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Italian Pages 142 Year 2007
SCUOLA DI DOT TORATO DI RICERCA IN SCIENZE DELLA FORMAZIONE -
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SCUOLA DI DOT TORATO DI RICERCA IN SCIENZE DELLA FORMAZIONE
1. Giovanna Del Gobbo, fl processo formativo tra potenziale di conoscenza e reti di saperi. Un contributo di riflessione sui processi di costruzione di conoscen za,2007
ROMINA NESTI
La ((vita autentica" come formazione Lettura pedagogica di Essere e tempo di Mar tin Heidegger
FIRENZE UNIVER.SITY PR.ESS
2007
La "vita autentica" come formazione :lettura pedagogica di Essere e tempo di Martin Heidegger l Romina Nesti. Firenze : Firenze university press, 2007 (Scuola di Dottorato di Ricerca in Scienze della Formazione; 2) http: Il digital.casalini.it/9788884536075 ISBN 978-88-8453-607-5 (online) ISBN 978-88-8453-608-2 (print) 193 (ed. 20) Heidegger, Martin
Ringraziarnenti Desidero rivolgere un particolare ringraziamento al Prof Franco Cambi per i suoi insegnarnenti e per la sua costante e attenta guida che hanno reso possibile la realizzazione di questo lavoro. Un grazie infme ad Alessandro Mariani, Rossella Certini, Vanna Boffo, Vanni Laura, Claudio D'Antonio, Chiara Lepri, Corinna Letizia e Marco Giosi che hanno vissuto con me, quotidianamente il mio percorso di ricerca e di forrnazione.
© 2007 Firenze University Press Università degli Studi di Firenze Firenze University Press Borgo Albizi, 28, 50122 Firenze, Italy http://epress.unifi.it/
Printed in Italy
A Mari/cna, Giorgio
e
Filippo
SOMMARIO
Presentazione Prefazione I. Genesi e struttura di Essere e tempo
1.1. Le origini della filosofia heideggeriana: tra vita e pensiero 1.2. Essere e tempo: una rivoluzione filosofica? 1.3. Leggere Essere e tempo 1.4. La temporalità e l’essere 1.5. La recezione di Essere e tempo II. L’analitica esistenziale come antropologia 2.1. Heidegger e l’antropologia 2.2. L’uomo è un essere-nel-mondo 2.3. Il Ci e le modalità principali della sua apertura: la Befindlichkeit, la comprensione e il discorso. 2.4. La Cura 2.5. La finitezza dell’essere 2.6. Per un’idea di uomo III.Verso l’esistenza autentica 3.1. Autenticità e inautenticità: due caratteri fondamentali 3.2. Andare verso la vita autentica 3.3. Heidegger, la pedagogia, la formazione Conclusioni Bibliografia
R. Nesti, La “vita autentica” come formazione : lettura pedagogica di Essere e tempo di Martin Heidegger, ISBN 978-88-8453-607-5 (online), ISBN 978-88-8453-608-2 (print), © 2007 Firenze University Press
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PRESENTAZIONE
Il dibattito- intenso e spesso anche "sovraesposto"- intorno al pen siero di Heidegger si è polarizzato, ieri e ancora oggi, intorno ad alcuni nodi interpretativi certamente cruciali, ma che pure non decantano (af fatto; anzi spesso oscurano) la ricchezza e densità di tale pensiero, il suo "spettro" amplissimo e articolato, che fa sì che il maestro della Foresta Ne ra sia ancora una delle voci più alte e di svolta della filosofia contempo ranea. E di una filosofia che si articola su molti fronti e su molteplici stili e percorsi. Heidegger e il nazismo. Heidegger e la Kehre. Heidegger e la metafisica. Heidegger e l'ermeneutica. Sono i temi che, dopo la Heideg ger R ena issa tl ce , hanno tenuto il campo. Come prima erano stati quelli del nesso (generativo) rispetto all'esistenzialismo e della valenza teologica (pur laicizzata) del suo pensiero, oracolare (Adorno o Lowith) e scolastico (a partire proprio dagli studi giovanili su Duns Scoto), in una fase preceden te. Sì, certo: il pensiero heideggeriano passa (e necessariamente) attraverso quei nodi. Lì si delinea e si decanta nel suo stemma e teoretico e politico: restano aspetti centrali in quella av ventura di pensiero così, ad un tempo, teoreticamente e storicamente connotata. Va però riconosciuto che questo"uso" di Heidegger ha lasciato in om bra altri aspetti e valenze del suo stesso pensiero. In particolare, ad esempio, il suo offrirsi anche come modello per pensare la pedagogia richiamando al centro l'anthropos e il suo collocarsi nel disincanto e nell'orizzonte del nihilismo. Non solo: anche come modello formativo per quell'anthropos che sta nel Bezug della ricerca di se stesso, pur conscio delle radici che lo legano e al tempo e al luogo del suo"abitare". Anche in Germania l'uso di Heidegger come pedagogista è stato assai secondario, poco incisivo, perfino nel cilté stesso del pensiero enneneutico, che pure, con Gadan1er soprattutto, si è avvicinato- e con forza, già da Wehrheit rmd Methode- all'educazione/ pedagogia, ma forse più per via storicistica che per via heideggeriana. Una riprova- piccola, sì, ma significativa- di questo "silenzio" di Hei degger in pedagogia (che qui non vogliamo né possiamo indagare, ma che è quesito culturale di rilievo) si può trovare nella raccolta di scritti di pe dagogisti tedeschi curata da Michele Borrelli (LA pedagogia tedesca conternpo-
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LA 'VITA AUTENTICA' COME FOR..'.1AZ!Ol\IE
ranea. I, Cosenza, Luigi Pellegrini Editore, 1995): lì, tra i sedici pedagogisti presenti con testimonianze del loro pensiero e in 392 pagine, Heidegger appare citato una sola volta da Dietrich Benner a proposito del pensiero pedagogico di T heodor Ballauff (la Pedagogia scolastica di questo autore si richiama "alla antologia esistenziale di Heidegger"- p. 74), ma Ballauff stesso, nel saggio presente nel volume, tace del tutto questa sua filiazione. Eppure, va ricordato, in Heidegger, prima e dopo la Kehre c'è ben pre sente un fascio di temi pedagogici: il legame con la Bildtmg (sottolineato con forza, qui in Italia, da Mario Gennari e dalle sue allieve, Anna Kaiser e Giancarla Sola, anche in un recente sen1inario tenuto a Genova nell'au tunno del 2006); con quella teorizzazione dell"'uomo umano" che è no zione centrale in Heidegger e che sottolinea che l'anthropos si umanizza attraverso un processo di formazione/personale in quanto storico/ cultu rale/esistenziale; con il tema del linguaggio come"casa dell'essere" o con quello della tecnica come ultima forma della metafisica e fondamento del presente: di tutto; con il modello del pensare delineato sulle orme dello Zarathustra nietzschiano, che si tende tra interpretazione e alterità. Sono tutti aspetti che portano Heidegger dentro i grandi dibattiti della peda gogia contemporanea, della riflessività educativa del nostro tempo. E lo riportano come interlocutore-chiave, con1e voce inquietante e radicale, come depositario di problemi e di soluzioni inerenti alla formazione del l'uomo-del-nihilismo. Forse depositario e interprete più di problemi che di soluzioni (specifiche, organiche,"tecniche"), forse. Ma proprio per que sto significativo e attuale. E molto. Allora ri-pensare l'avventura di pensiero di Hedegger anche alla luce della pedagogia, del suo valore pedagogico/educativo/formativo appare un compito urgente e necessario per la ricerca contemporanea. E filosofica e pedagogica. A cominciare dalla lettura delle sue opere-chiave. A partire da Seit1 und Zeit (1927), per arrivare a Wegmarchen (1967), passando per il suo Nietzsche (1961), pur così accorpato intorno al problema della metafisica, anche per Holzwege (1950). Opere attraverso le quali la pedagogia antro pologica e legata alla Bildtmg (categoria specifica della pedagogia tedesca - e non solo - da Schiller a oggi), ma anche contrassegnata come critica della formazione storica del presente, può venire evidenziata, declarata e presentata come uno dei veri e grandi modelli della pedagogia tedesca e come uno dei più fertili. Oggi, in particolare, tra Tecnica, Nichilismo, Ol trepassan1ento, ecc. Il testo di Romina Nesti avvia, in modo analitico, questa ricerca e cri tica e testuale, partendo proprio dall'opera del 1927, che fece di Heideg ger uno dei maestri di filosofia del XX secolo e che attirò, ad un tempo, e critiche e riprese. Quel testo-chiave del Novecento ha in sé una pedagogia sia come decostruzione dell'inautentica costruzione di sé nella deriva della Sorge sia come costruzione dell'io/sé autentico nella prospettiva dell'An gst e del Sein-zum- Tode, con tutto l'alone di tragicità radicale e di apertura
PRESENTAZIONE
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radicale che ciò comporta. Il lavoro della Nesti procede con precisa atten zione al dettato dell'opera heideggeriana pur ben fissandone l'antropologia esistenziale quale prospettiva di formazione, e di formazione del sogget to attuale. Soggetto esposto - appunto - all'aut-aut dell' ex-sistere e alla sua drammatica problematicità. La ricerca risulta, insieme, testuale e interpre tativa, svolta attraverso un contatto, assai stretto, con la più alta letteratura critica su Heidegger, sia quella tradotta sia quella non tradotta e consul tata in lingua. Anche se, sul fronte pedagogico, tale letteratura - relativa a Heidegger e alla sua pedagogia- appare più densa sul terreno italiano che, forse, su quello tedesco. Da tale ricognizione - ripeto: e testuale e critica - emerge un Heidegger-pedagogista critico che può ben accompagnarci, ancora oggi, a pensare e volere quell"'uomo umano" di cui tra Tecnica e Consumo, tra Media e Mercato rischiamo di perdere l'imprinti11g e, ancor più, la ricchezza e la funzione. Heidegger - anche lo Heidegger di Sein und Zeit -, allora, può e de ve essere una buona guida per tenere ferma una pedagogia della resisten za, alla Adorno, e una pedagogia dell'utopia realizzata (e realizzabile), alla Marcuse. Una guida, in primis, antropologica e di un'antropologia risolta in chiave esistenziale. Franco Cambi
PREFAZIONE
Martin Heidegger è stato un personaggio unico, difficile, contraddit torio. Considerato uno dei più grandi filosofi del Novecento (per alcuni il più grande), possiamo definirlo come padre, amico, nemico della fùo sofia di un secolo. Sconvolse il pensare fùosofico del suo tempo, impri mendo un'importante svolta alla filosofia e non solo a questa1:"quella di Heidegger, della sua vita e della sua fùosofia, è una lunga storia, ormai. In essa vi sono le passioni e le catastrofi di tutto il secolo"2; così inizia il testo biografico di Safranski che racconta la storia di vita e di lavoro di questo grande autore, messo spesso in discussione e descritto talvolta in termini dissacranti dai suoi allievi, amici e nemici. Calzante, a questo proposito, l'immagine che di lui ci regala Karl Lowith: era un piccolo grande uomo misterioso sapiente incantatore, capace di far sparire dinanzi agli astanti quel che aveva appena mostrato. [ ...] Figlio di un semplice sacrestano, per la sua professione divenne il patetico esponen te di un ceto di cui negava la legittimità. Gesuita per vocazione, diven ne protestante per indignazione, dogmatico scolastico per formazione e pragmatico esistenziale per esperienza, teologo per tradizione e ateo come studioso [ ...]apodittico e assertorio per spirito di contraddizione, tacitur no con gli altri eppure curioso come pochi [... ]così ambiguo era l'effetto che faceva ai suoi allievi, che nondimeno ne rimanevano incantati perché egli sovrastava di gran lunga per l'intensità del suo volere filosofico tutti gli altri filosofi universitari3.
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Filosofo della religione, grande conoscitore dei filosofi antichi, esper Nietzsche, affascinato da Kierkegaard: questo e molto altro compare
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Il suo pensiero influenzerà anche altre discipline: basti pensare, ad esempio, a Ludwig
Binswanger il quale applicherà in psichiatria l'analitica esistenziale. 2 R. Safransk:i, Heidegger e il
suo
tempo, Milano, Tea, 2001, p. 9.
3 K. LOwith, La mia vita in Germania prima e dop o il 1933, Milano, Il Saggiatore, 1988, pp. 69-72.
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LA 'VITA AUTENTICA' COME FORMAZIONE
nei suoi tanti scritti, soprattutto materiali preparati per i corsi universitari. Uomo schivo, eccentrico, le cui scelte politiche sono ancora oggi messe in discussione, ftlosofo attualissimo per le sue intuizioni sulla tecnica, superbo insegnante che dalla cattedra non si limitava a insegnare solo la fùosofta, ma al tempo stesso la faceva: tutto questo è stato Heidegger. Avvicinarsi al suo pensiero- almeno inizialmente- sconvolge: si viene "gettati" (per usare un term.ine a lui caro) in un universo "nuovo", mul tiforme, sempre in divenire, dove si perdono i punti fermi, le certezze e si viene lanciati in una continua e avventurosa ricerca. Difficile leggere Hei degger, entrare nel suo linguaggio, afferrare i neologismi che crea. Diffi cile cogliere il senso della domanda (Frage) che il ftlosofo nelle sue opere si pone, o meglio, complesso capire che per questo autore fare fùosofta è domandare. Ma Heidegger ha davvero "inventato" con il suo pensiero- e in parti colare con il suo capolavoro incompiuto Sein un Zeit (Essere e tempo)- una "nuova" fùosofta? Sì, ovviamente questo era nei suoi intenti. Sì, per quan to concerne il suo modo di fare ftlosofta, soprattutto se si guarda all'idea della ftlosofta come percorso di disvelamento, scoprimento. Per l'innova zione teorica dei concetti che porta e riporta alla ribalta, come il concetto di "essere" che con lui viene rimesso al centro del pensiero fùosoftco, ma anche con la teorizzazione della vita autentica, del progettare come fonda mento del pensare, dell'essere-per-la-morte come unica e vera, originaria realizzazione dell'esistenza. Temi che si intrecciano in tutta la sua enorme opera, e che troveranno una prima alta realizzazione proprio nel suo gran de testo Essere e tempo che affronteremo nei prossimi capitoli. Il presente lavoro muove dall'idea che la grande fùosofta heideggeria na (tanto amata e tanto contestata) ha ancora qualcosa da dirci per la teo rizzazione pedagogica. In particolare Essere e tempo, pedagogicamente poco indagato, contiene in sé categorie o meglio, esistenziali, ancora oggi ricchi di valore. Ci pro poniamo qui di andare a sondare questo testo, la sua nascita, la sua storia e i suoi profondi contenuti per mettere in luce - pedagogicamente - i ca ratteri che lo rendono ancora attuale e teoricamente affascinante. Nella prima parte, di carattere introduttivo, viene preso in esame l'au tore nel suo percorso di vita e di pensiero.Viene indagato il rapporto con la fenomenologia, la sua formazione e l'originalità del suo pensiero. Do po aver introdotto l'autore, l'attenzione si sposta su Sein und Zeit. Anche in questo caso l'indagine parte dalla storia che ruota intorno ad esso, dal come e dal perché Heidegger scrive questo testo, quali gli obiettivi e le novità, per arrivare poi ad analizzare il suo impianto teorico. Ci siamo chiesti come leggerlo e affrontarlo, quale chiave utilizzare per arrivare a comprendere le domande che l'autore rivolge sia a se stesso sia ai suoi lettori. Siamo arrivati a parlare di una lettura che si muova su più piani (descrittivo, interpretativo, emotivo, formativo), cercando di evita-
PREFAZIONE
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re la chiusura del testo dentro linee guida (anche metodologiche) troppo rigide. Spesso è stato il testo stesso a indicarci la via, il ritmo e l'intreccio dei tenti. In fase di ricerca la lettura di Essere e tempo è risultata, almeno in un primo incontro, estremamente complessa. Prima di entrare nel livello in terpretativo chi scrive si è lasciato affascinare dal linguaggio (e dalla forza dei neologismi heideggeriani), dalle tematiche, e dalle risonanze emoti ve che il testo ha suscitato. Questa scelta di una prima "lettura emotiva" è stata utile per entrare in questo"mondo nuovo" senza i pregiudizi di uno studio troppo rigido e accadentico. In seguito il testo è stato affrontato attraverso una lettura svoltasi ad un livello più descrittivo-interpretativo, lasciando da parte le suggestioni emotive, per capire i tenti (e lo svolgi mento di questi) che danno vita al testo: è questo il lavoro che emerge nel primo capitolo. Prima di chiudere questa prima parte introduttiva si è ritenuto oppor tuno riportare, sinteticamente, gli effetti che l'uscita di Essere e tempo ha provocato, sondandone quindi la recezione in Europa ma soprattutto in Italia. Guardando anche ai campi di sapere che ne sono stati influenza ti. Possiamo senz'altro affermare che gli echi del testo uscito nel '27 sono arrivati fino a noi, e che nonostante le evoluzioni della fùosofia e la mes sa al centro di tenti nuovi e diversi, questi riflessi heideggeriani non sono ancora destinati a spengersi. A tutto questo fa seguito una seconda parte, dove vengono messi in evidenza alcuni esistenziali e alcune vie- intraprese dall'autore- per sco prire se nel testo è presente un modello antropologico. Si focalizzerà così l'attenzione sull'idea di uomo che è (o non è) contenuta in Essere e tempo, sempre in vista di un'analisi pedagogica che deve, necessariamente, avere al proprio centro l' anthropos. Siamo partiti prendendo in considerazione, attraverso la lettura di vari testi della produzione heideggeriana, l'idea stes sa che il fùosofo ha dell'antropologia filosofica. A seguito di ciò siamo rientrati nel merito del testo al centro della no stra ricerca. La scelta dei temi trattati, nei quali si è intravisto un'importanza antro pologica, è stata condotta in base ad un criterio personale di chi scrive: si è scelto così, ad esempio, di dare più spazio al tema dell'essere-nel-mon do e dell'essere-per-la-morte rispetto al tema della temporalità, così co me poco spazio è stato dato alla critica decostruttiva, che l'autore svolge sia della fùosofia passata sia a lui contemporanea. Il criterio guida (se di criterio guida si può parlare) si è desunto anche attraverso la lettura di altri rappresentanti dell'antropologia filosofica come Max Scheler. Si è rintracciato così un'idea di uomo - un possibile modello antropologico - rovesciando lo stesso andamento dell'analitica esistenziale, partendo dal presupposto che guarda all'uomo come storia. Tale idea ha aperto la stra da anche all'ultimo capitolo: infatti se guardiamo all'uomo secondo que-
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sta immagine non possiamo non prendere in considerazione il rapporto tra uomo-storia e Bildung. Nell'ultima parte del lavoro l'attenzione si è focalizzata, dunque, sul te ma da noi ritenuto pedagogicamente più importante: la vita autentica. Si è tentato così di analizzare questo vasto tema considerandolo al centro di tutta l'analitica esistenziale, quasi come fosse l'obiettivo stesso di Essere e tempo. Si è visto nell'autenticità una possibile forma di Bildung, di tensione/formazione dell'uomo verso la più alta realizzazione della propria esistenza. Ad una analisi delle due categorie- autenticità/inautenticità- entram be presenti nell'esistenza dell'uomo, così come si presentano nel testo nel la loro teorizzazione ed evoluzione, ha fatto seguito una ricerca sull'idea di Bildung che si può ritrovare nel pensiero di Heidegger. Questa ricerca ha visto l'utilizzo di altri testi scritti dall'autore, poiché in Essere e tempo non vi è una esplicita definizione di formazione. Tale idea, una volta rin tracciata, è stata analizzata e messa in discussione a partire dal concetto di Bildung pensata come formazione personale, individuale, come cammino dell'uomo verso se stesso e verso il mondo. A questo punto siamo entrati nel vivo della riflessione pedagogica e guardando alla nozione di autenticità come obiettivo alto (anche utopi co) della formazione, si sono riprese alcune delle analisi heideggeriane per rileggerle in senso formativo. Si è cercato, così, di vedere quali sono gli esistenziali che ancora oggi ci possono guidare verso un'attenta riflessio ne pedagogica, e che possono essere utili anche per tracciare un modello di pedagogia. Martin Heidegger in Essere e tempo (così come in molti altri dei suoi saggi) identifica la fùosofia con la capacità di porre domande, e con la ca pacità di stupirsi; pensiamo che l'osservazione di Heidegger possa valere anche per la pedagogia, la quale a maggior ragione lavorando con e sull'uo mo deve necessariamente avere la capacità di domandare (e domandarsi) continuamente, e di stupirsi di fronte alle peculiarità stesse che caratte rizzano il suo oggetto di ricerca: l'uomo nelle molteplici forme della sua esistenza. Alcuni temi presenti nel testo heideggeriano sono stati nel nostro lavo ro solamente sfiorati, alcuni forse anche esclusi. Le ragioni sono molteplici, tra le quali la specificità dell'obiettivo che ci siamo posti (e la difficoltà di affrontare un testo e un autore di portata teorica vastissima, che ha impo sto delle precise scelte tematiche). Siamo consapevoli che questo lavoro non è certo esaustivo nei confronti di una ricerca che potrebbe richie dere tutta una vita di studio. Così come siamo consapevoli dei limiti che una ricerca di questo tipo può avere: il rischio di proporre analisi troppo descrittive, talvolta la scarsa criticità o il carattere troppo soggettivo di al cune scelte o interpretazioni. Seguendo, però, ciò che lo stesso Heidegger ha insegnato pensiamo di aver semplicemente intrapreso un sentiero che potrebbe essere lunghis-
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simo, avere molte diramazioni, oppure chiudersi in un vicolo cieco. Un sentiero che è stato comunque utile intraprendere per la propria perso nale formazione.
