dalla loro funzione nel discorso, come macchia colori­ stica (esempio: Debussy, Preludi libro I, n. ro "La cathedrale engloutie " ) . Ed appartiene al Novecento l'ideazione di nuovi tipi di armonia, che si basano su una accezione ampliata e mutevole dell'idea di accordo, volta a rendere del tutto am-

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missibile sotto il profilo teorico qualsiasi agglomerato di suo­ ni. Le avanguardie del secondo Novecento hanno invece spesso operato sulla base di principi teorici che respingevano lo stesso concetto tradizionale di armonia. ARPA L'arpa è uno dei più antichi strumenti a corde, diffu­ so, secondo diversi modelli, in tutte le culture. Caratteri co­ muni a tutti i modelli sono la forma triangolare, con le cor­ de, in numero variabile, tese fra i due lati più corti, uno dei quali funge da cassa di risonanza, e il fatto di essere suonato generalmente con le dita. Cambiano invece il numero di cor­ de, le dimensioni, la posizione, e anche la presenza o meno di una " chiusura " , con una colonna o un'asta, sul lato lungo del triangolo. La moderna arpa usata nell'oRCHESTRA sinfoni­ ca ha trovato il proprio assetto definitivo nel corso dell'Otto­ cento, e si distingue per le grandi dimensioni, per appoggiar­ si a terra su uno spigolo del triangolo, per essere " chiusa " da una colonna di fattezze neoclassiche; il lato corto del trian­ golo, a forma di S rovesciata, è situato verso l'alto, e lo stru­ mento viene inclinato all'indietro, verso il lato del triangolo che funge da cassa armonica, e suonato con due mani. Dopo la diffusione presso assiri ed egiziani, l'arpa cadde in disuso in epoca romana, per riapparire presso i popoli nordici, qua­ li anglosassoni e irlandesi. Sua funzione principale era quella di accompagnare la voce, come presso i Minnesiinger (xn se­ colo) e i compositori dell'Ars Nova (xiv secolo). È con l'Orfeo di Monteverdi ( I 6o7) che l'arpa entra per la prima volta in orchestra , e in tutta l'età barocca viene impiegata spesso per la realizzazione del BASSO CONTINUO. N el corso del XVIII secolo, poi, l' arpa ha una grande diffusione come strumento da salotto presso le famiglie gentilizie; ad esempio , è appun­ to per alcuni nobili parigini che Mozart scrive nel I 77 8 il suo Concerto per flauto ed arpa K 29 9 . Nell'Ottocento è co­ mune l'impiego nell'orchestra operistica, mentre solo alla fine del secolo lo strumento viene accolto stabilmente nel-

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l'orchestra, con le sinfonie di Mahler. La letteratura piutto­ sto scarsa dello strumento è stata assai allargata nel Nove­ cento per l'interesse di molti compositori, come Hindemith (Sonata) , Petrassi (Flou) , Henze (Doppio concerto per oboe, arpa e archi) , Berio (Sequenza n). Ma la storia della diffusio­ ne dell'arpa è anche legata alla sua evoluzione tecnica; infat­ ti, per molti secoli, il problema fondamentale dell'arpa fu quello di non poter intonare il totale cromatico , cioè tutti i suoni della scala cromatica (cfr. s c a l a c r o m a t i c a); problema a cui si tentò di ovviare prima inserendo diversi ordini di corde, poi con alcuni uncini azionati a mano che modificavano la lunghezza delle corde (seconda metà del XVII secolo ) ; alla fine del Settecento gli uncini vennero sostituiti da pedali, e con l'invenzione del sistema Érard, nel I 82 I, lo strumento acquistò un pieno e agevole dominio della scala , grazie all'uso di sette pedali, ciascuno dei quali può modifica­ re la corda fino a un'ampiezza di due semitoni. Non manca­ rono tuttavia tentativi di modificare questo modello, ad esem­ pio con l'arpa Pleyel, che assegnava una corda diversa per ciascun suono cromatico; ed è per questo strumento che, nel I 904, Debussy scrisse le Due danze per arpa e archi. ATONALITÀ " Atonalità" è un termine che antepone l'alfa privativa greca al termine " tonalità " ; dunque si definisce per contrasto: " senza tonalità " ; e questa definizione è di per sé ambigua, in quanto non ha confini teorici precisi; piuttosto l'atonalità è un fenomeno che ha una sua precisa collocazio­ ne storica, quella dei primi decenni del Novecento. Converrà dunque richiamare l'idea di TONALITÀ: quel rapporto gerar­ chico fra i suoni della SCALA (sette suoni, selezionati sui do­ dici compresi fra un suono e la sua ripetizione più acuta, la cosiddetta o t t a v a) su cui si è unicamente basata la musica occidentale dagli inizi del XVII secolo al termine del XIX, e che è ancor oggi l'alfabeto musicale più consueto e ricono­ scibile all'orecchio dell'uomo occidentale; ci sono, con la to-

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nalità, suoni più e meno importanti, la cui alternanza crea situazioni di tensione o di riposo all'orecchio. È a partire dal Tristan und Isolde di Wagner che l'uso sempre più intensivo degli altri cinque suoni presenti nell'ottava (quelli esclusi dalla scala di sette suoni) fa sì che i rapporti di gerarchia fra i suoni perdano riconoscibilità e che una continua tensione si sostituisca alla " tensione-distensione" legata alla scala di sette suoni. È soprattutto Schonberg che abbandona la to­ nalità stabilendo in un primo momento una libera anarchia fra i suoni, poi, dopo la guerra mondiale, una nuova gerar­ chia basata sulla " serie " di dodici suoni, e detta da altri DODECAFONIA. Dunque , anche la dodecafonia è atonale, ma quando si parla di " atonalità" ci si riferisce a un momento antecedente alla invenzione della dodecafonia, quello della "libera anarchia " fra i suoni. Anche molti altri autori si sono impegnati in un campo atonale (Bartok, Varèse, ad esempio), ciascuno seguendo propri principi. In qualche modo l'ab­ bandono della tonalità riflette, nell'evoluzione del linguaggio musicale, un momento di crisi e di passaggio nella storia europea.

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BAsso CONTINUO L'espressione "basso continuo " nasce nel­ l'età barocca, per indicare un particolare tipo di " accompa­ gnamento " strumentale che consiste in una improwisazione di accordi a partire da una linea musicale data. Ma occorre innanzitutto concentrarsi sul primo lemma dell'espressione. "Basso " non è, in questo caso, una voce maschile, ma la li­ nea più grave di una composizione musicale, una sorta di melodia parallela a quella del canto ; l'importanza di questa linea del basso, nell'economia di una composizione , è dovuta al fatto che proprio a partire dai movimenti di questa linea si possono sovrapporre i suoni " superiori" (il basso insomma " detta le regole " ) , che hanno sia l'aspetto di altre linee inter­ ne e superiori (da cui una POLIFONIA orizzontale) che quello di agglomerati simultanei (a c c o r d i verticali) formati ap­ punto dalla sovrapposizione delle linee orizzontali. Ecco dunque che, nell'epoca barocca, che segnò il grande svilup­ po del CONTRAPPUNTO (il movimento di linee) e della musica strumentale, il basso continuo divenne il metodo più sem­ plice ed efficace per accompagnare una voce, uno strumento o un complesso strumentale. In sostanza uno strumento grave , tipo v i o l o n c e Il o o v i o l a d a g a m b a, " cantava " la linea del basso, mentre uno strumento a corde o a tastiera, cioè dalle possibilità polifoniche (chitarrone, CLAVI CEMBALO, ORGANO ecc . ) , raddoppiava questa linea del basso e contem­ poraneamente improwisava, secondo il gusto e la sensibilità dell'esecutore, l'intreccio delle linee superiori e gli accordi. La libertà degli esecutori relativamente alla realizzazione del

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basso continuo non riguarda solamente l'improvvisazione po­ lifonica, ma anche la scelta degli strumenti che devono realiz­ zare il continuo. La prassi del basso continuo declinò nella seconda metà del XVIII secolo, per sopravvivere nei RECITATIVI secchi dell'oPERA.

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CABALETTA Si intende con questo termine, all'interno del m e l o d r a m m a dell'Ottocento, la seconda e conclusiva parte di un'ARIA " doppia " . In realtà il termine è stato oggetto di molte discussioni fra gli studiosi rispetto alla sua origine e al suo preciso significato. L'etimologia deriva probabilmente da "piccola cabala " , ovvero piccola furbizia, riferendosi a una melodia particolarmente orecchiabile e piacevole. In se­ guito, già alla fine del Settecento, il termine passò ad indica­ re , dal contenuto, il contenitore, ovvero la FORMA che con­ clude l'aria " doppia " , con una melodia accattivante, atta a strappare l'applauso. Nella tipologia più diffusa, che si ri­ scontra nelle OPERE di Rossini, Bellini, Donizetti, Verdi e dei loro contemporanei, la cabaletta presenta due caratteristiche distintive. In primo luogo si trova alla fine di un numero mu­ sicale articolato e complesso, composto di una " scena" intro­ duttiva (ovvero un RECITATIVO accompagnato ) , un " cantabi­ le " , in cui il personaggio esprime un determinato sentimento, un "tempo di mezzo " in cui si verifica un evento, un annun­ cio, una decisione che cambia le immediate prospettive di vita del personaggio, e infine appunto la "cABALETTA " , che ha dunque il compito di esprimere un sentimento contrastan­ te, se non opposto, rispetto a quello espresso all'interno del " cantabile " (Rossini, Guillaume Tell, "Asil héréditaire Amis, amis " ; Verdi, Il trovatore, "Ah sì ben mio coll'essere Di quella pira " ) . La seconda caratteristica della cabaletta consiste nell'essere articolata in due strofe , divise da un breve raccordo e completate da una coda; la seconda strofa dà

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modo all'interprete di effettuare delle VARIAZIONI ornamenta­ li e di esibire la propria bravura. Si parla di cabaletta anche a proposito di alcuni pezzi d'insieme (duetto , terzetto) , mentre per i concertati si preferisce il termine " stretta " , che alcuni studiosi considerano alternativo a cabaletta anche per le arie. Si è soliti associare l'idea della cabaletta a un tempo vivace e brillante, ma in realtà è assai vasta la casistica di cabalette lente e malinconiche (Donizetti, Roberto Devereux, " Quel sangue versato " ) . Nella seconda metà dell'Ottocento la caba­ letta cadde progressivamente in declino, salvo essere recupe­ rata in pieno Novecento da Stravinskij nel Rake }s progress (Atto I, scena 3a, " I go, I go to him " ) . CADENZA Questo termine h a due significati, che si impon­ gono entrambi intorno alla metà del XVI secolo, e riguardano entrambi la conclusione di un brano musicale, o di una sua singola parte, o di una frase. Nel primo caso ci troviamo di fronte a quella che, in termini tecnici, viene definita una "formula armonica " , insomma a una questione di "sintassi" del linguaggio musicale. Così come nel linguaggio parlato le differenti fasi del discorso seguono delle regole in qualche modo obbligate, delle "formule " , per cui, ad esempio, un verbo transitivo richiede necessariamente un oggetto, così anche il linguaggio musicale ha la sua sintassi, per cui la conclusione di un discorso , piccolo o grande, segue delle "formule " obbligate (cadenze appunto) di vario tipo (caden­ za perfetta, cadenza composta, cadenza plagale, cadenza evi­ tata ecc.) che lasciano comun que piena libertà alla fantasia del compositore. La seconda accezione riguarda invece la PRASSI ESECUTIVA, ovvero la libertà accordata dall' autore al­ l'interprete, sul finire di un brano o di una parte di esso, di dare spazio alla sua fantasia con un passaggio non scritto in cui l'accompagnamento orchestrale si ferma e il solista im­ provvisa una libera frase conclusiva. La cadenza consente dun que all'interprete di "personalizzare " il brano. Eppure

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già nel Settecento gli stessi compositori inserivano nelle loro PARTITURE delle cadenze scritte, ad esempio sia i virtuosi di tastiera di fine secolo (Mozart, Beethoven) sia gli operisti del melodramma romantico (da Rossini in poi) . Tuttavia in tem­ pi successivi molto spesso queste cadenze "originali " sono state sostituite, come nei casi numerosissimi in cui illustri au­ tori (Beethoven, Brahms, Britten, Sciarrino) hanno scritto ca­ denze per i Concerti per piano/orte di Mozart. CANONE Il termine " canone " indica una regola precisa e in­ derogabile ; al di fuori del campo musicale l'obbligo, ad esempio , di pagare un conto ricorrente nel tempo alla sca­ denza prefissata (il canone di abbonamento televisivo) . In campo musicale abbiamo qualcosa di simile, l'obbligo - al­ l'interno di una composizione a più voci, vocali o strumenta­ li - di far entrare in un momento prefissato una nuova voce, che abbia però contenuto identico (o quasi, come si dirà) a quello della prima voce. L'esempio più semplice e più cele­ bre di questo procedimento è quello della canzone popolare Fra } Martino campanaro. Chiunque può cantare questa can­ zone infantile dall'inizio alla fine, compiacendosi del finale suono delle campane. Qualcuno sa però che questa canzone può anche venire intonata da quattro voci differenti, ciascu­ na delle quali può entrare in modo " sfalsato " rispetto alla precedente e precisamente all'inizio del nuovo verso poetico: «Fra ' Martino campanaro l Dormi tu l Suona le campane l Din , Don, Dan». Le voci dunque si sovrappongono progres­ sivamente. L'effetto ottenuto è quello di un vero e proprio edificio sonoro a quattro piani; ciascuna delle voci è in con­ tinuo movimento, eppure è in meraviglioso accordo con le altre tre. Questo dunque è un tipo elementare ma efficacissi­ mo di canone; tipi più complessi sono quelli che impongono regole più sofisticate, come la modifica delle durate di cia­ scuna voce ( canoni per aumentazione o diminuzione) o la combinazione di una melodia con un'altra che riprende la

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prima dall'ultima alla prima nota ( canone retrogrado) , o con un'altra che procede impiegando gli stessi INTERVALLI della prima ma in direzione opposta (canone inverso) (esempi: Bach, L'offerta musicale BWV 1 0 7 9 ) . Praticato già nel Trecen­ to, elemento centrale di tutte le tecniche contrappuntistiche, da Bach a Schonberg, il canone trova forse il suo modello più affascinante nella polifonia del Quattrocento fiammingo, dove diviene " enigmatico " ; in sostanza la " regola " alla base del canone doveva essere desunta dalla risoluzione delle p a­ role di un enigma premesso alla composizione. CANTATA Il termine " cantata" viene impiegato all'inizio del XVII secolo in contrapposizione a "soNATA " per indicare un brano musicale destinato alla voce piuttosto che alla sola pratica strumentale. Da questa generica destinazione la can­ tata assume nel corso del secolo le proprie caratteristiche , quelle di una pagina cameristica, spesso di contenuto pro­ fano o anche sacro, pensata per una o due voci e BASSO CONTINUO. Se le cantate di Giacomo Carissimi alternano lo stile recitativo all'arioso (un recitativo di espansione lirica) , presto l'arioso viene sostituito dall'ARIA vera e propria, e, con Alessandro Scarlatti, dalla forma dell'aria col DA CAPO (ad esempio nella Cantata {{Su le sponde del Tebro") . Eseguita spesso nelle corti e nei palazzi nobiliari come trattenimento esclusivistico, la cantata si awale di testi allegorici; l'esiguità dell'organico la rende uno dei generi musicali di maggiore produzione e diffusione, tanto che, a cavallo fra il XVII e il XVIII secolo, ne vengono scritte migliaia . Trapiantata in area tedesca, con l'aggiunta di altri strumenti, e addirittura del­ l'oRCHESTRA e del coro, la cantata diviene anche uno dei ge­ neri centrali del culto riformato, come mostrano le numero­ sissime cantate di Bach (esempio: {{Gottes Zeit" detta Actus tragicus, BWV I o6 ) , ma anche quelle di Buxtehude e Tele­ mann. Alla fine del XVIII secolo la cantata da camera è ormai pressoché scomparsa, e quella profana con orchestra assume

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la connotazione di composizione encomiastica, destinata a celebrare occasioni festive o luttuose delle corti nobiliari e reali; Haydn ( ((A l tuo arrivo /elice)) Ho b. xxival3 ) , Beetho­ ) ven (Cantata per la morte deltimperatore Giuseppe n) Wo O. 8 7 ) e Rossini (Le nozze di Teti e di Peleo) non si sottrassero a questa prassi. È poi nel nostro secolo che il nome di " can­ tata" viene attribuito a una composizione sinfonico- corale o anche per voce e orchestra, di dimensioni non eccessivamen­ te estese e di contenuto non rigidamente codificato ; Stravin­ skij (Cantata per voci e strumenti, 1 9 5 2 ) , Webern (Cantate opp. 2 9 e 3 r ) , Bartok (I sette cervi fatati) diedero così il nome di " cantata" a composizioni diversissime. CANTO GREGORIANO È il nome che si attribuisce convenzio­ nalmente al canto liturgico della Chiesa cattolica romana, co­ stituitosi nel corso del medioevo e rimasto in uso fino ai no­ stri giorni; in altri paesi si preferisce usare il termine più ge­ nerico di " c a n t o p i a n o " . Il canto gregoriano (o sem­ plicemente "gregoriano " , come si usa sostantivando l' aggetti­ vo) non si awale di strumenti ma è realizzato dalla voce umana, ed è "monodico " ovvero è affidato a una sola voce, corale o solisti ca. Era intonato dal sacerdote e dall' officiante (solisti co) , dal solista in alternanza con il coro (responsoriale) o da due cori che si alternavano ( antifonale) , e distingueva un tono di recitazione e uno più propriamente melodico. Il nome di "gregoriano " viene dal pontefice Gregorio I (540-604), che, secondo una testimonianza di Giovanni Dia­ cono (873 circa) , avrebbe raccolto e sistematizzato i canti li­ turgici in un antifonario ( owero raccolta di testi e canti di chiesa) rimasto poi di riferimento con il nome di Antiphona­ rium cento . In realtà è verosimile che Gregorio I sia stato in­ vocato come figura di riferimento per un processo storico compiuto nell'arco di un lungo periodo. Con il nome di "gregoriano " si intende dunque un repertorio di oltre 3 . ooo melodie, risalenti a epoche e a luoghi diversi, ben al di là

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dell'antifonario attribuito a Gregorio. In un primo periodo storico, i riti cristiani si avvalsero dei canti mutuati da altri culti e adattati a seconda delle circostanze; si determinarono così varie tradizioni liturgiche a seconda delle influenze locali (il canto " ambrosiano " a Milano, il canto "mozarabico " o "visigotico " in Spagna, il canto " gallicano" in Gallia) ; a Roma in particolare si usavano canti fortemente influenzati dalla liturgia ebraica, greca, bizantina ( canto "vecchio roma­ no " ) . È alla metà dell'viii secolo che gli antifonari romani vengono diffusi e riassimilati in Gallia, dando luogo al canto "gallico-romano " ; ed è appunto questo il nucleo del reperto­ rio considerato l'autentico gregoriano. Carlo Magno impose poi la diffusione del canto gallico-romano al posto degli altri riti, unificando la liturgia. N ell'vni secolo venne codificata una complessa teoria musicale legata all'esistenza di otto di­ versi m o d i; inoltre l'invenzione della NOTAZIONE "neumati­ ca " consentì di fissare con maggiore esattezza le melodie. Il repertorio non rimase tuttavia cristallizzato, perché la creati­ vità dei cantori portò all'introduzione di nuovi melismi e nuove melodie con testo all'interno dei canti liturgici (tropi) e in particolare dell'Alleluja , con l'aggiunta di parole e vo­ calizzi (s e q u e n z e: quasi tutte eliminate dalla liturgia dopo il Concilio di Trento, ad eccezione di alcune, come il Dies Ira e e lo Stabat Mater) . Con la nascita della POLIFONIA il canto gregoriano subisce un progressivo declino; ma spesso le melodie gregoriane vengono impiegate come base per la composizione di brani polifonici e contrappuntistici; riman­ gono comunque in uso nella liturgia, sia pure secondo inter­ pretazioni ritmiche. È solo alla metà del XIX secolo, nel solco dell'interesse storicistico verso il medioevo , che vengono av­ viati seri studi di filologia testuale ed esecutiva, soprattutto ad opera dei monaci dell'abbazia benedettina di Solesmes. Il problema più dibattuto è stato quello dell'interpretazione rit­ mica dei canti, se rigidamente misurata o, come ormai accet-

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tato, legata alla libera accentuazione della parola. Si tende oggi ad interpretare le fonti come tentativo di realizzare dei promemoria di una diffusione orale estremamente diversifi­ cata. CANTUS FIRMUS L'espressione cantus firmus fa il suo ingresso nella trattatistica musicale medioevale nel XIII secolo, e viene poi tradotta in italiano , nel secolo successivo, come " canto fermo " . Il termine firmus, però, è stato inteso in diverse ac­ cezioni. Una prima e meno diffusa accezione ha un significa­ to " ritmico " : firmus è sinonimo di planus e si contrappone a /ractus; in sostanza si tratta di un canto liturgico che segue liberamente il ritmo della prosodia, mentre il c a n t u s f r a c t u s non è libero, ma scandito secondo precisi valori e ritmi di durata (mensuratus) . N ella seconda e più diffusa accezione del termine, cantus, innanzitutto, non indica un generico cantare, ma è sinonimo di "voce " , anzi di una voce che si oppone e si somma ad altre all'interno di una compo­ sizione polifonica , ossia a più voci. E infatti questo cantus firmus definisce un particolare tipo di melodia all'interno di una composizione polifonica: una melodia affidata al t e n o r (non il moderno " tenore " , ma la voce grave che "tiene " , cioè " sostiene" tutta l'impalcatura polifonica), e che si sviluppa in valori lunghi ed uguali, mentre le altre voci (superiori) affrontano melodie più complesse, mobili e orna­ mentali. Spesso questo cantus firmus non era inventato di sana pianta, ma veniva desunto dal repertorio liturgico; fre­ quenti però anche i casi in cui veniva preso da canzoni pro­ fane, come la celebre "L)homme armé" , usata come cantus firmus nelle messe di innumerevoli autori del Quattro e Cinquecento (Dufay, Busnois , Obrecht, Ockeghem, Desprès, Palestrina, Carissimi) . Negli ultimi secoli, dal Settecento in poi, si attribuisce al cantus firmus anche un significato più generico, quello dell'idea musicale di base (soggetto) all'inter­ no di una composizione contrappuntistica.

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CASTRATO Letteralmente , chi ha subito la castrazione, ov­ vero la mutilazione degli organi genitali. In campo musicale il castrato è - o meglio era, dato il declino della pratica un cantante che possiede delle straordinarie caratteristiche vocali proprio per aver subito la castrazione - o meglio l'a­ sportazione dei soli testicoli - prima della pubertà. Infatti la castrazione compiuta sul bambino o adolescente prima della muta della voce, implica il mancato abbassamento di que­ st'ultima in età adulta e una crescita maggiore dell'apparato polmonare. Dunque il castrato possedeva una voce acuta, sopranile o contraltile (da cui anche la definizione di sopra­ nista o contraltista ) , assai estesa, e più potente di quella femminile, caratteristiche a cui lo studio della tecnica vocale aggiungeva una grande agilità. La diffusione degli " evirati cantori " nell'Europa del Cinque e Seicento fu assai vasta, sia per il divieto imposto alle donne di cantare in chiesa (spettava dunque ai castrati di cantare le voci superiori pres­ so le cappelle liturgiche) sia perché l'ideale estetico barocco era antirealistico e ricercava l' androginia. È soprattutto nel­ l' OPERA italiana del Settecento che la stagione dei castrati arriva al massimo apogeo; il sistema produttivo, incentrato sulla figura del cantante, crea dei grandi e mitizzati virtuosi, come Farinelli, Crescentini, Caffarelli, capaci delle più straordinarie prodezze vocali. Ultimo grande castrato a cal­ care le scene, fino agli anni venti dell'Ottocento , fu Giam­ battista Velluti, quando già nuove esigenze di realismo e nuove ragioni etiche avevano fatto declinare la pratica della castrazione. In ambito ecclesiastico i castrati continuarono ad esibirsi in chiesa fino all'inizio del Novecento; l'ultimo castrato della cappella Sistina in Roma fu Alessandro More­ schi, che ha anche lasciato delle registrazioni. Al giorno d'oggi i ruoli scritti per castrato vengono comunemente affi­ dati a cantanti femminili, o anche a c o n t r o t e n o r i, ov­ vero uomini che, senza avere subito mutilazioni, sviluppano una tecnica vocale di falsetto rinforzato.

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CHIAVE La chiave è un piccolo strumento meccanico, o elettronico, che consente o interdice l'accesso a un ambiente o un oggetto chiuso; ma è anche un codice di accesso a si­ stemi comunicativi criptati. In musica, avviene qualcosa di simile; la chiave è un codice per la lettura della musica, che viene apposto all'inizio del rigo musicale (il cosiddetto p e n t a g r a m m a, ovvero il sistema di cinque linee sovrap­ poste che viene impiegato nella musica occidentale per la scrittura delle note) per indicare una nota di riferimento che apre la strada alla lettura del rigo stesso. Un singolo penta­ gramma, infatti, sfruttando le linee che lo compongono e gli spazi fra di esse per ospitare i simboli dei suoni, può coprire una estensione di circa un paio di o t t a v e, laddove i suo­ ni, dai gravi agli acuti, che si possono impiegare nella musica coprono un arco di oltre sei ottave. Di qui la necessità di usare differenti chiavi a seconda dell'estensione preferita (la cosiddetta t e s s i t u r a) della voce o dello strumento per il quale si scrive. Dunque per uno strumento grave come il violoncello o il fagotto si usa una chiave grave come la " chiave di basso " , per uno strumento acuto come il violino o il flauto se ne usa una acuta come la " chiave di violino " . Inoltre, sovrapponendo un pentagramma con la chiave più grave (basso) e uno con la chiave più acuta (violino) , si può dar vita a un " sistema" più complesso che consente di soddi­ sfare le esigenze anche di strumenti che abbracciano molte ottave, come il PIANOFORTE o l'ARPA. Senonché la questione è, tecnicamente, più complessa. I simboli impiegati per le chiavi musicali sono infatti tre: la chiave di Sol, la chiave di Fa e la chiave di Do, così chiamate perché indicano sul rigo la posizione della nota che dà loro il nome . I simboli di que­ ste chiavi somigliano rispettivamente a una F, una c rovescia­ ta, e una B, ma in realtà derivano dalla trasformazione delle lettere G, F e c, che anticamente (e tuttora nella NOTAZIONE anglosassone) simboleggiavano appunto le note Sol, Fa e Do. La chiave di Sol (detta anche " di violino " ) può essere appo-

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sta in un'unica posizione sul rigo, sulla seconda linea a parti­ re dal basso; la chiave di Fa invece può essere apposta in due diverse posizioni (sulla terza o sulla quarta linea dal bas­ so) , e prende dunque, a seconda dei casi, due nomi diffe­ renti, chiave di baritono o chiave di basso. La chiave di Do, invece, può essere apposta in quattro diverse posizioni (sulla prima, seconda, terza o quarta linea dal basso) e prende i diversi nomi di chiave di soprano, di mezzosoprano, di con­ tralto, di tenore. In sostanza dunque le chiavi sono sette , esattamente come i nomi delle note, e la corrispondenza non è casuale; infatti questo sistema ( detto s e t t i c l a v i o) con­ sente di far corrispondere ad ogni singola posizione del rigo (linea o spazio) una qualsiasi delle sette note, semplicemente cambiando la chiave. L'ingegnosità del setticlavio viene sfrut­ tata soprattutto per il TRASPORTO, ovvero per alzare o abbas­ sare l'ALTEZZA di una composizione. È sufficiente cambiare la chiave per leggere un brano ad un' altezza differente da quella originale. Nell'uso moderno, tuttavia, le chiavi impie­ gate sono soprattutto quelle di violino e di basso. La chiave di Do viene impiegata essenzialmente per alcuni strumenti (chiave di contralto per la viola) ; sostanzialmente sparita dal­ l'uso è la chiave di baritono. Si parla poi di " armatura di chiave " per indicare l'insieme della chiave e delle alterazioni segnate subito dopo di essa, la cui funzione è quella di indi­ care la TONALITA in cui è scritto un pezzo . CHITARRA La chitarra è uno strumento di antichissime ori­ gini, la cui letteratura originale è documentata fin dal XVI se­ colo con numerosi manoscritti ed opere a stampa. È uno strumento a corde , tese su una cassa armonica a forma di otto; nella forma attualmente più diffusa, è munito di sei corde. La sua letteratura è opera principalmente di virtuosi dello strumento stesso che hanno contribuito con le loro ri­ cerche sia allo sviluppo delle sue risorse tecniche che alla sua progressiva trasformazione strutturale ( "organologica " ) dalla

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piccola chitarra rinascimentale ( che aveva quattro ordini, os­ sia dei gruppi di due corde accordate all'unisono o all'otta­ va) all'attuale chitarra a sei corde semplici; quest'ultima, nata sul finire del XVIII secolo, si è stabilizzata nelle attuali pro­ porzioni nella seconda metà del XIX secolo , grazie al lavoro del liutaio spagnolo Antonio De Torres. La chitarra si diffu­ se rapidamente nelle corti rinascimentali e rimase a lungo uno strumento di corte e da camera, sia per accompagnare la voce che nel repertorio solistico e nei piccoli ensembles strumentali (celebri i nomi di Francesco Corbetta e del suo alunno Robert De Visée che fu maestro di Luigi XIV) . È all'i­ nizio dell'Ottocento che, alla circolazione nei saloni dei ceti alti, si aggiunge quella nelle sale da CONCERTO, grazie soprat­ tutto all'affermazione di virtuosi come Mauro Giuliani (Le Rossiniane) , Fernando Sor ( Grande Sonata op. 25) e Ferdi­ nando Carulli (Petit Concerto de Societé op. 140). Nella se­ conda metà dell'Ottocento lo spagnolo Francisco Tarrèga ha dato origine ad un scuola che si è poi diffusa in tutto il mondo nel secolo successivo. La letteratura chitarristica era comunque appannaggio quasi esclusivo dei chitarristi com­ positori; le poche eccezioni sono costituite da musicisti di primo piano, quali Paganini, Schubert, Boccherini e Berlioz, che comunque maneggiavano con abilità lo strumento. Inol­ tre prevalevano gli stilemi di tipo spagnolo, influenzati dalla grande tradizione popolare della chitarra flamenca. Proprio la nuova attenzione verso la letteratura popolare fa sì che nel Novecento la chitarra riscuota nuovamente grande interesse, anche per l'attività di diffusione di un solista come Andrés Segovia ; oltre a Segovia, anche altri solisti, come Julian Bream, commissionano nuovi brani a grandi autori. Così, a partire dal I 92 I con Manuel De Falla ( Omenaje pour le Tombeau de Claude Debussy), viene meno la situazione di di­ pendenza dagli autori virtuosi dello strumento, e la letteratu­ ra chitarristica si arricchisce di composizioni dovute a musi­ cisti non chitarristi come Castelnuovo-Te desco (Concerto op.

