Le carte di Michele Boschino 8884677084, 9788884677082

Michele boschino è stato considerato uno dei primi «metaromanzi» della narrativa italiana. l’intera tradizione del testo

196 62 2MB

Italian Pages 436 [438] Year 2012

Report DMCA / Copyright

DOWNLOAD PDF FILE

Recommend Papers

Le carte di Michele Boschino
 8884677084, 9788884677082

  • 0 0 0
  • Like this paper and download? You can publish your own PDF file online for free in a few minutes! Sign Up
File loading please wait...
Citation preview

Giuseppe Dessì Le carte di Michele Boschino edizione critica a cura di Dino Manca

CENTRO DI STUDI FILOLOGICI SARDI / CUEC

scrittori sardi

Non so più nemmeno se il mio sia amore o fastidio, rabbia di essere nato lì, rabbia di essere legato ancora a questa terra troppo vecchia e tanto lontana dal mondo nel quale vivo – dall’Italia, voglio dire. Eppure quella è la mia patria. È là che sono nato. È là che ho passato gli anni più importanti della mia vita, l’infanzia e l’adolescenza. Là c’è la casa di mio nonno, di mio padre: case e tombe. Ma ciò che conta di più è che là io mi sento forte, intelligente, anzi onnisciente. Immergo la mano nell’acqua del Tirso, del Temo, del Rio Mannu, e so di che cosa è fatta quell’acqua. Raccolgo un sasso, e ho di quel sasso una conoscenza che arriva fino all’atomo, fino alla molecola. È là che ho letto per la prima volta Leibnitz e Spinoza senza bisogno di traduzione o di note a piè di pagina. Là mi sono sentito solo al centro dell’Universo come un astronauta. E per questo sono geloso della mia Isola. Geloso di tutto ciò che la rende volgare, turistica. Giuseppe Dessì

opera pubblicata con il contributo di

Regione Autonoma della Sardegna Assessorato della Pubblica Istruzione, Beni Culturali, Informazione, Spettacolo e Sport

scrittori sardi coordinamento editoriale centro di studi filologici sardi / cuec comitato scientifico: Nicola Tanda - Università di Sassari, Paolo Cherchi - Università di Chicago, Giuseppe Frasso - Università Cattolica di Milano, Rosanna Bettarini - Università di Firenze, Andrea Fassò - Università di Bologna, Edoardo Barbieri - Università Cattolica di Brescia, Carlo Donà - Università di Messina, Marcello Cocco - Università di Cagliari, Giovanna Carla Marras - Università di Cagliari, Giuseppe Marci - Università di Cagliari, Maurizio Virdis - Università di Cagliari, Dino Manca - Università di Sassari, Mauro Pala - Università di Cagliari, María Dolores García Sánchez - Università di Cagliari, Patrizia Serra - Università di Cagliari.

I volumi pubblicati nella collana del Centro di Studi Filologici Sardi sono passati al vaglio da studiosi competenti per la specifica disciplina e appartenenti ad università italiane e straniere. La valutazione è fatta sia all’interno sia all’esterno del Comitato scientifico. Il meccanismo di revisione offre garanzia di terzietà, assicurando il rispetto dei criteri identificanti il carattere scientifico delle pubblicazioni, ai sensi dell’art. 3-ter, comma 2, del decreto legge 10 novembre 2008, n. 180, convertito dalla legge 9 gennaio 2009, n. 1.

giuseppe dessì

LE CARTE DI michele boschino edizione critica a cura di Dino Manca

centro di studi filologici sardi

/ cuec

scrittori sardi coordinamento editoriale centro di studi filologici sardi

/ cuec

Giuseppe Dessì Le carte di Michele Boschino ISBN: 978-88-8467-708-2 cuec editrice © 2011 prima edizione dicembre 2011

Centro di Studi Filologici Sardi presidente Sandro Catani direttore Giuseppe Marci consiglieri María Dolores García Sánchez, Dino Manca, Mauro Pala, Patrizia Serra, Maurizio Virdis Via Bottego, 7 09125 Cagliari Tel. 070344042 - Fax 0703459844 www.filologiasarda.eu info@centrostudifilologici.it

Realizzazione editoriale: CUEC Editrice by Sardegna Novamedia Soc. Coop. Via Basilicata 57/59, 09127 Cagliari Tel. e Fax 070271573 www.cuec.eu / [email protected] Realizzazione grafica Biplano, Cagliari Stampa Grafiche Ghiani, Monastir (Ca)

In memoria di Franca Linari «Coloro che ci hanno lasciati non sono degli assenti, sono solo degli invisibili: tengono i loro occhi pieni di gloria puntati nei nostri pieni di lacrime». Sant’Agostino

Tutte le immagini a corredo del testo sono state pubblicate su gentile concessione del prof. Francesco Dessì e del «Gabinetto Scientifico Letterario G.P. Vieusseux» nella persona del suo direttore, la dottoressa Gloria Manghetti. È vietata la riproduzione o duplicazione con qualsiasi mezzo delle immagini qui pubblicate. Un ringraziamento particolare va – oltre che al prof. Dessì e alla dottoressa Manghetti – al personale della Sala Manoscritti dell’Archivio Contemporaneo «Alessandro Bonsanti» e a Vanna Fois, direttore editoriale della Ilisso, per la gentilezza e la disponibilità.

Nella pagina precedente: Giuseppe Dessì nel suo studio a Roma

Introduzione 1. Giuseppe Dessì nacque a Cagliari il sette agosto del 1909 da Francesco Dessì-Fulgheri e Maria Cristina Pinna, entrambi di Villacidro, borgo rurale del medio Campidano posto ai piedi della catena montuosa del Linas e alla bocca della valle di Castangias, già sede, ai primi dell’Ottocento, di una delle quindici prefetture istituite in Sardegna dal governo Sabaudo. Fin da bambino soffrì delle continue assenze del padre, ufficiale di carriera dell’esercito, costretto a lunghi e ripetuti spostamenti nelle tante guarnigioni della Sardegna e del continente: Fui così nel Veneto, a Roma, a Ferrara, a Bologna, e fin da bambino fui portato a contrapporre il mondo isolano agropastorale a quello cittadino del continente1.

Soprattutto negli anni della guerra, quando più forte si avvertì il peso del distacco e della lontananza, egli trascorse l’adolescenza, con la madre e il fratello minore Franco, a Villacidro, nella grande residenza del nonno, Giuseppe Pinna, grosso proprietario terriero. La casa rappresentò il nucleo dell’azienda agricola, faticosamente costruita negli anni, e di fatto divenne il luogo della sua prima formazione. Non esiste comunicazione senza contesto e l’apprendimento di ogni ragazzo, avvenuto per esperienza diretta1 Lettera di Giuseppe Dessì a Salvatore Pennisi, Roma (via Prisciano, 75), 18 maggio 1966. La lettera, conservata presso l’Archivio Contemporaneo “Alessandro Bonsanti” del Gabinetto “G. P. Vieusseux” a Firenze, si trova pubblicata in: F. Nencioni (a cura di), A Giuseppe Dessì. Lettere di amici e lettori, Firenze, University Press, 2009, pp. 431-432. Ricordi autobiografici si trovano altresì in: Ritratti su misura (Venezia, Sodalizio del Libro, 1960), La Scelta (Milano, Mondadori, 1978), Un pezzo di luna, Note, memoria e immagini della Sardegna (Cagliari, Edizioni Della Torre, 1987).

XII

DINO MANCA

mente vissuta e sperimentato emozionalmente, si realizza dentro un ben preciso tessuto culturale e ambientale e si regge, come ogni percorso educativo, sull’imparare a conoscere, a fare ma soprattutto a essere. L’identità, si sa, non è mai disgiunta dal senso di appartenenza a una comunità inserita storicamente in un territorio. Se è vero, dunque, che la conoscenza e il primo discorso del mondo cominciano dalla soglia di casa, certamente per Dessì il processo di apprendimento dei codici della comunità educante e dei linguaggi della natura, i riti d’iniziazione, la scoperta degli uomini e delle prime difficoltà del vivere, ebbero inizio nel microcosmo operoso, protettivo e idillico di Biddacidru: La casa era grande, piena di zii, zie, cugini e gente di passaggio […] Credo che il fatto di aver vissuto in campagna da bambino abbia contribuito a rendere la realtà più accessibile alla mia conoscenza. La comunità intorno a me, questa vita sociale di cui ho cercato di dare un’idea, faceva come da cassa armonica ai miei sentimenti, ingigantiva e al tempo stesso mi permetteva di percepire e di partecipare ai sentimenti degli altri2.

Il paese dei genitori fu, dunque, l’originario milieu, il luogo vissuto, plasmato nella relazione, il sistema peculiare di condizioni naturali e socio-culturali stratificate nella sua memoria e rappresentò il primitivo contesto linguistico e antropologico entro cui lievitarono le sue narrazioni migliori. Frequentando pastori e contadini alle pendici del Monte Linas, infatti, egli prese coscienza delle sue radici e comprese profondamente eventi ed esistenti di un mondo che ben presto tradurrà in finzione letteraria. Alla fine del conflitto anche il padre, congedatosi, si ricongiun2 Cfr. G. Dessì, Un pezzo di Luna, note, memoria e immagini della Sardegna, a cura di A. Dolfi, Cagliari, Edizioni Della Torre, 1987 [2006], p. 187.

Introduzione

XIII

se definitivamente al nucleo familiare dedicandosi all’amministrazione del patrimonio della moglie e alla cura del primogenito. Il ragazzo, d’indole irrequieta e ribelle, iniziò a studiare privatamente fin dalle scuole elementari e pur essendo un «pessimo scolaro» si dimostrò tuttavia lettore bramoso ed eccentrico: Pessimo scolaro, riottoso e disordinato, fuggito dal collegio, fui fin dall’infanzia un lettore avido e insaziabile. Quasi abbandonato a me stesso, leggevo tutto ciò che un ragazzo della mia età non avrebbe dovuto leggere3.

Terminato il ciclo elementare andò a Sassari per il primo anno di Ginnasio. Nel 1924 si iscrisse all’Istituto Tecnico inferiore e nel 1925 il padre lo inserì come interno nel Collegio Carlo Felice di Cagliari, dove frequentò la scuola industriale. Da qui fuggì per essere ritrovato in una delle tenute di famiglia: Io scappai da Cagliari e tornai a casa, a Villacidro, dopo lunghe peregrinazioni e dopo essere stato creduto morto. Fu scandagliato il porto e fu sguinzagliata per la provincia una compagnia di soldati ciclisti con l’incarico di cercarmi e di riportarmi a casa. Mi trovò invece un guardiacaccia di mio nonno materno, il quale non credette alle bugie che gli raccontavo (dicevo di essere in vacanza) e minacciò di legarmi su un cavallo se non fossi tornato a casa docilmente. Il ritorno fu bellissimo. Mio padre mi accolse a braccia aperte e perdonò la mia scappata, ma fu messo sotto accusa dai famigliari, che non approvavano la sua indulgenza4.

Dopo l’inutile tentativo di farlo studiare a Cagliari e dopo 3 G. Dessì, Il mio incontro con l’Orlando Furioso, in La scelta [Milano, Mondadori, 1978], intr. di cura Varese comm. di A. Dolfi, Cagliari, 2003, p. 127. 4 Cfr. Lettera di Giuseppe Dessì a Salvatore Pennisi, cit., p. 431.

XIV

DINO MANCA

essere stato mandato a lavorare nel frantoio e come contabile nel caseificio dello zio Erminio, alla fine del 1926 egli preferì fare gli studi in privato con Don Luigi Frau (che gli insegnò soprattutto il latino e il greco) per sostenere gli esami di licenza ginnasiale. Questa esperienza si concluse negativamente e il fallimento lo riportò alla decisione di intraprendere un corso di studi regolare. È importante rilevare, tuttavia, come in questo tormentato periodo della sua vita, il ragazzo avesse sentito l’esigenza di accostarsi a opere filosofiche che lo indussero a riflessioni angoscianti e destabilizzanti sull’origine del mondo e sul senso dell’essere e dell’esistere. Ritiratosi, infatti, dalle scuole, scoprì dietro un muro della casa del nonno la biblioteca lasciata da un prozio giacobino, che i parenti avevano murato alla sua morte. L’attività di lettura matta e disperatissima, disordinata e frenetica, per quanto sconvolgente e controversa, fu ciononostante esaltante e feconda e contribuì non poco alla sua prima formazione intellettuale e umana: scopersi in un vecchio armadio a muro i resti della biblioteca di un prozio avvocato e pubblicista considerato “un giacobino”. Era morto mezzo secolo prima ucciso da un cavallo imbizzarrito e i suoi beni e la sua casa erano stati ereditati da mio nonno, ch’era riuscito a salvare parte della biblioteca, di cui peraltro non faceva gran caso. Lessi così, con la consueta avidità, L’origine dell’uomo di Darwin, il Sistema di filosofia sintetica di Spencer, il Corso di Filosofia positiva di Augusto Comte e il suo Catechismo positivista ossia Esposizione della Religione universale. Trovai il Piccolo compendio del Capitale di Cafiero, il Discorso sul Metodo di Descartes e le Conversazioni sulla pluralità dei mondi di Fontenelle. La lista potrebbe continuare, ma le opere che addirittura mi sconvolsero furono La Monadologia di Leibniz e l’Etica di Spinoza […] Ricordo che la lettura di quei filosofi mi esaltava e mi dava angoscia allo stesso tempo. Senza che nessuno se ne accorgesse o potesse nemmeno lontanamente sospettarlo mi ero andato facendo del mondo un’idea de-

Introduzione

XV

terministica estremamente rigorosa. Consideravo ogni mia azione, anche il minimo gesto, come l’anello di una catena di cause ed effetti che aveva inizio con la creazione del mondo e dalla quale non avrei potuto liberarmi, anzi arrivai a pensare che il solo atto di libertà possibile fosse il suicidio. Senza saperlo stavo arrivando alla stessa conclusione di Michelstaedter. La nostra casa era piena di armi e io ero stato addestrato a maneggiarle fin da bambino, dai pesanti fucili da caccia grossa alle leggere carabine flobert da tiro a segno. C’era anche la pistola d’ordinanza di mio padre. Io andavo rimuginando i pensieri cui ho accennato, oppresso da un senso di angoscia claustrofobica, dalla quale c’era un solo modo di liberarsi. Nessuno poteva aiutarmi, nessuno avrebbe potuto capirmi. A chi avrei potuto parlare dell’ordo causarum o dell’armonia prestabilita alla quale volevo sottrarmi? Tuttavia scrissi una lettera d’addio, che sigillai e riposi nel primo cassetto del canterano, in camera mia5.

Nel 1928 si trasferì a Cagliari per completare la sua preparazione prima dell’esame di licenza ginnasiale. Nel 1929, quando era già ventenne, si iscrisse al Liceo Dettori, dove incontrò Delio Cantimori, insegnante di storia e filosofia, e Claudio Varese, studente modello, col quale strinse un rapporto di fraterna e duratura amicizia: Conobbi Delio Cantimori a Cagliari, dove fu mio professore di filosofia e storia in prima liceale, nel 1929. Egli era un giovane professore di 26 anni, io uno studente ritardatario di 20, disordinato, discolo, e frequentavo per la prima volta una scuola pubblica, dopo una disastrosa carriera scolastica da privatista. Cantimori portava allora una nera barbetta che somigliava stranamente a 5 G. Dessì, Il mio incontro con l’Orlando Furioso, cit., pp. 128-129. Il padre, per attenuare e compensare quell’ossessivo e «claustrofobico» rovello deterministico-meccanicista, gli propose di leggere l’Orlando Furioso. L’incontro con la poesia e l’«armonia» compositiva dell’Ariosto risultò essere, per il sedicenne Dessì, salvifico.

XVI

DINO MANCA

quella di Sant’Efisio […] Cantimori aveva mani grandi e bianche, ben curate ed eloquenti. Noi scolari di provincia, rozzi e protervi, eravamo affascinati da quelle grandi mani bianche. Non sapevamo che appartenevano a uno studioso, a un dottore in teologia dell’antica Università di Basilea, ma per noi quelle mani avevano sfogliato tutti i libri e ne conoscevano i segreti […]6.

Un anno dopo la dolorosa morte della madre, finito il Liceo e fatto tesoro dei preziosi consigli di Cantimori, che gli aveva aperto le porte della sua biblioteca privata, si iscrisse alla facoltà di Lettere dell’Università di Pisa (dopo aver tentato l’ammissione alla Normale Superiore) dove si laureò nel 1936 a pieni voti con una tesi su Manzoni discussa con Russo e Momigliano7. Il soggiorno in questa città gli permise di inserirsi nell’ambiente dei normalisti e di seguire gli insegnamenti oltre che dell’illustre critico e storico della letteratura, di Binni, Saitta e Russo. A Pisa, dove ebbe come maestri e compagni di studio («maîtrescamarades») il sodale Varese, Claudio Baglietto («pochi uomini sono stati importanti come Baglietto, anche per me»), Carlo Ludovico Ragghianti, Aldo Capitini, Enrico Alpino, Mario Pinna e Carlo Cordiè, il livello di partecipazione politica crebbe fino a diventare vera e propria lotta contro le dittature (a lungo sentirà il fascino delle teorie liberalsocialiste dei fratelli Rosselli e di Guido Calogero): Qui ne I passeri, della drammatica vicenda di Giacomo si parla – sia pure indirettamente – in modo più diffuso che altrove; se ne parla attraverso il padre, l’ex aviatore della Grande Guerra conte Massimo Sgarbo, il quale, nel 1943, quando gli alleati stanno per occupare la Sardegna, aspetta ancora il suo ritorno. Giacomo era partito G. Dessì, Il professore di liceo, in La scelta, cit., p. 138. Seguito da Momigliano, inoltre, aveva preparato una tesina triennale sulla personalità e l’opera del Tommaseo. 6 7

Introduzione

XVII

per molti anni prima clandestinamente raggiungendo la Francia attraverso la Corsica per arruolarsi nelle brigate internazionali e combattere contro i fascisti. Si tratta, in altre parole, di un mio possibile coetaneo: avrebbe potuto essere uno dei miei editori, un fratello minore di Antonio Gramsci o di Velio Spano, un gemello di Claudio Baglietto o di Aldo Capitini […]8.

Dopo la laurea frequentò il gruppo raccolto attorno alla rivista “Letteratura”. Intrapresa la carriera d’insegnante, viaggiò per varie città italiane. Nel 1937 trovò un posto di supplente a Ferrara, all’istituto magistrale “Carducci”, su suggerimento di Varese. Condivisero quell’esperienza anche il fratello Franco e l’amico Pinna. Nella città emiliana sposò Raffaella Baraldi (Lina), figlia di un noto avvocato ferrarese9, e, tra gli altri, conobbe Giorgio Bassani. Scrisse di quel sodalizio il giovane scrittore: L’incontro con Varese, con Pinna, con Giuseppe Dessì e col fratello Franco, il rapporto amichevole, totale, che ne nacque, è stato per me un’esperienza decisiva dal punto di vista psicologico […] non sarebbe stato possibile diventare antifascista senza di loro, per uno come me che ha avuto la rivelazione dell’antifascismo come scelta essenzialmente morale10.

Nel 1939 la casa editrice Guanda gli pubblicò la prima silloge di racconti La sposa in città11 e la fiorentina G. Dessì, Prefazione a I Passeri, Milano, Mondadori, 1965, p. X. L’avvocato Baraldi fu radiato dall’albo perché di idee socialiste. 10 Cfr. A. Romagnino, Dessì e Varese dal liceo Dettori a Ferrara, Cagliari, Demos editore, 1999, pp. 29-30. 11 Cfr. G. Dessì, La sposa in città, a cura di C. Varese, Parma, Guanda, 1938 [a cura di A. Dolfi, Nuoro, Ilisso, 2009]. Gli undici racconti furono scritti e pubblicati tra il 1930 e il 1938: La sposa in città, Un ospite di Marsiglia, La città rotonda, Giuoco interrotto, I piedi sotto il muro, Il cane e il vento, Le amiche, La rivedremo in Paradiso, Una collana, Inverno, Cacciatore distratto. 8 9

XVIII

DINO MANCA

Le Monnier licenziò San Silvano12, il suo primo romanzo. L’opera piacque a Giaime Pintor, a Pietro Pancrazi, a Silvio Benco e soprattutto a Gianfranco Contini che sulla rivista “Letteratura” definì l’autore il «Proust sardo»13. Nominato per «chiara fama» di scrittore Provveditore agli studi da Bottai, nel 1941 – dopo la feconda esperienza pisana e l’insegnamento a Ferrara – Dessì prese servizio a Sassari, città nella quale restò per tutto il periodo della guerra. Gli anni sassaresi, segnati da un intenso impegno politico e da importanti frequentazioni filosofiche14, furono altresì gli anni della pubblicazione del romanzo Michele Boschino15, la cui composizione era cominciata a Ferrara, dopo l’uscita della prima raccolta di racconti e contemporaneamente all’uscita del romanzo che lo aveva imposto all’attenzione della critica letteraria nazionale16. Cfr. G. Dessì, San Silvano, Firenze, Le Monnier, 1939 [Milano, Feltrinelli, 1962; Milano, Mondadori, 1981; a cura di A. Dolfi, Nuoro, Ilisso, 2003]. 13 Cfr. G. Contini, Inaugurazione di uno scrittore, “Letteratura”, aprile 1939 [in Esercizi di lettura, Torino, Einaudi, 1974, pp. 175-180]. 14 Si deve tener conto «della formazione gentiliana e delle frequentazioni idealistiche pisane, lo storico dell’arte Ragghianti e Varese, il normalista sardo Borio. Soprattutto […] occorre conoscere meglio le frequentazioni filosofiche sassaresi da Borio a Forteleoni, in un ambiente in cui si discuteva oltre che di socialismo, di idealismo, di contingentismo, di esistenzialismo» (N. Tanda, Lingue e letteratura nella Sardegna moderna e contemporanea, in Dal mito dell’Isola all’Isola del mito, Roma, Bulzoni, 1992, p. 177). 15 Cfr. G. Dessì, Michele Boschino, Milano, Mondadori, 1942 [Milano, Mondadori, 1975; Milano, Mondadori, 1977; a cura di C. A. Madrignani, Nuoro, Ilisso, 2002]. 16 A Pisa, già durante gli anni dell’università, quotidiani e periodici iniziarono a pubblicare alcuni suoi lavori. Nel 1937 collaborò a “La Stampa”, seguirono negli anni poi le collaborazioni a “Primato”, “Il Giornale d’Italia”, “L’Orto”, “Portanova”, “Campano”, “Il Resto del Carlino”, “Il Giornale”, “La Gazzetta del Popolo”, “Il Messaggero”, “Il Giornale”, “Il Tempo”, “Belfagor”, “Il Ponte”, “Botteghe Oscure”, “Il Lavoro”, “Rinascita”, “Sipario”, “L’Unità” e “Paese sera”. Come già scritto, nel 12

Introduzione

XIX

Durante gli anni drammatici del conflitto, Dessì avvertì 1939 venne pubblicata, a cura dell’amico Varese, La sposa in città e uscì San Silvano. Nel 1942 toccò a Michele Boschino e nel 1945 vide la luce un’altra raccolta dal titolo Racconti vecchi e nuovi [Torino, Einaudi, 1945; a cura di M. de las Nieves Muñiz Muñiz, Nuoro, Ilisso, 2010: Giuoco interrotto, Inverno, Una collana, La rivedremo in Paradiso, Un ospite di Marsiglia, Cacciatore distratto, Incontro nel buio, Ricordo fuori del tempo, Un bambino quieto, L’insonnia, Suor Emanuela, Vigilia, Ritratto, Le aquile, Gli amanti, Saluto a Pietro Quendespuitas, Lebda, Paesaggio, Innocenza di Barbara, La cometa]. Nel 1948 a puntate la rivista “Il Ponte” pubblicò Introduzione alla vita di Giacomo Scarbo [Venezia, Sodalizio del libro, 1959; Milano, Mondadori, 1973; a cura di A. Dolfi, Nuoro, Ilisso, 2004] e nel 1949 venne licenziata la Storia del principe Lui [Milano, Mondadori, 1949; 1969; Nuoro, Ilisso, 2011]. Nel 1955 fu la volta de I Passeri [Pisa, Nistri-Lischi, 1955; Milano, Mondadori, 1965; pref. A. Colasanti, Firenze, Giunti, 1997; Nuoro, Ilisso, 2004], mentre nel 1957 furono pubblicati la silloge l’Isola dell’Angelo [Caltanissetta-Roma, Sciascia, 1957; in Lei era l’acqua, Milano, Mondadori, 1966; Nuoro, Ilisso, 2003: Isola dell’Angelo, I segreti, La cometa, La mia trisavola Letizia, Lei era l’acqua, Il bacio, La capanna, Black, La frana], La ballerina di carta [Bologna, Cappelli, 1957; Nuoro, Ilisso, 2009: La mano della bambina, I violenti, La ballerina di carta, La magnolia, Fuga di Marta, La paura, Il fidanzato, La verità, Succederà qualcosa, Paese d’ombra, Giovani sposi, La rondine, Le scarpe nere, Caccia alle tortore, Oh Martina, La ragazza nel bosco, L’uomo dal cappello, Lo sbaglio, Il colera, La felicità, Un canto, La clessidra, L’utilitaria, Il grande Lama, La bambina malata] e i Racconti drammatici [La giustizia, Qui non c’è guerra, Milano, Feltrinelli, 1959] coi quali si affermò anche come autore teatrale. Il dramma La giustizia fu messo subito in scena in molte città italiane e venne trasmesso per radio in Italia ed in Inghilterra. Nel 1961 uscì Il disertore [Milano, Feltrinelli, 1961; Milano, Mondadori, 1974; 1976; a cura di S. Maxia, Nuoro, Ilisso, 1997]. Le sue opere iniziarono ad essere tradotte in molte lingue straniere. Al Festival della prosa di Bologna per La Giustizia ricevette il “Nettuno d’oro” e la seconda rete televisiva venne inaugurata con la rappresentazione di un suo originale dal titolo La trincea [in Teatro Nuovo, marzo-aprile 1962; poi in Drammi e Commedie, Torino Eri, 1965]. Il dramma Eleonora d’Arborea [Milano, Mondadori, 1964; a cura di N. Tanda, Sassari, Edes, 1995; Nuoro, Ilisso, 2010] rappresentò, per i Sardi, quel che l’Adelchi aveva rappresentato per l’Italia risorgimentale, un’opera nazionale e popolare. Negli ultimi anni della sua vita fu pubblicato Paese d’ombre [Mi-

XX

DINO MANCA

e interiorizzò gli effetti devastanti della contingenza storica, il clima di precarietà e d’incertezza che andava lacerando le coscienze di molti intellettuali, disorientati e angosciati dalla tragicità e irrazionalità della guerra. Nel maggio del 1942, qualche mese prima della pubblicazione del romanzo, scrisse: Lina [Raffaella] mi diceva l’altro giorno che io dovrei scrivere ciò che penso di quel che accade nel mondo oggi, delle origini di questo stato di cose; non perché sia importante quello che penso, ma perché è quasi impossibile scrivere altro. Eppure vorrei avere tanta forza da tornare in mezzo a questo tumulto, nell’orto del mio vecchio Boschino, di ritrovare nel dolore rassegnato di uno solo il dolore che oggi oscura il mondo: in altri termini: vorrei ritrovare la forza di pensare il dolore. In fondo, è questo l’unico nostro rifugio […]17.

La tragica esperienza del conflitto pose nuovi e impellenti interrogativi a quegli artisti che si dimostrarono testimoni lucidi di un passaggio storico tormentato e complesso e che adeguarono l’impegno morale alle condizioni mutate e alla profonda trasformazione segnata, ad esempio, di lì a qualche anno dall’uso delle armi atomiche. In questo contesto, acquistò rilievo l’operazione di alcuni scrittori che seppero coniugare l’imperativo civile ed etico con l’impegno estetico, orientato oltre che sul piano dei contenuti, sul versante formale dei linguaggi e delle strutture letterarie. La lettura di Spinoza, Leibniz, Kant, lano, Mondadori, 1972; 1975; Nuoro, Ilisso, 1997] il grande romanzo che gli meritò l’assegnazione del “Premio Strega”. Collaborò ancora a “L’Unità”, “Rinascita”, “Paese Sera” e alle riviste “Nuova Antologia” e “L’Albero”. La morte lo colse, dopo una lunga malattia, il sei luglio del 1977 a Roma, mentre era impegnato nella stesura del romanzo La scelta, pubblicato postumo [a cura di A. Dolfi, Milano, Mondadori, 1978]. 17 G. Dessì, Diari (1931-1948), a cura di F. Linari, Roma, Jouvence, 1999, p. 80.

Introduzione

XXI

Schopenhauer, Nietzsche, Bergson, Proust, Joyce, Einstein, Mann, Hesse, Rilke, Heidegger, Husserl, MerleauPonty e la considerazione più tardi della portata eversiva della pittura di Monet, Manet, Pissarro, Sisley, Cézanne, Van Gogh, Gauguin ma soprattutto di Rouault, Braque e Picasso, offrirono allo scrittore sardo importanti chiavi di lettura della realtà isolana, quegli strumenti filosofici, conoscitivi e narrativi che condizionarono e informarono buona parte della sua scrittura creativa sino a Paese d’ombre: Ancora alla mostra con R. D. e F. e L. M. Checchino s’è un po’ annoiato ma è stato buono. Capito meglio Braque e Rouault e anche Picasso, e sempre più li capisco come ribellione, e ribellione anche all’impressionismo, ch’era, a sua volta ribellione […]18.

E già in Michele Boschino s’iniziano a leggere i segni di questa contemporaneità. Modernità nell’approccio demologico e antropologico che informa soprattutto la prima parte del romanzo, nel relativismo prospettico e conoscitivo (straordinario antidoto contro ogni esclusivismo ed etnocentrismo) – che egli sperimenta come migliore dimostrazione della problematicità (se non talvolta impossibilità) gnoseologica, spesso sconfinante nell’incomunicabilità – nel rinnovato rapporto fra soggetto e oggetto, fra individuo e realtà, nel rapporto tra tempo fisico e interiore, nell’analisi dell’inconscio e subconscio, nella 18 G. Dessì, Diari…, pp. 170 e 235. Il 25 febbraio del 1948 fu inaugurata al “Museo Sanna” di Sassari, grazie all’interessamento di Raffaello Delogu, direttore della Sovrintendenza alle Belle Arti della Sardegna, e di Filippo Figari, direttore dell’Istituto d’Arte, una mostra didattica di pittura moderna presentata con un catalogo da Corrado Maltese, e comprendente stampe stereoscopiche di Manet, Gauguin, Pizzaro, Sisley, Seurat, Deraine, Monet, Manet, Renuart, Cezanne, Van Gogh, Degas, Picasso, Rouault, Matisse e Bonnard.

XXII

DINO MANCA

riduzione fenomenologica attuata attraverso la coscienza dei personaggi. Il Dessì pisano-ferrarese aveva oramai superato e metabolizzato l’ossessivo e «claustrofobico» rovello deterministico-meccanicista derivatogli, tra l’altro, dalla lettura de L’origine dell’uomo di Darwin, del Sistema di filosofia sintetica di Spencer ma soprattutto del Corso di filosofia positiva di Comte. Peraltro da decenni, nella cultura occidentale, era entrato in crisi il modello di razionalità ereditato dall’Illuminismo che a sua volta lo aveva costruito sulla base della rivoluzione scientifica del Seicento. Per i positivisti fine ultimo della conoscenza era stato la spiegazione «oggettiva» del mondo e della realtà, nella sua costituzione materiale, concreta, e nei rapporti di causa ed effetto che la governano; conoscenza assicurata dal metodo scientifico, l’unico che si riteneva potesse possedere i tratti della razionalità e della verificabilità. Tuttavia, un tale modello meccanicista, che si era retto sulla possibilità di comprendere la natura solamente attraverso spiegazioni matematiche e geometriche e sulla possibilità di rappresentarla come una grande macchina che si muove secondo leggi di tipo deterministico, era stato messo in discussione proprio dalle stesse scienze cosiddette «esatte». Infatti, lo sviluppo della termodinamica e precipuamente il suo secondo principio, avevano avvertito dell’irreversibilità del tempo e di un processo unidirezionale che conduce la natura, attraverso l’entropia, alla sua morte termica. La scoperta delle geometrie non euclidee e la teoria della relatività di Einstein, inoltre, avevano attribuito un altro colpo al presupposto che vi potesse essere una sola (e sempre dimostrabile) verità circa il mondo e un’idea del tempo e dello spazio assoluti; ma soprattutto avevano dimostrato che anche le scienze più rigorose si fondano su presupposti convenzionali e relativi:

Introduzione

XXIII

Il tempo passa in fretta, acquista una nuova spaventosa realtà oggettiva con gli anni che passano, con l’odiosa vecchiezza. Si potrebbe dire: la sclerosi del tempo. Io ignoro la geometria, euclidea e non euclidea, ma ho passato, come sai bene, la mia scarlattina relativistica. Mentre ti scrivo il giornale radio annuncia che una stazione radio lanciata sulla luna dagli astronauti molti anni fa si è rimessa a trasmettere misteriosamente. Non mi stupisce. Tutto ciò che succede è successo. Tutto ciò che succede succederà di nuovo. Questi, molto in breve, sono i corollari della mia inespressa geometria, che ha le origini nell’infinito spinoziano19.

Lo stesso dogma secondo il quale l’universo poteva essere descritto come un sistema regolato da rigide leggi di causa ed effetto si era incrinato con la fisica quantistica elaborata da Planck, che aveva intaccato il principio di continuità dei processi naturali. Le implicazioni di un’idea funzionale della scienza, che si fondava sulla produzione di modelli validi non perché ritenuti reali e rispecchianti la natura ma più semplicemente perché funzionanti, erano dunque state molteplici anche negli ambiti della cultura umanistica e filosofica. Mentre nell’antichità e nel Medioevo si era creduto, infatti, che tra il soggetto e l’oggetto ci fosse una corrispondenza, per cui l’atto conoscitivo poteva cogliere l’essenza del mondo, e mentre con la filosofia kantiana si era ritenuto che si potesse conoscere solo ciò che appariva alla struttura razionale dell’«io», nel Novecento era venuta meno un’idea di verità oggettiva come corrispondenza tra individuo e mondo. Si era introdotto così un carattere di convenzionalità e arbitrarietà che andava orientando l’attenzione verso l’analisi del linguaggio e verso gli enunciati (l’oggetto si dà «per» il soggetto conoscente e il «per» è il linguaggio, il testo, il «discorso del mondo»). 19 Giuseppe Dessì ad Anna Dolfi, Roma, 10 aprile 1976. Cfr. G. Dessì, La scelta…, p. 167.

XXIV

DINO MANCA

Le conseguenze sulla visione della società e sui modi di rappresentarla, erano state, com’è noto, di portata storica. Il reale era diventato multiforme, polivalente, senza una prospettiva privilegiata da cui osservarlo, perché infinite erano le prospettive possibili. La realtà per molti artisti era diventata magmatica, «perpetuo movimento vitale», incessante divenire, flusso continuo, non ingabbiabile in schemi totalizzanti e onnicomprensivi. Bergson aveva avvertito che la fluidità mutevole e irriducibile degli accadimenti del mondo (il «divenire»), non poteva essere in alcun modo determinata in senso rigoroso dalle leggi fisiche e matematiche e aveva concluso che accanto a un «tempo esterno», misurabile secondo precise scansioni e accanto a un tempo meccanico della fisica – in cui tutti gli attimi sono rigidamente e convenzionalmente uguali tra loro e si susseguono sempre con lo stesso intervallo – esiste un «tempo interiore», del vissuto soggettivo che si dilata nella coscienza e che da questa è percepito come «durata». La perdita della verità oggettiva, quindi, aveva condotto alla moltiplicazione delle verità soggettive, e quindi all’incomunicabilità e alla deriva monadica, alla moltiplicazione delle solitudini di individui che andavano scoprendo con angoscia di essere «nessuno». La perdita di fiducia nella possibilità di sistemare il reale in precisi moduli d’ordine, il relativismo conoscitivo, il marcato soggettivismo, il crollo di un meta-punto di vista, dunque, avevano collegato molti pittori (Picasso tra tutti) e scrittori (in Italia Pirandello e Svevo) a quel clima culturale europeo in cui si era consumata la crisi delle certezze positivistiche. Nel tema della perdita d’identità e della conseguente disperata ricerca di un senso per l’esistere, molti avevano trovato un motivo di profonda sintonia. Il «male di vivere» era diventato così una condizione individuale estesa all’intera dimensione dell’esistenza. L’individuo rappresentato, privato delle sue certezze, agiva, costretto dentro un mondo

Introduzione

XXV

sempre più segnato dalle convenzioni e dall’inautenticità, sempre in bilico fra sdoppiamento e coscienza di sé, ricerca della verità e relativismo conoscitivo. Nacquero così nella migliore letteratura novecentesca personaggi portatori di un «io» deflagrato, incapaci di inserirsi negli schemi della società, segnati dalla nevrosi e condannati non di rado all’insuccesso e alla solitudine. L’uomo si scoprì fragile, impossibilitato a conoscersi e a conoscere, colpito da una sorta di paralisi della volontà e dell’azione. È evidente che al «Proust sardo», per dirla con Contini, non sfuggì la portata di questa rivoluzione epistemologica, filosofica ed estetica, ma anche ermeneutica, esistenzialista e antropologica20. San Silvano e soprattutto Michele Boschino costituirono il risultato di questa profonda e sofferta maturazione che preparerà le rielaborazioni successive: Ebbene c’è un momento nella vita di Dessì, in cui la superbia idealistica si incrina, sotto la crisi marxista, sofferta e tutta da esplorare e da ricondurre nei suoi termini esatti, almeno quanto ad ortodossia, per un liberal-socialista come lui, come i suoi amici del gruppo pisano, da Capitini a Borio, allo stesso Varese, finché trova nella fenomenologia husserliana un punto di riferimento. Poi attraverso De Martino e Lévi Strauss (il nodo problematico che riguarda il pensiero selvaggio più che le conclusioni scientifiche), quella superbia idealistica cede e crolla la fiducia nella ragione21. 20 «Quanto alla fenomenologia e alla linguistica, (partecipò alla presentazione dell’opera di Bailly, Linguistica generale e linguistica francese), ed è sufficiente scorrere il catalogo del «Saggiatore» di quegli anni per scorgervi opere di Gramsci, De Martino, Kerényi, Cantoni, Paci, Sartre, Lévi-Strauss, Jung; (io stesso ho assistito spesso a discussioni su Merlau Ponty e su Lévi Strauss), né si può trascurare che curatore di quella collana era Giacomo Debenedetti, amico di Dessì» (N. Tanda, Lingue e letteratura…, cit., p. 177). 21 N. Tanda, La Sardegna come la luna di Giuseppe Dessì, in Dal mito dell’isola all’isola del mito, Roma, Bulzoni, 1992, p. 142.

XXVI

DINO MANCA

2. L’intera tradizione del romanzo Michele Boschino si trova conservata nella Sala Manoscritti dell’Archivio Contemporaneo «Alessandro Bonsanti», costituito presso il Gabinetto Vieusseux a Firenze. Essa è parte del «fondo Dessì», tra i più importanti dei circa centocinquanta ospitati nelle sale trecentesche di Palazzo Corsini Suarez, in via Maggio 4222. Per più di vent’anni le carte erano state custodite a Roma, in via Prisciano 75, in casa di Luisa Babini, compagna dello scrittore dal 1954 e sua seconda moglie dall’aprile del 1972. L’intenzione di donare gli scritti del marito all’«Archivio Bonsanti» risalirebbe alla fine degli anni Novanta e sarebbe testimoniata da una lettera datata sei gennaio 1997, anche se il vero atto formale di trasferimento delle carte è certificato da uno scritto del ventuno gennaio 2000 indirizzato all’allora Presidente del Gabinetto Vieusseux, Giovanni Ferrara, e al Direttore Enzo Siciliano23. Il fondo consta di numerosi quaderni e taccuini, appunti preparatori, stesure dattiloscritte in parte compiute, diari, carteggi, fogli sparsi e annotazioni varie che precedono le redazioni definitive e autografe dei racconti e dei romanzi, quando non rimaste allo stato embrionale di nota o di abbozzo. Si deve al rigore e all’acribia filologica della signora Babini la conservazione altresì – insieme al prezioso corpus avantestuale e testuale – di una ricca documentazione paratestuale fatta di carteggi, interviste, articoli, recensioni, traduzioni, pubblicazioni 22 Sull’archivio Dessì cfr. Giuseppe Dessì: storia e catalogo di un archivio, a cura di A. Landini, Firenze, University Press, 2002; Le corrispondenze familiari nell’archivio Dessì, a cura di C. Andrei, Firenze, University Press, 2003; A Giuseppe Dessì. Lettere di amici e lettori, a cura di F. Nencioni, Firenze, Firenze University Press, 2009. 23 Le clausole sottoscritte per la donazione furono: la catalogazione completa del materiale, la pubblicazione del catalogo e l’affidamento ad Anna Dolfi del ruolo di supervisione. Cfr. Giuseppe Dessì: storia e catalogo di un archivio, cit.

Introduzione

XXVII

periodiche con anticipazioni antologiche dei suoi romanzi migliori, corrispondenze, informazioni accessorie che rendono edotto il lettore della circolazione e della ricezione dell’opera24. Analoghi criteri di raccolta e di organizzazione si riscontrano per i testi drammatici, cinematografici e televisivi. Ai testimoni manoscritti e dattiloscritti di sceneggiature, documentari, soggetti, elaborati vari per il teatro, per la televisione e la radio, fa da corollario dell’altro materiale completivo (articoli, opuscoli, lacerti di stampa, notizie sulle traduzioni, copioni, riduzioni da romanzi, commenti a film). A ciò si aggiunge una piccola raccolta di componimenti poetici dall’autore mai definiti o perfezionati. Seguono saggi, introduzioni, presentazioni, recensioni, traduzioni, monografie, interviste, dello e sullo scrittore apparsi su antologie, riviste, quotidiani e cataloghi d’arte. Altre sezioni del fondo sono costituite, inoltre, da quaderni, taccuini, agende con annotazioni di carattere personale e, soprattutto, dalla preziosa corrispondenza di ambito familiare, amicale e lavorativo25. 24 Il materiale riordinato e schedato nel rispetto delle norme archivistiche giunse a Firenze già organizzato in faldoni e raccoglitori sistemati a loro volta dentro quattordici scatoloni accuratamente predisposti e numerati dalla vedova. Si tenga conto, peraltro, che la Babini partecipò tanto alla formazione e alla conservazione dell’archivio del marito quanto alla scrittura (con appunti, note, integrazioni di titoli, segnalazioni, trascrizioni) fin da quando iniziò a vivergli accanto e in particolar modo dopo che nel dicembre del 1964 l’uomo fu colpito da un’emiplegia. È stato quindi dovere del catalogatore «presupporre da parte sua la conoscenza dei criteri in base ai quali lo scrittore amava ordinare e conservare le proprie carte». Cfr. Giuseppe Dessì: storia e catalogo di un archivio, cit. 25 Il corpus è costituito dalle lettere dello scrittore al padre Francesco (e viceversa), alla madre, al fratello Franco (e viceversa), a Luisa Babini (e viceversa), a parenti, ad amici e a destinatari del mondo letterario, editoriale e massmediologico (case editrici, riviste, giornali, teatro, televisione, radio); dalle missive della prima moglie Lina Baraldi e di mittenti vari (colleghi, amici, scrittori, critici).

XXVIII

DINO MANCA

Finisce la raccolta una sezione miscellanea con materiali sui premi letterari e sulla sua attività di pittore. Il romanzo Michele Boschino è, quindi, giunto sino a noi secondo forme e modi di trasmissione differenti, ossia: attraverso redazioni autografe non compiute (tre quaderni di abbozzi che precedono le redazioni strutturalmente compiute e la stesura definitiva del romanzo e che documentano i nuclei generativi e le primitive fasi di elaborazione dell’opera); attraverso redazioni strutturalmente compiute ma non ancora considerate definitive (tre elaborati dattiloscritti e un’ultima bozza di stampa con correzioni manoscritte della prima edizione Mondadori); attraverso redazioni parziali (due articoli usciti rispettivamente su rivista quindicinale e mensile, i cui testi corrispondono in larga parte al VI – con brani del X – e al XIII capitolo del romanzo); attraverso, infine, redazioni compiute e considerate definitive (due edizioni a stampa autorizzate, la prima del 1942 – edizione Mondadori “Lo Specchio” – la seconda del 1975 – edizione Mondadori “Scrittori italiani e stranieri”). Il primo quaderno di abbozzi (Q - GD.1.2.1) reca nella copertina illustrata il titolo Studi per Michele Boschino. Esso è a righe e il testo – composto verosimilmente tra il 1939 e il 1942, generalmente in pulito e con poche correzioni autografe a penna e a matita rossa – è contenuto entro sei carte numerate nel recto e in cifre arabe da mano aliena (probabilmente del catalogatore). Ogni carta misura 204x150 mm. La scrittura, di una mano, è distribuita su ventidue righe nel recto e nel verso, tranne la carta numerata 6, il cui specchio è contenuto nelle ventuno righe; essa è corsiva, inclinata verso destra, con un angolo di 45° circa, prodotta con un inchiostro nero. Il tratteggio, morbido, si caratterizza per l’ampio calibro dei caratteri e per gli allunghi sopra la media. Il ductus appare uniforme per intensità, ampiezza e altezza. Lo stato di conservazione del testimone è buono.

Introduzione

XXIX

Il secondo quaderno (Q1 - GD.1.2.2) non reca alcun titolo, è a righe e il testo – composto anch’esso tra il 1939 e il 1942, con correzioni autografe a penna e a matita blu, nera e rossa – è contenuto entro settantasei carte doppiamente numerate sino alla quindicesima (la numerazione autografa a penna coesiste, infatti, con quella a lapis probabilmente del catalogatore da c. 5r. a c. 15r.), poi unicamente a matita nel recto e in cifre arabe da mano aliena e recenziore. Ogni carta misura 307x210 mm. La scrittura, di una mano, è generalmente contenuta in uno specchio di trentuno righe nel recto e nel verso; essa è corsiva, inclinata verso destra, con un angolo di 45° circa, prodotta con un inchiostro nero. Il ductus appare uniforme per intensità, ampiezza e altezza. Intenso è il processo correttorio. Lo stato di conservazione del testimone, nonostante si riscontrino gore d’umido, sbavature d’inchiostro e residui di carte strappate (una tra le cc. 19-20, due tra le cc. 43-44 e otto tra le cc. 74-75), è nel suo complesso accettabile. Il contenuto narrativo riguarda la seconda parte del romanzo. La tradizione avantestuale si chiude con un terzo quaderno di abbozzi (Q2 - GD.1.2.3), recante sulla copertina il titolo a penna Michele Boschino, di trentacinque carte, a righe, il cui testo – composto tra il 1939 e il 1942, con correzioni autografe a matita e a penna nera e blu – è contenuto dentro le trenta carte numerate (2-31) a lapis nel recto e in cifre arabe da una mano altra (verosimilmente del catalogatore). Ogni carta misura 310x204 mm. La scrittura, di una mano, è (tranne la c. 31v.) generalmente contenuta in uno specchio di trentadue righe nel recto e nel verso; essa è corsiva, inclinata verso destra, con un angolo di 45° circa e prodotta con un inchiostro nero e blu. Per la grafia e il tratteggio valgono le stesse argomentazioni sugli altri testimoni. Residui di fogli tagliati ci sovvengono tra le cc. 1-2 e 24-25. Anche in questo caso intenso è il lavoro revisorio dell’autore e, analogamente a quanto

XXX

DINO MANCA

già scritto, anche il contenuto diegetico di questa sorta di terzo brogliaccio rinvia al «secondo racconto». Il primo dei tre elaborati dattiloscritti (D - GD.1.2.4) – che ha trasmesso testimonianza totale e strutturalmente compiuta del romanzo (ancorché non ancora definitiva), dal quale si è approntata la nostra edizione critica e che costituisce altresì la matrice sulla quale si sono geneticamente evoluti i due dattiloscritti che seguono – si compone di duecentoventi carte sciolte, raccolte in cartella, con correzioni autografe a penna. Ogni carta misura 282x220 mm. Lo specchio di scrittura è, quando a pagina piena, contenuto nel recto e nel verso entro le ventinove interlinee. In questa prima fase redazionale il lavoro correttorio è ancora poco sostenuto. Lo stato di conservazione del testimone è buono. Il secondo e il terzo dattiloscritto (D1 - GD.1.2.5, D2 GD.1.2.6), sono quasi certamente copie carbonate del primo e contengono altre correzioni manoscritte a matita e a penna (inchiostro nero, blu e rosso), attestando, come prima evidenziato, la presenza di nuove fasi elaborative e di più stratificazioni di varianti realizzate. In un caso (D1) le correzioni apportate sono di mano autorale, nell’altro (D2) di mano diversa, verosimilmente intervenuta in una fase successiva (ma sotto stretta sorveglianza dell’autore) per ricopiare in forma leggibile e su una terza copia in pulito la prima campagna correttoria condotta dallo scrittore e testimoniata da D1. Doveva essere consuetudine codificatoria di Dessì, infatti, porre uno o due fogli di carta carbone tra due o tre fogli di carta supplementari per poterne ricavare, attraverso la pressione applicata dalla macchina per scrivere, una o due copie dell’originale su cui poter continuare un eventuale e prevedibile lavoro seriore di revisione testuale. Mentre D1 si compone di duecentoventi carte sciolte, D2 si presenta cucito con fermagli. Il processo rielaborativo continua, anche se solo in mini-

Introduzione

XXXI

ma parte, con la bozza di stampa dell’edizione Mondadori del 1942 (B - GD.1.2.7), che si compone di duecentocinquantanove carte sciolte, raccolte in busta, con correzioni autografe a penna26. Ogni carta misura 228x165 mm. Lo specchio di scrittura è, quando a pagina piena, contenuto nel recto e nel verso entro le trentadue interlinee. La numerazione [1-4], 11-264, è a stampa, progressiva e in numeri arabi. Lo stato di conservazione del testimone è buono, anche se mancano le carte numerate 144 e 145. Per quanto riguarda le redazioni parziali ci restano due articoli rispettivamente su rivista mensile e quindicinale: il primo uscito su “Lettere d’oggi” (L - GD.1.2.8), il cui brano corrisponde, seppur con difformità redazionali, al XIII capitolo del romanzo27; il secondo pubblicato dalla rivista “Primato” (P - GD.1.2.9), il cui testo corrisponde, con talune innovazioni, in larga parte al VI capitolo, con brani, parzialmente modificati, del X28. Infine, chiudono la tradizione testuale del romanzo, le due edizioni a stampa di Arnoldo Mondadori Editore, rispettivamente del luglio 1942 (M1) e dell’agosto 1975 (M2)29. I dati emersi dalla collatio attestano l’esistenza di numerose lezioni divergenti tra i testimoni. Le varianti interne a D e quelle intercorrenti fra D, D1, D2, B e M2, mostrano un percorso correttorio vario e articolato per tipologia, temRaccomandata espresso dalla Casa Editrice A. Mondadori, 20 maggio 1942 all’Illustre Prof. Giuseppe Dessì, R. Provveditore agli Studi di Sassari. 27 Cfr. “Lettere d’oggi. Rivista mensile di letteratura”, III (serie III), 4 (maggio 1941), pp. 30-33. Nell’archivio è conservata l’intera rivista. 28 Cfr. “Primato. Lettere e arti d’Italia”, II, 7 (1 aprile 1941), pp. 9-11. Nell’archivio sono conservate tre copie dell’intera rivista. 29 Cfr. G. Dessì, Michele Boschino, Milano, Arnoldo Mondadori Editore, (luglio) 1942 [edizione “Lo Specchio”]; Milano, Arnoldo Mondadori Editore, (agosto) 1975 [edizione “Scrittori italiani e stranieri”]. 26

XXXII

DINO MANCA

pi e modi d’esecuzione, fasi elaborative e impianto stratigrafico. Il risultato di tale processo restituisce un’identità testuale e redazionale che generalmente coincide, almeno nell’impalcatura diegetica e nella struttura segnica del racconto, con le edizioni a stampa. Le varianti intercorrenti tra i vari testimoni sono, infatti, e come si vedrà, di prevalente natura discorsiva, linguistica e stilistica. Si parte da D per arrivare a M2: D1 D2



D



B M2

distingueva ora distintamente il rumore che faceva la zappa di Michele urtando un sasso, lo schiocco delle forbici, il cigolio lungo del cancello di legno. Si ricordò che da quando s’era ammalato non mangiava più pomodori crudi, e subito gliene venne desiderio.

distingueva ora il rumore ben noto che faceva la zappa urtando un sasso, lo schiocco delle forbici, il cigolio lungo del cancello di legno, e questi rumori gli facevano bene come l’aria della campagna. ||A un tratto si|| (›Si‹) ricordò che da quando si era ammalato non mangiava più pomodori crudi, e subito gli venne voglia di mangiarne.

distingueva ora ›distintamente‹ il rumore /ben noto/ che faceva la zappa ›di Michele‹ urtando un sasso, lo schiocco delle forbici, il cigolio lungo del cancello di legno /e questi rumori gli facevano bene come l’aria della campagna/. Si ricordò che da quando s’era ammalato non mangiava più pomodori crudi, e subito gli (← gliene) venne •voglia di mangiarne (›desiderio‹). distingueva ora il rumore ben noto che faceva la zappa urtando un sasso, lo schiocco delle cesoie, il cigolio lungo del cancello di legno, e questi rumori gli facevano bene come l’aria della campagna. A un tratto si ricordò che da quando si era ammalato non mangiava più pomodori crudi, e subito gli venne voglia di mangiarne.

Una storia a sé vivono, invece, le redazioni parziali testimoniate da P e L, i due articoli usciti rispettivamente su rivista quindicinale e mensile e i cui testi corrispondono in larga parte al VI (con brani del X) e al XIII capitolo del romanzo. Nel primo caso l’autore compie una singolare opera di contaminatio, ossia di riscrittura creativa del testo fatta attraverso l’inserzione all’interno di un capitolo-

Introduzione

XXXIII

modello di unità narrative, descrittive e discorsive appartenenti a luoghi differenti dell’opera. Nel secondo caso il lavoro di rielaborazione, pur non replicando le modalità proprie della precedente trasmissione orizzontale, tuttavia pone ugualmente in essere interventi di profonde modifiche di assetto30. Il primo lavoro di analisi ha riguardato, dunque, l’individuazione e lo studio della tipologia, dei modi di esecuzione e delle fasi elaborative delle varianti tutte interne a D. L’importanza filologica e documentaria del primo dattiloscritto, infatti, sta proprio nella sua marcata distanza formale e redazionale rispetto a tutti gli altri testimoni seriori. La seconda operazione svolta sulla tradizione d’autore è stata invece quella di studiare i rapporti reciproci intercorrenti tra tutte le testimonianze strutturalmente compiute (D, D1, D2, B e M2) e di stabilire se esista tra loro identità redazionale, oppure difformità e, nel qual caso, di che natura e portata, ritenendo più opportuno destinare l’incompiuta e germinale documentazione avantestuale e paratestuale ad altri e più appropriati contesti argomentativi31. Il primo esemplare dattiloscritto che ha trasmesso testimonianza totale del romanzo presenta un processo correttorio poco intenso, con poche varianti soprattutto di tipo soppressivo e sostitutivo (raramente instaurativo) e con molte carte in pulito. Gli sporadici interventi per espunzione, almeno in questa prima fase, sono prevalentemente finalizzati allo snellimento dell’architettura sintattica e narrativa e alla potatura di ridondanze discorsive ed esplicative secondo un orientamento correttorio, volto all’essenzialità e al sottinteso, che si definirà meglio, per intensità e sistematicità, nelle successive revisioni: Cfr. Appendice C. Il testo critico del primo quaderno (Q) con apparato genetico è stato collocato a titolo esemplificativo in cauda. Cfr. Appendice B. 30 31

XXXIV

DINO MANCA

|le sfiorò| (›allungò la mano‹) D; magri. ›|La pelle pareva posata su quelle grandi ossa| (›Le grandi ossa parevano‹)‹ Lentamente D; confermavano. ›Doveva essere una di quelle poverette che vanno a lavorare a giornata dove la chiamano‹ Qualche D



D



D

la portò nel capanno.   Della grassazione di Cantòria le parlò solo molto tempo più tardi, quando Severina era sua moglie già da parecchi mesi.   Della grassazione non pensò più a parlargliene, anche perché quel segreto non gli pesava più ormai. Come accade alle persone che si trovano all’improvviso in una condizione nuova, Severina fantasticava per suo conto anche quand’era in compagnia. Le piacevano certi lavori quieti, come mondare il grano e fare la farina, e le tornavano in mente le nenie con le quali ninnava i bambini di sua sorella, e le cantava a mezza voce

D1ª

la portò nel capanno.   ›Della grassazione di Cantòria le parlò solo molto tempo più tardi, quando Severina era sua moglie già da parecchi mesi.‹   Della grassazione non pensò più a parlargliene, anche perché quel segreto non gli pesava più ormai.

D1ª

›Come accade alle persone che si trovano all’improvviso in una condizione nuova, Severina fantasticava per suo conto anche quand’era in compagnia. Le piacevano certi lavori quieti, come mondare il grano e fare la farina, e /le tornavano in mente/ |le canticchiava a mezza voce| [-] le nenie con le quali ninnava i bambini di sua sorella, e le cantava a mezza voce‹ Quando, dopo le nozze, Maddalena non seppe resistere alla tentazione di riferirgli certe chiacchiere che la gente aveva fatto sul suo matrimonio, Michele, invece di adirarsene, come sua madre s’aspettava, disse che non gliene importava nulla.

Se l’identità di M2 è il risultato finale di un processo revisorio che parte da D, per il filologo che voglia addentrarsi nei meccanismi compositivi ed evolutivi dell’opera, è fondamentale indagare e descrivere da subito la portata, la gradualità e l’intensità di tale impianto stratigrafico. Nel nostro caso la campagna correttoria conosce diverse fasi elaborative variamente realizzate. La prima marcata evo-

Introduzione

XXXV

luzione testuale è attuata dall’autore nel passaggio da D a D1. Il picco variantistico, che trova evidente esplicazione soprattutto nel secondo dattiloscritto, si caratterizza per la molteplicità e intensità degli interventi:

D

D1 = M2

Parenti e (›Anche altre persone,‹) amici comuni cercarono /inutilmente/ di convincere •i due testardi a desistere (›Benedetto e Salvatore a lasciarlo in pace‹) ›finché Giuseppe, vedendo che tutto era inutile, pregò queste persone di non occuparsi più della cosa. “Io” diceva Giuseppe “li ho ascoltati fin’ora perché mi dispiaceva di vederli sempre così inquieti. Ma se proprio ci vogliono stare, nella loro rabbia, che friggano pure!”‹.   Un giorno ›però‹ Salvatore •



Anche altre persone, amici comuni, cercarono di convincere Benedetto e Salvatore a lasciarlo in pace, finché Giuseppe, vedendo che tutto era inutile, pregò queste persone di non occuparsi più della cosa. “Io” diceva Giuseppe “li ho ascoltati fin’ora perché mi dispiaceva di vederli sempre così inquieti. Ma se proprio ci vogliono stare, nella loro rabbia, che friggano pure!” Un giorno però Salvatore

Parenti e amici comuni cercarono inutilmente di convincere i due testardi a desistere.   Un giorno Salvatore

La redazione di D1 coincide in larghissima parte con quella di D2, nonostante esistano delle difformità dall’editore comunque accolte in apparato (divergenze che si possono spiegare con una non sempre attenta e impeccabile opera di trascrizione del processo correttorio fatto dall’esemplare D1 alla sua copia D2 da mano aliena): l’invidia] e l’invidia DD2 ›e‹ l’invidia D1 me:] me, D me; (← me,) D2 me: D1 ringrazierei;] ringrazierei, D D2 ringrazierei; D1 preventivo] preventivo|,| D1 D2 preventivo D viaggio] viaggio, D1 viaggio D D2 B teneva] tenesse D D2 teneva (← tenesse) D1 tetto; il] tetto. Il D D2 tetto; il (← tetto. Il) D1 persone,] persone D D2 persone|,| D1 lui;] lui, D D2 lui; D1 dall’occhio alla spalla,] dall’occhio alla spalla D dall’/angolo dell’/occhio alla spalla|,| D1 dall’›angolo dell’‹occhio alla spalla, D2 Gli sarebbe…

XXXVI

DINO MANCA

chiuso,] Avrebbe voluto stendersi lì sulla paglia, accanto ai buoi, dire a Beniamino che poteva andarsene per i fatti suoi, D •Gli sarebbe piaciuto potersi (›Avrebbe voluto‹) stendere (← stendersi) lì|,| sulla paglia, •tra le mangiatoie dei (›accanto ai‹) buoi, dire a Beniamino che •se ne andasse al chiuso (›poteva andarsene per i fatti suoi‹), D1 • Gli sarebbe piaciuto potersi (›Avrebbe voluto‹) stendere (← stendersi) lì|,| sulla paglia, •tra le mangiatoie dei (›accanto ai‹) buoi, dire a Beniamino che •poteva andarsene (›poteva andarsene per i fatti suoi‹), D2 Gli sarebbe piaciuto potersi stendere lì, sulla paglia, tra le mangiatoie dei buoi, dire a Beniamino che se n’andasse al chiuso, B guardasse] guardassero D D2 guardasse (← guardassero) D1 accaduto ora] accaduto di lui D D2 accaduto ›di lui‹ D1 accaduto ||ora|| (›di lui‹) B nulla] altro D D2 •nulla (›altro‹) D1 uno smemorato; in lui] come uno smemorato. Nel vecchio D come uno smemorato, (← smemorato.) • in lui (›Nel vecchio‹) D2 come uno smemorato; (← smemorato.) •in lui (›Nel vecchio‹) D1 un buco…infilarvi.] un buco dove voi, coi vostri intrighi, potevate infilarvi. D D2 un buco dove voi, /potevate entrare come ‹pesci›/ coi vostri intrighi, potevate infilarvi. D1 un buco dove voi, coi vostri intrighi potevate infilarvi. B magra, piuttosto] magra e piuttosto D D2 magra|,| ›e‹ piuttosto D1 canna, e] canna e D D2 canna|,| e D1 carro;] carro, D D2 carro; (← carro,) D1 come se…fortuna».] come se disapprovasse quel fatto. «Ti auguro fin d’ora buona fortuna». D come se disapprovasse quel fatto. «Ti auguro ›fin d’ora‹ buona fortuna». D2 come se /dentro di sé/ disapprovasse quel fatto. «Ti auguro ›fin d’ora‹ buona fortuna». D1 sposa;] sposa, D D2 sposa; (← sposa,) D1 veniva fuori] usciva D •usciva (›ausciva b•veniva fuori‹) D1 •veniva fuori (›usciva‹) D2 veniva ||fuori|| (›quasi‹) B gioia;] gioia, D D2 gioia; (← gioia,) D1 carretta;] carretta, D D2 carretta; (← carretta,) D1 sul] sul suo D D2 sul ›suo‹ D1 cose,] cose D D2 cose|,| D1 Aurelia] Anna D D1 •Aurelia (›Anna‹) D2 d’amaranto] di rosso D D2 di •amaranto (›rosso‹) D1 d’amaranto B col quale] con quale D D1 con /il/ quale D2 col quale B poi,] poi D D2 poi|,| D1 accettato] accetato D D1 accet|t|ato D2 E anche] Anche D D2 E anche (←

Introduzione

XXXVII

Anche) D1 stramazzò,] stramazzò D D2 stramazzò|,| D1 macellaio] maccellaio D D1 ma›c‹cellaio D2

Una seconda significativa ricognizione testuale con ulteriore labor limae si riscontra, a seguire, nel passaggio da D1D2 a B. Il vettore correttorio conosce, infatti, un’altra impennata. L’autore non si limita – nel passaggio dai dattiloscritti alla bozza che precede la prima edizione Mondadori (M1) – alla correzione dei soli refusi ma, colto da nuovi ripensamenti e prima di dare alle stampe, innova ancora e in non pochi luoghi del testo (B = M1)32:

D D1 D2

Ma quando poi fu nell’orto, si straiò all’ombra del pergolato, accanto alla vasca, ›e non si mosse di lì per tutta la giornata‹ con la testa sul basto del mulo. Disse che voleva star lì un poco a riposarsi, e si addormentò beatamente allo scroscio del ritrecine. Michele gli mise accanto una brocchetta d’acqua fresca, per quando si svegliava, e andò a zappare, poco discosto. Ogni tanto, sentendolo parlare, tornava;

Ma quando poi fu nell’orto, /fu preso da una grande stanchezza./ Si sdraiò (← si straiò) all’ombra del pergolato, accanto alla vasca, con la testa sul basto del mulo, (← mulo.) ›Disse che voleva star lì un poco a riposarsi,‹ e si addormentò beatamente allo scroscio del ritrecine. Michele gli mise accanto una brocchetta d’acqua fresca, per quando si svegliava, e andò a zappare, poco discosto. Ogni tanto, sentendolo parlare, tornava;

B

Ma quando fu poi nell’orto, fu preso da una grande stanchezza. Si sdraiò all’ombra del pergolato, accanto alla vasca, con la testa sul basto del mulo e si addormentò beatamente allo scroscio del ritrecine. Michele gli mise accanto una brocchetta d’acqua fresca, per quando si svegliava, e andò a zappare ||i cavoli|| (›poco discosto‹). Ogni tanto, ||parendogli di sentirlo|| (›sentendolo‹) parlare, tornava;

Accade, inoltre, anche se eccezionalmente, che alla lezione definitiva si arrivi solo con M2. A trentatré anni 32 Da qui in avanti la sigla B designerà sia B (ultima bozza di stampa) che M1 (Iª edizione, 1942).

XXXVIII

DINO MANCA

di distanza, infatti, Dessì sottopose la redazione de “Lo Specchio” a una nuova, ancorché lieve, ricognizione testuale in vista della riedizione Mondadori “Scrittori italiani e stranieri” dell’agosto del 1975. A tal proposito e a titolo esemplificativo si propongono le seguenti combinazioni corrispondenti alle distinte vicende elaborative realizzate: D D1 D2 B M2



voleva

esigeva

nei cassoni

nelle cassapanche

disse neppure la cosa

disse la cosa

ringiovanito dalle loro parole. Ed era ringiovanito di pudore. Io non un piacere misto di pudore. Io non Mi assumo io il peso e la conseguenza In questo momento me ne assumo io della bestemmia. stesso il peso e la conseguenza.

parola. Se D D1 D2 parola! se B parola!, se M2 confondeva a quello D D1 D2 fondeva (← confondeva) ||con|| (›a‹) quello B confondeva con quello M2 e mi guardai D ma (← e) mi guardai D1 D2 B ma mi guardavo M2 Lo ricostruivo D l’ho ricostruito (← Lo ricostruivo) D1 D2 B l’ho riconosciuto M2 bruciavano… D bruciavano il culo (← …) D1 D2 B bruciavano il sedere. M2

Com’è altresì capitato che, o per un successivo ripensamento o per distrazione, l’autore (o chi per lui) abbia ristabilito (o ricorretto o semplicemente lasciato) – nello stesso luogo del testo di una versione successiva – una

Introduzione

XXXIX

lezione in precedenza emendata e non coincidente con quella terminale di M2: e l’invidia D ›e‹ l’invidia D1 e l’invidia D2 l’invidia M2

Infine, sia pur di rado, l’editore si è imbattuto in B in una sorta di lectio singularis, nonostante che alla lezione definitiva si fosse già giunti, nello stesso luogo del testo, con le precedenti lezioni o di D, o di D1 oppure di D2: Erano un certo Pedonca, capraio, padrone D C’erano invece Pedonca, il padrone D1D2 C’erano invece Pedònca, il padrone B C’erano invece Pedonca, il padrone M2

Altre lezioni confinate a una testimonianza isolata e innovazioni o varianti (anche alternative) riscontrate in un solo testimone sono: disse|,| /e gettò/ gettando D1 gettando D D2 B M2 /ai truogoli/ in ogni truogolo D1 in ogni truogolo D D2 B M2 /in molti/ non D1 non D D2 B M2 paura ›di Salvatore e di Benedetto‹, D1 paura di Salvatore e di Benedetto, D D2 B M2 chi se (›non se‹) le ricordava più|?| /.che colore avevano?/ D1 non se le ricordava più D D2 B M2



2

giovane 1voce B voce giovane D D1 D2 M1 M2

interiore, D D1 D2 B interiore M2 L’orto D D1 D2 B Lo orto M2

In conclusione e per riassumere possiamo dire che, sebbene buona parte delle lezioni di D trovi sostanziale esito

XL

DINO MANCA

e conferma dapprima in D1, poi in D2, infine (anche se comprensibilmente sempre di meno) in B e in M2, Dessì ha sempre e gradualmente innovato a tutti i livelli e sino all’epilogo della parabola evolutiva del romanzo coincisa con l’edizione del 1975, a due anni esatti dalla sua morte. A questo punto ci chiediamo: di che natura sono le varianti? Qual è stato il vettore correttorio? Quale orientamento di senso l’ha legittimato e motivato? Innanzitutto gli interventi revisori hanno riguardato gli aspetti ortografici e lessicali (errori di battitura, accenti, apostrofi, punteggiatura, doppie e scempie, pertinenza lessicale e parole considerate inadatte, imprecise, ridondanti): Sta D D1 D2 B Sta’ M2; Stai D D1 D2 B Sta’ M2; fin’allora D D1 D2 B fin allora M2; qual’è D D1 D2 B qual è M2; cose D D2 cose, D1; foglie, D D1 D2 foglie B; tutto D D1 D2 tutto, B; sopratutto D D1 D2 B soprattutto M2; strappazzarla D1 D2 B strapazzarla M2; accetato D D1 accettato D2B; un’avversione (›un odio‹) D; nemmeno D neppure D1; neanche D neppure D1; nei cassoni D D1 D2 B nelle cassapanche M2; sentiva D D1 D2 udiva B; capitato D successo D1; bue che si scostò D bue, che si ritrasse D1; tornata D ridiventata D1; facile D D1 D2 agevole B; pensieri riposti D D1 D2 2pensieri 1riposti B; del vecchio D di suo padre D1; incontrare D imbattersi D1; s’alzavano D si drizzavano D1; silenzioso D D1 D2 zitto B; padre D morente D1; gettato D D1 D2 B portato M2

Ad un secondo livello si collocano, invece, le emendazioni, innovazioni e calibrature morfo-sintattiche (tempi e modi verbali, periodi, coesivi, concordanze): facesse D fa D1; cercavo D ho cercato D1; Potevo D Potevamo D1; avrebbe chiuso D chiudeva D1; fossi venuto D venivo D1; e sia D se è D1; si è D siamo D1; muore D D1 D2 è morto B; scomparve D era scomparsa D1; potesse D D1 D2 poteva B; stava aiutando D D1 D2 aiutava B; con l’aiuto di un servo allo stesso modo che un cane

Introduzione

XLI

straiato al sole sente le pulci passeggiargli sotto il pelo. L’orto e il podere erano parti del suo stesso corpo. Gli bastava chiuder gli occhi D con l’aiuto di un servo. Gli bastava chiuder gli occhi D1; alla bella vigna di Maddalena nei pressi del ponte del Faraone. D alla bella vigna del Faraone. D1; rimedio. Così almeno spiegava l’antipatia istintiva che sentiva per lui. Siccome D rimedio. Siccome D1; le persone: solo che si guardava bene dal farne parola per non fare la fine di Giovanni Boschino. Tra questi D le persone. Tra questi D1; se niente fosse. Erano lì come certa gente che va in chiesa per abitudine, quasi per far piacere agli altri. Ma era D se niente fosse. Ma era D1 D2 prima. Ma era B; e gli pareva di udire, tra gli alberi della riva, voci di uomini. Disse che l’orto lo avrebbe visto un altro giorno, e che per quella volta gli bastava di respirare quell’aria buona che lo rigenerava. Michele tornò alle prere, D e udiva tra gli alberi della riva, voci di uomini. Michele tornò al lavoro, D1 D2 e udiva tra gli alberi della riva voci di uomini. Michele tornò al lavoro, B

A un terzo livello il discorso variantistico si sposta sul versante più strettamente narrativo e stilistico, con una più stringente tendenza sostitutiva o espuntiva. Lo scrittore, infatti, intensifica, soprattutto in D1, il lavoro di controllo e di sfoltimento del sottobosco narrativo, potando e limando quanto più possibile gli elementi sovrabbondanti che ostacolano, rallentandolo, il percorso diegetico, innovando sui significanti e sugli aspetti più specificatamente formali33. Sul «come», dunque, si determina la parabola evolutiva del romanzo, a partire proprio da D. È sul 33 Per rendere il ritmo narrativo più sostenuto l’autore ha innovato a diversi livelli formali ed espressivi. Da ascrivere a questa finalità crediamo vi sia anche la frequentissima consuetudine codificatoria – precisatasi sempre meglio nell’evoluzione da D a M2 – di apostrofare (“gl’infondeva”) e soprattutto di apostrofare le particelle pronominali atone davanti a vocale diversa da «i»: «s’affaccia» anziché «si affaccia»; «s’era»; «s’avvicinò»; «s’arrampicava»; «s’addormentò»; «s’alzò»; «s’aprivano»; «s’affidava»; «s’accorava»; «s’asciugava».

XLII

DINO MANCA

«come», infatti, che si definisce la stessa identità semantica del racconto, la quale, appunto e per converso, non può prescindere dalla peculiarità della sua forma. Partendo da un tale assunto si comprende altresì l’importanza di una filologia d’autore che, permettendoci di studiare la genetica del testo e i diversi stadi di elaborazione, può meglio chiarirci il rapporto intercorso tra l’autore e la sua opera34. Altre volte e in altri contesti chi scrive ha ricordato – a proposito del laboratorio deleddiano, dell’ars dictandi e di quel «farsi del testo» che è proprio di ogni artigianato compositivo e di ogni opera d’arte – che lo scrittore tende a essere reticente, talvolta essenziale (il massimo della comunicazione col minor numero di parole), perché il suo scopo è di creare atmosfere e non unicamente di mostrare i fatti, di raccontarli e non solo di fotografarli, di sublimarli in poesia e non di riprodurli pedissequamente. La trasfigurazione letteraria della realtà è, infatti, fondamentalmente simbolica, non esclusivamente denotativa e referenziale. La letteratura è evocazione, immaginazione, omissione e la sospensione dell’incredulità si fonda molto sul non-visto e sul non-detto, perché il non raccontato può contare almeno quanto l’esplicitato35. Ancor di più questo discorso acquista significato e valore per un autore dello sguardo, della memoria e dello scavo psicologico, ontologico e conoscitivo qual è stato Dessì: 34 Analogo discorso si è fatto a proposito della filologia deleddiana e, come già per la scrittrice sarda, analogamente si constata la quasi totale assenza di edizioni critiche con apparato genetico o diacronico di buona parte dell’opera dessiana. Tra le poche esistenti meritano di essere ricordate per completezza e rigore (presenza di testo critico, apparato diacronico, nota al testo, introduzione, note esplicative e di commento) soprattutto quelle approntate da Franca Linari: Diari 1926-1931, Roma, Jouvence, 1993; Diari 1931-1948, Roma, Jouvence, 1999; Diari 1949-1951, Firenze, University Press, 2009. 35 Cfr. D. Manca, Introduzione a G. Deledda, L’edera, Cagliari, Centro di Studi Filologici Sardi/Cuec, 2010, p. XCV.

Introduzione

XLIII

Vacca disse che non era il caso di ritentare, dato che il colpo non era riuscito, e diede ai compagni l’ordine di ritirarsi. |Prima di allontanarsi| (›Prima di andare via‹) si avvicinò al ferito, cavò di tasca il coltello da caccia, si chinò su di lui. Cosimo si voltò dall’altra parte: sentì una specie di gorgoglio, un sospiro, poi più nulla. In silenzio s’avviarono verso la radura.   A Cosimo e a Michele fu intimato, sotto la minaccia dei fucili spianati, di continuare il viaggio come se nulla fosse accaduto.   Cosimo e Michele furono lasciati liberi con l’ordine preciso di continuare il viaggio come se nulla fosse stato. E quattro giorni dopo tornarono a Sigalesa coi loro acquisti: il torello da monta e il giogo di buoi da lavoro.   Interrogati dal capo della gendarmeria se avessero incontrato uomini armati sulla strada di Forri, dissero di no, e furono lasciati in pace.



D

Erano rimasti lì un poco, poi vedendo che non era il caso d’arrischiarsi a un nuovo tentativo, se n’erano tornati verso la radura dov’erano i cavalli. Vacca era rimasto indietro col ferito, che fu trovato poi sgozzato come un agnello.   A Cosimo e a Michele fu intimato, sotto la minaccia dei fucili spianati di continuare il viaggio come se nulla fosse accaduto.



D2

B M2

Erano rimasti lì un poco, poi vedendo che non era il caso d’arrischiarsi in un nuovo tentativo, se n’erano tornati verso la radura dov’erano i cavalli. Vacca era rimasto indietro col ferito, che fu trovato poi sgozzato come un agnello.   A Cosimo e a Michele fu intimato, sotto la minaccia dei fucili spianati di continuare il viaggio come se nulla fosse accaduto.

D1

Erano rimasti lì un poco, poi pensando che non era il caso d’arrischiarsi a un nuovo tentativo, se n’erano tornati verso la radura, dov’erano i cavalli. Vacca era rimasto indietro col ferito, che fu trovato poi sgozzato come un agnello.   A Cosimo e a Michele fu intimato, sotto la minaccia dei fucili spianati, di continuare il viaggio come se nulla fosse accaduto.

Michele Boschino è un «doppio racconto», ciascuno con propria fonte di emittenza narrativa, proprio orientamento ideologico e orizzonte percettivo, proprio incrocio di punti di vista con rispettivi percorsi conoscitivi, proprie situazioni pratico-esistenziali dinanzi alle quali si pongo-

XLIV

DINO MANCA

no in relazione gli eventi narrati, non sempre legati fra loro e, tuttavia, complementari e funzionali a una storia principale. Episodi apparentemente diversi confluiscono, in modo non di rado speculare, nell’alveo di un percorso condiviso riproducendone il paradigma diegetico. Tale «doppio racconto», dunque, ruota intorno ad un principale centro di gravità, Michele Boschino, appunto, alla sua storia, al suo vissuto, alla sfera pragmatica in cui è coinvolto, alla sua visione del mondo e della vita. Questa sorta di «racconto ripetuto» sembra ripercorrere – secondo direzioni, orientamenti e prospettive differenti – il corso di un fiume, in un certo qual modo metafora della vita di un contadino del centro Sardegna, vittima di soprusi e rancori che lui stesso vorrebbe a un certo punto dimenticare per poter finalmente morire in pace: Cose e gesti che ritornano, situazioni che si ripetono, dovrebbero vivere nel libro come un albero vive nella campagna; vivere e rivelarsi dai diversi punti di vista da cui l’occhio dello scrittore e del lettore lo guardano, e nei mille possibili e taciuti punti di vista. Avere in sé queste mille possibilità come cose reali. Credo che tutto il libro sia impostato in questo senso. Ci sono due punti di vista che interferiscono, quello oggettivo e quello soggettivo del giovane e della introspezione, ma il racconto è solo apparentemente continuato: in realtà è ripetuto […] Tutto sta in questa ripetizione, in questo aprire due punti differenti sull’orizzonte, da cui convergono due raggi in un solo punto. Vorrei che si sentisse la possibilità di mille altri raggi. Il lettore, nel mio ideale, dovrebbe sentire, al di là della più rigorosa precisione della mia immagine, il desiderio fantastico di ripensarla36. 36 Lettera di Giuseppe Dessì a Carlo Varese, 1947. La lettera si trova pubblicata in: G. Dessì, Dal romanzo inedito Michele Boschino, “Lettere d’oggi. Rivista mensile di letteratura” III (serie III), 4 (maggio 1941), pp. 32-33; C. Varese, Introduzione a Michele Boschino, Milano, Mondadori, 1975, p. VII.

Introduzione

XLV

Si tratta di un viaggio, soprattutto in un caso, dal forte taglio analitico – memoriale, condotto in profondità (in entrambi i racconti attraverso una marcata alterazione dell’ordine lineare degli eventi) da due narratori diversi per statuto e funzione. La prima istanza produttrice del discorso narrativo richiama, molto sinteticamente, un narratore onnisciente, extradiegetico ed eterodiegetico. La seconda, più complessa, ricorda un narratore omodiegetico, rappresentato, protagonista, testimone (diretto e indiretto) e implicato nella vicenda37; emittente della narrazione e agente della storia, quest’ultimo gravita intorno al pianeta Boschino: Boschino era ancora bambino, quando suo padre cominciò a essere in urto coi fratelli, a causa di una piccola eredità che essi non volevano riconoscergli. A quanto ho capito, si trattava di un giogo di vecchi buoi. Questi fratelli, zii di Boschino, non avevano nessun diritto all’eredità, tanto è vero che ricorsero a minacce e finirono per passare alle vie di fatto: più volte picchiarono a sangue il padre di Boschino. Finché costui, stanco, un giorno reagì e spaccò la testa a uno dei fratelli. Fu denunciato e condannato a due anni di reclusione... Con tutto questo, Boschino dice che suo padre, dopo scontata la pena, non serbava rancore né contro i fratelli, né contro i testimoni che con le loro deposizioni ambigue avevano confuso le idee dei giudici. (Bada bene che queste sono le testuali parole che traduco dal dialetto. Boschino ha un altissimo concetto della legge e di chi l’amministra: il Procuratore del Re è per lui una persona quasi sacra.) Il padre di Boschino era un uomo mite, che smentiva il suo sangue violento e cruccioso. Nella famiglia, era ‘come un ramo d’olivo in un albero d’olivastro’ dice Boschino. Conoscendo bene i fratelli, esortò sempre suo figlio a evitare con loro ogni relazione, per l’avvenire, anche se avesse37 L’io narrante racconta innanzitutto se stesso, e fa di una parte della sua vita l’oggetto del racconto.

XLVI

DINO MANCA

ro mostrato di essergli amici. Boschino invece, dopo la morte del padre, si riconciliò con loro. Aveva comprato un terreno da mettere a vigna. Se ho ben capito, una parte di questo terreno, che apparteneva a una vedova, era intestato, forse per errore, a uno degli zii, che ne pagava anche le tasse; e la vedova lo rimborsava anno per anno. Da alcuni anni però, quando Boschino comperò il terreno, questo rimborso non veniva fatto. Boschino detrasse questa esigua somma dal prezzo del terreno che pagò alla vedova, per versarla allo zio, che già precedentemente s’era impegnato a far la voltura a suo favore. Lo zio però trascurò, in buona o in mala fede, di far la voltura, e i figli, dopo la sua morte, non vollero più sentire ragioni e pretendevano d’impadronirsi della parte intestata a loro che era al centro del terreno comprato da Boschino. Ci fu una prima causa, perduta, naturalmente, dai cugini. Rinasceva così, sotto altra forma, l’antica contesa, che finì per assumere tutti gli aspetti di quell’altra, perché i cugini non si davano pace, e chiedevano a loro volta un risarcimento dei danni della causa, riportando anche in ballo la questione dell’antica eredità! Qui, nella vicenda, considerata da un punto di vista oggettivo c’è un punto oscuro, che solo io forse sono in grado di spiegare. A un certo punto tutte e due le famiglie degli zii si trovano coinvolte nella contesa, mentre la causa era stata fatta contro gli eredi di uno solo di essi. A me è sembrato di capire che Boschino, per metter termine alla cosa, abbia promesso di dare – cioè di regalare – un giogo di buoi al più giovane dei cugini, figlio di Salvatore, quello che strepitava più di tutti. E meno strano di quanto può sembrare. Perché Boschino era rimasto vedovo, senza figli, e con un patrimonio discreto. Secondo la mia idea, gli altri parenti quando seppero che Boschino aveva deciso di regalare i buoi al giovane, accamparono anche loro dei diritti. Allora Boschino ritirò la promessa fatta. Tu ti chiederai perché. E molto semplice: Boschino, cedendo i buoi, non intendeva riconoscere il diritto dei parenti sull’antica eredità, ma comporre la lite presente. Intendeva fare un dono al cugino, un dono che fosse anche il prezzo, il suggello della pace – e che aveva la forma

Introduzione

XLVII

dell’antica pretesa dei parenti: un giogo di buoi. Le pretese avanzate dagli altri trasformarono questo giogo di buoi nell’oggetto stesso della contesa primitiva, ormai conchiusa con gli zii morti. Si trattava di ammettere il torto del padre, il proprio, di rimangiarsi tutto, di toglier valore alla riconciliazione avvenuta con quegli altri due che non c’erano più. Niente di strano dunque se Boschino non mantiene la promessa fatta. Poco tempo dopo, il giovine a cui erano stati promessi i buoi, se li prese dal chiuso di nascosto: era un furto, Boschino avrebbe potuto denunciarlo: ma invece non lo fece neanche quando si seppe che i buoi erano stati portati via, in un paese del Goceano. Minacciò però di sporgere denunzia, e allora i parenti del ragazzo gli promisero di fargli restituire i buoi o di rimborsarlo in qualche modo, e di pagargliene intanto il fitto. Per molti anni Boschino portò pazienza, e sempre, a chi gli chiedeva dei buoi, diceva di averli dati in affitto al cugino. Costui però andava dicendo che non gli avrebbe mai pagato un soldo, perché, secondo lui, Boschino era sempre debitore verso suo padre per via della vecchia eredità, e per giunta cominciò a metterlo in ridicolo. I parenti lo secondavano, e siccome Boschino, con la sua tolleranza, s’era fatto la fama di un buono a nulla, tutti credevano di poter approfittare della sua roba. Allora gli fu consigliato di rivolgersi a un avvocato. Antonio Colliva, che cominciava in quel tempo la sua carriera lavorando in provincia, gli offrì di patrocinarlo. Esaminata la questione gli assicurò che sarebbe riuscito a fargli restituire i buoi senza ricorrere al Tribunale. Era quel che desiderava Boschino. L’avvocato si fa fare una procura generale, interroga i testimoni, minaccia di denunciare il giovane per furto. I parenti protestano, affermano di aver avuto in affitto i buoi, si compromettono tutti quanti. Era lo scopo dell’avvocato, che intenta subito la causa per la restituzione dei buoi e per il pagamento del fitto di tutti quegli anni. Boschino ormai doveva accettare ciò che l’avvocato imponeva, e forse non si rendeva conto delle precise richieste del suo difensore. La causa è vinta. Capitale, interessi, spese della causa, onorario degli avvocati raggiungono una cifra incredibilmente alta. La

XLVIII

DINO MANCA

roba dei disgraziati parenti viene messa all’asta. Non so dirti come si siano trovati tutti implicati, nella causa, ma è un fatto che si rovinarono tutti per cercare di salvarne uno. Questa fu una vera disgrazia anche per Boschino. Ormai non poteva più vivere nel suo paese. Incaricò l’avvocato di vendere anche la sua roba e se ne andò col carro e i buoi. Si diresse verso Parte d’Ispi, dove lo chiamava il ricordo della moglie, che era di Mamusa. E si stabilì qui a Ultra […]38.

Grande è il significato che, nella generale poetica dello scrittore, assume la temporalità proustianamente intesa come durata soggettiva, misura del vissuto e del percorso esperienziale dell’«io», come rapporto imperfetto e non speculare tra tempo interiore e tempo fisico (l’oggetto si dà, appunto, «per» il soggetto conoscente che lo intenziona nella sua coscienza): Il tempo lì non è un tempo collettivo, sociale, è un tempo individuale, soggettivo, che non ha legge, inconcepibile per qualsiasi italiano della penisola, e forse per qualsiasi europeo39.

Il flusso memoriale, se non proprio coscienziale, diventa in Dessì scandaglio conoscitivo di universi ontologici, ricerca problematica di storie parallele, verticali e concentriche, verso verità spesso rinviate e rimandate all’infinito. Il tutto è realizzato con un uso sapiente delle tecniche della variazione, del rallentamento e della sospensione ellittica, della ripresa e del disvelamento. La memoria, dunque, diventa la costante, il vero tòpos semantico: Da molto tempo mi son fatto la convinzione che i fatti 38 Si propone qui la relazione «oggettiva» della vita di Boschino fatta da Linda, per via epistolare, al giovane Filippo nella seconda parte del romanzo. 39 G. Dessì, Introduzione a Scoperta della Sardegna…, cit., p. 5.

Introduzione

XLIX

non hanno alcuna importanza: per questo è inutile notarli. Non i fatti contano né la loro concatenazione di causa e di effetto (che è una interpretazione astratta, meccanica) ma la loro trama, il loro fluire. E ho sempre preferito sentirli fluire nella memoria. Una nota che fissa un fatto sul diario mi dà tristezza come una fotografia; mi ripugna. Come se forzassi la natura del fatto stesso chiudendolo in una cornice artificiale e morta di tempo […]40.

Nella generale struttura segnica del racconto, fra le unità descrittive, più che gli attributi fisici prevalgono quelli psicologici e fra le unità funzionali si distinguono le eidetiche (riguardanti la processualità interiore degli esistenti) che si rapportano al codice semico-simbolico e alla struttura antropologica dei personaggi. La forma che gli avvenimenti assumono nella libera dinamica dell’esposizione è, come scritto, ricca di sfasature temporali. Il confronto fra l’ordine degli accadimenti nel racconto-narrazione e l’ordine degli stessi nella storia-diegesi evidenzia sistematiche anacronie, ripetute e indicative distorsioni temporali che connotano, in termini anche simbolici, l’impianto narrativo. Un lavoro di destrutturazione della parafrasi integrativa della fabula – già estrapolata e asciugata delle numerose unità circostanziali e completive – ci consegna, infatti, un racconto caratterizzato da una struttura a recuperi analettici multipli, da un continuo ondivagare fra un non sempre ben definito adesso narrativo41 ed excursus regressivi con flash-back riassuntivi che ricostruiscono in modo quasi pulviscolare le tranches di un prima. L’utilizzo del verbo all’imperfetto, che il processo correttorio da D a M2 rende evidente, concorre a suo G. Dessì, Diari…, p. 80. Spesso di carattere generico, continuativo, iterativo e singolativo sono infatti le determinazioni temporali: «un giorno», «alcuni anni prima», «sui vent’anni», «parecchie volte a distanza di tempo». 40 41

L

DINO MANCA

modo a determinare un flusso temporale indeterminato, durativo e iterativo: conobbe D conosceva D1; volesse D voleva D1; avrebbe dato D D1 D2 dava B; avrebbe chiuso D chiudeva D1; fossi venuto D venivo D1; potesse D D1 D2 poteva B; stava aiutando D D1 D2 aiutava B; hanno D avevano D1; disturba D D1 D2 disturbava B; raddrizzasse D raddrizzava D1; ossessiona? D ossessionava? D1

In questo quadro la categoria del tempo si dilata e si frantuma nello spazio, che è altresì spazio verticale, dell’anima, dell’immaginazione e del vissuto. La memoria, individuale, familiare e collettiva, si convoglia entro percorsi apparentemente immotivati e distanti che s’intersecano e si risolvono invece sullo sfondo di un paesaggio carsico, in una tramatura fitta puntellata di recuperi rimemorativi gestiti – nella prima parte – da una coscienza narrante depositaria di una verità ontologica di cui investe gli esistenti e che, nel sapiente atto della rappresentazione, diventa la verità stessa dei personaggi che interagiscono in vario modo e a diversi livelli. L’io-narrante conosce bene il microcosmo trasfigurato in finzione letteraria42; lo conosce dall’interno, tanto da 42 «Non è vero che Vincenzo conosca la campagna meglio di me: lui sa sfruttarla meglio, ma io la conosco più intimamente di lui, e sono certo che se tornassi a San Silvano fra venti anni dopo essere vissuto a Milano o a Londra, tornando e sentendo la ruvidezza di questi tronchi, l’odore amaro di queste foglie, l’erba piegata dal vento sfiorarmi le gambe, io riacquisterei questa conoscenza perfetta della campagna. Che è conoscenza di questa campagna. Un giorno, ad Assisi, dove ero stato a trovare un amico sul finire della primavera, dopo un lungo soggiorno cittadino, mi sentii, mi svegliai in mezzo alla campagna. Intorno grano verde, odore della terra ricca di [-] riscaldata dal sole, l’odore della estate che si avanzava, uno di quegli annunci che ti fanno sentire la stagione che viene quasi spiritualmente; l’estate, l’autunno. Eppure io in quella ricchezza della natura, in mezzo a tutto quel verde, a quei

Introduzione

LI

insinuarsi, confondendosi e mimetizzandosi, ad esempio, in non pochi eventi verbali, soprattutto scenici: «Io, quando gli ho parlato la prima volta, mi è sembrato un uomo giusto, sincero» «È tuo padre che deve decidere» «non farti vedere a piangere da tua madre» «a volte la gente non sanno quello che dicono […]» «[…] perché non è lei che guardano male, ora!» «Babbo se ne sta andando» «Non vorrei avere su di me l’odio di un uomo come Boschino» «non vorrei aver contribuito anch’io, parlandoti dei suoi rimorsi, a farti un’opinione sbagliata» «Come sarebbe bello ora» pensava «se Michele sposava Angela!» «Cosa ci possono fare, la gente?» «A me mi hanno ammazzato il figlio […]» «Chi sa cosa diranno, la gente»

Altri usi linguistici regionali dell’italiano, forme d’uso comune e della colloquialità, modi di dire e significati idiomatici, anche nelle parti discorsive e descrittive (che monti lontani dalle linee ampie e calme, mi sentii rapire da quell’odore verso San Silvano, riconobbi San Silvano, la sola cam­pagna che io conosco e possiedo come possiedo il mio corpo. Nessuno conosce e ama così San Silvano […]» (G. Dessì, Diari…, p. 71).

LII

DINO MANCA

rimandano più direttamente alla fonte di emittenza narrativa), confermano questa consuetudine codificatoria: I due stettero ad ascoltarlo con la faccia incantata; poi gli saltarono addosso e cominciarono a menar botte, che se continuavano ancora un poco lo lasciavano morto le tornava sempre anche quando ce l’aveva col figlio non avevano nulla a che fare con l’argomento che le stava a cuore sapere cosa si diceva in paese; si sentiva nudo e trasparente come un geco che ha la pancia piena di mosche Avevano fatto la strada a piedi Pensava invece ad Angela. Anche con lei avevano cominciato a salutarsi eppure Michele non sapeva decidersi Io e te dobbiamo dimenticarci Allora, per non farsi vedere a piangere scioccamente Sembrava di cera, e odorava solo a guardarlo Ma a me mi giudicherà Quello che vede tutto e sa tutto Non è la loro educazione che limita le loro letture Ma non vorrei aver contribuito anch’io, parlandoti dei suoi rimorsi, a farti un’opinione sbagliata per sciogliere al pascolo i buoi

Introduzione

LIII

Intenti mimetici e modulazioni del parlato si celano anche nelle frequenti iterazioni retoriche (anadiplosi, epanadiplosi, epanalessi) poste in essere dalla voce narrante: La terra affittata rendeva meno sì, ma rendeva ogni anno nella stessa misura; Pensava a Michele, ai figli di Michele, e ai figli dei figli accrescere la roba del padre, che era roba sua, ingrandire la casa del padre, che pure era sua obbedire a qualcuno come prima aveva obbedito a suo padre. scerbavano il grano nel piccolo campo di Spinàlva, più piccolo anche di questo di Monte Ulìa Disse che si vedeva che la fortuna aiutava Michele come aveva sempre aiutato Giuseppe

L’uso, inoltre, del trasposto in stile indiretto nel riferire i discorsi e i pensieri dei personaggi, a volte determina, secondo un effetto di transfert, un certo grado di mediazione e d’imitazione che riduce la distanza fra lettore ed esistenti accrescendo nello stesso tempo il livello di verosimiglianza narrativa: Ma il malato, quando si parlava di questo, non ragionava più. S’era messo in testa di stare meglio, che quei dolori insopportabili era il letto che glieli dava, che la vera medicina per lui era l’aria della campagna; e voleva farla finita una buona volta, se no ci lasciava la pelle davvero […] Neanche a lui i testimoni della difesa avevano detto le sole cose che importava dire: non osavano accusare apertamente Salvatore e Benedetto. Sapevano che l’avvocato si sarebbe valso delle loro parole e li avrebbe costretti a ripeterle nell’aula. Ora, con Salvatore e Benedetto Boschino non c’era tanto da scherzare. Non era-

LIV

DINO MANCA

no uomini di buona pasta come Giuseppe, quelli. Ecco cosa avevano fatto i testimoni della difesa, la gente! Cosa sarebbe accaduto ora, se dalla deposizione di Antonio Màsala, o da qualche altro indizio, si scopriva che c’erano anche Cosimo Aneris e lui, quella sera? O se la stessa persona che aveva avvertito Antonio Màsala faceva la spia? Chi lo avrebbe difeso? Chi avrebbe creduto che lui stesso aveva subito una violenza? Meglio non pensarci neppure. Non contava nulla essere onesti e miti come suo padre. Nulla! […] Come avrebbe voluto ascoltare ancora quella voce amica e saggia! Come avrebbe voluto poter credere che per il vecchio non c’era nulla d’impreveduto, e che anche la cosa che era capitata a lui qualche sera prima non era né straordinaria né terribile, e che lui, Michele, era innocente, e che faceva bene a tacere, a confessarsi solo con lui, suo padre […]

L’io-narrante, proiezione per certi versi di un io-autorale, si rivela figlio e voce fedele della coscienza di quel mondo. Attraverso il racconto «oggettivo» egli cerca, nella prima parte, di spiegare e comunicare agli altri: Un racconto oggettivo poteva essere bello poteva mettere me in comunicazione con gli altri più di quanto non potesse farlo il racconto intimistico. Michele Boschino nacque per soddisfare questa esigenza. […] Ho portato avanti per un bel po’ questo romanzo, ma a un certo punto mi risvegliò l’antico amore per le cose che solo nel segreto si conoscono, che solo violando il segreto, magari di un’altra persona, si riescono a penetrare. Il racconto oggettivo viene lasciato in tronco e il libro continua alla voce dell’io43.

In verità, però, a ben vedere giganteggia piuttosto una sorta di «io» dimidiato, scisso, posto tra due universi linguisticamente, antropologicamente e semioticamente connotati che tuttavia – pur nella conflittualità dei codici 43

Cfr. C. Toscani, Dessì, Firenze, La Nuova Italia, 1973, p. 5.

Introduzione

LV

e nella dialettica ideologica – coesistono e si compenetrano e inducono il soggetto poetante ad una narrazione contrassegnata dalla stratificazione del linguaggio, ad una trasfigurazione letteraria dell’identità contaminata e simbiotica, pluridiscorsiva e plurilingue. Del resto questo è stato uno dei tratti distintivi della scrittura letteraria in Sardegna. Attraverso gli alfabeti del mondo e le lingue storicamente affermatesi nel proprio territorio, un popolo compie – soprattutto grazie ai suoi poeti, scrittori e artisti – la transizione modellizzante e simbolica dal piano della natura a quello della cultura, e ogni cultura tende a sua volta a pensare e a descrivere se stessa in un certo modo, ossia a costruire un «automodello»44. Quale rappresentazione, quindi, quale idea o immagine della Sardegna e della cultura sarda ci hanno consegnato la Deledda e Dessì e con essi, come vedremo, tanti scrittori, artisti e poeti isolani? Quale rappresentazione della propria gente, della propria storia, delle esistenze, degli spazi immaginati e vissuti? Quale «automodello», appunto? Certamente attraverso la trasfigurazione artistica e metaforica dell’isola, si è realizzata la sublimazione (junghianamente intesa) di una sorta d’inconscio collettivo, immenso archivio di simboli e miti che si è tramandato nel tempo, di generazione in generazione, e che si è strutturato attorno ad archetipi fondanti, a fantasie e a immagini primordiali e condivise, a un sentimento religioso e a modelli originari d’esperienza sedimentati nelle profondità della psiche non solo dell’individuo ma di un intero 44 Cfr. C. Lévi-Strauss, Antropologia strutturale, Milano, Il Saggiatore, 1966; J. M. Lotman, Tesi sullo studio semiotico della cultura, Parma, Pratiche, 1980; Testo e contesto, Bari, Laterza, 1980; J. M. Lotman - A. Uspenskij Boris, Tipologia della cultura, a cura di R. Facciani, M. Marzaduri, Milano, Bompiani, 2001; C. Segre, Semiotica, storia e cultura, Padova, Liviana, 1977.

LVI

DINO MANCA

popolo45. La ricorrenza di temi, motivi, figure, situazioni, percezioni, visioni del mondo e della vita – riscontrabili in buona parte della produzione letteraria sarda – deriva dall’enorme serbatoio di esperienze, che devono la loro esistenza all’ereditarietà sociale di una comunità millenaria antropologicamente connotata. Queste possibilità ereditate di rappresentazioni e una tale predisposizione degli artisti sardi a riprodurre forme e immagini archetipiche, che corrispondono alle esperienze storicamente e culturalmente compiute dalla propria gente nello sviluppo storico di una coscienza individuale e collettiva, si sostanziano letterariamente in topoi e isotopie sememiche che trovano magistrale compiutezza in molte opere letterarie e non solo. La descrizione e la percezione del paesaggio, il rapporto con la natura e con la madre terra, una certa idea della vita e della storia, il sentimento dell’identità e dell’appartenenza, la concezione del tempo e del mito, la rappresentazione dei personaggi, il sentimento religioso, il tema della nostalgia e della memoria, l’idea d’insularità e di frontiera, il rapporto con l’altro, l’altrove e lo straniero, determinano percorsi semantici ricorrenti e ossessivamente incombenti nelle opere di molti scrittori e poeti in lingua sarda e italiana46. E una delle questioni dirimenti che gli autori più avvertiti e consapevoli dovettero affrontare da un punto di vista narrativo fu, infatti – dopo il processo di unificazione e a partire 45 Cfr. C.G. Jung, L’uomo e i suoi simboli, Roma, Ed. Raffaello Cortina Editore, 1983. 46 Cfr. G. Marci, Introduzione a Narrativa sarda del Novecento. Immagini e sentimento dell’identità, Cagliari, Cuec, 1991; C. Lavinio, Narrare un’isola, Roma, Bulzoni, 1991; N. Rudas, L’isola dei coralli. Itinerari dell’identità, Roma, Bulzoni, 1997; N. Tanda, La rappresentazione della Sardegna tra cultura osservante e cultura osservata, in Quale Sardegna? Pagine di vita letteraria e civile, Sassari, Delfino, 2007, pp. 15-139; D. Manca, Introduzione a G. Deledda, L’edera, ed. critica, Cagliari, Centro di Studi Filologici Sardi/Cuec, 2010, pp. XXIX-LIX.

Introduzione

LVII

almeno dall’opera del Nobel nuorese – come tenere insieme cultura osservata (il mondo sardo) e cultura osservante (sardo-italica); come costruire un narratore capace di raccogliere lo straordinario bagaglio conoscitivo di un autore implicito figlio del suo mondo e profondo conoscitore dei suoi codici: un narratore che, ponendosi a una distanza minima dall’universo rappresentato, sapesse nello stesso tempo raccontare l’anima e il vissuto della sua gente a un pubblico d’oltremare. Tuttavia, una completa estraneità linguistica, culturale e morale rispetto al mondo narrato avrebbe, infatti, reso inautentica e soprattutto incomprensibile l’operazione letteraria. Anche per questo talvolta, per accrescere la naturalezza della resa «oggettiva» dell’ambiente, molti scrittori in lingua italiana attinsero dal ricco giacimento etnolinguistico, intraprendendo la difficile strada del mistilinguismo, della mescidanza e dell’ibridismo; opzioni certamente più adeguate e rispondenti alla messa in scena di un microcosmo sardofono. Perciò s’innestano sul tronco della lingua di derivazione toscana elementi autoctoni (calchi, sardismi, soluzioni bilingui), procedimenti formali della colloquialità e termini pescati dal contingente lessicale della lingua sarda; per corrispondere all’intento mimetico di traducere, trasportare, un universo antropologico fortemente connotato dentro un sistema linguistico altro; o viceversa, per modellare o rimodulare il codice letterario di riferimento (quello della tradizione letteraria italiana scritta) su un sostrato linguistico altro, per secoli quello dell’oralità primaria e principale veicolo di comunicazione del tessuto semiotico e dei saperi della comunità rappresentata letterariamente. E tutto ciò, per gli scrittori in lingua italiana, sarebbe dovuto accadere senza rinunciare – pena l’insuccesso editoriale e la fuoriuscita da quei criteri inclusivi che andavano definendo i canoni estetici e letterari «nazionali» – all’attrazione secolare e

LVIII

DINO MANCA

legittimante del modello toscano. Sarebbe sufficiente, a tal riguardo, dare una scorsa al contingente lessicale del romanzo dessiano anche nella sua evoluzione stratigrafica, per capire il certosino lavoro di ricerca e di selezione svolto sui dizionari (il Tommaseo su tutti) dallo scrittore sardo. Nella lettura di Michele Boschino ci sovvengono, ad esempio, termini come: ritrecine, basto, noria, gora, profenda, maglio, scerbare, accestire, in traversare, mallo, cimolo, callaia, gerla, mastello, muglio, beccaio, coltella, mezzaria, crescione, apio, sala, sgonfiotti, barbicaia, staggiano, abbarcato, comperò, giovine, danari47.

Per converso, ai preziosismi lessicali e alla ricercata pertinenza terminologica fanno da contrappunto consuetudini codificatorie e scelte stilistiche che significa47 Le riflessioni di Dessì sulla lingua «meritano indubbiamente un esame attento a cogliere e rilevare sia il versante dell’impegno teorico ma anche quello dell’impegno formale che egli, intellettuale ormai di cultura italiana ed europea, ha impiegato riformulare, in un altro sistema linguistico, italiano, ciò che egli riusciva a decifrare, con la sua competenza, dai codici sardi. Un impegno che è in ragione di una scelta linguistica e letteraria perfettamente ortodossa, come ha rimarcato la Lavinio ma, aggiungiamo, proprio perché altra, di inappartenenza: una scelta vissuta, evidentemente, e anche sofferta in maniera lacerante. Non a caso il suo modello di lingua tende verso l’integrazione nazionale verso una lingua letteraria che egli si è conquistato giorno per giorno, con lo studio. Davanti al suo tavolo di lavoro Dessì aveva un’edizione ottocentesca del Dizionario del Tommaseo. Solo ora nel rileggere alcuni suoi libri, in particolare Michele Boschino, riesco a immaginare e a comprendere quale debba essere stato il suo rovello nel commutare in italiano, in una prosa corrispondente ai modelli letterari tra le due guerre, per intenderci tra “Solaria” e “Letteratura”, e che egli ha con­tribuito ad arricchire ed innovare, quanto aveva appreso e conosciuto dei codici sardi, ripulendo la lingua mediante il Tommaseo […]» (N. Tanda, Dessì e il problema dei codici, in Letteratura e lingue in Sardegna, Cagliari, Edes, 1984, pp. 119-122).

Introduzione

LIX

tivamente allontanano il dettato dal rigore normativo e dalla tradizione grammaticale del modello (in taluni casi difficilmente ascrivibili a esclusivi intenti mimetici), come, ad esempio, la non infrequente scelta di isolare le proposizioni subordinate e le frasi nominali tra due pause forti o di introdurle con la congiunzione coordinativa di tipo avversativo, come alcune mancate concordanze tra soggetto e predicato, oppure come l’uso dei pleonasmi o l’utilizzo, nelle forme passive, di «venire» al posto di «essere», del pronome di terza persona «egli» piuttosto che «lui», del verbo intransitivo anziché transitivo, dell’ausiliare «avere» in luogo di «essere», dell’indicativo invece del congiuntivo: Così anche per il grano in erba, per il grano da mietere e da trebbiare. Tornare e trovare tutto in ordine, il cortile scopato, la pentola sul fuoco, il telaio coperto col panno di lino, e ricevere il saluto di quella voce simpatica e allegra. Ma la bambina non piangeva. la piazzetta e la scarpata scoscesa si riempiva di suoni acquatici Si sentì su per le scale un passetto leggero e la vocetta di Caterina Pensava perfino che delirasse; ma invece era fresco e il polso batteva regolarmente. La certezza che suo padre venisse messo in libertà Forse gli altri sapevano di lui più di quanto egli non sapesse di loro. sfuggendo lo sguardo di Michele

LX

DINO MANCA

avrebbe dovuto venir divisa in tre parti uguali Pensò che qualcosa doveva essere accaduto.

A differenza di quanto era accaduto per altre grandi lingue di cultura, infatti, la fisionomia dell’italiano era stata determinata soprattutto dallo stretto legame con la tradizione letteraria, avviata, soprattutto a partire dalla proposta normativa del Bembo, sui binari della compattezza e dell’arcaismo classico. Una tradizione che si era dimostrata lontana dalla lingua d’uso quotidiano, riccamente rappresentata dai dialetti parlati nelle varie regioni. Un tale scarto avrebbe provocato col tempo il declino della stessa lingua italiana, appresa, come una lingua straniera, in modo libresco, attraverso lo studio delle grammatiche, dei vocabolari e delle opere dei classici e sentita, parafrasando Isella, «estranea e inamabile»: Ma chi si senta di addentrarsi nell’isola per proprio conto, rinunciando agli itinerari prestabiliti, chi vuol vedere le cose come stanno veramente, non correrà nessun rischio di perdersi. Anche se la faccia di questi uomini e di queste donne è dura e chiusa. Sono ospitali e silenziosi. Non tollerano di essere interrogati sulle loro faccende personali. Questo fa sì che di fronte a loro ci si possa sentire estranei come di fronte ad antiche statue barbariche. Ma per superare il disagio, basta che ci liberiamo dalla nostra storicità. Essi sono lì, fermi, davanti a voi […] parlate, aspettate che rispondano, e uno strato di tempo incommensurabile vi separa da loro mentre vi porgono il loro pane di grano duro appena sfornato, la ricotta ancora calda, e parlano un italiano corretto, stranamente libresco, imparato a scuola48.

E così scrisse la Deledda: 48 G. Dessì, La mia Sardegna, “Il Gatto Selvatico”, n. 8, VII (agosto 1961), p. 12.

Introduzione

LXI

Ora non faccio nulla. Cioè, studio soltanto e, secondo il suo consiglio, cerco di studiare la lingua, perché la fantasia non mi manca. E ho afferrato il Manzoni, il Boccaccio e il Tasso, e tanti altri classici che mi fanno sbadigliare e dormire. Dio mio! È inutile! Io non riuscirò mai ad avere il dono della buona lingua, ed è vano ogni sforzo della mia volontà. Scriverò sempre male, lo sento, perché l’abitudine di scrivere così come viene è radicata ormai nella mia povera penna49. 49 Lettera di Grazia Deledda ad Antonio Scano, Nuoro 10 ottobre 1892. La lettera si trova pubblicata in G. Deledda, Versi e prose giovanili, a cura di A. Scano, Milano, Ed. Virgilio, 1972, p. 251. Sull’argomento si vedano altresì, a titolo esemplificativo: R. Bonghi, Perché la letteratura italiana non sia popolare in Italia. Lettere critiche, Milano, F. Colombo – F. Perelli, 1856; B. Croce, La letteratura dialettale riflessa, la sua origine nel Seicento e il suo ufficio storico, “La Critica”, XXIV, 6 (20 novembre 1926), pp. 334-343 [poi in: Id., Uomini e cose della vecchia Italia, serie I, Bari, Laterza, 1927, pp. 225-234]; M. Sansone, Relazioni fra la letteratura italiana e le letterature dialettali, in Aa. Vv., Problemi ed orientamenti critici di lingua e di letteratura italiana – IV, Letterature comparate, Milano, Marzorati, 1948, pp. 281-287; Poesia dialettale del Novecento, a cura di P. P. Pasolini e M. Dell’Arco, Parma, Guanda, 1952; G. Contini, Dialetto e poesia in Italia, “L’approdo”, III, 2 (1954), pp. 12-18; Ultimi esercizi ed elzeviri, Torino, Einaudi, 1988; T. De Mauro, Storia linguistica dell’Italia unita, Bari, Laterza, 1963 [1972]; D. Isella, Introduzione a A. Manzoni, Postille al Vocabolario della Crusca nell’edizione veronese, a cura di D. Isella, Milano-Napoli, Ricciardi, 1964, VIII-XVII; C. Dionisotti, Per una storia della lingua italiana, in Geografia e storia della letteratura italiana, Torino, Einaudi, 1967; C. Segre, Polemica linguistica ed espressionismo dialettale nella letteratura italiana, in Lingua, stile e società, Milano, Feltrinelli, 1974, pp. 407-426; Aa. Vv., Letteratura e dialetto, a cura di G. L. Beccaria, Bologna, Zanichelli, 1975; G. Devoto, Profilo di storia linguistica italiana, Firenze, Le Monnier, 1976; P. V. Mengaldo, Lingua e letteratura, in Lingua, sistemi letterari, comunicazione sociale, Padova, CLEUP, 1978, pp. 137-200; Poeti italiani del Novecento, a cura di P. V. Mengaldo, Milano, Mondadori, 1978, pp. LXXVII-1096; F. Brevini, Poeti dialettali del Novecento, Torino, Einaudi, 1987; Le parole perdute. Dialetti e poesia nel nostro secolo, Torino, Einaudi, 1990; La poesia in dialetto. Storia e testi dalle origini al Novecento, III tomi, Milano, Mon-

LXII

DINO MANCA

Da una parte, quindi, un’élite d’intellettuali, scrittori e poeti proiettati verso un modello alto e sublime informato in poesia sul monolinguismo petrarchesco e in prosa sul «bello stilo» boccacciano, dall’altra i tanti parlari e parlanti italici con i numerosi autori, cosiddetti periferici, esclusi da quella minoranza di eletti del Parnaso, non disposti ad adeguarsi a un sistema linguistico allotrio. Si era attivata cioè una dinamica centripeta, che più che a includere tendeva a escludere dal diritto di cittadinanza, in un’ideale e anelata res publica litterarum. Per aspera sic itur ad astra: Per noi Sardi la cosa è molto diversa. Abbiamo un modo diverso di essere Italiani, o di diventarlo. Noi non parliamo un dialetto italiano, anche se, volgarmente, il sardo è definito tale. Si tratta di una lingua, non di un dialetto. Non una lingua dotta, ma pur sempre una lingua a sé, per la sua struttura morfologica e sintattica e per il suo lessico. Max Leopold Wagner, la massima autorità mondiale in questo campo, nell’opera che prende appunto il titolo dalla lingua sarda, pubblicata recentemente dalla casa editrice Franke, di Berna, illustra magistralmente questa tesi ormai accettata dai dotti. Non vi è dunque, tra la lingua materna di noi Sardi e la lingua dadori, 1999; La letteratura degli italiani. Perché molti la celebrano e pochi la amano, Milano, Rizzoli, 2010; A. Dettori, Italiano e sardo dal Settecento al Novecento, in La Sardegna, Storia d’Italia. Le regioni (dall’Unità a oggi), Torino, Einaudi, 1998, pp. 432-487; L. Serianni, Storia della lingua italiana. Il secondo Ottocento: dall’Unità alla prima guerra mondiale, Bologna, il Mulino, 1990; A. Stussi, Lingua, dialetto, letteratura. Dall’unità nazionale a oggi, Torino, Einaudi, 1993; L. Serianni – P. Trifone (a cura di), Storia della lingua italiana, II – Scritto e parlato / III- Le altre lingue, Torino, Einaudi, 1998; C. Marazzini, La lingua italiana. Profilo storico [1994], Bologna, il Mulino, 1998; C. Grassi, A. A. Sobrero, T. Telmon, Fondamenti di dialettologia italiana [1997], Roma-Bari, Laterza, 1999; F. Bruni, L’Italiano. Elementi di storia della lingua e della cultura [1987], Torino, UTET, 2002; Aa. Vv., Dialetti italiani. Storia struttura uso, a cura di M. Cortellazzo, C. Marcato, N. De Blasi, G. P. Clivio, Torino, UTET, 2002.

