L'eredità di Kant e la linea ebraica 9788857522517


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L'eredità di Kant e la linea ebraica
 9788857522517

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ESSERE E LIBERTÀ

N. 20 Collana diretta da Claudio Ciancio COMITATO SCIENTIFICO: Gerardo Cunico (Università di Genova) Adriano Fabris (Università di Pisa) Giovanni Ferretti (Univesità di Macerata) Albert Franz (Technische Universität Dresden) Roberto Mancini (Univesità di Macerata) Giuseppe Nicolaci (Università di Palermo) Maurizio Pagano (Università del Piemonte Orientale) Ugo Perone (Università del Piemonte Orientale) Giuseppe Riconda (Università di Torino) Mario Ruggenini (Università di Venezia) Leonardo Samonà (Università di Palermo) Federico Vercellone (Università di Torino) Silvia Benso (Rochester University, USA) Brian Schroeder (Rochester University, USA)

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SILVIA MARZANO

L’EREDITÀ DI KANT E LA LINEA EBRAICA

MIMESIS Essere e libertà

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MIMESIS EDIZIONI (Milano – Udine) www.mimesisedizioni.it [email protected] Collana: Essere e libertà, n. 20 Isbn: 9788857522517 © 2014 – MIM EDIZIONI SRL Via Monfalcone, 17/19 – 20099 Sesto San Giovanni (MI) Phone: +39 02 24861657 / 24416383 Fax: +39 02 89403935

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INDICE

PREFAZIONE INTRODUZIONE CAPITOLO PRIMO IL CONCETTO DI LIMITE NEL NACHLASS SULLA LOGICA FILOSOFICA DI JASPERS 1. Limite (Grenze) 2. Filosofia 3. Dialettica e esistenza 4. L’altra esistenza come limite del comprendere. L’“Uno” storico 5. Alcuni rilievi. “Linea kantiana” e “linea hegeliana” CAPITOLO SECONDO KARL JASPERS E L’ORIENTE 1. “Non ti farai immagine o figura …” 2. Ampliamento della storicità: il periodo assiale 3. Consonanze con Heidegger 4. Ascesi di sprofondamento buddhista 5. Confucio e Lao-Tse. Tao: fondamento che non è fondamento. Gelassenheit e paradosso 6. Autosuperamento della metafisica in Nagarjuna CAPITOLO TERZO JASPERS SU HEIDEGGER 1. “Pensiero dell’essere, estraneo all’uomo” e concreta decisione dell’esistenza. Fonti effettive di Heidegger 2. Senso e struttura delle Notizen. Seinsgeschichte di Heidegger. L’accusa di plagio 3. Vuotezza del Vorbereiten e Sprachlichkeit als Sprachlichkeit in Heidegger. Simbolicità del pensiero in Jaspers

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4. La questione del nulla. L’abisso kantiano. Ancora sul corso di Heidegger su Schelling 5. Trascendere meditante all’apertura in Heidegger e operazione fondamentale in Jaspers. Fragen heideggeriano e gioco delle cifre. Nietzsche 6. Trasformazione della metafisica in cifre oscillanti. Endlosigkeit e Unendlichkeit CAPITOLO QUARTO JASPERS, LO PSEUDO-DIONIGI E IL SUBLIME DI KANT 1. “Non ti farai immagine o figura…” 2. Cifra jaspersiana e polionimia 3. Il termine medio e l’oltrepassamento riflettente 4. Il Dio lontano e la tenebra come modo dell’unione e dell’oltrepassamento 5. Il trascendere kantiano 6. Il naufragio dell’esistenza e il sublime CAPITOLO QUINTO RICOEUR E JASPERS 1. I temi dell’indagine 2. “Di più”. Limite e oltrepassamento in rapporto al kantismo di Jaspers 3. Sproporzione, situazioni-limite, simbolicità 4. Identità del sé e esistenza di autrui nel primo Ricoeur. Struttura antinomica dell’esistenza in Jaspers 5. Influenza di Jaspers in Le Conflit des interprétations 6. Simbolo, cifra, male radicale 7. Simbolo e pensiero. Il tragico 8. Elementi schellinghiani e “grandezze negative” in Le conflit des interprétations 9. Simbolo e cifra in Metaphysik 10. Dialettica di autrui in Soi-même comme un autre 11. Faille originaria e male radicale nella dialettica di ipseità e alterità 12. Soi comunicativo, situazionismo morale e tragico di Jaspers in Soi-même comme un autre

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CAPITOLO SESTO IL PROBLEMA DI DIO IN LUIGI PAREYSON E IN CARLO ARATA 1. Due tipi di filosofia 2. Possibilità di raffronto Ermeneutica dell’esperienza religiosa e ontologia della libertà in Luigi Pareyson 3. L’interpretazione di Esodo 3,14 4. Dio prima di Dio, abisso e scelta 5. La differenza qualitativa 5.1 L’essere che precede ogni pensiero e l’argomento ontologico 5.2 La dialettica qualitativa come opposizione reale La Metafisica della Prima Persona in Carlo Arata 6. Linee essenziali del raffronto. “Ego sum Qui Sum” 7. Ego sum Qui sum 8. A-dialetticità della Prima Persona in Arata e dialettica pareysoniana 8.1 Auto-affermazione “Io” e argomento ontologico 8.2 Ineffabilità ab alio. Conclusioni

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CAPITOLO SETTIMO STUDI SU PASSO (PAS), LIMITE, ARTE, OLTREPASSAMENTO 1. Introduzione 2. Jaspers e Blanchot 3. Forma, ermeneutica, Abgrund in Pareyson 4. Derrida e Blanchot 5. Derrida e la teologia negativa 6. L’arte, il bello, il sublime

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CAPITOLO OTTAVO VAIHINGER, RICOEUR, LÉVINAS 1. Indirizzi di ricerca 2. La finzione in Vaihinger 3. Vaihinger e il pragmatismo 4. Finzione e semantica in Ricoeur 5. Ricoeur, “la rovina della rappresentazione” e l’alterità 6. Aschematismo, responsabilità, enigma in Lévinas

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CAPITOLO NONO PAREYSON E JASPERS 1. Importanza speculativa della Dissertazione di laurea 2. Inesauribilità e salto in Pensiero espressivo e pensiero rivelativo 3. “Figurazione”, negativo, antinomie in Filosofia della libertà NOTA BIBLIOGRAFICA

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PREFAZIONE

……………….. eppure un soffio, più lieve di un attimo, ha scompigliato la trama come giochi di nuvole nel vento, mai esistiti, come cerchi nell’acqua. Invano io guardo in alto, le stelle. da Anemoni bianchi

Gli studi qui raccolti rilevano un’eredità ebraica di Kant che, abbastanza inattesa se si prescinde dall’autorevole riferimento di Hegel al sublime in Lo spirito del cristianesimo, finisce sia per convergere con una discussione presente nel pensiero della differenza francese, in particolare in Lévinas ma anche in Derrida e in Blanchot per non citare altri, sia per riconoscere all’interno della stessa filosofia critica di Kant un movimento di pensiero, non meno critico, che ha come esito il sublime della Critica del giudizio, concetto quest’ultimo a volte considerato dagli studiosi piuttosto estraneo al contesto. Si tratta di una linea kantiana, si potrebbe quasi dire ebraica, apparentemente marginale rispetto alle tre Critiche nella loro maggiore evidenza, ma che a partire dal saggio sul Concetto delle grandezze negative (1763) nella sua doppia valenza di “astrazione” di una “differenza qualitativa” incommensurabile e incomprensibile (unbegreifliche), senza alcuna privazione, nella quale tutto è dato, e di grandezze negative come “opposizione reale”, passando al focus della dialettica trascendentale – imaginarius ma indispensabile per vedere ciò che sta alle spalle, sconosciuto – e all’ideale della ragione che rende possibile la massima ampiezza, di qui alla dualità e all’opposizione che Kant, ricorda X. Tilliette nella sua monografia su Schelling, vide nel concetto di movente della Critica della ragion pratica perviene al sublime della Critica del giudizio, nel modo “astratto” di un’esibizione (Presentation) dell’infinito che, dice Kant nell’Osservazione sul sublime, “non può essere che negativa” ma ciononostante si presenta

