Le lettere di Gilio de Amoruso, mercante marchigiano del primo Quattrocento: Edizione, commento linguistico e glossario 9783110933789, 3484522372, 9783484522374


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Italian Pages 221 [224] Year 1991

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Table of contents :
I. Introduzione
Criteri di edizione
II. Le lettere di Gilio di Amoroso
III. Commento linguistico
III.1 Grafia (§§ 1–11)
III.2 Vocalismo (§§ 12–25)
III.3 Consonantismo (§§ 26–47)
III.4 Fenomeni generali (§§ 48–52)
III.5 Morfologia (§§ 53–81)
III.6 Note di sintassi (§§ 82–90)
IV. Glossario
Antroponimi
Toponimi
Bibliografia
Appendice
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Le lettere di Gilio de Amoruso, mercante marchigiano del primo Quattrocento: Edizione, commento linguistico e glossario
 9783110933789, 3484522372, 9783484522374

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BEIHEFTE ZUR ZEITSCHRIFT FÜR ROMANISCHE PHILOLOGIE BEGRÜNDET VON GUSTAV GRÖBER FORTGEFÜHRT VON WALTHER VON WARTBURG UND KURT BALDINGER HERAUSGEGEBEN VON MAX PFISTER

Band 237

Le lettere di Gilio de Amoruso, mercante marchigiano del primo Quattrocento Edizione, commento linguistico e glossario a cura di ANDREA BOCCHI

MAX NIEMEYER VERLAG T Ü B I N G E N 1991

Questa ricerca è stata effettuata nell'ambito di un progetto del Consiglio Nazionale delle Ricerche diretto dal Prof. A. Stussi sui volgari dell'Italia medievale.

Die Deutsche Bibliothek - CIP-Einheitsaufnahme Bocchi, Andrea: Le lettere di Gilio de Amoroso, mercante marchigiano del primo Quattrocento / ed., commento linguistico e glossario a cura di Andrea Bocchi. - Tübingen : Niemeyer, 1991 (Beihefte zur Zeitschrift für Romanische Philologie ; Bd. 237) NE: Gilio : Le lettere di Gilio de Amoroso, mercante marchigiano del primo Quattrocento; Zeitschrift für Romanische Philologie / Beihefte ISBN 3-484-52237-2

ISSN 0084-5396

© Max Niemeyer Verlag GmbH & Co. KG, Tübingen 1991 Das Werk einschließlich aller seiner Teile ist urheberrechtlich geschützt. Jede Verwertung außerhalb der engen Grenzen des Urheberrechtsgesetzes ist ohne Zustimmung des Verlages unzulässig und strafbar. Das gilt insbesondere für Vervielfältigungen, Übersetzungen, Mikroverfilmungen und die Einspeicherung und Verarbeitung in elektronischen Systemen. Printed in Germany. Druck: Weihert-Druck GmbH, Darmstadt Einband: Heinrich Koch, Tübingen

Indice

I. Introduzione Criteri di edizione

1 22

Π. Le lettere di Gilio di Amoroso

25

ΠΙ. Commento linguistico

54

m . 1 Grafia (§§ 1-11) 1. Grafia per le occlusive velari 2. g(i)ci 3 Grafia per le affricate palatali 4. Grafia per le affricate dentali 5. Nasali preconsonantiche 6. Grafia per le nasali e laterali palatalizzate 7. y 8. Sibilanti 9. Doppie e scempie 10. Raddoppiamento fonosintattico 11. Grafie latineggiami

54 55 56 57 57 58 59 59 60 61 62

III. 2 Vocalismo (§§ 12-25) 12. ç ed ç toniche 13. ç ed ç toniche 14. AU tonico 15. Vocali toniche in iato 16. Diverse alterazioni delle toniche 17. Vocali protoniche e intertoniche 18. Vocali protoniche nei prefissi e in sintassi di 19. Vocali postoniche 20. ar 1er in posizione atona 21. Dittonghi (-)au-, -io- atoni 22. Vocali protoniche in iato 23. Casi di armonia vocalica? 24. Distinzione tra o ed u in posizione 25. Vocalismo atono finale: altre vocali

63 67 68 68 69 70 72 72 73 74 74 74 75 77

frase

finale

III. 3 Consonantismo (§§ 26 - 47) 26. Occlusive labiali in posizione iniziale e interna 27. Nesso labiovelare ;

79 79 ν

28. W29. Sonorizzazione delle sorde intervocaliche 30. Sonore intervocaliche 31. I-, DI32. -ΒΙ-,-ΜΒΙ33. -Pf34. -TÎ-,-NTI-,-MPTI35. - C i ~ 36. - R I 37. -NI38. -LÌ39. Sorti di L iniziale, intervocalico, preconsonantico 40. Nessi di consonante + L iniziali e interni 41. Nasali:-GN-e-NG42. Fricative 43. Sibilanti 44. -X45. Consonanti scempie e geminate 46. -ND- > -nn-, -MB- > -mm- (-LD- > -//-) 47. Assimilazione regressiva su r (e n) III. 4 Fenomeni generali (§§ 48 - 52) 48. Aferesi, sincope 49. Epentesi consonantica 50. Apocope 51. Prostesi ed epitesi 52. Metatesi III. 5 Morfologia (§§ 53 - 81) 53. Articolo 54. Preposizioni articolate 55. Pronomi personali: forme toniche 56. Pronomi personali: forme atone 57. Pronomi e aggettivi dimostrativi 58. Pronomi e aggettivi interrogativi 59. Pronomi relativi 60. Pronomi e aggettivi indefiniti 61. Pronomi e aggettivi possessivi 62. Genere dei sostantivi 63. Metaplasmi di declinazione 64. Formazione del plurale dei maschili 65. Plurali neutri in -a 66. Formazione del plurale dei femminili 67. Tracce della declinazione latina? 68. Declinazione degli aggettivi 69. Avverbi e preposizioni 70. Numerali 71. Modificazioni del tema verbale 72. Distinzione di terza e di sesta persona 73. Schema delle desinenze verbali

VI

80 80 83 84 85 85 86 86 86 87 87 87 88 89 90 91 92 92 94 94 95 96 96 97 98 99 100 102 102 105 105 106 107 107 110 Ili 112 112 112 115 116 116 118 119 120 121

74. Indicativo i) Presente ii) Imperfetto iii) Perfetto debole iv) Perfetto forte ν) Futuro 75. Congiuntivo i) Congiuntivo presente ii) Congiuntivo imperfetto 76. Condizionale 77. Imperativo 78. Participio passato 79. Gerundio 80. Tempi composti 81. 'Avere' ed 'essere' III. 6 Note di sintassi (§§ 82 - 90) 82. Legge di Tobler e Mussafia 83. Ordine dei pronomi atoni 84. Ausiliari 85. Perifrasi verbali 86. Accordo del participio passato 87. Coordinazione del participio passato con verbo di modo 88. Congiunzioni 89. Periodo ipotetico 91. Ripresa

123 123 124 124 124 125 126 126 127 128 129 130 131 131 132

finito

134 135 136 136 136 138 139 144 147

IV. Glossario Antroponimi Toponimi

148 185 189

Bibliografia

191

Appendice

212

VII

I. Introduzione

Nel bilancio dell'ultimo decennio di studi comparso nella «Rivista italiana di dialettologia» (η. XI, 1987) spicca la mancanza di un capitolo dedicato alle Marche. Lacuna, quale che ne sia la causa occasionale, significativa dell'attenzione insufficiente che viene dedicata alla dialettologia marchigiana. Dalla esauriente ricognizione bibliografica fornita da Giancarlo Breschi 1 risulta che, mentre si dispone ampiamente di sintesi e sistemazioni più o meno provvisorie 2 , il settore delle edizioni di testi, e particolarmente di testi documentari 3 , segna il passo, vivendo di rendita su pochi studi condotti a termine in anni non recenti e rendendo la situazione marchigiana desolata non solo nei confronti della Toscana, per cui si dispone ormai di una documentazione affidabile per ogni centro linguisticamente significativo, ma anche del Meridione, che sta recuperando il tradizionale ritardo anche nel settore dei testi 'pratici'. L'esempio della vicina Umbria dovrebbe dimostrare quanto soddisfacente possa essere il confronto di testi antichi di passabile genuinità con la situazione attuale: sembra

1 2

3

Cfr Breschi [1980a, 1980b, 1986]. Generalmente oneste, ma disperatamente povere di dati; spicca per il valore non meramente riassuntivo della trattazione il quadro tracciato da Vignuzzi [1988], Dopo i lavori promossi dalla Società Filologica Romana agli inizi del secolo (tra cui sono importanti i lavori di Zdekauer e Sella [1910] e Egidi [1903,1906], cui si deve ancora far ricorso per alcuni documenti) e, poco più tardi, quelli di Crocioni [1911, 1914], la stasi è rimasta, per quanto riguarda i testi antichi delle Marche meridionali, quasi assoluta; a riaprire il discorso, in chiave completamente nuova e filologicamente ineccepibile, sarà Baldelli con i contributi raccolti poi nella silloge del 1971 (ristampata con aggiunte nel 1983). L'attività di Baldelli non ebbe gli effetti che si sarebbero potuti sperare, e si procede oggi con un'attività editoriale di basso profilo, cui fanno eccezione i testi di carattere mercantile e cancelleresco editi da Stussi [1968,1982,1989] e lo spoglio, monumentale e isolato insieme, effettuato da Vignuzzi [1974-75] sullo Statuto ascolano; altre iniziative, pur lodevoli, non vanno oltre la riedizione di materiale già noto o filologicamente non sicurissimo: un capitolo particolarmente carente & la localizzazione dei documenti, stesi o dettati da funzionari provenienti da varie parti delle Marche, cosicché una soddisfacente partizione dialettale dell'antico territorio marchigiano meridionale, non essendo sorretta da un numero significativo di testimonianze, è allo stato attuale delle ricerche impossibile. Non sfuggono a queste riserve i contributi di Almanza [1974,1980], Mastrangelo Latini [1980], Reiss [1982], che si limita ad una riedizione dei testi più arcaici; la raccolta approntata da Angeletti [1970] è stata sostituita solo parzialmente da quella, provvista di un minimo commento linguistico, di Di Nono [1980]. Resta poi da segnalare l'interessante lettera edita da Marinoni [1983],

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invece che sui limiti amministrativi odierni venga meno non la continuità geografica dei fenomeni linguistici, che in Italia mediana conoscono altri, e non del tutto chiariti, confini, ma la lena dei ricercatori, quasi mancassero nelle Marche testi letterari meritevoli di una moderna edizione e fondi archivistici inesplorati4. Una anche rapida incursione nei maggiori e ancor più nei minori archivi delle Marche dimostra che non solo molti dei documenti editi meriterebbero una soddisfacente sistemazione testuale, ma anche che è possibile arrivare a reperti notevoli per antichità e 'sincerità' linguistica5. Non appare dunque del tutto inutile l'edizione di testi che, per quanto scritti ben lontano dalle valli marchigiane, qualcosa possano pur dirci delle caratteristiche degli antichi dialetti di quella regione, e in particolare della sezione di essa che appartiene all'Italia dialettologicamente mediana, cui vanno assegnate le lettere di Gilio de Amoruso. Sulla base del commento linguistico esaustivo (almeno nelle intenzioni) dei tratti significativi6, si propone infatti, a § 3, una localizzazione nell'area marchigiana meridionale. La provenienza dall'Archivio Datini di Prato, che altre testimonianze ha offerto dei volgari mediani, chiarisce subito la natura dei testi, documenti di un'attività mercantile tre- e quattrocentesca che, sotto la spinta dei centri propulsori toscano, veneziano e genovese, si estese anche alle regioni tradizionalmente meno dinamiche; quali effetti provocasse sul piano linguistico e culturale questa espansione commerciale, è questione finora non troppo, e anzi non abbastanza discussa dagli stessi addetti ai lavori, specie se si consideri la piena consapevolezza della propria specificità culturale che caratterizza fin dagli inizi la produ-

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È pur vero che il quadro offerto dagli archivi ascolani è tale «da mettere sgomento negli animi non troppo fermi e risoluti», secondo le parole di una commissione governativa incaricata nel secolo scorso di tracciarne un quadro sommario; a scorrere i lavori di Lodolini [1960, 1964-65] sugli archivi comunali marchigiani (dal primo dei quali si è tratta la citazione), si ha talvolta l'impressione di trovarsi di fronte ad un bollettino di guerra, tante sono le sventure che si sono abbattute sugli archivi della regione in tempo di pace non meno che in seguito ad eventi bellici. L'indice dei testi documentari marchigiani, alla fine di questo volume (Bibliografìa, terza sezione), serve non solo in riferimento agli esempi citati nel commento linguistico, ma anche come prima sistemazione del materiale (edito o inedito) di più facile reperibilità. Si ritiene infatti che il commento linguistico costituisca uno strumento fondamentale nell'analisi di ogni testo anteriore (almeno) al Cinquecento, e assolutamente imprescindibile per testi elaborati fuor di Toscana. Proprio riguardo a testi non toscani, tuttavia, la prassi corrente di analisi e di schedatura, elaborata originariamente sui più antichi documenti del fiorentino e delle varietà settentrionali studiate dai maestri della scuola storica, provoca nel corso dell'esame linguistico alcune incongnienze e fastidiose ripetizioni (in particolare nei settori relativi allo studio delle atone e dei nessi con la semivocale), in conseguenza della diversa evoluzione fonetica dei dialetti meridionali, della mancanza di un coerente modello di rappresentazione della sostanza fonetica desumibile da testi antichi, e del crescente interesse nei confronti dello studio degli usi grafici, che tende ad assorbire l'esame complessivo delle strutture formali del documento. Tuttavia, in mancanza di formalizzazioni adeguate alla complessità linguistica dei primi documenti dei volgari italiani (compito urgente della nostra filologia, se si vuole superare la prospettiva toscanocentrica originaria degli studi storico-linguistici), si è preferito conformarsi a consuetudini che, se non altro, hanno il vantaggio di permettere puntuali riscontri con gli studi incentrati su altre varietà.

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zione letteraria di ambiente mercantile: alle figure del notaio e del chierico, capitali nella storiografìa letteraria italiana delle origini, occorre affiancare quella del mercante, autore o destinatario privilegiato e spesso unico di porzioni non trascurabili, qualitativamente e quantitativamente, della produzione culturale tardomedievale 7 . Va attribuita ad una riduttiva interpretazione delle peculiarità delle scritture mercantili la frettolosa ascrizione di esse a tradizioni culturali subalterne, quasi che, come nel X secolo, anche nel XV non si potesse essere omo sanza lettere e maneggiare con disinvoltura calamo e codici, seppure non di pregio. Un altro aspetto di queste prevenzioni è la presunta discorsività che caratterizzerebbe le scritture di ambiente mercantile, e in particolare le lettere, rispetto ad altri tipi di testi: spesso nei carteggi commerciali sono conservate solo le missive di uno dei due corrispondenti, e non è mancato chi scambiasse strutture testuali frammentarie, quali ci appaiono a causa di questa occasionale lacuna, per una caratteristica della produzione mercantile nel suo complesso. L'esame di situazioni documentarie particolarmente fortunate, come quella dell'Archivio Datini, mostra al contrario che il mercante dedica al dettato del corrispondente una puntuale attenzione, che si esplica ad esempio nel ricorso continuo al non colloquiale, ma attualizzante voi dite, voi scrivete, sono avvisato, eccetera; cosicché si dimostra che la lettera commerciale è uno strumento altamente formalizzato di trasmissione delle informazioni, in grado anche di veicolare forme e costrutti stereotipati (§ 3). Le conseguenze sul piano della critica testuale sono evidenti: chi si occupi dell'edizione o dell'esegesi linguistica di documenti dell'attività mercantile tardo-medievale dovrà, piuttosto che proiettare nel passato indimostrabili parallelismi con registri stilistici informali di questa o quella varietà odierna, ricostruire storie e percorsi di parole e costrutti di diffusione mercantile, ricorrendo alla documentazione adeguata, cioè vicina nel tempo, nello spazio e nella mentalità alle persone che stesero quei testi. In particolare nel caso fortunato (ma non eccezionale) del nostro mercante si dispone delle lettere complete dei suoi corrispondenti, il che ci permette di ricostruire i termini e i modelli del contatto linguistico all'interno di un fondaco del primo Quattrocento (§ 2). Resta quindi preventivo a qualunque illazione sul carattere della testimonianza linguistica l'accertamento delle condizioni socio-culturali dello scrivente: a questo fine sono destinati la sezione relativa allo studio delle operazioni commerciali di Gilio in tetTa catalana (§ 2) e, nel Glossario, lo spazio dedicato allo studio del lessico tecnico mercantile, con la speranza di offrire anche agli storici dell'economia dati di qualche utilità.

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Come suggerisce Stussi [1982:69-72], Un bilancio non del tutto negativo degli studi sui diversi aspetti dell'attività mercantile tardomedievale è tracciato da Bec [1983]; si vedano in particolare i contributi a vario titolo meritevoli dello stesso Bec [1967], di Branca [19S8, 1981], di Tucci [1968], di Cortelazzo [1976], di Miglio [1986]; ma se è ormai evidente che la tradizione di molti e importanti scritti letterari ha a che fare con la bisaccia dei mercanti cosi come la loro elaborazione risente dell'aria delle botteghe sparse in tutta Europa, mancano trattazioni sistematiche di questa produzione sul piano letterario e linguistico. 3

1. Le lettere di Gilio de Amoroso: descrizione Le ventisette lettere qui edite sono tutte conservate nell'Archivio Datini di Prato 8 ; nessuna è stata in precedenza oggetto di pubblicazione 9 ; esse sono utili per documentare le caratteristiche della lingua e l'attività commerciale di un mercante marchigiano del primo Quattrocento. L'interesse linguistico dell'immensa raccolta pratese è notevolissimo 1 0 , ma ben poche delle lettere dell'Archivio finora pubblicate sono state corredate di un commento, e spesso le trascrizioni sono effettuate con criteri poco affidabili, in contrasto con l'esigenza di rispettare le caratteristiche grafiche di questi testi, in massima parte autografi e di attestazione unica 11 . Tra le eccezioni a questa prassi sono da annoverare i lavori condotti con fini linguistici: Stussi [1982:155-181, 1982:135-148, 1968, 1982:149-154], Curtí [1972], Finazzi Agrò [1973], Donati [1979], Nel nostro caso si tratta delle lettere mercantili sicuramente autografe (cfr nota 16) indirizzate dal marchigiano Gilio de Amoroso, abitualmente residente a Venezia, alle aziende catalane del Datini nell'arco di due anni (primavera 1409primavera 1411); una posizione particolare hanno le lettere 1-17, redatte durante

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I destinatari delle missive erano le filiali datiniane di Valenza, Barcellona e Maiorca; sono state quindi conservate assieme al resto della documentazione relativa alle sue aziende, tra le carte del Ceppo dei poveri di Prato, un ente benefico fondato dallo stesso Datini. Sulla formazione del fondo datiniano si vedano i capitoli I e II della monografia di Melis [1962]; di questo studioso, cui si deve un contributo fondamentale per lo studio, l'ordinamento e la valorizzazione dell'Archivio, si può utilmente consultare il ritratto tracciato da Del Treppo [1978], con l'annessa bibliografia. La breve nota che precede ognuno dei trenta pezzi (0 è un paragrafo di una lettera firmata da altri; 4a e 4b, parti solo fisicamente staccate di un medesimo documento, non erano separabili nell'edizione; ISa e ISb, duplice copia dallo stesso formulario, esibiscono le differenze strettamente opportune) riporta i dati utili al reperimento; non è tale il numero a matita che' compare su quasi tutte le lettere, segnatura d'inventario che consente solo un ulteriore controllo. I riferimenti a documenti datiniani saranno dunque costituiti, secondo l'uso di Melis, dal numero della filza, preceduto da D e seguito dall'indicazione della carta (se si tratta di un libro), oppure delle città di provenienza e destinazione, del mittente, del destinatario e della data (se si tratta di lettere). Uno strumento che agevola il reperimento dei pezzi è l'indice per mittente su calcolatore, consultabile presso il Dipartimento di Storia Economica dell'Università di Firenze, che non sostituisce però la competenza e la cortesia di Elena Cecchi, responsabile dell'Archivio. Per cura della stessa studiosa è ora in corso di stampa l'inventario del fondo. Cfr Stussi [1982:69-72], Una nota in proposito anche in Melis [1962:26], Cfr Ageno [1984:267]: «Il metodo per la pubblicazione di lettere (autografe o trasmesse in copia non autografa, ma unica), è quello strettamente diplomatico: occorre rispettare tutte le particolarità grafiche, e, quando si tratti di autori posteriori al Quattrocento, anche l'interpunzione originaria. Questa andrà completata per gli autori più antichi, che spesso la omettono quasi del tutto»; a questo si può solo eccepire che le esigenze di spoglio linguistico e di lettura fanno preferire criteri interpretativi, ferma restando la necessità di salvaguardare ogni peculiarità grafica; ipotesi di lavoro che comporta una selezione di ciò che è significativo, di cui un editore deve in ogni caso farsi carico, e i cui limiti sono precisati per questo lavoro nei Criteri di edizione.

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una trasferta in Spagna intrapresa per seguire lo smercio di una partita di carta marchigiana; spiccano nel p i c c o l o corpus la breve nota stesa da G i l i o in una lettera firmata da un mercante a lui v i c i n o (n. 0 ) e una lettera di c a m b i o in duplice copia (n. 15). Per dimensioni e caratteristiche generali si tratta di lettere che, nell'ambito del carteggio Datini, si p o s s o n o giudicare normali: l'introduzione ad ogni singolo p e z z o informa comunque sulla struttura materiale del documento e sulle date di partenza e di arrivo 1 2 . D i qualche precisazione supplementare necessita la presenza della filigrana: le lettere 2 , 6 , 8 , 1 0 , 1 1 , 1 3 , 1 5 b , 2 2 , 2 3 riportano, più o m e n o integra, una m e d e s i m a marca, descritta nella nota alla lettera 2, mentre la 17, scritta a Montpellier, è l'unica c o n una filigrana diversa. D a l carteggio tra le c a s e datiniane di Valenza e Barcellona sappiamo c h e il f o g l i o della lettera 2 faceva parte della partita di carta fatta trasportare da Gilio a V a l e n z a 1 3 , di cui evidentemente Gilio portava con sé alcuni fogli per le proprie lettere, ma che deve essere finita almeno in parte anche al locale fondaco Datini: infatti la stessa filigrana contrassegna alcuni fogli del carteggio del f o n d a c o Datini di Valenza, anche in un periodo posteriore ai quattro mesi in cui il nostro mercante vi soggiornò 1 4 .

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Per le consuetudini medievali sulla spedizione delle lettere commerciali, si vedano Bensa [1928:200-202], Melis [1972a: 14-27], Riguardo alla rapidità dei contatti, si noterà che delle 15 lettere da Valenza a Barcellona la maggior parte ha impiegato S (lettere 5 , 6 , 1 1 , 1 2 ) o 6 giorni (2,4a e 4b, 7,8, ISa), e solo in due casi si è scesi a quattro giorni (1,13), mentre per la 14 e per la 9 si registrano.durate maggiori: rispettivamente 7 e 8 giorni (nella ISb non è indicata la data di arrivo). Per compiere il percorso inverso, la 16 ha impiegato pure 6 giorni, che & la durata media secondo i dati analizzati da Melis [1973:36]. Per altri collegamenti Gilio è stato notevolmente più sfortunato: per raggiungere Maiorca da Valenza le lettere 3 e 10 impiegano rispettivamente 17 e 20 giorni, contro i 4 che costituiscono il valore più spesso registrato da Melis. Da Montpellier e Firenze le leuere 17 e 18 impiegano 9 e 33 giorni per arrivare a Barcellona: entrambe le durate sono piuttosto elevate, se comparate a quelle più frequenti secondo Melis, 6 e 23. Le lettere da Venezia a Barcellona offrono un quadro analogo: solo una, la 24, raggiunge Barcellona nel tempo di 20 giorni, inferiore al valore più frequente secondo Melis (24 giorni); periodi considerevolmente maggiori sono impiegati dalle lettere 20 (30 giorni), 21 (58 giorni), 25 (48 giorni), 27 (36 giorni), fino a sfiorare, con i 67 giorni impiegati dalla 26, il primato negativo registrato da Melis per questo tratto. Le lettere 19 e 23 (per Valenza, rispettivamente 48 e 58 giorni) e 22 (per Maiorca, 59 giorni) attestano analoghi ritardi. S(er) Gilio vi scrive lui il bisongno sopra le chante: elle sono buone chante / e Ί foglio in che vi scrive lui è di quella ragione (D 925, Valenza - Barcellona, Francesco di Marco e compagni a Francesco di Marco e compagni, 21.VI.1409). Si avverte che nella trascrizione di testi inediti ci si è attenuti ai Criteri dichiarati a p. 36. In particolare, tra le lettere inviate dall'azienda di Valenza all'omologa barcellonese, a partire dal luglio 1409, la filigrana in questione compare, Un altre marche, nei fogli datati 27 luglio 1409, 1 agosto, 3 dicembre, 13 dicembre, 20 dicembre, 8 gennaio 1410, ecc. Dai dati reperibili nei libri di conto non risulta che Gilio abbia fornito direttamente alcun quantitativo di carta alle aziende Datini; quindi si può anche supporre che la carta usata dal fondaco Valenzano facesse parte di una fornitura di Paoluccio del maestro Paolo da Camerino (su cui si veda il § 2). Comunquefecerto che Gilio vendesse carta con quella stessa filigrana: oltre alla documentazione citata qui sopra a nota 13, si consideri la voce charte piane di 8e fiore sul monte (dove il 'fiore' è in realtà la croce con le estremità trilobate) che appare nei conti dei Datini riguardanti la vendita della carta portata in Spagna da Gilio nell'estate del 1409 (D 5

2. Gli affari di un mercante marchigiano del Quattrocento Grazie al materiale conservato nell'Archivio Datini, di Gilio de Amoruso dell'Amandola, estensore di tutte le lettere qui edite, sappiamo qualcosa di più di quanto non dica lui stesso 1 3 . Per noi la sua storia comincia, come è del resto costume, con un sommario portrait de l'auteur: ne è autore Paoluccio del maestro Paolo da Camerino, un mercante più anziano di Gilio e residente come lui a Venezia, che così lo presenta a Cristofano di Bartolo Carocci, direttore del fondaco datiniano di Barcellona, con cui Paoluccio collabora già da diversi anni: isso è de età dell'anni circa a 40 e à uno rtevo nella va[ncia] / mancha app(re)sso all'occhio16. La raccomandazione di Paoluccio serviva ad ottenere dalle aziende catalane del Datini un appoggio concreto e fondamentale: Gilio troverà alloggio per quasi cinque mesi presso il fondaco datiniano di Valenza, e ne avrà la copertura finanziaria necessaria per i suoi affari in Spagna. Nonostante Gilio abitasse da qualche anno in Venezia, parlava ancora, secondo la testimonianza delle sue lettere, un dialetto marchigiano piuttosto marcato; era nato entro il penultimo quarto del Trecento nel Piceno centrale 17 , probabilmente nelle vicinanze di Amandola, importante borgo alla testa della valle

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838, Quaderno di balle, spese di casa, ricevute e mandate di rove per la ragione di Barcellona, c. 254v). Non mi risulta che alcuno studioso abbia mai fatto caso a questo piccolo mercante, su cui ho raccolto la documentazione disponibile nelle fonti datiniane: unica eccezione è naturalmente Melis [1962:Tav. LVIII], che ne pubblica il signum mercatoris. D, 1004, Venezia-Valenza, Paoluccio del maestro Paolo a Francesco di Marco e compagni, 22.1 V. 1409 (l'integrazione è congetturale). Per la sua importanza in relazione alla nostra vicenda, la lettera è trascritta interamente in Appendice. Il fine di questa breve descrizione era quello di procurare a Cristofano un elemento sicuro per l'identificazione di Gilio, che non era mai stato in Spagna. L'espediente non è particolarmente originale - si veda ad esempio Bensa [1928:323] - né troppo efficace: per maggior sicurezza Gilio scriverà di sua mano un capitulo nel verso della lettera (che costituisce il nostro pezzo 0), seguito dalla garanzia di pugno dello stesso Paoluccio (la lettera è stata stesa da un garzone); il che ci assicura, tra l'altro, della autografia di tutto il materiale edito. Il riconoscimento di un mercante per mezzo della grafia era senza dubbio pratica diffusa: un caso prodigioso è narrato dalla novella 134 di Giovanni Sercambi. È bene precisare che invece non tutte le lettere firmate cól nome di Paoluccio sono autografe, avendo egli trascorso parte dell'anno 1409 nelle Marche; ma il fattore di Paoluccio a Venezia si è sempre attenuto alla prassi consueta di firmare, piuttosto che col nome del maggiore, con la ragione sociale. Come s(er) Gilio della Marcha è nominato nei conti di Valenza e Barcellona (D 808, Libro grande nero segnato Β di Francesco di Marco e compagni in Barcellona, c. 253v, n.937, 69v), dove le numerose attestazioni di s(er) Gilio delia Mandola (D 808,81v, 82r, 173v, 193v, n.937, 77v, 78r) confermano l'accenno di 5.6 e quindi la provenienza, se non la nascita, da Amandola. Non è particolarmente rilevante il fatto che il suo nome venga costantemente preceduto dall'appellativo s(er) nei registri di Valenza, dove più a lungo si trattenne, in qualche annotazione barcellonese (ad esempio D 808, 80r) e nella lettera di Paoluccio trascritta in Appendice (r.14), visto che lo stesso Gilio chiama ser il suo corrispondente Cristofano Carocci, fattore del Datini (19.19, 22.18), e il padrone di una nave (21.2, 22.1, 22.4; cfr anche Glossario, s.v. ser).

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del Tenna costituitosi a comune fin dal 1248 1 8 e, all'inizio del Quattrocento, vivace centro di scambi 1 9 . Alla data in cui scrive, Gilio aveva acquisito il primo grado della cittadinanza di Venezia 2 0 , dove quindi si era trasferito già da qualche tempo: probabilmente lo aveva incoraggiato l'esempio del suo conterraneo Paoluccio 2 1 , che, residente abitualmente a Venezia fin dagli ultimi anni del Trecento, disponeva di notevoli contatti con le società toscane e catalane legate al Datini, dimostrando particolare interesse, cosa allora non frequente tra i mercanti veneziani, ai mercati iberici 22 . L'iniziativa era chiaramente funzionale allo smercio del prodotto più trattato da Paoluccio e da Gilio, e cioè la carta marchigiana, che veniva portata a Venezia attraverso i porti adriatici, e di qui proseguiva verso Occidente.

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Amandola persegui sempre una ostinata politica di fedeltà al Papa, salvo una rivolta contro il tentativo albomoziano nel 1355-56; conobbe un notevole sviluppo nel corso del Trecento, quando la popolazione passò dai 900 fuochi del 1313 (dato confermato dalla Descriptio Marchiae Anconiianae, che risale alla metà del sec. XIV ma rispecchia una situazione anteriore) ai 1800 dell'inizio del secolo successivo, immediate soggetta alla Santa Sede tra Trecento e Quattrocento, fu quindi protetta dalle ostilità dei vicini ma in balia dei vicari pontifici (tra cui i Varano e poi Pandolfo Malatesta) e sempre fedele al partito di Urbano VI e poi di Gregorio XII, anche quando Francesco Novello da Carrara occupò Ascoli per conto di Ladislao d'Angiò-Durazzo (1409); sotto il potere di quest'ultimo venne solo nel 1413, per poi tornare definitivamente, alla morte del re napoletano, al dominio papale. La situazione politico - amministrativa della marca pontificia e di Amandola in particolare nel tardo medioevo e nell'età moderna è sintetizzata da Zenobi [1976:21, 62-65,118-126]. Per la storia di Amandola si dispone dell'eccellente lavoro di un erudito locale, Pietro Ferranti, di cui è recentemente comparsa una ristampa (Ferranti [1985]) che comprende anche la seconda sezione, rimasta esclusa dalla edizione del 1891; un volume a parte contiene il codice diplomatico del ricco Archivio Comunale di Amandola, con la trascrizione integrale di molti documenti (il più antico in volgare risale, se ho ben visto, al 1385). Altra documentazione fornisce Tenibili [1949]; per un resoconto della situazione complessiva dell'Italia centrale si rimanda a Maire Vigueur [1987] e ai primi saggi della raccolta curata da Anselmi [1985]; esamina un caso particolare Luzzatto [1966], Sulla situazione editoriale del più importante documento sulle Marche trecentesche, la citata Descriptio Marchiae Anconitanae, si veda Battelli [1979]. Cfr 6.7-8 e la voce imprestilo nel Glossario. I rapporti tra Gilio e Paoluccio non sono illustrati dalla contabilità datiniana, e ci restano quindi poco chiari; per questioni commerciali e anche, come si vedrà più sotto, per una concreta assistenza finanziaria, Gilio fa continuo riferimento al collega veneziano, che da parte sua gli invia frequentemente precise direttive attraverso le lettere indirizzate a lui o ai fondaci Datini, e sollecita risposte (cfr D 1004, Venezia-Valenza, Paoluccio del maestro Paolo a Francesco di Marco e compagni, 6.VII.1409, 20.VIII.1409, 3.VIII.1409, 22.IX.1409; D 930, Venezia-Barcellona, Paoluccio del maestro Paolo a Francesco di Marco e compagni, 18.V.1409, 8.VI. 1409; si veda in particolare la ciL lettera del 20 luglio: Una serà con q(ue)sta a Gilio dell'Amandola: daritegli e dilgli che tanta carta / avemo messa di là che non abia caristia d'un folglo...); Paoluccio presenta Gilio come caro mio amicho e lo raccomanda q(uan)to la mia p(erson)a p(ro)pia. Sembra verisimile che tra Gilio e Paoluccio vi sia un rapporto di 'colleganza', in cui Paoluccio è il socius stans; è ragionevole che i fattori toscani del Datini non si siano preoccupati di dichiarare o tout court di capire le forme di questo particolare contratto, estraneo alla organizzazione commerciale a loro consueta. Cfr Lane [1982:105], 7

Il momento e i modi del passaggio di Gilio a Venezia non sono documentati; certo è solo che, benché egli dichiari di avere a Venezia case e imprestiti, i suoi fìgli abitano, nel 1409, ad Amandola, di dove si sposteranno a Venezia solo a causa della pressione di Ladislao d'Angiò-Durazzo sui territori nominalmente pontifici (cfr 5.7). La sua pratica di cose mercantili è denunciata dall'uso preciso e disinvolto del lessico tecnico e anche dalla scrittura di sua mano, elegante e posata: si tratta di una mercantesca23 usuale piuttosto accurata, relativamente poco scorrevole e povera di abbreviazioni. Sono limitati gli svolazzi verso sinistra per gli ultimi tratti di g, h, n, e i ritorni verso destra non lasciano quasi mai traccia sul foglio; non trovo legature nel nesso eh, che non perde mai l'asta centrale; tra le singole lettere sono notevoli la r maiuscola di tipo cancelleresco, la r minuscola a tre tratti, di cui l'ultimo in basso orizzontale e marcato, e la g corsiva aperta, tracciata dall'alto in basso; alcune aste sono tagliate all'apice da una piccola linea retta che non dà possibilità di legamento. Il divario con le lettere e i libri di conto dei corrispondenti toscani, impiegati nelle aziende Datini, è rilevante soprattutto per l'allineamento quasi perfetto delle aste 'a chiodo', un poco incurvate verso sinistra, e quindi per la mancanza di legamenti per q ed s (quest'ultima con asta ingrossata, ma raddoppiata solo nei seguenti casi: il primo se 23, piacesse 5.16, stentasse 5.18, p(ro)messa 7.14, so' e p(er)spaciato 11.4, so' 11.5, resto 16.13, se 23.14, sicché 25.27); inoltre per la m maiuscola di tipo quasi gotico, senza occhiello a sinistra e per qualche abbreviatura in meno. Tratti comuni nelle scritture mercantesche sono invece la d con asta piegata verso sinistra a chiudere l'occhiello, la presenza di sporadiche verghette sulle i, l'abbreviazione tachigrafica per et in forma di 2, la particolare a maiuscola con occhiello in alto a destra e prolungamento con svolazzo sotto il rigo; un confronto interessante può essere fatto con le lettere settentrionali riprodotte da Melis [1972a : 174-179]. La mano di Gilio sembra quindi influenzata da moduli calligrafici; inoltre, la sistematicità e la correttezza nell'uso delle abbreviazioni, nonché la regolarità nella gestione del rapporto grafia-fonetica, testimoniano una abilità scrittoria per cui si potrebbe forse ipotizzare una formazione non strettamente mercantile; ma buona parte dei tratti che caratterizzano la grafia allontanandola dalle consuetudini toscane è probabilmente da attribuire alle tipizzazioni regionali di cui resta il ricordo in trattati di scrittura cinquecenteschi24. Si arriva così al capitolo più direttamente documentato della storia di Gilio: egli parte da Venezia alla fine dell'aprile o all'inizio del maggio 1409 alla volta della Spagna, con la citata lettera di raccomandazione di Paoluccio. Il fatto che Gilio accompagni personalmente la merce trattata sarà da mettere in relazione all'entità del carico: il 13 aprile 1409 erano state caricate nella coccha Sabbadin[a] / [d]i s(er) Nicolò Sabbadino balle cientodece di carti, cioè balle 110, di 23

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Per una caratterizzazione di massima della mercantesca, si vedano Cenceui [1954:232s.], Orlandelli [1959], Miglio [1986], Petrucci [1989:157-163], Per cui si vedano Petrucci [1978:189-192] e Cecchi [1972:565]; i trattati cinquecenteschi che registrano numerose varietà regionali di mercantesca sono stati studiati da Casamassima [1966], Non sono note descrizioni dirette contemporanee di tali varianti regionali, ma è probabile che tali differenze fossero ben conosciute. 8

raxione / di s(er) Gilio d'Amoroso, singnate di q(ui)sto singno25. La cocca sarebbe partita di lì a pochi giorni per compiere il periplo della penisola, arrivare a Maiorca e di qui proseguire per Valenza (dove sarebbe giunta il 18 giugno 1409: cfr 1.11), e per Barcellona. Gilio invece seguì un itinerario in parte terrestre, passando alla fine di aprile da Firenze, dove si presentò alla locale compagnia Datini (cfr Appendice, rr. 53-58), e imbarcandosi poi da Pisa. Dopo una sosta piuttosto prolungata a Barcellona 26 giunse a Valenza il 16 giugno 1409, prendendo subito alloggio nella casa Datini, presso Angelo di Iacopo, fattore del locale fondaco datiniano 27 . Alla fine del suo soggiorno Valenzano, alla fine d'ottobre dello stesso anno, gli sarebbe stata presentata la seguente nota spese28: Spese di casa, mangiare e bere deono avere. . . E d ) xxvij d'ottobre [1409] abiamo fatto debitore s(er) Gilio d'Amoroso p(er) la torlnata di chasa di mangiare e bere da dì xviij di giugno passato a detto dì di I sopra*9 e p(er) 1 giorni ci stette suo famiglio; in questo a c. 77 dare lb. xvj s. — d. —

Durante questo periodo Gilio si occupò di trovare acquirenti per il consistente quantitativo di carte da lui portato e di informarsi sulla merce da esportare verso Venezia. Riguardo alla prima parte delle sue operazioni i libri di conto datiniani offrono pochi dati, proprio perché la sua presenza in loco escluse l'intermediario datiniano dalle operazioni riguardanti la vendita della merce; maggiori informazioni si possono reperire invece nelle lettere inviate dagli ospiti di Gilio, Angelo di Iacopo e Giovanni Morelli, ai colleghi del fondaco Datini di Barcellona. Infatti, i soci di Valenza rendevano tempestivamente note ai colleghi barcellonesi le mosse di Gilio 30 , e dal canto suo il fattore barcellonese Cristofano di Bartolo Carocci utilizzava generalmente le lettere inviate alla consociata azienda valenzana, che ci sono state pure conservate, per comunicare a Gilio le informazioni opportune; cosicché si dispone nel carteggio datiniano di due voci diverse da quella di Gilio utili a verificare e valutare le sue parole, sia pure nei limiti del periodo di soggiorno a Valenza. Senza avere ancora ricevuta la prima lettera di Gilio (la nostra n. 1), Cristofano di Bartolo scriveva alla filiale di Valenza racco-

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D 1004, Venezia-Valenza, Paoluccio del maestro Paolo a Francesco di Marco e compagni, 22.IV. 1409. A flanco dell'ultima riga è tracciato il signum di Gilio. Cfr D 1004, Venezia-Valenza, Paoluccio del maestro Paolo a Francesco di Marco e compagni, 20. VII. 1409. Per questo e per gli altri personaggi citati nelle lettere si veda l'indice degli Antroponimi, che segue al Glossario. D 937, Libro grande nero segnato G di Francesco di Marco e compagni in Valenza, c. 30r. Riguardo alla presenza del famiglio si veda il conto di Gilio a Firenze: E [dé dare] a dì ν di giug(n)o f . j s. j d. iij pagamo p(er) lui a Jac(omo) / de Tomaso suo giovane, a Uscite £. c. 196 I q(uan)do tornò da Nizza (D 561, Libro grande bianco segnato Β per la ragione di Firenze, c. 194v). Con segno d'abbreviazione superfluo. Da queste lettere ci viene precisata la data dell'arrivo di Gilio a Valenza; infatti il 18 giugno, nella lettera che accompagna la nostra η. 1, Giovanni Morelli dichiara di rispondere ad una di Cristofano arrivata il 16 per mano di Gilio (D 92S, Valenza - Barcellona, Francesco di Marco e compagni a Francesco di Marco e compagni, 18.VI. 1409).

