La tradizione solare nell'antico Egitto 8885405606, 9788885405608

In questo breve ma denso saggio l'Autore ripercorre le tappe che formano il presupposto dell’esperienza religiosa d

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La tradizione solare nell'antico Egitto
 8885405606, 9788885405608

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In questo breve ma denso saggio l'Au­ tore ripercorre le tappe che formano il pre­ supposto dell'esperienza religiosa di Akhe­ naton il faraone "ebbro di Dio", ultimo vero erede dei "faraoni del sole". Sul finire della diociottesima dinastia (XIV sec. a. C.) Akhe­ naton promosse una riforma religiosa, che sconvolse temporaneamente il pantheon tra­ dizionale degli dèi. Il culto del sole, che aveva già conosciuto periodi di grande splendore in epoche ar­ caiche e durante le prime dinastie, venne ri­ proposto con nuove e più ricche suggestioni spirituali. Alla formulazione teriantropica della divinità solare (Ra-Harakhte con la te­ sta di falco e il disco sopra il capo) seguì una raffigurazione dell'Aton come un disco solare i cui raggi terminanti in tante piccole mani con i simboli della croce egizia si pro­ tendevano a infondere il "soffio della vita". L'Aton simbolizzava bene, come cerchio celeste, l'idea della totalità e dell'infinito anche per gli altri popoli. Ogni riferimento all'iconografia tradizionale era scomparso; la divinità, adesso, era rappresentata nella forma più astratta che mai si fosse vista in terra d'Egitto. Aton era il perfetto visibile, contrapposto al concetto dell'invisibilità di Amon, che chiunque poteva adorare nel suo aspetto naturale; la sua presenza in cielo era garanzia di vita per tutti. Il re tornava a essere il supremo sacerdote, l'unico vero officiante e intermediario fra il Divino e il mondo, come un tempo la tradizione aveva previsto. Akhenaton, in sostanza, propose la vec­ chia teologia in termini assolutamente nuo­ vi, purgata da ogni impurità e compromes-

so: la forma più spirituale che potesse dar­ si alla religione del sole. La dottrina dell'Aton è esposta nel "Gran­ de Inno" composto dallo stesso re; l'inno, che presenta uno straordinario parallelismo di pensiero e di struttura con il Salmo 104, è considerato fra i capolavori della lettera­ tura egizia e, a una attenta "lettura inter­ na", rivela tutte le caratteristiche della fede di Akhenaton. Scrive l'Autore: « ... abbiamo parlato, e non a caso, di "lettura interna" perché (come è stato dimostrato dalle ri­ cerche più recenti) l'unico modo per cerca­ re di capire il messaggio della sapienza egi­ zia è quello di smettere gli abiti della men­ talità moderna, di farsi, in qualche modo, "egiziani" con un senso di comprensione e di simpatia, rivivendone, senza preconcet­ ti, il mistero dati'interno». In "Appendice" è stato inserito lo scrit­ to, "Donna, sacerdotessa, dea: i tre livelli del femminile nell'Egitto antico", dove I'Au­ tore sottolinea come poche civiltà hanno accordato, al pari di quella egizia, tanto rilievo ed emancipazione alla donna quale modello sensibile di un archetipo cosmico. Bent Parodi, laureato in filosofia, ha ap­ profondito gli studi di archeologia e filologia classica; si è specializzato in storia comparata delle religioni arcaiche orientali, indirizzando i suoi interessi nell'area del mito e della dimen­ sione iniziatica. Profondo studioso della tema­ tica iniziatica tradizionale, ha pubblicato: "La parola svelata" (1985), "Architettura e mito" (1988), "Il mito dell'amore" (1991), "Oltre lo zero" (I 992), "Miti e storie della Sicilia anti­ ca" (2003), "L'iniziazione" (2004). In copertina: Statua di Akhenaton. Museo di Luxor. € 14,00

I proventi che si ricavano da questo libro - per il quale non si richiedono diritti d'Autore - verranno impiegati per la ristampa dell'opera. Il contenuto di questo libro non può essere riprodotto con nessun mezzo e in nessuna forma senza il preventivo con­ senso scritto dell'Editore, ad eccezione di brevi citazioni per recensione riportandone la fonte. © 2005 Asram Vidyii, Via Azone 20 - 00165 Roma Il presente volume è stato composto con il carattere "Vidyii" © 1993 Asram Vidyii. I geroglifici sono stati ottenuti con il font "EgyptVidyii" © 2005 Asram Vidyii. ISBN 88-85405-60-6

BENT PARODI

LA TRADIZIONE SOLARE NELL'ANTICO EGITTO

EDIZIONI ASRAM VIDYA

a Raphael «Dammi la luce affiché io possa vedere la tua bellezza». Il libro dei morti

Ra dalla testa di falco, che porta sul capo il disco del sole e l'uraeus e Harakhte, sul dorso di un vitello, che passa tra gli alberi posti a segnare l'orizzonte (tomba di Sennedjem, XIX dinastia, Tebe)

PREFAZIONE Nell'antico Egitto, sul finire della XVIII dinastia, una rivo­ luzione religiosa, quella promossa da Amenhotpe IV-Akhenaton, sconvolse il pantheon tradizionale degli dèi. Falll, malgrado le sue aspirazioni democratiche, perché il culto monoteistico propugnato dal faraone "ebbro di Dio" aveva, in realtà, carattere aristocratico: il sole, svincolato da ogni rap­ presentazione antropomorfa e zoomorfa, era nozione arcaica nella terra del Nilo. E durante la IV e, soprattutto, la V dinastia aveva conosciuto il suo massimo splendore cultuale. Un ritorno alle origini, dunque, quello perseguito da Akhe­ naton, che tuttavia segnò il culto solare di nuove e più ricche suggestioni spirituali. La riforma non sopravvisse al suo promotore. Fallì per molteplici ragioni, fu sepolta dall'oblio politico e dalla male­ dizione dei sacerdoti del potente dio Amon di Tebe. Di quell'età così breve, eppure così intensa, molto s'è scritto, molto s'è detto. Ma poco, quasi nulla, s'è cercato di capire dell'ideologia religiosa di Amenhotpe IV-Akhenaton: l'Atonismo attende ancora di essere decifrato per quello che fu davvero, la grande ierofania solare del mondo antico, autentico precorrimento del "sole" cristiano. Il saggio che segue vuol essere un contributo (il primo in questa direzione) per la corretta comprensione dell'Aton. Essa finora è mancata per obiettive difficoltà filologiche e di meto­ do, che ritengo tuttavia superabili con l'indagine storico-com­ parativa e, soprattutto, con una puntuale ricostruzione della mentalità religiosa degli antichi Egizi.

La Tradizione solare nell'antico Egitto

Per capire lo spirito dell'Atonismo ho cercato di compiere un gran balzo all'indietro, ai primordi stessi della storia egizia­ na, quando il culto solare fece la sua prima apparizione nella terra del Nilo. Ho cercato di compenetrare i meccanismi inter­ ni del mondo di heka, la "magia" egizia del fare. Più ancora, con un moto di assimilazione simpatetica (sen­ za il quale è vano scandagliare l'anima degli antichi), mi sono messo nei panni d'un sacerdote egizio, ho ragionato come lui ragionava. Di questa proiezione è frutto il saggio che presento ai lettori, espressione matura d'una ricerca nata in ambito universitario. Un'ultima avvertenza: come per ogni civiltà fondata sul pensiero mitico, è necessario rifarsi a categorie che non sono quelle logiche inventate dalla filosofia greca e che ci hanno fin qui condizionato. L'Egitto richiede un diverso stile di pensiero, quello del­ l'età dei sapienti. Le sue esperienze religiose vanno rivissute dall'interno e non con la mentalità storicistica del mondo moderno.

INTRODUZIONE Culti solari e spinte monoteistiche

Sollevando, d'istinto, lo sguardo verso il cielo l'uomo pri­ mitivo fu subito colpito dalla presenza del sole. Oscuramente comprese che la sua vita era legata a quel "disco di fuoco", che quei raggi segnavano il principio e la fine dei ritmi naturali. Ne saggiò il calore benefico ma ne vide anche gli effetti di­ struttivi quando, agricoltore dei primordi, conobbe la siccità. E di un'altra cosa quel nostro lontano antenato non poté fare a meno di accorgersi: la luce era strettamente associata al sole; al tramonto sopravvenivano le tenebre e con esse la paura ch'egli cercò di combattere col fuoco, prezioso surrogato del­ l'astro diurno. La prima, inconscia, metafisica fu, dunque, quella della luce: buio era il male, la morte; chiarore la vita. Ogni alba sembrò il ripetersi rituale, ante litteram, d'una resurrezione cosmica. Sembrerebbe facile immaginarsi in questo modo la nascita del sentimento religioso e così si pensò generalmente fino a cento anni fa. Oggi, però, è chiaro che il culto del sole è un frutto rela­ tivamente tardivo nella storia delle religioni. La sua suprema­ zia, come hanno attestato le ricerche del grande etnologo James Frazer 1 e di A. Bastian (già fin dal 1870), si riscontra in poche aree: sconosciuta in Africa, in Australia, in Melanesia, in Polinesia, in Micronesia e, salvo poche eccezioni, anche nelle 1

James Frazer, The Worship of Nature, p. 441, voi. I. Londra 1926.

Offerta a Horus, il più antico dio-re che si incarna nei vari sovrani

Introduzione

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due Americhe, essa si è sviluppata nel Medioriente, in Asia e nell'Europa arcaica. Né può apparire un semplice caso che siano stati gli Azte­ chi e gli Inca i soli popoli americani a privilegiare le ierofanie solari. Si direbbe proprio, per usare le felici espressioni di Mircea Eliade2 , che «il sole predomina dove, grazie ai re, agli eroi, agli imperi, la storia è in cammino». Viracocha nelle Ande peruviane, Quetzalcoatl nel Messico furono epifanie solari. In Mesopotamia al sumero Utu seguì l'accadico Shamash, da cui i Mitanni derivarono Shimagi. Gli Indoiranici videro più tardi in Mitra una grande manifestazione del sole. E ancora, più a Oriente, precise valenze solari ebbero in India Varul)a e lo stesso Mitra, il cui occhio era Siirya, figlio del luminoso Dyaus, capostipite di Zeus e di Giove. Ovunque il sole ha impersonato nel mondo antico l'ele­ mento maschile in contrapposizione alla terra, madre feconda­ ta dai suoi raggi; due sole, notevoli, eccezioni: Amaterasu in Giappone, e la dea di Arinna in Anatolia (altra ipostasi solare, questa, degli Ittiti, il cui re, come il faraone egiziano, veniva significativamente chiamato "mio sole"). Ma certamente in nessun'altra parte del mondo il culto solare ha incontrato lo stesso favore tributatogli in Egitto3 , una così ricca articolazione, una così profonda teologia capace di 2 M. Eliade, Trattato di storia delle religioni, p. 127. Trad. it. Boringhieri, Torino 1976. 3 Segnaliamo tra gli approcci più corretti: S. Morenz, La religione egi­ zia. Trad. it. Il Saggiatore 1968; R. T. Rundle Clark, Mito e simbolo nell'An­ tico Egitto. Trad. it. Il Saggiatore 1968; H. Frankfort, La religione dell'antico Egitto. Ediz. Scientifiche Einaudi 1957 e La filosofia prima dei Greci, con l'apporto di Wilson, Jacobsen e Irwin. Trad. it. Einaudi 1976.