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9 9 ) , Rodrigo (Concerto di Aranjuez) , Britten (Nocturna[) , Vil­

la-Lobos (Studi) , Petrassi (Suoni notturni) , Henze (Royal Winter Music) e Berio (Sequenza XI) . Nel 1 963 il chitarrista Narciso Yepes ha riportato in auge la chitarra a dieci corde (già inventata e brevettata da Carulli e Renée Lacotte a Pari­ gi nel primo Ottocento) che ha tuttora una notevole diffusio­ ne ed è accompagnata dalla nascita di un repertorio esiguo ma di grande valore musicale grazie soprattutto a Bruno Ma­ derna e Maurice Ohana. La straordinaria diffusione della chitarra a livello popolare , dovuta essenzialmente alla sua ac­ cessibilità nell'accompagnare il canto , ha trovato negli ultimi decenni nuovo incentivo nella musica pop e commerciale , grazie all'invenzione della chitarra elettrica, amplificata e suonata con un plettro. CIACCONA Per l'ascoltatore moderno la "Ciaccona " per an­ tonomasia è quella che chiude la Partita n. 2 in re minore BWV 1004 di Bach; dunque un brano di somma complessità strumentale e concettuale. In realtà questa straordinaria pagi­ na costituisce la stilizzazione strumentale più alta di una danza del XVI secolo, le cui origini sono piuttosto oscure. Lo stesso termine " ciaccona" non ha una chiara etimologia; lo si ritrova, in Spagna, accostato ad aggettivi che suggeriscono una provenienza dal Nuovo Mondo, come "Chacona mula­ ta " , o " Indiana amulatada " . Di fatto si trattava di un tipo di canzone che si prestava ad essere danzata. Ma ben presto il termine " ciaccona " indicò tout court un tipo di danza, diffu­ so dalla Spagna in Francia e Italia, all'inizio del xvn secolo; e sembra che le movenze licenziose di questa danza sollevas­ sero spesso reazioni censorie. Alla fine del secolo, tuttavia, la ciaccona venne meno come danza di società, rimanendo im­ piegata invece come musica stilizzata, a livello strumentale e nel teatro musicale. Gli elementi che contraddistinguono la ciaccona sono il ritmo ternario e il disegno discendente della linea del basso, tale da formare un "periodo " che viene ripe-

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tuto sempre uguale innumerevoli volte sino alla fine del pez­ zo, mentre le voci superiori si sviluppano liberamente. Que­ sto schema semplicissimo , che in origine si prestava eviden­ temente alla improvvisazione di una musica "popolare " , do­ veva trovare fertile applicazione nella musica " colta" proprio per la possibilità di costruire, sullo stesso periodo del basso, VARIAZIONI di volta in volta rinnovate e sempre più comples­ se. In Francia la ciaccona si sviluppò secondo l'uso di un basso libero, e non ostinato come in Italia. Il termine, poi, divenne interscambiabile con quello di p a s s a c a g l i a, sti­ molando spesso sottili e non sempre riusciti tentativi di di­ stinzione. CLAVI CEMBALO Il clavicembalo è uno strumento a tastiera con corde pizzicate, nel quale cioè sollecitando la tastiera si aziona un complesso sistema di leve che culmina con dei plettri (penne di volatile o di cuoio) che pizzicano le corde. Il nome significa " cembalo a tasti " , laddove anticamente il c e m b a l o, o s a l t e r i o, era uno strumento triangolare o trapezoidale a corde, che si pizzicavano con le dita o con un plettro; in seguito " cembalo " diventa una abbreviazione assai diffusa di clavicembalo. Le prime descrizioni dello strumento risalgono alla metà del xv secolo e già riportano quelle che sarebbero state le sue caratteristiche principali nei secoli se­ guenti; la forma è quella di una lunga cassa ad ala, per segui­ re la lunghezza decrescente delle corde, disposte perpendico­ larmente alla tastiera; il meccanismo a pizzico faceva sì che la dinamica del suono fosse sostanzialmente priva di varia­ zioni. Di qui l'invenzione di modelli di clavicembalo a due , e talvolta a tre tastiere, collegate a diversi telai di corde dalla dinamica e dall'ALTEZZA differente (registri) , intercambiabili grazie a meccanismi azionabili con tiranti a mano, ginocchie­ re , pedali. Alcuni strumenti si differenziavano dal clavicem­ balo per varianti costruttive . Il v i r g i n a l e aveva le corde disposte parallelamente alla tastiera, ed era diffuso soprattut-

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to in Inghilterra e nei Paesi Bassi. La s p i n e t t a aveva forma triangolare o trapezoidale, ed era diffusa soprattutto in Germania e in Italia. Strumento piuttosto differente era invece il c l a v i c o r d o, le cui corde non erano pizzicate, ma percosse con una lamella metallica (tangente) ; il suono era flebile, ma poteva subire variazioni timbriche e dinami­ che. Enorme è l'importanza storica del clavicembalo; per ol­ tre due secoli, XVII e XVIII, è stato lo strumento più usato per la realizzazione del BASSO CONTINUO, ed è stato inoltre protagonista di una fiorentissima produzione solistica, svilup­ patasi secondo scuole assai differenti; quella italiana di F re­ sco baldi, Pasquini, Scarlatti, quella francese di Couperin e Rameau, quella tedesca di F roberger, Sebastian Bach e Cari Philip Emanuel Bach. L'invenzione del PIANOFORTE causò , alla fine del XVIII secolo, un rapidissimo disuso del clavicem­ balo, che subì oltre un secolo d'oblio. Fu grazie all'impegno di studiosi come Dolmetsch e di solisti come W an da L an­ dowska che lo strumento tornò nuovamente in auge nel No­ vecento, sia per il recupero della produzione sei-settecente­ sca su basi di filologia testuale e stilistica, sia per gli stimoli alla nuova creatività. Autori come De Falla, Poulenc, Petras­ si, Stravinskij ne valorizzarono le risorse; grande anche l'inte­ resse delle avanguardie del secondo dopoguerra (Clementi, Donatoni, Sciarrino) . CONCERTANTE Il termine " concertante " è prima di tutto un participio presente , quello del verbo " concertare " ; il signi­ ficato del verbo, in ambito musicale , si riferisce al lavoro di preparazione e di coordinamento di una esecuzione. Il par­ ticipio presente ha però un significato differente: indica il dialogo fra strumentisti, che alterna dei solisti a un gruppo. "Concertante" diviene così, da participio presente, un ag­ gettivo, legato a diversi sostantivi. " Stile concertante " è ap­ punto un particolare tipo di scrittura, perfezionato nell'epo­ ca barocca, in cui un gruppo di solisti o un singolo solista

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(c o n c e r t i n o) si contrappone a un gruppo p1u vasto di strumentisti (r i p i e n o ) ; ciò che distingue questo stile con­ certante dal moderno CONCERTO solistico è che i solisti o il solista non risultano protagonisti assoluti della composizione, ma piuttosto protagonisti relativi, in un continuo gioco di interscambio con la compagine più vasta. All'interno dello stile concertante si svilupparono anche dei generi musicali specifici, il più celebre dei quali è quello della "siNFONIA concertante " ; derivata dal " concerto grosso " barocco, la sin­ fonia concertante era essenzialmente un concerto polistru­ mentale, in cui i solisti dialogavano e giocavano fra di loro, sempre come protagonisti " relativi " . In questa fase il termine " concertante " perde anche il sostantivo di riferimento, per divenire sostantivo esso stesso: CONCERTANTE per più stru­ menti. Tipico dello stile galante, questo genere venne porta­ to a perfezionamento dal grande Christian Bach, e poi ripre­ so in importanti lavori, fra gli altri, da Haydn (Sinfonia con­ certante per violino) violoncello) oboe) fagotto Hob. Il I o 5) e Mozart (Sinfonia concertante per violino) viola e orchestra K 3 64 ) . Soppiantato dal nuovo concerto solistico, lo stile con­ certante doveva poi riaffiorare all'inizio del Novecento, se­ condo il recupero neoclassico di stilemi e generi del periodo barocco (W alton, Sinfonia concertante per orchestra con pia­ no/orte obbligato, 1 92 8 ; Prokofiev, Sinfonia concertante per violoncello e orchestra op. I 2 5 ) . CONCERTO S i dice " andare d i concerto " quando c'è un'inte­ sa. E " concerto " è un termine che si riferisce appunto all'in­ tesa fra numerosi esecutori di musica strumentale ; tuttavia, ha acquisito accezioni diverse nel corso del tempo. In origine era genericamente un brano intonato insieme da più strumenti o da più voci; poi, nel corso del xvn secolo, con l'affermarsi di una musica strumentale autonoma e indipendente da quella vocale, " concerto " viene a definire appunto una composizio­ ne puramente strumentale affidata a un complesso, nella qua-

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le ciascuna parte o linea strumentale viene eseguita da più strumentisti. Il concetto moderno di concerto è però quello, impostasi nel corso del XVII secolo, di una composizione in cui uno o più solisti emergono e si contrappongono rispetto a un gruppo strumentale. La storia del concerto è appunto la storia dell'evoluzione del rapporto fra il solista (più raramen­ te i solisti) e il gruppo. Nella prima fase della storia del con­ certo si afferma il " concerto grosso " , in cui il ruolo solisti co viene assunto, piuttosto che da un unico individuo, da un gruppo di pochi strumentisti scelti (in genere due violini e un violoncello) , detto c o n c e r t i n o, e contrapposto al grup­ po più numeroso degli altri strumenti, detto r i p i e n o o grosso (da cui appunto il nome di concerto grosso). Concer­ to grosso è dunque un termine bivalente, che indica sia il complesso orchestrale che il genere musicale caratterizzato dalla contrapposizione " ripieno- concertino " . Grande " codifi­ catore " del concerto grosso doveva essere Arcangelo Corelli, che , negli ultimi due decenni del XVII secolo, donò al genere le sue caratteristiche peculiari, inclusa la divisione in cinque o sei movimenti (Corelli, Concerti grossi op. 6). È all'inizio del Settecento che si afferma, soprattutto con Vivaldi, il nuo­ vo tipo del concerto solistico, articolato in tre movimenti se­ condo lo schema allegro-largo-allegro, il primo e terzo dei quali alternano sezioni del gruppo ( " ritornelli " ) e del solista ( '' episodi " ) (Vivaldi, Il cimento de!Farmonia e dell'invenzio­ ne) . Se in origine il violino e i vari LEGNI sono i solisti più comuni, nel corso del secolo si impone anche il c e m b a l o. Progressivamente, nei decenni, il modello del concerto vivai­ diano si trasforma, dando vita, con Christian Bach e poi Mo­ zart (Concerti per piano/orte K 2 7 1 , 4 13 , 4 6 6 , 4 6 7 , 4 8 8 , 4 9 1 , 5 9 5 , fra gli altri) , al concerto del periodo " classico " . Questo incorpora, sullo schema che alterna ritornelli ed episodi, il principio del contrasto fra due temi principali che era pro­ prio della FORMA SONATA, e offre un rilievo più marcato alla personalità del solista, con l'introduzione di due CADENZE nei

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movimenti estremi; i tre movimenti formalmente seguono la forma sonata, il LIED e il RONDò (o, talvolta, il tema con VARIAZIONI). Il modello del concerto classico è assunto come pietra di paragone per tutto l'Ottocento, anche se il rapporto fra solista e ORCHESTRA subisce significative modifiche; nel concerto dell'età Biedermeier l'orchestra ha un compito di accompagnamento e riempitivo (Chopin, Concerti per piano/orte e orchestra opp. I I e 2 I ) , mentre nel concerto romantico si alternano contrapposizione (Liszt , Totentanz, per piano/orte e orchestra) e integrazione (Brahms, Concerto per piano/orte e orchestra n. 2 op. 8 3) ; il PIANOFORTE diventa lo strumento preferito, seguito da violino e violoncello. Nel corso del No­ vecento questa concezione del concerto ancora sopravvive, sia pure in particolari reinterpretazioni (Rachmaninov, Con­ certo per piano/orte e orchestra n. 2 op. r 8 ; Ravel, Concerto in sol per piano/orte e orchestra) , ma nel contempo c'è anche un ritorno al significato originario del termine, quello di compo­ sizione per gruppo strumentale (Bartok, Concerto per orche­ stra ; Petrassi, otto Concerti per orchestra) nonché un ritorno alle forme barocche, proprio della stagione del Neoclassici­ smo, come omaggio alla tradizione strumentale italiana (Bloch, Concerto grosso n. r, 1 92 5 ; Ghedini, Concerto grosso in fa maggiore per cinque fiati e archi) e anche oltre (Schnitt­ ke, Concerto grosso per due violinz� cembalo e orchestra d)ar­ chi) . Dal concerto inteso come genere strumentale deriva an­ che l'altro significato moderno del termine, quello di " con­ certo " come serata di intrattenimento musicale; e questo poi­ ché, nelle lunghe serate concertistiche di fine Settecento, il pezzo principale era proprio il " concerto " , che finì per meto­ nimia per dare il nome all'intera serata. CONTRAPPUNTO Il contrappunto è una tecnica compositiva che consiste nel sovrapporre fra loro due o più linee melodi­ che. In questi termini sembrerebbe trattarsi di una prassi piuttosto semplice, e invece il contrappunto è forse la tecni-

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ca più complessa di tutta la musica occidentale ; lo stesso nome di contrappunto deriva dal latino punctum contra punctum ossia "nota contro nota " , che suggerisce come, alle note di una linea melodica, si debbano contrapporre, nell'al­ tra o nelle altre linee melodiche, solo alcune note , secondo regole quasi obbligatorie, che consentano alle varie linee di essere fra loro perfettamente intercambiabili. Storicamente il contrappunto nasce insieme alla POLIFONIA, cioè con la ne­ cessità di regolare l'andamento parallelo di più voci, trova una affermazione di grande complessità nel Quattrocento, con la polifonia fiamminga (Dufay, Missa ((L)ho mme armé))) , conquista con Josquin Desprès e Palestrina le regole del contrappunto " classico " , soprattutto la proibizione della DISSONANZA se non con regole ferree (Palestrina, Missa Papae Marcelli) . Viene poi anche dirottato sulla musica strumentale (Frescobaldi, Ricercare cromatico post il Credo) e portato , nell'età barocca, a somma elaborazione teorica - soprattutto grazie a Johann Sebastian Bach, che realizza anche delle rac­ colte dove si sommano speculazione teorica e magistero compositivo, come L) offerta musicale e L)arte della fuga. Dopo il relativo sfavore della seconda metà del Settecento e dell'Ottocento, che lo vedono confinato soprattutto nell'am­ bito della musica chiesastica, torna in auge nel Novecento, quando i compositori della scuola di Vienna (Schonberg, Berg, Webern) riprendono le regole costruttive di Bach (We­ bern, Variazioni per piano/orte op. 2 7 ) . Il contrappunto trova applicazione all'interno di forme compositive apposite ed esclusive, quali il r i c e r c a r e (nato all'inizio del XVI seco­ lo, basato sul libero inseguimento delle voci) , la FUGA (suc­ cessiva al ricercare e basata su regole più vincolanti, e su un solo tema principale), il CANONE (procedimento per cui le varie voci si imitano fra di loro ) , oppure può venire impie­ gato, come avvenne soprattutto nell'età classica, anche per brevi momenti all'interno di forme più articolate , quali la SONATA o la SINFONIA (Mozart, Sinfonia n. 4 1 (1upiter)), mo-

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vimento finale). Le forme specifiche del contrappunto seguo­ no il principio di sviluppare una intera composizione a parti­ re da un solo tema, sono dunque sostanzialmente antidialet­ tiche; ma l'impiego del contrappunto all'interno delle forme del Classicismo può concorrere invece al raggiungimento di varietà e dialettica. CORALE "Corale " è un termine italiano che traduce in modo approssimativo il termine tedesco Kirchenlied, letteral­ mente " canzone di chiesa " . E infatti il corale è un canto li­ turgico strettamente legato alla prassi del culto riformato, ideato da Lutero per avvicinare alle masse la pratica liturgi­ ca. Nel culto cattolico, infatti , la funzione della musica era ed è sempre stata squisitamente decorativa; l'esecuzione mu­ sicale, affidata a professionisti, inneggiava al Signore ma sen­ za coinvolgere il gruppo dei fedeli. Nel culto riformato inve­ ce la funzione della musica è quella di creare una connessio­ ne fra l'individuo e Dio; infatti sono gli stessi fedeli a intona­ re in coro le melodie che si rivolgono al Signore. In questa prospettiva Lutero selezionò i canti liturgici tradizionali, e vi aggiunse nuove melodie desunte dalla tradizione popolare, dunque ben note ai fedeli, aggiungendovi testi religiosi in volgare. Pubblicati a partire dal 1 5 2 3 i corali ebbero imme­ diata diffusione; presto vennero anche trascritti per coro a quattro voci, sempre mantenendo alla voce superiore la me­ lodia del Kirchenlied. Nuovi corali vennero scritti fino a tut­ to il Seicento . Nelle sue CANTATE e nelle PASSIONI Bach ag­ giunse a questi canti raffinate armonizzazioni a quattro voci, in modo da sommare riconoscibilità ed elaborazione artisti­ ca. Ma già nel Seicento lo sviluppo della musica strumentale portò, da parte di autori come Sweelinck, Scheidt, Pachel­ bel, alla creazione di lavori organistici che si basavano ap­ punto sulle melodie di corale. I corali vennero sottoposti a complesse elaborazioni e VARIAZIONI di carattere contrap­ puntistico, dando vita a generi musicali (corale fugato, varia-

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to, figurato, preludio-corale) che vennero poi da Bach, con uno straordinario spettro di soluzioni, ripresi e portati al massimo grado di complessità e invenzione creativa (Bach, Preludio-corale ((Wachet aui ru/t uns die Stimme)) BWV 645 per organo) .

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DA CAPO È un termine che si trova annotato con grande frequenza nelle PARTITURE dell'età barocca (ma in realtà anche di altre epoche, come nei MINUETTI e SCHERZI della SINFONIA classica e romantica) per indicare la ripetizione di un brano musicale o, più specificamente, di una porzione di esso. Infatti l'espressione più corretta e completa è " da capo al segno " ; l'abbreviazione serve a risparmiare al compositore la fatica di riscrivere materialmente una parte di musica che intende riproporre tale e quale. Di fatto la forma più stretta­ mente legata a questa prassi è la cosiddetta "ARIA col da capo " , che si vuole definita alla fine del xvn secolo da Ales­ sandro Scarlatti. Si tratta di un'aria vocale divisa in tre sezio­ ni: una prima parte (detta "A " ) più lunga in cui viene espo­ sto il materiale musicale; una seconda parte (detta " B " ) più breve e dal contenuto in qualche modo contrastante; e una terza parte (detta "Ar ") che riprende testualmente la prima. In sostanza il compositore scrive materialmente solo le parti A e B, inserisce un segno distintivo alla fine di A, e scrive , alla fine di B: " n . e . " ovvero " da capo al segno " (esempio : Haendel, Giulio Cesare, "Da tempeste il legno infranto " ) . La funzione del " da capo " , tuttavia, non era solo quella di far risparmiare energie al compositore nella definizione di parti­ ture molto lunghe, come le OPERE del periodo, ma anche quella di consentire all'interprete dell'aria di sfoggiare nel " da capo " (ovvero nella sezione A r ) le proprie capacità di virtuoso, col variare la linea melodica e l' ornamentazione, sfruttando anche una abilità improvvisativa. In tal modo la

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ripetizione, l ungi dall'essere testuale e tediosa, diventa il punto di approdo e il polo di attrazione della costruzione. Per questo è indispensabile, nella esecuzione delle arie col " da capo " , tornare alla PRASSI ESECUTIVA dell'epoca e al prin­ cipio della componente creativa dell'interprete. DIAPASON Il termine si riferiva, nella teoria musicale del­ l' antica Grecia, all'INTERVALLO di o t t a v a. Ma la sua im­ portanza è legata ai significati, piuttosto lontani da quello originario, che ha assunto in tempi moderni. Con " diapason " si intende infatti un suono di riferimento rispetto al quale tutti i singoli esecutori di un brano regolano la propria into­ nazione in modo da essere fra loro accordati. Questo suono di riferimento è convenzionalmente individuato nel La scrit­ to in CHIAVE di v i o l i n o nel secondo spazio dal basso. L'ALTEZZA di questo La, tuttavia, non è stata sempre uguale , cambiava anzi in passato a seconda dei tempi, dei luoghi nonché dei vari generi musicali. Ogni ORGANO di chiesa ave­ va il suo proprio diapason, e di conseguenza anche i cori che cantavano in chiesa si adeguavano (motivo per cui il dia p a­ son viene chiamato in Italia anche c o r i s t a). Lo stesso va­ leva per le ORCHESTRE, anche se in generale il diapason era più basso di quello odierno. È nel corso dell'Ottocento che varie conferenze scientifiche internazionali cercano per la prima volta di proporre un diapason unico , anche per ri­ spondere alle esigenze del fiorente concertismo europeo. A Parigi, nel r 85 9 , viene indicato il La a 435 Herz (vibrazioni al minuto secondo ) , che viene adottato internazionalmente dopo la conferenza di Vienna del r 8 8 5 . Ma una nuova con­ ferenza, svoltasi a Londra nel 1 9 3 9 , stabiliva un nuovo dia­ pason nel La a 440 Herz. Tuttavia oggi le grande orchestre internazionali adottano un diapason ancora più alto che ha l'effetto di produrre un suono più brillante, suscitando però disagi ai cantanti ed agli strumenti antichi, chiamati ad uno sforzo maggiore. D'altro canto il cosiddetto "movimento del-

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la PRASSI ESECUTIVA " ha fatto sì che i complessi che suonano con strumenti originali scelgano il diapason più indicato in relazione al contesto d'origine del brano eseguito, quasi sem­ pre notevolmente più basso di quello moderno. Nell' orche­ stra sinfonica moderna è generalmente l ' o b o e che costitui­ sce lo strumento di riferimento per il diapason di tutti gli altri strumenti. Il termine " diapason " , inoltre, è passato ad indicare, dall'altezza del suono di riferimento, anche il mez­ zo tecnico con cui viene offerto questo suono; il mezzo più antico, creato nel I 7 I I, è una forcella di acciaio le cui due estremità vibrano in sintonia; poggiata su una cassa armonica la forcella può amplificare il suo suono. Oggi si adoperano comunque come diapason strumenti elettronici che sono an­ che in grado di emettere il suono alla frequenza desiderata. DILETTANTISMO Il termine " dilettantismo " deriva da " dilet­ tante " , ovvero " colui che si diletta " , e, in campo musicale, colui che si diletta nella pratica della musica. In sostanza il dilettante è colui che fa musica non per professione, per trarne un profitto pecuniario, ma appunto per diletto, ovve­ ro senza trarne vantaggio economico. Tuttavia tale termine può assumere due diverse connotazioni; una prima dispre­ giativa, per cui la mancanza di una prospettiva professionale implica anche un livello non professionale, dunque artistica­ mente non elevato , delle prestazioni. Dilettante insomma come strumentista o cantante di scarsa qualità. Una seconda accezione, quella che è meno diffusa e più rilevante, ha una valenza di tipo storico ; dilettante non è colui che suona ma­ le , ma colui che , pur preparatissimo, suona senza fini di lu­ cro, per motivi di ordine sociale. Il termine " dilettantismo " definisce insomma - più che una cattiva esecuzione - un fe­ nomeno storico, quello per cui, nei secoli XVII e XVIII, i ram­ polli dei ceti alti ricevevano una educazione musicale a c cura­ ta, e tuttavia non applicavano il loro talento di fronte a un pubblico pagante, ma solo di fronte a un circolo familiare,

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appunto per diletto. I dilettanti potevano avere dunque grande talento ed eccellente preparazione, anche di livello professionale. All'inizio del XIX secolo , in molte città, si assi­ ste al fenomeno della fondazione di " accademie " di dilettanti (nasce così a Roma, ad esempio, l'Accademia Filarmonica) che si riuniscono per dar vita a esecuzioni orchestrali e corali di vasto impegno. Venuto meno col declino della società no­ biliare e con la sostituzione dell'ascolto di musica riprodotta alla viva pratica musicale, il dilettantismo non si è mai vera­ mente estinto e trova oggi la sua maggiore affermazione nella vasta fioritura di cori amatoriali e piccoli gruppi polifonici. DIRETTORE Direttore è chi coordina l'attività di un gruppo di persone subordinate. In campo musicale la figura del di­ rettore si è affermata per le necessità poste dalla musica d'in­ sieme, dapprima con complessi vocali e corali, poi anche con gruppi strumentali, con grandi ORCHESTRE sinfoniche, con in­ teri spettacoli di teatro musicale; dunque un individuo che ha il compito di coordinare l'esecuzione musicale, dapprima met­ tendo a punto i dettagli dell'insieme nel corso di alcune prove ( c o n c e r t a z i o n e), poi guidando l'esecuzione vera e pro­ pria. Questa attività si realizza attraverso l'espressione di una tecnica gestuale che ha il doppio obiettivo di sincronizzare tutti gli esecutori nello sviluppo temporale del brano esegui­ to, e di suggerirne le sfumature espressive, relative alla dina­ mica, all'AGOGICA, al fraseggio. Il direttore, dunque, batte il tempo con una mano, awalendosi di un codice riconoscibile a tutti gli esecutori, e aggiunge inoltre dei gesti, dei segni che si riferiscono all'espressività. Oggi questa gestualità viene rea­ lizzata spesso attraverso una bacchetta, impugnata con la mano destra; in passato il tempo veniva battuto con un ba­ stone , o indicato con l'archetto del v i o l i n o. In realtà, se per i gruppi corali la figura del direttore è assai antica, per quelli strumentali e orchestrali occorre aspettare l'inizio del XIX secolo per vedere l'affermazione della moderna figura del

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direttore d'orchestra. In precedenza il direttore era un pri­ mus inter pares, un primo violino o un solista al c e m b a l o che suonava egli stesso e contemporaneamente dava gli attac­ chi e dirigeva i colleghi. I ruoli del concertatore e del diretto­ re erano svolti anche da persone differenti; il moderno di­ rettore nasce appunto quando un'unica personalità si assume questi due ruoli, in coincidenza con l'aumento della comples­ sità della scrittura orchestrale e con l'allargamento del reper­ torio (fra i primi, Felix Mendelssohn al Gewandhaus di Lip­ sia) . Ma la nascita del direttore , come responsabile ultimo di tutti gli aspetti dell'esecuzione musicale, significa anche un nuovo prestigio attribuito alla figura dell'interprete, inteso come mediatore fra la PARTITURA e il pubblico, fra il pensiero dell'autore e la sua ricezione, e portatore di un autonoma concezione in terp ret ativa. DISSONANZA Il concetto di " dissonanza " è strettamente le­ gato a quello di c o n s o n a n z a, di cui costituisce l' oppo­ sto. Da un punto di vista empirico, la consonanza è quell' ag­ glomerato di suoni (o a c c o r d o come si dice con un ter­ mine tecnico) che risulta gradevole all'orecchio, mentre la dissonanza è quell'agglomerato che urta l'orecchio. Nell'AR­ MONIA (cioè la teoria degli accordi) dell'età moderna viene considerato consonante un accordo " statico " ( di tre suoni) , cioè che può essere ascoltato in sé e per sé offrendo una im­ pressione di riposo , mentre è dissonante un accordo " dina­ mico " (di quattro o più suoni) , ossia che sembra richiedere "naturalmente " di essere seguito da un altro accordo. Questa distinzione empirica ha trovato nel tempo moltissime giustifi­ cazioni di ordine teorico; nel senso che, per spiegare l'effetto consonante o dissonante, statico o dinamico, di un accordo sull'orecchio umano, sono state elaborate molteplici teorie basate sull'analisi scientifica di fenomeni fisici, quali i rap­ porti matematici fra i suoni, il numero dei b a t t i m e n t i (un fenomeno di " urto " sonoro dovuto alla sovrapposizione

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di due suoni quasi uguali) ecc. Senonché lo stesso concetto di " dissonanza " si è evoluto nel tempo, tanto che accordi che nel medioevo erano considerati dissonanti vennero in se­ guito promossi a consonanti; e il rapporto consonanza/disso­ nanza, già considerato come quello fra valore/ disvalore, si è poi quasi ribaltato nel corso del Novecento, tramutandosi in disvalore/valore. Al centro di questo ribaltamento si pone quel processo di " emancipazione della dissonanza " che parte dal Trista n un d !salde di W agner ( I 86 5 ) e che vede la disso­ nanza usata sia come macchia di colore sia come agglomera­ to che non necessita di essere seguito da una consonanza. Consonanza e dissonanza non sono dunque concetti oggetti­ vi, bensì " culturali" , condizionati cioè dal tempo e dallo spa­ zio, nonché dall'abitudine d'ascolto dell'individuo. DODECAFONIA È il nome impiegato convenzionalmente per definire un sistema di composizione ideato da Arnold Schonberg intorno al I 92 I (Schonberg, Suite per piano/orte op. 2 5 , I 92 I -2 3 ) . In realtà Schonberg non usò mai questo nome e parlò piuttosto di «metodo di composizione con dodici note che siano in relazione soltanto l'una con l'al­ tra» r . Le vicende che portano all'ideazione della dodecafo­ nia sono quelle della crisi del linguaggio musicale nella cul­ tura viennese del primo Novecento . Dagli ultimi anni del XIX secolo, infatti, era in corso un lento processo di " eman­ cipazione della DISSONANZA " , che, a partire dal Tristan und !salde di Wagner ( I 8 65 ) , aveva portato ad ampliare i margi­ ni dei sette suoni della SCALA naturale , e ad attribuire una importanza sempre maggiore agli altri cinque suoni che completano i dodici della s c a l a c r o m a t i c a. Il risulta­ to fu quello di allentare i rigidi rapporti di gerarchia all'in­ terno della scala musicale e della TONALITÀ (per cui alcuni I.

Style and Idea, Philosophical Stile e idea, Feltrinelli, Milano I 96o, p.

Arnold Schonberg,

York I 95 0 , trad. it.

Library, New I Io.

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suoni assumono un valore di tensione o di riposo per l' orec­ chio ) , e di scrivere secondo una libera anarchia, che creava all'orecchio una impressione di tensione continua del lin­ guaggio, una mancanza di punti di riferimento che rifletteva una più generale crisi di valori. Questa negazione della to­ nalità venne detta ATONALITA, e praticata soprattutto dai compositori della cosiddetta " scuola di Vi enna" (Schonberg e i suoi allievi Alban Berg e An ton Webern). L 'invenzione di Schonberg fu mossa dall'idea di dare una logica razionale al disordine dell'atonalità; il primo principio su cui si basa la dodecafonia è dunque quello per cui, scrivendo la musi­ ca, è impossibile ripetere un suono prima di avere usato tut­ ti gli altri undici suoni della scala cromatica . Questo porta alla creazione di una serie di dodici suoni che si pone alla base di ogni composizione; ma questa serie può poi anche essere trattata secondo i principi del CONTRAPPUNTO di Bach, cioè diventare retrograda (dall'ultima alla prima nota ) , invertita (proponendo gli stessi INTERVALLI m a in direzione inversa, verso l'alto piuttosto che verso il basso ecc. ) , o an­ che retrograda ed invertita. Inoltre i principi organizzativi della serie valgono in senso orizzontale, ma anche in senso verticale, ovvero per quanto riguarda gli agglomerati con­ temporanei dei suoni, gli a c c o r d i. Negli anni venti e trenta, quando era scemata la temperie espressionista che l'aveva originata, la dodecafonia venne praticata principal­ mente da Schonberg e dai suoi allievi, e sembrava destinata, negli anni del Neoclassicismo , ad essere un esperimento pre­ sto esaurito. Negli anni quaranta, invece, furono numerosi i compositori che si accostarono progressivamente a questa tecnica di scrittura; in Italia il primo fu Luigi Dallapiccola (Liriche greche, r 942 -45 ) , e negli anni cinquanta aderì al si­ stema di Schonberg lo stesso Igor Stravinskij (Agon, r 9 5 7 ) che era considerato l'autore esteticamente più lontano dalla scuola di Vienna. Altri autori (Martin, Malipiero, Petrassi) studiarono ed applicarono parzialmente la tecnica. Nel do-

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poguerra , inoltre , la dodecafonia, con il concetto di " serie " , doveva essere all'origine del cosiddetto SERIALISMO, ovvero il tentativo - già anticipato dalle composizioni di Webern - di organizzare secondo principi seriali tutti i parametri del di­ scorso musicale: ALTEZZA, durata, INTENSITÀ, TIMBRO ecc.

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EDIZIONE CRITICA Si indica con questa espressione la pub­ blicazione moderna di un brano musicale del passato che cerchi di risalire il più fedelmente possibile alle intenzioni dell'autore . Questo awiene selezionando dapprima quelle che sono le fonti originali del brano più vicine all'autore l'autografo , la prima versione a stampa, talvolta curata sotto il controllo dell'autore - e alcune fonti secondarie - copie manoscritte d'epoca, parti staccate, altre stampe - e poi met­ tendo a confronto ogni dettaglio del testo e sottoponendolo appunto a una verifica " critica " . L'esigenza delle edizioni cri­ tiche si è sempre più sviluppata, nel corso del Novecento, dalla consapevolezza che la maggior parte delle edizioni mu­ sicali che venivano comunemente assunte come basi per le esecuzioni della musica del passato erano segnate da com­ promessi di tipo editoriale, da errori materiali, e spesso deri­ vavano da fonti realizzate lontano dal controllo dell'autore. Ad esempio l'edizione critica del Barbiere di Siviglia di Ros­ sini, curata nel r 968 da Alberto Zedda per casa Ricordi, ha consentito di riascoltare l'opera nell' orchestrazione originale , eliminando gli appesantimenti di altri strumenti aggiunti nel­ la edizione fino allora nota. La fioritura di vasti piani edito­ riali volti a pubblicare in edizione critica gli opera omnia dei grandi compositori, tenendo presenti i problemi specifici po­ sti dalle fonti del singolo autore , ha consentito anche uno straordinario sviluppo di conoscenze sui metodi di composi­ zione , sulla cronologia, sulle attribuzioni dei lavori dei com­ positori presi in esame. Assai diversa dall'edizione critica è 54

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quella "pratica " , che interviene sul testo aggiungendo segni e note (legature, dinamiche, ABBELLIMENTI ad esempio) che possano aiutare l'esecutore moderno. Spesso, per gli autori del passato, l'autografo non costituiva lo stadio definitivo del loro pensiero, ma piuttosto uno stadio intermedio destinato ad essere perfezionato in vista dell'esecuzione sulle parti de­ gli interpreti, o in vista dell'edizione a stampa. Ad ogni modo sono ugualmente fiorite negli ultimi decenni le cosid­ dette "edizioni Urtext" (testo originale) che propongono un testo a partire da una fonte originale senza interventi critici, nonché le ristampe anastatiche di autografi e prime edizioni a stampa , che possono significativamente aiutare a compren­ dere le intenzioni dell'autore e il suo rapporto con la prassi dell'epoca. ELABORAZIONE L'idea di " elaborazione " , in ambito musica­ le, trova non la sua origine - che potrebbe essere retrodatata a epoche precedenti - ma la sua consacrazione nell'età del Classicismo, per poi rimanere pienamente viva nelle epoche successive. È infatti con Haydn e Mozart che l'elaborazione diviene una vera e propria tecnica di composizione, che si sostituisce e si oppone a un'altra tecnica, quella basata sulla paratassi, ovvero sulla successione di varie idee musicali l'una dopo l'altra, tecnica, questa, di maggiore facilità co­ struttiva e di immediata piacevolezza d'ascolto. Più comples­ sa è invece la tecnica dell'elaborazione, che ha un punto di partenza: un tema, un motivo, una idea musicale; e infatti si parla propriamente di "elaborazione tematica " o "motivica " . Partendo appunto da un tema, l'elaborazione ne riprende al­ cune caratteristiche, per operarne una trasformazione: il tema può rimanere integro (soprattutto se breve) ed essere modificato nell'ARMONIA, nella TONALITÀ, nel m o d o; del tema può essere preso un elemento, quale un ritmo, un seg­ mento, un INTERVALLO, una successione armonica , e questo elemento può essere sottoposto a una trasformazione conti-

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nua, insomma a una specie di "viaggio " , in modo da rimane­ re riconoscibile, identificabile ma sempre diverso. Con l'ela­ borazione, insomma, c'è l'idea del continuo divenire del di­ scorso musicale; e non a caso il luogo deputato per l'elabo­ razione (ma non esclusivo) è quello della sezione dello SVI­ LUPPO, all'interno della FORMA SONATA, dove tutto è sempre in divenire (Haydn, Sinfonia n. I04, primo movimento) ; tan­ to che impropriamente si usa talvolta elaborazione come si­ nonimo di sviluppo. È poi Beethoven ad applicare l'elabora­ zione anche alla forma della VARIAZIONE, portando questa dall'ambito decorativo a quello speculativo (Beethoven, So­ nata per piano/orte op. I I I , "Arietta con variazioni " ) .