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mandandosi 31 che gli abiette fatto buo(na) achoglienza... direte se à intenzio(ne) di star costì / e quanto; e in questa ne fia ja sua: dateliela. La stessa lettera inoltre comunicava: Qui si ciercha di mett(ere) la nave di Ghabriello d'Arago32, di porto di 500 botti, p(er) Anchona / o p(er) Vinegia.... Gilio rispondeva con la 4a, ma non la spediva subito, e veniva raggiunto dalla successiva lettera di Cristofano 3 3 : A s(er) Gilio fare(mo) r(isposta) e bene abia(mo) piacere che li s'è fatto buo(na) chura: dite che a / venderce di quelle sue charte qui se ne spacerebbe χ in XX ball(e) di fioretto o di simile a quelle, intorno di lb. 13 caxa. Gilio si teneva sulle generali (vugi vederete corno pódete fare ellà (e) io vederò como / porrò fa(r)e ecquà (e) quello meglio ce mecterà porrimo pigliar partito, 4b.20-21) e prendeva tempo, sperando evidentemente di risparmiare sulle spese di trasporto; solo alla fine di luglio, dietro sollecitazione dello stesso Cristofano 3 4 , Gilio caricò su una piccola nave di servizio locale sei balle di carta 35 , di cui al 12 agosto veniva perfezionata la vendita ad un certo Guillem Griera, mercante locale già da tempo in contatto col fondaco Datini 36 . Incoraggiato da questo avvio fortunato 37 , il nostro mercante spedì alla fine di agosto altre dieci balle di carta, che, giunte in salvo il 5 settembre a Barcellona 38 , 31

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D 978, Barcellona - Valenza, Francesco di Marco e compagni a Francesco di Marco e compagni, 2S.VI.1409. La lettera cui si allude è con ogni probabilità la lettera di Paoluccio del 18.V.1409. Di lettura incerta a causa di una macchia di umidità. D 978, Barcellona - Valenza, Francesco di Marco e compagni a Francesco di Marco e compagni, 1.VII.1409 Cfr la lettera del 1 .VII. 1409, trascritta più sopra. A metà luglio Cristofano scriveva a Valenza: E dite a s(er) Gilio che ci ma(n)di alquante ball(e) di charte sino a 20 d'ogni ragione che ora ce n'è malfornito (D 978, Barcellona - Valenza, Francesco di Marco e compagni a Francesco di Marco e compagni, 1S.VII.1409; analoghi inviti venivano ripetuti nella lettera del 20.VII. 1409). L'arrivo delle carte era annunciato anche da Angelo di Iacopo: S(er) Gilio vi scrive sop(r)a le sue charte e ve ne manderà chostà 6 / bai: fateli risposta (D 925, Valenza - Barcellona, Francesco di Marco e compagni a Francesco di Marco e compagni, 13.VII.1409). Di cui un campione era già stato inviato, come si è visto nella lettera del 21.VI.1409 citata a n. 12. L'arrivo delle carte (il 12 agosto 1409) e le spese ad esse relative sono annotate in D 838, lSv e 16r (a c. 26 per le spese complessive). Cfr 7.26,9.4 e 10.2,11.2,14.2. Il conto sintetico dell'operazione si trova in D 808, 34v.; a fatto che si fosse riusciti a spuntare per le carte il prezzo di lb. 17 la cassa richiesto da Gilio a 4.10 è dovuto certo più all'abilità degli impiegati del Datini che alle sollecitazioni di Gilio. I conti personali del Griera, che non comprendono però la posta riferita all'operazione in oggetto, sono alle cc. 72r, 170r. E dalle esortazioni di Cristofano: Dite a s(er) Gilio che ci pare che ci mandi altre 4 ba. di charte delle più fini, che da' n(ost)ri / abia(mo) che lb. 17 i(n) 17112 le vendera(n)no (D 978, Barcellona - Valenza, Francesco di Marco e compagni a Francesco di Marco e compagni, 20.VII.1409). L'invio è preannunciato, oltre che da Gilio, anche dagli impiegati datiniani di Valenza: Dicie s(er) Gilio vi manderà anchora χ in xij bal. de charte ...; e sono buone charte (D 92S, Valenza - Barcellona, Francesco di Marco e compagni a Francesco di Marco e compagni, 24.VOI. 1409; e si veda anche la lettera del 28 agosto). Noi avemo le charte de s(er) Gilio e ve(n)dutene già ja balla alb. 17 hi caxa; vore(mo) / che Ί resto ne fosono ite a lb. 16+: avanzerebbe quanto si potea! Diteli che se gl'è 8 o 10 bal. di charte di buo(n) merchato di 13 in 14 lb. la caxa le ci ma(n)di che prestísimo avrà spacio (D 978, Barcellona - Valenza, Francesco di Marco e compagni a Francesco di Marco

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non ebbero tuttavia esito altrettanto rapido39, venendone ultimata la vendita solo al ritorno di Gilio a Barcellona, il 4 novembre 140940; al termine di queste operazioni condotte con la mediazione dei fondaci Datini fu accreditato sul conto di Gilio un utile di 141 lire, 12 soldi e 10 denari, con una media di 8 lire barcellonesi, 16 soldi e 5 denari per balla. Ancora più aspro fu il braccio di ferro per la concessione di un finanziamento necessario a Gilio per acquistare merci spagnole; egli disponeva già di un prestito di 1000 ducati veneziani (lb. 766 s. 13 d. 4 di barcellonesi) predisposto da Paoluccio per le operazioni in Catalogna41 (la transazione veniva rapidamente conclusa nello stesso mese di giugno42), ma in seguito richiese alle compagnie Datini un appoggio più impegnativo43, che venne infine concesso con l'aiuto di

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e compagni, 7.IX.1409; il segno + significa 'e mezzo'); e si veda anche la lettera del 8.IX.1409. Cfr 12.4, 13.3, 14.S; il resoconto analitico delle spese si trova annotato accanto a quello della precedente spedizione, in D 838,16r. I risultati della vendita delle due partite di carta si riassumono seguendo il conto sintetico personale di Gilio presso l'azienda barcellonese (D 808, c. 82r): Gilio di Monroso della Mandola dé avere a di xviiij d'aghosto [1409] lb. / cinquantaselte s. sedici denari νj p(er) conto mandatoli a Valenza p(er) / ritratto netto di vj balle di sue carte ve(n)dute.../ E adi iiij di novenbre [1409] lb. ottantatre s. sedici d. quatro per ritratto di charte / ve(n)dute de suo. In questa occasione si verificò la perdita di una balla: Resterebe f balla di charte che no(n) si retrova che al tirare da mare a chasa si p(er)dé (D 808, c. 253v). A 16.15-20 Gilio lascia trasparire il suo malumore, usando anche (involontariamente?) un'espressione che pare abituale al fattore Valenzano e suo ospite Angelo di Iacopo: cfr Glossario, s.v. mentione. Fin dalla prima lettera che annunciava il viaggio di Gilio Paoluccio chiedeva che rechedendove fine alla so(m)ma di d. 100 di g(rossi), cioè di d. 1000, che chef[a]/cessete q(uan)to isso ve ordinava o da boy pilgla(te] lettera o mandarle qua a pagare [che] / seran ben pagati; e cosìfarite; e i(n) caso ponesse la nave a Barzelona o a Maio/lica di tutto avísate li v(ost)ri che sse faccia una fiata fine i(n) nella ditta quantità), ove a lloy Gilio piace (D 1085, Venezia - Maiorca, Paoluccio del maestro Paolo a Francesco di Marco e compagni, 4.V.1409; e si veda in Appendice l'analogo passo di D 1004, 22.IV.1409). La richiesta veniva ribadita nelle successive lettere di Paoluccio a Barcellona del 4.V.1409,18.V.1409, 8.VI.1409,6.VII.1409. Il 27 settembre 1409 Paoluccio dava notizia dell'accettazione della relativa lettera di cambio. L'esposizione sintetica della transazione si trova nel conto di Gilio a Valenza (D 937,62r.): Sfer) Gilio dell'Amoroso della Marcha di avere a dìxxvij di giugno [1409] / lb. settecientosesanzey s. xiij d. iiijp(er) du(cati) M traemo p(er) luy / a Vinegia a Paoluccio in Tomaso di Giachomino / e cho(m)pa(gni) p{er) la valuta qui da nnoi as. xvd. iiij; sono du(cali) de, lb. 460 / p(er) Giovanni Horlandirù di Bruggia, in questo a c. 54, debbe avere; / e du(cati) cc, lb. 153 s. 6 d. 8 p(er) Franc(escho) e cho(n)pa(gni) di Firenze, in questo a c. 17, debbe avere; / e du(cali) cc, lb. 153 s. 6 d. 8. p(er) Zanobi di s(er) Benozzo, in questo a c. 49 dare... All'operazione parteciparono quindi la compagnia di Giovanni di Iacopo Orlandini e Piero Benizi col 60%, Zanobi di ser Benozzo e la compagnia Datini di Firenze col 20% ciascuno. Cfr 5.15-20, 7.3-5 ecc.; Angelo di Iacopo si mostrò fin dall'inizio decisamente contrario ad un aumento della somma a disposizione di Gilio: Questo marchigiano ci pare abia inte(n)zione chonperare lane p(er) più non mo/nta le charte; noi p(er) lui non ci obrigheremo più che p(er) du. 1000 e d. gli dobia/mo dare p(er) Giachomini, cioè per un intermediario (D 925, Valenza - Barcellona, Francesco di Marco.e compagni a Francesco di Marco e compagni, 21.VI.1409). Noi gli abiam risposto che noi non pigliate [errore per 'pigliamo']

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un cambiatore barcellonese 4 4 . S o m m a n d o quindi le 4 0 0 lire di barcellonesi così ottenute al ricavato della vendita delle carte, per cui mancano dati sicuri ma c h e è stimabile i n t o m o alle 1 0 0 0 lire 4 5 , e alle 7 6 6 lire di P a o l u c c i o si ottiene il budget di Gilio in Spagna; dell'uso di questo denaro da parte di G i l i o troviamo solo qualche traccia nelle sue lettere, in quelle di Paoluccio e in quelle dei suoi ospiti. G i l i o stesso accenna (23.11) all'acquisto di grana poi smerciata a Firenze; da Paoluccio sappiamo che Gilio - dite - à conp(er)ato da r(ove) 200 di lane sucide a s. 22 r(ova), e ppiò à conp(er)ato lane pelate di mastello: sia con Dio.. , 4 6 D a Valenza A n g e l o di Iacopo comunica l'acquisto di due partite di lana nei mesi di l u g l i o e agosto e di un certo quantitativo di grana 4 7 , e s p r i m e n d o anche qualche perplessità per il disinvolto attivismo del dinamico ospite 4 8 .

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partilo di nula sama voi: diteli voi vo(st)ro piacere (D 925, Valenza - Barcellona, Francesco di Marco e compagni a Francesco di Marco e compagni, 13.VII.1409). Facendosi più insistenti le richieste di Gilio, Cristofano commentava: ora vorebbe prendessi den. a canbio p(er) / lui e voi sapete se'l magiore vuole che ciò si faci... (D 978, Barcellona - Valenza, Francesco di Marco e compagni a Francesco di Marco e compagni, 9.Vili.1409). Si veda 7.15,8.10, e la lettera dal fondaco Valenzano del Datini: E non i niuno possa entrare ne la 'menzione di s(er) Gilio: xx volte il dì / si muta di p(r)oposito! E gli à prestati \al Franc(esc)o Arighecti lb. 400 e dice ch'egli lo s(er)/virà lui: noi no Ί s(er)viremo di chanbi! (D 925, Valenza - Barcellona, Francesco di Marco e compagni a Francesco di Marco e compagni, 20.VIII.1409). Com'è noto, le operazioni di cambio servivano spesso per mascherare contratti d'usura, tanto che 'cambio' passò a significare anche 'prestito ad interesse', come appunto nel passo citato. Cioè le suddette 141 delle carte inviate a Barcellona e le 1000 circa che si possono stimare valutando il prezzo di ogni risma ad una lira barcellonese (si ricordi che una balla conteneva ordinariamente 10 o 12 risme, mentre una cassa ne valeva 16; si veda in proposito il Glossario, s.w. balla, cassa). D 1004, Venezia · Valenza, Paoluccio del mastro Paolo a Francesco di Marco e compagni, 22.IX.1409 (la lettera di Angelo a Paoluccio era datata 12 agosto 1409). L'interesse di Gilio per le mandorle (cfr 1.5) ripete solo l'analoga richiesta di Paoluccio (cfr per esempio D 1004,13.IV.1409,4.V.1409 e la lettera trascritta in Appendice, r. 10). Questo n(ost)ro marchigiano à conp(er)ato lane lavate a s. 22 da Giovani di Ni/cholâ (D 925, Valenza - Barcellona, Francesco di Marco e compagni a Francesco di Marco e compagni, 1.VIII. 1409). S(er) Gilio ne [scil. di lane] à co[n]p(er)ato ogi ro. 160 al peso a s. 22 ro(va) di lane chastelane buonissime (D 925, Valenza - Barcellona, Francesco di Marco e compagni a Francesco di Marco e compagni, 3.VIII.1409). S(er) Gilio à chonp(er)ato lane a s. 22 I da 'n Fustiere che l'à rechate di Chastela siché chôme vedete la lana / si reghe pur meglio non ci abiamo stimato: tuto vano, e di Chastela no ne avene / de far menzione, e a la fine ci aremo a tondere chon questi tre chani di quele / poche che abiamo a chonp(er)are; ma noi pure staremo un pocho a la vista perché / fino a qui non c'i niuno voglia nolegiare p{er) Vinegia solo di lane (D 925, Valenza - Barcellona, Francesco di Marco e compagni a Francesco di Marco e compagni, 13.VIII. 1409). Il marchigiano à spoetate le sue χ [scil. balle] lb. 15 s. 2 la chasa / e àne tolto grana d'Orivale p(er) lb. 9; la grana è buona sechondo Ori/vale: egli à auto voglia despaciarsi (D 925, Valenza - Barcellona, Francesco di Marco e compagni a Francesco di Marco e compagni, 31.Vili. 1409). Nei libri di conto valenza»: S(er) Gilio d'Amoroso della Mandorlla di dare a dì xiiij d'ottobre [1409] / lb. trenta ci disse p(er) diritto di grana (cioè per il dazio di Valenza; D 937, c.78r). Si veda anche la registrazione delle spese di imballaggio nel conto di Gilio, D 937, c. 61 v, in data 6 12

Una volta tornato in Italia, Gilio avrebbe venduto la sua grana a Firenze, attraverso l'azienda Datini di là, ricavandone complessivamente 2 3 0 8 fiorini 49 che furono in parte (cfr 2 3 . 1 4 ) reinvestiti presso la stessa compagnia nell'acquisto di panni di lana 30 . Non resta invece notìzia della lana spagnola, per cui Gilio non si servì delle aziende del Datini. Il movimento di merci oggetto del commercio del nostro mercante si può così riassumere: con l'intermediario di Venezia, la carta marchigiana viene esportata in Spagna e pagata con lana grezza e colorante destinati ad essere utilizzati nella lavorazione industriale dei panni in Toscana, i cui prodotti trovano normalmente esito nel Regno di Napoli; dalla documentazione datiniana emerge quindi un percorso di materie prime e prodotti lavorati che si può ritenere rappresentativo e anzi esemplare nel quadro delle correnti di traffico nel Mediterraneo occidentale tra la fine del Trecento e l'inizio del secolo successivo 51 . L a corrispondenza mercantile non recava, com'è noto 52 , solo notizie di carattere strettamente commerciale: così, alla fine di giugno arrivava a Valenza,

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settembre. Altre notizie sulle merci esportate e importate dovrebbero essere reperìbili nella ricca documentazione aragonese utilizzata da Conde y Delgado de Molina [1987]. Si vedano i brani citati alla nota precedente; tuttavia questo atteggiamento era destinato ad attenuarsi in seguito al buon esito delle manovre di Gilio; e lo stesso Angelo di Iacopo aveva dovuto subire un richiamo da Cristofano, che lo esortava acquistare le stesse lane che aveva comperato Gilio. Cioè circa 1750 lire di barcellonesi. Della transazione non rimane notizia presso la corrispondenza del Datini, ma solo nei libri di conto fiorentini; per semplicità si rimanda solo al conto sintetico personale di Gilio in D 561, cc,194v, 195r, parzialmente trascrìtto nella nota seguente. Gilio d'Amoroso dimora a Vinegia dé dare adì/vj di gung(n)o [1410]/. mille cinquecento ventuno s. dodeci ¡ ... p(er) costo di ν bal. di xxvj panni mandati p(er) lui a Fano a BernardinoBettini ...Ediiijdi lugliof. cinquecentoquatordicis. decenove d. due ...p(er) costo di [errore per e] spese di ij balene di / panni viijfini mandamo a Vinegia a Tadeo di Zanobi ...E di xvj sete[m]bre f . ccccàj s.v... p(er) costo / e spese di vj panni fini mandamo a Vinegia a Tadeo di Zanobi e co(n)pa(gni) ... E a dì vij ottobre f. cento quatordici s. otto I p(er) j fa(rdello) di panni / mandati a Vinegia a Tadeo di Zanobi gliele co(n)segnd (D 561, c.l94v), per un totale di fior. 2563 s. 4 d. 2; il conto contrapposto dell'avere fu riequilibrato con due versamenti, uno nel giugno, l'altro nell'ottobre 1410, per circa 350 fiorini complessivi a titolo di saldo. A quanto risulta dal passo già cit. di 23.14, la destinazione dei panni doveva essere, almeno nei progetti di Gilio, il Regno di Napoli. Per un saggio della quantità di carta esportata dai porti toscani verso la Catalogna si veda il lavoro di Conde y Melgado de Molina [1987], con dati notevoli anche sul movimento della lana nel percorso inverso; sulla lana e sui coloranti spagnoli, cfr la bibliografia cit. nel Glossario, s.w. * guado, lana, verderame, verdicto e nell'indice dei Toponimi, s.v. Serra; e il Landino, nel De vera nobilitate edito da Liaci [1970:62], scrìveva: Venaient habet aut ex hispánico verme aut ex ove britannica lanam vester mercator, quam ex longinquis transmarinis regionibus non sine periculo ac vectura nautique dispendio invectam volentibus inde vestem conficere quam plurimo polest aere sine mora appenso aut enumerato emptori sine fraude dolove malo vendat. Sulla centralità di Venezia nel sistema dei trasporti trequattrocentesco, cfr Melis [1972b]. Sui rapporti economici tra Toscana e Regno nel Trecento, si veda da ultimo Petralia [1988]. Per le merci trattate da Gilio per piccole quantità o solo citate nelle sue lettere, si veda il Glossario, s.w. *alluda, *angelina, cera, cora, *lancia, *mandula, tosiccia. Si veda la suggestiva documentazione raccolta da Melis [1962:30-32], 13

trasmesso da Cristofano dì Bartolo non senza sottolineare l'incertezza della fonte53, l'avviso della caduta di Cortona nelle mani di Ladislao d'Angiò-Durazzo, avvenuta il 9 maggio, e del conseguente, improvviso aggravarsi dello stato di crisi provocato nei rapporti tra Firenze e il re di Napoli dai tentativi espansionistici dell'angioino, che tra l'altro coinvolgevano direttamente le Marche meridionali 54 . In seguito alle notizie dall'Italia, il 13 Gilio decise di partire presto e quindi sollecitò la filiale barcellonese a concludere in fretta la vendita delle carte (5.2ss.). Questa fretta non si tradusse però in una partenza immediata: sia per la confusa situazione politica, che rendeva pericolosi i viaggi per mare, sia per l'invio di un'altra partita di carta da parte di Paoluccio (la cui vendita fu peraltro trattata dal fondaco Datini), sia infine per ultimare le operazioni relative al trasporto della propria merce, Gilio si trattenne ancora qualche mese a Valenza: passato agosto, il 9 settembre invitava Cristofano di Bartolo a partire con lui per Firenze e il 19 si diceva in procinto di partire alla fine del mese. Dopo lunga preparazione55, la partenza da Valenza avvenne tuttavia solo il 28 ottobre; il 3 novembre 1409 Gilio arrivò probabilmente per via di terra a Barcellona, e prese contatto con l'azienda Datini56. Il 6 partì da Barcellona, dove era stato ospite di Cristofano; l'itinerario, per via di tena, passava per Perpignano e Montpellier, dove Gilio giunse il 16 novembre; di questa data è appunto la

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Nella citata lettera del 25. VI. 1409 Cristofano diceva: / fati del re Lanzalao andranno più p(er) le lunghe no- n'estimevamo / ma che obi preso Cortona non crediamo p(er)ché no· n'è se no(n) p(er) lettiera) da P(ie)r / Boromei; e abia(mo) letl(tera) da Gio(vanni) de di χ comefuro(no) quele che contavano de / Cortona e nulla ne dichono...

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Così dava notizia della situazione Paoluccio ai soci datiniani di Valenza: La Marcha è forte i(n) gue(r)ra p(er)ché / queste genti del re son venute sopre Fermo e ànno messa i(n) travalglo / tucta la Marcha ( D 1083, Venezia - Maiorca, 19.VII.1409). L e Marche erano in realtà già da tempo sotto il controllo di Ladislao, che perseguiva da tempo la politica di sostituirsi, come suo alleato e principale sostenitore, alla malferma autorità del Papa, Gregorio XII, sui territori pontifici. L'iniziativa di Ladislao, che aveva raggiunto il massimo successo con la dedizione di Perugia, non era stata priva di conseguenze nelle Marche, dove Ascoli e Fermo erano a lui soggette fin dall'anno precedente: violenti disordini erano però frequenti a causa non solo delle alterne sorti della guerra di Ladislao, ma soprattutto dell'attività delle fazioni cittadine nel territorio umbro e marchigiano.' Egli à intenzione d'andarsene chon Tomaso Bilioti che si mete in / punto p(er) andarsene e p(er) tuto questo à chonp(er)ato un bel chavalo di 130 f./e andrà a suo onore, ma ben pensa s[t]are alchun di de l'altro ( D 925, Valenza - Barcellona, Francesco di Marco e compagni a Francesco di Marco e compagni, 18.IX.1409); si veda anche, a proposito del cavallo, il passo di 23.21-23. Secondo un'altra lettera del fattore di Valenza S(er) Gilio dilibera pure d'andare e dilibera di pigliare a chanbio lb. 80 e aspetare il ritorno; noi gliel daremo a chanbio p(er) no(st)ri di Fire/nze... ( D 925, Valenza - Barcellona, Francesco di Marco e compagni a Francesco di Marco e compagni, 18.X.1409). Solo qui Gilio si ricorda di dovere lb. 2 ad Antonio di Auder, cambiatore sulla piazza di Valenza; ordina cosi all'azienda valenzana di pagare il piccolo debito, facendolo poi addebitare sull'azienda di Barcellona, cui egli ha già versato la somma: cfr 16.13-14 e D 937,77v: E dì xviij di novenbfre) [dé dare] lb. due demo p(er) lui a 'n Antonio d'Auder, ibid., 78r: E dìxij di novenb(re) [dé avere] lb. due scrisono i nostri di Barcelo(na) lofaciesimo creditore e lloro debitori. Altri debiti nei confronti del fondaco di Valenza vengono onorati direttamente presso la filiale di Barcellona: cfr D 978, Barcellona - Valenza, Francesco di Marco e compagni a Francesco di Marco e compagni, 8.XI.1409.

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lettera da Montpellier: Gilio ha incaricato la locale filiale di Lorenzo di Dinozzo Cei e compagni (che lui chiama erroneamente Lorenço de Nocço: cfr 17.2, 18.11,18.22) dell'acquisto di un particolare colorante per panni tipico della zona, il verdetto57, e si è fatto prestare 10 franchi, prontamente addebitati a suo nome nel conto personale di Barcellona (D n. 808, 80r); è probabilmente partito per Marsiglia il giorno stesso o il successivo. Il 18 novembre o il giorno seguente Gilio arrivò a Marsiglia e, considerato suddito di re Ladislao di Napoli58, venne arrestato come mercante di paese nemico. Vene trattenuto fino al 28 circa, poi partì alla volta di Nizza per terra, avendo perso la nave per Genova. Arrivato intomo al 2 dicembre a Nizza, si fece dare da un Bartolmeo Ysuleri 8 franchi da addebitare alla compagnia di Francesco di Marco di Avignone, che gli vennero poi riportati sul conto di Barcellona (D n. 808, 81v). Bloccato dai disordini conseguenti alla sollevazione delle città liguri del settembre 1409 contro il dominio francese, rimase fermo a Nizza per otto giorni. Il 9 o il 10 partì via mare alla volta di Genova, ma fu poi arrestato durante la navigazione, probabilmente a causa della tensione creatasi nell'autunno tra Genova e Firenze, e trattenuto per undici giorni. La partenza da Genova avvenne intorno al 21 dicembre: Gilio sbarcò ad Avenza, piccolo porto presso Carrara, nel territorio di Lucca; arrivò solo il 30 a Firenze 59 . Successivamente, partì per le Marche per raggiungere la famiglia; direttosi verso Fano, per consegnare i panni acquistati a Firenze, Gilio arriverà a Venezia solo intorno a Pasqua, il 23 aprile 1410. Per il periodo successivo alla partenza di Gilio da Barcellona (6 novembre 1409), numerose annotazioni restano a documentare le frequenza delle lettere dirette a Gilio, a Venezia, dall'azienda barcellonese: si trova notizia di lettere spedite a Gilio i giorni 13 settembre 1410, 13 ottobre 1410, 15 novembre 1410, 4 e 21 dicembre 1410, 6 febbraio 1411 (cfr D 829, Quaderno di mandate e ricevute di Barcellona, cc. 248r, 249r, 250v, 25Ir, 252r, 253v). È certo comunque che Gilio vide anche le lettere, queste ancora più frequenti, dirette a Venezia a Paoluccio da Camerino. Durante quel periodo, la corrispondenza tra Gilio e le filiali catalane del Datini verteva essenzialmente sullo scambio di informazioni tra i due mercati60 e sull'acquisto di verdetto, commissionato da Gilio tanto alla società di Lorenzo di Dinozzo Cei a Montpellier che all'azienda barcellonese di Cristofano; mentre la prima ne acquista e invia a Barcellona due borse, il fon57 58

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L'operazione è esposta in modo dettagliato più sotto, in questo stesso paragrafo. Contro il quale la Francia era collegata con Firenze a sostegno di Alessandro V in seguito alle vicende del concilio di Pisa. Proprio da Marsiglia si sarebbe organizzata pochi mesi dopo la rovinosa spedizione in Italia di Luigi II" d'Angiò. Sui movimenti di Ladislao e in generale per la storia politica dell'Italia centrale di questo periodo resta fondamentale lo studio di Caputo [1969]; si veda anche il classico lavoro di Baratier e Reynaud [1951]. Cfr la lettera di Paoluccio (D 1004, Venezia - Valenza, Paoluccio del maestro Paolo a Francesco di Marco e compagni, 11.1.1409 = 1410): Gilio dite partì de là a dì 28 ottobr(e); p(er) Ila Dio gra(tia) agio corno i ionio a Firenze, / che ben me piace, chep(er) Dio oramay me facia pagora i fatti soy, fosse tenu/to piò a iongere. La notizia di valute allegata, secondo 24.23 (con questa ve mando lu carcho de le galee de Baruti), alla lettera datata 22.XI. 1410 non è reperibile in D 1171, ed è quindi da considerarsi perduta.

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daco Datini ne compra in loco61 quattro e spedisce a Venezia, in due momenti diversi, l'intera partita: conseguentemente ci è rimasto il conto della comp(er)a di v(er)derame in Barzalo(na) p(er) Gilio d'Amoroso dell'Amandola / della Marcha che abita a Vinegia62. Pochi mesi dopo il ritorno a Venezia, Gilio ebbe ancora occasione di servirsi dell'assistenza delle aziende catalane del Datini. Dai libri di conto dei fondaci datiniani siamo infatti informati sulle 26 balle da Gilio dirette a Maiorca partite da Venezia il 26 giugno 1410 63 : egli ne avvisava le aziende Datini interessate, quelle di Barcellona e Maiorca, con le lettere rispettivamente 21 e 22, manifestando il proposito di far proseguire parte del carico oltre lo scalo di Maiorca verso Barcellona. La carta arrivò a Maiorca nell'agosto e fu immagazzinata nel locale fondaco 64 , ma solo in parte venne venduta a Maiorca: 22 balle furono mandate alla spicciolata a Barcellona su piccole imbarcazioni di servizio locale: la prima partita, di 4 balle, arrivò a Barcellona il 13 settembre, la seconda, di 10, il 29 dello stesso mese 65 . Altre 6 balle giunsero poi il 13 ottobre, mentre le ultime due arrivarono solo il 22 novembre66. L'azienda di Barcellona aveva nel frattempo già preso contatto con gli acquirenti, cosicché lo smercio fu relativamente celere67; il ricavo delle 4 balle vendute a Maiorca68, in un primo

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Quindi contravvenendo alle raccomandazioni di Gilio: cfr 24.23-35. Il venditore è un tal Francesch Villa, barcellonese, di cui resta una lettera in D 1146; il suo conto è riportato in D 808, c. 162r (a nome Francesco Villa de' Vichatani, esso contiene una voce relativa alla partita in oggetto e a Gilio). Esso è contenuto nel libro di mercanzie di Barcellona D 808, c. 270v, e comprende due voci, una che documenta l'acquisto direttamente effettuato da Francesco) Villa a dl ν di seiienb(re) di 3 rove, 20 libbre e 6 once di verdetto, e una seconda che riporta il prezzo richiesto da ¡Lorenzo diDinozzo e conp(agni) di Monpul(ieri) p(er) conto mandatoci dìxxvj genar(io)...: / viij allude di v(er)delto in ijpondi, posto in Monpul(eri) xv q(u)i(ntali) xxxv lib. on(ce) àj netto, / costo sino spadaio e charico in addì fr(anchi) cadvij s. j d. vj as.xv d. vjfr(anco)... Le spese sostenute dall'azienda datiniana (che ammontarono a lb. 15, s. 16 d. 10) e della commissione ad essa dovuta (lb. 2 d. 5) sono annotate partitamente in D 838, cc. 15v, 32v. Oltre alla lettera di Gilio pervennero alla filiale datiniana di Maiorca almeno 6 missive di mercanti che avevano qualche merce sulla stessa nave, la già nota Sabadina, e precisamente: Silvestro di messer Marco Morosini, Polo di Giovanni, la compagnia di Bindo di Gherardo Piaciti, Zanobi di Taddeo Gaddi, Andrea Gabriel, Andrea di Giano e fratelli; tutte le lettere, da cui è possibile ricostruire almeno in parte il carico della nave, sono reperibili in D 1083, Venezia - Maiorca, dal 18.VI al 2.VII.1409 Cfr D 1017, 219v (segn. ant. 134v; Libro grande di Francesco di Marco e compagni in Maiorca): ivi sono raccolte le spese fatte per il nolo da Venezia, per i vari dazi, per scaricare e portare a casa, infine per il trasporto di 22 balle a Barcellona. D 838, cc. 32v-33r. D 838, c. 34v. Come si vede, le quattro partite furono divise in due poste differenti; i relativi costi vennero però sommati alla fine della seconda. D 808, c. 270v. Questo conto riguarda solo la vendita di 20 balle e rimanda al conto personale di Gilio a c. 82r dello stesso libro, con data 4 dicembre. Le restanti due balle, arrivate come si è detto con un certo ritardo, formarono un conto a parte (riassunto a c. 279r), chiuso il 18 dicembre: l'accreditamento avvenne quindi sul nuovo conto personale di Gilio (c. 183r), aperto alla chiusura dell'esercizio precedente, a partire direttamente dal libro di cassa e con data 31 dicembre 1410.

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momento annotato sui libri di Maiorca, fu in seguito accreditato nel conto complessivo di Gilio a Barcellona. Il ricavato netto è stato di lb. 254 s. 13, mentre il 16,55% del prezzo finale delle carte è stato destinato alle spese dell'ultima fase del trasporto69. Non ci sono pervenute particolari lamentele di Gilio nei confronti delle aziende catalane del sistema Datini oltre al richiamo di 24.32s., del resto comprensibile da parte del mercante residente, che non può in effetti controllare come viene speso il suo denaro; il fatto però che Gilio dia notizia solo all'ultimo dell'invio di una nave in Fiandra con un carico di vino (cfr 27.13) sembra deporre per una diminuzione di interesse di Gilio per il mercato iberico; circostanza che, oltre alla chiusura dei fondaci del Datini per la scomparsa del socio fondatore, determina la fine della documentazione sugli affari di Gilio e sulla sua sorte.

3. Fedeltà linguistica e localizzazione La lingua dei nostri testi presenta, come si vedrà, tratti sufficientemente significativi da consentire l'individuazione di una ben determinata varietà, anche in un'area, quella mediana, che soffre di una relativa scarsità di documenti linguistici databili e localizzabili con sicurezza. Non si può dire tuttavia che la lingua di Gilio sia fortemente caratterizzata: si registra piuttosto la compresenza di abitudini linguistiche nettamente dialettali e addirittura municipali e di fenomeni estranei al marchigiano, che rivelano prevalentemente, ma non esclusivamente, un influsso toscano; le conseguenze di questo contrasto sono limitate sia dal prevalere dell'interferenza lessicale, sia dal verifícarsi in un buon numero di casi dell'adattamento fonologico e morfologico dei prestiti. Queste influenze saranno solo in parte da far risalire al contatto diretto di Gilio con mercanti toscani (ne è valida riprova la mancanza quasi assoluta di tratti sicuramente veneziani nelle nostre lettere e in quelle di Paoluccio), e andranno piuttosto giustificate nel 68

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Che ammontava a reali maiorchini 75 s. 15, cui vanno sottratte le spese, per un ricavo netto di reali 44 s. 1 (cioè lb. 32 s. 4 d. 1 di barcellonesi), secondo l'annotazione ancora analitica di D 1017 cc. 219v, 220r (segn. antiche 134v, 135r); il conto personale di Gilio a c. 123r (segn. antica 122r), contenente la sola posta relativa a questa operazione, venne equilibrato dalla registrazione a segno opposto nella pagina a fronte, mentre la somma veniva accreditata nel maggio 1411, quindi con un certo ritardo, a Cristofano di Bartolo e compagni di Barcellona (D 1017, c. 119r, segn. antica 118r); si veda al proposito anche la posta a Barcellona nel conto dell'azienda di Maiorca (D 808, c 193v) e la voce di accreditamento nel conto personale di Gilio a Barcellona, in D 808, c. 183r. Il conto era tuttavia già virtualmente chiuso alla fine dell'anno precedente, quando venne inviato a Gilio, secondo il passo di 26.6. II ricavo lordo dell'operazione ammonta per la parte maiorchina a lb. 55 s. 11 di barcellonesi, per la parte barcellonese a lb. 249 s. 11 d. 5 (in totale lb. 305 s. 2 d. 5); detratte le spese documentate (e partitamente: nolo dovuto al Sabbadino, secondo quanto precisato nelle nostre lettere a 22.5, trasporto dalla nave al fondaco maiorchino e viceversa, trasporto al fondaco barcellonese, commissione), si ottiene il ricavo netto di rispettivamente lb. 32 s. 4 d. 1 e lb.. 222 s. 8 d. 11, cioè complessivamente di lb. 254 s. 13.

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quadro della particolare situazione linguistica che caratterizza le lettere mercantili tardo-medievali. Un esame comparato delle scritture mercantili di questo periodo, e in particolare delle lettere, documenta la presenza e l'efficacia a livello strutturante di lessemi, sintagmi e procedimenti sintattici stereotipati70: la tendenza alla formazione di un linguaggio speciale (Fachsprache)71 è evidente soprattutto nella frequenza del lessico tecnico, che tratti fonetici o morfologici dimostrano desunto da varietà linguistiche prestigiose (segnatamente il toscano e il veneziano)72, e dei cosiddetti 'tecnicismi collaterali'73. La diffusione di un lessico specializzato mercantesco di base essenzialmente toscana74 costituisce un veicolo di notevole importanza per la diffusione di questo volgare in aree linguistiche e fasce sociali altrimenti irraggiungibili; la penetrazione di tratti indiscutibilmente toscani in lettere di mercanti salentini e siciliani75 è stata positivamente riscontrata da Stussi [1984:174] e Curti [1972:105]. Assume così valore documentario anche l'ipotesi di una irradiazione di moduli non solo lessicali toscani fuor di Toscana attraverso il tramite dei rapporti commerciali e delle lettere mercantili, che asseconderebbero così l'effetto del prestigio letterario nella capillare diffusione - per iscritto - della lingua di Dante in tutta Italia.

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Si prescinde ovviamente dalle formule di esordio e di commiato, che pure non sono prive d'interesse ai nostri fini; si veda al proposito il rapido contributo di De Blasi [1985] e il più notevole tentativo, esperito da Koch [1988], di esaminare sotto il punto di vista della coerenza testuale la lettera senese edita da Castellani [1980:11,303-321], Manca una trattazione generale dei linguaggi settoriali in italiano: si veda la sintesi compiuta da Cortelazzo [1984] e la bibliografìa ivi contenuta. Una documentazione analitica è raccolta nel Glossario. Particolare interesse meritano singoli settori come il linguaggio tecnico contabile e le designazioni merceologiche, e interi campi semantici di spiccata importanza per il mercante, come il viaggio. Al riguardo, appare ormai ampiamente insufficiente il pur meritevole lessico di Edler [1934], mentre non si può non rilevare come l'incoraggiamento di Stussi [1984:71] a «programmare un lessico commerciale medievale su scala almeno mediterranea» sia passato invano. Cosicché anche in testi di relativo interesse lessicale, come le nostre lettere, capita di sorprendere, ad esempio, l'attestazione di una voce tradizionalmente datata dai dizionari etimologici addirittura al Settecento (cfr Glossario, s.v. scalo). Cioè, secondo la definizione fornita da Serianni [1989:103] a proposito del lessico medico ottocentesco, quelle «particolari espressioni stereotipiche, non necessarie, a rigore, alle esigenze della denotatività scientifica, ma preferite per la loro connotazione tecnica». La diversa incidenza del modello veneziano è variamente spiegabile: entrano senza dubbio in gioco (oltre alla prossimità tipologica delle varietà mediane al toscano, che costituisce un naturale riferimento per ogni sforzo di 'ripulitura' da elementi provinciali) la differente struttura della tipica associazione commerciale veneziana, e quindi del tipo di contabilità richiesto, rispetto al più diffuso modello toscano, e anzi fiorentino, di compagnia, e le direttrici del commercio veneziano, orientato soprattutto verso l'acquisizione e la distribuzione di prodotti provenienti dall'Oriente mediterraneo. Conseguentemente i prestiti provenienti dalle altre lingue presenti in quell'area assumono maggior rilievo dei termini tecnici veneziani: si veda nel Glossario l'esempio di rescho. Un simile 'contagio' linguistico non è riscontrabile con certezza nelle lettere di Gilio, data la relativa vicinanza della lingua al toscano e anche considerando la documentata frequentazione di mercanti toscani da parte sua.

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Vale la pena dì chiarire le modalità di diffusione di questo linguaggio speciale. Se il nesso tra attività mercantesca ed uso scritto del volgare è stato da tempo messo in luce76, non si è forse riflettuto abbastanza sul ruolo preponderante che il mezzo scritto deve aver giocato nella diffusione delle tecniche mercantili e in particolare del lessico tecnico commerciale. L'educazione77 di chi si avviava a questa attività prevedeva anni in cui il garzone imparava tecniche commerciali e contabili, usi delle singole piazze, tempi di trasporto grazie al quotidiano lavoro ai libri di conti e alla copiatura di lettere mercantili78; è presumibile che la formalizzazione richiesta da queste scritture veicolasse forme e costrutti provenienti da diverse varietà linguistiche, segnatamente dal toscano. Chi si occupi oggi di quella malcerta disciplina che è stata indicata come 'filologia mercantile' dovrà quindi distinguere, quando sia possibile, ciò che in una scrittura commerciale pertiene al linguaggio speciale da quanto si potrà far risalire alla lingua parlata dallo scrivente79, pena il rischio di subordinare ad una anacronistica presunzione di 'unità del punto linguistico' la realtà pulsante di correnti linguistiche e di fenomeni sociali di importanza difficilmente disconoscibile. Una volta eliminati i fattori di disturbo rappresentati dalle tendenze al livellamento sopraregionale insite in una varietà linguistica professionale, le caratteristiche fonetiche e morfologiche della lingua di Gilio riportano con evidenza a moduli mediani (i numeri tra parentesi rimandano ai singoli paragrafi della trattazione linguistica); si notino in particolare la mancanza di dittongamento delle toniche aperte (13), la metafonesi da -I e da -U (12), il proseguimento di I, U lunghe atone in i, u (17), la sostanziale conservazione del vocalismo atono, la distinzione, almeno tendenziale, di -u da -o (24), la mancanza di esempi significativi di sonorizzazione delle sorde scempie intervocaliche (29), la conserva76

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Cfr ad esempio le considerazioni di Baldelli [1987] a proposito del Conto navale pisano. Può essere esteso ai primi tempi dell'uso del volgare l'assunto di Cortelazzo [1984:252] secondo cui «l'abbandono [del latino] è condizione preliminare se non per il formarsi, certo per l'affermarsi di una lingua speciale autonoma ed organica». O, come la chiamava Sapori [1955:68], la «scuola del fondaco, la quale contribuì sicuramente, e non poco, a dare quel carattere di uniformità che abbiamo rilevato a tutta l'opera del mercante nostro, dal modo di trattare i negozi, a quello di tenente conto, alla stessa calligrafia»; sull'educazione mercantile si vedano, da ultimo, le considerazioni di Trifone [1989:65-72], Che, secondo la testimonianza di Giovan Battista Gelli, in Tissoni [1967:67], erano utilizzate addirittura per imparare a leggere. Mi sembra praticabile un tipo di analisi coincidente nei presupposti con quella tentata da Sabatini [1968] su documenti mediolatini, che approfondisca il ruolo strutturante e la 'sincerità' linguistica delle parti formulari delle lettere mercantili. Conto di approfondire la questione in altra sede; a titolo di esempio si consideri l'inizio di una delle lettere di Gilio (3.1-6, in trascrizione semplificata) in cui sono state evidenziate (in tondo) le parti influenzate da espressioni formulari secondo la documentazione fornita per ogni singola voce nel Glossario: Al nome de Deo am(en),· 1409, di 27 de iunio. Io no(n) ve agio scricto ellà p(er) no(n) e(sser)e stato de bisogno; mo sò ecquà in Valença (e) vòrra e(sser)e avisato de la valuta de olio (e) cora bovine, onde ve prego che p(er) le prime che possete me avísate quanto vale olio spacciato de ongni spesa, (e) dechiaratelome p(er) piso de libre de Fiorença acid che meglio lo pocça intendere (e) similem(en)ti me dichiarate de cora bovine lu precço (e) tucto.