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L’eredità di Kant e la linea ebraica

in un continuo movimento1. È il tema dell’Esodo e del comando “Non ti farai immagine o figura…” citato da Kant nelle stesse pagine assimilando l’atteggiamento del popolo ebreo e il sublime. Quest’aspetto dell’eredità kantiana caratterizzabile come aschematico o della differenza incommensurabile e che talvolta, specie in Derrida nel saggio su Dionigi Areopagita Comment ne pas parler. Dénégations, mostra elementi di affinità con la teologia negativa intesa come teologia critica, non sovraessenziale e unitiva bensì errante, si confronta con un’eredità kantiana della ricerca di una mediazione nel senso dello schematismo e dell’immaginazione della Critica della ragion pura anche della prima edizione (ultimo Ricoeur) e nel senso riflettente e simbolico della Critica del giudizio (Jaspers), la linea insomma di un termine medio, di un “aggiungersi ai significati visibili”, non di un sottrarsi assoluto (s’absoudre, abstraction). In entrambi i casi il movimento illimitato della dialettica si capovolge. Per Jaspers si capovolge con un salto all’esistenza. Per il pensiero della differenza francese, si è già sempre capovolto in tracce. Dopo la discontinuità fra essere e pensiero già delle antinomie della Critica della ragion pura e dopo la rottura della logica dell’identità il movimento della dialettica – anche in un senso a ritroso e in controcorrente – sembra riprendersi nell’antinomicità paradossale del sublime. Movimento a ritroso, zurück, perché, dice Jaspers, Kant non trascende al di là, bensì indietro, verso l’origine non categoriale delle categorie, cioè verso il limite. Per i pensatori francesi della differenza è un movimento in controcorrente rispetto all’identità, à rebours rispetto a un passato e a un passare “mai stato presente”. Un’Alterità mai esistita, in Lévinas e in Derrida, o in Jaspers una Trascendenza che non è solo limite ma è assoluta come Uno – leggibile solo da ciascuna esistenza perché “la molteplicità sono io stesso a produrla” – ripropongono la forma negativa di un’esibizione dell’Infinito che anche nel sublime è “di dorso”: un doppio passo, una doppia rifrazione che ha come focus la cifra dell’esistenza, il volto di altri, le tracce. Quasi si potrebbe dire come nella mistica ebraica un gioco di luce intuitiva sullo specchio dell’acqua. Gli studi si svolgono in un doppio registro: termine medio, “di più”, oppure aschematismo, logica dell’impossibile. Per la mediazione in parti1

Per la rottura dell'identità in Kant secondo X. Tilliette e in genere su unità e dualità mi permetto di rinviare al mio studio Jaspers, Schelling e il sublime di Kant in S. Marzano, Jaspers, Lévinas e il pensiero della differenza, Torino, Zamorani, 1999, in particolare pp. 278-9. Sull'intersecarsi dell'incommensurabilità del sublime con la dualità e le grandezze negative cfr. ivi, pp. 11-16, 45, 52-54.

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Prefazione

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colare Ricoeur che pone i simboli di Il conflitto delle interpretazioni nella dimensione riflettente, fra il conoscere e il pensare, delle cifre di Jaspers, e, negli scritti più recenti, si avvicina anche all’immaginazione trascendentale e “poietica” della prima edizione della Critica kantiana, non solo ridescrive ma configura il mondo. Pareyson per il carattere indiretto, κατὰ παρουσίαν ἐπιστήμης κρείττονα, e l’inesauribilità della verità in Verità e interpretazione e per il carattere ermeneutico-riflettente e simbolico, anche nel senso dello “schematismo dell’analogia”, di Ontologia della libertà, nella quale tuttavia la negatività e l’opposizione reale concernono soprattutto il tema del male. In un certo senso la posizione di Jaspers guarda da due lati: le cifre sono sì un termine medio, un “aggiungersi ai significati visibili” come Lévinas definisce il termine medio con un riferimento abbastanza chiaro a Jaspers, ma in esse la Trascendenza restando in sé nascosta si mostra per un attimo nell’esserci per poi svanire, spezzare e annullare (durchbrechen, aufheben) esserci e significato. Questo svanire secondo Ricoeur non è più di Kant; dietro a Kant nel Dio nascosto di Jaspers si sentono Plotino, Eckhart (Ricoeur e Jaspers). Sul registro dell’aschematismo e della logica dell’impossibile troviamo Derrida, Blanchot, Lévinas. La traccia non è come per Jaspers voce di, manoscritto di un Altro, ma invece l’altro da ogni possibile manoscritto (DERRIDA, Grammatologia). Non un terzo livello di conoscenza, ma una cancellazione. Traccia di una traccia, l’“apparire senza che nulla appaia” di Blanchot e di Derrida rifiuta nettamente la rappresentazione e la manifestazione di Kant (anche se “la dif/ferenza, se fosse possibile definirla”, dice Derrida, “è il limite”; Positions, p. 55). Nulla si mostra né si manifesta. La traccia è “mimesi di nulla”. La domanda rispetto a Ricoeur è se lo svanire criticato in Jaspers come non più kantiano non metta in rilievo un aspetto di Kant molto meno evidente ma non tanto secondario, seguendo la linea “ebraica” sopra citata. Le cifre di Jaspers fra mediazione e indicibilità, verità in naufragio, sembrano esprimere una specie di scardinamento fra l’unità “oggettiva” del bello che, come nella Critica del giudizio, “mi si può presentare ancora in altre immagini” e il suo sprofondarsi nel sublime che si lega in modo esclusivo a ciascuna esistenza. Non posso perdere per il Dio prossimo, dice Jaspers, il Dio lontano. La Trascendenza è limite, ma solo come Uno è assoluta. “Come la lacerazione dell’essere”, si chiede Jaspers nelle Notizen su Heidegger, “si radica nell’Uno?”. Ricordando la dissomiglianza per Plotino – “È Lui che, non simile a nulla, conferisce la somiglianza” – così anche per Jaspers “è troppo semplice dire che la Trascendenza si rivela in diversi aspetti… Nella molteplicità degli aspetti non si coglierebbe l’Uno.

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L’eredità di Kant e la linea ebraica

Le esistenze non sono aspetti ma gli aspetti esistono per loro”. Si rimanda in questo senso al carattere doppiamente soggettivo e doppiamente indiretto del sublime (Jaspers, lo Pseudo-Dionigi e il sublime di Kant). Plotino certo inteso criticamente: “Possiamo pensare kantianamente la totalità come unità sovrasensibile che si scinde e che compie questa scissione nel conoscere e nel fare dell’uomo per trovare proprio qui l’inversione e tornare a se stessa?” no, dice Jaspers, perché “questo sarebbe un discorso metafisico di tipo oggettivo, non critico, plotiniano nella forma, non kantiano”. Kant chiarisce soltanto “come divenga presente l’essere nella scissione e come sia possibile oltrepassarlo, perciò non si va oltre ma si ricade costantemente indietro”. Altrettanto criticamente – o anche più che criticamente perché il ritrarsi, s’absoudre, assolversi, “il soffio di un respiro trattenuto” (Lévinas) è un passare “mai stato presente” e per Derrida “si inizia (= non si inizia) dalla traccia” – è inteso il confronto, in particolare di Derrida, ma in parte anche di Jaspers con la teologia negativa, aporetica e non sovraessenziale. Per Jaspers dunque la Trascendenza non è senza mondo ma nell’attimo in cui di volta in volta si presenta nella lettura dell’esserci la cifra è attraversata dalla negazione trascendente che ritorna indietro dal naufragio, come in Dionigi i simboli (σχήματα) sono attraversati dalla tenebra e dalla nube, non solo luogo ma modo, forma dell’unione e dell’oltrepassamento. In atti continuamente eseguiti si tocca la Trascendenza. Il passare di un infinito mai stato presente, la traccia di una traccia per Lévinas, “l’apparire senza che nulla appaia” per Blanchot e Derrida, in un divorzio fra essere e pensiero più radicale che in Jaspers, sembrano l’esito più estremo della (non) esibizione dell’infinito “senza alcun appiglio sensibile” dell’Osservazione sul sublime della Critica del Giudizio di Kant. La differenza incommensurabile, Alterità come qualità per Lévinas “si consuma” – quasi “il soffio” non opposizionale di Kant nel saggio Sulle grandezze negative – capovolgendosi nell’uno-per-l’altro o, a partire da Altrimenti che essere, nella lacerazione dell’altro-nel-medesimo, “dolenza di grandezze negative”2. Il noumeno per Lévinas non è un oggetto immenso ma è sofferenza. Per Derrida ciò che resta della cancellazione è solo

