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Italian Pages 336 Year 2001
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IL CONFRONTO 15
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In copertina: Nel cielo rosso, illustrazione dal volume di Norbert Leser, Salz der Gesellschaft, Wien, Orac, 1988.
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Otto Bauer
LA RELIGIONE COME AFFARE PRIVATO a cura di Tommaso La Rocca
Edizioni Cadmo 2001
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Otto Bauer, La religione come affare privato ; a cura di Tommaso La Rocca. Fiesole (Firenze) : Cadmo, 2001. 335 p., [1] c. di tav. : ill. ; 21 cm (Il confronto ; 15 ). ISBN: 88-7923-249-5 1. Socialdemocrazia - Austria - 1908-1934 2. Bauer, Otto 335 (ed. 20)
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Traduzione dei testi dal tedesco di Tommaso La Rocca
# 2001 Cadmo Edizioni Cadmo Via B. da Maiano, 3 50014 Fiesole (Firenze) tel. 055 50181 fax 055 5018201 [email protected] http://www.cadmo.com Printed in Italy
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Agli Amici di Vienna
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RINGRAZIAMENTI Alla realizzazione di questo volume hanno contribuito diverse persone che ho avuto modo di conoscere nel Dipartimento di Filosofia dell'UniversitaÁ di Vienna (Prof. N. Leser, A. Pfabigan, E. Bader, H. BoÈm), nell'Archivio del Verein fuÈr die Geschiche der Arbaiterbewegung e nella Sozialwissenschaftliche Studienbibliothek der Kammer fuÈr Arbeiter und Angestellte di Vienna. In particolare, vorrei ringraziare di cuore il Professor Michael Paul Zulehner della facoltaÁ di Teologia, il quale non solo mi ha sempre incoraggiato nelle ricerche su ``Politica e religione'' nell'Austromarxismo, ma eÁ stato anche determinante nella pubblicazione dell'edizione in lingua tedesca del presente volume, come giaÁ dell'altro gemello: Max Adler, Religion Privatsache, Geyer Edition, Wien-Salzburg 1997. Il mio cordiale ringraziamento va anche alle signore dell'Institut fuÈr Pastoraltheologhie diretto dallo stesso Zulehner: alla Dr. Ursula HamachersZuba e a Frau Renate Krisper. Vorrei esprimere il mio sentimento di riconoscenza anche a tutti gli altri amici viennesi:Walter HoÈller e Hanni Jauker, Alfrede e Brighitte Litchauer, Brighitte Klissenbauer e famiglia, Joe Berghold e Laurie Cohen, Roy e Wally Fox, Rainer e Andrea Rosenberg, Theresia e Rosy Laubichler, Maria, Johanna e David HoÈller, Wolfgang ed Erna, Sabine Sommerhuber, Mehran Mohammad, Ali Nakhai, Mozafar Fazlollahi e Zohreh BeiktorkMohammad, Anna Karloff, Carlotta Babini ecc.; con la loro generosa ospitalitaÁ hanno reso sempre piuÁ gradevoli i miei soggiorni di studio nella capitale austriaca; e con la loro grande pazienza, che solo l'amicizia puoÁ dettare, hanno migliorato la mia, ancora difettosa, conoscenza della lingua tedesca e, di conseguenza, contribuito a rendere anche piuÁ produttivi i miei studi e le mie ricerche. Per questo, anche, ho voluto dedicare proprio ad essi questo volume.
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Otto Bauer (1882-1938)
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LA «RELIGIONE PRIVATA» COME VIA ALLA LIBERTAÁ DEMOCRATICA
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di Tommaso La Rocca
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FONTI 1. Bourgeoisie und Klerikalismus in «Der Kampf», 1908, vol. 1, pp. 385ss., firmato con lo pseudonimo Karl Mann. Ora anche in Werkausgabe, Europaverlag, Wien., vol. 8, pp. 99-107 (d'ora in poi semplicemente abbreviato: W., seguito da indicazione del volume e numero di pagina); 2. Proletariat und Religion, Ivi, 1908, pp. 537-542 ± pseud. Karl Mann (W., 8, pp. 141-149); 3. Katholischer Sozialismus, Ivi, 1909, Vol. 2, pp. 66-70 ± pseud. K. Mann (W., 8, pp. 288-296); 4. Das Ende des christlichen Sozialismus, 1911, W., 4, pp. 393-398 (W., 8, pp. 515-524); 5. Religion und Kirche, in Programm der sozialdemokratischen Arbeiterpartei DeutschoÈsterreichs, Linz-Parteitag (30 ottobre-3 novembre 1926), in W., 3, pp. 1031-1033; 6. Sozialdemokratie, Religion und Kirche. Ein Beitrag zur ErlaÈuterung des Linzer Programms, Verlag der Wiener Volkbuchhandlung, Wien 1927 (W., 3, pp. 447-531); 7. Ignaz Seipel, in «Arbeiter Zeitung», Wien, 3 Agosto 1932 (W., 7, pp. 466-470); 8. Katholizismus und Klassenkampf, in «Arbeiter Zeitung», Wien, 26 novembre 1933 (W., 7, pp. 496-499); 9. Die Gegenrevolution und die Kirche, in «Der Kampf», nuova serie, anno I, n. 7, 1934, pp. 228ss. (W., 9, pp. 440-452).
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I L'APPROCCIO DI BAUER ALLA QUESTIONE RELIGIOSA
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CRITERI
ESPOSITIVI
Otto Bauer, il protagonista piuÁ rappresentativo dell'austromarxismo e del socialismo europeo del periodo tra le due guerre mondiali, eÁ anche uno degli scrittori politici piuÁ prolifici. Ne eÁ testimonianza la monumentale raccolta dei suoi scritti nella Werkausgabe in dieci volumi, curata da Hugo Pepper in collaborazione con un folto gruppo di esperti 1. Tra i suoi scritti occupano un posto di rilievo anche alcuni saggi sulla questione religiosa. A questo tema egli ha dedicato non poca attenzione, piuÁ di quanto non appaia dalla rimarchevole differenza tra la grande importanza che egli attribuisce a quest'argomento e lo spazio ridotto, in numero di pagine, ad esso riservato. L'opera principale eÁ Sozialdemokratie, Religion und Kirche del 1927. La precedono e la seguono due serie di scritti: una di quattro articoli pubblicati nel periodo prebellico (dal 1908 al 1911), l'altra di tre articoli degli anni '30 2. 1. OTTO BAUER, Werkausgabe, voll. 9, a cura di H. Pepper, Europaverlag, Wien. Il decimo volume, che costituisce il Register dell'intera opera, giaÁ stampato in prime bozze, non eÁ stato mai pubblicato (da un colloquio di chi scrive con H. Pepper, nel novembre del 1999 nella sede del ``Verein fuÈr die Geschichte der Arbeiterbewegung'' di Recht Wienzeile). 2. La prima serie eÁ composta da: Bourgeoisie und Klerikalismus in «Der Kampf», 1908, vol. I, pp. 385 ss. ± firmato con lo pseudonimo Karl Mann ± ora anche in Werkausgabe, cit., vol. 8, pp. 99-107 (d'ora in poi
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In veritaÁ, basterebbe la lettura della sola opera maggiore degli anni '20 per venire a capo della posizione di Bauer sulla religione, dal momento che essa in parte riprende molte analisi e idee degli scritti precedenti e in parte anticipa le linee di sviluppo della questione religiosa austriaca riconsiderata negli articoli successivi. Tuttavia i tre gruppi di scritti presentano peculiaritaÁ proprie, poiche sono espressione di periodi e contesti storici, sociali e politici diversi, la cui conoscenza rende maggiormente comprensibile la stessa opera degli anni '20. I modi per esporre il pensiero di Otto Bauer sulla religione possono essere diversi: puoÁ essere utile seguire, per esempio, il metodo genetico, iniziando dalla formazione delle sue prime idee in merito e proseguire studiandole citazioni da Werkausgabe solo con W., come indicato sopra a p. 10); Proletariat und Religion, 1908, ivi, pp. 537-542 ± pseud. Karl Mann (W., 8, pp. 141-149); Katholischer Sozialismus, ivi, 1909. vol. 2, pp. 66-70 ± pseud. Karl Mann (W., 8, pp. 288-296); Das Ende des christlichen Sozialismus, 1911, ivi, vol. 4, pp. 393-400 (W., 8, pp. 515-524). La seconda serie eÁ costituita dal capitoletto ``Religion und Kirche'' del Programm der Sozialdemokratischen Arbeiterpartei DeutschoÈsterreichs del congresso di Linz (30 ottobre-3 novembre 1926), in W., 3, pp. 1031-1033; Sozialdemokratie, Religion und Kirche. Ein Beitrag zur ErlaÈuterung des Linzer Programms, Verlag der Wiener Volkbuchhandlung, Wien 1927 (in W., 3, pp. 447-531 ± in traduzione francese: Le socialisme, la religion e l'eglise, L'Eglantine, Bruxelles 1928; la traduzione di questi scritti eÁ compresa anche nel seguente volume, che ne costituisce pertanto la versione italiana. La terza serie di lavori comprende i tre seguenti articoli: Ignaz Seipel, in «Arbeiter Zeitung», 3 Agosto 1932 (W., 7, pp. 466-470; presente anche nell'antologia, OTTO BAUER, Eine Auswahl aus seinem Lebenswerk, a cura di J. Braunthal, Verlag der Wiener Volksbuchhandlung, 1961, pp. 237-240); Katholizismus und Klassenkampf, in «Arbeiter Zeitung», Wien, 26 November, 1933 (W., 7, pp. 496-499); Die Gegenrevolution und die Kirche in «Der Kampf», nuova serie, anno I, n. 7, 1934, pp. 228 ss. (W., 9, pp. 440-452). A fronte di questa significativa produzione di O. Bauer, ocorre notare che non esiste, invece, alcuna produzione critica sull'argomento. Da segnalare solo un sintetico intervento di Hermann BoÈhm, Otto Bauers Stellung zu Religion und Kirche (philosophisce Dissertation UniversitaÈt Wien).
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ne lo sviluppo fino all'approdo finale; oppure il metodo sistematico, ricostruendo sistematicamente la sua critica religiosa attorno ai principi fondamentali che lo guidano; oppure ancora il criterio tematico, presentando i temi centrali della questione per collegare poi a questi gli altri aspetti delle sue considerazioni sulla materia. Ciascuno dei tre metodi ha i suoi pregi e i suoi difetti. Il primo offre meglio la possibilitaÁ della contestualizzazione e dello sviluppo dei problemi, ma rischia di perdere di vista i princõÁpi ispiratori di fondo e di non cogliere abbastanza i nodi critici cruciali della questione, non facendoli emergere adeguatamente; il secondo metodo ha il vantaggio di condurre subito al cuore dei problemi, ma rischia di porli in maniera astratta e di lasciare per strada la complessitaÁ del percorso storico, lungo il quale essi nascono e mutano; il terzo favorirebbe certamente una selezione piuÁ oculata e la messa a fuoco delle cose piuÁ importanti, ma corre il richio di una loro atomizzazione e di una sottovalutazione degli aspetti secondari, che a volte non sono meno importanti. Nessuno dei tre metodi riuscirebbe, quindi, da solo a dare una rappresentazione completa e vera. D'altra parte, adottarli tutti e tre contemporaneamente eÁ un'impresa di non facile attuazione. La pretesa di chi scrive eÁ, comunque, di tentarla ugualmente, cercando di evitarne i rischi e salvarne i vantaggi, chiedendo ai lettori la pazienza necessaria a sopportare le inevitabili riprese e ripetizioni che un tale approccio complessivo comporta. Si spera di compensare quest'inconveniente con una esposizione esaustiva e possibilmente chiara, che agevoli la comprensione del reale pensiero dell'autore su un tema cosõÁ interessante e importante, cioeÁ la questione religiosa, come fu appunto per lui, per l'Austria, e possiamo dire per l'intera Europa dei primi decenni del secolo. Si pensa di procedere nel modo seguente: indicare innanzitutto il centro motore dell'intero discorso di Bauer sulla religione, che risiede nell'idea della Religion Privat-
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sache; individuare poi i temi strettamente connessi con questa idea centrale, sia quelli che ne costituiscono il fondamento storico e teorico (il clericalismo e l'anticlericalismo, l'evoluzione della religione da chiesa a dimensione individuale) sia quelli che ne rappresentano la prospettiva (la Religion Privatsache come via alla democrazia e alla libertaÁ ± e, insieme, via al socialismo). Contemporaneamente allo svolgimento di questi temi principali, si pensa di indicare i problemi critici e teorici fondamentali che le analisi di Bauer pongono al punto di vista marxista, al quale egli dice comunque di rifarsi nella sua impostazione del problema religioso. Si ritiene opportuno premettere lo svolgimento di alcuni punti preliminari, quali l'importanza che l'autore conferisce alla religione, l'individuazione degli interlocutori del suo discorso, il suo particolare approccio alla questione religiosa e i motivi del suo interesse per questa tematica: aspetti che possono risultare utili elementi di comprensione dei temi centrali che saranno affrontati nel corso dell'esposizione. L'IMPORTANZA
DELLA RELIGIONE
L'importanza non secondaria che Bauer attribuisce alla questione religiosa la si deduce certamente anche dalla constatazione del suo interesse costante per l'argomento, che, dai primi impegni politici e culturali, rimane vivo fino al 1934, a poca distanza dalla sua morte, avvenuta a Parigi nel luglio del 1938. Ma essa risulta evidente soprattutto dallo spazio e centralitaÁ riservati al tema religioso nella stesura, per mano di Bauer stesso, del programma per il congresso del partito socialista tenutosi a Linz dal 30 Ottobre al 3 Novembre del 1926. Spazio che risulta significativamente maggiore rispetto a quello riservato allo stesso argomento nei congressi precedenti e contemporanei dei partiti socialdemocrati-
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ci in Austria 3 e negli altri paesi europei; uno spazio, per di piuÁ, non inferiore a quello concesso ad altre questioni nel medesimo programma. Bauer riuscõÁ d'altronde a trasmettere all'intera assemblea la consapevolezza della grande importanza della questione religiosa, come testimonia il lungo e appassionato dibattito suscitato dalle sue tesi, rimasto registrato nel Protokoll di quel congresso 4. Ma il fatto piuÁ eloquente, che segnala e misura il grado di considerazione che la questione effettivamente aveva nella mente di Bauer, eÁ forse il seguente. Dopo il congresso di Linz, da cui Bauer esce ancor piuÁ saldamente confermato nella sua leaderschip all'interno del proprio partito e, di riflesso, anche all'esterno, nei rapporti del socialismo internazionale, egli intende diffondere il piuÁ possibile tra gli aderenti e i non iscritti al partito il risultato del ricco dibat3. Nei congressi dei partiti socialisti austriaco e tedesco la questione religiosa era ridotta ad una semplice espressione ``Religion Privatsache ''. Inserita nei loro programmi quasi en passant, essa tradisce piuttosto un'ignoranza, forse un certo imbarazzo, se non addirittura un fastidio di fronte a questo problema, certamente un'impreparazione soprattutto culturale di fronte ad esso. Per esempio nel Congresso di fondazione del partito di Heinfeld (30-31 dicembre 1888 - 1 gennaio 1889) la questione eÁ liquidata in due righe: «...il necessario presupposto eÁ la s e p a r a z i o n e d e l l a c h i e s a d a l l o s t a t o e la dichiarazione della r e l i g i o n e c o m e a f f a r e p r i v a t o» (Protokoll, pp. 124 ± traduzione di chi scrive). Analogamente nel Programma del Congresso di Vienna (2-6 novembre 1901). La questione eÁ posta in termini analoghi, quasi stenografici, anche nei Programmi dei Congressi del partito socialdemocratico tedesco di Erfurt del 1891 e in quello del partito operaio socialdemocratico austriaco di Vienna del 1901. Quest'ultimo riprende tali e quali i termini del programma di Erfurt: «Dichiarazione della Religion als Privatsache; separazione della chiesa dallo stato e dichiarazione delle comunitaÁ ecclesiastiche e religiose come associazioni private, che regolano interamente da sole le proprie cose» (Protokoll uÈber die Verhandlungen des Gesammtparteitages der Sozialdemokratrischen Arbeiterpartei in OÈsterreich (abgehalten zu Wien vom 2. bis 6. November 1901), Verlag der Wiener Volksbuchhandlung, Wien 1901, p. 4 - cfr. anche la sbrigativa discussione su questo punto alla pagina 194). Sulla storia della formula Religion Privatsache, vedi piuÁ avanti, pp. 33-34. 4. Protokoll des sozialdemokratischen Parteitags 1926, Verlag der Wiener Volksbuchhandlung, 1926, pp. 315-352.
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tito che si era prodotto. A tale scopo assegna alla stampa di partito come compito fondamentale anche quello di fornire, nella forma piuÁ popolare possibile, la spiegazione dei singoli punti del programma: il capitalismo, la lotta di classe, la conquista del potere statale, il consolidamento della repubblica, la politica economica, la politica sociale, la questione femminile, la questione religiosa, la politica culturale, la transizione dal sistema capitalistico a quello socialista, l'internazionale socialista. Significativo, ancorche forse sorprendente sotto certi aspetti, eÁ il fatto che il primo a prendere l'iniziativa, come per dare il buon esempio, sia Bauer stesso, per di piuÁ a cominciare proprio dal capitolo sul tema della religione e della chiesa. Si rimanda a piuÁ avanti l'esposizione dei motivi espliciti immediati di questa scelta. Per ora basti semplicemente prendere atto del significato di essa, quale indizio rivelatore dell'indubbia e primaria importanza conferita da Bauer alla questione religiosa. GLI
INTERLOCUTORI
La conoscenza degli interlocutori di Bauer rende ragione del percheÂ, per esempio, egli cambi cosõÁ spesso registri e toni del proprio discorso, tavolta radicalmente critico, tal'altra incline alla comprensione e al compromesso. Egli si rivolge di volta in volta o contemporaneamente, direttamente o indirettamente, a interlocutori molteplici e diversi, che eÁ bene avere sempre presenti nel corso dell'esposizione: ± la base del partito socialista, frastagliata al suo interno, comprendente: a) una componente operaia radicalmente antireligiosa, giudicata da Bauer politicamente immatura; b) una fascia ``indifferente'' alla religione, non antireligiosa e moderatamente anticlericale o non anticlericale per motivi tattici; c) una fascia ancora credente, non
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disposta a una lotta antireligiosa e anticlericale, che, anzi, si sentirebbe ferita e offesa se altri all'interno del partito dovessero intraprenderla; i Freidendenker, i liberi pensatori che avevano fatto la scelta del socialismo ed erano propensi a un acceso anticlericalismo; i ceti contadini, gli operai e la classe media piccolo borghese di fede cattolica, aderenti al movimento-partito cristiano-sociale; gli ecclesiastici e i clericali dell'alta borghesia dell'epoca; i governi, prima quello dell'Impero, poi quello della Repubblica (dal Novembre 1918 in poi).
Al di laÁ delle critiche specifiche, che Bauer muove ai singoli intelocutori, il suo intento ultimo e la sua preoccupazione costante sono quelli di convincerli della bontaÁ e della convenienza, per cosõÁ dire, a trecentosessanta gradi ± per gli esponenti di tutti gli schieramenti in campo ± della sua idea centrale; che consiste nell'assumere e trattare la religione come ``affare privato''. Egli si mostra consapevole dell'estrema difficoltaÁ dell'impresa, poiche sa che se c'eÁ un terreno su cui vive e giganteggia la diffidenza, piuÁ ancora che nel campo del patriottismo nazionalistico, questo eÁ proprio quello della credenza religiosa. Diffidenza, ovviamente, di diversa natura, a seconda dei soggetti: paura di cedimento alla religione da parte di alcuni (atei o areligiosi), timore di sottovalutazione e di strumentalizzazione della fede da parte di altri (credenti). Al termine di questa nostra ricostruzione delle idee e delle posizioni di Bauer sulla religione appariraÁ chiaro come egli, con la sicurezza delle proprie convinzioni e col coraggio che gli deriva dalla propria onestaÁ intellettuale, non faccia sconti a nessuno e, nello stesso tempo, riesca ad offrire a ognuno degli interlocutori elementi seri di riflessione e di convincimento. CioÁ al di laÁ poi della direzione che presero gli eventi storici e al di laÁ degli esiti a cui approdarono. Vedremo in seguito quali.
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IL
METODO D'APPROCCIO
CioÁ premesso, eÁ bene, sempre in via preliminare, individuare anche il metodo di analisi, conoscere il tipo di approccio e il criterio di giudizio adottati da Bauer nei confronti della religione. CioÁ implica, in primo luogo, la messa a fuoco della prospettiva da cui egli si pone di fronte ad essa. Innanzitutto eÁ opportuno chiarire subito la posizione personale di Bauer nei confronti della fede. Di origine ebrea, egli si dichiaroÁ espressamente ateo, ma non ateista. Pur non credendo in Dio, non fu mai irreligioso, bensõÁ sempre rispettoso della fede altrui, dell'altrui libertaÁ di credere e di aderire liberamente a una comunitaÁ religiosa. Sebbene ritenesse la religione irrilevante per la propria vita personale, Bauer non ignorava, tuttavia, il ruolo determinante che essa aveva avuto, e aveva ancora ai suoi tempi, per la storia dell'umanitaÁ. Era pienamente consapevole di come essa impregnasse di se la vita privata dei singoli e quella pubblica dei popoli e degli stati, fino a condizionare la vita quotidiana, la cultura e la politica di intere societaÁ per secoli e per millenni. Egli aveva davanti a se il caso immediato dell'impero austro-ungarico, stato confessionale cattolico, senza perdere di vista, peraltro, le realtaÁ storiche e politico-confessionali degli altri stati europei. Bauer viveva in un periodo di crisi profonda dell'impero asburgico, la cui base mostrava segni di insofferenza e, nello stesso tempo, aspirazioni a riorganizzarsi socialmente e politicamente. In questa situazione, il suo impegno era quello di incanalare la crisi verso l'approdo ad un nuovo ordine della societaÁ, che per lui, pensatore marxista e dirigente della socialdemocrazia austriaca, non poteva essere che quello ``socialista''. E pensava ± almeno fino a verso la fine degli anni '20 ± che questa prospettiva dovesse e potesse realizzarsi non attraverso la via rivoluzionaria della rottura violenta, ma per via democratica, cioeÁ attraverso l'acquisizione del consenso della maggioranza della popo-
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lazione. Si rendeva conto, peroÁ, che cioÁ poteva avvenire solo con l'allargamento della base del movimento operaio o, nel peggiore dei casi, con l'alleanza con gli altri ceti sociali piuÁ vicini alla classe operaia, per interesse e per ideologia. D'altra parte egli constatava che in Austria il consenso di questi ceti, oltre che di porzioni non trascurabili della stessa classe operaia, era controllato e gestito dalla chiesa cattolica; il che rendeva inevitabile per la socialdemocrazia porsi il problema della religione, almeno nei termini sociali e politici appena accennati. Ne consegue che la questione religiosa, in Otto Bauer come negli altri pensatori e responsabili politici socialdemocratici europei dell'epoca, si poneva come discorso tutto interno alla prospettiva politica generale della ricerca di una via pacifica alla soluzione della crisi 5. In altri termini, il problema fondamentale di Bauer era quello di definire, per dirlo con le parole di Enzo Collotti, «il rapporto tra l'obiettivo del socialismo e gli strumenti adeguati per realizzarlo» 6. Per Bauer l'obiettivo ultimo era l'eliminazione dello sfruttamento capitalistico e l'attuazione di una societaÁ senza classi; e il mezzo piuÁ adeguato gli pareva l'eliminazione di quella che egli riteneva la principale fonte di sfruttamento e di disuguaglianza sociale e di distinzione di classe, vale a dire la proprietaÁ privata. Naturalmente, essa poteva essere eliminata solo mediante la sua socializzazione. Ma oltre a questo mezzo principale, 5. Si puoÁ notare una forte analogia tra l'impostazione gramsciana e quella baueriana della questione religiosa: entrambi hanno a che fare con paesi di tradizione cattolica fortemente clericale e controriformisti, a motivo della presenza del Vaticano in Italia e degli Asburgo in Austria; in entrambi i paesi la questione religiosa eÁ strettamente legata alla ``questione contadina'', cioeÁ alla conquista al movimento operaio dei ceti contadini, che vivono sotto l'influsso della chiesa (su questo argomenti vedi anche T. LA ROCCA, Gramsci e la religione, Queriniana, Brescia, 1981. 1991). 6. E. COLLOTTI, Introduzione a O. BAUER, Tra due guerre mondiali?, Torino, Einaudi, 1979.
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Bauer ne suggeriva anche altri sussidiari, non meno necessari ed efficaci: primo fra tutti, la presa del potere statale, che avrebbe consentito di operare la socializzazione dei mezzi di produzione. Un obiettivo che per Bauer, abbiamo detto, doveva realizzarsi per via pacifica, per via democratica, anche parlamentare. Ed eÁ su questo terreno che s'innesta la questione religiosa, la cui soluzione appare a Bauer decisiva per consolidare il movimento e guadagnare alla fede socialista tutti quei credenti (operai, contadini, piccoli borghesi del mondo cattolico) che si potessero riconoscere negli stessi interessi economici e politici della classe lavoratrice. A prima vista questo discorso puoÁ apparire meramente tattico e strumentale e quindi scarsamente convincente; destinato, alla lunga, a mostrare la sua debolezza e inefficacia. In realtaÁ il pensiero di Bauer su questo punto eÁ piuÁ complesso e profondo, basato su una visione culturale ampia del problema, conseguente a una svolta metodologica che aveva indotto Bauer ad una revisione del marxismo tale da consentirgli, anche sul tema della religione, un'analisi storica, sociale e politica basata su criteri diversi da quelli strettamente ideologici e rigidamente classisti tipici della prima generazione di pensatori marxisti. Tale svolta viene teorizzata e compiutamente formulata negli anni '20, ma eÁ in veritaÁ operante giaÁ nei primissimi scritti del giovane Bauer. Essa matura nel contesto culturale del primo decennio del secolo; ed eÁ opportuno per noi richiamarne anche soltanto brevemente i termini, giacche rappresentano il presupposto filosofico dell'intero discorso baueriano sulla religione. IL
PRESUPPOSTO FILOSOFICO
L'inizio del secolo vede i pensatori marxisti impegnati in un confronto a tutto campo con la cultura dell'epoca, ca-
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ratterizzata da una grande fioritura soprattutto nel campo delle scienze economiche, fisiche, mediche, psicologiche, storiche, filosofiche e religiose. Per stare al passo con questo sviluppo culturale, i marxisti erano obbligati a registrare adeguatamente i propri metodi d'indagine e, quindi, ad operare una revisione della dottrina di Marx e dei pensatori marxisti della prima generazione. Ci fu chi, come Max Adler ± tanto per restare al solo ambito dell'austromarxismo ± tentoÁ di farlo ribattezzando il marxismo nelle acque della filosofia kantiana; e chi, come Bauer, tentoÁ la stessa operazione con la filosofia hegeliana. Operazioni culturali, queste, che consentivano loro di proporre il marxismo agli intellettuali borghesi dell'epoca, che fino ad allora l'avevano rifiutato come un prodotto estraneo alla tradizione culturale austriaca ed europea. Quegli stessi intellettuali, da un certo momento in poi, vista la presa sociale e politica del marxismo, cominciarono invece a studiarlo, allo scopo evidente peroÁ di esorcizzarlo e derevoluzionarlo, privandolo cioeÁ della sua portata sovversiva. Da parte marxista occorreva allora, per un verso, replicare alle critiche e, per altro verso, spiegare e rendere accettabili le ragioni del marxismo, salvandone al contempo la portata rivoluzionaria. La teoria kantiana della conoscenza e la hegeliana filosofia della storia apparivano adeguati spazi di incontro, di confronto e di dialogo con l'intellighenzia dell'epoca. CioÁ riuscõÁ in realtaÁ a fugare molta parte dei reciproci sospetti e della reciproca ostilitaÁ. Per una informazione sul marxismo neo-kantiano di Adler si rinvia direttamente ai suoi testi e alla letteratura esistente 7. Quanto al marxismo neo-hegeliano di Bauer, 7. Max Adler eÁ colui che ha tentato in maniera decisa di reinterpretare in chiave kantiana il marxismo o per lo meno di collegarlo non surrettiziamente alla dottrina della conoscenza di Kant, dedicando non poco impegno allo studio di questo pensatore. Vedi per esempio il suo Kant und der Sozialismus (1904), in Kant und der Marxismus, Berlin,
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ci si limiteraÁ a qualche accenno che possa riuscire utile alla comprensione del suo approccio al tema della religione, oggetto della nostra esposizione. Bauer si dichiara convinto marxista neo-hegeliano fin dai primi anni della sua giovinezza 8, quando, appena ventenne, s'interessa al dibattito sul revisionismo, alla nota Bernstein-debatte, e alle discussioni sulla filosofia della storia, e scrive i primi articoli circa la teoria marxista delle crisi economiche e la teoria del valore, per la rivista di Karl Kautsky «Neue Zeit» 9. Particolarmente indicativo del suo E. Laub'sche Verlagsbuchhandlung, 1925, pp. 83-132 (traduzione italiana in Marxismo ed etica, a cura di E. Agazzi, Milano, Feltrinelli, pp. 185209); Das Soziologische in Kants Erkenntiniskritik, Wien, Wiener Volksbuchhandlung, 1924. Sul neo-kantismo di Max Adler cfr. N. LESER, Zwischen Reformismus und Bolschevismus. Der Austromarxismus als Theorie und Praxis, Wien-Frankfurt-ZuÈrich, 1968 (traduzione italiana: Teoria e prassi dell'Austromarxismo, cit., pp. 17-19); P. MERHAV, Marxismo e neokantismo in Max Adler, in «Annali Istituto G.G. Feltrinelli», 1973, pp. 387-404 (anche in Storia del marxismo contemporaneo, Milano, Feltrinelli, 1977, pp. 128-151); A. ZANARDO, Marxismo e neokantismo in Germania fra Ottocento e Novecento, in Filosofia e socialismo, Roma, Editori Riuniti, 1974, pp. 73-164). 8. In realtaÁ in una lettera a Kark Kautsky, Bauer dichiara espressamente i suoi interessi giovanili liceali per entrambi i filosofi, Kant ed Hegel (Lettera del 19 Maggio 1904 - Archivio dell'Istituto Internazionale di Storia Sociale di Amsterdam, K.D. II, 464). Ma l'articolo su Die Geschichte eines Buches rivela giaÁ la sua insofferenza per i neokantiani e la scelta nella direzione decisamente hegeliana. 9. Il primo articolo scritto da Bauer per la rivista di Karl Kautsky eÁ del maggio 1904, Marx' Theorie der Wirtschaftskrisen (pubblicato in due puntate in «Die Neue Zeit», XXIII, 1904-1905, rispettivamente 1904, n. 5, pp. 133-138; 1905, n. 5, pp. 164-170). Agli inizi l'intero movimento austromarxista risente fortemente l'influsso di Karl Kautsky. Ma con la pubblicazione di «Der Kampf», come sottolinea anche G. Marramao (in Austromarxismo e Socialismo di sinistra fra le due guerre, Milano, La Pietra, 1977) comincia a distanziarsi dalla impostazione kautskyana, perche ritenuta troppo ortodossa, ``meccanica'' e ``naturalistica'' in merito al nesso teoria-movimento. Nesso che gli austromarxisti, Bauer in particolare, ritenevano dovesse essere di non identitaÁ. Difatti il loro punto critico innovativo era appunto il postulato revisionista della non identitaÁ di marxismo (teoria) e socialismo (movimento) (ivi, p.15). La distanza tra Kautsky e Bauer si accentueraÁ maggiormente in occasione della discussione sulla strategia della
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primo orientamento eÁ il saggio composto in occasione del quarantesimo anniversario della pubblicazione del primo libro de Il Capitale di Marx, che reca il titolo Die Geschichte eines Buches (La storia di un libro) del 1907 10. L'interesse maggiore risiede nelle considerazioni sul marxismo come metodo scientifico di ricerca. Un discorso che trova riscontro immediato sia nella sua applicazione allo studio sulla questione delle nazionalitaÁ, terminato e pubblicato nello stesso anno 11, sia ± importante per noi qui ± nell'analisi della questione religiosa, che Bauer affronta per la prima volta nei saggi Bourgeoisie und Klerikalismus e Proletariat und Religion dell'anno successivo, dove egli applica, riformulandolo anche in termini piuÁ chiari e precisi, il metodo di indagine abbozzato nell'articolo del 1907. Metodo che trova, poi, altri momenti di teorizzazione e applicazione piuÁ precisi anche in scritti successivi, di cui diremo piuÁ avanti. Ma data l'importanza delle indicazioni metodologiche contenute nell'articolo Die Geschichte eines Buches, eÁ opportuno riprenderne i passaggi piuÁ significativi. Bauer dichiara espressamente: «Marx ha imitato il metodo di Hegel». E spiega il senso di questa sua affermazione nei termini seguenti: Hegel non misconosce il carattere empirico della natura, non dubita piuÁ che «tutte le nostre conoscenze cominciano dall'esperienza», perche chiama in maniera caratteristica il concreto ``l'immediato'', e l'elaborazione concettuale dell'esperienza ``negazione di un dato immediato''. Ma, ``via al potere'' (Der Weg zur Macht) (ivi, p. 43-51) e sul ruolo degli intellettuali (G. MARRAMAO, Tra bolscevismo e socialdemocrazia: Otto Bauer, in Storia del marxismo, Torino, Einaudi, vol II/1, pp. 258-59. 10. Die Geschichte eines Buches, in ``Die Neue Zeit'', XXVI, 1908, pp. 23 ss (in W., vol. 7, pp. 925-934 (traduz. Francese, in EÂconomies et socieÂteÂ, SeÂrie S - 11, Giugno 1967, PUF, Paris, pp. 177-197 - d'ora in poi le citazioni sempre da W.). 11. Die NazionalitaÈtenfrage und die Sozialdemokratie, Wien, 1907.
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dietro l'immediato, Hegel cerca il vero e il reale, che trova nel suo «impero delle ombre, il mondo delle pure essenze, liberato da tutto il concreto sensibile [...]». «La veritaÁ dell'essere eÁ l'essenza, l'essere eÁ l'immediato. Volendo conoscere il vero, cioeÁ l'essere in se e per seÂ, il suo sapere non si arresta all'immediato e alle sue determinazioni, ma va al di laÁ: dietro quest'essere c'eÁ ancora qualcosa di altro che l'essere stesso, e questo fondo costituisce la veritaÁ dell'essere» 12. CioÁ che Hegel descrive nel suo stile particolare dagli accenti mistici ± commenta Bauer ± non eÁ altro che il metodo matematico delle scienze naturali, che cerca di comprendere le molteplici manifestazioni empiriche della natura sotto l'aspetto delle loro disposizioni causali, rapportandosi alle leggi matematiche del movimento. Il ruolo di certi concetti eÁ di permettere agli oggetti della natura di divenire oggetti della scienza. Condizioni costitutive di una scienza possibile diventano, in Hegel, entitaÁ autonome, davanti alle quali l'empirico non eÁ che nulla... 13
Ora, continua Bauer, Marx non ha fatto altro che applicare sul terreno della ricerca economica il medesimo metodo di Hegel: anch'egli, dietro ``l'apparenza della concorrenza'', ha cercato il vero e il reale. Ed anch'egli, per trovare dietro l'immediato la veritaÁ dell'essere, ha sublimato la determinazione qualitativa dell'essere nella sua esistenza empirica, l'ha posta come indifferenza per attendere all'essere come quantitaÁ pura. EÁ cosõÁ che nei celebri primi capitoli del Primo Libro [del Capitale] le merci concrete (un vestito ecc.) spogliate del loro carattere determinato, sono ridotti a semplici quantitaÁ di lavoro sociale; e i lavori concreti e individuali, spogliati della specificitaÁ, sono percepiti come semplici ``apparenze'' di lavoro sociale generale. 12. Die Geschichte eines Buches, W., p. 933. 13. Ivi, pp. 933-934.
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In questo modo, conclude Bauer gli uomini nella loro funzione economica, gli uomini di carne e sangue perdono il loro essere visibile per diventare semplici ``organi del lavoro'', ``agenti della produzione'', una parte che incarna una quantitaÁ determinata di capitale sociale, l'altra che personifica una quantitaÁ data di forzalavoro sociale 14 La quantitaÁ a cui eÁ legata una realtaÁ o una qualitaÁ, il metro hegeliano, eÁ qui il lavoro sociale, essenza dei fenomeni economici, che, come dice Hegel, non solo penetra queste determinazioni [...] ma le regge anche come loro legge [...]. Marx imita il metodo di Hegel e la sua terminologia per descrivere il suo proprio metodo di lavoro 15.
Bauer, tuttavia, non nasconde in questo rapporto tra Marx ed Hegel le differenze, allorche precisa molto chiaramente che i ragionamenti hegeliani hanno un significato radicalmente nuovo e i termini improntati ad Hegel nascondono concetti completamente diversi 16.
Secondo Bauer, cioeÁ, in Marx i concetti non sono per nulla enti reali, ma strumenti per padroneggiare col pensiero il materiale empirico e riprodurlo nella scienza [...]. Marx ± precisa ancora meglio Bauer ± ha ripreso il metodo matematico delle scienze della natura che Hegel aveva rivestito ontologicamente e l'ha spogliato dei suoi aspetti ontologici. [...] Noi ora comprendiamo la descrizione metodologica che Marx nella sua opera fa del proprio modo di procedere e possiamo riconoscere in lui l'erede della nostra filosofia classica [hegeliana], libe14. Ivi, p. 934. 15. Ibidem. 16. Ivi, p. 933.
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rata dall'ontologia metafisica dell'idealismo assoluto e dall'illusione dell'empirismo impuro 17.
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EÁ interessante notare che, nello stesso periodo in cui Bauer svolge queste riflessioni sul rapporto tra Hegel e Marx, Adler scrive in termini strettamente analoghi a proposito del rapporto tra il metodo kantiano e quello marxiano 18. Ed eÁ forse in polemica col tentativo di rilettura kantiana di Marx operato da Adler che Bauer scrive: CioÁ che Marx ha preso dalla nostra filosofia classica eÁ il concetto di scienza, concetto che noi pensiamo di scoprire, sotto la sua forma piuÁ pura, nella teoria kantiana della conoscenza [...] Marx era [invece] troppo estraneo a Kant. Il suo punto di partenza storico era piuttosto l'``idealismo assoluto'' di Hegel. EÁ nella filosofia di Hegel che Marx poteva trovare anche il concetto di scienza 19, ancor prima e meglio che nella filosofia kantiana.
