L'arte europea dal VI al IX secolo 880204614X


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L'arte europea dal VI al IX secolo
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STORIA UNIVERSALE

DELL’ARTE

PIOTR SKUBISZEWSKI

L’ARTE EUROPEA DAL VI AL IX SECOLO Porci Pi a lonie

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STORIA UNIVERSALE DELL’ARTE Louis-René Nougier LA PREISTORIA

V. Grottanelli, I. Bernal, P. Gendrop e B. Villaret LE AMERICHE

Vinigi Grottanelli AUSTRALIA, OCEANIA, AFRICA NERA Sergio Donadoni L’EGITTO

Ursula Moortgat-Correns LA MESOPOTAMIA

è

x

Sabatino Moscati IL MONDO

PUNICO

Sabatino Moscati LE CIVILTA PERIFERICHE DEL VICINO ORIENTE ANTICO Roland Martin LA GRECIA E IL MONDO

GRECO, 2 voll.

AA. VV. GLI ETRUSCHI E L’ITALIA PREROMANA Guido A. Mansuelli ROMA E IL MONDO

ROMANO, 2 voll.

Edith Porada IL MONDO IRANICO

Mario Bussagli

x

L’ARTE DEL GANDHARA Calambur Sivaramamurti INDIA, CEYLON, NEPAL, TIBET, 2 voll. Jean Boisselier IL SUD-EST ASIATICO

Michèle Pirazzoli-t'Serstevens e collaboratori LA CINA, 2 voll.

Miyeko Murase IL GIAPPONE Guido A. Mansuelli LA FINE DEL MONDO

ANTICO

Anthony Cutler e John Nesbitt L’ARTE BIZANTINA, 2 voll. Piotr Skubiszewski L’ARTE EUROPEA

DAL VI AL IX SECOLO

Xenia Muratova L’ALTO

MEDIOEVO

(X-XII SEC.)

AA. VV. IL DUECENTO Enrico Castelnuovo IL TRECENTO Renato De Fusco IL QUATTROCENTO

IN ITALIA

Jan Bialostocki IL QUATTROCENTO NELL’EUROPA SETTENTRIONALE

Marco Collareta e altri LA CRISI DEL SISTEMA EUROPEO

(1500-1560)

AA. VV. CONTRORIFORMA E RIVOLUZIONE SCIENTIFICA (1560-1650) Grigore Arbore Popescu L’ETA DELL’ASSOLUTISMO

(1650-1730)

Orietta Rossi Pinelli RAGIONE E RIVOLUZIONE

(1730-1815)

Cesare de’ Seta IL SECOLO DELLA BORGHESIA

(1815-1890), 2 voll.

L’ETA DELLE AVANGUARDIE Flaminio Gualdoni LE FORME

DEL PRESENTE

In sovracoperta:

Miniatura raffigurante Carlo il Calvo che riceve la Bibbia dall’abate Viviano. Parigi, Bibliothèque Nationale, ms. lat. 1, fol. 423r

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Digitized by the Internet Archive in 2022 with funding from Kahle/Austin Foundation

https://archive.org/details/larteeuropeadalv0000skub

STORIA UNIVERSALE

DELL’ARTE

SEZIONE TERZA

LE CIVILTÀ DELL'OCCIDENTE DIRETTA DA ENRICO CASTELNUOVO

PIOTR SKUBISZEWSKI

L'ARTE EUROPEA DAL VI AL IX SECOLO

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EUROPEA

VI AL IX SEC. UTET-TORINO

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UTET

:

Traduzione

dal francese di Falco Rossi.

© 1995 Unione Tipografico-Editrice Torinese corso Raffaello, 28 - 10125 Torino I diritti di traduzione, di memorizzazione

elettronica, di

riproduzione e di adattamento totale o parziale, con qualsiasi mezzo (compresi i microfilm e le copie fotostatiche), sono riservati per tutti i Paesi. L’Editore potrà concedere a pagamento l’autorizzazione a riprodurre una porzione non superiore a un decimo del presente volume.

Le richieste di riproduzione vanno inoltrate all’AIDROS, via delle Erbe, 2 - 20121 Milano

Tel. 02/86463091, Fax 02/89010863 Fotocomposizione: Compedit - Torino Riproduzione: Studio Analysis - Torino Stampa: Stamperia Artistica Nazionale - Torino ISBN 88-02-04614-X

INDICE

GENERALE

Capitolo I. Gli albori della nuova Europa l. Roma: universalisnto antico e nuovo a 2. La migrazione e la formazione dei nuovi regni . . ....... e ciclo cultura. °° Capitolo II. Roma, l’esarcato di Ravenna bardi i

p. >»

3 10

e i possedimenti longo-

iegiziarchitettura a Roma e nella Romagna

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paslectciecorazione scultorea delle chiese . . .......... Bio sancite ia pira n e... e...

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pelleiichitettura nei territori longobardi

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Capitolo III. La Gallia merovingia, i Franchi e i Germani a est del Reno lesiborchifetmralella(decorazione scultorea.

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Capitolo IV. La perizia iberica dei Visigoti

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Capitolo V. Il mondo irlandese e anglo-sassone IO IZIONE PR e e n i Licei RR 3. L scultura in pietra. . . . 4. L’ornamentazione, le arti suntuarie, Fo miniatura ea USO» è oto eo a AN

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fimuitolo VII. La Civiltà carolingia

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cintura bronzee, la cui placca, con gli orli segnati da bugnette, mostra una decorazione incisa comprendente quadrupedi, intrecci e svariati motivi geometrici, tra cui rosoni formati da fusi, già noti dalla decorazione architettonica (cfr. il battistero di Poitiers). Il carattere lineare del disegno è un indice dei cambiamenti intervenuti nell’arte della Gallia per il succedersi delle invasioni dei Visigoti e dei Franchi, ma la forma dell’oggetto, non lontana da quella delle fibbie di cintura militari romane, e la sua decorazione, abbastanza poco fitta e relativamente naturalistica, dimostrano come la Gallia occidentale e sud-occidentale

sia rimasta ancora a lungo fedele alle tradizioni mediterranee antiche. Nel cuore del regno franco, in Austrasia e Neustria, i rivolgimenti furono al contrario più profondi. Non è d’altronde facile redigere un quadro generale, in quanto queste terre hanno visto comparire e confondersi tra di loro le correnti più diverse. La tecnica del cloisonné conservò a lungo la propria posizione privilegiata e solo nell'VIII secolo cedette progressivamente il posto ad altre tecniche. La sua importanza può essere valutata studiando le fibule a disco, un tipo di gioiello di origine mediterranea divenuto molto popolare a Nord delle Alpi. A partire dall’inizio del VII secolo, gli ateliers alamanni, burgundi, franchi

e, più tardi, sassoni e frisoni le imitarono in grande quantità. Il disegno delle pietre inserite negli alveoli andava dalle forme più strettamente geometriche a quelle zoomorfe. La tecnica del cloisonné si associava ad altre, quali la filigrana, lo stampo, la damaschinatura e l’incrostazione di pietre inserite in castoni; proprio l’incastonatura divenne anzi il procedimento più comunemente impiegato a partire dall’VIII secolo. Di questo tipo di gioiello esistevano perciò

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Ludovico il Pio come imperatore cristiano in

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una pagina del De Laudibus Sanctae Crucis di Rabano Mauro. Vienna,

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A ELICA ZORO SILA II

Nationalbibliothek,

cod. 652, fol. 3v 0 x Fe nie oo

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monasteri

e le cattedrali fondati a Est del Reno

sono

divenuti molto ricchi,

disponendo perciò di grandi mezzi finanziari per soddisfare ogni necessità nel campo degli oggetti di culto e dei libri. L’ars sacra sviluppatasi nelle regioni germaniche dell’Impero era certamente meno innovatrice sul piano del linguaggio artistico ma, nelle funzioni e nei programmi, non si allontanava molto dalle norme fissate nei primi centri della civiltà carolingia. Esattamente

come

in Lotaringia

o in Francia

Occidentalis,

gli inizi della

miniatura carolingia germanica sono contraddistinti dall’assimilazione dei modelli della Schola palatina. Il tema principale dei più antichi programmi decorativi è costituito dai ritratti di evangelisti. L’Evangeliario di Sankt Martin di Magonza (Monaco di Baviera, Bayerische Staatsbibliothek, Clm. 28561), due evangeliari eseguiti a Fulda (Wiirzburg, Universitàtsbibliothek, Ms. p. theol. Fol. 66, ed Erlangen, Universitàtsbibliothek, Ms. 9) e l’Evangeliario di Schîàftlarn in Baviera (Monaco di Baviera, Bayerische Staatsbibliothek, Clm. 17011)

attestano che le due concezioni di ritratto sviluppate dalle due correnti stilistiche della Schola palatina erano note agli scriptoria di paesi ben diversi gli

Capitolo

IX

255

L’iniziale Q(uid) del salmo 52 nel Salterio di Folchard.

San Gallo, Stiftsbibliothek, cod. 23, fol. 135r

uni dagli altri, quali la media Renania, l’Assia e la regione del Danubio. La copia rispetta abbastanza fedelmente il linguaggio artistico dell’originale, ma rivela al tempo stesso tutti i limiti di un’arte che non possiede ancora i mezzi per sopravanzare il modello. Il primo scriptorium che abbia creato delle opere originali è Fulda, negli anni 822-842, ai tempi di Rabano Mauro (780-856), discepolo di Alcuino a Tours ed egli stesso teologo rinomato e poeta allora molto apprezzato. Ad assicurare un posto importante al celebre monastero di san Bonifacio non è tanto lo stile, un po’ pesante, in cui si incontravano reminiscenze provenienti dall'Italia e influssi di Tours, bensì l'iconografia. Intorno all’840, Rabano Mauro redasse una nuova versione del suo poema Liber de laudibus sanctae crucis e ordinò ai suoi monaci di illustrare l’opera. Queste miniature, le cui composizioni si adattano alla disposizione del testo in colonne «illustrate», secondo l’antico schema dei carmina figurata, danno vita a un programma iconografico unico nel suo genere e preannunciano i nuovi temi della miniatura:

due scene

di dedicazione,

Cristo crocefisso,

Ludovico

il Germanico

«armato» della santa croce, gli angeli, gli evangelisti, l’autore nell’atto di adorare la Croce (Roma, Biblioteca Vaticana, Cod. Reg. lat. 124, e Vienna, Osterreichische Nationalbibliothek,

Cod. 652).

Di tutti gli scriptoria della Francia Orientalis, il più ricco di inventiva era

256

— L’arte europea dal VI al IX secolo

senza dubbio quello di San Gallo. In un primo tempo, lo spirito innovatore ha qui invaso il repertorio e lo stile dell’ornamentazione. Già nei manoscritti realizzati ai tempi dell’abate Gozberto (816-837) i motivi di origine insulare e merovingia mutano aspetto: più grandi e meglio strutturati, si riuniscono infatti in nuove composizioni, organiche e dinamiche al tempo stesso, mentre il sistematico impiego di oro e argento conferisce loro un particolare splendore (Salterio di Wolfcoz, San Gallo, Stiftsbibliothek, Cod. 20). Tale linguaggio si trasforma poi in uno stile decorativo ben individualizzato ai tempi dell’abate Grimaldo (841-872), quando gli artisti raggiungono l’equilibrio tra le forme geometriche di origine insulare e il libero movimento dell’ornamentazione vegetale, tra le costrizioni dovute alla regolare disposizione dei motivi e la loro struttura. L’ornamentazione che ne deriva è abbastanza vicina allo spirito delle pagine di incipit della scuola di Carlo il Calvo, come testimonia nel migliore dei modi il Salterio di Folchard (San Gallo, Stiftsbibliothek, Cod. 23), il quale, oltre

alle pagine puramente ornamentali, comprende una serie di figure di santi e di scene della vita di David collocate sotto arcate. Anche qui si osservano delle analogie con lo stile dei miniatori di Carlo il Calvo. La miniatura carolingia di San Gallo giunge all’apogeo, ma anche al termine del suo ciclo, ai tempi dell’abate Salomone (890-920), cancelliere del regno orientale. Il cosiddetto Salterio aureo (Psalterium aureum) della fine del IX secolo illustra bene la svolta (San Gallo, Stiftsbibliothek, Cod. 22). Le sue tre-

dici miniature, che narrano la storia di David, sono in effetti profondamente radicate nel vocabolario figurativo carolingio della seconda metà del IX secolo, ma in esse è già visibile un cambiamento, nel senso che la continuità spaziale e il modellato dei volumi sono quasi totalmente assenti da questi disegni resi sulla pergamena in modo alquanto sommario, donde le forme piuttosto scarne. L’artista non si ferma molto sui dettagli e si produce in una narrazione condensata; l’efficacia espressiva del movimento e la resa sintetica degli oggetti hanno la meglio sulla veridicità dei rapporti tra i personaggi della scena e sull’aspetto reale delle cose; la carica espressiva e il ritmo che si impadroniscono della narrazione sono nuovi valori destinati a dominare la pittura alle soglie dell’epoca romanica. Gli stili della miniatura carolingia interessavano anche l’intaglio in avorio, secondo una correlazione già osservata per l’ambiente artistico della corte di Carlomagno (cfr. pp. 236-237). Il fenomeno si è ripetuto più tardi, quando i modelli stabiliti dalla Schola palatina si sono progressivamente diffusi per tutto l'Impero carolingio. Esattamente come nel campo della miniatura, la corrente classicheggiante dell’Evangeliario dell’Incoronazione ha avuto la meglio e il tramite principale sembra essere stato Reims. Tra i più antichi esempi di questo stile scultoreo illusionista vanno annoverati una Crocefissione di Londra (British Museum), una Crocefissione con le donne al sepolcro di Liverpool (Public Museum) e un san Giovanni Evangelista di Montpellier (Musée de la Société Archéologique). Questi rilievi dal modellato sfumato, con figure calme, dal portamento quasi classico, si ricollegano alle miniature della scuola di Lotario (cfr. l’intaglio di Montpellier con l’Evangeliario di Kleve, conservato a Berlino) e tradiscono anche un’eco diretta dei primi avori cristiani (cfr. l’intaglio di Liverpool con l’avorio raffigurante le Donne al sepolcro e VAscensione, conservato al Bayerisches Nationalmuseum di Monaco di Baviera). Indipendentemente dai loro legami con la miniatura contemporanea, gli avori carolingi continuavano a cercare l’ispirazione direttamente nell’arte antica, come dimostrano in modo particolarmente eloquente le opere della cosiddetta scuola della Valle della Loira, estranee al filone di Reims. Sebbene non

unanimemente accettata, la vecchia proposta di Adolph Goldschmidt di localizzare questo atelier a Tours è molto convincente. Due lavori usciti da questa scuola, il Flabello di Tournus (Museo Nazionale del Bargello di Firenze) e il rillevo detto «del Paradiso terrestre» (Musée du Louvre di Parigi), respirano ancora l’atmosfera delle scene bucoliche antiche, dando adito a un’arte gioiosa, naturalista e carnale, tant'è che il Flabello, pur essendo un utensile liturgico, è

Capitolo

IX

DD(21

Pagina miniata con scene di guerra,

nel cosiddetto Salterio d’oro. San Gallo, Stiftsbibliothek,

stato decorato con scene tratte dalle Eg/oghe di Virgilio. Adolph Goldschmidt ha dimostrato l’affinità di questi rilievi e dei disegni che decorano un manoscritto del V secolo con le Egloghe e le Georgiche di Virgilio, il celebre Vergilius Romanus (Roma, Biblioteca Vaticana, Cod. lat. 3867). David H. Wright pensa che nel monastero di Saint-Martin fosse conservato un altro manoscritto di Virgilio, il Vergilius Vaticanus (Roma, Biblioteca Vaticana, Cod. lat. 3225). È noto che Tours era allora un centro intellettuale e artistico dotato di grande dimestichezza con il retaggio classico. D’altra parte, il Flabello e il rilievo del Louvre tradiscono la preoccupazione, tipica di Tours, per la resa dello spazio e del volume dei corpi. Come abbiamo già osservato, gli intagliatori d’avorio del IX secolo seguivano per lo più l’orientamento stilistico avviato dalla scuola di Reims: le forme pittoriche e agitate, le composizioni tumultuose e, al tempo stesso, preziose, in cui si interpenetrano il paesaggio e la figura umana, si manifestano infatti, in un modo o nell’altro, nella maggior parte delle opere dell’ultimo sessantennio del IX secolo. Il più fedele a questo retaggio è il gruppo di rilievi che viene tradizionalmente attribuito a Liutardo, comprendente i due piatti della coperta del Salterio di Carlo il Calvo (Parigi, Bibliothèque Nationale, Ms. lat. 1152), due

cod. 22, fol. 2r

258 — L’arte europea dal VI al IX secolo

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rilievi della rilegatura del Libro d’ore del medesimo re (Schweizerisches Landesmuseum di Zurigo), un Miracolo di Cana di Londra (British Museum) e la rilegatura già appartenente al Codex aureus di sant Emmeram, che dall’XI secolo è passata a contenere l’Evangeliario di Enrico Il (Monaco di Baviera, Bayerische Staatsbibliothek, Clm 4452). Questi avori decoravano o decorano ancora libri prodotti nel terzo quarto del IX secolo per il re della Francia Occidentalis, ma, da un punto di vista stilistico e iconografico, si ricollegano direttamente al Salterio di Utrecht, di cui traducono in un raffinato altorilievo la straordinaria visione della turbolenza della condizione umana. Peter Lasko pen-

sa che gli avori del «gruppo di Liutardo» siano stati prodotti dall’atelier di Reims intorno all’830 e che siano stati successivamente reimpiegati per decorare i manoscritti della scuola di Carlo il Calvo. Lo stile di quest’ultima trova delle dirette analogie in un gruppo di avori che traspongono il linguaggio di Reims in forme più calme e in un tipo di raffigurazione dai volumi piuttosto marcati. Le differenti tendenze stilistiche di questo gruppo sono illustrate dalla Vergine e dal san Giovanni Evangelista che decorano la rilegatura di un messale di Saint-Denis (Parigi, Bibliothèque Nationale, Ms. lat. 9436), dalla rilegatura dell’ Evangeliario di Noailles (Parigi, Bibliothèque Nationale, Ms. lat. 323), dai frammenti di un cofanetto decorato con apostoli (Bayerisches Nationalmuseum di Monaco di Baviera) e da un intaglio con la

rappresentazione di David assimilato a un re carolingio (Museo Nazionale del

Bargello di Firenze). Un altro modo ancora di avvicinare il forte retaggio di Reims ha visto la luce negli ateliers di Metz e in altri centri della Lotaringia dediti all’intaglio in avorio. Gli autori delle opere più antiche, che vengono riunite nella denominazione di «prima scuola di Metz» (metà del IX secolo), conservano la scioltezza di movimento e il portamento «classico» dei personaggi, ma attenuano l’agitazione delle forme (come nella Tentazione di Cristo della rilegatura del Liebighaus di Francoforte sul Meno). Nella seconda metà del IX secolo, il linguaggio si irrigidisce progressivamente, le figure divengono pesanti, mentre un trattamento lineare e uniforme del panneggio inizia a sostituirsi alla diversificata pieghettatura del passato. Tra i numerosissimi prodotti della «seconda scuola di Metz» (denominazione inesatta, ma comunemente

di Londra,

del Musée

du Louvre

di

Parigi, della chiesa parrocchiale di Gannat), un rilievo con scene cristologiche (Staatliche Museen di Berlino) e soprattutto il trono di Carlo il Calvo, divenuto in seguito una grande reliquia romana, la «cattedra di san Pietro» (basilica di San Pietro in Vaticano). Quest'ultima opera costituisce un eccellente esempio del gusto molto pronunciato per l’ornamentazione ricca e raffinata proprio degli ateliers della Lotaringia. Gli avori carolingi hanno enormemente ampliato gli orizzonti artistici dell’Europa del IX secolo, non soltanto resuscitando un’arte caduta in desuetudine e preparando, con la rinata padronanza di differenti forme di rilievo, la rinascita della scultura in pietra, ma anche contribuendo ad arricchire il repertorio iconografico medioevale (una nuova simbolica formula di Crocefissione, scene del-

la vita di David, scene cristologiche e agiografiche). Altrettanto notevole e denso di conseguenze è stato lo sviluppo della toreutica. Gli orafi del IX secolo hanno radicalmente mutato le forme dell’incrostazione, la tradizionale tecnica decorativa ereditata dall’epoca precedente, disponendo le pietre preziose e le paste vitree in composizioni sapientemente strutturate, congiungendole anche, con grande equilibrio, con il rilievo e con altre tecniche molto

antiche, alcune

Nella pagina afronte:

placchetta eburnea con rilievo raffigurante il Paradiso Terrestre. Parigi, Musée du Louvre

accettata), occorre citare una serie

di Crocefissioni (ad esempio quelle di Parigi, Bibliothèque Nationale, Ms. lat. 9383, del Victoria and Albert Museum

Lastra eburnea di un cofanetto con apostoli e segni zodiacali. Monaco, Bayerisches Nationalmuseum

delle quali, come

la filigrana, si sono

evolute

anch’esse, tanto da divenire un’espressione stilistica completamente nuova. Al-

Coperta del libro di preghiere di Carlo Calvo con rilievo in avorio che illustra il salmo 57. Zurigo, Schweizerisches Landesmuseum

il

260)

L'arte

europea

dal

VI al IX

secolo

Croce processionale detta Croce delle Ardenne in oro e pietre preziose. Norimberga, Germanisches

Nationalmuseum

Nella pagina a fronte: trono

in legno e avorio

anche noto come

di Carlo

il Calvo,

Cattedra di San Pietro.