Capitolo I Genesi e struttura di Essere e tempo Basta un giorno, basta un perché, e tutto comincia in questa noia toccata dallo stupore. L’importante è cominciare. A. Camus
1.1. Le origini della filosofia heideggeriana: tra vita e pensiero Le prime domande che dobbiamo porci prima di affrontare l’analisi di Essere e tempo sono: come nasce Heidegger filosofo? Quale la sua formazione? Chi sono i suoi maestri? Tutto questo appare importante in quanto è nel percorso giovanile dell’autore, attraverso tutto il lavoro riflessivo e di assimilazione della filosofia – sia a lui precedente sia contemporanea – che egli compie, che si sviluppa ed emerge la sua Seinsfrage, e le basi che faranno di Essere e tempo un capolavoro. Almeno per quanto riguarda le origini del suo pensiero non si può non guardare anche alla storia personale di questo autore. Non possiamo in questa sede descrivere nel dettaglio tutta la vita di Martin Heidegger, toccheremo, dunque, solo alcuni eventi fondamentali che possono aver avuto riflessi sul suo percorso di pensiero. Martin Heidegger nasce a Meβkirch nel 1889 in un ambiente povero, immerso nella provincia del Sud della Germania. Figlio di un sacrestano, che svolgeva il lavoro di bottaio, sperimenta fin dall’infanzia la lotta politico-religiosa che si consuma in quegli anni in Germania tra la chiesa cattolica dissociata (altkatholisch) e la chiesa cattolica romana, della quale faceva parte la stessa famiglia Heidegger. Inizia gli studi superiori proprio grazie ai sussidi della chiesa (il padre sperava in una sua vocazione religiosa ed Heidegger tenterà anche di entrare in seminario, ma gli verrà rifiutata l’ammissione) che gli permettono di studiare prima presso il convitto ginnasiale arcivescovile di Costanza (Konradihaus) e poi al Bertholds Ginnasium di Friburgo. Dopo la maturità poté ricevere ancora per due anni una borsa di studio per la facoltà di teologia, dove affina la sua grande conoscenza della scolastica. Dopo quattro semestri (1909-1911) abbandona questa facoltà e passa alla facoltà di Per la vita di Martin Heidegger cfr.: E. Nolte, Martin Heidegger tra politica e storia, Roma-Bari, Laterza, 1994; R. Safranski, Heidegger e il suo tempo, Milano, Tea, 2001; H. Ott, Martin Heidegger. Sentieri biografici,3 Milano, SugarCo, 1990; F. Volpi (a cura di), Guida a Heidegger, Roma-Bari, Laterza, 2002 .
R. Nesti, La “vita autentica” come formazione : lettura pedagogica di Essere
La ‘vita autentica’ come formazione
filosofia, dove si laurea nel 1913 con una tesi dal titolo Die Lehre vom Urteil im Psychologismus. Ein Kritisch-positivier Beitrag zur Logik (La dottrina del giudizio nello psicologismo. Contributo critico-positivo sulla logica). Nel 1915 discute la tesi di abilitazione alla libera docenza con un lavoro dal titolo: Die Kategorien-und Bedeutungslehre des Duns Scotus (La dottrina delle categorie e del significato in Duns Scoto). Fino al 1923 rimane come libero docente presso la Albert-Ludwig Universität di Friburgo. È quindi durante questo percorso, e durante il soggiorno presso questa università, che vanno cercate le radici filosofiche dell’autore.Vi è un iniziale adesione del giovane Heidegger alla filosofia scolastica, “alla filosofia scolastica d’altra parte, era informata la preparazione liceale e universitaria nei piccoli centri della Germania del Sud”, senza inoltre dimenticare che il tradizionalismo cattolico Heidegger lo respirava in famiglia, ed era stato fin da piccolo educato in seno a questa tradizione. Sappiamo, però, che già nel 1907 i suoi interessi cominciano ad ampliarsi: inizia a leggere, infatti, i testi di Franz Brentano, rimanendovi profondamente colpito e affascinato. All’università studia con Heinrich Rickert (sotto la sua guida preparerà la tesi di laurea) e Emil Lask, entrambi rappresentanti neokantiani della scuola del Baden. Segue, inoltre, il corso tenuto da Carl Braig, professore di teologia sistemica e rappresentante della neoscolastica. Ai primi due deve l’approfondimento della metafisica e l’occasione di ridiscutere la logica kantiana. L’incontro decisivo per lo sviluppo filosofico di Heidegger sarà quello con Edmund Husserl (parleremo in seguito diffusamente del rapporto che lega questi due autori) e con le sue Logische Untersuchungen (Ricerche logiche) che rappresentano per Heidegger un testo-rivelazione. Dalle Ricerche Heidegger si attendeva un aiuto decisivo nelle questioni suscitate dalla dissertazione di Brentano. Tuttavia i miei sforzi erano vani, poiché – cosa che io dovevo apprendere solo molto più tardi – non cercavo nel modo giusto. Pure, rimasi tanto colpito dall’opera di Husserl, che la lessi incessantemente negli anni seguenti senza però una sufficiente cognizione di ciò che in essa mi avvinceva.
In questi anni, quindi, vi è l’incontro con la fenomenologia, ma anche la rottura definita con il cattolicesimo tradizionale. Distacco che vie-
Oltre alla tesi di laurea e allo scritto per l’abilitazione, si trovano altri due lavori giovanili: Das Realitätsproblem in der modernen Philosophie (Il problema della realtà nella filosofia moderna) e Neuere Forschungen über Logik (Recenti indagini sulla logica), entrambi scritti nel 1912. E. Garulli, Heidegger e la storia dell’ontologia, Urbino, Argalia, 1978, p. 8. M. Heidegger, Il mio cammino di pensiero e la fenomenologia, in M. Heidegger, Tempo e essere, Napoli, Guida, 1998, p. 194.
genesi e struttura di essere e tempo
ne sancito anche attraverso il matrimonio con Elfride Petri di confessione evangelico-luterana. Tale matrimonio mette in contatto Heidegger “con un ambiente e una tradizione che fino ad allora gli erano stati del tutto estranei, cioè con l’ambiente prussiano-protestante”. Grazie al rapporto con questo nuovo ambiente l’autore incontra il pensiero di Lutero e il pensiero ermeneutico messo a punto da Schleiermacher. Sicuramente i motivi del distacco dalla chiesa furono molteplici, tra cui possiamo annoverare uno di quelli più legati alla riflessione filosofica che Heidegger andava conducendo: il rifiuto del dogmatismo insito nella fede cattolica. Heidegger sente la necessità di approfondire la propria ricerca al di là dei limiti imposti dalla filosofia cattolica, ancora rigidamente ancorata al pensiero di S. Tommaso. Forte rimase sempre in lui il senso del sacro, e la sua formazione filosofica – sorta come abbiamo visto, proprio in seno alla filosofia cattolica – emerge spesso nel suo pensiero, seppur nascosta sotto un nuovo linguaggio e nonostante il fatto di aver messo l’essere e l’esistenza al centro delle proprie analisi riflessive al posto di Dio. Heidegger si occuperà comunque di temi legati alla teologia, sia cattolica sia protestante, e del rapporto che lega quest’ultima alla filosofia e alla fenomenologia. Dopo gli anni di insegnamento all’Università di Friburgo – durante i quali aveva messo a punto la sua “ermeneutica della fatticità” (come ben si vede nei corsi da lui svolti dal 1918 al 1923), dove compaiono i temi che troveranno la loro più alta e raffinata realizzazione in Essere e tempo – passa ad insegnare all’Università di Marburgo (grazie anche all’interessamento di Paul Natorp). Qui non solo intreccia importanti amicizie – con lo stesso Natorp, con Nicolai Hartmann e con il teologo Bultmann – ma crea intorno a sé un circolo di allievi, tra i quali alcuni di coloro che saranno considerati importanti rappresentanti della filosofia del Novecento, come Hans-Georg Gadamer, Hans Jonas, Karl Löwith e Hannah Arendt. Gli anni di Marburgo vedranno la nascita di Essere e tempo e la definitiva messa a fuoco della questione che caratterizzerà tutto il suo pensiero filosofico: il problema dell’essere. Dopo Marburgo Heidegger tornerà di nuovo a Friburgo dove insegnerà, ininterrottamente, fino al 1944 e dove si consumerà la sua vicenda politica, che lo vede nel 1933 rettore di questa stessa facoltà. Non possiamo non ricordare, seppur brevemente, quella che è stata chiamata la “questione politica”. Nel 1933 l’autore aderisce formalmente al partito nazionalsocialista e assume, come abbiamo detto, il Rettorato dell’Università. EntriaE. Nolte, Martin Heidegger tra politica e storia, op. cit., p. 54-55. Come si vede, ad esempio, nella conferenza tenuta a Tubinga nel 1927 e a Marburgo nel 1928 su Fenomenologia e teologia contenuta in Segnavia. È proprio in occasione della nomina ufficiale a rettore che Heidegger pronuncerà il discorso su Die Selbstbehauptung der deutschen Universität (L’autoaffermazione dell’università
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La ‘vita autentica’ come formazione
mo qui in una questione estremamente spinosa e non ancora risolta che ha visto molti autori accusare o giustificare questa adesione al nazismo e chiedersi, soprattutto, come un grande pensatore del calibro di Heidegger abbia potuto e voluto partecipare ad uno degli episodi più bui della storia del Novecento. È lecito dunque chiedersi: cosa pensava di trovare l’autore nell’ideologia nazista? È stato un intermezzo (come alcuni lettori di Heidegger lo hanno definito)? Quali e dove si trovano le radici di questa adesione? La questione solleva molte domande e nonostante approfonditi studi, ancora intorno ad essa la discussione resta accesa. A nostro avviso vi è un’altra questione da porsi, forse, più sottile e complessa, la quale riguarda il pensiero filosofico di questo autore (ma possiamo dire di tutta la filosofia in generale). Ci dobbiamo chiedere, infatti, se e come è possibile leggere la filosofia staccandola dalla vita reale e privata dei suoi autori e di come questi autori, spesso grandi uomini, vengono guardati da chi li ascolta e li studia, soprattutto a distanza di anni. Consapevoli, dunque, anche della “mitizzazione”, che personaggi come Heidegger hanno subito (proiettando su di loro un’idea di perfezione quasi irraggiungibile), di come la loro vita personale, con i suoi eventi, possa aver influenzato la stessa riflessione filosofica e la lettura che noi oggi ne diamo, e di come sia impossibile essere totalmente oggettivi in presenza di vicende così complicate. Non possiamo (e non ci sentiamo in grado) qui esprimere nessuna forma di giudizio (nonostante il disagio intellettuale e morale che possiamo provare ad affrontare un autore che direttamente o indirettamente ha partecipato alla politica nazionalsocialista), e continuiamo a svolgere la nostra analisi intorno alla questione filosofica e ai temi che ruotano intorno alla teorizzazione dell’esistenza. Sapendo, però, di come possa essere un errore guardare ad un autore distinguendo l’uomo dal pensatore. L’adesione al nazismo costerà ad Heidegger, dopo la fine della guerra, il posto all’Università di Friburgo. In seguito all’epurazione, nel 1945, viene interdetto dall’insegnamento, per essere reintegrato nel corpo docente nel 1949. Heidegger continuerà comunque a pubblicare e a tenere conferenze, divenendo sempre più noto. Si dedicherà agli studi sull’arte e sulla poesia e nei suoi scritti si troverà un tono mistico, che sicuramente non era ancora presente negli scritti precedenti. Morirà nel 1976 all’età di 87 anni. Questo breve viaggio alla scoperta delle radici della formazione e della vita di Heidegger ha mostrato come siamo in presenza di un personaggio estremamente particolare, il quale ha raccolto l’eredità della filosofia dei secoli precedenti – ma non solo di questa – e le ha dato nuova forma e
tedesca), dove prospetta un programma di riforma dell’università. Per avere un’idea del dibattito ancora in corso basta guardare AA.VV., Dossier Heidegger, in “Espresso”, 16, XXXIV, Aprile, 1988.
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vita. Come si vede, ad esempio, quando Heidegger dopo l’incontro con la fenomenologia rileggerà – secondo questo nuovo metodo – tutti i classici, dando vita ad una sua rilettura personale, come ben mostrano gli studi su Aristotele e Platone. Molti influenzarono il suo pensiero: non solo coloro che abbiamo già citato ma anche poeti (la poesia fu una sua grande passione, basti pensare ai lavori che nella tarda maturità svilupperà sulla poesia di Hölderlin) e scrittori. Per riassumere tutto questo possiamo usare le parole di Gadamer che così descrive la formazione del pensiero del suo maestro: il suo vero baricentro si trovava […] nel mondo storico, soprattutto nella storia della teologia, da lui praticata intensamente, nella filosofia e nella storia della filosofia. […] Ma frequentò anche la scuola di un altro grande maestro: Aristotele. […] Bergson, Simmel, Dilthey, non direttamente Nietzsche ma certo la filosofia al di là dell’orientamento scientifico del neokantismo, confluirono in lui: così, con tutto l’armamentario dell’erudizione acquisita ed ereditata e con una profonda passione per l’interrogare, egli diventò il portavoce autentico del nuovo pensiero che si stava formando nell’ambito della filosofia.