Introduzione

LXIII

italiana quella continuità, quella possibilità di graduali passaggi e ritorni che esiste invece fra i dialetti italiani e la lingua comune. Il Sardo (parlo del Sardo medio, del Sardo autoctono, del milite della Guardia di Finanza, del piccolo impiegato e anche dello studente figlio di contadini) che lascia il paese nativo, Arzana, per esempio, Seùi o Aritzo, un qualsiasi piccolo paese della Sardegna, e va a Cagliari o a Sassari, e poi, per ragioni d’impiego o di studio soggiorna a lungo a Torino, o a Pisa o a Roma, si sentirà non soltanto spaesato ma straniero, e dovrà fare, per ambientarsi, uno sforzo superiore di gran lunga a quello di qualsiasi altro provinciale italiano. Egli sarà, lo sappia o no, lo voglia o non ammettere, veramente straniero. Può darsi che, in breve tempo, per uscire dalla sua solitudine, o meglio per mascherarla, riesca a mimetizzarsi, adottando artificiosamente l’accento piemontese, toscano, romanesco, può darsi anche che mantenga il suo italiano corretto, un poco astratto e stranamente libresco; ma tanto nell’uno quanto nell’altro caso, gli mancherà quella possibilità di riferimento scoperto o segreto al dialetto, alla lingua materna. Non potrà, continuando a parlare italiano, con una semplice intonazione di voce, alludere a un mondo più intimo e noto, non potrà fare questo piccolo passo indietro senza sentirsi alle spalle il mare, la zona di silenzio che lo separa dalla sua isola. Certi suoni cupi, certe durezze che si riscontrano nella nostra pronuncia e ci rendono riconoscibili a un orecchio esperto, non sono segni di congiunzione tra la lingua materna e la lingua italiana ma piuttosto fratture; più che appoggi, nel discorrere, sono intoppi che si evitano con studio, come accade agli stranieri che parlano italiano. Ricordo che Vittorio Gorresio, in una sua cronaca pubblicata dall’Europeo nel 1948, poco dopo le elezioni politiche, a proposito dell’eloquenza del giovane parlamentare sardo Renzo Laconi, notava appunto la sua strana pronuncia esente da qualsiasi accento dialettale, e opinava con malizia che imitasse anche in questo il suo maestro Togliatti, il quale avrebbe acquisito tale pronuncia durante il lungo soggiorno in Russia. Se Gorresio avesse sentito parlare Antonio Gramsci avreb-

LXIV

DINO MANCA

be notato in lui la stessa strana pronuncia. Il fatto è che tanto Gramsci quanto Laconi sono sardi, e che Togliatti, prima che in Russia, ha vissuto a lungo in Sardegna, e precisamente a Sassari, dove sua padre era rettore del Convitto Nazionale. Ora, nessun Sardo accetterebbe di considerarsi o esser considerato straniero in Italia. Ma io uso solo provvisoriamente questa parola, ben lontano dal voler negare la nostra italianità. Desidero solo approfondire un concetto che la retorica nazionalistica ha offuscato […]50

Nel secondo racconto, a forte connotazione psicologica, si accentuano significativamente le incrinature (in parte già presenti nel primo) degli schemi canonici della rappresentazione. La narrazione si snoda attraverso una successione di eventi interiori che accompagnano lo stesso sviluppo narrativo. Alla logica obiettiva e spazio-temporale dei fatti, pur sperimentata e volutamente cercata51, si sostituisce la coscienza particolare e frammentaria del personaggio, con effetti d’ingrandimento dell’episodio rievocato quasi a scapito dell’economia dell’insieme. La dissoluzione dell’ordine lineare degli eventi – cifra strutturale anche del primo racconto – è data ora, non più da un narratore onnisciente, ma è il risultato di una percezione tutta soggettiva della durata, lì dove cioè il tempo si riduce e si dilata secondo lo stato di coscienza del giovane intellettuale, Filippo, che vive e racconta in prima istanza il proprio vissuto; il ritmo del racconto è lo stesso del suo flusso memoriale e coscienziale. Pensieri, retrospezioni, ricordi, riflessioni, immagini, concorrono a costruire quella struttura a recuperi analettici multipli G. Dessì, Le due facce della Sardegna, “Il Ponte”, rivista mensile diretta da Piero Calamandrei, 9-10 (1951), Firenze, Le Monnier, pp. 965-970. 51 Si confronti, a tal riguardo, la ricostruzione «obiettiva», logico-cronologica delle vicende di Boschino fatta per via epistolare da Maria. 50

Introduzione

LXV

che smaterializza, polverizzandolo, il tempo diegetico e lo traduce, questa volta per il personaggio protagonista, in tempo interiore. Il tempo storico si confonde col tempo psicologico, soggettivo e pulviscolare. La massa compatta del reale – come significato, come storia e come gerarchia di valori – si frantuma, ricostituendosi sotto forma di differenti galassie di senso. La realtà assume così aspetti diversi secondo i punti di vista e l’angolazione prospettica. La memoria dell’io narrante, secondo la dinamica dei cerchi concentrici, finisce quasi fatalmente (grazie peraltro all’aiuto di personaggi come Maria e Linda con i quali lo studente istituisce una serie di relazioni) con l’inglobare, nel dilatarsi, la memoria e il vissuto di Boschino. Il lettore si trova piacevolmente coinvolto in un viaggio à rébours, a ritroso, perduto tra i sentieri più reconditi della mente e dell’anima, in una trama intimistica di ricordi, di sensazioni, di flash-back, partecipe di un’opera di ripiegamento su se stessi, alla ricerca di un tempo perduto, ora ritrovato e rivissuto, quello dell’infanzia e della vita del giovane studente, che interseca, a un certo punto, il tempo immobile del vecchio ortolano. Si assiste a un lavoro di scavo, di riesumazione e riabilitazione alla ricerca di un senso, di un file rouge, in un momento favorevole e gradito, segnato da una sorta di beata solitudo che diviene balsamo e lenimento di un presente segnato dall’immobilità fisica52. Passato e presente si alternano e si sovrappongono in un susseguirsi, a tratti sfumato, di accadimenti e di figure inestricabilmente legate fra loro; una successione che si dissolve nell’indefinitezza temporale e nell’impercettibile confine che talvolta corre fra pensiero e realtà. Il tempo della memoria diventa tempo elastico, fluido e soggettivo, della fantasia e della 52 L’evocazione, intesa come atto di coscienza del presente, non può non rimanere condizionata dall’adesso temporale.

LXVI

DINO MANCA

trasfigurazione, di là della realtà, su una dimensione altra che non tollera la misura oggettiva: Vale la pena di scrivere solo per raccontare fatti che non sono accaduti, o per “travisare”, trasformare, rivivere con la fantasia fuori del tempo reale, nel tempo della memoria, i fatti accaduti. Vale la pena di parlare di Elisa, che non è mai esistita, e di Boschino, che continua, completa, interpreta, spiega Giuseppe Rasino […]53

Il passato non si conserva, si costruisce partendo dal presente, e la sua struttura dipende dalle circostanze dell’evocazione e si modifica con esse. Per dirla con Merlau-Ponty, i ricordi non sono nella coscienza, ma è la coscienza stessa che costituisce il ricordo ponendo il passato come passato. Infatti, è il presente il vero tempo del nostro esistere: Il tempo: è un pensiero – se così si può dire – che mi inebria. Passato, presente e futuro: momenti dello spirito, aspetti di un “eterno presente” […]54

Il passato in Dessì non è una linea di demarcazione astratta ma un frammento della durata che avvolge il passato e il futuro. La memoria affettiva non è altro che la risurrezione dei sentimenti sotto forma di ricordi. Risurrezione spesso proustianamente suscitata da uno stimolo sensoriale, non di rado uditivo e olfattivo:

D D1 D2

A un tratto, mentre ero immerso in questi ricordi, e quasi impregnato di odori campestri, pensai che anche a Maria il tonfo che fa cadendo l’uccel-

53 54

G. Dessì, Diari…, p. 81. G. Dessì, Diari…, p. 175.

B

A un tratto, mentre ero immerso in questi ricordi, e quasi impregnato di odori campestri, pensai che anche a Maria il tonfo che fa cadendo l’uccel-

Introduzione

LXVII

lo colpito deve dare un brivido, come lo colpito deve dare un brivido, come succedeva a me al solo pensarci; e de- succede a me al solo pensarci; e desisiderai ardentemente di rivederla […] derai ardentemente di rivederla […]

Si attiva così un percorso conoscitivo – ma anche riabilitativo – volto a comprendere le ragioni, la profondità e la validità morale di un mondo, quello di Boschino, guardato dagli altri con ritrosia e sospetto. Un mondo per certi versi lontano, insondabile, statico, che mette a dura prova la capacità decifratoria del protagonista, Filippo, il giovane intellettuale cittadino, espressione di una cultura osservante, ciononostante figlia in qualche modo di quella osservata, contadina, primitiva, archetipica, sardofona (Boschino è l’«uomo dei boschi», la Sardegna arcaica). Due mondi, due culture, due orientamenti prospettici, due Sardegne, dunque; o, se si vuole, due generazioni che, nel caso di Filippo e Michele, riescono a dialogare e a momenti a intendersi55. Ma anche altre due Sardegne, coesiRitornano alla mente altre pagine della migliore letteratura sarda dalla Deledda ad Atzeni, lì dove riaffiora in modi diversi il conflitto dei codici, espressione di mondi e mentalità diverse, e quella interferenza comunicativa che è discrasia culturale e geografica oltre che generazionale. Una novella, ad esempio, dai risvolti sociali, che si risolve nell’arco di una sequenza scenica e si specifica per la presenza di esistenti modellati per statuti dicotomici (giovane e vecchio, ricco e povero, sano e malato, istruito e incolto, innovazione e conservazione) che interagendo producono il significato letterario del racconto, è Lo studente e lo scoparo. Come suggerisce il titolo, la vicenda si impernia sul confronto dialogico fra un giovane studente-giornalista di nome Lixia, sconfortato e abbattuto per lo stato di malessere sociale ed economico in cui ritrova la sua terra (e ciononostante mosso da una convinta tensione verso il cambiamento), e un vecchio e malazzato venditore di scope, zio Pascale, figlio di un’altra mentalità, uomo di oramai incerte e smarrite convinzioni, che, provato dalla miseria e dalla fatica rude, rassegnato e avvilito, si trascina, macerandosi, in un quotidiano senza speranza. È un confronto fra vecchi e giovani, fra tradizione e innovazione, fra generazioni diverse, lontane fra loro, proiezione simbolica di una Sardegna che vuole cambiare e di una terra invece diffidente e misoneista, irrimediabilmente prigioniera

55

LXVIII

DINO MANCA

stenti e confliggenti, attraversano i due racconti: quella degli «olivi» e degli «olivastri», del lavoro e della grassazione, del rispetto e dell’invidia, della pace e della violenza, della giustizia e della sopraffazione. La seconda agisce sulla prima come un tarlo, condizionandola e ostacolandola. Una molteplicità di codici e di sistemi valoriali cerca tuttavia di ricomporsi grazie ad una volontà vitalistica tesa a conoscere e a capire quella diversità morale e antropologica, del suo atavico immobilismo. La relazione binaria di opposizione e antagonismo (in Dessì invece di curiosità, solidarietà e simpatia) che s’instaura tra i due personaggi, acquista dunque una forte valenza sul piano semico-simbolico. Così lo scoparo, simbolo di una vecchia Sardegna che muore, «s’avanza lentamente», si trascina, «geme», tossisce, parla «come un sonnambulo», risponde «a stento, umile e quasi pauroso», scuote «tristamente la testa» e sta ritto sotto il muro «con la falciuola in mano come l’immagine della Morte». Lixia, portavoce di una dimensione attivistica, è per converso un concentrato tumultuoso di stati d’animo, interessi, curiosità, scopi, abilità; egli si «annoia», si indigna, «si infervora», salta «a sedere nel muro», domanda, si sente «inspirato», si «dispera», «allarga le braccia», «nega l’elemosina», rimane in ultimo «fedele ai suoi principi». Nella novella deleddiana, rispetto al romanzo di Dessì, non esiste evoluzione, non c’è convergenza. La distanza culturale e ideologica, ragione di un’incomunicabilità profonda, alla fine rimane. Ma è interessante constatare, nel caso della scrittrice nuorese, come sia pressoché impossibile capire da che parte alberghi il sentimento di adesione o repulsione autorale, e dove trovi piuttosto scaturigine un eventuale discriminante in senso morale, intellettuale ed emotivo dell’io narrante nei riguardi di questo o quel personaggio (del vecchio e del giovane). Da che parte sta infatti la Deledda? L’impianto scenico infatti, essendo una forma di rappresentazione mimetica in cui il narratore, adottando il discorso riferito, cede direttamente la parola al personaggio, tecnicamente si fonda sull’eclissi dell’autore e sull’azzeramento della distanza fra narratore e creatura letteraria. Non si riscontra cioè nessun significativo riferimento all’istanza narrativa, attraverso digressioni, giudizi morali, commenti e osservazioni metadiegetiche (tipiche di una funzione ideologica) che rimandino alla weltanschauungen autorale. Si tratta invece di una voce che si limita a mantenere nei confronti della storia una funzione meramente esplicativa, evitando qualsiasi alterazione prospettica che alluda all’emittente di tale voce.

Introduzione

LXIX

se non anche ad apprezzarne e a valorizzarne il portato su se stessi, sul proprio presente e sulla definizione di un’identità individuale e collettiva. Spesso, infatti, nell’alterità e nella ricerca dell’altro disveliamo e ritroviamo noi stessi. Solo attraverso la memoria si ricostruisce la propria identità personale e si dà un fondamento alla coscienza di sé, che sta alla base della conoscenza stessa. Senza memoria, infatti, vengono meno i legami con le proprie radici, si disperde il proprio «io», ci si destruttura e si vive drammaticamente sospesi fra ordine e caos, fra pulsioni interne e cogenze esterne. Senza memoria e senza consapevolezza si cessa di essere coscienza progettante e si vive il proprio presente con angoscia e paura, sospesi sull’«abisso del nulla». Così scrisse nel marzo del 1948: gli uomini di oggi vivono tutto al presente. Non trovano nel passato una norma e non trovano nel futuro sufficiente ispirazione. È nata la filosofia dell’atto puro, è nato Picasso, che non continua neppure se stesso, ma è sempre diverso perché esiste per lui soltanto l’attimo in cui crea. Ti ricordi “Il Gallo” di Picasso? Si può dire il suo simbolo. Il suo vivere è come l’amore per il gallo: istantaneo, puntuale. Rotti i ponti con il passato (anche nell’interno della propria vita e nei suoi limiti), rotti i ponti con il futuro. Per questo dà quel senso di travisamento. È l’angoscia di noi moderni per questo sentirsi sospesi nel nulla […]56

La conoscenza, si sa, non è data senza tempo e senza luogo, e il luogo, come entità storica e culturale, esiste57; G. Dessì, Diari…, pp. 174 -175. Nell’introduzione a I passeri Dessì domandava e rispondeva: «Perché in Sardegna? mi si chiederà ancora una volta. Perché, a parte le ragioni storiche e artistiche che richiederebbero un troppo lungo discorso, come ci insegnano Spinoza, Leibniz, Einstein e Merleau-Ponty, ogni punto dell’universo è anche il centro dell’universo» (C. Varese, Introduzione a Paese d’ombre, Milano, Mondadori, 1972, p. V). 56 57

LXX

DINO MANCA

luogo inteso come testo-cultura, spazio vissuto, paesaggio umanizzato e modellato, universo percettivo e simbolico. Nell’opera prevale su tutto un paesaggio sardo, a morfologia agraria, specchio di una comunità contadina autosufficiente e arcaica, indissolubilmente legata al suo territorio, condizionata, nelle sue attività e nella sua quotidianità laboriosa, dal ritmo delle stagioni. I luoghi e gli ambienti non hanno una mera funzione esornativa, quanto piuttosto significativa, funzionale e conoscitiva. Essi, nel secondo racconto, sono presentati attraverso l’orizzonte percettivo del personaggio protagonista e attraverso l’influenza che essi esercitano sulla sua psiche. I pensieri e i ricordi si rapportano ai luoghi sentiti, percepiti sensorialmente ed emotivamente, vissuti e amati. Lo spazio fisico e naturale si traduce in luogo dell’anima, condizione dell’essere e dell’esistere, talvolta sentimento inesprimibile, ai limiti dell’incomunicabilità: D D1 D2 B M2 Forse anche l’amore per i luoghi è solitario e inesprimibile come l’amore per le persone […] Ripensando alla terrazza di Giarrana, ora che sono qui immobile, in questo letto, mi pare di poter ritrovare tutta la mia vita in quel ricordo. E anche questo sentimento è solitario, incomunicabile. Mia madre entra nella stanza, si siede accanto a me. Non sa quello che penso, che sento. Inutile tentare di dirglielo, se lei stessa non lo capisce, se dal profondo del suo essere non è mosso lo stesso sentimento, lo stesso pensiero. Entro quell’orizzonte, nell’amore di quel luogo che è soltanto mio, in quel bisogno di andarmene, di ritornare, nella nostalgia che continuava a durare anche quando ero tornato, tutta la mia vita si delimita, si sistema, diventa comprensibile come se la leggessi narrata in un libro […]

Introduzione

LXXI

La presenza simultanea di differenti tipologie narrative e formali (racconto oggettivo e d’ambiente da una parte, scrittura soggettiva, memoriale e introspettiva dall’altra) e la non trascurabile valenza speculativa e filosofica – soprattutto per la proposta metodologica e per la mai risolta tensione gnoseologica – fanno di questo romanzo una sorta di laboratorio sperimentale che rende Dessì autore moderno e di respiro europeo58. La Sardegna, terra di «permanenza e non di viaggio», è il vero oggetto della sua scrittura e della sua speculazione. Essa diventa il correlativo oggettivo, l’equivalente emotivo del pensiero, di uno stato d’animo, di una condizione esistenziale; essa si traduce, come peraltro accade a molti artisti sardi, nel suo universale concreto: Non so più nemmeno se il mio sia amore o fastidio, rabbia di essere nato lì, rabbia di essere legato ancora a questa terra troppo vecchia e tanto lontana dal mondo nel quale vivo – dall’Italia, voglio dire. Eppure quella è la mia patria. È là che sono nato. È là che ho passato gli anni più importanti della mia vita, l’infanzia e l’adolescenza. Là c’è la casa di mio nonno, di mio padre: case e tombe. Ma ciò che conta di più è che là io mi sento forte, intelligente, anzi onnisciente. Immergo la mano nell’acqua del Tirso, del Temo, del Rio Mannu, e so di che cosa è fatta quell’acqua. Raccolgo un sasso, e ho di quel sasso una conoscenza che arriva fino all’atomo, fino alla molecola. È là che ho letto per la prima volta Leibnitz e Spinoza senza bisogno di traduzione o di note a piè di pagina. Là mi sono sentito solo al centro dell’Universo come un astronauta. E per questo sono geloso della mia Isola. Geloso di tutto ciò che la rende volgare, turistica59. 58 Michele Boschino è uno dei «primi “meta romanzi” della nostra narrativa proprio secondo l’accezione di Moravia» (N. Tanda, Dessì e il problema dei codici, in Letteratura e lingue in Sardegna, Cagliari, Edes, 1984, pp. 119). 59 G. Dessì, La mia Sardegna…, p. 13 [anche in: Introduzione a Scoper-

LXXII

DINO MANCA

E la modernità risiede proprio nella lettura che egli dà della sua Isola, terra peculiare, multiforme e complessa, i cui caratteri distintivi – oltre a quello dell’insularità che ne ha in modi diversi condizionata l’evoluzione culturale e storica – sono quelli del plurilinguismo e del policentrismo. Una frammentazione interna mai risolta che si specifica in una dicotomia di base fra zone costiere e pianeggianti, non precluse ai traffici, più aperte verso l’esterno, percorse non sporadicamente da tendenze insediative favorevoli all’urbanizzazione (la Cagliari di Filippo), e zone interne, spesso contigue alle coste, elevate e di difficile accesso, a economia agro-pastorale, meno permeabili agli influssi esterni, che generano sensi e comportamenti d’identità locale, di cui l’arcaicità linguistica e la conservatività culturale appaiono manifestazioni espressive (la Sigalesa e Mamusa di Boschino). Dessì – che a suo modo era stato quell’io dimidiato (sia il contadino Boschino → Villacidro che lo studente Filippo → Cagliari) – capisce che l’identità è il frutto di un processo storico polimorfo e dinamico, che va conosciuto e interpretato, e che la caratterizzazione della Sardegna è data da elementi tradizionali e non che convivono e dalla compresenza di differenti culture (urbana, rurale, pastorale). Soprattutto comprende che il rispetto della complessità e della diversità passa prima di tutto attraverso la riattivazione di un circuito interno della memoria, della conoscenza e della comunicazione che sostenga la crescita di una consapevolezza sempre maggiore di sé, della propria identità e della propria Storia. La Sardegna di Boschino non è la Sardegna di Filippo (città versus campagna). Quella del vecchio ortolano è una Sardegna diversa, figlia di un tempo remoto, ripetitivo e ta della Sardegna. Antologia di testi di autori italiani e stranieri, vol. I, a cura di G. Dessì, Roma, Polifilo, 1965, pp. XIX].

Introduzione

LXXIII

mitico, con proprie lingue, propri valori, propri criteri distintivi, propri reticoli di esclusione e inclusione, proprie leggi e proprie consuetudini, effetto di un millenario processo di adattamento alle difficili condizioni naturali. L’aver creduto di poter penetrare quel microcosmo attraverso codici e strumenti impropri, ha creato per secoli quello iato comunicativo fra potere costituito e società sarda, e fra Sardegna e Sardegna, che è stato fonte d’incomprensioni e causa d’irriducibile ribellione:

D D1 D2

Colliva mi diceva dell’ostinazione di Boschino. Mi diceva che ha dovuto |lottare| (›fare‹) per fare i suoi interessi. ›Secondo lui Boschino ha una concezione preistorica del diritto. E forse c’è qualcosa di vero in questa definizione.‹ Non ha ›mai detto che Boschino è un ignorante‹ parlato di Boschino con quel disprezzo che hanno per i contadini gli avvocati che sono stati costretti a lavorare in provincia per tanti anni. Non lo ha trattato neppure da ignorante. Secondo lui l’ostinazione di Boschino dipende dal fatto che Boschino ha una concezione preistorica del diritto. Gli ho chiesto se non sarebbe stato il caso di secondare il più possibile quest’idea preistorica del diritto, senza portare la contesa alle conseguenze estreme, cioè alla espropriazione dei beni dei parenti, all’asta, ecc. ecc. È rimasto un poco soprapensiero, poi ha detto che in teoria forse si poteva. In teoria, |non in pratica| (›perché nella pratica‹). Perché non bisogna dimenticare che lui s’era trovato di fronte a un altro avvocato, il quale era pronto a valersi d’ogni sua debolezza. Cercare di venire a patti e accontentarsi di vincer la causa solo a mezzo, sarebbe stato lo stesso che riconoscere l’insufficienza

Colliva mi diceva dell’ostinazione di Boschino. Mi diceva che ha dovuto lottare per fare i suoi interessi. Non ha parlato di Boschino con quel disprezzo che hanno per i contadini gli avvocati che sono stati costretti a lavorare in provincia per tanti anni. Non lo ha trattato neppure da ignorante. Secondo lui l’ostinazione di Boschino dipende dal fatto che Boschino ha una concezione preistorica del diritto. Gli ho chiesto se non sarebbe stato il caso di secondare il più possibile quest’idea preistorica del diritto, senza portare la contesa alle conseguenze estreme, cioè alla espropriazione dei beni dei parenti, all’asta, ecc. ecc. È rimasto un poco soprapensiero, poi ha detto che in teoria forse si poteva. In teoria, non in pratica. Perché non bisognava dimenticare che lui s’era trovato di fronte a un altro avvocato, il quale era pronto a valersi d’ogni sua debolezza. Cercare di venire a patti e accontentarsi di vincer la causa solo a mezzo, sarebbe stato lo stesso che riconoscere l’insufficienza dei propri argomenti. «Il diritto e la morale» ha soggiunto «non sempre coincidono. La morale, l’umanità, la tolleranza, la pietà, tutti questi elementi che possono aiutare a risolvere una contesa nell’ambito

LXXIV

dei propri argomenti. «Il diritto e la morale» ha soggiunto «non sempre coincidono. La morale, l’umanità, la tolleranza, la pietà, tutti questi elementi che possono aiutare a risolvere una contesa nell’ambito della famiglia, non hanno più voce quando ci s’affida al codice. L’ideale del codice sarebbe l’annullamento del codice stesso, in teoria, nelle cause civili per lo meno… il giudice di pace. Ma un giudice di pace seduto sotto un albero, in un paese abitato da tanti Boschini…». Ho riso per cortesia, e gli ho chiesto se era convinto della buona fede di Boschino. «Assolutamente» ha risposto «Boschino si sarebbe accontentato di riavere i suoi buoi, limitandosi a mostrare ai parenti che avrebbe potuto toglier loro tutto ciò che avevano, avrebbe voluto mostrare la sua potenza e la sua clemenza» […] Tutte quelle questioni riguardanti Boschino, interessanti per se stesse, in quanto materia del suo lavoro, della sua professione, dopo la conversazione devono essergli sembrate vuote, gratuite, ridotte a una questione morale. Se un altro avvocato, uno del mestiere, gliene avesse parlato al mio posto, la questione di Boschino sarebbe potuta diventare ciò che essi chiamano un caso elegante. Pura forma. Ma io, che c’entro? Io sono un profano. Solo l’improntitudine giovanile può avermi indotto a parlare di questo con l’avvocato. Perché cos’è l’interesse morale, umano, disinteressato, se non improntitudine giovanile? Solo per un momento l’avvocato Colliva può essersi abbandonato a pensare che io parlassi con lui di cose serie. E passato quel momento, io sono tornato per lui, il ragazzo di sempre; e lui mi ha battuto sulla spalla dicendo come al solito: «Beh! Come va?».

DINO MANCA

della famiglia, non hanno più voce quando ci s’affida al codice. L’ideale del codice sarebbe l’annullamento del codice stesso, nelle cause civili per lo meno… il giudice di pace. Ma un giudice di pace seduto sotto un albero, in un paese abitato da tanti Boschini…». Ho riso per cortesia, e gli ho chiesto se era convinto della buona fede di Boschino. «Assolutamente» ha risposto «Boschino si sarebbe accontentato di riavere i suoi buoi, limitandosi a mostrare ai parenti che avrebbe potuto toglier loro tutto ciò che avevano. Avrebbe voluto mostrare la sua potenza e la sua clemenza» […] Tutte quelle questioni riguardanti Boschino, interessanti per se stesse, in quanto materia del suo lavoro, della sua professione, dopo la conversazione devono essergli sembrate vuote, gratuite, ridotte a una questione morale. Se ne avesse parlato con un altro avvocato, con uno del mestiere, la questione di Boschino sarebbe potuta diventare ciò che essi chiamano un caso elegante. Pura forma. Ma io, che c’entro? Io sono un profano. Solo l’improntitudine giovanile poteva avermi indotto a parlare di questo con lui. Perché cos’è l’interesse morale, umano, disinteressato, se non improntitudine giovanile?

Introduzione

LXXV

B M2

Colliva mi diceva dell’ostinazione di Boschino. Mi diceva che ha dovuto lottare per fare i suoi interessi. Non ha parlato di Boschino con quel disprezzo che hanno per i contadini gli avvocati che sono stati costretti a lavorare in provincia per tanti anni. Non lo ha trattato neppure da ignorante. Secondo lui l’ostinazione di Boschino dipende dal fatto che Boschino ha una concezione preistorica del diritto. Gli ho chiesto se non sarebbe stato il caso di secondare il più possibile quest’idea preistorica del diritto, senza portare la contesa alle conseguenze estreme, cioè alla espropriazione delle povere case e dei piccoli poderi dei parenti, all’asta, ecc. ecc. È rimasto un poco soprapensiero, poi ha detto che in teoria forse si poteva. In teoria, non in pratica. Perché non bisognava dimenticare che lui s’era trovato di fronte a un altro avvocato, il quale era pronto a valersi d’ogni sua debolezza. Cercare di venire a patti e accontentarsi di vincer la causa solo a mezzo, sarebbe stato lo stesso che riconoscere l’insufficienza dei propri argomenti. «Il diritto e la morale» ha soggiunto «non sempre coincidono. La morale, l’umanità, la tolleranza, la pietà, tutti questi elementi che possono aiutare a risolvere una contesa nell’ambito della famiglia, non hanno più voce quando ci s’affida al codice. L’ideale del codice sarebbe l’annullamento del codice stesso, nelle cause civili per lo meno… il giudice di pace. Ma un giudice di pace seduto sotto un albero, in un paese abitato da tanti Boschini…». Ho riso per cortesia, e gli ho chiesto se era convinto della buona fede di Boschino. «Assolutamente» ha risposto «Boschino si sarebbe accontentato di riavere i suoi buoi, limitandosi a mostrare ai parenti che avrebbe potuto toglier loro tutto ciò che avevano; avrebbe voluto mostrare la sua potenza e la sua magnanimità» […] Tutte quelle questioni riguardanti Boschino, interessanti per se stesse, in quanto materia del suo lavoro, della sua professione, dopo la conversazione devono essergli sembrate vuote, gratuite, ridotte a una questione morale. Se ne avesse parlato con un altro avvocato, con uno del mestiere, la questione di Boschino sarebbe potuta diventare ciò che essi chiamano un caso elegante. Pura forma. Ma io, che c’entro? Io sono un profano. Solo l’improntitudine giovanile poteva avermi indotto a parlare di questo con lui. Perché cos’è l’interesse morale, umano, disinteressato, se non improntitudine giovanile?

L’unico modo per capire l’altro e più in generale l’alterità, trova legittimazione solo nell’abbandono di ogni certezza, di ogni pregiudizio, di quella sorta di meta-punto di vista, onnicomprensivo, esclusivista ed etnocentrico, che forgia topoi degni, mentre tutto il resto decade a ruolo marginale, periferico, destituito in ultimo di propria dignità. Dessì, ponendo il fondamento del soggetto conoscente non più solo nell’autocoscienza ma nella relazione,

LXXVI

DINO MANCA

nel dialogo, nella reciprocità, nella solidarietà, nel riconoscimento delle diversità, sembra aprire all’essere dialogico per una verità dialogica. Si è già scritto in precedenza come la lettura di Spinoza, Leibniz, Kant, Schopenhauer, Nietzsche, Bergson, Einstein, Husserl, Merleau-Ponty, Heidegger, gli offra fondamentali strumenti filosofici e conoscitivi, e soprattutto importanti chiavi di lettura della realtà sarda. In questo senso la riflessione fenomenologica – che si affianca in quegli anni alla critica cosiddetta postmoderna dei paradigmi scientisti – come approccio metodologico, come orientamento e prospettiva, sembra rivestire nel percorso formativo dello scrittore sardo, un ruolo niente affatto marginale60. La fenomenologia, in60 La scuola gestaltista (della «Gestalt» o Psicologia della forma), ad esempio, che nasce fra il 1915 e il 1935 e che rappresenta una delle correnti più illustri della psicologia contemporanea, «trova la sua filiazione in quella psicologia dal punto di vista empirico di Brentano, che getta le basi per una psicologia fondata sull’atto, sull’intenzionalità: quest’ultima intesa come l’atto che rapporta il soggetto all’oggetto. L’oggetto ha realtà sua propria ma diviene esistente in sede psichica solo quando un atto rapporta ad esso l’essere umano. La psicologia dell’atto convoglia l’attenzione verso il soggetto, verso il suo mondo e verso i dati immediati dell’esperienza». Matrice di questa analisi dell’esperienza diretta è proprio l’atteggiamento fenomenologico, fondamento della filosofia di Husserl, che costituisce un’alternativa alla psicologia empirica, ed influenzerà largamente la psicologia clinica (Rogers) e la psichiatria (Laing), nonché l’analisi psicologica di Sartre e di MerleauPonty. Tanda, in Letteratura e lingue (cit., p. 119), osserva che «c’è non solo un’impossibilità gnoseologica, che è proprio quella della crisi delle scienze moderne denunciata soprattutto dalla fenomenologia husserliana, ma anche la consapevolezza della difficoltà di approccio alle persone e ai fatti relativa alle differenze dei codici rilevata da tutto il pensiero contemporaneo, Wittgenstein incluso, che soli possono metterci in comunicazione con questi e che ci rinviano continuamente al problema della incomunicabilità. La ragione della spaccatura del romanzo cui allude la Dolfi è da ricercarsi in questa direzione». Sandro Maxia, inoltre, ci ricorda che «tra gli scrittori di lingua italiana del nostro secolo [Dessì] si distingue per un’autentica e non dilettantesca passione

Introduzione

LXXVII

fatti, introduce un metodo che consente di aprire nuovi orizzonti alla possibilità e ai modi attraverso cui l’uomo conosce il mondo e gli altri uomini. La cosa in sé si dà alla coscienza attraverso fenomeni percettivi, e dunque sempre per-un-soggetto che l’intenziona. Pur non essendoci divisione tra apparenza e realtà (la prima è infatti ciò che della realtà appare, ciò che si presenta), le due dimensioni non coincidono totalmente per l’oggetto esterno, ma sono inscindibili per la coscienza nell’atto del conoscere:

D

I colli all’orizzonte invece erano posti al di là di quel limite entro il quale i sensi operano concordi e dell’oggetto ti danno la cognizione completa, immediata.   L’oggetto è davanti a te, esiste. Esistono gli alberi, gli uccelli, i sentieri, gli sterpi. Non un oggetto solo, o meglio nessun oggetto isolato, ma tanti infiniti oggetti tutti assieme, uniti in una forma e in un nome indeterminato. Non un sasso, non un rametto secco o una foglia, ma un colle. E nessuno dei tuoi sensi, in particolare sente il colle, ma tutto il tuo essere sente l’esistenza del colle […]

D1 D2

I colli all’orizzonte invece erano posti al di là di quel limite entro il quale i sensi operano concordi e dell’oggetto ti danno la cognizione completa, immediata. L’oggetto è davanti a te, esiste. Esistono gli alberi, gli uccelli, i sentieri, gli sterpi. Non un oggetto solo, o meglio nessun oggetto isolato, ma tanti infiniti oggetti tutti assieme, uniti in una forma e in un nome indeterminati. Non un sasso, non un rametto secco o una foglia, ma un colle. E nessuno dei tuoi sensi in particolare sente il colle, ma tutto il tuo essere sente l’esistenza del colle […]

B M2

I colli all’orizzonte invece erano posti al di là di quel limite entro il quale i sensi operano concordi e dell’oggetto ti danno la cognizione completa, immediata.

per il pensiero filosofico della modernità, da Spinoza ad Husserl (in una lettera a Claudio Varese del 27 febbraio 1964, affermava: «Credo sia abbastanza facile trovare nei miei libri qualche ascendenza filosofica – il che è abbastanza raro in Italia. I pochi filosofi che ho letto mi sono serviti perché li ho amati come si amano i poeti, e forse anche di più» (Prefazione a Paese d’ombre…, p. 30). Sul pensiero filosofico di Dessì si veda altresì: A. Dolfi, Il luogo e la percezione dell’istante, in La parola e il tempo, Firenze, Nuove Edizioni Vallecchi, 1977, pp. 399-425.

LXXVIII

DINO MANCA

  L’oggetto è davanti a te, esiste. Esistono gli alberi, gli uccelli, i sentieri, gli sterpi. Non un oggetto solo, o meglio nessun oggetto isolato, ma tanti infiniti oggetti tutti assieme, uniti in una forma e in un nome vago. Non un sasso, non un rametto secco o una foglia, ma un colle. E nessuno dei tuoi sensi in particolare sente il colle, ma tutto il tuo essere sente l’esistenza del colle […]

Al variare del punto di vista e dell’attenzione del soggetto la figura mostra oggetti diversi al limite della trasfigurazione in chiave antropomorfica. Attraverso le sensazioni e la memoria, la coscienza costruisce il suo senso del mondo e la sua idea cambia in relazione all’esperienza. Il significato, dunque, sembra nascere quale esperienza fatta del mondo:

D

Ma se perdo il senso di questo orizzonte, di questa prospettiva, e cerco di guardarla più da vicino, ogni fatto si riempie di altri fatti, all’infinito, è un brulichio infinito […] M’accontentavo di fermare su un oggetto, su una persona, su un luogo le mie fantasie e i miei pensieri; come si àncora una nave al fondo sconosciuto del mare. Io stesso non potrei riconoscere ora una roccia, sopra Giarrana, che a un certo punto del sentiero sembrava, vista dal basso, un uomo seduto, un marinaio con un largo cappello di tela cerata ›con‹ |dal|la falda |rialzata| (›alzata su‹) sulla fronte, come usano i pescatori del Baltico. A Maria invece sembrava una donna china sul suo bambino. Salendo ancora, non era più possibile riconoscere in quella roccia alcuna forma umana. Era una roccia come tutte le altre. Ma accanto ve n’era una che per un foro che l’attraversava faceva pensare a uno di quegli anelli che vi sono nelle darsene per legarvi le gomene. E io mettevo in relazione la figura del marinaio seduto con quell’anello, e pensavo che, un tempo, solo la cima di quei monti

D1 D2

Ma se perdo il senso di questo orizzonte, di questa prospettiva, e cerco di guardarla più da vicino, ogni fatto si riempie di altri fatti, all’infinito, è un brulichio infinito […] M’accontentavo di fermare su un oggetto, su una persona, su un luogo le mie fantasie e i miei pensieri; come si àncora una nave al fondo sconosciuto del mare. Io stesso non riconoscerei ora una roccia, sopra Giarrana, che a un certo punto del sentiero sembrava, vista dal basso, un uomo seduto, un marinaio con un largo cappello di tela cerata dalla falda rialzata sulla fronte, come usano i pescatori del Baltico. A Maria invece sembrava una donna china sul suo bambino. Salendo ancora, non era più possibile riconoscere in quella roccia alcuna forma umana. Era una roccia come tutte le altre. Ma accanto ve n’era una che per un foro che l’attraversava faceva pensare a uno di quegli anelli che vi sono nelle darsene per legarvi le gomene. E io mettevo in relazione la figura del marinaio seduto con quell’anello, e pensavo che, un tempo, solo la cima di quei monti emergeva dal mare, e forse qualche

Introduzione

LXXIX

emergeva dal mare, e forse qualche ciclopica nave era stata ormeggiata a ciclopica nave era stata |ormeggiata| quell’anello […] (›legata‹) a quell’anello […]

B M2

Ma se perdo il senso di questo orizzonte, di questa prospettiva, e cerco di guardarla più da vicino, ogni fatto si riempie di altri fatti, all’infinito, è un brulichio infinito […] Mi accontentavo di fermare su un oggetto, su una persona, su un luogo le mie fantasie e i miei pensieri; come si àncora una nave al fondo sconosciuto del mare. Io stesso non riconoscerei ora una roccia, sopra Giarrana, che a un certo punto del sentiero sembrava, vista dal basso, un uomo seduto, un marinaio con un largo cappello di tela cerata dalla falda rialzata sulla fronte, come usano i pescatori del Baltico. A Maria invece sembrava una donna china sul suo bambino. Salendo ancora, non era più possibile riconoscere in quella roccia alcuna forma umana. Era una roccia come tutte le altre. Ma accanto ve n’era una che per un foro che l’attraversava faceva pensare a uno di quegli anelli che vi sono nelle darsene per legarci le gomene. E io mettevo in relazione la figura del marinaio seduto con quell’anello, e pensavo che, un tempo, solo la cima di quei monti emergeva dal mare, e forse qualche ciclopica nave era stata ormeggiata a quell’anello […]

L’approdo fenomenologico – e per certi versi esistenzialista – di Dessì sembra corrispondere alle più suggestive sollecitazioni filosofiche e artistiche che in quel momento attraversano la cultura europea. Per altro, forti sono i debiti dell’esistenzialismo verso pensatori quali Kierkegaard e Nietzsche, come del resto verso la fenomenologia di Husserl. L’uomo è heideggerianamente esistenza perché «essere-nel-mondo» e l’esistere è continuo mutare, progettarsi come evento del futuro. L’essere, dunque, non è altro che il dipanarsi dell’esistenza nel tempo che finirà ed esistere è vivere il dinamismo della realtà non solo nella propria coscienza ma anche e soprattutto nel proprio essere. Pur rinunciando a ogni pretesa fondativa della filosofia e, soprattutto, di una poetica di Dessì, tuttavia il paradigma fenomenologico, ermeneutico ed esistenzialista si rivela fin da una prima analisi particolarmente adatto a essere applicato, soprattutto a una concezione, tradotta in finzione letteraria, che intenda misurarsi con le questioni

LXXX

DINO MANCA

della differenza e della diversità culturale61. Chi è Filippo? Chi è Boschino? Cosa li unisce, cosa li divide? Quale tensione conoscitiva? Nel secondo racconto sembra che gli oggetti, i fatti, la realtà perdano di significato come in sé e lo ritrovino solamente per il senso che assumono nella coscienza del personaggio che li intenziona. Questo porta necessariamente a una decisa rivalutazione del soggetto-Filippo che si predispone per un’accettazione dell’altro-Boschino, autentica, non vincolata da pregiudizi o preconcetti. Una rivalutazione tanto necessaria in quanto, come avrebbe notato Merleau-Ponty, «l’esistenza dell’altro costituisce una difficoltà e uno scandalo per il pensiero oggettivo»62. L’aspetto più interessante di Dessì sta forse proprio nella sua «educazione dello sguardo»63. 61 Sul rapporto tra paradigma fenomenologico e diversità culturale cfr. G. Dal Fiume, Educare alla differenza, Bologna, Emi, 2000. 62 Cfr. M. Merleau-Ponty, Phénoménologie de la perception, Paris, Gallimard, 1945 (edizione italiana Fenomenologia della percezione, a cura di A. Bonomi, Milano, il Saggiatore 1965). 63 La condizione negativa dell’uomo contemporaneo fu, peraltro, il tema di fondo della corrente francese «École du regard» o «École du nouveau roman», che portò ad estreme conseguenze il tema dell’incomunicabilità e dell’incapacità gnoseologica. La presa d’atto dell’impossibilità di poter interpretare e spiegare la realtà spinse alcuni scrittori d’oltr’alpe a teorizzare la figura di un narratore nuovo, non più disponibile né a ordinare i fatti né a interpretarli. Egli semmai avrebbe dovuto – anche attraverso l’enumerazione e la struttura labirintica del romanzo – mostrare il non senso oppure la pluralità di sensi possibili, perché la realtà che ci appare non è nient’altro che un labirinto. Questi scrittori decostruirono, da fronti diversi, le strutture narrative tradizionali servendosi di monologo interiore, flusso di coscienza, sottoconversazione, descrizione fenomenologica di gesti e oggetti. Questa sorta di antiromanzo iniziò da Nathalie Sarraute con Tropismi (1938, e poi con i successivi del dopoguerra come Ritratto di un ignoto, 1956), seguito da Alain Robbe-Grillet con Le gomme (1953) e dalle opere successive che intesero porsi come momenti di descrizione freddamente oggettiva della realtà eliminando ogni preoccupazione di tipo psicologico, da Michel Butor con La modifica (1957) fino a Georges Perec con

Introduzione

LXXXI

Filippo non è il centro esclusivo che vive la sua deriva solipsistica, costretto in un letto. L’accento autorale è invece posto essenzialmente sulla sua tensione coscienziale, conoscitiva ed ermeneutica. Ciò lo porta a considerare come assolutamente centrale l’aspetto relazionale e a perseguire una concezione dialogica della verità, risultato di più verità limitate e parziali, perché sa che la realtà altra non è che il frutto di «tradizioni, saperi, opinioni, convenzioni, giudizi, sedimentati attraverso la storia e reificati dall’abitudine»64. Il personaggio, dunque, si trova a vivere implicato entro una rete intersoggettiva che lo induce a un continuo sforzo di comprensione della visione del mondo dell’altro. Questo sforzo è infinito perché l’oggetto della conoscenza non viene mai definitivamente colto, sfugge all’abbraccio quando si è prossimi ad afferrarlo:

D

Mi sono chiesto quale differenza passa tra la conoscenza che ho di me stesso e la conoscenza che ho di quest’uomo che si chiama Michele Boschino.   Ho pensato a lungo a questo.   Che valore hanno i fatti della sua vita? Io riconosco, questi fatti, o perché lui stesso me li ha raccontati, o perché li ha raccontati a Maria, e poi Maria a me, o da altri. Se accetto questi fatti come se fossero la sua vita stessa, e do a questi fatti un valore assoluto (così, in fondo, li ho accettati finora) la sua vita si delinea chiarissi-

D1 D2

Mi sono chiesto quale differenza passa tra la conoscenza che ho di me stesso e la conoscenza che ho di quest’uomo che si chiama Michele Boschino.   Ho pensato a lungo a questo.   Che valore hanno i fatti della sua vita? Io li conosco, questi fatti, o perché lui stesso me li ha raccontati, o perché li ha raccontati a Maria, e poi Maria a me, o da altri. Se accetto questi fatti come fossero la sua vita stessa, e do a questi fatti un valore assoluto (così, in fondo, li ho accettati finora) la sua vita si delinea chiarissima

cui venne a perdersi la distinzione di genere (romanzo, diario, saggio, registrazione di eventi, pensieri, discorsi). Manifesto dell’«École du regard» può essere considerato il saggio di Robbe-Grillet Una via per il romanzo futuro (1956), ma fondamentale è anche quello di Butor Il romanzo come ricerca (1955). Allo stesso Robbe-Grillet, sceneggiatore e regista, si deve lo stretto rapporto tra ricerca letteraria e cinema. 64 D. Demetrio (a cura), Nel tempo della pluralità, Firenze, La Nuova Italia, 1997, p. 40.

LXXXII

DINO MANCA

ma nel mio spirito, coerente […] non è la simpatia o l’odio che conta, ma i fatti, che si vestono di un sentimento particolare che io ho di lui […] I due racconti si fondono, o meglio coincidono in un punto che è fuori di essi. Allo stesso modo, dalle descrizioni di Linda e dal ricordo delle descrizioni di Boschino è risultato questo paese di Sigalesa, concreto, visibile, noto come può esserlo Ultra.   Se quest’idea che io mi son fatto di Boschino coincide col Boschino reale, io conosco quest’uomo meglio di me stesso.   Ma è assurdo. Non si conoscono così gli uomini reali, ma i personaggi dei romanzi.    C’è dunque, dietro quest’uomo che io vedo muoversi, sento parlare, che vive con me ormai tutte le ore, e del quale conosco il tormento fino a soffrirne, c’è un altro uomo vero, sconosciuto, impenetrabile alla mia coscienza, un’inviolabile realtà morale […] E se anche Maria si fosse fatta di lui un’idea falsa? Io e Maria potremmo avere di Boschino la stessa idea falsa. I nostri pensieri s’incontrano spesso, e tale incontrarsi ci dà la certezza della loro giustezza […] Ma questa verità che a un tratto appare a noi due, non potrebbe essere un’illusione comune? Nel caso di Boschino, per esempio […]

nel mio spirito, coerente […] non è la simpatia o l’odio che conta, ma i fatti, che si vestono di un sentimento particolare che io ho di lui […] I due racconti si fondono, o meglio coincidono in un punto che è fuori di essi. Allo stesso modo, dalle descrizioni di Linda e dal ricordo delle descrizioni di Boschino è risultato questo paese di Sigalesa, concreto, visibile, noto come può esserlo Ultra, per esempio.   Se quest’idea che io mi son fatto di Boschino coincide col Boschino reale, io conosco quest’uomo meglio di me stesso.   Ma è assurdo. Non si conoscono così gli uomini reali, ma i personaggi dei romanzi.   C’è dunque, dietro quest’uomo che io vedo muoversi, che sento parlare, che vive con me ormai tutte le ore, e del quale conosco il tormento fino a soffrirne, c’è un altro uomo vero, sconosciuto, impenetrabile alla mia coscienza, un’inviolabile realtà morale […] E se anche Maria si fosse fatta di lui un’idea falsa? Io e Maria potremmo avere di Boschino la stessa idea falsa. I nostri pensieri s’incontrano spesso, e tale incontrarsi ci dà la certezza della loro giustezza […] Ma questa verità che a un tratto appare a noi due, non potrebbe essere un’illusione comune? Nel caso di Boschino, per esempio […]

B M2

Mi sono chiesto quale differenza passa tra la conoscenza che ho di me stesso e la conoscenza che ho di quest’uomo che si chiama Michele Boschino.   Ho pensato a lungo a questo.   Che valore hanno i fatti della sua vita? Io li conosco, questi fatti, o perché lui stesso me li ha raccontati, o perché li ha raccontati a Maria, e poi Maria a me; o da altri. Se accetto questi fatti come se fossero la sua vita stessa, e do a questi fatti un valore assoluto (così, in fondo, li ho accettati finora) la sua vita si delinea chiarissima nel mio spirito, coerente […] non è la simpatia o l’odio che conta, ma i fatti, che si vestono di un sentimento particolare che io ho di

Introduzione

LXXXIII

lui […] I due racconti si confondono, o meglio coincidono in un punto che è fuori di essi. Allo stesso modo, dalle descrizioni di Linda e dal ricordo delle descrizioni di Boschino è risultato questo paese di Sigalesa, concreto, visibile, noto come può esserlo Ultra, per esempio.   Se quest’idea che io mi son fatto di Boschino coincide col Boschino reale, io conosco quest’uomo meglio di me stesso.   Ma è assurdo. Non si conoscono così gli uomini reali, ma i personaggi dei romanzi.   C’è dunque, dietro quest’uomo che io vedo muoversi, che sento parlare, che vive con me ormai tutte le ore, e del quale conosco il tormento fino a soffrirne, c’è un altro uomo vero, sconosciuto, impenetrabile alla mia coscienza, un’inviolabile realtà morale […] E se anche Maria si fosse fatta di lui un’idea falsa? Io e Maria potremmo avere di Boschino la stessa idea falsa. I nostri pensieri s’incontrano spesso, e tale incontrarsi ci dà la certezza della loro giustezza […] Ma questa verità che a un tratto appare a noi due, non potrebbe essere un’illusione comune? Nel caso di Boschino, per esempio […]

Per Filippo non si tratta, perciò, di inseguire una mistificatoria conoscenza «oggettiva», ma di tentare di cogliere la visione del mondo di Boschino attraverso uno sforzo di decentramento e di epoché, di sospensione del giudizio sulla propria visione del mondo. L’entropatia, come capacità di mettersi al posto dell’altro – per dirla con Husserl – diventa in questo caso un atteggiamento empatico, un sentire dentro e insieme all’altro, un tentativo di penetrare la sua esperienza vissuta e di vedere il mondo attraverso i suoi occhi:

D

io posso agire, nei riguardi di Boschino, solo se lo considero come me stesso, se agisco verso di lui come potrei agire verso me stesso […] Mi assumo io il peso e la conseguenza della bestemmia. Sono io stesso Michele Boschino. Sono io, disteso, non qui, nella mia camera, nel mio letto, ma sulla branda della rimessa. Ritrovo in me l’abitudine antica della bestemmia. Se il secchio non viene su facilmente dal pozzo, se la zappa s’impiglia in una radice più tenace delle

D1 D2

io posso agire, nei riguardi di Boschino, solo se lo considero come me stesso, se agisco verso di lui come potrei agire verso me stesso […] Mi assumo io il peso e la conseguenza della bestemmia. Sono io stesso Michele Boschino. Sono io, disteso, non qui, nella mia camera, nel mio letto, ma sulla branda della rimessa. Ritrovo in me l’abitudine antica della bestemmia. Se il secchio non viene su facilmente dal pozzo, se la zappa s’impiglia in una radice più tenace delle

LXXXIV

altre e sono costretto a fare uno sforzo che rompe la mia resistenza fatta di lentezza e di misura, se non riesco ad aprire la porta, subito la bestemmia si formula nel mio spirito, mi sale alle labbra, pende minacciosa. Ed ecco che subito il secchio sale docile dal pozzo, la zappa si libera dalla radice, la porta cede, si apre. Le cose si fanno sommesse e timorose intorno a me. Ma non è questa improvvisa docilità delle cose che m’induce a bestemmiare; e neppure la lieve ebbrezza che mi dà la bestemmia. È una tentazione improvvisa, irresistibile. Bestemmierei anche se sapessi che la bestemmia può fulminarmi. La bestemmia mi dà un senso di liberazione, di forza. Spesso, quando penso ai casi della mia vita, tutti legati l’uno all’altro come le maglie di una catena, e mi trovo qui fermo, impotente, e penso che un altro si gode i danari che mio padre e io abbiamo sudato, e che nulla mi rimane più d’attendere dalla vita, se non la minestra che quella puttana di Lavinia ruba in casa dei suoi padroni per portarmela, anche allora bestemmio. È un piacere sempre nuovo. Non mi stanca mai. È un piacere simile a quello che si prova da giovani quando si prende la donna. Mi sembra di bestemmiare sempre per la prima volta. Per un attimo ho di nuovo trent’anni. Sono giovane. Il passato non ha importanza. Tutto è ancora da cominciare. Se riuscissi a trattenere la forza di quell’attimo, avrei tutto ciò che avevo allora. Come allora conterei i danari sotto la pianella della mia stanza. Saprei quanti altri me ne porterebbe il nuovo raccolto. Quanti me ne mancano per comprare un altro pezzo di terra. Penserei al grano seminato, alla fioritura dei mandorli, alla vigna d’arare, al tempo che fa, al lino che mia moglie tesserebbe sotto

DINO MANCA

altre e sono costretto a fare uno sforzo che rompe la mia resistenza fatta di lentezza e di misura, se non riesco ad aprire la porta, subito la bestemmia si formula nel mio spirito, mi sale alle labbra, pende minacciosa. Ed ecco che subito il secchio sale docile dal pozzo, la zappa si libera dalla radice, la porta cede, si apre. Le cose si fanno sommesse e timorose intorno a me. Ma non è questa improvvisa docilità delle cose che m’induce a bestemmiare; e neppure la lieve ebbrezza che mi dà la bestemmia. È una tentazione improvvisa, irresistibile. Bestemmierei anche se sapessi che la mia stessa bestemmia può fulminarmi. La bestemmia mi dà un senso di liberazione, di forza. Spesso, quando penso ai casi della mia vita, tutti legati l’uno all’altro come le maglie di una catena, e mi trovo qui fermo, impotente, e penso che un altro si gode i danari che mio padre e io abbiamo sudato, e che nulla mi rimane più d’attendere dalla vita, se non la minestra che quella puttana di Lavinia ruba in casa dei suoi padroni per portarmela, anche allora bestemmio. È un piacere sempre nuovo. Non mi stanca mai. È un piacere simile a quello che si prova da giovani quando si prende la donna. Mi sembra di bestemmiare sempre per la prima volta. Per un attimo, ho di nuovo trent’anni. Sono giovane. Il passato non ha importanza. Tutto è ancora da cominciare. Se riuscissi a trattenere la forza di quell’attimo, avrei tutto ciò che avevo allora. Come allora conterei i danari sotto la pianella della mia stanza. Saprei quanti altri me ne porterebbe il nuovo raccolto. Quanti me ne mancano per comprare un altro pezzo di terra. Penserei al grano seminato, alla fioritura dei mandorli, alla vigna d’arare, al tempo che fa, al lino che mia moglie tesse-

Introduzione

LXXXV

il portico, a un bambino che dovrebbe nascermi. Invece tutto è fermo, tutto è arido. Io non ho più radici, sono come un albero sradicato. Le foglie sono appassite, le radici all’aria, e non sono ancora morto.

rebbe sotto il portico, a un bambino che dovrebbe nascermi. Invece tutto è fermo, tutto è arido. Io non ho più radici, sono come un albero sradicato. Le foglie sono appassite, le radici all’aria, e non sono ancora morto.

B

io posso agire, nei riguardi di Boschino, solo se lo considero come me stesso, se agisco verso di lui come potrei agire verso me stesso […] Mi assumo io il peso e la conseguenza della bestemmia. Sono io stesso Michele Boschino. Sono io, disteso, non qui, nella mia camera, nel mio letto, ma sulla branda della rimessa. Ritrovo in me l’abitudine antica della bestemmia. Se il secchio non viene su facilmente dal pozzo, se la zappa s’impiglia in una radice più tenace delle altre e sono costretto a fare uno sforzo che rompe la mia resistenza fatta di lentezza e di misura, se non riesco ad aprire la porta, subito la bestemmia si formula nel mio spirito, mi sale alle labbra, pende minacciosa. Ed ecco che il secchio sale docile dal pozzo, la zappa si libera dalla radice, la porta cede, si apre. Le cose si fanno sommesse e timorose intorno a me. Ma non è questa improvvisa docilità delle cose che m’induce a bestemmiare e in tentazione; e neppure la lieve ebbrezza che mi dà la bestemmia. È una tentazione improvvisa, irresistibile. Bestemmierei anche se sapessi che la mia stessa bestemmia può ricadere su di me all’istante e può fulminarmi. La bestemmia mi dà un senso di liberazione, di forza. Spesso, quando penso ai casi della mia vita, tutti legati l’uno all’altro come le maglie di una catena, e mi trovo qui fermo, impotente; e penso che un altro si gode i danari che mio padre e io abbiamo sudato, e che nulla mi rimane più d’attendere dalla vita, se non la minestra che quella puttana di Lavinia ruba in casa dei suoi padroni per portarmela, anche allora bestemmio. È un piacere sempre nuovo. Non mi stanca mai. È un piacere simile a quello che si prova da giovani quando si prende la donna. Mi sembra di bestemmiare sempre per la prima volta. Per un attimo, ho di nuovo trent’anni. Sono giovane. Il passato non ha importanza. Tutto è ancora da cominciare. Se riuscissi a trattenere la forza di quell’attimo, avrei tutto ciò che avevo allora. Come allora conterei i danari sotto la pianella della mia stanza. Saprei quanti altri me ne porterebbe il nuovo raccolto. Quanti me ne mancano per comprare un altro pezzo di terra. Penserei al grano seminato, alla fioritura dei mandorli, alla vigna da arare, al tempo che fa, al lino che mia moglie tesse sotto il portico, a un bambino che deve nascermi. Invece tutto è fermo, tutto è arido. Io non ho più radici, sono un albero sradicato. Le foglie sono appassite, le radici all’aria, e non sono ancora morto.

M2

io posso agire, nei riguardi di Boschino, solo se lo considero come me stesso, se agisco verso di lui come potrei agire verso me stesso […] In questo momento me ne assumo io stesso il peso e la conseguenza. Sono io stesso

LXXXVI

DINO MANCA

Michele Boschino. Sono io, disteso, non qui, nella mia camera, nel mio letto, ma sulla branda della rimessa. Ritrovo in me l’abitudine antica e tenace. Se il secchio non viene su facilmente dal pozzo, se la zappa s’impiglia in una radice, e sono costretto a fare uno sforzo che fiacca la mia resistenza fatta di lentezza e di misura, se la porta non cede alla spinta della mia mano, ecco che la parola terribile si formula nel mio spirito e pende minacciosa. Ed ecco che il secchio sale docile dal pozzo, la zappa si libera dalla radice, la porta si apre. Le cose si fanno sommesse e silenziose intorno a me in un vuoto di vertigine. Ma non è questa improvvisa e timorosa docilità delle cose che m’induce in tentazione e neppure l’ebbrezza leggera che mi dà, come un bicchier di vino a digiuno. È un bisogno di rivolta inutile e triste, una finzione di calma, come chi, nella mente, rinuncia alla ragione più profonda e misteriosa dell’esistenza, ed esca e s’affacci al di fuori di se stesso. Per un attimo ho di nuovo trent’anni. Sono giovane. Tutto è ancora da cominciare. Se riuscissi a trattenere la forza illusoria di quell’attimo, a fissare quel patto sacrilego, sentirei ancora il telaio battere sotto il loggiato, e la voce di Severina. Conterei mentalmente il danaro nascosto sotto un mattone a piè del letto. Saprei quanti scudi v’aggiungerei al nuovo raccolto, quanti me ne mancano per comprare un altro pezzo di terra. I miei pensieri sarebbero pieni e fecondi. Avrei negli occhi chiusi il grano seminato, la fioritura dei mandorli, la vigna da arare al tempo giusto. E un bambino dovrebbe nascermi e io lo aspetterei come si aspetta la maturazione di un frutto. Invece tutto è fermo, tutto è arido, la leggera ebbrezza se ne va e il presente si distende ancora intorno a me come un campo pieno di sassi. E io sono un albero sradicato e non ancora morto.

Si assiste al crollo di un meta-punto di vista, di una verità oggettiva. Quale Boschino dunque?:

D

Non è il Boschino di Maria, il Boschino che parla, e forse neppure il Boschino che monologa vicino al fuoco. È quello e questo, è anche un Boschino finora sconosciuto e solitario e disperato come solo si può esserlo nella solitudine della bestemmia. Il Boschino che accenna a Maria il segno lasciato dal Crocifisso sulla carta ingiallita, è un aspetto di Boschino, un modo di essere […]

D1 D2

Non è il Boschino di Maria, il Boschino che parla, e forse neppure il Boschino che monologa e mugola vicino al fuoco. È quello e questo; è anche un Boschino finora sconosciuto e solitario e disperato come solo si può esser nella solitudine della bestemmia. Il Boschino che accenna a Maria il segno lasciato dal Crocifisso sulla carta ingiallita, è un aspetto di Boschino, un modo di essere […]

Introduzione

LXXXVII

B M2

Non è il Boschino di Maria, il Boschino che parla, e forse neppure il Boschino che monologa e mugola vicino al fuoco. È quello e questo, è anche un Boschino finora sconosciuto e solitario e disperato come solo si può esser nella solitudine della bestemmia. Il Boschino che accenna a Maria il segno lasciato dal Crocefisso sulla carta ingiallita, è un aspetto di Boschino, un modo di essere […]

Alla fine, privo della comprensione della propria comunità d’appartenenza («quel mondo che per lui è di irreparabile colpa»), Boschino vive in se stesso, chiuso nella propria realtà incomunicabile. Egli diventa per Filippo un tramite, senza sbocchi risolutori, verso l’altro, verso un qualcosa che resta comunque misterioso e inconoscibile.

Nota al testo Il romanzo Michele Boschino ci è stato trasmesso attraverso: – tre quaderni di abbozzi (Q, Q1, Q2) che precedono le redazioni strutturalmente compiute e la stesura definitiva del romanzo e che documentano i nuclei generativi e le primitive fasi di elaborazione dell’opera (avantesto); – tre elaborati dattiloscritti (D, D1, D2); – due articoli rispettivamente su rivista quindicinale e mensile: «Primato. Lettere e arti d’Italia», II, 7 (1 aprile 1941), pp. 9-11 (P), il cui testo corrisponde, con alcune difformità redazionali, in larga parte al VI capitolo del romanzo, con brani, sempre parzialmente modificati, del X, e «Lettere d’oggi. Rivista mensile di letteratura», III (serie III), 4 (maggio 1941), pp. 30-33 (L), il cui brano corrisponde in molte sue parti al capitolo XIII; – l’ultima bozza di stampa (B) con correzioni manoscritte della Iª edizione (Milano, Arnoldo Mondadori Editore, 1942); – due edizioni a stampa autorizzate: Milano, Arnoldo Mondadori Editore, (luglio) 1942 [edizione «Lo Specchio»] (M1); Milano, Arnoldo Mondadori Editore, (agosto) 1975 [edizione «Scrittori italiani e stranieri»] (M2). Tenendo conto che il testo risultante dal processo correttorio di B corrisponde a quello di M1 (B = M1), da qui

XC

DINO MANCA

in avanti la sigla B designerà sia B (ultima bozza di stampa) che M1 (Iª edizione, 1942). Tra le edizioni seriori si ricordano: Milano, Mondadori, 1978 (M3); Nuoro, Ilisso, 2002 (IL). I dati emersi dalla collatio attestano l’esistenza di numerose lezioni divergenti tra i testimoni. Le varianti interne a D, e quelle intercorrenti fra D, D1, D2, B e M2, mostrano un percorso correttorio vario e articolato per tipologia, tempi e modalità d’esecuzione, fasi elaborative e impianto stratigrafico. L’editore mette a testo M2, attestante la forma ultima del romanzo e l’ultima volontà dell’autore, e lo assume come esemplare di collazione al quale rapportare tutte le varianti esibite dai testimoni dattiloscritti e dalle edizioni a stampa (parziali e totali) che precedono e presenta in apparato la storia genetica dell’opera nei successivi passaggi correttori; un apparato genetico (o diacronico o dinamico) dove trovano posto le varianti d’autore, ordinate, fin dove è stato possibile, secondo un criterio cronologico. I criteri di trascrizione del testo base adottati sono stati di alta fedeltà diplomatica. Si sono conservate le caratteristiche e le peculiarità della lingua letteraria: – le forme apocopate: mandar, andar, venir, finir, aprir

– le forme dittongate e/o trittongate: giuocare, giuocavamo, giuoco, muricciuolo, piuolo, figliuoli

– le forme monottongate: decine

Nota al testo

XCI

– le parole con «i» diacritica sovrabbondante: quercie

– le forme raddoppiate: intravvedeva

– gli arcaismi, i termini desueti e rari, voci dotte, termini di uso letterario, talora in compresenza con le rispettive e concorrenti forme di uso più comune: ritrecine, basto, noria, gora, profenda, maglio, scerbare, accestire, in traversare, mallo, cimolo, callaia, gerla, mastello, muglio, beccaio, coltella, mezzaria, crescione, apio, sala, sgonfiotti, barbicaia, staggiano, abbarcato, giovine, comperò, danari

Sono stati generalmente rispettati, infine: – gli usi linguistici regionali dell’italiano, le forme d’uso comune e della colloquialità, i modi di dire e i significati idiomatici, tra i quali, ad esempio: «È tuo padre che deve decidere»; «a volte la gente non sanno quello che dicono. […]»; «[…] perché non è lei che guardano male, ora! […]»; «non farti vedere a piangere da tua madre»; Si ricordava certe allusioni, certe mezze parole, certi sogghigni che non aveva creduto rivolti a sé; «Babbo se ne sta andando»; «[…] Io e te dobbiamo dimenticarci di quello che ci è successo. […]»; si sentiva nudo e trasparente come un geco che ha la pancia piena di mosche; «Cosa ci possono fare, la gente?»; per sciogliere al pascolo i buoi; «A me mi hanno ammazzato il figlio. […]»; «Chi sa cosa diranno, la gente»; Pensava invece ad Angela. Anche con lei avevano cominciato a salutarsi; eppure Michele non sapeva decidersi; eppoi la fine di Giovanni era stato; «non farti vedere a piangere da tua madre»; Allora, per non farsi vedere a piangere sciocca-

XCII

DINO MANCA

mente; Sembrava di cera, e odorava solo a guardarlo; «Io, quando gli ho parlato la prima volta, mi è sembrato un uomo giusto, sincero»; Ma a me mi giudicherà Quello che vede tutto e sa tutto; Non è la loro educazione che limita le loro letture; Ma non vorrei aver contribuito anch’io, parlandoti dei suoi rimorsi, a farti un’opinione sbagliata; «Non vorrei avere su di me l’odio di un uomo come Boschino»

– i capoversi. Gli interventi hanno invece riguardato: – l’emendazione dei refusi, per la cui identificazione, quando non fenomenologicamente patenti, si è dimostrato utile il confronto con gli altri testimoni: ragazzi, sempre. D > ragazzi, Sempre! (← sempre.) D1 D2 M2 > ragazzi. ( ragazzi,) Sempre! B > ragazzi. Sempre! come se fosse colpa sua se aveva D D1 D2 M2 > come ›se‹ fosse colpa sua se aveva B > come se fosse colpa sua aveva M1 > come fosse colpa sua se aveva dei racconti D D1 D2 M2 > ||del racconto|| (›dei racconti‹) B > del racconto di montagne, di boschi, D > di montagne di boschi (← di montagne, di boschi,) D1D2B > di montagne di boschi, M2 > di montagne di boschi broda D D1 D2 M2 B > proda accapate D D1 D2 M2 B > accappiate Fin’allora D D1 D2 B M2 > Fin allora dovevano esserci tre ponti D > /ci sono/ devono (← dovevano) esserci tre ponti D1 > devono esserci tre ponti D2 > devono essere tre ponti M2 > devono esserci tre ponti ancora bene in gambe D D1 D2 > ancora in gambe B > ancora in gamba M2 > ancora bene in gambe riacquisti forze D > riacquistando le (← riacquisti) forze D1 D2 > riacquistando forze B M2 > riacquistando le forze «Sai! Boschino è morto», D D1 D2 B > «Sai! Boschino è morto» M2 > «Sai! Boschino è morto»,

– regolarizzazione secondo gli usi moderni di alcuni segni diacritici: il punto fermo è stato riportato dopo le

Nota al testo

XCIII

virgolette di chiusura; i puntini sospensivi sono stati uniformati a tre. L’editore ha fatto uso di un doppio apparato, in entrambi i casi sempre essenziali ed economici: un apparato genetico e un apparato di note esplicative e di commento storico, filologico e linguistico. L’apparato genetico segue a sua volta due criteri distinti di rappresentazione grafica: in un caso è collocato a piè di pagina, nell’altro caso – per consistenti lezioni e ampie parti di testo – trova accoglienza in un’apposita appendice collocata a fine libro. In entrambi i casi trovano posto le varianti d’autore, ordinate, nei successivi passaggi correttori, secondo un criterio cronologico (ossia dalla lezione originaria a quella finale). Nel primo caso l’apparato genetico è positivo: viene prima il riferimento numerico, la lezione del testo (che coincide con quella di M2 emendata dai refusi), a destra parentesi quadra chiusa «]», seguono le lezioni con varianti d’autore di D, D1, D2 e B (= M1) e quelle intercorrenti fra D, D1, D2, B (= M1) e M2, ordinate secondo un criterio diacronico-evolutivo e seguite dalle sigle (in neretto) dei testimoni messi a confronto che condividono la lezione: fugace] |fugace| (›breve‹) D Michele] lui D •Michele (›lui‹) D1 sua] la D D1 D2 ||sua|| (›la‹) B si erano] stavano D •s’erano (›stavano‹) D1 D2 si erano B nemmeno] neppure (← nemmeno) D1 D2 nemmeno D B accaduto] accaduta D D1 D2 B ≠ M2 accappiate] accapate D, D1, D2, B, M2

XCIV

DINO MANCA

La lezione di M2 è siglata: – quando essa è diversa dalla lezione definitiva che l’editore ha deciso di mettere a testo: proda] broda D D1 D2 B M2 accappiate] accapate D D1 D2 B M2 Fin allora] Fin’allora D D1 D2 B M2 del racconto] dei racconti D D1 D2 M2 ||del racconto|| (›dei racconti‹) B

– quando essa è diversa da tutte le lezioni che precedono: esigeva] voleva D D1 D2 B ≠ M2 parola!, se] parola. Se D D1 D2 parola! se B ≠ M2

– quando essa è uguale a una o ad alcune lezioni che precedono: C’erano invece Pedonca, il padrone] Erano un certo Pedonca, capraio, padrone D C’erano (← Erano) •invece (›un certo‹) Pedonca, •il (›capraio,‹) padrone D1 D2 = M2 C’erano invece Pedònca, il padrone B

La lezione di M1 è invece siglata nei rarissimi casi in cui essa non corrisponde a quella di B: come fosse colpa sua se aveva] come se fosse colpa sua se aveva D D1 D2 M2 come ›se‹ fosse colpa sua se aveva B come se fosse colpa sua aveva M1

Quando la lezione risultante dal processo correttorio di D è già quella definitiva (ossia corrispondente a quella

Nota al testo

XCV

terminale di M2) e coincidente con le successive di D1, D2 e B, allora dopo la parentesi quadra chiusa «]» seguono unicamente le varianti d’autore interne a D: Voi eravate] Voi ›sie‹ eravate D lo stesso animo] lo stesso (← le stesse) ›[―]‹ animo D Maddalena per pagar l’avvocato, che] Maddalena ›[―]‹ per pagar l’avvocato, ›un‹ che D

Se invece, la lezione di D (o risultante dal suo processo correttorio) coincide con la terminale riportata da M2 ma è diversa dalle successive lezioni di D1, D2 e B, allora dopo la parentesi quadra chiusa seguono anche le varianti d’autore interne a D1, D2 e B, ordinate secondo un criterio cronologico: solo] solo D sol (← solo) D1 D2 B

Quando la lezione definitiva è quella risultante dal processo correttorio di D1 – ed essa risulta essere coincidente con le successive lezioni di D2 e B – allora dopo la parentesi quadra chiusa seguono solo le varianti d’autore interne a D e D1 ordinate secondo un criterio cronologico: padre,] padre D padre|,| D1 lo tenne anche lontano] lo tenne lontano anche D lo tenne lontano2 anche1 D1 neppure] nemmeno D •neppure (›nemmeno‹) D1

XCVI



DINO MANCA

D

Giuseppe si mise a ridere, e ridendo rispose che lui il socio ce l’aveva già, aveva suo figlio Michele, per socio; poi, siccome l’altro insisteva, lo pregò di essere ragionevole e di smettere quest’idea. L’altro, esasperato dalla sua calma, cominciò a minacciare come l’altra volta che, assieme con Benedetto l’aveva picchiato.

D1

Giuseppe si mise a ridere. Rispose (← a ridere, e ridendo rispose) che lui il socio ce l’aveva già, aveva suo figlio Michele, per socio. Poi (← socio; poi), siccome l’altro insisteva, •si rimise a zappare senza più dargli retta. (›lo pregò di essere ragionevole e di smettere quest’idea‹). Esasperato (← L’altro, esasperato) dalla sua calma, /Benedetto/ cominciò a minacciare come l’altra volta che, 2assieme con •Salvatore (›Benedetto‹) 1l’aveva picchiato.

Quando è definitiva (e coincidente con la successiva lezione di B) la lezione risultante dal processo correttorio di D2, allora dopo la parentesi quadra chiusa seguono le varianti d’autore interne a D, D1 e D2 sempre ordinate secondo un criterio cronologico: dall’occhio alla spalla,] dall’occhio alla spalla D dall’/ angolo dell’/occhio alla spalla|,| D1 dall’›angolo dell’‹ occhio alla spalla, D2 accettato] accetato D D1 accet|t|ato D2 macellaio] maccellaio D D1 ma›c‹cellaio D2

Quando ancora, a seguire, è definitiva la lezione risultante dal processo correttorio di B (= M1) – quindi corrispondente unicamente a quella terminale di M2 – allora dopo la parentesi quadra chiusa, seguono le varianti d’autore interne a D, D1, D2 e B ordinate secondo un criterio cronologico. Le lezioni seguono le seguenti combinazioni corrispondenti alle distinte vicende elaborative realizzate: – la lezione terminale di B non corrisponde né a quella di D, né a quella di D1, né a quella di D2, tra loro invece coincidenti:

Nota al testo

XCVII

v’accechi.] v’acciechi. D D1 D2 v’accechi. B come quando eravate giovincelli] come allora, che eravate giovincelli D D1 D2 come ||quando|| (›allora, che‹) eravate giovincelli B per il piccone.] di piccone. D D1 D2 ||per il|| (›di‹) piccone. B

– la lezione terminale di B non corrisponde né a quella di D, né a quella di D2, tra loro divergenti, ma coincide invece con quella di D1: me:] me, D me; (← me,) D2 me: D1B

– la lezione terminale di B non corrisponde né a quella di D1, né a quella di D2, tra loro coincidenti, ma ristabilisce invece quella di D: preventivo] preventivo|,| D1 D2 preventivo D B cercava] /egli/ cercava D1 D2 ›egli‹ cercava D B nemmeno] neppure (← nemmeno) D1 D2 nemmeno D B

– la lezione terminale di B non corrisponde né a quella di D1, né a quella di D2, tra loro differenti, ma ristabilisce invece quella di D: Io sento] Io/lo/sento|,| D1 Io lo sento D2 Io sento D B

– la lezione terminale di B non corrisponde né a quella di D, né a quella di D2, tra loro coincidenti, ma ristabilisce invece quella di D1: ringrazierei;] ringrazierei, D D2 ringrazierei; D1 B

XCVIII

DINO MANCA

– la lezione terminale di B corrisponde a quella di D, a quella di D2, ma non coincide invece con quella di D1: viaggio] viaggio, D1 viaggio D D2 B

– la lezione terminale di B non corrisponde né a quella di D, né a quella di D1, né a quella di D2. Le lezioni di D1 e D2 tra loro coincidono: non si concede nulla di più] non si concedono nulla di più D ›non‹ si concede (← concedono) •poco (›nulla‹) di più D1 D2 non si concede (← concedono) nulla di più B



D

compagnia. Nessuno si curò di loro, e se n’andarono senza una parola di pace. “Povero Beppe” disse una vecchia “forse son più i colpi che ti hanno dato quei due giovanotti che gli scudi

D1 D2

compagnia. ›Nessuno si curò di loro, e se n’andarono senza una parola di pace.‹ “Povero Beppe” disse una vecchia /dopo che quei due se ne furono andati/ “forse son più i colpi che ti hanno dato ›quei due giovanotti‹ che gli scudi

B

compagnia. «Povero Beppe» disse una vecchia dopo che quei due se ne furono andati – forse son più i colpi che ti hanno dato quei due giovanotti che gli scudi

– la lezione terminale di B non corrisponde né a quella di D, né a quella di D1, né a quella di D2. Le lezioni di D e D1 tra loro coincidono: d’occhio. Quando vide che stava per saltargli addosso, fece un passo all’indietro] d’occhio; e quando vide, o gli parve, che ›[―]‹ volesse saltargli addosso, fece un salto all’indietro D D1 d’occhio. Quando (← d’occhio; e quando) vide, ›o gli parve‹, che ›[―]‹ •stava per (›volesse‹) saltargli addosso, fece un •passo (›salto all’‹) indietro D2 d’occhio. Quando vide›,‹ che stava per saltargli addosso, fece un passo all’indietro B

Nota al testo

XCIX

Se infine, eccezionalmente, alla lezione definitiva si arriva solo con M2, allora dopo la parentesi quadra chiusa (che già la comprende) seguono le varianti d’autore interne a D, D1, D2 e B ordinate secondo un criterio cronologico e seguite dal segno ≠ M2 (da leggersi: «lezioni diverse da M2»). Le lezioni seguiranno le seguenti combinazioni corrispondenti alle distinte vicende elaborative realizzate: – le lezioni che precedono quella terminale di M2 sono tra loro coincidenti: esigeva] voleva D D1 D2 B ≠ M2 nelle cassapanche] nei cassoni D D1 D2 B ≠ M2 disse la cosa] disse neppure la cosa D D1 D2 B ≠ M ringiovanito di pudore. Io non] ringiovanito dalle loro parole. Ed era un piacere misto di pudore. Io non D D1 D2 B ≠ M2 In questo momento me ne assumo io stesso il peso e la conseguenza.] Mi assumo io il peso e la conseguenza della bestemmia. D D1 D2 B ≠ M2

– le lezioni che precedono quella terminale di M2 non sono tra loro coincidenti. Infatti, le lezioni di D D1 D2, tra loro coincidenti, sono diverse dalla lezione di B: parola!, se] parola. Se D D1 D2 parola! se B ≠ M2 confondeva con quello] confondeva a quello D D1 D2 fondeva (← confondeva) ||con|| (›a‹) quello B ≠ M2

– oppure, la lezione iniziale di D è diversa da quelle di D1 D2, tra loro coincidenti e uguali a quella di B:

C

DINO MANCA

ma mi guardavo] e mi guardai D ma (← e) mi guardai D1 D2 B ≠ M2 l’ho riconosciuto] Lo ricostruivo D l’ho ricostruito (← Lo ricostruivo) D1 D2 B ≠ M2 bruciavano il sedere.] bruciavano… D bruciavano il culo (← …) D1 D2 B ≠ M2

È inoltre accaduto che, o per un ulteriore ripensamento o per distrazione, l’autore abbia ristabilito (o ricorretto o semplicemente lasciato) – nello stesso luogo del testo di una versione successiva – una lezione precedentemente emendata e non coincidente con quella terminale di M2: l’invidia] e l’invidia D D2 ›e‹ l’invidia D1

Com’è altresì accaduto, ancorché di rado, che l’editore si sia imbattuto in B in una sorta di lectio singularis, nonostante che alla lezione definitiva – ossia coincidente con la terminale di M2 – si fosse già giunti, nello stesso luogo del testo, con le precedenti lezioni o di D, o di D1 oppure di D2. Solo in questo caso, accanto alla sigla del testimone che accoglie (o dei testimoni che condividono) la lezione definitiva si affianca il segno = M2 (da leggersi: «lezione uguale a M2»): C’erano invece Pedonca, il padrone] Erano un certo Pedonca, capraio, padrone D C’erano (← Erano) •invece (›un certo‹) Pedonca, •il (›capraio,‹) padrone D1 D2 = M2 C’erano invece Pedònca, il padrone B

Altre lezioni confinate a una testimonianza isolata e innovazioni o varianti (anche alternative), riscontrate in un solo testimone sono: il viso] il ›suo‹ viso D1

Nota al testo

CI

gettando] disse|,| /e gettò/ gettando D1 in ogni truogolo] /ai truogoli/ in ogni truogolo D1 non] /in molti/ non D1 paura di salvatore e di Benedetto,] paura ›di Salvatore e di Benedetto‹, D1 non se le ricordava più] •chi se (›non se‹) le ricordava più|?| /.che colore avevano?/ D1 voce giovane] 2giovane 1voce B interiore, D D1 D2 B] interiore M2 L’orto D D1 D2 B] Lo orto M2

Per una più chiara e completa restituzione della tradizione testuale e una migliore leggibilità del percorso emendatorio significativo superstite – vista la consistente e sostenuta campagna correttoria messa in essere dallo scrittore in alcune fasi dell’elaborazione e considerata la presenza cospicua, ricorrente e non marginale, nel passaggio dalle redazioni D, D1, D2, B alla stampa M2, di difformità che attestano finanche lo stravolgimento d’intere originarie unità sintagmatiche e narrative – l’editore ha ritenuto opportuno accogliere in un’apposita sezione, collocata a fine libro (Appendice), con proprio apparato diacronico, alcune consistenti lezioni e ampie parti di testo infarcite di correzioni e di varianti d’autore interne a D, D1, D2, B e intercorrenti fra D, D1, D2, B e M2. In questo secondo caso l’apparato genetico è reso secondo una più leggibile e funzionale configurazione sinottico-comparativa. Esso registra il percorso variantistico intercorrente tra i testimoni nel modo che segue:

CII

DINO MANCA



D

compagnia. Nessuno si curò di loro, e se n’andarono senza una parola di pace. “Povero Beppe” disse una vecchia “forse son più i colpi che ti hanno dato quei due giovanotti che gli scudi

D1 D2

compagnia. ›Nessuno si curò di loro, e se n’andarono senza una parola di pace.‹ “Povero Beppe” disse una vecchia /dopo che quei due se ne furono andati/ “forse son più i colpi che ti hanno dato ›quei due giovanotti‹ che gli scudi

B

compagnia. «Povero Beppe» disse una vecchia dopo che quei due se ne furono andati – forse son più i colpi che ti hanno dato quei due giovanotti che gli scudi

Sempre in appendice (B e C) sono stati dall’editore rispettivamente collocati: uno dei tre quaderni di abbozzi (a titolo esemplificativo si è scelto Q) che precedono le redazioni strutturalmente compiute e la stesura definitiva del romanzo e che documentano i nuclei generativi e le primitive fasi di elaborazione dell’opera (avantesto); le redazioni parziali di cui recano testimonianza i due articoli (P ed L) usciti su rivista quindicinale e mensile e i cui testi corrispondono in larga parte al VI – con brani del X – e al XIII capitolo del romanzo.

Nel secondo apparato, infine, si riportano, con ridotta dimensione del carattere, le note esplicative e di commento storico, filologico e linguistico. Esse fanno seguito al riferimento numerico che trova corrispondenza e riscontro, ad esponente, direttamente nel segmento testuale: compagnia. «Povero Beppe»…che gli scudi] cfr. Appendice (Cap. I).

Gli esponenti numerici presenti nel testo a margine rinviano alle note dell’apparato genetico.

Nota al testo

CIII

Le diversificazioni redazionali e gli interventi correttori, discussi nell’apparato genetico in modo congetturale, sono segnati nel modo seguente: ›a‹ per delimitare la cassatura di una porzione di testo: sapeva che] sapeva ›di far bene‹ che D discorsi] discorsi strani D D1 D2 discorsi ›strani‹ B a battere col maglio.] a battere col maglio ritmicamente. D a battere col maglio ›ritmicamente‹. D1

Quando della lezione cassata, delimitata tra uncinate capovolte, è stato necessario segnalare la scansione redazionale, se ne sono indicate le varie successioni con le lettere abc. Quando la cassatura è accompagnata dalla soprascrittura (o sottoscrittura) di una variante, la lezione rifiutata, sempre tra uncinate capovolte, ed entro parentesi tonde (quadre quando è già dentro tonde) si è fatta precedere dalla variante soprascritta (o sottoscritta) cui è stato premesso un puntino (a esponente se soprascritta, a deponente se sottoscritta); e quando della lezione più antica è stato necessario indicare le varie successioni redazionali si è fatto ricorso, anche qui, alle lettere abc. Quando, poi, la cassatura è accompagnata dalla variante di sostituzione in linea, la lezione rifiutata – sempre tra uncinate capovolte, ed entro parentesi tonde – si è fatta precedere dalla variante in linea. Analogamente, quando, infine, la cassatura è accompagnata dalla variante di sostituzione a margine, la lezione rifiutata – sempre tra uncinate capovolte, ed entro parentesi tonde – si è fatta precedere dalla variante marginale: alla] •alla (›per la‹) D avrebbe] |avrebbe| (›sarebbe‹) D

CIV

DINO MANCA

Sarebbero rimasti] Tutti, meno D D1 D2 ||Sarebbero rimasti|| (›Tutti, meno‹) B certi usi] certe regole fisse D •certi usi (›acerte regole fisse bcerte norme‹) D1 fornito] portato D D1 D2 ||fornito|| (›aportato b ||procurato||‹) B veniva fuori] usciva D •usciva (›ausciva b•veniva quasi‹) D1 •veniva fuori (›usciva‹) D2 veniva ||fuori|| (›quasi‹) B con carri a buoi adorni di canne fresche; ed è] e costituisce D /con carri a buoi adorni di canne fresche/.ed è già (›e costituisce‹) D1 D2 con carri a buoi adorni di canne fresche|;| ed è ›già‹ B

← per indicare il passaggio da una prima (che si segnala tra parentesi tonde) ad una seconda lezione ricalcata su quella interamente o parzialmente (che si fa precedere) o comunque corretta in vari modi su quella; si è adoperata la stessa tecnica quando la correzione ha interessato la sola punteggiatura: la voce] la voce (← lo zio) D le] quelle D le (← quelle) D1

[—] per indicare una lezione illeggibile: trovò inginocchiato] trovò ›[−]‹ inginocchiato D

‹abc› entro parentesi uncinate piccole si è segnalata l’integrazione congetturale | a | per delimitare una inserzione in linea (anche di ordine interpuntivo):

Nota al testo

CV

Cantòria. Ed ecco come.] Cantòria. D Cantòria. |Ed ecco come.| D1

/b/ per delimitare una aggiunta nell’interlinea superiore: Angela] /Angela/ D Allora Michele] Michele D /Allora/ Michele D1

/.b/ per delimitare una aggiunta nell’interlinea inferiore: non se le ricordava più] •chi se (›non se‹) le ricordava più|?| /.che colore avevano?/ D1

|| b || per delimitare una inserzione marginale integrativa o sostitutiva: Eppure era sempre stato] Eppure era D D1 D2 Eppure era ||sempre stato|| B

a per delimitare una lezione rimasta viva di fronte a una successiva variante alternativa, soprascritta o sottoscritta, o in linea o a margine: in ogni truogolo] /ai truogoli/ in ogni truogolo D1 naturalezza] /mobilità/ naturalezza D1

a³b¹c² diverso ordinamento (= b c a), segnalato da esponenti numerici: la donna, sembrava che] sembrava che la donna D D1 D2 2 sembrava che 1la donna|,| B Certamente c’erano state altre feste di famiglia alle quali Maddalena e Benedetto avevano preso parte, in gioventù; forse, in altri tempi, tutti erano stati così d’accordo, e ora i due vecchi avevano ripreso] forse, in altri tempi, tutti erano stati così d’accordo, e c’erano sta-

CVI

DINO MANCA

te altre feste di famiglia alle quali Maddalena e Benedetto avevano preso parte, in gioventù; e ora avevano ripreso D 2forse, in altri tempi, tutti erano stati così d’accordo, 1 ›e‹ /Certamente/ c’erano state altre feste di famiglia alle quali Maddalena e Benedetto avevano preso parte, in gioventù; 3e ora ||i due vecchi|| avevano ripreso D1

↔| indica l’accapo e, quindi, che continua nel rigo seguente: gente! Cosa] gente! Cosa D D1 D2 gente!↔| Cosa B

↔|| continua dopo più righi allora. Dalla] allora.↔|| Dalla D D1 D2 B ≠ M rivederla. Rivedo] rivederla.↔|| Rivedo D D1 D2 rivederla.↔| Rivedo B

|↔ indica il ritorno nella precedente linea di scrittura andò»…Michele] andò».↔| Michele D andò».↔| |«Giovanni?»|↔| Michele D1 disse. «Mi] disse. ↔| «Mi D dissi (← disse).↔| «Mi D1 D2 disse. |↔ «Mi B

Conspectus siglorum: Avantesto Q studi per Michele Boschino. Quaderno ms. con correzioni autografe a penna e a matita Q1 quaderno ms. con correzioni autografe a penna e a matita Q2 quaderno ms. con correzioni autografe a penna e a matita Testo D dattiloscritto originale del romanzo. D1 prima copia carbonata di D con correzioni manoscritte. D2 seconda copia carbonata di D con correzioni manoscritte. P «Primato. Lettere e arti d’Italia», II, 7 (1 aprile 1941), pp. 9-11. L «Lettere d’oggi. Rivista mensile di letteratura», III (serie III), 4 (maggio 1941), pp. 30-33. B bozza di stampa con correzioni manoscritte della Iª edizione: Milano, Edizione Mondadori, (luglio) 1942. M1 Iª edizione: Milano, Edizione Mondadori, (luglio) 1942. M2 Milano, Edizione Mondadori, (agosto) 1975.

D2 4r

Michele Boschino

PARTE PRIMA

A mio Padre

Michele Boschino

5

I

Michele Boschino aveva imparato da suo padre a coltivare la terra. Quando suo padre morì, si trovò in possesso di un piccolo patrimonio che gli permetteva di lavorare quasi esclusivamente sul suo. Aveva trent’anni. Il suo temperamento lo avrebbe portato ad abbandonarsi a una pericolosa fiducia negli uomini, ma fin da bambino aveva sentito ripetere da suo padre, che conta più un nemico solo che cento amici; e, per quanto Giuseppe, suo padre, fosse ben voluto da tutti, a Sigalesa, Michele ebbe presto la conferma di questa verità. Per un difetto costituzionale mise i primi denti solo a dodici anni suonati, e per questo non fu mandato a scuola. Crebbe, ciò non ostante, sano e forte, seguiva suo padre in campagna o aiutava la madre nei lavori domestici. Era sveglio e pronto, imparava a lavorare senza fatica. Per la stessa ragione per cui non fu mandato a scuola, sua madre lo tenne anche lontano dagli altri ragazzi, così, benché fosse di temperamento socievole, non ebbe amici e neppure compagni di giuoco. Altri fatti che sopravvennero resero abituale questa solitudine. Nei primi anni della sua fanciullezza, forse a causa della sua bocca sdentata di vecchietto facile al riso, la simpatia che tutti manifestavano a suo padre si ravvivava e si faceva più cordiale quando c’era lui. Le sole persone che imparò, fin d’allora, a considerare come nemici, erano gli zii paterni Salvatore e Benedetto. Alcuni anni prima che Michele venisse al mondo, Giu13. padre,] padre D padre|,| D1     20. in campagna…domestici.] in campagna e aiutava sua madre nei lavori domestici, quand’era in casa D in campagna o (← e) aiutava sua madre nei lavori domestici, ›quand’era in casa‹. D1 D2 in campagna o aiutava la madre nei lavori domestici. B     23. lo tenne anche lontano] lo tenne lontano anche D lo tenne lontano2 anche1 D1     24. neppure] nemmeno D •neppure (›nemmeno‹) D1     28. manifestavano] mostravano D •manifestavano (›mostravano‹) D1     32. Michele] lui D •Michele (›lui‹) D1     

5

10

15

20

25

30

6

GIUSEPPE DESSÌ

5

10

15

20

25

seppe aveva avuto da uno zio una piccola eredità che, secondo Salvatore e Benedetto, avrebbe dovuto venir divisa in tre parti uguali: un vecchio giogo di buoi, che Giuseppe vendette per poche decine di scudi. Poca roba, ma quanto bastava per alimentare un rancore che forse aveva origini più lontane. Secondo i due fratelli questa piccola somma aveva dato origine al modesto patrimonio che Giuseppe, prima solo, poi con l’aiuto della moglie e del figlio era andato arrotondando; e non se ne davano pace, anzi il loro astio cresceva col passare degli anni. Giuseppe aveva cercato tante volte di far capire ai fratelli che quell’eredità gli spettava perché aveva assistito lo zio, negli ultimi tempi, quand’era vecchio e ammalato; e c’era anche uno scritto. Parenti e amici comuni cercarono inutilmente di convincere i due testardi a desistere. Un giorno Salvatore1 e Benedetto andarono a trovarlo nel suo podere di Spinàlva e lo affrontarono di nuovo con minacce. Giuseppe, seduto su un sasso, stava aggiustando le tirelle dell’asino, e non si mosse neppure. Li lasciò sfogare, poi disse: «Non lo sapete neppure voi perché gridate così. Sedetevi qui all’ombra e ragioniamo. Voi siete più arrabbiati ora di prima. Ogni anno siete sempre più arrabbiati. Ogni sasso che butto nella callaia vi fa arrabbiare. E perché? La mia terra è come un albero. Se io, il seme di quell’albero, lo facevo andare a male, voi a quest’ora non ci pensavate più. 2. venir divisa] essere |divisa| (›ripartita‹) D •venir (›essere‹) divisa D1     4. ma quanto] ma forse quanto D ma ›forse‹ quanto D1     12. che quell’eredità] la ragione. Quell’eredità D •che (›la ragione‹) quell’eredità (← Quell’eredità) D1     13. negli] ›[…]‹ negli D     19-20. Giuseppe…sfogare] Giuseppe, che stava aggiustando le tirelle dell’asino seduto su un sasso, non si mosse neppure. Li lasciò |sfogare| (›gridare‹) D Giuseppe, ›che‹ stava aggiustando le tirelle dell’asino2 seduto su un sasso1, /e/ non si mosse neppure. Li lasciò sfogare D1     22. ragioniamo.] state a sentire. D •ragioniamo (›state a sentire‹). D1     23. siete sempre più] siete più D siete /sempre/ più D1     24-25. La mia terra…quell’albero,] La mia terra è come un albero carico di frutti. Se io il seme di quell’albero D La mia terra è come un albero carico di frutti. Se io|,| il seme di quell’albero|,| D1 D2 La mia terra è come un albero ›carico di frutti‹. Se io, il seme di quell’albero, B      1

Parenti e amici…Un giorno Salvatore.] cfr. Appendice (Cap. I).

Michele Boschino

Saremmo amici. Voi due avreste capito la ragione. Invece ho piantato il seme nel terreno buono, e il mio albero è cresciuto. Voi eravate in malafede, quando avete cominciato a litigare con me. Oggi forse anche voi ci credete davvero, di avere ragione. No? Ecco cos’è la vostra: invidia. Dimenticatevi di quest’albero. Pensate che io qui nella mano abbia ancora un seme soltanto. Ora che sono passati tanti anni, forse non vi sentite più di essere in malafede come quando eravate giovincelli e io vi facevo da padre. Pensate al seme, non all’albero; l’invidia lasciatela da parte, che non v’accechi. E ricordatevi sempre questo: voi due potreste passare la vostra vita a gridare contro di me: fareste scappare gli uccelli dal mio grano, e di questo vi ringrazierei; ma di più non potrei fare». I due stettero ad ascoltarlo con la faccia incantata; poi gli saltarono addosso e cominciarono a menar botte, che se continuavano ancora un poco lo lasciavano morto. Per fortuna accorse un vicino a metter pace. Giuseppe stette a letto qualche giorno, e non volle denunciare i fratelli, come qualcuno gli consigliava. Cacciati a spintoni dagli amici, i fratelli andarono a chiedergli scusa di quel che avevano fatto, ma quando poi furono lì se ne stettero seduti in disparte senza saper cosa dire, e Giuseppe, come se niente fosse, continuò a chiacchierare con gli altri amici che gli tenevano compagnia. «Povero Beppe» disse una vecchia dopo che quei due se ne furono andati – forse son più i colpi che ti hanno dato quei due giovanotti che gli scudi2 che ti sono venuti da quei buoi!» «È proprio come dite, zia Lica» rispose Giuseppe. 1-2. Invece ho] Invece io ho D Invece ›io‹ ho D1     3. Voi eravate] Voi ›sie‹ eravate D     5-6. Dimenticatevi di quest’albero.] Dimenticatevi di questo bell’albero. D D1 D2 B ≠ M2     8-9. come…giovincelli] come allora, che eravate giovincelli D D1 D2 come ||quando|| (›allora, che‹) eravate giovincelli B     10. l’invidia] e l’invidia DD2 ›e‹ l’invidia D1     10-11. v’accechi.] v’acciechi. D D1 D2 v’accechi. B     11. questo:] un’altra cosa: D •questo (›un’altra cosa‹): D1     12. me:] me, D me; (← me,) D2 me: D1     13. mio grano,] mio ›[…]‹ grano, D  ◆  ringrazierei;] ringrazierei, D D2 ringrazierei; D1     18-19. stette…giorno, e] stette a letto qualche giorno ›cor‹, ma D stette a letto qualche giorno, •e (›ma‹) D1      2

compagnia. «Povero Beppe»…che gli scudi] cfr. Appendice (Cap. I).

7

5

10

15

20

25

8

GIUSEPPE DESSÌ

5

10

15

20

«Ma non sono quei pochi scudi che stanno sullo stomaco ai miei fratelli. Se io lavorassi ancora a giornata e non avessi legna per scaldare il bambino d’inverno, non ci penserebbero più, a quegli scudi. Ma ora sentono che c’è un po’ di calduccio, nella mia casa, che non si tira più la cinghia, e mi vogliono male per questo». Nei paesi del Centro, anche oggi – e tanto più a quei tempi – la vita del contadino è così grama che le perdite gli nuocciono assai meno di quanto non lo avvantaggi il benché minimo guadagno. Il bisogno ha indurito la sua tenacia: la prosperità lo trova con lo stesso animo diffidente con cui accoglie la gente forestiera, con le stesse mani infaticabili di quando lotta con la carestia. Abituato a mangiar pane e olive secche per mesi e mesi, non si concede nulla di più nelle annate buone: e mette da parte il resto per le cattive, che succederanno a quelle infallibilmente. Ogni pugno di grano sparagnato è un guadagno. Giuseppe Boschino, col ricavo dei buoi ereditati, e con qualche piccolo risparmio, ne aveva comprato un giogo di buona razza, forte e grande, come se ne vedevano di rado nei paesi del Centro; e aveva cominciato a lavorare a giornata per conto d’altri. In qualche anno aveva messo da parte quanto bastava per comprare alcuni ettari di terra a 2-4. Se io…più] Se io lavoravo a giornata e non avevo legna per scaldare il bambino d’inverno, non ci pensavano nemmeno D Se io lavorassi (← lavoravo) /ancora/ a giornata e non avessi (← avevo) legna per scaldare il bambino d’inverno, non ci •penserebbero più (›pensavano nemmeno‹) D1     5. che] e D •che (›e‹) D1     8. del contadino] dei contadini D del contadino (← dei contadini) D1     8-9. le perdite gli nuocciono] le perdite nuocciono loro D le perdite /gli/ nuocciono ›loro‹ D1     9. lo] li D lo (← li) D1     10. guadagno. Il bisogno] guadagno. ›[—]‹. Il bisogno D  ◆  la sua] la loro D la • sua (›loro‹) D1     11. lo] li D lo (← li) D1  ◆  lo stesso animo] lo stesso (← le stesse) ›[—]‹ animo D     12. accoglie] accolgono D accoglie (← accolgono) D1     13. lotta] lottano D lotta›no‹ D1  ◆  Abituato] Abituati D Abituato (← Abituati) D1     14. non si…di più] non si concedono nulla di più D ›non‹ si concede (← concedono) •poco (›nulla‹) di più D1 D2 non si concede (← concedono) nulla di più B     15. e mette…cattive,] tutto ciò che è in più lo mettono da parte per ›quel‹le cattive D •e (›tutto ciò che è in più lo‹) mette (← mettono) da parte /il resto/ per ›quel‹le cattive D1 D2 e mette da parte il resto per le cattive, B     16. infallibilmente] infallibilmente. ›[—]‹ D     18. e con] e forse con D e ›forse‹ con D1     

Michele Boschino

Spinàlva. La casa ce l’aveva già, e Maddalena gli aveva portato in dote cinque o sei filari di vite in collina. Poteva tirare il fiato. Fu allora che venne al mondo Michele. Quando il ragazzo fu in grado di lavorare anche lui, Giuseppe comperò un altro giogo di buoi e cominciò a far trasporti di carbone e legname dalla foresta. Questi trasporti rendevano molto di più della solita giornata di aratura. Il poderetto di Spinàlva fu accresciuto con nuovi acquisti, grazie a quei guadagni. Allora Giuseppe scavò un pozzo che risultò ricco di acqua anche in piena estate. Quando si fu accertato della ricchezza di quella vena, fece accanto al pozzo una vasca in muratura, ci mise una noria, e impiantò un orto. I fratelli, che passavano di là spesso per andare a un loro podere di Nadòria, entravano nell’orto con la scusa di farsi dare un po’ d’insalata o di ravanelli da mangiare col pane. Si lamentavano della loro miseria;3 e ogni tanto lasciavano cadere qualche parola sull’eredità, tanto per mostrare che non se n’erano dimenticati. «Vedete come siete vigliacchi» diceva Giuseppe appoggiato alla zappa. «Se io non ero sempre così paziente con voi, quest’idea vi sarebbe uscita dalla zucca una buona volta!» Un giorno che non c’era Salvatore, Benedetto fece una proposta a Giuseppe. Era disposto, diceva, a venire a patti, purché Giuseppe lo prendesse come socio nell’orto. Giuseppe si mise a ridere. Rispose che lui il socio ce l’aveva già, aveva suo figlio Michele, per socio. Poi, siccome l’altro insisteva, si rimise a zappare senza più dargli retta. Esasperato dalla sua calma, Benedetto cominciò a minacciare come l’altra volta che l’aveva picchiato assieme con Salvatore.4 Erano soli, nell’orto, Michele essendo andato in paese con un carico di cavoli da vendere al merca8. acquisti, grazie] acquisti, ›[—]‹ grazie D     20-22. quest’idea…Giuseppe.] quest’idea vi sarebbe uscita dalla testa una buona volta!” Un giorno Benedetto fece una proposta concreta. Era venuto solo apposta. D quest’idea vi sarebbe uscita dalla •zucca (›testa‹) una buona volta!” Un giorno /che non c’era Salvatore,/ Benedetto fece una proposta •a Giuseppe (›concreta. Era venuto solo apposta‹). D1      Allora Giuseppe scavò…della loro miseria;] cfr. Appendice (Cap. I). Giuseppe si mise a ridere…assieme con Salvatore.] cfr. Appendice (Cap. I).

3 4

9

5

10

15

20

25

30

10

GIUSEPPE DESSÌ

5

10

15

20

25

to. Molti anni erano passati, dall’altra volta, ma Benedetto aveva gli stessi occhi d’allora, e teneva in mano un ramo di corbezzolo da cui doveva cavare un manico per il piccone. Giuseppe non lo perdeva d’occhio. Quando vide che stava per saltargli addosso, fece un passo all’indietro e gli diede della zappa sulla testa. Benedetto cadde lungo disteso in mezzo all’insalata. Giuseppe gli lavò la ferita con l’acqua del pozzo, lo fasciò alla meglio con un pezzo di camicia, poi lo portò in paese col carro, e andò a mettersi sotto la protezione dei gendarmi, perché Salvatore e i figli di Benedetto minacciavano di fargli la pelle, se lo trovavano. Fu trattenuto, e dopo alcuni mesi di carcere preventivo condannato a tre anni di reclusione. Maddalena per pagar l’avvocato, che non aveva fatto niente di niente, dovette vender la vigna. Ma non si scoraggiò. Tre anni passano presto, diceva. Vendette uno dei due gioghi di buoi, affittò il terreno da semina, e lei stessa, con l’aiuto di Michele, si mise a coltivare l’orto. Michele aveva quindici anni, ma lavorava come un uomo. Era avveduto e cauto come suo padre. Fu lui che le consigliò di vendere anche l’altro giogo di buoi, e di comprare un muletto per portare i prodotti al mercato. Passarono due anni duri e tristi; e il ragazzo, vedendo la madre arrabattarsi senza posa e i guadagni diminuire sempre, rimpiangeva la calma e la serenità di suo padre.5 All’inizio del terzo anno ci fu un’amnistia e Giuseppe tornò a Sigalesa. L’aria e il sole fecero scomparire in poco tempo dal suo viso le tracce della prigionia. I buoi furono ricomprati, tutto tornò come prima. 3. per il piccone.] di piccone. D D1 D2 ||per il|| (›di‹) piccone. B     4-5. d’occhio…all’indietro] d’occhio; e quando vide, o gli parve, che ›[—]‹ volesse saltargli addosso, fece un salto all’indietro D d’occhio. Quando (← d’occhio; e quando) vide, ›o gli parve‹, che ›[—]‹ •stava per (›volesse‹) saltargli addosso, fece un •passo (›salto all’‹) indietro D1D2 d’occhio. Quando vide›,‹ che stava per saltargli addosso, fece un passo all’indietro B     8. di camicia] della propria camicia D di (← della propria) camicia D1     12. preventivo] preventivo D preventivo|,| D1 D2     13. Maddalena…che] Maddalena ›[—]‹ per pagar l’avvocato, ›un‹ che D     26-27. in poco…prigionia.] in poco tempo le tracce della prigione. D in poco tempo /dal suo viso/ le tracce della prigionia (← prigione). D1      5

Fu lui che consigliò…la serenità di suo padre.] cfr. Appendice (Cap. I).

Michele Boschino

Quando gli dicevano che aveva subìto una grave ingiustizia, – e anche Maddalena glielo ripeteva sempre, perché voleva che facesse qualcosa, che si prendesse una rivincita – Giuseppe osservava che se era un’ingiustizia, la cosa non riguardava lui: per lui era stata come una malattia, e il 5 danno che ne aveva avuto nessuno glielo poteva ripagare. Pensava alla vigna perduta, alla bella vigna del Faraone. E subito cominciò a metter da parte i danari per ricomprarla.

3. voleva…rivincita] voleva che lui facesse qualcosa, per prendersi una rivincita D voleva che ›lui‹ facesse qualcosa|,| •che si prendesse (›per prendersi‹) una rivincita D1     5-6. e il danno che] e che il danno che D e ›che‹ il danno che D1     7. alla bella… Faraone.] alla bella vigna di Maddalena nei pressi del ponte del Faraone. D alla bella vigna ›di Maddalena nei pressi del ponte‹ del Faraone. D1

11

12

GIUSEPPE DESSÌ

II

5

10

15

20

25

Sui vent’anni Michele s’innamorò di Angela Ghiani, figlia d’un compare dello zio Teodoro, del rione di Tuinas. In questo rione erano quasi tutti caprai, ma Agosto Ghiani aveva anche, oltre le capre, una vigna e alcuni ettari di terreno da semina. Viveva solo, con le due figlie, Angela e Carmela, essendo rimasto vedovo, e passava per uno dei caprai più ricchi di Sigalesa. Quando si seppe che i due giovani amoreggiavano, il fatto fu accolto con stupore dalla gente. Nessuno si sarebbe aspettato che Michele Boschino potesse pretendere a una ragazza come Angela, e tanto meno che lei ci si mettesse. Giuseppe s’accorse subito di questa sorda ostilità, che difficilmente avrebbe ceduto al tempo senza prendersi una rivincita; e temeva per il figlio. Sapeva che certi stati d’animo diffusi sono come la siccità. Senza tempeste di grandine e di vento, le foglie degli alberi avvizziscono e cadono, l’erba inaridisce sulla terra secca. Allora basta un fiammifero a distruggere una foresta. Allo stesso modo una parola distrugge la fama d’un uomo, se la gente è ostile. Lui stesso, in fondo, non era contento della scelta di Michele.6 Non che Angela non fosse una brava ragazza: si sapeva ch’era una buona massaia, com’era stata sua madre, sana, forte, lavoratrice instancabile, ma era troppo bella, per Michele.

12. i due giovani] Angela e Michele D •i due giovani (›Angela e Michele‹) D1     14. pretendere] pretendere D D1 D2 ›‹pretendere›‹ B     15. lei ci si mettesse.] Angela Ghiani, si mettesse con uno come lui. D •lei ci si mettesse (›Angela Ghiani, si mettesse con uno come lui‹). D1     16. sorda ostilità,] ostilità sorda della gente, D 2ostilità 1sorda ›della gente‹, D1     26. massaia,] massaia D massaia|,| D1      6 temeva per il figlio. Sapeva…della scelta di Michele.] cfr. Appendice (Cap. II).

Michele Boschino

Giuseppe non osava dirlo al giovane e neppure a Maddalena, ma ci pensava: Angela era troppo bella, e lui diffidava di tutto ciò che è appariscente, di ogni cosa che promette di più di quello che la natura suole concedere a ognuno. Michele non era un brutto giovane, anzi si poteva affermare il contrario; e non era né stupido né povero, eppure gli mancava qualcosa per essere l’uomo che ci voleva per Angela. Che cosa, Giuseppe non avrebbe saputo dirlo, non lo sapeva: forse solo l’abitudine di trattar con la gente, coi giovani suoi coetanei, e quella sicurezza che solo quest’abitudine può dare. Michele era stato sempre solo, e a Giuseppe pareva che questo non si confacesse a uno che doveva sposare una donna sulla quale gli occhi di molti si erano soffermati con desiderio.7 Siccome era orfana di madre e non aveva parenti prossimi, Angela prese a frequentare la casa. Così poteva star con Michele senza sospetto ed evitare le chiacchiere. Con lei veniva spesso anche sua sorella Carmela; e tutte e due aiutavano Maddalena nei lavori, come se fossero ormai di casa: facevano la farina con lei, il pane, andavano a lavare al fiume. Piano piano Giuseppe cominciava ad abituarsi alla loro bellezza; ma, ogni tanto, gli nasceva dentro una specie

1-3. al giovane…appariscente,] al giovane, ma ci pensava: Angela era troppo bella, e Giuseppe diffidava di tutto ciò che è troppo appariscente, D al giovane /e neppure a Maddalena/, ma ci pensava: Angela era troppo bella; (← bella,) e •lui (›Giuseppe‹) diffidava di tutto ciò che è troppo appariscente, D1 D2 al giovane e neppure a Maddalena, ma ci pensava: Angela era troppo bella, e lui diffidava di tutto ciò che è appariscente, B     4. la natura…ognuno.] la natura suole (← vuole) concedere a ognuno. D la natura • suole (›avuole b•sembra voler‹) concedere a ognuno /›[—] il medesimo‹/. D1     15. Siccome] Giuseppe lasciò fare. E siccome ›[—]‹ D ›Giuseppe lasciò fare. E‹ Siccome (← siccome) D1     15-16. prossimi] prossime D prossime D1 D2 prossimi (← prossime) B     16. Angela] /Angela/ D     18. sua] la D D1 D2 ||sua|| (›la‹) B     20. casa…lei,] casa, facevano, la farina, D casa; (← casa,) facevano, la farina /con lei/, D1 D2 casa: (← casa;) facevano›,‹ la farina con lei, B     21. Piano] E piano D Piano (← E piano) D1     22. bellezza; ma,] bellezza, anche se, D bellezza; (← bellezza,) •ma (anche se), D1      7 non era un brutto giovane…soffermati con desiderio.] cfr. Appendice (Cap. II).

13

5

10

15

20

14

GIUSEPPE DESSÌ

5

10

15

20

di timore superstizioso, e allora, più che altro per scrupolo di coscienza, diceva a Michele o a Maddalena, o anche ad Angela, che la buona moglie dev’essere come il lume a olio, che fa una luce giusta, né troppo debole né troppo viva, e sta dove lo mettono, in cucina come nella stalla, e non attira gli occhi, non riempie di sé la casa. La giovane prendeva queste parole come una lode, e solo Maddalena ne capiva il vero significato. Da tempo s’era accorta della muta diffidenza di Giuseppe, e siccome s’era affezionata ad Angela, ed era lusingata dal fatto che Michele sposasse una bella ragazza, aspettava il momento di chiedere una spiegazione al marito. Intanto bisticciava con lui per cose insignificanti che non avevano nulla a che fare con l’argomento che le stava a cuore. Nel frattempo Michele aveva cominciato a costruire due camere accanto al granaio, aveva seminato un po’ di terra per suo conto, e metteva da parte qualche soldo; Angela finiva di tesser la tela per il corredo. All’infuori di questo, i due giovani vivevano più come fratello e sorella che come fidanzati; e spesso qualcuno chiedeva a Michele o a Giuseppe, chi fosse la promessa sposa, Angela o Carmela.8 Un giorno Michele sorprese Maddalena e Giuseppe 1. superstizioso, e allora,] superstizioso. Allora, D superstizioso, /e/ allora, (← superstizioso. Allora,) D1     2-3. diceva…Angela, che] diceva che D diceva /a Michele, a Maddalena, e anche ad Angela, se capitava/ che D1 D2 diceva a Michele o a Maddalena, o anche ad Angela, che B     6-8. La giovane…significato.] Solo Maddalena capiva il significato di queste parole. D /La giovane prendeva queste parole come una lode; e/ solo (← Solo) Maddalena /ne/ capiva il /vero/ significato ›di queste parole‹. D1 D2 La giovane prendeva queste parole come una lode, e solo Maddalena ne capiva il vero significato. B     10-12. ed era…per cose] e le piaceva anche che Michele sposasse una bella ragazza, aspettava il momento di parlargliene, e intanto bisticciava con lui su cose D e|d| •era lusingata dal fatto (›le piaceva anche‹) che Michele sposasse una bella ragazza, •rimandava (›aspettava‹) il momento di •chiedere spiegazioni al marito (›aparlargliene b •preten‹), e intanto bisticciava con lui •per (›su‹) cose D1 D2 ed era lusingata dal fatto che Michele sposasse una bella ragazza, ||aspettava|| (›rimandava‹) il momento di chiedere una spiegazione al marito. Intanto (← marito, e intanto) bisticciava con lui per cose B      8

Nel frattempo Michele…Angela o Carmela.] cfr. Appendice (Cap. II).

Michele Boschino

che bisticciavano tra loro sottovoce. Tacquero non appena s’accorsero di lui, senza riuscire a nascondere un certo imbarazzo. La cosa si ripeté parecchie volte a distanza di tempo, e sempre con più frequenza. Poi, improvvisamente, quando Michele chiese di anticipare le nozze, non solo queste dispute cessarono ma i due vecchi non erano mai stati d’accordo come allora. Maddalena mai come allora si era mostrata così docile e remissiva con Giuseppe. «Io non c’entro» diceva a Michele. «È tuo padre che deve decidere». E Giuseppe aveva bell’e deciso: le nozze non dovevano essere anticipate neppure d’un giorno. Sapeva ch’era inutile insistere, Michele, e si sarebbe adattato, come sempre, alla volontà di suo padre, se Angela lo avesse lasciato in pace. Era lei che voleva affrettare le nozze. Diceva che Carmela doveva fidanzarsi, e che il padre non lo avrebbe permesso se non dopo le loro nozze; non voleva due uomini in casa in una volta sola. Giuseppe aveva discusso a lungo della cosa con Maddalena, che, in un primo tempo, era propensa ad accondiscendere. Avrebbe voluto almeno che Angela ne parlasse apertamente con lui stesso o con Maddalena: invece, in loro presenza faceva l’agnella, e quando poi era sola con Michele non gli dava un momento di respiro. Maddalena propendeva a credere che ci fosse un’altra ragione nascosta, che la ragazza non voleva dire. Forse la ragazza era incinta e si vergognava. Giuseppe diceva che non c’era motivo, in tal caso, di nasconder la cosa anche a Michele. Disse di averli sentiti parlare di nascosto tra loro, e sapeva che le ragioni di Angela erano sempre quelle.9 Proprio da quei discorsi s’era convinto che Michele era puro come un bambino. Una volta che erano soli in casa, la discussione tra Giuseppe e Maddalena diventò violenta. Giuseppe aveva ripetuto almeno dieci volte lo stesso ragionamento senza riuscire a convincer la donna.

9 Poi, improvvisamente, quando…erano sempre quelle.] cfr. Appendice (Cap. II).

15

5

10

15

20

25

30

16

GIUSEPPE DESSÌ

5

10

15

20

25

30

«Ma allora» disse a un certo punto Maddalena «c’è un’altra ragione che la ragazza non dice neppure a Michele, una ragione che sa soltanto lei». «Lei e un’altra persona! Sì, ora me l’hai fatto dire: lei e un’altra persona!» Maddalena diventò pallida pallida, e gli si appressò trascinandosi dietro lo scanno, come se avesse paura. «Cos’hai detto?» balbettò. Giuseppe aveva preso la paletta, che era appoggiata a un angolo del camino e s’era messo a esaminarla. Le mani gli tremavano. «Ho detto una cosa che non avrei voluto dirti mai». Raccontò in poche parole come, alcuni mesi prima, Raimondo Manchìa, un vecchietto che incontrava ogni giorno sulla strada di Spinàlva gli aveva chiesto se Michele fosse fidanzato con Angela o con Carmela. Dopo alcuni giorni lo aveva fermato di nuovo per chiedergli se Angela era quella di statura più piccola. Giuseppe gli aveva detto che quella era Carmela. Il vecchio era rimasto perplesso: aveva fatto un cenno di saluto con la mano e aveva ripreso la sua strada. Una terza volta era stato Giuseppe a fermarlo. Aveva un sospetto: gli pareva che il vecchio gli avesse nascosto qualcosa. A bella posta disse che s’era sbagliato, che non aveva ben capito la sua domanda, che Angela era la più bassa delle due sorelle. Allora il vecchio, sorridendo maliziosamente, aveva detto che lo sapeva, perché l’altra, la più alta, faceva l’amore di nascosto con un vicino di casa, un certo Antonio Taras, e andava anche a trovarlo in casa, di notte. Lui stesso l’aveva vista dalla sua legnaia. Senza disingannare il vecchio, Giuseppe l’aveva fatto parlare a lungo di questi incontri, che avvenivano sempre quando Agosto era all’ovile.

2. che la…Michele,] che la ragazza non dice neppure a lui D D1 D2 che la ragazza non dice neppure a ||Michele,|| (›lui‹) B     10-11. esaminarla… tremavano.] esaminarla attentamente. D esaminarla|.| •Le mani gli tremavano. (›attentamente.‹) D1     23. A bella…sbagliato] Disse che s’era sbagliato D /A bella posta/ disse (← Disse) che s’era sbagliato D1     30-31. parlare…incontri] parlare a lungo su quest’ incontri D parlare a lungo di (← su) quest’ incontri D1 D2 parlare a lungo di questi (← quest’) incontri B     

Michele Boschino

Il vecchio si divertiva a raccontare, e diceva che faceva bene, la ragazza, a ingannare suo padre, che non le permetteva di fidanzarsi con quell’uomo. Da molti particolari Giuseppe aveva capito che si trattava di Angela, non di Carmela, il cui pretendente non era Antonio Taras. «Anch’io lo avevo sentito dire, molto tempo fa» sospirò Maddalena. Lacrimava senza singhiozzi, avvolgendosi alle dita la cocca del fazzoletto, disperatamente. «A volte» disse dopo un poco con la voce che le tremava «a volte la gente non sanno quello che dicono. Cosa ci vuole a diffamare una ragazza?» «Neanch’io ci volevo credere. Ma ora l’ho sentito ripetere anche da un’altra persona, e anche tu lo sapevi! Chi sa in quanti sono, a saperlo! Ora stanno zitti, aspettano che Michele si sposi – perché non è lei che guardano male, ora! – Aspettano che si sposi; e poi… lo sai anche tu quello che succederà. E se anche non lo sapesse nessuno, non è lo stesso?» Maddalena assentiva in silenzio. Voleva bene alla ragazza, e le dispiaceva ora di dover credere una cosa tanto brutta, le dispiaceva quasi più per lei che per Michele. Era così laboriosa, così buona. «E se non è vero?» chiese piano, tra le lacrime. Giuseppe la guardò senza rispondere. «E se non è vero? se non è vero?…» insistette la donna. «Può anche darsi che non sia vero; ma è brutto che lo dicano».