Tesoro della Basilica di San Pietro in Vaticano

tre ancora, più recenti, come ad esempio lo smalto cloisonné, molto verosimilmente importato dall’Italia, sono divenute una componente sempre più significativa del linguaggio decorativo. Il rilievo, infine, raro e sovente primitivo ai tempi di Carlomagno, è diventato un comune mezzo decorativo. Le opere realizzate per Carlo il Calvo o comunque nell’ambiente artistico creatosi intorno a questo grande committente (Saint-Denis? Compiègne?) costituiscono il vertice dell’evoluzione. I cambiamenti possono essere seguiti abbastanza bene a partire dal quarto decennio del IX secolo, periodo a cui vengono attribuite due delle maggiori opere carolinge, ossia la cosiddetta Croce delle Ardenne (Germanisches Nationalmuseum di Norimberga) e la borsa-reliquiario di Santo Stefano di Vienna (Weltliche Schatzkammer). Si tratta di due delle più antiche opere in cui compaia una disposizione regolare di pietre tagliate a cabochon e incassate «a martello». Esse sono anche parzialmente rivestite di sottili lamine auree lavorate a sbalzo; la Croce delle Ardenne è decorata da un racemo di vite, tema cristologico, mentre sul reliquiario di Santo Stefano si trovano dei medaglioni

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Capitolo

IX -

di soggetto allegorico; questi delicatissimi rilievi paiono ispirarsi allo stile di Reims. Le opere che si ritengono commissionate da Carlo il Calvo o che mostrano stretti rapporti stilistici con l’arte del suo tempo sono molto numerose (una buona quindicina o anche di più). Le più sontuose sono quelle che recano dei rilievi, ossia la rilegatura del Codex aureus di sant'Emmeram (cfr. p. 249), il piatto anteriore della rilegatura dell’Evangeliario di Lindau (cfr. pp. 240-242), il paliotto di Saint-Denis, distrutto nel 1794 ma noto da un quadro del Maestro di Saint-Gilles (National Gallery di Londra), e l’altare portatile detto del re Arnolfo di Carinzia (Schatzkammer der Residenz di Monaco di Baviera). I personaggi mostrano chiaramente l’impronta della tradizione di Reims, che, esattamente come in altri lavori della scuola di Carlo il Calvo, si traduce in uno stile maturo e appropriato. L’altare portatile del re Arnolfo, capolavoro dell’arredo liturgico in miniatura, si distingue per la scelta del tutto eccezionale di soggetti neotestamentari. È difficile decidere che cosa sia più da lodare in questi gioielli della toreutica: la perfetta armonia tra la struttura e la decorazione dell’oggetto, l’equilibrata distribuzione dei differenti mezzi espressivi, o la raffinatezza dei rilievi. Gli orafi di Carlo il Calvo hanno definitivamente riconciliato le due grandi tradizioni medioevali delle arti suntuarie, la mediterranea e la «barbarica», gettando le basi dell’oreficeria del X e dell'XI secolo.

Altare portatile in oro decorato con filigrana e pietre preziose. Monaco,

Schatzkammer

der Residenz

Nella pagina a fronte: legatura del Codex Aureus di Carlo

il Calvo in lamine d’oro lavorate a sbalzo e decorata con pietre preziose. Monaco, Bayerische Staatsbibliothek, clm 14000

Pa

263

Capitolo X LE ASTURIE, I MOZARABI ELA CATALOGNA CAROLINGIA

iWeLe Asturie Gli Arabi non conquistarono tutta la penisola iberica, in quanto, sfuggendo agli invasori, i resti dell’esercito visigoto e parecchi nobili si trincerarono dietro la selvaggia catena dei Cantabrici, nel paese montuoso delle Asturie, dove nel 718 si costituì un nuovo regno, in seguito all’elezione di Pelagio (* 737), forse discendente dei re di Toledo. Una volta respinti gli attacchi degli Arabi, la giovane monarchia iniziò subito a riconquistare le terre comprese tra i Cantabrici e il Duero, la futura Castiglia. Dalle Asturie partì dunque la Reconquista, il grande movimento militare e spirituale destinato a dominare in seguito tutto il medioevo iberico. È impossibile valutare appieno il ruolo storico di questo slancio patriottico tinto di sentimenti religiosi, che già all’epoca della nascita della monarchia asturiana era uno dei più efficaci fattori di coesione nazionale, in quanto, agli occhi dell’uomo dell’alto medioevo, la Reconquista era una missione affidata da Dio a un popolo e ai suoi sovrani. Il culto della Santa Croce, che esprimeva la fede nella vittoria finale di Cristo, divenne di conseguenza un culto particolarmente importante della monarchia asturiana e la causa delle sue numerose donazioni. Il posto occupato dal tema della Croce nel pensiero e nell’arte delle Asturie è paragonabile a quello avuto nell’ideologia del potere imperiale del IV secolo: la Croce come stendardo della monarchia. Sul piano politico, la Reconquista si traduceva in spinta territoriale, portando le Asturie a confrontarsi con il passato antico e visigoto degli altri territori iberici e mettendole al tempo stesso in costante rapporto con le contemporanee civiltà degli Arabi e dei cristiani arabizzati, iMozarabi; il ruolo di questa regione nel quadro dell’espansione del cristianesimo l’avvicinava infine all'impero dei Franchi. Il piccolo regno, installato su terre difficilmente accessibili e poco segnate dalle civiltà delle epoche precedenti, occupava dunque una posizione unica nella penisola iberica tra VIII e X secolo. Originariamente ripiegato su se stesso, esso si aprì velocemente al mondo esterno e la rapida espansione della sua cultura lasciò un’impronta su tutta la penisola iberica preromanica. Come

testimoniano

le carte di donazione

e le cronache, le élites asturiane

erano consapevoli del proprio destino storico: perpetuare la monarchia visigota era la parola d’ordine sovente ripetuta. L’anonimo cronista di Albelda (seconda metà del IX secolo) così riferiva i lavori intrapresi tra 1'802 e 1812 da Alfonso II il Casto (788-842), per fare di Oviedo, sua nuova capitale, una residenza degna

del regno: «[Il re] ornò con cura tutte le chiese con archi e colonne di marmo, d’oro e d’argento. Decorò anche di varie pitture il palazzo reale. Poi organizzò tutta la città di Oviedo secondo il medesimo ordine dei Goti già instaurato a Toledo, tanto nella Chiesa, quanto nel palazzo». La residenza regia consisteva in un imponente complesso di edifici civili ed ecclesiastici. Tra i primi, vi erano il palazzo del sovrano, con due grandi torri e la solana (portico esposto a Sud), e un oratorio a due piani, odierna Camara Santa, verosimilmente una cappella palatina. La parte ecclesiastica della residenza era costituita dalla cattedrale di San Salvador, dalle chiese di Santa Maria (comprendente le tombe reali), Santa

Cruz e San Tirso; alcuni degli edifici sono ancora parzialmente conservati, altri sono noti soltanto attraverso gli scavi e le descrizioni antiche. L’accenno del monaco di Albelda è uno dei tanti elementi che testimoniano

Nella pagina a fronte:

particolare degli affreschi in San Julian de los Prados a Oviedo.

266

— L’arte europea dal VI al IX secolo

Nella pagina a fronte: pianta e veduta dell’interno di San Julian de los Prados a Oviedo. Veduta dell’abside della chiesa di San Tirso a Oviedo.

dirvi, Veduta esterna di San Julian

de los Prados a Oviedo.

—iii Ae A

Capitolo

l’importanza del mecenatismo regio nella vita artistica del paese. Lo confermano le opere stesse. Quelle commissionate da Alfonso II il Casto e dai suoi successori, Ramiro I (842-850) e Alfonso III il Grande (866-910), si pongono in effetti ai vertici dell’arte asturiana, che, essendo soprattutto un’arte regia, sì presenta come un fenomeno parallelo all’arte carolingia dell’età di Carlomagno. La volontà di restaurare l’«ordine dei Goti» è un indizio prezioso per chi voglia comprendere la civiltà asturiana, ma il programma di una élite non deve venire confuso con la realtà storica. L'epoca visigota era definitivamente chiusa. Nel regno delle Asturie, circondato dalla civiltà orientale degli Arabi ed esposto agli influssi provenienti dall’impero franco, si sviluppò un ambiente culturale del tutto differente. Il passato visigoto non poteva dunque che essere, per la cultura asturiana, una fonte tra le altre. Questa complessa realtà è ben illustrata dal-

l’architettura. I costruttori asturiani si volsero risolutamente tipo architettonico che sottintendeva l’architettura visigota, ma volte vi compariva in forma dissimulata (cfr. pp. 94-98). La basilica nelle Asturie coincise invece con la sua ripresa nella nelle regioni franche in epoca carolingia. Il più antico monumento asturiano conosciuto, la chiesa

alla basilica, un che il più delle comparsa della Roma papale e di Santianes de

Pravia, è una basilica, costruita per ordine del re Silo (774-783), con transetto leggermente aggettante, coro tripartito e navata centrale sostenuta da pilastri.

Questi elementi strutturali, per quanto costantemente modificati e arricchiti, erano destinati a contrassegnare tutta l’architettura asturiana. La chiesa di San Julian de los Prados, detta Santullano, fondata a Oviedo da

Alfonso

II dopo il completamento

della residenza regia, è uno dei migliori

X

267

268



L’arte europea dal VI al IX secolo

Veduta del Palazzo di re Ramiro I, oggi Santa Maria de Naranco presso Oviedo.

esempi di basilica asturiana, ancora oggi visibile in quanto pervenuta intatta. L’importanza che l’architetto attribuiva al sistema basilicale è evidente soprattutto nell’imponente e limpido volume interno della navata centrale, nonché nella purezza del disegno delle arcate che separano le navate. La fedeltà alla struttura basilicale è ancora più percepibile quando si entra nel transetto: data la sua profondità, l’enorme navata trasversale si ricollega alle basiliche di Roma e a quelle franche ispirate da modelli tardo-antichi. Santullano dipende però anche dalla tradizione visigota: i volumi compatti, il coro tripartito, gli ambienti giustapposti al transetto, le ante che restringono il passaggio da un corpo architettonico all’altro e, soprattutto, la considerevole

ampiezza dell’intero edificio,

sono tutti elementi che lo ricollegano al passato visigoto. Uno degli elementi specifici dell’architettura asturiana è invece il fatto che le sue masse compatte si ergano alte, come spinte da un prepotente slancio verticale. Tra gli edifici attribuiti all’età di Alfonso II il Casto occorre ancora citare Santa Marfa di Bendones e San Pedro di Nora, la prima a una sola navata, molto corta e profonda,

la seconda a pianta basilicale, priva di transetto, entrambe con un presbiterio tripartito ad ambienti rettangolari coperti a volta. Durante il regno di Ramiro I, l’architettura inizia a mutare leggermente il proprio volto. I tipi architettonici e i principi della composizione dei volumi restano gli stessi, ma si fa strada una nuova concezione dell’elevato e della decorazione dell’edificio: all’esterno, una serie di contrafforti assicura una vigorosa articolazione del muro, mentre all’interno il ritmo nasce da un gioco piut-

Capitolo

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tosto complesso di fughe di archi ciechi, colonnine, colonne (talvolta riunite in fasci) e travi maestre su cui si impostano le volte a botte. A ciò si associa la decorazione scultorea, armoniosamente ripartita nei differenti punti dell’edificio: doppie o triple arcate di finestre sormontate da trasparenti transenne, rosoni anch'essi traforati, colonne tortili, archi e lesene modanati, medaglioni. I muri, sino ad allora austeri, ricevono così un rivestimento plastico capace di animare generosamente le superfici. Il monumento che meglio illustra la nuova fase è il palazzo di Ramiro I eretto nella villa regia di Lillo, ai piedi del monte Naranco, trasformato in chiesa

in epoca romanica e meglio noto come Santa Marfa di Naranco. Costruito sulle pendici della montagna, l’edificio era un autentico belvedere, da cui si godeva una magnifica vista sulle montagne e sulle vallate circostanti Oviedo. Due portici sull’asse longitudinale, alle estremità della grande sala dei ricevimenti, e due loggie, ognuna delle quali addossata a una delle facciate lunghe, aggiungevano a questa costruzione dall’aulico apparato una nota di lusso e di edonismo. Allo splendore dell’architettura corrisponde la ricchezza delle sculture, che si svolgono sulle colonne, sulle incorniciature di portici, porte e finestre, nonché sulle fughe di archi su cui si impostano le volte. La decorazione comprende numerose croci decorate con le lettere alfa e omega, tema permanente dell’arte asturiana, soggetti tratti dalla vita dei sovrani (combattimenti, caccia) e i più svariati motivi ornamentali. Accanto al palazzo sorgeva la chiesa palatina di San Miguel, i cui resti, tra i

Chiesa Palatina di San Miguel de Lillo,

in alto a sinistra, e, in alto, pilastro all’interno, decorato con rilievi raffiguranti giochi di circo.

270 — L’arte europea dal VI al IX secolo

quali specialmente due campate occidentali comprendenti la tribuna del sovrano, testimoniano la medesima preoccupazione di animare i volumi imponenti dell’edificio mediante un coerente sistema di articolazione e decorazione. Dell'apparato decorativo occorre menzionare le basi di colonne rivestite di rilievi figurativi (Annunciazione, evangelisti), le fasce ornamentali che accompagnano le arcate riprendendo l’ornamentazione visigota e infine gli stipiti su cui sono raffigurati i giochi del circo sull’esempio dei dittici consolari, a testimoniare l’importanza della tematica aulica nell’arte asturiana. Uno degli esempi più compiuti di questo stile, che riuniva in sé la sobrietà delle masse architettoniche, la severità dei muri e una certa raffinatezza dell’articolazione, è Santa Cristina di Lena, una chiesa a navata unica in cui l’organizzazione spaziale, la costruzione e la disposizione della decorazione richiamano il palazzo di Naranco. L’espansione territoriale del regno asturiano contribuì al suo declino. A mano a mano che la Reconquista progrediva, i centri di attività politica, ecclesiastica ed economica si spostavano verso Sud. Ordofio II (914-924) trasferì la capitale da Oviedo a Leén, dando così origine a un nuovo regno, quello di Leén. La vita artistica dell’età di Alfonso III il Grande, padre di Ordofio II, deposto nel 910, viene considerata l’ultima fase dell’arte asturiana.