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FANTASIA Il termine "fantasia " è legato alla nascita e all'evo­ luzione della musica strumentale. Un medesimo nome è stato impiegato per definire tipi di composizioni estremamente dif­ ferenti, non solo nel tempo ma anche negli stessi luoghi e negli stessi momenti storici. In definitiva il nome sta ad indi­ care una vera e propria attitudine dell'atto del comporre , in cui l' autore sceglie da sé medesimo le strutture formali e le rielabora a seconda del proprio estro. Ecco così che nel Cin­ quecento "fantasia " sta ad indicare un brano brillante e im­ provvisativo, o anche un brano dal carattere imitativo, cioè con una scrittura più rigorosa, simile al ricercare (Frescobal­ di, Il primo libro delle Fantasie a Quattro, r 6o8); è questo il significato che prevarrà nel corso di tutto il Seicento (Purcell, Fantasie per tre viole, r 6 8o circa) . È alla fine del secolo che la fantasia acquista grande libertà interna grazie all'alternanza di situazioni contrastanti, come liberi RECITATIVI e sezioni cantabili e omofoniche; grande sviluppo hanno, su questo modello , le fantasie organistiche (Bach, Fantasia e fuga in do minore per organo BWV 53 7 ) . Con l'avvento dello stile galante e dell'età del Classicismo, la fantasia acquista una maggiore autonomia stilistica, aderendo a modelli diversi, come la FORMA SONATA o il RONDò (Mozart, Fantasia in do minore per piano/orte K 47 5 ) . Nel corso dell'Ottocento, poi, il termi­ ne si piega a un significato ulteriore e più sottile; diviene in­ fatti sinonimo di SONATA, ma di una sonata più libera, lonta­ na da regole precise e tale da lasciare maggiore libertà creati­ va all'autore. È in questa accezione che scriveranno fantasie 57

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Schubert (Fantasia ((Wanderer" per pianoforte) , Schumann (Fantasia per piano/orte op. r 7 ) , Liszt (Fantasia quasi sonata {{Après une lecture de Dante", per piano/orte) . Nel tardo Ro­ manticismo la fantasia passa dal versante cameristico a quello orchestrale , come sinonimo di POEMA SINFONICO ( C aikovskij , Francesca da Rimini, fantasia sinfonica op. 32 ) . E nel Nove­ cento il termine viene nuovamente impiegato nella stagione neoclassica, come ritorno alla prassi rinascimentale e barocca (Rodrigo, Fantasia para un gentilhombre per chitarra e orche­ stra , 1 954). Un'altra accezione del termine, fiorita nell'Otto­ cento, è quella di pot-pourri operistico, centone di melodie celebri realizzate sul PIANOFORTE e destinate all'intratteni­ mento da salotto. FORMA Il concetto di "forma " appartiene a tutte le arti e le scienze che si occupano della materia, e dunque potrebbe sembrare inadeguato quando viene applicato a un'arte imma­ teriale come la musica. In realtà è uno dei concetti essenziali per la composizione musicale. La musica, infatti, è un siste­ ma di segni che - storicamente - si sviluppa nel tempo se­ condo successioni di suoni che non sono casuali, ma hanno una organizzazione ben precisa. Anche le più elementari composizioni musicali presentano la riproposta di determina­ te frasi e determinati eventi musicali secondo scansioni tem­ porali di chiara identificazione, in modo che chi ascolta pos­ sa " riconoscere " queste frasi e questi eventi al loro riappari­ re ; ad esempio, in una canzone sarà facile anche per un ascoltatore non erudito distinguere una "strofa " , in cui il te­ sto poetico cambia ogni volta, da un " ritornello " , in cui il testo poetico ritorna sempre uguale , dopo strofe differenti. In questo caso possiamo sintetizzare questa forma con lo schema s r -R-S2 -R-S3 -R (dove s è la strofa, e R è il ritornello; esempio, la celebre canzone Azzurro di Vito Pallavicini e Paolo Conte) . La musica, quindi, si organizza nel tempo, e a questa organizzazione di tipo architettonico diamo appunto

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il nome di "forma " . Ma occorre ancora cogliere una fonda­ mentale distinzione, quella fra la forma intesa come genere storico e come atto individuale creativo. Infatti, da una par­ te, la storia musicale ha portato alla identificazione di precise forme musicali assunte come "a priori" dai compositori esempi: la FUGA, la SONATA, il RONDò ecc. - mentre, da un'altra parte, il singolo atto creativo di un musicista può portare alla definizione di forme singolari o nuove, che pos­ sono reinterpretare le forme "a priori " secondo sensibilità diverse (ogni fuga di Bach ha una sua specifica organizzazio­ ne interna) , o ancora possono creare nuove forme che non abbiano precedenti storici. Quest'ultimo caso riguarda so­ prattutto la composizione del secondo Novecento, che ha vi­ sto venir meno l'idea della forma storicizzata come punto di riferimento per la creazione (esempio: Estri di Petrassi, del r 967 , dove cinque gruppi di tre strumenti ciascuno affini per TIMBRO si presentano sia singolarmente sia in molteplici e cangianti aggregazioni, determinando con questo la forma del pezzo). Per estremo, negli anni cinquanta si è imposta una tendenza di musica " informale " , legata talvolta a spazi di improvvisazione e di MUSICA ALEATORIA, ossia con una forte componente improvvisativa , che metteva in primo pia­ no l'importanza del singolo elemento eterogeneo, e la sua di­ sconnessione con il contesto del pezzo, insomma il contrasto dei dettagli piuttosto che la loro organizzazione logica e coe­ rente (Maderna, Serenata per un satellite, 1 969) o anche l'a­ spirazione a un continuum, una fascia sonora che fa venir meno l'idea di tempo e di forma (Ligeti, Lux aeterna, 1 966) . FORMA DI LIED Il termine fa riferimento, in apparenza, alla musica vocale; LIED è, infatti, " canto " o " canzone" in te­ desco e, più precisamente, un genere musicale che attraver­ sa tutta la storia della musica tedesca, e che trova il pro­ prio apogeo in epoca romantica , con il Lied per canto e

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PIANOFORTE. "Forma di Lied" vuol dire dunque "forma di canzone " ; questa espressione viene impiegata però princi­ , palmente nell ambito della musica non vocale ma strumen­ tale. Si tratta, insomma , della trasposizione, a un complesso livello strumentale, di una organizzazione musicale che de­ riva dal canto popolare e che è in partenza estremamente semplice. Esistono, infatti, essenzialmente due forme di Lied, binaria e ternaria; nel primo caso troviamo due diffe­ renti idee musicali ( A e B ) che si pongono in successione fra di loro: dunque AB oppure AABB; talvolta la seconda idea è solo una VARIAZIONE della prima. Un esempio prati­ co di questa forma binaria può essere, a livello vocale , la celebre Ninna nanna di Brahms, che non a caso ricalca vo­ lutamente stilemi del canto popolare. Questa forma binaria è diffusa soprattutto nei secoli XVI e XVII, mentre nella se­ conda metà del XVIII secolo si afferma la forma ternaria, in cui le due idee A e B sono disposte con la ripetizione della , prima dopo la seconda, ABA. È nell età del Classicismo che ,, la forma ABA diventa la "forma di Lied per antonomasia, e viene adottata comunemente per tutto il Romanticismo come base privilegiata per i movimenti lenti di SINFONIE , SONATE , e lavori cameristici (esempio: Mozart, Sinfonia in sol minore K 55 0 , secondo movimento) . Al carattere forte­ mente dialettico dei movimenti iniziali si contrappone così quello più distensivo dei tempi lenti, in cui le idee musicali vengono giustapposte più che elaborate , e in cui il ritorno della prima idea, dopo il contrasto della seconda, acquista , il carattere dell approdo a un territorio già noto . , FORMA SONATA L espressione "forma sonata" è centrale nella musica del Classicismo e del Romanticismo; la sua ac­ cezione letterale è però fuorviante. La FORMA è la logica se­ condo la quale il materiale musicale viene organizzato in una composizione (attraverso il numero dei temi musicali e la loro riproposizione distanziata nel tempo) ; la SONATA è un

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genere compositivo che, nella musica classico-romantica, è affidato a uno o più strumenti e si articola, in genere , in tre o quattro movimenti. La forma sonata non è però la forma della sonata, ma la forma in cui si articola un solo movimen­ to della sonata, in genere il primo, talvolta l'ultimo e anche il secondo (tempo lento ) . La forma sonata si basa su due idee musicali principali, che sono fra loro generalmente in contra­ sto (cioè è "bitematica " ) e si confrontano nel corso di tre sezioni principali (cioè è "tripartita " ) : una " esposizione " , che serve a presentare le idee, ma ad ALTEZZE differenti (TONALITÀ differenti) ; uno " sviluppo " in cui le idee, o una sola di esse, vengono liberamente elaborate dal compositore; e una " rie­ sposizione " che ricalca l'esposizione, ma presentando le due idee alla medesima altezza. Ci possono essere anche un terzo tema, distensivo rispetto ai primi due, e una coda (Mozart, Sinfonia in do maggiore K 55 1 "]upiter" , primo movimento; Beethoven , Sinfonia n. 5 in do minore op. 6 7 , primo movi­ mento); e, nel tardo Romanticismo, la sostituzione del secon­ do tema con un gruppo di nuove idee tematiche che si avvi­ cendano rapidamente donando maggiore complessità alla co­ struzione. Il concetto che si situa alla base della forma sona­ ta è dunque quello della dialettica fra diverse idee musicali; e l'affermazione storica di questa forma, nella seconda metà del XVIII secolo , segna anche l'affermazione di un nuovo modo di far musica , rispetto alla musica barocca, che trova­ va la sua espressione più alta nel monotematismo della FUGA. FUGA La fuga è una forma musicale le cui origini risalgono al secolo XIV e la cui piena definizione avviene tuttavia sola­ mente verso la metà del XVII secolo. Il termine " fuga " viene infatti impiegato per la prima volta intorno al r 3 30 in un elenco di forme polifoniche. E già questo fatto indica la na­ tura essenziale della fuga: l'essere una forma contrappunti­ stica , ovvero basata sull'intreccio di più linee melodiche fra

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loro intercambiabili. Rispetto ad altre forme contrappuntisti­ che (cANONE, r i c e r c a r e) la fuga possiede delle regole specifiche, che tuttavia possiedono un certo grado di variabi­ lità. Una fuga-tipo può presentare un'articolazione in tre di­ versi momenti: esposizione, svolgimento, stretto. L'esposizio­ ne vede l'ingresso delle singole voci (due, tre, quattro ecc.) in successione, l'una dopo l'altra, e ciascuna di queste voci presenta la medesima idea tematica, detta s o g g e t t o, cui si contrappone, nell'intreccio delle voci, una controidea, det­ ta c o n t r o s o g g e t t o. Lo svolgimento alterna la libera elaborazione di frammenti del soggetto ( " divertimenti " ) a "riesposizioni" che portano il discorso lontano dalla TONALITÀ (la regione sonora) di base; lo "stretto " consiste nel nuovo ingresso di tutte le voci, ma a una distanza ravvicinata, com­ pressa. N on mancano altre tipologie (fuga a più soggetti, fuga reale o fuga tonale ecc . ) . In sostanza, fra tante variabili, la caratteristica fondamentale della fuga è quella di essere una composizione basata interamente su una sola idea tema­ tica ( appunto il soggetto) da cui parte tutta la costruzione contrappuntistica. Apogeo dell'età barocca - l'esempio forse maggiore della complessità e della varietà degli artifici con­ trappuntistici si trova nella raccolta L'arte della fuga di Bach - la fuga fu soprattutto una forma strumentale, ma ebbe an­ che un vastissimo impiego nella musica sacra, soprattutto ne­ gli "Amen " conclusivi di vaste sezioni come il Gloria e il Credo della MESSA. Cadde poi in declino alla metà del XVIII secolo, proprio con l'affermarsi di generi musicali basati sul­ la dialettica di più temi (FORMA SONATA), e rimase in auge principalmente in sede chiesastica (Rossini, Stabat Mater, "Amen " ; Verdi, Messa da Requiem, " Sanctus " e "Libera me Domine " ) o come recupero di stilemi antichi (Stravinskij , Sinfonia di Salmi, "Expectans expectari Dominum " ) .

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IMPROVVISAZIONE L'improvvisazione è quella forma di crea­ zione musicale che nasce " all'improvviso " , cioè nel momento stesso dell'esecuzione, e che postula una sorta di immedesi­ mazione o di sovrapposizione fra la figura del compositore e quella dell'interprete. L'improvvisazione parte da basi assai diverse nella musica eurocolta e nelle altre culture musicali. N el caso della musica euro colta - ossia della musica colta della civiltà occidentale - infatti l'improvvisazione costituisce prevalentemente un arricchimento rispetto a un testo scritto preesistente. L'esempio più chiaro è quello di una CADENZA all'interno di un CONCERTO solistico o di un'ARIA, spesso la­ sciata dall'autore ad libitum del solista, che può prepararla o inventarla estemporaneamente. Altri casi possono essere quelli della realizzazione del BASSO CONTINUO - per cui su una linea melodica al basso un cembalista o organista imma­ gina all'impronta una successione di accordi e melodie fiorite - o quelli legati alla VARIAZIONE - per " colora tura " o " dimi­ nuzione " - di una linea melodica. Nelle culture musicali non eurocolte, invece, laddove non si può parlare di testo scritto preesistente, la figura del creatore e quella dell'interprete coincidono effettivamente e la creazione è essa stessa im­ provvisazione. In questa prospettiva si sviluppa anche l'im­ provvisazione nel jazz, genere musicale che nasce dalla prati­ ca improvvisativa e che, anche quando si basa su testi scritti che implicano temi e giri armonici prestabiliti, conserva sem­ pre uno spazio di libertà assoluta alla personalità dell'esecu­ tore. Ecco dunque che le registrazioni di medesimi brani, ef-

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fettuate dal medesimo interprete a distanza di pochi minuti, possono apparire anche estremamente dissimili. In realtà an­ che nella musica eurocolta composizione ed improvvisazione si sono identificate nel caso di quegli autori che erano anche interpreti delle proprie stesse musiche ; ad esempio tutti i grandi compositori-virtuosi, come Mozart e Beethoven, che assai spesso improvvisavano al PIANOFORTE in pubblico, e poi, in un secondo momento, stendevano su carta quello che avevano improvvisato (esempio: Mozart, Variazioni sul tema ((Unser dummer Pobel meint)) di Gluck per piano/orte K 455 ) . L'improvvisazione h a poi trovato nuovo incentivo con le avanguardie del secondo dopoguerra, che hanno lasciato grande libertà all'interprete, sia all'interno della MUSICA ALEATORIA, dove l'autore offriva diverse opzioni all'interpre­ te, sia in vere sedute di improvvisazione collettiva. INTENSITÀ Secondo la fisica acustica, l'intensità è una delle tre proprietà fondamentali di un suono musicale , le altre due essendo l'ALTEZZA (ovvero se il suono è più alto o più basso) e il TIMBRO (ovvero il " colore " del suono). L'intensità è il volume del suono, ovvero se un suono è prodotto, dal corpo in vibrazione, più piano o più forte , se questo corpo è solle­ citato in modo più o meno intenso. Sotto il profilo della fisi­ ca acustica l'intensità è legata soprattutto all'ampiezza delle vibrazioni, che si esprime in decibel. L'intensità è legata, ad esempio , alla forza con cui viene sfregata una corda, o alla potenza con cui viene immessa dell'aria in una canna. È però legata anche al mezzo di produzione del suono ; la vi­ brazione dell'aria in una canna di grandi dimensioni, come nella famiglia degli OTTONI, produce di per sé una intensità maggiore di uno strumento a corde pizzicate, come un'ARPA o una CHITARRA, o anche della vibrazione dell'aria in una canna piccola, come quella dell'oboe. Nella NOTAZIONE mu­ sicale l'intensità è definita in modo piuttosto approssimativo, con un codice di sfumature che usa le lettere F e P per indi-

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care "forte " e "piano " , e le combina variamente , secondo un codice di gradazione molto empirico: FFF (più che fortissi­ mo) , FF (fortissimo) , F (forte) , MF (mezzoforte) , MP (mezzo­ piano), P (piano), PP (pianissimo) , PPP (più che pianissimo) , FP (forte-piano, owero un forte subito seguito da un piano). Questo codice, che lascia un grande margine di discreziona­ lità all'esecutore, è stato giudicato comunque soddisfacente fino alla metà del Novecento. In seguito si è avuto, da parte delle avanguardie musicali, il tentativo di una determinazione delle intensità molto più precisa, attraverso la " serializzazio­ ne " del volume sonoro, considerato un parametro compositi­ vo da fissare esattamente al pari di altezza, durata, timbro e via dicendo. INTERMEZZO Il termine "intermezzo " ha, in campo musica­ le , almeno tre significati differenti, e fra loro piuttosto dissi­ mili (escludendo il sinonimo " intermedio " , che indica un ge­ nere teatrale pre-operistico, del XVI secolo). Quello cronolo­ gicamente più antico, e anche storicamente più importante, si riferisce all' abitudine, propria del teatro musicale del Set­ tecento, di inserire, all'interno di un'o p e r a s e r i a, ossia drammatica, e precisamente negli intervalli fra un atto e l'al­ tro, delle mini-o p e r e b u f f e, cioè comiche, divise in due o tre atti e affrontate da pochi personaggi, solitamente due o tre. Spesso l'importanza storica dei piccoli intermezzi è assai maggiore di quella delle grandi opere serie che li accoglieva­ no al loro interno, come nel caso del capolavoro del genere, La serva padrona di P ergolesi, scritta nel r 7 3 3 per essere ese­ guita fra gli atti de Il prigionier superbo . Elementi come reali­ smo borghese ed equivoci farseschi sono d'altronde comuni a moltissimi lavori similari. Secondo significato è il sinonimo di "interludio " , owero una pagina orchestrale che viene in­ serita, nel teatro di stampo naturalista, a metà di un'opera lirica priva di OUVERTURE; ad esempio gli intermezzi della Mano n Lescaut di Puccini e della Cavalleria rustica n a di Ma-

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scagni. Terzo e ultimo significato è quello di una pagina sin­ fonica o cameristica di stampo meditativo, inserita in genere al posto dello scherzo in una SONATA, un QUARTETTO, una SINFONIA (Brahms, Sinfonia n. I op. 6 8 , terzo movimento) . Senonché in questa terza accezione meditativa l'intermezzo perde talvolta la propria connotazione di brano intercalato in una struttura più ampia, per assumere quella di brano del tutto autonomo (Brahms, Intermezzi per piano/orte op. I I 7 ) ; in tal caso l'Intermezzo diviene un brano parentetico e soli­ psistico, a prescindere da quanto precede e segue. INTERVALLO Fuori dalla musica, l'intervallo è lo spazio che separa due entità distinte, come due ore di lezione o due programmi televisivi. In musica, l'intervallo è la distanza che intercorre fra due suoni; in linea teorica, dunque, gli inter­ valli sono infiniti, poiché infiniti sono i suoni di diversa ALTEZZA che possono essere immaginati. In realtà ogni siste­ ma musicale si basa su un numero limitato di intervalli, defi­ niti secondo sistemi di diversa natura, che stabiliscono rap­ porti matematici fra i suoni. Il rapporto più immediatamente intuitivo è quello per cui un dato suono può essere ripetuto a differenti altezze, apparendo il medesimo suono, ma più acuto o più grave; a questo fenomeno corrisponde, dal pun­ to di vista della fisica acustica, il raddoppiamento o il dimez­ zamento delle vibrazioni (frequenze) del suono stesso . L'in­ tervallo che si ottiene con questo principio viene detto " in­ tervallo di o t t a v a " . Infatti, all'interno dell'ottava il siste­ ma musicale occidentale distingue dodici differenti suoni, e quindi dodici differenti intervalli, tutti uguali (secondo il si­ stema di accordatura temperata proposto da Andreas Werk­ meister alla fine del xvn secolo ) , e ciascuno dei quali detto s e m i t o n o. Tuttavia, a causa della nostra assuefazione d'a­ scolto, solo sette dei dodici suoni compongono la SCALA mu­ sicale a cui siamo abituati; gli intervalli basilari della scala sono dunque due, il semitono (s) e il t o n o (T) , di dimen-

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sioni doppie rispetto al semitono. La cosiddetta "scala mag­ giore " alterna dunque sette suoni all'interno dell'ottava se­ condo il seguente schema: TTSTTTS; la scala minore naturale, invece, secondo il seguente schema: TSTTSTT. Ma gli intervalli non misurano solamente i suoni attigui, bensì anche quelli più distanti; prendono il loro nome convenzionale a seconda della loro ampiezza all'interno della scala, e possono essere calcolati contando i gradi della scala a partire da quello di base; ad esempio, se la scala è quella di Do maggiore (e le note della scala sono dunque Do-Re-Mi-Fa- Sol-La- Si-Do) Do-Re è un intervallo di seconda, Do-Mi di terza, Do-Fa di quarta, Do- Sol di quinta, Do-La di sesta, Do-Si di settima (e Do-Do di ottava, come si è detto; ecco dunque perché l'otta­ va si chiama così) . Ma le cose sono ancora più complesse, poiché, per una antica distinzione che affonda le sue radici nella teoria pitagorica dell'accordatura della scala, tre inter­ valli vengono detti "giusti " (quarta, quinta, ottava) e gli altri invece "maggiori" o "minori " a seconda dei casi (seconda, terza, sesta , settima) . Dunque Do-Fa è un intervallo di quar­ ta giusta, Do-Sol di quinta giusta, Do-Do di ottava giusta; Do-Re, Do-Mi, Do-La, Do-Si sono intervalli maggiori, rispet­ tivamente di seconda, terza, sesta, settima. Ma se invece del­ la scala maggiore intoniamo la scala di Do minore naturale (Do-Re-Mi bemolle-Fa- Sol-La bemolle-Si bemolle-Do ) , ecco che abbiamo degli intervalli diversi: Do-Mi bemolle, Do-La bemolle, Do-Si bemolle, che sono intervalli minori di terza, sesta, settima. L'intervallo di seconda maggiore è uguale al tono, quello di seconda minore al semitono. Inoltre per la teoria musicale è anche possibile immaginare degli intervalli ancora più grandi o più piccoli di quelli descritti, e in tal caso si usano gli aggettivi " aumentato " (o " eccedente " ) e " diminuito " . Così l'intervallo Fa diesis-Si bemolle viene defi­ nito come " quarta diminuita " , anche se di fatto corrisponde nella distanza a quello Fa diesis-La diesis che è una terza maggiore; ma il fatto di chiamare un suono, un intervallo, un

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accordo con un nome piuttosto che con un altro (si parla in tal caso di e n a r m o n i a) dipende dal contesto che può giustificare l'una o l'altra scelta. In questa prospettiva ha una particolare importanza l'intervallo del semitono, che viene definito " diatonico " ( dal greco: per toni) o " cromatico " (da chroma, colore) a seconda che si riferisca a note di nome di­ verso (Do-Re bemolle) o a note con lo stesso nome (Do-Do diesis) . Il motivo è che il semitono cromatico non appartiene alla scala naturale, e dunque il suo inserimento costituisce una " colorazione " del brano musicale . Per questo la scala composta dai dodici semitoni che abbracciano l'arco dell'ot­ tava viene detta s c a l a c r o m a t i c a. INTRODUZIONE Illustrare il significato del termine "introdu­ zione " potrebbe sembrare pleonastico; eppure in campo mu­ sicale questo termine si presta a interpretazioni differenti e a distinguo. Un significato generico è intuitivo : l'introduzione è l'inizio di una composizione musicale; ma all'interno di questa definizione generica si nascondono molte sfumature. L'introduzione può essere un movimento staccato di una composizione vasta (il primo numero di un'OPERA lirica; esempio: Rossini, Cenerentola); oppure la prima sezione di un movimento in due o più sezioni. In entrambi i casi si pone il problema di quale sia il rapporto della parte con il tutto. Secondo la logica dello stile classico, impostasi poi come modello di riferimento per tutto l'Ottocento e oltre, l'introduzione per antonomasia è una sezione lenta che può venire premessa a una sezione più ampia, in genere articolata in FORMA SONATA, che costituisce il tempo iniziale di una SONATA, un QUARTETTO, una SINFONIA (esempio: Haydn, Sin­ fonia n. 104 , primo movimento) ; o più raramente il tempo finale (come nella Sonata per violoncello e piano/orte op. 6 9 di Beethoven) . Ciò che, da Haydn in poi, è significativo, è che il compositore fa uso nell'introduzione di alcuni fram­ menti tematici che verranno poi ripresi all'interno della se-

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guente forma sonata; in questo caso l'introduzione costitui­ sce la premessa interlocutoria di qualcosa che verrà esplicita­ mente affermato in seguito. Ma si dà anche il caso opposto, quello della assoluta indipendenza del materiale delle due se­ zioni (Beethoven, Sinfonia n. 4, primo movimento) ; e dun­ que l'introduzione serve a creare un effetto di " sorpresa" con il passaggio alla sezione successiva. Capita poi che il ma­ teriale dell'introduzione venga anche riproposto ripetuta­ mente nel corso della forma sonata, con la funzione di po­ tenziare l'effetto interlocutorio (Beethoven, Sonate per piano­ /orte op. I 3 e op. 3 I n. 2 ) . Una ulteriore accezione del termine è quella di prima sezione di un brano strumentale in due sezioni, la seconda delle quali è un Allegro, o un Tema con VARIAZIONI ecc.; accezione, questa, presente per tutto l'Otto­ cento e anche a Novecento avanzato (esempio: Ravel, Intro­ duzione e Allegro per arpa flauto clarinetto e quartetto d)ar­ ) ) chi, 1 9 05 ) . INVENZIONE Il termine " invenzione" deriva dal latino inve­ nio, ossia "trovo " ; l'invenzione, in musica, è dunque il risul­ tato di una ricerca che assume tuttavia, dal XVI secolo in poi, prospettive differenti nel tempo. Se si eccettuano le chansons descrittive di J annequin ( I5 5 5 ) , e qualche altra raccolta, la fortuna del termine è soprattutto legata alla musica strumen­ tale, e non a caso si sviluppa nel periodo della sua prima fioritura, quando l'esplorazione delle possibilità espressive e virtuosistiche degli strumenti appare una nuova conquista; questo è il compito delle numerose " Invenzioni d'intavolatu­ ra " che , destinate alle tastiere o al LIUTO, si sviluppano all'i­ nizio del xvn secolo. In questa accezione, che equivale allo sviluppo della fantasia espressiva, al di fuori da codici forma­ li prestabiliti, il termine viene impiegato anche nella celebre raccolta di Antonio Vivaldi Il cimento dell)armonia e dell)in­ venzione (pubblicata intorno al 1 72 0 ) , dove è contrapposto al rigore della regola ( ARMONIA ) . Tuttavia nello stesso perio-

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do si impone un altro significato: per i Praecepta di J. G . Walther ( r 7o8) l'invenzione è il primo stadio d i un processo creativo che approda all' elaboratio e all' executio; in concreto, l'invenzione diviene una pagina basata sul principio dell'imi­ tazione fra più voci, spesso facente parte di una vasta raccol­ ta, come nel caso delle Invenzioni a due e tre voci di Bach. Logico che, dimenticata nell'Ottocento, l'invenzione riappaia all'inizio del Novecento nel quadro del recupero della prassi barocca; è il caso del Wozzeck di Alban Berg (dove l'intero terzo atto è basato su sei invenzioni: su un tema, una nota, un ritmo, un accordo, una TONALITÀ, un movimento regolare di crome) come di alcuni lavori di Malipiero e Petrassi.

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LEGNI È il nome dato convenzionalmente a un gruppo di strumenti a fiato, appartenenti a diverse famiglie ma costruiti tutti in origine con il legno (poi con altri materiali), a diffe­ renza di un altro gruppo di strumenti a fiato costruiti con il metallo ( OTTONI ) . Come tutti gli strumenti a fiato, i legni emettono il suono in seguito all'introduzione e alla vibrazione di un flusso d'aria in una canna vuota; diversi sono, a seconda dei modelli, l'imboccatura, il tipo di canna, il tipo di meccani­ ca. Se i primi esemplari di flauto risalgono alla preistoria, è nel corso del Sei-Settecento che vengono individuati i princi­ pali modelli di legni destinati ad imporsi nell'uso della mo­ derna ORCHESTRA sinfonica e a subire un lungo processo di perfezionamento tecnico: f l a u t o e o t t a v i n o, o b o e, c o r n o i n g l e s e, f a g o t t o e c o n t r o f a g o t t o, c l a r i n e t t o e c l a r i n e t t o b a s s o, s a s s o f o n o. Il f l a u t o si diffonde, fino alla metà del XVIII secolo, soprat­ tutto nel modello diritto (ovvero con l'imboccatura in cima alla canna, e posto verticalmente di fronte all'esecutore ) , det­ to "flauto dolce " , o "flauto a becco " dalla particolare imboc­ catura; il flauto traverso (ovvero con l'imboccatura sul lato della canna e posto dall'esecutore alla propria destra paralle­ lo alla bocca) si afferma nel corso del Settecento; è nel r 8 3 2 che Theodor Bohm ne rivoluziona l a meccanica distribuendo i fori secondo criteri acustici e non pratici, e dotandoli di chiavi. L'o t t a v i n o è un tipo più piccolo e più acuto di flauto. Un particolare gruppo di legni è quello detto " ad an­ cia doppia " , perché l'imboccatura è formata da due sottili la-

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melle poste intorno a un tubicino metallico: si suonano tutti verticalmente, e la loro lunghezza e forma cambia a seconda del registro più o meno acuto . L'o b o e è il più antico di questi strumenti, riconoscibile per il suo suono nasale; il c o r n o i n g l e s e è un oboe contralto, mentre il f a g o t t o è un esemplare più grave; gravissimo è il c o n t r o f a g o t t o. Oboe e fagotto sono stabilmente presenti in orchestra fin dalla fine del Seicento. Strumento ad ancia semplice è il c l a r i n e t t o, che si impose nell'uso con un certo ritardo , conquistandosi un ruolo in orchestra solo negli anni settanta del Settecento. Esistono diversi tipi di clarinetti, quelli in Si bemolle e in La, il corno di bassetto , il clarinetto di bassetto e il c l a r i n e t t o b a s s o, tutti simili ma differenziati per dimensioni, forma e registro. Anche il clarinetto ha vissuto un importante sviluppo tecnico a cavallo dell'Ottocento, conquistando poco per volta la possibilità di suonare tutta la s c a l a c r o m a t i c a. Il clarinetto è uno STRUMENTO TRASPOSITORE, e deve il suo suono scuro nel registro grave al fatto di essere privo dei primi armonici " dispari " , cioè di al­ cuni di quei suoni secondari che contribuiscono a formare il colore del suono. Il s a s s o f o n o, inventato nel I 840 da Adolphe Sax, combina l'imboccatura del clarinetto con un corpo di ottone , ed è dunque impropriamente considerato uno dei legni; anch'esso comprende diversi modelli a secon­ da del registro (soprano, contralto, tenore, baritono, basso) ed è anch'esso uno strumento traspositore. Più che nell'or­ chestra sinfonica ha trovato il suo maggior impiego all'inter­ no del jazz. Termine tedesco che viene tradotto con "motivo conduttore " ; in un significato lato, si può parlare di "motivo conduttore " nel caso di una idea musicale che, nel corso del­ la composizione, assuma una importanza centrale e ricorren­ te. Si è parlato di Leitmotiv, ad esempio, sia pure discuti­ bilmente, a proposito del tema iniziale della Quinta Sinfonia

LEITMOTIV

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di Beethoven, o dell' idée fixe della Symphonie /antastique di Berlioz. Ma il Leitmotiv ha in realtà una accezione storica più precisa: quella di una idea musicale alla quale viene col­ legato un significato extramusicale - che può essere simboli­ co, descrittivo, filosofico - e che ogni qual volta ricorre , al­ l'interno di una composizione musicale, richiama all'ascolta­ tore quel preciso significato. In questa più precisa accezione il Leitmotiv si pone al centro delle opere e delle teorie della cosiddetta scuola "neotedesca " , di F ranz Liszt e Richard Wagner; quest'ultimo in particolare, intorno al r 85o, elaborò la sua teoria del " dramma musicale " , ponendo alla base del discorso musicale non già forme chiuse (ARIE, CABALETTE, duetti, concertati) bensì un dispiegarsi continuo del tessuto musicale ( ''melodia infinita " ) . Proprio per l'impiego del Leit­ motiv, questo tessuto musicale si differenzia sotto due aspetti centrali dalla logica sinfonica classica: perché si basa non sul­ lo sviluppo di cellule derivate da un tema, ma sulla ripetizio­ ne paratattica e sull'intreccio dei motivi; e perché, pur essen­ do musicalmente autosufficiente, vive di continue allusioni e continui riferimenti extramusicali. Il Leitmotiv, quando m an­ tiene una funzione iconica, tende ad essere ben riconoscibile non solo melodicamente, ma sotto il profilo tonale ed anche timbrico (esempi: Wagner, Das Rheingold, motivi del Wal­ halla, della lancia, dei giganti ecc. ) . LIED Il termine tedesco Lied (pronunciato Lid, il plurale è Lieder, pronunciato Lider) , equivale in italiano a " canto " o " canzone " , ma è in realtà intraducibile, in quanto si riferisce alle vicende di più generi vocali che percorrono la storia mu­ sicale tedesca. Di Lied si può parlare già a proposito di canti sacri dell'età carolingia, e, dai Minnesiinger ai Meistersinger, tutte le espressioni vocali della musica tedesca possono esse­ re ricondotte a questo termine. È poi nell'età barocca che si impongono i differenti generi del Lied spirituale e del Lied popolare , rimasti in vigore fino alla metà del XVIII secolo.