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Sulla linea post-heideggeriana si può forse avvicinare al “soffio” non opposizionale il “pensiero debole” di Gianni Vattimo, per il quale l’essere “si consuma” in un indebolimento che non cessa mai di finire. Si veda G. VATTIMO, Dialettica, differenza, pensiero debole in Il pensiero debole (con P.A. ROVATTI), Milano, Feltrinelli, 1983, e Verso un’ontologia del declino in Id., Al di là del soggetto, ibid. 1981.

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Prefazione

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il “sì”, il Viens, il Nome che non tiene (Studi su passo, pas, limite, arte, oltrepassamento). In maniere diverse il movimento sempre ripetuto del sublime sembra essere la forma dell’informe (τὸ γὰρ ἴκνος τοῦ ἀμόρϕου μορϕή): un “voler dire” in Jaspers e in Pareyson, un “non voler dire” in Derrida e in Blanchot, la responsabilità di una “beanza che si accresce e non cessa di fendersi” nell’uno-per-l’altro di Lévinas, un movimento che, dice Derrida, deve essere interminabile. Per Jaspers è il movimento delle “contraddizioni permanenti” la cui soluzione annullerebbe per noi la Trascendenza. Nelle contraddizioni permanenti, nella differenza qualitativa della molteplicità delle esistenze si traducono la dualità e l’antinomia tra esserci e esistenza (“quando mi accorgo che l’essere è spezzato in esserci e esistenza all’ontologia si sostituisce la cifra”). La conflittualità (liebende Kampf) della comunicazione e le interruzioni tengono aperta – anche in questo senso sulla linea che dalle grandezze negative sembra condurre al sublime – l’ulteriorità del cercato. Tale movimento non è solo interminabile e sempre ripetuto ma, come si è detto, a ritroso. In Jaspers verso l’origine inoggettivabile delle categorie e l’enigma della possibilità dell’essere oggetto a cui sembra sovrapporsi, in qualche misura, l’“l’evocazione della Trascendenza” (JASPERS, Nachlass …), quasi si potrebbe dire come risonanza gnoseologica e risonanza mistica dell’Uno di Plotino. In qualche misura: perché nell’oggettivo si tratta di pensare nello stesso tempo un Altro, al limite un oltre, ma non come in Heidegger l’unica origine dell’essere bensì, sottolinea Jaspers in Philosophie, come origine della coscienza dell’essere, storica, mobile e mai definitiva. Nel Nachlass … è il tema dell’“Uno” storico (das geschichtliche “Eine”).Oppure si ha un movimento in controcorrente, una torsione prima dell’identità verso una passività prima di attività e passività (Lévinas) o un movimento verso una non-origine, verso un’architraccia che come tale si cancella. Questi autori sembrano dunque ripensare dal sublime – dal ricadere indietro come da un muro, attraverso il naufragio o l’aporia, sull’esistenza in Jaspers o derridianamente in una disseminazione di tracce – il movimento illimitato della dialettica. Endlosigkeit o Unendlichkeit? indefinito come il Fragen, weiter Fragen di Heidegger o infinito come il gioco delle cifre? (Jaspers su Heidegger). È significativo che Lévinas veda presente in forma inconfessata nella dialettica di Kant l’infinito cartesiano. Uno degli esiti più inquietanti del raffronto col sublime è un paradossale nietzschianesimo post-nietzschiano. Per Jaspers si potrebbe dire il paradosso del durch, non nel senso che non è coglibile ciò da cui siano donati

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L’eredità di Kant e la linea ebraica

a noi stessi ma nel senso che la Trascendenza non parla solo a noi (zu uns) ma attraverso di noi (durch uns nell’attimo del durchbrechen) che in questo senso sembra lasciare soltanto le esistenze, come nel carattere doppiamente soggettivo del sublime. Il rischio di Jaspers, dice Ricoeur, è che la Trascendenza “sprofondi” nel caos e nell’oscurità dell’esistenza (Ricoeur e Jaspers). Anche più nettamente quest’esito di una “specie di immanenza” (termini di Lévinas) si avverte sul registro dell’aschematismo – (non) si inizia dalla traccia (Derrida) o L’infinito intrattenimento “senza inizio né fine” di Blanchot –, anche soprattutto in Lévinas a partire da Altrimenti che essere al punto che l’eteronomia – il volto dell’altro che mi interpella e mi mette in questione – si capovolge in autonomia. A proposito della gloria – passare dell’infinito che se passe, avviene concretamente nella sproporzione etica – “l’infinito non sta davanti al suo testimone”, dice Lévinas, “ma sono io che nella mia vulnerabilità lo esprimo”, come nel sublime di Kant la sublimità nell’animo di chi giudica. Lévinas sembra chiedersi con Nietzsche: “…e se fossimo dei sognatori?”. Quest’interrogativo “è l’enigma della Rivelazione” (Vaihinger, Ricoeur, Lévinas). I toni sono più o meno marcati, come il divorzio o meglio la frattura fra essere e pensiero è più radicale nella logica dell’impossibile3 e in essa il riferimento più che all’Uno di Plotino che, pur già trasgressivo, potrebbe richiudersi su di sé, è all’Alterità come qualità, la differanza per Derrida, il bianco – “fuoco nero della scrittura su fuoco bianco” – di Blanchot. Jaspers e Pareyson si tengono sulla linea del “che”, dass che dall’ἐπέκεινα τῆς οὐσίας di Platone passa a Plotino e a Echkart fino a Jaspers e per Pareyson attraverso lo stupore della ragione in Schelling. Per Jaspers, e per Pareyson già nel rapporto fra verità e interpretazione, la Trascendenza è inscindibile dall’atto del trascendere. Così pure nel movimento iperbolico, ὑπέρ, verso la Trascendenza, ὑπεροχή dei neoplatonici citati anche da Derrida. Per Jaspers però non c’è solo il trascendere, il passaggio, il superamento ma ciò a cui, in atti continuamente eseguiti, si giunge almeno per un attimo nel superamento e che non si può cogliere nell’espressione linguistica. Almeno per un attimo (e neppure per un attimo per Lévinas e Derrida), perché Jaspers nel naufragio sembra aver in qualche misura ca3

A una frattura fra essere e pensiero fa riferimento anche Jaspers nella sua interpretazione della svolta fra filosofia negativa e filosofia positiva in Schelling (cfr. Il mio articolo Jaspers, Schelling …, cit.). Sul “profondo sentimento kantiano della sublimità di un essere che precede il pensiero” si veda l’illuminante saggio di L. PAREYSON, Lo stupore della ragione in Schelling, 1979, ora in Ontologia della libertà, Torino, Einaudi, 1995.

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Prefazione

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povolto e reso critica anche l’estasi di Plotino: “nell’estasi”, dice Plotino, “l’uomo può vedere ad un tempo e Lui e se stesso asceso a quell’altezza; ma non c’era neppure ragione né pensiero alcuno; non c’era neppure lui stesso se proprio è inevitabile dire quest’enormità”4. Per Pareyson lo “sfondamento” o la profondità non è l’oscurità dell’esistenza in cui confondendosi con il caos si perderebbe la Trascendenza, bensì, al di là anche dell’opposizione jaspersiana delle categorie trascendenti di essere e nulla, è la libertà abissale. Forse come per Derrida scriviamo une dictée, eco di qualcosa o si potrebbe dire di Qualcuno che ci sta alle spalle. È il nostro essere “luci ermeneutiche del divino silenzio” (Dionigi), in cammino dove ciò che resta, nel continuo rilancio del movimento, è la forma della negazione trascendente.