1. Il vecchio…diceva che] E diceva il vecchio che D ›E diceva‹ Il (← il) vecchio /si divertiva a raccontare, e diceva/ che D1     2. suo padre] il padre D suo padre (← il padre) D1     3. con quell’uomo.] quell’uomo, fino a che la sorella maggiore non si fosse sposata. ›[—]‹ D con quell’uomo›, fino a che la sorella maggiore non si fosse sposata‹. D1     7-8. Maddalena. Lacrimava] Maddalena. Lacrimava D Maddalena.↔| Lacrimava D1     10. A] Alle D A›lle‹ D1     11. a] Alle D A›lle‹ D1 D2 ||a|| (›A‹) B     24. chiese piano,] chiese D D1 D2 chiese ||piano,|| B     26. la donna.] la donna riprendendo speranza. D D1 D2 la donna ›riprendendo speranza‹. B     

17

5

10

15

20

25

18

GIUSEPPE DESSÌ

5

10

15

20

25

Stettero un pezzo in silenzio, fino a che si sentì aprire il cancello, e le voci dei tre giovani che rientravano. Erano stati all’orto a cogliere i fichi, e li portavano a casa delicatamente assolati nelle corbe con erba e foglie. Avevano fatto la strada a piedi perché i frutti non si ammaccassero agli urti del carro. Si fecero un segno per esortarsi reciprocamente al silenzio; e da quel momento era cominciata tra i due vecchi quell’intesa che aveva tanto meravigliato Michele. Maddalena parlava sempre a voce bassa, sfuggendo lo sguardo di Michele, e sospirava; e anche con Angela non era più quella di prima. Restava lì imbarazzata, le offriva la sedia come a un’estranea, e se Angela, com’era avvezza, voleva far qualcosa, le strappava quasi gli oggetti di mano. Giuseppe, per suo conto, se n’andava sotto il loggiato o nella stalla. Anche col figlio parlava poco. Quando andavano in campagna insieme, rispondeva distrattamente alle sue domande, senza mai dargli modo di affrontare l’argomento delle nozze, canticchiava e s’interrompeva solo per dare una voce alle bestie, di tanto in tanto. Michele non sapeva spiegarsi questo contegno, e Angela cominciava a sospettare che ci fosse sotto qualche cosa. Fu lei che lo spinse a chiedere una spiegazione ai genitori: senza questo, chi sa quando si sarebbe deciso. Le promise che ne avrebbe parlato a sua madre quel giorno stesso. Di sera si sedette anche lui accanto al fuoco, aspettando che Giuseppe uscisse, per parlare più liberamente con Maddalena, che nell’affare del 1-2. si sentì aprire il cancello,] sentirono aprirsi il cancello, D D1 D2 ||si sentì|| (›sentirono‹) aprire (← aprirsi) il cancello, B     5. non si ammaccassero] non |s’ammaccassero| (›si guas‹) D D1 D2 non si ammaccassero B     8. era…vecchi] era cominciata tra loro D D1 D2 era cominciata (›aera cominciata b||cominciò||‹) tra ||i due vecchi|| (›loro‹) B     10-11. sfuggendo…sospirava;] sfuggiva il suo sguardo, sospirava; D D1 D2 sfuggendo (← sfuggiva) ||lo sguardo di Michele, e|| (›il suo sguardo‹), sospirava; B     1819. l’argomento delle nozze] l’argomento D l’argomento /delle nozze/ D1     20-22. Michele…qualche cosa.] Michele non sapeva rendersi conto di questo contegno, e Angela cominciava a insospettirsi. D Michele non sapeva •spiegarsi (›rendersi conto di‹) questo contegno, e Angela cominciava a •sospettare che ci fosse sotto qualche cosa (›insospettirsi‹). D1     2526. Di sera…lui] /Di sera/ si (← Si) sedette anche lui D     

Michele Boschino

matrimonio gli era sempre stata favorevole. Ma Giuseppe pareva che non avesse intenzione di muoversi di là. Se ne stavano tutti e tre zitti, come se fosse capitata una disgrazia. Alla fine Michele disse: «E allora?» Né Giuseppe né Maddalena gli risposero. Si alzò e accese la lanterna per andare nella stalla a pestare le fave per i buoi. Aveva voglia di piangere. «Michele» disse Giuseppe «credi che se non ti voglio accontentare lo faccio per puntiglio?» Il giovine si fermò sulla porta. «Vieni qua». Michele richiuse la porta e posò in terra la lanterna, senza avvicinarsi. Guardò sua madre per chiederle aiuto, ma il viso di lei era duro, immobile nel riflesso della fiamma. Non lo guardava neppure. «Dimmi sinceramente, credi davvero che sia per un puntiglio?» «No, un puntiglio no». «E allora perché credi che lo faccia?» Michele indugiò un poco. Gli venne l’idea assurda che suo padre stesse per cedere. «Perché non hai simpatia per lei» disse a bassa voce. Erano le stesse parole di Maddalena, quelle parole che egli non aveva mai osato dire a suo padre, e gliele diceva ora che, per la prima volta, si trovava solo di fronte a lui. S’accorse che sua madre piangeva zitta zitta. Anche lui stava per piangere. «Non è per questo» disse Giuseppe. Batté con la paletta sulla scarpa ferrata del giovine costringendolo a guardarlo in faccia. 6. gli risposero...lanterna] gli risposero: Michele s’alzò e prese la lanterna D gli risposero›: Michele‹. S’alzò (← s’alzò) e •accese (›prese‹) la lanterna D1 D2 gli risposero. Si alzò e accese la lanterna B     21. Gli venne l’idea assurda] Ora gli pareva D •Gli venne l’idea assurda (›Ora gli pareva‹) D1     26. ora...lui.] ora che si trovava solo di fronte a lui, per la prima volta. D ora che /per la prima volta/ si trovava solo di fronte a lui, ›per la prima volta‹. D1 D2 ora che|,| per la prima volta|,| si trovava solo di fronte a lui. B     2728. zitta...piangere.] zitta e anche lui stava per piangere. D zitta|.| Anche (← e anche) lui stava per piangere. D1     

19

5

10

15

20

25

30

20

GIUSEPPE DESSÌ

5

10

15

20

25

30

«Non è per questo». «Non è per questo? E allora cos’è?» disse Michele singhiozzando. «Allora perché non lo dite? Tante volte ne abbiamo parlato, e voi non la dite mai, la ragione». «A tua madre gliel’ho detta» disse accennando a Maddalena, che scoppiò in singhiozzi anche lei. «E lo dico anche a te, ora». Il giovine non capiva, poi, a un tratto, gridò: «Non ditemi niente di brutto, di lei! Non ditemi niente». Nel pianto, la sua voce sembrava persino minacciosa. «Se la prendi così, è meglio lasciar le cose come stanno. Sposati anche domani, se vuoi». «Non ditemi nulla» continuava a singhiozzare Michele. Si chinò, prese la lanterna, e uscì sempre ripetendo quelle parole. Quando fu solo, sotto la tettoia della stalla, si buttò bocconi sulla paglia. Pianse a lungo, disperatamente, senza ritegno. Quando cominciò a calmarsi sentì lì accanto un fruscio leggero. Riconobbe il rumore che suo padre faceva respirando quando portava un peso. Lo sentì sedersi a gambe larghe accanto al ceppo che serviva per pestare le fave. Certamente il vecchio lo aveva guardato piangere. «Non ditemi nulla» ripeté a bassa voce. Il vecchio cominciò a pestare le fave a una a una col maglio canterellando una nenia, come soleva quand’era occupato in quell’operazione. Dopo un poco, s’interruppe, e disse: «Però bada che quello che non vuoi sapere da me potresti sentirtelo dire da una bocca estranea, e allora sarà peggio». Riprese a canterellare e a battere col maglio. Quella nenia monotona e i tonfi regolari del maglio lo calmavano. Che cosa c’era da dire, ormai, che già non sa7. te, ora] te. D te|, ora| D1     27. Dopo...disse:] S’interruppe, e disse: D |Dopo un poco,| s’interruppe, (← S’interruppe,) e disse: D1     29. sentirtelo dire] sentirlo D sentir/te/lo D1 D2 sentirtelo |dire| B     30. a battere col maglio.] a battere col maglio ritmicamente. D a battere col maglio ›ritmicamente‹. D1     31-32. i tonfi...calmavano.] i colpi regolari del maglio calmavano Michele. D i •tonfi (›colpi‹) regolari del maglio /lo/ calmavano ›Michele‹. D1     

Michele Boschino

pesse? “Allora era vero ciò che dicevano” pensava. Si ricordava certe allusioni, certe mezze parole, certi sogghigni che non aveva creduto rivolti a sé e a cui non aveva mai fatto caso, prima.

1-2. ricordava certe] ricordava anche certe D ricordava ›anche‹ certe D1     3-4. non...prima.] non aveva fatto caso. D D1 D2 non aveva ||mai|| fatto caso, (← caso.) ||prima||. B

21

5

22

GIUSEPPE DESSÌ

III

5

10

15

20

25

Alcuni anni dopo, sul finir dell’inverno, Giuseppe cadde ammalato. Cos’avesse, non lo seppe dire neppure il medico. In poche settimane sembrava invecchiato. Dovette stare a letto, e mandar giù una quantità d’intrugli che non servivano che a farlo star peggio. Finalmente si ribellò, non volle più medicine, e si sarebbe anche alzato se ne avesse avuto la forza. Allora il riposo cominciò a giovargli; e dal letto seguiva i lavori che Michele mandava avanti nel podere e nell’orto con l’aiuto di un servo. Gli bastava chiuder gli occhi per vedere ogni albero che il figlio potava, ogni zolla a cui dava il sugo, ogni proda che annaffiava; sentiva gli effetti di ogni minimo cambiamento di tempo sui peschi riparati dalla siepe di cipressi o sulle terre seminate; e quando la pioggia cominciava a farsi desiderare, inoltrandosi la primavera, la sete ardeva in ogni sua fibra, egli era terra secca distesa e arida. Michele stava lunghe ore seduto accanto al suo letto e gli rendeva conto di tutto minuziosamente. Gli pareva che tutto ciò che faceva non sarebbe servito a nulla, se non ne parlava prima con lui. Non che avesse bisogno di consigli, ché ormai sapeva fare da sé. Ma non voleva togliere al vecchio l’illusione di essere ancora tanto necessario, e amava, in quest’illusione, riposarsi egli stesso. E che cosa era, lui, in fine? Era come una mano che Giuseppe allungasse a occhi chiusi, una mano che aveva conservato la forza giovanile di un tempo.10 7. sembrava invecchiato.] sembrava invecchiato di colpo. D D1 D2 sembrava invecchiato ›di colpo‹. B     10-11. la forza] le forze D D1 D2 la forza (← le forze) B     11. giovargli;] giovargli, D D1 D2 giovargli; (← giovargli,) B     13. con l’aiuto...occhi] con l’aiuto di un servo allo stesso modo che un cane straiato al sole sente le pulci passeggiargli sotto il pelo. L’orto e il podere erano parti del suo stesso corpo. Gli bastava chiuder gli occhi D con l’aiuto di un servo ›allo stesso modo che un cane straiato al sole sente le pulci passeggiargli sotto il pelo. L’orto e il podere erano parti del suo stesso corpo‹. Gli bastava chiuder gli occhi D1     15. proda] broda D D1 D2 B M2      10 Michele stava lunghe ore…la forza giovanile di un tempo.] cfr. Appendice (Cap. III).

Michele Boschino

Avvicinandosi il tempo della fiera di Santa Croce, Giuseppe cominciò a preoccuparsi dei buoi. Bisognava venderne un giogo diventato troppo vecchio e comperarne un altro giovane. Questo cambio di solito lo faceva ogni tre o quattro anni; e quell’anno appunto toccava. Il vecchio parlava come se alla fiera dovesse andarci lui stesso. Dapprima Michele non ci fece caso, perché Giuseppe, anche quando si trattava dei lavori dell’orto e del podere, parlava allo stesso modo, come se dovesse farli con le sue mani; ma presto s’accorse che non era un semplice modo di dire, e ne parlò con Maddalena perché cercasse lei di convincerlo che era una pazzia pensarci.11 Ma il malato, quando si parlava di questo, non ragionava più. S’era messo in testa di star meglio, che quei dolori insopportabili era il letto che glieli dava, che la vera medicina per lui era l’aria della campagna; e voleva farla finita una buona volta, se no ci lasciava la pelle davvero. «Sei vecchio!» diceva Maddalena «mettiti in testa che sei vecchio, e devi averti riguardo, benedetto!». A ogni costo volle alzarsi, ma a stento riusciva a reggersi seduto su una sedia. Ripeté il tentativo per parecchi giorni, ostinatamente, e con grande meraviglia di Michele e Maddalena, prese a migliorare davvero. Non parlava che della fiera di Santa Croce, della gente che ci andava ogni anno da tutti i paesi del Centro, dal Gocèano e da Parte d’Ispi, dei gran danari che si maneggiavano in quel mercato, che neppure si sapeva da dove uscissero. Si vedevano sacchetti di scudi e di marenghi passare per quelle mani terrose, come se li avessero scavati la sera prima sotto qualche vecchio muro. E quanto più il danaro correva, tanto più cresceva l’avidità del danaro. Perché alla fiera, oltre le persone che, come lui, non cercavano altro che un bel giogo di buoi da lavoro o un buon cavallo, ce n’erano poi di quelle che in una sola gior14. che] e che D ›e‹ che D1     15. dava, che] dava perchè l’immobilità gl’impediva di digerire il cibo. Diceva che D dava|,| ›perchè l’immobilità gl’impediva di digerire il cibo. Diceva‹ che D1     15-16. campagna; e voleva] campagna e che voleva D campagna|;| e ›che‹ voleva D1      11 e quell’anno appunto…che era una pazzia pensarci.] cfr. Appendice (Cap. III).

23

5

10

15

20

25

30

24

GIUSEPPE DESSÌ

5

10

15

20

25

nata compravano e rivendevano anche tre o quattro gioghi col solo scopo di guadagnarci su. Bisognava stare con gli occhi aperti, perché lì anche i galantuomini si dimenticavano di esser galantuomini.12 Le cose più strane capitavano alla fiera. Lui aveva conosciuto un tale che aveva venduto la moglie per cinquanta scudi, come una giovenca. Eppure era sempre stato un bravo giovane, e nessuno aveva mai potuto dir male di lui, prima d’allora. Per cinquanta scudi aveva lasciato la moglie tutta la notte sul suo carro con un vecchio proprietario di F., e se n’era andato a dormire nel fosso. Michele ascoltava questi discorsi e rimaneva pensieroso, senza saper cosa dire. Non aveva mai sentito suo padre parlare così. Pensava perfino che delirasse; ma invece era fresco e il polso batteva regolarmente. Il vecchio si lasciava toccare la fronte e tastare il polso e lo guardava con un sorriso malizioso, come un ragazzo che sappia che finirà per averla vinta. Un giorno che Michele aveva attaccato il muletto per andare all’orto, Giuseppe montò sul carro, gli strappò di mano le briglie e lasciò Maddalena a strillare in cortile. Michele non lo aveva mai visto così allegro. Ma quando fu poi nell’orto, fu preso da una grande stanchezza. Si sdraiò all’ombra del pergolato, accanto alla vasca, con la testa sul basto del mulo e si addormentò beatamente allo scroscio del ritrecine. Michele gli mise accanto una brocchetta d’acqua fresca, per quando si svegliava, e andò a zappare i cavoli. Ogni tanto, parendogli di sentirlo parlare, tornava;13 ma lo trovò sempre addormentato. Alla fine, impensierito di quel sonno, lo svegliò. Il vecchio disse che gli pareva di scendere tra le rive boscose di un fiume, lungo il filo della

6-7. Eppure…stato] Eppure era D D1 D2 Eppure era ||sempre stato|| B     8. Per] Ebbene, per D ›Ebbene,‹ Per (← per) D1     11. discorsi] discorsi strani D D1 D2 discorsi ›strani‹ B      12 «Sei vecchio!» diceva Maddalena…di esser galantuomini.] cfr. Appendice (Cap. III). 13 Ma quando fu poi nell’orto…parlare, tornava;] cfr. Appendice (Cap. III).

Michele Boschino

25

corrente, ma camminava sull’acqua come su una strada, e udiva tra gli alberi della riva voci di uomini. Michele tornò al lavoro, e il vecchio rimase di nuovo solo. Nello scroscio del ritrecine, che gli aveva generato, nel sonno, quell’immagine di acqua scorrente, distingueva ora il rumore ben 5 noto che faceva la zappa urtando un sasso, lo schiocco delle cesoie, il cigolio lungo del cancello di legno, e questi rumori gli facevano bene come l’aria della campagna. A un tratto si ricordò che da quando si era ammalato non mangiava più pomodori crudi, e subito gli venne voglia di mangiarne.14 Si 10 alzò, e appoggiandosi al manico di una zappa, andò a cercarne nella gora, dove Michele soleva metterli al fresco, sotto l’erba. Ma non ce n’erano. Allora andò a coglierne dietro la vasca con l’intenzione di metterli lui stesso in fresco. Invece li mangiò così come erano, caldi e pieni di polvere. 15 Li mangiò avidamente, sporcandosi di succo le mani e la camicia, preoccupato solo di non farsi scorgere da Michele. Poi si distese di nuovo sotto la pergola e si riaddormentò.

1-3. e udiva…lavoro,] e gli pareva di udire, tra gli alberi della riva, voci di uomini. Disse che l’orto lo avrebbe visto [—] un altro giorno, e che per quella volta gli bastava di respirare quell’aria buona che lo rigenerava. Michele tornò alle prere, D e •udiva ›distintamente‹ (›gli pareva di udire‹), tra gli alberi della riva, voci di uomini. ›Disse che l’orto lo avrebbe visto un altro giorno, e che per quella volta gli bastava di respirare quell’aria buona che lo rigenerava.‹ Michele tornò al (← alle) •lavoro (›prere‹), D1 D2 e udiva tra gli alberi della riva›,‹ voci di uomini. Michele tornò al lavoro, B     15. caldi e pieni di polvere.] caldi e |polverosi| (›polverosi‹ ← [—]). D caldi e •pieni di polvere (›polverosi‹). D1     16-17. sporcandosi…Michele.] sporcandosi di sugo le mani e la camicia, ›[—]‹ come un bambino, di nascosto, pur sapendo che gli avrebbe fatto male. D sporcandosi di succo (← sugo) le mani e la camicia, •preoccupato solo di non farsi scorgere da Michele (›come un bambino, di nascosto, pur sapendo che gli avrebbe fatto male‹). D1      14 distingueva ora il rumore…voglia di mangiarne.] cfr. Appendice (Cap. III).

26

GIUSEPPE DESSÌ

Di sera, si mise di nuovo a letto con la febbre alta e i dolori al fegato. Ma non delirava. La paura di morire, ora, teneva desta la sua ragione. Ritornò savio, non fece più discorsi sconclusionati né parlò di andare alla fiera. Fu deciso che ci 5 sarebbe andato solo Michele; e lui gli dava consigli assennati sul modo di sceglier le bestie, sulle persone dalle quali avrebbe dovuto comprare e su quelle alle quali avrebbe potuto rivolgersi per chiedere qualche parere, lì, sul momento. Sulla capacità di Michele a sceglier le bestie, non aveva 10 dubbi, ma temeva che lo imbrogliassero sul prezzo. Però, quando venne il giorno della partenza, gli tornò la febbre alta e il delirio, e voleva alzarsi dal letto e partire anche lui. Michele non si sentì di lasciarlo solo. Così la fiera passò e i buoi, per quella volta, non furono venduti.

1-3. Di sera…ragione.] Di sera, sulla strada del ritorno, gli tornò la febbre alta e i dolori al fegato. Dovette rimettersi a letto e attenersi (← [—]) alle |prescrizioni| (›precauzioni‹) del medico. Ma non delirava. ›[—]‹ La paura di morire teneva desta la sua ragione. D Di sera, •si mise di nuovo a letto con (›sulla strada del ritorno, gli tornò‹) la febbre alta e i dolori al fegato. ›Dovette rimettersi a letto e attenersi alle prescrizioni del medico.‹ Ma non delirava. La paura di morire teneva desta la sua ragione. D1 D2 Di sera, si mise di nuovo a letto con la febbre alta e i dolori al fegato. Ma non delirava. La paura di morire|,| /ora,/ teneva desta la sua ragione. B     5. andato solo Michele;] andato Michele; D andato /solo/ Michele; D1     9-10. Sulla… dubbi,] Circa la capacità di Michele di sceglier le bestie, ›[—]‹ non aveva dubbi, D D1 D2 ||Sulla|| (›Circa la‹) capacità di Michele ||a|| (›di‹) sceglier le bestie, non aveva dubbi, B     11-12. gli tornò…voleva] tornò la febbre alta e il delirio. Il vecchio voleva D /gli/ tornò la febbre alta e il delirio, (← delirio.) •e (›Il vecchio‹) voleva D1     13-14. Così…venduti.] Così la fiera passò e i buoi non furono venduti. D Così la fiera passò e i buoi|,| /per quella volta,/ non furono venduti. D1

Michele Boschino

27

IV

Nell’ottobre di quello stesso anno Antonio Màsala, amministratore e poi appaltatore della foresta di Cantòria, fu assalito nella sua casa, che si trovava appunto nella foresta stessa, da una banda di uomini armati. Costui, che era stato avvertito, non si sa come né da chi, accolse gli assalitori a colpi di fucile, ne abbatté uno e mise in fuga gli altri, i quali, prima di allontanarsi finirono a coltellate il caduto. Le indagini fatte dalla gendarmeria di Sigalesa e di Fòrri non diedero nessun risultato. Furono interrogate e trattenute in arresto decine di persone: tutto inutile. Ma era cosa certa che si trattava di gente di Sigalesa, anche perché, pochi giorni dopo la tentata grassazione, fu assassinato Giovanni Boschino, figlio di Benedetto, sul quale pare vi fosse qualche sospetto. Era opinione comune, a Sigalesa, che anche Giovanni avesse preso parte alla grassazione, e che i compagni, sapendolo sospettato, lo avessero tolto di mezzo per maggior sicurezza, come avevano fatto con quello ferito da Antonio Màsala. Altri interrogatori e arresti seguirono, ma sempre inutilmente. Eppure, a Sigalesa, c’era chi sapeva, chi era informato minutamente e conosceva le persone. Tra questi erano Michele e un suo vicino di casa, Cosimo Aneris, proprietario di terre, nipote di Antonio Màsala. Avendo saputo che Cosimo doveva recarsi ad Arci, nelle montagne del Gocèano, per comprare un torello, Michele, che come suo padre aveva l’idea fissa dei buoi non venduti alla fiera, gli chiese d’accompagnarlo. Giuseppe non era molto propenso a questo lungo viaggio (da Sigalesa ad Arci ci sono due buone giornate di cavallo), ma Michele insisteva. Non c’era bisogno di viaggiare coi buoi, all’andata: i buoi vecchi si potevano fare ingrassare e vendere come 14. tutto inutile] tutto fu inutile D D1 D2 tutto ›fu‹ inutile B     25. le persone. Tra questi] le persone: solo che si guardava bene dal farne parola ›[—]‹ per non fare la fine di Giovanni Boschino. Tra questi D le persone›: solo che si guardava bene dal farne parola per non fare la fine di Giovanni Boschino‹. Tra questi D1     

5

10

15

20

25

30

35

28

GIUSEPPE DESSÌ

5

10

15

20

25

carne da macello. Questo dispiaceva a Giuseppe. Lui non aveva mai venduto al macellaio i suoi buoi, li aveva sempre cambiati. Alla fine Cosimo andò da lui, una sera, e lo convinse. Il cambio, in un modo o nell’altro, bisognava pur farlo, se non si voleva che le bestie si deprezzassero. Cominciò a parlargli delle bestie bellissime che si vedevano ad Arci, dove s’aspetta la fiera della Madonna del Carmelo e si possono fare ottimi acquisti per tutto il mese d’ottobre. Erano proprio le bestie che piacevano a Giuseppe, grandi di taglia, di mantello chiaro e con le corna piccole e robuste. Cosimo lo rassicurò anche sui pericoli del viaggio. Danari addosso non ne avrebbero portato: quando viaggiava, Cosimo, i danari usava spedirli per posta. Eppoi li avrebbe accompagnati anche Pietro Lubina, un cacciatore di professione che andava in un paese vicino ad Arci a prendere un cane da ferma per conto del medico condotto di Fòrri. Si misero in viaggio una sera, con la luna nuova di ottobre, coi sacchi pieni di provviste legati all’arcione. Michele aveva chiesto in prestito il cavallo allo zio Teodoro. Era il primo viaggio che faceva senza suo padre; ed era contento. Abbeverati i cavalli alla fonte dietro il macello, presero la carreggiabile che, girando il fianco di Monte Grinu, porta a Fòrri. «Passerai davanti alla nostra vigna» gli aveva detto Giuseppe sospirando. Ormai non sperava più di ricomprare la vigna prima di morire. Dal suo letto Giuseppe di solito, da quando era ammalato, dormiva poco, la notte, seguiva col pensiero il viaggio del figlio, passo per passo. Michele e Cosimo dovevano 2. buoi, li aveva] buoi, ma li aveva D buoi, ›ma‹ li aveva D1     10-11. Cosimo lo rassicurò] Lo rassicurò D /Cosimo/ lo (← Lo) rassicurò D1     1213. viaggiava…avrebbe] viaggiava, lui, Cosimo, i danari usava spedirli per vaglia. Li avrebbe D viaggiava, ›lui,‹ Cosimo, i danari usava spedirli per • posta (›vaglia‹). /Eppoi/ li (← Li) avrebbe D1     15. Arci a prendere] arci per prendere D Arci (← arci) •a (›per‹) prendere D1     18. coi sacchi…arcione.] coi sacchi pieni di provviste. D D1 D2 coi sacchi pieni di provviste ||legati all’arcione||. B     21. dietro il macello] dietro il macello (← Macello) pubblico D D1 D2 dietro il macello ›pubblico‹ B     23-24. gli aveva detto] disse D •gli aveva detto (›disse‹) D1     24. Ormai] Oramai D D1 D2 B ≠ M2     26. Giuseppe…quando] Giuseppe, che di solito, da quando D D1 D2 Giuseppe›, che‹ di solito, da quando     28. Michele] |Michele| (›[—]‹) D     

Michele Boschino

camminare tutta la notte, approfittando della luna piena, fermarsi all’alba a Fòrri per far riposare i cavalli, e proseguire dopo qualche ora. La sosta invece non la fecero a Fòrri ma nella foresta di Cantòria. Ed ecco come. Sul ponte del Faraone, poco dopo la vigna, trovarono, invece di Pietro Lubina, Angelo Malìga e Domenico Vacca, a cavallo anch’essi e col fucile a tracolla. Dissero che Pietro Lubina doveva far con loro una partita di caccia al cinghiale nella foresta, e invitarono anche Cosimo e Michele. Insistevano tanto che Cosimo si lasciò convincere, e indusse anche Michele ad accettare. Avrebbero proseguito più tardi il viaggio in compagnia di Pietro, che ora, assieme agli altri cacciatori, tutte persone conosciute di Sigalesa e di Fòrri, a quel che dicevano Vacca e Malìga, li aspettavano nella capanna di un pastore, dove stavano cenando. Dovevano appostarsi alla sorgente di Giana: ce n’erano due, di cinghiali, che andavano a bere al chiaro di luna. Cosimo e gli altri due presero su per il letto secco del torrente. Michele li seguì di malavoglia. Nel punto di convegno, una radura all’imbocco della valle di Giana, trovarono un gruppo di persone armate, tra le quali non c’era nessuno di quelli che Vacca e Malìga avevano nominato, e neppure Pietro. C’erano invece Pedonca, il padrone della capanna, Giovanni Boschino, Bore Lisca e due forestieri che Michele e Cosimo non avevano mai visto. Vacca disse che erano i battitori: gli altri aspettavano nei pressi della sorgente. Cosimo non ebbe tempo di fare molte 5. Cantòria. Ed ecco come.] Cantòria. D Cantòria. |Ed ecco come.| D1     9. Lubina] Lubiana D Lubi›a‹na D1     13. viaggio] viaggio, D1 viaggio D D2 B     15. quel] quale D quel (← quale) D1     16. cenando. Dovevano] scuoiando una volpe. Si trattava di andare ad D •cenando. Dovevano (›scuoiando una volpe. Si trattava di andare ad‹) D1     17-18. ce n’erano…luna.] c’erano due cinghiali che andavano a bere col chiaro di luna. D ce n’erano (← c’erano) due|,| di cinghiali|,| che andavano a bere al (← col) chiaro di luna. D1     24-25. C’erano…padrone] Erano un certo Pedonca, capraio, padrone D C’erano (← Erano) •invece (›un certo‹) Pedonca, •il (›capraio,‹) padrone D1 D2 = M2 C’erano invece Pedònca, il padrone B     27. che erano] che quelli erano D che ›quelli‹ erano D1     27-28. nei pressi della] vicino alla D •nei pressi della (›vicino alla‹) D1     

29

5

10

15

20

25

30

GIUSEPPE DESSÌ

5

10

15

20

domande. Non aveva neanche messo il piede a terra, che Bore Lisca e Pedonca gli saltarono addosso e lo disarmarono; gli altri tirarono giù dal cavallo Michele. In un attimo il giovane si trovò bocconi con la faccia tra l’erba. Fu legato e imbavagliato. Era inutile opporre resistenza, e lasciò fare. Cosimo invece lottava con tutte le sue forze gridando e sbuffando; ma presto fu ridotto all’impotenza anche lui. E non si sentì altro che il suo respiro affannoso soffocato dal bavaglio.15 Michele fu lasciato vicino ai cavalli sotto la guardia di Pedonca: e gli altri si avviarono per un sentiero del bosco spingendosi avanti Cosimo. Michele seppe solo più tardi, da Cosimo, quel che era accaduto durante le due ore che aveva passato nella radura con le mani legate dietro la schiena. L’intenzione di Vacca e dei suoi compagni era di andare ad appostarsi non proprio alla sorgente di Giana per bloccare i cinghiali, ma accanto al cancello del muro di cinta della casa di Antonio Màsala, costringere Cosimo a bussare e a farsi aprire da suo zio, e quando poi il vecchio avesse aperto, precipitarsi tutti dentro. Erano certi che Antonio teneva in casa i soldi per la paga dei carbonai. Ma prima che potessero avvicinarsi al muro (la casa era poco discosta dal limite del bosco) un colpo di fucile partì dal tetto; il secondo colpo prese Angelo Malìga alla schiena. Cadde muggendo come un toro. Si

10. Pedonca:] Pedonca, D D1 D2 Pedonca: (← Pedonca,) B     13. le] quelle D le (← quelle) D1     13-14. aveva…schiena.] passò con le mani legate, nella radura. D •aveva passato (›passò‹) con le mani legate|,| /dietro la schiena,/ nella radura. D1 D2 aveva passato /nella radura/ con le mani legate dietro la schiena|.| ›nella radura.‹ B     15-17. appostarsi…cancello] appostarsi accanto al portone D appostarsi /non proprio alla sorgente di Giana, ma/ accanto al .cancello (›portone‹) D1 D2 appostarsi non proprio alla sorgente di Giana /per bloccare i cinghiali,/ ma accanto al cancello B     20. certi] convinti D •certi (›convinti‹) D1  ◆  teneva] tenesse D D2 teneva (← tenesse) D1     23. tetto; il] tetto. Il D D2 tetto; il (← tetto. Il) D1     24. Malìga alla schiena.] Maliga, che già scappava per mettersi in salvo nel bosco. D Maliga, •alla schiena (›ache già scappava per mettersi in salvo nel bosco. b•che fuggiva per il bosco c•mentre fuggiva‹) D1      15 Cosimo non ebbe tempo…soffocato dal bavaglio.] cfr. Appendice (Cap. IV).

Michele Boschino

trascinò a stento fino al bosco, dove gli altri si erano appiattati dietro gli alberi. Erano rimasti lì un poco, poi pensando che non era il caso d’arrischiarsi a un nuovo tentativo, se n’erano tornati verso la radura, dov’erano i cavalli. Vacca era rimasto indietro col ferito, che fu trovato poi sgozzato 5 come un agnello. A Cosimo e a Michele fu intimato, sotto la minaccia dei fucili spianati, di continuare il viaggio come se nulla fosse accaduto.16

1. si erano] stavano D •s’erano (›stavano‹) D1 D2 si erano B 16 Erano rimasti lì un poco…nulla fosse accaduto.] cfr. Appendice (Cap. IV).

31

32

GIUSEPPE DESSÌ

V

5

10

15

20

25

30

Quando Michele tornò a casa coi grandi buoi bianchi comprati ad Arci, vide da lontano un gruppo di donne ferme davanti al cancelletto del cortile. Pensò che qualcosa doveva essere accaduto. Era pronto a tutto. Non si sarebbe meravigliato di trovare i gendarmi in casa ad aspettarlo. Come s’avvicinò, le donne lo salutarono e si strinsero al muro per lasciarlo passare coi buoi. Egli rispondeva ai saluti, e cercava di leggere in quelle facce serie, in quegli occhi che s’abbassavano al suo passaggio. Certo qualcosa di molto grave era accaduto. Smontò e spinse i buoi dentro il cancello. «Quello che Dio vuole» disse una delle donne. «Quando il Signore chiama, il servo non si volti indietro». Pensò subito a suo padre: ma il sospetto che fosse morto o che fosse in pericolo non s’affacciò neppure alla sua mente. Pensò al dolore di suo padre, se lo avesse saputo coinvolto nella faccenda di Antonio Màsala. Non rispose nulla alla donna, e tirando per le briglie il cavallo entrò anche lui dietro i buoi. Beniamino gli corse incontro, levandogli di mano le briglie, ripeté le parole di rassegnazione della donna. «Gli hanno portato ora l’Olio Santo» disse. «Il prete se n’è andato adesso». In quei quattro giorni Michele non aveva mai pensato alla malattia di suo padre; o meglio ci aveva pensato come a una condizione naturale; e mentalmente aveva ragionato con lui, durante il viaggio, mentre Cosimo gli cavalcava accanto in silenzio; era ritornato mille volte sui particolari di quella sua avventura; mentalmente aveva ascoltato la voce pacata del vecchio che lo rassicurava e gli faceva coraggio. 8. accaduto] accaduta D D1 D2 B ≠ M2     10. le] quelle D le (← quelle) D1     11. Egli] ›[—]‹ Egli D     19. se lo] se ›[—]‹ lo D     22. incontro, levandogli di mano] incontro, e anche lui, togliendogli |di mano| (›le mani‹) D D1 D2 incontro, ›e anche lui,‹ ||levandogli|| (›togliendogli‹) di mano B     24. disse.] disse il servo. D D1 D2 disse ›il servo‹. B     27-28. ci aveva… come a] l’aveva pensata come D •ci (›l’‹) aveva pensato (← pensata) come /a/ D1     

Michele Boschino

«Su» disse lo zio Teodoro «non farti vedere a piangere da tua madre». Maddalena, come lo vide, gli si buttò tra le braccia piangendo. Lo chiamava per nome e si premeva le mani di lui sul viso lacrimoso. Egli la tenne stretta per calmarla, la condusse nella stanza del telaio e la fece sedere. C’era tanta gente intorno, parenti, vicini di casa. Lo zio Teodoro faceva cenno agli estranei d’allontanarsi. Michele si trovò inginocchiato accanto a sua madre, in mezzo a quel cerchio di persone, che lo guardavano. «Babbo se ne sta andando» balbettava la donna. «Babbo se ne sta andando senza neppure guardarmi in faccia. Vai da lui, che ti sta chiamando da ieri, vai!» Si scioglieva dal suo abbraccio, ora, e con un gesto debole e insistente lo respingeva. Lo zio Teodoro lo prese per mano come un bambino, lo fece alzare e lo condusse via. Nella stanza accanto al granaio, dove suo padre s’era fatto portare il letto da quando aveva cominciato a non dormire più la notte, per non disturbare Maddalena, c’erano la zia Luisa e Aurelia. Su un tavolino avevano disteso una tovaglia, con una grande immagine della Sacra Famiglia appoggiata al muro, e due ceri. Il vecchio, nella penombra, sembrava dormire, come dormiva sotto la pergola il giorno che era voluto andare all’orto per forza. Le grosse mani abbandonate sul lenzuolo di bucato sembravano ancora sporche di terra. La zia s’avvicinò al letto, si chinò sul morente e disse: «Giuseppe! guarda chi è venuto, Giuseppe!» Anche Michele si chinò e lo chiamò. Come se il suono delle voci gli desse fastidio, il vecchio voltò la testa sul cuscino a destra e a sinistra un paio di volte, biascicò qualche

1. non] Non D D1 D2 non (← Non) B     8-9. trovò inginocchiato] trovò ›[—]‹ inginocchiato D     9. a quel cerchio] |a quel cerchio| (›al cerchio‹) D     10. persone,] persone D D2 persone|,| D1     17. accanto al granaio] • accanto al granaio (›di suo padre‹) D     23-24. come dormiva…forza.] come il giorno che aveva voluto andare all’orto ad ogni costo. D come /dormiva sotto la pergola/ il giorno che aveva voluto andare all’orto •per forza (›ad ogni costo‹). D1 D2 come dormiva sotto la pergola il giorno che • era (›aveva‹) voluto andare all’orto per forza. B     

33

5

10

15

20

25

30

34

GIUSEPPE DESSÌ

5

10

15

20

25

30

parola incomprensibile, aprì un momento gli occhi, poi tornò ad assopirsi. «Ti ha chiamato tutto il giorno, ieri» disse la zia. E tornò a sedersi al suo posto, col rosario in mano. Lei e la figlia avevano quell’aria di lindura e di pulizia delle donne che s’apprestano a fare il pane. Tenevano le pezzuole bianche annodate dietro la nuca e le maniche un poco rialzate lasciavano vedere la camicia candida. Certamente erano state loro che avevano ricevuto il prete, poco prima, e avevano fatto quei preparativi che non avevano niente di funebre, del resto. I ceri erano stati spenti subito dopo. Restava nella stanza un lieve odore d’incenso che ricordava vagamente il profumo dello spigo che si mette nelle cassapanche con la biancheria pulita. Michele sedette accanto al letto e pensò: “Forse tutti sanno dove sono stato l’altra notte. E non sanno che mi ci hanno portato a forza, che mi hanno picchiato e legato”. Ma una convinzione più profonda, segreta, toglieva ogni valore a queste parole. Le mormorava dentro di sé, più che pensarle. Chiuse gli occhi, si rivide nel sentiero che dal fiume porta alla radura davanti alla capanna, rivide la groppa dei cavalli e le casacche dei tre uomini che lo precedevano, su cui, attraverso il fogliame degli alberi, piovevano come fiocchi di neve i raggi della luna; e ogni tanto, in quel fugace e continuo piovere di scaglie di luce, intravvedeva la faccia barbuta di Angelo Malìga, che si voltava a guardarlo per assicurarsi che li seguiva. Così, a occhi chiusi, gli pareva di lasciarsi ancora portare dal cavallo che s’arrampicava faticosamente per la viottola scoscesa. Forse, per un attimo, immaginandosi di secondare nella salita il movimento del 5-6. delle donne che s’apprestano] che assumono le donne quando s’apprestano D ›che assumono‹ delle (← le) donne •che (›quando‹) s’apprestano D1     9. prima,] prima D prima|,| D1     10. funebre,] funebre D D1 D2 funebre|,| B     13. nelle cassapanche] nei cassoni D D1 D2 B ≠ M2     16-17. E non…legato”.] Ma non sanno che ci sono stato condotto a forza, che sono stato picchiato e legato”. D •E (›Ma‹) non sanno che /mi/ ci •hanno portato (›sono stato condotto‹) a forza, che •mi hanno (›sono stato‹) picchiato e legato”. D1     19. Le…sé] |Le mormorava dentro di sé| (›che mormorava dentro di sé‹) D     24-25. fugace] |fugace| (›breve‹) D     26. voltava a guardarlo] voltava ›[—]‹ a guardarlo D     

Michele Boschino

cavallo, s’addormentò appoggiato alla spalliera della sedia. Si riscosse, aprì gli occhi. Più che sonno era stato un attimo di angoscia più intensa: per un attimo aveva cessato di pensare, di sentire la presenza degli altri intorno a sé, e se stesso. Lo zio Teodoro, la zia Luisa e Aurelia sedevano dall’altra parte del letto, alquanto discosti. Non si udiva neppure il bisbiglio delle preghiere. Certo lo guardavano. Sentì la loro presenza come se prima non fossero stati altro che ombre e a un tratto avessero preso forma e sostanza. “Ecco”, pensò “noi siamo in questa stanza chiusa, e fuori c’è ancora luce, e la gente parla, e parla anche di quel che è successo l’altra notte nella foresta di Cantòria”. Tutti, entrando in casa sua, ora, prendevano quel tono sommesso: ma ognuno pensava ad altro, come lui; ad altro, non al vecchio che moriva lì. “Nessuno può sapere nulla di quello che è accaduto”, pensò “nessuno parlerà”. E immaginò la faccia barbuta di Angelo Malìga, come doveva essere dopo che Domenico Vacca lo aveva finito col coltello da caccia. Oh! quello non avrebbe parlato di certo. Questo pensiero gli dava piacere, non sapeva staccarsene. Si sentì, per un momento, solidale con quegli uomini che lo avevano trascinato fin quasi a prender parte a un delitto, unito ad essi dalla stessa sorte, dallo stesso silenzio. Si sentì su per le scale un passetto leggero e la vocetta di Caterina, la bambina più grandicella di Aurelia: «Zio Michele, zio Michele», chiamava a voce alta «Beniamino vuol sapere se deve riportare il cavallo a casa nostra o se deve dargli una misura di biada». «Zitta Cateri’! Zitta!» disse Aurelia. Michele s’alzò, diede un’occhiata a Giuseppe, e seguì la bambina ch’era scappata via svelta e faceva schioccare i piedi nudi sull’ammattonato. La seguì con sollievo, e quando 3. angoscia più intensa] offuscamento D •angoscia più intensa (›offuscamento‹) D1     6. udiva] sentiva D D1 D2 udiva B     7. Sentì] Sentì ›[—]‹ D     8. come se prima] come se ›[—]‹ prima D     9. “Ecco”,] “Ecco” D D1 D2 B ≠ M2     10. chiusa, e fuori] chiusa, ›[—]‹ e fuori D     12. di] di (← della) D     13. sommesso:] sommesso, D sommesso; D1 D2 sommesso: B     14. lui;] lui, D D2 lui; D1     15. sapere] saper D D1 D2 sapere B  ◆  accaduto”,] accaduto” D D1 D2 B ≠ M2     

35

5

10

15

20

25

30

36

GIUSEPPE DESSÌ

5

10

15

20

25

giunse in fondo alla scala la chiamò. Al suono della sua voce tutti si voltarono verso di lui, ed egli ne fu imbarazzato, nel primo momento; poi guardò in faccia una dopo l’altra tutte quelle donne, e avrebbe voluto sapere di che cosa avevano parlato tra loro fino a quel momento, che cosa pensavano, che cosa sapevano di quel ch’era successo nella foresta di Cantòria. Ma le donne riprendevano a bisbigliare tra loro, o abbassavano gli occhi per non incontrare i suoi. Solo la moglie di Anacleto, che aveva la bottega di faccia (e standosene dietro il banco poteva vedere tutto ciò che accadeva nel cortile), lo guardò con la solita espressione d’invito che Michele conosceva. Chiamò di nuovo la bambina, e facendo finta di cercarla uscì in cortile. Beniamino aveva legato i buoi alle poste di quelli ch’erano stati sciolti al pascolo nel chiuso, e se ne stava seduto con Anacleto a chiacchierare. Ogni tanto andava a spargere una manciata di fave peste sulla paglia dei truogoli, la rimescolava, poi tornava a sedersi. Michele capì che stavano parlando della grassazione. Rispose appena al saluto di Anacleto e disse al servo di dar la profenda al cavallo e di portarlo poi a casa dello zio Teodoro. «Che età hanno?» chiese Anacleto indicando i buoi. Michele fece cenno con le dita: tre. Avrebbe voluto che Beniamino e Anacleto continuassero a parlare tra loro della grassazione, sapere cosa si diceva in paese, ma non voleva far domande. «Belle bestie» disse Anacleto. “Proprio come piacevano a lui” pensò Michele. Accanto

4. e avrebbe voluto] •e avrebbe voluto (›[—]‹) D  ◆  cosa avevano] cosa ›[—]‹ avevano D     6-7. di quel…Cantòria.] •di quel ch’era successo nella foresta di Cantòria. (›[—]‹) D     8. o] •o (›[—]‹) D     9. la bottega] la bottega ›[—]‹ D     9-11. (e…cortile)] e standosene dietro il banco poteva vedere tutto ciò che accadeva nel cortile D D1 D2 |(|e standosene dietro il banco poteva vedere tutto ciò che accadeva nel cortile|)| B     14. legato i buoi] legato |i buoi| (›il cavallo di [—] buoi, sotto [—]‹) D  ◆  alle poste] ›[—]‹ al posto D D1 D2 alle poste (← al posto) B     16. andava a spargere] • andava a spargere (›spargeva‹) D     23. tre.] tre anni. D D1 D2 tre ›anni‹. B     26-27. domande. «Belle bestie»] domande. ›Proprio come piacevano a lui‹ «Belle bestie» D     

Michele Boschino

agli altri, sotto la tettoia della stalla, i buoi di Arci sembrava che ci fossero sempre stati. Aveva avuto cura di sceglierli somiglianti a quelli che dovevano esser venduti: solo che erano più grandi e magri. Lentamente alzavano dal truogolo il grosso muso umido ficcandosi la lingua nelle narici. Erano bestie giovani ma già dome, e questo si capiva dall’immobilità della grande impalcatura ossea, dalla rigidità della testa, in cui spiccava, a tratti, il bianco dell’occhio, come di bestie accappiate al giogo. A tratti la pelle era percorsa da un brivido dall’occhio alla spalla, o lungo la gamba o sotto la ventraia. Michele pensò che presto avrebbe dovuto rivenderli. Sarebbe rimasto solo e li avrebbe dovuti rivendere. Sentì la voce dello zio Teodoro che sgridava Marietta perché aveva portato lì Caterina. Non era il momento di tener bambini tra i piedi, diceva lo zio. La casa era piena di gente estranea. Erano venuti lì proprio perché Giuseppe moriva. Così si usa. Ma non s’interessavano che delle cose della vita, che continuava come prima. Ma era quasi notte, e presto tutti se ne sarebbero andati. Sarebbero rimasti lo zio Teodoro e la zia Luisa, forse.

1. i buoi di Arci] i nuovi buoi D i ›nuovi‹ buoi /di Arci/ D1     3. venduti:] venduti; D D1 D2 venduti: B     4. magri. Lentamente] magri. ›|La pelle pareva posata su quelle grandi ossa| (›Le grandi ossa parevano‹)‹ Lentamente D     5. narici. Erano] narici. ›[—] questo, nella immobilità‹ Erano D     6. dome] |dome| (›domate‹) D  ◆  e questo si capiva] e capiva D e /questo/ si capiva D1     7. della] |della| (›che‹) D     8. di] |di| (›se‹) D     9. accappiate] accapate D, D1, D2, B, M2  ◆  pelle] pelle (← pelle,) D     10. dall’occhio alla spalla,] dall’occhio alla spalla D dall’/angolo dell’/occhio alla spalla|,| D1 dall’›angolo dell’‹ occhio alla spalla, D2     12-13. la voce] la voce (← lo zio) D     15. tra…zio.] tra i piedi. La ragazza diceva che non voleva star sola. D tra i piedi, (← piedi.) /diceva lo zio./ ›La ragazza diceva che non voleva star sola.‹ D1     19. prima. Ma era] se niente fosse. Erano lì come certa gente che va in chiesa per abitudine, quasi per far piacere agli altri. Ma era D se niente fosse. ›Erano lì come certa gente che va in chiesa per abitudine, quasi per far piacere agli altri.‹ Ma era D1 D2 ||prima|| (›se niente fosse‹). Ma era B     20. Sarebbero rimasti] Tutti, meno D D1 D2 ||Sarebbero rimasti|| (›Tutti, meno‹) B     

37

5

10

15

20

38

GIUSEPPE DESSÌ

5

10

15

20

Avrebbero vegliato tutti assieme. Gli sarebbe piaciuto potersi stendere lì, sulla paglia, tra le mangiatoie dei buoi, dire a Beniamino che se n’andasse al chiuso, e dormire, come aveva fatto tante volte; addormentarsi subito, dimenticare subito la presenza di quegli estranei, dimenticare tutto. Si rammentò di sua madre, del suo pianto disperato; e sentì che anche lui, da un momento all’altro, poteva cominciare a soffrire così. C’era qualcosa che non riusciva a capire, in ciò che stava succedendo, e anche in ciò che gli era successo quattro sere prima; qualcosa che la sua mente non penetrava, e che pure avrebbe finito per capire. La zia lo chiamò dalla porta di cucina, dove avevano acceso un lume. Egli, passando, tirò da parte lo zio Teodoro e gli disse che Marietta aveva ragione. Che bisogno c’era di strapazzarla così? Lasciasse pure la bambina, che non dava noia a nessuno. Ma il vecchio, ostinato, ripeté che quello non era luogo da portarci bambini. Quando fu entrato in cucina, la zia Luisa gli versò un piatto di minestra di fave: «Vieni» disse «che tua madre ti ha tenuto in caldo la cena».

1-3. Gli sarebbe…chiuso,] Avrebbe voluto stendersi lì sulla paglia, accanto ai buoi, dire a Beniamino che poteva andarsene per i fatti suoi, D •Gli sarebbe piaciuto potersi (›Avrebbe voluto‹) stendere (← stendersi) lì|,| sulla paglia, •tra le mangiatoie dei (›accanto ai‹) buoi, dire a Beniamino che •se ne andasse al chiuso (›poteva andarsene per i fatti suoi‹), D1 •Gli sarebbe piaciuto potersi (›Avrebbe voluto‹) stendere (← stendersi) lì|,| sulla paglia, • tra le mangiatoie dei (›accanto ai‹) buoi, dire a Beniamino che •poteva andarsene (›poteva andarsene per i fatti suoi‹), D2 Gli sarebbe piaciuto potersi stendere lì, sulla paglia, tra le mangiatoie dei buoi, dire a Beniamino che se n’andasse al chiuso, B     4. dimenticare] dimenticare D dimenticare /subito/ D1     5. estranei, dimenticare tutto.] estranei anche prima che se n’andassero D estranei ›anche prima che se n’andassero‹ D1 D2 estranei, ||dimenticare tutto.|| B     6. rammentò] •rammentò (›ricordò‹) D     9. successo] capitato D •successo (›capitato‹) D1     10. prima;] prima, D prima D1     15. strapazzarla] strappazzarla D1 D2 B ≠ M2     

Michele Boschino

Egli sedette accanto al camino col piatto sulle ginocchia e cominciò a mangiare. La zia aveva chiuso la porta e la finestra perché nessuno lo vedesse.

1. sulle] •sulle (›tra‹) D     2. mangiare.] mangiare ›ciucciando tra le dita‹. D     3. La zia] ›[—]‹ La zia D     3-4. perché nessuno lo vedesse.] come se nessuno dovesse vederlo mangiare D •perché (›come se‹) nessuno •lo vedesse (›dovesse vederlo‹) mangiare. D1 D2 perché nessuno lo vedesse ›mangiare‹. B

39

5

40

GIUSEPPE DESSÌ

VI

5

10

15

20

25

Il vecchio spirò il giorno dopo, all’alba. Michele Maddalena lo zio Teodoro e la zia Luisa lo avevano vegliato tutta la notte. Verso le due, Giuseppe aveva aperto gli occhi e aveva dato un lento sguardo intorno, come se cercasse qualcuno. Maddalena s’alzò e spinse Michele verso il letto senza osare avvicinarsi lei stessa, e cominciò a tremare e a battere i denti. Le altre due donne la costrinsero a sedersi di nuovo. Michele s’avvicinò al letto, si chinò sul morente, lo chiamò. Il viso del vecchio ebbe una contrazione penosa. Allora Michele si sedette al capezzale e stette lì zitto. Di tanto in tanto gli occhi del vecchio s’aprivano, e siccome aveva voltato la testa dalla sua parte, pareva che guardasse proprio lui. Il viso s’era rifatto sereno come fosse sul punto di svegliarsi; ma al primo bisbiglio che s’udisse nella camera, la piega della bocca, che si vedeva sotto i radi baffi spioventi, si faceva più dura. Allora Michele alzava la mano, faceva cenno alle donne di tacere; e nella beatitudine del silenzio il viso del vecchio tornava a distendersi. Forse pensava qualcosa, chi sa. Forse il silenzio intorno, nella stanza, gli dava l’illusione che durasse ancora il sopore che lo aveva tenuto fin allora. Michele, quando quegli occhi s’aprivano su di lui, s’abbandonava, quasi contro la propria volontà, 5-6. Michele Maddalena] Michele, Maddalena, D D1 D2 Michele Maddalena B     6. avevano vegliato] vegliarono D D1 D2 ||avevano vegliato|| (›vegliarono‹) B     11. stessa, e] stessa, credendo che Giuseppe non volesse vederla, e D stessa, ›credendo che Giuseppe non volesse vederla,‹ e D1     13. morente] padre D •morente (›padre‹) D1     15. zitto] silenzioso D D1 D2 ||zitto|| (›silenzioso‹) B     17-18. guardasse] guardassero D D2 guardasse (← guardassero) D1     18. il viso] il ›suo‹ viso D1  ◆  s’era rifatto] era ridiventato D D1 D2 ||s’era rifatto|| (›era ridiventato‹) B     18-19. sereno…svegliarsi;] sereno; ma D D1 D2 sereno ||come se fosse sul punto di svegliarsi||; B ≠ M2     21. Allora Michele] Michele D /Allora/ Michele D1  ◆  la] una D •la (›una‹) D1     22-23. e nella…distendersi] e il viso del vecchio tornava a distendersi nella beatitudine del silenzio D e 2il viso del vecchio tornava a distendersi 1nella beatitudine del silenzio D1     26. fin allora] fin’allora D D1 D2 B ≠ M2     

Michele Boschino

a una speranza assurda, che il vecchio avrebbe superato la crisi e sarebbe guarito. E immaginava, come aveva fatto durante il viaggio, di parlare con lui di quel ch’era successo nella foresta di Cantòria. Ne avrebbe parlato con lui solo. Nessuno, all’infuori di suo padre, avrebbe saputo nulla da lui, mai. Il desiderio di silenzio che il vecchio manifestava con quell’impercettibile contrazione della bocca, alimentava la volontaria illusione di Michele, le dava consistenza. Ma quando le palpebre grinzose si riabbassavano a metà velando i grossi occhi a fior di testa, Michele si sentiva di nuovo solo e l’illusione svaniva. Sarebbe stato sempre così solo, ormai. Non avrebbe avuto che estranei, intorno a sé, e si sarebbe dovuto tenere quel segreto per sempre. Avrebbe visto per tutta la vita Domenico Vacca tirar lo spago sulla porta della sua bottega di sellaio, Pedonca passare davanti al macello col suo branchetto di capre, Giovanni tornare dall’ovile coi bidoni di latte attaccati al basto. Cosimo Aneris gli aveva detto: «Ricordati che noi due non sappiamo nulla. Neppure tra noi dobbiamo parlarne. Io e te dobbiamo dimenticarci di quello che ci è successo. Neppure a tuo padre, sai!». E così sarebbe stato: non ne avrebbe parlato neppure a suo padre. Si sentiva crescere dentro un’avversione, un odio sordo per tutta la gente tra la quale avrebbe dovuto vivere portandosi quel segreto odioso. E la gente? Era possibile che non trapelasse mai nulla, mai nessun sospetto? Avrebbero fatto congetture, col passare del tempo, forse qualcuno avrebbe parlato, forse quello stesso che aveva avvertito Antonio Màsala; e si sarebbe saputo che quella notte c’era anche lui, a Cantòria. Sarebbe stato un semplice sospetto, niente più che un so-

2. crisi e sarebbe guarito.] crisi ›[—]‹. D crisi /e sarebbe guarito/. D1     3. parlare] parlare ›di [—]‹ D     9. le palpebre] le ›grosse‹ palpebre D     13. e si] ›[—]‹ e si D     16. macello] Macello D D1 D2 macello B     21. Neppure] Nemmeno D •Neppure (›Nemmeno‹) D1  ◆  padre, sai!».] padre devi parlarne. D D1 D2 padre|,| ||sai!|| (›devi parlarne.‹) B  ◆  non] /in molti/ non D1     22-23. crescere] |crescere| (›crescere‹) D     23. un’avversione] |un’avversione| (›un odio‹) D     24. tra] |tra| (›che‹) D     27. tempo,] tempo D D1 D2 tempo|,| B     28. Màsala; e] Masala, si D Masala; e (← Masala, si) D1 D2 Màsala; e B     

41

5

10

15

20

25

30

42

GIUSEPPE DESSÌ

5

10

15

20

25

spetto; ma avrebbe pesato sempre, sempre su di lui. Questi pensieri, che non l’avevano mai abbandonato durante quei quattro giorni, rimanevano sospesi, statici, senza soluzione. Ma del resto, che cosa poteva importargli di quello che la gente avrebbe detto o pensato di lui? La gente poteva fare e dire ciò che meglio credeva. Quando suo padre, tanti anni prima, era stato arrestato, tutti, tranne i pochi amici di Salvatore e di Benedetto, s’erano messi dalla sua parte, tutti dicevano che aveva fatto bene a difendersi. Nella disgrazia, lui e sua madre s’erano sentiti confortati da quel consenso, da quella solidarietà della gente. La gente allora era molto importante per lui. Gli parevano tutti amici. Non solo la zia Luisa e lo zio Teodoro con Aurelia e Marietta venivano a sedersi in cucina, la sera, a tener compagnia a Maddalena, ma anche i vicini di casa. In quei giorni di lutto, in tutto il rione, le donne non cantavano più, quando si mettevano al telaio o a far la farina. Sedute in crocchio davanti alla porta, nel vicolo, lo salutavano quando passava coi buoi per portarli all’abbeverata, e parlavano sottovoce della disgrazia che aveva colpito Giuseppe. Anche le persone che conosceva soltanto di vista, con un saluto, con un sorriso, o anche tacendo, mostravano di sapere, gli testimoniavano la loro solidarietà. In quei giorni trovava facce amiche dappertutto, anche fra gli estranei. La certezza che suo padre venisse messo in libertà dopo il processo s’era fondata soprattutto su questa solidarietà della gente. I giudici non avrebbero dovuto fare altro che chiedere a tutto il paese com’erano andate le cose, chi era Giuseppe Boschino. Ma proprio al processo si vide poi che cosa valesse questa simpatia e fin 1. pesato sempre, sempre] gravato sempre D D1 D2 ||pesato|| (›gravato‹) sempre|, sempre| B     4. resto, che] resto, ›se non si veniva a scoprire la cosa‹ che D     5. avrebbe detto o pensato] poteva dire o pensare D •avrebbe (›poteva‹) detto (← dire) o pensato (← pensare) D1     7. era stato arrestato] |era stato arrestato| (›era stato arrestato‹) D     9. difendersi.] difendersi, e prendevano parte al loro dolore. D difendersi›, e prendevano parte al loro dolore‹. D1     12. Gli parevano] Erano D •Gli parevano (›Erano‹) D1     22. gli testimoniavano] |gli testimoniavano| (›e gli mostravano la lo‹) D     24. estranei. La certezza] estranei. ›[—]‹ La certezza D     25. processo] processo›,‹ D  ◆  soprattutto] sopratutto D D1 D2 B≠ M2     29. si vide poi che] si vide che D si vide /poi/ che D1     

Michele Boschino

dove arrivasse questa solidarietà. Tutti quelli ch’erano stati chiamati a testimoniare in favore di Giuseppe non avevano saputo sostenere, là nell’aula, ciò che avevano sempre pensato; nessuno disse la cosa più semplice, quella che i giudici stessi forse ammettevano, che Giuseppe era un uomo mite, che aveva colpito per difendersi, mentre i fratelli erano violenti e caparbi e già altre volte lo avevano picchiato a sangue. Davanti al banco, si limitavano a rispondere secchi secchi alle domande che venivano loro rivolte da quei signori togati, i quali sorridevano tra loro inchinandosi ma facevano la faccia severa e grave quando si rivolgevano ai testimoni. Avevano la faccia severa della legge, della legge sconosciuta, terribile, della legge che può colpire un uomo che fino al giorno prima arava pacificamente il suo campo, della legge che può prendere tutti come un colpo d’accidente. Non era la prima volta che si vedeva incriminare un testimonio solo per essersi contraddetto. Bisogna stare attenti a non dire la verità tutta intera, ma solo quei fatti che s’accordano con altri già provati e accettati. I testimoni della difesa non si preoccupavano di Giuseppe, badavano a mettere al riparo se stessi, a evitare domande pericolose, e quando potevano si limitavano a rispondere soltanto sì e no, per non tirarsi addosso guai. La loro opinione era una cosa, la Giustizia un’altra. Anche l’avvocato difensore, in mezzo a quell’apparato di toghe e di gendarmi, aveva la stessa faccia severa di quegli altri signori, e disse sul conto di Giuseppe cose stranissime. Disse, per esempio, che Giuseppe era un uomo fiero, di quegli uomini di tempra antica che formano il fiore della razza del Centro; mentre Giuseppe, in realtà era soltanto mite e saggio. E Michele, quando poi restò solo con 3. sostenere,] sostenere, (← sostenere;) D     4. disse la cosa] disse neppure la cosa D D1 D2 B ≠ M2     10. ma] e D •ma (›e‹) D1     12. sconosciuta,] sconosciuta e D sconosciuta, (← sconosciuta e) D1     14. arava] ›[—]‹ arava D     15. prendere] colpire D •prendere (›colpire‹) D1     16. incriminare un testimonio] un testimonio ›[—]‹ incriminato D D1 D2 2un testimonio 1incriminato B ≠ M2     18. che s’accordano] che ›[—]‹ s’accordano D     1920. si…badavano] difendevano Giuseppe, ma badavano D •si preoccupavano di (›difendevano‹) Giuseppe, ›ma‹ badavano D1     21-22. e quando… limitavano a] a cercar D •e quando potevano si limitavano a (›a cercar‹) D1     22. per] a D per (← a) D1     

43

5

10

15

20

25

30

44

GIUSEPPE DESSÌ

5

10

15

20

25

30

Maddalena, che non poteva patire l’ingiustizia subita e continuamente imprecava contro l’avvocato, che aveva voluto i suoi onorari benché non fosse riuscito a far nulla, e contro i giudici, e contro i testimoni, e contro i falsi amici, cercava rifugio e conforto nel ricordo di quella saggezza. La colpa non era dell’avvocato, egli lo sapeva bene. Se n’era reso conto subito, di questo. Neanche a lui i testimoni della difesa avevano detto le sole cose che importava dire: non osavano accusare apertamente Salvatore e Benedetto. Sapevano che l’avvocato si sarebbe valso delle loro parole e li avrebbe costretti a ripeterle nell’aula. Ora, con Salvatore e Benedetto Boschino non c’era tanto da scherzare. Non erano uomini di buona pasta come Giuseppe, quelli. Ecco cosa avevano fatto i testimoni della difesa, la gente! Cosa sarebbe accaduto ora, se dalla deposizione di Antonio Màsala, o da qualche altro indizio, si scopriva che c’erano anche Cosimo Aneris e lui, quella sera? O se la stessa persona che aveva avvertito Antonio Màsala faceva la spia? Chi lo avrebbe difeso? Chi avrebbe creduto che lui stesso aveva subìto una violenza? Meglio non pensarci neppure. Non contava nulla essere onesti e miti come suo padre. Nulla! Quando Giuseppe era stato portato lontano, in una città del Continente, per scontare la sua pena, mentre Salvatore e Benedetto continuavano pacificamente la loro vita di sempre, non si parlava più, in paese, dell’innocenza di suo padre. La gente, che pure non credeva alla Giustizia, aveva finito per accettare la sentenza come una cosa giusta, e si stancavano dei piagnistei e delle recriminazioni di Maddalena. Persino i parenti se ne stancavano. E loro due erano rimasti soli come un orfano e una vedova, tra l’indifferenza di tutti, sempre sul chi vive, come bestie selvatiche. «Aspetta che tuo padre rimetta piede in paese, e poi vedrai 1. Maddalena] |Maddalena| (›la madre‹) D     2. l’avvocato] |l’avvocato| (›i giudici‹) D     3. e contro] ›[—]‹ e contro D     4. testimoni,] testimoni D testimoni|,| D1  ◆  cercava] /egli/ cercava D1 D2 ›egli‹ cercava D B     7. a] • a (›con‹) D     14-15. gente! Cosa] gente! Cosa D D1 D2 gente!↔| Cosa B     15. accaduto ora] accaduto di lui D D2 accaduto ›di lui‹ D1 accaduto ||ora|| (›di lui‹) B     16. Màsala,] Masala D Masala|,| D1 D2 Màsala, B   ◆   indizio,] indizio D indizio|,| D1     

Michele Boschino

che fine fanno quei cani» diceva Maddalena. «Anche se poi me lo riportano via per sempre non me ne importa, ma la devono pagar cara». Ma quando suo padre, dopo due anni di carcere, era tornato, Michele lo aveva ritrovato sereno e tranquillo come un tempo, e persino allegro, come se la disgrazia non l’avesse neppure sfiorato. Che sollievo era stato quel ritorno, per Michele! Com’era ridiventata subito facile e serena la vita! «Cosa ci possono fare, la gente?» diceva Giuseppe. «Se io mi rompo una gamba, cosa ci possono fare gli altri? Il male non l’ho fatto a Benedetto, quando gli ho spaccato la testa, l’ho fatto a me, a te, poveretta, e a questo innocente». Non serbava rancore. Era lui il primo a salutare le persone che incontrava, anche i testimoni che, per paura di Salvatore e di Benedetto, non avevano osato dire una parola in suo favore; si fermava a parlare, chiedeva notizie della salute, della famiglia, degli affari. E quelli, allegri, espansivi, amici come prima; e con la stessa cordialità salutavano Michele, come se anche lui fosse stato via dal paese in quei due anni e lo rivedessero per la prima volta. Così era fatta la gente. Solo i fratelli non aveva voluto rivedere, Giuseppe, benché gli avessero mandato a dire più volte che desideravano salutarlo; non perché serbasse rancore, ma per prudenza. Era pericoloso parlare con loro. Una parola, anche innocente, poteva tirarne un’altra, non si sapeva mai dove s’andava a finire. Meglio ognuno per suo conto, una volta per sempre. Così era cresciuto, all’ombra di questa tranquilla saggezza, la cui luce gli pareva di scorgere ancora negli occhi del morente che ogni tanto si volgevano a lui dal viso immobile. Era cresciuto come un pollone giovane ai piedi di un grande albero. Lavorare in campagna con lui, come quando era bambino, trattare con le persone con cui lui trattava, 4. Michele] con meraviglia Michele D ›con meraviglia‹ Michele D1  ◆   ritrovato] trovato D ritrovato (← trovato) D1     6. sfiorato] toccato D •sfiorato (›toccato‹) D1     7. ridiventata] tornata D •ridiventata (›tornata‹) D1     8. serena] serena, D D1 D2 serena B     8-9. diceva Giuseppe] diceva D diceva /Giuseppe/ D1     11. l’ho fatto a me] ›l’ho‹ l’ho fatto a me ›e a voi due, poveretti‹ D  ◆  e a] e D e /a/ D1     14. paura…Benedetto,] paura ›di Salvatore e di Benedetto‹, D1     18. Michele] ›anc‹ Michele D     23. loro. Una] loro. ›con gli estranei si può‹ Una D     

45

5

10

15

20

25

30

46

GIUSEPPE DESSÌ

5

10

15

20

25

30

ritrovare sempre, dovunque, in tutti, la sicurezza, la fiducia, la simpatia perfino che venivano da lui, rendeva la vita agevole e lieta a Michele. Non cercava amicizie e neppure gli svaghi dei giovani della sua età. Si sarebbe detto che avesse la stessa età di suo padre, tanto era simile a lui anche nei gesti. Ora egli riandava con la memoria a quegli anni uguali e tranquilli; e, con dolore, pensò alla prima volta che s’era trovato a contrastare con suo padre. Era stato quando s’era innamorato di Angela. Eppure neanche allora la sua fiducia era venuta meno. Ciò ch’era seguito, i fatti inesplicabili che avevano interrotto lo svolgersi tranquillo della sua giovinezza, invece di scuoterla, quella fiducia, l’avevano rafforzata, l’avevano resa necessaria alla sua vita. Suo padre arrivava a vedere ciò che non vedeva lui, sapeva leggere nell’animo degli altri, ne conosceva i riposti pensieri. Un vago senso di timore s’impadroniva di lui quando era lontano da Giuseppe, come se il ricordo di quei due anni passati in paese tra l’ostilità della gente si ridestasse dal profondo del suo essere. Quando il vecchio non c’era, sentiva, come allora, tutti ostili intorno. Forse gli altri sapevano di lui più di quanto egli non sapesse di loro. Sapevano che Angela lo aveva tradito. Lo sapevano anche quando egli, ignaro di tutto, era stato sul punto di sposarla. Forse, se suo padre non gli apriva gli occhi, non avrebbe mai sospettato di nulla; lui solo, mentre tutti gli altri sapevano. Da allora, proprio come un bambino, aveva cercato sicurezza e rifugio in suo padre, di nuovo. Era stato suo padre che l’aveva indotto a romperla con la ragazza, ed egli s’era assoggettato a questo soffrendone: aveva chiuso gli occhi e s’era lasciato guidare. Considerava suo padre come una parte di se stesso a cui avesse affidato la sua coscienza più profonda, una facoltà segreta e dolorosa di vedere dentro le cose e dentro l’animo degli uomini, una consapevolezza di cui non voleva risvegliare la 1. tutti,] tutti D D1 D2 tutti|,| B     2-3. agevole] facile D D1 D2 ||agevole|| (›facile‹) B     3-4. gli svaghi] |gli svaghi| (›svaghi‹) D     10. i fatti] quei fatti D D1 D2 ||i|| (›quei‹) fatti B     14. animo] anima D D1 D2 animo B     15. riposti pensieri] pensieri riposti D D1 D2 2pensieri 1riposti B     16-17. Giuseppe,] Giuseppe; D D1 D2 B ≠ M2     19. sentiva, come allora, tutti] sentiva tutti D sentiva, come allora, tutti D1     24. di nulla;] nulla, D D1 D2 ||di|| nulla||;|| B     

Michele Boschino

possibilità dentro di sé. Ciò che il padre gli aveva detto della relazione di Angela con quell’altro, lo aveva sentito dentro come un ferro penetrato nelle carni per un momento solo; e glien’era rimasta la ferita: ma la certezza, la logica del ragionamento di suo padre le aveva dimenticate. Quelle parole erano appassite come foglie nella sua memoria. Non aveva più chiesto nulla, non aveva neppure più voluto sentirne parlare. E quando un dubbio l’assaliva improvvisamente, o anche gli tornava il suo ricordo di Angela, facendolo soffrire, di Angela che continuava a vivere senza di lui, e pensava che non le avrebbe mai più parlato, che tutto tra loro era finito senza rimedio, solo la serenità di suo padre poteva ridargli pace. Solo in quella saggezza, lontana, irraggiungibile, era la giustificazione dell’atto che aveva compiuto a occhi chiusi. Allora passava lunghe ore col vecchio e lo ascoltava parlare. Il vecchio parlava della condanna, della vigna perduta, del tempo passato in carcere; e la giustezza delle sue parole lo guariva. Il vecchio diceva che quando si perde una cosa bisogna far conto d’averla restituita a Chi ce l’aveva data per sua bontà; e non tocca a noi giudicare se colui per mani del quale Egli ce la toglie, è un nostro nemico. Michele riferiva a sé queste parole, come se il vecchio raccontasse un apologo, e cercava di non pensare all’uomo per mano del quale Angela gli era stata tolta, di dimenticarlo subito, prima che quel volto odioso risorgesse chiaro dalla memoria. Angela, come se fosse morta, se l’era presa 2. quell’altro, lo] quell’altro uomo, egli lo D quell’altro ›uomo‹, ›egli‹ lo D1  ◆  dentro] dentro ›di sè‹ D     3. carni] carni, D D1 D2 carni B     5. le] l’ D le (← l’) D1     9. gli…Angela,] il solo ricordo di lei D /gli tornava/ il solo ricordo di •Angela (›lei‹), D1 D2 B ≠ M2     10. Angela] lei D •Angela (›lei‹) D1     10-11. lui, e pensava che] lui, e pensava che lui, D /e pensava/ che D1      11. mai più] più D /mai/ più D1     13. ridargli] dargli D ridargli (← dargli) D1  ◆  Solo] Era D •Solo (›Era‹) D1  ◆  lontana] sebbene lontana D ›sebbene‹ lontana D1     14. era la] la D /era/ la D1     15. occhi chiusi.] occhi chiusi, senza convinzione. D D1 D2 occhi chiusi,›senza convinzione‹. B     20-22. giudicare…nemico] giudicare per mani di chi Egli ce la toglie. D giudicare /se colui/ per mani •del quale (›di chi‹) Egli ce la toglie /è un nostro nemico./ D1 D2 giudicare se colui per mani del quale Egli ce la toglie, è un nostro nemico. B     25-26. risorgesse…memoria.] sorgesse chiaro dentro di lui. D |ri|sorgesse chiaro •dalla memoria (›dentro di lui‹). D1     

47

5

10

15

20

25

48

GIUSEPPE DESSÌ

5

10

15

20

25

30

quell’Altro. Così egli s’affidava a suo padre, senza chiedere nulla, come uno smemorato; in lui era la ragione della sua stessa vita. Anche l’arte di coltivare la terra, con tutti i suoi segreti, gli pareva che suo padre non l’avesse appresa, a sua volta, da altri, ma che l’avesse scoperta da sé, come il primo uomo. E quest’idea fanciullesca, nata dal bisogno di trovare in suo padre la ragione di tutti i propri atti, anche quando fu da lui, non risolta, con gli anni, in un modo più maturo di veder le cose, ma come messa in disparte, dimenticata, come accade di molte idee dell’adolescenza, i suoi effetti continuarono a durare in lui, gliene rimase ancora il senso. Ma era una fiducia che, quand’era lontano da suo padre, poteva venir meno a un tratto; come un nuotatore inesperto che s’accorge con terrore di non toccare più il fondo con la punta del piede. Gli accadeva anche quand’era con Beniamino. Il servo lo guardava coi suoi occhi impenetrabili di pastore, e forse vedeva quel che stava accadendo dentro di lui, chi sa! Forse sapeva che sarebbe bastata la mano di un bambino a stenderlo a terra, in quei momenti, benché lui continuasse a parlare del prezzo dei terreni da semina o dei danni che, la notte prima, avevano fatto le capre del vicino. Parlava, ascoltava, ma le parole, a un tratto, perdevano il loro senso, non avevano più valore, erano vuote. Allora si sentiva nudo e trasparente come un geco che ha la pancia piena di mosche; gli pareva che quel ragazzo chiacchierone e maligno potesse vedere la vergogna che, ecco, improvvisamente si riaccendeva, la vergogna e il dolore di quando suo padre, nella stalla, pestando col maglio le fave per i buoi, gli aveva detto il nome di quell’uomo col quale Angela lo tradiva. Non udiva più le parole del suo interlocutore ma le parole di suo padre, rinascevano i pensieri che quelle parole avevano alimentato per tanto tempo, e ciò che in quel momento aveva visto con l’immaginazione e aveva cercato disperatamente di cancellar subito dalla memoria, 1. Così…padre] E s’affidava al vecchio D •Così egli (›E‹) s’affidava •a suo padre (›al vecchio‹) D1     2. nulla] altro D D2 •nulla (›altro‹) D1  ◆  uno smemorato; in lui] come uno smemorato. Nel vecchio D come uno smemorato, (← smemorato.) •in lui (›Nel vecchio‹) D2 come uno smemorato; (← smemorato.) •in lui (›Nel vecchio‹) D1     10. molte idee] certe idee D D1 D2 B ≠ M2     22-23. perdevano] avevano perduto D D1 D2 B ≠ M2      

Michele Boschino

quelle immagini che invece ritornavano sempre con lo stesso vigore, quando la fiducia lo abbandonava, anche ora che di Angela non gl’importava più nulla. Dopo questi turbamenti, era come uno che si desta da un incubo: si ritrovava seduto sul muricciuolo dell’orto, o a camminare accanto alla ruota del carro col pungolo sulla spalla, a fianco del servo che nel frattempo, vedendolo assorto in altri pensieri, aveva preso a canterellare qualcosa. Pensava a suo padre, gli pareva di essere non lui ma suo padre stesso; e come per incanto tornava a sentirsi sicuro, padrone di sé, anche lui come tutti gli altri; e gli altri si spogliavano del loro mistero, e vedeva che i pensieri che nascondevano non erano molto diversi dalle parole che dicevano o che avrebbero potuto dire. Tutto era naturale, tutto era semplice. Pensava anche, qualche volta, alla morte del vecchio; ma come a una possibilità lontana, indeterminata; pensava che in quel tempo, sarebbe stato diverso, più forte, più sicuro, più uomo. Ed ecco che invece la morte era arrivata improvvisamente, e lui era lo stesso di prima; era arrivata proprio quando aveva più bisogno di aiuto. Come avrebbe voluto ascoltare ancora quella voce amica e saggia! Come avrebbe voluto poter credere che per il vecchio non c’era nulla d’impreveduto, e che anche la cosa che era capitata a lui qualche sera prima non era né straordinaria né terribile, e che lui, Michele, era innocente, e che faceva bene a tacere, a confessarsi solo con lui, suo padre; sentirsi dire che quell’avvenimento sarebbe rimasto nascosto sempre a tutti gli altri. E invece, quando gli occhi di suo padre si chiudevano, e il viso immobile sembrava immerso in un silenzio più grande del sonno, gli pareva di sentire che in quell’avvenimento

4. desta] destasse D desta (← destasse) D1     10. sé,] sé D D1 D2 B ≠ M2     14. naturale, tutto era semplice.] naturale e semplice. D naturale, • tutto era (›e‹) semplice. D1     16-17. indeterminata…più uomo.] indeterminata. Allora, in quel tempo, sarebbe stato diverso, più forte, più sicuro. D indeterminata; (← indeterminata.) •pensava che (›Allora,‹) in quel tempo, sarebbe stato diverso, più forte, più sicuro|,| /più uomo/. D1     28. di suo padre] del vecchio D •di suo padre (›del vecchio‹) D1     30. in] •in (›anche per suo padre c’era‹) D     

49

5

10

15

20

25

30

50

GIUSEPPE DESSÌ

c’era qualcosa che sfuggiva anche al vecchio, che preferiva andarsene così, senza dir nulla. Si ricordò di questo tre giorni dopo, quando si sparse la notizia che suo cugino Giovanni era stato trovato nel pode5 re di Nadòria con due palle nella schiena.

1. al vecchio, che preferiva] a lui; e che egli preferiva D •al vecchio (›a lui‹); e che egli preferiva D1 D2 •al vecchio, (← vecchio; e) che ›egli‹ preferiva B     3. sparse] |sparse| (›seppe in‹) D

Michele Boschino

51

VII

Quell’anno Michele affittò quasi tutta la terra che aveva preparato e seminò solo il grano che bastava per la provvista di casa e la paga del servo. Dopo il raccolto, licenziò il servo e rivendette i buoi di Arci alla fiera di Santa Croce. Fece tutto questo contro il parere di Maddalena, che diceva: «Tuo padre la terra l’ha comprata per seminarla, non per darla in affitto agli altri come la gente ricca». Michele insisteva che conveniva di più far così. La terra affittata rendeva meno sì, ma rendeva ogni anno nella stessa misura, e lo svantaggio veniva compensato. Il servo era stato necessario tenerlo durante la malattia di Giuseppe, perché non si potevano vendere definitivamente i suoi buoi senza dargli un grande dolore; ma ora no, non conveniva più. Michele non era convinto di quel che diceva, anzi, in cuor suo, doveva riconoscere che Maddalena aveva ragione, e che, per mettere assieme i seicento scudi che ci volevano per ricomprare la vigna, bisognava continuare a lavorar la terra come sempre aveva fatto suo padre. Era il chiodo fisso di Giuseppe, la vigna. Gliel’aveva portata in dote Maddalena, e lui poi, ci aveva lavorato tanto. Avrebbe voluto ricomprarla, prima di andarsene. Anche la sera della grassazione Michele c’era passato davanti, con Cosimo Aneris, e s’era ricordato di suo padre, che ogni volta che passava di là voltava la faccia 7. raccolto,] raccolto D D1 D2 B ≠ M2     8. rivendette…Santa Croce.] rivendette alla fiera di Santa Croce i buoi che aveva comprato ad Arci. D rivendette /i buoi di Arci/ alla fiera di Santa Croce ›i buoi che aveva comprato ad Arci‹. D1     13. meno sì, ma] meno ma D meno|,| /sì,/ ma D1 D2 meno sì, ma B     14. necessario] bene D •necessario (›bene‹) D1     16. dargli] dare al vecchio D dargli (← dare) ›al vecchio‹ D1     17. Michele] Ma D •Michele (›Ma‹) D1     23. vigna. Gliel’aveva] vigna, perché gliel’aveva D vigna. Gliel’aveva (← vigna, perché gliel’aveva) D1     23-24. ci aveva… Avrebbe] in tanti anni, l’aveva tutta rinnovata; e avrebbe D •ci aveva 1tanto 2 lavorato (›in tanti anni, l’aveva tutta rinnovata; e‹)|.| Avrebbe (← avrebbe) D1     26. e s’era] e Michele s’era D e ›Michele‹ s’era D1  ◆  di] che D • di (›che‹) D1     27. che ogni] ogni D /che/ ogni D1  ◆  voltava la faccia] si voltava D ›si‹ voltava /la faccia/ D1     

5

10

15

20

25

52

GIUSEPPE DESSÌ

5

10

15

20

dall’altra parte sospirando. Nella luce della luna, la vigna, già spoglia, tra le quattro siepi di fichidindia, sembrava anche più grande di quando l’avevano venduta. A quel tempo le viti innestate sui vecchi ceppi non avevano dato ancora frutto. Le aveva innestate con le sue mani, Giuseppe, un poco per volta; e ora se la godevano gli altri. Anche Michele, passando di là, aveva sospirato come suo padre, quella sera. Ma ora, cosa gliene importava della vigna? A sua madre non osava dirlo, ma non gliene importava più nulla. Della vigna non sapeva che farsene, lui. Si sarebbe accontentato di lavorare quanto bastava per il pane. Tutto il resto era in più. Ma una ragione, per Maddalena, bisognava trovarla, e Michele diceva: «Vedete, mamma, con la vendita dei buoi e del carro del povero babbo abbiamo fatto centoventicinque scudi. Anche gli altri verranno». La donna s’accorava: «Sì, verranno! Verrebbero se tu lavorassi la terra con le tue mani come faceva Giuseppe, invece d’affittarla. Certo che verrebbero! Era l’unica cosa che mi restasse di casa mia. Così l’aspetteremo un pezzo, la vigna del Faraone». Per tutta la vita suo padre aveva avuto un solo scopo: accumulare pezze, reali e scudi, come una formica accumula chicchi di grano. Quando ne aveva messo da parte un bel po’ comprava un pezzetto di terra. Così aveva ingrandito il piccolo podere di Spinàlva, aveva impiantato l’orto e acquistato il chiuso

1. sospirando.] e sospirava D sospirando (← e sospirava) D1     2. fichidindia,] fichidindia D fichidindia|,| D1     3-4. A quel…innestate] Allora le viti che Giuseppe aveva innestato D Allora le viti ›che Giuseppe aveva‹ innestate (← innestato) D1 D2 ||A quel tempo|| (›Allora‹) le viti innestate B     5. mani, Giuseppe,] mani, un poco D mani, /Giuseppe,/ un poco D1     6. per volta;] alla volta, D •per (›alla‹) volta; (← volta,) D1  ◆  la] le D D1 D2 la B  ◆  Anche] Fino al giorno della grassazione anche D ›Fino al giorno della grassazione‹ Anche (← anche) D1     7-8. aveva…Ma] sospirava come suo padre; ma D •aveva sospirato (›sospirava‹) come suo padre /quella sera/; ma D1 D2 aveva sospirato come suo padre, quella sera. Ma (← quella sera; ma) B     10. farsene, lui. Si] farsene, e si D farsene, lui. Si (← farsene, e si) D1     12. per] a D •per (›a‹) D1  ◆  trovarla] dargliela D •trovarla (›dargliela‹) D1     15. La] Ma la D La (← Ma la) D1     17-18. verrebbero!] verrebbero. D verrebbero! (← verrebbero.) D1     21. scudi,] scudi D scudi|,| D1     22. po’] po’, D D1 D2 po’ B     22-23. comprava un pezzetto] comprava un altro pezzetto D comprava un ›altro‹ pezzetto D1     

Michele Boschino

per sciogliere al pascolo i buoi, e la terra di Monte Ulìa, che voleva mettere a mandorli. Pensava a Michele, ai figli di Michele, e ai figli dei figli. Ma lui? Lui era solo al mondo, e solo sarebbe sempre rimasto. Anche lui, prima, aveva fatto come suo padre, fin da ragazzo, per quanto inconsciamente, senza nulla sapere della sua vita. Quando s’era fidanzato con Angela, questo desiderio della proprietà era diventato fortissimo, come un istinto che si fosse maturato con la virilità. Il suo amore per Angela era unito a questo bisogno di guadagno e di possesso: accrescere la roba del padre, che era roba sua, ingrandire la casa del padre, che pure era sua, lavorare per la famiglia futura. Ma quando aveva detto ad Angela che al matrimonio non c’era più da pensarci, e lei se n’era andata senza chiedergli nessuna spiegazione, anche questo desiderio era caduto. Per lui, da allora, era come se la vita si fosse fermata. Se lavorava come prima, se come prima era attento e avveduto, non era più il suo stesso interesse che lo spingeva, alimentato da quell’istinto profondo, ma il bisogno di secondare il desiderio di suo padre, senza mai chiedersene la ragione. «Per te le mie parole non contano niente» soleva ripetere Maddalena quando cercava di convincerlo a non affittare la terra. Le parole di Maddalena, da quando suo padre era tornato in paese dopo aver scontato la condanna, non avevano più contato nulla per lui, neanche quand’era chiaro il vantaggio, in ciò che sua madre diceva; mentre Giuseppe poteva chiedergli il sacrificio più doloroso ed era sempre ascoltato. Ora Michele era come un albero a cui avessero tagliato le radici più profonde; e non aveva altro desiderio che d’abbandonarsi senza resistere alla stanchezza che gravava su tutto il suo essere. Come avrebbe potuto dire a Maddalena che aveva licenziato Beniamino perché Beniamino era come un occhio aperto e vigile sul suo torpore,

1. buoi,] buoi D buoi|,| D1     2. ai] e ai D ›e‹ ai D1     5. padre, fin] padre. Fin D padre, fin (← padre. Fin) D1     19. di suo padre] di lui D di •suo padre (›lui‹) D1     32-33. Beniamino] egli D •Beniamino (›egli‹) D1     33. occhio aperto e vigile] occhio vigile D occhio /aperto e/ vigile D1     

53

5

10

15

20

25

30

54

GIUSEPPE DESSÌ

5

10

15

20

un occhio che avrebbe finito per vedere, per penetrare quel segreto che avrebbe dovuto portarsi con sé per sempre, che avrebbe voluto affidare a suo padre per poi dimenticarlo? Non voleva nessuno attorno a sé, voleva star solo. E quando era costretto ad avvicinare qualche persona, aveva paura di tutto, delle parole, degli sguardi e persino del silenzio che il suo impaccio causava. Non voleva che alcuna cosa lo strappasse a quel molle torpore, a quel desiderio continuo di stendersi a terra e dormire. Ma in quanto a dormire veramente, i suoi sonni non erano più quelli d’un tempo. Gli accadeva d’assopirsi sdraiato bocconi sul carro oppure sulla stuoia di sala gettata fra le mangiatoie dei buoi, ma non dormiva mai veramente. Allora la sua atonia abituale si colorava di una inesplicabile felicità. Il suo sopore era un trascorrere di buio e di sereno, come nuvole in un cielo lunare, un palpito lungo, un profondo respiro d’ombra; e quando quel palpito si faceva più trasparente, era come se, attraverso il velo del sonno, vedesse i buoi, il timone del carro, la legnaia, il tetto, il cielo stellato: tutte cose presenti, reali, a cui lo teneva avvinto il terrore d’abbandonarsi ai fantasmi che popolavano la sua angoscia. Eppure quel velo sottile bastava a separarlo dal presente, divenuto per lui così deserto.17 Ogni tanto gli pareva di udire, tra gli altri rumori, la voce del padre, il maglio

1. vedere] vedere D vedere D1     2. per sempre] fino alla fine D •per sempre (›fino alla fine‹) D1     5. qualche persona] qualcuno D •qualche persona (›qualcuno‹) D1     7. causava] causavano D causava (← causavano) D1     8. strappasse… torpore, a] distogliesse da quell’atonia che lo aveva preso, da D •strappasse a quel molle torpore, a (›distogliesse da quell’atonia che lo aveva preso, da‹) D1     12-13. fra le mangiatoie] tra la mangiatoia D tra le mangiatoie (← la mangiatoia) D1 D2 fra (← tra) le mangiatoie B     13. buoi,] buoi; D D1 D2 B ≠ M2     15-16. sereno,] azzurro sereno D ›azzurro‹ sereno|,| D1     16-17. lungo…respiro] lungo e profondo, un respiro D lungo ›e profondo‹, un /profondo/ respiro D1     18. trasparente,] trasparente D D1 D2 trasparente|,| B  ◆  il velo del sonno] ›le palpebre‹ quel velo di sonno D •il (›quel‹) velo del (← di) sonno D1 17 il cielo stellato: tutte cose… divenuto per lui così deserto.] cfr. Appendice (Cap. VII).

Michele Boschino

con cui il vecchio pestava le fave, gli pareva di dover fare qualcosa con lui, l’indomani: ma non gli accadeva mai di vedere suo padre in sogno. Quando dormiva nella stanza accanto alla cucina, d’estate, con la porta spalancata sul cortile, il suo orecchio avvezzo alle notti all’addiaccio, vigilava istintivamente i buoi che ruminavano nella stalla; anche nel sonno distingueva il tintinnio, a volte appena percettibile, dei campani delle sue bestie da quelli delle stalle vicine, sapeva quando si leccavano sotto la coscia, quando si grattavano contro il pilastro di granito della tettoia, seguiva i loro movimenti lenti e grevi, vedeva le loro grandi ombre. E nella gioia inesplicabile che quel sopore gl’infondeva, era anche l’orgoglio, sempre condiviso con suo padre, per quel giogo di buoi di cui non si trovava l’uguale in tutta Sigalesa. Invece i risvegli erano oppressi da un’oscura disperazione. Erano le ore più angosciose della giornata, quelle del risveglio – ore o forse anche soltanto brevi istanti; e gliene rimaneva poi la sensazione penosa per tutta la giornata, come un peso da cui non potesse più liberarsi. Quando, prima dell’alba, portava i buoi all’abbeverata fischiando come tutti gli altri boari un’aria di quattro note che accompagnavano il passo delle bestie, quelle stesse ombre amiche che prima erano entrate nella gioia del suo sonno, ora si staccavano dalle altre più piccole in fila all’abbeveratoio, l’opprimevano come un incubo. Continuava a fischiare come gli altri, la piazzetta e la scarpata scoscesa si riempiva di suoni acquatici, ma lui non riusciva a vincere quell’angoscia. Avrebbe voluto che i suoi buoi fossero simili a tutti gli altri di Sigalesa, piccoli, rossi di mantello e con la testa gravata da corna enormi, e lui stesso avrebbe voluto essere un servo, come i boari che fischiavano accanto a lui, non

5. addiaccio,] addiaccio D addiaccio|,| D1     11. movimenti lenti] movimenti di bestie lente D movimenti ›di bestie‹ lenti (← lente) D1     13-14. quel giogo di] quei D D1 D2 ||quel giogo di|| (›quei‹) B     19. potesse] |potesse| (›sapesse‹) D     21-22. accompagnavano] accompagnava D D1 D2 B ≠ M2     23. prima erano] prima ›[—] nella [—] calma sicurezza del suo sonno‹ erano D     29-30. e con…enormi,] e con le corna |enormi| (›grandissime‹) D e •la testa gravata da (›e con le‹) corna enormi D1D2 e con la testa gravata da corna enormi, B     

55

5

10

15

20

25

30

56

GIUSEPPE DESSÌ

possedere nulla, obbedire a qualcuno come prima aveva obbedito a suo padre. 5

10

15

20

25

30

Il grano lo aveva seminato nel campo di Monte Ulìa, tenuto a maggese, isolato in una distesa di lentischi e di olivastri. Maddalena aveva avuto da ridire anche per questo, non parendole conveniente che Michele scegliesse proprio quel campo fuori mano mentre avrebbe potuto tenersi un pezzo di terra accanto all’orto, e badare così a una cosa e all’altra. Invece, per andare a Monte Ulìa, coi buoi, ci voleva un’ora buona di strada. Michele diceva che le altre terre erano stanche, mentre quella, quasi vergine, avrebbe dato un raccolto migliore. La ragione vera però era questa, che essendo il campo così fuori mano poca era la gente che ci passava, e poi aveva la scusa di star lì anche quando non c’era da scerbare o zappare il grano, per far la guardia. S’era fatto un capanno a ridosso di una quercia e di là, essendo il campo su un pendio digradante, poteva abbracciarlo tutto con l’occhio. Quando cominciò a spuntare, il grano pareva stento, e dal modo d’accestire si vedeva il segno della gittata del seme, un po’ incerto, come se l’avesse seminato il debole braccio di una donna. Quei pochi che passavano per la strada lungo il campo, pastori per lo più, carbonai, cercatori di funghi, o gente che andava a far legna, si fermavano e scrutavano a lungo, come se volessero veder quanti chicchi erano nati in ogni solco. Michele, se era nel capanno, non si muoveva di là neanche quando il passante, scoprendolo finalmente, gli faceva un cenno di saluto. Se poi capitava a portata di voce doveva sentire anche i commenti. «Se non piove, il tuo grano va male» gridavano. «Cotesti sono terreni asciutti. Qui ci andrebbe una vigna. Una vigna sì che andrebbe bene». 9. fuori mano] fuorimano D D1 D2 B ≠ M2     12. diceva] aveva risposto D •diceva (›aveva risposto‹) D1     14. La] ›Ma‹ La (← la) D  ◆  però] /però/ D     15. fuori mano] fuorimano D D1 D2 B ≠ M2     16. passava,] passava; D D1 D2 passava, B  ◆  aveva] aveva /›anche‹/ D     17. per] •per (›a‹) D     28. Michele, se] ›[—]‹ Michele, •se (›[—]‹) D     32. gridavano] •gridavano (›dicevano‹) D     

Michele Boschino

Anche Maddalena volle andare a vedere il grano, e disse la stessa cosa. «Questo è terreno da mettere ad alberi. Tuo padre aveva comprato questo terreno per metterlo a mandorli. Una volta sola ci seminò grano». «E quella volta andò bene» disse Michele. «Ma quell’anno ne venne dal cielo dell’acqua!» «Anche quest’anno verrà». «Quest’anno? Vedrai quest’anno! Non farai fatica a mieterlo quel grano». «Io vi dico che verrà» insisteva Michele. «Ho visto i buoi giocare anche stamattina». Ma in realtà non gliene importava nulla che piovesse o no. Gli piaceva star nel capanno a fabbricare cesti di giunchi, a guardar crescere l’erba tenera del grano, a lasciar spaziare l’occhio per la cupa distesa di cisti, fino alla pianura già verdeggiante. «Quelle sì che son terre buone» diceva qualche volta a voce alta, come concludendo un ragionamento interiore, «quelle sì che ripagano il lavoro del povero contadino. Sono terre che danno anche il sedici per seme». Non erano idee sue, erano parole che aveva sentito ripetere tante volte da suo padre, che pur essendo affezionato alle terre di Spinàlva, vagheggiava così quelle altre più ricche. Allo stesso modo, oziosamente, cercava che cosa mancasse al suo grano, come se non lo sapesse anche lui che tutto dipendeva dal terreno troppo asciutto. Il terreno era riposato, ingrassato dal bestiame, arato in primavera, intraversato a settembre; ma era asciutto. Una mattina i buoi, sciolti al pascolo, cominciarono a giocare davvero, cozzando tra loro. Era un indizio sicuro che stava per piovere. Michele lasciò che prendessero qualche boccata di grano, e solo dopo un poco lanciò un sasso per farli allontanare. La notte, cominciò a piovere; e ai Santi il grano nacque

4. seminò] seminò (›ha seminato‹) D     8-9. mieterlo quel] mieterlo quel (← mietere il) D     13-14. giunchi, a guardar] giunchi (← giunghi) •a guardar (›guardando‹) D giunchi, a guardar D1     18. interiore, D D1 D2 B] interiore M2     19. danno] |danno| (›ripagano‹) D     

57

5

10

15

20

25

30

58

GIUSEPPE DESSÌ

tutto, e veniva su nel campo folto e uguale che pareva seminato con la macchina. 5

10

15

20

25

30

35

«Avete visto, mamma, che avevo ragione» disse Michele quando Maddalena andò a Monte Ulìa per aiutarlo a zappare il grano. La donna, dal carro, scuoteva la testa senza rispondere. Non voleva ancora darsi per vinta, e neppure far l’uccello di malaugurio, però, di fronte a tutta quella grazia di Dio venuta su come per miracolo, esposta ai pericoli delle secche, della stretta, degli incendi, delicata come il pane che lievita in un canto della stanza più calda. Ora che il grano era nato non bisognava più dir nulla e affidarsi alla volontà di Dio. Proprio come quando si fa il pane, che basta nulla a farlo andare a male: basta che durante la notte cambi il tempo, basta un pensiero cattivo, a volte; e allora l’abilità e l’attenzione non contano più nulla. Bisogna farsi il segno della croce, prima di cominciare, e pensare a cose buone. Così anche per il grano in erba, per il grano da mietere e da trebbiare. Per questo i pensieri d’odio, anche se covati in silenzio, finiscono per mandare in rovina le famiglie. Lei stessa ora si sentiva pesare come una colpa il rancore che l’aveva staccata dal figlio dopo la morte di Giuseppe. S’erano trovati una contro l’altro, madre e figlio, senza sapere neppure perché: come se un malinteso fosse nato tra loro e ci fosse bisogno d’una spiegazione che nessuno dei due si risolveva ad affrontare. Lei era scontenta di tutto ciò che lui faceva, e Michele, da parte sua, non l’accontentava neppure nelle piccole cose, sempre ostinato, sempre chiuso in se stesso. A volte le pareva che Michele soffrisse più di lei per la morte di Giuseppe, e ne era gelosa. Ora, per la prima volta, dopo tanti mesi, vedendo il grano folto e lucente, quel groppo d’astio le si scioglieva dentro; ma stava zitta, senza riuscire a dirgli quelle parole che gli avrebbero fatto piacere. Zappava china, con la zappa dal corto manico di 9. però] ora D però (← ora) D1     16. cattivo, a volte;] cattivo a volte, D cattivo, a volte; (← cattivo a volte,) D1     21. le famiglie] la mente D •le famiglie (›la mente‹) D1     24. l’altro, madre e figlio,] l’altro D l’altro|,| /madre e figlio,/ D1     27. Lei] |Lei| (›Maddalena era‹) D     

Michele Boschino

corbezzolo, strappando ogni tanto qualche ciuffo di cuscuta o di medica che gettava nella gora dopo averne scosso la terra dalle radici. Le pareva di esser tornata ai tempi lontani, quando lei e Giuseppe scerbavano il grano nel piccolo campo di Spinàlva, più piccolo anche di questo di Monte Ulìa, allora, o andavano a lavorare a giornata nelle terre di Serra Lisone, di Mérula, di Ìscia Ìspina, dove li chiamavano, senza curarsi della fatica. Così avevano cominciato, e non avevano da scegliere la terra, allora. Dovevano accontentarsi del loro piccolo podere, che era una terra povera, argillosa, che quando pioveva non s’asciugava mai, e quando non pioveva si spaccava come la crosta del pane: ben diversa da quella che avevano comprato tutt’intorno, più tardi. Eppure dava il suo frutto, perché Giuseppe era contento, e anche lei, e lavoravano d’amore e d’accordo. Ora si pentiva dei suoi rancori, dei suoi pensieri ostili; e benché le reni le dolessero, continuava a zappare senza riposarsi. Anzi quel dolore fisico la rendeva tranquilla. «Come sarebbe bello ora» pensava «se Michele sposava Angela!». Era un pensiero, questo, che le tornava sempre anche quando ce l’aveva col figlio: solo che, allora, era un motivo di più per stimarlo un buono a nulla. Tornava sempre e si colorava diversamente secondo la disposizione del suo animo. Quando si dimenticava del presente, e si lasciava andare a fantasticare, pensava ad Angela. Com’era stata bene nei pochi mesi che Angela aveva frequentato la sua casa! La bella compagnia che le aveva fatto! L’aiuto che le dava in tutto! Era attenta, svelta, operosa come un’ape. Ecco com’era Angela, nella casa: come un’ape nell’alveare. Essere lì, a Monte Ulìa, con Michele, e sapere che in casa c’era lei, Angela. Tornare e trovare tutto in ordine, il cortile scopato, la pentola sul fuoco, il telaio coperto col panno di lino, e ricevere il saluto di quella voce simpatica e allegra. E invece Angela non la salutava neppure, ora, quando la incontrava a faccia a faccia per 12. pane:] pane; D D1 D2 pane: B     19. pensiero, questo,] pensiero D pensiero|,| /questo,/ D1     20. quando] |quando| (›nei momenti‹) D     24. pensava ad] pensava sempre ad D D1 D2 pensava ad B     26. casa!] casa D casa|!| D1     27-28. svelta, operosa] svelta e attiva D svelta|,| •operosa (›e attiva‹) D1     

59

5

10

15

20

25

30

60

GIUSEPPE DESSÌ

5

10

15

20

25

30

la strada, come se non si fossero mai viste né conosciute. Non era più la ragazza di prima. Aveva sposato un vedovo con tre figli, s’era fatta più bianca e grassa, perché essendo il marito falegname, non andava più in campagna; e forse non gliene importava niente che Michele non l’avesse sposata. Eppure aveva tanto desiderio di fermarla, di chiederle dei figli. Non aveva mai avuto nulla, contro di lei, e non aveva mai voluto credere a ciò che la gente maligna aveva detto. Per quanto era dipeso da lei, non aveva mai fatto nulla per distogliere Michele. Lei aveva sempre pensato che Michele avrebbe fatto la sua fortuna con una moglie come Angela. Sarebbero nati dei figli, e Michele avrebbe lavorato per loro. Sarebbe stato com’era Giuseppe da giovane, Michele, quando anche loro speravano di avere molti figli che li aiutassero nella vecchiaia. Perché, a che cosa serve essere un buon lavoratore, come Michele, se non ci sono figli? per chi si lavora? È così che passa la voglia di far bene. Guardava ogni tanto il figlio chino davanti a lei sul solco, e capiva ora perché amava quel campo solitario, e voleva starsene sempre lontano dalla gente. E sentì pietà per lui. Era come un vedovo, come un vecchio che non dovesse aspettarsi più nulla dalla vita. Tale e quale come lei. Michele amava quel campo. Amava la strada che portava a Monte Ulìa, il capanno a ridosso della quercia, gli olivastri che crescevano qua e là in mezzo ai lentischi e ai cisti, il monte boscoso, che pure non guardava mai perché gli dava tristezza con le sue cupe ombre e le sue rocce a picco. Quel campo era suo, ne conosceva ogni zolla, ogni sasso. Più suo di tutta l’altra terra che il padre gli aveva lasciato; e non sapeva egli stesso perché. Amava l’ombra del monte che, a sera, s’allungava fino alla pianura, fino ai grani verdeggianti in lontananza. Mentre il grano cresceva, lì sotto i suoi occhi, che quasi gli pareva di vederlo venir su e srotolare le foglie tenere dei 11-12. una moglie come Angela] •una (›quella‹) moglie •come Angela (›laboriosa‹) D     19. amava] amasse (← amava) D amava (← amasse) D1   ◆   voleva] volesse D voleva (← volesse) D1     22. vita. Tale] vita. Tale (← vita, tale) D     28. suo] sua D suo (← sua) D1     29.il] suo D •il (›suo‹) D1  ◆   lasciato;] lasciato, D D1 D2 lasciato; B

Michele Boschino

61

cimoli, egli andava maturando nella sua mente un progetto: mettere a mandorli quel campo, come voleva fare suo padre. E sapeva quante piante ci avrebbe messo. In due anni le piantine sarebbero cresciute e lui le avrebbe innestate. Misurava il suo lavoro nel tempo. Sapeva le diverse qualità che 5 avrebbe innestato sulle mandorle amare. Avrebbe innestato mandorle di Medàdos, che hanno le foglie larghe come quelle del pesco e il mallo verde, quelle di Sant’Àlvara, che danno un frutto più piccolo, di forma allungata, dal mallo violaceo e consistente, le forestiere, dal frutto piccolo e ton- 10 do che si schiaccia tra le dita. Ci pensava tanto che quando il grano cominciò a mettere le spighe, il mandorleto era già cresciuto nella sua mente. In questi pensieri ritrovava pian piano l’amore del lavoro, disinteressato, senza alcun fine. Per chi lo piantava, il man- 15 dorleto? Questo non se lo chiedeva neppure. Lo piantava perché amava quel campo, quel luogo nel quale ritrovava, giorno per giorno, la sua pace. 20

62

GIUSEPPE DESSÌ

VIII

5

10

15

20

25

30

35

Un giorno, dopo il raccolto, andò da lui lo zio Benedetto. Michele stava dando la profenda ai buoi nella stalla. Rispose al saluto del vecchio senza mostrare alcuna meraviglia, e lo invitò a entrare in casa. Ma Benedetto disse che preferiva star lì, e si sedette accanto alle mangiatoie, dopo aver dato un’occhiata intorno come per riconoscere quel luogo, nel quale non metteva piede da tanti anni. Non s’erano mai incontrati, dopo la morte di Giuseppe e di Giovanni, e la disgrazia che li aveva colpiti quasi contemporaneamente rendeva superflua ogni spiegazione di quella visita inaspettata. Dapprima il vecchio parlò del raccolto, scarso, quell’anno, a causa delle piogge che avevano allagato i seminati. Disse che si vedeva che la fortuna aiutava Michele come aveva sempre aiutato Giuseppe. Chi mai gli aveva suggerito l’idea d’andare a seminare il grano in quel terreno di collina? A nessuno sarebbe venuto in mente. Michele avrebbe voluto rispondergli ch’era andato a Monte Ulìa per non imbattersi mai nella sua brutta faccia né in quella dei suoi figli; ma invece continuò a tacere aspettando che Benedetto arrivasse al sodo; perché certo era venuto da lui con uno scopo preciso, e per quanto, con quella barba grigiastra che s’era lasciato crescere dopo la morte di Giovanni, sembrasse anche più vecchio, Michele sapeva che non c’era da fidarsene. «Scommetto ch’era la prima volta che lo seminavi, quel campo». Michele disse che il campo di Monte Ulìa era già stato seminato un’altra volta, da Giuseppe, e anche quell’anno era piovuto tanto che le terre della pianura erano rimaste allagate per tutta la primavera. Il vecchio scosse la testa con un mezzo sorriso nella barba.

6. buoi] buoi, D D1 D2 buoi B     21-22. imbattersi] incontrare D •imbattersi (›incontrare‹) D1  ◆  nella] la D nella (← la) D1  ◆  in quella] quella D ||in|| quella D1     34. testa con] testa ›[—]‹ con D     

Michele Boschino

«Avete sempre avuto una fortuna da porci, voialtri!» Anche Michele si trovò a sorridere compiaciuto, come se fosse davvero merito suo aver scelto la terra di Monte Ulìa per la semina proprio quell’anno. Ma si riprese subito. S’alzò e aggiunse una manciata di fave peste in ogni truogolo. Intanto guardava il vecchio che continuava a scuoter la testa per suo conto. Ora che la barba gli nascondeva il mento e la bocca, la sua somiglianza con Giuseppe risaltava vieppiù nella parte superiore del viso. S’era alzato la berretta sulla fronte e sembrava assorto in pensieri che certo non avevano se non una relazione lontana con la pioggia e col raccolto del grano. «Tutti e due, io e te, siamo stati toccati dalla mano di Dio» disse quando Michele tornò a sedersi. “Ora mi parla di suo figlio Giovanni” pensò Michele. E non disse nulla, deciso a non aprir bocca fino a che non avesse scoperto che intenzioni aveva. Il vecchio era venuto per far la pace con lui, ma la pace era una cosa secondaria: certo mirava ad altro. «A me mi hanno ammazzato il figlio. Era uscito di casa contento, e non è più tornato». Michele non disse nulla neanche questa volta, e sostenne lo sguardo del vecchio. «Perché è successo questo? Di notte, quando tutti gli altri dormono, io non chiudo occhio. Perché è successo? Chi è stato? Sua madre almeno piange. Io non riesco neppure a piangere, sempre con quel pensiero fisso. Vorrei sapere chi è stato. E non lo vorrei sapere per appostarmi dietro una siepe e pagare il debito con le mie stesse mani. Farei anche questo, perché la mano non mi trema; ma non è questa la cosa che m’importa di più. Se sapessi chi è stato sarei più tranquillo, non avrei nessuna fretta, e riuscirei anche a dor-

5-6. in ogni truogolo] /ai truogoli/ in ogni truogolo D1     16. a non aprir bocca] a lasciarlo continuare per suo conto D •a non aprir bocca (›a lasciarlo continuare per suo conto‹) D1     26. neppure] neanche D •neppure (›neanche‹) D1     28. lo vorrei sapere] vorrei saperlo D lo vorrei sapere (← vorrei saperlo) D1     31. Se sapessi chi è stato] Se lo sapessi, D Se ›lo‹ sapessi /chi è stato/, D1D2 Se sapessi, chi è stato B ≠ M2     

63

5

10

15

20

25

30

64

GIUSEPPE DESSÌ

5

10

15

20

25

30

mire. Poi arriverebbe anche il momento giusto, e non me lo lascerei scappare». Michele continuava a tacere, pur sentendo che il suo silenzio, se il vecchio aveva qualche sospetto e faceva assegnamento sul suo aiuto, non era meno compromettente delle parole. «Ma non è questo che volevo dirti» disse Benedetto. «Queste son cose che interessano solo me. Basta! Volevo dirti che per tanto tempo, sempre con quel pensiero che non mi lascia, non mi sono neppure accorto della morte di Giuseppe. Lo sapevo, che era morto, ma non ci facevo caso. Avevo un pensiero solo, e non pensavo ad altro, mai. Una notte, faccio un sogno. Mi vedo nella strada di Nadòria, e davanti a me c’è uno con una bisaccia. Mi avvicino e guardo: la bisaccia era piena di carciofi. Allora quello si volta, ed era Giuseppe. “Ah”, dice “sei tu. Ti sei dimenticato di me. Io lavoro per tutti, ma a voi di me non ve ne importa nulla”. Allora mi ha dato la bisaccia, che sembrava piena di sassi, e le spine dei carciofi mi pungevano la schiena. Aveva in mano il gambo di un carciofo e lo stava pulendo col coltello, e ogni tanto se ne metteva un pezzetto in bocca e mi guardava. “Dammene anche a me” dico. “No”, risponde lui “a te non te ne do”. Da quella notte ci ho sempre anche quest’altro pensiero fisso nella testa, che lui è morto inquieto con me. Potevamo far la pace, quando ero ancora a tempo; e invece no. Se io venivo da lui, come ora sono venuto da te, non mi rimandava indietro. Non mi chiudeva la porta in faccia, se venivo da lui. Ma era tanto tempo che non ci parlavamo. E sai come succede: tra fratelli queste cose si rimandano sempre. Sembra che ci sia sempre tempo. Tra fratelli tutto si può accomodare, basta che uno voglia, se è in buona fede. Ma si rimanda da un giorno all’altro, e alla 1. arriverebbe anche] arriverebbe D arriverebbe /anche/ D1     5-6. non era…parole] era più pericoloso di qualsiasi parola D •non era meno compromettente delle parole (›era più pericoloso di qualsiasi parola‹) D1     18. sembrava] |sembrava| (›era‹) D     25. Potevamo] Potevo D Potevamo (← Potevo) D1     27. chiudeva] avrebbe chiuso D chiudeva (›avrebbe chiuso‹) D1     28. venivo] fossi venuto D venivo (›fossi venuto‹) D1     31. se è] e sia D •se è (›e sia‹) D1     

Michele Boschino

morte non ci si pensa, neanche quando siamo vecchi. Ora, stammi a sentire, Michele: quello che si può fare tra fratelli non si può far più tra cugini; ed è così che si tramandano gli odi di generazione in generazione, che non si sa più nemmeno come si è cominciato. Dopo quel sogno ho sempre pensato a questo: queste che ci hanno colpito sono disgrazie grandi. Giovanni lo sai come è morto. E sai anche quello che dice la gente. Io, che lui avesse a che fare con la banda d’Angelo Malìga, non ci credo. Gli altri però lo dicono, e ci guardano tutti con sospetto, ora, me e i miei figli. Giuseppe è morto senza che ci siamo detti una parola buona per metter fine a questo rancore di fratelli; e i nostri figli, tu, e Pasquale, e Pietrino, e i figli di Salvatore vi porterete dietro questa eredità. E sarà un peso anche più grande di quello che abbiamo portato noi, e non ve lo potrete togliere dalle spalle, voialtri. Voi siete giovani, e il vostro odio sarà giovane come voi, forte come voi. Noi lo abbiamo visto nascere e crescere, voi no; e non lo potrete ammansire. Allora ho pensato che c’eri tu, e che forse tra me e te si poteva ancora parlare. Tu somigli a Giuseppe, quand’era giovane, e abitavamo tutti nella nostra casa. Allora ho detto: vado da lui a sentire cosa ne dice. E sono venuto». Il vecchio aprì le braccia, come a dire: sarà quel che sarà. E aspettò. Le sue parole sembravano sincere, e se anche non erano sincere fino in fondo, il ragionamento era giusto. Michele si sentiva rassicurato dal fatto che suo zio credeva che Giovanni non facesse parte della banda. Ma lo credeva veramente? O non voleva far la pace proprio col fine di approfondire un possibile sospetto?

1. siamo] si è D •siamo (›si è‹) D1     2. si può fare] è possibile D •si può fare (›è possibile‹) D1     3. si può far più] non è più possibile D si può far più (›non è più possibile‹) D1     8. Io] Ma io D Io (← Ma io) D1     9. Malìga,] Malìga D D1 D2 B ≠ M2     10. sospetto, ora, me] sospetto, me D sospetto, /ora,/ me D1     11. è morto] muore D D1 D2 ||è morto|| (›muore‹) B     1314. porterete…eredità.] porterete questa brutta eredità. D porterete /dietro/ questa ›brutta‹ eredità D1     26-27. Michele] E Michele D ›E‹ Michele D1     27. zio credeva] zio ›non‹ credeva D     

65

5

10

15

20

25

30

66

GIUSEPPE DESSÌ

5

10

15

20

25

«Non mi dici niente?» chiese dopo un poco il vecchio. «Vedete!» disse Michele lasciando cadere un po’ di fave peste sulla lingua di uno dei buoi, che protendeva verso di lui il muso umido. «Vedete! quello che dite è giusto, zio Benedetto, ma fa un effetto curioso a sentirlo dire da voi. Mi sembra di sentire parlare un altro, non voi». Il vecchio lo guardò un poco, poi abbassò la testa. «Un anno fa voi siete andato dall’avvocato sempre per quel vecchio affare dell’eredità» continuò Michele. «Dopo tanti anni, dopo tutto quello ch’era successo, alla vostra età, voi siete tornato ancora su quel vecchio affare. Ora parlate di pace». «Sapevo che mi avresti risposto così» disse il vecchio. «Però, se credi che ci sia andato io dall’avvocato, ti sbagli. Mi dispiace di dover incolpare uno che è già terra. Giovanni ci andò». «Giovanni?» Michele rivide suo cugino. Erano giunti alla capanna di Pedonca, e uno dopo l’altro li avevano visti uscire dalla stretta apertura che faceva da porta, curvi. Come si drizzavano, la luna illuminava in pieno il loro viso. Per ultimo era uscito Giovanni; e vedendo Michele accanto a Cosimo aveva detto con aria beffarda: «Ah! ci sei anche tu. Ho piacere che ci sei anche tu!». «Sì, Giovanni. Era lui che voleva vederci chiaro, in quella faccenda. Dopo tutto quello che c’era stato, tra me e mio fratello, lui voleva farsi spiegare da uno che sapesse la legge come stavano le cose». «Anche noi, io e il povero babbo, ci siamo andati, in città,

1. niente?] niente D D1 D2 niente? B     2. Vedete!] Vedete D D1 D2 B ≠ M2     6. sentire] sentir D D1 D2 sentire B     9. dell’eredità»…«Dopo] dell’eredità. Dopo D dell’eredità» /continuò Michele/. «Dopo D1     1618. andò»…Michele] andò».↔| Michele D andò».↔| |«Giovanni?»|↔| Michele D1     19. li avevano visti uscire] erano usciti tutti D erano usciti ›•uno dopo l’altro‹ (›tutti‹) D1 erano usciti D2 ||li avevano visti uscire|| (›erano usciti‹) B     20. porta, curvi] porta. D porta|,| /curvi./ D1     2021. si drizzavano] s’alzavano D •si drizzavano (›s’alzavano‹) D1     24-25. tu!». «Sì,] tu!».»↔|“Giovanni?”↔| «Sì, D tu!».↔| ›“Giovanni?”‹↔| «Sì, D1     29. ci siamo andati,] siamo andati D /ci/ siamo andati|,| D1     

Michele Boschino

dopo di voi, come abbiamo saputo la cosa. Perché io non so chi sia stato! qualcuno di voi andava dicendo che mio padre vi doveva non so quante centinaia di scudi, a voi e a vostro fratello Salvatore, tra capitale e interessi. Ci sono ragazzi e donne, in casa vostra, zio Benedetto, sentono parlare di queste cose e le riportano fuori». «Chi sa quante sciocchezze hanno riferito» disse il vecchio «e quante aggiunte ci hanno fatto poi gli altri che le hanno riportate a voi». «Beh! poco importa. Anche noi siamo andati dall’avvocato. Noi sapevamo già come stavano le cose, ma, non si sa mai, poteva esserci qualche sbaglio, nella legge, qualche sbaglio che potesse darvi ragione, un buco dove voi, coi vostri intrighi potevate infilarvi. Eh già! Era ammalato, mio padre, quando ha dovuto fare quel viaggio». L’antico rancore ora tornava a ribollirgli dentro, il rancore di sua madre che non perdonava a nessuno. «State a sentire, zio Benedetto,» disse gettando con violenza le fave che gli erano rimaste in mano nella mangiatoia dell’altro bue, che si ritrasse soffiando «state a sentire: voialtri non siete andati dall’avvocato per sapere se la ragione era dalla vostra parte, perché l’avete sempre saputo di avere torto e siete sempre stati in malafede, ci siete andati per vedere se vi riusciva…» Non disse il resto, e anche queste parole le pronunciò con una calma che contrastava col loro senso. S’era subito pentito del gesto violento col quale aveva gettato le fave nella mangiatoia, contrario al costume suo e di suo padre d’essere sempre pazienti con le bestie; e questo gli ricordò, di suo padre, l’umana mitezza.

