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Italian Pages [242] Year 2005
AUTORI MODERNI PER IL TERZO MILLENNIO
Collana diretta da GASPARE MURA 5
Marsilio Ficino LA RELIGIONE CRISTIANA
Marsilio Ficino
LA RELIGIONE CRISTIANA a cura di Roberto Zanzarri
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Città Nuova
In copertina: Domenico Ghirlandaio ( 1449-1494 ) , Apparizione dell'angelo a Zaccaria, part. (Ficino) . Firenze - S. Maria Novella. © 1 990, Foto Scala, Firenze. Grafica di Rossana Quarta © 2005 , Città Nuova Editrice Via degli Scipioni, 265 - 00 1 92 Roma tel. 063 2 162 12 - e-mail: [email protected] ISBN 88-3 1 1 -1 109-4
Finito di stampare nel mese di settembre 2005 dalla tipografia Città Nuova della Via Romano in Garfagnana, 23 00148 Roma - te!. 066530467 e-mail: [email protected]
S.
P.A.M.O.M.
INTRODUZIONE
/}opera che qui si presenta, La religione cristiana di Marsilio Pici no l, appare ora per la prima volta, a quel che ci risulta, in una tradu zione in lingua moderna, volgare, ave si eccettui la versione in toscano, curata dall'autore medesimo, versione molto aderente al dettato latino originale e di ardua comprensione, ostica a un lettore odierno per ovvie ragioni di lessico, di tournure del periodo, e - va da sé - di caratteri ti pografici, ricalcanti i codici manoscrittz; di punteggiatura. Ci rz/eriamo all'edizione datata Firenze 1568 (con due libri sulla sa nità 2), «appresso i Giunti». Nella dedica a don Pietro Medicz; firmata Iacopo Giunti, 15 agosto 1568, si legge: «il presente trattato della Reli gione Christiana composto in latina lingua, e quindi trasportato nella natia favella da quel soblime e raro ingegno di Marsilio Ficino». Scrive inoltre, Giunti, di aver voluto pubblicare, insieme con quel trattate/lo, due libri sulla sanità, redatti in latino dal filosofo, e da altri tradotti in toscano, nonché /atti "rivedere" da «i fratelli miei et io». La traduzione attuale del De Christiana religione liber è stata con dotta sul testo dell'edizione di Basilea 1576, comprendente l'Opera om nia di Ficino, e riprodotta in fototipia alcuni decenni or sono dall'esem plare della Biblioteca Civica di Torino: Bottega d'Erasmo, Torino 1962, l Marsilio Ficino ( 1433 - 1499) , protetto dai Medici, ebbe in dono la villa di Ca reggi, sede dell'Accademia Platonica. Tradusse il Corpus Hermeticum, gli inni orfici, Platone, Plotino, Porfirio, Giamblico, Proclo ecc. Oltre ai commenti a Platone e Pio tino, la sua opera più notevole è la Theologia Platonica de immortalitate animorum, citata più volte nel De Christiana religione. Di Ficino sacerdote a Firenze, abbiamo le Praedicationes di indole pastorale e speculativa. Notevole l'Epistolario. 2 Ficino, come è noto, aveva studiato medicina.
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Introduzione
zn due volumi. Nella lettera introduttiva PO. Kristeller lamenta la mancanza di un'edizione critica di Ficino e mette in guardia il lettore, avvertendo che il testo prescelto, pur pre/eribile ad altr� contiene erro ri, interpolazion� oscurità. Ciò che ripete Mario Sancipriano nella premessa. Non ci inoltreremo in questioni filologiche troppo minute, starem mo per dire astruse, e che non ci riguardano in questa sede: i problemi testuali (lectiones dubbie, coniecturae ecc. ) sono stati risolti di volta in volta con canoni ermeneutici forse opinabili, ma ispirati al sensus qui communis dicitur e alla virtù della prudenz4. La collazione del testo latino e di quello italiano esibisce s/asature, aggiunte e omissioni; di «parecchie aggiunte» parla Kristeller a proposi to dell'Opera omnia appena citata. Le aggiunte sono reperibili negli Studies in Renaissance Thought and Letters (Roma 1956) dello stesso autore. Sempre all'insigne studioso americano, ebreo émigré, dobbiamo un Supplementum Ficinianum (Firenze 1937), che contiene un prezio so Index editionum. Anche un incunabolo, da noi consultato alla Biblioteca Nazionale Centrale di Roma, Della religione christiana, Pisa 1484, che «è la ri stampa dell'edt"zione fiorentina, la prima, prodotta nel1476 da Nicolò di Lorenzo», ci in/orma il servizio bibliografico della Biblioteca, così recita: «Finis. Finito e/libro della christiana religione colle nuove additioni». Chi ha tradotto si è attenuto al testo citato (Basilea 1576). Quanto agli errori del testo stesso, con cui si è cimentato l'inter pres, nel duplice senso della lingua latina, traduttore ad verbum, segua ce della più umile arte del Trivio, la grammatica, e ricercatore di quella divinatio del significato (palese e occulto tra i segni), teorizzata da Leo Spitzer sulla scia di Schleiermacher, è da dire che taluni errori erano ab bastanza evidenti, pur senza mettere da canto il severo monito della le etio difficilior, al fine di evitare fraintendimenti, di non appropriarsi del testo adattandolo ai propri gusti e concettz; privando/o del suo spessore. Leggere apud deos oppure apud eos? Una meta/ora o un semplice pronome? Interrogativi come questo sono rico"enti per chiunque sfogli l'opusculum di Ficino, ma si sono rivelati tutt'altro che insormontabi li: il circolo ermeneutico si chiudeva spontaneamente su se stesso, dal
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centro alla perz/erùz e viceversa, accettando la lectio più ovvia, più bana le, facilior. Insomma, come è avvenuto spesso, agli inizi della galassia Guten berg, per dire e smentire, quindi con fini che non sono i nostr� potrem mo censurare anche noi la neglegentia typographorum. Negligenza che si incontra pagina dopo pagina, e all'interno della stessa pagina, anche nel succedersi delle ci/re arabiche, sul recto e sul verso, e tale da ispira re una qualche sfiducia nella "stabilità tipografica", garante del nuovo sapere scientifico, galileiano, stabilità teorizzata dalla Eisenstein 3. Non ci soffermeremo su singoli loci, che esigerebbero riscontri ac curati tra testi e il vaglio di ipotes� testimonianze varie, accertamenti in merito alla Ùberlieferung, alla tradizione diretta e indiretta. Il De Christiana religione è un'opera di apologetlca, che - nella sua mole modesta - accumula dtazioni pagane e bibliche, neo e vetero te stamentarie, si alimenta della controversistica con le altre religioni mo noteistiche dell'evo medio, l'ebraismo e - in misura minore - l'islami smo. Rintracdare le fonti donde discendono tante auctoritates, la vasta, molteplice letteratura che Fidno padroneggia, stabilire genealogie, stemmata codicum e di libri stampati non è nostro compito, ma di un'auspicabile edizione critica di tutto Fidno, o almeno dell'opera che qui si considera. Sarebbe interessante una recensio che d informasse sui temi se guenti: a quali filoni della Vulgata attinga Fidno, quali siano le varian ti rispetto ai testi allora in uso o agli acquisti dell'esegesi del secolo XX (e XXI). E ancora: un oggetto di studio molto stimolante è costituito dalla traduzione caldea dell'Antico Testamento, cui Fidno attribuisce tanto rilievo da metter/a sullo stesso piano della Bibbia ebraica, anzi da commentare, da integrare quest'ultima, formulando così il senso auten tico, genuino della verità rivelata, grazie all'ausilio della Bibbia ca/dea. I.:impianto musivo del De Christiana religione d introduce nella temperie intellettuale della Firenze medicea, tra Dominic� Savonarola,
3 E.L. EISENSTEIN, Le rivoluzioni del libro. L'invenzione della stampa e la nasci ta dell'età moderna, Bologna 1 995 .
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Pico della Mirandola, cultore della Cabala, spirito ecumenico avant la lettre, e Ficino, filosofo platonico e lettore di Ermete tre volte grandis simo, tris megistos, delle sibille, di Zoroastro, di scritti esoterici. Dal testo alla lingua: ossia al latino umanistico che è una fase cir coscritta, strutturata del sermo degli antich� e distinta dalla latinità "media" e da quella "in/ima", in cui poetò Pascolz; morto ne/1912, e in cui si espressero moltifilosofi modernz; non escluso Bergson (Quid Ari stoteles de loco senserit, 1889). Il latino del Nostro non ambisce al kal6n, al bello in senso esteti co, letterario, a differenza della prosa attica, e prosa d'arte, del suo mae stro, di Platone. È un linguaggio didascalico, abbastanza perspicuo, cui sono estranee la concinnitas ciceroniana e la sallustiana brevitas, o la concisione, l'ellissi continua, assillante di Tacito. Sembra di udire, in lontananza, l'eco "toscana" di un argomentare paratattico, sebbene non sia lecito il sospetto che Ficino pensi e parli servendo si di uno strumento semantico, che non è unico, omogeneo e coerente. Il verbum mentis si consegna agevolmente alle pagine di un codice, ai segni della chirogra/ia, o ai caratteri della stampa, pur mo' nata. Ci imbattiamo quz; come altre volte, nel bilinguismo consueto del la nostra letteratura (e delle consorelle europee), nei suoi interrogativz; nei suoi dilemmi. Se altri autori hanno mirato a una latinità pura, elet ta, da Valla a Sannazaro, Ficino è tutto preso da intenti teoretic� e il suo latino indulge a /orme che non sono classiche, che risentono tuttora del Medioevo. Nessuna meraviglia, del resto, poiché il latino umanistico, entità vi va, non imbalsamata, ha allures sue esclusive, e non sempre rifiuta, ha in fastidio i sedimenti trascors� così come Pico - nella celebre polemica con Ermolao Barbaro - dz/ese i filosofi che non erano graditi al patrizio veneto e raffinato cesellatore della Latinitas. Ma Pico, sappiamo, aveva un progetto vasto, di ampio respiro, e che tendeva alla concordia delle tradizioni religiose del bacino mediterraneo. I:ecumenismo di Marsi/io Ficino, vedremo tra breve, si inseriva in un alveo più tradizionale, più classicheggiante, al paragone del conte della Mirandola, e tuttavia proseguiva, sviluppava credenze, simboli del
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Medioevo. Il che forse è idoneo a spiegare (se non ci fa velo l'amor di te st) i residui di una lingua che altri preferivano redenta, restituita a un paradigma fuori del tempo, del divenire storico. Basti qualche esempio, senza pedanterie e senza eccessi di ciceronia nesimo: Ficino scrive tuttora amatum fuisse invece che amatum esse, all'infinito passato passivo; amatus est e amatus fuit, all'indicativo per /etto passivo, mentre ne/ latino classico indicano azioni di gran lunga di vergenti tra loro, sembrano forme promiscue, fungibili. Ne nascono per plessità per l'interprete, e queste ultime si accrescono allorquando ama tus est equivale ad amatur, aggettivandosi l'amatus. E talvolta il co strutto scimus quod, seguito dall'indicativo come nella Vulgata geroni mzana. Senza inoltrarci nel lessico, nell'ortografia medievaleggiante (sy dus, authoritas), nelle etimologie, in una selva di rinvii e di concordan ze, ci limitiamo a osservare che siffatte /orme documentano, ribadisco no una dimestichezza con test� autori di un milieu, quello fiorentino per l'appunto, ricco di stimoli, di sollecitazioni e non ignaro dei contri buti pregressi. Un'opera di apologetica, dunque, il De Christiana religione, i cui contenuti sono abbastanza scontati e ortodossi. Tuttavia già nel proemio ad Laurentium Medicem Patriae servatorem, dove risalta il mecenati smo dei nuovi signori succeduti alla Fiorentina libertas (di essa però non è traccia, né nostalgia: l"'umanesimo civile", caro a Baron, a Garin, volge al tramonto), Ficino propone tesi, istanze che stanno a designare una fi"loso/ia della religione molto precisa, e che dichiarano l'universali tà della categoria del "sacro", l'immanenza del sacro stesso in ciascuna cultura. Dagli ebrei ai persian� ai bramani, agli egizi, ai druidi, alla Gre cia, a Roma, sempre la sapientia, o scientia (i due termini appaiono si nonimi), e la religio si sono compenetrate, sono vissute e convissute in un'osmosi reciproca, feconda. O felicia saecula, quae divinam hanc sapientiae religionisque copu lam, praesertim apud Hebraeos Christianosque, integram servavistis. Mondin così chiosa: «La caratteristica peculiare del progetto religio so-teologico del Ficino è che il filo rosso unificante l'esperienza religio-
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sa dell'umanità non è rappresentato dalla rivelazione[. . . ]. Il Ficino cer ca di cogliere l'unica sapientia in tutte le /orme in cui si rivela, nei libri sacri come nei poetz; nell'armonia pitagorica dei cieli». La pia philoso phia, prosegue Mondin, è «capace di cogliere le radici divine del Tutto e il mirabile dispiegarsi dell'Unità eterna nella molteplicità inesauribi le della sua creazione» 4. Un altro filosofo platonico, Niccolò da Cusa, o Cues, sulla Mosella, diocesi di Treviri, nello stesso lasso di tempo, e in contatto con l'umane simo italiano (anche lui, sia detto en passant, riconobbe che la donazio ne di Costantino era un mero falso, come Lorenzo Val/a), teorizzava concetti analoghi nel De pace fidei, del1453, l'anno della caduta del l'impero d'Oriente, e in altre sue opere, la Cribratio Alcorani 5 per esempio: la rituum varietas, le plurime «locuzioni del Verbo divino» si compongono, o aspirano a comporsz; nell'una religio. Ficino riecheggia questi concetti, allorché scrive: Divina providen tia non permittit esse aliquo in tempore ullam mundi regionem omnis prorsus religionis expertem, quamvis permittat variis locis atque tem poribus ritus adorationis varios observari (cap. 4). Con accenti prossi mi al cardinal Cusano, anche Ficino sembra compiacersi della varietà: Forsitan vero varietas huiusmodi, ordinante Deo, decorem quendam parit in universo mirabilem. In qual modo il molteplice empirico, le religioni positive, i loro ré cits, i loro dogmi si concilino con l'una fides orthodoxa (è sempre il lin guaggio del cardinale di Cusa, nello sforzo di sostituire il dialogo al con fronto delle armi in un momento di autentico, drammatico clash of ci vilizations), in qual modo ciò si realizzi è il problema perenne di ogni conato ecumenico di ieri e di oggi. Inoltre sussiste l'insidia del "pensiero debole", incline a smarrire, confondere i tratti identitari delle comunità localz; nazionali e transnazio nalz; percorrendo - forse senza averne memoria, consapevolezza - il sen-
4 B. MONDIN, Storia della teologia, vol. 3 , Bologna 1 996, pp. 48-49. 5 Entrambe le opere in N. CUSANO, Opere religiose, Torino 1 97 1 . Ci sia consen
tito citare: R. ZANZARRI , Il De pace /idei di Niccolò da Cusa, in «Euntes Docete», 54/ 1 (200 1 ) .
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fiero battuto dal paganesimo morente, sconfitto, dal neoplatonismo, da un Temistio, che asseriva sulle orme di Eraclito: «La verità ama nascon dersi». Oppure da un Simmaco nella celebre Relatio de ara Victoriae 6. A Ficino, ripetiamo, sta a cuore rivendicare l'universalità dell'espe rienza religiosa, l'inerire di quest'ultima a ciascuna Kultur, spingendo si a concedere che omnis religio boni habet nonnihil (recita il titolo del cap. 4). Il divorzio tra sapientia e religio, già rammentato, accenna a in cipienti processi di secolarizzazione, a filosofie pronte a espungere il /at to religioso, l'istanza del divino dal dominio dell'antropologia, della so cietà e della storia. Scrive Ficino nel cap. l: Si homo animalium mortalium perfectissi mus est, in quantum homo, ob eam praecipue dotem est omnium per fectissimus, quam inter haec habet ipse propriam, caeteris animalibus non communem, ea religio est. L'ecumenismo di Ficino, che è tutt'uno con la sua apologetica de vera religione, si avvale di strumenti storici, /z'lologici, e in ciò non si di stingue da Pico, anche lui della cerchia laurenziana, anche lui studioso di testi estranei al canone biblico: la Cabala principalmente, da cui de dusse le novecento ardite conclusiones. Ci sembra che l'ecumenismo di Giovanni Pico sia da designare di tipo sincronico, poiché assume le grandi tradizioni delle terre rivierasche del Mediterraneo, ne vuole cogliere gli elementi comuni, ancora latenti e tuttavia condivisi. La diacronia invece caratterizza il De Christiana religione: dai poe ti teologi, Orfeo, Museo, Lino, citati anche nel De civitate Dei, alle molte sibille, cumana, eritrea, tiburtina ecc. , a Virgilio, alla sua celeber rima IV ecloga, annuncio della nascita di un puer (caelo demittitur al to), con dovizia di profezie attinenti a quella nascita: occidet et serpens. Oppure: iam redit et virgo. È un capitolo, questo "diacronico", piuttosto negletto nella nostra storia letteraria, culturale, e nella storia dell'ecumenismo, un capitolo in 6 Quid interest qua quisque prudentia verum inquirat? Uno itinere non potest perveniri ad tam grande secretum ( 1 0 ) .
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cui Ficino si inserisce a pieno titolo, e che è più ampio, più corposo di quel che si riterrebbe dalla lettura delliber. La ricerca a tale riguardo è stata appannaggio di eruditz; della scuola che si fregiò dell'appellativo di "storica" 7, ma che fu positivistica, curiosa e rispettosa del documento. Altri, in epoca più recente, ha svolto una specie di "metodo dell'im manenza" à rebours: gli umanistz; dz/endendo la continuità tra lettere profane e cristiane, avrebbero propugnato un concetto attivistico, crea tore dello spirito s. Albertino Mussato, contemporaneo di Dante, la figura di maggiore spicco del "circolo padovano", dei preumanist� intravide i semina Ver bi in un'area testuale che era smisurata, e che conteneva i presagi delle verità rivelate, ivi inclusi dogmi e sacramentz; ma in primo luogo il mo noteismo. Sotto il velame dei versi strani la medesima dottrina mono teistica fu colta da Petrarca: poetarum datissimi unuin omnipotentem, omnia creantem, omnia regentem, opificem rerum Deum in suis ope ribus sunt confessi 9. Nel Boccaccio delle Genealogiae deorum genti lium, in Salutati ricevette ulteriore impulso l'ermeneutica cristiana de gli autori pagani. Né gli umanisti escogitarono un semplice, comodo espediente per reagire alle critiche degli avversar� difiloso/� studiosi a loro avversi: ab biamo già /atto cenno a Orfeo, ai poeti teologi. Occorre aggiungere che il Medioevo accettò l'interpretatio Christiana della IV ecloga e altre leg gende: per esempio quella che collega le origini dèll'Aracoelz; a Roma, alla profezia resa dalla Sibilla tiburtina ad Augusto alla vigilia della na·
7 A. GALLETII , La "ragione poetica" di Albertino Mussato ed i poeti teologi, To rino 1 9 1 2 . Inoltre, rinviamo a un classico concernente la "latinità media" : E.R. CuR TIUS, Europiiis che Literatur und lateinisches Mittelalter, Bem 1 948, cap. 1 2 , su " poe sia e teologia" (trad. it. , Firenze 1 992 ) . 8 G. RONCONI, Le origini delle dispute umanistiche sulla poesia (Mussato e Pe trarca), Roma 1 976, pp. 145 - 1 46 («La rivalutazione fatta da questi [Mussato] del ruo lo svolto dagli antichi poeti-teologi era infatti sulla linea di una interpretazione natu rale del fatto religioso, che ammetteva la possibilità di una rivelazione anche fuori dal Vecchio o dal Nuovo Testamento». Ancora: Mussato «rischiava di confondere lo scambio tra uomo e Dio con un colloquio dell'uomo con se stesso») . 9 F. PETRARCA, Opere latine, vol. 2 , Torino 1 975 , p. 892 .
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scita di Cristo ro. Non soltanto le lettere, ma anche la ricca, lussureg giante iconografia dell'evo medio testimoniano la consistenza, la durata attraverso i secoli di tale ecumenismo ignorato, sui generis. Dal canto suo Tommaso da Celano, se a lui è da attribuire il Dies irae, il canto che tuttora risuona nel culto cattolico (e che tormentava, annichiliva Margherita sotto le volte del tempio, si legge nel Faust), ac cingendosi a descrivere il giorno del giudizio, dell'orgè theou,.ricorreva a un'autorità duplice, inconcussa: teste David cum Sibylla. E le molte, di/ferenti sibille, qualche secolo più tardz; dipingeva Michelangelo nella Sistina. Anche Ficino, nel De Christiana religione, dedica due capitoli, 24 e 25, all'authoritas Sibyllarum e ai testimonia Sibyllarum de Christo, cui fanno seguito, e pendant, altri due capitoli sull'autorità e le testimo nianze dei profeti. Ha osservato Male, iconologo del gotico e poi dell'arte postridenti na, che la Chiesa cattolica ha lasciato cadere (e quasi ne ha provato pu dore), immagini, allegorie divenute desuete sotto l'urto della polemica protestante e razionalistica. Se ciò è valso a definire con esattezza il de positum fidei, si è smarrita, offuscata - a noi sembra - la memoria di una parte cospicua della nostra storia religiosa, letteraria, filosofica. Si è soliti citare Giustino, la sua teoria del Logos vivo, operoso nel le filosofie elleniche, e con lui la stima altissima che Clemente Alessan drino manifestò per la paideia, una sorta di praeparatio evangelica, se vogliamo servirei di un titolo illustre, risalente a Eusebio di Cesarea. Ri teniamo tuttavia che le tracce di una mentalità ecumenica siano da in vestigare anche altrove: presso gli apologisti e i Padrz; che elaborarono l'idea del /urto compiuto dai filoso/i, dai sophoi gentili, ai danni delle verità rivelate ai "barbari". È quel che scrive Eusebio, appena nominato, ma sono persuasi di quel /urto Tertulliano, Agostino, tutti gli autori del cristianesimo ai suoi
IO J. SEIBERT, Lexzkon christlicher Kunst, Freiburg-Basel-Wien 1 9822, stus un d die Sibylle von Tibur.
s. v.
Augu
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alborz; e per molti secoli: Agostino stabilisce tavole cronologiche, tenta sinossi e riscontrz; mentre il sintagma veritas interpolata si insinua un po' ovunque. Lo troviamo, nel197, allorché fioriscono per la prima vol ta le lettere cristiane in lingua latina, nell'Ottavio di Minucio Felice: Philosophos eadem disputare guae dicimus, non guod nos simus eo rum vestigia subsecuti, sed guod illi de divinis praedicationibus pro phetarum umbram interpolatae veritatis imitati sint 1 1 . Il quadro che qui si tenta di abbozzare sarebbe deficitario se omettes simo di ascrivere agli ebrei della diaspora, agli ebrei di Alessandria prin cipalmente, ad Aristobulo (Il secolo a.C.), la paternità della contamina tio ellenico-giudaica, e in prosieguo di tempo ellenico-cristiana: una ver sione dell'Antico Testamento anteriore ai Settanta avrebbe avuto il ruolo di tramite tra le due culture, tra Mosè e Platone, "Mosè atticizzante",.con sentendo il /urto di elementi /rammentar� distorti della Scrittura. Giuseppe Flavio, un autore che Ficino conosce bene (cf il cap. 30 del De Christiana religione e il celebre, enigmatico Testimonium Fla vianum, nelle Antichità giudaiche, XVIII, 63 -64, citato dal Nostro co me prova della divinità del Cristo), rivendica orgogliosamente l'archa iotes del suo popolo, la primogenitura nei confronti dei greci. I:ecumenismo di Ficino è stato restituito in questo breve excursus, riteniamo, alle sue scaturiginz; alla molteplicità degli apporti ultramille nari che l'hanno sostenuto, incrementato. Esso affonda le sue radici nel l'hellenistisch-romische Kultur, nella koiné mediterranea, ne accoglie le categorie elleniche, idonee a esprimere il dogma cristologico, l'Uomo Dio, mistero intorno a cui si organizzano le verità del cristianesimo: ciò che non s/uggt' a un cultore della "teologia speculativa", a Hegel nelle sue Vorlesungen sulla religione. Nel cap. 18 Ficino si domanda: Quid sapientius guam universi de corem miram primae et ultimae rationis copulam fieri? La copula, pa rola-chiave, parola !ematica delle orazioni, dei trattati umanistici per
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MINUCIO FELICE, Ottavio, con introduzione di E. Paratore, Bari 1 97 1 ,
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esaltare la dignità dell'uomo (si rammenti l'Oratio di Giovanni Pico: indiscretae opus imaginis è la formula definitoria che si attaglia all' uo mo), è trasferita in un terreno teologico, e tutto il creato è redento, no bilitato dal congiungersi della realtà in/ima e della realtà suprema nel l'ipostasi divina, nella bellezza (decor) dell'universo. Non ci so/fermeremo a sottolineare come le categorie elleniche, e platoniche, subiscano una metamorfosi pro/onda, acquistando versatili tà, dinamismo, di cui erano sprovviste (il Christus patiens), e come il cristianesimo sia una religione "iconica" che non aborre dalla materia, dagli aspetti più degradati di questa. Scrive ancora Ficino: Fecit ut nihil esset in mundo deforme, nihil penitus contemnendum cum regi coe lorum terrena coniunxit. Nel dogma del Verbo che si fa carne risiede la uniqueness del cri stianesimo, palese, non bisognosa di esam� di studi comparativistici: in termini paolinz; il suo scandalo e la sua follia. Quando si usa il vocabolo "ecumenismo" (sulla sua accezione pri mitiva, da oikoumene ge, la terra abitata, sugli slittamenti semantici nel "linguaggio ordinario", da qualche decennio in po� non sarebbe ozioso intraprendere uno studio), si volge sempre lo sguardo alla capaci tà di intessere un dialogo, di mettere in atto una performance "illocu toria" o "perlocutoria". Ficino, come il cardinale di Cusa, interloquisce con le altre religioni del libro, o abramitiche, monoteistiche che dir si voglia, oltre che con i gentilz; come si è constatato (tra gli altrz; segnalia mo il cap. 11, Authoritas [se. Christil apud Gentiles). Ai seguaci di Maometto, ai Mahumethenses, secondo il lessico /ici niano, si rimprovera di essere eretici ariani e manichei (cap. 12). In buo na sostanza, è sempre il dogma cristologico che è richiamato da Ficino, e con esso il realismo cristiano, il rifiuto del docetismo professato dal libro coranico in merito alla sofferenza di Dio. Alium quendam Iesu similem comprehendentes verberaverunt et cruci affixerunt: così il Nostro rias sume il pensiero di Maometto intorno all'evento della salvezza 12.
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Suscita meraviglia, ed è in contrasto con i testi letterari e canonici, il fatto ben
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Con gli ebrei il discorso verte sulle Scritture, sui profeti, sulla dialet tica del tipo e dell'antitipo: c/ il lungo, minuzioso elenco di testi vetero testamentari nel cap. 27, e il cap. 28 con le varie solutiones dubitatio num circa Prophetas. Nel cap. 34 si chiarisce che l'Antico Testamento è skià ton mellonton, umbra futurorum: ne/ linguaggio proprio, letterale di Ficino, a Cristo è dato mutare[. . . ] imaginem in substantiam, ut im perfecta perficiat. Il Nuovo Testamento offre concretezza a ciò che non avendo vita, individualità sua, allude ad altro e lo riflette a mo' di ima go; esso compie, realizza fino in fondo (perficit) le "figure", i typoi adom brati dalla Scrittura antica, innova e invera la legge mosaica. Nonne videtis Deum Prophetam quendam praeter Mosem in po pulo vestro creaturum fuisse? Altrove Ficino si diffonde sulla generazione ab aeterno del Figlio, a proposito del dogma trinitario rinvenibile anche nei testi dell'Antico Testamento, e commenta, espone il celebre passo: Ego hodie genui te; si sofferma con abbondanza di argomentz; di delucidazioni sulla diffe renza del genitus e del factus, del creatus (cap. 31). Né è da sottacere la dimestichezza del nostro autore con la lettera tura ebraica della diaspora dopo Tito, dopo la distruzione di Gerusalem me, con i tentativi di dotti ebraici, per esempio, di /issare tempi e modi dell'avvento del Messia. Il che si rileva un po' ovunque nel trattate/lo, documenta uno scambio di esperienze, di letture, forse uno scambio ora le, vorremmo dire, pur nel clima tutt'altro che sereno, pacifico della Fi renze di quegli anni. In/atti l'ecumenismo di Ficino si scontra con un limite grave, visto so proprio per quel che concerne i ''fratelli maggiori" dei cristiani: il fi loso/o, e apologista, non soltanto avanza i propri argomenti esegeticz; controversistic� ma trapassa nell'invettiva acre, in accuse che sono sgra devoli, intollerabili sempre, e ancor più dopo la Shoah. Dispiace dirlo,
noto ai cultori di iconografia, che i primi cristiani rifuggissero dal rappresentare la croce, supplizio destinato ai più scellerati malfattori: cf. J. SEIBERT, Lexikon christli cher Kunst, ci t., s. v. Kreuz. A proposito della "teologia della croce " , segnaliamo A. VENTURA, Il crocz/isso dell'Islam. Al-Halla;; storia di un martire del IX secolo, Brescia 2000.
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ma spunti analoghi non mancano in Dante, in tutta la Commedia, seb bene si preferisca occultarlz; fingere che non vi siano 13. Gli ebrei sono perfidi 14, hanno tradito la fides, l'alleanza con Dio, e pertinaces, ostinat� riluttanti alla luce della verità 15, dediti al fenus, all'usura; auspicano, perseguono con tutte le loro forze la rovina sia del l'Impero romano sia della Chiesa. Anche un grande spirito della Firen ze umanistica, laurenziana, Marsi/io Ficino, non è sfuggito - purtrop po - ai Vorurteile (autentici pregiudizz) del suo tempo. Nelle note non mancheremo di rilevare, di volta in volta, i loc� i capitoli, in cui l'antigiudaismo di Ficino si dispiega, e sempre in modo aspro, virulento, accoglie calunnie sul popolo ebraico. In particolare, il cap. 29, ci sembra, è l'akmé dell'invettiva /iciniana adversusJudaeos 16, e richiede una pausa, una chiosa ulteriore. Anzitutto, si rammenti la distinzione ormai canonica, e non conte stabile, tra l'antigiudaismo e l'antisemitismo. Quest'ultimo costituisce un fenomeno piuttosto tardo, il termine è attestato a partire dagli ulti mi decenni del XIX secolo, sulla base delle ricerche svolte a tutt' oggz; e si /onda su presupposti biologistic� razziali 17, pur se (non sarebbe cor retto sottacerlo) l'elemento teologico si è troppo spesso mescolato, e con fuso, con l'antisemitismo tout court. Non intendiamo abbozzare, in questa sede, una storia dell'antise-
13 Basti citare Par. , V, 81 (il verso fu utilizzato tristemente in Italia al tempo del le leggi razziali, antisemite) . 14 La preghiera del Venerdì Santo (oremus et pro per/idis Iudaeis . . ) è stata abo lita da Giovanni XXIII. 15 La sinagoga accecata, ritratta con una benda sugli occhi, è un topos ricorren te nell'iconografia tardoantica e medievale, e fa pendant alla Chiesa di Cristo in mo saici, pitture ecc. 16 Cf. TERTULLIANO, Polemica con i Giudei, Roma 1998. 17 Interessante quel che scrive Ciano il 6 novembre 1 938: «Domani il Consiglio dei Ministri approverà la legge sulla razza [. . . ]. n Papa vorrebbe che venisse accor data la deroga anche per i convertiti al cattolicesimo. n Duce ha respinto tal richie sta che trasformerebbe la legge da razzista in confessionale». Cf. G. CIANO, Diario 193 7-1943, a cura di R. De Felice, Milano 1 980, p. 208. La deroga era una misura di " clemenza" con cui alcuni sudditi benemeriti del Regno sfuggivano al rigore delle leggi razziali. .
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mitismo e del suo intreccio perverso con l'antigiudaismo: com'è noto, la propaganda nazista fece un uso strumentale, distorto dello scritto di Lu tero, Von denJuden und ihren Liigen (Hans Lu/ft, Wittenberg1543 18) . In e/fettz; la Christianitas tutta, nel suo divenire plurimillenario, nelle sue dolorose scission� a Oriente, e poi nell'ambito dell'Europa centroc cidentale, pur preconizzando la conversione finale dei giudei "pertinaci" (ciò che anche Ficino dichiara), pur consapevole della monogenesi bibli ca e dell'unità del genere umano, ha vessato il popolo dell'Alleanza in modi vari e continui. Basti citare, senza pretesa di esaustività, le stragi consumate all'epoca della prima crociata (Spira, Worms, 1096) e nei molti pogrom, oppure le conversioni /orzate, i marranos, la chiusura nei ghetti, il caso Mortara, e tanti altri episodi che scandiscono tristemente la storia europea ed extraeuropea 19. Il documento conciliare Nostra aetate, del28 ottobre 1965 2o, de signa una svolta radicale nei rapporti tra i cristiani e i loro fratelli mag gior� definisce il contenzioso dottrinale e il vincolo, quo populus Novi Testamenti cum stirpe Abrahae spiritualiter coniunctus est (n. 4): Ci limitiamo a richiamare qualche concetto di maggiore rilevanza, come l'invito allo scambio, alla collaborazione in sede di studi biblici e teologicz; alla conoscenza e alla stima reciproche: Sacra haec Synodus mutuam utriusque cognitionem et aestimationem, quae praesertim studiis biblicis et theologicis atque fraternis colloquiis obtinetur, fove re vult et commendare. Inoltre l'accusa di "deicidio", che Ficino ripete, teorizza, estenden dola a tutto il popolo ebraico, in sintonia con tanti scrittori e predicato-
18 M. LUTERO, Degli ebrei e delle loro menzogne, introduzione di A. Prosperi, a cura di A. Malena, Torino 2000. Uno degli imputati di Norimberga, J. Streicher, il 29 aprile 1 946 osò fare una temeraria chiamata di correo nei confronti del Riformatore. 1 9 L'antigiudaismo cristiano, nel senso dottrinale e teologico cui ci siamo riferi ti, imbarazza storici e critici letterari che preferiscono glissare, per esempio, sui versi manzoniani: «Quando il tuo Re, dai perfidi l tratto a morir sul colle», La Pentecoste, 1 3 - 14. 20 Citiamo da AAS 58 ( 1 966) , 740-744.
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ri cristiani, anche dei secoli che sono venuti dopo il Quattrocento, è re spinta, anatematizzata (vorremmo dire). Della morte di Cristo sono col pevoli le auctoritates Iudaeorum cum suis asseclis, le autorità dei giu dei con i loro seguaci, e non altri. Non i giudei allora viventi, non colo ro che ne discendono: Ea quae in passione Eius perpetrata sunt nec omnibus indistincte Iudaeis tunc viventibus, nec Iudaeis hodiernis imputari possunt. Segue un monito a una lectio divina più attenta, a non interpolare nei testi sacri ciò che in essi non è contenuto, e cioè una maledizione che graverebbe sui giudei: Iudaei tamen neque ut a Deo reprobati neque ut maledicti exhibeantur, quasi hoc ex Sacris Litteris sequatur. Nella catechesz; nella predicazione nulla si insegni - insiste il documento con ciliare - in contrasto con la verità dei Vangeli e con lo spirito di Cristo (quod cum veritate evangelica et spiritu Christi non congrua t). Infine la condanna di qualsiasi persecuzione in quosvis homines, cioè contro ogni uomo o comunità sociale, e non i soli ebrei. La Chiesa sospinta dalla carità evangelica, aliena da calcoli politici, deplora ogni /orma cruenta, o incruenta, di antisemitismo (il termine appare nel te sto originario, latino), senza distinguere i tempi o gli attori delle perse cuzioni: Nec rationibus politicis sed religiosa caritate evangelica im pulsa, [se. Ecclesia] odia, persecutiones, antisemitismi manifestatio nes, quovis tempore et a quibusvis in Iudaeos habita, deplorat 2 1 . Ritorniamo a Ficino e al suo antigiudaismo, che occupa tanti e tali capitoli nel libro attestante la categoria della religio, la sua universalità
21 Tra i testi del Magistero, dopo il Vaticano II, citiamo altresì l'epistola aposto lica Nova millennio ineunte, del 6 gennaio 200 1 , che al n. 6 (intitolato Memoriae pu rz/icatio) recita: Annus hic iubilaris insigniter expetita venia distinctus est, e cioè: l'an no giubilare appena trascorso si è contraddistinto per la richiesta di perdono. Perdo no individuale, e per le colpe della Chiesa tutta, quae noxas in memoriam revocare vo luit, ha voluto richiamare alla memoria le colpe con cui molti suoi figli hanno offu scato (caliginem induxerunt) il volto della Sposa di Cristo. Giovanni Paolo II ricorda gli studi, l'intenso lavoro dei convegni preparatori all ' expetita venia, alla richiesta di perdono, riconoscendo che lo spirito del Vangelo non sempre eminuit, si è manife stato nella sua pienezza, durante duemila anni.
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sottesa alle religioni storiche, positive, anche a quelle "mitiche", "fabu lose" dei gentili, degli ethnikoi (è proprio qui la tesi di fondo, si è già vi sto, e l'originalità, del libro in questione, se lo si confronti con Pico e con Cusano). Va da sé, occorre storicizzare, situare il pensiero di Ficino nel suo contesto storico, teologico, compresi gli atti e i detti del Magistero. E al riguardo, riteniamo che sia agevole accogliere un'ampia messe di con sensz; tanto è ovvia, banale l'esigenza "storicistica" che qui si avanza (al meno nella cultura italiana ed europea). Sennonché, all'osservatore non distratto, non sfuggono spazi se manticz; "spie" nell'ordito del testo, che tradiscono tensioni irrisolte, aporie, e insomma una dialettica senza Versohnung. senza sintesi e ac cordo con se stessa. La !ematica della "via di salvazione", per ricorrere a un sintagma dantesco, è trattata in maniera ardita, quasi precorrendo (a nostro avvi so) il travaglio della riflessione teologica odierna, là dove Ficino scrive: Circumcisio [. . . ] sub Abraham est instituta, et sine ill a quandoque iu stus esse quilibet potuit (cap. 34). E cioè: la circoncisione, che risale ad Abramo, non fu l'unica risorsa destinata da Dio alla salvezza (e alla sal vezza della progenie di Abramo, escludendo le nazioni della gentilità): al contrario, chiunque e talvolta (quilibet . . . quandoque), sebbene non circonciso, ha potuto essere giusto e giustz/icato 22 . Non soltanto la circoncisione non fu sempre indispensabile alla sal vezza, ma Ficino estende la cerchia degli eletti agli islamici, ai giudei ecc. , rendendo partecipi e assertori di tale tesi ecumenica gli stessi cre denti dell'islam (a torto o a ragione, non sappiamo): Multum quoque
22 Più rigidi, più deterministici i versi danteschi: «Bastavasi ne' secoli recenti l con l'innocenza, per aver salute, l solamente la fede de' parenti. l Poi che le prime etadi fuor compiute, l convenne ai maschi all'innocenti penne l per circuncidere ac quistar virtude», Par. , XXXI I, 76-8 1 . ll poeta enuncia inoltre la tesi, lasciata cadere, in buona sostanza, dal Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 126 1 , che i bambini mor ti, dopo l'awento di Cristo, «sanza battesmo perfetto», fossero relegati nel Limbo: «Tale innocenza là giù si ritenne», ibid., 84. Sul Limbo, cf. V. MESSORI J. RATZIN GER, Rapporto sulla fede, Cinisello Balsamo 1 985, p. 1 54 , dove si trova un preannun cio del Catechismo citato: «Non è mai stata verità definita di fede». -
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Alcorani authoritati detraxit, [se. Maometto] cum inquit: quicumque Deum unum adorans honeste vixerit, sive Judaeus, sive Christianus, sive Saracenus sit, misericordiam salutemque a Deo consecuturum (cap. 36). Maometto tolse autorità al Corano, in altre parole, ne ridus se l'efficacia salvi/ica, asserendo che chiunque sia vissuto onestamente, giudeo, oppure cristiano o saraceno, adorando un solo Dio, riceverà da Dio stesso misericordia e salvezza. Dopo quello che abbiamo detto, l'antigiudaismo di Ficino, sebbene carico di pregiudizi, di luoghi comun� ereditati da secol� si rivela nella sua intima essenza, che è teoretica, teologica, non immune tuttavia da un'ostilità, da una ripulsa del "diverso", di chi è xenos, o è avvertito co me tale. Lo svolgersi degli eventi successivi al XV secolo, alle intuizio ni (pur incerte, contraddittorie) di Ficino e di altri personaggi dell'uma nesimo e del rinascimento, è a tutti noto, e non abbisogna se non di una purificatio memoriae. ROBERTO ZANZARRI
BIBLIOGRAFIA Come è ovvio, sono elencati qui di seguito unicamente i testi più notevoli, e alcuni tra quelli pubblicati negli ultimi anni, data la mole della "letteratura secondaria " , dei contributi in merito all' ope ra ficiniana. Sempre stimolante la lettura di qualche libro, frutto dell'erudi zione settecentesca: Commentarius de Platonicae philosophiae post re natas literas apud Italos instauratione sive Marsilii Fiçini vita, auctore ]OANNE CORSIO cum ANGELI MARIAE BANDINI adnotationibus, Pisa 1771. Segnaliamo inoltre: B. GIULIANO, I.:idea religiosa di M. Ficino, Cerignola 1904; G. SAITTA, La filosofia di M. Ficino, Messina 1923 (riedita con il titolo M. Ficino e la filosofia dell'Umanesimo, Bologna
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19543 ) ; I. PuSINO, Ficinos und Picos religios-philosophische Anscha uungen, «Zeitschrift fiir Kirchengeschichte», 44, Gotha 1925; M. BA RON, Willensfreiheù und Astrologie bei Fz"dno und Pico, «Gotz Festschrift» 1927; R. MARCEL, M. Ficin, Paris 1953; A. CHASTEL, M. Ficin et l'Art, Genève 1954 (19963 ) . Di P.O. KruSTELLER s i sono già ricordati, il Supplementum Fici nianum, 2 voli., Firenze 1937; Studies in Renaissance Thought and Let ters, Roma 1956. Sempre di KruSTELLER, il maggiore studioso di Ficino, è fonda mentale: Il pensiero filosofico di M. Ficino, Firenze 1953 (che arricchi sce e sviluppa l'edizione USA del 1943) . Bibliografie aggiornate e ricchissime, inoltre, in: P.O. KruSTEL LER, M. Ficino and bis Work after five hundred Years, Firenze 1987; Il pensiero filosofico di M. Ficino, Firenze 19882 . Tra i molti contributi (non sistematici, e non sempre attinenti al nostro tema) di E. GARIN, citiamo: La "Teologia" /tdniana, in «Archi vio di filosofia», 1949; Schede, II: A proposito della "prisca theologia" in Francia, in «Rivista di storia della filosofia», n. s., 43/1, 1988. Si è ricordata la ristampa in fototipia dell' Opera omnia di Ficino, Torino 1962. La medesima ed. di Basilea 1576, sotto gli auspici della Société M. Ficin, prefazione di S. Toussaint, è stata utilizzata per un'analoga, recente iniziativa editoriale: M. FICIN, Opera, Paris 1999. Les Belles Lettres, d'intesa con l'Istituto Nazionale di Studi sul Rinascimento, Firenze, sotto la direzione di S. Toussaint, coadiuvato da Sebastiano Gentile, hanno in cantiere la prima edizione critica del l'Opera omnia di Ficino: si prevedono 30 volumi ca. In tempi a noi prossimi, rammentiamo: C. VASOLI, Fzdno e il "De Christiana religione", in «Die Philosophie», 1988; Per le fonti del "De Christiana religione" di M. Ficino, in «Rinascimento», II s . , 28 (1988) .
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Inoltre, tra i testi citati nell'introduzione: A. GALLETTI, La "ragio ne poetica" di A. Mussato ed i poeti teologi, Torino 1912; E.R. CURTIUS, Europà'ische Literatur und lateinisches Mittelalter, Bern 1948 (trad. it. Firenze 1992) ; G. RONCONI, Le origini delle dispute umanistiche sulla poesia (Mussato e Petrarca), Roma 1976; B. MONDIN, Storia della teo logia, vol. 3, Epoca moderna, Bologna 1996 (esamina il De Christiana religione e il "paradigma" di Ficino sulla base della riflessione teolo gica sviluppatasi, in ambito cattolico, nel corso degli ultimi decenni) .
LA RELIGIONE CRISTIANA
A LORENZO DEI MEDICI, PADRE DELLA PATRIA Proemio TRA LA SAPIENZA E LA RELIGIONE È LA MASSIMA AFFINITÀ
L'eterna sapienza di Dio stabilì che i divini misteri, almeno negli stessi esordi della religione, fossero trattati proprio da coloro che era no veri amatori della vera sapienza. Per cui avvenne che i medesimi, tra gli antichi, indagassero le cause ultime e amministrassero con dili genza i sacrifici della stessa causa somma delle cose, e che i medesimi presso tutte le genti fungessero da filosofi e sacerdoti. Né ciò senza ra gione. Infatti, poiché l'anima (come dice il nostro Platone) può ritor nare al padre e alla patria celesti con due ali, ossia con l'intelletto e la volontà, e il filosofo si avvale massimamente dell'intelletto, il sacerdo te della volontà, e l'intelletto illumina la volontà, la volontà accende l'intelletto, ne discende che quelli che per primi scoprirono le realtà divine per mezzo dell'intelligenza, o da sé soli, o le attinsero per ispi razione divina, per primi venerarono con grande rettitudine le realtà divine tramite la volontà, e trasmisero agli altri il culto a loro dovuto e i modi del culto. Quindi i profeti degli ebrei e, insieme, gli essei l erano dediti al la sapienza e al sacerdozio. I filosofi furono chiamati magi, cioè sacer doti, dai persiani, poiché presiedevano alle cerimonie sacre. Gli india ni consultavano i bramani intorno alla natura e all'espiazione delle anime. Presso gli egizi, i matematici e i metafisici si occupavano del sacerdozio e del regno. Presso gli etiopi, i gimnosofisti 2 erano mae stri di filosofia e dignitari religiosi. La medesima consuetudine vi fu in
l Setta ebraica.
2 Alla lettera: «sapienti nudi» (da sophistés e gymn6s), per i loro costumi sem
plici e ascetici.