In questo periodo più tardo, l’architettura conservò in linea di massima le piante, l’organizzazione spaziale e le forme delle epoche precedenti, ma senza più mostrare lo smalto delle opere realizzate durante il regno di Ramiro I. L’esempio più rappresentativo di questo stile relativamente sobrio è la bella basilica di San Salvador di Valdediés, fondazione regia consacrata nell’893, mentre tra gli esempi più modesti va annoverata San Adrian di Tufién, dell’891, sempre fondata da Alfonso III; la serie degli ultimi monumenti

dell’arte astu-

riana è conclusa da San Salvador di Priesca. A determinare in gran parte il loro volto stilistico è senza dubbio la decorazione scultorea, meno abbondante che in Nella pagina a fronte: veduta dell’interno della chiesa di Santa Cristina de Lena.

precedenza e più discreta anche sul piano espressivo. Il rilievo era debole, l’incisione poco profonda, i motivi dell’ornamentazione geometrica e vegetale scarni e semplificati, mancavano i temi figurativi. Si è visto che l’architettura asturiana non si può dissociare dalla scultura, che fa parte integrante del suo linguaggio formale, ma un ruolo non meno importante nell’articolazione degli interni spetta alla pittura parietale, come attestano senza dubbio gli affreschi di Santullano, Santa Marfa di Bendones, San Miguel di Lillo, San Salvador di Valdediés, San Adrian de Tufion e San Salvador de

Priesca, che rappresentano tutti i periodi dell’arte asturiana. Sfortunatamente, solo a Santullano, a dispetto delle lacune, le pitture si sono conservate in condizioni tali da permettere ancora di percepire l’insieme della decorazione. Entrando in questa chiesa, ci si sente come trasportati in uno di quegli edifici tardo-antichi, quali Haghios Ghedrghios di Salonicco o il battistero degli Ortodossi di Ravenna, sui cui muri si sviluppava una visione dello spazio della Salvezza in forma architettonica. È chiaro che l’illusionismo del secondo e del quarto stile pompeiano, un tempo alla base di queste immagini profondamente simboliche della Chiesa e del Cielo, in questo contesto non ha più la medesima efficacia: portici, edicole, arcate e frontoni assumono infatti forme semplificate,

rese mediante un modellato poco attento ai valori tridimensionali, cosicché l’iniziale profondità di questo tipo di paesaggio architettonico risulta considerevolmente diminuita. D'altra parte, la ricchezza e l'eleganza del repertorio non hanno nulla da invidiare ai modelli antichi e dai muri affrescati di Santullano emana la medesima atmosfera di trascendenza dalla realtà. L’idea che la Salvezza sia opera della sola Croce è chiaramente sottolineata dal fatto che tale simbolo è l’unico tema rappresentato nelle architetture escatologiche di Santullano, dove non compaiono né raffigurazioni di santi o di eletti, né allusioni alla liturgia, come invece a Salonicco o a Ravenna: a Oviedo tutto ruota intorno alla Croce, gloriosa, gemmata,

ornata

dalle lettere

alfa e omega,

trasformata

in

immagine del Cristo della parusia. L’attaccamento della monarchia e della Chiesa asturiana al culto della Croce

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L'arte

europea

dal

VI

al IX

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La cosiddetta Croce degli Angeli in oro decorata con filigrana e con pietre preziose.

già Oviedo, Duomo, Camera Santa

ha lasciato un’impronta anche nelle arti suntuarie, come testimoniano tre magnifiche croci auree: la Croce degli angeli (altezza 46,5 cm, larghezza 44,5 cm), offerta nell'’808 da Alfonso II il Casto alla cattedrale di Oviedo, una croce donata nell’874 da Alfonso III il Grande al santuario di Santiago de Compostela e un dono analogo, la Croce della vittoria, fatto nel 908 dal medesimo re alla cattedrale di Oviedo (altezza 92 cm, larghezza 72 cm). Sfortunatamente, questi oggetti non esistono più, in quanto la croce di Compostela è sparita dal tesoro nel 1906 e quelle di Oviedo sono andate distrutte in occasione di un disastroso saccheggio della Camara Santa avvenuto nel 1977, ma sono ugualmente ben noti grazie a documenti fotografici e numerosi studiosi hanno potuto esaminare la Croce degli angeli e la Croce della vittoria prima della scomparsa. Croci di così grandi dimensioni pongono alcuni problemi riguardo alla loro funzione primitiva. Helmut Schlunk pensa che la Croce degli angeli, che deve tra l’altro essere servita da modello alle altre due, fosse originariamente sospesa al di sopra dell’altare maggiore. La copia del 908 aveva una punta nella parte inferiore, che potrebbe indicare che la croce venisse portata in processione, fissata su di un’asta. Quale che fosse l’esatta funzione originaria — croce da sospendere al soffitto della chiesa 0 croce da portare in processione —, il significato simbolico di un simile utensile liturgico nell’ambito degli oggetti che decoravano lo spazio destinato all’altare è comunque chiaro: esso era considerato come un segno della vittoria di Cristo, intorno o dietro al quale si riuniva l'assemblea dei fedeli;

Croce della Vittoria in oro con smalti e pietre preziose.

già Oviedo, Duomo, Camera Santa

si rammenti che, una volta fissata su di un’asta, la croce da processione rimaneva collocata nel coro. Il carattere trionfale delle croci asturiane, che rispettava d’altronde una tradizione risalente a Costantino I, trovava espressione nell’iscrizione che compariva su ciascuna di esse: «Questo segno protegge il fedele, con questo segno il nemico è vinto»; il medesimo testo accompagna anche altre rappresentazioni asturiane della croce: è inciso ad esempio sulle placche con cui Alfonso III commemorava le sue fondazioni. All’elevato rango gerarchico che il pensiero simbolico attribuiva a una croce destinata a decorare lo spazio liturgico corrispondeva l’alto livello artistico dell’oggetto in se stesso. Il lato principale della Croce degli angeli era rivestito da un disegno geometrico in filigrana e ordinatamente punteggiato di pietre preziose tagliate a cabochon e di intagli antichi. L’equilibrata giustapposizione della sottilissima filigrana d’oro e delle pietre preziose scintillanti e multicolori creava una composizione ornamentale di rara eleganza. La ricercatezza della decorazione non trova analogie dirette nell’oreficeria coeva. Le croci di Alfonso III hanno invece maggiori analogie con le altre opere europee. Il lato principale

274

— L’arte europea dal VI al IX secolo

Placchetta in argento sbalzato del reliquiario detto Caja de las Agatas con una Maiestas Crucis. già Oviedo, Duomo, Camera Santa

della Croce della vittoria è decorato da motivi ornamentali zoomorfi e vegetali a smalto, nella tecnica del cloisonné, ma le lastrine e le piccole appliques in smalto si alternano alle pietre incastonate. Questo stile decorativo richiama da vicino l’oreficeria lombarda del IX secolo. Negli smalti è possibile riconoscere un’eco diretta dei lavori degli ateliers franchi e alamanni dell'VIII secolo. Una tecnica sviluppatasi in regioni tanto distanti può essere penetrata nell’oreficeria asturiana attraverso le importazioni, come indica il fatto che una bellissima placca d’oro smaltata, di origine germanica, è stata reimpiegata dall’orafo asturiano che nel 910 lavorava per il re Fruela II (910-925): la placca guarniva la Caja de las agatas, un reliquiario la cui decorazione era centrata sul culto della Croce (già conservato nella Camara Santa di Oviedo), e raffigurava appunto la Croce cosmica adorata dalle tre categorie di animali note alla Bibbia, ossia quadrupedìi, uccelli e pesci. Un’altra placca del reliquiario, questa volta lavorata



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Capitolo

X

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Veduta dell’interno e pianta della chiesa di Santa Maria de Melque.

a sbalzo dall’artista asturiano, aveva per soggetto la Maiestas crucis, cioè la Croce della teofania circondata dai quattro animali.

2

I Mozarabi

La Reconquista condotta dai re di Oviedo, poi divenuti re di Le6n, ebbe enormi conseguenze nella vita artistica della penisola iberica. I nuovi territori cristiani compresi tra l’Atlantico, i Cantabrici, i Pirenei e il Duero erano troppo vasti perché potessero venire ripopolati soltanto dai conquistatori. La regione, che diveniva d’altra parte sempre più grande, attirava le popolazioni che continuamente sfuggivano all’occupazione e alle persecuzioni arabe, mentre la monarchia asturiana incoraggiava la colonizzazione. Gli innumerevoli monasteri fondati in questo paese nel IX e nel X secolo erano per lo più abitati da monaci mozarabici giunti dal Sud con il loro specificissimo bagaglio culturale. Nacque così una civiltà cristiana particolare, quella mozarabica, in posizione intermedia tra il Sud arabo e il Nord cristiano, destinata a lasciare una profondissima impronta nell’arte iberica preromanica in via di formazione. I suoi grandi centri

276 — L’arte europea dal VI al IX secolo

artistici, come ad esempio le abbazie di San Miguel di Escalada, San Cebriàn di Mazote o San Millàn de la Cogolla, sono opere del X secolo e non possono perciò essere trattate in questo volume, ma, avendo iniziato a formarsi nelle comunità cristiane che vivevano sotto la dominazione

araba, l’arte mozarabica

affonda le proprie radici in un’epoca e in una civiltà che precedono la fioritura direttamente legata alla grande espansione dei cristiani del Nord. Tali inizi sono sfortunatamente poco noti. Lo spazio creativo dei cristiani era fortemente limitato dalle restrizioni imposte dalle leggi islamiche e il numero delle nuove fondazioni religiose era molto verosimilmente abbastanza scarso. La ragione principale delle forti lacune nella nostra conoscenza della vita artistica dei cristiani della penisola iberica musulmana deriva senza dubbio dal fatto che le loro chiese sono state in seguito sistematicamente distrutte durante le grandi persecuzioni, tra cui particolarmente devastanti quelle degli Almoravidi e degli Almohadi (XI-XII secolo).

I monumenti conservatisi sino a oggi possono dunque dare soltanto un’idea molto approssimativa della prima arte mozarabica. La chiesa di Bobastro, in Andalusia meridionale, tagliata nella viva roccia verosimilmente ad opera dei cristiani insorti alla fine del IX secolo contro l’emiro di Cordova, testimonia

l’attaccamento dei Mozarabi alle forme della basilica longitudinale munita di presbiterio tripartito. Santa Marfa di Melque, presso Toledo, di cui non è stato possibile stabilire con precisione la data di costruzione (IX secolo?), riprende la pianta cruciforme visigota e anche la muratura e le volte a botte la ricollegano alla tradizione architettonica del VII secolo. Intorno a questi due tipi fondamentali di edificio, la basilica e la chiesa a pianta centrale, si svilupperà in seguito l’architettura mozarabica del X secolo. Nell’arte dei cristiani arabizzati si osserva dunque il fenomeno della continuità. Le chiese di Bobastro e di Santa Marfa di Melque riprendono ugualmente l’arco a ferro di cavallo, profonda mente radicato nella tradizione ispanica a partire dalla tarda antichità e destinato a divenire uno degli elementi più caratteristici delle chiese costruite dalle generazioni successive nel regno di Legn, in Castiglia e in Galizia. Presso i Mozarabi, l’arco risulta oltrepassato in misura pari a 3/4, 2/3 e 1/2 del raggio, proporzioni che ricorrono nei coevi edifici arabi dell’emirato di Cordova. Tale parallelismo rispecchia il fatto che la cultura cristiana e quella musulmana attingevano sovente entrambe al retaggio ispanico. D'altro lato, nell’arte mozarabica si possono osservare dei fortissimi elemen-

ti orientali, che non si spiegano altrimenti che con gli influssi provenienti dall’ambiente arabo. Gli elementi orientali lasceranno una profonda impronta nella scultura su pietra del X secolo, manifestandosi tanto nel trattamento lineare e geometrizzante della decorazione, quanto negli stessi motivi dell’ornamentazione. Ai Mozarabi viene ugualmente attribuita la componente orientale della miniatura iberica del X secolo, particolarmente forte nelle opere della prima metà di quel secolo, quali ad esempio la Bibbia di Le6n del 920 (Archivo de la Catedral, Cod. 6). L’influsso orientale si manifesta con uno spirito del tutto estraneo alla tradizione artistica occidentale: colori scintillanti e contrastati si integrano in un susseguirsi molto spontaneo di forme astratte, qui veicolate da un gioco di linee quasi sconfinato. Una tavola dei canoni della Biblia Hispalense, realizzata verso il 900, che costituisce la più antica testimonianza della miniatura dei Mozarabi andalusi (Madrid, Biblioteca Nacional, Cod. Vitr. 13-1, fol 278 r°), dimostra che lo spirito orientale è penetrato nel cuore stesso della cultura dei cristiani che vivevano

nell’emirato di Cordova,

ossia nella decorazione

della

Bibbia. La finezza e il carattere grafico dell’ornamentazione svolta su questa pagina appartengono al più puro stile arabo. Il contributo dei cristiani arabizzati alla pittura del Leén e della Castiglia è d’altronde confermata dalle iscrizioni arabe che compaiono molto frequentemente nei manoscritti.

Capitolo

X — 277

Miniatura del simbolo dell’evangelista Luca

nella cosiddetta Bibbia del 920. Leén, Duomo,

3 * La Catalogna Nella parte nord-orientale della penisola, la Reconquista venne iniziata dai Franchi, che, dopo avere cacciato gli Arabi dalla Settimania (antica Narbonensis) nel 759, si installarono nel 785 a Sud dei Pirenei, nella regione di Gerona e

Urgel. La spinta verso Sud continuò e, dieci anni più tardi, Carlomagno istituì la Marca hispanica del regno franco, di cui divenne capitale Barcellona, riconquistata nell’801. Già nella seconda metà del IX secolo, questa marca si trasformò

in una contea indipendente, la futura Catalogna. La civiltà di questo secondo grande avamposto cristiano un substrato culturale molto differente da quello alla base Era un paese in cui la ricristianizzazione si imponeva come tale del potere. Benché l’islamizzazione non fosse molto va innanzitutto rifondere le vecchie diocesi ed erigerne

si definì a partire da del regno asturiano. compito fondamenprofonda, occorredi nuove. La Cata-

Biblioteca,

cod. 6, fol. 211r

278 — L'arte europea dal VI al IX secolo

Veduta dell’interno della chiesa di

San Miguel a Tarrasa.

logna non era però un regno e non godeva quindi di un mecenatismo paragonabile a quello dei sovrani asturiani. L'immigrazione mozarabica era qui un fattore culturale secondario, mentre il paese era direttamente esposto a forti influssi carolingi. L’importanza della corrente carolingia è ben percepibile nella chiesa di San Miguel di Tarrasa, una delle rare testimonianze dell’epoca tuttora conservate. L’edificio, di cui non

si è potuta stabilire con certezza

la funzione

primitiva

(battistero?), fa parte di un complesso cultuale verosimilmente ricostruito nella seconda metà del IX secolo sul sito dell’antica sede diocesana di Egara. San Miguel appartiene alla vasta famiglia degli edifici carolingi a pianta centrale, comprendente esempi tanto diversi quanto gli oratori di Germigny-des-Prés (cfr. p. 207) o dei SS. Satiro, Silvestro e Ambrogio di Milano (cfr. p. 173). Il nucleo cruciforme è inscritto in un quadrato absidato. Lo spazio centrale, più alto e delimitato da otto colonne, è sormontato da una cupola. Le quattro campate che collegano tra loro i bracci della croce seguono all’interno un tracciato semicircolare. Il monumento è un tipico esempio di reinterpretazione carolingia di modelli antichi: da una parte, l’architetto ha posto l’accento sulla separazione e sulla gerarchizzazione dei volumi, mentre dall’altra, introducendo

1 colonnati e incurvando il tracciato perimetrale, ha saputo rendere l’effetto di uno spazio ricco e continuo, quasi fluido, pur in una struttura piuttosto rigida. Nell’edificio è concentrata tutta l’ambivalenza dell’architettura carolingia, vicina ai modelli antichi (si noti il reimpiego di capitelli romani) e al tempo stesso separata da essi da due secoli di costruzioni rozze e vigorose. Non è escluso che alla prima fase dell’architettura catalana appartenga an-

Capitolo

che un’altra chiesa a pianta centrale, San Petro de las Puellas di Barcellona, consacrata nel 945. Come indica l’impiego di colonne per restringere i passaggi tra i bracci e la crociera, in questo edificio cruciforme viene in luce un’altra componente ancora, vale a dire la tradizione visigota. Le prime basiliche e i primi piccoli oratori rettangolari a navata unica, destinati a caratterizzare in seguito tutta la Catalogna preromanica, sono ancora poco noti. Alcuni sono stati costruiti a partire da edifici visigoti, ma talvolta hanno anche subìto l’influsso di forme mozarabiche. San Quirce di Pedret, un oratorio anteriore all'invasione araba trasformato in chiesa a tre navate con presbiterio tripartito, illustra i primi esitanti passi dell’architettura catalana, destinata a divenire in seguito una componente determinante del paesaggio artistico europeo a partire dagli anni intorno al 1000. Gli altri aspetti della vita artistica catalana sono ancora meno noti. A_giudicare dalle pitture di San Miguel e Santa Marfa di Tarrasa, la decorazione parietale della regione si esprimeva in complessi di grande ampiezza iconografica. I frammenti ancora visibili nell'abside di San Miguel fanno pensare a una Teofania, forse a un'immagine che riuniva la visione del Cristo apocalittico (Apoc. 4) e il tema del Giudizio finale (Mat. 25, 31-46). Le fonti di questa immagine vanno ricercate nell’arte carolingia, che aveva appunto visto rinascere e fiorire le composizioni con la Teofonia come soggetto. La cupola di Santa Marfa è decorata di scene cristologiche svolte in forma continua in registri concentrici, un sistema decorativo ampiamente diffuso nelle pitture e nei mosaici dell’antichità e noto anche alla Spagna romana (Centcelles). Le pitture di Tarrasa sono sfortunatamente pervenute in cattivo stato di conservazione e, ciò

che più importa, costituiscono un caso del tutto isolato da un punto di vista stilistico, il che spiega le considerevoli divergenze di opinioni in merito alla loro datazione. Sembra probabile che gli affreschi di Tarrasa siano stati eseguiti in un’epoca ancora vicina a quella della ricostruzione del complesso architettonico. I frammenti ancora visibili, specialmente gli apostoli nell’abside di San Miguel, mostrano tutte le caratteristiche delle imitazioni di modelli carolingi realizzate con un modellato dai mezzi ancora molto limitati, basato sull’espressione lineare. Si tratta di un linguaggio proprio di un momento di sperimentazione, 0 quasi di tentennamento, ben differente dallo stile sviluppato dalla pittura del Leén e della Castiglia nel X secolo.

Pianta della chiesa di San Miguel.

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Capitolo XI

1

GLI SLAVI

Gli inizi. I primi insediamenti

Mentre è possibile ricostruire la più antica storia dell’arte dei Celti e dei Germani e seguire, allo stesso modo, la progressiva fusione del loro retaggio culturale con la civiltà cristiana mediterranea, per gli Slavi sarebbe molto difficile redigere un quadro analogo, poiché la loro identità artistica all’epoca della grande migrazione del VI secolo ci sfugge quasi totalmente. Molto imprecisa è anche l’immagine del periodo che ha visto nascere e svilupparsi le loro prime strutture statali (VII-VIII secolo). Certi aspetti della cultura materiale e tecnologica sono relativamente ben noti, specialmente per ciò che concerne le attività e i vari settori produttivi connessi con la vita quotidiana e comunitaria, che si andavano rapidamente adattando alle necessità di una società ormai sedentaria e principalmente agricola, come testimoniano fra l’altro gli abitati fortificati degli Slavi occidentali, circondati da una cinta circolare costituita da grosse griglie o cassoni di legno riempiti e rivestiti di terra e argilla, con un graticciato e una palizzata a completare la costruzione. I più antichi esempi di questa tecnica costruttiva risalgono all’VIII secolo (Potupin in Polonia, Tornow e Vorberg in Germania Orientale). Più tardi, a partire dalla seconda metà dell’VIII secolo, il bastione in legno e terra venne rinforzato, specialmente in Boemia e presso Sorabi e Lusici, mediante un muro in pietra a secco (Lobeda e Zehren in Germania Orientale). La cinta a griglie e cassoni continuò a essere il fondamentale tipo di fortificazione degli Slavi occidentali sino all'XI secolo. Le civitates fortificate, talora molto vaste (come in Polonia meridionale), talora piccole (come tra Elba e Oder), assicuravano le basi del potere politico a diversi raggruppamenti tribali slavi. La loro importanza militare ed economica nel periodo di gestazione dei primi apparati statali ne spiega il rapido aumento numerico (tenendo conto di tutti i periodi, questo genere di architettura militare conta più di 300 esempi in Boemia, più di 600 tra Elba e Oder, circa 2000 in Polonia). È lecito pensare che, nell’animo dell’uomo dell’epoca, le possenti masse stratificate dei bastioni e il loro tracciato circolare risultassero associate con l’idea di centro e che le cinte fortificate veicolassero quindi la simbologia del potere. È comunque impossibile sapere se queste prime realizzazioni architettoniche degli Slavi ormai divenuti sedentari si accompagnassero alla volontà di trascendere le necessità puramente materiali e di arricchire la costruzione di forme propriamente artistiche. I monumenti più antichi sono mal conservati ed è difficile pronunciarsi al riguardo. Non si sa nemmeno a quale epoca risalgano le prime erezioni di templi, edifici che, sulla base delle concordi testimonianze

dell'XI

e del XII secolo, prevedevano una decorazione relativamente ricca e varia. Presso la cinta fortificata di GroB Raden (distretto di Schwerin, Germania Orientale) sono stati rinvenuti i resti di un tempio ligneo, databile all’VII-IX secolo, con le pareti sormontate

da forme

ornamentali

antropomorfe.