13-14. un buco…infilarvi.] un buco dove voi, coi vostri intrighi, potevate infilarvi. D D2 un buco dove voi, /potevate entrare come ‹pesci›/ coi vostri intrighi, potevate infilarvi. D1 un buco dove voi, coi vostri intrighi potevate infilarvi. B     18. Benedetto,] Benedetto D D1 D2 B ≠ M2  ◆   gettando] disse|,| /e gettò/ gettando D1     19. che] |che| (›nella‹) D     20. bue, che si ritrasse] bue che si scostò D bue|,| che si •ritrasse (›scostò‹) D1     22. l’avete] avete D D1 D2 l’avete (← avete) B     26. senso] senso ›[—]‹ D     29. pazienti] |pazienti| (›miti‹) D     

67

5

10

15

20

25

30

68

GIUSEPPE DESSÌ

5

10

15

20

25

30

«T’ho detto che io non c’entro» disse il vecchio, calmo anche lui. «Io non ci sono andato dall’avvocato, e anzi glielo dicevo sempre a Giovanni di non pensarci più». Tacquero tutti e due per un poco; e si sentiva solo il rumore che facevano i buoi masticando la paglia e le fave col muso nei truogoli. Poi il vecchio disse: «Dammi retta, Michele. Togliamo di mezzo tutti i cattivi pensieri che sono tra le nostre famiglie. E non chiediamoci chi di noi ha ragione: questo lo sa il Signore». Michele lo guardò in viso, e stava per dire: “Lo so anch’io, e anche voi, chi di noi ha ragione”, ma il vecchio alzò le mani. «Lo sa il Signore» ripeté. Una volta Giuseppe aveva detto a Michele: «Stai sicuro nel tuo diritto come se tu fossi in chiesa». Ora Michele non poteva dar torto a suo padre fingendo d’ignorare chi aveva ragione e chi aveva torto: e fece un cenno di diniego. «Pensaci bene, Michele. Tutti possiamo avere sbagliato. Lo so quello che pensi. Io non voglio dare la colpa a tuo padre. Io, quando me la sono presa con tuo padre, credevo di avere ragione io. Che possa cadere fulminato, se non è vero! Poi sono successe tante cose, si sono dette tante parole pazze, e tra fratelli si fa presto a mettersi le mani addosso. Ci eravamo sempre picchiati, tra noi, fin da ragazzi. Sempre! Tra fratelli, è facile l’ira e il perdono. Credi che quando io e Salvatore abbiamo picchiato tuo padre, a Spinàlva, lo abbiamo fatto con altro animo? E quando mi ha picchiato lui? Il fatto è che ci si sono messi in mezzo gli estranei, e in queste cose anche i figli sono estranei; e poi ci si è messa la Giustizia. E le cose sono andate come sono andate. Quando ci si mette di mezzo la Giustizia, allora non si perdona più. Anche i fratelli non sono più fratelli. Non ci si guarda più in faccia. È così». 1-2. vecchio…lui.] vecchio D vecchio|,| /calmo anche lui./ D1     17. torto:] torto; D D1 D2 torto: B     22. successe] accadute D •successe (›accadute‹) D1     24-25. ragazzi. Sempre!] ragazzi, sempre. D ragazzi, Sempre! (← sempre.) D1 D2 M2 ragazzi. (← ragazzi,) Sempre! B     26. padre, a Spinàlva,] padre a Spinàlva D padre|,| a Spinàlva|,| D1     27. altro animo?] animo diverso? D •altro animo? (›animo diverso?‹) D1     29. e poi ci si è messa] e poi D e poi /ci si è messa/ D1     

Michele Boschino

Sorrise tra sé, poi alzò gli occhi, e il suo sorriso, da interiore e segreto che era, s’appuntì maliziosamente. Si cavò la berretta, chinò la testa sulle ginocchia e mostrò col dito, tra i capelli grigi, la cicatrice lunga e profonda. Poi si coprì di nuovo, come uno che nasconda in fretta qualcosa di prezioso. E continuava a sorridere maliziosamente. «Certo il danno che ha avuto Giuseppe è stato più grande di quello che ne ho avuto io. Tu lo sai meglio di me. Ma a che cosa serve parlare di questo?» L’aria maliziosa era scomparsa dal suo viso. Ora lo guardava col viso serio. E Michele pensava che ciò che il vecchio diceva era giusto. Ci fosse o no un secondo fine, era giusto. Era lui che doveva decidere, adesso. Quella lunga contesa che aveva angustiato suo padre per tutta la vita, poteva risolverla lui. Chi sa! forse anche Giuseppe avrebbe preferito morire in pace coi fratelli, lasciare la pace tra quelli che rimanevano. Si tira avanti, si trascina un rancore per anni ed anni, ma si pensa, in fondo al cuore, che è meglio finirla, e poco importa se con una rivincita o col perdono. Quante volte si vorrebbe la pace! Anche chi odia, pensa con rimpianto, qualche volta: “Ah! se non avessi detto quella parola!, se non avessi fatto la tal cosa!, se tutto questo non fosse successo!”. E in certi momenti non sappiamo neanche più che cosa ci separa veramente dal fratello offeso. E ancora meno lo sanno i nostri figli, se tramandiamo a loro il nostro odio. Pensò anche che suo padre non aveva mai odiato i fratelli. «Mi fa pena vederli così arrabbiati» diceva. Perché l’odio è come un malaugurio che non ci lascia mai. E allora? Far la pace con Benedetto e Salvatore?… Maddalena avreb2. era…maliziosamente] era si fece furbo e |malizioso| (›[—]‹) D era|,| • s’appuntì maliziosamente (›era si fece furbo e malizioso‹) D1     7. che ha avuto] che ne ha avuto D D1 D2 B ≠ M2     10. era scomparsa] scomparve D •era scomparsa (›scomparve‹) D1     10-11. viso…serio.] viso, ›si rifece serio. Lo pensava‹ e guardava Michele con lo stesso viso serio col quale Michele lo guardava D viso. (← viso,) •Ora (›e‹) guardava Michele col (← con) ›lo stesso‹ viso serio ›col quale Michele lo guardava‹. D1 D2 viso. Ora lo guardava col viso serio. B     13. Era] Ora era D ›Ora‹ Era (← era) D1   ◆   decidere, adesso.] decidere. D decidere, (← decidere.) /adesso./D1     2122. parola!, se] parola. Se D D1 D2 parola! se B ≠ M2     22. cosa!, se] cosa! se D D1 D2 B ≠ M2     

69

5

10

15

20

25

70

GIUSEPPE DESSÌ

5

10

15

20

be detto ch’era un’offesa alla memoria del morto. Michele sapeva tutto ciò che Maddalena avrebbe detto. «Se noi parliamo sempre serenamente come oggi, tutto è chiaro, tra noi» disse. Forse non tutto ciò che aveva detto il vecchio era chiaro, forse il vecchio non era del tutto sincero, e aveva un fine nascosto; ma per conto suo Michele sapeva che suo padre, se fosse stato in vita, avrebbe fatto la pace, come lui faceva. Di questo era sicuro. Andò a prendere un fiasco di vino, e a Maddalena che lo fermò sulla porta con un cenno interrogativo e imperioso, rispose con un altro cenno che voleva dire: “Vi spiegherò poi!”. «Dio te ne guardi!» disse a voce alta Maddalena, perché anche Benedetto sentisse. Senza curarsi di lei, bevettero solennemente augurandosi salute e fortuna; poi parlarono dei buoi che Michele aveva rivenduto alla fiera, del raccolto, delle terre che aveva affittato. Michele sapeva che il vecchio avrebbe finito per chiedergli in affitto qualche ettaro di terra, e lui, benché avesse deciso di non affittare più, quell’anno, gliel’avrebbe data, e a prezzo di favore, per giunta. Si ricordò che suo padre gli aveva detto di non cedere mai d’un palmo, con Salvatore e Benedetto. Lui non cedeva, ma la pace esigeva un suggello.

1. alla] •alla (›per la‹) D     7. sapeva che] sapeva ›di far bene‹ che D     8. in vita] presente D D1 D2 ||in vita|| (›presente‹) B  ◆  avrebbe] |avrebbe| (›sarebbe‹) D     14. a voce alta Maddalena,] Maddalena a voce alta, D 2Maddalena 1a voce alta, /che aveva capito tutto,/ D1 D2 a voce alta Maddalena, ›che aveva capito tutto,‹ B     16. Senza…bevettero] Bevettero D /Senza curarsi di lei,/ bevettero (← Bevettero) D1     18. che aveva] che Michele aveva D che ›Michele‹ aveva D1     19. Michele sapeva] Sapeva D /Michele/ sapeva (← Sapeva) D1     21. data,] data, ›ma il vecchio non chiese nulla‹ D     24. esigeva] voleva D D1 D2 B ≠ M2

Michele Boschino

71

IX

Quando Michele parlò per la prima volta a Maddalena della sua intenzione di prender moglie, due anni erano trascorsi dalla morte di Giuseppe. Dopo l’interrogatorio, Michele non aveva più avuto noie, e così anche Cosimo Aneris, che incontrava ogni tanto sulla strada di Spinàlva. Una volta fecero anzi un pezzo di strada assieme, senza mai parlare però dell’avventura di quella notte ormai lontana, benché, tutti e due, tacendo, non pensassero ad altro. Del resto, alla grassazione di Antonio Màsala e all’assassinio di Giovanni nessuno più ci pensava, in paese. I morti marcivano sotterra e sopra ci cresceva l’erba. Domenico Vacca lavorava nella sua bottega di sellaio, Bore Lisca badava alle sue capre, Pedonca ai maiali. I due forestieri che lo avevano tempestato di pugni e legato, Michele li aveva riconosciuti alla fiera di Santa Croce: erano di F., servo e padrone ma aveva fatto finta di nulla. A raccontare quei fatti ora ci sarebbe stato da farsi ridere dietro. Chi ci avrebbe creduto? Anche Michele aveva ripreso la vita di prima. Aveva seminato le terre di Spinàlva, tranne un piccolo tratto ceduto contro un canone minimo allo zio Benedetto, aveva dato l’orto a mezzadria a un bravo ortolano di Orriga, s’occupava di tutto con molta diligenza, ma soprattutto amava starsene a Monte Ulìa a curare i suoi mandorli. Là c’era sempre qualcosa da fare, come in un giardino. Anche dopo terminata l’aratura, e sparso il letame sotto gli alberelli, andava attorno strappando ciuffi d’erba, raccogliendo sassi che gettava nelle callaie.

7. l’interrogatorio,] l’interrogatorio D D1 D2 l’interrogatorio|,| B     11. notte ormai lontana,] notte, D notte /ormai lontana/, D1     12. resto,] resto D D1 D2 resto|,| B  ◆  alla] la D alla (← la)     13. all’] l’ D all’ (← l’) D1     14. nessuno…paese.] sembravano cose dimenticate. D •nessuno più ci pensava, in paese. (›sembravano cose dimenticate.‹) D1     16. bottega di sellaio,] bottega, D bottega /di sellaio/, D1     18. aveva riconosciuti] riconobbe D •aveva riconosciuti (›riconobbe‹) D1     19-20. padrone…nulla. A] padrone. Ma a D padrone /ma aveva fatto finta di nulla/. ›Ma‹ A (← a) D1     30. callaie] callaie, ›persino‹ D     

5

10

15

20

25

30

72

GIUSEPPE DESSÌ

5

10

15

20

25

Non poteva soffrire neppure i bachi e i ragnateli tra gli esili rami, dove era apparsa, quell’anno, la prima fioritura lieve ed effimera. Come il pastore conosce una per una le sue pecore da segni che lui solo è in grado di distinguere, così Michele conosceva i suoi mandorli. Tra i filari seminava fave ceci fagioli e altri legumi che cedono alla terra sostanze giovevoli al mandorlo e lo fanno prosperare, rinfrescava la terra con sovesci, e in autunno bruciava l’erbe secche e ne spargeva la cenere al pedale di ogni piantina, dove la terra era pulita e sottile come quella di un’aiuola. Se la terra di Monte Ulìa avesse avuto un odore particolare, quello sarebbe stato l’odore di Michele. Maddalena però era come se glielo sentisse nei panni, quell’odore, e non gli perdonava la sua predilezione, benché non avesse motivi seri di dolersi di lui. Coi parenti diceva che Michele, dopo quei mesi di tristezza seguiti alla morte di Giuseppe, cominciava a rimetter le foglie, poveretto; ma col figlio invece si trovava sempre a contrastare per ogni inezia. Quando il giovane le diede quella notizia inaspettata, e le disse che s’era già messo d’accordo col muratore per fabbricare un’altra stanza accanto a quella dove era morto Giuseppe, Maddalena, che pure a ogni occasione gli rinfacciava di non averle ancora portato una nuora, gli rispose che non era il momento di mettersi a fabbricare, e che in ogni modo, prima di prendere impegni col muratore, avrebbe dovuto chiedere il permesso a lei. Michele disse che, se lei non permetteva che si fabbricasse la stanza era sempre a tempo a rimandare; e che non gliene aveva parlato prima perché già 2. rami, dove] rami tra i quali D rami|,| •dove (›tra i quali‹) D1     3. conosce] |conosce| (›è in grado‹) D     4. segni che] segni impercettibili che D segni ›impercettibili‹ che D1     5. i suoi] |i suoi| (›le sue‹) D     6. fagioli] fagiuoli D D1 D2 fagioli (← fagiuoli) B     7. giovevoli] che giovano D •giovevoli (›che giovano‹) D1     8-9. e ne…cenere] e spargeva la cenere ›[—]‹ D e /ne/ spargeva la cenere D1     11. un odore particolare] un’odore speciale D D1 D2 un’odore ||particolare|| (›speciale‹) B ≠ M2     16. Giuseppe,] Giuseppe D D1 D2 B ≠ M2     20. s’era già messo d’accordo] aveva già preso accordi D D1 D2 ||s’era già messo d’accordo ›[—]‹|| (›aveva già preso accordi‹) B     22. rinfacciava] •rinfacciava (›rimproverava‹) D     23. che non] che quello non D D1 D2 che ›quello‹ non B     26. che,] che D D1 D2 che|,| B     28. gliene] gliele D D1 D2 gliene (← gliele) B     

Michele Boschino

un’altra volta aveva avuto il permesso da suo padre e da lei stessa, e aveva anche cominciato i lavori. Infatti la stanza dove era morto Giuseppe era stata fabbricata allora. «Ora sei tu il padrone, e puoi fare quello che vuoi» concluse dispettosamente Maddalena. Per quel giorno tutto finì lì, e Michele andò via senza dare altre spiegazioni. Ma la donna, rimasta sola, si pentì delle parole amare che aveva detto. Non aveva neppure chiesto al figlio chi fosse la donna; perché certamente, se Michele aveva deciso di fabbricare, doveva aver già messo gli occhi addosso a qualche ragazza. Conosceva Michele, e sapeva che per un pezzo non sarebbe più tornato sull’argomento. Forse lei lo avrebbe saputo prima dagli estranei. E si mise a pensare chi poteva essere, passando mentalmente in rassegna tutte le ragazze del paese; ma più ci pensava più s’accorgeva che nessuna aveva le doti di quell’altra che era stata sul punto di diventare sua nuora. Non pensava alla donna grassa e bianca che Angela era diventata, ma alla bruna e forte ragazza di un tempo, benché di lei, com’era allora, potesse ricordarsi distintamente solo la voce. Ciò che di Angela le aveva detto suo marito, le chiacchiere corse allora sul suo conto e per le quali lei stessa aveva finito per chiuderle la porta in faccia, non se le ricordava più. Se Angela se n’era andata, la colpa era di Giuseppe e di Michele. E ora chi sa chi le portava in casa. Chi poteva esser mai la donna a cui Michele pensava, se non avvicinava mai nessuno in paese, e di donne non vedeva altro che le contadine che prendeva a giornata per spargere il letame a Monte Ulìa? E su chi po-

1-2. da lei stessa,] da lei D D1 D2 da lei ||stessa,|| B     2. cominciato i lavori.] cominciato a fabbricare. D cominciato •i lavori. (›a fabbricare‹) D1     4. padrone, e puoi] padre, e, e puoi D padrone, (← padre, e) e puoi D1     5. concluse dispettosamente] disse D •concluse dispettosamente (›disse‹) D1     6. lì, e] lì, ›[—]‹ e D     13. E] ›[—]‹ E D     14. poteva] potesse D D1 D2 poteva (← potesse) B     15. ma] ›ma nessuna le piaceva‹ ma D     23. non se le ricordava più] •chi se (›non se‹) le ricordava più|?| /.che colore avevano?/ D1     25. la donna] |la donna| (›questa donna‹) D     

73

5

10

15

20

25

74

GIUSEPPE DESSÌ

5

10

15

20

teva metter gli occhi, lui, se non era qualche poveretta che non aveva da portare in dote nemmeno un paio di camicie? Covò in silenzio questi pensieri per alcuni giorni, poi, all’improvviso chiese a Michele: «E lei, chi è?» L’ostilità della madre faceva rinchiudere sempre Michele nel suo riserbo abituale. Benché ogni volta si proponesse di parlarle dei suoi nuovi progetti, finiva sempre per dirle le cose quand’eran già belle e fatte; e questo perché la vecchia cominciava subito a contraddirlo con un tono così aggressivo che a lui passava la voglia di continuare. «A me chiedi pareri?» diceva Maddalena. «E cosa vuoi che sappia io di quel che ti passa nella testa?» Il silenzio di Michele finiva per renderla allora più suscettibile. Anche quella volta la semplice domanda: «E lei, chi è?» portava con sé l’amaro di tante considerazioni poco benevole, di tante prevenzioni, di tanta diffidenza. Quelle parole furono pronunziate con un tono di voce così aspro e risentito che Michele non si sentì di dire quel nome che a lui ispirava sentimenti tanto diversi. Disse che non lo sapeva ancora nemmeno lui chi era la donna, che non aveva ancora pensato a nessuna donna, che ciò che importava era di preparar tutto; poi sarebbe venuto il momento di far la scelta. Maddalena pensò che dopo tanti anni di solitudine non era possibile che Michele 1. gli occhi] gli occhi addosso D gli occhi ›addosso‹ D1  ◆  era] su D •era (›su‹) D1     2. nemmeno] neppure (← nemmeno) D1 D2 nemmeno D B     6. faceva rinchiudere] respingeva D •faceva rinchiudere (›respingeva‹) D1     7. riserbo abituale] selvaggio riserbo D ›selvaggio‹ riserbo /abituale/ D1  ◆  ogni volta si proponesse] si proponesse sempre D /ogni volta/ si proponesse ›sempre‹ D1     9. già belle e fatte] già fatte D già /belle e/ fatte D1     11. passava la] passava ›[—]‹ la D     14. allora più] allora anche più D D1 D2 allora ›anche‹ più B     15. chi è?] chi è D D1 D2 B ≠ M2     17-18. tanta…aspro] tante diffidenze, e fu pronunziata •con un tono di voce /così/ aspro (›acon un tono di voce così [—] bcol solito‹) D tanta diffidenza. (← tante diffidenze,) •Quelle parole furono (›e fu‹) pronunziate (← pronunziata) con un tono di voce così aspro D1     19. dire] pronunciare D •dire (›pronunciare‹) D1     19-20. che…diversi] a lui già caro D /che/ a lui •ispirava sentimenti tanto diversi (›già caro‹) D1     20. lui] lui, D D1 D2 lui B     21. donna, che non] donna. Non D donna, che non (← donna. Non) D1     21-22. donna, che ciò] donna. Ciò D donna, che ciò (← donna. Ciò) D1     

Michele Boschino

avesse deciso di sposarsi senza aver trovato una donna che gli avesse fatto dimenticare l’amaro di quell’altra. «Non ci hai neanche pensato?» chiese con voce mutata. Michele scosse la testa, tutto assorto in se stesso. Da quel momento Maddalena non pensò ad altro. I suoi sospetti s’aggiravano sempre intorno alle ragazze che avevano lavorato a giornata nel mandorleto. Le vedeva chine davanti a lui, per farsi aiutare a mettersi sul capo la gerla colma, drizzarsi sulle reni con uno sforzo che lei stessa conosceva bene, equilibrare il peso, allontanarsi col busto erto e le braccia incrociate sotto i seni. Sapeva che le donne, nella fatica, sono impudiche anche senza volerlo, e che l’occhio dell’uomo, pur senza volerlo, le segue, le cerca. Sapeva come si stabilisca così, tra uomo e donna, nella libera solitudine della campagna, un’intimità che non ha neppure bisogno di parole per manifestarsi, un’intimità fisica anche più grande di quella che nasce tra le pareti della casa. Le vedeva sedute in cerchio davanti al capanno, quelle donne, nell’ora del riposo o del pasto, immaginava i loro discorsi, gli scherzi, i motti pungenti suscitati dal silenzio di Michele; le seguiva fino a quando, al tramonto, andavano a infilarsi le gonne e a rassettarsi i capelli e le vesti dietro la siepe, e poi s’avviavano a piedi dietro il carro con la loro sporta infilata nel braccio, fino a che Michele non ne prendeva su quante ce ne stavano. E di nuovo immaginava i loro discorsi, le allusioni, i doppi sensi; e i pensieri di Michele. Queste eran le sole donne che il giovane avvicinava, e certamente una di queste le avrebbe portato in casa. Che motivo c’era, altrimenti, di tacere? Se fosse stata una ragazza come Angela, figlia di un piccolo proprietario, una della sua stessa condizione, non ci 8. lui,] lui D D1 D2 lui, B  ◆  mettersi] mettersi ›la gerla‹ D     9. drizzarsi] drizzarsi ›con un‹ D     10. erto] erto ›[—]‹ D     14. donna,] donna, ›un’intimità‹ D     15. un’intimità] un’intimità ›fisica‹ D     17. tra…casa] costretta a vivere sotto lo stesso tetto. D •tra persone che vivono (›costretta a vivere‹) sotto lo stesso tetto. D1 tra persone costrette (← costrette) a vivere sotto lo stesso tetto. D2 ||tra le pareti della casa|| (›persone costrette a vivere sotto lo stesso tetto‹). B     20. suscitati…Michele; le] eccitati dal riserbo di Michele. Le D eccitati dal •silenzio (›riserbo‹) di Michele; le (← Michele. Le) D1 D2 ||suscitati|| (›eccitati‹) dal silenzio di Michele; le B     30. non ci] non ›c’era motivo‹ D     

75

5

10

15

20

25

30

76

GIUSEPPE DESSÌ

5

10

15

20

25

30

sarebbe stato motivo di far tanti misteri. Giuseppe non aveva voluto che sposasse Angela; e ora chi sa chi le portava in casa! E per quanto cercasse di distogliersi da questi sospetti, subito ci ritornava, suo malgrado. E trovava sempre nuovi argomenti che li confermavano. Qualche volta, più che altro per stanchezza, si lasciava andare alla speranza che veramente Michele non avesse ancora fatto la sua scelta, e allora pensava alle ragazze tra le quali il giovane avrebbe potuto scegliere. Ce n’erano tante, a Sigalesa, di buone e brave ragazze, né troppo ricche né troppo povere. Ora Maddalena le considerava con una indulgenza insolita. Per suo conto, gliel’avrebbe scelta non più tanto giovane, perché quando un uomo ha passato la trentina, specie se non è ricco, bisogna che sposi una donna sui venticinque anni. C’erano, per esempio, le figlie di Pasquale Marchesa, una di ventisette e una di trent’anni. C’era la figlia di Bore Lisca, quella di Pietro Memùna. Ma più ci pensava più crescevano, ai suoi occhi, i pregi, le doti di quelle giovani, e le pareva che non si sarebbero degnate di accettare una proposta di matrimonio da parte di Michele. E ritornava ancora ai pensieri di prima. «Chi sa cosa diranno, la gente» diceva quando Michele rientrava per la cena. «Diranno che sei pazzo a fabbricarti la casa prima d’esserti trovato la donna». «E voi lasciate che dicano» rispondeva Michele. Però i vicini, quando videro il muratore che impastava la calcina in cortile e alzava le impalcature, cominciarono davvero a incuriosirsi. Maddalena dava alla gente le stesse spiegazioni che il figlio aveva dato a lei, lasciando credere di saperne di più ma di non voler parlare, per il momento. «Sai cosa dicono, in paese?» gli disse un giorno. «Dicono che ti sei messo con una poco di buono».

1. tanti misteri] misteri con lei D /tanti/ misteri ›con lei‹ D1     5. confermavano. Qualche] confermavano. ›Doveva essere una di quelle poverette che vanno a lavorare a giornata dove la chiamano‹ Qualche D     6-7. che veramente Michele] che Michele D che /veramente/ Michele D1     11. una indulgenza] un’indulgenza D D1 D2 una indulgenza B     18. occhi, i pregi, le doti] occhi, i pregi, le doti D occhi, /i pregi,/ le doti D1     27. dava] |dava| (›rispondeva‹) D     29. voler] poter D D1 D2 ||voler|| (›poter‹) B     

Michele Boschino

In realtà Maddalena non aveva sentito dir nulla intorno a suo figlio, da nessuno. Nessuno, in paese, parlava di lui, tranne i vicini di casa. E mentre diceva quelle parole le tremò il cuore, pensando quanto Michele avesse sofferto per Angela, e alzò timidamente gli occhi su di lui per dirgli che non era vero nulla. Ma Michele sembrava non aver neppure sentito. Se ne stava a cavalcioni della sedia, con le braccia incrociate sulla spalliera e il mento appoggiato al pugno, e guardava la fiamma nel camino. Col viso un poco schiacciato e gli occhi socchiusi somigliava a Giuseppe. La donna non disse nulla. La sera appresso, mentre stava mondando le lenticchie per la cena sul davanzale della finestra che dava sul cortile, guardando di tanto in tanto Michele che aiutava il manovale a segare un trave, le venne in mente una ragazza che abitava a Matta Romana, sulla strada di Monte Ulìa, sorella o cognata – non sapeva bene – del cantoniere. Fino a quel momento non ci aveva mai pensato. La Cantoniera era una casona a due piani, dipinta di rosso dallo zoccolo alle finestre del piano superiore, di bianco dalla cornice sotto le finestre al tetto, con quattro grandi pini sul davanti. Si ricordò che passando di là, una mattina, con Michele, aveva 2-3. lui…diceva] lui. E dicendo D lui, (← lui.) /tranne i vicini di casa./ • E mentre diceva (›E dicendo‹) D1     4-5. pensando…alzò] pensando a quel che Michele aveva sofferto quando Giuseppe gli aveva riportato le chiacchiere della gente intorno ad Angela. Spaventata di quel che aveva detto alzò D pensando •quanto (›a quel che‹) Michele avesse (← aveva) sofferto •per (›quando Giuseppe gli aveva riportato le chiacchiere della gente intorno ad‹) Angela, (← Angela.) •e (›Spaventata di quel che aveva detto‹) alzò D1     6. nulla. Ma] nulla; ma D nulla. Ma (← nulla; ma) D1     10. somigliava a Giuseppe.] somigliava ›ancora di più‹ a Giuseppe in modo impressionante. D somigliava a Giuseppe ›in modo impressionante‹. D1     12. La sera] ›[—]‹ La sera D     14. aiutava] stava aiutando D D1 D2 ||aiutava|| (›stava aiutando‹) B     16. abitava] abitava alla cantoniera di D abitava a (← alla) ›cantoniera di‹ D1  ◆  sulla] |sulla| (›davanti‹) D     18. Cantoniera] cantoniera D Cantoniera (← cantoniera) /›di Matta Romana‹/ D1     19. casona] grande casa D D1 D2 ||casona|| (›grande casa‹) B     20. di] e di D D1 D2 ›e‹ di B     21-22. davanti…passando] davanti. Forse Michele s’era fermato lì qualche volta a riposarsi. Passando D davanti. •Si ricordò che (›Forse Michele s’era fermato lì qualche volta a riposarsi.‹) passando (← Passando) D1     

77

5

10

15

20

78

GIUSEPPE DESSÌ

visto sulla porta la moglie del cantoniere, e accanto a lei una donna più giovane. Tutte e due portavano il costume di Mamusa, con la sottana a pieghe, la cintura alta sotto il seno e un fazzoletto di seta gialla intorno al collo. Le pare5 va di ricordare il viso malarico di quelle donne, – o era il colore del fazzoletto? – e un senso di lindore che emanava dalle loro persone. Con sollievo pensò che la più giovane delle due poteva essere quella che Michele aveva scelto: una ragazza magra, piuttosto bruttina. Guardò il figlio. I gesti di 10 lui nel segare il trave, nel raccogliere da terra il pezzo segato, nella cura con cui ungeva la sega, così giusti e misurati, confermavano il pensiero che aveva fatto. Doveva essere una brava ragazza, ordinata e laboriosa. In questa convinzione si placò, e si mise ad aspettare 15 quietamente che fosse giunto, per Michele, il momento di parlargliene.

2. donna] |donna| (›ragazza‹) D     3-4. il seno] |il seno| (›i seni‹) D     4. intorno] attorno D D1 D2 B ≠ M2     5. donne, – o] donne. O D donne, – o (← donne. O) D1     6. e un senso] E un senso D e (← E ) un •senso (›a senso b [—]‹) D1     7-8. la più…quella che] quella forse era la donna che D •la più giovane delle due poteva essere quella (›quella forse era la donna‹) che D1     8-9. scelto: una] scelto, quella D scelto. (← scelto,) •Era una (›quella‹) D1 D2 scelto: (← scelto.) ›Era‹ una B     9. magra, piuttosto] magra e piuttosto D D2 magra|,| ›e‹ piuttosto D1  ◆  bruttina] brutta D D1 D2 B ≠ M     10. trave] •trave (›tronco‹) D     12. il pensiero che aveva fatto] il suo pensiero. D D1 D2 il pensiero ||che aveva fatto||. B

Michele Boschino

79

X

Fin da quando aveva seminato il grano a Monte Ulìa Michele s’era accorto di Severina. Passando davanti al cortile della Cantoniera aveva sempre l’impressione che qualcuno lo guardasse. Certo una donna, perché allontanandosi, sentiva che riprendeva a lavare in un mastello. Se cercava di vederla tra le pale dei fichidindia, la donna riprendeva subito a sbattere e a sfregare i panni sull’asse, forse credendo che anch’egli la vedesse. Alcune volte la sentì anche cantare: era una voce giovane, di ragazza. Passarono mesi, prima che gli riuscisse di vederla: ma neppure ci pensava, veramente, e non aveva nessuna curiosità. La vide per la prima volta verso la fine dell’inverno, sulla porta della Cantoniera. Teneva per mano un bambino che tese il dito per indicarle i buoi e alzò il viso a guardarla. Era una ragazza magra, piuttosto alta, e la lunga gonna scura a pieghe faceva risaltare la sua statura. Portava lo stesso costume della moglie del cantoniere, che Michele conosceva, e benché non le somigliasse molto, essendo bruna di capelli, mentre quella tirava un po’ al rosso, si vedeva ch’eran sorelle. La ragazza rispose al saluto e lo seguì con gli occhi come faceva quand’era dietro la siepe. Forse guardava i buoi, che per le proporzioni e per il colore del mantello non eran bestie comuni, nel Centro. Per un buon tratto di strada egli si sentì addosso lo sguardo di quegli occhi chiari, diversi dagli occhi delle donne di Sigalesa, come diversa era anche la voce. Egli notò che, nel saluto, la voce della ragazza era la stessa di quando cantava. Avrebbe potuto riconoscerla anche solo alla voce. Ma pur sentendosi guardato non si voltò. 13. voce giovane] 2giovane 1voce B     17. Cantoniera] cantoniera D D1 D2 B ≠ M2     18. dito per] dito ›verso di lui che‹ per D     19. ragazza… alta] ragazza |magra, piuttosto alta| (›alta, piuttosto magra‹) D     30. dagli] |dagli| (›dalla‹) D     31. che, nel…ragazza] che |la voce della ragazza| (›mentre la voce di tutte le donne‹) D D1 D2 che||, nel saluto,|| la voce della ragazza B     

5

10

15

20

25

30

80

GIUSEPPE DESSÌ

5

10

15

20

25

30

Da quel giorno, gli accadeva di pensare a lei anche quando non andava a Monte Ulìa; poi si accorse che la ragazza non doveva esser più alla Cantoniera. Non la sentiva più lavare dietro la siepe, né gli accadde più di sentirla chiamare per nome dalla sorella, né sentì lei chiamare i ragazzi. Essendo la Cantoniera isolata in mezzo alla campagna, le donne e i ragazzi non s’allontanavano mai dalla casa e dal cortile: ma Severina non c’era. Vedeva più spesso la moglie del cantoniere, e fu tentato anche di chieder notizie della ragazza. Si meravigliava lui stesso della persistenza di questo pensiero, giacché non gli pareva di avere una particolare simpatia per quella sconosciuta, come del resto, dacché aveva lasciato Angela, non aveva provato la minima simpatia o il minimo interesse per nessuna donna. Ma s’era abituato a sentire la presenza della ragazza in quella casa isolata in mezzo alla campagna, e ora ci pensava perché non la sentiva più. Se avessero abbattuto uno dei grandi pini davanti alla Cantoniera, passando di là avrebbe sempre pensato a quel pino, non sarebbe più riuscito a levarselo di mente. Erano passati alcuni mesi, quando la rivide affacciata a una delle finestre laterali, col suo fazzoletto giallo, a capo scoperto. Aveva i capelli lisci e abbondanti, divisi in due bande che le ricadevano fin sul collo. Alzando gli occhi aveva incontrato quelli di lei, chiari, che lo guardavano. La ragazza rispose al saluto e al sorriso. Pareva che volesse dire: “Sì, sono tornata”. In quel tempo il grano cominciava a ingiallire e le spighe a piegarsi, mentre in tutte le altre terre di Sigalesa il raccolto si presentava assai scarso. Ma per tutta la lunga invernata, la vita di Michele non era stata altro che stanchezza e avvilimento. Se pure era rimasto, in fondo a questa stanchezza e a questo avvilimento, un istinto tenace che lo legava alla 2. non…Ulìa] si trovava in altri luoghi D •non andava a Monte Ulìa (›si trovava in altri luoghi‹) D1     4. chiamare] chiamare ›dalla‹ D     6. Cantoniera] •Cantoniera (›casa‹) D     8. Severina] |Severina| (›lei‹) D     9. anche] più volte •anche (›più volte‹) D1     15-16. casa…e ora] casa solitaria, e ora D casa •isolata in mezzo alla campagna, (›solitaria‹) e ora D1     29. assai scarso. Ma] molto scarso ›L’inverno era per tutti [—]‹. Ma D •assai (›molto‹) scarso. Ma D1     

Michele Boschino

vita, egli non lo aveva sentito che come un torbido e indeterminato bisogno di rivolta. E contro chi? Forse contro la gente di Sigalesa, forse contro suo padre stesso, che se n’era andato così, in silenzio, portandosi via il meglio della vita. Quando, allontanandosi pian piano nel tempo, dietro le piogge e le nebbie dell’inverno, quegli avvenimenti che l’avevano sconvolto, sentì ripullulare la vita, non dentro ma fuori di sé, in quel campo che aveva arato e seminato senza fiducia, nel quale s’era rifugiato come un animale ferito che cerca un luogo solitario per lasciarsi morire in pace, in quel grano che veniva su rigoglioso nonostante la cattiva annata, un senso di salute e di calma cominciò pian piano a ristorarlo, qualche cosa che era ancora fuori di lui, nel vento che passava sulle spighe come una mano, nel tepore dell’aria. Amava già, allora, il podere di Monte Ulìa, ma come si ama un luogo che bisogna lasciare. La gioia di rivedere Severina si confuse con questo senso di salute e di calma della stagione. Egli non l’avvertì neppure. Pensava invece ad Angela. Anche con lei avevano cominciato a salutarsi e a sorridersi senza nessuna ragione al mondo. Immaginò come sarebbe stato bello se, al posto di quella sconosciuta, ci fosse stata Angela, ma venuta anche lei di fuori, da un paese lontano, e che nessuno di Sigalesa l’avesse mai vista prima, che nessuno potesse dire d’averle sfiorato una mano.

81

5

10

15

20

25

Severina non era bella. Michele lo vide anche meglio quando, un giorno, si fermò con la scusa di dare acqua alle ruote del carro, che scricchiolavano per la gran calura. Lo 30 vide quando, prendendo il secchio dalle sue mani, la guar-

7. sconvolto, sentì] sconvolto, e la morte del vecchio, sentì D D1 D2 sconvolto, ›e la morte del vecchio,‹ sentì B  ◆  dentro] dentro ›di sé‹ D     11. nonostante] non ostante D D1 D2 nonostante (← non ostante) B     12-13. ristorarlo, qualche] ristorarlo. Qualche D ristorarlo, qualche (← ristorarlo. Qualche) D1     16. lasciare] abbandonare D •lasciare (›abbandonare‹) D1     19. avevano] •avevano (›aveva‹) D     30. carro,] carro D carro|,| D1  ◆  scricchiolavano] cigolavano e gemevano D •scricchiolavano (›cigolavano e gemevano‹) D1     

82

GIUSEPPE DESSÌ

5

10

15

20

25

30

dò da vicino. Aveva il naso sottile e la gota delicatamente incavata sotto lo zigomo. Ma gli occhi sì ch’erano belli. Michele versò con cura l’acqua sui raggi e sul mozzo di una delle ruote, e tornò a guardarla. Lei, preso il secchio, corse via a riempirlo ancora. Il suo era il colore della gente che ha avuto la malaria fin da piccola. Con un senso di desiderio e di pena Michele indovinò sotto la gonna pesante il suo fianco giovine e magro – di pena non per lei ma per sé. Quando la ragazza tornò col secchio colmo stringendo tra i denti il labbro per la fatica, egli sentì crescere smisuratamente quel senso di pena e di desiderio così nuovo per lui, e non poté fare a meno di chiederle perché portasse al collo quel fazzoletto giallo. Gli pareva che levando il fazzoletto il colore del viso sarebbe mutato da un momento all’altro. Sorridendo lei gli rispose che quella era la moda del suo paese, di Mamusa. Aveva la carnagione delicata. Aveva preso poco sole e non conosceva il vento della montagna. E anche gli occhi, larghi acquosi e chiari, erano occhi di pianura, non di montagna. Lei sembrava vergognarsene e li abbassava, ma subito, malgrado la timidezza, tornava a guardarlo. E si abbassavano ancora, e ancora tornavano a guardarlo, quegli occhi, con la stessa naturalezza con cui si abbassano e alzano le palpebre. Aveva le anche larghe; e i piedi, nudi, che spuntavano appena dalla larga e scura gonna, infilati nelle corregge degli zoccoli, erano sottili e bianchi, non tocchi dal sole. “È di quelle donne che invecchiano presto”, pensò Michele senza sapere perché: poi gli parve di riconoscere, nella memoria, la voce di sua madre: “Dopo il primo figlio invecchiano”. Prima di versare l’acqua sul mozzo dell’altra ruota, alzò il secchio al viso per prenderne un sorso. 1. la gota] |la gota| (›le gote [—]‹) D     2. sì] ›[—]‹ sì D     6-7. senso… indovinò] senso di |desiderio e di pena Michele |indovinò| (›guardò‹)| (›pena Michele quel corpo‹) D     7-8. fianco…magro] fianco /giovine e/ magro D     9. la ragazza] lei D •la ragazza (›lei‹) D1     11. così] che era D •così (›che era‹) D1     21-22. guardarlo…con] guardarlo, con D guardarlo, /quegli occhi,/ con D1     22. naturalezza] /mobilità/ naturalezza D1     22-23. si…alzano] abbassava e alzava D |si| abbassano e alzano (← abbassava e alzava) D1     25. erano sottili] erano straordinariamente sottili D erano ›straordinariamente‹ sottili D1     

Michele Boschino

«Badate che è cattiva» lo prevenne la ragazza. «Voi di Sigalesa siete avvezzi all’acqua buona. Questa è cattiva. È pesante come il piombo, e salata». «E voi cosa bevete?» chiese Michele sempre tenendo il secchio alto alla bocca e guardando lei. «Noi? Di questa beviamo. Ma voi siete avvezzo all’acqua buona» ripeté sorridendo, e forse voleva che il giovine le chiedesse come conosceva l’acqua di Sigalesa. Mentre lei parlava, Michele bevette alcuni sorsi di quell’acqua, benché avesse un sapore veramente sgradevole; e lo fece perché non voleva parere più delicato di lei che era costretta ad abitare a Matta Romana. «È proprio cattiva» disse. «Fate male a berne». S’era fatta sulla porta, in quel mentre, la moglie del cantoniere col bambino più piccolo in braccio; e sempre cullandolo aveva salutato con la testa. Anche Michele salutò. «Le stavo dicendo dell’acqua» disse accennando a Severina. «È cattiva, quest’acqua». «L’acqua è cattiva, lo so» disse la donna. Continuò a cullare il bambino per un poco guardando davanti a sé, oltre il carro e i buoi, poi disse: «Da quando siamo qui, i bambini sono sempre ammalati. Hanno una pancia che sembrano idropici». Michele guardava la donna, sciupata nel viso, benché non dovesse avere molti anni più della sorella, e di nuovo gli pareva di sentire sua madre: “Ecco, questa è una razza di donne che invecchiano presto”. Versò con cura, lentamente, l’acqua sul mozzo e sui raggi anche di quella ruota lavandola dalla polvere. Dal modo come parlava, la donna, sembrava che fosse rassegnata a bere acqua cattiva per tutta la vita. «Perché non venite a prender l’acqua da bere alla sorgente d’Orèsula?» disse Michele. 3. pesante] |pesante| (›salata‹) D     10. avesse…veramente] |avesse| (›fosse veramente‹) veramente un sapore D avesse 2veramente 1un sapore D1     11. perché] ›per [—]‹ perché D     13. berne] berla D berne (← berla) D1     2829. ruota…polvere.] ruota. D ruota |lavandola dalla polvere|. D1     30. la donna, sembrava che] sembrava che la donna D D1 D2 2sembrava che 1la donna|,| B     

83

5

10

15

20

25

30

84

GIUSEPPE DESSÌ

5

10

15

20

25

E spiegò dove questa sorgente si trovava. Era poco discosta dal suo podere, verso il monte, e si poteva fare la strada carreggiabile, oppure una scorciatoia nel bosco. «Vostro marito, può fare la scorciatoia. In meno di un’ora va e torna». La donna si strinse nelle spalle e sospirò. Michele guardò Severina, che abbassò gli occhi un attimo, poi da lui li volse alla sorella. Ora non pareva più timida, quasi che quell’argomento dell’acqua la mettesse al riparo. «Anche noi potremmo andarci. Noi donne. È vero, Anna?» disse. «Anche noi donne potremmo andarci» ripeté Anna. «Tutto sta a vedere la strada una volta. E quell’acqua dite che è buona?» «Se la beve lui ch’è di Sigalesa!» disse Severina, e arrossì improvvisamente. «Questa d’Orèsula è anche migliore dell’acqua di Sigalesa. Trasparente e leggera come l’aria, e fresca anche». «Tutto sta a vedere la strada una volta» ripeté Anna «perché Raffaele non credo che abbia voglia di fare tanta strada con una brocca sulle spalle. Noialtre invece ci siamo avvezze». «Quando volete, io ve la insegno» disse Michele. E diede una voce ai buoi, che si mossero lentamente. Era il momento giusto d’andarsene. Michele lo sentì come un uccello sente l’orientamento. Così, né troppo presto né troppo tardi. Non c’era più niente da dire, per quel giorno. Si mise a

1-2. discosta dal] più sopra del D •discosta (›più sopra‹) dal (← del) D1     4. può] ›se ha[—]‹ può D     4-5. di un’ora] d’un’ora D D1 D2 B ≠ M2     9-10. dell’acqua…riparo.] dell’acqua, che interessava tanto a tutti, la mettesse al riparo. D dell’acqua, ›che interessava tanto a tutti,‹ la mettesse al riparo. D1 D2 dell’acqua›,‹la mettesse al riparo. B     12. Anna?] Anna D D1 D2 Anna|?| B     18. dell’acqua] di quella D •dell’acqua (›di quella‹) D1     19. l’aria] l’aria D D1 D2 |l’|aria B     22. ci siamo] siamo D /ci/ siamo D1     24. volete,] volete D D1 D2 B ≠ M2     28. giorno. Si mise] giorno. Ringraziò per l’acqua, fu ringraziato a sua volta dalle donne, e si mise D D1 D2 giorno. ›Ringraziò per l’acqua, fu ringraziato a sua volta dalle donne, e‹ Si (← si) mise B     

Michele Boschino

camminare accanto alla ruota del carro, subito come fosse solo. Michele aveva già cominciato ad affossare il terreno per i mandorli, quando il cantoniere andò a farsi insegnare la strada per la sorgente. Conosceva il cantoniere per averlo visto lavorare nello stradone, o, più spesso, seduto a far nulla accanto alla carriola. S’erano scambiati solo qualche saluto, ma aveva capito che doveva essere uno di quegli uomini pigri pronti sempre a lamentarsi per niente e altrettanto pronti a dimenticarsi le difficoltà senza porvi rimedio. Siccome stava mangiando, lo invitò a sedersi e gli offrì del suo pane. Ma l’altro, posata a terra la damigiana vuota, s’alzò sulla fronte la visiera del berretto e diede un’occhiata intorno, poi guardò Michele come fosse colpa sua se aveva dovuto fare tutta quella strada per arrivare fin là. «Vi state riposando» disse. Sorrise, e sbadigliò. «Già» fece Michele. Riprese a guardarsi attorno, ma il suo occhio non si fermava sul lavoro che Michele aveva fatto nel campo. Un contadino non avrebbe fatto a meno di chiedere a che cosa servivano quei fossi scavati di fresco, che alberi aveva intenzione di piantare nel campo: il suo era un sorriso di ragazzo pigro, senza curiosità. Michele ripose il pane nella bisaccia, appese la bisaccia

2-3. solo. Michele] solo.↔|| Michele D D1 D2 solo.↔| Michele B     5. Conosceva] Michele conosceva D D1 D2 ›Michele‹ Conosceva (← conosceva) B     8. ma aveva] ma Michele aveva D D1 D2 ma ›Michele‹ aveva B     1011. rimedio. Siccome] rimedio. Così almeno spiegava l’antipatia istintiva che sentiva per lui. Siccome D rimedio. ›Così almeno spiegava l’antipatia istintiva che sentiva per lui.‹ Siccome D1     11. lo invitò a] /lo/ invitò ›[—]‹ a D     13-14. diede un’occhiata intorno] |diede un’occhiata intorno| (›si mise a guardare intorno‹) D     14. come fosse colpa sua se aveva] come se fosse colpa sua se aveva D D1 D2 M2 come ›se‹ fosse colpa sua se aveva B come se fosse colpa sua aveva M1     16. Sorrise, e sbadigliò.] E sorrise D D1 D2 ||Sorrise, e sbadigliò.|| (›E sorrise‹) B     22-24. era un…Michele] era ›[—]‹ uno sguardo di ragazzo pigro senza curiosità. ›- Volete favorire? – ripeté Michele per cortesia‹ Michele D era •un sorriso (›uno sguardo‹) di ragazzo pigro|,| senza curiosità. Michele D1     

85

5

10

15

20

86

GIUSEPPE DESSÌ

5

10

15

20

25

30

a un piuolo dentro il capanno; l’uomo si rimise in spalla la damigiana. «Non è lontano» disse Michele prevenendo la domanda che si aspettava. Il sentiero s’insinuava tra alti cespugli di lentischio salendo verso il monte, dove le querce e gli olivastri diventavano sempre più folti, si perdeva in una pietraia dietro la quale era una larga chiazza di verde. L’odore acuto della menta selvatica annunciava la presenza dell’acqua. «È lunga!» disse il cantoniere. «Sarà che io non ci sono abituato a camminare in montagna, ma è lunga!» «Voi siete abituato alla pianura» disse Michele. «Eh! il mio mestiere era un altro. Non sono avvezzo né alla montagna né alla pianura». «E allora?» «Ero marinaio». Disse che aveva viaggiato su un veliero mercantile per alcuni anni, poi era sbarcato in un porto francese, aveva fatto diversi mestieri. Era stato minatore, manovale, imbianchino. Infine era tornato a casa con le tasche vuote come quand’era partito. Ma il suo vero mestiere era quello del marinaio. «E perché non fate il marinaio?» chiese Michele. «Perché? Perché le miniere mi hanno mangiato i polmoni. E poi mi sono sposato. Non bisogna sposarsi, se si vuol fare quel mestiere lì». Da una parete di roccia l’acqua sgorgava e si perdeva in mezzo al crescione, all’apio, alla sala, ai giunchi che crescevano dalla terra umida. Ma pochi passi più oltre il terreno era di nuovo arido e secco. L’acqua che stillava a gocce dal muschio della roccia veniva raccolta da leggeri canali

1. capanno; l’uomo] capanno, e l’uomo D capanno: l’uomo (← capanno, e l’uomo) D1 D2 capanno; l’uomo B     8. di verde] |di verde| (›d’erba‹) D     10. non ci sono] non sono D D1 D2 non /ci/ sono B     13. Non sono] ›Ero marinaio io.‹ Non sono D     23. marinaio?] marinaio D D1 D2 marinaio|?| B     26. mestiere lì] mestiere D mestiere |lì| D1     27-28. in mezzo al crescione] in |mezzo al crescione| (›una pietraia‹) D     29. dalla] sulla D dalla (← sulla) D1     

Michele Boschino

di canna, e confluendo in un tegolo rovesciato formava un rivoletto e una cascatella. Intorno ai piccoli canali di canne fesse, una mano paziente aveva disposto innumerevoli fili d’erba che formavano come una fitta rete di canali capillari. Il cantoniere osservò questo lavoro, che sembrava fatto da un insetto, con lo stesso sorriso pigro e ironico con cui aveva guardato i fossi per i mandorli. Bevette abbondantemente, e si dispose a riempire la damigiana. «Ora che sapete dov’è» disse Michele «potete venire quando volete». «Eh! se non avessi altro da fare verrei anche tutti i giorni. Ma ci vuole mezza giornata a venire qui». «Anche meno» disse Michele. «Come, anche meno! E per riempire la damigiana?» «Beh! mentre si riempie vi riposate. Attento a non smuovere il tegolo, se no addio acqua». «Ho capito. Ci vogliono le donne, qui. Loro hanno le mani delicate». Tornarono assieme al capanno, e Michele pensò che avrebbe potuto portare lui la damigiana fino alla cantoniera, quando fosse venuto a Monte Ulìa col carro. Ma non disse nulla, pensando di fare alle donne l’offerta. Infatti in seguito andarono per l’acqua Anna e Severina, un giorno sì e uno no, con due damigiane. Ma dovette durar non poca fatica a convincerle che per lui era una cosa da 1. canna, e] canna e D D2 canna|,| e D1  ◆  in un tegolo] in un ›canale più grosso [—]‹ tegolo D     1-2. formava…ai] |formava un rivoletto e una cascatella.| (›e cadeva dall’alto‹) Intorno |ai| (›alla‹) D     4. che formavano] che ›guidavano le gocce‹ formavano D     4-8. capillari…Bevette] capillari, senza i quali le gocce si sarebbero disperse. Sembrava un lavoro fatto da un insetto. Il cantoniere bevette D capillari. (← capillari,) •Il cantoniere osservò questo lavoro, che (›senza i quali le gocce si sarebbero disperse.‹) sembrava (← Sembrava) ›un lavoro‹ fatto da un insetto, (← insetto.) /con lo stesso sorriso pigro e ironico con cui aveva guardato i fossi per i mandorli./ ›Il cantoniere‹ Bevette (← bevette) D1     10. Ora] E ora D Ora (← E ora) D1     18. qui. Loro] qui, che D qui. Loro (← qui, che) D1     19-20. delicate». Tornarono] delicate». ›Michele le lasciò lì e se ne tornò nel campo a lavorare.‹ Tornarono D     21. portare] portar D D1 D2 portar|e| B     24. in seguito] •in seguito (›nei giorni seguenti‹) D     26. a] per D D1 D2 ||a|| (›per‹) B     

87

5

10

15

20

25

88

GIUSEPPE DESSÌ

5

10

15

20

25

nulla fermarsi un momento alla Cantoniera per scaricare i recipienti pieni, o prenderli vuoti al mattino. Dopo tanto, acconsentirono; e andavano a riempire le damigiane sul tardi, quando Michele stava per aggiogare i buoi. Montavano anch’esse sul carro, e facevano chiacchierando la strada fino alla Cantoniera. Spesso lo invitavano a bere un bicchier di vino, ma lui ringraziava dicendo che non beveva mai a digiuno. Accadeva anche che andasse per l’acqua una sola delle donne, o Anna o Severina, se Raffaele non era ancora rientrato, per non lasciar soli i bambini. Poi, crescendo la confidenza tra loro, finì per andarci sempre Severina. Michele la faceva parlare di Mamusa, dei parenti che aveva laggiù. Severina raccontava della sua vita di ragazza, quando con Anna aiutavano la madre a fare i dolci che poi andavano a vendere nei paesi vicini; raccontava come sua sorella aveva sposato Raffaele, dopo il suo ritorno dalla Francia, e come lei, dopo che la sorella aveva avuto il secondo bambino, non l’aveva più lasciata. A Mamusa ora andava di tanto in tanto per rivedere i suoi vecchi. Seguiva la sorte della sorella, ma volentieri sarebbe tornata a Mamusa, perché era stanca di stare in mezzo a quelle campagne desolate. Solo le dispiaceva separarsi dai bambini. A sua volta Michele, che pure non parlava mai volentieri di sé, le raccontava di Giuseppe, di Salvatore, di Benedetto, le disse che con Benedetto aveva fatto da poco tempo la pace perché credeva che quella

2. pieni,] pieni D pieni|,| D1     2-3. tanto,] tanto D D1 D2 tanto, B     4. buoi] buoi ›al carro‹ D     5. facevano chiacchierando] facevano tutti e tre assieme, chiacchierando D facevano ›tutti e tre assieme‹, chiacchierando D1     6. Spesso] Ogni volta D D1 D2 ||Spesso|| (›Ogni volta‹) B     13. laggiù] laggiù. (←laggiù,) ›che‹ D     14. Anna] Anna D D1 D2 Anna, B     17. lei, dopo] lei, ›poi li aveva sempre seguiti‹ dopo D     17-18. bambino…lasciata] bambino fosse venuta a stare con lei per aiutarla D bambino|,| •non l’aveva più lasciata (›fosse venuta a stare con lei per aiutarla‹) D1     19-20. sorella, ma] sorella e a Raffaele non piaceva mai stare a lungo nello stesso posto. Ma D sorella|,| ›e a Raffaele non piaceva mai stare a lungo nello stesso posto.‹ ma (← Ma) D1     20. volentieri sarebbe] volentieri lei sarebbe D D1 D2 volentieri ›lei‹ sarebbe B     21. campagne desolate] campagna desolata D D1 D2 campagne desolate (← campagna desolata) B     22. separarsi dai] lasciare i D D1 D2 ||separarsi dai|| (›lasciare i‹) B     23. volentieri] (volentieri) D1  ◆  raccontava] parlava D •raccontava D1     24. di] ›degli‹ di D     

Michele Boschino

fosse, in fondo, la volontà di suo padre. Severina ascoltava attenta e faceva molte domande intorno a quei parenti, così che in breve tempo li conosceva tutti attraverso i discorsi di Michele. Egli le disse anche ch’era stato fidanzato, e non le nascose nulla, né i suoi dubbi né quanto aveva sofferto. Contrariamente al suo solito, Severina non fece nessuna domanda: disse solo che aveva fatto male a dare retta ciecamente a suo padre, se non era sicuro che Angela lo tradiva. Egli le chiese se veramente era convinta che aveva fatto male a lasciare Angela. «Certamente», disse la ragazza. Egli s’accorse che cercava di nascondere il rossore del viso con la cocca del fazzoletto, e glielo disse. Allora lei si levò il fazzoletto e rimase in capelli, col viso in fiamme. Erano seduti uno di fronte all’altro, sul carro. Mancava poco alla Cantoniera. Michele avrebbe voluto chiederle s’era adirata con lui perché aveva lasciato quell’altra donna; ma non s’attentava, temendo il suo giudizio. Quando giunsero alla Cantoniera, Severina saltò giù svelta dal carro e riannodandosi il fazzoletto si chinò davanti a lui per farsi aiutare a mettersi la damigiana in testa. Rapidamente, come per toglier via una foglia secca o un insetto, egli le sfiorò la guancia con una mano. Gli parve di vederla vacillare; ma subito pensò che doveva essere una sua impressione, perché si sentiva il cuore in tumulto e il sangue gli batteva alle tempie. Severina sollevò con tutte e due le mani la damigiana, se l’aggiustò meglio sul capo guardando in su, poi, lo guardò in viso un momento, e, senza sorridergli, lo salutò a voce bassa. Anche lei era turbata. Michele se n’accorse, ma non pensò alla 3. conosceva] conobbe D conosceva (← conobbe) D1     7. a dare] a ›lasciare‹ dare D     9. che aveva] che lui aveva D D1 D2 che ›lui‹ aveva B     13. rimase in capelli,] rimase a capo scoperto, D D1 D2 rimase ||in capelli,|| (›a capo scoperto,‹) B     14. carro. Mancava] carro, e mancava D D1 D2 carro. Mancava (← carro, e mancava) B     18-19. e riannodandosi il fazzoletto] e |riannodandosi il fazzoletto| (›rimettendosi il fazzoletto‹) D     20. in testa] sul capo D D1 D2 ||in testa|| (›sul capo‹) B     21. le sfiorò] |le sfiorò| (›allungò la mano‹) D     22. mano. Gli] mano, e gli D D1 D2 mano. Gli (← mano, e gli) B     24. batteva alle tempie] offuscava la vista D D1 D2 ||batteva alle tempie|| (›offuscava la vista‹) B     26. in su, poi, lo guardò] in su come un equilibrista, poi abbassò gli occhi su Michele, lo guardò D in su ›come un equilibrista‹, poi ›abbassò gli occhi su Michele‹, lo guardò D1     

89

5

10

15

20

25

90

GIUSEPPE DESSÌ

5

10

15

20

25

fuggevole carezza che le aveva fatto sulla guancia, pensò a ciò che le aveva raccontato di Angela. Ora gli pareva che lei non lo riprovasse, ma che sentisse pietà per quel suo dolore, le leggeva questa simpatia nel viso serio. Solo quando fu lontano dalla Cantoniera si ricordò della carezza e fu preso dal timore che la ragazza non si fidasse più a andare sola a Monte Ulìa; e fu preso dal desiderio di parlarle del fatto ch’era accaduto nella foresta di Cantòria pochi giorni prima che morisse suo padre, come ci s’era trovato in mezzo, come si fosse tenuto quel segreto per tanto tempo. Severina tornò il giorno dopo, e i seguenti; e lui covava sempre il pensiero di aprirsi con lei, di liberarsi finalmente da quel peso che l’opprimeva e che in certi momenti ora diventava insopportabile. Ma quando Severina era presente, il coraggio gli veniva meno. Vagheggiava questa confessione quando era lontano da lei, come un innamorato che fantastica per suo conto senza mai decidersi. Un giorno, mentre stavano per montare sul carro, accanto al capanno, Michele le prese una mano. «Devo dirvi una cosa» disse. Tremava in tutta la persona e non riusciva a continuare. Anche lei tremava, e con la mano, che le si era fatta come di ghiaccio, stringeva forte quella di lui. Egli l’attirò a sé e la baciò in viso, nella bocca. La sollevò tra le braccia e la portò nel capanno.

6. dal timore] dalla paura D D1 D2 ||dal timore|| (›dalla paura‹) B     7. e fu preso dal desiderio] perché gli era nato il desiderio D •e fu preso dal (›perché gli era nato il‹) desiderio D1     8. di Cantòria] |di Cantòria| (›della Canto‹) D     9. come] e come D ›e‹ come D1     10. come] e come D ›e‹ come D1     10-11. tempo…e i seguenti;] tempo. Severina invece tornò |il giorno| (›i gi‹) dopo e i seguenti, D tempo.↔| Severina ›invece‹ tornò il giorno dopo|,| e i seguenti; (← seguenti,) D1     13. l’opprimeva e che] l’opprimeva, che D l’opprimeva e che (← l’opprimeva, che) D1     13-14. ora… Ma] diventava insopportabile, ora che questa possibilità gli s’era presentata. Ma D D1 D2 ||ora|| diventava insopportabile›, ora che questa possibilità gli s’era presentata‹. Ma B     15-16. questa…lontano] questo pensiero lontano D D1 D2 ||questa confessione quando era|| (›questo pensiero‹) lontano B     17. fantastica] |fantastica| (›vagheggia i discorsi‹) D     23-24. la baciò…La] le baciò il viso, la bocca. Poi la D la baciò in viso, nella bocca. La (← le baciò il viso, la bocca. Poi la) D1     

Michele Boschino

91

Per questo,18 quando sua madre fece quell’insinuazione maligna attribuendola alle chiacchiere della gente, Michele finse di non aver sentito. Cosa potevano sapere, la gente e sua madre, di Severina? Chi la conosceva meglio di lui? Eppoi capiva bene che era tutto un trucco di Maddalena per 5 farlo parlare. Nessuno sapeva nulla, nessuno. “Eh no!” disse egli tra sé come se rispondesse a sua madre, “Eh no! Lo saprete quando vorrò dirvelo io. Domani, forse. Forse anche domani, forse tra una settimana. Ma ora no”. Era estranea a questo proposito l’intenzione di punirla per quelle parole 10 imprudenti. Non voleva parlare di Severina con nessuno, non poteva. Era certo che Severina non aveva ancora detto nulla neppure a sua sorella; e anche lui voleva fare lo stesso con sua madre. Non solo gli estranei non dovevano sapere nulla prima del tempo, ma neppure la gente di casa. Voleva 15 continuare a pensare tutto solo a quel fatto ch’era accaduto. Era padrone di tenersi ancora quel segreto, di nutrirlo dentro di sé. E questa possibilità gli dava un piacere intenso.

2-3. Michele…sentito] fece finta di non sentire neppure D •Michele finse (›fece finta‹) di non /aver/ sentito (← sentire) ›neppure‹ D1     5. bene] benissimo D D1 D2 bene (← benissimo) B     5-6. per farlo parlare.] strappargli la verità. D D1 D2 ||per farlo parlare|| (›strappargli la verità.‹) B     7-8. saprete] saprai D D1 D2 ||saprete|| (›saprai‹) B     8. dirvelo] dirtelo D D1 D2 ||dirvelo|| (›dirtelo‹) B     10. punirla] punire sua madre D punirla (← punire sua madre) D1     13. lo stesso] altrettanto D •lo stesso (›altrettanto‹) D1     14. gli…dovevano] la gente non doveva D •gli estranei (›la gente‹) non dovevano (← doveva) D1 18

la portò nel capanno. Per questo,] cfr. Appendice (Cap. X).

92

GIUSEPPE DESSÌ

XI

5

10

15

20

25

Una sera Maddalena aiutava Michele a sceglier le fave per la semina.19 Se ne stavano tutti e due, al lume della lucerna, in ginocchio davanti al mucchio. Michele si sentiva pesare addosso quel silenzio che durava da più di un’ora ormai, e guardava sua madre, che lavorava svelta. Nell’ombra che la lucerna proiettava sul muro la mano della vecchia sembrava una gallina che becca rapida in un mucchietto di grano. Anche in se stessa la mano richiamava l’immagine di una gallina. Come la gallina ogni tanto alza la testa e stira il collo per inghiottire, così la mano, quando aveva scelto un certo numero di fave, le faceva passare nell’altra mano e procedeva a una scelta più accurata, scartando quelle bacate o imbozzacchiate che v’erano rimaste, gettava quelle buone in un sacco; poi ricominciava. I movimenti rapidi e sempre eguali formavano un gesto solo, il cui ripetersi era segnato dal rumore che facevano le fave cadendo nel sacco aperto. Bisognava parlare, ormai era giunto il momento, e non si poteva rimandare più; eppure Michele non sapeva decidersi. Anna era andata a Monte Ulìa e gli aveva chiesto che intenzioni aveva, se voleva rovinarla, sua sorella; e non aveva voluto credere che Michele non sapeva nulla dello stato in cui Severina si trovava. Incinta, era. Michele, era lui che si meravigliava, questa volta. Incinta? Ma se proprio quella mattina era venuta da lui, tranquilla come sempre! Ancora, 9-10. Nell’ombra…mano] Nell’ombra la mano D Nell’ombra /che la lucerna proiettava sul muro/ la mano D1     11-12. grano. Anche] grano; ma anche D grano. Anche (← grano; ma anche) D1     13. gallina] gallina, D gallina (← gallina,) D1     14. scelto un certo] scelto per suo conto un certo D scelto ›per suo conto‹ un certo D1     17. gettava] e gettava D ›e‹ gettava D1     20. sacco aperto.] sacco. D sacco /aperto/. D1     22. eppure Michele non] eppure non D eppure /Michele/ non D1     24. rovinarla, sua] rovinare sua D D1 D2 rovinarla|,| sua (← rovinare sua) B     25. non sapeva nulla] non sapeva ›ancora che Severina era incinta‹ nulla D     28. tranquilla come sempre!] allegra come al solito! D •tranquilla (›allegra‹) come •sempre (›al solito‹)! D1      19

In D D1 D2 il capitolo è numerato VIII.

Michele Boschino

Michele, a ripensarci, la vedeva salire verso la sorgente con la damigiana vuota poggiata all’anca, col suo passo lungo e agile; e si turbava, al pensiero del corpo di lei, nudo sotto la lunga gonna. Anna s’era messa a imprecare contro la sorella che si mostrava tranquilla con lui mentre in casa non faceva che piangere. Lei sì, Anna, non aveva saputo nulla, fin allora, ma loro due!… L’avevano ingannata, gliel’avevano fatta sotto il naso. Altro che acqua! L’acqua è pulita, è limpida;20 ma la cosa che avevano fatto loro due faceva vergogna anche a lei che non ne aveva saputo nulla fin allora. Cos’avrebbe detto sua madre, che gliel’aveva affidata? e Raffaele? e la gente, cos’avrebbero detto? Con che faccia sarebbero tornate in paese? Michele non aveva avuto il coraggio di difendersi. Era vero che Severina non gli aveva mai detto nulla, ma in realtà chi meglio di lui poteva sapere lo stato in cui si trovava? Aveva lasciato che Anna si calmasse, poi le aveva detto che se anche non aveva parlato di nozze, fino a quel giorno, con la ragazza, in quel frattempo aveva fatto tutti i preparativi. Non si potevano sposare anche subito? A lui non importava niente se la ragazza non aveva il corredo pronto: avrebbe avuto tempo dopo, di farselo. Sua madre aveva tanto lino, in casa! Se la ragazza gli avesse detto come stavano le cose, non avrebbe aspettato fino a quel giorno. Poteva esserne certa, Anna. Non aspettava altro, lui. Ma siccome gli pareva

2. damigiana…all’anca] brocca |vuota poggiata all’anca| (›ain testa bpoggiata all’anca‹) D D1 D2 ||damigiana|| (›brocca‹) vuota poggiata all’anca B     4. la lunga gonna] |la lunga gonna| (›le vesti pesanti‹) D     5. tranquilla] allegra D •tranquilla (›allegra‹) D1     6-7. non…fin allora,] non sapeva nulla, D non •aveva saputo (›sapeva‹) nulla, /fin’allora,/ D1 D2 B ≠ M2     10-11. fin allora] fin’allora D D1 D2 B ≠ M2     11. sua] la D D1 D2 ||sua|| (›la‹) B  ◆  gliel’aveva affidata?] l’aveva affidata a lei? D gliel’aveva affidata? (← l’aveva affidata a lei?) D1     14. di difendersi] d’insistere D •di difendersi (›ad’insistere bdi difendere Severina‹) D1     15-16. ma in realtà chi] ma chi D D1 D2 ma ||in realtà|| chi B     17. Aveva lasciato] |Aveva lasciato| (›lasciò‹) D     22. dopo, di farselo.] dopo. D dopo|,| /di farselo./ D1     24. non avrebbe] |non avrebbe| (›sarebbe sta‹) D     25. gli pareva] ›non aveva ancora avuto modo‹ gli pareva D      20

In IL: «e limpida».

93

5

10

15

20

25

94

GIUSEPPE DESSÌ

5

10

15

20

25

30

che non ci fosse fretta, così aveva rimandato di giorno in giorno; e non sapeva neppure lui perché. Calmatasi, Anna aveva detto che avrebbe fatto venire sua madre da Mamusa, e si sarebbero poi incontrate con Maddalena alla Cantoniera, oppure in paese, come meglio credeva Michele. Michele aveva detto che era meglio alla Cantoniera, e si erano lasciati in pace. Ora Michele doveva parlare di questo con sua madre, e farle fretta, e non voleva, d’altra parte, dirle la ragione della fretta: perché anche con Anna erano rimasti d’accordo di non dire che Severina era incinta, finch’era possibile. E si pentiva di non essersi confidato prima con sua madre. Il mucchio delle fave da scegliere intanto diventava sempre più piccolo. Tra poco Maddalena si sarebbe alzata, avrebbe scosso dalle vesti la polvere e lo avrebbe lasciato solo con la sua incertezza. Dopo tanta ostinazione, era lui che temeva che sua madre non volesse ascoltarlo. Finalmente si fece forza, e disse: «E allora, mamma, cosa ne pensate voi di questa sposa?» La voce gli tremava. Maddalena indovinava i timori del figlio e voleva rifarsi, ora che aveva bisogno di lei. Non rispose subito. In tutte quelle settimane lo aveva sentito assorto in un pensiero di cui non aveva voluto farle parte; e benché, da quando aveva indovinato che si trattava di Severina, si fosse tranquillizzata, ora le pareva di aver molto sofferto per quel silenzio. «Io non so di che cosa parli» disse. Egli sentì l’ostilità di sua madre, e, per un momento, fu sul punto d’alzarsi e andarsene nella stalla; ma pensò quanto sarebbe stato difficile poi far la pace e tornare con animo mutato su quell’argomento.

3. Calmatasi, Anna aveva] Anna |aveva detto| (›disse‹) D /Calmatasi,/ Anna aveva detto D1     10. fretta:] fretta; D fretta: (← fretta;) D1     12. prima] prima, D prima (← prima,) D1     13. scegliere] scegliere ›diminuiva‹ D     15. dalle vesti la polvere e] le vesti dalla polvere, e D dalle (← le) vesti la (← dalla) polvere, e D1 D2 dalle vesti la polvere (← polvere,) e B     21. Maddalena indovinava] Come se indovinasse D Maddalena indovinava (← Come se indovinasse) D1  ◆  voleva] volesse D voleva (← volesse) D1     22. Non] Maddalena non D ›Maddalena‹ Non (← non) D1     

Michele Boschino

«Via! non ditemi che non avete capito di chi si tratta» tentò. Forse sua madre aveva ragione di essere inquieta con lui. Di nuovo si pentì di non aver parlato prima, sentì un rimorso acuto, una grande pietà per la solitudine di sua madre. Avrebbe dovuto cedere, rinunciare al piacere che quel segreto gli dava; non avrebbe neppure dovuto temere l’asprezza di sua madre. Sapeva che quell’asprezza era innocua; e solo ora, e solo per colpa sua, poteva diventare pericolosa. Aspettò col cuore sospeso, deciso a sopportare in pace qualunque cosa sua madre dicesse. Maddalena continuava a sceglier le fave senza neppure alzare gli occhi. Il fazzoletto bianco che s’era messa in testa per ripararsi dalla polvere le nascondeva la faccia. Le sue vecchie dita mezzo rattrappite avevano annodato quel fazzoletto dietro la nuca. Lei era vecchia, e sola come tutti i vecchi. Michele si ricordò di Anna e di Severina. Non pensava, in quel momento, alle parole aspre di Anna, alle sue imprecazioni, ma invece alla reciproca tenerezza che sempre egli aveva scoperto in ogni gesto delle due sorelle, o quando una parlava dell’altra; come si capivano, come s’aiutavano a vicenda nei lavori della casa; e paragonava tutto questo alla lunga solitudine di sua madre. Avrebbe avuto pazienza, l’avrebbe lasciata sfogare. Anzi desiderava che sua madre fosse aspra con lui, ora, che fosse aspra e lo punisse. Invece Maddalena disse: «A me sembra una brava ragazza, e anche adatta alla tua condizione».

1. non] Non D D1 D2 non (← Non) B     4. lui. Di] lui; e di D D1 D2 lui. Di B     9. e solo ora] mentre ora D •e solo (›mentre‹) ora D1     11. dicesse] avesse detto D |dicesse| (›avesse detto‹) D1     13. alzare] alzar D D1 D2 ||alzare|| (›alzar‹) B     15. rattrappite] rattrapite D D1 D2 B ≠ M2     16-17. come tutti] come sono tutti D D1 D2 B ≠ M2     18. momento,] momento D D1 D2 B ≠ M2  ◆  aspre] cattive D •aspre (›cattive‹) D1     21-22. dell’altra…s’aiutavano] dell’altra, e come s’aiutavano D dell’altra, ›e‹ /come si capivano,/ come s’aiutavano D1 D2 dell’altra; (← dell’altra,) come si capivano, come s’aiutavano B     22-23. tutto questo] questo D /tutto/ questo D1     25. che…punisse] e lo punisse D /che fosse aspra/ e lo punisse D1     

95

5

10

15

20

25

96

GIUSEPPE DESSÌ

5

10

15

20

25

Lo disse con voce acuta e dispettosa, ma lo disse. Ci aveva pensato tanto, in tutto quel tempo, che questa risposta, che era stata la conclusione dei suoi lunghi soliloqui, le venne alle labbra spontanea. Si guardarono senza dir nulla, per un momento. «Non ve n’ho parlato prima perché sapevo che lo avevate indovinato» disse Michele. E in quel momento ci credeva davvero. Maddalena si strinse nelle spalle col suo solito gesto di scontrosa rassegnazione. Egli si sentì il pianto in gola. Si piegò sul sacco e s’abbandonò. Singhiozzava forte, con quello strazio che è nel pianto degli uomini, ma anche con voluttà segreta, come accade quando si è certi che il pianto porterà pace. Maddalena gli posò una mano sulla spalla e prese a scuoterlo dolcemente. «Cosa dovrei fare io, allora! Quante pene ho patito! quante brutte cose ho pensato, prima di capire che era lei!» Michele si calmò, per ascoltarla. «Tante cose pensavo. E dicevo: “Chi sa chi è! chi sa chi mi porta in casa!”. Poi mi sono ricordata che passavi sempre davanti alla Cantoniera, col carro. E allora dicevo: “Dio mio, fate che sia vero, fate che sia quella!”. Perché non ero ancora sicura e tu non dicevi nulla. Hai voluto fare tutto come se io non ci fossi più». Michele aveva ripreso a sceglier le fave, e lacrimava in silenzio. Non solo le sceglieva, ma le contava anche, oziosamente, prendendone cinque per volta. Le rivoltava a una a una col pollice nel palmo della mano prima di gettarle nel sacco. Maddalena, anche lei ogni tanto si asciugava una lacrima con la cocca del fazzoletto. 1. acuta…disse] aspra e dispettosa. D •acuta (›aspra‹) e dispettosa, (←dispettosa.) /ma lo disse./ D1     2. che] che ›si era data [—]‹D     3-4. dei suoi…spontanea.] di tanti lunghi ragionamenti, l’era venuta spontanea alle labbra. D •dei suoi (›di tanti‹) lunghi •soliloqui, le venne (›ragionamenti, l’era venuta‹) spontanea alle labbra. D1 D2 dei suoi lunghi soliloqui, le venne alle labbra ||spontanea||. B     10. sul sacco e s’abbandonò] sul saccone e s’abbandonò senza freno D sul sacco (← saccone) e s’abbandonò ›senza freno‹ D1     22. sicura] sicura, D D1 D2 sicura B     24-25. e lacrimava…solo] in silenzio, tanto per far qualcosa, e non solo D /e lacrimava/ in silenzio. (← silenzio,) ›tanto per far qualcosa, e‹ Non (← non) solo D1     28. Maddalena, anche lei] Maddalena D Maddalena|,| /anche lei,/ D1 D2 Maddalena, anche lei B     

Michele Boschino

«È vero ch’è magrolina e alta?» «Sì, è magrolina, ma non tanto alta» rispose Michele. «Le ragazze che conoscevo le passavo tutte una per una, e dicevo: “Questa non può essere, per questa e questa ragione; e questa nemmeno; questa potrebbe essere, ma Dio voglia che non sia”. Così per tutte. A lei non ci pensavo. Tu invece eri tranquillo, e non te ne importava nulla». «Sì, ero tranquillo». «Ma dopo tutti i brutti pensieri che avevo fatto, anche se l’avevo vista una volta sola ero contenta lo stesso». Michele le disse come l’aveva conosciuta, come avesse sentito subito simpatia per quella forestiera che lo guardava di dietro la siepe, le disse come aveva indicato alle donne della Cantoniera la sorgente d’Orèsula quel giorno che aveva chiesto l’acqua per le ruote del carro; raccontò tutto, quasi per ripagare sua madre del lungo silenzio, tranne ciò ch’era avvenuto nel capanno, anzi parlò in modo d’allontanare ogni sospetto; ma la vecchia non lo ascoltava già più, e sospirava seguendo un suo pensiero. Pensava ad Angela. Forse non sarebbe stata una buona moglie anche Angela? Ora tutto era passato, dimenticato, eppure lei la rimpiangeva anche in quel momento. «Certo è sempre meglio prendere una del proprio paese» disse dopo un poco; ma subito aggiunse: «Non per altro: per le abitudini diverse. In ogni paese ci sono abitudini diverse e cambiarle è difficile. Da paese a paese cambia anche il modo di maneggiare lo staccio». «Non ci sarà niente di male se maneggia lo staccio a suo modo» disse Michele. «Sarà d’indole buona» disse Maddalena. Alcuni giorni dopo andarono a Monte Ulìa a seminar le fave, e passando davanti alla Cantoniera si fermarono sotto 15. carro;] carro, D D2 carro; (← carro,) D1     16. quasi…silenzio,] per appagare la curiosità di sua madre, D /quasi/ per •ripagare (›appagare la curiosità di‹) sua madre /del lungo silenzio,/ D1     18. sospetto] sospetto /›di quel fatto‹/ D1     21. Ora] ›Michele non ci pensò‹ Ora D     23. è] |è| (›era‹) D     24. poco;] poco, D D1 D2 poco; (← poco,) B     

97

5

10

15

20

25

30

98

GIUSEPPE DESSÌ

5

10

15

20

i pini. Severina si fece sulla porta, e vedendo che Michele era con sua madre corse dentro a chiamare Anna. Maddalena stette seduta sul carro e, secondo l’uso, lasciò che le due giovani s’avvicinassero. Allora scese e baciò prima Anna e poi Severina. «Se vuoi venire a Monte Ulìa» disse a Severina «oggi seminiamo le fave. E siccome speriamo di mangiarcele insieme, l’inverno che entra…» Il viso di Severina, solitamente pallido, s’era fatto di fiamma e gli occhi sembravano azzurri nel viso animato. Maddalena pensava, guardandoli, agli occhi di Angela, ch’erano scuri come gli occhi di tutte le donne di Sigalesa; occhi familiari, nei quali si potevano leggere i pensieri. Questi invece erano sconosciuti e spauriti; occhi di bambina spaurita, ma chi sa quali pensieri nascondevano. S’accorse, guardandoli, che non erano celesti, come le erano sembrati un momento prima, ma grigi. «Sono donne che sfioriscono presto» pensò. «Speriamo che diano buon frutto» disse Anna. Entrarono. Tutto era in ordine, nella stanza. C’era un buon odore di caffè, e i mattoni del pavimento annaffiati di fresco.

4-5. Anna e poi Severina] Severina e poi Anna D D1 D2 2Severina e poi 1 Anna B     16. come le erano] com’erano D come le erano (← com’erano) D1     20. stanza. C’era] stanza, come se l’aspettassero, c’era D D1 D2 stanza. (← stanza,) ›come se l’aspettassero,‹ C’era (← c’era) B

Michele Boschino

99

XII

A Sigalesa, come del resto in tutti i paesi del Centro, di Parte d’Ispi e del Gocèano, è costume che l’uomo che si sposa provveda alla casa, la donna alla biancheria e alle masserizie, il cui trasporto vien fatto con grande pompa con carri a buoi adorni di canne fresche; ed è una specie di corteo prenuziale.21 Tutto il paese sa quel che la sposa porta nella nuova casa. Di qui lo scrupolo con cui tutti, compresi i più poveri, s’attengono a certi usi, che variano del resto secondo la condizione degli sposi. Ma la roba di Severina stava comodamente in un canestro. Anna s’era messa a cucirle in gran fretta un paio di camicie, mentre lei per vincere la trepidazione dell’attesa continuava a badare ai lavori di casa senza concedersi un minuto di riposo. Dopo la visita di Maddalena alla Cantoniera, anche Anna e Raffaele erano andati a Sigalesa, e siccome Anna disse che sua madre era indisposta e non poteva muoversi da Mamusa per il momento, avevano deciso di affrettare le nozze il più possibile, 6. Gocèano,] Gocèano D D1 D2 B ≠ M2  ◆  l’uomo] l’uomo ›provveda alla casa‹ D     7. la donna] la donna ›alle masserizie‹ D     8. il cui trasporto vien] il trasporto delle quali viene D D1 D2 il ||cui|| trasporto ›delle quali‹ vien (← viene) B     9. con…ed è] e costituisce D /con carri a buoi adorni di canne fresche/ .ed è già (›e costituisce‹) D1 D2 con carri a buoi adorni di canne fresche|;| ed è ›già‹ B     12. certi usi] certe regole fisse D •certi usi (›acerte regole fisse bcerte norme‹) D1     13. secondo…Ma] a seconda delle diverse categorie di persone, dal salariato al ricco proprietario. Ma D a /secondo/ seconda delle •condizioni degli sposi. (›diverse categorie di persone, dal salariato al ricco proprietario.‹) Ma D1 D2 secondo la condizione (← a seconda delle condizioni) degli sposi. Ma B     15-16. lei…continuava] lei continuava D D1 D2 lei ||per vincere la trepidazione dell’attesa|| continuava B     17. riposo. Dopo] riposo, e così vinceva la trepidazione di quei giorni d’attesa. Dopo D D1 D2 riposo›, e così vinceva la trepidazione di quei giorni d’attesa‹. Dopo B     18. Cantoniera,] |Cantoniera| (›Cantoniera‹) D D1 D2 Cantoniera|,| B     19. e siccome Anna disse] e siccome ›la madre di‹ Anna ›e di Severina era stata‹ disse D     21. avevano deciso] |avevano deciso| (›tutti furono‹) D      21

In D D1 D2 il capitolo è numerato IX.

5

10

15

20

100

5

10

15

20

25

GIUSEPPE DESSÌ

ed erano andati dal prete per le pubblicazioni. Michele, visto che sua madre era del parere di Anna, lasciava fare alle donne e aspettava pazientemente il giorno delle nozze continuando a occuparsi dei suoi lavori. Già si facevano vivi con maggior cordialità nel saluto e nell’interesse premuroso che mostravano nell’informarsi della sposa quelli che presumibilmente sarebbero stati invitati alle nozze. È una cosa a cui tutti tengono come dovuta, amici e conoscenti. Con la stessa pazienza con cui squadra da sé le pietre per fabbricar la casa o impasta e fa seccare al sole i mattoni crudi, il contadino mette anche da parte gli scudi da spendere per la festa di nozze. In un solo giorno spende una somma che basterebbe a mantenere la nuova famiglia per buona parte dell’invernata; ma questa prodigalità lo ristora nella vita di stenti che continuamente conduce. A pensarci, pare strano che, dopo questa prodigalità che si direbbe l’inizio di una nuova era, più prospera e libera, possa riprendere senza fatica la vita parsimoniosa e lenta di prima. Molto per tempo il contadino si chiude nell’idea della casa che deve costruire o che sta costruendo o che ha già costruito, e aspetta la donna. Si chiude in questa idea come l’esquimese nella sua casa di ghiaccio. Non disperde neppure una caloria. Pone tra sé e gli altri l’egoismo legittimo dell’ape che fabbrica le cellette di cera e le riempie di miele. Le nozze poi risvegliano in lui una fierezza, un orgoglio che ha bisogno di un riconoscimento, sia pure momentaneo.22

1. ed erano andati] e andarono D ed (← e) •erano andati (›andarono‹) D1     3. e aspettava] e ›si rimetteva a loro [—]‹ aspettava D     8-9. conoscenti. Con] conoscenti, e a cui neppure i più poveri vorrebbero sottrarsi. Con D D1 D2 conoscenti›, e a cui neppure i più poveri vorrebbero sottrarsi‹. Con B     9. cui squadra] cui ognuno squadra D cui ›ognuno‹ squadra D1     11. il contadino mette] mette D /ognuno/ mette D1 D2 •il contadino (›ognuno‹) mette B     12. solo] solo D sol (← solo) D1 D2 B  ◆  spende] si spende D D1 D2 ›si‹ spende B     14. lo ristora] ristora il contadino D D1 D2 ||lo|| ristora ›il contadino‹ B      A pensarci, pare strano…sia pure momentaneo.] cfr. Appendice (Cap. XII).

22

Michele Boschino

Lo zio Teodoro, visto che le cose più importanti dovevano essere tralasciate, volle che almeno la festa riuscisse bene, e s’incaricò lui di far tutto secondo le regole. Mandò Caterina dai parenti, compresi Benedetto e Salvatore, dai compari e dalle comari di Maddalena e del povero Giuseppe, dagli amici, dai conoscenti, dai vicini di casa e di campagna. Un certo numero di queste persone doveva prender parte al pranzo di nozze, le altre solo al corteo nuziale e al ballo. Fu comprata una botte di vino per gli ospiti d’occasione, e ce n’era per mezzo paese. I testimoni dovevano essere Giovanni Battista Asara e Cosimo Aneris. Michele, che fin allora aveva lasciato fare, cercò di opporsi, ma gli saltarono addosso tutti: Cosimo Aneris era il più vecchio compare della buonanima Giuseppe, che gli aveva tenuto a battesimo un figlio, e non poteva esser lasciato da parte. Che ragione c’era di lasciarlo da parte? Tutti erano d’accordo con lo zio Teodoro, in questo, la zia Luisa, Maddalena e anche Anna. Così Michele dovette andare con lo zio a invitare Cosimo. Dal tempo della grassazione s’erano visti di rado, e, per quanto agli occhi della gente passassero per buoni amici, avevano sempre cercato di non incontrarsi, per quanto potevano.

2. almeno] per lo meno D •almeno (›per lo meno‹) D1     3. tutto] le cose D D1 D2 ||tutto|| (›le cose‹) B     4. dai] in casa di tutti D da (›in casa di‹) tutti D1 D2 ||dai|| (›da tutti‹) B  ◆  dai] i D dai (← i) D1     5. dalle] le D dalle (← le) D1  ◆  dagli] gli D dagli (← gli) D1     6. dai] i D dai (← i) D1  ◆  dai] i D dai (← i) D1     6-7. Un certo numero] |Un certo numero| (›una parte di queste persone‹) D     8. al corteo] al ›al ballo, ma tutti erano invitati per il corteo‹ corteo D     9-10. vino…paese.] vino, e ce n’era per mezzo paese. D vino, • per gli ospiti d’occasione, ›[—]‹ e ce n’era per tutto il paese. (›e ce n’era per mezzo paese.‹) D1 D2 vino (← vino,) per gli ospiti d’occasione, e ce n’era per mezzo paese. B     11. fin allora] fin’allora D D1 D2 B ≠ M2     14. buonanima Giuseppe] buonanima di Giuseppe D D1 D2 B ≠ M2     15-16. da parte. Che ragione…Tutti] da parte senza una buona ragione. ›Michele dovette andare‹ Tutti D •Che ragione c’era di lasciarlo da parte? (›da parte senza una buona ragione.‹) Tutti D1     20-21. amici…potevano.] amici, s’erano sempre evitati. D amici, •avevano sempre cercato di non incontrarsi, per quanto potevano. (›s’erano sempre evitati.‹) D1     

101

5

10

15

20

102

5

10

15

20

GIUSEPPE DESSÌ

Ognuno temeva il ricordo che l’altro conservava di quella notte lontana che doveva rimanere sepolta per sempre nella memoria. Non si vedevano con piacere. Anche Cosimo rimase meravigliato, quando lo zio Teodoro, con frasi fiorite adatte alla circostanza gli disse la ragione della loro visita; ma solo Michele s’accorse di questa meraviglia. Da parte sua, Cosimo, conoscendo le usanze, capì che Michele non aveva potuto far nulla per evitare la cosa, che aveva dovuto adattarsi, e fece lo stesso anche lui. «E così ti sposi» gli disse mettendogli una mano sulla spalla e scuotendo la testa come se dentro di sé disapprovasse quel fatto. «Ti auguro buona fortuna». Lo zio Teodoro prese a parlare animatamente facendo gli elogi della sposa e del paese della sposa; parlò in termini poetici dell’amore dei due giovani, della casa in mezzo alla pianura, dove la colomba s’era posata prima di spiccare il volo verso i boschi di Monte Grinu. Cosimo si limitava a sorridere ogni tanto, per cortesia, scuotendo la testa, come a significare che lui era ormai lontano da tutte quelle pazzie. In quegli ultimi anni, dopo lo spavento della Cantòria, s’era ingrassato ancora di più, tanto che non poteva più montare a cavallo e aveva dovuto comprare un calessino per andare 1-3. di quella…piacere.] di quella |notte| (›sera‹) ormai lontana nel tempo e che doveva rimanere sepolto per sempre nella memoria, e non si vedevano con piacere. D di quella notte ›ormai‹ lontana ›nel tempo e‹ che doveva rimanere sepolto per sempre nella memoria. Non (← memoria, e non) si vedevano con piacere. D1     4. quando] ›sentendo la ragione per cui erano andati da lui‹ quando D     6-7. Da parte…capì] Per suo conto Cosimo capì D •Da parte sua, (›Per suo conto‹) Cosimo, /conoscendo le usanze,/ capì D1     8. che aveva] ›e‹ che ›la cosa di‹ aveva D     9. adattarsi] adattarsi alle circostanze D adattarsi ›alle circostanze‹ D1  ◆  lo stesso] altrettanto D •lo stesso (›altrettanto‹) D1     11-12. come se…fortuna».] come se disapprovasse quel fatto. «Ti auguro fin d’ora buona fortuna». D come se disapprovasse quel fatto. «Ti auguro ›fin d’ora‹ buona fortuna». D2 come se /dentro di sé/ disapprovasse quel fatto. «Ti auguro ›fin d’ora‹ buona fortuna». D1     14. sposa] sposa, D D1 D2 sposa (← sposa,) B  ◆  sposa;] sposa, D D2 sposa; (← sposa,) D1     15. casa] |casa| (›Cantoniera‹) D     17. Cosimo si] Cosimo non gli badava, e si D Cosimo ›non gli badava, e‹ si D1     18. cortesia] compiacenza D D1 D2 ||cortesia|| (›compiacenza‹) B     20. Cantòria,] Cantòria D Cantòria, (← Cantòria) D1     21. poteva] potendo D poteva (← potendo) D1     22. cavallo e aveva] cavallo aveva D cavallo e aveva D1     

Michele Boschino

a sorvegliare i lavoranti in campagna. Le disgrazie che lo avevano colpito non avevano potere sulla sua grassezza; era una disgrazia anche quella. Un anno gli avevano incendiato l’aia, un altro, le vacche s’erano abbeverate a un acquitrino ed erano state colpite dalla moria; un’altra volta suo figlio Gavino era stato trovato in una siepe di fichidindia con le mani e i piedi legati come un capretto e il viso tagliato da una coltellata, dall’occhio al mento. Chi fosse stato a sfregiarlo così non s’era mai saputo; il ragazzo non aveva mai voluto parlare, tanto grande era stato il suo spavento e così terribili le minacce che gli avevan fatto. Era un ammonimento che davano a Cosimo, e solo lui sapeva da dove veniva – lui e Michele.23 «Ti auguro di aver più fortuna di me e di tuo padre» disse. «Eh! fortuna! fortuna! Vedrai che tutto andrà bene, per questo giovanotto» gridava allegramente lo zio Teodoro, a cui suonava male il replicarsi dell’augurio. «L’ha già avuta la fortuna, l’ha trovata alla Cantoniera di Matta Romana, lui!» «La fortuna» diceva Cosimo lentamente, senza rivolgersi né a Michele né al vecchio, ma quasi parlando per suo conto «è come la volpe. Bisogna prenderla nella sua stagione, perché conservi il pelo, se no il pelo se ne va nella concia. Noi la stagione della volpe la conosciamo, e il laccio lo mettiamo al tempo giusto. Ma la stagione della fortuna chi la conosce? Credi di averla in mano, e invece hai una pelle tignosa». «Bisogna aver pazienza» disse Michele. «La vita non la facciamo noi». «Se lo sapevo» disse lo zio Teodoro quando si fu tirato il portello dietro le spalle «non ci mettevo piede, nella tana di quel cinghiale. Hai visto che faccia da nozze! Mi ha fatto passar l’allegria».

17. suonava] cominciava a suonar D ›cominciava a‹ suonava (← suonar) D1     22. nella sua stagione] nella stagione sua D D1 D2 nella 2stagione 1sua B     25. fortuna] fortuna, D D1 D2 B ≠ M2      23

Le disgrazie che lo avevano…lui e Michele.] cfr. Appendice (Cap. XII).

103

5

10

15

20

25

30

104

GIUSEPPE DESSÌ

Per fargliela tornare ci volle la vernaccia di Giovanni Battista Asara. 5

10

15

20

25

30

Il giorno fissato per le nozze, lo zio Teodoro venne per tempo a casa di Michele; e mentre le donne, in attesa del corteo della sposa, preparavano il caffè in cucina, si sedette in cortile sotto la vite e cavata la zampogna di sotto la casacca cominciò a suonare. All’improvviso l’aria si riempì del ronzio armonioso di tutte le canne insieme, poi nel suono grave e uniforme del bordone serpeggiarono note lunghe e chiare, una cantilena tremula di molte voci. A quell’ora gli invitati cominciavano a uscire per andare in chiesa, le donne coi loro scialli a fiori, gli uomini con la camicia candida che veniva fuori a sbuffi dalla spaccatura delle maniche, unico segno di festa. Ma non ostante la confusione, fu una magra festa, a giudizio degli invitati e di quanti s’affacciavano alla porta per veder la sposa e bere un bicchier di vino alla sua salute. Dopo il pranzo, che, secondo il costume, si protrasse per alcune ore, la fisarmonica d’Anacleto s’aggiunse alla zampogna dello zio Teodoro, e cominciarono i balli. Anche Severina dovette ballare. Si sentiva girar la testa e temeva che la gente, accorgendosene, attribuisse il suo malessere a chi sa quali cause e ci fantasticasse su. Tre volte dovette aprire il ballo: la prima volta con lo sposo, la seconda con Cosimo Aneris, la terza con Giovanni Battista Asara; e in cuor suo, vedendo – siccome ballavano in cortile – il cielo nuvoloso, diceva: «Almeno piovesse! Santa Barbara mia, fate che piova!». Nella valle di Nadòria, si sentiva il brontolio lontano 12-13. gli invitati] |gli invitati| (›i compa‹) D     13. uscire per andare] uscire dalle loro case per andare D uscire ›dalle loro case‹ per andare D1     15. veniva fuori] usciva D •usciva (›ausciva b•veniva fuori‹) D1 •veniva fuori (›usciva‹) D2 veniva ||fuori|| (›quasi‹) B     17. confusione, fu] confusione di quella lunga giornata, fu D confusione ›di quella lunga giornata‹, fu D1     19. veder la sposa] vedere la sposa D veder (← vedere) •la (›ala bgli‹) sposa D1  ◆  sua] sua /›loro‹/ D1     21. la fisarmonica d’Anacleto] una fisarmonica D •la (›una‹) fisarmonica /d’Anacleto/ D1     22. Anche] |Anche| (›Si sen‹) D     24. accorgendosene] ›[—]‹ accorgendosene D     30. Nella] Infatti, nella D ›Infatti,‹ Nella (← nella) D1     

Michele Boschino

del tuono, e gli uomini, alzando la testa a guardare le nuvole, dicevano: «Ci vuole, quest’acqua! Vero Michele che ci vuole, quest’acqua?». Michele, che ballava serio e composto tenendo la mano di Barbara Asara, sorrideva senza rispondere nulla; e il pensiero della pioggia lo rallegrava e lo portava lontano dalla festa. Ballando cercava di non guardare Cosimo Aneris, che dopo aver fatto il giro d’obbligo era tornato a sedersi sul muricciuolo delle brocche accanto alla finestra con la larga cintura di cuoio slacciata sul ventre. Gli sembrava che la presenza di quell’uomo fosse di malaugurio, nella sua casa, in quel giorno, e attraverso l’impassibilità del viso grasso e triste di Cosimo gli pareva di sentire il rancore che quell’uomo doveva nutrire per lui, ch’era stato risparmiato dalla sorte. Dalla sorte o dagli uomini? Perché non avevano lasciato tranquillo anche Cosimo come avevano lasciato tranquillo lui? Tante volte Michele, quel giorno, si era fatto questa domanda; ed ecco che finalmente la risposta gli era venuta. Non l’avevano molestato per via di Giovanni, perché suo cugino Giovanni era della banda, anche se si eran dovuti sbarazzare di lui; e così anche Michele si poteva dire che appartenesse alla banda. Eppoi la fine di Giovanni era stato un ammonimento abbastanza forte. Egli scacciò subito questo pensiero. Era contento, e non voleva che nulla potesse turbare la sua gioia; né il chiasso della festa, né la gente, né la presenza di Cosimo. Tante volte Severina, quando andava da lui a Monte Ulìa, vedendolo assorto in se stesso, gli aveva chiesto perché era triste; ma lui non era triste: era contento, anche se non sapeva comunicarla a lei, la sua gioia. Perché era contento, non lo sapeva neppure lui. Si sentiva bene dentro. Il benessere che sentiva prima

2. vuole,] vuole D vuole, (← vuole) D1     3. vuole,] vuole D D1 D2 vuole, (← vuole) B     8. sul] |sul| (›sotto il‹) D     9. ventre] ventre ›e il viso impassibile‹ D     22. era stato] doveva essere stato D D1 D2 ||era|| (›doveva essere‹) stato B  ◆  Egli] Ma il giovane D •Egli (›Ma il giovane‹) D1     24. gioia;] gioia, D D2 gioia; (← gioia,) D1     26. vedendolo] ›gli aveva chiesto per‹ vedendolo D     29. contento,] contento D contento|,| D1     

105

5

10

15

20

25

30

106

GIUSEPPE DESSÌ

intorno a sé, nell’aria, nel grano, negli alberi, lo penetrava, se lo sentiva rinascere proprio dal di dentro. Se ci pensava, attribuiva la sua contentezza a qualcosa che gli riusciva bene – di solito piccole cose senza importanza – o la pren5 deva come un augurio di buona riuscita per qualche cosa che si era proposto di fare o che, in quel momento stesso, si proponeva di fare. Occupava così la sua contentezza, che altrimenti restava sospesa in aria, senza ragione e senza scopo. Non sospettava quali origini avesse quel sentimen10 to, che egli sentiva subito il bisogno di limitare, di unire a fatti e oggetti vicini, noti. Come ora egli univa, ballando, la sua gioia al pensiero che tra poco gli invitati se ne sarebbero andati e avrebbero lasciato la casa di nuovo vuota. Le nuvole, il brontolio del tuono, le folate di vento fresco che 15 spazzavano a tratti il cortile e i tetti, erano l’aspetto e la voce di questa gioia sconosciuta anche per lui. Era venuto anche lo zio Benedetto. S’era ficcato in cucina e aveva voluto arrostire lui gli agnelli e i porchetti. Michele vide con meraviglia che Maddalena lo lasciava fare e ri-

1-2. a sé…penetrava, se] a lui, lo pervadeva, se D a lui, /nell’aria, nel grano, negli alberi,/ lo •penetrava (›pervadeva‹), se D1 D2 a ||sé|| (›lui‹), nell’aria, nel grano, negli alberi, lo penetrava, se B     7. fare. Occupava] fare, occupando D fare. Occupava (← fare, occupando) D1     8-9. restava…Non] restava così, come sospesa in aria. E non D restava ›così, come‹ sospesa in aria, (←aria.) /senza ragione e senza scopo/. Non (← E non) D1     10-11. il bisogno…fatti] il bisogno ›di fissare‹ di limitare, di ›fissare a qualcosa di vicino, di visibile‹ fissare a fatti D il bisogno di limitare, di •unire (›fissare‹) a fatti D1     11. Come ora egli univa] ›Un religioso timore gl’impediva di pensare in astratto alla vita.‹ Perciò egli applicava D Perciò egli •univa (›applicava‹) D1 D2 ||Come ora|| (›Perciò‹) egli univa B     13. vuota] vuota, o al pensiero della pioggia. D vuota, (← vuota,) ›o al pensiero della pioggia.‹ D1     15. spazzavano] spazzava D spazzava|no| D1  ◆  e i tetti, erano] ›e i tetti, erano‹ erano D •e i tetti, (›e i tetti, erano‹) erano D1     17. Era] ›Lo zio Benedetto era stata la sola persona veramente allegra della compagnia. S’era ficcato in cucina, aveva‹ Era D     18-19. porchetti. Michele] porchetti; e Michele D porchetti. Michele (← porchetti; e Michele) D1     

Michele Boschino

spondeva scherzando alle sue battute spiritose. Certamente c’erano state altre feste di famiglia alle quali Maddalena e Benedetto avevano preso parte, in gioventù; forse, in altri tempi, tutti erano stati così d’accordo, e ora i due vecchi avevano ripreso a scherzare come a quei tempi lontani, come se nulla fosse stato. “E neanche lui non sa niente di me e di Cosimo” pensava Michele. “E io non gli dirò mai nulla, mai. Lui può dimenticarsi di suo figlio; io non potrò dimenticarmene mai”. A un tratto le ginocchia di Severina si piegarono, e Giovanni Battista Asara fece appena a tempo a sorreggerla. I balli cessarono subito. Fu portata in casa dalle donne; poi, quando la zia Luisa disse che non era niente di grave, gli invitati cominciarono a sfollare. Rimasero solo la zia Luisa, lo zio Teodoro e i parenti di Severina; poi anche loro se n’andarono, ch’era già notte e piovigginava. Le voci delle donne facevano uno strano effetto a Michele, nel buio. Gli pareva di udire la voce di Severina moltiplicata su bocche diverse, perché quelle donne venute da Mamusa avevano tutte la stessa cadenza un po’ strascicata. Gli pareva di sentir Severina che salutasse dalla carretta; mentre invece lei se ne stava silenziosa accanto a lui e salutava con la mano, come se quelle, nel buio, potessero vederla. Poi gridò: «Addio Stefania, addio Greca, addio Rosaria!… Salutatemi tutti!…». Allora Michele s’accorse come la voce di lei fosse diversa dalla voce di tutte quelle altre donne, e anche questo gli diede gioia. 1-5. Certamente…ripreso] forse, in altri tempi, tutti erano stati così d’accordo, e c’erano state altre feste di famiglia alle quali Maddalena e Benedetto avevano preso parte, in gioventù; e ora avevano ripreso D 2forse, in altri tempi, tutti erano stati così d’accordo, 1›e‹ /Certamente/ c’erano state altre feste di famiglia alle quali Maddalena e Benedetto avevano preso parte, in gioventù; 3e ora ||i due vecchi|| avevano ripreso D1     6. non sa] sa D /non/sa D1     8. può] |può| (›pot‹) D     12. subito. Fu] subito, e fu D subito. Fu (← subito, e fu) D1     13. che…gli] che non si trattava che di un malessere passeggero, gli D che •non era niente di grave (›non si trattava che di un malessere passeggero‹), gli D1     19-20. avevano tutte] parlavano avevano D ›parlavano‹ avevano /tutte/ D1     21. carretta;] carretta, D D2 carretta; (← carretta,) D1     25. la voce] la ›sua‹ voce D     26. dalla voce] da quella D •dalla voce (›da quella‹) D1

107

5

10

15

20

25

108

GIUSEPPE DESSÌ

XIII

5

10

15

20

25

Quando, dopo le nozze, Maddalena non seppe resistere alla tentazione di riferirgli certe chiacchiere che la gente aveva fatto sul matrimonio, Michele, invece di adirarsene, come sua madre s’aspettava, disse che non gliene importava nulla.24 Dicevano che s’era sposato come un vedovo, che Severina era povera e lui poteva aspirare a qualcosa di meglio, che non valeva la pena di andare a cercare tanto lontano una ragazza come Severina quando in paese ce n’erano tante dieci volte meglio. La gente poteva dire quel che voleva: cosa ne sapeva di Severina? Ciò ch’era avvenuto tra lui e Severina nel capanno di Monte Ulìa, lo sapevano solo lui e Severina. La gioia che lui ne aveva avuto, forse non l’aveva indovinata neppure lei, poveretta, che aveva fatto tanti pianti di nascosto, in casa della sorella. Nessuno poteva penetrare nella sua vita; avrebbero finito per tacere. Che poi la gente dicesse che Severina non era bella, non gli dispiaceva. Severina era diversa dalle donne di Sigalesa. Non era come tante altre sulle quali anche a lui era capitato di metter gli occhi con desiderio; tante, delle quali i giovani parlavano tra loro. Era contento che quelli di Sigalesa avessero visto Severina soltanto allora e non l’avessero trovata bella. Se5. Quando] ›Come accade alle persone che si trovano all’improvviso in una condizione nuova, Severina fantasticava per suo conto anche quand’era in compagnia. Le piacevano certi lavori quieti, come mondare il grano e fare la farina, e /le tornavano in mente/ le canticchiava a mezza voce [—] le nenie con le quali ninnava i bambini di sua sorella, e le cantava a mezza voce‹ Quando D     7. sul] sul suo D D2 sul ›suo‹ D1     16. Severina. La gioia che lui] Severina; e la gioia che D Severina. La (← Severina; e la) gioia che /lui/ D1     17-18. che aveva…nascosto,] che |piangeva| (›s’era messa a piangere‹) di nascosto D che •aveva fatto tanti pianti (›piangeva‹) di nascosto|,| D1     19. avrebbero] e avrebbero D ›e‹ avrebbero D1     20. dispiaceva] poteva dispiacere D dispiaceva (← poteva dispiacere) D1     2324. desiderio…Era] desiderio, e i giovani ne parlavano tra loro. Lui era D desiderio; (← desiderio,) •tante delle quali (›e i‹) giovani ›ne‹ parlavano tra loro. Era (← Lui era) D1      24

In D D1 D2 il capitolo è numerato X.

Michele Boschino

verina era come il campo di Monte Ulìa: prima che lui lo diveltasse con l’aratro nessuno ne dava un soldo. Lui solo ne conosceva i segreti e i pregi. Era contento di lei, anche se la vedeva un po’ smarrita, ora, nella nuova casa. Severina passava la maggior parte del tempo sola in casa con Maddalena, tranne quando Michele la portava con sé a Monte Ulìa, o quando venivano, la sera, la zia Luisa e Aurelia. Parlava poco, le piacevano i lavori quieti. E come tutte le persone che si trovano all’improvviso in una condizione nuova, fantasticava per suo conto. Tutto per lei era mutato nel volgere di poche settimane, e faceva fatica a rendersene conto. Fin allora non aveva mai avuto desideri e bisogni suoi propri, dimenticandosi tutta nelle urgenti necessità della casa allo stesso modo di Anna. Da quando Anna aveva avuto il secondo bambino, era stata sempre con lei, aveva patito le sue gravidanze, i suoi parti, i suoi puerperii.25 Aveva adeguato la sua vita a quella di Anna e dei bambini che venivano su; e i sentimenti materni suscitati in lei da questa dedizione erano più assoluti di quelli della sorella non essendo nati dai patimenti del corpo, che insegnano la moderazione e la sapienza della natura, ma dall’istinto più vergine e profondo del suo essere. Nel suo animo non c’era posto per altro, oltre quest’amore che la soggiogava, che guidava tutti i suoi pensieri e annullava la sua fatica. Dall’alba al tramonto era in faccende; tutti i lavori più pesanti della casa erano i suoi, e in mezzo a tutte queste fatiche trovava il tempo di stare con i bambini, di giuocare con loro. A se

1-2. lo diventasse] l’avesse diveltato D D1 D2 ||lo diveltasse|| (›l’avesse diveltato‹) B     2. dava] avrebbe dato D D1 D2 ||dava|| (›avrebbe dato‹) B     7. la portava con sé] la menava seco D la •portava (›menava seco‹) D1 D2 la portava ||con sé|| B     9. quieti. E] quieti, e D quieti. E (← quieti, e) D1     11. Tutto per lei] Tutto|,| per lei|,| D1 D2     13. Fin allora] Fin’allora D D1 D2 B M2     14. suoi propri] veri e propri D D1 D2 ||suoi|| (›averi e b||veri e||‹) propri B     16. secondo] primo D D1 D2 ||secondo|| (›primo‹) B     19. suscitati] •suscitati (›nati‹) D      25

In IL si legge: «puerperi».

109

5

10

15

20

25

110

5

10

15

20

25

30

GIUSEPPE DESSÌ

stessa pensava solo di rado e vagamente; quand’ecco che era entrato nella sua vita Michele. Se anche, prima d’allora, aveva pensato qualche volta che anche lei un giorno si sarebbe sposata e avrebbe lasciato la casa della sorella, poneva tutto questo in un avvenire lontano, indeterminato. E invece ecco ch’era sopraggiunta quell’improvvisa stanchezza, quel bisogno d’abbandono. Anna se n’era accorta anche prima di lei, e ci aveva scherzato su, dapprincipio, poi era diventata aspra, aveva preso a rimproverarla per delle cose da nulla, a tempestarla di domande strane a cui lei non sapeva rispondere. Un giorno, ch’era stata come al solito a Monte Ulìa per l’acqua, le aveva tolto dai capelli un rametto secco, gliel’aveva messo sotto il naso sul palmo della mano. Severina aveva capito il significato di quel gesto solo più tardi, quando Michele l’aveva presa nel capanno. Allora aveva desiderato ardentemente di andar via, di lasciare la casa di sua sorella, di tornarsene da sua madre, a Mamusa. Ed ecco che invece si trovava in una casa nuova, estranea, quasi senza sapere come. Tutto s’era risolto per il meglio. Tra i quattordici e i quindici anni era stata a servire in casa di un possidente di Mamusa. Era una casa ricca, piena di roba e di gente. C’erano molti servi e molto lavoro. La sera si radunavano tutti in cucina, e stabilivano tutti d’accordo, padroni e servi, quel che si doveva fare il giorno dopo. I nomi dei poderi, delle vigne, degli orti, delle località dov’erano i terreni da semina ricorrevano di continuo nei loro discorsi, e i servi, parlando della roba del padrone, dicevano anche loro, la nostra vigna, il nostro oliveto, il nostro orto, le nostre vacche. Il mandriano, il pastore, il porcaro, i compartecipanti dell’aia, delle vigne e degli orti eran tenuti in considerazione come se facessero parte della famiglia e 1-2. vagamente…era] vagamente, quand’era D vagamente; quand’ecco che era (← vagamente, quand’era) D1     7. d’abbandono] |d’abbandono| (›d’abbandonarsi‹) D     10. a tempestarla] ›Un giorno le‹ a tempestarla D     10-11. sapeva rispondere] sapeva neppure rispondere. Un giorno D sapeva ›neppure‹ rispondere. Un giorno|,| D1     14. aveva capito] •aveva capito (›capì‹) D     19. come. Tutto] come; e tutto D come. Tutto (← come; e tutto) D1     25. dei poderi] dei diversi poderi D dei ›diversi‹ poderi D1     28. oliveto] uliveto D D1 D2 oliveto (← uliveto) B     31. facessero] |facessero| (›fossero‹) D     

Michele Boschino

avevano sotto di sé i servi più giovani e i braccianti che lavoravano a giornata; ma tutti indistintamente dicevano, come loro, il nostro orto, la nostra vigna, le nostre vacche. A tutti pareva così di godere, per quanto potevano, del benessere della famiglia. Ma a lei, quel dover dire il nostro parlando della roba dei padroni faceva tristezza. Era la nostalgia della sua casa, della mamma, delle sorelle (era ancora al mondo Carmela, allora), delle lunghe serate d’inverno passate col padre nella piccola cucina, intorno al focolare, del cortile, dove ogni tanto una di loro (a turno e disputandosi il diritto di restar seduta per non perdere il filo del racconto del padre) doveva andare a prendere una bracciata di legna o un ciocco d’aggiungere al fuoco. Tutto ciò che fin allora26 aveva chiamato nostro era unito alle persone care che, la sera, sedevano accanto al fuoco nella cucina di casa sua. Erano le brocche allineate sul muretto fuori della porta, gli sgabelli di ferula fabbricati da suo padre, le conche dove impastavano il pane o i dolci che poi, la domenica, andavano a vendere ad Acquapiana, a San Silvano, a Gaia, la pala del forno, le ceste per la farina, il mortaio, la bilancia, tutti quegli oggetti che servono ora per ora alla vita, che si possono anche prestare e ritornano a casa con quei loro segni che li fanno riconoscibili come persone. Nostro era il telaio, piantato sotto il portico, vecchio e liscio come un banco di chiesa. In quel mezzo anno che aveva passato fuori di casa a servire, s’era sviluppato in lei, dalla sua tristezza, quel senso geloso della proprietà che è così forte nella gente povera costretta a vivere in mezzo all’abbondanza in case estranee. 2. giornata;] giornata, D giornata; (← giornata,) D1     9. intorno al focolare] |intorno al focolare| (›accanto al fuoco‹) D     10. ogni tanto una di loro] ogni tanto D D1 D2 ogni tanto ||una di loro|| B  ◆  disputandosi] disputandosi con le sorelle D D1 D2 disputandosi ›con le sorelle‹ B     11. del racconto] dei racconti D D1 D2 M ||del racconto|| (›dei racconti‹) B     12. doveva] bisognava D D1 D2 ||doveva|| (›bisognava‹) B     21. quegli] quelli D D1 D2 ||quegli|| (›quelli‹) B     24. un banco] i banchi di chiesa D D2 i banchi •della (›di‹) chiesa D1 ||un banco|| (›i banchi‹) di chiesa B     28. costretta] costretti D D1 D2 costretta (← costretti) B  ◆  in] di D D1 D2 ||in|| (›di‹) B      26

In IL si legge: «Fin allora».

111

5

10

15

20

25

112

5

10

15

20

25

30

GIUSEPPE DESSÌ

E ora, in casa del marito, dove tutto doveva essere veramente anche suo, le rinasceva lo stesso senso di mortificata soggezione; e pensava a Mamusa e alla casa di sua madre, come allora. Anche qui, come in casa del possidente, le sue mani ricusavano d’assuefarsi agli oggetti che toccavano, il suo occhio agli oggetti sui quali continuamente si posava. Tutto era vecchio, consunto, levigato dal contatto di altre mani. Non era tristezza, la sua, e forse neppure nostalgia, ma una specie di stupore che arrestava improvvisamente i gesti più consueti, come se risorgesse in lei sempre la stessa domanda: “Dove sono? perché sono qui?”. Quasi ogni giorno Michele partiva all’alba e tornava dopo il tramonto. Andava a Monte Ulìa, a Spinàlva, oppure a caricar legna e carbone in foresta per conto dei Toscani. Qualche volta portava a Monte Ulìa Severina, una volta ogni quindici giorni passavano dalla Cantoniera a prendere Anna e i bambini; e le donne andavano a fare il bucato in un torrente che scorreva, in quella stagione, sotto Orèsula, mentre Michele lavorava nel mandorleto. All’ora del pranzo Severina mandava i bambini a chiamarlo e mangiavano tutti assieme vicino all’acqua. I bambini giuocavano tutto il giorno in mezzo agli oleandri, andavano a funghi nel bosco, e la sera arrivava sempre troppo presto per tutti. A casa invece le giornate non avevano mai fine.27 Se il filo delle sue fantasticherie si rompeva, un senso di solitudine mai provato prima la gelava. Le più piccole cose l’angustiavano, come più tardi, quando si trovò incinta, certi odori o il sapore di certi cibi le davano nausea. Come una donna incinta, aveva trasalimenti improvvisi. Il mestolo di castagno col quale separava la crusca dal tritello, si faceva pesante, all’improvviso, di pietra; il setaccio, che fino a quel momen-

1. E] Ed D D1 D2 ||E|| (›Ed‹) B     7. vecchio,] vecchio D D1 D2 vecchio|,| B     10. risorgesse in lei sempre] risorgesse sempre in lei D risorgesse ›sempre‹ in lei /sempre/ D1     14. e] o D D1 D2 ||e|| (›o‹) B     25. rompeva,] rompeva D rompeva|,| D1     30. separava] |separava| (›radunava il tri‹) D     31. di pietra;] come se fosse di pietra; D ›come se fosse‹ di pietra; D1      27 Qualche volta portava…non avevano mai fine.] cfr. Appendice (Cap. XIII).