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La religione cristiana
Grecia sotto Lino, Orfeo, Museo, Eumolpo, Melampo, Trofimo, Aglaofemo e Pitagora 3 . La medesima in Gallia sotto il governo dei druidi 4. Chi ignora quanto amore della sapienza e dei riti sacri, pres so i romani, avessero Numa Pompilio, Valerio Sorano, Marco Varro ne e molti altri 5? Chi non sa quanto grande e vera dottrina vi fosse negli antichi vescovi e presbiteri cristiani? O secoli felici, che conser vaste integra questa unione divina della sapienza e della religione, so prattutto presso gli ebrei e i cristiani. O secoli fin troppo infelici, al lorché accadde il divorzio miserabile di Pallade e di Temide 6 (cioè il dividersi della sapienza e dell'onestà) . O vergogna, così ciò che è san to fu dato da lacerare ai cani. In parte notevole la dottrina fu trasferita ai profani, donde si ri velò principalmente strumento di iniquità e di lascivia, e si deve chia mare malizia piuttosto che scienza. Perle preziosissime della religione spesso sono maneggiate dagli ignoranti e sono calpestate da costoro come da maiali. Spesso il culto inetto degli ignoranti e degli ignavi sembra doversi definire superstizione piuttosto che religione 7. Così né quelli comprendono sinceramente la verità, che essendo divina ri luce ai soli occhi dei pii, né questi, per quanto è in loro, venerano ret tamente Dio stesso, se si tenga conto di come governano le cose sacre, ignari del tutto delle realtà divine e umane. Per quanto tempo soster remo questa dura e miserabile sorte del secolo ferreo? O concittadini della patria celeste, e abitanti della terra, liberiamo - vi prego - al più presto la filosofia, sacro dono di Dio, dall'empietà, se possiamo, ma possiamo se vogliamo, redimiamo la santa religione, in base alle no-
3 Personaggi mitici e storici, cui si attribuiva l'arcana sapienza dei prisci theologi.
4 I sacerdoti ricordati da Cesare nei celebri Commentarii de bello Gallico. 5 Se Numa fu il legislatore della religione romana, gli altri ne furono autorevo
li studiosi e interpreti. 6 Dee, rispettivamente, della sapienza e della giustizia. 7 La polemica contro la superstitio, di remota ascendenza epicurea, fu svolta (con altri intendimenti) dagli umanisti, che talora proposero l'etimologia di religio da relegere, scegliere il vero dal falso spirito religioso, anziché l'altra etimologia più vul gata, da religare, attinente al " senso di dipendenza" della creatura dal Numinoso. Cf. Platina: vis eligendi eadem quae in religioso (nel De optimo cive) .
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stre forze, dall'esecrabile ignoranza. Esorto perciò tutti i filosofi, e li prego, affinché s'impadroniscano fino in fondo della religione, o al meno la delibino; i sacerdoti poi, affinché si dedichino diligentemen te agli studi della genuina sapienza. lo non so quanto sia progredito, o progredirò, in questa materia, tuttavia ho tentato e non cesserò di tentare, fidando non nel mio pic colo ingegno, ma nella clemenza e nella potenza di Dio. li tuo avo, magnanimo Lorenzo, il grande Cosimo, poi Pietro, pio genitore, mi sostennero con le loro sostanze dall'età più tenera, perché fossi in gra do di filosofare. Tu di r�cente volendo congiungere in me, per quan to ti era possibile, come sei solito con molti altri, l'amore della filoso fia con l'ufficio della pietà, hai insignito del sacerdozio, e in maniera di certo onorifica, il tuo Marsilio Ficino. Mi auguro di non esser mai venuto meno, o di non venir meno, a me stesso, dato che mai sono mancati il favore e l'aiuto di Dio stesso e dei Medici. Per conciliarmi maggiormente la grazia divina, e per compiacerti, e per non venir me no a me stesso, non appena sono stato iniziato ai riti sacri del sacer dozio ho composto un'opera sulla religione cristiana, che ho ritenuto di dedicare a te, autore di questa mia professione, nonché precipuo alunno della sapienza e cultore della pietà.
Capitolo l LA RELIGIONE È AL MASSIMO GRADO PROPRIA DELL'UOMO E VERIDICA
Vediamo apparire talvolta in alcune bestie singole doti del gene re umano, almeno secondo una qualche somiglianza, eccettuata la re ligione. I bruti non mostrano nessun indizio di religione, cosicché è proprio di noi l'ergersi della mente verso Dio re del cielo; come è pro pria la postura eretta del corpo verso il cielo, e con essa il culto divi no, così tutto ciò appartiene alla natura degli uomini, allo stesso mo do del nitrito per i cavalli o del latrato per i cani. Ma se qualcuno, con una soverchia sottigliezza, volesse affermare che alcune bestie talvol ta venerano le cose celesti, il che io non credo, i platonici risponde ranno: tali bestie o fanno qualcos'altro allorquando sembra che ono rino le cose celesti, oppure se per caso rendono onore, tuttavia non sanno che cosa stiano facendo, oppure se lo sanno, anch'esse sono partecipi dell'intelligenza e dell'immortalità. Ma invero, per tornare al nostro discorso, l'uomo, animale perfettissimo, eccelle soprattutto, e si differenzia dagli esseri inferiori, per quella proprietà grazie a cui si congiunge agli esseri più perfetti, cioè divini. Inoltre, se l'uomo è il più perfetto degli animali mortali, in quanto uomo è il più perfetto di tutti per quella dote principalmente che egli possiede come propria, in mezzo a quelli, non comune agli altri animali; essa è la religione, perciò egli è perfettissimo a causa della religione. Se la religione fosse vana, a causa di questa l'uomo sarebbe il più imperfetto di tutti, poiché sarebbe per causa sua il più demente e il più misero. Infatti molti uomini rifiutano tutte le comodità della vita temporale, e di certo tutti rifiutano molte comodità, e subiscono ri nunce, per amore o timore di Dio. Nessuno di tutti gli altri animali si astiene dai beni presenti per il cultù di Dio e l'attesa della vita futura. Aggiungi che lo stimolo della scienza punge assiduamente noi soli, e
Capitolo
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che ci tormenta in maniera acerba il timore della vendetta divina e de gli inferi. Se quindi la religione (come abbiamo detto) è vana, non vi è animale più demente e più infelice dell'uomo; perciò l'uomo sareb be, a causa della religione, il più imperfetto di tutti, ma grazie ad es sa, poco fa, appariva più perfetto di tutti. Tuttavia egli non può, sotto il medesimo profilo, accogliere tali contraddizioni, così da essere ora sommamente perfetto, ora somma mente imperfetto. Quindi la religione è vera, soprattutto poiché, co me nulla può divenire molto freddo per l'avvicinarsi del fuoco, così l'uomo non può, essendo il solo che si unisce a Dio sapientissimo e beatissimo, per ciò stesso dimostrarsi il più stolto e il più misero. E neanche Dio, che è somma verità e bontà, può ingannare il genere umano, sua prole. L'opinione naturale e comune riguardo a Dio ci fu infusa da Dio, comune origine e principio delle varie nature. Inoltre dobbiamo ricordare che è vero quel vaticinio 1 , derivante da ogni spe cie animale, poiché avviene per istinto della natura universale e parti colare. Molti rettili, al sorgere del sole, escono fuori dal seno della ter ra, la caligine dell'aria si distende, una grande schiera di cornacchie, di sera, si leva a volo da una determinata zona dell'aria, i venti sono preannunciati, e altri spettacoli innumerevoli del medesimo genere. Per un vaticinio del pari comune degli uomini, la religione è vera: in fatti tutti sempre e dovunque venerano Dio, in vista della vita futura. È vero quindi che Dio provvede a noi, e che vi sarà un'altra vita, se la più perfetta specie degli animali possiede quel giudizio verissi mo, che per essa è connaturale più di ogni altro. Che tale sia il conte nuto asserito dalla religione, appare non solo dal fatto che esso è del l'uomo unicamente e di ogni uomo, ma anche dal fatto che tutte le opinioni, gli affetti, i costumi, le leggi degli uomini si mutano, se si to-
1 Vaticinium, secondo l'uso umanistico di avvalersi di termini dell'età classica, pur volgendoli ad altri valori semantici (contemporanei e cristiani) , equivale a segno manifesto della legge naturale e divina che governa il kosmos, l'universo ordinato e bello: si avverte, nel discorso di Ficino, l'eco dell'argomento canonico in merito alla perfezione del mondo come prova dell'esistenza di Dio creatore, cui si aggiunge - su bito dopo - l' altro argomento non meno canonico del consensus gentium.
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La religione cristiana
glie una qualche religione che sia comune 2 . Se si trovi, pertanto, qualcuno completamente privo di ogni religione, poiché è oltre la na tura della specie umana, o è un qualche mostro fin dall'inizio, o è in quinato dal contagio di un altro mostro.
2 Ficino teorizza l'immanenza, e la funzione primaria, del fatto religioso nel l'ethos di ciascuna cultura.
Capitolo 2 LA DIVINITÀ DELL'ANIMA DESUNTA DALLA RELIGIONE
Il nostro Platone, nel Protagora l , afferma che il massimo segno della nostra divinità consiste nel fatto che noi soli sulla terra, in quan to partecipi della sorte divina, per una qualche affinità riconosciamo Dio e lo desideriamo, lo invochiamo come autore del tutto, e lo amia mo come padre, lo veneriamo come re, lo temiamo come Signore. Il sole non si vede senza il sole, e l'aria non si ode senza l'aria, e l' oc chio pieno di luce vede la luce, l'orecchio pieno di aria ode l'aria che risuona, così neanche Dio si conosce senza Dio. Ma l'anima piena di Dio tanto si erge verso Dio, quanto rischiarata dal lume divino cono sce Dio e, accesa dal divino calore, ha sete di lui. Non si solleva in fatti a ciò che è al di sopra e infinito, se non per virtù di ciò che è su periore e infinito; quindi l'anima è resa il tempio di Dio, come ritie ne Sisto pitagorico, al cui avviso il tempio del Dio vero ed eterno non rovinerà mai. Ogni giorno la mente umana cerca Dio, il cuore arde di Dio, il petto sospira Dio, lo stesso canta la lingua, lo stesso adorano il capo e le mani e le ginocchia, lo stesso riproducono le opere d'arte degli uomini. Se Dio non ode queste preghiere, è privo di conoscenza; se non le esaudisce, è ingrato; è assolutamente crudele, se ci spinge ogni giorno a invocarlo senza esaudirci. Dio però, che è infinita sapienza,
l Dialogo platonico il cui protagonista è il celebre e omonimo filosofo, rappre sentante della sofistica. Superfluo aggiungere che ci troviamo di fronte alla consueta interpretatio cristiana dei testi classici da parte degli umanisti, che vollero leggere in essi presagi e metafore del cristianesimo: il monoteismo (Petrarca, Boccaccio ecc. ) , o addirittura dogmi, sacramenti della nuova fede (Albertino Mussato e il circolo preu manistico di Padova, sec. XIII ) .
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La religione cristiana
bontà, luce, non può essere privo di conoscenza, o ingrato, o crudele. Dato che la mente superiore comprende l'inferiore, piuttosto che al contrario, se la mente umana attinge la mente divina, è necessario che la mente umana sia compresa e governata da quella divina.
Capitolo 3 I GIOVANI EVITINO DI SENTENZIARE SCONSIDERATAMENTE RIGUARDO ALLA RELIGIONE
Sebbene l'uomo in qualsivoglia età, eccettuati pochissimi e di certo depravati, sia religioso per natura, tuttavia due età, come scrive Platone, sono più religiose: la puerizia e la vecchiaia. I fanciulli nasco no religiosi, e sono educati in quanto tali, e permangono fermamente nella religione, finché nell'adolescenza non sia risvegliata la ragione, che per sua natura indaga le cause e i criteri delle singole cose; se in questa età intraprendono quegli studi, o si imbattono in quei discor si tramite i quali si ricercano diligentemente le cause delle cose, co minciano a non voler affermare quasi nulla, se non ciò di cui essi stes si abbiano esplorato le ragioni. Subito, in gran parte, rifiutano la reli gione, purché non si affidino alle leggi e alla prudenza degli anziani. Infatti le ragioni occultissime delle cose divine si afferrano con diffi coltà dopo un lungo periodo di tempo, con raffinata diligenza, dopo aver purgato la mente. Questi giovani non comprendono ancora ragioni di tal fatta, e poiché non affermano per lo più nulla di cui non vedano la ragione, qualora confidino nel proprio giudizio, trascurano in un certo qual modo la religione. Alcuni, seguendo questa opinione per superbia e incontinenza, si danno ai piaceri di Aristippo 1 , convinti che la religio ne consista in una sorta di favole adatte alle vecchierelle. Altri, man sueti e docili, alla maniera pitagorica, liberano la mente dai sensi at traverso le discipline morali, fisiche, matematiche e metafisiche, affin ché dirigendo d'improvviso gli occhi ancora cisposi verso il sole divi-
l n filosofo dell'hedoné " cinetica" , in movimento, a differenza del piacere " ca tastematico " , in riposo, di Epicuro.
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no, al pari di quelli di cui si è fatta menzione, non siano accecati, ma procedano gradualmente. In primo luogo, contemplino il lume divi no nelle discipline morali come il lume del sole nella terra. In secon do luogo, in quelle fisiche come nell'acqua. In terzo luogo, in quelle matematiche come nella luna. In quarto luogo, mercé la metafisica, guardino chiaramente e salutarmente nel sole stesso, tanto celeste quanto al di là del cielo. Orfeo 2 chiama autentici sacerdoti delle mu se costoro, i quali in un'età più matura intendono molto meglio la re ligione, come leggiamo presso Platone nell'epistola al re Dionisio, nel Fedro, nel primo libro della Repubblica, nel decimo delle Leggi. Il divino Platone ammonisce i giovani a non pronunciare giudizi sulle realtà divine con animo temerario, ma si affidino alle leggi, fin quando l'età stessa offrirà i suoi insegnamenti, o tramite quella scala di discipline che abbiamo rammentato, o tramite l'esperienza, o tra mite una qualche separazione dell'anima dal corpo, che una vecchia ia temperata adduce, cosicché l'anima in quell'età discerna più chia ramente di quanto era solita, quasi vedendole da vicino, le realtà se parate dai corpi. È sempre opportuno ricordare che non può esservi sapienza nei giovani secondo natura, e che nulla è più pericoloso nel giudicare o nell'agire che un'ignoranza audace, o un'audacia ignoran te. La sapienza senza l'audacia è utile, sebbene priva di magnificen za, ma non nuoce mai: l'audacia senza la sapienza è una fiera indomi ta e del tutto sfrenata. Poiché abbiamo discusso molto ampiamente nella nostra Teologia 3 in merito alla verità comune della religione 4 ,
2 ll celebre cantore e poeta-teologo, citato dagli umanisti, e anche d a Agostino nel De civitate Dei (exstiterunt poetae, qui etiam theologi dicerentur . . . et si quzd de uno vero Deo inter multa vana et falsa cecinerint . . . non ei utique rite servierunt nec a fabu loso deorum suorum dedecore etiam ipsi se abstinere potuerunt Orpheus, Musaeus, Li nus, XVIII, 14). Dante, in qualche modo preumanista e contemporaneo di Mussato, così descrive il Limbo: e vidi Orfeo, l Tullio e Lino e Seneca morale (In/ , IV, 140-14 1 ) . 3 Ficino all u de alla Theologia platonica, l a sua opera maggiore. 4 Alla lettera: de communi religionis veritate. L'aggettivo communis, ci sembra, indica un qualcosa che è sotteso all'esperienza religiosa nelle differenti forme stori che, empiriche, quasi praeambula del «mistero sacro della religione cristiana».
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alla provvidenza di Dio, alla natura divina delle anime, bastino le co se che qui sono state dette, e volgiamoci al mistero sacro della religio ne cristiana.
Capitolo 4 OGNI RELIGIONE HA QUALCOSA DI BUONO, PURCHÉ SIA DIRETTA VERSO DIO STESSO, CREATORE DI TUTTE LE COSE. QUELLA CRISTIANA È PURA E INTEGRA
Nulla dispiace a Dio più dell'esser disprezzato, nulla più lo sod disfa dell'esser adorato; punisce più lievemente coloro che trasgredi scono in qualche misura le leggi divine, mentre fulmina dall'alto del suo trono coloro che si ribellano per ingratitudine, per malvagità e su perbia. Perciò la divina provvidenza non permette che in qualche las so di tempo vi sia alcuna regione del mondo del tutto priva di ogni re ligione, sebbene permetta che, nei vari luoghi e tempi, si osservino va ri riti di culto. Forse una tale varietà, regolata da Dio, genera una qualche ammirabile bellezza nell'universo. Il re supremo ha più a cuore di essere onorato, in effetti, che di ricevere onori con questi o con quei gesti t . Il re Alessandro, a quante genti comandava, in tanti modi era onorato, sia che lui stesso si recasse presso di esse, sia che inviasse ambasciatori. Tutto ciò che era fatto a sua gloria, egli lo ap provava in un certo qual modo, tuttavia aveva più caro l'uno che l'al tro onore. Lo stesso, per dir così, si deve ritenere riguardo al re del mondo. Preferisce essere venerato in qualunque modo, perfino stoltamente, purché si abbia riguardo all'umanità, che non essere venerato in nes sun modo a causa della superbia. Corregge come un padre, o alme no colpisce con minor rigore, gli uomini incontinenti, ma in un qual che senso a lui sottomessi. Invece stermina e tormenta come nemici
l Notevole l'analogia con il De pace /idei di Niccolò da Cusa, e con la proposi zione di quest'ultimo: una religio in rituum varietate. Anche l'idea dd concento del molteplice, delle religioni (concento gradito a Dio) ricorre nel Cusano: et hoc quzdem a Deo factum est (De docta ignorantia, III, 1 ) .
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gli empi, quelli che sono del tutto ingrati e che s i ribellano nel loro cuore. Se Dio non condanna, come un'empietà volontaria, nessun culto umano intrapreso al fine di onorario, approva soltanto quello che è il più alto di tutti. Dio in se stesso è il sommo bene, la verità delle cose, il lume e il benefattore delle menti. Perciò, rendono culto a Dio più degli altri, anzi essi soli sinceramente, coloro che lo vene rano con zelo, per il tramite dell'azione, della bontà, della verità del la lingua, del lume della mente, fin dove possono, e della carità che è dovuta. Tali sono, come mostreremo, tutti coloro i quali così ado rano quel Dio che Cristo, maestro di vita, e i suoi discepoli ci hanno mostrato e insegnato.
Capitolo 5 I DISCEPOLI DI CRISTO NON INGANNARONO NESSUNO
Se i discepoli di Cristo, per ingannare il genere umano, avessero pensato di introdurre elementi spuri e falsi, avrebbero avuto certa mente un qualche strumento più facile di persuasione. Fecero tutto il contrario, intrapresero un annuncio che era il più difficile tra tutti a credersi e a osservarsi. Aggiungi anche in quanti modi difficilissimi, se consideri i tempi, i luoghi e le persone, in tempi ricchi di cultura, in città molto illustri e ripiene di tutte le dottrine, contro i potenti, i do minatori, i dotti e molti altri, mentre essi erano debolissimi, privi di ogni risorsa, rozzi agli inizi e molto pochi. Cristo lasciò undici aposto li, i settantadue discepoli di Cristo erano retti dagli apostoli. Così di ce Paolo ai Corinzi: «Guardate la vostra vocazione, fratelli, poiché non molti sono i sapienti secondo la carne, non molti i potenti, non molti coloro che godono di fama e rinomanza, ma Dio ha eletto ciò che è stolto agli occhi del mondo per confondere i sapienti, e ciò che è più in basso nel mondo per confondere i forti, e ha eletto ciò che è oscuro nel mondo e spregevole, e ciò che non è per distruggere ciò che è». Non si deve ritenere quindi che abbiano inventato cosa alcuna, soprattutto poiché, con somma concordia di buoni costumi e di pen sieri tra di loro, perseverarono fortemente fino alla fine in un'opera che era di gran lunga la più ardua di tutte, altrimenti non avrebbero ottenuto nulla, né predicavano o aspettavano alcun premio di tanta fatica in questa vita, né lo promettevano ai popoli. E ciò è quel che di ce Paolo. Se riponiamo tanta speranza in Cristo durante questa vita, siamo i più infelici di tutti quanti gli uomini. Spesso predicevano che sarebbero morti per la fede, e poi che tutti coloro che avessero segui to il loro insegnamento avrebbero patito sofferenze acerbe e orribili.
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Per non dire che rifiutavano tutti quelli che sono stimati beni dagli uomini, e ordinavano che fossero oggetto di rifiuto, né sussurravano in luoghi remoti, ma apertamente e audacemente seminavano la loro dottrina davanti alle folle. Paolo, anche con il collo legato da una ca tena, predicava apertamente, e scrive ai Filippesi: «Le circostanze in cui mi trovo, sono sopraggiunte a maggior profitto del vangelo, affin ché le mie catene divenissero manifeste in Cristo Gesù, in ogni preto rio e ovunque». Altrove dice che il Vangelo è già stato predicato a ogni creatura che vive sotto il cielo. Inoltre, negli Atti degli Apostoli si legge: «Nulla è stato fatto segretamente». Così infatti Cristo ha in segnato ai suoi discepoli nei Vangeli di Matteo e di Luca: «Ciò che vi dico non nelle tenebre ecc.». Erano persuasi di predicare il vero agli uomini, certamente com prendevano che cosa predicavano. Donde quel detto di Pietro: «Sia te sempre pronti a soddisfare chiunque vi chieda conto della speran za e della fede che sono in voi». E il detto di Paolo ai Corinzi: «lo cor ro non su una strada incerta, combatto non come se colpissi l'aria, ma castigo il mio corpo e lo riduco in servitù, affinché dopo aver predi cato agli altri, non sia condannato come reprobo». Quindi Paolo e Apollo, discutendo ovunque con i dotti intorno ai misteri di Cristo, mostravano loro i volumi dei profeti. Spesso Paolo ordina ai suoi di scepoli, soprattutto ai sacerdoti, di dedicarsi diligentemente alla com prensione approfondita dei profeti. Credevano, quindi, e comprende vano, come ho detto, ciò che predicavano. Altrimenti, per far trionfa re quella dottrina, non si sarebbero sottoposti affatto così intrepida mente, così volentieri a continue fatiche, a pericoli, colpi di verga e a morte sicura. Paolo per trentasette anni, più di quello che si potreb be credere, sopportò sempre, fino all'ultimo respiro, ogni genere di afflizioni per la gloria di Cristo. Per lo stesso periodo di tempo soffrì anche Pietro, per sessantotto anni soffrì Giovanni evangelista, e gli al tri per tutta la vita allo stesso modo.
Capitolo 6 CON QUALE ANIMO I DISCEPOLI DI CRISTO SOFFRIVANO
Con quale animo soffrissero i discepoli di Cristo, lo dichiara Pao lo nell'epistola ai Romani. «Chi - egli dice - ci separerà dalla carità di Cristo? La tribolazione o la povertà, la persecuzione, la fame, la nudi tà, il pericolo, la spada? Così è scritto: poiché ci mortifichiamo per te tutto il giorno, siamo stati ritenuti gli agnelli del sacrificio. Sono cer to che né la morte, né la vita, né gli angeli, né i principati, né le pote stà, né le virtù, né il presente, né il futuro, né la fortezza, né l'altezza, né la profondità, né altra creatura ci potrà separare dalla carità di Dio, che è in Cristo Gesù nostro Signore». Dopo aver enumerato ai Corin zi i molti generi di fatiche e di tormenti che aveva sopportato e che sopportava, aggiunse lo stesso concetto che in essi si allietava, si glo riava, si corroborava. Lo stesso scrive ai Filippesi mentre era prigio niero a Roma: «Non sarò confuso in cosa alcuna, ma con ogni fidu cia, come sempre, anche ora Cristo sarà esaltato nel mio corpo, sia tramite la vita, sia tramite la morte, infatti per me vivere è Cristo e mo rire un guadagno. Ché se vivere qui nella carne è utile alla mia opera, non so che cosa scegliere, infatti sono stretto da due esigenze. Desi dero morire ed essere con Cristo, e ciò per me è molto preferibile, ma restare per voi nella carne è necessario». Aggiunge profetizzando in questo modo: «Fiducioso, so anche questo, che rimarrò, e rimarrò per tutti voi, per vostro giovamento e per il gaudio della fede, affinché vi rallegriate abbondantemente di Cristo Gesù in me, quando tornerò di nuovo tra voi». E poco dopo: «Il dono vi è stato fatto per Cristo, non solo per ché crediate in lui, ma perché soffriate anche per lui, sostenendo la stessa lotta, quale avete visto in me e ora avete udito di me». Fu libe rato dalle catene, come aveva predetto, e tornò da loro. Lo stesso seri-
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ve ai Colossesi: «Rimanete sul fondamento della fede, e stabili e ina movibili dalla speranza del Vangelo che avete udito, che è stato pre dicato a tutte le creature viventi sotto il cielo, e di cui io Paolo sono divenuto ministro, e ora godo nelle sofferenze per voi, e completo ciò che manca delle sofferenze di Cristo nella mia carne, per il suo corpo che è la Chiesa». Lo stesso scrive ai Tessalonicesi: «Nessuno si lasci turbare in queste tribolazioni, voi sapete che siamo stati posti in que sto stato. Quando eravamo presso di voi, vi preannunciavamo che avremmo sofferto tribolazioni, come è avvenuto e come sapete». Lo stesso scrive a Timoteo: «Dio non ci diede lo spirito del timore, ma della virtù, dell'amore e della sobrietà. Non arrossire della testimo nianza del Signore nostro, né di me prigioniero per lui, ma adoperati anche tu per il Vangelo secondo la virtù di Dio». E poco dopo: «Pa tisco queste sofferenze per il Vangelo, ma non sono confuso. So infat ti a chi ho creduto, e sono certo, poiché è potente, che conserverò il mio deposito fino a quel giorno». Del pari, dopo poche righe: «Mi af fanno nel predicare il Vangelo fino alla prigionia, come se fossi un malfattore, ma la parola di Dio non è in vincoli, perciò sostengo tut te le sofferenze per gli eletti, perché conseguano la salvezza che è in Cristo Gesù, con la gloria celeste». Queste sono parole degne di fede: «Se siamo morti insieme, vivremo anche insieme, se sosterremo la prova, regneremo anche insieme, se rinnegheremo, anche lui ci rinne gherà. Se non prestiamo fede, egli rimane fedele, non può rinnegare se stesso». Del pari: «Sai quali persecuzioni e sofferenze ho sostenuto ad Antiochia, a !conio, a Listra, e da tutte mi ha liberato il Signore. E tutti coloro che vogliono vivere piamente in Cristo Gesù, soffrono persecuzioni». Similmente si rivolge ai Corinzi: «Noi mostriamo sempre la pas sione di Gesù nel nostro corpo, affinché anche la vita di Gesù si ma nifesti nei nostri corpi. Sempre, noi che viviamo, siamo consegnati al la morte per Gesù, affinché anche la vita di Gesù si manifesti nella no stra carne mortale». E perciò scrive ai Galati: «lo porto nel mio cor po i segni del Signore GesÙ». Di nuovo ai Corinzi: «Ritengo che Dio ha collocato noi apostoli all'ultimo posto come destinati alla morte, poiché siamo divenuti spettacolo per questo mondo, per gli angeli e
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per gli uomini». E dopo poco: «Fino a quest'ora abbiamo fame, ab biamo sete, siamo nudi, siamo colpiti con pugni, siamo malfermi e fa tichiamo lavorando con le nostre mani, per procurare il cibo»; infatti egli non volle mai vivere della fatica altrui. E prosegue: «Siamo male detti e benediciamo, soffriamo la persecuzione e la sosteniamo, siamo calunniati e preghiamo, siamo divenuti la feccia di questo mondo, la lordura agli occhi di tutti, ossia ciò che è vile e sordido». Lo stesso scrive ai Romani: «Ci gloriamo nelle tribolazioni, sapendo che la tri bolazione genera la pazienza, la pazienza fa superare la prova, il che dà luogo alla speranza, la speranza poi non è confusa, poiché la cari tà di Dio si diffonde nei nostri cuori grazie allo Spirito Santo, che ci è stato dato». Similmente scrivè ai Galati: «Lungi da me il gloriarmi in altro che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo, attraverso cui il mondo è stato crocifisso per me, e io per il mondo». Del pari: «Con Cristo so no stato affisso alla croce, e non sono io che vivo, ma Cristo vive in me». Ma odi ancora che cosa dice ai Romani: «Non avete ricevuto di nuovo lo spirito della servitù nel timore, ma avete ricevuto lo spirito dell'adozione filiale, in cui gridiamo " abbà, padre " . Lo Spirito stesso rende testimonianza al nostro spirito che siamo figli di Dio. Se siamo figli, siamo anche eredi di Dio, coeredi inoltre di Cristo, se soffriamo con lui, così da essere anche conglorificati. Giudico infatti che non so no degne le sofferenze del tempo presente per la gloria futura, che sa rà rivelata in noi. L'attesa della creatura attende la rivelazione dei figli di Dio». Lo stesso scrive ai Corinzi: «Se i morti non risorgono, perché ogni ora siamo messi alla prova? Muoio ogni giorno, fratelli, per la vo stra gloria che ho in Cristo Gesù, Signore nostro. Il fatto che, al mo do degli uomini, ho combattuto contro le fiere a Efeso, a che cosa mi giova, se i morti non risorgono?». Ancora: «Siamo tribolati, fratelli, per esortarvi e per la vostra salute, che ci fa sopportare le medesime sofferenze che anche noi patiamo, affinché la nostra speranza sia sal da per voi, sapendo che come siete compagni delle sofferenze, così lo sarete anche della consolazione. Non vogliamo che voi, fratelli, siate ignari della nostra sofferenza, che ci è accaduta in Asia, poiché siamo stati oltremodo oppressi». Del pari: «Sono più che ripieno di gioia in
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ogni nostra tribolazione. Venuti in Macedonia, la nostra carne non ebbe alcun riposo, ma abbiamo sofferto ogni tribolazione». Perciò dice agli Efesini: «lo Paolo, prigioniero di Cristo Gesù per voi Gentili, prego che non veniate meno nelle mie tribolazioni per voi, ciò che è vostra gloria», quindi afferma di essere ambasciatore di Cri sto in catene. Ai Filippesi dice di non stimare per nulla tutte le cose, sebbene grandissime, e di considerarle a mo' di sterco, per guad agna re Cristo ed essere socio della sua passione, conformandosi alla sua mqrte, per meritare la sua resurrezione. Del pari: «La nostra dimora è nei cieli. Donde aspettiamo anche il Salvatore, il Signore nostro Ge sù Cristo, che darà nuova forma al nostro corpo terreno, a figura del suo corpo luminoso, secondo la sua potenza con cui può anche sotto mettere a sé ogni cosa. Perciò, fratelli miei carissimi e di cui sento molto la mancanza, mia gioia e mia corona, state così, molto cari nel Signore». E ai Tessalonicesi: «Anche voi siete divenuti imitatori di noi e del Signore, accogliendo il Verbo in grande tribolazione con il gau dio dello Spirito Santo. Sapete, fratelli, che il nostro arrivo presso di voi non fu vano, ma che dopo aver sofferto, dopo essere stati coperti di ingiurie, come sapete a Filippi, con grande fiducia e sollecitudine nel Signore, abbiamo predicato a voi il Vangelo. Siete divenuti imita tori, in Cristo Gesù, delle Chiese di Dio, che sono in Giudea, infatti avete subìto anche voi dai vostri corregionali le stesse sofferenze che quelli hanno subito dai giudei. Fratelli, siamo stati consolati in voi du rante ogni tribolazione e in ogni nostra necessità, grazie alla vostra fe de, poiché ora viviamo se voi siete nel Signore». Inoltre così esorta gli Ebrei: «Ricordate i giorni trascorsi, in cui illuminati avete sostenuto una grande lotta di sofferenze, un giorno fatti oggetto di obbrobri e tribolazioni, un altro giorno fatti compagni di coloro che in tal modo erano offesi. Prigionieri, avete sofferto in sieme, e avete accolto con gioia la rapina dei vostri beni, sapendo che avevate una ricchezza migliore e duratura nei cieli. Non perdete la vo stra fiducia, che ha un a grande remunerazione. Avendo quindi un pontefice grande che entrò nei cieli, Gesù figlio di Dio, teniamo fer ma la professione della nostra speranza. Avendo anche noi tanta schiera di testimoni della fede, deponendo ogni peso e il peccato che
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è intorno a noi, con perseveranza affrontiamo la gara a noi proposta, volgendo lo sguardo verso l'autore della nostra fede e la sua garanzia, Gesù, che patì con gioia la croce, disprezzò la vergogna di questa, e siede alla destra di Dio». Ma non so per quale ispirazione, sono spinto a ritornare a ciò che scrive ai Corinzi: «lo sono stato in mezzo a moltissime fatiche, ancor più nelle carceri, sono stato coperto di piaghe oltre misura, mi sono trovato tra pericoli di morte frequentemente, ho ricevuto dai giudei cinque volte trentanove frustate, tre volte sono stato colpito dalle ver ghe, una volta dalle pietre, tre volte ho fatto naufragio, di giorno e di notte sono stato in alto mare durante i viaggi, ho vissuto spesso espo sto ai pericoli dei fiumi, ai pericoli dei !adroni, a pericoli di ogni ge nere, in città, nei luoghi deserti, nel mare, tra falsi fratelli, nella fatica e nell'avversità, in molte veglie, nella fame e nella sete, in molti digiu ni, nel freddo e nella nudità, oltre a quelle cure che si aggiungono quotidianamente, cioè la sollecitudine di tutte le chiese. Chi è debole senza che anch'io partecipi della sua debolezza? Chi è scandalizzato senza che anch'io arda? Se è conveniente gloriarsi di ciò che appartie ne alla mia debolezza, mi glorierò; Dio e padre del Signore nostro, be nedetto nei secoli, sa che non mentisco. A Damasco, il rappresentan te del re Areta teneva sotto controllo la città per catturarmi, ma attra verso una finestra, nascosto in una cesta, sono stato calato lungo il muro, e così gli sono sfuggito». Loda i Corinzi poiché sopportano se qualcuno li riduce in servi tù, se qualcuno è rapace, se qualcuno si vanta, se qualcuno li colpisce sul volto. Così dichiara di adoperarsi non per la sua gloria, ma per quella unica di Cristo. «Tra di voi, uno dice "io sono di Paolo " , un al tro " io sono di Apollo " , ma non siete uomini, e che cos'è Apollo? Che cos'è Paolo? Ministri di colui al quale avete creduto, e secondo quan to il Signore ha dato a ciascuno. lo ho piantato, Apollo ha irrigato, ma Dio ha suscitato lo sviluppo, perciò né chi pianta vale qualcosa, né chi irriga, ma Dio che suscita lo sviluppo. Chi pianta e chi irriga sono una cosa sola. Quindi nessuno tra gli uomini meni vanto. Tutto infatti è vostro, sia Paolo, sia Apollo, sia Cefas, sia il mondo, la vita, la morte, il presente, il futuro, tutto è vostro, e voi siete di Cristo, Cristo di
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Dio». Ma ascolta anche queste parole: «La carità non chiede che co sa sia suo, tutto tollera, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta, la ca rità non viene mai meno». È simile quel che si legge nell'epistola di Giovanni: «Nella carità non vi è il timore, ma la carità perfetta esclude il timore». Poniamo termine alle parole di Paolo con l'epistola a Timoteo: «In ciò fatichia mo e siamo maledetti, poiché speriamo nel Dio vivo. Sono parole cer te, e degne di essere accolte da tutti, poiché Cristo Gesù è ven uto in questo mondo per salvare i peccatori, dei quali io sono il primo. Ma per questa ragione ho ottenuto misericordia, affinché Cristo Gesù mostrasse in me tutta la sua benevolenza nell'istruire coloro che gli avrebbero creduto per la vita eterna. Al re dei secoli, immortale, invi sibile, all'unico Dio, onore e gloria nei secoli dei secoli». Questo scri ve Paolo apostolo. Anche l'apostolo Giovanni, nell'Apocalisse, chiama se stesso te stimone e partecipe delle sofferenze di Cristo, ed esorta i popoli alla pazienza nei mali. A molti, in simile modo, raccomanda la pazienza nelle epistole, e così gli altri apostoli ed evangelisti. Scrive Luca evan gelista che gli apostoli, colpiti dai giudei, avanzavano esultanti, poiché si ritenevano degni di patire ingiurie per il nome di Cristo. E inoltre stabilirono che nulla fosse posseduto come proprio tra sé e i loro se guaci, e vollero che l'amministrazione dei beni fosse estranea agli apo stoli. Aggiunge che, quando un certo Cornelio voleva prostrarsi da vanti a Pietro, fu rimproverato da Pietro che gli proibì di fare ciò. Inoltre, quando gli abitanti della Licaonia volevano fare sacrifici a Paolo e a Barnaba come a dèi a causa dei loro miracoli, ricevettero un diniego da essi. Anche Giovanni nell'Apocalisse proibì di essere og getto di venerazione. Dal che appare che gli apostoli cercarono non il loro vantaggio, od onore, ma la sola gloria di Cristo. Se qualcuno so spetta che gli apostoli abbiano inventato alcunché, costui non ha mai letto queste pagine, e altre simili, oppure delira.
Capitolo 7 I DISCEPOLI DI CRISTO NON FURONO INGANNATI DA NESSUNO
I discepoli di Cristo e i loro seguaci videro miracoli di gran lun ga più manifesti e più grandi che noi che, sebbene siamo nati e sia mo stati educati in questa religione, non saremmo pronti ad adope rarci tanto per ciò che a noi è consueto, quanto essi si affaticarono per una religione nuova e quasi, per dir così, portentosa, la quale quanto più appare portentosa, tanto più ebbe bisogno agli inizi, per essere creduta, di segni e di miracoli evidenti. Infatti chi potrebbe credere facilmente che un giovane, illetterato, figlio (come si crede va) di un fabbro, mendico, sconosciuto, ucciso in un pubblico sup plizio, sia la stessa mente divina, che sempre è in Dio, per mezzo di cui tutto sempre esiste ed è governato 1 , ciò che non è mai stato cre duto riguardo a nessun altro; quindi Luca evangelista scrive che, quando l'apostolo Paolo disputava su questa verità davanti al re Agrippa e a Porzio Festo, governatore della Giudea, Festo esclamò: «Sei folle, Paolo, i molti tuoi studi ti costringono a smarrire il sen no». È analoga quell'apostrofe di Tertulliano 2 ai giudici romani: «Un tempo anche noi abbiamo riso di ciò, siamo dei vostri, si diven ta e non si nasce cristiani». Si deve ritenere che coloro che asseriva no queste proposizioni e coloro che prestavano fede a chi le pronun ciava avevano veduto miracoli degni di Dio. E Paolo dice ai Corinzi:
l Superfluo, forse, rammentare il Logos (o Verbum in latino) del prologo al Van gelo di Giovanni. La dottrina trinitaria individua nella seconda persona la mens Dei, che accoglie in sé gli archetipi di tutte le cose: omnia per ipsum /acta sunt. E il Credo ribadisce: incarnatus est de Spiritu Sancto . . . et homo /actus est. 2 Iniziatore, con Minucio Felice, dell'apologetica latina: al 1 97 d.C. risale la pri ma delle molte sue opere, intitolata per l'appunto Apologeticum.
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«l giudei chiedono segni, i greci cercano la sapienza, noi invece pre dichiamo Cristo crocifisso, scandalo per i giudei, stoltezza per i gen tili, predichiamo Cristo ai giudei e ai greci convertiti, Cristo potenza e sapienza di Dio. La stoltezza di Dio è più sapiente dell'uomo, e la debolezza di Dio è più forte dell'uomo». Unicamente dai miracoli, e di natura al tutto manifesta, Paolo, uomo nobile, potente, sapientissimo e fortissimo, poté essere solleci tato - da quell'acerrimo nemico dei cristiani, che era - a trasformarsi d'improvviso in un acerrimo difensore di quelli, e a sottoporsi spon taneamente, con tutto se stesso, alle sofferenze, quante nessuno po trebbe enumerare, per il solo amore di Cristo. In verità, presso Luca, Dio predisse: «Questi è per me vaso d'elezione, perché porti il mio nome davanti alle genti, ai re e ai figli di Israele. lo mostrerò quante sofferenze siano da patire per il mio nome». In nessun modo si deve credere che i nunzi di Cristo furono ingannati dalla fallacia di qualcu no. Gli scritti e le gesta, sia dei discepoli di Cristo, sia di coloro che in quel tempo, all'improvviso e con grandissimo pericolo, ricevettero una siffatta dottrina, attestano presso gli uomini di mente pia che le primizie dei cristiani furono tali da non voler ingannare e da non po ter essere ingannati. Quale fu la causa per cui molti, giudei e gentili, eruditissimi in qualsivoglia disciplina, e molti anche ricchi, abbando nati gli agi e le loro sostanze, preferirono morire crudelmente con quegli uomini rustici e mendichi, discepoli di Cristo, piuttosto che vi vere con le delizie del mondo? Ascoltiamo quell'uomo divino, il cartaginese Tertulliano, che co sì esclama nella sua Apologia, volgendosi ai giudici romani: «Ma fate pure ciò, ottimi governatori, tormentate, torturate, condannate, infie rite su di noi, la vostra iniquità è la prova della nostra innocenza. Dio tollera che noi tolleriamo queste sofferenze. Poco fa, condannando una cristiana al lenone piuttosto che al leone, avete riconosciuto che la macchia della pudicizia per noi è ritenuta più atroce di ogni pena e di ogni morte. Né la vostra più squisita crudeltà ottiene alcun risulta to, è anzi un'attrattiva per la nostra setta, diventiamo più numerosi ogni volta che siamo falciati da voi, è seme il sangue dei cristiani, ab biamo riempito di noi ogni luogo. E se per la nostra dottrina non fos-
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se più lecito essere uccisi che uccidere, avremmo potuto combattere contro di voi, inermi, senza ribellarci, ma unicamente in quanto diver si da voi, con la sola arma della secessione. Se una così grande quan tità di uomini si fosse separata da voi, rifugiandosi in qualche luogo remotissimo della terra, una tale perdita di cittadini avrebbe scosso il vostro dominio, anzi l'avrebbe punito con l'abbandono stesso. Senza dubbio, avreste avuto spavento della vostra solitudine, del silenzio universale, e stupiti per la morte dell'Urbe avreste chiesto a chi pote vate comandare, infatti quasi tutti i cittadini sono cristiani». Anche Origene 3 , nel quarto libro del Perì ArchOn, dice che uo mini innumerevoli nelle varie regioni del mondo, lasciate le patrie leggi, avevano accolto d'un tratto la legge cristiana, e che sopporta vano molto volentieri e ogni giorno tutti i generi di tormenti e la mor te per la gloria di Cristo. Se volessi ricordare le migliaia di uomini ec cellenti in qualsiasi dottrina, soprattutto in filosofia, i quali furono discepoli dei discepoli di Cristo, e loro successori, e fino ai tempi di Giuliano imperatore 4, tra le spade e il fuoco, difesero Cristo con la loro santità di vita, con la voce, gli scritti, con diuturna fatica, con pe ricoli e morte, sarei costretto a comporre un'opera non breve, per ta cere delle migliaia di oratori e filosofi che, presso greci, barbari e la tini, dopo Giuliano, trascorsero tutta la vita santamente nella pratica del cristianesimo.
3 Massimo rappresentante della scuola di Alessandria, del Didaskaleion, prima università cristiana, si è detto (II-III secolo d.C.): del testo greco ci rimangono fram menti, mentre l'opera ci è pervenuta in una traduzione di Rufino, De principiis, tra duzione che diede luogo a un'aspra querelle con Girolamo, poiché quest'ultimo de nunciò l'infedeltà del testo latino rispetto a quello greco, le censure effettuate da Ru fino per rendere accettabile, ortodosso il paradigma origeniano. Aveva inizio la "for tuna " controversa di Origene nelle lettere, nella filosofia dei secoli venturi. 4 Giuliano l'Apostata (così detto, perché educato nella fede cristiana: 3 6 1 -363 ) , tentò un'effimera restaurazione del paganesimo. D i lui s i ricordano le misure in cruente, al contrario di quel che suggerisce l'enfasi di Ficino, con cui allontanò i cri stiani dall'insegnamento; misure vessatorie, tuttavia, che furono condannate da un in signe storico, pagano e suo ammiratore, Ammiano Marcellino.
Capitolo 8 LA RELIGIONE CRISTIANA È FONDATA NELLA SOLA VIRTÙ DI DIO
Se la religione cristiana non fu affatto fondata sulla potenza o sul la sapienza umane, o sul piacere, anzi contro la volontà e gli sforzi ostili di molti uomini potenti e dotti, e delle umane passioni, essa nac que d'improvviso e si propagò rapidamente per tutto il mondo. Pao lo scrive ai Romani che la loro fede è annunciata in tutto il mondo, e ai Colossesi che il vangelo è ovunque. Anche Giovanni scrive: «Ciò che viene da Dio vince il mondo, questa è la vittoria che vince il mon do, la nostra fede». È necessario che questa stessa religione fosse fon data nella potestà, nella sapienza e nella speranza divine. Che dire del fatto che, molti secoli prima, in una lunga sequenza, questi singoli av venimenti furono predetti da moltissimi profeti e sibille 1 ? È quel che mostreremo qui di seguito. Cristo, maestro di vita, non fu lui stesso a predire la sua morte, la persecuzione che avrebbe avuto luogo ovun que contro i discepoli, il propagarsi della sua religione, e la sua immu tabilità, l'infelice rovina dei giudei 2 che in breve sarebbe sopraggiun ta, la conversione dei gentili, la pertinacia di taluni giudei che sareb be durata fino alla fine del mondo, e non fu lui stesso a ispirare i di-
l Teste David cum Sibylla recita il Dies irae, attribuito a Tommaso da Celano. La koiné mediterranea, l'hellenistisch-romische Kultur, dopo l'annuncio del Vangelo, ha accolto, e promosso, una simbiosi tra testi sacri e profani, tra due tradizioni che si ri tenevano parallele e non contraddittorie. Si pensi alla IV ecloga di Virgilio (iam redit et virgo . . . occidet et serpens . . . iam nova progenies caelo demittitur alto) e ai canti di Stazio nel Purgatorio dantesco. E si pensi, altresì, alle sibille di Michelangelo. 2 Un limite dell'ecumenismo ficiniano, va detto subito con onestà intellettuale, risiede nella polemica insistita, e sgradevole per il lettore odierno, nei confronti dei
perfidi Judaei.
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scepoli perché così parlassero? E, ciò che è mirabile, Cristo descrisse l'assedio futuro di sabato, e la morte per fame e per ferro inferta dai gentili, e la strage inaudita, e inoltre la prigionia dei giudei in tutte le genti, non diversamente da quanto Giuseppe 3 scrisse dopo la rovina di Gerusalemme. Inoltre è opportuno ascoltare quali parole usò Gesù, e ciascuno dei suoi discepoli, per persuadere gli ascoltatori. «Date tutti i vostri beni ai poveri, respingete quelli che vi sono più cari, porgete la guan cia a chi vi colpisce, fate del bene ai vostri nemici, disprezzate questa vita e tutti i suoi diletti, rinnegate voi stessi, sopportate questa nostra croce, croce terribile, seguiteci dove vi indichiamo. Se ci seguirete, senza dubbio per tutta la vita sarete soggetti a quelli che sono ritenu ti mali dagli uomini». Questo essi dicevano. O modo di persuadere pieno, in ogni dove, del suo contrario ! Pensiamo che Demostene e Ci cerone, così facendo, avrebbero potuto persuadere qualcuno? Tutta via quel discorso riuscì a persuadere, e persuase molti e grandi uomi ni. Ma come? Da Dio fu fatto ciò, più mirabile di ogni miracolo, poi ché, lo testimoniano coloro che udirono, Gesù non parlava come gli scribi e i farisei, ma come colui che ha potestà. Furono talmente per suasi, che i seguaci di Cristo lo amarono sempre, più di quanto è pos sibile alla natura umana, ciò che non negherà affatto chi abbia esami nato, con mente sgombra da pregiudizi, le loro gesta e i loro scritti; tutto questo è opera divina. Se qualcuno dubita, legga e rilegga dili gentemente i libri dei profeti, degli evangelisti, degli apostoli, legga anche gli scritti di coloro che a quel tempo li seguirono. La verità di ciò risplenderà subito, in essi infatti vi è un'energia nuova, e anche una singolare semplicità e sobrietà, e ardore, gravità, profondità, maestà. Il che indica che non erano !ungi da loro la forza e la fiamma divine, e che la verità stessa non abbisognava dell'orna mento delle parole, né la forza divina abbisognava di strumenti urna-
3 Giuseppe Flavio, fariseo, caduto prigioniero dei romani e divenuto amico del popolo conquistatore, dello stesso comandante Tito (donde l'appellativo di Flavio) , autore d i varie opere tra cui il Bellum ]udaicum e l e Antiquitates ]udaicae, dopo l a di struzione di Gerusalemme, nel 70 d.C.