Nonostante l’iniziale non originalità del suo pensiero, durante gli anni dei suoi primi insegnamenti il suo genio si affina, il suo pensiero si amplia e si sviluppa fino a concepire la “sua” personale forte e dissacrante filosofia (come vedremo in Essere e tempo). L’originalità di Heidegger è rintracciabile anche in un altro luogo: quello del linguaggio e dell’uso peculiare che ne fa. Nella sua personale “lotta” contro la metafisica occidentale tradizionale il filosofo darà vita non solo a nuove parole – come i neologismi che incontreremo in Essere e tempo – ma anche a nuove forme di interpretazione e nuovi significativi, così come ci ricorda Vitiello quando scrive che in Heidegger “il linguaggio è piegato ad esigenze estreme. Heidegger usa parole antiche con significati nuovi, e parole nuove con significati antichi. Crea parole nuove con i termini stessi della tradizione”10. Heidegger nella sua esistenza ha sviluppato una molteplicità di temi, cambiando spesso sentiero, modificando talvolta anche il già detto. Tutto questo ha fatto sì che venisse letto frammentandone la riflessione, dividendo il suo pensiero in “periodi”. Si parla infatti, dopo Essere e tempo della Kehre heideggeriana, la quale viene fatta risalire intorno al 1930 con il saggio Vom Wesen der Wahrheit (Dell’essenza della verità) dove lo stesso Heidegger parla di svolta (in una nota a margine parla di svolta nell’Ereignis), ma
H.G. Gadamer, I sentieri di Heidegger, Genova, Marietti, 1987, p. 6. V.Vitiello, Razionalità ermeneutica e topologia della storia, in G.Vattimo (a cura di), Filosofia ’91, Roma-Bari, Laterza, 1992, p. 140.
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non di rottura11. D’accordo con autori come Pöggeler e come Gadamer, non vediamo fratture nel pensiero di questo autore, bensì lo svolgersi di un cammino che non può – né deve – essere lineare. L’analitica esistenziale, che andremo dopo a descrivere, non verrà rinnegata da Heidegger, ma casomai affinata e approfondita, così come avviene quando questo autore affronterà e metterà a punto la filosofia dell’Ereignis, che toccherà il suo apice con quella che è considerata l’altra sua opera fondamentale i Beiträge zur Philosophie. Vom Ereignis (Contributi alla filosofia. Dell’evento), scritta tra il 1936 e il 1938. Qui Heidegger arriva a ripensare il concetto stesso di filosofia e la necessaria trasformazione del pensiero. Vi è nel caso dei Beiträge, e nelle strade (e nei temi) intraprese successivamente dall’autore, un tentativo di oltrepassamento di ciò che era stato indicato nel testo del ’27, ma che continua ad avere al centro la domanda sull’essere e sul suo senso. Ciò che Heidegger ha fatto con la sua riflessione filosofica è renderci consapevoli del fallimento della “ragione”, così come era stata pensata dalla filosofia dei secoli precedenti. Ci ha regalato un nuovo modo di guardare la realtà contemporanea, mettendo a fuoco l’assenza e la superficialità di “pensiero” che la caratterizzano. Sicuramente ci ha lasciato molte domande e poche risposte ma, seguendo il suo insegnamento, possiamo dire che è proprio nell’“apprendere” a domandare, come spinta e metodo di ricerca, che possiamo trovare il senso ultimo di qualsiasi tentativo di riflessione. 1.2. Essere e tempo: una rivoluzione filosofica? Essere e tempo è ritenuto uno dei più importanti testi filosofici del Novecento, sicuramente rimane uno dei testi più letti, discussi e criticati dell’ultimo secolo. Senza dubbio, nonostante non sia ancora passato un secolo dalla sua pubblicazione, è già un “classico”. Possiamo dire che Essere e tempo rappresenta una rivoluzione filosofica? Sì e no. Ha sicuramente provocato una rivoluzione a livello di riflessione/discussione filosofica. La discussione intorno a questo testo è stata ed è tuttora vivace: molti grandi autori si sono cimentati su di esso, talvolta “adorandolo” talvolta “odiandolo”.Tutto questo interesse ha portato cambiamenti nel pensiero filosofico del secolo scorso sviluppando nuovi percorsi di riflessione, nuove strade di ricerca. È rivoluzionario nella metodologia utilizzata per procedere nella riflessione, che vede l’uso dell’analisi fenomenologica nel suo muoversi tra decostruzione e ricostruzione; 11 Una suggestiva immagine utile per comprendere l’utilizzo heideggeriano del termine svolta viene, ancora una volta, da Gadamer: “la Kehre è la curva della strada che si inerpica su per la montagna. Qui non è il viandante a girarsi, ma è la strada stessa che si svolge nella direzione opposta, per portare in alto”. H.G. Gadamer, Maestri e compagni nel cammino del pensiero. Uno sguardo retrospettivo, Brescia, Queriniana, 1980, p. 176.
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nell’uso innovativo del linguaggio e nella costruzione di nuove parole; ma soprattutto nell’obiettivo che si propone: quello di riproporre in maniera nuova l’ontologia, staccandola dalla sua tradizione metafisica, per guardarla innanzitutto come analisi dell’esistenza quotidiana dell’Esserci. La questione dell’ontologia, la sua riproposizione come questione aperta – sempre aperta – del pensiero, è il motore primo della riflessione heideggeriana. La particolarità dello sviluppo ontologico di Heidegger è rintracciabile nel fatto che l’autore promuove un passaggio dall’ontologia come riflessione esclusivamente teorica, all’ontologia – potremmo dire – come esistenziale. La questione ontologica, l’analisi dell’essere, diviene prerogativa dell’Esserci stesso, perciò vivere e “fare” ontologia divengono così la stessa cosa, in quanto solo attraverso la comprensione della nostra esistenza noi possiamo comprendere l’essere. Ma non è rivoluzionario fino in fondo. Essere e tempo fallisce, ricade infine nella metafisica classica, non riesce a superare se stesso. Così come Heidegger vorrebbe distaccarsi dalla stessa modalità di scrittura della metafisica, ma ci propone, invece, un trattato (lui stesso si riferirà sempre ad Essere e tempo definendolo trattato) nella più classica delle tradizioni metafisiche. Nonostante questo Essere e tempo è sicuramente una rivoluzione. Lo stesso titolo – come afferma George Steiner12 – è un manifesto: l’essere ritorna alla ribalta, ma soprattutto viene messo in relazione con la temporalità, anzi l’essere è temporalità mentre per secoli la filosofia ci ha mostrato un “essere eterno”, o meglio un essere statico. Ma è rivoluzionario anche in relazione al vento di cambiamento che dopo la sua uscita scuote il mondo filosofico, il capolavoro heideggeriano […] fornì in un solo colpo a vaste cerchie di pubblico qualcosa del nuovo spirito che, in seguito agli sconvolgimenti della prima guerra mondiale, era penetrato nella filosofia. […] La prima opera sistematica di Heidegger trasmetteva infatti con veemenza al lettore contemporaneo emozioni critiche, legate all’appassionata protesta contro il ben garantito mondo culturale del passato13.
Essere e tempo è un testo complesso e affascinante, le domande superano le risposte, ed è forse questo lo scopo di tutto il lavoro filosofico heideggeriano: la filosofia deve sollevare domande, spingere a pensare e non cercare solo le risposte. Il testo da lui scritto è soprattutto questo: un cammino di pensiero, un tracciare sentieri (come lui stesso definì tutta la sua opera: Wege nicht Werke)14. In questo caso le domande sono sull’essere, sulla que12 13 14
Cfr. G. Steiner, Heidegger, Milano, Garzanti, 2002. H.G. Gadamer, I sentieri di Heidegger, op. cit., p. 84. “Sentieri non opere”, questa è la frase che Heidegger volle mettere all’inizio del
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stione dell’essere, riportando alla luce uno dei temi più antichi e di difficile risoluzione (se mai di soluzione si può parlare) della filosofia. Essere e tempo non nasce dal niente: è figlio della filosofia antica – della quale, come abbiamo già detto, l’autore era un vero esperto – che incontra la fenomenologia, ma soprattutto è figlio di dieci anni di riflessione e di cinque anni di scrittura, come ci ricorda Friedrich-Wilhelm von Hermann15, il curatore di tutte le opere di Heidegger, quando parla della genesi di questo testo. Heidegger per dieci anni, cioè dalla tesi di abilitazione su Duns Scoto non darà niente alle stampe. Le indagini preparatorie, le sue riflessioni filosofiche, dalle quali emergerà anche Essere e tempo, sono rintracciabili nei materiali (oggi quasi tutti usciti nei volumi della Gesamtausgabe ancora in corso di pubblicazione) preparati dall’autore per svolgere i suoi corsi universitari, i suoi cicli di lezione e le conferenze. Sono anni comunque pieni di lavoro, come racconta nella sua biografia Safranski quando tratta del periodo precedente all’uscita di Essere e tempo: il periodo tra il 1923 e il 1927, […], è caratterizzato da una enorme produttività. Nei grandi corsi vengono sviluppate le tematiche di Essere e tempo. A confronto con questa mole di pensiero, che nell’edizione completa ammonta a millecinquecento pagine, Essere e tempo è quasi solo la punta di un iceberg16.
Questo ci indica come quel grande testo non possa essere considerato un libro a se stante, chiuso nella propria riflessione17, e rafforza ancora di più l’idea di essere in presenza di una parte (fondamentale) di un percorso, del sentiero che l’autore percorre nel portare avanti la sua riflessione. Per capire il testo risulta, quindi, necessario comprendere e conoscere anche gli scritti immediatamente precedenti e successivi a questa opera (purtroppo la nostra analisi non ci permetterà di esaminare tutta la produzione heideggeriana, anche se talvolta verranno fatte brevi “incursioni” in altre opere per evitare una lettura troppo parziale di Essere e tempo). Il periodo che passa tra la tesi di libera docenza e l’uscita di Essere e tempo coincide con gli anni dell’insegnamento che l’autore tiene a Friburgo (1919-1923) e l’insegnamento di Marburgo (1923-1928). In questi anni Heidegger studia la filosofia aristotelica18, “che viene da lui utilizzata primo volume della Gesamtausgabe. 15 Cfr. F.W. von Hermann, Heidegger e ‘I problemi fondamentali della fenomenologia’ sulla ‘seconda metà’ di Essere e tempo, Bari, Levante, 1993. 16 R. Safranski, Heidegger e il suo tempo, op. cit., p. 181. 17 Per capire tutta la riflessione che sta dietro ad Essere e tempo basta vedere il corso del 1925 Prolegomena zur Geschichte des Zeitbegriffs (Prolegomeni alla storia del concetto di tempo). In questo corso Heidegger tratta buona parte dei temi che avranno un posto importante ed una elaborazione più sofisticata in Essere e tempo. 18 L’analisi che Heidegger svolge della filosofia aristotelica si trovano, principalmente
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in chiave attualizzante come filo conduttore per risolvere i problemi che emergono dal ‘teoreticismo’ della filosofia moderna”19, intraprendendo però una propria strada che porterà proprio al testo da noi preso in esame. Quindi, come afferma Volpi, la via che porta ad Essere e tempo è lastricata da un confronto continuo con Aristotele e lo stesso opus magnus riflette i motivi di quel confronto al punto che si può dire, con una formulazione provocatoria, che esso sia una “versione” in chiave moderna dell’Etica Nicomachea – una “versione” nella quale vengono alla luce insospettate analogie strutturali tra la filosofia pratica aristotelica e il progetto heideggeriano di un’analitica dell’esistenza20.
Sono anche gli anni in cui l’autore mette in discussione la filosofia che i suoi maestri gli hanno insegnato.Vi è, infatti, una progressiva messa in crisi dell’ontologia tradizionale e della filosofia dei valori, come ben si vede, ad esempio, in Ontologie. Hermeneutik der Faktizität (Ontologia. Ermeneutica dell’effettività), corso che Heidegger tiene nel 1923. Così come in questo periodo Heidegger spingerà i propri interessi verso l’arte e la poesia21, temi che riprenderà poi durante la maturità. Tornando però alla genesi di Essere e tempo non possiamo non domandarci perché dopo dieci anni di silenzio improvvisamente l’autore esce allo scoperto proprio con questo testo. Abbiamo visto che ci lavorava da cinque anni, poteva aspettare ancora? Pubblicare tutto il lavoro e non solo una parte? Pare che la risposta a queste domande sia da ricercare anche nelle questioni accademiche nelle quali Heidegger era coinvolto: concorre, infatti, ad una cattedra presso l’Università di Marburgo, ma se non pubblica in tempi brevi almeno un testo questa non gli verrà affidata22. Ecco allora che Heidegger esce dal silenzio con la prima parte (che ricordiamo resterà l’unica) del suo capolavoro23, e darà iniziò a una delle più importanti rivoluzioni filosofiche del Novecento, salendo alla ribalta non più
nel corso del 1921-1922 dal titolo Phänomenologische Interpretationen zu Aristoteles. Einleitung in die phänomenologische Forschung (Interpretazioni fenomenologiche di Aristotele. Introduzione alla ricerca fenomenologica) e nel corso del 1923, Ontologie. Hermeneutik der Faktizität (Ontologia. Ermeneutica dell’effettività). 19 F.Volpi, L’etica rimossa in Heidegger, in “MicroMega”, 2, 1996, p. 141. 20 Ibidem, p. 141. 21 Si cimenterà egli stesso nella composizione poetica. Infatti, prima di Essere e tempo l’unica pubblicazione che abbiamo è proprio un componimento poetico dal titolo Abendgang auf Reichenau (Passeggiata serale a Reichenau) scritto nel 1916. 22 Questo episodio è raccontato dallo stesso Heidegger in Mein Weg in die Phänomenologie (cfr. M. Heidegger, Il mio cammino di pensiero e la fenomenologia, in M. Heidegger, Tempo e Essere, op. cit., pp. 199-200). 23 Il testo viene inizialmente pubblicato sullo “Jahrbuch für Philosophie und phänomenologische Forschung”, curato e pubblicato da Edmund Husserl.
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solo come un grande insegnante24 e “lettore” dei testi antichi, ma come originale filosofo. A tale proposito afferma Otto Pöggeler: quando Martin Heidegger nel 1927, pubblicò la prima parte di Essere e tempo, il suo pensiero, che tanto a lungo si era venuto nella tranquillità dell’insegnamento universitario, si espose tutt’a un tratto alla viva luce del giudizio del pubblico. Heidegger, così parve, [...] si era posto alla testa di quel movimento fenomenologico a cui sapeva di appartenere, e, anzi alla testa di quanti all’epoca coltivavano la filosofia [...]. L’opera divenne, in seguito, il punto d’avvio di varie decisioni di principio [...]. Per molte persone giovani e alla ricerca del loro cammino, Essere e tempo fu un segnale e una guida25.
Ma vi sono anche altre questioni che rendono quel testo assai particolare. Una di queste – che molto ha fatto discutere – è la sua incompiutezza. Essere e tempo è un “capolavoro incompiuto”, così come si vede dallo schema dell’opera delineato dall’autore stesso nel § 8: l’elaborazione del problema dell’essere si ripartisce così in due compiti a cui corrisponde la suddivisione dell’opera in due parti: Parte prima l’interpretazione dell’Esserci in termini di temporalità e l’esplicazione del tempo come orizzonte trascendentale del problema dell’essere. Parte seconda linee fondamentali di una distruzione fenomenologica della storia dell’ontologia sulla scorta della problematica della temporalità. La prima parte si suddivide in tre sezioni: [...]. La seconda parte è a sua volta tripartita [...]26.
Heidegger pubblicherà solo le prime due sezioni della prima parte27. Giustificherà tale scelta negli anni successivi, quando affermerà, ad esempio nella Brief über den ‘Humanismus’ (Lettera sull’‘Umanismo’), che Essere e tempo non poteva proseguire per l’inefficacia e l’inadeguatezza del linguaggio metafisico di rendere capace la svolta (Kehre) da “essere e tempo” a “tempo e essere”, che doveva essere il tema trattato nella terza sezione. Il linguaggio di cui Heidegger disponeva non permetteva, attraverso l’analitica esistenziale, un’uscita dalla soggettività per andare verso l’essere e il suo senso.
24 Una suggestiva immagine di Heidegger insegnante si trova negli scritti di Gadamer, che fu per un certo periodo suo allievo. Cfr. H.G. Gadamer, I sentieri di Heidegger, op. cit. 25 O. Pöggeler, Il cammino di pensiero di Martin Heidegger, Napoli, Guida, 1991, p. 7. 17 26 M. Heidegger, Essere e tempo, Milano, Longanesi, 2002 , p. 60 (corsivi dell’autore). 27 Viene considerata da alcuni autori, tra cui il curatore delle opere, come proseguo della terza sezione di Essere e tempo, il corso del 1927 dal titolo Die Grundprobleme der Phänomenologie (I problemi fondamentali della fenomenologia).
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Nonostante tutto il messaggio di questo testo, come abbiamo già precedentemente visto, non verrà rinnegato proprio perché non vi è in esso una chiusura definitiva (una soluzione ai problemi posti), bensì il tentativo di imboccare una nuovaa strada di riflessione, così come afferma anche nella Nota preliminare alla 7 edizione di Essere e tempo: a distanza di un quarto di secolo la seconda parte non potrebbe aggiungersi alla prima senza richiederne la riesposizione. Ma la via aperta resta ancor oggi necessaria, se il problema dell’essere deve ispirare il nostro Esserci28.