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Per l'ascoltatore moderno, tuttavia, il Lied è essenzialmente quel brano da camera con accompagnamento di PIANOFORTE (e in qualche caso di altri strumenti) che trova la sua para­ bola in un arco di tempo che va da Mozart alla metà circa del Novecento. Il carattere miniaturistico - che consentiva d'altra parte l'inanellamento di una serie di Lieder in cicli accuratamente strutturati; esempio: Schubert , Die Winterrei­ se , la dialettica fra la voce e il pianoforte, il compito di esprimere situazioni e sentimenti intimistici hanno fatto del Lied una delle più alte e caratteristiche espressioni della creatività romantica, per la ricerca inesausta di nuove solu­ zioni nel rapporto testo-musica. Non a caso, da Schubert a Schumann , da Liszt a Brahms, da Richard Strauss a Mahler, da Schonberg a Berg, tutti i principali compositori austrote­ deschi dell'Otto-Novecento hanno lasciato una copiosa pro­ duzione liederistica; specifica poi la dedizione di Hugo Wolf al genere. Formalmente occorre distinguere fra il Lied strofi­ co (in cui la medesima musica viene ripetuta per diverse strofe del testo poetico) e il Lied ((durchkomponiert}} ( '' com­ posto-attraverso " ) , in cui non c'è ripetizione di musica, ma una invenzione continuamente rinnovata rispetto al testo poetico. -

LIUTO È uno strumento a corde ptzztcate che ha forma di pera o di testuggine con una cassa bombata. In effetti, più che di liuto, sarebbe corretto parlare della "famiglia del liuto " , in quanto questo genere di strumento com­ prende varianti che , a seconda delle funzioni musicali di­ verse, da quella solistica a quella di BASSO CONTINUO , gli fanno assumere proporzioni e accordature anche molto differenti. Definire il liuto come uno strumento unico sa­ rebbe un poco come definire con l'unico nome di violino anche la v i o l a, il v i o l o n c e I l o, la v i o l a d a g a m b a e il c o n t r a b b a s s o. Infatti il liuto, in alcu­ ne sue varianti di numero di corde semplici e doppie, ac-

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cardatura e dimensioni, ha assunto nomi differenti, come t i o r b a e c h i t a r r o n e. Anche il mandolino è sostan­ zialmente un liuto "o t t a v i n o " , cioè acutissimo (ovvero il più acuto dei liuti) . T an ti modelli hanno in comune il fatto che le loro corde sono sempre doppie (da cui il nome di " cori " ) , con l'eccezione del " cantino " , cioè la pri­ ma corda (o le prime due , nel periodo barocco), che per le sue necessità di maggiore cantabilità era appunto sem­ plice. Il numero delle corde varia dai sei ordini di cori del primo Rinascimento ai quattordici cori del Settecento. In Europa il liuto venne importato dall'Islam nel XIII secolo (anche il nome è arabo: al'ud, ovvero "legno " , "tavola " ) e presto si diffuse come strumento da camera soprattutto nelle corti, per il suo suono intimo e raccolto; non a caso la letteratura liutistica è, fra quelle strumentali del periodo rinascimentale-barocco, una delle più ricche e comprende autori di primissimo piano, quali Francesco da Milano, John Dowland, Robert De Visée. La musica per liuto veni­ va scritta con la cosiddetta " i n t a v o l a t u r a " , un siste­ ma grafico che riproduceva le corde , semplice e intuitivo , che favorì la diffusione dello strumento. In epoca barocca, a parte la funzione solistica (Bach, Vivaldi, Telemann) , venne impiegato anche in ORCHESTRA (esempio: l'uso di una coppia di liuti nella Passione secondo Giovanni di Bach) e costituiva un elemento di colore indispensabile nella realizzazione del basso continuo. Alla fine del XVIII secolo lo strumento conobbe una forte decadenza, data la sua scarsa potenza sonora. In Germania comunque soprav­ visse in un modello semplificato (scomparvero le doppie corde), assumendo per le prime sei corde la stessa accor­ datura della chitarra; detto "liuto bastardo " , questo tipo di liuto venne usato da Wagner nei Meistersinger von Nurn­ berg. Non è da considerarsi propriamente un liuto, invece , la v i h u e l a spagnola , una chitarra a sei cori che era in uso nella penisola iberica nel XVI secolo, simile al liuto per

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l'accordatura, e che fu destinataria di una letteratura di alta qualità e raffinatezza (fra gli autori che vi si dedicaro­ no spiccano i nomi di Luis Milan , Luis de N arvaez , Alon­ so de Mudarra, Miguel De Fuenillana) . Neanche la vihuela scomparve completamente, e per tutto l'Ottocento in Spa­ gna si trovano esempi di chitarre a sei cori doppi che ve­ nivano chiamate con questo nome.

M

MADRIGALE Il termine "madrigale " indica due tipi differenti di composizioni, fioriti il primo nel XIV secolo, il secondo a partire dal XVI. L'etimologia è incerta, potendo riferirsi tanto al fatto che i testi poetici erano nella lingua madre ( "ma­ tricale " ) tanto al contenuto idilliaco e pastorale dei testi ( "mandriale " ) . Nel caso del madrigale del Trecento , ci trovia­ mo di fronte a una delle forme principali della cosiddetta Ars nova italiana, pensata per essere eseguita in sedi gentili­ zie, e destinata ad essere intonata, in volgare , da una o due voci con strumenti. L'articolazione era quella di una strofa , su parole sempre diverse, e di un ritornello, sulle medesime parole (esempi: i madrigali di Francesco Landini) . Del tutto diverso il madrigale del Cinquecento, che trae origine dalla f r o t t o l a, forma vocale colta derivata da un modello po­ polare, basata su un andamento omofonico (in cui cioè, se­ condo una accezione allargata, le voci procedono con lo stes­ so ritmo) e sull'alternanza strofa/ritornello. Anche i primi madrigali, dal r 5 2 0 circa, avevano andamento omofonico , ma si distinguevano per un'articolazione libera e non vinco­ lata a strofe. Tuttavia , nel volgere di pochi decenni, il ma­ drigale doveva acquisire quella mobilità polifonica e quella complessità di impostazione che competevano fino allora alla musica sacra. Doveva così imporsi come la principale forma polifonica profana, scegliendo testi preziosi e cercando di tradurli in musica con immagini sonore ( " madrigalismi " ) le­ gate a una complessa simbologia (Marenzio, Nono Libro de) Madrigali) . È sul finire del secolo che la nuova invenzione =

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della monodia accompagnata rivoluziona il madrigale, affi­ dando il testo solo alla voce (o voci) superiore, e il sostegno dell'ARMONIA agli strumenti, secondo una tendenza " concer­ tata" (Monteverdi, Ottavo Libro de' Madrigali) . La destina­ zione era per gli stessi esecutori e per uno scelto pubblico. Anche in seguito il termine venne impiegato per indicare composizioni polifoniche di vario tipo. MELOLOGO Questo termine - che in francese viene definito come mélodrame, e in tedesco Melodram, circostanza che ingenera talvolta una confusione con il termine italiano m e l o d r a m m a - indicava in origine un particolare gene­ re musicale, frutto di una speculazione teorica di Jean-Jac­ ques Rousseau sull'unione della parola e della musica: un dramma recitato da un solo personaggio in cui il compito della musica, affidata a un'oRCHESTRA, era quello di com­ mentare e sottolineare espressivamente i concetti declamati dal personaggio, seguendo dei codici comunicativi facilmente riconoscibili. L'esperimento di Rousseau si tradusse nell' azio­ ne scenica Pygmalion, scritta nel I 762 e rappresentata nel I 770 con le musiche di Coignet. Venne imitato in seguito, soprattutto dal boemo Benda, che scrisse nel I 77 5 i melolo­ ghi Medea e Arianna a Nassa, e da autori minori (Neefe, Zumsteeg, Cannabich). Se il genere del melologo doveva ri­ manere legato, in questa forma, a una stagione fertile ma nell'insieme breve , la medesima tecnica di recitazione commentata dall'orchestra che era alla base del genere tea­ trale venne spesso ripresa all'interno delle musiche di scena per il teatro ( Thamos Konig von Aegypten di Mozart, Eg­ mont di Beethoven) ed entrò inoltre a far parte dell'OPERA tedesca - all'interno della quale era favorita dal genere del 5 i n g s p i e l, in cui i dialoghi erano recitati in prosa - con scene apposite (Zai'de di Mozart, Fidelia di Beethoven, Der Freischiitz di Weber ecc. ) . In seguito il termine "melologo " venne impiegato anche al di fuori del teatro, nell'ambito del-

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la musica da camera, per recitazioni accompagnate dal PIA­ NOFORTE (Strauss, Enoch Arden ) . Oggi viene impiegato an­ che genericamente per tutti quei tipi di composizioni che contemplano l'uso della recitazione accompagnata dal piano­ forte o dall'intera orchestra. MESSA All'interno della liturgia della Chiesa cattolica roma­ na, la Messa è il rito principale. Non tutte le Messe sono uguali; se alcuni momenti del rito si ritrovano tali e quali in tutte le occasioni (e si parla allora di ordinarium missae, con le sezioni Kyrie, Gloria, Credo , Sanctus, Agnus Dei) , altri va­ riano a seconda delle circostanze e delle festività imposte dalla liturgia (e si parla di proprium missae, con alcune sezio­ ni quali Introitus, Graduale, Alleluja, 0//ertorium, Commu­ nio). Messa a sé stante è quella per i defunti (Requiem) , che manca delle sezioni più celebrative ( Gloria , Credo) e include la sequenza Dies Irae. Fin dai primi secoli cristiani la Messa ha sempre considerato la musica come parte integrante del rito, dapprima come c a n t o p i a n o, affidato sia al cele­ brante che all'assemblea, poi, a partire dal xn secolo, con esecuzioni polifoniche affidate a cantori specializzati. Del I 3 2 0 è la Messa di Tournai, composta da diversi autori; del I 349 la Messa di Notre Dame di Guillaume de Machault, la prima interamente musicata da un solo compositore. La Messa insomma diviene un genere musicale a sé stante - an­ che se sempre destinato alla liturgia - e la tendenza è quella verso una complessiva unità e coerenza, ottenuta dalla scuola fiamminga ( Guillaume Dufay è il maggior esponente) tramite l'impiego per tutte le differenti sezioni di un medesimo CANTUS FIRMUS (una melodia per valori larghi spesso tratta dal repertorio liturgico ma anche da canzoni profane, affida­ ta alla voce maschile del t e n o r; esempio: Dufay, Missa , "L'ho m me armé " ) . N asce così una straordinaria fioritura di messe di eccezionale complessità polifonica, con il cantus fir­ mus che, ad esempio , può essere liberamente distribuito fra

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le voci (messa-parafrasi) o alla voce superiore (messa in di­ scanto ) . È con Palestrina che i giochi contrappuntistici ven­ , gono subordinati alla chiarezza dell espressione del testo e al sentimento religioso (Palestrina, Missa Papa e Marcelli) . Il CONTRAPPUNTO di Palestrina, aereo e trasparente, rimane punto di riferimento anche nei secoli seguenti, dopo r affer­ mazione, intorno al I 6oo, della messa concertata, con voci soliste, BASSO CONTINUO e strumenti. Infatti questo tipo di messa consacra determinate sezioni del testo liturgico (gli "Amen , , ad esempio) alla polifonia parapalestriniana, e affi­ da le altre sezioni a uno stile di derivazione operistica, con , l'uso d eli ORCHESTRA nonché di ARIE, duetti, ensembles che si aggiungono al coro; da qui il nome di stilus mixtus impiega­ to per queste messe (esempi: Mozart, Messa de!Fincoronazio­ ne K 3 I 7 ; Haydn, Missa in tempo re belli) . Di fatto lo stilus , mixtus rimase in auge fino all Ottocento, anche perché con­ sentiva di affermare il contatto della Chiesa con la società (sezioni di natura secolare) e di ribadire i suoi principi eterni (contrappunto) . È con la Missa solemnis di Beethoven che la , Messa non è più rivolta alla liturgia, ma ali espressione di un credo personale che dà r avvio a manifestazioni sempre più soggettive della religiosità. Nonostante il recupero di forme arcaiche, attuato dal movimento ceciliano, questo soggettivi­ smo informa le scelte di tutti gli autori del tardo Ottocento, e poi del Novecento, come nella Messa glagolitica di Janacek ( I 926) dove si fondono linguaggio moderno e antica liturgia slava, o nella Mass di Bernstein ( I 97 I ) dove il testo liturgico viene interrotto da commenti e allestito come uno spettacolo teatrale. MINIMALISMO Il minimalismo è una tecnica compositiva, e anche una corrente artistica, battezzata con questo nome dal critico (e poi compositore) Michael Nyman nel I 9 6 8 . Ma le , origini del movimento sono più antiche, risalgono ali America degli anni sessanta, nonché ad analoghe correnti legate alle

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arti figurative. Sotto il profilo tecnico, con "minimalismo " si intende una musica che si basa sulla trasformazione di ele­ menti minimali, ovvero costruita sulla continua ripetizione di strutture melodiche, armoniche e ritmiche, di cui viene pro­ gressivamente modificato un elemento minimale, come una cellula melodica, armonica o ritmica. L'effetto è quello di una fascia sonora statica eppure mutevole con grande lentezza, dunque ipnotica (esempio: Glass, Powaqqatsi, colonna sonora per il film di Godfrey Reggio, r 9 8 8 ) . Il radicalismo di questo procedimento venne praticato in origine da compositori (La Monte Young, Terry Riley, Philip Glass, Steve Reich) che vi annettevano un contenuto di forte polemica verso i valori della civiltà occidentale; non a caso la musica minimale era ispirata alle lente trasformazioni della musica orientale, e dunque anche all'idea, tutta orientale, di impulso vitale legato a ogni singola molecola del discorso , e di meditazione con­ nessa al rito, a una concezione mistica della musica come fluire autonomo e indipendente dall'uomo. Tuttavia la musi­ ca minimale ha implicato anche un ritorno alla TONALITÀ e alla MODALITÀ, contro l'ATONALITÀ e il SERIALISMO della scuo­ la di Darmstadt, laboratorio dell'avanguardia europea nel do­ poguerra; dunque il neotonalismo e neomodalismo, dopo una iniziale diffidenza, sono stati assimilati anche in Europa, sep­ pure privati della componente mistica e polemica (vedi gli autori inglesi Michael Nyman, Gavin Bryars, Michael Brook e Brian Eno; il belga Wim Mertens) . Non sono mancate le ripercussioni sulla musica rock più impegnata, come i gruppi Soft Machine e i Curved Air. MINUETTO Il minuetto è probabilmente la danza più impor­ tante fra tutte quelle affermatesi fra il r 65o e il r 750, inner­ vata dal ritmo ternario. Il nome viene dal pas menu ovvero "passo piccolo " , che la contraddistingueva fin dalla sua pri­ ma fase, quando aveva ancora carattere popolare. Quando il maestro di danza Beauchamp lo introduce alla corte di Luigi

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XIV, il minuetto diviene invece la danza aristocratica per ec­ cellenza, simbolo stesso di una società elitaria (tale l'uso che ne viene fatto nel Don Giovanni di Mozart), in cui i due ses­ si si confrontano secondo un codice di convenzioni altamen­ te formalizzato; infatti era danzato da coppie aperte, che al­ ternavano passi piccoli a passi scivolati, descrivevano un tracciato figurato e lo impreziosivano di inchini e figurazioni. Lully introdusse il minuetto nelle sue OPERE e nei suoi bal­ letti, e presto la danza divenne stilizzata, svincolata cioè dal­ l' atto coreutica, ed entrò a far parte di composizioni musica­ li quali la SUITE , e in seguito la SONATA e la SINFONIA. È Haydn che, in particolare , inserisce a pieno titolo il minuetto nella sinfonia, come terzo movimento, con due sezioni ge­ melle che accolgono al loro interno una sezione contrastante detta t r i o per l'emergere di solisti (vedi Sinfonia n. ro4 ) ; in questa forma il minuetto h a perso ormai il ritmo vivace delle origini, per acquisirne uno più riflessivo, e inizia ad as­ sumere una connotazione ironica e graffiante che consentirà la trasformazione nel più dinamico SCHERZO. Rimarrà in vita, tuttavia, in pieno Ottocento, per evocare situazioni galanti ed antiche, e verrà poi riscoperto nel Novecento, con le poe­ tiche neoclassiche, da autori quali Stravinskij (Pulcinella) , Ra­ vel (Le tombeau de Couperin) , Debussy (Suite bergamasque) , ma anche Schonberg (Serenade op. 2 4 ) . MODALITÀ Il concetto di "modalità" - e d i m o d o, termi­ ne correlato - è uno dei più complessi della musica occiden­ tale, ma in realtà appartiene alla musica di moltissime cul­ ture, lontane geograficamente e anche remote nel tempo, poiché le prime teorizzazioni risalgono all'antica Grecia. Rimanendo alla moderna teoria musicale, il modo è un pre­ ciso schema di successione dei suoni, che li organizza in una SCALA di sette suoni, che alterna intervalli ( INTERVALLO è la distanza fra due suoni) di diversa grandezza: cinque intervalli più grandi (t o n i) e due più piccoli (s e m i t o n i) , che si

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susseguono in ordine irregolare. I modi moderni sono essen­ zialmente due (affermatisi rispetto agli otto della teoria me­ dioevale): il m a g g i o r e (in cui il primo semitono si trova fra la terza e la quarta nota) e il m i n o r e (fra la seconda e la terza) . Questa che può sembrare una sterile disquisizione teorica ha in realtà un riscontro immediato ed evidentissimo all'orecchio perché ogni modo (maggiore o minore) presenta un proprio carattere, un 'atmosfera peculiare che per conven­ zione e schematicamente (ma non esclusivamente) può essere definita " serena" per il modo maggiore e "triste " per il mi­ nore. Dunque il modo non è solo una data successione di intervalli (che, in sé e per sé prende il nome di " scala " ) ma piuttosto questa data successione associata a una determinata impressione auditiva che ha un risvolto psicologico. Risalen­ do alla complessa teoria musicale degli antichi greci, trovia­ mo qualcosa di simile: un differente ethos (ossia carattere, con implicazioni psicologiche) attribuito a ciascuno dei modi allora in uso; i principali erano il " dorico " , il "frigio " e il "lidio " , legati ciascuno a una diversa successione di quattro suoni, corrispondenti alle corde della cetra. In epoca me­ dioevale , i nomi degli antichi modi greci vennero attribuiti dalla teoria gregoriana a scale del tutto diverse, organizzate in un sistema di otto modi, quattro detti " autentici" e quat­ tro "plagali " . Il ritorno di interesse, nel corso del XIX secolo , verso il medioevo fece sì che numerosi compositori guardas­ sero agli antichi modi gregoriani con l'intento di definire at­ mosfere arcaiche e in qualche modo spirituali. L'esempio più illustre di tale tendenza è la "Canzona di ringraziamento " del Quartetto op. r 3 2 , in cui Beethoven usò una scala di Fa maggiore con il quarto grado alzato (Si naturale anziché be­ molle) , ricalcando appunto il VI modo gregoriano. MOTTETTO Il termine "mottetto " o "motetto " è stato impie­ gato nel corso di otto secoli, dal XIII al xx, per definire real­ tà musicali fra loro diversissime, e talvolta neanche in diretta

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evoluzione. Genericamente, si tratta di una forma vocale po­ lifonica (a più voci) , talvolta col concorso di strumenti. La destinazione prevalente - ma non esclusiva fino alla fine del xv secolo - era quella chiesastica: il mottetto veniva cantato al di fuori della liturgia, in quelle occasioni che richiedevano una composizione celebrativa e solenne. L'etimologia più ac­ creditata è quella di una rilatinizzazione del francese mot o motel, in riferimento alla prassi di aggiungere delle parole a un melisma . Infatti, nelle forme di polifonia fiorite intorno alla scuola di Notre Dame ( 1 200 circa) la melodia di base (t e n o r) derivata dal CANTO GREGORIANO veniva scandita ritmicamente, e sopra di essa veniva aggiunta una seconda melodia, detta d i s c a n t o o c l a u s o l a, che dapprima riprendeva il testo poetico del tenor, in seguito adottò un al­ tro testo in latino , poi un testo in francese, di carattere pro­ fano. Motetus era il nome attribuito a questo duplum, passa­ to poi a definire l'intera composizione. Dunque, nella prima fase di esistenza, fra il 1 2 20 e il 1 45 0 , il motetus indica una forma ben precisa: quella di una composizione polifonica che aggiunge a una melodia gregoriana preesistente (tenor) altre voci (motetus e triplum) con melodie nuove e testi di­ versi, sacri e profani; la politestualità e il tenor gregoriano sono quindi elementi distintivi del mottetto medievale, poi scomparsi. N el periodo dell'Ars nova (XIV secolo) si afferma il mottetto isoritmico, ovvero un modello nel quale in cia­ scuna voce i valori ritmici si ripetono identici, anche se con note differenti (esempio: Philippe de Vitry, mottetto Vas qui admiramini Gratissima) . Nel xv secolo spariscono progressi­ vamente sia la politestualità che il tenor gregoriano, che en­ tra nel gioco contrappuntistico in un ruolo di parità con le altre voci (Dufay, mottetto Nuper rosarum /lores, 1 4 3 6 ) . È nel Rinascimento che il mottetto acquisisce il significato che manterrà sostanzialmente in seguito , quello di un genere di musica sacra, in lingua latina, la cui forma musicale segue l'evoluzione degli altri generi sacri; i testi erano tratti dalle

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scritture e dai VESPRI. Nel Cinquecento il CONTRAPPUNTO si semplifica e maggiore è l'aderenza al significato del testo, nella purezza espressiva degli intrecci polifonici, magistral­ mente realizzata da Orlando di Lasso e Palestrina (Palestri­ na, mottetto Sicut cervus, 1 5 84). Nel Seicento la storia del mottetto assume due strade; da una parte il modello di Pale­ strina rimane da imitare, come pietra di paragone di uno sti­ le chiesastico che si mantiene astratto e rigoroso. Dall' altra parte il mottetto si adegua ai mutamenti del linguaggio musi­ cale del tempo, primo fra tutti l'ingresso degli strumenti nel­ la musica da chiesa, prima a Venezia, con due cori che si fronteggiano (Gabrieli) e poi altrove. I tipi principali di mot­ tetto che si sviluppano sono il mottetto con BAsso CONTINUO (Monteverdi, dal Vespro della Beata Vergine, " Nigra sum " , r 6 r o) , il mottetto-cantata, in cui Bach aggiorna il tipo del mottetto a doppio coro veneziano (Bach, Sei mottetti BWV 225 -230, 1 7 2 3 - 2 9 ) , il "gran-mottetto " francese, praticato da Lully, Charpentier, Rameau, Couperin (Lully, grand-motett "Miserere" , r 664) , da cui deriva anche l'ANTHEM anglicano . Otto- e Novecento hanno ricalcato i vari modelli del passato, spesso in un'ottica storicistica, ma senza sostanziali innova­ zioni (Mendelssohn , mottetto Beati mortui, r 8 3 3 ) . MUSICA ALEATORIA Nella lingua latina alea è il dado , dun­ que, indirettamente, il gioco a dadi, e la stessa sorte impre­ vedibile che sovrintende al risultato del gioco. Applicato alla musica , il concetto di alea vuoi dire appunto l'inserimento di un elemento non predeterminato all'interno della composi­ zione e della tecnica di composizione. Secondo la tradizione musicale occidentale, un brano è interamente scritto, presta­ bilito , e una certa indeterminatezza si può avere solamente quando la PRASSI ESECUTIVA preveda che l'interprete possa aggiungere un contributo personale al testo scritto (ad esem­ pio negli ABBELLIMENTI, nelle VARIAZIONI, nelle CADENZE di un'ARIA barocca ) . Fu John C age , agli inizi degli anni cin-

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quanta, a rifiutare il concetto europeo della " artisticità" e a esprimere una estetica della casualità - riflesso di filosofie orientali, per cui il rapporto della musica con il macrocosmo deve manifestarsi attraverso un ordine ignoto - concretizzata attraverso il sorteggio da libri di divinazione, e attraverso la piena libertà lasciata all'interprete (esempio: Concerto per piano/orte e orchestra, 1 95 8 ) . Intorno al 1 95 7 le teorie di Ca­ ge vennero recepite e rielaborate dalle avanguardie europee, che vivevano il momento di crisi dello Strutturalismo, ossia di quella scuola di pensiero che voleva ogni parametro musi­ cale rigidamente predeterminato. Nacque così il principio di "alea controllata " , per cui la FORMA del brano musicale dive­ niva " aperta " , o meglio "mobile " ; secondo uno dei procedi­ menti più diffusi, una composizione veniva formata da sezio­ ni basate su materiale predeterminato, che tuttavia potevano sia avere delle varianti interne , sia venire proposte in un or­ dine interscambiabile, a discrezione dell'esecutore (Boulez, Sonata III per pianoforte, 1 95 6 ) . Non dunque una vera e pro­ pria indeterminatezza, ma piuttosto lo sfruttamento di tutte le potenzialità virtualmente offerte dalla PARTITURA musicale. Fra le implicazioni della musica aleatoria quella dell' adozio­ ne di nuove forme di NOTAZIONE musicale (esempio: Kagel, Ludwig van , 1 9 69). MUSICA A PROGRAMMA Con questa espressione ci si riferisce convenzionalmente a tutta la musica che trae degli elementi da fattori extramusicali, o ad essi si ispira; il concetto di "musica a programma " si contrappone dunque a quello di "musica assoluta " , per il quale la musica "pura " , priva di ri­ ferimenti esterni, è da considerarsi esteticamente "più alta " proprio perché svincolata da riferimenti al linguaggio verbale e più facilmente libera di attingere l'assoluto. L'antitesi fra musica a programma e musica assoluta informa gran parte del dibattito teorico dell'Ottocento, ma l'idea di musica a programma è in realtà più antica, risale all'inizio del XVIII se-

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colo, sulla scia di una concezione razionalistica della musica come imitazione della natura (vedi le innumerevoli imitazioni del canto del cuculo , da Frescobaldi a Pasquini) . I concerti delle Stagioni di Vivaldi, ad esempio, vennero pubblicati nel 1 7 2 5 accompagnati da quattro sonetti; vediamo in essi nu­ merosi esempi di riproduzione di impressioni sonore della natura (tuoni, versi di animali ecc.) o anche espressioni di simbolismo musicale (corse, luce ecc.) che trovano riscontro nel testo letterario. Nell'Ottocento sono la Sinfonia Fantasti­ ca di Berlioz e i poemi sinfonici di Liszt a consacrare l'idea di musica a programma per la nuova generazione romantica: quella di una guida letteraria ma anche filosofica come ispi­ razione di una intera composizione. All'imitazione della na­ tura e al simbolismo si aggiunge così l'espressione di stati d'animo e sentimenti, realizzati attraverso lo strumento or­ chestrale, che ha dunque il compito di attingere a una di­ mensione poetico-filosofica. Dunque gli obiettivi della musi­ ca a programma non sono banalmente descrittivi, ma piutto­ sto evocativi di impressioni ed emozioni. Non a caso alla fine del secolo il più convinto sostenitore della musica a pro­ gramma, Richard Strauss, riteneva che la composizione do­ vesse comunque mantenere una sua autonomia musicale ri­ spetto al programma - talvolta aggiunto quando la PARTITURA era già completata (come nel POEMA SINFONICO Morte e tra­ sfigurazione) -, mentre Gustav Mahler eliminò dalle sue pri­ me SINFONIE i programmi letterari, ritenendo che l'ascoltato­ re dovesse decodificare da solo il percorso emotivo interno alle sue partiture. MUSICA CONCRETA Questa espressione venne ideata nel r 949 dal compositore Pierre Schaeffer - ingegnere e tecnico del suono della radio francese - per definire un tipo di musi­ ca che si avvaleva di suoni presi dalla vita reale, registrati su nastro magnetico e sottoposti a elaborazione e manipolazio­ ne. Come scrisse lo stesso Schaeffer: «Noi abbiamo chiamato

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la nostra musica " concreta " , poiché essa è costituita da ele­ menti preesistenti, presi in prestito da un qualsiasi materiale sonoro - sia rumore o musica tradizionale. Questi elementi sono poi composti in modo sperimentale mediante una co­ struzione diretta che tende a realizzare una volontà di com­ posizione senza l'aiuto, divenuto impossibile, di una notazio­ ne musicale tradizionale» 2• Gli esperimenti di Schaeffer condotti presso la radio francese insieme al compositore Pierre Henry, con il quale realizzò Symphonie pour un ho m­ me seul ( 1 949-50) e il balletto Orphée ( 1 95 3 ) - avevano un sostrato teorico che si richiamava alla poetica visionaria dei musicisti futuristi. Già alla vigilia della Prima guerra mon dia­ le Luigi Russolo aveva inventato un " intonarumori" , uno strumento basato su principi meccanici, con il quale aveva cercato di descrivere il " risveglio della città " , dando voci ai «sibilatori, gorgogliatori, ronzatori» ecc. L'invenzione del na­ stro magnetico aprì grandi prospettive non solo alla MUSICA ELETTRONICA, ma anche all'emancipazione del rumore come elemento musicale, e all'ingresso di suoni della vita reale nel­ la composizione. Agli esperimenti si associarono altri autori (Boulez, Messiaen, Delannoy, Dutilleux ecc.), che, con l'ausi­ lio di un generatore di suoni, crearono anche commistioni fra suoni reali e suoni nuovi. Altri laboratori, come quelli di Basilea e lo Studio di Fonologia della Rai di Milano, comin­ ciarono a interessarsi di musica concreta. Anche se non man­ carono riproduzioni con il pubblico in sala da concerto, la destinazione della musica concreta era principalmente quella del mezzo radiofonico. Non a caso, terminato il periodo del­ la sperimentazione e dell'avanguardia, l'eredità della musica concreta fu quella di un grande patrimonio di idee per la sonorizzazione di immagini, colonne sonore, musiche di sce2 . In Pierre Schaeffer, Introduction à la musique concrète, in " Poly­ phonie" , VI ( r 95 o ) , pp. 3 0 - 5 2 , trad. it. in Fred K. Prieberg, Musica ex Ma­

china,

Einaudi, Torino r 9 6 3 , p. 9 r .