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ni. Aggiungi che in tanti volumi dell'Antico e del Nuovo Testamento non si trova nulla che sia discordante, ciò che non è concesso agli al tri scrittori, ed è il massimo indizio della verità divina. Quegli autori hanno un non so che di pio e di augusto, e - ciò che è mirabile - co mune tra di loro, completamente alieno a tutti gli altri, la qual cosa si gnifica che Dio ha ispirato tutti loro più che altri. Che dire al riguar do? Mentre tutti gli altri scrittori presentano ambiguità e vacill ano, essi non hanno dubbi, ma con tanta certezza parlano (o Dio onnipo tente ! ) , con quanto coraggio affrontarono le prove più dure. Ascolta quel celebre pescatore Giovanni evangelista. «Ciò che fu dall'inizio, ciò che abbiamo udito, ciò che abbiamo visto coi nostri occhi, ciò che abbiamo osservato, e le nostre mani hanno toccato riguardo al Verbo della vita, e la vita stessa si è resa manifesta, noi attestiamo, e annun ciamo a voi la vita eterna, che era presso il Padre, ed è apparsa a noi. Vi annunciamo ciò che abbiamo visto e udito, perché siate uniti a noi, e la nostra unione sia col Padre e col Figlio di lui, Gesù Cristo. E vi scriviamo ciò, perché abbiate la gioia, e la vostra gioia sia piena, e que sto è l'annuncio che abbiamo udito da lui, e lo annunciamo a voi, che Dio è la luce, e in lui non vi sono tenebre». In queste parole, considera con quanta chiarezza egli parli: «Dio ha reso testimonianza di suo Figlio, e questa è la testimonianza, che Dio ci ha dato la vita eterna, e questa vita è nel Figlio di lui, chi ha il Figlio ha la vita, chi non ha il Figlio di Dio non ha la vita. Vi scrivo ciò, perché sappiate di avere la vita eterna, voi che credete nel nome del Figlio di Dio, e questa è la fiducia che abbiamo presso Dio, poi ché qualunque cosa chiederemo secondo la sua volontà, egli ci ascol ta, e sappiamo che ci ascolta, qualunque cosa chiederemo, sappiamo di avere richieste che a lui indirizziamo, sappiamo che chi è nato da Dio non è nel peccato, ma la paternità di Dio lo cons.e�a, e il mali gno non lo tocca. Sappiamo che la nostra origine è da Dio, e tutto il mondo è posto nel maligno, e sappiamo che il Figlio di Dio è venuto, e ci ha dato la capacità di conoscere il vero Dio e di essere nel vero Figlio di lui. Questo è il vero Dio e la vita eterna. Del pari, sono tre che rendono testimonianza nel cielo: il Padre, il Verbo e lo Spirito; e quei tre sono una cosa sola, e sono tre che rendono testimonianza in
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terra, lo spirito, l'acqua e il sangue. Se accettiamo la testimonianza de gli uomini, maggiore è la testimonianza di Dio. Non vi meravigliate, fratelli, se il mondo vi odia, sappiamo di essere stati trasportati dalla morte alla vita. In ciò riconosciamo la nostra permanenza in Dio, e di lui in noi, poiché ci ha comunicato il suo Spirito, e noi vediamo e te stimoniamo che il Padre ha mandato suo Figlio, salvatore del mondo, e noi abbiamo conosciuto e abbiamo creduto alla verità, che Dio rac chiude dentro di noi». Del pari: «Chi ha visto, ha reso testimonianza, e la sua testimo nianza è vera, e sa di dire il vero». Ancora: «Questo è il discepolo, che rende testimonianza di questi fatti, e li ha messi per iscritto, e sappia mo che la sua testimonianza è vera». Ma vedi con quanta forza pro clami: «In principio era il Verbo, e il Verbo era presso Dio, e Dio era il Verbo, questo era in principio presso Dio. Tutte le cose furono fat te per mezzo di lui, e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che è stato fatto, in lui era la vita, e la vita era la luce degli uomini, la luce risplen de nelle tenebre, e le tenebre non la compresero». E inoltre: «Ora è stato glorificato il figlio dell'uomo, e Dio è stato glorificato in lui, se Dio è stato glorificato in lui, anche Dio lo glorificherà in se stesso, e subito lo glorificherà». Non so chi possa enunciare qualcosa più sem plicemente e asserirlo, al tempo stesso, più efficacemente. Porremo termine alle parole di Giovanni con questa sua proposizione certa e netta: «lo vi amo in verità, e non io solo, ma tutti coloro che hanno conosciuto la verità per amore della verità, che rimane in noi, e sarà con noi in eterno». Giacomo così parla alle dodici tribù disperse: «Stimate essere una grande gioia, miei fratelli, quando incontrerete varie tentazioni, sapendo che la prova della vostra fede genera la perseveranza, la per severanza racchiude in sé la perfezione, cosicché siate perfetti e inte gri, in nulla manchevoli. Se qualcuno di voi avverte il bisogno della sapienza, la chieda a Dio, che a tutti dà con abbondanza senza rinfac ciare, e gli sarà data, chieda nella fede, non esitando». E poco dopo: «Tutto ciò che è stato dato è ottimo, e ogni dono perfetto viene dal l'alto, discendendo dal Padre della luce, presso cui non vi è mutamen to, né l'oscurità di alterne vicende. Di sua volontà ci ha generato per
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mezzo del Verbo della verità, affinché siamo - per dir così - l'inizio della sua creazione». Ascoltiamo anche la fiducia espressa da Pietro: «Voi stirpe eletta, regale sacerdozio, gente santa, popolo dell'acquisi zione, affinché annunciate la virtù di colui che dalle tenebre vi ha chiamato nella sua ammirabile luce. Non abbiate timore, ma gioite nella comunione con le sofferenze di Cristo, per gioire esultando nel la rivelazione della sua gloria. Se siete insultati nel nome di Gesù Cri sto, siete beati, poiché ciò che appartiene all'onore, alla gloria, alla po tenza di Dio e il suo spirito riposano sopra di noi. Quindi prego gli anziani che sono tra voi, io stesso anziano, e testimone delle sofferen ze di Cristo, e partecipe della sua gloria, che sarà rivelata in futuro, pascete il gregge di Dio, che è tra di voi, dedicandovi a questa incom benza non per obbligo, ma di buon animo, secondo il volere di Dio. Dio datore di ogni grazia, che ci ha chiamato nell'eterna sua gloria, in Cristo Gesù, dopo le nostre brevi sofferenze, compirà in noi la sua opera, ci confermerà, ci corroborerà, a lui la gloria e il dominio nei se coli dei secoli, amen». Lo stesso concetto si legge altrove: «Non seguendo le favole degli ignoranti, vi facciamo conoscere la virtù e la prescienza del Dio nostro, Gesù Cristo, ma in quanto contemplatori della sua grandezza». È op portuno considerare la speranza, la carità e la costanza di Paolo, aven do una tale speranza nutriamo molta fiducia. «Dio è spirito, e dove è lo spirito del Signore, ivi è libertà. Noi tutti, contemplando la gloria del Signore, senza veli, ci trasformiamo nella medesima immagine, tra scorrendo da luce in luce, come mossi dallo spirito del Signore. Inve stiti di questo compito, poiché ci è stata data misericordia, non ci per diamo d'animo, ma rinunciamo alle vergogne occulte del peccato, non camminando nell'astuzia, né adulterando il verbo di Dio, ma affidan do noi stessi, nel proclamare la verità, alla coscienza di ogni uomo, da vanti a Dio. Ché se anche il nostro Vangelo è chiuso, è chiuso in quel li che periscono, e nei quali Dio ha accecato le menti prive di fede, im merse in questo secolo, cosicché non rifulga loro la luce dell'annuncio della gloria di Cristo, che è immagine di Dio. Non abbiamo predicato noi stessi, ma Gesù Cristo nostro Signore, e ci siamo dichiarati suoi servi. Poiché Dio, il quale ha detto che la luce splende emergendo dal-
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le tenebre, ha illuminato i nostri cuori, per rischiarare la scienza della luce di Dio, al cospetto di Cristo Gesù. Abbiamo questo tesoro in va si d'argilla, affinché il suo valore sia tutto della virtù di Dio, e non de rivante da noi. Soffriamo sempre tribolazioni, ma non ci angustiamo, siamo deboli, ma non ci scoraggiamo, patiamo la persecuzione, ma non ci abbattiamo, siamo colpiti, ma non periamo». Poco dopo: «Sap piamo che chi ha resuscitato Gesù, resusciterà anche noi con Gesù, e perciò non ci smarriamo. Ma sebbene si corrompa la nostra umanità, che è fuori di noi, tuttavia l'uomo dentro di noi si rinnova giorno do po giorno. Ciò che ora vi è di transitorio e lieve nella nostra tribolazio ne, è causa in noi di una gloria eterna e stabile nei cieli. Noi non con templiamo le cose che si vedono, ma quelle che non si vedono, infatti quelle che si vedono sono temporali, quelle che non si vedono sono eterne. Sappiamo che se si dissolve la nostra dimora terrestre di que sta vita, riceviamo una dimora da Dio, un casa non costruita con le ma ni dell'uomo, ma eterna nei cieli». Questo scrive ai Corinzi. E così ammonisce Timoteo: «Vigila in tutte le tue occupazioni e affaticati, svolgi l'opera dell'evangelizzatore, compi il tuo ministero, sii sobrio, io infatti già mi sento morire, e incalza il tempo in cui mi dissolverò. Ho combattuto la buona battaglia, ho condotto al termi ne la mia corsa, ho conservato la fede, è stata messa in serbo per me la corona della giustizia, che mi darà in quel giorno il Signore giusto giudice, non solo a me, ma a tutti coloro che attendono con amore il suo avvento». Con queste parole ha vaticinato il martirio imminente che incombeva su di lui e che poco tempo dopo avvenne. Non posso trattenermi dall'aggiungere con quanta fermezza, e chiarezza, con quanta maestà esaltò, nell'epistola agli Ebrei, la generazione eterna del Figlio di Dio e la sua potenza. «Varie volte e in molti modi Dio ha parlato ai nostri padri per mezzo dei profeti, più di recente, ai nostri giorni, ha parlato a noi tramite il Figlio, che ha costituito erede del l'universo, e per mezzo del quale creò i secoli. Poiché questi è lo splendore della gloria, e immagine della sostanza di lui, e regge tutto grazie alla virtù del Verbo, e ha purgato i nostri peccati, siede alla de stra della somma maestà nell'alto dei cieli, tanto superiore agli angeli, quanto ha ereditato un nome differente e più eccelso».
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Sempre del Figlio di Dio dice: «È il Verbo vivo di Dio, e poten te, più penetrante di ogni spada a due tagli, arriva perfino a dividere l'anima e lo spirito, anche le compagini e le midolla, distingue i pen sieri e le intenzioni del cuore. Nessuna creatura è invisibile al suo co spetto, tutto è nudo e aperto ai suoi occhi, tutto ciò di cui parlate». E ai Colossesi: «li Figlio è l'immagine del Dio invisibile, primogenito di ogni creatura, poiché in lui sono state fatte tutte le cose in cielo e in terra, visibili e invisibili, i troni, le dominazioni, i principati, le pote stà. Tutto è stato creato in lui e per mezzo di lui, ed egli è prima di tut ti, e tutto si fonda in lui, ed egli è il capo del corpo della Chiesa, egli che è il principio, primogenito tra i morti, affinché abbia il primato tra tutti, poiché piacque che in lui abitasse tutta la pienezza della di vinità, e che tutto fosse riconciliato grazie a lui, il pacificatore, grazie al sangue della sua croce, sia le cose che sono in cielo, sia quelle che sono in terra». Ma per non esser costretto a dilungarmi ulteriormente in quelle proposizioni mirabili che enuncia in gran copia, come oracoli certis simi, riguardo al Figlio di Dio nelle epistole agli Efesini, ai Colossesi, ai Filippesi, riguardo allo Spirito Santo nell'epistola ai Corinzi, e ri guardo agli altri misteri della teologia in altri luoghi, mi limiterò a po che parole. Se qualcuno ha letto diligentemente le Sacre Scritture, sa rà costretto a riconoscere che la rivelazione cristiana si basa sulla po tenza di Dio. I nostri eroi aderiscono stabilmente a un fondamento immutabile, lucidi nella mente, fervidi nella volontà, semplici nel lin guaggio, e sicuri, instancabili nell'agire, invitti nel loro proposito. Gli altri, con troppa ansia vanno a caccia di argomenti meschini, invi schiandosi in ambagi e (come dice Davide) al modo degli empi vaga no qua e là, senza essere guide autorevoli né per se stessi né per gli al tri. Infine, se è propria della religione soprattutto la purezza dell'ani ma e dei costumi, questa religione di certo è oltremodo divina, la qua le non ammette né le vili superstizioni dei giudei venuti dopo 4, e i de-
4 Prosegue la polemica, o piuttosto l'invettiva antiebraica, cui si aggiunge la condanna recisa dell'altra religione "abramitica" , l'islamismo. Ficino è molto distan-
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liri spregevoli del Talmud, né le favole oscene e inique dei gentili, né l'abominevole licenza dei maomettani e le futilità del Corano, e non prométte premi terreni, come le altre religioni, ma celesti, né coman da che gli avversari della fede, e della propria legge, siano uccisi, co me comandano il Talmud e il Corano, ma che siano istruiti per mezzo della ragione, o convertiti con la parola o tollerati con pazienza. Il che, come è apparso molto manifestamente all'epoca dei primi cristia ni, nei fatti stessi, non solo riduce i vizi, ma li estirpa, e persuade alla virtù con le opere più che con le parole suasive. Tali, infatti, furono la condizione e la sorte di quelli, che non poterono persuadere altrimen ti che esercitando le virtù e i miracoli. Il cristiano esercita ardente mente le virtù non per ambizione, per voluttà, per tranquillità umana, ma solo per amore di Dio, e rifiuta, disprezza questo mondo, per con seguire l'altra vita.
te dal De pace /idei o dalla Cribratio Alchorani di Niccolò da C usa, ed è distante da Pico, inteso a conciliare filoni plurimi dell'esperienza religiosa dei popoli mediterra nei (cf. , al riguardo, lo scambio epistolare con Ermolao Barbaro sui filosofi medieva li, nonché la difesa del loro lessico, dei contenuti concettuali) . L'ecumenismo di Fici no è tutto interno al mondo classico, greco-romano, sulle orme del sincretismo di Alessandria (oracoli caldei, letteratura ermetica, il Physiologus ecc . ) , ma in questo am bito si muove con coerenza, con rigore di argomentazioni.
Capitolo 9 L'AUTORITÀ DI CRISTO NON DERIVA DAGLI ASTRI, MA DA DIO
Abbiamo dimostrato nella nostra Theologia l che la religione co mune a tutti non viene dalle stelle, né da alcuni uomini, né da un in flusso morboso, ma da Dio e dalla natura comune della specie uma na. Ora, brevemente, ci proponiamo di provare che la rivelazione cri stiana non sussiste e non è conservata grazie a un qualche fato deciso dalle stelle. L'avvento di Cristo, in quanto opera divina, fu predetto, fin dagli inizi del mondo, dai profeti e dalle sibille 2 , non esperti in astrologia, ma divinamente ispirati. Aggiungi che le sfere celesti, co me cause universali e remote, sono solite determinare effetti partico lari in terra, non senza taluni vantaggi intermedi. Tutte le realtà uma ne non soltanto non offrirono vantaggi ai cristiani, ma per trecento anni si sa che furono a loro ostili 3. Quando Paolo, presso Luca, di sputando a Roma con i giudei, disse: «Sono circondato da questa ca tena per la speranza di Israele», i giudei soggiunsero: «Sappiamo be ne che ovunque ci si oppone a questa setta». Per la stessa ragione co sì esclamò Tertulliano: «La verità ha avuto i suoi inizi con l'odio diret to contro di sé, da quando è apparsa, è nemica, tanti sono i nemici di lei, quanti le sono estranei, i giudei per rivalità, i soldati per estorcere denaro, per loro natura gli stessi nostri servi, ogni giorno siamo asse diati, ogni giorno siamo traditi, nelle nostre stesse riunioni e assem blee siamo sorpresi e oppressi».
l La Theologia platonica, già citata. 2 Cf. n. l, cap. 8.
3 L'editto di Milano, del 3 13 , emanato da Costantino e Licinio, concesse liber tà di culto anche ai cristiani.
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Del pari: «La verità non chiede indulgenza per se stessa, poiché neanche si meraviglia della sua condizione, sa di vivere pellegrina in terra, e di trovare facilmente nemici tra gli estranei. E inoltre di ave re in cielo l'origine, la sede, la speranza, il favore, la dignità, e brama una cosa soltanto, di non esser condannata senza che la si conosca. Che cosa vi è di più iniquo del fatto che gli uomini abbiano in odio ciò che ignorano, anche se l'odio fosse meritato? Rifiutiamo l'una e l'altra cosa, che ignorino mentre odiano, e che odino ingiustamente mentre ignorano». Così scrive Tertulliano. Inoltre le cause corporee danno luogo a effetti attinenti alla voluttà, o all'ambizione o, di cer to, non più che alla vita civile, ma la religione cristiana condanna tut to ciò, o lo supera. Le sfere celesti non possono infondere un deside rio più alto di quanto la pietà cristiana, pur volgendosi ai cieli, di sprezza le sfere celesti e le trascende, e adora solo Dio al di sopra del cielo, poiché essa non nasce dal cielo, o da spiriti celesti, ma soltan to da Dio che è al di là dei cieli. Uomini innumerevoli presso tutte le genti, per il nome di Cristo si sono offerti volentieri alle ferite e a morte certa, per il solo fine della beatitudine divina. Quando, in al tre circostanze, il moto dei cieli ha prodotto tali eroismi? Quale sa piente ha potuto mai disseminare la sua dottrina, con la sola pietà, in tutto il mondo? E Dio, per la virtù dei suoi testimoni, malgrado l'ostilità dell'antica consuetudine, e delle potenze stabilite, ovunque è stato ricevuto con fede. Se ciò discendesse dagli astri, anche qual cun altro, nascendo, sarebbe stato sottomesso a un influsso delle stel le, identico o simile. Quale fato ha asserito che sia il creatore stesso dell'universo colui il quale ha insegnato, e insegna, che non vi è alcu na potenza insita nei fati? Come mai il fato stesso si contraddice, e nega la sua esistenza 4 ? D i ciò diede conferma Eusebio 5: «Coloro che per predicare il
4 La ripulsa ficiniana del determinismo astrale si congiunge alle Disputationes di Pico adversus astrologiam divinatricem, e ne condivide il pathos umanistico. 5 Eusebio di Cesarea, 260-340ca d.C., autore di varie opere, tra cui la Praepara tio evangelica, dove si svolge il tema (comune tra gli scrittori cristiani dei primi seco-
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Vangelo hanno lottato molti anni, o lottano ancor oggi, come sono stati sospinti a un solo volere, a una sola fede, all a medesima virtù del l' anima, al medesimo tenore di vita, in tempi diversi, e così numerosi, per quel che noi ricordiamo? Chi, dotato di ragione, potrà mai crede re che giovani e vecchi, uomini e donne, servi e liberi, dotti e indotti, nati non in una sola regione del mondo, né nella medesima ora, ma ovunque e in tempi diversi, costretti dalle stelle abbiano anteposto, ai riti patri, una dottrina sola e identica, nuova e inaudita, e per giunta con pericolo di morte, e abbiano preferito le proposizioni della vera filosofia e le difficoltà della vita ai piaceri?». Questo scrive Eusebio. Non si deve dare ascolto, quindi, a taluni empi e fatui assertori della realtà del fato, i quali agli inizi stessi della religione cristiana pre annunciarono che essa sarebbe caduta in rovina non appena avesse compiuto trecentosessantacinque anni, e ciò garantirono mediante una qualche sorta di oracolo. Né osi un astrologo annunciare che es sa tramonterà un giorno o l'altro, essa che non dipende dal moto tem porale dei cieli, ma dall'eterna e inalterabile condizione di Dio, e che dall'inizio del mondo fino ai tempi dell'imperatore Ottaviano 6 ha avuto il suo fondamento nelle parole dei profeti, nell'attesa dei popo li, nel vestigio divino impresso in tutte le cose. Quindi essa perdura fi no ai nostri giorni, per millequattrocentosettantaquattro anni, contro la volontà dei cieli e delle terre. Dio, come mostreremo altrove, ster minò i suoi primi persecutori, i giudei 7, e la difende dalla persecuzio ne continua e feroce dei gentili e degli eretici. Non potrà mai essere abolita questa religione, che ha Dio come vindice e custode; anche se sia male amministrata dai suoi, e combattuta crudelmente dai nemici, essa sta sotto il governo di Dio, e non è meno afflitta dai suoi che da-
li) della coincidenza tra filosofia greca, principalmente platonica, e filosofia barbara o "mosaica" , o addirittura del "furto " perpetrato dai filosofi gentili ai danni della ve rità rivelata nell'Antico Testamento. 6 Ottaviano Augusto, sotto il cui impero nacque il Salvatore. La Pax Augusta fu considerata come dono divino e circostanza favorevole al diffondersi del Vangelo in tutta l'ecumene mediterranea (Augustustheologie). 7 Cf. n. 2 , cap. 8.
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gli estranei. Se le circostanze umane saranno favorevoli ai cristiani, non cesseranno i culti e le cerimonie; qualora si diano molte vicissitu dini, questa religione crescerà e si perfezionerà. Infatti, essendo sorta e sviluppata in mezzo ad avversità estreme e continue, necessariamen te di queste si nutrirà e si rafforzerà.
Capitolo 10 L'AUTORITÀ DI CRISTO NON VI FU SENZA I MIRACOLI
Ma mi sembra, magnanimo Lorenzo 1 , che si debbano rimprove rare con forza coloro i quali ogni giorno, con pertinacia e pari impru denza, esigono nuovi miracoli per confermare la fede in Cristo. Infat ti, se sono rari, sono prodigi autentici, se accadessero con molta fre quenza, sembrerebbero o frutti di un qualche artificio o eventi natu rali. Ci basti sapere che il mondo non avrebbe accettato, e non avreb be tollerato, a suo tempo, in maniera straordinaria, istituti e opere mi rabili senza miracoli manifesti. I gentili, i giudei, i maomettani non ci hanno dato atto che Cristo ha compiuto miracoli? I discepoli di Cri sto in Giudea e altrove, ogni giorno, davanti a tutti, predicavano, e ne scrivevano, i miracoli concernenti la stella sorta dall'oriente, l'eclissi del sole e il terremoto, lo squarcio del tempio e molti altri, manifesti a molte migliaia di uomini. E in quel tempo, in cui vi erano ancora in numerevoli uomini tra quelli che erano vissuti, in età già adulta quan do Cristo morì, questi ultimi avrebbero potuto smentire con estrema facilità quei discepoli, privi di ogni risorsa, se non avessero detto il ve ro. Come avrebbe perpetrato Erode un delitto così abominevole e pe ricolosissimo, allorché uccise tanti bambini e suo figlio, se non fosse stato atterrito da un prodigio mai visto e stupefacente? E non appena perpetrò il delitto, fu riferito per iscritto a Ottaviano. Ascoltiamo Ma crobio 2 : «Quando Augusto ebbe udito che tra i bambini che Erode
l Lorenzo il Magnifico, signore di Firenze, cui è dedicato il De Christiana re ligione. 2 Autore del IV-V secolo, nelle cui opere non vi è traccia di una qualche ade
sione al cristianesimo e che Ficino - con dubbia filologia - annette ai testimoni della verità rivelata.
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re dei giudei fece uccidere in Siria sotto i due anni, era stato ucciso anche suo figlio, disse: è meglio essere il porco di Erode che il figlio». È opportuno ascoltare la testimonianza in merito al terremoto. Così dice: «A memoria d'uomo, il più grande terremoto vi fu duran te il principato di Tiberio Cesare 3, quando furono rase al suolo dodi ci città in Asia». Forse fu quel terremoto che avvenne durante la pas sione di Gesù Cristo, poiché scrive che fu tale da non avere preceden ti simili. Inoltre avvenne in Asia, regnando Tiberio, dove e quando ebbe luogo la passione di Cristo; scrive Eusebio di aver letto in alcu ne cronache dei gentili che, nell'anno diciottesimo di Tiberio, vi fu un'eclissi di sole, la Bitinia fu scossa da un terremoto e nella città di Nicea moltissime case crollarono: tutto ciò corrisponde ai fatti avve nuti durante la passione del Salvatore. Scrive al riguardo anche Fie grone, che è un egregio studioso delle Olimpiadi, nel libro tredicesi mo, esprimendosi così: «Nel quarto anno della duecentesimaseconda Olimpiade, avvenne una grande eclissi di sole, più memorabile di tut te quelle che vi furono prima di essa, il giorno si trasformò in una not te tenebrosa, all'ora sesta, cosicché si videro le stelle nel cielo, e un terremoto in Bitinia abbatté molte case della città di Nicea». Così scri ve Flegrone. Un motivo per ritenere che la passione del Salvatore sia avvenuta in quest'anno è offerto dal Vangelo di Giovanni, dove è scritto che, dopo il quindicesimo anno di Tiberio Cesare, il Signore predicò per tre anni. Anche Giuseppe, scrittore giudeo per nascita, attesta che, all'in circa in questi tempi, nel giorno di Pentecoste, i sacerdoti sentirono taluni suoni nei luoghi dove si trovavano, poi dall'ingresso del tempio eruppe la voce improvvisa di coloro che dicevano: «Allontaniamoci da queste dimore». Fin qui la testimonianza di Eusebio. Che Cristo abbia sofferto la sua passione nell'anno diciottesimo di Tiberio, è di chiarato anche da Luca evangelista, il quale afferma che Cristo, vici-
3 Successore di Ottaviano Augusto: sotto l'impero di Tiberio, e sub Pontio Pi lato, Gesù passus et sepultus est.
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no ai trent'anni, fu battezzato nel quindicesimo anno di Tiberio. Inol tre Eusebio calcola che Cristo sia nato nell'anno quarantaduesimo dell'impero di Augusto, e che abbia cominciato a predicare il vange lo nell'anno quindicesimo di Tiberio. Dionisio Areopagita 4, filosofo ateniese molto illustre, e Apollofane, insigne sofista e conoscitore del le scienze naturali, nel giorno in cui Gesù era ucciso, erano insieme presso Eliopoli. Essi videro il globo della luna, fuori del tempo della congiunzione, sopraggiungere in modo mirabile dalla parte donde sorgeva il sole, e lo stesso frapporsi, sopra il diametro del sole, dall'ora nona fino alla sera, e osservarono che tale fenomeno si protrasse fino alla scomparsa del corpo solare, e che infine la luna tornò indietro dalla faccia del sole. Comprendendo che questi eventi si erano dati al di là di ogni ordine della natura, Dionisio rimase stupito e Apollofa ne, volto a Dionisio, esclamò: «illustre Dionisio, queste sono vicende di natura divina». Il che Dionisio Areopagita scrive al sapiente Poli carpo, e lo prega di cercare Apollofane, ancora vivo e non ancora cri stiano, il quale non avrebbe negato che quei fatti erano avvenuti al di là dell'ordine della natura, e non avrebbe disprezzato ulteriormente la verità cristiana, ma l'avrebbe accolta umilmente. Lattanzio 5 afferma che Cristo fu crocifisso il ventesimo giorno di marzo. Un certo Esculo, astrologo, sebbene spirito poco religioso, as serisce tuttavia di essere certo, sulla base di un calcolo astrologico, che il giorno in cui Cristo fu crocifisso il sole era nel primo grado dell'Arie te, la luna nel principio della Libra, e che l'eclissi non poté aver luogo secondo le leggi della natura, sia perché era il plenilunio - è necessa rio infatti che l'eclissi di sole avvenga nel novilunio -, sia perché quel l'eclissi cominciò dall'oriente, mentre un'eclissi naturale è solita co minciare da occidente. Altri sostengono che il sole fosse nei Pesci, la luna nella Vergine, e tuttavia Esculo ne trae le medesime conclusioni
4 Autore del V-VI secolo, erroneamente identificato con il Dionisio convertito da Paolo ad Atene, sull'Areopago. 5 ll "Cicerone cristiano " , 240-320ca, autore, tra l'altro, delle Divinae institutio nes e del De mortibus persecutorum.
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in merito all'eclissi. Lo stesso dimostrano i giudei, che in ossequio alla legge hanno sempre celebrato la Pasqua alla quattordicesima luna, e immolarono Gesù nella Pasqua. L'eclissi vi fu, non era possibile men tire in una circostanza così palese a chiunque, poiché i miracoli furo no predicati e affidati allo scritto nel medesimo secolo e presso i me desimi spettatori tra cui e presso cui si narra che siano avvenuti. Quel miracolo avvenne in cielo unicamente per Cristo. Che cosa più mira coloso di Cristo vi fu allora, o in altre occasioni, sotto o sopra il cielo? Di lui Paolo, suo annunciatore, scrive: «Dio l'ha esaltato e gli ha donato il nome che è sopra ogni altro nome, affinché nel nome di Ge sù si pieghi ogni ginocchio, tra i celesti, i terrestri, gli inferi, e ogni lin gua confessi che il Signore Gesù Cristo è nella gloria di Dio Padre. E ciò che accresce la meraviglia, questo ha confessato la lingua degli uo mini, e in forma di servo si è annientato, fatto umile e obbediente fi no alla morte, e alla morte in croce». Se il mondo ha riconosciuto, senza miracoli, che un uomo di tale condizione e sorte è il sommo Dio, quest'unico miracolo vince la meraviglia suscitata da tutti gli al tri. Non posso ritenere che, se non avesse visto molti miracoli, Gio vanni evangelista, scrittore molto semplice e sobrio, avrebbe osato esclamare con voce così ispirata: «Vi sono anche molte altre cose, che fece Gesù, e che se fossero scritte una per una, penso che il mondo non potrebbe contenere i libri che si dovrebbero scrivere». Per non parlare del fatto che gli evangelisti dicono spesso che Gesù risanò, in modo mirabile, migliaia di infermi. li grande Paolo ci insegna quale fosse la predicazione degli apostoli, grazie a cui molti popoli si con vertivano; infatti dice ai Corinzi: «Fratelli, quando venni da voi, non venni fornito di alto linguaggio, o di alta sapienza, annunciandovi la testimonianza di Cristo. Non ho ritenuto che io conoscessi qualcosa in mezzo a voi, se non Gesù Cristo, affisso alla croce, e sono stato in infermità, in molto timore e tremore presso di voi, e il mio discorso e la mia predicazione non sono consistiti nelle parole persuasive della sapienza umana, ma nel mostrare lo spirito e la potestà di Dio, cosic ché la vostra fede non riposi nella sapienza degli uomini, ma nella po testà di Dio. Parliamo il linguaggio della sapienza tra coloro che sono giunti alla perfezione».
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In un'altra epistola dice ai medesimi: «l segni del mio apostolato si sono manifestati su di voi in ogni sopportazione, nelle testimonian ze, nei prodigi e nella potestà di Dio». Ma ascoltiamo Paolo che scri ve ai Tessalonicesi: «Sai che il nostro Vangelo non è consistito tanto presso di voi nelle parole, ma nella potestà di Dio, nello Spirito San to e nella pienezza dell'annuncio». A tal punto il prudentissimo Pao lo era dimentico di se stesso, o giudicava così sprovvisti di memoria i popoli a cui scriveva, da ricordare di aver fatto prodigi presso di loro, pur non avendoli fatti? Erano già pronte la smentita e l'infamia, se non avesse detto il vero. Anche ai Romani scrive dei prodigi da lui fat ti, dai quali (e simili) concludiamo che non mancarono i miracoli in quei tempi, in virtù dei quali, e come esempio, luce e nostra abitazio ne, è stata edificata la casa di Dio, che - come dice Paolo è «la Chie sa del Dio vivo, colonna e base della verità, e di certo è un grande sa cramento della pietà, che si è manifestato nella carne, è stato giustifi cato nello spirito, è apparso agli angeli, è stato predicato ai gentili, è stato creduto nel mondo ed è stato assunto nella gloria». Questo scri ve a Timoteo. Perché gridiamo increduli? Che cos'altro pretendiamo con petu lanza? Forse che ogni giorno (Dio onnipotente è con noi) il giudice deve emettere una nuova sentenza? Forse in qualunque· momento, per noi e per i posteri che avanzeranno domande simili, Dio è costret to a riscattare la sua autorità per mezzo dei miracoli? E come un gio coliere mercenario è obbligato a presentarsi in teatro secondo il ca priccio di chicchessia? Né risponde alla natura dell'uomo, o gli è con geniale, che questi, animale libero per sua natura, sia oggetto di coa zione per mezzo di taluni segni violenti, ma a lui si addice l'essere at tratto da ispirazioni e dottrine; la virtù e la beatitudine sono promes se a chi esercita la sua volontà, non a chi è costretto; l'autorità di chi insegna trova conferma nel credere, non nell'indagare. E che dire del fatto che pochi sono degni di vedere i miracoli, pochissimi di acco glierli? Avvengono cose mirabili tra gli uomini, e discendono da Dio, per mezzo delle anime umane del tutto separate dai corpi, ma con giunte a Dio, come per mezzo di strumenti. Immergetevi nel fango del corpo, anime misere, vedrete così i miracoli celesti? Quanto stolta-
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mente desiderate vedere le realtà che sono in alto, tenendo il capo in clinato alla terra, volete essere rapiti verso l'alto dai portenti, e non sa lire la scala delle virtù. Che cosa vi è più miracoloso, più divino in ter ra che un'anima del tutto padrona del suo corpo? Sperimentiamo questo dominio, se possiamo, ma possiamo se vogliamo, in tal caso non soltanto vedremo i miracoli, ma noi stessi ne saremo artefici. So no persuaso che, pur senza nostro merito, spesso si danno mirabili se gni in vari luoghi, per impulso divino, ma non tutti a tutti si palesano. Molti non sono messi per iscritto, o se scritti non sono creduti, e di questo dubbio sembrano dare occasione molti uomini detestabili che, simulando il vero, propagano prodigi falsi 6. L'imitazione e la verisimiglianza seguono, di necessità, il modello vero, che qualcuno cerca di imitare e di rappresentare; la moneta adulterata non sarebbe stata introdotta, se non vi fosse stata dappri ma la moneta autentica; non sarebbero stati messi in atto i falsi mira coli, se gli uomini non fossero stati sollecitati, dai miracoli veri, a imi tarli o a prestar loro fede. I miracoli, che Aurelio Agostino e Grego rio 7 narrano di aver visto, sono tali da non dover essere privi di fede. Ho udito che ne sono avvenuti molti mirabili e credibili, nei nostri se coli, e anche nella nostra città di Firenze, ma taluni sono rimasti piut tosto oscuri. È notissimo a molte migliaia di uomini, che l'hanno vi sto e sono ancora in vita, quel miracolo che, dal racconto di molti, de gni di fede, ci risulta esser accaduto ad Ancona nell'anno 1470. Una fanciulla, a causa di un'orribile contrazione dei nervi, fin dalla nasci ta, per camminare, non faceva uso delle gambe, ma strisciava le nari ci sul suolo; Bindello, fiorentino, per una contusione della gola e del petto, non ha potuto parlare per molti anni. Entrambi, dopo essersi raccomandati a Maria supplichevolmente, a lungo, nel medesimo luo-
6 Ficino fa sua la denuncia umanistica contro la credulità popolare, e l'abuso che di quest'ultima facevano un frate Cipolla (personaggio boccaccesco) e i vari " cerretani " . 7 Agostino, vescovo di Ippona, con cui h a inizio la ftlosofia cristiana in forma rigorosa, sistematica, e Gregorio Magno, papa, autore di opere lette, copiate e tra smesse in innumerevoli codici durante l'età di mezzo.
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go, guarirono all'improvviso; per molti anni era stata nota ai concitta dini la loro malattia, e in seguito, già da quattro anni, i concittadini so no al corrente della loro guarigione. Non ti meravigliare, Lorenzo, che Marsilio Ficino, amante della filosofia, parli di miracoli 8: ciò che scriviamo è vero, e compito del fi losofo è dar ragione dei singoli fatti con argomenti appropriati. Vi so no le spiegazioni proprie degli eventi naturali, che hanno luogo secon do la natura, ma le spiegazioni delle realtà divine, che si trovano al di sopra della natura, sono di ordine metafisica oppure miracoli. Dio fornisce la prova dei suoi misteri non tanto con le parole, quanto con le sue opere miracolose, e così conferma i suoi precetti. Donde quel detto: se non volete credere alle parole, credete alle opere.
8 Ne risulta un Lorenzo scettico, pragmatico, non dissimile dal giudizio severo che di lui ebbero fra Girolamo Savonarola e i "piagnoni" .
Capitolo 11 L'AUTORITÀ DI CRISTO PRESSO I GENTILI
Nessuno negò mai i miracoli cristiani, sebbene molti li abbiano riferiti alla potenza dei demoni, non sapendo che i demoni sono soli ti diffondere o il culto di sé o vizi e pestifere discordie, cose queste aliene al massimo grado agli eroi cristiani. Come può aver avuto ori gine dai demoni quella religione che ha condannato e abbattuto il cul to dei demoni 1 , e ha scacciato, scaccia tuttora, i demoni stessi? Qua si tutto il mondo ha venerato subito Cristo, e lo venera, eccettuati po chi usurai erranti 2 che, completamente schiavi dell'avarizia, non so no in grado di avere il senso del divino. Tutti i gentili furono d' accor do che Gesù o era Dio stesso o, di certo, era partecipe della divinità. Apollo di Mileto, consultato, così elogiò Cristo: «Era mortale quanto al corpo, operatore sapiente di prodigi, ma catturato con le armi, tra mite i chiodi e la flagellazione, patì un'amara morte sotto i capi dei caldei». Porfirio 3 nel libro De responsis dice che gli dèi definirono Cristo piissimo, asserirono che fu immortale, rendendo una testimo nianza a lui molto favorevole. Aggiunge che la dea Ecate rispose a chi la interrogava in merito all'anima di Cristo: «Quell'anima è di un uo mo eccellentissimo per la sua pietà, è venerata in quanto aliena da ogni durezza di cuore»; e dopo molte altre cose Ecate così continuò:
1 Che gli dèi del paganesimo fossero, in realtà, demoni malvagi era nozione vul gata, ripetuta presso gli apologisti e gh scrittori cristiani dei primi secoli. 2 Ficino persiste nella polemica antigiudaica, contro der Ewige ]ude (il che, inu tile ribadirlo, segna un limite vistoso del suo animus ecumenico) . 3 Discepolo d i Plotino, di cui pubblicò l e Enneadi, agli inizi del IV secolo d.C. (morì nel 3 05ca) . Autore di moltissime opere, tra le quali un Katà Christianfm (Con tro i cristiani) : ne restano frammenti.
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«Cristo stesso, pio, è asceso al cielo come coloro che sono pii». Non si scemi il valore di queste parole; lo stesso Porfirio ammette che Cri sto fu sapiente e pio, sebbene chiami i cristiani ora indotti, ora dediti alla magia, entrando in contraddizione palese con la verità e con se stesso 4. Tertulliano scrive nell'Apologetico che, quando Pilato riferì al l'imperatore Tiberio intorno alla dottrina dei cristiani, Tiberio propo se al senato che i riti cristiani fossero accolti tra tutti gli altri riti sacri. Ma una volta deciso, in base a una delibera dei padri, che i cristiani fossero banditi dall'urbe, poiché in precedenza non era stato deferito al senato il giudizio a tale riguardo (era antico il decreto che nessun dio fosse consacrato senza l'autorità del senato) , Tiberio minacciò di morte - per via di un editto - gli accusatori dei cristiani, e uccise mol ti senatori e cavalieri romani. li che è confermato da Eusebio. Vespa siano e Tito 5, udite le opere di Cristo, ebbero timore della sua poten za. Adriano 6, come narra Giulio Capitolino, stabili di erigere templi a Cristo, e di accoglierlo tra gli dèi, e quindi ordinò di costruire in tut te le città templi senza simulacri, templi che oggi, poiché non conten gono divinità, sono chiamati di Adriano, e che si diceva che egli aves se preparato a tal fine; ma ne fu impedito da coloro che, consultando i libri sacri, avevano trovato che tutti sarebbero divenuti cristiani se il progetto fosse stato condotto a termine, e che gli altri templi sarebbe ro caduti in abbandono. Alessandro Severo 7 decise di costruire tem pli in onore di Cristo, ma non vi riuscì, nelle ore mattutine pregava nel suo sacello davanti alla statua di Cristo. Queste le notizie di Capi-
4 Che la filologia ficiniana sia molto parziale e tendenziosa è stato già rimarca to, ed è superfluo insistere nel merito. 5 Imperatori romani del I secolo d.C. Di Tito si è ricordata l'espugnazione di Gerusalemme, nell'anno 70. 6 Regnò dal 1 17 al 1 3 8 d.C.: verso i cristiani tenne un atteggiamento non diver so da quello del suo predecessore Traiano, e non infierì ai loro danni. 7 222-235 d.C.: il suo regno si caratterizzò, in effetti, per un certo sincretismo culturale e religioso, cui si accompagnava una certa tolleranza per le religioni d'Oriente.
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tolino. Ma ascolta che cosa riferisce Eusebio su Adriano. Quadrato, discepolo degli apostoli, e Aristide diedero ad Adriano i libri di un fi losofo ateniese, composti in difesa della religione cristiana. E il legato Sereno Granio, uomo nobilissimo, mandò una lettera all'imperatore, dicendo che era un'iniquità che fosse sparso il sangue di uomini inno centi a causa dei clamori del volgo, e che senza alcun delitto fossero considerati rei soltanto del nome e della setta. Mosso da queste paro le, Adriano scrisse al proconsole Minucio Fundano che i cristiani non dovevano essere condannati senza che fosse loro imputato un delitto, e di questa epistola rimane una copia fino ai nostri giorni 8. Questo ci dice Eusebio. Antonino Pio 9, udito che spesso i cristiani usavano questo modo di dire: «Non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te», esaminò la vita di Cristo e consacrò la sua statua come a un Dio. Pen so che a ciò fosse stato indotto dal filosofo Giustino 1 0 , che gli dedicò un libro scritto a difesa della nostra religione. Filippo 1 1 , ci tramanda Eusebio, fu il primo cristiano tra gli imperatori; quelli precedenti in fatti veneravano Gesù non solo, ma con gli altri dèi, cosicché sembra va che tutti temessero il loro popolo più che Dio. Infine Costantino 1 2 , sperimentati in modo più manifesto i miracoli di Cristo nel corso del le sue imprese, ebbe più timore di Dio che del popolo, e adorò Cristo da solo e in pubblico, distrusse i templi degli idoli, edificò in vari luo-
8 Sul rescritto adrianeo a Fundano l'interpretazione è tuttora controversa: a parere di alcuni, esso andrebbe oltre il rescritto di Traiano a Plinio il Giovane ( che equivaleva a una tacita tolleranza per i cristiani, fatto salvo il culto imperiale: primi anni del II secolo) , garantendo una reale libertà religiosa ai cristiani. 9 1 3 8 - 1 6 1 d.C. 1 0 Apologista greco, vissuto al tempo di Antonino Pio, e martire a Roma nel 165 . 1 1 Filippo l'Arabo, che regnò durante !'" anarchia imperiale" del III secolo, e celebrò il millenario di Roma nel 248. La sua politica sincretistica, in ambito cultura le e religioso, politica analoga a quella dei Severi, nonché tollerante verso i cristiani (fu in rapporti personali con Origene) , fece nascere la tradizione che egli stesso fos se un cristiano. 1 2 L'autore del già citato Editto di Milano, 3 13 d.C.
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ghi templi splendidi in onore di Cristo. Questo scrive di lui Eusebio, che fiorì al tempo di Costantino. Risulta che quei principi che più atrocemente infierivano contro i cristiani furono sospinti dalla crudel tà della loro natura, e dalla smisurata perversione, piuttosto che da ra gioni di giustizia, se si considerano quei folli Neroni e Domiziani 1 3 , di cui Roma ebbe abbondanza a quei tempi. Tertulliano dice che la nostra setta si deve gloriare di questi persecutori, poiché da loro non ha potuto esser condannato se non qualcosa di grande e di buono. I nostri nemici furono sempre ingiusti, empi, turpi, per tutti oggetto di condanna. I principi più moderati si comportarono più onorevolmen te. Ma tutti i principi che incrudelirono più degli altri, in maniera be stiale, come Nerone e Domiziano, pagarono il fio orrendo delle loro colpe 1 4. Per non ricordare che Giuda, traditore di Cristo, si appese al laccio, la qual cosa i discepoli di Cristo dissero e scrissero in pubbli co, a quei tempi. E inoltre che Ponzio Pilato, colui che condannò Cri sto, caduto in molte sciagure, si uccise di propria mano, ciò che Eu sebio asserisce di aver letto presso gli storici greci e romani. Simile fu la morte del primo Erode, che si tolse la vita; simile anche quella del secondo Erode, che dopo l'uccisione di Giacomo e la prigionia di Pie tro perì, percosso da un angelo, come attesta Luca, e come dice Giu seppe: «Vide un angelo che incombeva sul suo capo, e ministro della sua rovina, quindi cessò di vivere nei tormenti». Inoltre l'imperatore Aureliano 1 5, dopo aver scatenato la persecu zione contro i cristiani, dapprima fu atterrito da un fulmine, e subito dopo fu ucciso. Anche Giuliano l'Apostata 1 6, partendo per la Persia, aveva fatto voto agli dèi del sangue dei cristiani, dopo la vittoria, ma nel corso del viaggio perse l'esercito per la fame e la sete, e lui stesso
1 3 Imperatori del I secolo d.C. A Nerone, nel 64 , risale la prima persecuzione dei cristiani. 1 4 Cf. il già rammentato libro di Lattanzio, De mortibus persecutorum. 1 5 270-275 : costruì le celebri mura che da lui prendono il nome, e fu chiamato restitutor orbis: in tale ottica, per restaurare l'autorità dell'impero romano, in una cri si gravissima, la lotta al cristianesimo diveniva un'esigenza prioritaria. 1 6 Cf. n. 4, cap. 7 .
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fu ucciso con ignominia. Diocleziano 17 si tolse la vita. Massimiano su bì una morte turpe. Né vorrei sottacere che Celso epicureo, e anche Porfirio, Giuliano e Proculo, filosofi platonici, e molti altri insigni per dottrina, che a causa di un'insana arroganza, e per compiacere ai loro compatrioti e ai potenti, brandirono empiamente, come un'arma, la lingua e la penna contro la pietà cristiana, mentre infuriavano contro quest'ultima le armi dei potenti e del mondo, riconobbero in realtà, e fuori da ogni dubbio, che i padri della nostra religione non erano in alcun modo degni di disprezzo. Con costoro i filosofi più illustri non rifuggivano di disputare e gareggiare, e da costoro furono convinti che non era sorta da una forza umana quella stessa religione che su però così mirabilmente la sapienza e la potenza degli uomini. Ciò che Dio profetizzò per mezzo di Isaia: «Manderò in rovina la sapienza dei sapienti, e confonderò la prudenza dei prudenti». E Paolo apostolo disse: «La sapienza di questo mondo è stoltezza presso Dio. Quella che è la stoltezza di Dio, è più sapiente degli uomini, e quella che è la debolezza di Dio, è più forte degli uomini». E altrove questo strenuo soldato di Cristo così esclama: «Le armi della nostra milizia non sono carnali, ma potenti grazie a Dio, per di struggere difese e propositi avversi, e chiunque si innalzi contro la scienza di Dio, inoltre per catturare qualunque intelletto e condurlo all'ossequio di Cristo, e per vendicare ogni rifiuto di obbedienza». Queste armi temette Gamaliele, grande dottore degli ebrei, quando consigliò di non perseguitare la dottrina di Gesù. Infatti, se essa veni va da Dio, non poteva essere ostacolata; se non veniva da Dio, come altre false dottrine che allora si erano propagate, sarebbe durata per poco tempo. Ebbero paura di quelle armi anche il divino Plotino 1 8 , principe degli interpreti platonici, Numenio, Giamblico e Amelio,
1 7 285-305 (anno della sua abdicazione) , morto nel 3 1 6. Sua fu l'ultima, grande persecuzione contro i cristiani, che rientrava in un disegno conservatore e autorita rio, teso a salvare un organismo statale dilaniato da tensioni interne e dalle spinte dei barbari ai confini, dalla Volkerwanderung. 18 Fondatore del neoplatonismo, III secolo d.C., filosofia che i cristiani (e tra questi Agostino) avvertirono propinquissima.