Questo capolavoro, dunque, si pone come guida verso una nuova metafisica e una rinnovata ontologia. Heidegger cerca nella sua riflessione di riportare la metafisica verso la sua originarietà e capacità fondativa e per farlo deve necessariamente riscoprire l’essere, sepolto sotto secoli di oblio, per restituirgli il primato, in quanto questione originaria e fondamento che deve muovere la riflessione filosofica. Essere e tempo non esaurisce la sua funzione di guida e ispirazione solo per la riflessione filosofica, ma contiene interessanti piste anche per sviluppare il pensiero in altre discipline. Cosa troviamo in questo testo? Innanzitutto una metodologia di ricerca, quella fenomenologica, poi una ricerca epistemologica condotta secondo il metodo fenomenologico sull’essere; sicuramente troviamo spunti per un’antropologia filosofica dell’essere, anche se non tutti i lettori di Essere e tempo sono d’accordo, e lo stesso Heidegger lo nega; ma ciò che a noi preme particolarmente è la possibilità di rintracciare in questo testo interessanti strade per un’idea nuova di formazione dell’uomo. Dove? Principalmente quando Heidegger parla di vita autentica, nell’essere-per-la-morte (come consapevolezza della propria finitezza, e ascolto dell’essere), nell’idea che guarda all’esistenza come progetto (ma anche in altri esistenziali che incontreremo in seguito). Entriamo adesso ancora di più nell’“ingranaggio” di Essere e tempo e diamo uno sguardo alla metodologia con la quale questo testo è stato scritto, ed al rapporto che lega Heidegger alla fenomenologia e al suo fondatore Edmund Husserl29. Essere e tempo è dedicato proprio a Edmund Husserl (Edmund Husserl in Verehrung und Freundschaft zugeeignet)30, del quale Heidegger era stato allieM. Heidegger, Essere e tempo, op. cit., p 13. Il rapporto che lega questi due filosofi, sia sul piano personale sia sul piano del pensiero filosofico, richiede da solo lo sviluppo di un lavoro a parte. Non è possibile, quindi, in questa sede, esaurire tale argomento, ci limitiamo a mostrare alcune delle più evidenti divergenze teoriche. Queste ci possono aiutare a capire il pensiero heideggeriano e la sua presa di distanza dalla fenomenologia husserliana, così come ci possono dare importanti informazioni per proseguire il lavoro che qui ci siamo proposti di fare. 30 Così recita la dedica che Heidegger mai modificherà nelle varie edizioni dell’opera “A Edmund Husserl con ammirazione e amicizia”. 28 29
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vo e assistente, ma il testo sancisce anche il definitivo distacco dal maestro, il quale non accetterà la strada intrapresa dal suo allievo arrivando a definirla un tradimento della vera fenomenologia. Ma Essere e tempo è, senza dubbio, un testo fenomenologico, le sue analisi e le riflessioni avvengono nel segno del metodo fenomenologico31. Certo la fenomenologia, così come la intende Heidegger, è concepita in modo molto diverso rispetto ai criteri posti da Husserl. Heidegger si pone come obiettivo la radicalizzazione stessa della fenomenologia e le pagine di Essere e tempo possono considerarsi il risultato di questo tentativo iniziato alcuni anni prima [...]. Radicalizzare vuol dire per Heidegger fondare la fenomenologia in quanto scienza del “come”: […] dell’“incontro” tra l’essere e l’esperienza dell’uomo32.
Heidegger dà un nuovo significato al termine fenomenologia, come afferma quando scrive: “l’espressione ‘fenomenologia’ significa primariamente un concetto di metodo. Essa non caratterizza il che-cosa reale degli oggetti della ricerca filosofica, ma il suo come”33, mettendo subito in chiaro che tratterà tutta la questione ontologica secondo questo metodo, il quale non deve essere visto come una “subordinazione” ad un movimento filosofico specifico. Ma non è solo un metodo, essa non si esaurisce in questa sua funzione; Heidegger troverà nella fenomenologia la possibilità stessa del pensare. Ad Heidegger interessa ciò che può essere espresso con il termine fenomenologia: il termine “fenomenologia” esprime una massima che può esser formulata così:“verso le cose stesse!” e ciò in contrapposto alle costruzioni fluttuanti, ai trovamenti casuali, all’assunzione di concetti giustificati solo apparentemente, agli pseudoproblemi che sovente si trasmettono da una generazione all’altra come “problemi”34.
Attraverso il metodo fenomenologico egli cerca una via per sviluppare un’analisi rigorosa della vita effettiva, nei suoi peculiari modi di manifestar-
31 La gratitudine che Heidegger prova per Husserl non si trova solo nella dedica prima citata, ma anche nella nota 6 del Capitolo Secondo dell’Introduzione di Essere e tempo, qui Heidegger scrive: “se la ricerca che segue fa qualche passo avanti nell’aprimento delle ‘cose stesse’, l’autore deve ringraziare in primo luogo E. Husserl che negli anni di assistentato a Friburgo gli rese familiari i più diversi campi dell’indagine fenomenologica mediante una guida efficace e personale e il più libero accesso alle ricerche non ancora pubblicate”. M. Heidegger, Essere e tempo, op. cit., p. 523. 32 P.A. Rovatti, La posta in gioco, Milano, Bompiani, 1987, p. 63. 33 M. Heidegger, Essere e tempo, op. cit., p. 46 (corsivi dell’autore). 34 Ivi, p. 47.
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si. Heidegger riuscirà con Essere e tempo a portare la fenomenologia nella vita quotidiana, e sarà proprio l’idea che la fenomenologia deve partire dalla vita reale (dalla vita nella sua fattualità) ad opporlo ad Husserl. All’io trascendentale husserliano Heidegger sostituirà l’Esserci. Heidegger rifiuta il concetto di epoché così come lo aveva messo a fuoco Husserl; secondo il nostro autore la pretesa di sospensione intorno all’ente per raggiungere il fenomeno puro è un’ingenuità intellettuale. Il fenomeno puro è solo un’astrazione in quanto i fenomeni che si danno alla coscienza vengono interpretati a partire da una pre-disposizione di tipo storico, dove per storico si intende l’apertura dell’ente al suo essere-nel-mondo (che indagheremo nel dettaglio nei paragrafi successivi). Il concetto fenomenologico da cui Heidegger muove – quello di epoché – acquista un senso e un significato di tipo nuovo. La riduzione consiste nel “ricondurre lo sguardo fenomenologico dal coglimento dell’ente, quale che sia la sua determinazione, alla comprensione dell’essere di questo ente (al progetto dell’essere nel mondo del suo disvelamento)”35. Sarà comunque in Essere e tempo che il metodo fenomenologico verrà applicato in tutta la sua complessità (così come vi è presente tutta la critica a Husserl, seppur il nome del filosofo compaia ben poche volte nel testo) e la riduzione troverà il suo apice nella formulazione dell’essere-nel-mondo. All’epoché viene dato senso ontologico e si dovrà integrare con altri due momenti: la distruzione e la costruzione. La decostruzione si doveva pienamente svelare nella distruzione della storia dell’ontologia36. Il termine distruzione si fa sinonimo di decostruzione: decostruzione critica di quei concetti che ci sono stati tramandati e che debbono anzitutto essere impiegati, allo scopo di risalire alle fonti da cui sono scaturiti. Solo attraverso una tale distruzione l’ontologia può assicurarsi fenomenologicamente della genuinità dei propri concetti37.
La fenomenologia, che si identificherà con la filosofia, è disvelare, è mostrare ciò che è apparentemente nascosto. Heidegger farà della fenomenologia l’unica in grado di “pensare il pensiero” rendendola continuamente e costantemente attuale, non rinnegandola mai fino alla fine della sua vita come dirà esplicitamente in Mein Weg in die Phänomenologie (Il mio cammino di pensiero e la fenomenologia) scrivendo: e oggi? L’epoca della filosofia fenomenologica sembra essere finita. La si ritiene già come qualcosa di passato, che può essere caratterizzato solo storio-
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p. 19. 36 37
M. Heidegger, I problemi fondamentali della fenomenologia, Genova, Il Melangolo, 1999, Cfr. § 6 di Essere e tempo. M. Heidegger, I problemi fondamentali della fenomenologia, op. cit., p. 21.
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graficamente accanto ad altri indirizzi filosofici. Ma la fenomenologia in ciò che le è proprio non è affatto un indirizzo filosofico. Essa è la possibilità del pensiero […] di corrispondere all’appello di ciò che si dà a pensare38.
L’elaborazione della fenomenologia così come la mette in atto Heidegger esce dai canoni della “fenomenologia pura” pensata da Husserl e dà vita a una “fenomenologia impura”, nella quale s’impone la consapevolezza che, per analizzare in maniera adeguata ciò che si offre immediatamente allo sguardo del filosofo, è necessario cogliere anzitutto i presupposti e i pregiudizi che, di volta in volta, risultano già operanti nella sua comprensione. L’approfondimento in questo senso della fenomenologia e l’elaborazione dottrinaria dell’atto interpretativo e delle sue condizioni è ciò che Heidegger chiama […] “ermeneutica”39.
Ciò che Heidegger ha fatto, quindi, con la fenomenologia è stato dotarla di un’inclinazione verso l’ermeneutica, il suo scopo è nello scoprimento, nella comprensione come esistenziale dell’Esserci. Ecco perché la fenomenologia heideggeriana prende il nome di fenomenologia ermeneutica. Ovviamente tutto questo avviene attraverso una personale rielaborazione, da parte del filosofo, dei concetti generali della fenomenologia husserliana. Come possiamo ben vedere dalla ripresa heideggeriana del concetto di intenzionalità, al quale viene dato un nuovo nome e un nuovo significato che gli permettono di assumere una curvatura concettuale di tipo ontologico. Questa grande categoria, fulcro del pensiero fenomenologico viene più volta ripresa da Heidegger, il quale la fa confluire nel concetto di Cura. L’intenzionalità diviene quindi luogo di comprensione, riconducendola – come mostra nell’ultima parte del § 31 di Prolegomena zur Gescichte des Zeitbegriffs (Prolegomeni alla storia del concetto di tempo) dal titolo Sorge und Intentionalität (Cura e intenzionalità) – all’interno della struttura dell’Esserci stesso e ri-scoprendo il suo significato autentico, a partire dal fenomeno della cura come struttura fondamentale dell’esser-ci, è possibile mostrare che ciò che si è inteso, e il modo come lo si è inteso nella fenomenologia, col termine intenzionalità è frammentario. […] Ciò che si intende con intenzionalità – il mero dirigersi-su – deve piuttosto essere di nuovo reinserito nella struttura fondamentale unitaria dell’avantia-sé-essere-già-presso. Solo questo è l’autentico fenomeno che corrisponde a ciò che, inautenticamente […] si intende con intenzionalità40. 38 M. Heidegger, Il mio cammino di pensiero e la fenomenologia, in M. Heidegger, Tempo e Essere, op. cit., p. 201. 39 A. Fabris, Essere e tempo. Introduzione alla lettura, Roma, Carocci, 2000, p. 32. 40 M. Heidegger, Prolegomeni alla storia del concetto di tempo, Genova, Il Melangolo, 1999,
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Lo sviluppo heideggeriano dell’intenzionalità viene poi ripreso nel corso del 1927, Grundprobleme der Phänomenologie (I problemi fondamentali della fenomenologia). Qui si delinea ancora più chiaramente il significato che Heidegger dà a questa categoria. Per l’autore essa è un atteggiamento (e non più un atto come per Husserl) dell’Esserci che non presuppone la presenza di oggetti da intenzionare ma sussiste nella stessa percezione; anzi essa è “una struttura che costituisce il carattere di rapporto dell’atteggiamento dell’esserci in quanto tale”41. Ma l’intenzionalità è anche la categoria che collega l’Esserci alla propria trascendenza, la costituzione intenzionale degli atteggiamenti dell’esserci è […] la condizione ontologica della possibilità di qualsiasi trascendenza. La trascendenza, il trascendersi, appartengono all’essenza di quell’ente che […] esiste come intenzionale, cioè esiste al modo del soggiornare presso un ente che sussiste. L’intenzionalità è la ratio cognoscendi della trascendenza42.
Grazie a questa duplice interpretazione dell’intenzionalità Heidegger può mettere in discussione tutta la questione del soggetto e della soggettività implicita sia nella filosofia sia nella psicologia del suo tempo. L’intenzionalità come struttura originaria dell’Esserci, guida quindi, a nostro avviso, la questione ontologica, così come verrà posta e analizzata in Essere e tempo. Questa categoria può essere considerata uno dei semi da cui nascerà la stessa analitica esistenziale, che andremo adesso a “leggere”. 1.3. Leggere Essere e Tempo Come è possibile leggere Essere e tempo? Abbiamo visto che è un testo complesso: le sue peculiarità lo rendono non solo unico ma anche di difficile comprensione e interpretazione (basti pensare all’uso del linguaggio filosofico e al conio di molti neologismi per capirne la difficoltà interpretativa)43, e sicuramente lo rendono facile “preda” di fraintendimenti interpretativi. p. 377. 41 M. Heidegger, I problemi fondamentali della fenomenologia, op. cit., p. 60 (corsivo dell’autore). 42 Ibidem (corsivo dell’autore). 43 Un altro problema che dobbiamo affrontare è quello di come i neologismi heideggeriani – e non solo questi – vengono tradotti nella nostra lingua. Essere e tempo ha avuto a lungo solo una traduzione italiana – quella curata da Chiodi nel 1954 – (alla quale si aggiunge oggi quella curata da A. Marini) la quale ovviamente risente del clima culturale e filosofico del tempo e dell’interpretazione esistenzialista che veniva data all’epoca alla filosofia di Heidegger. La traduzione di molti termini è oggi diversa da quella data a suo tempo da Chiodi, laddove sarà possibile lo metteremo in evidenza. Tutto questo dà, ovviamente, vita a “molte interpretazioni”. Si veda sulla problematica della traduzione di Essere e tempo: AA.VV., Tradurre Essere e Tempo, in “Magazzino di filosofia”, 2, 2000.
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Inoltre è un testo ricco di temi che si intrecciano e si intersecano, che vengono promossi e sviluppati a partire da un’unica grande (possiamo dire enorme e fondamentale) domanda: la questione dell’essere (Seinsfrage), che da sempre aveva inquietato il pensiero heideggeriano, così come ci ricorda, in termini suggestivi, Gadamer scrivendo: la domanda che lo turbava […] era la più antica e la più importante della metafisica: […] la domanda su come questo esserci umano finito, effimero, sicuro di morire possa comprendersi […] nel suo essere e cioè come un essere che non è una privazione, una mancanza, un semplice e fuggevole pellegrinaggio compiuto dall’abitante della terra attraverso questa vita per partecipare all’eternità del divino, ma che è esperito come la prerogativa del suo essere uomo44.
Ed è proprio intorno a questa ricerca della comprensione che si svolgono le molteplici analisi di Heidegger e che si sviluppa la sua analitica esistenziale. Resta comunque il problema di come si può leggere questo testo. Si può – come molti autori e filosofi hanno fatto (ed è assolutamente necessario) – cercare di interpretarlo passo per passo, paragrafo per paragrafo. Si possono rintracciare i temi centrali, fondamentali, e sviscerarli, oppure cercare le piste di ricerca che il testo contiene e ripartire per una nuova analisi filosofica (ma non solo). Oppure si può guardare ad Essere e tempo come se fosse un romanzo di formazione45, o meglio di autoformazione. Quest’ultima forma di lettura, interpretativa e complessa, è possibile in quanto l’ente (il soggetto) di cui il testo parla non è altro che colui che legge, l’essere-uomo, in tutte le sue dimensioni e particolarità, Essere e tempo, è […] l’opera nella quale viene percorsa la via dell’autoriferimento – quella via segnata nel profondo dalla decisione dell’uomo di cogliersi in ciò che propriamente lo costituisce – per giungere, in un’uscita da sé che risulta sempre in atto, a una comprensione dell’essere in quanto tale46.
Questo tipo di lettura è sicuramente meno rigido e “freddo”, presuppone un calarsi in Essere e tempo più emotivo e meno “scolastico”, forse meno corretto dal punto di vista formale, proprio per il livello di coinvolgimento che colui che legge subisce. Leggere questo testo diviene così H.G. Gadamer, I sentieri di Heidegger, op. cit., p. 9. Seppure curvata in termini diversi questa idea di leggere Essere e tempo come romanzo di formazione la troviamo anche in A. Fabris, Essere e tempo. Introduzione alla lettura, op. cit. 46 A. Fabris, ‘Essere e tempo’. Introduzione alla lettura, op. cit., p. 32. 44 45
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un’esperienza personale (formativa), un’avventura alla scoperta di se stessi, di un modello-di-Esserci più pieno e ricco. Leggere Essere e tempo può essere visto, quindi, come un viaggio che si snoda tra vari sentieri che continuamente si incrociano, con tappe intermedie e luoghi dove riposare e riflettere (i famosi stop and go che Heidegger inserisce nel testo, dove riassume il già detto prima di andare avanti nell’analisi), ma soprattutto un viaggio senza fine. Autoformarsi, ma autoformazione in vista di cosa? Verso la ricerca della propria autenticità, verso lo sviluppo di una più profonda capacità di ascoltare e di rispondere al richiamo della voce della coscienza. Trovarsi gettati con Heidegger in quella Befindlickeit, nella situazione emotiva, che porta alla comprensione, traghettati verso un modo di essere “nuovo”, lontani dal mondo del Si (come lui chiamerà il luogo quotidiano dove si svolge la vita inautentica) ma comunque consapevoli di essere “esseri-nel-mondo”. Si deve leggere, quindi, Essere e tempo in modo non univoco, con rigore interpretativo, certo, ma anche con la passione e l’emozione che l’esseregettati in noi stessi può provocare. Si deve cercare di interpretare per comprendere, scoprire le piste che Heidegger ci indica. Non si può considerare questa scrittura così complessa come se fosse un discorso uniforme e rigido, bensì dinamico, pieno di movimento, ripartenze e ritorni, contraddizioni e ripensamenti, senza conclusioni e soluzioni definitive. Ma soprattutto Essere e tempo è un testo che già ci dà fin dall’inizio una modalità per leggerlo. Esso, infatti, si fonda (come già ricordato) sul domandare. Heidegger sembra essere più interessato alla problematizzazione e al porre domande sulla questione dell’essere, che a trovare risposte e soluzioni. Andiamo quindi a guardare, brevemente, le sue domande. È necessario in ogni modo, per approfondire la lettura in senso formativo, iniziare dal piano più descrittivo e interpretativo, fornendo il piano generale dell’opera e i temi che in essa si dipanano, per andare poi a scoprire le piste a noi utili ed approfondirle in seguito. Qual è la domanda di Essere e tempo? Abbiamo detto che è dalle domande che nasce questo testo. Già l’introduzione ci indica la domanda fondamentale: l’essere. Heidegger dedica questa prima parte del libro a “giustificare” la necessità di far riemergere la questione sull’essere che la filosofia europea – figlia della concezione classica, che guarda all’essere come semplice-presenza – ha finito per dimenticare e trattare in maniera superficiale47. L’autore a partire da questo sviluppa una serrata critica ai “pregiudizi” che si sono venuti a creare intorno a questo concetto e che lo hanno reso “non affrontabile”, determinandolo ormai come un tema 47 “Benché la rinascita della ‘metafisica’ sia un vanto del nostro tempo, il problema dell’essere è oggi dimenticato”. M. Heidegger, Essere e tempo, op. cit., p. 17.