Michele Boschino

to aveva frullato come una trottola al tocco leggero e abile delle sue dita scorrendo e treppicando sugli staggi levigati, perdeva il suo ritmo. Allora, per non farsi vedere a piangere scioccamente – ché lei stessa non avrebbe saputo dirne la ragione, se Maddalena gliel’avesse chiesta – s’allontanava con una scusa, andava in cortile a versarsi una ciotola d’acqua fresca dalla brocca, oppure saliva in camera da letto, apriva la cassapanca, ne toglieva la biancheria, la riponeva con cura, raddrizzava le coperte del letto. E così l’angoscia passava. In questa camera da letto c’era una piccola finestra dalla quale si vedeva il campanile della chiesa. Dietro, Monte Grinu coi suoi castagneti già spogli e i boschi di querce, sempre uguali in ogni stagione. Accanto e dietro a quello, altri monti di cui non sapeva il nome. L’occhio distingueva chiaramente tra i rami nudi dei castagni, le strade che salivano con ampie curve verso i boschi di querce dove sparivano e l’intrico minuto dei sentieri. Se lo sguardo distratto si fermava in un punto, ecco che si scoprivano, proprio là dove il nudo bosco sembrava già immerso nella deserta quiete dell’inverno, piccole truppe di donne e di ragazzi che salivano in fila o scendevano sparsi facendo rotolare i fasci

4. dirne] dir D dir|ne| D1     5. gliel’avesse chiesta] gliela chiedeva D • gliel’avesse chiesta (›gliela chiedeva‹) D1     8-9. la riponeva con cura] la rimetteva ›in‹ a posto con cura D la •riponeva (›a posto‹) con cura D1     9-10. letto…passava.] letto; e spesso l’angoscia passava senza lacrime. D letto. E spesso (← letto; e spesso) l’angoscia passava senza lacrime. D1 D2 letto. ||E così l’angoscia passava.|| (›E spesso l’angoscia passava senza lacrime.‹) B     11. camera da letto] camera D camera /da letto/ D1     12. chiesa. Dietro,] chiesa, e, dietro, D D1 D2 chiesa. Dietro, (← chiesa, e, dietro,) B     13. e i boschi] e più sopra i boschi D e|,| più sopra|,| i boschi D1 D2 e›, più sopra,‹ i boschi B  ◆  querce] quercie D D1 D2 B ≠ M2     15. di cui] di cui lei D di cui ›lei‹ D1     16. castagni,] castagni D D1 D2 castagni|,| B     17-18. querce dove sparivano e] querce, dove sparivano, D D1 D2 querce dove sparivano e (← querce, dove sparivano,) B     18-19. Se lo…che si] Al persistere dello sguardo, che non cercava nulla, si D D1 D2 ||Se lo sguardo distratto si fermava in un punto, ecco che|| (›Al persistere dello sguardo, che non cercava nulla, si‹) si B     

113

5

10

15

20

114

5

10

15

20

25

GIUSEPPE DESSÌ

di legna da albero a albero. Sparivano, riapparivano su, nei canaloni pietrosi più vicini alla cima, come insetti nel vello d’una bestia addormentata. Si levava qua e là il fumo di qualche fuoco e restava sospeso tra balza e balza. Severina, che era vissuta sempre in un paese di pianura, si meravigliava a vedere quelle montagne così vicine, animate e silenziose. L’angoscia si scioglieva, s’addolciva in un senso vago di rimorso. Rimorso di che? Rimorso d’aver lasciato Anna nella casa sperduta in mezzo alla pianura malarica, con quei bambini da tirar su, con tutta quella roba da lavare? rimorso di non avere rivisto sua madre da tanto tempo? rimorso per la gioia che le dava quel paese nuovo? Il suo vecchio paese, la sua pianura tornava a viverle nella memoria; bastava che ci pensasse un poco perché tutta la vita trascorsa laggiù si animasse come quelle montagne che dalla Cantoniera apparivano uniformi e deserte. Di tante persone dimenticate ricordava il viso, la voce, come se le vedesse e le sentisse parlare. E Michele era l’unica persona presente e reale che vivesse anche tra quei ricordi lontani. Qualche volta fantasticava di essere con lui a Mamusa, in casa di sua madre, e dire a sua madre quanto fosse felice del suo nuovo stato. Solo così anzi riusciva a sentire Michele distintamente, ponendolo fuori dal confuso presente. Benché ogni sera egli tornasse a casa, Severina pensava a lui come si pensa a una persona lontana. Ma bastava un ago appuntato al capoletto, un ago che, con la gugliata bianca, le facesse pensare alla 1. da albero a albero.] da ›un‹ albero |ad albero| (›all’altro‹). D D1 D2 da albero ||a|| (›ad‹) albero. B  ◆  Sparivano, riapparivano su,] Apparivano e sparivano su, D •Sparivano, riapparivano su, (›Apparivano e sparivano su,‹) D1     5. che era] ch’era D D1 D2 B ≠ M2  ◆  in un paese di pianura] in pianura D D1 D2 in ||un paese di|| pianura B     6. a] di D a (← di) D1     10. lavare?] lavare D D1 D2 lavare|?| B     11. tempo?] tempo D D1 D2 tempo|?| B     12. nuovo?] nuovo D D1 D2 nuovo |?| B     12-13. paese, la sua] paese di pianura D D1 D2 paese|,| ||la sua|| (›di pianura‹) B     14-15. la vita… animasse] la sua vita si animasse, D D1 D2 la ›sua‹ vita ||trascorsa laggiù|| si animasse›,‹ B     15. montagne…Cantoniera] montagne, che da lontano D montagne, che •dalla Cantoniera (›da lontano‹) D1 D2 montagne›,‹ che dalla Cantoniera B     18. E Michele] E ›anche‹ Michele D     19. vivesse anche tra] vivesse tra D vivesse /anche/ tra D1     21. dire] diceva D •dire (›diceva‹) D1     23. dal confuso] dalla confusione D dal confuso (← dalla confusione) D1     

Michele Boschino

camicia che aveva rammendato il giorno prima, bastava la roncola lasciata da Michele dietro la porta di cucina, o il solco della ruota del carro vicino al cancello nella sabbia del cortile, perché tutto il suo essere balzasse e fosse pieno di lui. Non lo vedeva né lo pensava distintamente, come quando faceva di lui un abitante di Mamusa; lo sentiva come sentiva l’aria sottile della montagna.28 Allora quella casa, che un momento prima l’era sembrata estranea, era anch’essa tutta piena di lui. E il suo sangue, al ricordo di una gioia acuta, intensa, e al tempo stesso lontanissima, scorreva vivace, e tutti gli oggetti che toccava erano vivi nelle sue mani, animati dalla forza del suo sangue. Meno d’ogni altro avrebbe saputo dire da che cosa nasceva questa gioia, che viveva, come la sua angoscia, nelle cose che la circondavano. Anche l’acqua di Sigalesa le dava gioia, quell’acqua cristallina e leggera come aria, che lei beveva avidamente. Non avrebbe saputo dire perché quei monti, quei boschi, lo stormire del vento a lunghe ondate, quando il paese dormiva, le dessero quel turbamento di gioia. Pensava che forse era la vita più riposata, a farla star bene, e l’acqua buona, l’aria salubre, il cibo abbondante e nutriente. E se ne vergognava. Era una gioia di cui gli altri non potevano accorgersi, a volte offuscata, a volte più viva, come una stagione al suo inizio, quando non è ancora del tutto passata quella che l’ha preceduta. Di fuori si manifestava appena in una maggior floridezza, che solo Anna notava, quando s’incontravano, e a cui Michele s’assuefaceva senza farci caso. Era un sentimento della carne, profondo e solitario. Lei stessa forse non sentiva la sua gioia intera e compiuta se non quando s’abbandonava a Michele. Allora la sua gioia continuava nel sonno. Al mattino, quando, nel dormiveglia, non lo sentiva più accanto 10. intensa,] intensa D intensa|,| D1  ◆  lontanissima, scorreva] lontanissima ›si animava‹ scorreva D lontanissima|,| scorreva D1     16. che lei beveva] e lei la beveva D che lei (← e lei la) beveva D1     19-20. era…riposata,] la vita più riposata, ›l’acqua buona‹ D /era/ la vita più riposata, D1     20. e l’acqua] e insieme l’acqua D e ›insieme‹ l’acqua D1     30. Michele. Allora] Michele. ›E questo accadeva nel cuore della notte.‹ Allora D      28 Ma bastava un ago…l’aria sottile della montagna.] cfr. Appendice (Cap. XIII).

115

5

10

15

20

25

30

116

GIUSEPPE DESSÌ

a sé, e vedeva sull’impannata i riflessi della lanterna della stalla, s’avvolgeva in uno scialle e correva a raggiungerlo. Si svegliava nell’aria diaccia del mattino, si trovava improvvisamente sveglia in mezzo al cortile, nell’aria fredda che le 5 penetrava sotto i panni, e si vergognava. Allora si metteva a raccogliere la biancheria stesa la sera prima, e con la stessa avidità con cui beveva l’acqua, aspirava il vento che l’aveva asciugata al sereno.

1. e vedeva] •e (›svegliandosi‹) vedeva D     2. s’avvolgeva] ›e correva a raggiungerlo‹ s’avvolgeva D     6. la sera prima] |la sera prima| (›ad asciugare‹) D     

Michele Boschino

117

XIV

Ogni volta che s’incontravano, Anna le faceva sempre la stessa domanda ansiosa.29 Ma della gravidanza che sua sorella aveva tenuto come certa prima del matrimonio ora nessun segno si manifestava. Anche la zia Luisa e Aurelia aspettavano di giorno in giorno; ma Severina era contenta di rispondere a tutti che non c’era nulla di nuovo, per il momento, sentendosi riscattata, in certo senso, dai fastidiosi sospetti dei maligni. «Meglio così» diceva la zia Luisa. «Meglio così. Ora riposati. Quando comincerai, non la finirai più di far figliuoli. Guarda Aurelia! Uno all’anno!» Aurelia, che aveva tre bambini, presso a poco della stessa età di quelli di Anna, ed era di nuovo incinta, a questi discorsi della madre arrossiva, e scuotendo la testa diceva: «Lasciate che vengano, se il Signore li manda». Da quando c’era Severina, le due donne andavano più spesso in casa di Maddalena, e così passavano interi pomeriggi a lavorare tutte assieme nella stanza del telaio. A Severina piaceva ascoltarle parlare, benché non capisse ancora bene il loro dialetto e ogni tanto dovesse, per giunta, chiedere spiegazioni sulle persone che

6. della] la D D1 D2 ||della|| (›la‹) B     6-7. che…certa] che ›aveva in‹ Anna aveva tenuto come cosa certa D che •sua sorella (›Anna‹) aveva tenuto come cosa certa D1 D2 che sua sorella aveva tenuto come ›cosa‹ certa B     7. matrimonio] matrimonio, D D1 D2 B ≠ M2     7-8. ora…manifestava.] ora si faceva desiderare D D1 D2 ora ||nessun segno si manifestava.|| (›si faceva desiderare‹) B     9. aspettavano…giorno;] s’interessavano della cosa D D1 D2 ||aspettavano di giorno in giorno|| (›s’interessavano della cosa‹); B     11. dai] da quei D D1 D2 ||dai|| (›da quei‹) B     12. sospetti dei maligni.] sospetti. D D1 D2 sospetti ||dei maligni||. B     13. comincerai,] comincerai D comincerai|,| D1     14-15. Aurelia, che] Aurelia D Aurelia|,| /che/ D1     16. incinta, a questi] incinta. Aurelia, a questi D incinta›. Aurelia‹, a questi D1     18-19. Da quando…andavano] |Da quando c’era ›in casa‹ Severina,| (›Dopo che Severina s’era‹) andavano D Da quando c’era Severina, /le due donne/ andavano D1     20. e così] e D e /così/ D1     23. dovesse, per giunta,] dovesse D dovesse|,| /per giunta,/ D1      29

In D D1 D2 il capitolo è numerato XI.

5

10

15

20

118

5

10

15

20

25

GIUSEPPE DESSÌ

nominavano. Dapprima faceva una gran confusione tra i parenti di Maddalena e quelli di Giuseppe, vale a dire tra i parenti buoni e i parenti cattivi. Se ne parlava molto, in quei giorni, perché anche lo zio Salvatore e suo figlio Amedeo avevano voluto far la pace con Michele. Maddalena, che di solito agucchiava in silenzio, quando il discorso cadeva sui parenti del marito si animava e raccontava per la millesima volta i torti che gli avevano fatto, e se la prendeva con la dabbenaggine di Michele che si lasciava adescare dalle loro parole false. Severina aveva sentito raccontare le stesse cose da Michele: erano gli stessi fatti e le stesse persone, eppure nel racconto di Maddalena tutto sembrava atroce e quasi incredibile. Le sembrava impossibile che avessero potuto infierire con tanto accanimento e senza nessuna ragione al mondo contro quell’uomo così mite e tranquillo, che ci potesse essere tanta perseveranza nel male, da una parte, e dall’altra tanta pazienza. Una volta cercò anche di difendere Michele spiegando che aveva fatto la pace con quei parenti perché, volendo acquistare un terreno a Nadòria, doveva stabilire con loro rapporti di buon vicinato. La suocera le saltò agli occhi inviperita: non era una sciocchezza anche questa? Perché andare a comprare un terreno proprio a Nadòria? Perché andarsi a mettere proprio nella tana di quelle volpi? Anche Aurelia diede ragione a Maddalena. Dopo la condanna, Giuseppe non aveva più voluto avvicinare i fratelli ed era sempre vissuto in pace: Michele avrebbe dovuto seguire l’esempio di suo padre e star lontano da quella gente. 6. il discorso cadeva] |il discorso cadeva| (›si parlava di‹) D     7. si animava] si animava anche lei D si animava ›anche lei‹ D1     13. Le] A lei D D1 D2 ||Le|| (›A lei‹) B  ◆  che avessero potuto] che si potesse D D1 D2 ||che avessero potuto|| (›che si potesse‹) B     15. quell’uomo] un uomo D D1 D2 quell’uomo (← un uomo) B  ◆  così mite e tranquillo] |così mite e tranquillo| (›che non aveva fatto nulla di male‹) D     17. tanta pazienza] |una pazienza, una remissione così incondizionate| (›tanta [—] pazienza e remissione‹) D D1 D2 ||tanta pazienza|| (›una pazienza, una remissione così incondizionate‹) B     18. spiegando] dicendo D D1 D2 ||spiegando|| (›dicendo‹) B     19. volendo] dovendo D D1 D2 ||volendo|| (›dovendo‹) B  ◆  doveva] voleva D D1 D2 ||doveva|| (›voleva‹) B     25. condanna,] condanna D condanna|,| D1     

Michele Boschino

Il terreno che Michele voleva comprare a Nadòria apparteneva a una vedova che, non potendolo mettere a vigna, lo affittava a pascolo per poco prezzo, e per poco lo avrebbe venduto. Michele ne aveva parlato a lungo con Severina, non attentandosi di parlarne con sua madre, e le aveva detto anche l’unico inconveniente a cui s’andava incontro, con quell’acquisto. Nel catasto, una piccola parte di quel terreno era stata intestata, per errore, a quanto pareva, allo zio Salvatore, il quale pagava le tasse a ogni scadenza e si faceva poi rimborsare dalla vedova. Michele aveva fatto la pace con lo zio anche per mettersi d’accordo con lui sull’affare del terreno. Ma siccome Maddalena non sapeva nulla di tutto questo, Severina si limitò a ripetere una frase che Michele diceva spesso quando si parlava dei torti subiti dal padre, che erano cose lontane e che non bisognava pensarci più, se si voleva vivere in pace con tutti. «In pace con tutti!» disse Maddalena. «Io che me ne andrò sì che starò in pace. Ma voi resterete. Altro che pace! Non si può vivere in pace, con quella gente, mettetevelo in testa». Non avrebbe mai parlato d’altro, Maddalena, se la zia Luisa non avesse cercato, ogni tanto, di cambiare argomento. Mentre per Maddalena la famiglia di Severina sembrava non esistesse neppure, la zia le faceva sempre tante domande sui parenti, la faceva parlare di Mamusa, voleva sapere come si facevano certi dolci, una specie di sgonfiotti famosi in tutto il Campidano. Così Severina raccontò che sua madre faceva questi dolci per venderli, e non solo questi, ma anche la pasta reale, i savoiardi, e molti altri; e promise anche alla zia d’insegnarle come si facevano. 2. potendolo mettere] potendo metterlo (← potendolo mettere) D1     5. non…parlarne] non potendone parlare D non •attentandosi di (›potendone‹) parlarne (← parlare) D1     7. Nel] Sul D D1 D2 ||Nel|| (›Sul‹) B     14. spesso] spesso ›a propo‹ D     18. pace. Ma] pace, ma D pace. Ma (← pace, ma) D1     21. avrebbe] avrebbero D avrebbe (← avrebbero) D1  ◆  d’altro, Maddalena, se] d’altro, se D d’altro, /Maddalena,/ se D1     26. dolci,] dolci ›famosi‹ di Mamusa, D dolci ›di Mamusa‹, D1     29. anche] •anche (›molti altri, come‹) D     30. anche alla zia d’insegnarle] anche d’insegnarle D anche d’insegnare (← insegnarle) /alla zia/ D1 D2 anche 2d’insegnarle (← insegnare) 1alla zia B     

119

5

10

15

20

25

30

120

5

10

15

20

25

30

GIUSEPPE DESSÌ

«Ah! se lo sapesse mia madre che vi dico queste cose, non avrebbe più pace!» diceva ridendo. Sua madre non si serviva, per fare i dolci, dell’acqua che gli acquaioli vendevano per le strade di Mamusa a un soldo la brocca, e neppure dell’acqua delle cisterne – giacché a Mamusa non c’erano pozzi – ma dell’acqua di Nòrbio o di San Silvano, che prendevano quando andavano a vendere gli sgonfiotti, la domenica. Questo era il suo segreto. Nessuno l’aveva mai indovinato, e nessuno riusciva a fare gli sgonfiotti buoni come i suoi. Facevano ore e ore di strada tra i boschi. Andando non facevano nessuna fatica perché i dolci pesavano poco, ma al ritorno, con quei bidoni d’acqua nascosti nelle corbe! C’era da piangere per la stanchezza. In poco tempo la zia Luisa e Aurelia conoscevano Mamusa meglio di quanto Severina non conoscesse Sigalesa. Perché Severina usciva di rado, e solo in compagnia di Maddalena. L’acqua la prendevano da un pozzo vicino a casa e il grano lo portavano a macinare dalla zia Luisa, che aveva la mola in una stanza dietro la cucina. Tutto il giorno un piccolo ciuchino bendato girava intorno alla mola e macinava per tutti i parenti, che poi, in compenso, portavano alla zia uova frutta olio o le lasciavano una misura di farina. E la zia aveva la dispensa sempre piena. Una volta alla settimana Maddalena e Severina andavano anche loro dalla zia a portare il grano e poi a riprendersi la farina ancora calda. A Severina piaceva andare in casa della zia specie quando Maddalena aveva da fare e ce la lasciava andar sola. Sentiva che la zia l’accoglieva diversamente, quando arrivava sola, e anche Aurelia. Quando non c’era Maddalena si sentivano tutte e tre più libere, più allegre. E Severina pensava come 1. cose,] cose D D2 cose|,| D1     2. diceva ridendo.] diceva. D D1 D2 diceva |ridendo|. B     4. acquaioli vendevano] acquaioli ›di Norbio e di San Silvano vendevano a [—] un soldo la brocca‹ vendevano D     5-6. giacché a Mamusa] perché in paese D •giacché a Mamusa (›perché in paese‹) D1     8. gli sgonfiotti] |gli sgonfiotti| (›i biscotti‹) D     19. la…stanza] una mola D la (← una) mola /in una stanza/ D1     22. uova frutta olio o] uova, frutta, olio, ›e anche‹ o D D1 D2 uova frutta olio (← uova, frutta, olio,) o B     23. alla] la D D1 D2 B ≠ M2     24. anche loro dalla] in casa della D D1 D2 ||anche loro dalla|| (›in casa della‹) B     26. zia] zia, D D1 D2 B ≠ M2     27. e ce] e D e /ce/ D1     30. tutte e tre] tutte D tutte /e tre/ D1     

Michele Boschino

sarebbe stato bello avere una casa come quella, col pozzo nel cortile tutto coperto da un gran pergolato, e una grande cucina e la mola; ma in fondo non desiderava altro che una casa dove potesse vivere sola con Michele, senza Maddalena. A volte questo pensiero si faceva anche troppo chiaro nella sua mente, e allora lei lo respingeva, parendole di desiderare così qualche cosa d’illecito. Un giorno che era in casa della zia e cuciva, in attesa che il ciuchino avesse terminato di macinare il grano, fu presa, a un tratto, da una gioia intensa che le saliva di dentro come un calore benefico. Mai prima d’allora aveva provato un senso di gioia così calmo e così pieno. Era contenta, contenta di tutto, come se nulla mancasse alla sua vita. Se qualcuno l’avesse guardata, in quel momento, forse avrebbe potuto vedere nel suo viso il riflesso di questo sentimento incomunicabile. Pensava tutta assorta e accoglieva nella sua gioia tutto ciò che la circondava. La zia Luisa e Aurelia cucivano, la più piccola delle bambine dormiva su una stuoia di sala ai piedi della nonna, Caterina, la più grandicella, cuciva anche lei imitando sua madre, l’altra, Luisicca, staccava ogni tanto un boccone da una fetta di pane e un chicco da un grappolo d’uva passa, e sembrava assorta come una persona grande in qualche pensiero. Era uno di quei momenti di silenzio che passano sulle case e prendono tutti, vecchi e bambini. Sempre pervasa da quel vivo senso di gioia che l’era nato, Severina abbassò di nuovo la testa e riprese a cucire.30 Dal-

1. quella, col] quella della zia, |col| (›con un bel‹) D D1 D2 quella ›della zia‹, col B     2. una] |una| (›la‹) D     6-7. parendole…d’illecito.] parendole di desiderare così la morte della suocera. D parendole di /fare brutti pensieri/ desiderare così |qualche cosa d’illecito| (›la morte della suocera‹). D1 parendole di desiderare così qualche cosa d’illecito. D2     8. che era] che Severina era D che ›Severina‹ era D1     13. tutto…mancasse] tutto. Nulla mancava D tutto, come se nulla mancasse (← tutto. Nulla mancava) D1     14-15. potuto vedere nel] visto sul D •potuto vedere nel (›visto sul‹) D1     16. Pensava] Ella pensava D Pensava (← Ella pensava) D1     16-17. accoglieva…circondava.] riempiva la sua gioia di una quantità di pensieri insignificanti. D D1 D2 ||accoglieva nella|| (›riempiva la‹) sua gioia ||tutto ciò che la circondava|| (›di una quantità di pensieri insignificanti‹). B      30

La zia Luisa…e riprese a cucire.] cfr. Appendice (Cap. XIV).

121

5

10

15

20

25

122

5

10

15

20

25

30

GIUSEPPE DESSÌ

la stanza accanto veniva il rumore monotono della mola. Di quando in quando il ciuchino si fermava, poi, senza che nessuno si fosse preso la briga di dargli una voce, riprendeva a girare. Si udivano campani di buoi in una strada lontana, scatti rovinosi e lenti di un carro carico sull’acciottolato, la voce dell’uomo che li incitava cantando i loro nomi, come faceva anche Michele. La zia Luisa sospirò, e anche Aurelia sospirò, poi tutte e due assieme sbadigliarono. «Che giornata!» disse Aurelia. «Non passa mai». «Sta per mettersi a piovere. Domani pioverà» disse la zia. Si ristabilì il silenzio di prima; e Severina pensava che tra poco avrebbe dovuto andarsene, e le dispiaceva. «Vincenza ha i capelli biondi» disse a un tratto, chinandosi sulla bambina che dormiva. Mentre prima le bambine di Aurelia non le ispiravano nessuna simpatia, ricordandole quelli lontani di Anna, sempre soli, laggiù alla Cantoniera, in quel momento invece si sentiva di amarle. «Anche Caterina e Luisicca avevano i capelli biondi. Poi si sono scurite. Non ci durano i capelli biondi, a quest’aria» sospirò Aurelia. «Anche Aurelia e Marietta avevano i capelli biondi. Tutti i bambini, in casa nostra hanno i capelli biondi, poi cambiano colore. Perdono il primo pelo come i ciuchini. Ma è meglio così. Dicono che gli angeli sono biondi, ma gli uomini e le donne biondi, Dio ce ne liberi! è meglio non avercene in casa!» Aurelia e Severina scoppiarono a ridere, a quest’uscita. «Oh, cos’avete detto, mamma! Non lo sapete che la sorella di Severina ha i capelli biondi?» disse Aurelia. Severina faceva cenno di no, sempre ridendo.

3. la briga] cura D |la| •briga (›cura‹) D1     5. scatti] gli scatti D ›gli‹ scatti D1     7. La zia Luisa] ›Luisa e Aurelia sbadigliarono‹ La zia Luisa D     13. a un tratto,] Severina D •a un tratto, (›Severina‹) D1     14. dormiva. Mentre] dormiva. ›Avrebbe voluto dire che‹ Mentre D     15. Aurelia] Anna D D1 • Aurelia (›Anna‹) D2     16. lontani] /lontani/ D     16-17. alla Cantoniera, in] nella Cantoniera, nella pianura, in D alla (← nella) Cantoniera, ›nella pianura,‹ in D1     19-20. quest’aria» sospirò Aurelia.] quest’aria». D D1 D2 quest’aria» ||sospirò Aurelia||. B     25. liberi!] liberi D liberi|!| D1     

Michele Boschino

«Guardala bene, un’altra volta» disse sicura la zia Luisa. «Anna ha i capelli castani, non biondi». Severina assentì, e quando Aurelia si fu calmata, disse che i capelli di Anna erano castani, come diceva la zia, ma con riflessi rossastri come di rame, secondo i giorni. «Come, secondo i giorni?» chiese Aurelia. «Sì, secondo i giorni». «Che gente strana siete, voialtri di Parte d’Ispi! Anche i tuoi occhi cambiano colore da un momento all’altro». E Aurelia accostò il suo viso a quello di Severina, che arrossì; e non guardava i suoi occhi, ma la sua pelle – la guardava davvicino come si guarda il tessuto di una stoffa. «Sono bellissimi capelli, quelli di Anna» disse scostandosi. «Sì, ma non sono biondi» disse la zia Luisa. Di nuovo risero, senza ragione. «Ce n’è molte, a Mamusa, che hanno i capelli come Anna?» chiese Aurelia. Severina disse che a Mamusa solo Anna aveva i capelli di quel colore, e la loro nonna materna. Tutte le altre erano brune. A Severina piaceva sentir lodare i capelli di Anna. Ad Anna non era rimasta altra bellezza, da quando s’era sposata: solo i capelli. «Anche quando hanno gli occhi come i tuoi?» chiese Aurelia. Poi guardò sua madre maliziosamente e disse: «Ma sapete, che non avevo mai visto occhi di questo colore?» Sembrava che solo allora se ne fosse accorta. Luisicca s’era addormentata con la sua fetta di pane in mano e il raspo vuoto. Caterina ascoltava attentamente i discorsi delle tre donne, come una piccola donna anche lei, composta e seria. A un tratto disse:

1. Guardala] |Guardala| (›L’hai gu‹) D     5. di] il D di (← il) D1     8. Parte d’Ispi] |Parte d’Ispi| (›Mamusa‹) D     17. molte, a Mamusa,] molte a Mamusa D molte|,| a Mamusa|,| D1     28. sapete, che] sapete, mamma, che D sapete, ›mamma,‹ che D1     

123

5

10

15

20

25

30

124

5

10

15

20

25

30

GIUSEPPE DESSÌ

«Puh! a me non mi piacciono no, quegli occhi. Sono occhi di capra» e storse la bocca. Aurelia le diede uno schiaffo. Glielo diede forte, con rabbia. Severina si portò la mano alla guancia come se lo schiaffo l’avesse ricevuto lei, poi, quasi con violenza, prese la bambina tra le braccia e allontanò le mani di Aurelia. «Ma perché?» chiese. «Perché la picchi?» «Faremo i conti più tardi» disse Aurelia, che era diventata pallida dalla rabbia. Ma la bambina non piangeva. Guardava anche lei sua madre con ira e cercava di svincolarsi dalle braccia di Severina. «Siete voi che lo avete detto, e ora mi picchiate». Aurelia cercò di strapparla dalle braccia di Severina, ma Severina la stringeva forte. «Non voglio!» gridò. «Non voglio che tu la picchi». «La picchio perché ho ragione di picchiarla. Così impara a raccontar bugie». Per un attimo le due donne si guardarono negli occhi. Severina lasciò la bambina, che rimase tra loro due, senza cercar di scappare. «Di’ la verità,» disse Aurelia raddolcendo la voce e cercando di farle alzar la testa «io ho detto quelle parole?» La bambina non rispondeva nulla, ostinata. «Vattene!» disse Aurelia. «Vattene! Che non ti voglio più vedere». La bambina s’allontanò in silenzio e andò a sedersi sugli scalini della porta. «Dopo faremo i conti, con te» disse Aurelia. Stettero un pezzo senza dire una parola, tutte e tre, poi, siccome s’era fatto tardi, Severina trovò la forza di alzarsi per andar via. Aurelia andò a prender la corba della farina e l’aiutò a mettersela sulla testa. 1. non mi piacciono no,] non piacciono no D D1 D2 non /mi/ piacciono no|,| B     14. Aurelia cercò] Aurelia ›le allungò altri due schiaffi più forti del primo‹ cercò D     19-20. occhi. Severina] occhi. (← occhi;) ›e Severina vide negli occhi di Aurelia‹ Severina D     20. che] ›Aurelia‹ che D     22. verità,] verità D D1 D2 B ≠ M2     23. farle alzar] |farle alzar| (›fare alzare‹) D  ◆  io] Io D D1 D2 B ≠ M2     25. Vattene!] Vattene D Vattene|!| D1     

Michele Boschino

«Lasciala stare» disse piano accennando a Caterina. «Bisogna che impari a stare al suo posto» disse Aurelia a voce alta perché Caterina sentisse. Ma la bambina non si mosse neppure. «Ti aspetto mercoledì per fare i biscotti» disse la zia Luisa. «Ti aspetto! Ti aspetto!» ripeté e le strinse forte il braccio come per esortarla a non far caso a quant’era accaduto. Uscì ch’era buio. Camminava diritta, con la corba sulla testa. La strada era piena di gente essendo quella l’ora in cui tutti tornano dal lavoro. Incontrandosi, si chiamavano per nome, uomini e donne si salutavano. Ogni tanto uno zolfanello illuminava il viso di un uomo intento ad accendere il sigaro o la pipa. Nessuno poteva vederla piangere. Le lacrime le scendevano giù per le guance, lungo il collo. Non sentiva nessun rancore verso Aurelia. Non gliene importava nulla, come a Michele non importava nulla dei torti che avevano fatto a suo padre. Nulla. Si ricordò che sua madre diceva sempre che il suo umore cambiava da un momento all’altro come il colore dei suoi occhi. A un tratto si sentì prendere per mano. Era Michele, e si mise a camminarle al fianco. L’affare del terreno di Nadòria era concluso; s’era messo d’accordo con lo zio Salvatore, che, dopo il rimborso delle tasse che aveva pagato negli ultimi tre anni, avrebbe fatto la voltura. Era contento, e ogni tanto stringeva la mano di Severina. Anche lei era di nuovo contenta – contenta di sentirselo vicino, del contatto della sua mano ruvida e calda. Gli disse solo: «E tuo zio Salvatore sarà sincero?» Sentì che Michele faceva un gesto come per dire che questo fatto non aveva importanza. 1. disse piano] disse piano Severina D D1 D2 disse piano ›Severina‹ B     6. «Ti aspetto!…ripeté] Lo ripeté due o te volte D D1 D2 ||«Ti aspetto! Ti aspetto!» ripeté|| (›Lo ripeté due o te volte‹) B     8. Uscì…Camminava] Camminava D /Uscì ch’era buio./ Camminava D1     10. tutti tornano] gli uomini tornavano D •tutti [›agli uomini b•la gente (›gli uomini‹)‹] tornano (← tornavano) D1     11. uomini e donne si salutavano] si salutavano D /uomini e donne/ si salutavano D1     12. zolfanello…uomo] zolfanello ›acceso‹ illuminava |il viso di un uomo| (›un viso barbuto‹) D     13. Nessuno] Era buio, e nessuno D D1 D2 ›Era buio, e‹ Nessuno (← nessuno) B     15. verso Aurelia] |verso Aurelia| (›per Aurelia‹) D     

125

5

10

15

20

25

30

126

GIUSEPPE DESSÌ

«Ho trovato due sole persone sincere» disse Michele. «Te e mio padre». «E nessun altro, prima di me?» «No, nessuno». 5 Ogni tanto rispondeva a un saluto. Tutti quegli uomini, nel buio, si riconoscevano. Salutava e continuava a parlare dell’affare del terreno: ripeteva ciò che la vedova gli aveva detto e ciò che lui aveva risposto. Ce n’era voluto a convincerla che le tasse di quei tre anni dovevano essere detratte 10 dal prezzo! Così arrivarono a casa. Egli le levò di peso la corba dalla testa, e la posò sul tavolo, poi accese la lucerna sullo sporto del camino, e tutti e due si guardarono in faccia, contenti di rivedersi, dopo la strada fatta insieme al buio. 15 Maddalena era in cucina che finiva di preparare la cena; e dopo un poco, non sentendoli parlare s’affacciò all’uscio. Severina non disse nulla né a Michele né a Maddalena di

20 quel ch’era accaduto in casa della zia, e continuò ad andar-

ci, benché non provasse più lo stesso piacere di prima. Di sé e di Mamusa non parlò più se non con Michele, e la zia Luisa non le parlò più di farsi insegnare il modo di far gli sgonfiotti. 25 Un giorno che la zia stava facendo il pane, Severina, ch’era sul ponte, sentì da lontano l’odore, e provò un senso di nausea. Dapprima non credette che fosse l’odore del pane. La casa della zia era sulla costa del monte. Bisognava attraversare il torrente su un ponticello di legno e prendere un 30 vicolo erto e sassoso. Il vento continuava a portarle l’odore del pane, e lei si accorse con meraviglia ch’era proprio quell’odore che le chiudeva la gola. Le pareva di sentirci dentro una puzza di capelli bruciati. Si tappò la bocca e il naso con la cocca dello scialletto, ma si sentiva il passo lega35 to, le gambe pesanti; e dovette appoggiarsi al muro di una 3. nessun altro] nessun’altro D D1 D2 B ≠ M2     6. riconoscevano] |riconoscevano| (›conoscevano‹) D     12. tavolo, poi] tavolo, al buio; poi D tavolo, ›al buio;‹ poi D1     25-26. Severina…ponte,] Severina D Severina|,| /ch’era sul ponte,/ D1     28. casa] |casa| (›costa‹) D     

Michele Boschino

casa. Era un malessere mai provato, terribile, come se stesse per morire. Qualcuno la sorresse, la portarono in una casa vicina. La gravidanza coincise con la luna nuova; e il tempo cambiò. Quando l’inverno comincia così, a Sigalesa, è segno che la stagione dura costante, senza sbalzi. Ci si può fidare. Alle piogge di dicembre succedono le secche di gennaio; poi riprende ancora a piovere, ma sono piogge leggere che non allettano i grani. L’inverno è breve. A febbraio si comincia a vedere qualche mandorlo fiorire, qua e là, per la campagna ancora spoglia. Allora c’è la paura che l’inverno, prima d’andarsene, faccia qualche brutto scherzo. Guai se i venti caldi fanno anticipare la fioritura: allora basta un po’ di freddo a far morire i fiori sui rami. Sono giorni di trepidazione; ma se passano, a suo tempo la fioritura si spiega sui colli, avanza come la spuma di un’onda insinuandosi tra i vecchi boschi, tra gli oliveti, tra le vigne spoglie, invade tutto, e la campagna sembra un giardino. Il profumo di tutti quei fiori dà un’illusione di tepore. E il tepore c’è in realtà, ma così leggero che solo i fiori e le gemme degli alberi lo possono sentire. Per questo i contadini, durante le lunghe giornate di pioggia del principio dell’inverno, se ne stanno sotto la tettoia delle stalle a studiare con attenzione in cielo la forma delle nuvole, che segnano come bandiere, sui monti, la direzione del vento. Cercano in questi segni, relativi alle previsioni della giornata, la conferma di previsioni più lontane.

2. morire. Qualcuno] morire. /›[—]‹/ Qualcuno D1     8. piovere,] piovere; (← piovere,) D1 D2 piovere, D B     9. L’inverno] ›A febbraio si comincia a vedere‹ L’inverno D     10. fiorire] |fiorire| (›fiorito‹) D     15. a suo] e a suo D D2 ›e‹ a suo D1     18. un giardino] |un giardino| (›in festa‹) D     20. ma così leggero che] ma D ma /così leggero che/ D1     20-21. lo possono sentire] ›lo sentono‹ ne sentono gli effetti D •lo possono sentire (›ne sentono gli effetti‹) D1     26-27. segni…lontane] segni la conferma delle previsioni della giornata entro le previsioni più vaste della stagione. D segni •che (›la‹) conferma|no| le (← delle) previsioni della giornata|,| •la conferma di (›entro le‹) previsioni più •lontane (›vaste della stagione‹). D1 D2 B ≠ M2     

127

5

10

15

20

25

128

5

10

15

20

25

30

GIUSEPPE DESSÌ

Intanto trascorrono quelle settimane di pioggia e di riposo. Sembra impossibile che sia già passato tanto tempo da quando hanno finito di seminare. Eppure se si strappa una pianticella di grano non c’è più neppure la traccia del seme da cui è scoppiata fuori. La pianticella se lo è mangiato, le radici sono forti, abbarbicate alla zolla. Mentre s’aspetta che le terre s’asciughino per erpicarle, cominciano i lavori negli oliveti. Si fanno le piazzole sotto ogni pianta, si strappano con cura le erbe dalla barbicaia perché le olive cadute non ci si nascondano dentro a marcire, si staggiano i rami troppo carichi, si dibruca il pedale sotto gli innesti, dove crescono i polloni selvatici. Poi, quando le olive cominciano a nereggiare tra le foglie, e qualcuna a cadere, i guardiani vegliano perché i branchi di pecore e di capre non sconfinino negli oliveti. Non c’è anima viva. Si sente solo il tonfo delle olive che cadono e ruzzolano per il pendio. Di mattina si vedono scendere dalle strade dei monti gruppetti di donne, di ragazzi e di vecchi, a due, a tre, che portano sulle spalle o sulla testa sacchi e sporte di olive. I guardiani tirano ai tordi, che anche loro, come i poveretti, sono i primi a cominciare il raccolto. Severina passava lunghe ore seduta sulla porta del cortile. Si ripeteva spesso un fatto di cui non aveva mai parlato neppure con Michele. In certi momenti i suoi occhi acquistavano una sensibilità particolare per i colori. Non gli oggetti attiravano il suo sguardo, ma i colori. E quando guardava da vicino una stoffa, nel colore di questa stoffa scorgeva i fili di colore diverso, tanti colori diversi, nei quali l’azzurro o il verde della stoffa si scomponeva. E così era tutto: il paese, la campagna era una congerie di fili multicolori. S’incantava al rosso dei corpetti delle donne, alle loro ampie sottane

1. quelle settimane] i giorni D •quelle settimane (›i giorni‹) D1     4. del seme] della pianticella D •del seme (›della pianticella‹) D1     11. dibruca il pedale] dibruca (← dibrucano le p) il pedale, D D1 D2 dibruca il pedale (← pedale,) B     15. tonfo] tonfo /leggero/ D1 D2 tonfo D B     23. Si ripeteva] Le accadeva D •Si ripeteva (›Le accadeva‹) D1     26. attiravano] attiravano ›i colori, ma‹ D     29. verde della stoffa] |verde della stoffa| (›rosso della‹) D     

Michele Boschino

129

dogate di amaranto e di celeste, come se per la prima volta s’accorgesse di quei costumi sgargianti così diversi da quelli di Mamusa. Anche quando chiudeva gli occhi, le rimaneva dentro il fiammeggiare confuso di quei colori. Un vaso di gerani la faceva trasalire di gioia; e tutte le case di Sigalesa, 5 costruite con la nera pietra dell’Isola ne avevano alle finestre. Se le accadeva di sognare Mamusa, non vedeva, nel sogno, Mamusa, ma un paese pieno di colori vividi come fiamme; e il cielo era anch’esso acceso di viola o di azzurro 10 intenso. In questo tempo, dopo i primi mesi di gravidanza, s’era rimessa in carne. Sembrava un’altra, bella e florida come non era mai stata.

1. amaranto] rosso D •amaranto (›rosso‹) D1     3-4. rimaneva dentro] rimaneva D rimaneva /dentro/ D1     4. di quei] dei D •di quei (›dei‹) D1     7. le accadeva…vedeva] |le accadeva di sognare Mamusa, non vedeva| (›sognava di Mamusa, non vedeva‹) D     9. fiamme; e il cielo] fiamme: uomini, bestie, case, alberi; e il cielo D D1 D2 fiamme; (← fiamme:) ›uomini, bestie, case, alberi;‹ e il cielo B     11. In questo tempo] ›Dopo i primi mesi di gravidanza‹ In questo tempo D     12. un’altra] un’altra donna D un’altra ›donna‹ D1     13. stata] stata prima D D1 D2 stata ›prima‹ B

PARTE SECONDA

Michele Boschino

Il ricordo più preciso che mi rimane di quei giorni è lo squillo intermittente del telefono, lontano, in fondo al corridoio. Avevo ripreso coscienza lentamente, e mi ero trovato a letto, con le gambe ingessate. Potevo muovere solo le braccia e la testa, che pian piano mi si liberava come da un peso enorme. Seppi più tardi che in quelle prime ore, o forse giorni, di semi-lucidità, il pericolo della commozione cerebrale non era ancora cessato. Eppure, oltre questo peso alla testa, non sentivo nessun dolore, anzi, a mano a mano, come il mio cervello si snebbiava, un senso di benessere e di leggerezza s’impadroniva di me. Non ricordavo nulla, e non sapevo neppure dove mi trovavo. Intorno a me era buio e silenzio, e io non facevo nessuno sforzo per ricordare, né per sapere se ero in un ospedale o a casa mia; come non facevo nessuno sforzo per parlare con la persona che sedeva accanto al mio letto, e di cui sentivo la mancanza quando, per brevi istanti, se ne allontanava. Credo di aver sempre saputo, fin da principio, per quanto era possibile sapere nelle condizioni in cui mi trovavo, che quella persona era mia madre. Ma del resto non saprei dire con precisione quali sensazioni provassi, perché, in realtà, ho l’impressione di aver ripreso coscienza all’improvviso dopo un lungo sonno

5. quei giorni] |quei giorni| (›quel tempo‹) D     7. mi ero] m’ero D D1 D2 mi ero B     8. gambe ingessate] gambe ingessate ›fasciato come una mummia‹ D     9. mi si] mi D /mi/ si D1     17. silenzio, e] silenzio. E D silenzio, e (← silenzio. E) D1     19-20. sedeva accanto] |sedeva accanto| (›mi stava costantemente accanto‹) D     22-24. fin da…madre] fin dai primi istanti, che si trattava di mia madre D fin dai primi istanti, /per quanto era possibile sapere nelle condizioni in cui mi trovavo,/ •che quella persona era (›si trattava di‹) mia madre D1 D2 ||fin da principio,|| (›fin dai primi istanti,‹) per quanto era possibile sapere nelle condizioni in cui mi trovavo, che quella persona era mia madre B     25. provassi, perché,] provassi, mentre mi trovavo in quello stato, perché, D provassi, ›mentre mi trovavo in quello stato,‹ perché, D1  ◆  di] |di| (›che‹) D     26. coscienza all’improvviso] coscienza D coscienza /all’improvviso/ D1     

133

5

10

15

20

25

134

5

10

15

20

25

GIUSEPPE DESSÌ

ristoratore, svegliandomi nella mia stanza. Al mio stato di incoscienza e di torpore mi lega solo la memoria fisica di quella sensazione di benessere che ho detto, offuscato appena come da ombre: l’allontanarsi di mia madre dal letto, il peso alla testa, e la nausea che mi dava lo squillo lontano del telefono. La mia vita ricomincia da quel risveglio, quando ogni pericolo era passato, e la sola preoccupazione di mia madre – cosa che mi pare anche ora incredibile – era il gran numero di ragazze che chiedevano notizie della mia salute. Non supponeva neppure che io ne conoscessi tante; e ricordo che Alberto, col quale ne parlava, durò molta fatica a convincerla che erano tutte nostre compagne. Infatti la facoltà di matematica era frequentata in numero preponderante da donne; e questo particolare era sempre sfuggito a mia madre. «Ai miei tempi» diceva lei ancora incredula «eravamo in due in tutta la facoltà: gli altri erano uomini». Inoltre molte studentesse di chimica e di scienze naturali frequentavano i nostri corsi; e tutte, da quando ero a letto, s’interessavano della mia salute. Mia madre si rifiutò di credere che queste ragazze mi conoscevano appena di vista; e accolse le mie proteste con un sorriso tra ironico e malizioso. Del resto, io stesso mi meravigliavo che quelle ragazze mostrassero, tutto a un tratto, tanto interesse per me. Un giorno Alberto mi disse che probabilmente, se fossi rimasto storpio per la vita tutte quelle brave persone avrebbero girato al largo. Rimasi colpito lì per lì dal cinismo di que3. quella sensazione] quel senso D quella sensazione (← quel senso) D1     3-4. appena] solo D D1 D2 ||appena|| (›solo‹) B     7. passato…mia] passato e mia D passato|,| e /la sola preoccupazione di/ mia D1     8. era il gran] era molto preoccupata dal D era •ormai il (›molto preoccupata dal‹) gran D1 D2 era il gran B     10. io ne conoscessi tante;] io conoscessi tante ragazze; D io /ne/ conoscessi tante ›ragazze‹; D1     11. Alberto] Alberto Mocini D D1 D2 Alberto ›Mocini‹ B     11-12. durò …convincerla] stentò non poco a |convincerla| (›farle cre‹) D •durò molta fatica (›stentò non poco‹) a convincerla D1     12. compagne] colleghe D •compagne ›di studi‹ (›colleghe‹) D1     24. Alberto] Alberto Mocini D D1 D2 Alberto ›Mocini‹ B     25. persone avrebbero] persone che s’interessavano di me avrebbero D persone ›che s’interessavano di me‹ avrebbero D1     26. colpito…cinismo] colpito dalla verità D colpito /lì per lì/ dalla verità D1 D2 colpito lì per lì ||dal cinismo|| (›dalla verità‹) B     

Michele Boschino

sta affermazione, ma mi guardavo bene dall’approfondirla. Spesso le osservazioni di Alberto hanno qualcosa di crudele e di astratto, e sono vere come certi assiomi – di una verità limitata e priva di contenuto fuori dal campo della matematica. Alberto non si abbandona più al gusto di filosofare sugli uomini, come qualche anno fa, eppure è sempre implicito, nel suo modo di ragionare, questo atteggiamento mentale. Si potrebbero dedurre dai suoi discorsi, dalla conversazione più banale una serie di principi che stanno alla base del suo modo pessimistico di considerare le cose. Nello stupore di quel mio risveglio trovavo Alberto e mia madre come li avevo lasciati. La vita aveva ripreso, anche per lei, il suo corso abituale, e in esso mia madre si riposava dall’angoscia e dallo spavento di perdermi che l’aveva sconvolta qualche giorno prima. Io invece dovevo ancora rendermi conto di tutto. Il pensiero della morte, così vivo nel benessere fisico che mi inondava e si tramutava in un senso di intima gioia, mi separava da lei. Mentre prima, nello stato di semi-incoscienza, soffrivo quando s’allontanava dalla stanza o forse solo dal mio capezzale, ora ero contento quando potevo rimanere solo; e aspettavo con impazienza che uscisse per le sue lezioni. Benché fossi continuamente occupato da questo pensiero ch’era diventato un sentimento, mi faceva uno strano effetto sentir dire dagli altri ch’ero salvo per miracolo. Arrivavo a desiderare la visita di persone estranee per sentirmi ripetere questa cosa di cui ormai le

1. ma mi guardavo] e mi guardai D ma (← e) mi guardai D1 D2 B ≠ M2     3. assiomi – di] assiomi, ma di D assiomi – di (← assiomi, ma di) D1     5. non…di] non si |abbandona più| (›lascia mai andare‹) al gusto |di filosofare| (›delle affermazioni‹) D     8-9. dalla conversazione] dalla /sua/ conversazione D1     13. lei] mia madre D •lei (›mia madre‹) D1     14. dall’angoscia] dall’angoscia ›che l’a‹ D     15. prima. Io invece dovevo] prima; mentre io dovevo D prima. Io invece dovevo (← prima; mentre io dovevo) D1     17. mi inondava] m’inondava D D1 D2 mi inondava B     19. semiincoscienza,] semi-incoscienza D semi-incoscienza|,| D1     21. solo;] solo D solo|,| D1 D2 solo; (← solo,) B     22. Benché fossi] Benché fossi D Benché ›non pensassi ad altro, e‹ fossi D1     23. pensiero] pensiero|,| D1     26. di cui ormai] |di cui ormai| (›che ormai‹) D     

135

5

10

15

20

25

136

5

10

15

20

25

GIUSEPPE DESSÌ

persone di casa e gli amici non parlavano più. Le visite degli estranei m’interessavano soltanto per questo; poi avrei voluto che quelle persone se n’andassero subito e mi lasciassero solo con quel mio pensiero costante, o sentimento che fosse, ringiovanito di pudore. Io non avrei potuto parlarne, per esempio. E credo che le parole degli estranei mi facessero quello strano effetto proprio per questo, perché eccitavano un sentimento vivissimo di pudore. Un giorno un’amica di mia madre mi chiese se avessi sofferto nella caduta. Non sono stato capace di dirle la verità, che non avevo sentito nulla, e che non avevo sentito nulla neanche dopo, che non soffrivo ma che anzi provavo un senso di piacere; come non riuscii mai a dire a mia madre ch’ero contento di starmene a letto con le gambe ingessate. Ho sempre lasciato credere a tutti di aver sofferto molto. In realtà, della mia caduta non ricordo altro all’infuori di questo: le grida dei miei compagni, in alto, sulla mia testa. Tutti erano rimasti così colpiti dalla descrizione impressionante che essi fecero della mia caduta e dello stato in cui mi avevano raccolto, che mi sembrava una fatica improba e inutile tentare di disingannarli. Dopo che le visite cominciarono a diradare, la mamma mi faceva un po’ di lettura ogni giorno, ma per lo più sedeva accanto al mio letto a lavorare, in silenzio, perché il medico le aveva detto di non affaticarmi. Non ho mai amato la solitudine e il silenzio come in quel tempo, e dovetti insistere perché non pregasse Alberto di venire a tenermi compagnia quando lei usciva per andare al Collegio Carlo

2. soltanto] solo D D1 D2 ||soltanto|| (›solo‹) B     3. n’andassero subito] n’andassero D n’andassero /subito/ D1     5-6. ringiovanito…non] ringiovanito dalle loro parole. Ed era un piacere misto di pudore. Io non D D1 D2 B ≠ M2     9. chiese…sofferto] |chiese| (›ha chiesto‹) se avessi ›molto‹ sofferto D     10-11. che non…dopo] che ›[—]‹ non ›ho sofferto e che non soffro affatto, che anzi sono contento‹ avevo ›sofferto‹ sentito nulla, e che non avevo neanche dopo D che non avevo sentito nulla, e che non avevo /sentito nulla/ neanche dopo D1     12. ma che anzi] ma anzi D ma /che/ anzi D1     15. molto…non] molto, ma in realtà non D molto. In (← molto, ma in) realtà|,| /della mia caduta/ non D1     18. fecero] hanno fatto D •fecero (›hanno fatto‹) D1     19. avevano] hanno D •avevano (›hanno‹) D1     27. quando lei usciva] quando usciva D quando /lei/ usciva D1     

Michele Boschino

Felice. Allora potevo starmene solo per tre o quattro ore; e siccome mia madre dava di sera le sue lezioni, erano le ore più belle e più quiete della giornata. Quando Linda entrava nella stanza per attizzare il fuoco del caminetto, chiudevo gli occhi e fingevo di dormire. Stavo bene, così. Ma era difficile convincere mia madre che non avevo bisogno di nessuno. Dopo la lezione, tornava a casa in fretta, si precipitava nella stanza senza levarsi la pelliccia; salendo le scale s’era già sfilata il guanto per toccarmi la fronte e il collo. Io rabbrividivo al contatto della sua mano sottile e fredda. Il medico le aveva detto che l’assoluta immobilità non avrebbe mancato di procurarmi qualche disturbo intestinale. Ma anche la dieta rigorosa mi piaceva, confacendosi appunto alla mia immobilità. A lei invece tutto sembrava terribile, e la mia stessa tranquillità la spaventava. Forse da quand’ero bambino non ero mai stato tanto contento come allora. Dalla mia stanza, quando la mamma era a scuola, sentivo i rumori della cucina: l’acciottolio dei piatti, il macinino del caffè, e Linda che mugolava una specie di canzone mentre sfaccendava. Pensavo spesso a Montaigne, quando se ne stava chiuso nella sua torre e ascoltava i rumori che venivano dalle stanze a terreno: vagheggiavo una solitudine di meditazione e di studio come la sua, regolata sulla vita 2. lezioni, erano] lezioni, in quel collegio, erano D D1 D2 lezioni, ›in quel collegio,‹ erano B     5. Stavo bene, così.] Stavo bene così. D D1 D2 Stavo bene|,| così. B     6. convincere mia madre che] |convincere| (›far credere a‹) mia madre ›che era meglio‹ che D     8. salendo] ma salendo D D1 D2 ›ma‹ salendo B     9. s’era già sfilata] s’era sfilata D D1 D2 s’era /già/ sfilata B     9-12. collo…intestinale.] collo. ›Io rabbrividivo al contatto della sua mano sottile e diaccia.‹ Il medico le aveva detto che l’assoluta immobilità non avrebbe mancato di procurarmi qualche disturbo intestinale. Io rabbrividivo al contatto della sua mano •sottile e fredda (›diaccia‹). D D1 D2 collo. 2Il medico le aveva detto che l’assoluta immobilità non avrebbe mancato di procurarmi qualche disturbo intestinale. 1Io rabbrividivo al contatto della sua mano sottile e fredda. B     13. confacendosi] confacendosi ›al mio bisogno‹ D     15. tranquillità la spaventava] immobilità la insospettiva D •tranquillità (›immobilità‹) la insospettiva D1 D2 tranquillità la ||spaventava|| (›insospettiva‹) B     16. tanto contento] contento D |tanto| contento D1     16-17. allora. Dalla] allora.↔|| Dalla D D1 D2 B ≠ M2     22-23. solitudine…studio] solitudine D solitudine /di meditazione e di studio/ D1     23. sulla] dalla D •sulla (›dalla‹) D1     

137

5

10

15

20

138

GIUSEPPE DESSÌ

quieta di una casa di campagna. Fantasticavo che la nostra casa fosse in mezzo alla campagna, e i rumori della cucina, isolati nel silenzio, m’aiutavano a immaginarmi i rumori della campagna. Ma fuori di questa illusione, potevo udire 5 il brusio uniforme e confuso della città, sempre presente, della città che vive per suo conto, anche se non ci penso, e cresce, si estende, inghiotte pian piano le borgate intorno al golfo allargando il suo continuo ronzio d’alveare, che non disturbava, d’altronde, il mio profondo bisogno di silenzio.

10

15

20

25

30

«La gran differenza tra la città e la provincia» mi disse una sera Alberto «è che in provincia ogni tanto, se si vuole, ci si può fermare. Tu sei stanco? Vuoi startene tutto solo con i tuoi pensieri? Puoi ritirarti nella tua casa tranquillamente senza bisogno di far credere che sei partito o che sei ammalato. La campagna si concede ogni giorno il suo riposo. La campagna lavora, dorme, si sveglia secondo il corso del sole: gli uomini e le bestie là fanno altrettanto». Mi raccontò di un paesino dove suo fratello fa il pretore da quasi un anno. La prima settimana non sapeva adattarsi a quella vita, poi gli regalarono un cane, e a mano a mano che il cane cresceva e diventava amico degli abitanti del paese, anche lui imparava ad amare quella gente. Io cercavo di figurarmi la scoperta della campagna da parte di questo cittadino ostile, pensavo ai paesi sparsi sulla costa dei monti o nascosti nella pianura, quei paesi che s’addormentano al tramonto, come diceva Alberto, e si svegliano all’alba, al primo diffondersi della luce, pensavo alla nostra piccola casa di Ultra, che non è altro che una casa di contadini, alla pineta. Avrei voluto essere là, nella mia stanzetta con le pareti scialbate

8. golfo] golfo|,| D1 D2 golfo D B  ◆  allargando] allargando ›quel fermo ronzio di‹ D  ◆  il suo continuo] il suo uniforme e continuo D D1 D2 il suo ›uniforme e‹ continuo B     9. disturbava] disturba D D1 D2 disturbava B     18. lavora, dorme,] ›dorme,‹ lavora, dorme, D     19. bestie là] bestie D bestie /là/ D1     20. fa] faceva D fa (← faceva) D1     21. non] ›gli‹ non D     24. gente] gente di campagna D gente ›di campagna‹ D1     28. Alberto,] Alberto D D1 D2 Alberto|,| B  ◆  svegliano] svegliavano D D1 D2 svegliano (← svegliavano) B     

Michele Boschino

e le travi di ginepro. Il pensiero che avrei potuto andarci a passare la convalescenza mi riempiva di gioia. Trovandomi però nell’impossibilità di andarci subito mi facevo questa domanda: “È proprio vero che ci sia tra la vita di campagna e la vita della città questa gran differenza che diciamo noi cittadini? E che cos’è, in fondo, la vita della città se non il continuo sovrapporsi e complicarsi e moltiplicarsi della vita elementare della campagna?”. Arrivavo a due conclusioni completamente opposte: 1) che non c’è nessuna differenza; 2) che v’è una differenza enorme. Ma non erano pensieri, erano fantasie, immagini di quel mio bisogno di solitudine. Ritornavo continuamente con l’immaginazione a Maria, a Donato, a Isabella, al Capitano, al vecchio che abitava nella rimessa degli Almerio, ai cugini di mia madre, coi quali ero stato anche l’estate scorsa a caccia di tortore nelle aie vicine al paese. Ricordavo il campo nel quale eravamo rimasti appostati in attesa che le tortore si levassero dai boschetti ai piedi della collina per venire a pascolare nelle aie. C’eravamo andati la sera prima, al tramonto, senza fucili, con una roncola e un mazzo di giunchi per farci le capannucce tra i cespugli. Era un campo tenuto a maggese. Le spine secche dei cardi coprivano le tracce delle stoppie brucate dalle pecore, e le leggere corolle dondolando sugli steli mi sgraffiavano gli stivali e mi pungevano il ginocchio. Mi pareva di risentire, nella mia immobilità, queste punture velenose e dolorosissime. Proprio in mezzo al campo, sul terreno duro e secco che risuonava sotto i nostri piedi, cresceva un’erba fitta, sottile come lino, tra la quale si vedevano le caccole nere dei conigli e le tracce dei loro giuochi qua e là, come di mani passate su un velluto. Grandi ulivi mutilati e radi cespugli di lentischio, sulla linea della siepe, di cui non v’era più traccia, delimitavano il campo dalla parte della strada 1. andarci] andarvi D andarci (← andarvi) D1     3. andarci] andarvi D andarci (← andarvi) D1     4. ci] vi D D1 D2 ci (← vi) B  ◆  di] della D D1 D2 di B     9. c’è] v’è D c’è (← v’è) D1     10. v’è] c’è (← v’è) D1 D2 v’è D B     20. capannucce] capannuccie D D1 D2 B ≠ M2     23. leggere corolle] ›corolle‹ leggere corolle D     25. queste] |queste| (›le‹) D     26. Proprio in mezzo al] |Proprio in mezzo al| (›Al centro del‹) D     29. dei] di D D1 D2 dei (← di) B     30. di mani] mani D D1 D2 B ≠ M2     

139

5

10

15

20

25

30

140

5

10

15

20

25

30

35

GIUSEPPE DESSÌ

ferrata. Ma dalla parte opposta i cespugli erano più alti e più folti. Là i cugini decisero di preparare i nascondigli per il giorno dopo. Ci tagliammo ciascuno una specie di nido nel folto dei cespugli, a una certa distanza l’uno dall’altro, e su ogni nido intessemmo coi rami tagliati e i giunchi una leggera tettoia, in modo da poter stare là dentro senza esser visti dalle tortore. Io entrai nel mio nido per prova, e i miei abiti conservarono poi l’odore aspro del lentischio. Ce ne tornammo per una stradicciola sprofondata tra le siepi e gli alberi che crescevano sui margini. Era quasi notte, ma a ripensarci dal mio letto mi pareva che la notte fosse solo sui monti di Ultra, verso i quali andavamo, e che riempivano tutto il cielo. Il giorno dopo partimmo prima dell’alba, perché solo alle prime luci le tortore volano alle aie in cerca di cibo e poi, quando il sole comincia a levarsi se ne stanno appollaiate tra i rami. Appena alzato, bevvi un bicchiere d’acqua, e m’accorsi che, da quello che avevo bevuto prima d’andare a letto, la luna aveva fatto ben poca strada nel cielo. Avevo dormito circa quattro ore. Era la prima volta che mi decidevo ad andare a caccia di tortore, quell’anno. Ci andavo, un poco per non distaccarmi del tutto da un’abitudine giovanile, un poco per non far dispiacere ai cugini, che m’invitavano. Ma quella volta ero contento d’andarci, e con gioia, quando m’era parso di sentire un sasseto rimbalzare contro la gelosia della mia finestra, m’ero affacciato per dire a Riccardo che in un momento sarei stato pronto. La strada era scura, scuri i monti, per quel poco che se ne vedeva sopra i pini, ravvivati gli odori della campagna nel vento fresco che s’era levato. Durante quelle poche ore era piovuto. Per questo il mio sonno era stato così riposato e pieno: un sonno autunnale. L’autunno è, a Ultra, una stagione forestiera. Giunge improvvisa, estranea a tutte le nostre previsioni di villeggianti rassegnati alla monotonia dell’estate troppo lunga, allarga i giorni, accende una trasparenza nuova nella campagna, rileva i colori nell’indefi-

5. tagliati] dei cespugli D •tagliati (›dei cespugli‹) D1     19. prima] •prima (›seconda‹) D     22. ai cugini] ai miei cugini D D1 D2 ai ›miei‹ cugini B     24. sasseto] sassetto D D1 D2 M2 sasseti (← sassesso) B     

Michele Boschino

nita e aspra cupezza. Nei monti, le rocce, che prima erano color di cenere, si fanno di un rosa dolomitico, e ti accorgi che emergono dal folto di boschi profondi. Attraverso l’aria vedi o indovini, nel monte, canaloni, spaccature, anfratti, e ti meravigli del grande silenzio che li circonda; e percorrendoli con l’occhio, quasi li guardassi attraverso la lente di un cannocchiale, misuri la vastità di questo silenzio. Gli ulivi della pianura, che s’è bevuta tutta la pioggia, si possono contare a uno a uno, tanto appaiono distinti, sul ciglio dei fossi su cui si sporgono, o al limite di una radura. Anche lì scopri strade, viottole, il letto del torrente, come una fiumana di pietre grigie, mille accidenti del terreno fin allora sommersi nella luce eguale delle stoppie, nella tua abitudine ai colori invecchiati dell’estate. Montammo in quattro su un calesse sgangherato e a gran trotto c’infilammo per la strada sassosa del giorno prima, a rischio di rompere le balestre o di ribaltarci. Le frasche con cui avevamo coperto i nostri cespugli si distinguevano da lontano per una maggior compattezza delle foglie. I cespugli bagnati odoravano come bestie vive. Ci cacciammo ognuno nel suo nido e aspettammo, col fucile carico tra le ginocchia. I cugini si chiamavano con fischi leggeri, per dirsi che tutto andava bene. Ma nuvole azzurre immobili nella profondità del cielo ritardavano l’alba. Gli uccelli non lasciavano ancora i loro alberi. Se ne stavano là, tra le foglie, nel silenzio notturno che tiene, per loro, luogo del sonno. Dalla finestra di foglie del mio nido vedevo l’albero che mi era stato assegnato, e dietro quello altri ulivi, cespugli, siepi, folte macchie d’alberi chiari stretti ai piedi della collina. Là appunto dovevano starsene le tortore, in attesa dell’alba. Dopo un certo tempo, una schioppettata lontana ne fece levare tre che percorsero una lista chiara di cielo tra il crinale del colle e le nuvole, e sparirono in cerca 3. emergono dal] |emergono dal| (›sbucano dal‹) D     7. misuri] |misuri| (›senti‹) D     10. o al] al D /o/ al D1     12. fin allora] fin’allora D D1 D2 B M2     19-20. compattezza delle foglie] compattezza ›ma la pioggia della notte le aveva tenute fresche e ravvivate‹ D compattezza /delle foglie./ D1     26. luogo] il luogo D D1 D2 ›il‹ luogo B     33. nuvole,] nuvole D nuvole|,| D1     

141

5

10

15

20

25

30

142

5

10

15

20

25

30

GIUSEPPE DESSÌ

d’altri alberi silenziosi. A un tratto sentii il loro rapido sfrascare d’ali dietro le mie spalle. Dai cespugli partirono fischi leggeri, cenni d’intesa. Nello stretto pertugio della feritoia si perdeva ogni cognizione della prospettiva e della distanza. Un moscerino che mi passava davanti agli occhi poteva sembrarmi una tortora tra gli alberi lontani, uno stelo di biada piegato dal vento che si raddrizzava coi suoi chicchi sospesi a filamenti invisibili simulava un ordinato stormo poggiante nel cielo. Ecco che, rasente terra, una tortora viene al mio albero. Vedo il suo petto bianco. Con un colpo d’ala si leva, si posa su un ramo più alto guardandosi intorno sospettosa. Sembra sul punto di riprendere il volo. Ma Riccardo l’abbatte con una schioppettata che si srotola rabbiosa nella pianura. Mi sembra d’aver sentito il tonfo di quel corpo divenuto a un tratto pesante, e nel tonfo mi sembra di aver sentito un suono curioso, come se l’uccello avesse un fischietto dentro. Ne viene un’altra, sempre al mio albero. Fischi leggeri mi chiedono perché non sparo. Ma anche per gli altri la caccia fu scarsa. Queste giornate improvvisamente autunnali sono poco propizie all’agguato. Durante il ritorno i cugini parlarono della prossima apertura della caccia alla pernice. Dicevano che in una giornata come quella sarebbe stato bello uscire coi cani, che seguono infallibilmente, sulla terra umida, la traccia della selvaggina. Dicevano che solo dal modo che hanno i cani di procedere e di fermarsi, di voltarsi a guardare il padrone e di puntare con una zampa alzata, il cacciatore capisce se si tratta d’una quaglia o d’una pernice. A un tratto, mentre ero immerso in questi ricordi, e quasi impregnato di odori campestri, pensai che anche a Maria il tonfo che fa cadendo l’uccello colpito deve dare un brivido,

6. tra gli alberi] tra alberi D D1 D2 B ≠ M2     7. raddrizzava] raddrizzasse D raddrizzava (← raddrizzasse) D1     9. poggiante] ›che‹ poggiante D     

Michele Boschino

come succede a me al solo pensarci; e desiderai ardentemente di rivederla. Rivedo Linda entrare nella mia stanza. Non bussa per non svegliarmi. Passa lontano dalle sedie per non urtarle, s’accoccola davanti al camino. Sento solo la fiamma che si ravviva, qualche schiocco, qualche scoppio. Nella sua sordità, il ricordo dei rumori dev’essersi decuplicato, se pone tanta cura a evitarli: perché anche prima che io fossi ammalato era così silenziosa. È cosa stranissima un sordo che si porta intorno un alone di silenzio. Così è Linda: riversa il suo silenzio fuori di sé. Prima che le morisse l’unica figlia vestiva ancora il costume di un paese del Centro che in seguito ho individuato: una lunga gonna dogata d’amaranto e d’azzurro, il corpetto di broccato rosso, lo scialletto e il grembiale di seta. Allora teneva la portineria di casa nostra, e suo marito lavorava tutto il giorno nello sgabuzzino a risuolare scarpe. Dopo la morte della figlia ha smesso il costume e porta gli abiti smessi di mia madre ritinti di nero. Da allora è entrata al nostro servizio, e mia madre dice di non aver mai avuto una donna così pronta fidata e discreta. Non ha nessuna di quelle qualità che si richiedono a una buona cameriera come era Marcella, per esempio, e io dovetti durare non poca fatica ad abituarmici, da principio. Serve male a tavola, non sa preparare il tè, non sente il telefono. Quando

1. succede] succedeva D D1 D2 succede B     2-3. rivederla. Rivedo] rivederla.↔|| Rivedo D D1 D2 rivederla.↔| Rivedo B     4. Passa lontano] ›Non fa il minimo rumore, non urta mai una sedia‹ Passa lontana D Passa lontana D1 D2 Passa lontano B     6-7. sordità, il ricordo] sordità, ›adeve avere conservato bricorda cingiga‹ il ricordo     9. era così silenziosa] era silenziosissima D D1 D2 era così silenziosa B     10. un alone] come una sfera D D1 D2 ||un alone|| (›come una sfera‹) B  ◆  è Linda: riversa] era Linda: riversava D è (← era) Linda: riversa (← riversava) D1     11-12. di sé. Prima] di sé. Prima D di sé.↔| Prima D1     13. in…individuato:] |in seguito ho| (›poi ho‹) perfettamente individuato: D in seguito ho ›perfettamente‹ individuato: D1     14. d’amaranto] di rosso D D2 di •amaranto (›rosso‹) D1 d’amaranto B     15. broccato…scialletto] broccato, lo scialletto ›di seta‹ D broccato /rosso/, lo scialletto D1     21. pronta] pronta, D D1 D2 pronta B     24. abituarmici…Serve] abituarmici. ›Linda‹ Serve (← serve) D abituarmici, /da principio./ Serve D1     

143

5

10

15

20

25

144

5

10

15

20

25

GIUSEPPE DESSÌ

qualcuno suona, è suo marito che accompagna il visitatore su per le scale col cappello in testa, il grembiale di pelle e le mani sporche, e brontola perché dice che questo è un servizio a cui non è tenuto. Ma la mamma è contenta. Io, a lungo andare, ho scoperto in Linda altri pregi completamente estranei alla sua vera funzione in casa nostra. Mi piace il suo dialetto, il modo espressivo e misurato di gestire, l’attenzione animalesca con cui guarda gli altri parlare. La mamma non alza mai la voce, quando le rivolge la parola, ché tanto sarebbe inutile. La chiama a sé con un cenno. Se la mamma è seduta, Linda piega un ginocchio a terra, poggia sull’altro le braccia in croce con le mani penzoloni, e ascolta, cioè guarda attentamente le labbra della mamma. Sua figlia è morta di tubercolosi intestinale, e può darsi che anche lei sia affetta dalla stessa malattia. Non so se mia madre abbia chiesto consiglio al dottor Vernieri sulla convenienza o meno di tenere in casa questa donna, o se non abbia voluto approfondire la cosa: io per conto mio ci penso qualche volta. Quando la guardo stare così in ginocchio davanti a mia madre, in una attitudine che non ha niente di servile e che è comune alla gente di campagna, me la figuro vestita del suo vecchio costume un po’ logoro, nella sua casa di paese. È diventata sorda da ragazza, in seguito a un raffreddore preso durante il raccolto delle olive. Me la figuro così, china, con la sporta posata per terra e le mani che cercano le olive tra i

1. suona,] suona D suona|,| D1     3-4. sporche…tenuto.] sporche ›di‹, brontola perché dice che è un servizio |a cui non è tenuto| (›che non gli spe‹). D sporche, /e/ brontola perché dice che /questo/ è un servizio a cui non è tenuto. D1     9. ché] che D ché (← che) D1     10. cenno. Se] cenno: se D cenno. Se (← cenno: se) D1     14-15. lei sia] •lei sia (›lei abbia‹) D D1     16-17. dottor Vernieri sulla] dottor sulla convenienza D dottor |Vernieri| sulla convenienza /o meno/ D1     21. comune] abituale D D1 D2 ||comune|| (›abituale‹) B     23. sorda da ragazza] sorda ›in seguito a un raffredd‹ da ragazza D     24. olive] ulive D D1 D2 olive (← ulive) B  ◆  figuro così,] figuro, così D D1 D2 figuro così, (← figuro, così) B     25. olive] ulive D D1 D2 olive (← ulive) B     

Michele Boschino

sassi, rapide, come uccelli che beccano e inghiottono senza tregua. La sua sordità dev’essere popolata del ricordo dei rumori distinti e vari della campagna. Non ha mai sentito tromba d’automobile, o scampanellare di tram, o fischio di treno. Quando le sirene dei piroscafi alzano il loro grido che sale nel cielo come una vertiginosa tromba marina, lei forse continua a sentire lo sgocciolio di una gronda della sua casa, le raffiche della pioggia sul tetto, l’abbaiare di un cane in una notte serena, un grillo, qualche piccolo rumore d’allora; e forse solo questi rumori hanno serbato le loro proporzioni reali, legati come sono a tanti altri ricordi precisi: quei rumori che ricordo di aver udito anch’io a Ultra, e che mi sono rimasti nella memoria, come la voce di una donna, per esempio, che ogni sera, quando s’accendevano i lumi del paese, chiamava suo figlio Antonio. Anch’io mi sono abituato a parlare con lei. Basta staccar bene le parole e guardarla in faccia, come fa la mamma. Mi ha detto di sé cose che sapevo già dalla mamma: la causa perduta da suo padre, il sequestro della loro terra, della casa. Secondo lei, la colpa di tutto è di un loro parente, di cui non dice mai il nome. Questo parente è lui, oppure quello scellerato. Tutto ciò ch’è avvenuto di doloroso, nella sua vita, l’ha causato lui, su di lui si riversa l’odio di questa creatura. Se lei ha dovuto lasciare il paese e venire a servire in città, se i fratelli sono andati a finire uno in carcere e uno in America, se sua madre ha vissuto, negli ultimi anni, di quello che lei, povera serva, poteva mandarle dalla città, la colpa è sempre di quell’uomo che non nomina.

1-2. come…tregua.] come due uccelli che beccano e inghiottono, beccano e inghiottono senza tregua. D come ›due‹ uccelli che beccano e inghiottono, beccano e inghiottono senza tregua D1 D2 come uccelli che beccano e inghiottono senza tregua. B     10. d’allora] d’allora D d’allora›, insomma‹; D1     11. tanti altri] tanti D tanti /altri/ D1     15. chiamava] |chiamava| (›chiamava [—]‹) D     22-23. doloroso, nella sua vita,] doloroso, D doloroso, /nella sua vita,/ D1     24. creatura] piccola donna magra e secca D •creatura (›piccola donna magra e secca‹) D1     26. sua madre] il padre D D1 D2 ||sua madre|| (›il padre‹) B     27. mandarle] mandargli D D1 D2 mandarle (← mandargli) B     

145

5

10

15

20

25

146

5

10

15

20

GIUSEPPE DESSÌ

Le ho chiesto dove si trovasse quest’uomo: mi ha risposto che non lo sa. Aveva venduto tutto e se n’era andato anche lui. Chi sa dove! Attraverso quei ricordi ho cercato di ricostruire quel lontano paese del Centro. L’ho riconosciuto per induzione, perché Linda parlava di quei luoghi come se io già li conoscessi. Nominava fiumi boschi montagne brughiere, e pian piano, a furia di sentirli ripetere, si generavano da essi immagini vaghe di montagne di boschi di brughiere e di fiumi, si disponevano entro una prospettiva, che prendeva norma dai fatti che mi raccontava. Quante volte nominava il campanile! Questo campanile, col suo orologio e le campane, io lo vedo. Un torrente attraversa il paese, e sul torrente devono esserci tre ponti, uno in pietra e calce e due di legno. Le strade sono scoscese, strette, tortuose, tra piccole case di pietra nera, e ognuna, come quelle di Ultra – che sono però costruite in mattoni crudi – con la sua legnaia, il cortile e la tettoia per le bestie e il carro. Bisognava lasciarla parlare, non insistere troppo su particolari che non avessero rapporto col suo racconto, perché se no s’insospettiva, si faceva restia. Io ho indovinato questo paese sconosciuto. Sentivo che doveva trovarsi, presso a poco, nella stessa posizione di Ultra, ai piedi di un monte; e siccome sapevo che dai paesi del Centro vengono i venditori di castagne 1. ho chiesto] chiesi D D1 D2 ||ho chiesto|| (›chiesi‹) B  ◆  ha risposto] rispose D D1 D2 ||ha risposto|| (›rispose‹) B     2. sa] sapeva D D1 D2 ||sa|| (›sapeva‹) B     2-3. andato anche lui.] andato D andato /anche lui/. D1     4. ho cercato] cercavo D ho cercato (›cercavo‹) D1     5. L’ho riconosciuto] Lo ricostruivo D L’ho ricostruito (← Lo ricostruivo) D1 D2 B ≠ M2     7. fiumi boschi montagne] fiumi, boschi, montagne, D fiumi boschi montagne (← fiumi, boschi, montagne,) D1     9. di montagne di boschi] di montagne, di boschi, D di montagne di boschi (← di montagne, di boschi,) D1 D2 B di montagne di boschi, M2     11. che mi raccontava] che la donna mi raccontava D D1 D2 che ›la donna‹ mi raccontava B     13. vedo] vedevo D vedo (← vedevo) D1  ◆  attraversa] attraversava D attraversa (← attraversava) D1     14. devono esserci] dovevano esserci D /ci sono/ devono (← dovevano) esserci D1 devono esserci D2 devono essere M2     15. sono] erano D sono (← erano) D1     17. però] invece D D2 /però/ invece D1 ||però|| (›invece‹) B     21. ho indovinato] indovinavo D •ho indovinato (›indovinavo‹) D1     22. Sentivo che doveva] Doveva D /Sentivo che/ doveva (← Doveva) D1     

Michele Boschino

e nocciole, facevo il monte folto di boschi di castagni e di noccioli. Ricostruivo il paese intorno ai suoi gesti di contadina, ascoltando il suo dialetto così sonoro, risentito, e tanto in contrasto con la personcina secca e misera di lei, che fa pensare a certi alberelli storti e maltrattati che sembrano dover cedere alla prima raffica di vento e invece vengono su da un ceppo che affonda nella terra radici centenarie. Ma solo quando lei parlava potevo illudermi di farlo rivivere, questo paese. Viveva in certe parole, in certi nomi, in certi toni della sua voce, e nei gesti; e se ne andava con lei. Era lì, esisteva ai piedi di quel monte boscoso, lontano centinaia di chilometri; ma quando Linda usciva dalla mia stanza e io ci ripensavo da solo, quegli stessi particolari che prima aiutavano la mia fantasia mi davano il senso di una realtà desolata, ferma, impenetrabile. Col passare dei giorni, la possibilità di chiudere gli occhi e di essere improvvisamente solo non era più una condizione uniformemente felice. Ci ritrovavo dentro, a volte, un disagio, una pena ancora vaga di cui cercavo invano la ragione. Era la vita che entrava nella mia solitudine. A mano a mano si trasferiva in essa interamente. Ero nella condizione di uno che sia arrivato in un luogo nel quale desiderava di andare da lungo tempo, o che finalmente si sia riunito con una persona amata; e nella gioia di ritrovarsi in quel luogo, o in compagnia di quella persona, comincia a vedere, dopo un poco, quasi in trasparenza, la vita consueta, che non può mutare mai. Ora bastava l’impossibilità di conoscere il paese di Linda, di penetrare la realtà di questo paese lontano, per generare, nella mia gioia, un senso di pena. Allora il paese di Linda viveva dentro di me non con la ricchezza di boschi e di acqua che il suo dialetto suggerisce,

3-4. ascoltando…contrasto con] ascoltando o ripensando al suo dialetto sonoro e risentito, in contrasto con D ascoltando ›o ripensando‹ il (← al) suo dialetto /così/ sonoro|,| ›e‹ risentito, •e tanto in contrasto (›ain contrasto b•e contrastante‹) con D1     4. misera di lei] misera di lei D misera /di lei,/ D1     10. voce,] voce D voce|,| D1     11. lontano centinaia] a un centinaio D lontano centinaia (← a un centinaio) D1     13. io ci ripensavo] io /ci/ ripensavo D     23. sia riunito con] riunisce a D •sia riunito con (›riunisce a‹) D1     25. vedere,] vedere D vedere|,| D1     

147

5

10

15

20

25

30

148

GIUSEPPE DESSÌ

ma squallido, morto: una desolazione senza corpo. Dove mai avevo provato queste sensazioni? Quando mai avevo sentito la disperazione d’essere fatalmente legato a misere cose del tutto estranee a me, alla mia vita? Perché non era il 5 dolore di Linda che io sentivo, ma un dolore mio, solo mio. Se avessi potuto, sarei partito, sarei andato a vedere quelle quattro case, quel monte, mi sarei liberato da quel senso di pena. Non avrebbe avuto più nessuna importanza per me, o avrei potuto continuare a pensarlo, ma come un luogo 10 beato, come i luoghi creati dalla fantasia, che non hanno in sé il limite duro, insuperabile della realtà sconosciuta, farci sorgere e tramontare il sole a mio piacimento. In quei giorni mi ritrovavo spesso a pensare al vecchio ortolano che abitava nella rimessa dell’ingegnere Almerio. Più ci pensavo e più mi convincevo che il paese del vecchio doveva essere lo stesso paese di Linda. Ed ecco che il paese morto di Linda, che stava in fondo alla mia fantasia come 20 un cumulo di macerie, si animava, si rivelava, con la stessa precisione e la stessa vivezza del vecchio. Ora non era più il paese che si scopriva a stento attraverso i discorsi della sorda, ma il paese del vecchio. L’ombra dei muri s’allungava sull’erba delle cunette. I rumori della elegiaca campagna 25 che mi figuravo prima, ora si sovrapponevano, si confondevano come i rumori reali della città; e il paese viveva in questi rumori. Tutti i ricordi di Ultra, della campagna e della gente di Ultra, prendevano nella memoria la forma, la consistenza del vecchio. Era lui, il paese. Era vivo, esisteva. 30 Quando Linda entrava a rattizzare il fuoco nel caminetto e io fingevo di dormire, certo non sospettava che il suo paese era nei miei occhi chiusi più vivo forse di quanto non fosse mai stato per lei stessa. Quando lo vidi la prima volta, a Ultra, in casa del Capi15

7. monte,] luogo; D •monte (›luogo‹); D1 D2 monte, B     8. pena. Non] pena; non D pena. Non (← pena; non) D1     10. i luoghi] quelli D •i luoghi (›quelli‹) D1     11. realtà sconosciuta,] realtà D realtà /sconosciuta,/ D1     21. vivezza] |vivezza| (›vivacità‹) D     29. il paese] |il paese| (›che diventava paese‹) D     33-34. lei stessa. Quando] lei.↔|| Quando D lei |stessa|.↔|| Quando D1 D2 lei stessa.↔| Quando B     

Michele Boschino

tano, poteva avere una sessantina d’anni. Era ancora forte e vegeto. Una sera il pallone, col quale io, Donato e altri ragazzi nostri amici giuocavamo nel cortile, era caduto nell’orto degli Almerio schiantando un tralcio della vite del pergolato. Riodo le grida di quei ragazzi. La signora Amelia s’affaccia alla veranda e chiede, con la sua bella voce un poco velata, cos’è successo. Chi avrebbe detto allora che appena due anni più tardi quella voce si sarebbe spenta per sempre? «Sta’ attento, Filippo, sta’ attento per carità!» supplicò quando io m’arrampicai al muro che divide il cortile dall’orto. Le faccio un cenno con la mano, per tranquillizzarla. Cos’era veramente quel sentimento misto di ammirazione e di tenerezza che provavo in quel tempo per la madre del mio amico Donato? Era solo ammirazione e devozione sconfinata? E perché non osavo parlarne né con Donato né con mia madre e lo covavo nel segreto? In quel tempo l’amore per mia madre rimase come offuscato da questo sentimento che io cercavo con ogni cura di nascondere. La semplicità di modi di mia madre, la sua acutezza di giudizio, il suo piglio un po’ virile m’allontanavano da lei. Non c’era neppure l’ombra, in lei, della femminile dolcezza della signora Amelia. Non avevo simpatia, per mia madre. E lei stessa lo disse un giorno al dottor Vernieri. La mamma e il dottore erano nel salotto, e non s’erano accorti che io ero tornato da scuola. La porta dell’andito era socchiusa. Il dottore sedeva davanti alla mamma in una poltrona bassa, col mento appoggiato al pomo del bastone. «Lo sento che Filippo non ha simpatia per me» diceva la mamma. Mi fermai dietro la porta socchiusa, credendo che la mamma m’avesse sentito, e volesse indirettamente rimproverarmi di qualche cosa; ma quando fui certo che diceva sul serio, e parlava così di me credendomi assente, me ne andai in punta di piedi. Me ne andai, ma avrei voluto correre a buttarmi nelle sue braccia e gridarle che quel che aveva detto al dottore non era vero, che s’ingannava. Per la prima volta

2. col quale] con quale D D1 con /il/ quale D2 col quale B     3. caduto] |caduto| (›andato‹) D     9. Sta’] Sta D D1 D2 B ≠ M2  ◆  sta’] sta D D1 D2 B ≠ M2     11. dall’orto.] dall’orto degli Almerio. dall’orto ›degli Almerio‹. D1     

149

5

10

15

20

25

30

35

150

5

10

15

20

25

30

GIUSEPPE DESSÌ

avevo coscienza della mia solitudine e della sua, di qualcosa che ci separava. Lei parlava così di me con un estraneo. E io soffrivo. Improvvisamente, mentre andavo verso la darsena, mi venne un pensiero, feci una congettura che m’apparve subito assurda e cattiva, ma che non respinsi come avrei dovuto: “Ecco com’è” mi dicevo “ecco com’è. Un piccolo idillio borghese tra la mamma e il dottor Vernieri”. Come se avessi bevuto una droga, tutto divenne lucido e falso. I marinai, a quell’ora, cenavano sul ponte dei bastimenti ancorati. Era quasi estate. C’era un buon odore di zuppa di pesce misto all’odore del mare. I lumi ad acetilene rischiaravano le mense, e tutto intorno era già buio. Nella luce delle lampade gli uomini stavano come in una stanza chiusa, parlavano forte. Su un rimorchiatore, stavano litigando tra loro. Erano voci ben marcate di livornesi di genovesi di napoletani. Mi figurai d’essere in una città lontana, e che mia madre soffrisse per la mia lontananza. Pensai di partire, di andarmene davvero. Sono passati degli anni prima che imparassi ad amare mia madre come l’amavo da bambino, come l’amo ora. Si sono bruciati, consumati tutti i torbidi pensieri dell’adolescenza… Vidi sotto di me, dal muro, il piccolo orto. Formava una specie di terrazza sul fianco della collina. Più sotto c’era il vasto agrumeto dei Catello che occupa tutto il fondo della valle. Ma il pallone non poteva essere arrivato fin là. Mentre cercavo di vedere attraverso il pergolato sottostante, una voce si levò di tra le foglie. «Sta’ lì, ragazzo, che la palla te la riporto io a casa. Sta’ lì! Fermo! Che se scivoli poi ti ripescano col cucchiaio». Sentii i passi dell’uomo, poi di nuovo la voce: 2-3. E io soffrivo] E soffrivo D E /io/ soffrivo D1     5-6. assurda…dovuto:] falsa e ripugnante D •assurda e cattiva, ma che non respinsi come avrei dovuto: (›falsa e ripugnante‹) D1     7. idillio borghese] idillio ›borghese‹ D1 D2 idillio borghese D B     9. sul ponte] sulla coperta D D1 D2 B ≠ M2     11-12. rischiaravano] illuminavano D •rischiaravano (›illuminavano‹) D1     14. Su…litigando] litigavano D /Su un rimorchiatore stavano/ litigando (← litigavano) D1 D2 Su un rimorchiatore|,| stavano litigando B     15-16. di livornesi…napoletani] di Livornesi di Genovesi di Napoletani D D1 D2 B ≠ M2     24. dei Catello che] dei che D dei |Catello| che D1     28. Sta’] Stai D D1 D2 B ≠ M2  ◆  Sta’] Stai D D1 D2 B ≠ M2     

Michele Boschino

«E un’altra volta state attenti, voialtri, con la vostra palla, che mi rovinate l’insalata». L’uomo camminava sotto il pergolato, al di là delle foglie della vite, dalle quali saliva la sua voce. Era un dialetto diverso da quello di Ultra, quello stesso degli uomini che vengono dai paesi boscosi del Centro coi loro magri cavallucci pelosi a vendere castagne, nocciole e pale da forno; un dialetto che di quei boschi conserva la fresca cupezza. Il dialetto di Linda. Ridiscesi dal muro senza dir nulla, e tornai nel cortile. «Il pallone ce lo riporta un uomo ch’è laggiù» dissi ai ragazzi. Quando furono bussati al portone tre o quattro colpi discreti, riprendemmo tutti i nostri posti, divisi in due squadre. Infatti era il vecchio. S’affacciò al portello col pallone sotto il braccio, entrò, e stette lì un poco senza preoccuparsi della nostra impazienza; poi, tenendo il pallone con una sola mano, lo gettò in mezzo al cortile col gesto d’un giocatore di bocce. La partita riprese con schiamazzo. Senza perdere d’occhio il pallone, io osservavo il vecchio. Non portava il costume sgargiante e sudicio dei venditori di castagne, ma una lunga casacca nera stretta alla vita, il gonnellino e le uose pure nere, la camicia e le larghe brache di lino bianco. La berretta ripiegata sul capo faceva pensare a un elmo e gli conferiva un’aria di misurata fierezza. Quando andò via, continuai a sentire la sua presenza, là sotto il volto del portone, e ripensavo alla sua voce. Non alle parole e al loro senso, ma alla voce ch’era salita di tra le foglie come se mi stesse aspettando, al tono di benevolo e scherzoso ammonimento e al sorriso con cui s’era fermato a guardarci giuocare. Anche nei giorni seguenti il vecchio rimase presente alla mia fantasia. Pensavo, chi sa perché, a 6. Centro] centro D D1 D2 B ≠ M2     7. vendere castagne,] vender castagne (← vendere castagne,) D1     8. cupezza] |cupezza| (›acutezza‹) D     11-12. ragazzi.] ragazzi ›additando il vecchio‹. D1     15. vecchio. S’affacciò] vecchio. Io lo vedevo per la prima volta. S’affacciò D vecchio. ›Io lo vedevo per la prima volta.‹ S’affacciò D1     29. foglie] foglie, D D1 D2 foglie (← foglie,) B  ◆  mi stesse aspettando] m’aspettasse D •mi stesse aspettando (›m’aspettasse‹) D1     

151

5

10

15

20

25

30

152

5

10

15

20

25

30

35

GIUSEPPE DESSÌ

frutti dalla scorza consistente e lucida, di forma ben definita, come le castagne o le ghiande. Lo vidi poi altre volte, quell’estate, e ogni volta fui colpito da qualcosa ch’era in lui – qualcosa d’indefinibile che m’attirava come da bambino m’attiravano le castagne, non per desiderio di mangiarle, ma per sentire il loro peso, la loro forma, la scorza dura e liscia. Pareva che fosse arrivato, invecchiando, a una perfezione di consistenza e di levigatezza nei gesti sicuri e misurati. Di sera, quando i contadini tornavano dal lavoro con la bisaccia in spalla, preceduti dai loro asinelli carichi di fasci di legna o d’erba fresca, vedevo spesso il vecchio passare davanti alla casa dei miei amici. Aveva l’aria di un benestante che fa la sua passeggiatina serale. Una volta lo incontrai dal tabaccaio. Sul banco, davanti a lui, c’era un sigaro, una candela stearica avvolta per metà in un pezzo di carta gialla, una scatola di zolfanelli. Si fregava lentamente le mani dure e brune come se se le lavasse, e considerava i suoi acquisti. Prese il sigaro, l’annusò, lo spezzò in due, lo annusò di nuovo, prima un pezzo poi l’altro, ne provò la morbidezza tra l’indice e il pollice. Cercò un sacchettino di pelle nella tasca del panciotto, sciolse le corregge, mise sul banco le monete, una accanto all’altra, premendole forte col pollice. E tutto questo senza fretta. Con la stessa calma salutò dando un’occhiata, e andò via. Una volta lo vidi che portava in mano uno sverzino con due o tre foglie verdi in cima; e sembrava che non si accorgesse neppure d’averlo, che gli fosse cresciuto nel pugno, tanta era la sua gravità, in contrasto con quell’atto di portare lo sverzino. Non ricordo d’averlo mai visto fumare per istrada. Quando incontrava il Capitano o la signora Amelia, salutava toccandosi rispettosamente la fronte. Qualche volta il Capitano si fermava a parlare con lui. Noi forestieri non ci salutava. Ma un giorno che la mamma teneva per mano la piccola Isabella Monti, si fermò a guardar la bambina, e i suoi piccoli occhi brillavano nel viso rugoso. Da allora prese a salutare anche la mamma.

13. fa] facesse D fa (← facesse) D1     24. dando un’occhiata,] dando intorno un’occhiata, D D1 D2 B ≠ M2     27. nel pugno] in mano D •nel pugno (›in mano‹) D1     

Michele Boschino

Forse un anno più tardi (io ero ospite dei Monti essendo la mamma rimasta in città per certe lezioni), una notte, dopo che tutti gli altri furono andati a letto, mi venne la fantasia d’andare a distendermi in cortile su una catasta di tronchi di pioppo che i contadini del Capitano avevano abbarcato contro il muro dell’orto, proprio davanti alla vecchia rimessa. Sdraiato supino con le mani dietro la nuca, su quei tronchi, guardavo il cielo lunare, dove appariva appena qualche stellina. I tronchi erano stati tagliati qualche giorno prima, e mi pareva che l’aria, fin lassù, fosse piena dell’odore della loro linfa. Ricostruivo mentalmente una partita a dama che Silvio Catello m’aveva vinto, e rifacendo tutte le mosse avevo trovato quella che mi aveva rovinato il giuoco. A un tratto mi parve di udire due voci poco lontane. Non mi ricordavo più del vecchio ortolano, e mi pareva impossibile che quelle voci venissero dalla casa disabitata degli Almerio. Non so più che cosa fantasticai, in quel momento: forse di ladri appiattati nelle stanze cadenti. Non distinguevo le parole. Tra le foglie della vite balenava il vago riflesso di una luce rossastra, fioca, palpitante, come di un lume che sta per spegnersi. Strisciai carponi sui tronchi fino al muro – nel mio corpo immobile si desta il ricordo dei movimenti cauti, la sensazione del muro freddo e scabro sotto il palmo della mano, un odore di terra umida e di legna bruciata che si confondeva con quello dei tronchi ancora freschi. Un focherello di sterpi era acceso davanti alla porta della rimessa. Il vecchio stava seduto su una panchetta bassa e lo attizzava oziosamente con un pezzo di fil di ferro ripiegato a uncino. Non certo per scaldarsi, perché era piena estate. Faceva quest’operazione tutto assorto nelle parole che diceva, cambiando di volta in volta il tono della voce, così che pareva

6. contro il muro] |contro il muro| (›acontro b|accanto al muro|‹) D     12. e rifacendo] e rifacevo D e rifacendo (← e rifacevo) D1     12-13. mosse avevo trovato] mosse, risalivo a D mosse, •avevo trovato (›risalivo a‹) D1 D2 mosse (← mosse,) avevo trovato B     13. mi aveva] m’aveva (← mi aveva) D1 D2 mi aveva D B     22-23. si desta …cauti] |si desta il ricordo dei movimenti cauti| (›era il ricordo di quei movimenti cauti‹) D     25. confondeva con quello] confondeva a quello D D1 D2 fondeva (← confondeva) ||con|| (›a‹) quello B≠ M2     

153

5

10

15

20

25

30

154

5

10

15

20

25

30

GIUSEPPE DESSÌ

che due persone parlassero. E una di queste due voci era acuta, inquisitrice, l’altra sommessa, quasi supplichevole. «E tu allora perché non gliel’hai detto, a quei signori, quando te l’hanno chiesto? Perché non gliel’hai detto subito?» «E io, cosa ne sapevo, allora? Cosa ne sapevo? Potevo entrare nella tua testa, io? Lo sai come succede: si comincia da un nulla, da un cece! e questo cece diventa grosso come una botte e ti prende sotto che nemmeno te ne accorgi». «No, no e no! Tu e tuo fratello Amedeo lo sapevate che io non volevo farvi del male. Maledetti tu e lui! Lo sapevate. Eravate voi che volevate la mia rovina. E venire da me, bussare alla porta della mia casa e dire: “Michele, abbiamo sbagliato”, questo non l’avete mai voluto fare. La porta della mia casa vi bruciava le mani, le sedie della mia casa vi bruciavano il sedere. Eppure c’eravate venuti, a casa mia, quando si trattava di chiedermi in affitto la terra. E c’eravate venuti per chiedermi di pagare l’anno prossimo, perché avevate avuto troppe spese. Quali spese? Impostori! È il sangue cattivo che avete nelle vene. Maledetti voi e tutta la vostra razza. Anche se mi avevate fatto del male, lo sapevate che io ero pronto a tornare in pace con voi. Forse vi ho denunziato, quando m’avete rubato i buoi dal chiuso? E potevo farlo. Avevano mandato te, che eri il piccolino di casa. Ma io avrei potuto farvi mettere le manette a tutti quanti eravate. Perché eravate tutti d’accordo, eravate!» Il dialogo continuava. Le parole d’ira erano pronunciate pacatamente, lentamente, come se il vecchio riportasse il discorso di un’altra persona. Io non capivo chi fosse “il piccolino di casa” né quale fosse l’oggetto di quella specie di requisitoria. Capivo solo che la voce inquisitrice era quella del vecchio stesso, forse molto più giovane, forse più vecchio di quanto allora non fosse, fuori comunque dal presente, in un tempo di rivendicazione e di potenza. 16. bruciavano il sedere.] bruciavano… D bruciavano il culo (← … ) D1 D2 B ≠ M2     23. ho denunziato] |ho denunziato| (›avevo denunziato‹) D     25. mettere] metter D D1 D2 B ≠ M2     26. eravate. Perché] eravate, a cominciare da tuo padre, che Dio l’abbia in gloria. Perché D D1 D2 eravate›, a cominciare da tuo padre, che Dio l’abbia in gloria‹. Perché B     

Michele Boschino

«Cattiva volontà!» diceva. «Anche tu sapevi cosa bisognava fare per accomodare tutto, senza spingermi a quel passo. Lo sapevi, carogna puzzolente, sterco rinsecchito al sole! E hai lasciato fare! Hai lasciato fare agli estranei, che sono entrati in casa tua, e anche in casa mia, e han fatto quello che han fatto. È così o no? Ah, è così! Ora lo dici? Ma ora è tardi. È tardi per te, e anche per me». Tacque, e si mise a mugolare piano piano, come se imitasse il vento. Come il vento, il suo mugolio era continuo e modulato. Tacque del tutto, e dopo un poco la voce sommessa disse: «La disgrazia è come il vento. Quando comincia a soffiare l’uomo non può farci nulla». Riprese a mugolare, e gettò nel fuoco una manciata di foglie umide. Il fumo, denso e acre, m’investì in pieno viso, e io feci uno sforzo per non tossire, ma non mi mossi. Un sassolino rotolò giù dal muro. Il vecchio levò il viso e si mise a guardare fisso verso di me, poi s’alzò e camminando un po’ curvo, con le mani dietro la schiena, s’avvicinò al muro. Alzò di nuovo il viso, pian piano, quasi seguisse lungo il muro, con l’occhio, la strada che aveva fatto il sasso cadendo. Il suo viso, per metà illuminato, palpitava alla fiamma. Pareva immerso nell’acqua. Vedo distintamente, anche ora, se ci ripenso, il suo naso corto e minuto, la pelle chiazzata di rosso sotto la barba grigiastra. Ma lui non vedeva me. E io, me ne stavo nascosto tra le foglie della vite, tutto raccolto in me stesso, come un uccello sul punto di frullar via. Quando lo rividi erano passati quasi due anni. La signora Amelia era morta. Molte cose erano mutate, in casa dei miei amici. Anche quell’estate, essendo la mamma rimasta in città per le lezioni, io ero loro ospite. Occupavo la came-

4. E] e D D1 D2 B ≠ M2     8. piano piano] pian piano D D1 D2 piano piano B     10. tutto,] tutto D D1 D2 tutto|,| B     15. m’investì] mi investì D m’investì (← mi investì) D1     16. ma non] ›ma‹ non D1 D2 ma non D B     30-31. essendo…Occupavo] la mamma era rimasta in città, e io ero loro ospite. Occupavo D /essendo/ la mamma ›era‹ rimasta in città /per le lezioni/, ›e‹ io ero loro ospite e occupavo (← ospite. Occupavo) D1 D2 essendo la mamma rimasta in città per le lezioni, io ero loro ospite. Occupavo B     

155

5

10

15

20

25

30

156

5

10

15

20

25

30

GIUSEPPE DESSÌ

ra di Donato, che faceva un campeggio sulle Alpi. Quando non leggevo, passavo il mio tempo con le ragazze o col Capitano, andavo in campagna con lui, lo aiutavo a far le cartucce. La sera, giuocavamo a dama. Un giorno, mentre stavamo riparando, in cortile, le arnie che dovevano accogliere i nuovi sciami in primavera, il vecchio s’affacciò al muro. Mi ero dimenticato completamente di lui. Ma egli salutò anche me come se ci fossimo visti il giorno prima. «State lavorando?» chiese. «Lavorando!» rispose il Capitano facendo la voce grossa per dare scherzosamente importanza alla affermazione. «Vedo che vi state guadagnando la giornata» disse il vecchio, continuando nello scherzo. Il Capitano s’arrabattava intorno a un chiodo arrugginito che non riusciva a tirar via da un’assicella. «Noi ci guadagnamo la nostra giornata, mentre voi state lì a far nulla tutto il giorno». «Eh!» disse il vecchio «io ho già fatto la mia parte». Poi disse: «Ho parlato con quel tale. Mi ha detto che gli innesti ve li darà lui, quando sarà tempo. Che non andiate a cercarli altrove». Il Capitano, non riuscendo a tirar via il chiodo, buttò in un canto l’assicella. Il vecchio seguiva attentamente tutti i suoi movimenti, e benché avesse lasciato lo scherzo, continuava a sorridere per suo conto. «Credete che ci si possa fidare?» chiese il Capitano riprendendo l’assicella. «E se poi, quando dovrò innestare le viti, quel tale non mi dà gli innesti? Allora bisognerà che mi accontenti della qualità che trovo qui. La solita roba».

1-2. Quando] Io, quando D Quando (← Io, quando) D1     8. ci fossimo visti] mi avesse visto D •ci fossimo (›mi avesse‹) visti (← visto) D1     10-11. grossa per] grossa come per D grossa ›come‹ per D1     11. alla affermazione.] all’affermazione. D D1 D2 alla affermazione. B     13. continuando nello scherzo.] continuando a stare nel tono dello scherzo, ma con rispetto. D continuando ›a stare‹ nel|lo| ›tono dello‹ scherzo›, ma con rispetto‹. D1     19. Poi disse:] Poi, lasciando lo scherzo, disse: D Poi›, lasciando lo scherzo,‹ disse: D1     

Michele Boschino

«Uva di poveri» disse il vecchio. «Anche voi avete imparato a conoscerla, la gente di qui, in vent’anni che ci siete, no?» «Dodici anni». «Dodici?» «Dodici. Ma la gente è la stessa in tutti i paesi. Fa le cose quando ha interesse a farle». Il Capitano lo guardò. Il vecchio sorrise maliziosamente, poi disse: «Ha un figlio sotto le armi. E per Natale vorrebbe farlo venire in licenza. E poi anche qualche altra volta. Se il Capitano vuole, con un bigliettino a qualche suo amico…» «Ah!» Il vecchio rise e si strinse nelle spalle. «Ma io gli innesti glieli voglio pagare. Che non creda…» «Questo è a parte». Il vecchio tossì, si chinò, tirò su qualcosa, non senza fatica. Era un grosso fascio di foglie di cavolo, che posò sul muro. «E ora ditemi che sono un poltrone» disse riprendendo lo scherzo di prima. «Queste sono per i vostri conigli». A un cenno del Capitano, io corsi sotto il muro, e ricevetti tra le braccia il mazzo di foglie. Erano fresche, pesanti e mandavano un forte odore. Stetti lì, col fascio tra le braccia, e il vecchio mi guardava. «Ma chi è questo signorino?» disse rivolgendosi al Capitano. Pronunciò in un modo curioso la parola “signorino”, ma non c’era neppure in questo niente di poco rispettoso, niente di troppo confidenziale. Dopo che il Capitano gli ebbe detto il mio nome e la mia qualità di amico e di ospite, il vecchio mi invitò ad andare nel suo orto. «Io dico il mio orto, ma non è mio» mi spiegò. «L’orto è dell’ingegnere, ma finché ci sto, come dovrei dire? dico: il mio. Non porto via niente a nessuno».

24. fascio] mazzo D D1 D2 B ≠ M2     34. L’orto D D1 D2 B] Lo orto M2     

157

5

10

15

20

25

30

35

158

5

10

15

20

25

30

GIUSEPPE DESSÌ

Gli dissi che sarei andato da lui con piacere a veder l’orto. «E perché non venite ora?» «Entro la settimana verrò di certo». «Eh! Io so invece che se non venite ora non verrete più. Tutti facciamo promesse: farò, andrò, verrò… Ma è difficile mantenere una promessa, se si lascia passar tempo. Una piccola cosa, se la facciamo subito, non ci pesa, ma se promettiamo di farla e ci pensiamo, allora diventa difficile…» «Entro la settimana verrò di certo. Ora devo aiutare il Capitano». Il vecchio fece un cenno di saluto, e tenendosi agli staggi della scala, ridiscese e sparì dietro il muro. Aveva ragione lui: io non mantenni la promessa. Ma la primavera dell’anno dopo, per le vacanze pasquali, chiesi il nome del vecchio, una sera, e appoggiata al muro la scala a piuoli della legnaia, mi affacciai all’orto, e chiamai: «Boschino! O Boschino!» Quel nome suonava familiare al mio orecchio. Dall’alto del muro rivedevo il piccolo orto mezzo nascosto dal pergolato, e sotto, il grande agrumeto dei Catello punteggiato di frutti maturi. Veniva di là uno scroscio di acqua. Quella piccola valle che s’insinua profondamente nel paese col suo verde era animata dalla stessa voce che anima anche ora, nel mio ricordo, tutta la campagna di Ultra. Nessuno rispondeva. Chiamai ancora. Poi, siccome dall’altra parte del muro c’era pure un’altra scala a piuoli, discesi nel piccolo cortile quadrato della rimessa. La porta era socchiusa. La spinsi e entrai. Di faccia c’era un’altra grande porta a due battenti, sormontata da una lunetta a vetri, spalancata su un breve terrapieno limitato da una ringhiera di ferro, dal quale si scendeva nell’orto per una stretta scala di pietra. Il grande stanzone della rimessa era attraversato da una cor-

7. facciamo subito] |facciamo subito| (›fate subito‹) D     13-14. Ma la… dopo,] Ma quando tornai, la primavera dell’anno successivo D Ma ›quando tornai,‹ la primavera dell’anno •dopo, (›successivo‹) D1     15. una sera, e] e una sera, D ›e‹ una sera, /e/ D1     21. di acqua.] d’acqua. D D1 D2 B ≠ M2     23. anima anche] anima ›atutta la campagna di Ultra bi boschi di Ultra‹ anche D     30. limitato] cinto D •limitato (›cinto‹) D1     

Michele Boschino

rente d’aria fresca che faceva tremolare, sulla soglia, i fili d’erba secca. Due sedili da giardino, di ghisa, con la spalliera di legno rosa dai tarli e dall’umidità, addossati alla parete, ai lati della grande porta, erano ingombri di pale zappe rastrelli rotoli di corda. In un angolo c’era un grande orcio di terra incrinato dal fondo fino all’orlo, dal quale spuntava un gran fascio di canne secche tutte tagliate a punta per esser piantate facilmente in terra. C’era un tavolino appoggiato al muro, una branda, una sedia, due panchette di ferula, e, dietro la branda, un grande scaffale carico di bottiglie boccette ampolle barattoli coperti di polvere e di ragnateli. In uno scomparto stavano allineati con cura dei sacchetti di sementa. Cavai di tasca un pacchetto di sigari che avevo comprato per il vecchio, e lo misi sul tavolino, bene in vista, e senza neppure affacciarmi all’altra porta me ne andai per la stessa via da dove ero venuto. Partivo appunto la mattina seguente. Quando tornai a Ultra, alcuni mesi dopo, d’estate, mi affacciai di nuovo al muro e chiamai il vecchio, che si affacciò alla porta della rimessa e mi fece un cenno di saluto senza dir nulla. Avevo gridato a gran voce il suo nome, perché mi sentisse dall’orto. Persisteva sorridendo nel suo cenno di saluto, che era anche un invito a scendere dalla sua parte. «Sono qui» disse. «Mi dispiace che non mi abbiate trovato, l’altra volta. Ero al mercato. Vi ho cercato, il giorno dopo, ma voi eravate venuto da me proprio all’ultimo momento». 4-5. pale zappe rastrelli] pale, zappe, rastrelli, D pale zappe rastrelli (← pale, zappe, rastrelli,) D1     7-8. tagliate…in terra] tagliate alla stessa misura D tagliate •a punta per esser piantate facilmente in terra (›alla stessa misura‹) D1     10-11. bottiglie…barattoli] bottiglie, boccette, ampolle, barattoli, D bottiglie boccette ampolle barattoli (← bottiglie, boccette, ampolle, barattoli,) D1     11-12. ragnateli. In] ragnateli, tranne D ragnateli. In (← ragnateli, tranne) D1     12. stavano allineati con cura dei] dove stavano allineati dei D ›dove‹ stavano allineati /con cura (›in bell’ordine‹)/ dei D1     17. Partivo appunto] |Partivo appunto| (›Partii app‹) D     23. dall’orto. Persisteva] dall’orto, ›e la sua improvvisa apparizione, proprio lì, a due passi, sulla porta‹ Persisteva D     25. disse. «Mi] disse. ↔| «Mi D dissi (← disse).↔| «Mi D1 D2 disse. |↔ «Mi B     

159

5

10

15

20

25

160

5

10

15

20

25

30

GIUSEPPE DESSÌ

«Al mercato?» «Sì, al mercato. Ma non al mercato di Ultra. Al mercato di Acquapiana». «Ad Acquapiana?» «Sì, ad Acquapiana. Lì non ci sono né aranci né mandarini né limoni. Si vende bene, al minuto. Un mandarino lo pagano anche tre reali. I mandarini primaticci, s’intende, e quelli di fine stagione». Tutto, nella rimessa, era come quando c’ero stato in primavera. Prima d’andare nell’orto, vedendo che m’interessavo, il vecchio mi disse che le canne dell’orcio servivano per incannare i fagioli rampicanti e le aveva portate da Colgianus l’anno prima. Due ore di strada. Mi chiese s’ero mai stato a Colgianus, e io gli dissi anche dove crescevano le canne. Poi mi mostrò il contenuto dei sacchetti di sementa: ceci fagioli lenticchie… se li versava nel palmo e li spargeva col pollice. Aprì uno dopo l’altro anche i sacchetti più piccoli, che erano di carta. Imparai a conoscere i semi dei ravanelli, delle lattughe, delle rape, e in che stagione si seminano. In uno di questi sacchetti c’erano dei grossi fagioli bianchi picchiettati di macchie scure come le uova dei carderini. «Questi» disse «me li ha regalati vostro suocero». «Mio suocero?» chiesi meravigliato. Il vecchio sorrise maliziosamente. Capii che voleva scherzare, e non replicai. Uscimmo sul terrapieno e scendemmo nell’orto per la scaletta di pietra. Il vecchio continuava a parlare senza aspettare le mie domande. Mi disse che in primavera aveva seminato delle fave nelle aiuole del terrapieno e le aveva vendute fresche in baccelli, al mercato

7. tre reali] |tre reali| (›sei reali‹) D     11. disse] spiegò D •disse (›spiegò‹) D1  ◆  le canne dell’orcio] le canne ch’erano nell’orcio D le canne che vedevo (›ch’erano‹) nell’orcio D1 D2 le canne ›che vedevo‹ dell’orcio (← nell’orcio) B     12. per incannare i fagioli] per ›incannare‹ i fagioli D1  ◆  e le] che però quell’anno non aveva seminato. Le D •e (›che però quell’anno non aveva seminato‹) le (← Le) D1     17. pollice.] pollice dicendomi che erano scelti. D pollice ›dicendomi che erano scelti‹. D1     18. Imparai] Così imparai D ›Così‹ Imparai (← imparai) D1     26. sul terrapieno] |sul terrapieno| (›nello spiazzo dietro la [—]‹) D     

Michele Boschino

d’Acquapiana, ricavandone dieci scudi. Non era certo una somma. Ma quando mi disse che del pacco di sigari che gli avevo portato gliene rimanevano ancora tre, capii che per lui il danaro aveva un valore diverso che per noi, o meglio, più che il danaro, le cose che col danaro si procurano. Tutto durava di più, nelle sue mani: un chiodo un fuscello un sigaro diventava prezioso. Gli spiegai che la mia famiglia e la famiglia Monti erano legate da una vecchia amicizia, che il mio povero babbo era stato compagno di studi del Capitano, e io di Donato, e che per conseguenza ero amico anche di Maria e di Isabella. «Meglio così» disse il vecchio. «Meglio che vi conosciate bene, se dovete passare assieme tutta la vita». Trovai necessario dirgli esplicitamente che non c’era nulla tra me e Isabella, che era ancora una bambina, e anch’io ero troppo giovane per pensare a queste cose. Forse, dicendo questo, arrossii; ma il vecchio mi spiegò che non si trattava d’Isabella ma di Maria. Allora il mio imbarazzo cessò, e risi di cuore, perché Maria aveva qualche anno più di me, e sapevo che Silvio Catello era innamorato di lei, mentre io non ci avevo mai pensato. «Somiglia a sua madre» disse il vecchio senza partecipare alla mia improvvisa allegria. «Com’era buona! Ve la ricordate? Se mi dite che ogni anno venite a Ultra, ve la dovete ricordare». Non so come avvenisse, ma gli occhi mi si riempirono di lacrime, e non potei più parlare per paura di scoppiare in singhiozzi. Eppure non avevo mai pianto per la morte della signora Amelia, neanche quando, alla notizia, avevo visto piangere mia madre. «Quanti buoni consigli mi ha dato!» disse il vecchio. «Veniva qui, ogni tanto. Passava dalla porta però» soggiunse sorridendo «non dal muro, come fate voialtri ragazzi».