Nel brano seguente la polemica con il neo-kantiano Adler non eÁ poi piuÁ cosõÁ velata: Hegel rappresenta un progresso considerevole rispetto a Kant, poiche mentre la critica kantiana della conoscenza eÁ orientata principalmente verso le scienze matematiche della natura, in Hegel eÁ la storia umana a costituire il punto centrale del suo sistema. In Hegel i fatti storici della vita sociale umana sono manifestazioni del proprio sviluppo dello spirito; trasferito da Marx dal dominio ontologico al dominio metodologico, questo significa che non si tratta di nient'altro che dell'esigenza dell'elaborazione concettuale della storia; i fenomeni storici sono casi particolari della legge di movimento, scienza determinata, che, sul17. Ivi, p. 935. 18. A proposito vedi la letteratura critica citata alla n. 7; anche la mia Introduzione a M. ADLER, Filosofia della religione, Fiesole, Cadmo, 1992, pp. 23-38. 19. Die Geschichte eines Buches, cit., p. 935.
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l'esempio delle scienze matematiche della natura, rapporta determinazioni qualitative a cambiamenti quantitativi. Per Hegel ± continua Bauer ± la rappresentazione concreta, individuale e storica, eÁ solamente una metafora concettuale, mentre Marx esige che la storia sia compresa come la rappresentazione di una legge, intendendo con cioÁ significare non che esistano leggi esterne alla storia, ma che solo una legge puoÁ dare alla connessione storica un carattere di universalitaÁ e necessitaÁ 20.
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Ne Il Capitale, prosegue Bauer, Marx ha affrontato la storia dal punto di vista delle scienze esatte[...], ci ha dato la prima legge matematica del movimento della storia[...] e noi non dobbiamo rinunciare ad applicare il suo metodo fecondo a campi di lavoro sempre nuovi e piuÁ vasti 21.
Questo, per Bauer, non vuol dire richiamarsi, come preciseraÁ meglio qualche anno dopo 22, all'insegnamento di Marx come ad un dogma, ma calare il suo metodo nelle particolaritaÁ di ogni epoca storica, di ogni paese e di ogni milieu culturale. Ho indugiato a richiamare i termini essenziali dell'interpretazione di Bauer circa il metodo di Marx, che egli dichiara espressamente di far proprio, per due motivi: il primo ± qui di minore importanza ± eÁ il desiderio di smentire il luogo comune diffuso a proposito di un Bauer ``tutto politico'', non filosofo, a fronte di un Max Adler ``tutto filosofo'' e non politico. Dell'impegno politico di Max Adler ha parlato ottimamente Alfred Pfabigan nella sua biografia intellettuale, Max Adler, eine politische Biographie 23; del20. Ivi, p. 936. 21. Ivi, pp. 936-937. 22. Cfr. Presentazione del 1ë vol. delle ``Marx Studien'', 1904. 23. A. PFABIGAN, Max Adler. Eine politische Biographie, Frankfurt, Campus Verlag, 1982.
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l'impegno teoretico-filosofico di Bauer, crediamo che le poche battute qui richiamate possano darne giaÁ un'idea. Il secondo e piuÁ importante motivo eÁ la necessitaÁ di ribadire l'importanza del discorso del metodo al fine di capire correttamente anche l'approccio di Bauer al tema della religione, che qui si sta introducendo. Esso infatti viene ampiamente e costantemente applicato anche nell'analisi baueriana della religione. EÁ sintomatico che i termini espliciti di questo discorso metodologico Bauer li riprenda non solo nell'opera maggiore del 1926, Sozialdemocratie, Religion und Kirche, ma giaÁ, sia pure en passant, in uno dei primissimi articoli sull'argomento, Proletariat und Religion del 1908, dove, volendo dare suggerimenti ai propri compagni marxisti in merito ai comportamenti da assumere nei riguardi della religione, egli scrive: A questa evoluzione [dell'atteggiamento dei marxisti nei confronti della religione] corrisponde anche un mutamento della nostra teoria. La generazione piuÁ anziana dei teorici marxisti ha condotto la lotta contro la religione anche su base dottrinale e si eÁ servita a questo scopo del materialismo scientifico naturale. In questo modo la nostra concezione storica e la nostra economia vennero collegate al materialismo scientifico naturale con un'unione personale. Noi, piuÁ giovani, non avevamo piuÁ da combattere una dura lotta contro la religione. Il nostro interesse filosofico eÁ stato di gran lunga disgiunto da preoccupazioni metodologiche. PercioÁ abbiamo liberato la nostra scienza da ogni collegamento con un sistema filosofico. La nostra concezione della storia e la nostra economia ci paiono compatibili ormai con le piuÁ differenziate visioni di conoscenza teorica e tuttavia del tutto indipendenti, come, per esempio, la biologia non ha piuÁ bisogno che i risultati della ricerca vengano confermati ne da Kant, ne da Mach, Avenarius, Dietzen, ne dal materialismo scientifico naturale 24. 24. Proletariat und Religion, W., p. 148 [165].
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Come si vede, qui l'indicazione metodologica di Bauer non solo eÁ espressa in termini piuÁ chiari, bensõÁ si arricchisce anche di un altro importante elemento, che era solo implicito nell'articolo del 1904 su Il Capitale. Qui, infatti, egli aveva solo accennato alla messa in questione della concezione teorica del marxismo 25. In Proletariat und Religion aggiunge la precisazione del marxismo come metodo di indagine e non piuÁ come filosofia 26. Questa medesima indicazione metodologica viene poi ripresa, in termini generali, nella OÈsterreichische Revolution del 1923 27 e nell'articolo dal titolo Austromarxismus, pubblicato sull'«Arbeiter Zeitung» nel l927 28; ed in termini specifici, con riferimento preciso alla religione, nello scritto Das Agrarprogramm del 1924, dove Bauer ribadisce che la religione non va piuÁ combattuta sulla base teorica del materialismo, tipico delle scienze naturali 29. L'intera questione saraÁ infine definitivamente 25. Die Geschichte eines Buches, cit., p. 937. 26. Questo eÁ un altro punto di diversitaÁ da Max Adler, che, invece, all'idea di socialismo come filosofia, come Weltanschauung, non rinunceraÁ mai, nonostante insista molto anche lui sull'importanza del marxismo come metodo di ricerca, anziche ideologia. 27. «La storia delle lotte di classe del proletariato non eÁ soltanto la storia del mutare delle condizioni di vita della classe lavoratrice, ma eÁ al tempo stesso la storia della sua evoluzione culturale» (Die OÈsterreichische Revolution, Wien, 1923 - ristampa Wien 1965, p. 200). 28. «Con l'appellativo di ``austromarxisti'' si designava allora [prima della guerra] un gruppo di giovani compagni austriaci impegnati nell'attivitaÁ scientifica: Max Adler, Karl Renner, Rudolf Hilferding, Gustav Eckstein, Otto Bauer, Friedrich Adler erano fra essi i piuÁ noti [...] avevano tutti dovuto imparare ad applicare la concezione marxista della storia a fenomeni complessi che non tolleravano un uso superficiale e schematico del metodo di Marx» (Austromarxismus, in «Arbeiter Zeitung», 3 novembre 1927, p. 1; W., 8, pp. 11-12). 29. Sozialdemokratische Agrarpolitik. ErlaÈuterung des Agrarprogramms der DeutschoÈsterreichischen Sozialdemokratie, (W., 3, pp. 283-428); Das sozialdemokratische Agrarprogramm (W., 3, pp. 10011015), elaborato da una commissione insediata al Congresso di Salisburgo del 1924, lo scritto venne poi esposto da Bauer al Congresso di Vienna del Novembre 1925.
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precisata nell'opera Sozialdemokratie, Religion und Kirche. Apprezzabile e pienamente condivisibile, quindi, il tentativo di Giacomo Marramao, nel suo saggio intitolato tra bolscevismo e socialdemocrazia, che interpreta l'invito di Bauer a rivedere il metodo di indagine marxista come proposta di assumere «una chiave di lettura non piattamente economicistica e non angustamente classista». Occorre peroÁ precisare che questa svolta metodologica eÁ databile, come documentato fin qui, non al tempo dell'articolo ``austromarxismo'' del 1927, come sostiene Marramao, ma molto prima, ed eÁ operativa anche su altri terreni di ricerca, non ultimo quello della questione religiosa. EÁ vero che Bauer, nell'articolo del '27, si limita a menzionare espressamente solo la questione delle nazionalitaÁ tra i ``fenomeni complessi'' da analizzare con il nuovo metodo. Ma trattasi ovviamente dell'intenzione di offrire un esempio, e sicuramente di uno tra i piuÁ emblematici. Poiche non eÁ pensabile che egli, proprio in quel preciso momento in cui scriveva l'articolo, non avesse davanti agli occhi, pur senza nominarla, anche la questione religiosa, cioeÁ quell'altro fenomeno che presentava forti analogie con la questione delle nazionalitaÁ, tanto piuÁ che questa era ormai lontana nel tempo, mentre quella religiosa, a metaÁ degli anni '20, occupava prepotentemente la scena politica e sollecitava Bauer, quale responsabile della politica del partito, di cui era segretario, a impegnarsi direttamente su questo terreno. La situazione politica austriaca degli anni '20, come vedremo piuÁ avanti, era fortemente instabile anche a motivo dei rapporti difficili, non risolti, tra socialisti e cattolici. L'impegno di Bauer era, in buona parte, proteso a contribuire a chiarire la situazione ed a risolvere la questione cattolica. CioÁ che egli fece, provocando in un primo momento, all'interno del proprio partito, un ampio e appassionato dibattito su di essa, con la produzione e l'inserimento, fra le tesi per il congresso di Linz del 1926, di un testo fortemente sollecitante in questo senso; e
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proseguõÁ l'anno successivo, pubblicando il saggio Sozialdemokratie Religion und Kirche, nel quale egli puntualmente applica al fenomeno religioso la medesima chiave di lettura che, nell'articolo sull'Austromarxismo dello stesso anno, dice di avere giaÁ adottato per la questione delle nazionalitaÁ. Del resto tra le due questioni, quella delle nazionalitaÁ e quella religiosa, le analogie sono forti ed evidenti, poiche come i sentimenti e gli ideali patriottici, anche quelli religiosi non hanno confini, ne geografici, ne sociali e nemmeno politici. Anche per i sentimenti e gli ideali religiosi si puoÁ dire che non sono riconoscibili solo entro confini territoriali precisi e nemmeno sono appannaggio esclusivo di alcuni ceti sociali, dal momento che essi si presentano come espressioni culturali, consolidate in tradizioni, proprie di tutti i ceti sociali e di tutte le formazioni politiche. Con questa precisazione circa il carattere essenzialmente ``metodologico'' e ``non filosofico'' del marxismo, Bauer ottiene anche un altro risultato di fondamentale importanza per il nostro tema: libera il campo da un ostacolo che precluderebbe, sia per i marxisti sia per i credenti, la prosecuzione del discorso sulla religione. Bauer, cioeÁ, con la sua nuova interpretazione, spoglia il marxismo della veste ideologica del ``materialismo scientifico naturale'' che i marxisti ortodossi, a cominciare dallo stesso Engels, gli avevano cucito addosso. Costoro, cosõÁ definendolo, avevano di fatto accreditato il marxismo come ``filosofia'', ``sistema filosofico'', quindi come ``una teoria dell'essenza del mondo''. Il marxismo aveva assunto in questo modo la valenza di dottrina atea, contrapposta in quanto tale alla visione religiosa del mondo. Liberando invece la dottrina di Marx da questa interpretazione e definendola semplicemente come ``scienza sociale'', ``scienza dello sviluppo della societaÁ umana'' 30, Bauer riduce di fatto il marxismo 30. Sozialdemokratie, Religion und Kirche, W., p. 492 [257].
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a semplice metodo di analisi scientifica, a strumento neutro privo di paraocchi ideologici. Ed eÁ questo carattere essenzialmente metodologico che, a suo parere, consente al marxismo di porsi liberamente e in posizione di grande apertura di fronte a tutti i propri oggetti di ricerca, a tutti i fenomeni storico-sociali, tra i quali, appunto, anche quello della religione. E una volta deposto l'abito ideologico, il marxismo diventa compatibile con tutte le visioni filosofiche del mondo, nel senso, giaÁ detto, che l'approccio ad esse non avviene sul terreno del confronto filosofico, ma su quello pratico degli effetti che esse producono nei comportamenti e nelle scelte concrete degli uomini. Allora, ecco una prima conclusione generale che si puoÁ trarre a proposito dell'approccio di Bauer alla religione: dal momento che il socialismo eÁ compatibile con tutte le filosofie, comprese quelle religiose, i conti critici non vanno fatti con la religione in quanto tale, ma con i fenomeni storico-socio-religiosi. EÁ anche per questo che nei suoi scritti uno spazio minore eÁ dedicato alle disquisizioni di ordine filosofico sulla religione e uno molto maggiore alle analisi e discussioni di aspetti pratici di essa: la sua storia, prassi sociale, politica, cultura ecc... IL
TEMA CENTRALE
I temi principali ricorrenti negli scritti di Bauer sono, infatti, il rapporto tra religione e societaÁ e tra religione e politica; piuÁ specificamente: i rapporti tra proletariato e religione, tra religione e chiesa, tra socialismo e cristianesimo, sotto gli aspetti ideologici, ideali, culturali, storici e politici. Ma se volessimo dare agli scritti di Bauer un titolo in grado di raccoglierli tutti, ed ai temi elencati e trattati un punto di riferimento unitario, credo che non si troverebbe di meglio che l'espressione ``Religion Privatsache'', religione come affare privato. Nessuno degli scritti di Bauer reca, in realtaÁ, questo tito-
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lo. Lo troviamo solo come titoletto di un paragrafo dell'opera maggiore (Religion Parteifrage oder Privatsache?). Ma in veritaÁ, nessun'altra espressione renderebbe meglio il senso globale dei suoi scritti sulla religione. Senza forzatura, lo si potrebbe porre anche a titolo generale di una trattazione del tema della religione nell'intero movimento dell' Austromarxismo, con particolare riferimento, ovviamente, a Max Adler e Otto Buaer. Religion Privatsache era stato il motto dei liberali ottocenteschi, fatto proprio successivamente anche dal movimento operaio socialista, fino ad essere formalmente ufficializzato per la prima volta nel congresso di fondazione del partito socialdemocratico austriaco (Heinfeld, 188990), e subito dopo adottato anche nel congresso del partito socialdemocratico tedesco (Erfurt, 1891) 31. Da qui in poi esso eÁ diventato la bandiera della linea politica di tutti gli altri partiti e movimenti socialisti. Una formula, appunto, e niente piuÁ, con la quale essi riproponevano la concezione laica dello stato tipica del liberalismo, e suggerivano al movimento operaio di assumere un atteggiamento di tolleranza e di indifferenza di fronte alla religione, lasciando la soluzione della ``questione religiosa'' alla dinamica generale del rapporto struttura-sovrastruttura, intesa ancora in termini puramente meccanicistici. Solo con Max Adler e Otto Bauer, fin dagli inizi del secolo, la formula diventa oggetto di un piuÁ serio approfondimento e di un piuÁ impegnativo dibattito. Il primo ne fornisce la fondazione filosofica, il secondo il fondamento storico. Religion Privatsache diventa un leit motiv ricorrente in quasi tutti gli interventi scritti dei due pensatori austromarxisti, fino ad assurgere, in Adler, oltre e prima 31. Vedi sopra, nn. 3 e 4. Per notizie ulteriori circa la formula ``Religion Privatsache'' negli altri congressi del Partito socialdemocratico austriaco ± Vienna 1901, 1905, 1914, Linz 1926 ± cfr. i corrispettivi Protokolle, e i riferimenti bibliografici riportati soprattutto in P. M. ZULEHNER, Kirche und Austromarxismus, Wien-Freiburg-Basel, Herder, 1967.
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che a titolo di uno scritto inedito, a concetto fondativo della sua filosofia della religione; e a guadagnare in Bauer la posizione di idea centrale, punto di riferimento costante di tutti i suoi discorsi sulla religione, noncheÂ, nella sua opera maggiore del 1927, oggetto di un'interessante indagine che egli svolge, sebbene in misura fortemente ineguale, su due livelli: uno antropologico-sociale, l'altro storico-politico. Quanto al livello ``antropologico-sociale'' occorre fare subito una duplice annotazione critica: la prima eÁ che, ± a differenza di Max Adler, secondo cui la religione eÁ originariamente ``privata'' (nel senso di ``interiore'') e solo dopo diventa ``sociale'' ± per Bauer, al contrario, essa «eÁ fin dall'inizio un fenomeno sociale» 32 e solo in seguito a cambiamenti economici e culturali diventa un'esigenza privata. Per Bauer insomma la concezione religiosa e il sentimento religioso fluiscono da una medesima sorgente e legano gli esseri umani, formando una comunitaÁ, che si daÁ regole e forme organizzative e si chiama ``chiesa'', retta da un gruppo dirigente: gli ecclesiastici. La trasformazione di questa religione sociale a religione privata si produce col processo di disgregazione sociale dell'antica comunitaÁ religiosa unitaria, prodotta a sua volta da una piuÁ generale disgregazione sociale, derivante dalla trasformazione dell'economia di natura in quella di mercato, nell'economia borghese capitalistica. Come le antiche comunitaÁ economiche si sono risolte in individui liberi legati soltanto dal contratto e pagamento in contanti, [cosõÁ] le antiche comunitaÁ religiose si sono disgregate in tanti soggetti 33.
In altre parole, secondo Bauer l'atomizzazione sociale indotta dal sistema economico borghese capitalistico ha 32. Proletariat und Religion, W., p. 142 [165]. 33. Ivi, p. 144 [166].
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portato come conseguenza anche l'individualismo religioso 34. A questa prima spiegazione di ordine economico, dettata a Bauer dalla propria visione materialistico-storica, egli ne aggiunge altre due. Una eÁ di ordine strettamente religiosa: la tendenza dei singoli a rifugiarsi nel sentimento religioso individuale per sfuggire al dominio degli ecclesiastici che hanno trasformato la chiesa in proprio strumento di potere. L'altra eÁ di ordine culturale generale: l'influsso dell'illuminismo borghese, portatore di una propria immagine individuale del mondo e al tempo stesso diffusore di una mentalitaÁ non piuÁ fondata sulla fede ma sulla ragione. Questa, affermando l'autonomia del pensiero e la libertaÁ individuale del sapere e criticando tutti i valori tradizionali, quindi anche la religione nella sua forma comunitaria di chiesa gerarchica e burocratizzata, rifiuta ogni autoritarismo. Questo processo di distacco degli individui dalle chiese Bauer lo vede attivo, pur passando per molti gradi intermedi e secondo differenti gradi evolutivi della coscienza religiosa, all'interno di tutti i ceti e le classi sociali, dalle persone colte agli strati popolari. Per l'insieme di questi fattori, sociali e culturali, dall'Illuminismo in poi, la chiesa non appare piuÁ agli occhi di Bauer «quel patrimonio comune di valori intangibili di una comunitaÁ poco differenziata, quanto piuttosto la conquista del pensiero e del sentire del singolo» 35. EÁ innanzitutto questo significato antropologico-culturale-sociale che Bauer attribuisce all'espressione Religion Privatsache. In entrambe le spiegazioni, quella religiosa e quella culturale, eÁ, comunque, implicito giaÁ anche un significato politico: il rifiuto, anzi l'ostilitaÁ alla chiesa: 34. Una spiegazione specularmente inversa rispetto a quella ipotizzata da Max Weber, secondo cui sono le idee individualiste portate dalla Riforma calvinista che hanno favorito il sorgere del sistema economico capitalistico borghese, liberistico. (Cfr. M. WEBER, L'etica protestante e lo spirito del capitalismo, Firenze, Sansoni 1945). 35. Proletariat und Religion, W., p. 143 [166].
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l'uomo moderno non sopporta piuÁ la chiesa come associazione di potere e pretende che [...] non si estenda al di laÁ della cerchia della comunitaÁ'' propriamente religiosa 36.
La Chiesa eÁ invitata a rimanere nel proprio ambito propriamente religioso interiore, senza sconfinare nella vita pubblica statale. Si mantenga essa dunque al di fuori e separata dallo stato. Per altro verso, si fa strada nella coscienza comune anche la pretesa che il mutamento avvenuto nell'ambito della coscienza individuale si estenda nella legislazione e nella societaÁ. Quasi a dire: come l'individuo eÁ giunto a considerare la religione come Privatsache, cosõÁ faccia anche lo stato, non interferendo nella vita religiosa dei singoli e delle comunitaÁ. Per illustrare meglio il suo pensiero su questo punto, Bauer ricorre al parallelo tra lo sviluppo in campo economico e quello in ambito religioso: come in economia lo stato eÁ passato da una gestione controllata e dirigista ad una economia liberista, lasciando libero campo all'iniziativa dei singoli cittadini, cosõÁ faccia nel campo religioso, risolvendo il proprio rapporto con le chiese ed evitando qualsiasi intervento a favore o contro di esse, lasciando liberi i cittadini di credere liberamente in maniera individuale e di aderire liberamente e volontariamente a un'associazione religiosa. In questo caso Religion Privatsache equivale alla definizione di stato ``laico''. EÁ su quest'aspetto che Bauer si sofferma piuÁ a lungo, inoltrandosi in un'indagine storica fino allora mai tentata da un pensatore marxista. Al tempo di Bauer, infatti, Religion Privatsache era ritenuta comunemente una rivendicazione laica della tradizione politica liberale, mirante alla separazione tra chiesa e stato e alla liberazione della politica dalla religione, dall'ipoteca ecclesiastica. 36. Ivi, p. 144 [166].
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Bauer, invece, con un percorso storico a ritroso, giunge a scoprire e a mettere in luce l'origine religiosa del concetto, quale rivendicazione di movimenti religiosi sia medioevali che moderni protestanti, che miravano piuttosto alla liberazione della religione dalla politica: in epoca medioevale dall'ingerenza della chiesa nella politica, in epoca moderna dall'ingerenza dello stato negli affari della religione. Quindi, la ``Religion Privatsache'', prima della sua secolarizzazione operata dall'ideologia liberale e poi da quella marxista, appare a Bauer la parola d'ordine della lotta secolare dei movimenti religiosi eretici, culminati nella Riforma ed operanti oltre la Riforma stessa. Ma prima di giungere a queste conclusioni che sono proprie dell'opera piuÁ matura del '27, Bauer, come giaÁ anticipato, lancia la sua parola d'ordine giaÁ nei primi scritti giovanili, innanzitutto come risposta immediata al problema del clericalismo e anticlericalismo, in cui egli s'imbatte giaÁ nei primissimi anni del secolo, agli inizi del suo impegno culturale e politico. Poiche non c'eÁ qui spazio per parlarne diffusamente, si rinvia alla lettura diretta dei testi baueriani compresi in questo volume 37. Tuttavia non si puoÁ fare a meno di riprendere almeno i termini essenziali di questo discorso, per poi concentrare subito l'attenzione sull'opera del 1927.
37. Per chi fosse interessato alla lettura dei testi direttamente in lingua tedesca, rinvio al volume O. BAUER, Religion Privatsache. Der Weg zur Freiheit, Wien-Salzburg, Geyer Edition, 2001, Presentazione di P.M. Zulehner, Introduzione e cura di T. La Rocca.
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II CONTRO IL CLERICALISMO E L'ANTICLERICALISMO
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IL
CONTESTO STORICO-POLITICO
Il primo periodo (1908-1911) risente della particolare situazione dell'Austria giaÁ avviata sulla inevitabile via del tramonto della dinastia asburgica, a cui in precedenza la chiesa era stata strettamente legata, ma dal cui destino catastrofico finale aveva tempestivamente pensato di mettersi in salvo, affidando la propria sopravvivenza e il proprio rilancio alla nuova forza politica del partito cristiano-sociale, emerso ed affermatosi tra fine '800 e inizio secolo, in competizione con l'altro protagonista politico nuovo del momento, il partito socialista. Entrambi, pur di recente costituzione e formazione, ottengono un grande successo nelle prime elezioni austriache a suffragio universale del 1907, consolidandosi poi via via nelle successive tornate elettorali. Un contesto caratterizzato dall'emergere della nuova classe lavoratrice, che va crescendo nelle grandi cittaÁ, soprattutto a Vienna, ponendo nuovi problemi sociali (scuole, case, assistenza sanitaria ecc...) e dal riesplodere dello scontento delle classi tradizionali (contadini, artigiani, commercianti) e nuove (ceto medio dei liberi professionisti, dei funzionari e impiegati pubblici). Di queste nuove forze, esigenze e rivendicazioni si fanno interpreti i nuovi protagonisti politici: i due grandi partiti di massa, quello socialista e quello cristiano-sociale, all'inizio ostacolato, ma poi accettato, ispirato e sostenuto anche dal clero.
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A questo contesto politico e sociale fa da sfondo una vivacitaÁ culturale senza precedenti della capitale austriaca, espressione di energie intellettuali liberate proprio dalla medesima crisi dell'Impero e dalla nuova situazione conflittuale politica e sociale. Eventi, condizioni e situazioni che aprono spazi maggiori di libertaÁ di pensiero, di stampa, di manifestazioni artistiche. Ne eÁ testimonianza la ricchissima produzione nei molteplici e svariati campi che vanno dalla letteratura alla musica, dalla pittura all'architettura e alla proliferazione dei circoli culturali e dei teatri. Dinamismo sociale e politico e vivacitaÁ culturale evidenziano la crisi della vecchia politica e della vecchia cultura, che, nonostante l'inadeguatezza nei confronti della contemporaneitaÁ, non intendono arrendersi e continuano a sopravvivere accanto alle idee e alle prospettive nuove che si vanno aprendo e profilando per il futuro. Passato e futuro convivono in un presente estremamente movimentato, contraddittorio, a tratti ``apocalittico''. EÁ in questo contesto che nasce e si sviluppa, anche con il contributo decisivo di Bauer, l'austromarxismo, col suo tentativo di interpretare il proprio tempo e operarne il superamento. L'austromarxismo eÁ una corrente di pensiero sorta a Vienna agli inizi del secolo attorno alle riviste «Marx Studien» (1904) e «Der Kampf» (1907), che doveva assumere piuÁ tardi, in occasione della prima guerra mondiale e, poi, soprattutto in seguito alla caduta dell'impero austroungarico e sull'onda della vittoria della rivoluzione russa, connotati sempre piuÁ marcatamente politici, fino a identificarsi con la componente interna di sinistra del partito socialista austriaco. I suoi esponenti ± tra cui, come giaÁ anticipato, principalmente Karl Renner, Rudolf Hilferding, Otto Bauer e Max Adler ± critici verso la socialdemocrazia tedesca e, nello stesso tempo, verso il bolscevismo, si misero alla ricerca di una ``terza via'' che evitasse i difetti del revisionismo bernsteiniano e del radicalismo del leninismo. Il primo rischiava di irretire il socialismo tra le maglie
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del capitalismo senza farlo mai decollare; il secondo appariva inadeguato ed estraneo alla situazione ed alla societaÁ austriaca di allora. Il problema non era solo quello di dare risposte politiche concrete agli scottanti e urgenti problemi sociali e politici del momento, ma anche quello di giustificarle nella coerenza della propria fede marxista. E d'altra parte non era molto chiaro a quell'epoca di crisi ± anche del marxismo ± quale fosse o dovesse essere il vero marxismo. Gli austromarxisti, pur richiamandosi inequivocabilmente a Marx, e quindi presentandosi come ``ortodossi'', non dogmatizzarono il pensiero di Marx, chiudendolo in un ``sistema rigido'', ma vi si ispirarono come a una «forma attivamente operante [...] in sviluppo». Tentarono, per un verso, di liberare il marxismo dall'impostazione materialisticoeconomicistica della Seconda Internazionale, dalle preoccupazioni empirico-positivistiche di inseguire i problemi solo sul terreno pratico delle soluzioni politiche immediate; e, per altro verso, di conferirgli una visione teorica piuÁ ampia che gli consentisse di aprirsi ad orizzonti piuÁ vasti. Capirono che cioÁ sarebbe stato possibile solo mediante una traduzione ed una elaborazione dei presupposti filosofici del marxismo nella direzione dell'etica, della filosofia della storia e della scienza. E su questi terreni, Kant ed Hegel, come giaÁ detto, si presentavano ad essi come inevitabili punti di riferimento e di confronto. EÁ in questo contesto che va collocata la revisione del marxismo e del socialismo operata dagli esponenti di questo movimento e sul piano dei princõÁpi dottrinali e su quello delle strategie politiche (collaborazione con le forze popolari cattoliche, via nazionale al socialismo, autodeterminazione dei singoli stati nazionali, stato federale sovranazionale ecc.) S'inserisce in questo contesto e per merito di questi pensatori austromarxisti viennesi anche la revisione teorica della critica marxista nei riguardi della religione e quella pratica del movimento socialista nei confronti del mondo culturale e politico religioso della Vienna
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e dell'Austria e, piuÁ in generale, dell'Europa di allora. E se Max Adler puoÁ ritenersi, a giusto motivo, il revisore piuÁ radicale della critica filosofica marxista della religione, Otto Bauer, insieme a Karl Renner, puoÁ essere considerato non da meno il revisore piuÁ aperto delle strategie socialiste sul terreno delle politiche religiose. Assieme a Renner, si dimostra, infatti, l'osservatore piuÁ interessato, il critico piuÁ attento all'evoluzione storico-culturale, sociale e politica, allora in corso nel mondo cattolico, e lo stratega piuÁ accorto nell'ideare, suggerire e praticare una nuova linea politica nei suoi confronti. Fin dai suoi primi esordi (1908) sulla questione religiosa, Bauer avverte l'esigenza di cominciare a cercare e realizzare una via democratica al socialismo, ancor prima che venisse imposta dall'urgenza indotta dal confronto con l'esperienza del comunismo sovietico del primissimo dopoguerra. Si forma subito la convinzione che in un paese a grande maggioranza cattolica, come l'Austria, quella via non eÁ percorribile senza l'aggregazione di una parte consistente degli strati proletari e piccolo-medi borghesi credenti. Si propone allora di capire fondamentalmente due cose: a) quali di questi strati sia possibile avvicinare e guadagnare alla causa del socialismo; b) su che cosa far leva e a quali mezzi ricorrere per aggregarli. A questo scopo egli compie una duplice indagine sul rapporto tra religione e societaÁ: da una parte, opera una sorta di ``vivisezione'' sociale e politica del cattolicesimo austriaco; dall'altra, tenta un'analisi e una valutazione della dottrina sociale del cristianesimo. Di queste indagini egli riferisce nei primi quattro articoli dedicati alla questione religiosa: Bourgeoisie e clericalismo, Proletariato e religione, entrambi del 1908, Socialismo cattolico del 1909 e La fine del socialismo cristiano del 1911. Tali analisi verranno successivamente riprese ed elaborate.
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IL
CATTOLICESIMO AUSTRIACO D'INIZIO SECOLO
Non eÁ il caso di stare a riprendere le differenziate e dettagliate analisi che Bauer compie dell'arcipelago sociale e politico cattolico del tempo. BasteraÁ un accenno. PuoÁ riuscire, invece, di un certo interesse soffermarsi sulla spiegazione, che egli fornisce della differenziazione sociale e politica del mondo cattolico, ritenuta per altro eccessiva in un paese relativamente piccolo e, per certi aspetti sorprendente per una popolazione molto ordinata e coesa, come quella dell'Austria imperiale cattolica, e sulla valutazione della religiositaÁ, dell'ateismo e del clericalismo e anticlericalismo dei diversi ceti sociali. La spiegazione. La societaÁ austriaca d'inizio secolo appare a Bauer molto differenziata al proprio interno. Una differenziazione che passa, peroÁ, non tanto tra una classe e l'altra, quanto trasversalmente tra i diversi ceti sia del proletariato che della borghesia. E in questi settori dell'una e dell'altra classe Bauer nota una costante: un certo grado di attaccamento alla religione tradizionale s'incrocia con un altrettanto diffuso atteggiamento anticlericale. Inoltre, i diversi ceti del proletariato (contadini, artigiani, operai industriali, proletariato femminile) e della borghesia (imprenditori industriali, commercianti e agrari, liberi professionisti, intellettuali, impiegati e funzionari del ceto medio) presentano differenziati gradi evolutivi della coscienza religiosa: c'eÁ chi ha radicalmente reciso il rapporto con la religione e si eÁ attestato su una posizione atea e anticlericale ± come nel caso dei ``liberi pensatori'' (i Freidenker) e della generazione piuÁ vecchia dei proletari industriali; e c'eÁ chi, sia tra i proletari sia tra i borghesi, pur mostrando indifferenza alla religione, non se la sente di sposare una posizione apertamente atea e anticlericale. C'eÁ infine la fascia dei proletari e dei borghesi credenti, che coltivano sentimenti e pratiche religiose tradizionali, ma che sopportano malvolentieri il clericalismo dominante della propria chiesa.
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Bauer spiega questo processo di differenziazione della coscienza religiosa come strettamente connessa con il piuÁ generale processso di autonomizzazione del sapere, prodotto non solo e non tanto, come comunemente si crede, dall'illuminismo, cioeÁ dalla diffusione di nuove e sempre piuÁ numerose conoscenze, quanto, invece, soprattutto dalla rivoluzione del modo di vivere operata dal nuovo modo di produzione del capitalismo. Il passaggio da un'economia centralizzata a un'economia individuale determinatosi con l'avvento del capitalismo, ha mutato anche l'atteggiamento religioso. E come nella vita economica non eÁ piuÁ solo lo Stato, ma anche il singolo cittadino a prendere iniziativa, cosõÁ nella vita culturale e religiosa non eÁ piuÁ solo la chiesa, ma anche il singolo individuo a prendere posizione sui problemi religiosi. A una nuova economia capitalista, di tipo liberista individuale, corrisponde quindi una Religion Privatsache. Una spiegazione che Bauer fa rientrare, come si puoÁ facilmente constatare, nell'alveo della visione classica del materialismo storico marxista, secondo cui eÁ la vita che determina la coscienza. EÁ la vita che produce sapere, conoscenze, idee. Un principio che Bauer ribadisce spesso nei suoi scritti sulla religione, riprendendolo piuÁ estesamente e insistendovi particolarmente nell'opera maggiore del '27 38. Negli scritti giovanili aggiunge una sfumatura interessante. Concentra la sua attenzione non tanto sui contenuti nuovi del sapere, sulle nuove idee e conoscenze scientifiche prodotte da questo modo nuovo di vivere che eÁ il capitalismo, quanto piuttosto sulla «disponibilitaÁ
38. Dove Bauer daÁ, peroÁ, un giudizio negativo dell'anarchia delle leggi liberiste economiche del capitalismo, in quanto portatrici non tanto del nuovo e autonomo modo di pensare, ma dell'insicurezza per la vita degli operai; e quindi daÁ un giudizio negativo della religione, quale espressione, appunto dei timori, delle paure e delle angosce legate a questa situazione di anarchia economica.
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ad usare il sapere» 39 cioeÁ sulla nuova possibilitaÁ di un pensiero autonomo, non piuÁ succube della tradizione, dove il sapere veniva creduto e trasmesso. La valutazione. EÁ contraddittoria la valutazione che Bauer fornisce di un fenomeno cosõÁ differenziato, dato dal passaggio dalla religiositaÁ popolare all'ateismo e all'anticlericalismo. Infatti, per un verso, in linea con la tradizione del pensiero idealistico liberale e con quello marxista, egli giudica la religiositaÁ popolare come una forma residuale di sapere inferiore, destinato ad essere superato dalla nuova forma scientifica di sapere. Quando le nuove idee e i nuovi modi di pensare diventeranno patrimonio di tutti, allora anche la religione scompariraÁ. Per altro verso Bauer ribadisce che, finche il superamento non si saraÁ completamente verificato, occorre rispettare gli attuali stadi di maturazione delle coscienze, la loro libertaÁ d'esprimersi secondo le proprie convinzioni attuali e nei modi che esse credono piuÁ adeguati. Di questa rappresentazione baueriana della religione come modo inferiore del pensare e, nello stesso tempo, di questo suo atteggiamento di rispetto nei suoi riguardi, si ha conferma (e ulteriore sviluppo) in Sozialdemocratie, Religion und Kirche del 1927. Qui, infatti, la religione eÁ ricondotta essenzialmente a quel sentimento primordiale di timore di fronte alle forze oscure sconosciute della natura (che possono mettere in pericolo la vita dell'uomo e a rischio le opere del suo lavoro) o di fronte alle forze incontrollate dello sviluppo economico capitalistico, al cui cospetto l'uomo di oggi prova un analogo stato d'animo di angoscia per l'insicurezza del posto di lavoro e per la sopravvivenza. Si tratta di una religione, quindi, ritenuta sempre come forma inferiore di coscienza, prodotto di uno stadio inferiore di sviluppo della vita sociale ed eco39. Proletariat und Religion, cit., W., p. 141 [164].