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na, trasmissioni radiofoniche, insomma per una destinazione funzionale certo molto distante dalle premesse teoriche di Schaeffer. MUSICA ELETTRONICA È la musica creata sulla base di tecno­ logie elettroacustiche, o con il contributo di esse. L' aspirazio­ ne ad esplorare nuovi agglomerati sonori e nuove forme di produzione del suono è stata viva per tutta la prima metà del Novecento , ma ha trovato il proprio vero sviluppo solamente dopo la Seconda guerra mondiale, grazie all'invenzione di tecnologie capaci di produrre ed elaborare i suoni. Dopo che, nel I 949, Pierre Schaeffer, compositore e ingegnere attivo pres­ so la radio francese, diede il nome di "MUSICA CONCRETA " alla musica creata sulla base di suoni e rumori della vita reale elaborati e manipolati su nastro magnetico, diversi altri centri sperimentali nacquero in Europa e negli usA; nel I 9 5 3 presso la radio di Colonia, nel I 9 55 presso la Rai di Milano (Studio di Fonologia musicale, diretto da Bruno Maderna e Luciano Berio ) , nel I 95 9 presso la Columbia Princeton University di N ew Y ork, per citare i più noti. La sperimentazione com­ prendeva diverse fasi: la creazione di suoni e rumori, attra­ verso generatori elettroacustici, la loro elaborazione, la loro miscelazione, la loro registrazione su nastro. I generatori pro ducevano suoni puri, senza a r m o n i c i, dunque senza TIMBRI, o anche il suono bianco (che è la somma di tutti i suoni, come il bianco lo è di tutti i colori) ; per modificare il suono si usavano filtri e modulatori. I suoni così ottenuti po­ tevano essere esclusivamente elettronici, o anche - in una se­ conda fase, dal I 9 56 sommarsi ai suoni di strumenti e voci "tradizionali " , eventualmente anche essi elaborati. La possibi­ lità di sperimentare uno sconosciuto campo della creazione del suono, come anche di realizzare brani minuziosamente curati nei dettagli (attuando la serializzazione integrale di tut­ ti i parametri compositivi) , senza bisogno del tramite dell' ese­ cutore, coinvolse nell'entusiasmo una intera generazione di -

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compositori, da Boulez a Stockausen (Elektronische Studien 1 e 11, I 9 5 3 -54; Gesang der ]iinglinge, I 9 5 6 ) , a Berio (Mutazio­ ni, I955 ; Omaggio a ]oyce, I 95 9 ) , per fare i nomi più noti. Se negli USA la ricerca si indirizzò soprattutto verso l'ambito elettronico puro, in Europa grande interesse destò la conta­ minazione di mezzi di produzione del suono " tradizionali " con le nuove risorse elettroniche; si ebbe così non solo l'im­ piego di nastri preregistrati nell'esecuzione di musica dal vivo con strumenti acustici, ma anche l'elaborazione in diretta (l i v e e l e c t r o n i c s) di suoni prodotti in CONCERTO da strumenti acustici ( Stockhausen, Solo , I 966). Quest'ultima pratica doveva giovarsi in modo particolare del successivo sviluppo della musica elettronica, quello attraverso l'informa­ tica. Generando e acquisendo i suoni in formato digitale, ov­ vero come numeri, l'informatica li può elaborare matematica­ mente, sulla base di appositi programmi. A sviluppare uno dei primi progetti di informatica musicale fu , a New York, un enorme computer della RCA, con il quale Michael Babbit creò diversi brani ( Composition /or Synthesizer, I 96 I ) . La creazione, a Parigi nel I 9 7 6 , dell'IRCAM (Institut de Recher­ che et Coordination Acoustique/Musique) ha portato a una più stretta collaborazione di compositori e ingegneri per la creazione di programmi e l'elaborazione di dati finalizzata alla composizione. Negli ultimi anni la diffusione dei perso­ nal computer ha reso estremamente accessibili tecnologie che in passato sembravano riservate a pochi. La diffusione dei se­ quencers (apparecchiature che gestiscono registrazione, elabo­ razione, montaggio e riproduzione di una sequenza sonora) digitali, con la tecnologica Midi, ha trovato numerose appli­ cazioni nel campo della musica di consumo e della sonorizza­ zione , oltre che nell'uso domestico. Anche per questo la mu­ sica elettronica ha perso la sua esclusiva connotazione di ri­ cerca e sperimentazione, per diventare un aspetto pienamen­ te assimilato dell'esperienza musicale, nonché una nozione di uso comune, legata alla vita di tutti i giorni.

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MUSICOLOGIA La musicologia è una disciplina di studi che ha per oggetto la musica in tutti i suoi aspetti: sia quelli sto­ rici sia quelli sistematici, ovvero che riguardano le caratteri­ stiche oggettive e costanti del fatto musicale. La nascita della musicologia avviene nella seconda metà dell'Ottocento, sotto il segno del Positivismo, da parte di alcuni insigni studiosi (Rudolf Eitner, Friedrich Chrysander, Hugo Riemann ecc.) che avevano come aspirazione quella di superare un approc­ cio di tipo tecnico-pratico o estetico al fatto musicale, uti­ lizzando delle metodologie di tipo scientifico derivate da al­ tre discipline, come la filologia , la paleografia, la linguistica, la fisica . Lo sviluppo della disciplina è parallelo a un feno­ meno di evoluzione della prassi musicale, per cui la musica del passato entra a far parte del repertorio del presente; di qui la nascita di un vasto campo di problemi di tipo storico e filologico. Il primo grande banco di prova della musicolo­ gia fu la musica di Bach, con l'elaborazione di un catalogo ragionato del compositore, e l' avvio di una edizione integrale delle sue opere, basata su una ricerca delle fonti; da qui lo sviluppo dei metodi di ricerca , che dalla filologia arrivò ad abbracciare campi molto articolati. La Musikwissenscha/t questo il nome tedesco della disciplina - si diffuse dapprima nei paesi tedeschi e in Francia, poi in quelli anglosassoni, più recentemente in quelli latini, dove più forte è stato l'in­ flusso del pensiero idealistico. L'aspetto più innovativo della musicologia ha riguardato proprio le branche storiche della disciplina, che studiano la NOTAZIONE, la teoria musicale, la filologia testuale, gli strumenti (organologia) , le immagini (iconografia) e la PRASSI ESECUTIVA. La musicologia " sistema­ tica " , che studia l'acustica, la fisiologia del suono, la psicolo­ gia dell'ascolto, l'estetica e la filosofia, tratta temi che in real­ tà appartengono al dibattito filosofico fin dai tempi più anti­ chi, ma ha avuto un nuovo e importante impulso speculativo negli ultimi decenni. La relativa giovinezza della disciplina fa sì che, a seconda delle scuole di pensiero, vengano o meno

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inclusi in essa anche altri campi di ricerca, come l' etnomusi­ cologia, la sociologia della musica , e la cosiddetta "musicolo­ gia applicata " , che prende in esame la pedagogia, la critica e la tecnologia.

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NOTAZIONE Con il termine "notazione" ci si riferisce a un codice di segni grafici impiegato per mettere per iscritto un brano musicale. Il sistema di segni convenzionalmente impie­ gato nella musica occidentale degli ultimi secoli è in grado di indicare con relativa precisione l'ALTEZZA e la durata dei suoni, la loro concordanza simultanea nel tempo, le voci e/o gli strumenti prescelti per l'esecuzione, la velocità del brano e i segni espressivi. Tutto ciò al servizio di una concezione della musica per cui un brano musicale viene prima steso per iscritto da un autore e poi realizzato nella viva esecuzio­ ne, che costituisce la messa in pratica delle preesistenti idee dell'autore. Ben diverso il compito della notazione nella mu­ sica dell'evo antico e del medioevo; la musica era, infatti, prima di tutto un fatto legato alla pratica esecuzione con voci e strumenti, e la notazione serviva a tentare di fermare quei suoni che morivano nel momento stesso in cui venivano eseguiti. La prima notazione "neumatica " (dal greco néuma, "segno " ) , che nasce nell'vnr secolo, cercava di raffigurare approssimativamente la curva della melodia, senza precisare altezza dei suoni e ritmo. Con la notazione " diastematica " (dal greco diàstema, " spazio " ) s i fece il primo passo per cer­ care di stabilire un sistema di riferimento per l'altezza, con l'adozione di un rigo su cui collocare dei simboli; fu il mo­ naco Guido d'Arezzo (xr secolo) a proporre l'adozione del t e t r a g r a m m a, ossia di un sistema di quattro righe con il quale era possibile indicare l'altezza esattamente, dispo­ nendo dei simboli che, dal basso in alto, indicavano i suoni 93

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dai più gravi agli acuti. Lo sviluppo della POLIFONIA impose la necessità di schemi ritmici precisi, desunti dalla metrica greca, per far sì che tutte le voci procedessero contempora­ neamente. E il "mensuralismo " giunse a grande complessità con l'Ars nova ( XIV secolo ) , con simboli in grado di indicare meticolosamente valori e suddivisioni. Altri sistemi di nota­ zione , sviluppatisi dal XIV secolo e incentivati dal successivo grande sviluppo della musica strumentale, consistevano nel raffigurare la tastiera o le corde di uno strumento (le cosid­ dette "i n t a v o l a t u r e " ) . Ma una vera unificazione nei molteplici universi delle notazioni venne solamente con l'in­ venzione della stampa, nel corso dei secoli XVI e xvn , che portò all'impiego del p e n t a g r a m m a (un sistema di cinque righe sovrapposte su cui si collocano i simboli grafici che indicano altezza e durata dei suoni) e dei moderni valori ritmici. Il moderno metodo di notazione è tuttavia inadegua­ to per determinate composizioni contemporanee, che fanno ricorso a notazioni del tutto nuove; o anche per musiche ex­ traeuropee o non eurocolte, che necessitano di parametri non contemplati dal nostro sistema musicale.

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OPERA È il termine più comune impiegato per indicare una forma di teatro musicale creata negli ultimi anni del XVI secolo ed evolutasi per quattro secoli secondo tipologie estremamente diversificate. L'elemento costante di tutta la storia dell'opera - che distingue questo da altri generi tea­ trali, come il m a s q u e o il m u s i c a l - consiste nel fatto che nell'opera è proprio la musica l'elemento principale at­ traverso il quale si realizza la drammaturgia. Allo spettacolo operistico concorrono i solisti di canto, l'ORCHESTRA, il coro , il DIRETTORE le scenografie, i costumi, la direzione di scena o regia, talvolta la coreografia e il corpo di ballo; il tutto per la definizione di un genere di spettacolo che instaura un tipo di comunicazione estremamente sofisticato con il pubblico, ba­ sato sulla musica, ma anche sul libretto e sull'aspetto spetta­ colare. Anche per questo è considerato forse il genere di spettacolo più complesso della civiltà occidentale. Moltissimi sono i sinonimi e i termini affini. Alcuni hanno un significato equivalente : ad esempio "opera lirica " o "melodramma " , ter­ mine quest'ultimo che indica anche più comunemente l' ope­ ra romantica italiana. Altri termini sono legati più specifica­ mente a determinate manifestazioni storiche del genere ope­ ristico. " Dramma per musica " o "favola in musica " (impiega­ ta per l ' Orfeo di Monteverdi, I 6o7) sono definizioni delle origini, quando l'opera era ancora vissuta come evoluzione del dramma di corte, nonché approdo di una speculazione teorica incentrata sul riferimento alla tragedia greca e sull' af­ fermazione della nuova monodia ( cioè canto a una voce) ac95

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comp agnata ( da un gruppo strumentale) rispetto alla pratica polifonica (cioè corale e contrappuntistica) . Il termine " ope­ ra " viene impiegato dalla metà del XVII secolo, quando ormai da un quindicennio l'opera era passata dalle corti ai primi teatri pubblici. Di o p e r a s e r i a si parla alla fine del XVII secolo, quando la riforma operata dal librettista Apostolo Zeno e poi da Pietro Metastasio elimina gli elementi comici, dando vita a un genere che si basa sull'autosufficienza lette­ raria del libretto (tanto che i libretti di Metastasio verranno musicati da decine di autori nel corso del Settecento) ; carat­ terizza l'opera seria la rigida separazione fra RECITATIVI e ARIE, i primi deputati allo sviluppo dell'azione, le seconde al­ l' espressione del sentimento, sì che l'opera diviene una lunga galleria di arie intervallate da recitativi; e questo fino alle istanze di rinnovamento colte da Gluck con la sua riforma, volta a perseguire una maggiore continuità drammatica e in­ tegrazione delle diverse componenti spettacolari (Orfeo ed Euridice, 1 762; Alceste, 1 767 ) . L 'o p e r a b u f f a, ossia co­ mica, è il contraltare dell'opera seria; nasce dall'INTERMEZZO ( operina comica con due o più personaggi destinata ad esse­ re eseguita fra gli atti di un'opera seria : La serva padrona di Pergolesi, 1 7 3 3 ) e segue un proprio percorso basato su for­ me più articolate e dinamiche , con duetti, pezzi d'insieme e complessi finali d'atto (Mozart, Le nozze di Figaro, 1 7 8 6 ) , che l'opera seria acquisirà solo verso l a fine del secolo (Ci­ marosa, Gli Orazi e i Curiazi, 1 795 ) . La f a r s a è un tipo di opera buffa che in pieno Settecento veniva eseguita al termi­ ne dell'opera seria, ma poi diviene genere autonomo, esegui­ to in teatri dedicati, di oggetto non solo comico (Rossini, Il signor Bruschino, r 8 r 3 ) ma anche semiserio (Rossini, L'in­ ganno felice, r 8 r 2 ) . L'o p e r a s e m i s e r i a è un terzo ge­ nere che si affianca a quelli serio e buffo a partire dalla Buo­ na figliola di Piccinni ( r 760) , ed è incentrata sull'elemento sentimentale e spesso su situazioni in cui una fanciulla pura e innocente viene perseguitata da un malvagio , fino al salva-

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taggia finale (pièce à sauvetage; Rossini, La gazza ladra, I 8 I 7 ) . La distinzione fra questi tre generi viene sostanzial­ mente superata negli anni trenta dell'Ottocento, quando si afferma il melodramma romantico, basato su soggetti dram­ matici, sul pathos espressivo del Belcanto per un forte coin­ volgimento emotivo dell'ascoltatore (Bellini, Il Pirata, I 82 7 ; Donizetti, Anna Balena , I 83 o ) . S e l'opera italiana s i impose come genere internazionale al di là delle Alpi, nei paesi tede­ schi, in Russia e in Inghilterra, è in Francia che si sviluppa­ rono precocemente dei generi autoctoni. Se l'opera italiana era policentrica, legata alle fortune impresariali ed incentrata sulle figure dei virtuosi di canto, l'opera francese era centra­ lista, protetta dallo Stato e celebrativa, tanto che per secoli ogni genere è stato legato per privilegio statale a particolari edifici parigini. In questa ottica, già dal I 68 5 , Lully impone la tragédie lyrique, basata sulla compresenza di elementi spet­ tacolari, scenografici, coreografici, su un ruolo preminente dell'ORCHESTRA e su un minor rilievo del VIRTUOSISMO (Lul­ ly, Atys, I 67 6 ) . Non a caso, un secolo dopo, sarà la tragédie lyrique e non l'opera italiana ad assimilare le novità della ri­ forma di Gluck (Iphigénie en Aulide, I 774; Iphigénie en Tau­ ride, I 7 7 9 ) . Altro genere del barocco francese è l' o p é r a b a l l e t, in cui si alternano parti cantate e parti danzate (Rameau, Les Indes galantes, I 7 3 5 ) . Come contraltare leggero alla tragédie lyrique nasce l' o p é r a c o m i q u e, che ha parti cantate e parti recitate in prosa, e soggetti prevalentemente brillanti (Grétry, Richard Coeur de Lion, I 7 84) . È intorno al I 830 che la t r a g é d i e l y r i q u e lascia il passo a un nuovo genere , il g r a n d o p é r a, incentrato sulla compre­ senza grandiosa di elementi vocali, coreografici, scenografici per soggetti di tematiche sociali, realizzati soprattutto nelle opere di Meyerbeer (Robert le diable, I 83 I ; Les Huguenots, I 8 36; Le prophète, I 849 ) ; e il grand opéra diventa un mo­ dello internazionale , imitato ed esportato in tutto il mondo . Dopo la metà del secolo un altro edificio parigino ospita la

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nuova o p é r a l y r i q u e, nella quale le tema ti che sono più intimistiche e si fondono i linguaggi del grand opéra e del­ l ' opéra comique (Gounod, Faust, 1 85 9 ) . Il primo genere mu­ sicale tedesco, nella seconda metà del XVIII secolo, è il 5 i n g s p i e l, nel quale si alternano brani musicali e dialoghi parlati, e una intonazione spesso popolare; è sotto forma di Singspiel che nascono tutti i primi capolavori dell'opera na­ zionale tedesca (Die Zauber/lote di Mozart, 1 79 1 ; Fidelia di Beethoven , I 8o5 - 1 4; Der Freischutz di Weber, 1 8 2 1 ) . Dalla metà del XIX secolo l'opera tedesca viene rivoluzionata da Wagner, che impone l'idea dell'abolizione delle forme chiuse e della separazione fra recitativo e aria, e attribuisce all'or­ chestra un ruolo sempre preponderante; è il Gesamtkunst­ werk, l'opera d'arte totale, che insegue la fusione di tutte le arti, ed eserciterà immensa influenza anche sull'opera france­ se e italiana. Storia a parte è quella dell'opera in Spagna, dove fin dalla prima metà del XVII secolo (Las celos hacen estrellas di Juan Hidalgo, 1 644 circa) si impone il genere au­ toctono della z a r z u e l a, così chiamato dal "Real sitio de la zarzuela " (da zara , ossia " rovo " ) dove l'infante don Fer­ nando faceva rappresentare spettacoli con musica. Nella zar­ zuela si alternano parti cantate e recitate, dapprima su sog­ getti storici e mitologici, poi, nel XVIII secolo , di carattere popolaresco. È nel XIX secolo che la zarzuela vive una gran­ de fioritura, sia con soggetti comici e realistici, sia con sog­ getti drammatici, praticati soprattutto nel tipo della zarzuela grande, in tre atti (fugar con /uego di Francisco Berbieri, 1 85 I ) ; la creazione, a Madrid, del Teatro de la Zarzuela ( 1 856) diede grande impulso al genere. Nel Novecento l'ope­ ra non aderisce più a generi prestabiliti, semmai a contenito­ ri più generici - come l'opera da camera, affidata a un ri­ dotto numero di esecutori: The turn o/ the screw di Britten, 1 95 4 e risponde piuttosto alle ricerche solitarie dei singoli autori. N ella seconda metà del secolo le avanguardie conte­ stano la stessa idea del teatro d'opera, visto come re taggio di -

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una tradizione conservatrice, ma continuano a destinare alle sale d'opera lavori di teatro musicale, anche se lontani da un principio di narrazione aristotelica (Berio, Opera , I 97o; Un re in ascolto, I 9 84). Gli ultimi anni vedono comunque un ri­ torno di interesse verso un modello più tradizionale di teatro d'opera (Perrero, Marilyn, I 9 8o). OPERETTA Il termine, vezzeggiativo di OPERA, si riferisce a un genere teatrale che è affine all'opera sotto il profilo della costruzione, ma è di contenuto più leggero , spesso satirico , alternando sempre brani musicali a dialoghi parlati, e spesso includendo scene di danza affrontate dagli stessi interpreti di canto. Affermatasi intorno alla metà dell'Ottocento , l' operet­ ta ha vissuto quasi un secolo di storia molto variegata, a se­ conda delle tradizioni nazionali e della propria evoluzione. I primi esempi di operetta nascono in Francia, con Hervé (Don Quichotte et Sancho Pança, I 848 ) , mutuando forme e stile dall'opéra comique e dal vaudeville. È soprattutto Offen­ bach a donare al nuovo genere la sua connotazione satirica rispetto alla società del Secondo impero, che vedeva riflessi sul palcoscenico i propri vizi ( Orphée aux en/ers, I 85 8 ; La belle Hélène, I 864). Dopo la battaglia di Sedan ( I 87o) il sar­ casmo lascia il posto a una vena più sentimentale e borghese, con Lecocq, Vasseur, Messager, Hahn. L'operetta viennese, sorta intorno al I 86 5 con i lavori di Suppé (Die schone Ga­ lathee, I 865 ; Boccaccio, I 8 7 8 ) , ebbe fin dall'inizio caratteri meno sarcastici e più di commedia, con risultati felici soprat­ tutto nei lavori di Johann Strauss jr. (Das Fledermaus, I 874; Der Zigeunerbaron, I 885 ; Wiener Blut, I 8 8 9 ) , innervati dal ritmo di valzer destinato a diventare identificativo del gene­ re. In questo filone si inserisce anche uno dei capolavori del­ l'operetta viennese, Die lustige Witwe di Lehar ( I 905 ) , auto­ re particolarmente prolifico, mentre con Oskar Strass l' ope­ retta ritrova una connotazione satirica (Ein Walzertraum, I 907 ) . In Inghilterra è soprattutto la coppia formata dal li-

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brettista W. S. Gilbert e dal compositore Arthur Sullivan a satireggiare la società vittoriana con operette musicalmente meno impegnative e non prive di surrealismo ( The Mikado , I 8 85 ) . In Italia l'operetta si affermò solo nel Novecento, con una vena borghese e sentimentale (Giuseppe Pietri, Addio Giovinezza , I 9 I 5 ; Virgilio Ranzato, Il paese dei campanelli, I 92 3 ; Cin-ci-là, I 92 5 ) che dopo la guerra mondiale doveva imporsi anche in Europa. Anche autori lirici come Leonca­ vallo (La reginetta delle rose, I 9 I 2 ) e Mascagni (Sì, I 9 I 9 ) si cimentarono nel genere. Dall'operetta nacque negli Stati Uniti, all'inizio del secolo, il musical (abbreviazione di musi­ cal comedy), genere nel quale gli elementi essenziali del gene­ re europeo vengono arricchiti da spunti della tradizione mu­ sicale americana e da un grande apparato spettacolare. ORA TORIO L'oratorio , al termine del XVI secolo, era un luo­ go riservato agli esercizi spirituali: letture bibliche, medita­ zioni, accompagnate dal canto di laudi. Di qui il passaggio del termine ad indicare le manifestazioni musicali che in quegli stessi luoghi si svolgevano, e che diedero origine a un vero e proprio genere musicale autonomo. All'inizio del xvn secolo, nella Roma controriformistica, l'oratorio nacque dal­ l'innesto della nuova monodia accompagnata, tipica anche del dramma per musica , sulle laudi e i MOTTETTI della tradi­ zione ; doveva costituire un modello la Rappresentazione di Anima e Corpo di Emilio de' Cavalieri ( I 6oo) , che ha molti caratteri in comune con il nascente melodramma; e, d' altra parte, il riferimento alle caratteristiche dell'OPERA rimarrà sempre una costante del genere oratoriale, spesso nutrito di una certa ambivalenza. In sostanza nell'oratorio romano sog­ getto sacro e sensibilità drammatica trovavano una sintesi che avrebbe poi assunto, nel corso dei secoli, forme sempre rinnovate. Più popolare era, alle origini, il tipo dell'oratorio "volgare " (come il Teatro armonico spirituale di Anerio, I 6 I 9 ) rispetto a quello dell'oratorio "latino" (come ]ephte di

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Carissimi, 1 649), anche se entrambi si basavano sulla figura dello storico, che narrava la vicenda, e sull'alternanza di pa­ gine solistiche, RECITATIVI (intonati dai personaggi) e pagine corali (per commentare l'azione) . Nella diffusione al di fuori di Roma, prevalse l'oratorio in lingua (quello latino soprav­ visse a Venezia; esempio: Vivaldi, ]uditha triumphans, 1 7 1 6 ) . È Alessandro Scarlatti che, alla fine del Seicento , avvicina ancor più l'oratorio all'opera, introducendo le ARIE col DA CAPO, i RECITATIVI secchi e accompagnati (esempio: La Giu­ ditta , 1 694) ; e sarà questo il modello che prevarrà in ambito italiano per tutto il Settecento, grazie anche ai libretti di Me­ tastasio messi in musica da innumerevoli autori ( come l'ora­ torio Betulia liberata , musicato da una trentina di autori fra i quali Reuter, Jommelli, Anfossi, nonché Mozart nel 1 7 7 1 ) . Tuttavia ogni tradizione religiosa sviluppò le sue peculiari manifestazioni in questo campo. In Inghilterra, la disaffezio­ ne del pubblico verso il genere operistico - insieme alla proibizione di mettere in scena opere liriche con soggetti re­ ligiosi - contribuì alla decisione di Haendel di puntare sul genere oratoriale, che il compositore sassone avrebbe portato al suo apogeo, attribuendogli un contenuto fortemente drammatico (come in Saul, 1 7 3 9 e ]udas Maccabeus, 1 746, più che nel celebre Messiah , 1 742 , che ha contenuto meno drammatico e più edificatorio) . Nei paesi tedeschi si impose l'oratorio basato sul testo letterale della narrazione biblica, che trovò le sue massime affermazioni in Schiitz (Historia di Natale, 1 664) e nelle PASSIONI di Bach (Passione secondo Giovanni, 1 724; Passione secondo Matteo, 1 7 2 7 ) . Modelli a sé stanti dovevano rimanere i due oratori di Haydn (La creazio­ ne, 1 7 9 8 ; Le stagioni, 1 80 1 ) , che fondono elementi eteroge­ nei come il sinfonismo, il realismo descrittivo, una visione razionalistica del rapporto fra uomo e armonia del creato . Dopo questi capolavori, il genere non viene più coltivato con assiduità; in epoca romantica e poi nel Novecento si as­ siste alla creazione di pochi lavori isolati, spesso influenzati

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da una prospettiva musicale storicistica (Mendelssohn, Pau­ lus, 1 83 6 ; Elias, 1 846) che riflettono ormai personali esiti di fede più che una effettiva richiesta produttiva, e sono non di rado, nel Novecento, suscettibili di essere messi in scena come opere (Stravinskij , Oedipus Rex, 1 92 7 ; Honegger, ]ean d'Are au bucher, 1 9 3 8 ) . Il termine "oratorio " , inoltre, viene svincolato dal significato strettamente religioso, per indicare una forma drammatico-musicale da eseguirsi in CONCERTO. ORCHESTRA Nell' antico teatro greco l'orchestra era lo spa­ zio collocato fra il pubblico e il palcoscenico, destinato al coro e alla danza. N ella medesima collocazione erano situati, nei primi teatri barocchi, gli strumenti che prendevano parte alle esecuzioni musicali. Intorno alla metà del XVII il termine passa ad indicare lo stesso gruppo degli strumentisti, che corrisponde ormai all'idea dell'orchestra moderna: un insie­ me di strumenti nel quale siano presenti molteplici suonatori per un medesimo strumento. In precedenza gli ensembles strumentali, spesso detti "coNCERTo " , puntavano soprattutto sulla differenziazione dei TIMBRI; invece nella piena età ba­ rocca cominciò ad apparire più attraente l'ispessimento di un medesimo TIMBRO, quello degli ARCHI. Le prime orchestre sono così orchestre d'archi, con v i o l i n i (divisi in due file a cui sono affidate parti diverse) , v i o l e, v i o l o n c e I l i e c o n t r a b b a s s i (questi ultimi fino a tutto il XVIII secolo raddoppiavano i violoncelli un'ottava sotto). Nel tar­ do Seicento l'orchestra veniva sfruttata soprattutto per la contrapposizione fra un gruppo strumentale più vasto (r i p i e n o, composto da una quindicina di strumentisti) e un gruppo di solisti (c o n c e r t i n o) ( Corelli, Concerti gros­ si op. 6 ) . Lully, nell'orchestra Les 24 violons du roi incluse stabilmente due o b o i e un f a g o t t o. All'inizio del nuo­ vo secolo l'orchestra di Vivaldi sfrutta in modo più articolato le possibilità degli archi (Vivaldi, Il cimento dell'armonia e dell'invenzione) , e aggiunge un certo numero di strumenti a

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fiato (oboi e fagotti; talvolta t r o m b e e t i m p a n i per composizioni solenni) . Sorgono, a metà secolo, le prime or­ chestre stabili, come quella della corte di Mannheim . Intor­ no al 1 770 anche il c l a r i n e t t o entra a far parte del gruppo dei LEGNI. Così, nell'età del Classicismo, l'orchestra raggiunge la sua formazione stabile che ha sostanzialmente conservato fino ad oggi: oltre al gruppo degli archi, flauto, oboe, clarinetto, due c o r n i, fagotti, più trombe e timpani. L'orchestra, di simile organico, impiegata da Haydn per le sue Sinfonie Londinesi comprendeva circa 40 esecutori. N el corso dell'Ottocento il passaggio dai saloni di corte alle sale pubbliche impone l'allargamento delle file strumentali; viene potenziato il gruppo degli archi, e diversificato quello dei fiati, con l'inserimento, non necessariamente contestuale, di o t t a v i n o, c o n t r o f a g o t t o, t r o m b o n i; quindi, con l'orchestra romantica, l'aumento di corni e trombe, l'aggiunta di b a s s o t u b a. Episodicamente l'orchestra ac­ coglie strumenti caratteristici come c o r n o i n g l e s e e c l a r i n e t t o b a s s o. Si parla di orchestra "sinfonica " , per grandi organici, contrapposta all'orchestra " da camera " , per organici ridotti. Le funzioni di guida passano, già da­ gli anni trenta, dal primo violino alla moderna figura di DIRETTORE d'orchestra. Verso la fine del secolo la tendenza è sempre più verso l'ipertrofia; l'organico adottato da Wagner per il Ring (Bayreuth, r 876) supera il centinaio di elementi, con otto corni, quattro trombe, sei fra tube e tromboni. Lo sfruttamento espressivo dell'osmosi orchestrale, proprio del­ l'orchestra di Wagner e Brahms (Brahms, Sinfonie nn. r-4 , r 876-85 ) , lascia il posto, nell'orchestra di Debussy, a un uso più selezionato dei timbri, secondo i raggruppamenti delle famiglie strumentali (Debussy, Trois nocturnes, r 89 9 ) . Nel corso del Novecento la grande orchestra sinfonica si arric­ chisce soprattutto di strumenti a percussione (anche il PIANOFORTE viene inserito spesso con uso percussivo; Stra­ vinskij , Petroushka, r 9 r 4 ) , ma spesso, negli anni del Neoclas-

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s1c1smo, vengono preferiti i piccoli organici (Stravinskij , Dumbarton Oaks) , o anche una selezione di strumenti diver­ sa da quella della tradizione tardoromantica (Petrassi, otto Concerti per orchestra) . Il secondo Novecento punta alla scoperta di nuove risorse dello strumento orchestrale, dall' at­ tribuzione di una parte singola per ogni strumentista, alla di­ visione in gruppi, coerentemente con una concezione che punta sull'idea di materia sonora (Stockhausen, Gruppen , 1 95 7 ) . Frequente anche il ricorso ai mezzi di elaborazio­ ne elettronica per manipolazioni del suono in tempo reale (l i v e e l e c t r o n i c s) . ORGANO Fra tutti gli strumenti musicali l'organo (dal greco organon , "utensile " , " strumento " ) è forse il più complesso, tanto da non esistere in un modello unico e di riferimento, ma in una infinità di varianti, tante quante sono gli esem­ plari. Dunque, parlando di organo si compie una generaliz­ zazione non sempre giusta, e sarebbe più corretto parlare degli "organi " . L'organo di fine Ottocento è uno strumento in cui il suono è prodotto attraverso una tastiera collegata a un sistema di canne nelle quali, attraverso una grande cassa ( " somiere " ) viene introdotta dell'aria pompata da un mantice o da altri meccanismi. Ciascuno degli elementi costitutivi dell'organo ha una sua specifica complessità. Le canne, di di­ versa lunghezza a seconda dell'ALTEZZA del suono, sono es­ senzialmente di due tipi: canne ad anima (che producono il suono come i f l a u t i diritti e alcune delle quali sono tap­ pate ottenendo un suono più scuro) e canne ad ancia ( che producono il suono attraverso una lamella) ; la differenza è importante per il TIMBRO della canna . Infatti le canne sono divise per gruppi chiamati " registri " a seconda del colore del suono e collocati anche in corpi differenti. Dalla complessità del sistema di canne deriva anche la complessità della tastie­ ra, che in effetti è una vera consolle, con diverse tastiere, dette "manuali " , e diversi sistemi per azionare i vari registri;

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c'è anche una pedali era collegata alle canne più gravi. Il compito anticamente gravosissimo (veniva realizzato da ap­ positi collaboratori, anche decine di persone) di pompare l'aria con il mantice nel somiere viene realizzato oggi con ventilatori elettrici. Antitetici, rispetto a questo modello di organo, sono l'h a r m o n i u m (creato nel r 848 : un piccolo organo con i mantici azionati da pedali) , nonché due stru­ menti assai antichi come l'organo "portativo " (un organo portatile che veniva suonato con una sola mano, mentre l'al­ tra azionava il mantice) e l'organo "positivo " (che veniva suonato con entrambe le mani ma era anch'esso di dimensio­ ni ridotte; veniva impiegato soprattutto per la realizzazione del BAsso CONTINUO; il nome deriva da uno dei " corpi" de­ gli organi grandi) . L'evoluzione che porta al modello roman­ ti co di organo avviene nel corso di molti secoli, creando p a­ rallelamente un repertorio estremamente diversificato. L'ori­ gine è antichissima; già nel II secolo a.C. è documentato presso i romani un organo ad acqua con vari registri, in cui l'afflusso d' aria nelle canne era garantito da pompe idrauli­ che ; era molto usato negli spettacoli circensi e mantenne fino al medioevo il suo impiego profano. Fu in epoca carolingia ( VIII secolo) che arrivò in Francia il primo organo, dono del­ l'imperatore d'oriente al re Pipino; di qui una rapida diffu­ sione dell'organo come strumento da chiesa, secondo model­ li di piccole dimensioni. È nel XIV secolo che lo sviluppo della polifonia attribuisce all'organo funzioni più importanti e rende necessaria una evoluzione tecnica, con l'aggiunta della pedaliera e la definizione di una tastiera simile a quella moderna. N el secolo successivo venne ampliato il numero delle canne, fino a quattro ottave di estensione, e vennero adottati i registri. Si sviluppa così la prima produzione espressamente organistica, grazie a una scuola veneta che fa capo a Cavazzoni, Merulo e ai Gabrieli (esempio: Andrea e Giovanni Gabrieli, Intonazioni d'organo, 1 5 9 3 ) ; da questa tradizione nasce anche la grande arte organisti ca di Fresco-