Dalla

regione compresa tra basso Elba e basso Oder provengono anche alcuni idoli in legno scolpito, i più antichi dei quali risalgono verosimilmente all’VIII-IX secolo (statuette da Altfriesack in Germania Orientale e da Wolin in Polonia), ma le prime testimonianze figurative degli Slavi sono rare e isolate. A giudicare dai vari settori della produzione artigianale, la necessità di decorare gli oggetti utilitari non era ancora penetrata molto profondamente nelle abi-

Nella pagina a fronte: orecchini

in oro decorati

con

granuli, ritrovati a Staré Mèsto. Brno, Moravské Muzeum

una

lunula a

282

- L’arte europea dal VI al IX secolo

tudini della popolazione, come risulta ad esempio dal repertorio ornamentale della ceramica, che, nel periodo compreso tra VII e X secolo, si limitava alle linee parallele incise, rette, ondulate o disposte a spina di pesce, e a pochi motivi estremamente semplici, come brevi tratti obliqui o file di forellini; tale decorazione ricopriva il collo e la pancia dei vasi (ceramica dei gruppi di Praga e di Feldberg). Lo studio della più antica arte degli Slavi pone dei problemi delicati anché per il fatto che alcuni loro gruppi vivevano insieme con altre etnie, come nel caso delle tribù installate nell’antica Pannonia e dominate dagli Avari, che nel 568 avevano qui instaurato il loro potente khaghfanato. Nel corso della lunga migrazione che li aveva condotti dalle steppe dell’Asia centrale alle rive del Danubio, gli Avari avevano subito diversi influssi, soprattutto della Cina, dell'Iran sasanide e delle città bizantine del litorale del Mar Nero e dei Balcani. I vari retaggi avevano lasciato una profonda impronta nel repertorio decorativo di tutto l’artigianato avaro, in particolare nell’oreficeria e nell’industria del bronzo, due campi in cui gli Avari avevano conseguito un altissimo livello artistico e tecnologico. Nel bel mezzo dell’immensa massa etnica degli Slavi si era dunque sviluppata una civiltà a loro essenzialmente estranea, le cui radici principali risalivano

al mondo

asiatico. La decorazione

di armamenti,

bardature,

indumenti e gioielli prodotti nel VII e nell'VIII secolo sui vasti territori del bacino carpatico e del medio Danubio dipendeva quindi da un composito insieme di forme di origine orientale, iranica e greca. L’arte avara lasciò inoltre il proprio retaggio nella civiltà della Grande Moravia, sviluppatasi dopo la scomparsa del khaghfanato, avvenuta verso 1°800.

2

Gli Slavi e la Dalmazia

L’attività artistica degli Slavi diviene meglio percepibile a partire dal momento in cui essi incominciano a instaurare durevoli organismi politici su territori che erano stati dell’Impero e a convertirsi al cristianesimo. Per quanto concerne gli Slavi insediatisi nelle regioni di influsso latino (quelli entrati nelle regioni di influsso bizantino non rientrano nell’oggetto di questo libro), le più antiche testimonianze di acculturazione artistica provengono dalle attuali Croazia e Slovenia. Il principale incontro con la civiltà latina avvenne qui sul litorale dalmata, regione che, a dispetto delle invasioni e degli sconvolgimenti politici, aveva mantenuto una parte dell’antica popolazione romana, alcune città antiche quasi intatte (Traù, Zara) e persino certi centri ecclesiastici antichi. Gli inizi della partecipazione attiva degli Slavi alla vita artistica di queste terre dell’antico Impero sono ancora poco noti. Occorre sottolineare che la «slavizzazione» della costa orientale dell’ Adriatico e del suo entroterra fu un processo lungo e complesso. La formazione di organismi politici presso i Croati e gli Sloveni, d’altra parte molto numerosi, progrediva a piccoli passi e non comportava sempre e immediatamente l’elaborazione di una cultura particolare. Si aggiunga ancora che la conversione di questi popoli durò per un lungo periodo, compreso tra il VII e il IX secolo. Occorre infine tenere conto del fatto che tutta la regione fu teatro di rivalità politiche e culturali tra la Chiesa di Roma, il regno franco e

l’impero bizantino. Gli Slavi entrarono dunque qui in una regione culturalmente molto complessa. Gli influssi bizantini erano particolarmente forti nel campo delle arti suntuarie e la gioielleria dei Croati e degli Sloveni, come d’altra parte quella degli altri Slavi meridionali, si ispirava principalmente alla produzione bizantina. Questa dipendenza è illustrata nel migliore dei modi dagli orecchini, che derivavano la struttura (pendenti di varia forma appesi a un anello) e la tecnica (filigrana e granulazione) direttamente dal repertorio degli ateliers dell’Impero d’Oriente. Già nell’VIII secolo, il numero delle varianti slave aumenta però considerevolmente e i gioielli, pur rimanendo ancorati alle concezioni estetiche greche, incominciano ad allontanarsi dai modelli. Inizia allora l’espansione di un

settore creativo destinato a restare senza dubbio uno dei più originali in tutta l’arte slava sino all’XI secolo (si vedano i numerosi esempi conservati al Muzej hrvatskih arheoloSkih spomenika di Spalato). Gli inizi dell’arte monumentale degli Slavi di questa parte dei Balcani non risalgono oltre l’anno 800. L’intensa attività architettonica iniziata allora nella

Veduta aerea dell’insediamento

regione adriatica fu favorita da due fattori: da un lato, dal massiccio

di Trzek in Polonia, e schizzi schematici

afflusso

delle popolazioni slave nella regione costiera, che comportò profondi mutamen-

dei tipi di costruzione del recinto slavo

ti economici ed etnici nelle città del litorale, dall’altro, dalla definitiva conver-

(secondo Gieysztor).

sione degli strati sociali più elevati dei vari stati slavi dell’entroterra. Nuove chiese incominciarono a venire erette tanto nei ducati (ad esempio nel più potente organismo croato, la Croazia dalmata), quanto nelle città stesse. Il ruolo di queste ultime nella formazione dell’architettura ecclesiastica slava non sarà mai valutato appieno. Le città dalmate avevano infatti ampiamente conservato le antiche strutture della vita urbana, l’organizzazione ecclesiastica e la capacità di costruire edifici di un certo impegno e di produrre decorazioni scultoree; Zara, che all’epoca delle invasioni avare e slave non era stata distrutta, costi-

tuisce un buon esempio di continuità della vita urbana. Queste città mantenevano inoltre sempre degli stretti legami politici con Costantinopoli e intrattenevano rapporti di varia natura, soprattutto religiosi, con il regno franco e la Roma papale. Benché a partire dal IX secolo le città dalmate e i ducati slavi dell’entroterra inizino ad allacciare relazioni sempre più strette, i legami con i grandi centri, anche se lontani, determineranno ancora a lungo la particolarissima posizione del litorale adriatico nel mondo slavo. Gli Slavi che colonizzarono questa regione dell’antico Impero ebbero dunque le loro prime esperienze nel campo dell’architettura ecclesiastica in un contesto caratterizzato da interferenze culturali estremamente complesse. Negli antichi centri urbani esisteva sempre un certo numero di basiliche tardo-antiche, che vi svolgevano la loro primitiva funzione di cattedrali. Le nuove chiese, costruite in gran numero a partire dal IX secolo, erano invece inizialmente degli edifici di piccole dimensioni. Secondo Zeljko Rapanié, tale fenomeno rispecchia la volontà dei promotori della cristianizzazione di provvedere il paese di una grande quantità di santuari in grado di soddisfare le necessità cultuali di fedeli che, benché disseminati dappertutto, costituivano però ancora delle comunità numericamente ristrette. Le fondazioni religiose avevano

284 - L’arte europea dal VI al IX secolo

una base sociale relativamente

ampia, in quanto si dovevano

alle iniziative di

duchi, di zupani (iuppanes), di ricchi cittadini e di ecclesiastici. Le nuove chiese vennero erette sui territori dei principi e dei grandi nobili (vicus, curtis), ma anche nelle città e nelle regioni suburbane, che iniziarono a svilupparsi in questo periodo di crescente avvicinamento tra il potere dei principi e le città. La cronologia della prima fase dell’architettura croato-dalmata non è ancora ben nota, in quanto le fonti scritte sono poco numerose e non forniscono indicazioni precise. L’evoluzione delle forme architettoniche è stata lenta e raramente può portare a delle conclusioni sulla datazione dei monumenti. Certe chiese sono state erette partendo dai resti di edifici antichi, numerosi santuari hanno in seguito subìto profondi rimaneggiamenti, altri ancora sono stati semplicemente rasi al suolo: tutto ciò rende estremamente difficile l’analisi morfologica. A dispetto degli ostacoli, il lavoro di diverse generazioni di studiosi, tra cui soprattutto Frane Bulié, Josef Strzygowski, Ljubo Karaman, Ejnar Dyggve, Milan

Fibbia in bronzo con scene di caccia, ritrovata

a Klàrafalva. Szeged, Museo

Nella pagina a fronte a sinistra: veduta dell’interno della chiesa di Santa Barbara (già S. Martino) a Trogir. Nella pagina a fronte: pianta della chiesa di Santa Croce a Nona. Pianta della chiesa di San Pietro ad Almissa. Pianta della chiesa di S. Maria a Traù.

Prelog, Tomislav

Marasovié,

Ivo Petricioli, Stipe Gunjata

e Vladimir

Gvozdanovié, permette oggi di tentare di redigere un quadro generale delle epoche carolingia e preromanica. Ciò che colpisce è la considerevole quantità di chiese che incominciano a essere costruite a partire dall’inizio del IX secolo, tanto nelle città dalmate, quanto sulle terre dei principi slavi. Successivamente, viene elaborata una certa varietà di soluzioni, partendo da piante basilari, semplici e poco numerose. Le più frequenti erano le chiese rettangolari a una sola navata conclusa da un’abside semicircolare o da un piccolo coro quadrato; secondo Vladimir Gvozdanovi6, quest’ultimo tipo pare più recente e meno diffuso. Sembra che i primi edifici a navata unica fossero delle costruzioni abbastanza robuste e povere di elementi di articolazione (San Pellegrino di Savar sull’Isola Lunga e Sveti Jura] di Spalato), finché a un certo momento, difficile da determinare, avvenne un cambiamento in seguito al quale l’elevato iniziò a essere decorato da fughe di archi ciechi, mentre all’interno la navata venne divisa in tre o quattro campate, mediante semipilastri che, negli edifici più evoluti, fungevano da supporto agli archi portanti della volta a botte. Il presbiterio venne allora vivacizzato da esedre semicircolari ricavate nel muro di fondo, piatto o absidato. La diversificazione e l'arricchimento delle forme furono verosimilmente il risultato di un processo evolutivo di durata abbastanza lunga. L’architettura croatodalmata era comunque ancora in piena espansione nell’XI secolo: tra i suoi migliori esempi occorre citare Sveti Juraj di Nereziséa e Sveti Klement di Praznice sull’isola di Brazza, Sveti Nikola sull’isola di Pago, Sveti Juraj di Ponikve,

Sveti Jura] di Kastel Suéurac e Sveti Mihajlo di Ston. Quest'ultima, verosimilmente databile al X secolo, si distingue per le proporzioni slanciate e per la sapiente articolazione mediante fughe di archi ciechi, caratteristiche che evocano analoghe tendenze stilistiche dell’architettura lombarda e asturiana. A partire dal X secolo, la campata centrale è sovente coperta da una cupola sormontata a sua volta da un tiburio quadrato (Sveti Petar di Almissa). Prima dell’XI secolo, venivano costruite poche chiese con aspetto monumentale e pochi edifici a tre navate. Certi santuari eretti nei dintorni di Knin e di Vrlika spiccano per le maggiori dimensioni e potrebbero essere stati fondati dal ramo principale della dinastia croata e da grandi nobili, donde la denominazione di «gruppo regio». A questo gruppo appartengono le chiese di Santa Marta di Bijaci, Sveti Marija di Crkvina (Biskupija) e Sveti Spas di Cetina,

Capitolo

quest’ultima conclusa da un presbiterio tricoro, cinta da possenti contrafforti semicircolari e preceduta da un Westwerk e da una torre. Alcune delle chiese del «gruppo regio» ospitavano le tombe di principi e nobili. I tentativi di riavvicinarsi al sistema basilicale iniziarono verosimilmente alla fine del periodo carolingio. Uno dei più antichi esempi di tale rinnovamento è la chiesa di Sveti Martin, oggi Santa Barbara, di Traù. La seconda grande famiglia delle chiese croato-dalmate del IX secolo è costituita dagli edifici a pianta centrale. Tra i più antichi si trovano due santuari eruciformi absidati e sormontati da un tiburio, San Vito di Zara e Sveti KriZ di

i

XI — 285

286

L’arte europea dal VI al IX secolo

Nona, entrambi datati da diversi studiosi verso 1’800 o poco dopo. Il gruppo di gran lunga più importante è però quello delle rotonde. Se si prescinde dalla chiesa a deambulatorio della Sveti Trojstvo, oggi San Donato, di Zara, che occupa un posto a parte nell’architettura altomedioevale (cfr. pp. 206-207), le rotonde dalmate e croate sono ottenute a partire da un nucleo cilindrico unitario, cinto da quattro, sei od otto absidiole; tipiche del paesaggio architettonico della regione, esse sono state costruite per un periodo molto lungo (dal IX al XII secolo), con un’evoluzione formale ancora minore che nelle chiese a una sola navata, di modo che la loro datazione è molto difficile. Tra le più antiche vengono abitualmente annoverate Sveti Marija di Traù, Sveti Petar di Muò,

Sveti Mihovil di Brna, Sveti Trojstvo di Spalato e Sveti Marija, detta Stomorica, di Zara, ma la datazione delle ultime due è controversa. Le fonti artistiche dell’architettura delle città dalmate e dei principi croati sono state a lungo oggetto di discussione. Sembra di potervi riconoscere un profondo influsso del passato antico della regione, ma le particolarissime condizioni del periodo della colonizzazione slava e del rinnovamento politico-economico delle città hanno imposto scelte ben precise a committenti e architetti. Ci si è infatti ispirati agli edifici di minori dimensioni, vale a dire a mausolei e battisteri, una particolare categoria di edifici tardo-antichi che ha ampiamente condizionato lo stile dell’architettura croato-dalmata del IX e del X secolo. Non mancano d’altra parte influssi di provenienza straniera. Non si possono infatti prendere in esame le fughe di archi ciechi che articolano i muri delle chiese dalmate e croate, senza considerare gli analoghi sistemi sviluppati in Italia nel primo medioevo. A partire dal X secolo, negli edifici rettangolari a cupola e in quelli che riuniscono la pianta longitudinale e la composizione centrale (chiesa di Sveti Marija di Salona) si osserva anche l’influenza dell’architettura bizantina. Più ancora che nell’architettura, i legami con altri paesi si manifestano nella

Capitolo

XI

Cancello presbiteriale proveniente da S. Martino sopra la Porta Aurea del Palazzo di Diocleziano a Spalato. Nella pagina a fronte: timpano del cancello detto di Muncimir. Spalato, Muzej hrvatskih arheoloskih Spomenika

scultura. La decorazione interna delle chiese dalmate e croate, specialmente per quanto riguarda i grandi arredi liturgici, rivela le stesse forme e lo stesso repertorio ornamentale della scultura in pietra prodotta in Italia e nelle regioni meridionali del regno franco (cfr. pp. 28-31 e 214-216). Alcune particolarità locali si spiegano con la diversificazione regionale della decorazione, peraltro dappertutto basata su di un linguaggio lineare e fortemente stilizzato. I monumenti dalmati e croati si distinguono per la considerevole quantità di iscrizioni che tramandano

nomi di artisti

e committenti, in cui è possibile individuare 1 rap-

presentanti del vecchio ceppo romano della popolazione urbana, i nuovi arrivati, soprattutto missionari germanici, e gli Slavi. Tra le opere scultoree più antiche si possono citare la vasca battesimale di Nona, offerta dal principe Viseslav (inizio del TX secolo), e i frammenti di una recinzione di coro del principe Trpmir (intorno all’852), rinvenuti a RiZnice (Arheoloski Muze) di Spalato). Le sculture di RiZnice fanno parte di una lunga serie di opere simili, prodotte in Croazia sino all’XI secolo. Una recinzione del medesimo genere, posteriore ma ancora conservata nella posizione a cui era originariamente destinata, decora la chiesa di Sveti Martin di Spalato, ricavata in una delle porte del palazzo di Diocleziano.

288 — L'arte europea dal VI al IX secolo

3 * La grande Moravia e la Boemia

0

L’acculturazione artistica dei Croati è avvenuta in seguito alla penetrazione di un popolo ancora migrante in una regione direttamente erede dell’antichità. La coeva civiltà della Grande Moravia ha avuto un meccanismo di formazione completamente diverso, in quanto non si tratta di un popolo che ha trovato l’accesso a nuovi modelli culturali a seguito di una spinta demografica, bensì di modelli, provenienti dall’estero, che sono stati assimilati da un popolo sedentario già da diverse generazioni. Lo stato della Grande Moravia si è formato all’inizio del TX secolo nelle attuali Moravia e Slovacchia, territori mai appartenuti all’Impero romano (la posteriore espansione della Grande Moravia verso l’antica Pannonia non ha molto modificato la situazione). Pur essendo situata al di fuori delle regioni di diretto influsso greco-romano, la Grande Moravia si trovava in un punto d’incontro degli interessi e dell’espansione di tre grandi civiltà e di tre grandi ideologie del IX secolo, ovvero Bisanzio, l’impero franco e la Roma papale, di cui essa ha in effetti conosciuto le interferenze, dalla missione di due alti ecclesiastici di origine greca, Cirillo (Costantino) e Metodio (intorno all’863), agli interventi politici e militari della Francia Orientalis (833, 846, 870), dall’espansione dell’arcivescovado di Salisburgo (a partire dal 796) ai tentativi papali di instaurare in Moravia un’organizzazione ecclesiastica direttamente sottoposta a Roma (a partire dal terzultimo decennio del XI secolo). L’arte della Grande Moravia rispecchia la complessità di tali influssi. Innanzitutto, per quanto riguarda le arti suntuarie, la gioielleria morava, al pari peraltro della maggior parte delle opere slave del IX secolo, deriva in linea di massima da quella bizantina. Occorre però subito precisare che presso i Moravi le affinità cedono il passo alle novità. La gioielleria morava è infatti un fenomeno stilistico a sé stante, già lontano dalle radici bizantine. A illustrare la sua originalità sono soprattutto gli orecchini aurei, i cui pendenti a forma di globuli, lunule, grappoli d’uva, spighe di grano o piccoli canestri traforati a giorno — tutti motivi diversificati e generosamente decorati a filigrana e a granulazione — formano un repertorio caratterizzato da un raro equilibrio di sontuosità e raffinatezza. I migliori gioielli di questo genere sono stati rinvenuti a Staré Mésto, Mikuléice e Staré Zamky, alcuni dei principali centri politici ed ecclesiastici moravi (la maggior parte degli oggetti rinvenuti nei siti della Grande Moravia è conservata al Moravské Muzeum di Brno). Bisanzio ha lasciato la propria impronta anche sui piccoli oggetti a tema religioso, tra cui le croci pettorali, decorate con l’immagine del Cristo crocefisso in colobium, un tipo iconografico di origine siro-palestinese trasmesso agli Slavi dai Greci (croce pettorale argentea da Mikultice e diversi enké/pia dello stesso genere da MikulCice, Trnoviec e Uherské Hradistè). Medesima origine iconografica ha verosimilmente l’immagine dell’orante, nota ad esempio da un ornamento di cintura rinvenuto in una sepoltura della chiesa n. 2 di Mikuléice, ma Bisanzio non è l’unica ad avere contribuito allo sviluppo dell’arte dei metalli morava. La Grande Moravia restava infatti in stretti rapporti politici e commerciali con i territori precedentemente occupati dalle comunità avaro-slave e nella produzione morava si osserva molto nettamente

la permanenza

della tradizione asiatica, che

compare nel tema del combattimento tra animali (placche a sbalzo da una sepoltura principesca di Zelenky) e in quello della caccia (medaglione a sbalzo da Mikuléice) e contraddistingue anche la stilizzazione dei motivi vegetali sui bottoni sferici, un oggetto di origine orientale molto diffuso presso gli Slavi (Staré Mèsto). Questo repertorio di orientamenti stilistici delle arti suntuarie morave non sarebbe completo se non si tenesse conto della componente carolingia, senza dubbio

più discreta delle altre, ma

ugualmente

ben visibile, ad

esempio nella decorazione piuttosto composita (pietre preziose incastonate, granulazione a disegno geometrico, ornamenti vegetali incisi) che riveste i mordenti di cintura rinvenuti a Mikuléice e a Staré Mésto. Una ventina delle chiese costruite all’epoca della cristianiazzazione dei Moravi si è conservata. Si tratta per lo più di edifici a una sola navata conclusa da

Crocetta pettorale con Cristo crocifisso in argento trovata a Mikulcice.