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nomica. Solo che, questa volta, lo stadio di cui si parla eÁ il capitalismo, visto sotto altra angolatura rispetto allo scritto del 1908, Proletariato e Religione. Il capitalismo eÁ ora visto come una nuova condizione di insicurezza per la vita degli operai, a motivo dell'anarchia delle sue leggi economiche liberiste, che instillano timore, paura, angoscia. Stati d'animo da cui s'originava e s'origina tuttora la religione. Anche l'anticlericalismo eÁ valutato da Bauer in modi differenti: da una parte, positivamente, come fase di presa di coscienza critica nei confronti della strumentalizzazione politica della religione operata da un settore interessato della chiesa, dal clero, per la difesa dei propri interessi di potere; e dall'altra, negativamente, come strategia culturale e politica sbagliata. Su questo punto la contraddizione di Bauer eÁ palese, non saprei dire se anche consapevolmente voluta. Entrambi i giudizi sono contenuti nei due articoli pubblicati nel medesimo anno (1908) e sulla medesima rivista («Der Kampf»), rivolta ai medesimi lettori, a distanza solo di pochi mesi l'un dall'altro: Borghesia e clericalismo e Proletariato e Religione. Sembrano scritti da due persone diverse, perche nel primo l'anticlericalismo viene invocato proprio come elemento di attrazione per i ceti borghesi medi anticlericali; nell'altro viene invece decisamente sconsigliato, per la possibile fuoriuscita dal movimento socialista di una componente cospicua di operai credenti, che potrebbero sentire come un'offesa ai loro sentimenti un attacco alla religione e alla chiesa. In altre parole, impegnato nella ricerca di punti di contatto tra proletariato e borghesia, Bauer sembra trovarli, in questo periodo iniziale, soprattutto nel comune «interesse di classe» che egli indica in generale col termine ``anticapitalismo'', e nella comune ``ideologia di classe'', che analogamente, in maniera altrettanto generale, indica col termine ``anticlericalismo'', quale cifra sintetica che esprime
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l'opposizione alle forme di autoritarismo dominante nelle societaÁ occidentali, per le quali Bauer giudica responsabile la millenaria alleanza tra Stato e Chiesa. L'insistenza di Bauer sull'anticlericalismo eÁ motivata anche dal fatto che in quel periodo di inizio secolo l'alta e medio-alta borghesia ± in particolare quella liberale imprenditoriale, commerciale e agraria, tradizionalmente anticlericale ± comincia ad avvertire il proletariato come antagonista sul terreno dell'interesse di classe. E comincia, percioÁ, anche ad ammorbidire il suo anticlericalismo e ad accostarsi al nemico giurato tradizionale, al clericalismo, intravisto come «l'unico ancora veramente in grado di mobilitare grandi masse popolari contro il proletariato». Nella marcia dell'alta e medio-alta borghesia verso il clericalismo, Bauer vede il rischio che venga coinvolta, per attrazione, anche la piccola e media borghesia degli intellettuali, impiegati e funzionari. EÁ proprio il timore per questo rischio di alleanza che spinge Buaer a calcare la mano sull'anticlericalismo, da una parte quasi a ricordare ai piccoli e medi borghesi la loro coerenza e fedeltaÁ agli interessi e, insieme, alla loro ideologia di classe; dall'altra verso, per mobilitare la classe operaia ad un'azione di propaganda, che, oltre a far perno sulla non coincidenza degli interessi dei ceti alti con quelli dei ceti medi borghesi, insista anche e maggiormente sui sentimenti anticlericali di questi ultimi. L'anticlericalismo, a questo punto, appare l'elemento di attrazione per i ceti borghesi medi, la chiave piuÁ adeguata per penetrare tra le loro fila e agganciarli al movimento socialista. Anzi, c'eÁ di piuÁ: Bauer rivendica alla socialdemocrazia la coerenza radicale nella lotta anticlericale, a fronte dell'incoerenza dell'alta borghesia che, contrariamente alla propria tradizione anticlericale, si allea con i clericali, vecchi e nuovi 40. Queste indicazioni strategiche risultano, peroÁ, come giaÁ 40. Bourgeoisie und Klerikalismus, cit., W., p. 102 [153].
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detto, in contrasto con quella che Bauer daraÁ nello scritto di appena qualche mese dopo, Proletariato e religione. Qui la valutazione del clericalismo e dell'anticlericalismo eÁ la stessa, ma muta, appunto, l'indicazione strategica: deporre l'ascia di guerra della lotta anticlericale perche rischia di diventare controproducente all'interno e all'esterno del movimento operaio. All'interno, perche le cospicue componenti di aderenti credenti, sentendosi offesi nei loro sentimenti e mal sopportando un attacco alla religione e alla chiesa, lascerebbero il partito; all'esterno, perche una campagna anticlericale potrebbe rinforzare i sospetti antireligiosi che gli altri ceti borghesi e contadini giaÁ nutrono nei confronti del socialismo, continuando in questo modo a mantenerli ancora lontano, invece di aggregarli al movimento socialista. La soluzione allora sta nell'abbandonare, o almeno nel mettere in secondo piano, la lotta antireligiosa e anticlericale e nell'insistere sulla piuÁ generale lotta di classe, impegnata nella soluzione dei problemi di natura economica, sociale e politica. CioÁ non vuol dire, per Bauer, che si debba rinunciare alla lotta ideologica, ma che questa, se si deve e si vuol fare, deve essere condotta con la propaganda positiva delle idee socialiste, piuÁ che con la lotta alle opinioni e alle idee altrui, quelle religiose comprese. Bauer giudica piuÁ matura e produttiva una posizione di indifferenza di fronte alla religione, quindi una posizione ne antireligiosa ne anticlericale. Per il partito, scrive Bauer, «come non eÁ lecito rappresentare la fede, cosõÁ neanche l'incredulitaÁ»; ragion per cui ogni confessione deve essere vera 41. Il mutamento tra il primo e il secondo scritto eÁ quindi evidente. 41. Ivi, p. 101 [153 ss.]. Per una piuÁ generale idea circa il rapporto tra lotta di classe e lotta ideologica vedi O.BAUER, Klassenkampf und Ideologie, in «Der Kampf», vol. 21, pp. 281 ss (W., vol. 3, pp. 190202).
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Tuttavia, occorre ribadire che, sebbene ridimensionato, emarginato o per lo meno messo in sordina, l'anticlericalismo non viene mai escluso del tutto. CioÁ avverraÁ in maniera decisa piuÁ tardi, negli anni '20, come vedremo. All'epoca di cui si sta parlando, permane sempre una certa ambiguitaÁ nell'atteggiamento mentale di Bauer: pur riconoscendolo controproducente all'interno e all'esterno del movimento socialista, e pur non condividendolo e criticandolo, egli si mostra comprensivo e tende perfino a giustificare l'anticlericalismo di quei militanti socialisti che non riescono a perdonare alla chiesa l'alleanza con le forze capitaliste, autoritarie e sfruttatrici. Si schiera a loro favore con due ordini di giustificazione: una psicologica ed una culturale. Egli trova spiegazione dell'antireligiositaÁ e dell'anticlericalismo della componente piuÁ radicale del partito socialista nella legge generale dei processi storici degli uomini. Spiega, cioeÁ, anche la formazione della coscienza atea degli antireligiosi e anticlericali, similmente a quella religiosa, come un prodotto inevitabile del processo socio-economico in atto, che sta sconvolgendo, rivoluzionando la coscienza e, quindi, sovvertendo tutti i valori tradizionali. E quanto piuÁ questi valori tradizionali sono stati sentiti oppressivi e nocivi, e quanto piuÁ difficile eÁ stata la lotta per liberarsene, tanto piuÁ vengono rifiutati e odiati. A questa dinamica, che Bauer definisce come «legge psicologica generale» 42, non sfuggono neanche gli atei socialisti. Ma la veemenza dei sentimenti ostili degli anticlericali socialisti e la loro critica a volte un po' grossolana, Bauer le attribuisce anche alla carenza della mediazione culturale, all'arretratezza culturale del proletariato, non facilmente e non prontamente colmabile. Carenza culturale ± ci tiene a precisare Bauer ± che eÁ un prodotto della societaÁ ca42. Proletariat und Religion, W., p. 146 [169].
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pitalista, che ha sempre escluso dalle conquiste culturali gli strati inferiori. Ma c'eÁ una motivazione piuÁ generale e piuÁ profonda. A tutti costoro non si puoÁ negare ± e Bauer stesso confessa di non sentirsela di fare altrettanto ± lo stesso di diritto di libertaÁ di coscienza che si intende difendere per i credenti. Similmente ai credenti, anche gli atei hanno infatti una propria Weltanschauung, una visione del mondo orientata in altre direzioni non religiose, di cui essi sentono l'analoga esigenza dei credenti di comunicare all'esterno, agli altri, e fondare sui principi di essa una propria comunitaÁ. Esigenza che puoÁ contemplare anche momenti di lotta antireligiosa e anticlericale. Allora, coerenza vuole che il diritto alla libertaÁ di coscienza e di espressione sia riconosciuto universalmente, sia a credenti che a non credenti. Alla fine Bauer confessa pertanto di sentirsi obbligato a rispettare allo stesso titolo sia la fede degli uni che la coscienza degli altri. Pur ribadendo la propria opinione diversa, fondamentalmente propensa all'esclusione della lotta antireligiosa ed anticlericale, Bauer non se la sente peroÁ di negare a quella fascia proletaria radicale la libertaÁ di operare secondo la propria coscienza («secondo la necessitaÁ del loro cuore») 43 e secondo le forme e nelle circostanze che essi stimano politicamente piuÁ appropriate per la causa del socialismo. Altra ambiguitaÁ resta anche in fondo alla sua distinzione su cui Bauer insiste spesso: quella tra religione e chiesa. CONVERGENZE
E DIVERGENZE
Maggiormente evidente il mutamento tra i primi due scritti e gli articoli del 1909 e 1911, dove Bauer, continuando an43. Ivi, W., p. 148 [172].
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cora la radiografia sociale del mondo religioso del proprio paese, passa addirittura alla ricerca di elementi positivi della dottrina e del programma del socialismo cattolico. Di esso Bauer trova interessanti particolarmente due elementi, apprezzati perche significativamente convergenti con il socialismo: ± la teoria del lavoro presente nella dottrina sociale della chiesa; ± l'ispirazione ideale originaria del cattolicesimo: anticapitalista e filo-socialista. La riflessione sul primo punto eÁ suggerita a Bauer dalla pubblicazione del libro di un prete cattolico, Wilhelm Hohoff, Valore delle merci e profitto del capitale; quella sul secondo punto dalla costatazione del rischio della deriva reazionario-conservatrice del partito cristiano-sociale del suo tempo, rischio che ne comporta un altro: il suicidio stesso del socialismo cristiano, di cui Bauer parla, appunto nell'articolo, Socialismo cattolico del 1909. Egli si mostra felicemente sorpreso di vedere rappresentata, nel libro di Hohoff, come molto simile e vicina a quella socialista marxista, la dottrina sociale della chiesa. Questo tentativo di ricordare la dottrina sociale originaria della chiesa, con l'esplicito intento di farne vedere la grande sintonia con quella moderna di Marx, appare a Bauer tanto piuÁ apprezzabile quanto piuÁ marcata e rapida procede la conversione moderna del cattolicesimo verso l'deologia capitalistica. Da prete cattolico, con il suo libro, Hohoff vuole fare un' apologia del cristianesimo. Ma ± eÁ qui la grande sopresa di Bauer, e forse di chiunque ± lo fa attraverso la difesa della teoria del valore di Marx, mediante «l'esaltazione del significato della critica marxista al capitale» 44. Il libro, infatti, eÁ incentrato tutto sulla coincidenza 44. Katholischer Sozialismus, W., p. 290 [176].
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della dottrina del valore del lavoro nella tradizione del pensiero sociale della chiesa con quella de Il Capitale di Marx. Per lo studioso cattolico, entrambe le dottrine convergono sostanzialmente sull'assoluto valore del lavoro, quale unica fonte di valore delle merci: «il valore di una merce corrisponde al tempo di lavoro necessario per produrla» 45. CioeÁ solo il lavoro produce valore. Hohoff documenta la presenza di questa dottrina, formulata piuÁ rigorosamente da Marx, giaÁ nella dottrina sociale medioevale della chiesa, nella scolastica e nella teologia di Tommaso d'Aquino. Anzi la fa risalire addirittura ancora piuÁ indietro nel tempo, fino ai testi dell'Antico Testamento. Hohoff documenta, inoltre, come la chiesa, nonostante la sua incoerenza pratica nell'appoggiare e, addirittura, nello sposare il capitalismo, non abbia mai eliminato questa antica dottrina sul valore del lavoro dai suoi documenti ufficiali, dal Diritto Canonico e dalle Encicliche papali, compresa l'ultima piuÁ importante in materia di problemi sociali, la Rerum novarum di Leone XIII, che l'ha ripresa e riproposta, sebbene in un contesto critico antimarxista. Hohoff fa notare il carattere chiaramente anticapitalista della dottrina e il suo stridente contrasto con l'attuale prassi di conversione e di adeguamento della chiesa al capitalismo, che eÁ regolamentato, appunto, dalla nota legge D ± M ± D (= il denaro genera denaro), esattamente contraria a quella della tradizione dottrinale cristiana (solo il lavoro genera valore). Bauer si compiace, quasi divertito, del fatto che Hohoff, diventato ai suoi occhi ormai non piuÁ solo ``fervente cattolico'', ma anche ``convinto marxista'', avanzi un'altra interessante ipotesi: che nella dottrina del valore, nel concetto di lavoro di Karl Marx 46, cioeÁ nella dottrina marxiana del 45. Ivi, W., p. 291 [178]. 46. Precisamente nella concezione marxiana del lavoro come merce speciale, come forza-lavoro che «produce piuÁ valori del valore stesso in cambio del quale viene messa anch'essa in vendita» (Ivi, W., p. 293) [180].
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plus-valore, la chiesa puoÁ addirittura trovare una via d'uscita dalla contraddizione tra la propria dottrina (che ripone il valore solo nel lavoro) e il dato di fatto della societaÁ capitalista, basata, invece, sullo sfruttamento del lavoro, ridotto a semplice mezzo di produzione, a forza-lavoro venduta alla stregua delle altre merci di scambio. Bauer si mostra fortemente interessato all'analisi e alle conclusioni di Hohoff, che tra l'altro giudica «assolutamente corrette» 47. Condivide anch'egli la convinzione che Il Capitale di Marx offra una riedizione piuÁ moderna della dottrina tradizionale della chiesa e che «nella dottrina del valore di Marx il cattolico credente possa trovare la giustificazione delle dottrine di S. Tommaso d'Aquino» e di altri grandi dottori della chiesa. Come pure altrettanto convinto si mostra Hohoff, e Bauer a ruota, sulla piena congruenza delle conseguenze pratiche derivanti dall'analisi di Marx con i «comandamenti della chiesa medioevale'', cioeÁ: ± la lotta di classe per l'eliminazione del contrasto tra capitale e lavoro; ± il ricongiungimento tra lavoro e proprietaÁ; ± l'eliminazione dello sfruttamento, che si fonda proprio sulla separazione del lavoro dalla proprietaÁ degli oggetti prodotti 48. Bauer, sulla scia delle suggestioni di Hohoff, fatte le debite distinzioni, trova anch'egli una sorprendente affinitaÁ tra la societaÁ socialista del futuro, immaginata da Marx, e quella cristiana del passato, codificata nelle leggi economiche del Diritto canonico. Sono simili in un punto fondamentale: in entrambe i lavoratori non conoscono proventi se non dal lavoro e, in entrambe, essi «sono anche padroni dei mezzi di lavoro e dell'introito dal lavoro» 49, con la sola
47. Ivi, W., pp. 293-294 [180-181]. 48. Ivi, W., p. 294 [181]. 49. Ibidem [180].
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differenza, ci tiene a sottolineare Bauer, che nella societaÁ medioevale lo erano come individui, e che oggi invece, in quella socialista, lo potranno essere come collettivitaÁ sociale. Bauer apprezza il coraggio di Hohoff nel congiungere il mondo precapitalistico cristiano con il mondo post-capitalistico, quello del futuro socialismo, convinto che quest'ultimo «insegneraÁ di nuovo al mondo ad ubbidire ai comandamenti di Dio e della santa chiesa» 50. Non gli pare neanche paradossale che cioÁ possa essere fatto da una forma di pensiero, come il socialismo marxista, che si professa ateo e si atteggia a maniere irreligiose. EÁ noto anche a lui che nella storia biblica e cristiana Dio per convincere i cuori duri del proprio popolo e dei credenti si eÁ servito a volte anche degli empi. Bauer apprezza la prospettiva di questo ricongiungimento di socialismo e cristianesimo che Hohoff fa emergere dalla sua analisi, anche con un certo grado di realismo, consapevole delle difficoltaÁ che vi si frappongono. Si mostra peroÁ scettico, anzi pessimista circa la possibilitaÁ di una riconciliazione e collaborazione tra ``chiesa'' e socialismo. I motivi del pessimismo di Bauer sono molto piuÁ radicali delle difficoltaÁ pur realisticamente segnalate da Hohoff. Questi riconduce il problema a fattori di ordine culturale: ignoranza, pregiudizi, accecamento dall'una e dall'altra parte; Bauer invece individua due motivi molto piuÁ profondi e di diversa natura. Il primo motivo eÁ di ordine economico e politico: la contraddizione tra la dottrina sociale e la prassi della chiesa. Pur continuando a predicare e a riproporre la propria dottrina sociale, contraria agli introiti non provenienti dal lavoro, la chiesa non mostra alcuna volontaÁ di rinunciare ne alla propria condizione di ``possidente capitalista'', conquistata incamerando una quantitaÁ enorme di ricchezze provenienti proprio dal lavoro altrui (proprietaÁ 50. Ivi, W., p. 294 [181].
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fondiaria e crescente capitale), ne alla propria posizione politica di potere che s'eÁ assicurata schierandosi di volta in volta sempre a fianco delle classi possidenti e dominanti, che le garantivano ricchezze e privilegi, diventando cosõÁ anch'essa potenza dominatrice. Secondo Bauer, la chiesa vedendo ora messi in pericolo questi grandi e forti interessi economici e politici proprio dalla nuova classe sociale emergente, organizzata nel socialismo, si guarderaÁ dal collaborare con esso: anzi faraÁ di tutto per ostacolarlo e combatterlo. Il secondo motivo eÁ di ordine ideologico e consiste nella paura della chiesa di perdere anche l'altro grande potere, quello spirituale sulle coscienze, per certi versi piuÁ importante del potere economico-politico, perche attraverso di esso la chiesa si garantisce anche quel primo tipo di potere terreno. Il potere spirituale eÁ messo ugualmente in questione dal socialismo, in quanto promotore anch'esso, a sua volta, di una rivoluzione non solo economica e politica, ma anche culturale delle coscienze. Il socialismo, con il progetto della creazione di una coscienza nuova, mira di fatto a sottrarre le coscienze alla presa della religione e della chiesa, quindi a demolirne il potere spirituale e conseguentemente anche quello economico e politico. PercioÁ, questa la conclusione di Bauer, il confronto del cattolicesimo con il socialismo non potraÁ mai seriamente decollare,fino a quando la chiesa non rinunceraÁ ai propri interessi economici e politici che sono contrapposti a quelli della classe lavoratrice. Bauer si ritiene, cioeÁ, realisticamente convinto che la chiesa non potraÁ mai andare a un confronto con la classe operaia ± e quindi col socialismo ± fino a quando, pur continuando a predicare quella ``bella dottrina'' del valore del lavoro, resteraÁ al tempo stesso ``padrona''. EÁ questa sfasatura tra dottrina e prassi presente nella chiesa che sta, secondo Bauer, all'origine dell'altra sfasatura, visibile nella base popolare cattolica, tra le aspirazioni proletarie, suffragate dalla dottrina sociale della chiesa, e la prassi di allineamento alle direttive clericali
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del partito cristiano-sociale. Sfasatura particolarmente evidente in alcuni uomini simbolo ± Bauer porta come esempio il caso del signor Scheider ± che hanno in passato promosso e sviluppato il socialismo cattolico e che ora sono a capo di un partito, quello cristiano-sociale, che «piuÁ di qualunque altro, con odio irriducibile, combatte la classe operaia» 51. Anche a proposito del partito cattolico, verso il cui fondatore Vogelsang mostra una stima analoga a quella manifestata nei confronti di Hohoff 52, Bauer nello scritto dal titolo Das Ende des Christlich-sozialismus del 1911 mette in evidenza, in analogia con quanto detto a proposito della chiesa nell'articolo precedente, la contraddizione di fondo tra il programma sociale originario e il suo approdo a una politica di conservazione, filo-capitalista e antioperaia. Anche riguardo alla nascita e alla trasformazione del partito cristiano-sociale, l'analisi di Bauer eÁ molto articolata. Non eÁ il caso di soffermarci a riprendere i passaggi in cui Bauer, in quest'ultimo articolo che chiude la sua prima fase di interessamento alla questione religiosa, analizza l'atteggiamento dei clericali che di volta in volta spingono la base popolare cattolica verso l'alleanza con l'una o l'altra classe dominante. Ci si limiteraÁ a sottolineare qualche sua annotazione in merito alla storia e alla composizione del partito cattolico austriaco, e piuÁ in generale in merito al mondo sociale e politico cattolico del primo decennio del secolo. Bauer vede il partito cristiano-sociale del suo tempo segnato da un destino di autodissolvimento insito nella storia della sua formazione e della sua composizione interna, a partire dalla disgregazione del partito liberale, seguita alla 51. Ivi, W., p. 296 [183]. 52. Cfr. sotto, n. 54.
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grave crisi scoppiata manifestamente nel crac finanziario del 1873, ma latente da tempo e visibile giaÁ nella mancanza di credibilitaÁ a motivo della sua politica di potere statale centralizzato, anticlericale, liberista in economia ma interventista sui gravi problemi sociali, basata sulla violenza e la corruzione. La crisi eÁ dovuta, a parere di Bauer, soprattutto al carattere di estraneitaÁ del liberalismo al popolo austriaco, a differenza degli altri liberalismi europei, inglese, francese e prussiano. EstraneitaÁ che Bauer individua in una serie di motivi che egli addita come fattori della nascita del partito critiano-sociale. I motivi di questa estraneitaÁ del liberalismo all'Austria sono: a) il suo essere esclusivamente ``tedesco'' per cui esso appariva estraneo alle popolazioni slave delle altre nazioni che componevano l'Impero; b) il suo carattere elitario, perche composto e sostenuto dall'esiguo ceto della grande borghesia, senza base popolare; c) la forma centralizzata del suo potere di governo, nonostante la forma parlamentare; d) l'anticlericalismo che si manifestava in un serrato Kulturkampf contro la chiesa. CioÁ gli teneva lontana la base cattolica; e) la sua politica esclusivamente liberista di tipo manchesteriano, che favoriva gli industriali, i commercianti, ma danneggiava gli artigiani; f) la carenza di politiche sociali a favore delle classi popolari indigenti; g) il ricorso alla violenza poliziesca per conservare il potere, motivato dalla carenza di consenso popolare; h) la corruzione (privilegi elettorali, speculazioni in borsa, accaparramento di voti); i) la cooptazione (nel 1861 e 1871) nel governo, a motivo di immagine internazionale, sotto l'influsso del liberalismo prussiano e ungherese; j) le persone rappresentative del partito in maggioranza ebree: un gruppo molto influente e con un ruolo decisivo e importante nel partito liberale.
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Per tutti questi motivi, il crack finanziario del 1873 fu solo il colpo di grazia alla crisi di credibilitaÁ, giaÁ in atto, nei confronti del liberalismo. Il precipitare della crisi diede origine a correnti di opposizione al liberalismo, di cui le piuÁ importanti confluirono alla fine nel partito cristiano-sociale. Tra queste, le piuÁ cospicue furono quelle della piccola borghesia, (innanzitutto gli artigiani), dei contadini, della nobiltaÁ e del clero. Due classi, queste ultime, detronizzate dal liberalismo e animate dall'interesse e dalla volontaÁ di utilizzare il movimento artigiano e contadino contro il liberalismo per rovesciarlo e sostituirvisi. Si misero, infatti, a capo del partito cristiano-sociale, elaborando e sviluppando ideologia e programma del partito. Come ``ideologia'', rispolverarono e riformularono per i nuovi tempi il ``cristianesimo sociale'', in funzione anticapitalistica, contro il capitale ``mobile'' (finanziario); come ``programma'', strutturarono un sistema politico ed economico popolare, in funzione delle esigenze degli artigiani e contadini. Tale programma contemplava alcuni punti chiave: a) il superamento del manchesterismo (del libero mercato selvaggio); b) la riorganizzazione del corpo sociale secondo i ceti e secondo una gerarchia piramidale, sul modello feudale, alla cui ampia base dovevano stare le cooperative artigiane e contadine, ed al cui vertice il quadro dei nobili. Tra i leaders ideologi, Bauer ricorda i conti Hohenwart, Belkcredi e il principe Liechtenstein. Un grande ruolo, infine, nella nascita e per lo sviluppo del cristianesimo sociale, Bauer lo assegna al clero e alle sue organizzazioni capillari, in particolare alle parrocchie, presenti in tutti gli angoli del paese, persino nei villaggi di montagna piuÁ lontani, messe a disposizione delle idee riformatrici della nuova formazione politica. Anche qui Bauer ricorda, dopo Hohoff, un'altra grande figura di credente e di intellettuale cattolico, dalle idee
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molto vicine a quelle di Marx, tanto da poter essere definito «un autentico allievo di Marx»: si tratta di Vogelsang, considerato il vero fondatore della dottrina del socialismo cristiano in Austria. EÁ soprattutto nella sua critica al capitalismo che Bauer intravvede lo spirito di Marx, del resto citato a volte direttamente dallo stesso Vogelsang. Al capitalismo questi rimprovera di atomizzare la societaÁ, sfruttare i lavoratori, distruggere la loro salute e gioia di vivere, smembrare le loro famiglie, spingere le loro figlie alla prostituzione e gettarli nelle braccia del crimine; di uccidere l'artigianato con la concorrenza sleale e trasformare il contadino in schiavo per debito; infine di istigare alla politica di conquista e alla guerra mondiale. Bauer si produce addirittura in un impegno ancora maggiore rispetto a quello giaÁ mostrato nel caso della discussione del libro di Hohoff. Non si accontenta di registrare i discorsi del pensatore cattolico austriaco circa l'affinitaÁ tra cristianesimo e socialismo: «le vie dei cristiani e dei socialisti non divergono del tutto» 53; ma prova anche a documentare la sintonia del pensiero sociale e politico di Vogelsang con quello di Marx con delle citazioni dalle sue Gesammelte AufsaÈtze (Augsburg, 1886). Significativo appare a Bauer, per esempio, il commento di Vogelsang alla famosa frase di Proudhon e di Marx: «la proprietaÁ eÁ un furto», specificata come «proprietaÁ del sistema economico liberale capitalista» e precisata come «arbitrio, furto contro Dio, contro la societaÁ e lo stato» 54. 53. Das Ende des christlichen Sozialismus, W., p. 518 [189]. 54. Ivi, W., pp. 518-519 [189]. Oltre a queste affinitaÁ tra il pensiero di Vogelsang e quello di Marx, Bauer, con la sua sensibilitaÁ di appartenente alla tradizione ebraica, annota come anche la critica del pensatore cattolico all'antisemitismo riecheggi la Questione ebraica del Marx del 1844. A coloro che (liberali, borghesi, capitalisti) combattevano gli ebrei, il padre del marxismo ricordava che essi stessi erano pervasi dello spirito ebraico: attaccamento al denaro, fede cieca nel ``vitello d'oro'', novello ``dio denaro''. Come dire: per effetto del capitalismo, siamo diventati tutti ebrei. Vogelsang opera un ragionamento analogo quando
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L'insistenza di Bauer sugli aspetti positivi del socialismo cattolico originario e sulle affinitaÁ di certi aspetti col socialismo marxista non gli impedisce di vedere i difetti del primo, ne le differenze tra i due, soprattutto quella generale, che egli sintetizza nei termini seguenti: il socialismo cristiano eÁ rivolto al passato e mira a ripristinare il diritto feudale e il corporativismo; il marxismo eÁ rivolto al futuro e mira a creare un nuovo ordine sociale. La sottolineatura dei meriti dell'uno e delle affinitaÁ tra i due eÁ funzionale a due scopi: a) evidenziare, per un verso, la degenerazione e, quindi, la perdita d'identitaÁ del partito cristiano sociale attuale, diventato filo-capitalista e antisocialista, rispetto alle sue origini anticapitaliste e filo-socialiste; b) accreditare il socialismo marxista, proprio per quelle affinitaÁ, quale legittimo erede delle aspirazioni dei ceti credenti, in previsione della fine, creduta imminente, del partito cattolico. Bauer conferisce un significato di portata radicale, di natura ideale e di schieramento di campo, al mutamento del partito cristiano dell'inizio secolo: dall'anticapitalismo al capitalismo, dall'opposizione ai capitalisti all'alleanza con essi e dall'alleanza con i socialisti all'opposizione e lotta contro di essi. Un mutamento avvenuto, a suo parere, per una serie di fattori: ricorda ai liberali capitalisti del suo tempo e del suo paese che «lo spirito ebraico ha contagiato anche noi, si eÁ incarnato nelle nostre istituzioni, ha pervaso tutta la nostra visione della vita, tutti i nostri affari... Noi per effetto del liberalismo siamo uguali agli ebrei» (p. 6-395). Ed anche a proposito della soluzione alla questione ebraica, la proposta di Vogelsang ripete la falsariga di Marx: non serve ingaggiare una lotta antisemita contro gli ebrei per eliminare l'ebraismo, se noi stessi, essendo diventati ebrei nello spirito ed avendo assimilato i loro modi di agire, continuiamo a far rivivere l'ebraismo. PercioÁ eliminando gli ebrei dalla nostra societaÁ, il liberalismo non otterrebbe l'eliminazione dell'ebraismo che eÁ in esso stesso. Su Vogelsang vedi ERWIN BADER, Karl V. Vogelsang. Die geistige Grundlegung der christlichen Sozialreform, Herder Wien 1990.
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± l'ingresso nel partito di nuovi ceti borghesi, capitalisti e antisocialisti: proprietari di case, piccoli e medi commercianti, liberi professionisti (medici e avvocati, funzionari, impiegati e insegnanti); ± la presa di coscienza da parte degli artigiani e dei contadini dei propri interessi di classe, avvertiti come contrapposti a quelli della classe lavoratrice dipendente; e al contempo la conversione degli stessi contadini e artigiani al capitale ``mobile'', al sistema produttivo capitalistico fondato sullo sfruttamento del lavoro dipendente; ± il voltafaccia, senza mezzi termini, della nobiltaÁ e del clero, timorosi dell'avanzata del socialismo ``irreligioso''. Ancora una volta, come aveva giaÁ annotato a proposito della nascita e sviluppo del partito cristiano-sociale, Bauer sottolinea il ruolo ``ideologico'' attivo e decisivo svolto dal clero cattolico anche in questo processo di mutamento. In un primo momento, al tempo della nascita del partito cristiano-sociale, i clericali, per opporsi alla classe antagonista, che allora era la borghesia, avevano accentuato la contrapposizione di interessi e di ideologia tra borghesia e base popolare cattolica, facendo apparire l'ideologia borghese ``illuminista'', ``areligiosa'', se non addirittura ``irreligiosa'', ed appellandosi, per altro verso, alla dottrina sociale della chiesa, quale piuÁ consona alle rivendicazioni popolari. Ora, invece, aristocrazia clericale e borghesia si sentono costrette ad allearsi per far fronte al nuovo pericolo comune, proveniente dal proletariato socialista. E, non potendo perdere la base popolare, e dovendo al tempo stesso, peroÁ, giustificare davanti ad essa il cambiamento di alleanza e la lotta contro il proletariato socialista, col quale prima erano alleati, si sentono obbligati a mutare anche l'ideologia. Allora fanno apparire come contrarie all'ideologia cristiana le rivendicazioni della classe operaia socialista (diritto di associazione, autogestione delle casse di malattia, abolizione dei latifondi, ridistribuzione delle ricchezze), che fino a poco prima erano state le stesse del proletariato
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cristiano. Ora quelle medesime richieste vengono dipinte dai clericali ± questi operatori ideologici, intellettuali funzionali (Gramsci direbbe «organici») del blocco agrarioborghese ± come anticristiane, antiecclesiastiche, antireligiose, al solo fine di mettere in cattiva luce i socialisti davanti agli occhi dei ceti popolari cattolici e contenere il loro flusso verso il socialismo ateo. Ma, come si diceva, questa operazione, a parere di Bauer, ha mutato radicalmente anche la natura del socialismo cattolico, svuotandolo dei suoi contenuti, privandolo del suo spirito e lasciandogli solo il nome. Con questa mutazione ``genetica'', conclude Bauer, «il socialismo cristiano eÁ morto». Nell'analisi dei mutati caratteri del partito cattolico intervengono in molti dalle file degli austromarxisti, fra cui anche Max Adler, Karl Renner e Tannenberg 55. L'intervento di Bauer si caratterizza in particolare per la prospettiva che la fine del socialismo cristiano puoÁ aprire: la possibilitaÁ concreta che il ceto operaio e quello piccolo borghese, che vivono di lavoro dipendente, confluiscano nel socialismo a motivo, appunto, delle affinitaÁ delle loro aspirazioni. Evento che, peroÁ, non va solo passivamente atteso, come esito naturale del processo storico, ma anche fatto maturare 56. Si spiega cosõÁ anche l'impegno serrato e progressivo di Bauer nella ricerca di elementi su cui far leva per aggrega55. Vedi gli scritti di questi autori sull'argomento: MAX ADLER, Katholizismus und Religion, in «Arbeiter Zeitung», 1 dicembre 1907, pp. 2-3; ``Christlich-sozial'', ivi, 11 giugno 1911, pp. 2-3; K. RENNER, Die Wandlungen der Christlichsozialen, in «Der Kampf», II, pp. 5 ss; Die christlichsoziale Partei und ihr veraÈnderter Charakter, ivi, XVI, nn. 9-10, settembre-ottobre, pp. 293-303; Die Christlichsozialen in OÈsterreich und in das Zentrum im Reich, in «Die Gesellschaft», 1929/II. 56. Si avvertono in questi passaggi di Bauer gli echi di Max Adler, che parlava del socialismo come di un ``nuovo vangelo'' che porta a compimento quello ``antico'' (Vedi Das Neue Evangelium, in «Meifestschrift», 1904, pp. 3-4).
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re al socialismo la base popolare credente del cattolicesimo, una volta visto e constatato che non sono concretamente possibili ed efficacemente praticabili ne la via dell'anticlericalismo, ne quella della comprensione, conciliazione e collaborazione col mondo cattolico istituzionale (gerarchia ecclesiastica e partito cristiano-sociale). Allora l'attenzione di Bauer verso la dottrina sociale della chiesa e verso il programma sociale originario del partito cristiano-sociale va in questa direzione e mira a scompaginare la base sociale popolare cattolica e a farla uscire dalla contraddizione che essa si trova a vivere in una chiesa e in un partito che si rivolgono e predicano ai poveri e ai deboli ma scelgono i ricchi e i potenti; che organizzano le classi popolari ma sotto il dominio dei nobili, degli aristocratici e dei nuovi padroni borghesi. Una prima considerazione. Come si vede, Bauer non istiga piuÁ all'anticlericalismo, per i motivi detti, ma cambia strategia, facendo appello positivamente alla coerenza della coscienza originaria cristiana. Pensa giustamente che il rifiuto del clericalismo seguiraÁ di conseguenza, senza, del resto, significare meccanicamente l'abiura dalla fede, proponendosi anzi come scelta di coerenza rispetto alla propria fede originaria, tradita invece dalla chiesa e dal partito clericale. A fronte di questo tradimento, che significa tra l'altro suicidio e fine stessa del partito cattolico per processo di autoinvoluzione, Bauer cerca di accreditare, invece, il socialismo come il luogo d'inveramento dei principi sociali cristiani, facendo leva, appunto, sulle ispirazioni ideali e sui contenuti programmatici delle origini del partito cristiano ± di tenore chiaramente anticapitalista e di natura esplicitamente socialista ± evidenziandone la stretta vicinanza, se non identitaÁ, coi valori ispiratori del movimento operaio socialista 57. 57. Vedi piuÁ avanti, pp. 49 ss.
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Questa strategia di fare appello alla coerenza dei cattolici e ai valori comuni positivi, oltre che a quelli critici anticapitalistici, saraÁ una costante in tutti gli scritti successivi di Bauer sulla religione. L'esempio piuÁ chiaro lo si ha a proposito della Religion Privatsache, quale proposta di salvaguardia delle libertaÁ di tutti, di cui si diraÁ in seguito 58. Altra considerazione. Di fronte alle analisi e riflessioni di questi primi scritti si ha indubbiamente l'impressione di un Bauer compreso della complessitaÁ dei problemi sociali, politici e culturali del mondo religioso e della loro connessione con la prospettiva del socialismo in Austria e, per riflesso, piuÁ in generale in altri paesi europei, ma anche quella di una sua visione ancora angustamente strumentale della politica socialista nei confronti del mondo cattolico. Ne eÁ segno il suo perenne barcamenarsi a proposito dell'anticlericalismo, prima assunto come punto di forza per la strategia di attrazione della classe borghese, poi respinto quale strumento controproducente, ma comunque legittimato in certe circostanze e per certi componenti; ne eÁ segno ancora la stessa strategia generale condensata nel principio della Religion Privatsache, la cui portata, a quest'epoca dei primi scritti, non viene mai spinta oltre la l'idea dell'indifferenza religiosa, e quindi mai oltre l'atteggiamento di semplice tolleranza, da una parte per non irritare piuÁ di tanto i credenti sensibili, i borghesi sospettosi e i clericali riluttanti, dall'altra per contenere e addomesticare i militanti socialisti radicali. Bauer rimprovera ai borghesi e ai clericali di fare un uso strumentale della religione, a seconda delle situazioni, a favore dei propri interessi di potere. Ma la neutralizzazione della religione mediante la proposta di Bauer di ridurla a Privatsache e la ricerca dei punti di contatto tra socialisti e cristiani non paiono, in veritaÁ, sfuggire neanch'esse del tutto alla logica della strumentalizzazione politica, questa volta a vantaggio del 58. Vedi piuÁ avanti, pp. 110 ss.