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Enneadi VI, 9, 11. Plotino stesso in queste pagine sembra accennare a una sublimità: “… Il contemplante vede se stesso ed avrà coscienza di tale sublimità perché s’è reso semplice (ma forse non è bene neppure dire vedrà)”; il termine sublime è una felice interpretazione che V. Cilento dà della ripetizione della parola τοιοῦτος. Su questi temi mi permetto di rinviare al mio libro Il sublime nell’ermeneutica di Luigi Pareyson, Torino, Rosenberg, 1994, p. 111-112,125. Forse sia Jaspers sia Pareyson pensano il dass in qualche modo in termini neoplatonici: “ipsum habet existentia et non ipse habet existentiam” (DN 823, trad. Corderio) cfr. Il sublime …, ibid.

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INTRODUZIONE

Cerchiamo brevemente di dar conto in modo più analitico del contenuto dei singoli capitoli. Punto di partenza è il nesso fra “limite, ignoto, antinomie” (Psicologia delle visioni del mondo) che in qualche modo sembra percorrere tutti i saggi. Limite (Grenze). È il problema dell’oltrepassamento, il passo, lo stare sulla soglia, l’operazione fondamentale del trascendere che Jaspers chiarisce sempre più profondamente come movimento all’indietro, zurück, verso l’enigma dell’origine delle categorie. Limite è la presa di coscienza della fenomenicità e il ritorno indietro come da un muro. Per Ricoeur, come è noto, è il “kantismo post-hegeliano” di Jaspers: l’incondizionato limita la sensibilità, non viceversa. Sia in Jaspers sia in Ricoeur il limite è inteso in qualche modo positivamente: “c’è qualcosa, anche se per noi non è pensabile” compendia Ricoeur. Per Jaspers l’urto nel limite come in un “certamente-non-reale-tuttavia-possibile-esser-fuori (ausser)-del mondo” in cui l’esistenza sta in sospeso apre lo spazio fra il pensare e il conoscere. In tale spazio, dice Ricoeur, si situano sia le cifre di Jaspers sia i simboli di Il conflitto delle interpretazioni. Anche se il filosofo tedesco sembra radicalizzare maggiormente rispetto a Ricoeur la crisi del non-sapere e i limiti non sono solo della sensibilità ma del pensiero. Ignoto. La Trascendenza solo come Uno è assoluta. “È ciò che al di là di comprensibile e di incomprensibile si manifesta” – erscheint dice Jaspers nel Nachlass… in un’accezione quasi “religiosa” di fenomenicità – “sparendo”. Su questo svanire si appuntano le critiche di Ricoeur. In Kant c’è l’apparire, non lo svanire. Ci è sembrato di rispondere seguendo complessivamente la “linea ebraica” di Kant, anche nel suo accostamento presente in Philosophie fra il trascendere filosofico di Plotino e la veemenza religiosa – l’entusiasmo, dice Kant nell’Osservazione sul sublime – del popolo ebreo per il divieto “non ti farai immagine o figura…”. Antinomie. Anche questo concetto è rilevato chiaramente da Ricoeur che nel Conflitto cita le antinomie di Jaspers (legge del giorno/passione per la notte) come “grandezze negative” e sembra riprenderne la tensione sia

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L’eredità di Kant e la linea ebraica

in parte nel suo concetto di simbolo (tensione fra senso primario e senso secondario) sia nell’opposizione e reciproco rinvio delle ermeneutiche di Il conflitto delle interpretazioni. Si avverte poco in questo testo un vero accento sull’esistenza o sulla persona come invece in Jaspers e in Pareyson; sebbene, anche se in un contesto più riflessivo che esistenzialistico, nella “via lunga” in cui mi vengono incontro simboli monumenti storie… e l’io, inizialmente vuoto, si appropria di se stesso Ricoeur sembri ricordare l’esistenza che per Jaspers diviene se stessa solo con e attraverso l’alterità (l’altra esistenza e la sua verità). È invece evidente in Soi-même comme un autre anche sul concetto di autrui l’influenza del se stesso di Jaspers (Ricoeur e Jaspers), che quest’ultimo contrappone decisamente come esistentiva Selbstbesinnung alla Seinsbesinnung e alla Seinsgeschichte di Heidegger (Jaspers su Heidegger). Così pure si contrappone ad Heidegger la mancanza di un vero salto fra esserci ed esistenza e di uno “scarto qualitativo” oltre l’essere (Pareyson e Jaspers). L’altro versante, – “l’altra riva” se si studia il confronto di Jaspers con il buddismo, con il Tao e in particolare con l’autosuperamento della metafisica in Nagarjuna (Jaspers e l’Oriente) – è quello della “differenza incommensurabile” come differanza o totalmente Altro in Derrida, Blanchot, Lévinas. Anche in questi autori sembra presente un nesso fra “limite, ignoto, antinomie.” Ma il limite non è più di ragione come per Jaspers. Per Blanchot è la luce nera, l’ossessione e “si può parlare di limite solo nel trasgredirlo, nella follia”, come dice nella Prefazione al volume di Jaspers Strindberg, Van Gogh, Hölderlin, Swedeborg, e per Derrida il limite non è né razionale né irrazionale ma è già là, dentro il logos fin dall’inizio, in una contaminazione interna. Si parte non dall’essere, come in Heidegger nel saggio Il detto di Anassimandro, ma dalla traccia come traccia di una cancellazione. Il “terribile fuori” per Derrida e per Blanchot è dentro. Per affermarlo occorre negarlo, non nel senso di Hegel, bensì occorre dire “non c’è fuori testo per affermare il testo”. Occorre il passo che è anche pas nel senso avverbiale di una negazione non posizionale. È la logica del senza (sans – trace de pas) e del bordo per i quali si rimanda a Studi su passo, pas, limite, arte, oltrepassamento. C’è soprattutto in Derrida, “una certa aria di famiglia” con la teologia negativa come mistica errante. Il passare non soltanto attraverso l’antinomia (in Jaspers l’antinomia fra esserci e esistenza conduce alla frammentazione dell’esserci e al naufragio) ma attraverso l’impossibile, l’impraticabile, l’aporia – “Che sarebbe un cammino senza aporie?” – e il suo ripetersi interminabile già citato a confronto col movimento del sublime. “Dio è il Nome di quest’affondamento senza fondo”, dice Derrida.

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Introduzione

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Il carattere non posizionale della negazione si estende fino a che la struttura del passo, dell’oltrepassamento, diviene un passo. Come forse già si intravedeva in Dionigi ἐν μιᾷ τῶν μυστικῶν τῆς συμβολικῆς θεοφανείας ὁράσεων, in una delle visioni simboliche […] Dio dice: “perché domandi il mio Nome? Esso è mirabile” sottolineatura mia)1 A partire dall’affermazione “Io sono” dell’Esodo intesa come ironia, dalla “figuratività” del baratro di Kant e della domanda “perché l’essere e non il nulla?” studiamo il pensiero di Pareyson in Ontologia della libertà come complessivamente simbolico, confrontando anche con l’interpretazione pareysoniana di Jaspers a partire dalla Dissertazione di laurea del 1940. Una linea molto diversa di kantismo rispetto a quanto si è visto fin qui è rappresentata dal criticismo radicale di Vaihinger (pragmatismo critico se la definizione non fosse stata scartata per precedenza e equivoci di date). Vaihinger interpreta molto ampiamente Kant a partire dal “come se” delle idee della dialettica trascendentale proposte dalla ragione e quindi necessarie anche se, come forme di pensiero, sono inventate. Sono finzioni, concetti artificiali (Kunstsgriffe), non immagini ma strumenti che hanno uno scopo pratico, sono “segni” conformi a scopo: schemi finzionali. Vaihinger si rifà sia a Kant, molto modificato, sia a Nietzsche del quale condivide la saggezza dell’apparenza (Weisheit des Schein). Ricoeur in un certo senso rappresenta una posizione simmetrica a Vaihinger, non certo come il “platonismo leibniziano” contro cui polemizzava Vaihinger, bensì intendendo le finzioni (termine di Tempo e racconto) come configurazione,ποίησις che mi permette di dire che la realtà “è proprio così come”. Il rapporto fra realtà e apparenza – per Ricoeur come per Vaihinger contro la semplice adaequatio rei et intellectus – per il filosofo francese si risolve come si è accennato attraverso lo schematismo dell’immaginazione produttrice. Per entrambi gli autori – anche in qualche modo in Vaihinger sebbene la cosa in sé sia meramente una finzione – si osserva tuttavia un parallelismo fra fenomeno e cosa in sé. Non così nel “come 1