Brno, Moravské

Muzeum

Nella pagina a fronte:

pianta ricostruttiva Mikulcice.

un piccolo coro quadrato

(chiese nn. 1, 2, 8 e 10 di Mikulfice

e chiesa di

Velehrad-Modra), o da un’abside (Mikuléice 4 e 5, Pohansko-Bfreclav, Osvétimany, chiese «Na valch» e «Spitàlky» di Uherské Hradistè - Staré Mèsto), o

ancora da un presbiterio tricoro (Nitra). Strutture più complesse erano rare: l’edificio n. 3 di Mikultice e quello di Uherské Hradistè - Sady comprendevano verosimilmente tre navate ed erano inoltre preceduti da un’antinavata (un Westwerk?), struttura che ricorreva anche in altri edifici (Pohansko-Breclav

e

«Spitàlky» di Uherské Hradistè - Staré Mésto). In Moravia venivano anche costruite delle rotonde: i pochi esempi conservatisi esemplificano diverse varianti del genere

(Uherské

Hradistè

- Staré Mèsto,

Mikuléice

6, 7 e 9).

Le origini delle chiese morave sono state ricercate a Bisanzio, in Bulgaria, in Dalmazia e nelle regioni franche, ma sembra difficile ricondurle a modelli di un unico ambiente artistico; sarebbe ugualmente difficile considerare l’attività degli architetti della Grande Moravia alla stregua di un semplice processo imitativo di determinati modelli. Vaclav Richter aveva certamente ragione a considerare l’architettura morava come un fenomeno tipico di tutte le civiltà nate ai confini del mondo greco-romano dopo la fine dell’antichità e alla ricerca di soluzioni particolari, idonee alle condizioni socio-culturali locali. Grazie alla semplicità

della

chiesa

n.

3

di

290 — L'arte europea dal VI al IX secolo

Fibbia in argento dorato con filigrana e gemme,

rinvenuta a Staré Mèsto.

Brno, Moravské

Muzeum

delle sue formule e alle modeste dimensioni dei monumenti, questa architettura si adattava perfettamente alla vita delle cinte fortificate e delle sedi dei principi slavi di cui era parte integrante, ma rispettava anche in tutto le norme liturgiche e le secolari tradizioni della Chiesa: la navata era infatti separata dallo spazio riservato al clero (si sono rinvenuti numerosi resti di recinzioni del coro) e venivano anche eretti degli elementi architettonici particolari, riservati a determinate cerimonie liturgiche o alle sepolture (antinavata, Westwerk). Edifici simili, semplici ma pur sempre derivanti da grandi modelli di architettura ecclesiastica, sono ben noti dalle regioni situate a cavallo dell’antico limes Romanus: se ne sono conservati numerosi esempi nell’Inghilterra anglo-sassone, nella parte orientale del regno franco e nei territori che si stendono dalla Dalmazia alla Pannonia. Sembra che sia soprattutto quest’ultima regione ad avere contribuito alla formazione dell’architettura morava, come viene unanimemente riconosciuto a proposito delle chiese a pianta centrale: le rotonde morave costituiscono infatti

Fibbia di Mikulcice in argento

dorato raffigurante un santo Brno, Moravské Muzeum

una famiglia direttamente derivante dal gruppo croato-dalmata (Josef Poultk, Josef Posmourny, AneZka Merhautov£). Benché la Grande Moravia non sia sopravvissuta agli sconvolgimenti politici originati dall’invasione del popolo ugro-finnico dei Magiari (fine del IX-inizio del X secolo), la sua civiltà non è scomparsa senza lasciare tracce nella storia. Era la prima grande civiltà di questa parte dell’Europa Centrale che si fosse formata interamente all’esterno del limes Romanus e per di più nelle condizioni molto particolari di una società che si stava convertendo al cristianesimo e si stava costruendo le strutture del potere centrale. Questo retaggio è stato tramandato alla Boemia, che intorno al 900 ha preso il posto dello stato moravo. Due edifici risalenti al primo periodo del cristianesimo ceco riprendono la pianta a una sola navata conclusa da un’abside (chiese della Vergine di Praga e della Vergine di Budeè), mentre altre due rientrano nel numero

delle rotonde absi-

date (San Clemente di Levy Hradec e San Pietro di Budeè), un tipo architet-

tonico iniziato anch’esso nella Grande Moravia e destinato a durare sino all’inizio del XIII secolo in Boemia, Polonia e Ungheria. La Boemia è anche stata la principale continuatrice della gioielleria morava (cfr. gli oggetti rinvenuti a Stara Kourim), destinata a irradiarsi verso la Polonia e i paesi tra l’Elba e l’Oder soprattutto a partire da questa regione.

in preghiera.

Medaglione con un cacciatore e un falcone in argento lavorato a sbalzo, trovato a Staré Mèsto.

Brno, Moravské Muzeum

ERILOGO

L’arte della seconda metà del I millennio è caratterizzata come si è visto, da

una estrema varietà di stili. Le norme classiche a cui ancora si ispiravano le creazioni dei grandi centri del VI secolo, quali la Roma papale, la Ravenna ostrogota poi divenuta bizantina, la Costantinopoli imperiale e alcuni importanti ambienti periferici, quelle norme, a cui si deve quel meraviglioso canto del cigno che è l’argenteria bizantina, la byzantinische Antike dell’indovinata espressione di Leonid Matzulewitsch, persero definitivamente la propria validità universale verso il 600. Il linguaggio greco-romano continuò a vivere in alcuni ateliers urbani e monastici del Mediterraneo, ma, una volta che il basiléus

di Costantinopoli ebbe rinunciato al progetto di ricostituire l’antico Impero e che i vari regni succeduti a Roma o altri ancora ebbero iniziato a rinnovare completamente il panorama culturale europeo, la prosecuzione di quel linguaggio, peraltro sempre frammentaria, si ridusse a poche oasi soltanto. Il nuovo paesaggio può essere paragonato a un reticolato fluviale formato dai più diversi corsi d’acqua: rapidi o lenti, grandi o piccoli, fiumi e ruscelli ora scorrevano parallelamente, ora si riunivano, per poi separarsi più avanti. Si è visto che da un punto di vista stilistico si tratta di un’arte molto complessa, come testimonia peraltro il vocabolario della storia dell’arte; poche altre epoche storico-artistiche sono infatti descritte da termini tanto numerosi e diversificati: per un periodo relativamente breve come quello che copre il VII e VIII secolo, si parla di arte longobarda, merovingia, visigota, irlandese e anglo-sassone, per non citare che alcuni esempi. Queste denominazioni sono mutuate dalla terminologia storica, che tiene conto delle diverse entità etniche e politico-geografiche, ma hanno in realtà lo status di termini stilistici. Accanto ai termini mutuati dalla storiografia, che costituiscono l'ossatura concettuale principale per chi vuole cogliere la ricchezza dei fenomeni artistici dell’epoca in questione, i concetti derivanti dall’analisi morfologica, quali ad esempio stile policromo o stile z0omorfo, sono

poco

numerosi.

Ciò è dovuto

al fatto che la nostra

conoscenza

dell’arte del primo medioevo è relativamente recente; quando ha iniziato a lavorare su questo periodo, la storia dell’arte si è trovata davanti i precisi e completi strumenti intellettuali elaborati dalla storiografia, che li ha imposti alla nuova disciplina. Ciò riflette anche il fatto che poche delle forme artistiche dell’epoca hanno oltrepassato i confini della civiltà di cui erano espressione. Si è infatti sovente richiamato il fenomeno del frazionamento culturale. La Chiesa latina era tuttavia un fattore di progressivo riavvicinamento tra stili e correnti artistici differenti. La sua dottrina, le sue norme cultuali e la sua organizzazione, uniche e uniformate quasi dappertutto, riducevano continuamente il campo della variabilità. Il suo passato romano costituiva la fonte principale del nuovo repertorio di norme universali che si andava diffondendo attraverso l'Europa occidentale. La «rinascenza carolingia» fu il primo grande passo in avanti di questa evoluzione. La crisi dell’impero franco, sopraggiunta

alla metà del IX secolo, rappresentò una battuta d’arresto per il movimento di unificazione culturale lanciato da Carlomagno e dal suo seguito. È il motivo per cui si parla di arte carolingia e non di stile carolingio. La svolta degli anni intorno all’800 diede però i suoi frutti due secoli più tardi, quando, dopo un

Pagina

miniata

raffigurante

l’evangelista

Matteo nell’Evangeliario di Ebbone.

Epernay, Bibliothèque Municipale, ms. 1, fol. 18v

periodo di ricerche e di sviluppi talora tortuosi, le due grandi componenti, franca e italica, si unirono definitivamente nel romanico, il primo grande stile universale prodotto dall'Europa dopo il declino della civiltà greco-romana. Il fenomeno carolingio può dunque essere considerato il fenomeno storico centrale di tutta la seconda metà del I millennio. Esso occupa un posto particolare nella storia dell’arte europea anche a causa delle sue radici classiche. Esistono delle opere carolinge che devono il proprio aspetto classicheggiante non tanto all’imitazione del modello antico, ma al fatto che i loro autori appartenevano a un atelier in cui la tradizione greco-romana, quale che fosse la sua dimensione, era ancora ben viva. Le opere più sublimi, come le miniature della seconda Schola palatina, dimostrano che questa presenza era talvolta molto possente. Facendo appello alle forze ancora vive della tradizione classica, gli artisti della «rinascenza carolingia» si ricollegavano direttamente a un passato già molto distante. È il caso di ricordare che si tratta dell’ultima continuazione dell’antichità.

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pp. 237-276; M. SoLLe, Cechy v dobè rozkvétu velkomoravskych

3. Arti suntuarie. Preziosi a l’uso profano.

center, in: «Slovenska Archeologia», 18 (1970), pp. 129-136; Die Slawen in Deutschland. Geschichte und Kultur der slawischen Stimme westlich von Oder und Neisse vom 6. bis 12. Jahrhundert, a cura di J. HERRMANN, n. ed., Berlin 1985; J. HERRMANN, Zwischen Hradschin und Vineta. Friihe Kulturen der Westslawen, Leipzig 1971; W. HENSEL, The origins of Western and Eastern European Slav Towns, in:

CAV v Mikultidich, Liberec 1972; K. BENDA, Contribution à l'étude du style des parures de la Grande Moravie, in: «Byzantinoslavica», 22 (1961), pp. 55-64; T. CAPELLE, Karolingischer Schmuck in der Tschechoslowakei, in: «Slovenské Archeolégia», 16 (1968), pp. 229-244; Z. KLANICA, Velkomoravskj gombik, in: «Archeologické rozhledy», 22

Z. KLANICA,

Velkomoravské

femeslo.

Materialj z vyzkumu AU

DERE

ore europea dal VI al IX secolo

(1970), pp. 421-456: Z. KLANICA, Prace Klenotniki na slovanskych hradistich, Praha 1974; B. DosTAL, Das Vordringen der grossmàhrischen materiellen Kultur in die Nachbarldnder, in: Magna Moravia. Sbornik k 1100. vyroci prichodu Byzantské mise na Moravu, Praha 1965, pp. 361-416; K. BENDA, Mittelalterlicher Schmuck. Slawische Funde aus tschechoslowakischen Sammlungen und der Leningrader Ermitage, Praha 1966; J. EisnER, Pocatky ceskeho $perku, in: «Pama-

tky Archeologické», 46 (1955), pp. 215-226; W. HENSEL,

Wezesno-

Sredniowieczna figurka czterotwarzowego bostwa z Wolina (Statuette

miniature d’un dieu paien à quatre visages à Wolin), in: Archeolégia», 26 (1978), pp. 13-17.

«Slovenska

Questa bibliografia è stata allestita nel 1989. È stata aggiornata nel 1994 con alcune aggiunte.

INDICE DEI NOMI I numeri di pagina seguiti da asterisco rimandano alle figure.

Adalardo (abate), 244. Adaloaldo, 52.

Adriano I (papa), 20, 151, SERI Aethelstan, 139. i Agilulfo, 52, 53. Agnello (arcivescovo), 49, 50, 93. Agostino, 8, 46, 48.

ZO

Alamanni, 6, 55, 83, 122, 126. Albelda, 265. Alcuino,153, 255. Aldelmo, 139. Alfonso II il Casto, 265, 267, 268, 272.

Birchler, Linus, 220. Bischoff, Bernard, 186, 236. Bizantini, 183.

Boeckler, Albert, 71, 224, 227. Boezio, 64.

Bognetti, Gian Piero, 38, 170. Béohner, Kurt, 66, 78, 149.

Del Medico, H. E., 222. Destierio 2 MSM Z0N105ì Doberer, Erika, 216. Dobias-Rozhdestvenski, C., 71. Donato, 204. Drogone (vescovo), 248. Dufrenne, Suzy, 244. Dyggve, Ejnar, 284.

Braunfels, Wolfgang, 222.

Alfonso III il Grande, 267, 270, 272, 273.

Bulgari. 10.

Eadfrith, 134, 136. Effmann, Wilhelm, 200. Eginardo, 212, 242. Egino (vescovo), 184, 186, 194, 221.

Alfredo il Grande, Almohadi, 276. Almoravidi, 276.

Bulic, Franc, 284.

Eigil (abate), 202.

Burgundi, 6, 57, 83.

Elbern, Victor H., 66, 76, 84, 86, 178, 194, (07220. Ello, 80.

127, 139.

Ambrogio Autperto, 182. Andaloro, Maria, 190.

Angilberto II (vescovo), 191, 200.

Brenk, Beat, 220, 226. Brunhilde, 59. Bulgari, 4.

Carlo il Calvo, 190, 194, 195, 246, 248, VB LP: PI ZA, SE), AS) 26), Carlomagno, 151, 152, 159, 160, 180, 199,

200, 206, 208, 210, 214, 218, 224, 228, 2302347237, 238, 239, 242--248,250,

Angli, 7.

Anglo-Sassoni, 8, 55, 107, 109, 122, 123, 126, 141. Ansperto (vescovo), 173. Apuleio, 204. Arabi, 7, 92, 277. Arato, 204.

Arechis, 26. Arnegonda, 78. Arnolfo di Carinzia, 263. Arrhenius, Birgitt, 149. Arslan, E., 28, 39.

Asa, 144. Astolfo, 22, 26. Ato, 47. Attila, 78. Avari, 10, 282.

PSPRPRSER 60607069292) Cassiodoro, 15, 47, 136, 137. Celti, 281. Childeberto, 57. Childerico I, 78. Cicerone, 204.

Claudio (vescovo), 176. Clemente XII (papa), 159. Clodoveo I, 57, 248. Clotario I, 57. clotario II, 80. Clotilde, 57.

Favnesbane, Sigurd, 148. Rellce Size Fillitz, Hermann, 238. Fleury, Michel, 199.

Formige, Jules, 199.

Colardelle, Renée, 63. Colombano, 6. Costantino I, 89, 160, 273, 288. Costantino Lips, 91.

Gallo, 6. Gantner, Josef, 220.

Cramp, Rosmary, 114. Crisostomo, Giovanni, 224, 235.

Benedetto di Aniane, 210.

Dagoberto I, 80. Dani, 9, 116.

Bierbrauer, Katharina, 71, 72, 127.

Enrico II, 126. Epifanio (abate), 181. Eumerio, 57. Eygun, Frangois, 60.

Imanani, 676 53: ST5 908, Franchi, 210, 214, 230. Freemann, Ann, 222. Frisoni, 134. Fruela II, 274. Fuldrado, 1299.

Bascapè, Claudio, 192. Baugulfo (abate), 202. Baone) 127. Bavari, 4, 6, 55. Belting, Hans, 39, 160, 161, 182, 183, 184, 236. Benedict Biscop, 17. Berengario, 195, 197. Bernard, Honore, 200. Bernward di Hildesheim, 188. Berta, 200.

Enrico I, 214.

Croati, 282.

Crodegango di Metz (vescovo), 202. Cutbercht, 74, 119, 126.

Davis Weyer, Cacilia, 159, 164. De De De De

Francovich, Geza, 30, 178, 220. la Croix, Camille, 60, 61. Meis, Salvo, 195. Capitano d’ Arzago, Alberto, 26, 38.

22

140.

Gepidi, 4, 18, 53, 85, Germani, 6, 7, 53, 37, 63, 78, 83, 124, 126, 141, 281. Giosue (abate), 174. Giovanni VII (papa), 35, 37, 38, 39, 40. Gisulfo (abate), 52, 174. Giustiniano, 31. Giustino II, 50. Godescalco, 225, 228. Goldschmidt, Adolph, 238, 256, 257. Got 3,4705079 710542608 Gozberto (abate di San Gallo), 202, 256. Grabar, André, 39, 41, 187, 220, 222.

9

324 - L’arte europea dal VI al IX secolo

Greci, 4, 18, 53, 84. Gregorio III (papa), 188.

Matthiae, Guglielmo, 35. Mellebaudo, 62, 66.

Gregorio Nazianzeno, 232. Grimaldo (abate), 256.

Metodio, 288.

Grimbald di Reims,

Ratchis, 26, 30.

Ratgar (abate), 202. Recaredo, 90.

Meyer Schapiro, 132. Mieszko I, 10, 174. M6bius, Friedrich, 200. Modoino di Autun, 152. Mohrmann, Christine, 3. Morey, Charles R., 39. Mozarabi, 276. Miitherich, Florentine, 71, I

139.

Gundohinus, 72, 74. Gunjaca, Stipe, 284. Gvozdanovic, Vladimir, 284. Hauck, Karl, 84, 143. Hauschild, Theodor, 95. Heito (abate di Reichenau), 202. Heitz, Carol, 200, 210.

Niceta, 3. Nicola I (papa), 12. Nordenfalk. Cart 7172 DE ONZOUE Nordhagen, Jonas, 35, 39. Nordolao, 80. Normanni, 244. Norvegesi, 116.