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baldi (esempio: Frescobaldi, Il secondo libro delle Toccate, I 62 7 ) . Comunque in Italia, nel XVI e XVII secolo, continuaro­ no ad essere costruiti organi di dimensioni contenute; invece nei paesi tedeschi vennero sviluppate le dimensioni, separan­ do i corpi dei vari registri, potenziando la pedaliera e alli­ neando differenti manuali; risorse che vennero assimilate in Italia solamente nel XVIII secolo. Si sviluppa così la grande scuola organistica tedesca, che trova nei settentrionali Swee­ linck e Buxtehude e nei meridionali Froberger e Muffat i massimi esponenti; è una contrapposizione fra due scuole, la prima improntata alle elaborazioni contrappuntistiche su CORALE (Buxtehude, Preludio Corale ((Ein /este Burg ist unser Gott)) Bux WV I 84 ) , la seconda più aperta ai modelli italiani (Froberger, Libro di Capricci e Ricercate, I 65 8 ) , che trovano una sintesi nella figura di Bach (celebre esempio di una pro­ duzione vastissima: Toccata e Fuga in re minore BWV 5 3 8 ) . È però nell'Ottocento che l'organo acquisisce nuove ambizioni, quelle di riprodurre le varietà di suono dell'oRCHESTRA sin­ fonica, con l'ampliamento dei registri e l'invenzione di una " cassa espressiva " in grado di modulare la dinamica, che fino allora poteva essere solamente " a terrazze " ; nasce così un VIRTUOSISMO sonoro portato al massimo sviluppo da Liszt (esempio: Variazioni sul tema di Bach ((Weinen) Klagen) Sor­ gen) Sagen)) I 86 3 ) e Franck ( Grande Pièce Symphonique op. ' I 7 , I 864) . N el Novecento non sono mancati i musicisti che hanno cercato di applicare anche all'organo le sperimentazio­ ni delle avanguardie (Messiaen , La nativité du Seigneur} nove meditazioni per organo, I 9 3 5 ; Ligeti, Volumina, I 9 6 I -62 ) ; ma piuttosto lento è stato il superamento del pregiudizio che vo­ leva l'organo ottocentesco come vertice storico dello stru­ mento; ne è poi derivato il recupero della produzione rina­ scimentale e barocca sugli strumenti d'epoca più idonei a ri­ proporla e interpretarla. Non solo per questo esiste oggi, so­ prattutto in Italia, il problema della conservazione e del re­ stauro degli innumerevoli organi antichi, preziosi proprio per

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la loro unicità, oltre che per essere spesso decorati con inci­ sioni e dipinti. OTTONI È il nome dato convenzionalmente a un gruppo di strumenti a fiato , appartenenti a diverse famiglie ma costruiti tutti con il metallo, a differenza dei LEGNI, costruiti in origi­ ne con il legno. Come tutti gli strumenti a fiato, gli ottoni emettono il suono in seguito all'introduzione e alla vibrazio­ ne di un flusso d'aria in una canna vuota . Esistono due prin­ cipali tipi di ottoni, a tubo cilindrico (trombe, tromboni) e a tubo conico (corni, flicorni, tube) ; tutti, nella versione mo­ derna, hanno come caratteristica comune quella di un tubo ripiegato o avvitato su se stesso fra l'imboccatura e il padi­ glione. Il suono particolarmente brillante e squillante degli ottoni ne ha favorito l'impiego, fin dai tempi antichi, per compiti ed esecuzioni all'aperto, legati a funzioni militari e religiose. L'ingresso stabile di trombe, corni e tromboni nel­ l'oRCHESTRA risale alla fine del XVII secolo. Ma questi stru­ menti avevano all'epoca il limite di non poter intonare tutte le note della s c a l a c r o m a t i c a, potevano anzi intonare solo un suono di base e i suoi armonici (tromba naturale, corno naturale ecc. ) ; per questo venivano costruiti in diversi esemplari configurati in modo da essere adeguati a (ovvero "tagliati" in) diverse TONALITÀ; per questo adeguamento erano impiegati anche dei tubi aggiuntivi (detti in qualche caso " ritorti " ) che allungavano quello di base; si tratta dun­ que di STRUMENTI TRASPOSITORI. Ciascuno degli ottoni ebbe quindi una lunga e specifica evoluzione tecnica che lo portò a un grande perfezionamento , fra il XVIII e il XIX secolo . Le t r o m b e, di origine antichissima, trovarono già nel xv se­ colo l'attuale forma ripiegata; per aumentare la gamma dei suoni vennero aggiunte dapprima delle " chiavi " (ovvero dei congegni metallici che azionati dalle dita aprivano e chiude­ vano dei fori, modificando l'ALTEZZA del suono) e poi, intor­ no al r 8 3 0 , dei pistoni che consentirono di completare la

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scala cromatica. I numerosi modelli di tromba sono raggrup­ pabili in tre principali categorie: acute, medie gravi. Vicenda a parte quella dei t r o m b o n i, ovvero trombe di tessitura bassa, che esistono in diversi tipi: contralto, tenore, basso, contrabbasso. Già dal XVI secolo i tromboni possiedono una coulisse (una pompa scorrevole) allungando la quale si ab­ bassano i suoni; il modello con pistoni, inventato nell'Otto­ cento, trova oggi diffusione solo nelle bande . I c o r n i, strumenti dal suono caldo e pieno, di tessitura centrale , era­ no impiegati nelle partite di caccia, circostanza che creò de­ gli stilemi a lungo ricorrenti nel loro repertorio. Nel Sette­ cento la loro gamma veniva modificata tramite l'inserimento di una mano nel padiglione e con l'aggiunta di " ritorti " . L'aggiunta dei pistoni avvenne intorno al r 8 r 4, con la con­ quista dell'intera gamma cromatica . L'invenzione dei pistoni venne applicata anche ad altri tipi strumentali, favorendo la creazione di nuovi ottoni chiamati c o r n e t t e (derivate dal corno da caccia) , f l i c o r n i (una intera famiglia, con l'imboccatura della tromba e la forma conica) e t u b e; que­ ste ultime, inventate nel r 835 , sono entrate a far parte sta­ bilmente dell'orchestra moderna; si tratta di strumenti di grandi dimensioni, con il padiglione rivolto verso l'alto, che esistono in diversi esemplari (tuba bassa, contrabbassa, dop­ pia contrabbassa, tuba wagneriana) e scendono alle tessiture più profonde . Esistono poi numerose altre varianti degli strumenti di base degli ottoni, molte delle quali hanno trova­ to stabile accoglienza all'interno delle bande militari e di paese, interamente composte da strumenti a fiato. OUVERTURE Ouverture è parola francese che corrisponde al­ l'italiano " apertura " ; e infatti con questo termine si indica, come significato principale, un brano che ha una funzione introduttiva rispetto a una composizione più vasta. Per l'e­ sattezza il termine ebbe il suo battesimo in ambito teatrale , con i balletti di corte francesi, all'inizio del xvn secolo; e di

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fatto continuò anche nei secoli seguenti ad indicare quella che in Italia era nota come " sinfonia avanti l'opera " . Diversi erano però i tipi dell ' ouverture francese e del suo parallelo genere italiano; la prima, infatti, si apriva con una sezione lenta e solenne , animata da un ritmo puntato detto " alla francese " , e proseguiva con un rapido fugato; eventualmente comprendeva anche una sezione conclusiva, su ritmi di dan­ za (o, talvolta, su materiali della prima sezione) . La " overtu­ ra " italiana, invece, si basava su tre sezioni, la prima rapida e festosa, la seconda lenta, e la terza nuovamente rapida, tal­ volta su ritmi di danza. Oltre che al genere teatrale, l' ouver­ ture veniva premessa in Francia anche alla SUITE di danze strumentale, tanto che talvolta lo stesso titolo di ouverture veniva attribuito all'intera suite (come nel caso delle ouvertu­ res per orchestra di Bach) . È nella seconda metà del Sette­ cento che l'ouverture acquista un nuovo carattere formale , quasi sempre quello della FORMA SONATA classica, talvolta anticipando temi dell'intera opera e divenendone una sorta di sintesi poetica ( come le ouvertures Leonora nn. 2 e 3 di Beethoven) . E in seguito, nel corso dell'Ottocento, lo stesso termine viene attribuito anche a una composizione a sé stan­ te, che dunque non ha più la funzione di " aprire " , ma quella di " riassumere " un contenuto poetico o ideale; questo gene­ re dell'ouverture da CONCERTO trova gli esempi forse più noti nelle due ouvertures Tragica e Accademica di Brahms.

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PARTITURA Con il termine " partitura " si intende il testo musicale di una composizione destinata a molteplici esecuto­ ri, messa per iscritto in modo che alla lettura sia possibile visualizzare contemporaneamente le parti di tutti gli esecuto­ ri. Ovviamente tutte le parti sono disposte in modo da ri­ spettarne la simultaneità temporale nel flusso musicale; per questo la partitura è una specie di reticolato, con i righi mu­ sicali, destinati ciascuno a un diverso strumento, che si dipa­ nano orizzontalmente, mentre delle lunghe righe verticali di­ vidono la pagina in diverse porzioni (le righe di battuta) che costituiscono dei punti di riferimento temporali per tutti gli strumenti; anzi proprio a questa divisione è dovuto il nome di partitura ( " partire " nel senso di "suddividere " ) . In sostan­ za la partitura è un testo musicale nella sua forma più com­ pleta. Dalla partitura , infatti, possono essere tratte sia le p a r t i destinate ai singoli strumentisti o cantanti - che con­ tengono esclusivamente la musica per il singolo esecutore sia delle riduzioni per PIANOFORTE (s p a r t i t i) , nelle quali cioè il pianoforte si fa carico di riassumere tutta la musica dell'ORCHESTRA, o del gruppo strumentale. La partitura è de­ stinata principalmente al DIRETTORE, che ha il compito di coordinare l'intera esecuzione e ha dunque necessità di avere il " colpo d'occhio " dell'intera musica; per lo strumentista o il corista è sufficiente la parte con la sola porzione di musica a lui destinata; lo spartito invece ha una funzione eminente­ mente pratica, quella di coadiuvare - soprattutto nel campo dell'OPERA - la preparazione dei solisti e del coro prima e I lO

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durante le prove, con il sostegno di un semplice pianista piuttosto che dell'intera orchestra. Si parla in questo caso di "spartito per canto e pianoforte " (lo spartito della Traviata o della Bohème) ; lo " spartito per pianoforte solo " , oggi in di­ suso, era invece quello che inglobava nella scrittura pianisti­ ca anche la parte dei solisti, e che era destinato essenzial­ mente alla divulgazione della musica nei salotti di casa, per gli appassionati " dilettanti" della tastiera. Si parla anche di spartito a proposito del testo delle composizioni originali per pianoforte o per altri singoli strumenti (lo spartito dei Prelu­ di di Debussy, o delle Suites per violoncello di Bach). Esempi di partitura si riscontrano fin dal XIII secolo; tuttavia è solo alla metà del Cinquecento che nasce l'esigenza della vera e propria partitura (in precedenza le composizioni venivano diffuse quasi sempre in parti staccate), in coincidenza con la diffusione della musica per complessi polistrumentali, che necessitavano dunque di una guida. Una partitura moderna sovrappone molteplici righi musicali, ciascuno dei quali de­ stinato a uno strumento (talvolta a due o tre) o a un gruppo di strumenti. In passato la distribuzione dei righi andava dagli strumenti più gravi (c o n t r a b b a s s i) fino a quelli che avevano una funzione di guida melodica (f l a u t o, v i o l i n o) ; oggi invece si preferisce una distribuzione se­ condo le famiglie strumentali; dal basso in alto: ARCHI, voci e solisti, PERCUSSIONI, ARPA, OTTONI, LEGNI. PASSIONE La Passione è, per i culti cristiani, il martirio del Cristo negli ultimi giorni di vita, secondo i testi evangelici; in musica la Passione è appunto la narrazione di questo marti­ rio attraverso una intonazione musicale; una prassi legata ai riti liturgici della settimana di Pasqua, che ha subìto una va­ sta e profonda evoluzione nei tempi e nei luoghi. Le prime testimonianze di una intonazione cantata della Passione al­ l'interno della liturgia pasquale risalgono al IV secolo. A par­ tire dal IX secolo abbiamo delle indicazioni scritte su queste

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esecuzioni, che avvenivano con un cantore che recitava il te­ sto su ALTEZZE diverse a seconda dei personaggi; si passò poi a tre differenti voci di TIMBRO diverso (Cristo, il narratore, e una terza voce per tutti gli altri personaggi) . Poiché i riti p a­ squali erano scarni e disadorni, è solo alla metà del xv seco­ lo che la POLIFONIA entra nella Passione. Si sviluppano allora due tipi differenti di composizioni, la Passione-mottetto e la Passione responsoriale (in cui il coro risponde al solista). La prima è interamente messa in musica (incluse le parole del­ l' evangelista) in molteplici sezioni, secondo una scrittura po­ lifonica (l'esempio forse più celebre è quello di Jakob O b­ recht, r 5 3 8 ) ; la seconda sceglie differenti stili a seconda dei personaggi: l'evangelista segue l'intonazione liturgica del te­ sto religioso, i personaggi solisti sono cantati da due voci in imitazione, la folla dal coro a cinque voci (seguono questo schema le quattro Passioni di Orlando di Lasso ) . Grande fortuna doveva trovare poi la Passione responsoriale nella cultura protestante: progressivamente l'intonazione chiesasti­ ca dell'evangelista venne sostituita da una libera melodia, e questa tendenza trova i risultati più organici e ammirevoli nelle tre Passioni di Heinrich Schiitz (intorno al r 6 65 ) . Alla fine del Seicento, tuttavia, la Passione responsoriale viene soppiantata dalla Passione oratoriale , genere più moderno: il racconto evangelico diviene la base su cui innestare testi di commento, dai CORALI luterani alle ARIE spirituali, dai cori alle SINFONIE strumentali. Sono le Passioni di Johann Seba­ stian Bach (sui vangeli di Giovanni e Matteo, quelle che ci sono pervenute) a portare alla massima complessità questa forma. Ma nella metà del XVIII secolo la Passione oratoriale cade in disuso, anche per la diffusione di un altro genere, questa volta extraliturgico: la Passione-oratorio, basata su un libretto originale in cui si narrano le vicende del martirio di Cristo. Il libretto della Passione di Gesù Cristo scritto nel 1 7 3 0 da Pietro Metastasio viene posto in musica, fra gli altri, da Caldara , Jommelli, Naumann, Salieri, Paisiello, Zingarelli,

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Paer e Morlacchi; la figura di Cristo non vi appare mai, ma il martirio viene narrato da personaggi che assumono una vi­ talità simbolica. Anche nell'Ottocento sono rare le Passioni liturgiche, e trovano spazio gli ORATORII sulla vita di Cristo , come il Christus di Liszt ( I 87 1 -7 3 ) . Nel Novecento anche il genere della Passione, come tutta la musica sacra, viene com­ pletamente reinterpretato in chiave soggettiva dai composito­ ri; gli esempi più illustri sono quelli di Penderecki ( 1 965 ) e Arvo Part ( 1 9 8 1 ) . PERCUSSIONI Il termine indica tutti quegli strumenti (stru­ menti a percussione, appunto) che vengono suonati percuo­ tendo la loro superficie , con le mani o con utensili appositi (bacchette, martelli, mazze, battagli, spazzole ecc. ) . Si tratta in realtà di strumenti di origine antichissima, che apparten­ gono a tutte le culture , e dunque esistenti secondo tipologie estremamente diversificate. Un genere di classificazione è quello basato sul suono, che distingue fra le percussioni che producono un suono indeterminato e quelle che producono un suono determinato; nel primo caso abbiamo, ad esem­ pio, vari tipi di t a m b u r i, i p i a t t i (dischi di metallo che entrano in vibrazione venendo percossi fra loro ) , le n a c c h e r e ( coppette di legno percosse fra loro ) , il t r i a n g o l o (bacchetta di acciaio triangolare e sospesa, percossa con un mazzuolo), la f r u s t a ( due tavolette di le­ gno che battono fra loro simulando lo schioccare di una fru­ sta) ecc. ; nel secondo caso abbiamo degli strumenti in grado di esprimere una SCALA di suoni, come lo x i l o f o n o (t a­ volette di legno di grandezza decrescente fissate su un soste­ gno, amplificate da tubi di risonanza e percosse con un bat­ taglio) , il G l o c k e n s p i e l (simile, con piastre metalli­ che), il v i b r a f o n o (simile , con lamine di acciaio, e con i risuonatori muniti di piccole eliche azionate elettricamen­ te) , la m a r i m b a (un tipo di xilofono) , la c e l e s t a (la­ stre d'acciaio azionate da martelletti collegati a una tastiera) ,

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vari tipi di c a m p a n e ecc. Un altro genere di classifica­ zione è quello che si basa sul modo di produzione del suo­ no, e distingue fra gli strumenti " idiofoni" - nei quali vibra la stessa materia dello strumento ( dal greco idios, "pro­ prio " ) , e non un elemento ad essa connesso, come una cor­ da o una membrana - e i "membranofoni" - membrane tese su una cassa di risonanza, come i vari tamburi. Nella moderna ORCHESTRA sinfonica le percussioni sono state im­ piegate, fino a tutto l'Ottocento , con grande parsimonia . Nell'orchestra settecentesca erano impiegati stabilmente i t i m p a n i ( coppie di grandi membranofoni percossi con bacchette), soprattutto in abbinamento con le t r o m b e per evocare situazioni militari. Strumenti derivati dalle ban­ de militari turche (triangoli, piatti, c a m p a n e I l i) veniva­ no usati per musiche di sapore turchesco (Mozart, Die Ent­ /uhrung aus dem Serail) . Nell'Ottocento vengono progressi­ vamente inseriti in orchestra tamburi, g r a n c a s s a, piatti, triangoli, campanelli. N on mancarono usi particolari di de­ terminati strumenti, come le incudini nel Ring di Wagner. È però nel corso del Novecento che le percussioni aumentano straordinariamente il loro peso nell'orchestra, con l' emanci­ pazione dell'idea di DISSONANZA e di rumore nei parametri compositivi. Xilofono, vibrafono, celesta, marimba, frusta e campane vengono impiegati comunemente, e frequente è anche il ricorso a strumenti derivati da tradizioni popolari, come i gong orientali, i tamburi di legno e via dicendo . Sono innumerevoli i brani destinati alle sole percussioni (Milhaud, Chavez, Varèse, Stockhausen) , che hanno stimola­ to anche la creazione di appositi complessi concertistici di soli strumenti a percussione (Les Percussions de Strasbourg) . PIANOFORTE Il pianoforte è uno strumento a tastiera con corde percosse, nel quale cioè sollecitando la tastiera si azio­ na un complesso sistema di leve che culmina con dei mar­ telletti che percuotono le corde. Il nome di questo strumen-

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to fa riferimento a due diversi livelli dinamici, il piano e il forte , e infatti è proprio la possibilità di modificare la dina­ mica con il martelletto che contribuì all'affermazione storica del pianoforte. In precedenza lo strumento a tastiera più diffuso, il CLAVICEMBALO, pizzicava le corde anziché percuo­ terle , e dunque possedeva una dinamica quasi nulla. Il pia­ noforte venne inventato fra il r 69 8 e il 1 7 00 a Firenze dal padovano Bartolomeo Cristofori, ma riuscì ad imporsi sola­ mente dopo la metà del secolo, con i modelli del tedesco Silbermann. Allo strumento nella prima fase della sua diffu­ sione , fino al r 83o circa, si attribuisce oggi convenzional­ mente il nome di f o r t e p i a n o, che all'epoca era usato in alternativa a pianoforte. N e i paesi tedeschi si parlava anche di H a m m e r k l a v i e r, ovvero " tastiera a martelli " , per distinguere lo strumento da quelli a corde pizzicate; di qui il titolo Hammerklavier apposto da Beethoven alla sua Sonata op. I o 6 . Il fortepiano era assai diverso dal pianoforte mo­ derno, per le diseguaglianze dei vari registri della tastiera, il suono più aspro e brillante, la meccanica meno perfezionata; caratteristiche che vennero modificate con una lunga e com­ plessa evoluzione. All'inizio dell'Ottocento si affianca al pia­ noforte "a coda " , la cui cassa di legno con le corde è dispo­ sta orizzontalmente, il pianoforte "verticale " , destinato all'u­ so domestico e didattico. La svolta verso il pianoforte mo­ derno si ha intorno al r 82 3 , con l'invenzione del " doppio scappamento " , meccanismo per cui il martelletto, dopo ave­ re percosso il tasto, non torna indietro completamente ma solo per una parte del suo tragitto, circostanza che rende possibile un nuovo suono a distanza ravvicinata, e quindi l'esecuzione di passaggi di grande velocità. Altra svolta, alla fine dell'Ottocento, è quella della sostituzione del telaio in legno che sostiene le corde con il telaio in ghisa , che rende più stabile l'accordatura. La fortuna del pianoforte nell'Ot­ tocento è legata alla sua grande estensione e alla sua sonori­ tà, che hanno consentito allo strumento di essere protagoni-

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sta esclusivo di CONCERTI in grandi spazi, di contrapporsi al­ l' ORCHESTRA sinfonica, nonché di svolgere una funzione di sostegno armonico di altri strumenti melodici, ad arco o a fiato, e di riassunto della scrittura orchestrale. Di qui nasce il ruolo essenziale del pianoforte nella vita concertistica, nonché in quella dello studio e della preparazione di eventi complessi della vita musicale. Nel secondo Novecento tutta­ via si è sentita la necessità di sperimentare nuove possibilità espressive per lo strumento; nasce così, ad opera di John C age , il "pianoforte preparato " , fra le cui corde vengono in­ seriti vari oggetti, con modifica del TIMBRO e dell'intonazio­ ne; è invalso anche l'uso di suonare il pianoforte diretta­ mente con le mani sulle corde, o di collegarlo a sistemi di amplificazione. POEMA SINFONICO Il poema sinfonico è un tipo di composi­ zione musicale che trova la sua definizione nell'età del Ro­ manticismo; in realtà le premesse del poema sinfonico sono assai più lontane, in quanto si riallacciano a uno dei temi­ chiave della musica di ogni tempo, quello della cosiddetta "MUSICA A PROGRAMMA " , ossia il principio secondo il quale una composizione musicale non è interamente autoreferen­ ziata, non trova le sue giustificazioni esclusivamente all'inter­ no del fatto musicale, ma piuttosto ha bisogno di riallacciarsi a qualcosa di "esterno " , che può essere uno spunto descritti­ vo, o poetico , letterario, filosofico. Se gli esempi di musica a programma sono infiniti (si pensi ai concerti delle Quattro stagioni di Vivaldi) , nell'età romantica il ricorso a referenti esterni per la composizione non è più solamente una delle tante variabili a disposizione di un autore, ma piuttosto un costante principio compositivo , per cui funzione della musi­ ca è quella di essere portatrice di idee e valori, appunto sulla base di referenti extramusicali. All'origine di questa tendenza ci sono i lavori sinfonici di Berlioz (Symphonie Phantastique, r 83o; Harold en Italie, r 834), ovvero delle SINFONIE in cui i

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vari movimenti si sviluppano al loro interno e si susseguono seguendo un principio narrativo o letterario. È però Liszt (con Les Préludes, I 848 ; prima partitura di un lungo ciclo) il primo ad impiegare il termine di "poema sinfonico " . La moda dei poemi sinfonici si sviluppa poi in tutto il tardo Ro­ manticismo, soprattutto presso gli esponenti delle scuole na­ zionali, per la possibilità di evitare le rigide griglie delle for­ me della tradizione classica (Smetana, La mia patria , I 87 5 ; Rimskij Korsakov, Sheherazade, I 8 88; Sibelius, Una saga , I 892 ; Dvorak, L'arcolaio d'oro, I 89 6 ) . Il vero erede del poe­ ma sinfonico di Liszt fu però Richard Strauss, che soprattut­ to negli anni giovanili si applicò a un vasto ciclo di brani nei quali il magistero orchestrale è sempre guidato da un'idea letteraria ( Till Eulenspiegel, I 89 5) o meglio filosofica (Così parlò Zarathustra , I 896) . Fra gli epigoni si colloca in Italia Ottorino Respighi (Le fontane di Roma , I 9 I 6 ) . Centrale, nel­ la problematica del poema sinfonico, il rapporto fra l'idea programmatica e la PARTITURA. Non a caso era molto diffu­ so, nel massimo periodo di diffusione del genere, l'uso di pubblicare in occasione dell'esecuzione un "programma " scritto che illustrasse letterariamente i l processo d i evoluzio­ ne interna della partitura. Tuttavia la composizione musicale dei poemi sinfonici si nutre comunque di " regole " che si giustificano solamente all'interno della musica stessa, come riteneva lo stesso Richard Strauss; gli spunti letterari sono così lo stimolo che serve al compositore per la creazione , e il programma illustrativo che viene fornito all'ascoltatore è una opzione che può guidare nell'ascolto, ma non per questo è indispensabile per comprendere i valori e il significato della musica. Al contenuto programmatico corrisponde piuttosto una forma musicale che appare più rapsodica, non sempre rigidamente organizzata secondo precise relazioni tematiche. Vengono in primo piano dei principi di carattere espressivo e narrativo, come la riproduzione di impressioni sonore, so­ prattutto della natura, l'adozione di simbolismi legati a de-

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terminate figurazioni, la tecnica del LEITMOTIV, l'espressione di sentimenti e stati d'animo. Ma la funzione di queste tecni­ che non è banalmente descrittiva, ma piuttosto evocativa di sentimenti ed emozioni. Anche per questo acquista un nuovo rilievo lo strumento orchestrale, che ha il compito di trasfor­ mare in suono l'idea poetica posta alla base della partitura. POLIFONIA Letteralmente il termine indica "molti suoni" , ov­ vero quella musica che si sviluppa nella sovrapposizione di due o più suoni diversi; dunque il contrario di m o n o d i a (una musica intonata da una voce sola) o anche di o m o f o n i a (una musica per coro in cui tutte le voci intonano gli stessi suo­ ni; ma spesso omofonia è sinonimo di o m o r i t m i a, cioè di una musica per coro in cui tutte le voci seguono lo stesso an da­ mento ritmico , anche se con note diverse) . La polifonia appar­ tiene a moltissime culture popolari fin dai tempi antichi, ed è stata ampiamente praticata nel corso del medioevo sotto forma di prassi non scritta ma improvvisata all'atto dell'esecuzione; tuttavia il concetto di polifonia, a livello di musica colta, si fa strada nella musica da chiesa a partire dal xn secolo, quando cioè vengono messe per iscritto quelle pratiche polifoniche che di fatto già esistevano nell'esecuzione del CANTO GREGORIANO. Queste pratiche seguivano delle regole precise per disciplinare la molteplicità dei suoni; nascono così, insieme alla polifonia, l'ARMONIA (la tecnica che disciplina le aggregazioni simultanee e verticali dei suoni) e soprattutto il CONTRAPPUNTO, ovvero quella tecnica compositiva che regola lo sviluppo parallelo e orizzontale di due o più voci, e attraverso la quale appunto si realizza la polifonia. Parallela è quindi l'evoluzione di polifonia e contrappunto, che segue prevalentemente le vicende dei ge­ neri musicali legati alla pratica chiesastica (MESSA, MOTTETTO, VESPRO ) , secondo quelle forme e quelle tecniche proprie del contrappunto (FUGA, CANONE ) ; dunque il significato storico del termine "polifonia " è proprio quello del canto liturgico a più voci realizzato attraverso il contrappunto. E in genere per

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polifonia tout court si intende appunto quella vocale. Ma dalla musica vocale il termine è stato applicato, a partire dal xvn secolo, anche alla musica puramente strumentale, per compo­ sizioni basate su un intreccio delle linee strumentali sempre re­ alizzato attraverso il contrappunto. La didattica musicale ha poi convenzionalmente individuato in Palestrina il massimo esempio di polifonia vocale, e in Bach il massimo esempio di polifonia strumentale. Ma la polifonia interessa la musica di tutte le epoche, secondo principi anche molto dissimili nel tempo. PRASSI ESECUTIVA È un termine moderno - tradotto dal te­ desco Au//uhrungspraxis - con il quale si designa un insieme di convenzioni non scritte che riguardano l'esecuzione del testo musicale. Infatti la musica è un 'arte cosiddetta "perfor­ mativa " , che trova cioè la sua concreta espressione non già sulla pagina scritta, ma nel momento dell'esecuzione; e ogni esecuzione è un fatto unico e irripetibile , dunque forzata­ mente diverso dalle precedenti e dalle successive . I composi­ tori del passato, nello scrivere un brano, non intendevano di norma - che esso venisse eseguito realizzando letteralmen­ te il testo scritto, ma piuttosto facendo riferimento a un co­ dice di convenzioni che lasciava spazio all'autonomia e anche alla creatività dell'interprete; in qualche caso gli interventi aggiuntivi erano suggeriti dal compositore stesso ai primi in­ terpreti, e poi tramandati per tradizione orale a quelli suc­ cessivi. Nell'epoca barocca , ad esempio, la forma dell'ARIA col DA CAPO era pensata appunto perché nella sezione del da capo il cantante variasse a proprio piacimento la linea melo­ dica , con l'inserimento di fioriture, ABBELLIMENTI, CADENZE di gusto soggettivo, che sovrapponevano la personalità del­ l'interprete a quella dell'autore. Se ogni epoca ha avuto ed ha il proprio codice di convenzioni, è stato quando, alla me­ tà dell'Ottocento, la musica del passato si è affiancata, nelle sale da concerto e nei teatri, a quella del presente, che è sor-

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to il problema di ritrovare i codici delle convenzioni delle epoche passate, che si erano ovviamente persi, ma che erano imprescindibili per intendere il vero significato della pagina scritta. N acque così - per opera di studiosi come Dolmetsch, Poulton, Chilesotti - il cosiddetto "movimento della prassi esecutiva " , che, grazie a studi di filologia basati sui trattati antichi, sugli strumenti d'epoca, sulla ricostruzione delle condizioni esecutive del passato, è arrivato a riproporre ese­ cuzioni moderne che cercano di avvicinarsi il più possibile allo stile e alla prassi impiegate nel passato. Tuttavia - data anche l'evoluzione del gusto e delle condizioni di ascolto le esecuzioni "filologiche " non pretendono in realtà di attin­ gere a una fedeltà assoluta verso la prassi d'epoca, ma di sta­ bilire comunque un rapporto mutevole e dialettico con le esigenze delle situazioni produttive e del pubblico odierni. PRELUDIO Il termine "preludio " (dal latino praeludere, ossia "preesercitarsi " , "provare " ) è legato alla nascita della musica strumentale, nel xv secolo , all'esigenza di provare material­ mente uno strumento e il suo suono in vista di una esecuzio­ ne. Di qui l'apposizione del nome "preludio " a quelle brevi composizioni che introducevano a brani più vasti e comples­ si, significato che è rimasto in uso per diversi secoli, con po­ che varianti. Proprio questa funzione di prova strumentale portò alla definizione di un contenuto libero e percorso di figurazioni meccaniche, quali arpeggi e a c c o r d i (e in questo caso il termine è sinonimo di t o c c a t a ) . N eli' età del barocco il preludio venne usato come introduzione alla forma della surTE ( come nelle sei Suites per violoncello BWV } roo7- r o r2 di Bach) o anche impiegato in associazione alla forma della FUGA; il binomio preludio-fuga (consacrato da Bach nei due libri del Clavicembalo ben temperato e tornato in auge nel secondo Ottocento) contrappose così la libertà della fantasia al rigore della costruzione. In ambito liturgico luterano il preludio si sviluppò come introduzione al CORALE,

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l? artendo dalla necessità di offrire una intonazione ai cantori. E con l'età romantica che il termine modifica il suo significa­ to; con i 2 4 Preludi di Chopin, infatti, non ci troviamo più di fronte a brani introduttivi, ma a miniature autonome e or­ ganizzate in ciclo, nelle quali resta il principio del libero svi­ luppo di uno schema di base. Parallelamente "preludio " di­ viene l'introduzione a un'opera teatrale (o a un atto di essa) , come succinta alternativa all'ouvERTURE (esempi: Verdi, La traviata , Preludio dell'atto I e Preludio dell' atto III). Con il Novecento rimangono affiancate le accezioni romantica (De­ bussy, due libri di Preludi per piano/orte; Messiaen, Preludi per piano/orte) e barocca ( S ostakovic, 24 Preludi e Fughe per piano/orte; Casella, Sonata per violoncello e piano/orte) del termine.