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zione di j da J- e DJl· (31), la normale assimilazione progressiva dei nessi con nasale -ND-,-ΜΒ- (46), la distinzione morfologica di un genere neutrale o 'singolativo' (62), l'uso di un sistema tripartito per i dimostrativi, e in particolare di quisso (57), la compresenza dei perfetti del tipo rendi e partemo (74), il congiuntivo imperfetto del tipo mandassate (75), la diffusione del condizionale derivato dal piucchepperfetto indicativo latino80 (76). Nell'ambito dell'Italia mediana, escludono l'area occidentale, romanesca e laziale meridionale la metafonesi da -u romanza anche nel suffisso -itto (12) e la saldezza dei nessi di L e consonante occlusiva (39). Impediscono una localizzazione a Perugia e nell'Umbria occidentale la mancanza di dittonghi, la conservazione di -er- e -ar- atoni (20), la soluzione -aro del suffisso -ARIUS (36), l'esclusivo esito in -ia dell'imperfetto (74). La mancanza di dittongamento delle vocali aperte e di esiti -o- da U tonica, la sostanziale conservazione del vocalismo finale (24,25), la mancanza di betacismo (42) escludono i dialetti abruzzesi; meno rilevante a questo fine è la riduzione dei nessi di occlusiva e L (40), mentre meritano qualche considerazione l'esito non metafonetico del suffisso -MENTUM (13), l'ordine dei pronomi atoni (83), il congiuntivo imperfetto del tipo mandassate. Altri elementi depongono risolutamente per una attribuzione delle nostre lettere ad una varietà adriatica, marchigiana (essi valgono in parte anche in opposizione all'aquilano): la tendenza all'apocope della semivocale nel dittongo finale -ai (25) e alla palatalizzazione della sibilante rafforzata seguita da t (43), e soprattutto l'uso della terza persona singolare del verbo per il plurale (72). Si arriva così ad affermare la pertinenza della lingua di Gilio all'area mediana orientale, in sostanza alle Marche centro-meridionali; una ulteriore distinzione è resa difficile dalla mancanza di testi marchigiani sicuramente localizzabili. Colpiscono però alcuni tratti di limitatissima diffusione: la grafia Pisia (8) è attestata finora solo a Fabriano e ad Ascoli, mentre sinça rimanda all'area più meridionale della zona indicata (l'esempio più settentrionale è maceratese, ma le attestazioni, a parte isolati esempi umbri meridionali e abruzzesi, sono raccolte tra la valle del. Tenna e quella dell'Aso; 16.ii); da parte sua, capare (Glossario, s.v.) nel senso di 'capire, essere contenuto' è ancora più significativo, essendo documentato da testi moderni solo a Montefortino. Non sconviene alla localizzazione proposta un vistoso tratto morfologico, tradizionalmente considerato pertinente al Nord d'Italia, quale l'uso di a pronome atono soggetto (56), che trova eccezionale riscontro nella canzone del Castra, oltre che nei dialetti moderni; notevole anche il possessivo maschile singolare soy (61), non privo di paralleli in documenti maceratesi e nella Giostra.

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Altri fenomeni non tipici ma particolarmente frequenti in zona mediana sono: la preposizione articolata ne (54), il pronome e aggettivo dimostrativo quesso (57), il pronome e aggettivo interrogativo que (58), la formazione del plurale dei femminili con la desinenza -i (66, 68), l'inserzione del suono epitetico semivocalico in stagesse (2, 49), l'uso di forme etimologiche dal congiuntivo per l'imperativo (75); inoltre singole forme come perfi, ecquà (69), Petri (67), il sintagma mustra che (Glossario, s.v. *mustrare). La -e negli antroponimi in -elle (67) è ben attestata ad Orvieto.

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In conclusione, i dati linguistici depongono per una localizzazione nell'area linguistica marchigiana meridionale, con ogni probabilità tra le valli dell'Aso e del Tenna, più vicino all'area intema aquilana che alla costa 8 1 ; essi vengono così a confermare gli elementi storico - documentari desumibili dall'esame delle nostre lettere*.

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Particolarmente istruttivo è il confronto con il dialetto di Servigliano quale è documentato dallo studio di Camilli [1929], * L'edizione delle lettere di Gilio 6 stata oggetto della mia tesi di Laurea, discussa presso l'Università di Pisa nell'Anno Accademico 1987-88, relatore il Professor L. Petnicci, cui sono debitore di feconde discussioni; è stata poi perfezionata nel corso di un soggiorno annuale a Saarbrücken (nel quadro di un programma di scambio tra la Scuola Normale Superiore di Pisa e l'Universität des Saarlandes), con l'assistenza cordiale del Professor M. Pfister che ha voluto accoglierla in questa collana. Preziose indicazioni mi sono state fornite dai Professori G. Breschi, C. M. Cipolla, M. Luzzati. Ma l'elenco di coloro che mi sono stati generosi di un consiglio o di un aiuto sarebbe troppo lungo; voglio qui ringraziare almeno il Professor A. Stussi, che mi ha segnalato le lettere e ha seguito il lavoro in ogni sua parte, e una compagna di Normale che mi è stata vicina durante tutta la durata di esso. 21

Criteri di edizione

I testi, numerati progressivamente secondo il loro ordine cronologico, sono preceduti dall'indicazione della data e del luogo da cui sono datati; poiché Gilio usa lo stile fiorentino, nel caso di discordanza con il computo moderno viene indicato l'anno equivalente nello stile attuale, tra parentesi quadre. Seguono la segnatura archivistica e la descrizione delle caratteristiche materiali del singolo pezzo. Tutte le lettere sono cartacee e tutte, con la sola eccezione di 4b, recano sul verso di mano di Gilio solo l'indirizzo, che nell'edizione si è trascritto di seguito al testo della lettera. In tutte, salvo diversa indicazione, il ricevente ha annotato la data di arrivo. I criteri di trascrizione sono sostanzialmente identici a quelli utilizzati da Castellani [1952:12-16]: in particolare si usano parentesi tonde per lo scioglimento delle abbreviazioni, parentesi aguzze per le parti cancellate, parentesi quadre per le lacune meccaniche e le relative ricostruzioni (con un puntino tra parentesi quadre per ciascuno spazio presumibilmente corrispondente ad una lettera), parentesi graffe per le aggiunte marginali o interlineari, barrette oblique per le parti da espungere, asterischi spaziati per le parti lasciate in bianco. Il corsivo è usato per la ricostruzione di lettere erroneamente omesse (anche se si tratta di omissione di titulus). Si introducono le sbarrette verticali per indicare il cambio di riga (doppie all'inizio delle rr. 5,10,15...; nel citato caso di 4b la numerazione non tiene conto del cambio di carta, di cui si dà notizia in apparato), la punteggiatura, i diacritici, i limiti di parola; in particolare, le preposizioni articolate si trascrivono unite nel caso che presentino geminazione della consonante, separate nel caso contrario; nel caso di cioè, si è preferita sempre la scrizione unita, eccetto che a 1.6, dove il contesto lo richiede; gli avverbi d'ecquà, d'ellà si trascrivono separati anche dove indicano stato in luogo (la scelta è motivata nel Commento linguistico, § 69). Si regolarizza secondo criteri moderni l'alternanza di maiuscole e minuscole. Si interviene inoltre distinguendo ν da M e uniformando la j allungata sotto il rigo in i, ove non si tratti di ultima unità di cifra romana, nel qual caso si conserva. La divisione in paragrafi rispecchia quella degli originali. II punto in alto (·) indica l'omissione di una consonante finale di parola assimilata alla iniziale della parola successiva; la scelta di introdurlo davanti a vibrante anche nei casi in cui il fenomeno non è sicuro, perché l'articolo non è necessario (tipo quisti facti de· re Lancilao; lo spoglio completo è nel Commento linguistico, §§53 e 54), trova giustificazione nelle occorrenze sicure di corno e- re Aleviscio è intrato in Roma 16.4, le t(er)re de· re 5.7, Dicete del facto de· rame

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20.10, p(er) la morte de· re 24.12. Nel caso di 5.3 l'assimilazione dell'articolo 7 è indicata con apostrofo e punto in alto (che '· re Lancilao). Nel caso di so- (5.8) il punto in alto distingue inoltre l'esito di SUB dalla prima persona di 'sapere' (si veda più sotto). Le abbreviazioni vengono sempre sciolte tra parentesi tonde: ρ con trattino orizzontale che taglia l'asta è sciolto con p(er)\ρ con una piccola i sovrascritta, con p(ri); ρ con prolungamento dell'occhiello a tagliare l'asta, con p(ro); ρ con trattino arcuato sovrascritto, con p(re), anche nel caso di sop(re), in mancanza di scrizioni a piene lettere e considerata la pertinenza della forma all'area dialettale investigata; s di forma lunga con trattino che taglia obliquamente l'asta, con s(er), anche nel caso di mis(er)·, la nota tironiana per et, con (e) in considerazione di (e)'l (art.; 26.3), pur essendovi attestazione di et non abbreviato (8.5, 20.4); eh dove h ha l'asta tagliata, con ch(e)·, dco, dea, dei, dee con trattino sovrascritto, con d(i)c(t)o, -a, -i, -e (anche in composizione) in mancanza di scrizioni a piene lettere; tiro, nri, vro, vra, vri, vre con trattino sovrascritto, con n(ost)ro, n(ost)ri, v(ost)ro, v(ost)ra, v(ost)ri, v(ost)re, in assenza di scrizioni a piene lettere; il 'nomen sacrum' xpo, in mancanza di scrizioni complete, con la forma volgare (Crist)o anche in composizione nel caso dell'antroponimo (Crist)ofano\ dno, dni, dnis con trattino con d(omi)no, d(omi)ni, d(omi)nis\ ee con trattino, in mancanza di scrizioni a piene lettere, con e(sser)e\ il trattino ondulato per vibrante è stato sciolto, a seconda del contesto, in r ed er, con la sola eccezione di conp(ar)arete 5.26, in considerazione della univocità delle attestazioni di 'conparare'; il trattino arcuato per nasale, vista l'asistematicità dell'alternanza del tipo canbio (21.24) con cambio (25.18), è stato sciolto secondo l'uso moderno, quindi con m dinanzi a consonante labiale e con η davanti a dentale, e con en nei casi di am(en), -m(en)to, -m(en)ti, per cui mancano scrizioni a piene lettere. Si osserva raddoppiamento irrazionale della consonante nasale solo nel caso di sollicitude(n)ne 21.28, che potrebbe anche essere dovuto all'apposizione di un titulus superfluo. A 15a.7, 15b.8 si completa Frane con trattino sovrapposto secondo l'usuale grafia Francischo. Le abbreviazioni dei nomi dei mesi, in mancanza di scrizioni a piene lettere, sono state sciolte secondo un criterio di verosimiglianza (febr(aro) considerato centenaro), ma non senza residui di dubbio. A 22.5 qto con trattino è stato sciolto q(uar)to. Vengono invece conservate, com'è d'uso, le abbreviazioni duc., s., li., bai, den. (da interpretare rispettivamente 'ducato' o 'ducati', 'soldi', 'libre' o 'lire', 'balle', 'denaro' o 'denari'; con titulus sovrapposto o, nel caso di s„ con trattino allungato a tagliare l'asta di s lunga); in particolare, per bai., due. e den. è attestata la forma non abbreviata (balle 5.30, 5.37, 5.38, ecc.; ducato 5.36; dena(r)i 7.7, 9.6, 10.5). Non si sciolgono inoltre le abbreviazioni migl. (24.10) per l'unità di misura migliare e e. per al centenaro (18.30,23.5; a piene lettere a 20.9), che va quindi distinta dal numerale romano e, che viene utilizzato anche nell'espressione della percentuale in 3 p(er) e 6.8 (a piene lettere in tre p(er) cento 7.17). Si distinguono per mezzo di diacritici i seguenti omografi: da preposizione semplice, da· preposizione articolata; dé ΠΙ4 persona del presente di 'dovere', de preposizione semplice, de· preposizione articolata; è IIIa persona del presente di 'essere', e· art, determinativo; o congiunzione, ò I a persona del presente di

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'avere'; sò I a persona del presente di 'essere', so' VI4 persona del pres. di 'essere', so I» persona del presente di 'sapere', so· < SUB. Infine, la ΙΠ* persona, del pres. di 'avere' si distingue da a senza accento, che può essere preposizione semplice o pronome atono soggetto (solo a 16.13).

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II. Le lettere di Gilio de Amoruso

o 22 Aprile 1409, Venezia Filza D 1004, Venezia-Valenza; numerata a matita in alto a destra: 519706. Dimensioni: 22,8 χ 14 circa, con qualche irregolarità; integra; senza filigrana. Priva della consueta nota di arrivo; reca sul verso il signum del mittente e la sigla che indica che vi è stata risposta. La trascrizione completa della lettera si trova in Appendice: se ne riporta qui solo la parte di mano di Gilio d'Amoroso.

Perché abiate più pienera notitia de me, Gilio, io scrivo quisto capitulo de mia p(ro)pria mano I no(n) p(er)ché agiate a ffare alcuna cosa p(er) mia lectera se prima no(n) s(er)rò da vugi p(er)sonalm(en)ti, ma I questo ò facto ché conoscate la scrictura de mia mano.

1 18 Giugno 1409, Valenza Filza D 925, Valenza-Barcellona; numerata a matita in basso a sinistra: 116791. Dimensioni: 22,8 χ 14 circa, con qualche irregolarità; integra; senza filigrana. Arrivata a Barcellona il 22.VI. 1409; reca sul verso il signum del mittente e la sigla che indica che vi è stata risposta.

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Al nome de Deo am(en); dì 18 de iunio 1409.1 Io co· la gratia de mis(er) Dominideo sò ecquì in Valença in casa v(ost)ra (e) recevutoce I bona vista, che mis(er) Dominideo a tucti vugi faccia quella contentecça ch(e) l'animi v(ost)ri I desidera. Il Avisove che le mandule ecquà se compara(r)ia de le nove pagandole mo' da li1 93 I infine 95 s. la carca, - ciò è a li lochi dove se recoglie - (e) dice che è miglior I piso che quillo de Barçalona; ma, p(er) quello ch'io posso conprender, le nuvelle peiora I si de queste guerre de mare che male è da fa(r)e in ogni loco. I La nave Sabatina non è venuta ancora, che Deo la conduca a salvam(en)to, ch'io ne II agio assay penserò. I Depo' facta questa Angelo v(ost)ro è andato al porto: dice la nave Sabatina è venuta I al porto; no(n) sa dir più sicché de più no(n) ve aviso. I Pregove ve avísate del curarne da Maiolica (e) como se rege (e) se carti avesse loco I de baratarce (e) in que modo. Il Più ve prego: mando queste lectere va a Pauluccio a Venetìa: prego ne vada p(er) I mani li sia date; altro no(n) dico p(er) ora; sò semp(re) v(ost)ro; (Crist)o ve guarde. I Gilio de Amoruso I saluta da Valença.

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D(omi)no Francischo de Marlcho (e) conpagni in II Barçelona. 1

Ij corretto su le.

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2 21 Giugno 1409, Valenza Filza D 925, Valenza-Barcellona; numerata a matita in basso a sinistra: 116792. Dimensioni: 22,3 χ 15,6 circa, integra; la filigrana raffigura tre monti di cui quello centrale, più alto, sormontato da una croce latina maurìziana: se ne può osservare solo la parte superiore, per cm. 3,3 (completa alla lettera n. 22); non registrata nel repertorio del Briquet La lettera è arrivata a Barcellona il 27.VI. 1409, secondo la nota di ricevimento; oltre a quest'ultima, reca sul verso il signum del mittente e la sigla che indica che vi è stata risposta.

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Al nome de Deo am(en); 1409, dì 21 de iunio. I A dì 18 de quisto ve agio scritto; dapoy è descarcate le ccc»1 carri de la nave (e) venute ecquà, I (e) le carri so(n)no assay belle (e) bone: se vedessate se ne spaciasse ellà ce ne mandàramo I p(er)ché so(n)no carri fine. Il Diceme lu patrone de la nave se n'avesse avuto comissione de poderne vendere n'averia I vendute a Maiolica, che uno soy scrivano ne vendi non de bona rasione carri due. 23 I cassa, sicché ne pódete avisar de li v(ost)ri de ciò, (e) de qua ne avisarimo2 nuy; (e) se fosse I da trarne cúrame, como ne ragiona(m)mo, anche lo farrimo; altro no(n) dico sop(re) de ciò; sò semp(re) I v(ost)ro, (Crist)o ve guarde. Il Anche ve prego, se vedessate de podesse baracta(r)e a lane, che de quissi mercatanti ce I atendesse; pregove ce siate solliciti3.1 Pregove mandate quelle lectere a Veneria. I I Lu v(ost)ro Gilio de Amoruso II saluta da Valença. D(omi)no Francischo de Marco I (e) conpangni in Barçelona.

3 27 Giugno 1409, Valenza Filza D 1081, Valenza-Maiorca; numerata a matita in alto a destra: 123649. Dimensioni: 22,4 χ 11,4, con qualche irregolarità; integra; senza filigrana. Arrivata a Maiorca il 14.VII.1409; reca sul vaso il signum del mittente e la sigla che indica che vi è stata risposta.

Al nome de Deo am(en); 1409, dì 27 de iunio. I

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Si tratta forse del primo tratto di eh, meno probabilmente di et. L'apice della ι è allungato sopra la m, così da sembrare un trattino di abbreviazione. soUicitj corretto su sollicito.

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S

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Io no(n) ve agio scricto ellà p(er) no(n) e(sser)c stato de bisogno; mo' sò ecquà in Valença (e) vòrra I e(sser)e avisato de la valuta de olio (e) cora bovine, onde ve prego che p(er) le prime che possete I me avisate quanto vale olio spacciato de ongni spesa, (e) dechiaratelome p(er) piso de II libre de Fiorença aciò che meglio lo pocça intendere (e) similem(en)ti me dichiarate de cora I bovine lu precço (e) tucto. I Io agio ecquà papiri fini (e) boni: se se ne spaciasse ellà piaceriame de senti(r)e, (e) se a cora bovine I se trovasse a baracta(r)e, over a olio over a lane; de tucto ve piaccia de avisarmene. Altro no(n) dico; I sò semp(re) v(ost)ro; (Crist)o ve guarde. Il Gilio de Amoroso I saluta da Valentia. I (E) più ve prego se se trovasse a baracta(r)e W de queste carti a lane, spitialm(en)ti ad angeline che I fosse bone, pregove ce mectate penserò, (e) se besognasse iongere1 den. ce mederò; I (e) scrivateme lu precço de l'angeline quanto vagliono. Il

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Francischo de Marco I (e) conpagni mercatanti I a Magiolica.

4a 5 Luglio 1409, Valenza Filza D 925, Valenza-Barcellona; numerata a matita in basso a sinistra: 116793. Dimensioni: 22,4 χ 11,6 con piccole variazioni; piccoli buchi al centro e sulla destra (interessano parti del testo alle rr. 7, 9, 10); macchie di umidità ostacolano la leUura alle rr. 8, 11 e alle rr. 5, 6, 7, leggibili queste ultime solo con l'ausilio della lampada di Wood; senza filigrana. Arrivata a Barcellona il 15.VII.1409; reca sul verso il signum del mittente e la sigla che indica che vi è stata risposta.

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Al nome de Deo am(en); 1409, dì 5 de iulio. I Più dì fa che ve scrissi che la nave Sabatina era venuta a salvam(en)to (e) le carti scalcate I (e) è una bella sorta de carti (e) così da novo ve scrivo (e) prego che ve adoperate che li I pocça far fine a queste carti; se ellà se podesse vendere a den. over a t(er)mene a bone p(er)sone II over a baracto de lane over de cora bovine, in quello che sentessate che più vantagio I fosse, ve prego ve ce2 mectate penserò p(er)ché ecquà se ce fa po' (e) secundo m'à d(i)c(t)o Iacobo I de Tomasso ellà à meglior conditio(n)e le ca[r]tì ch[e] ecquà; (e) de tucto ve prego3 me av[i]sate. I Altro non dico; sò semp(re) v(ost)ro; (Crist)o ve guarde. I Gil[io] de Amor[uso] Il sa[lu]ta da Valença.

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La prima e è più spessa del consueto, e reca un apice: deriva certo da correzione su ». Seguono due lettere cassate, illeggibili. Una macchia di umidità ostacola la lettura, possibile solo c.on l'ausilio della luce ultravioletta; l'omissione della sillaba finale è sicura.

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[Fjrancischo d[e] Marcho I [e] conpagni mercata(n)tì I in Barçelona.

4b 9 Luglio 1409, Valenza Filza D 925, Valenza-Barcellona; manca la numerazione a matita. Dimensioni: 22,1 χ 10,2 circa; è strappato l'angolo inferiore destro, senza danno per la parte scritta; una macchia di umidità ostacola la lettura a r. 13; senza filigrana. Non reca indirizzo né nota di ricevimento, né, in calce, firma del mittente: fu evidentemente allegato ad altra lettera, con ogni probabilità la precedente, alla quale viene dunque annessa nella numerazione. È l'unico pezzo scritto sul recto e sul verso (distinzione di cui non si è tenuto conto nella numerazione delle righe).

Dì 9 de iulio. I Depo' facta questa lectera recevecti una v(ost)ra lectera fatta dì 25 de iunio (e) quanto dicete I agio intiso; apresso respondo al bisogno. A la parte de e(sser)e recevuto in v(ost)ra casa, a questo I respondo sò recevuto multo meglio no(n) me se convene: Deo ve merete p(er) me, ch'io no(n) Il s(er)ria da ta(n)no (e) mis(er) Dominideo mi dia grada ve possa in qualche parte merita(r)e; I a questo no(n) dico più. I Como ve scrissi, la nave Sabatina era venuta (e) le carte venute 1 a salvam(en)to; viro è, I como ve scrivo, ecquà à poca ademanda. Io ne mandarò ellà se altro no(n) agio da I vugi; viro p(er) lu p(re)cço che vugi dicete no(n) se porria da(r)e: io le vendo ecquà a den. Il li. 17 la cassa: faite rasio(n)e ellà se vendesse li. 17 cassa (e) io ce fania spesa I de qui a Barçalona. I Dicete che se rasiona de mettere nave inn Ancona2 (e) p(er) Veneria3: io poco ò facto ecquà, ma I tempo ce consigliarà (e) spitialm(en)ti p(er) veder que farrà quisso4 maled(i)c(t)o re Lancilao. I Pregove quanto posso mectate penserò a lu facto de queste5 carri II voltai (E)6 depo' facta questa agio receuta un'altra v(ost)ra lectera fatta dì p(ri)mo de iulio (e) quanto dicete I al facto de le carri agio intiso. Io credo più vaccio quello dicete vugi che quello che altri dicono, I non de mino7 se vedessate se podesse barattare a lane che fosse bone (e) a bon precço piacelriame de barattare (e) farriace ionta de den.; ilio è viro che le lane credo faiTà pocho utele, Il ma convene

1

2 3 4 5 6 7

A causa di una macchia di umidità la finale 6 leggibile solo con l'ausilio della lampada di Wood. Si tratta di una -a forse corretta in -e con l'aggiunta di un trattino orizzontale. La ι di inn è alta e di tratto grosso, forse riscritta su precedente i. Di lettura non agevole a causa di una macchia di umidità. La parola è leggibile solo con l'ausilio della lampada di Wood. Di lettura non agevole a causa di una macchia di umidità. Di qui in avanti il testo è scritto sul verso della stessa carta. L'apice sulla i è allungato fino a sembrare trattino di abbreviazione di n.

30

chon quello se pò faci1; vugi vederete como pódete fare ellà (e) io vederò como I porrò fa(r)e ecquà (e) quello meglio ce mecterà porrimo pigliar partito, mediante l'aiudo, lu I consiglio (e) el favor v(ost)ro; sò semp(re) v(ost)ro. I De le card no(n) c'è fioricto ma ce so' de le card pine2 (e) grosse.

5 13 Luglio 1409, Valenza Filza D 925, Valenza-Barcellona; numerata a matita in alto a sinistra: 116794. Dimensioni: 22,1 χ 29,7; qualche lacerazione ai margini, specie in corrispondenza di r. 21; al bordo inferiore, una lacerazione che giunge alla sottoscrizione interessa gravemente la parte centrale delle rr. 38-40, vi sono inoltre tre buchi, che interessano le π . 9-11, 21-22, 29-32: questi ultimi sono stati procurati mentre la lettera era piegata, come dimostra la simmetria del primo e del terzo; inoltre, la carta è consunta in corrispondenza della piegatura, con danni alla parte scritta alle rr. 12,13. Senza filigrana. Nel verso compaiono anche alcuni conti, in due colonne separate da una linea verticale: I

_L

I I 1 1 1 2 1 1

1. _L 2 3

3 7 151

1 1 1 4.

1 9

Arrivata a Barcellona il 18.VII.1409; reca sul verso il signum del mittente e la sigla che indica che vi è stata risposta.

5

A l nome de Deo am(en); 1409, dì 13 de iulio. I A quisti dì assay ve agio scricto3 p(er) avisarve de mey facti: como me pare de senti(r)e, lu I facto de Cortona è viro, che '· re Lancilao l'à presa; (e) nel d(i)c(t)o loco de Cortona era uno I meo fratello carnale, de età de xx anni, che era andato, quando io vinni ecquà, Il a Cortona a uno soy parente che era ellì a Cortona podestà; audo, oltra de questo, quisto I re Lancilao mustra che p(ro)spere sì ch'io dubito de l'Amandula, che è in loco assay cirlcundato da le t(er)re de- re (e) ellì a l'Amandula agio mey figlioli (e) so(n)no piccholi, sicché, so-1 brevità dicendo, fra l'uno (e) l'altro ell'animo me strenge de retorna(r)e in ne li pagisi I d'ellà a dar mo-

1

La lettura è sicura (si vede bene anche l'apice della i ) benché le lettere siano tracciate con ductus inusuale.

2 3

La lettura è sicura; per la discussione di questa forma cfr Glossario, s.v. pino. Segue un segno che non capisco; sembra si tratti di m maiuscola (cfr Marco

sul verso di

questa stessa lettera) seguita da un altro segno, che potrebbe essere una o.

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10

15

20

25

30

35

do se [..Ipírojspera1 de far veni(r)e a Venetia tucta mia fameglia (e) p(er) quellsto ò de necescità2 de da[re fin]e a queste mey card (e) p(er) darli fine ne rechedo più vaccio I (e) 'nanti vugi che niu[no] altro p(er) più rasiuni: prima che sò tenuto de debito de far I utele a vugi più che a [n]ullo altro; secundariam(en)ti p(er) honor de la mercatantia, ché la I mercatantia è bona ch[e] ciascheuno deveramo sforçare mantenerne li p(re)cçi lo più I se podesse; onde ve prego con v(ost)ro utile ve piaccia de pigliare de queste partite II una, quando a vugi destro, a me s(er)rà singular piac(er)e, como ve agio dicto, con v(ost)ro I utele; prima: a me s(er)ria piac(er)e le conparassate p(er) quillo precço piacesse a vugi, I questa una partita \questa una partita/3; ove questo no(n) volessate fa(r)e, de far I questo, che le cartì se stemasse quello che a vugi piacesse (e) quello che se ne refalcesse fosse comuno fra vugi (e) me (e) io me sforçara de remecter li den. Il p(er) la parte mia subito; (e) ove questo no(n) volessate fa(r)e, ce p(re)stassate den. (e) quelllo costasse [ ](e) le carti se vendesse ponessate al cunto. Oramay la mia inte[n]ltione avete intesa4, con que partito che ve p(ro)mecto5 de mecterve in mani maior I quantità de den., questa6 sinça alcuno costito de den. né de tempo. Se alcuna de I queste parti ve pare (e) piace de fa(r)e, scrivatelo ad Angelo subito (e) a me s(er)rà II singular piac(er)e, (e) se no, anche ve piaccia7 de scriv(er)e. Como vugi vedete, io no(n) ve relchedo8 de v(ost)ro da(n)no, anche de utele, sinça correre rescho né penserò, ché vugi conp(ar)alrete la mercata(n)tia a Fiorenpa, (e) nell'altri lochi correte li reschi, mectete li den. de gra(n)de I tempo (e) no(n) siete certi del guadangno; (e) de questo ve siete certi sinça alcuno rescho; I non de mino vugi siete savio: quello che prenderete, io ne remanò p(er) contento. Il Io me crederò de mandar[.„] alcuna de queste balle de carta (e) vogliove p(re)ga(r)e che se I trovassate a baracta(r)e a [lan]e9 me ne scrivate (e) lo più p(re)sto che possete. Altro no(n) dico; I sò semp(re) v(ost)ro; (Crist)o v[e guar]de I Gilio de Amoruso I saluta in Vale[n]tia. Il Pregove mandate queste lectere a Venetia a Pauluccio10.1

1

2 3 4 5 6 7 8

9 10

Si vede un'ansa che non sembra poter essere altro che la parte estrema di una p. L'ampiezza del buco è sufficiente per ipotizzare la presenza di un'altra breve parola; forse si potrebbe integrare se [• re] p(ro)spera. La lettura è dubbia; non si possono escludere necesatà o necesictà. Si noti che la ripetizione non può essere stata provocata dal cambio di rigo. Un buco ha asportato l'inizio della parola, ma si distingue la parte inferiore di tutte le lettere. Sembra corretto su -j. C'è un piccolo segno sopra la q, che potrebbe essere l'inizio dell'ansa di una s. Scritto piaccja probabilmente su correzione di un piace precedente. Cancellatura sopra alcune lettere a fine rigo: si possono distinguere due aste tagliate da una terza. L'integrazione è suggerita da 3.11. Tutta la frase è scritta con inchiostro più chiaro, forse in secondo momento.

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40

Per quello ch'io conprendo, mectere le carti illì1 a Barçalona ce intra ben un ducato p(er) I balla (de spesa}2, sicché volendole manda(r)e ellà s(er)ria una grande spesa; se vendeta ne falcisci alcuna dateli ecquà; no(n) de mino io ve[ ]ndarò vj balle acciò che le veldate over veram(en)ti se vendeta [....] facessa[te ]ese ce intrasse pagasse el conllparato(r)e over darli ecquà [...]3 Francischo de Marcho (e) I conpagni in Barçelona.

6 17 Luglio 1409, Valenza Filza D 925, Valenza-Barcellona; numerata a matita in basso a sinistra: 116795. Dimensioni: 21,7 χ 13,4 con qualche irregolarità; integra; della filigrana, che appare identica a quella della lettera 2, resta solo la parte superiore, per cm. 0,8. Arrivata a Barcellona il 22.VII.1409; reca sul verso il signum del mittente e la sigla che indica che vi è stata risposta.

5

10

Al nome de Deo am(en); 1409, dì 17 de iulio. I A quisti dì ve agio scricto sop(re) el facto de le carte assay, non de mino p(er) pur darli fine (e) in I caso che quello ve scrissi non ve fosse destro de

farlo, p(re)gove che ve adoperate se baracte I a lane che sia de bona rasione (e), se ce besogna iongere den., io lo farri» sì4 veram(en)ti che le II carti li asingno ecquà, che se io fosse tenuto de darli a Barçalona ce entra una grande I spesa; (e) mercato se facesse faite in meo nome: questo dico p(er) non pagar tre p(er) cento che paga I li fiorentini, p(er)ché io me spaccio p(er) venetiano (e) cictadino de Veneria sò (e) ellì agio case I (e) inprestiti; questo ve scrivo p(er) avisarve de no(n) pagar 3 p(er) c (e) de tucto ve prego I che se se pò li se dia lu spaccio lo più che se pò, solam(en)ti p(er) torna(r)e, como ve scrissi, ne li n(ost)ri II pagisi p(er) quisti facti de· re Lancilao. Altro no(n) dico; sò semp(re) v(ost)ro; (Crist)o ve guarde. I Gilio de Amoniso I saluta in Valença. Francischo de Marco (e) I (Crist)ofano de Bartolo in Barçelona.

7 20 Luglio 1409, Valenza Filza D 925, Valenza-Barcellona; numerata a matita in basso a destra: 116796. Dimensioni: 21,9 χ 21,7; integra; non c'é filigrana. Arrivata a Barcellona il 26.VII.1409; reca sul verso il signum del mittente e la sigla che indica che vi è stata risposta. 1 2 3

4

illj corr. su ilio. Aggiunto a margine accanto a balle, senza segno di inserzione. II lembo inferiore del foglio è strappato, senza che si possa decidere se è stata asportata parte dello scritto. Segue una lettera cassata, illeggibile. 33

5

10

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20

25

Al nome de Deo am(en); 1409, dl 20 de iulio. I A quisó dì assay ve agio scritto p(er) queste mey facende (e) mo' da novo ve scrivo p(er) poder I dar fine (e) p(er) no(n) soctavender le card; agio avisato de conparar lane a tempo de iiij I over ν misi in quisto modo che, dagendo den. innanti el termene, ch'è tanto tempo, Il se ce mectesse più t(er)mene, como tucto ora se pratica de far questo p(er) merlcatanti, (e) fra quisto tempo se spacciarla le card (e) quelle no(n) se spaciasse remecte(r)ia I dena(r)i; vugi credo me intendale meglio no(n) saccio di(r)e (e) questo me capa più ne I l'animo che nulla altra aviso, sì p(er) no(n) dare inpaccio a vugi de mecter den. (e) né I ad altri; avenga più (e) diverse cose sop(re) de ciò agio scricto, ell'animo meo se II ferma più in questo che in altro, onde ve p(re)go ve adoperate de conpara(r)e lane I p(er)fi' a la su(m)ma de quatrocento quintan p(er) lo meglior p(re)cço che possete a t(er)melne de ν misi o de iiij misi lo mino (e), paga(n)no den. inanti t(er)mene, aver altreltanto t(er)mene p(er) rato de li den. ch(e) se paga, sicché la lana podesse aver p(er) I la nave Sabatina; (e) se la p(ro)messa no(n) ve acade de far vugi, p(ro)ferete1 s(er) Il Francischo Arigicti, che farrà la p(ro)messa p(er) ongni quantità che bisongna; I (e) de tucto inanti che fermate me n'avisate me, sicché quillo sia obligate (e) vug/2 I no(n); (e) lu mercato faite in meo nome p(er) no(n) pagar tre p(er) cento; (e) se nulla faite, I faite presto, p(er) questa nave, (e) de ciò ve p(re)go quanto posso. I (E) lu mercato facessate, p(re)gove faite che o tucta o parte p(er)fi' in quantroce(n)to II quintali sia a mia electio(n)e de poder tollere3 (e) p(re)gove ve sforçate 4 de aver I bona robba (e) la meglior derrata possete. Altro no(n) dico, tenatelo in vugi che I no(n) lo sappia altri; sò semp(re) v(ost)ro; (Crist)o ve guarde. I Se none avete mandate quelle lectere a Veneria, pregove le mandate5.1 Gilio de Amoroso II saluta in Valença. I Dicete 6 mande carti, io ve ne mandarò; da vj balle porria e(sser)e, ma ce va tanta I spesa no(n) mecte rasio(n)e. Avimo facta rasione Angelo (e) io ce va da xxij I s. p(er) balla.

30

D(omi)ni 7 Francischo de Marcho (e) II (Crist)ofani de Bartole in I Barçelona.

1 2

3

4 5

6 7

Per la discussione di questo passo, efr Glossario, s.v. *proferire. La -i non è visibile neppure con la lampada di Wood; non è stata tracciata per mancanza di spazio a finerigooppure è interamente coperta dalla lettera precedente. La vicinanza delle basi delle due lettere non permette di giudicare con sicurezza se si tratti di -li- o -II·. L'occhiello della seconda / non è stato neppure abbozzato, come invece avviene di solito, ma il tratto basso è nettamente differente da quello di una i. In sforçate manca la cediglia. Tutta la riga è scritta con lo stesso inchiostro del poscritto, diverso da quello del resto della lettera, dalla stessa mano, in spazio evidentemente lasciato libero. Tutto il post scriptum è in inchiostro diverso, della stessa mano. -j corr. su -o.

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8 24 Luglio 1409, Valenza Filza D 925, Valenza-Barcellona; numerata a matita in basso a sinistra: 116797. Dimensioni: 22,1 χ 14,7 circa, col bordo inferióle leggermente irregolare; manca un brandello nel margine destro, in corrispondenza delle rr. 6-9, con qualche danno della parte scritta; la filigrana è la croce su tre colli, identica a quella del n. 2; se ne può osservare solo la parte inferiore, per cm. 2,8 (e 2,5 di larghezza), e cioè i colli e la parte bassa della croce. Arrivata a Barcellona il 30.VII.1409; reca sul verso, oltre al signum del mittente, alcuni conti (il 3 di 224.3. 9 della seconda colonna, terza riga ì corretto su 4): 31.1

1

220.5.6

3 10- 3 224. 3. 9

224. 4. 9 231 — 5.2.9 221 225. 8. 3 6.2.6 1.3.5 424.8.10 224. 4.10 110 52.5.6 17. 8.10 6. 6. 2 42°. 5. 6 23. 7 . 6 Il segno consueto di avvenuta risposta si trova sul recto, alla fine dell'ultima riga.

Ahi/ nome de Deo am(en); 1409, dì 24 de iulio. I A quisti dì passati assay ve agio scricto (e) p(er) un'altra inanti de questa scrictove se lalne fosse bone (e) de bon pagese se trovasse a 1 conpara(r)e a t(er)mene de ν misi (e) I den. se dagesse inanti t(er)mene, se p(ro)longasse de lu resto p(er) rata altretanto t(er)mene, Il (e) in questo me era fermato et deliberato; p(re)gove se no(n) ce avete atisso ce atenldate (e) p(re)sto ne abia resposta p(er) la nave Sabatina podesse mandare, la quale è I a Panischula (e) subito dé e(sser)e ecquà, sicché se ellà so(n)no mercata(n)ti che ce atend[....] I sicché p(er) questa nave se podesse manda(r)e; p(re)gove ce atendate (e) sappia lu p(re)[cço] I (e) tucto p(re)stamenti; sop(re) de ciò no(n) scrivo più a pino, che vugi saperate multo meglio II fare ch'io no(n) so dire (e) p(er) p(ro)messa intrarà Francischo Arigicti; altro sop(re) de ciò no(n) I dico. I Pregove mandate questa lectera a Veneria; altro no(n) dico; sò semp(re) v(ost)ro; I (Crist)o ve guarde. I Gilio de Amoroso II saluta in Valença. I Avisove quisto dì so(n)no venute lane da la S(er)ra, de le bone, s. xxij2. D(omi)ni3 Francischo de Malico (e) (Crist)ofano de I Bartolo in Barçelona. 1 2 3

Segue un'asta cassata, forse di p. Segue, di altra mano, la r di forma maiuscola che indica che vi è stata risposta. -j corr. da -o.

35

9 9 Agosto 1409, Valenza Filza D 925, Valenza-Barcellona; numerata a matita in basso a sinistra: 116798. Dimensioni: 22,5 χ 12,6; integra; manca la filigrana. Arrivata a Barcellona il 17.VIII.1409; reca sul verso il signum del mittente e la sigla che indica che vi è stata risposta.

5

10

Al nome de Deo am(en); 1409, dì 9 de agusto. I A quistì dì passati recevecti doy v(ost)re lectere (e) in quello che in quesse se contene

no(n) I besogna respondere, inp(er)ciò non me ce affatigo. I Credo co- la gratia de Deo a salvam(en)to abiate recevute le vj balle de la carta II mandate a vugi p(er) leguto de Per Filigo onde ve prego quanto posso che le I vendate p(re)stam(en)ti a li dena(r)i p(er) lo meglio se pò (e) li den. remecíate ecquà, questo dico I p(er)ché l'animo meo è in tucto de spaciarme d'ecquà, como p(er) l'altre ve agio scricto. I Altro no(n) dico; sò semp(re) v(ost)ro; (Crist)o ve guarde. I Gilio de Amoroso II saluta in Valença. D(omi)nis Francischo de I Marco (e) (Crist)ofano de Bartole in Balrçelona.

10 17 Agosto 1409, Valenza Filza D 1081, Valenza-Maiorca; numerata a matita in alto a destra: 123650. Dimensioni: 22,4 χ 14,6; integra; stessa fìligrana del n. 2, di cui resta però la sola parte superiore, per cm. 3, larghezza massima cm. 3,5. Arrivata a Maiorca il 6.IX.1409; reca sul verso il signum del mittente; manca la sigla che indica che vi è stata risposta.

5

10

Al nome de Deo am(en); 1409, dì 17 de agusto. I A quisti dì passati me à scricto (Crist)ofano da Barçalona che mande ellà χ balle de I carta; io volente(r)i ne vorria da vugi prima e(sser)e avisato que conditione ce à, I onde ve prego che lu più presto se podesse me ne avísate quanto se vendesse II a li dena(r)i caiti fine. Viro è se Bandarone vene prima che vugi me ne avísate I io mandarò p(er) luy. Altro no(n) dico; sò semp(re) v(ost)ro; (Crist)o ve guarde. I Gilio de Amoroso I saluta in Valença. D(omi)nis Francischo de II Marco (e) (Crist)ofano de I Bartolo (e) conpagni in I Maiolica.

36

11

4 Settembre 1409, Valenza Filza D 925, Valenza-Barcellona; numerata a matita in basso a sinistra: 116799. Dimensioni: 22,5 χ 14 circa, con qualche irregolarità; integra; stessa filigrana del n. 2, di cui resta però la sola parte superiore, per cm. 0,8. Arrivata a Barcellona il 9.IX.1409; reca il signum del mittente e la sigla che indica che vi è stata risposta.

Al nome de Deo am(en); 1409, (fi 4 de set(em)br(e). I Como p(er) altra ve scrissi mandava p(er)1 la nave de Per Perur bal. χ de carta; I credo con la gratia de mis(er) Dominideo a salvam(en)to le averete avute; pregove che li date I spaciam(en)to p(er)ché d'ecquà io me sò p(er)spaciato (e) tucte le mey carte agio vendute II qual p(er) uno modo (e) qual p(er) altro. Altro no(n) dico; sò semp(re) v(ost)ro; (Crist)o ve guarde. I Gilio de Amoruso I saluta in Valença. Francischo de Marcho I (Crist)ofano de Bartolo II (e) conpagni in Balrçelona.

12 10 Settembre 1409, Valenza Filza D 925, Valenza-Barcellona; numerata a matita in basso a sinistra: 116786. Dimensioni: 22,6 χ 13,5; integra; senza filigrana. Arrivata a Barcellona il 15.IX.1409; reca sul verso il signum del mittente e la sigla che indica che vi i stata risposta. Sul verso resta un conto: 60 60 100 20 7 6 21 10 10 .10 .95 100 272 771 Accanto a queste cifre, in verticale, stanno alcune parole, cassate con tratti di penna: Al r(esto) d[...] d. 29.