Henry, Frangois, 112, 114. Herald,

144. Holmquist, Wilhelm, 50. Eolie uit 74,72, Homburger, Otto, 253. Hubert, Jean, 60, 200, 220. Hugot, Leo, 210.

Oddone di Metz, 206, 207. Odoacre, 3.

Jenny von, W., 127, Jessup, Ronald, 126. Juraschek von, Franz, 75, 236. Tu, 5 I24k

Onorio I (papa), 18, 19.

Ostrogoti,7, 52, 104. Otto I, 214. Ottoni, 183. Owi, Joan S., 220.

199.

IL (Oranas 18012, 20, 175 Landolfo (vescovo), 184. Lasko, Peter, 194. Laszlo, G., 84. Lazarev, Victor N., 39. Leclerg, Jean, 16. Lehmannn, Edgar, 200. Leone III (papa), 151, 156, 157, 158, 160, 161, 164. Leone IV (papa), 157, 166, 169, 190. Leovigildo, 90. Lindgist, Sune, 149. Lipinsky, Angelo, 50. Liutardo, 257, 258. Longobardi, 6, 7, 22, 50, 79. Lotario, 248. Lowe, 1 /A9Al ]FidovicoM Rio MS 24I70982:[[082:128220) 254. Ludovico il Germanico, 253, 255.

Martino I (papa), 36.

2570

Orazio, 204. Ordono II, 270.

Kampulos, 176. Karaman, Ljubo, 284.

Mac Crosby, Sumner, 199. Magni, Mariaclotilde, 174. Maille, marquise de, 68. Marasovic, Tomislav, 284.

2,

1301318134;

Isidora di Siviglia, 7, 74.

Kendrick, Thomas, 124. Klein, Peter, 235, 236. Koehler,Wilhelm, 71, 227, 236, 245. Krautheimer, Richard, 4, 155, 156, Kiihn, H., 84.

Recesvindo, 105. Redwald, 125. Reinhardt,Hans, 200. Richter, Vaclav, 288. Rihlindis, 80. Romani, 53, 84.

Panazza, Gaetano, 26, 30, 170, 181. Panofsky, Erwin, 3, 16. Paolino di Aquileia, 153. Paolino da Nola (vescovo), 3. Paolo Diacono, 153, 186. Paolo I (papa), 155. Parsons, David, 200. Paschoud, Francois, 3.

Pasquale I (papa), 156, 157, 161, 164, 166, 167, 168, 188. Pelagio I, 265. PeroniWA diano

202

sEB089R70071

7/2, 07, ABI 190) Perpetuo (vescovo), 57. Petricioli, Ivo, 284. Pietro da Pisa, 153. Pietro, apostolo, 4. Pipino il Breve, 199, 248. Pipino, 151. Pirmino, 64. Pitti,8. Porcher: Jean 710777235. Potar, 9. Prelog, Milan, 284. Prisciano, 204. Rabano Mauro, 254, 255. Raedwald, 16.

Rahner, Hugo, 12. RamiroI, 267, 268, 269, 270. Rapanie, Zeljko, 283.

Rasmo, Nicolo, 216, 220, 221.

Romanini, Angiola Romolo Augustolo, Rézcka-Bryzek, A., Rusconi, Antonino,

Maria, 31, 178. 3. 39. 22.

Salin, Bernhard, 48. Salin, E., 84. Salomone (abate), 256.

San Gregorio Magno, 8, 12, 20, 48, 52, 57, TOTTITIRIT1S 61842202502 151 San Martino, 61. San Benedetto,12, 61. San Bonifacio, 119. San Colombano, 8, 61. Sassoni, 4, 7, 124. Schapiro, M., 39. Schlunk, Helmut, 95, 272. Schneider, Fedor, 3. Schnitzler, Hermann, 222, 238. Schramm, Percy Ernst, 3. Sennhauser, H.-R., 206. Sennhauser-Girard, M. 206. Serbi, 10. Sergio II (papa), 157. Shetelig, Haakon, 145. Siagrio (vescovo), 59.

Sidone-Appolinare, 57. Sigiberto I, 57. Sigismondo, 57. Silo, 267. Silvestro I (papa), 159. Slavi, 3, 7, 10, 281, 283, 287, 288. Sloveni, 282. Sofia, 50. Stachura, N., 202.

Stefano II (papa), 151. Stiennon, Jacques, 70. Strzygowski, Josef, 284. Suetonio, 204. Suintila,105. Svear, 9.

Szilagysomlyo, 16. Tassilone, 57. illeodolto MIS 2A20 2228 Teodora, 31, 173. odo ricol AM 22481523 Teodosia, 33. Teodoto, 40, 42, 164, 232. Jicolmda MS 92458! Terenzio, 204. Teuderico, 80, 81. Toesca, Pietro, 220.

Torp, Hjalmar, 26, 28, 102.

Indici

Vieillard-Troiekouroff, May, 60. Virgilio, 257.

Trpmir, 287. Trudpert, 6. Turingi, 6.

Viseslav, 287.

Ulbert, Thilo, 98, 101. Undiho, 80. Ungari, 10. Unni, 50. Valeriano, 47, 48. Vichingi, 144.

Visigoti, Viviano Volbach, Vosevio,

7, 78, 89, 90, 104. (abate), 244, 245, 248. Wolfgang Fritz, 50, 78. 73. Vuolvinio, 191. Weitzmann, Kurt, 38, 187. Werner, Joachim, 11, 127.

Wessel, K.,39.

Willibrord, 7, 64, 134. Wilson, D. M., 127. Wright, David H., 71. Wynfried (Bonifacio), 7, 12, 64, 224. Zaccaria (papa), 40, 151. Zastrow, Oleg, 195. Zeiss,H., 84. Ziegler, Ulla, 71. Zimmermann, E. H., 70, 130.

INDICE DEI LUOGHI I numeri di pagina seguiti da asterisco rimandano alle figure.

ABBEVILLE BIBLIOTHEQUE

MUNICIPALE:

Evangeliario di S. Riquier, 227, 232.

ACQUI 172. ADELSHAUSEN SÙ

ALJEZARES SIE

Duomo: Lastra di pluteo, 168*.

ALLEBERG 147.

AQUISGRANA 7525084920282 0782229992: CAPELLA PALATINA: IS 0Z:A1S1N206220S82 5982218

ALMISSA S. PIETRO:

AGGERSBORG 141.

ALTFRIESACK ZII

AGHT'AMAR 102.

AMAY 70.

AGUNE SAINT-MAURICE: 80, 203, 216.

AMIENS

Reliquiario, 81*.

AHENNY SUD 120.

AIX-EN-PROVENCE 216. ALCANTARA SAN PEDRO:

89.

Griglia di bronzo, 216*.

285%, 284.

PALAZZO DI CARLOMAGNO,: 204*. TESORO DEL DUOMO:

Due intagli, 238.

i

BIBLIOTHEQUE MUNICIPALE: Salterio di Corbie, 78, 235*, 236.

AMPURIAS 104.

ANNEGRAY 61. APAHIDA SI. AQUILEIA BO RIOSIZ6:

ARLES 6. ATENE 174.

ALTLUSSHEIM 78. ATTIGNY 86. AUCKLAND SAINT-ANDREW:

LI52

(09)DD

326 — L'arte europea dal VI al IX secolo

AUGUSTA 216.

BASILEA 202.

BORDEAUX

AUTUN 59. SAINT-MARTIN: 75) BIBLIOTHÈQUE MUNICIPALE:

BATUTA 102.

BORRE 117, 128, 146.

BENDONES S. MARÌA: 268, 270.

BOURGOS MusfE DU BERRY: Sarcofago di Charenton-sur-Cher, 68.

Evangeliario di Flavigny, 77*, 78. AUXERRE SV SAINT-GERMAIN: ISEE ZIO: ZIO, 225

Resti di pittura, 218, 219. MUSEO ABBAZIALE: Affresco di San Stefano, 223*.

BADAJOS 90.

BENEVENTO SA? CSA RIA S. SOFIA: 26, 27*, 180, 182, 183 Annunciazione 182, 185*. Visitazione, 182.

BERGAMO 1955 BERLINO KUNSTGEWERBEMUSEUM: Reliquiario, 84, 85*, 86. STAATSBIBLIOTHEK: Sermoni di Egino, 184. Evangeliario di Kleve, 248, 256.

BAELIN 114. BAENAGHER 114. BAGARAN 174. BAGNACAVALLO 20. S. PIETRO IN SYLVIS:

P3;985,01 BALSEMAO.

SAo PEDRO, 95.

BALTIMORA WALTERS ART GALLERY: Due fibule, 103*, 104.

BAMBERG STAATSBIBLIOTHEK: Bibbia di Bamberga, 245, 246.

BERNA BUÙRGERBIBLIOTHEK: Evangeliario, 232*, 235. Physiologus, 244. BEWCASTLE CROCE: ns. BIJACI SANTA MARIA:

284.

BIRKA 141, 143.

BISCHOFSHOFEN 126.

BAMBERG

BISKUPIJA

STAATLICHE BIBLIOTHEK: Institutiones, 47.

SVETI MARIA:

BANDE (ORENSE)

BOBALA-SEROS (LÉRIDA)

SANTA COMBA:

89.

98*, 99*.

BARCELLONA O TAL04R1059277500818 SAN PEDRO DE LAS PUELLAS:

279.

BOBBIO 8, 44, 48. BONN LANDESMUSEUM:

Fibula di Engers, 84.

Fibula di Karlich, 84.

BARDOLINO SAN ZENO:

RL31E

BARTON-ON-HUMBER VEL

216.

BRADFORD-ON-AVON LEALE BRAGA (MINHO) SAo FRUCTUOSO

DE MONTELIOS:

98.

BRARRA 283. BRAUNSCHWEIG HERZOG ANTON Cofanetto

ULRICH-MUSEUM: di Gandersheim, 125*,

126.

BREEDON-ON-THE-HILL (LEICESTERSHIRE) 116. BREME. SAN PIETRO, 172. BRESCIA DA, BIBLIOTECA CIVICA: 258) Civico MuSsEo: Croce di Desiderio, 195*. Dittico di Boezio, 48. SAN SALVATORE: 26,28, 29, 27042030) 195. Affresco con scene della vita di San Giuseppe, 180, 181*.

BREVIGLIERI 92. BRIOUDE SY:

BRIXWORTH 110. BRNO

BOBASTRO 276.

BAQIRHA 102.

17275

184.

SAINT-SEURIN,

Lastra di Gondorf, 69, 70. Stele di Niederdollendorf, 69. Stele funeraria, 67*, 69. Stele di Faha, 69. Stele di Moselkern, 69.

144, 145. MORAVSKE MUSEUM: 288. Crocetta pettorale, 289*. Fibbia di Stare Mésto, 290*. Fibbia di MikulCice, 292*. Medaglione da Stare Mésto, 291*. Orecchini di Stare M&sto, 280*, 281. BRUXELLES 286. MusEEs ROYAUX: Arco di Glons, 217*.

BUCAREST 51.

Indici

BIBLIOTECA

NAZIONALE:

DIRTI 23D,

BUDAPEST SI BUDEC

SAN PIETRO: 291.

COIRA 216.

CASTELSEPRIO 24, 38, 39, 40, 44, 220. S. GIOVANNI: DI BPRAZAA S. MARIA FORIS PORTAS:

COLONIA 6, 60, 82, 149, 202, 203, 242. SCHNÙGENMUSEUM:

D4FR25138 398181

BURGH CASTLE 109.

BURGHEIM 64. BURGOS MUSEO ARQUEOLOGICO: Stele funeraria di Lara, 92. Stele funeraria di Houtoria, 92.

CALVISANO BEINASCO 50. MUNICIPALE:

Apocalisse, 235. CAMBRIDGE CoRPus CRISTUS COLLEGE:

CENTULA SAINT-RIQUIER: 200*, 202. CERRATO (PALNECIA)

Evangeliario di S. Agostino, 14*, 15, 46.

Fibula di Kings Field, 126.

CAMI (MAIORCA) 90. CANOSCIO 50. CANTERBURY SEO NiO 139. SAN PANCRAZIO: Ls:

CHARNAY-LES-MACON 82.

CHELLES 71, 74, 74, 80. CHURCH ISLAND 108.

CAPUA S. GIOVANNI: 178. S. MICHELE IN CORTE: 174. S. SALVATORE IN CORTE: 174. SS. RUFO E CARPONIO: 183.

CARPENTRAS 64. CARPIO DE TAJO 104. CASA HERRERA: 89.

CASTEL TROSINO 49, 50, 55, 104.

CIMITILE 174. SS. MARTIRI: 1,6201787

CITTÀ DI CASTELLO 50. CIVIDALE DEL FRIULI 42, 49, 50. MUSEO

ARCHEOLOGICO:

Lastra con monogramma di Cristo, 31*. Museo

CONQUES 87, 188.

COPENAGHEN NATIONALMUSEET: Bratteato di Lyngby, 143. Coppa argentea, 146. Fibula di Vedstrup, 142.

DE BANOS:

944 957.

46. FITZWILLIAM-MUSEUM:

COMPULTERIA

A.

CASTILTIERRA 104.

SAN JUAN

Dittico Harrach, 258.

S. MARIA:

CASTILICAR 89.

BURGHEAD (MOREY) 131.

CAMBRAI BIBLIOTHÈQUE

CASTELLAMARE DI STABIA 183.

(99)

CIVICO:

Placca della tomba di Gisulfo, 51*, 52: Museo DEL Duomo: Altare di Ratchis, 29*. Lastra di Sigualdo, 30. S. MARIA IN VALLE: Statue in stucco, 178, 179*.

CLERMONT-FERRAND 188, 210. CLONAMERY (KILKENNY) 108. CLONMACNOISE LISSSIIA COCCOLIA 20. COGOLLA SAN MILLAN: 276.

CORBIE TI 25 7 TEL TO, TS: CORBRIDGE 110. CORDOBA (CORDOVA) 9002281052724 Duomo:

Altare di S. Vincenzo, 93*. CORVEY

00 22, ZIE Zi, Zia ZIO

COSTANTINOPOLI 3,4,38, 44, 91, 206, 238, 292. CSORNA Dil. DARMSTADT HESSISCHES LANDESMUSEUM: Ascensione, 239. Fibula di Mòlsheim, 84, 87*. Hess. Landes- und Hochschulbibliothek. Evangeliario di Iesi, 249. DEERHURST

DEHES 102.

DESANA SP DISENTIS 214.

DORES eg DORESTAD ORE DRUMHALLG (DONEGAL) 112.

328 -

L’arte europea dal VI al IX secolo

Evangeliario di Sankt Martin di Magon-

DUBLINO NATIONAL MUSEUM OF IRELAND: Calice di Adargh, 120*, 121*. Calice di Derrynaflan, 120. Collana di Broighter, 118*. Fibbia di Lagore, 120. Fibula di Killamery, 119*.

Fibula di Tara, 119*, 120. Placca con Crocefissone,

(hS}tl Spilla di Shannon,

ROYAL IRISH ACADEMY: Salterio di Cathbach, 120, 130. TRINITY COLLEGE LIBRARY:

Evangeliario di Kells, 136*, 137*. Libro di Armagh, 139. Libro di Durrow.,

131,

ESCALADA

FRIBURGO (BREISGAU)

SAN MIGUEL:

AUGUSTINERMUSEUM: Altare portatile di Adelshausen, 86*, 87,

VINO:

240.

ESCOMB OSL

FRIBURGO 83, 84.

120, 122,

120.

132, 134.

ESSEN-WERDEN 86, 188, 212. SANKT LIUDGER: DIA

FRITZLAR 64. FULDA Tr 64: 202 206), 2571.

ESTABLES 104.

SANKT MICHAEL:

206, 216. FAHAN MURA (DONEGAL)

PETERSBERG:

STELE:

DURATON

WS

104.

DURHAM [7A Duomo: Commento di Cassiodoro, Collettario, 139.

DIE

IISS,

FYRKAT 141.

FAVERSHAM 125: 0126: 137.

GALLARUS (KERRY) 108.

FELDBERG 282.

GALLEN (OFFALY) II

FIRENZE

DURROW SNA DUOMO: Croce di Cutberto, 126, 127*. Evangeliario,

130, 131*, 132.

DUVILLAUN (MAYO) 108, 112. EASBY 115: ECHTERNACH TE DIG, S. WILLIBRORD:

64*, 65.

EGARA 278.

EL GERMO 90. EL-ASNAM 89.

ENGERS 82, 84, 86, 240. EPERNAY BIBLIOTHÈQUE MUNICIPALE: Evangeliario da Hautvillers, 293. Evangeliario di Ebbone, 293*.

FREJUS

60.

76, LS

BIBLIOTECA

MEDICEA

LAURENZIANA:

Codex Amiatus, 47*, 48, 136. Raccolta di trattati medici, 186. Museo DEL BARGELLO: Elmo di Valdinievole, 13*, 52. Flabello di Tournus, 256, 257, 259.

FLAVIGNY TOT, SAINT-PIERRE: DIO, DIES.

FLETTON (HUNTINGDONSHIRE) Lo: FLEURY TAL,

FONNAS ILETS: FONTENELLE 62. FORE (WESTMEATH) 108. FORNOVO SAN GIOVANNI 50. FRAGA (HUESCA) 90. FRANCOFORTE

GANDERSHEIM ILS GEDDINGTON Ill, GERMAIN-DES-PRES

57, 98, 22%, 204%, VISI DIS.

GERONA 89. GEROSA 20.

GERUSALEMME 66, 228. GIBILTERRA de

GILTON 125: GLENDALOUGH (WICKLOW) 108. GLONS 21621 GONDORF 69, 70.

ERIKSTORP 141.

LIEBIGHAUS: Tentazione di Cristo, 259.

GOSDORF 117.

ERLANGEN

FREISING LE

GOTLAND 144, 145, 148, 149.

UNIVERSITATSBIBLIOTHEK:

2094

2.078210250

Indici

STELE DI LABRO: 148, 149. Stele di Ardre II, 148. Steli di Lokrume e Rikvide,

IONA (MONASTERI) SA139:

GOURDON 80.

BENEDIKTINERABTEI:

HALBERSTADT 243, LANDESMUSEUM

MIAO FUR

Vor-

UND

FRÙGE-

SCHICHTE: Lastra di Hornhausen,

66, 71*.

HARBURG FUÙRSTLICH-OTTINGEN-WALLERSTEINSCHE BIBLIOTHEK: Evangeliario, 137.

HARTLEPOOL 155

Codex Millennarius,

LIZ

S, L16117:

SAM468

JOUARRE 62-.09*. JUMIEGES

202. KARLICH

84.

KARLSRUHE 48.

LAS TAMUJAS (TOLEDO) 89. LAVOYE 78. LENA SANTA

CRISTINA:

ZIO ZIA. LEON 2/0, 27 ZIO 25 BIBLIOTECA DEL DUOMO: Bibbia del 920, 276, 277*.

HAUTVILLERS (REIMS) 243, 244.

BADISCHE LANDESBIBLIOTHEK: Moralia in Job, 48.

LEUCADIO 89.

HAVOR 148.

KASTEL SUCURAC SVETI JURAJ: 248.

LEVY HRADEC SAN CLEMENTE: 291.

KHIRB AL MAFJAR LO2:

LILLO

HEXHAM UL: HILDESHEIM 2A DA HINOJAR DEL REY 104.

HIRSAU 216.

KILABUONIA TEAMPUL GAEL (KERRY) 108. KILKIERAN 114, 128, 146. KILLAMERY 112, 114.