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La. Tradizione solare nell'antico Egitto

anticipare a una attenta lettura "interna" larga parte dei temi che i greci trasformarono in pensiero laico. Ma, attenzione, abbiamo parlato, e· non a caso, di lettura interna perché (come è stato dimostrato dalle ricerche più re­ centi) l'unico modo per cercare di capire il messaggio della sapienza egizia è quello di smettere gli abiti della mentalità moderna, di farsi, in qualche modo, egiziani rivivendo ideal­ mente i loro miti, senza preconcetti. E con molto sforzo e una buona dose di onestà ci si renderà conto di quanto, tutto som­ mato, è debitrice la "civiltà occidentale" alle prime speculazio­ ni compiute sulle rive del Nilo. Un dato appare già certo: le grandi costruzioni della meta­ fisica idealistica hanno vissuto una straordinaria stagione con la teologia solare egizia, un pensiero religioso che, oltre il velo del mito, è sfociato in un monismo panteistico fino a trasfor­ marsi, nella breve esperienza di Amarna in un vero e proprio monoteismo tout court. Ma la solarizzazione del pantheon divino egizio non è stata incontrastata; ha dovuto fare i conti, già in epoca storica protodinastica, con le cratofanie uraniche, prima di spuntarla sugli spiriti del cielo, assorbendoli. Horus ( - �: hwr = il "Distante"), di cui i primi faraoni furono incarnazione terrena, prima che la teologia solare li retrocedesse alla condizione di "figli di Ra", era un'antica divinità del cielo. E nella stessa capitale del sole Eliopoli (la biblica On, in egizio wn o iwn), H. Junk.er4 ritenne di aver scoperto un antichissimo Allgott celeste in Ur (wr), il cui nome significa il "Grande". Di questa originaria divinità universale, che la prima tradizione religiosa egizia volle associata in uno 4

H. Junker, Die Gotterlehre von Memphis. Berlino 1940.

Introduzione

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ier6s-gamos con Nut, la "Grande" (wrt), secondo il mito della coppia cosmica Cielo-Terra, si è mantenuto il ricordo nel titolo di ur maa (wr maw) portato dal sacerdote più alto in grado di Eliopoli e che, tradotto convenzionalmente in il "grande veg­ gente", suonerebbe piuttosto come "colui che vede il Grande" (l'Ur di cui parla Junker). Anche Amon (4 :2.tl: imn, il "Nascosto" 5), il dio imperiale tebano, di cui avremo ampio modo di parlare in seguito, sareb­ be stato originariamente uno spirito del vento. La prima mani­ festazione religiosa egizia si è, dunque, estrinsecata nelle manifestazioni di forza naturali, con una polarità fra ciclo astrale e ctònio; quest'ultimo fu rappresentato anche qui, come in tutta l'area mediterranea, da una "Grande Madre", che ebbe nomi diversi (come quello di Neith, la "Vergine cosmica" di Sais) e che, al termine della civiltà faraonica, riebbe il sopravvento con la straordinaria diffusione ecumenica del culto di Iside, ormai svincolata in parte dal suo ruolo di moglie dolente di Osiride, il "dio che muore". Al termine d'un contrasto, sviluppatosi lungo l'arco di molti secoli, la teologia solare ebbe, comunque, il sopravvento sugli Esseri supremi di struttura uranica e si delineò un equilibrio con l'altra, principale, corrente del pensiero religioso egizio: il ciclo di Osiride, espressione principe degli antichi culti della vegetazione. Il bipolarismo, a un certo momento, fu superato con la sintesi finale, frutto del genio teologico dei sacerdoti: Osiride fu considerato il sole notturno, alter ego del figlio Horus, che a ogni alba era destinato a rinascere nella sua for­ ma solare di Ra-Harakhte (cioè, "Ra-Horus dell'orizzonte"). 5

Il nome del dio si pronuncia, infatti, allo stesso modo del verbo nascondere.

La Tradizione solare nell'antico Egitto

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Il campione della religiosità popolare, superato il vecchio conflitto con la teologia aristocratica della regalità, divenne così un aspetto dell'"Unico che si è fatto milioni" 6• Questo sincretismo, favorito soprattutto dalla potente casta sacerdotale tebana, poté trionfare definitivamente solo dopo il crollo dell'eresia amarniana 7 , che sarà l'oggetto della nostra ricerca. La forma più matura della religiosità egizia si concludeva in un cerchio "esoterico", il cui messaggio, comprensibile nell'essenza a pochi iniziati, era adombrato da una fantastica varietà di figure mitiche, di simboli che la pietra ha fermato nella sua fissità: la nascostezza della riflessione teologica trionfò sull' innascostezza della realtà sognata da Akhenaton, il "primo grande individualista della storia", come ebbe a definirlo James Henry Breasted 8 , .e ultimo vero erede dei "faraoni del sole". Ma, prima di esaminare quest'attimo cruciale della mille­ naria storia egiziana, sarà bene accennare al ciclo solare tradi­ zionale, che ne fu il logico presupposto.

Inno ad Amon di Hibis, in A. Scharff, Altiigyptische Sonnenlieder. Berlino 1922. 7 Cioè, il culto dell' Aton professato dal faraone Akhenaton nella città di Amama-Akhetaton [ndr]. 8 J. H. Breasted, Ikhnaton, the Religious Revolutionary. "The Cambridge Ancient History", voi. II, cap. VI. Cambridge 1924. 6

IL PANT HEON SOLARE Furono i "padri divini" (itw ntr), i sacerdoti di Eliopoli (wn), a elaborare il ciclo solare i cui destini s'intrecciarono così strettamente con quelli della regalità. La sintesi di wn era composta di nove dèi, i quali, perciò, formarono l '"Enneade". Prima che il tempo fosse vi era solo il Nun ( -), l'abisso in forme delle ac que svincolato dalla di­ namica del divenire, la protomateria che da ogni parte circonda e avvolge l'universo egizio, una bolla miracolosa prodottasi all'intemo dell'oscura totalità. Da questa "sacca della vita", il prodigio che si manifestò la "prima volta" (sp tpy), affiorò la collina primordiale (la terra emersa dall'abisso), un'immagine che agli Egizi probabilmente fu suggerita dai tumuli di fertile limo che affioravano al decrescere della piena del Nilo. Per la cosmologia eliopolitana fu questa la forma fisica in cui si manifestò Atum, il Demiurgo•. Nato da se stesso, "ve­ nuto in esistenza da solo", questo Essere supremo è uno dei capisaldi della metafisica eliopolita. Lo dimostra il suo nome, che nelle componenti consonantiche suona così: "Tutto ciò che è, tutto ciò che non è"; diversi studiosi hanno tradotto libera­ mente con "completo" ma sembrerebbe più corretto vedere in Atum la potenzialità, che nel miracolo della "prima volta" si manifesta nella dinamica del tempo con l'emergenza del di1 Afferma testualmente il paragrafo 587 dei Testi delle piramidi, ed. Sethe: «Salute a te, Atum! / Salute a te, Diveniente che avesti origine da te stesso! / Tu sorgesti nel tuo nome di Alta Collina, / Tu fosti col tuo nome di "Colui che diviene"».

2 La Tradizione solare

Shu (l'aria) che separa Geb (la terra) da Nut (il cielo)

Il pantheon solare

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venire, Khoprer, simbolizzato dallo scarabeo stercorario, ideo­ gramma del sole nascente e primo termine del relativo scatu­ rito dalla totalità di Atum. Ma procediamo con ordine: il demiurgo (raffigurato in veste antropomorfa o come serpente dai "mille attributi") dà inizio alla creazione generando (per emanazione, diremmo oggi), ma­ sturbandosi o sputando (secondo le varianti del mito), la prima coppia divina, che raffigura il principio della dualità: Shu, l'aria e Tefnut, l'umidità (espansione e contrazione, forza centrifuga e forza centripeta, secondo una possibile interpretazione esote­ rica); dall'unione di queste due cratofanie nascono Geb, la terra, e Nut, il cielo. La loro separazione, secondo il mito, avvenne in questo modo: Shu separò con la forza i suoi figli abbracciati. Posò il piede su Geb (la terra) e tenne Nut (il cielo) sollevata nelle sue mani: così abbiamo, appunto, l'aria che separa il cielo dalla terra. Geb e Nut generarono quattro figli: Osiride, che sposò Iside, Seth che ebbe per moglie Nephtys. E qui, sulla più clas­ sica formulazione del mito cosmogonico eliopolita, si innesta la leggenda di Osiride, il "dio che muore" la cui eredità fu raccolta dal figlio Horus, ben presto assimilato al culto solare con l'associazione al più antico "Horus, il maggiore", la divi­ nità uranica originaria venerata dai re dell'Alto Egitto che conquistarono il Delta 2• L'integrazione delle due ierofanie av­ venne con Ra-Harakhte ("Ra-Horus dell'orizzonte"), forma spe­ ciale della regalità solare. Fin qui l'"Enneade-tipo", che influenzò notevolmente tutte le altre sintesi, da quelle principali di Menfi (ciclo di Ptah), di Edwin Oliver James, La nascita della religione, p. 177. Trad. it. Il Saggiatore, Milano 1961. 2

La Tradizione solare nell'antico Egitto

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Ermopoli (Khmunu, la "città degli otto" in cui il sole fu il primo nato dagli otto spiriti primordiali), di Tebe (nwt 'imn, la "città del Nascosto", cioè di Amon, l'originario dio del vento e solarizzato già fin dalla XII dinastia), ai cicli locali (Khnum, il dio-ariete col tornio da vasaio di Elefantina), Sobek (il dio­ coccodrillo di Ombos e di Al Fayyum) e tante altre, che si appropriarono ben presto delle qualità divine di Ra. Si fece di questo grande dio un aspetto particolare di Atum, in auge a Eliopoli sin dalla IV dinastia, nella sua epifania solare: un attributo (la "bocca in azione") e non il vero nome, come ci ricorda un popolare racconto in cui Iside con uno stratagem­ ma riesce e farsi svelare la vera identità del suo grande avo 3 • Le altre due ipostasi della trinità eliopolitana erano: Khoprer, l'astro sorgente al mattino, e lo stesso Atum, rappresentato come un grande vecchio, al tramonto. A completare questo ciclo intervenne ben presto Osiride come sole notturno, prota­ gonista-antagonista della semisfera sotterranea: il "Signore dell'Occidente" garantiva il completamento dialettico del cer­ chio. Ra simbolizzava il sole allo zenit (� ®) e la spi­ ritualizzazione del culto; il geroglifico suggerisce anche l'im­ magine della "bocca in azione", e può alludere alla teofania per logos (la parola era sacra per gli Egizi), ricordando la vibrazione divina del tempo primordiale, il sp tpy che per la "prima volta" aveva increspato la superficie delle acque (-). E qui va ricordato che concetti espressi con la medesima grafia possedevano, per la mentalità egizia, lo stesso valore essenzia­ le, la medesima realtà; e parimenti avveniva per le assonanze verbali, le omofonie, e i giochi di parole. Lo guarl dal morso di un serpente, da lei stessa prodotto, in cambio del suo vero nome e facoltà a esso inerenti [ndr]. 3

Il pantheon solare

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Ricordiamone alcuni altri esempi significativi: Atum, come abbiamo già ricordato, generò Shu e Tefnut, espettorando e sputando, un'immagine per noi decisamente prosaica ma che nascondeva una realtà essenziale dal momento che ishes (espet­ torare) e tef (sputare) ricordano nel suono molto da vicino la prima coppia cosmologica di Eliopoli; un altro mito, molto popolare, ricorda come l'umanità (reme) sia nata dalle lacrime (remyt) di Ra, con un accostamento che, al di là del valore poetico, cela nel suo simbolismo un'evidente metaf isica. Anche la scrittura (medu ntr = "parole del dio") aveva un deciso valore sacrale, oltre che letterale, co mmisurato sugli schemi del miracolo della "prima volta", una nozione centrale della speculazione egizia, come s'è già visto, senza cui è vano cercare di capire i segreti del pensiero mitopoietico. Chi fosse interessato ad approfondire questi aspetti, che esulano dalla nostra ricerca specifica, troverà ampi riferimenti bibliografici al termine del volume. Ma non possiamo fare a meno di ricordare ancora l'omo ­ fonia principe degli Egiziani: il nome dello stesso demiurgo, Atum, che può connettersi sia a una radice che significa "es ­ sere completo: tutto", sia a quella del verbo "non essere". Questa brillante associazione, come ricorda un Testo dei sarcofagi della fine dell'Antico Regno, consentiva di a fferma ­ re che "colui che non è, è colui che è tutto", risolvendo in una immagine, con procedimento tipico del pensiero mitopoietico, la polarità fra unità e molteplicità, che ha condizionato tutta la storia della civiltà egizia. Atum, l'Essere nella sua fase di "non manifestazione" (il parabrahman degli Indù), si esplicita con Khoprer e Ra nella dinamica del tempo (divenire e pensiero, logos) per tornare in se stesso, dopo il ciclo della molteplicit à, riassorbendosi nell'unità originaria del Tem: col c he è conclu-

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so il processo circolare della sapienza eliopolitana. Con quale escatologia? Con quali riflessi sull'uomo che, per avere an­ ch'egli una "bocca" capace di "azione", fu fatto a somiglianza di Ra? La più chiara allusione al destino del mondo ce la fornisce un passo del Libro dei morti (cap. CLXXV), che parla anche dell'apocatastasi inevitabile della fine dei tempi: «"O Atum, cosa è che io vado al deserto? Là non c'è acqua, là non c'è aria, ed è profondo profondo, oscuro oscuro, infinito infinito?". "Tu vivrai là in pace". "Ma qui non c'è piacere di donna". "lo ti ho dato di essere spirito in cambio di acqua, aria e piacere; e quiete in cambio di pane e birra"». Così disse Atum. «"E vedere la tua faccia?". "Io non tollero che tu abbia privazioni". "Ma ogni dio ha preso posto nella Barca dei Milioni (la barca solare)". "Il tuo posto appartiene (ora) a tuo figlio Horus"». Così disse Atum. Infine, Osiride (il simbolo dell'Uomo Cosmico) pone un'ul­ tima domanda: «"E cosa è la durata della vita?". "Tu sarai per milioni di milioni in una durata di milioni 4 • Ma poi distruggerò tutto quel che ho creato e questa terra andrà nel Nun, fattasi oceano come in principio. Io sono quegli Così gli Egizi indicavano l'eternità, senza tuttavia eguagliarla all'in­ finito e sfuggendo all'equivalenza proposta dalla speculazione cristiana. 4