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socialismo. Del resto il rischio della strumentalizzazione esiste sempre, da qualunque parte si guardi al rapporto tra politica e religione ed in qualsiasi contingenza storica. Il problema eÁ forse quello di chiedersi fino a quali limiti essa puoÁ spingersi e a che pro. Un'osservazione critica. La luciditaÁ delle analisi sociali e politiche, poi, non sempre, in questi primi scritti, si sposa con la chiarezza nell'uso di alcuni termini ed espressioni, come, per esempio, nel caso della ricorrente espressione ``ideologia di classe''. A volte viene adoperata come classica categoria marxista di differenziazione tra classe borghese e classe proletaria; altre volte, invece, come categoria che accomuna e, quindi, identifica entrambe le classi. Non eÁ infrequente, poi, il caso in cui Bauer utilizza in maniera intercambiabile ``ideologia di classe'' e ``anticlericalismo'', operando una identificazione indebita tra le due cose, prima di tutto perche il concetto di ``ideologia'' eÁ molto piuÁ ampio di quello di ``anticlericalismo''. L'anticlericalismo, in quanto forma di antiautoritarismo, eÁ solo un aspetto dell'ideologia di classe, cioeÁ del modo generale di pensare di un movimento sociale e politico, sia esso proletario o borghese. L'ideologia di classe della borghesia, per esempio, comprende anche l'individualismo e il principio della propietaÁ privata,che sono contrapposti, invece, al socialismo e alla socializzazione dei beni. A conclusione generale: nel periodo preso in considerazione (quello prebellico), Bauer ha solo avviato una discussione su alcuni temi della questione religiosa. Trattasi prevalentemente di problemi di ordine sociale e politico, le cui analisi del resto sono limitate in generale alla contemporaneitaÁ. Solo qualche breve passaggio circa i grandi problemi teorici relativi al rapporto tra marxismo e religione; solo qualche timida apertura alla dimensione storica piuÁ vasta, che un tema come il cristianesimo richiederebbe. Lo stesso discorso della Religion Privatsache rimane
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circoscritto. La prospettiva politica immediata conferisce ancora pochi e limitati respiri storici e culturali alle analisi e alle considerazioni di Bauer. Occorre attendere l'opera Sozialdemocratie, Religion und Kirche degli anni '20 per trovare una piuÁ vasta apertura di orizzonte e piuÁ ampi e consistenti fondamenti storici e teorici nei discorsi baueriani sulla religione e sulla chiesa, oltre che sul loro rapporto teorico e storico-politico con il socialismo. Tuttavia, nei primi scritti, quasi tutti i temi dell'opera maggiore sono giaÁ preannunciati. Qui, sul problema del clericalismo e dell'anticlericalismo, Bauer sembra ancora prigioniero di un'ambiguitaÁ che piuÁ tardi, nello scritto del '27, verraÁ sciolto definitivamente e decisamente in una presa di posizione netta: contro il clericalismo e contro l'anticlericalismo. Poiche per lui eÁ errato il primo, ma sbagliato anche il secondo. Clericali e anticlericali, sebbene da posizioni opposte, commettono il medesimo errore: quello di tirare in ballo la religione, facendola diventare il motivo decisivo della lotta politica. Infatti, gli uni l'assumono come valore da difendere, ma in modo surrettizio, servendosene in realtaÁ come copertura ideologica dei propri interessi; gli altri ne fanno la causa ± mentre eÁ solo l'effetto, l'espressione ± dei mali sociali. Gli uni e gli altri fanno confusione, poi, tra religione e chiesa, cadendo, anche in questo caso, nell'errore di identificarle. I clericali, in prima istanza i signori ecclesiastici, si identificano con la chiesa e pretendono di impersonare la religione; gli anticlericali fanno anch'essi di ogni erba un fascio, non distinguendo la religione, nella fattispecie della societaÁ occidentale, il cristianesimo dalla chiesa, che ne eÁ solo l'organizzazione visibile esteriore, e non distinguendo, inoltre, all'interno di quest'ultima, la gerarchia ecclesiastica dalla comunitaÁ dei fedeli. Anche per Bauer, come giaÁ per Adler, il cristianesimo non coincide del tutto con la chiesa; ne la comunitaÁ cristiana coincide con la chiesa gerarchica.
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III RELIGIONE COME «AFFARE PRIVATO»
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IL NUOVO CONTESTO STORICO-POLITICO Sozialdemokratie, Religion und Kirche compare negli anni '20, in un contesto radicalmente mutato rispetto al periodo 1908-1911, in cui sono collocati gli scritti precedenti. A seguito della sconfitta bellica e della conseguente crisi economica e sociale, si assiste al crollo preannunciato, ma non per questo meno drammatico, dell'impero, e alla nascita della repubblica democratica (12 novembre 1918). La conquistata posizione di forza elettorale dei socialdemocratici, ± nel febbraio del 1919 ottengono 159 seggi parlamentari e raggiungono la maggioranza relativa ± impone al partito governativo di corte dei cristiano-sociali, uscito sconfitto dalla guerra, che esso stesso aveva voluto e per conseguenza dalle elezioni (solo 66 seggi), una fase di collaborazione con i socialisti. Questa saraÁ brevissima, meno di due anni (il cosiddetto ``biennio rosso'': marzo 1919 - ottobre 1920). Il partito cattolico infatti, appena ne ha l'occasione ± rafforzato dalla vittoria elettorale dell'ottobre 1920 (82 seggi contro i 66 dei socialisti) ± rompe la coalizione e, dal 1922, sotto la guida di Ignazio Seipel, un ecclesiastico intransigente nominato capo del governo, si avvia verso una fase di restaurazione, di allineamento al clericalfascismo e di contrapposizione dura e violenta alla socialdemocrazia. Nel frattempo Bauer s'era sposato (1913), aveva partecipato alla guerra sul fronte russo, era stato fatto prigioniero e inviato in Siberia (1915-17), e successivamente libera-
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to, nel Settembre del 1917, per intervento di Victor Adler 59. Aveva preso parte al ``Circolo Karl Marx'', notoriamente schierato a sinistra del partito e a favore dell'internazionalismo proletario e dell'autonomia delle nazioni. Era divenuto Ministro degli Esteri nel governo di coalizione diretto da Karl Renner, aveva pubblicato le sue opere maggiori piuÁ importanti 60 ed era diventato segretario di partito. In questo mutato contesto personale e storico politico egli ripensa il ruolo della socialdemocrazia e, di conseguenza, anche i termini della questione religiosa, in modo particolare i risvolti relativi ai rapporti tra il partito, lo Stato e il mondo cattolico. L'obiettivo, non diversamente che nel periodo prebellico, eÁ quello di aggregare alla socialdemocrazia, oltre ai ceti operai credenti, anche gli strati della piccola e media borghesia urbana e rurale, in stragrande maggioranza cattolica e soggetta all'influenza della chiesa. Ma questa volta Bauer affronta il problema con una visione piuÁ ampia ed una strategia piuÁ chiara e convincente rispetto al periodo precedente. Nel leggere il testo del 1927, Sozialdemocratie, Religion und Kirche, infatti, si ha chiara la sensazione di trovarsi di fronte non tanto ad una semplice ripresa, magari piuÁ sistematica e con qualche aggiunta e precisazione, dei temi religiosi del periodo prebellico, come a prima vista si sarebbe indotti a pensare, quanto ad un ripensamento comples59. Padre fondatore e leader prestigioso del Partito socialdemocratico austriaco e dirigente della II Internazionale Socialista. 60. Le opere maggiori di Otto Bauer del periodo: RaÈtdiktatur oder Demokratie? (uscito anonimo, 1919); Der Weg zum Sozialismus (1919 ± traduzione italiana, La via al socialismo, CittaÁ di Castello, Il Solco, 1920); Bolscevismus oder Sozialdemokratie (1920 ± traduzione italiana Bolscevismo o democrazia? Milano, Edizioni Avanti, 1922; ora anche in G. MARRAMAO, op. cit., pp. 143-230); Die OÈsterreichische Revolution, (1923); Der Kampf um die Macht (1924 - traduzione italiana, La lotta per il potere, in G. MARRAMAO, op. cit., pp. 231-257); Der Kampf um Wald und Weide. Studien zur oÈsterreichischen Agrargeschichte und Agrarpolitik (1925).
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sivo della questione, imposto dalla nuova situazione, i cui termini essenziali possono essere cosõÁ sintetizzati: ± da una parte vi eÁ il partito socialdemocratico, che eÁ piuÁ forte, ma anche frontalmente e duramente contrastato dal partito cristiano-sociale; ± dall'altra, la chiesa, che ha perso il tradizionale alleato politico privilegiato, rappresentato dalla casa imperiale degli Asburgo, e stenta a trovare un nuovo interlocutore altrettanto sicuro e privilegiato e privilegiante. La sconfitta elettorale del partito cattolico e la vittoria di quello socialdemocratico alle elezioni del 1919, deve averla messa in stato di allerta. E infatti, in meno di due anni, riuscõÁ a organizzare la rivincita dei cristiano-sociali, che nell'autunno del 1920, come giaÁ anticipato, riconquistarono la maggioranza ed il governo. Ci si potrebbe chiedere perche Bauer taccia cosõÁ a lungo, dal 1911 al 1926, su una questione, come quella religiosa, che egli considerava di importanza nodale per il destino dell'Austria e del socialismo austriaco ed europeo. L'interrogativo s'impone a maggior ragione se si considera anche la prolificitaÁ letteraria di Bauer, che proprio in questo lasso di tempo pubblica le sue opere maggiori e una serie infinita di opuscoli e di articoli su riviste e giornali, non lasciandosi mai sfuggire occasione per dire la sua su tutte le questioni di un certo rilievo politico; e se si tien presente, ancora, che nello stesso periodo gli altri pensatori austromarxisti dibattono ampiamente questo argomento 61. 61. Basti ricordare semplicemente i titoli di alcuni di loro: M. ADLER, Eine biblische Geschichte (1918); Religion und Kirche (1921); Das Soziologische in Kants ErkenntnisKritik (1924); Religion Privatsache (1926); Vorlesungen uÈber das Christentums (1926). K. RENNER, Die christlichsoziale Partei und ihr veraÈnderter Charakter (1923). K. LEUTHNER, Die Konkordat-schule (1925) a quelli appena trascritti vanno agÈ stergiunti i numerosi titoli delle collane di saggi del Freidenkerbund O reichischs dedicati alla critica della religione.
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Difficile dare una risposta. Si potrebbe azzardare l'ipotesi, relativamente al periodo fino alla caduta dell'impero, che Bauer consideri bloccata la situazione politica, senza spiragli di movimenti significativi: la fine del socialismo cristiano non ha comportato automaticamente, come forse in parte egli sperava, anche la disintegrazione del partito cristiano-sociale, che, invece, si eÁ alleato con la borghesia e ha contribuito a consolidare il blocco borghese cattolico; la chiesa, nella sua condizione di istituzione religiosa ufficiale di stato, appare impossibile da scalfire. Per cui non sembra a Bauer che ci sia altro da aggiungere a quanto giaÁ detto in precedenza. Diverso sarebbe stato se il partito cattolico fosse entrato radicalmente in crisi, rimettendo in movimento i giochi politici col partito socialista. CioÁ si verificheraÁ, come giaÁ detto, solo piuÁ tardi, dopo la caduta dell'impero, quando si apre la fase nuova che va, appunto, dalla nascita della Repubblica (novembre 1918) al Congresso di Linz (ottobre-novembre 1926). Questa fase segna la fine del giuseppinismo, la forma tipicamente austriaca di collateralismo subordinato della chiesa all'imperatore ed eÁ contrassegnata, prima, dalla vittoria dei socialdemocratici (primavera del 1919), indubbiamente ottenuta anche con il concorso di strati popolari cattolici, e poi dalla rivincita quasi immediata dei cristiano-sociali alle elezioni del 1920, cui seguiraÁ di lõÁ a poco, come appena detto, il governo di uno dei loro uomini piuÁ rappresentativi, Ignazio Seipel, che inaugura una politica di frontale opposizione alla socialdemocrazia. Di fronte a queste vicende che stanno prefigurando un nuovo corso della storia austriaca di quegli anni, proprio grazie alle scelte della chiesa e del partito cattolico, Bauer, da grande pensatore e protagonista politico quale era, avrebbe avuto certamente motivo di intervenire con valutazioni, critiche, proposte e indicazioni di strategie anche in merito alla questione religiosa. E invece continua a mantenere un inspiegabile silenzio, non pubblicando alcun intervento o scritto specifico su questo problema. Se qualcosa si vuol sapere, occorre andare a spigo-
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lare e individuare qualche passaggio nei suoi scritti su altri argomenti. Per questa seconda fase, la spiegazione piuÁ banale potrebbe essere che Bauer ritenesse superfluo intervenire, dal momento che giaÁ lo facevano gli altri compagni di partito esprimendo posizioni che magari egli stesso condivideva, tanto da non sentire la necessitaÁ di ribadirle. Oppure si puoÁ essere indotti a pensare che egli, occupando ormai posizioni di rilievo, prima nel governo di coalizione come ministro, poi nel partito come segretario, stesse maturando idee e posizioni che non erano ancora chiare e ben definite neanche a lui stesso e, quindi, non se la sentiva di rendere pubbliche, consapevole delle posizioni ufficiali che occupava e della risonanza che avrebbero avuto i suoi interventi su una questione cosõÁ delicata. Cosa che, invece, faraÁ, e con grande chiarezza e massima decisione e ufficialitaÁ al Parteitag di Linz del 1926. Nel programma di questo Congresso, scritto di proprio pugno, egli inserisce un capitolo sulla questione religiosa che, per qualitaÁ ed estensione, non ha precedenti nella storia dei congressi socialisti europei. L'anno successivo seguiraÁ il saggio Socialdemokratie, Religion und Kirche, che eÁ la illustrazione per esteso di quel capitolo, fino ad assumere la veste di un volumetto. All'origine del silenzio di Bauer sulla questione religiosa, durante questo periodo, sembra esserci inoltre una sorta d'impasse personale, determinata da una fase di incertezza e di rielaborazione delle sue idee e strategie politiche. Sta infatti ripensando, con un certo travaglio, la via del socialismo al potere, un tema a cui la stessa questione cattolica si connette strettamente. EÁ evidente a chiunque come, non risultando chiara una cosa, neanche l'altra puoÁ esserlo interamente. L'insieme degli scritti, che vanno dal 1919 al 1926, evidenziano questa problematicitaÁ perfino negli stessi titoli: RaÈtediktatur oder Demokratie? (Dittatura dei Consigli o democrazia?, 1919), Der Weg zum Sozialismus (La via al socialismo, 1919), Bolscevismus oder
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Sozialdemokratie ? (Bolscevismo o socialdemocrazia?, 1920), Die OÈsterreichische Revolution (La rivoluzione austriaca, 1923), Sozialdemokratische Agrarpolitik (Politica agraria socialdemocratica, 1924) 62. Gli stessi punti interrogativi apposti nei titoli di alcuni di essi denotano l'incertezza e la difficoltaÁ dell'autore nella ricerca di quella terza via al socialismo, che egli aveva sempre indicato e continua a indicare come ``via democratica'', ma il cui percorso non gli risulta piuÁ tanto chiaro come in precedenza. EÁ bene precisarlo: cioÁ che comincia a diventare problematico non eÁ questa via maestra, ma l'individuazione della strategia concreta da seguire e dei mezzi da adottare. In precedenza egli li aveva sempre individuati nella ``via parlamentare'' (contro la stessa sinistra interna del partito), condotta parallelamente ad una permanente mobilitazione sociale, e in un'approccio al mondo cattolico di tipo unicamente sociale, puntando cioeÁ all'alleanza e alla collaborazione con i ceti della base cattolica per la soluzione di problemi concreti, senza alcun accordo di vertice ne col partito cattolico ne con la gerarchia ecclesiastica. Strategia e mezzi sono stati adesso messi in questione dalle due esperienze consumatesi nel giro dei brevissimi anni del dopoguerra; cioeÁ la coalizione di governo tra socialdemocrazia e cristiano-sociali e la sua rottura, con il progressivo distacco dei cristiani sociali dai socialisti e il loro spostamento verso un blocco borghese-cattolico con simpatie filo-fasciste. A questo passaggio critico problematico di Bauer hanno giaÁ dedicato attenzione alcuni altri studiosi, quali, per esempio, Julius Braunthal, Norbert Leser, Hermann BoÈhme, Giacomo Marramao, Enzo Collotti ecc., a cui mi rifaroÁ per ragioni di sintesi. Secondo Leser, quando il partito socialista entra nel governo di coalizione, tra l'altro presieduto da Karl Renner e 62. Vedi sopra n. 60.
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con la partecipazione di tre ministri socialisti, e quando Bauer stesso giunge a convincersi dell'inevitabilitaÁ e giustezza della cosa e decide di parteciparvi in prima persona, egli avverte che questa scelta veniva giudicata con freddezza dalla base del partito, imbevuta di una mentalitaÁ ``rivoluzionaria'', propensa, sõÁ, alla presa del potere statale per via parlamentare, ma da parte del solo movimento operaio, senza mediazioni di altre forze politiche, per instaurare il socialismo con la dittatura del proletariato. Bauer sente allora il bisogno di tentare, non solo per se stesso, ma anche per la base del partito, una giustificazione teorica alla scelta di questa nuova strategia politica, fino allora esclusa. La partecipazione al governo veniva vista come un appoggio all'apparato statale, lo Stato era considerato in ogni caso mezzo di dominio a vantaggio di altre classi e la collaborazione politica con gli altri partiti borghesi veniva guardata sempre con sospetto, a motivo del rischio dell'abbandono della prospettiva rivoluzionaria, che essa poteva comportare 63. In estrema sintesi, la via democratica veniva accettata solo se pensata e praticata come momento di transizione verso il futuro stato socialista 64. Bauer per convincersi e convincere gli altri ricorre al ``principio dell'equilibrio delle forze di classe'': quando si eÁ in una situazione di equilibrio, cioeÁ quando le forze delle classi si equivalgono ± come appunto nel caso austriaco postbellico ± lo stato non eÁ piuÁ uno strumento di dominio, ma assolve a una funzione di mediazione tra le forze in campo. Quindi uno stato non di classe 65. Qui Bauer tocca un nervo scoperto, delicato, della dottrina marxista. E non sono pochi a fargli notare subito la natura non marxiana di questa teoria dello stato non di 63. N. LESER, op. cit., pp. 13-16. 64. G. MARRAMAO, Tra bolscevismo e socialdemocrazia: Otto Bauer, in Storia del marxismo, cit., pp. 274-275. 65. Ivi, p. 276.
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classe, fondato su un principio introvabile e inammissibile nella dottrina marxiana della lotta di classe. Il primo fu Kelsen in un'opera rimasta famosa, Sozialismus und Staat (1920). A suo parere, uno stato che si regge sull'``l'equilibrio delle forze di classe'' eÁ un'assoluta invenzione non marxista di Bauer, poiche il dogma della negazione dello stato rimane insuperato in Marx. Anche Otto Leichter, da sinistra, critica duramente Bauer, tacciando di eccessivo opportunismo la sua teoria quale costruzione fittizia per giustificare una particolare situazione contingente 66. La cosa, come si sa, non andoÁ per le lunghe, perche mentre Bauer aveva appena cominciato a impegnarsi in questo tentivo di giustificazione teorica, per fare accettare sia lo Stato che la collaborazione governativa dei cattolici, la coalizione si ruppe per disaccordi sulla politica economica. I socialisti volevano nazionalizzare alcuni settori decisivi dell'economia (impresa mineraria, carbonifera, energia elettrica, boschi), mentre i cristiano-sociali vi si opponevano. I contrasti sorti a questo proposito in seno al partito determinarono la ritirata dei socialisti dal governo. Bauer, pur convinto che si stava commettendo un errore, dovette arrendersi per arginare il malcontento e il disagio della maggioranza del partito e per evitare un'emoraggia di aderenti verso il giovane partito comunista. L'uscita dei socialisti dalla coalizione fu giudicata gravemente erro66. Sozialismus und Staat (1920). L'edizione del 1924 porteraÁ in appendice anche il saggio Marx o Lassalle. Mutamenti nella teoria politica del marxismo, dedicato alla discussione con Bauer (traduzione italiana, Socialismo e stato. Una ricerca sulla teoria politica del marxismo, a cura di R. Racinaro, Bari, Laterza, 1978). Opera discussa anche da Max Adler nella sua Die marxistische Staatsauffassung (traduzione italiana a cura di R. Racinaro...] e da Otto Leichter nel saggio Zum Problem der sozialen GleichgewichtszustaÈnde, in «Der Kampf», XVVII, Maggio 1924. Per la discussione su questo tema vedi N. LESER, Teoria e prassi dell'Austromarxismo, cit., pp. 17-19, e le Introduzioni di R. Racinaro ai volumi da lui curati citati sopra.
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nea soprattutto da parte di Karl Renner, a motivo del fatto che questa decisione consegnava l'apparato dello stato interamente nelle mani della borghesia, col rischio di azzerare una serie di conquiste sociali e di vantaggi che la partecipazione dei socialisti al governo aveva giaÁ prodotto: giornata lavorativa di otto ore, ferie retribuite, restrizioni al lavoro infantile e notturno femminile, legislazione sul lavoro a domicilio, sussidi di disoccupazione, assicurazione contro le malattie per operai e impiegati, creazione dei consigli di fabbrica e delle camere del lavoro. La nuova situazione provocoÁ in Bauer un mutamento nelle previsioni dell'evoluzione della situazione austriaca, nella politica di alleanza della socialdemocrazia e nell'elaborazione delle strategie da seguire. Secondo Enzo Collotti e Giacomo Marramao, a partire da questo momento, piuÁ precisamente dal 1921 in poi, Bauer vede radicalizzarsi il confronto e comincia a convincersi della irreversibilitaÁ dello scontro tra i due blocchi, socialdemocrazia e partiti borghesi, quindi anche col partito cristiano-sociale. Un fenomeno che ora egli giudica come fattore di accelerazione del passaggio decisivo alla presa del potere. Esprime questo mutamento lo scritto Der Kampf um die Macht del 1924, in cui l'autore espone, appunto, la nuova prospettiva: abbattere il dominio della borghesia e trasferire il potere nelle mani della sola classe lavoratrice. IL mezzo scelto eÁ sempre la ``via democratica'', che, qui, nel concreto vuol dire una strategia di alleanze sociali, non politiche, quindi una lotta politica tra due forze contrapposte che, per vincere, si contendono gli ``strati sociali intermedi'' ritenuti decisivi per risolvere a favore dell'una o dell'altra parte l'equilibrio delle forze di classe. Quindi la democrazia come via per ottenere, per l'immediato, le riforme e, in prospettiva, la conquista del potere 67. 67. N. LESER, cit., p. 17; G. MARRAMAO, Tra bolscevismo e socialdemocrazia: Otto Bauer, in Storia del marxismo, cit., p. 288.
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Questa nuova linea trovoÁ, poi, la propria formulazione ufficiale nel Congresso di Linz, e una prima applicazione nel rifiuto di Bauer di collaborare con il partito cristianosociale, declinando l'invito a formare il governo con esso sotto la direzione di Seipel. Si potrebbe allora concludere che era ovvio che, soltanto dopo un chiarimento sulla linea politica generale, Bauer avrebbe potuto riformulare, quale suo corollario necessario, anche la linea di politica religiosa. In realtaÁ, se il significativo paragrafo del Programma di Linz, dedicato alla questione religiosa, rappresenta il momento di codificazione di questa linea maturata a partire dal '21 in Bauer e, possiamo dire, nel movimento socialista austriaco, che egli rappresentava come segretario di partito, lo scritto Sozialdemokratie, Religion und Kirche, che egli pubblica l'anno successivo per illustrare le tesi ivi contenute, va molto al di laÁ della semplice riformulazione della nuova linea politica sulla questione religiosa. Quest'opera, infatti, per un verso, appare una ripresa ed una sintesi delle analisi e delle valutazioni del periodo giovanile, ovviamente aggiornate al nuovo contesto. Vi si trovano, infatti, i medesimi temi: rapporto tra religione e societaÁ, tra socialdemocrazia e religione e chiesa, tra movimento operaio e partito cristiano sociale, tra dottrina sociale cristiana e programma socialdemocratico; il clericalismo, l'anticlericalismo e la Religion Privatsache. Per altro verso, peroÁ, l'opera non rappresenta una ripresa sic et simpliciter, percheÁ gli ampliamenti e approfondimenti, le precisazioni e correzioni, l'ordine espositivo tematico e, al tempo stesso, la sistematicitaÁ argomentativa sono tali da conferire a questo scritto il carattere di una rielaborazione complessiva dell'intera questione, in una prospettiva di superamento delle posizioni precedenti. GiaÁ le prime precisazioni circa il concetto di religione, piuÁ articolato e distinto da quello di chiesa, e in merito
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ai temi del clericalismo e anticlericalismo; lo stesso mutamento di toni su quest'ultimo, l'inquadramento della questione religiosa non piuÁ solo nell'ambito della lotta di classe ma quale questione della democrazia moderna; e poi la scoperta della dimensione originariamente religiosa e non laica della rivendicazione della Religion Privatsache, cominciano a rendere evidente il fatto che Bauer ha giaÁ superato non solo la riduttiva ``impostazione classista'' della critica marxista tradizionale della religione, ma anche la tradizionale posizione dei socialisti, i quali, sul problema religioso, non si erano mai spinti oltre una tollerante neutralitaÁ. Egli si eÁ avviato verso una nuova prospettiva del socialismo, quale possibilitaÁ di liberazione non solo dalla religione ma ± senza che cioÁ suoni paradossale per il socialismo marxista ± anche della religione. Una contraddizione solo apparente percheÂ, come vedremo, la religione dalla quale Bauer pensa di liberare la societaÁ non coincide con la religione da liberare. Una prospettiva che troviamo anche negli scritti di Max Adler, sebbene questi indichi vie diverse per conseguirla. Da notare, poi, il respiro storico e culturale piuÁ ampio che Bauer conferisce alla trattazione dei temi religiosi toccati in quest'opera. Mentre nei primi scritti giovanili le analisi erano prevalentemente sociologiche e politiche, limitate per lo piuÁ al periodo attuale, solo con qualche flash sulla seconda metaÁ dell'800, ora Bauer si spinge piuÁ indietro, fino all'EtaÁ Moderna e al Medioevo. Noi non seguiremo pedissequamente l'esposizione del testo di Bauer. Cercheremo di focalizzare l'attenzione sui temi portanti e sui nodi problematici di maggiore interesse dell'opera. CHIESA
E RELIGIONE
Poiche il saggio, come si puoÁ cogliere immediatamente dal titolo stesso e dalla sua articolazione interna, mira a delineare i rapporti del socialismo con la religione e la chiesa,
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pare opportuno esplicitare subito cosa intenda Bauer per chiesa e che cosa per religione, in precedenza mai distintamente definite. Le prime precisazioni Bauer le fornisce nel contesto dell'analisi del rapporto di ``chiesa, religione e societaÁ''. Egli evidenzia subito una distinzione tra ``chiesa'' e ``religione'', spingendosi fino alla dichiarazione di una loro non coincidenza. La religione eÁ l'espressione di una visione del mondo caratterizzata fondamentalmente da un sentimento, piuÁ o meno diffuso e piuÁ o meno cosciente, di timore e di dipendenza degli uomini da forze oscure, sconosciute, che nell'etaÁ primitiva e prescientifica sono rappresentate dalle forze incontrollabili della natura e che nell'etaÁ moderna, in cui la scienza ha disvelato le leggi che regolano il mondo e fornito spiegazione a molti fenomeni naturali un tempo ignoti, sono rappresentati dalle forze cieche del mercato selvaggio liberista della societaÁ capitalista. Un'idea di religione che Bauer riprende letteralmente dall'AntiduÈhring di Friedrich Engels. Nella storia degli uomini, poi, si eÁ sempre verificata una manipolazione di questo sentimento da parte di alcuni pochi, a giustificazione dei propri interessi e a danno degli altri, che sono la stragrande maggioranza. EÁ cosõÁ che la religione si trasforma in ideologia, cioeÁ in strumento di controllo sociale e di potere politico degli uni sugli altri. A questo gioco, annota con un certo rammarico Bauer, eÁ stata piegata anche la stessa comunitaÁ religiosa, mediante la sua trasformazione in ``chiesa'', cioeÁ in organizzazione gerarchica guidata dal clero. La chiesa, quindi, viene identificata essenzialmente con la gerarchia ecclesiastica (papa, vescovi, prelati, superiori degli Ordini religiosi, preti), con la sua dottrina codificata nei dogmi, nel Diritto Canonico e con la sua organizzazione in diocesi, parrocchie ecc... Ed il clericalismo viene caratterizzato come prassi di manipolazione della religione, innanzitutto da parte di quella classe sociale costituita dal clero.
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Oltre a questa precisazione, nell'opera del '27, Bauer aggiunge, rispetto agli scritti giovanili, anche un breve, ma puntuale, excursus storico delle tappe del clericalismo, a cominciare dal Medioevo all'EtaÁ Moderna, fino all'EtaÁ Contemporanea. In sintesi, la storia della chiesa gli appare in generale come la storia del clericalismo, e questa come una lotta per la supremazia nella societaÁ. Un percorso che, pur nelle sue apparenti contraddizioni, appare a Bauer lineare. Lo vede, infatti, svolgersi secondo una prassi costante della chiesa: quella di allearsi di volta in volta con la classe che difende il proprio dominio contro la classe emergente: «eÁ destino della chiesa ± scrive con una certa acutezza di osservazione storica ± che essa debba allearsi sempre con i suoi nemici di ieri contro i suoi nemici di oggi, che saranno i suoi amici di domani» 68. Nell'EtaÁ Moderna, infatti, essa si allea con la classe della nobiltaÁ laica, di cui era stata avversaria nel Medioevo, contro l'assolutismo dei principi, che, pur emersi dalla classe dei signori laici feudali, sfruttano, peroÁ, il malumore popolare contro nobiltaÁ e clero, riuscendo a sottometterli entrambi, trasformando l'una in innocua nobiltaÁ di corte e l'altro in strumento di potere principesco. Bauer fa notare puntualmente come cioÁ avvenga sia nei paesi protestanti, dove i principi diventano anche capi ecclesiastici ed impongono il liberticida principio confessionale del cuius regio eius religio; sia in quelli cattolici controriformisti, dove si consolida la prassi del giuseppinismo, forma di supremazia e di stretta ingerenza del potere statale negli affari ecclesiastici, di cui l'Austria rappresenta il modello meglio riuscito. Accade qualcosa di analogo anche al tempo della rivoluzione borghese, quando la chiesa, giaÁ alleata della nobiltaÁ, si allea anche con i principi, fino a ieri nemici, per con68. Sozialdemokratie, Religion und Kirche, cit., p. 463 [220].
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trastare insieme ad essi la classe borghese liberale emergente, che si presenta in radicale contrasto d'interessi sia con l'assolutismo dei principi, sia con la chiesa (strumento dei principi) e sia con la nobiltaÁ feudale (protetta dall'assolutismo dei principi). Contro una borghesia liberale, che attacca sul piano culturale (con l'Illuminismo) e su quello politico (con la rivendicazione della separazione di chiesa e stato, dell' uguaglianza di tutte le chiese e della libertaÁ di fede e di coscienza), alla chiesa non rimane che schierarsi con nobiltaÁ e principi, contrattando una politica concordataria per conservare i propri privilegi. Uno scontro, quello tra chiesa e borghesia, che vive i suoi momenti piuÁ dinamici nella seconda metaÁ dell'800, con un potente partito liberale al potere, che puoÁ contare sull'alta e medio-alta borghesia degli industriali, commercianti, banchieri, liberi professionisti ± avvocati-medici e professori. Questa lotta, a parere di Bauer, si conclude tuttavia con l'instaurarsi di una situazione di sostanziale equilibrio, in cui la borghesia riesce ad averla vinta nei suoi tentativi di abrogazione del concordato, di affermazione del principio della libertaÁ di coscienza (Costituzione del 1867) e di liberalizzazione della scuola elementare, sottraendola al controllo dei preti, senza peroÁ riuscire a spuntarla sull'abolizione della congrua e sulla riforma del diritto matrimoniale. Una situazione che Bauer vede come uno ``stallo'', da cui si poteva uscire solo in un modo: facendo ricorso all'alleanza con le masse popolari. Memori del fatto che in passato questa strategia era stata messa in campo con successo dall'assolutismo dei principi proprio contro di esse, questa volta chiesa e nobiltaÁ furono piuÁ tempestive della piuÁ timorosa grande borghesia ad appellarsi alle masse, uscite sconfitte ma non dome dalla rivoluzione del 1848, organizzandole e mobilitandole contro il liberalismo. Questa fase della storia del rapporto tra chiesa e politica era stata illustrata da Bauer giaÁ negli scritti giovanili, ma qui viene ripresa con maggiore sistematicitaÁ e inserita in una linea di ricostruzione storica piuÁ ampia, che vale la pena
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di riprendere, sia pure con qualche inevitabile ripetizione. La chiesa, come abbiamo visto, rispolveroÁ la propria dottrina sociale; e sotto questa bandiera riuscõÁ a mettere insieme clero, aristocrazia agraria, piccoli borghesi artigiani, impiegati e liberi professionisti, contadini e settori del mondo operaio credente, organizzandoli in un moderno partito cristiano-sociale, prevalentemente antiliberale e anticapitalista. Ma, a cominciare dagli anni '80, con l'introduzione della legge elettorale a suffragio universale, si assiste all'ultimo cambio di alleanza sociale e politica della chiesa, per il sopraggiungere sulla scena della storia di un soggetto politico nuovo, fino allora escluso dalla vita politica ed ora ritenuto pericoloso sia dalla chiesa che dalla borghesia liberale: il movimento popolare e operaio socialista. Per farvi fronte gli antichi nemici si coalizzano contro l'avversario comune. Ed il partito cristiano-sociale, inizialmente inviso alla grande borghesia per il suo carattere anticapitalista e, in parte, in sospetto allo stesso clero per la sua tendenza filo-socialista, viene trasformato dai clericali in un partito conservatore, convertito al capitalismo e asservito agli interessi dominanti del clericalismo, della nobiltaÁ agraria e della borghesia industriale e finanziaria. E la sua base popolare viene utilizzata come massa di manovra a favore di questi interessi e in funzione antioperaia e antisocialista. CosõÁ, conclude Bauer, in un sol colpo, la chiesa piega al suo dominio sia la borghesia liberale, in precedenza anticlericale, sia il partito popolare cristiano-sociale, inizialmente in odore di eresia perche filo-socialista. Inizia cosõÁ, per la chiesa, un periodo di egemonia sociale e politica che approda a quel regime, che Otto Leichter, in un articolo apparso nel 1934 su «Der Kampf» ancora diretto da Bauer in esilio, definiraÁ Diktatur des Klerikalismus 69. 69. Diktatur des Klerikalismus, a firma dello pseudonimo H.W., sigla corrispondente ad Heinrich Weber, adoperata da Otto Bauer prima
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In tutto questo percorso storico del clericalismo ± caratterizzato dalle ``alleanze mobili'' tra antichi nemici, che si ritrovano amici contro un nuovo comune nemico ± cioÁ che sorprende Bauer, nello scritto del '27 piuÁ che in quelli del periodo giovanile 70, eÁ la combinazione costante di due elementi: a) la scelta della chiesa di schierarsi sempre con le classi egemoni, siano essi signori, principi, borghesi o altri; b) la capacitaÁ del clero di riuscire di volta in volta a giustificare ideologicamente le proprie alleanze, evitando sempre di farle apparire come scelte di interesse e motivandole invece come doverose misure di difesa della religione, perche minacciata di volta in volta dall'assolutismo antiecclesiastico dei principi o dall'anticlericalismo radicale e umiliante del liberalismo borghese, oppure, come da ultimo, dal materialismo ateo del socialismo marxista. Riprendendo un'immagine cara a Marx, Bauer si propone di smascherare proprio questi tentativi della chiesa di trasformare ``questioni terrene'' in ``questioni teologiche''. Ai suoi occhi l'incompatibilitaÁ ideologica esibita di volta in volta dai clericali eÁ solo il paravento per mascherare con la religione cristiana l'inconciliabilitaÁ degli interessi materiali. Tanto eÁ vero che appena scompare il contrasto di interessi, si dissolve anche quello ideologico. Basti pensare, per esempio, all'alleanza dei clericali con il liberalismo borghese, che prima era stato condannato come eresia nei documenti pontifici. Un ragionamento analogo, Bauer lo applica, in maniera inversa, anche alla borghesia liberale, evidenziando la disinvoltura con cui essa inizialmente cavalca la lotta anticlericale, con l'attacco illuminista alla religione e alla chiesa, perche in contrasto di interessi e successivamente, invece, si unisce ugualmente ad essa, riponendo la propria ascia del 1934; da quest'anno in poi essa verraÁ utilizzata, invece, da Otto Leichter. 70. Cfr. Bourgeoisie und Klerikalismus e Das Ende des christlichen Sozialismus, cit.
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di guerra antireligiosa, giungendo persino a sostenere «la necessitaÁ della religione per il popolo». CioÁ solo perche la chiesa pare l'unica forza in grado di opporsi al nuovo avversario di classe, al proletariato socialista. Per Bauer eÁ sorprendente vedere come la borghesia, non appena puoÁ fare a meno della religiositaÁ delle masse popolari come sostegno al proprio dominio, muti anche la propria posizione nei confronti della religione. E anch'essa, dovendo giustificare questo cambiamento, ricorre ad una nuova teoria, alla dottrina della conoscenza di Kant, che, secondo Bauer, si presta bene a conciliare l'antica fede della borghesia nella scienza, quale leva di sviluppo della produzione capitalistica, con la necessitaÁ di mantenere la religione quale strumento per conservare assieme ai clericali il dominio politico nella nuova situazione. Il ricorso alla teoria kantiana della conoscenza serve, secondo Bauer, all'ideologo borghese per ingraziarsi la benevolenza dei clericali ± e qui c'eÁ una polemica, non saprei dire se conscia o inconscia, con Max Adler. La filosofia kantiana, infatti, per un verso, il potere della scienza, inviso agli uomini di chiesa, riconoscendole il diritto di estendere la sua competenza solo al regno limita dell'esperienza; per altro, apre lo spazio legittimo alla religione, dal momento che tutto cioÁ che si estende oltre l'esperienza sensibile (Dio, immortalitaÁ dell'anima, libertaÁ), non potendo essere ne affermato, ma neanche negato, puoÁ continuare ad essere legittimamente ``pensato'' e ``creduto''. La religione, quindi, eÁ salva. L'unica logica allora in grado di spiegare le alterne vicende di contrapposizione e di alleanza, apparentemente contraddittorie, della chiesa con nobiltaÁ, principi, e borghesia, appare a Bauer quella della difesa degli interessi dei ceti sociali che fanno blocco intorno ai clericali, disponendo di un'arma in piuÁ o meglio affilata: la capacitaÁ di elaborare ideologie giustificative sempre adeguate alle nuove circostanze. Questa constatazione contribuisce a far prendere co-
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scienza a Bauer ± come avviene in quegli stessi anni per Max Adler, Gramsci, Bloch ed altri pensatori neo-marxisti ± del ruolo centrale che gli intellettuali religiosi hanno sempre giocato e continuano a giocare nella determinazione dei corsi storici.
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L'ALTRA
RELIGIONE, L'ALTRO CRISTIANESIMO
Dalla descrizione, fatta fin qui, della dinamica storica del rapporto tra chiesa e societaÁ pare emergere un uso improprio, ideologico della religione dalle classi dominanti, fra le quali conserva un ruolo di riferimento primario la classe clericale in senso stretto, la gerarchia ecclesiastica. In veritaÁ questo eÁ solo un versante del discorso, percheÂ, nei suoi scritti, particolarmente nell'opera del '27, Bauer parla anche di una religione non identificata con quella clericale degli ecclesiastici, non piegata del tutto al gioco ideologico delle classi dominanti. Delinea, infatti, anche un altro tipo di rapporto tra religione e societaÁ, che ha caratteri diversi e contrapposti a quelli tra chiesa e societaÁ. Esiste, in effetti, una religione dei soggetti sociali popolari non mediata dalla chiesa e dai clericali, che, anzi, presenta elementi critici e contestativi contro la chiesa stessa, la sua gerarchia e i suoi poteri autoritari. Non esiste allora, neanche secondo Bauer ± in sintonia col giovane Marx e con l'Engels degli studi sul cristianesimo e con altri pensatori marxisti coevi ± solo una religione dei signori. Esiste anche una religione che esprime la condizione di vita, i sentimenti, le attese e le speranze di altri ceti sociali poveri ed oppressi. Una religione che si propone, quindi, come ideologia delle classi subalterne, che si fa coscienza critica e interprete, cioeÁ, di altri ceti che vivono condizioni di disagio economico, di ignoranza, di privazione dei diritti fondamentali e di sottomissione e oppressione. Bauer si prolunga in una classificazione socio-religiosa del proletariato, su cui torneremo piuÁ diffusamente tra poco.