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che si sforzarono non di confutare, ma piuttosto di emulare la teolo gia cristiana. E quelle armi temette, nello stesso lasso di tempo, e mol to di più, Arnobio 19 africano, retore famosissimo che, spinto da un sogno a credere in Cristo, quando era ancora idolatra, e non riuscen do a ottenere dal vescovo di essere ammesso tra i seguaci della fede che aveva sempre osteggiato, elaborò libri splendidi contro la vecchia religione, come dice Girolamo, e alla fine conseguì il suo intento, do po aver consegnato - per dir così - gli ostaggi della sua pietà.
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Autore dell'Adversus nationes, 295 ·297ca.
Capitolo 12 À L'AUTORIT DI CRISTO PRESSO I MAOMETTANI
I maoniettani in qualche modo sembrano essere cristiani, sebbe ne eretici, seguaci dègli ariani e dei manichei 1• li loro capo Maomet to riconosce che Gesù Cristo, potenza di Dio e sua sapienza, anima, respiro, spirito e verbo, è nato da Maria sempre vergine per un inter vento divino, che ha resuscitato i morti, e ha fatto moltissimi altri mi . racoli per volontà di Dio, più di chiunque, che fu superiore a tutti i profeti degli ebrei, che dopo Gesù gli ebrei non avranno alcun profe ta, e antepone lui a tutti gli uomini, Maria a tutte le donne. Aggiunge che il corpo di Gesù ascese incorrotto al cielo, antepone di gran lun ga i cristiani ai giudei, detesta molto i giudei 2 . Tutto ciò si trova nel suo libro, il Corano. Quindi i suoi seguaci non iniziano i giudei alle lo ro cerimonie prima che riconoscano che i sacramenti dei cristiani so no antichi, veri e buoni. E coloro che visitano il sepolcro di Maomet to, se non hanno visitato anche il sepolcro di Cristo, non sono ritenu ti sufficientemente purificati. Chi offende il nome di Cristo o di Ma ria è punito da loro con severità. Hanno fedeli devoti a Elia, altri a Giovanni Battista, altri (e in maniera precipua) a Gesù Cristo. Cele brano i profeti e i Vangeli, poiché hanno imparato da Maometto, nel Corano, che il Corano stesso è la conferma e la spiegazione dei profe ti ebraici e del Vangelo. Sempre lì si legge che nessuno sarà perfetto
l Ario negava la divinità di Cristo, e fu condannato a Nicea nel 325 . La dottri na di Mani, alla quale aderì Agostino, professava un dualismo metafisica radicale tra il principio buono e quello malvagio. 2 La polemica ficiniana in ]udaeos penetra un po' ovunque, nelle sinuosità del testo, e conduce l'autore a un giudizio molto benevolo, e tendenzioso, della più re cente tra le religioni discendenti dal patriarca Abramo.
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se non avrà prestato obbedienza all'Antico e al Nuovo Testamento, e soprattutto al Corano, che è la somma e la delucidazione di entrambi. Quante volte nomina il Vangelo, ciò che fa spesso, altrettante vol te lo chiama, con il suo nome, libro pieno di luce, talora aggiunge an che che il Vangelo è il lume dell'Antico Testamento, il castigo e la ret ta via per chi teme Dio. Così fa parlare Dio nel Corano: «Dopo aver suscitato una lunga serie di profeti, e averli ispirati, dando la nostra anima a Cristo, figlio di Maria, gli abbiamo conferito forza e potenza più che agli altri» 3 . Due sembrano gli errori principali di Maometto: sebbene ponga una qualche divinità in Cristo, di gran lunga maggiore che in tutti gli uomini, presenti, passati o futuri, sembra volere che quella divinità sia in qualche luogo, distinta dalla sostanza del sommo Dio, e minore, ciò che ha accolto dagli ariani, ma entra in contraddizione con se stesso, poiché gli epiteti che attribuisce a Cristo stanno a significare che la sua divinità è identica a quella del sommo Dio. L'altro errore di Mao metto, e più manifesto, è il seguente: quando caddero in terra gli sgherri dei sacerdoti, che cercavano di mettere le mani su Gesù, Dio, come pensa Maometto, subito e di nascosto rapì Gesù in cielo. Quan do quelli si risollevarono, presero qualcun altro simile a Gesù, e lo frustarono e lo affissero alla croce. E ciò sembra aver accolto dai ma nichei 4. Non vi è bisogno di confutare tali errori; infatti coloro che hanno confutato l'eresia ariana e manichea sembrano aver confutato anche Maometto. Possiamo concludere che, presso tutte le sette dei gentili, dei giudei, dei maomettani, la religione cristiana è riconosciu ta come la più eccellente di tutte. Chiunque di costoro, sebbene pre ferisca la propria dottrina alle altre, per natura e consuetudine, o per effetto d'inganno, tuttavia antepone la religione cristiana alle altre, ec cettuata la sua. Quindi, se si giudicasse in spirito di sincerità, sarebbe preferita a tutte senza controversie.
3 Maometto, infatti, è il "sigillo dei profeti " : con lui si chiude la rivelazione di Dio agli uomini. 4 L'incarnazione, la sofferenza del Figlio sanciscono }"'unicità" del cristianesimo.
Capitolo 13 LA GENERAZIONE DEL FIGLIO DI DIO NELL'ETERNITÀ
Ogni vita genera la sua prole presso di sé prima del distacco, e quanto più la vita è eccellente, tanto più intima genera la sua prole. Così la vita vegetativa negli alberi e negli animali genera nel proprio corpo il seme, come un albero o un animale, prima di provocarne l'uscita, o di produrre un albero o un animale al suo esterno. Così la vita sensitiva, che è più eccellente di quella vegetativa, partorisce in sé, grazie alla fantasia, l'immagine e l'intenzione delle cose, prima di muovere le membra e di costruire nella materia esterna. Ma quel pri mo frutto della fantasia, poiché è nell'anima stessa, è più vicino al l'anima che il frutto della vita vegetativa, il quale non ha luogo nel l' anima, ma nel corpo. Così la vita razionale, che è più alta di quella sensitiva, partorisce in sé l'idea sia delle cose sia di se stessa, come un frutto, prima di portare alla luce quell'idea, con la parola o con l'azio ne. Quel primo frutto della ragione è più vicino all'anima che il frut to della fantasia. Infatti la forza della ragione si riflette nel suo frutto, e attraver� o quello, in se stessa, cercando, conoscendo, amando il suo atto e se stessa, ciò che non fa la fantasia. Così la vita angelica, più eccellente di quella razionale, per impul so divino, esprime dentro di sé le nozioni di se stessa e delle cose, pri ma di volgerle verso la materia del mondo; questa prole è più intima per l'angelo che la sua stessa prole per la ragione, poiché non è solle citata da oggetti esterni, e singoli, né soggiace al mutamento. La vita divina, poiché è la più eminente e la più feconda di tutte, genera una prole del tutto simile a sé, molto di più che gli altri esseri, e la genera dentro di sé, prima di darla alla luce; genera verso l'esterno, dico, con l'intelligenza, in quanto Dio comprendendo perfettamente se stesso, e tutte le cose in se stesso, concepisce in sé la nozione perfetta di tut-
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to se stesso e di tutte le cose, nozione che è immagine piena e confor me di Dio, e modello assoluto del mondo. Questa, Orfeo chiamò Pallade, nata soltanto dalla testa di Gio ve; a questo, nell'epistola a Ermia, Platone diede il nome di figlio del Dio padre, nell'Epinomide lo chiamò logos, cioè ragione e verbo, di cendo: «Il logos, il più divino di tutte le realtà, ha ornato questo mondo visibile» 1 . Mercurio Trismegisto 2 spesso menziona il verbo, e figlio di Dio, e anche lo spirito. Zoroastro 3, del pari, attribuisce una prole intellettuale a Dio. Costoro dissero quello che potevano, e con l'aiuto di Dio. Solo Dio comprende ciò, e colui al quale Dio volle fare una rivelazione. La fecondità di Dio, poiché è il bene infinito in atto, p er la natu ra del bene immenso ed eterno si propaga dall'eternità infinitamente in atto; qualsiasi cosa è fuori di Dio, è finita, quindi Dio si propaga in se stesso: ivi certamente è infinito il Figlio del Padre infinito. È neces sario che una tale prole sia molto più intima a Dio, per dir così, che la nozione dell'angelo nella mente angelica. Nell'angelo, essendo altra cosa l'essere e il comprendere, la nozione che si genera tramite l'intel ligenza è diversa dall'essenza dell'angelo stesso. In Dio invece, poiché l'essere e il comprendere sono la medesima cosa, la nozione che Dio genera comprendendo sempre se stesso, e sempre come immagine perfettissima di sé, è la medesima cosa, per essenza, che lo stesso ge nerante, sebbene, per una mirabile relazione che si è stabilita, si di stingua da chi genera. Dio conoscendo se stesso, in tale eterna nozio ne, come bene infinito, per mezzo di quella spira in sé verso se stesso un amore infinito dall'eternità. Il Padre, il Figlio e lo Spirito d'amore
1 La pia interpreta/io di Ficino aveva illustri precedenti nel platonlsmo, e neo platonismo, dei Padri di Oriente e Occidente. 2 Hermes tris megistos, tre volte grandissimo, ossia il dio egizio Thoth, cui furo no attribuiti i cosiddetti «libri ermetici», risalenti ai primi tre secoli dell'era cristiana: gli Hermetica ebbero grande favore in età umanistica e rinascimentale, furono letti e studiati da Ficino e da innumerevoli altri. 3 Nome greco di Zarathustra, di cui non abbiamo notizie certe, vissuto forse nel VI secolo a.C., fondatore del mazdeismo.
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sono chiamati tre persone dai teologi: persone congiunte tra loro per la natura divina, in modo che vi sia un Dio unico e semplice, ma dif ferenti per una qualche relazione ineffabile. Così nell'ordine delle co se abbiamo due estremi, e due medi, in qualunque angelo una sola persona angelica, come sostengono alcuni, è in una sola specie della sua natura. E al contrario: in una donna gravida vi sono più persone in più nature, e invece in qualunque animale vi sono più nature in una sola persona, in Dio più persone in una sola natura. Ma basti ciò per il momento, pur non esaurendosi mai il discorso; una contemplazio ne sufficiente di queste verità si deve chiedere non ai filosofi, ma agli eroici condottieri dei cristiani, e a Dio. Dice Isaia: «Ciò che l'occhio non vide, ciò che l'orecchio non udì, ciò che non ascese nel cuore del l'uomo, Dio rivelò a coloro che lo amano».
Capitolo 14 L'ORDINE DEI CIELI, DEGLI ANGELI, DELLE ANIME INTORNO ALLA TRINITÀ COME L'ORDINE DELLE SFERE INTORNO AL CENTRO
Sopra i quattro elementi, che sono mutevoli secondo la loro so stanza e la loro qualità, vi sono i sette cieli dei pianeti, che si mutano non per la sostanza, ma per qualche qualità o disposizione. Poiché il moto di questi è, per dir così, errante, è posto al di sopra di essi l'ot tavo cielo, il cui moto è più ordinato, ma quel cielo ha due movimen ti, da oriente a occidente e viceversa, e anche due qualità, il candore e lo splendore. Da esso si ascende al cristallino, il cui movimento è semplice, dall'oriente, ed è semplice anche la qualità, cioè il candore, ma poiché lo stato è superiore al moto, e la luce è superiore al cando re, da questo si ascende all'empireo, assolutamente stabile e tutto lu cente. L'empireo corrisponde alla stabilità e alla luce della trinità, i nove cieli restanti corrispondono ai nove ordini degli angeli. Come ri tiene Dionisio Areopagita l , vi sono tre gerarchie degli spiriti celesti, ciascuna delle quali contiene tre ordini. Ciascun ordine, come calco lano alcuni teologi, contiene molte legioni: ritengono che una legione consti di seimilaseicentosessantasei unità, e che nei singoli ordini vi siano tante legioni quante sono le unità che la legione stessa abbrac cia. Ma io consento maggiormente con Dionisio che dice essere tanta la moltitudine di quegli spiriti, da eccedere la facoltà di calcolo degli uom1m. L'essenza una di Dio si dispiega nel numero trino delle persone; il numero trino delle gerarchie e il numero nove degli ordini angelici,
l Cf. n. 4, cap. 10. A lui è attribuita l'opera De coelesti hierarchia. Per quel che concerne i nove ordini angelici e i nove cieli, il lettore può constatare l'aderenza alla struttura del Paradiso dantesco.
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come delle sfere celesti, si volgono intorno a questo numero trino. La prima gerarchia è consacrata al Padre, la seconda al Figlio, la terza al lo Spirito. Nella prima i serafini contemplano il Padre in se stesso, i cherubini il Padre in quanto genera il Figlio, i troni il Padre che su scita lo Spirito col Figlio. Nella seconda gerarchia, le dominazioni contemplano il Figlio in se stesso, le virtù il Figlio che deriva dal Pa dre, le potestà il Figlio che suscita lo Spirito col Padre. Nella terza ge rarchia, i principati contemplano lo Spirito in se stesso, gli arcangeli lo Spirito proveniente dal Padre e dal Figlio, gli angeli lo Spirito che procede dal Figlio e dal Padre. Sebbene ogni angelo, singolarmente (come abbiamo detto), intuisca Dio in uno o in un altro modo, ognu no vede tutta la Trinità e, in essa, tutte le cose. Inoltre, sussiste tra lo ro (come ritiene Dionisio) un'altra differenza: la prima gerarchia prende la sua luce dalla sola Trinità, la seconda mediante la prima, la terza mediante la seconda e la prima. Del pari, i serafini contemplano l'ordine della divina provviden za nella bontà di Dio, come nel suo fine. I cherubini nell'essenza di Dio, come nella sua forma. I troni in lui stesso, mentre gli altri già di scendono verso l'azione. Ma le dominazioni, a mo' di architetti, co mandano ciò che gli altri devono eseguire. Le virtù eseguono, e muo vono i cieli, e in qualità di strumenti di Dio cooperano per fare i mi racoli. Le potestà allontanano ciò che sembra poter turbare l'ordine del governo divino, tutti gli altri discendono maggiormente verso le occupazioni umane. I principati curano gli affari pubblici, le genti, i principi, le magistrature. Gli arcangeli, con riguardo ai singoli, dirigo no il culto divino, prendono parte alle cerimonie sacre. Gli angeli hanno compiti minori, assistono, come custodi, ciascuno un uomo. Come sono nove gli ordini degli angeli, così in nove ordini sono distribuite le anime dei beati, poiché ognuna è ascesa a quell'ordine, e a quello spirito celeste, come alla sua stella (dice Platone nel Timeo) , stella a cui si è resa simile nella vita. Sebbene le nostre anime, mentre sono nel corpo, costituiscano una quarta gerarchia sotto la Luna, tut tavia possono ascendere attraverso tutti gli spiriti buoni, per la liber tà di movimento della natura razionale, e discendere attraverso i mal vagi, soprattutto poiché sono al centro di tutte le cose, e quindi rac-
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chiudono in sé alcune qualità che appartengono a tutti, ragion per cui è amplissimo il cammino delle anime 2• La linea di confine degli Elisi è la Luna, linea divisoria (come sostengono i pitagorici) della vita e della morte, tutto ciò che è sotto di essa, è destinato alla morte e agli inferi, dove sono tanti gradi di pene, secondo le turbe degli spiriti malvagi, quanti sono i gradi dei premi nei cieli, secondo gli ordini dei buoni 3 . Nove volte lo Stige, avvolgendosi, imprigiona gli infelici, co me i campi elisi nove volte abbracciano i beati.
2 Ficino formula il principio, caro agli umanisti, dell'uomo "microcosmo " , o co pula mundi. Si ponga mente, altresì, all'orazione del PICO, De hominis dignitate, a quel che dice Dio creatore ad Adamo, indiscretae opus imaginis, e cioè: medium te mundi posui. . . 3 Di nuovo, una coincidenza tra Ficino e Dante: anche l'Inferno di DANTE an novera nove " cerchi" , che vanno restringendosi, mentre si avvicinano al centro della terra, dov'è Lucifero, il luogo più distante da Dio e dall'empireo.
Capitolo 15 LA GENERAZIONE DEL FIGLIO NELL'ETERNITÀ E LA SUA MANIFESTAZIONE NEL TEMPO
Prima dell'inizio del mondo temporale vi è il mondo eterno, mo dello di questo mondo, criterio e Verbo intelligibile dell'architetto del mondo stesso, luce anche della sua gloria, e prefigurazione di ogni so stanza. Un tale Verbo è sempre presso Dio, ed è Dio stesso, per mez zo di questo la potestà divina, dall'eternità, pronunciava dentro di sé sia se stessa sia tutte le altre cose, e pronunciando poneva il suo sug gello interiore. Per mezzo di questo furono espressi nell'esteriorità sia i secoli sia tutte le cose che sono nei secoli. Dopo i misteri dei profe ti, quegli spiriti celesti, Giovanni evangelista e Paolo apostolo, river sarono agli uomini dal cielo questi oracoli divini. Ma il genere umano si allontanò da Dio, né poteva mai risolle varsi verso Dio senza Dio, poiché era caduto nel baratro. Le menti umane dovevano però risorgere, perché non fossero state create in vano da Dio, esse che erano state create da lui per conseguire lui stes so. Gli uomini erano stati formati per mezzo del Verbo di Dio, per mezzo del medesimo Verbo dovevano essere formati di nuovo, e ciò per un motivo, la caligine dell'intelletto umano doveva essere scac ciata mediante la luce del Verbo intellettuale, l'animale ragionevole doveva essere emendato mediante la ragione di Dio. Quindi, nel tem po stabilito dalla divina volontà Dio creò per mezzo del Verbo un'anima umana razionale che nel medesimo istante congiunse al te nero feto dell'utero di una vergine, la quale concepì per mezzo dello Spirito divino. Sempre nel medesimo istante, il Verbo stesso assunse la natura umana, e come dall'anima immortale e dal corpo mortale fu fatto un uomo unico, così da quell'uomo e dal Verbo di Dio fu fatto Cristo, Dio e uomo. La bontà infinita, che vuole comunicarsi a tutti, si comunicò allo-
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ra a tutti in un modo molto opportuno, quando congiunse a sé l'uo mo, nel quale sono comprese tutte le cose come nella specie mediana delle realtà, né la maestà divina cambiò allora la sua sede, essendo sempre ovunque, né la divina altezza si abbassò all'umanità quasi per una mancanza, ma piuttosto elevò a sé l'umanità. Né la luce infinita del sole divino poté mai essere ridotta dall'aggiunta dell'umanità, ma l'uomo poté essere illuminato e perfezionato, e come nell'uomo il cre scere e il diminuire riguardano il corpo, in modo da non penetrare mai nell'anima, così in Cristo patire ciò che è umano riguardava l'uo mo, senza penetrare nella divinità. Cristo come uomo soffriva ciò che è umano, come Dio operava ciò che è divino.
Capitolo 1 6 FU OPPORTUNO CHE DIO SI CONGIUNGESSE ALL'UOMO
Perché Dio si è fatto uomo? Perché l'uomo, in qualche modo, di venisse Dio. Infatti può divenire Dio, in una qualche misura, chi per un impulso naturale desidera, brama essere partecipe della divinità. Non può sollevarsi a Dio, se Dio non lo trae perché si innalzi, come prima l'aveva tratto perché avvertisse il desiderio. Ma esaminiamo la questione da un'altra prospettiva. n sommo artefice deve compiere un'opera somma e a tutti manifesta, ma tale è quella di cui non si può realizzare un'altra più grande. n sommo Dio deve fare quest'opera, evidentemente, così: o è soltanto increata, o creata, o composta del l'una e dell'altra. La prima non è un'opera, ma l'artefice stesso, infat ti è solo Dio che non dipende da un altro. La seconda, essendo finita, dista da Dio infinito spazi immensi e infiniti. In questa lontananza, te nendo conto dell'intervallo stesso, e anche di Dio infinito, può sem pre essere realizzata un'altra opera, e un'altra ancora più pregevole. Nessuna creatura semplice può essere quell'opera somma che noi cer chiamo, ma confidiamo di trovare un'opera siffatta, se si trovi un qualcosa di unitario, composto del creatore sommo e della creatura. Dal punto di vista della creatura, quella si definisce un'opera, dal punto di vista del creatore, Dio può fare una tale opera immensa, e sa, e vuole farla, poiché Dio è potenza, sapienza e bontà senza limiti, quindi la creatura dovette congiungersi al creatore 1 • Le cose che sono al di sopra dell'anima razionale sono soltanto eterne, quelle cose che sono al di sotto di essa, soltanto temporali, ma
l Ficino avanza la tesi che l'unione tra Dio e l'uomo non fu solamente effetto di una felix culpa, ma rientrava nel piano provvidenziale della bontà divina.
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essa stessa è sia eterna sia anche partecipe delle cose temporali. Imita Dio per la sua unità, gli angeli per l'intelletto, la sua propria specie per la ragione, i bruti per il senso, le piante per la nutrizione, gli enti ina nimati per il suo essere. Quindi l'uomo è in qualche modo tutte le co se 2, ciò che abbiamo discusso più ampiamente nella nostra Theolo gia, soprattutto poiché si trova in un corpo composto dalle forze di tutti gli esseri, e in modo armonioso come il cielo. È opportuno che ogni creatura, per dir così, si congiunga a Dio che è più in alto di tut ti gli esseri, non in maniera frammentaria, poiché Dio è l'unità som ma, ma in maniera sintetica, quindi è conveniente che Dio si unisca alla natura umana, in cui sono tutte le cose. Infatti se si congiungesse alle cose che sono al di sopra di essa, si congiungerebbe alle estremi tà delle cose create, e tale congiunzione non riguarderebbe né le cose medie né le cose situate all'altra estremità. Similmente se si congiun gesse alle cose che sono sotto di noi; l'unità infinita unì le sue opere tra di loro e a se stessa, fin dall'inizio avendo racchiuso tutte le cose nell'uomo, e avendo stretto poi l'uomo a sé 3, In accordo con ciò che abbiamo detto, il profeta Abacuc esclama: «Signore, vivifica la tua opera a metà degli anni, la renderai nota a metà degli anni, quando sa rai irato, ti ricorderai della tua misericordia». Quell'opera si compie nella specie mediana delle cose, che risulta da entrambi i secoli, cioè dall'eternità e dal tempo. Alcuni aggiungono: «A metà del corso del mondo»; infatti so stengono che non il mondo, ma il corso del mondo consti di diecimi la anni, dato che il moto è stato istituito in vista della quiete, e che a metà di questo corso del mondo Dio si sia mostrato agli uomini, af finché il suo avvento distasse equamente da entrambi gli estremi dei secoli, né l'attesa dell'avvento futuro si protraesse troppo oppure si
2 Quodammodo omnia: ossia il motivo, già incontrato, dell'uomo che è in sé un microcosmo (cf. n. 2, cap . 14). 3 Tutto il creato, nell'unione ipostatica, è assunto in Dio creatore. L'accento umanistico di questa proposizione è chiaro, e non ha bisogno di essere ulteriormen te rilevato.
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estinguesse la memoria del passato. Ma dei tempi si occuperà Dio, che i tempi stessi ordina e governa. Se è proprio della bontà diffondere e comunicare se stessa, essen do Dio bontà infinita, deve realizzare tutti i modi della comunicazio ne, e questi sembrano essere quattro. Secondo la presenza, la poten za, l'unità dell'essenza, l'unità della persona. Il primo si realizza in tut ti gli esseri, infatti Dio è dovunque. Il secondo si propaga per tutte le forme, anche minime, infatti ogni forma ha da Dio una qualche po tenzialità efficace, mentre la materia ne è priva. Il terzo avviene sol tanto nell'ambito di Dio, infatti l'essenza di Dio non può divenire l'es senza di un altro, altrimenti ciò che è infinito diventerebbe finito, o ciò che è finito diventerebbe infinito. Il quarto modo di comunicazio ne non può avvenire in esseri privi di ragione, infatti l'unione divina secondo la persona non è appropriata a coloro cui mancano, per loro natura, la conoscenza e l'amore di Dio. Neanche è necessario che si dia una sola persona dall ' angelo e da Dio, poiché per gli angeli infeli ci non sussiste alcun rimedio, mancando il pentimento, per gli altri angeli è sufficiente, alla loro beatitudine, l'antico possesso della luce divina. La luce che è nei serafini, in un certo modo diviene un serafi no, quella nei cherubini, un cherubino, e similmente negli altri, così come la luce del sole, mentre passa per vetri di colori diversi, si tra sforma in diversi colori. Ma Dio nell'uomo rende l'uomo divino. Co me nelle realtà naturali, dalla materia ultima e dalla forma suprema, si dà un composto che è il più eccelso delle realtà naturali, cioè l'anima le razionale, così nelle realtà divine, dallo spirito supremo, da Dio e dall'anima dell'uomo, si dà un qualcosa di divino, che è stato ricevu to ed è il più eccelso di tutte. A tal fine, non bastava per l'uomo che fosse suscitato il raggio infuso da Dio nella sua mente, poiché si allon tana dalla mente a causa dei sensi. Fu opportuno che in un uomo, Ge sù, fosse congiunta l'anima alla divinità di lui, cosicché la copia di quei raggi sovrabbondasse nel corpo di lui, e nei sensi degli uomini.
Capitolo 1 7 QUAL È L'UNIONE DI DIO E DELL'UOMO
Poiché l'unione di Dio con l'uomo fu fatta piuttosto secondo la persona divina che secondo la natura divina, quando il Verbo si uni sce all'uomo, non è necessario che si uniscano similmente il Padre e lo Spirito, i quali sebbene siano della stessa natura, differiscono tra lo ro per la specificità della persona. Come nella Trinità tre persone esi stono nella medesima natura, così in Cristo una sola persona esiste in tre nature, in Dio, nell'anima e nel corpo, e ivi l'uomo è disposto a Dio, come la mano all'anima, la lingua all'intelletto. Infatti Dio non diviene la forma naturale dell'uomo, ma l'uomo diviene lo strumento di Dio, suo proprio e a lui congiunto, per compiere in maniera eccel lente le opere di Dio. In Cristo non sono due persone, ma una sola, cioè la persona del Verbo congiunta non alla persona, ma alla natura dell'uomo. Infatti come l'anima razionale esiste nel suo essere, grazie a ciò per cui esistono il suo essere e il corpo, così il Figlio di Dio, e molto di più, esiste nell'essere della sua persona, e a quell'essere in nalza la natura umana. Come il nostro verbo, concepito nella mente, non è sensibile, ma diviene sensibile al di fuori, espresso dalla voce, così il Verbo della mente divina, dall'eternità, rimane invisibile in Dio, ma è stato reso vi sibile avendo assunto l'umanità. Cristo è il Verbo che dall'eternità la mente divina, comprendendo se stessa e tutte le cose, pronuncia den tro di sé, Verbo manifestato dallo Spirito divino, e che assume il cor po umano a mo' di voce, mentre fa conoscere la divina volontà a co loro che lo ascoltano. Tanto ha fatto conoscere a ciascuno la divina volontà, quanto ciascuno poteva accoglierla. A tutti elargisce la beati tudine eterna, se in questa breve vita si compie lo sforzo richiesto. Ha trasmesso molti e luminosi precetti, ma li ha riassunti tutti in poche
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parole, quando comandò: «Ama Dio con tutto il tuo cuore, ama gli uomini come te stesso, non fare agli altri quello che non vorresti che fosse fatto a te».
Capitolo 18 QUANTO FU OPPORTUNA L'UNIONE DI DIO E DELL'U OMO
Non è meno importante dar nuova forma a chi è deforme che for mare dall'inizio, poiché non è cosa da meno l'essere bene rispetto al semplice essere. Dio, autore di tutto, dovette ridare pienezza a ciò che era venuto meno, e come aveva creato tutto per mezzo del Verbo non sensibile (che cos'altro sono le creature se non voci, per dir così, espresse esteriormente, voci dei pensieri di Dio ? ) , così per mezzo del Verbo divenuto, in un certo modo, sensibile dovette dar nuova forma agli enti sensibili. Poiché Dio fa tutto con potenza, sapienza, benevo lenza, dovette ridar vita a quegli enti, così da mostrare la sua potenza, la sua sapienza, la sua benevolenza. Che cosa vi è di più potente che ridurre le estremità dell'essere in una sola persona, e l'infinito in un breve spazio? Che cosa di più sapiente del fatto che il decoro dell'uni verso divenisse copula mirabile di ciò che è primo e ultimo l? Che co sa di più benevolo del fatto che Dio, signore dell'universo, per la sal vezza del suo servo peccatore assumesse la forma del servo? Così egli proclamò e agì, affinché non vi fosse nulla di deforme nel mondo, nul la di spregevole, quando congiunse le cose terrene al re del cielo, e le innalzò al livello delle cose celesti. Inoltre poiché l'uomo era decaduto da Dio potentissimo, sapien tissimo, buonissimo, e perciò era sprofondato nell'infermità, nel l'ignoranza, nella malvagità, trasformandosi da pio in empio, era or mai incapace di imitare la virtù divina, di conoscere la luce, di amare la bontà. Perché l'uomo, da questa rovina, ascendesse di nuovo alle
l Miram primae et ultima e rationis copulam fieri: il motivo umanistico della " co
pula" assurge a dignità teologica.
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regioni superne, fu molto opportuno che Dio gli porgesse la mano dall ' alto, a tal fine, per rendersi visibile, amabile, imitabile a lui. Nes sun modo era più idoneo a ciò, del fatto che Dio divenisse uomo, af finché l'uomo, che - fattosi corporeo - bramava le cose del corpo, co noscesse con più chiarezza Dio corporeo e umano, l'amasse con più ardore, e l'imitasse con più facilità e diligenza, e divenisse beato. Infi ne l'uomo non poteva essere curato perfettamente, senza recuperare l'innocenza della mente, l'amicizia di Dio, la sua eccellenza, che era stata soggetta a Dio solo, dall'inizio, secondo natura. Né poteva ac quistare la sua eccellenza, se non se ne fosse preso cura Dio, al quale unicamente l'uomo è sottomesso secondo natura, e neanche l'amici zia di Dio, se non per mezzo di un conciliatore adatto, che potesse estendere la sua mano dall'uno e dall'altro lato, e in qualche modo fosse affine e amico alle due estremità dell'essere (nessuno è tale, se non è insieme Dio e uomo) , né poteva raggiungere l'innocenza, se non una volta rimessa la colpa, che la giustizia non permette che sia rimes sa senza soddisfazione. Solo Dio poteva soddisfare per tutto il genere umano, tuttavia non era conveniente che patisse se non l'uomo, che aveva peccato, né Dio stesso poteva patire. Fu opportuno che il genere umano fosse redento da Dio fatto uo mo, e perciò né l'eccellenza poteva essere apprestata, se non per mez zo di qualcuno eccellentissimo che se ne fosse presa cura, né l'amici zia poteva essere riconciliata, se non per mezzo di un conciliatore molto amico, né l'innocenza poteva essere recuperata, se non per mezzo di chi desse soddisfazione in misura del tutto sufficiente. Solo Dio è colui che si prende cura ed è eccellentissimo, l'uomo è il conci liatore molto amico, chi dà soddisfazione del tutto sufficientemente sembra essere colui che è, del pari, Dio e uomo. Fu molto attinente alla salvezza umana ciò che disse Giovanni: che il Verbo divino aveva assunto la carne umana, affinché il genere umano, come era stato creato per mezzo del Verbo eterno, ed era caduto nella colpa, rifiu tando il Verbo ad esso comunicato, così fosse redento dalla colpa per mezzo del Verbo visibile.
Capitolo 19 L'AVVENTO DI CRISTO DÀ LA BEATITUDINE, CON LA FEDE, LA SPERANZA E LA CARITÀ
Nessuno può conseguire la beatitudine, che consiste nella con templazione divina, se non ama Dio ardentemente; non possiamo amare Dio ardentemente se non speriamo di poterlo raggiungere; non siamo in grado di sperare se prima non crediamo che Dio esista e che noi possiamo fruire di lui. Dio padre e provvidenza degli uo mini, assunta la nostra umanità in modi mirabili, si è offerto ai no stri sensi, affinché, mediante i sensi stessi, di cui moltissimo faccia mo uso e in cui confidiamo, vedendo il suo corpo e i suoi miracoli, fossimo sicuri che Dio esiste. Da qui è sorta la fede, fondamento della scienza. Chi avrà creduto che egli, per prendersi cura del ge nere umano, discese nel corpo, spererà di ottenere da Dio tutto, an che le cose più grandi. Chiunque vede così grandi benefici e li spe ra, se non è del tutto demente e ingrato, non può non amare. Com prendendo che Dio fu congiunto all'anima umana per una qualche unione della persona, devi sperare che l'anima possa congiungersi a Dio con qualche unione attiva e operante, in cui consiste la somma beatitudine. Devi desiderare anche di essere partecipe soprattutto di Dio, che è disceso solamente nell'anima e nel corpo dell'uomo. Poiché Dio si è congiunto all'uomo senza un intermediario, occorre ricordare che la nostra felicità è in lui, per aderire a Dio senza un intermediario; e poi ché l'amicizia è tra uguali, mentre consideri che Dio in certo modo si è reso uguale all'uomo, non devi negare l'amicizia di Dio verso di te, né trascurare la tua amicizia verso Dio. Smettano quindi, smettano gli uomini di non aver fiducia nella loro divinità, per la quale sfiducia si immergono nelle realtà mortali. Abbiano rispetto di se stessi come di esseri divini, e sperino di poter ascendere a Dio, dal momento che la
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maestà divina si è degnata di discendere fino a loro. Amino con tutto il cuore Dio, nel quale si trasformino, in lui che si è trasformato mira bilmente in uomo per ingente amore.
Capitolo 20 L'AVVENTO DI CRISTO VALSE A GUARIRE LA GRAVITÀ DEL PECCATO
L'anima è la vita del corpo, Dio è l'anima della vita. L'ordine del la natura esige che il corpo obbedisca all'anima, l'anima a Dio, l' ordi ne della giustizia richiede che se l'anima discorda da Dio, per la pena del taglione il corpo discordi dall'anima, e il senso dalla ragione. Si ri bellò a Dio l'anima del progenitore, il corpo e i sensi si ribellarono a lui, la prima ribellione fu il peccato, la seconda ribellione fu la pena del peccato, e il peccato stesso, poiché si sottrasse alla ragione e a Dio. L'atteggiamento e la disposizione del ribelle, fin dall'inizio, come una sorta di effluvio, si diffusero presso tutti, e andarono propagandosi da Il, come rivi dalla fonte. Questo è il vizio originale, e origine di tutti gli altri mali dell'anima e del corpo; di questo danno testimonianza quei celebri volumi degli ebrei, la cui natura divina è testimoniata so prattutto dalla loro somma antichità, dal consenso pressoché di tutti, dalla diffusione universale, dalla durata incessante, dalla loro concor dia, maestà, sobrietà, e dai miracoli. Donde quell'opinione dei maghi che discendono da Zoroastro l , che tutti i mali del corpo derivano dai mali dell'anima, che una volta curata l'anima si evitano gli altri mali; ciò accenna Platone nel Timeo, e dichiara nel Carmide. Ma, per tornare al nostro discorso, una tale ri bellione, poiché recò offesa alla maestà di Dio infinito, rese i mortali assolutamente incapaci dell'infinita beatitudine, ed essi non potevano esservi condotti se n�n per mezzo di Dio infinito. Tuttavia dovevano esservi condotti, perché non fossero stati ordinati invano da Dio, fin dall'inizio, verso la beatitudine. li peccato fu commesso a causa del
l Cf.
n.
3 , cap . 1 3 .
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piacere, e doveva essere purgato mediante il contrario del piacere, il dolore. Una volta tutta la natura umana peccò in quell'uomo che rap presentava tutti; similmente tutta la natura umana deve patire in qual cuno che del pari rappresenti tutti, che sia in accordo con Dio molto più di quanto quello sia stato in disaccordo. Dopo Adamo poteva rap presentare tutti soltanto colui che fosse congiunto intimamente a Dio creatore di tutte le cose. Fu insieme Dio e uomo, Dio per abbraccia re tutti, e perché potesse lavare la colpa infinita, uomo perché potes se patire per la colpa, e perché l'uomo patisse, come l'uomo aveva peccato. Così la pena e il merito di quell'uomo ebbero una energia in finita, in quanto si era congiunto a Dio infinito. Vi era stato bisogno di un supplizio e di un merito infinito, per lavare fino in fondo una colpa infinita.
Capitolo 2 1 CRISTO REALIZZÒ UN GENERE PERFETTO DI AMMAESTRAMENTO
La divina provvidenza non volle trascurare nessun genere di am maestramento verso i suoi figli. L'ammaestramento è duplice, median te la dottrina e l'esempio. È perfetta la dottrina, di cui non si deve du bitare, quale si ammette che sia soltanto in Dio. Dio Padre mandò agli uomini un precettore, che fosse Dio, perché non si dovesse dubitare della sua dottrina, e che fosse anche uomo, perché potesse adempie re tutti i compiti umani, e sopportare tutte le fatiche per il bene e per Dio, con il quale esempio istruisse perfettamente gli uomini alla virtù. Le opere, infatti, sollecitano molto più che le parole, soprattutto nel la disciplina morale, il cui fine proprio è nell'azione. I miracoli hanno reso manifesto che egli era Dio, affinché la sua dottrina trovasse fede presso chi era disposto a imparare, e le passioni umane hanno reso manifesto che era un uomo. Purché non vogliamo essere troppo osti nati, non sembra che ci sia riservato alcun motivo di scusa, se inten diamo respingere la dottrina, con superbia, come non vera; la sua di vinità e i suoi miracoli stanno lì a contraddirci, se respingiamo la dot trina come eccessivamente dura per noi, l'umanità e le fatiche di quel maestro, e guida, mostrano agli uomini che sono possibili quelle cose che un uomo ha tollerato. Poiché il massimo della colpa consiste in ciò, che siamo troppo attaccati ai beni corporali, o trascuriamo quel li spirituali, Cristo, maestro di vita, mediante la sua dottrina e la sua vita, portò nel mondo la spada e il fuoco, cioè una virtù purificatrice dell'anima, per tagliare alla radice ed estirpare ogni fomite dei vizi corporei. Egli stesso, spontaneamente, e di buon grado, sopportò ciò che gli altri fuggono come mali, il peregrinare, la fame, la sete, la man canza di vesti, l'infamia, le contumelie, i colpi di frusta, una vita bre ve, una morte ignominiosa e durissima.
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Fuggì invece quelle cose che gli altri cercano come beni, per di mostrarci in tal modo che non sono veri mali quelli che chiamiamo mali, né beni quelli che chiamiamo beni, e che nelle realtà corporee non vi è nulla che sia da ritenere di alcun valore, ma che qualsiasi co sa, eccettuato Dio, è da stimare sogno e ombra evanescente. Pur man cando di tutte le cose che sono desiderate dai mortali come beni, gra zie ai soli miracoli, egli solo in tutta la terra, fino al giorno d'oggi, me ritò, e meritò senza indugio alcuno, di essere ritenuto il sommo Dio. Gli ebrei chiamano i profeti uomini santi; i gentili, quando fanno il nome degli dèi, si riferiscono a uomini eccellenti, divinizzati t e mini stri di Dio. I maomettani credono che il loro capo Maometto, figlio di Abdal, sia un semplice uomo, ma un nunzio di Dio, e tale egli stesso si chiama nel Corano. Aggiunge che Dio ha inviato lui potente nelle armi, Cristo nei miracoli, e che Dio ha dato agli uomini Gesù e Maria come realtà miracolose. Soltanto Cristo, per le sue opere stupefacen ti, meritò quello che né molti principi, con minacce e benefici, né Zo roastro, Pitagora, Empedocle, Apollonio di Tiana 2 e molti altri filo sofi poterono conseguire con la loro sapienza mirabile e nel corso di una lunga vita. Sebbene Giamblico calcidico abbia celebrato Pitago ra con lunghe dissertazioni, e sebbene Filostrato con la sua eloquen za, Porfirio con sottigliezza d'ingegno, molti principi con il loro favo re, e con tutte le loro forze, abbiano celebrato Apollonio.
l Tesi evemeristica ( da Evemero, IV-III secolo a.C., che sosteneva essere stati gli dèi null'altro che uomini illustri, divinizzati dopo la morte) di cui si avvalsero anche gli apologisti cristiani. 2 Apollonio di Tiana, neopitagorico, visse nel I secolo d.C., e talora fu parago nato a Cristo, dagli autori pagani, a causa del suo ascetismo e dei prodigi attribuiti gli. Ne possediamo una vita, scritta da Filostrato al tempo di Settimio Severo, agli ini zi del III secolo d.C.
Capitolo 22 CRISTO SCACCI Ò GLI ERRORI, RIVELÒ LA VERITÀ
Prima dell'avvento di Cristo, in tutto il mondo si veneravano più dèi, anzi demoni e sacerdoti, per giunta malvagi, il che riconosce il fi losofo Enomao. Chi non si può accorgere che erano malvagi, essi che non si curavano della purificazione delle anime, si occupavano soltan to dei beni terreni, ed esigevano dai loro fedeli sempre i beni terreni? Ordinavano di fare sacrifici molto osceni e molto crudeli, e seminava no quante più discordie possibili coi loro responsi. Si veneravano ti ranni viventi 1 , al posto degli dèi, cioè dei beati, si veneravano anime di incontinenti, di uomini iniqui, da questi mostri immani un tempo era oppresso il genere umano. Non Ercole armato, ma Cristo inerme estinse quelle pratiche, quando rintuzzò la forza dei demoni malvagi. Plutarco 2 scrive essere opinione dei barbari che i demoni dell'aria potessero patire turbamenti e morte. Adduce anche la testimonianza di molti, ciò che sarebbe stato appurato da segni indubitabili, che sot to l'impero di Tiberio sia il grande demone Pan sia molti altri demo ni avevano lanciato grida e poi erano morti. Anche Proculo platonico asserisce che un tal fatto potesse avvenire. Noi sappiamo che Cristo, in quello stesso lasso di tempo, andò al Limbo e risorse. Inoltre Plu tarco scrive che gli oracoli, ai suoi tempi, con l'eccezione di uno o due, erano estinti in tutto il mondo. Ascolta con quali parole Porfirio si lamenti di ciò. Dice: «Dopo che si è venerato Gesù, non possiamo conseguire nessun vantaggio dagli dèi». Se sono dèi, o Porfirio, per ché non schiacciano la potenza di Gesù con le loro forze?
l Ficino condanna il culto dei monarchi d'Oriente, dei monarchi ellenistici, poi passato a Roma, allorché il principato si trasformò in dominatus. Al riguardo, cf. an che le vicende dei Maccabei. 2 1-11 secolo d.C. Fu autore delle celebri Vite parallele, e di operette erudite e filosofiche, dette Moralia.
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Ma ascoltiamo il grande Tertulliano che così parla presso i giudi ci romani: «Si conduca qui, sotto i vostri tribunali, o giudici, qualcuno che risulti esser mosso da un demone. Quello spirito, ricevuto il co mando di parlare da un qualsiasi cristiano, confesserà di essere in ve rità un demone, e altrove, falsamente, un dio. Si conduca, del pari, qualcuno di coloro che si ritiene soffrano per amore di Dio, se tali spi riti non avranno confessato, tutti, di essere demoni, non osando men tire a un cristiano, lì stesso spargete il sangue di quel cristiano sfronta to. Che cosa è più palese di quest'opera? Che cosa più degna di fede di questa prova? La semplicità del vero è davanti a tutti, la sua stessa forza l'assiste, se non sarà lecito sospettare che ciò ha luogo per magia o per qualche inganno di tal genere. Come tutto questo nostro domi nio, questa nostra potestà valgono in nome di Cristo, così al nostro contatto, alla nostra voce, escono malvolentieri, dolenti dai corpi, su nostro comando, e vergognosi alla nostra presenza; credete loro quan do dicono la verità su di sé, voi che credete loro quando mentono. Nessuno mente a suo disdoro, anzi a suo onore; costretti dai cristiani a dar prova della verità, dicono di non essere dèi, né affermano altro Dio, eccetto uno solo, a cui apparteniamo» 3. Fin qui Tertulliano. Lattanzio scrive che ai suoi tempi ciò era stato appurato, in pub blico e ogni giorno: quando i gentili immolavano ai loro demoni, se era presente qualcuno la cui fronte era segnata dalla croce, né il vate consultato poteva rendere i suoi responsi, né i demoni potevano trac ciare i segni del futuro nelle viscere degli animali, e afferma che, per i regnanti malvagi, questa fu la causa prima della persecuzione dei cristiani. Non si rendevano conto che i demoni, in quanto più debo li, erano scacciati di lì dal segno della croce, in quanto più potente. A ragione, Socrate, Platone e Varrone, sebbene di nascosto per pau ra del popolo 4, derisero le superstizioni dei gentili, infine Gesù le
3 Si è già accennato al topos che identifica demoni malvagi e " dèi falsi e bugiar di " , presso Tertulliano e altri scrittori dei primi secoli del cristianesimo. 4 Si coglie l'eco della tripartizione, fatta da Varrone, della teologia in fisica (o naturale, propria dei filosofi), fabulosa (o mitica, propria dei poeti) e civile, cioè atti nente alla polis, alla vita sociale e statale. Cf. Agostino, De civitate Dei, 6, 5 .