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che re sterà con O siride, dopo che mi sarò nuovamente tra sfor­ mato in serpente, che gli uomini non cono scono, che gli dèi non vedono..." » 5 • Come giu stamente o sserva Philippe Derchain 6 , que sto mito sembra indicare chiaramente che O siride, l'Uomo, è de stinato a sopravvivere in quanto idea, mentre tutto i l re sto, la materia, to rnerà a ll'increato. I l brano non richiede ulteriori commenti e spiega e sem­ plarmente quanto fosse sviluppata la metafi sica egizia, seppur celata tra le mag lie de l linguaggio mitopoietico, che è per sua ste ssa natura allu sivo. Prima di conc ludere que sta preme ssa su l ciclo solare, en ­ trando nel vivo dell'argomento, occorrerà ricordare almeno altri due motivi di rifle ssione metodo logica per sottolineare il grado di a strazione raggiunto dai sacerdoti di E liopo li e superato, con un maggior grado di e sp licitazione, solo da lla co siddetta "Teo logia menfita" (la creazione co l "cuore" e con la "lingua", cioè co l pen siero e con la paro la sacra). A Ra, la "bocca in azione", fu attribuito un elenco di quat­ tordici kau 7 , i suoi attributi essenziali ipo statizzati : akhu (lo splendore); heka (la magia); huh (i l cibo); iri (la creazione di alimenti); nekht (la vittoria); pesedy (la lumino sità); semes (la fede ltà); seped (l'abilità); sepses (la gloria); tyehen (lo scintil­ lio); user (il vigore); wadij (i l rigog lio e la pro sperità); was (l 'onore); zefa (l'abbondanza). Tratto da Testi religiosi egizi, pp . 328-9. Utet, Torino 1970 . Trad. di Sergio Donadoni . 6 P. Derchain, La religione egiziana. Trad . i t . Laterza, Bari 1976 . 7 Jbid. pp. 8 1-82. Avremo modo, nei successivi capitoli, di soffermarci sulla struttura degli elementi spirituali nell'antico Egitto. 5

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Dèi e dee egizi dalle tombe del Nuovo Impero. In alto (da sinistra a destra): Ptah, Hathor, Thot, Osiride. In basso: Iside, Anubis, Amon

Queste quattordici qualità consustanziali di Ra furono spesso associate ad altre quattro notevoli ideazioni, che hanno avuto largo peso nella speculazione teologica: huh (parola) , maa (vi­ sta) , sedjem (udito) e sia (pensiero , conoscenza ricettiva). Giova qui ricordare, en passant , che "maa" in egizio signi­ fica anche sapere (vedere = conoscere, con lo stesso rapporto

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di video-eidon) 8 , perché la conoscenza nilotica fu essenzial­ mente visionaria, e che sia fu considerata, nella sua equivalen­ za alla moderna intuizione, come unica fonte di vera scienza (tutti temi, questi, che precorrono i grandi dilemmi del pensie­ ro greco) . L'ultima annotazione riguarda la struttura del termine ntr: 9 � (pronuncia convenzionale: nether) che i moderni egittologi hanno tradotto con "dio", saltando lo scoglio di che cosa gli antichi Egizi intendessero per ntr (ma è pur sempre un'appros­ simazione necessaria e vera, almeno fino a un certo punto). Propriamente ntr era la cratofania, considerata nella com­ pletezza delle sue manifestazioni; ogni divinità locale era de­ finita ntr perché ogni villaggio tendeva a vedere nel proprio dio l "'unico" dio, almeno in senso enoteistico, nel rapporto Io­ Tu, che distingue la speculazione prefilosofica 9 • Ma questa uni­ cità doveva tener conto della molteplicità e, in qualche modo, risolverla in sede teoretica: così si fece ricorso con l'espres­ sione ntr a una trinità, fra le tante che costellano il pensiero religioso egizio. Perché questa trinità ricorrente? Semplicemente perché gli antichi abitatori del Nilo erano soliti indicare il plurale ripetendo per tre volte la stessa parola: sistema sempli­ ce ed efficace, perché oltre tutto tiene giusto conto dell'effi­ cienza magica che al nome veniva attribuito (altro aspetto sul quale ci soffermeremo in seguito) . Ed ecco la trinità: N (-) come Nun; T (e) come Tum; R ( =) come Ra (dove l'equivalenza magica può vedersi sia nei fonogrammi che nella modulazione del valore fonetico) . 8

[ndr]. 9

Cfr. anche la parola sanscrita vid, "vedere-conoscere", da cui Veda H . Frankfort, La filosofia prima dei Greci. Trad. it. Einaudi 1976.

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NTR, dunque, simboleggia la totalità in modo che non potrebbe essere più espressivo e pregnante di valori speculati­ vi, nei tre mondi del Cielo, della Terra e della Duat (dwt: * :i = il "regno dei morti"). Questo per quanto riguarda le tre lettere che formano il ter­ mine "ntr". Ricordiamo in più che il geroglifico impiegato per questa parola rappresenta un bastone intorno al quale si avvolge un pezzo di papiro ( -1" ), il quale simboleggia il territorio sacro dei primi clan che avevano come dio tutelare un ntr privato. Inoltre, il termine può essere avvicinato alla parola "natron", che in egiziano simboleggia l'idea di purezza divina (il natron, carbonato di sodio naturale, serviva anche da sapone). Quel che abbiamo detto potrebbe sembrare frutto di fanta­ sticherie a un occidentale dei nostri giorni, ma non è così. Nella civiltà egizia, dominata da una "molteplicità di approc­ ci", per usare un'espressione cara a Henri Frankfort 10 , i ca­ lembours avevano piena dignità teologica; tanto più si poteva "giocare" con un nome tanto più esso era sacro. L'onnipotenza del suono, l'etimologia come metafisica, il mistero dei gerogli­ fici, gioco di segni e filosofia della scrittura sono altrettante realtà, come hanno accertato studiosi del valore di Serge Sauneron 1 1 • 0

c::i

H. Frankfort, op. cit. p. 6. Serge Sauneron, I preti dell 'antico Egitto, pp. 1 29- 1 3 1. Trad. it. Mondadori, Verona 1 96 1 . 10

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I PRECEDENTI DELL'ATON Si è detto come, in età già storica, la regalità uranica ten­ desse a trasformarsi in monarchia solare, con l'assimilazione di Horus (prenome fisso di molti primi dinasti) al ciclo di Eliopoli. E già all'epoca delle grandi piramidi (IV dinastia: 2700-2650) il vero protagonista era Ra. Ma il grande dio del sole era destinato a vivere la sua stagione più gloriosa con la V dinastia, la cui origine mitica ci è nota attraverso il racconto del Medio Impero in cui si vede la moglie di un sacerdote di Ra concepire, per opera dell'ur nether (wr ntr), il "grande dio", i primi tre re di questa dinastia. La leggenda, dunque, conferma l'importanza assunta dal clero di Eliopoli-On nel tempo in cui il nome di Ra appariva in quasi tutti i cartigli dei faraoni: Sahu-ra, Neferir-ka-ra, Sheses-ka-ra, Neferef-ra, Niuser-ra. Fu allora che il nether nefer (ntr nfr, il "buon dio", il faraone) da incarnazione di Horus divenne figlio di Ra, nella forma speciale di Ra-Harakhte, dio a testa di falco come Horus: il carattere divino della monarchia era esteso al piano cosmico. E fu sempre in questo stesso periodo, l'età dell'oro del culto solare, che sorsero le piramidi di Abusir, i templi 1 dedi­ cati al dio dell'astro, ove la sala del culto era aperta al cielo perché i raggi potessero penetrarla ovunque, con la presenza di un grande obelisco centrale terminante nel ben ben, la pietra

1

Il tempio meglio ricostruito è quello del faraone Niuser-ra.

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solare di Eliopoli, il pyramidion che illuminato dal sole ne rifletteva vivamente i raggi. A questa età si sarebbe largamente ispirato il re eretico Akhenaton nel tentativo di riguadagnare al sole e alla monar­ chia il primato compromesso dallo strapotere della casta sacer­ dotale di Amon2 • Durante l'Antico Impero il rito iniziatico, di cui s'è con­ servata traccia nei cosiddetti Testi delle Piramidi (quelli del faraone Unas), era privilegio del faraone, il solo che potesse legittimamente influenzare il suo destino post mortem con la cerimonia del shw (sakhu = glorificazione). Agli altri, tutt'al più, non restavano che le briciole ultramondane della benevo­ lenza del "Signore delle Due Terre" 3 ; così, in pratica, tutti i vantaggi ultraterreni erano esclusivi d'una ristretta casta diri­ gente. Ma sul finire del Regno Antico, dopo la morte del vecchis­ simo Pepi II (circa 2 190 a.C.) e con il Primo Periodo Interme­ dio avvenne qualcosa di rivoluzionario, un rivolgimento reli­ gioso: i ceti medi, e persino i poveracci, si appropriarono delle sacre formule destinate a garantire l'immortalità nei termini che erano stati prerogativa reale. L'uomo-dio non era più solo: Osiride, il nume dei negletti, lo tallonava; accadeva già da 2 L'eresia di Amarna, per molti aspetti, sia politici che teologici, fu un vero tentativo di restaurazione in senso arcaico, un 'interpretazione solare del sp tpy, la "prima volta". 3 Le Due Terre: l'Egitto, così chiamato per via dei due regni dell 'Alto e del Basso Egitto (poi unificati sul finire del terzo millennio a.C.), i cui sovrani portavano rispettivamente la corona bianca e la corona rossa; o anche perché i due regni erano designati rispettivamente come Terra Rossa e Terra Nera [ndr].

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Particolare di decorazione murale raffigurante il dio Osiride (tomba di Sennedjem, XIX dinastia, Tebe)

tempo. Il conflitto tra Ra e Osiride, il "dio che muore", traspa­ re nei Testi delle Piramidi. «Tu apri il tuo posto in Cielo fra le stelle del Cielo , perché sei una stella... Tu guardi al di là di Osiride, tu comandi ai morti , ti tieni lontano da loro , non sei

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uno di loro». Così scrive, ricorda M. Eliade 4, un apologeta dei privilegi faraonici e della tradizione solare. Il nuovo dio, ben­ ché di struttura popolare (intendiamo, _accessibile anche alle altre classi sociali), è nondimeno potente, e il faraone ritiene opportuno invocare il Sole, perché lo salvi da Osiride: «Ra­ Atum, non abbandonarti a Osiride, che non giudica il tuo cuore e non ha potere sul tuo cuore... Osiride, tu non ti impadronirai di lui, tuo figlio (Horus) non si impadronirà di lui... » 5 • Così ricorda ancora Eliade - l'Occidente, la strada dei morti, diven­ ta una regione osiriaca, mentre l'Oriente resta dominio del sole. Ma col tempo la teoria arcaica dell'immortalità eroica dovette cedere il posto alla nozione più umanitaria della teo­ logia osiriaca. Il sole, specialmente con l'affermarsi del sacerdozio di Amon, si sarebbe _dovuto rassegnare a un "compromesso" de­ finitivo tra le due metafisiche di segno antitetico; col che si chiude per sempre il cerchio. Ma, prima della resa, vi fu un ultimo tentativo di invertire la rotta: la reazione solare della XVIII dinastia, culminata col breve regno di Amenhotpe IV, l'apostata, il "criminale di Akhetaton" 6 • La furia iconoclasta, scatenata dai potenti sacerdoti di Tebe, ha lasciato ben poche testimonianze di quest'età, raschiando ovunque il nome del "nemico" e del suo dio. Ma, per fortuna, Mircea Eliade, op. cit., p. 144-5. I testi delle Piramidi, pp. 145-46; R. Weill, Le Champ des Roseaux et le Champ des Offrandes. 6 "Orizzonte di Aton", nome della città fondata dal faraone Akhenaton in onore del! ' Aton, il "disco", la teofania solare del nuovo culto monoteistico [ndr]. 4 5

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la pazienza di tre generazioni di egittologi ha potuto ricostruire almeno i principali tasselli del mosaico perduto: non molto ma quel che basta per tentare una decifrazione dall'interno del messaggio dell'Aton (4 :: © = 'itn), nuovo simbolo del sole. Nuovo, abbiamo detto, ma non troppo. L'itn, in realtà una vecchia conoscenza, è un termine che indicava il disco solare come entità fisica senza particolari valenze religiose (e come tale, sin dai primordi della storia egizia, era il "gonfalone" di Eliopoli). Ma, tra tanti modi di riferirsi al sole, era anche l'unico che non fosse compromesso col sacerdozio tebano e con la sintesi di Amon, il "Nascosto", che aveva ormai attratto a sé tutte le altre ipostasi divine con un'operazione sincretistica disinvolta al massimo. Aton, dunque, è parola già d'uso frequente nel Medio Impero, come attesta, ad esempio, il passo della storia di Sinuhe 7 che racconta della morte di Ammenemes I (circa 1880 a.C.): «Egli salì al cielo e si unì col disco solare, e le membra del dio si fusero in colui che l'aveva creato... ». Alan Gardiner si chie­ de se in questo caso il termine itn si riferisca o meno alla divinità, anche se, personalmente, propenderei per la prima ipotesi. Ma è un fatto accertato, in ogni modo, che la fortuna del1'Aton era destinata a crescere via via con l'accentuarsi della insofferenza dei faraoni nei confronti della casta sacerdotale, che un tempo aveva lanciato il segnale di riscossa contro gli hika khasut (gli Hyksos). E qui converrà svolgere una breve premessa storica (poli­ tica e religione in Egitto si intrecciano troppo strettamente 7

Cfr. Alan Gardiner, La civiltà egizia, p. 122 . Trad. it. Einaudi 197 1.