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EÁ opportuno premettere subito, invece, che questa differenziazione sociale della religione serve a Bauer per ribadire ancora meglio due motivi ricorrenti in tutti i suoi scritti: innanzitutto, la non coincidenza di religione e chiesa, a cui abbiamo appena accennato; in secondo luogo, la validitaÁ del principio del materialismo storico nell'analisi e interpretazione anche del fenomeno religioso: che, cioeÁ, sono le condizioni reali di vita a produrre le idee, quindi anche quelle religiose. In particolare, come verifica storica di questo secondo motivo, Bauer delinea la storia del cristianesimo come fortemente differenziato al proprio interno, con particolare riferimento all'atteggiamento della borghesia, che da antireligiosa e anticlericale, attraverso una bisecolare storia di tentativi di compromessi, giunge persino a ergersi a difesa della religione e della chiesa, sostenendo, come giaÁ anticipato, il principio che «la religione deve essere conservata per il popolo» 71. Ancora piuÁ interessante l'articolata analisi che egli fa della religione del proletariato stesso. LA
RELIGIOSITAÁ POPOLARE DEL PROLETARIATO
Di fronte alla religione il proletariato si presenta, pur con alcuni tratti comuni, in modo differenziato. Il primo tratto che accomuna i ceti operai eÁ il sentimento di timore dinanzi alle forze cieche dello sviluppo capitalistico, che Bauer riconduce all'esperienza d'insicurezza economica creata dall'anarchia del mondo capitalista, regolato dalle libere leggi del mercato, che sono incontrollabili e sregolate e che possono determinare, percioÁ, periodi di sovrapproduzione e superlavoro ed altri di crisi e disoccupazione 72. La vita eÁ cosõÁ sentita da molti co71. Sozialdemokratie, Religion und Kirche, W., p. 470 [229]. 72. Ivi, p. 472 [232].
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me appesa a un filo, sempre precaria. Da qui il timore del domani 73. Viene spontaneo a Bauer il parallelo, giaÁ di Engels, tra il timore che i proletari moderni provano dinanzi alle forze cieche dello sviluppo capitalistico e quello degli uomini primitivi di fronte alle forze oscure della natura 74. EÁ questo timore, pur diversamente identificato, che riproduce continuamente, allora come adesso, il bisogno religioso. E come una volta si invocava Dio perche intervenisse nei meccanismi ignoti delle leggi naturali, cosõÁ ora lo s'invoca perche intervenga in quelli altrettanto sconosciuti e incontrollabili delle leggi di mercato. Il selvaggio si sforzava di esorcizzare le forze naturali ostili con le sue parole e riti magici. L'uomo civilizzato ricorre alla preghiera 75.
A sollevare gli uomini dal primo tipo di timore ci ha pensato la scienza, con la scoperta delle leggi della natura e la diffusione delle conoscenze. Analogamente Bauer pensa che per fugare il secondo tipo di timore occorra prendere possesso delle conoscenze relative alle leggi della produzione e dei mezzi di produzione. Solo cosõÁ produzione, consumo, lavoro, aumento demografico e aumento dei prezzi ecc... possono non apparire piuÁ forze anarchiche, ma regolabili e da regolare. CosõÁ, come col progresso della scienza nelle societaÁ evolute eÁ andata scomparendo la religione naturale, analogamente, col superamento del capitalismo, il proletariato riusciraÁ a liberarsi dalla propria religione. Scomparsa la fonte del timore religioso, l'incer-
73. Cfr. Programm der Sozialdemokratischen Arbeiterpartei DeutschoÈsterreichs (in W., 3, pp. 1018 ss); Sozialdemokratie, Religion und Kirche, ivi, pp. 472-473 [232-235]. 74. Sozialdemokratie, Religion und Kirche, W., p. 472 [231]. 75. Ivi, p. 471 [230].
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tezza economica, scompariraÁ anche la religione. Ma questo eÁ un processo appena iniziato per il cui compimento si dovraÁ ancora attendere a lungo. Il secondo tratto comune agli strati popolari eÁ un diffuso e piuÁ o meno radicato sentimento anticlericale, provocato dall'atteggiamento stesso del clero, sempre schierato dalla parte del capitalista, eretto quindi a difensore del nemico di classe dei proletari. Nasce da qui «l'odio dei proletari contro il prete e contro la religione, in nome della quale il prete difende il regime sociale borghese» 76; da questo stesso impulso nasce anche la volontaÁ di liberarsi dalla religione clericale. Ma trattasi di una lotta di liberazione che avviene in modi, gradi, tempi e risultati diversi, a seconda dei paesi, del livello di sviluppo dei movimenti operai e degli strati interni che costituiscono la loro composizione. Bauer prova anche a stilare una sorta di rassegna degli atteggiamenti religiosi da essi assunti. Opera, innanzitutto, una prima grande distinzione tra il movimento operaio in Inghilterra e quello sviluppatosi nel resto dei paesi del continente europeo: ± il movimento operaio inglese non si eÁ mai contrapposto al cristianesimo, anzi si eÁ riallacciato all'etica cristiana. E cioÁ per un motivo storico ben preciso: in Inghilterra la lotta contro la chiesa di stato era stata condotta da parte di altre chiese e confessioni protestanti, che si erano adeguate al modo di pensare e ai bisogni delle masse operaie. ± sul continente la situazione eÁ diversa, perche esiste un'unica religione, quella della chiesa ufficiale di stato, come in Francia, e in modo particolare in Austria e in Russia, dove il clero si presentava strettamente legato rispettivamente al potere asburgico e a quello zarista 77. In Austria l'onere della lotta contro la chiesa di stato doveva essere 76. Ivi, p. 474 [234]. 77. Ivi, pp. 475 [234-235].
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assunto in prima persona dalla parte culturalmente piuÁ attrezzata del movimento operaio. Questo compito fu svolto dall'avanguardia intellettuale dei ``liberi pensatori'', i Freidenker, che non avevano mai avuto o avevano giaÁ risolto definitivamente e radicalmente il loro rapporto con la religione. Essi motivavano la lotta alla religione con una serie di ragioni, prima fra tutte quella di combattere la «grande potenza della chiesa austriaca» e la sua «alleanza con la borghesia», contrastando l'«influsso evidente della chiesa sui credenti» a scopi politici antisocialisti. A giudizio di Bauer, la loro azione antireligiosa e anticlericale non aveva coinvolto, peroÁ, la stragrande maggioranza della base operaia, ne provocato in essa quel diffuso e automatico rifiuto della religione, che essi si proponevano di produrre. Anzi, a questo punto, Bauer, come giaÁ altri pensatori marxisti, fra i quali in particolare Gramsci e Bloch, nota in alcuni settori del proletariato continentale europeo un comportamento che puoÁ apparire quasi assurdo, che peroÁ alla fine si riveleraÁ tale solo in modo apparente. Essi ± Bauer si riferisce in particolare ai boscaioli, ai Keuschler, ai minatori, e alle fasce di proletariato industriale dell'Austria del suo tempo ± mentre da una parte intendono scrollarsi di dosso la religione, dall'altra utilizzano proprio la stessa religione nella lotta contro il capitalismo, «ammantando le idee ribelli, le rivendicazioni rivoluzionarie con le vesti della religione tradizionale» 78; facendo ricorso ancora oggi, come in passato, come al tempo delle sette cristiane eretiche (Valdesi, Begardi, Lollardi, Taboriti, Anabattisti), a parole d'ordine religiose, a frasi del Vangelo. Accanto a questo tipo di proletariato, che potremmo definire ancora ``religioso'' attivo, Bauer, sempre con particolare riferimento all'Austria del proprio tempo, elenca altri strati: ± i proletari della campagna: operai agricoli, coloni, pic78. Ivi, p. 473 [233].
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coli contadini, non trasformati dal capitalismo, che continuano a vivere in maniera tradizionale nei propri paesi, inaccessibili alle nuove idee e conoscenze scientifiche, sotto l'influenza della religione tradizionale; ± gli operai urbanizzati: quelli provenienti dal mondo agricolo, cioeÁ gli operai agricoli e figli di contadini che si recano a cercare lavoro nelle fabbriche delle cittaÁ. Essi, pur restando attaccati al modo di pensare del paese d'origine, cominciano a respirare l'aria ideologica del nuovo ambiente. Cominciano a dimenticare la religione della propria terra d'origine, pur ricorrendo ad essa in occasione dei momenti importanti della vita: matrimonio, nascita dei figli, morte di un caro ecc. Per cui continuano a vivere anche in cittaÁ una religiositaÁ popolare contadina, in cui ad elementi cristiani e cattolici si trovano mescolate forme di religiositaÁ primitive (fede nei demoni, riti magici, totemismo, animismo, feticismo). Questa religione popolare cosõÁ caratterizzata, Bauer la rappresenta con un'immagine molto espressiva, quella delle case dei proletari dove «continuano a sussistere suppellettili domestiche antiche», nonostante che la moderna architettura dell'arredamento abbia fatto grandi progressi ed offra confort moderni. Una constatazione, quest'ultima, che induce Bauer a evidenziare come gli operai non vivano soltanto una miseria materiale, ma anche una spirituale 79, anch'essa volutamente mantenuta, come quella materiale, dalla borghesia capitalista, che ha privatizzato le ricchezze materiali insieme a quelle spirituali. La classe borghese ha reso, infatti, partecipe delle conoscenze scientifiche portate dall'Illuminismo solo una esigua minoranza di persone, nobiltaÁ e borghesia istruita, lasciando nell'ignoranza, ai margini del nuovo sviluppo scientifico, la maggior parte degli stessi borghesi e soprattutto gli operai e i contadini. CioÁ spiega perche presso questi ultimi siano rimasti in vigore quei 79. Ivi, p. 477 [238].
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pezzi di ``suppellettili mentali'' costituiti dai vecchi modi di pensare e di sentire, fra i quali un posto di rilievo eÁ occupato dalle idee e dai sentimenti religiosi tradizionali. Del resto il capitalismo, prosegue Bauer, ha tutto l'interesse a mantenere questi ceti popolari nell'ignoranza. Anzi, ha fatto e fa di piuÁ: tenta di rafforzare in essi ``gli elementi del pensiero e del sentimento religiosi'', perche funzionali, come giaÁ detto, a sostituire all'antico timore dell'uomo al cospetto delle forze della natura un timore equivalente di fronte alle incontrollabili forze sociali ed economiche dello sviluppo capitalistico. Con cioÁ non si fa altro che ridurre la religione, come comunemente ormai si dice, a ``oppio del popolo''. Ne piuÁ, ne meno cioÁ di cui gli illuministi borghesi avevano accusato i preti. Ma la polemica di Bauer nei riguardi dell'Illuminismo borghese non s'arresta qui. Pur riconoscendogli il merito di aver impostato bene il problema religioso, lo critica, invece, per non averne spiegato adeguatamente l'origine e nemmeno aver suggerito la soluzione giusta per il suo superamento. EÁ infatti fortemente riduttivo attribuire l'origine della religione a un marchingegno ideologico inventato dai preti, come giaÁ Engels aveva fatto notare e criticato nei suoi studi sulle origini del cristianesimo. Ne sul piano delle soluzioni puoÁ essere ritenuta sufficiente da Bauer la proposta di un semplice intervento di illuminazione intellettuale mediante la diffusione delle conoscenze, tra l'altro non promossa nemmeno da essi medesimi, come appena visto. Una critica analoga l'aveva rivolta giaÁ Marx a Ludwig Feuerbach. PiuÁ adeguate e piuÁ soddisfacenti sono, invece, secondo Bauer, la prognosi e la diagnosi di Marx ed Engels, basate sul principio fondamentale del materialismo storico: eÁ la vita che determina la coscienza e non viceversa. Ne consegue che l'origine della religione va trovata nelle condizioni degli uomini che, nella realtaÁ capitalistica, sono di
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miseria e di dipendenza economica e sociale. EÁ il rifiuto della miseria di questa terra che fa nascere nell'animo degli uomini la prospettiva di un'altra vita nel cielo, l'idea di un altro mondo, migliore di quello attuale. Sono i rapporti di dipendenza dei lavoratori dai loro padroni terreni che producono le idee e le rappresentazioni dei rapporti di dipendenza dal ``padrone celeste''. Ecco perche inveire contro il cielo e il suo signore, attaccando cioeÁ direttamente la religione, come fanno gli ideologi illuministi e alcuni loro emuli tra le fila del socialismo, non serve. Occorre agire direttamente sulle condizioni che hanno originato e continuano a rendere necessaria la religione. Le campagne atee antireligiose sono inadeguate e controproducenti. GiaÁ Marx ed Engels le escludevano, perche sapevano che esse, invece di contribuire a eliminarla, la ravvivavano. A parere di Bauer, il socialismo, invece di perdere tempo a combattere la religione, dovrebbe impiegarlo nello sforzo di eliminare le condizioni di miseria e di insicurezza. Venute meno queste, la religione non avraÁ piuÁ terreno di coltura e scompariraÁ da seÂ. Ma fino allora niente soppressione della religione, che in concreto vuol dire: niente eliminazione dell'insegnamento religioso, ne della propaganda religiosa e neppure del culto religioso. MARXISMO
E RELIGIONE: OLTRE IL MATERIALISMO
Bauer nella sua esposizione procede appoggiandosi su una nutrita serie di testi illuminanti di Marx, tratti da Il Capitale, oltre che dai noti scritti giovanili del '44, Introduzione a Per la critica della filosofia del diritto di Hegel, Questione ebraica e Manoscritti economico-filosofici, e dall'AntiduÈhring di Engels. Ma si spinge anche oltre, a tratti anche fuori dei confini indicati dai padri del marxismo, in particolare quando tenta di dar risposta a due interrogativi di fondamentale importanza per il nostro tema: il pri-
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mo riguarda la natura del bisogno religioso; se essa sia puramente storica ovvero anche metafisica, originata cioeÁ dalla esigenza di spiegare il senso dell'accadere e del destino dell'uomo; l'altro interrogativo concerne la natura del marxismo: se esso sia intrinsecamente o solo estrinsecamente ateo. Riguardo al primo punto Bauer si dice personalmente convinto della validitaÁ del principio materialistico storico e della spiegazione e soluzione che esso fornisce anche al problema religioso: che cioeÁ, come appena detto, le attuali forme di religione sono riflesso e rappresentazione delle condizioni economiche e sociali e dei corrispondenti vincoli di dipendenza e di sottomissione creati dall'attuale sistema capitalista. Secondo questa logica il superamento del capitalismo, nella prospettiva della realizzazione del socialismo, dovrebbe comportare anche la fine del sentimento di angoscia quotidiana per la sopravvivenza materiale, di dipendenza, oppressione, sfruttamento e umiliazione. In realtaÁ, Bauer lascia aperto il problema. In quali termini lo vedremo piuÁ avanti 80. Ma, a questo proposito, l'apertura di Bauer sembra spingersi oltre, addirittura fino a riconoscere come legittima in seno al socialismo anche la posizione di un Max Adler, che, sebbene marxista, attribuisce alla religione un'origine a priori e ne riconosce come ineliminabili i postulati fondamentali dell'esistenza di Dio e dell'immortalitaÁ dell'anima 81. Bauer fa discendere la legittimitaÁ ``marxista'' di questa posizione ± e qui siamo giaÁ al secondo punto ± dallo stesso carattere del ``materialismo storico'' marxista, che egli tiene distinto scrupolosamente dal ``materialismo scientifi80. Cfr. anche sotto, pp. 97-98 e n. 92. 81. Cfr. MAX ADLER, UÈber den kritischen Begriff der Religion, in AA.VV. Festschrift fuÈr Wilhelm Jerusalem zu seinem 60. Geburstag, Wien, W. BraumuÈller Verlag, 1915, p. 28 (traduzione italiana in MAX ADLER, Filosofia della religione, Fiesole, Cadmo, 1992).
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co''. L'occasione per questa precisazione gli viene offerta dall'obiezione mossagli da un interlocutore speciale ± non importa stabilire se reale o fittizio ± particolarmente significativo: un prete. Del resto a Bauer piace la maniera socratica di inventarsi interlocutori per esporre i propri ragionamenti nella forma del dialogo, una forma indubbiamente piuÁ efficace per comunicare e per rendere facilmente comprensibile e al tempo stesso reattivo e percioÁ stesso anche piuÁ disponibile e aperto il proprio pensiero alle esigenze dell'altro; oltre che, come in questo caso, a produrre una maggiore efficacia politica. Il privilegiato interlocutore ± sollecitato dalla lettura del passaggio del ``Programma di Linz'', che invita a basare la battaglia contro la religione sulle teorie del ``socialismo scientifico'' ± pone a Bauer, in forma rigorosamente sillogistica, la seguente obiezione: a) se il socialismo eÁ il marxismo, b) se il marxismo eÁ materialismo, c) se il materialismo marxista eÁ ateo, d) allora «i credenti non possono aderire a un partito che professa il materialismo ateo» 82. Bauer risponde riprendendo, ma in termini molto piuÁ chiari, la precisazione giaÁ succintamente anticipata nello scritto giovanile del 1908, Proletariato e religione. Invita cioeÁ a non confondere, nel socialismo, materialismo storico e materialismo scientifico. EÁ corretta l'identificazione del marxismo con il primo; non del tutto, invece, col secondo. Bauer fa osservare che, tra i pensatori marxisti, mentre c'eÁ pieno accordo sul marxismo come concezione materialistica della storia, si registrano invece posizioni differenti sul marxismo identificato anche come materialismo scientifico ateo. La differenza tra i due eÁ presentata nei termini seguenti: ± la concezione materialistica della storia ± come giaÁ sappiamo, ma eÁ opportuno ribadirlo in questo contesto ± eÁ la dottrina secondo cui lo sviluppo delle forze produttive 82. Sozialdemokratie, Religion und Kirche, W., p. 491 [256].
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e dei rapporti di produzione determina in generale il processo di vita sociale, politico e spirituale. Con il mutamento delle condizioni di vita degli uomini si modifica anche il loro modo di pensare, si trasformano i costumi, i valori morali, la scienza, l'arte, la religione. Il materialismo storico eÁ la teoria della societaÁ umana, riguarda lo studio dei rapporti di dipendenza della vita sociale, politica, culturale, quindi anche religiosa degli uomini, dallo sviluppo economico; ± «il materialismo scientifico eÁ invece una teoria del cosmo», una dottrina dell'essenza del mondo, che riconduce tutti gli eventi della natura fisica ai movimenti di particelle di materia omogenee, piccolissime e invariabili (atomi ed elettroni). Bauer eÁ consapevole delle conseguenze estreme che una simile impostazione comporta anche e soprattutto a proposito della religione. Il materialismo scientifico, in quanto tale, eÁ una dottrina materialistica atea e si oppone, percioÁ, ad ogni visione religiosa del mondo. Conclusione che, come sappiamo, Bauer non sente di condividere. E per caratterizzare la vera identitaÁ del marxismo, e quindi avvalorare la propria posizione come quella autenticamente marxista, introduce la distinzione tra materialismo storico ± non intrinsecamente ateo ± come tratto essenziale e caratterizzante del marxismo vero e proprio; in cui possono identificarsi i marxisti veri e propri ± e il materialismo scientifico, inessenziale nel bagaglio delle dottrine marxiste propriamente dette. Bauer rafforza la veritaÁ di quanto sta dicendo anche con una prova di ordine sociologico: mentre a proposito della concezione materialistica della storia si registra una condivisione da parte di tutti i teorici marxisti, invece sull'origine, l'essenza e il senso del mondo eÁ dato di registrare punti di vista differenti. CioÁ non significa peroÁ, neanche per lui, che coloro che professano il materialismo scientifico non siano marxisti, ma semplicemente che potrebbero esserlo anche senza di esso. Egli rende piuÁ chiaro il senso del proprio discorso,
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ricorrendo al paragone con gli scienziati. Questi, pur lavorando scientificamente sul mondo, pur avendo cioeÁ le stesse idee, per esempio, su questioni di medicina o di biologia, di chimica o di fisica, tuttavia «divergono, anche radicalmente, sulle questioni filosofiche circa l'origine e l'essenza del mondo» 83. CosõÁ accade anche fra i pensatori marxisti: tutti concordi sulla concezione materialistica della storia, hanno opinioni divergenti sul materialismo scientifico quale scienza dell'universo. Bauer non tace dei casi di pensatori marxisti coerenti sino in fondo, come si suol dire, ``tutti d'un pezzo'' ± come per esempio Plechanov e Lenin, che condividono entrambi i princõÁpi del materialismo storico e del materialismo scientifico ± ma insiste a sottolineare i casi di altri che condividono solo il primo, ma avversano il secondo, con particolare riferimento ai due a lui piuÁ vicini: Friedrich Adler e Max Adler, entrambi decisi seguaci del materialismo storico, ma altrettanto decisamente avversari del materialismo scientifico. Il primo, infatti, eÁ discepolo del grande naturalista Mach, la cui ricerca mirava proprio al superamento del materialismo meccanicistico, negando, appunto, la tesi secondo cui i movimenti degli atomi e degli elettroni costituivano ``l'essenza del mondo''. Per Mach essi non sono altro che semplici «strumenti del nostro pensiero, che ci permettono di rappresentarci ``economicamente'' il rapporto di dipendenza reciproca delle trasformazioni che osserviamo nei corpi» 84. Bauer osserva come Mach, con questa dottrina, che attribuiva alla scienza il solo compito di ``descrivere'' i fenomeni della natura senza poterne cogliere l'essenza, di fatto «assunse una posizione diversa anche nei riguardi della religione» 85. Questo risvolto religioso della teoria di Mach eÁ del resto 83. Ivi, pp. 492 [257]. 84. Ivi, p. 493 [258]. 85. Ibidem.
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confermato esplicitamente dallo stesso Friedrich Adler con una citazione diretta dal maestro, ripresa puntualmente anche da Bauer: «Le opinioni religiose restano personalissimi affari privati di ciascun uomo, finche egli diventa tutt'uno con esse e non le trasferisce in cose che appartengono ad un altro foro» 86. Analogo e ancor piuÁ rappresentativo eÁ il caso di Max Adler, anch'egli, come sappiamo, convinto seguace del materialismo storico e, nello stesso tempo, discepolo dell'idealismo critico di Kant. Pur professandosi marxista, giunge non solo ad ammettere l'insopprimibilitaÁ nell'anima umana dei bisogni religiosi e a riconoscersi egli stesso in «una concezione religiosa del mondo», ma persino a dimostrare la conciliabilitaÁ tra religione e socialismo. Anche in questo caso Bauer ricorre alla citazione di un testo di Max Adler, sintetico, ma chiarissimo: Il marxismo eÁ l'inizio di una nuova teoria esatta della societaÁ [...]. Ma questa teoria, i problemi che essa pone ed i tentativi di risolverli non hanno niente a che fare con le questioni della Weltanschauung [...]. Si possono leggere ugualmente bene sia con una che con un'altra concezione filosofica del mondo, con una materialistica come con una spiritualistica, con un sistema panteistico o con uno ateistico [...] esattamente, per esempio, come la legge della gravitazione resta la stessa per i teisti e per gli ateisti, anzi addirittura come le leggi biologiche che per il pensatore deista, che prende sul serio la scienza, diventano un'occasione in piuÁ per ammirare la saggezza del suo creatore, ma vengono del resto considerate non diversamente dall'ateista 87. 86. Citazione di pag. 25 dello scritto di F. ADLER, Ernst Machs UÈberwindungs des mechanischen Materialismus (Wien 1918), in Sozialdemokratie, Religion und Kirche, W., p. 493 [258-259]. 87. Sozialdemokratie, Religion und Kirche, W., pp. 493-494 [259260]. Sono brani tratti dall'opera Das Soziologische in Kants Erkenntniskritik, Wien, Wiener Volksbuchhandlung, 1924, pp. 244 ss, che Bauer deve aver sentito in grande sintonia con quanto va dicendo in
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Bauer non mostra alcuna preferenza, non indicando nemmeno quale delle concezioni del mondo sia piuÁ conciliabile con il marxismo e quale meno. A lui basta qui registrare tra i teorici del socialismo queste posizioni differenti: il materialismo antireligioso (Plechanov e di un Lenin); il positivismo indifferente nei confronti della religione (Friedrich Adler); l'idealismo critico religioso dei marxisti neo-kantiani (Max Adler). Tanto gli basta per smentire l'identificazione avanzata da certuni tra socialismo scientifico ``laico'' e materialismo scientifico antireligioso e ateo. Una volta confutata questa falsa identificazione, pregiudizievole anche per l'impostazione dei rapporti del socialismo marxista con la religione, non tutti i dubbi sono, peroÁ, fugati. Bauer deve impegnarsi ulteriormente a risolvere le difficoltaÁ che lo stesso principio del materialismo storico, fatto salvo dalla discussione precedente, continua a porre alla religione. Infatti la concezione materialistica della storia, sebbene non antireligiosa, mostra una sottovalutazione della religione per il fatto stesso che la ritiene soltanto un riflesso delle condizioni di ristrettezza economica e di arretratezza dell'uomo, come «immagine speculare dell'ignoranza, della sottomissione e della povertaÁ del popolo» 88, e in prospettiva ne vede il superamento. Se cosõÁ eÁ, allora come puoÁ un credente aderire al socialismo, che sottovaluta in maniera cosõÁ evidente la religione, riservandole addirittura un destino letale? Bauer non cela una certa difficoltaÁ nel tentare una risposta a questa obiezione. Ma, pur ribadendo, quasi per difesa d'ufficio, la tesi classica marxista circa l'origine e la prospettiva della religione giaÁ esposta nelle pagine precedenti, egli precisa una serie di elementi, che ritiene utili questo contesto, ma giaÁ con uno dei suoi primi scritti, Geschichte eines Buches del 1907. 88. Ivi, p. 495 [260].
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ai fini di una maggiore comprensione e accettazione reciproca tra credenti cristiani e non credenti socialisti. Innanzitutto fa presente che il socialismo, quale difensore del popolo, non deride e non puoÁ deridere la religione, per il semplice fatto che questa eÁ il riflesso vero di una realtaÁ amara, della miseria in cui il popolo vive. Se c'eÁ qualcuno che si permette di deridere la religione popolare eÁ invece proprio il borghese liberale illuminista, che disprezza la povertaÁ culturale del popolo, di cui, del resto, egli stesso eÁ responsabile 89. In secondo luogo si augura che la diversa concezione circa l'origine e la prospettiva della religione non divida chi, sia credente sia non credente, eÁ accomunato nel medesimo destino di vita oppressa e sfruttata e vive nella medesima speranza di superare questa condizione di vita e di crearne una migliore 90. Precisa inoltre che il socialismo non intende imporre la religione, ne vietarla a nessuno, ma s'impegna a rispettare la libertaÁ di coscienza religiosa di ciascuno. LibertaÁ che ora eÁ menomata, perche il popolo conosce solo una religione, quella insegnata dal parroco del paese. Finora il popolo non aveva, in realtaÁ, altra scelta. Il socialismo si prefigge di portare le conquiste della scienza a conoscenza di tutti, in modo che ognuno possa fare criticamente i confronti con le conoscenze tradizionali e quindi anche con la religione tramandata dai propri padri; e decidere cosõÁ, secondo la propria coscienza, se conservarla o meno 91. Infine, Bauer ribadisce la previsione secondo la quale nella futura societaÁ socialista scompariranno certamente l'attuale modo di pensare e l'attuale religione, frutti delle attuali condizioni di vita, ma precisa che nel presente non ci eÁ dato di sapere quale altra visione del mondo na89. Ivi, pp. 495 ss. [260 ss.]. 90. Ivi. 91. Ivi.
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sceraÁ dalle nuove condizioni di vita del futuro. Cosa intende far capire Bauer con quest'ultima conclusione? Che anche nella futura societaÁ socialista non eÁ preclusa del tutto la possibilitaÁ della rinascita di una nuova religione diversa dall'attuale, non piuÁ originata dal timore, dall'insicurezza, dall'angoscia quotidiana per il lavoro e per il pane? Sono interrogativi che paiono trovare legittimitaÁ nell'appello finale rivolto indistintamente a tutti gli operai, credenti e non, per invitarli a: unirsi nella lotta per la liberazione economica e a lasciare al futuro la questione di come gli uomini, non appena avranno ottenuto la loro liberazione economica, si formeranno la loro visione del mondo 92.
Tutta questa lunga precisazione di Bauer sulla natura del materialismo non ateo del marxismo era diretta, a diversi interlocutori, che abbiamo giaÁ presentato, ma che vale la pena di richiamare: ± da una parte, agli operai credenti, giaÁ aderenti al socialismo, e a quelli che magari volevano entrare nel movimento, ma erano trattenuti dal timore di perdere la propria religione o di essere sottovalutati, addirittura derisi per i loro sentimenti religiosi. Bauer li rassicura nel modo che abbiamo giaÁ visto; ± dall'altra parte, i critici avversari, clericali e intellettuali borghesi, intenti a demolire il socialismo dinanzi ai ceti popolari credenti, dipingendolo come ispirato da un'ideologia materialista atea. Anche per questi abbiamo giaÁ visto il tipo di risposta data da Bauer 93, ± infine una componente particolare, interna al sociali92. Ivi, p. 496 [262]. Sorprendente l'affinitaÁ, se non addirittura l'identitaÁ di queste parole con quelle di Gramsci nei Quaderni del carcere e soprattutto con quelle di Camillo Torres degli anni '60 (cfr. T. LA ROCCA, Gramsci e la religione, cit.). 93. Cfr. sopra pp. 20 ss. [90 ss.].
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smo, minoritaria ma influente, rappresentata dai ``liberi pensatori'', schierati a difesa del marxismo integrale. Anche a costoro egli riserva uno spazio ed un trattamento particolari, i cui termini sono peroÁ da esplicitare ancora meglio.
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I
LIBERI PENSATORI E LA RELIGIONE
Pur apprezzando il loro ruolo critico e riconoscendo i meriti dei cosiddetti ``liberi pensatori'', Bauer li mette in guardia da alcuni errori che stanno commettendo o rischiano di commettere, magari in buona fede, e che potrebbero danneggiare la causa del socialismo. E lo fa fornendo chiarimenti, quelli appena visti, circa la natura materialistica del socialismo marxista. Il primo rischio che essi corrono, e fanno correre all'intero movimento socialista, eÁ quello connesso alla loro ostentata presunzione intellettuale di identificare se stessi col movimento proletario e col partito. Bauer tenta di ricondurli alla loro giusta dimensione e collocazione, invitandoli a non confondere la parte con il tutto. In altre parole, essi sono portati a esibire le proprie posizioni teoriche come posizioni del socialismo scientifico, le proprie idee politiche come idee del partito, e a presentare il proletariato industriale, a cui appartengono, come l'intera classe operaia. Bauer tenta di far capire che essi rappresentano, invece, sõÁ, una parte importante, ma minoritaria del proletariato; e che questo, a sua volta, eÁ soltanto una componente dell'intera classe lavoratrice, che abbraccia numerosi altri settori del mondo del lavoro. PercioÁ i liberi pensatori rappresentano solo una fetta, e per giunta la piuÁ piccola, di una comunitaÁ piuÁ vasta, che presenta problemi ampi e assai complessi. Bauer evidenzia come essi rischino di commettere un errore analogo anche nei confronti della religione, ignorando la sua complessitaÁ dottrinale e la differenziata com-
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posizione sociale dei credenti 94. Vedremo tra poco quale sia quest'errore; e vedremo anche le conseguenze che da esso potrebbero derivare, secondo il pensatore politico viennese, a danno della causa generale del socialismo 95. Il secondo errore eÁ quello in cui sono caduti giaÁ gli intellettuali liberali borghesi e, paradossalmente, sul versante opposto e da un punto di vista differente, anche i bolscevichi marxisti: l'illusione di realizzare l'emancipazione dell'uomo mediante una lotta serrata alla religione. Bauer vuol mettere in guardia i liberi pensatori dall'illusione dei primi e al tempo stesso dal radicalismo dei secondi. Il terzo errore dei Freidenker eÁ conseguente ai primi due: essi offrono con la loro posizione antireligiosa e anticlericale il fianco alle critiche dei clericali contro il socialismo marxista, perche materialista ateo, nemico della religione e della chiesa. Per la critica al primo errore Bauer utilizza il medesimo ragionamento sulla natura del socialismo, esibito in precedenza nella discussione con i clericali e in forza del quale egli ha dimostrato, come appena visto, che al socialismo marxista, come non eÁ essenziale il materialismo scientifico, cosõÁ non lo eÁ nemmeno la difesa ideologica integralista del marxismo, che comporterebbe necessariamente anche la lotta radicale alla religione, quale ideologia contrapposta e percioÁ da eliminare. Ricorrendo, poi, all'altra precisazione circa il materialismo storico come elemento essenziale del marxismo, Bauer cerca di evidenziare la falsitaÁ di un altro presupposto, che i liberi pensatori hanno assunto dal liberalismo borghese come base della propria strategia di lotta alla re94. Sozialdemokratie, Religion und Kirche, W., p. 500 [268]. 95. Ivi, pp. 500-501 [236-237].
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ligione: cioeÁ che sia proprio la religione la causa di tutti i mali, che sia all'origine dell'ignoranza e della miseria del popolo e che quindi basti liberare il popolo dalla religione per emanciparlo anche culturalmente, politicamente ed economicamente. I liberi pensatori socialisti, preoccupati di difendere la purezza del marxismo, cadono nel vistoso errore di dimenticare il principio basilare del materialismo storico, secondo cui la religione non eÁ la causa, ma solo l'effetto della miseria economica, e, quindi, la liberazione religiosa puoÁ passare solo attraverso l'emancipazione economica e sociale. Essi dimenticano, a parere di Bauer, il fallimento in cui sono incorsi i liberali borghesi con una simile impostazione e strategia, rischiando ora di ricadervi essi stessi. Il liberalismo borghese fu ingannato dal fatto di vedere il cattolicesimo schierato dalla parte dei feudoclericali, economicamente e politicamente dominanti. Per cui si indusse a pensare che, indebolendo il cattolicesimo con una serrata lotta antireligiosa e anticlericale, si potesse indebolire anche il suo potere economico e politico. Niente di piuÁ errato. Tanto che, con la loro lotta anticlericale, i liberali borghesi del passato non hanno liberato le masse ne dalla religione, ne dall'ignoranza e arretratezza culturale, ne tanto meno dalla miseria 96. Nei medesimi errori, annota Bauer, sta incorrendo il bolscevismo marxista, che da avanguardia minoritaria pretende di rappresentare l'intera societaÁ e ritiene di eliminare la religione sferrandole contro una campagna atea. I bolscevichi differiscono naturalmente dai liberali borghesi quanto a diagnosi e prognosi della religione. Convinti assertori del principio del materialismo storico, fanno derivare le idee religiose dalle condizioni di vita e quindi intendono superare le prime solo con la trasformazione delle altre. Eppure essi concordano pienamente con i liberali 96. Sozialdemokratie, Religion und Kirche, W., pp. 503-504 [270271]. Cfr. sopra pp. 89-90.
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nel fare della religione una questione pregiudiziale ed un motivo di lotta diretta. Pretendere questo, conclude Bauer con i termini che gli sono propri, significa rendere la religione una ``questione pubblica'', invece che mantenerla come ``questione privata'' 97. Assumendo le posizioni dei liberali borghesi e dei bolscevichi, i Freidenker socialisti convergono, cosõÁ, sulla loro strategia di non lasciare la religione come ``questione privata'', ma farla diventare ``questione pubblica''. Convergono in questo senso anche con i clericali, poiche anche questi vogliono la stessa cosa: che si continui a considerare la religione come ``questione pubblica''. I liberali fanno cosõÁ il gioco dei clericali. Il senso di questa conclusione saraÁ chiaro quando si saranno chiariti i significati che gli interlocutori tirati in ballo da Bauer in questa discussione conferiscono alle espressioni ``questione pubblica'' e ``questione privata'', applicate alla ``questione religiosa''. Mentre nel liberalismo classico, con il motto ``Religion Privatsache'', si intendeva dare l'indicazione di trattare la religione come affare dell'individuo; nel partito borghese contemporaneo, alleato con i clericali contro il socialismo, Bauer vede modificato questo orientamento. Avendo bisogno del consenso popolare per vincere le competizioni elettorali e governare, la borghesia deve poter ottenere i voti di una parte consistente anche dei ceti proletari, contadini e artigiani. D'altra parte, poiche i suoi interessi economici di classe sono in contrasto con quelli dei ceti popolari inferiori, ha necessitaÁ allora di spostare la propria lotta dal piano sociale ed economico a quello ideologico, rappresentando la lotta tra partito borghese e partito socialdemocratico come lotta tra credenti e non credenti, tra cristiani e atei, rubando cosõÁ un po' il mestiere ai clericali. Un tentativo analogo a quello che Marx aveva giaÁ denunciato nella Questione ebraica, quando accusava la borghe97. Ivi, W., pp. 503-504 [270-273].
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sia di ``trasformare i problemi terreni in questioni ideologiche'' e ``teologiche''. CosõÁ facendo, la borghesia nasconde la vera natura di classe del conflitto politico, rivestendolo con ``veli religiosi'', e trasforma la religione in strumento politico e quindi in ``questione di partito''.
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I clericali, poi, soprattutto a partire dalla fase in cui hanno iniziato essi stessi ad egemonizzare il partito cristianosociale, hanno ridotto la religione a questione di partito molto piuÁ dello stesso partito borghese. Le vicende sono note 98. Per altro verso riducono la questione religiosa a ``questione di partito'' anche i bolscevichi marxisti, quando, per esempio, vietano ai proletari credenti di diventare membri del partito, subordinando l'adesione ad esso alla rinuncia della propria fede. Ora i liberi pensatori, se pensano di imitare i bolscevichi nella lotta antireligiosa e anticlericale e di sfidare cosõÁ i liberali borghesi e i clericali sul loro stesso terreno della lotta ideologica, vanno incontro a un sicuro fallimento. La ragione eÁ evidente: nella strumentale difesa della religione contro i socialisti, i borghesi e i clericali hanno dalla loro parte i ceti popolari credenti, che subiscono ancora l'influsso della chiesa e del clero. Questi stessi ceti i socialisti se li troverebbero schierati contro. Scendere sul terreno ideologico dei clericali e dei liberali borghesi sarebbe come cascare nel tranello che essi hanno a bella posta escogitato: quello di mettere in gioco la religione per determinare schieramenti a loro decisamente favorevoli: «di qua i cristiani, di laÁ gli atei», che sono una minoranza rispetto alla stragrande maggioranza cattolica della popola98. Cfr. Das Ende des christlichen Sozialismus, cit.; cfr. sopra pp. 59 ss.