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ovvio e già risolto. Sviluppando quindi una critica alla filosofia, la quale viene considerata dall’autore un pensiero della presenza. Questa presenza è “semplice” perché è il risultato di una semplificazione, di una vera e propria amputazione: sottratto dal suo complesso gioco con l’essenza, l’essere qui e ora del presente si blocca in una dimensione che, […] non ha tempo, è priva di temporalità48.
Per ovviare a questa situazione il filosofo propone di impostare nuovamente e diversamente la questione: “ripetere il problema dell’essere significa quindi: incominciare con l’elaborare in modo adeguato l’impostazione stessa del problema”49. Ed è da questo punto che si sviluppa la domanda che per essere affrontata necessita di un nuovo tipo di ricerca: ogni posizione di problema è un cercare [...]. Porre un problema significa cercare di conoscere l’ente quanto al suo che-è e al suo esser-così. Il cercare di conoscere può divenire una ‘ricerca’ [...]. Il cercare, in quanto cercare intorno a... ha un cercato. Ogni cercare intorno a... in qualche modo, è un interrogare qualcuno. Oltre al cercato, il cercare richiede l’interrogato [...]. Nel cercato si trova [...], quale vero e proprio oggetto intenzionale della ricerca, il ricercato ciò che costituisce il termine finale del cercare50.
Heidegger, con questa descrizione su come intende svolgere la ricerca, definisce quella struttura triadica ermeneutica che caratterizzerà tutte le analisi del testo e ci propone anche le basi metodologiche utili per svolgere qualsiasi forma di ricerca teorica che – non dobbiamo dimenticare – deve partire dal domandare. Ma cosa viene cercato (o meglio ricercato)? Si ricerca un ente, un ente particolare che va sotto il nome di Dasein (Esserci): “questo ente, che noi stessi sempre siamo e che fra l’altro ha quella possibilità d’essere che consiste nel porre il problema, lo designiamo col termine Dasein”51. Ancora prima di stabilire il piano dell’opera (§ 8) Heidegger delinea lo scopo della sua indagine (§ 5-6). Ciò che egli si ripromette di fare con l’analisi esistenziale è esaminare il Dasein nel suo esistere in quanto modalità peculiare del suo essere, per arrivare a capire il senso dell’essere che l’autore rintraccerà, infine, nella sua temporalità. La prima analisi che Heidegger affronta è quella di definire l’essere nelle sue peculiarità e caratteristiche, premettendo che esso ha sempre
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P.A. Rovatti, La posta in gioco, op. cit., p. 25. M. Heidegger, Essere e tempo, op. cit., p. 19 (corsivo dell’autore). Ivi, p. 20 (corsivi dell’autore). Ivi, p. 23.
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una qualche forma di comprensione di se stesso data dalla sua esistenza. Fondamentale è il significato che viene dato a questo termine: “il Dasein comprende sempre se stesso in base alla sua esistenza, ciò alla possibilità che gli è propria di essere o non essere se stesso”52. L’esistenza sarà la vera essenza dell’Esserci, e deve essere distinta dalla semplice-presenza (per fare ciò Heidegger usa due termini diversi: per indicare la semplicepresenza manterrà la parola Vorhandenheit, mentre per indicare l’esistenza in senso ontologico userà Existens)53, i caratteri che le sono propri e che determinano l’essere del Dasein sono definiti esistenziali. Ma ciò che costituisce in primo luogo l’Esserci e la sua esistenza è il suo essere-nelmondo (In-der-Welt-sein). Così come l’autore ha precedentemente fatto, anche l’analisi del mondo ha una ripartizione triadica: si stabilisce cosa significa “nel-mondo” (la “mondità” del mondo), si determina “Chi” è nel mondo e infine l’“in-essere” nel mondo come tale. Fin dall’inizio l’autore si impegna a determinare l’“in-essere”: tale concetto non significa semplicemente “essere dentro” (come l’acqua nel bicchiere, per riprendere l’esempio che lo stesso Heidegger fa), non denota la presenza spaziale di un ente; tale concetto è “un esistenziale, perché fa parte della costituzione dell’essere dell’Esserci”54. Tutto questo può trovare spiegazione attraverso l’analisi della radice etimologica della parola in, la quale proviene da innan e denota l’abitare, il soggiornare e l’avere familiarità con. Ciò implica anche l’idea di un essere non solipsistico (contro cui Heidegger si batte) ma inserito in un “contesto” in cui si muove, nel quale è coinvolto. Il rapporto nel quale l’essere si trova coinvolto nel suo essere-nel-mondo è definito dal termine Faktizität55 (fatticità)56, che Heidegger usa distinguendolo da Tatsächlichkeit (fattualità), il quale a sua volta indica solo la presenza degli oggetti nel mondo. Il concetto di fatticità fa procedere l’analisi oltre e permette all’autore di parlare delle possibili modalità dell’in-essere o meglio delle modalità nelle quali l’in-essere si disperde: “l’essere-nel-mondo proprio dell’Esserci, in conseguenza della sua effettività, si è già sempre disperso o addirittura sperduto nelle varie maniere dell’in-essere”57. I modi dell’in-essere
M. Heidegger, Essere e tempo, op. cit., p. 29. Cfr. M. Heidegger, Sein und Zeit, Tubingen, Niemeyer Verlag, 2001, p. 42. 54 M. Heidegger, Essere e Tempo, op. cit., p. 77. 55 Tale termine viene usato fin dal corso Problemi fondamentali della fenomenologia (19191920), ma trova la sua più alta argomentazione nel corso, del 1923, Ontologia. Ermeneutica della effettività. 56 Il traduttore di Essere e tempo, Chiodi, traduce con fattualità tale termine, noi qui riprendiamo la traduzione che riporta Fabris nel suo testo Essere e tempo. Introduzione alla lettura (cfr. A. Fabris, Essere e tempo. Introduzione alla lettura, op. cit., p. 84). 57 M. Heidegger, Essere e tempo, op. cit., p. 80. 52 53
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vengono “riassunti” da Heidegger nel modo di essere del prendersi cura, di cui parleremo diffusamente nei capitoli successivi. L’analisi dell’in-essere terminerà con una discussione sul conoscere. Il conoscere per l’autore è una modalità dell’Esserci stesso in quanto la conoscenza si fonda proprio sull’in-essere-già-presso-il-mondo58. Si arriva così all’analisi della mondità: qui il mondo non è visto come un insieme di oggetti e cose, bensì come un carattere dell’Esserci stesso. Il termine mondo ha però molti significati che vanno tra loro distinti e analizzati: viene analizzata così la “mondità” guardando al suo carattere ontologico esistenziale59 (§ 15-18); si confrontano criticamente le concezioni ontologiche tradizionali, dove vi è, in particolare, una critica alla concezione cartesiana (§19-21); e infine viene analizzata la nozione di spazialità (§ 22-24) regalandoci una nozione nuova e diversa dalla tradizionale visione geometrica60. Dopo aver analizzato il mondo-ambiente Heidegger prende in esame l’essere-nel-mondo e il suo con-essere. La prima domanda che incontriamo leggendo il capitolo quarto del testo è “Chi” (Wer) è quell’Esserci che si è definito come essere-nel-mondo, alla quale Heidegger così risponde: l’io stesso, il “soggetto”, il “se stesso”. Il “Chi” è ciò che si mantiene identico nel mutare dei comportamenti e delle esperienze vissute, benché si rapporti a questo molteplice. [...] Tale subjectum, permanendo lo stesso nelle successive modificazioni ha il carattere del se-Stesso (Selbst)61.
Ma questo io è immerso nel mondo, nella quotidianità, quindi deve essere studiato e analizzato a partire proprio dal suo essere-nel-mondo e dai rapporti che “vive”. Questo concetto emerge nettamente dalle ultime righe del § 25 quando ribadisce la necessità di cogliere la “sostanza” stes-
“Il conoscere è un modo del Dasein fondato nell’essere-nel-mondo”. Ivi, p. 87. In questi paragrafi Heidegger analizza il mondo-ambiente e ciò che in esso è contenuto. Troviamo così la definizione di mezzo, di utilizzabilità, di rimando e segno. Importante il § 18, laddove Heidegger parla di Appagatività e significatività. La mondità del mondo: qui la significatività rappresenta la struttura stessa del mondo:“ossia ciò ‘in-cui’ il Dasein, in quanto tale, già sempre è. [...] La significatività, in cui il Dasein è già sempre immedesimato, porta con sé la condizione ontologica che il Dasein che comprende possa, interpretando, aprire qualcosa come i ‘significati’, i quali a loro volta, fondano la possibilità della parola e del linguaggio”. Ivi, p. 117. 60 “lo spazio può essere compreso solo in riferimento al mondo. Non soltanto lo spazio non può essere raggiunto che attraverso una demondificazione del mondo-ambiente, ma la spazialità è scopribile soltanto sul fondamento del mondo, sicché lo spazio viene a con-costituire il mondo, e ciò in conseguenza della spazialità essenziale del Dasein quale determinazione della sua costituzione fondamentale di essere-nel-mondo”. M. Heidegger, Essere e tempo, op. cit., p. 147. 61 Ivi, p. 149 (corsivi dell’autore). 58 59
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sa dell’uomo che, a differenza della visione tradizionale, “non è lo spirito come sintesi di anima e corpo, ma l’esistenza”62. Il mondo in cui si trova l’Esserci è un mondo condiviso con altri Esserci; Heidegger parla, infatti, di con-Esserci (Mitdasein); tale situazione determina un nuovo modo di relazionarsi, l’Esserci stabilisce con gli altri rapporti di “cura”, si prende cura degli altri, distinguendo nettamente dal concetto di cura precedentemente delineato che era un “prendersi-cura”(Besorgen) riferito agli utilizzabili, cioè ai mezzi; adesso, nel rapporto con gli altri si determina un “aver-cura” (Fürsorgen) (vedremo in seguito – approfondendo – il valore e le caratteristiche di questi due concetti). Ma l’essere-nel-mondo può portare a una “comprensione impropria” di sé che avviene nella vita quotidiana, nell’esistenza giornaliera: si introducono così le analisi del Si (Man).Tali analisi mostrano come il Chi quotidianamente non trova se stesso, non arriva ad essere se-stesso, ma si perde e si disperde nel mondo del Si dove l’uno si omologa all’altro, dove non vi è più distinzione tra i singoli-Esserci. In questa situazione tutto si appiattisce, si vive in quella che Heidegger definisce la medietà: ogni originalità è dissolta nel risaputo, ogni grande impresa diviene oggetto di transizione, ogni segreto perde la sua forza. La cura della medietà rivela una nuova ed essenziale tendenza dell’Esserci: il livellamento di tutte le possibilità di essere63.
L’autore inserisce tutto questo in un solo termine “pubblicità”. Entriamo adesso in una delle parti più belle e affascinanti di Essere e tempo, laddove vengono descritte le “strutture dell’in-essere”, i modi secondo i quali l’Esserci si apre al “mondo”. Heidegger definisce l’apertura essenziale con il termine “Ci”, esso è aperto o illuminato proprio in virtù del suo essere-nel-mondo. I tre modi principali dell’apertura dell’in-essere tratteggiati dall’autore sono: la situazione emotiva, la comprensione (Verstehen), e infine il discorso (Rede) il quale determina le altre due. L’Esserci è sempre immerso in una situazione emotiva, anzi è questo “stato” che permette all’Esserci di essere aperto all’esistenza: la situazione emotiva apre all’Esserci quel carattere fondamentale del suo “Ci” che consiste nella “effettività” della sua presenza nel mondo, nell’oscurità del “donde” e del “dove”, nel suo esser-gettato nel mondo, nel suo abbandono al mondo64.
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stro).
Ivi, p. 153 (corsivi dell’autore). M. Heidegger, Essere e tempo, op. cit., p. 163. P. Chiodi, Introduzione, in M. Heidegger, Essere e tempo, op. cit., p. X (corsivo no-
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Vi sono qui due importanti considerazioni: la rivalutazione delle emozioni e delle passioni, le quali non solo sono una delle parti fondamentali dell’Esserci, ma rendono questo Esserci aperto al mondo; e l’idea della gettatezza65, che ritroveremo in seguito quando Heidegger la legherà alla nozione di progetto. Le situazioni emotive fondamentali che l’autore prende in considerazione sono due, una inautentica e una autentica: la paura e l’angoscia. Tra i due concetti quello fondamentale è l’angoscia (la modalità autentica) che l’autore lascia in sospeso e non tratta immediatamente, lasciando invece spazio alla modalità della comprensione. Heidegger fa qui una distinzione tra comprendere, spiegare, interpretare e asserire. La comprensione è un esistenziale, è un modo fondamentale dell’essere dell’Esserci e soprattutto è sempre caratterizzata dalla tonalità emozionale. Ciò che caratterizza la comprensione è la sua capacità di aprire all’essere il suo poter-essere, quindi con le parole di Heidegger la comprensione è: l’essere esistenziale del poter-essere proprio dell’Esserci stesso, ed è siffatta che questo rivela a se stesso come stanno le cose a proposito dell’essere che gli è proprio66.
Ma cosa significa poter-essere? Questo è uno dei concetti più importanti di Essere e tempo, ma è anche uno dei più criptici e complessi. L’Esserci proprio in quanto non è semplice-presenza contiene in sé (nel suo Ci) la possibilità di poter-qualcosa: l’Esserci, in quanto emotivamente situato nel suo essere stesso, è già sempre insediato in determinate possibilità e, in quanto è quel poter-essere che è, ne ha già lasciate perdere alcune; rinuncia incessantemente a possibilità del suo essere, riesce a coglierne talune oppure fallisce. Ciò significa che l’Esserci è un esser-possibile consegnato a se stesso, una possibilità gettata da cima a fondo. L’Esserci è la possibilità dell’esser libero per il più proprio poter-essere67.
Ecco uno dei punti nodali di questo grande testo, il poter-essere dell’Esserci. Esso è, a nostro avviso, definibile con un altro termine che forse non sarebbe piaciuto ad Heidegger: libertà di scelta. L’Esserci è tale e si distingue da tutti gli altri enti mondani per la sua possibilità di scelta, per il 65 “La situazione emotiva non solo apre l’Esserci nel suo esser-gettato e nel suo statodi-assegnazione a quel mondo che gli è già sempre aperto nel suo essere, ma è anche il modo di essere esistenziale in cui l’Esserci si abbandona al ‘mondo’”. M. Heidegger, Essere e tempo, op. cit., p. 178. 66 Ivi, p. 184 (corsivi dell’autore). 67 Ivi, p. 183 (corsivi dell’autore).
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libero arbitrio che gli appartiene. Questo è uno dei caratteri che rendono questo trattato un testo anche formativo: l’uomo (l’Esserci) può essere libero, scegliere le proprie vie da percorrere, comunque, perseguire le proprie scelte. Ma c’è qualcosa di più: la gettatezza. L’Esserci è sempre e costantemente gettato nelle sue possibilità, questo fa sì che esso sia sempre già al di là di se stesso, sia avanti-a-sé. Questo avanti-a-sé è chiamato da Heidegger progetto (Entwurf), che è a sua volta il modo in cui la comprensione si attua. E qui, per chiarire come tale progettualità si realizzi, l’autore introduce il termine interpretazione, definendola come quella modalità attraverso la quale la comprensione comprende; infatti, nell’interpretazione: “la comprensione, comprendendo, si appropria di ciò che ha compreso. Nell’interpretazione, la comprensione non diventa altra da sé ma se stessa”68. Possiamo dire che grazie all’interpretazione si elaborano le possibilità progettate nel processo di comprensione. Dopo aver chiarito cosa intende per comprensione e interpretazione, l’autore affronta uno dei temi fondamentali dell’ermeneutica la questione del senso. Il senso viene così definito: il senso è il “rispetto-a-che” del progetto in base a cui qualcosa diviene comprensibile in quanto qualcosa; tale “rispetto-a-che” è strutturato secondo la pre-disponibilità, la pre-visione e la pre-cognizione. Poiché comprensione e interpretazione rappresentano la costituzione dell’essere del Ci, il senso deve essere concepito come la struttura formale-esistenziale dell’apertura propria della comprensione. [...] Solo l’Esserci “ha” senso69.