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annientò, perché non fossero annientati gli uomini. I greci e i roma ni, poco prima che risplendesse la luce di Cristo, avevano comincia to, sempre più, di giorno in giorno, a farsi corrompere dall'empietà contagiosa di Aristippo e di Epicuro. Innumerevoli martiri, sul l'esempio di Cristo, in ogni luogo, sia illetterati sia dottissimi, di sprezzando la vita presente per amore dell'unico Dio e della vita fu tura, offrirono agli uomini una medicina molto salutare contro il ve leno di Aristippo e di Epicuro. Inoltre vi erano leggi estremamente inique presso molte genti. I persiani conoscevano le loro madri con nozze nefande. Gli sciti offri vano uomini in sacrificio ai demoni. I massageti e i derbici immolava no i parenti e gli affini, una volta divenuti vecchi, e si cibavano delle loro carni. I battri gettavano i vecchi a cani, abituati a tale cibo. Gli sciti seppellivano vivi coloro che erano stati amati dai defunti. I tiba reni facevano precipitare vivi i loro vecchi. Gli ircani e gli abitanti del Caspio erano soliti darli agli uccelli rapaci e ai cani, gli uni quando erano ancora vivi, gli altri dopo la morte. Questi e altri costumi simi li usavano allora con sommo scrupolo. Poi, grazie soltanto alla predi cazione di Cristo e dei suoi discepoli, questa peste atrocissima fu espulsa ovunque, e avvenne anche che in minor numero siano posse duti dai demoni, o si uccidano da se stessi. I giudei, prima dell'avvento di Cristo, (per lo più) attingevano la superficie della legge mosaica e dei loro profeti, invece Cristo e i suoi discepoli insegnarono a penetrare perfettamente, con occhi di lince, anzi divini, i sensi profondi della mente divina, ciò che attesta anche Filone 5 giudeo, là dove parlando della contemplazione elogia l' acu me e la santità dei cristiani. L'antica teologia dei gentili, in cui concor darono Zoroastro, Mercurio, Orfeo, Aglaofemo, Pitagora, è tutta contenuta nei volumi del nostro Platone 6. Nelle epistole, Platone fa
5 Filosofo ebraico, vissuto ad Alessandria (l sec. a.C. - I sec. d.C . ) , fu mediato re tra l'ellenismo (Platone e gli stoici principalmente) e la religione del suo popolo: sull'esempio dei greci, propugnò la lettura allegorica dei testi sacri. 6 Inutile sottolineare, ancora una volta, che la filologia ficiniana non è sempre
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il vaticinio che tali misteri possano divenire manifesti agli uomini do po molti secoli. li che accadde: infatti ai tempi di Filone e di Nume nio, per la prima volta, si cominciò a comprendere la mente degli an tichi teologi nelle pagine di Platone, dopo le parole e gli scritti degli apostoli e dei discepoli degli apostoli. I platonici hanno fatto uso del lume divino dei cristiani per interpretare il divino Platone. Perciò il grande Basilio 7 e Agostino sostengono che i platonici si sono appro priati dei misteri di Giovanni evangelista 8 , Io, di certo, ho trovato che i più importanti misteri di Numenio, Filone, Plotino, Giamblico, Pro culo furono trasmessi da Giovanni, Paolo, Ieroteo, Dionisio Areopa gita. Qualunque cosa mirabile che hanno detto riguardo alla mente divina, agli angeli e altri temi concernenti la teologia è manifesto che l'hanno derivata da loro.
attendibile, e obbedisce al proposito di rinvenire una qualche concordanza nell'am bito dell'antica sapienza dei popoli mediterranei. 7 Basilio di Cesarea, IV secolo d.C., uno dei tre Padri della Cappadocia. 8 Si noti che la vecchia tesi del " furto" perpetrato dai filosofi gentili ai danni dell'Antico Testamento - tesi già propugnata da un Aristobulo (II secolo a.C. ) , sulla base di una presunta traduzione dei libri sacri, anteriore ai Settanta, cui sarebbero de bitori Esiodo, gli scritti orfici, filosofi come Pitagora, Platone, lo stesso Aristotele - si estende in questa sede alle verità rivelate da Cristo e dai suoi discepoli.
Capitolo 23 CRISTO È L'IDEA E IL MODELLO DELLE VIRTÙ
Che cos'altro fu Cristo, se non un libro di filosofia morale, anzi divina, libro vivente inviato dal cielo, e la stessa idea divina delle vir tù, manifesta agli occhi umani? Qui tutti, qui, dico, volgiamo gli oc chi e la mente, egli ci insegnerà la vera sapienza, a noi che, già rozzi e piccoli uomini, ha reso d'un tratto sapienti. Egli che nulla possedette di proprio, ha offerto a Dio e agli uomini ciò che è suo, la retta giusti zia. A Dio la paterna venerazione, e più che paterna, agli uomini la fraterna benevolenza e la cura reciproca. Egli, che nulla desiderò in terra come un grande bene, nulla temette come un qualcosa di trop po duro, ha mostrato una magnanimità e una fortezza eccellenti. Egli ha mostrato una temperanza singolare, in cui apparvero appena i mo ti primordiali dell'anima (e in forma lieve e decorosa) . Ha mostrato una mansuetudine incredibile, con cui possiamo rigettare la superbia, peste della società umana. Chi è più mansueto di colui che, pur essen do il sommo tra tutti, si abbassò agli infimi? Esercitò una carità arden tissima per tutti gli uomini, colui che non visse per sé, ma per tutto il genere umano, e inoltre morì volentieri, per redimere gli altri dalla morte. Ha dato una regola perfetta del contemplare e dell'agire, egli che spesso per curare gli errori degli uomini e le loro malattie, si de dicò alla contemplazione delle cose divine. Fin dall'inizio, ci sono testimoni della sua vita molti scrittori, e i più autorevoli tra tutti. Hanno cercato di imitare la sua vita moltissi mi, e poi il mondo intero. Cristo si è manifestato in pubblico agli uo mini per breve tempo. Non più a lungo di quel che a lui si addiceva, ma quel periodo era sufficiente per noi, e fece tanti miracoli, cosic ché Giovanni dice che, se fossero descritti uno per uno, neanche il mondo riuscirebbe a contenere i libri attinenti ad essi. Si tramanda
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che più di quattordici abbiano scritto la sua vita così famosa, e a tut ti mirabile. Sono letti, o così avvenne a un certo momento, soltanto coloro che scrissero non con mano umana, ma ispirati da Dio, quali sono Matteo, Marco, Luca, Giovanni. Matteo scrisse in ebraico l, il cui testo ebraico Girolamo 2 dice che era tuttora presente nella bi blioteca di Panfilo, ai suoi tempi, e che gli fu dato il permesso di tra scriverlo dai Nazarei, che facevano uso di questo volume a Bersabe e in Siria. Anche Panteno stoico, martire di Cristo, penetrato fino al l'India interiore, predicando l'annuncio di Cristo, trovò lì i semi sparsi dalla missione di Bartolomeo apostolo, nonché il Vangelo ebraico di Matteo, e lo portò con sé. Questo dice Eusebio. Gli altri tre, che sono chiamati evangelisti, scrissero in greco. Presso gli anti chi cristiani si leggeva anche il Vangelo, chiamato «secondo gli ebrei», di un quinto evangelista, e che fu approvato da Ignazio 3 e Origene, e tradotto da Girolamo, dalla lingua ebraica, in greco e in latino. Questo attesta Girolamo. E in ciò risplende, in grado eminente, la verità cristiana, nel fat to che i cristiani, fin dall'inizio, non accettarono sconsideratamente qualsiasi scrittore, ma quelli santi, semplici, sobri, e i più eletti. Co loro che più sono apprezzati tra quei primi, in parte ascoltarono Cri sto stesso, in parte i suoi discepoli, e anche se scrissero in diverse lin gue, in diversi tempi e luoghi, e non videro gli uni gli scritti degli al tri, se non forse Giovanni, asserirono tuttavia le stesse cose sotto la guida, sempre, della verità. Appare talvolta in loro una qualche dif formità, o dissonanza, in punti minimi, ma non mai una contraddi zione. Dal che si vede che l'uno ha scritto la sua storia prescindendo dall'altro, ma nessuno di loro prescindendo dalla verità. Narrarono miracoli tanto numerosi, quanto grandi, miracoli pubblici, e per tan ti anni, in Giudea e a Gerusalemme, dove si dice che siano avvenuti,
l Più esattamente in aramaico, la lingua di Gesù.
2
Girolamo, IV-V secolo d.C. , su invito di papa Damaso fu l'autore della Vulga
3
Ignazio di Antiochia, martire sotto Traiano, 1 1 0ca, uno dei Padri apostolici.
ta, cioè della traduzione in latino della Bibbia (tuttora in uso).
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cosicché risulta che narrarono ciò che era verissimo. Come avrebbe ro potuto guadagnarsi fede tra uomini dottissimi, asserendo il falso, in una materia così ardua? Quale ammirazione avrebbero suscitato, se avessero detto cose contraddittorie tra loro? Se quei primi condot tieri non fossero stati concordi, il regno cristiano si sarebbe dissolto immediatamente. Gli evangelisti e gli apostoli dissero molte cose comuni sulla vita e sulla dottrina di Cristo, e ciascuno apportò qualcosa di suo proprio. Se qualcuno avesse detto tutto, sembrerebbe superfluo il numero di tutti gli altri, se ciascuno di loro avesse detto soltanto alcune cose e nuove, diverse, sarebbe invalidata la coerenza, e l'autorità, della sto ria. È fuor di dubbio, ed è cosa ammirabile (tali sono gli scritti di Mat teo, Marco, Luca, Giovanni, Pietro, Paolo, Giacomo, Giuda), che so no presenti più testimoni riguardo agli argomenti più importanti. E se ascoltiamo tutti i testimoni, non ci sembra di ascoltare niente di su perfluo e niente che sia ripetuto inutilmente.
Capitolo 24 L'AUTORITÀ DELLE SIBILLE
li filosofo Varrone, nei libri Divinarum rerum, ricorda i nomi di dieci sibille, i loro tempi, le patrie, e adduce come testimoni molti scrittori. Inoltre afferma che i libri sibillini, presso i romani, erano conservati in un santuario, dove erano custoditi da quindici uomini e da sacerdoti preposti a tal fine. Livio aggiunge che i romani avevano ricostruito i sei libri della Sibilla cumana, bruciati da una vecchia du rante il regno di Tarquinia, sulla base dei versi delle altre sibille, ver si che avevano raccolto mandando i loro legati in tutto il mondo. Quindi tre libri, presso di loro, erano della Sibilla cumana, i restanti delle altre. Questi ultimi libri non si distinguevano per il titolo, o il nome, di chi fossero, tranne quelli della Sibilla eritrea, che inserì il suo nome nei carmi. I romani consultavano questi carmi nelle circostanze più gravi, e a nessuno era lecito vederli l . Ritengo che fu permesso di leggerli a Virgilio per l'amicizia di Augusto, a Lattanzio per l'amicizia di Costantino, e ad altri numerosi e dotti uomini, per concessione del l'imperatore e dei sacerdoti. Lattanzio, intimo di Costantino, poté co noscere le testimonianze delle sibille, che produce riguardo a Cristo, dai libri di quelle, libri che erano allora superstiti, quando Roma non aveva ancora subito nessun sacco. Descrisse quelle testimonianze a Costantino, né poteva mentire al dotto imperatore o agli altri eruditi,
l Abbiamo già ricordato che le sibille greco-romane furono assimilate ai profe ti dell'Antico Testamento: le arti figurative, oltre ai documenti letterari, ne offrono una testimonianza copiosa (cf. le sibille dipinte da Michelangelo nella Sistina) . Si rin via al Lexikon christlicher Kunst, s.v. Sibyllen, . . . erarbeitet von Jutta Seibert, Herder, Freiburg-Basel-Wien 1 9822. Ficino non parla qui dell'altra raccolta, Sibylles chresmoi («oracoli sibillini») , a noi pervenuta in 14 libri, ove si alternano ignoti autori ebrei e cristiani, raccolta del tardo ellenismo e dei primi secoli dell'età cristiana.
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di cui abbondavano l'Italia e la Grecia, e parecchi calunniavano tut tora gli scrittori cristiani anche in questioni di poco conto. Virgilio non lesse forse, nei medesimi libri delle sibille, ciò che di cono i profeti e gli evangelisti riguardo a Cristo e, quel che è della massima rilevanza, non riconobbe forse che le promesse della Sibilla cumana - sulla base del testo, come penso, della sibilla stessa - erano adatte a quei tempi in cui nacque Gesù, sebbene riferisse gli ora coli della sibilla, per adulare Pollione, al figlio di lui, appena nato, di no me Salonino, oracoli dei quali nulla poteva alludere a Salonino, che morì fanciullo e non compì nessuna impresa, mentre tutto quello che lesse alludeva a Cristo, che nacque in quei tempi? Ma che cosa Virgi lio ha trovato lì? Cioè che (in un tempo tale, quale fu quello) , nell'età ultima dell'attesa, sarebbe nato un grande ordine, dipendente dalla pienezza eterna dei secoli, cioè il figlio eterno dipendente dal padre eterno sarebbe nato nel tempo. Quando la Vergine fosse nel suo fio re, ritornasse l'età dell'oro, cioè quando il figlio germinasse dalla Ver gine, e fosse vigorosa l'età della dottrina vera e beata, e una nuova progenie fosse inviata dall'alto dei cieli. Queste parole spiegano ciò che precede: sappiamo che la sibilla preannunciò la nascita di quel fanciullo dalla Vergine, poiché aggiunse che era una progenie nuova, cioè nascente in un modo nuovo, non dalla terra ma dal cielo, cioè da Dio, in cui e da cui derivava dall'eternità 2. I versi di Virgilio sono i seguenti: «Già viene l'ultima età del carme cumeo, da capo nasce un grande ordine di secoli, già torna anche la Vergine, torna il regno di Saturno, già una nuova progenie è inviata dall'alto del cielo». Ritengo che Virgilio abbia costruito questi versi sulla base delle parole della si bilia che ho citato prima. Virgilio aggiunge ciò che ritengo abbia letto presso la sibilla, che alla nascita di lui l'età del ferro sarebbe tornata aurea, e che allora vi sarebbe stato l'onore dei secoli. Sembra che tutto ciò abbia attinen za alla purificazione delle anime e alla dottrina di Cristo, e ritengo
2 Della pia interpreta/io della IV ecloga si è già detto, nonché dei canti del Pur gatorio, XXI-XXII.
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che abbia letto presso la sibilla che sarebbero scomparse le vestigia dell'antica frode, cioè che allora doveva essere cancellata la colpa ori ginale che abbiamo contratto dall'inizio per una frode diabolica; ma egli, non comprendendo misteri di tal fatta, metteva in versi le paro le della sibilla, cosicché sembravano manifestare un qualche altro si gnificato. Virgilio aggiunge che tale progenie riceverà la vita degli dèi, e vedrà gli eroi mescolati agli dèi, e lui stesso sarà visto da loro, e reggerà il mondo pacificato con le virtù del padre. Sembra che lì abbia letto che quella prole sarebbe stata un Dio nato da Dio, desti nato a governare e a giudicare tutto il mondo con la virtù di Dio Pa dre, e che nulla delle cose divine gli sarebbe stato segreto, e che lui avrebbe avuto tutti gli angeli come suoi ministri. Il poeta aggiunge che nel medesimo tempo sarebbero cessati il serpente e l'erba falla ce del veleno, e dopo prosegue: «Tuttavia resteranno poche vestigia dell'antica frode». Non so in che senso Virgilio scrivesse ciò, ci basti che lo ricavò dalla sibilla, che egli non comprendeva, per opera di quella prole divina. Il serpente, cioè il demone malvagio, sarebbe andato in rovina, e sarebbe stata sconfitta l'erba velenosa e fallace, cioè la forza dei de moni, che prima di Cristo ingannava gli uomini con una falsa religio ne, come se fosse vera, e fin dall'inizio li aveva irretiti sotto la forma del serpente (;! cogliendo l'occasione di un albero. Ancora, dopo Cri sto, il demone tenta le anime, pur se non ottiene ciò che vuole, come prima, e perciò fu detto che sarebbero rimaste poche vestigia della frode. Anche Porfirio riconosce che i mortali sogliono essere spinti dai demoni maligni a delitti e a false religioni, e discute ciò diligente mente nel De abstinentia. Inoltre Virgilio così si rivolge a quella pro genie: «Prendi, già è vicino il tempo, prendi gli onori, cara prole de gli dèi, grande incremento di Giove». Credo che il poeta sia venuto a sapere dalla Sibilla cumana che quell'uomo aspettatissimo sarebbe stato prole di Dio, non di un uomo, e che di lui non si può esprime re nulla di più grande, che sarebbe stato un grande incremento di Dio, cioè propaggine eterna di Dio, e un propagarsi di lui stesso fino alle realtà temporali e sensibili, grazie a cui crescesse il regno di Dio, cioè il numero dei beati.
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So che in Virgilio vi era tanta prudenza e accortezza, che non rie sco a ritenere che avrebbe fatto uso di un'iperbole così vasta verso un fanciullo figlio di Pollione, privato cittadino, se non avesse ricavato dai carmi sibillini tali profezie, importantissime oltre ogni misura. An che la sibilla non avrebbe annunciato cose così mirabili riguardo a un semplice uomo, che non fosse Dio. Ma ascolta quale superba iperbo le Virgilio aggiunge: «Guarda il mondo che oscilla con tutto il suo pe so, e le terre e i tratti di mare, e il cielo profondo. Guarda come ogni cosa si rallegra per il secolo che sta per venire». Può darsi che la sibil la avesse scritto che quella prole di Dio doveva essere onorata dagli elementi e dai cieli. E il cielo rese onore a Gesù con l'eclissi, l'aria e il fuoco con la cometa, l'acqua quando obbedì alle sue parole, e sosten ne i suoi piedi, la terra col suo moto, quando fu affisso alla croce sot to l'impero di Tiberio. Infine il poeta esclama, sebbene ignori che co sa chieda: «Resti a me così a lungo la parte ultima della vita». La si bilia, forse, desiderava vedere l'avvento di Cristo, ciò che desideraro no anche i profeti, e soltanto allora morire; ciò che Simeone aveva a lungo desiderato e, conseguitolo in vecchiaia, esclamò: «Ora lascia andare il tuo servo, o Signore, secondo la tua parola, in pace. Poiché i miei occhi hanno visto la tua salvezza» ecc.
Capitolo 25 LE TESTIMONIANZE DELLE SIBILLE SU CRISTO
Come abbiamo detto nei capitoli precedenti, il senato romano possedeva i libri sibillini. In essi Lattanzio, amico dell'imperatore Co stantino, lesse cose che palesemente si riferivano a Cristo, Figlio di Dio. Cominciamo da quel vaticinio della Sibilla eritrea, là dove defi nisce Dio nutritore di tutti, e creatore, che a tutti diede il dolce spiri to, e lo fece primo di tutti gli dèi. Dice ancora: «Dio lo diede da ono rare agli uomini che gli sono fedeli». E un'altra sibilla ammonì che questi doveva essere conosciuto, dicendo: «Conosci il tuo Dio, che è il figlio di Dio». È ciò che si legge presso Davide: «Disse il Signore al mio Signore, siedi alla mia destra». Del pari: «Dall'utero ti ho genera to prima di Lucifero». Ancora: «li Signore mi ha detto, tu sei mio fi glio, oggi io ti ho generato». E presso Salomone: «Dio mi ha posto al l'inizio delle sue vie, prima dei secoli per le sue opere, mi ha stabilito in principio prima di fare la terra». E poco dopo: «Mentre preparava i cieli, ero presso di lui» ecc. Lattanzio raccolse dai libri sibillini tali cose riguardo alle opere e alla morte di Cristo: «Vi sarà la resurrezione dei morti, gli zoppi cam mineranno veloci, chi è sordo udirà, i ciechi vedranno, i muti parle ranno». Ciò che profetizzò anche Isaia: «Confortatevi o mani libera te, consolatevi o ginocchia deboli, voi che siete pusillanimi non teme te, non abbiate paura, il nostro Signore farà giustizia, verrà, e ci salve rà, saranno aperti gli occhi dei ciechi, e le orecchie dei sordi udiran no, lo zoppo danzerà come il cervo, la lingua dei muti sarà sciolta, l'acqua è sgorgata nel deserto, e un rivo nella terra assetata», ciò che sta a significare il tempo del battesimo. Osserviamo le verità che Lattanzio raccolse dalle sibille: «Con cinque pani e due pesci sazierà nel deserto cinquemila uomini, e rac-
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cogliendo gli avanzi riempirà dodici ceste per molti ancora, placherà i venti con la parola, renderà quieto il mare tempestoso coi suoi pie di pacifici, e passeggerà sui flutti calcandoli in virtù della fede, guari rà le malattie degli uomini, darà la vita ai morti, allontanerà i dolori da molti, tutto con la sua parola, curando ogni infermità, miserabile, ignominioso, deforme, per offrire speranza ai miseri, cadrà nelle ma ni inique degli infedeli, e schiaffeggeranno Dio con le loro mani im pure, e sull a faccia pura di lui lanceranno sputi velenosi. Porgerà il suo santo dorso ai colpi di verga, e tacerà ricevendo pugni, perché nessuno riconosca che egli è il Verbo o da dove è venuto per parlare ai morti, e sarà coronato di spine. Gli diedero il fiele come cibo, e l'aceto per la sua sete: questa la loro mensa ospitale. Gente stolta, non comprendesti il tuo Dio mentre si volgeva alle menti dei mortali, ma lo coronasti di spine, e mescolasti l'orrido fiele. ll velo del tempio si scinderà, e nel mezzo del giorho scenderà una notte tenebrosa dopo tre ore, e il destino di morte avrà fine. Dopo aver dormito per tre gior ni, e uscito dalla schiera dei morti, verrà alla luce per primo, mostran do agli eletti l'inizio della resurrezione. Quando queste cose che ho detto su di lui saranno compiute, ogni debito sarà soddisfatto». Del pari, è detto altrove da una sibilla che la stirpe dei giudei sa rebbe stata beata nei cieli, per l'eccellenza di Cristo, grazie a cui mol ti giudei, unendosi a lui, ebbero vita divina prima degli altri. La Sibil la eritrea aggiunse: «Chiameranno la sibilla folle e mendace, ma quan do tutto si sarà compiuto, allora si ricorderanno di me, e nessuno più mi chiamerà mendace, ma profeta del grande Dio». Aurelio Agostino allega molti versi della Sibilla eritrea, tradotti in latino, che egli vide in greco presso il proconsole Flacciano, uomo celeberrimo per la sua dottrina; e nei capitoli l'ordine delle lettere era tale che si leggeva: Ge sù Cristo Figlio di Dio Salvatore 1 • In quei carmi si descrivono la re surrezione dei corpi, il mutarsi dei secoli, l'avvento di Dio per il giu-
l L'acrostico era usato nei versi delle sibilie e garantiva l'autenticità dei versi stessi: in questo caso, l'acrostico in lingua greca è il pesce (ichthys) , simbolo del Sal vatore, che ricorre con tanta frequenza nell'iconografia paleocristiana.
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dizio, i premi e i supplizi sempiterni per gli uomini. Alcune cose del genere si leggono anche presso Mercurio Trismegisto. Anche Platone, richiesto fino a quando ci si dovesse accontentare dei suoi precetti, si tramanda che abbia risposto: «Fin quando non appaia in terra qual cuno più santo, che aprirà a tutti la fonte della verità, e che tutti vo gliano seguire».
Capitolo 26 L'AUTORITÀ DEI PROFETI, LA NOBILTÀ DELL'ANTICO TESTAMENTO, L'ECCELLENZA DEL NUOVO
Dionisio Areopagita scrive al sapiente Policarpo che i persiani, i babilonesi, gli egizi avevano annotato nei loro Annali come miracoli, e avevano venerato (e veneravano) nei loro riti, a titolo di opere divi ne, quei prodigi che gli ebrei narrarono esser stati fatti da Dio per mezzo dei loro uomini riguardo allo stato e al movimento all'indietro dei corpi celesti. Platone non tacque del movimento retrogrado del sole e dell'alluvione delle acque o della devastazione del fuoco l . Da Giuseppe, Aristobulo, Tertulliano, Eusebio molti dei gentili sono ci tati come testi in merito. Cioè Beroso caldeo, Maneto egizio, Girola mo re di Tiro fenicia, Mendesio, Tolomeo, Menandro di Efeso, De metrio Falereo, Re Giuba, Tallo, Apione, Nicolao Damasceno, Esio do, Ecateo, Elanico, Acusilao, Eforo, Teofilo, Manasse, Aristofane, Ermogene, Evemero, Comone, Zofiro, Abideno, Estieo, Sibilla, Eu polemone, Alessandro, Artapano, Melone, Teodoro, Filone, Gentile, Aristeo, Ezechielo, Timocare Polistore, Numenio, Corilo, Saconiato ne africano, Alfeo, Megastene. Costoro confermarono, gli uni in pun ti singoli, e tutti insieme nella loro totalità, quelle cose che apparten gono all'antichità più remota di ogni altra epoca, le gesta mirabili, la dottrina somma degli ebrei e i miracoli della Bibbia. Da essi si evince ciò che dimostrano Clemente Alessandrino 2, Attico platonico, Euse-
l Già nella disamina della IV ecloga si sono palesate analogie tra testi biblici e greco-romani: l'aurea aetas che traligna in età del ferro ecc. Si potrebbe aggiungere Pandora, l'Eva degli elleni, oppure la memoria del diluvio, cui allude Ficino in que ste righe (cf. Deucalione e Pirra) . 2 Autore degli Stromati, e di altre opere a noi pervenute, 11-111 secolo d.C., fu a capo della scuola catechetica di Alessandria (il Didaskaleion, già rammentato a pro-
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bio, Aristobulo, cioè che i gentili, se ebbero dottrine e misteri di gran de valore, le tolsero dai giudei. Ma gli eventi che presso questi sono contenuti in una semplice narrazione, furono trasferiti da quelli in favole poetiche, il che rendo no manifesto la rovina di Fetonte, Deucalione e tanti altri miti. Plato ne imitò i giudei a tal punto, che Numenio pitagorico disse che Pla tone non- era stato altro che un Mosè parlante la lingua attica 3. N el li bro De bono aggiunge che anche Pitagora ha seguito le dottrine giu daiche. Platone nell' Epinomide dice che autore delle scienze fu un barbaro, che per primo scoprì queste cose, poi aggiunge che tutto è derivato dagli egizi e dai siri. La Giudea, in una sua parte, che Plinio chiama Galilea, è stata sempre collocata in Siria dagli scrittori, e in parte è chiamata dai più antichi anche Fenicia, come mostra Eusebio. Anche Proculo platonico venera più di tutte la teologia sira e fenicia. Plinio dice che i fenici furono gli inventori delle lettere e dell' astrolo gia; coloro che lodano anche i caldei, sembra che elogino i giudei, che sono chiamati anche caldei (come mostra Lattanzio) . Per questa ragione, ritengo, Orfeo dice che Dio fu noto soltanto a un caldeo, intendendo Enoch o Abramo o Mosè. I platonici voglio no che Orfeo intenda dire Zoroastro; questi, come scrive Didimo nei commentari della Genesi, fu figlio di Cam, figlio di Noè, e dagli ebrei fu chiamato Canaan, e al tempo di Abramo ancora viveva, come mo stra Eusebio. Dobbiamo ricordarci che le qualità e le lodi dei giudei
posito di Origene) : oltre al " furto " dei greci (Stromati, 5, 14 e passim), appartiene a Clemente la tesi che la paideia, o la filosofia, fu per i greci stessi uno strumento al fi ne di apprendere la verità, o di avvicinarsi ad essa, come la legge e i libri sacri per i "barbari " , ebrei e cristiani. Giustino, già nominato (II secolo d . C . ) , scrive nella Pri ma apologia che «coloro che vissero secondo il Logos sono cristiani, anche se furono giudicati atei, come tra i greci Socrate ed Eraclito, e altri come loro» (46, 3 ) . Insom ma, l'idea che Ficino e gli altri umanisti difesero in merito ai semina Verbi nell'ecu mene mediterranea, ha precedenti illustri, e di natura teoretico-teologica, già nei pri mi secoli dell' Urchristentum. 3 Mosè attikizon , atticizzante, seguace dell'attikismos (di un atticismo teoretico più che retorico) , è un topos delle lettere giudaiche e cristiane, che Ficino assume ed esalta nel suo programma di umanesimo e di docta pietas.
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poterono facilmente passare agli egizi, poiché erano vicini e sempre mescolati. Alessandro ed Eupolemone scrivono che Abramo fu il più grande di tutti per santità e sapienza, che insegnò l'astrologia dappri ma ai caldei, poi ai fenici, infine ai sacerdoti egizi, e che era solito di re di averla appresa dai successori di Enoch, che fu il suo inventore, ed ebbe il nome di Atlante. Giulio Firmico Astronomico chiama divi no Abramo per la sua mirabile sapienza. Artabano dimostra che tut to ciò che si dice di Mercurio Trismegisto, si trovava in Mosè e fu compiuto da Mosè, e che lui fu chiamato Mercurio, e inoltre che egli fu Museo. Non dubiterà che la dottrina dei gentili abbia avuto incre mento grazie a Mosè, chi ascolterà Porfirio che asserisce, sulla testi monianza dell'antico Saconiatone, che Mosè visse mille e cinquecen to anni anteriormente ai primi filosofi greci. Sempre Porfirio, nel libro De responsis, allega l'oracolo di Apol lo, in cui è detto che la celebre e santa gente ebraica, più delle altre, ha conosciuto, ricevuto e trasmesso la sapienza vera, il culto ottimo di Dio e la vita beata. Inoltre, nel libro De abstinentia, colma di tante lo di alcuni uomini consacrati alla vita religiosa, nonché filosofi dei giu dei, chiamati essei, da collocarli avanti a tutti gli altri profeti, santi e sacerdoti. A tal fine fa uso anche della testimonianza di Teofrasto 4 peripatetico che afferma che essi si dedicano assiduamente al digiuno e alla preghiera, e che gli antichi giudei erano filosofi per loro natura. Né senza ragione. Infatti i libri sibillini chiamarono la stirpe dei giu dei celeste e beata. Clearco peripatetico scrive che Aristotele era giu deo, e che anche i calani, filosofi presso gli indi, erano stati giudei. Megastene asserisce inoltre che i bramani, filosofi dell'India, erano di scesi dai giudei. Ambrogio 5, se ben ricordo, dichiara che Pitagora era nato da padre giudeo. Non mi soffermo sul fatto che Strabone, Giu stino, Plinio, Cornelio Tacito non poterono tacere dell'antichità e del-
4 Allievo e successore di Aristotele (IV-III secolo a.C.) in qualità di scolarca del Peripato. 5 Padre della Chiesa latina (IV secolo), e vescovo di Milano: è noto il suo influs so su Agostino al momento della conversione.
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la sapienza dei giudei. Non è da sottovalutare l'antichità dei giudei, i cui scritti non disprezzarono i gentili, bensì se ne appropriarono, co me ricaviamo da Aristobulo che dimostra che i libri di Mosè furono tradotti in greco prima di Alessandro e prima dell'impero persiano, mentre tutta la Bibbia fu tradotta sotto il regno di Tolomeo Filadelfo. A fare questa traduzione (come attesta Aristeo, che fu partecipe di ciò), il re fu indotto da Demetrio Falereo peripatetico, che nell'episto la al re stesso disse di aver letto alcuni libri dei giudei, già tradotti da tempo, e degni di tanta ammirazione, che sembra completa e divina soltanto la legge giudaica 6. Lo stesso ribadisce, di questa legge, Eca teo Abderita. Perché Tolomeo comprò quella traduzione con doni innumere voli? Perché onorò tanto i traduttori e il pontefice, dopo che ebbero tradotto? Chi ha dubbi in merito, legga Aristeo 7 e Giuseppe. Non voglio aggiungere altro. Dimmi, quale pensi che fosse Gerusalemme, in cui il pontefice scelse settantadue uomini di grande valore tra mol ti altri, espertissimi di ebraico e di greco? Plinio chiama Gerusalem me la più illustre di tutte le città dell'oriente, Aristeo e il filosofo Eca teo raccontarono che era molto grande e molto ben difesa. Giuseppe ed Eusebio mostrano che era così popolata che, durante l'assedio fat to dai romani, morirono in quella città più di un milione e centomila giudei: inoltre più di novantamila furono venduti come schiavi. Ma non era nostro proposito parlare delle qualità terrene di quella città, bensì di quelle celesti. Se qualcuno vuole conoscerle, non soltanto ri-
6 Nella letteratura giudaico-ellenistica, l'antichità della cultura, della sapienza del popolo eletto è un Leitmotiv molto frequente: basti citare il Contra Apionem di Giuseppe Flavio (il titolo originale dell'opera è Sull'antichità del popolo giudaico, Pe rì. . . archaiotetos) . Donde il "furto" dei gentili, la supposta versione dei testi sacri in età anteriore ai Settanta, e la leggenda accettata da Ficino, e narrata nella Lettera di Aristea a Filocrate, II secolo a.C. , in base alla quale la stessa traduzione dei Settanta non sarebbe derivata da un'esigenza degli ebrei della diaspora, ormai dimentichi del la propria lingua, bensì dall'interesse di Filadelfo, fondatore della biblioteca e del museo di Alessandria, e di Demetrio Falereo, direttore della biblioteca, nei confron ti della cultura ebraica. 7 Per scrupolo filologico, conserviamo la desinenza ficiniana in " o " .
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fletta a ciò che abbiamo riferito in precedenza, ma legga e rilegga con attenzione gli scritti degli autori citati. Troverà quanto sia forte l'au torità dei profeti, alle cui leggi e ai cui vaticini da tanti secoli credono e obbediscono giudei, cristiani, maomettani, e insomma tutte le na zioni sulla faccia della terra 8 . Tanto la dottrina cristiana supera quella mosaica, quanto la virtù purificatrice dell'anima supera la virtù civile. Nei Vangeli Cristo si volge contro tutte le spine dei vizi, ed estirpa quelle che in un'età più primitiva Mosè aveva amputato (tale sequenza temporale insegnò che dovesse essere rispettata) , là dove condanna come adultero e omicida chi medita l'adulterio e l'omicidio, e non permette di cavare dente per dente a scopo di vendetta, ma comanda di porgere l'altra guancia, con mansuetudine, a chi ci colpisce, e di restituire il bene in cambio del male. Egli dice: «Se il tuo occhio, o la tua destra, ti turba, strappali e tagliali», cioè estingui lo stimolo primo alla lascivia o alla vendetta. Vi sono molti altri precetti del medesimo genere, da cui appare che il Nuovo Testamento è il fine e la perfezione dell'Antico, e tanto più ec cellente di quello, quanto il fine sovrasta le cose che sono in funzione del fine.
8 L'ecumenismo di Ficino si muove entro confini geografici ristretti, anteceden ti alle scoperte geografiche (ormai prossime) , ma mostra in questa pagina una note vole apertura alle tre grandi religioni monoteistiche, che discendono da Abramo.
Capitolo 27 LE TESTIMONIANZE DEI PROFETI RIGUARDO A CRISTO
«Studiate le Scritture in cui ritenete di avere la vita eterna: sono esse che offrono testimonianza di me». Con queste parole, presso Giovanni, e con la massima sicurezza, il nostro Gesù parla contro i giudei, sapendo che le testimonianze della sua divinità, le più nume rose possibili, non sarebbero mancate a chi le avesse cercate. Ma am monisce di non soffermarsi alla corteccia degli oracoli divini, ma di tentare di giungere fino alle midolla. Presso il profeta, Dio aveva pre detto: «Aprirò la mia bocca in parabole, farò emergere ciò che è oc culto dalle viscere del mondo». I giudei hanno, dai tempi antichi, un doppio volume delle Sacre Scritture: uno redatto in lettere ebraiche e in lingua ebraica, l'altro in lingua caldea, ma in lettere ebraiche, come attestano Rabbi Salomone e Rabbi Mosè egizio; nessuno ha mai osa to contraddire il testo caldeo, e presso di loro è pari l'autorità di en trambi i testi, e anche il contenuto è il medesimo: ma ciò che nell'uno è più breve o più oscuro, spesso nell'altro è più diffuso e più chiaro l . Lo stesso avviene presso di noi, in merito alle Sacre Scritture, che pos sediamo tradotte in greco dai settantadue giudei e tradotte da Girola mo in latino dall'ebraico e dal greco. Ma ascoltiamo le testimonianze dei profeti. Geremia. «Ecco vengono i giorni, dice il Signore, e susciterò il germe giusto di Davide, e regnerà come re, e sarà sapiente, e pro nuncerà il suo giudizio, e farà giustizia in terra». E poco dopo: «E questo è il nome con cui lo chiameranno: " Il Signore nostro giu-
l Un certo spirito esoterico è presente qui in Ficino, e si apparenta alle ricerche di Pico sulla Cabala.
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sto "». Dove in ebraico si dice «Davide», in caldeo si legge «Messia». Quando dice: «Ecco vengono i giorni», mostra che senza lungo in dugio, dopo Geremia, sarebbe venuto il Messia, ciò che sarebbe fal so, se ancora dovesse venire. Rivela, inoltre, che il Messia sarebbe stato Dio, poiché dove la traduzione dice «Il Signore», gli ebrei han no quel nome che è il tetragramma, cioè di quattro lettere, che più di tutti gli altri nomi divini è venerando presso di loro, cosicché non si conviene a nessuna creatura, e di ciò discute ampiamente Mosè egizio nel libro De directione. Abba Giudeo, nel libro Thren , quan do chiede quale sia il nome del Messia, risponde: «Adonay è il suo nome», ponendo ivi quel nome che è il mirabile tetragramma, e alle gando il detto di Geremia: «Questo è il nome con cui lo chiameran no: "Il Signore nostro giusto "». Inoltre, non si deve dire «Chiame rà», ma «Chiameranno»: così infatti hanno insegnato la traduzione caldea e i Settanta. Isaia. «Vn fanciullo ci è nato, e un figlio ci è stato dato, e il suo regno è stato costituito sul suo omero, e il suo nome sarà " consigliere ammirabile, Dio forte, padre del secolo futuro, principe della pace"». Questo dice il testo caldeo in aderenza a quello ebraico. Quest'ultimo recita: «Un fanciullo ci è stato dato, e prenderà su di sé la legge per scrutarla attentamente, e il suo nome sarà " consigliere ammirabile, Dio forte, Messia che permane nei secoli dei secoli" , nei suoi giorni si moltiplicherà la pace». Egli mostra che il Messia sarebbe stato Dio, il suo regno spirituale, e dell'altro mondo. E che sarebbe venuto duran te l'impero di Ottaviano, sotto cui vi fu una pace universale e diutur na, vi fu una sola monarchia amplissima e felicissima nel mondo. Ta le è la descrizione di tutto l' orbe. Che queste caratteristiche non pos sano adattarsi al re Ezechia, è evidente, poiché aggiunge: «Si moltipli cherà il suo dominio e, della sua pace, non vi sarà fine». Del pari: «Siederà sul trono di Davide, e sul suo regno, per rafforzarlo e corro borarlo per sempre». Tutto ciò può riferirsi soltanto alla pace divina delle anime e al dominio dello Spirito. Perciò Mosè egizio, nell' episto la agli africani, riguardo al Messia nato e fanciullo , avanza quelle sei denominazioni, cioè «ammirabile, consigliere, Dio, forte, padre del secolo futuro, principe della pace». Ma perché la traduzione dei Set-
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tanta, in luogo delle sei denominazioni, pone soltanto «Angelo del grande consiglio»? Poiché, traducendo il linguaggio divino a Tolo meo che era un gentile, spesso omisero o mutarono ciò che appartie ne alla divinità di Cristo, affinché non pensasse che i giudei riteneva no che il Messia fosse Dio in quanto uomo, e un Dio diverso dal som mo Dio, e che vi fossero due dèi. Ma il testo ebraico, quello caldeo e la traduzione dall'ebraico dichiarano la divinità di Cristo. Invero so no degni di ridicolo alcuni giudei che, nelle parole precedenti di Isa ia, vogliono che si legga «Chiamerà» piuttosto che «Sarà chiamato». I Settanta tradussero «Sarà chiamato», e la traduzione caldea mostra che si deve dire «Sarà chiamato». Michea. «E tu Betlemme Efrata non sei la minima tra i tanti luo ghi della Giudea, poiché da te uscirà colui che sarà il dominatore di Israele, e il suo avvento sarà, come dall'inizio, dai giorni dell'eterni tà». li testo caldeo, dopo «Uscirà», aggiunge «Il Messia», e mostra che il Messia è stato dall'eternità in quanto Dio, e che in quanto uo mo deve uscire da Betlemme. Chiunque spiega queste parole adattan dole al re Ezechia, semplice uomo e re temporale, manifestamente de lira. Rabbi Salomone riferisce tutto ciò al re Messia. Zaccaria. «Esulta, o figlia Sion, giubila, o figlia Gerusalemme, ec co a te viene il tuo re santo (altri legge: giusto) e salvatore. Egli pove ro sale su di un'asina e sul figlio di questa. Disperderò le quadrighe e i cavalli di Gerusalemme. Sarà spezzato l'arco bellico, ed egli procla merà la pace alle genti, e la sua potenza si estenderà da mare a mare e dai fiumi fino agli estremi della terra». Rabbi Salomone, giudeo, spiegando questo passo, dice che queste parole non si possono com prendere se non riferite al re Messia, e gli altri giudei sono d'accordo. Dal che risulta chiaro che il Messia sarebbe venuto a Gerusalemme, povero, e sopra un'asina, che il suo regno non sarebbe stato terreno e che da lui sarebbe derivata la salvezza delle anime piuttosto che dei corpi, grazie alla sola santità e alla morte. Zaccaria aggiunge: «Tu, nel sangue del tuo testamento, hai tratto dal lago i tuoi che erano legati», cioè gli antichi dal Limbo. Tali cose si leggono in merito al regno di Gesù, che Zaccaria indicò come uomo e Dio, quando disse che sareb be stato povero, su di un'asina, pacifico, e che non avrebbe usato le
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armi, ma la sola dottrina della pace, e tuttavia lo chiama «salvatore e re», ovunque «sovrano». Questo è ufficio divino. Giacobbe nella Genesi: «Non sarà tolto lo scettro da Giuda, né il condottiero sarà allontanato dalla sua stirpe, finché non venga colui che deve essere inviato, ed egli sarà l'aspettazione delle genti». Dove il testo ebraico ha «il condottiero», quello caldeo ha «lo scriba dai fi gli dei suoi figli». Dove l'ebraico dice «Colui che», il caldeo legge «il Messia». Dove si dice «ed egli sarà» ecc., il testo ebraico ha «le genti si uniranno a lui». È manifesto che Giacobbe parla dell'avvento del Messia, poiché così chiarisce il volume caldeo, seguendo. il quale Mo sè Gerundense, Calcadias e Caniis giudei riconoscono che ivi si parla del Messia. Risulta che Gesù fu il Messia, poiché chiamò i gentili, e li salvò come i giudei, e da loro fu più venerato, e anche poiché ai suoi tempi fu tolto lo scettro dei giudei. Dopo esser trascorsi, fino a noi, millequattrocentosettantaquattro anni, la sovranità giudaica non è an cora restaurata. Né è da prestare fede a favole di vecchierelle, secon do cui il regno dei giudei sopravviverebbe a Babilonia o al di là dei monti Caspi. Ogni storia contraddice una tesi siffatta. Anzi, Mosè egi zio e gli altri dottori degli ebrei affermano che non è mai stato lecito, o possa esser lecito, ad alcun giudeo giudicare in cause criminali fuo ri della terra promessa. Quindi chi attribuisce un regno ai giudei esu li fuori della Giudea manifestamente delira. li vaticinio di Osea. «A lungo i figli di Israele siederanno senza re e senza principe, e senza sacrificio, senza altare». Vediamo che tale è la condizione presente dei giudei, e tutti gli interpreti dei profeti, sia giudei, sia cristiani, confermano che il profeta parlasse di tali tempi. È palese che i giudei oggi mancano di un sacrificio legittimo, poiché la loro legge approva quei soli sacrifici, dei giudei, che siano fatti nella terra promessa 2. Molti giudei obiettano che lo scettro fu tolto a Giuda cento anni prima di Gesù, quando la somma potestà fu trasfe-
2 L'esame delle profezie offre occasione a Ficino per reiterare, qui e altrove, la polemica in ]udaeos, che abbiamo già rilevato come un limite grave, e frequente, del suo ecumenismo.