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perché l'una possa prescindere da ll'a ltra), partendo, per l'ap­ punto, da lla dominazione deg li aamw (i "vi li asiatici" de l Retenu, la Siria odierna) fra il 1 660 e il 1 550. L'infiltrazione dei maryannu, forti dei cavalli e dei cocchi da combatt imento che non s'erano mai visti ne lla terra del Ni lo, dovette sconvolgere non solo l'orgog lio ma tutta l'impal­ catura ideologica della "filosofia" egizia. S'è già visto come fosse centra le, in quest'ambito, la nozione de lla "prima vo lta" (sp tpy) che poneva l'Egitto a l centro de l mondo, in un aureo iso lamento: Kemi (kmt = la Terra nera) era l' omphal6s, l'"ombelico" del cosmo, ai margini di essa vivevano i "mise­ rabi li" abitatori de l deserto, i barbari incapaci di coraggio e di vittoria. Così aveva decretato il miracolo de l tempo primordia­ le, che agli Egizi aveva arrecato i l dono de lla maat, l'ordine cosmico che non ·ammetteva a lcuna modifica de l quadro po li­ tico. I sudditi de l "buon dio" si sbagliavano: c'erano anche g li altri in questo mondo e la nozione di maat 8 andava rivista. I l dragone cosmico Apophis, simbolo de l ma le e de l caos, contro cui Ra lottava ogni giorno vittoriosamente con l'aiuto dei sa­ cerdoti officianti nei sace lli de l tempio, era riuscito, per una volta, a spuntar la. E non è un caso se ai faraoni Hyksos fu attribuito questo nome, Apophis, tanto odiato dag li Egiziani come pure è signi­ ficativo il fatto che gli asiatici adorassero un dio (Baal), subito associato a Sutekh, variante di Seth, i l fratricida, l'incarnazio­ ne de l negativo che aveva già dato il suo nome ai popo li de l Retenu (Siria), i Setyu (g li asiatici) . Attorno a l 1 560 i principi tebani de lla XVII dinastia, che erano riusciti a conservare una re lativa indipendenza a ll'Alto 8

Esamineremo più avanti l'evoluzione dèl concetto di maat.

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Egitto (i faraoni Hyksos si erano insediati ad Avaris, nel Delta nord-orientale), diedero l'avvio alla riscossa nazionale: prima con lo sfortunato Seken-en-ra (la sua mummia fu trovata col cranio fracassato; probabilmente morì in battaglia), poi con i figli Kamose e Ahmose. Toccò a quest'ultimo, come ci ricorda la "stele di Londra", la gloria del successo finale (circa 1550 a.C.). Si aprì con Ahmose l'epoca dell'imperialismo egiziano; inaugurando la XVIII dinastia il re, tornato a essere il "Signore delle Due Terre" (neb tawi), inseguì gli Hyksos fino alle loro basi del Retenu. I successori, Thutmosi I, Amenhotpe I e, più tardi, soprattutto Thutmosi III (1490-1438), portarono all'apo­ geo le armi egizie, facendo di Kemi la terra più temuta del mondo conosciuto. Quello egizio non fu, come è ormai dimostrato, un impero nel senso corrente del termine, quanto, piuttosto, una vasta area di influenza con una serie di protettorati nelle città stra­ tegiche. Gli eserciti dei faraoni, grazie alle 17 campagne con­ dotte in Asia da Tuthmosi III, facevano buona guardia, con i loro presidi, lungo la mezzaluna che andava da Karoi (in Nubia, oltre la terza cateratta) a Naharin, in Siria al confine settentrio­ nale con il regno dei Mitanni 9 • Era questa la situazione ereditata dal principe Gehutimes, quando salì al trono col nome di Thutmosi IV (1409-1401 a.C.). Da questo faraone prese decisamente avvio la reazione solare: l'ambiente cosmopolita, i nuovi fermenti culturali provocati dagli scambi con i mercanti mediterranei, con le tre grandi potenze di quel tempo (Mitanni, Ittiti e Babilonesi), l'influsso a corte di personaggi di rango provenienti da zone del Delta, 9 Lo

attesta il primo scarabeo commemorativo di Amenhotpe III (circa XIV secolo a .C.).

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estranei al sacerdozio di Amon , gli ex prigionieri di guerra asiatici e, soprattutto , i ripetuti matrimoni politici con princi­ pesse straniere , prevalentemente del Mitanni , avevano modifi­ cato la visione della vita. L' alleanza fra il clero di Amon e la monarchia faraonica, che aveva ridato l' indipendenza e la gloria al paese , si stava incrinando sotto il peso della crescente autorità economica e politica dei sacerdoti del "Nascosto" . Motivi ideologici interagivano con quelli finanziari , la gra­ titudine dei faraoni per il dio che li aveva condotti alla vittoria si trasformava lentamente in un tracollo economico per le casse dello Stato e dal braccio di ferro sarebbero usciti vincitori i "padri divini" al punto da raggiungere , al termine della XXI dinastia dei ramessidi , il trono stesso con il capo dei sacerdoti Herihor. Ma torniamo alla reazione solare . Gehutimes , figlio cadet­ to di Amenhotpe Il , destinato a regnare per otto anni col nome di Thutmosi IV ( 1 409- 140 1 a.C .) , era un giovane di diciannove anni , che viveva a Menfi (cosa del resto normale a quel tempo: molti re della XVIII dinastia soggiornavano per parecchi mesi all ' anno nella città del dio Ptah) . Da tre anni era sposato con Mutemweia 10 che , quasi certa­ mente, era figlia del re Artatama dei Mitanni . Da essa , dunque , ebbe un figlio: il futuro Amenhotpe III, padre dell 'eretico di Amarna? La maggior parte degli egittologi propende per que­ sta tesi . È certo , comunque , che al Palazzo reale di quell 'età si respirava aria straniera , grazie ai matrimoni diplomatici dei faraoni . 10 Cfr. Jean-Marc Brissaud, L'Egitto dei faraoni, p. 128. Trad. it. Ferni, Ginevra 1977.

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Che fosse o non fosse la "grande consorte regale", la f igl ia di Artatama andò sicuramente in sposa a Gehut imes-Thutmosi IV, il che conferma l' influenza crescente dell'Asia in Eg itto e la preoccupazione comune de i dinast i eg iz i e de i sovran i del Mitann i per l'insorgere della potenza ittita. Gehutimes, cresc iuto all'ombra dei sacerdoti di Eliopoli, come narra una stele posta a i p ied i della grande Sfinge d i Giza, «arr ivò sul suo carro nell'ora del mezzog iorno e si ripo­ sò all'ombra d i quel grande d io. Quando il sole fu allo zen it, egl i mentre dormiva fece un sogno: v ide che la maestà di quel dio gl i parlava d i sua bocca, come un padre si rivolge al figlio: "Guardam i, osservami, figlio m io Gehut imes", d isse la Sfinge. " Sono tuo padre, il d io -sole e t i darò il m io regno su questa terra. Sara i alla testa de i v iv i, con in testa la corona bianca e la corona rossa... Il m io appogg io e i m iei favori sono per te. Tu, dal canto tuo, m i proteggera i , perché così come sono ogg i, m i sento ammalato e so ffocato dalla sabb ia di questo deserto in cu i m i trovo. Prendi cura d i me ed esegu i i m iei desideri, sapendo che se i m io figlio e il m io protettore. Vien i qui v icino : io sono con te, sono la tua guida" ». Fin qui il racconto della stele, a cu i nulla vieta d i dare un sign ificato s imbolico p iù che letterale. È stor ia, a ogni modo, che Gehut imes, probabilmente in segu ito alla morte del fratel­ lo magg iore, fu proclamato faraone da i sacerdot i d i Eliopoli. Il suo primo provvedimento fu quello d i far togliere la sabbia in cu i era spro fondata la Sfinge e d i inciderv i alla base il raccon ­ to del sogno. Thutmos i IV morì g iovane, dopo otto ann i di regno 1 1 , lasc iando sul trono un bamb ino, Amenhotpe III. DuIn quei secoli la vita media in Egitto era molto bassa, 35 anni, e assai elevato il tasso di malattie d'ogni genere. 11

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rante i suoi trentotto anni di governo lo splendore della dina­ stia conobbe il suo culmine per avviarsi al declino col succes­ sivo regno del figlio Amenhotpe IV, l'eretico di Amarna. E fu sempre in questi anni che maturò la svolta di Aton, come "fenomeno" religioso. Ma già parecchio tempo prima, all'epoca di Thutmosi III, il visir del grande faraone, Rekh-mi­ ra, alludendo all'intimità delle sue relazioni col sovrano affer­ mava: «Ho visto la sua persona, nella sua vera forma-Ra, il signore del cielo, il re dell'Alto e Basso Egitto quando sorge, Aton quando si rivela». È evidente che il disco solare è qui considerato la visibile manifestazione di Ra. Uno scarabeo di Thutmosi IV, appena 30 anni dopo, accen­ na al disco come a una entità divina ormai svincolata dal le­ game con Ra. Vi si legge testualmente che «Aton è un dio delle battaglie, che rende il faraone potente nei suoi domini e porta tutti i suoi sudditi sotto il potere del disco solare». Un riferimento ancora più significativo risale al regno del padre di Gehutimes, Amenhotpe II: il disco appare sotto la forma di un paio di braccia nell'atto di abbracciare e proteg­ gere. Alcuni storici hanno ipotizzato un'influenza diretta del paese dei Mitanni, dove si riteneva che il dio solare Savriti sollevasse all'alba le lunghe braccia d'oro. Ma è anche possi­ bile, e forse più ragionevole, concordare con la tesi di Cyril Aldred 12 che vede nel simbolo ricordato un'espressione del ka egizio, ossia la manifestazione del sostentamento spirituale. Ma è sotto Amenhotpe III ( 1401-1364) che i riferimenti all'Aton si fanno più insistenti. Al disco solare era intitolato il palazzo reale di Malkata, prima del giubileo hb sd (heb sed) 1 2 Cyril

Aldred, Akhenaton il faraone del sole, p. 1 6 1 . Trad. it. Newton Compton, Roma 1 979.

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del trentesimo anno; non meno di due figli avevano nomi composti con la parola Aton, come la principessa Beket-aton. Sugli scarabei commemorativi dell'undicesimo anno di regno, la barca che il faraone usava per le passeggiate nel lago arti­ ficiale dedicato alla moglie Teye (di probabili origini straniere anch'essa; forse il padre Yuja era discendente di maryannu siriaci) era intitolata "radiazione di Aton". Al di là delle complicazioni storiche che comporterebbe l'eventuale co-reggenza tra i due Amenhotpe, padre e figlio, lungamente ipotizzata da Aldred 1 3 , la "rivoluzione" era nel­ l'aria ormai da un pezzo. L'aspirazione generale, nel quadro dell'impero universale, era quella d'un dio comune, padre di tutte le genti, egizie e straniere. E di questo clima risentì anche la letteratura in lode di Amon, col celebre inno che prefigura i toni cari all'ideologia amarniana 1 4 • Alla corte di Amenhotpe, il "Magnifico", si respi­ rava panteismo; dio era, più che mai, l "'Unico che si è fatto milioni". Da qui alla svolta monoteistica il passo fu breve e l'avreb­ be compiuto, di lì a poco, un giovane principe gracile e mala­ ticcio.