HOCHST

DIR AZAIBSAZ16.

HOLTON 110.

HONTORIA DE LA CANTERA ST:

72*, 127.

LARA 925

JELLING

HALLE

KILREA 114.

KIRK HAMMERSTON 110.

CHIESA

PALATINA

DI SAN MIGUEL:

269*. Relievo, 269*.

LIMONS 84. LINDISFARNE 31327 1397:434,1135, 136, 1399. LIONE 65 3lLIPSIA MUSEUM

FUR KUNSTHANDWERK:

Rilievo con S. Michele Arcangelo, 238*.

49.

LIVERPOOL CITY MUSEUM:

KLAGENFURT 216.

Fibule della tomba 205, 126. PUBLIC MUSEUM: Crocifissione, 256.

INIS CEALTRA (CLARE) 108.

KNIN 284.

LOBEDA 281.

INISHKEA NORD (MAYO) 112.

KORNELIMUNSTER

LOKRUME 148.

KISSELYK-SEICA MICA

IESOLO SAN MAURO:

L7Alo

210,212.

88, 240.

LAON VI S75E

JARROW L7RASTITO

1

57, 58*,

LANGFORD (OXFORDSHIRE) 116.

IVREA 172:

GUARRAZAR 104, 105.

di Tassilone,

147.

ISTANBUL 91.

GRO8 RADEN (SCHWERIN) 281.

Calice

STIFTSBIBLIOTHEK:

LAGNO

ISMANNSTORP 141; 142*.

GRINDHEIM 143.

= 329

KREMSMUNSTER

IRISHMURRAY STAZIONE DI PELLEGRINAGGIO: IPOETID/ZIOSEL09E%

148.



330 — L'arte europea dal VI al IX secolo

MUSEO

ARQUEOLOGICO: Corona votiva di Recesvindo,

LONDRA IRA BRITISH LIBRARY: Bibbia di Grandval

Moutier,

245*, 246.

Evangeliario Harley, 228, 229*. Evangeliario di Lindisfarne, 132, [BASS Evangeliario di Londra, 139.

133%,

Harleianus, 224, 232. Salterio di Aethelstan, 139. Scritti di Aldelmo, 139.

Fermaglio di Sutton Hoo, 120*, 126.

MAIDSTONE MUSEUM: Fibula di Bifrons,

MISTAIL 214.

MOISSAC 64, 66.

MUSEUM:

Fibula di Petney, 127.

S. BENDETTO: Affresco con donatore,

Potorio di Tuplow, 125. 127, 128*.

Tre spille di Witham, 124*, 126. NATIONAL GALLERY: Paliotto di Saint-Denis, 263. AND ALBERT MUSEUM:

Frammento della Croce di Easby, 114*. Fregio di Jarrow, 117*, 238.

MONACO 82. BAYERISCHE Codex

MALLES 216.

VICTORIAN

MINDEN 82.

122*, 124.

Fibbia di cintura, 122*. Fibbia di Sarre, 122*. Fibula di Fuller, 127. Miracolo di Cana, 258.

220*, 221, 223.

MAMMEN 146. LASTRA

DI LEVISHAM:

IUIIZA,

TORHALLE

2066, U05, BIZE VI

Di,

LOSANNA 83, 84. LUCCA 30, 47. Museo NAZIONALE: Lastra, 30.

LUSICI 281.

225)

M’SHATTA 102. MAASEYCK 72,80. MAASTRICHT SANKT

SERVATIUS:

DADI MADRID 105. BIBLIOTCA NACIONAL:

Bibla Hispalense, 276.

St.

249,

MONDSEE INEMEZIZIRAE

MAZOTE SAN CEBRIAN: 276.

MONKWEARMOUTH 17,48, 1091107152202:

MELQUE (TOLEDO) SANTA MARIA: O 279 270,

MONTECASSINO BIBLIOTECA:

MÉRIDA

MONTECCHIO DI CROSARA

Libellus de signis caeli, 186.

90, 91, 104.

S. SALVATORE:

1724

METZ 66.

MONTPELLIER MuUSsEE DE LA SOCIÉTÉ ARCHÉOLIOGIQUE: Giovanni evangelista, 256.

DOP 243. VIS, 250, 20. PIANTA

Emmeran,

249. Rilegatura del Codex aureus, 262*, 263. RESIDENZ: Altare portatile, 263*.

MIKULCICE

LUXEUIL (VOSGI) S61/1:0/2, 75:

di

SI, 25 Coperta dell’Evangeliario di Enrico II, 199) Evangeliario di Enrico II, 126, 198*, 258. Evangeliario di Valeriano, 46*, 47. Evangeliario di S. Martin di Magonza, 254. Libro di Preghiere di Carlo il Calvo, 248,

MARBURG UNIVERSITATSMUSEUM: Cappitello da Fulda, 206.

SAN NAZARIO:

204, 216, 227.

STAATSBIBLIOTHEK:

aureus

Evangeliario di Schaftlarn, 254.

MARSIGLIA SE

LORSCH

TESORO DEL DUOMO: Dittico in avorio, 18*, 19.

MILBORNE PORT Lo

Copia del crocifisso vaticano, 190.

BRITISH MUSEUM: Castellani Brooch, 52, 53*. Croce di Wilton, 126. Crocifissione, 256.

Strickland Brooch,

89,

105. Fibbia di carpio di Tajo, 104. Fibbia di Estables, 104*. Pluteo di Reccopolis, 90, 91. SAN QUIRCE: 276. MAGONZA DIL 2397244. ROMISCH-GERMANISCHES

Salterio di Vespasiano, 139.

88*,

RICOSTRUTIVA

DELLA

CHIESA

N. 3:

Nazianzeno,

168.

288*. MILANO To 225 251 SIIziO,

INAL

BIBLIOTECA AMBROSIANA: Cronaca di Orosio, 46, 47.

Omelie

di Gregorio

S. AMBROGIO:

278. Paliotto dell’altare, 190, 192, 193*, 194. S. MARIA D'AURONA: US S. MARIA PRESSO S. SATIRO: IS RI74E175 8271

MONZA 192. TESORO DEL DUOMO: Corona votiva, 194*. Croce di Berengario, 195, 197. Croce di Adaloaldo, 197. Evangeliario di Teodolinda, 15*, 52, 53. Lastra, 30. Pettine e ventagio liturgici, 197. Reliquiario del dente di S. Giovanni, 197640197: Sacramentario di Berengario, 197.

MOONE 112, 114.

Indici

MORAY BI.

NONNEBAKKEN 142.

MUC

NORA

SVETI PETAR: 286.

SAN

MUDJELEIA 102.

NORIMBERGA GERMANISCHES NATIONALMUSEUM: Croce delle Ardenne, 260*. Crocetta proveniente da Cividale, Fibule da Domagnano, 52*, 53.

SS. MARIA

Alfred Juwel, 126*, 128. Croce, 126. Fibule di Lord Armhurst, 126. BODLEIAN LIBRARY: Christus Victor, 238. Salterio, 244. Salterio di Aethelstan, 139.

PEDRO:

286.

MURANO E DONATO:

PAGO

49*.

7/6

MUSTAIR

NOVARA 180.

ZIASZIL6: PITTURA: DIR 2A

NUNNYKIRK 126.

NANCY Duomo: Evangeliario di Ganzlin, 246.

NANTES Syé NAZIONALE:

Scritti di Virgilio, 186. Museo

ARCHEOLOGICO

NAZIONALE:

521 SANT’ ASPRENO:

PARENZO 230), Al710) PARIGI SMMESSTROSTOAR289! BIBLIOTHEQUE

NYDAM 124. ÒLAND

OSTROW LEDNICKI

174. OSVETMANY

NAVE SAN PEDRO:

|

100%, 101*.

NAZARÉ (ESTREMADURA) SAO GIAO:

97. NEW YORK METROPOLITAN

MUSEUM:

Stauroteca Feischi-Morgan, 168. PIERPONT-MORGAN

LIBRARY:

Evangeliario di Lindau, 241*.

NIVELLES 62, 110. NOCERA UMBRA 49, 50. NONA S. CROCE:

285*, 286, 287.

NONANTOLA 172, 184.

Bratteato di BjOrnerud, 143.

Barca di Oseberg, 140*, 141, 144, 145.

NARBONA MAGO: TESORO DEL DuoMO: Crocifissione, 238.

06097,

OSLO UNIVERSITETES OLDSAKSAMLING: Fibbia di Aker, 146*. Fibula di Fonnas, 142, 144*, VIKINGSKIPETHUS:

Pluteo, 176.

289.

OTLEY ES OVIEDO 205215: Duomo: Croce degli Angeli, 272*, 273. Croce della Vittoria, 272, 273*. Placcetta del reliquiario detto Caja de las Agatas, 274*. OVIEDO, CHIESE SAN JULIAN DE LOS PRADOS, Pittura, 265*. SAN TIRSO:

266*. SAN PEDRO DI NORA:

268. SANTA MARIA DE NARANCO:

258*, 269. OXFORD ASHMOLEAN

IN ARGENTELLA:

181.

OSEBERG 141, 144, 145, 146, 147.

BIBLIOTECA

285.

S. GIOVANNI

Is,

NAPOLI

SVETI NIKOLA:

PALOMBARA SABINA

NORWICH 110.

MURBACH 14°

— -9°)(99)

MUSEUM:

266*,

267:

NATIONALE:

Apocalisse di Saint-Amand, 235. Bibbia di Viviano, 245, 246, 247%. Bibbia di Carlo il Calvo, 246*. Coperta dell’evangeliario di Noailles, 258. De fide catholica contra Iudaeos, 74*. De Materia medica di Dioscuride Redanio, 186. Disegno del Reliquiario di S. Croce di Eginhardo, 242, 243*. Evangeliario di Echternach, 72, 132*, 134. Evangeliario di Francesco II, 253. Evangeliario di Godescalc, 225*, 230, 236. Evangeliario di Lotario, 248. Evangeliario di Saint-Medard, 226*, DINERPR RIONI Hexaemeron di S. Ambrogio, 75, 76. Moralia in Iob, 77. Omelie di San Nazianzeno, 232. Pentateuco Ashburnham, 44, 45*, 46. Quaestiones in Heptateuchum, 75, 76. Rilegature del messale di S. Denis, 258. Sacra Parallela di G. Damasceno, 186, 187. Sacramentario Ms. lat. 1144, 248. Sacramentario di Drogone, 248. Sacramentarium di Gellone, 74, 75*. Salterio di Carlo di Carlo il Calvo, 248, 249%, 257. Seconda Bibbia di Carlo il Calvo, 252*, 255Ì Tavoletta con Cristo benedicente, 238. BIBLIOTHÈQUE NATIONALE, CABINET DES MEDAILLES: Calice e patena di Gourdon, 80*. Fibula di Linons, 83*, 84. Frammenti della spada di Childeric, 78, 79%: Frammento della Croce di S. Eligio, 80, PET

32

-— L'arte europea dal VI al IX secolo

Piatto Sassanide, 16*, 17*. MUSEE DE CLUNY: 104. Corona votiva con la croce DI MuseEE DU LOUVRE: 82.

KNIHOVNA

ROMA 3, 4,8, 12, 17, 20, 24, 40, 42, 44, 50, 55, 151, 155, 156; 157, 170, 173, 176, 178, 194, 199, 200, 202, 224, 230, 232, 267, 292:

KAPITULNI:

DSBI di Sonnica,

Capitello corinzio di Saint Vincent, 58*. Coperto del salterio di Dagulf, 238*, 239%. Placchetta eburnea, 258*.

PRIESCA SAN SALVADOR:

270.

QAL’AT SIM’AN 102.

QALB 102.

PARMA 12°

QASR AL-HAYR 102.

PATMOS

QUINTANILLA DE LAS VINAS (BOURGOS) LOORLOZAZOBEAIOA5 SANTA MARIA: 99.

BIBLIOTECA:

Libro di Giobbe,

186.

PAVIA til, DeL 25, IOSÌ MUSEI CIVICI: Lastra di Teodota, 30*. S. MARIA DALLE CACCE, 24*. S. MICHELE MAGGIORE: Crocifisso, 190. S. SALVATORE: 172, 175,

PETNEY 128. PETOHAZA

87. PFÀAFERS

74.

PIETROASA DIL POHANSKO-BRECLAV

288.

POITIERS 6, 60, 62, 64, 65. BATTISTERO: (001, IE 03, GI

Sarcofago di Antigny, 66*, 68. LASTRA DI SARCOFAGO: (OS. BIBLIOTÈQUE MUNICIPALE:

Evangeliario ddell’ Abbazia di S. Croix, PBBEMIOSSI HyPoGÉE DES DUNES: 62MOIZMODTOO! Base di Croce, 69*.

Capitello corinzio, 67*.

POLUPIN 281.

RABASS (KERRY) 108. RAMSUND 148. RAVENNA 3}, dh 10: 20 22, 29, 3, 93, 155, 170, 1972, 70 296, 2705 292, MUSEO ARCIVESCOVILE: Cattedra di Massimiano, 258. Croce dell’arcivescovo Agnello, 49*, 50. ORATORIO, PITTURA: ISO II ZIO. PALAZZO DI TEODORICO: SF DI. SAN APPOLINARE IN CLASSE: 3)8), Ciborio di Pietro; 31% 177*Mosaici, 178. SAN VITALE: TR TM20692078

RECCOPOLIS OO: RECULVER LOSS:

REICHENAU-MITTELZELL TOA 2202-2210)

Evangeliario di Incmaro, 244. TESORO DEL DUOMO:

240*.

POMPEI 38.

RIKVIDE 148.

PRAGA 282, 291.

RIZNICE

287.

Mosaici, 31, 32, 33. S. ANASTASIA: ISEE, S. CECILIA: Mosaico absidale, 161*. S. CLEMENTE: Affresco con la discesa al limbo, 166. Crocifissione, 166.

164*,

Donne al sepolcro, 166. L’ Ascensione, 165*, 166. Nozze di Cana, 166. SS. COSMA E DAMIANO:

35, 42, 161, 162. S. FRANCESCA ROMANA (S. MARIA NOVA): Icona della Madonna con Bambino, 42*, A IST, 158. S. GIORGIO IN VELABRO: ISTANISS: S. GIOVANNI IN LATERANO: 158. Mosaico del Triclino, 158, 159*, 161. S. MARCO: ISTE ISS: S. MARIA DEL ROSARIO: 44. S. MARIA ANTIQUA: 35, dei 102, N64 250. 232.

Crocifissione, 37, 40. Discesa di Cristo al limbo, 37.

REIMS 6, 139, 186, 242, 243, 244, 248, 249, 252, VSC VIS: BIBLIOTÈQUE MUNICIPALE:

pettorale

ROMA, CHIESE BASILICA DEI SS. QUATTRO CORONATI: IST IS 169, CATACOMBE NEL CIM. COMMODILLA: Vergine in trono, 32. S. AGNESE: 9, 20, 2118, 37,

Affresco con la morte di S. Quirico, 40, 41*, 180. Annunciazione, 37. Cristo in Trono, 40, 42, 43*.

SS,

Reliquiario

2973602200055, 78, 104, 130, 139, 16416022405; 183, 184, 184, 190, 204, 212, 214, 222, 268, 282, 283, 288,

di

Carlomagno,

Frammento dell’ Annunciazione II, 36*, 39. Maria Regina, 32, 40. Solomone e i Maccabei, 36, 37*.

Vergine con Bambino, 37. S. MARIA IN TRASTEVERE:

Icona di Maria Regina, 9*, 44. S. MARIA IN ARACOELI, S. MARIA EGIZIACA:

167. S. MARIA IN DOMNICA: JSCR162M 633608 S. MARIA IN COSMEDIN: ISS AMICONIO7A

169.

Indici

Mosaico con l’ Adorazione, 34*. S. MARTINO AI MONTI: ISTARSS: SS. NEREO E ACHILLEO: Mosaici, 161*. S. PAOLO FUORI LE MURA: ISZAM61E Biblioteca, Bibbia di San Paolo: 2505: S. PRASSEDE: ESSINISOSMIS7#E" 161, L66.

Cappella di S. Zeno,

154*,

166,

249,

168,

169%. 174, 178. Mosaico del transetto, 160*. Mosaico dell’arco trionfale, 162*.

S. SABINA: y ISWÀ Lastra di Pluteo, 166*, 168. S. SILVESTRO IN CAPITE, 155. S. STEFANO RoTONDO, 37. Mosaici, 31, 32, 33, 42. S. SUSANNA, 155. Mosaici, 160. S. VENANZIO. Mosaici, 31, 34*, 37, 42.

ROMA, BIBLIOTECHE E MUSEI BIBLIOTECA CASANATENSE:



Benedicto fontis, 184.

Pontificale di Landolfo, 184. BIBLIOTECA VALLICELLIANA: Codex Inveniani, 48. Collectio canonum Hadriana aucta, 186. MUSEI CAPITOLINI: Testa colossale di Costantino I, 33.

SAINT-GERMAIN-EN-LAYE 78, 82.

SANDA 148.

SAINT-AMAND 17252,

SANKT PAUL IM LAVANTAL STIFTSBIBLIOTHEK:

SANT'ARCANGELO

Reliquiario di Mumma, 84*, 86.

OMO

DI ROMAGNA

DI

SAINT-BERTIN 159, 252.

SANTIAGO DE COMPOSTELA DID,

SAINT-BONNET-D’AVALOUZE 86.

SANTULLANO 270. SAVAR

SAINT-DENIS

SON

RS

el

9

28200 8202802353

SAN PELLEGRINO:

284.

248, 250. ABBAZIA:

Base di colonna, 201*. Lastra, 66, 70*.

SAINT-PHILIBERT-DE-GRANDLIEU 201820972107212.

SCHAFTLARN

254. SCHANIS

216.

SCRIPOU (BOEZIA) 102.

SAINT-VAAST DID:

SEGOBRIDA 90.

SALAMANCA 93,

SEIR KIERAN 114.

SALISBURGO TA IP, TR: SE 285 ELE DIÒZESANMUSEUM:

Coe di S, Rua

120, 275, 12058,

SALONA

SELESTADT BIBLIOTHÈQUE MUNICIPALE: De architectura di Vitruvio,

SELIGENSTADT 212°

SVETI MARIJA: ROMAINMOTIER

286.

NILLE.

ROMSEY (HAMPSHIRE) 116. ROUEN 6. RUSSI S. PANCRAZIO:

19%. RUTHWELL CROCE:

RES

SA. CARROTJE (MAIORCA) 90.

SAAMASAS 91,93. SAFFRON WALDEN 128.

SALONICCO 335). HAGHIOS GHEORGHIOS: 270. SAN DEMETRIO:

SETTIMO VITTONE 173: SHEKH SLI'MAN 102.

SAN PIETROBURGO 73 PUBBLICA

STATALE:

Commento di San Gregorio Magno, 75. Lettere di San Gerolamo, 73.

SAN GALLO Vl R256: ABBAZIA: 206, 216. STIFTSBIBLIOTHEK: Evangeliario di S. Gallo, 139. Liber Viventium, 74.

Pianta, 201*, 202.

Raccolta delle leggi germaniche, 73. Salterio aureo,

SAINT PETER (WILTSHIRE) 116.

SENISE S2:

Mosaici, 33.

BIBLIOTECA

DI1)(99)

De fide catholica, 47.

SAINT-BENOIT-SUR-LOIRE ABBAZIA:

VANS



183, 256, 257*.