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rita ai sacerdoti Maccabei, che non erano della tribù di Giuda, ma di Levi, ciò che narra anche Giuseppe: «Gesù nacque al tempo di Ero de, che succedette ai Maccabei». A ciò la risposta è triplice. La prima, che, essendo stati i Maccabei della tribù di Giuda almeno in linea ma terna, sotto il loro regno non fu tolta del tutto la potestà di Giuda. La seconda, che il profeta Giacobbe intese parlare non di questa o quel la tribù, ma di tutto il popolo giudaico. La terza, che, come consento no tutti i dottori dei giudei, vi fu sempre presso di loro un consiglio di settanta saggi, al cui giudizio spettavano i pareri nelle materie più importanti. Chiamavano questo consiglio Camedrim, ed era come un senato, stretto collaboratore del principe in vita, e in morte di questi, ne faceva le veci. Era stato istituito da Mosè stesso, e durante la catti vità babilonese era al fianco dei capi dei giudei a Babilonia, e dopo il ritorno assisteva i medesimi in patria. L'autorità di questo consiglio durò fino al re Erode, che era nato da padre idumeo e da madre ara ba, come dice Giuseppe, e ricevette dai romani il regno dei giudei, e sotto di lui nacque Gesù. Erode uccise tutti i membri di quel consi glio, e abolì il consiglio stesso, ciò che anche i giudei confermano nel libro Camedrim !eroso/imitano e nel libro Abodazara. Allora non sol tanto fu tolto lo scettro a Giuda, ma anche lo scriba fu allontanato dai suoi figli, ciò che aveva predetto il testo caldeo. Quando Erode, che era straniero, prese il regno e uccise tutti quelli che poté trovare del la stirpe regale di Davide, allora davvero fu cancellato dalle fonda menta il regno dei giudei, e quando disperse il consiglio, allora lo seri ba fu allontanato dai figli di Giuda. Eusebio scrive che gli imperatori Vespasiano e Domiziano comandarono di uccidere tutti coloro che fossero della stirpe di Davide, cosicché non rimanesse nessuno del re gno dei giudei. Infatti essi stessi avevano paura dell'avvento di Cristo, come già Erode. Queste cose Eusebio ricevette da Egesippo. Aggeo. «Questo dice il Signore degli eserciti: "Ancora un po' , e muoverò il cielo e la terra, il mare e la terra ferma, ed ecco viene co lui che è desiderato da tutte le genti. Grande sarà la gloria di questa casa ultima, più che della prima"». «Ancora un po'» significa che og gi, già da tempo, è venuto a noi il Messia; «muoverò il cielo»: è ovvio, con l'eclissi della passione e anche con quella stella vista dai Magi; «la
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terra»: è ovvio, col terremoto durante la passione. E prima con quel terremoto che, scrive Giuseppe, avvenne in Giudea, sotto il regno di Erode, e fu così terribile che le genti vicine ritennero che tutte le cit tà della Giudea fossero state distrutte. Non avvennero forse terremo ti ovunque, quando alla nascita di Gesù tutto il mondo fu censito, per editto di Cesare Augusto? Infatti erano costretti tutti, e da ogni par te, a tornare in patria, perché ciascuno fosse registrato secondo la pro cedura. Allora, per la rivolta di Giuda galileo contro i romani, Giu seppe asserisce che la Giudea fu turbata da molte stragi. «li mare»: è ovvio, quando Cristo comandò al mare e ai venti; quando soggiunge che il secondo tempio sarebbe stato più felice del primo, intende per ché accoglierà il Messia; infatti, sotto tutti gli altri aspetti, fu più mo desto e miserevole. Questi elementi singoli si adattano soltanto a Ge sù N azareno, soprattutto perché venne desiderato dai gentili, salvò infatti i gentili più dei giudei, poiché fu onorato più da quelli. I giu dei non aspettino la costruzione di un terzo tempio sotto un nuovo Messia, dal momento che Aggeo chiamò ultimo il secondo tempio. Malachia. «Ecco mando il mio angelo, che preparerà la via davan ti alla mia faccia, e subito verrà al suo santo tempio il dominatore, che voi chiedete, e l'angelo del testamento, che voi volete. Ecco viene, di ce il Signore degli eserciti, e chi sosterrà il giorno del suo ingresso?». «Ecco mando» e, di nuovo, «ecco viene»: stanno a significare un pe riodo di tempo non così lungo come è opinione dei giudei, ma l' av vento prossimo del Messia; quindi non deve ancora venire. L'angelo che ha preparato la via significa Giovanni Battista, precone di Cristo. «Davanti alla mia faccia»: mostra che Giovanni Battista avrebbe pre dicato davanti a Cristo, e che Cristo stesso è Dio. Dio stesso che par la chiama sua faccia la faccia di Cristo; «l'angelo del testamento» di mostra che il Messia è il nunzio del Nuovo Testamento. «E chi soster rà»: designa l'incertezza nella conoscenza del Messia e l'ostinazione di molti. Aggiungi la rovina dei giudei e la caduta dell'idolatria. Isaia. «La voce di colui che grida nel deserto: "Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri. Ogni valle sarà riempita, e ogni monte e colle saranno abbassati, e ciò che è storto sarà reso diritto, e le asperità saranno trasformate in vie piane, e ogni carne vedrà la sal-
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vezza del nostro Dio"». Queste parole sono simili, all'incirca, a quel le precedenti, e chiare. Daniele. «Settanta settimane sono state abbreviate (altri legge: troncate) sopra il tuo popolo e sopra la tua santa città, perché si con sumi la prevaricazione, e il peccato abbia fine, e sia distrutta l'iniqui tà, sia addotta la giustizia sempiterna, si adempiano la visione e la pro fezia, sia unto il santo dei santi». Mosè tironense, Hyoces, David, Cal cadias e Abraham giudei così hanno interpretato Daniele: che quat trocentonovanta anni trascorressero dalla distrùzione del primo tem pio, fino alla distruzione del secondo, e verso la fine di questo tempo dovesse nascere il Messia. Anche Nicolò Lirense calcola le settimane in modo tale che Cristo abbia patito nell'ambito di quelle. Altresì di mostra che tale fu l'intenzione di Daniele. li giudeo Barachias, nel li bro Sull'ordine del mondo, spiega il detto di Isaia: «La mia salvezza è prossima a venire, e la mia giustizia a rivelarsi», dove dice che quelle parole, «la mia giustizia», significano quel Messia, del quale Daniele disse: «Sia addotta la giustizia sempiterna». Similmente Mosè Gerun dense, spiegando le parole precedenti dette dall'angelo a Daniele, co sì si esprime: «La giustizia sempiterna, e il santuario dei santuari, o il santo dei santi, non è altri se non il Messia stesso santificato dei figli di Davide». Questo scrive, e a ragione. Infatti Davide cantò: «Sorge rà la giustizia ai suoi giorni». E Geremia: «Questo è il nome con il quale lo chiameranno "il Signore nostro giusto "». Gesù cancellò la peste del peccato originale, e dispensò la grazia e la giustizia evange lica. Ma perché non sia lecito a nessuno credere che le settimane di Daniele siano numeri settenari o di mesi o di secoli o di millenni, oc corre ricordare che in un libro dei giudei Sull'ordine del mondo, tutti i loro scrittori concordano apertamente che quelle siano settimane soltanto di anni. Lo stesso attestano Salomone e Mosè Gerundense nei commenti a Daniele, riconoscendo che il sacrificio giudaico fu tol to dai romani, quando distrussero Gerusalemme, nell'ultima di quel le settimane, e lo stesso Salomone asserisce che le settimane di Danie le hanno fine con la distruzione del secondo tempio. Da Daniele è predetto che ciò sarebbe avvenuto alla fine di quelle settimane, o al meno dopo sessantadue di esse. Così è predetto da Daniele: «E dopo
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sessantadue settimane morirà Cristo (mancherà l'altro crisma, cioè l'unzione dei sacerdoti) , e il giudizio non sarà in lui, il popolo profa nerà il tempio e il santuario all'arrivo d'un condottiero, e il fine di questi sarà la distruzione». Certamente, come attesta Giuseppe, dopo Erode i sacerdoti non si creavano in base alla successione della stirpe sacerdotale, o a vita, secondo la legge di Mosè. Ma chiunque, anche di infima natura, anno per anno comprava il sacerdozio dal principe o dai romani. Alcuni, non potendo scansare gli argomenti veri dei cri stiani riguardo a questo passo, dicono che Daniele qui ha errato, e che ovunque ha parlato bene. Ma tali uomini non sono da prendere sul serio, poiché contraddicono se stessi e sempre errano, qui e altrove. Tra di loro vi sono quelli che osano mutare il tempo in cui visse Ge sù, tempo notissimo a tutti; essi sono confutati da Giuseppe, dove scrive del tempo di Gesù, e dove dice che nel dodicesimo anno di Ti berio Cesare, Ponzio Pilato divenne procuratore della Giudea, e che lì rimase per dieci anni di seguito. Cornelio Tacito, un gentile, dice che Cristo fu ucciso per mezzo di Ponzio Pilato, procuratore della Giudea, sotto l'impero di Tiberio. Per mettere ordine a tutto il nostro discorso, sono state molte le opinioni riguardo all'avvento del Messia tra i talmudici, cioè i com mentatori canonici dei giudei. La prima è quella di Hyoce, che nel li bro Cederlophan, cioè sull'ordine del mondo, ha spiegato il termine di settanta settimane come sopra abbiamo detto. La seconda è quella di Habaquibe, che seguendo il computo di Daniele riteneva che il Mes sia sarebbe venuto al momento della distruzione del secondo tempio, e perciò seguì un uomo stolto e bellicoso, di nome Ventozara, che di ceva di essere il Messia; e seguì costui una grandissima folla di giudei, quarantotto anni dopo la distruzione di Gerusalemme, come dicono essi stessi. Quasi tutti, radunatisi nella città di Bitera, si ribellarono ai romani, confidando moltissimo nella fortuna e nelle armi di quel co mandante. Ma l'imperatore Adriano, assediata la città, uccise Vento zara insieme con tutti i suoi seguaci. Tutte queste cose, i giudei le han no nel libro Demay. I giudei ricevono la terza opinione dal libro dei giudici ordinari, che gode di non poca autorità tra di loro, e dove si afferma che l'età del mondo consiste in seimila anni: duemila sono at-
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tribuiti alla vanità, ossia al vacuo, altrettanti alla legge, altrettanti al Messia. Dicono inoltre che ciò fu detto da un discepolo di Elia, figlio di Sarepta, che Elia aveva resuscitato. Ma secondo il computo ebrai co, da Adamo ad Abramo trascorsero duemila anni, ed essi furono anni di vanità; da Abramo a Gesù Nazareno altri duemila anni, e fu rono gli anni della legge; quindi gli anni che vengono dopo Gesù, sembra che abbiano preso inizio dal Messia, in base al computo giu daico, soprattutto poiché in quel libro si asserisce che quattromila an ni intercorrono dal principio del mondo fino al Messia. In verità, se condo il computo di tutti gli ebrei, oggi il mondo ha cinquemiladue centotrentaquattro anni: perciò già da tempo il Messia è venuto. La quarta opinione fu quella di un uomo illustre, chiamato Rabbi, il qua le dice nel libro Camedrim che tutti i termini assegnati all'avvento del Messia sono trascorsi, e che la redenzione consiste nella sola peniten za. Sebbene costui, forse, non parlasse della penitenza cristiana, tut tavia non poté tacere la verità. Nel medesimo tempo un tale, appog giandosi all'autorità di costui, poiché riteneva che tutti i termini era no scaduti, esclamò: «Guai alle anime di coloro che fanno il compu to in merito ai termini del Messia». La quinta opinione fu di Cahadia, che nel libro Sulle cose da credere, con una diligente enumerazione, stabilì un certo termine del Messia, già scaduto da più di trecentoqua ranta anni. La sesta opinione è di Mosè egizio, uomo di grande auto rità presso i giudei, il quale, sebbene nel Deuteronomio vieti di far ri cerche sul tempo del Messia, tuttavia in un'epistola ai giudei africani scrive di ritenere, sulla base di una tradizione certissima degli antichi, che il Messia doveva nascere nell'anno quattromilaquattrocentoset tantaquattro dall'inizio del mondo. Ma questo tempo, secondo il loro calcolo, è già passato da settecentosessanta anni. La settima opinione è di Mosè Gerundense che, nei commenti al Pentateuco, afferma che il Messia nascerà nell'anno cinquemilacentodiciotto dalla creazione del mondo, e con lui concordò Levi Benguerson nei commenti a Da niele, ma questo termine è già trascorso prima di noi, da più di cento anni. Invano i giudei attendono ancora il Messia, e anzi chiunque l'ha atteso dopo Gesù è stato ingannato. Non hanno considerato ciò che altrove disse Daniele: «Nei gior-
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ni di questi re, il Dio del cielo susciterà il regno che non si corrompe rà in eterno», ossia il regno celeste di Cristo. Dite, vi prego, o giudei, perché quei Magi divini, al fine di vedere il Messia, appena nato Ge sù, subito partirono per Gerusalemme, ed Erode dopo aver chiesto ai dottori della legge il tempo e la patria del Messia, uccise quei fanciul li e suo figlio, il che attesta Macrobio filosofo e gentile, se non perché ai sapienti sembrava che quei luoghi e quei tempi fossero propri del Messia? Molti dottori venerarono Gesù vivente come una divinità: Natanael e Nicodemo e gli altri che Giovanni evangelista chiama emi nenti, e che per paura dei giudei lo veneravano di nascosto. Perché molti, all'incirca al tempo di Gesù, si vantavano di essere il Messia, sebbene, come dice Gamaliele, d'improvviso siano scomparsi come falsi? Giuseppe narra che sotto Felice, procuratore della Giudea, vi furono molti che ingannarono il popolo con la loro capacità suasoria, tra gli altri un certo egizio pseudoprofeta, che dopo aver raccolto moltissimi intorno a sé, e mentre tentava grandi imprese, fu schiaccia to dall'esercito di Felice. Questi avvenimenti corrispondono agli Atti degli Apostoli, in cui a Paolo è detto così dal tribune: «Non sei tu l'egizio che, in questi giorni, ha sollevato quattromila uomini, e li ha condotti nel deserto?». li tribune, non conoscendo Paolo, sospettava che fosse quel famoso egizio. Sorse anche, come dice Luca evangeli sta, e Giuseppe conferma, sotto Cirino preside della Siria, un certo Giuda galileo, allorquando si redigevano i censi, e ingannò il popolo, ma lui e tutti coloro che lo seguivano furono dispersi poco dopo. Ta le fu anche un certo Teodas, del quale scrivono cose del tutto simili Luca e Giuseppe, tale Simon Mago, e inoltre Barcosibas, del quale Mosè egizio, dottissimo tra i giudei, dice nel libro dei Giudici: «Achi layl, sapiente più di tutti i giudei, e tutti i dottori della legge del suo tempo, asserivano che Barcosibas, condottiero bellicosissimo, fosse il Messia, finché non fu ucciso da Adriano per i suoi delitti». Questo scrive Mosè. Di costui fa menzione anche Eusebio seguendo la storia di Ariscopelleo, il quale dice che da quel tempo tutta la nazione giu daica, per decreto di Adriano, era tenuta lontana anche dal poter ve dere la Giudea, o che la regione di Gerusalemme, cambiato il nome, fu chiamata Elia, da Elio Adriano.
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Si legge anche nel Talmud, cioè nella dottrina propria dei giudei, nel libro Camedrin, che lo stesso Barcosibas regnò trent'anni e mez zo, e che era solito dire di essere il Messia, e che il sapiente Achilayl gli offrì il suo consenso. Questo si legge ivi. È necessario che Barcosi bas sia vissuto molto vicino al tempo di Gesù. Che altro attendete, uo mini pertinacissimi, poiché tutti i sapienti della vostra stirpe hanno ri tenuto che il secolo di Gesù appartenesse a Cristo? Perché poco do po Gesù tante volte, o miseri, vi ribellaste ai romani, se non perché a voi tutti sembrava che le promesse dei profeti fossero giunte al loro termine? Attesta ciò Svetonio, un gentile. Era cresciuta, dice, in tutto l'oriente, l'antica e costante opinione, essere scritto nei fati che alcu ni, provenienti in quel tempo dalla Giudea, si sarebbero impadroniti del potere sommo, e che perciò i giudei si erano ribellati ed erano sta ti sconfitti. Attendevate allora un Cristo armato, che avrebbe stabili to in Giudea la monarchia perpetua del mondo. Quanto fu più sa piente di voi Virgilio, il quale ritenne che i vaticini della sibilla in me rito al re del mondo potessero adattarsi, e compiersi, ai tempi di Ge sù. Ma di ciò abbiamo discusso in altre occasioni. Scrive Giuseppe che, prima dell'assedio di Gerusalemme, fu ritrovato un oracolo tra le Sacre Scritture, oracolo indicante che in quel medesimo tempo, dalla loro regione, sarebbe uscito un uomo, il quale si sarebbe impadroni to dell'impero di tutto l'orbe. Qualcuno pensa che il presagio, conte nuto in questo oracolo, concerna Vespasiano. Ma Vespasiano non do minò su altre genti, se non quelle che erano soggette all'impero roma no; e quindi questi oracoli siano rivolti piuttosto a Cristo, a cui il Pa dre disse: «Chiedi a me, e ti darò le genti come tua eredità, e come tuo possesso i confini della terra». E, in quel medesimo tempo, il suono di lui si era diffuso in ogni terra per mezzo dei suoi apostoli. Isaia. «È il signore degli eserciti, santificatelo, è il vostro timore, è il vostro terrore, ed egli sarà per voi santificazione, e pietra di offe sa, e pietra dello scandalo a due case di Israele, e laccio e rovina per gli abitanti di Gerusalemme, e moltissimi tra di loro saranno colpiti». Del pari: «Porrò in Sion la pietra di offesa, e la pietra dello scandalo, e chiunque crederà in lui, non sarà confuso». Da queste parole appa re che il Cristo aspettato è Dio, ed egli fece sante le anime dei creden-
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ti, e a causa di lui due case di Israele stavano per cadere, la casa regia e la casa sacerdotale, e che non tutti, ma moltissimi sarebbero stati pertinaci, e che coloro i quali avrebbero creduto non potevano esse re confusi. Né è lecito spiegare, come alcuni vorrebbero, pervertendo il senso, «due case», cioè due re. La consuetudine degli scrittori ebrai ci è quella di denominare tutta la serie dei sacerdoti come una sola ca sa sacerdotale, e anche tutta la serie dei re come una sola casa regale, cioè la casa di Davide. Geremia. «Quando si saranno moltiplicati, e saranno cresciuti sulla terra, dice il Signore in quei giorni: "non diranno più l'arca del testamento del Signore, né salirà sopra il cuore, né si ricorderanno di lei, né sarà visitata, né si farà altro ancora"». Infatti dopo il Messia (ciò che anche Maometto considera giusto) cessarono sia le dignità, sia le cerimonie dell'Antico Testamento, e non senza ragione. Quelle erano immagini dei sacramenti futuri, ma allorquando è presente la sostanza, che bisogno c'è dell'immagine? Isaia. «Prima di soffrire le doglie, partorì; prima che venisse il suo parto, diede alla luce un maschio». I commenti antichissimi degli ebrei spiegano: prima che fosse nato colui che ridusse i giudei nella servitù estrema, cioè Tito, già era nato il loro redentore. Perciò il te sto caldeo dice: «Ancora non le sarà venuta l'angustia, e ancora non le verrà il tremore coi dolori del parto, il Messia si rivelerà». In que sto stesso testo caldeo, l'ebreo Gionata dice: «Prima che le venisse l'angustia, è stata salvata, e prima che le venissero i dolori del parto, il Messia si è rivelato». Lo stesso afferma, sempre lì, il sapiente Sa muele. Da tutte queste testimonianze appare che il Messia è nato pri ma della distruzione di Gerusalemme. Moltissimi ebrei concedono che quello sia nato nel giorno in cui la città era distrutta. Poi, come al solito, si rifugiano in discorsi futili, dicendo che quello sta nascosto fin quando Dio non comandi di mostrarsi a tutti apertamente. Alcu ni lo collocano sul monte Sinai con gli angeli, altri lo segregano al di là dei monti Caspi, altri lo fanno andare qua e là mendico ed errabon do, contraddicendosi a vicenda con la loro stoltezza e discordia. Isaia. «Dio vi darà un segno. Ecco, la Vergine concepirà nell'ute ro e partorirà un figlio, e il suo nome sarà Emanuele». In ebraico si
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legge Hahalma, che significa fanciulla nascosta e integra. Emanuele significa "Dio con noi " , poiché colui che doveva nascere da quella fanciulla, non sarebbe stato soltanto un uomo, ma anche Dio. Da una fanciulla, dico, sempre vergine; infatti un tale parto è promesso come un segno prodigioso. Del che Davide dice: «La verità è nata dalla ter ra». E altrove Isaia: «Esultino i cieli dall'alto, e le nubi si vestano del la giustizia, si apra la terra e germogli il salvatore. lo, il Signore Dio, l'ho creato». Nella specie umana vediamo due estremi, e due medi, ciascuno di noi nasce da un uomo e una donna, Adamo da nessuno dei due, Eva da un solo uomo per divina virtù, Gesù da una sola don na mediante lo Spirito divino. Questo mistero ammira molto, e vene ra, nel suo dialogo, il re degli arabi, Maometto, e anche nel Corano, costretto dalla verità, dice: «Gesù, figlio di Maria, e nunzio di Dio, suo Spirito e Verbo, fu inviato dal cielo a Maria Vergine». Daniele. «Vedevo nella visione della notte, ed ecco nelle nuvole del cielo colui che veniva come figlio dell'uomo, e pervenne fino al più antico dei giorni, e coloro che erano presenti l'offrirono, e gli furono dati il regno, l'onore, l'imperio, e tutti i popoli, le tribù, le lingue gli serviranno, e la sua potestà è eterna, non passerà mai, e il suo regno non si corromperà». Tutti gli interpreti giudei spiegano questa parabo la riferendola al Messia re, sebbene qui si tratti dell'ultimo avvento di Cristo. E con tali parole Daniele significa che Dio sarebbe venuto sot to aspetto d'uomo, e che il regno di Cristo sarebbe stato non tempo rale, ma eterno e spirituale. E in ciò concorda Isaia, presso il quale Dio così parla a Cristo: «Ti darò tesori nascosti e invisibili». Osea. «Chiamerò mio popolo quello che non è il mio popolo, e mio diletto quello che non è il mio diletto, e partecipe di misericordia quello che non è partecipe di misericordia. Nel luogo ove è detto: "Voi non siete il mio popolo " , ivi saranno chiamati figli del Dio vivo». In queste parole sono predette la conversione dei gentili e la pertina cia dei giudei, quale fu nei riguardi di Gesù. Isaia. «Sono stato trovato da coloro che non mi cercavano, sono apparso palesemente a coloro che non mi interrogavano. Tutto il gior no ho disteso le mie mani al popolo che non mi crede, ma mi contrad dice». In tali parole è vaticinato lo stesso di poco fa.
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Davide. «La pietra che scartarono quelli che edificavano è dive nuta pietra angolare. Ciò è stato fatto dal Signore, ammirevole ai no stri occhi, questo è il giorno che fece il Signore, esultiamo e rallegria moci in questo giorno. Signore, fammi salvo, fammi star bene, bene detto chi verrà nel nome del Signore». Gesù rifiutato come inutile dai malvagi, divenne per divina virtù pietra angolare, a cui si connettono due pareti, cioè i gentili e quelli tra i giudei che si sono convertiti. Malachia. «La mia volontà non si volge verso di voi, dice il Signo re, e non ho un sacrificio gradito dalle vostre mani, poiché dall'orien te all'occidente il mio nome sarà glorificato presso le genti». Da ciò si mostra la condanna dei giudei infedeli, e delle cerimonie giudaiche, e l'approvazione dei gentili fedeli all'avvento di Cristo. Isaia. «Ti ho posto come luce alle genti, perché tu sia salvezza fi no all ' estremo della terra». Isaia. «Vengo per radunare tutte le genti e tutte le lingue, e ver ranno, e vedranno la mia luce, e lascerò un segno su loro, e manderò quelli che tra loro saranno conservati alle genti, che sono lontane, che non udirono la mia gloria, e annunceranno la mia luce alle genti; e prenderò tra loro sacerdoti e leviti, dice il Signore». E altrove, presso il medesimo profeta, Dio così parla al Messia: «È poco che tu mi sia servo per sostenere le tribù di Giacobbe, e per convertire la feccia di Israele, ti ho dato come luce alle genti». Del pari: «Per primo dirà a Sion: "Ecco sono presente, e darò un evangelista a Gerusalemme, vi di e non vi era un uomo, e nessuno di costoro che entrasse nel consi glio, e interrogando vedesse il Verbo, ecco tutti sono ingiusti, e vane le loro opere"». E nel capitolo seguente aggiunge: «Ecco il mio servo, lo prenderò, è il mio eletto, l'anima mia si è compiaciuta in lui, ho da to il mio spirito su di lui, e pronuncerà il giudizio alle genti, non gri derà, né riceverà persona, non spezzerà il calamo sconquassato, fin ché non ponga il giudizio sulla terra, e le isole vedranno la sua legge». E altrove: «Trarrò il seme da Giacobbe, e da Giuda chi possiederà i miei monti, e i miei eletti erediteranno quella, e i miei servi abiteran no lì. Ecco, i miei servi mangeranno, e voi avrete fame, i miei servi si rallegreranno, e voi arrossirete, e lascerete il vostro nome in giura mento ai miei eletti, e il Signore ti ucciderà, e chiamerà i suoi servi con
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un altro nome». Altrove, il medesimo profeta così fa parlare Dio: «Israele non mi ha riconosciuto, e il mio popolo non mi ha compre so». Ancora: «Udendo udirete, e non comprenderete, e vedendo ve drete, e non vedrete. Si è indurito il cuore di questo popolo, e hanno udito con le orecchie, e hanno chiuso i loro occhi, per non vedere con gli occhi, e per non udire con le orecchie, e per non comprendere col cuore, e convertirsi, ed essere risanati da me. Manderò quelli di loro che si sono conservati tra le genti», cioè i discepoli del Messia che sia no sfuggiti alle mani dei giudei, per convertire le genti. Manderò e prenderò, cioè dal numero dei gentili che si convertiranno, costituirò sacerdoti legittimi. Dal che appare che anche i gentili potevano esse re assunti alla dignità israelitica. Rauanais giudeo nel commento del l'Esodo dice: «Nel tempo del Messia i gentili convertiti saranno sacer doti, ministri di Dio». «È poco che tu mi sia». Da ciò risulta che il Messia doveva esse re inviato non soltanto per la salvezza degli ebrei, ma anche dei gen tili, come fu inviato Gesù. «Per primo dirà a Sion». Salomone, com mentatore giudeo, spiegando questo passo, dice che tutto ciò è da in tendersi riguardo al Messia re e all'ultima redenzione. Lo stesso met te in chiaro la traduzione caldea di Gionata. In quelle parole di Isaia appare che Cristo dapprima e propriamente avrebbe predicato pres so i giudei, e lì avrebbe stabilito i Vangeli e gli evangelisti, ma poiché sarebbero stati malvagi e pertinaci, aggiunge: «Non vi era un uomo», e quindi «pronuncerà il giudizio alle genti», ossia divulgherà la dot trina evangelica presso i gentili per mezzo dei suoi discepoli. E per mostrare che i giudizi evangelici dovevano essere promulgati con somma umiltà, non con magnificenza, con tumulto e suono di trom be, come la legge di Mosè, aggiunse: «non griderà». Nelle parole re stanti Isaia rende manifesto che il Messia sarebbe disceso da Giacob be, e che i suoi seguaci per lo più sarebbero stati stranieri, destinati ad essere eletti presso Dio, e costoro non sarebbero stati chiamati più israelitici, ma con un altro nome, ossia cristiani. Rende manifesto, al tresì, che i giudei sarebbero stati ostili al Messia, e avrebbero pagato il fio, come accadde ai tempi di Gesù, e profetizza anche la pertinacia sempiterna dei giudei, quale oggi sperimentiamo.
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Geremia. «La tortora e la rondine hanno riconosciuto il loro tempo, e i passeri hanno avuto cura del tempo del loro ingresso, ma il mio popolo non ha riconosciuto il giudizio del Signore. Come di te: " Siamo sapienti, e la legge del Signore è con noi " ? Invano è stata fatta la mietitura falsa. Gli scribi sono confusi, i sapienti hanno tre pidato, e sono stati presi, poiché hanno respinto il Verbo del Signo re». Perché i profeti narrano spesso gli eventi futuri come cose tra scorse? Poiché li vedono come presenti nella mente divina, a cui tut te quelle cose sono presenti, e parlano dopo averli visti come trascor si, cioè manifesti, e già adempiuti. Ma torniamo a Geremia. Questi nelle parole precedenti dichiara che gli scribi non avrebbero cono sciuto perfettamente il tempo dell'avvento di Cristo, e il tempo della mietitura. Né ciò desta meraviglia, poiché l'interpretazione del senso divino è difficilissima per gli ingiusti. E a ciò è congruente quello che si legge nel Deuteronomio: «Ti percuota il Signore con la stoltezza, e con la cecità e lo stupore della mente, e vada tu palpando nel mezzo giorno, come suole palpare il cieco». Il mezzogiorno è la luce delle opere di Cristo, nella quale moltissimi giudei sono ottenebrati. Del pari, altrove, Geremia dice: «0 Signore, mio Dio, le genti verranno a te dalle estremità della terra, e diranno che i nostri antenati posse dettero falsi idoli, e in essi non era utilità. Se l'uomo farà dei a se stes so, questi non saranno dèi». In tali parole si predice che gli idoli sa rebbero caduti grazie al Messia, ciò che avvenne per mezzo di Gesù. E a questo si accorda quel detto di Isaia, dove dice parlando di Cri sto: «Vi insegnerà le sue vie», e dopo molte altre parole: «In quel giorno l'uomo atterrerà gli idoli del suo argento, e i simulacri del suo oro, che aveva costruito per sé, per non adorarli più». Il medesimo significa Daniele, quando dice parlando di Cristo che la pietra divel ta senza mani distruggerà la statua composta di ferro, oro e argento. La pietra divelta è Gesù, afflitto dalla forza dei sacerdoti, egli è sen za mani, cioè distrusse senza violenza umana la statua, cioè l'idola tria, che venerava le statue, la statua, dico, quadripartita, poiché l'idolatria era sparsa in quattro regni principali del mondo, ossia dei caldei, dei medi, dei greci e dei romani. Il medesimo Geremia dice altrove: «Terribile è il Signore sopra di loro, e sterminerà tutti gli dèi
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della terra, e l'uomo l'adorerà dal suo luogo, e l'adoreranno tutte le isole delle genti». Isaia. «li Signore vi ha mischiato lo spirito del sonno, e chiuderà i vostri occhi, e coprirà i vostri principi che vedono le visioni, e avre te la visione di tutte le cose come parole di un libro sigillato. E quan do lo daranno a chi conosce le lettere, diranno: "Leggilo " , e risponde rà: " Non posso " , poiché è sigillato; e il libro sarà dato a chi non cono sce le lettere, e a lui sarà detto: "Leggi" , e risponderà: " Non conosco le lettere" . E il Signore disse: " Questo popolo si avvicina a me con la sua bocca, e mi glorifica con le sue labbra, ma il suo cuore è lungi da me, e mi hanno temuto per ordine degli uomini, e per le loro dottri ne, ecco susciterò meraviglia per questo popolo con un miracolo gran de e stupendo. Si allontanerà la sapienza dai sapienti, e l'intelletto dei suoi prudenti si nasconderà"». E altrove: «Dio diede loro lo spirito di compunzione, gli occhi perché non vedano, e le orecchie perché non odano fino al giorno odierno». Tutte queste parole predicono che moltissimi giudei, dotti e indotti, per le loro scelleratezze e la loro em pietà non avrebbero riconosciuto i vaticini dell'attesa di Cristo, o Cri sto presente, e a causa di questo errore sono nell'infelicità oggi fino al la fine dei secoli. Ciò che, come abbiamo detto altre volte, cantò Osea: «Per molti giorni i figli di Israele siederanno senza re, e senza princi pe, e senza sacrificio, e senza altare, e senza ephod, e senza theraphim». E poiché verso la fine del secolo dovranno credere nel nostro Cristo, aggiunge: «Dopo ciò ritorneranno i figli di Israele, e cercheranno il Si gnore Dio loro, e Davide loro re». La traduzione caldea contiene: «E obbediranno al Messia loro re, figlio di Davide, e temeranno al co spetto del Signore». In ebraico si legge: «E correranno al Signore, e al suo bene negli ultimi giorni». Nessuno intenda ciò con riguardo alla cattività babilonese, in cui ebbero re e duci onorati secondo le condi zioni di quel tempo, il che ci insegna il quarto libro dei Re, dove si tra manda che il re di Giuda, Gioacchino, fu collocato nella sede regia in sieme con gli altri re dal re di Babilonia, e che gli altri di quella schiat ta furono similmente onorati, dei quali onori oggi sono privati. Man cano anche del sacrificio e dell'altare, mancando del tempio disposto dalla legge mosaica. Mancano di ephod, cioè della veste sacerdotale, e
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di theraphim, che è uno strumento costruito per presagire gli eventi futuri secondo il rito dell'idolatria. Con queste parole è significato che i giudei non venerano oggi, né il Dio vero legittimamente, né gli ido li, ma in altri tempi venerarono Dio secondo il rito, oppure gli idoli. Dopo molti giorni, e negli ultimi giotni, cioè dopo molti secoli, quali sono questi dopo Gesù, e verso la fine del mondo, ritorneranno e cer cheranno il loro Dio, ossia dei loro padri, e Davide loro re, cioè il Messia, nato dalla stirpe di Davide, ciò che insegna la traduzione cal dea. La liberazione da Babilonia non fu dopo molti secoli; e «negli ul timi tempi»: nessuno intenda che allora per la prima volta debba ve nire il Messia. Per togliere questo errore, il profeta non disse: «Verrà il loro re», ma: «Ritorneranno, e lo cercheranno», come se già da tem po fosse venuto, ma essi si fossero allontanati, e l'avessero disprezza to, e dovessero cercarlo. Ciò che mette in chiaro il testo caldeo, quan do dice: «Obbediranno al Messia, dopo essere stati pertinaci». Di co storo parlò Isaia: «Questo dice il Signore alla casa di Giacobbe, non sarà confuso ora Giacobbe, non arrossirà ora il suo volto, poiché quando vedrà i suoi figli santificare il mio nome, santificheranno il santo di Giacobbe, e predicheranno il Dio di Israele, e gli erranti di spirito avranno sete d'intelletto, e i mormoratori impareranno la leg ge». In queste parole è tolta la confusione di Giacobbe, poiché dalla sua stirpe, e come figli furono gli apostoli, discesero coloro che esal tarono Gesù, e per il cui insegnamento infine tutti i giudei sono desti nati a credere a Cristo. Ciò che Paolo dimostra molto acutamente nel l'epistola ai Romani. Per cui Isaia, parlando del primo avvento di Cri sto, dice: «In quel giorno il germe del Signore sarà in magnificenza, e chi sarà lasciato in Sion, e rimarrà a Gerusalemme, sarà chiamato san to». «Nel giorno», cioè nel tempo della luce, «il germe del Signore», cioè Cristo Figlio di Dio, «in magnificenza», si intende, di opere e prodigi. «Chi sarà lasciato»: significa i pochi discepoli di Cristo, ab bandonati quasi da tutti, le sante reliquie di Cristo. Queste reliquie sa ranno esaltate con Cristo nel secondo avvento di Cristo. Ma nel frattempo che cosa si deve dire dei giudei? Raramente e pochi saranno gli eletti, di costoro si intende quel detto di Isaia: «E sarà lasciato in esso come un raspo, e come per uno scuotimento di
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ulivo, due o tre olive sulla sommità del ramo». Dopo che per la loro perfidia 3 sono stati scossi dall'albero naturale, come dice Paolo apo stolo, e separati dalla radice dell'ulivo, ancora alcuni paiono o lascia ti lì, o piuttosto innestati di nuovo, quale fu Evarisco Ebreo, uomo il lustre, che fu il settimo pontefice cristiano dopo il beato Pietro, visse molto onorevolmente in quella dignità per più di dieci anni, morì martire. Inoltre, al tempo dei goti, Giuliano giudeo resse molto san tamente il primo episcopato della Spagna. Anche Pietro Alfonso, del la stessa generazione, scrisse un Dialogo contro la perfidia dei giudei. Alfonso Burgense, metafisica sommo, quando aveva sessant'anni rice vette la fede di Cristo, e scrisse molte opere egregie contro i giudei. Che dire di Nicolò di Lira, uomo di grande dottrina, e uomo di gran de santità? Che dire di Girolamo Fisico, che disputò sottilmente con tro i giudei al tempo del pontefice Benedetto? Vi furono anche altri, molti di numero, sebbene pochi egregi in così lungo tempo, riguardo ai quali ritengo sia stato pronunciato quel detto di Geremia: «Vi pren derò uno per città, e due per parentela (oppure: per gruppo) , e vi gui derò a Sion», si intende quella celeste. Di queste cose ha trattato dili gentemente Paolo vescovo burgense, insigne teologo. Davide. «Discenderà come pioggia sulla lana», cioè ignoto a mol ti, e aggiunge: «Sorgeranno nei suoi giorni la giustizia e l'abbondanza della pace». Isaia. «Sorgeranno nei suoi giorni la giustizia e la moltitudine del la pace». Gesù nacque al tempo di Ottaviano imperatore, e contro l'ingiustizia originale contratta dalla radice di Adamo introdusse la grazia e la giustizia evangelica. Anche l'impero di Ottaviano fu giustis simo. Tanta pace vi fu in quel tempo, in tutto l'erbe, che mai vi fu pa ce più ampia o più duratura. Perciò Virgilio cantò: «Si chiuderanno le porte della guerra», ecc. Quella pace perseverò dopo Gesù per trentasette anni. 3 La "perfidia" giudaica (oremus et pro per/idis Iudaeis ) contraddice alla pro posizione ficiniana che omnis religio boni habet nonnihil del cap. 4, e ribadisce le apo rie di un pensiero che stenta a conciliare l'uno e il molteplice, la salvezza cristiana e altre "vie di salvazione" , correlate a quest'ultima nel tempo e nello spazio. . . .
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Isaia. «Si è affaticato l'Egitto, e fu faticoso il commercio degli etio pi, si è affaticata Saba, uomini alti passeranno a te, e saranno tuoi ser vi, e dopo di te cammineranno avvinti dai ceppi, e adoreranno, e ti pre gheranno, poiché in te è Dio, e non vi è altro Dio oltre a te. Tu sei Dio, e non lo sapevamo, Dio salvatore di Israele, saranno confusi e avranno timore tutti coloro che ti sono avversi, e cadranno in confusione». Queste parole mostrano come gli imperi dei gentili sarebbero stati, un giorno, soggetti a Cristo. Del pari, che Cristo è il Dio salvatore, non co nosciuto per qualche tempo, poi adorato, e che i suoi avversari, cioè Gerusalemme pertinace e idolatra, dovessero cadere, come avvenne. E inoltre che Cristo sarebbe stato un uomo, così rende manifesto Isaia: «Dio manderà loro un uomo, e li salverà, giudicando li sanerà». A ra gione, chiama il Messia salvatore, e colui che salverà, infatti fu chiama to Gesù, cioè salvatore; mostra anche che non sanerà i corpi con la vio lenza e le armi, ma le anime con il giudizio. Che Cristo sia Dio, Davi de così dichiara parlando di Dio: «Mandò il suo Verbo, e li risanò del la loro corruzione», perciò Abramo riconobbe Dio sotto forma d'uo mo, e l'adorò come re di tutte le cose. Similmente Dio apparve a Gio suè successore di Mosè, e similmente anche a Giacobbe. Geremia. «Questo è il nostro Dio, e nessun altro sarà reputato ta le senza di lui, che trovò ogni via della prudenza, e la diede a Giacob be suo figlio, e a Israele suo diletto, dopo di che fu visto in terra, e stette insieme con gli uomini». Con queste parole il Messia è dimo strato Dio e uomo. Il medesimo dice altrove: «Ed è uomo, e chi l'ha riconosciuto?». Come se dicesse: per la sua umiltà, e la superbia de gli uomini, molti lo hanno ignorato. Non è da meravigliarsi che molti giudei, poco pii, non abbiano conosciuto il profondo mistero del Messia e la divinità di Gesù. Tuttavia molti giudei, in parte pii, in par te anche dotti, lo conobbero dall'inizio; Cristo convertì alla sua legge molte migliaia di giudei, e molte di più i discepoli. Anche Maometto afferma nel Corano che quei giudei, i quali credettero a Gesù, furono preferiti, di gran lunga, da Dio agli altri giudei. Questi insieme con le genti chiamarono il Messia (ciò che altrove Geremia ha vaticinato) «il Signore nostro giusto», e lo chiamarono secondo verità, infatti non avrebbe perme� so di esser chiamato falsamente Dio.
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Mosè nei Numeri dice: «Sorgerà una stella da Giacobbe, e sorge rà un uomo da Israele». Con queste parole e le precedenti si mostra che il Messia è Dio e uomo; il profeta Ezechiele, dipingendo Dio, lo colloca in abito umano su un trono di zaffiri, poiché Dio sarebbe sta to uomo. Perciò Rabbi loanna, nel commento al Salterio, dice che mentre altre volte i giudei sono stati liberati dalla servitù grazie ad al tri condottieri, l'ultima redenzione si deve compiere da parte di Dio nella propria persona, per questo concede che il Messia sia Dio, e ri guardo a lui illustra quel detto: «Benedetto colui che viene nel nome del Signore, il Signore Dio ha fatto risplendere la luce per noi». Davide. Parlando di Cristo, che tra tutti gli unti da Dio (i quali per l'unzione stessa possono esser chiamati Cristi) è più eccellente, di ce: «Dio ti ha unto, il tuo Dio con olio di letizia più dei tuoi consor ti». Dove dichiara che lui è uomo, e poco prima aveva mostrato che era Dio, dicendo: «Il tuo seggio, o Dio, è nei secoli dei secoli, lo scet tro del tuo regno è scettro di direzione». Che parli del Messia, si evin ce da ciò: che dove nel testo ebraico si dice: «Bello d'aspetto più dei figli degli uomini», la traduzione caldea di Gionata, che presso i giu dei è di autorità pari al testo ebraico, recita: «La tua bellezza, re Mes sia, è maggiore di quella dei figli dell'uomo». A ragione, tutti accon sentono all'autorità di questa traduzione, infatti fu ordinata da Gio nata, uomo grande, per consenso espresso di Eliazar e Giosuè, uomi ni eccellentissimi, molto prima della distruzione del tempio. E tutti gli antichi talmudici ebrei affermano che quella sia discesa dai profeti Aggeo, Zaccaria, Malachia. Mosso dalle parole precedenti di Davide, e simili, Rabbi Abba, nel commento della Genesi, si chiede che cosa voglia dire Daniele, quando dice di Dio: «Egli rivela le profondità, e le cose nascoste, e conosce ciò che è nelle tenebre, e la luce è con lui», e risponde: «Certamente questa luce è la luce del re Messia, di cui si dice nel Salmo: " Nella tua luce vedremo la luce"». Questo egli scrive. Qui afferma che quel lume divino che sempre è con Dio, ed esso stes so è Dio, è la luce del Messia, e lo stesso Messia. Anche quell'antico e illustre teologo Rabbi Neuma, nel libro intitolato Lucidus, spiegando quel detto di Salomone nei Proverbi: «Il giusto è fondamento sempi terno», domanda che cosa ciò significhi, e risponde riguardo al Mes-
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sia in questo modo: «Dio ha, o avrà, un giusto nel suo secolo, che è a lui caro, poiché sostiene tutto il mondo, ed è il suo fondamento, go verna il mondo, e fa sì che sia governato, egli è il fondamento di tut te le anime, e perciò si dice: "li giusto è fondamento sempiterno "». Questo egli scrive. Per mezzo di queste parole, rende chiaro che il Messia non è soltanto un uomo, ma anche Dio. Davide, altrove, espri me il medesimo concetto: «Madre Sion, dice l'uomo, e l'uomo è nato in essa, e lui altissimo l'ha fondata», cioè Dio che fondò Sion, lì stes so è nato come uomo, e chiama Sion come madre. Isaia. «In quel giorno sarà la radice di lesse, e le genti spereran no in chi sorgerà per dominare sulle genti stesse, e il loro riposo sarà nell'onore». E altrove: «Uscirà una verga dalla radice di lesse, e un fiore salirà dalla sua radice, e riposerà su di lui lo spirito di Dio, spi rito di sapienza e di intelletto, spirito di consiglio e fortezza, spirito di pietà, e lo riempirà lo spirito del timore di Dio». lesse fu il padre di Davide. Tramite queste parole, il profeta predisse che il Messia sareb be germogliato dalla stirpe di Davide, che avrebbe giovato più ai gen tili che ai giudei, che avrebbe dominato con le armi spirituali più che con quelle corporali, quale fu Gesù. li medesimo Isaia altrove, in per sona di Cristo, così dice: «Lo spirito del Signore è sopra di me, poi ché mi ha unto, mi ha inviato a evangelizzare i poveri, a predicare la liberazione ai prigionieri, e la vista ai ciechi». Qui si dichiara che il Messia sarebbe nato per opera dello Spirito Santo, che Cristo avreb be avuto il nome soltanto per l'unzione divina. Del pari, che avrebbe predicato il Vangelo ai poveri, avrebbe rimesso i peccati, avrebbe tol to di mezzo l'ignoranza. Davide. «l re di Tarsis e le isole offriranno doni, i re degli arabi e Saba porteranno doni». Isaia. «Tutti verranno da Saba, arrecando oro, incenso, e procla mando lode al Signore». Queste cose avvennero in parte subito, ap pena nato Gesù, in parte dopo la sua ascensione, soprattutto sotto l'impero di Costantino, fino a questi giorni. E altrove: «Ho chiamato mio Figlio dall'Egitto». Di nuovo altrove: «Sarà chiamato Nazareno». li nostro Gesù doveva ritornare dall'Egitto, abitò a Nazareth, e fu chiamato Nazareno.
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Zaccaria. «li Signore Dio mi mostrò Gesù grande sacerdote, che stava davanti alla faccia dell'angelo del Signore, e il diavolo stava alla destra di lui, per ostacolarlo. E disse il Signore al diavolo: " Comandi su di te il Signore, che ha eletto Gerusalemme" , ed ecco un tizzone lanciato dal fuoco, e Gesù era coperto di vesti sordide, e stava davan ti alla faccia dell'angelo; e rispose e disse a coloro che gli erano attor no, davanti alla sua faccia: "Levategli le vesti sordide, e copritelo d'una veste talare, e mettete sul suo capo una tiara monda" , e lo co prirono d'una veste, imposero una tiara monda sul suo capo. L' ange lo del Signore era ritto, e testimoniava di lui dicendo: " Questo dice il Signore onnipotente: Se camminerai nelle mie vie, e osserverai i miei precetti, giudicherai la mia casa, e ti darò coloro che si convertiranno nel mezzo degli astanti. Odi, Gesù, grande sacerdote "». Le parole del profeta, poiché indicano il futuro, e designano l'uomo a mo' di un tiz zone spento, dapprima disprezzato e sordido, poi ornato da Dio, e giudice della casa divina, si addicono a Gesù Nazareno e Dio, non a Gesù N aue, o a Gesù Iosedech, che furono prima di Zaccaria, e tali cose né patirono né fecero. Salomone nel libro della Sapienza: «Inganniamo il giusto, poiché non ci è gradito, e condanna i nostri peccati contro la legge, promet te di avere la scienza di Dio, e si nomina Figlio di Dio, è divenuto per noi causa di turbamento dei nostri pensieri, ci è molesto anche a ve derlo, poiché la sua vita è diversa da quella degli altri, e le sue vie so no immutate, siamo stimati da lui vani e frivoli, e si tiene lontano dal le nostre vie, e dalle cose immonde, e preferisce il rigore dei giusti, e si gloria di avere Dio come padre. Vediamo se i suoi discorsi sono ve ri, e cerchiamo che cosa gli accadrà, interroghiamolo con contumelie e tormenti, per conoscere la sua pietà, e per mettere a prova la sua pa zienza, condanniamolo a una morte turpissima. Questo hanno p ensa to, e hanno errato, poiché la loro stoltezza li ha accecati, e non hanno conosciuto i sacramenti di Dio». Questo dice Salomone, e nulla è più chiaro. A ragione, Dio permise che coloro i quali erano stati ciechi e crudeli contro i profeti, annunciatori del Messia, fossero tali anche contro il Messia. Isaia. «Ecco il mio fanciullo comprenderà, sarà esaltato e glo rifi-
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cato, e sarà assai sublime; come molti stupiranno su di te, così il tuo aspetto sarà privato di gloria dagli uomini, così molte genti si meravi glieranno su di lui, e i re tratterranno la loro bocca, poiché coloro ai quali non fu annunciato di lui, vedranno, e coloro che non udirono, comprenderanno. O Signore, chi ha creduto alla nostra voce, e a chi si è rivelato il braccio del Signore? Abbiamo annunciato al suo co spetto, egli è come infermo, come radice in terra assetata. Non ha bel lezza, né gloria, e lo vedemmo, e non aveva bellezza, né ornamento, ma il suo aspetto mancava di onore più di tutti gli uomini, era uomo piagato, e sapeva sopportare l'infermità. Poiché la sua faccia è rivolta altrove, non è onorato, né stimato molto. Questi porta i nostri pecca ti, e soffre per noi, e noi abbiamo ritenuto che fosse quasi un !ebbro so, percosso da Dio, e umiliato (altrimenti si legge: in dolore, in pia ga e in afflizione) . Egli è ferito per le nostre iniquità, ed è infermo per i nostri peccati. In lui è la dottrina della nostra pace, dai suoi lividi sia mo sanati, tutti errammo come pecore, l'uomo errò dalla sua via, e il Signore diede lui per i nostri peccati, ed egli, poiché è afflitto, non aprì bocca, è condotto come pecora al sacrificio, e come agnello sen za voce davanti a chi lo tosa, così non aprì la sua bocca. Nell'umiltà il suo giudizio è stato accolto. Chi narrerà la sua generazione? Poiché la sua vita sarà tolta dalla terra. Dalle iniquità del mio popolo fu condot to a morte, e darò i malvagi per la sua sepoltura, e i ricchi per la sua morte, poiché non fece iniquità, né si trovò inganno nella sua bocca, e il Signore vuole purgarlo della piaga. Se darete per il peccato l'ani ma vostra, vedrete il seme longevo, e il Signore vuole togliere l'anima sua dal dolore, mostrargli la luce, e formare l'intelletto, giustificare il giusto, che bene serve a molti, ed egli stesso portò i loro peccati, per ciò egli erediterà molti, e dividerà le spoglie dei forti. Poiché la sua anima fu data alla morte, e fu annoverato tra gli iniqui, e portò i pec cati di molti, e per i loro peccati fu tradito». Che Isaia, nelle parole precedenti, abbia parlato dell'ultima redenzione, che si doveva rice vere dal Messia, appare da un certo proemio, così preposto da lui a queste parole: «Come sono belli sui monti i piedi di chi annuncia e predica la pace, di chi annuncia il bene, e predica la salvezza dicendo: " O Sion, il tuo Dio regnerà "». E in seguito: «Il Signore preparò il suo
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braccio santo negli occhi di tutte le genti, e tutti i confini della terra vedranno la salvezza del nostro Dio». E poi: «Il Signore vi precederà, vi radunerà il Dio di Israele». Che queste e molte altre cose simili, in quel luogo, concernano il Messia, è oggetto del consenso di tutti, sia giudei sia cristiani. Poi aggiunge: «Ecco comprenderà il fanciullo» (al trimenti si legge: il mio servo) . Che questo servo sia il Messia, dichia ra anche la traduzione caldea in questo modo: «Ecco comprenderà il mio servo, il Messia». Che questo Messia sia Dio, così mostrano gli in terpreti giudei talmudici, spiegando Isaia. Sarà esaltato più di Abra mo, sarà innalzato più di Mosè, sarà molto sublime più degli angeli. Quanto sia preziosa tale redenzione per mezzo del Messia, appare in quel detto di Isaia: «Israele è salvato nel Signore con salute eterna, non sarete confusi, e non arrossirete nei secoli dei secoli». La salvezza per tramite del Messia non doveva essere .corporale o temporale, come quella d'Egitto o di Babilonia, e simili, ma spiritua le e sempiterna. Sebbene quella profezia di Isaia: «Ecco comprende rà» manifestamente concerna il nostro Gesù, tuttavia Rabbi Salomo ne, uomo di volontà malvagia, ha osato pervertire quelle parole, di storcendole in pro del popolo giudaico che vive nell'odierna miseria. Ciò che è contraddetto dalla traduzione caldea, come abbiamo mo strato. Il contrario dicono anche tutti gli antichi interpreti giudei dei profeti, che ritengono che quel servo sia il Messia, molto più sublime degli angeli, un'eccellenza che non può riferirsi a questa plebe giu daica, vile e viziosa 4 . Perciò Rabbi Mosè Gerundense, disprezzando questo Salomone, ha seguito gli antichi commentatori. Nel commen to della Genesi dice che il re Messia darà il suo cuore per supplicare in favore di Israele, e che patirà anche digiuni per esso e le più gran di umiliazioni, allegando quel detto di Isaia: «Egli è ferito per le no-
4 La controversia abbandona il terreno esegetico, o teologico, e trapassa nel l'invettiva ad homines. Purtroppo, il valore documentario che inerisce a queste pa role e ad altre simili, in merito a un aspetto deteriore e tragico della civiltà europea, e non della sola Firenze medicea, 1474, non può sfuggire a nessuno che legga il /i ber ficiniano .