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zione. Con l'ostentazione dei loro sentimenti antireligiosi e con il loro impegno nel far passare come linea generale dell'intero partito la lotta anticlericale, i liberi pensatori rischiano di compromettere la strategia che il partito ha elaborato e sta attuando nei confronti dei lavoratori dell'intera classe operaia, che comprende ampie fasce di lavoratori credenti, di cui solo una piccola parte ha finora aderito al movimento operaio socialista. Una radicale lotta antireligiosa, ripete con insistenza quasi ossessiva Bauer, metterebbe a repentaglio sia la permanenza di chi ha aderito, sia la possibilitaÁ di accostamento e adesione ad esso di altre fasce popolari credenti. Anche in questo caso l'argomentazione di Bauer torna a porre l'accento sulla necessitaÁ di guardare sempre all' interesse generale del partito, la cui istanza principale non eÁ la sconfitta ideologica degli avversari, quindi nemmeno dell'ideologia religiosa, ma l'abbattimento del sistema di produzione capitalistica, da cui derivano direttamente i mali per le classi lavoratrici. EÁ questo scopo che va messo a fuoco e mai perduto di vista. Deve essere ovvio allora per tutti che se la lotta antireligiosa ± pur legittima da taluni punti di vista ± dovesse rivelarsi un impedimento o un rischio per il raggiungimento dello scopo fondamentale della lotta di classe, ne deve conseguire un coerente cambiamento strategico. Dare la precedenza alla lotta ideologica sarebbe come mettere il carro davanti ai buoi.. CosõÁ facendo, infatti, ± e qui Bauer si rivela anche un fine conoscitore di psicologia sociale: essi sottovalutano la tenacia con cui in maniera del tutto particolare il popolo della campagna eÁ attaccato alle proprie tradizioni popolari religiose [...] e sottovalutano l'effetto della pura propaganda illuministica laddove il terreno non eÁ ancora accessibile. Essi disconoscono il carattere della legge sociale della trasformazione morale in cui gli uni dopo gli altri i singoli settori proletari si risvegliano alla coscienza di classe: l'istinto di classe in un primo momento prepara l'operaio a partecipare alla lotta per gli interessi
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economici e politici di classe; solo piuÁ tardi, cioeÁ a gradi di sviluppo molto elevati, si sveglia, nell'operaio, il bisogno di emanciparsi dalle ideologie del suo passato 99.
Bauer riprenderaÁ i termini di questa analisi piuÁ tardi, in Zwischen zwei Weltkriegen? del 1936, in un contesto di critica generale al ``socialismo degli intellettuali'' 100, preoccupati piuÁ della cultura rivoluzionaria'' che degli interessi concreti diretti degli operai. Essi dimenticano che i lavoratori entrano in lotta, non tanto e immediatamente «per la missione storica di realizzare i piani per il futuro di socialisti fondatori di sette o gli ideali di filosofi politicanti», ma «per un po' di pane in piuÁ, per un po' di salute in piuÁ, per un po' di libertaÁ in piuÁ», cioeÁ per «il miglioramento della condizione di vita entro la societaÁ capitalista» attraverso «l'aumento dei salari, la diminuzione della giornata lavorativa, la protezione della salute» 101. A questa lezione di fine psicologia sociale Bauer ne fa seguire un'altra, altrettanto opportuna, di dottrina politica sulla democrazia, di cui egli ha piuÁ volte anticipato spunti interessanti, senza toccarne ancora peroÁ il nodo vero. Questa lezione, vedremo, ha uno strettissimo legame con la questione religiosa. Gliene offre l'occasione proprio la constatazione della simpatia con cui i liberi pensatori guardano ai bolscevichi russi, anche a proposito della loro linea in materia di questione religiosa: attacco ideologico ad essa e rifiuto della Religion Privatsache. Singolare convergenza, la cui spiegazione Bauer sembra finalmente rintracciare nella comune concezione elitaria del partito, quale gruppo ristretto di intellettuali culturalmente progrediti ed emancipati dalle tradizioni del passato, con funzioni di guida della grande massa del proletariato rimasta fuori. 99. Sozialdemokratie, Religion und Kirche, W., pp. 502-503 [270271]. 100. Tra due guerre mondiali?, cit., pp. 220-221. 101. Ivi, pp. 221-222.
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Questa concezione del partito come avanguardia rivoluzionaria i bolscevichi la contrapponevano a quella del partito di massa propria dei menschevichi. Bauer, pur riconoscendola efficace e vincente nella rivoluzione russa del 1917, la esclude per gli altri paesi europei. La ragione di questa impossibilitaÁ di esportare la formula rivoluzionaria russa, egli la individua nella complessa composizione sociale e nella diversa situazione politica dell'Occidente. In Russia la massa di proletariato lasciato fuori dal partito non aveva alternativa se non quella di seguire il partito comunista; in Occidente, la massa di proletariato lasciato fuori dal partito ha altre sponde politiche a cui affidarsi, quelle dei partiti borghesi. PercioÁ da noi il partito socialista non puoÁ pensare di guidare una massa senza partito sotto la guida di un'avanguardia di intellettuali progrediti 102. Sia ben chiaro, Bauer eÁ pienamente consapevole che anche in Occidente i settori piuÁ avanzati di un partito di massa siano inevitabilmente destinati a ruoli di guida. Ma cioÁ deve avvenire attraverso libere elezioni democratiche di ``uomini di fiducia''. In qualitaÁ di eletti, sembra dire Bauer, essi sono espressioni del partito e non avviene il contrario, cioeÁ che il partito debba essere espressione di essi. Le conseguenze di questa diversa concezione del partito, anche in merito alla questione religiosa, sono ovvie per Bauer: un partito costituito di avanguardie di intellettuali ± muniti di una visione scientifica del mondo ed emancipati dalle tradizioni del passato, quindi anche da quelle religiose ± tende ad escludere chi non si eÁ liberato ancora della religione e a subordinarne l'ingresso nel partito alla rinunzia della propria fede. Tende inoltre, come piuÁ volte ricordato, a spostare sul piano ideologico la soluzione del problema religioso. Entrambe le cose sono, appunto, contrarie agli interessi generali del socialismo e del partito, che 102. Sozialdemokratie, Religion und Kirche, W., pp. 503-505 [271274].
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si raggiungono e si tutelano meglio mettendo al bando, invece, la lotta antireligiosa e rispettando la fede degli operai e dei contadini credenti. Per Bauer cioÁ significa: riconoscimento della libertaÁ di coscienza e di fede religiosa e nello stesso tempo rifiuto di trattare alla stregua di affare di partito sia la lotta sia la difesa pubblica della religione. Il socialismo deve lasciare questa sfera all'ambito privato, non farne una questione pubblica. Deve riconoscere a tutti i cittadini, senza discriminazioni per i credenti, gli stessi diritti e la stessa dignitaÁ che riconosce a tutti i membri di partito. Se il compito principale del socialismo eÁ quello di unire tutti i ceti anticapitalisti, deve allora saper prescindere dalle loro idee religiose. Deve presentarsi essenzialmente come partito di classe, senza altre aggettivazioni (per esempio, ``ateo'') e senza preclusioni per nessuno. Basti che chiunque voglia aderirvi, si riconosca nella prospettiva del socialismo. Solo cosõÁ esso potraÁ favorire, o almeno non impedire, l'inserimento nelle proprie file di strati sociali credenti, decisivi per il superamento del capitalismo e la creazione della futura societaÁ. Messa in questi termini, la critica mossa da Bauer ai liberi pensatori socialisti non appare un disconoscimento dei loro meriti e una delegittimazione del loro ruolo all'interno del movimento operaio? Egli precisa che non si tratta di questo, perche eÁ pienamente consapevole dell' importanza degli intellettuali, quali ``portatori di scienza'' ed elementi rivoluzionari attivi, sia nella fase della ridefinizione del sapere e del suggerimento, sia nella fase organizzativa e di realizzazione delle riforme sociali e politiche. Ma cioÁ non gli impedisce di cogliere gli eventuali rischi insiti in alcune delle loro prese di posizione. E come aveva segnalato la funzione reazionaria e conservatrice degli intellettuali cattolici, preti e intellettuali collaterali ai cristiano-sociali, cosõÁ ora avverte i liberi pensatori del pericolo di fughe in avanti e di strategie controproducenti. Ad essi, percioÁ, non intende negare la libertaÁ di professare le idee antireli-
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giose di cui sono convinti, ma rivolgere loro l'invito pressante a limitare l'azione di propaganda a quei settori del proletariato oscillanti tra fede e miscredenza che vivono nella cittaÁ e nelle aree industriali. Costoro, infatti, pur non essendosi ancora liberati dalla religione dei propri paesi d'origine, hanno tuttavia perso fiducia in essa; e quindi sono piuÁ sensibili e aperti alla concezione scientifica del mondo, contrapposta a quella religiosa, proposta dai liberi pensatori. C'eÁ anche qui, come giaÁ in Proletariato e religione del 1908, il riconoscimento di uno spazio di azione antireligiosa, ma molto piuÁ fortemente e decisamente ristretto e controbilanciato dalla fermezza e dall'autoritaÁ che deriva a Bauer dalla maggiore responsabilitaÁ che come segretario del partito egli avverte e fa valere, con l'appello al rispetto della sua linea generale. In effetti, piuÁ che l'autoritaÁ, eÁ la forza della convinzione che egli tenta di affermare, ricordando ai liberi pensatori la loro coerenza non solo alla dottrina marxista della religione, come giaÁ detto, ma anche piuÁ in generale allo stesso principio della tolleranza nei riguardi delle idee degli altri e, quindi, anche «nei riguardi dei compagni credenti» 103. Principio che Bauer ricorda essere stato il cavallo di battaglia di tutti i veri liberi pensatori e che giunge a tradurre in una formula suggerita ai propri compagni di partito: Io, personalmente, sono libero pensatore, ma anche chi crede nel Signore del cielo, per noi socialdemocratici, eÁ benvenuto come compagno di lotta contro i signori della terra [...] Io sono libero pensatore, ma nel partito tu sei per me compagno con piena dignitaÁ e con gli stessi diritti 104.
Nonostante tutto, queste conclusioni non paiono sfuggire all'accusa di manovra strumentale, puramente tattica. 103. Ivi, p. 507 [276]. 104. Ivi.
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Bauer cerca di prevenirla giocando d'anticipo, cioeÁ giustificando questa posizione, sancita al Congresso di Linz, come pienamente coerente con i due principi fondamentali della socialdemocrazia: a) la concezione materialistica della storia di Marx ed Engels, in base alla quale la religione eÁ soltanto un riflesso delle condizioni reali di vita e, in quanto non direttamente responsabile di queste, non merita di essere assunta come obiettivo diretto di contestazione e di lotta; b) l'opzione della via democratica, cioeÁ arrivare alla creazione di una societaÁ socialista solo mediante la conquista della maggioranza della classe lavoratrice di un paese, senza esclusione di nessuno strato popolare, specie se motivata in base a criteri base arbitrari, di natura ideologica, come, per esempio, l'appartenenza a una religione. Ma queste considerazioni potrebbero fare da cornice a un'altra considerazione di ordine culturale piuÁ generale, che Bauer aveva espresso giaÁ in Die OÈsterreichische Revolution di qualche anno prima (1923), e che appare quasi l'enunciazione di un criterio onnicomprensivo di analisi storica, valido quindi anche per quell'aspetto della storia tutt'altro che secondario che eÁ rappresentato dalla religione: la storia della lotta di classe del proletariato non eÁ soltanto la storia del mutare delle condizioni di vita della classe lavoratrice, ma al tempo stesso la storia della sua evoluzione culturale» 105.
E noi sappiamo quale peso, quantitativo e qualitativo, Bauer attribuisca alla religione nella storia culturale dei popoli, in particolare del proprio. Se si tiene presente questa sua consapevolezza, si riesce allora anche a capire meglio la sua apertura mentale di fronte al problema della religione e perche rifiuti l'accusa di strumentalitaÁ alle sue analisi, 105. Die OÈsterreichische Revolution, cit., p. 147.
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alle sue impostazioni e proposte di soluzione per la questione religiosa austriaca, che, fatte le debite differenze, potrebbero essere estese e ritenute valide anche per alcuni altri paesi europei alle prese con analoghi problemi di confronto sociale e politico tra vecchie e nuove classi sociali, tra tradizionali e moderni soggetti politici.
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«RELIGION PRIVATSACHE»
COME VIA ALLA LIBERTAÁ
C'eÁ da aggiungere, inoltre, che Bauer non s'arresta ai soli appelli al rispetto e alla tolleranza religiosa, che, sebbene segnino un passo avanti, denotano pur sempre un atteggiamento negativo nei suoi confronti. Egli, come aveva giaÁ fatto in alcuni scritti giovanili 106, anche ora, nell'opera del '27, si spinge fino a cogliere nella religione aspetti ed elementi, che non solo non contrastano, ma addirittura possono combinarsi con elementi del socialismo e contribuire positivamente alla sua crescita e successo. In particolare, nell'analisi storico-sociale del cristianesimo popolare, egli trova quella che gli appare la leva su cui far forza per scardinare il secolare sistema clericale di alleanza tra la chiesa e i poteri dominanti e, nello stesso tempo, per spuntare le armi del vetero anticlericalismo liberale, fattosi strada anche nel movimento socialista. Questa leva eÁ la Religion Privatsache. Espressione giaÁ piuÁ volte incontrata, ma che a questo punto della trattazione trova il suo momento e luogo d'ingresso piuÁ proprio. Ci troviamo difatti al cuore stesso del problema, nel senso che la Religion Privatsache rappresenta il termine medio tra i due punti estremi radicali della questione: il clericalismo, che, abbiamo visto, ha il punto maggiore di forza nel sistema di alleanze con le classi dominanti, e 106. Cfr. Katholiscer Sozialismus, cit. e Das Ende des christlichen Sozialismus, cit.
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l'anticlericalismo di qualsiasi provenienza, che lo ha nella lotta alla religione ufficiale quale ideologia di sostegno di quello stesso sistema. La proposta di Bauer di ridurre la religione ad ``affare privato'' ottiene il risultato di togliere di mezzo il pomo della discordia, rappresentato per entrambi ± clericali e anticlericali ± dalla ``religione pubblica'', dalla religione ufficiale, difesa dagli uni e contestata dagli altri. Potremmo dire che la Religion Privatsache eÁ il punto di vista da cui Bauer tira un po' le fila di tutti suoi discorsi sulla religione fatti fin qui, riducendoli a unitaÁ; o, se si preferisce quest'altra immagine, eÁ il nucleo dottrinale centrale da cui, come da un faro, si dipartono i raggi che illuminano i singoli temi, problemi e aspetti della baueriana questione religiosa. Religion Privatsache eÁ la categoria critica contro la religione ideologica, sia quella confessionale ufficiale di Stato che quella dei partiti clericali; e nello stesso tempo eÁ la parola d'ordine per il movimento socialista ad astenersi dalla lotta ideologica antireligiosa e ad intraprendere un approccio diverso. Una formula che, come giaÁ ripetutamente detto, Bauer mutua dalla tradizione del pensiero laico, e piuÁ ravvicinatamente da quella marxista, alla cui discussione egli aggiunge, peroÁ, tre contributi significativi: a) la messa in evidenza dell'incoerenza del pensiero liberale borghese in merito a questo principio 107; b) la giustificazione teorica di esso per il marxismo, mediante la connessione, sia pure indiretta, col presupposto marxista della concezione della storia 108; c) infine ± l'apporto piuÁ nuovo ± la scoperta dell'origine religiosa della formula Religion Privatsache, di cui diremo piuÁ avanti. Questa scoperta consente a Bauer di imprimere una 107. Come giaÁ visto sopra, pp. 66 ss. 108. Vedi la parte centrale di Sozialdemokratie, Religion und Kirche, W., pp. 485-508 [249-277].
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svolta molto significativa alla ricerca delle soluzioni da adottare per la questione religiosa. Gli consente difatti di sganciare il problema dal ristretto punto di vista marxista, tradizionalmente antireligioso e anticlericale, e di additarne la soluzione nel principio di neutralitaÁ applicato da entrambi i soggetti implicati: neutralitaÁ dello stato in campo religioso; neutralitaÁ della chiesa in campo politico. Un discorso, questo di Bauer, che, invece di ridurre la ``neutralitaÁ'' a una nuova indifferenza religiosa della politica e nella corrispondente indifferenza politica della religione, risolve la Religion Privatsache «als Wege zur Freiheit», «come via alla libertaÁ». Per svolgere questa tesi, Bauer, ripetendosi quasi sino alla noia, assume di nuovo come punto di partenza la riflessione sulla situazione esistente, che egli interpreta come ``democrazia bloccata'' dai rapporti di compromesso tra chiesa e stato, dettati a loro volta, come giaÁ visto, dall'alleanza di clericali e borghesi. Una situazione che, per un verso, condiziona le scelte politiche e mantiene bloccata la vita politica, impedendo lo sviluppo della democrazia; e, per altro verso, mantiene limitata anche la libertaÁ religiosa. Infatti, dal canto suo, la chiesa gode in Austria ± ma il discorso eÁ estensibile anche ad altri paesi europei, sia cattolici sia protestanti ± di privilegi non riconosciuti ad altri soggetti sociali (congrua per i preti, insegnamento religioso nelle scuole pubbliche, matrimonio ecclesiastico ecc.). Nello stesso tempo, questa sorta di cogestione del potere da parte di chiesa e stato limita anche la libertaÁ religiosa, dal momento che lo Stato e la classe borghese che lo sostiene, chiedono come contropartita per queste prestazioni di favore l'appoggio della Chiesa al governo e ai partiti clericali al potere. CioÁ che la chiesa assicura tramite il grande potere di influenza che ha sulle coscienze dei propri fedeli e che esercita tramite la pressione ideologica, presentando cioeÁ come ateista, quindi incompatibile con la fede religiosa cristiana, la visione materialistica storica del par-
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tito socialista. In questo modo le migliaia e migliaia di operai, di contadini e di piccoli e medi borghesi, che per interesse di classe passerebbero e lotterebbero volentieri nelle file del movimento operaio socialista, si astengono dal farlo per non ``tradire'' la propria coscienza religiosa. CosõÁ la chiesa impedisce, secondo Bauer, l'espressione libera, democratica della societaÁ, bloccando su posizioni conservatrici e antisocialiste una parte consistente dei ceti sociali decisivi per l'una o l'altra maggioranza. Analoga accusa di antidemocraticitaÁ Bauer muove contro lo stato confessionale. Ne consegue che la vera libertaÁ democratica saraÁ raggiungibile, a suo parere, solo quando lo stato si affrancheraÁ dai condizionamenti religiosi subiti da parte della chiesa e affrancheraÁ quest'ultima dai condizionamenti che esso stesso le impone; e quando, nello stesso tempo, la chiesa, dal canto suo, solleveraÁ dai vincoli di coscienza i ceti sociali credenti, politicamente orientati al socialismo. CioÁ eÁ possibile solo a patto che essa assuma una posizione di neutralitaÁ politica, che, a dire di Bauer, potraÁ realizzarsi solo a patto che si verifichino alcune condizioni, fra cui le seguenti: ± l'espropriazione dei beni materiali della chiesa, la difesa dei quali eÁ il vero motivo che la spinge ad allearsi con l'attuale classe al potere ± la borghesia ± come in passato lo era con la classe di volta in volta dominante: «eÁ destino della chiesa allearsi sempre con i nemici di ieri contro gli amici di domani» ± la separazione di stato e chiesa, i cui vincoli e compromessi vengono ricercati e mantenuti per reciproci interessi di parte. 109
Questi, in estrema sintesi, i termini essenziali della que109. Ivi, p. 463 [220].
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stione religiosa nell'Austria di Otto Bauer, non diversi, in generale, da quelli degli altri paesi europei, se non per una difficoltaÁ in piuÁ: la particolare situazione, caratterizzata da una piuÁ stretta alleanza fra chiesa e stato nella versione del ``giuseppinismo'' asburgico; situazione che illustreremo meglio piuÁ avanti. 110 Sono termini, quindi, di una questione prevalentemente politica, che richiedono corrispettive risposte e soluzioni sul terreno politico. Ma Bauer si rende conto anche che un aspetto cosõÁ delicato e importante, che investe la sfera privata di milioni di individui, non puoÁ essere ridotto interamente al mero ambito esteriore delle questioni e delle prospettive politiche. E infatti non solo egli si spinge oltre quest'ambito, non perdendo occasioni per sostanziare le proprie riflessioni sulla religione con ricche analisi storiche e culturali e con pertinenti annotazioni sociologiche e psicologiche; ma soprattutto cerca di imprimere alla questione una svolta capace di sottrarre il proprio discorso al sospetto di una mira puramente strumentale. Tale svolta consiste, appunto, nello sganciare la questione religiosa dal ristretto punto di vista socialista tradizionale ± che vedeva nella religione un ostacolo al socialismo ± e soprattutto nel presentarla nei termini piuÁ generali e universali di una «via alla libertaÁ» (der Wege zur Freiheit), non solo della politica e dello stato dalla religione e dalla chiesa, ma anche della religione e della comunitaÁ religiosa dalla politica e dallo stato. Di questa via si deve far carico il nuovo socialismo democratico. Un approccio, quindi, del tutto nuovo, che denota in Bauer ± come anche in Adler e in altri pensatori austromarxisti ± un mutamento dell'idea stessa di socialismo: non piuÁ ideologia e movimento strettamente di classe, ma, piuÁ generalmente, Weltanschauung universale e movimento popolare democratico. Da questa idea consegue naturalmente in Bauer la traduzione del 110. Cfr. piuÁ avanti, pp. 122 ss.
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problema della religione da ``questione socialista'' a ``questione democratica''. Bauer sa bene che alla chiesa non importa la neutralitaÁ e che essa continueraÁ a difendere, rivendicandoli come diritti irrinunciabili, il possesso dei beni, la conservazione dei privilegi e l'elargizione delle prestazioni statali a suo favore. Sa anche che essa ± salvo eccezioni ± si opporraÁ alle richieste di separazione di chiesa e stato, incurante degli effetti negativi di questa posizione sulla vita democratica degli stati e sulla reale vita religiosa dei suoi fedeli, la cui coscienza non si fa scrupolo, appunto, di manipolare, indicando orientamenti e determinando scelte politiche contrarie ai loro reali interessi di classe. Come pure, egli sa bene che gli stati non rinunceranno facilmente alle politiche di alleanza con le chiese, se esse dovessero risultare utili agli scopi di potenziamento o anche solo di conservazione e sopravvivenza del potere politico statale. CioÁ nonostante, il pensatore marxista viennese ribadisce che si dovraÁ arrivare ad obbligare la chiesa alla neutralitaÁ. E cioÁ, come giaÁ detto, non per un motivo ideologico di lotta antireligiosa, ma per una ragione primariamente e fondamentalmente politica: per il ristabilimento di una condizione di libertaÁ democratica, a cui la chiesa si oppone per motivi non tanto religiosi, quanto economici e politici non esplicitamente dichiarati, ma celati accuratamente sotto le vesti ideologiche della difesa della fede contro il materialismo ateo del socialismo. Ecco allora che l'intento di Bauer diventa quello di smascherare i reali interessi materiali, che si nascondono dietro le argomentazioni apologetiche dei clericali e, nello stesso tempo, precisare la natura non antireligiosa e non antiecclesiastica del marxismo e del socialismo. E cioÁ per non urtare la sensibilitaÁ e non ferire i sentimenti religiosi e di fedeltaÁ dei contadini, degli operai e dei borghesi credenti alla chiesa. Bauer profonde il suo impegno nello spiegare loro questa veritaÁ fondamentale: non eÁ in ballo
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la religione, la fede cristiana, come tendono a far credere la gerarchia ecclesiastica ed i clericali laici, ma soltanto la libertaÁ democratica. Un discorso che Bauer fa da socialista, ma che ritiene valido e legittimo per tutti, perche coincidente col punto di vista genuinamente democratico. Per riuscire meglio in questa delicata impresa di convincimento, egli ritiene non di secondaria importanza il discorso dei metodi e dei mezzi. La via deve essere quella democratica della conquista del consenso dei ceti popolari che ancora credono nella chiesa, la quale eÁ alleata, peroÁ, con uno stato borghese anti-operaio. Per il conseguimento di questo scopo Bauer indica, come giaÁ visto, due vie convergenti: a) insistere sui reali motivi sociali ed economici comuni a tutti i ceti sociali lavorativi, a prescindere dalle loro idee religiose; b) rispettare i sentimenti e le idee religiose di tutti i cittadini, a prescindere dalle loro collocazioni politiche. A questo risultato si arriva solo a patto che alla religione sia riconosciuto pieno diritto di esistenza e di libera espressione come Privatsache, affare di coscienza individuale di ciascun cittadino; e facendo capire che la Religion als Privatsache non eÁ un escamotage per risolvere fittiziamente la questione religiosa, ma un principio che eÁ a fondamento, oltre che della piuÁ generale libertaÁ democratica, anche della stessa libertaÁ religiosa. La Religion Privatsache non eÁ, quindi, nell'accezione di Bauer ± come non lo eÁ nemmeno in quella di Max Adler ± una formula di limitazione della libertaÁ religiosa, come se la religione dovesse essere ridotta ad esprimersi solo nell'ambito della coscienza individuale e non anche in quello esterno, pubblico, nella formazione di libere societaÁ o associazioni religiose con proprie dottrine ufficiali, riti e manifestazioni collettive. La formula Religion Privatsache eÁ contrapposta alla Staatskirche (als Staatskirchensystem) per indicare, appunto, una religione libera, contrapposta ad una religione ecclesiastica non libera, perche vincolata al sistema statale,
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che, ancora al tempo di Bauer, controllava la nomina dei papi, vescovi, prelati, prescriveva l'insegnamento della religione cattolica per tutti, imponeva la legge matrimoniale ecclesiastica e, talvolta, obbligava anche alla confessione della religione di stato, in forza del principio cuius regio eius religio, che obbligava i sudditi di ciascun regno a professare la religione del sovrano regnante. Bauer intende la Religion Privatsache positivamente, come il principio della vera e autentica libertaÁ di religione ± sia per i singoli individui sia per le comunitaÁ ± all'interno di uno stato non confessionale, di fronte al quale tutti i cittadini e tutte le associazioni, siano esse politiche, culturali o religiose, sono uguali, senza privilegi degli uni a danno degli altri. Qualsiasi forza politica, e quindi anche il socialismo, che intenda realizzare una societaÁ pienamente democratica, dovrebbe, dunque, impostare la politica religiosa sulla base di questo principio, semplicissimo nella formula ma di grande respiro ideale, culturale e politico, perche consente la massima espressione individuale e collettiva sia delle idee e delle pratiche religiose, sia delle opinioni e delle prassi politiche. Quindi, contrariamente a quanto comunemente si crede ± Bauer ci tiene a precisarlo e a ribadirlo ripetutamente ± una societaÁ, in cui vige questo principio, eÁ il luogo dove la religione potraÁ trovare condizioni ideali per il suo esercizio e sviluppo, addirittura maggiori e migliori che negli stati confessionali. Ovviamente in una societaÁ democratica, come vuole essere anche quella socialista di Bauer, la libertaÁ di pensiero e di espressione non eÁ preclusa a nessun'altra Weltanschauung, sia essa religiosa che di segno diverso od opposto. PercioÁ vi dovraÁ essere riconosciuto il medesimo diritto di esistenza e di espressione anche ad altre filosofie, che magari contrastano con la religione; e vi avranno diritto di azione e propaganda anche organizzazioni e associazioni che magari polemizzano e combattono contro quelle
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religiose. Se dei credenti si convinceranno della bontaÁ delle nuove idee scientifiche e abbandoneranno la religione tradizionale, o viceversa, cioÁ faraÁ parte del gioco dialettico di una societaÁ democratica, politicamente e culturalmente libera, comunque preferibile a quelle forme di costrizione della coscienza che rappresentano invece la norma negli stati confessionali e nelle chiese di stato, dove magari lo stato impone una propria religione e la chiesa ricorre a mezzi statali coattivi per far rispettare i propri precetti.
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SEPARAZIONE
DI CHIESA E STATO
La via maestra ± prosegue Bauer ± per rendere praticabile questo principio fondamentale della libertaÁ religiosa, Religion Privatsache, eÁ la ``separazione di chiesa e stato''. Di questa parola d'ordine egli fornisce non solo un fondamento storico, come giaÁ anticipato, ma esplicita anche il senso originario, diverso da quello politico corrente. Con un interessantissimo excursus giunge a mettere in evidenza una veritaÁ storica lapalissiana, la cui memoria storica peroÁ era andata perduta o si era distorta nel corso del tempo: la natura originariamente religiosa della rivendicazione della separazione tra chiesa e stato. Solo successivamente essa subisce un processo di laicizzazione e diventa formula e motivo di lotta dei pensatori e dei movimenti liberali e socialisti. Bauer, nel tracciare le linee storiche di questo processo di laicizzazione della formula Religion Privatsache, esplicitata sotto questo aspetto, cioeÁ come separazione di chiesa e stato, ne fa risalire l'origine al movimento religioso rivoluzionario degli anabattisti del '500. Questi, infatti, avevano fatto proprio il motto evangelico: «il mio regno non eÁ di questo mondo» e, applicandolo alla chiesa, ne rivendicavano coerentemente la libertaÁ dai vincoli politici statali. Un ideale ed una lotta di non piccolo significato e di non scarsa portata, se suscitarono reazioni energicamente re-
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pressive contro gli anabattisti da parte di stati e chiese. Bauer ricorda in particolare la repressione violenta scatenata contro di essi da Ferdinando I d'Asburgo nel 1727 in Austria 111. L'importanza che Bauer attribuisce loro, alle loro idee e al loro impegno rivoluzionario, risalta subito, fin dalla Prefazione del suo saggio, dove l'autore dice di volerlo dedicare, appunto, a «quei martiri [...] che circa 400 anni fa morirono per questi ideali» 112. Nell'indicare le tappe successive e le forme piuÁ significative di questa rivendicazione religiosa, Bauer procede a grandi salti. Dopo gli anabattisti del '500 essa viene fatta propria dai Battisti inglesi del '600, particolarmente attivi nella rivoluzione di Cromwell. Costoro richiedevano fortemente la libertaÁ della religione e della chiesa da qualsiasi vincolo statale, insistendo sulla religione quale affare di coscienza individuale e quale rapporto personale con Dio, e sulla salvezza come fatto individuale: «la religione quale cosa piuÁ intima dell'individuo» 113. Scopi che essi ritenevano perseguibili non in una chiesa a cui si appartiene per nascita, ma in un'associazione scelta liberamente. Quindi chiesa come associazione volontaria in cui si entra per convinzione e identitaÁ di idee con persone che la vedono allo stesso modo. Dall'Inghilterra la formula della ``separazione di chiesastato'' fu esportata in America, con l'emigrazione britannica dei Congregazionalisti, Battisti e Quaccheri. Ed eÁ qui che, nella seconda metaÁ del secolo XVII, essa fu realizzata per la prima volta, grazie proprio al battista Roger Williams (a Rhode Island) e al quacchero William Penn (in Pennsylvania). 111. Sozialdemokratie, Religion und Kirche, cit., p. 450 [204]. 112. Ivi, p. 451 [205-206]. 113. Ivi, p. 509 [280].
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Nel secolo successivo, con la liberazione delle colonie americane dall'Inghilterra (1787), il principio della separazione di chiesa e stato entra addirittura a far parte della Costituzione dei nuovi Stati Uniti d'America. Da allora in poi, in America lo stato ha carattere areligioso, nel senso che non prevede la presenza di una religione ufficiale di stato; e nello stesso tempo riconosce ed assicura la libertaÁ di religione a qualunque chiesa o associazione religiosa. Risultato, questo, ± Bauer ci tiene a sottolinearlo ± di ``un grande movimento religioso'': la separazione di chiesa e stato, negli Stati Uniti non fu una vittoria dell'ateismo sulla religione, ma la vittoria dell'individualismo religioso [...] contro ogni violentamento della coscienza [...] sul potere di costrizione dello stato e della chiesa 114.
Nel frattempo, in Europa, la separazione di chiesa e stato diventava un cavallo di battaglia degli illuministi liberali borghesi, ma, diversamente che negli Stati Uniti, essa veniva utilizzata come mezzo per colpire ed eliminare la religione e per mortificare la chiesa, privandola, appunto, del suo braccio secolare e indebolendo cosõÁ il suo potere d'influenza 115. Dunque, in America, la rivendicazione della separazione tra stato e chiesa fu condotta dai puritani per un'esigenza religiosa; in Europa, dagli illuministi liberali «come mezzo di lotta contro la religione» 116. I due soggetti storici (i puritani religiosi e i liberali illuministi), pur avendo lo stesso obiettivo ± la separazione tra chiesa e stato ± avevano, peroÁ, motivazioni differenti e contrapposte: la libertaÁ di coscienza e di fede gli uni, la lotta alla chiesa e alla religione gli altri. 114. Ivi, p. 511 [282]. 115. Ibidem. 116. Ibidem.
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L'AMBIGUITAÁ
DEL LIBERALISMO
A proposito dei liberali illuministi e dei loro epigoni del secolo successivo, Bauer nota una condotta non sempre decisa e coerente, un atteggiamento altalenante tra tentativi di disarmare la chiesa attraverso la sua separazione dallo stato e tentativi di sottometterla e regolamentarla tramite lo stato 117. Come esempi Bauer ricorda la rivoluzione francese e la storia del liberalismo internazionale del secolo XIX. Da una parte, in alcuni paesi come Francia e Messico, accanto alla dichiarazione delle altre libertaÁ di tipo economico (di proprietaÁ, contratto di lavoro, di usura, di commercio) il liberalismo proclama, in teoria, anche la libertaÁ religiosa e di coscienza. Ma nello stesso tempo agisce di fatto in maniera repressiva sulla chiesa, limitandone fortemente la libertaÁ, perche timoroso della sua estesa e incisiva forza d'influenza sulle masse popolari, a fronte della propria scarsa rappresentanza nella societaÁ 118. Dall'altra parte, fa ancora notare Bauer, in molti altri paesi cattolici come l'Italia e il Belgio, il liberalismo ± non riuscendo a realizzare la separazione di chiesa e stato e non osando imporla con la forza ± eÁ costretto ad addivenire a dei compromessi: regolamentare con leggi statali alcuni aspetti della chiesa (stipendio ai preti, obbligo dell'insegnamento religioso nelle scuole pubbliche) e sottometterla sotto altri aspetti a direttive statali 119. Del tutto particolare il rapporto tra Liberalismo e Chiesa che Bauer osserva nei paesi di lingua tedesca. Qui le monarchie costituzionali lasciano al liberalismo pochi spazi di manovra politica. Per cui il suo potere eÁ scarso e il suo ruolo sempre minore. Infatti in Germania, in occasione 117. Ivi, pp. 511-512 [282-283]. 118. Ivi, p. 513 [284]. 119. Ibidem.
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del Kulturkampf di Bismark, il liberalismo, a motivo della sua modesta partecipazione al potere statale, non ha altra alternativa che quella di schierarsi dalla parte del cancelliere, sostenuto dai signorotti agrari. CosõÁ facendo, il liberalismo obbliga, di fatto, la borghesia ad allearsi col suo nemico storico, l'aristocrazia agraria, «per indebolire l'altro storico nemico, la chiesa» 120. In Austria, invece, il liberalismo combatte su entrambi i fronti: contro la nobiltaÁ feudale e contro la chiesa cattolica 121. Ma anche qui, precisa Bauer, lo scopo della borghesia non eÁ la separazione tra chiesa e stato, ma il compromesso sotto la forma del ``giuseppinismo'', sbilanciato cioeÁ a favore dello stato, in quanto l'imperatore asburgico esercita una serie di ``pesanti'' diritti nei riguardi della chiesa: 1) ``diritto di esclusione'' (che si esprime nella segnalazione di un candidato non gradito per l'elezione a papa); 2) ``diritto di conferma'' sulla nomina dei vescovi e superiori di ordini religiosi e monasteri; 3) ``diritto di controllo'' nell'amministrazione dei beni ecclesiastici. La chiesa, in cambio, riceve dallo stato delle prestazioni (congrua ai preti) e dei diritti (insegnamento religioso obbligatorio nelle scuole pubbliche e regolamentazione del diritto matrimoniale). Bauer fa notare, peroÁ, come questo tipo di rapporto di sostanziale subordinazione e sottomissione della chiesa allo stato cessi dopo la rivoluzione del 1918, con la caduta dell'impero e con l'instaurazione del governo repubblicano. Tuttavia, nonostante questo radicale mutamento, continua a persistere un sistema di chiesa statale il quale si presenta, fatto davvero paradossale ± perche in presenza di un governo a guida socialista ±, fortemente sbilanciato a favore della chiesa. Essa infatti, venuto meno l'interlocu120. Ibidem. 121. Ivi, pp. 513-515 e passim [285-286 passim].
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tore diretto, l'imperatore asburgico, si trova in uno stato di inaspettata libertaÁ, non piuÁ soggetta ai diritti che l'imperatore esercitava su di lei a titolo personale e che non possono essere trasferiti automaticamente, quasi per ereditaÁ, al presidente o al governo della Repubblica. Ora i governi vengono eletti dal popolo, possono essere, quindi, espressione di forze diverse. Se al governo vanno i clericali, questi si sentiranno come un organo esecutivo dei vescovi. Per cui non pretenderanno piuÁ di controllare le nomine dei papi, dei vescovi, come pure non faranno venir meno le prestazioni statali garantite in precedenza, anzi le amplieranno. Ma anche se al governo andranno i socialdemocratici, questi nuovi governanti non si sentiranno competenti, ne interessati alla nomina dei vescovi. PercioÁ la chiesa, col cambio della situazione politica avvenuta con la rivoluzione del 1918, eÁ diventata realmente libera. Ma trattasi, secondo l'opinione di Bauer, di uno stato di libertaÁ della chiesa dallo stato, ma non dello stato dalla chiesa, dal momento che nella mutata situazione continuano a persistere i vincoli dello stato nei riguardi della chiesa, senza piuÁ alcuna contropartita. Anzi, la chiesa non solo continua a beneficiare delle antiche prestazioni, ma ne ottiene anche di piuÁ ampie (per esempio, la trasformazione della congrua in vero e proprio stipendio ai preti). Essa inoltre, non solo continua a mantenere intatto il potere di prima, ma addirittura lo amplia all'esterno e lo potenzia all'interno. Per un verso, infatti, rinforza il potere della gerarchia ecclesiastica sui laici credenti, per l'altro estende la propria sfera di potere oltre le file dei propri credenti, ossia ai fedeli di altre religioni 122. Bauer indugia anche nell'indicare i modi concreti con cui la chiesa opera questo duplice rafforzamento del proprio potere. Quanto al potenziamento del potere della chiesa al 122. Ivi, pp. 515 ss. [287 ss.].