5. danaro,] danaro D D1 D2 danaro|,| B     11. di Isabella] d’ Isabella D D1 D2 B ≠ M2     23. mia improvvisa allegria] mia allegria D mia /improvvisa/ allegria D1  ◆  Ve] ve D D1 D2 B ≠ M2     

161

5

10

15

20

25

30

162

5

10

15

20

25

30

GIUSEPPE DESSÌ

Penso che abbia aggiunto questa spiegazione così ovvia per non darmi a vedere che s’era accorto delle mie lacrime, e lasciarmi il tempo di riprendermi. Poi mi disse che la signora Amelia amava l’orto perché sia l’orto che la rimessa, un tempo, avevano appartenuto alla casa, che lei aveva portato in dote al Capitano. L’orto era quasi interamente occupato dal pergolato e dagli alberi: un paio di filari di aranci e mandarini, due limoni, un fico castagnolo, in un angolo. L’acqua per irrigare, il vecchio la tirava su a braccia dal pozzo. Anche le piante bisognava irrigare, se si voleva che portassero a maturazione i frutti. I mandarini erano già grandi come una noce, le arance un po’ di più. Di limoni invece, che maturano in varie stagioni, ce n’erano già grandi e gialli. Il vecchio ne staccò uno e me lo diede. Sembrava di cera, e odorava solo a guardarlo. «È un peccato che lo abbiano venduto» dissi. «Venduto? Ma allora voi non sapete niente». Infatti io non sapevo neppure che l’orto, come diceva il vecchio, avesse appartenuto un tempo alla casa dei miei amici. «Altro che venduto!» disse. «Il padre dell’ingegnere Almerio, un bel giorno, cosa fa? Chiude con un tramezzo l’entrata, e diventa padrone dell’orto e della rimessa». «Così!» «Così. La signora me lo ha raccontato tante volte. La famiglia della signora ha passato brutti momenti. Non è vergogna dirlo. Tutte le famiglie passano brutti momenti. Poi il vento cambia di nuovo. Questa casa» e indicava le finestre del Capitano «fu presa da una banca. La signora mi ha detto il nome della banca, ma io non me lo ricordo. Forse ora non

1. Penso che abbia aggiunto] •Penso che (›Credo che accorgendosi delle mie lacrime‹) abbia ›voluto‹ aggiunto (← aggiungere) D     2. non…accorto] non mostrare d’essersi accorto D non •darmi a vedere che s’era (›mostrare d’essersi‹) accorto D1     3. lasciarmi il tempo] darmi tempo D D2 • lasciarmi il (›darmi‹) tempo D1     4. sia l’orto che la] l’orto e la D /sia/ l’orto •che (›e‹) la D1     8-9. due limoni] due alberi di limone D due ›alberi di‹ limoni (← limone) D1     

Michele Boschino

c’è più, quella banca. In quel tempo, chi era il padrone? La banca. Ma la banca aveva altre cose per la testa. Affari grossi! Cosa gliene importava, alla banca, se l’ingegnere s’era preso l’orto? Il debito era piccolo, e la casa valeva molto di più. Poi passò il tempo, la casa la ricomprarono i vecchi padroni, ch’erano andati a stare in città, e dopo l’atto di vendita bisognava andare in curia, se si voleva riavere l’orto e la rimessa. Il padre dell’ingegnere è morto, sono morti i parenti della signora, e anche lei se n’è andata, e le cose stanno ancora così. Non è prudente far causa all’ingegnere Almerio. Gli avvocati lo temono. Bisognerebbe andare dal Procuratore del Re, e dire: “Illustrissimo, le cose stanno così e così”, spiegargli tutto. E dirgli che gli avvocati sono una lega di birbanti». «Gli avvocati» riprese dopo un poco a bassa voce «dipendono tutti dal Procuratore del Re, e lui è un uomo giusto. E se sapesse le cose, farebbe giustizia. Io, se fossi come il Capitano, ci andrei, dal Procuratore del Re». Dal muretto si vedeva, oltre la valle, la pianura fino al mare, lo stagno di Santa Gilla, il castello di San Michele, e il profilo delle torri della città. A Est, lontanissimi colli, montagne, e l’altopiano della Giara. «Questo» disse il vecchio «è un orto da ridere. Non è nemmeno un vero orto. Ma può essere un orto di signori che vogliono avere un po’ di verdura in casa, un po’ d’uva, un po’ di mandarini e aranci, qualche limone. La signora diceva sempre: “Ah, Boschino, se avessi ancora il mio orto! Invece non è né mio né tuo. È di uno che non se ne fa nulla”. Ed è vero. Cosa volete che sia, quest’orto, per l’ingegnere. Lui se ne sta in città. Lui ha in città la sua bella casa, i suoi affari, i suoi danari… E coi danari si fa tutto. Sapete dove li tengono, i danari, questi signori della città? Non sono come noi poveretti che li teniamo sotto il pagliericcio, quando ne

1. più,] più neanche D più ›neanche‹|,| D1     19. Dal muretto…valle,] Dal muretto, oltre la valle, si vedeva D Dal muretto›, oltre la valle,‹ si vedeva|,| /oltre la valle,/ D1     22. e l’altopiano] l’altopiano D /e/ l’altopiano D1     24. nemmeno] neppure D D1 D2 B ≠ M2     25. casa, un] casa. Un D D2 casa, un (← casa. Un) D1     

163

5

10

15

20

25

30

164

5

10

15

20

25

30

GIUSEPPE DESSÌ

abbiamo. Loro li tengono nella banca. E fruttano. È come avere dei poderi». Si chinò e scelse un cocomero. Prima di staccarlo, ci batté su con le nocche. «È bianco» disse «ma non ci fate caso. È la qualità. Quando i semi sono neri, è segno ch’è maturo. Quando lo aprirete, vedrete che i semi di questo sono neri». «E voi lo capite dal suono». Fece cenno di sì, gravemente. Pochi giorni dopo tornai ancora da lui e cercai di portare il discorso sull’ingegnere Almerio. Gli chiesi se si faceva vedere spesso, a Ultra. «Prima veniva spesso» disse. «Veniva anche con la madre, la sorella e la cognata. Ma ora si lascia vedere di rado qui. E viene sempre solo. Quando viene, si porta un mazzo di chiavi e gira tutta la casa. Un tempo doveva essere una bella casa, messa bene. Ci stavano tutta l’estate. Veniva anche il fratello. Un bell’uomo, grasso. Io mi ricordo di averli visti qui tutti. Allora non abitavo in questa casa. Stavo in casa di Cristoforo Usùla, dietro il Monte Granatico. Quella casa nera, dietro la chiesa di Sant’Ermì. Non ci siete mai passato? Beh, è lo stesso. Avevo ancora i buoi. Io abitavo lì, allora. E vedevo passare davanti alla chiesa questo branco di signori grassi. Ogni giorno andavano a sedersi sotto i pini. E si portavano delle gran borse. Compravano uova pollastri frutta… Entravano persino nelle case, per cercare le uova fresche. Sembravano tante anatre, per la strada. Le donne con un sedere così. Lui, quando gli ho parlato la prima volta, pareva la bocca della giustizia. Sono passati tanti anni. Ora, quando viene, parla poco. Tutto il tempo lo

9. Fece] ›Volli battere‹ Fece D     9-10. gravemente. Pochi] gravemente.↔|| Pochi D D1 D2 B ≠ M2     10. cercai] ›gli‹ cercai D     13. spesso» disse. «Veniva] spesso. Veniva D spesso|» disse. «|Veniva D1     14-15. si lascia…qui.] lo vedo di rado. D si lascia vedere (← lo vedo) di rado /qui/. D1     16. gira] visita D •gira (›visita‹) D1  ◆  Un tempo doveva essere] Prima era D •Un tempo doveva essere (›Prima era‹) D1     19. Allora non] Allora io non D Allora ›io‹ non D1     25-26. uova pollastri] uova, pollastri, D D2 uova pollastri (← uova, pollastri,) D1     27. anatre,] anitre, D D1 D2 B ≠ M2     

Michele Boschino

passa nella stanza dove tiene lo strumento, e suona. Non fa altro che suonare, quando viene. Qualche volta s’affaccia al balcone, là, poi torna dentro, e ricomincia. E se ne va senza dir nulla». Un giorno, tre o quattro anni prima, e forse anche di più, perché io ero un bambino, la mamma e la signora Amelia stavano sedute sulla veranda a lavorare. A un tratto s’era sentito un suono, come di chitarra. Dove io fossi, non me lo ricordo. Forse ero seduto accanto alla mamma, forse giuocavo con Donato. Non ricordo altro, ma ricordo benissimo il suono. Le note, staccate le une dalle altre, facevano pensare a palline di cristallo; e non si limitavano a un accordo sempre ripetuto, ma anzi formavano nuovi accordi, e un accordo usciva dall’altro, uno si generava dall’altro. A quel suono la mamma e la signora Amelia avevano alzato la testa, erano rimaste in ascolto. Doveva essere una domenica sera, perché non c’erano in casa neppure le serve. Ma non mi resta altro ricordo sensibile del silenzio della casa se non il muro dell’orto, dove sembrava riflettersi. Il suono veniva di là dal muro. Ogni tanto la signora Amelia diceva qualche parola alla mamma, sommessamente. Solo più tardi – ma non saprei dire quando, né in quale occasione – seppi che non si trattava di una grossa chitarra, come avevo creduto, ma di un clavicembalo; e più tardi ancora mi parve di riconoscere quegli accordi in una sonata di Scarlatti. Certo è che una sonata di Scarlatti è rimasta unita, nella mia memoria, al ricordo del muro in quel silenzioso pomeriggio domenicale, e dei due verdi diversi della vite e del pesco. «Io, quando gli ho parlato la prima volta, mi è sembrato un uomo giusto, sincero» diceva il vecchio. Gli chiesi se gli avesse fatto qualche torto in seguito. Mi guardò un poco, poi si strinse nelle spalle con un gesto rassegnato, e disse: «Non parliamo di questo». Rientrammo nella rimessa.

15. suono] suono, D D1 D2 suono B     30. sincero» diceva il vecchio.] sincero. D sincero|» diceva il vecchio|. D1     31. torto in seguito.] torto. D torto|,| /in seguito/. D1 D2 torto in seguito. B     

165

5

10

15

20

25

30

35

166

5

10

15

20

25

30

GIUSEPPE DESSÌ

«Nel mondo» disse a un tratto «c’è gente buona e cattiva. Per conto mio non so se sono buono o cattivo. Io, per me, non avrei voluto far mai male a nessuno. Se poi è venuto, non è venuto solo addosso agli altri, il male. Ma a me mi giudicherà Quello che vede tutto e sa tutto. Anche se mi fa marcire come un cane in quel letto non me ne importa nulla. Sconterò in terra il mio purgatorio. Di me, non so nulla. Ma nel mondo c’è gente buona e gente cattiva. Io li conosco all’odore, e mi sono sbagliato poche volte. Mi sono sbagliato coi signori. Quelli sono di altra razza. Ma ora ho imparato a conoscere anche quelli. Quand’ero giovane ho fatto la pace con quelli che poi mi hanno tradito; ma non è che mi sia sbagliato: il cuore me lo diceva. Ma io mi dicevo: «Tu, Michele, sei di una razza dura. Solo tuo padre era di un legno diverso dagli altri, nella famiglia». Perché mio padre, nella famiglia, era come un ramo d’olivo in una pianta d’olivastro. E io mi dicevo: “Tu, Michele, devi essere come lui, non devi avere il cuore di cinghiale come gli altri parenti. Bisogna avvicinarli, questi parenti”. Non l’avessi mai fatto! Non era il mio cuore duro che aveva parlato prima e mi aveva avvertito, era il cuore giusto. E mio padre, che era giusto, e non voleva male a nessuno, mi aveva sempre detto: “Non cominciare mai per primo a litigare, con quelli lì, ma lasciali andare per la loro strada, e se ti vengono a cercare, a vantare diritti su questo e su quello, tu non cedere neanche di un palmo, stai sicuro nel tuo diritto come se tu fossi in chiesa”. Invece loro non chiedevano niente, volevano solo far la pace con me. Cosa avreste fatto voi? Bisognava star lontani da loro come si sta lontani dai cani arrabbiati. Ora lo so, ma non serve a nulla». Intanto ci eravamo seduti, il vecchio sulla branda e io sulla seggiola. Parlammo di Donato. Il vecchio si meravigliava

4. non] /›[—]‹/non D1     9. volte. Mi] volte. ›Non dico per voi‹ Mi B     10. Quelli sono] Quelli /lì/ sono D1 D2 Quelli sono D B  ◆  razza. Ma] razza. /Non dico per voi/ Ma D1 D2 razza. Ma D B     13. mi dicevo] |mi dicevo| (›pensavo‹) D     21. il cuore] il mio cuore D D1 D2 B ≠ M2     28. Cosa… voi?] per essere in pace anche col povero babbo. D Cosa avreste fatto voi? (›per essere in pace anche col povero babbo.‹) D1     

Michele Boschino

che ci volessero tanti anni di studio per diventare medico, avvocato, ingegnere, o anche semplicemente per avere un impiego. Secondo lui, non doveva esser difficile per il figlio di un medico, di un avvocato, di un ingegnere imparare la professione del padre. Gli dissi che solo di rado si sceglie la professione del proprio padre, che anzi generalmente si sceglie una professione diversa. «Ma poi si guadagnano molti danari?» chiese. «Non sempre» risposi tanto per non apparire ignorante anche delle cose della città. «Allora è una specie di commercio,» disse il vecchio «può andar bene e può andar male». «Presso a poco è come un commercio» risposi. Volle sapere chi amministrava i beni della mia famiglia; e si meravigliò quando io gli dissi che non possediamo beni, all’infuori della casa che abitiamo in città e della casetta di Ultra; che la mamma lavora per vivere. Il vecchio non capiva. Era difficile spiegargli che la mamma è professoressa di matematica. Gli dissi che insegnava a far di conto ai giovani delle scuole superiori. «Perché, questi giovani, dopo tanti anni che studiano, non sanno neppure far di conto?» Gli dissi che si trattava di calcoli molto complicati e difficili. Si fece assorto e non chiese altro. Era già buio, e lo salutai. Come l’altra volta avevo dovuto accettare il limone e il cocomero, non potei rifiutare un cestello di pomodori, che mi porse dal muro. «Conditeli con olio e sale» disse «senza aceto». Tornai altre volte dal vecchio, quell’estate e dopo. Ma che cosa so veramente di lui? Isabella cresceva, Maria s’era fatta donna, Donato non era più l’amico inseparabile di un tempo, la tristezza lasciata dalla scomparsa della signora Amelia si dissipava pian piano, e la vita tornava serena, benché

3. lui,] lui D D1 D2 lui|,| B     10. delle] nelle D D1 D2 delle B     11. commercio,] commercio D D1 D2 commercio|,| B     

167

5

10

15

20

25

30

168

5

10

15

20

25

30

GIUSEPPE DESSÌ

non avesse più l’incanto degli anni passati, che era l’incanto dell’infanzia e della prima adolescenza; il Capitano, che aveva passato la cinquantina, non era più l’instancabile cacciatore di un tempo, si appesantiva e faceva i capelli grigi: tutto mutava: solo Boschino restava sempre lo stesso. Il vecchio costume d’orbace e di lino gli si logorava addosso, cadeva in brandelli, veniva sostituito con abiti smessi del Capitano, ma lui non cambiava mai. Le cose si muovevano intorno a lui, invecchiavano, crescevano, e lui solo era fermo. La decrepitezza non lo toccava. Credo che, allora, solo questa sua consistenza, questa sua incorruttibilità gli facessero avere un posto nel mio spirito e nel paesaggio di Ultra. Quand’ero in città, me ne ricordavo solo raramente; e se qualcuno m’avesse chiesto di lui, ben poco avrei saputo rispondere. Ma non appena ritornavo a Ultra, non appena sentivo l’aria di Ultra, ecco che la figura del vecchio si ravvivava. Neanche allora avrei saputo dirne nulla di preciso, se avessi dovuto parlarne, ma forse avrei saputo parlare come lui, gestire come lui, applicare a qualunque discorso il tono di familiarità e di conoscenza, per esempio, con cui parlava delle piante, del modo di coltivarle, o delle persone, che egli considerava, come le piante, soggette a leggi immutabili. Sentivo la concretezza che avevano per lui le cose che lo circondavano, o che avevano comunque un rapporto con la sua persona e col suo lavoro, come gli oggetti logorati dalle sue mani, che ogni giorno tornavano agli stessi gesti; e non solo gli oggetti necessari al suo lavoro, ma anche quelli di cui si serviva oziosamente, come un piccolo temperino di madreperla con una lama spezzata, che teneva in una tasca del panciotto, col quale, quand’era seduto, tagliava stecchi, li raschiava, li affilava, sia quando parlava con me, sia quando se ne stava solo davanti al fuoco, la notte, immerso nei 1. degli] •degli (›di quegli‹) D     4-5. grigi…solo] grigi. Tutto mutava. Solo D D1 D2 grigi: tutto mutava: solo (← grigi. Tutto mutava. Solo) B     10. che, allora,] che allora D che, allora, D1     13. me ne ricordavo] mi ricordavo di lui solo D me ne ricordavo (← mi ricordavo di lui solo) D1     16-17. si ravvivava] ritornava vivissima D D1 D2 ||si ravvivava|| (›ritornava vivissima‹) B     17. dirne] dir D dir/ne/ D1     19. come lui] come lui gestiva D come lui ›gestiva‹ D1     20. con cui parlava] con cui ›il vecchio‹ parlava D     

Michele Boschino

suoi soliloqui interminabili. Ma non avrei potuto dire in che cosa consistesse questa concretezza che io stesso sentivo nelle cose attraverso il vecchio. Tutti i suoi gesti io potevo immaginarli, sentirli nel mio corpo immobile. Se immaginavo di alzarmi, mi vedevo camminare come lui, sedermi come lui sulla sponda del letto. E non perché i suoi gesti si fossero impressi nella mia memoria, ma perché sentivo in lui qualche cosa che dava la misura a questi gesti lenti, sempre uguali. Ricordo che un giorno, affacciandomi al pozzo sotto il pergolato, e guardando nella gola buia dalla quale ventava un alito freddo, chiesi: «È profondo?» «Quaranta braccia di corda» rispose. Ora, io non l’avevo mai visto attingere acqua dal pozzo, ma se ci pensavo, era come se lo vedessi. Poteva tirar su venti secchi, trenta (non ce ne vogliono di meno per irrigare l’orto nella stagione calda), e le bracciate con cui tirava su l’ultimo secchio erano uguali a quelle con cui aveva tirato su il primo. La misura e la lentezza annullavano la fatica. Una volta, a Ultra, avevo sentito le serve del Capitano che ridevano in cucina. «E tu cosa gli hai risposto?» diceva una. «Io gli ho risposto: “E i vostri parenti cosa ne diranno?”. E lui: “I miei parenti? Qualche cane avrà rosicchiato le loro ossa, a quest’ora!”». Questa frase riportata dalle donne era ben lontana dal carattere e dal tono solito dei discorsi che avevo sentito fare al vecchio; eppure capii che si trattava di lui, che solo lui poteva avere parlato così alla serva: una frase qualunque, con la quale poneva tra sé e quella donna una distanza insormontabile. Era il suo modo di trattare gli estranei. Certo a

1-2. dire in che cosa] dire ›oppure ora potrei in che cosa consistesse‹ in che cosa D     5-6. sedermi…sponda] sedermi, come lui, sull’orlo D sedermi, come lui, sulla sponda (← sull’orlo) D1 D2 sedermi come lui (← sedermi, come lui,) sulla sponda B     7. fossero] siano D •fossero (›siano‹) D1     20. Una volta] |Una volta| (›Un giorno‹) D     27. tono solito dei] tono dei D tono /solito/ dei D1     28-29. solo lui poteva avere] era verosimile che avesse D •solo lui poteva aver (›era verosimile che avesse‹) D1 D2 solo lui poteva avere B     29. serva:] serva, D D1 D2 serva: (← serva,) B     

169

5

10

15

20

25

30

170

5

10

15

20

25

GIUSEPPE DESSÌ

me avrebbe risposto ben diversamente, se gli avessi chiesto qualche cosa della sua vita: ma io non avevo curiosità, nei suoi riguardi, come se il suo passato non esistesse. Era come quegli alberi che si conoscono vecchi nell’infanzia e vecchi rimangono per tutta la nostra vita, di una vecchiezza senza età. Per me Boschino era tutto al presente. Anche quando mi parlava di certi fatti, avvenuti tanto tempo prima nel suo lontano paese del Centro, della sua casa, dove sua moglie era morta poco dopo le nozze, degli alberi che curava anche lì con tanto amore, dei buoi che ogni tanto andava a vendere o a comprare alla fiera, e che poi domava lui stesso per i lavori dei campi. Tutti questi fatti io non li ponevo nel passato. Esistevano nel suo racconto, fuori del tempo, in un fantastico e inalterabile presente. Erano lui stesso, come era lui il paese di cui non mi era mai venuto in mente di chiedergli il nome. Una sola volta, e con un senso acuto di disagio, ebbi la percezione del tempo passato, quando mi parlò di suo padre, che era stato condannato ingiustamente a due anni di carcere. Ebbi il sospetto assurdo che questo racconto non si riferisse a suo padre, ma a lui stesso. Che cosa lo aveva strappato al suo paese? Che cosa lo aveva portato a Ultra? Come aveva perduto tutto ciò che aveva? In un momento mi posi tutte queste domande, e me le spiegai con la sua ipotetica condanna. Poteva aver commesso un delitto, e forse ora mentiva. Ma il disagio stesso in cui mi mise questa ipotesi, mi portò a rigettarla. Trovai più semplice credere all’ingiusta condanna di suo padre; e Boschino tornò per

3-4. come se… quegli] come se egli non avesse passato. Era come uno di quegli D come se •per lui il (›egli non avesse‹) passato /non esistesse/. Era come ›uno di‹ quegli D1 D2 come se ›per lui‹ il ||suo|| passato non esistesse. Era come quegli B     6. al presente] |al presente| (›nel presente‹) D     7. fatti…nel] fatti lontani, avvenuti nel D fatti ›lontani‹, avvenuti /tanto tempo prima/ nel D1     8. Centro, della] Centro, che si era poi identificato per me col paese stesso di Linda; della D Centro, ›che si era poi identificato per me col paese stesso di Linda;‹ della D1     14. inalterabile] inesauribile D D1 D2 B ≠ M2     15. era mai venuto] venne mai D •era (›venne‹) mai /venuto/ D1     19. sospetto assurdo] sospetto D sospetto /assurdo/ D1     21. portato] gettato D D1 D2 B ≠ M2     26. Trovai…credere] Credetti D •Trovai più semplice credere (›Credetti‹) D1     

Michele Boschino

me quello di prima – quale lo avevo visto la prima volta in casa del Capitano, con la lunga casacca nera avvitata e le brache bianche, come doveva essere presso a poco, quando aveva lasciato il suo paese. La causa delle sue disgrazie non me l’aveva mai detta. Forse era superfluo conoscerla. Io ignoravo tutti i fatti che costituivano, nella sua vita, quella relazione di causa e di effetto che dà non tanto il senso del tempo quanto il senso irrimediabile del passato. Dimenticai il dubbio momentaneo, che poi ritornò sotto altro aspetto quando presi a ripensare a lui nella mia solitudine di malato. Ci pensavo come si pensa a un sogno fatto durante la notte e che al mattino sfugge e si cancellerebbe del tutto se non si insistesse a pensarci. Un ricordo incerto, di un fatto che potrebbe anche essere soltanto una mia fantasia, completamente privo di ogni legame con altri ricordi, con la realtà, o riferirsi a qualche altra persona: una lettera che Maria, poco dopo la morte di sua madre, era stata pregata di scrivere da Boschino. La particolarità di questa lettera era che Boschino aveva voluto dettarla lui stesso parola per parola, insistendo perché fosse scritta in dialetto. Boschino si rivolgeva al Procuratore del Re e chiedeva giustizia. Affermava che un certo avvocato e un’altra persona, forse l’ingegnere Almerio, avevano abusato di una sua procura appropriandosi31 una grossa somma che gli apparteneva. Non sapevo neppure io quando ero venuto a conoscenza di questo fatto, ch’era rimasto isolato, fuori da quel presente in cui sempre avevo visto Boschino: era il richiamo di un al-

1. quale] come D •quale (›come‹) D1     4. aveva lasciato] lasciò D •aveva lasciato (›lasciò‹) D1     5. conoscerla] |conoscerla| (›saperlo‹) D     6. i fatti] quei fatti D i (← quei) fatti D1     18. scrivere da Boschino] scrivere. Da Boschino? (← scrivere da Boschino) D1     24-25. apparteneva…neppure] apparteneva. Non sapevo ›quand’era‹ neppure D apparteneva. ↔| Non sapevo neppure D1     27. in cui sempre avevo] |in cui sempre avevo| (›che io avevo sempre attri‹) D      31 In IL in modo congetturale si integra come segue: «appropriandosi [di] una». Nessun testimone che ci ha trasmesso il romanzo riporta in questo luogo del testo la preposizione semplice, perciò si conserva la forma transitiva del verbo «appropriare», per altro correttamente utilizzata dall’autore.

171

5

10

15

20

25

172

GIUSEPPE DESSÌ

tro tempo, del tempo reale, su cui nulla ha potere. Altri fatti potevano aggiungersi a questo. E Boschino avrebbe preso a vivere staccato da me, animato dal suo passato sconosciuto, che appariva confusamente e urgeva come un fuoco nasco5 sto; non sarebbe stato più il vecchio albero fermo, immutabile, avrebbe riacquistato la sua età, sarebbe invecchiato di colpo. Da molto tempo io non lo rivedevo. Che n’era stato di lui? Era ancora al mondo? Mi ripetevo spesso questa do10 manda che prima non m’era venuta neppure in mente. Constatai con meraviglia che la mamma non si ricordava più di Boschino. Quella sera stessa scrissi a Maria Monti. La ringraziavo per la lettera d’auguri che avevo ricevuto alcuni giorni pri15 ma, le chiedevo notizia di tutti e, come incidentalmente, anche del vecchio ortolano degli Almerio.32 Caro Filippo, ti rispondo solo ora perché anch’io sono stata a letto quasi una settimana. Un po’ d’influenza, come ogni anno al principio dell’inverno. Ora che stai meglio, posso dirti che ho pensato sempre a te con molta pena, tutto questo tempo. Non mi avevi nep25 pure scritto che tra qualche giorno ti leveranno l’ingessatura: l’ho saputo dal poscritto della signora Bianca. Non puoi immaginare che importanza abbia avuto per me que20

1. del] di un D del (← di un) D1  ◆  su cui] |su cui| (›in cui‹) D     2. preso a] potuto muoversi, D •preso a (›potuto muoversi,‹) D1     6-7. età…colpo.] età e sarebbe invecchiato. D età|,| ›e‹ sarebbe invecchiato |di colpo|. D1     20. ti] Ti D D1 D2 B ≠ M2     23. meglio,] meglio D meglio|,| D1     24. Non] Tu non D Non (← Tu non) D1     25. leveranno] levano D D1 D2 ||leveranno|| (›levano‹) B     26. Non] Tu non D Non (← Tu non) D1     27. immaginare] capire D D1 D2 ||immaginare|| (›capire‹) B      In D1 in questo luogo del testo, nell’interlinea inferiore, per mano autorale, si legge: «(Cominciare la lettera in un’altra pagina. ›Spazio piuttosto largo‹)». In D2 nello stesso luogo del testo, nell’interlinea inferiore, per mano verosimilmente non autorale, si legge: «(Cominciare la lettera in un’altra pagina.)».

32

Michele Boschino

sta notizia. Non potevo sopportare l’idea di saperti sempre immobile, giorno e notte. Era una cosa ossessionante, specialmente quando ho dovuto stare a letto anch’io. In certi momenti cercavo di stare anch’io immobile come te, ma non resistevo più di qualche minuto. Ora sono felice di sapere che tra qualche giorno sarai libero. A letto ora c’è Isabella, che ha preso da me l’influenza, poi toccherà al babbo e alla signorina Airoli, come succede sempre in questi casi. Le sole persone che la passeranno liscia saranno Lavinia e le altre donne di servizio. Quelle non s’ammalano mai. Eppure non devono essere di una razza diversa dalla nostra. Di Donato non abbiamo notizie da due settimane e più, mentre noi gli abbiamo scritto puntualmente. Abbiamo saputo da Silvio Catello che sta bene e che aveva intenzione di venire a passare il Natale con noi, quest’anno. Almeno fosse! Ho tanto desiderio di stare con lui un poco, di fare qualche passeggiata sui monti, come un tempo. E anche te ho desiderio di rivedere. Vorrei parlare con te di tutto quello che penso. Tu sei più indulgente di Donato, e quando dico qualche sciocchezza non ti arrabbi come fa lui. Mi accontenterei di sentirti parlare dei film che hai visto in questi ultimi mesi. Ho proprio voglia di sentir la vostra voce, di te e di Donato. Da quando è ripartito, tutti i giorni passano uguali, monotoni, e queste serate, coll’avvicinarsi dell’inverno, diventano sempre più lunghe. Tu dici che l’inverno qui è bello. Sì, è bello per chi viene dalla città, per chi, dalla città, che presso a poco è sempre la stessa estate e inverno, con un’ora di treno si trova in mezzo a questa bella campagna. Ma per chi sta qui i mutamenti avvengono che nemmeno te n’accorgi, e si arriva con monotonia

9. sole] uniche D D1 D2 ||sole|| (›uniche‹) B     10. Quelle] Loro D •Quelle (›Loro‹) D1     13-14. puntualmente.] regolarmente D puntualmente (›regolarmente‹). D1     15. aveva] ha (›aveva‹) D1 D2 aveva D B     20. qualche] delle D •qualche (›delle‹) D1     23. Da quando] Da quando Donato D D1 D2 Da quando ›Donato‹ B     26. Sì, è] È D /Sì!/ è D1 D2 Sì, è B     28-29. questa bella campagna] questa campagna D questa /bella/ campagna D1     29. qui] qui|,| D1     

173

5

10

15

20

25

30

174

5

10

15

20

25

30

GIUSEPPE DESSÌ

a questa monotonia dell’inverno. Per me non ha niente di pittoresco e me lo sento dentro. Ma tu, ora che sei diventato una specie di fachiro, non capirai questo – il solito argomento di noialtre ragazze confinate in campagna. Sai che ho smesso di leggere e rileggere Estaunié perché la tristezza di quella sua provincia mi ossessionava? Mi sembra che la monotonia della mia vita, se ci penso, possa trasformarsi in una tristezza della stessa natura di quella dei personaggi di Estaunié, che avvolge tutto come una sensibilità dolorosa. Qui ogni più piccolo fatto, ogni oggetto – un cestino da lavoro dimenticato sulla tavola – ti dà pena. Non mi vergogno di dirti che il desiderio di vederti e di parlare con te si confonde col desiderio di sfuggire alla monotonia. Ma vorrei non vedere altre persone all’infuori di te e di Donato. Così ben poco ho da raccontarti, come vedi. Le piccole cose che accadono tutti i giorni e tutti i giorni si ripetono, interessano così poco anche me. È vero che tu le vedresti con altri occhi. Ti ricordi quella donna alta, vestita di nero, che veniva a portarci il latte ogni sera con una bella bambina in braccio? Ti ricordi come t’interessavi al suo viso, al suo portamento così composto e nobile? Io avevo sempre visto quella donna, ho visto crescere la sua bambina – ma in realtà non mi ero mai accorta di lei, non m’ero accorta che ci fosse in lei qualcosa di particolare. E così forse accade per tutti gli aspetti della vita. Io qui, a furia di rivedere sempre le stesse cose, le stesse facce, di sentir sempre le stesse voci, divento insensibile e ottusa. Non è forse la sorte di tutti quelli che vivono qui? Insensibili a tutto quanto li circonda. E queste ragazze sempre tese alle più piccole insignificanti novità che vengon di fuori? È una sorte che mi fa paura. Forse tutte sentono come me, più o meno chiaramente,

3. questo] questo ›sentimento‹ D     5. Estaunié] |Estaunié| (›Muriac‹) D     6. ossessionava?] ossessiona? D ossessionava? (← ossessiona?) D1     8-9. quella …Estaunié, che] quella che D quella /dei personaggi di Estaunié,/ che D1     9-10. dolorosa. Qui] dolorosa, e D dolorosa. Qui (← dolorosa, e) D1     10. oggetto – un] oggetto persino, come un D oggetto ›persino, come‹– un D1     13-14. Ma…vedere] Ma non vorrei vedere D D1 D2 Ma vorrei non vedere B     22. bambina – ma] bambina; ma D bambina – ma (← bambina; ma) D1     27. e ottusa] a tutto D •e ottusa (›a tutto‹) D1     

Michele Boschino

175

questo pericolo; ma è inutile lottare, come poi sarà inutile, a una certa età, lottare contro gli anni. Io sento come sfioriscono dentro, queste ragazze. Guarda Ada Catello, Concetta Pasca, e tutte le altre qui. Ma per me ora si tratta forse solo di quella debolezza e di quel disgusto che lascia 5 l’influenza. Avrei bisogno di muovermi, di camminare, ma piove sempre – e poi, con chi potrei uscire? Io riesco a pensare solo quando mi muovo e cammino. Tutto il contrario di quel che accade a te ora. Raccontami ancora di te. Cosa leggi? Cosa fa la signora Bianca? Mi sembra di 10 vedervi tutti e due, tu a letto, lei seduta a lavorare vicino a te, nella stanza dell’arcata. Vorrei esserci anch’io! Salutala anche a nome del babbo e di Isabella. A te molti auguri, ecc. ecc. 15

Caro Filippo, grazie del libro. Ho cominciato subito a leggerlo, e mi piace molto. È vero, non bisogna lasciarsi influenzare, nei giudizi, da uno stato d’animo passeggero. Non bisogna, 20 non bisognerebbe… Ma io non ho gusto. Un libro m’interessa proprio perché ci ritrovo un mio stato d’animo. E allora?… È giusto quel che dici dell’avvocato Majuri. Mi hai fatto molto ridere. Ridevo tanto che ho dovuto mostrare la lettera a Isabella e anche il babbo ha voluto leggerla, 25 ma non è rimasto, mi pare, molto entusiasta – forse perché anche lui appartiene a quel tipo di lettori, per quel poco che legge. Eppure l’avvocato Majuri è sempre una persona simpatica, e quando ti parla di un libro ti fa venir la voglia di leggerlo. Io credo che un tempo leggessero tutti così. Per 30 loro, un libro, per essere un vero libro, deve poter durare, dev’essere un classico. Come nei classici, bisogna poterci trovare tutto – quello che essi chiamano la vita, cioè un’idea

1. come poi sarà] come è D come ||poi|| •sarà (›è‹) D1     2. età, lottare] età poi lottare D età|,| ›poi‹ lottare D1  ◆  Io sento] Io /lo/ sento|,| D1 Io lo sento D2 Io sento D B     7. poi,] poi D D2 poi|,| D1     17-18. Filippo, grazie] Filippo,↔| Grazie D D1 D2 B ≠ M2     30-31. Per loro, un] Un D /Per loro,/ un (← Un) D1     

176

5

10

15

20

25

30

GIUSEPPE DESSÌ

morale. Poi esiste, per loro, una seconda categoria di libri, che sono quelli degli scrittori moderni (essi pongono tra gli scrittori moderni Zola, Manzoni, Capuana, De Marchi…) e in questi ci vogliono vedere la vita così com’è… Sì e no arrivano a D’Annunzio, a France: il resto non esiste. Ed è strano vedere come i lettori del tipo del babbo e dell’avvocato, persone che noi stimiamo e alle quali chiederemmo consiglio nei casi più gravi della vita (ma è poi vero?…) quando prendono in mano un libro si lascino sempre guidare non dal senso della vita che essi hanno, non dalla esperienza, ma da un concetto astratto che se ne son fatti, Majuri dalle sue ideologie democratiche e umanitarie, e il babbo dal suo patriottismo. Il senso della vita, che pure hanno, la loro esperienza, la loro sensibilità morale più genuina, è estranea alla loro cultura. E dov’è allora che trovano quell’aiuto, quel conforto, quella guida che noi troviamo proprio nei libri? Dico noi, ma voglio dire tu, Donato, e io solo in quanto mi piace ascoltare quello che voi dite. Forse non sanno mai uscire dagli affetti familiari, dall’amicizia, dal senso di benessere morale che dà loro questa vita quieta. Questa è l’idea che me ne son fatta. Ma dentro la loro testa poi, come li capiranno, i libri? È possibile che non riescano a vederci nulla, nulla all’infuori delle idee che hanno già accettato una volta per sempre? Io penso che forse, nella solitudine della lettura, si lascino prendere anche loro da un’onda d’idee e di sentimenti sconosciuti, che si abbandonino forse al libro come facciamo noi. Non credi? Staccati dalla lettura, poi, chiuso il libro, ritornano quelli di prima, con le loro abitudini e la loro educazione, nelle quali le opinioni più opposte si compongono e si placano, proprio perché non sono vere

2. sono quelli] sono ›i libri degli‹ quelli D  ◆  moderni] nuovi D •moderni (›nuovi‹) D1     3. moderni] nuovi D •moderni (›nuovi‹) D1     4. com’è…] come è. D D1 D2 com’è… B  ◆  Sì e no] ›Sono d’accordo con la storia della letteratura con la scuola‹ Sì e no D     20. morale] morale, D D1 D2 morale (← morale,) B     23. nulla, nulla all’infuori] nulla, all’infuori D nulla, /nulla/ all’infuori D1  ◆  accettato] accetato D D1 accet|t|ato D2     24. che forse,] che ›ne parlino‹ forse, D     27-28. lettura, poi, chiuso] lettura, chiuso D D1 D2 lettura, /poi,/ chiuso B     28. ritornano] ecco che ritornano D ›ecco che‹ ritornano D1     

Michele Boschino

opinioni ma solo abitudini. È curioso vedere come l’educazione abbia tanta importanza per gli uomini della loro età, più che per noi giovani. Non è la loro educazione che limita le loro letture a un diletto senza conseguenze, che confina tutto ciò che è essenziale in un libro nella parte più infantile del loro spirito, dove stanno tutti i loro desideri inconfessati, tutto ciò che essi chiamano sogni? Io, fantasticando per conto mio, penso che proprio questo distingue noi giovani – voialtri giovani – da loro: una maggior fiducia nelle idee. Voi non fate differenza fra i sogni e la realtà. Ti faccio tutta questa chiacchierata perché ho avuto una discussione col babbo proprio su questo argomento, ma non sono riuscita a spiegarmi, perché io stessa, in fondo, resto al di qua del mistero. Si trattava, non di voi in particolare, ma degli scrittori nuovi. Per farti capire il mio stato d’animo: io tengo in camera mia quella riproduzione della natura morta di Morandi che mi portasti tu l’anno scorso. Io amo quella riproduzione, ma ti confesso che non saprei dire perché; e non lo so dire quando il babbo me lo chiede. Invece saprei dire, a modo mio, perché mi piace Renoir, Monet, Cézanne… L’ho messa vicino a quelle altre e aspetto, aspetto che a furia di vederla si animi, come un paesaggio dietro un vetro su cui si scioglie il ghiaccio. Un bel giorno vedrò “luce,

1. opinioni ma] opinioni – profondamente sentite – ma D opinioni ›– profondamente sentite -‹ ma D1     5. è essenziale in un libro] |è essenziale in un libro| (›può esserci in un libro‹) D  ◆   infantile] infantile e fantastica D infantile ›e fantastica‹ D1     8. che…distingue] che •è (›[—]‹) proprio questo che distingue D D1 D2 che proprio questo ›che‹ distingue B     13. spiegarmi,] spiegarmi D spiegarmi|,| D1  ◆  resto al di qua] resto io stessa al di qua D resto ›io stessa‹ al di qua D1     16-17. quella…Morandi] |quella riproduzione della natura morta di Morandi| (›la riproduzione di quella natura morta di Morandi‹) D     18-19. e non] come non D •e (›come‹) non D1     20-21. Monet, Cézanne…] Manet, Sezanne… ›Rendo la riproduzione natura morta di Morandi accanto a‹ D D1 D2 Manet, Cézanne (← Sezanne)… B ≠ M2     

177

5

10

15

20

178

5

10

15

20

25

GIUSEPPE DESSÌ

spazio, volumi”, come dici tu, anche nella natura morta di Morandi. Ma l’anno scorso,33 che gioia, a Venezia, la mostra del Tintoretto! . . . Caro Filippo, per la terza volta mi chiedi notizie di Boschino. M’ero sempre dimenticata di risponderti; forse anche perché è penoso parlarne, benché non passi giorno senza che, volere o no, debba occuparmi di lui. È una delle tante cose poco allegre della vita di qui. È un pezzo che non si alza più dalla sua branda. Pare si tratti di una malattia al fegato. Fino a un mese fa si ostinava ad alzarsi. Io e Lavinia gli facevamo promettere di stare a letto, secondo le prescrizioni del medico, ma quando ci affacciavamo al muro, Boschino non c’era. Anche in quelle condizioni continuava il suo piccolo commercio di frutta, che ormai era la sua unica risorsa. Comprava la frutta qui e andava a rivenderla ad Acquapiana. Figurati con che vantaggio! Il carico di frutta era quello che poteva portarsi sulle spalle, nella sua bisaccia. Prima faceva la strada a piedi, ma poi, coll’aggravarsi del male, fu costretto ad andarci in treno: così il guadagno si riduceva a una lira o due. Quel tanto, del resto, che gli bastava per comprarsi il pane e l’olio per una minestrina, come dice lui. Solo ora si è adattato ad accettare da noi qualche aiuto – da noi per3. l’anno scorso] l’altro anno D D1 D2 ||l’anno scorso|| (›l’altro anno‹) B     3-4. Ma …Tintoretto!...] (Ma l’anno scorso, che gioia, a Venezia, la mostra del Tintoretto!)↔| Adesso basta. Ti ho annoiato anche troppo con le mie storie e ti saluto. D Ma l’anno scorso, che gioia, a Venezia, la mostra del Tintoretto!...↔| ›Adesso basta. Ti ho annoiato anche troppo con le mie storie e ti saluto.‹ D1     8. per] Per D D1 D2 B ≠ M2     10. che] che io, D che ›io‹ D1     11. lui. È] lui: è D lui. È (← lui: è) D1     18. era] è D •era (›è‹) D1     18-19. risorsa. Comprava] risorsa. ›Figurati con quale vantaggio‹ Comprava D     20. Il carico] Perché il carico D ›Perché‹ Il (← il) carico D1     24. o due] o due ›per ogni viaggio‹ D  ◆  bastava] basta D basta|va| D1     26. aiuto – da noi] aiuto, e lo accetta da noi, D aiuto – (← aiuto,) ›e lo accetta‹ da noi, D1 D2 aiuto – da noi B      33 Nel margine sinistro della carta si legge, scritto a penna con inchiostro nero e mano verosimilmente autorale: «(Capoverso)».

Michele Boschino

ché dice che siamo suoi amici. Le “Damine” le ha cacciate via in malo modo dopo una settimana. Lavinia ha preso ad assisterlo assiduamente, e tutto ciò che prima veniva dato agli altri poveri, viene convogliato verso la rimessa. Lavinia mi fa pensare a un grosso uccello che porti ai suoi piccolini tutte le briciole che trova. Il babbo, visto che non voleva accettare l’elemosina dalle “Damine”, ha cercato di fargli avere un sussidio dal Comune. Ma non è stato possibile, perché Boschino non è di Ultra. Il Comune avrebbe tutt’al più potuto pagargli il viaggio fino al suo paese, e lì, con la “carta dei poveri”, avrebbe avuto il sussidio o sarebbe stato mandato all’ospedale o in un ospizio. Ma Boschino ha dichiarato che non vuole andar via da Ultra. Non vuol saperne né del suo paese né dell’ospizio. E, poveraccio, ha le sue buone ragioni. Mi ha raccontato, come in confessione, una lunga storia. Tutta una storia di soprusi patiti, e di rancori, che lui vorrebbe dimenticare “per morire in pace”. Eppure anche adesso quei vecchi ricordi non gli danno tregua. Non avrei mai immaginato che tanto odio potesse nascondersi sotto un’apparenza così pacifica. Dal giorno che, per mia disgrazia, mi ha raccontato la sua storia (dice di averla raccontata solo a me e alla povera mamma, perché vuole che qualcuno almeno sappia “come sono andate le cose”), con me non parla più d’altro. Se ci vado con Lavinia, diventa irascibile, si chiude in un silenzio pieno di dispetto. Allora io, con una scusa, allontano Lavinia per un momento, e lui si rasserena. Gli basta di fare anche un breve accenno a quei fatti, e d’assicurarsi che sono ben vivi nella mia memoria. Ma se ci vado sola, e può parlare, allora, senza neppure accorgersene, poveretto, perde il controllo, e inveisce contro quei parenti che lui stesso ha involontariamente rovinati,

1. siamo suoi amici] siamo suoi amici D D1 D2 siamo suoi amici B     3. assisterlo…tutto] assisterlo, e tutto D assisterlo /assiduamente/. Tutto (← e tutto) D1 D2 assisterlo assiduamente, e tutto B     12-13. dichiarato] detto D •dichiarato (›detto‹) D1     18. adesso] qui D •adesso (›qui‹) D1     23-24. con me non parla più] ›non parla‹ con me non parla D con me non parla /più/ D1     25. dispetto] rancore D D1 D2 ||dispetto|| B     28. fatti, e d’assicurarsi] fatti, ›come se si accontentasse di assicurar‹ e d’assicurarsi D     

179

5

10

15

20

25

30

180

5

10

15

20

25

GIUSEPPE DESSÌ

contro l’avvocato che gli ha fatto fare ciò che non voleva, contro se stesso, contro l’ingegnere Almerio. Ti ricordi com’era circospetto, quando parlava dell’ingegnere? Forse lo sarà ancora con gli altri, ma con me ne dice tutto il male che si può dire di un uomo. E tutta questa agitazione mi fa male. Allora, per due o tre giorni, mi riesce impossibile metter piede nella rimessa. Ma soprattutto impreca contro se stesso e contro Dio, che non lo ha illuminato a tempo. Dice che Dio, che ha tanto sofferto in terra, doveva insegnare anche a lui a sopportare in pace tutte le offese. Quando ritorno da lui, dopo queste sfuriate, ritrovo il Boschino di un tempo, sereno e tranquillo. Allora parla dell’odio che lo tormenta. Ne parla come di una malattia da cui bisogna guarire. Dorme pochissimo. Dalla mia camera lo sento lamentarsi e borbottare tutta la notte. Dopo la scenata contro le povere “Damine” è stato di nuovo malissimo, e il prete gli ha portato la Comunione. Poi ha avuto ancora un miglioramento. Io gli ho chiesto: “Come state ora, Boschino?”. “Male” mi ha risposto lui “proprio male”. Gli ho fatto notare ch’era stato molto peggio pochi giorni prima. “Appunto per questo” ha risposto. “Sto male perché non finisce ancora”. Ho detto le solite cose che si dicono in queste circostanze, le solite frasi stupide; perché sono convinta anch’io che sarebbe meglio per lui finir di soffrire. Ma anche con un uomo che desidera sinceramente la morte non si può ammettere una verità così semplice. È un pensiero che mi tormenta. Mi pare che lui debba accorgersi di ciò che penso veramente. T’immagini la solitudine di un uomo che sentisse dire dagli altri una cosa simile? Anche se sa quello che io penso veramente, Bo-

7. metter] rimetter D D1 D2 metter (← rimetter) B     13-14. tormenta… guarire.] tormenta come se parlasse di una malattia. D tormenta|.| /Ne parla/ come ›se parlasse‹ di una malattia /da cui bisogna guarire/. D1     14. pochissimo. Dalla] pochissimo e dalla D pochissimo. Dalla (← pochissimo e dalla) D1     19. Boschino?] Boschino D D1 D2 Boschino|?| B     

Michele Boschino

schino è sicuro che io non glielo dirò mai, che anzi lo sgriderò ogni volta che lo dirà lui. Così parla della sua morte tranquillamente. Si sente meno solo. “Vedete”, mi ha detto l’altro giorno “stavo per addormentarmi e mi sono svegliato di colpo”. Dapprima ho creduto che intendesse parlare delle sue coliche epatiche, e gli ho detto che gli avrei portato una pastiglina che lo avrebbe aiutato a dormire. “Eh! So io che pastiglina ci vorrebbe” ha detto. “Una di quelle pastigline che si danno alle volpi in primavera, quando hanno la pelliccia tutta fiorita. Ma io sono una volpe tignosa”. Come il solito, ho cominciato a sgridarlo. Lui scuoteva la testa senza ribattere alle mie parole. Vorrei poterti descrivere l’espressione del suo viso tra ironica e divertita. Capivo, parlando, che stavo dicendo delle sciocchezze. Allora lui si è messo a parlarmi dei sonni che faceva quand’era sano, o meglio del sonno. Era un elogio del sonno, quello che faceva, e senza nessuna retorica. Disse che dormiva con la porta spalancata, e la luna non gli dava nessun fastidio. Ricordo queste parole: “Il sonno scende bello, scende sugli occhi, sulla fronte, qui, pian piano, quel sonno che ristora, ed ecco, mi sembra che mi piantino un coltello qui”. Si toccava la fronte, gli occhi, e il fianco dove il dolore si risvegliava. C’era in lui un tale desiderio di ristorarsi col sonno che ho fatto una cosa che non mi accadeva più da moltissimo tempo: ho pregato perché potesse dormire. Intanto lui continuava a parlare, e mi sono accorta che non parlava più del sonno che ci ristora ogni notte, ma – come diceva lui – di quello che ci ristora da tutti i mali. Così almeno mi parve di capire; 1-2. lo sgriderò…dirà lui.] lo sgriderò ogni volta che lo dirà lui. D lo sgriderò ogni volta che lo dirà lui. D1     2-3. tranquillamente] con più serenità D •tranquillamente (›con più serenità‹) D1     3. solo. “Vedete”,] solo di quanto non si sentirebbe se io mostrassi di ammettere tranquillamente quella cosa. “Vedete”, D solo ›di quanto non si sentirebbe se io mostrassi di ammettere tranquillamente quella cosa‹. “Vedete”, D1     4. stavo] Stavo D D1 D2 stavo (← Stavo) B     5. Dapprima ho creduto] Io credevo dapprima D ›Io credevo‹ Dapprima (← dapprima) /ho creduto/ D1     11. ho] io ho D ›io‹ ho D1     13. viso] viso|,| D1  ◆  Capivo] Io capivo D Capivo (← Io capivo) D1     16. sonno] Sonno D D1 D2 sonno B  ◆  sonno] Sonno D D1 D2 sonno B     17. retorica] rettorica D D1 D2 B ≠ M2     22. e il fianco… risvegliava.] il fianco. D /e/ il fianco /dove il dolore si risvegliava/. D1     

181

5

10

15

20

25

182

5

10

15

20

25

GIUSEPPE DESSÌ

perché, essendomi distratta per pregare, molte sue parole m’erano sfuggite. Del resto credo che anche lui non facesse una distinzione molto precisa tra l’uno e l’altro sonno. Diceva che dopo la visita del prete che gli ha portato la Comunione stava per addormentarsi tranquillamente ma che a un certo punto, un pensiero cattivo l’aveva assalito. “Addio sonno” ha detto. Gli ho detto ch’era bene cercar di dimenticare questo pensiero, ma siccome lui scuoteva la testa, e si vedeva che anche in quel momento il molesto pensiero non lo lasciava, gli ho chiesto se poteva dirmelo. Mi ha detto che pensava a quel maledetto che si gode i suoi danari e quelli dei suoi parenti, mentre lui muore come un cane, ridotto a chieder l’elemosina. Poi ha detto: “Che Dio l’uccida!”. Dalla violenza con cui ha pronunciato queste parole ho capito come un pensiero d’odio possa impedire a un uomo di morire in pace, e forse anche semplicemente di morire. Ma si calmò subito; e ha detto che crede che il Signore non gli farà la grazia di accoglierlo “nel suo ristoro” fino a che non dimenticherà questo pensiero. “E io come faccio, se non riesco a dimenticarlo? Come faccio?” ha detto. Così quando è calmo. E non so se avrò il coraggio di stare ancora a sentirlo. Ora sono tre giorni che non ci vado. All’infuori del babbo e d’Isabella, che però hanno finito quasi per disinteressarsene, Lavinia è l’unica persona che sia riuscita a farsi tollerare. Ma con lei non parla che del suo male al fegato, oppure le dà consigli sul modo di fare il pane, figurati! Con lei è un altro uomo, insomma, è il Boschino esemplare che conoscevamo. Scherza, persino. Io ho la disgrazia di godere della sua confidenza.

3. tra l’uno e l’altro sonno.] tra il sonno e la morte. D tra ›il‹ /l’uno e l’altro/ sonno ›morte‹. D1     6. punto,] punto D D1 D2 B ≠ M2  ◆  l’aveva assalito] l’aveva assalito ›l’aveva svegliato‹ D     8. pensiero,] pensiero: (← pensiero,) D1     9-10. il molesto…lasciava,] ci pensava, D •non (›ci‹) pensava /ad altro/, D1 D2 ||il molesto pensiero non lo lasciava|| (›non pensava ad altro‹), B     12. parenti, mentre lui] parenti D parenti|,| /mentre lui/ D1     13-14. Dalla] E dalla D Dalla (← E dalla) D1     14-15. ho capito] capisco D •ho capito (›capisco‹) D1     18. “nel suo ristoro”] nel suo ristoro D |”|nel suo ristoro|”| D1     21-22. stare] starlo D D1 D2 stare (← starlo) B     22. sentirlo] sentire D D1 D2 sentirlo (← sentire) B

Michele Boschino

E ora chiudo questa lunghissima lettera. Tieni presente però che non mi sarei tanto dilungata se tu stesso non avessi insistito e se non avessi, come dici, fin troppo tempo disponibile… Caro Filippo, la storia che Linda ti ha raccontato non corrisponde a verità – o meglio risponde a verità solo in parte. Inutile dirti che Boschino è proprio la persona che Linda non nomina, lo scellerato. Se tutto ciò che Linda dice fosse vero, questo vecchio non meriterebbe altro nome. Tu mi fai, del racconto di Linda, una relazione oggettiva; e non riesco a capire qual è la tua vera opinione. Ma non vorrei aver contribuito anch’io, parlandoti dei suoi rimorsi, a farti un’opinione sbagliata. Bisogna che per la verità t’informi di alcuni fatti che certamente ignori. Bada che mi sono stati confermati dall’avvocato Majuri, che li ha saputi dall’avvocato che trattò la causa intentata da Boschino contro i parenti – e che non è altri che Antonino Colliva. Tralascio tutti i particolari inutili e mi limito all’essenziale. Il dissidio nacque molto prima di quel che mostra di sapere Linda. Boschino era ancora bambino, quando suo padre cominciò a essere in urto coi fratelli, a causa di una piccola eredità che essi non volevano riconoscergli. A quanto ho capito, si trattava di un giogo di vecchi buoi. Questi fratelli, zii di Boschino, non avevano nessun diritto all’eredità, tanto è vero che ricorsero a minacce e finirono per passare alle vie di fatto: più volte picchiarono a sangue il padre di Boschino. Finché costui, stanco, un giorno reagì e spaccò la testa a uno dei fratelli. Fu denunciato e condannato a

8. raccontato] raccontata D D1 D2 raccontato B     14. qual è] qual’ è D D1 D2 B ≠ M2  ◆  tua…Ma] tua opinione, come tu giudichi Boschino. Ma D tua /vera/ opinione›, come tu giudichi Boschino‹. Ma D1     16. Bisogna… verità] Lascia che D •Bisogna (›Lascia‹) che /per la verità/ D1     24. a causa di] |per| (›a proposito‹) D •a causa di (›per‹) D1     25. essi] quelli D •essi (›quelli‹) D1     26. giogo di vecchi buoi.] paio di buoi, vecchi per giunta. D • giogo (›paio‹) di ›buoi‹ vecchi •buoi (›per giunta‹). D1     

183

5

10

15

20

25

30

184

5

10

15

20

25

GIUSEPPE DESSÌ

due anni di reclusione… Con tutto questo, Boschino dice che suo padre, dopo scontata la pena, non serbava rancore né contro i fratelli, né contro i testimoni che con le loro deposizioni ambigue avevano confuso le idee dei giudici. (Bada bene che queste sono le testuali parole che traduco dal dialetto. Boschino ha un altissimo concetto della legge e di chi l’amministra: il Procuratore del Re è per lui una persona quasi sacra). Il padre di Boschino era un uomo mite, che smentiva il suo sangue violento e cruccioso. Nella famiglia, era “come un ramo d’olivo in un albero d’olivastro” dice Boschino. Conoscendo bene i fratelli, esortò sempre suo figlio a evitare con loro ogni relazione, per l’avvenire, anche se avessero mostrato di essergli amici. Boschino invece, dopo la morte del padre, si riconciliò con loro. Aveva comprato un terreno da mettere a vigna. Se ho ben capito, una parte di questo terreno, che apparteneva a una vedova, era intestato, forse per errore, a uno degli zii, che ne pagava anche le tasse; e la vedova lo rimborsava anno per anno. Da alcuni anni però, quando Boschino comperò il terreno, questo rimborso non veniva fatto. Boschino detrasse questa esigua somma dal prezzo del terreno che pagò alla vedova, per versarla allo zio, che già precedentemente s’era impegnato a far la voltura a suo favore. Lo zio però trascurò, in buona o in mala fede, di far la voltura, e i figli, dopo la sua morte, non vollero più sentire ragioni e pretendevano d’impadronirsi della parte intestata a loro, che era al centro del terreno comprato da Boschino. Ci fu una prima causa, perduta, naturalmente, dai cugini. Rinasceva così, sotto al1. questo,] questo D D1 D2 B ≠ M2     8. Il padre di Boschino era] Era D /Il padre di Boschino/ era (← Era) D1     9-10. Nella famiglia, era] Nella famiglia, secondo l’espressione di Boschino, suo padre era D Nella famiglia, ›secondo l’espressione di Boschino, suo padre‹ era D1     10-11. d’olivastro” dice Boschino] d’olivastro” D D1 D2 d’olivastro” ||dice Boschino|| B     11. Conoscendo] Ma conoscendo D ›Ma‹ Conoscendo (← conoscendo) D1     20. Boschino] Infatti Boschino D ›Infatti‹ Boschino D1     23-25. trascurò…ragioni e] morì prima che la voltura fosse fatta, e i suoi figli non vollero più saperne, e D morì prima che la voltura fosse fatta, e i suoi figli non vollero più •sentire ragioni (›saperne‹), e D1 D2 ||trascurò, in buona o in mala fede, di far la voltura|| (›morì prima che la voltura fosse fatta‹), e i ›suoi‹ figli, ||dopo la sua morte,|| non vollero più sentire ragioni e B     

Michele Boschino

tra forma, l’antica contesa, che finì per assumere tutti gli aspetti di quell’altra, perché i cugini non si davano pace, e chiedevano a loro volta un risarcimento dei danni della causa, riportando anche in ballo la questione dell’antica eredità! Qui, nella vicenda, considerata da un punto di vista oggettivo c’è un punto oscuro, che solo io forse sono in grado di spiegare. A un certo punto tutte e due le famiglie degli zii si trovano coinvolte nella contesa, mentre la causa era stata fatta contro gli eredi di uno solo di essi. A me è sembrato di capire che Boschino, per metter termine alla cosa, abbia promesso di dare – cioè di regalare – un giogo di buoi al più giovane dei cugini, figlio di Salvatore, quello che strepitava più di tutti. È meno strano di quanto può sembrare. Perché Boschino era rimasto vedovo, senza figli, e con un patrimonio discreto. Secondo la mia idea, gli altri parenti quando seppero che Boschino aveva deciso di regalare i buoi al giovane, accamparono anche loro dei diritti. Allora Boschino ritirò la promessa fatta. Tu ti chiederai perché. È molto semplice: Boschino, cedendo i buoi, non intendeva riconoscere il diritto dei parenti sull’antica eredità, ma

2. i cugini] •i cugini (›la parte perdente‹) D  ◆  davano] •davano (›dava‹) D     3. chiedevano a loro volta] chiedeva|no| /a loro volta/ D     4. riportando anche] riportando D riportando /anche/ D1     5-7. eredità!…spiegare. A] eredità. Qui, nel racconto di Boschino c’è un punto oscuro, che neppure l’avvocato Majuri ha saputo chiarire. A D eredità|!| •Qui, nella vicenda, considerata da un punto di vista oggettivo c’è un punto oscuro, che solo io sono in grado di spiegare. (›Qui, nel racconto di Boschino c’è un punto oscuro, che neppure l’avvocato Majuri ha saputo chiarire.‹) A D1 D2 eredità! Qui, nella vicenda, considerata da un punto di vista oggettivo c’è un punto oscuro, che solo io ||forse|| sono in grado di spiegare. A B     9. gli eredi] |gli eredi| (›la fami‹) D     11. di dare…giogo di] di dare un paio di D di dare •– cioè di regalare – un giogo (›paio‹) di D1     12. cugini, figlio] cugini figli D D1 D2 cugini, figlio (← cugini figli) B     13. È meno…sembrare.] Non è inverosimile D •È meno strano di quel che può sembrare. (›Non è inverosimile‹) D1 D2 È meno strano di quanto può sembrare. B     1516. parenti] parenti, parenti parenti B     16-17. regalare…giovane] dare i buoi al |giovane| (›figlio pi‹) D •regalare (›dare‹) i buoi al giovane D1     

185

5

10

15

20

186

5

10

15

20

GIUSEPPE DESSÌ

comporre la lite presente. Intendeva fare un dono al cugino, un dono che fosse anche il prezzo, il suggello della pace – e che aveva la forma dell’antica pretesa dei parenti: un giogo di buoi. Le pretese avanzate dagli altri trasformarono questo giogo di buoi nell’oggetto stesso della contesa primitiva, ormai conchiusa con gli zii morti. Si trattava di ammettere il torto del padre, il proprio, di rimangiarsi tutto, di toglier valore alla riconciliazione avvenuta con quegli altri due che non c’erano più. Niente di strano dunque se Boschino non mantiene la promessa fatta. Poco tempo dopo, il giovine a cui erano stati promessi i buoi, se li prese dal chiuso di nascosto: era un furto, Boschino avrebbe potuto denunciarlo: ma invece non lo fece neanche quando si seppe che i buoi erano stati portati via, in un paese del Gocèano. Minacciò però di sporgere denunzia, e allora i parenti del ragazzo gli promisero di fargli restituire i buoi o di rimborsarlo in qualche modo, e di pagargliene intanto il fitto. Per molti anni Boschino portò pazienza, e sempre, a chi gli chiedeva dei buoi, diceva di averli dati in affitto al cugino. Costui però andava dicendo che non gli avrebbe mai pagato un soldo, perché, secondo lui, Boschino era sempre debitore verso suo padre per via della vecchia eredità, e per giunta cominciò a metterlo in 1-3. un dono… forma] un regalo al cugino, un regalo che era un poco il prezzo della pace, e che aveva la forma D un •dono (›regalo‹) al cugino, un • dono (›regalo‹) che •fosse anche (›era un poco‹) il prezzo, /il suggello/ della pace – (← pace,) e che aveva la forma D1 un dono al cugino, un dono che fosse anche il prezzo, il suggello della pace – e che aveva la forma D2 un dono al cugino, un dono che fosse anche il prezzo, il suggello della pace – e che aveva la forma B     4. altri] altri, D altri (← altri,) D1     12. di nascosto] senza dir nulla D •di nascosto (›senza dir nulla‹) D1  ◆   Boschino] e Boschino D ›e‹ Boschino D1     13. denunciarlo: ma] denunciarlo, e D denunciarlo: ma (← denunciarlo, e) D1     14-15. quando…Gocèano.] quando i buoi vennero portati via dal paese. D quando /si seppe che/ i buoi •erano stati (›vennero‹) portati via|,| •in un (›dal‹) paese /del Goceano/. D1     1516. denunzia,] denunzia; (← denunzia,) D1     19. pazienza,] pazienza; (← pazienza,) D1     20-21. cugino…soldo,] cugino, che, però non gli pagò mai un soldo D cugino. (← cugino,) •Costui però andava dicendo che (›che, però‹) non gli .avrebbe mai pagato (›pagò mai‹) un soldo|,| D1     22. era …padre] |era sempre debitore verso suo padre| (›doveva a suo padre una certa somma‹) D     23. eredità,] eredità; (← eredità,) D1     

Michele Boschino

ridicolo. I parenti lo secondavano, e siccome Boschino, con la sua tolleranza, s’era fatto la fama di un buono a nulla, tutti credevano di poter approfittare della sua roba. Allora gli fu consigliato di rivolgersi a un avvocato. Antonino Colliva, che cominciava in quel tempo la sua carriera lavorando in provincia, gli offrì di patrocinarlo. Esaminata la questione gli assicurò che sarebbe riuscito a fargli restituire i buoi senza ricorrere al Tribunale. Era quel che desiderava Boschino. L’avvocato si fa fare una procura generale, interroga i testimoni, minaccia di denunciare il giovane per furto. I parenti protestano, affermano di aver avuto in affitto i buoi, si compromettono tutti quanti. Era lo scopo dell’avvocato, che intenta subito la causa per la restituzione dei buoi e per il pagamento del fitto di tutti quegli anni. Boschino ormai doveva accettare ciò che l’avvocato imponeva, e forse non si rendeva conto delle precise richieste del suo difensore. La causa è vinta. Capitale, interessi, spese della causa, onorario degli avvocati raggiungono una cifra incredibilmente alta. La roba dei disgraziati parenti viene messa all’asta. Non so dirti come si siano trovati tutti implicati nella causa, ma è un fatto che si rovinarono tutti per cercare di salvarne uno. Questa fu una vera disgrazia anche per Boschino. Ormai non poteva più vivere nel suo paese. Incaricò l’avvocato di vendere anche la sua roba e se n’andò col carro e i buoi. Si diresse verso Parte d’Ispi, dove lo chiamava il ricordo della moglie, che era di Mamusa. E si stabilì qui a Ultra. Ti ho inflitto questa lunga storia (ci ho messo una serata intera a scriverla, e per molti giorni ci ho pensato) perché mi dispiacerebbe che tu giudicassi duramente Boschino.

1. secondavano,] |secondavano,| (›consigl‹) D secondavano; (← secondavano) D1 ≠ M2     5. in quel tempo] allora D D1 D2 ||in quel tempo|| (›allora‹) B     6. di patrocinarlo] |di patrocinarlo| (›i suoi servigi‹) D   ◆   questione] questione|,| D1 D2 questione D B     12-13. dell’avvocato…subito] dell’avvocato. Intenta D dell’avvocato, che intenta (← dell’avvocato. Intenta) /subito/ D1     15. imponeva] faceva D D1 D2 B ≠ M2     16. del suo difensore] dell’avvocato D •del suo difensore (›dell’avvocato‹) D1     19. La roba] Le case e i poderi D D1 D2 ||La roba|| (›Le case e i poderi‹) B  ◆   viene messa] vengono messi D D1 D2 ||viene messa || (›vengono messi‹) B     

187

5

10

15

20

25

188

5

10

15

20

25

30

GIUSEPPE DESSÌ

Bada che anch’io sono stata tentata di farlo – anche per liberarmi dalla pena delle sue sofferenze, per poter pensare che, in certo senso, se le fosse meritate. Diffida di questa tentazione. Io sono certa che se noi pure lo giudichiamo male, lo teniamo inchiodato alle sue sofferenze. Le colpe che lui stesso si attribuisce quando si dispera, sono immaginarie, o per lo meno ingigantite dalla sua immaginazione. Noi dobbiamo vederci più chiaro di lui, ricondurlo a quell’esemplare equilibrio che era la sua caratteristica di un tempo, quando l’abbiamo conosciuto. Altrimenti non s’addormenterà mai in pace. Tu sai che io credo al Paradiso, all’Inferno e anche al Purgatorio, anche se questo fa sorridere Donato e forse anche te, no? Io ci credo. Credo a questa distinzione tra i Santi e i Reprobi. Facciamo in modo che quest’uomo muoia in grazia di Dio. Lui che sconta qui, in terra, il suo Purgatorio. Io non ne dubito; purché muoia in grazia di Dio, questo tormento è già una purificazione. E se muore in grazia di Dio, continuerà a purificarsi nel nostro spirito, perché nel nostro spirito è il Purgatorio delle anime. Nel nostro spirito ritrovano la coerenza loro più profonda, fino a che si compongono in pace. E che cosa sono le preghiere, se non lo sforzo che noi facciamo per aiutarli a chiarirsi? Noi pensiamo con loro, facciamo nostri i loro dubbi, soffriamo dei loro errori, e stiamo saldi senza lasciarci prendere dalla passione, con gli occhi fermi alla perfetta misura, alla perfetta coerenza. Io vorrei che tu cercassi di convincere quella buona donna sorda che avete in casa, a fare una scappata a Ultra (naturalmente noi le pagheremmo il viaggio), dopo averle spiegato che la responsabilità di Boschino è minima. Bisognerebbe ragionare con lei, farle lasciare ogni astio. Nella

1. farlo – anche per] farlo per D D1 D2 farlo ||– anche|| per B     3. fosse] era D D1 D2 ||fosse|| (›era‹) B     4. se noi pure] se anche noi D se ›anche‹ noi /pure/ D1     7. o per lo meno ingigantite] o ingigantite D o /per lo meno/ ingigantite D1     8. vederci più] vederci anche più D D1 D2 vederci ›anche‹ più B     9. equilibrio] equilibrio, D D1 D2 equilibrio (← equilibrio,) B     16. terra] Terra D D1 D2 terra B     26-27. coerenza. Io vorrei] coerenza. Io vorrei D coerenza.↔| Io vorrei D1     28. a fare] di fare D a (← di) fare D1     

Michele Boschino

mia lettera puoi trovare tutti gli elementi per dimostrarle che fu l’avvocato a far gl’interessi del suo cliente al di là delle intenzioni del cliente stesso. Boschino ha perduto tutto, come gli altri, né più né meno: perché non ha mai avuto un soldo della somma riscossa dall’avvocato. Tutto, ora, è in mano dell’ingegnere Almerio, che ne dispone a suo piacimento. Si tratta di un centomila lire circa, e forse più. Non c’è niente da fare, ormai, perché sono troppi anni che l’ingegnere ha una procura generale – nulla da fare, voglio dire, per un ricupero, anche parziale, della somma – ma si può cercar di ottenere una riconciliazione tra questi due superstiti. Ci ho pensato tanto in tutti questi giorni, e ora che sono arrivata a questa conclusione, mi sento meno sola di prima. Ho bisogno di qualche cosa che non sia soltanto l’affetto del babbo e d’Isabella, che questa mia continua tensione logora. Non bisognerebbe vivere sempre con le persone a cui si vuol bene. Come tutto si riduce, si semplifica, si immiserisce! Sono fatta male, e ho paura, ho paura di lasciarmi prendere da questa sensazione. Forse per questo mi fa paura la solitudine di Boschino. Pensa a quel che t’ho detto, e rispondimi subito in proposito. L’idea è meno assurda di quel che può sembrare. Certo, se il babbo lo sapesse, mi prenderebbe per pazza. Ma non è necessario spiegargli la vera ragione della venuta di Linda.

189

5

10

15

20

25

Caro Filippo, al tuo posto non sarei così sicura della inutilità del tentativo. Prova a parlare con quella donna. Anch’io non riesco facilmente a parlare con i contadini. Preferisco lasciar par- 30 lare loro, e stare ad ascoltarli. Noi ci ostiniamo a vederli soltanto come paesaggio. Perché dobbiamo pensare che non possano capire ciò che pensiamo noi? Credi che mio padre sia molto più vicino di loro ai nostri pensieri? Eppure fra 17. con le persone] assieme alle persone D •con (›assieme alle‹) persone D1 D2 con ||le|| persone B     18. immiserisce!] immiserisce. D immiserisce! (← immiserisce.) D1     18-19. ho paura, ho paura di] ho paura di D ho paura|,| /ho paura/ di D1     24. spiegargli] dire D •spiegargli (›dire‹) D1     28. al] Al D D1 D2 al B     31. Noi] ›È un vezzo lettera‹ Noi D     

190

5

10

15

20

25

GIUSEPPE DESSÌ

noi e lui non sentiamo questo fatto come una barriera insormontabile. Tu andavi a caccia con lui, facevi con lui delle partite a dama… Queste cose uniscono come il linguaggio, diventano linguaggio. Se Linda viene in camera tua e s’inginocchia vicino al tuo letto per parlarti di Sigalesa, e accende nel caminetto il fuoco con gesti che ti fanno pensare alla gente di quel paesino sconosciuto, se lei porta così francamente tutte le sue abitudini nella tua casa, e prende inconsciamente certe intonazioni di voce di tua madre – lei sorda! – non credi di esserle diventato, senza accorgertene, abbastanza familiare anche tu? È gente che s’affeziona, che ha bisogno di noi, e che noi a torto ignoriamo. Sì, quando le parlerai, sentirai dapprima un tono falso, nella tua voce, ma poi le parlerai con naturalezza; e lei se n’accorgerà. Tu non puoi sapere di che risorse dispone questa donna per capirti. Essa ha fiducia in te; e tu te ne puoi valere: lo fai a fin di bene. Se poi proprio non ti senti di vincere questa intima resistenza, o se credi che la tua parola sarebbe inefficace, prega tua madre di parlargliene lei, di convincerla. Son certa che la signora Bianca capirà subito. Se questa donna verrà qui, senza far finta di nulla, e si siederà vicino alla branda di Boschino, come una persona amica, Boschino non la respingerà; si sentirà pacificato con quel mondo lontano, sommerso, col quale ha perduto i contatti, con quel mondo che per lui è di irreparabile colpa. Lo sentirà di nuovo vicino, potrà parlargli, ascoltarlo. Sarà di nuovo un mondo vivo. E liberatosi dal suo tormento, si 1. questo fatto come] questo come D questo /fatto/ come D1     5. Sigalesa,] Sigalesa D Sigalesa|,| D1     10. senza accorgertene] ›anche tu‹ senza accorgertene D     18. se credi] se proprio credi D se ›proprio‹ credi D1     20. Bianca capirà subito.] Bianca |capirà| (›capirebb‹) subito. ›Mostrale la mia lettera‹ D     21. verrà] venisse D •verrà (›venisse‹) D1     22. siederà] sedesse D •siederà (›sedesse‹) D1     23. Boschino…pacificato] Boschino non solo non la respingerebbe, ma si ›paci‹ sentirebbe pacificato D Boschino non solo non la respingerà; (← respingerebbe,) ›ma‹ si sentirà (← sentirebbe) pacificato D1 D2 Boschino non ›solo non‹ la respingerà; si sentirà pacificato B     26. Lo sentirà] Egli lo sentirebbe D Lo sentirà (← Egli lo sentirebbe) D1  ◆  potrà] potrebbe D potrà (← potrebbe) D1     26-27. ascoltarlo…liberatosi] ascoltarlo, sarebbe un mondo vivo. ›E se credi che farebbe‹ Liberatosi D ascoltarlo. Sarà (← ascoltarlo, sarebbe) /di nuovo/ un mondo vivo. E liberatosi (← Liberatosi) D1     

Michele Boschino

riconcilierà con quel vecchio mondo perduto e riacquistato, si riconcilierà con se stesso. Che importanza avrà allora per lui l’ingegnere Almerio e tutte le altre miserie? Ah Filippo, cosa devo fare per convincerti? . . . No, vedi, ti sbagli. Sai bene del resto che per me andare in Chiesa è una cosa molto delicata. Io credo all’Inferno, al Purgatorio, al Paradiso, credo nella Vita Eterna, credo nel Padre, nel Figliolo e nello Spirito Santo, credo nella Resurrezione della Carne. Eppure per me andare in Chiesa non è una cosa semplice. Credo nelle stesse cose in cui credono gli altri che ci vanno, ma ci credo diversamente. Non dico più profondamente, ma diversamente. Ci credo pensandoci. E ci sono dei momenti in cui questo mi dà una gioia intensa. Ho l’impressione precisa che solo un travaglio quasi infinito del pensiero può essere arrivato al sigillo del dogma. Tu sbagli, se credi che si possa arrivare a credere queste cose solo attraverso il rapimento ascetico, l’annullamento del pensiero. Tu dici che per passare dal campo della filosofia a quello della teologia, bisogna attraversare un abisso incolmabile nelle condizioni di Dante che viene rapito dall’aquila. A me non pare. Certo è che molti potrebbero rimproverarmi di vedere nei loro dogmi delle allegorie che adombrano verità che tu chiameresti filosofiche. Ma io credo che, in fondo a ogni dogma, il mistero sia uno solo. E questo mistero lo accetta tanto il filosofo quanto il teologo, alla stessa maniera, e così anche tutti gli uomini che vivono e operano; perché in fondo a ogni minimo atto morale c’è questo mistero.

1. riconcilierà] riconcilierebbe D riconcilierà (← riconcilierebbe) D1     2. riconcilierà] riconcilierebbe D riconcilierà (← riconcilierebbe) D1   ◆   avrà] avrebbe D avrà (← avrebbe) D1     3. miserie?] miserie D D1 Miserie|?| D2     8. molto delicata] delicatissima D •molto delicata (›delicatissima‹) D1     12. Credo] Perché credo D Credo (← Perché credo) D1     15. questo…intensa.] |questo mi dà una gioia intensa.| (›provo una gioia intensa pensan‹) D

191

5

10

15

20

25

192

5

10

15

20

25

30

GIUSEPPE DESSÌ

Caro Filippo, non devi affatto preoccuparti delle difficoltà che potrebbe opporre mio padre o la signorina Airoli – cosa, in questo momento, non del tutto impossibile. Questi sono dettagli che risolveremo all’ultimo momento. C’è qui Ada Catello che vorrebbe rimediare, per quanto è in lei, al male che hanno causato le “Damine” a Boschino con la loro mancanza di tatto. Non dirmi che difendo Boschino oltre il ragionevole. Boschino le ha cacciate via, ma non aveva poi tutti i torti. Ada ci aiuterebbe ospitando in casa sua Linda. E sì! purtroppo. «I vecchi hanno le loro idee», dici tu. Intanto il babbo non può dirsi vecchio, a sessant’anni, e poi non ha affatto le sue idee, in questo caso, ma quelle della signorina Airoli, che, da governante d’Isabella, è diventata governante di tutti noi, compreso il babbo. Che cosa ci starebbe a fare, se no? Il suo compito sarebbe finito da un pezzo. Il babbo – cioè la signorina Airoli – ha una concezione della carità non molto diversa da quella delle povere “Damine” scacciate da Boschino. Il babbo, per esempio, non approva che io gli porti dei sigari, perché “non sono strettamente necessari”. Si deve dare a un povero solo ciò che è “strettamente necessario”. Il povero pesa sulla società, no? e la società non è tenuta ad alimentare “i vizi” di chi pesa su di lei. Mio padre, che regalava i sigari a Boschino quando Boschino non viveva d’elemosina, ora non vuole più dargliene. E non pensare che sia avarizia. Neanche per sogno. È una questione di principio. O per lo meno non è avarizia personale, ma avarizia… sociale. Perché Boschino, per quanto avidissimo di fumare, consuma un mezzo toscano la settimana! Lo accende, tira due o tre boccate, e lo spegne. (A me ha raccontato che ha preso l’abitudine di fumare perché l’odore del sigaro piaceva a sua moglie, quand’era 2. non] Non D D1 D2 B ≠ M2     3. opporre] oppormi D D1 D2 opporre (← oppormi) B     6. male] danno D D1 D2 ||male|| (›danno‹) B     23. “strettamente necessario”] strettamente necessario D |“|strettamente necessario|”| D1     24. e] E D D1 D2 e (← E) B     26. ora non vuole più] |ora non vuole più| (›non vuole più‹) D     31. spegne] ripone D •spegne (›ripone‹) D1     

Michele Boschino

incinta). A questo proposito si è venuto creando, in casa nostra, nei riguardi di Boschino, uno stato d’animo particolare. La signorina Airoli, un bel giorno, ha cominciato a dire che Lavinia esagera nelle premure per Boschino. Nota che, parlando di Lavinia, la signorina allude indirettamente a me… Dice, per esempio, che per una donna, è una cosa indecente scavalcare il muro come fa Lavinia (anch’io faccio lo stesso). Lavinia scavalca il muro anche quando ci sono in cortile gli operai che spaccano la legna o fanno qualche altro lavoro. È vero che gli operai spesso ridacchiano e lanciano frizzi, ma lei non se ne cura. Mostra le gambe con assoluta purezza di cuore. Può darsi che anch’io le mostri, ma non ci penso, e così credo faccia anche Lavinia. Mattina e sera porta un piatto di minestra al vecchio: lo fa col mio permesso, ma la signorina trova che non possiamo prendere Boschino a nostro carico, e quando può dà il piatto di minestra riservato a Boschino, a qualche altro povero che viene a bussare al portone. Lavinia trova il modo di far saltar fuori lo stesso un altro piatto di minestra. È evidente che Lavinia ruba questo secondo piatto di minestra… E via di questo passo. L’altro giorno Lavinia, con una faccia tosta incredibile, ha chiesto al babbo, mentre eravamo a tavola, il permesso di portare a Boschino un cuscino di lana. Senza aspettare la risposta del babbo, la signorina è intervenuta dicendo che se ne guardasse bene. Lavinia l’ha ascoltata senza batter ciglio, poi, di nascosto, ha levato un po’ di lana da tutti i cuscini di casa, compresi quelli della signorina, e ne ha fatto uno per il vecchio. È venuta a mostrarmelo pri-

1. A questo] |A questo| (›Ma io,‹) D  ◆  creando,] creando, D D1 D2 creando B     7-8. anch’io faccio lo stesso] e come faccio anch’io D •anch’io faccio lo stesso!... (›e come faccio anch’io‹) D1 D2 anch’io faccio lo stesso. B     10-11. spesso…ma] spesso lanciano dei frizzi all’indirizzo di Lavinia, ma D D1 D2 spesso /ridacchiano e/ lanciano ›dei‹ frizzi ›all’indirizzo di Lavinia‹, ma B     12. cuore.] cuore›, le mostra perch‹. D     20. Lavinia…E via] Lavinia lo ruba. E via D Lavinia ›lo‹ ruba /questo secondo piatto di minestra…/ E via D1     25. dicendo…bene] come un’arpia D •dicendo che se ne guardasse bene (›come un’arpia‹) D1     28. uno per] uno nuovo per D D1 D2 uno ›nuovo‹ per B     

193

5

10

15

20

25

194

GIUSEPPE DESSÌ

ma di portarglielo. Le “Damine”, prima di farsi cacciar via, gli avevano fornito due paia di lenzuola di tela grezza, che ora, a furia d’esser lavate, sono diventate candide. È Lavinia che pensa a tenergliele sempre pulite. Così ora Boschino ha 5 un letto comodo e decente. E mi ringrazia ogni volta, come se fosse merito mio. Il mio unico merito è quello di prendere le parti di Lavinia in casa. Ma tutto questo è mortificante e io non ne posso più. Vorrei poter parlare con Donato e con te, a lungo…

10

15

20

25

30

Caro Filippo, grazie dei consigli. Ma è difficile riuscire a sentirsi distaccati da queste cose, che sono piccole, ma che occupano gran parte della mia giornata. La mia vita è un’altra? La vita interiore? Parole! La vita è quella che è. Se io fossi venuta qui come istitutrice, se fossi in casa d’estranei, sì che potrei fare come tu dici. Ma sono in casa mia. Tu sai che io penso a fatica e difficilmente riesco a dimenticare ciò che mi sta intorno. Anche quando leggo, quando vado a passeggio con Isabella e fantastico per mio conto fingendo di ascoltare quello che lei mi dice, queste piccole miserie mi perseguitano e immagino di parlarne con te. A proposito, Donato mi ha scritto una lunga lettera saggia, anche lui mi dà dei consigli molto più saggi dei tuoi, quei consigli che solo un estraneo può dare. Io lo sento estraneo, in questa lettera. Perché mi vuole ragionevole oltre il possibile? Perché io dovrei sopportare tutto, tutto, accettare tutto? Io non incolpo né il babbo né la sorte di esser costretta a passar qui la mia giovinezza. Al babbo piace questa vita. L’ha imposta alla mamma, che pure, di stare a Ultra, non voleva saperne, e ora l’impone a me e a Isabella. Dunque… Ma Donato è quello che meno ne soffre. Anzi credo che, in fondo, sia un 2. fornito] portato D D1 D2 ||fornito|| (›aportato b||procurato||‹) B  ◆   di… grezza,] di lenzuola /di tela grezza/, D     13. grazie] Grazie D D1 D2 B ≠ M2     13-14. distaccati] distaccati D distaccati D1     14. piccole] piccole ›cose‹ D     26. estraneo] estraneo D estraneo D1     30. Al babbo…imposta] A lui piace, |questa| (›la‹) vita, l’ha imposta D •Al babbo (›A lui‹) piace questa vita. L’ha (← vita, l’ha) imposta D1     

Michele Boschino

vantaggio per lui che il babbo non si sia stabilito in città. Se il babbo si fosse stabilito a C., per esempio, Donato sarebbe stato legato a C., avrebbe frequentato il liceo di C., l’università di C. Invece così è libero di stare dove più gli piace, ed è bene che sia così. Ora, io ammetto che Donato giustifichi il babbo, ma perché non si rende conto anche della situazione in cui mi trovo io, e in cui si troverà Isabella, tra qualche anno? Credi che basti un viaggio ogni tanto? Può, un viaggio, compensare la solitudine di mesi e mesi e mesi, la mancanza di amici? Tu, come amico, sei un’eccezione, e poi non sei solo un amico. Per me sei come Donato, e capisci tante cose. Parlo di quegli amici che servono quasi a comunicare col mondo senza mescolarsi col mondo. Io credo che il babbo stesso risenta di questo isolamento. Se si sentisse meno isolato, si sorveglierebbe di più. Questi signori di campagna finiscono per essere come dei piccoli re, abituati a vivere in mezzo a persone di cui non temono il giudizio, o che credono devote senza limiti. Per il babbo, la società si riduce all’avvocato Majuri e a qualche altro amico: gli altri non contano. Ma questi amici non sono più la società, la società che è pronta a giudicare, di fronte ad essa bisogna mantenere una certa linea di vita. Questi pochi amici, che non sono amici come sei tu per me (ma hanno mai sentito, i nostri padri, l’amicizia come la sentiamo noi?…), non servono neppure di tramite per comunicare col mondo. Sono tutti chiusi nello stesso isolamento. Questo credo che sia uno dei sintomi più terribili della vecchiaia che s’avvicina. E noi, cosa dobbiamo fare, io e Isabella? Sacrificarci per chi? Per il babbo? O piuttosto per i begli occhi della signorina Airoli? Non dirmi che sono gelosa, come mi ha scritto Donato. La situazione assurda che si è venuta creando, è la stessa, presso a poco, di quella che si crea in casa del vecchio principe Bolkonski, in Guerra e Pace. Ricordi? Non c’è assolutamente niente tra il babbo e la signorina, niente all’infuori di una 6. babbo,] babbo; D1     8-9. Può, un viaggio,] Può un viaggio D Può|,| un viaggio|,| D1     21. ad essa] alla quale D D1 D2 B ≠ M2     22. che non] che pure non D D1 D2 che ›pure‹ non B     23. per me] per me o per Donato D per me ›o per Donato‹ D1     24. non] ma non D D1 D2 ›ma‹ non B     34. niente] niente|,| D1 D2 niente D B     

195

5

10

15

20

25

30

196

5

10

15

20

25

GIUSEPPE DESSÌ

simpatia, da parte del babbo, che passa certi limiti. E certi limiti basta passarli; poi non c’è più misura. Non bisogna giudicare il proprio padre? Se non lo giudicassi mi sembrerebbe di tenerlo nel conto di un irresponsabile. È questo che non vuol capire Donato, che “facendo finta di non vedere” si viene a dare un giudizio ancor più crudele. Donato mi rimprovera di aver poca simpatia per il babbo – poca simpatia, poca indulgenza; e forse è vero. Ma io non voglio perdermi in questo labirinto di ombre. L’unica cosa che mi aiuti, in questa atmosfera morbida ed equivoca, è proprio la chiarezza. Si potrà essere indulgenti poi. Oh! ce ne sarà tanto bisogno. Ma non si deve cominciare col rinunciare a capire. Donato è molto ottimista. Lui dice che il babbo è sempre stato una persona così corretta, così aliena da ogni tentazione che non c’è da allarmarsi per così poco. Io non sono tranquilla. Ti ricordi quello che ti scrissi tanto tempo fa sul modo di leggere del babbo e di tanti altri come lui? Limitano la lettura a un diletto. Le idee dei libri le accettano e le lasciano vivere solo in quella parte del loro spirito in cui stanno le loro aspirazioni irraggiungibili, le rivincite impossibili, la carriera brillante che non hanno fatto, la ricchezza che non hanno raggiunto, la libertà: il mondo dei sogni insomma, dei romanzi. Là, in quel mondo, dev’essere fiorita, come un rametto di biancospino, la simpatia del babbo per la signorina Airoli. E là sarebbe rimasta, in quel mondo che tutta un’educazione e una tradizione segrega severamente dalla vita – come ci saranno rimaste tante altre piccole tentazioni, passioni, simpatie – se il babbo non vivesse ormai 2. passarli;] passarli, D D2 passarli: (← passarli,) D1 passarli; B     3-4. Se non…nel conto] ma io lo giudico, come giudico qualunque altro, a meno che non lo si voglia tenere nel conto D •Se non lo giudicassi mi sembrerebbe di tenerlo (›ma io lo giudico, come giudico qualunque altro, a meno che non lo si voglia tenere‹) nel conto D1     5-6. vedere] |vedere| (›capire‹) D     9. in questo] in •un (›questo‹) D1 D2 in questo D B     10. ed] e D ed (← e) D1     15. allarmarsi per così poco.] allarmarsi. D allarmarsi /per così poco/. D1     16. sono tranquilla] sono così tranquilla D D2 sono ›così‹ tranquilla D1     16-17. tanto tempo fa] tempo fa D D1 D2 B ≠ M2     18. la lettura a un diletto.] |la| (›al‹) lettura a un |diletto| (›piacere‹). D  ◆  libri] libri D libri|,| D1 D2 B     21. brillante…fatto] brillante D brillante /che non hanno fatto/ D1     23. dev’essere] dev’esser D D1 D2 dev’essere B     

Michele Boschino

da troppi anni completamente isolato. La sua abitudine a controllarsi si è rilassata come un vecchio tessuto. Come spiegheresti altrimenti che non gli venga neppure il sospetto che io vedo, che Isabella vedrà anche lei, presto o tardi? Se il babbo fosse meno legato alla particolare educazione della sua epoca, se avesse più personalità, agirebbe con più franchezza. Ma probabilmente lui, che fa alla governante la corte in modo così ridicolo, creando in casa una situazione insostenibile, forse con la convinzione che nessuno capisca né veda, come se agisse nel segreto della sua immaginazione, non ammetterebbe neppure lontanamente l’idea di sposarla o di vivere liberamente con lei. Non ammetterebbe di poter tradire la mamma. Così siamo in questa strana situazione: non c’è nulla, tra il babbo e la signorina Airoli, eppure io mi sento a disagio, e soffro. Gli estranei parleranno della cosa, non ci vedranno chiaro e chi sa mai cosa finiranno per inventare. Solo un amico potrebbe parlar al babbo francamente, aprirgli gli occhi; oppure Donato.34 Perché un pericolo c’è. Non si tratta solo del babbo: c’è anche un’altra persona che capisce benissimo l’importanza che ha assunto, e già ne approfitta, e ne approfitterà sempre di più, in seguito, e chi sa fino a che punto. Eccoti spiegata la ragione della mia sofferenza. Ma non ci far troppo caso. Forse tutto si dissiperebbe se tu potessi venire un poco qui da noi.

197

5

10

15

20

25

Caro Filippo, forse sarebbe meglio, come tu dici, che io non mi ostinassi a ricercare la causa della mia inquietudine nelle persone e 30 nelle situazioni intorno a me. Forse è vero, come tu dici, che la tristezza e la gioia non hanno ragione alcuna, che si devono “romanticamente accettare come sentimenti assoluti”. 4. vedo] vedo D vedo D1  ◆  vedrà] vedrà D vedrà D1     20. benissimo] benissimo; D D1 D2 benissimo B     23. sofferenza] insofferenza D D1 D2 B ≠ M2     29. forse] Forse D D1 D2 B ≠ M2      34 Così siamo in questa … oppure Donato.] cfr. Appendice (Parte seconda).

198

GIUSEPPE DESSÌ

Ma io soffro. Ecco tutto. Soffro. Dunque non parliamo più di me. Scusami, e non parliamo più di me. . . 5

10

15

20

25

30

Caro Filippo, cerchiamo di restare fedeli ai patti. E non parliamo più di me. Mi chiedi spiegazioni sulle “Damine”. Mi pareva di avertene già parlato. Come avrai capito, le “Damine”, sono ragazze di ogni ceto che, guidate da alcune signore del paese, assistono i poveri. Non essendovi qui un ospizio, portano in casa delle persone bisognose buoni per il pane il latte lo zucchero il caffè, ecc. ecc. Il Comune e altri enti, e anche i privati, sono tassati per una certa somma. Fanno quello che possono. Ada Catello è una delle più assidue e attive “Damine”, ma riconosce che lo scatto di Boschino è più che scusabile. Boschino era molto diffidente fin da principio, a dir la verità. Non appena seppero che s’era ammalato e che non aveva di che vivere, le “Damine” capitarono anche da lui, gli portarono latte e uova. Boschino non ha mai bevuto latte in vita sua, e le uova non può prenderle per via del fegato. Ma le “Damine” rimasero molto meravigliate vedendo che un povero diavolo, che non aveva di che sfamarsi, rifiutava il latte e le uova. Ci volle tutta la pazienza di Ada Catello per far capire la ragione alle sue compagne. Quando Boschino si aggravò, e il prete doveva venire a portargli l’Estrema Unzione, le “Damine” prepararono sul tavolino appoggiato al muro una specie di altare con ceri e immagini. Sul muro affumicato attaccarono una pagina di giornale con quattro puntine da disegno, e nel mezzo un Crocefisso

6. cerchiamo] Cerchiamo D D1 D2 B ≠ M2     8-9. di avertene] d’avertene D D1 D2 B ≠ M2     10. di ogni ceto] di tutte le condizioni D D1 D2 ||di ogni ceto|| (›di tutte le condizioni‹) B     12-13. pane…zucchero] pane, il latte, lo zucchero, D D1 D2 pane il latte lo zucchero (← pane, il latte, lo zucchero,) B     14. sono tassati] si sono tassati D D1 D2 sono tassati B     22-23. vedendo …diavolo,] ›che un mi‹ vedendo che un miserabile come lui, D vedendo che un miserabile come lui, D1 D2 vedendo che ||un povero diavolo|| (›un miserabile come lui‹), B     26. si aggravò] s’aggravò D D1 D2 si aggravò B     30. Crocefisso] Crocifisso D D1 D2 Crocefisso B     

Michele Boschino

di metallo nichelato. Dopo che Boschino fu unto, si portarono via le immagini e i ceri e lasciarono solo il Crocefisso. Una volta fattoci l’occhio, quel Crocefisso lucente non dava noia. Era un buon Crocefisso come tanti altri. Eppure quel segno aveva portato qualcosa di nuovo – o era entrato con qualcosa di nuovo nella rimessa. Si sentiva pesare quel senso di rassegnazione senza scampo che precede la morte e accompagna tutte quelle cerimonie. Il prete se n’era andato, le immagini e i ceri erano stati portati via, ma quell’oggetto lucente ricordava l’odore dell’incenso e le salmodie funebri. Boschino era diventato taciturno. E teneva gli occhi chiusi, forse anche perché – ci ho ripensato poi – nella posizione in cui si trovava, da qualunque parte guardasse, aveva negli occhi quel luccichio. Anche al lume della candela, il Crocefisso luccicava. Un giorno vado e lo trovo rasserenato. Stava già meglio da qualche giorno. Sembrava rinato. Mi mostrò, con la mano, il giornale appuntato al muro: le “Damine” erano venute per i buoni, e, visto che stava meglio, avevano portato via il Crocefisso… Inutile commentare, vero? Questione di sensibilità. Sul giornale ingiallito dal fumo era rimasta l’impronta del Crocefisso. Si notava appena; ma io e Boschino la vedevamo bene. «Meglio così» disse. «Adesso sì che è Lui!». Quando tornarono il giorno dopo, uscendo di Chiesa, le “Damine” andarono da Boschino in gruppo, tre o quattro accompagnate da due studenti di C. loro amici. Sai come accade: quando si è in compagnia si chiacchiera, si ride.

2. Crocefisso] Crocifisso D D1 D2 Crocefisso B     3. Crocefisso] Crocifisso D D1 D2 Crocefisso B     4. Crocefisso] Crocifisso D D1 D2 Crocefisso B     8. accompagna tutte quelle] accompagna quelle D accompagna /tutte/ quelle D1     10. le salmodie funebri.] le preghiere. D •il salmeggiare (›le preghiere‹) D1 D2 ||le salmodie funebri|| (›il salmeggiare‹) B     11. chiusi] chiusi perché, D chiusi ›perché‹, D1     14-15. Crocefisso] Crocifisso D D1 D2 Crocefisso B     19. Crocefisso] Crocifisso D D1 D2 Crocefisso B     22. Crocefisso] Crocifisso D D1 D2 Crocefisso B     23. disse] disse ›lui‹ D     24. dopo,] dopo le damine tornarono, D dopo ›le damine tornarono‹, D1     24-25. le “Damine” andarono] andarono D /le “Damine”/ andarono D1  ◆   quattro] quattro, D D1 D2 B ≠ M2     27. quando…chiacchiera] |quando si è in compagnia si chiacchiera| (›quando si chiacc‹) D     

199

5

10

15

20

25

200

GIUSEPPE DESSÌ

Così entrarono nella rimessa. I giovanotti fecero qualche apprezzamento spiritoso sui sedili da giardino che erano appoggiati alla parete. Le ragazze risero. A un certo punto Boschino si è alzato a sedere sul letto e li ha cacciati via. 5 Ada, che era nel gruppo, mi ha detto che sono sfilati tutti in silenzio davanti al suo letto e se ne sono andati senza una parola di protesta. Il putiferio è successo dopo, quando la cosa è stata riferita alle altre “Damine” e alle anziane. Naturalmente non hanno più rimesso piede da Boschino e lo 10 hanno “abbandonato alla sua sorte”, o meglio, a Lavinia, che sembra esserne felice. . . . . Mio caro Filippo, grazie della lunga e cara lettera. Ma credo che sia proprio meglio non toccare più quell’argomento. Mi scrivi che, tra qualche giorno, ti leveranno l’ingessatura. Speriamo che non rimandino anche questa volta. Dunque potremo vederti presto. Di venire io in città è meglio 20 non parlarne neppure, per ora. La signorina Airoli andrà a passar le feste a casa sua e porterà con sé Isabella. Io devo restare qui col babbo e badare alla casa. Ringrazia dunque la signora Bianca per l’invito. Sarà, spero, per un’altra volta. Tu invece dovresti cercare di venir qui al più presto. Perché 25 non con la signora Bianca a passare le feste con noi, che siamo così soli? È il babbo che m’incarica di dirtelo, e non per ricambiare l’invito fatto a me – bada bene! – ma perché desidera avervi qui per un poco. Oh, che bella cosa sarebbe! Non so precisamente quando sia stata discussa la secon15

4. li ha cacciati via.] gli ha caciati via tutti. D li ha cacciati via (← gli ha caciati via tutti). D1     10. “abbandonato…Lavinia,] abbandonato alla sua sorte, e, per fortuna, a Lavinia, D “abbandonato alla sua sorte”, o meglio, (← abbandonato alla sua sorte, e, per fortuna,) a Lavinia, D1     15. grazie] Grazie D D1 D2 B ≠ M2     21. passar] passare D passar (← passare) D1   ◆   porterà] ›si‹ porterà D     22. restare qui col] restare col D restare /qui/ col D1     

Michele Boschino

201

da causa. Lo chiederò a Boschino. Quella lettera al Procuratore del Re me la dettò appunto Boschino stesso. Io la spedii di nascosto contro il parere del babbo e di Donato. Avevano ragione loro, però. Sarebbe stato meglio non farne nulla. Boschino fu chiamato dal cav. D., e interrogato. Neppure 5 una parola di quel che disse fu creduta. Lo presero per pazzo, e lo ammonirono, minacciandolo anche di denunciarlo per calunnia! Ma, a parte questo, credo che ci sia poco da fare. L’ingegnere ha in mano la procura generale da troppo 10 tempo, ormai. E tua madre, non potrebbe tentar lei di convincere Linda? . . . . Mi sono chiesto quale differenza passa tra la conoscenza che ho di me stesso e la conoscenza che ho di quest’uomo che si chiama Michele Boschino. Ho pensato a lungo a questo. Che valore hanno i fatti della sua vita? Io li conosco, questi fatti, o perché lui stesso me li ha raccontati, o perché li ha raccontati a Maria, e poi Maria a me; o da altri. Se accetto questi fatti come se fossero la sua vita stessa, e do a questi fatti un valore assoluto (così, in fondo, li ho accettati finora) la sua vita si delinea chiarissima nel mio spirito, coerente. Ciò che ho saputo da Maria, che non nasconde la sua simpatia per Boschino, non è in contraddizione, anzi coincide con ciò che ho saputo da Linda che lo odia da quando era bambina. Perché non è la simpatia o l’odio che conta, ma i fatti, che si vestono di un sentimento particolare che io ho di lui, che non è né simpatia né odio, ma che non so definire. È il sentimento che si prova tornando, con gli occhi,

1. Boschino.] Boschino stesso. D D1 D2 Boschino ›stesso‹. B     2. Boschino stesso] Boschino. D D1 D2 Boschino |stesso|. B     3. parere] volere D •parere (›volere‹) D1     11. convincere] convincer D D1 D2 convincere B     19. li conosco] riconosco D li conosco (← riconosco) D1     21. me;] me, D D1 D2 me; (← me,) B     22. se fossero] ›se‹ fossero D1 D2 se fossero D B     26. non è…coincide] coincide D /non è in contradizione, anzi/ coincide D1 D2 B ≠ M2     29-30. io ho di lui] io ho di lui D io ho di lui D1     

15

20

25

30

202

GIUSEPPE DESSÌ

su un oggetto, su un luogo da lungo tempo familiare. I due racconti si confondono, o meglio coincidono in un punto che è fuori di essi. Allo stesso modo, dalle descrizioni di Linda e dal ricordo delle descrizioni di Boschino è risultato 5 questo paese di Sigalesa, concreto, visibile, noto come può esserlo Ultra, per esempio. Se quest’idea che io mi son fatto di Boschino coincide col Boschino reale, io conosco quest’uomo meglio di me stesso. Ma è assurdo. Non si conoscono così gli uomini reali, ma 10 i personaggi dei romanzi. C’è dunque, dietro quest’uomo che io vedo muoversi, che sento parlare, che vive con me ormai tutte le ore, e del quale conosco il tormento fino a soffrirne, c’è un altro uomo vero, sconosciuto, impenetrabile alla mia coscienza, un’inviola15 bile realtà morale. Prima di risolvere questo dubbio non posso parlare a Linda di andare a Ultra, e cercare di convincerla. Ma con20 vincerla a che? Ad andar lì, sedersi accanto alla branda di Boschino, ad operare con la sua sola presenza quella riconciliazione miracolosa che Maria vagheggia? Non è assurdo pensarlo? Maria ci crede. Forse ciò che a me pare assurdo è una cosa di semplicità estrema. Ma io non parlerò, per ora. 25 Linda non sa dove Boschino si trovi, non mi ha neppure chiesto dove io l’ho conosciuto. Linda crede che tutti debbano conoscere le persone che conosce lei. Non ha dubbi su questo punto. Eppure la tentazione di dire a Linda «Boschino è a Ultra, 30 bisogna che tu ci vada», è stata forte anche ieri. La tentazione di liberarmi dal dubbio senza risolverlo, la tentazione di affidarmi a questa realtà che io conosco, e che potrebbe essere nient’altro che un’astrazione fantastica. 2. confondono] fondono D D1 D2 confondono B     6. Ultra, per esempio.] Ultra. D Ultra|, per esempio|. D1     8. meglio di me stesso] meglio di me stesso D meglio di me stesso D1     11-12. che sento] sento D /che/ sento D1     22. vagheggia?] si augura? D D1 D2 ||vagheggia?|| (›si augura?‹) B     29. è a Ultra,] si trova a Ultra, D D1 D2 ||è|| (›si trova‹) a Ultra, B     33. un’astrazione] una astrazione D D1 D2 un’astrazione B     

Michele Boschino

203

Ma non si deve. Non si deve. Se Boschino è l’uomo che io conosco, Maria ha ragione. Mi sono convinto di questo. Tutto è chiaro e molto semplice, in realtà. Il Boschino che io conosco non cerca altro che pace, non vuole sentire, ora che sta per lasciarla, la sua 5 vita spezzata dall’odio, per lasciarla non aspetta altro che questo pacifico commiato. Ma se Boschino è solo in parte l’uomo che io conosco, che Maria conosce (se già si sta addormentando nell’oblio dell’antico odio, dell’antico dolore…) io potrei, facendo andare a Ultra Linda, risvegliare 10 ancora una volta l’odio nel suo animo, chi sa, portarlo a una disperazione senza rimedio. Allora Maria stessa lo vedrebbe inchiodato per sempre a questa disperazione. 15

E se anche Maria si fosse fatta di lui un’idea falsa? Io e Maria potremmo avere di Boschino la stessa idea falsa. I nostri pensieri s’incontrano spesso, e tale incontrarsi ci dà la certezza della loro giustezza. La sua logica è così simile 20 alla mia che spesso mi disturba, e la contraddico, contraddicendo così me stesso. Ma quando il ragionamento logico, che è sempre del resto una giustificazione a posteriori, non appare, e lei parla e dice le cose con immediatezza, come le sente, e dice ciò che io stesso penso, questo fatto mi dà 25 una gioia intensa, una specie di ebbrezza. Così accade anche a lei. Questo ci unisce e forse accadrà un giorno ciò che Boschino mi disse tanti anni fa. Ma questa verità che a un

7-8. è solo in parte] è solo in parte D è solo in parte D1     9. addormentando nell’oblio] addormentando, come dice Maria, nell’oblio D addormentando, come dice Maria, nell’oblio D1 D2 addormentando›, come dice Maria,‹ nell’oblio B     21-22. contraddico, contraddicendo] contradico, contradicendo D D1 D2 B ≠ M2     24-25. le cose…dice] le cose come le sente, come le pensa, e dice D D1 D2 le cose ||con immediatezza,|| come le sente, ›come le pensa,‹ e dice B     27. accadrà un giorno] accadrà ›un giorno‹ D1 D2 accadrà un giorno D B     28. anni fa. Ma] anni fa, che noi due ci saremo sposati. Ma D anni fa, che •noi avremmo passato insieme la nostra vita (›due ci saremo sposati‹). Ma D1 D2 anni fa›, che noi avremmo pagato assieme‹. Ma B     

204

5

10

15

20

25

30

GIUSEPPE DESSÌ

tratto appare a noi due, non potrebbe essere un’illusione comune? Nel caso di Boschino, per esempio. Ho osservato che quando si pensa in solitudine il nostro pensiero, anche sotto la veste di ragionamento logico, ha una forza fantastica che raramente poi riusciamo a trasfondere nelle parole, che sono destinate agli altri. Il valore del nostro pensare allora non sta nella sua verità soltanto, o meglio nella sua verità razionale, ma anche nella sua forza fantastica. Noi veramente non facciamo allora questa distinzione. L’incanto affascinante, quasi ipnotico del nostro solitario pensare, sta appunto nel fatto che noi non facciamo nessuna distinzione tra ragione e fantasia. È l’assenza assoluta del dubbio. Quando il dubbio nasce, cessa l’incanto. Il dubbio ci viene posto, anche nella solitudine – come da un’altra persona. Noi non siamo più soli. Da quel momento il nostro non è più un monologo ma un dialogo. Il ragionamento più rigoroso e severo conserva il sapore, quasi il sospetto del dubbio della solitudine; e noi siamo portati a cercare materialmente un interlocutore, a chiamare dal segreto di un’altra coscienza la conferma della giustezza del nostro ragionamento. Ma spesso non si tratta di ragionamento. Spesso non si tratta che di un pensare fantasticato, solitario; anche quando lo esprimiamo ad altri. Ed ecco che improvvisamente le nostre fantasie, o anche le nostre sensazioni acquistano il valore della realtà stessa solo perché le ritroviamo in altri. E così potrebbe essere accaduto a me e a Maria per Boschino. A parte la simpatia che Maria può sentire per lui, diversa dal sentimento particolare che io sento, c’è qualche cosa di comune nell’immagine che ce ne siam fatta – e più di qualche cosa, anzi: c’è un uomo, che ci dà l’illusione

8. ma anche] ma D D1 D2 ma ||anche|| B     9. Noi veramente] Ma noi D D1 D2 Noi (← Ma noi) ||veramente|| B   ◆  facciamo allora] facciamo|,| allora|,| D1 D2 facciamo allora D B     14. l’incanto.] l’incanto? D l’incanto. (← l’incanto?) D1 D2 B     17. rigoroso] elaborato D D1 D2 ||rigoroso|| (›elaborato‹) B     18. solitudine;] solitudine, D D1 D2 solitudine; (← solitudine,) B     21. giustezza] bontà D D1 D2 ||giustezza|| (›bontà‹) B     23. solitario;] solitario, D D1 D2 solitario; (← solitario,) B     

Michele Boschino

– forse solo l’illusione – di soffrire e vivere per conto suo, staccato da noi. Eppure esso è trasparente, chiaro, fa parte della nostra stessa coscienza. Ma forse noi non sappiamo niente di lui. Forse dietro l’immagine chiara e trasparente c’è ancora un’altra realtà sconosciuta, impenetrabile. Quando, l’altro giorno, stavo per parlare a Linda e pregarla di andare a Ultra, una sorta di terrore mi ha trattenuto. Non uno scrupolo soltanto, ma proprio una sorta di terrore. Non era la voce sommessa che dice: «Tu devi» oppure «Tu non devi», ma una voce di terrore. Ho tanto pensato a questo uomo che ho terrore di ritrovare, ora, un volto sconosciuto. Ho terrore della tempesta di odio che potrebbe scatenarsi da questa coscienza nascosta, come se dovesse travolgere me pure. Ho terrore di tutta la realtà che non conosco, nascosta nelle persone, nelle cose che ho intorno, nel mio stesso corpo – che potrebbe a un tratto sostituirsi alla realtà che conosco e alla quale mi affido. Se veramente così fosse, io non potrei più alzare neanche una mano, non potrei fare il minimo gesto. Non potrei più – se non per un atto di disperazione o di fede. Questo è certo: io posso agire, nei riguardi di Boschino, solo se lo considero come me stesso, se agisco verso di lui come potrei agire verso me stesso – e sicuro che ciò che faccio è bene. Perché Maria attribuisce tanta importanza al Crocefisso che le “Damine” hanno portato via a Boschino? Il Crocefisso ha lasciato l’impronta nel foglio di giornale ingiallito dal fumo. È un fatto della cui realtà non si può dubitare, eppure, per se stesso, non ha alcuna importanza. È un simbolo? Se la conoscenza che Maria ha di Boschino fosse più pro-

2. Eppure esso] Esso D D1 D2 Eppure esso (← Esso) B     5. c’è…realtà] c’è una realtà D D1 D2 c’è ||ancora un’altra|| realtà B     10-11. «Tu …devi»] «Tu devi» oppure «Tu non devi» D D1 D2 «Tu devi» oppure «Tu non devi» B     15. me pure.] anche me. D •me pure. (›anche me.‹) D1     21-22. fede. Questo] fede.↔|| Questo D D1 D2 fede. Questo B     23. me stesso] me stesso D me stesso D1     25-26. bene. Perché] bene. ↔|| Perché D D1 D2 bene. Perché B     29. dubitare,] dubitare: D1     

205

5

10

15

20

25

30

206

5

10

15

20

25

30

GIUSEPPE DESSÌ

fonda di quella che appare dalle sue parole, una conoscenza inesprimibile, di una realtà forse intuita per un istante e rimasta come ricordo e si fosse espressa in questo simbolo? Eppure non è solo un simbolo. Come se Boschino fosse qui, davanti a me, io lo vedo e lo sento nell’atto di dire: «Meglio così. Adesso sì che è Lui». La luce, l’aria, il fumo faranno scomparire quel segno dalla carta ingiallita; il ricordo non si cancellerà mai. Boschino vive in quell’atto, come negli altri della sua vita che io conosco. E tutti questi atti diversi sono così puri e uniti in un carattere solo, che non v’è nessuna differenza, per me, tra quelli che conosco direttamente e quelli che conosco indirettamente. Lo vedo e lo sento pronunciare quelle parole a proposito dell’impronta del Crocefisso, come lo vedo e lo sento attingere l’acqua del pozzo sotto il pergolato o attizzare il fuoco con un ferro ricurvo, la notte che lo spiavo dal muro, e dire al suo interlocutore immaginario: «Ma ora è tardi, tardi! Tardi per te e anche per me!» e mugolare pian piano imitando il vento. Anche oggi mi sembra di conoscere Ultra meglio di ogni altro, meglio dei nostri parenti, per esempio, che raramente da Ultra si sono allontanati, i cugini e gli zii della mamma, gente di campagna avvezza alle strade che portano ai loro poderi, agli itinerari obbligati della partita di caccia grossa. Da ragazzo io m’accorgevo che i parenti di Ultra non sapevano nulla delle loro montagne, e me ne stupivo. Quei monti, quelle vallate, quelle gole boscose non avevano in realtà alcuna importanza per loro, come per i cittadini non hanno importanza molte strade e le piazze della città – a meno che, allontanandosene essi, la nostalgia non li riporti a ripensarle e vagheggiarle. A furia di viverci in mezzo, i nostri parenti quasi non vedono più i loro monti. Era un poco così anche per Maria e Donato, allora, e fui io che comuni-

3. ricordo] ricordo, D D1 D2 ricordo B     14. Crocefisso] Crocifisso D D1 D2 Crocefisso B     16. spiavo] spiai D spiavo (← spiai) D1     18. me!»] me!», D D1 D2 B ≠ M2     18-19. vento. Anche] vento.↔|| Ancora D D1 D2 vento.↔|| Anche B ≠ M2     20. parenti] parenti di Ultra D D1 D2 parenti ›di Ultra‹ B     28. molte strade] le strade D D1 D2 B ≠ M2     29. allontanandosene essi,] allontanandosene, D allontanandosene |essi|, D1     

Michele Boschino

cai ai miei amici la passione delle lunghe passeggiate e delle escursioni sui monti. Vedendoci partire coi nostri sacchi in spalla, tutti ci guardavano con meraviglia, non arrivando a immaginarsi che gusto ci fosse a far tanta strada sotto il sole senza uno scopo preciso. Capivano che si potesse andare a consumare una merenda in qualche bel sito ombroso, in riva a un torrente, ma le nostre lunghe marce non le capivano. Uscivamo di casa all’alba, quando gli zii andavano a far la posta alle tortore nelle aie dei dintorni, e tornavamo dopo il tramonto impolverati, stanchi, abbronzati dal sole. Quando dicevo dove eravamo stati, io e i miei amici, i cugini di mia madre scoppiavano a ridere. Non credevano che avessimo potuto fare tanta strada in una sola giornata. A sentir loro, non c’eravamo allontanati dalla pineta del Comune. Io non sapevo i nomi di quelle vallate e di quei monti, e non ci curavamo di consultare la carta del Touring che il Capitano metteva nella tasca esterna del sacco di Donato; ma appunto per questo, dalle descrizioni precise che ne facevo, si dovevano convincere che c’eravamo stati veramente. Come ultima prova, mi chiedevano delle sorgenti. Se si possono inventare, più o meno, le valli, che si somigliano tutte, perché dietro il Pulva non ci sono altro che boschi di lecci, fino al mare, non è possibile inventarsi le sorgenti, alcune delle quali, in quella stagione erano secche. Essi le conoscevano per sentito dire, per esserci passati vicino. Noi le scoprivamo tutte infallibilmente. Ci guidava la conformazione stessa del terreno, i giunchi o le felci. I nomi dei luoghi li imparavo dopo esserci stato, e rimangono nella mia memoria anche ora che da tempo non faccio più gite sui monti di Parte d’Ispi, uniti a quel profilo di monti che fin da bambino la mamma m’indicava quando mi conduceva a passeggio sui bastioni o al castello di San Michele. M’indicava Ultra, dove aveva passato la sua fanciullezza: una piccola macchia cenerognola sul fianco del Monte Pulva, tra i boschi. Ma quei nomi non avevano per i nostri parenti

2. sui] tra i D D1 D2 ||sui|| B     16. Touring] Touring D D1 D2 B ≠ M2     24. stagione] stagione, D D1 D2 B ≠ M2     32. castello] Castello D D1 D2 B ≠ M2     34. del] di D D1 D2 del (← di) B     

207

5

10

15

20

25

30

35

208

5

10

15

20

25

30

GIUSEPPE DESSÌ

di Ultra, e forse nemmeno per Maria e Donato, lo stesso significato che avevano per me. Per me Giarrana significava vento, spazio, e non in senso materiale soltanto; significava desiderio di altri paesi, desiderio di andarmene e poi desiderio di ritornare. Lontano da casa non ho mai amato nessun altro luogo come Giarrana. E tornandovi vi riportavo quell’amore, non il ricordo della nostalgia, ma proprio tutta la mia nostalgia, come il desiderio di possedere meglio quel luogo, nel quale mi trovavo. Forse perché di rado potevo starmene lì solo, e le persone che m’accompagnavano, che pure erano sempre Maria e Donato, non potevano sentire quel che io sentivo. Invano tante volte ho tentato di comunicare ai miei amici questo sentimento. Neanche la mamma, che pure ama tanto Ultra, è mai riuscita a capirlo. Lei ama Ultra, il paese, la campagna, i ricordi della sua infanzia, e non può capire il mio amore per quella terrazza di roccia sulla costa del monte, il mio desiderio di star lì seduto per ore e ore. Forse anche l’amore per i luoghi è solitario e inesprimibile come l’amore per le persone. Quando mi trovavo lontano da Ultra e dalla città e da mia madre (come per esempio l’inverno che passai a P.) in quell’intenso desiderio di ritornare s’apriva il ricordo della pianura che si vede dalla terrazza di roccia di Giarrana. Quei villaggi rari e distanti visibili solo in certe ore del giorno, di lassù, secondo che batte la luce, o di sera, come fuochi di accampamenti. Quei torrenti ciottolosi e secchi la maggior parte dell’anno. Quei boschi di querce, tra i quali, a tratti, appaiono mandorleti e vigne. Quelle strade. Quei sentieri. Oltre i boschi, terre seminate, simili alle striscie di colore diverso che si vedono in mare dalla riva, quando tira libeccio; poi, un colore uniforme, un turchino cupo tendente al viola: e questo colore uniforme – nient’altro che questo colore – sollevarsi, profilarsi in colline, distendersi nel preciso e diritto altopiano della Giara. Nella pianura ci sono sì altri colli, più vicini, 2. Giarrana] Giarrana D Giarrana D1     9. di rado] ›solo‹ di rado D     11. pure] ›erano‹ pure D     26. secchi] secchi, D secchi (← secchi,) D1   ◆   dell’anno. Quei] dell’anno, quei D dell’anno. Quei (← dell’anno, quei) D1     29. striscie] strisce D D1 D2 striscie B     33. altopiano] altipiano D D1 D2 B ≠ M2     

Michele Boschino

ma a me parevano di natura del tutto diversa da quelli. Ci sentivo attorno l’aria. Potevo immaginare o vedere un volo d’uccelli girarci attorno, sparire e ricomparire; la tortuosità dei sentieri sotto gli alberi, le siepi, le tane dei conigli, i cespugli. I colli all’orizzonte invece erano posti al di là di quel limite entro il quale i sensi operano concordi e dell’oggetto ti danno la cognizione completa, immediata. L’oggetto è davanti a te, esiste. Esistono gli alberi, gli uccelli, i sentieri, gli sterpi. Non un oggetto solo, o meglio nessun oggetto isolato, ma tanti infiniti oggetti tutti assieme, uniti in una forma e in un nome vago. Non un sasso, non un rametto secco o una foglia, ma un colle. E nessuno dei tuoi sensi in particolare sente il colle, ma tutto il tuo essere sente l’esistenza del colle. Invece quegli altri colli lontani, solo lo sguardo li individua, solo lo sguardo ne intuisce la presenza, come in sogno, a volte, s’intuisce la presenza di una persona che non si riesce ad avvertire se non come un’ombra. Ripensando alla terrazza di Giarrana, ora che sono qui immobile, in questo letto, mi pare di poter ritrovare tutta la mia vita in quel ricordo. E anche questo sentimento è solitario, incomunicabile. Mia madre entra nella stanza, si siede accanto a me. Non sa quello che penso, che sento. È inutile tentare di dirglielo, se lei stessa non lo capisce, se dal profondo del suo essere non è mosso lo stesso sentimento, lo stesso pensiero. Entro quell’orizzonte, nell’amore di quel luogo che è soltanto mio, in quel bisogno di andarmene, di ritornare, nella nostalgia che continuava a durare anche quando ero tornato, tutta la mia vita si delimita, si sistema, diventa comprensibile come se la leggessi narrata in un libro. Ma se perdo il senso di questo orizzonte, di questa 11. vago] indeterminato D •indeterminati (›indeterminato‹) D1 D2 ||vago|| (›indeterminati‹) B     12. un colle] un colle D un colle D1     13. sensi in particolare] sensi, in particolare, D sensi in particolare (← sensi, in particolare,) D1  ◆  il colle] il colle D il colle D1     14. altri colli lontani] altri lontani D altri /colli/ lontani D1     15. individua] individuava D D1 D2 individua (← individuava) B     15-16. ne intuisce la presenza,] intuiva la presenza di quei colli, D /ne/ intuiva la presenza ›di quei colli‹, D1 D2 ne intuisce (← intuiva) la presenza, B     17. ad avvertire] a individuare D ad avvertire (← a individuare) D1     28. quando ero] quand’ero D D1 D2 quando ero B     

209

5

10

15

20

25

30

210

5

10

15

20

25

30

GIUSEPPE DESSÌ

prospettiva, e cerco di guardarla più da vicino, ogni fatto si riempie di altri fatti, all’infinito, è un brulichio infinito. C’è stato un tempo in cui i fatti le persone i luoghi erano come addormentati, in confronto a oggi. Io li animavo di significazioni fantastiche. Li isolavo. Ne facevo dei simboli. Le cose, la natura erano impenetrabili, per me, in quel tempo, nella loro essenza. Né io avevo il sospetto, se non lontanissimo, inconscio, di questa impenetrabilità. Mi accontentavo di fermare su un oggetto, su una persona, su un luogo le mie fantasie e i miei pensieri; come si àncora una nave al fondo sconosciuto del mare. Io stesso non riconoscerei ora una roccia, sopra Giarrana, che a un certo punto del sentiero sembrava, vista dal basso, un uomo seduto, un marinaio con un largo cappello di tela cerata dalla falda rialzata sulla fronte, come usano i pescatori del Baltico. A Maria invece sembrava una donna china sul suo bambino. Salendo ancora, non era più possibile riconoscere in quella roccia alcuna forma umana. Era una roccia come tutte le altre. Ma accanto ve n’era una che per un foro che l’attraversava faceva pensare a uno di quegli anelli che vi sono nelle darsene per legarci le gomene. E io mettevo in relazione la figura del marinaio seduto con quell’anello, e pensavo che, un tempo, solo la cima di quei monti emergeva dal mare, e forse qualche ciclopica nave era stata ormeggiata a quell’anello. A ogni richiamo, la mia fantasia era pronta a lasciarsi attirare entro queste teorie d’immagini. Forse così accadeva anche a Maria e a Donato. Forse – e per me certamente – il piacere di quelle corse sui monti ci veniva in gran parte dalla convinzione che ciascuno di noi aveva di poter fantasticare per proprio conto nulla lasciando trasparire delle proprie fantasie, come ora io faccio con la mamma; e parlare di tutt’altro. Eravamo in quell’età in cui si ha sempre paura di dire e di pensare cose che agli altri possano sembrare puerili. Parlavamo invece di cose che non avevano per noi 8-9. Mi accontentavo] M’accontentavo D D1 D2 Mi accontentavo B     1112. riconoscerei ora] potrei riconoscere D riconoscerei (← potrei riconoscere) /ora/ D1     14-15. dalla falda rialzata] ›con‹ |dal|la falda |rialzata| (›alzata su‹) D     21. legarci] legarvi D D1 D2 legarci (← legarvi) B     24. ormeggiata] |ormeggiata| (›legata‹) D     

Michele Boschino

alcun vero interesse. Per me, almeno, era così. Ma qualunque cosa dicessimo, eravamo animati dalla forza di quelle fantasie segrete. Quando tacevamo, marciavamo tutti e tre con tanto impegno che la fatica non si faceva sentire. Ci prendeva una specie di ebbrezza silenziosa, come appunto accade quando si cammina fantasticando. Facevamo chilometri e chilometri senza accorgercene. Come mi sembrava docile, allora, la natura! Come tutto sembrava dover secondare, non dico la mia volontà, ma ogni moto del mio desiderio! Quando, per la festa di Santa Barbara, i razzi s’alzavano altissimi sulla cupola della chiesa, ero certo che non avrebbero scoppiato, solo che io, chiudendo gli occhi, lo avessi voluto. Se non lo volevo, se non cedevo a questa tentazione, era per un vago istintivo timore di penetrare un segreto della vita che doveva restare ancora inviolato: il limite della mia volontà, del mio desiderio, la distanza infinita tra il mondo delle mie fantasie e quello della realtà, tanto più grande di quella che mi separava dal razzo che scoppiava nel cielo. L’adolescenza doveva ancora durare. L’ultima volta che sono partito da Ultra, mentre andavo alla stazione con la carrozza del Capitano (e Maria era con me) ho visto una scala appoggiata a una catasta di legna. La catasta era in cima a un colle, e dietro il colle era il cielo chiaro. Saranno state le cinque del pomeriggio: il treno della sera parte appunto verso le cinque e mezzo. La scala era precisa, sottile: un segno. Io non potevo rimuoverla, non potevo spezzare un rametto di quella catasta di legna. Eppure ora questo pensiero non mi dà più tristezza. Ho pensato che forse ogni tanto Boschino bestemmia. Ho diritto di pensare questo?