Sul problema di una ripetizione che, soprattutto in Derrida, finisce per essere strutturale in contrasto con l’eventualizzazione di tutte le strutture voluta da Heidegger e riguardo alla differenza che per Derrida “non è nella storia”, si veda la discussione di Vattimo dal punto di vista dell’essere che si esplica come tempo e come evento e della problematizzazione della differenza. Su questo argomento cfr. il mio volume Jaspers, Lévinas e il pensiero della differenza, cit., pp. 174, 177 e ss. “Perché domandi il mio nome? Esso è mirabile” (c. ns.). Sull’interpretazione di Io-sono dell’Esodo e sul problema di Dio in Luigi Pareyson si veda il capitolo sesto.

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L’eredità di Kant e la linea ebraica

se” assoluto di Lévinas, enigma che oltrepassa tout court la conoscenza e l’ontologia. È lo scompiglio dell’ingresso di un’altra dimensione, non adattantesi alla prima – la responsabilità dell’uno per l’altro – che nel suo esito estremo in Altrimenti che essere, differenza della Trascendenza, è il paradosso di “un suono udibile solo nella sua eco”, “come se non fossi io solo a parlare mentre parlo”. Nell’ambiguità della gloria, in quello che si è accennato come nietzschianesimo post-nietzschiano (Jaspers si distacca da Nietzsche col salto all’esistenza, Lévinas con la responsabilità dell’io all’accusativo) per Lévinas si attenua la differenza fra reale e illusorio. Rovescio senza diritto. Mostruosità dell’infinito – non, in di infinito che si capovolge in prossimità etica – in e dentro mi lacera e “vive all’indietro”, escludersi sublime dell’eminentemente esteriore che positivamente è responsabilità, nell’inversione di ogni obiettività e tematizzazione (Vaihinger, Ricoeur, Lévinas). Anche nel Nachlass zur philosophischen Logik, che vuol rendere possibile una comunicazione in cui tutti gli uomini si possano incontrare, Jaspers pone il problema del rapporto fra oggetto e rappresentazione, inteso come enigma della scissione fra soggetto e oggetto. La cosa in sé non è né cosa né in sé bensì concetto-limite (l’in sé è ciò che le scienze cercano come fondamento, Zugrundegedachte o Zugrundeliegende, e come tale, se determinato rischia di essere ancora assolutizzato come fenomeno, ad esempio la materia). Senza l’imprescindibile necessità di pensare la cosa in sé cadremmo nella pretesa che la nostra conoscenza sia l’unica possibile. La filosofia è invece quell’“altra conoscenza”, che non ha oggetto, sta fra due mondi e guarda dai due lati del limite, sfuggendo così, secondo Jaspers, al rischio di considerare il tutto come finito, anche solo per il fatto di parlarne. Per la filosofia, come impulso della libertà, il limite è Grenze, cioè presa di coscienza d’un sol colpo che “tutto è fenomeno”. Le scienze della natura invece sono di volta in volta limitate; i limiti in esse sono Schranke. Molto rilevante il nesso fra ausser, inteso in senso existentiell – e l’“altro”, come urto in un’altra cultura che mi sta a fronte (Gegner), diversa dalla nostra appartenenza. Si apre in tal modo uno spazio comunicativo “di fuori”, mobile e umgreifend. Di qui il concetto di “Uno” storico (das geschichtliche “Eine”), secondo la “linea kantiana”, infinitamente (unendlich) aperta di una comunicazione mondiale. Si tratta anche qui di entrare a ritroso nell’ampiezza della comunicazione da esistenza a esistenza nel movimento della ragione, lasciando le opposizioni e le antinomie in oscillazione in una dialettica trascendente nel dialogo fra le esistenze (Il concetto di limite nel Nachlass sulla Logica filosofica di Jaspers).

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CAPITOLO I

IL CONCETTO DI LIMITE NEL NACHLASS SULLA LOGICA FILOSOFICA DI JASPERS

Il Nachlass sulla Logica filosofica (1991), che per brevità chiameremo Logica filosofica II (parte I, Sulla verità 1974), insieme ad altri scritti postumi finora pubblicati vive dello scopo della filosofia di Jaspers, in particolare dell’ultimo Jaspers, enunciato già nell’Autobiografia filosofica: rendere possibile una comunicazione in cui tutti gli uomini possano incontrarsi e attraverso ciò il cammino di una futura filosofia mondiale.1 I tre trattati in cui quest’opera si suddivide («Dottrina delle categorie», «Dottrina dei metodi», «Dottrina della scienza») studiano le condizioni, i «mezzi» di pensabilità e comunicabilità della filosofia e della scienza. In questo senso Logica filosofica II sviluppa il trascendere kantiano che è un trascendere per così dire indietro, zurück, al di là di ogni conoscenza di oggetti nel fondamento delle possibilità dell’essere oggetto. Essa riguarda ciò che si comunica in modo identico e come tale rinvia alla coscienza in generale (Bewusstsein überhaupt), imprescindibile per ogni pensare e parlare filosofico. Da questo punto di vista, pur nel suo distinguersi dalla scienza – distinzione che è uno dei fili conduttori del volume – si tratta dell’aspetto per così dire «scientifico» della filosofia, della consapevolezza delle forme e dei metodi che Jaspers ha sempre cercato, cioè, dice H. Saner nella Prefazione, 1

KARL JASPERS, Nachlass zur philosophischen Logik, a cura di H. Saner e M. Hänggi, Monaco, Piper 1991 (sigla NphL). Tra le opere postume ricordiamo in questo senso, a cura e con Prefazione di H. Saner, Notizen zu Martin Heidegger, 1978, ibid.; Die grossen Philosophen. Nachlass I. Darstellungen und Fragmente, 1981, ibid. (gP Nachlass I); Karl Jaspers – Martin Heidegger. Briefwechsel 1920-1963, a cura di W. Biemel e H. Saner, ibid., Monaco 1990. Per le altre sigle ed edizioni PdW = Psychologie der Weltanschauungen, Berlino, Springer, 1960, tr. it. Roma, Astrolabio, 1950; Ph = Philosophie, 3 voll., ibid. 1956, it. Milano, Mursia, 1972 (e segg.); RA = Rechenschaft und Ausblick, Monaco, Piper, 1950 (tr. fr. Parigi – Brugge, 1957); GP = Die grossen Philosophen, Monaco, Piper, 1959, tr. it. Milano, Longanesi, 1964. Citiamo KANT, Critica della ragion pura, seconda edizione (KRV) da Kant’s gesammelte Schriften, vol. III, a cura della Reale Accademia Prussiana delle Scienze, Berlino, Reimer, 1991 e segg.

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L’eredità di Kant e la linea ebraica

di una «Logica del Logico» (NphL XVII). Ma in tutto il suo pensiero e in numerosi passi di Logica filosofica II – tra i quali l’importante nota Dottrina della filosofia – Jaspers ha sempre nello stesso tempo messo in rilievo che i mezzi di comunicazione non hanno senso se non in riferimento anche all’«altra ala», all’aspetto più propriamente beschwingende del pensiero filosofico, cioè all’esistenza del pensante e ai limiti dell’oggettività rispetto a ciò che va oltre essa. Sebbene occorra la comunicazione razionale, nessun pensiero filosofico è solo saputo: La dottrina delle categorie apre lo spazio del possibile, è valida per ciascuno, ma la verità autentica è trasmissione (Übersetzung) reale solo nell’esistenza storica (NphL 35).