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QUARTETTO In una accezione lata e generica, " quartetto " è il termine con cui viene definito un brano musicale affidato a quattro esecutori, siano essi strumentisti o cantanti. Ma in realtà tale termine possiede una molteplicità di accezioni stratificatesi nel corso del tempo. Quartetto può essere una sezione di una composizione più vasta, e, per derivazione, un organico o un complesso specifico; o ancora un genere strumentale. Nel primo caso (sezione di una composizione più vasta) si può parlare, ad esempio , del quartetto del Rigo­ letto di Verdi ( '' Bella figlia dell'amore " ) dove i quattro solisti sono accompagnati dall'oRCHESTRA) ; nel secondo (organico) del " quartetto dei c o r n i" in un'orchestra; nel terzo (com­ plesso specifico) del celebre Quartetto Italiano, attivo dal 1 945 al r 9 8 r . Il caso più significativo è comunque l'ultimo. Come genere strumentale il quartetto si afferma verso la me­ tà del XVIII secolo, dall'evoluzione della "soNATA a quattro " barocca e dalla definizione della cosiddetta FORMA SONATA. Caratteristiche peculiari del genere sono un dialogo articola­ to fra gli strumenti, che si scambiano continuamente e vi­ cendevolmente le funzioni di guida melodica e di accompa­ gnamento, e una articolazione in quattro movimenti: forma sonata, tempo lento, MINUETTO O SCHERZO, RONDÒ O forma sonata. A tali caratteristiche rispondono quartetti scritti per diversi organici strumentali (PIANOFORTE e ARCHI , archi e fiati, fiati soli) , ma l'organico più importante è certamente quello del quartetto per archi (due v i o l i n i, v i o l a, v i o l o n c e 1 1 o), che costituisce il quartetto per antonoma122

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sia. Fu Haydn, con un imponente corpus di 83 Quartetti ma­ turati lungo l' arco di tutta la sua attività, a fissare le caratte­ ristiche del genere. Ad Haydn si ispirò Mozart, che portò a compimento 2 3 Quartetti (sei dei quali dedicati proprio al collega più anziano) ; 1 7 sono i contributi di Beethoven al ge­ nere; il livello di complessità della scrittura quartettistica di questi maestri ha fatto sì che il quartetto si imponesse come genere quintessenziale dello stile " classico " e venisse trattato poi dalla generazione romantica con la cautela riservata a un genere storicizzato più che pienamente attuale, come mostra­ no i quartetti numericamente limitati di Mendelssohn (sei) , Schumann, Brahms, C aikovskij (tre ciascuno) . Nel Novecen­ to è Bela Bartok, con i suoi sei Quartetti, a dare una nuova interpretazione al genere , basandosi su una concezione del suono materica che si ispira agli ultimi - e spesso incompresi nel Romanticismo - Quartetti di Beethoven, punto di par­ tenza anche dei dodici Quartetti di S ostakovic e dei quattro di Schnittke. Altri compositori, come Malipiero, sentono la necessità di respingere la logica dialettica del Classicismo, per seguire una costruzione a pannelli contrapposti.

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RECITATIVO Il termine " recitativo " deriva da " recitare " , e dunque si riferisce a una diretta connessione fra musi­ ca e parola parlata. Storicamente il termine si afferma nella seconda metà del Seicento, quando all'interno del m e l o d r a m m a si fa marcata la distinzione fra sezioni " chiuse " riservate all'espressione del sentimento (ARIE, duetti ecc. ) e sezioni " aperte " riservate al progredire dell'a­ zione (recitativi appunto) . Il recitativo diventa così sia la porzione del testo poetico del libretto in cui i diversi per­ sonaggi portano avanti l'azione, sia la realizzazione musicale di questa porzione: una libera intonazione musicale del te­ sto poetico che cerca di ricalcare da vicino i ritmi e le sfu­ mature espressive del discorso parlato. Dunque la caratteri­ stica del recitativo, in tutte le epoche, è la sua libertà, sia per l'assenza di una forma vincolante, sia per la fluidità del ritmo, che ignora le scansioni precise delle forme musicali chiuse. Altra caratteristica distintiva è quella per cui il reci­ tativo, data la sua libertà, non viene sostenuto dall'intero corpo dell'oRCHESTRA (che stenterebbe a seguire l'incedere rapido della voce), ma solamente dai pochi, più agili stru­ menti che realizzano il BASSO CONTINUO (e in tal caso si parla di recitativo " semplice " , o " secco " ) o talvolta dal solo gruppo degli ARCHI (e in tal caso si parla di recitativo " ac­ compagnato " ; esempio: Mozart, Don Giovanni, " Don Otta­ vio, son morta ! " ) . Alla metà dell'Ottocento , quando all'in­ terno dell'OPERA si affievolisce la distinzione fra parti con­ templative e parti narrative, anche il recitativo perde la sua

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precisa caratterizzazione; quello " recitativo " rimane però uno stile impiegato a seconda dei casi dai compositori, an­ che in pieno Novecento. Inoltre autori come Wagner, Mu­ sorgskij , Debussy inventano nuovi tipi di fluida intonazione del testo poetico che reinterpretano l'idea del recitativo. Importantissima è poi l'applicazione del concetto di recita­ rivo alla musica strumentale, per cui uno strumento, o un gruppo di strumenti, imitano lo stile recitativo delle voci, e dunque lasciano immaginare un contenuto semantico dei suoni che rimane però inespresso; esempi celebri sono quelli dell'ultimo Beethoven, con l'ultimo tempo della So­ nata per piano/orte op. I I o , o con il recitativo di violoncelli e contrabbassi all'inizio del finale della Nona Sinfonia. RONDÒ Il termine " rondò " è noto alla storia della musica fin dal medioevo (rondeau, o rondellus, forme dell'Ars nova) , e, seppure con distinzioni di vario tipo, indica tendenzial­ mente una forma musicale in cui una idea principale (detta re/rain o anche ritornello) ritorna ciclicamente, alternandosi con idee secondarie . Dopo i trovieri e la polifonia del xv se­ colo, il termine viene nuovamente impiegato dai clavicemba­ listi francesi del xvn secolo, dove - usando le lettere dell'al­ fabeto per indicare i differenti temi, A, B, c e D la forma si configura secondo lo schema ABACADA. Da qui ha origine il rondò dell'epoca classica, che è quello comunemente usato anche nell'epoca romantica; la caratteristica principale del rondò classico è quella di sovrapporsi a un 'altra forma classi­ ca, la FORMA SONATA, acquisendo da questa il principio del contrasto fra due temi e di una sezione di sviluppo . Ecco così che il rondò-sonata (ossia il rondò classico) si sviluppa come segue: ABA 1 CA " B A " In questo schema A è il re/rain (che funge da primo tema) , B il primo episodio (secondo tema) , A la riapparizione del refrain, c il secondo episodio (sezione di sviluppo) , A " la seconda riapparizione del re/rain , B il terzo episodio (riapparizione del secondo tema) e A " 1 la -

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conclusiva apparizione del re/rain, come coda. Peculiarità del rondò-sonata è quella di avere una intonazione cantabile e giocosa, spesso di origine popolare, e di collocarsi invaria­ bilmente come ultimo movimento della composizione ( esem­ pio: Beethoven, Sonata per piano/orte op. 9 0 ) . La forma ac­ quisisce, nel tardo Romanticismo, nuovi significati dalle dif­ ferenti connotazioni espressive legate a ogni riapparizione del refrain (Brahms, Sestetto per archi op. r 8 ) . Al rondò stru­ mentale si affianca anche il rondò vocale, che intende il ter­ mine tuttavia in un'accezione assai più libera, e nel primo Ottocento indica in genere l'ARIA conclusiva di un'oPERA liri­ ca (Rossini, Cenerentola, " Nacqui all'affanno " ) .

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SCALA La scala musicale è una successione di suoni fra loro attigui, proprio come i gradini di una scala; l'arrivo al piano successivo si ottiene quando si incontra, a una ALTEZZA su­ periore (o inferiore, se si scende) il medesimo suono dal quale la scala era partita, raggiungendo, rispetto al suono ini­ ziale , il cosiddetto " intervallo di o t t a v a " . Ma questi gradi­ ni, o meglio gradi, non hanno fra loro tutti eguale altezza. All'interno di ogni cultura musicale si è imposto nell'uso un tipo particolare di scala che modifica il numero dei "gradini" della scala stessa nonché le dimensioni di ogni "gradino " . Così sono possibili infiniti tipi di scala ; le scale "pentatoni­ ca " (formata di cinque suoni) ed " es atonica " (di sei suoni) sono tipiche di molte culture primitive. Il sistema musicale occidentale distingue due principali tipi di scala, "maggiore " e "minore " , entrambi composti da sette note, ed entrambi costruiti dall' alternanza irregolare di due INTERVALLI minima­ li, il t o n o (seconda maggiore) e il s e m i t o n o (seconda minore ) , che, come dice il nome , è grande la metà di un tono. Tono ( T ) e semitono (s) sono dunque come i mattoni che costruiscono la scala. La scala maggiore li alterna se con­ do questa successione: TTSTTTS . La scala minore è più com­ plessa, poiché comprende diversi tipi; la scala minore cosid­ detta "naturale " segue questo schema: TSTTSTT. Le scale mi­ nori "melodica " e " armonica " variano l'ordine degli ultimi tre intervalli, mantenendo però immutati i primi quattro. Abbiamo dunque, per la scala minore melodica ascendente: TSTTTTS (la scala discendente è uguale a quella naturale). La 127

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scala minore armonica è l'unica ad accogliere un intervallo di un tono e mezzo (T + s) fra il sesto e il settimo grado: TSTTS(T + s)s. In sostanza, a distinguere la scala maggiore da quella minore è la distanza fra il terzo e il quarto grado della scala , che è di un semitono nella scala maggiore, di un tono nella scala minore ; una differenza che risponde ai due prin­ cipali m o d i musicali della musica occidentale. La succes­ sione, all'interno dell'ottava , di tutti e dodici i suoni che si trovano distanziati di un semitono l'uno dall' altro, viene det­ ta s c a l a c r o m a t i c a. SCHERZO L'idea del gioco e dello scherzo è intimamente connessa all'attività musicale; non è un caso che nelle princi­ pali lingue europee i medesimi termini (jouer, to play, spie­ le n) vengano impiegati per indicare significati che in italiano sono definiti come " suonare " e "giocare " . Ecco dunque che lo stesso atto del far musica è un gioco, e può assumere, con una dimensione Iudica più pronunciata, il significato dello scherzo ; l'espressione scherzando, associata ad indicazioni di tempo come Allegro o Allegretto, vale appunto a suggerire agli esecutori un modo di suonare più compiaciuto e diverti­ to. Ma "scherzo " è anche un termine che ha indicato , nella storia della musica, precisi tipi di composizioni musicali. Un primo esempio significativo lo si ritrova all'inizio del Seicen­ to, quando con "scherzi musicali " ci si riferisce a dei brani a più voci, fino a sei, di breve estensione e di carattere popola­ re (esempi: Monteverdi, Scherzi musicali a tre voci, r 6o7 , e a una o due voci, r 6 3 2 ) . Si parla più comunemente di scherzo, però, per indicare una forma musicale in uso a partire dalla fi­ ne del XVIII secolo; lo scherzo è, in questo periodo, la natura­ le evoluzione del MINUETTO, della SINFONIA, del QUARTETTO, del trio , della SONATA dell'età del classicismo. È già con le ultime sinfonie di Haydn, infatti, che il minuetto , la danza stilizzata che era collocata in genere come terzo movimento (talvolta come secondo) di sinfonie e affini, subisce un'acce-

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lerazione del tempo che porta a rinnovarne i contenuti, do­ nando al ritmo di danza una nuova incisività; lo stesso Haydn, nei Quartetti ((russi" op. 3 3 , fa uso per la prima volta dello scherzo ; è però Beethoven (Sinfonia n. 2 ) il primo a impiegare regolarmente lo scherzo al posto del minuetto. Lo scherzo d'altronde acquista quasi sempre maggiori dimensio­ ni rispetto alla vecchia danza settecentesca; il minuetto alter­ nava una sezione principale a una secondaria, detta " trio " ; nello scherzo questa alternanza viene riproposta secondo uno schema più articolato, con due apparizioni del trio (scherzo-trio-scherzo-trio-scherzo, ovvero ABABA) (esempio: Beethoven , Sinfonia n. 7 ) . Questa forma viene usata in modo pressoché estensivo da tutti i compositori romantici per le loro sinfonie, sonate, quartetti, trii, da Schubert a Mendels­ sohn , da Schumann a Brahms, da Dvorak a C aikovskij , da Bruckner a Mahler; talvolta vengono inseriti due trii diffe­ renti (ABACA; esempio: Schumann , Sinfonie nn. I e 2 ) ; parti­ colarmente importante è poi il modello ideato da Mendels­ sohn e basato su un leggerissimo intreccio delle linee stru­ mentali (esempio: Mendelssohn , Ottetto op. 2 o ) ; inoltre spes­ so il trio ebbe una connotazione di danza popolare (ovvero di Liindler; esempio: Mahler, Sinfonia n. r ) . Tuttavia nel ro­ manticismo lo scherzo non rimane solamente inserito all'in­ terno della forma classica, ma acquista anche una sua auto­ nomia, come composizione indipendente. Fu Chopin con i suoi quattro Scherzi per piano/orte app. 2 0, 3 I, 39, 54 ad at­ tribuire al genere per la prima volta una connotazione forte­ mente drammatica. In seguito vennero creati anche degli scherzi orchestrali autonomi (Dukas, L'apprenti sorcier) ; ma nel Novecento il termine perse il riferimento alla forma crea­ ta dal classicismo. SERENATA Il termine " serenata " evoca immediatamente l'i­ dea di una canzone intonata da un innamorato sotto le fine­ stre dell'amata, con l'accompagnamento di una CHITARRA o

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un mandolino : un significato di origine antica e popolare che però ha avuto numerose interpretazioni colte , dalla serenata del Don Giovanni di Mozart a quella dei Meistersinger di Wagner. In realtà questa è solamente l'accezione più diffusa e risaputa di un termine che, nel corso della storia della mu­ sica, ha assunto significati assai diversificati. L'etimologia vie­ ne non da " sera " ( come spesso si è creduto, data la prassi consolidata di esecuzioni dopo il tramonto) , ma da " sereno " e si richiama dunque ad esecuzioni musicali all'aria aperta, spesso con il contorno di fuochi d'artificio. All'inizio del xvn secolo infatti la serenata è innanzitutto una composizione strumentale da eseguirsi all' aperto e pensata come omaggio a un illustre committente, per celebrare particolari ricorrenze. Era affidata spesso a un ensemble di strumenti a fiato - par­ ticolarmente indicati per esecuzioni all'aperto (Mozart, Sere­ nata K 3 6 I ((Gran Partitta", sic) ma anche ad ARCHI o a complessi misti archi-fiati, e consisteva in una articolata serie di movimenti, spesso di danza, talvolta preceduti e seguiti da una marcia suonata dagli strumentisti durante l'ingresso e l'uscita (Mozart, Serenata K 2 5 0) ((Ha//ner))) . In questa acce­ zione , "serenata" era sinonimo anche di d i v e r t i m e n t o o c a s s a z i o n e, o N a c h t m u s i k (musica notturna) , termini piuttosto equivalenti come significato, accomunati principalmente dalla destinazione di intrattenimento ed omaggio. La funzione encomiastica e celebrativa della sere­ nata ebbe anche esiti più solenni ed impegnativi, legati alle ricorrenze (onomastici e compleanni, ma anche matrimoni e nascite) all'interno delle corti e delle famiglie più altolocate: quelli di un componimento sempre destinato ad esecuzioni all'aperto, ma non solo strumentale, basato su un testo poeti­ co e con la presenza di voci (Vivaldi, La senna festeggiante; Mozart, Ascanio in Alba). I libretti di queste " azioni teatrali " erano spesso basati su personaggi mitologici o allegorici, im­ personati da cantanti in costume, impegnati su un palcosce­ nico anche se talvolta muniti dello s p a r t i t o con la pro-

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pria parte; dunque una via di mezzo fra la forma scenica e quella concertante, e anche la musica si collocava a metà strada fra la CANTATA e il teatro musicale. Nel corso dell'Ot­ tocento la serenata era ormai tramontata, insieme alla civiltà che l'aveva ispirata; tuttavia negli ultimi decenni del secolo il termine viene nuovamente impiegato per una composizione strumentale, spesso per soli archi, di contenuto leggero e in­ trattenitivo , ma anche nostalgico verso il Settecento; nascono così le Serenate per ORCHESTRA di Brahms, quelle per archi di Dvorak, C aikovskij , Elgar, quella per strumenti a fiato di Strauss. SERIALISMO Il serialismo costituisce una scuola di pensiero e una tecnica compositiva che ha interessato gran parte della produzione musicale del nostro secolo. Alla base del seriali­ smo si pone il concetto di s e r i e, così come fu ideato da Arnold Schonberg intorno al 1 9 2 r . Il processo di "emanci­ pazione della DISSONANZA " che aveva preso le mosse dal Tri­ sta n un d Isalde di W agner aveva già da tempo scardinato i punti di riferimento della SCALA musicale, per cui i composi­ tori della scuola di Vienna (Schonberg, Berg, Webern) non riconoscevano più una distribuzione di valori gerarchici fra i suoni della scala, in cui il ruolo principale era quello del pri­ mo suono (ad esempio Do nella scala di Do) ; scrivevano in­ vece attribuendo ai suoni una libera anarchia che consentiva nuovi agglomerati sonori. Schonberg sentì tuttavia la necessi­ tà di ritrovare nuovi principi costruttivi nella composizione musicale; creò così un sistema di scrittura per cui ogni brano musicale si basava su una rigida e preordinata successione (serie) dei dodici suoni della s c a l a c r o m a t i c a ( quella che comprende sia i tasti bianchi che i tasti neri sulla tastie­ ra) , nessuno dei quali poteva essere ripetuto prima della esposizione di tutti gli altri; anche se poi questa serie poteva essere riascoltata dall'ultima alla prima nota (retrogradata) , o " a specchio " (invertita ) , o ancora retrogradata e invertita.

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Partendo dall'opera di Anton Webern, la generazione di compositori affacciatasi all'indomani della Seconda guerra mondiale ha esteso il criterio della serializzazione dal campo dell'ALTEZZA dei suoni a quello di tutti i parametri musicali (TIMBRO, durata, INTENSITÀ, dinamica) , arrivando alla stesura di composizioni in cui ogni dettaglio era frutto di un calcolo preciso e di un razionalismo che negavano un approccio emotivo al suono; di qui il concetto di " serialismo integrale " (esempio: Stockhausen, Kontrapunkte n. I per tredici stru­ menti, I 9 5 3 ) . La rigida determinazione di tutti i parametri compositivi doveva poi entrare in crisi alla fine degli anni cinquanta, con il nuovo interesse verso i procedimenti di MUSICA ALEATORIA. SICILIANA Il termine " siciliana " indica una composizione musicale proveniente - come è chiaro dal nome - dalla Sici­ lia. Più prudentemente, si dovrebbe dire che l'attribuzione dell'origine alla Sicilia è puramente ipotetica, dal momento che nessuna fonte è in grado di attestarla con sicurezza. Già nel XIV secolo, e poi nel XVI, il nome di " Ciciliana " o di " aria siciliana" si può riscontrare in presenza di brani musi­ cali che, tuttavia, non presentano peculiarità comuni. È in­ torno al XVIII secolo che si riscontrano i primi esempi di un tipo di danza indicata come " siciliana" e dotata di alcune precise caratteristiche. Innanzitutto il metro di base, che è quello di 6/8 o di I 2/8, il che vuoi dire un metro cullante, di "barcarola " ; poi il ritmo ricorrente, che presenta figura­ zioni "puntate " , ossia con l'effetto della prima nota che "mangia" una parte della durata della seconda, come un rit­ mo " zoppo " ; poi ancora il m o d o, che è quasi sempre mi­ nore, dunque con una intonazione malinconica. Quanto al tempo, anche se si trovano in origine alcuni esempi veloci, il modello che si è imposto con il nome di " siciliana" ha un tempo lento. Il grande flautista e teorico Johann Joachim Quantz la pone nella categoria dell ' " Adagio cantabile " , a c-

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canto all"' Arioso " , al "Larghetto " , al "Poco andante" ecc. Un'altra osservazione di Quantz è illuminante: «Un'Alla Sici­ liana [ . . . ] deve suonarsi molto semplicemente [ . . . ] . Non si ponno adoprare molti abbellimenti [ . . . ] perché è un'imitazio­ ne di un ballo di pastori siciliani» 3. Ecco dunque la verità: la siciliana è una danza stilizzata che cerca di attingere a una sfera idealizzata di vita pastorale, collocata in una terra di­ stante come la Sicilia. Così venne impiegata da Bach, Haen­ del, Haydn , Mozart (esempio: Mozart, Concerto per piano/or­ te e orchestra K 4 8 8 , secondo tempo) ; come anche da quegli autori del Novecento che la usarono come stilema neoclassi­ co (Casella, Sicilienne et burlesque per flauto e piano/orte op. 2 ] , 1 9 14). SINCOPE I l termine " sincope " (syncopè in greco, " rottura " , "spezzatura " ) è, in italiano , innanzitutto un termine medico , che indica una sospensione per lo più transitoria della co­ scienza, provocata da improvvisa carenza a livello cerebrale di ossigeno e di glucosio. Dunque la sincope è una imprevi­ sta interruzione in un flusso vitale continuo e prevedibile . Anche in musica la sincope è qualcosa di simile, una rottura , una increspatura nel flusso musicale; anzi, per essere più esatti, nel ritmo musicale. Infatti, nella musica occidentale, un brano si sviluppa nel tempo seguendo impulsi ritmici che sono regolari e ricorrenti; questo produce degli schemi ritmi­ ci, dei "metri " , facilmente riconoscibili: ad esempio, uno ba­ sato su quattro impulsi (detto metro " quaternario " ) , il primo e il terzo più marcati (tempi forti) , il secondo e il quarto meno marcati (tempi deboli) . Ecco dunque che la sincope è uno spostamento d'accento, che porta a far percepire il tem­ po debole come tempo forte, e a trasformare il tempo forte 1n tempo debole. Questo procedimento ha la sua efficacia 3 · Johann Joachim Quantz,

Trattato sul flauto traverso,

a cura di Ser­

gio Balestracci, Libreria Musicale Italiana, Lucca 1 9 9 2 , p. 1 94.

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grazie alla sua temporaneità, per cui, nel flusso continuo del metro regolare, una frazione presenta improvvisamente e per breve tempo uno spostamento d'accento, creando un effetto di contrasto. Fenomeno simile a quello della sincope è quel­ lo del c o n t r a t t e m p o, che ottiene lo spostamento d' ac­ cento inserendo delle pause sui tempi forti. L'impiego della sincope in musica è stato piegato agli effetti più disparati; spesso il contrasto viene sottolineato per fini drammatici (Beethoven, ouverture Egmont) ; altrove (Haydn, Sinfonia n. 8 o , finale) la sincope ha un effetto illusorio, perché viene presentata in modo da non consentire la percezione del cor­ retto schema ritmico; o ancora, una lunga successione di sin­ copi ( " sincopato " ) dona vitalità al discorso , nel jazz e nelle danze moderne. SINFONIA Presso gli antichi greci il termine " sinfonia" ( sy m ­ phonia) indicava una consonanza fra i suoni, significato que­ sto mantenutosi costante presso i teorici medievali. È nel XVI secolo che il temine acquista un senso differente , riferito a una composizione musicale nella quale " sono consonanti" (ovvero stabiliscono fra loro rapporti gradevoli) più strumen­ ti (o anche voci e strumenti insieme) . Questo significato piuttosto generico diviene specifico quando , alla metà del Seicento, si intende con sinfonia l'introduzione strumentale premessa a un 'oPERA in musica , dunque la "sinfonia avanti l'opera " . N elle prime decadi del Settecento la sinfonia passa dalle sale teatrali alle sedi concertistiche, e dunque diviene una forma autonoma. N asce così la sinfonia moderna; ma il percorso che porta a questa nascita è tutt'altro che lineare, poiché alla definizione della nuova forma concorrono nume­ rose scuole compositive, stilisticamente lontane: quella di Mannheim (con autori quali Stamitz e Cannabich) , quelle milanese e veneziana (Sammartini, Lampugnani, Vivaldi) , quella viennese (W agensail, M onn, Starzer) . Sono le persona­ lità di Haydn e Mozart a definire un modello di riferimento

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in quattro movimenti (Allegro in FORMA SONATA, tempo len­ to, tempo di danza con trio, finale; esempi: Mozart, Sinfonia n. 4 I (1upiter)); Haydn, Sinfonia n. I o4 ) . Beethoven riprende questo modello, ma, con la sua Terza Sinfonia op. 55 ((Eroi­ ca)), gli attribuisce dei compiti assai diversi da quelli di raffi­ nato intrattenimento che ancora competevano ai suoi prede­ cessori, per cui la sinfonia diventa un genere che veicola un contenuto di idee che si rivolge a un uditorio ideale. È com­ prensibile che, dopo Beethoven , per gli autori romantici (Mendelssohn , Schumann , Brahms, autori di cinque, quattro e quattro Sinfonie) il confronto con la sinfonia sia ormai il confronto temibile con la storia. Di qui anche un approccio assai cauto al genere nel corso dell'Ottocento; la sinfonia di­ venta spesso veicolo di un percorso evolutivo interno, e - sul modello della sinfonia austriaca definita dalla " Grande" di Schubert - acquista dimensioni sempre più vaste, fino alle sterminate composizioni di Bruckner e Mahler (nove sinfonie ciascuno) . Nel Novecento si affiancheranno i modelli postro­ mantici e contenutistici (Hindemith, Sinfonia ((Mathis der Mahler}} ; S ostakovic, Sinfonia n. 7 ((di Leningrado }} ) e, in fun­ } zione antiromantica, il ritorno al significato neutro prebeet­ hoveniano, o addirittura preclassico (Stravinskij , Sinfonia in tre movimenti; Webern, Sinfonia op. 2 I ; Berio, Sinfonia per otto voci e orchestra) . SOLFEGGIO Il solfeggio è un esercizio per la lettura della musica. L'espressione deriva da " solfa " ( '' cantar la solfa " si­ gnificava un tempo appunto " solfeggiare " ) , termine che a sua volta deriva da Sol e Fa, note che nell'xi secolo erano la prima e l'ultima della SCALA, e la cui unione dunque riassu­ meva tutta la scala, secondo il sistema teorico di Guido d'A­ rezzo (la cosiddetta " solmisazione " ) che per primo impiegò delle sillabe convenzionali, anziché delle vocali, per la lettura delle note. Il solfeggio dunque insegna ad associare la sillaba che definisce la nota con il simbolo grafico che descrive la

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nota sul p e n t a g r a m m a; insegna insomma a leggere le note, la loro ALTEZZA, e anche la loro ripartizione ritmica nel tempo (il loro "valore " ) , aiutando a suddividerlo con un mo­ vimento convenzionale del braccio. Può essere rivolto sola­ mente alla scansione parlata dei nomi delle note al giusto tempo (e in tal caso si parla di solfeggio "parlato " ) o anche alla intonazione cantata delle altezze musicali dei suoni (e in tal caso si parla di solfeggio " cantato " ) . Diversi tipi di solfeg­ gio sono quelli che insegnano a leggere in una specifica CHIAVE musicale, o anche ad alternare tutte e sette le chiavi ( " setticlavio alternato " ) , o ancora ad alzare o abbassare tutto il canto intonato dell'esercizio ( TRASPORTO ) . Oltre all'eserci­ zio in sé, il termine indica anche il brano espressamente composto per l'esercizio. Se di solfeggio si parla dalla secon­ da metà del secolo XVIII, è circa un secolo dopo che appaio­ no le prime raccolte di solfeggi per la didattica. Scrissero solfeggi anche alcuni grandi compositori, come Schubert, ma perlopiù l'idea del solfeggio è associata a un compito arido e privo di musicalità. Il suo apprendimento è considerato alla base della didattica musicale, e il corso di solfeggio, nei con­ servatori italiani, dura tre anni. SONATA Il termine "sonata " accompagna tutta la storia del­ la musica strumentale, dal Cinquecento ai nostri giorni; è stato riferito, in genere, a composizioni strumentali solisti­ che o per piccoli organici, anche se assai dissimili a seconda delle varie epoche. È nel corso del XVI secolo, con la gran­ de affermazione della musica strumentale, che il termine "soNATA " viene usato con regolarità, in riferimento a una composizione appunto affidata a strumenti, e in opposizione al termine "cANTATA " , riferito a una composizione vocale; esempio celebre è quello della Sonata pian e /orte di Gio­ vanni Gabrieli. In questa fase la sonata non è legata a un organico ridotto , ma ben presto, nel corso del Seicento, di­ venterà chiara la distinzione fra sonata, per designare com-

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posizioni per pochi strumenti, e CONCERTO e SINFONIA, per designare composizioni per gruppi strumentali. Si affermano così i generi della sonata " a due " o " a tre " , dove uno o due violini vengono sostenuti dal BASSO CONTINUO, realizzato dal CLAVICEMBALO (o dall'oRGANO) e da uno strumento grave . A seconda della destinazione ai luoghi di culto o ai palazzi nobiliari, la sonata viene definita " da chiesa" o " da came­ ra " ; con una complessa evoluzione la sonata da chiesa adot­ tò uno schema in quattro movimenti (adagio-allegro fugato­ adagio-allegro; esempio: Corelli, Sonate a tre op. r ) , quella da camera invece ebbe schemi più articolati (allegro-adagio­ allegro, o allegro-adagio-vivace-adagio-allegro ) , con l'inseri­ mento di movimenti di danza (esempio: Corelli, Sonate da camera op. 2 ) . Il grande sviluppo della tecnica tastieristica, nella prima metà del Settecento, portò anche alla nascita di sonate per cembalo solo, fra le quali spiccano quelle di Domenico Scarlatti, in un unico movimento bipartito . Ma è piuttosto dall'evoluzione della SUITE che si impone la sonata del periodo classico, ovvero quel modello formale, destinato a uno o due strumenti, che rimarrà come punto di rife­ rimento fino al Romanticismo inoltrato: primo tempo in FORMA SONATA, secondo in forma di LIED, eventuale terzo tempo come MINUETTO (e in seguito SCHERZO ) , finale come RONDò, o ancora forma sonata (Beethoven , Sonata per pia­ no/orte op. 2 8, ((Pastorale") . Questo schema verrà assunto come base per tutte le sperimentazioni del periodo rom an ti­ co, fra le quali assume particolare importanza la sonata " ci­ clica " , ovvero con il ritorno di una stessa idea temati ca in tutti o quasi i movimenti (esempio: Franck, Sonata per violi­ no e piano/orte) . N el corso del Novecento la sonata tende a discostarsi dai modelli classico-romantici, per riallacciarsi alla prassi barocca (Casella, Sonata per violoncello e piano/orte) , o anche per sperimentare nuove e specifiche organiz­ zazioni formali, spesso senza alcun legame con il passato (come nelle Sonate per piano/orte di Boulez) .

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Sprechgesang è un termine tedesco ( da spre­ chen , "parlare " e Gesang, " canto " ) che , tradotto letteralmen­ te, significa " canto recitato " ; suoi sinonimi sono Sprechmelo­ die ( ''melodia recitata") e Sprechstimme ( ''voce recitata " ) . T ale termine viene introdotto compiutamente nella pratica musicale con il Pierrot !un aire di Arnol d Schonberg ( I 9 I 2 ) . Anche in precedenza erano state impiegate varie formule che coniugavano musica e recitazione; basterebbe pensare alle salmodie religiose intonate su una nota ribattuta, o agli studi di Musorgskij per riprodurre vocalmente l'intonazione del discorso parlato, o ancora ai canti popolari dei pastori alpini, a cui, secondo alcuni, Schonberg potrebbe essersi ispirato. Tuttavia lo Sprechgesang di Schonberg è qualcosa di inedito e di specifico, come lo stesso autore spiegò nella prefazione alla edizione a stampa della PARTITURA del suo Pierrot Lunai­ re. L'esecutore dello Sprechgesang deve essere «scrupolosa­ mente cosciente della differenza che esiste fra tono cantato e tono parlato; il tono cantato conserva immutata la sua altez­ za, mentre il tono parlato, con diminuendi e crescendi, ab­ bandona subito l'altezza iniziale. L'esecutore deve però guar­ darsi bene dal cadere in un tipo di parlare cantato . Non è a questo che noi tendiamo , non si ha certo di mira un modo di parlare realistico-naturale. Al contrario, deve essere ben chiara la differenza fra linguaggio comune ed un linguaggio che operi in una forma musicale; ma esso non deve neppure richiamare alla mente il canto» 4. Questa peculiare intonazio­ ne, indissolubilmente connessa alla poetica espressionista, venne ripresa tale e quale dai grandi allievi di Schonberg, Alban Berg e Anton Webern, e fu poi all'origine di numero­ se filiazioni nella vocalità delle avanguardie del Novecento. SPRECHGESANG

4 · Arnold Schonberg,

Pierrot Lunaire, Vorwort, partitura, Universal scuola musicale di Vien­

Edition, Wien 1 9 14, trad. it. in Luigi Rognoni, La

na,

Einaudi, Torino 1 9 66, p. 65 .