Cyril Aldred, op. cit. p . 87 , passim . Amon creatore universale e cosmocrate , dal Papiro Bulag 1 7 ("Il grande Inno ad Ammone del Cairo"). 13

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Akhenaton (Il Cairo, Museo Egizio)

IL RE GNO DI AKHENATON Non ci sia mo addentrati finora ne lla storia politica deg li anni crucia li de lla XVIII dinastia né lo fare mo perché non è compito di questa trattazione. Ma non possia mo passare oltre senza aver prima de lineato un breve quadro storico de l regno de l suo pro feta, qua le esso ci appare da lle più avanzate rico­ struzioni storiche . Qua li sono le fonti, anzitutto ? In primo luogo il grande e il picco lo inno ad Aton (g li unici disponibili), le iscrizioni ne lle camere sepolcrali sui rilievi rupestri ai margini della vallata di Amarna, i resti de lla città di Akhetaton ("orizzonte di Aton") riportati alla luce dag li scavi de ll'egitto logo Flinders Petrie, le ste le confinarie, le etichette de lle an fore dei vini, sussidio pre­ zioso per la cronologia de l regno; ma, soprattutto, va lore ine­ sti mabi le sotto il profilo storico hanno le cosiddette tavo lette de ll 'archivio di Amarna, la corrispondenza dip lo matica, scritta in caratteri cuneif ormi secondo l 'uso de l tempo, che la corte egiziana sca mbiava con i principi asiatici vassa lli e i re di Babilonia, Hatti (il dominio ittita) e Mitanni . Akhetaton, come è stato accertato dagli archeologi, era stata rea lizzata con mattoni di fango de l Nilo, che per la loro strut­ tura contengono co mponenti organici soggetti a tras formarsi in nitrato . Da qui l 'interesse dimostrato ne ll 'Ottocento a questi materia li dai contadini arabi de l posto . Accadde ne l 1 887 : una vecchia stava scavando nei pressi de l moderno vi llaggio arabo di Amarna; cercava sebakh (i l composto nitroso in cui, appun­ to, si tras formano gli antichi mattoni di fango) e, casua lmente, scoprì le rovine de ll 'archivio del pa lazzo rea le di Akhenaton :

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in poco tempo furono riportate alla luce centinaia di tavolette di argilla scritte con caratteri strani, mai visti nella terra egi­ ziana e che nulla avevano a che vedere con la lingua dei faraoni . Furono giudicate false, in gran parte buttate, altre vendute a basso prezzo, comunque disseminate ai quattro venti . Finché i musei, venuti in possesso di alcuni esemplari, non li riconob­ bero per quello che veramente erano: la corrispondenza dei due Amenhotpe con i sovrani dell'Asia . Quando si sparse la voce dell'autenticità delle tavolette, i contadini di Amarna giun­ sero a spezzare financo singole tavolette in più parti per rica­ varne il massimo lucro . Così, alla fine, ci sono rimaste solo 350 tavolette, tra esem­ plari interi e frammenti, a testimoniare di un'età cruciale; poco ma quanto basta per creare uno scorcio di luce su venti anni di storia nodali . La lingua è quella accadica, idioma internaziona­ le per le relazioni diplomatiche del tempo . Un altro recupero sensazionale, assai più recente nel tem­ po, è avvenuto a opera di un gruppo di ricercatori statunitensi che, a cavallo fra gli anni Cin quanta e Sessanta del secolo scorso, ha condotto scavi a Karnak . Si è trattato di un esperi­ mento pilota col computer, finanziato dalla "National Geo­ graphic Society", che ha consentito la parziale ricostruzione del grande tempio di Aton, edi ficato da Amenhotpe IV­ Akhenaton all'inizio del suo regno e distrutto dalla furia ico­ noclasta dei suoi successori (Horemheb e, soprattutto, Ramses II) che ne utilizzarono la pietra per i loro templi . Di questa ricostruzione riparleremo nel capitolo dedicato ai possibili influssi stranieri nello sviluppo della teologia amarniana . E torniamo alle tavolette di argilla, il cui valore è ulterior­ mente sottolineato dalle coeve corrispo ndenze ritrovate negli

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archivi asiatici di Bogazkoy (Hattusa), che hanno ampliato il ventaglio temporale delle nostre conoscenze su quel periodo. Gli unici labili riferimenti sulla prima giovinezza di Amenhotpe IV posso essere desunti solo dalla corrispondenza di Akhetaton. Al momento di salire al trono avrà avuto dodici o, al massimo, quindici anni. Fino a quel momento nessuna raffigu­ razione lo ha ritratto assieme al padre, il che è abbastanza strano per la tradizione iconografica egizia. Gli storici hanno supposto che il ragazzo abbia trascorso gli anni dell'adole­ scenza lontano dalla corte con frequenti viaggi all'estero. Un indizio in questo senso ci viene dalle lettere 29 e 116 di Amarna, inviategli al momento di salire al trono rispettiva­ mente da Tushratta, re di Mitanni I e padre di Tadukhipa, la principessa inviata in Egitto perché il faraone defunto la spo­ sasse, e da Ribbaddi, signore di Biblo 2 • A leggerle sembrereb­ be che Amenhotpe li conoscesse personalmente. E poiché né l'uno né l'altro erano mai stati a Tebe ne è stato dedotto che deve essere stato il giovane principe a recarsi da loro. Nella lettera spedita da Tushratta si afferma testualmente: «Quando mio fratello Nimmuria 3 se n'è andato al suo destino si sono levate grida, le ho sentite anch'io. Egli era lontano ... e io quel giorno ho pianto. Nel cuore della notte non ho dormito; né ho toccato cibo né acqua in quell'ora di dolore . . . Quando però Nafuria 4, il grande figlio di Nimmuria e di Teye, mi ha 1

11 termine "mitanni" indica sia il regno che il popolo [ndr]. Città di grande importanza strategica che garantiva ai faraoni la fornitura dei cedri del Libano, indispensabili per la costruzione delle navi egizie. 3 Amenhotpe III, Neb-maat-ra (nome didattico: signore dell'ordine è Ra) . 4 Amenhotpe IV, Men-pehtet-ra (nome didattico: stabile il consiglio di Ra) . 2

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scritto "prenderò io il posto di mio padre", allora mi sono detto che Nimmuria non era morto. Adesso Nafuria, figlio di lui e della sua grande consorte Teye, è seduto sul trono e lascerà tutte le cose come stavano. . . » . Da che cosa poté arguire Tushratta che il nuovo faraone avrebbe lasciato «tutte le cose come stavano»? Evidentemente glielo aveva detto lui. E che la lettera del sovrano Mitanni non fosse un messaggio di condoglianze in risposta a un preceden­ te annuncio funebre di Amenhotpe IV, emerge in modo inequi­ vocabile dalla prima proposizione della lettera, in cui Tushratta afferma di aver saputo del luttuoso evento soltanto da un ban­ ditore pubblico 5 • Ad analoghe considerazioni si presta anche la lettera 116. Scrive Ribbaddi, il principe vassallo di Biblo: «Come vedi, gli dèi, il sole e Ba'alat di Gubla ti hanno fatto sedere sul trono di tuo padre nel tuo Paese ... ». Il tono della missiva lascia in­ tendere che i due si conoscessero bene ed è difficile giungere a conclusioni diverse. Ma perché Amenhotpe non avrebbe dovuto succedere al padre? Probabilmente perché era cadetto e, infatti, da un reperto ritrovato a Menfi (capitale stagionale dei faraoni del tempo) si dice che Neb-maat-ra (Amenhotpe III) aveva un altro figlio, maggiore, anch'egli di nome Amenhotpe, e morto prima di poter raccogliere la successione. Non v'è, comunque, certezza che il futuro apostata dell'or­ todossia tebana abbia trascorso la fanciullezza all'estero: solo una somma di indizi, a cui abbiamo appena fatto cenno. Ma che Amenhotpe sia stato molto poco a corte è pratica­ mente certo e lo si evince dagli esiti della sua formazione in­ tellettuale, essendosi rivelato così scarsamente disponibile al 5 P. Vandenberg , Nefertiti . Trad . it. Sugarco, Milano 1 976.

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compromesso e alla diplomazia (doti, queste, di cui il padre aveva fatto largo sfoggio). Frequentò le "scuole del sole" di Eliopoli e di Ermopoli (Khmunu) e dovette sicuramente subire il fascino dell'intellighentia del tempo, soprattutto del saggio Amenofis, figlio di Hapu, l'architetto reale che realizzò il tem­ pio funerario del padre di Akhenaton, guadagnandosi tale fama di sapienza da essere divinizzato al tempo dei Tolomei. Amenofis era un settentrionale, nativo di Athribi nel Delta e, quindi, probabilmente vicino alla teologia solare che aveva sem­ pre mantenuto una certa supremazia culturale nel Basso Egitto. In più - come abbiamo già ricordato in precedenza - la parte più viva della cultura egiziana del secolo si mostrava insofferente alla sintesi ammoniana 6 che aveva condizionato l'onnipotenza solare alla concezione funeraria del mondo osi­ ridiano decisamente assai meno ottimista. Era dunque sentita l'esigenza d'una maggiore naturalezza 7 e d'un nuovo ordine fondato sul comune k6smos religioso. Alla morte di Neb-maat-ra (nome didattico significativo che attesta quanto già il faraone defunto tenesse in conto la teologia solare), il giovane principe malcerto in salute 8 si fece incoronare dai sacerdoti di Ermopoli. Fu il primo colpo per il clero di Amon. Il re, che aveva assunto una titolatura di stile "settentrionale" (Nefer-kheperu-ra, Ua-en-ra: "perfette le ma6

[ndr].

Sintesi teologica e teogonica elaborata dai sacerdoti del dio Amon

Tutta la letteratura che precedette la "rivoluzione" amamiana è infor­ mat a a questo nuovo spirito di semplicità e di lirismo. 8 Cyril Aldred e altri studiosi hanno ipotizzato che Akhenaton soffrisse del "mor bo di Frohlich" sulla base della ritrattistica "espressionista" del sovrano. 7

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nifestazioni di Ra", "unico in Ra"), iniziò la costruzione di un grande tempio dedicato ad Aton proprio a Karnak, nella rocca­ forte del sacerdozio ammoniano. Dovette sembrare una grossa provocazione: esisteva già sul posto un sacello in onore del nuovo dio ma si trattava di ben povera cosa. Amenhotpe fece le cose in grande realizzando un complesso lungo un chilome­ tro e seicento metri che chiamò "il disco solare è nella casa del disco solare" 9 • La stessa nwt amon (la "città di Amon") fu ribattezzata la "città dello splendore di Aton". All'inizio del regno furono innalzati templi anche in Nubia (Gem-Aton), a Menfi e a Eliopoli. Il faraone si mostrava sordo a ogni influenza del potere tradizionale: accettava solo i con­ sigli della madre Teye (donna di forte carattere e ascendente, e probabilmente, come si è detto, di origine siriaca), della moglie - la celebre Nefertiti (la "bella che qui viene") immortalata dal busto policromo conservato al museo di Stato di Berlino e che, forse, era Tadukhipa, la Mitanni - e di Eje, il "maestro dei cavalli", il "padre del dio" (più tardi salito anch'egli sul trono dei faraoni), probabile fratello della regina madre Teye. Ben presto alla formulazione teriantropica della divinità solare (Ra-Harakhte 10 con la testa di falco e il disco sopra il capo) seguì una raffigurazione assolutamente naturalistica: il disco, i cui raggi terminanti in tante piccole mani con i simboli dell'ankh (la croce egizia, ideogramma della vita) si protende­ vano a infondere il "soffio della vita" . Ogni riferimento all'iconografia tradizionale era scomparso; la divinità, adesso, era rappresentata nella forma più astratta che mai si fosse vista L'archeologo americano R. W. Smith ha calcolato che le pietre lavo­ rate per il tempio di Aton furono 250.000. 1 0 Harakhte: "Horus dell'Orizzonte" [ndr] . 9

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in terra d'Egitto. Il re, proclamatosi ur maa (wr maw, "colui che vede il Grande"), il sommo veggente che presiedeva al tempio solare di Eliopoli, continuava tuttavia a tollerare di fatto gli altri culti, anche se tutte le ricchezze (tasse, tributi, donazioni, ecc.) erano ormai destinate allo splendore dell'Aton. La convivenza non dovette essere semplice. A un certo momento (come si rileva dalle iscrizioni nella tomba tebana del visir Ramose), Amenhotpe, lamentandosi del fatto che le «parole dei sacerdoti fossero le cose più perverse che egli aveva mai udito», ruppe con la "città corrotta" (Tebe). Cambiò nome: Amenhotpe ("Amon è contento") divenne Akhenaton ("trasfi­ gurazione nell'Aton") 1 1 ; poi, ispirato dalla divinità, si mise alla ricerca d'un luogo sacro, incontaminato. Credette di tro­ varlo in una ridente vallata (280 Km a sud dell'odierno Cairo), quasi a metà strada tra Menfi e Tebe; si trattava di un'ansa naturale lunga 15 Km e larga 5, dove, delimitati i confini, pose le fondamenta di Akhetaton ("orizzonte di Aton"), la sua nuo­ va capitale (circa 1360 a. C.). Qui, accanto a splendidi edifici, villette gentilizie, magaz­ zini e botteghe realizzati in uno stile improntato al più squisito naturalismo (sono state scoperte splendide raffigurazioni di vita agreste), fece costruire il grande tempio ad Aton, aperto al cielo come i templi solari della V dinastia e disseminato di altari ove i fedeli offrivano fiori al dio. Al centro del tempio il ben ben era stato sostituito con il disco solare proteso a benedire con raggi maniformi il re e la famiglia reale. Nel frattempo, l'ideologia amarniana si andava evolvendo in direzione di un austero monoteismo: era scomparsa qualsiasi 1 1 L' akh di Akhenaton è nozione centrale nella teologia di Amama. Ne esamineremo più oltre significati ed escatologia .