Perciò c’è sempre un di più che anima questi trattati, un’aggiunta al sapere. Senza di esso le categorie, cioè le forme di pensiero, si chiuderebbero in sé e non ci sarebbe alcuna trascendenza; i metodi verrebbero meno all’origine storica a partire dalla quale sono di volta in volta eseguiti. Il «di più», per il quale «le categorie non devono essere considerate per ciò che sono nel nostro pensiero conoscitivo («dottrina», «grammatica») ma per ciò che diventano nel trascendere» (NphL 395), è altresì fondamentalmente un nesso con i modi dell’Umgreifende, comprensività abbracciante da cui e verso cui muove tutto ciò che ci appare e alla quale noi stessi partecipiamo; orizzonte sempre ulteriore ma che in se stesso non è più visibile come orizzonte2. La corrispondenza di fondo fra i trattati di Logica filosofica II e i modi dell’Umgreifende (uno dei raccordi con Sulla verità) è più o meno in rilievo ma comunque sempre riscontrabile sia analiticamente – ad esempio rispetto ai tre gruppi delle categorie: oggettività, realtà, libertà – sia complessivamente rispetto alla periecontologia (da periechon, orizzonte) che non è più una dottrina dell’essere: essa risponde alla domanda «che cos’è l’essere» attraverso un movimento che chiarifica la presenza dell’Umgreifende, nel quale ogni essere ci viene incontro (NphL 32).L’Umgreifende come tale è la libertà. I metodi non sono dell’Umgreifende ma nell’Umgreifende e compito della «Dottrina della scienza» è condurre le scienze verso l’origine e l’orizzonte in cui si radicano. Il fondamento delle categorie nell’Umgreifende si mostra nell’ eco che suscitano nell’esistenza (NphL 17). 2

Cfr. in questo senso il rapporto tra «Enciclopedia delle scienze» e sapere intorno ai modi dell’Umgreifende («sapere» in modo peculiare in quanto il sapere sul tutto delle possibilità è filosofia NphL 490).

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Il concetto di limite nel Nachlass sulla Logica filosofica di Jaspers

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Pur rigorosamente distinte, le categorie consentono un molteplice uso non solo in riferimento a una plurivoca Stimmung esistentiva ma ai diversi piani in cui l’essere è lacerato; ciascuno dei tre gruppi si dirige verso tutti gli altri modi dell’Umgreifende pur avendo la sua peculiare importanza in uno di essi (ad esempio l’oggettività si trova in diversi significati ma ha la sua radice nella coscienza in generale NphL 58 ss.). Così gli Umgreifende non sono l’uno accanto all’altro ma uno nell’altro come uno solo e medesimo spazio. Ciò non preclude nel pensiero di Jaspers la tesi di fratture (Zerrissenheit, Durchbruch) e di salti, principalmente il salto o punto di svolta (Umschlag) dall’oggettività o «accessibilità mediante il sapere» all’accertamento (Vergewisserung) che l’oltrepassa e al limite è trasformazione e trascendere oltre (über hinaus). Trascendere all’ Umgreifende è trascendere all’inoggettivabile , cioè «nel medium dell’oggettivo pensare nello stesso tempo un Altro» (NphL 466), operazione fondamentale che per Jaspers è nel contempo crisi al momento dell’estinguersi dell’evidenza, cioè salto dall’esserci all’esistenza. Non è possibile in questa sede dar conto partitamente dell’analisi delle categorie né dei singoli metodi che per Jaspers non si contrappongono ma si richiamano. Se cerchiamo insieme al nesso con l’Umgreifende il punto centrale o anche il «metodo» filosofico, o meglio – poiché per Jaspers non si può parlare propriamente di metodo filosofico se non già in qualche modo oggettivandolo – la forma più tipicamente ricorrente che esso assume e che attraversa tutta Logica filosofica II troviamo il concetto di limite (Grenze) e del condurre ai limiti. Jaspers studia nelle categorie ciò che è univoco e nello stesso tempo, per evitare il rischio di assolutizzazione, i limiti in ciò che le oltrepassa e il loro uso trascendente; altresì i limiti dei metodi, nei quali tutti è però possibile trascendere, così come nei circoli, paradossi, contraddizioni della logica formale . Soprattutto Jaspers chiarisce la tesi di una filosofia che non ha oggetto ma «sta ai confini fra due mondi senza poter varcare i limiti»; qui si pone la domanda Sul linguaggio filosofico (sottotitolo di «Dottrina delle categorie»), quindi anche: «come esprimere l’Assoluto?». Grenze inteso come limite consapevole che per Jaspers, «indica qualcos’altro» e i concetti che in Logica filosofica II vi si collegano – trascendere oltre, über hinaus; immediatezza e mediazione; comprensibile e incomprensibile; problema nel rapporto tra essere, pensiero e linguaggio; scomparire di oggettività, spazio, tempo…; differenza tra indefinitezza, compimento, infinità, quest’ultima vera Grenzkategorie – e in particolare anche un nuovo significato, esistentivo, di urto nei limiti rispetto a un autenticamente altro, «altro qualitativo» (altra cultura, generazione) met-

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L’eredità di Kant e la linea ebraica

tono in rilievo una prima prospettiva di lettura. Essa concerne il mobile intreccio di questi temi in Logica filosofica II e in tal senso la loro complessa novità all’interno del pensiero di Jaspers di cui costituiscono uno degli esiti più maturi: l’altra esistenza come limite del comprendere e la comunicazione come >Uno< storico (das geschichtliche >EineUno< storico Il comprendere (Verstehen) coglie la comunicazione con l’altra esistenza come limite autentico del comprensibile (NphL 328 sgg). In questo senso il concetto di comunicazione in Logica filosofica II è uno degli esiti più originali del Grenze inteso come limite storico e esistentivo. Nell’urto in un «altro» per la mia tradizione inappropriabile viene a consapevolezza uno spazio comunicativo «di fuori», mobile e umgreifende, in cui anche il trascendere come “rottura dell’immanenza” assume un nuovo significato: «appartenenza» e «varco» in rapporto all’altro come autenticamente altro, di volta in volta «altro qualitativo» (jeweils qualitativ andere, altra cultura, altra generazione…). L’infinità intesa fin qui nel senso per così dire verticale di un varco di traverso all’oggettività, si manifesta ora nel movimento «orizzontale» della comunicazione in figure di volta in volta storiche (geschichtliche), cammino infinito che nel tempo è la nostra verità: L’unità: illimitata volontà di comunicazione (grenzlose Kommunikationswille): – l’>Uno< storico (das geschichtliche >Eine< )NphL 471.

In questo senso a limite e a comunicazione si collegano anzitutto i concetti di scissione («per cogliere la vera unità», dice Jaspers, «dobbiamo eseguire le più decisive scissioni, le posizioni dei limiti – nessuno pigro passaggio” NphL ibid.) e di storicità nella svolta dall’esserci (cioè dall’oggettività) all’esistenza. In questa prospettiva Jaspers sviluppa verso una comunicazione e una filosofia mondiali alcune tesi di Metafisica: «la Trascendenza non esiste in generale ma solo per l’esistenza che nella cifra storica trascende verso l’Uno» (Ph III 200; tr. it. cit. p. 325).

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Il concetto di limite nel Nachlass sulla Logica filosofica di Jaspers

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Perché la comunicazione? La divinità rimane nascosta… l’unico punto di appoggio sono le esistenze che si danno la mano nella comunicazione… L’Uno si rivela solo indirettamente nella trama dei molti (Ph III 67, 218; tr. it. cit. pp. 167, 345).