Al nome de Deo am(en); 1409, dì 10 de sect(em)br(e). I Como p(er) altra ve scrissi credo le carti co· la gratia de mis(er) Dominideo averete aute I a salvam(en)to (e) vendutele; io l'aio tucte vendute. Se vendute no(n) l'avessate, I p(re)gove le vendate lo più presto che possete. Il 1

Corretto su /. 37

5

10

P(er) quello che ò sentito, me se dice volete vugi (Crist)ofano anda(r)e a Fiorença, I che se fosse viro me piace(r)ia, ché credo pigliaria partito, quando ve piacesse, I andassamo insiemi; se ve piace ve prego me ne avísate. Altro no(n) dico; sò se(m)pre I v(ost)ro; (Crist)o ve guarde. I Gilio de Amoruso II saluta in Valença. cCarti li. 422> (Crist)ofano de Bartolo in Barçelona.

13 19 Settembre 1409, Valenza Filza D 925, Valenza-Barcellona; numerata a matita in basso a sinistra: 116800. Dimensioni: 22,3 χ 15,7; integra; filigrana identica a quella del n. 2: è visibile solo la parte inferiore, per un'altezza di cm. 2 4 ; la larghezza massima è invece cm. 3 Arrivata a Barcellona il 23.IX.1409; reca sul verso il signum del mittente e la sigla che indica che vi è stata risposta.

S

10

Al nome de Deo am(en); dì 19 de sect(em)br(e). I A quisti dì passati ve scrissi ch'io avia facto fine a le mey {carti} (e) pregava vugi che se non I avete vendute quesse che ve manday le vendessate presto (e) così credo che agiate I facto; (e) p(er) da(r)e spacio a tucto perché sò disposto in tucto a la1 usita de quisto mese de II partirme d'ecquà, ché Tomasso Biliocto se parte - sò certo che è bona conpagnia - (e) I p(er) voler dar fine a quisto cunto (e) conparar mercatantia, piaceriame che lo reltracto de quesse carti me facessate dare ecquà al tempo; (e) se conta(n)ti volessate i dare, tollessate quello è usança (e) più, (e) de questo ve prego p(re)sto me respondati. I Altro no(n) dico; sò semp(re) v(ost)ro; (Crist)o ve guarde. Il Gilio de Amoruso I saluta in Valença.

IS

D(omi)nis Francischo de I Marco (e) (Crist)ofano de I Bartolo in Barllçelona.

14 24 Settembre 1409, Valenza Filza D 925, Valenza-Barcellona; numerata a matita in basso a sinistra: 116801. Dimensioni: 22,1 χ 16,7; integra; senza filigrana. Arrivata a Barcellona il 1.X.1409. Sul verso sono stati scritti da altra mano alcuni conti,riprodottiqui di seguito (si noti che l'ultimo numero in basso a sinistra è conetto su un'altro illeggibile, e che ilrisultatodell'addizione è 1055).

1

Nel testo: lo. L'emendamento è discusso nel Commento linguìstico, § 62.

38

227 140

138 m°

660 240 96

1053

J52 1053 Reca inoltre sul verso il signum del mittente e la sigla che indica che vi è stata risposta.

5

10

15

Al nome de Deo am(en); 1409, dì 24 de sect(em)br(e). I A dì 21 de quisto recevecti v(ost)ra lectera facta dì 16. Dicete che avete recevute le χ balle I de le1 carte (e) avetene venduta una, che questo è quello più me recresce, credendo che I tucte l'avessate vendute; onde ve p(re)go (e)

reprego p(er) dar fine a queste bened(i)c(t)e carti II che p(re)stam(en)ti le vendate p(er) lo meglio che possete p(er)ch'io in tucto sò desposto de anda(r)e, I se p(er) terra non à modo, p(er) mare; voglio anda(r)e p(er) queste navi venetiani, che se parte I a la usita de quisto mese doy, sicché inn una me mecterò; p(re)gove che date fine a quesse I carti (e) de le vendute ve p(re)go scrivate v(ost)ra intentio(n)e, se volete p(ro)mectere o dar li I den. al tempo; viro è ch'io me credo che la resposta che facessate a questa no(n) credo me II ce trovará, ma lassarò ad altri quello voglio se facia de quissi den. I A lu facto de lo venir2 v(ost)ro, cioè de vugi (Crist)ofano, p(er) quello ch'io conprendo, no(n) siete I acto a partirve p(er) mo' p(er) la novità de Gienova; credo faite bene. Altro no(n) dico; sò semp(re) I v(ost)ro; (Crist)o ve guarde. P(re)gove che mandate queste lectera a Venetia. I Gilio de Amoruso II saluta in Valença. D(omi)nis Francischo de Marico (Cristo)fano de Bartolo I conpagni in Barçelona.

15a 6 Ottobre 1409, Valenza Filza D 1145bis, Valenza-Barcellona; numerata a matita in basso a sinistra: 136916. Dimensioni: 22,5 χ 9,8, col margine sinistro consunto; piccole lacerazioni che interessano il testo in corrispondenza della piegatura (r.3) e la sottoscrizione; macchie d'umido; senza filigrana. È una lettera di cambio, arrivata a Barcellona il 12.X.1409, se con l'indicazione di ottobre bisogna supplire (come sembra, visto il tempo impiegato dalla lettera del 6.XI.1409 per il percorso inverso) allo spazio bianco lasciato sul verso là dove il ricevente era solito annotare la data d'arrivo, qui incompleta: 1409 / de Valença I dì 12 de * * * ; all'altra estremità si ha un'altra indicazione di data: dì 13 nov(em)b{re), probabilmente della stessa mano, che si riferisce al termine di pagamento; reca il signum del mittente, mentre manca, com'è ovvio, la sigla che indica l'avvenuta risposta. Registrazione del pagamento relativo a questa lettera a Barcellona è in 1 2

la viene corretto in le con un inchiostro più leggero. La prima lettera è riscritta su altra precedente, forse a.

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D 829, Quaderno di cambi. Comp. Datini di Barcellona, c. 129v.: A dì rìii di ottobr(e) / A noi m(e)desmi p(er) di xxx vista lb. 57 s. 16 d. 6p(er) letifera) da Valenza / di Gilio da Monrusso per altritanti ebe da no(st)r(i) p(er) conto ap(er)to lb. 57 s. 16 d. 6.

S

Al nome de Deo am(en); 1409, dì 6 de oct(o)br(e). I Pagarete p(er) questa prima lectera a uno mese vista la lectera a vugi medessmo I lb. c[i]nquanta secte s. sidici d. vj de barçalonisi p(er) altre lb. 57 s. 16 d. 6 avuti I ecquì da' v(ost)ri medesmo (e) poneteli a meo cunto. Altro no(n) dico; (Crist)o ve guarde. Il Gilio de Amoruso I saluta in Valença. Franc(ischo) de Marco I (e) conpangni in I Barçelona. Il Prima

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15b 6 Ottobre 1409, Valenza Filza D 114Sbis, Valenza-Barcellona; numerata a matita in alto a sinistra: 136917. Dimensioni: 22,6 χ 7,2; piccoli strappi e buco all'altezza della r. 4; filigrana identica a quella del n. 2, ne compare solo la parte inferiore, per l'altezza di circa cm. 4. Non vi è sul verso la consueta registrazione della data di arrivo; reca il signum del mittente, mentre manca, com'è ovvio, la sigla che indica l'avvenuta risposta.

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Al nome de Deo am(en); 1409, dì 6 de oct(o)br(e). I Pagarete p(er) questa secunda lectera, se p(er) la prima pagati no(n) l'avete, sicché una ñata I sia pagati (e) no(n) più, a vugi medesmi a uno mese, vista la lectera, lb. cinquanta I secte, s. sedici, d. vj p(er) altretanti avuti ecquì da' v(ost)ri (e) poneteli a meo cunto. Altro II no(n) dico; (Crist)o ve guarde I Gilio de Amoruso I saluta in Valença. Fran(cischo) de Marco1 II (e) conpagni in I Barçalona.

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16 6 Novembre 1409, Barcellona Filza D 978, Barcellona-Valenza; numerata a matita in alto a destra: 519082. Dimensioni: 22,5 χ 20, con qualche irregolarità; integra; senza filigrana. Arrivata a Valenza il 12.XI.1409; reca sul verso il signum del mittente e la sigla che indica che vi è stata risposta.

Al nome de Deo am(en); 1409, dì 6 de nove(m)brc. I

1

La r, dapprima omessa, è stata aggiunta sopra dalla stessa mano, ma in una insolita forma rovesciata.

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S

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Io fuy ecquà co- la gratia de Deo questa domeneca passata che fo dì 3 de quisto mese I (e) quisto dì col nome de Deo me parto d'ecquà (e) mectome in camino. I Avisove de le nove d'ecquà se dicono, como e· re Aleviscio è intrato in Roma II (e) como le t(er)re del Patrimonio se so(n)no rebellate a- re Lancilao, cioè Orveto, Monte I Fiascone, Viterbo (e) multe altre t(er)re; credo oramay tucto quillo pagese se manlterrà p(er) la Chiesie de Roma, como è Campagnia, lu Patrimonio, el Ducato, I la Marca, Romagna, sicché re Lancilao no(n) averà da poder far novità in Tulscana né anche in n(ost)ro pagese (e) le cose p(ro)spera assa' bene, che Deo n'abia laude. Il Avisove del ronçino, che s'è portato bene; (e) p(er) lu camino me fìci fameglio I de Tomasso Biliocto p(er)ché me era ademandato (e) avisove corno ce1 abbi la I spada. Altro no(n) dico; sò semp(re) v(ost)ro; (Crist)o ve guarde. I A me scordo de pagar ellà ad Antonio de Auder p(er) resto de lane li. ij; palgatele ellà p(er)ché io l'ò messe in conto ecquà cioè ad Anto(n)io de Auder. Il De le χ balle de la carta ch'io manday ecquà se n'è furata una; quisti, I cioè (Crist)ofano, (e) però no(n) se ne accorse p(er)fi' ell'altre(r)i quando l'abbe venlduta, sicch'io vado cercando una balla de carta; se quisti se ne fosse acorti I da lo primo, s(er)riase retrovata; mo' è tanti dì che non è da farne mentio(n)e che I reaver se pocça; (e) avisove che (Crist)ofano me fa più hono(r)e che no(n) merito i(n) Il tucto. I Gilio de Amoruso saluta in Barçelona. D(omi)no Francischo de Marco I (e) conpagni in Valença.

17 16 Novembre 1409, Montpellier Filza D 903, Montpellier-Barcellona; numerata a matita in alto a destra: 116804. Dimensioni: 22,1 χ 15 circa; integra; la filigrana, differente da quella delle altre lettere, non i completa: si distingue un'asta verticale che taglia un cerchio (cm. 1,9 χ 4,5); non è registrata nel repertorio del Briquet. Arrivata a Barcellona il 25.XI.1409; reca sul verso il signum del mittente e la sigla che indica che vi è stata risposta.

Al nome de Deo am(en); 1409, dì 16 de nove(m)br(e). I Sò stato con Lorenço de Nocço2 (e) conpagni (e) la v(ost)ra lectera bene accetata, de que I agio recevuti li dece < scudi > (franchi) che vugi scriveste scicché questo sta bene3.1

1 2 3

Di lettura incerta: potrebbe essere re. La cediglia è sbiadita e quasi invisibile. La lettura non è certa: potrebbe essere bone.

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A la parte de lo verderame ecquà no(n) ce n'è su(m)ma: convene che se conpre da II chi lo fa a poco a poco (e) così ò lassato lo conpre, vj quitar1, (e) che lo mande I a Pisia (e), conparato che l'à, da vugi retraga li den. (e) vugi retragerete da me I como remane(m)mo in concordia: sicché questo avimo ordinato in quisto modo. I Ecquà no(n) ce so(n)no altre nuvelle; aspeetase la scarsella de ora in ora; altro I no(n) dico; sò semp(re) v(ost)ro; (Crist)o ve guarde. Il Gilio de Amoroso saluta in Monposleri Francischo de Marco I (e) (Crist)ofano de Bartollo (e) conpagni in I Barçalona.

18 3 Gennaio 1409 (=1410), Firenze Filza D 874, Firenze-Barcellona; numerata a matita in alto a destra: 116790. Dimensioni: 22,4 χ 31,1, con qualche irregolarità; integra, conserva i resti dello spago e dei sigilli; senza filigrana. Arrivata a Barcellona il S.II. 1409 (=1410); reca sul verso il signum del mittente e la sigla che indica che vi è stata risposta.

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Al nome de Deo am(en); 1409, dì 3 de ien(naro). I Avisove che a dì 30 de dice(m)bre con grande fatiga fuy a Fiorença, sì p(er) le multe acque che p(er) I camino me tende, sì p(er) lo anda(r)e a Marsilia, che illì stecti da χ dì, poy fuy sostenuto, I ché dicia io era de le t(er)re de· re Lancilao (e) stecti sostenuto iij dì; fra li tre dì la nave II se partì, poy vi(n)ni a Nicça, illì stecti ben viij dì inanti ne podessamo partire; poy I ne partemo p(er) mare (e) la galea de la guardia de Ienua mandò la galiocta dove nuy I andavamo a Ienua; illì stage(m)mo ben xj iurni sicché io ò penato da ij I misi a venir ecquà ma, gratia de Deo, venuto sò a salvam(en)to, sicché la cosa sta I bene; io tulci a Nicça da Bartolmeo Ysule(r)i franchi octo: terrò modo de darli ecquà, Il quisti (e) l'altri; a questo non dico più. I Como ve dissi io fuy a Monposleri con Lorenço de Nocço (e) disci che conparasse I vj quinta(r)i de verderame (e) così disse de fa(r)e; io s(er)rò a Venetia: terrò modo de I remecter li den. p(er) lo d(i)c(t)o verderame, (e) da lu d(i)c(t)o Lorenço abbi χ franchi. I A Pirpignano p(er) v(ost)ro amore io no(n) pay niente del cavallo ma me fece iura(r)e II che lu2 volesse p(er) meo cavalcare, sicché ve ne regratio quanto più posso. I

1 2

Per la discussione della forma si veda il Glossario, s.v. quintare. liuotesse. Nella scriptìo continua è stato omesso un tratto della u.

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De le nuvelle d'ecquà, quisto dì so(n)no venute che Paulo Ursino è intrato in I Roma (e)

corsa Roma p(er) la Chiesie de Roma, sicché le cose sonno p(er) p(ro)spera(r)e; I quisto dì el papa se parte da Pistoia (e) va a Bolongna; no(n) so se questa nuvella I reterrà de anda(r)e a Bolongna, che se dice quisto co(m)muno à mandato che no(n) vada II a Bologna, che è meglio vada a Roma; altre nuvelle no(n) ce so(n)no.l Io lassay a Nicça el meo cavallo (e) voglioce manda(r)e d'ecquà; credo s(er)rà bene, I se quilli de Lorenço de Nocço à conparato, over quando l'averà fronito de conlpara(r)e, se li acadesse mandarlo a Nicça, quello verderame, me piacerla, ché continualmenti è mo' el passo da Nicça a Pisia (e) porria far veni(r)e quello verderame II de lì che me s(er)ria più presto; sicché me piace(r)ia che vugi li scrivessate se I li acadesse de mandarloce, como ò dicto. I Io me crederò co· la gratia de Deo de manda(r)e ellà alcuna cosa, spaciatome d'ecquà; I altro no(n) dico; sò semp(re) v(ost)ro; salutateme Angelo (e) Ioha(n)ni v(ost)ro (e) v(ost)ro figliolo I che so(n)no in Valença. Il Lane de Sa· Macteo ecquà vagliono xij li. c. ma ce ne so' poche; (Crist)o ve I guarde. I Gilio de Amoroso saluto in Fiorença. D(omi)niis Francischo de Marco I (e) conpagni in Baiçelona.

19 29 Marzo 1410, Venezia Filza D 1004, Venezia-Valenza; numerata a matita in alto a destra: 519083. Dimensioni: 22,4 χ 21,9. Resti dello spago e del sigillo. Senza filigrana. Arrivata a Valenza il 17.V.1410; reca sul vaso il signum del mittente e la sigla che indica che vi è stata risposta.

Al nome de Deo am(en); 1410 dì 29 de mar(ço). I Agio veduta una lectera mándete a s(er) Pauluccio (e) dicete fra l'altro ch'io me sò scordato I de vugi; panne abiate rasione ch'io no(n) ve agio scricto, ma io ve scrissi da Fiolrençe: manday la lectera a Barçelona (e) dissi ne facesse noto 5 vugi, poy me partì da II Fiorença (e) sò stato a Fani (e) ecquì fuy questa Pasqua, sicché inanti no(n) ve I ò possuto scriv(er)e; sicché ve prego me amectate la scusa. I Lo venir meo, como p(er) altra scrissi a Barçalona, fo assay pericoluso (e) vinni p(er)fi' a Nicça I p(er) terra; a Nicça lassay el cavallo (e) vinni p(er) ma(r)e p(er)fì' a l'Avença in quello de Lucca I con assay dificultà p(er) li viagi pericolusi; 10 regratio mis(er) Dominideo che me condusse II a salvam(en)to. I Io spero de mandarve alcuna cosa ellà: piaceriame scrivessate de precçi de cose I d'ellà, cioè de ferro, de aciari, de pa(n)ni, de seta, de cora bovine, de rame, de pepe, I de ca(n)nella, de alume, de pastelli, de cera, de grana da pa(n)ni, de lino, de olio (e) I de alcuna altra cosa che vugi sapete. Il

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IS

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Dicese se faccia pace dal c u ^ m u n o 1 de Fiorença a· re Lancilao, no(n) so que se sequirà; I altre nuvelle no(n) ce so(n)no; dicese che el cardenale de Bolongna andato a campo a Forlinlpopolo, che se era rebellato al cardenale de Lonbardia; no(n) ce so(n)no altre nuvelle2; credo I se farrà guerra da Facçin Cane con quisti altri singnur de Lonbardia. I Credo vugi, s(er) (Crist)ofano, legerete questa lectera; corno ve agio dicto, crederò II mandare alcuna cosa ellà; volente(r)i senteria de li precçi de le cose (e) vugi I diceste de scriv(er)e. I A Fiorença manday una parte de le mey grane (e) a lloro scrissi che retragesse I li den. che abbi da vugi, cioè 29 due. (e) 8 fior, che ebbi a Nicça (e) anche più I den. dissi retinesse. Altro no(n) dico; recomandome a vugi; salutateme tucta la v(ost)ra II briata; che (Crist)o ve guarde. I Gilio de Amoruso saluta in Venetia. D(omi)nis Francischo de Marco I (e) conpagni in Barçelolna (e) in Valença.

20 26 Aprile 1410, Venezia Filza D 930, Venezia-Barcellona; numerata a malica in alto a destra: 116802. Dimensioni: 20,9 χ 18,9; piccolo buco di tarlo a r. 12; senza filigrana. Arrivala a Barcellona il 26.V.1410; reca sul verso il signum del mittente e il simbolo che indica che vi è stata risposta.

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Al nome de Deo am(en); 1410, dì 26 de ap(ri)l(e). I Più dì fa racevecti una v(ost)ra lectera ne la quale respóndete a una mia che ve I manday da Fiorença; apresso respondo al besogno. I Et quanto dicete del facto de Tomasso Biliocto (e) del soy dessasio (e) recrescem(en)to me II recresce assay; mis(er) Dominideo li piaccia de cavarlo de ogni affa(n)no. I Dicete che la mortalità ce fa da(n)no ellà; Deo la cesse d'ellì (e) de ogni loco, (e) vugi prego I che no· ce state, che se vole fugire el loco dove è. I Dicete le lane sta(n)no a lu usato; ecquì in Venetia ne so(n)no poche, vagliono I da viij duc. el centenaro. Il Dicete del facto de· rame (e) como quilli da Monposleri no(n) l'à conparato; I multo me piacerla se conparasse (e) mandassatelo ecquì a Venetia p(er) le navi I che v[e]rrando co· le lani, ché se l'amici ce avesse voluto s(er)vire s(er)ria polssuto veni(r)e p(er) le galee de Franda, se l'avesse mandato a Maiolica, poy I che ell'è inverno d'ellà. Il Pregove me scrivate de precçi de cose (e) de mercata(n)tie3, como4 è de ferro, I rame, piu(m)mo, acciari, pastelli, pa(n)ni de lino, cora bovine, cera, grana, I 1 2 3

Titulus molto sbiadito sulla prima u, visibile solo con la lampada di Wood. nivelle per omissione di un tratto della u. II trattino è erroneamente collocato sopra -er-.

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alume de sorta, carti, olio, formento, vini, cioè malvasie, romanie, I lane de Maiolica, tosiccie, cotuni. I Crederò co· la gratìa de mis(er) Dominideo mandarve de le mercata(n)tie; altro II no(n) dico; sò semp(re) a v(ost)ro comando; che (Crist)o ve guarde. I Gilio de Amoruso saluta in Veneria. I Anche ve prego me avísate de la mortalità como fa ellà. D(omi)no Francischo de I Marco (e) conpagni in I Barçelona.

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21 Giugno 1410, Venezia Filza D 930, Venezia-Barcellona; numerata a matita in alto a destra: 116803. Dimensioni: 22,4 χ 29,5 circa; uno strappo orizzontale lungo il segno di piegatura, in basso a sinistra, non reca danno al testo; restano traccia del sigillo e un pezzo della cordicella; senza filigrana. Arrivata a Barcellona il 18.VÜI.1410; accanto all'annotazione dell'arrivo, 6 indicata come data di partenza il 28 giugno da mano diversa da quella di Gilio; reca sul verso il signum del mittente e la sigla che indica che vi è stata risposta.

S

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Al nome de Deo am(en); 1410, dì 21 de iunio. I Quisto dì col nome de Deo (e) de salvam(en)to ò carcato ne la nave de s(er) Iacome Salbatino bai. vintisecta de carta, signato de meo signo, fra le quali ce so(n)no bal. I 14 de 12 rismi la balla, l'altre so(n)no tucte de 10 rismi; le quali ò comisso le II asigne a li v(ost)ri de Maiolica (e) a li v(ost)ri ò scricto quando a salvam(en)to l'averà ne I avise vugi p(er) queste rasiuni: io me credo che a Valença vadano multe caliti, sicché ellà deveria aver mala conditione; a Barçalona ne se deveria vend(er)e I meglio; (e) più l'ò avisato, (e) così ne aviso vugi, che se ve pare de mecterne I a Monposleri, o tucte o parte, che lo faite, considerato che in quelle acque1 no(n) Il ce so(n)no andate navi con carti, che ne deveria aver de bisogno assay; (e) la I voluntà mia è de lo retracto se farrà de le carti ne voglio verderame, sicché I ve prego ce pigliate in poca de cura che de le d(i)c(t)e carti se refaccia presto li den., I che Ί verderame abia a la tornata de queste navi da Venetia; (e) se ad altri I mectessate p(ro)visione no(n) voglio la v(ost)ra se perda, anti voglio l'abiate, pur II che lo verderame abia p(er) queste navi. I (E) se de le d(i)c(t)e carti no(n) se podesse aver così presto li den. p(er)ché a qualche t(er)mene I se ne pur fa, se costasse qualche den. p(er) remect(er)e a Monposleri p(er) aver p(re)sto I lo verderame, faitelo, ch'io ne sò contento, como ve agio dicto; faite de vend(er)e I le carti p(er) lo meglio che possete (e) conpararne verderame (e) farlo veni(r)e II a Maiolica (e) mecterlo ne navi. Pregove che de questo faite como p(er) vugi, I che, co· la gratia de Deo, p(er) l'avenir ve mecterò ne le mani altre su(m)me de merlcatantie che questa, (e) altra mercatantia. I 4 1

Corr. da come. Corr. da acquj.

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Io ve resta' quando fuy a Barçelona dar den., cioè 29 due. (e) la lectera \e la I lectera/ non mandasti may ecquà che ve fici de canbio; (e) 8 fior, recevecti II a Nicça p(er) vugi; sicché ve avisate de tucti (e) mandateli a paga(r)e o a Fiorc(n)ça I a li v(ost)ri over a me ecquà (e) s(er)rà pagati; (e) altre spese facessate nel verderame I (e) ne le cani mandate a pagare che s(er)rà ben pagati; pregove ce pigliate in poco I de sollicitude(n)ne, sicché l'abia p(er) queste navi de venetiani quisto a(n)no. I (E) più me avisarete de la nave dove el mederete p(er) prend(er)e securtà. Il (E) più me avisate de precçi de mercata(n)tie, (e) pregove che quisto facto ve sia recolmandato, che ne sia ben s(er)vito. Salutateme 1 i 2 v(ost)ri da Valença; altro non31 dico; sò semp(re) a v(ost)ro comando; che (Crist)o ve guarde. I Gilio de Amoroso saluta in Venetia. D(omi)no Francischo de Marco II (e) (Crist)ofano de Bartolo (e) I conpagni in Barçelona.

22 1 Luglio 1410, Venezia Filza D 1083, Venezia-Maiorca; numerata a matita in alto a destra: 123651. Dimensioni: 22,4 χ 21; due piccoli buchi, dei quali uno interessa il testo a r. 9; la carta è consunta in corrispondenza delle pieghe; è conservato il sigillo. La filigrana è la stessa del n. 2, completa, alta cm. 5.4, larga al massimo cm. 3,5. Sul verso, alcune lettere forse della stessa mano, cassate, su due linee distanziate, di lettura problematica: / . Arrivata a Maiorca il 28.VIII.1410; reca il signum del mittente e la sigla che indica che vi è stata risposta.

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Al nome de Deo am(en); 1410, dì p(ri)mo iulio. I A quisti dì ve agio scricto p(er) la nave de s(er) Iacomello Sabatino (e) simelm(en)ti ò scricto I a li v(ost)ri p(er) t(er)ra, ma non de mino p(er) questa ve voglio pur avisar (e) solicitare; I p(er) la \la/ nave del d(i)c(t)o s(er) Iacomello manday bai. 26 de carta, fra le quali ce so(n)no bal. Il 14 de 12 rismi p(er) balla: dissive li dagessate uno q(uar)to de due. p(er) bal(la) de soy I nolo, quando a salvam(en)to l'averete, che* Dio salve le faccia. I

1 2 3 4

Della ν c'è solo lo svolazzo iniziale, cassato. Sembra che un primitivo li sia stato ripassato corretto in i. L'integrazione è discussa nel Glossario, s.v. no. chio, di lettura chiarissima, per probabile errore grafico (anticipazione di Dio).

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(E) più ve disci che, avute che l'avete, le mandate a Barçelona (e) p(er) lu I curso se venda (e) se ve parrà mandarne a Monposleri, se ce avesse bone I conditione, lo facessate, ma a me è scr[i]cto da Fiorença che da Pisia ce ne so(n)no messe II assay, che se prima l'avesse saputo no(n) ce ne averia mandate; non de mino I faite de vendere lo meglio che se pò; (e) de lo refacto d'esse dissive (e) dico ne I voglio verderame (e) pregove quanto posso che ve forçate l'abia p(er) la I tornata de queste navi Vi/che1 mo' vengono, ché indutiando più s(er)ria p(er) I l'altro a(n)no, sicché a me farria grande da(n)no. P(er) l'altre ve agio scricto tanto II a pino, p(er) questa poco ce è da di(r)e; dico bene le spaciate presto, che essendone I venute quantità, quanto più sederà tanto peio se vendirà, (e) io averia I poco mia intentio(n)e p(er) lo sedere. I Questa lectera mandate a s(er) (Crist)ofano de Bartolo, aciò che sappia mia intentio(n)e. I Altro no(n) dico; sò semp(re) a v(ost)ro comando; che (Crist)o ve guarde. Il Gilio de Amoruso saluta da Veneria. D(omi)no Francischo de Marco I (e) (Crist)ofano de Bartolo (e) I conpagni in Maiolica.

23 5 Luglio 1410, Venezia Filza O 1004, Venezia-Valenza; numerata a matita in alto a destra: S19084. Dimensioni: 22,5 χ 25,4; una macchia di umidità ostacola la lettura alle rr.25 e 26, leggibili solo con l'ausilio della lampada di Wood; i buchi della cordicella sui lati lunghi e in corrispondenza dell'ultima riga non interessano il testo. La filigrana è di forma simile a quella del n. 2, completa, alta cm. 5,5, larga al massimo cm. 3,5. Sul verso, alcune parole vergate (forse per prova di penna) da mano diversa

da quella di Gilio: Al molt alt e molt excellent et / podros senyo(r)e en Fransech / Villoragia de Valentie. Seguono due fìtte colonne di conti, che si riproducono qui di seguito. 876. 43.10 72.6

-

360 27 4.10 15 3. 2. 6 .18. 1

300

9.5''4

113 53

2.6 1.7 2.4 4.9

240

L3_

12. 8

612

410.11.10 240 18.2 372 411.10. 0 La lettera è arrivata a Valenza il 1.IX. 1410; reca il signum del mittente e la sigla che indica che vi è stata risposta.

1

Di lettura sicura; sembra errore per il semplice relativo.

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Al nome de Deo am(en); 1410, dì 5 1 de iulio. I A dì 3 de quisto recevecti una v(ost)ra lectera facta dì 20 de maio, la quai I viddi multo volente(r)i, (e) con essa precçi de mercatantie. I Secundo me par de vedere, lane so(n)no montate (e) credo sia p(er) montar d'ellà; ecquà II se regono a due. 8 x h in 9 c., non credo sosterrà se2 ce verrando quantità ma I ecquà no(n) ce n'era, salvo questa nave ce n'à recata del Bonderone. I Per quello ch'io vegio, meicatantia d'ecquà no(n) c'è bona, d'ellà, secundo li precçi de I carti, ce ne vengono in sì grande su(m)ma che credo poco valerà3, (e) io n'agio manldata in poca a Maiolica a li v(ost)ri; no(n) so que fìne se ne farrà, p(er)ché me scrìve li II v(ost)ri da Fiorença che da Pisia ce ne vene assay. I De le grani che conparay la spesa d'ecquà, cioè de Venetia, no(n) è troppo grande: è assay I maior quella de Fiorença, ma non de mino tucte le manday a Fiore/jça4 (e) de parte I n'ò conparati pa(n)ni fiorentini; ma, p(er) amor che no(n) se pò mectere ne t(er)re de· re I Lancilao li pa(n)ni à assay mala conditione; no(n) de mino né pa(n)ni né grana non ò II finito, sicché no(n) ve ne poeço avisa(r)e, ma, p(er) quello poeço conprendere, se ne farrà I bene. I La guerra se fa grande da· re Lancilao a la lega: no(n) so que sequirà; pregamo mis(er) I Dominideo ce mecta pace, che bisogno ce fa. I Dicete quessa t(er)ra, cioè Valença, repusa in pace; piacerne assay; ò sperança de mectere II mercata(n)tias altro che carti, se a Deo piacerà. I Lu cavallo che menay lu lassay a Nicça (e) a quisti dì passati ce manday p(er) isso: no(n) lu I possecte condura p(er) la grande guerra, sicché lu me p(er)deiò, che p(er) bona fede valia I più de c duc. I Salutateme tucta la v(ost)ra briata (e) li amici (e) dirràme a mastro Anto(n)io da Fermo II che la cassa non l'ò mandata p(er)ché ellà no(n) ce ò mandato mercata(n)tia ma como ce I mandarò la mandarò. I Avete facto bene avisarme de precçi de mercatantie (e) p(er) l'avenir me pódete avisa(r)e, I (e) como se ne spaccia de mercata(n)tie, spitialm(en)ti de ferro, de acciari, de pastelli (e) se ce I avesse conditio(n)e malvasie, romanie, (e) que quantità, sì a Barçalona (e) a Maiolica (e) Il a Valença. Altro no(n) dico; sò semp(re) a v(ost)ro piac(er)e; che (Crist)o ve guarde. I Gilio de Amoroso saluta in Venetia. D(omi)no Francischo de Marco (e) I (Crist)ofano de Bartolo (e) conlpagni in Valença.

Forse corretto su 4. Coiretto su e-, 3 valerà corretto su var-, 4 L'emendamento è discusso nel Commento linguistico, § 47. 5 Con titulus superfluo sulla m-. 1

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24 22 Novembre 1410, Venezia Filza D 932, Venezia-Barcellona; numerata a matita in alto a destra: 116787. Dimensioni: 22,8 χ 30 circa; integra; senza filigrana. Arrivata a Barcellona il 12.XII.1410; reca sul verso il signum del mittente e la sigla che indica che vi è stata risposta.

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Al nome de Deo am(en); 1410, dì 22 de nove(m)br(e). I A dì 15 de quisto recevecti v(ost)ra lectera (e) quanto dicete agio intiso; ap(re)sso I respondo. I Dicete aver recevute le 26 bai. de carta a salvam(en)to: piacerne; (e) che n'avete II començata a vendere (e) avetene mandata a Barçelona, che Deo le mandi salve; I tucte le vendate (e), se no(n) ve ataglia de manda(r)e verderame p(er) la via I da Veneria, p(er) altra via no(n) mandate. I De lane faite rasione ecquà ne s(er)rà meglior derrata che p(er) quissi pagisi, I ché stemate ecquà vale da 70 due. migl., de comune lane. Il Non faite meraveglia se non ò mandato de quello ragiona(m)mo p(er) le novità I multe de quisti pagisi (e) anche p(er) lo navigar se fa male in quisso I mare (e) simelmenti p(er) la morte de· re; (e) da li vios^ii 1 d'ellà sì da Vallença (e) da Barçelona ò recevute lectere più dì fa non ce mande mercatanti a, se illi altro no(n) me scrive; p(er) tucte queste rasiuni sò rellstato no(n) aver mandato; ma se mis(er) Dominideo ce fa sani (e) salvi (e) con I la sua gratia ben mandait» bona su(m)ma de mercata(n)tia. I Dicete de vino; quando vederò tempo poma e(sser)e, ne mandarò, ma bona I su(m)ma, se ce vengo a manda(r)e.l Ecquà so(n)no cari spetie: pepe va due. 80 carca, cannella no· ce è p(er)fi' a la II tornata de le galee; (e) quisto dì è venute le iiij galee de Barati2 (e) I à arrecato poco pevere, gengebro assay. I Pregove me sdivate de conditio(n)e de mercata(n)tie, cioè guadi, ferro, greco I da Napuli (e) que quantità se ce podesse mectere, (e) in que lochi; (e) prelgove me avísate se in Sibilla fosse boni de mecterce guadi p(er) tra(r)e II olio (e) que quantità; (e) più me avísate de olio quanto vale, che me I se dice che quisto a(n)no ne è una grandissima su(m)ma p(er) tucto Pone(n)te. I Avíseteme de lacche; ecquà p(er) lo passato lacche no(n) ce so(n)no state; credo bene p(er) I l'aveni(r)e ce ne s(er)ra(n)no; con questa ve mando lu carcho de le galee de Barati; I p(er) un'altra me scriveste se foro pagati li 29 due. che fici la lectera II a Pauluccio che li pagasse; avisove che foro subito pagati p(er) ne la mia I rasione appare como 'pago'. I

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v(ost)rj corr. su v(ost)re. Forse -j è ripassato su una lettera scritta precedentemente.

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Per questa ve prego (e) aviso che quando ve scrivo ve piacia de fa(r)e I quello che scrivo; questo dico: io ve scrissi volia verderame manda(n)do11 a conpara(r)e a Monposleri, che a Monposleri valia da 18 fiorini quintaro, Il che volendo conparare a Barçelona costa multo più caro, (e) che lo mandassate I a Veneria p(er) navi o galee de venetiani (e) no(n) in altri lochi; se questo avete I facto piacerne; ove che no(n) abiate facto, no(n) ne conparate se altro non I averete da me; scrivateme lo refacto de le carti (e) tenate li den. p(er)fi' a tanto I che altro ve scriverò. Altro no(n) dico; sò semp(re) a v(ost)ro comando; che (Crist)o ve II guarde. I Gilio de Amoroso saluta in Veneria. D(omi)no (Crist)ofano de Barltolo (e) conpagni in I Barçelona.

25 14 Febbraio 1410 (=1411), Venezia Filza D 932, Venezia-Barcellona; numerata a matita in alto a destra: 116788. Dimensioni: 22,8 χ 29,7, con qualche irregolarità; una piccola lacerazione a margine sinistro non interessa lo scritto; la carta è consunta in corrispondenza delle pieghe, che rendono illeggibili alcune lettere alle rr. 22, 35. Senza filigrana. Arrivata a Barcellona il 3.IV.1411; reca sul verso il signum del mittente e la sigla che indica che vi è stata risposta.

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Al nome de Deo am(en); 1410, dì 14 de febr(aro). I Per quisti dì passati assay v(ost)re lectere ò recevute; è viro m'è paruto no(n) sia I de besogno de far resposta; mo1 da novo recevecti lectere, una da Magiolica I de uno collicto de verderame, (e) da Barçalona de uno cunto de vinti balle II de carta, de que respondo a le parti, spitialm(en)ti a l'ultima, facta dì 23 de dice(m)br(e) I che toccha tucte le parte che ne l'altre avete scricto bene a pino. I Dicete de le 26 balle, ch(e) parte ce ne fo de 10 risme: è viro, como p(er) le I lectere, quando le manday, ve scrissi, quatordici bai. era de dudici risme, I el resto era de dece risme; sicché ne siate avisati. Il Recevecti el cunto de vinti balle: quando averete fenite tucte scriverete I retracti (e) ponerò a v(ost)ro cunto.l Le 4 allude de verdicto ò recevuto (e) fici bono aviso de pochi den.; se el resto I fosse venuto, quando l'averete da Monposleri, como ve scrissi, se nave venitialna vene, over quessa nave de catalani scrivete è sì bene armata, lo pódete II mandare, over se fosse mandato a Valença (e) ellì a Valença se trovasse bene I li den., - ch(e) spero de sì p(er)ché ecquà è assay montato, credo quissi vinitiani so(n)no I a Valença conparara(n)no bene - li pódete vendere; sicché ne siate avisati. I

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II trattino di abbreviazione è sbiadito e quasi invisibile.

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Dicete del cambio facto p(er) lo d(i)c(t)o verderame: piacerne (e) così avimo1 posto a v(ost)ro I cunto. Il Vengo oramay a questa parte: dicete non mande ellà p(er) quissi pagisi alcuna I cosa, corno p(er) altro avete scricto, sì p(er) la morte de v(ost)io maiore, che assay m'è I dolu[t]a, como p(er) altra ve scrìss[i], no(n) de mino chi è in quisto mundo pur li I besogna far de le cose; (e) anche dicete p(er) lo navegar pericoluso, p(er)ché io I me sò desposto, se a mis(er) Dominideo piacerà, p(er) quissi lochi pur far qualche II cosa (e) più con vugi che con altri; de una cosa voglio essere chiaro - de l'alltro me mecterò a l'aventura: ciòè che la mercatantia ch'io ve mandasse I poy fosse in t(er)ra vorria fosse secura; sicché de questo ve piaccia respond(er)e I p(re)sto se Barcelona o Maiolica o Valença so(n)no securi (e) qual de quisti so(n)no I più securi (e) poy pigliarò partito. Il De p(re)cçi de mercatantie me avísate, de ferro, de aciari, de grechi de Napoli, I de pastelli, de formento, de lengname, cioè tole, lance, remi, de pastelli I (e) que quantità se spaciasse. I Anche me avísate de olii de Catalogna (e) anche de Maiolica, que vale li I dulci (e) anche quilli da ardere; (e) anche me avísate que vale in Sibilla II (e) ragionateme a bocte (e) a due. acciò ch(e) meglio lo possa conprendere p(er) le I divi[r]sità de le monete (e) de le mesure de li lochi. I Quisto dì venuta nuvella che una nave andava a Napuli a careare p(er) Alexandria è rocta in Eschiavonia, patron Pasqualin Docto; (e) eri ruppe una nave I venia da la Tana; el forte de essa carca sturioni (e) ruppe sop(re) quisto porto: Deo II salve el resto. P(re)gove me avísate de quello che de sop(re) ve agio scricto. Altro I non dico; sò semp(re) v(ost)ro; che (Crist)o ve guarde. I Gilio de Amoruso saluta in Venetia.

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D(omi)no (Crist)ofano de Barlltolo (e) conpagni in Barcelona

26 28 Marzo 1411, Venezia Filza D 932, Venezia-Barcellona (la busta, per errore di scrittura, assegna la lettera al 28.V.1411); numerata a matita in alto a destra: 116789. Dimensioni: 22,5 χ 21,4, leggermente irregolare; lacerazione a margine sinistro, con danno allo scritto a r. 10; senza filigrana. Arrivata a Barcellona il 3.VI.1411; reca sul verso il signum del mittente e il simbolo che indica che vi è stata risposta.

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Al nome de Deo am(en); 1411, dì 28 de mar(ço). I Quisto dì agio recevuta v(ost)ra lectera (e) con essa el cunto del verderame da I Monposleri (e) Ί cunto de 2 bai. de carta. Respondo al bisogno. I Lu cunto de le 2 balle de carta (e) el cunto del verderame sta bene, sicché II a questo pocho è da dire; (e), como p(er) altre ve scrissi, a quisti dì passati recelvectì

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L'apice della -i- è quasi orizzontale e spostato sopra la m.

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el cunto de le 20 balle (e) anche de le 4 balle vendute I a Maiolica (e) tucti sta(n)no bene. I (E) più recevecti uno collo peculino de verderame p(er) la galea de mis(er) I Nicolò Ericço (e) posto a v(ost)ro cunto. Il Pregove mandate lo più presto possete quesso verderame; ben me credo I inanti che venga questa l'averete mandato p(er) le navi vengono de Fialndra ecquà; a questo no(n) dico più. I Più dì fa ve scrissi me avisassate de precçi de mercata(n)tie, spitiallmenti de ferro, de acciari, de pastelli (e) de grego da Napuli (e) que quanlltìtà se spaciasse (e) de formento (e) anche ve p(re)go me n'avisate. I (E) più me avisate de olii quanto vale p(er) quissi pagisi (e) anche I quanto vale in Sibilla (e) como ne è quantità in Sibilla, che essendone I quantità ne deveria e(sser)e bona derrata; de tucto ve p(re)go me avisate. I Altro no(n) dico; sò semp(re) a v(ost)ro piac(er)e (e) comando; che (Crist)o ve guarde. Il Gilio de Amoruso saluta in Venetia D(omi)no (Crist)ofano de Bartolo I (e) conpagni in Barçelona.

27 3.VIII.1411, Venezia Filza D 1085, Venezia-Maiorca; numerata a matita in alto a destra: 123652. Dimensioni: 22,7 χ 29,8, con qualche irregolarità; la carta in corrispondenza delle piegature è molto lisa, con macchie di umidità che ostacolano la lettura, specie alla r. 2. Conserva ancora il sigillo; è priva di filigrana. Arrivata a Barcellona il giorno 8.IX.1411; reca sul verso il sigmtm del mittente e la sigla che indica che vi è stata risposta.