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allusione alle altre definizioni del ciclo solare la cui titolatura iniziale suonava così: «Ra-Harakhte che si rallegra all'orizzonte nel suo nome di Shu (la luce) che è l'Aton». Adesso Aton era definito semplicemente Aton, qualsiasi intruso definitivamente bandito, ogni similitudine con vecchie figure mitologiche seve­ ramente vietata. Il re, nel suo mistico entusiasmo, predicava la "dottrina della vita" 1 2, circondato dall'affetto di Nefertiti (an­ ch'ella convinta adepta della nuova fede) e delle sei figlie (Merytaton, Maketaton, Ankhsenpaaton; delle altre non cono­ sciamo i nomi). Akhenaton appariva in pubblico con la stessa naturalezza che si ha nella vita familiare e come tale, ovunque, volle essere ritratto: tutto ciò che era reale era buono e non doveva quindi essere idealizzato, come sempre era accaduto nella ritrattistica tradizionale, bensì mostrato in tutta evidenza. E con l'arte si adeguò anche la lingua ufficiale; non più quella, ormai oscura, del eforo ma la voce viva del neo-egizio 1 3 che tutti potevano comprendere così come il dio poteva essere visto da chiunque, in qualsiasi momento, e non nel chiuso dei templi. La coerenza ideologica di Akhenaton aveva già raggiunto l'apice quando iniziarono le sventure familiari: nell'anno dodi­ cesimo del regno morì la secondogenita Maketaton (la veglia funebre è ritratta nella tomba reale di Amarna), poco dopo scomparve anche l'amata Nefertiti (alcuni studiosi hanno sup­ posto che, caduta in disgrazia, si fosse ritirata nel "palazzo settentrionale" di Amarna). Di lì a poco morì anche la madre Teye, che così larga parte sembra abbia avuto nella formazione del re-filosofo. 12

Riferimento frequente nelle iscrizioni sepolcrali delle rupi di Amarna. Fu questa una delle poche innovazioni sopravvissute alla restaura­ zione successiva. 13

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Akhenaton, sempre più mal fermo in salute, decise di asso ­ ciare al trono un congiunto stretto, Shmen-ka-ra, che avrebbe tentato, di fronte al succedersi di continue difficoltà esterne e interne 1 4 , un ammorbidimento nei confronti della tradizione. Ma morì anch'egli; Akhenaton lanciò allora l'ultima, decisiva, offensiva contro il pantheon teologico tebano: ovunque, nelle Due Terre, furono raschiati i nomi delle odiate divinità, fino al punto da cancellare nelle iscrizioni anche il nome del padre, perché conteneva un preciso ri ferimento ad Amon (ma lasciò in bella evidenza il prenome Neb -maat-ra, in linea col credo atoniano). Né sorte migliore toccò a Mut, moglie di Amon, il cui nome suonava "madre". Fu eliminato il plurale del termine ntr (dio), a conferma della vocazione rigidamente monoteista dell'ultima f ase della religione amarniana. Passò poco tempo e venne a morte (non si sa come) anche Akhenaton, il figlio stesso dell'Aton ( 1 347 a . C .) . Ad Akhenaton succedette un bambino di nove anni, Tut­ ankh-aton ("immagine vivente dell'Aton") destinato, probabil­ mente sotto la spinta dei suoi consiglieri (primo fra tutti, il suo successore, Eje), a ripristinare la maat tradizionale col ritorno al culto di Amon (e cambiò, infatti, il suo nome con la titolatura ortodossa di Tut-ankh-amon). Fu abbandonata per sempre la città che aveva visto lo splen­ dore del disco, le tombe furono lasciate vuote: Akhetaton, "città della vita", divenne città della morte 1 5 • Il pacifismo oltranzistico del re stava costando la perdita dell 'impero e del prestigio militare egiziano in Siria mentre i sacerdoti di Amon con­ tinuavano , benché esautorati , a tramare nell 'ombra. 15 Non s'è mai saputo che fine abbia fatto il corpo di Akhenaton. Si veda in proposito la dotta discussione di Cyril Aldred , op. cit. , pp. 1 36-1 56. 14

Particolare della spalliera del trono delfaraone proveniente dalla tomba di Tutankhamon. Raffigura il re e la regina sovrastati da Aton (Il Cairo, Museo Egizio)

LA NASCITA DEL MONOTEISMO Esaurito il breve ma necessario profilo storico del regno di Akhenaton I sarà ora possibile procedere a un tentativo, inedi­ to, di analisi della storia religiosa dell'Aton sulla base dello scarso materiale disponibile e con l'ausilio comparativo dei supporti filologici e storici della "filosofia" solare. Esaminere­ mo, quindi, i capisaldi (o quelli almeno che ci appaiono tali) della teologia amamiana secondo varie angolature per ricavar­ ne la massima fedeltà di interpretazione. Al di là degli indizi e dei riferimenti contenuti nelle varie iscrizioni, che pure hanno la loro importanza, il principale documento dell'Atonismo è senz'altro il "Grande Inno", certa­ mente ispirato e assai probabilmente composto dallo stesso re, che Norman Davies ricopiò diligentemente dalle makonce pareti della tomba di Eje, il "maestro dei cavalli" e "padre del dio" ( 'it ntr) che più d'ogni altri fu vicino, con Nefertiti, al sovra­ no 2 . Ispirato a un grandioso universalismo, l'inno è considera­ to fra i capolavori della letteratura egizia e, a una attenta let­ tura "interna", rivela tutte le caratteristiche della fede di Akhenaton. Prima di addentrarci nell'analisi è, quindi, opportuno dar­ ne per esteso il testo integrale: 1

Sulla storia politica di questo periodo esistono ottime pubblicazioni alle quali il lettore interessato potrà far riferimento per approfondire gli aspetti biografici, che solo marginalmente interessano la presente trattazio­ ne. Si veda, comunque, la bibliografia in calce al libro. 2 Eje non fu mai sepolto nella cappelletta amarniana.

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«Bella è la tua luce / sulle frange del cielo, / tua, Aton di vita, / primo dei viventi ! / Quando sorgi a Oriente I riempi ogni Paese / con la tua bellezza. / Perché sei bello, grande, scintillante e alto sulla ter­ ra: / i tuoi raggi abbracciano i Paesi , / tutto quello che tu hai fatto. / Tu sei Ra I e li hai fatti tutti prigionieri, li tieni incatenati / col tuo amore. Sei lontano / ma i tuoi raggi sono sulla terra, / sei là in alto I ma le tue orme sono nel giorno! La notte . Quando a Occidente tramonti , I il mondo giace nel buio / come se fossi morto . / Dormono nelle loro camere / con le teste velate / e i tamponi nel naso. / L'uno non vede l ' altro. / Vengono derubati di tutto / quello che hanno sotto la testa I e non se ne accorgono. I I leoni escono dalle tane, / i serpenti mordono , / il buio domina il silenzio, / perché colui che li ha creati / è andato a riposare a Oc­ cidente . Il giorno e l ' uomo. Chiara è la terra / quando a Oriente sorgi, / quando tu Aton illumini il giorno. / Il buio si dilegua / quando invii i tuoi raggi , / le Due Terre esultano, / si alzano e camminano / perché tu le hai svegliate. / Si lavano, si vestono, / levano le braccia in preghiera / quando tu appari . / Gli uomini si mettono al lavoro. Il giorno, gli animali e le piante. Tutte le bestie / sono contente del pascolo, / gli alberi e le pian­ te / tutti fioriscono, / gli uccelli / svolazzano sugli acquitrini / e ti pregano / alzando le ali . / Tutti gli animali che volano / vivono perché tu sorgi . Il giorno e l ' acqua. Le navi / vanno a monte / e scendono a valle / e non trovano ostacoli / perché tu risplendi. / Davanti a te / guizzano i pesci / nella corrente I e i raggi tuoi I illuminano il mare.

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La creazione . Tu fai il bambino nella donna / e crei il seme del maschio / e al figlio / nel corpo della madre I e poi gli fai da culla / vita dai piange, bàlia nel grembo. / Tuo il respiro / per animare / tut­ quando to ciò che fa. I E quando esce dal corpo / il giorno della nascita / gli apri la bocca per parlare / e gli soddisfi / ogni suo bisogno. La creazione degli animali. Il pulcino / già pigola nel guscio / e tu lo fai respirare / per dargli la vita. I Quando lo hai compiuto / e lui può rompere il guscio, / esce dall'uovo / e pigola a più non posso, / corre qua e là / appena nato. Tutta la creazione . Molteplici le tue opere / e sono a noi nascoste; / o tu , unico dio , I più di tutti potente , / tu che hai creato la terra I così come hai voluto I quando c ' eri tu solo: uomini , I animali grossi e piccoli, / tutto ciò che è sulla terra I e che cammina coi propri piedi , / tutto ciò ch'è in alto / che vola con le ali . / Le terre di Siria e di Nubia / e la terra d ' Egitto ; I a ciascuno / hai dato un posto preciso / e dai a tutti I secondo il loro bisogno . / A cia­ scuno il suo; / tutti hanno i giorni contati . I Parlano diverse lingue , non uguali sono anche / la loro forma e il loro colore . I Ecco, tu gli uomini / li crei differenti . L'irrigazione della terra. Nel regno dei morti / hai creato il Nilo I e l'hai fatto scaturi­ re I come t'è piaciuto / per mantenerci in vita / così come ci hai fatti , I o signore di tutti ! / Tu, sole quotidiano , paura d'ogni lon­ tano Paese , / che degli uomini / crei anche la vita. I Hai messo un Nilo nel cielo / perché scendesse sui monti e sui mari / ad ab­ beverare i campi . / Meravigliosi i tuoi progetti , / o signore del1' eterno ! / Il Nilo è in cielo / per i Paesi stranieri / e per la selvag­ gina del deserto / che cammina con i propri piedi; / ma il (vero)

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Nefertiti

Bella è la bellezza di Aton, la Bella che qui viene.

Akhenaton

Perfette le forme di Ra, l'Unico in Ra, eccellente per Aton.

Nilo / scaturisce dall 'oltretomba / per l'Egitto. I Nutrono i tuoi rag­ gi / ogni giardino; / tu sorgi / ed essi vivono / e crescono per te . Le stagioni. Hai fatto le stagioni / per creare tutte le tue opere. / L'inverno / per dare loro il freddo I (e l'estate) I per riscaldarle. / Hai fatto il lontano cielo / quando tu solo c'eri / per potervi salire / e vedere tut­ to I quel che hai fatto , / diffondendo i tuoi raggi, / Aton vivente, tra­ montando , / risplendendo, allontanandoti / e tornando a comparire. Bellezza e luce . Hai dato la vita / a milioni di persone. / Nelle città e nei villag­ gi , / sulla strada di campagna / o in riva al fiume. / Tutti gli occhi ti vedono I quando di giorno / sei il sole sulla terra.

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Aton e il re. Sei nel mio cuore , / nessuno ti conosce , I tranne tuo figlio Akhenaton . I Lo hai iniziato ai tuoi progetti / e alla tua energia. I Il mondo è nelle tue mani / così come l'hai fatto. / Dopo che sei spun­ tato / gli uomini vivono, / quando tramonti muoiono, / perché sei tu la vita, / tu che ci fai vivere. / Tutti gli occhi / guardano la tua bel­ lezza, fino a quando tramonti. / Ogni lavoro cessa / quando ad Ovest scompari; / riprende quando risorgi I e fai crescere gli uomini / per il re. / Da quando hai creato la terra / l'hai edificata, / l'hai edifi­ cata / per il figlio tuo I che da te è scaturito; / il re, / che vive di verità, / Nefer-Kheperu-ra, Ua-en-ra, / il figlio di Ra / che vive di verità, / Akhenaton, il signore delle corone / che ha lunga vita, / (e per) la grande consorte regale / da lui amata , I signora delle Due Terre , I Nefer-neferu-aton. I Ella vive e fiorisce / per sempre in eterno» 3 • Quel che scaturisce dalla lettura di questo poema della cre­ azione, che ha la stessa forza lirica del "Cantico delle creatu­ re" , è una compiuta metafisica della luce, in cui estetica ed etica si congiungono in una superiore visione dell'Aton. Nel­ la lingua egizia la stessa espressione geroglifica indica la bel­ lezza e la bontà: nfr (nefer) e una croce rivolta verso l'alto, simbolo dello slancio dell 'akh (�) , l'anima superiore. Quasi tutti gli studiosi che si sono occupati diffusamente di Akhenaton hanno molto insistito sugli aspetti informali, indub­ biamente veri ma superficiali, della "dottrina della vita" con­ tenuta nell'Inno ad Aton 4 • Hanno parlato di naturalismo e di 3

Versione di Henry Breasted, History of Egypt. Londra 1 906. Il grande Inno ad Aton veniva recitato nelle solenni occasioni pub­ bliche; nella sepoltura di Ipy e, in forma lievemente modificata, anche in altre tombe si può leggere il "piccolo" Inno, che ricalca gli stessi temi del testo canonico e di cui forniamo la versione tipo nell'appendice antologica. 4

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pathos poetico , sottolineando l ' assenza di contenuti etici nel1' ideologia amamiana, definita come religione "intellettualistica" e come tentativo di restaurazione della teocrazia faraonica (il che è in parte anche vero , ma solo in parte) . La verità è che l ' approccio finora seguito nello studio del monoteismo solare (e c ' è anche chi ha negato che si possa parlare di vero mo­ noteismo) ha peccato di unilateralità . Si è utilizzato un solo strumento d' indagine , quello filologico formale (che pure è necessario) trascurando gli altri; soprattutto si è avuto il torto di scandagliare i pochi documenti dell ' Atonismo con mentalità moderna, troppo diversa da quella originale. Come abbiamo già avuto modo di accennare nel primo capitolo , non c ' è che un modo per capire l 'Egitto: farsi in qualche modo "egiziani" con un senso di comprensione e di simpatia, rivivendone il mistero dall ' interno . E qui , per fornire le chiavi d'una analisi corretta, occorre insistere sulla fondamentale caratteristica della civiltà egizia: la filosofia della parola. Questa costituiva l 'essenza della teo­ logia solare . Ricordiamo che il geroglifico di Ra (�®) , la "bocca in azione" , può indicare anche la parola, nel senso di verbo , logos creativo . Tale era anche quella dell ' uomo , per affinità , perché , come affermavano i teologi di On (Eliopoli) e di Menfi , egli era stato creato a somiglianza del dio , dalle lacrime di Ra (reme = remyt). Sacra era dunque la parola, ma anche quella scritta tant'è che gli Egizi la definirono medu nether ("parole del dio") e i Greci , più tardi, coniarono il termine "geroglifici" , ("lettere sacre incise") , che ha lo stesso valore semantico , ma diversa motivazione ("sacre" per intervenuta oscurità dei testi incom­ prensibili agli Elleni) .