Dopo tutto questo70 Heidegger ritorna ad analizzare l’ultima modalità dell’apertura dell’Esserci: il discorso (al quale viene legato uno degli argomenti che diverrà fondamentale nell’elaborazione teorica heideggeriana successiva ad Essere e tempo: il linguaggio)71, il quale è l’“espressione” e l’“articolazione” della comprensione. Esaminata l’articolazione di questi costrutti l’autore ritorna a parlare dell’espressione della quotidianità dell’Esserci e viene a presentare alcune delle modalità inautentiche di apertura dell’Esserci: la chiacchiera, la curiosità, l’equivoco72. Ivi, p. 189. Ivi, p. 193 (corsivi dell’autore). 70 A cui si aggiungono anche le analisi sul circolo ermeneutico e sull’asserzione che qui non abbiamo descritto. 71 Cfr. M. Heidegger, In cammino verso il linguaggio, Milano, Mursia, 1973. In queste analisi successive il linguaggio avrà lo statuto di esistenziale, o meglio, diviene una delle modalità dell’apertura dell’Esserci. In Essere e tempo è invece considerato l’esteriorizzazione (formale) del discorso (cfr. M. Heidegger, Essere e tempo, op. cit., pp. 204-205). 72 Heidegger non dà a questi termini un valore dispregiativo. Con la chiacchiera intende la modalità quotidiana del comprendere attraverso il discorrere, dove al centro c’è il “sa68 69
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Dopo la descrizione di questi fenomeni Heidegger tenta di spiegare il perché dell’esistenza di una tale situazione quotidiana inautentica e lo rintraccia nella tendenza alla fuga e, soprattutto, nella decadenza dell’Esserci. L’Esserci nel suo essere-nel-mondo è decaduto e disperso nell’autenticità, esso si allontana nella decadenza dall’essere-autentico procedendo verso quella che Heidegger chiama “caduta”: “l’Esserci cade da se stesso e in se stesso nella infondatezza e nella nullità della quotidianità inautentica”73. Come si può “salvare” allora l’Esserci dal perpetuare nello stato inautentico per raggiungere il suo essere più proprio? L’autore risponde attraverso l’analisi dello stato d’animo dell’angoscia, in quanto stato emotivo che permette il coglimento dell’Esserci all’Esserci stesso; e l’analisi della Cura come “luogo” di rivelazione dell’essere dell’Esserci74. A queste analisi si associano quelle sulla realtà e sulla verità75. Fino a questo punto Heidegger ha descritto le strutture dell’essere-nelmondo, le modalità con cui l’Esserci si rapporta, e la determinazione della cura, ciò che ancora manca – e sarà l’analisi della seconda parte di Essere e tempo – è la dimostrazione dell’originarietà dell’Esserci per arrivare poi al grande tema della temporalità. 1.4. La temporalità e l’essere Ciò che si propone Heidegger all’inizio di questa seconda parte è di riuscire a determinare come l’ente preso in esame (l’Esserci) possa essere visto come “intero”, definendolo nella sua interezza: l’analisi esistenziale finora condotta intorno all’Esserci non può avanzare la pretesa di originarietà. Innanzi ad essa stava sempre soltanto l’essere inautentico dell’Esserci e come non totale. Se l’interpretazione dell’essere dell’Esserci, in quanto fondamento dell’elaborazione del problema ontologico fondamentale, vuol farsi originaria, dovrà, prima di tutto, porre esistenzialmente in luce l’essere dell’Esserci quanto alle possibilità che esso porta con sé dell’autenticità e della totalità76.
pere qualcosa” senza che vi sia autentica comprensione. La curiosità rappresenta la modalità inautentica della visione, si “vede” senza realmente comprendere, è una visione superficiale che si caratterizza per: “una tipica incapacità di soffermarsi” (ivi, p. 217). L’equivoco è legato alla “certezza di sapere tutto”, di comprendere e interpretare qualsiasi cosa di cui si parla, l’equivoco fa sì che venga persa la distinzione tra il “dire e il fare”. 73 Ivi, p. 224. 74 Non ci soffermeremo adesso su questi due grandi temi in quanto li affronteremo più approfonditamente in seguito. 75 Cfr. M. Heidegger, Essere e tempo, op. cit., § 43-44. 76 Ivi, p. 286 (i corsivi sono dell’autore).
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Heidegger parte dal presupposto, quindi, che ancora manca qualcosa, non solo alla sua analisi ma all’Esserci stesso, si introduce così il tema dell’essere-per-la-morte (Sein-zum-Tode). L’Esserci sarà sempre incompiuto in quanto gli manca un poter-essere che durante l’esistenza quotidiana non diventa reale, e quando diventa reale scompare l’Esserci come esistenza: la morte77. Della morte, infatti, non possiamo fare esperienza “diretta” (non solo della nostra, ma neppure di quella altrui), come è possibile quindi, che essa possa determinare l’interezza dell’Esserci? Heidegger risolve questo quesito rendendo la morte come quel fenomeno (o meglio come quell’evento) con il quale siamo costantemente in rapporto, in quanto modalità costitutiva dell’ente stesso, grazie alla quale l’Esserci è sempre in relazione con la propria finitezza; tutto questo viene definito dall’autore con il temine “essere-per-la-fine” (Sein zum ende), così come afferma: il finire proprio della morte non significa affatto un essere alla fine dell’Esserci, ma un essere-per-la-fine da parte di questo ente. La morte è un modo di essere che l’Esserci assume da quando c’è78.
Tutto questo si può intendere come la presenza costante – durante tutta l’esistenza – della morte, guardando ad essa come ad una eventualità, un poter-essere possibile che ci portiamo dietro sempre, fin dalla nascita. Il modo in cui l’Esserci si rapporterà ad essa può essere autentico o inautentico79, resta comunque fermo il fatto che essa rappresenta:“la possibilità più propria, incondizionata e insuperabile” dell’Esserci in quanto essa è:“la possibilità della pura e semplice impossibilità dell’Esserci”80. L’autenticità dell’essere-per-la-morte sta nel comprendere la morte come possibilità, e questo comprendere si trova in quel concetto che Heidegger chiama anticipazione della possibilità. Anticipare, comprendere la morte come possibilità significa sottrarsi a qualsiasi forma dell’inautenticità, significa riuscire a progettare partendo proprio dalla morte che – come abbiamo già visto – rappresenta l’essere più proprio dell’Esserci e raggiungere finalmente l’esistenza autentica81. Solo dopo questa serie di analisi sull’essere-per-la-morte e la coscienza, Heidegger introduce il tema della temporalità82 alla quale guarda come il Il tema della morte viene indagato da Heidegger fin dai corsi degli anni Venti. M. Heidegger, Essere e tempo, op. cit., p. 300. 79 Per mostrare l’essere-per-la-morte inautentico Heidegger descrive le modalità che il Si quotidiano mette in atto per rendere i soggetti indifferenti e “tranquilli” di fronte all’evento-morte. 80 Ivi, p. 306. 81 Anche su questo tema ritorneremo in seguito in maniera approfondita affrontando anche il tema successivo all’essere-per-la-morte: la chiamata della coscienza. 82 Il tema del tempo e della temporalità fa la sua comparsa durante gli studi giovanili come si può vedere nella lezione accademica che Heidegger svolge nel 1915 per il conse77 78
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concetto che dona senso all’essere dell’Esserci stesso, dove senso significa, per Heidegger:“ciò rispetto-a-cui ha luogo il progetto primario, ciò in base a cui qualcosa può esser compreso nella sua possibilità così com’è”83. Heidegger una volta stabilito questo, cioè dopo aver trovato il senso dell’essere nella temporalità, non solo approfondisce questa tematica ma cerca di ri-determinare tutti gli esistenziali analizzati precedentemente secondo questa nuova chiave. Arrivando a determinare la temporalità come il senso primario e originario della Cura. A tale temporalità deve essere tolta la concezione quotidiana del tempo, cioè l’idea di un tempo lineare, che scorre e può essere misurato; il tempo per l’autore non è, e non può essere, un insieme e un articolarsi di passato, presente e futuro. La temporalità si articola invece secondo altri tre momenti (o come lui li chiama estasi): l’avvenire, l’esser-stato e il presentificare. Heidegger parla di avvenire come quella modalità che rende l’Esserci autentico, in altre parole quando esiste in virtù del suo poter-essere: l’Esserci, in generale, può pervenire a se stesso nella sua possibilità più propria e perché in questo lasciarsi pervenire a se stesso mantiene la possibilità come possibilità, cioè esiste. Il lasciarsi pervenire a se stesso nel mantenimento della possibilità caratteristica come tale, è il fenomeno originario dell’ad-venire84.
L’avvenire fonda poi l’estasi dell’esser-stato. L’esser-stato dà vita alla gettatezza dell’Esserci, solo l’ente che è stato attraverso l’avvenire può raggiungere ciò che è veramente. Il presentificare, a sua volta, è la modalità temporale che permette all’ente di stabilire e mantenere rapporti con il mondo, l’Esserci è sempre – come abbiamo visto durante le analisi sul mondo – un esser-presso, il presentificare permette la comprensione di questo esser-presso. Dopo aver così definito la temporalità, Heidegger mostra come essa si articola nella quotidianità parlando di temporalità inautentica; qui si contrappongono alle tre estasi – le quali rappresentano la temporalità autentica – i termini quotidiani con i quali ci riferiamo al tempo. Avremo così opposto all’avvenire autentico (che qui prende il termine anticipazione) il fenomeno inautentico dell’aspettare; al presente autentico – rappresentato dal concetto di attimo – si oppone il termine presentazione, dove il presente perde il suo essere-divenire, movimento, e si fissa in
guimento del titolo di Privatdozent, significativamente intitolato: Der Zeitbegriff in der Geschichtswissenshaft (Il concetto di tempo nella scienza della storia). Verrà poi ripreso e approfondito nel corso che l’autore tiene nel 1925 dal titolo Prolegomena zur Geschichte des Zeitbegriff (Prolegomeni alla storia del concetto di tempo). 83 M. Heidegger, Essere e tempo, op. cit., p. 389. 84 Ivi, p. 391 (corsivi dell’autore).
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un tempo unico e misurabile; infine all’essere-stato che in forma autentica si manifesta con la ripetizione (qui l’Esserci nella comprensione della propria finitezza ritrova il suo essere-più-proprio) viene contrapposto l’oblio come modalità di fuga da se stesso: “fuggendo innanzi al più proprio essere-stato”85, rifugiandosi nei rapporti intramondani e accettando le “offerte” del Si. Ed è a partire da questo punto che Heidegger ripensa tutta la sua analitica esistenziale, finora descritta e sviluppata, mettendola in rapporto alla temporalità. Viene ripreso così in esame il tema delle emozioni (paura e angoscia), la deiezione e la temporalizzazione del discorso86, per arrivare infine a ri-analizzare l’essere-nel-mondo. In questa serie di analisi ne troviamo uno particolarmente interessante, la quale riguarda la scienza intesa come concetto esistenziale (§ 69b). Il § 69b è forse quello che più di altri ci ha lasciato piste non solo di metodologia ma di epistemologia. Heidegger ripensa il problema della genesi dell’atteggiamento teorico che caratterizza la ricerca scientifica, sottolineando come il ricercare scientifico non può escludere da sé la prassi. Ma deve considerare sempre tutti quei meccanismi già visti durante l’analisi dell’essere-nel-mondo, come ad esempio la presentificazione e la “visione ambientale preveggente” dalla quale nasce la riflessione. Heidegger fa diventare la scienza un modo di essere-nel-mondo, fa della scienza, quindi, un concetto esistenziale: “il concetto esistenziale intende la scienza come una modalità dell’esistenza e quindi come un modo di essere-nel-mondo tale da scoprire o aprire l’ente o l’essere”87. Questo capitolo si chiude poi con la determinazione del concetto di “quotidianità” che finalmente Heidegger pone in piena luce, dopo ben 70 paragrafi e dopo l’uso “massiccio” che ha fatto di questo termine, sul quale si fonda buona parte dell’analisi dell’essere-nel-mondo. Non solo viene definito questo concetto in senso esistenziale, ma viene chiarito il suo significato temporale, sappiamo già che per quotidianità si intende la modalità dell’esistenza “giornaliera” dell’ente, la quale non va intesa come insieme di giorni databili ma può essere guardata secondo le due espressioni che l’autore continuamente usa: “innanzi tutto” e “per lo più” (“‘Innanzi tutto’ significa la maniera in cui l’Esserci è ‘noto’ all’essere-assieme pubblico. [...] ‘Per lo più’ significa: la maniera in cui l’Esserci, non sempre ma ‘normalmente’, si manifesta ad ognuno”)88, le quali fanno si che la quo85 86
M. Heidegger, Essere e tempo, op. cit., p. 407.
“il discorso è temporale in se stesso, perché ogni discorrere su... di... a... si fonda nel-
l’unità estatica della temporalità. [...] Solo a partire dalla temporalità del discorso, cioè dell’Esserci in generale, può esser chiarito il ‘costituirsi’ del ‘significato’ e può esser resa comprensibile ontologicamente la possibilità della formazione dei concetti”. Ivi, p. 419. 87 Ivi, p. 428. 88 Ivi, p. 445.
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tidianità possa essere un modo di essere che se guardata in una prospettiva temporale trova spesso la sua espressione nell’attimo: “ ma l’esistenza può anche dominare (non però estinguere) la quotidianità nell’attimo, e sovente proprio solo ‘per un attimo’”89. L’analisi della quotidianità in senso temporale darà l’avvio all’ultima parte (pubblicata) di Essere e tempo il rapporto tra temporalità e storicità. Qui viene definito da Heidegger il concetto di storia inteso come continuità della vita, il tempo (la vita) che scorre fra l’evento della nascita e quello della morte dell’ente, il fra (l’estendersi dell’esistenza tra i due grandi eventi sopra citati) determina lo storicizzarsi (o con l’altro termine che Heidegger usa: l’accadere) dell’Esserci. Dall’analisi di tutto questo l’autore trova ben quattro possibili significati di realtà storica che elaborati e connessi tra di loro danno vita alla sua personale (e particolare) definizione di storia. Ciò che risulta interessante è il ribadire da parte di Heidegger di come la storia non si riferisca in primo luogo a qualcosa di mondano o intramondano: la storicità è solo “primariamente” dell’Esserci. In seguito a questa affermazione Heidegger analizza la storiografia, legando la scienza della storia alla storicità dell’Esserci stesso, e soprattutto guardando a questa disciplina come a colei che permette all’Esserci di riappropriarsi del proprio passato, di comprenderlo così da potersi ri-progettare e “vivere” il suo esser-possibile. Eccoci così giunti all’ultimo capitolo di Essere e tempo: qui vi si trova l’analisi che l’autore svolge sulle strutture del tempo misurabili e databili, il cosiddetto “tempo ordinario”. Ricollegandosi, come suo solito, al concetto di tempo presente nelle filosofie di Aristotele e Platone (nei quali rintraccia l’origine stessa del concetto di tempo misurabile) e di Hegel (il quale secondo Heidegger riprende la visione di tempo tradizionale e unisce il concetto di tempo a quello di spazio). Che fosse l’inizio della seconda parte, quella che prevedeva la distruzione dell’ontologia tradizionale? Non lo sapremo mai; qui con tutte le sue domande e con le sue poche risposte si conclude il testo, anzi proprio la fine è un inno al domandare, o meglio, a considerare la ricerca del senso dell’essere in cammino e la strada proposta in Essere e tempo come solo una delle possibili da percorrere. Heidegger ha fin qui posto il problema di illuminare di nuovo l’idea dell’essere in generale, dando così alla filosofia un nuovo valore ontologico. La filosofia deve, necessariamente, essere ontologia universale e fenomenologica, muovente dall’ermeneutica dell’Esserci, la quale in quanto analitica dell’esistenza, ha assicurato il termine del filo
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M. Heidegger, Essere e tempo, op. cit., p. 445.
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conduttore di ogni indagine filosofica nel punto dove l’indagine sorge e infine ritorna90.
1.5. La recezione di Essere e tempo Abbiamo già detto precedentemente come Heidegger – noto fino al ’27 quasi solo per le sue doti di insegnante e per la brillantezza della sua capacità espositiva – diviene improvvisamente, grazie ad Essere e tempo, un filosofo molto noto, amato o criticato, sicuramente non più ignorato. Heidegger diviene, dunque, maestro di pensiero; molti videro nelle sue riflessioni una nuova strada filosofica. La sua opera viene letta, interpretata e criticata in modi diversi, presa ad esempio e talvolta stravolta. Si cerca di fare di questo autore il rappresentante di vari indirizzi filosofici, etichettandolo e inserendolo in scuole di pensiero dalle quali sempre egli cercherà di fuggire. Come avviene, ad esempio, per la lettura esistenzialista di Essere e tempo svolta dagli appartenenti a questa corrente (alla quale Heidegger rifiuta di appartenere, così come rifiuterà l’etichetta di rappresentante dell’ermeneutica, dicendo che essa è “affare” di Gadamer). Grandi nomi possiamo citare per capire l’influenza heideggeriana sulla filosofia, non solo i suoi allievi ma anche filosofi che con lui non avevano mai lavorato come Sartre, Derrida, Merleau-Ponty, Jasper, gli italiani Abbagnano e Paci (e tanti altri)91. Sembra quasi che “tutti” prima o poi abbiano sentito la necessità di confrontarsi con questo autore, anche coloro che non condividono la sua prospettiva o che la rifiutano, riconoscendone la grande portata speculativa, la finezza e brillantezza delle indagini. L’interesse per Heidegger e Essere e tempo è sempre stato alto, basta guardare alla quantità di pubblicazioni che periodicamente escono su questo filosofo92 (e che oggi non riguardano più solo studiosi europei, ma anche americani e giapponesi). Interesse che non si è ancora assopito, anche grazie al fatto che, a tutt’oggi, non tutte le sue opere sono disponibili, ed altre sono state da poco pubblicate, come ad esempio i Beiträge zur Philosophie (Vom Ereignis), che al momento della loro uscita hanno permesso una rielaborazione teorica della stessa filosofia heideggeriana. Questo flusso costante di pubblicazioni inedite provoca un continuo ripensare e riflettere su questo autore e anche sull’origine, il significato, la continuità della sua opera filosofica, a partire dai primi corsi friburghesi, passando per Essere e tempo, fino alle ultime opere. L’interesse è inoltre tenuto alto anche dal continuo riesame della questione politica e della connivenza dell’autore M. Heidegger, Essere e tempo, op. cit., p. 519. Cfr. per una panoramica sull’influsso del pensiero heideggeriano F.Volpi (a cura di), Guida ad Heidegger, op. cit., pp. 265-298. 92 Cfr. A. Caputo, Vent’anni di recezione heideggeriana (1979-1999). Una bibliografia, Milano, Franco Angeli, 2001. 90 91
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con l’ideologia nazista. Sicuramente molti dei temi heideggeriani, tra cui quelli che caratterizzano l’analitica esistenziale, possono essere considerati importanti per il dibattito filosofico contemporaneo, basti pensare alle sue lucide intuizioni sulla tecnica. La recezione e la critica del suo pensiero avviene fin dagli anni Trenta ed è addirittura suddivisibile in fasi, così come fa notare Vattimo nel suo testo Introduzione a Heidegger.Vattimo afferma inoltre che inizialmente, subito dopo l’uscita di Essere e tempo, manca una specifica letteratura su Heidegger sia in Germania sia negli altri paesi europei, eppure la sua opera viene letta e discussa nella maggior parte dei circoli filosofici, “Heidegger è un termine di riferimento nelle discussioni della filosofia militante”93. I primi commentatori del testo sono alcuni dei suoi allievi, il suo maestro Husserl e alcuni filosofi a lui vicini, i quali non risparmiarono le critiche all’analitica esistenziale: a partire dalla sua “fenomenologia idealistica” Husserl imputa ad Heidegger la caduta in una sorta di antropologismo trascendentale; Scheler […] accusa Heidegger di solipsismo ontologico; muovendosi nella prospettiva aperta dal suo crescente interesse per l’“antropologia” Löwith attribuisce al suo maestro un legame troppo stretto con l’idealismo trascendentale; infine Lévinas […] interpreta l’analitica esistenziale come un ontologismo nichilistico94.