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proprio interno, egli si riferisce precisamente al rapporto tra la componente ``dominante'' della chiesa, gli ecclesiastici (vescovi, prelati, clero), e quella ``dominata'', la comunitaÁ dei fedeli. Nella mutata situazione di ampliamento delle prestazioni e rafforzamento delle garanzie statali a favore della chiesa, gli ecclesiastici si trovano nella condizione di poter godere della massima indipendenza dai laici credenti, perche comunque questi sono tenuti, per legge statale, a versare la quota di tasse destinata alla congrua e a mandare i figli all'ora obbligatoria di religione. La prova evidente di questa indipendenza della gerarchia Bauer la vede nella palese faziositaÁ politica della chiesa. Questa, infatti, pur essendo un'istituzione di salvezza religiosa, eÁ anche una forza sociale politicamente schierata a favore della borghesia e, di fatto, contro gli operai credenti, che, come i borghesi, sono, tuttavia, anch'essi suoi stessi fedeli. Quanto al potenziamento del potere della chiesa all'esterno, Bauer segnala come questo avvenga grazie ad un triplice intervento dello stato in suo favore: a) retribuisce il clero con denaro proveniente da imposte prelevate non solo dai cristiani, ma anche dagli ebrei, non solo dai cattolici, ma anche dai protestanti, non solo dai credenti, ma anche dai liberi pensatori atei; mentre tutte le altre chiese devono pagarsi esse stesse i propri preti; b) obbliga all'insegnamento religioso non solo i cattolici, ma anche i non credenti e i credenti di altre religioni. E non riconosce il medesimo diritto alle altre confessioni ed ai liberi pensatori; c) sottomette al diritto matrimoniale ecclesiastico sia i cattolici che i non cattolici, e non pensa di riconoscere ad altri il medesimo diritto. Bauer non esita ad affermare che questa situazione eÁ in contrasto con due fondamentali princõÁpi della democrazia moderna: l'uguaglianza di tutti i cittadini dinanzi alla legge e la libertaÁ di coscienza e di fede. Ben diverso sarebbe il rapporto tra ecclesiastici e laici credenti in una situazione di effettiva separazione tra chie-
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sa e stato. Una chiesa libera dai vincoli dello stato e non sovvenzionata, ne privilegiata e favorita quanto ad insegnamento religioso ed altro, sarebbe costretta a ricorrere all'aiuto diretto dei fedeli, al consenso e all'approvazione della gente. Ed allora va da se che, tanto per restare al contesto sociale e politico del tempo di Bauer, gli operai credenti, di fronte ad una chiesa non neutrale, ma schierata solo da una parte, solo a favore della borghesia ± nemico di classe del proletariato ± potrebbero negare i propri contributi alla chiesa, perche spesi contro i loro stessi interessi; e potrebbero ritirare o non inviare i propri figli alle scuole cattoliche o all'ora di religione nelle scuole pubbliche. E infatti, fa ancora notare Bauer, nei paesi anglosassoni, dove vige una reale e completa separazione di stato e chiesa, questa eÁ costretta a rimanere realmente neutrale nello scontro politico, per non incorrere nei rischi di isolamento prospettati. Da fine pensatore politico qual era, Bauer sottolinea, inoltre, anche un'altra conseguenza nefasta: il riflesso psicologico negativo che la posizione della chiesa, schierata solo da una parte, a favore della borghesia, produce sull'animo degli operai credenti. Questi, infatti, si trovano a vivere un inevitabile conflitto di coscienza tra l'esigenza di soddisfare ai propri bisogni religiosi, che li spinge a rivolgersi alla chiesa, e la necessitaÁ di difendere gli interessi vitali della classe proletaria, di cui fanno parte e con la quale devono condurre una lotta contro la classe avversaria, la borghesia, dalla cui parte, peroÁ, essi vedono schierata anche la stessa chiesa alla quale appartengono. La separazione completa di stato e chiesa, con la spoliticizzazione e la neutralitaÁ di questa, sarebbe la via piuÁ adeguata anche per liberare gli operai da questo conflitto di coscienza e offrire loro la possibilitaÁ di conciliare in se stessi la fedeltaÁ alla chiesa e l'appartenenza alla propria organizzazione sociale e politica, allo stesso modo in cui cioÁ eÁ possibile alla classe sociale antagonista, la borghesia.
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Accanto a questo salutare effetto psicologico, la spoliticizzazione e la neutralitaÁ della chiesa sortirebbero, secondo Bauer, anche l'effetto politico di unificare tutto il proletariato in un unico movimento. In questo modo la separazione tra chiesa e stato diventerebbe anche un mezzo di disarmo della borghesia, poiche le sottrarrebbe quella parte di proletariato credente che, appunto, la chiesa clericale mantiene legata alla borghesia con motivi ideologici 123. Inoltre, la neutralitaÁ della chiesa, in una situazione di separazione completa tra chiesa e stato, comporta, a parere di Bauer, anche altri due effetti positivi giaÁ ricordati piuÁ volte: una maggiore libertaÁ democratica per lo stato e la piena libertaÁ religiosa di ciascun individuo e di ciascuna chiesa o societaÁ religiosa. Bauer sottolinea, in particolar modo, quest'ultima libertaÁ, dato che nello stato democratico: la chiesa separata dallo stato puoÁ servirsi di tutti i diritti democratici di libertaÁ riconosciuti a tutte le altre associazioni: libertaÁ di associazione, di stampa, di parola e di scrittura, di ricerca e di insegnamento 124.
E ribadisce fino all'ossessione che questa eÁ la prospettiva della socialdemocrazia, coincidente con quella che i Battisti volevano realizzare 400 anni prima e che successivamente era stata propugnata dai Congregazionalisti, dai Quaccheri ed altri, perfino dagli stessi cattolici liberali contemporanei 125. L'AMBIGUITAÁ
DELLA CHIESA
In merito alla separazione di chiesa e stato, il comportamento della chiesa appare a Bauer non meno incoerente e altalenante di quello tenuto dallo stato. Nei paesi in 123. Ivi, p. 520 [293-294]. 124. Ivi, p. 524 [298]. 125. Ivi, p. 525 [299].
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cui era diventata religione di stato, la chiesa cattolica condannava la rivendicazione della separazione che veniva avanzata sia dall'esterno, dal liberalismo laico anticlericale, sia dall'interno, dal movimento del cattolicesimo liberale, sorto in Francia ad opera di Lamennais e subito diffusosi anche in altri paesi cattolici, col programma preciso di realizzare ± consapevolmente o inconsapevolmente in linea con gli ideali dei movimenti eretici del passato ± un'effettiva separazione della chiesa dallo stato. In altre situazioni, invece, la chiesa cattolica sosteneva, anzi adottava il cattolicesimo liberale. Bauer segnala in particolare il caso emblematico dell'Irlanda, dove chiesa ufficiale di stato era la chiesa anglicana. Quando il governo inglese avanzoÁ la proposta di estendere anche alla chiesa cattolica i privilegi giaÁ riconosciuti agli anglicani (sovvenzioni statali ai vescovi ecc), i cattolici irlandesi respinsero la proposta e continuarono a rivendicare la totale separazione di chiesa e stato, riuscendo ad ottenerla nel 1869. Lo stesso avvenne nel Cantone svizzero di Ginevra, dove la chiesa ufficiale era quella calvinista e dove i cattolici ottennero ugualmente la separazione di chiesa e stato attraverso un referendum popolare (nel 1907). Due esempi di separazione ottenuta senza misure poliziesche, esattamente come era avvenuto negli Stati Uniti d'America. E come in America ± ci tiene a concludere Bauer ± anche in queste due esperienze europee, la separazione di chiesa e stato, raggiunta in maniera pacifica, libera e completa, non ha pregiudicato ne mortificato la chiesa, anzi ha prodotto una vita religiosa ed ecclesiale molto intensa ed efficace. CioÁ smentisce il luogo comune, circolante al tempo di Bauer, secondo cui la separazione tra chiesa e stato era una trovata degli atei che volevano «distruggere la chiesa ed estirpare la religione». Niente di piuÁ falso, ribatte Bauer, perche la storia dimostra, appunto, il contrario 126. 126. Ivi, pp. 524-525 [297-299].
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Le rievocazioni di queste esperienze storiche servono a Bauer per rassicurare i credenti anche di fronte alla nuova prospettiva di una societaÁ socialista, che si va aprendo in Austria ed in Europa. Mirando a realizzare una separazione completa di stato e chiesa, la socialdemocrazia intende farlo nel rispetto dei diritti democratici fondamentali, riconoscendo e garantendo a tutte le associazioni, comprese quelle religiose, uguale trattamento e uguali libertaÁ 127. A questo punto, Bauer si domanda: se questa eÁ la prospettiva, indicata dal socialismo democratico, non antireligiosa ne anticristiana, perche allora la chiesa austriaca eÁ contraria, anzi combatte la separazione tra chiesa e stato? La risposta eÁ da cercare nel timore, fortemente avvertito dalla gerarchia ecclesiastica, che la separazione di chiesa e stato conducesse alla diminuzione del proprio potere interno ed esterno alla chiesa 128 e al rischio di una rottura del suo sodalizio di interessi e di potere con la borghesia 129. EÁ dunque la gerarchia ecclesiastica stessa a negare alla chiesa la libertaÁ dai legami secolari, e quindi anche la libertaÁ d'impegnarsi maggiormente nello sviluppo di uno spirito autenticamente religioso e genuinamente cristiano. A questo punto appare piuÁ chiaro anche l'intento politico definitivo, seppure non bassamente strumentale (``blandire per poi colpire''), della proposta di Bauer di trattare la religione come ``affare privato'': disarcionare con un colpo solo due avversari: il clericalismo imperante nel mondo cattolico e l'anticlericalismo serpeggiante tra i liberi pensatori e le fila socialiste; e nello stesso tempo aprire nella base popolare cattolica degli operai, contadini e piccoli borghesi un varco di fiducia e di aspettative nei 127. Ivi, p. 524 [297-298]. 128. Ivi, p. 525 ss [298 ss.]. 129. Ivi, p. 527 [300-301].
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riguardi del socialismo democratico, appellandosi alle loro istanze originarie di libertaÁ di coscienza e di fede, che Bauer vede coincidenti con la rivendicazione socialista, appunto, della ``religione come affare privato''. Se volessimo sintetizzare i termini della reale posizione di Bauer a proposito della questione religiosa fin qui esposta, potremmo senz'altro dire che egli, pur autodefinendosi ateo e socialista, si attesta di fatto sulla posizione di un autentico democratico, che fa propri sia i punti di vista culturalmente e politicamente piuÁ aperti del liberalismo illuministico, spogliato dell'anticlericalismo, sia quelli religiosamente piuÁ rigorosi dei movimenti eretici e del cattolicesimo liberale, insofferenti e irriducibili alle subdole manipolazioni clericali. Una posizione che, come abbiamo visto, approda infine ad una rivendicazione che puoÁ apparire, sotto certi aspetti, sorprendente per gli stessi credenti e, sotto altri, sconcertante per i laici, marxisti e non: la richiesta di liberazione dalla religione e, nello stesso tempo, della religione ad opera del socialismo ateo. A prima vista sembra di trovarsi di fronte ad una contraddizione: un socialismo che salva dalla religione e che, nello stesso tempo, salva la religione. Ma non c'eÁ contraddizione, perche la religione da salvare non coincide con quella da cui s'intende salvarsi. La prima eÁ la religione interiore, autenticamente evangelica; la seconda eÁ quella esteriore, istituzionalizzata e mondanizzata nelle forme del clericalismo. Ma la cosa ancora piuÁ sorprendente ± sorprendente comunque, ma a maggior ragione se proviene da un pensatore ateo ± eÁ che, per Bauer come giaÁ per Max Adler, il pericolo maggiore per la sopravvivenza della religione autentica, piuÁ che dai nemici esterni, deriva proprio dall'interno della religione clericale. In realtaÁ, nella storia delle religioni, non eÁ la prima volta che cioÁ accade.
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IV RITORNO ALL'ANTICLERICALISMO?
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IL
NUOVO CONTESTO
Dopo il 1927, per un periodo di cinque anni, Bauer non pubblica piuÁ alcuno scritto specifico sui temi e sui problemi religiosi. Torna a questi argomenti tra il 1932 e il 1934. Lo spirito e i toni sono, peroÁ, completamente mutati. Tanto il silenzio che i mutamenti di prospettiva, vanno spiegati, anche in questo caso, partendo dalla considerazione del nuovo contesto. Il silenzio nello scorcio degli anni '20 e gli articoli degli anni '30 sulla religione appaiono, infatti, fortemente condizionati dal contesto politico, profondamente mutato. Dalla prospettiva democratica del primo dopoguerra, che Bauer non considerava ancora del tutto compromessa fino al congresso di Linz del 1926, si eÁ passati, in Austria, ad una fase di progressiva fascistizzazione dittatoriale, complice il clericalismo. Grande eÁ la delusione di Bauer di fronte a questa nuova direzione imboccata dalla politica del proprio paese, particolarmente a motivo della linea manifestamente controrivoluzionaria della chiesa e del partito cattolico. Paradossalmente, ma non incomprensibilmente, il mutamento della situazione politica generale e l'opzione controrivoluzionaria della chiesa coincidono con la maggiore attenzione e apertura alla questione cattolica da parte del partito socialdemocratico austriaco, che, tra l'altro, nelle elezioni politiche del 1927 conquista anche la piuÁ alta percentuale di voti della sua storia (il 42%). Infatti nel Con-
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gresso di Linz, con il capitolo su Religion und Kirche e la sua successiva illustrazione nel volume di Bauer, Sozialdemocratie, Religion und Kirche, come giaÁ visto, la socialdemocrazia austriaca mostra una consapevolezza, senza precedenti in ambito marxista, circa la complessitaÁ della questione religiosa, e la disponibilitaÁ di massima apertura per una soluzione piuÁ adeguata, nel rispetto della coscienza religiosa e della chiesa. Solo Gramsci, in Italia, aveva avviato e stava ancora portando avanti una riflessione di largo respiro filosofico, storico e politico sui medesimi temi, che peroÁ, se si eccettua quella espressa negli scritti giovanili pubblicati sulla stampa dell'epoca, era rimasta chiusa nei Quaderni del carcere, e quindi sconosciuta. Jiulius Braunthal e Yvon Bourdon 130 scorgono il punto vero e proprio di inversione reazionaria dell'Austria del primo dopoguerra nell'avvenimento tragico del 15 Luglio 1927. In una manifestazione di operai e di altri ceti popolari viennesi, insorti contro l'assoluzione dei responsabili dell'uccisione di un vecchio socialdemocratico e di un bambino da parte dei militanti del FrontkaÈmpfer (organizzazione paramilitare fascista), furono uccisi circa 85 civili e 4 poliziotti e ferite circa 1000 persone. Enzo Collotti vede in questo episodio il segno piuÁ incisivo di una contrapposizione frontale tra lo schieramento socialdemocratico e quello borghese-cattolico, maturato giaÁ nella prima metaÁ degli anni '20 ed ora esplosa in maniera tragica 131. Bauer condannoÁ l'episodio nel dibattito parlamentare del 26 luglio successivo, con un intervento rimasto famoso per la passione e la durezza delle parole usate contro la 130. J. BRAUNTHAL, Statt einer Einlaitung, in O. BAUER, Werkausgabe, 3, pp. 11-29; Yvon Bourdet, curatore della pubblicazione in francese di diversi scritti di Max Adler e di Otto Bauer, di cui qui si ricorda solo: Otto Bauer e la reÂvolution, Paris, Etudes et documentation Internationales, 1968. 131. E. COLLOTTI, Introduzione a O. BAUER, Tra due guerre mondiali?, cit., p. LXXIV.
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persona stessa di Seipel e il governo da lui presieduto. EÁ in quest'occasione che egli comincia a prendere coscienza dell'irreversibilitaÁ della scelta reazionaria del partito cattolico capeggiato da Seipel, dell'avvenuto consolidamento del blocco cattolico-borghese su posizioni reazionarie fasciste, dell'inconciliabilitaÁ del suo metodo ``violento'' con quello ``democratico'' del partito socialdemocratico e, quindi, anche dell'impossibilitaÁ di una collaborazione con le forze politiche cattoliche. Ne ebbe conferma soprattutto dopo il brusco rifiuto opposto da Seipel alla proposta socialdemocratica, avanzata da Karl Renner e Jiulius Deutsch, di un governo di coalizione per risolvere pacificamente il duro scontro sociale in atto. Segno chiaro, commenta Norbert Leser, che «la borghesia voleva un'esclusione assoluta della socialdemocrazia da ogni partecipazione attiva» 132. VolontaÁ che, negli anni successivi, si manifestoÁ ancora piuÁ chiara e decisa nell'alleanza con i fascisti dell'Heimwehr e nell'appoggio alla riforma costituzionale del 1929, che introduceva punti decisivi a favore della destra, quali: il rafforzamento dei poteri dell'esecutivo, il principio corporativo, la limitazione dell'autonomia della cittaÁ di Vienna (die rote Wien), roccaforte socialista. La situazione si aggravoÁ definitivamente con il colpo di stato di Dollffuss del marzo 1933, che, con la creazione di un regime autoritario e l'abolizione di numerose libertaÁ civili, con lo scioglimento dello Schutzbund (corpo paramilitare socialista di difesa) e del partito comunista, comincioÁ ad azzerare la democrazia in Austria e condusse inevitabilmente alla guerra civile del febbraio 1934. Innescata, quasi programmata, con una serie di provocazioni (destituzione delle direzioni elette delle camere degli operai e degli impiegati, perquisizioni nella casa operaia di Linz, scioglimento del partito socialdemocratico e applicazione della legge marziale), si concluse col massacro di cinquemila operai asserra132. N. LESER, Teoria e prassi dell'austromarxismo, cit.
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gliati nel Marx Hof di Heiligenstadt e con la sconfitta della Comune di Vienna. SeguõÁ, a distanza di 4 anni, come un destino giaÁ segnato, l'Anschluss alla Germania e l'accoglienza trionfale di Hitler. Nello stesso anno, 1938, Bauer moriva a Parigi, dove si era rifugiato fin dal 1934, dopo aver lasciato l'esilio cecoslovacco per motivi di maggiore sicurezza. Il precipitare degli eventi spezzava in Bauer qualsiasi filo di speranza di una via democratica in Austria. Dall'esilio cecoslovacco, analizzando la parabola della sconfitta socialista e della vittoria fascista nel proprio paese e nel resto d'Europa, egli inserisce tra le cause principali del tracollo ± oltre ai fattori economici (rivoluzione e controrivoluzione dei prezzi delle merci, crisi dell'agricoltura e dell'industria) e a quelli politici (crisi della democrazia borghese e scissione del socialismo) ± anche il clericalismo. Di cioÁ egli si occupa in maniera specifica negli ultimi tre articoli sulla questione religiosa, che portano i significativi titoli: Ignaz Seipel (1932), Di Gegenrevolution und die Kirche (1934) e Katholizismus und Klassenkampf (1933). Questi scritti trasudano infatti anticlericalismo da tutti i pori. Riprendono l'anticlericalismo vecchia maniera di alcuni articoli del primo decennio del secolo, rinforzato peroÁ da un indomabile rancore, prodotto in lui dalla grande delusione per la scelta fascista dei clericali, quando egli ed il suo partito avevano con fatica maturato verso di loro una posizione di apertura sul terreno della libertaÁ religiosa. L'analisi condotta in questi scritti non eÁ limitata alla sola situazione politica austriaca, ma eÁ allargata all'intera area europea. I motivi centrali che li attraversano sono: ± la contraddizione tra religione e politica, tra ragion di stato e religione, tra dottrina e prassi (ripresa dello stesso motivo degli scritti giovanili) ± la politica contraddittoria e opportunistica della chiesa, radicale in alcuni contesti, moderata in altri 133; 133. Quest'aspetto era stato giaÁ particolarmente sottolineato da
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± la costante politica della chiesa e dei clericali: sempre in direzione della reazione autoritaria; ± la ripresa dell'anticlericalismo come strategia politica dei socialisti.
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LA
DERIVA NAZI-FASCISTA DELLA CHIESA
Bauer opera la personificazione del primo tipo di contraddizione e della linea costante della politica ecclesiastica in Ignazio Seipel. Credente cattolico, prelato della chiesa austriaca, personalitaÁ di grande rilievo del mondo politico ed ecclesiastico dell'epoca, eÁ riconosciuto da Bauer stesso come l'uomo piuÁ importante di ``rango europeo'' della borghesia austriaca 134. A questo apprezzamento Bauer ne aggiunge altri circa l'onestaÁ e l'integritaÁ personale dell'uomo, la sua generositaÁ verso i poveri e la sensibilitaÁ per le cose della vita. Ma l'onore delle armi all'avversario s'arresta qui. A proposito del ruolo politico da lui svolto nel corso di un decennio in Austria, il giudizio di Bauer eÁ estremamente negativo. Ai suoi occhi, Seipel appare colui che ha traghettato l'Austria dalla democrazia a quella che piuÁ tardi qualcuno chiameraÁ ``dittatura del clericalismo''. CioÁ rappresenta un caso singolare nel panorama politico europeo: un ecclesiastico con una personalitaÁ che ha radici nella chiesa, cioeÁ per vocazione a servizio della chiesa, che si mette a capo del governo del paese. Da questa posizione eÁ quasi ovvio, secondo Bauer, che egli assuma come proprio compito specifico assoluto la lotta contro il socialismo, ritenuto il ``grande nemico storico della chiesa''. Non si tratta di una Bauer in Sozialdemokratie, Religion und Kirche (vedi sopra pp. 126 ss.). Su di esso si potrebbe istituire un interessante confronto con quanto Antonio Gramsci nelle carceri fasciste andava pensando e scrivendo. Cfr. al proposito T. LA ROCCA, Gramsci e la religione, cit. 134. Ignaz Seipel, W., p. 466 [307].
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deduzione gratuita di Bauer, poiche Seipel ± prima ancora di percorrere sul piano pratico la via clericale dell'antisocialismo quale missione del buon credente, tanto piuÁ se prete ± aveva espresso queste idee e convinzioni in un libro, molto apprezzato all'epoca, sulle dottrine economiche dei padri della chiesa, interpretate e presentate in maniera del tutto opposta a quella, da noi indagata in precedenza, di altri due pensatori cattolici, Hohoff e Vogelsang. Seipel ignora completamente la veemente condanna della ricchezza pronunciata dai padri della chiesa e i loro richiami alla comunione dei beni del cristianesimo primitivo ± cui i socialisti stessi si sono spesso richiamati come agli albori del comunismo moderno ± e presenta, invece, la dottrina dei santi padri sotto altra luce e orientata in direzione contraria a quella del socialismo. Mentre Hohoff aveva tentato di mettere in evidenza l'affinitaÁ della dottrina sociale dei padri e dei dottori della chiesa con quella del socialismo marxista 135, Seipel fa l'operazione contraria: tenta di ``imborghesire'' le loro dottrine e di porre al tempo stesso una distanza incolmabile tra essi e il socialismo, che viene presentato non soltanto come dottrina inconciliabile con il cristianesimo, ma addirittura come suo diretto avversario. La linea politica suggerita da Seipel eÁ perfettamente conseguente a questa visione delle cose: compito della chiesa eÁ difendersi dal socialismo. E il modo migliore per farlo eÁ l'alleanza con le forze politiche antisocialiste, non importa quali. In coerenza con questa linea di pensiero Seipel giustifica e pratica, prima, nel periodo prebellico, l'alleanza con la monarchia, fino a diventare consigliere degli Asburgo e a schierarsi ± lui, dichiarato pacifista, appartenente al gruppo dei patrioti pacifisti ± a favore della guerra in difesa dell'impero e della chiesa, i cui interessi erano strettamente legati al destino degli Asburgo; poi, nel periodo postbellico, l'alleanza 135. Vedi sopra, pp. 49 ss.
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delle forze della borghesia con il partito cristiano-sociale, di cui nel frattempo era diventato capo indiscusso, imprimendogli un orientamento filocapitalista e antisocialista, del tutto diverso da quello dei suoi padri fondatori e della generazione dei Lueger e dei Gessmann. Quando poi, con le elezioni del 1927, constatoÁ che anche questa via cominciava a risultare perdente, Seipel non esitoÁ a mettere in campo l'alleanza col fascismo, con una freddezza e un calcolo che non escludevano neanche il ricorso alla violenza, come nel caso dello scontro del 15 luglio 1927, ordinato personalmente e giustificato e difeso poi in parlamento. Un passaggio, questo, la cui importanza decisiva Bauer mostrava di cogliere nell'intervento parlamentare del 27 luglio, in cui sottolineava l'incoerenza di quella giustificazione e della difesa fatte da un capo di governo, che era, per di piuÁ, sacerdote cattolico. Le parole di Bauer sono di una durezza inusitata. Vale la pena di riprenderle: Da sette anni ormai, anche se con alterne vicende, il cancelliere [Seipel] eÁ al governo. E il risultato di questi sette anni sono questo centinaio di morti. Provate a guardare come si presenta la vita politica alle grandi masse dei nostri lavoratori. Dapprima anni di questa orrenda disoccupazione, senza alcun efficace tentativo dello stato di combatterla. Poi, da un anno a questa parte, la scoperta improvvisa della corruzione che ha preso piede nello stato, ed ora, a coronamento di tutto, il sangue nelle strade. Un regime di lordure, adesso anche macchiato di sangue! Sarebbe stata l'ora per Lei [Seipel] di parlare un'altra lingua, non la lingua dell'accusa farisaica, non la lingua dell'``autoritaÁ'' e della ``fermezza'', ma del tentativo di placare queste masse eccitate con un gesto che dimostrasse che il governo eÁ consapevole che cosõÁ non si puoÁ andare avanti, che non vuole cadere ancora piuÁ profondamente preda dell'odio selvaggio. Il cancelliere era troppo meschino per scegliere questa via ed io non posso che dire: guai a quel povero paese
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che in un'ora simile viene governato cosõÁ meschinamente!» 136.
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CioÁ che Bauer mostra di deplorare maggiormente eÁ il cinismo con cui Seipel sfrutta i tragici fatti del '27 a favore dell'avvicinamento dei cristiano-sociali al fascismo e del loro definitivo abbandono del dialogo coi socialdemocratici. Posizione, questa di Seipel, che Bauer identifica con quella della chiesa. L'accelerazione impressa da Seipel alla politica cattolica non eÁ, secondo Bauer, una specificitaÁ solo austriaca. L'Austria tutt'al piuÁ puoÁ avere il merito di essere stata la prima ad intraprendere questo percorso. Conferendo alla sua analisi un piuÁ ampio orizzonte spaziale e temporale, Bauer vede la marcia del mondo cattolico verso il fascismo ormai generalizzata in tutti gli altri paesi europei, soprattutto in quelli a maggioranza cattolica, e la vede come proveniente da lontano, quale approdo finale di una lunga fase controrivoluzionaria della chiesa, inauguratasi con la rivoluzione francese. Da allora in poi l'abitudine di schierarsi a fianco delle forze controrivoluzionarie diviene costante. Accadde cosõÁ nella fase della restaurazione della prima metaÁ dell'800, accadde cosõÁ dopo il 1848 e sta accadendo, scrive Bauer, ugualmente oggi, negli anni '30, in tutta Europa, dopo la rivoluzione russa e in coincidenza col comparire del movimento rivoluzionario proletario socialista sulla scena della storia occidentale. La cornice entro cui Bauer rappresenta questa vicenda eÁ la storia del rapporto dialettico conflittuale di classe tra borghesia e classe proletaria: insieme contro l'Assolutismo, ma separate appena dopo ogni vittoria contro di esso; anzi, l'una armata contro l'altra, fino a schiacciare e soffocare 136. Der blutige 15. Jiuli, in W., 3, p. 533-558 (traduzione italiana da E. COLLOTTI, cit., p. LXXV).
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nel sangue la rivale. Il comportamento della chiesa risente di questo conflitto sociale e politico fra le due classi protagoniste della storia contemporanea. Bauer ne ha giaÁ descritti alcuni aspetti e momenti negli scritti giovanili e nel volume del '27. Ora ripercorre con occhi nuovi quegli stessi avvenimenti, prima nell'articolo Katholizismus und Klassenkampf del 1933, poi in Die Gegenrevolution und die Kirche del 1934. Ma la nuova analisi, oltre a confermare ulteriormente le analisi e le ipotesi giaÁ fatte, rivela a Bauer aspetti e significati nuovi. All'epoca della rivoluzione francese la chiesa era alleata dei principi e della nobiltaÁ, cioeÁ delle forze minacciate dalla rivoluzione borghese. Un'alleanza dettata, percioÁ, dalla necessitaÁ di difendere l'una ``l'altare'' e gli altri ``il trono''. Ma contemporaneamente, in altri paesi, la chiesa, spinta da una base popolare sempre piuÁ socialmente e politicamente esigente e attiva, si alleava con gli stessi liberali borghesi che invece combatteva in Francia. Bauer si rifaÁ agli esempi di Irlanda, Belgio, Polonia, Italia, dove la chiesa, volente o nolente, lascia spazio allo sviluppo di un cattolicesimo liberale, attento non piuÁ a salvaguardare i privilegi statali della chiesa, ma alle istanze di libertaÁ e paritaÁ di diritti invocate dai liberali. Bauer rappresenta questa dialettica interna alla chiesa nella vicenda dell'elezione del papa nel 1846, quando venne eletto il liberale Pio IX, in opposizione al candidato della corte austriaca. Il fronte dei liberali e dei cattolici contro l'Assolutismo si capovolse con gli eventi rivoluzionari europei del '48, quando i liberali cacciarono Pio IX da Roma. Vicenda che spinse il papa a diventare il nemico mortale della rivoluzione liberale e la chiesa ad allinearsi alla controrivoluzione montante e, alla fine, vittoriosa. Come prove evidenti di questo cambiamento, Bauer porta l'enciclica papale Quanta cura e il Sillabo di Pio IX, comunemente noti quali documenti di condanna ufficiale del liberalismo borghese da parte della chiesa; e soprattutto la nuova strategia politica della chiesa: non piuÁ il
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ricorso ad accordi di vertice, quanto creazione di propri movimenti e partiti politici di massa, per sottrarre alla borghesia, prima, e al nuovo movimento del socialismo proletario, poi, quella base di piccoli borghesi, contadini e lavoratori cattolici sulla cui conquista si basava la lotta politica di allora. Per meglio combattere la borghesia, la chiesa sviluppa un cattolicesimo democratico, favorendo talvolta l'alleanza dei cattolici finanche con le organizzazioni dei lavoratori socialisti, contro il liberalismo della grande borghesia e contro lo stato autoritario feudale e militaresco. La creazione del Zentrum cattolico in Germania; del partito cristiano-sociale in Austria; la costruzione, insieme alle forze socialdemocratiche, della Repubblica di Weimar, come pure il governo del biennio rosso austriaco, rispondono proprio a questa logica. Per cui in questa fase la chiesa appariva agli occhi di Bauer come una potenza democratica contro il nazionalfascismo e contro la restaurazione monarchica 137. Ma quando il quadro politico cambia nuovamente, la chiesa comincia a riorientarsi verso i nuovi vincitori. E se fino al 1931 ha ancora qualche incertezza, di cui eÁ espressione la Quadragesimo anno (l'enciclica promulgata da Pio XI nella ricorrenza della Rerum novarum), dopo la vittoria di Hitler e del nazifascismo in Germania scioglie ogni indugio. La nuova linea assunta dalla chiesa in Germania, doveva poi estendersi ad altri paesi europei. Bauer paragona la svolta controrivoluzionaria nazi-fascista della chiesa a quella avvenuta un secolo prima, al tempo di Pio IX, dal cattolicesimo liberale alla controrivoluzione dell'assolutismo. Quindi, non viene smentita neanche questa volta la costante della politica ecclesiastica, cioeÁ la sua tendenza, dopo ogni rivoluzione, ad appoggia137. Die Gegenrevolution und die Kirche, W., pp. 442-443 [325326].
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re i movimenti e le forze della restaurazione. CosõÁ all'indomani della rivoluzione francese e di quella del '48; cosõÁ ora, dopo la rivoluzione russa e l'affermazione e la crescita in Occidente di movimenti e partiti socialisti e comunisti. A quest'ultima virata fascistizzante della chiesa, Bauer, oltre al significato politico di scelta controrivoluzionaria antisocialista, ne assegna un altro di carattere piuÁ strettamente storico religioso, di solito non evidenziato: la riproposizione della secolare contrapposizione tra Riforma e Controriforma, tra Protestantesimo e Cattolicesimo, tra i paesi di tradizione protestante (Germania, Paesi Bassi) e i paesi controriformisti vissuti per secoli sotto la casa asburgica (Italia, Austria, Spagna, Belgio) 138. Questo riposizionamento politico del cattolicesimo austriaco obbliga Bauer a rivedere e reimpostare i rapporti del movimento proletario nei confronti della chiesa e del mondo politico cattolico. Non scorgendo piuÁ spazi di confronto, di comprensione e di cooperazione, ma solo motivi d'inconciliabilitaÁ e ostilitaÁ con un cattolicesimo diventato filo-fascista e alleato sostenitore di un dispotismo controrivoluzionario, egli non vede altra via possibile che quella di rilanciare l'antico motto anticlericale: ecraseÂz l'infame, coniato da Voltaire al tempo della rivoluzione francese e assunto dalla borghesia dell'epoca come parola di battaglia contro la chiesa, alleata, in quella contingenza storica, con l'assolutismo. Un grido radicale che suona come un inaspettato appello anticlericale al proletariato, affinche prenda pienamente coscienza del livello di potere e qualitaÁ di determinazione a cui eÁ giunta la politica della chiesa 139. 138. Ivi, W., p. 445 [321-322]. 139. Non si puoÁ fare a meno di mettere in relazione quest'ultimo articolo di Bauer con un altro apparso due anni dopo (su «Der Kampf», 1936, pp. 426-430) dal titolo Die Diktatur des Klerikalismus e a firma dello pseudonimo H.W. ± sigla fino al 1934 di Otto Bauer e corrispondente a Heirich Weber, poi assunta come corrispondente ad Heinrich Wiesel da un altro suo collaboratore, Otto Leichter. I toni e il contenuto
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Una conclusione che sorprende notevolmente ma che del resto appare in linea con quella piuÁ generale espressa nell'ultima opera pubblicata in vita da Bauer, nel 1936, Zwischen zwei Weltkriegen?; dove egli arriva a sostenere che la via democratica al socialismo non paga piuÁ, ma che «soltanto una dittatura rivoluzionaria puoÁ creare le premesse sociali di una democrazia liberata dal dominio di classe» e dalla «dittatura del clericalismo» 140. Una conclusione che appare anche un allineamento, quasi una resa, alla posizione dei Freidenker, sul cui anticlericalismo egli era stato molto severo in precedenza. Per niente facile l'interpretazione di questo suo mutamento radicale. Cosa vuol dire questa conclusione? Che Bauer rinnega tutto quanto ha faticosamente elaborato in precedenza sulla questione religiosa e fatto passare come linea generale del partito nel Congresso di Linz? Si eÁ gettato interamente dietro le spalle quella stagione? In altre parole: bisogna ritenere la sua posizione ultima come quella definitiva? E pensarla, quindi, come il segno di una frattura con la Religion Privatsache degli anni '20, proposta quale via alla libertaÁ democratica? Apparentemente sembra di sõÁ. In realtaÁ le cose non stanno in questo modo. Questa fase di ripresa dell'anticlericalismo, per essere compresa nella sua vera portata, deve essere inquadrata, oltre che nel contesto storico giaÁ richiamato, anche nella piuÁ ampia e nuova prospettiva del socialismo delineata nell'opera del '36, in particolare negli
non sono certamente di Otto Bauer, nonostante una certa somiglianza di stile, ma il fatto che questi l'abbia accettato e pubblicato sulla rivista che egli dirigeva anche dall'esilio, lascia intendere una certa condivisione di giudizi. La politica ecclesiastica di quegli anni viene stigmatizzata come una vera e propria dittatura del clericalismo. EÁ un salto di qualitaÁ della politica della chiesa, che, da alleata subordinata o alla pari con le altre forze politiche, giunge fino alla egemonia e alla supremazia su di esse. 140. Tra le due guerre mondiali?, cit., pp. 319; p. 239).
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ultimi due paragrafi, dal titolo «Socialismo integrale» 141 e «Epilogo riguardante l'Austria» 142.