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Sacra nel senso che Rudolf Otto ha dato al "numinoso", la parola egizia ha in sé una carica straordinaria di potenza, na­ sconde un mysterium tremendum. E gli intellettuali della terra del Nilo ne avevano, infatti, paura: temevano in essa il nomen efficiente e apprezzavano il silenzio, cosa che colpì molto i loquaci Greci. La parola di Akhenaton non fa eccezione; la semplicità del linguaggio non deve trarre in inganno, l'imma­ gine naturalistica si addice a un culto che afferma più d'ogni altro il carattere divino del re ma che, nella sua forma, vuole essere (e lo fu) democratico, aperto a tutti, distinguendo i fe­ deli non per censo o per sangue, bensì per valore e spiritualità. Anche nel caso di Amarna (e a maggior ragione), per in­ terpretare correttamente il senso del messaggio teologico, bi­ sogna far riferimento - oltre che al necessario esame storico­ comparativo (i culti solari del Regno Antico cui si ispirava la religione amarniana, i fermenti culturali della XVIII dinastia, lo strapotere del clero ammoniano e la reazione antiosiridiana) - alle tre forme dei geroglifici: fonetica, ideografica e simbo­ lica. Tanto geniale quanto semplice nella formulazione, la "dottrina della vita" è realmente contenuta per intero nei gero­ glifici del grande Inno ad Aton. Il guaio è che finora la tradu­ zione formale della lettera ha consentito solo di saggiarne la superficie (musicalità, espressione poetica, naturalismo, ecc.). Il credo atonista, ad esempio, insiste molto sul carattere paterno dell'Aton; ovvio, si dirà, dal momento che il buon senso basta a suggerire l'indispensabilità del calore solare per la nascita e il mantenimento della vita. Ma qui siamo ben oltre e converrà subito chiarire i significati riposti dell'Aton. Perché, anzitutto, Akhenaton e gli immediati predecessori di questo culto scelsero l'immagine del disco, pur riconoscen­ do che dietro di esso vi era la forza invisibile di Ra? Perché,

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hanno rilevato gli egittologi moderni, l'Aton, indicando origi­ nariamente il disco solare come forma fisica, era l'unica epifania solare svincolata da compromessi mitologici. La spiegazione risponde a verità solo in minima parte e va integrata con una analisi semantica. Cominciamo col chiarire, intanto, che Aton è la pronuncia convenzionale adottata oggi dalla maggior parte dei testi. Leggendo il geroglifico del disco solare (4 ::®) si ottiene il valore fonetico 'itn, che gli Egiziani del tempo pronunciava­ no "jati" (la "n" essendo sparita dal linguaggio parlato del Nuovo Regno, come molte "t" designanti le desinenze femmi­ nili) 5 • Così pure il nome del re suonava non Akhenaton ma Akhanjati 6 • Ora Iati (Aton), come suono, risulta molto simile a it (il "padre") che al tempo di Amarna si pronunciava jat 7 • L'associazione "m�gica" è presto fatta, ricordando come le assonanze fonetiche indichino per la mentalità religiosa egizia analoghe affinità essenziali 8 • Ecco il vero motivo per cui, come è detto nell'Inno, Aton è il padre di tutte le genti. Ma v'è un'altra profonda ragione nella scelta del termine Aton e la si può evincere scomponendo i segni del geroglifico; ed è una doppia ragione: visiva e sim­ bolica. Si veda in proposito S. Morenz, La religione egizia, op. cit., p. 205. stato pure accertato, tramite le tavolette di Amama, che Nefertiti si pronunciava Napteta; i documenti cuneiformi erano vocalizzati. 7 Si veda G. Fecht, "Z.A.S" LXXXV, 1960, autore d'un saggio illuminan­ te , che ha raccolto anche una ricca documentazione circa itn inteso come colui che genera il re, la situazione, cioè, sottolineata da Akhenaton nel suo Inno. 8 Cfr. gli accostamenti tra reme e remyt, ishes e tef con Shu e Tefnut. 5



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Tralasciamo, senza particolari commenti, l'ideogramma © che è un semplice determinativo (ha, però, immenso valore visivo e, quindi, "magico") per analizzare i singoli fonogrammi: il fiore di giunco 4 (primo segno, a sinistra) è una i consonan­ tica 9 e sappiamo che questo segno, raffigurante la cannuccia dello scriba, era sostituito nei testi più antichi (come quelli delle Piramidi) dalla lettera R, che raffigurava la bocca (e>) e simbolicamente la Parola creatrice, il Verbo, il logos. Così la "parola di dio", fissata nella scrittura, diveniva visibile nel linguaggio scritto con la semplice sostituzione del segno del pennello (/, 4 ) a quello del logos (R); la pagnotta (e ), disegna­ ta in alto, suona T e figurativamente "emerge" dalle acque increspate (- ) come Tum, il demiurgo, sorse dagli abissi equorei del Nun, la protomateria della potenzialità, "divenen­ do" (si consideri l'increspatura delle acque) nella forma visi­ bile di Ra (nel significato fonetico, già descritto, del primo fonogramma, e nell'ideogramma determinativo che conclude la "parola" per eccellenza, principio e fine, dell 'Aton). La scomposizione, che abbiamo descritto, può sembrare fantasio­ sa alla mentalità dei moderni ma corrisponde a una verità metafisica, come hanno dimostrato analoghi studi condotti da egittologi di vaglia 1 0 • E la vita dei sacerdoti teologi, nell'anti­ co Egitto, era fatta di metafisica adombrata nei simboli, attra­ verso le maglie del pensiero mitopoietico. Resta da spiegare la seconda ragione, non visiva ma dedot­ ta dai valori fonetici: R( /)-T-N (Ra, Tum e Nun) costituiscono 9 Ricordiamo che l'egiziano è privo di vocali , che venivano intercalate nella lingua parlata. 10 Si veda , ad esempio , Serge Sauneron , / preti dell'antico Egitto, op. cit ., passim.

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un 'altra di quelle che Morenz ha definito tri-unità modaliste, esattamente come ntr (dio = Nun-Tum-Ra) che , come espres­ sione magica e formale , aveva agli occhi di Akhenaton l ' unico torto di essere utilizzata per qualsiasi divinità del pantheon tradizionale, il che per un austero monoteismo come quello di Amarna era assolutamente inammissibile . Altre due considerazioni proficue per la comprensione dell 'A ton: R ( / )-T-N (Ra-Tum-Nun) è l ' espressione rovesciata rispetto a N-T-R (Nun-Tum-Ra) . 'Itn (Aton) costituisce , dun­ que , per la teologia del metafisico Akhenaton , l 'opposto di ntr, il divino tradizionale che , come abbiamo visto nel capitolo introduttivo , è piuttosto una cratofania impersonale , la forza invisibile della primitiva religione egizia nascosta nella statua teriomorfa, teriantropica o antropomorfa , a cui il sacerdote di Amon riteneva di dar vita con le cerimonie magiche del­ l "' apertura della bocca" e il "soffio della vita" , nel chiuso e nella penombra dei sacelli templari . Aton era il perfetto visibile, contrapposto al concetto del­ l' invisibilità di Amon , che chiunque poteva adorare nel suo aspetto naturale a cielo aperto , offrendo fiori e canti con animo gioioso. Il re-dio , figlio di dio , tornava a essere l ' unico vero officiante , come un tempo la tradizione aveva previsto 1 1 , tor­ nava a essere l ' unico intermediario - secondo la teofania delle origini , della "prima volta" , il rituale del sp tpy teofanico - fra dio e il mondo creato . Ecco perché , alla morte del faraone , si scatenò l ' odio iconoclasta dei tradizionalisti tebani: essi non potevano perdo­ nargli il "tradimento" dei misteri (e di misteri , infatti , si trat­ tava) . Il popolo non avrebbe capito , nonostante la semplicità 11

Il clero egizio celebrava i riti su delega del sovrano .

La nascita del monoteismo

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fo rmale del linguaggio, la profondità del messaggio a cui non era preparato; l'immaturità dell'egiziano medio fu la causa reale del fallimento della rivoluzione amarniana (fra le stesse rovine di Akhetaton sono state ritrovate statuette e amuleti raffiguran­ ti le proscritte divinità tradizionali... ). Morto l 'avatara 1 2 , l'Aton dovette rinviare il suo appuntamento con la storia dell'uomo altrove e ad epoche ben più tarde 1 3 . I tempi non erano davvero maturi per il salto monoteistico e Akhenaton, come più tardi Gesù, si illuse di poter parlare al cuore degli uomini parlando con linguaggio semplice delle parole naturalistiche, che nascondevano alla "lettura" dei non­ iniziati la verità esoterica. Ma fu una bella illusione, che inu­ tilmente la furia dei suoi successori tentò di cancellare elimi­ nando il nome dell'odiato ur maa, il "grande veggente" 1 4 • L'abrasione delle titolature dell'Aton e di Akhenaton fu compiuta solo approssimativamente (per fortuna degli storici del nostro tempo) ma se anche fosse stata completata non avrebbe turbato la coscienza del re-dio che aveva idee ben differenti sul destino dei defunti 1 5 • Un ultimo accenno al geroglifico sacro dell'Aton: abbiamo parlato di tri-unità modaliste, o, se preferite, ipostatiche (tre 12

"La discesa del Divino", incarnazione di un Principio divino. Cfr. Glossario Sanscrito, Edizioni Asram Vidya [ndr ] . 13 Sulle affinità ideologiche dell' Atonismo con i culti asiatici accenne­ remo nel capitolo conclusivo. 14 La teologia tradizionale sosteneva che, avvalendosi delle arti magi­ che dell'heka (la "magia"), per distruggere l'individualità d'un uomo ba­ stasse "ucciderne" il nome. 15 Tratteremo diffusamente il problema dell'Aldilà amarniano nel pros­ simo capitolo.

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manifestazioni della medesima unità che, svolgendosi, resta una). È il momento di ricordare che gli Egizi, inventori delle formule trinitarie assai prima che le scoprissero i Veda indiani (Brahma, Vi�Q.U e Siva, varianti di Atum, Shu e Tefnut intesi come forze dialettiche di conservazione e distruzione, o, piut­ tosto, di espansione e di limitazione: la luce e il buio) e il Cristianesimo, risolsero brillantemente proprio in questo modo il problema del rapporto fra unità e molteplicità, causa ed ef­ fetto. Quando si voleva indicare il plurale o il superlativo (come nel caso di Hermes Trismegistos) bastava ripetere il segno per tre volte: il tre, quindi, simbolizzava, come s'è già visto, la molteplicità e per risolverla nuovamente in unità si faceva ri­ corso ai mantram triunitari (rtn, ntr), ipostatici o modalisti (il che non fa differenza). Col che riteniamo di aver chiarito suf­ ficientemente l'epifania dell'Aton nel suo aspetto dottrinario. La nostra indagine si svolgerà adesso alla ricostruzione degli altri cardini del "sistema".

L'EPIFANIA DEL FIGLIO Alla tri-unità celeste dell'Aton (rtn) corrispondeva, per la necessaria analogia dell'heka cosmico, una corrispondente tri­ unità terrena: qui la triade era costituita dal re, incarnazione dell'Aton, da Nefertiti (chiamata significativamente Nefer­ neferu-aton, "bella è la bellezza di Aton") e, in assenza del figlio maschio che Akhenaton non poté avere, dalla maggiore delle figlie. La famiglia aveva carattere sacro in Egitto e lo ebbe ancor più per la "dottrina della vita" 1 • E anche per questo il "faraone del sole", conformemente al suo credo, volle che gli artisti la rappresentassero dal "vero", cominciando dal grup­ po regale, tri-unità terrena modellata sullo schema esatto di quella celeste e, per questo, garante del popolo nei confronti dell'Aton. Il primo termine, come sappiamo dall'Inno, era il faraone stesso, l'unico a conoscere la teofania del disco, l'unico a essere "iniziato ai suoi progetti". E non per niente uno dei nomi di­ dattici del "Signore delle Due Terre" era ua-en-ra (l' "unico in Ra" ). Il secondo termine fu la "bella che qui viene", Nefertiti, la "grande consorte regale" che, non casualmente, appare sem­ pre in primo piano (il che ha valore magico-religioso) in tutta l'iconografia amarniana. «Ella vive e fiorisce / per sempre in eterno», afferma la conclusione del grande Inno ad Aton, non tanto perché adepta entusiasta del nuovo credo quanto piutto1 Questa "trinità minore" è l' unica sulla quale si sia soffermata l'atten­ zione deg li storici (Aldred, Gardiner, Wilson e altri).