4. faceva sentire] |faceva sentire| (›sentiva‹) D     6. quando…fantasticando.] quando si fantastica. D quando si /cammina/ fantasticando (← fantastica). D1     14. vago istintivo timore] vago timore D D1 D2 vago ||istintivo|| timore B     23. legna] legna›me‹ D     27. precisa,] precisa D precisa|,| D1     

211

5

10

15

20

25

30

212

5

10

15

20

25

30

GIUSEPPE DESSÌ

Quando qualche estraneo (noi non eravamo tra gli estranei) gli chiedeva notizia dei parenti, rispondeva, che qualche cane randagio doveva averne rosicchiato le ossa già da molto tempo. Ma questa non è ancora una bestemmia. I contadini di Parte d’Ispi e del Centro non bestemmiano mai. Imprecano. Ma l’imprecazione raggiunge talvolta una violenza tale che la bestemmia del becero toscano è nulla, in confronto. La bestemmia del becero è abituale; l’imprecazione del contadino del Centro o di Parte d’Ispi è ragionata, terribile. So positivamente che Boschino imprecava. Non potrebbe essersi generata dall’imprecazione una bestemmia, che, una volta concepita, ritorna sempre, che egli ripete sempre? Forse non ho diritto di pensare questo, anzi certamente non ne ho diritto. In questo momento me ne assumo io stesso il peso e la conseguenza. Sono io stesso Michele Boschino. Sono io, disteso, non qui, nella mia camera, nel mio letto, ma sulla branda della rimessa. Ritrovo in me l’abitudine antica e tenace. Se il secchio non viene su facilmente dal pozzo, se la zappa s’impiglia in una radice, e sono costretto a fare uno sforzo che fiacca la mia resistenza fatta di lentezza e di misura, se la porta non cede alla spinta della mia mano, ecco che la parola terribile si formula nel mio spirito e pende minacciosa. Ed ecco che il secchio sale docile dal pozzo, la zappa si libera dalla radice, la porta si apre. Le cose si fanno sommesse e silenziose intorno a me in un vuoto di vertigine. Ma non è questa improvvisa e timorosa docilità delle cose che m’induce in tentazione e neppure l’ebbrezza leggera che mi dà, come un bicchier di vino a digiuno. È un bisogno di rivolta inutile e triste, una finzione di calma, come chi, nella mente, rinuncia alla ragione più profonda e misteriosa dell’esistenza, ed esca e s’affacci al di fuori di se stesso. Per un attimo ho di nuovo trent’anni. Sono gio2-4. che qualche…tempo.] che qualche cane randagio doveva averne rosicchiato le ossa già da molto tempo. D che qualche cane randagio doveva averne rosicchiato le ossa già da molto tempo. D1     6. mai. Imprecano.] mai; imprecano. (← mai. Imprecano.) D1     11. positivamente] positivamente dunque D D1 D2 positivamente ›dunque‹ B     

Michele Boschino

213

vane. Tutto è ancora da cominciare. Se riuscissi a trattenere la forza illusoria di quell’attimo, a fissare quel patto sacrilego, sentirei ancora il telaio battere sotto il loggiato, e la voce di Severina. Conterei mentalmente il danaro nascosto sotto un mattone a piè del letto. Saprei quanti scudi 5 v’aggiungerei al nuovo raccolto, quanti me ne mancano per comprare un altro pezzo di terra. I miei pensieri sarebbero pieni e fecondi. Avrei negli occhi chiusi il grano seminato, la fioritura dei mandorli, la vigna da arare al tempo giusto. E un bambino dovrebbe nascermi e io lo aspetterei come si 10 aspetta la maturazione di un frutto. Invece tutto è fermo, tutto è arido, la leggera ebbrezza se ne va e il presente si distende ancora intorno a me come un campo pieno di sassi. E io sono un albero sradicato e non 15 ancora morto.35 Non ho nessun diritto di pensar questo di lui. Eppure in questo pensiero vive e si agita. Il suo tormento di ora non è più oscuro. I fatti della sua vita non sono più così esa- 20 speratamente coerenti, ma legati da altra forza, che ancora dura. Non è il Boschino di Maria, il Boschino che parla, e forse neppure il Boschino che monologa e mugola vicino al fuoco. È quello e questo, è anche un Boschino finora sconosciuto e solitario e disperato come solo si può esser 25 nella solitudine della bestemmia. Il Boschino che accenna a Maria il segno lasciato dal Crocefisso sulla carta ingiallita, è un aspetto di Boschino, un modo di essere. Lo vedo salire dal profondo della solitudine e del tormento, comporsi davanti a lei, farsi chiaro, dimentico di tutti i suoi dolori. L’odio 30 ribolle lontano – lontano dalle sue parole, lontano dai suoi gesti brevi, forse anche lontano dalle sue stesse parole di

23. monologa e mugola] monologa D monologa /e mugola/ D1     24. questo,] questo; D1     25. esser] esserlo D esser (← esserlo) D1     27. Crocefisso] Crocifisso D D1 D2 Crocefisso B     28. un aspetto] un aspetto D un aspetto D1  ◆  un modo di essere] un modo di essere D un modo di essere D1      35 In questo momento…non ancora morto.] cfr. Appendice (Parte seconda).

214

GIUSEPPE DESSÌ

odio, che in presenza a Maria suonano a vuoto. Somiglia a me quando sono in presenza a Maria, questo vecchio che come me ama la purezza di Maria. E Maria non potrà sospettare mai l’esistenza di questo bestemmiatore, lì, accanto 5 a lei, separato da lei da un velo.

10

15

20

25

30

Mi sono alzato la prima volta venerdì, a mezzogiorno. Ho fatto subito qualche passo fino alla poltrona accanto alla finestra appoggiandomi al dottor Vernieri. Tutto bene. In quindici giorni sarò a posto, potrò camminare senza stampelle. Fuori pioveva. Niente è cambiato. Ho rivisto dalla finestra i giardini pubblici, i viali del Terrapieno, la chiesa di San Lucifero, la darsena. Sono debole come se avessi fatto una lunga malattia, ma il dottore dice che le forze torneranno presto, benché mi stanchi anche a star seduto in poltrona e il letto m’attiri. Se non ci fosse la mamma a incitarmi, me ne starei a letto tutto il giorno. L’unico sollievo è di poter tenere, stando a letto, le gambe un poco piegate. Piegate ma ferme. Gli esercizi che il medico mi ha ordinato mi costano una gran fatica. E non vorrei veder nessuno. Invece, dopo che siamo andati in carrozza al Santuario di Bonaria (ieri il tempo si è rimesso, verso sera) si è sparsa la voce tra i conoscenti, e sono cominciate le telefonate e le visite. Quando la mamma non è in casa, lascio che il telefono suoni. Linda non c’è pericolo che risponda. Ma non è più così piacevole come prima starsene a letto soli, a leggere. Non ho più voglia di leggere né di pensare. Ho voglia di uscire. Ma solo. Invece la mamma vuole accompagnarmi sempre.

Stamattina, mentre la mamma era a scuola, ho telefonato per un tassì e sono andato all’Università. Tutto chiuso: le 35 vacanze sono già cominciate da due giorni. Sempre in tassì

15. debole] •debole (›stanco‹) D     17. stanchi] stanchi presto D D1 D2 stanchi ›presto‹ B  ◆  a star] di star D D1 D2 B ≠ M2     

Michele Boschino

215

sono andato a Buoncammino, poi sono sceso per il viale Fra Ignazio fino alla darsena. Ho avuto la tentazione di fare una passeggiata in barca, ma ci ho rinunciato per non farmi aiutare dal meccanico a scendere, e per non usare le stam5 pelle in mezzo alla gente. Sono passato davanti allo studio di Antonino Colliva, che un tempo lavorava col babbo. Nel pomeriggio è venuto Alberto, che non si faceva vivo da una settimana. Abbiamo passato il pomeriggio a chiacchierare di cose insignificanti. E mi ha salvato dalle altre 10 visite, che sono rimaste in salotto con la mamma. Ho telefonato all’avvocato Colliva. Si ricorda benissimo di Boschino, ma non ha potuto darmi, lì per lì, i dati che 15 gli chiedevo. Ha fissato un appuntamento per sabato prossimo. Maria mi scrive che, ora che ho parlato con l’avvocato, 20 non dovrei aver più nessuna difficoltà a pregare Linda di andare a Ultra. Maria rimane sempre della sua idea: far incontrare Boschino e Linda, e non cercar nemmeno di sapere che cosa l’ingegnere Almerio ha fatto dei danari di Boschino. Ma io ormai mi sono messo per questa strada, 25 che ritengo l’unica da seguire. Mandando a Ultra Linda io impongo a Boschino qualche cosa che forse gli ripugna; cercando di farlo reintegrare nei suoi diritti allevierò i suoi disagi materiali, e gli darò la sensazione che qualcuno si oc30 cupa di lui. È impressionante constatare come Boschino si manifesti a tutti nello stesso modo. Antonino Colliva me ne parlava come se lo avesse lasciato ieri. A me pareva di vederlo sedu- 35

4. e per] e forse per D e ›forse‹ per D1     21. pregare] |pregare| (›parlare‹) D     

216

5

10

15

20

25

30

GIUSEPPE DESSÌ

to davanti a lui, nello studio, col costume bianco e nero che poi, col passare degli anni, è stato sostituito con vecchi abiti del Capitano. Ma quest’impressione è durata solo un momento. Non riesco più a vederlo con la chiarezza di prima, da quando non sono più a letto. Immobile, immaginavo di muovermi come lui, di gestire, di parlare come lui. Ora il mio corpo si rianima come una pianta dopo la pioggia; e vuol vivere, e riempie tutto di sé. Colliva mi diceva dell’ostinazione di Boschino. Mi diceva che ha dovuto lottare per fare i suoi interessi. Non ha parlato di Boschino con quel disprezzo che hanno per i contadini gli avvocati che sono stati costretti a lavorare in provincia per tanti anni. Non lo ha trattato neppure da ignorante. Secondo lui l’ostinazione di Boschino dipende dal fatto che Boschino ha una concezione preistorica del diritto. Gli ho chiesto se non sarebbe stato il caso di secondare il più possibile quest’idea preistorica del diritto, senza portare la contesa alle conseguenze estreme, cioè alla espropriazione delle povere case e dei piccoli poderi dei parenti, all’asta, ecc. ecc. È rimasto un poco soprapensiero, poi ha detto che in teoria forse si poteva. In teoria, non in pratica. Perché non bisognava dimenticare che lui s’era trovato di fronte a un altro avvocato, il quale era pronto a valersi d’ogni sua debolezza. Cercare di venire a patti e accontentarsi di vincer la causa solo a mezzo, sarebbe stato lo stesso che riconoscere l’insufficienza dei propri argomenti. «Il diritto e la morale» ha soggiunto «non sempre coincidono. La morale, l’umanità, la tolleranza, la pietà, tutti questi elementi che possono aiutare a risolvere una contesa nell’ambito della famiglia, non hanno più voce quando ci s’affida al codice. L’ideale

6. gestire] gestire come lui D D1 D2 gestire ›come lui‹ B     7. pioggia;] pioggia, D D1 D2 pioggia; (← pioggia,) B     10. lottare] |lottare| (›fare‹) D     10-11. interessi. Non ha parlato] interessi. ›Secondo lui Boschino ha una concezione preistorica del diritto. E forse c’è qualcosa di vero in questa definizione.‹ Non ha ›mai detto che Boschino è un ignorante‹ parlato D     18-19. delle…poderi] dei beni D D1 D2 ||delle povere case e dei piccoli poderi|| (›dei beni‹) B     21. non in pratica] |non in pratica| (›perché nella pratica‹) D     22. bisognava] bisogna D bisogna|va| D1 D2     

Michele Boschino

del codice sarebbe l’annullamento del codice stesso, nelle cause civili per lo meno… il giudice di pace. Ma un giudice di pace seduto sotto un albero, in un paese abitato da tanti Boschini…». Ho riso per cortesia, e gli ho chiesto se era convinto della buona fede di Boschino. «Assolutamente» ha risposto «Boschino si sarebbe accontentato di riavere i suoi buoi, limitandosi a mostrare ai parenti che avrebbe potuto toglier loro tutto ciò che avevano; avrebbe voluto mostrare la sua potenza e la sua magnanimità». Allora non ho potuto fare a meno di chiedergli ancora perché non avesse cercato d’aiutarlo. Gli ho detto le condizioni in cui ora si trova il vecchio, ho accennato all’ingegnere Almerio. Era già informato di tutto. «È andato a cadere in brutte mani» ha detto. «Non volle fidarsi di me. Credeva che io non l’avrei secondato nei suoi propositi». Gli ho chiesto di quali propositi intendesse parlare. Mi ha detto che, visto che non si era potuti arrivare in nessun modo ad un accordo a causa dell’ostinazione degli avversari, Boschino, dopo l’asta, voleva restituire ai parenti tutto ciò che era stato ricavato dalla vendita della loro roba. «Boschino non ebbe subito questa idea» ha detto Colliva. «Gli venne solo dopo qualche tempo. Dopo l’asta se ne andò da Sigalesa senza dir nulla. Già!, chiuse la casa e se ne andò col carro a buoi. Per diversi mesi non ebbi più notizie di lui. Poi seppi che era a Ultra, e andai a trovarlo. Avevo riscosso circa sessantamila lire, che ormai gli appartenevano, tolte le spese e gli onorari. Viveva in casa di un contadino di Ultra…» 1. nelle] in teoria, nelle D ›in teoria,‹ nelle D1     7. buoi] buoi ›e di‹ D     8. avevano; avrebbe] avevano, avrebbe D avevano. Avrebbe (← avevano, avrebbe) D1 D2 avevano; avrebbe (← avevano, avrebbe) B     9. magnanimità] clemenza D D1 D2 ||magnanimità|| (›clemenza‹) B     20. della loro roba] dei loro beni D D1 D2 ||della loro roba|| (›dei loro beni‹) B     21. «Boschino] Io non mi meravigliai affatto, ma finsi meraviglia, come Antonino Colliva desiderava. – Restituire tutto ciò ch’era stato ricavato? – dissi – E come? «Boschino D ›Io non mi meravigliai affatto, ma finsi meraviglia, come Antonino Colliva desiderava. – Restituire tutto ciò ch’era stato ricavato? – dissi – E come?‹ «Boschino D1     21-22. idea» ha detto Colliva.] idea». D idea» /- ha detto Colliva -/. D1     23. andò] ||vive|| (›aandò b ||tornò||‹) B  ◆  Già!, chiuse] Chiuse D D1 D2 Già!, chiuse (← Chiuse) B     

217

5

10

15

20

25

218

5

10

15

20

25

30

GIUSEPPE DESSÌ

«Cristoforo Usùla». «Precisamente. Aveva preso in affitto una stanza in casa di quest’uomo e teneva i buoi nella sua stalla. Era come uno di casa. Mi disse che lui di quei danari maledetti non sapeva cosa farsene, che io lo avevo rovinato, e che voleva vivere del suo lavoro. Lavorava col suo ospite, o per conto di altri proprietari di Ultra, oppure per conto dei carbonai toscani, in foresta. Continuava, presso a poco, la stessa vita che aveva fatto fin allora al suo paese. E si trovava bene. Non riuscii in nessun modo a fargli capire la ragione. Ma io capii che questa decisione non poteva non essere definitiva, perché mi diede l’incarico di vendere anche la sua casa di Sigalesa e i poderi. Cercai di convincerlo che non era un momento buono per vendere, ma visto che insisteva, benché avessi la procura generale, mi feci ripetere la cosa in presenza di testimoni. Questa mia diffidenza gli dispiacque molto: disse che voleva trattare con me da uomo a uomo, e che gli estranei non dovevano sapere i fatti suoi. Io tenni duro, e gli accordai solo questo, che i testimoni non fossero di Ultra. Voleva che a Ultra si sapesse che viveva del suo lavoro e che era povero, e questo non per prudenza, ma perché era il suo sentimento. Io vendetti la casa e i poderi e ne ricavai altre venticinquemila lire, e investii tutto il capitale in azioni della Società Elettrica. Per tre anni Boschino non si fece vivo». «Per tre anni?» «Per tre anni. Non bisogna meravigliarsi neanche di questo. Io ci ho pensato molto. Questa indifferenza per il danaro deriva da una particolare concezione del danaro. Ci sono popoli selvaggi che contano solo sino a quattro. Gli indiani del Guarany, per esempio… Gli abiponi e i dammara contano fino a tre. I popoli che possono contare al di là

2. Precisamente. Aveva] Aveva D D1 D2 ||Precisamente.|| Aveva B     5. rovinato,] rovinato D D1 D2 rovinato|,| B     9. fin allora] fin’allora D D1 D2 B M2     10. ragione. Ma] ragione. ›Mi diede l’incarico di vendere la sua casa e i suoi poderi di Sigalesa, dove‹ Ma D     11. non poteva non essere] non poteva essere D D1 D2 B ≠ M2     23. e investii] |e investii| (›che investii‹) D     29. solo sino a] |solo sino a| (›sino a‹) D     30. Gli abiponi] ›Lo lasciai parlare per un pezzo senza interromperlo‹ Gli Abiponi D Gli Abiponi D1 D2 B ≠ M2     30-31. dammara] Dammara D D1 D2 B ≠ M2     

Michele Boschino

di cinque si servono delle dita, e fanno uso di una notazione quinaria o decimale e vigesimale…» «Boschino non è un selvaggio» dissi ridendo. «D’accordo, non è un selvaggio. Non ci penso che sia un selvaggio! Ma non è questo che voglio dire. Io ho una vecchia cameriera che conta solo fino a venticinque. Chi sa perché fino a venticinque e non a ottanta! Ma è così. Fino a venticinque. Oltre questo numero si figura tanti gruppi di oggetti come si vedono nelle illustrazioni dei sillabari, ognuno di venticinque unità. Sì, ma astrattamente. Oltre il venticinque, gli oggetti, siano lire, scudi, patate, uova, non hanno più, per lei, realtà concreta. Voi matematici direste che sono entità ideali. Questi oggetti hanno valore per lei solo entro il gruppo di venticinque. Il valore stesso del danaro e i vantaggi che se ne possono trarre, sono condizionati, per lei, a questa concezione numerica. Questa donna è vecchia e quasi inabile, ma non ha nessuna difficoltà a dare a suo fratello o ai nipoti i soldi che accumula da cinquant’anni a questa parte, mese per mese, quando superano una certa somma, cioè, immagino… un multiplo di venticinque! Non è generosità, è assoluta indifferenza. Eppure questa donna è tutt’altro che stupida. Per Boschino deve essere stata presso a poco la stessa cosa. Non si è reso conto del valore della somma che aveva a sua disposizione. Se avesse avuto la stessa somma investita in terre, mettiamo, allora avrebbe capito. Ma il danaro no; il danaro, sono cifre…» Gli feci notare che, forse, anzi certamente Boschino non voleva toccare quel danaro perché gli ripugnava. «Può darsi; ma non bisogna dimenticare che una parte di quel danaro era suo, ricavato dalla vendita della sua casa e della sua terra. Ora, pian piano, col passare del tempo, il valore esatto della somma, si andò maturando nella sua

4. penso che] penso neppure che D D1 D2 penso che B     9. oggetti] oggetti, D1     11. venticinque,] venticinque D D1 D2 venticinque|,| B     23. essere stata presso] essere presso D essere /stata/ presso D1     26. no; il danaro,] no, il danaro D no; il danaro, (← no, il danaro) D1     32. della sua terra] dei suoi poderi D D1 D2 ||della sua terra|| (›dei suoi poderi‹) B     

219

5

10

15

20

25

30

220

5

10

15

20

25

30

35

40

GIUSEPPE DESSÌ

testa. E solo allora, e sempre con perfetta coerenza, si decise a servirsi di quel danaro. Fu un fatto esteriore che lo fece decidere, probabilmente. Un giorno, mentre tornava dalla foresta con un carico di carbone, dopo una tempesta di vento, come se ne vedono in Parte d’Ispi, i buoi gli morirono fulminati dalla corrente elettrica. Il vento aveva abbattuto due pali della linea ad alta tensione. Allora venne da me a chiedermi i danari per comprarsi un altro giogo di buoi. Lui senza buoi non può vivere. Aveva deciso anche di comprarsi un pezzo di terra a Ultra coi suoi quattromila scudi, come diceva lui. Ma gli altri? Gli altri voleva restituirli ai parenti. Io rimasi allibito. Lo conoscevo e sapevo che non avrebbe più cambiato idea. Tuttavia ero contento di non poter disporre subito della somma, che era investita in azioni della Società Elettrica, come ti ho detto. Bisognava aspettare… Gli spiegai la cosa; ma rimase molto meravigliato quando gli dissi che la stessa Società Elettrica era tenuta a pagargli i buoi ch’erano stati fulminati dalla corrente. Mi chiese che colpa ne aveva la Società se i suoi buoi erano andati a cacciarsi tra i fili ad alta tensione! Per prendere tempo, mi valsi di questa sua perplessità. Cercavo di fare il suo interesse suo malgrado, come avevo fatto sempre. Fu questo il mio sbaglio. Sul momento non fece nessuna obiezione. Si chiuse in se stesso, come fanno questi contadini quando diffidano di qualcuno, e mi disse solo che sarebbe tornato tra qualche giorno per riparlare della cosa. Non lo vidi più; e fu allora che mi tolse la procura per darla a Francesco Almerio». «All’ingegnere?» «Sì, all’ingegnere Almerio». «E poi?» «E poi non so altro. Se Boschino s’è deciso a dargli la procura, Almerio deve avergli promesso di fare tutto ciò che lui voleva. Anch’io, del resto, ero arrivato a questa conclusione. Volevo solo prendere tempo perché potesse pensarci su meglio. È bastata quest’incertezza. Almerio, come sai, ha una casa a Ultra, e Boschino è andato a stare in questa casa; credo che faccia il custode, l’ortolano, non so». «Ma quest’ingegnere Almerio» dissi io imprudentemente «è un ladro». «No! neanche per sogno! Cosa ti viene in mente? Io non

Michele Boschino

so come abbia amministrato i danari di Michele Boschino. Non so, voglio dire, se lo abbia accontentato, o se lo abbia convinto a impiegarli diversamente. Ma sono convinto della correttezza di Almerio». Ancora una volta, io dissi all’avvocato Colliva delle tristi condizioni del vecchio, della sua estrema povertà. L’avvocato si strinse nelle spalle: «Io conosco meglio Almerio di quanto non conosco Boschino. Boschino anzi, per me, è un essere quasi incomprensibile. Almerio so come può agire, come può pensare. Il mistero qui è tutto in Boschino». Gli chiesi se non fosse il caso di farsi dire, con delicatezza, dall’ingegnere, come avesse sistemato le cose; ma l’avvocato rispose che la cosa era indelicata per se stessa. «In qualunque modo tu la rigiri, il sospetto rimane. Ma è legittimo» dissi io. «No» disse l’avvocato animandosi. «Non è affatto legittimo. Allora anche di me si sarebbe potuto sospettare. Chi avesse saputo che Boschino aveva tutti quei danari e continuava a fare una vita da miserabile, nei primi anni che era a Ultra, avrebbe potuto legittimamente sospettare anche di me». Con calma, feci osservare all’avvocato che le cose erano molto mutate, da allora. Allora Boschino non faceva una vita da miserabile. Quella era la sua vita. Anche con dei milioni in tasca avrebbe continuato a vivere allo stesso modo. Ma ora viveva d’elemosina. E avevo ragione di credere che tutto egli avrebbe fatto per evitare quell’umiliazione di stender la mano. E poi accusava apertamente l’ingegnere. Era furibondo, contro l’ingegnere. L’odiava. Queste parole fecero uno strano effetto all’avvocato. «Lo odia?» chiese. E dopo aver pensato un poco disse: «Non vorrei avere su di me l’odio di un uomo come Boschino». 3-4. della correttezza] dell’onestà D D1 D2 ||della correttezza|| (›dell’onestà‹) B     28. quell’umiliazione] quest’umiliazione D l’umiliazione (← quest’umiliazione) D1 D2 quell’umiliazione B     31. uno strano] un certo D uno strano (← un certo) D1     

221

5

10

15

20

25

30

35

222

5

10

15

20

25

30

GIUSEPPE DESSÌ

«Perché?» chiesi io. «Ma! non lo so. Ma non vorrei». «Credo invece che di lei conservi un buon ricordo» dissi a caso. «Credi proprio?» e mi guardò negli occhi per vedere se dicevo la verità. «Credo di sì» affermai. Mi venne in mente di dirgli che avrei parlato di lui a Boschino in occasione della mia prossima gita a Ultra, ma subito capii che questo non poteva riuscir gradito all’avvocato, che avrebbe preferito invece esser dimenticato da Boschino. Riportai il discorso sull’ingegnere, accennai all’orto del Capitano, di cui gli Almerio s’erano impadroniti in un momento assai difficile per la famiglia della signora Monti. L’avvocato era informato anche di questo, perché il Capitano avrebbe voluto affidargli la causa, quando però era già troppo tardi. Gli chiesi se questo atto poco onesto non autorizzava ad aver dei sospetti sull’ingegnere. Di nuovo l’avvocato sembrò meravigliarsi. «Non bisogna far confusioni» disse. «Quella appropriazione risale al tempo in cui viveva ancora il padre di Francesco, il notaio Gaetano. Suo figlio è ben diverso da lui». «Dal fico nasce il fico» dissi. Era un proverbio che avevo sentito ripetere da Michele Boschino. Lo dissi in dialetto, credo con lo stesso tono con cui Boschino lo avrebbe detto. Per un momento vidi l’incertezza negli occhi dell’avvocato. L’incertezza e il disorientamento. Per un attimo. Poi, subito si riprese, sorrise, scosse la testa, accese una sigaretta, e si mise a parlar d’altro. Mi chiese notizia delle gare di nuoto per i campionati universitari, che si dovranno svolgere domenica, quando io sarò già a Ultra. Forse aveva dimen-

25. Boschino. Lo dissi] Boschino, e lo dissi D Boschino. Lo dissi (← Boschino, e lo dissi) D1     29-30. sigaretta, e si] sigaretta, ma credo che non si dimenticherà quel proverbio, e forse mi serberà rancore per averlo citato. Subito si D sigaretta, ›ma credo che non si dimenticherà quel proverbio, e forse mi serberà rancore per averlo citato. Subito‹ ||e|| si D1     32. Ultra. Forse] Ultra: forse D Ultra. Forse (← Ultra: forse) D1     

Michele Boschino

ticato dell’incidente che mi aveva immobilizzato per tanto tempo, e che non mi permetteva certo di prender parte alle gare. Rimase male quando, accompagnandomi verso l’uscita s’accorse che non solo camminavo faticosamente ma dovevo usare il bastone, che avevo lasciato accanto all’attaccapanni, nell’atrio. Mi salutò con molta effusione; ma la mia visita deve avergli lasciato un certo scontento. È la prima volta che ho parlato di cose serie, di affari, con l’avvocato Colliva, che pure si è sempre un poco occupato di me, dopo la morte del babbo. Era convenuto, tra lui e la mamma, che, finito il liceo, mi sarei iscritto in legge e sarei entrato a far pratica nel suo studio. Anch’io non sapevo, allora, che avrei studiato matematica: ero in buona fede. Ma non credo di avere dato una gran delusione all’avvocato. Alberto mi ha detto poi (e del resto anch’io me n’ero accorto) che l’avvocato Colliva non aveva mai creduto che io potessi riuscir bene nella professione: era convinto che in me ci fossero, aggravate, certe qualità negative, nei rispetti della professione, che egli aveva già conosciuto in mio padre. Solo per l’amicizia che lo aveva legato al babbo aveva promesso alla mamma di accogliermi nel suo studio, pensando che, se non fossi riuscito come avvocato, avrei potuto fare la carriera giudiziaria. Ora, tutto questo è verosimile perché la mamma mi disse che l’avvocato soleva dire anche del babbo che avrebbe dovuto fare il giudice, non l’avvocato. Tuttavia la mia decisione assurda di iscrivermi a matematica l’aveva offeso. Anche in me doveva trovare, come in mio padre, qualcosa d’incomprensibile che gli dava noia; forse una mancanza di duttilità mentale, una naturale mancanza di eloquenza, penso. Da quando mi sono iscritto all’università, continua a chiedermi ogni volta: «Come va?», ma senza nessun interesse, ormai. Anche l’altro giorno, poco prima di congedarmi, mi ha chiesto: «Come va?». Eppure, fino a 2-3. tempo…gare.] tempo. D tempo/, e che non mi permetteva certo di prender parte alle gare/. D1     5. il bastone] le stampelle D D1 D2 ||il bastone|| (›le stampelle‹) B     17. convinto che] convinto anzi che D convinto ›anzi‹ che D1     20-21. promesso alla mamma] accettato D •promesso alla mamma (›accettato‹) D1     32. l’altro giorno] questa volta D •l’altro giorno (›questa volta‹) D1     

223

5

10

15

20

25

30

224

GIUSEPPE DESSÌ

qualche momento prima aveva parlato con calore, come non era mai accaduto nelle nostre conversazioni. Penso che lui stesso, poi, se ne sia meravigliato. Tutte quelle questioni riguardanti Boschino, interessanti per se stesse, in quanto 5 materia del suo lavoro, della sua professione, dopo la conversazione devono essergli sembrate vuote, gratuite, ridotte a una questione morale. Se ne avesse parlato con un altro avvocato, con uno del mestiere, la questione di Boschino sarebbe potuta diventare ciò che essi chiamano un caso ele10 gante. Pura forma. Ma io, che c’entro? Io sono un profano. Solo l’improntitudine giovanile poteva avermi indotto a parlare di questo con lui. Perché cos’è l’interesse morale, umano, disinteressato, se non improntitudine giovanile?36 15

Ho raccontato alla mamma del mio colloquio con l’avvocato. È stata a sentirmi fino all’ultimo, poi ha detto che la mia impressione di non essere stato preso sul serio era esatta. L’avvocato l’ha incontrata e le ha raccontato la cosa a suo 20 modo, esortandola anche a consigliarmi di non prendermi troppo a cuore la cosa, specie nei riguardi dell’ingegnere. La mamma è convinta come me della malafede di Almerio, e anche di Colliva. Ho fatto alla mamma una domanda naturale e ingenua, che l’ha fatta sorridere, e io mi sono un po’ 25 vergognato, di fronte a lei, come un ragazzo. Le ho chiesto se Colliva è una persona onesta. «È una persona corretta» ha detto la mamma. E la correttezza s’impara, come l’educazione o come il mestiere, mentre l’onestà presuppone

7. a una questione morale] a una questione morale D a una questione morale D1     16. raccontato] detto D •raccontato (›detto‹) D1  ◆  del] del D B di (← del) D1 D2     21-22. La mamma] Ma la mamma D La mamma (← Ma la mamma) D1     26. onesta] |onesta| (›seri‹) D  ◆  corretta»] corretta», D D1 D2 B ≠ M2     27. E la correttezza] E mi ha spiegato che la correttezza D D1 D2 E ›mi ha spiegato che‹ la correttezza B      36 Se ne avesse parlato…improntitudine giovanile?] cfr. Appendice (Parte seconda).

Michele Boschino

qualità morali innate. Mi ha detto che il babbo era stato più volte sul punto di separarsi da Colliva, col quale aveva lo studio in comune, proprio per una certa mancanza di delicatezza da parte di Colliva, per la sua avidità di trafficante. Ma poi, con gli anni, crescendo la clientela, diventando più sicura la posizione, era diventato più raffinato, più signore. Ora poteva dirsi uno dei professionisti più corretti e irreprensibili della città. Certo non amava che nessuno gli ricordasse i suoi primi anni di esordio come non amava che gli si ricordasse il piccolo appartamento che allora abitava. «Se è così, non c’è nulla da fare» dissi io, vedendo che questo discorso della mamma non poteva avere altra conclusione. «Nulla da fare, in che senso?» «Per Boschino». Stette un poco pensierosa, poi disse: «Non c’è altro da fare che quello che ha detto Maria». Dunque Maria, vedendo che io non mi decidevo a parlare a Linda, ne aveva scritto alla mamma. «È inutile parlare con Colliva e con Almerio. Non si otterrebbe nulla. E quand’anche si ottenesse qualcosa, sarebbe tardi». Chiesi se aveva avuto notizie di Boschino. Mi ha detto di no, che non c’è nulla di nuovo. Ma Linda è già andata a Ultra. È partita stamattina. Mi ha detto che non è stato per niente difficile convincerla, che anzi lei stessa ha chiesto subito di andare. E io non mi sono accorto di nulla. Mentre io ero pieno di dubbi e fantasticavo di Boschino, lei pensava a Boschino. Ci pensava forse anche quando sedeva accanto a me a leggere o a lavorare. «Maria mi ha scritto dei tuoi scrupoli» mi ha detto. «Ed erano giusti. Ho capito che avresti finito per andare da Colliva». «Sapevi già quello che mi avrebbe risposto?» 1-2. più volte sul punto] più volte D più volte /sul punto/ D1     2. da Colliva] |da Colliva| (›dall’avvo‹) D     3-4. delicatezza da parte di Colliva] correttezza D •delicatezza da parte di Colliva (›correttezza‹) D1     7. Ora poteva] ›La correttezza‹ Ora poteva D     

225

5

10

15

20

25

30

35

226

5

10

15

20

25

30

35

GIUSEPPE DESSÌ

«Press’a poco. Lo immaginavo. È gente che conosco bene». Le ho detto che avrebbe potuto consigliarmi di non andarci. «E perché?» ha chiesto lei. «Forse quello che ti ha detto può essere utile. E poi, in certi casi, è meglio non dar consigli. Neppure io ti ho chiesto consigli prima di dire a Linda che suo cugino è a Ultra». «Le hai detto solo questo? Che è a Ultra?» «Le ho detto che è ammalato, che vive di elemosina». «E lei?» «Ieri sera mi ha chiesto di lasciarla partire. Io non ho fatto altro». «Ma lo sai che lo odia?» «Può darsi. Ma ha comprato un po’ di biancheria da portargli e qualche altra cosuccia. Anche a lei non rimane più nessuno, dei parenti di Sigalesa. O sono morti, o hanno lasciato il paese. Uno dei fratelli, il solo che sia ancora vivo, è in America». Linda tornerà il giorno stesso della nostra partenza, per non lasciare la casa incustodita, dato che il marito, da una settimana a questa parte, lavora in fabbrica. Quando il Capitano ha accompagnato di sopra la mamma per mostrarle la nuova sistemazione della camera di Isabella, che ora è a S. con la signorina Airoli, io e Maria siamo rimasti in sala da pranzo. Maria si è alzata, e siamo usciti sulla veranda, da dove si udivano le voci della cucina. Si udivano anche i passi del Capitano e della mamma, di sopra. Ma noi eravamo soli. E mi è sembrato che Maria aspettasse qualcosa da me. L’ho baciata. E mi è parso che da tanto tempo avrei dovuto farlo. Che lei aspettasse questo da tanto tempo. E io solo ora ho capito. Solo ora ho capito che anch’io avevo bisogno di questo. A che cosa doveva portare la nostra amicizia, se non a questo fatto così semplice? Altri ci arrivano senza conoscersi. Eppure, anche noi, tut-

1. Press’a poco.] Presso a poco. D D1 D2 B ≠ M2     22-23. fabbrica. Quando] fabbrica.↔|| Quando D D1 D2 B ≠ M2     29. sembrato] parso D D1 D2 B ≠ M2     

Michele Boschino

to ciò che non conosciamo l’uno dell’altro, ci unisce forse più della nostra amicizia. A un tratto mi son trovato tra le braccia un’altra donna, diversa dalla Maria che ho sempre conosciuto. Non sono mai stato tanto felice come ora. Come tutto si chiarisce, come tutto diventa nuovo, qui. Nuovo e chiaro. Mi sembra impossibile che Maria abbia potuto soffrire in questa casa. Quando non sono con lei, ascolto il suono della sua voce. Anche per lei è nuova, questa felicità. Forse, se non si fosse sentita tanto sola, se non mi avesse aspettato, ora non sarebbe così bello, né per lei né per me. Ho trovato questa gioia accanto a me, senza neppure cercarla. E tutto ciò ch’era consueto si è improvvisamente rinnovato. Nessuno ha parlato di Boschino, la sera del nostro arrivo, né i giorni seguenti, fino a oggi. Oggi siamo stati al Tiro a segno, Maria, il Capitano e io. La mamma è andata a salutare gli zii. Ci siamo arrampicati su per la valle chiusa in alto dalla gola di Cona, sino alla tettoia. Maria portava la borsa delle munizioni e il Capitano il fucile; io appena il mio bastone. Lo zappatore ha alzato la bandiera rossa, poi abbiamo visto i bersagli spuntare dal fosso. Per accontentare suo padre, anche Maria ha sparato qualche colpo. L’eco si diffondeva fino alle pietraie della gola, secco, si moltiplicava con un rumore di frane. A ogni colpo mi pareva che Maria dovesse durar fatica a vincere la ripugnanza che le dava il freddo metallico, lo scoppio, il rinculo dell’arma. E questo mi ha rattristato. Perché ha acconsentito a sparare? Non poteva dire semplicemente che non si sentiva? Ero impaziente di andarmene, di tornare a casa, di star solo con lei. Anche a me ripugnava il fragore dei colpi ampliato dalla

4-5. conosciuto. Non] conosciuto.↔|| Non D D1 D2     14-15. rinnovato. Nessuno] rinnovato.↔|| Nessuno D D1 D2 B ≠ M2     23. suo padre,] |suo padre,| (›il Capitano‹) D  ◆  qualche colpo] qualche colpo ›mettendosi la sciarpa sulla spalla‹ D     27. freddo…dell’arma.] freddo metallico dell’arma, lo scoppio, il calcio sulla spalla. D D1 D2 freddo metallico ›dell’arma‹, lo scoppio, il ||rinculo dell’arma|| (›calcio sulla spalla‹). B     30. casa,] casa D D1 D2 B ≠ M2     31. lei] Maria D D1 D2 ||lei|| (›Maria‹) B  ◆  dei] di D D1 D2 B ≠ M2     

227

5

10

15

20

25

30

228

GIUSEPPE DESSÌ

valle, quello star fermi a scrutare i segni della bandierina nel fosso, il vento freddo della montagna. D’improvviso mi sono ricordato di Boschino. Siccome non parlavo, Maria, durante il ritorno, mi ha 5 chiesto cosa avessi. Le ho detto che mi faceva male il ginocchio. E del resto era vero. A buio siamo arrivati a casa. 10

15

20

25

30

Oggi sono andato da Boschino, nel pomeriggio, passando dalla strada però. Non avevo chiesto niente di lui a Maria, né Maria me ne aveva parlato. Boschino non ha mostrato nessuna meraviglia vedendomi. Era disteso sul letto, e si è alzato a sedere tirando giù le gambe. Perché non s’alzasse in piedi, gli ho messo una mano sulla spalla; e sento ancora sotto le dita quella spalla magra e fragile. Senza ragione, gli occhi mi si sono riempiti di lacrime. Ma nella stanza non c’era molta luce, e poi io voltavo le spalle alla porta. Mi ha tenuto a lungo la mano tra le sue, scuotendola debolmente. Gli ho fatto le solite domande, senza trovare altro da dire. Specialmente la sua voce è mutata. Si sente che è stato molto malato. Aveva una camicia nuova, pulita, con le maniche troppo lunghe. Questo era l’unico segno del passaggio di Linda. Abbiamo parlato non di lui, ma di me. Ha voluto sapere perché zoppico, com’è avvenuto l’incidente, quanto tempo sono rimasto a letto, quando potrò di nuovo camminare speditamente. Si è interessato di tutto, e si ricordava benissimo di tutto ciò che gli avevo detto tanto tempo prima, quando andavo a chiacchierare da lui e mi regalava cocomeri e pomodori. Quando ho acceso una sigaretta, ho visto che aspirava l’odore del fumo, e gliene ho offerto una. Non avrei creduto

20-21. dire. Specialmente] dire, e lui mi ha risposto stringendosi nelle spalle. Specialmente D dire›, e lui mi ha risposto stringendosi nelle spalle‹. Specialmente D1     23-24. una camicia…lunghe.] la biancheria pulita. D D1 D2 ||una camicia nuova, pulita, con le maniche troppo lunghe|| (›la biancheria pulita‹). B     30. da] con D D1 D2 ||da|| (›con‹) B     

Michele Boschino

229

che l’accettasse. Ma non aveva sigari, e io m’ero dimenticato di portargliene. Per accendere la sigaretta, mi ha preso dalle dita il fiammifero acceso stringendolo sotto la fiamma, con quella familiarità che i contadini hanno col fuoco. La mano gli tremava, un tremito appena percettibile. Ha acceso la 5 sigaretta come un sigaro, e come un sigaro la teneva. Dopo un poco, secondo la sua abitudine, se l’è messa in bocca dalla parte del fuoco, e l’ha tenuta così ascoltandomi parlare. Neppure con Maria Boschino ha parlato della visita di Linda. Non sa che sia stata Maria a farla venire. Però ora 10 sembra tranquillo. Oggi, mentre ero da Boschino, è venuta Lavinia. Ha cominciato a chiamarlo di là dal muro con la sua voce acuta rotta da singhiozzi di riso convulso. Veniva a chiedergli un po’ di basilico per condire non so che salsa. «Ce n’è quanto ne vuoi» le ha detto Boschino indicandole la porta che mette nell’orto; e insisteva in quel gesto come per cacciarla via. Si vedeva che la presenza della donna gli dava noia. Forse perché voleva continuare a parlare con me. Mi stava dicendo della sua intenzione di riprendere il commercio delle arance non appena starà meglio; e calcolava quanto potrebbe guadagnare, a ogni viaggio. Dopo un poco Lavinia ripassò col suo mazzo di basilico, e scuotendoglielo sotto il naso disse: «Dio ve ne renda merito, zio Michele». Boschino sorrise un poco a bocca chiusa e rispose: «Dio è giusto coi giusti». Quando Lavinia fu uscita disse: «Quella non è una donna, è una cavalla».

1. m’ero dimenticato] non avevo pensato D •m’ero dimenticato (›non avevo pensato‹) D1     3. acceso stringendolo] acceso, D D1 D2 acceso ||stringendolo|| B     5. tremava] tremava un poco D D1 D2 tremava ›un poco‹ B     11. tranquillo] calmo D D1 D2 ||tranquillo|| (›calmo‹) B     20. Si vedeva] Era chiaro D •Si vedeva (›Era chiaro‹) D1     25. ripassò] passò D /ri/passò D1     26. scuotendoglielo] scuotendocelo D scuotendoglielo (← scuotendocelo) D1     28. Boschino sorrise] Boschino accettò lo scherzo, sorrise D Boschino ›accettò lo scherzo‹, sorrise D1     

15

20

25

30

230

5

10

15

20

25

30

GIUSEPPE DESSÌ

Poi, continuò a parlarmi del commercio delle arance, senza curarsi più di Lavinia. Ma quando stavo per andarmene, ha ripetuto: «Quella non è una donna, è una cavalla. Io mi ricordo di mia madre, quand’era giovane. Anche lei lavorava, aveva sempre tante cose per le mani, e gridava anche, qualche volta, ma non correva così. E anche quando gridava, qualche volta, aveva un’altra voce». Gli ho chiesto a che età fosse rimasto vedovo. «Avevo trentatré anni, l’età di Cristo. E da allora non ho più avuto bene. Da quando lei mi ha lasciato solo, tutto è andato male per Michele Boschino». Stette un poco assorto, poi tagliò l’aria con la mano, davanti a sé, con un gesto breve, di contenuta disperazione. Tenne un poco la mano aperta in aria, poi chiuse lentamente il pugno e si ricompose. «Quella sì che era una donna. Era di queste parti, di Parte d’Ispi, ma qui non ho mai visto una donna come lei, in tanti anni che ci sono». «Era giovane?» chiesi. «Ventidue. Era dritta e sottile come un fuso. Magrolina. Ma anche lei lavorava come mia madre. Sapeva far di tutto. Bisognava vederla, quando faceva il pane! Tutto, sapeva fare. Sapeva tessere, filare… Tutto. E come il fuso era silenziosa, quando lavorava». Era la prima volta che mi parlava di sua moglie. Andandomene, cercai con gli occhi il foglio di giornale attaccato al muro. Era al posto che Maria mi aveva detto, e si poteva vedere il segno chiaro, nel centro. Mi ha raccontato come gli morirono i buoi fulminati dalla corrente. Era d’autunno. Le carbonaie cominciavano a bruciare nella foresta di Cona. Come a Sigalesa, anche qui i

7. E anche] Anche D D2 E anche (← Anche) D1     10-11. non ho più] non ho ›avuto più‹ più D     12. male] male, D D1 D2 male (← male,) B     1718. di Parte d’Ispi] |di Parte d’Ispi| (›del Ca‹) D     22-23. Sapeva far di tutto.] Sapeva far tutto. D D1 D2 Sapeva far ||di|| tutto. B     29-30. centro. Mi] centro.↔|| Mi D D1 D2 B ≠ M2     32. bruciare] fumare D •bruciare (›fumare‹) D1     

Michele Boschino

toscani prendevano in appalto le foreste, facevano carbone, vendevano legname, fornivano traversine per la strada ferrata. Una o due volte la settimana, se non aveva altri lavori per le mani, andava a fare il suo carico accompagnato da Giovannino, il figlio più piccolo di Cristoforo Usùla. Una mattina, dopo la discesa dell’Arenaria, erano montati tutti e due sul carro per passare il Fino, ch’era in piena. Quando il Fino è in piena, non è possibile guidare il carro dallo stretto ponte di tronchi. Dopo il guado c’è una ripida e breve salita, e bisogna scendere svelti dal carro per alleggerire i buoi, incitarli col pungolo, star pronti alla martinicca e frenare di botto, nel caso che perdano la lena nella rincorsa. Boschino, a quel tempo, doveva essere ancora bene in gambe,37 per far questo. Il carro era sceso nel fiume lentamente, con fracasso. I buoi soffiavano sul pelo dell’acqua torbida e precipitosa. Avanzavano cauti, ingegnandosi di poggiar le zampe al sicuro sui ciottoli del fondo. Non appena cominciò la salita sulla sponda opposta, senza fermare il carro, Boschino e il ragazzo si lasciarono scivolare dall’alto del carico e gridando incitarono le bestie. In un lampo, tra le grida, la breve salita fu superata, e il carro svoltò sulla strada che costeggia il fiume per un buon tratto. Lì accadde la disgrazia. Era ancora buio, e Boschino non s’accorse dei pali che il vento aveva abbattuto. A un tratto i buoi si fermarono, e quello 1. toscani] Toscani D D1 D2 B ≠ M2     2-3. la strada ferrata] le strade ferrate D la strada ferrata (← le strade ferrate) D1     3-4. aveva…mani] c’erano altri lavori in corso, D D1 D2 ||aveva altri lavori per le mani|| (›c’erano altri lavori in corso,‹) B     7-8. il Fino] il fiume D il Fino (← fiume) D1     9. c’è] c’era D c’è (← c’era) D1     10. bisogna] bisognava D bisogna (← bisognava) D1  ◆  svelti] rapidamente D D1 D2 ||svelti|| (›rapidamente‹) B     13. ancora bene in gambe] ancora bene in gambe D D1 D2 ancora in gambe B ancora in gamba M2     14-15. con fracasso] con grande fracasso D con ›grande‹ fracasso D1     19-20. del carico e gridando] del ›carro‹ carico e ›dall’alto‹ gridando D      37 In questo luogo del testo l’editore ristabilisce la primitiva lezione portata da D D1 D2 perché più rispondente e confacente al contesto linguistico in cui è inserita e perché considera la lezione conclusiva di M («ancora in gamba») alterata da un precedente errore – verosimilmente dovuto a cattiva lettura del dattiloscritto – commesso in sede di trascrizione del testo di B («ancora in gambe»).

231

5

10

15

20

232

5

10

15

20

25

30

GIUSEPPE DESSÌ

di sinistra si piegò sulle gambe davanti come se la mazza del beccaio l’avesse colpito, stramazzò con un muglio lamentoso. Subito anche l’altro stramazzò, di schianto. Prima che Boschino avesse il tempo di correre avanti, il ragazzo gli si aggrappò alla casacca gridando: «Non andate, zio Michele! non andate!». Si sentiva odore di bruciaticcio, come quando si abbrustolisce il maiale prima di mondarlo con la coltella. Giovannino continuava a strillare, e con la faccia indicava qualcosa che luccicava a mezzaria. Sotto il peso del carro, i buoi erano percorsi da lunghi fremiti. Il ragazzo cominciò a piangere. Si sedettero tutti e due, Boschino su un sasso, il ragazzo accanto a lui, per terra. Il carro non si muoveva più. Aspettarono che si facesse chiaro, che venisse qualcuno. Venne un pastore con un branco di pecore, sulla strada, il cane si avvicinò, annusò i buoi, girò intorno al carro, tornò verso il gregge. Boschino s’alzò e diede una voce al pastore perché si tenesse al largo. Poi venne, sempre sulla strada, dal paese, una donna, con due ragazzetti, e anche loro si fermarono; poi altri e altri ancora. Quando albeggiò e fu possibile muoversi senza pericolo, Boschino, tenendo il ragazzo per mano, passò cautamente alla testa del carro. Allora vide le due grandi bestie dal mantello latteo stramazzate, con la lingua sporca di terra e gli occhi stravolti dai quali pareva ancora esalare quel lungo muggito lamentoso. Finito il racconto mi ha chiesto se per caso, senza incomodarmi, non potessi procurargli una pipa per fumare la cima dei sigari; senza comprarla però. Qualche mio conoscente potrebbe averne una. Gli ho detto che, se s’accontenta, ne ho una io, che ho usato solo poche volte. Mi è sembrato di vedere in questo suo desiderio un segno di fiducia e di serenità.

2. muglio] muggito D D1 D2 ||muglio|| (›muggito‹) B     3. stramazzò,] stramazzò D D2 stramazzò|,| D1     6. sentiva odore] sentiva un odore D D1 D2 B ≠ M2     7-8. con la coltella] con la coltella e l’acqua bollente D con la coltella ›e l’acqua bollente‹ D1     20. Boschino, tenendo] Boschino, girando al largo, e tenendo D Boschino, ›girando al largo, e‹ tenendo D1     21. passò…testa] passò alla testa D passò /cautamente/ alla testa D1     24. ancora esalare] |ancora esalare| (›esalare‹) D     

Michele Boschino

Del resto quali altri mezzi ho di leggere ora nell’animo di quest’uomo? O che mi abitui pian piano a vederlo così, o che realmente pian piano si vada rimettendo e, per quanto è possibile, riacquistando le forze,38 in certi momenti mi sembra il Boschino di un tempo, il Boschino che non poteva invecchiare. O forse non è altro che il mio bisogno di tranquillità che me lo fa vedere così; il bisogno di poterlo dimenticare, o di poter dimenticare quel che vi è in lui di così doloroso. Io e Maria abbiamo deciso di non dir nulla, per ora, di ciò che ci riguarda. Cosa potremmo dire? Che ci amiamo? Certo se ne sono già accorti; ma finché noi taciamo, tutto continuerà come prima. E per noi è meglio così, per ora. Così Maria potrà venire in città, a primavera. Avevamo tante cose da dirci: ora invece parliamo di tutt’altro. E tutto ciò che diciamo era imprevisto. Non finiremmo mai di parlare. Fra qualche giorno io e la mamma torneremo in città. Sono felice. E questo pensiero della partenza non ha il potere di rattristarmi. Credo sia anche così per Maria. Giunge opportuna, questa separazione. Abbiamo tanto bisogno, io e lei, di pensare a quello che ci è accaduto. Da due settimane siamo in città. Sembra già primavera. Ho incontrato, rincasando, l’avvocato Colliva, che mi ha detto che ha bisogno di parlarmi di un certo affare. Imma5. riacquistando le forze] riacquisti forze D riacquistando le (← riacquisti) forze D1 D2 riacquistando forze B M2     6-7. il Boschino…invecchiare] quando portava ancora il costume di Sigalesa D •il Boschino che non poteva invecchiare (›quando portava ancora il costume di Sigalesa‹) D1     9-10. doloroso. Io] doloroso.↔|| Io D D1 D2 B ≠ M2     14. Così Maria] Maria D /Così/ Maria D1     15. ora invece parliamo] ora ›parli‹ invece parliamo D     16. ciò che diciamo] ciò che ci diciamo D D1 D2 ciò che diciamo B     20. per Maria] per |Maria| (›lei‹) D     22-23. accaduto. Da due] accaduto.↔|| Da due D D1 D2 B ≠ M2     25. certo affare] certo affare D certo affare D1 In questo luogo del testo l’editore ristabilisce la lezione portata da D1 e da D2 – ricavata per espunzione sostituzione sulla primitiva di D – perché considera la lezione conclusiva di M alterata da un originario errore per omissione commesso in sede di trascrizione del testo di B («riacquistando forze»). 38

233

5

10

15

20

25

234

GIUSEPPE DESSÌ

gino che si tratti ancora di Boschino: consigli di non prendermi a cuore la faccenda. 5

10

15

20

25

30

Non so a che cosa attribuire il nuovo atteggiamento dell’avvocato, né se devo fidarmene. O vuole che io stesso arrivi alla conclusione di non chiedere nessuna spiegazione all’ingegnere? Anche la mamma non sa cosa pensarne. Ma dice che la spiegazione ci verrà dallo stesso avvocato. Bisogna lasciare a lui l’iniziativa. Durante la mia assenza ha ripensato alla cosa, e lui stesso, con molta prudenza e tatto, è riuscito a sapere la situazione di Boschino. Già da qualche anno Boschino, per mezzo dell’ingegnere, suo procuratore, ha fatto testamento designando erede universale la Società di San L. Il capitale è ancora investito in titoli, e gli interessi sono vincolati, tranne una parte che va devoluta all’ingegnere stesso come onorario. Boschino, volendo, ha diritto di entrare nell’ospizio della stessa Società di San L. Ma pare che non ne abbia mai voluto sapere. Non si sa se Boschino abbia fatto testamento di sua spontanea volontà o vi sia stato costretto. Ho chiesto all’avvocato se Boschino è ancora in tempo a fare un nuovo testamento, a destinare la somma a chi vuol lui – ai parenti, per esempio. L’avvocato dice che Boschino può ritirare quando vuole la procura all’ingegnere e disporre a piacimento della somma. Ma è rimasto incerto quando gli ho chiesto se sarebbe disposto a prendersi lui la procura. Giustamente ha osservato che Boschino preferirà certamente un’altra persona. Non avrei immaginato che la cosa fosse così facile. Ho scritto a Maria di chiedere a Boschino se veramente ha acconsentito a far questo testamento, e di spiegargli come stanno le cose.

21. fatto testamento] fatto il testamento D D1 D2 fatto testamento B

Michele Boschino

235

Oggi l’avvocato mi ha di nuovo chiamato nel suo studio. La cosa è meno semplice di quel che sembrava, perché l’ingegnere ha in mano delle cambiali firmate da Boschino col segno di croce, per una somma superiore a quella investita in titoli. È incredibile che Boschino sia stato tanto cieco da 5 lasciarsi indurre ad apporre il suo segno a queste cambiali. Ma l’avvocato invece di scoraggiarsi, dopo questa notizia sembra deciso ad agire. Vorrebbe che io facessi un viaggio a Ultra per parlare con Boschino e convincerlo a fidarsi di lui.

10

Maria mi scrive d’aver consegnato a Boschino la pipa che gli ho mandato. Era una piccola pipa di radica che Alberto mi ha portato da Londra l’estate scorsa. Maria dice che Boschino è tranquillo, che non bisogna 15 turbarlo, che una causa contro l’ingegnere non servirebbe che a rompere questa pace. Ha ripreso a coltivare l’orto, e Maria, per mezzo di Lavinia, provvede a non fargli mancare nulla. Se anche potesse ricuperare questa somma, che cosa 20 ne farebbe? Alla mamma questo ragionamento sembra molto assennato. Dice che Maria ha ragione. Nulla da fare, del resto, per ora. Bisogna aspettare che l’ingegnere torni da R. 25

Dopo essere stati fino a tarda ora a goderci il fresco sulla terrazza del Muraglione, Donato e io rincasavamo una sera, a Ultra, dopo cena. Donato mi parlava di una donna che 30 aveva conosciuto quell’estate al mare. Sul punto d’aprire il portone, fummo colpiti da uno scoppio di urli e di tonfi che veniva dal fondo del cortile. 9. Boschino] |Boschino| (›lui‹) D     17. l’orto] il suo orto D l’orto (← il suo orto) D1     21-22. sembra molto assennato] non sembra assurdo D •sembra molto assennato (›non sembra assurdo‹) D1     24-27. da R. Dopo] da R. Ma io voglio parlare con quest’uomo, veder chiaro in questa faccenda. E se ci sarà bisogno di un avvocato, si troverà. Dopo D da R. ›Ma io voglio parlare con quest’uomo, veder chiaro in questa faccenda. E se ci sarà bisogno di un avvocato, si troverà.‹↔|| Dopo D1     

236

5

10

15

20

25

30

GIUSEPPE DESSÌ

Chi sa perché, io pensai subito a Maria: possibilità assurde e funeste attraversarono in tumulto il mio spirito, come se Maria potesse essere veramente in pericolo, là, nella sua casa. Prima che io mi riavessi, Donato, chiuso il portone, s’era inoltrato nell’atrio e se ne stava tranquillo, col cappello sulla nuca, nella luce della luna, come a godersi uno spettacolo. Si volse verso di me, e io vidi il bianco dei suoi denti nell’ombra, e pensai a quel che Maria m’aveva scritto perché anch’io cercassi d’indurlo a tornare a casa a passare il resto delle vacanze estive. «Farabutti!» disse. «Anche questa sera!» Andammo fino in fondo al cortile, Donato avanti e io dietro, sulla ghiaia che scricchiolava, fino al muro che separa il cortile dalla rimessa. Voci di uomini violente e allegre venivano dalla rimessa, e insieme alle voci tonfi, come se là dentro, picchiassero con un bastone su una tavola o su una porta chiusa. E poi uno scroscio improvviso, un tintinnio di vetri rotti. A ogni scroscio, rinforzavano le grida. Gli uomini ridevano anche, e tra le risa virili si udiva un riso di donna che pareva nascondersi tra quelle. «Farabutti!» disse di nuovo Donato. Ma sorrideva come se dentro di sé approvasse quel divertimento. Io, toccandogli il gomito col gomito, con un cenno della testa gli chiesi di che cosa si trattasse. «Rubano la carne e vengono qui a cuocerla e a mangiarla. Ci sarebbe da farli arrestare». «Che carne?» chiesi io, che non riuscivo a capire nulla. Non capivo e non riuscivo a rendermi conto di quello che avveniva nella rimessa. «Che carne?» fece Donato. «Carne di pecora. Non c’è altro, qui, in questa stagione. Anche l’altra notte hanno svaligiato la bottega di un macellaio. È carnaccia, ma ci pigliano gusto a rubarla, si vede». 16-17. se…picchiassero] se qualcuno, là dentro, picchiasse D D1 D2 se ›qualcuno,‹ là dentro, picchiasse||ro|| B     19-20. Gli uomini ridevano] Gli uomini, là dentro, ridevano D D1 D2 Gli uomini›, là dentro,‹ ridevano B     21. nascondersi] nascosto D D1 D2 ||nascondersi|| (›nascosto‹) B     28. io, che] io. E D io, che (← io. E) D1     33. macellaio] maccellaio D D1 ma›c‹cellaio D2     

Michele Boschino

«Ma chi sono?» chiesi alzando un po’ la voce spazientito. Donato mi fece cenno di tacere, come se quelli della rimessa potessero udirci, in mezzo al baccano. I tonfi gli scrosci e le risa si confondevano, ma io ora cominciavo a distinguere i rumori, a isolarli, a localizzarli. Quegli uomini stavano lanciando le patate che erano ammucchiate dietro la branda del vecchio, contro i fiaschi vuoti dello scaffale. Stavano facendo una gara di tiro a segno, a quanto pareva. Tiravano anche contro la vetrata. Era come se li vedessi. Forse uno solo tirava, e gli altri stavano a sedere sul letto con la donna. A ogni colpo, un tonfo, uno sfrigolio minuto. A un tratto, senza che alcun fatto nuovo accadesse, senza che alcun rumore particolare me lo suggerisse, mi venne questo pensiero: «Boschino è morto». E tutto si fece chiaro, comprensibile. Boschino era morto. Qualche altro ora abitava la rimessa e coltivava l’orto. Ma era morto anche nella mia memoria. S’era adagiato in pace, ed era morto. Quanto tempo era passato dall’ultima volta che ne avevo chiesto notizie? «Tira avanti, poveraccio» mi aveva risposto Maria. Avevamo tante cose da dirci, e non c’era più posto per Boschino, nelle nostre lettere. Ridotto a un mucchietto di ossa e di stracci, ridotto a un gemito, là, nella sua branda, continuava a tirare avanti. Quando ci pensavo, desideravo in cuor mio la sua fine. Era troppo penoso pensare che soffriva, che era solo. O immaginavo che la sua vita fosse ridiventata serena. Ma anche nella morte lo immaginavo così, sereno, tranquillo ormai. In quel momento la certezza improvvisa della sua morte mi diede una pena acuta che non mi sarei immaginato prima, quando pensavo alla sua morte come a un riposo.

1. spazientito] impazientito D D1 D2 B ≠ M2     4. tonfi] tonfi, D D1 D2 tonfi›,‹ B     6-7. erano…contro] erano dietro la branda del vecchio, in un mucchio, contro D erano /ammucchiate/ dietro la branda del vecchio, ›in un mucchio,‹ contro D1     18. memoria. S’era] memoria, si era D D1 D2 memoria. S’era (← memoria, si era) B     20. notizie?] notizie a Maria? D D1 D2 notizie ›a Maria‹? B     24. tirare avanti] tirare avanti D tirare avanti D1     25. sua fine. Era troppo] sua fine, perché era D sua fine. Era troppo (← sua fine, perché era) D1     29. In] Ma in D In (← Ma in) D1     

237

5

10

15

20

25

30

238

5

10

15

20

25

30

GIUSEPPE DESSÌ

Mi faceva pena pensare che la sua scomparsa fosse stata un fatto insignificante per tutti, anche per Maria, che non me ne aveva scritto nulla e non me ne aveva parlato al mio arrivo a Ultra. Tutti lo avevano già dimenticato, e anch’io. Se Maria, in una di quelle notti serene (ero a Ultra ormai da tre giorni, essendo giunto subito dopo Donato) mi avesse detto: «Sai! Boschino è morto», questo fatto mi sarebbe parso naturale – naturale e nell’ordine previsto delle cose. La morte del vecchio mi sarebbe parsa, come nei momenti in cui ci pensavo, veramente un riposo. Avrei pensato al piccolo orto, al pozzo dal quale, negli ultimi tempi faticava tanto a tirar su il secchio colmo, agli alberi di limone attorno al pozzo, al mucchio di sassi e di cocci sotto il fico castagnolo. E non mi sarei affacciato al muro, per accertarmi dell’assenza di Boschino da quel luogo silenzioso. Invece il fatto che tutti lo avessimo così presto dimenticato dava alla sua morte una realtà presente e dolorosa, che forse, chi sa, nulla le può togliere. «Quando è morto?» chiesi mentre ci allontanavamo. E siccome Donato non capiva, accennai alla rimessa. «Non so» disse. Ma certo pensava ad altro. Maria intanto s’era affacciata alla finestra del corridoio dal quale s’accede, nel piano di sopra, alle nostre camere. «Avete sentito?» chiese. A me dispiaceva che Maria potesse udire il riso di quella donna in mezzo alle grida degli uomini, nascosto e sfacciato. Anche un’altra finestra s’aprì, e il Capitano comparve nel vano scuro. Senza far caso a noi s’appoggiò al davanzale della finestra, come se prendesse il fresco tranquillamente. Il baccano là nella rimessa lo incuriosiva senza dargli alcun fastidio. E io, dentro di me, sapevo che a tutti piaceva ascoltare quelle grida virili che cancellavano dal fondo della memoria i fiochi gemiti che di là salivano prima in certe notti quiete come quella. 3. nulla] nulla, D D1 D2 nulla (← nulla,) B     7. «Sai! Boschino è morto»,] «Sai! Boschino è morto», D D1 D2 B «Sai! Boschino è morto» M2     11. dal quale…faticava] dal quale faticava D dal quale|,| /negli ultimi tempi/ faticava D1     26-27. nascosto e sfacciato] nascosto e ›stacc‹ sfacciato D     27. Capitano] capitano D D1 D2 B ≠ M2     31. E io…sapevo che] E io dentro di me pensavo che D E io|,| dentro di me|,| •sapevo (›pensavo‹) che D1     

Michele Boschino

Entrammo in sala da pranzo, e Donato versò da un boccale due bicchieri di limonata. «Papà non vuol denunciarli» mi disse porgendomi il bicchiere «ma io credo che sarebbe meglio». Spense la luce e salimmo al buio le scale. Maria era sempre affacciata alla finestra dell’andito. Donato si mise a destra, io a sinistra, e così restammo tutti e tre affacciati coi gomiti sul davanzale d’ardesia. «E Isabella?» chiesi tanto per parlare. «Dorme» disse Maria. Nell’alito tiepido della bocca e in quel suo stringersi nelle spalle con un brivido c’era il piacere del sonno già pregustato e l’affettuoso compiacimento, che io le conosco, per la sorella minore. «Chi fa tanto chiasso laggiù?» chiesi ancora. «Mah! Un giovanotto che ha preso in affitto l’orto e ci viene a far baldoria con gli amici. Ora l’hanno richiamato. Parte lunedì». «E tu, come lo sai?» chiese Donato. «Lavinia» disse Maria. Allora io chiesi, accennando alla rimessa, come avevo fatto prima: «Quando è morto?» «In aprile» disse Maria. E non aggiunse altro. Il baccano cessò. Si udirono le voci di quegli uomini, calme, chiare, e schiocchi, come di rami spezzati contro il ginocchio. Poi un fumo denso si levò dal piccolo cortile davanti alla rimessa, e l’odore della legna bruciata misto a un puzzo acre di vernice e di stracci riempì l’aria. Quando le voci tacevano, si udiva il suono velato di un organino a bocca. «Bruciano anche le finestre che erano nel ripostiglio» disse Donato. La notte chiara, lattea (la luna non si vedeva dietro le nuvole) era offuscata da quella colonna di fumo denso. 3-4. bicchiere] bicchiere, D D1 D2 B ≠ M2     5. le scale.] le scale ›dopo aver bevut‹. D     7. restammo] stemmo D D1 D2 B ≠ M2     20. Maria] Maria ›Dopo poco si aprì anche la pi‹ D     34. La notte chiara] La notte ›era‹ chiara D

239

5

10

15

20

25

30

35

Q2 2r

APPENDICE A

Apparato genetico

Appendice

247

PARTE PRIMA Capitolo I p. 6: 14-17. Parenti e amici…Un giorno Salvatore]

D D1

Anche altre persone, amici comuni, cercarono di convincere Benedetto e Salvatore a lasciarlo in pace, finché Giuseppe, vedendo che tutto era inutile, pregò queste persone di non occuparsi più della cosa. “Io” diceva Giuseppe “li ho ascoltati fin’ora perché mi dispiaceva di vederli sempre così inquieti. Ma se proprio ci vogliono stare, nella loro rabbia, che friggano pure!” Un giorno però Salvatore

si riporta esattamente il processo corretorio

Parenti e (›Anche altre persone,‹) amici comuni cercarono /inutilmente/ di convincere •i due testardi a desistere (›Benedetto e Salvatore a lasciarlo in pace‹) ›finché Giuseppe, vedendo che tutto era inutile, pregò queste persone di non occuparsi più della cosa. “Io” diceva Giuseppe “li ho ascoltati fin’ora perché mi dispiaceva di vederli sempre così inquieti. Ma se proprio ci vogliono stare, nella loro rabbia, che friggano pure!”‹.   Un giorno ›però‹ Salvatore •

248

michele boschino

p. 7: 24-27. compagnia. «Povero Beppe»… che gli scudi]

D D1 D2

compagnia. Nessuno si curò di loro, e se n’andarono senza una parola di pace. “Povero Beppe” disse una vecchia “forse son più i colpi che ti hanno dato quei due giovanotti che gli scudi

compagnia. ›Nessuno si curò di loro, e se n’andarono senza una parola di pace.‹ “Povero Beppe” disse una vecchia /dopo che quei due se ne furono andati/ “forse son più i colpi che ti hanno dato ›quei due giovanotti‹ che gli scudi

B

compagnia. «Povero Beppe» disse una vecchia dopo che quei due se ne furono andati – forse son più i colpi che ti hanno dato quei due giovanotti che gli scudi

è ristabilita la lezione cassata

Appendice

249

p. 9: 9-16. Allora Giuseppe scavò…della loro miseria;]

D D1

Allora Giuseppe scavò un pozzo ›e [—].‹ “Giuseppe Boschino ha fortuna”, diceva la gente vedendo che aveva trovato il punto giusto per scavare il pozzo, che risultò ricco di acqua anche in piena estate. Quando Giuseppe si fu accertato della ricchezza di quella vena d’acqua, fece accanto al pozzo una vasca in muratura, ci mise una noria e incominciò a impiantare un orto. I fratelli, che passavano di là spesso per andare a un loro podere di Nadoria, non gli davano pace. Venivano nell’orto con la scusa di farsi dare un po’ d’insalata o di ravanelli da mangiare col pane e si lamentavano della loro miseria:

Allora Giuseppe scavò un pozzo “Giuseppe Boschino ha fortuna”, diceva la gente vedendo che aveva trovato il punto giusto per scavare il pozzo,‹ che risultò ricco di acqua anche in piena estate. Quando ›Giuseppe‹ si fu accertato della ricchezza di quella vena ›d’acqua‹, fece accanto al pozzo una vasca in muratura, ci mise una noria|,| e ›incominciò a‹ impiantò (← impiantare) un orto. I fratelli, che passavano di là spesso per andare a un loro podere di Nadòria (← Nadoria), • entravano (›non gli davano pace. Venivano‹) nell’orto con la scusa di farsi dare un po’ d’insalata o di ravanelli da mangiare col pane. Si (← pane e si) lamentavano della loro miseria; (← miseria:)

250

michele boschino

p. 9: 24-29. Giuseppe si mise a ridere… assieme con Salvatore.]

D D1

Giuseppe si mise a ridere, e ridendo rispose che lui il socio ce l’aveva già, aveva suo figlio Michele, per socio; poi, siccome l’altro insisteva, lo pregò di essere ragionevole e di smettere quest’idea. L’altro, esasperato dalla sua calma, cominciò a minacciare come l’altra volta che, assieme con Benedetto l’aveva picchiato.

Giuseppe si mise a ridere. Rispose (← a ridere, e ridendo rispose) che lui il socio ce l’aveva già, aveva suo figlio Michele, per socio. Poi (← socio; poi), siccome l’altro insisteva, •si rimise a zappare senza più dargli retta. (›lo pregò di essere ragionevole e di smettere quest’idea‹). Esasperato (← L’altro, esasperato) dalla sua calma, /Benedetto/ cominciò a minacciare come l’altra volta che, 2assieme con •Salvatore (›Benedetto‹) 1l’aveva picchiato.

Appendice

251

p. 10: 19-24. Fu lui che consigliò…la serenità di suo padre.] D D1 Fu lui che consigliò alla madre di vendere anche l’altro giogo di buoi, ch’erano inutili finché il terreno da semina rimaneva affittato, e di comprare un muletto per portare i prodotti al mercato.   Passarono due anni duri e tristi, e il ragazzo, vedendo la madre arrabattarsi senza posa ›[—]‹ e i guadagni diminuire sempre rimpiangeva la calma e la serenità di suo padre.

Fu lui che /le/ consigliò ›•[—]‹ (›alla madre‹) di vendere anche l’altro giogo di buoi, ›ch’erano inutili finché il terreno da semina rimaneva affittato,‹ e di comprare un muletto per portare i prodotti al mercato.   Passarono due anni duri e tristi; (← tristi,) e il ragazzo, vedendo la madre arrabattarsi senza posa e i guadagni diminuire sempre|,| rimpiangeva la calma e la serenità di suo padre.

252

michele boschino

Capitolo II p. 12: 18-24. temeva per il figlio. Sapeva…della scelta di Michele.]

D D1

temeva per il figlio. Sapeva che certi stati d’animo sono come la siccità. Senza tempeste di grandine o di vento, le foglie degli alberi finiscono per avvizzire e cadere, l’erba inaridisce sulla terra secca: come un fiammifero basta allora a distruggere una foresta, così una parola distrugge la fama d’un uomo, se la gente è ostile. Eppoi, lui stesso, ripensandoci non era contento della scelta di Michele.

temeva per il figlio. Sapeva che certi stati d’animo /diffusi/ sono come la siccità. Senza tempeste di grandine o di vento, le foglie degli alberi •avvizziscono e cadono, (›finiscono per avvizzire e cadere,‹) l’erba inaridisce sulla terra secca. (← secca:) ›come‹ /Allora basta/ un fiammifero ›basta allora‹ a distruggere una foresta. (← foresta,) • Allo stesso modo (›così‹) una parola distrugge la fama d’un uomo, se la gente è ostile. ›Eppoi,‹ Lui (← lui) stesso, •in fondo (›ripensandoci‹), non era contento della scelta di Michele.

Appendice

253

p. 13: 5-14. non era un brutto giovane… soffermati con desiderio.]

D D1

non era un brutto giovane, anzi si poteva affermare il contrario. Non era nè stupido nè povero, eppure gli mancava qualcosa per essere l’uomo per esser l’uomo adatto per Angela. Che cosa? Giuseppe non avrebbe saputo dirlo, non lo sapeva: forse solo l’abitudine di trattar con la gente, la sicurezza che viene dalla familiarità e specialmente poi coi giovani suoi coetanei. Michele era stato sempre solo, e questo non si confà a chi sposa una donna sulla quale gli occhi di molti si sono soffermati con desiderio.

non era •un (›un‹) brutto •giovine (›agiovane b•neppure lui‹), anzi si poteva affermare il contrario; e non (← contrario. Non) era nè stupido nè povero – eppure gli mancava qualcosa |per esser l’uomo| (›per essere l’uomo‹) •che ci voleva per (›adatto per‹) Angela. Che cosa, (← cosa?) Giuseppe non avrebbe saputo dirlo, non lo sapeva /[—]/: forse solo l’abitudine di trattar con la gente, •coi giovani suoi coetanei, e quella sicurezza che solo |quest’abitudine| (›la familiarità‹) può dare (›la sicurezza che viene dalla familiarità e specialmente poi coi giovani suoi coetanei‹). Michele era stato sempre solo, e /.pareva a Giuseppe che/ questo non si confacesse (← confà) •a uno che doveva sposare (›a chi sposa‹) una donna sulla quale gli occhi di molti si .erano (›sono‹) soffermati con desiderio.

D2 B non era un brutto giovane, anzi si poteva affermare il contrario; e non era nè stupido nè povero – eppure gli mancava qualcosa per esser l’uomo che ci voleva per Angela. Che cosa, Giuseppe non avrebbe saputo dirlo, non lo sapeva: forse solo l’abitudine di trattar con la gente, coi giovani suoi coetanei, e quella sicurezza che solo questa abitudine può dare. Michele era stato sempre solo, e questo /•pareva a Giuseppe che/ non si confacesse a uno che doveva sposare una donna sulla quale gli occhi di molti si erano soffermati con desiderio.

non era un brutto giovane, anzi si poteva affermare il contrario; e non era né stupido né povero, eppure gli mancava qualcosa per essere l’uomo che ci voleva per Angela. Che cosa, Giuseppe non avrebbe saputo dirlo, non lo sapeva: forse solo l’abitudine di trattar con la gente, coi giovani suoi coetanei, e quella sicurezza che solo quest’abitudine può dare. Michele era stato sempre solo, e a Giuseppe pareva che questo non si confacesse a uno che doveva sposare una donna sulla quale gli occhi di molti si erano soffermati con desiderio.

254

michele boschino

p. 14: 15-21. Nel frattempo Michele…Angela o Carmela.] D D1 Intanto Michele aveva cominciato a costruire due camere accanto al granaio e a seminare un po’ di terra per suo conto, per metter da parte qualche soldo; e Angela, finiva di tesser la tela per il corredo. All’infuori di questo, vivevano più come fratello e sorella che come fidanzati; e siccome Carmela era sempre con loro, spesso qualcuno chiedeva a Michele, o a Giuseppe, chi fosse, delle due, la promessa sposa.

• Nel frattempo (›Intanto‹) Michele aveva cominciato a costruire due camere accanto al granaio, aveva seminato (← al granaio e a seminare) un po’ di terra per suo conto, e metteva (← per metter) da parte qualche soldo; ›e‹ Angela›,‹ finiva di tesser la tela per il corredo. All’infuori di questo, /i due giovani/ vivevano più come fratello e sorella che come fidanzati; e ›siccome Carmela era sempre con loro,‹ spesso qualcuno chiedeva a Michele, o a Giuseppe, chi fosse, ›delle due‹, la promessa sposa, (← sposa,) |Angela o Carmela.|

Appendice

255

p. 15: 4-28. Poi, improvvisamente, quando… erano sempre quelle.]

D D1 D2

Poi, improvvisamente, quando chiese al padre di affrettare le nozze, queste dispute cessarono; e i due vecchi non erano mai stati d’accordo come allora. Maddalena non era mai stata così docile e remissiva con Giuseppe. “Io non c’entro” diceva a Michele. “È tuo padre che deve decidere”. E Giuseppe aveva deciso che le nozze non fossero anticipate neppure d’un giorno. Michele sapeva ch’era inutile insistere, e si sarebbe facilmente adattato alla volontà di suo padre, se Angela lo avesse lasciato in pace. Era lei che voleva affrettare le nozze. Carmela doveva fidanzarsi anche lei, ma il padre non lo avrebbe permesso se non dopo le nozze della sorella maggiore. Voleva che ›[—]‹ l’una sorvegliasse l’altra, non voleva due uomini in casa in una volta sola. Questa non sembrava a Giuseppe una ragione sufficiente; e ne aveva discusso a lungo con Maddalena, che, in un primo tempo, avrebbe voluto accontentare il giovane. Giuseppe avrebbe voluto almeno che Angela ›parlas‹ ne parlasse apertamente con lui stesso o con Maddalena: invece, in loro presenza faceva l’agnella, ma quand’era sola con Michele non gli dava un momento di respiro. Maddalena propendeva a credere che ci fosse un’altra ragione, che la ragazza fosse incinta e si vergognasse. Giuseppe disse che non c’era motivo, in tal caso, di nasconder la cosa anche a Michele. Ma, lui li aveva ascoltati diverse volte parlare senza che loro due se n’accorgessero, e sapeva che le ragioni di Angela erano sempre quelle.

Poi, improvvisamente, quando /Michele/ chiese ›al padre‹ di •anticipare (›affrettare‹) le nozze, /non solo/ queste dispute cessarono ma (← cessarono; e) i due vecchi non erano mai stati d’accordo come allora, (← allora.) /mai come allora/ Maddalena •s’era mostrata (›non era mai stata‹) così docile e remissiva con Giuseppe. “Io non c’entro” diceva a Michele. “È tuo padre che deve decidere”. E Giuseppe aveva /bell’e/ deciso ›che‹ |:| le nozze non •dovevano essere (›fossero‹) anticipate neppure d’un giorno. • Sapendo (›Michele sapeva‹) ch’era inutile insistere, •Michele (›e‹) si sarebbe ›facilmente‹ adattato /come sempre,/ alla volontà di suo padre, se Angela lo avesse lasciato in pace. Era lei che voleva affrettare le nozze. /Diceva che/ Carmela doveva fidanzarsi ›anche lei‹, •e che (›ma‹) il padre non lo avrebbe permesso se non dopo le /loro/ nozze|;| ›della sorella maggiore. Voleva che l’una sorvegliasse l’altra,‹ non voleva due uomini in casa in una volta sola. •Giuseppe (›Questa non sembrava a Giuseppe una ragione sufficiente; e ne‹) aveva discusso a lungo /della cosa/ con Maddalena, che, in un primo tempo, •era propensa ad accondiscendere (›aavrebbe voluto accontentare il giovane. Giuseppe b•era decisa ad accontentare‹). Avrebbe (← avrebbe) voluto almeno che Angela |ne parlasse| (›parlas‹) apertamente con lui stesso o con Maddalena: invece, in loro presenza faceva l’agnella, •e quando poi era (›ma quand’era‹) sola con Michele non gli dava un momen-

256

michele boschino

to di respiro. Maddalena propendeva a credere che ci fosse un’altra ragione /nascosta che la ragazza non voleva dire/, che la ragazza fosse incinta e si vergognasse. Giuseppe •diceva (›disse‹) che non c’era motivo, in tal caso, di nasconder la cosa anche a Michele. ›Ma,‹ Lui (← lui) li aveva •sentiti (›ascoltati diverse volte‹) parlare|,| senza che loro due se n’accorgessero, e sapeva che le ragioni di Angela erano sempre quelle. Maddalena propendeva a credere che ci fosse un’altra ragione nascosta, che la ragazza non voleva dire. (← dire,) ›che la ragazza fosse incinta e si vergognasse.‹ ||Forse la ragazza era incinta e si vergognava.|| Giuseppe diceva che non c’era motivo, in tal caso, di nasconder la cosa anche a Michele. ||Disse di averli|| (›Lui li aveva‹) sentiti parlare›,‹ ||di nascosto tra loro,|| (›senza che loro due se n’accorgessero,‹) e sapeva che le ragioni di Angela erano sempre quelle.

B

Poi, improvvisamente, quando Michele chiese di anticipare le nozze, non solo queste dispute cessarono ma i due vecchi non erano mai stati d’accordo come allora. Maddalena mai come allora si era mostrata così docile e remissiva con Giuseppe. «Io non c’entro» diceva a Michele. «È tuo padre che deve decidere». E Giuseppe aveva bell’e deciso: le nozze non dovevano essere anticipate neppure d’un giorno. Sapeva ch’era inutile insistere, Michele, e si sarebbe adattato, come sempre, alla volontà di suo padre, se Angela lo avesse lasciato in pace. Era lei che voleva affrettare le nozze. Diceva che Carmela doveva fidanzarsi, e che il padre non lo avrebbe permesso se non dopo le loro nozze; non voleva due uomini in casa in una volta sola. Giuseppe aveva discusso a lungo della cosa con Maddalena, che, in un primo tempo, era propensa ad accondiscendere. Avrebbe voluto almeno che Angela ne parlasse apertamente con lui stesso o con Maddalena: invece, in loro presenza faceva l’agnella, e quando poi era sola con Michele non gli dava un momento di respiro. Maddalena propendeva a credere che ci fosse un’altra ragione nascosta, che la ragazza non voleva dire. Forse la ragazza era incinta e si vergognava. Giuseppe diceva che non c’era motivo, in tal caso, di nasconder la cosa anche a Michele. Disse di averli sentiti parlare di nascosto tra loro, e sapeva che le ragioni di Angela erano sempre quelle.

Appendice

257

Capitolo III p. 22: 20-28. Michele stava lunghe ore…la forza giovanile di un tempo.]

D D1 D2

Michele gli rendeva conto di tutto minuziosamente e stava lunghe ore seduto accanto a suo letto; e gli pareva che ciò che faceva non sarebbe servito a nulla, se non ne parlava con lui, o prima o dopo. Non che avesse bisogno di consigli, chè ormai sapeva fare da sé, [—] e neppure voleva dare al vecchio l’illusione di essere ancora tanto necessario, ma amava, in quest’illusione, riposarsi egli stesso. Che cosa era egli, in fine? Era come una mano che Giuseppe allungasse a occhi chiusi, una mano esperta che aveva conservato la forza giovanile di un tempo.

Michele gli rendeva conto di tutto minuziosamente e stava lunghe ore seduto accanto a|l| suo letto. Gli (← letto; e gli) pareva che /tutto/ ciò che faceva non sarebbe servito a nulla, se non ne parlava con lui, ›o prima o dopo‹. Non che avesse bisogno di consigli, chè ormai sapeva fare da sé, •Ma non (›e neppure‹) voleva •togliere (›dare‹) al vecchio l’illusione di essere ancora tanto necessario, •e (›ma‹) amava, in quest’illusione, riposarsi egli stesso. /E/ che (← Che) cosa era|,| •lui (›egli‹), in fine? Era come una mano che Giuseppe allungasse a occhi chiusi, una mano ›esperta‹ che aveva conservato la forza giovanile di un tempo.

B

Michele 2gli rendeva conto di tutto minuziosamente e 1stava lunghe ore seduto accanto al suo letto. Gli pareva che tutto ciò che faceva non sarebbe servito a nulla, se non ne parlava ||prima|| con lui. Non che avesse bisogno di consigli, ché ormai sapeva fare da sé. Ma non voleva togliere al vecchio l’illusione di essere ancora tanto necessario, e amava, in quest’illusione, riposarsi egli stesso. E che cosa era, lui, in fine? Era come una mano che Giuseppe allungasse a occhi chiusi, una mano che aveva conservato la forza giovanile di un tempo.

258

michele boschino

p. 23: 5-12. e quell’anno appunto… che era una pazzia pensarci.]

D D1 D2

e quell’anno appunto toccava, ›e non si poteva rimandare‹ Ciò che meravigliava Michele però era che il vecchio [—] parlava come se alla fiera intendesse andarci egli stesso. Dapprima non ci fece caso, perché ›il padre‹ Giuseppe, anche quando si trattava dei lavori dell’orto e del podere parlava allo stesso modo, come se anche lui potesse veramente prendervi parte; poi s’accorse che non era un semplice modo di dire, e ne fece parola a |Maddalena| (›sua madre‹) perché cercasse lei di convincerlo ch’era una pazzia pensarci.

e quell’anno appunto toccava. ›Ciò che meravigliava Michele però era che‹ Il (← il) vecchio parlava come se alla fiera •dovesse (›intendesse‹) andarci •lui (›egli‹) stesso. Dapprima /Michele/ non ci fece caso, perché ›il padre‹ Giuseppe, anche quando si trattava dei lavori dell’orto e del podere|,| parlava allo stesso modo, come se •dovesse farli con le sue stesse mani; ma presto (›anche lui potesse veramente prendervi parte; poi‹) s’accorse che non era un semplice modo di dire, e •lo disse (›ne fece parola‹) a Maddalena perché cercasse lei di convincerlo ch’era una pazzia pensarci.

B

e quell’anno appunto toccava. Il vecchio parlava come se alla fiera dovesse andarci lui stesso. Dapprima Michele non ci fece caso, perché Giuseppe, anche quando si trattava dei lavori dell’orto e del podere, parlava allo stesso modo, come se dovesse farli con le sue ›stesse‹ mani; ma presto s’accorse che non era un semplice modo di dire, e ||ne parlò con|| (›lo disse a‹) Maddalena perché cercasse lei di convincerlo che era una pazzia pensarci.

Appendice

259

pp. 23-24: 17-32/1-4. «Sei vecchio!» diceva Maddalena…di esser galantuomini.]

D D1 D2

“Sei vecchio diceva Maddalena “Mettiti in testa che sei vecchio, e devi averti riguardo, benedetto”. Ad ogni costo volle alzarsi, e a stento riuscì a tenersi seduto su una sedia; ma ripetè il tentativo per parecchi giorni di seguito, e con grande meraviglia di Michele e Maddalena, migliorava sensibilmente. Non parlava che della fiera di Santa Croce, della gente che ci andava ogni anno da tutti (← tutte) •i paesi (›le parti‹) del Centro, del Goceano e di Parte d’Ispi, dei gran danari che si maneggiavano in quel mercato, che neppure si sapeva da dove uscissero. [—] Si vedevano •sacchetti (›[—]‹) di scudi e di marenghi in [—] quelle mani terrose come se li avessero scavati la sera prima sotto qualche / vecchio/ muro con l’aiuto del diavolo. E quanto più il danaro correva, tanto più cresceva l’avidità del danaro. Perché alla fiera c’erano sì le persone che non cercavano altro che un bel giogo di buoi da lavoro o un buon cavallo; ma ce n’erano poi di quelli che in una sola giornata compravano e rivendevano e ricompravano ancora e ancora rivendevano. Bisognava stare con gli occhi aperti, perché lì anche i galantuomini si dimenticavano di esser galantuomini.

“Sei vecchio |!| diceva Maddalena “Mettiti in testa che sei vecchio, e devi averti riguardo, benedetto|!|”. Ad ogni costo volle alzarsi, •ma (›e‹) a stento riusciva (← riuscì) a •reggersi (›tenersi‹) seduto su una sedia. Ripetè (← sedia; ma ripetè) il tentativo per parecchi giorni ›di seguito‹, /ostinatamente,/ e con grande meraviglia di Michele e Maddalena, /prese a/ migliorare (← migliorava) •davvero (›sensibilmente‹). Non parlava che della fiera di Santa Croce, della gente che ci andava ogni anno da tutti i paesi del Centro, dal (← del) Goceano e da (← di) Parte d’Ispi, dei gran danari che si maneggiavano in quel mercato, che neppure si sapeva da dove uscissero. Si vedevano sacchetti di scudi e di marenghi •passare per (›in [—]‹) quelle mani terrose|,| come se li avessero scavati la sera prima sotto qualche vecchio muro con l’aiuto del diavolo. E quanto più il danaro correva, tanto più cresceva l’avidità del danaro. Perché alla fiera|,| •oltre le (›c’erano sì le‹) persone che|,| /come lui/|,| non cercavano altro che un bel giogo di buoi da lavoro o un buon cavallo, (← cavallo;) ma ce n’erano poi di quelle (← quelli) che in una sola giornata compravano e rivendevano •anche tre o quattro gioghi di buoi col solo scopo di guadagnarci su (›e ricompravano ancora e ancora rivendevano‹). Bisognava stare con gli occhi aperti, perché lì anche i galantuomini si dimenticavano di esser galantuomini.

260

B

michele boschino

«Sei vecchio!» diceva Maddalena «mettiti in testa che sei vecchio, e devi averti riguardo, benedetto!». A›d‹ ogni costo volle alzarsi, ma a stento riusciva a reggersi seduto su una sedia. Ripeté il tentativo per parecchi giorni, ostinatamente, e con grande meraviglia di Michele e Maddalena, prese a migliorare davvero. Non parlava che della fiera di Santa Croce, della gente che ci andava ogni anno da tutti i paesi del Centro, dal Gocèano (← Goceano) e da Parte d’Ispi, dei gran danari che si maneggiavano in quel mercato, che neppure si sapeva da dove uscissero. Si vedevano sacchetti di scudi e di marenghi passare per quelle mani terrose, come se li avessero scavati la sera prima sotto qualche vecchio muro. E quanto più il danaro correva, tanto più cresceva l’avidità del danaro. Perché alla fiera, oltre le persone che, come lui, non cercavano altro che un bel giogo di buoi da lavoro o un buon cavallo, ›ma‹ ce n’erano poi di quelle che in una sola giornata compravano e rivendevano anche tre o quattro gioghi ›di buoi‹ col solo scopo di guadagnarci su. Bisognava stare con gli occhi aperti, perché lì anche i galantuomini si dimenticavano di esser galantuomini.

Appendice

261

p. 24: 20-26. Ma quando fu poi nell’orto…parlare, tornava;]

D D1 D2

Ma quando poi fu nell’orto, si straiò all’ombra del pergolato, accanto alla vasca, ›e non si mosse di lì per tutta la giornata‹ con la testa sul basto del mulo. Disse che voleva star lì un poco a riposarsi, e si addormentò beatamente allo scroscio del ritrecine. Michele gli mise accanto una brocchetta d’acqua fresca, per quando si svegliava, e andò a zappare, poco discosto. Ogni tanto, sentendolo parlare, tornava;

Ma quando poi fu nell’orto, /fu preso da una grande stanchezza./ Si sdraiò (← si straiò) all’ombra del pergolato, accanto alla vasca, con la testa sul basto del mulo, (← mulo.) ›Disse che voleva star lì un poco a riposarsi,‹ e si addormentò beatamente allo scroscio del ritrecine. Michele gli mise accanto una brocchetta d’acqua fresca, per quando si svegliava, e andò a zappare, poco discosto. Ogni tanto, sentendolo parlare, tornava;

B

Ma quando fu poi nell’orto, fu preso da una grande stanchezza. Si sdraiò all’ombra del pergolato, accanto alla vasca, con la testa sul basto del mulo e si addormentò beatamente allo scroscio del ritrecine. Michele gli mise accanto una brocchetta d’acqua fresca, per quando si svegliava, e andò a zappare ||i cavoli|| (›poco discosto‹). Ogni tanto, ||parendogli di sentirlo|| (›sentendolo‹) parlare, tornava;

262

michele boschino

p. 25: 5-10. distingueva ora il rumore…voglia di mangiarne.]



D D1 D2

distingueva ora distintamente il rumore che faceva la zappa di Michele urtando un sasso, lo schiocco delle forbici, il cigolio lungo del cancello di legno. Si ricordò che da quando [—] s’era ammalato non mangiava più pomodori crudi, e subito gliene venne desiderio.

distingueva ora ›distintamente‹ il rumore /ben noto/che faceva la zappa ›di Michele‹ urtando un sasso, lo schiocco delle forbici, il cigolio lungo del cancello di legno /e questi rumori gli facevano bene come l’aria della campagna/. Si ricordò che da quando s’era ammalato non mangiava più pomodori crudi, e subito gli (← gliene) venne •voglia di mangiarne (›desiderio‹).

B M2

distingueva ora il rumore ben noto che faceva la zappa urtando un sasso, lo schiocco delle forbici, il cigolio lungo del cancello di legno, e questi rumori gli facevano bene come l’aria della campagna. ||A un tratto si|| (›Si‹) ricordò che da quando si era ammalato non mangiava più pomodori crudi, e subito gli venne voglia di mangiarne.

distingueva ora il rumore ben noto che faceva la zappa urtando un sasso, lo schiocco delle cesoie, il cigolio lungo del cancello di legno, e questi rumori gli facevano bene come l’aria della campagna. A un tratto si ricordò che da quando si era ammalato non mangiava più pomodori crudi, e subito gli venne voglia di mangiarne.

Appendice

263

Capitolo IV pp. 29-30: 28/1-9. Cosimo non ebbe tempo…soffocato dal bavaglio.]

D D1 D2

“E la volpe l’avete già scuoiata?” chiese Cosimo. Ma non ebbe tempo di fare altre domande. Non appena fu spontato da cavallo, Bore Lisca e Pedonca gli saltarono addosso, lo disarmarono; gli altri tirarono giù Michele dal cavallo. Il giovane si trovò con la faccia tra l’erba. In un attimo fu legato e imbavagliato. Era inutile opporre resistenza, e lasciò fare. Cosimo invece lottava con tutte le sue forze; ma presto fu ridotto all’impotenza. Michele sentiva i suoi lamenti soffocati dal bavaglio e il respiro affannoso.

›“E la volpe l’avete già scuoiata?” chiese Cosimo.‹ •Cosimo (›Ma‹) non ebbe tempo di fare •molte (›altre‹) domande. Non •aveva neanche messo il piede a terra, che (›appena fu spontato da cavallo,‹) Bore Lisca e Pedonca gli saltarono addosso e (← addosso,) lo disarmarono; gli altri tirarono giù 2 Michele 1dal cavallo. /In un attimo/ il (← Il) giovane si trovò /›disteso‹ bocconi ›per terra‹/ con la faccia tra l’erba. ›In un attimo‹ Fu (← fu) legato e imbavagliato. Era inutile opporre resistenza, e lasciò fare. Cosimo invece lottava con tutte le sue forze /gridando e sbuffando/; ma presto fu ridotto all’impotenza /anche lui/; (← .) •e non si sentiva altro all’infuori dei (›Michele sentiva i‹) suoi lamenti|,| soffocati dal bavaglio|,| o il respiro affannoso.

B

Cosimo non ebbe tempo di fare molte domande. Non aveva neanche messo il piede a terra, che Bore Lisca e Pedonca gli saltarono addosso e lo disarmarono; gli altri tirarono giù dal cavallo Michele. In un attimo il giovane si trovò bocconi con la faccia tra l’erba. Fu legato e imbavagliato. Era inutile opporre resistenza, e lasciò fare. Cosimo invece lottava con tutte le sue forze gridando e sbuffando; ma presto fu ridotto all’impotenza anche lui. (← lui;) ||E non si sentì altro che il /suo/ respiro affannoso soffocato dal bavaglio.|| (›e non si sentiva altro all’infuori dei suoi lamenti, soffocati dal bavaglio, o il respiro affannoso.‹)

264

michele boschino

p. 31: 2-9. Erano rimasti lì un poco…nulla fosse accaduto.]



D D1

›[−]‹ Vacca disse che non era il caso di ritentare, dato che il colpo non era riuscito, e diede ai compagni l’ordine di ritirarsi. |Prima di allontanarsi| (›Prima di andare via‹) si avvicinò al ferito, cavò di tasca il coltello da caccia, si chinò su di lui. Cosimo si voltò dall’altra parte: sentì una specie di gorgoglio, un sospiro, poi più nulla. In silenzio s’avviarono verso la radura.   A Cosimo e a Michele fu intimato, sotto la minaccia dei fucili spianati, di continuare il viaggio come se nulla fosse accaduto.   Cosimo e Michele furono lasciati liberi con l’ordine preciso di continuare il viaggio come se nulla fosse stato. E quattro giorni dopo tornarono a Sigalesa coi loro acquisti: il torello da monta e il giogo di buoi da lavoro.   Interrogati dal capo della gendarmeria se avessero incontrato uomini armati sulla strada di Forri, dissero di no, e furono lasciati in pace.

• Erano rimasti lì un poco, poi vedendo che non era il caso d’arrischiarsi a (← in) un nuovo tentativo, se n’erano tornati verso la radura dov’erano i cavalli. Vacca era rimasto indietro col ferito, che fu trovato poi sgozzato come un agnello. (›Vacca disse che non era il caso di ritentare, dato che il colpo non era riuscito, e diede ai compagni l’ordine di ritirarsi. Prima di allontanarsi si avvicinò al ferito, cavò di tasca il coltello da caccia, si chinò su di lui. Cosimo si voltò dall’altra parte: sentì una specie di gorgoglio, un sospiro, poi più nulla. In silenzio s’avviarono verso la radura.‹)   |A| Cosimo e /a/ Michele fu (← furono) •intimato, sotto la minaccia dei fucili spianati (›lasciati liberi con l’ordine preciso‹) di continuare il viaggio come se nulla fosse •accaduto. (›stato. E quattro giorni dopo tornarono a Sigalesa coi loro acquisti: il torello da monta e il giogo di buoi da lavoro. Interrogati dal capo della gendarmeria se avessero incontrato uomini armati sulla strada di Forri, dissero di no, e furono lasciati in pace.‹)

D2 B

Erano rimasti lì un poco, poi vedendo che non era il caso d’arrischiarsi in un nuovo tentativo, se n’erano tornati verso la radura dov’erano i cavalli. Vacca era rimasto indietro col ferito, che fu trovato poi sgozzato come un agnello.   A Cosimo e a Michele fu intimato, sotto la minaccia dei fucili spianati di

Erano rimasti lì un poco, poi ||pensando|| (›vedendo‹) che non era il caso d’arrischiarsi a un nuovo tentativo, se n’erano tornati verso la radura, dov’erano i cavalli. Vacca era rimasto indietro col ferito, che fu trovato poi sgozzato come un agnello.   A Cosimo e a Michele fu intimato, sotto la minaccia dei fucili spianati,

Appendice

265

continuare il viaggio come se nulla di continuare il viaggio come se nulla fosse accaduto. fosse accaduto.

266

michele boschino

Capitolo VII p. 54: 19-23. il cielo stellato: tutte cose… divenuto per lui così deserto.]

D D1

il cielo stellato: |tutti oggetti presenti e reali, a cui lo teneva avvinto il terrore d’abbandonarsi ai fantasmi dei sogni che avrebbero popolato la sua angoscia. Eppure quel velo sottile lo separava dal presente, divenuto per lui così deserto.| (›tutti oggetti presenti e reali, a cui lo teneva avvinto la paura d’abbandonarsi ai fantasmi paurosi dei sogni che avrebbero popolato la sua angoscia. Eppure quel velo sottile lo separava dal presente, divenuto per lui così deserto, ma non dagli.‹)

il cielo stellato: tutte cose presenti, reali, (← tutti oggetti presenti e reali,) a cui lo teneva avvinto il terrore d’abbandonarsi ai fantasmi ›dei sogni‹ che • popolavano (›avrebbero popolato‹) la sua angoscia. Eppure quel velo sottile /bastava/ a separarlo (← lo separava) dal presente, divenuto per lui così deserto.

Appendice

267

Capitolo X pp. 90-91: 24-25/1. la portò nel capanno. Per questo,]

D D1

la portò nel capanno.   ›Della grassazione di Cantòria le parlò solo molto tempo più tardi, quando Severina ‹era› sua moglie già da parecchi mesi.‹   Della grassazione non pensò più a parlargliene, anche perché quel segreto non gli pesava più ormai. Un altro segreto aveva preso il posto di quello e teneva continuamente occupata la sua mente: ciò ch’era avvenuto nel capanno tra lui e Severina.   Per questo,

la portò nel capanno.   ›Della grassazione non pensò più a parlargliene, anche perché quel segreto non gli pesava più ormai. Un altro segreto aveva preso il posto di quello e teneva continuamente occupata la sua mente: ciò ch’era avvenuto nel capanno tra lui e Severina.‹   Per questo,

268

michele boschino

Capitolo XII p. 100: 15-26. A pensarci, pare strano… sia pure momentaneo.]

D D1 D2

A pensarci, sembrerebbe che non • possa (›potrebbe‹) riprendere ›il lavoro sempre a quale [−]‹, dopo le nozze, la vita parsimoniosa e lenta di prima, senza questa interruzione. Molto per tempo il contadino si chiude nell’idea della casa che deve costruire, che sta costruendo o che ha già costruito e aspetta la donna, come l’Esquimese si chiude nella sua casa di ghiaccio. Non disperde neppure una caloria. Pone tra sé e gli altri l’egoismo legittimo ›di chi alimenta un pensiero e di chi sa di non poter‹ dell’ape che fabbrica le cellette di cera e le riempie di miele. Le nozze risvegliano in lui una fierezza, un orgoglio che ha bisogno di un riconoscimento sia pure momentaneo.

A pensarci, •pare strano (›sembrerebbe‹) che ||dopo questa prodigalità che si direbbe l’inizio di una nuova era, più prospera e libera,|| (›non‹) possa riprendere, •senza fatica (›dopo le nozze,‹) la vita parsimoniosa e lenta di prima›, senza questa interruzione‹. Molto per tempo il contadino si chiude nell’idea della casa che deve costruire o che (← costruire, che) sta costruendo o che ha già costruito|,| e aspetta la donna. (← donna,) /Si chiude in questa idea/ come l’Esquimese ›si chiude‹ nella sua casa di ghiaccio. Non disperde neppure una caloria. Pone tra sé e gli altri l’egoismo legittimo dell’ape che fabbrica le cellette di cera e le riempie di miele. Le nozze risvegliano in lui una fierezza, un orgoglio che ha bisogno di un riconoscimento sia pure momentaneo.

B

A pensarci, pare strano che dopo questa prodigalità che ||sembra|| (›si direbbe‹) l’inizio di una nuova era, più prospera e libera, possa riprendere (← riprendere,) senza fatica la vita parsimoniosa e lenta di prima. Molto per tempo il contadino si chiude nell’idea della casa che deve costruire o che sta costruendo o che ha già costruito, e aspetta la donna. Si chiude in questa idea come l’Esquimese1 nella sua casa di ghiaccio. Non disperde neppure una caloria. Pone tra sé e gli altri l’egoismo legittimo dell’ape che fabbrica le cellette di cera e le riempie di miele. Le nozze ||poi|| risvegliano in lui una fierezza, un orgoglio che ha bisogno di un riconoscimento, sia pure momentaneo.

1

In M: «l’esquimese».

Appendice

269

p. 103: 1-13. Le disgrazie che lo avevano…lui e Michele.]

D D1 D2

Le disgrazie che lo avevano colpito non avevano potere sulla sua grassezza, anzi pareva che ›[−]‹ anch’essa fosse una disgrazia. Gli avevano incendiato l’aia, un anno, un altro, le vacche avevano bevuto in un acquitrino ed erano state colpite dalla moria, e uno dei suoi figli, Gavino, era stato trovato in una siepe di fichidindia con le mani e i piedi legati come un capretto e il viso tagliato da una coltellata. Chi fosse stato a sfregiarlo così non s’era mai saputo, e il ragazzo non aveva mai voluto parlare, tanto grande era stato il suo spavento e così terribili le minacce che gli avevano fatto. Era un avvertimento che davano a Cosimo, ›e Cosimo‹ come se ce ne fosse bisogno! E Cosimo sapeva da dove veniva.

Le disgrazie che lo avevano colpito non avevano potere sulla sua grassezza; (← grassezza,) era (›anzi pareva che anch’essa fosse‹) una disgrazia /anche quella/. 2Gli avevano incendiato l’aia, 1un anno, 3un altro, le vacche • s’erano abbeverate a (›avevano bevuto in‹) un acquitrino ed erano state colpite dalla moria; un’altra volta suo figlio Gavino (← moria, e uno dei suoi figli, Gavino,) era stato trovato in una siepe di fichidindia con le mani e i piedi legati come un capretto e il viso tagliato da una coltellata, (← coltellata.) /dall’occhio al mento./ Chi fosse stato a sfregiarlo così non s’era mai saputo; (← saputo, e) il ragazzo non aveva mai voluto parlare, tanto grande era stato il suo spavento e così terribili le minacce che gli avevano fatto. Era un •avvertimento (›ammonimento‹) che davano a Cosimo, •e solo (›come se ce ne fosse bisogno! E‹) Cosimo sapeva da dove veniva - |lui, e Michele| (›[−]‹).

B

Le disgrazie che lo avevano colpito non avevano potere sulla sua grassezza; era una disgrazia anche quella. Un anno gli avevano incendiato l’aia, un altro (← altro,) le vacche s’erano abbeverate a un acquitrino ed erano state colpite dalla moria; un’altra volta suo figlio Gavino era stato trovato in una siepe di fichidindia con le mani e i piedi legati come un capretto e il viso tagliato da una coltellata, dall’occhio al mento. Chi fosse stato a sfregiarlo così non s’era mai saputo; il ragazzo non aveva mai voluto parlare, tanto grande era stato il suo spavento e così terribili le minacce che gli avevan (← avevano) fatto. Era un ammonimento che davano a Cosimo, e solo ||lui|| sapeva da dove veniva – lui (← lui,) e Michele.

270

michele boschino

p. 112: 15-24. Qualche volta portava… non avevano mai fine.]

D D1 D2

Qualche volta la portava con sé a Monte Ulìa. Allora passavano dalla Cantoniera a prendere Anna e i bambini, e andavano a fare il bucato in un torrente che scorreva in quella stagione sotto Orèsula, mentre Michele lavorava nel mandorleto. All’ora del pranzo Severina lo chiamava, e mangiavano tutti assieme vicino all’acqua. |I bambini giuocavano| (›aErano bI bambini in mezzo‹) tutto il giorno in mezzo agli oleandri, andavano a funghi nel bosco, ›e benché Severina [−] avesse poco da dirsi con sua sorella‹ e la sera arrivava sempre troppo presto per tutti. A casa invece certe giornate non avevano mai fine.

›Qualche volta la‹ Portava (← portava) ›con sé‹ a Monte Ulìa, (← Ulìa.) /Severina, una volta ogni quindici giorni/ ›Allora‹ passavano dalla Cantoniera a prendere Anna e i bambini; (← bambini,) e /le donne/ andavano a fare il bucato in un torrente che scorreva|,| in quella stagione|,| sotto Orèsula, mentre Michele lavorava nel mandorleto. All’ora del pranzo Severina •mandava i bambini a chiamarlo (›lo chiamava,‹) e mangiavano tutti assieme vicino all’acqua. I bambini giuocavano tutto il giorno in mezzo agli oleandri, andavano a funghi nel bosco, e la sera arrivava sempre troppo presto per tutti. A casa invece •le (›certe‹) giornate non avevano mai fine.

B

Qualche volta portava a Monte Ulìa Severina, una volta ogni quindici giorni passavano dalla Cantoniera a prendere Anna e i bambini; e le donne andavano a fare il bucato in un torrente che scorreva, in quella stagione, sotto Orèsula, mentre Michele lavorava nel mandorleto. All’ora del pranzo Severina mandava i bambini a chiamarlo e mangiavano tutti assieme vicino all’acqua. I bambini giuocavano tutto il giorno in mezzo agli oleandri, andavano a funghi nel bosco, e la sera arrivava sempre troppo presto per tutti. A casa invece le giornate non avevano mai fine.

Appendice

271

Capitolo XIII pp. 114-115: 25-26/1-7. Ma bastava un ago … l’aria sottile della montagna.]

D D1 D2

Ma bastava un ago appuntato a capoletto, che gli rammentasse la camicia che aveva rammendato il giorno prima, la roncola dimenticata da Michele dietro la porta di cucina, il solco lasciato dalla ruota del carro vicino al cancelletto del cortile, perché tutto il suo essere fosse pieno di lui. Non lo vedeva né lo pensava distintamente, come quando faceva di lui un abitante di Mamusa, ma lo sentiva come |sentiva| (›si sente‹) quell’aria sottile della montagna.

Ma bastava un ago appuntato al (← a) capoletto, •un ago che, con la gugliata bianca, le facesse pensare alla (›che gli rammentasse la‹) camicia che aveva rammendato il giorno prima, ||oppure|| la roncola •lasciata (›dimenticata‹) da Michele dietro la porta di cucina, /o/ il solco ›lasciato‹ della (← dalla) ruota del carro vicino al cancello (← cancelletto) /nella sabbia/ del cortile, perché tutto il suo essere /balzasse e/ fosse pieno di lui. Non lo vedeva né lo pensava distintamente, come quando faceva di lui un abitante2 di Mamusa; (← Mamusa, ma) lo sentiva come sentiva l’aria (← quell’aria) sottile della montagna.

B

Ma bastava un ago appuntato al capoletto, un ago che, con la gugliata bianca, le facesse pensare alla camicia che aveva rammendato il giorno prima, ›oppure‹ bastava la roncola lasciata da Michele dietro la porta di cucina, o il solco della ruota del carro vicino al cancello nella sabbia del cortile, perché tutto il suo essere balzasse e fosse pieno di lui. Non lo vedeva né lo pensava distintamente, come quando faceva di lui un abitante di Mamusa; lo sentiva come sentiva l’aria sottile della montagna.

2

In D1: /abitatore/ abitante

272

michele boschino

Capitolo XIV p. 121: 17-26. La zia Luisa…e riprese a cucire.]

D D1

Ma la zia |Luisa| (›Aurelia‹) e Aurelia cucivano, la più piccola delle bambine dormiva |su una| (›in una‹) stuoia di sala ai piedi della nonna, Caterina, la più grandicella, ›[−]‹ cuciva anche lei imitando sua madre, e l’altra, Luisicca, teneva in una mano una fetta di pane, nell’altra un grappolo d’uva passa, e ogni tanto staccava un boccone dalla fetta di pane e un chicco dal grappolo, ma sembrava assorta come una persona grande in qualche pensiero, e guardava fuori dalla porta aperta sul cortile. Era uno di quei momenti di silenzio che passano sulle case e prendono tutti, vecchi e bambini.   Sempre con quel vivo senso di gioia che l’era nato, Severina abbassò di nuovo la testa e riprese a cucire.

La (← Ma la) zia Luisa e Aurelia cucivano, la più piccola delle bambine dormiva su una stuoia di sala ai piedi della nonna, Caterina, la più grandicella, cuciva anche lei imitando sua madre, ›e‹ l’altra, Luisicca, ›teneva in una mano una fetta di pane, nell’altra un grappolo d’uva passa, e ogni tanto‹ staccava /ogni tanto/ un boccone da una (← dalla) fetta di pane e un chicco da un grappolo d’uva passa, e (← dal grappolo, ma) sembrava assorta come una persona grande in qualche pensiero›, e guardava fuori dalla porta aperta sul cortile‹. Era uno di quei momenti di silenzio che passano sulle case e prendono tutti, vecchi e bambini.   Sempre •pervasa da (›con quel‹) quel vivo senso di gioia che l’era nato, Severina abbassò di nuovo la testa e riprese a cucire.

Appendice

273

PARTE SECONDA p. 197: 13-18. Così siamo in questa … oppure Donato.]