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stre iniquità, è colpito per le nostre scelleratezze». Questo è quel che dice. E sebbene la feccia giudaica oggi sia molto afflitta e ferita e col pita, quasi allo stesso modo in cui Isaia dipinge il servo afflitto di Dio, per nulla affatto le parole di Isaia possono riferirsi a questa ple be, ciò che sei segni soprattutto ci mostrano. Primo: sebbene questo popolo sia gravemente oppresso, tuttavia non soffre tutto ciò a cau sa delle iniquità e delle scelleratezze delle genti, cosicché grazie alle sofferenze e ai meriti dei giudei, le genti che li affliggono, consegua no da Dio perdono e salvezza; anzi, tutti i giudei aspettano da Dio la vendetta contro le genti. Quando Isaia asserisce, riguardo al servo di Dio, che per le sue lividure gli altri sono sanati, e che Dio pose in lui l'iniquità di tutti gli altri, di certo non parla del popolo dei giudei, per le cui pene gli altri non sono salvati, ma - come essi stessi dico no - sono puniti. li secondo segno, dice Isaia, è che quel servo di Dio non commi se iniquità, né fu trovato inganno nella sua bocca. I giudei invece so no dediti all'avarizia e all'usura, alla menzogna e alle scelleratezze 5 . E d essi stessi riconoscono d i vivere in questa miseria per l e loro scel leratezze e, costretti dall'autorità del Deuteronomio, confessano che se, deposta la malvagità, si convertissero a Dio, subito sarebbero libe rati. I loro dottori, confessando che questa infelicità proviene dai pro pri peccati, ricercano quali siano quei peccati. Rabbi Salomone accu sa il culto del vitello fabbricato nel deserto, colpa che già da tempo Dio aveva punito e perdonato prima di Gesù. Alcuni indicano vari delitti di singoli, altri ritengono che sia occulto il peccato per la cui colpa scontano i supplizi. Terzo segno: Isaia dice, alla fine del capito lo, che quel servo di Dio pregò per i peccatori. Invece i giudei, alme no tre volte al giorno, nei loro esecrabili riti augurano le più terribili sciagure all'impero romano, alla Chiesa di Cristo, a tutte le genti, ec cettuati i giudei, e nelle loro costituzioni talmudiche ricevono l'ordi-
5 Sotto lo stilo di Ficino incontriamo i consueti topoi antiebraici, massimamen te quelli dell'avarizia e dell'usura, destinati a perpetuarsi fino alla Kristallnacht e ai Lager nazionalsocialisti.
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ne di fare del male ai cristiani, in qualunque modo possano, con la violenza o la frode o l'inganno 6, n quarto: come la dottrina e la disci plina della pace, che Isaia dice essere nel servo di Dio, è da porre in questa plebe indotta e perversa dei giudei? Quinto: come questo po polo è più sublime degli angeli di Dio, quale tutti gli antichi giudei so no stati concordi che fosse quel servo di Dio? Sesto. Quando Isaia di ce: «Condotto a morte dalle iniquità del mio popolo», chi non vede che altro è quel servo di Dio che è condotto a morte, e altro il popo lo di Dio per le cui iniquità è ucciso, purché qualcuno non pretenda che Isaia, scrittore elegantissimo, abbia parlato in maniera così assur da da essere inteso come segue: dalle iniquità del mio popolo, il mio popolo è condotto a morte. Perciò se il popolo giudaico non ha pec cato, falsamente qui Isaia parla del popolo giudaico, se ha peccato, falsamente parla subito dopo, quando aggiunge: «Non fece iniquità», se allora parla del popolo. Quel servo di Dio non può essere assolu tamente il popolo. Ma è opportuno redigere le parole di Isaia in dodici conclusioni, come fece Paolo Burgense, vescovo e teologo insigne. Prima: il servo di Dio descritto da Isaia è più eccellente di tutte le creature; dice infat ti: «Sarà esaltato e sarà elevato» ecc. Seconda: egli all'inizio fu piccolo, ed ebbe una nascita umile; infatti dice: «Si è innalzato come un virgul to, e come radice da terra assetata». Terza: nel suo svolgersi fu disprez zato e ritenuto una nullità; dice infatti: «L'abbiamo visto spregevole e come l'ultimo degli uomini, né abbiamo avuto stima di lui». Quarta: fu ferito per le nostre iniquità, ossia per purgarle. Dal che deriva quel det to: «Dalle sue lividure siamo stati sanati». E più sotto: «Egli giusto giu stificherà molti miei servi, e porterà le loro iniquità». Quinta: tutti i giusti, tranne lui, per una legge comune si allontanarono dalla via del la salvezza, egli ha portato l'iniquità di tutti, cioè soffrì le pene per tut ti. Perciò quel detto: «Tutti noi abbiamo errato come pecore, e Dio po se su di lui l'iniquità di tutti noi». Sesta: sostenne volentieri questi sup plizi e anche la morte, e di lui si dice: «È stato offerto, perché egli stes-
6 In germe, dispiace dirlo, i famigerati Protocolli dei Savi Anziani di Sion.
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so ha voluto, e come pecora sarà condotto all'uccisione, e come agnel lo davanti a chi lo tosa». I giudei invece sopportano le sofferenze con animo non volenteroso, bensì renitente e recalcitrante. Settima: ciò av venne per la scelleratezza e le iniquità del popolo, ma egli era innocen te. Di lui dice: «Per la scelleratezza del popolo l'ho percosso»; e del medesimo si legge più sotto: «Colui che non fece peccato, né è stato trovato inganno nella sua bocca». Ottava: quel servo di Dio, ottenuta la vittoria, doveva dividere le spoglie dei forti, poiché aveva dato la sua vita alla morte. A ciò mira quel detto: «Sottoporrò a lui moltissimi, e dividerà le spoglie dei forti, poiché ha dato la sua anima alla morte». Nona: era da stimarsi iniquo; per questo dice: «Insieme con gli scelle rati è annoverato». Decima: un tale servo, sebbene abbia potuto soste nere e cancellare a sufficienza i peccati di tutti, in virtù di quello che ha patito, tuttavia in effetti non riscattò i mali di tutti, ma di molti; per ciò aggiunse: «Egli prese i peccati di molti». Undicesima: in lui fu tan ta carità, che pregò Dio anche per i nemici e i suoi assassini. Per que sto soggiunge: «Pregò per i peccatori». Dodicesima: le cose che sono tramandate in questa profezia, vanno oltre le forze dell'ingegno natu rale. Perciò esclamò: «Chi ha creduto alle nostre parole?». Tutto ciò è conveniente soltanto a Gesù Nazareno. Geremia. «Lo spirito della nostra bocca, Cristo Signore, è stato preso nei nostri peccati, e a lui abbiamo detto: "Vivremo alla sua om bra tra le genti "». Del pari: «In quel giorno non sarai confuso per tut te le tue azioni, che facesti contro di me, perché toglierò da te le mal vagità della tua ingiuria, e non vorrai più essere esaltato sul mio san to monte, e lascerò in te un popolo mansueto e umile, e venereranno nel nome del Signore coloro che rimarranno in Israele». Del pari: «Si gnore, fammi un segno perché io conosca, allora vidi i loro pensieri, io come agnello senza macchia fui condotto al sacrificio, fecero pen sieri contro di me dicendo: "Venite, mettiamo legno nel suo pane, e sradichiamo dalla terra la sua vita, e non vi sarà più memoria di lui"». Del pari: «È esterrefatta colei che partorisce, e l'anima si è attediata, e il sole per lei è andato di sotto mentre era ancora mezzogiorno, è confusa e maledetta, i restanti tra loro consegnerò alla spada al co spetto dei loro nemici». Del pari: «Ho abbandonato la mia casa, ho
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lasciato la mia eredità in mano ai suoi nemici, la mia eredità è divenu ta per me come un leone nella selva, mandò la sua voce su di me, per ciò ebbi lei in odio». In queste parole, Geremia insegna che il Messia doveva essere preso e afflitto per espiare i nostri delitti, e che avreb be lasciato umile, e soggetto alle persecuzioni, quel primo popolo dei cristiani. Ritiene che gli apostoli e i martiri siano le reliquie di Israele. Poi fa anche menzione del legno della Croce, e dell'eclissi al mezzo giorno, durante la passione di Cristo. Cita anche i martìri dei cristia ni, e la vendetta contro il popolo pertinace dei giudei, e infine sog giunge che il popolo di Dio, a mo' di leone, si è lanciato su Cristo, co me fosse un agnello, e perciò sterminerà quel popolo. Salomone. «Se vi allontanate da me, dice il Signore, e non custodi rete la mia verità, scaccerò Israele dalla terra che diedi loro, e questa ca sa sarà deserta, e ognuno che passerà attraverso essa, si meraviglierà, e dirà: "Perché il Signore fece questi mali a questa terra e a questa casa? " . E risponderà: "Perché abbandonarono il Signore loro Dio, e persegui tarono il loro re Dio dilettissimo, e lo tormentarono in grande umiltà. Perciò Dio arrecò loro questi mali"». Questo egli dice. Chi negherà che Gesù Nazareno è stato il Messia, e che fu parimenti uomo e Dio? Esdra. «Questa Pasqua è il nostro Salvatore, e il nostro rifugio, pensate che dobbiamo umiliarlo nel legno, e dopo di ciò spereremo in lui, affinché questo luogo non sia abbandonato in eterno, dice il Si gnore Dio delle virtù. Se non crederete in lui, né udirete il suo annun cio, sarete oggetto di derisione tra le genti». Questo egli dice, e nulla è più chiaro. Non meno si accorda con le sue parole quel detto di Mo sè. «lo sono Dio, vi condurrò all'emulazione, vi manderò tra la gente insipiente, alla non gente per me, susciterò la vostra ira». Più che le altre parole di Esdra, soprattutto si devono considerare quelle per cui i giudei avrebbero umiliato sul legno, nel tempo della Pasqua, il Sal vatore, cioè Gesù, che significa salvatore. È opportuno ricordare an cora che la legge prescrive ai giudei di celebrare la Pasqua alla quat tordicesima luna, e di immolare un agnello. Perciò Anatolio, filosofo alessandrino, dimostra acutamente, prima con argomenti razionali poi con la legge, e anche con l'autorità di Filone, Giuseppe, Agatobu lo, Aristobulo, che il rito dei giudei di celebrare la Pasqua, rito mosai-
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co, normale e consueto, avviene nel mese di marzo, dopo che il sole e la luna hanno passato l'equinozio di primavera, e la luna è in opposi zione al sole. Policrate, discepolo dei discepoli degli apostoli, afferma che anche gli apostoli e i loro successori erano soliti celebrare la Pa squa, secondo la consuetudine dei giudei, alla quattordicesima luna, quando il popolo dei giudei mangiava il pane azimo. Perché diciamo ciò? Per ribadire quel che abbiamo detto altre volte, ossia che l' eclis si del sole che ebbe luogo durante la passione di Cristo non fu un fat to naturale. Che essa sia avvenuta, l'ha testimoniato così Luciano di Antiochia davanti al tribunale del suo giudice: «Indagate nei vostri annali, troverete che il giorno fu interrotto dalle tenebre, al tempo di Pilato, durante la passione di Cristo, dopo che il sole era stato messo in fuga». Anche Tertulliano esclamò, rivolto ai giudici: «Avete questo evento, tramandato nei vostri annali». Isaia. «lo, il Signore Dio, ti ho chiamato alla giustizia, e terrò la tua mano, e ti confermerò, e ti ho dato in testamento della mia generazio ne, come luce delle genti, per aprire gli occhi dei ciechi, per liberare dalle catene coloro che sono legati, e dal carcere quelli che siedono nelle tenebre». Queste le sue parole, e in esse Dio parla a Cristo. Lo manda a introdurre il Nuovo Testamento, a convertire i gentili, non meno che i giudei, a sciogliere coloro che sono legati nel Limbo, e a purgare i peccati. Altrove, presso Isaia, Cristo così parla: «Non sono ribelle, né contraddico, ho offerto il mio dorso ai colpi della sferza, e le mie guance agli schiaffi, non ho allontanato la mia faccia dalla tur pitudine degli sputi». Del pari: «In quel giorno sarà la radice di lesse, e sarà a segnale dei popoli, le genti lo pregheranno e il suo sepolcro sa rà glorioso». Tutto ciò accadde a Gesù Nazareno. Amos. «E sarà in quel giorno, dice il Signore, il sole scomparirà al meriggio, e il giorno della luce sarà ottenebrato, e muterò i vostri giorni di festa in lutto, e i vostri canti in lamentazione». Nei giorno in cui patirà il Messia, il sole scomparirà: ciò significa l'eclissi del sole nel meriggio, durante la passione di Cristo; il giorno della luce, cioè Cri sto che è luce della luce. Dopo di ciò, a perpetua vendetta, Dio stabi lì che i giudei siano vessati ogni giorno, e ripetano le lamentazioni di Geremia e simili querimonie.
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Ezechiele. «Ho esaltato l'umile legno». Giobbe. «Chi ci darà delle carni di lui, per saziarci?». Zaccaria. «Da questi sono piagato». Del pari, altrove, riguardo a Dio che salva Gerusalemme, così dice: «Effonderò sulla casa di Davi de e sugli abitanti di Gerusalemme lo spirito di grazia e di potenza, e guarderanno verso di me, che hanno confitto, e piangeranno su di lui quasi il pianto d'un figlio unigenito». Questo egli dice. Quello stesso che come Dio infonde lo spirito di grazia e di potenza, come uomo è confitto, e ciò perché comprendiamo che Cristo, costituito di diffe renti nature, per un verso opera cose mirabili, e per l'altro patisce sof ferenze terribili. Zaccaria disse in prima persona, e cioè «effonderò», nell'altra persona, «su di lui», e cioè io effonderò come Dio, guarde ranno verso di me, che hanno confitto, cioè come uomo, e piangeran no su di lui, cioè l'uomo assunto da me Dio. A nessuno è lecito imma ginare un testo che dica «guarderanno verso di lui»; infatti ogni Bib bia, ebraica e caldea, dice «guarderanno verso di me», piangeranno, cioè sconteranno la pena in questo secolo e in quello futuro. Ma co me infonde lo spirito di grazia, se piangeranno su di lui? Certamente infonde la grazia dello Spirito Santo, e il perdono degli antichi pecca ti; infatti ha liberato dagli inferi coloro che vollero essere liberati, in fuse anche lo spirito della potenza per punire gli increduli, questi so no coloro che piangono. Abacuc. «Sarai conosciuto nel mezzo di due animali, sei uscito per la salvezza del tuo popolo, per rendere salvi i tuoi, hai mandato la morte sul capo dei nemici»; «di due animali», cioè dei due Testa� en ti, oppure dei due profeti sul monte Tabor, Mosè ed Elia, o dei due ladroni sulla croce. Anche di due bruti, quando è nato nella stalla 7 . «Per l a salvezza del tuo popolo», perché facessi salve dagli inferi le anime dei credenti; «nemici» chiama gli ebrei pertinaci. Davide, sotto il suo nome, parla spesso del Messia, che sapeva do-
7 Ficino tralascia la circostanza che i due bruti, il bue e l'asino, sono apocrifi: ciò che procurò fastidi e dibattiti troppo acuti, troppo razionalistici, in epoca postri dentina, nell'ambito delle arti figurative.
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ver nascere dalla sua stirpe; così dice: «Sono adunate le sferze su di me, e ho perdonato, sono attoniti e non sono compunti, mi hanno tentato, mi hanno deriso, e hanno fatto stridere i loro denti su di me. Mi han no dato il fiele come cibo, e nella mia sete mi hanno dissetato con l'ace to, mi hanno circondato molti cani, un consesso di malvagi mi ha as sediato. Trafissero le mie mani e i miei piedi, contarono tutte le mie os sa. Hanno guardato e mi hanno visto, hanno diviso tra loro i miei ve stimenti, e gettarono la sorte sulla mia veste. Prenderanno l'anima del giusto, e condanneranno il sangue innocente, e il Signore è divenuto il mio rifugio. Mi trarrai fuori delle contraddizioni del popolo, mi costi tuirai a capo delle genti, il popolo che non conobbi mi ha servito, nel l'udire mi ha obbedito. Queste cose siano scritte nell'altra generazio ne, e il popolo che sarà creato loderà il Signore. li Signore fece nota la sua salvezza, al cospetto delle genti ha rivelato la sua giustizia. Ti darò le genti come tua eredità, furono presenti i re della terra, e i principi si radunarono contro il Signore, e contro il suo Cristo. La loro mensa di venga, davanti a loro stessi, laccio, retribuzione e scandalo. Si oscuri no i loro occhi perché non vedano, e piega sempre il loro dorso. Ef fondi su di loro la tua ira, il furore della tua ira li stringa. La loro abi tazione sia deserta, e nelle loro dimore non vi sia chi abiti. Poiché han no perseguitato colui che tu inviasti, e sul dolore delle mie ferite ag giunsero altro dolore. Accresci la loro iniquità, e non entrino nella tua giustizia. Siano cancellati dal libro dei viventi, e non siano scritti insie me coi giusti. Io sono povero e dolente, la tua salvezza, Dio, mi ha ac colto». Non era povero il re Davide, ma il Messia sarebbe nato pove ro da lui. Del traditore Giuda, così predisse Davide: «Chi mangia con me il pane, leverà contro di me il suo calcagno» .. Inoltre, dei giudei: «Mi ebbero in odio senza motivo», e di loro così vaticinò l'Apostolo: «Compiranno sempre i loro peccati, infatti l'ira di Dio pervenne su di loro fino alla fine». Così predisse la sempitema pertinacia e infelicità dei giudei. Ma perché sottacere quel che Geremia ha predetto aperta mente sulla vendita di Cristo, fatta da Giuda, sul prezzo e la compera del campo, come si tramanda nel Vangelo? Dice infatti: «E presero trenta denari d'argento, prezzo stabilito dai figli di Israele; e li usaro no per comprare il campo di un vasaio, come mi ha ordmato il Signo-
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re». Aggiunge Matteo che quel campo, comprato con il prezzo di Cri sto, era chiamato il campo del sangue anche ai suoi tempi. Della resur rezione di Cristo, Davide dice così: «La mia carne riposa nella speran za, poiché non abbandonerai la mia anima nell'inferno, né permetterai che ciò che è santo ed è tuo conosca la corruzione», poiché Cristo non imputridì. Di nuovo: «li Signore trasse dall'inferno la mia anima, io ho dormito, e sono caduto nel sonno, e sono risorto, poiché il Signore mi ha accolto. Sono risorto e tuttora sto con te». Osea concorda con Davide. «Ci sanerà dopo due giorni, al terzo giorno risorgeremo». Oppure così: «Venite, torniamo a Dio, poiché egli ci ha presi e ci salverà, ci percuoterà e ci curerà, ci visiterà dopo due giorni. li terzo giorno ci solleverà, e verremo al suo cospetto». Di nuovo: «La morte è inghiottita nella vittoria, dov'è o morte la tua vit toria? Dov'è o morte il tuo pungolo?». Mediante la resurrezione di Cristo si designa anche la resurrezione del nostro corpo. Come infat ti nell'unico Adamo tutti peccammo, e siamo morti, così nell'unico Cristo tutti siamo purgati, e risorgiamo. Ma di ciò ha trattato l' aposto lo Paolo in maniera sottile e divina. Il profeta Giona perché fu preso nel ventre di un grande pesce, e il terzo giorno fu restituito vivo alla luce, se non per significare la .re surrezione di Cristo? Le gesta dell'Antico Testamento, non meno del le parole, sono figure del Nuovo 8, Il Nuovo Testamento è il fine del l'Antico, non altrimenti che l'aggiunta del colore, e una perfetta pit tura, nei confronti di un disegno. Perciò il Nuovo Testamento è mol to più eccellente dell'Antico 9.
8 Alle profezie Ficino accosta l'altra lettura tradizionale della Bibbia, per " tipi" e " antitipi " : Giona è typos di Cristo e della sua resurrezione, la manna nel deserto è typos del sacramento eucaristico. Da Filone ebreo a Paolo, all a Scuola di Alessandria, al già citato Clemente, l'esegesi allegorica (o figurale: ogni "figura" vetero-testamen taria è skià ton mell6nton, cioè umbra /uturorum) ebbe enorme sviluppo, e si traman dò nei secoli. L'antitipo (dinanzi al " tipo ") svela il significato occulto e compie ciò che è insito, inespresso nell'Antico Testamento. 9 Agostino così scrive, con una formula compendiosa e celebre: Novum Testa mentum in Vetere Testamento late!, Vetus Testamentum in Nova patet, cioè l'Antico Te stamento patet, si conosce nella sua pienezza, soltanto alla luce della Buona Novella.
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Davide così cantò l'ascensione del Signore: «Dio ascenderà nel giubilo, e il Signore nella voce della tromba. Suonate a festa per il Si gnore, che è asceso sopra il cielo del cielo a oriente. Sei asceso in al to, hai condotto schiava la servitù, hai dato doni agli uomini». Così canta anche l'invio dello Spirito Santo: «Manderai il tuo Spirito, e sa ranno creati, e rinnoverai la faccia della terra». Gioele. «E sarà dopo di ciò. Effonderò dal mio spirito su ogni carne, e profetizzeranno i vostri figli e le vostre figlie. I vostri anziani sogneranno sogni, i vostri giovani vedranno visioni, e in quei giorni ef fonderò dal mio spirito sui miei servi e le mie ancelle». Dopo l'ascen sione di Cristo, non solo gli apostoli, ma anche altri, molto numerosi, femmine e maschi, gentili e giudei, dotti e indotti, vecchi e giovani, ri cevettero i doni e la grazia ammirabile dello Spirito Santo. Isaia. «In altre lingue e in altre labbra parlerò a questo popolo, ma neanche così mi udirà, dice il Signore». E sebbene gli apostoli, dappri ma ineruditi, ricevuto il dono dello Spirito Santo, subito, in varie lin gue, diffondessero i divini misteri, tuttavia non tutti i giudei credettero. Ezechiele. «Darò il mio spirito nelle vostre viscere». E altrove co sì parla del battesimo: «Effonderò su di voi l'acqua monda, e sarete mondati da tutte le vostre colpe, e vi monderò da tutti i vostri idoli». I dottori dei giudei, quando interpretano il loro libro di Giona, e quando spiegano il Talmud, ossia le loro nuove costituzioni fatte do po Gesù, allegano tale profezia per mostrare che non solo i giudei, ma anche tutte le genti, al tempo del Messia, laveranno le macchie dei peccati con un'aspersione di acqua. Isaia così si esprime nel canto: «Berrete l'acqua nel gaudio dalle fonti del Salvatore, e direte in quel giorno: "Riconoscete il Signore, e invocate il suo nome "» (del Salvatore) , cioè di Gesù Messia. Gesù in fatti significa salvatore. «Riconoscete il Signore», ossia: poiché il cul to di un solo Dio è introdotto grazie a Cristo, venuti meno gli idoli. Menziona, poco dopo, in questo modo la predicazione degli apostoli presso le genti: «Cantate al Signore, poiché ha fatto cose magnifiche, annunciate ciò in tutta la terra». Poiché Cristo nasce in Giudea, sog giunse: «Esulta e rendi lode, o abitazione di Sion, poiché grande in mezzo a te è il santo di Israele».
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li profeta Davide espone molte cose, e chiare, riguardo a Cristo nei salmi secondo, terzo, quindicesimo, ventunesimo e in molti altri. Ma l'invio degli apostoli in nazioni lontane è indicato da queste paro le: «li loro suono uscì per tutta la terra, e le loro parole ai confini del l' orbe terrestre». Isaia così parla del Messia e dell'invio degli apostoli: «Quanto so no belli i piedi di coloro che annunciano la pace, che annunciano i be ni>>. Presagì anche le afflizioni degli apostoli, e le avvertì: «Per te sia mo mortificati tutto il giorno, siamo ritenuti come pecore destinate ad essere uccise». Origene così dice nel terzo libro del commento sulla Genesi: «Come ci è stato tramandato, Tommaso ebbe in sorte i Parti, Matteo l'Etiopia, Bartolomeo l'India citeriore, Andrea la Scizia, Gio vanni l'Asia, Pietro il Ponto, la Galazia, la Bitinia, la Cappadocia e le altre province confinanti, predicando soltanto ai giudei; è arrestato durante il suo peregrinare, e infine fu a Roma, dove fu crocifisso a ca po in giù, il che aveva richiesto egli stesso per non apparire somiglian te al Signore. Che dire poi di Paolo, che da Gerusalemme all'Illirico riempì ogni luogo del Vangelo di Cristo, e infine sotto Nerone affron tò il martirio?». Questo dice Origene. Anche Taddeo, uno dei settan ta discepoli di Cristo, partito oltre l'Eufrate, e predicando il Vangelo nella città Edissena, convertì a Cristo tutto il regno del re Abagaro, e liberò mirabilmente lo stesso Abagaro da una malattia incurabile. Che così sarebbe avvenuto, aveva già promesso Cristo nella lettera ad Aba garo, dopo essere stato richiesto da lui stesso in una lettera di partire per curarlo. Eusebio lesse, in lingua sira, questo racconto nelle storie pubbliche della città Edissena, in cui aveva regnato Abagaro, e lo tra dusse in lingua greca 1 0 .
l O Della disinvolta filologia (e apologetica) di Ficino si è già parlato, e si è mes so in guardia il lettore.
Capitolo 28 SOLUZIONE DEI DUBBI RIGUARDO AI PROFETI
Ora si devono esporre alcune parole dei profeti, che non compre se a sufficienza offrono ai giudei pertinaci e sciocchi l l'occasione di non riconoscere che Gesù fu il Messia, cioè il vero Cristo. Isaia. «Sarà negli ultimi giorni», cioè negli ultimi tempi dei pro feti, e alla fine del regno e del sacerdozio giudaico. Non negli ultimi giorni del mondo, come alcuni immaginano, egli intende che Cristo verrà per la prima volta, altrimenti il suo insegnamento sarebbe qua si inutile, o almeno utile per un breve periodo, ma negli ultimi giorni dei profeti, del sacerdozio e del regno giudaico. Questi tre elementi cessarono sotto Gesù Nazareno; e prosegue: «Il monte della casa del Signore sulla sommità dei monti». Perciò alcuni giudei delirano, di cendo che, all' awento del Messia, Dio trasferirà il monte Tabor, il monte Sinai, il monte Carmelo fino a Gerusalemme, e sulla sommità di questi imporrà il monte Sion. Piccoli, sciocchi uomini 2 riducono sempre alla dimensione corporea le opere incorporee di Dio che è senza corpo. Ma molto più esattamente, a questo proposito, Rabbi Salomone, giudeo, spiega Isaia, dicendo che il monte Sion supererà gli altri monti non per l'altezza nello spazio, ma per la grandezza dei miracoli. Inoltre, il nostro Gesù su quel monte diede la luce al cieco nato, sanò il paralitico, e lì fece molti altri miracoli, infine lì infuse ai suoi discepoli lo Spirito Santo dal cielo. Dopo seguono queste parole: «E accorreranno a lui tutte le gen ti», cioè molti da tutte le genti. In modo simile dicono che ogni ani-
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Pertinacibus hebetibusque fudaeis.
2 Hebetes homunculi.
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male fu nell'arca di Noè; cioè alcuni di ogni genere di animali. «Gen te contro gente non solleverà la spada, né si eserciteranno ulterior mente alla guerra». Questa parola " ulteriormente" significa non la pace sempiterna del mondo, ma universale e di lunga durata. Vi fu tanta pace al tempo di Gesù, come abbiamo detto altre volte, che Virgilio cantò esser chiuse allora le porte della guerra 3 . Gli ebrei hanno nel quarto libro dei Re: «Non vennero ulteriormente i predo ni della Siria nella terra di Israele». Ma dopo quel tempo si traman da che i siri invasero di frequente la terra di Israele. Quindi, " ulte riormente" significa: fino a un certo tempo. Eusebio, dal canto suo, ci informa che dopo Gesù fino ai suoi tempi, cioè di Costantino, non avvennero tante mutazioni di regni e disfatte di popoli, quante erano avvenute prima. Isaia, altrove, dice lo stesso riguardo al tempo del Messia: «Il lu po abiterà con l'agnello, e il leopardo riposerà col capretto». Sebbe ne Eleazaro Pontefice e Aristobulo, prima di Cristo, e Filone dopo di Cristo, sapientissimi tra i commentatori giudei, abbiano ritenuto che le sacre lettere si dovessero spiegare per mezzo dell'allegoria 4, a cau sa del senso mistico, ed essi stessi abbiano tentato di farlo, tuttavia gli ingegni puerili 5 di molti giudei aspettano, sotto il regno del Messia, una tale età dell'oro, quale dipingono le parole e i colori retorici dei poeti. Ma abbastanza rifulsero, durante la vita di Gesù, negli animi
3 ll tempio di Giano era chiuso in tempo di pace: Livio narra che dopo la pri ma guerra punica soltanto Cesare Augusto aveva chiuso di nuovo il tempio, debella ti Antonio e Cleopatra, inaugurando la pax Augusta. Tutto 'l ciel volle l redur lo mon do a suo modo sereno, dice Dante (Par. , VI, 55 -56) , riecheggiando la tesi canonica che la pax Augusta rientrasse nel piano provvidenziale, al fine di rendere agevole la pre dicazione degli apostoli. 4 La lettura allegorica, per quel che concerne Omero, risale a Teagene di Reg gio, VI secolo a.C. , che cercava le hyponoiai dei testi (allegoria è lessico seriore) , e fu applicata dagli stoici al patrimonio mitografico dell'Ellade. Siffatta conquista del l'esegesi ellenica fu ereditata dai giudei della diaspora, da Filone di Alessandria e al tri, e dai cristiani, da Clemente, del medesimo e fervido ambiente alessandrino, come già abbiamo rammentato.
5 Puerilia ingenia.
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degli uomini non pertinaci, l'aurea verità, la tranquillità della mente e il frutto eterno, e dopo di lui, per le sue opere e il suo insegnamento, chiunque vuole si impadronisce dell'età dell'oro, e la pace eterna con Dio è ricostituita per gli uomini grazie a Gesù. Pur se, nel corso di molti anni, il lupo, cioè il principe o il popolo più potente, non ha di vorato l'agnello, cioè il principe o il popolo più debole. Prima di Ge sù, i gentili e i giudei erano differenti tra loro in tutto e per tutto, do po di lui molti dei giudei, moltissimi dei gentili vivevano, e vivono, sotto la sua dottrina, concordi nei costumi e nei pensieri. Ogni gior no, in molti luoghi, i morsi degli animali velenosi erano resi innocui dai miracoli degli apostoli, tutti questi fatti sembrano appartenere al secolo aureo 6. Inoltre, il secolo aureo va collocato nei frutti dell'ani ma piuttosto che del corpo. Le favole dei poeti si devono lasciare ai fanciulli, ciò che ritenne anche Rabbi Mosè; costui infatti dice nel li bro dei Giudici: «Guardati dal pensare che, al tempo del Messia, l'or dine del mondo e lo svolgersi delle cose naturali siano diversi dal so lito». Ciò che dice Isaia: «li lupo abiterà con l'agnello» ecc. è un'alle goria; significa che Israele vivrà sicuro con gli uomini empi di questo secolo, i quali sono raffigurati come lupi e leopardi. Questo egli dice. Mosè nel Deuteronomio: «Se sarai scagliato ai cardini del cielo, da lì ti trarrà il Signore Dio tuo, e ti prenderà, e ti introdurrà nella ter ra che possedettero i tuoi padri». Perciò i giudei, che aspettano di es sere riuniti con l'aiuto del Cristo, essendo stati dispersi a causa di Ge sù, non riconoscono che egli sia stato il vero Cristo. A loro si deve ri spondere che questo oracolo fu adempiuto allorquando furono libe rati dalla servitù di Babilonia. Allora, infatti, come attesta Esdra, il re Ciro non solo permise che tutti i giudei ritornassero in patria, ma of frì anche doni a coloro che ritornavano. Ché se qualcuno sosterrà che una tale riunione sia propria del Messia, dirò che le anime disperse
6 I.: aurea aetas, da Esiodo ai poeti latini, è motivo ricorrente delle lettere greco romane: gli scrittori augustei, talvolta, vollero identificare nella pax Augusta una sor ta di età dell'oro restaurata. Ficino interpreta in senso morale e anagogico l'età del l'oro, l'età edenica, come pace interiore e vita venturi saeculi.
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per il peccato, qualunque voglia, sono riunite da Gesù nella patria ce leste; essa è chiamata da Davide «la terra dei viventi». Disse: «Credo di vedere i pomi del Signore nella terra dei viventi». Perciò Rabbi Mo sè egizio dice, nel Deuteronomio, che il bene divino, che è intelligibi le, è chiamato sotto molti nomi nelle sacre lettere: è detto monte di Dio, e suo luogo santo, luogo del santuario, via santa, atrio del Signo re, tempio del Signore, casa del Signore, porta del Signore. Questo egli dice. Anche Rabbi Salomone e Rabbi Abba ritengono che l'edifi cazione del tempio, descritta da Ezechiele, si riferisca alla Gerusalem me celeste. Sono stolti coloro che sperano che un tempio visibile sia costruito dal Messia, stolti coloro che aspettano che il popolo di Israe le sarà riunito da lui nello spazio 7, stolti infine coloro che pensano che tutti i giudei siano salvati al tempo del Messia. Ascoltiamo Geremia che dice: «Convertitevi, figli, e ritornate, di ce il Signore, poiché io sono il vostro uomo, e vi prenderò uno da ogni città, e due da ogni gruppo, e vi introdurrò in Sion, e vi darò pastori secondo il mio cuore, e vi pasceranno di scienza e dottrina». Ciò egli dice. Queste parole sono da intendersi riguardo all'ultima redenzio ne, che doveva essere compiuta dal Messia, ma non riguardo alla re denzione dalla servitù di Babilonia, come altri opinano. Infatti nel medesimo contesto si legge: «In quel tempo chiameranno Gerusalem me trono del Signore, e tutte le genti saranno radunate lì nel nome del Signore». Perciò Rabbi Salomone, nel libro Camedrin, spiega le paro le precedenti di Geremia, cioè «Vi prenderò uno da ogni città, e due da ogni gruppo», riferendole a quell'ultima redenzione, che da loro si aspetta; così infatti dice ivi: «Eleggerò i giusti, e li introdurrò in Sion». Dal che appare che, nell'ultima redenzione operata dal Messia, non si salvino tutti gli israeliti, ma i giusti. Costoro sono molto meno nume rosi degli ingiusti, che non si salvano, perciò il profeta disse: «Uno da ogni città, e due da ogni famiglia» (altri legge: gruppo) , come se di cesse, assai pochi saranno eletti tra molti. Ciò egli dice. Nello stesso luogo, uno degli antichi talmudici dice che, come si tramanda che, di
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Un altro spunto antiebraico e antisionistico, potremmo dire.
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seicentomila uomini, usciti dall'Egitto, due soli, cioè Calef e Giosuè, entrarono nella terra promessa, così sarà al tempo del Messia. E ag giunge che così si trova scritto presso Osea: «E canterà lì al modo dei giorni della sua gioventù, e al modo dei giorni della sua ascensione dalla terra di Egitto». Ciò egli scrive. Zaccaria, parlando di Cristo, dice: «Edificò il tempio per il Signo re». I giudei aspettano che Cristo costruisca una macchina molto va sta di pietre morte. Ma Gesù ha costruito un tempio sublime e cele ste con le pietre vive delle anime, e con arte divina. Costoro sono con futati anche dalle parole che precedono. Geremia. «Nei suoi giorni (cioè del Messia) Giuda sarà salvato, e Israele abiterà sicuro». Quei giorni che nomina, essi vogliono che si riferiscano al Cristo, dalle cui mani sperano di essere ricondotti in quel regno antico e terreno, e di arricchirsi di sostanze terrene a loro libito. Noi invece diciamo che, per la grazia e l'insegnamento di Cri sto, le anime che lo vogliano, sia degli altri sia dei giudei, sono purifi cate da quell'antica colpa, per la quale purificazione possono abitare il corpo con questa fiducia, di risalire al mondo celeste dopo la corru zione del corpo stesso. Giuda, cioè il genere umano, che da Giuda, cioè dalla Giudea, ha tutta la sua origine, si salverà, se vorrà (si inten de) , ma da che cosa si salverà? Dalla colpa contratta tramite Adamo, e abiterà il cielo. Dobbiamo ricordare che Israele, nelle sacre lettere, talvolta significa gli uomini di qualunque stirpe, purché seguano il ve ro culto del Dio di Israele, anche se non siano discesi da Israele o Gia cobbe secondo il sangue s . Perciò Isaia, dove tratta del diffondersi del popolo di Israele, mediante la vocazione delle genti, sotto l'insegna mento del Messia, dice: «Effonderò il mio spirito sul tuo seme», ecc., e: «germineranno tra le erbe come salici vicino ad acque correnti». E nello stesso contesto dichiara che questo propagarsi del seme di Israe le o di Giacobbe non si deve intendere soltanto secondo la discenden-
B Fides implicita: di tale lettura sono passibili queste parole. Ma il contesto aspro, polemico rende opinabile siffatta ermeneutica, che pur sarebbe giustificata da altri passi del De Christiana religione.
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za corporale. Quindi aggiunge: «Costui dice: io sono del Signore, e sa rà chiamato nel nome di Giacobbe, e scriverà nella sua mano al Signo re, e nel nome sarà simile a Israele». Così parla Isaia. Chi dice: «lo so no del Signore di Israele», così è secondo la carne, riguardo al quale si aggiunge anche ciò: «E sarà chiamato nel nome di Giacobbe». Quello che segue nel testo, oltre queste parole, concerne coloro che sono simili a Israele nei pensieri e nei costumi. Quindi Rabbi Salomo ne, là dove interpreta tali parole: «E nel nome sarà simile a Israele», così dice: «Costoro sono quelli che si convertono dal culto dei genti li al vero culto di Dio, poiché sono degni di essere chiamati col nome di Israele». Questo scrive Salomone. Quando i profeti dicono che Israele sarebbe stato salvo sotto il Messia, non intendono questa o altra stirpe di uomini, ma tutti coloro che si rendono simili a Israele e Giacobbe nel culto e nella vita; se qual cuno volesse che, con questo nome di Giuda e Israele, in quel testo di Geremia fosse indicato soltanto il popolo proprio di Dio, accettiamo pure questa tesi. Ma quelli che hanno negato il Figlio di Dio sono de generi, e sono stati puniti dai romani 9; quelli tra i giudei che lo hanno seguito, molti e grandi uomini, erano da chiamare veramente con il no me di Israele, e i più eminenti tra loro, dopo che Dio ebbe dato un se gno, prima dell'assedio della città di Gerusalemme, fuggirono nel re gno del re Agrippa, che era amico dei romani, e si salvarono. Per cui Davide ha detto: «Hai dato un segno a quelli che ti temono, perché fuggano davanti all'arco». È degno di non poca considerazione ciò che l'apostolo Paolo ha vaticinato: cioè che alcuni giudei sarebbero stati pertinaci, fino a quando tutti i gentili, da ogni luogo, non si converta no a Cristo, e che anche loro alla fine dei secoli si dovranno converti re 10. Allegò anche quella profezia: «Verrà da Sion chi porta via e ri-
9 È innegabile che qui sia reperibile l'accusa al popolo " deicida" , accusa che il Concilio Vaticano II ha cancellato e fatto oggetto di censura. In sede storiografica, va ricordato che anche Dante, nel canto citato alla n. 3 , scrive: Con Tito a far vendetta corse l della vendetta del peccato antico. 1 0 Altro topos antiebraico, attinente alla conversione del popolo "pertinace" , al la fine dei secoli.
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muove la cattività di Giacobbe, e questo è il mio testamento per loro, quando toglierò i loro peccati». Così finalmente, nei tempi stabiliti, Giuda sarà salvato, e sarà allora quel che fu predetto in modo divino, un solo pastore e un solo ovile, allora si adempirà il detto di Zaccaria: «In quel giorno sarà un solo Signore, e uno il suo nome». Inoltre, il detto di Sofonia: «Allora renderò ai popoli il labbro eletto, affinché chiamino tutti nel nome del Signore, e servano con un solo omero». Aggiungi il detto di Ezechiele: «Allora muterò la cattività di Giacob be, e avrò misericordia per la casa di Israele». A questo detto è simile l'altro: «Ritrarrò la vostra cattività da tutti i luoghi». Ma quando saran no queste cose? Ogni giorno i giudei, tutti coloro che lo vogliono, so no liberati per mezzo del Messia dalla prigionia sia del peccato sia de gli uomini. Ciò sarà palese quando vorranno massimamente, cioè nel secondo avvento di Cristo, verso la fine del corso mondano. Allora il Messia con le armi muoverà contro gli empi quella guer ra, che Zaccaria predice nella futura guerra gerosolimitana, e poi sog giunge: «In quel giorno sarà un solo Signore», allora il Messia con for za diffonderà la sua ira sulle genti e i regni, come minaccia il profeta Sofonia, e aggiunge: «Allora renderò ai popoli» ecc., allora si adem pirà quella battaglia di Gog e Magog, descritta da Ezechiele, finita la quale predice Ezechiele che avverrà la redenzione di Israele: «Allora muterò la cattività» ecc. Quindi Cristo, nel primo avvento, ha rimes so soavemente con l'insegnamento, l'esempio e l'opera, i peccati di coloro che volevano. Nel secondo avvento agirà con più forza, pur gherà con più rigore, e caccerà con violenza i pertinaCi insieme con l'Anticristo, loro duce, così infatti esige l'ordine di Dio, della natura, della disciplina. Daniele. «Guardavo nella visione della notte, ed ecco nelle nuvo le del cielo veniva quasi un Figlio dell'uomo». Per questi motivi, e si mili, i giudei aspettano Cristo non umile d'abito e di fortuna, come noi abbiamo accolto Gesù, ma magnifico e potente, non sapendo che il suo avvento è duplice. È venuto una volta umile per essere giudica to, verrà alla fine magnifico per giudicare. Che ivi Daniele parli del l'ultimo giudizio del mondo, appare quando soggiunge: «Sono posti i troni, e sono aperti i libri». Che il primo avvento sia umile, l'abbiamo
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già dimostrato in precedenza in base a molti oracoli dei profeti, e a ciò si riferisce il detto di Davide: «lo sono un verme, e non un uomo, ob brobrio degli uomini, e abiezione della plebe, tutti coloro che mi han no visto mi hanno deriso, hanno parlato e hanno scosso il capo: " Spe rò nel Signore, lo tragga a sé, lo faccia salvo, poiché lo vuole" . Infatti sei tu che mi hai estratto dal ventre, tu sei la mia speranza dalle mam melle di mia madre, verso te mi volsi dall'utero, dal ventre di mia ma dre, tu sei il mio Dio, non ti allontanare da me». Nel medesimo luo go aggiunge molte cose che si riferiscono al medesimo fine, con som ma chiarezza. Alcuni giudei, leggendo oracoli diversi di un diverso avvento, in trodussero due Messia, uno figlio di Giuseppe, cioè discendente da Giuseppe, padre di Effraim, soggetto alla passione e alla morte; l'al tro discendente da Davide, che sono soliti chiamare figlio di Davide, e che risusciti l'altro Messia ucciso, e restauri con la sua potenza il re gno di Israele. Ma costoro manifestamente delirano. Le lettere sacre vogliono che la salvezza del genere umano dipenda da uno solo, e per mezzo di uno solo, e spetti a uno solo, e quando parlano del Messia, lo chiamano sempre prole di Davide, o da lui disceso, mai di Giusep pe padre di Effraim. Perciò Rabbi Mosè, nel libro dei Giudici, addu cendo tutte le principali opinioni sul Messia, conclude che il Messia sarebbe stato della stirpe di Davide, e non fa nessuna menzione di un altro Messia. Sono folli coloro che invano ne introducono due, ba stando uno. Quanto meglio noi, per mezzo di un solo Gesù, adempia mo tutti i vaticini, sebbene diversi, e li adempiamo a sufficienza. Poi ché quel Gesù, figlio di un Giuseppe quasi per adozione, o fama e cu stodia, e figlio anche di re Davide per parte di madre, che discende va da Davide, fu giudicato sprezzantemente una volta dagli uomini di questo mondo, e una volta ancora giudicherà il mondo con tutta la sua potenza. Isaia. «La luce della luna sarà come la luce del sole». Qui non parla del tempo del primo avvento, in cui non si doveva mutare l'or dine consueto del mondo, come abbiamo detto altrove, ma del seco lo dopo il secondo avvento di Cristo. Dopo l'ultimo giudizio non scompariranno i corpi celesti, o gli elementi, ma cesserà il moto, che
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è stato istituito in vista della quiete, e l'universo sarà più bello per l'esuberanza del lume. Aggiunge: «Allora sarà sanata la ferita del po polo, e la sua ferita lancinante, poiché sarà distrutta la mortalità, arre cata a noi per il peccato dei primi progenitori». Tutti gli uomini risor geranno alla vita immortale, ciò che molti profeti preannunciano pa lesemente. Le ragioni della resurrezione le abbiamo addotte in quella nostra Theologia che componemmo al Ponte a Rignano presso Gio vanni Cavalcante, il nostro Acate 1 1 , e lì aggiungemmo anche che Zo roastro e Mercurio e Platone avevano predetto la resurrezione dei corpi 12. Che molti profeti degli ebrei l'abbiano preannunciata, non è in dubbio per nessuno. Isaia. «Vedrà il seme longevo». Davide. «Porrò il suo seme nei secoli dei secoli». In questi due va ticini, Cristo è promesso come seme spirituale, non corporale, simil mente come sacerdozio e regno spirituale, quando si dice presso Da vide: «Tu sei sacerdote in eterno secondo l'ordine di Melchisedech, e porrò il suo trono come i giorni del cielo». Ancora: «li tuo seggio, Dio, nei secoli dei secoli, verga di direzione è la verga del tuo regno». E poco dopo aggiunge anche ciò che concerne il nome del Messia, di cendo: «Ti unse Dio, il tuo Dio con l'olio della letizia, più dei tuoi consorti. Egli fu unto e consacrato più eccellentemente di tutti i re, poiché da Dio stesso, e in eterno». A buon diritto aveva detto prima che era sacerdote secondo l'ordine di Melchisedech. Si dice, infatti, nei libri sacri che questo Melchisedech fu sacerdote del Dio sommo, ma che non fu unto con l'olio comune, né ricevette il sacerdozio per successione ereditaria, come era costume presso gli ebrei. Perciò si predice che, secondo l'ordine di quegli, Cristo sarà sacerdote, consa crato non con l'olio, ma con la virtù del celeste spirito.