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Al nome de Deo am(en); 1411, dì 3 de agusto. I A quisti dì passati recevecti p(er) la nave de Ioha(n)ni Bonni da Barçelona una collo I de verderame in quatro allude (e) posto a v(ost)ro conto. Siriame piacuto che l'altro I ve resta avessate misso ne la nave de Almurio Banio è stata ellà, ché averia II sperato ecquà averlo p(re)sto; mandatelo p(er) nave venetiani1.1 Quilli de Barçelona à scricto più fiata del cunto de le card (e) de tucto io sò I contento; de ogni v(ost)ro cunto (e) rasione, aconciatela vugi p(er) vugi (e) p(er) me. I (E) più me scrive che più a Barçelona no(n) scriva, ché siete p(er) levarve d'ellì, I che in bona fé me recresce considerato è loco più p(re)sto p(er) lectere (e) p(er) resposte II (e) anche più securo (e) parme sia loco meglior a mecterce de le mercata(n)tie ché I no(n) ce pratica mercata(n)ti d'ecquà; no(n) de mino vugi siete savi: ben sapete que I fare. I

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Quest'ultima parola è nettamente staccata dalla precedente e anzi un po' spostata verso destra.

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A quisti dì passati me misi in animo de voler mecter una nave in Fiandra I con grecho de Napuli, (e) così ò facto mandata a Napuli (e) spero co· la gratia de II mis(er) Dominideo p(re)sto s(er)rà carcata (e) poma e(sser)e fama scalo a Maiolica; viro, so I che no(n) sò certo che scalo ce faccia, che me pare no(n) sia de bisogno, ma se I io voglio ce dé andare, ma me pare no(n) besogna, (e) p(er) questo no(n) ve n'agio I avisato; non de mino p(er) ogni via che se fa li piaccia a mis(er) Dominideo condurla I a salvam(en)to; (e) se ellà pone (e) quillo che ce mando, che à nome Tubia, se alcuna II cosa besognasse, ve piaccia ve sia recomandato. Altro no(n) dico; sò semp(re) I v(ost)ro; che (Crist)o ve guarde. I Gilio de Amoruso saluta in Venetia Nicolò de Ioha(n)ni (e) I conpagni in Maiolica.

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III. Commento linguistico*

m . l Grafia (§§ 1-11)

1. Grafía per le occlusive velari La sorda dinanzi a vocale posteriore o ad α viene rappresentata dalla grafìa e oppure eh, senza distinzione. Esempi di eh: carcho 24.28, Francischo 1.19, 2.16, 3.15, ecc. (25), Panischula 8.7, piccholi 5.7, rescho 5.26,5.28, toccha 25.6, cui bisogna aggiungere le parole in cui si hanno oscillazioni: chon 4b.20 ma con 5.14, 5.15, 5.22, ecc. (17), grecho 27.14 ma greco 24.22, Marcho 1.19, 4a.ll, 5.41, ecc. (5) ma Marco 2.16, 3.15, 6.13, ecc. (IS), pocho 4b.l9,26.5 ma poco 4b.l2, 17.5 (bis), ecc. (8). Almeno nei casi di carcho, rescho, grecho,pocho l'incertezza tra scrizioni col digramma e scrizioni senza h sarà probabilmente da collegare all'alternanza tra le voci del singolare e quelle del plurale (sono attestate qui grechi 25.30, pochi 25.12, reschi 5.27); bisogna aggiungere, tuttavia, che la grafía eh dinanzi a vocale velare è ben attestata, in area mediana e in epoca alta, dalle Ystorie barberiniane e dal Bestiario moralizzatovale a dire in zona adiacente alla marchigiana e soggetta ad influssi toscani2. Un appoggio a questa scrizione può essere venuto dalla tendenza alla passiva sostituzione di k, antica grafìa per la velare, con l'innovazione toscana eh, sostituzione che avrebbe coinvolto anche le occorrenze dinanzi a vocale

* L'ordine con cui si susseguono i §§ è quello consueto nelle grammatiche storiche; nel consonantismo la trattazione delle occlusive, prima iniziali e poi interne, precede i nessi di occlusiva con I e con L, i nessi con le nasali e con le sibilanti e infine i fenomeni di assimilazione consonantica. Si fa ricorso ai segni per la trascrizione fonetica usati da Lausberg [1971:4s.]; vanno in corsivo le parti tratte dalle lettere di Gilio o da altri testi antichi romanzi e le voci dei dizionari italiani o dialettali, in maiuscolo le forme latine, in caratteri spaziati le voci dei dizionari etimologici. Sono tra virgolette le citazioni da studi e contributi moderni, tra apici le definizioni e in generale i lemmi; il rapporto di derivazione etimologica è indicato da frecce orientate (> o è ; per l'area di diffusione odierna, cfr Reinhard [1956-57:1,189-98], Ugolini [1970:471-73].

17. Vocali protoniche e intertoniche Per esaminare gli sviluppi del vocalismo atono, sarà bene dividere le occorrenze a seconda della base latina76. _ i) I, Ü. È comune il mantenimento del timbro chiuso negli esiti di I, U atoni: avisar 2.7, 22.3, avisa(r)e 23.15, 23.27 con tutto il paradigma, cictadino 6.7, cinquanta 15a.3,15b.3, dicete 4b.2,4b.9,4b.l2, ecc., e tutte le voci arizotoniche di 'dire', diverse 7.9, divi[r]sità 25.36, figliolo 18.28, figlioli 5.7,finito 23.15, pigliare 5.14 e tutto il paradigma, scrictura 0.3, singular 5.15,5.25; semitonico in deliberato 8.5. Per la serie velare: ducato 5.36, furata 16.15, usita 13.4, 14.7, usança 13.8, usato 20.8. Andrà invece osservato come particolarmente interessante lo sviluppo delle stesse vocali in e, o: fenite 25.10, stentasse 5.18, sterriate77 24.9. Non si trovano esempijjer le velari. ii) I , u. Negli esiti i, u si dovrà riconoscere, accanto alla tendenza a chiudere le vocali in protonia, una serie di esiti non indigeni, ma latineggiami oppure toscaneggiarti; ed è notevole che qui si raccolga buona parte del materiale lessicale di livello stilistico elevato della lingua di Gilio: brevità (nell'espressione so- brevità) 5.7, circúndate 5.6, dificultà 19.9, merita(r)e 4b.5, mortalità 20.6,20.22, navigar 24.11, novità 14.12 (sing.), 16.8, 24.10 (plur.), obligato 7.16, ordinato 17.7,

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Per una caratterizzazione del "rivoluzionario" vocalismo di Acquaviva e in generale della zona del basso Tronto, si vedano Mengel [1936:71-97] e Mastrangelo Latini [1966]. Buona parte del cap. ΙΠ della dissertazione di Mengel è dedicata a ricostruire i modi della diffusione del vocalismo abruzzese nelle Marche meridionali e gli effetti della compenetrazione di queste due varietà dialettali. Naturalmente vanno considerate a parte le attestazioni del toponimo straniero Barçalona, con 12 esempi (1.7,4b.ll, S.36, ecc.), di contro al maggioritario Barçebna 1.21, 2.17, 4a.l3, ecc. (30). Anche con e tonica nei documenti maceratesi: Mac. 1454, 9 stema. Questi esempi vanno confrontati con casi analoghi di apertura della ι protonica in altri testi mediani, a cominciare

dal Ritmo su S. Alessio (deceano al v. 63). 70

Patrimonio 16.5, 16.7, provisione 21.14, retinesse 19.24, singnur78 19.18, signato 21.3, solicitare 22.3 e sollicitude(n)ne 21.28 (cherisentirannodi solliciti 2.11); singular S.1S, 5.25, Tuscana 16.8, voluntó 21.11; inoltre l'antroponimo Ursino 18.16. Nel caso di secundariam(en)ti 5.12 la -u- sarà verosimilmente promossa da secundo (congiunzione, mai aggettivo) metafonetico. È probabile che invece gli esiti prevalenti di Ï, 0 nel dialetto di Gilio fossero e, o come negli esempi che seguono: cardenale 19.16, 19.17, fermato 8.5, fermate (Va) 7.16, ¡engríame 25.31, e inoltre navegar 25.23, per cui si è già vista un'attestazione con -i-. Per la serie velare: pericoluso 19.7, 25.23, pericolusi 19.9; si aggiunga il toponimo Forlinpopolo 19.16. iii) E, E, Ö, Ò. Esito normale è, come quasi in tutta l'Italia, la conservazione del timbro vocalico79: denari 7.7,9.6,10.5, derrata 7.21, 24.8,26.18, desidera 1.4, medesmo 15a.4, medessmo 15a.2, medesmi 15b.3, meglior 4a.7, 7.11, 7.21, ecc., mesure 25.36, penato 18.7, penserò 1.10, 3.13, 4a.6, ecc., pregamo 23.17, pregha(r)e 5.30, pregava 13.2, rebellato 19.17, rebellate 16.5, secundo 4a.6, 23.4, 23.7, secunda 15b.2, securo 27.10, securi 25.28, 25.29, secura 25.27, securtà 21.29, senti(r)e 3.7, 5.2, sequirà 19.15, 23.17. Per la serie velare: Amoruso 1.17, 2.14, 3.10, ecc., cosi 4a.3, 13.3, 17.5, ecc., costasse 21.17, cotuni 20.18, forçate 22.12, fronito 18.22, honor 5.12, hono(r)e 16.19, montar 23.4, montato 25.16, montate 23.4, nove(m)br(e) 16.1, 17.1, 24.1, obligaio 7.16, p(ro)longasse 8.4, retornare 5.8, retrovata 16.18, torna(r)e 6.9, tornata 21.13, 22.13, 24.20. Gli esiti in i, u sono da esaminare partitamente: innovazioni toscane sono dice(m)b(re) 18.2, 25.5 e mis(er)*0 1.2, 1.3, 4b.5; per sturioni 25.39, Tubia 27.19 si dovrà pensare a chiusura in protonia (in questi casi forse da non considerare marchigiana, dato che si tratta di un antroponimo e di una designazione merceologica), così come per cu(m)muno 19.15, curarne 1.13, 2.8 e nuvella 18.18, 25.37, nuvelle 1.7,17.8, 18.16 (ecc.), che peraltro ricorrono di frequente in testi mediani81. Notevoli dificultó 19.9, divi[r]sità 25.36 e spitialm(en)ti 3.12,4b.l3, 25.5, forme con assimilazione82; e vintisecta 21.3 che manterrà il vocalismo di vinti. Si hanno oscillazioni in besogna 6.4, 9.3, 25.23, 27.17 e besogno 20.3, 25.3, besognasse 3.13, 27.20, bisogno 3.2, 4b.3, 21.10, ecc., ma bisogna (ind. pres.) 7.15, Venetia 1.15, 2.12, 4b.l2, venetiano 6.7, venitiana 25.13, venetiani 14.6, 21.28, 24.36, 27.5 ma vinitiani 25.16. A parte, naturalmente, il toponimo straniero Monposlerì 17.10, 18.11, 20.10.

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Ma cfr Castellani [1952:118-121, 1980:1, 503-505 e Π, 416] e Sdissi [1982:152] a proposito di un documento trecentesco di Subiaco. Naturalmente non tutte le voci che seguono sono di svilupo popolare; per altre (specie per le voci verbali) si dovrà tener conto della pressione analogica delle voci rizotoniche. Cfr Bianconi [1962:27], Nel Pianto dette Marie: navetta 23; cfir Ageno [1956:200], Baldelli [1983:25]. Per esempi umbri si vedano Agostini [1968:119,1978:37] e Paradisi [1988:105], 71

18. Vocali protoniche nei prefissi e in sintassi di frase. Sono sempre conservati la preposizione in (1.2 (bis), 1.8, ecc.) e il prefisso in(inanti 7.12, 7.16, 8.2, ecc., innanti 7.4, indutiando 22.13, infine 1.6, inpaccio 7.8, inp(er)ciò 9.3, inprestiti 6.8, insiemi 12.7, intendate 7.7, intendere 3.5, intentione 5.21, 14.8, 22.17, 22.18, intiso 4b.3, 4b.l7, 24.2); a questi esempi possono essere affiancati intrarà 8.10, intrasse 5.39 e intrato 16.4,18.16. Viene generalmente conservato re-, sia o non sia vero e proprio prefisso (rebellato 19.17 e rebellate 16.5, recevecti 4b.2,9.2,14.2, ecc. (11), recevuto 4b.3,4b.4,25.12, recevutoce 1.2, recevuti 17.3, recevuta 26.2, receuta 4b.l6, recevute 9.4, 14.2, 24.4, ecc., rechedo 5.10, 5.25, recoglie 1.6, recomandato 21.30, 27.20, recomandome 19.24, recresce 14.3, 20.5, 27.9, recrescem(en)to 20.4, refaccia 21.12, refacesse 5.18, refacto 22.11, 24.38, regratio 18.15,19.9, remarrò 5.29, remane(m)mo 17.7, remecíate 9.6, remecter 5.19, 18.13, remect(er)e 21.17, remecte(r)ia 7.6, reprego 14.4, repusa 23.19, respondere 9.3, respond(er)e 25.26, respóndete 20.2, respondati 13.8, respondo 4b.3, 4b.4, 20.3, ecc., resposta 8.6, 14.9, 25.3 e resposte 26.9, resta' 21.23, reterrà 18.19, retinesse 19.24, retornare 5.8, retracto 13.6,21.11, retraed 25.11, retraga 17.6, retragerete 17.6, retragesse 19.22, retrovata 16.18; in iato reaver 16.19); così anche de(dechiaratelome 3.4, deliberato 8.5, depo' 1.11, 4b.2, 4b.l6, desidera 1.4) e des- (descarcate 2.2, dessasio 20.4, desposto 14.5, 25.24 ma disposto 13.4). Oltre a disposto, unica eccezione è dichiarate 3.5, evidentemente d'influsso toscano (come dice(m)b(re) esaminato al § precedente). Da notare ancora il passaggio a ra- del prefisso in racevecti 20.2 (re- ha 11 attestazioni), in cui, se non si tratta di un errore grafico (assimilazione alla vocale della parola precedente: Più dì fa r), sarà da vedere una manifestazione della tendenza, diffusa nei dialetti italiani in generale, a mutare in α la e protonica di sillaba iniziale, particolarmente in presenza di r. per l'area mediana si vedano al proposito Campanelli [1894:9s.], Neumann von Spallart [1904:296] e, per i testi antichi, Valentini [1935:105], De Bartholomaeis [1943:28, 30, 34,42]: raduca, raducerò, raducerasse, radur 'ri-'. In protonia sintattica, si ha un unico esempio di mi 4b.5 (di cui si discuterà a § 56) contro la prevalente e delle particelle enclitiche: ce 2.3,2.10,2.11, ecc., de 83 0.1, 0.3, 1.1 (bis), ecc., me 3.4, 3.5, 4a.5 (bis), ecc., se 1.5, 1.6, 1.13, ecc., ve 1.12, 1.13, 1.15, ecc.

18. Vocali postoniche Vanno trattate a parte le vocali postoniche delle parole sdrucciole; in questa posizione la conservazione del timbro chiuso (Ϊ > i, U > u) è generalmente effetto di un influsso dotto, latineggiarne, laddove e, o rappresentano l'esito popolare. Ecco gli esempi con timbro chiuso: animo 5.8,7.8,7.9, animi 1.3, debito 5.11, dubito 5.6, grandissima 24.26, inprestiti 6.8, merito 16.19, pratica 7.5, 27.11 (verbo), 83

E depo' 1.11,4b.2,4b. 16, ecc. 72

solatiti 2.11, subito 5.20, 5.24, 8.7, 24.30, ultima 25.5, utile 5.14; in composizione Dominideo 1.2,1.3,4b.5, ecc., similem(en)ti 3.5. Per la serie velare: capitulo 0.1, mandule 1.5; inoltre i toponimi Amandula 5.6, 5.7, Napuli 24.23, 25.37, 26.14, ecc. Hanno invece e, o: domeneca 16.2, gengebro 24.21, termene 4a.4, 7.4, 7.5, ecc., utele 4b.l9, 5.12, 5.16, 5.26, vendeta 5.37, 5.39 e l'antroponimo Bartolo 6.14, 8.19, 10.10, ecc., Bartole 7.30, 9.12; in composizione, simelm(en)ti 22.2, simelmenti 24.12, Napoli 25.30. Da E latina: Angelo 1.11, 5.24, 7.27, 18.28, desidera 1.4, lectera 0.2, 4b.2 (bis), ecc., e i numerali dudici 25.8, quatordici 25.8, sedici 15b.4 e sidici 15a.3, per cui si veda § 67.

20. ar 1er in posizione atona. Si osserva conservazione di -ar- protonica di futuro e condizionale: avisarimo 2.7, avisarete 21.29, consigliarà 4b.l3, intrarà 8.10, lassarò 14.10, mandará 4b.8, 7.26,10.6, ecc., pagarete 15a.2,15b.2, pigliard 25.29, pigliaria 12.6, spacciarla 7.6, trovará 14.10. Nel futuro come nelle altre voci le occorrenze di 'conparare' hanno tutte -ar- (si rimanda al Glossario per le attestazioni); sulla base di questi esempi si è sciolto con (ar) il tituius di conp(ar)arete 5.26, malgrado l'alternanza tra -e- ed -a- tipica del verbo fin dal latino volgare84. Anche -er- viene costantemente conservato (cito solo alcuni esempi): in posizione protonica meraviglia 24.10, mercatanti 2.10,3.16,4a,12, ecc., mercatantia 5.12, 5.13, 5.27, ecc., mercatanti 20.15,20.19,21.21, ecc.; intertonico deveria 21.7, 21.10, mederà 4b.21, mederete 21.29, ponerá 25.11, prenderete 5.29, scriverò 24.39, scriverete 25.11, senteria 19.20, serrò 18.12, vederò 4b.20, 24.17; postonico lectera 0.2, 4b.2 (bis), ecc. e ledere 1.15, 2.12, 5.35, ecc., e tutti gli infiniti in - "ere. Non è chiaro il motivo dell'alternanza tra Bandarone 10.5, Bonderone 23.6; quest'ultima è l'unica forma attestata nelle lettere dei soci in Catalogna del Datini. La generale conservazione di -er- e -ar- in posizione atone, e specie nei futuri e condizionali, caratterizza l'area mediana orientale, marchigiana e aquilana, rispetto agli esiti del perugino da un lato (che tende ad -er- intertonico85), delle varietà todina, castellana, eugubina e orvietano-viterbese dall'altro86. Per i dialetti attuali delle Marche, Neumann von Spallait [1904:297] annota alcune oscillazioni, in cui Panino [1967:26] ritiene di poter distinguere una tendenza ad -ar-, limitatamente al maceratese. 84 85

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Agostini [1968:122s.] e Castellani [1980:11,492] presuppongono -AR- per testi perugini. Schiaffini [1928:120], Ugolini [1964:282], Agostini [1968: 120-24], Per l'aquilano, sporadici esempi di ar > er nel futuro sono raccolti da Haumer [1934:78]. Si vedano rispettivamente Agostini [1978:47-52], che cita anche sporadici esempi urbinati (ma er>ar postonico è per esempio quasi sistematico nel Laudario Urbinate) e Breschi [c.s.:6.2.1], Innocenti [1980:158s.], MancareUa [1964:43-45], Bianconi [1962:41-46], Manifestano tendenza ad -or- anche alcune zone della Toscana: per un dettagliato esame si veda Castellani [1952:26].

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21. Dittonghi (-)au-, -io- atoni. La riduzione del dittongo iniziale di agusto 9.1, 10.1, 27.1 è già taidolatina, secondo Rohlfs [1966-69:§ 134]; all'interno di parola deriverà dalla posizione tonica il già cit. Pauluccio 1.15, 5.35, 19.2, ecc. E' dubbia la posizione dell'accento nell'antroponimo catalano Auder 16.13,16.14. Il dittongo secondario -io- si conserva sempre in protonia: Fiorença 3.5,5.27, 12.5, ecc., Fiorençe 19.3, fiorentini 6.7, 23.13, fioricto Ab.l'i, fiorini 24.34. Nel Due- e Trecento solo Firenze, Prato, Volterra e San Gimignano presentavano riduzione del dittongo in Firenza, Firenze: cfr Castellani [1980:279-288] e Agostini [1978: 35].

22. Vocali protoniche in iato Si conserva la e in ciascheuno, 5.13, receuta 4b.l6; si chiude invece in niu[no] 5.11. Briata 19.25, 23.24, discende da un etimo con -Ï- (cfr REW 1299). Per galiocta 18.6, si può supporre alla base degli sviluppi romanzi una forma sia con i che con e, secondo Kahane [1958]. E normale in posizione protonica di frase la ritrazione dell'accento e successiva riduzione del dittongo nel caso di mastro 23.24.

23. Casi di armonia vocalica? Si designa generalmente come armonia vocalica la tendenza delle atone pre- e postoniche ad innalzare il punto di articolazione in dipendenza dal timbro chiuso della vocale finale (per le postoniche), della vocale tonica originaria o secondaria (per le vocali immediatamente protoniche) o della vocale seguente (per le altre protoniche)87. Nei testi documentari marchigiani, e particolarmente in quelli maceratesi ed ascolani, Breschi [c.s.:6.4.2, 6.5.1] riconosce tracce del fenomeno, che è abbondantemente documentato nelle intervenute cinquecentesche. Nelle nostre lettere le modificazioni subite dalle vocali atone possono spiegarsi, come si è visto, in modo diverso.

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Lo studio più approfondito dei complessi meccanismi di condizionamento è stato condotto da Merlo [1922:27-42]. Si vedano anche Mengel [1936:19 e 22-30], Panino [1956], Giammarco [1979:76s.], Baldelli [1983:26, 204s.], Vignuzzi [1975-76:1, 171], Maiden [1988]; in quest'ultimo lavoro vengono esaminati nel quadro dell'armonia anche i mutamenti che coinvolgono f>t, ç>f. Esempi moderni sono raccolti da Neumann von Spallart [1907:31] e Merlo [1930:46-52], 74

24. Distinzione tra o cd u in posizione finale Nelle lettere di Gilio -usg si trova nell'articolo determinativo lu 2.5,2.14,3.6, ecc. (occorrenze a § 62) e nel pronome oggetto atono maschile lu 23.21, 23.22. Inoltre si rileva effetto metafonetico della finale sulla tonica solo nel maschile e nel plurale del pronome e aggettivo dimostrativo, mentre non si hanno attestazioni sicure per i sostantivi 89 ; i dimostrativi presentano regolare alternanza tra la forma metafonetica del maschile e quella non metafonetica del neutro (occorrenze a § 62). La zona da cui provengono le nostre lettere è compresa in una delle aree della Romània in cui il vocalismo finale osserva l'opposizione tra -o e -u90. La diffusione del fenomeno in epoca antica è così descritta da Bianconi [1962:52s.]: «u finale compare in testi dell'Umbria meridionale, della Sabina, delle Marche, della Campania settentrionale, dell'Abruzzo; e nella Postilla amiatina del 1087» 9 1 ;

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La rilevanza fonologica dell'alternanza è assicurata dalla regolarità con cui l'articolo e il pronome lu sono utilizzati in riferimento a sostantivi maschili. È anzi possibile che la grafia -o dei sostantivi rappresenti una -o distinta nella realizzazione dalla -o dei neutri. Si osservi che il problema della distinzione tra -o ed -u finali non è mai stato studiato dal punto di vista fonologico (particolarmente feconda potrebbe rivelarsi l'applicazione dei metodi della dialettologia strutturale), certamente anche a causa della mancanza di dati sincronici affidabili. Tra cui si nota solo piummo, che presenta metafonesi; il fatto che si tratti di voce presumibilmente soggetta a influssi non indigeni, come si 6 visto per altre designazioni merceologiche, non consente di trarne la conclusione che i sostantivi neutri siano generalmente soggetti a metafonesi; alterazioni di natura analogica dei probabili esiti originari non sono infrequenti per i sostantivi nell'area in oggetto (si veda ad esempio Lindsstrom [1907:262]), e pjummo in particolare è attestato, secondo Camilli [1929:225], a Servigliano accanto a lo niro, acito, sigo, pilo. Maiden [1989] ritiene originarie le forme con o finale e tonica sottoposta a metafonesi, che in in alcuni dialetti sarebbe regredita perché sentita come marca fonomorfologica del maschile. In generale nell'area mediana hanno -o la I a persona dell'indicativo, il gerundio, i continuatori degli avverbi latini in -O, di MELIUS e PEIUS, del pronome EGO, e, tra sostantivi ed aggettivi i neutri romanzi con il relativo articolo e pronome lo, nonché aggettivi e pronomi dimostrativi (cfr più sotto e § 62). Hanno invece -u la VI a persona dell'indicativo presente da -UNT e i sostantivi, aggettivi e pronomi maschili con l'articolo lu.. L'opposizione semantica è ben illustrata dall'esempio: lu lignu 'il pezzo di legno' vs. lo legno 'il legno (come materiale)'. Tale struttura conosce tuttavia nei dialetti odierni notevoli alterazioni, ancora poco note. Il fenomeno è vistosamente isolato tra i dialetti circonvicini, ma in altre zone del dominio romanzo si hanno effetti metafonetici differenti per - 0 e -δ lat: in una zona isolata delle Asturie, intorno a Lana, per cui si può vedere Alonso [1959] e nella regione sarda del Logudoro, per cui cfr Wagner [1941:36-39]. In altre varietà la terminazione in -u ha lasciato qualche influsso sul contesto vocalico o consonantico: cfr Lausberg [1976:§§ 193-197, § 274] per il sardo, portoghese, retoromanzo, rumeno, oltre all'italiano centro-meridionale; la pozione più orientale del dominio retoromanzo, la zona di Sopraselva nellÎngadina, mostra notevoli esempi di alterazione metafonetica, per cui si vedano Tekavlii [1972-74:§§ 382-404] e Rohlshoven [1986]. Il confronto tra queste varietà, quale è stato tentato da Lüdtke [1965], può informare su un momento arcaico dell'evoluzione vocalica latina volgare, precedente all'uniformazione delle velari finali in -o; ma sul piano morfofonematico, la considerazione del fenomeno da un punto di vista complessivo sembra meno legittima, dato che l'Italia centrale i l'unica delle zone cit. in cui l'alternanza -o/-u sia produttiva. Si vedano poi per le Marche i dati raccolti da Bieschi [c.s.:5.2]. 75

si ha tuttavia motivo di ritenere che l'area in cui l'opposizione di lo ferro, lo bono a lu cervellu, lu focu92 veniva rispettata fosse in antico più vasta 9 3 di quanto non

appaia dalla situazione moderna, differenziata localmente da turbamenti interni tanto nelle varietà del versante toscano94, umbro95 e laziale96 che nei dialetti marchigiani97; inoltre osservano questa distinzione con particolare puntualità i dialetti reatino e aquilano98. La ristrutturazione del neutro latino (Contini 92 93

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Gli esempi, fomiti da Mengel [1936:20-21], sono del dialetto di Camerino. Le carte dell'AIS attestano -u per i sostantivi maschili di declinazione in una fascia che comprende le Marche meridionali tra l'Esulo e Γ Aso con la parte più orientale dell'Umbria, i contadi di Rieti e L'Aquila, la Ciociaria, con l'appendice di Pitigliano. Secondo gli stessi dati, tuttavia, le toniche dimostrano differenti esiti in relazione alla presenza ài-ot-u latini volgari (e quindi con metafonesi nei singolari maschili) in tutta l'area a Sud della linea che unisce i PP. 682 (Sonnino), 654 (Serrone), 643 (Palombaro), 624 (Rieti), 576 (Norcia), 575 (Trevi), 558 (Treia) e a Nord di quella che corre tra 724 (Acemo), 726 (Ripacandida), 727 (Spinazzola), 737 (Palagiano). Nella Carta dei Dialetti italiani curata da Pellegrini [1977] l'isoglossa che ci interessa (n. 18) non comprende l'area dell'Amiata, considerala come «zona di complessa classificazione». Per un inquadramento della questione, cfr l'ancora attuale Merlo [1920:233s. e 260-263]. Secondo Longo [1936:24] Pitigliano (dove l'articolo è nella forma apocopata) conserva -o nel verbo e negli indeclinabili, mentre -u viene generalizzato a tutti i sostantivi, con la conseguente scomparsa dell'opposizione di genere tra neutro e maschile. Çfr Moretti [1987]. Nell'Umbria l'area meridionale ed orientale con Foligno, Nocera, Spello, Bevagna, Norcia sembrano conservare l'opposizione; Spoleto, d'altra parte, tende ad estendere la -u nei sostantivi. Cfr Merlo [1930:52-55]. È particolarmente istruttiva la situazione fia le sorgenti dell'Aniene e Tivoli, dove si possono distinguere tre esiti distinti per -Ö, fermo restando -o < -δ, -δ; in una prima zona, più a monte, che comprende Trevi e Filettino, abbiamo condizioni che Merlo definisce «toscane (-o tanto da -δ, -δ, quanto da -u)», ma che anticipano piuttosto la mancanza di distinzione tra le finali (qui solo della serie velare) della prossima regione abruzzese; nella zona centrale, tra Subiaco e Vicovaro, si hanno «condizioni cervarole (-u dati l, á, ú; -o, dati é, ó)» con i e iJ romanze, cioè metafonetiche; condizioni da considerarsi quindi relativamente recenti, come riconosceva Merlo [1911:118]: «alterazione seriore, di natura assimilatone, le cui condizioni originarie dovettero essere ancora le reatine aquilane» e come confermano anche dati esterni, in particolare la lettera sublacense pubblicata da Stussi [1982]. Allo sbocco della valle, invece, a Castel Madama e Palombaro si osservano condizioni tipiche dell'area mediana. Più a Sud, secondo Merlo [1906:158]: «Castro [dei Volsci] confonde δ, δ ed ö finali, in un medesimo suono ch'è di regola -e, ma è -u se gli precede una consonante gutturale». Non si osserva alcuna distinzione nel dialetto di Velletri, descritto da Crocioni [1907:39], Cfr anche Merlo [1922:53-55], L'approfondita dissertazione di Mengel [1936:23-30, 43-59] rileva tendenza alla perdita dell'opposizione tra -o e -u nelle aree di confme: così Force, località per altro molto conservativa, mostra -u regolarmente, eccetto che negli aggettivi qualificativi; Moresco, nella valle dell'Aso (che segna il limite settentrionale della finale indistinta e quindi dei dialetti di tipo teramano), ha pure -u nei sostantivi, ma generalizza la metafonesi anche alle voci neutre; lo stesso si può dire per Servigliano, secondo Camilli [1929:225], I dialetti dei due capoluoghi hanno infatti -u nei maschili di II a declinazione, contro -o dei neutri e degli avverbi; tuttavia nei piccoli centri della zona si manifestano chiaramente i segni dello scadimento dell'opposizione, con ampie irregolarità in un senso e nell'altro. I testi trascritti da A. M. Melillo [1975] presentano, nel complesso, molte oscillazioni, spiegabili probabilmente anche con il fatto che alcuni informatori dimostrano di avere notevole confidenza con la lingua. Per la situzione complessiva, si veda Giammarco [1979:82, 125-129].

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[ 1 9 7 2 : 3 6 6 ] la interpreta c o m e una «resurrezione in senso concettuale e categoriale») sulla base di nuove categorie semantiche, secondo cui «è neutro tutto c i ò che non è concreto o comunque determinato» 9 9 , deve essersi instaurata attraverso una estensione analogica a partire dalla desinenza dell'articolo 100 , in cui la -u finale venne conservata distinta da -o (esito di *ILLOC o *ILL'HOC, secondo Merlo [1906, 1917a:84s.], secondo Rohlfs [1966-69:§ 419] invece solo per il suo valore morfologico e semantico); tutto ciò si è svolto probabilmente in un momento anteriore ai primi documenti conservati 101 .

25. Vocalismo atono finale: altre vocali. In questo paragrafo verranno trattate solo quelle modificazioni delle vocali finali che non impongano una spiegazione di tipo morfologico; si rimanda al capitolo dedicato alla morfologia per le alterazioni della finale degli antroponimi del tipo iSortole e dei toponimi presunti locativi come Fani e Firenze (per cui cfr § 67), come anche per la discussione delle desinenze dei femminili plurali (§ 59) e degli avverbi in -/' (§ 66). Le vocali finali sono generalmente conservate, in armonia con le condizioni dei moderni dialetti mediani e in particolare del maceratese-fermano 102 : eccezioni a

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Merio [1917:108]. È questa l'ipotesi formulata da Baldelli [204s.]. Lüdtke [196S] ritiene invece che l'opposizione -o l-u continui il diverso esito al quale sarebbero giunte le desinenze -UM > -u, dove Ö si sarebbe allungata per opera della consonante Tinaie (come accadrebbe nel caso dei numerali del tipo UNDECIM e delle VIe persone del tipo mitiu < MITTUNT), e -UD > -o, che non avrebbe subito alcuna alterazione salvo la normale caduta della consonante; si vedano al proposito anche le considerazioni di Campanile [1973] e Castellani [1976:242]. Una terza spiegazione è proposta da Lausberg [1951:319-328,1976:§ 274], il quale ritiene che nei maschili la confluenza del nominativo -US e dell'accusativo -UM in o, che è anche esito di -OS accusativo plurale, sarebbe stata evitata nel latino volgare con una pronuncia chiusa di -US, cui dovrebbe risalire la -u dei dialetti mediani; una analoga incipiente omofonia tra ΜΓΓΤΟ e MITTUNT avrebbe determinato l'esito -u anche nelle VIe persone. Infine, Politzer [19S7] suggerisce l'ipotesi di un influsso di -S sulla vocale precedente. L'antichità relativa dell'opposizione fonologica trova conferma nelle modificazioni di natura assimilatoria provocate nel corpo della parola: in particolare, nella palatalizzazione di -L- e di -LL- seguite da -u, (per cui cfr Merlo [1909]; allo stesso modo informa sulla finale ora caduta l'engadinese piertg < PÔRCUM, su cui si veda Lausberg [1976:§ 274n.]), e il diverso trattamento delle VI e persone dell'indicativo presente nella I a e nella III a coniugazione (cioè in conseguenza di -A o -U finali latine volgari: io bevo si oppone a tu bivi, viji bivu), esito studiato ancora da_ Merlo; la presenza di questi esiti' vale come conferma di una -u distinta dagli esiti di - 0 fin dal secolo XIII. Registrano sicuri esempi di forme di VI a persona tronche e metafonetiche Baldelli [1983:45,208] per le glosse cassinesi (metà XIII) e il glossario del Cantalicio (XV ex.); Bianconi [1962:110] per documenti trecenteschi orvietani e todini; Ernst [1970:135-137] e Porta [1979:632] per testi romaneschi dal ΧΠΙ al XVI secolo, De Bartholomaeis [1907:144.1,274.15] per la Cronaca di Buccio. Un esempio da carte latine di Senigallia riporta.Breschi [c.s.:5.2]. Si veda da ultimo Breschi [c.s.:3.2]. 77

questo comportamento riguardano le ñnali degli infiniti, che si esamineranno a § 50. Si notano poi alcune oscillazioni, che possono essere spie di un indebolimento del vocalismo finale: nella I* persona del perfetto si ha normalmente -i, salvo il caso di possecte 23.22; si noti inoltre la finale i nella V a persona del verbo (qui attestata solo in mandasti 21.24, respondati 13.8; le forme con -e si veda la sezione relativa alla Morfologia), che è tratto frequentissimo delle scritture settentrionali103, scarsamente attestato invece in testi mediani104. Nei casi di nulla altra aviso 7.8, lu usato 20.8, si ha probabilmente assimilazione grafica alla vocale iniziale della parola seguente (rispettivamente a- ed «-; per il secondo esempio cfr anche § 53), come avviene spesso in testi antichi: un caso simile discute Castellani [1980:1,42], Svista pura e semplice sarà condura 23.22, in posizione che non consente di ipotizzare un qualsiasi influsso di natura assimilatoria (grafica o fonetica). Un altro errore grafico è forse queste lectera 14.14, discusso a § 68. Nel caso di bai. vintisecta de carta, signato de meo signo 21.3 la formularità dell'inciso (cfr Glossario, s.v. signo) ha prevalso sulla tendenza all'accordo dell'aggettivo.

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Cfr Migliorini [1960:228, 291]. Mengel [1936:126 e passim], Baldeiii [1983:46], Stussi [1982:142], che interpreta il fenomeno come ipercorrettivo rispetto alla tendenza umbra di -i > -e.

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ΙΠ.3 Consonantismo (§§ 26 - 47)

Occlusive 26. Occlusive labiali in posizione iniziale e interna In posizione iniziale B- si è sempre conservato105: balla 5.37,7.28, 16.17, ecc. e balle 5.30, 5.38, 7.26, ecc., baracta(r)e 2.10, 3.8, 3.12, ecc., baractarce 1.14, baracto 4a.5,Barçalona 1.7,4b.ll, 5.36, ecc., e barçalonisi 15a.3, Bartolo 6.14, 8.18, 10.10, ecc. e Bartole 7.30, 9.12, Baruti 24.20, 24.28, ben 5.36, 21.27, 21.31, ecc., bene 14.12, 16.9, 16.10, ecc., bened(i)c(t)e 14.4, besogna 6.4, 9.3, 25.23, 27.17, bisongna 7.15 (IIIa), besognasse 3.13, 27.20, besogno 20.3, 25.3, bisogno 3.2, 4b.3, 21.10, ecc., bocte 25.35, Bologna 18.20, Bolongna 18.18, 18.19, 19.16, bon 4b.l8, 8.3, bono 25.12, boni 3.7, 24.24, bona 1.3, 2.6, 5.13, ecc., bone 2.3, 3.12, 4a.4, ecc., bovine 3.3, 3.6, 3.7, ecc. Si aggiungano i casi di BR-: brevità 5.8 e briata 19.25, 23.24. Unico esempio per -RB- è Viterbo 16.6. In posizione intervocalica, b viene sempre conservato (si omette lo spoglio delle occorrenze).

27. Nesso labiovelare. Il nesso labiovelare qu iniziale tanto primario che secondario viene costantemente conservato dinanzi sia ad a che a vocale palatale. Esempi con a: quai 11.5, 23.2, 25.28, quale 8.6, 20.2, quali 21.3, 21.4, 22.4, qualche 4b.5, 21.16, 21.17, 25.24, quando 5.4, 5.15, 12.6, ecc., quantità 5.23, 7.15, 22.16, ecc., quanto 3.4, 3.14, 4b.2, ecc., quantroce(n)to 7.19, quatordici 25.8, quatro 27.3, quatrocento 7.11; con vocale palatale: qui (avv. di luogo) 4b.ll, quintare 24.34, quitar 17.5, quintan 7.11,7.20,18.12 e tutta la serie dei dimostrativi (cfr § 57); infine il pronome ed aggettivo interrogativo que 1.14, 4b.l3, 5.22, ecc., generalmente distìnto dal relativo che; la prima forma è attestata due volte (17.2 e 25.5) come pronome relativo (cfr § 59). La perdita dell'elemento labiale dinanzi a vocale palatale nei nessi secondari, comune ad alcune aree dell'Italia settentrionale e a buona parte del Meridione, non trova quindi alcuna attestazione nei nostri testi106.

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Cfr Merlo [1913]. Cfr Rohlfs [1966-69:§ 163]. Non tengo ovviamente conto di Pasqua 19.5, Pasqualin 25.38; né è significativo cinquanta 15a.3,15b.3, con dissimilazione già tardolatina.

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Da -qu- intervocalico 1 0 7 si ha solo acque 18.2, 21.9. D nesso secondano in posizione intervocalica è conservato: ecquà 1.5, 2.2, 3.2, ecc., ecquì 1.2, 19.5, 20.11. In armonia con gli altri documenti del marchigiano antico 1 0 8 e con gli esiti toscani, le condizioni delle nostre lettere differiscono invece da quelle dei testi dell'area cassinese 1 0 9 : a occidente della zona mediana presentano una rilevante tendenza alla riduzione del nesso Orvieto e Siena 110 .

28. WII nostro testo conosce solo l'esito gu- da W- germanica, rispecchiando le condizioni maceratesi (anche odierne 111 ) e differenziandosi in parte dalle analoghe lettere fabrianesi 112 : guadangno 5.28, guado 24.22, 24.24, guarde (cong. IIIa persona) 1.16, 2.9, 3.9, ecc., guardia 18.6, guerra 19.18, 23.17, 23.22, guerre 1.8.

29. Sonorizzazione delle occlusive sorde intervocaliche La conservazione delle sorde in posizione debole, tratto distintivo dei dialetti centro-meridionali 113 , conosce alcune eccezioni nelle nostre lettere:

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Cfr Rohlfs [1966-69:§ 294], Modernamente, la situazione è meno omogenea: si osserva riduzione, secondo Neumann von Spallart [1904:302s.], in quasi tutta la zona costiera da Ancona ad Ascoli, mentre tendono alla conservazione del nesso i parlari del basso Tronto: si veda in proposito Mastrangelo Latini [1966:26], Nei testi marchigiani di carattere documentario prevale decisamente la conservazione di (-)qu-. Si vedano in proposito gli esaurienti spogli di Baldelli [1983:30s.], che conclude: «tutti i testi marchigiani conservano l'elemento labiale, con l'eccezione del volgarizzamento di Daniele da Monterubbiano in cui v'è continua alternanza». La conservazione del nesso è dunque tratto dirimente tra l'area culturale cassinese propriamente detta e il versante marchigiano di essa: non stupisce che isolate eccezioni alla regola vengano dal volgarizzamento di Daniele, che presenta solo qualche raro tratto marchigiano. Castellani [1952:45 e n.3], Bianconi [1962:91], Agostini [1968:150], Baldelli [1983:30-33]. Parrino [1957:22η; Camilli [1929:257] attesta guastà, guardiòla, ecc. Stussi [1982: 146]. Nei documenti piceni trovo solo Cingoli 1474,64r 29 verdiano, contro numerosi esempi di (-)gu-; nelle lettere da S. Angelo in Vado pubblicate da Stussi [1968:35]: guardi, vardi, quardi. Ad Ascoli si trovano solo isolate attestazioni di v-, contro l'esito predominante gu-, Neumann von Spallart [1904:44ss., 1907:303s.], Merlo [1906:241-243], Rohlfs [196669:§§ 198, 204, 208], In area picena le sorde sono generalmente conservate: cfr Rohlfs [1966-69:§ 216], Mastrangelo Latini [1966:41ss.]. Negli spogli che riguardano l'alternanza tra sorde e sonore ho omesso la documentazione relativa ad Osimo 1415, che mostra notevoli esempi di sonorizzazione (1 stado, 2 passadi, 2 savide, 22 faride, 18 e 19 recevudi, 3 amighevelemente) accanto però ad esiti di evidente influsso settentrionale (11 nimixi, 20 stajsendo, 10 dessove 'deste1).