A partire da queste definizioni si può vedere l’interesse e l’effetto che questo testo provoca nel mondo filosofico e di come fin dall’inizio l’originalità del pensiero heideggeriano spiazza i suoi contemporanei, i quali tentano continuamente di riportarlo verso correnti filosofiche determinate, verso vecchie e nuove etichettature. La prima lettura di Essere e tempo si svolge principalmente in termini di filosofia dell’esistenza95 e di storia della metafisica. Diamo adesso un breve sguardo alla recezione italiana di Seit und Zeit96, partendo dal presupposto che questo testo ha avuto un’influenza importante sullo stesso sviluppo della filosofia italiana del Novecento. Anche qui possiamo, a nostro avviso, distinguere due fasi97. La prima fase può es15
G.Vattimo, Introduzione ad Heidegger, Roma-Bari, Laterza, 2001 , p. 147. D.Vicari, Lettura di Essere e tempo di Heidegger, Torino, UTET, 1998, p. 311. 95 “Heidegger è stato dapprima tradotto in una vulgata esistenzialistica; poi ci si è dovuti accorgere che il suo pensiero, fin da subito, affrontava la questione del senso dell’essere spiazzando l’idea tradizionale di uomo; infine si è riconosciuto che la cosiddetta ‘distruzione del soggetto’, il suo tentativo di modificare lo sguardo, era il tema più importante e trasformatore”. P.A. Rovatti, Esistenzialismo, in P. Rossi (a cura di), La Filosofia.Vol IV Stili e modelli teorici del Novecento, Torino, UTET, 1995, p. 91. 96 Per approfondire questa questione cfr. R.Tommasi, ‘Essere e tempo’ di Martin Heidegger in Italia (1928-1948), Milano, Glossa, 1993. 97 Abbiamo scelto di dividere la recezione italiana (ma non solo italiana) di Heidegger 93 94
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sere racchiusa tra il 1928 e il 1953. Nel 1928 esce, infatti, il primo articolo sul pensiero di Heidegger da parte di un autore italiano sulla “Rivista di filosofia”98, ma ancora non esistono traduzioni italiane della sua opera e il dibattito rimane racchiuso all’interno di circoli ristretti di studiosi, o meglio, viene svolto grazie all’interesse personale di singoli studiosi per le tematiche heideggeriane. Quindi la conoscenza del pensiero heideggeriano non era spesso, possiamo dire, di prima mano. Il 1953 sarà un altro anno fondamentale per la conoscenza italiana della filosofia heideggeriana: esce, infatti, la traduzione di Essere e tempo ad opera di Piero Chiodi. Da questo momento il dibattito si amplia notevolmente e si apre la seconda fase di riflessione sulla filosofia heideggeriana. Non è facile delineare la recezione italiana del testo da noi preso in esame in quanto il panorama filosofico nel corso del Novecento è estremamente vario ed ha visto lo sviluppo (la nascita e la morte) di molti pensieri filosofici, e il contributo di molti autori. Essere e tempo nelle sue prime interpretazioni italiane viene messo in relazione all’idealismo e all’attualismo gentiliano99, il modo in cui Heidegger viene letto e discusso nei primi anni trenta appare condizionato dal riferimento quasi esclusivo ad Essere e tempo letto in relazione alla problematica dell’atto100.
Così come viene guardato il rapporto che Heidegger intrattiene con la fenomenologia. In seguito verrà letto come il testo fondamentale del pensiero esistenzialista e per la sua centralità in ogni riflessione sull’esistenza. I temi che qui vengono maggiormente indagati sono la relazione che intercorre tra la teorizzazione del Dasein e la categoria di esistenza. Siamo anche in questo caso di fronte ad un panorama estremamente vario che vede interventi di molti autori (provenienti da scuole diverse) come Nicola Abbagnano, Luigi Pareyson101, lo stesso Piero Chiodi ma anche Enzo in due fasi cronologiche; altri autori preferiscono un criterio di divisione in base all’orientamento filosofico degli autori che hanno svolto la critica e la lettura di Heidegger (si può così avere interpretazioni esistenzialistiche, ontologiche e ermeneutiche). Personalmente questo criterio ci appare troppo restrittivo non solo in relazione al rischio di etichettare lo stesso Heidegger, ma anche nei confronti dell’evoluzione stessa del pensiero di quei filosofi italiani che si sono con il nostro autore confrontati. 98 G. Grasselli, La fenomenologia di Husserl e l’ontologia di Heidegger, “Rivista di filosofia”, XIX, 1928. 99 Heidegger e Gentile si incontrarono a Roma nell’aprile del 1936; è noto che non conoscevano affatto l’uno il pensiero dell’altro. 100 R. Tommasi, ‘Essere e tempo’ di Martin Heidegger in Italia (1928-1948), op. cit., p. 154-155. 101 Cfr. N. Abbagnano, La struttura dell’esistenza, Torino, Paravia, 1939; L. Pareyson, Studi sull’esistenzialismo, Firenze, Sansoni, 1943; L. Pareyson, Esistenza e persona, Torino, Taylor, 1950.
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Paci102, (solo per citarne alcuni), i quali ci regaleranno originali e affascinanti interpretazioni dell’analitica esistenziale. Alla molteplicità delle interpretazioni filosofiche103 si accompagnano le diverse motivazioni, che spingevano autori di scuole diverse a confrontarsi con il testo, alcuni cercavano un raccordo tra la filosofia tedesca e quella italiana; altri cercavano in Heidegger degli stimoli per illuminare o sviluppare i portati dell’attualismo, […] altri ancora (i neoscolastici) cercavano […] un aiuto per la riaffermazione della filosofia come scienza rigorosa e per la ripresa del problema dell’essere e della contingenza104.
Dopo gli anni Cinquanta, il dibattito si allarga, così come vengono alla luce nuove filosofie e nuove letture. Si hanno così interpretazioni che guardano ad un possibile pensiero nichilista in Heidegger e in Essere e tempo (legato all’essere-per-la-morte e all’apparente assenza della speranza in questo testo) come l’elaborazione dell’analitica esistenziale svolta da Emanuele Severino105. Ma una nuova e importante lettura heideggeriana (concomitante all’uscita in traduzione di altri testi e corsi di Heidegger) proviene dal fronte ermeneutico che si sviluppa nel corso degli anni Sessanta e Settanta e del quale Gianni Vattimo è stato uno dei rappresentanti. Già da questa breve carrellata si può vedere come l’influsso di Essere e tempo sia stato, quindi, molto ampio. Gli effetti che questo testo ha avuto non riguardano solo, però, l’ambiente filosofico. Una delle sue particolarità è stata proprio quella di influenzare campi assai lontani dai suoi intenti originari. Dedichiamo un breve accenno, utile per comprendere quanto questo testo sia stato fonte di una rivoluzione culturale tout court, al pensiero in ambito psichiatrico di Ludwig Binswanger fondatore della Daseinsanalyse. L’uscita di Essere e tempo, rappresenta per Binswanger un’“illuminazione”, così come egli stesso afferma: fu proprio l’opera di Heidegger [...] a sollecitare lo psichiatra, ancora tutto invischiato nel neokantismo se pur già educato alla fenomenologia di Husserl, nei suoi sforzi di approfondimento della comprensione clinica delle malattie della psiche e della mente e impegnato nell’elaborazione dei fondamenti scientifici della psichiatria in generale, in modo tale che i suoi 102 Cfr. E. Paci, Pensiero, esistenza e valore, Milano, Mondadori, 1940; E. Paci, Il nulla e il problema dell’uomo, Torino, Taylor, 1950. 103 Oltre alle letture di Essere e tempo da noi citate se ne trovano molte altre. Ad esempio quelle di stampo cattolico, quelle che fanno riferimento all’idealismo, ecc. 104 R. Tommasi, ‘Essere e tempo’ di Martin Heidegger in Italia (1928-1948), op. cit., p. 176. 105 Cfr. E. Severino, Heidegger e la metafisica, Milano, Adelphi, 1994.
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lavori da allora hanno trovato la loro ispirazione e la linea direttiva nelle scoperte fenomenologiche-ontologiche di Essere e tempo106.
È proprio in questo testo che è possibile rintracciare la base teorica che ha permesso a Binswanger di formulare la sua antropologia fenomenologica, attraverso la quale è possibile descrivere le forme fondamentali della presenza dell’uomo. La filosofia heideggeriana ha il merito, secondo Binswanger, di aver oltrepassato la fenomenologia husserliana, così come sottolinea quando afferma che: l’azione “fondamentale” di Heidegger è consistita non solo nel porre il problema delle possibilità trascendentali della relazione intenzionale, ma anche nel risolverlo mostrando come l’intenzionalità della coscienza si fonda sulla temporalità della presenza umana107.
In particolare sono alcuni assunti sviluppati da Heidegger che interesseranno il noto psichiatra come il tema del Dasein e degli esistenziali. Non dobbiamo dimenticare che Heidegger rifiuta la psicologia come scienza fondata sull’analisi di tipo biologico e tenta invece di inquadrarla secondo un “fondamento ontologico che consenta di cogliere l’uomo in ciò che ha di specificatamente umano”108. L’uomo non risulta più essere un “che cosa” ma un “chi è” cioè un’esistenza il cui modo costitutivo è dato dal suo essere-nel-mondo. Binswanger, da Heidegger, raccoglie la teoria del Dasein e gli esistenziali, tentando di curvare tutto ciò in senso psichiatrico e mantenendoli in una posizione ontologica. La riflessione così sviluppatasi darà una svolta alla psichiatria tradizionale e andrà a solidificarsi in una nuova idea di malattia mentale come possibile forma di esistenza (mancata e naufragata); la terapia diverrà il tentativo di riportare l’uomo verso la sua esistenza autentica, fatta di pienezza e libertà. E il pensiero pedagogico? Purtroppo Essere e tempo non ha particolarmente influenzato la riflessione pedagogica, non solo in Italia ma neppure in Germania109. Non esistono specifiche posizioni o autori che abbiano
106 L. Binswanger, Martin Heidegger e la psichiatria, in La psichiatria come scienza dell’uomo, Firenze, Ponte alle Grazie, 1992, p. 73. 107 L. Binswanger, L’importanza dell’analitica esistenziale di Martin Heidegger per l’auto-comprensione della psichiatria, in Essere nel mondo, Roma, Astrolabio, 1973, p. 210. 108 U. Galimberti, Psichiatria e fenomenologia, Milano, Feltrinelli, 1999, p. 195. 109 Per la ricezione pedagogica del pensiero filosofico di Heidegger in Germania cfr.: Th. Ballauff, Philosophische Begründungen der Pädagogik, Berlin, Duncken & Humblot, 1966; Th. Ballauff, Systematische Pädagogik, Heidelberg,, Quelle & Meyer 1970; O.F. Bollnow, Existenzphilosophie un Pädagogik, Stuttgart, W. Khlhammer Verlag, 1959; K. Meyer-Drawe, Aneigung – Ablegung – Anregung. Pädagogische Orientierung an Heidegger, in A. Gethmann Siefert, O. Pöggeler (a cura di), Heidegger und die praktische Philosophie, Frankfurt am Main, Suhrkamp,
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seguito e fondato la propria riflessione a partire da Essere e tempo o dalla filosofia heideggeriana110. Certo il pensiero heideggeriano e l’analitica esistenziale sono stati spesso “sfruttati” e utilizzati, o talvolta, come succede al concetto di Cura, anche stravolti (o appiattiti e semplificati). La poca considerazione che Essere e tempo ha ricevuto dall’ambiente pedagogico emerge anche dall’assenza quasi totale di una bibliografia in chiave pedagogica dedicata a Heidegger. Ritorneremo adesso, dopo aver tracciato l’origine, la storia e i temi fondamentali di Sein und Zeit (in questa breve e “veloce” analisi) alla ricerca delle piste più significative per una riflessione pedagogica, rileggendo alcune parti e approfondendole. Una questione, infatti, resta ancora in sospeso: è rintracciabile nel testo una antropologia filosofica? Vi è un’idea di uomo su cui poi fondare l’idea di un Essere e tempo romanzo di formazione? Sì, nonostante Heidegger sempre neghi la presenza di una riflessione antropologica, la sua analitica esistenziale, proprio in virtù del suo voler guardare all’esistenza, ci lascia interessanti piste di ricerca. Proveremo adesso a ri-tracciarne alcune.
1988; A. Niesseler, Vom Ethos der Gelassenheit. Zu Heideggers Bedeutung für die Pädagogik, Königshausen und Neumann, Würzburg, 1995. 110 Vedremo in seguito, nell’ultimo capitolo, quando affronteremo la questione pedagogica, quegli autori come M. Gennari che hanno portato avanti una riflessione in chiave formativa dei contenuti heideggeriani.
CAPITOLO II
L'ANALITICA ESISTENZIALE COME ANTROPOLOGIA "Ma in capanne abita l'uomo, e s'avvolge nella vere condia dei panni, perché è più intimo{...); e serbare lo spirito, come la sacerdotessa la fiamma cele ste, questa è la sua intelligenza. Perdò gli è data, a lui simile agli dei, la libertà [...);e fu data all'uomo la lingua, dei doni il più pericoloso". J.C.F. Holderlin
2. 1 . Heidegger e l'antropologia Cercare di rintracciare un'antropologia filosofica nel pensiero di Hei degger può sembrare, in apparenza, un controsenso e un puro gioco teorico interpretativo ab-extra. Infatti, lo stesso autore, più volte, ha negato di voler tracciare con le sue argomentazioni un percorso antropologico. Questa sua intenzione si può vedere non solo in Essere e tempo, ma anche in altre opere come ad esempio in Kant und das Problem der Metaphysik (Kant e il problema della metafisica) 1, quando l'autore cerca di definire l'antologia fondamenta le e afferma che essa "è la metafisica dell'Esserci umano. [ . . . ] Essa rimane radicalmente distinta da ogni antropologia, anche fùosofica"2• Ciò che Heidegger fortemente contesta risiede nel fatto che oggi, a suo avviso, nell'antropologia filosofica si fanno ricadere tutte le possibili idee sull'uomo, tutto viene rapportato e analizzato in chiave antropologica, tanto da far perdere a questa disciplina qualsiasi carattere di determinatezza. Ma l'autore va oltre e dichiara: oggi la parola "antropologia" non è più da gran tempo il semplice nome di una disciplina, ma indica una tendenza fondamentale della posizione at tualmente assunta dall'uomo sia rispetto a se stesso, sia rispetto alla totalità dell'ente. Secondo questa posizione fondamentale, si ritiene di conoscere
1 In questo testo sono rintracciabili due diverse definizioni di antropologia fùosofica. La prima definisce l'antropologia come la scienza dell'uomo, la quale prende in conside razione tutto ciò che differenzia l'ente-uomo dagli altri enti presenti nel mondo (piante, animali, ecc.), costituendosi così come "antologia regionale" . Il secondo significato è con seguenza del primo e guarda all'antropologia fùosofica come quella ricerca che tenta di determinare la soggettività umana. 4 2 M. Heidegger, Kant e il problema della metafisica, Roma-Bari, Laterza, 2004 , p. 1 1 .
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e di comprendere qualcosa, solo quando si sia trovata una spiegazione an tropologica al riguardo3.