1 1 Fidus Achates, l'amico di Enea, ossia il consueto richiamo ai paradigmi degli Antiqui, contro i Moderni. 12 Superfluo rammentare la condanna platonica della materia, condivisa da tan ta parte del pensiero classico (Porfirio non si rassegnava al suo essere corporeo) , con danna che Ficino qui ignora, e che costituisce il discrimine tra pensiero ellenico e cri stiano.
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Anche Natan ebbe l'ordine da Dio di predire tali cose al re Da vide riguardo al Messia, che sarebbe nato dalla sua stirpe: «Quando saranno compiuti i tuoi giorni, dormirai coi tuoi padri, e susciterò do po di te il tuo seme, che sarà del tuo ventre». Questi che nasce dopo la morte di Davide, non può essere Salomone, piuttosto è il Messia, re eterno, non temporale come Salomone, e che edifica a Dio un tem pio non temporale, come Salomone, ma eterno. Così parla Dio a Na tan: «E restaurerò il suo regno, questi .mi edificherà una casa in ono re del mio nome, ed erigerò il suo trono in eterno, io gli sarò padre, ed egli mi sarà figlio», si intende, perché il Messia è più Figlio di Dio che di Davide; e poco dopo aggiunge: «E il suo regno sarà in eterno davanti a me», ossia perché consisterà in beni spirituali, non corpora li. Perciò soggiunge: «E il suo trono sarà eretto in eterno». Maomet to, comprendendo questo regno meglio dei giudei pertinaci 13 , dice nel Corano: «Il Verbo di Dio, Gesù Cristo, figlio di Maria, fu manda to dal creatore del mondo, affinché fosse la faccia di tutte le genti in questo secolo e in quello futuro». ·Tale fu il regno di Gesù Nazareno, quale è promesso dai profeti fino a Cristo, e perciò egli dice: «li mio regno non è di questo mondo». Ai pontefici suoi successori lasciò l'impero nelle cose spirituali, né fino alla fine del mondo, nella sua sostanza, la giurisdizione prin cipale dei pontefici, in quanto sono pontefici e vicari di Cristo, si estende oltre. Il dominio e l'amministrazione delle cose terrene per i pontefici sono accessori, come un accidente, non in quanto sono vi cari di Dio, ma in quanto sono eredi del Cesare Costantino 14 . li che è detto non per togliere al pontefice l'autorità delle cose temporali, la possiede in realtà, sebbene come un qualche accidente, senza il quale per trecento anni, in passato, è stato pontefice vero, e può esserlo, ma 13 Hoc regnum Mahumethes intelligens melius quam pertinaces ]udaei: ancora, la parola tematica " pertinacia" , e il tentativo di confutare l'ebraismo tramite il Corano, malgrado la caduta di Costantinopoli e l'imminente testa di ponte che i turchi avreb bero stabilito, di ll a pochi anni, a Otranto nel 1480. 14 Ficino riconosce tuttora il Constitutum di Costantino, sebbene Valla e il Cu sano ne avessero denunciato la falsità. Non riconosce, però, l'autorità papale in tem
poralibus.
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per evitare più facilmente con questa verità i colpi dei giudei 1 5 . Là dove Daniele, sotto le figure di quattro bestie, significa quattro regni, tutti i giudei vogliono che sia inteso l'impero romano tramite la quar ta bestia. Poiché Daniele dice che la quarta bestia dovrà essere di strutta dal regno che sarà instaurato dal Dio del cielo, i giudei sosten gono, e spiegano, che l'impero romano debba essere distrutto all'av vento del Messia. Aggiungono che il regno della Chiesa è del tutto identico a quello romano dell'età antica, sebbene in confini più angu sti. Donde concludono che è un regno malvagio, dal momento che deve essere dissolto per mezzo del Messia da loro aspettato 1 6. Di ciò trovano una conferma, poiché Daniele dice che dalla quarta bestia na sce un piccolo corno, che proferisce parole contro l'Eccelso, quale vo gliono che sia stato Gesù e il suo vicario. Tale artificio interpretativo è falso: infatti l'essenza del regno romano consiste nelle cose corpora li, l'essenza del regno cristiano in quelle del tutto incorporali. Sono re gni diversi, e quindi anche oggi vediamo che il nostro imperatore è di verso dal pontefice. Inoltre Daniele dice che quel corno faceva guer ra contro i santi, e prevaleva su di loro. li che non si può dire in alcun modo riguardo a Gesù e al suo vicario, a lui simile. Aggiungi che, nel medesimo passo, Daniele predice che la quarta bestia perirà, quando verrà lui, come Figlio dell'uomo, sulle nubi del cielo. Tutto questo è destinato a compiersi nel secondo avvento di Cristo, allorché verrà a giudicare con maestà e potenza somma. Ma in nessun modo nel primo avvento, in cui è preannunciato da Daniele che sarebbe venuto non potente e magnifico, ma come pietra spezzata e abietta. Quel corno sarà l'Anticristo, piccolo di cer to, poiché trae origine dalla più vile feccia dei giudei 17. Aderisce al la quarta bestia, cioè alla potestà tirannica. Questa bestia significa la tirannide universale del mondo, dall'inizio di Roma fino alla fine del
15 Anche la difesa dell'autorità civile, ovvia per un intellettuale di casa Medici, è assunta nella polemica antigiudaica. 16 Ossia, la " congiura giudaica" , di cui si è fatto cenno alla nota 6, cap. 27. 17 Quia ex viliori ]udaeorum fece Antichristus trahit originem.
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mondo, ed essa cadrà insieme con il sommo tiranno Anticristo, al l' epoca del secondo avvento di Cristo in qualità di giudice, alla fine del mondo. Dice Daniele: «Siede il giudizio», e dice inoltre: «Subito la fine». Vi sono anche coloro che ritengono che tramite quel corno sia significato non solo l'Anticristo, ma anche la tirannica eresia, e la tirannide eretica di Maometto, re degli arabi, e che quest'ultima sia l'immagine dell'Anticristo 18, come Giovanni Battista fu immagine di Cristo. Che la quarta bestia significhi la tirannide universale, origina ta in qualunque parte del mondo, dai primi romani fino all' Anticri sto e alla fine del mondo, risulta da ciò: che anche tutti i giudei con cordano che, tramite la prima bestia, sia significata la tirannide uni versale del mondo, dall'inizio del mondo fino a Nabucodonosor. La fine, infatti, deve essere congruente all'esordio delle cose in base a una certa proporzione.
18 Ficino riprende l a credenza medievale, e dantesca, i n merito all'apostasia di Maometto, seminator di scandalo e di scisma (In/ , XXVIII, 3 5 ) .
Capitolo 29 CONTRO I GIUDEI, INFELICI IN COSPETTO ALLA VENDETTA DI CRISTO
Se qualcuno considera le storie degli ebrei, troverà che essi non furono mai oppressi da una grave sciagura, se non ogni volta che per petrarono qualche scelleratezza molto turpe. Prima della schiavitù ba bilonica caddero nell'idolatria, e riempirono del sangue dei profeti le vie della città di Gerusalemme (come si legge nel libro dei Re) , e com misero altri simili delitti, perciò patirono la schiavitù di settanta anni nella regione di Babilonia. Poi vissero secondo giustizia, fino al tem po del nostro Gesù Cristo, che non trattarono altrimenti che i profe ti mandati prima di lui, e per lui. Dopo aver ucciso Gesù, essendo pu niti più a lungo e più acerbamente di prima, è necessario asserire che essi abbiano perpetrato un delitto più atroce dell'idolatria e dell'ucci sione dei profeti. Quindi Geremia dice: «Non mi udirono, né porse ro il loro orecchio, ma indurirono la cervice, e si comportarono peg gio che i loro padri». La quale cosa dimostra che Gesù fu in realtà il vero Messia, e più che profeta, e più che uomo divino, anzi Dio. Di te, per favore, o giudei, perché in quel vostro volume di nuove leggi, il Talmud, che componeste circa quattrocento anni dopo Gesù, avete stabilito contro i cristiani leggi più crudeli di quanto poterono esco gitare Nerone e Domiziano l? Pur non essendo stati dispersi dai cri stiani, ma dai romani idolatri. Perché augurate i mali peggiori, soprattutto contro di noi, con esecrazioni tanto velenose, almeno tre volte al giorno, nelle vostre ce rimonie sacre, mentre noi preghiamo Dio per voi, e siamo più miti an-
1 Crudeliores adversum Christianos leges, quam Nero et Domitianus excogitare potuerunt, statuistis?
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che dei maomettani nei vostri confronti? Pensate forse che la legge cristiana sia più vile di quella maomettana? No, anzi più elevata. Ma la natura stessa istiga occultamente i vostri animi, come ritengo, al l' odio dei cristiani, poiché a causa di Gesù Cristo la giustizia divina vi colpì. Si può vedere in qual modo, pur senza saperlo, avete aperto la strada alla vendetta cristiana 2. Di certo, poiché molti tra voi, per em pia negligenza e ignoranza delle Scritture, non credettero che Gesù, senz' armi, fosse il vero Messia. Quindi, o aspettandolo tra breve, co me dice Svetonio 3, o (come molti tra voi opinavano) avendone già un altro, che fosse forte nelle armi, vi ribellaste audacemente ai romani, e per questa ribellione la città fu distrutta dalle fondamenta, gli uomi ni furono uccisi e dispersi. Queste notizie riceviamo da Svetonio. Siete perduti, poiché non avete creduto a Gesù Cristo, ciò che possiamo corroborare con le parole del vostro Giuseppe, che adduce molti segni dell'indignazione divina contro i giudei, nonché prodigi molto evidenti e orribili, e afferma che, quando vi era la massima af fluenza di popolo, fu assediata dai romani la vostra città di Gerusa lemme, in cui si era radunata quasi tutta la Giudea per la festività de gli azimi. È certo, altresì, che in quei medesimi giorni, alcuni anni pri ma, voi avete ucciso Gesù. Aggiunge che Tito, il quale aveva assedia to la città, a causa dei molti portenti era solito dire che Dio era così irato contro i giudei, da temere che si irritasse anche con lui, se aves se risparmiato i giudei. Quindi, sebbene Tito non fosse crudele, e ne anche Vespasiano, sotto l'impulso divino, si agì con maggiore crudel tà, anzi con maggiore giustizia, rispetto all'usanza solita dei romani. In quella città perirono per fame e ferro più di un milione e centomila giudei, furono venduti più di novantamila prigionieri. Questo narra Giuseppe, che fu anche presente. Lo stesso ripete Eusebio. Giuseppe aggiunge: «Tito, mentre va in giro, visti i valli pieni di cadaveri, e la terra patria rigata di sangue umano, levate le mani al cielo con un ge-
2 Quo pacto Christianae vindictae quamvis inscii aditum pate/ecistis.
3 Storico romano, autore dd De vita Caesarum, le cosiddette «Vite dei dodici Cesari» (1-11 secolo d.C. ) .
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mito profondo, invoca Dio come testimone che tutto ciò non era ope ra sua». E così prosegue: «Ritengo che, anche se le armi dei romani avessero cessato alquanto di infierire contro gli empi, o per lo spalan carsi della terra, o per un diluvio, o per fuochi e fulmini scagliati dal cielo, al modo di Sodoma, la città avrebbe patito il supplizio della morte, poiché aveva prodotto questa stirpe presente di uomini, più infausta e più iniqua di coloro che avevano pagato il fio di tali colpe già rammentate, colpe per le quali anche ogni altra gente meritava del pari di essere sterminata» 4. Lo stesso conferma Filostrato, nella vita di Apollonio di Tiana, con queste parole: «Tito, presa Gerusalemme, aveva riempito di ca daveri tutti i luoghi attorno. Le genti vicine avrebbero voluto incoro narlo per la vittoria, ma egli rispose di essere indegno di tale onore: non lui era stato l'autore di tali opere, ma aveva fornito le sue mani a Dio che mostrava la sua ira contro i giudei». Questo scrive Filostrato. Fu presente in quell'assedio Vespasiano che, dopo aver trionfato dei giudei, distrutta la città, come narra Svetonio, subito fece due prodi gi davanti al popolo. Infatti guarì un cieco e uno zoppo solo toccan doli 5. Tuttavia non si racconta che egli abbia mai fatto qualcosa del genere né prima né dopo, come se avesse compiuto quei miracoli con l'ausilio divino, subito dopo aver vendicato il sangue cristiano per di vina ispirazione. Infatti, sebbene fosse molto giusto, non era di tale virtù o dottrina o arte da sembrare che potesse fare miracoli. Clemen te ed Egesippo, discepoli degli apostoli, scrivono che Giacomo, fra tello del Signore, fu così eccellente per la sua giustizia, secondo l'opi nione di tutti, che i più saggi dei giudei credevano essere stata questa la causa dell'assedio di Gerusalemme, avvenuto sotto Vespasiano su bito dopo l'uccisione di Giacomo, cioè che avevano rivolto contro di lui le loro mani scellerate, e Giuseppe indica così con tutta evidenza che tale è la sua opinione. «Tutte queste sventure - dice - accaddero
4 La vendetta del deicidio, vuoi dire Giuseppe Flavio (o piuttosto Ficino) , avrebbe colpito meritatamente tutto il genere umano 5 Un preannuncio, si direbbe, dei " re taumaturghi" .
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ai giudei come vendetta del giusto Giacomo, che era fratello di Gesù, detto il Cristo. li quale, uomo giustissimo e piissimo, per unanime ri conoscimento, i giudei uccisero» 6: ciò egli scrive. Che Dio li abbia mandati in rovina per vendicare il sangue cristia no, si evince dal fatto che non perpetrarono in quei tempi nessun al tro delitto per cui sembri che Dio si dovesse indignare così aspramen te; tuttavia era molto indignato, la qual cosa lo stesso Giuseppe, che era presente, così chiarisce nel settimo libro della Guerra giudaica. «Alcuni uomini pessimi e ingannatori, dice, vaticinando il falso, persuadevano il popolo infelice, affinché non credessero ai segni evi denti e alle prove dell'ira e dell'indignazione divina, con cui si mani festava apertamente la distruzione futura della città e della stirpe, ma quasi folli, privi di occhi e di spirito, disprezzavano tutto quello che si annunciava dal cielo. Per tutto un anno si vide una stella molto lu cente, simile a una spada, pendere sulla città, e ardere una cometa con fiamme esiziali. Ma prima che avvenisse la distruzione, e la guerra, mentre si radunavano i fedeli per la festività degli azimi, nel giorno ot tavo del mese di aprile, di notte, all'ora nona, un fulgore luminoso, e così grande, circondò l'altare e il tempio, che tutti credevano essersi fatto giorno chiarissimo, e rimase per mezz'ora: agli inetti e agli igna ri sembrava un segno di prosperità. Ma ai giurisperiti, ai dotti, a tutti i saggi onesti non sfuggì il portento esiziale. Inoltre, nella medesima festività, una vitella, portata al sacrificio, e davanti all' altare, tra le ma ni stesse dei ministri, partorì un'agnellina. Ma anche la porta più in terna del tempio, che era rivolta ad oriente, pur rivestita di piombo solido, e di peso immenso, tale che era chiusa con grandissimo sforzo da venti uomini, ed era tenuta chiusa con sbarre di ferro orizzontali e verticali, all'improvviso, all'ora sesta della notte, spontaneamente si aprì. Ma trascorsa la festa, dopo alcuni giorni, nel ventunesimo gior no del mese di maggio, apparve una visione prodigiosa, e quasi incre-
6 Atti 12, 2. ll santuario di Santiago (cioè san Giacomo) de Compostela, Spa gna, dove la tradizione riteneva che fosse stato traslato il corpo di Giacomo, fu una delle mete principali dei pellegrinaggi in tutto il Medioevo.
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dibile, ciò che sarebbe ritenuto falso, se la sventura che ne seguì, ap portatrice di mali, non avesse confermato l'oggetto della visione. Presso al tramontare del sole, si videro carri e quadrighe muoversi per l'aria, in ogni dove, e coorti di armati mescolarsi alle nubi, e circon dare la città con schiere sorte d'improvviso. Nell' aitro giorno festivo, chiamato Pentecoste, i sacerdoti entrati nel tempio di notte per svol gere i riti secondo la consuetudine, dapprima avvertono alcuni movi menti e strepiti, poi odono voci repentine, che dicono: "Andiamo via di qui " . Si aggiunge qualcosa d'altro, più terribile: un certo Giovan ni, uomo plebeo e rustico, figlio di Anania, prima del quarto anno della guerra, quando la città era in pace e in abbondanza, nella festa dei tabernacoli, cominciò a gridare tutto a un tratto: " Guai dall'orien te, guai dall'occidente, guai dai quattro venti, guai sopra Gerusalem me, e sopra il tempio, guai sopra gli sposi e le spose, guai sopra il po polo " , e senza sosta di giorno e di notte gridava ciò, girando per tut te le strade, finché alcuni maggiorenti del popolo, quasi mossi dall'in dignazione del presagio infausto, afferrano l'uomo e lo fanno frusta re. Ma egli senza dire nulla per sé, e senza neanche supplicare coloro che stavano intorno a lui, ripeteva le medesime parole con uguale ostinazione e clamore. Allora i maggiorenti, comprendendo (come era in effetti) che in quell'uomo si agitasse la divinità, lo conducono al giudice romano, presso cui dilaniato dalla sferza fino alle ossa, non emise preghiere, né lacrime, ma proferiva le medesìme parole, in ma niera miserevole, e pronunciandole con un ululato, quasi a ciascun colpo. Diceva: "Guai, guai a Gerusalemme"». Fin qui Giuseppe. Ma prima di lui Gesù così aveva predetto: «Guai a quelle che sa ranno incinte e allatteranno, in quei giorni. Pregate affinché la vostra fuga non sia d'inverno, né di sabato. Grande sarà la tribolazione, qua le non fu dall'inizio del secolo fino ad oggi, né sarà». Vedendo la cit tà, Gesù pianse su di essa, dicendo: «Oh, se avessi riconosciuto anche tu in questo giorno ciò che appartiene alla tua pace. Ora è nascosto ai tuoi occhi. Verranno i giorni sopra di te, e i tuoi nemici ti circonde ranno con un vallo, e andranno intorno a te, e ti assaliranno da tutte le parti, e trascineranno a terra te e i tuoi figli, e sulla terra sarà una grande sventura per questo popolo, e le spade si abbatteranno sui vol-
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ti, e i prigionieri saranno condotti tra tutte le genti. Gerusalemme sa rà conculcata dalle genti finché non siano compiuti i tempi delle gen ti stesse. Quando vedrete Gerusalemme circondata da un esercito, al lora sappiate che si appresserà la sua desolazione». Predisse anche al tre cose simili a queste, e se qualcuno le confronti con la storia di Giu seppe, non potrà dubitare della divinità di Cristo. Che cosa risponderete, o infelici, di fronte al fatto che non siete stati afflitti soltanto una volta, o per breve tempo, come sono soliti co loro che espiano umani delitti, ma pagando il fio di lesa maestà a Dio sempitemo, dovunque e sempre errate miserevoli, né ciò avviene sen za ragione 7. Sempre peccate, sia perché siete pertinaci, sia perché ri fiutate il mistero di Cristo. Sebbene molte nazioni abbiano resistito ai cristiani, tuttavia con più rigore degli altri voi siete puniti, a buon di ritto, e sarete puniti, poiché già onorati da Dio un tempo, al di sopra di tutti gli altri, siete stati troppo ingrati, avete ucciso i profeti e Cri sto. Primi tra tutti avete avversato i cristiani, in Giudea con le rapine e la morte, e in qualsivoglia luogo dei popoli gentili con le insidie. Ec citavate dovunque contro di loro le forze delle genti, e quindi, per l'esempio e l'istigazione di molti giudei, i cristiani erano tormentati in varie circostanze. Ma il condottiero celeste rinnovava in modi mirabi li, e accresceva magnificamente, il suo esercito dovunque avesse subi to perdite. Anche Maometto riconosce che siete stati dispersi per la vendetta di Cristo s, e dice nel Corano che Dio strappò l'anima di Ge sù dalle mani dei giudei 9, la ricondusse .a sé e la esaltò, e prepose i se guaci di Cristo ai loro persecutori fino alla fine del mondo e al giudi zio. E stabilì di affliggere con tormenti sommi, in questa e nell'altra vita, i giudei increduli, privati di ogni vindice e tutore.
7 Tanquam sempiterno Dea poenas pro laesae maiestatis crimine dantes, et ubique et semper miserabiles oberratis, neque id quidem iniuria. ll crimen laesae maiestatis è,
ovviamente, il deicidio. 8 Ancora una volta, Ficino produce l' auctoritas di Maometto, del Corano, nella sua polemica antigiudaica. 9 Il docetismo non è soltanto un'eresia dei primi secoli cristiani, ma il rifiuto della realtà più intima del cristianesimo: il Dio che si fa carne.
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Ma udite il vostro Mosè egizio, nel libro dei Giudici ordinari, che così scrive: «Gesù Nazareno parve essere il Messia, e ucciso per sen tenza dei giudici, fu causa della distruzione di Israele tramite la spa da». Questo egli scrive. Ma la divina giustizia, sebbene vi abbia op presso, subito dopo la morte di Gesù, quasi ogni anno fino a Tito, con diverse e gravi calamità e stragi, ciò che narrano Floro, Giuseppe, Fi lone, Eusebio, tuttavia procrastinò quella grande distruzione della vo stra città all'anno quarantesimo dopo Gesù, perché voi aveste tempo di pentirvi, e l'esordio della legge cristiana dalla vostra città così illu stre, allontanata la confusione dei fatti e dei tempi, si rendesse più splendente per tutti i secoli. Avvenne anche che, quando la vostra cit tà era fiorente, i cristiani abbiano potuto essere tormentati da voi con più violenza, ed essere giudicati con più rigore. Cristo vi punì con le mani degli idolatri, non dei cristiani, per mostrare che i suoi cristiani devono vivere e possono regnare senza alcuna violenza. E punì in mo do così mirabile, che nulla di più miserevole Cristo disse o che fosse stato o che sarebbe stato, e Giuseppe confermò. Leggete il quin�o li bro di Giuseppe riguardo a questi avvenimenti, vedrete anche che le madri divorarono i figli per la fame IO . Ma per essere breve, nessuna tragedia più luttuosa si può escogitare, e un giorno il vostro popolo predisse che questa infelicità sarebbe venuta per vendicare Cristo. In fatti quando Pilato disse: «lo sono innocente del sangue di questo giusto, voi ne siete responsabili», essi risposero: «li suo sangue sopra di noi, e sopra i nostri figli».
SI RIASSUME LA PROVA DELLA VENDETTA CRISTIANA IN TRE PUNTI
Poiché ogni giorno riflettete sulle varie cause di questa vostra sventura, al fine di sottrarvi alla colpa dell'uccisione di Cristo, ripren dendo tutto il discorso dall'inizio, organizziamolo in tre punti. RiteIO Anche Dante ricorda l'episodio sconvolgente: Quando Maria nel figlio diè di becco l (Purg. , XXIII, 3 0 ) . Flavio Giuseppe, Bellum ]udaicum, VI, 3 (è questa la cita
zione esatta, e diversa da quella offerta da Ficino) .
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niamo necessario che tre elementi soprattutto debbano concorrere in quel delitto, per la cui colpa siete dispersi. In primo luogo, ciò che dall'inizio abbiamo trattato: quel delitto è molto più grave della col pa, per cui un tempo foste dispersi in Babilonia, e tanto più grave quanto peggiore è la vostra condizione dopo Gesù, in confronto a quell'esilio. È noto che questa sventura ebbe origine dall'eccidio or rendo dei vostri, e dalla loro vendita a vile prezzo; altre sventure eb bero luogo spesso e varie volte, in modo grave prima di Tito e dopo Gesù, a Gerusalemme sotto Tito, in Mesopotamia sotto Traiano, a Bi ter sotto Adriano, e qua e là sotto Gallo. Nella tribolazione che vi fu prima di Cristo, le cose andarono diversamente. Aggiungete che sot to Claudio, oltre a tutte le altre sventure, Dio vi oppresse con una fa me terribile, come dice Luca, e anche Giuseppe asserisce che essa fu grande in Giudea al tempo di Claudio. Inoltre nelle altre dispersioni da voi subite, avevate ovunque condottieri eminenti del vostro san gue, e conservavate integro il culto legittimo delle vostre cerimonie, ma non in questa odierna. Dio vi consolava allora con l'invio dei profeti, i quali prometteva no una sollecita liberazione, come Geremia ed Ezechiele, o la indica vano già prossima, come Daniele, Esdra, Aggeo e Zaccaria. Da ciò ap pare che Dio vi ha tenuti allora in qualità di figli, non di nemici, co me oggi. Infatti, dopo Gesù non avete alcun profeta, ciò che vi ha: mi nacciato il salmo: «Ormai non vi è profeta, e non vi riconoscerà più». Perché Dio vi ha privato della vita, in massima parte, e del sacerdo zio, del regno, dei profeti? Per mostrare che già da tempo vi aveva condannato come ribelli, privati di ogni speranza ed eredità divina. Come potete aspettare il Messia da colui dal quale non ottenete i banditori e le figure del Messia I l ? Infine, altre volte siete stati scac ciati per un breve tempo, e in certe regioni, ma dopo Gesù per un tempo lunghissimo, anzi senza fine, e per tutto il mondo, poiché
11 A quo Messiae praecones et similitudines minime impetratis. Intendiamo simi litudines nel senso dell'interpretazione " figurale " , mentre praecones sono i profeti, di cui è stata dichiarata la scomparsa definitiva.
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quando uccideste Gesù avete peccato contro Dio stesso, che è sem pre e in ogni dove; quando uccideste i profeti, avete peccato contro i nunzi di Dio; quando veneraste gli idoli, avete strappato il regno a Dio, per quanto era in voi; che cosa vi restava, se non aggredire la per sona propria di Dio 12 ? S e dunque uccidendo Gesù avete commesso u n delitto maggiore della strage dei profeti e dell'idolatria, allora di certo avete infierito contro Dio, e viceversa, se avete proteso le mani empie su Dio, ciò po té avvenire quando le protendeste contro Gesù che, unico nel mon do, e con le sue sole virtù e i prodigi, dimostrò di essere il vero Figlio del sommo Dio, e di essere Dio. Basti ciò che si è detto fin qui riguar do al primo punto. In secondo luogo, appartiene a questa vostra colpa, per cui vive te infelici in esilio, che essa sia comune a voi tutti, dovunque e sem pre; ciascuno di voi e tutti insieme, di continuo, presso qualsiasi gen te, conducete una vita misera. Non si può pensare nessun altro delit to, di cui siate responsabili, .ciascuno e con assiduità, se non che di sprezzate la vita di Gesù e dei suoi discepoli, e ne approvate la mor te, e quindi siete partecipi della morte di Cristo, ciò che Geremia co sì espresse: «Perché volete contendere con me in giudizio? Tutti voi avete peccato contro di me». Poiché condannate il vitello fabbricato in Oreb, o l'uccisione dei profeti, o altre immani scelleratezze, di qualsivoglia natura, dei vostri antenati, e poiché vi manca ogni incli nazione a uccidere i profeti, o a fabbricare gli idoli, ne segue che in nessun modo siete partecipi di quelle scelleratezze. Delirano coloro che vi ritengono oppressi da questa calamità per il culto degli idoli, o per l'uccisione dei profeti 13 . n terzo aspetto attinente alla colpa, che è causa di tanta infelici tà, sembra essere questo: che essa è occulta e a voi ignota, dato che in quel libro talmudico, intitolato Magnila, si chiede perché agli esuli in 12 Il deicidio è qui teorizzato sulla scorta dell'unione ipostatica. 13 L'ebreo errante e sofferente riceve una dubbia giustificazione teologica, seb
bene il topos abbia registrato una lunga fortuna nella letteratura antiebraica, cui Pici no SI ascnve.
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Babilonia fu predetto il termine dell'afflizione, ciò che Geremia così attesta: «Dopo che saranno compiuti settanta anni in Babilonia, vi vi siterò». Ma agli esuli dopo Tito non è stata mai predetta alcuna fine delle miserie. A questa domanda si risponde ivi brevemente così: «Al lora fu mostrata ad essi la fine dei mali, come anche fu rivelata la col pa, per cui pativano i mali, ma a costoro ai quali è ignota la colpa, è ignota anche la fine». Questo si legge colà. Nessun'altra vostra comu ne scelleratezza è del tutto ignota a tutti voi, eccettuata quella che i vostri commisero contro Gesù, e che voi approvate. Non soltanto non sapete che è cosa malvagia, ma pur essendo pessima, ritenete che sia ottima.
Capitolo 3 0 CONFERMA DELLE NOSTRE CREDENZE IN BASE A QUELLE GIUDAICHE, CONTRO I GIUDEI, RIGUARDO AI LIBRI SACRI
Portate in giro ovunque e sempre (per volontà di Dio) , o giudei, i libri ebraici dei profeti, da cui è possibile comprendere a chiunque che i cristiani non inventarono i vaticini dei profeti; ciò che Davide disse: «Il mio Dio ha testimoniato per me grazie ai miei nemici, non li uccidere, perché non dimentichino la tua legge, propagali ovunque con la tua virtù». Così, vostro malgrado, siete ovunque testimoni del la nostra verità. Anche noi abbiamo i sacri testi dei profeti, tradotti da molti, dopo Cristo, in lingua greca e latina. Abbiamo inoltre quella traduzione fatta presso il re Tolomeo, più di trecento anni prima di Cristo, da settantadue giudei, scelti tra tutto il popolo dal pontefice Eleazaro, come i più dotti tra tutti. Il che scrivono il greco Aristeo, amico di quel re, e che fu anche presente ai lavori, e Giuseppe. Ag giungono che il re, a causa di questa traduzione, riscattò dalla schia vitù col suo denaro centomila giudei, che erano schiavi in Egitto, elar gì doni incredibili al tempio e al pontefice, onorò i traduttori in mo do meraviglioso. Di questa traduzione io faccio uso molto volentieri, per convincere questa perfida plebaglia giudaica l con le armi egregie di quegli illustri giudei. Né si può pensare che quei volumi, i quali già da tempo erano diffusi nel mondo, siano stati corrotti dai cristiani, so prattutto dai primi che, venerandoli come cosa inviata dal cielo z , di fendevano con il sangue i loro misteri.
l Ut perfidam hanc plebaculam [sic] ]udaicam . . . convincam: "perfida " , parola chiave, come già si è detto più volte (plebecula è la populace francese, o canaille) . 2 In effetti, i primi cristiani fecero uso frequente del testo dei Settanta.
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Vengo ai miracoli, che non negate, anzi in molte vostre storie con fermate che sia gli apostoli sia Gesù fecero miracoli. Ma alcuni di voi dicono che Gesù, mendico presso gli egizi, nella sua fanciullezza, impa rò in pochi anni a perfezione la magia, disciplina estremamente ardua, che tanti e sommi filosofi, andando Il da ogni dove, anche se in età ma tura, non poterono imparare nel corso di molti anni, neanche in mini ma parte. Quale mago mai, dopo essere stato catturato e ucciso dall' au torità pubblica, con somma ignominia, poté ottenere subito di essere ri tenuto ovunque il sommo Dio? Di quale magia hanno fatto uso, dopo la morte di Gesù, quei rozzi pescatori, i quali è necessario che abbiano fatto miracoli, altrimenti Gesù ucciso avrebbe perso in breve tempo, e del tutto, la sua autorità? Se erano maghi, perché non predicavano se stessi, come sogliano fare gli uomini ambiziosi, piuttosto che Gesù mendico, ucciso dall'autorità pubblica con una morte infame? Con quale arte quei rozzi pescatori irretirono, fino a sostenere la morte, Pao lo e Apollo giudei, uomini dottissimi tra tutti, e molti altri assai eruditi e famosi? Del pari, Paolo ingannò Geroteo e Dionisio Areopagita, filo sofi eccellentissimi tra tutti i platonici, e gli altri simili? Quale piacere, quale utilità era proposta dalla magia a loro, che ogni giorno affronta vano il pericolo non per amore di sé, ma di Cristo? Giustino, filosofo eccellente, nel libro scritto all'imperatore Antonino in difesa della no stra religione, dice: «lo stesso, educato nelle scuole platoniche, senten do parlar male dei cristiani, e vedendoli impavidi affrontare la morte, e sopportare ogni supplizio, consideravo che era impossibile che essi vi vessero nella malizia e nella libidine». Questo egli dice. Ma ascolta Tertulliano, vicino all'epoca di Giustino, che così escla ma arditamente, rivolgendosi ai giudici romani: «Per il timore o per il pudore, innati per natura, i malfattori bramano che ogni malvagità ri manga occulta, evitano che essa appaia, temono di essere catturati, ne gano quando li si accusa, neanche sotto tortura confessano facilmente o sempre, si lamentano se sono condannati, danno in escandescenze contro se stessi, attribuiscono al fato o agli astri le pulsioni della loro mente prava. Non vogliono che la colpa sia loro propria, poiché rico-
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noscono il male. Che cosa di simile avviene ai cristiani? Nessuno si ver gogna, nessuno si pente, se non del suo indugio. Se è infamato, si glo ria; se è accusato, non si difende; se è interrogato, confessa anche spon taneamente; se è condannato, rende grazie. Che male è questo, che non conosce timore del martirio, né vergogna, o qualche sotterfugio, penti mento, pianto? Che male è questo, di cui l'imputato si rallegra, l'accu sa è oggetto di desiderio, la pena è ragione di felicità?». Rimprovera inoltre la temerità dei giudici gentili, poiché senza aver mai trovato al cun crimine, condannavano crudelmente i cristiani a causa del solo no me della loro setta, non indagavano, né volevano ascoltare dai cristiani che cosa tale setta volesse o pensasse. Come ho già detto, il fine santis simo di questa religione dimostra con chiarezza che Cristo e i suoi di scepoli effettuarono i miracoli non per magia, ma per opera divina. Vi è tuttora presso di voi un libro sulla vita di Gesù Nazareno, in cui si legge che Gesù, tra gli altri miracoli, che in gran numero lì si narrano, risuscitò anche un morto, poiché egli solo sapeva pronuncia re in modo corretto quel nome proprio di Dio che presso di voi è ve nerando più degli altri, dato che consta soltanto di quattro lettere, ed essendo quelle vocali, si pronuncia con maggiore difficoltà di tutti; es so suona all'incirca in questo modo: «Hiehouahi», cioè fu, è, sarà, e ciò ritiene la maggior parte degli ebrei. Se è così, non essendovi pres so di voi nulla di più santo che questo nome, e non potendo esso av valorare qualcosa di profano, senza dubbio è divina la dottrina del nostro Cristo, la quale crebbe, come voi dite, in virtù di quel nome di vinissimo, come noi asseriamo, in virtù di Dio.
LA TESTIMONIANZA DI GIOVANNI BATTISTA E DI GIUSEPPE
Smettete di delirare, o giudei, tanto folli quanto infelici 3 , crede te voi a quell'uomo divino, che tutto il mondo senza dubbio onora, a
3 Desinite iam delirare Judaei tam insani quam miseri:
la-spia dell'invettiva ficiniana.
anche " delirare" è paro
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Giovanni Battista, che, come dice Giuseppe, era veramente l'esempio di tutte le virtù, e da tutti era stimato tale? A lui, come a un oracolo, si dirigeva da ogni parte una grandissima turba di giudei e di altri uo mini. Questo Giovanni affermò in pubblico che Gesù Nazareno era di certo il Messia, e comandò a tutti di seguirlo, altrimenti non tutti coloro che allora hanno parlato di Gesù, avrebbero preso le mosse dalla testimonianza di Giovanni e dalla sua autorità, e non l'avrebbe ro celebrato con lodi mirabili. È chiaro a chiunque che la vita di Ge sù e quella di Giovanni sono narrate insieme dagli evangelisti. Poiché anche Maometto non ignorava la loro ami cizia, esaltò la nascita, la vi ta, i meriti di entrambi, cioè di Giovanni Battista e di Gesù, nel me desimo capitolo del Corano 4. Chiamò Gesù Spirito e Verbo di Dio, e nello stesso passo dice che Giovanni è un grande profeta, che confer mò il Verbo divino, e certamente lo confermò in tal maniera che Ge sù ebbe da Giovanni i suoi primi discepoli. Infine ascoltate che cosa il vostro Giuseppe dice di Cristo nei li bri sulle Antichità giudaiche, che scrisse in greco, come si leggeva, e si legge, negli antichi esemplari sia greci sia latini, prima di Costantino, ciò che attestano Girolamo ed Eusebio; né tanto si potevano corrom pere i libri che erano diffusi così universalmente, ed erano ritenuti da tutti come autorevoli in sommo grado, in particolare in quel tempo in cui i cristiani erano soggetti ai loro calunniatori, in ogni luogo e più di tutti, e nondimeno non li ritrovo censurati da nessuno dei loro nemi ci, per aver corrotto i libri di Giuseppe o dei profeti. Ma veniamo a Giuseppe 5. «Vi fu in quei medesimi tempi - dice - Gesù, uomo sa piente, se tuttavia è lecito chiamarlo uomo, era infatti operatore di co-
4 Un'altra modalità dell'argomentare, del condurre la controversia con i giudei, da parte di Ficino, e che abbiamo rilevato: si oppone l' auctoritas del Corano alla " per vicacia" dei giudei. 5 Ficino si appresta a citare il celeberrimo e controverso «Testimonium Flavia num», che si legge nelle Antiquitates ]udaicae, XVIII, 63 -64. La questione è tuttora aperta tra gli storici e i filologi: alcuni lo ritengono interpolato per una pia /raus dei cristiani, altri ne sostengono l'autenticità. Degno di nota il fatto che la tradizione ma noscritta è concorde, e non presenta lacune.
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se mirabili, e dottore di quegli uomini, che ascoltano volentieri ciò che è vero, e trasse a sé molti tra i giudei, e molti anche tra le genti. Questi era il Cristo (altre erano le credenze, le attese a suo riguardo) . Dopo che Pilato ebbe deciso che questi fosse crocifisso, per l'accusa dei notabili della nostra gente, non fu abbandonato da quelli che l'amarono fin dal principio. Apparve a loro, di nuovo vivo, il terzo giorno, come i profeti ispirati da Dio avevano predetto, a suo riguar do, sia in merito a ciò, sia ad altri innumerevoli miracoli. Ancora og gi continuano il nome e la setta dei cristiani, che da lui prendono il nome». Altrove dice anche così: «Anania il giovane, protervo e arrogan te nei suoi costumi, fece lapidare il fratello di Gesù, detto il Cristo, di nome Giacomo, e moltissimi altri, accusandoli di agire contro la leg ge. Coloro che sembravano i più moderati della città, e si preoccupa vano dell'osservanza della legge, non tollerarono ciò, e mandarono di nascosto un'ambasciata al re, pregandolo di scrivere ad Anania di non perpetrare più tali misfatti, dato che in precedenza il re stesso si era comportato male». Questo scrive Giuseppe nel libro ventesimo delle Antichità.
LA RESURREZIONE DI CRISTO Non osate negare gli altri miracoli di Gesù, poiché sono stati fat ti spesso, in gran numero, e davanti al popolo, e da molti sono esalta ti. Ma negate la resurrezione, sebbene molti abbiano scritto su di es sa, poiché non fu nota a tutti. Però vedete che la resurrezione trova conferma in Giuseppe. Non sapete che non era opportuno che quel corpo di Gesù, reso immortale e divino dopo la resurrezione, fosse vi sto dagli occhi di un qualsivoglia mortale, ma soltanto da coloro che fossero stati prescelti come testimoni per gli altri da Dio? Videro Ge sù resuscitato dai morti per quaranta giorni, spesso e più volte, e non soltanto gli apostoli o i discepoli, ma anche più di cinquecento fedeli radunati insieme, ciò che testimonia l'apostolo Paolo, dicendo che molti di loro erano ancora vivi, mentre egli scriveva.
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Che Gesù sia risorto veramente, non è testimoniato soltanto da questi, ma anche da migliaia e migliaia sia di giudei sia · di gentili, che al pari di quelli affrontarono volontariamente una morte sicura e cru delissima, uccisi per mano pubblica e ignominiosamente per la sola gloria di Gesù. È degna di derisione, quindi, quella storia da voi in ventata, che i discepoli abbiano nascosto il suo corpo, sottratto dal se polcro, nell'orto, tra le erbe, ma che poco dopo esso fu scoperto da ministri inviati a questo scopo dal pontefice. O troppo imprudenti e inetti, perché non avete sospeso quel cadavere nel foro? Se volevate eliminare completamente la gloria di Gesù, così tutti senza indugio avrebbero abbandonato la setta nazarena.
Capitolo 31 CONFERMA DELLA TRINITÀ DI DIO E DELLA DIVINITÀ DI CRISTO SULLA BASE DEI TESTI GIUDAICI
Perché vituperate la divina Trinità, ignari al tutto dei vostri miste ri? Leggete i commenti dei vostri interpreti sul salmo: «Dio, Dio Si gnore parlò, e chiamò la terra». In quei commenti si chiede perché il salmo invoca Dio tre volte, e si risponde: per mostrare che Dio creò il secolo con questi tre nomi, secondo tre proprietà, in base a cui fu crea to il mondo. Queste sono la sapienza, la scienza e la prudenza, come si legge nei Proverbi di Salomone: «Dio nella sua sapienza fondò la ter ra, ordinò i cieli nella sua prudenza, e nella sua scienza erompono gli abissi». Dio è nominato tre volte anche nell'Esodo: «lo sono il Signo re Dio tuo, Dio Zelatore». Ecco tre nomi divini secondo tre proprietà di Dio, con cui tutte le cose sono costituite. Similmente si legge nel li bro di Giosuè: «Dio, Dio Signore, lui conosce». Questo si legge ivi. Una simile spiegazione troverete nei vostri commenti sulla Genesi, so prattutto in quella parte: «In principio Dio creò il cielo e la terra». Lì Rabbi Eleazaro dice: «Non fu creato il mondo se non per mezzo del Verbo, o insieme con il Verbo di Dio, come è scritto nel salmo: "I cie li sono stabili per il Verbo del Signore"». E prosegue nel medesimo passo, dice Rabbi Simeone: «Dio spirò, o insufflò, lo Spirito santo, e fu creato il mondo, come si legge nel salmo: "Con lo Spirito della sua bocca ogni loro virtù"» (altra lettura: esercito) . Questo si trova ivi. Negate che Dio abbia un Figlio naturale, cioè della medesima na tura, tuttavia Dio dice nei Salmi: «Tu sei mio figlio, oggi io ti ho ge nerato». Né ciò si può dire degli angeli e delle anime, che non sono stati generati, ma creati 1 . Non procedettero infatti dalla sostanza di l La diade del genitus e del factus, cioè della generazione eterna (ad intra, il Fi· glio è " consustanziale" ) e della creazione ad extra di enti finiti, contingenti.
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Dio, ma dal nulla, quindi anche se talora nelle Sacre Scritture sono detti figli di Dio, non si dice mai che siano stati generati da Dio. Inol tre, disse: «Oggi», cioè nell'eternità; oggi, cioè in quello stato presen te dell'eternità, che non ha principio, né fine. Tutto ciò che è dalla so stanza di Dio, e dentro Dio, è eterno. Perciò nel salmo: «Dio, da' al re il tuo giudizio», dove manifestamente si tratta del Figlio di Dio, si dice del Figlio stesso: «Il suo nome durerà nei secoli, e davanti al so le permane il suo nome». Che il discorso verta intorno al Figlio eter no di Dio, è chiaro da ciò: che dove la nostra traduzione dice: «per mane», il testo ebraico ha: ynnon , la quale parola deriva da nyn, e nyn è il figlio. Quindi ynnon che cos'altro significa se non Figlio generato, nato e assoluto? Che Dio abbia un Figlio, lo testimonia Salomone nei Proverbi: «Chi ascende in cielo e ne discende? Chi tenne lo Spirito nelle sue mani? Chi radunò le acque, come in una veste? Chi suscitò tutti i confini della terra? Qual è il suo nome? È il nome di suo Figlio, se lo conosci?». Udite, inoltre, Isaia che così grida verso Dio: «Santo, santo, san to, Signore Dio Sabaoth». Tre volte santo significa la Trinità delle persone divine. Signore, al singolare, l'unica sostanza di Dio. «Piena è ogni terra della sua gloria», ciò significa l'assunzione dell'umanità fatta dal Verbo di Dio; infatti nello stesso passo Isaia collocava Dio sul trono in figura umana. Per mostrare che voi non avreste compre so abbastanza tali misteri, aggiunge molte parole riguardo alla vostra cecità, sordità e pertinacia, che abbiamo esposto altra volta. Fa par lare Dio così altrove: «Venite a me, udite, queste cose ho detto dal principio, non di nascosto, dal tempo in cui sono state fatte, lì ero, e ora il Signore Dio, e il suo Spirito, mi ha mandato». Dunque chi dal principio, s'intende della legge, non ha parlato di nascosto, poiché ha parlato palesemente sul monte Sinai a tutti coloro che ascoltavano , chi era lì anche in quel tempo, cioè Dio stesso autore della legge, ora è mandato da Dio, ossia Dio Figlio, generato da Dio Padre, assunse la natura umana. Anche lo Spirito di Dio manda questi, poiché l'unione di Dio e dell'uomo è stata fatta per mezzo dello Spirito San to. Chiunque di costoro che mandano, di necessità è Dio, poiché quello che è inviato, è Dio, e sebbene Dio sia uno solo, tuttavia vi è
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una qualche distinzione, pur ineffabile, tra coloro che mandano e co lui che è mandato. Che poi chi è fatto parlare qui, sia Dio stesso, appare da quel che precede. Dice infatti: «lo sono il primo, e io sono l'ultimo, la mia ma no ha fondato la terra». Appare da ciò che segue; infatti dopo tutte le parole che abbiamo citato, si aggiunge: «Queste cose dice il Signore redentore tuo, santo di Israele». Ma è opportuno udire Davide che così grida: «Dove andrò lungi dal tuo spirito, e dove fuggirò dalla tua faccia? Se ascenderò in cielo, tu sei lì», nelle quali parole vuoi dire che lo Spirito di Dio è ovunque, ma i giudei e i cristiani ritengono che sol tanto Dio sia ovunque. Risulta quindi che quello Spirito non è una qualche emissione dello Spirito fuori di Dio, ma lo Spirito Santo, e Dio, di cui Giobbe dice: «Lo Spirito di Dio mi fece, e il soffio del l'Onnipotente mi vivificò». Ma fare l'uomo, cioè l'anima, e vivificare, è proprio di Dio solo. Inoltre in quei vostri commenti sulla Genesi si chiede che cosa sia quello Spirito di Dio che si muoveva sulle acque, e ivi stesso si risponde: «Questo è lo spirito del Messia, di cui si legge presso Isaia: "E riposerà sopra di lui lo Spirito del Signore, Spirito di sapienza e di intelletto"». Ciò si trova in quel luogo. Donde risulta che quello Spirito è Dio, e che il Messia è Dio. Del pari, nei medesi mi commenti, Rabbi Simeone dice: «Che cosa è ciò che si legge nel salmo: "Dallo Spirito della sua bocca ogni loro virtù " ?». E risponde: «Ciò vuoi dire che Dio ha spirato lo Spirito della sua bocca, e il mon do è stato creato». Si aggiunge a questi testi citati ciò che, spiegando: «