A partire da una situazione e da un linguaggio storici, in cui la Trascendenza parla di volta in volta a ciascuna esistenza, il se stesso in una lotta amorosa si rapporta comunicativamente ad altre esistenze e al suo passato (cfr. il paradosso di unità e dualità in Filosofia: «il se stesso è solo in virtù di un altro se stesso… Anche per Schelling», dice Jaspers riferendosi alla differenza qualitativa dei principi di Ricerche sull’origine della libertà umana, «la divinità esiste col fondamento della sua esistenza» Ph III 46-7; tr. it. cit. pp. 142-3). Passiamo ora a Logica filosofica II che riprende questa discussione alla luce di un nesso fra limite, comunicazione, storia (e storia della filosofia): Se ovunque l’>Uno< può essere toccato come l’Uno semplicemente tale a partire dalla storicità dell’esistenza, così anche nella storia umana (NphL 401).

L’esistenza, dice Jaspers nella nota intitolata Dottrina della filosofia (NphL 395-7), utilizza gli strumenti concettuali della sua cultura (categorie, metodi, “lingua filosofica”) apprendibili come un «saputo nello stesso modo», e che tuttavia rimanda già di per sé essenzialmente a limiti che si possono solo toccare (cfr. § 2). In risposta comunicativa a un altro se stesso che mi sta a fronte (Gegner, ibid.) mi approprio (Aneignung) di ciò che esistentivamente mi appartiene, cioè della tradizione e, come connessione di questo comprendere, dell’ «unità della storia» che per me è cifra della Trascendenza (ibid.). Ma l’esistenza si imbatte in limiti (Grenze) soltanto quando incontra eventi o strumenti concettuali che non sono come fino ad allora semplicemente estranei (altro come das Fremde), come tali in qualche modo padroneggiabili, bensì, come ad esempio è avvenuto nella storia di fronte a civiltà a volta a volta diverse (Oriente, Egitto, Grecia…), incontra un incomprensibile come autenticamente altro, Grenze in senso esistentivo, limiti «mobili» di questo mio mondo (ibid., cfr. p. 401). Avviene a quel punto un trascendere, uscir fuori, oltrepassamento (hinausschreiten) dalla cerchia della mia appartenenza in quanto ai limiti «mi accorgo» di uno spazio esistentivo qualitativamente differente rispetto al quale devo compiere salti (Sprünge). Soltanto a partire dalla mia situazione (concreta storicità di un se stesso presente) mi metto in

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L’eredità di Kant e la linea ebraica

rapporto con la storicità quest’altro, che potrebbe essere, dice Jaspers, «anche una totalità abbracciante un intero millennio», per me non solo contenuto ma appello12. Limite e trascendimento così intesi sembrano tradurre in senso esistentivo lo spazio di – fuori (ausser) – certamente-non-reale-tuttavia-possibile della presa di coscienza della fenomenicità, che pone in sospeso il «mio» mondo e con esso me stesso nel movimento della comunicazione. Ciascuno di noi è in modo incondizionato la sua verità; tuttavia è possibile riconoscersi l’un l’altro nell’attimo dell’incontro comunicativo. La verità di un’altra esistenza è la «verità di altri»: non posso condividerla (in questo senso per me non è reale) ma, in un inevitabile rimando, la mia verità diviene se stessa in questione o in oscillazione (Schwebe) nel dialogo scambievole con l’altra esistenza (cultura, generazioni…) a cui mi so legato in un’unica totalità comprensiva (in einem Umgreifende )13. Questo legame esistentivo con la propria verità non è relativismo né mancanza (Mangel) rispetto a una verità avente la consistenza di un in sé uguale per tutti (NphL 395-6; 401). Il pluralismo – che non è neppure 12

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NphL 401-2. «… ci sono salti al qualitativamente Altro. L’unità della storia che diviene così manifesta è per me l’unità di un’eterna presenza: come in me è collegato insieme ciò che attraverso la tradizione ha risvegliato il mio essere in un’esperienza interiore. Sul fondamento di questa esperienza io so l’unità che si costruisce per me nella figura della storia mondiale (Weltgeschichte) come cifra per me del tutto (Chiffre des Ganzen für mich), che, di nuovo nella sua rappresentazione, è storica» ibid. Per un’approfondita analisi sul problema jaspersiano della storicità del filosofare e del rapporto al passato fino al Nachlass sulla Weltgeschichte der Philosophie (Monaco, 1982) si veda F. MIANO, Appropriazione e dialogo: La storia della filosofia in Jaspers, Napoli-Roma 1999; dello stesso autore sul carattere mobile dell’unità della storia cfr. Etica e storia nel pensiero di Karl Jaspers, Napoli, Loffredo, 1993, in particolare pp. 197-214. R. Wisser ha messo in rilievo il reciproco ascoltarsi e interrogarsi in una comunicazione aperta e «in cammino» come il «progetto» filosofico di Jaspers nel suo dibattito epistolare con Heidegger (R. WISSER, Zum Briefwechsel Martin Heidegger – Karl Jaspers’ Vision einer «kommunikativen Kritik» in Karl Jaspers’ Philosophie.Gegenwärtigkeit und Zukunft a cura di R. Wisser e L.H. Ehrlich, Würzburg, Königshausen & Neumann, 2003, p. 115-128. Atti della quarta conferenza internazionale jaspersiana (Boston, agosto 1998). Sul rapporto Jaspers – Heidegger si veda R. WISSER, Karl Jaspers: Philosophie in der Bewährung, ibid. 1995, p. 51121, 185 e ss. Il contrasto tra Jaspers e Heidegger nel modo di intendere il salto tra esserci ed esistenza (e in questo senso la differenza qualitativa anche nel senso di Schelling) è messo in luce da L. PAREYSON, Karl Jaspers, Casale, Marietti, 19832, Introduzione, p. 23 sgg. e in Esistenziale e esistentivo nel pensiero di M. Heidegger e di K. Jaspers in Studi sull’esistenzialismo, Firenze, Sansoni, 19734.

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Il concetto di limite nel Nachlass sulla Logica filosofica di Jaspers

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esprimibile in proposizioni del tipo «ci sono molte verità» (NphL 368) ma ha senso solo nel concreto movimento comunicativo – è invece, dice Jaspers, ricchezza, molteplicità di origini, differenza e opposizione (cfr. § 5) che come tale tiene aperta l’alterità della trascendenza. In questo senso l’in sé, immediatezza irraggiungibile, anche se indicato in un movimento a ritroso, non è l’origine trascendentale della scissione soggetto-oggetto, cioè «cosa in sé» (concetto-limite che le scienze cercano come un Zugrundeliegende) o «soggetto intelligibile», «io puro» paradossalmente non pensabile come categoria. L’in sé è invece qui evocazione della Trascendenza rivoltasi a noi in una pluralità di cammini e di linguaggi: le cifre storiche. Se la fenomenicità del mondo che «è solo fenomeno» può essere intesa come deficit, invece la molteplicità delle cifre – attraverso il trascendere, cioè la svolta tra esserci e esistenza e in genere la frattura, anche tra essere e pensiero come abisso dell’origine della libertà che «non si può pensare né smettere di pensare» – sembra presentare una “fenomenicità” in senso ampio “religiosa” della verità. Poiché la Trascendenza è limite ma «solo come Uno è assoluta» la verità nel tempo (verità in naufragio perché non posso perdere per il Dio prossimo il Dio lontano, cfr. NphL 476) è per Jaspers l’illimitata volontà di comunicazione, l’>Uno< storico (das geschichtliche >EineUno< storico l’esigenza di raccogliere in una sola intuizione l’infinito passato e futuro del sublime di Kant.14 Nella storia la Trascendenza (l’Uno) non si manifesta come è in se stesso ma nella comunicazione in un mondo aperto e infinito. «L’unità della storia che per me», dice Jaspers, «è cifra», cioè la mia appartenenza, muovendo dalla mia situazione storica, urtando nei limiti apre il movimento sempre mobile e mai definitivo di una storia mondiale della filosofia. Non un sapere (o potere) l’Uno ma «nell’ Uno» (in Eins können, NphL 478)15.