Ma perché avviene tutto questo? Risponde ancora l'autore: nessuna epoca ha avuto, con1e l'attuale, nozioni così numerose e svaria te sull'umno. Nessuna epoca è riuscita, come la nostra, a presentare il suo sapere intorno all'uomo in modo così efficace e affascinante [ . . . ]. È an che vero, p erò, che nessuna epoca ha saputo meno della nostra che cosa sia l'uomo. Mai l'uomo ha assunto un aspetto così problematico come ai nostri giorni4•
In queste profonde osservazioni dell'autore, a nostro avviso, possiamo trovare alcune delle motivazioni che lo spingono a svolgere la sua ricerca sull'essere, fino a far diventare la questione dell'uomo e della sua esistenza uno dei terni centrali e fondamentali di tutta la sua produzione fùosofica. Heidegger come molti suoi contemporanei percepiva e vedeva lo spae samento dell'uomo, la problematicità del soggetto (diremo noi oggi) e a partire da questo tenta, attraverso le sue analisi, di mettere a fuoco l'epo ca del "disincanto" , rimanendo nonostante tutto incapace di trovarvi so luzioni (e probabilmente il trovare soluzioni non era nei suoi intenti), ma regalandoci importanti chiavi interpretative - come vedremo anche in se guito - per gettare nuova luce sulla questione dell'uomo. Ritornando, però, alla questione antropologica vediamo ancora come in altri testi guarda - e definisce - l'antropologia come parte della metafisica, anzi, proponendo tra di esse un forte e profondo legame, come si legge in Vortrage und Aufiatze (Saggi e discorsr) quando afferma, ancora una volta, che la filosofia propria dell'epoca della metafisica compiuta è l'antropologia. Che si parli ancora di antropologia "fùosofica" oppure no è del tutto in differente. La filosofia è diventata antropologia, e su questa via si è tra sformata in una preda p er la discendenza della metafisica, cioè per la fisica intesa nel senso più vasto, che comprende la fisica della vita e dell'uomo, la biologia e la psicologia. Divenuta antropologia, la fùosofia stessa perisce a causa della metafisica5.
Ecco qui tutto lo spirito avverso di Heidegger per l'antropologia vista come quella metafisica, ormai decadente, che "uccide" il profondo senso di ricerca e stupore della fùosofia, che guarda l'uomo come una rappre sentazione e non "pensa" l'uomo nel suo intimo essere.
3 l vi, p. 1 8 1 . 4 Ibidem. 5 M. Heidegger, Saggi e discorsi, Milano, Mursia, 1991, p. 56.
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Ancora prima di questa affermazione (forte e decisa contro l'antropo logia) troviamo un primo rifiuto di Heidegger nei confronti di questa di sciplina nel già citato corso del '23 - Ontologie. Hermeneutik der Faktizitat ( Ontologia. Ermeneutica dell'effettività) - quando analizza il concetto di uo mo come essere provvisto di ragione, proveniente dalla cultura greca, e il concetto proveniente dalla tradizione cristiana affrontando"la rivelazione vetero-testamentaria, della costituzione originaria dell'uomo come crea tura di Dio"6• Queste sue analisi lo porteranno a sviluppare il concetto di effettività dell'Esserci e di esistenza come punti centrali dell'analisi filoso fica che, al contrario, l'antropologia ha lasciato da parte. Importante per noi appare, poi, il giudizio sull'antropologia che si rin traccia in Essere e tempo. L'autore nel § 10 si impegna a differenziare la sua analitica esistenziale dall'antropologia, dalla psicologia e dalla biologia 7 • Se condo Heidegger ciò che differenzia l'antropologia (fùosofica) dall'analitica esistenziale è l'incapacità della prima di andare a guardare l'Esserci nel suo fondamento, e di rimanere ancorata a una visione dell'uomo provenien te dall'antologia greca e dalla teologia cristiana. Heidegger discute così la definizione aristotelica di uomo razionale (zoon logon echon) , ribadendo come in essa vi sia un'idea di uomo come semplice-presenza, che guarda ad esso come un essere diverso dagli altri enti in quanto possessore della ragione, e l'idea cristiana dell'uomo visto come creatura fatta ad imma gine e somiglianza di Dio. Tutto questo non risponde al quesito sull'esse re, o meglio, non vi è "una risposta precisa e antologicamente fondata al problema del modo di essere di quell'ente che noi stessi siamo"8, ribadendo, così, la necessità di sviluppare una nuova antologia. Nonostante lo spirito avverso e le opinioni di Heidegger nei confronti dell'antropologia, Essere e tempo, con la sua analitica esistenziale, è e rimane un capolavoro di antropologia filosofica9• Certo diversa è l'idea, che attra verso questo testo, ci possiamo fare di antropologia fùosofica rispetto ai fondatori e ai grandi rappresentanti di questa (si pensi a Scheler, Gelhen, Plessner) , ma tutta l'analisi heideggeriana, nella sua ricerca di un'antolo gia, ha al centro un solo grande quesito: l'uomo, che cos'è l'uomo10• Sep-
6 M. Heidegger, Ontologia. Ermeneutica dell'tffe ttività, Napoli, Guida, 1998, p. 3 1 . 7 Cfr . M. Heidegger, Essere e tempo, Milano, Longanesi, 200217 , § 1 0 , Delimitazione del l 'analitica esistenziale rispetto all 'antropologia, alla psicologia e alla biologia, p. 68. 8 lvi, p. 73 (corsivo dell'autore) . 9 Anche se vi sono filosofi che non condividono questa idea, come Derrida, il quale afferma: "l'analitica esistenziale del Dasein non può avvenire che nella prospettiva di un'an tologia fondamentale. Ecco perché non si tratta né di un'antropologia né di un'etica. Una tale analitica è solamente 'preparatoria' e la 'metafisica del Dasein' non è ancora 'al centro dell'impresa"'.]. Derrida, La mano di Heidegger, Roma-Bari, Laterza, 1 99 1 , p. 7. 10 Il problema dell'uomo non è solo al centro di Essere e tempo, si ritrova anche nel già citato corso del ' 23 (Ontologia. Ermeneutica dell'rjfettività). Qui Heidegger, parlando dell'an tologia tradizionale denunciando l'incapacità di questa di mantenere centrale il legame, a
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LA 'VITA AUTENTICA' COME FORMAZIONE
pur il termine uomo finisce nel pensiero di Heidegger per scomparire e in Essere e tempo mai l'uomo è chiamato come tale. Questo è una delle questioni più particolari (e forse anche delle più criticabili) del pensiero heideggeriano. Certo Heidegger spiega in parte questo suo rifiuto quando criticherà, nel 1 946 con il Briif uber den 'Humanismus ' (Lettera sull' 'Uma nismo ') , proprio il concetto di umanesimo, che attraverso i suoi vari pas saggi teoretici ha fatto sì che l'uomo non sia più in grado di guardare al suo essere, ma si contempli solo nel suo agire. Ciò che Heidegger fa da Essere e tempo in poi è radicalizzare l'uomo nell'essere; ciò che può essere criticato è proprio questo, il volere stabilire il primato dell'essere sull'uo mo1 1 . Lo stesso Heidegger decreterà questo obiettivo nella Lettera stessa, affermando che il p ensiero di Sein und Zeit è contro l'umanesirno. Questa opposizione non significa che tale pensiero si schieri contro l'umano e propugni l'inu mano, difenda l'inumano e svaluti la dignità dell'umano. Si pensa contro l'umanesimo perché esso non pone l'humanitas dell'uomo a un livello ab bastanza elevato12•
L'esistenza da sola non basta, bisogna arrivare all'essere. Consapevoli di questa radicalizzazione che Heidegger compie, distor cendo - forse - il suo pensiero, continuiamo a vedere nel Dasein l'uomo, certo non l'uomo così come lo vede l'antropologia, ma l'uomo che deve e può entrare in contatto con il suo essere più proprio. Alla domanda sull'uomo non si può rispondere, afferma Heidegger, con una "semplice " descrizione delle particolarità e peculiarità delle ca ratteristiche dell'uomo, che lo differenziano dagli altri esseri viventi; tale questione necessita, invece, di una risposta in chiave antologica: attraverso la ricerca dell'essere stesso dell'uomo. La domanda sull'uomo è considerata da Heidegger fondamentale, e tutto Essere e tempo è una ricerca dell'essere dell'uomo. Come è emerso già nel capitolo precedente questo testo inizia proprio con un'analisi pre paratoria su questo argomento. Heidegger imposta il problema dell'esse re dell'uomo partendo dal concetto di quotidianità media, dove media (o meglio medietà) rappresenta tutto l'insieme dei modi di essere dell'uomo, così come vengono a determinarsi nel mondo e l'insieme delle possibilisuo avviso fondamentale, che deve esserci tra la fùosofia e il problema dell'uomo, afferma addirittura che la fùosofia deve non solo iniziare la propria riflessione dall'Esserci ma deve in esso trovare il suo motivo di esistenza: "l'Esserci, a partire dal quale e per il quale la fùoso fia 'è"'. M. Heidegger, Ontologia. Ermeneutica de//'iiffettività, op. cit. , p. 1 1 . 1 1 Cfr. M. Gennari, Martin Heidegger e il "Briif iiber den 'Humanismus ' ", in "Pedagogia e vita", 1 , 2001; M. Gennari, Filosofia della formazione dell'uomo, Milano, Bo mpiani, 2001, pp. 669-683. 12 M. Heidegger, Lettera sull"Umanismo' , Milano, Adelphi, 1995, pp. 5 4-55.
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tà che l'uomo ha nel suo essere-nel-mondo. Heidegger fa questo proprio per evitare l'errore di una teorizzazione astratta e superficiale che egli ri scontra nell'antropologia fùosofica; come sottolinea anche Vattimo parlan do proprio di questa analisi preparatoria e scrivendo che tale essere deve venir assunto e studiato nella sua accezione più generale e comprensiva, in modo da garantirsi anzitutto contro il rischio di assumer ne surrettiziamente un aspetto con1.e essenziale [ . . . ] teorizzando su di esso senza averlo preliminarmente problematizzato13•
L'analitica esistenziale e, quindi, l'antropologia heideggeriana non pren dono avvio da un uomo metafisica, che vive fuori della realtà, ma dalla quotidianità media, che presuppone l'uomo come l'ente che vive la pro pria esistenza immerso in un mondo, in quella quotidianità che è un mo do di essere dell'Esserci stesso. Il rifiuto dell'antropologismo e la via all'antropologia di Heidegger la possiamo già vedere nella scelta, o meglio nel neologismo, che Heidegger conia per esprimere il soggetto della sua ricerca, il Dasein. Questo termine viene utilizzato al posto di persona, sé, vita e possiamo dire anche di spirito (Geist) . Con esso l'autore può andare oltre l'uomo come semplice-presen za. Così lo definisce, in termini antropologici, Gunther Anders, parlando del superamento da parte di Heidegger del naturalismo: il Dasein, cioè l'Esserci - il tema centrale della filosofia di Heidegger - è hiesig, cioè fa p arte dell'aldiqua, appartiene a tot'lto tò Kosmo, ma esso non è "natura" e meno che mai "vita" , nel suo senso biologico, poiché nel la filosofia di Heidegger la parola 'natura' designa già una Seinsweise, cioè un modus existendi che si pone accanto ad altri modi, e la natura "è" solo "per" un "esserci"14.
Il Dasein è l'uomo alla ricerca del proprio essere, è l'essere stesso, ma per arrivare al Dasein è necessario l'uomo. Questo assunto indica come l'ente-uomo intrattiene con l'essere un rapporto privilegiato, una rela zione esclusiva che ci permette di affermare che l'uomo è la via all'essere stesso. Ed è grazie a questo rapporto privilegiato che sorge la necessità di sviluppare un'antropologia fùosofica (che per la precisione potremmo de finire antropologia fenomenologica, visto che il metodo che l'autore usa per sviluppare tutto questo è proprio quello fenomenologico) in chiave antologica, dove per antologia si intende
13 G.Vattimo, Introduzione ad Heidegger, Roma-Bari, Laterza, 200 1 1 5 , p. 1 8 . 14 G. Anders, Heidegger esteta dell'inazione, in G. Anders, H. Arendt, H. Jonas, K . Lowith, L. Strauss, Su Heidegger. Cinque voci ebraiche, Roma, Donzelli, 1 998, p. 23-2 4.
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ogni domandare ed indagare diretti all'essere come tale [ . . . ]."Ontologico2 riguarda allora questioni, spiegazioni, concetti, categorie che sono sorti, oppure non sono sorti, da un n1irare all' essente in quanto essere15•
Attraverso la definizione di Dasein, il suo rapporto con l'essere e l'im postazione antologica è possibile dare una prima caratterizzazione antro pologica dell'uomo. Quest'ultimo possiede, infatti, un primato ontico e uno antologico rispetto a tutti gli altri enti, a cui se ne aggiungerà un ter zo definito da Heidegger onto-ontologico. Il primato ontico proviene dalla struttura dell'essere identificata dal fi losofo tedesco nell'esistenza. Il primato antologico proviene dalla capacità dell'ente stesso di poter porre il problema dell'essere; così come afferma - seppur in maniera estremamente complessa - Heidegger: l'Esserci [ . . . ] in primo luogo ha un prin1ato ontico: questo ente è detenni nato nel suo essere dall'esistenza . In secondo luogo ha un primato antologi co: p er il suo esser-determinato dall'esistenza, l 'Esserci è in sé " ontologico" . Ma all'Esserci appartiene anche cooriginariamente, quale costitutivo della comprensione dell' esistenza, una comprensione dell'essere di ogni ente non conforme all'Esserci. L'Esserci ha pertanto un terzo primato in quanto esso è la condizione onto-ontologica della possibilità di ogni ontologia16•
Questa lunga citazione ci porta ad affermare che è solo attraverso l'analisi del modo di essere dell'Esserci (l'esistenza) che si può arrivare a compren dere l'essere/uomo e che solo l'Esserci in quanto tale può comprendersi o autocomprendersi. In questo terzo primato vi è qualcosa di più, così come afferma Manno, quando nel tentativo di semplificarlo scrive: si potrebbe dire che l'Esserci è la "bocca della verità" , in quanto solo per lui le cose "parlano" [ . . . ]. L'Esserci si scopre nella sua alta spiritualità e potenza in quanto tutte le cose sono mute senza di lui; di fronte alle qua li egli, fisicamente, è un atomo. Tutto l'essere dell'universo è "mediato" dall'Esserci 17,
e - aggiungiamo noi - grazie a questo primato onto-ontologico, a questa peculiarità dell'Esserci, ecco che all'uomo viene data una prima definizione e una prima caratterizzazione che lo distingue da tutti gli altri enti. Si dà così l'avvio all'analitica esistenziale, alla quale - come abbiamo cercato di provare con queste brevi argomentazioni - non possiamo non guardare che come ad una forma peculiare di antropologia filosofica. Ciò
15 M. Heidegger, Ontologia. Ermeneutica della effettività, op. ci t., p. 1 1 .
16 M . Heidegger, Essere e tempo, op. cit. , p. 30. 17 A.G. Manno, Esistenza ed essere in Heidegger, Vol. I, Bologna, Pàtron, 1 977, p. 38.
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che Heidegger si propone in Essere e tempo è di far emergere l'Esserci at traverso l'uomo, di farlo parlare attraverso i modi in cui l'esistenza si di pana nella sua temporalità. Già da questi accenni possiamo vedere come il problema antropologico stava a cuore al nostro autore e sia presente fin dall'inizio del suo pensie ro, anche se le elaborazioni più approfondite sull'essere-uomo si avranno negli anni successivi ad Essere e tempo18• Fondamentale a questo riguardo risulta il testo Die Grundbegrif.fe der Metaphysik. Welt - Endlichkeit - Ein samkeit ( Concettifondamentali della metcifìsica. Mondo -finitezza - solitudine)19• Qui l'autore definisce l'uomo nel suo avere un mondo e riprende, infatti, il concetto di mondo come definito in Essere e tempo, nel suo insieme di cose, u tilizzabili e insieme di rimandt"2° e lo utilizza per differenziare l'uomo dall'animale, in quanto a quest'ultimo non appartiene un mondo così in teso. Ma si spingerà oltre, e definirà l'uomo formatore del mondo. Tre sono gli enunciati chiave che guidano questo testo: la pietra è senza mondo, l'animale è povero di mondo, l'uomo è formatore del mondo, in quanto - come approfondiremo anche in seguito - non solo egli è in grado di manipolare il mondo dandogli forma, ma anche di "pensare" il mondo e gli enti che in esso sono presenti. Ma quale antropologia delinea l'autore in Essere e tempo? Un'antropo logia complessa e ricca, difficile da schematizzare e forse anche da indi viduare nei suoi caratteri essenziali. Innanzitutto l'uomo di Heidegger è 1 8 Interessante a questo proposito risulta l'ipotesi di Costa che si trova in D ifferenza an tropologica e animalità in Heidegger, riguardo proprio allo sviluppo dell'interesse di Heidegger per la questione antropologica: "le ragioni di ciò potrebbero, sulle prime, essere ricondotre a circostanze esteriori, per così dire culturali: il 1928 è l'anno in cui nasce ufficialmente l'antropologia fùosofica. Escono infatti LA posizione dell'uomo nel cosmo di Scheler e D ie Stufen des Organischen und der Mensch [I livelli dell'organico e l 'uomo] di Plessner, che pongono in forma più acuta la necessità di elaborare la specificità antropologica" .V. Costa, Differenza antropologica e animalità in Heidegger, in A. Gualanti (a cura di), L'uomo un progetto incompiuto. Vol. I: significato e attualità dell'antropologia filoscjìca, "Discipline fùosofiche", XII, I, 2002, p. 1 41 - 1 42. Sicuramente l'ambiente culturale, dinamico, nel quale Heidegger si muoveva ha influito sui suoi interessi ed elaborazioni, (fondamentale per lui è sempre stato il confronto e lo "scontro" teorico con altri pensatori), ma la questione non si può certo esaurire in questo. Come abbiamo già detto il problema dell'uomo è vissuto da Heidegger come un problema teorico fondamentale, che è necessario affrontare. Ci permettiamo tale osser vazione in quanto la questione antropologia caratterizza tutta la produzione dell'autore, seppur declinata in modi diversi, e sicuramente non rappresenta una "moda" momentanea, ma una forte esigenza interna del suo pensiero. 1 9 Il corso Concetti fondamentali della met