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sto come idea-simbolo dell' "Eterno Femminino" che si f a uno con l'elemento creativo "maschile" personificato da A khenaton. Il terzo termine, la prole, è quello della sintesi creativa. Su t utto domina la luce nella manifest azione del sole, f onte di calore e di vita, di bellezza e di amore. Quest'uomo che, per dirla con le parole di Breasted 2 , il mondo moderno deve ancora adeg uatamente apprezzare e per­ fino conoscere, ha saputo come nessun altro fondere in una superiore sintesi visiva la trascendenza e l'immanenza del Di ­ vino. E per farlo ha utilizzato l'immagine e la parola: allo splendore dell'Aton che tutti possono constatare si accompa­ gna un linguaggio che è f atto anch'esso di splendore; akh, espressione della gloria, e khai, "brillare" (si noti l'assonanza) sono concetti rivelatori della "dottrina della vita". E dopo l'Aton stesso, il termine sostanziale dell'ideologia amarniana si riscontra nel n uovo nome del re-dio, Akhenaton. La maggior parte degli egittologi lo ha reso impropriamente con "Colui che è utile all'Aton" ma è stato Cyril Aldred ad avvicinarsi maggiormente all'interpretazione corretta. Lo stu­ dioso inglese ha reso il nome del re come "l'e ffettivo spirito di Aton", intendendo che «quella medesima potenza che ema­ nava dal disco solare, si manifestava come incarnata nella persona del sovrano » 3 •

James Henry Breasted, History of Egypt. Londra 1 906. C. Aldred, Akhenaton il faraone del sole, op. cit., p. 1 65, sottolinea ancora che «il nome akh, se tradotto come "spirito efficace" o come "stato glorioso", ha il significato di una "trasformazione", forse di una effettiva incarnazione, dal momento che il suo determinativo può essere una figura umana». Si veda anche W. Federn, JNES, 1 9, p. 253. 2

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È dunque l 'akh di Akhenaton (" spirito tra sfigurato nel'1 Aton") l'altro elemen to rivelatore dell'e scatologia amamiana. Il segno geroglifico che forma la radice del verbo "e ssere benefico, efficace, glorio so" è lo ste sso che indica il più ele­ vato elemento spirituale dell'uomo, l 'akh, raffigurato dall'ibi s dal ciuffo che all'epoca del Regno Antico segnava il vertice della teologia solare (il sovrano defunto subiva il rito detto sakhu, che tendeva appunto a spiritualizzarlo, a fame un akh, uno spirito). Que sto principio, che ai primordi della civiltà egizia era proprio solo degli dèi e dei re in quanto e sseri divini, aveva carattere a ssolutamente soprannaturale e la teologia di On­ Eliopoli l'aveva svincolata dalla dinamica del corpo mum­ mificato, co sì vitale per l'interpretazione del ciclo o siridiano. Ma per comprendere meglio la so stanziale di stinzione fra nozione solare e o siridiana è opportuno ricordare come gli an tichi Egizi concepivano la stru ttura dell'uomo. Con l 'akh, che deriva evidentemente dal ciclo solare, gli al tri due principali elementi spirituali sono il ba e il ka, legati alla terra e probabilmente scaturiti dalla primitiva religione agraria egizia. Pur apparendo come definizione nei loro a spetti energetico-propul sivi, e ssi nel conte sto della letteratura atoni­ stica rive stono un ruolo a ssolutamente marginale; il che è perfet­ tamente compren sibile se si pen sa all'importanza, vicever sa, che il ba e il ka assun sero nella teologia o siridiana riveduta e corretta dal sacerdozio tebano e al loro rapporto col cadavere mummificato, a spetto, que sto, a ssolutamente e straneo alle ori­ ginarie concezioni solari. Inutilmente cercheremmo fra que sti tre termini l'equiva­ le nte della nozione moderna di anima, indi ssolubilmente lega ta a lla vi sione cri stiana : la "p sicologia" egizia, come quella indù,

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La famiglia reale compie offerte all'Aton (tomba di Jpy, Amarna. Disegno di Norman Davies)

è meno unitaria e assai più articolata in strutture gerarchiche. Per capirla in profondità bisogna avere un minimo di familia­ rità con le escatologie teosofiche del nostro tempo, che sono, poi, quelle più prossime al panorama metafisico egiziano. Col termine "anima", per la verità, si è soliti tradurre im­ propriamente il ba secondo una convenzione accettabile solo con un buon grado di approssimazione di comodo. All'origine il ba, raffigurato come un uccello (e talvolta, a partire dalla XVIII dinastia, come un uccello a testa umana), sembra essere stato la facoltà propria degli dèi di muoversi e di assumere

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forme differenti. Ciascun ba era collegato a una forma , e la conferiva all'essere che animava. Era quindi responsabile del­ l 'aspetto fisico dell'individuo (come forza irradiante) ma pote­ va anche produrre differenti manifestazioni (e gli dèi erano dotati di più bau). Dotato di coscienza o , più precisamente, di psichismo il ba era in grado di ragionare, di riflettere, di giudicare, di prendere delle lucide decisioni; accoppiato con il cuore ab (va sottoli­ neata la metatesi: ba, ab, che aveva un suo valore sacrale) , che gli Egizi ritenevano sede del pensiero, il ba, nella concezione funeraria corrente, era perennemente minacciato dalla "secon­ da morte", dal rischio, cioè, della decomposizione e della per­ dita graduale della coscienza individuale (col che la forza del ba si sarebbe apprestata, giocoforza, a una nuova reincarna­ zione, che segnava appunto l'oblio e la scomparsa, almeno temporanea, della precedente individualità). Era questa la paura più grande dell'egiziano medio; diver­ samente dal ka, la cui esistenza dipendeva dalle offerte simbo­ liche (rappresentate in bassorilievo oppure dipinte sulle pareti della tomba) , il ba «necessitava di offerte in natura (pane, frutta , volatili arrostiti, birra); quando il flusso delle offerte cessava (e presto o tardi ciò doveva pur avvenire) anche la sua esistenza cessava. Il ka era sedentario, il ba era dotato di un prodigioso dinamismo, si spostava con estrema facilità e per­ correva a volontà l'intera gamma delle metamorfosi»4 • L'altro principio, legato ancor più strettamente all'indivi­ dualità del defunto, è quello del ka, il cui segno geroglifico raffigura significativamente due braccia levate nel gesto di Si veda in proposito G. Kolpaktchy, Il libro dei morti degli antichi Egiziani. Trad . it. Atanòr, Roma 1979. 4

5 la Tradizione solare

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Il "ba ", elemento spirituale animatore delle forme

abbracciare e di proteggere; esso tutela l'individualità anche dopo il trapasso, dal momento che morire è semplicemente "raggiungere il proprio ka" . Ma il ka, il cui omofono è il toro, esprime anche l'idea della potenza generatrice e della forza sessuale. Concetto fra i più astratti che il pensiero egizio ci abbia tramandato, il ka si può definire come una manifestazio­ ne delle energie vitali, sia nella sua funzione creatrice sia in quella conservatrice 5 • È il "divino vasaio" , il dio Khnum in persona che ha modellato il ka sul suo tornio alla nascita del­ l'uomo . Era il ka , personificato nel cuore, a correre grossi rischi al momento della psicostasia dinanzi al Tribunale di Osiride; se non "giustificato" esso veniva distrutto da orribili mostri. 5

Serge Sauneron , op . cit. Un' altra suggestiva definizione è stata for­ nita da G. Maspero , secondo cui il ka costituisce una «proiezione vivente e colorata della figura umana , un doppio che riproduceva anche nei minimi particolari l ' immagine intera dell'oggetto o dell' individuo a cui appartene­ va» ; è praticamente il "corpo astrale" teorizzato dai teosofi orientalisti .

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Il ka "giustificato" (maa kheru, letteralmente "di giusta voce") si trasfigurava in attributo divino (si ricordino i quattor­ dici kau di Ra, di cui abbiamo parlato nel capitolo introdutti­ vo) e svincolato dalla dinamica corporea del tempo e dello spazio; il ka fortemente spiritualizzato, inserito nel ciclo solare dell'epopea di Ra, qual è quello a cui fanno riferimento i testi di Amarna 6 • Un altro indizio del concetto atoniano del ka ci viene for­ nito dall'affermazione contenuta in una delle stele confinarie di Amarna, in cui è detto, fra l'altro, che «il toro Mnévis deve essere sepolto ad Akhetaton... ». Che significa ciò? Mnévis era - come Apis (hp) lo fu per il demiurgo menfita (Ptah) - il toro sacro di Eliopoli, simbolo della forza generatrice "maschile" di Ra, la sua incarnazione e anima vivente (tut ankh) o, anche, l'"araldo del verbo" (letteralmente: "immagine efficiente"). La disposizione di Akhenaton, che mostra fra l'altro quan­ to il nuovo culto di Amarna si rifacesse, almeno nell'ispirazio­ ne formale, alla dottrina di On-Eliopoli, è significativa e sot­ tolinea l'interpretazione corretta del ka atoniano. Mnévis era un toro nero che i sacerdoti distinguevano attraverso dei segni, nel comparire di pezzature caratteristiche sul corpo e sulla coda. Il toro, è qui opportuno ricordarlo, è stato considerato in tutte le religioni arcaiche indo-mediterranee una personificazione 6 A proposito dell'oltretomba di Akhenaton, Cyril Aldred, op. cit. p. 7 1 1 , afferma: «L'escatologia di A ton non è facile da scoprire; ma sembra che essa ponga l'accento su una più antica concezione che era stata sosti­ tuita dalla vita agricola del culto di Osiride. Questa racchiudeva la credenza che le anime dei morti uscissero al sorgere del giorno, talvolta sotto forma � i uccelli cinguettanti , per godere durante la luce solare una vita completa 10 un mondo invisibile gemello di quello materiale in cui viviamo, e che in fine al cadere della notte tornassero nelle loro tombe» .

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della potenza generatrice della terra o anche del sole, come cratofania della luce. E, come tale, infatti lo ritroviamo in un'area culturale estremamente vasta (il toro dei Keftiu cretesi, il toro di Mitra indoiranico, il toro indiano, ecc.). E a proposito di Mitra notiamo, per inciso, che nell'antico Egitto il geroglifico "mtr" significava mezzogiorno e che il sanscrito "mitra", in quanto termine, equivale anche al sole! Un'ultima significativa annotazione sul ka solare: Mnévis era chiamato mer ur - cioè che "ama il Grande" o che è "ama­ to dal Grande" - dai sacerdoti di On 7 • Per quanto riguarda le scarne citazioni del ba nel ciclo amarniano rileviamo che anche questo "stato dell'ego" è qui interamente calato nella realtà del sole: il significato del rinno­ varsi dell'universo col sorgere di Aton all'inizio di ogni gior­ no, su cui tanta insistenza è posta negli inni, è che esso ripor­ tava la vita non solo al mondo tangibile, ma anche a quello dei morti. O, piuttosto, è preferibile rilevare che non esiste nella concezione solare il problema della morte, quale esso è stato inteso, ad esempio, dai culti agrari di Osiride. Nella religione di Akhenaton tutto è spirito, il fondamen­ tale ottimismo della filosofia eliopolitana viene qui portato alle sue estreme conseguenze: l'apostolato e la mediazione del re-dio fanno di ogni uomo che abbia inteso la "dottrina della vita" un sakhu, uno spirito santificato. Nel culto del sole la chiave di volta dell'intero sistema è rappresentata dall'akhu, lo splendore nelle sue varie epifanie, e Akhetaton (l' "orizzonte di Aton") ne è davvero la capitale.

7 Si

ricordi quanto abbiamo detto nell'introduzione su Ur come teofania originaria di Eliopoli, che avrebbe preceduto Ra.

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"Oriz zo nte" , val la pena sottolinearlo , nella filologia cultuale eai zia è il «luogo della luce gloriosa al di là dell 'alba, dove vivevano i celesti» 8 , e chi vive ad Akhetaton è già un "celeste" , irradiato dalla luce del verbo-Aton 9 • L'aver lasciato Tebe , la nwt 'imn (la "città del Nascosto") e le "parole perverse" dei suoi sacerdoti , per seguire l 'Incarna­ zione dell ' Aton e ascoltarne la "dottrina della vita" è il segno dell 'elezione, il modo di "praticare la maat " che caratterizzerà il tempo dello spirito. Ma qui ci si propone un altro basilare elemento del culto atoniano.

8 R.T. Rundle Clark, Mito e simbolo nell 'Antico Egitto, p. 17 . Trad. it. Il Saggi atore, Milano 1968 . 9 Aton è "verbo" consacrato, come abbiamo già visto, dal pennello de llo scrib a, dal primo fonogramma che annuncia l ' emergenza del sole, il cui apparire increspa le "acque della potenzialità" .

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