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a) -Τ- > -d- : aiudolu 4b.21, poderns 7.2, 7.20,16.8,poderne 2.5, podessamo 18.5, podesse 4a.4, 4b.l8, 5.14, ecc. (cong.), podesse 2.10 (inf.), pódete 2.7, 4b.20, 23.27, ecc.; b) -C- > -g-: grego116 26.14 (ma greco 24.22,27.14, grechi 25.30); c) -Ρ- > -ν- : pevere117 24.21 e tutte le occorrenze di 'ricevere'118 eccetto il participio passato, che oscilla tra l'esito con dileguo dinanzi a voc. velare receuta 4b.l6, e quello con conservazione di -v- (si veda in proposito il § seguente); l'occlusiva sorda si mantiene invece in saperate 8.9, sapete 19.14, 27.11, saputo 22.10. Non sono significativi spada 16.12, che ha subito sonorizzazione in epoca preromanza119, podestà 5.15 (secondo Castellani [1980:11, 221] «normale nei testi medievali fiorentini e toscani») e scudi 17.3, dato che si tratta di vocaboli di provenienza non indigena; così anche medesmi 15b.3, medesmo 15a.4, medessmo 15a.2, di cui è certa l'origine galloromanza120, e affatigo121 9.3, dove la sonora è originaria122.

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Per questa voce si hanno esiti discordanti negli antichi documenti marchigiani; ecco quelli con la sonora: nella Giostra: adiudare 351 (ma adiutu 280, 342); nel Pianto: aiudasse 27, adiudu 236; Mac. 13921, 31 adiudare (erroneamente trascritto adiutore dall'editore), Mac. 13952, 16 aiuda. Crocioni [1917:635]: muda. Oggi nella zona di Macerata prevale ajudu, verso Ascoli ajute (cfr la documentazione raccolta nel LEI, s.v. a d i u t a r e ) . Nelle caite maceratesi è comune, anche se non generalmente diffuso, l'esito con sonora: Mac. 1395®, 91 poder, Mac. 1393, 38 podere (anche Mac. 1393,91, Mac. 1395 6 ,12 e 29, Fermo 1388, 40 e 46), Mac. 1377 3 ,8 poderlo, Mac. 13992, 38 podimo, Mac. 13962, 32 podiva, Mac. 1384,29 podicti. Cingoli 1474, 64r 37 podesse (anche Mac. 13772, 7, Mac. 1397 5 ,9, Cingoli 1474,64r 37). Cfr anche Crocioni [1917:635] poderete, Stussi [1968:35] podesse, Stussi [1982:143] podesse e, tra i testi umbri, Mancarella [1965:55]. Per cui invece mancano, significativamente, paralleli mediani. La forma accusativale è oggi attestata solo nell'Italia settentrionale, entro i confini romagnoli secondo l'AIS V, 1010 (ma si veda Conti, che s.v. p i p cita il "contadinesco" pévre), e non paie probabile che l'area di diffusione fosse molto più ampia in epoca medievale; si dovrà pensare quindi a una voce settentrionale (verosimilmente veneziana) penetrata nel lessico del nostro mercante come altre designazioni merceologiche. Deriva da PIPER il tipo toscano e meridionale pepe, qui attestato a 19.12, 24.19. Recevecti 4b.2, 9.2,14.2, ecc., racevecti 20.2, recevuto 4b.3,4b.4, 25.12, recevutoce 1.2, recevuti 17.3, recevuta 26.2, receuta 4b.l6, recevute 9.4, 14.2, 24.4, ecc. "Ricevere' non è popolare nel meridione, come dimostra la distribuzione del tipo lessicale nell'AIS, VI, 1107 (ho ricevuto), dove 'avere' è comunemente usato nel significato di 'ricevere' in tutto il meridione; inoltre 'ricevere', dove è attestato, ha sempre -v-, il che dimostra che si tratta non di parola popolare, ma reintrodotta, probabilmente per influsso della lingua (si veda anche Rohlfs [1966-69:$ 198]). Si dovranno quindi interpretare come ricostruzioni le forme con -p- ben attestate in area mediana e particolarmente nell'Umbria e nelle Marche: se ne veda l'accurata disamina condotta da Ambrosini [1964:115-122], Cfr Castellani [1988:155]. Rohlfs [1966-69:§ 212], Che ha qualche attestazione mediana: cfr afatigatu nel frammento su ser Petru da Medicina, edito da Orlando [19Ü2J],fatigarse nella tradizione iacoponica studiata da Mancini [196667:257], fatighe in Fermo 1388, 80. Tra gli esempi moderni cito solo fatiga nella versione fermana in Papanti [1875:94], Rohlfs [1966-69:§ 198],

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La situazione degli altri testi documentari è sostanzialmente analoga a quella qui riscontrata 123 : la sporadicità delle attestazioni non consente di ipotizzare un processo generalizzato di sonorizzazione delle occlusive sorde intervocaliche. Le Marche meridionali sono oggi comprese nell'area di lenizione che abbraccia vaste zone dell'Italia centro-meridionale 124 ; ci si può chiedere se gli esempi con sonora non siano da attribuire ad una trascrizione che tiene conto del tratto di sonorità della consonante lenita. Questa possibilità sembra esclusa dalla mancanza, non solo nelle nostre lettere, ma in genere dagli antichi testi marchigiani meridionali, di esempi di sorde etimologiche sonorizzate in posizione iniziale 1 2 3 ; inoltre sembra antieconomico supporre la collisione di due ordini di fonemi quando gli esempi attestati sono forme di ampia diffusione mercantile o per cui è possibile un influsso settentrionale 126 . Infatti gli esempi di sonore da sorde etimologiche delle nostre lettere corrispondono, meglio che alle caratteristiche della lenizione meridionale, a quelle della sonorizzazione settentrionale; la soluzione più economica è supporre, come già per altri testi mediani, una precoce infiltrazione di tratti settentrionali, sotto forma di singole parole e di suffissi, oppure, se si preferisce, di «sonorizzazione imitativa» 1 2 7 . Questi esempi si ricollegano quindi, attraverso le 123

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Cfr Baldelli [1983:28-30]: «i testi marchigiani offrono sempre qualche -t- sonorizzata». Oltre agli esempi cit. nelle note precedenti, si considerino: per la dentale, gli esiti del suffisso -ATEM: Mac. 13922, 285v 10 cictade (anche Mac. 13954, 33 e 6, Mac. 13957, 19, Mac. 13973, 41, Mac. 13974, 33. 35,41 e 6, Mac. 13976, 19, Mac. 1398, 3, Mac. 13991, 18 e 27, Mac. 13992, 35 e 38, Mac. 13993, 20), Mac. 1395 1 ,17 communitadi, Mac. 13951, 29 lialtade, Mac. 1287,8 mitade (anche Mac. 1384,33 e nella Carta picena, secondo l'edizione di Castellani [1976:205s.]), Mac. 13964, 14 piatade, Mac. 1399 1 ,25 Podestade, Mac. 1390 3 , 33 povertade (anche Mac. 13963, 13, Mac. 13971, 6, Mac. 1397 4 ,19 e 25, Mac. 1398, 11, Mac. 13992, 38), Mac. 1395 4 ,1 veretade, Mac. 1392 2 ,285v 19 voluntade-, gli esiti del suffisso -ATOR, Mac. 1445, Ir 12 ambasiaduri, S. Sev. XVin., 1 anbasciadore, Mac. 1441,5 habitadore, Mac. 13922,285v 5 habitadori-, Mac. 1377 3 ,13 servidore (anche Mac. 13774, 8, Mac. 1384, 22 e 24 e 32, Mac. 13952, 4, Mac. 1395 3 ,4, Mac. 1396 1 ,19, Mac. 13962, 28, Mac. 13963, 4, Mac. 13972, 2, Mac. 13973, 29, Mac. 1441, 1), Mac. 13771,14 serviduri (anche Mac. 1441-43,4 e 14); inoltre Asc. 1456,21 armadura, e si veda Vignuzzi [1975-76:11, 108s.]. Per la velare trovo solo un esempio: Mac. 1393,6 segondo. Cfr Weinrich [1958]. Per l'alto Lazio offre una buona documentazione Wieter [1971:35s., 58s., 115-118], L'unico esempio reperibile nei testi documentari (guisso in Mac. 1377 4 ,18) 6 banale scorso dell'editore per q(ui)sso. Braccini [1962:284-290], sviluppando un'ipotesi accennata da Contini [1961], spiega alcuni casi di sorda per sonora etimologica in testi lucani come effetto di una momentanea perdita dell'opposizione tra le consonanti lenite e le sonore in determinati registri lessicali; sulla congettura, che non sembra applicabile alle nostre lettere, si vedano le considerazioni di Loporcaro [1988:104-112], La nozione di "sonorizzazione imitativa", con cui si intende una tendenza non generalizzata alla sonorizzazione introdottasi per 'imitazione' (quindi non selettiva in base a criteri fonetici, ma limitata ad aree lessicali esposte, e, al limite, attiva indipendentemente da un diretto influsso esterno) in zone originalmente non sonorizzanti, è stata elaborata da Castellani [1980:1, 241n.; il saggio è del 1960] per la Toscana, e accolta da Bianconi [1962:66], che ne rinviene sporadici indizi a Orvieto; da rileggere al proposito la nota di Weinreich [1960:332]: «To me the distinction... between the mass polygenesis of a spontaneous change and the rapid diffusion of a monogenetic change seems avoid of content. The linguist has no way of empirically distinguishing between the two processes. 82

varietà anconetana e pesarese, che presentano sporadici casi di sonorizzazione128, all'area settentrionale. Manca il materiale per stringere il cerchio, per decidere cioè se l'influsso settentrionale si sia esercitato direttamente sulla lingua di Gilio o sia stato comune tra i parlanti marchigiani dell'epoca: la possibilità, per la lingua di Gilio, di una influenza veneziana diretta è realistica soprattutto per il lessico di interesse mercantile (si è già visto il caso di pevere), secondo una ormai nota fenomenologia di reciproche interferenze linguistiche veicolate dagli scambi commerciali; meno probabile negli altri casi, che offrono, come s'è visto, un quadro non differente da quello di coevi testi piceni.

30. Sonore intervocaliche. Le sonore intervocaliche sono generalmente conservate (si omette lo spoglio). In pochi casi, che vanno discussi partitamente, si assiste alla caduta di consonanti sonore intervocaliche degli ordini labiodentale e velare129: sarà stata favorita dalla vocale velare seguente la perdita dell'occlusiva in aule 12.2 e receuta 4b.l6, per cui si deve presumere una precedente fase con la fricativa130; cade poi la -g- intervocalica romanza di briata 19.25, 23.24 e di pay (PACAVI) 18.14, in cui manca la seconda a, forse per evitare due lettere identiche vicine (è anche possibile ipotizzare l'omissione erronea dell'intera sillaba per aplologia); non vi è dubbio che per 'pagare' 131 , come anche per 'pregare'132, si debba supporre uno sviluppo non popolare comune a tutta l'Italia meridionale, per cui le carte AIS mostrano l'esito con [g], con [γ] o con dileguo normale a partire da un etimo con -g- 133 . Si dovranno dunque interpretare come reintegrazioni posteriori le numerose attestazioni di forme con la sorda da carte antiche marchigiane134.

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Furthermore, there is no evidence that any phonemic change ever took place without the language passing through a stage of competition between alternative forms». Cfr da ultimo Panino [1967:20,23]. Per la tendenza alla spirantizzazione e successivamente al dileguo delle occlusive sonore intervocaliche si veda Rohlfs [1966-69:§§ 215,217]. Entrambe le forme con dileguo di -v- sono frequentissime nei documenti maceratesi, accanto però ad attestazioni di receputo con -p- reintrodotto; il caso di 'ricevere' i discusso da Ambrosini [1964:119-122]. Per esempi di reintegrazione della sorda, cfr Wieter [1971:35s.]. Paga 6.6,7.13, pagandole 1.5,pagan(n)o 7.12, pagar 6.6,6.8,7.17, 16.13, pagare 21.27, paga(r)e 21.25, pagarete 15a.2,15b.2, pagasse 5.39, 24.30, pagatele 16.13, pagati 15b.2, 15b.3, 21.26, ecc., pago 24.31. P(re)ga(r)e 5.30,pregamo l'i.VI,pregava 13.2,prego 1.15 (bis), 2.10, ecc„pregove 1.13, 2.11,3.13, ecc., reprego 14.4. AIS IV, 801 (pregare Dio), Vili, 1589 (pagatemi quello), 1614 (se fossimo pagati meglio). Cfr Rohlfs [1966-69:§ 298]. Cam. 1388a, 18 pachare, Mac. 1288, 31 pacatore, Mac. 1384,18 pachare, Mac. 1407, 5 pacare, 9 pacati, Mac. 1441-43, 17 pacarimo, S.Sev. 1407, 5 pacare, 9pacati", Stussi [1968:34], Vignuzzi [1975-76:11, 110]. Gli esempi con la sonora sono tuttavia largamente maggioritari. Si veda al proposito Baldelli [1983:29]. 83

I e nessi con J 31.1-, DJ-; -J-, -Di-, -RDJl·, -G- seguito da vocale palatale. Si osserva la conservazione, normale nelle Marche, di J[-, al cui esito giunge anche il nesso DI- 135 : Iacobo 4a.6,1acome 21.2, Iacomello 22.2, 22.4, iulio 4a.l, 4b.l, 5.1, ecc., iunio 1.1,2.1, 3.1, ecc., iura(r)e 18.14, ien(naro) 18.1, lohanni, 27.2, 27.23, iongere 3.13, 6.4, ionia 4b.l9. Ha gi- il solo Gienova, che probabilmenteriproducel'affricata toscana (efr § 2). Unico esempio per DJ- > [i-]: iurni 18.7. Per l'iniziale di Gilio 0.1, 1.17, 2.14, ecc. si veda § 3 e l'indice degli Antroponimi, s.v. -I- intervocalico viene conservato in Maiolica 1.13, 2.6, 10.12, ecc. (14), Maiorica 21.5, maio 23.2, maior 5.22, 23.12, malore 25.21, peio 22.16, peiora 1.7; ad una pronuncia con [-i-] sembrano rimandare anche gli esempi di Magiolica 3.17, 25.3 (cfr §2). -DJ- evolve a -/- in aiudo136 4b.21; anche qui si ha un caso di grafìa -gi-, vegio 23.7, per il quale varrà il confronto con le numerose attestazioni di veio o vegio137 in area mediana e in particolare nelle Marche meridionali; la realizzazione era con ogni probabilità [i]. L'esito di -G- dinanzi a vocale palatale si confonde con quello di j latina e romanza nei casi di pagese138 8.3, 16.6, 16.9, pagisi 5.8, 6.10, 24.8, ecc. (6), retragerete139 17.6, retragesse 19.22 e retraga 17.6, meno probabilmente in legerete1A0 19.19: efr § 9.

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La confusione tra J e Di è già latina: efr Rohlfs [1966-69:§ 446], Castellani [1980:1, 113118, 121], Casi sporadici direstituzionesemidotta, non solo grafica, del nesso sono frequenti negli antichi documenti piceni (per esempio Mac. 13921, 22 e 31 adiutore): efr anche Ageno [1955:198] elav. a d i u t a r e del LEI. Cfr gli spogli di Baldelli [1983:275], cui si aggiungano: dal Pianto delle Marie veio 100, 180, 194, 216, 269; dalla Canzone del Castra veio 30; si vedano poi Ugolini [1947:135], Bettarini [1969:710], Mancini [1974:838], Innocenti [1980:173] e Ernst [1970:83], che raccoglie alcuni esempi romani di -gi- puramente grafica; cfr anche l'analogico sejo nel Ritmo cassinese, sego in Mac. 1399 , 35. Per la diffusione in area mediana, l'AIS IV, 817 attesta una realizzazione con la semivocale ai PP. 569 (Grottammare), 608 (Bellante), 619 (Montesilvano), 637 (Capestrano), 648 (Fara S. Martino) e isolatamente più a Sud. Esempi in testi antichi si possono trovare in Castellani [1952:42s.], Mancini [1974:778, 1980:191, 1990:312], Sbarra [1975:47], Porta [1979:564], Per queste forme si deve risalire, come per molte attestazioni galloromanze, ad un etimo latino volgare »TRÄGERE: cfr FEW XIII, 177, s.v. t r a h e r e , Castellani [1952:43 n.3], Tekavlit [1972-74:§ 1037], Gli esiti di -G + E, I- sono discussi da Rohlfs [1966-69:§ 218], Lausberg [1972:§§ 393,395], CfirVignuzzi [1975-76:11,110-115].

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32. -ΒΙ-, -MBIL'esito -i- di -BJ- 141 è attestato dalla forma aio 12.3, accanto al quale, con la solita variante, si trova agio 1.10, 2.2, 3.2, ecc. (31), agiate 0.2, 13.3; sotto la grafia gì si può celare, come si è visto (cfr § 2), la pronuncia -j- o in questo caso anche comune nei dialetti del Sud Italia, e in particolare nelle Marche meridionali; la situazione odierna oscilla tra le due realizzazioni a seguito di uno sviluppo - f t - degli esiti primitivi in semivocale142. Alternanze di questo tipo sono comuni nei documenti marchigiani, che solo talvolta presentano qualche scrizione rivelatrice143; tuttavia la coerenza con le altre forme con -gì- per cui è probabile la realizzazione [jj rende più economico supporre la stessa pronuncia anche per gli esiti di -BI-. Si nota conservazione di -bi- in abiaw 8.6, 16.9, 21.13, ecc., abiate 0.1, 8.6, 9.4, ecc. e dopo nasale in cambio 25.18, canbio 21.24, senz'altro forme dotte o toscaneggianti145.

33. -PIL'esito in affricata palatale si ha solo nel caso di saccio146 7.7; è questa una delle poche isoglosse comuni a tutti i dialetti centro-meridionali che raggiunga l'area dei nostri testi; al congiuntivo (che, com'è noto, non è popolare nel Meridione) prevale istruttivamente la realizzazione di tipo toscano: sappia (Ia) 8.8, sappia (IIIa) 22.18, sappia (VIa) 7.22. Si veda anche § 74.

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Cfr Rohlfs [1966-69:§ 274], Mastrangelo Latini [1966:26]. Ambrosini [1964:124]; per le forme meridionali della I a persona di 'avere', cfr Rohlfs [196669:§ 274], Come per esempio Mac. 1398,9,10 odio (accanto a aggio a r. 2) che depone ovviamente per la pronuncia con semivocale. L'assenza di grafie inverse come questa nei nostri testi non permette di trarre conclusioni sicure al proposito. Forme analoghe sono ben attestate ad Ascoli da Vignuzzi [1975-76:204s.] e Stussi [1989:1328], L'esito comune nei dialetti centro-meridionali è [II]; cfr Merlo [1906:183s., 245s.], che documenta l'identità dell'esito di -MBj- e -NG- per una vasta zona dell'Italia meridionale. Ci troviamo al limite superiore della zona in cui -PI- passa a-66-: cfr Ernst [1970:94s.], che rende conto del processo dal punto di vista fonetico e della diffusione odierna del fenomeno; e si veda anche Merlo [1929:192s.]. Sulla diffusione medievale delle forme con palatalizzazione di SAPIO fino a Spello e Perugia, e in testi poetici a Firenze, cfr Bianconi [1962:77s.]. Ma restano i dubbi di Merlo [1920:246]: «Peccato che non si possa fare gran conto dell'arcev., reat., aquil. saccio "so" per via di faccio FACIO di cui potrebb'èssere una ricostruzione analògica, e meno ancora di "piccione"», che sono proprio i soli esempi dell'esito con affricata palatale attestati negli statuti ascolani: cfr Vignuzzi [1975-76:11,119].

85

34. -TI-, -NTJ-, -MPT¡Prevale l'esito con affricata dentale, comune nei dialetti centro-meridionali per le parole di diretta tradizione147: contentecça \.3,pocça (I1) 3.5,4a.4, pocça (VI*) 16.19, pocço 23.15 (bis),precço 3.6, 3.14, 4b.9, ecc., precçi 5.13, 19.11, 19.20, ecc. Si ha grafía latineggiante -ti- nei casi di conditione 4a.7, 10.3, 21.7, ecc., gratia 1.2, 4b.2, 4b.5, ecc., notifia 0.1, Veneria 1.15, 2.12, 4b.l2, ecc., venetiano 6.7, venetiani 14.6, 21.28, 24.36, 27.5, venitiana 25.13, vinitiani 25.16. Da una forma latina medievale con -TJ- discendono spetie 24.19, spitialmenti 26.13, spitialm(en)ti 3.12, 4b.l3, 23.28, 25.5, che sono da considerarsi forme dotte pronunciate con affricata dentale. Dopo nasale: començata 24.5, Lorenço 17.2, 18.11, 18.13, 18.22, sinça 5.23, 5.26, 5.28, sperança 23.19, usança 13.8, Valença 1.2, 1.18, 2.15, ecc. (29) e, con le riserve esposte a § 47, Fiorença 3.5,5.7,12.5, ecc., Fiorençe 19.3; sono forme dotte: intentio(n)e 5.21, 14.8, 22.17, 22.18, mentio(n)e 16.18, Valentìa 3.11,5.34. Anche per -CTI- si ha grafia dotta: electìone 7.20. Si osserva esito toscano da -MPTJl· in aconciatela14* 27.7. 35. -CIL'esito in posizione intervocalica è un'affricata palatale rafforzata il cui grado viene incostantemente rappresentato: aciari 19.12,25.30, acciari 20.16, 23.28, 26.14, acid che 3.5, 22.18, acciò che 5.38,25.35, facia 14.10, faccia 1.3, 19.15, 22.6,27.16, refaccia 21.12, inpaccio 7.8,p(er)spaciato HA,piada 24.32,piaccia 3.8, 5.14, 5.25, ecc. (7), spaccio 6.9 (sost.), spaccia 23.28, spacciarla 7.6, spacciato 3.4, spaccio 6.7 (verbo), spaciam(en)to 11.4, spaciarme 9.7, spoetasse 2.3, 3.7,7.6, ecc., spoetate 22.15, spaciatome 18.27, spacio 13.4 (sost.), vaccio 4b.l7, 5.10. In posizione postconsonantica è attestato solo lance149 25.31. 36. -RIL'esito è sempre -r-: centenaro 20.9, quintaro 24.34, e i plurali acciari 20.16, 23.28, 26.14, aciari 19.12, 25.30, dena(r)i 7.7, 9.6, 10.5, quitar 17.5, quintari 7.11, 7.20, quinta(r)i 18.12; l'area in cui da -ARIUS si ha -aio esclude nel Trecento tutta l'Umbria centrale ed occidentale, come si desume dagli studi di Aebischer [1941] e Castellani [1980:1,423-449], secondo cui «nel Medioevo tutu l'Umbria ha -aio, con infiltrazioni di -aro nella zona più meridionale ed orientale

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Cfir lorian [1922], Rohlfs [1966-69:5 290], Baldelli [1983:280s.]. Attestalo anche ad Ascoli da Vignuzzi [1975-76:11,117]. Per il quale non può essere esclusa una pronuncia con affricata dentale: cfir § 4.

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(Narni, Spoleto, Foligno, Gualdo Tadino)». Da notare poi cora 3.3, 3.5, 3.7, ecc. e curarne 1.13,2.8.

37. -NIL'esito normale è la palatalizzazione della nasale davanti alla semivocale150; in altri casi si osserva conservazione della forma latineggiante in -ni-: gli esempi sono raccolti a § 6.

38. -LiLa palatalizzazione di -LI- non giunge mai a -j-, esito odierno comune nell'area maceratese151; si hanno invece parecchi casi di grafia -gl(i)-, elencati a § 6, e un esempio di conservazione di tipo dotto in olio152 3.3, 3.4, 3.8, ecc., olii 25.33, 26.16; sta a parte il tecnicismo galiocta 18.6.

L e nessi con L 39. Sorti di L iniziale, preconsonantico, intervocalico Iniziale e intervocalica viene sempre conservata; in particolare non si osserva nessun caso di palatalizzazione dinanzi a vocali anteriori o posteriori, né in particolare di -LLI > -gli153. I dialetti marchigiani si differenziano generalmente da altre varietà mediane, in particolare laziali, per una certa tendenza alla conservazione della / dinanzi a / ed κ154. Per il caso di a lloro 19.22, efr § 10. In posizione preconsonantica L viene conservata; ecco gli esempi con -le-: alcuno 5.23, 5.28, alcuna 0.2, 5.23, 5.30, ecc., cavalcare 18.15, dulci 25.34, qualche 4b.5, 21.16, 21.17, 25.24, tulci 18.9; con -It- si trovano altretanto 7.12, 8.4, altretanti 15b.4, altro 1.6, 2.8, 3.8, ecc., altri 4b.l7, 5.27, 7.9, ecc., altra 4b.l6, 8.2, 11.2, ecc., altre 9.7, 15a.3, 16.6, ecc., dificultà 19.9, multo 4b.4, 8.9, 20.11, ecc., multe 16.6, 21.6, 24.11, ultima 25.5, volta 4b.l5 (verbo); con 150 151

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Rohlfs [1966-69:5 282] Nei dialetti della bassa valle del Tronto l'esito - j - alterna con la variante -gjj-, mentre le parlate della Marca, e anche Servigliano, conservano la semivocale: efr Camilli [1929:221], Mastrangelo Latini [1966:24], Rohlfs [1966-69:§ 280], Breschi [c.s.:3.2]. L'esito semivocalico non è mai rappresentato negli antichi documenti dei dialetti piceni: efr Vignuzzi [1975-76:11,12η. Cfr Rohlfs [1966-69:§ 280], Castellani [1980:11, 361s.]. Cfr Merlo [1918], Cfr Merlo [1911], Rohlfs [1966-69:§ 221], L'AIS 0 . 1 8 0 "bello·) registra «siti palatalizzati da -LL- davanti ad -u ai PP. 576, 615, 616, 625, 637, 635, 646, 654, 666, 682 e sporadicamente più a Sud; l'area di palatalizzazione è ancora più ampia dinanzi ad -i; nella bassa valle del Tronto sono attestale da Mastrangelo Latini [1966:30s.] alterazioni nella lseguita da vocale palatale.

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-/ν- malvasie 20.17, 23.29, salvam(en)to 1.9, 4a.2, 4b.7, ecc., salve 25.40 (cong.), salvo 23.6, ία/vi 24.15, salve 22.6, 24.5 (agg.). In connessione con diverse realizzazioni di l preconsonantica nel latino tardo155, il nesso di l + consonante ha avuto, nei dialetti centro-meridionali, sorti diverse da luogo a luogo, subendo la velaiizzazione della laterale (esito che sembra essere diffuso e prevalente in tutto il meridione), oppure la palatalizzazione (> j), o ancora l'epentesi vocalica156. Nelle Marche l'esito prevalente nell'area centrale è il passaggio a r, mentre più a sud i nessi di laterale e consonante restano generalmente conservati, oppure la consonante sorda seguente subisce sonorizzazione157: peraltro, Crocioni [1904:127] attesta per Arcevia alcuni casi di palatalizzazione, altri di caduta. Una volta accettato il dato strutturale della tendenza all'indebolimento della laterale in posizione preconsonantica nei dialetti centro-meridionali (e in molte parlate settentrionali), le singole realizzazioni sono da considerare, con Ambrosini [1964:142], «trattamenti popolari, per i quali è spesso vano cercar di individuare un "Lautgesetz"... e arduo precisare l'area di diffusione»; tanto più se, come nel caso di testi marchigiani, si deve fare a meno di una documentazione che chiarisca i rapporti di interscambio tra le diverse aree dialettali e contesti sociolinguistici. Per l'esito del gruppo -Is- cfr § 43.

40. Nessi di consonante + L iniziali e interni Faccio seguire le occorrenze, cominciando dalla posizione iniziale: CL- > chi-: chiaro 25.25; non si osserva quindi la riduzione a [6], che è invece esito diffuso nei testi abruzzesi e laziali secondo Ugolini [1959:35] ed Ernst [1971:82]158; FL- > fi-: scarsamente significativi, perché ovviamente di sviluppo non indigeno, sono gli esempi di fioricto 4b.23, fiorini 24.34, Fiorença 3.5, 5.27, 12.5, ecc., Fiorençe 19.3, fiorentini 6.7, 23.13 e in composizione Monte Fiascone 16.5; PL- > pi-: piac(er)e 5.15, 5.16, 5.25, 23.30 con tutto il paradigma (cfr Glossario, s.v.), pienera 0.1, pino 8.9, 22.15, 25.6, pine 4b.23, più 0.1, 1.12 (bis), ecc., piu(m)mo 20.16. Analogamente, in corpo di parola -(C)L- si risolve [kij nei casi di dechiaratelome 3.4, dichiarate 3.5, Eschiavonia 25.38, e Chiesie 16.7,18.17, che è semidotto159. Π gruppo -BL- si conserva per latinismo in obligate 7.16. I nessi di occlusiva e L sono quindi costantemente ridotti tanto in posizione iniziale che interna; questo esito è, in antico, normale in Toscana, nell'Umbria 155 156

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Cfr Lausberg [1976:§ 411-414], Si vedano Merlo [1909b:245-247] per i dialetti dell'Abruzzo, Ernst [1970:75-82] per il Lazio e in genere i testi antichi mediani. Cfr Panino [1967:27], II fenomeno è attestato anche a Roma fino al secolo XVIII: cfr al proposito Serianni [1989:267-274], Si veda quanto detto a § 8. La presenza in molti dialetti italiani di voci derivate da E(C)CLESIA con la occlusiva sonora iniziale dimostra la resistenza della E- ancora in epoca romanza. 88

centro-settentrionale e anche nelle M a r c h e 1 6 0 . La conservazione, particolarmente in p o s i z i o n e i n i z i a l e , è tratto caratterizzante d e l l a scripta

cassinese,

ma

specificatamente di testi letterari, o 'dotti', e c o m u n q u e «sporadico», a detta di I. Baldelli, cui si d e v e l'analisi più approfondita del f e n o m e n o in antico 1 6 1 : così gli e s e m p i sicuri di c o n s e r v a z i o n e di -L- preceduta da o c c l u s i v a s o n o m o l t o scarsi, s e c o n d o V i g n u z z i [ 1 9 7 5 - 7 6 : 130ss.], anche negli Statuti di A s c o l i , malgrado la prossimità geografica delle ristrette aree di c o n s e r v a z i o n e 1 6 2 . Il p r o c e s s o di riduz i o n e p u ò quindi dirsi senza dubbio in netto progresso in quest'area e a questa altezza cronologica, anche s e non si p o s s o n o naturalmente escludere nelle nostre lettere perturbazioni dovute all'influenza toscana o veneziana.

Nasali, fricative e sibilanti 4 1 . Nasali: - G N - e - N G Tra gli esiti di - G N - da notare s o l o 1 6 3 angeline le lane agnelline

di Maiolicha164,

3 . 1 2 , 3 . 1 4 , c h e s o n o naturalmente

c i o è lane di agnello di una qualità pregiata; la

mancanza di altri esempi di ng per [ή] nelle nostre lettere (cfr sotto) rende problematico il c o l l e g a m e n t o con la grafia ng(i) per la nasale palatalizzata, nota fin dai primi testi mediani 1 6 5 . Si prospettano allora due possibilità: c h e si tratti della rappresentazione, coerente c o n le altre occorrenze del digramma, di [né], e rappre-

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Cfr Rohlfs [1966-69:§§ 247, 248, 252]. Per l'evoluzione di tutti questi nessi si veda il contributo di Tuttle [1975]. Gli spogli di Baldelli [1983:37-42] si riferiscono infatti quasi totalmente a testi letterari, e documentano un uso più 'cassinese' (cioè caratterizzante dal punto di vista culturale) che 'mediano', come dimostra anche l'attuale area di conservazione, individuata da Merlo [1913] e descritta da Rohlfs [1966-69:§§ 180, 183, 184, 186 e 247-252]. Gli esempi di conservazione del nesso fl- portati dalla Di Nono per i suoi documenti maceratesi sono illusori, perché, con l'unica eccezione di Mac. 1377 2 , 26, si tratta di fiorini tratto da scioglimento dell'abbreviazione 'fior.', cioè di una sigla stereotipata che nulla di sicuro può dire sulla reale pronuncia. Anche Teramo manifesta una certa tendenza alla conservazione: cfr Savino [1966:47], Altrimenti trovo asingno 6.5, asigne 21.5, lengname 25.31, signato 21.3, signo 21.3. Cito da Melis [1972a:303 1.14], di cui si consulti anche l'Indice delle merci, s.v.; si veda anche il Glossario di questa edizione, s.v. *angelina. Questa grafìa è simmetrica a quella di lg(i) per la laterale palatalizzata, di cui si hanno esempi ancora nel Ritmo su S. Alessio e nelle Glosse cassinesi. Essa rappresenta una scelta naturale in una zona in cui [fl] è esito normale del gruppo -NG- seguito da una vocale palatale, cosicché ng si propone come scrizione etimologica, al pari delle grafìe concorrenti (n)gn(i) e ni'; proprio quest'ultima, anzi, può aver favorito la diffusione di ng, stante l'equivalenza grafica tra g e i anche in posizione postconsonantica: cfr § 2 e Tavoni [197273:436]; per esempi di lg, ng, si consulti il Prospetto Grammaticale di Monaci e Arese [1955:597] e Baldelli [1983:18,140]; per l'esito di NG seguito da I, E, si veda più sotto. Si osservi tía l'altro che anche la mancanza nelle lettere di Gilio della grafìa parallela Ig (cfr § 4) è argomento contro l'ipotesi di un esempio isolato di questa antica grafìa, dato che la parentela, non solo genetica ma anche strutturale, delle due scrizioni è dimostrata dal loro occorrere normalmente nei medesimi testi.

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senti l'esito centro-meridionale di A G N U S 1 6 6 con un'antica epentesi di /, che ha continuatori in alcune zone conservatrici della Romània 1 6 7 , oppure che sia un ipercorrettismo, forse solo grafico, per un pronuncia [ñ], esito normale in area marchigiana da -NG- seguito da vocale palatale 1 6 8 ; si consideri tuttavia che il nesso di -NG- con vocale palatale 169 è rimasto inalterato (almeno graficamente) in tutti i casi: Angelo 1.11, 5.24, 7.27, 18.28, gengebro 24.21, iongere 3.13, 6.4, strenge 5.8.

42. Fricative L'assenza nel testo in esame di casi di betacismo conferma i risultati degli spogli di Baldelli [1983:105-110], secondo cui la zona marchigiana non è interessata dal betacismo, tendendo piuttosto ad una moderata estensione di ν in luogo di b in posizione intervocalica; il tratto risulta quindi separativo nei confronti dell'area cassinese e della zona del Lazio meridionale in cui il fenomeno trova continuazione nei dialetti moderni.

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Per i continuatori di AGNUS si veda anche la relativa voce del LEI: si noli che angello è attestato a Spello da Ambrosini [1964:134]; segnalo inoltre un'occorrenza antica nelle Laudi aquilane edite dal Percopo [1885-92:XII, 80], mentre sospetta è quella, pure aquilana, rintracciabile in Valentini [1935:107]. Mi riferisco alle attestazioni del tipo 'ainu' in aree conservative distanti tra loro come l'Umbria orientale, alcune zone della Calabria e della Lucania, gran parte della Sardegna; la trafila ricostruita da Ambrosini [1965:302], anche sulla scorta delle soluzioni proposte da Merlo [1934:69-80], sarebbe dunque: AGNUS > *aginu > *ainu > *anlu da cui si sarebbero sviluppati, a seconda della differente separazione sillabica, *añio > agno e *ango che sarebbe sopravvissuto appunto in angelle, angeline. L'epitesi in questo contesto viene attribuita da Ambrosini, che si vale del confronto con analoghi tipi lucani e sardi, al sostrato 'sannita'. Sull'argomento si vedano Ambrosini [1964:134], che raccoglie e discute le attestazioni spellane. Agostini [1978:65] per Città di Castello e Bianconi [1964:68] per Viterbo. Si sarebbe cioè operato un conguaglio analogico sulla base dell'equivalenza tra il marchigiano e genericamente centro-meridionale stregne e il toscano centr. e or. strenge Cstringe). Si ricordi poi che sulla base di una reazione analoga è stato interpretato da Salvioni e poi da Merlo [1934:71s.] l'esito singo da SIGNUM, diffuso in area mediana e centro-meridionale. Rohlfs [1966-69:$ 259] si limita segnalare il fenomeno. Casi analoghi si possono però trovare nelle novelle publícate da Papanti [1875:93, 258, 263]: enzenghi, 'nzencasci, 'nsenghi (seconda persona del cong. pres. di 'insegnare'), rispettivamente ad Amandola, Mogliano, Treia. Sull'esito -NG- > [fl], diffuso ad Est della linea Firenze-Siena, si vedano Rohlfs [1966-69:§ 256], Merlo [1920:216, 254, 268, 1959:56]; per le Marche, Bonvicini [1960:39], Camilli [1929:223] (che cita solo stregne), Vignuzzi [1975-76:11,126], Breschi [c.s.:6.4.2]; per gli antichi testi toscani, umbri, romaneschi e marchigiani, Castellani [1980: II, 221, 296s., 396], Ernst [1970:86s.], Agostini [1978:66]. L'esempio della Carta osimana del 1151, inienio, è discusso da Castellani [1976:154η.]; ingnengnio si trova anche nel Diario nepesino studialo da Mattesini [1985:148] e nella Cronica dell'Anonimo romano.

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L'esito del nesso -DV- 170 è graficamente rappresentato con -v-, che corrisponde forse ad una realizzazione con la geminata: gli esempi sono raccolti al §9.

43. Sibilanti Merlo [1915] ha individuato nella particolare propensione alla palatalizzazione di (-)S- seguita da vocale palatale un tratto caratterizzante delle varietà adriatiche171 (marchigiane, abruzzesi e molisane). Nelle lettere di Gilio la [s] iniziale passa a se solo nel caso di scicché 17.3; altrimenti essa viene sempre conservata: sì 1.8,6.4, 7.8, ecc, sidici 15a.3, signo 21.3, sinça 5.23, 5.26, 5.28, singnur 19.18, Sibilio 24.24, 25.33, 26.17 (bis), similem(en)ti 3.5, simelm(en)ti 22.2, simelmenti 24.12, singular 5.15, 5.25, siriame 27.3. All'interno di parola la -S- semplice seguita da / si mantiene tanto tra vocali (barçalonisi 15a.3, desidera 1.4, malvasie 20.17, 23.29, misi 7.4, 7.12 (bis), ecc., pagisi 5.8, 6.10, 24.8, ecc., pericolusi 19.9, tosiccie 20.18) che dopo consonante (considerato 21.9, 27.9, consigliarà 4b.l3, consiglio 4b.22, divi[r]sità 25.36, Marsilio 18.3). Nelle nostre lettere il nesso SI iniziale viene conservato nelle voci di 'essere' (il toscaneggiante siete 5.28 (bis) e siate 2.11, 25.9, 25.17), e non occorre altrove. All'interno di parola si osserva esito -sci- da -SI- solo nel caso di Aleviscio 16.4, antroponimo di diffusione relativamente tarda in Italia172, che continua (probabilmente con la affricata prepalatale sonora) l'esito galloromanzo -is; pure voce di remota «origine galloromanza o riflettente una pronuncia scolastica del latino nell'Italia settentrionale»173 è la parola 'ragione', per cui sono attestati due esiti: rasiona 4b.l2 (ΠΙ8), rasione 2.6, 4b.l0, 6.4, ecc. (8), rasiuni 5.11, 21.6, 24.14 e ragionam(m)o 2.8, 24.10, ragionateme 25.35; questa alternanza sarà dovuta all'influsso toscano, particolarmente attivo in relazione con la avanzata tecnica contabile, oppure a due grafie differenti per lo stesso suono sonoro spirante [z] (come nell'odierno arceviese e nel reatino174). Altri casi di si seguito da vocale all'interno di parola: Chiesie (sing.) 16.7,18.17, insiemi 12.7, provisione 21.14, il dubbio Pisia 17.6, 22.9, 18.24, 23.10, e dessasio 20.4, pure voce di

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Nel meridione l'esito normale è -bb-: efr Merlo [1913], Rohlfs [1966-69:§ 240], Documentano la diffusione del fenomeno anche Rohlfs [1966-69:§§ 210,211], Mastrangelo Latini [1966:29], Parrino [1967:34], Serianni [1982:107], Breschi [c.s.:6.7] e Crocioni [1905:127, 1906:18s.], che rimarca la differenza tra le realizzazioni di -Si- e -SSJ-. Tra le attestazioni in testi antichi sono notevoli quelle raccolte da Vignuzzi [1975-76:11, 123s.], che cita anche alcuni ipercorrettismi; efr anche Di Nono [1974:570] per esempi da documenti ascolani mediolatini, secondo moduli peraltro diffusi in tutta l'Italia meridionale, secondo Sabatini [1962:21s.]. Bratto [1955:144], Secondo Castellani [1980:1, 233]. Ma in toscano, come in veneto, avrà influito il suffisso -(N)SIONE. Crocioni [1906:12] registra «un suono oscillante tra g e se», cioè un'affricata prepalatale sonora. Lo stesso riscontra Campanelli [1896:95] per Rieti. Cfr anche Battisti [1922:45, 58],

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origine galloromanza175; Chiesie è un vocabolo dotto, della cui effettiva pronuncia è difficile farsi un'idea176. Dopo la sibilante rafforzata provocano invece palatalizzazione177 la [i] di necescità 5.10 e la finale della Π* persona del congiuntivo imperfetto facisci 5.37 (e della I a del perfetto in disci, per cui si veda il § seguente), mentre -ss- resta inalterato in grandissima 24.26, e in quissi 2.10,14.10, 24.8, ecc., e scrissi 4a.2, 4b.7, 6.3, ecc. Alla scrizione con la scempia in asigne 21.5, asingno 6.5 hanno contribuito anche consuetudini grafiche (cfr § 9). Il nesso -ssj[- si mantiene intatto in comissione 2.5. Nell'unico esempio attestato (tulci 18.9) il nesso -Is- evolve in -Iz-, con esito comune nei dialetti meridionali moderni fino ad Ancona e ben attestato in testi antichi mediani178 (cfr anche § 4).