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STRUMENTI TRASPOSITORI Con questo nome si indicano nu­ merosi strumenti a fiato (c l a r i n e t t i, s a s s o f o n i, c o r n i, t r o m b e e affini) che, per la storia della loro co­ struzione e della loro evoluzione tecnologica, non adottano come SCALA di riferimento quella di Do, ma altre scale. Ad esempio, per un clarinetto "tagliato " (ovvero costruito) in Si bemolle, la scala più comoda non è quella di Do, ma appunto quella di Si bemolle; in sostanza quel clarinetto si comporta come un ipotetico PIANOFORTE che fosse accorda­ to, anziché in Do, in Si bemolle, e sul quale suonando tutti i tasti bianchi sortisse non la scala di Do ma la scala di Si bemolle. Il "taglio " in una TONALITÀ diversa consente allo strumento traspositore di intonare in modo agevole tutte le alterazioni, che risulterebbero più difficili con il taglio in Do; inoltre consente al medesimo strumentista di utilizzare differenti strumenti, " tagliati " in diverse tonalità (clarinetto in Si bemolle o clarinetto in La) applicando la medesima diteggiatura a tutti. Questo differente "taglio " degli stru­ menti traspositori si ripercuote però sulla scrittura musicale delle loro parti. Infatti le parti degli strumenti traspositori vengono scritte dai compositori non in " suoni reali " (cioè quelli effettivamente emessi dallo strumento) , ma in una to­ nalità immaginaria che calcola preventivamente la trasposi­ zione che lo strumento dovrà effettuare. Dunque, poiché il clarinetto in Si bemolle traspone un tono sotto rispetto al Do, che è la tonalità di riferimento, occorre scrivere la sua parte sempre un tono sopra; se un pezzo è nella tonalità di Si bemolle, il clarinetto troverà la sua parte scritta in Do, se il pezzo è in Do il clarinetto troverà la parte scritta in Re, e via dicendo. Poiché in ORCHESTRA gli strumenti tra­ spositori sono numerosi, la lettura di una PARTITURA, già di per sé difficile, trova ulteriore difficoltà nel fatto che le par­ ti di questi strumenti sono scritte in numerose tonalità dif­ ferenti, per leggere le quali correttamente è opportuno so­ stituire la CHIAVE che apre il rigo musicale. È però invalso

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l'uso, nella musica del secondo Novecento, di scrivere le parti degli strumenti traspositori in suoni " reali " , lasciando poi allo strumentista il compito del TRASPORTO. Si parla poi impropriamente di trasporto e trasposizione per quegli stru­ menti che leggono i suoni un'o t t a v a sopra (o t t a v i n o) o sotto (c o n t r a b b a s s o) rispetto a quanto scritto sul p e n t a g r a m m a. Il termine suite nella lingua francese ha il significato di " seguito " , "successione " . E infatti in ambito musicale la suite è una successione di brani legati fra di loro da una logica precisa: si può trattare di una successione di danze, tutte nella medesima TONALITÀ, oppure di una successione di brani estratti da un lavoro più vasto e organico, come un'oPERA o un balletto (esempio: C iaikovskij , Suite dal bal­ letto ((Schiaccianoct}) . Il primo dei due casi, quello della sui te barocca, ha comunque una importanza storica assai maggio­ re. È con l'origine della musica strumentale che le composi­ zioni destinate alla danza perdono il loro carattere puramen­ te funzionale all'atto coreutica, per acquistarne uno più astratto e stilizzato, autoreferenziato in senso musicale. La suite nasce con l'avvicendamento di due danze contrastanti, una di tipo lento e contemplativo , l'altra veloce e dinamica; l'esempio tipico è quello dell'avvicendamento di p a v a n a e g a g l i a r d a. Nel corso del xvn secolo , soprattutto ad opera di Johann J akob Froberger - del quale ci sono rimaste trenta suites - acquista poi la configurazione più consueta, quella che giustappone danze fra loro sempre contrastanti come a 1 1 e m a n d a (di origine tedesca e carattere proces­ sionale, moderata e in tempo binario), c o r r e n t e (vivace e ternaria) , s a r a b a n d a (lenta e severa, ternaria) e g i g a (veloce e con suddivisioni ternarie per ogni tempo) . Ma que­ sto schema di base era poi suscettibile di omissioni e sostitu­ zioni e soprattutto di arricchimenti; il gusto francese, ad esempio , impose anche in terra tedesca l'inserimento, fra le SUITE

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ultime due danze, di " doppi" movimenti caratteristici, come bourrée, gavotta, MINUETTO, passepied, badinerie. Spesso inol­ tre vennero premessi complessi PRELUDI (esempio: Bach, Sei Suites per violoncello) BWV r o o 7- r o r 2 ) . Alla base della suite c'è la logica della varietà nella continuità; proprio per que­ sto, con l'affermarsi del gusto galante alla metà del Settecen­ to, il genere subì un rapido declino. Resuscitò poi nel Nove­ cento come epitome del gusto barocco (Britten, Tre Suites per violoncello solo ) . SVILUPPO " Sviluppo " è un termine a cui possono essere at­ tribuiti differenti significati. In linea di principio, poiché la musica è un sistema di segni che si dispiega attraverso la di­ mensione del tempo e un percorso diacronico, tutta la musi­ ca segue uno " sviluppo " nel tempo. Ma, più in dettaglio, lo sviluppo è una maniera e un luogo particolari per "sviluppa­ re " la musica nel tempo. Sviluppo, infatti, è il nome che vie­ ne dato a una particolare sezione di un organismo più vasto, la cosiddetta FORMA SONATA, che, nella musica classica e ro­ mantica, viene impiegata in genere nel primo movimento di una SONATA, un QUARTETTO, una SINFONIA (ma spesso anche nell'ultimo movimento, e talvolta anche nel tempo lento) . Lo sviluppo è il cuore di questa FORMA, il momento cioè in cui i temi principali, che sono stati precedentemente esposti se­ condo regole piuttosto precise (in particolare i temi devono essere ad ALTEZZE differenti, e spesso anche di carattere con­ trastante) vengono ripresi dal compositore per essere alla base di una libera ELABORAZIONE che non segue regole e percorsi precisi. Il compositore può scegliere di assumere alla base dello sviluppo solamente uno dei temi, o anche tut­ ti; può scegliere di sovrapporli e combinarli fra loro oppure di riproporli separatamente; può scegliere di inserire anche del materiale nuovo, così come di ampliare o restringere la sezione. In particolare , è frequente il caso in cui frammenti del tema o dei temi vengano riproposti ripetutamente (e qui

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lo sviluppo diventa anche una tecnica) secondo un percorso armonico e tonale che si allontana molto dalle regioni iniziali del movimento. Ecco dunque il motivo d'essere dello svilup­ po nella forma sonata: quello di una peregrinazione che la­ scia alle spalle le affermazioni dell'esposizione iniziale, per approdare poi a una " riesposizione" che realizza nuove cer­ tezze.

T

TEMPERAMENTO "Temperare " è sinonimo di " correggere " , di " aggiustare " . In campo musicale il sostantivo derivato da questo verbo, il "temperamento " , indica appunto una cor­ rezione, un aggiustamento operato sull'accordatura degli strumenti. Questa accordatura era effettuata, fino al secolo XVI, seguendo un sistema di rapporti matematici fra i suoni (scALA "pitagorica" dal nome del matematico greco) che rendeva però " stonati " alcuni INTERVALLI, in modo particola­ re l'intervallo di terza. Con l'età del Rinascimento si afferma­ no le TONALITÀ moderne, e gli a c c o r d i maggiori e mi­ nori, in cui ha ruolo prioritario proprio l'intervallo di terza. Di qui la necessità di una nuova accordatura (scala " zarlinia­ na" dal nome del teorico Zarlino, o anche "naturale " ) basata su rapporti acustici, naturali fra i suoni e impiegata soprat­ tutto per gli strumenti a tastiera (ORGANO, CLAVI CEMBALO, c l a v i c o r d o, s p i n e t t a ecc. ) . In questa accordatura "naturale " tuttavia, i suoni denominati come " diesis " o "be­ molle " (i cosiddetti tasti neri della moderna tastiera) non erano fra loro equivalenti, ma erano soggetti a differenze di intonazione; il sistema "naturale " rendeva impossibile l'ese­ cuzione consecutiva di brani scritti in tonalità distanti senza ogni volta l'obbligo di accordare nuovamente lo strumento, a seconda della tonalità del caso. Da qui una lunga serie di studi teorici (il principale è Musikalische Temperatur di An­ dreas Werckmeister, del I 69 I ) volti ad inventare correttivi (cioè appunto " temperamenti " ) alla scala "naturale " , in modo da rendere idonea una sola accordatura al più vasto 1 43

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numero possibile di tonalità; studi culminati nell'invenzione del cosiddetto " temperamento equabile" , per il quale vi è asso­ luta eguaglianza fra i dodici s e m i t o n i che compongono l'o t t a v a, e dunque una unica accordatura è sufficiente per brani scritti nelle ventiquattro tonalità maggiori e minori. TIMBRO Il timbro è una delle tre qualità fondamentali di un suono musicale, le altre due essendo l'ALTEZZA (ovvero se il suono è più acuto o più grave) e l'INTENSITA (se è più for­ te o più piano ) . In sostanza se due strumenti, come un v i o l i n o e un f l a u t o, suonano ciascuno un suono che abbia la medesima altezza e la medesima intensità, ciò che distingue i due suoni emessi è appunto il timbro ovvero il colore del suono degli strumenti. Già da questa osservazione risulta intuitivo che il timbro è legato al modo di emissione del suono; gli strumenti ad arco possiedono, come famiglia , un timbro differente dagli strumenti a fiato , poiché i primi emettono un suono sfregando una corda, e i secondi muo­ vendo una massa d' aria in una canna. Ogni strumento, in­ somma, possiede un suo timbro e ha anche la possibilità di variarlo , qualità che appartiene in modo particolare alla voce umana. Scendendo più nei meandri dell'acustica musicale, ciò che distingue il timbro di un suono da quello di un altro suono è il numero degli a r m o n i c i, ovvero di quelle note secondarie che ogni suono fondamentale produce nelle sue vibrazioni; se un suono è privo degli armonici dispari, o de­ gli armonici superiori al sesto, ecco che il suo timbro pre­ senta caratteristiche differenti. Nell' ambito della NOTAZIONE musicale (cioè della scrittura della musica) il timbro è stato storicamente, rispetto ad altezza, durata e intensità, un ele­ mento assai meno precisabile; forse per questo è essenzial­ mente alla fine dell'Ottocento che il timbro accresce il pro­ prio rilievo nell'ambito dei parametri compositivi, acquisen­ do spesso una importanza strutturale, come nella musica de­ gli autori cosiddetti impressionisti o simbolisti (Debussy, Tre

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Notturni per orchestra, r 899). Alla metà del Novecento, poi, ri­ sale il tentativo di rendere perfettamente determinabile la defi­ nizione del timbro, grazie alla sua serializzazione, alla pari degli altri elementi del suono ( altezza, intensità, durata) . TONALITÀ Il concetto di " tonalità " , quale viene comune­ mente inteso oggi, si riferisce a un sistema convenzionale di organizzazione dei suoni proprio della musica occidentale (il sinonimo t o n o è ambiguo, poiché indica anche uno dei due intervalli di base della scala). In realtà molte altre civiltà musicali possiedono un sistema di organizzazione dei suoni che ha come riferimento un suono principale, ma il sistema occidentale è su questo punto particolarmente complesso. Al di fuori dell'ambito musicale il termine ha pochi confronti; si parla di tonalità nell'ambito dei colori, e questo può essere collegato al fatto che in musica ogni tonalità è una regione sonora che possiede in qualche modo una propria colora­ zione . Ciò che caratterizza ogni tonalità, ogni regione sonora, è il fatto di essere basata su una SCALA che stabilisce al proprio interno un rapporto gerarchico fra i suoni, per cui tutti i suoni subiscono una fortissima attrazione verso un suono principale (detto t o n i c a) e secondariamente verso altri suoni strutturali (il quinto grado della scala, detto d o m i n a n t e; il quarto grado, detto s o t t o d o m i n a n t e). L'alternanza fra questi suoni (e fra gli accordi su di essi co­ struiti) crea situazioni di tensione e distensione all'orecchio , che trovano riposo solo sulla tonica. Il concetto di " tonalità" è così complesso perché non si esaurisce nel rapporto gerar­ chico fra i suoni all'interno di una singola tonalità, ma mette in interrelazione tutte le differenti tonalità esistenti. Il siste­ ma musicale occidentale infatti si basa su dodici suoni di­ versi (quelli compresi all'interno dell'INTERVALLO di ottava, e che sulla tastiera del PIANOFORTE sommano i sette tasti bi an­ chi ai cinque tasti neri) ; dunque possono esistere delle tona­ lità le cui scale partono da ciascuno dei dodici suoni diversi;

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LA MUSICA IN CEI"TO PAROLE

poiché a partire da ogni suono sono possibili due differenti scale, maggiore e minore, ecco che il sistema musicale occi­ dentale si basa su 24 differenti tonalità, dodici maggiori e dodici minori. Ciò che rende estremamente ricco e comples­ so il sistema delle tonalità è il fatto che ogni regione sonora non è chiusa in se stessa, ma si " apre " ad essere trasformata in un 'altra regione sonora. Questa trasformazione (detta m o d u l a z i o n e) può avvenire in vari modi; modificando una sola nota della scala , il che ha come effetto che una to­ nalità si muti in un'altra a lei attigua; oppure passando con un " salto " (t r a n s i z i o n e) da una certa regione sonora a un'altra che ha con essa pochi suoni in comune. Ciò che può stupire, è che le tonalità che fra loro sono " attigue " , ovvero che si differenziano fra loro per un solo suono, non sono af­ fatto attigue sulla tastiera (ad esempio "Do " e "Do diesis " o " Do " e " Re " ) ma sono distanti diversi suoni; per l'esattezza quattro suoni in senso ascendente (il cosiddetto "intervallo di quinta " ) . Dunque la regione sonora di "Do" può trasfor­ marsi nella regione sonora di " Sol " sostituendo una sola nota (il Fa con il Fa diesis) ; la regione di " Sol" in quella di "Re" sempre con una nota (il Do con il Do diesis) e così via; fino a che questo "giro delle quinte" non arriva a toccare l'uno dopo l'altro tutti e dodici i suoni compresi all'interno dell'ottava , facendo ritorno al Do di partenza (Do-Sol-Re-La­ Mi-Si-Fa diesis-Do diesis o Re bemolle-La bemolle-Mi be­ molle-Si bemolle-Fa-Do) . Il sistema delle tonalità si è affer­ mato nel corso del XVI secolo ed è stato comunemente accet­ tato fino alla fine del XIX; le sperimentazioni del Novecento hanno portato alla crisi del rapporto gerarchico fra i suoni, all'impiego di una libera anarchia (detta ATONALITÀ) o di al­ tri sistemi di organizzazione fra i suoni; alcuni autori hanno sperimentato la sovrapposizione parallela di più tonalità (p o l i t o n a l i t à) con risultati coloristici di grande effetto. La tonalità è comunque ancora il linguaggio musicale più diffuso e comune nella musica occidentale, e ormai in tutto

ARRIGO QUATTROCCHI

il mondo, anche per la sua diffusione attraverso la musica pop e commerciale. TRASCRIZIONE Il termine "trascrizione " si riferisce all' atto del copiare, del trasferire un testo da una fonte originaria ad una nuova stesura che gli attribuisca una diversa connotazio­ ne; ad esempio la trascrizione di un contratto o di un atto giudiziario è finalizzata alla pubblicità degli stessi. È però proprio all'interno del campo musicale che il concetto di "trascrizione" trova le sue applicazioni più peculiari e diver­ sificate. Di trascrizione si può parlare più o meno dal XVI secolo, con l'origine della musica strumentale , ossia della musica appositamente scritta per le caratteristiche di deter­ minati strumenti. Così la trascrizione è innanzitutto l'adatta­ mento di una composizione, in origine destinata a un certo strumento o organico vocale e/o strumentale, ad un nuovo strumento o organico vocale e/o strumentale. Ad esempio una pagina vocale rinascimentale trascritta per LIUTO (F ran­ cesco da Milano, Canzone degli uccelli, tratta da Josquin Desprès) , una pagina orchestrale ( ouvERTURE di Wagner) trascritta per PIANOFORTE, una pagina per CLAVICEMBALO O ORGANO trascritta per pianoforte (La Toccata e Fuga in re minore per organo BWV 5 6 5 di Bach riscritta da Busoni) o una pagina pianistica trascritta per ORCHESTRA (i Quadri di una esposizione di Musorgskij con l' orchestrazione di Ravel) . L a componente qualificante consiste nel fatto che l' atto della trascrizione è di per sé creativo, richiede cioè non una sem­ plice " riduzione" che si limiti a copiare il testo originale tale e quale, ma una vera e propria riscrittura, che tenga presenti le caratteristiche tecniche della nuova veste vocale/strumen­ tale; un determinato passaggio cembalistico di un brano di Bach non viene semplicemente copiato nella trascrizione per pianoforte di Busoni, ma viene trasformato in un'altra figura­ zione che risulta più " suonabile " per il pianoforte, definendo un nuovo effetto all'ascolto . Altra accezione del termine è

1 47

LA MUSICA IN CEI"TO PAROLE

quella di trasferire in una NOTAZIONE musicale moderna bra­ ni scritti in notazioni antiche, o extraeuropee. TRASPORTO Si parla di trasporto quando una merce o una comitiva vengono prese in consegna e, attraverso un veicolo specializzato, trasportate incolumi a una meta prefissata. In musica avviene qualcosa del genere , poiché si parla di tra­ sporto quando una melodia , o la p a r t e di uno strumento, o un intero pezzo vengono, senza altre modifiche, " alzati" o " abbassati " , ovvero intonati in una TONALITÀ, una regione sonora, differente da quella originaria. Quella del trasporto è una prassi frequente soprattutto per il canto, per adattare un dato pezzo alle possibilità vocali di un interprete; ad esem­ pio molti Lieder di Schubert, scritti spesso per tenore, sono pubblicati in edizioni che li trasportano per altri registri vo­ cali, baritono o basso; la qual cosa implica anche il cambia­ mento del " colore " legato alla tonalità originaria. Ma il tra­ sporto può essere anche estemporaneo, e allora la sua buona riuscita è dovuta soprattutto alle capacità di lettura e alla prontezza di riflessi del pianista accompagnatore , o in genere degli strumentisti. È frequente il caso in cui alcune pagine operistiche vengono trasportate in tonalità più basse per age­ volare l'interprete o gli interpreti di canto (ad esempio la CABALETTA " Di quella p ira " dal Trovatore di Verdi, quasi sempre eseguita in Si maggiore piuttosto che in Do maggio­ re) e in tal caso il trasporto viene effettuato dall'oRCHESTRA senza bisogno che le parti vengano corrette o sostituite. Il trasporto peraltro si rivela una pratica fondamentale soprat­ tutto per la lettura delle parti scritte per i cosiddetti "STRUMENTI TRASPOSITORI " , quegli strumenti a fiato che, per una lunga consuetudine e per le loro necessità tecniche, non adottano come SCALA di riferimento la scala di Do, ma altre scale , e le cui parti vengono quindi scritte in PARTITURA in tonalità diverse da quelle " reali " . Sia il trasporto estempora­ neo sia la lettura delle parti degli strumenti traspositori sono

ARRIGO QUATTROCCHI

agevolati facendo ricorso alla tecnica di sostituire la CHIAVE in cui è scritto il pezzo (in genere chiave di violino o di bas­ so) con un'altra chiave del s e t t i c l a v i o, tecnica che con­ sente di attribuire immediatamente dei nomi diversi alle note di una melodia; ad esempio per leggere correttamente la par­ te di un clarinetto in Si bemolle, notata un tono sotto, con­ verrà sostituire mentalmente la chiave di violino con la chia­ ve di contralto, leggendo così Re anziché Do. La scelta della chiave corretta per la sostituzione è legata all'abitudine.

1 49

v

VARIAZIONE Nel libro Esercizi di stile di Raymond Que­ neau, un medesimo episodio di vita quotidiana, breve e ba­ nale, viene narrato 99 volte consecutive, ogni volta secondo uno stile, una prospettiva , una opinione, una particolarità linguistica o sintattica differente. Si tratta di uno dei pochi paralleli possibili, in campo letterario, con quello che è inve­ ce uno dei procedimenti fondamentali del mezzo musicale: la variazione. Secondo tale procedimento un elemento di base che è quasi sempre una melodia, un tema, un motivo, viene sottoposto a trasformazioni di diversa natura , che possono riguardare l' ornamentazione, il ritmo, l'ARMONIA, il TIMBRO o altri parametri del discorso musicale. Un tipo più semplice e più diffuso di variazione è quello che lascia intatta o quasi la melodia di base, che viene solamente arricchita con orna­ mentazioni e ABBELLIMENTI (come avviene, ad esempio, nella " ripresa " di un 'ARIA vocale, da Scarlatti a Verdi, dove però le variazioni sono quasi sempre curate dall'interprete) . Un secondo tipo, più complesso, è quello che interviene sul tema con artifici che lo rielaborano profondamente , senza tuttavia impedirne la riconoscibilità (esempio: Beethoven , So­ nata per piano/orte op. 57 ((Appassionata)), secondo tempo) . Un terzo tipo di variazione è quello che non rispetta l'origi­ naria lunghezza e articolazione del tema e lo rende anche ir­ riconoscibile, prendendo spunto magari da un particolare (come nella "passacaglia " che è l'ultima delle Variazioni su un tema di Haydn op. 56a di Brahms) . La variazione assume la propria realizzazione forse più celebre nel cosiddetto I50

ARRIGO QUATTROCCHI

"tema con variazioni " , una compos1z1one specifica in cui il tema è seguito appunto da una serie di variazioni; si trattava, soprattutto dalla fine del Settecento, di uno spunto pura­ mente intrattenitivo , volto a far ben figurare il VIRTUOSISMO del solista (esempi: Mozart, Variazioni per piano/orte sul tema ((Unser dummer Pobel meint)) di Gluck K 455; Paganini, Variazioni di bravura sulla quarta corda su temi del ((Mosè)) di Rossinz� per violino e piano/orte) . Ma lo stesso spunto del "tema con variazioni" ha dato origine anche a composizioni di straordinaria complessità concettuale e costruttiva (Bach, Variazioni Goldberg per clavicembalo BWV 9 8 8 ; Beethoven , Variazioni su un tema di Diabelli per piano/orte op. I 2 o ) . D'altronde il principio stesso della variazione può essere alla base della costruzione del discorso musicale anche in forme diversissime. Nell'età del Classicismo, ad esempio , la cosid­ detta FORMA SONATA si basa sulla progressiva trasformazione degli elementi tematici spesso secondo procedimenti di va­ riazione. Ma l'impiego della variazione investe, in sembianze diversissime, tutta la storia musicale , dai greci fino a1 con­ temporanei, inclusi generi come il jazz e il rock. VESPRO Il termine "Vespero " o "Vespro " possiede vari si­ gnificati fra loro correlati, l'ultimo dei quali è musicale. In origine "Vespero " (Esperos in greco) è la stella di Venere che appare la sera quando questo pianeta è a occidente; per traslato il vespro è il momento della giornata in cui appare la stella, ovvero la sera. Ma il Vespro è poi, nella liturgia catto­ lica, una delle "ore " maggiori dell'ufficio divino, uno dei momenti più solenni della preghiera; poiché ogni ora preve­ de delle preghiere specifiche, ecco che i Vespri sono le pre­ ghiere legate appunto all'ora serale. La liturgia dei Vespri principia con i versetti del Deus in adjutorium, prevede poi cinque differenti salmi (tratti dalla Vulgata : Dixit Dominus, Confitebor, Beatus Vir, Laudate Pueri, Laudate Dominum) , un "Capitolo " declamato dal celebrante, un " Inno " (il cui testo

15I

LA MUSICA IN CEI"TO PAROLE

cambia a seconda della ricorrenza ecclesiastica) ed infine il Magnifica! (tratto dal V angelo di Luca ) ; il tutto preceduto e seguito da varie antifone (pagine gregoriane in cui due cori si rispondono fra loro ) , oltre alla lettura di versetti e vari al­ tri passaggi minori. Fino al Concilio Vaticano n, la liturgia prevedeva che le preghiere fossero intonate in musica, alme­ no nelle situazioni più solenni dell'anno liturgico; dunque i Vespri sono anche delle composizioni musicali. Già nel pri­ mo rinascimento l"' Inno " e il Magnifica! venivano intonati in polifonia; intorno al 1 5 7 0 , soprattutto nel Nord-Italia, diven­ ne comune cantare polifonicamente anche i cinque salmi. In seguito, l'introduzione dello stile concertato, che aggiungeva gli strumenti all'intonazione delle varie preghiere, rese sem­ pre più incoerente l'uso del CANTO GREGORIANO, per cui spes­ so al posto delle antifone venivano eseguiti dei MOTTETTI, o anche musiche per complessi strumentali o per ORGANO. Estremamente variegato e complesso era dunque il Vespro veneziano del Seicento (l'esempio più insigne è quello del Vespro della Beata Vergine di Monteverdi, che compose an­ che uno smarrito Vespro di San Giovanni Battista) . Ma nella diffusione europea del Vespro cantato si imposero anche for­ me meno articolate; spesso venivano posti in musica sola­ mente i momenti principali della preghiera (in genere solo i cinque salmi e il Magnifica!) , secondo una forma polifonica e concertante, che attribuiva ai Vespri, come alla Messa, l' am­ piezza di una composizione indipendente (esempi: Mozart, Vesperae de Dominica K 32 r e Vesperae solemnes de Confes­ sore K 33 9 ) . Nell'Ottocento l'uso del vespro musicato decli­ nò. Uno degli ultimi esempi è quello dei Vespri op. 37 di Rachmaninov ( r 9 r 4) dove si sommano melodia ortodossa e CONTRAPPUNTO occidentale. VIRTUOSISMO Il termine "virtuosismo " è chiaramente un de­ rivato di "virtù " , ossia una parola che , riferita a un indivi­ duo, gli attribuisce dei meriti intrinseci. Altro , e parallelo ,

I 52

ARRIGO QUATTROCCHI

derivato è "virtuoso " , ossia proprio l'individuo che possiede la "virtù " . Eppure i derivati "virtuosismo " e "virtuoso " han­ no assunto talvolta, nel corso del tempo, delle implicazioni opposte a questa che sembrerebbe la più logica attribuzione. In origine il virtuoso, in campo musicale, era colui che appa­ riva così specializzato nella tecnica esecutiva, vocale o stru­ mentale, da attingere appunto a un livello eccelso di prepa­ razione, che gli consentiva di dissimulare le fatiche dell'ese­ cuzione e di piegare il fattore tecnico in modo da trasfor­ marlo in fattore espressivo. Anzi, l'esecuzione stessa, proprio per questa dissimulazione della fatica, diveniva una sfida alle umane capacità e dunque la conquista di una bravura esem­ plare. Se il virtuosismo vocale trova la sua massima afferma­ zione nell'epoca del belcanto ( dal barocco al primo Ottocen­ to) , in cui si impone una concezione quasi strumentale della vocalità (esempio: Haendel, Rinaldo, " Or la tromba" ) , il vir­ tuosismo strumentale si impone invece soprattutto nell'età romantica, quando l'eccelsa tecnica di pianisti e violinisti di­ viene il mezzo imprescindibile per conquistare le nuove e va­ ste platee formate dal recente ceto borghese (esempi: Liszt, Studi trascendentali per piano/orte; Paganini, Variazioni di bravura sulla quarta corda su temi del ((Mosè" di Rossinz� per violino e piano/orte) . È allora, tuttavia, che il virtuosismo vie­ ne anche inteso in un'ottica negativa, come preminenza di una sterile esibizione tecnica fine a se stessa rispetto ai valori espressivi ed emotivi che la musica , secondo alcuni, dovreb­ be comunicare. Il pensiero idealistico segna dunque il rifiuto e la condanna del virtuosismo. È solo con il superamento di questa scuola di pensiero, che tanta influenza ha avuto nella vita culturale italiana, che il virtuosismo è stato nuovamente accettato come qualità meritoria e positiva dell'interprete.

I53

Indice dei lemn1i principali e secondari

Acciaccatura � Abbellimenti

Chiave

Acco rdo � Armonia

Chitarrone � Liuto

Agogica

Ciaccona

Allemanda �

Suite

Clarinetto � Legni

Altezza

Clarinetto basso � Legni

Anthem

Clausola � Mottetto

Appoggiatura � Abbellimenti

Clavicembalo

Archi

Clavicordo � Clavicembalo

Aria

Concertante

Armonia

Concertazione � Direttore

Armonici � Timbro

Concertino � Orchestra

Arpa

Concerto

Atonalità

Baryton

Consonanza � Dissonanza

Consort

� Archi

Basso continuo

Contrappunto

Battimenti � Dissonanza

Contrattempo � Sincope

Cabaletta

Controfagotto � Legni

Cadenza

Controsoggetto � Fuga

Campane � Percussioni

Controtenore � Castrato

Campanelli � Percussioni

Corale

Canone

Corista � Diapason

Cantata

Cornetta � Ottoni

Canto gregoriano Canto piano � Canto gregoriano

Cantus /ìrmus Cantus /ractus

� Archi

Contrabbasso � Archi



Corno � Ottoni Corno inglese � Legni Corrente �

Cantus /ìrmus

Suite

Cassazione � Serenata

Da capo

Castrato

Diapason

Celesta � Percussioni

Dilettantismo

Cembalo � Clavicembalo

Direttore

155

LA MUSICA IN CEI'\TO PAROLE

Discanto � Mottetto

Legni

Dissonanza Divertimento � Serenata

Leitmotiv Lied

Dodecafonia

Lira da braccio � Archi

Dominante � Tonalità Edizione critica

� Musica elettn

n i ca

Elaborazione Enarmonia � Intervallo

Madrigale Maggiore � Modalità

Fa gotto � Legni

Marimba ---7 Percussioni

Fantasia

Melodramma � Opera

Farsa � Opera Fioritura � Abbellimenti Flauto � Legni

Melologo Messa Minimalismo

Flicorno � Ottoni

Minore � Modalità

Forma Forma di

Liuto

Live electronics

Minuetto

Lied

Modalità

Forma sonata F ortepiano � Pianoforte Frottola � Madrigale Frusta ---7 Percussioni Fuga

Modo � Modalità Modulazione ---7 Tonalità Monodia � Polifonia Mordente ---7 Abbellimenti Mottetto

Gagliarda �

Suite Suite Glockenspiel ---7 Percussioni

Musica a programma

Giga �

Musica aleatoria

Grancassa � Percussioni

Musica elettronica

Grand opéra

� Opera

Gruppetto � Abbellimenti

Hammerklavier Harmonium ---7

---7

Pianoforte

Organo

Improvvisazione Intavolatura ---7 Liuto, Notazione

Musica concreta

Musical

---7

Operetta

Musicologia N acche re ---7 Percussioni

Nachtmusik

� Serenata

Notazione

Intensità

Oboe � Legni Omofonia ---7 Polifonia

Intermezzo

Omoritmia � Polifonia

Intervallo

Opera

Introduzione

Opéra ballet

Invenzione

Opera buffa � Opera

---7

Opera

ARRIGO QUATTROCCHI

Opéra comique � Opera Opéra lyrique � Opera

Scala

Opera semiseria � Opera

Scherzo

Opera seria � Opera

Semitono � Intervallo

Operetta

Sequenza � Canto gregoriano

Scala cromatica � Intervallo

Oratorio

Serenata

Orchestra

Serialismo

Organo

Serie � Serialismo

Ornamentazione � Abbellimenti

Setticlavio � Chiave

Ottava � Intervallo

Siciliana

Ottavino � Legni, Liuto

Sincope

Ottoni

Sinfonia

Ouverture

Singspiel

Parte � Partitura

Soggetto � Fuga

Parti tura

Opera

Solfeggio Sonata

Passione Passacaglia � Ciaccona Pavana �



Suite

Pentagramma � Notazione Percussioni

Sottodominante � Tonalità Spartito � Partitura Spinetta � Clavicembalo

Sprechgesang Strumenti traspositori

Pianoforte Piatti � Percussioni

Suite

Poema sinfonico

Sviluppo

Polifonia

Tamburi � Percussioni

Poli tonalità � Tonalità Prassi esecutiva Preludio

Tenor



Cantus firmus

Tessitura � Chiave Tetragramma � Altezza

Quartetto

Timbro

Recitativo Ribeca � Archi Ricercare � Contrappunto Ripieno � Orchestra

Timpani � Percussioni Tiorba � Liuto Toccata � Preludio Tonalità Tonica � Tonalità

Rondò Salterio � Clavicembalo Sarabanda �

Temperamento

Suite

Sassofono � Legni

Tono � Intervallo

Tragédie lyrique



Opera

Transizione � Tonalità

I57

LA MUSICA IN CEI':TO PAROLE

Trascrizione

Viella � Archi

Trasporto Trillo � Abbellimenti

Vihuela � Liuto Viola � Archi Viola bastarda � Archi

Trio � Minuetto

Viola d'amore � Archi

Triangolo � Percussioni

Tritano T romba � Ottoni Trombone � Ottoni Tropo � Canto gregoriano Tuba � Ottoni Variazione Vespro Vibrafono � Percussioni

Viola da gamba � Archi Violino � Archi Violoncello � Archi Vialone � Archi Virginale � Clavicembalo Virtuosismo Xilofono � Percussioni

Zarzuela



Opera

LA MUSICA IN CEI':TO PAROLE

Trascrizione

Viella � Archi

Trasporto Trillo � Abbellimenti

Vihuela � Liuto Viola � Archi Viola bastarda � Archi

Trio � Minuetto

Viola d'amore � Archi

Triangolo � Percussioni

Tritano T romba � Ottoni Trombone � Ottoni Tropo � Canto gregoriano Tuba � Ottoni Variazione Vespro Vibrafono � Percussioni

Viola da gamba � Archi Violino � Archi Violoncello � Archi Vialone � Archi Virginale � Clavicembalo Virtuosismo Xilofono � Percussioni

Zarzuela



Opera