D D1

Così siamo in questa strana situazione: non c’è nulla, tra il babbo e la signorina Airoli, ›all’inf‹ eppure io mi sento a disagio, e so che gli altri parleranno della cosa, non ci vedranno chiaro e finiranno per sparlarne. Solo un amico del babbo, ›un uomo‹ potrebbe parlargliene francamente, aprirgli gli occhi; oppure Donato.

Così siamo in questa strana situazione: non c’è nulla, tra il babbo e la signorina Airoli, eppure io mi sento a disagio, e •soffro (›so che‹). Gli estranei (← gli altri) parleranno della cosa, non ci vedranno chiaro e •chi sa mai cosa finiranno per inventare (›finiranno per sparlarne‹). Solo un amico ›del babbo‹ potrebbe parlar al babbo (← parlargliene) francamente, aprirgli gli occhi; oppure Donato.

274

michele boschino

pp. 212-213: 16-34/1-15. In questo momento…non ancora morto.]

D D1 D2

  Mi assumo io il peso e la conseguenza della bestemmia. Sono io stesso Michele Boschino. Sono io, disteso, non qui, nella mia camera, nel mio letto, ma sulla branda della rimessa. Ritrovo in me l’abitudine antica della bestemmia. Se il secchio non viene su facilmente dal pozzo, se la zappa s’impiglia in una radice più tenace delle altre e sono costretto a fare uno sforzo che rompe la mia resistenza fatta di lentezza e di misura, se non riesco ad aprire la porta, subito la bestemmia si formula nel mio spirito, mi sale alle labbra, pende minacciosa. Ed ecco che subito il secchio sale docile dal pozzo, la zappa si libera dalla radice, la porta cede, si apre. Le cose si fanno sommesse e timorose intorno a me. Ma non è questa improvvisa docilità delle cose che m’induce a bestemmiare; e neppure la lieve ebbrezza che mi dà la bestemmia. È una tentazione improvvisa, irresistibile. Bestemmierei anche se sapessi che la bestemmia può fulminarmi. La bestemmia mi dà un senso di liberazione, di forza. Spesso, quando penso ai casi della mia vita, tutti legati l’uno all’altro come le maglie di una catena, e mi trovo qui fermo, impotente, e penso che un altro si gode i danari che mio padre e io abbiamo sudato, e che nulla mi rimane più d’attendere dalla vita, se non la minestra che quella puttana di Lavinia ruba in casa dei suoi padroni per portarmela, anche allora bestemmio. È un piacere sempre nuovo. Non mi stanca mai. È un piacere simile a quello che si prova da giovani quando si prende la donna. Mi sem-

  Mi assumo io il peso e la conseguenza della bestemmia. Sono io stesso Michele Boschino. Sono io, disteso, non qui, nella mia camera, nel mio letto, ma sulla branda della rimessa. Ritrovo in me l’abitudine antica della bestemmia. Se il secchio non viene su facilmente dal pozzo, se la zappa s’impiglia in una radice più tenace delle altre e sono costretto a fare uno sforzo che rompe la mia resistenza fatta di lentezza e di misura, se non riesco ad aprire la porta, subito la bestemmia si formula nel mio spirito, mi sale alle labbra, pende minacciosa. Ed ecco che subito il secchio sale docile dal pozzo, la zappa si libera dalla radice, la porta cede, si apre. Le cose si fanno sommesse e timorose intorno a me. Ma non è questa improvvisa docilità delle cose che m’induce a bestemmiare; e neppure la lieve ebbrezza che mi dà la bestemmia. È una tentazione improvvisa, irresistibile. Bestemmierei anche se sapessi che la /mia stessa/ bestemmia può fulminarmi. La bestemmia mi dà un senso di liberazione, di forza. Spesso, quando penso ai casi della mia vita, tutti legati l’uno all’altro come le maglie di una catena, e mi trovo qui fermo, impotente, e penso che un altro si gode i danari che mio padre e io abbiamo sudato, e che nulla mi rimane più d’attendere dalla vita, se non la minestra che quella puttana di Lavinia ruba in casa dei suoi padroni per portarmela, anche allora bestemmio. È un piacere sempre nuovo. Non mi stanca mai. È un piacere simile a quello che si prova da giovani quando si prende la donna.

Appendice

bra di bestemmiare sempre per la prima volta. Per un attimo ho di nuovo trent’anni. Sono giovane. Il passato non ha importanza. Tutto è ancora da cominciare. Se riuscissi a trattenere la forza di quell’attimo, avrei tutto ciò che avevo allora. Come allora conterei i danari sotto la pianella della mia stanza. Saprei quanti altri me ne porterebbe il nuovo raccolto. Quanti me ne mancano per comprare un altro pezzo di terra. Penserei al grano seminato, alla fioritura dei mandorli, alla vigna d’arare, al tempo che fa, al lino che mia moglie tesserebbe sotto il portico, a un bambino che dovrebbe nascermi. Invece tutto è fermo, tutto è arido. Io non ho più radici, sono come un albero sradicato. Le foglie sono appassite, le radici all’aria, e non sono ancora morto.

275

Mi sembra di bestemmiare sempre per la prima volta. Per un attimo|,| ho di nuovo trent’anni. Sono giovane. Il passato non ha importanza. Tutto è ancora da cominciare. Se riuscissi a trattenere la forza di quell’attimo, avrei tutto ciò che avevo allora. Come allora conterei i danari sotto la pianella della mia stanza. Saprei quanti altri me ne porterebbe il nuovo raccolto. Quanti me ne mancano per comprare un altro pezzo di terra. Penserei al grano seminato, alla fioritura dei mandorli, alla vigna d’arare, al tempo che fa, al lino che mia moglie tesserebbe sotto il portico, a un bambino che dovrebbe nascermi. Invece tutto è fermo, tutto è arido. Io non ho più radici, sono come un albero sradicato. Le foglie sono appassite, le radici all’aria, e non sono ancora morto.

B≠ M2  Mi assumo io il peso e la conseguenza della bestemmia. Sono io stesso Michele Boschino. Sono io, disteso, non qui, nella mia camera, nel mio letto, ma sulla branda della rimessa. Ritrovo in me l’abitudine antica della bestemmia. Se il secchio non viene su facilmente dal pozzo, se la zappa s’impiglia in una radice più tenace delle altre e sono costretto a fare uno sforzo che rompe la mia resistenza fatta di lentezza e di misura, se non riesco ad aprire la porta, subito la bestemmia si formula nel mio spirito, mi sale alle labbra, pende minacciosa. Ed ecco che ›subito‹ il secchio sale docile dal pozzo, la zappa si libera dalla radice, la porta cede, si apre. Le cose si fanno sommesse e timorose intorno a me. Ma non è questa improvvisa docilità delle cose che m’induce a bestemmiare ||e in tentazione||; e neppure la lieve ebbrezza che mi dà la bestemmia. È una tentazione improvvisa, irresistibile. Bestemmierei anche se sapessi che la mia stessa bestemmia ||può ricadere su di me all’istante e|| può fulminarmi. La bestemmia mi dà un senso di liberazione, di forza. Spesso, quando penso ai casi della mia vita, tutti legati l’uno all’altro come le maglie di una catena, e mi trovo qui fermo, impotente; (← impotente,) e penso che un altro si gode i danari che mio padre e io abbiamo sudato, e che nulla mi rimane più d’attendere dalla vita, se non la minestra che quella puttana di Lavinia ruba in casa dei suoi padroni per portarmela, anche allora bestemmio. È un piacere sempre nuovo. Non mi stanca mai. È un piacere simile a quello che si prova da giovani quando si prende la donna. Mi sembra di bestemmiare sempre per la prima volta. Per un attimo, ho di nuovo trent’anni. Sono giovane. Il passato non ha importanza. Tutto è ancora da cominciare. Se riuscissi a trattenere la forza di quell’attimo, avrei tutto ciò che avevo allora. Come allora conterei i

276

michele boschino

danari sotto la pianella della mia stanza. Saprei quanti altri me ne porterebbe il nuovo raccolto. Quanti me ne mancano per comprare un altro pezzo di terra. Penserei al grano seminato, alla fioritura dei mandorli, alla vigna da arare (← d’arare), al tempo che fa, al lino che mia moglie tesse (← tesserebbe) sotto il portico, a un bambino che deve (← dovrebbe) nascermi. Invece tutto è fermo, tutto è arido. Io non ho più radici, sono ›come‹ un albero sradicato. Le foglie sono appassite, le radici all’aria, e non sono ancora morto.

M2  In questo momento me ne assumo io stesso il peso e la conseguenza. Sono io stesso Michele Boschino. Sono io, disteso, non qui, nella mia camera, nel mio letto, ma sulla branda della rimessa. Ritrovo in me l’abitudine antica e tenace. Se il secchio non viene su facilmente dal pozzo, se la zappa s’impiglia in una radice, e sono costretto a fare uno sforzo che fiacca la mia resistenza fatta di lentezza e di misura, se la porta non cede alla spinta della mia mano, ecco che la parola terribile si formula nel mio spirito e pende minacciosa. Ed ecco che il secchio sale docile dal pozzo, la zappa si libera dalla radice, la porta si apre. Le cose si fanno sommesse e silenziose intorno a me in un vuoto di vertigine. Ma non è questa improvvisa e timorosa docilità delle cose che m’induce in tentazione e neppure l’ebbrezza leggera che mi dà, come un bicchier di vino a digiuno. È un bisogno di rivolta inutile e triste, una finzione di calma, come chi, nella mente, rinuncia alla ragione più profonda e misteriosa dell’esistenza, ed esca e s’affacci al di fuori di se stesso. Per un attimo ho di nuovo trent’anni. Sono giovane. Tutto è ancora da cominciare. Se riuscissi a trattenere la forza illusoria di quell’attimo, a fissare quel patto sacrilego, sentirei ancora il telaio battere sotto il loggiato, e la voce di Severina. Conterei mentalmente il danaro nascosto sotto un mattone a piè del letto. Saprei quanti scudi v’aggiungerei al nuovo raccolto, quanti me ne mancano per comprare un altro pezzo di terra. I miei pensieri sarebbero pieni e fecondi. Avrei negli occhi chiusi il grano seminato, la fioritura dei mandorli, la vigna da arare al tempo giusto. E un bambino dovrebbe nascermi e io lo aspetterei come si aspetta la maturazione di un frutto.   Invece tutto è fermo, tutto è arido, la leggera ebbrezza se ne va e il presente si distende ancora intorno a me come un campo pieno di sassi. E io sono un albero sradicato e non ancora morto.

Appendice

277

p. 224: 7-13. Se ne avesse parlato … improntitudine giovanile?]

D D1

Se un altro avvocato, uno del mestiere, gliene avesse parlato al mio posto, la questione di Boschino sarebbe potuta diventare ciò che essi chiamano un caso elegante. Pura forma. Ma io, che c’entro? Io sono un profano. Solo l’improntitudine giovanile può avermi indotto a parlare di questo con l’avvocato. Perché cos’è l’interesse morale, umano, disinteressato, se non improntitudine giovanile? Solo per un momento l’avvocato Colliva può essersi abbandonato a pensare che io parlassi con lui di cose serie. E passato quel momento, io sono tornato per lui, il ragazzo di sempre; e lui mi ha battuto sulla spalla dicendo come al solito: «Beh! Come va?».

Se ›un altro avvocato, uno del mestiere, glie‹ne avesse parlato •con un altro avvocato, con uno del mestiere, (›al mio posto,‹) la questione di Boschino sarebbe potuta diventare ciò che essi chiamano un caso elegante. Pura forma. Ma io, che c’entro? Io sono un profano. Solo l’improntitudine giovanile •poteva (›può‹) avermi indotto a parlare di questo con •lui (›l’avvocato‹). Perché cos’è l’interesse morale, umano, disinteressato, se non improntitudine giovanile? ›Solo per un momento l’avvocato Colliva può essersi abbandonato a pensare che io parlassi con lui di cose serie. E passato quel momento, io sono tornato per lui, il ragazzo di sempre; e lui mi ha battuto sulla spalla dicendo come al solito: «Beh! Come va?».‹

Appendice B

M1   Iª edizione: Milano, Edizione Mondadori, (luglio) 1942.

Avantesto Q

Studi per Michele Boschino1

descrizione del quaderno 1 Il primo quaderno di abbozzi (Q - GD.1.2.1) reca nella copertina illustrata il titolo Studi per Michele Boschino. Esso è a righe e il testo – composto verosimilmente tra il 1939 e il 1942, generalmente in pulito e con poche correzioni autografe a penna e a matita rossa – è contenuto entro sei carte numerate nel recto e in cifre arabe da mano aliena (probabilmente del catalogatore). Ogni carta misura 204x150 mm. La scrittura, di una mano, è distribuita su 22 righe nel recto e nel verso, tranne la carta numerata 6, il cui specchio è contenuto nelle 21 righe; essa è corsiva, inclinata verso destra, con un angolo di 45° circa, prodotta con un inchiostro nero. Il tratteggio, morbido, si caratterizza per l’ampio calibro dei caratteri e per gli allunghi sopra la media. Il ductus appare uniforme per intensità, ampiezza ed altezza. Lo stato di conservazione del testimone è buono.

Q – Copertina

Appendice

Sabina si legò il grembiale alla vita, si fasciò il mento con le cocche del fazzoletto rimboccate l’una sotto l’altra in modo da lasciare appena scoperta la bocca, e si pose sulla testa la corba vuota. Dritta come un fuso, con i neri vestiti vedovili che la facevano apparire anche più magra, fece un mezzo giro su se stessa, e con una sola occhiata ispezionò la stanza prima di uscire e chiudere la porta: il tavolo spaccato e lustrato per tutta la lunghezza e annerito dal tempo, le rustiche seggiole contro il muro, i ‹ventagli› di cartoline illustrate sotto le rotonde paniere grandi come ruote di carro e infiocchettate di sbiaditi nastri di lana, i cesti d’aranci da portare // a vendere ad Acquapiana il giorno dopo. Girò due volte la grossa chiave nella toppa, scosse la porta per vedere se fosse chiusa a dovere. Un’occhiata al cancelletto del portico del forno, alla legnaia, sempre diritta, alle finestre delle case prospicienti al vasto cortile scosceso e roso dalle piogge, poi, sempre tenendo in equilibrio la corba sulla testa, con un movimento da acrobata si chinò rapida e nascose la chiave in un buco del muro a livello del suolo. I suoi occhi chiari come quelli delle capre nel viso segnato da una costante volontà di difesa e, in quel momento, da un pensiero che l’assorbiva e stimolava tutte le sue energie di donna // abituata a difendersi da sola in un mondo malevolo o nemico, diedero intorno un’altra occhiata sospettosa. Calcolò l’ora, il tempo che avrebbe impiegato ad arrivare

1. vita, si fasciò] vita, ›alo bs’aggiustò il fazzoletto sotto‹ si fasciò     3. si pose] •si pose (›portandosi‹)     6. ispezionò] |ispezionò| (›‹abbra›‹)     7. porta: il tavolo] porta: ›Sabrina non aveva mai visto un teatro‹ il tavolo      8. e lustrato] /.e lustrato/     8-9. le rustiche seggiole] ›ae le, bgli cseggi‹ le rustiche seggiole     11. nastri di lana, i cesti] |nastri| (›‹stracci›‹) di lana, ›la grande [−]‹ i cesti     13. grossa] /grossa/  ◆  toppa, scosse] toppa, ›se la infilò nella cintura‹ scosse     15. del portico] del ›forno‹ portico  ◆  alla legnaia] ›[−]‹ alla legnaia  ◆  diritta] ›[−]‹ diritta     16. al vasto cortile] al ›cortile‹ vasto cortile     17. tenendo] ›con‹ tenendo     18. movimento da acrobata] movimento |da acrobata| (›rapido da acrobata‹)  ◆  rapida] /rapida/     20. capre nel] capre ›[−]‹ nel     23-24. malevolo o nemico] |malevolo| (›nemico‹) o ›[−]‹ nemico     25. arrivare] |arrivare| (›andare‹)     

283

5

10

15

20

25

284

5

10

15

20

25

30

michele boschino

all’orto di Battista Aricutu, e quello che ci avrebbe messo Carmela a tornare dal fiume. Le premeva tornare a casa prima della figlia minore in modo da mandarla, come le sere precedenti, in casa di sua sorella Rosa. Per ora era bene che i Giovanni Batrila non trovasse in casa altri che lei e Luciana. Voleva però parlare con Erica, quella sera, e prevenirla, perché sentiva che la tempesta stava per scoppiare. Erica, bisognava prevenire, e anche le sorelle: Rosa, Lucia e Anna, perché a loro volta // lavorassero i loro uomini, se no, questa volta, non avrebbe evitato le legnate che suo zio Martino le aveva promesso. Sfortunatamente una donna non può far nulla senza dar conto ai parenti. Lei se n’era sempre infischiata, e aveva sempre fatto ciò che le era tornato utile, ma pure bisognava, almeno in apparenza, sottomettersi, se si voleva vivere in pace. Eppoi essa aveva bisogno del loro aiuto. Dell’aiuto di tutti i parenti, femmine e maschi. Uscì dal cortile, chiuse anche, con cura, il cancelletto di legno, e nascose la chiave in un buco del muro, dalla parte interna, passando il suo magro braccio tra le stecche, benché chiunque, salendo, potesse entrare nel cortile // scavalcando l’altro cancello, largo come una porta carraia, e da cui appunto, in altri tempi, entrava il carro, quando viveva il marito. Ma non nessuna casa di Ruinalta aveva porte che non si potessero buttar giù con una spallata, cancelli che non si potessero scavalcare. Le serrature dei cancelli erano le stesse di cento, di mille, di duemila anni fa: serrature di legno, con chiavi di legno a due o tre denti, che potevano essere facilmente sostituite dalle dita con l’aiuto di uno stecco manovrato abilmente. Se non che, chiudere una porta, o un cancelletto, non significa altro, per la // gente di Ruinalta che, chiudere un circolo magico entro il quale ci si sente al sicuro. Non è un simbolo. È molto di più. Dentro 1. ci] /ci/     1-2. messo Carmela] |messo Carmela| (›impiegato Carmela‹)     4. di] di (›del‹)  ◆  Per] ›[−]‹ Per     8. le] le (›gli‹)     9-10. se no, questa] se no, ›|l’avrebbero| (›l’avrebbe‹)‹ questa     16-17. maschi. Uscì] maschi. ›Chiuse anche con cura il cancell‹ Uscì     19. stecche] stecche ›di legno‹     21. l’altro] |l’altro| (›il‹)     23. non nessuna] non ›[−]‹ nessuna     27. legno, con chiavi] legno, ›usate certo dagli antichi che si potevano‹ con chiavi   

Appendice

il circolo magico si dorme sicuri, e si può lasciare sicuri la propria casa, nella quale resta sempre una parte della nostra anima mentre noi siamo assenti. Noi possiamo andare su le strade con una corba in testa, guardare la gente, salutare e rispondere ai saluti, comprare e vendere, ascoltare e rispondere, e la nostra anima sta seduta nella casa, come un odore che un soffio di vento può portarsi via, seduta al sicuro al centro del circolo. Sabina passò davanti alle // finestre di Maurilia Cabras e diede un’occhiata rapita e penetrante, ma di quelle occhiate che penetrano da uno spiraglio e girano tutta la casa e guai se incontrano qualcuno perché lo colpiscono diritto al cuore e per un momento gli troncano il respiro. Guardò una dopo l’altra le finestre. In una sala c’era luce: quella del salotto. Sabina sapeva che lì stavano i ragazzi e le ragazze, la sera, a ricamare, a scrivere, a giocare a dama o a poker, Giulia, Ines, Paolo, Emanuele… mentre la vita vera si svolgeva nelle stanze in fondo che davano all’altra strada. Quelle finestre erano più alte e protette da inferriate. Non si vedeva dalla strada la famiglia della vedova // Maurilia Cabras intorno alla tavola riccamente imbandita, né si vedeva la ricca e fonda cucina, né le stanze piene di ogni ben di dio. Qui nella stanza illuminata, rivedeva il soffitto dipinto, i tendaggi, il gambo del lampadario sotto il quale stava, Sabina lo sapeva, una tavola tonda sul [sic] quale Eugenia posava il suo cestino da lavoro e Ines ed Emanuele i loro libri e i loro quaderni. Gli altri stavano seduti sul sofà. Domani o dopo avrebbero saputo che loro cugino, Giovanni Babila, figlio di Edoardo Babila e di Alina Erides, unico erede s’era fidanzato con Luciana Zae. // La tempesta sarebbe scoppiata. Ma Sabina è abituata alle tempeste è abituata alla siccità. Non teme nulla. Quando la gente si sarà sfogata ben bene,

13. al cuore…troncano] al cuore /e per un momento/ gli |troncano| (›danno‹)     15. ragazzi e le ragazze] ragazzi ›la sera a‹ e le ragazze     16. a ricamare] a |ricamare| (›giocare‹)     16-17. Giulia, Ines, Paolo, Emanuele…] /Giulia, Ines, Paolo, Emanuele…/     20-21. intorno alla tavola] |intorno alla tavola| (›a tavola‹)     25. posava] |posava| (›teneva‹)     29-30. s’era fidanzato] ›[−]‹ s’era fidanzato     31. è abituata] ›com’‹ è abituata     

285

5

10

15

20

25

30

286

5

10

15

20

25

michele boschino

questo fatto rimarrà: Luciana fidanzata a Giovanni Babila, Giovanni Babila compromesso, impegnato, e tutti i parenti di lei, Sabina, e del suo povero marito, maschi e femmine, impegnati a difendere l’onore della famiglia. Chi sa! Sabina aveva, su questo punto, i suoi dubbi; ma tuttavia qualcosa sarebbe rimasta: il ragazzo era già fin troppo legato, «cotto» era, e non capiva più nulla. Non avrebbe mai immaginato che sua figlia potesse far perdere // la testa a un uomo, né che un uomo potesse perderla a quel modo. Lei era avvezza a vedere gli uomini infoiati sì, ubriachi di desiderio, ma non pazzi come questo. Perché era pazzo, così tranquillo, discreto, e risoluto a non lasciarsi smuovere nei suoi propositi. Sembrava che neppure la desiderasse, Luciana. Lei, Sabina, non sapeva cosa facevano quand’erano soli, ma tutto lasciava pensare che Luciana dicesse la verità quando affermava che non le aveva mai messo le mani addosso. Diceva di voler fare scuola a Luciana, e le aveva portato libri e quaderni. Pazzo era. Un pazzo quieto. E // lei non era donna da lasciarsi sfuggire un’occasione simile. V’erano nove probabilità su dieci che la cosa non riuscisse: ma v’era pur sempre, su dieci, una probabilità. E se anche qualcosa, Dio non voglia, fosse successa alla ragazza… Ma a questa probabilità Sabina non vuol neppure pensare. È troppo sicura di sé, e oramai è troppo tardi, in tutti i casi, per metterlo fuori dalla porta. In casa Babila tutte le finestre sono spente. Questa è la finestra dello studio di Edoardo, questo il salotto, questa la stanza da lavoro di Alina.

10. ubriachi] ›ma‹ ubriachi     17. e le aveva] e /le/ aveva     26. spente] / chiuse/ spente     27-28. Edoardo, questo…Alina] Edoardo, ›che [−]‹ questo il salotto, questa la stanza da lavoro •di (›dove‹) Alina ›andava a sedersi la sera‹

Appendice C

P   «Primato. Lettere e arti d’Italia», II, 7 (1 aprile 1941) - Copertina.

Appendice

289

I «Primato. Lettere e arti d’Italia» [II, 7 (1 aprile 1941), pp. 9-11 (P)] il cui testo corrisponde, con alcune difformità redazionali, in larga parte al VI capitolo del romanzo, con brani, sempre parzialmente modificati, del X.

M2 P X

Michele Boschino

Per questo, quando sua madre fece quell’insinuazione maligna attribuendola alle chiacchiere della gente, Michele finse di non aver sentito. Cosa potevano sapere, la gente e sua madre, di Severina? Chi la conosceva meglio di lui? Eppoi capiva bene che era tutto un trucco di Maddalena per farlo parlare. Nessuno sapeva nulla, nessuno. “Eh no!” disse egli tra sé come se rispondesse a sua madre, “Eh no! Lo saprete quando vorrò dirvelo io. Domani, forse. Forse anche domani, forse tra una settimana. Ma ora no”. Era estranea a questo proposito l’intenzione di punirla per quelle parole imprudenti. Non voleva parlare di Severina con nessuno, non poteva. Era certo che Severina non aveva ancora detto nulla neppure a sua sorella; e anche lui voleva fare lo stesso con sua madre. Non solo gli estranei non dovevano sapere nulla prima del tempo, ma neppure la gente di casa. Voleva continuare a pensare tutto solo a quel fatto ch’era accaduto. Era padrone di tenersi ancora quel segreto, di nutrirlo dentro di sé. E questa possibilità gli dava un piacere intenso.

Quando Michele seppe da sua madre ciò che la gente an­dava dicendo sul suo conto, non ci fece nessun caso, né s’addolorò per il fatto che lei gli ripetesse quelle parole: «Dicono che ti sei messo a far l’amore con una poco di buono». Aveva anche capito che sua madre si pentiva di quelle parole proprio mentre gliele ridiceva, e che ciò nonostante era pronta ad approfittare del loro effetto per sa­pere. «Eh, no!» disse tra sé Michele «lo saprete quando vorrò dirvelo. Domani, forse. Forse domani stesso. Forse tra una settimana. Ma ora no». Era estranea a questo pro­posito di tacere l’intenzione di punire sua madre per quel­ le parole. Non aveva nessun rancore, ma non voleva par­larle di Severina, per ora. Era certo che Severina non ave­va detto nulla a sua sorella di ciò che era accaduto tra loro nel capanno; e anche lui voleva mantenere il segreto. Dire il nome della ragazza, in quel momento, sarebbe sta­to, per lui, come fare un’aperta confessione. Quando aveva fantasticato, prima, che al posto di Severina ci fosse An­gela, aveva immaginato ciò che la gente avrebbe

di Giuseppe Dessì

290

  Se pure era rimasto, in fondo a questa stanchezza e a questo avvilimento, un istinto tenace che lo legava alla vita, egli non lo aveva sentito che come un torbido e indeterminato bisogno di rivolta. E contro chi? Forse contro la gente di Sigalesa, forse contro suo padre stesso, che se n’era andato così, in silenzio, portandosi via il meglio della vita. Quando, allontanandosi pian piano nel tempo, dietro le piogge e le nebbie dell’inverno, quegli avvenimenti che l’avevano sconvolto, sentì ripullulare la vita, non dentro ma fuori di sé, in quel campo che aveva arato e seminato senza fiducia, nel quale s’era rifugiato come un animale ferito che cerca un luogo solitario per lasciarsi morire in pace, in quel grano che veniva su rigoglioso nonostante la cattiva annata, un senso di salute e di calma cominciò pian piano a ristorarlo, qualche cosa che era ancora fuori di lui, nel vento che passava sulle spighe come una mano, nel tepore dell’aria. Amava già, allora, il podere di Monte Ulìa, ma come si ama un luogo che bisogna lasciare.   La gioia di rivedere Severina si confuse con questo senso di salute e di calma della stagione. Egli non l’avvertì neppure. Pensava invece ad Angela. Anche con lei avevano cominciato a salutarsi e a sorridersi senza nessuna ragione al mondo. Immaginò come sarebbe stato bello se, al posto di quella sconosciuta, ci fosse stata Angela, ma venuta anche lei di fuori, da un paese lontano, e che nessuno di Sigalesa l’avesse mai vista prima, che nessuno potesse dire d’averle sfiorato una mano.

michele boschino

detto di un’Angela nuova, sconosciuta, egli non faceva altro che medicare la sua vecchia ferita; ma della gente non gliene importava nulla. Non gli importava di quello che dicevano ora che non sapevano ancora nulla di preciso, e inventa­vano una quantità di storie per arrivare a scoprir la ve­ rità, né di quello che avrebbero detto poi. Ora sentiva sol­tanto fastidio della gente, e voleva pensare tutto solo a Se­verina e a quello che era capitato. Era padrone di tenersi quel segreto, di nutrirlo dentro di sé. Nessuno poteva im­ pedirglielo. Questa possibilità gli dava un piacere intenso, ma indipendentemente dai possibili commenti della gente. Quando suo padre, tanti anni prima, era stato arrestato, tutti, tranne i parenti di Salvatore e di Benedetto, si era­no schierati dalla sua parte mostrando chiaramente quale fosse la loro opinione, tutti avevano avuto una parola di commiserazione per Maddalena e per lui. Nel dolore s’e­rano sentiti confortati da quel consenso, da quella simpa­ tia della gente. La gente allora era importante, per Miche­le. Ciò che la gente pensava e diceva aveva un significato, per lui. E la gente erano i parenti di sua madre, lo zio Teo­doro e la zia Luisa, che venivano a sedersi in cucina per tener compagnia a Maddalena, erano le vicine di casa, che in quei giorni di lutto non cantavano più quando si mettevano al telaio o a far la farina, erano le donne sedute davanti alle porte del vicolo, che lo salutavano in silenzio quando lui passava, e parlavano sotto voce tra loro, erano tutti quelli che conosceva soltanto di vista e che, in quella occasione, con una VI parola, con un saluto o anche tacendo mostravano di sapere che suo padre Quando suo padre, tanti anni pri- era innocente. Allora la sua certezza ma, era stato arrestato, tutti, tranne che suo padre venisse messo in libertà

Appendice

i pochi amici di Salvatore e di Benedetto, s’erano messi dalla sua parte, tutti dicevano che aveva fatto bene a difendersi. Nella disgrazia, lui e sua madre s’erano sentiti confortati da quel consenso, da quella solidarietà della gente. La gente allora era molto importante per lui. Gli parevano tutti amici. Non solo la zia Luisa e lo zio Teodoro con Aurelia e Marietta venivano a sedersi in cucina, la sera, a tener compagnia a Maddalena, ma anche i vicini di casa. In quei giorni di lutto, in tutto il rione, le donne non cantavano più, quando si mettevano al telaio o a far la farina. Sedute in crocchio davanti alla porta, nel vicolo, lo salutavano quando passava coi buoi per portarli all’abbeverata, e parlavano sottovoce della disgrazia che aveva colpito Giuseppe. Anche le persone che conosceva soltanto di vista, con un saluto, con un sorriso, o anche tacendo, mostravano di sapere, gli testimoniavano la loro solidarietà. In quei giorni trovava facce amiche dappertutto, anche fra gli estranei. La certezza che suo padre venisse messo in libertà dopo il processo s’era fondata soprattutto su questa solidarietà della gente. I giudici non avrebbero dovuto fare altro che chiedere a tutto il paese com’erano andate le cose, chi era Giuseppe Boschino. Ma proprio al processo si vide poi che cosa valesse questa simpatia e fin dove arrivasse questa solidarietà. Tutti quelli ch’erano stati chiamati a testimoniare in favore di Giuseppe non avevano saputo sostenere, là nell’aula, ciò che avevano sempre pensato; nessuno disse la cosa più semplice, quella che i giudici stessi forse ammettevano, che Giuseppe era un uomo mite, che aveva colpito per difendersi, mentre i fratelli erano violenti e caparbi e già altre volte lo avevano picchiato a sangue. Davanti

291

dopo il processo, s’era fondata sopratutto in questa solidarietà della gente. I giudici non avrebbero dovuto fare altro che informarsi, chiedere a tutto il paese come erano andate le cose, chi era Giuseppe Boschino. Ma cosa veramente va­lesse l’opinione della gente si vide poi al processo. Tutti quelli che erano stati chiamati a testimoniare in favore di Giuseppe non avevano saputo sostenere là nell’aula ciò che avevano detto fino al giorno prima. Nessuno disse neppure la cosa più semplice, di cui tutti erano convinti, che Giuseppe era un uomo mite, che ì suoi fratelli erano dei violenti, che lui non aveva mai alzato la mano su nes­ suno, prima d’allora, mentre i fratelli già altre volte lo avevano picchiato a sangue. Nessuno aveva detto che Giu­seppe aveva colpito solo per difendersi. Nessuno. Sem­ brava che quel lugubre apparato di toghe, di parole incom­prensibili, di gendarmi, e il chiuso stesso di quelle aule avessero insinuato un sospetto di colpevolezza che prima non aveva neppure sfiorato le loro menti. Davanti al ban­co, i testimoni si limitavano a rispondere secchi secchi alle domande che venivano loro rivolte da quei signori togati, i quali sorridevano tra loro inchinandosi e facevano la fac­cia severa e grave quando si rivolgevano ai testimoni. Ave­vano la faccia severa della legge, sconosciuta e terribile, della legge che sta per colpire un uomo che fino al giorno prima era occupato ad arare tranquillamente il suo campo, dalla legge che può colpire tutti, come un colpo di acci­dente. Non era la prima volta che si vedeva un testimonio cadere nelle mani della Giustizia solo per essersi contrad­ detto. Bisognava stare bene attenti a non dire la verità intera, ma solo quei fatti che tutti sanno, e che, nell’opi­nione comune,

292

al banco, si limitavano a rispondere secchi secchi alle domande che venivano loro rivolte da quei signori togati, i quali sorridevano tra loro inchinandosi ma facevano la faccia severa e grave quando si rivolgevano ai testimoni. Avevano la faccia severa della legge, della legge sconosciuta, terribile, della legge che può colpire un uomo che fino al giorno prima arava pacificamente il suo campo, della legge che può prendere tutti come un colpo d’accidente. Non era la prima volta che si vedeva incriminare un testimonio solo per essersi contraddetto. Bisogna stare attenti a non dire la verità tutta intera, ma solo quei fatti che s’accordano con altri già provati e accettati. I testimoni della difesa non si preoccupavano di Giuseppe, badavano a mettere al riparo se stessi, a evitare domande pericolose, e quando potevano si limitavano a rispondere soltanto sì e no, per non tirarsi addosso guai. La loro opinione era una cosa, la Giustizia un’altra. Anche l’avvocato difensore, in mezzo a quell’apparato di toghe e di gendarmi, aveva la stessa faccia severa di quegli altri signori, e disse sul conto di Giuseppe cose stranissime. Disse, per esempio, che Giuseppe era un uomo fiero, di quegli uomini di tempra antica che formano il fiore della razza del Centro; mentre Giuseppe, in realtà era soltanto mite e saggio. E Michele, quando poi restò solo con Maddalena, che non poteva patire l’ingiustizia subita e continuamente imprecava contro l’avvocato, che aveva voluto i suoi onorari benché non fosse riuscito a far nulla, e contro i giudici, e contro i testimoni, e contro i falsi amici, cercava rifugio e conforto nel ricordo di quella saggezza. La colpa non era dell’avvocato, egli lo sapeva bene. Se n’era reso conto subito, di questo. Neanche a lui i

michele boschino

s’accordano tra loro, dire il minor possibile di fatti, dire soltanto sì e no, possibilmente. I testimoni della difesa non difendevano Giuseppe, badavano a met­tere al riparo se stessi, prima di tutto, a non tirarsi addosso dei guai. Per questo erano stati molto prudenti anche con l’avvocato difensore. La loro opinione era una cosa, la Giustizia un’altra. Anche l’avvocato faceva parte della Giustizia, in fondo, parlava come gli altri e aveva la stessa faccia degli altri.   Se Michele non lo avesse conosciuto prima, non a­vrebbe certo capito che era lui che doveva difendere suo padre. L’avvocato disse cose stranissime sul conto di Giu­seppe. Disse che Giuseppe era un uomo fiero, di quegli uomini di tempra antica che formano il fiore della razza del Centro; e molte altre cose che Michele non poteva ca­pire e che nessuno degli abitanti di Sigalesa chiamati in città per il processo poteva capire. Ma la colpa non era dell’avvocato. Michele se ne rese conto subito che la colpa non era dell’avvocato. Neanche a lui i testimoni della di­fesa avevano detto le sole cose che importava dire, neanche con lui avevano osato accusare Salvatore e Benedetto, per­ché avevano capito che egli si sarebbe valso delle loro pa­role e li avrebbe costretti a ripeterle, quelle parole, nel­l’aula del tribunale, in faccia a tutti. Ora, cosa c’entravano loro, con la Giustizia? Eppoi, ammettendo anche che Giu­seppe venisse assolto, Giuseppe era un uomo mite, mentre Salvatore e Benedetto non avrebbero perdonato chi li a­vesse accusati. Questo avevano fatto i testimoni di difesa, la gente. E un mutamento ancora più strano Michele lo aveva notato dopo la condanna. C’era ancora chi commi­serava Giuseppe, e forse sinceramente, che tanto non co­stava nulla;

Appendice

testimoni della difesa avevano detto le sole cose che importava dire: non osavano accusare apertamente Salvatore e Benedetto. Sapevano che l’avvocato si sarebbe valso delle loro parole e li avrebbe costretti a ripeterle nell’aula. Ora, con Salvatore e Benedetto Boschino non c’era tanto da scherzare. Non erano uomini di buona pasta come Giuseppe, quelli. Ecco cosa avevano fatto i testimoni della difesa, la gente!   Cosa sarebbe accaduto ora, se dalla deposizione di Antonio Màsala, o da qualche altro indizio, si scopriva che c’erano anche Cosimo Aneris e lui, quella sera? O se la stessa persona che aveva avvertito Antonio Màsala faceva la spia? Chi lo avrebbe difeso? Chi avrebbe creduto che lui stesso aveva subìto una violenza? Meglio non pensarci neppure. Non contava nulla essere onesti e miti come suo padre. Nulla! Quando Giuseppe era stato portato lontano, in una città del Continente, per scontare la sua pena, mentre Salvatore e Benedetto continuavano pacificamente la loro vita di sempre, non si parlava più, in paese, dell’innocenza di suo padre. La gente, che pure non credeva alla Giustizia, aveva finito per accettare la sentenza come una cosa giusta, e si stancavano dei piagnistei e delle recriminazioni di Maddalena. Persino i parenti se ne stancavano. E loro due erano rimasti soli come un orfano e una vedova, tra l’indifferenza di tutti, sempre sul chi vive, come bestie selvatiche. «Aspetta che tuo padre rimetta piede in paese, e poi vedrai che fine fanno quei cani» diceva Maddalena. «Anche se poi me lo riportano via per sempre non me ne importa, ma la devono pagar cara». Ma quando suo padre, dopo due anni di carcere, era tornato, Michele lo aveva ritrovato sereno e tranquillo

293

ma tutti quelli che avrebbero dovuto testimo­niare in favore di suo padre, non guardavano più in faccia, ora, ne lui né Maddalena, come se si fossero dati una pa­rola d’ordine. Non si parlava più dell’innocenza di Giu­seppe. L’opinione che tutti si erano fatti del gesto violento a cui Giuseppe era stato tratto dall’improntitudine dei fra­telli, ora non contava più: contava la sentenza del tribuna­le. La gente, che non credeva alla Giustizia, aveva finito per , accettare la condanna come una cosa giusta. Lui e sua madre furono messi da parte. In ogni occasione Maddale­ na ricordava la sua disgrazia: «Sono una donna sola, sono come una vedova, e tutti vogliono approfittare di me p. La gente si stancava di questi piagnistei continui, e Madda­ lena sempre più si accaniva, s’arrovellava per l’indifferen­za della gente. E anche Michele, sentendo sua madre con­ tinuamente così agitata, stava con tutti sulla difesa, in so­spetto, e tutti, anche i parenti dì sua madre, finivano per allontanarsi da loro.   Anche allora la gente aveva per lui una grande importanza: erano tutti nemici, tutti contro di loro. Poi, quando suo padre, dopo due anni di carcere era tornato in paese, con meraviglia Michele lo aveva trovato sereno come un tempo, persino allegro, come se la disgrazia non lo avesse neppure toccato; e con meraviglia ancora più grande lo ascoltava dire, quando Maddalena o lui stesso gli raccontavano i torti che avevano subito da parte dei finti amici, che la gente aveva ragione a non volersi immischiare in una faccenda che la riguardava, che alla gente non bisognava mai chiedere niente. «Cosa possono fare, la gente?» diceva. Se io mi rompo una gamba «Se io mi rompo una gamba, cosa ci possono fare, gli altri?

294

come un tempo, e persino allegro, come se la disgrazia non l’avesse neppure sfiorato. Che sollievo era stato quel ritorno, per Michele! Com’era ridiventata subito facile e serena la vita! «Cosa ci possono fare, la gente?» diceva Giuseppe. «Se io mi rompo una gamba, cosa ci possono fare gli altri? Il male non l’ho fatto a Benedetto, quando gli ho spaccato la testa, l’ho fatto a me, a te, poveretta, e a questo innocente». Non serbava rancore. Era lui il primo a salutare le persone che incontrava, anche i testimoni che, per paura di Salvatore e di Benedetto, non avevano osato dire una parola in suo favore; si fermava a parlare, chiedeva notizie della salute, della famiglia, degli affari. E quelli, allegri, espansivi, amici come prima; e con la stessa cordialità salutavano Michele, come se anche lui fosse stato via dal paese in quei due anni e lo rivedessero per la prima volta. Così era fatta la gente. Solo i fratelli non aveva voluto rivedere, Giuseppe, benché gli avessero mandato a dire più volte che desideravano salutarlo; non perché serbasse rancore, ma per prudenza. Era pericoloso parlare con loro. Una parola, anche innocente, poteva tirarne un’altra, non si sapeva mai dove s’andava a finire. Meglio ognuno per suo conto, una volta per sempre.   Così era cresciuto, all’ombra di questa tranquilla saggezza, la cui luce gli pareva di scorgere ancora negli occhi del morente che ogni tanto si volgevano a lui dal viso immobile. Era cresciuto come un pollone giovane ai piedi di un grande albero. Lavorare in campagna con lui, come quando era bambino, trattare con le persone con cui lui trattava, ritrovare sempre, dovunque, in tutti, la sicurezza, la fiducia, la simpatia perfino che venivano da lui, rendeva la vita agevole e

michele boschino

Il male non l’Ho fatto a Benedetto, quando gli ho dato il colpo di zappa: a me l’Ho fatto, e a mio figlio». «E a me no?» diceva Maddalena. «Sicuro, anche a te» ammetteva Giuseppe soprapensiero. Non serbava rancore a nessuno. Era lui il primo a salutare le persone che incontravano, anche i testimoni che non avevano osato dire una parola in suo favore per paura di Salvatore e di Benedetto; si fermava a parlare, chiedeva notizie della salute, della famiglia. E quelli, allegri, espansivi, amici come prima del processo; salutavano con la stessa cordialità anche Michele, come se anche lui fosse stato via dal paese in quei due anni. Così era fatta la gente. Solo i fratelli non aveva voluto rivedere, Giuseppe, benché gli avessero mandato a dire che desideravano venire a salutarlo; non perché serbasse rancore; ma per prudenza. Era pericoloso parlare con loro non erano come la gente estranea che può dire e far ciò che vuole senza toccarci: con loro una parola poteva attirarne un’altra impreveduta, non si sapeva mai dove si andava a finire. E Michele sentiva che suo padre faceva bene a essere indifferente, riguardo agli estranei invece di prendersela come Maddalena. «Ora tutto è finito» diceva Giuseppe «bisogna dimenticar tutto». Sentiva che aveva ragione, ma non poteva far a meno di chiedersi, in certi momenti, perché tutti si fossero comportati così, perché tutti erano stati così ingiusti.   La sua giovinezza era così cresciuta all’ombra di quella tranquilla saggezza. Il dolore e la mortificazione s’erano dissipati. Lavorare in campagna con suo padre, trattare con le persone con cui lui trattava, ritrovare sempre in lui la stessa sicurezza, la stessa fiducia rendere la vita facile e piacevole. Senza accorgersene, egli lo imitava

Appendice

lieta a Michele. Non cercava amicizie e neppure gli svaghi dei giovani della sua età. Si sarebbe detto che avesse la stessa età di suo padre, tanto era simile a lui anche nei gesti. Ora egli riandava con la memoria a quegli anni uguali e tranquilli; e, con dolore, pensò alla prima volta che s’era trovato a contrastare con suo padre. Era stato quando s’era innamorato di Angela. Eppure neanche allora la sua fiducia era venuta meno. Ciò ch’era seguito, i fatti inesplicabili che avevano interrotto lo svolgersi tranquillo della sua giovinezza, invece di scuoterla, quella fiducia, l’avevano rafforzata, l’avevano resa necessaria alla sua vita. Suo padre arrivava a vedere ciò che non vedeva lui, sapeva leggere nell’animo degli altri, ne conosceva i riposti pensieri. Un vago senso di timore s’impadroniva di lui quando era lontano da Giuseppe, come se il ricordo di quei due anni passati in paese tra l’ostilità della gente si ridestasse dal profondo del suo essere. Quando il vecchio non c’era, sentiva, come allora, tutti ostili intorno. Forse gli altri sapevano di lui più di quanto egli non sapesse di loro. Sapevano che Angela lo aveva tradito. Lo sapevano anche quando egli, ignaro di tutto, era stato sul punto di sposarla. Forse, se suo padre non gli apriva gli occhi, non avrebbe mai sospettato di nulla; lui solo, mentre tutti gli altri sapevano. Da allora, proprio come un bambino, aveva cercato sicurezza e rifugio in suo padre, di nuovo. Era stato suo padre che l’aveva indotto a romperla con la ragazza, ed egli s’era assoggettato a questo soffrendone: aveva chiuso gli occhi e s’era lasciato guidare. Considerava suo padre come una parte di se stesso a cui avesse affidato la sua coscienza più profonda, una facoltà segreta e dolorosa di vedere dentro le

295

persino nei gesti. S’era trovato a contrastare per la prima volta con suo padre quando si era innamorato di Angela. Ma neanche allora la sua fiducia era venuta meno. Ciò ch’era seguito, quei fatti inesplicabili che avevano come arrestato lo svolgersi sereno della sua vita, invece di scuotere la sua fiducia in lui l’avevano rafforzata. Suo padre arrivava a vedere ciò che non vedeva lui, ciò che non vedeva sua madre, capiva ciò che gli altri avrebbero voluto tener segreto nella loro anima. Un senso di vago timore s’impadroniva di Miche quando gli veniva a mancare la compagnia di suo padre, quando si trovava solo in mezzo agli estranei. Allora, pensava che essi sapevano sul suo conto più di quanto egli stesso non sapesse sul conto loro, sapevano, che Angela lo aveva ingannato. Lo sapevano anche quando egli era stato sul punto di sposarla. E se suo padre non gli apriva gli occhi, egli la sposava e non avrebbe mai saputo ciò che tutti gli altri sapevano di lei. Anche allora la gente aveva per lui una grande importanza. Egli la temeva, la gente. Per lungo tempo aveva attribuito a suo padre come una seconda vista, una facoltà eccezionale, quasi miracolosa di penetrare nelle cose e di dominarle senza sforzo. Egli si sentiva come una parte di suo padre, come una mano. Ecco che cos’era in quel tempo: una mano di suo padre. Non faceva un gesto che non fosse voluto da lui. E dei propri gesti non conosceva altra origine, all’infuori di questa. I segreti del mestiere li imparava materialmente da suo padre; ma non pensava che suo padre li avesse imparati allo stesso modo da altri, bensì per una lunga esperienza e per quella sua facoltà di penetrare le cose. E anche quando questa idea fanciullesca generata dal suo bisogno di trova-

296

cose e dentro l’animo degli uomini, una consapevolezza di cui non voleva risvegliare la possibilità dentro di sé. Ciò che il padre gli aveva detto della relazione di Angela con quell’altro, lo aveva sentito dentro come un ferro penetrato nelle carni per un momento solo; e glien’era rimasta la ferita: ma la certezza, la logica del ragionamento di suo padre le aveva dimenticate. Quelle parole erano appassite come foglie nella sua memoria. Non aveva più chiesto nulla, non aveva neppure più voluto sentirne parlare. E quando un dubbio l’assaliva improvvisamente, o anche gli tornava il suo ricordo di Angela, facendolo soffrire, di Angela che continuava a vivere senza di lui, e pensava che non le avrebbe mai più parlato, che tutto tra loro era finito senza rimedio, solo la serenità di suo padre poteva ridargli pace. Solo in quella saggezza, lontana, irraggiungibile, era la giustificazione dell’atto che aveva compiuto a occhi chiusi. Allora passava lunghe ore col vecchio e lo ascoltava parlare. Il vecchio parlava della condanna, della vigna perduta, del tempo passato in carcere; e la giustezza delle sue parole lo guariva. Il vecchio diceva che quando si perde una cosa bisogna far conto d’averla restituita a Chi ce l’aveva data per sua bontà; e non tocca a noi giudicare se colui per mani del quale Egli ce la toglie, è un nostro nemico. Michele riferiva a sé queste parole, come se il vecchio raccontasse un apologo, e cercava di non pensare all’uomo per mano del quale Angela gli era stata tolta, di dimenticarlo subito, prima che quel volto odioso risorgesse chiaro dalla memoria. Angela, come se fosse morta, se l’era presa quell’Altro. Così egli s’affidava a suo padre, senza chiedere nulla, come uno smemorato; in lui era la ragione della sua stessa vita. Anche

michele boschino

re una ragione ai propri atti in questa fiducia illimitata per non abbandonarsi alla disperazione dopo che ebbe rotto il fidanzamento con Angela, fu da lui, non risolta in un modo più maturo di veder le cose, ma piuttosto dimenticata, gliene rimase tuttavia il senso e gli effetti della puerile convinzione continuarono a durare in lui. Poi venne la malattia di Giuseppe, dovette badare da solo agli affari, districarsi da solo nelle mille difficoltà che giornalmente sorgevano intorno a lui, trattar con la gente, prendere decisioni a volte gravi senza aspettare il suo consiglio. Allora aspettava con ansia i momenti in cui suo padre poteva riposatamente parlargli e ascoltarlo come un tempo, per attingere dalle sue parole quell’inesplicabile senso di fiducia che nessun’altra cosa al mondo poteva dargli. Lo assaliva a volte un terrore folle. Gli pareva di non sapere più né parlare né muoversi; e solo il pensiero di suo padre poteva ridarli coraggio. Cosa sarebbe accaduto se gli altri si fossero accorti di questi terrori? Anche quando sedeva sul muricciolo dell’orto a chiacchierare col servo di Bore Lisca, quel senso di smarrimento poteva nascergli dentro senza ragione. Il servo di Bore Lisca lo guardava coi suoi occhi impenetrabili di pastore, e vedeva forse ciò che accadeva dentro di lui, sapeva che sarebbe bastata la mano di un bambino a stenderlo a terra, anche se lui continuava a parlare del prezzo dei terreni da semina. Parlava, ascoltava, ma le parole non avevano più senso, erano vuote. Anche col suo servo Beniamino gli accadeva questo fatto. Allora si sentiva nudo come un geco, nudo e trasparente, gli pareva che quel ragazzo chiacchierone e maligno potesse vedere la vergogna che, ecco, si riaccendeva in lui all’improvviso

Appendice

l’arte di coltivare la terra, con tutti i suoi segreti, gli pareva che suo padre non l’avesse appresa, a sua volta, da altri, ma che l’avesse scoperta da sé, come il primo uomo. E quest’idea fanciullesca, nata dal bisogno di trovare in suo padre la ragione di tutti i propri atti, anche quando fu da lui, non risolta, con gli anni, in un modo più maturo di veder le cose, ma come messa in disparte, dimenticata, come accade di molte idee dell’adolescenza, i suoi effetti continuarono a durare in lui, gliene rimase ancora il senso. Ma era una fiducia che, quand’era lontano da suo padre, poteva venir meno a un tratto; come un nuotatore inesperto che s’accorge con terrore di non toccare più il fondo con la punta del piede. Gli accadeva anche quand’era con Beniamino. Il servo lo guardava coi suoi occhi impenetrabili di pastore, e forse vedeva quel che stava accadendo dentro di lui, chi sa! Forse sapeva che sarebbe bastata la mano di un bambino a stenderlo a terra, in quei momenti, benché lui continuasse a parlare del prezzo dei terreni da semina o dei danni che, la notte prima, avevano fatto le capre del vicino. Parlava, ascoltava, ma le parole, a un tratto, perdevano il loro senso, non avevano più valore, erano vuote. Allora si sentiva nudo e trasparente come un geco che ha la pancia piena di mosche; gli pareva che quel ragazzo chiacchierone e maligno potesse vedere la vergogna che, ecco, improvvisamente si riaccendeva, la vergogna e il dolore di quando suo padre, nella stalla, pestando col maglio le fave per i buoi, gli aveva detto il nome di quell’uomo col quale Angela lo tradiva. Non udiva più le parole del suo interlocutore ma le parole di suo padre, rinascevano i pensieri che quelle parole avevano alimentato per tanto tempo, e ciò

297

come quando suo padre glia aveva detto il nome di quell’uomo col quale Angela lo aveva tradito. Non udiva più le parole del suo interlocutore, ma le parole di suo padre, rinascevano i pensieri dolorosi che quelle parole avevano alimentato in lui, e ciò che aveva visto in quel momento con l’immaginazione e aveva cercato disperatamente di cancellare subito dalla memoria quelle immagini che invece ritornavano sempre con lo stesso vigore anche ora che di Angela non gli importava più nulla. Dopo questi turbamenti era come uno che si svegliasse: si ritrovava seduto sul muricciolo, dell’orto, oppure a camminare accanto alla ruota del carro col pungolo sulla spalla, a fianco del servo che, nel frattempo, sentendolo immerso in altri pensieri, s’era messo a canterellare per suo conto. Con uno sforzo richiamava il pensiero di suo padre, riacquistava fiducia, gli pareva di essere non lui stesso ma Giuseppe. Si sentiva all’improvviso sicuro, padrone di se anche lui come tutti gli altri, che si spogliavano del loro mistero: vedeva che i pensieri che nascondevano non erano molto diversi da ciò che dicevano o che avrebbero potuto dire. Lentamente, durante la malattia di Giuseppe, quasi senza accorgersene, si era andato preparando alla sua morte. Ma ecco che di colpo era stato di nuovo gettato in mezzo ai terrori e ai sospetti, che non erano più fantasmi della sua immaginazione, ma una realtà alla quale non si poteva sfuggire; ecco che era venuta quella notte terribile del Ponte del Faraone, ed era stato trascinato, contro la sua volontà, con un altro uomo come lui ignaro e mite, quasi a commettere un delitto. Senza neppure saper come, s’era trovato a essere complice di ladri e di assassini e questi assassini erano uomini

298

che in quel momento aveva visto con l’immaginazione e aveva cercato disperatamente di cancellar subito dalla memoria, quelle immagini che invece ritornavano sempre con lo stesso vigore, quando la fiducia lo abbandonava, anche ora che di Angela non gl’importava più nulla. Dopo questi turbamenti, era come uno che si desta da un incubo: si ritrovava seduto sul muricciuolo dell’orto, o a camminare accanto alla ruota del carro col pungolo sulla spalla, a fianco del servo che nel frattempo, vedendolo assorto in altri pensieri, aveva preso a canterellare qualcosa. Pensava a suo padre, gli pareva di essere non lui ma suo padre stesso; e come per incanto tornava a sentirsi sicuro, padrone di sé, anche lui come tutti gli altri; e gli altri si spogliavano del loro mistero, e vedeva che i pensieri che nascondevano non erano molto diversi dalle parole che dicevano o che avrebbero potuto dire. Tutto era naturale, tutto era semplice. Pensava anche, qualche volta, alla morte del vecchio; ma come a una possibilità lontana, indeterminata; pensava che in quel tempo, sarebbe stato diverso, più forte, più sicuro, più uomo. Ed ecco che invece la morte era arrivata improvvisamente, e lui era lo stesso di prima; era arrivata proprio quando aveva più bisogno di aiuto. Come avrebbe voluto ascoltare ancora quella voce amica e saggia! Come avrebbe voluto poter credere che per il vecchio non c’era nulla d’impreveduto, e che anche la cosa che era capitata a lui qualche sera prima non era né straordinaria né terribile, e che lui, Michele, era innocente, e che faceva bene a tacere, a confessarsi solo con lui, suo padre; sentirsi dire che quell’avvenimento sarebbe rimasto nascosto sempre a tutti gli altri.   E invece, quando gli occhi di suo pa-

michele boschino

che suo padre conosceva, dei quali non aveva mai sospettato nulla; tra costoro c’era Lubina, di cui suo padre s’era sempre fidato. Da quel momento egli aveva sentito che c’era qualche cosa che sfuggiva anche a suo padre. Neanche suo padre sapeva tutto degli altri, non conosceva a fondo le persone, come egli, Michele, aveva sempre creduto. Per tutto il viaggio di ritorno da Arci in compagnia di Lubina e di Cosimo, era stato assillato dal bisogno di correre da suo padre e raccontargli quel che era avvenuto. Sapeva che il vecchio sarebbe rimasto allibito come lui; ma voleva raccontargli tutto; come era la voce di quegli uomini, la loro risolutezza feroce; come erano stati ammazzati quei due, sotto i suoi occhi. E invece aveva dovuto camminare al passo di quegli altri, entrare senza fretta in paese per non dare sospetto, e aveva trovato il vecchio già privo di conoscenza. Come era arrivata terribile, in quel momento, la morte del vecchio! Come avrebbe avuto ancora bisogno di lui, Michele, di sentire la sua presenza, di liberarsi da quel ricordo che doveva invece tenersi per se, ormai, per tutta la vita. Si era trovato solo improvvisamente. Ogni cosa sembrava essere morta con suo padre, e che lui si fosse portato via il meglio della vita. La casa, l’orto, i poderi, tutto era vuoto, il lavoro non aveva più scopo. Per tanti e tanti mesi la sua vita non era stata altro che stanchezza e disgusto; e se n’era andato a Monte Ulìa come un animale ferito che cerchi la solitudine per morire in pace. Se anche era rimasto, in fondo alla sua stanchezza, un istinto tenace che lo legava alla vita, egli non lo sentiva, allora, che come un indeterminato sentimento di rivolta; e quando, allontanandosi gi giorno in giorno quegli avvenimenti terribili e la morte

Appendice

dre si chiudevano, e il viso immobile sembrava immerso in un silenzio più grande del sonno, gli pareva di sentire che in quell’avvenimento c’era qualcosa che sfuggiva anche al vecchio, che preferiva andarsene così, senza dir nulla.   Si ricordò di questo tre giorni dopo, quando si sparse la notizia che suo cugino Giovanni era stato trovato nel podere di Nadòria con due palle nella schiena.

299

del vecchio, egli sentì gli effetti di questo istinto, gli parve di veder ripullulare la vita non dentro, ma fuori di sé, in quel campo che aveva arato e seminato contro la volontà di sua madre, in quel grano che veniva su rigoglioso non ostante l’annata cattiva. Gli pareva di essere estraneo, lui, a questo ripullulare di vita. Amava il podere di Monte Ulìa, ma come si ama un luogo che bisogna abbandonare. Il lavoro di quei mesi di oscuro dolore aveva fruttato, ma per chi? Solo quando s’era portato Severina nel capanno, il possesso di quella creatura gli aveva dato il senso del possesso del campo, di tutto ciò che era nel campo. Ancora una volta, come quando suo padre era in vita e lui si riaveva da quei turbamenti senza ragione, ancora una volta s’era sentito rinascere. Ma non pensava a suo padre; e la solitudine non lo angosciava; anzi in quella solitudine si sentiva sicuro e tranquillo.

L   «Lettere d’oggi. Rivista mensile di letteratura», III (serie III), 4 (maggio 1941) - Copertina.

Appendice

301

II «Lettere d’oggi. Rivista mensile di letteratura» [III (serie III), 4 (maggio 1941), pp. 30-33 (L)] il cui brano corrisponde in molte sue parti al capitolo XIII. M2 L XIII

D A L R O MA N ZO IN E D I T O “ MIC H EL E BO N C H I NO ” di Giuseppe Dessì

Quando, dopo le nozze, Maddalena non seppe resistere alla tentazione di riferirgli certe chiacchiere che la gente aveva fatto sul matrimonio, Michele, invece di adirarsene, come sua madre s’aspettava, disse che non gliene importava nulla. Dicevano che s’era sposato come un vedovo, che Severina era povera e lui poteva aspirare a qualcosa di meglio, che non valeva la pena di andare a cercare tanto lontano una ragazza come Severina quando in paese ce n’erano tante dieci volte meglio. La gente poteva dire quel che voleva: cosa ne sapeva di Severina? Ciò ch’era avvenuto tra lui e Severina nel capanno di Monte Ulìa, lo sapevano solo lui e Severina. La gioia che lui ne aveva avuto, forse non l’aveva indovinata neppure lei, poveretta, che aveva fatto tanti pianti di nascosto, in casa della sorella. Nessuno poteva penetrare nella sua vita; avrebbero finito per tacere. Che poi la gente dicesse che Severina non era bella, non gli dispiaceva. Severina era diversa dalle donne di Sigalesa. Non era come tante altre sulle quali anche a lui era capitato di metter gli occhi

  Di solito Severina, come accade alle persone che si trovano all’improvviso in una condizione nuova, fantasticava per suo conto anche quando gli altri parlavano intorno a lei. Le pia­cevano i lavori quieti, come mondare il grano o fare la farina. Le tornavano in mente le canzoni che aveva imparato da ragazza a Mamusa e le nenie con le quali ninnava i bambini di Anna alla Cantoniera, e cantava a mezza voce. A volte la tristezza la coglieva all’improvviso come un malessere fisico, senza ragione, ed era più che una tristezza presente una tristezza di ricordi. Tra i quattordici e i quindici anni era stata a servire in casa di un possidente, a Mamusa. Era una casa ricca, piena di roba. C’erano molti servi e molto lavoro. Si radunavano in cucina, la sera, quando tornavano dalla campagna, e stabilivano quel che bisognava fare il giorno dopo nei diversi poderi. Il padrone non dava gli ordini senza aver prima sentito il parere di ognuno. I nomi dei diversi poderi della vigna, degli orti, dei terreni da semina, dei pascoli di montagna e di pianura ricorrevano di continuo

302

con desiderio; tante, delle quali i giovani parlavano tra loro. Era contento che quelli di Sigalesa avessero visto Severina soltanto allora e non l’avessero trovata bella. Severina era come il campo di Monte Ulìa: prima che lui lo diveltasse con l’aratro nessuno ne dava un soldo. Lui solo ne conosceva i segreti e i pregi. Era contento di lei, anche se la vedeva un po’ smarrita, ora, nella nuova casa.   Severina passava la maggior parte del tempo sola in casa con Maddalena, tranne quando Michele la portava con sé a Monte Ulìa, o quando venivano, la sera, la zia Luisa e Aurelia. Parlava poco, le piacevano i lavori quieti. E come tutte le persone che si trovano all’improvviso in una condizione nuova, fantasticava per suo conto. Tutto per lei era mutato nel volgere di poche settimane, e faceva fatica a rendersene conto. Fin allora non aveva mai avuto desideri e bisogni suoi propri, dimenticandosi tutta nelle urgenti necessità della casa allo stesso modo di Anna. Da quando Anna aveva avuto il secondo bambino, era stata sempre con lei, aveva patito le sue gravidanze, i suoi parti, i suoi puerperii. Aveva adeguato la sua vita a quella di Anna e dei bambini che venivano su; e i sentimenti materni suscitati in lei da questa dedizione erano più assoluti di quelli della sorella non essendo nati dai patimenti del corpo, che insegnano la moderazione e la sapienza della natura, ma dall’istinto più vergine e profondo del suo essere. Nel suo animo non c’era posto per altro, oltre quest’amore che la soggiogava, che guidava tutti i suoi pensieri e annullava la sua fatica. Dall’alba al tramonto era in faccende; tutti i lavori più pesanti della casa erano i suoi, e in mezzo a tutte queste fatiche trovava il

michele boschino

nei loro di­scorsi; e i servi, parlando della roba del padrone dicevano: la nostra vigna, il nostro orto, le nostre vacche. Il mandriano, il pastore, il porcaro, i compartecipanti dell’aia, della vigna, degli orti eran tenuti nella stessa considerazione dei membri della famiglia e avevano sotto di sé i servi più giovani; e questi dicevano come loro, la nostra vigna, il nostro orto, le nostre vacche. E a tutti pareva di godere del benesse­re della famiglia. Ma a lei quel dire il nostro parlando della roba dei padroni, dava una tristezza, un accoramento che non la lasciavano più. Era la nostalgia della sua casa, della mamma, della sorella delle lun­ ghe serate d’inverno passate col padre nella piccola cucina accanto al fuoco, la nostalgia del piccolo cortile pieno di vento, dove ogni tanto lei e sua sorella Anna - a turno per non perdere il filo del racconto - andavano a prendere un ciocco dalla catasta. Tutto ciò che fino al­lora aveva chiamato nostro la univa alle persone care che la sera se­ devano intorno al focolare della sua casa e sapevano tutto l’una del­ l’altra. Erano le brocche allineate sul muretto fuori della porta, gli sgabelli di ferula che suo padre fabbricava d’inverno, nelle giornate piovose, il forno dove sua madre cuoceva il pane e i dolci che poi andava a vendere, la domenica, a San Sebastiano di Gaia, a Norbio, a Pontàrio... erano le ceste per la farina, il setaccio, il crivello, il mor­taio, la bilancia, tutti quegli oggetti necessari, ora per ora, alla vita, che si possono prestare e che ritornano intatti a casa coi loro segni che li fanno riconoscibili in mezzo a mille: e il telaio piantato sotto il loggiato, vecchio e liscio come i banchi di chiesa. In quel tempo che aveva passato fuori di casa a servire, s’era sviluppato in lei, dalla sua tristezza, quel senso ge-

Appendice

tempo di stare con i bambini, di giuocare con loro. A se stessa pensava solo di rado e vagamente; quand’ecco che era entrato nella sua vita Michele. Se anche, prima d’allora, aveva pensato qualche volta che anche lei un giorno si sarebbe sposata e avrebbe lasciato la casa della sorella, poneva tutto questo in un avvenire lontano, indeterminato. E invece ecco ch’era sopraggiunta quell’improvvisa stanchezza, quel bisogno d’abbandono. Anna se n’era accorta anche prima di lei, e ci aveva scherzato su, dapprincipio, poi era diventata aspra, aveva preso a rimproverarla per delle cose da nulla, a tempestarla di domande strane a cui lei non sapeva rispondere. Un giorno, ch’era stata come al solito a Monte Ulìa per l’acqua, le aveva tolto dai capelli un rametto secco, gliel’aveva messo sotto il naso sul palmo della mano. Severina aveva capito il significato di quel gesto solo più tardi, quando Michele l’aveva presa nel capanno. Allora aveva desiderato ardentemente di andar via, di lasciare la casa di sua sorella, di tornarsene da sua madre, a Mamusa. Ed ecco che invece si trovava in una casa nuova, estranea, quasi senza sapere come. Tutto s’era risolto per il meglio.   Tra i quattordici e i quindici anni era stata a servire in casa di un possidente di Mamusa. Era una casa ricca, piena di roba e di gente. C’erano molti servi e molto lavoro. La sera si radunavano tutti in cucina, e stabilivano tutti d’accordo, padroni e servi, quel che si doveva fare il giorno dopo. I nomi dei poderi, delle vigne, degli orti, delle località dov’erano i terreni da semina ricorrevano di continuo nei loro discorsi, e i servi, parlando della roba del padrone, dicevano anche loro, la nostra vigna, il nostro oliveto, il nostro orto, le nostre vacche. Il mandriano, il

303

loso della proprietà che è cosi forte nella po­vera gente costretta a vivere in mezzo all’abbondanza degli estranei. La stessa mortificata soggezione rinasceva ora, in certi momenti, in casa del marito, dove tutto doveva essere veramente anche suo. Come in casa del possidente di Mamusa, anche qui era come se le sue mani ricusassero d’assuefarsi agli oggetti che continuamente toccavano, i suoi occhi agli oggetti sui quali continuamente si posavano. Tutto era vecchio, consunto, levigato dal contatto di mani estranee. Non era neppure tristezza, la sua, neppure nostalgia, ora, ma una specie di stu­pore che arrestava i gesti più consueti, come se improvvisamente sor­gesse in lei, dall’intimo, sempre la stessa domanda: «Dove sono? perché sono qui?».   Quasi ogni giorno Michele partiva all’alba e tornava dopo il tramonto. Andava a Monte Ulìa, a Spinalva oppure a caricar legna e carbone in foresta per conto dei Toscani; e solo di rado la menava seco al mandorleto. Allora passavano dalla Cantoniera a prendere Anna che metteva sul carro le ceste della biancheria e i bambini, e andavano a far bucato in un torrente che scorreva, in quella stagione sotto Ore­sula, poco lontano dal mandorleto dove Michele si fermava a lavo­ rare. Facevano bollire il paiuolo su un fuoco di sterpi senza perdere d’occhio i bambini che giuocavano a nascondersi tra i cespugli. Severina aveva poco da raccontare di Sigalesa della sua nuova vita: ma le due sorelle erano felici di ritrovarsi assieme e quelle giornate che rom­ pevano la monotonia della quotidiana vita casalinga passavano rapide e felici.   In casa invece e con Maddalena era tutt’altra cosa. Se il filo delle sue fantasticherie si rompeva, ecco che un

304

pastore, il porcaro, i compartecipanti dell’aia, delle vigne e degli orti eran tenuti in considerazione come se facessero parte della famiglia e avevano sotto di sé i servi più giovani e i braccianti che lavoravano a giornata; ma tutti indistintamente dicevano, come loro, il nostro orto, la nostra vigna, le nostre vacche. A tutti pareva così di godere, per quanto potevano, del benessere della famiglia. Ma a lei, quel dover dire il nostro parlando della roba dei padroni faceva tristezza. Era la nostalgia della sua casa, della mamma, delle sorelle (era ancora al mondo Carmela, allora), delle lunghe serate d’inverno passate col padre nella piccola cucina, intorno al focolare, del cortile, dove ogni tanto una di loro (a turno e disputandosi il diritto di restar seduta per non perdere il filo del racconto del padre) doveva andare a prendere una bracciata di legna o un ciocco d’aggiungere al fuoco. Tutto ciò che fin allora aveva chiamato nostro era unito alle persone care che, la sera, sedevano accanto al fuoco nella cucina di casa sua. Erano le brocche allineate sul muretto fuori della porta, gli sgabelli di ferula fabbricati da suo padre, le conche dove impastavano il pane o i dolci che poi, la domenica, andavano a vendere ad Acquapiana, a San Silvano, a Gaia, la pala del forno, le ceste per la farina, il mortaio, la bilancia, tutti quegli oggetti che servono ora per ora alla vita, che si possono anche prestare e ritornano a casa con quei loro segni che li fanno riconoscibili come persone. Nostro era il telaio, piantato sotto il portico, vecchio e liscio come un banco di chiesa. In quel mezzo anno che aveva passato fuori di casa a servire, s’era sviluppato in lei, dalla sua tristezza, quel senso geloso della proprietà che è così forte nella gente povera costretta a vive-

michele boschino

senso di solitudine le ge­lava l’anima. Le più piccole cose l’angustiavano, come più tardi, quan­do si trovò incinta, certi odori e il sapore di certi cibi le facevano salire la nausea alla gola, inspiegabilmente. Come un’incinta aveva trasalimenti improvvisi. Il mestolo di castagno col quale raccoglieva la crusca per separarla dalla semola e dal tritello si faceva pesante nella sua mano, il setaccio che fino a quel momento aveva frullato come una trottola sotto il tocco leggero delle sue dita scorrendo rapido e treppicando sugli staggi levigati perdeva improvvisamente il suo ritmo. Per non farsi vedere a piangere come una sciocca da Maddalena, s’al­ lontanava con una scusa, andava in cortile a versarsi una ciotola d’ac­ qua dalla brocca, oppure saliva in camera sua, apriva la cassapanca, ne toglieva la biancheria, la rimetteva a posto, raddrizzava le coperte del letto; e spesso l’angoscia passava così senza lacrime. Le accadeva anche di affacciarsi alla piccola finestra dalla quale si vedeva il campa­nile della chiesa parrocchiale, e, dietro, Monte Grinu coi suoi castagneti già spogli, e più sopra i boschi di quercia sempre uguali. Accanto a quello, e dietro a quello, c’erano altri monti più selvatici, spogli e malinconici. L’occhio distingueva chiaramente tra i rami nudi dei ca­stagni le strade tortuose che salivano verso i boschi di quercie e spa­rivano nel folto, l’intrico minuto dei sentieri. Al persistere immobile dello sguardo che non cercava nulla, si scoprivano, proprio là dove il nudo bosco sembrava già immerso nella deserta quiete dell’inverno, piccole truppe di donne e di ragazzi che salivano in fila o scendevano sparsi, facendo rotolare i fasci di legna da albero a albero. Apparivano e sparivano, su nei

Appendice

re in mezzo all’abbondanza in case estranee. E ora, in casa del marito, dove tutto doveva essere veramente anche suo, le rinasceva lo stesso senso di mortificata soggezione; e pensava a Mamusa e alla casa di sua madre, come allora. Anche qui, come in casa del possidente, le sue mani ricusavano d’assuefarsi agli oggetti che toccavano, il suo occhio agli oggetti sui quali continuamente si posava. Tutto era vecchio, consunto, levigato dal contatto di altre mani. Non era tristezza, la sua, e forse neppure nostalgia, ma una specie di stupore che arrestava improvvisamente i gesti più consueti, come se risorgesse in lei sempre la stessa domanda: “Dove sono? perché sono qui?”.   Quasi ogni giorno Michele partiva all’alba e tornava dopo il tramonto. Andava a Monte Ulìa, a Spinàlva, oppure a caricar legna e carbone in foresta per conto dei Toscani. Qualche volta portava a Monte Ulìa Severina, una volta ogni quindici giorni passavano dalla Cantoniera a prendere Anna e i bambini; e le donne andavano a fare il bucato in un torrente che scorreva, in quella stagione, sotto Orèsula, mentre Michele lavorava nel mandorleto. All’ora del pranzo Severina mandava i bambini a chiamarlo e mangiavano tutti assieme vicino all’acqua. I bambini giuocavano tutto il giorno in mezzo agli oleandri, andavano a funghi nel bosco, e la sera arrivava sempre troppo presto per tutti. A casa invece le giornate non avevano mai fine. Se il filo delle sue fantasticherie si rompeva, un senso di solitudine mai provato prima la gelava. Le più piccole cose l’angustiavano, come più tardi, quando si trovò incinta, certi odori o il sapore di certi cibi le davano nausea. Come una donna incinta, aveva trasalimenti improvvisi. Il me-

305

canaloni pietrosi più vicino alla cima, come in­setti nel vello d’una bestia addormentata. Qua e là si levava il fumo di qualche fuoco, e restava sospeso tra balza e balza. E Severina, che era vissuta sempre in pianura, si meravigliava a vedere quelle montagne così vicine, animate e silenziose. L’angoscia si scioglieva, s’addolciva in un senso vago di rimorso misto alla gioia che le dava la presenza di quel paese nuovo. Non appena si accendeva in lei questo sentimento di meraviglia e di gioia, e insieme la speranza di qualche cosa di nuovo che doveva venire a mutare ancora la sua vita, non sapeva neppure lei come, si sentiva in colpa di fronte alla madre e al padre, che non erano neppure venuti a vederla in occasione delle nozze, di fronte ad Anna, che continuava a vivere nella Cantoniera, dietro la finestre sbar­rate delle zanzariere, in mezzo alla pianura. Immaginava di andare a Mamusa con Michele, di raccontare ai suoi come fosse felice ora. Quel vecchio mondo dal quale si era staccata, ritornava a spiegarsi, a viverle nella memoria. Bastava che ci pensasse un poco perché la sua vita si animasse come quelle montagne che da lontano apparivano uni­formi e deserte. Di tante persone appena conosciute ricordava con pre­ cisione il viso e la voce, come se fossero presenti. Anche Michele, nei primi tempi dopo le nozze, quanto non era in casa, era nel suo spirito solo come un ricordo, come una vecchia conoscenza di Mamusa. Benché ogni sera egli tornasse a casa per la cena, Severina pensava a lui come a una persona lontana. In certi momenti non ci pensava affatto. Ma bastava l’ago col quale aveva rammendata la sua camicia appuntato al capoletto, la roncola dietro la porta di cucina, il solco lasciato dalla ruota del carro vicino al cancel-

306

stolo di castagno col quale separava la crusca dal tritello, si faceva pesante, all’improvviso, di pietra; il setaccio, che fino a quel momento aveva frullato come una trottola al tocco leggero e abile delle sue dita scorrendo e treppicando sugli staggi levigati, perdeva il suo ritmo. Allora, per non farsi vedere a piangere scioccamente – ché lei stessa non avrebbe saputo dirne la ragione, se Maddalena gliel’avesse chiesta – s’allontanava con una scusa, andava in cortile a versarsi una ciotola d’acqua fresca dalla brocca, oppure saliva in camera da letto, apriva la cassapanca, ne toglieva la biancheria, la riponeva con cura, raddrizzava le coperte del letto. E così l’angoscia passava.   In questa camera da letto c’era una piccola finestra dalla quale si vedeva il campanile della chiesa. Dietro, Monte Grinu coi suoi castagneti già spogli e i boschi di querce, sempre uguali in ogni stagione. Accanto e dietro a quello, altri monti di cui non sapeva il nome. L’occhio distingueva chiaramente tra i rami nudi dei castagni, le strade che salivano con ampie curve verso i boschi di querce dove sparivano e l’intrico minuto dei sentieri. Se lo sguardo distratto si fermava in un punto, ecco che si scoprivano, proprio là dove il nudo bosco sembrava già immerso nella deserta quiete dell’inverno, piccole truppe di donne e di ragazzi che salivano in fila o scendevano sparsi facendo rotolare i fasci di legna da albero a albero. Sparivano, riapparivano su, nei canaloni pietrosi più vicini alla cima, come insetti nel vello d’una bestia addormentata. Si levava qua e là il fumo di qualche fuoco e restava sospeso tra balza e balza. Severina, che era vissuta sempre in un paese di pianura, si meravigliava a vedere quelle montagne così vicine, animate e silenziose. L’angoscia

michele boschino

lo, perché tutto il suo essere si ricordasse di lui. Allora quella casa, che un momento prima le era sembrata estra­nea, era come una parte di lui; e il suo sangue scorreva vivace, e tutti gli oggetti che toccava erano vivi nelle sue mani, animati dalla forza del suo sangue. Meno d’ogni altro avrebbe saputo dire da che cosa nascesse questa gioia improvvisa, legata misteriosamente, come la sua tristezza a certi oggetti, a certi fatti. Anche l’acqua di Sigalesa le dava gioia, e lei la beveva avidamente, meravigliandosi ogni volta della sua trasparenza e leggerezza. Non avrebbe saputo dire perché quei monti, quei boschi, lo stormire del vento a lunghe ondate, quando il paese dormiva, le dessero un tale turbamento di gioia. Lei pensava che fosse la vita più riposata di quella che faceva a Mamusa o alla Cantoniera, il cibo più abbondante e saporito; e se ne vergognava. Ma era una gioia di cui gli altri non si accorgevano, a volte offuscata, a volte più viva, come una stagione al suo inizio, quando non è an­cora del tutto finita quella che l’ha preceduta. Di fuori si manifestava appena in una maggior floridezza a cui Michele s’assuefaceva senza farci caso. Era un sentimento della carne, profondo, solitario. Lei stessa forse non sentiva la sua gioia intera e compiuta se non nelle ore notturne, quando s’abbandonava a Michele in silenzio; e conti­ nuava a durare nel sonno. Al mattino, quando, nei dormiveglia, non lo sentiva più accanto a sé, e vedeva i riflessi della lanterna sull’impan­nata, s’avvolgeva in fretta nello scialle e correva a raggiungerlo giù nella stalla dei buoi. Si svegliava di colpo nell’aria diaccia del mat­tino, si trovava improvvisamente sveglia in mezzo al cortile, nell’aria fredda che le penetrava sotto i panni, e si fermava

Appendice

si scioglieva, s’addolciva in un senso vago di rimorso. Rimorso di che? Rimorso d’aver lasciato Anna nella casa sperduta in mezzo alla pianura malarica, con quei bambini da tirar su, con tutta quella roba da lavare? rimorso di non avere rivisto sua madre da tanto tempo? rimorso per la gioia che le dava quel paese nuovo? Il suo vecchio paese, la sua pianura tornava a viverle nella memoria; bastava che ci pensasse un poco perché tutta la vita trascorsa laggiù si animasse come quelle montagne che dalla Cantoniera apparivano uniformi e deserte. Di tante persone dimenticate ricordava il viso, la voce, come se le vedesse e le sentisse parlare. E Michele era l’unica persona presente e reale che vivesse anche tra quei ricordi lontani. Qualche volta fantasticava di essere con lui a Mamusa, in casa di sua madre, e dire a sua madre quanto fosse felice del suo nuovo stato. Solo così anzi riusciva a sentire Michele distintamente, ponendolo fuori dal confuso presente. Benché ogni sera egli tornasse a casa, Severina pensava a lui come si pensa a una persona lontana. Ma bastava un ago appuntato al capoletto, un ago che, con la gugliata bianca, le facesse pensare alla camicia che aveva rammendato il giorno prima, bastava la roncola lasciata da Michele dietro la porta di cucina, o il solco della ruota del carro vicino al cancello nella sabbia del cortile, perché tutto il suo essere balzasse e fosse pieno di lui. Non lo vedeva né lo pensava distintamente, come quando faceva di lui un abitante di Mamusa; lo sentiva come sentiva l’aria sottile della montagna. Allora quella casa, che un momento prima l’era sembrata estranea, era anch’essa tutta piena di lui. E il suo sangue, al ricordo di una gioia acuta, intensa, e al tempo stesso lontanissima, scorre-

307

lì vergognosa. Con un gesto istintivo toccava i panni stesi, e con lo stesso piacere con cui beveva l’acqua, aspirava il vento che li aveva asciugati al sereno.*

* In cauda, si legge: «Quando Dessi, nell’estate del millenovecentotrentanove, mi scriveva di pensare a un racconto oggettivo, alla storia di un contadino sardo, io non lo intendevo. Non capivo quel bisogno di cui mi parlava, di uscire dalla forma autobiografica; anzi, vedevo in questo, per lui, come un pericolo. Dopo San Silvano, dopo la poetica, descritta in modo immaginoso nel corsivo della Sposa in città, questa insofferenza della forma autobiografica, del personaggio io, mi pareva una distrazione di origine intellettuale e psicologica. Ero affezionato alla forma romantica e geniale di San Silvano; ne avevo tanto sentito la novità da desiderare che Dessì avesse scavato subito e ancora dentro quella forma; per questo avevo sentito meno l’oggettività, pur così ricca, di alcune novelle, né mi aveva commosso la malinconica Paulette de L’ospite di Marsiglia. Per questo, con molta attenzione ma con molta diffidenza, sono andato leggendo e discutendo questo romanzo, a mano a mano che si formava e trasformava. Dessì mi spiegava che gli era necessario un momento di assoluta oggettivazione, vedere veramente oggettivo nel racconto impersonale l’oggetto della sua fantasia. Allora ha scritto la storia della vita di Michele Boschino di Giuseppe, contadino di Sigalesa del centro della Sardegna. La tendenza ad oggettivarsi non era per Dessì, come io sospettavo, uno scrupolo intellettuale e un gusto psicologico, ma una necessità della sua fantasia; una maniera per svolgere la sua arte. Che Michele Boschino si sia oggettivato dentro il personaggio io, che Dessì si sia mantenuto fedele al tema di San Silvano, anzi l’abbia approfondito, il lettore lo scopre quando, nella secon-

308

va vivace, e tutti gli oggetti che toccava erano vivi nelle sue mani, animati dalla forza del suo sangue. Meno d’ogni altro avrebbe saputo dire da che cosa nasceva questa gioia, che viveva, come la sua angoscia, nelle cose che la circondavano. Anche l’acqua di Sigalesa le dava gioia, quell’acqua cristallina e leggera come aria, che lei beveva avidamente. Non avrebbe saputo dire perché quei monti, quei boschi, lo stormire del vento a lunghe ondate, quando il paese dormiva, le dessero quel turbamento di gioia. Pensava che forse era la vita più riposata, a farla star bene, e l’acqua buona, l’aria salubre, il cibo abbondante e nutriente. E se ne vergognava. Era una gioia di cui gli altri non potevano accorgersi, a volte offuscata, a volte più viva, come una stagione al suo inizio, quando non è ancora del tutto passata quella che l’ha preceduta. Di fuori si manifestava appena in una maggior floridezza, che solo Anna notava, quando s’incontravano, e a cui Michele s’assuefaceva senza farci caso. Era un sentimento della carne, profondo e solitario. Lei stessa forse non sentiva la sua gioia intera e compiuta se non quando s’abbandonava a Michele. Allora la sua gioia continuava nel sonno. Al mattino, quando, nel dormiveglia, non lo sentiva più accanto a sé, e vedeva sull’impannata i riflessi della lanterna della stalla, s’avvolgeva in uno scialle e correva a raggiungerlo. Si svegliava nell’aria diaccia del mattino, si trovava improvvisamente sveglia in mezzo al cortile, nell’aria fredda che le penetrava sotto i panni, e si vergognava. Allora si metteva a raccogliere la biancheria stesa la sera prima, e con la stessa avidità con cui beveva l’acqua, aspirava il vento che l’aveva asciugata al sereno.

michele boschino

da parte del romanzo, vede il racconto oggettivo in terza persona ripreso dal racconto soggettivo e di forma autobiografica. La vita di Michele Boschino diventa perciò, in questa seconda parte, il problema morale di un giovane che assomiglia al personaggio IO di San Silvano, come Boschino è parente delle donne e degli uomini del popolo che solo fuggevolmente vi appaiono. Questa oggettivazione, che è stata un approfondimento stilistico e morale di certi motivi umani, si é dunque compiuta dentro il mondo soggettivo. Pure, fra le due parti dei romanzo c’è una continuità della lingua che vuole far vibrare la ricca e molteplice concretezza delle cose. La mia diffidenza fu smussata, già alla prima lettura della parte oggettiva del romanzo, da questo senso così intenso della realtà. Siccome Dessì stesso mi ha chiarito il rapporto tra questa mia impressione di continuità e questo mio gusto di lettere che ammirava e amava certi oggetti, certi utensili, certi fuochi, le cose insomma di questo libro, riporto le sue parole: «Cose e gesti che ritornano, situazioni che si ripetano, dovrebbero vivere nel libro come un albero vive nella campagna: vivere e rivelarsi dai diversi punti di vista di cui l’occhio dello scrittore e del lettore lo guardano, e nei mille possibili e taciuti punti di vista: avere in sé queste mille possibilità come le cose reali. Credo che tutto il libro sia impostato in questo senso. Ci sono due punti di vista che interferiscono: quello oggettivo e quello soggettivo. Il racconto oggettivo interrotto, viene ripreso dal racconto soggettivo del giovane e dalla introspezione, ma il racconto è solo apparentemente continuato, in realtà è ripetuto. Tutto sta in questa ripetizione, in questo aprire due punti differenti sull’orizzonte, da cui convergono due raggi in un sol punto. Vorrei che si sentisse la possibilità di mille altri raggi. Il lettore nel mio ideale, dovrebbe sentire, al di là della più rigorosa precisione della mia immagine, il desiderio fantastico di ripensarla. Così come è accaduto a te, per esempio, per i pomodori che Boschino offre nel cestello al giovane, dopo la visita». Lette queste parole, e ripensando a questo molteplice e profondo sentimento delle cose, io ho provato la medesima forma di gioia di chi, dopo la lettura delle tre Critiche, sente, commosso di riconoscenza per Kant, le infinite direzioni spirituali della realtà. Claudio Varese».

Bibliografia

ROMANZI E RACCONTI

La sposa in città, Modena, Guanda, 1938 [La sposa in città, 1938; Un’ospite di Marsiglia, 1938; La città rotonda, 1930; Giuoco interrotto, 1931; I piedi sotto il muro, 1932; Il cane e il vento, 1934; Le amiche, 1935; La rivedremo in paradiso, 1937; Una collana, 1937; Inverno, 1936, Cacciatore distratto,1938]. San Silvano, Firenze, Le Monnier, 1939 [Milano, Feltrinelli, 1962; Milano, Mondadori, 1981]. Michele Boschino, Milano, Mondadori, 1942 [1975; 1977; Nuoro, Ilisso, 2002]. Racconti vecchi e nuovi, Roma, Einaudi, 1945 [Nuoro, Ilisso, 2010: Giuoco interrotto, 1931; Inverno, 1936; Una collana, 1937; La rivedremo in paradiso, 1937; Un’ospite di Marsiglia, 1938; Cacciatore distratto, 1938; Incontro nel buio, 1938; Ricordo fuori del tempo, 1939; Un bambino quieto, 1939; L’insonnia, 1940; Suor Emanuela, 1940; Vigilia, 1940; Ritratto, 1941; Le aquile, 1941; Gli amanti, 1941; Saluto a Pietro Quendesquitas, 1941; Lebda, 1942; Paesaggio, 1942; Innocenza di Barbara, 1942; La cometa, 1945]. Storia del principe Lui, Milano, Mondadori, 1949 [1969]. I passeri, Pisa, Nistri-Lischi, 1955 [Milano, Mondadori, 1965; Nuoro, Ilisso, 2004]. Isola dell’Angelo, Caltanissetta-Roma, Sciascia, 1957 [in Lei era l’acqua, Milano, Mondadori, 1966; Nuoro, Ilisso, 2003: Isola dell’Angelo, 1949; I segreti, 1952; La cometa, 1945; La mia trisavola Letizia, 1949; Lei era l’acqua, 1950; Il bacio, 1949; La capanna, 1949; Black, 1951; La frana, 1950]. La ballerina di carta, Bologna, Cappelli, 1957 [Nuoro, Ilisso,

Bibliografia

310

2009: La mano della bambina, I violenti, La ballerina di carta, La magnolia, Fuga di Marta, La paura, Il fidanzato, La verità, Succederà qualcosa, Paese d’ombra, Giovani sposi, La rondine, Le scarpe nere, Caccia alle tortore, Oh Martina!, La ragazza nel bosco, L’uomo col cappello, Lo sbaglio, Il colera, La felicità, Un canto, La clessidra, L’utilitaria, Il grande Lama, La bambina malata]. Introduzione alla vita di Giacomo Scarbo, Venezia, Sodalizio del Libro, 1959 [Milano, Mondadori, 1973]. Il disertore, Milano, Feltrinelli, 1961 [Milano, Mondadori, 1974; 1976; Nuoro, Ilisso, 1997]. Lei era l’acqua, Milano, Mondadori, 1966 [Nuoro, Ilisso, 2003: Isola dell’Angelo, 1949; I segreti, 1952; La cometa, 1945; La mia trisavola Letizia, 1949; Lei era l’acqua, 1950; Il bacio, 1949; La capanna, 1949; Canto negro, 1949; Il giornale del lunedì, 1961; Il distacco, 1958; Commiato dall’inverno, 1958; Fuochi sul molo, 1959; Black, 1951; La frana, 1950; Vacanza nel Nord, 1965]. Paese d’ombre, Milano, Mondadori, 1972 [1975; Nuoro, Ilisso, 1998]. La scelta, a cura di A. Dolfi, Milano, Mondadori, 1978. Come un tiepido vento, Palermo, Sellerio, 1989 [Pagine bianche, 1958; Il bastone, 1933; Risveglio, 1934; Eucalipti, 1934; La sposa in città, 1937; Il figlio, 1945; Le scarpe nuove, 1949; L’offerta, 1949; Il risveglio di Daniele Fumo, 1951; Ellisse, 1953; La fiducia, 1955; Il pozzo, 1956; La serva degli asini, 1956; Un’astrazione poetica, 1957; Giroscopio, 1957; Tredici, 1958; Signorina Eva, 1958; La strada, 1959; È successo a Livia, 1959; Il destino di Numa, 1959; Breve diluvio, 1960; Il disastro, 1960; Coro angelico, 1960; Fuga, 1962; La certezza, 1962; Claudia, 1963; I cinque della cava, 1963; Come un tiepido vento, 1964; Il battesimo, 1966; Lettera crudele, 1975; Il giorno del giudizio, 1975].

Bibliografia

311

TEATRO

Racconti drammatici (La giustizia, Qui non c’è guerra), Milano, Feltrinelli, 1959. L’uomo al punto, in Terzo programma, 1961, 1, pp. 240-283. La trincea, in Teatro nuovo, marzo-aprile 1962 [Drammi e commedie, Torino, ERI, 1965, p. X). Eleonora d’Arborea, [Milano, Mondadori, 1964; a cura di N. Tanda, Sassari, Edes, 1995; Nuoro, Ilisso, 2010]. SAGGISTICA

Sardegna una civiltà di pietra (in coll. con F. Pinna e A. Pigliaru), Roma, Edizioni de “L’Automobile”, 1961. Narratori di Sardegna (in coll. con N. Tanda), Milano, Mursia, 1965. Scoperta della Sardegna, Milano, Il Polifilo, 1966. La leggenda del Sardus Pater, Urbino, Stamperia Posterula, 1977 [La leggenda del Sardus Pater, Io e il vino, Proverbi del mio paese, Il professore di liceo]. Un pezzo di luna, Note, memoria e immagini della Sardegna, a cura di A. Dolfi, Cagliari, Edizioni Della Torre, 1987 [I Scoperta della Sardegna, Paese d’ombra, Le due facce della Sardegna, Sale e tempo, La donna sarda, La leggenda del Sardus Pater, Proverbi e verità, Io e il vino, Taccuino di viaggio, Nostalgia di Cagliari, Carnevale con diavoli rossi, Belli feroci e prodi, Noialtri, Un’isola nell’isola; II – I sogni dell’arciduca, Il frustino, Il castello, Una giornata di primavera, Solitudine del popolo sardo, “Riscossa”, Il verismo di Grazia Deledda, Grazia Deledda cent’anni dopo, L’uomo Gramsci, Ricordo di Eugenio Tavolara, Come sono diventato scrittore]. POESIE, DIARI, CORRISPONDENZE

Diari 1926-1931, ed. critica a cura di F. Linari, Roma, Jouvence, 1993. Poesie, a cura di N. de Giovanni, Alghero, Nemapress, 1993.

Bibliografia

312

Diari 1931-1948, ed. critica a cura di F. Linari, Roma, Jouvence, 1999. G. Dessì, C. Varese, Lettere 1931-1977, a cura di M. Stedile, Roma, Bulzoni, 2002. Diari 1949-1951, ed. critica a cura di F. Linari, Firenze, University Press, 2009. F. Nencioni (a cura di), A Giuseppe Dessì. Lettere di amici e lettori, Firenze, University Press, 2009. Filmografia

La disamistade, regia: Libero Bizzarri. Soggetto e commento: Giuseppe Dessì. Italia: Gigi Martello per Libero Bizzarri, 1962. La Sardegna: un itinerario nel tempo di Giuseppe Dessì, regia: Libero Bizzarri. Soggetto e testo: Giuseppe Dessì. Musiche: Egisto Macchi. Canti eseguiti dal Coro di Orgosolo, dal Coro di Aggius e da Gavino Gabriel, Italia: 1963. Società Umanitaria, 2004. Documento televisivo Rai in tre puntate. Dessì tra cinema e televisione, a cura di G. Olla - C. Maccioni, programma televisivo della sede regionale Rai per la Sardegna, 1991. Il disertore, regia: Giuliana Berlinguer. Soggetto dal romanzo omonimo di Giuseppe Dessì. Italia: Società Umanitaria, 2003.

Bibliografia critica

Qui forniamo una bibliografia critica essenziale sulla personalità e l’opera di Giuseppe Dessì: G. Contini, Inaugurazione di uno scrittore, “Letteratura”, aprile 1939 [in Esercizi di lettura, Torino, Einaudi, 1974, pp. 175-180]. L. Chiavarelli, Giuseppe Dessì, “Roma Fascista”, Roma, luglio 1942. L. Forteleoni, Michele Boschino di Giuseppe Dessì, “L’Isola”, Sassari, 30 agosto 1942. M. Stefanile, Per un romanzo di Dessì, “Il Mattino”, Napoli 8 settembre 1942. P. Marletta, Michele Boschino, “L’Ora”, Palermo, 8 settembre, 1942. G. Vecchietti, Una nuova geografia letteraria: Michele Boschino e la Sardegna di Giuseppe Dessì, “Il Popolo di Roma”, Roma, 7 ottobre 1942. L. Crespellani, Michele Boschino, romanzo di Giuseppe Dessì, “L’Unione Sarda”, Cagliari, 15 ottobre 1942. L. Bocchi, Un romanzo di Dessì, “Gazzetta di Parma”, Parma, 15 novembre 1942. A. Livi, Il caso Boschino, “Lettere d’oggi”, Roma, 18 novembre 1942. G. Ferrata, Michele Boschino, “Il Tempo”, Milano, 19 novembre 1942. Anime sarde, “Osservatore Romano”, Roma, 20 novembre 1942. L. Sechi, Trilogia sarda di Giuseppe Dessì, “L’Assalto”, Bologna, 28 novembre 1942. B. Foscanelli, Ingenuità sensibile di Dessì, “Libro e moschetto”, Milano, 28 novembre 1942. A. Vallone, Aspetti del romanzo d’oggi. La narrativa di Dessì, “Vedetta Mediterranea”, Lecce 7 dicembre 1942.

314

Bibliografia

F. Squarcia, Michele Boschino di Giuseppe Dessì, “Primato”, 2, IV (15 gennaio 1943) Roma, p. 29. E. Falqui, Michele Boschino, “Riscossa”, 18 marzo 1945 [in Novecento letterario, Firenze, Vallecchi, 1961, pp. 121-125]. A. Vallone, Giuseppe Dessì, “La Gazzetta del Mezzogiorno”, Bari, 12 novembre 1948. E. De Michelis, Giuseppe Dessì [1939], in Narratori al quadrato, Pisa, Nistri-Lischi, 1962, pp. 69-79. N. Gallo, La narrativa italiana del dopoguerra, “Società”, giugno 1950, pp. 324-341 [in Scritti letterari di Niccolò Gallo, Milano, Il Polifilo, 1975, pp. 29-47]. F. Alziator, Storia della letteratura di Sardegna, Cagliari, Edizione della Zattera, 1954, pp. 501-502. N. Valle, Narratori e poeti d’oggi, Cagliari, Edizioni della rivista “Il Convegno”, 1958, pp. 152-154; Due figli della fama: Enrico Falqui e Giuseppe Dessì, “L’Unione sarda”, aprile 1962. G. Barberi Squarotti, Narrativa di Dessì [1959], in Poesia e narrativa del secondo Novecento, Milano, Mursia, 1967. A. Leone De Castris, I passeri, in Decadentismo e realismo, Bari, Adriatica, 1959. E. Falqui, Giuseppe Dessì, in Novecento letterario, Firenze, Vallecchi, 1961, pp. 121-146. A. Segneri, Il nuovo romanzo di Giuseppe Dessì: rassegne, “Ichnusa: rivista bimestrale di letteratura, arte, tecnica, economia ed attualità”, vol. 9, 42 (30 giugno 1961), pp. 80-84. P. Ragionieri Sergi, Breve storia di Giuseppe Dessì, “Belfagor”, 2 (1962), pp. 220-224. G. Macera, Il lavoro in Sicilia. L’ultimo Dessì, Bologna, Cappelli, 1962. E. De Michelis, Narratori al quadrato, Pisa, Nistri-Lischi, 1962. G. Debenedetti, Dessì e il golfo mistico, “Intermezzo”, Milano, Mondadori, 1963 [Milano, Il Saggiatore, 1972]. C. Varese, Occasioni e valori della letteratura contemporanea, Bologna, Cappelli, 1967; Prefazione a San Silvano, Milano,

Bibliografia

315

Feltrinelli, 1962, pp. 7-15; Introduzione a Paese d’ombre, Milano, Mondadori, 1975, pp. V-XIII; Introduzione a Michele Boschino, Milano, Mondadori, 1975, pp. V-XIV; Introduzione a La scelta, Milano, Mondadori, 1978; Sfide del Novecento. Letteratura come scelta, Firenze, Le Lettere, 1992. M. Tondo, Giuseppe Dessì, in Storia della letteratura italiana, I contemporanei, III, Milano, Marzorati, 1969, pp. 559-586 [Lettura di Giuseppe Dessì, in Sondaggi e letture di contemporanei, Lecce, Milella, 1974, pp. 9-69]. N. Tanda, Realtà e memoria nella narrativa contemporanea, Roma, Bulzoni, 1970; Contributi su Giuseppe Dessì. Dessì e la sua scelta culturale e politica. Tre rilievi tematici sull’opera di Giuseppe Dessì, Sassari, Libreria Dessì, 1978; Dessì e il problema dei codici, in Letteratura e lingue in Sardegna, Cagliari, Edes, 1984, pp. 119-122; Quante Sardegne in Paese d’ombre di Giuseppe Dessì, in Tutti i libri della Sardegna, Cagliari, Della Torre, 1989, pp. 196-198; Lingue e letteratura nella Sardegna moderna e contemporanea, in Dal mito dell’Isola all’Isola del mito, Roma, Bulzoni, 1992, p. 141-152; Introduzione e Note di commento a G. Dessì, Eleonora d’Arborea, a cura di N. Tanda, Sassari, Edes, 1995 [Milano, Mondadori, 1964]. A. De Lorenzi, Dessì, Firenze, La Nuova Italia, 1971. M. Casu, Giuseppe Dessì scrittore, Sassari, Libreria Dessì, 1972; Il tema della morte nell’opera di Giuseppe Dessì, Cagliari, S.T.E.F., 1977. G. Manacorda, Giuseppe Dessì, in Vent’anni di pazienza, Saggi sulla letteratura italiana contemporanea, Firenze, La Nuova Italia, 1972, pp. 87-115. V. Stella, Introspezione e storia nella narrativa di Giuseppe Dessì, “Trimestre”, 1972, 3/4, pp. 359-393 [in L’apparizione sensibile, Analisi e revisioni, Roma, Bulzoni, 1979, pp. 243277]. A. De Lorenzi, Dessì, la memoria ritrovata, “Messaggero Veneto”, Udine, 7 dicembre 1975. A. Toscani, Dessì, Firenze, La Nuova Italia, 1975. M. Miccinesi, Invito alla lettura di Giuseppe Dessì, Milano, Mursia, 1976.

316

Bibliografia

M. Grillandi, Dessì: vivere come dentro un teorema, “Il Lavoro”, Genova, 22 aprile 1976. A. Dolfi, Introduzione a Il disertore, Milano, Mondadori, 1976, pp. 5-27 [Forme della ripetizione e intermittences nel ‘Disertore’, in Terza generazione, Ermetismo e oltre, Roma, Bulzoni, 1997, pp. 435-446]; La parola e il tempo. Saggio su Giuseppe Dessì, Firenze, Nuove edizioni Vallecchi, 1977 [La parola e il tempo, Giuseppe Dessì e l’ontogenesi di un ‘roman philosophique’, Roma, Bulzoni, 2004]; Un romanzo interrotto. Commento e nota al testo, in La scelta, Milano, Mondadori, 1978, pp. 129-176; Le costanti narrative nell’opera di Dessì e l’eccezione ‘ferrarese’ di San Silvano, in Esperienze letterarie, 1979, 1, pp. 76-88 [in Terza generazione, Ermetismo e oltre, Roma, Bulzoni, 1997, pp. 405-22]; Profili di contemporanei. Giuseppe Dessì, in Rivista italiana di drammaturgia, 1980, 13, pp. 115-125 [Dessì e la scena/teatro, in In libertà di lettura, Note e riflessioni novecentesche, Roma, Bulzoni, 1990, pp. 175-189]; Introduzione a San Silvano, Milano, Mondadori, 1981, pp. 5-28; Post-face, in San Silvano, traduit de l’italien par Gilbert Rossa avec la collaboration de Bernard Simeone, Lagrasse, Verdier, 1988 [Rileggendo Dessì e ‘San Silvano’, in Libertà di lettura, Note e riflessioni novecentesche, Roma, Bulzoni, 1990, pp. 159-168]. A. Romagnino, Orgoglio e coscienza, “L’Unione Sarda”, 7 luglio 1977; Dessì e Varese dal liceo Dettori a Ferrara: storia di un’avventura letteraria, Cagliari, Demos, 1999. M. Brigaglia, Uno scrittore per la Sardegna, “L’Unione Sarda”, 7 luglio 1977. L. Muoni, Prospettive di Sardegna attraverso la letteratura: Sebastiano Satta, Grazia Deledda, Giuseppe Dessì, Napoli, Compagnia tipografica napoletana, 1980; La Sardegna di Giuseppe Dessì fra mito e illuminismo della memoria: un personaggio-chiave: Eleonora d’Arborea, Cagliari, 1986, pp. 161-181. G. Trisolino, Ideologia, scrittura e Sardegna in Dessì, Lecce, Milella, 1983. AA.VV., La poetica di Giuseppe Dessì e il mito della Sardegna, Atti del Convegno Facoltà di Lettere dell’Università di Ca-

Bibliografia

317

gliari [settembre 1983], Cagliari, Tipografia Tea, 1986 [con interventi, tra gli altri, di G. Bàrberi Squarotti, G. Petrocchi, C. Varese, G. Bassani, G. Manacorda, M. Dell’Aquila, A. Dolfi, P. Sergi Ragionieri, N. Tanda, M. Tondo, G. Pirodda, F. Dessì-Fulgheri]. AA.VV., Il lume dei due occhi, G. Dessì: biografia e letteratura, a cura di S. Caronia, Cosenza, Edizioni Periferia, 1987 [con interventi, tra gli altri, di C. Garboli, G. Petroni, N. Tanda, C. Varese, A. Dolfi, I. Alighiero Chiusano]. L. Del Piano, Le persone e i luoghi di “Paese d’ombre”, Cagliari, Editar, 1987. C. Cordiè, Tre note su Giuseppe Dessí (il poeta lirico, l’epistolografo, il critico letterario), “Critica letteraria”, 58/59 (1988), pp. 49-110/281-303. G. Mameli, L’isola come centro del mondo: profilo di Giuseppe Dessì, “Almanacco di Cagliari”, A. 1988, N. 23, 1988; Scrittori sardi del Novecento, Cagliari, EdiSar, 1989. Pisa 1935: Giuseppe Dessì e Luigi Russo (Due testi inediti), in Annali della Facoltà di Lettere e Filosofia – Università di Siena, a cura di M. Musio, Firenze, Olschki, 1990, pp. 189-203. C. Lavinio, La narrativa di Giuseppe Dessì, in Narrare un’isola. Lingua e stile di scrittori sardi, Roma, Bulzoni, 1991, pp. 69-83. G. Marci, Giuseppe Dessì, in Narrativa sarda del Novecento. Immagini e sentimento dell’identità, Cagliari, CUEC, 1991, pp. 175-182; G. Marci, L. Pisano, Giuseppe Dessì, I luoghi della memoria, fotografie di Salvatore Ligios, Cagliari, Cuec, 2002; In presenza di tutte le lingue del mondo. Letteratura sarda, Centro di Studi Filologici Sardi/CUEC, Cagliari, 2005. G. Pirodda, Sardegna, Brescia, Editrice la Scuola, 1992, pp. 360-368. A. Mocci, Giuseppe Dessì, Il disertore, in Aa. Vv., Scrivere al confine: radici, moralità e cultura nei romanzi sardi contemporanei, a cura di G. Marci, Cagliari, Cuec, 1994, pp. 55-61. M. Virdis, Sentimento dell’isola: la Sardegna nella narrativa di Giuseppe Dessì, Milano, Editrice Italiana Letteraria, 1996.

318

Bibliografia

N. Rudas, Il disertore: il romanzo del segreto, in L’isola dei coralli. Itinerari dell’identità, Roma, La Nuova Italia Scientifica, 1997. S. Maxia, Prefazione a Il disertore, Nuoro, Ilisso, 1997, pp. 7-37; Prefazione a Paese d’ombre, Nuoro, Ilisso, 1998, pp. 7-35. M. Dell’Aquila, Giuseppe Dessì: i racconti, “Italianistica”, 3 (1998), pp. 393-400. D. Manca, Il tempo e la memoria nel ‘racconto ripetuto’ di Giuseppe Dessì fra relativismo conoscitivo e paradigma fenomenologico, “La Scrittura”, V, 12 (2000), pp. 16-22 [Il ‘racconto ripetuto’ di Giuseppe Dessì, in Recensioni e biografie. Libri e maestri, Atti del 2° seminario, Alghero 10/20 maggio 2006, a cura di P. Maninchedda, Cagliari, Centro di Studi Filologici Sardi/Cuec, 2006, pp. 323-358; Il tempo e la memoria. Letture critiche, Roma, Aracne, 2006, pp. 1-31]. C.A. Madrignani, Il silenzio di Michele, in Michele Boschino, Nuoro, Ilisso, 2002, pp. 7-25. Giuseppe Dessì, Storia e catalogo di un archivio, a cura di A. Landini, Firenze, Firenze University Press, 2002. Le corrispondenze familiari nell’Archivio Dessì, a cura di C. Andrei, Firenze, Firenze University Press, 2003. AA.VV., Una giornata per Giuseppe Dessì, Atti di seminario, Firenze (11 novembre 2003), a cura di A. Dolfi, Roma, Bulzoni, 2005 [contiene, tra gli altri, interventi di N. Turi, A. Gialloreto, A. Dolfi, E. Pinzuti, M. Baldini, R. Scrivano, M. Musio, M. Stedile, C. Andrei, M. Lai, L. Curreri]. N. Turi, Michele Boschino metaromanzo ante litteram, in Una giornata per Giuseppe Dessì, Atti di seminario, Firenze (11 novembre 2003), a cura di A. Dolfi, Roma, Bulzoni, 2005, pp. 29-45. Sardegna: Giuseppe Dessì, in G. Cesaro, L’ oro del sud: tempi, luoghi e figure di una gloriosa tradizione letteraria: Basilicata, Calabria, Campania, Molise, Puglia, Sardegna, Sicilia: storia e antologia, Napoli, Tullio Pironti, 2003, pp. 247-252. E. Spinelli, La biblioteca e una città, uno scrittore e il suo critico: l’Ariostea di Ferrara nelle lettere di Giuseppe Dessì e Claudio Varese, “Bibliotheca”, Milano, 1 (2004), pp. 103-114.

Bibliografia

319

A. Loi-I. Cogotti, Giuseppe Dessì: un letterato “geografo” della Sardegna, in Aa. Vv., Memoria, paesaggio, cultura. Itinerari italiani ed europei, a cura di L. Pisano, Milano, Fondazione Giuseppe Dessì-Franco Angeli, 2005, pp. 141-164. G. Olla, Ritorno a casa: Giuseppe Dessì e l’esplorazione televisiva della Sardegna negli anni Sessanta, in Aa. Vv., Memoria, paesaggio, cultura. Itinerari italiani ed europei, a cura di L. Pisano, Milano, Fondazione Giuseppe Dessì-Franco Angeli, 2005, pp. 333-342. AA. VV. Narrativa breve, cinema e tv. Giuseppe Dessì e altri protagonisti del Novecento, a cura di V. Pala e A. Zanda, Roma, Bulzoni, 2011. G. Dessì, Nell’ombra che la lucerna proiettava sul muro, a cura di G. Olla, Cagliari, CUEC, 2011.

Indice dino manca

Introduzione

p. xi

Nota al testo

xic

Giuseppe Dessì Michele Boschino

p.

1

Appendice A

243

Appendice B

279

Appendice C

287

Bibliografia 309

volumi pubblicati

SCRITTORI SARDI 1) Domenico Simon, Le piante, a cura di Giuseppe Marci 2) Francesco Ignazio Mannu, Su patriota sardu a sos feudatarios, a cura di Luciano Carta 3) Antonio Cano, Sa Vitta et sa Morte, et Passione de sanctu Gavinu, Prothu et Januariu, a cura di Dino Manca 4) Giuseppe Cossu, La coltivazione de’ gelsi e propagazione de’ filugelli in Sardegna, a cura di Giuseppe Marci 5) Proto Arca Sardo, De bello et interitu marchionis Oristanei, a cura di Maria Teresa Laneri 6) Salvatore Satta, L’autografo de Il giorno del giudizio, edizione critica a cura di Giuseppe Marci 7) Giuseppe Manno, Note sarde e ricordi, a cura di Aldo Accardo e Giuseppe Ricuperati, edizione del testo di Eleonora Frongia 8) Antonio Mura, Poesia ininterrompia e Campusantu marinu, a cura di Duilio Caocci 9) Giovanni Saragat, Guido Rey, Alpinismo a quattro mani, a cura di Giuseppe Marci 10) Giuseppe Todde, Scritti economici sulla Sardegna, edizione delle opere a cura di Pietro Maurandi, testo a cura di Tiziana Deonette 11) Giovanni Delogu Ibba, Index libri vitae, a cura di Giuseppe Marci 12) Predu Mura, Sas poesias d’una bida, nuova edizione critica a cura di Nicola Tanda con la collaborazione di Raffaella Lai 13) Francisco de Vico, Historia general de la Isla y Reyno de Sardeña (7 volumi), a cura di Francesco Manconi, edizione di Marta Galiñanes Gallén 14) Vincenzo Sulis, Autobiografia, edizione critica a cura di Giuseppe Marci, introduzione e note storiche di Leopoldo Ortu 15) Antonio Purqueddu, De su tesoru de sa Sardigna, a cura di Giuseppe Marci 16) Sardus Fontana, Battesimo di fuoco, edizione del testo a cura di Eleonora Frongia, prefazione di Aldo Accardo, introduzione di Giuseppina Fois

17) Andrea Manca Dell’Arca, Agricoltura di Sardegna, a cura di Giuseppe Marci 18) Pietro Antonio Leo, Di alcuni antichi pregiudizii sulla così detta sarda intemperie e sulla malattia conosciuta con questo nome lezione fisico-medica, a cura di Giuseppe Marci, presentazione di Alessandro Riva e Giuseppe Dodero, profilo biografico di Pietro Leo Porcu 19) Sebastiano Satta, Leggendo ed annotando, edizione critica a cura di Simona Pilia 20) Il carteggio Farina - De Gubernatis (1870-1913), edizione critica a cura di Dino Manca 21) Giovanni Arca, Barbaricinorum libelli, a cura di Maria Teresa Laneri, saggio introduttivo di Raimondo Turtas 22) Antonio Baccaredda, Vincenzo Sulis. Bozzetto storico, a cura di Simona Pilia, introduzione di Giuseppe Marci 23) Giovanni Saragat, Guido Rey, Famiglia alpinistica. Tipi e paesaggi, a cura di Giuseppe Marci, introduzione di Giuseppe Garimoldi 24) Efisio Marcialis, Vocabolari, a cura di Eleonora Frongia 25) Grazia Deledda, Il ritorno del figlio, edizione critica a cura di Dino Manca 26) Francesco Cucca, Lettere ad Attilio Deffenu (1907-1917), a cura di Simona Pilia, introduzione di Giuseppe Marci 27) Giuseppe Todde, Scritti economici, edizione delle opere a cura di Pietro Maurandi, testo a cura di Tiziana Deonette 28) Antonio Canales De Vega, Discursos y apuntamientos sobre la proposición hecha en nombre de su Magestad a los tres Braços Ecclesiástico, Militar y Real, a cura di Antonello Murtas, introduzione di Gianfranco Tore 29) Antonio Mura Ena, Memorie del tempo di Lula, edizione critica a cura di Dino Manca, prefazione di Nicola Tanda 30) Gerolamo Araolla, Rimas diversas spirituales, a cura di Maurizio Virdis 31) Frate Antonio Maria da Esterzili, Libro de Comedias, a cura di A. Luca de Martini 32) Grazia Deledda, Lettere ad Angelo de Gubernatis (1892-1909), a cura di Roberta Masini

33) Sigismondo Arquer, Sardinae brevis historia et descriptio, a cura di Maria Teresa Laneri, saggio introduttivo di Raimondo Turtas 34) Giuseppe Todde, Note sulla Economia Politica, edizione delle opere a cura di Pietro Maurandi, testo a cura di Tiziana Deonette 35) Antonio Maccioni, Arte y Vocabulario de la lengua Lule y Tonocoté, a cura di Riccardo Badini, Tiziana Deonette, Stefania Pineider, introduzione di Riccardo Badini, Raoul Zamponi 36) Antonio Maccioni, Las siete estrellas de la mano de Jesús, a cura di Tiziana Deonette, Simona Pilia, introduzione di María Cristina Vera de Flachs, Luciano Gallinari, Gianna Carla Marras 37) Umberto Cardia, Il mondo che ho vissuto, a cura di Giuseppe Marci, prefazione di Joseph Buttigieg 38) Juan Tomás Porcell, Información y curación de la peste de Çaragoça y praeservación contra peste en general, a cura di María Dolores García Sánchez 39) Pompeo Calvia, Quiteria, edizione critica a cura di Dino Manca 40) Grazia Deledda, L’edera, edizione critica a cura di Dino Manca 41) Giuseppe Biasi, Comparsa conclusionale. I parenti poveri, a cura di Giambernardo Piroddi, prefazione di Nicola Tanda

OPERE DI ENRICO COSTA 1) 2) 3)

La bella di Cabras, a cura di Giuliano Forresu, introduzione di Giuseppe Marci Racconti, a cura di Elena Casu, Melanie Sailis e Francesca Sirigu, prefazione di Pasquale Mistretta, introduzione di Ines Loi Corvetto Guida-racconto. Da Sassari a Cagliari e viceversa, a cura di Simona Pilia, introduzione di Giuseppe Marci

TESTI E DOCUMENTI 1)

Il libro sardo della confraternita dei disciplinati di Santa Croce di Nuoro (XVI sec.), a cura di Giovanni Lupinu

2)

Il Condaghe di Santa Maria di Bonarcado, a cura di Maurizio Virdis 3) Il Condaghe di San Michele di Salvennor, a cura di Paolo Maninchedda e Antonello Murtas 4) Il Registro di San Pietro di Sorres, introduzione storica di Raimondo Turtas, edizione critica a cura di Sara Silvia Piras e Gisa Dessì 5) Innocenzo III e la Sardegna, a cura di Mauro G. Sanna 6) Il Vangelo di San Matteo voltato in logudorese e cagliaritano, a cura di Brigitta Petrovszki Lajszki e Giovanni Lupinu 7) Il Condaghe di San Gavino, a cura di Giuseppe Meloni 8) I Malaspina e la Sardegna, a cura di Alessandro Soddu 9) Le chiese e i gosos di Bitti e Gorofai, a cura di Raimondo Turtas e Giovanni Lupinu 10) Il Condaxi Cabrevadu, a cura di Patrizia Serra 11) Il Vangelo di San Matteo voltato in Sassarese, a cura di Giovanni Lupinu