44. -XA parte il caso di Alexandria 16.4, l'esito di -X- è -ss- (esempi: dissi 18.11,19.4, 19.24, dissive 22.5, 22.11, lassato179 17.5, lassay 18.21, 19.8, 23.21) che, come la -ss- primaria, può essere palatalizzato dalla vocale successiva (disci 18.11, 22.7). La sibilante semplice in usita 13.4, 14.7 può essere scrizione scempia di un esito -ss-, non ignoto ad antichi testi marchigiani180, oppure una grafia ipercorretta, isolata nel nostro testo, per la sibilante palatalizzata181.

Scempiamenti e geminazioni 45. Consonanti scempie e geminate Vi è ragione di credere che alcuni degli scempiamenti e geminazioni che si registrano nelle lettere non siano dovuti a motivi grafici (cfr § 9). Si registra innanzitutto una tendenza allo scempiamento in sede protonica: il fenomeno è evidente nei casi di peculino 26.8 dato piccholo 5.7 e inanti 7.12, 7.16, 8.2, ecc. (7) dato innanti 7.4 (si aggiunga, in protonia sintattica, inn 182 175

176 177 178

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181

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Si vedano ancora Castellani [1980:1, 233] e la voce a d i a c e n s del LEI, con documentazione soprattutto settentrionale. Si veda §8. Cfr Rohlfs [1966-69:§ 239], Cfr Rohlfs [1966-69:§ 267], Ernst [1971:82s.], Vignuzzi [1975-76:11, 139], Porta [1979:577]. La situazione odierna è riassunta da Breschi [c.s.:3.2,6.4.2], Per cui si veda Castellani [1952:43]. Nel Ritmo su Sant'Alessio: ussio 163; tra le carte marchigiane si segnalano Fermo 1388, 39 ossilo, Fermo 1476, 6 e 10 ossiti, Mac. 13962, 34 ussio; úsente in Mac. 1398, 9 è incrocio con 'esente'. Si vedano anche Ernst [1970:99], Vignuzzi [1975-76:11,124s.]. La grafia etimologica -si- è la più naturale per rappresentare una sibilante palatalizzata; si veda anche Vignuzzi [1975-76:11,120]. Analoghi esempi fiorentini e napoletani di in/inn dono raccolti da Schiaffini [1926:274] e Gentile [1961:60-62],

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4b. 12, 14.7 contro il normale in), e può essere supposto per accetata 17.2, apresso193 4b.3, 20.3, ap(re)sso 24.2, atisso 8.5, camino184 16.3, 16.10, 18.3, comissione 2.5, comisso 21.4, dificultà 19.9, over 3.8 (bis), 4a.4, ecc.; per quatordici 25.8 sarà stato determinante l'influsso di quatro (si veda più sotto). Sembra indipendente dalla posizione dell'accento baratarce 1.13, dato baractare 2.10, 3.8, 3.12, ecc., e baracte 6.3, baracto 4a.5. Si osserva inoltre alternanza tra la scempia in comune1 s5 24.9 (agg. femm. plur.), comma 5.19 (sostantivo) e la geminata in co(m)muno 18.19, cu(m)muno 19.15 (entrambi sostantivi). Si registrano poi casi di geminazioni o scempiamenti notevoli sotto diversi rispetti. Robba 7.21 è forma con raddoppiamento della occlusiva germanica consueto nell'Italia centro-meridionale: cfr Rohlfs [1966-69:§ 215], Ernst [1970:110]. Lo scempiamento in quatro 27.3, quatordici 25.8 è comune a una vasta zona dell'Italia centrale, che sembra escludere, a Nord di Roma e dell'Abruzzo, solo Firenze e la Toscana occidentale, Arezzo, Perugia e l'Umbria centrale, Norcia e una piccola zona attoma all'Argentario, tra Lazio e Toscana186. Sonno è forma diffusa per la I a e per la VIa persona del presente di 'essere'; la geminata è provocata dall'analogia187 con 'danno', 'fanno' e 'stanno': cfr Rohlfs [1966-69:§ 230]. E motivata dall'estensione analogica del perf. in -UI la geminata di viddi188 23.4, vinni 5.4, 18.5, 19.7, 19.8; per i futuri farro, s(er)rò, e i condizionali/arria, s(er)ria, cfr §§ 74.v e 76. Non si registra alcun caso di raddoppiamento in posizione postonica al di fuori delle condizioni etimologiche, del tipo cemmece, per cui cfr Rohlfs [1966-69:§ 228]; non è attestata la tendenza ad uno scempiamento delle consonanti rafforzate, di probabile influsso settentrionale, né alla degeminazione di r, di tipo romanesco, entrambe presenti oggi nelle Marche: cfr Rohlfs [1966-69:§ 229, 238], Crocioni [1906:15]. Per gli scempiamenti seguiti ad assimilazioni negli articoli e nelle preposizioni articolate, cfr §§ 53 e 54.

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Per questo e per gli altri esempi con a- si veda anche § 9; in particolare su aconciatela 27.7 cfr Emst [1970:107]. Camino con la scempia è comune in area mediana: si vedano le attestazioni riportate da Ageno [1955:203], Ambrosini [1964:205], Stussi [1968:36]. La forma con la scempia è dell'italiano letterario e ben attestata nell'Italia mediana: cfr Ageno [1955:203]. Per la tendenza generale allo scempiamento delle protoniche in area centrale, cfr Castellani [1980:11,494-501]. AIS II, 285 (quattro). Si veda anche la dettagliata postilla di Vignuzzi [1975-76:Π, 57 n.162]

a quatrino. 187 188

Tekaviiï [1972:§ 596] chiama in causa l'isocronia sillabica dopo sillaba breve. Attestata per esempio da Innocenti [1980:164] in un testo di area castellana.

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Assimilazione consonantica 46. -ND- > -nn-, -MB- > -mm- (-LD- > -//-). L'assimilazione della occlusiva sonora alla nasale o liquida precedente (-ND- > -nn-, -MB- > -mm-, -LD- > -II-), esito caratteristico e comune dei dialetti meridionali continentali189, è oggi diffusa fino all'Esino190. Forme assimilate compaiono a settentrione di Napoli solo dopo il secolo XI 191 (la prima attestazione volgare marchigiana è nella Carta fabrianese del 1186), sempre commiste ad esempi di conservazione, forse non solo grafica, del nesso. In questa situazione, particolare significato rivestono le frequenti forme ipercorrette (grafia -nd- in corrispondenza di -NN- etimologico), che documentano indirettamente l'esistenza del fenomeno. Così anche nelle lettere di Gilio de Amoroso all'unica forma con assimilazione pagan(n)o 7.12, fanno riscontro le false ricostruzioni tende 'tennero' 18.3, e verrando 'verranno' 20.12, 23.5. Per la serie labiale, unico esempio di assimilazione è piu(m)mo 20.16, né si trovano ricostruzioni ipercorrette. Mancano attestazioni del nesso -LD- 192 .1 testi documentari piceni dimostrano pure una sostanziale concordanza, offrendo attestazioni di -nn-, -mm-, -II-, e qualche significativo esempio di -nd- in corrispondenza di -NN-.

47. Assimilazione regressiva di -r (e n). Nel nostro testo solo l'infinito podesse 2.10 attesta la vitalità del fenomeno, che trova preciso riscontro negli odierni dialetti marchigiani meridionali; cfr Camilli [1929:223]: «Π r del presente infinito s'assimila sempre all'enclitica». Per quanto riguarda n, si è intervenuti a ripristinare la nasale in Fioreça 23.12, dove è stato probabilmente omesso il trattino di abbreviazione; vista la preponderanza di forme con η (Fiorença, -e occorre 15 volte, di cui una con η abbreviata) sembra improbabile che si tratti dell'assimilazione frequente in testi toscani, ma di cui Schiaffini [1926:265] e Poppe [1963b] non riportano alcun esempio per 'Firenze'.

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Merlo [1920:214s.], Rohlfs [1966-69:§ 254], Si veda la cartina compresa nel saggio di Rohlfs [1971], fondala sui dati AIS e, per l'intera area romanza, Rohlfs [1971:38-40]. In parziale contrapposizione alla teoria sostratistica, sostenuta principalmente da Clemente Merlo, Varvara [1979] suppone che l'evoluzione, in sè banale, del nesso sia relativamente recente in Sicilia e in parte dell'Italia meridionale continentale. La diffusione del fenomeno, che per la Sicilia e il Meridione estremo si colloca in epoca tardomedievale, attende di essere verificata sulle carte mediolatine e volgari dell'Italia dialettologicamente meridionale. Per la diffusione dell'esito -11- si veda Merlo [1920:270].

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ΙΠ.4 Fenomeni generali (§§ 48-52)

48. Aferesi, sincope Si osserva aferesi, oltre che in Chieste 16.7, 18.17 e in mandale 1.5 per cui il fenomeno è anche dell'italiano letterario, in vaccio 4b.l7, 5.10 e 'nantim 5.11, che si oppone a sei esempi di inanti (7.12, 7.16, 8.2, 8.4, 18.5, 19.5, 26.11, di cui 19.5 preceduto da e tonica) e a uno di innantì 7.4. Al contrario di quanto avviene nella Toscana due- e trecentesca, non si osserva regolare alternanza del tipo igualmente / similemente194. Infatti accanto a p(er)sonalm(en)ti 0.2, spitialm(en)ti 3.12, 4b.l3, 23.28, 25.5, spitialmenti 26.13 e, tra i proparossitoni, similem(en)ti 3.5, si hanno simelm(en)ti 22.2, simelmenti 24.12. È costante la sincope in medessmo 15a.4, medesmi 15b.3, e medesmo 15a.2, in cui si deve vedere, com'è noto, un antichissimo prestito galloromanzo195, e nei derivati di 'caricare'196 carca 1.6,24.19 (sost.), corcare 25.37, carca 25.39 (ΠΙ*), corcato 21.2, corcata 27.15, carcho 24.28. Si aggiungano securtà 21.29 e l'antroponimo Bartolmeo 18.19. Cade sempre la finale degli infiniti dinanzi a pronome affìsso: averlo 27.5, avisarme 23.27, avisarmene 3.8, avisarve 5.2,6.8, baractarce 1.14, cavarlo 20.5, condurla 27.18, conpararne 21.19, darli 5.10, 5.40, 6.2, ecc. (5), farlo 6.3, 21.19, farne 16.18, levarve 27.8, mandarlo 18.23, mandarloce 18.26, mandarne 22.8, mandarve 19.11, 20.19, mantenerne 5.13, mecterce 24.24, 27.10, mecterne 21.8, mecterve 5.22, mecterlo 21.20, partirme 13.5, partirve 14.12, poderne 2.5, podesse 2.10, spaciarme 9.7, trarne 2.8; inoltre parme 19.3, 27.10. Il fenomeno andrà messo in relazione con la tendenza degli infiniti a perdere la vocale finale, per cui cfr § 50. Si osserva poi sincope dell'intertonica nelle occorrenze di farro, porrò, remarrò, terrò, parrà, verrando: cfr § 74.v.

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Per attestazioni antiche di queste ultime due forme, cfr Glossario, s.w. Si veda Castellani [1980:1,254-279]; le forme che conservavano -e- spariscono verso la fine del secolo XV, ma l'alternanza regolare tra il tipo formato da parola piana, in cui la e cadeva, e quello formato da uno sdrucciolo, che invece la conservava, era già in crisi nel secolo precedente. Cfr Rohlfs [1966-69:§ 212], Esito diffuso in area mediana: cfr ad esempio Ambrosini [1964:146].

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49. Epentesi consonantica L'incontro secondario di vocali è evitato nei casi di dagesse197 8.4, dagessate 22.5, dagendo 7.4, leguto 9.5, pagese 8.3, 16.6, 16.9, pagisi 5.8, 6.10, 24.8, ecc. (6), stage(m)mo 18.7: sulla natura di questo suono ci si è già pronunciati a § 2. Inoltre viene inserito g nell'antroponimo straniero Filigo 9.5 (catalano Filiu: si veda l'indice degli Antroponimi, s.v.). Per retragerete e simili, cfr § 31.

50. Apocope Si osservano alcuni casi di caduta di -e (per -o solo bon precço 4b.l8, bon pagese 8.3 e l'antroponimo Pasqualin 25.38) dopo l, n, r in posizione proclitica: la qual / viddi 23.2 (per cui sarà stata determinante la posizione in fine di rigo), qual de quisti 25.28 (quale non apocopato a 8.6, 20.2), ben un ducato 5.36, ben viij di 18.5, ben xj iurni 18.7, ben pagati 21.27, ben s(er)vito 21.31, ben mandará bona su(m)ma 24.16, ben me credo 26.10, ben sapete 27.11 (in tutto 8 esempi, contro 17 di bene: 14.12, 16.9, 16.10, ecc.), patron Pasqualin 25.38 (ma lu patrone de la nave 2.5), el favor v(ost)ro 4b.22, mis(er) 1.2, 1.3, 4b.5, ecc. (14), pur 6.2, 21.17, 22.3, 25.22, 25.24, singular piac(er)e 5.15, 5.25. Ma almeno nel caso di 11.5t(ucte le mey carte agio vendute qual p(er) uno modo (e) qual p(er) altro) la perdita di -e desinenziale di femminile plurale, estranea tanto al toscano quanto al veneziano, si spiegherà per estensione di abitudini fonologiche limitate originariamente al maschile Altri casi di caduta della -e dopo r non possono invece essere motivati dalla posizione proclitica198: amor 23.13 (amore 18.14), honor 5.12 (hono(r)e 16.19), maior 5.22, 23.12 (malore 25.21), meglior 4a.7, 7.11, 7.21, ecc., miglior 1.6, over 3.8 (bis), 4a.4, ecc. (22), quitar 17.5, singnur 19.18; a questi si aggiungono i numerosi infiniti presenti apocopati199: avenir 21.21, 23.27 (aveni(r)e 24.28), aver 7.12, 7.13, 7.20, ecc. (9), avisar 2.7, 22.3 (avisa(r)e 23.15, 23.27), conparar 7.3, 13.6 0conparare 24.35, conpara(r)e 7.10, 8.3, 18.22, 24.34), conprender 1.7 (conprendere 23.15, 25.35), dar 5.9, 7.3, 13.6, ecc. (6 esempi, contro dare 7.8, 13.7, 13.8, da(r)e 4b.9, 13.4), dir 1.12 (dire 8.10, 26.5, di(r)e 7.7,22.15), far 4a.4, 5.9, 5.11, ecc. (11 esempi, contro altrettanti di fare e uno di ffare 0.2), mecter 7.8, 27.13 (mectere 4b.l2, 5.36, 23.13, 23.19, 24.23), montar 23.4, navegar 25.23, navigar 24.11, pagar 6.6, 6.8, 7.17, 16.13 (pagare 21.27, 197

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Per la diffusione delle forme epentetiche di 'stare' e 'dare', si vedano Castellani [1952:42s.], Porta [1979:653s.], Mancini [1980:172], Baldelli [1983:282], secondo cui «il tipo/aiewi (staiessi) è comune, oltre che nell'area mediana, anche in aretino e senese». Metto tra parentesi le occorrenze delle forme senza troncamento. In totale, le forme apocopate (senza pronome affìsso) sono approssimativamente la metà di quelle intere (ma si veda la nota seguente). Gli esempi forniti riguardano solo le scrizioni della desinenza con desinenza non abbreviata; fornisco qui l'elenco degli infiniti in cui, in ordine ai criteri di edizione, la -e finale con trattino ondulato sovrapposto è stata trascritta -(er)e: piac(er)e 5.15,5.16,5.25, prend(er)e 21.29, respond(er)e 25.27, scriv(er)e 5.25, 19.6, 19.21, oltre a remect(er)e 21.17, cit. più sotto; in tutti questi casi sono sostenibili anche gli scioglimenti -e(r) ed -e(re).

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paga(r)e 21.25), pigliar 4b.21 (pigliare 5.14), poder 7.2, 7.20, 16.8, reaver 16.19, remecter 5.19, 18.13 (remect(er)e 21.17), soctavender 7.3, veder 4b.l3 (vedere 23.4), venir 14.11, 18.8, 19.7, (veni(r)e 5.9, 18.24, 20.13, 21.19), voler 13.6, 27.13; si aggiunga la ΠΙ*par 23.4 di contro a pare 5.2, 5.24, 21.8, ecc. (5). Il fenomeno è decisamente abnorme nei dialetti mediani, i quali al contrario si distinguono invece per la saldezza del vocalismo finale, come si è detto, e presentano semmai una certa tendenza all'apocope sillabica200; quindi, benché in qualche testo centrale la caduta della finale sia relativamente frequente (si vedano ad esempio le laudi aquilane edite da De Bartholomaeis [1943] e la Cronica di Anonimo romano nella ricostruzione di Porta [1979:612-614]), gli esempi di apocope vocalica sono da attribuire almeno in parte all'influenza esercitata dal veneziano (che com'è noto201, elide di norma -o ed -e che non sia morfema di femm. plur. dopo /, r) sulla parlata di Gilio. Si noti poi assa' 16.9 (contro 20 esempi di assay), resta' 21.23 e dirràme 23.24 (in cui avrà influito anche il pronome affisso); la tendenza all'apocope di -i semivocalica anche in voci verbali è ben attestata nelle Marche centro-meridionali: cfr Neumann von Spallart [1904:288,290], che cita appunto ossa' e alcuni casi di IIIa persona dell'indicativo pres. in -a', e Papanti [1875:97, 98, 258], che cita assa' per Monterubbiano e per Mogliano. Tra i testi antichi, si assiste alla frequente caduta di -i (ma', ha', fa', sara') nell'Intervenuta ridiculosa edita da Crocioni [1917:631]. Saranno invece da considerare influenzati dal toscano gli esempi di da' v(ost)ri 15a.4, 15b.4 (cfr § 54). Apocope sillabica: oltre ai continuatori di -ATE(M) podestà 5.15, securtà 21.29, si registrano mo' 1.5, 3.2, 7.2, ecc., po' 4a.6 e p(er)fi' 7.11, 7.19, 16.6, ecc., (attestazioni complete a § 70), con troncamento comune nell'Italia mediana e in particolare nel versante adriatico.

51. Prostesi ed epitesi. Si ha prostesi vocalica dinanzi ad s implicata e dopo consonante solo nel caso di Eschiavonia 25.38. Non propriamente prostesi, ma piuttosto estensione del prefisso AD- si osserva in ademanda 4b.8, ademandato 16.11. Presenta epitesi solo none202 a 7.23: Se none avete mandate quelle ledere; per la diffusione e per la particolare frequenza nel costrutto se none... cfr Castellani [1956:168, 1980:11, 223, 1987c:39 n.3].

200

201 202

Cfr per la nostra zona Camilli [1929:223s.]: «avviene il troncamento dell'ultima sillaba nei nomi terminanti in vocale forte + n, /, r + i, e, u e negl'infiniti (-r) quando non siano seguiti da un'enclitica». Cfr Rohlfs [1966-69:55 143,146], Stussi [1965:XXXI]. Che si è tentato di spiegare non come fraina epitetica, ma come «semplice variante di non»; la -e «sarà nata per falsa analisi e avrà trovato incremento quando non si trovava avanti a gruppi consonantici, allo stesso modo della prostesi avanti s- impura»: così Durante [1970:253].

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52. Metatesi Si ha metatesi di -r- in Fronda 20.13 (contro due esempi di Fiandra, 26.11, 27.13), fermento 20.17, 25.31, 26.15, fronito 18.22.

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ΙΠ.5 Morfologia (§§ 53 - 82)

Articolo e preposizione 53. Articolo È notevole la varietà di forme in cui si presenta l'articolo determinativo maschile singolare; le alternanze sono determinate del contesto fono-morfologico198. Si indicano subito i tre esempi della forma intera dell'articolo determinativo, che occorre solo tra vocali199: fra l'uno e l'altro ell'animo me strenge 5.8, sopire) de ciò agio scricto, ell'animo meo T.9,p(er)fì' ell'altre(r)i 16.16. A parte ciò l'articolo sing, maschile/neutro è attestato nelle forma forte lu ed in quella debole el. La prima è usata dopo consonante nella sequenza p(er) lu 4b.9, 16.10, 22.7, dopo finale vocalica e in posizione iniziale assoluta (si veda lo spoglio delle occorrenze a § 62); dinanzi ad iniziale vocalica, lu subisce elisione: l'animo 7.8 e 9.7, l'aiudo 4b.21, l'altro anno 22.14, l'altro [collo] 27.3, e solo in un caso non elide: lu usato 20.8, per cui mi sembra conveniente ipotizzare che la finale sia stata ricostruita sulla base dell'iniziale della parola seguente, come avviene spesso in testi antichi (cfr § 25), a partire da un regolare neutro *lo usato. L'articolo determinativo maschile e/ 200 (attestato 19 volte: 4b.22, 5.39, 6.2, ecc.; i sostantivi dinanzi a cui occorre sono elencati a § 62) viene usato solo dopo vocale e dinanzi a consonante; la forma aferetica Ί compare solo dopo monosillabo atono, e può essere maschile ((e)'l cunto 26.3) o neutra (cfr più sotto); variante di el con assimilazione alla consonante che segue e successiva degeminazione201 è e-, il cui unico esempio202 si trova dinanzi ad r-: e· re Aleviscio 16.4. A 5.3 (che '• re Lancilao) si è avuta assimilazione di 7. A lu maschile si oppone l'articolo lo neutro (per le occorrenze, cfr § 62), che ha la stessa distribuzione di lu: in particolare, è normale p(er) lo 7.11, 9.6, 14.5, 18.3, 18.13, 21.19, 22.16, 24.11, 24.27, 25.18, 25.23. Elide dinanzi ad iniziale 198

199

200

201 202

Si è fatto costante riferimento a Loach Bramanti [ 1971 ] : in particolare, non ritengo rilevante il fatto che la vocale finale della parola precedente sia o meno tonica. Bianconi [1962:102] registra la forma intera dinanzi a anno, uopera; si veda anche Rohlfs [1966-69:§ 416], con esempi toscani, umbri e laziali; altri esempi, di area meridionale, a § 420. Non si trovano esempi nei documenti tre- e quattrocenteschi di Ascoli, Cingoli e Macerata. Altre attestazioni in Monaci e Arese [1955:631], da correggere secondo Loach Bramanti [1971:24], e Sbarra [1975:64], Attualmente diffuso, secondo Breschi [c.s.:3.2,6.3.2], nell'area «a sud di Ancona e a nord di Montecarotto, a sud di Montecarotto davanti a consonante diversa da R-»; ad Ancona invece el occorre solo «dopo finale vocalica e davanti a consonante semplice». Cfr Schiaffini [1926:xlvii e 274] per esempi e schematica discussione. Per esempi di preposizioni articolate con finale assimilata alla iniziale della parola successiva (tipo de- re, de- rame), cfr § seguente.

99

vocalica: fra l'uno e l'altro 5.8, l'avenir 21.21 e 23.27, l'aveni(r)e 24.28, l'altro 25.25 e 27.3; si ha conservazione dinanzi ad iniziale vocalica solo dinanzi all'infinito sostantivato lo anda(r)e 18.3 (per il caso sospetto di 13.4 α lo usita, cfr § 59)203. Unico caso di 7 neutro è che Ί verderame 21.13, altrimenti si ha sempre lo. Riassumendo, le forme dell'articolo determinativo maschile e neutro (eccetto il tipo eli") si possono così schematizzare: maschile lu V davanti a voc.

non marcato

neutro lo V davanti a voc.

el

solo preconsonantico

Ί dopo voc. e• davanti a r'· dopo voc. e davanti a r-

7 dopo voc. •e- davanti a r - 2 0 4

La flessione dell'art, determinato non presenta altre particolarità notevoli. Per il masch. plur. si è generalizzato li 5.19, 5.27 (bis), ecc. (22), che davanti ad inizio vocalico può elidere (1.3, 18.10, 20.12, ma non eliso davanti a voc. a 23.24 li amici); si trova un solo esempio di i (Salutateme i vostri da Valença 21.31), che sembra riscritto su precedente li, probabilmente per suggestione di un'analoga formula di saluto in lettere toscane. Il femminile ha regolarmente la (1.6, 1.9, 1.11, ecc.) o /'davanti a vocale (25.5, 25.26) e, nel plur., le (1.5, 1.7, 2.2, ecc.) o /' davanti a vocale (3.14, 9.7, 21.4, ecc.). L'articolo indeterminato masch. è sempre uno (2.6, 5.5, 5.8, ecc.) contro un solo un: un ducato 5.36; per il femminile, sempre una (4a.3,4b.2, 5.15, ecc.). 54. Preposizioni articolate Da notare innanzitutto, come caratterizzanti per la localizzazione del testo in area mediana, la forma ridotta di preposizioni articolate ne navi 21.20, ne terre 23.13,' per cui si vedano gli ampi spogli di Baldelli [1971:171]. Si nota un solo caso di preposizione del tipo 'in nel' 205 : inne li pagisi 5.8; nota anche in Toscana, la forma è diffusa in tutta l'Italia peninsulare nelle varianti inne e inde206. 203

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Almanza [1980:363] riscontra una «tendenza a non elidere» nel documento cingolano da lei pubblicato; l'esemplificazione è costituita da Cingoli 1474, 61v 52 la assegna, 63v 12 allo offitiale, 63v 45-46 lo offitiale, 64r 54-55 lo affiliale, ma negli ultimi due esempi si va a capo dopo l'articolo, e in tutti la vocale da elidere e l'iniziale della parola seguente sono identiche: se ne conclude che non esiste eccezione sicura alla elisione dell'articolo dinanzi a vocale. La forma, non attestata, è ricostruibile dalla prep. art. de· usata dinanzi ad un sostantivo neutro: de- rame 20.10; cfr al proposito il § seguente. Discusso da Castellani [1956:26-29], Cfr Rohlfs [1966-69:§ 859] e Castellani [1956:27]; per la diffusione toscana, e particolarmente a Lucca, Pisa, Pistoia e San Gimignano, cfr Castellani [1976:7]. In zona centrale è attestato anche ad Ascoli, Viterbo, Spello, Roma, nel Lazio meridionale e in

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Al singolare sono comunemente utilizzate le forme deboli (ridotte) delle preposizioni articolate207: al 1.1,1.11,1.12, ecc. (37), 19.15, col 16.3,21.2, dal 19.15, del 1.13, 5.28, 16.5, ecc. (14), nel 5.3, 21.26; a queste attestazioni bisogna aggiungere gli esempi con assimilazione alla r- successiva: le t(er)re de· re 5.7, quisti facti de- re Lancilao 6.10, se so(n)no rebellate a· re Lancilao 16.5, le t(er)re de· re Lancilao 18.4, Dicese se faccia pace dal cumuno de Fiorença a· re Lancilao 19.15, Dicete del facto de· rame 20.10, ne t(er)re de· re / Lancilao 23.13, La guerra se fa grande da- re Lancilao a la lega 23.17, p(er) la morte de· re 24.12. Unici casi di forme deboli per il plurale sono i due casi di da' v(ost)ri 15a.4, 15b.4, probabilmente influenzati dal toscano attraverso il lessico tecnico contabile in un contesto, quello della lettera di cambio, altamente formalizzato. Le forme forti sono meno numerose al singolare (sempre davanti a consonante si trova da lo primo 16.18, de lo 14.11, 17.4, 21.11, 22.11), ma vengono costantemente utilizzate al plurale208: a li 1.6, 9.6, 10.5, 21.5 (bis), 21.26, 22.3, 23.9, da li 1.5, 24.12, de li 2.7, 7.13, 19.20, 25.36 (bis), ne li 6.9. Avanti a parola iniziarne per vocale, in un solo caso una preposizione articolata mostra il raddoppiamento della consonante: nell'altri lochi 5.27. Ecco le attestazioni delle preposizioni con la scempia209: a l'Amandula 5.7, a l'Avença 19.8, a l'ultima 25.5, a l'aventura 25.25, de l'angeline 3.14, de l'Amandula 5.6, de l'altro 25.25, ne / l'animo 7.8, ne l'altre 25.6. La compresenza di a l'ultima con a l'aventura dimostra che non si verifica l'alternanza riscontrata da Manfredi Porena nel moderno dialetto di Roma, e che sembra attestata invece a Firenze e a Orvieto nel Due- e Trecento210. La proposizioni articolate formate con con hanno sempre la scempia al femminile singolare e plurale: co· la 1.2, 9.4, 12.2, 16.2, 18.27, 20.19, 21.21, 27.14, co- le 20.12. Non si registrano casi di preposizioni articolate deboli nel plurale femminile, a differenza di quanto avviene negli statuti ascolani: infatti Vignuzzi [1975-76:11, 171-177] individua giustamente nel tipo nel navi la manifestazione di una tendenza analogica (su quel, qual esteso alle proposizioni articolate) diffusa in testi di area

documenti volterrani ed amiatini: cfr Vignuzzi [1975-76:11, 170 e n. 718], Bianconi [1962:104], Ambrosini [1964:152], Sbarra [1975:65], Porta [1979:657], Della Valle [1982:224], Stussi [1982:149,154], Mattesini [1985:100], Per esempi meridionali si veda Sgrilli [1983:439], 207 pgf i e pnme attestazioni di al, del in Toscana si vedano gli spogli di Castellani [1980:11, 130s.]. 208 Rispetto alla conservazione delle forme forti, la presenza di proposizioni articolate deboli può dipendere da influsso del toscano, ma è incerto se tale influsso riguarda il singolo scrivente o la varietà dialettale nel suo complesso. 209 Diffìcilmente, data la genericità dell'uso grafico dello scempiamento delle geminate, si potrà collegare la preponderanza delle forme con la scempia alla tendenza, rilevata da Canepari [1980:62s.] per Macerala, alla degeminazione delle doppie delle preposizioni articolate. 210 Secondo Porena [1925] a Roma si ha consonante forte dinanzi a sillaba tonica iniziarne per vocale, mentre non si raddoppia dinanzi a sillaba tonica iniziente per consonante o protónica iniziarne per vocale; questo schema è stato verificato in testi antichi fiorentini, orvietani e viterbesi da Castellani [1980:11, 130], Bianconi [1962:103]. Tale legge' non sembra essere stata attiva ad Ascoli, secondo Vignuzzi [1975-76:11, 169]; oggi, invece, lo scempiamento secondo le regole romane viene osservato: cfr Canepari [1980:62],

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abruzzese-molisana e dì carattere dotto: caratterizzazione confermata dalla mancanza di attestazioni nel nostro testo.

Pronome 55. Pronomi personali: forme toniche. Sono attestati i seguenti pronomi soggetto: io 0.1, 1.2,1.7, ecc., ilio 4b.l9, nugi 5.19 (cassato), nuy 2.7,18.6, vugi 4b.9 (bis), 5.25, ecc., illi 24.14. Pronomi dell'oggetto diretto: me 7.16, vugi 5.11, 13.2, 19.4, 21.8. Pronomi dell'oggetto indiretto: me 0.1,4b.4, 5.15, 5.16, ecc. (preceduto dalle preposizioni a, da, per e nel caso di fra vugi e me 5.19), luy 10.6 (p(er) luy), isso 23.21 (p(er) isso), essa 23.3,25.39, 26.2 (preceduto dalle preposizioni de e con), vugi 0.2, 1.3, 4b.9, 5-12 (preceduto dalle preposizioni a, con, da, de, fra, p(er), in), esse 22.11 (d'esse), lloro 19.22 (a lloro). Le carte dell'AIS211 attestano la prevalenza del tipo isso per il pronome personale di IIIa persona singolare nelle Marche meridionali, mentre dall'Esino e da Ancona in su prevale nettamente ILLE; le due forme sono diffuse entrambe negli antichi testi piceni, con una sensibile prevalenza di ilio212. Luy non è comune nei dialetti meridionali, secondo Rohlfs [1966-69:§ 442]. La carta dell'AIS Vili, 1660 evidenzia l'irregolare diffusione di loro nelle Marche. Particolarmente notevole il neutro ilio (in ilio è viro che... 4b.l9), morfologicamente identico al maschile, secondo un uso comune nei dialetti centromeridionali213.

56. Pronomi personali: forme atone. Unica forma soggettiva atona è il clitico a in Ame scordo de pagar ellà 16.13; contrariamente a quanto si evince dall'AIS VI, 1104 (mi piacerebbe)214, l'area di diffusione di questo pronome non è circoscritta alle zone settentrionali213: attesta211

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AIS I, 65 (lui l'ama molto), IV, 651 (egli non dorme mai), Vili, 1605 (lui non corre mai); hanno isso le zone sotto la linea formata dai PP. 559 (S. Elpidio), 557 (Esanatoglia), 567 (Muccia), 575 (Trevi), 577 (Montefortino), 584 (Amelia), 615 (Leonessa), 632 (Ronciglione), 643 (Palomba»), con la notevole eccezione di 624 (Rieti), dove però in un caso è attestato isso (carta 1605). Andamento un po' più regolare dimostra per il plurale la carta VII 1253 (loro pure) che esclude dalla zona di issi Ronciglione, ma vi comprende 576 (Norcia) e Rieti. Si vedano anche Rohlfs [1966-69:§ 437], Ernst [1970:130], Baldelli [1971:200], Moretti [1987:123]. Si omette lo spoglio per brevità. Cfr Rohlfs [1966-69:§ 449]. Nessuna delle descrizioni sincroniche di varietà laziali, che pure registrano scrupolosamente l'occorrenza di forme neutrali, documenta una forma di pronome personale tonico di IIIa che conservi una distinzione formale tra maschile e neutro. Su cui si basa Rohlfs [1966-69:§§ 446,447,451]. Una aggiornata disamina dell'uso del clitico a in un dialetto veneto è stata condotta da Benincà [1983]; per un tentativo di sistemazione diacronica si vedano gli studi di Vanelli

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zioni sicure di a nelle Marche sono offerte da Neumann von Spallart [1904:290] per le Marche centrali e settentrionali, da Papanti [1875:102, n. 4 8 ] per Rapagnano, da Egidi, s.v. a per Montefortino e San Benedetto del Tronto (con ricca documentazione da testi dialettali ottocenteschi); Camilli [1929:243s.], pur senza fame parola nella descrizione del dialetto di Servigliano, ne fornisce quattro esempi (n. 146 A te daco, n. 150 a se inette a ride, n. 155 a me dai, n. 167 a ti li dico); un secondo, notevolissimo esempio antico si trova nella canzone del Castra (v. 5, Disse: «A te dorè rossi trec[c]ioli^16. Forme proclitiche dell'oggetto diretto: I«pers.: me217 3.4, 4a.7, 6.7, ecc., eliso a 4a.6, 25.2, 25.21; III» pers.: lu 18.15 2 1 8 , 23.21 (bis), 23.22 (masch. sing.); / o 2 1 9 2.8, 3.5, 6.4, 7.22, 17.5 (ter), 21.9, 22.9, 24.35, 25.14, 25.35, eliso a 17.6, 18.22, 20.10, 20.13, 22.10, 22.12, 25.13, 26.11, el 21.29 (neutro; per la discussione si veda più sotto); la220 1.9, 20.6, 23.26, eliso a 5.3, 16.16, 21.14, 23.25 (femm. sing.); per il riflessivo si usa sempre se 1.13, 7.9, 9.2, 13.4, 14.6, 16.5, 16.6, 16.16, 16.17, 18.5, 18.18, 19.15 (bis), 19.17, 23.5, 23.17; IV» pers.: ce 2 . 1 0 , 4 b . l 3 , 5 . 3 6 , ecc.; inoltre ne221 18.6; V* pers.: v e 2 2 2 1.15, 1.16, 2.9, ecc.; VI» pers.: li223 24.30, eliso a 15b.2 (masch. plur.); li 6.5, 25.17, te224 4b.9, 5.16, 5.38, 7.23, 8.11, 9.5, 11.3, 12.4, 13.3, 14.5, 21.4, 22.6, 22.7, 22.15,

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[1977, 1984], Non si può ovviamente escludere l'ipotesi che un 'appoggio' del veneziano abbia promosso l'uso di questa foima da parte di Gilio. Contini [1960:1, 915] non commenta il passo, considerando probabilmente a preposizione, come anche i precedenti commentatori (si rimanda a Camilli [1944] per la bibliografia). Altri esempi sono reperibili in Mastrangelo Latini [1981] e nell'AIS (semplifico la trascrizione e tralascio alcuni casi dubbi) Vili 1667 ('l'hanno cacciato...'), p. 569 (Grottammare): a lάkaóóàtsr, Vili 1649 (Hai dimenticato ...'), p. 608 (Bellante): à tan} skurdäta, ancora a Bellante IV 707 (guarire; è guarita)... wáre; asa gwartt»., V 900 (si è nascosto) asánnaskpst(ep. 618, Castelli,asánnaskpst), IV 646 ( è a n d a t a ) a s a y ì t ( e p. 618 ás a yìt), IV 668 (è vestito; è vestita) asá vastat (e p. 618 asá vestii; asá v(S-). È vago l'accenno di Bonvicini [1961:61]. L'effettiva distribuzione di questi pronomi clitici soggetto usati per la prima e terza persona singolare e per la prima plurale andrebbe verificata con una inchiesta sul campo; negli esempi citati si individua tuttavia una particolare frequenza del clitico dinanzi a verbi pronominali e riflessivi. Con i seguenti esempi in enclisi: avisarme 23.27, avíseteme 24.27, diceme 2.5, dirràme 23.24, mectome 16.3, parme 19.3, 17.10, partirme 13.5, piacerne 23.19, 24.4, 24.37, 25.18, piaceriame 3.7, 4b.l8, 13.6, 19.11, ragionateme 25.35, recomandome 19.24, salutateme 18.28,19.24,21.31,23.24, scrivateme, striarne 27.3, spoetarne 9.7, spaciatome 18.27. Che però dipende da intervento editoriale. In enclisi: averlo 27.5, cavarlo 20.5, fattelo 21.18, farlo 6.3, 21.19, mandarlo 18.23, mandarloce 18.26, mandassatelo 20.11, mandatelo 27.5, 21.20, scrivatelo 5.24, tenetelo 7.21. E in enclisi: aconciatela 27.7, condurla 27.18. E ancora, in posizione enclitica, mantenerne 5.13. Per ne pronome di IV» persona, efr Rohlfs [1966-69:§ 460]. E si aggiunga: avisarve 5.2, 6.8, avisove 1.5, 8.16, 16.4, ecc. (8), levarve 27.8, mecterve 5.22,partine 14.12.pregove 1.13,2.11, 3.13, vogliove 5.30. In enclisi: darli 5.40,18.9, dateli 5.38, mandateli 21.25, poneteli 15a.4,15b.4. In enclisi: pagandole 1.5, pagatele 16.13, volendole 5.37, vendutele 12.3. 103

23.12, 24.5, 24.6, 25.8, eliso a 12.3 (bis), 14.4, 16.14, 21.5, 21.28, 22.6, 22.7 (femm. plur.). L'occorrenza dì el si riferisce ad antecedente neutro nel caso di 21.27-29: altre spese facessate nel verderame / (e) ne le carti mandate a pagare che s(er)rà ben pagati; [...] (E) più me avisarete de la nave dove el metterete (seil. il verderame). È tuttavia probabile, considerata anche la distanza da verderame, che il pronome sia riferito ad un più preciso determinante sottinteso (per esempio 'il carico di' o semplicemente 'quel determinato'), che legittimi l'occorrenza del pronome maschile (per l'uso di el articolo maschile, efr § 53). La differenziazione formale tra maschile e neutro è per il resto regolarmente osservata, secondo un uso tipico dell'area mediana. Forme proclitiche dell'oggetto indiretto: me225 3.5, 5.31, 7.7, ecc., mi 4b.5, li (masch. sing.: 'gli') 1.16, 20.5, 22.5, 25.22, 27.18, li (masch. plur.: 'ad essi') 18.23, 18.25, 18.26, li226 (femm.: 'ad esse') 4a.3, 6.9, 11.3, ce 5.20, 8.5, 20.6, ve 227 1.12, 2.2, 3.2, ecc. È poco probabile, anche in considerazione della formularità del contesto (mis(er) Dominideo mi dia gratia...), che l'esempio di mi nel nostro testo vada collegato all'esito di MIHI nei dialetti centro-meridionali228 piuttosto che all'influsso toscano. Il ce di io ce farria spesa de qui a Barçalona 4b.l0 è pronome clitico locativo, non dativo del pronome personale atono229. Si aggiungano se230 1.5, 1.6, 2.3, 3.7, 3.8, 3.12, 4a.4, 4a.6, 4b.4, 4b.9, 4b.l0, ecc. (63) per l'impersonale e la particella locativa o partitiva ne231 1.9, 1.15, 2.3 (bis), 2.6, 2.7 (bis), 3.7, 4b.8, ecc. (54).