Salterio di Wolcoz, 256. Salterio di Folchard, 255*, 256.

SION (02: SKELLIG MICHAEL (KERRY) 108. SOISSONS MIE2A22 SON PERETO (MAIORCA)

90.

SON BOU (MINORCA) 90. SOPRON Liszt FERENC MUZEUM:

Calice, 87.

204,

206.

334 - L'arte europea dal VI al IX secolo

SORABI 281.

SUTTON

SOUTH ELMHAM 110.

SZEGED

TOURNUS 256.

HOO

Io 208

1225125,

IG:

TOURS

57, 58, 60, 61, 71, 149, 235, 244, 245, 246, 248, 293,299 23042202

FIiBBIA A KLARAFALVA:

284%.

SPALATO 283.

SZILAGYSOMLYO-SIMLEUL

MUSEO

SII

ARCHEOLOGICO

SPOMENIKA:

Cancello di Muncimir, 287”. Recinsione del coro da Riznice, 287. PALAZZO

DIOCLEZIANO:

Cancello presbiteriale, 286*, 287. SVETI JURAY: 284.

SILVANIEI

TAPLOW IZ

287.

SPIGNO S. QUINTINO: 72,

141, 142%.

TARRAGONA PE ICI

TRENTO 238. TREVIRI 6; 17, 57, 82, 149722372551 STADTBIBLIOTHEK: Manoscritto dell’ Apocalisse, 234*, 235,

S. MIGUEL:

RIS, 27

236. TESORO DEL DUOMO:

TEBESSA 89.

SPIRA 216.

Evangeliario, 72, 73*, 139. Evangeliario di Ada, 227, 232.

TIGZIRT 101.

SPOLETO O024 Duomo: Lastra, 30.

TRNOVIEC 288.

TIZEK

TROGIR

INSEDIAMENTO:

VE,

STARA KOURIM DO

S. BARBARA:

285%.

TOLEDO: TL IL 055 29, 27/0, SAN SALVADOR. Pilastro 93*.

STARE MESTO

DAS, QI,

TROYES 78. BIBLIOTECA DEL DUOMO: Salterio, 244.

STARE ZAMKY

TOLOSA 6, 7, 66.

288. STOCCARDA WUÙRTTEMBERGISCHE

LANDESBIBLIOTHEK:

TORCELLO

Illustrazione del salmo 43, 235*, 236.

S. Fosca:

TUAMGREINEY (CLARE) 108. k

TUNON S. ADRIAN:

176. KUNGLIGA BIBLIOTEKET: Codex aureus, 138*, 139, 230.

71.

Bardatura da Broa, 144, 145*. Collana di Alleborg, 147. Crocifisso di Birka, 141, 143*. Due fibule “’borre”, 147*, Elmo da Vendel, 147. 146.

Fodero di spada da Tureholm, 143*.

BIBLIOTECA NAZIONALE: Evangeliario, 139. MUSEO ARCHEOLOGICO: Fibbia del Lingotto, 50*, 52, 55. S. SALVATORE:

TORNOMW:

Stele di Lillbjars, 148, 149*.

TORRUDI LUN.

Martello di Thor, 141, 143*.

Steli di Haggeborg, Vallstenae e Hablingho, 148. Steli di Ardre VIII e Tjangvide, 148, 149.

284.

3

potra ; UCLÉS 90.

176.

Idolo di Lagnò, 147.

STON SveETI MIHAIJLO:

TUREHOLM 142, 143.

TORINO

STATENS MUSEUM:

Fibula da Martens,

270.

S. MARIA ASSUNTA:

STOCCOLMA

282. S. MARIA: 285%, 286. TRELLEBORG

TARRASA S. MARIA: 279.

SVETI MARTIN:

TRAÙ

UHERSKÉ HRADISTE

288, 289.

noi

281.

248.

89.

URNES 146.

TORREDONJIMENO (JAEN): OS TOURNAI TOMBA DEL RE CHILDERICO

78.

UTRECHT I:

BIBLIOTHEEK DER RIJKSUNIVERSITEIT: Salterio del salmo 44, 242, 243, 244,

258.

Indici

VALDEDIOS SAN SALVADOR: DIO:

BIBLIOTECA

VALENCIA 104.

VERDEN, TRATTATO

208.

VALENCIENNE

VICENZA

BIBLIOTHEQUE

CAPITOLARE:

Omelie di Gregorio Magno, 184. Collectio canonum,

MUNICIPALE:

DI

SS. FELICE E FORTUNATO:

WILTON 126.

VIENNA ICAO STAZZA

VALLSTENA 144.

OSTERREICHISCHE VASKINDE

148. x

VATICANO (CITTÀ DEL) BIBLIOTECA APOSTOLICA: Codex aureus di Lorsch, 227. 228*, 232. Exultet, 184.

Liber pontificalis, 188, 190. Libro di Giobbe, 186, 187, 188*. Sacramentario Gelasianum, 75, 716*, 77. Vergilius Vaticanus, 257. Museo SACRO: Casetta-reliquiario, 167*. Coperta eburnea dell’evangeliario di Lorsch, 237*, 238. S. PIETRO: 3 10382850) 156,157, 202. Crocifissione 190, 191*.

VELEHRAD-MODRS 269,

VENDEL 144, 147.

NATIONALBIBLIOTHEK:

De laudibus di Rabano Mauro, 254*. 25.0) Evangeliario dell’Incoronazione, 231*, 233, 234, 243, 244, 248, 292, 256. Evangeliario di Cutbercht, 74, 235. Sermoni di Giovanni Crisostomo, Trattati cronologici, 235. SANKT STEPHAN: Borsa-reliquiario, 260.

WING IDINE

WITHAM 124*, WITTISLINGEN

80.

WURZBURG UNIVERSITÀTSBIBLIOTHEK: Evangeliario di Fulda, 253*, 254.

VISBY 148.

YORK 116. CASTLE MUSEUM:

VLADECEBADAR 98. VOLTURNO S. VINCENZO: ARIAS SORIA Crocifissione,

WINCHESTER: LIO, 16,439.

WOLIN 281.

VIENNE 59. SAINT PIERRE: 59%.

Annunciazione,

VENASQUE 64, 65.

WHITHORN 109.

WICKCHAMBREUX 12.5:

79)

236,237.

VEDSTRUP 142.

184, 185*.

WHITBY 12:

182.

182.

Maria Regina, 182. Nativita, 182. Resurrezione, 182.

VORBERG 281.

VENEZIA SOMIZO: S. MARCO: IMSS. S. ZACCARIA: LezlS

VOUNEIL-SOUS-BIARD 66. TESTA DI STUCCO: 68*.

VERCELLI 24.

WASSENBERG 82.

Elmo, 126. YORKSHIRE MUSEUM.

Coppia di Ormside, 126. ZARA SAN DONATO:

206*, 208, 286. SAN VITO, 285. SVETI MARIJA (STOMORICA): 286.

ZEHREN 281. ZORITA DE LOS CANES 90. ZURIGO SCHWEIZERISCHES

LANDESMUSEUM: Libro d’oro, 258*, 259.

(99)DD(921

FONTI ICONOGRAFICHE I numeri arabi si riferiscono alle pagine, i numeri romani alla collocazione (dall’alto e da sinistra) delle singole illustrazioni.

A.C.L. (Bruxelles), 217.

Abbazia di Saint-Benoît-sur-Loire, Adros

Studio

(Roma),

Brisighelli (Cividale), 29.

Hirmer Bildarchiv (Monaco), 88.

British Museum

Istituto Centrale per il Catalogo e la Docu-

87.

35, 36, 37, 41, 43, (Londra), 53, 120 (I), 122

((06), (24: 1128, 1159.

Druck-

(Darmstadt),

Hessisches

84.

164, 189.

Akademische (Graz), 72.

Landesmuseum

Bildarchiv Foto Marburg, 63, 67 (II), 207, 2118), ZIIS, ZIO, De, 27/6.

und

mentazione (Roma),

157.

Verlagsanstalt British

Library

(Londra),

133, 229,

245.

Keiser/Herzog

A. Ulrich-Museum

(Braun-

schweig), 125. Alinari (Firenze),

Biirgerbibliothek (Berna), 232.

177, 178.

Kungliga Biblioteket (Stoccolma), 138. (QESCNL Aol) TZ, DIS

Allemand, 223.

Antikvarisk-Topografiska Arkivet (Stoccolma), 142 (II), 143, 144, 147, 149.

Caisse

Nationale

CL

109, 105, 105. Kunstgewerbemuseum

des Monuments

Histori-

ques et des Sites (Parigi), 59, 67 (I), 70, Archiwum Fotograficzke Ratajezak (Varsavia), 283.

204, 208, 211.

Landesmuseum

(Oxford),

126.

Augustinermuseum (Freiburg), 86. Corpus

Christi

Costa (Milano),

Bayerisches VSS.

Csongrad 284.

Nationalmuseum

(Monaco),

Belser Verlag (Stoccarda), 76.

Biblioteca Apostolica Vaticana,

College

(Cambridge),

14.

175.

Megeyei

Muzeumok

(Szeged),

Dommuseum

(Halle),

(Milano), 65,

Mas

(Barcellona), 93 (I), 264, 267, 268, DE: ZI: 33, 21, 277

Musée

d’Art et d’Histoire (Metz), 71 (ID).

Musées (Poitiers), 68, 69.

Direzione dei Musei (Brescia), 191.

188, 228

(Vienna), 231.

fiir Vorgeschichte

Lessing /(Magnum/Contrasto TZION(I8) I2I0 158), 240)

Ciol (Cividale), 31.

Bayerische Staatsbibliothek (Monaco), 46, IS 250 VO2,,

Museum

TA (0)

Chiolini (Pavia), 173. Ashmolean Museum

Kunsthistorisches

(Berlino), 85.

(Salisburgo),

Biblioteca Capitolare (Vercelli) 186.

Domschatz

Biblioteca Medicea Laurenziana (Firenze), 47.

Ecoart (Brunello), 187.

129.

(Treviri), 73 (ID).

Museo Arcivescovile (Ravenna), 49 (1). Museo Arqueologico (Madrid),

105.

Museo Sacro (Vaticano), 167, 201 (II), 237. Museo Civico (Pavia), 30.

Fabbrica del Duomo (Milano), 18. Bibliothèque (IL).

Municipale

(Amiens),

Museum

235

(Maidstone),

122 (1).

Germanisches Nationalmuseum (Norimberga), 49 (II), 52, 260.

Muzeja Hrvatskih (Spalato), 286.

Gonella (Torino), 50.

National

Bibliothèque Municipale (Autun), 77.

Bibliothèque

Municipale

(Epernay),

293.

Bibliothèque

Municipale

(Poitiers),

233.

Bibliothèque Nationale (Parigi), 16, 17, 45, TARTS, 79; 80,82, 33,132; 15228225: 226, 227, 243, 246, 247, 249, 252.

INS

Grundewald B./Deutsches Archaologisches Institut (Madrid), 96, 97. Hàinse (Lipsia), 238.

Hejdstròm R. (Visby), 148.

Museum

of Ireland

(Dublino),

25:

Nationalmuseet (Copenaghen),

145 (1).

Noack/Deutsches Archaologisches (Madrid), 93 (II), 98, 99, 104, 266 (1), 271, 274.

"

PIC,

Fonti iconografiche

Osterreichische Mati

Nationalbibliothek

(Vien-

Schatzkammer

der

Residenz

(Monaco),



e ip)

337

Universitàtsbibliothek (Wiirzburg), 253.

263.

254.

Pierpont Morgan Library (New York), 241.

Schweizerisches

Landesmuseum

(Zurich),

Universitetets 145 (ID).

Oldsaksamling

(Oslo),

140,

258.

Podrecca (Cividale), 25, 51.

Victorian

and

Albert

Museum

(Londra),

114.

Stadtbibliothek (Treviri), 234.

Quiresi (Cremona), 27. Steffens (Budenheim),

Vignaud/Musées (Poitiers), 66.

150, 203.

Rapuzzi (Brescia), 181, 195. Réunion des Musées Nationaux (Parigi), 2, SoS97258 (D.

Stiftsbibliothek (San Gallo), 201 (I), 255, DONE

Wagner (Ftan), 221. Walters Art Gallery (Baltimora),

102.

Tesoro del Duomo (Monza), 15, 54, 194, 197. Rijksuniversiteit (Utrecht), 242. Tesoro

Royal Comission on the Monuments England (Londra) 110, 111. S. Pietro in Vaticano,

of

191.

Scalal(Mirenze), 5,9, 13, 19, 23, 32, 33, 35

Mi 9, 42, 154. 158, 160, 161, 162, IGSAM6SML69 79183, 185, 193, 220; 250261

dell’ Abbazia

(Saint-Maurice

d’A-

gaune), 81.

Witte/Deutsches Archaologisches Institut (Madrid), 91, 92, 94, 95, 100, 103, 266 (Il).

The Dean and Chapter Library (Durham), IZ

Wiirttembergische Landesbibliothek (Stoc-

Thuillier R. (Chezelles), 206.

Zodiaque (St L ger Vauban), 115, 117, 147,

Trinity College 136, 197

Library

(Dublino),

carda), 235 (I).

131, Zvonimir Buljevic (Spalato) 287.

STORIA DELL’ARTE IN ITALIA Ferdinando Bologna LA COSCIENZA STORICA DELL’ARTE

D’ITALIA

Ferdinando Bologna L’ARTE DEL MEDIOEVO, 3 voll. Renato De Fusco L’ARCHITETTURA DEL QUATTROCENTO Paola Santucci LA PITTURA

DEL

QUATTROCENTO

Francesco Negri Arnoldi LA SCULTURA DEL QUATTROCENTO Renato De Fusco L'ARCHITETTURA

DEL CINQUECENTO

Maria Calì

LA PITTURA DEL CINQUECENTO Giovanni Mariacher LA SCULTURA DEL CINQUECENTO Daniela del Pesco L’ARCHITETTURA

DEL SEICENTO

Ferdinando Bologna LA PITTURA DEL SEICENTO Antonia Nava Cellini LA SCULTURA DEL SEICENTO Anna Maria Matteucci L’ARCHITETTURA DEL SETTECENTO Giancarlo Sestieri LA PITTURA

DEL

SETTECENTO

Antonia Nava Cellini LA SCULTURA DEL SETTECENTO Renato De Fusco L’ARCHITETTURA

DELL’OTTOCENTO

Antonio Del Guercio LA PITTURA DELL’OTTOCENTO Mario De Micheli LA SCULTURA DELL’OTTOCENTO

Cesare de’ Seta L’ARCHITETTURA

DEL NOVECENTO

Antonio Del Guercio LA PITTURA

DEL NOVECENTO

Mario De Micheli LA SCULTURA DEL NOVECENTO

Piotr Skubiszewski, nato nel 1931, ha compiuto gli studi di Storia dell'Arte presso l'Università di Poznarì dove ha insegnato dal 1953 al 1966 e dove ha conseguito il dottorato nel 1958. Diviene titolare della cattedra di Storia dell’Arte Medievale presso l’Università di Varsavia nel 1967, e professore all'Università di Poitiers nel 1981. Ha insegnato e tenuto conferenze in numerose altre università e istituzioni scientifiche europee e americane come Marburg,

Uppsala (Visiting Professor), Kansas University (Visiting Professor), Princeton University, Yale University, The Courtauld Institute of Art, The Warburg Institute, Zentralinstitut fùr Kunstgeschichte, Université Catholique de Louvain-laNeuve e l’Università Cattolica di Lublin di cui è dottore honoris causa. /nteressato soprattutto alla metodologia della storia dell’arte, alla scultura gotica, alle arti suntuarie dell'alto medioevo e del romanico, alla miniatura romanica, all'iconografia ed ai programmi teologici dell'arte medievale, ha pubblicato oltre

150 lavori scientifici. Dirige la rivista Cahiers de Civilisation Médiévale. X°XII? siècles (Poitiers). E socio della «Académie Européenne des Sciences, des Arts et des Lettres» (Parigi), del «Comité International d'Histoire de l'Art» (Parigi) e di parecchie società scientifiche europee. È Presidente del « Comitato di Storia dell'Arte dell’Accademia Polacca delle Scienze e delle Lettere » e membro del « Kuratorium des Zentralinstituts fiùr Kunstgeschichte » (Monaco di Baviera).

La destituzione di Romolo Augustolo, nel 476, ponendo fine alla successione imperiale e alla legalità dello stato romano, vedeva ormai consolidato l’insediamento di fatto di popolazioni barbariche sul territorio dell’antico Impero, e il repertorio di nuove istanze formali estranee alla tradizione classica, unitamente alle persistenze di quest’ultima e al riemergere del sostrato figurativo provinciale e preromano, dava luogo a una vicenda artistica i cui esordi sono ampiamente descritti, in questa serie, dal

volume di G. A. Mansuelli dedicato a La fine del mondo antico. Riannodando le fila della vicenda, e soprattutto radicando più che mai il discorso dei fatti formali al terreno dei fatti storico-politici, come fa fede il titolo stesso dell’opera, l’autore percorre la storia lungo i «secoli oscuri» delle nuove entità politiche nella loro progressiva integrazione con i resti del mondo romano, e, soprattutto, nei nuovi e decisivi rapporti con la Chiesa di Roma.

La crisi del mondo urbano e la fine del centralismo imperiale comportano la dislocazione dei centri di potere presso le corti barbariche, mentre il disperso mondo rurale troverà un punto di riferimento e di coagulo nelle nuovissime entità monastiche: di qui la frammentazione e l’appiattimento sui modelli locali delle committenze artistiche laiche ed ecclesiastiche. Il filo, mai completamente interrotto, dell’idea di Roma, anche lungo gli anni dello spopolamento e della marginalizzazione dell’Urbe, riprende vigore con il primato della Chiesa di Roma e del Papa sulla base via via crescente della nuova formazione statuale del «Patrimonio di San Pietro». L’impulso del mecenatismo papale inaugura il nuovo capitolo della vicenda monumentale di Roma e accanto ai «Fori cadenti» sorgono le nuove Basiliche del culto cristiano, il cui modello architettonico e liturgico si estenderà progressivamente lungo i secoli dell’Alto Medioevo, ai centri vescovili ed abbaziali dell’intero continente, in un processo

di unificazione e di omologazione che segnerà definitivamente la fisionomia dell’Europa cristiana. Più a nord, fra le Gallie e la Germania, la fine della dinastia merovingia e l’avvento di quella carolingia comporterà un raggiunto punto di equilibrio nel secolare processo di integrazione dei «barbari» all’eredità politica romano-imperiale. Il Palazzo e la Corte, gli apparati simbolici connessi all’esercizio della potestà imperiale, comporteranno una «politica culturale» che avrà come elemento costitutivo la particolare ripresa dell’arte classica che sarà nota come Rinascenza carolingia. All’ampia analisi dedicata all’arte della cerchia palatina di Carlo Magno e alle grandi committenze architettoniche imperiali si accompagna la dovuta attenzione al patrimonio di forme dei popoli più lontani dall’asse latino-germanico: dagli slavi, agli scandinavi, agli irlandesi, un grande repertorio di arti minori e applicate, di armi e di gioielli, di stoffe, di singolari manufatti in pietra, attestano, accanto

alla splendida e breve stagione dell’arte carolingia, la vitalità di un policentrismo etnico e culturale che sarà il lievito più vero dell’arte europea. > i