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Alla discussione sulla Weltgeschichte è dedicato il volume Karl Jaspers. Philosophie auf dem Weg zur «Weltphilosophie», cit.: si vedano in particolare R. WISSER, Projekt und Vision einer «Weltgeschichte der Philosophie » und «Weltphilosophie» als Folgen der «Grundverfassung» von Karl Jaspers pp. 61-70; L.H. EHRLICH, Ausblick: Vernunft, Geist, Geschichte pp. 39-44; H. SANER, Weltphilosophie und Globalkultur in interkulturellen Vergleich mit den Konzepten «Weltmusik» und «Weltkunst», pp. 241-255. L’«altro qualitativo» e «l’Uno storico» sono tra i concetti più rilevanti in un confronto con Lévinas. Per Lévinas il rapporto tra sé che si realizzano nella comunicazione, benché intesi come «altro qualitativo», rischia di diventare totalizzazione, e di assorbire in complementarità la stessa Trascendenza. Nonostante i salti e gli «slivellamenti», tuttavia orizzontali, «l’Uno storico» (das geschichtliche Eine) da questo punto di vista (come negli scritti precedenti «das existentielle Viele») tenderebbe a una ricomposizione. D’altro lato in Jaspers non si tratta di «sapere o potere l’Uno», bensì «nell’Uno» (spesso significativamente virgolettato come l’>Uno< storico ad indicare, nel tempo, i limiti e le continue lacerazioni). Si tratta pur sempre però di un atteggiamento partecipativo, nell’Umgreifende, di contro al ritrarsi assoluto dell’Infinito che in una «contrazione creatrice», nella sua Bontà mi ordina all’indesiderabile (autrui, cfr. Lévinas, Dall’Uno all’Altro). Col concetto di limite esistentivo di Logica filosofica II (e in questo senso di «salto» verso un altro spazio esistentivo) si confronta il noumeno di Lévinas che «non è solo limite ma sofferenza»: trauma inassumibile per l’altro che, «esterno ad ogni categoria», mi resiste (opposizione etica) perché è altro (non viceversa). Per Lévinas il prossimo non è semplicemente «un altro sé» (cfr. il paradosso di unità e dualità, Ph III cit.) cioè, anche nel senso dell’ultimo Schelling, una differenza qualitativa di principi, e insieme rimando al proprio passato. L’unoper-l’altro della prossimità etica è invece sproporzione di termini «in dieresi», beanza abissale di un obbligo crescente; il passato di cui sono responsabile perché «mi riguarda» è il passato dell’altro. Nell’intrigo a tre dell’obbedienza, cioè nella vulnerabilità irreversibile, l’Infinito, Alterità come qualità, si testimonia e si glorifica: passato assoluto già sempre dileguato, «profond jadis», che forse non è mai stato presente.

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Il concetto di limite nel Nachlass sulla Logica filosofica di Jaspers

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5. Alcuni rilievi. «Linea kantiana» e «linea hegeliana» Il termine «di fuori», ausser, che abbiamo visto nel trascendere kantiano assume in Logica filosofica II un’ampia gamma di significati. In senso negativo (cfr. äusserlich) è l’esteriorità di un «saputo», distanziazione della spazialità dell’esserci16; Jaspers rifiuta una lettura soltanto «dal di fuori» ad esempio riguardo ai metodi. In senso positivo la ricerca delle origini del filosofare deve essere condotta ai suoi limiti più estremi e la massima mancanza di terreno indica la presenza della Trascendenza. Ma soprattutto è nuovo il collegamento di ausser a Grenze come limite della comunicazione, cioè salto, apertura di uno spazio esistentivo in quanto riferimento «tuttavia possibile» a un autenticamente altro, l’altra esistenza come qualitativamente altro17. Le intuizioni kantiane dello spazio e, anche se diversamente, del tempo (che per Jaspers è il divenire se stesso) come tali non possono essere assolutizzate; anzi nel loro esito antinomico (ad esempio lo spazio: né finito né infinito) sono motivo di trascendimento (NphL 112). Spazio e tempo possono essere oltrepassati verso la realtà autentica in un uso trascendente in cui nel loro sparire (verschwinden) sono al tempo stesso cancellati e confermati: così l’attimo in cui la Trascendenza irrompe e va oltre l’esserci e l’oggettività (durchbrechen, aufgehen Ph Intr. cit., cfr. Üeberwindung, NphL cit.) non è solo divenire ma eternità come profondità del tempo e apertura di una comunicazione in cui le esistenze si realizzano; nello spazio dell’incontro comunicativo mondiale la Trascendenza soggiogante è nello stesso tempo paradossalmente «qui» e «in ogni luogo», centro e periferia (cfr. Autobiografia filosofica). In tal modo spazio e tempo come per Kant nell’Opus postumum (Jaspers cita lo spazio infinito per Cusano e «sensorium Dei» per Newton NphL 112) diventano «simboli per l’assenza di spazio e di tempo» (113) e in questo senso «simboli di Dio»18. 16

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Di fronte a ciò che mi viene incontro come «esteriore in esteriorità», ausser in äusserlichkeiten «io so e non so» (Weltgeschichte der Philosophie a cura di H. Saner, Monaco, Piper, 1982, pp. 17, 32, 184). Sulla linea kantiana e la comunicazione mondiale si veda il mio libro Jaspers, Lévinas … cit., p. 288-292. In questo senso l’eterogeneità di origini tra mondo esteriore e mondo interiore – il primo, inteso solamente come tale, rinviante a un in sé negativo, il secondo coglibile nel contrasto tra i due mondi invece in sé positivo del se stesso e degli altri sé – è intesa nella Schwebe della comunicazione (cfr. NphL 161-2). Incontriamo la presenza dell’infinito solo dove noi stessi stiamo ai limiti: il Grenze diviene allora passaggio (Uebergang) ad un Altro (NphL, 264) e anche imprescindibilmente a un’altra esistenza. Si potrebbe dire che trascendendo attraverso lo spazio e il tempo «giungo all’estremo limite (Grenze), alla prima origine» (NphL 457) nella quale è l’impulso

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L’eredità di Kant e la linea ebraica

Lo «spazio più che spazio», l’attimo della decisione come compimento di volta in volta dell’eterno presente e la verità di ciascuna esistenza rinviano all’infinito (anche passato e futuro) della comunicazione e costituiscono l’>Uno< storico che nell’Umgreifende, «fondamento per noi non chiuso», è cifra della Trascendenza. Per Jaspers dunque non c’è compimento finale (Endvollendung 102), e nel tempo l’attimo della perfetta decisione deve tradursi di nuovo nella tensione del movimento: la comunicazione va oltre (über hinaus), si rapporta di nuovo all’autentico Essere (NphL, 349). Questi temi, come l’Umgreifende del mondo e la discussione sulle categorie infinità/ illimitatezza/ compimento, hanno riscontro nella linea kantiana che Jaspers nel Nachlass I de I grandi filosofi contrappone a una linea hegeliana: la conciliazione in Hegel giunge al compimento nell’assoluto sapere, in Kant c’è invece «la sconosciuta profondità» dell’autentico movimento dell’esistenza nel tempo e la conciliazione è solo storica; il compimento è un attimo evanescente (GP Nachlass I 562-3). Così in Logica filosofica II: Hegel: Infinità è il concetto fondamentale della filosofia […] Kant: Infinità (Unendlichkeit) del mondo – del tutto –: le inevitabili antinomie (NphL 463).

La mobilità di limiti (cfr. il non-sapere rispetto a un altro qualitativo) è non-accordo, eterogeneità di origini e di orizzonti «ampliati senza limiti» nel cammino verso la totalità. Non c’è alcuna «fine della storia» (NphL 465), bensì di volta in volta nella comunicazione la Trascendenza è presenza evanescente che è «qui» in un «punto dello spazio» e «anche là» (cfr. NphL 113), come verità di un’altra esistenza19.

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pre-temporale della necessità della comunicazione (ibid. cfr. le tesi di Ragione ed esistenza «l’Uno perso deve essere ritrovato»). In Logica filosofica II l’unità mediante >la ragione< (Einheit durch >VernunftÜberwindung