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Esempi in enclisi: dechiaratelome 3.4, diceme 2.5, dirràme 23.24, parme 19.3, 27.10, piacerne 23.19,24.4,24.37,25.19,piaceriame 3.7,4b.l8,13.6,19.11, ragionateme 25.34, salulateme 19.24, 18.28, 21.31,23.23, scrivateme 3.14,24.38, siriame 27.3. Con i seguenti esempi in enclisi: darli 5.10,6.2,6.5. Inoltre: dissive 22.5,22.11, mandarve 5.30,19.11,20.19, ecc. (25), scrictove 8.2. Per attestazioni di mi in Italia mediana, efr Rohlfs [1966-69:§ 442], Campanelli [1909:11 e 105n.3], Franceschi [1979:1933]; da aggiungere agli spogli di Baldelli [1983:292] gli esempi antichi riportati per Roma da Ernst [1970:131], per l'Aquila da De Baitholomaeis [1943:35,45,46], per un testo abruzzese da D'Achille [1982:98] e per Ascoli da Vignuzzi [1984:61]. Su ce pronome locativo, efr Rohlfs [1966-69:§ 474]; se ne hanno i seguenti esempi in enclisi: baratarce ÌAA.farriace 4b.l9, mandarloce 18.26, mandandoce 18.26, mecterce 24.24,27.10, recevutoce 1.2, voglioce 18.21. Su ce dativo di IV a persona (tipo ce parlería), efir Rohlfs [1966-69:§ 458], Con i seguenti esempi in enclisi: aspectase 17.8, dicese 19.15, 19.16, podesse 2.10, s(er)riase 16.18. Con le forme enclitiche avisarmene 3.8, ovetene 14.3, 24.5, compararne 21.19, essendone 22.15,farne 16.18, mandarne 22.8, mecterne 2\.%,poderne 2.5, trarne 2.8. 104

57. Pronomi e aggettivi dimostrativi Nel nostro testo è documentato un completo sistema di dimostrativi a struttura ternaria232 analogo a quello esistente oggi in molti dialetti centro-meridionali e in particolare in alcune zone delle Marche meridionali233 con i tre gradi 'questo', 'quesso', 'quello', dove 'quesso' assume le funzioni del toscano 'codesto': quisto 0.1, 2.2, 5.5, ecc., questa 1.11, 4b.l, 4b.l6, ecc., questo 0.3, 4b.3, 4b.6, ecc., quisti234 5.2, 6.2, 6.10, ecc., queste 1.8, 1.15, 2.12, ecc.; quisso 4b.l3, 24.11, quessa 23.19, 25.14, quesso 26.10, quissi 2.10, 14.10, 24.8, 26.16, quesse 9.2, 13.3, 13.7, 14.7; quitto 1.7, 6.16, 7.16, ecc., quella 1.3, 23.12, quello 1.7, 4a.5, 4b.l7 (bis), ecc., quilli 18.22, 20.10, 25.34, 27.6, quelle 2.12, 7.6, 21.9. Quisso235 è appropriatamente usato per indicare cosa o persona vicina a colui a cui si scrive: si vedano gli esempi lo navigar se fa male in quisso mare 24.11 (si noti il maschile per indicare 'quel determinato tratto di mare', in particolare il Tirreno occidentale); pregove mandate lo più presto possete quesso verderame 26.10 che si trova a Barcellona e si contrappone a porriafar veni(r)e quello verderame de lì 18.24 (scil. da Nizza, lontana da entrambi gli interlocutori); ed inoltre dicete quessa t(er)ra, cioè Valença, repusa in pace 23.19 e quissi vinitiani so{n)no / a Valença conparara(n)no bene 25.16; ecc. Nei dimostrativi è regolarmente osservata l'alternanza tra forme maschili metafonetiche e neutre non metafonetiche: cfr § 12 e il seguente esempio: audo, oltra de questo, quisto / re Lancilao 5.5. Per il caso di queste lectera 14.13 si veda § 68.

58. Pronomi e aggettivi interrogativi. Come in altri testi marchigiani antichi236, nelle lettere di Gilio que237 è normalmente usato come pronome (4b.l3, 19.15, 23.17, 25.33, 25.34, 27.11) e come 232

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Cfr Tekavïic [1972:§§ 669-685] e Varvaro [1980:14s.], a proposito dell'opinione di Wartburg [1950:111-113] sulla pertinenza del sistema binario del dimostrativo al superstrato gennanico. Cfr Camini [1929:229], Bonvicini [1961:50], Sicuramente plurale anche a 16.16 quisti, / cioè (Crist)ofano, come ci assicura la tonica oscurata. Da ECCU(M) IPSU(M): cfr Rohlfs [1966-69:§ 494], AIS I, 42. Tra i testi amichi è attestato nella Canzone del Castra, 34, se quisso no 'rdici·, nei testi documentari piceni: Toi. XVin. 3 , 8 q(ue)sse, Mac. 1441-43, 24 quessa, Mac. 1454, 16 quisso. Fermo 1476, 14 quessa, 20 quisso, 24 quessa, Chiar. 9 e 11 e 20 q(ue)ssa, ecc. Si vedano inoltre Mussafia [1885:366], Ernst [1970:132] e la bibliografia ivi citata, Baldelli [1983:200s.], Moretti [1987:123], Romano [1990:199], Per la diffusione moderna, cfr AIS Vili, 1587 (questo e non quello?), 1674 (butta via queste pietre), 1678 (questa donna non mi piace), Giammarco [1979:145], Già nel S. Alessio, per cui cfr Contini [1960:1, 23]; anche nel Pianto delle Marie que 31, 32, 205, 239; e cfr Percopo [1885-92:XV, 34, 42, 55s„ ecc.]. Monaci [1898:669, 672], Schiaffini [1928:112s.], Valentini [1935:259], De Bartholomaeis [1943:25, 28, 29, 30, ecc.], Stussi [1968:35, 1982:143], Mancini [1974:796, 1980:196], Sbana [1975:68], Macciocca [1982:66], Baldelli [1983:125, 247], Vignuzzi [1984:61], Tra i documenti

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aggettivo interrogativo (attestato a 1.14, 5.22, 10.3, 23.9, 23.29, 2 4 . 2 3 (bis), 24.25, 25.32, 26.14) tanto maschile (singolare a 1.14, plurale a 24.23) che femminile (singolare a 23.9, negli altri casi di numero dubbio); inoltre è usato due volte come pronome relativo indiretto (si veda al § seguente). Una sola volta è attestato l'interrogativo qual: sicché de questo ve piaccia responde(re) / p(re)sto se Barçelona o Maiolica o Valença son(n)o securi (e) qual de quisti son(n)o / più securi 25.28.

59. Pronomi relativi Il pronome che (eh' dinanzi a vocale) è predominante (si omette lo spoglio delle occorrenze) rispetto a 'il quale', attestato solo 6 volte (la qual 23.2, la quale 8.6, 20.2, le quali 21.3, 21.4, 22.4). Del tutto assente l'uso di quale senza articolo, normale nell'uso cancelleresco e diffuso anche nelle scritture quotidiane 238 . Spiccano poi le due occoirenze di de que relativo: la v(ost)ra lectera bene accetata, de que / agio recevuti li dece < scudi > {franchi} 17.2, mo' da novo recevecti ledere, una da Magiolica / de uno collicto de verderame, (e) da Barçalona de uno cunto de vinti balle // de carta, de que respondo a le parti 25.5; l'uso, probabilmente originato da una estensione dalle interrogative indirette introdotte appunto da de que, trova riscontro nei coevi documenti marchigiani 239 .

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marchigiani (dov'è peraltro evidente la formularità dell'espressione): Mac. 13953, 14 non aggia de que possa vivere, Mac. 1396 3 ,6 non à de que viva, Mac. 13963, 10 non aggia de que pagare né de que possa vivere, Mac. 1398,2 non aggia de que vivere. Non si comprende bene quale sia «l'alternanza di que con che» cui allude Porta [1979:629] nel paragrafo dedicato ai pronomi relativi: tra i casi in cui si è costretti «ad intervenire almeno su parte della tradizione» (ma in essi que si oppone quasi sempre ad un dimostrativo, solo tre volte a che) si trovano pronomi e aggettivi interrogativi (come XVIII 829 que novitate ¿ne?) insieme con esempi di ripresa col relativo (XIII 10 ha nome Turchia; que Turchia ène ..., XIV 196 Que paravole li ambasciatori non celaro ...); nel glossario, s.v. que (pron.), sono indistintamente elencati numerosi casi di interrogativi, gli esempi già cit. di XIII10 e XIV, 196, e le occorrenze di XVIII1597 (Aio uno figlio... que verrà con meco) e 1621 (Quella fit la prima voila que armi portao)', quest'ultimo esempio è l'unico riportato, stavolta correttamente, sotto la voce que (cong.). In realtà, nella ricostruzione linguistica della Cronica proposta da Porta, que viene usato tanto per il pronome e aggettivo interrogativo che, sporadicamente, per il relativo, preferibilmente, ma non solo, nei casi indiretti. Per la cui diffusione moderna si vedano Rohlfs [1966-69:489], Crocioni [1906:20], Campanelli [1896:91sJ, Giammarco [1979:148], Migliorini [1960:292], Schiaffini [1928:112], Ageno [1956], Ambrosini [1964:153s.], Vignuzzi [1974-74:11, 178]; Ritmo cassinese 61, 89; documenti piceni: S.Sev. 1407, 10, Mac. 13922, 283v 31, Mac. 13951, 44 e 52 e 53, Mac. 1454, 9, S. Sev. XVin., 4, Toi. 1382, 6. Mac. 1384, 8, Mac. 1395 3 , 20, Mac. 1397 2 , 4, Toi. XVin. 2 , 2; si aggiungano le occorrenze di d(e) que in Percopo [1885-92:XII, 182], de que in Marinoni [1983:198, r. 17], que relativo in Valentin! [1935:259] e in Mancini [1966-67:124,1974:796], 106

60. Pronomi e aggettivi indefiniti L'indefinito più usato, tanto in frase positiva che negativa, è alcuno 5.23, S.28, alcuna 0.2, 5.23, 5.30, ecc.240. È documentata una sola occorrenza del sinonimo niu[no] 5.11, due di 'nullo' (sempre maschile singolare: [njulto 5.12, nulla 7.8; per la -a di quest'ultimo esempio cfr § 25), sempre usati affermativamente241. Ciascheuno, qui solo a 5.13, è attestato, sebbene raramente, nei documenti piceni: cfr Mac. 13954, 1, Mac. 13956, 24; si vedano anche Schiaffini [1927:308], Porta [1979:629], Mattesini [1985:129] con altri rimandi.

61. Pronomi e aggettivi possessivi Le forme dell'aggettivo possessivo sono identiche a quelle del pronome, né si trova traccia di differenziazione formale tra attestazioni in posizione tonica e protonica. Fornisco qui lo schema delle forme attestate: m.s f.s. m.p. f.p. Ia pers. meo mia mey mey HPpers. soy sua IVpers. n(ost)ro n(ost)ri Vpers. v(ost)ro v(ost)ra v(ost)ri v(ost)re Ecco l'elenco delle attestazioni 1) di aggettivo possessivo preposto al sostantivo cui si riferiscono, 2) di aggettivo possessivo posposto: Ia, maschile : 1) uno meo fratello 5.4, in meo nome 6.6, 7.17, a meo cunto 15a.4, 15b.4 de meo signo 21.3, per meo cavalcare 18.15, el meo cavallo 18.21; 2) ell'animo meo 7.9, l'animo meo 9.7, lo venir meo 19.7; plurale: 1) de mey facti 5.2, agio mey figlioli 5.7. Femminile: 1) de mia p(ro)pria mano 0.1, p(er) mia lederà 0.2, de mia mano 0,3, tucta mia famiglia 5.9, la mia inte[n]tione 5.21, a mia electione 7.20, mia intentio[n]e 22.17, 22.18, ne la mia rasione 24.30; 2) la parte mia 5.20, la voluntà mia 21.11; plurale: 1) queste mey carti 5.10, le mey facende 7.2, le mey carte 11.4, le mey carti 13.2, le mey grane 19.22. IIIa, maschile: 1) uno soy scrivano 2.6, uno soy parente 5.5, del soy dessasio 20.4, de soy nolo 22.5. Femminile: 1) con la sua gratia 24.16. IV4, maschile: 1) in n(ost)ro pagese 16.9. Plurale: 1) in n(ost)ri pagisi 6.9. Va maschile: 1) lu v(ost)ro Gilio 2.14, con v(ost)ro utile 5.14, con v(ost)ro utele 5.15, de v(ost)ro dan(n)o 5.26, p(er) v(ost)ro amore 18.14, a v(ost)ro comando 20.20,21.32, 22.19, 24.39,α v(ost)ro piac(er)e 23.30, a v(ost)ro cunto 25.11, 25.18, 26.9, de v(ost)ro maiore 25.21, a v(ost)ro piac(er)e (e) comando 26.19, de ogni v(ost)ro cunto 27.3, 27.7, oltre a 21 occorrenze del sintagma so' semp(re) v(ost)ro; 2) Angelo v(ost)ro 1.11, de lo venir v(ost)ro 14.11, Angelo (e) 240 241

Sono in frase negativa le occorrenze di alcuno 5.23 e alcuna 0.2,25.20. Cfr Trolli [1972:125],

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Iohanni v(ost)ro 18.28, el favor v(ost)ro 4b.22; plurale: 2 ) ch(e) l'animi v(ost)ri desidera 1.3. Femminile, singolare: 1) una v(ost)ra lederà 4b.2, 2 0 . 2 , 2 3 . 2 , un'altra v(ost)ra lectera 4 b . l 6 , la v(ost)ra lederà 17.2, agio recevuta v(ost)ra lectera 26.2, recevectì v(ost)ra lectera 14.2, 24.2, in v(ost)ra casa 4b.3, scrivate v(ost)ra intentió(n)e 14.8, tucta la v(ost)ra briata 1 9 . 2 4 , 2 3 . 2 4 ; 2 ) in casa v(ost)ra 1.2; plurale: 1) doy v(ost)re lectere 9.2, assay v(ost)re ledere 25.2. È attestato solo il pronome femm. sing.: una mia (seil. lettera 1 ) 2 0 . 2 Si ha quindi regolarmente i, u tonica date -a ed -e, o tonica data -i, eccetto che per il maschile singolare della I a persona (meo)242. È notevole la forma mey per il plurale tanto del maschile che del femminile, dove sarà stato esteso per via analogica dai plur. femm. in -J 243 . L a forma soy per il maschile singolare di III a persona, anch'essa ben nota ai testi mediani tanto di carattere letterario che documentario 244 , deriva probabilmente da epentesi in *soo e successiva apocope: *soo > so io > soi. Come mey, anche soy viene usato sia per il maschile plurale 245 , che, analogicamente, per il femminile plurale 246 . Diverse cause sembrano quindi concorrere 242

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Secondo la tesi di Castellani [1956:75-78, 1976:84], f , f toniche in iato in mfo, *t?u, *spu (queste due ultime forme, analogiche sulla prima, devono essere comunque supposte come base degli sviluppi romanzi) avrebbero subito chiusura dinanzi ad -a, -o, -e finali, mentre si sarebbero conservate date -/e -u. Rohlfs [1966-69:§§ 88, 110, 427,429] ritiene invece che le forme attuali derivino per riduzione dalle precedenti forme con dittongamento *mieo, *tuou, *suou > mio, tuo, suo. Trovo un esempio nella Giostra: guardie mey 474. In tre casi l'edizione Ageno [1953:481] delle laude iacoponiche riporta mei, cui Mancini [1974:464] preferisce sempre mee. Per la -i dei plurali femminili, efr § 63. Nel Pianto delle Marie si trovano soi Filgu 67, soi Filgu 93 (e toi amore 177; toy maschile singolare anche nella tradizione laudistica, efr Mancini [1966-67:209] e più sotto in questa nota), nella Giostra delle virtù e dei vizi lu soy honore 215, soy rebellu 304, lu soy adguaytu 306, lu soy splendore 365, omne soy amatore 367, de lu soy pagese 369, soy sanctu troppello 495, lu soy mantellu 497, l'altru soy segnumentu 612, soy troppel 619 (neutri lo soy scavalcare 521, lu soy sbaguctire 530); nell'Elegia giudeo-italiana, edita da Contini [1960:35-44], 21 lo soi nome 21 (e lo toi nome 120). Testi documentari: Fermo 1388, 4 soy territorio, 18 soy filgiolo, 23 soy contado, 27 soy terrino, 41 soy contado, 45 soy filgiolo, Mac. 1377 4 , 22 soi vicario, Mac. 1393, 4 soi filgiolo, Mac. 1445, 2r 10 soy fratello, Ascoli XVin., 5r 4 soy fratello (e così 6r 3, ecc.), 12v 11 soy zio (e così 13r 3, ecc.), 61r soy zigio (ter), 76r soy nepote (bis), Ascoli 1456, 20 soy fìlgliolo. Il tipo soio, ben attestato nelle Marche (Mac. 13956, 27 soio, Mac. 1441-43, 10 lu soio iudìce) si può spiegare anche come epitesi di -o, come sostiene in relazione ad esempi egubini Mancarella [1964:71], che cita anche l'avv. maio (attestato da Agostini [1978:271] e Serianni [972:134] anche a Città di Castello e Arezzo); e si ricordi il plur. cari meio cit. per Mogliano da Papanti [1875:258]. Bisogna tuttavia notare che tale -o occorre particolarmente nei maschili singolari, su cui avrà influito l'analogia dalla -o dei sostantivi. Cfr Cingoli 1474,62r 68 soi animali, Mac. 1392 2 ,283r 28 soi magistri, Mac. 1392 2 ,284r 23 soi magistri, Montefìore 1338,2 soi familgi, ecc. In area mediana trovo esempi di soi femminile plurale nel Ritmo su S. Alessio: ad soi posse 51; nella Giostra, edita da Contini [1960:322-349]: le soy mura 29, soy fresche bandere 386, de soy franche masnade 582; nel Pianto delle Marie: soi braça 93, soi secrete 143, toi carne 101; in testi spellani, per cui cfr Ambrosini [1964:153]. Buccio di Ranallo ha spesso la forma soi femm. (primo esempio a 10.3). Nelle carte marchigiane: Fermo 1388, 25 soy cose, 46 soy terre, Mac. 1385,18 le siivi sogi. 108

ad uniformare in soy il pronome possessivo di terza persona (fatta eccezione per il femm. sing.) secondo una tendenza attiva in differenti dialetti italiani: si vedano al proposito Braccini [1962:315] e la sintesi di Rohlfs [1966-69:§§ 427-429]. A proposito della posizione del possessivo rispetto al sostantivo cui è riferito 247 , si può osservare negli esempi citati una accentuata preferenza per l'anteposizione del possessivo. Le eccezioni a questa tendenza sono poche (1.2, 1.3, 7.9, 9.7, 19.7, 5.20, 21.11, 1.11, 14.11, 18.28, 4b.22), e il loro peso si riduce ancora se si considera che esse comprendono tre attestazioni di un solo sintagma (l'animo meo 7.9, 9.7, al plurale a 1.3 l'animi v(ost)ri) e due di un altro (lo venir meo 19.7, lo venir v(ost)ro 14.11), oltre a due casi di possessivo apposto al nome proprio (Angelo v(ost)ro 1.11, Angelo (e) Ioha(n)ni v(ost)ro 18.28)248. Se non si tratta di un tratto emprunté dai corrispondenti di Gilio, anche il nostro testo sembra confermare che l'area in cui il possessivo viene usualmente preposto al sostantivo era più ampia di quanto sia ora249. Circa la presenza dell'articolo, si osserverà che in tutte le 12 occorrenze di possessivo posposto, con le eccezioni dei nomi propri e dei sintagmi in casa vostra250, il sostantivo ha sempre l'articolo. Dove il possessivo viene anteposto, prevalgono nettamente i casi di omissione dell'articolo, e quasi ogni occorrenza dell'articolo è affiancata da più esempi di segno contrario: la v(ost)ra lederà 14.2 si contrappone a agio recevuta v(ost)ra lederà 26.2, recevecti v(ost)ra lederà 14.2, 24.2 come la mia inte[n]tione 5.21 a scrivate v(ost)ra intentio(n)e 14.8, averia poco mia intentio(n)e 22.17, che sappia mia intentio(n)e 22.18; si aggiunga che nei due casi di salutateme tucta la vostra briata il ricorrere dell'epifonema giustifica la presunzione di una formula acquisita nella pratica mercantile. Da notare ancora la mancanza dell'articolo dopo tucta in tucta mia famiglia 5.9, mentre di tucta la vostra briata si è appena detto. Per i nomi di famiglia, è attestato solo agio mey figlioli 5.7, con omissione dell'articolo, tipo più frequente nell'Italia del Nord, ma tutt'altro che sconosciuto ai dialetti centro-meridionali, come documentano gli spogli della Castellani Pollidori [1966-70:11, 37-98]; figliolo, inoltre, ha generalmente l'articolo nella prosa toscana del Tre- e Quattrocento.

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Si preferisce trattare qui le questioni della posizione del possessivo e della presenza dell'articolo determinativo dinanzi ad esso, malgrado pertengano alla sintassi, per la maggiore comodità nelle citazioni degli esempi. Per el favor v(ost)ro 4b.22 si ammetterà anche la tendenza, riconosciuta da Castellani Pollidori [1966-70:1,39], a preferire la posposizione prima di una pausa logica del discorso. Per l'area di diffusione odierna del tipo con posposizione, cfir Rohlfs [1966-69:§ 431], Un ampio spoglio dei testi mediani procura Castellani Pollidori [1966-70:1, 12-21]; si veda anche Castellani [1976:88] per la Formula di confessione umbra. Un'ipotesi sui rapporti tra i tipi con anteposizione e con posposizione propone Franceschi [1965:153-166]. Cfir Castellani Pollidori [1966-70:1,81-137],

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Nome 62. Genere dei sostantivi. Nelle lettere di Gilio non vi è traccia di conservazione della vocale finale -u dei sostantivi, ma la distinzione tra genere maschile e neutro è regolarmente osservata nell'alternanza tra gli articoli determinativi lut lo e negli esiti metafonetici degli aggettivi e pronomi dimostrativi di genere maschile (anche per quanto riguarda gli effetti metafonetici, infatti, mancano esempi sicuri per i sostantivi: cir § 24) Faccio seguire l'elenco dei sostantivi preceduti dagli articoli maschili el e lu: el cardenale 19.16, el cavallo 19.8, el meo cavallo 18.21, el centenaro 20.9, el conparatore 5.39, el cunto 25.10, 26.2, 26.4, 26.6, el Ducato 16.7, el facto 6.2, el favor 4b.22, el forte 25.39, el loco 20.7, el papa 18.18, el passo 18.24, el resto 25.9, 25.12, 25.40, el t(er)mene 7.4 (e si aggiungano le forme con assimilazione e successivo scempiamento nei casi di como e• re Aleviscio 16.4, che '· re Lancilao 5.3); lu camino 16.10, lu carcho 24.28, lu cavallo 23.21, lu consiglio 4b.21, lu cunto 26.4, lu curso 22.7, lu facto 4b.l4, 5.2, 14.11, lu mercato 7.17, 7.19, lu Patrimonio 16.7, lu patrone 2.5, lu precço 3.6, 3.14,4b.9, 8.8, lu resto 8.4, lu spaccio 6.9, lu usato251 20.8; inoltre lu più presto 10.4 e gli antroponimi lu vostro Gilio 2.14, lu dicto Lorenço 18.13. Come pronome, lu è riferito a cavallo nei tre casi 23.21 (bis), 23.22 e anche a 18.15, dove si è intervenuti a correggere la lezione tràdita li volesse. Rispetto ai sostantivi maschili accompagnati dall'art, lu o el, quelli preceduti da lo formano il gruppo dei neutri: lo meglio 9.6, 14.5, 21.19, 22.11, lo mino 7.12, lo passato 24.27, lo meglior precço 7.11, lo più 5.14, 6.9, lo più p(re)sto 5.31, 12.4, 26.10, lo refacto 22.11, 24.38, lo retracto 13.6, 21.11, lo verderame 17.4, 18.13, 21.15, 21.18, 25.18; in particolare sono preceduti da lo gli infiniti sostantivati: 19.7, lo andare 18.3, lo navigar 24.11, lo navegar 25.23, lo sedere 22.16, lo venir 14.11, 19.7; inoltre l'avverbio da lo primo 16.18; sarà errore lo usita 13.4, forse determinato da una errata ricostruzione della vocale dell'articolo. Come pronome, lo viene riferito a sostantivo neutro (17.5, 24.37, 25.14, dove è grammaticalmente legato a resto, ma probabilmente riferito ad sensum a verdictó) o ad intere preposizioni (2.8, 3.5, 6.4, 20.9, 21.9, 25.35). Senz'altro neutro è il verderame, cui tuttavia sembra riferirsi a 21.29 il pronome maschile el: ma si confrontino anche gli esempi di quesso verderame citati più sotto. Come si vede, le eccezioni alla regolare distinzione tra maschile e neutro sono limitatissime252: nel caso di 7.11 lo meglior precço ha probabilmente influito l'espressione lo meglio che possete (14.5), oppure si penserà ad un errore mate-

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Ma cfr § 49. Cfr invece Vignuzzi [1984:46], che registra uno stadio in cui l'opposizione tra articolo maschile e neutro su base semantica (determinabile vs indeterminabile) non è più funzionale a causa della spinta di pressioni 'alte', fra le quali Vignuzzi cita, con rimando a Ernst [1970:126s.], anche la comparsa di el (che, come si è visto, nelle lettere di Gilio si colloca col maschile, non senza qualche incertezza).

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naie (che poi precço sia di genere maschile, dimostrano gli esempi con lu citati sopra e con quillo più sotto). La distinzione si manifesta chiara anche per ciò che riguarda gli aggettivi e i pronomi dimostrativi. Si ha metafonesi nei seguenti casi: a) aggettivo: quisto an(n)o 21.28, quisto capitulo 0.1, quisto co(m)muno 18.19, quisto cunto 13.6, quisto dì 8.16, 16.3, 18.16, 18.18, 21.2, 24.20, 25.37, 26.2, quisto facto 21.30, quisto mese 13.4, 14.7, 16.2, quisto (seil. mese) 2.2, 14.2, 23.2, 24.2, quisto modo 7.4, 17.7, quisto mundo 25.22, quisto porto 25.39, quisto re Lancilao 5.5, quisto tempo 7.6,24.26; quillo precço 5.16, quillo pagese 16.6, quisso maled(i)c(t)o re Lancilao 4b. 13, quisso mare 24.11; b) pronome: quillo 1.7 riferito a piso, quillo 7.16 e quillo che ce mando 27.14 riferito a persone. Π neutro è invece contraddistinto dalla mancanza di metafonesi: a) aggettivo: quesso verderame 26.10, quello verderame 18.23,18.24; b) pronome: questo ò facto 0.3, a questo / respondo 4b.3, a questo no(n) dico più 4b.6, oltra de questo 5.5, ove questo no(n) volessate fa(r)e, de far / questo 5.17, ove questo no(n) volessate fa(r)e 5.20, de questo ve siete certi 5.28, questo dico 6.6, questo ve scrivo 6.8, ora se pratica de far questo 7.5, questo me capa più ne / l'animo 7.7, ell'animo meo se H ferma più in questo 7.10, in questo me era fermato 8.5, questo dico 9.6, questo è quello più me recresce 14.3, de questo ve prego 13.8, questo sta bene 17.3, sicché questo avimo ordinato 17.7, a questo non dico più 18.10, de questo faite corno p(er) vugi 21.20, questo dico 24.33, se questo avete / facto 24.36, de questo ve piaccia responde(re) 25.27, a questo pocho è da dire 26.5, a questo rw(n) dico più 26.11, p(er) questo no(n) ve n'agio / avisato 27.17; p(er) quello ch'io posso conprender 1.7, in quello che sentessate che più vantagio / fosse 4a.5, Io credo più vaccio quello dicete vugi che quello che altri dicono 4b.l7, quello se pò 4b.20, quello meglio ce mederà porrimo pigliar partito 4b.21, le carti se stentasse quello che a vugi piacesse (e) quello che se ne refa/cesse 5.18, quello che prenderete 5.29, Per quello ch'io conprendo 5.36, quello ve scrissi 6.3, recevecti doy v(ost)re ledere (e) in quello che in quesse se contene 9.2, P(er) quello che ò sentito 12.5, tollessate quello è usança 13.8, è quello più me recresce 14.3, quello voglio se facia 14.10, p(er) quello ch'io conprendo 14.11, in quello de Lucca 19.8, Per quello ch'io vegio 23.7, p(er) quello poeço conprendere 23.15, non ò mandato de quello ragiona(m)mo 24.10, quello che scrivo 24.33, quello che de sop(re) ve agio scricto 25.40.

63. Metaplasmi di declinazione. Al maschile da notare solo comuno (agg.) 5.19, co(m)muno 18.19, cu(m)muno 19.15 (sempre sost.), metaplasmo assai diffuso in area centrale253.

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Per esempio in Ageno [1954:320], Ambrosini [1964:147], Traili [1972:72s.], Porta [1979:617], Agostini [1978:76]. Nei documenti maceratesi: Cingoli 1447, 63v 45, Mac. 1377 2 , 2 e 5, Mac. 13774, 11 e 26, Mac. 13922, 295v 24, Mac. 13955, 22. Mac. 13963, 21 e 29, Mac. 1398,10, Mac. 1445, Ir 32 e 2r 22.

Ili

Più notevoli sono le occorrenze di la Chieste 16.7, 18.17 (mentre la carte è stato corretto in le carte a 14.3), che saranno probabilmente analogiche sui doppioni morfologici del tipo 'tossaYtosse' 2 5 4 , forse attraverso i plurali femminili in -i.

Numero 64. Formazione del plurale dei maschili Non si notano differenze rispetto agli esiti toscani letterari 255 : amici 2 0 . 1 2 , 2 3 . 2 4 , franchi 17.3, grechi 25.30 (greco 24.22, grecho 27.14, grego 26.14), pochi 25.12 (poco 4 b . l 2 , 17.5 (bis), ecc. (8), pocho 4 b . l 9 , 26.5), lochi 1.6, 5.27, 24.23, ecc. (loco 1.8, 1.13, 5.3, 5.6, ecc.), reschi 5.27 (rescho 5.26, 5.28), savi256 27.11 (savio 5.29). Si nota poi 'medesmo' non declinato (da' vostri medesmo 15a.4, ma declinato a 15b.3 a vugi medesmi; dubbio a vugi medesmo 15a.2). Per attestazioni centromeridionali della forma invariabile, cfr Gentile [1972:26] e Vignuzzi [1975-76:11, 179],

65. Plurali neutri in -a. Si trova solo cora bovine (3.3, 3.5, 3.7, ecc.).

66. Formazione del plurale dei femminili Sotto la spinta di varie e contrastanti analogie sul piano morfologico 2 5 7 , accanto al tipo di declinazione del femminile -a /-e è documentato il tipo -a /-i 2 5 8 ; si hanno 254

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Cfr Ruggeri [1959] con ampia esemplificazione. Di fronte ad una documentazione marchigiana piuttosto scarsa (notevolissimo ai nostiri Tini è l'esempio di Mesce singolare in Crocioni [1906:30]; si ricordi poi nel Pianto delle Marie il sing, gran pene 184) stanno le numerose attestazioni reatino-aquilane del tipo la porte, la grotte, diffuso nei moderni dialetti abruzzesi occidentali in genere: cfr Giammarco [1979:119] e si veda il caso analogo discusso a §68. Non sono documentati nelle lettere sostantivi o aggettivi in -co proparossitone, che nel toscano quattrocentesco hanno spesso plurale -ci: si veda per esempio Traili [1972:82], Manca nel nostro testo la consueta grafia umbra e marchigiana -ij nei maschili plurali: cfr Baldelli [1971:145-147], Vignuzzi [1975-76: II, 162, n.670]. Si veda anche Castellani [1980:11,210] a proposito dello Statuto degli oliandoli. Si possono ipotizzare a priai anche condizionamenti di ordine fonetico, che intervengano ad alterare la coerente rappresentazione delle finali: cosi Stussi [1982:144] spiega l'alternanza tra -e ed -i nei morfemi del masch. e femm. plur. con la nota tendenza umbra ad uniformare in e ogni sillaba atona: cfr Rohlfs [1966-69:§ 142], che rende conto della diffusione del fenomeno, Ugolini [1947:115] e Baldelli [1971:423] circa la sua tenacia anche in ambito letterario. Nelle lettere di Gilio, tuttavia, la regolarità con cui viene rappresentato il morfema del masch. plur. infirma questa possibilità, come quella che si tratti di ricostruzioni 112

inoltre oscillazioni nell'ambito dell'antica IIIa declinazione, per cui si trova anche -e/-e*». Per il primo tipo si osservano i seguenti plurali in -e: allude 25.12,27.3, balle 5.30, 5.38, 7.26, ecc., carte 4b.7, 6.2, 11.4, case 6.7, cose 7.9, 16.9, 18.17, ecc., galee 20.13, 24.20, (bis), ecc., grane 19.22, guerre 1.8, lacche 24.27, lane 2.10, 3.8, 3.12, ecc. (19), lance 25.31, ledere 1.15, 2.12, 5.25, ecc., libre 3.5, malvasie 20.17, 23.29, mercatantie 20.15, 20.19, 21.21, 23.3, ecc., mesure 25.36, monete 25.36, nove 16.4, nuvelle 1.7, 17.8, 18.20, ecc., partite 5.14, p(er)sone 4a.4, risme 25.7, 25.8, 25.9, romanie 20.17, 23.29, spese 21.26, spetie 24.19, su(m)me 21.21. Di etimo -ES: bocte 25.35, conditione260 22.9, parte 25.6. Oltre al plurale in -e, presentano anche forme in -i i seguenti femminili plurali della declinazione in -A: carti 1.13,2.2, 2.3, ecc. (38), grani 23.11, lani 20.12, rismi 21.4 (bis), 22.5. Tra i sostantivi di base in -ES mostra oscillazioni solo parti 5.24, 25.5; altri casi di -i sono navi 14.6, 20.11, 21.10, ecc., rasimi 5.11, 21.6, 24.14. Per le occorrenze tra gli aggettivi, cfr § 68. Le attestazioni di una tendenza all'estensione alla I a declinazione del morfema di plurale femminile della IIIa sono numerose nei documenti delle antiche parlate marchigiane e laziali 2 6 1 ; né i plurali in -i sono sfuggiti ai moderni descrittori dei dialetti dell'area mediana 262 ; gli esempi 2 6 3 , particolarmente diffusi nei dialetti del

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provocate dalla finale indistinta, e impone di cercare sul piano morfologico la spiegazione degli esempi che seguono. Cfr Migliorini [1960:288] e Rohlfs [1966-69:§ 362], di cui mi sembra di poter accettare anche la spiegazione, comunque tradizionale da D'Ovidio [1886:89], del tipo come estensione analogica dei nom. plur. masch. della seconda classe attraverso i femm. del tipo 'torri'. La questione non è tuttavia pacifica: si segnala in particolare la tesi sostenuta da Aebischer [1960,1961], secondo cui la i dei femminili italiani è esito diretto dalla base -IS < -ES; le tesi di Aebischer sono discusse, utilizzando la stessa fonte dei testi documentari mediolatini, da Sabatini [1965]. Per la diffusione in Toscana di questo tipo si veda Trolli [1972:80-82]. In generale si osservi che condizioni analoghe a quelle delle lettere di Gilio sono attestate modernamente da Camilli [1929] per Servigliano: vi si trovano tracce di una declinazione femminile con -a / -i, accanto al tipo più diffuso -a! -et a sparse forme in -e /-e. II numero di conditione è incerto nelle attestazioni di 4a.7,10.3,23.29,24.22. Cfr Ambrosini [1962:49], Stussi [1968:34], Porta [1979:617, 618s.], D'Achille [1982:95], Baldelli [1983:208], Vignuzzi [1984:60], Mattesini [1985:98] e Mengel [1936:119], con ampia esemplificazione di plurali femminili con -i che provoca metafonesi (li cosi, spissi fiati, le siivi, ecc.) e tentativi di una spiegazione morfologica; Vignuzzi [1975-76:11, 163] registra negli statuti di Ascoli numerose attestazioni del tipo reformagiuni, ma nessun femminile della II a in -i. In area toscana si veda ad esempio la documentazione raccolta da Trolli [1972:79sJ. Vanno invece considerati a parte le occorrenze in testi giudeo-italiani (ad esempio nell'Elegia giudeo-italiana li soi grandezi 5), la cui caratteristica più peculiare sembra proprio la -i dei femminili della I a classe: si vedano Cassuto [1929:380] e Cuomo [1988:42-47], Crocioni [1906:69], Merlo [1912:100s., 1917b:100s„ 1922:72, 1930:73s.], Navone [1921:92], Elwert [1958:151], Delle attestazioni del contado aquilano si discuterà più sotto. Cfr AIS I, 124 (ha le spalle larghe), IV, 745 (le carte [da gioco]), V, 1084 (le capre si cozzano), 1187 (abbeverare le vacche), confermata da 1189 (una mandria di vacche), VI, 1566 (ungere le scarpe): i punti che partecipano della tendenza in oggetto sono (indico anche il 113

reatino 2 6 4 ma attestati in misura diversa in molte varietà mediane, si accompagnano spesso ad una espansione della terminazione -a265 nel sing., e tendono alla formazione di due sole declinazioni, una per il maschile con -u (-o) / -i, una per il femminile -a / -i 2 6 6 . A questa tendenza, dovuta essenzialmente ad una spinta analogica alla generalizzazione di -i nel plurale, si unisce probabilmente una componente dotta, dovuta all'interferenza della lingua letteraria e quindi produttrice di forme ibride, vive soprattutto nella lingua cancelleresca: sembra questo essere il caso di rasimi, che Vignuzzi [1975-76:11, 163] ci attesta essere forma diffusa negli statuti ascolani.

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numero di occorrenze di plur. femm. in -i su S carte utilizzate): 576 (Norcia, 4 occ.), 616 (Colli, 4 occ.), 615 (Leonessa, 2 occ.), 624 (Rieti, 4 occ.), 633 (S. Oreste, 2 occ.), 643 (Palombara, 4 occ.), 654 (Serrone, 1 occ.), 645 (Tagliacozzo, 2 occ.). Stranamente Moretti [1987] non annota nulla del genere per Norcia. Ambrosi» [1964:149] nota la frequenza del fenomeno nei sintagmi 'aggettivo + sostantivo', con esiti alternanti del tipo: ultimi domeniche, varii persone, cose ordinarli; in area marchigiana segnalo solo alcuni casi non cit. dal Mengel nei documenti maceratesi: Cingoli 1476, 62v 63 cose reservati. Fermo 1388, 33 reformagiunj facte, Mac. 1288, 4 ampli et grose, esempio che va giudicato però nel quadro di una generale instabilità del vocalismo finale in tutto il documento. H ancora, da De Bartholomaeis [1943:24, 29]: toi catolici parole, alcuni parole. Nel dialetto di Prêta i femminili della declinazione in -ES subiscono generalmente metaplasmo acquistando le desinenze di I a (-a I-i), e si verifica il passaggio della finale ad -i nei femminili plurali, in alcuni singolari della I a e della IIIa, ed anche in qualche desinenza verbale. Blasi [1936:45s.] interpreta questa evoluzione in relazione alla posizione di Prêta al confine dell'area conservativa reatino-aquilana e a ridosso della zona abruzzese di affievolimento delle atone inteme e finali: si tratterebbe di una sostituzione reattiva al tendenziale indebolimento della finale, quindi di un fenomeno di natura fonetica. Giammarco [1979:78s.], che desume i dati da Blasi, propone spiegazioni diverse per le diverse categorie morfologiche degli esiti in -i, supponendo per i verbi una continuazione diretta di -AS, -ES dell'indicativo di I a e II a declinazione, per i sostantivi femminili una sostituzione analogica sul plurale di IIIa, e suggerendo la possibilità di un condizionamento da parte del contesto consonantico, per cui la -i sarebbe favorita dalla presenza di suoni palatali. Cfr anche Fanti [1938-40:131] e Merlo [1930:163] per Affile. Per attestazioni moderne e una valutazione complessiva del fenomeno si veda Giammarco [1979:82, 132s.]. Si osservi tuttavia che i più antichi testi marchigiani hanno sempre -e nelle desinenze del plurale femminile: se ne trovano esempi nel Ritmo su S. Alessio (mense adhordinate 36, ad soi posse 51, due corone 127, e solo cithari cum timpani e sambuci 119), nella Giostra delle virtù (soy fresche bandere 382, soy franche masnade 583, ecc.), nel Pianto delle Marie (altre 28, bone 34, nuvelle 34,37, sorelle 36, miselle 38, tapinelle 39,71, tucte quante 82, queste toi carne 102.frustate 103, le soi secrete 143, le doliose 227, grande offerte 249). I testi documentari maceratesi non sembrano in questo distinguersi da quelli ascolani: non compaiono infatti accanto alle frequenti occorrenze del tipo condapnagiuni (Fermo 1388,72) esempi di carti o simili (solo in Mac. 1385, 18 e Asc. XVin., 15r 26 siivi). Inoltre documenti antichi e testimonianze moderne dei dialetti meridionali conoscono numerose attestazioni di -i di femm. plur., che si possono in genere spiegare come reintegrazioni da -e, e anche, in alcune zone, come tracce di vocalismo calabrese: cfr ad esempio Sabatini [1962:28]. 114

Si noti infine il plurale più fiata 27.6, che presenta invece «cristallizzazione del singolare usuale in italiano antico»267 {dt una fiata 15b.2).

Caso 67. Tracce della declinazione latina? a) Nelle lettere di Gilio si riscontra un probabile esempio di nome proprio in -/': (Crist)ofani 7.30 (nell'indirizzo; sono attestate di contro 22 occorrenze di (Crist)ofano), cui si affianca l'assai più dubbio Iohanni 18.28, 27.2, 27.23. Testimoniato già dalla caita fabrianese (Petri de Iohannes si firma uno dei testimoni), il tipo si mantiene vivo particolarmente in area abruzzese268. Queste forme compaiono anche in zone caratterizzate dalla saldezza del vocalismo finale, e non possono essere spiegate, almeno in alcuni casi, come ricostruzioni a partire dalla finale indistinta; si è quindi proposto di ricollegarle al problema delle origini dei cognomi italiani in -Í269. b) La questione della conservazione di tracce del locativo latino in non pochi toponimi italiani attende ancora di essere risolta270; nelle lettere di Gilio si trova una probabile attestazione sia del tipo con -i (Fani 19.5) che di quello in -e (il discusso Fiorençe 19.3). c) Già Bianconi [1962:59-60] ha respinto l'ipotesi che alcune sistematiche scrizioni di nomi propri in -e rappresentino un residuo del vocativo latino. Alla sua documentazione si possono aggiungere due occorrenze dalle lettere di Gilio: Bartole 7.30, 9.12 {mi Bartolo 6.14, 8.18, 10.10, ecc. 15 volte), Iacome 21.2 (ma Iacomello 22.2, 22.4); si osservi che il secondo caso capovolge la distribuzione riscontrata da Bianconi per i testi viterbesi, orvietani e todini: «le forme

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Stussi [1982:144]; e cfr Rohlfs [1966-69:§ 643]. Attestazioni dai documenti marchigiani: Mac. 1392 1 ,27 più fiata, Mac. 13973, 10 più fiata, S.Severino XVin., 9 centomilia fiata. Esempi di di segno opposto: Ritmo su Sant'Alessio tre fiate 220, Mac. 13973, 32 doy fiate, Mac. 1377 4 ,13 più fiate. La relativa frequenza di occorrenze di antroponimi in -i con funzione di nominativo in documenti abruzzesi e marchigiani dei primi secoli è stata segnalata da Contini [1940] in una discussione della tesi di Pei [1939] sull'origine dei patronimici in -i, per cui si veda Poppe [1966], con bibliografia e dovizia di attestazioni. Per cui cfr Castellani [1956:65 e passim]. Per una valutazione equilibrata del fenomeno (interpretato come residuo di forme notarili con patronimico, prevalse anche grazie all'analogia con gli antroponimi invariabili in -