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SOCIALISMO
INTEGRALE: VIA ALLA LIBERTAÁ
``Socialismo integrale'' eÁ la parola d'ordine del nuovo socialismo. Non equivale a ``socialismo integralista'' di marca italiana prebellica. Con essa Bauer indica una forma di superamento e sintesi insieme delle due versioni di socialismo esistenti. EÁ una concezione unitaria del socialismo, che dovraÁ superare la scissione del proletariato internazionale. Bauer vede nel movimento operaio una scissione tra socialismo riformista, che esprime l'ideologia del movimento a un determinato stadio del suo sviluppo e in certe condizioni storiche ± quello, come eÁ noto, che ha trovato espressione nei grandi partiti operai di massa europei della II Internazionale, dei paesi scandinavi, Belgio e Olanda, nel Labour Party britannico e Sindacati USA ±; e socialismo rivoluzionario, ``consapevole'' ± quello convinto che il salto di qualitaÁ dal capitalismo al nuovo ordine socialista potraÁ avvenire solo con la rottura rivoluzionaria. EÁ quell'idea di socialismo che deve mantener viva in qualunque momento, all'interno dei partiti operai delle societaÁ capitaliste borghesi, la tensione rivoluzionaria per l'obiettivo finale, consistente nel superamento del capitalismo e nella conquista del vero socialismo, del quale sono espressione il bolscevismo sovietico e i partiti comunisti che vi si ispirano. Per cui «il socialismo integrale dovraÁ assorbire in se queste due grandi correnti del movimento operaio internazionale» 143, contemperando l'impegno di lotta per la realizzazione di interessi immediati all'interno della societaÁ capi-
141. Ivi, pp. 290-310. 142. Ivi, p. 311-324. 143. Ivi, p. 295.
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talista (= socialismo riformistico) con l'obiettivo rivoluzionario di superare il capitalismo. A Bauer i due tipi di socialismo non appaiono contrapposti. Nell'ambito del socialismo integrale, il socialismo riformistico trasmette a quello rivoluzionario il patrimonio accumulato durante la stagione delle lotte operaie all'interno delle societaÁ borghesi, in altri termini, l'ereditaÁ del socialismo democratico 144: diritti individuali, libertaÁ spirituali, autodeterminazione collettiva (suffragio universale), conquiste culturali ecc.; il secondo, a sua volta, trasmette al primo la grande tradizione delle rivoluzioni proletarie, cioeÁ la prospettiva del superamento (e non il riconoscimento) della societaÁ borghese capitalista, la rivoluzione proletaria e la dittatura del proletariato. Il socialismo integrale eÁ, quindi, questa superiore unitaÁ, dove si fondono insieme «l'ethos del socialismo democratico e il pathos di quello rivoluzionario» 145. EÁ a questa revisione delle strategie politiche del socialismo e a questa nuova prospettiva che vanno rapportate allora anche le ultime riflessioni di Bauer sulla questione religiosa. L'inasprimento dell'anticlericalismo, fatto notare poco sopra, si puoÁ spiegare allora come momento interno al piuÁ generale inasprimento della lotta di classe che Bauer invita a rinnovare e intensificare contro il capitalismo. Ma come non devono essere perdute le conquiste dell'esperienza riformista in campo sociale, politico e culturale, cosõÁ, al tempo stesso, nel socialismo integrale non deve essere perduto quanto giaÁ maturato in seno al movimento democratico borghese e socialista sul piano storico culturale e, al tempo stesso, quanto giaÁ conquistato a livello di riflessione e di pratica politica anche nei riguardi della religione e relativamente agli approcci concreti e alle proposte reali di soluzione della questione religiosa: 144. Ivi, p. 300. 145. Ivi, p. 301.
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Fascismo e bolscevismo, controrivoluzione e rivoluzione, dittatura del capitale e dittatura del proletariato minacciano la democrazia borghese. Ma insieme con la democrazia borghese, assalita contemporaneamente da due parti, il rischio eÁ che possa andar perduto anche un certo patrimonio culturale che eÁ la piuÁ preziosa ereditaÁ di tutta l'era borghese. AllorcheÂ, quattrocento anni or sono, il protocapitalismo modificoÁ le condizioni di esistenza degli uomini strappandoli dai binari della tradizione e distruggendo la loro fede nelle autoritaÁ costituite, il cittadino non volle piuÁ tollerare che il prete gli prescrivesse quale immagine del mondo egli doveva accettare. Con le sanguinose guerre di religione, sui roghi della riforma conquistoÁ il diritto di interpretare da se la Bibbia, conquistoÁ la libertaÁ di fede e di coscienza, la libertaÁ delle diverse correnti cristiane di competere tra loro, la libertaÁ delle diverse comunitaÁ religiose cristiane di competere per conquistare le anime. A questa prima, grande vittoria dell'individualismo borghese seguirono nel corso di tre secoli, cioeÁ successivamente all'epoca dell'illuminismo, della rivoluzione borghese, del liberalismo e della democrazia, vittorie sempre piuÁ imponenti [...] Ognuna delle vittorie ottenute in quattrocento anni di lotte per l'emancipazione dell'individuo eÁ stata, nello stesso tempo, una vittoria dell'umanitaÁ. Nella lotta contro gli antichi poteri, la borghesia ha sottratto ai loro sgherri la possibilitaÁ di usare la tortura, ha liberato i loro prigionieri dalle catene e dalle pene corporali. L' individualismo borghese all'epoca della rivoluzione borghese ha potentemente elevato insieme con la libertaÁ del singolo anche la sua dignitaÁ, ha sancito la protezione della dignitaÁ umana contro il potere. Senza dubbio, tutta quest'opera di emancipazione della personalitaÁ si compõÁ soltanto nell'ambito dello stato, non in quello della societaÁ [...] Resta tuttavia vero che l'emancipazione politica dell'individuo, per quanto i suoi effetti siano stati limitati dalle condizioni della societaÁ capitalistica divisa in classi, ha lasciato dietro di se un patrimonio culturale e umano di altissimo valore 146. 146. Ivi, pp. 173-174.
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Ora, se al socialismo integrale Bauer affida il compito di non perdere, ma di salvaguardare questo patrimonio umano e culturale di ``altissimo valore'' conquistato dalla borghesia, al tempo stesso e a maggior ragione gli impone quello di salvaguardare le conquiste sociali e politiche operate dal socialismo riformista stesso all'interno delle societaÁ borghesi capitaliste. A queste conquiste vanno aggiunti anche i risultati conseguiti sul piano dell'elaborazione teorica e della prassi politica in merito alla questione religiosa, tra cui rimane in primo piano il principio centrale della Religion Privatsache quale via alla libertaÁ sia della politica che della religione, sia dello stato che della chiesa, dei cittadini credenti e non.
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V ALCUNE CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE
In merito all'impostazione, allo svolgimento e alle conclusioni di Bauer circa la questione religiosa si potrebbero fare molte osservazioni, e di diversa natura. Io mi limiteroÁ solo a qualche breve considerazione sull'attualitaÁ del pensiero politico di Bauer e delle sue riflessioni sulla religione. Nella lettura e nell'analisi dei suoi scritti si resta fortemente sorpresi a motivo di alcune singolari affinitaÁ tra le situazioni dei primi decenni del secolo descritte da Bauer, e quelle della nostra epoca; tra le analisi storico-socio-politiche e relativi giudizi morali e politici di Bauer e quelli dei sociologi e politologi dei nostri giorni. Per questo, al di laÁ della particolare prospettiva socialista, in cui Bauer si poneva, alcuni dei suoi criteri di analisi e di giudizio circa il mondo sociale, politico e religioso del suo tempo non solo non appaiono sorpassati, ma possono riuscire di grande aiuto per la comprensione e valutazione di molte situazioni ed esperienze sociali e politiche odierne. Viene da pensare immediatamente, per esempio, alla ricerca, tuttora in corso nelle societaÁ europee sia dell'Est che dell'Ovest ± ma anche in quelle sudamericane e africane piuÁ o meno sviluppate o in via di sviluppo ± della cosiddetta ``terza via'' tra socialismo e capitalismo, che Bauer aveva intrapreso all'interno dell'austromarxismo e di cui egli era uno dei principali ispiratori, insieme a Max Adler e Karl Renner. Le valutazioni di quell'esperienza sono state diverse e spesso molto critiche. Ma cioÁ non toglie niente alla validitaÁ e all'urgenza di quella ricerca. Viene spontaneo anche il riferimento alla scoperta, ana-
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lisi e denuncia di Bauer della ``Tangentopoli'' austriaca del primo decennio del secolo ± di cui era responsabile principalmente il partito liberale e, in parte, anche il giovane partito cristiano-sociale ± e alla sua proposta di creazione di una classe politica onesta e trasparente che giaÁ nel 1907 egli chiamava «partito dalle mani pulite» (Partei der reinen HaÈnde, sic nel testo), cioeÁ con la stessa espressione che corre sulla stampa odierna a proposito degli episodi di corruzione politica di cui sono stati protagonisti negli ultimi anni alcuni paesi europei. La sua analisi della disomogeneitaÁ sociale e politica del mondo cattolico austriaco e dello stesso partito ``cristianosociale'' dei primi decenni del secolo e l'individuazione delle costanti filo-fasciste del suo gruppo dirigente trovano una singolare riedizione anche nella storia politica dell'ultima ora, sia dei cattolici austriaci, protagonisti della coÈ VP e struzione dell'alleanza governativa nero-blu (tra O È FPO di Haider), sia dei cattolici italiani del secondo dopoguerra, particolarmente nella vicenda ultima degli anni '90: lo sfaldamento della Democrazia cristiana, con l'approdo di una componente cospicua di essa nell'alleanza con ``Forza Italia'', il partito populista di Berlusconi, con il partito ``Alleanza Nazionale, di ispirazione fascista di Fini, e con il movimento autonomistico, venato di razzismo, della ``Lega Nord'' di Bossi. Analogo discorso puoÁ essere trasferito all'ambito delle analisi e considerazioni di Bauer sulla religione. Anche in queste, al di laÁ di alcuni aspetti superati, ce ne sono altri che conservano tuttora la loro validitaÁ. La Religion Privatsache, quale chiave centrale di lettura della questione religiosa, eÁ certamente uno di questi. EÁ indubbia la sua grande utilitaÁ per l'analisi, la comprensione e la soluzione anche di alcune situazioni politico-religiose attuali. Lasciamo da parte quelle dei paesi islamici asiatici ed africani, caratterizzate da un accentuato fanatismo religioso, dove lo stato si fa religione e la religione stato, con i conseguenti aberranti effetti di intolleranza all'interno ed all'esterno, fi-
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no a sfociare in guerre di religione, esattamente, del resto, come in certe fasi della storia passata del cristianesimo. Limitiamoci alle situazioni delle societaÁ europee attuali, che hanno conosciuto una lunga stagione di liberalismo e di laicismo, ma dove permangono tuttora elementi confessionali religiosi negli stati e camuffati interessi di statalismo clericale nelle chiese. Questi residui confessionali e statalistici impediscono, da una parte, allo stato una totale emancipazione democratica e, dall'altra, alla chiesa la piena libertaÁ di esercizio della propria religione. Rimane inoltre impossibile alla Chiesa cristiana assumere quella posizione di neutralitaÁ sociale e politica che s'addice alla sua natura di religione universale, che essa dichiara a parole di essere, senza che alle dichiarazioni seguano fatti conseguenti. La sovvenzione pubblica del clero, sotto le diverse forme, l'insegnamento della religione confessionale nelle scuole pubbliche, l'istituto del matrimonio concordatario ecc. sono tutti residui di confessionalismo statale e di statalismo ecclesiastico, che mal si conciliano con le autentiche esigenze democratiche della libertaÁ e dell'uguaglianza di tutti i cittadini degli stati moderni e con quelle genuinamente spirituali delle comunitaÁ religiose che non sopportano ingerenze esterne, ne strumentalizzazioni ideologiche, piuÁ o meno dirette, per scopi politici.
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SCRITTI SU POLITICA E RELIGIONE
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di Otto Bauer
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Borghesia e clericalismo (1908)
Per secoli le masse popolari sono state in balõÁa delle idee e dei valori tradizionali. Il contadino, legato alla terra, la cui vita scorreva interamente in un'eterna monotonia, come era trascorsa quella dei suoi antenati, e il piccolo borghese, il cui sguardo non arrivava oltre i confini della piccola cittaÁ, ritenevano come sacro tutto quello che i loro padri avevano ritenuto sacro. Essi non hanno trasgredito alcuna delle usanze, che avevano imparato nella casa paterna e su cui vegliava l'inesorabile e sempre operosa opinione pubblica delle loro cittaÁ o paesi; essi veneravano il sovrano, il funzionario, il signore feudale come le autoritaÁ ereditarie insediate da Dio stesso, che solo gli empi scellerati osavano toccare; essi restavano fedeli alla fede, che doveva essere la loro fede, perche era stata quella dei loro padri. Tutto cioÁ che era vecchio, per loro era sacro. E su questo legame delle masse a ogni valore tradizionale si basavano le organizzazioni di potere di quel tempo: lo Stato assoluto, lo statuto dell'economia feudale, la potente organizzazione della Chiesa. Nelle forme di vita sociali dei piccoli borghesi e dei contadini si radicoÁ la loro ideologia che legava interamente al passato e che santificava tutto quello che era stato tramandato; e, a sua volta, quest'ideologia assicurava, alle organizzazioni sociali di controllo, incontestabilitaÁ e durata. Lo sviluppo del capitalismo moderno, assieme alle forme di esistenza sociale delle masse popolari, ha trasformato anche le loro idee e i loro valori. Ha strappato i figli dei contadini alla terra dei loro padri e rotto i metodi di gestio-
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ne aziendali del piccolo borghese; ha gettato le masse dentro all'ingranaggio dell'economia capitalista come imprenditori, come impiegati e come salariati, ammassando gli uni e gli altri nelle grandi cittaÁ ed aree industriali, cambiando di giorno in giorno i loro processi lavorativi e spostando continuamente questa crescente fiumana di gente dalla campagna in cittaÁ, da un'area industriale ad un'altra. Ha trascinato anche il contadino nella crisi della produzione e dello scambio delle merci ed insegnato anche a lui a conoscere una tecnica piuÁ intensiva, nuovi modi di valorizzare le sue merci, nuovi strumenti ed apparecchi. Ha razionalizzato l'intera economia degli uomini; nessuno vuole lavorare come hanno fatto i loro padri, ognuno prova il mezzo economico alla luce del risultato economico, ognuno vuole sfruttare i metodi economici piuÁ moderni e razionali, che gli rendono il massimo profitto. Al suo seguito comparvero da noi la scuola pubblica, la stampa, le lotte politiche. EÁ cresciuta una nuova generazione che vuole farsi una nuova vita, incurante del vecchio e di quanto eÁ stato tramandato. Per lei piuÁ niente eÁ sacro, per il solo fatto che eÁ passato; misura in base ai suoi propri scopi le idee, i valori e le istituzioni che le sono sopraggiunti dai tempi dei suoi padri. Non porta piuÁ l'abito degli antenati e non si sente piuÁ legato alle norme della loro consuetudine; la scienza moderna giunge alle masse popolari attraverso mille canali e soppianta la concezione del mondo dei secoli passati. E con le vecchie ideologie, cadono anche i vecchi sistemi di potere: la nuova generazione ha frantumato lo statuto dell'economia medioevale, ha rotto il potere dell'assolutismo e spezzato le catene con cui l'organizzazione di dominio mondiale della chiesa ha incatenato gli uomini. GiaÁ nel XVIII secolo l'illuminismo guidoÁ i ceti superiori della borghesia nella lotta contro il clericalismo. Il secolo XIX ha visto coinvolgere nella lotta il proletariato. I piccoli borghesi e i contadini si liberano molto piuÁ difficilmente dalla massa di idee del passato; ma dove una
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tradizione rivoluzionaria si oppone alla tradizione autoritaria, come nella piccola borghesia della Francia ± dove la trasformazione radicale dell'agricoltura ha addestrato il vecchio contadino a diventare un agricoltore moderno e l'ha messo completamente sotto l'influsso della cultura cittadina, come press'a poco i ricchi agricoltori all'interno della Boemia ± laÁ rafforzano anch'essi l'armata anticlericale. Tutte le classi, che sono state figlie dello sviluppo economico moderno, sono in lotta contro la potente organizzazione che ha eretto la roccaforte di difesa del proprio potere sulla fede religiosa dei fanciulli della generazione precapitalista. L'operaio che va in campo contro il clericalismo, vede nel borghese, nell'intellettuale ed in alcuni ceti della piccola borghesia e degli agricoltori i suoi alleati naturali. La svariata mescolanza delle classi della schiera anticlericale non eÁ per niente sorprendente. Dove noi abbiamo sempre combattuto contro le forme precapitalistiche dell'economia e del potere, abbiamo visto dalla nostra parte anche le altre classi che insieme con noi sono portatrici dello sviluppo economico moderno. In alleanza con la borghesia, gli operai hanno condotto dappertutto la loro battaglia contro l'assolutismo, il feudalismo e l'influenza delle corporazioni di tipo medioevali. Ma naturalmente anche all'interno dell'armata anticlericale appare la diversitaÁ delle classi, di cui essa eÁ composta. La classe operaia eÁ l'avversario piuÁ radicale e deciso del clericalismo. Quindi, certamente,lo sviluppo capitalista ha liberato le classi, che esso produce, dai vincoli delle ideologie tradizionali, ma non ne ha liberato nessuna cosõÁ completamente come quella che eÁ il prodotto del capitalismo e quindi la sua vittima, il suo figlio e quindi il suo nemico mortale. La classe operaia ha rotto con i valori tradizionali in maniera totalmente diversa dalla borghesia. Ma il proletariato, nella lotta contro il capitalismo, si distingue dalla borghesia, non solo per l'implacabilitaÁ del suo odio, la passione delle sue prese di posizione, la sua abnegazio-
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ne nella lotta; cioÁ che divide ancor piuÁ fortemente le due classi eÁ il traguardo che esse si pongono. La borghesia domina lo Stato moderno; vuole servirsi del suo strumento di potere anche nella lotta contro il clericalismo. La classe operaia eÁ ostile allo Stato di classe della borghesia; non vuole scambiare il dominio di un'organizzazione di potere avversaria contro quello di un'altra. La borghesia vuole combattere l'ideologia su cui s'appoggia il potere della chiesa con mezzi repressivi dello Stato; la classe operaia rivendica la piena libertaÁ di fede e di confessione religiosa, la dichiarazione della religione come affare privato. La borghesia desidera leggi eccezionali contro la chiesa; la classe operaia, vittima essa stessa di cosõÁ tante leggi di classe ostili, rifiuta ogni legge eccezionale. La borghesia vuole regolamentare la chiesa con leggi statali; la classe operaia rivendica anche per i credenti il diritto di libera associazione, senza intervento statale. La borghesia, sostenitrice dell'individualismo economico, nella lotta contro il clericalismo tende alla coercizione e all'ingerenza statale; il proletariato, pur nemico dell'individualismo, difende la libertaÁ individuale della confessione religiosa. Queste contrapposizioni sono diventate non raramente visibili. CosõÁ eÁ accaduto in Germania, nella presa di posizione della socialdemocrazia sul Kulturkampf e sulla legge contro i Gesuiti, e in Austria, quando la socialdemocrazia, in occasione del dibattito della legge per la tutela della libertaÁ di voto, ha votato contro i paragrafi del Cancelliere (Kanzelparagraphen). Oggi esse hanno certamente perso significato, dal momento che l'inasprimento delle contrapposizioni tra le classi anticlericali prodotte dallo sviluppo moderno comincia a modificare poco a poco l'intera posizione della borghesia nei confronti del clericalismo. Quanto piuÁ il proletariato si rafforza e piuÁ frequentemente gli riesce di porre limiti all'assolutismo politico della borghesia e allo sfruttamento economico, tanto il clericalismo appare al borghese un pericolo piuÁ piccolo rispetto al
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pericolo del proletariato. Per la sua ideologia di classe, la borghesia eÁ spinta a schierarsi dalla parte del proletariato nella lotta contro il clericalismo; il suo interesse di classe le consiglia, peroÁ, l'alleanza con il clericalismo contro il proletariato. Che l'interesse di classe si mostrasse anche qui piuÁ forte dell'ideologia di classe, ce l'ha insegnato, negli ultimi anni, il patto, che i partiti borghesi anticlericali presenti in Parlamento hanno stretto con i clericali. La borghesia, per paura del proletariato, come ha abbandonato da tempo la lotta per la democratizzazione dello Stato, che una volta era addirittura la sua battaglia, e come essa si allea con gli agrari contro gli operai, e come ancora fa spesso concessioni al corporativismo solo per poter utilizzare, attraverso la promessa illusoria della salvezza del ceto medio, gli artigiani ed i piccoli commercianti come ariete contro gli operai, cosõÁ anche adesso si rifugia sotto la potente protezione del clericalismo, l'unico ancora che puoÁ, in veritaÁ, condurre in campo grandi masse popolari contro il proletariato. Una volta, borghesia e proletariato stavano insieme contro il clericalismo, ora, invece, le classi possidenti clericali e anticlericali sono strettamente alleate nella lotta contro il proletariato. Alla borghesia l'alleanza con il clericalismo viene facilitata, anche dal fatto che il suo partner le fa certe concessioni. La borghesia puoÁ riavvicinarsi, cioeÁ, piuÁ facilmente alla religione, perche anche la religione, per avvicinarsi alla coscienza borghese, cerca di adattarsi ad essa. A questo scopo servono e il movimento liberale, all'interno della teologia protestante, ed il modernismo, all'interno della teologia cattolica. EÁ molto piuÁ importante che i partiti clericali non portino piuÁ dal passato quel rigido carattere ultramondano; che il Centro tedesco e i Cristiano-sociali austriaci abbiano capito bene che devono adattarsi alla coscienza borghese. Essi sono partiti borghesi, buoni tanto quanto gli altri, e al di laÁ della concordanza su cosõÁ tanti problemi economici, sociali e politici, il borghese dimentica volentieri cosa lo separa ancora dal suo potente alleato
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nel campo della questione scolastica e nell'ambito della legislazione confessionale. CosõÁ sembra che non potremo piuÁ contare sul sostegno della borghesia nella lotta contro il clericalismo. Discendono dalla conoscenza di questa situazione gli argomenti che il compagno Schacherl, nel numero di Maggio di «Der Kampf», obietta alla nostra partecipazione alla Scuola libera (Freien Schule). Nel frattempo non possiamo, peroÁ, ignorare che la borghesia non ha alcun interesse unitario. Gli imprenditori dell'industria, del commercio e dell'agricoltura sono dappertutto in lotta economica diretta contro i lavoratori; qui l'interesse di classe riecheggia di certo totalmente la vecchia ideologia di classe. Su questi ceti non puoÁ certamente fare affidamento chi ritiene ancora possibile la cooperazione degli operai con la borghesia. Ma alla borghesia, per la loro origine e la loro ideologia, appartengono anche altri ceti: la cosiddetta Intellighentia e le grandi masse degli impiegati e dei funzionari. Questi ceti non hanno interessi contrapposti a quelli degli operai; qui nessun interesse di classe antiproletario puoÁ riecheggiare l'anticlericale ideologia di classe. L'intellighentia ed il nuovo ceto medio degli impiegati e dei funzionari sono, dunque, oggi i portatori dell'anticlericalismo borghese. Se, ciononostante, si riesce a portare anche questi ceti all'alleanza con il clericalismo borghese, allora questo non puoÁ avvenire con l'appello al loro interesse di classe, ma soltanto con il pretesto che l'interesse nazionale richiede la cooperazione dei partiti borghesi clericali e anticlericali. Questi ceti sociali prestano ascolto prevalentemente ai partiti borghesi. Non eÁ piccolo il loro influsso su questi partiti; non si tratta qui di un paio di intellettuali, ma di gruppi sociali che sono molto numerosi ed il cui numero cresce piuÁ rapidamente di quelle altre classi. Circa la forza numerica di questi gruppi borghesi in Austria, ci informano i risultati dei censimenti delle professioni:
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1890 1900 Impiegati a) nell'Industria.................................... 39.316 75.153 b) nel Commercio e Trasporto........... 106.343 111.855 c) nell'Agricoltura................................. 22.432 20.738 d) nel Servizio pubblico...................... 120.747 157.023 e) nelle Libere Professioni.................. 18.128 18.303 Autonomi nelle Libere Professioni..... 61.456 73.506 ______________ Totali..................................................... 368.422 456.578 Si tratta, quindi, pur sempre di una schiera di 457.000 teste. In dieci anni, il numero delle persone che appartengono a questi gruppi sociali eÁ salito del 23,9 per cento. La classe operaia ha veramente un interesse vitale perche questi ceti non diventino schiavi del clericalismo, che il loro sentimento anticlericale si rafforzi e che la forza, che lega segretamente in questo sentimento, diventi politicamente attiva. In questo abbiamo un interesse culturale immediato quali avversari del clericalismo; quanto piuÁ vivacemente questi ceti esigono dai loro partiti la partecipazione alla lotta contro il clericalismo, tanto piuÁ difficile saraÁ per i partiti borghesi sottrarsi del tutto alla richiesta di una parte cosõÁ grande dei loro elettori. Abbiamo anche noi, percioÁ, un indiretto interesse sociale nel fatto che, all'interno dei partiti borghesi, si rafforzino le tendenze anticlericali. EÁ proprio l'interesse di classe degli imprenditori, sono le aspirazioni dei sobillatori che portano i partiti borghesi all'alleanza con i clericali; quanto piuÁ fortemente attive diventano le aspirazioni anticlericali all'interno dei partiti borghesi, tanto piuÁ facilmente questi partiti opporranno, percioÁ, anche una certa resistenza alle richieste dei sobillatori. Un partito borghese che nella lotta contro il clericalismo non puoÁ fare a meno del nostro aiuto, non potraÁ mai arrivare alla lotta contro gli operai, allo stesso modo di un partito, che si eÁ sottomesso completamente ai clericali proprio per odio contro la classe operaia. Larghi
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strati della borghesia, che assistono inerti e indifferenti alle lotte politiche, possono essere educati a partecipare piuÁ vivacemente alla vita politica proprio attraverso una energica propaganda anticlericale: sono precisamente questi i gruppi sociali che non si sentono spinti all'ostilitaÁ contro gli operai da nessun interesse imprenditoriale. Se noi contribuiamo a svegliare dall'indifferenza politica questi ceti borghesi e ad accrescere, in questo modo, il loro influsso all'interno dei partiti borghesi, allora indeboliamo l'influsso dei sobillatori sui partiti borghesi medesimi. I lavoratori hanno dunque un interesse vitale a rafforzare le tendenze anticlericali in seno ai partiti borghesi; possono farlo soltanto appoggiando le organizzazioni non partitiche, che sono adatte a esercitare la propaganda anticlericale nei circoli borghesi, ancora accessibili, cioeÁ nei settori dell'intellighentia, degli impiegati e dei funzionari. A questo scopo, e a nessun altro, puoÁ servire la partecipazione di alcuni compagni di partito ai lavori dell'Associazione Freie Schule. Ma possiamo tentare un simile esperimento? Non lo potremmo di certo, se ci fosse il pericolo che la cooperazione nelle Freien Schulen potesse illudere gli operai circa i conflitti di classe all'interno della societaÁ borghese, se gli operai, al di laÁ della lotta generale contro il clericalismo, trascurassero la loro specifica battaglia contro i nemici di classe anticlericali o se il fatto di vedere i nostri uomini di fiducia sedere a un tavolo con gli uomini della borghesia suscitasse la diffidenza degli operai. Dove tali pericoli esistessero, certamente noi dovremmo rinunciare alla partecipazione alle Freien Schulen. Ma essi possono essere evitati, se i nostri compagni, all'interno delle Freien Schulen, si presentano come socialdemocratici, se essi non trascurano mai di mettere in evidenza giustamente con forza che la lotta contro il clericalismo eÁ e rimane per noi soltanto una piccola parte, anche se di importanza considerevole, della nostra grande lotta di classe, e che il borghese anticlericale, al cui fianco noi combattiamo contro il clerica-
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lismo, eÁ e rimane, tuttavia, nostro nemico di classe sull'altro campo di battaglia. Ci sembra che il compagno Schacherl abbia reso un servizio non piccolo al partito, se il suo articolo ha l'effetto di ricordarci questo dovere, di metterci in guardia contro l'eccessiva esaltazione, che potrebbe provocare, oggi, soltanto fallaci illusioni e, domani, anche una dolorosa delusione. Ma se ci muoviamo all'interno di questi confini, la partecipazione alle Freien Schulen eÁ certamente non pericolosa per noi. Se anch'essa saraÁ utile, se otterraÁ il successo desiderato, se rafforzeraÁ veramente le tendenze anticlericali in seno ai partiti borghesi, ovviamente non eÁ ancora possibile prevedere. Gli ultimi anni sono stati poco favorevoli all'esperimento. Il movimento per il diritto di voto, la nostra grande vittoria nella battaglia elettorale, il rafforzarsi della nostra organizzazione sindacale, le innumerevoli lotte salariali negli anni dell'alta congiuntura hanno rafforzato gli istinti antiproletari della borghesia e, percioÁ, anche la sua tendenza all'alleanza con il clericalismo. Le violente lotte nazionali degli ultimi decenni hanno fatto arretrare di molto l'interesse per le battaglie culturali dietro agli interessi nazionali. L'equilibrio dei voti clericali e anticlericali nel Parlamento fa apparire poco probabile una discussione sul clericalismo; sulla necessitaÁ della creazione dei ministeri parlamentari convergono i partiti clericali e quelli anticlericali. Tutte queste circostanze hanno reso piuÁ difficile qualunque propaganda anticlericale in seno alla borghesia, percioÁ anche l'attivitaÁ delle Freien Schulen. Forse le mutate circostanze creeranno condizioni migliori per la loro attivitaÁ. La grande posizione di forza che i cristiano±sociali hanno ottenuto, la loro avanzata nelle regioni dei Sudeti, gli insolenti attacchi agli Istituti Superiori (alle UniversitaÁ?) forse stimoleranno una parte della borghesia alla lotta contro il clericalismo. Un armistizio nella lotta nazionale farebbe subito venir fuori con piuÁ forza le tendenze anticlericali in seno ai partiti borghesi. Per questo, oggi, eÁ davvero impossibile dire se l'asso-
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ciazione Freie Schule riusciraÁ a mobilitare gli intellettuali e gli strati del nuovo ceto medio per la lotta contro il clericalismo. Se il tentativo riesce, allora questo significheraÁ un potente rinvigorimento delle tendenze anticlericali in seno ai partiti borghesi, quindi un'evoluzione che il proletariato puoÁ solo desiderare; ma se dovesse fallire, anche allora il nostro coraggio non sarebbe stato del tutto inutile. Infatti, attraverso quest'esperimento, si eÁ mostrato alla borghesia cioÁ che non si crederebbe mai a parole, cioeÁ che soltanto la socialdemocrazia puoÁ condurre la battaglia contro il clericalismo. Una tale dimostrazione amplierebbe la forza di attrazione del partito presso quei ceti di impiegati e funzionari che sono separati da noi non da un interesse di classe, ma soltanto da contrasti ideologici e pregiudizi di classe. Essa ci avvicinerebbe migliaia di quelli che devono vendere la loro forza-lavoro come noi e che il loro interesse unisce a noi e che soltanto il vestito divide da noi. Anche nel caso del pieno fallimento, del crollo totale di tutte le aspirazioni anticlericali nei circoli borghesi, noi non avremmo alcun motivo di rimpiangere la nostra partecipazione ai lavori delle Freien Schulen. Gli strati del nuovo ceto medio, per il loro interesse, appartengono a noi; finora li ha tenuti lontani da noi il dissidio delle ideologie; la comunione ideologica, che scaturisce dalla comune lotta contro il clericalismo, puoÁ diventare il ponte che li conduce alla conoscenza del loro proprio interesse e, quindi, a schierarsi con la classe operaia. La lotta contro il clericalismo condetermineraÁ lo stesso, in ogni caso, la dispersione delle classi nella lotta politica. Se i partiti borghesi vi prendono parte, allora il loro stato patrimoniale resta invariato, e all'interno dello schieramento borghese acquistano forza le tendenze anticlericali, acquistano influsso i ceti non interessati alla politica sobillatoria degli imprenditori. Ma se la borghesia si sottomette interamente al clericalismo, allora porta questi ceti, i suoi stessi figli, nel nostro campo. I partiti borghesi possono mantenere nelle loro file il cosiddetto nuovo ceto medio,
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cioeÁ gli strati altamente qualificati del lavoro salariato, soltanto se essi rappresentano l'ideologia di classe anticlericale della borghesia; essi perderanno questi ceti a nostro favore, se si fanno guidare soltanto dall'interesse di classe degli imprenditori, se si lasciano condurre nelle mani del clericalismo dall'ottuso odio di classe contro il proletariato. Nel comportamento oscillante dei partiti borghesi verso il clericalismo si evidenzia il conflitto tra interesse di classe e ideologia di classe, tra il nudo e crudo interesse degli imprenditori ed il lungimirante interesse culturale delle persone colte, i cui occhi non sono offuscati dall'odio contro gli operai. Come sempre, sia che questa lotta interna in seno ai partiti borghesi venga decisa con il rafforzamento del nuovo ceto medio anticlericale all'interno dello schieramento borghese, sia con la sua confluenza nelle file del proletariato, la classe operaia in ogni caso da questa lotta trarraÁ dei vantaggi. (da «Der Kampf», I, 1908, pp. 385 ss. ± ora in Werkausgabe, vol. 8, pp. 99-107)
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PROLETARIATO E RELIGIONE (1908)
A nessuno riesce tanto difficile interpretare correttamente i processi evolutivi della psicologia delle masse quanto a noi intellettuali. Noi siamo stati educati a formarci le nostre convinzioni lottando, nella controversia scientifica, con gli argomenti, e di conseguenza siamo sempre inclini a fraintendere, intellettualisticamente, i mutamenti delle idee nella coscienza delle masse popolari, riportandole alla comprensione di nuovi elementi del sapere, alla convincente forza di nuovi argomenti. Dal momento che l'immagine che gli eruditi hanno del mondo eÁ stata trasformata dai risultati della ricerca moderna e della elaborazione del pensiero, noi supponiamo che lo stesso processo, diverso solo per grado, si sia realizzato anche nella coscienza delle grandi masse popolari. Quanto questa interpretazione intellettualistica dei fenomeni psicologici delle masse sia errata, lo si puoÁ dimostrare in modo tanto eclatante in pochi ambiti come in quello della religione. Una volta tanto si prendano in considerazione gli argomenti che, in qualsiasi piccola associazione, borghese o proletaria, di liberi pensatori, vengono opposti ai dogmi della Chiesa, e si vedraÁ subito che quasi tutti i dati di fatto, su cui si basa la critica di stampo popolare, rivolta ai fondamenti tradizionali della fede, erano noti ai nostri nonni quanto lo sono a noi; e tuttavia noi siamo dei non credenti, mentre i nostri nonni erano uomini di fede. Il dato di esperienza empirica, per esempio, che oggi viene contrapposto al dogma della verginitaÁ della madre
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di GesuÁ, in realtaÁ non era sconosciuto neppure alle prime generazioni di credenti. Quel che eÁ mutato non eÁ tanto il sapere, quanto la disponibilitaÁ a fare uso del sapere. Non eÁ che sia stato superato un sapere immaturo da uno piuÁ maturo, ma eÁ la vecchia fede che svanisce proprio perche nella massa si eÁ raffreddata la volontaÁ di credere, mentre si rafforza la capacitaÁ di formarsi un'immagine autonoma del mondo, basata su un proprio pensiero e su di un proprio sapere. Il profondo sconvolgimento della vecchia fede popolare non eÁ, percioÁ, tanto un effetto della diffusione del sapere nel popolo, non eÁ tanto un prodotto dell'``illuminismo'', quanto uno di quei tanti fenomeni, per i quali l'uomo, sradicato per mezzo di una violenta rivoluzione economica dal modo di vivere degli antenati, si libera dall'ambito di potere di tutte le forme tradizionali di vita, di lavoro, di pensiero e di valori. L'agricoltore, che si libera dalle regole economiche apprese dal padre e migliora la sua azienda con l'uso dei concimi chimici e delle macchine; l'abitante di paese, che depone l'abito tradizionale degli antenati, costruisce alberghi per i forestieri, organizza sindacati agricoli: sono esempi di un processo evolutivo di liberazione dai vincoli della tradizione, del rafforzamento del razionalismo, della progressiva maturazione nello strutturare liberamente e in maniera mirata la vita in conformitaÁ un proprio sapere e a propri scopi, come l'operaio che, ai principi di fede per secoli ritenuti sacri, oppone i dati di fatto della propria esperienza. Naturalmente, nella coscienza dell'individuo, la religione viene superata sempre e soltanto tramite argomenti rivolti immediatamente contro i principi di fede; ma che, questi argomenti in qualche modo emergano ed abbiano la forza di distruggere i santuari dei padri, eÁ un fenomeno parziale di questo grande processo di sconvolgimento di tutte le antiche autoritaÁ, del distacco degli individui dalle antiche comunitaÁ, dell'elevazione delle masse dal piano della dipendenza tradizionale al piano della libertaÁ individuale, dell'autonomia di pensiero, che puoÁ essere capito solo in quanto conse-
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guenza della rivoluzione del modo sociale di esistere delle masse sotto il dominio del capitalismo. Fin dall'inizio la religione eÁ un fenomeno sociale. Gli esseri umani, per i quali la concezione religiosa e il sentimento religioso fluiscono da una medesima sorgente e si evolvono in un'alterna incessante azione, formano un gruppo sociale, anche se esteriormente non sono legati da uno stesso vincolo; la comune ideologia religiosa che posseggono interiormente li lega per formare una comunitaÁ religiosa. Ma questa comunitaÁ interiore produce da se una societaÁ unificata da regole esterne, un'associazione organizzata: la chiesa. La burocrazia di quest'associazione ± come qualsiasi altra burocrazia di un'epoca ad economia di natura ± diventa una classe dominante e sfruttatrice. Essa tende a garantire l'esistenza dell'ideologia religiosa e ad estenderne l'autoritaÁ anche con mezzi coercitivi, perche eÁ su questa ideologia che si basa il suo dominio. Questa tensione, peroÁ, corrisponde anche al piuÁ intimo bisogno della comunitaÁ religiosa delle masse popolari stesse, perche le masse popolari che vivono un'economia di natura, legata alla terra, sentono come peccaminosa, eretica e punibile ogni idea, ogni stima di valore, ogni usanza che le sia estranea. La chiesa diventa in questo modo un'associazione dominante che si serve di tutti i mezzi coercitivi statali. Non ci eÁ nota una storia della Chiesa che corrisponda ai bisogni scientifici moderni. Le ricerche relative alla nascita del cristianesimo contribuiscono ben poco alla comprensione della Chiesa; la chiave per indagare sulla Chiesa moderna e il cristianesimo moderno, infatti, non sta nella storia dell'antichitaÁ, bensõÁ in quella del medioevo. Solo la disgregazione delle antiche comunitaÁ dell'epoca dell'economia di natura, prodotta dall'evoluzione della produzione delle merci, crea anche nuove comunitaÁ religiose, che derivano dalle antiche comunitaÁ religiose unitarie. Poiche all'opposizione di classe corrisponde l'opposizione culturale, la lotta si compõÁ in due ambiti. Nella cerchia delle persone colte sono l'umanesimo, la nuova
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scienza e la nuova filosofia, la teologia protestante, che affrontano la chiesa; nelle masse, l'eresia popolare. Con l'ampliamento e l'unificazione della comunitaÁ culturale borghese, queste correnti si avvicinano l'un l'altra nell'illuminismo borghese del XVIII secolo, per sfociare infine nel XIX secolo in un grande fiume dai molti bracci, nella propaganda ostile alla chiesa, anti-religiosa oppure settaria. L'uomo moderno, ormai sensibile alla critica di tutti i valori tradizionali, perche eÁ mutato il suo modo di esistere e perche sente l'influsso di queste correnti che ora criticano in campo religioso determinate dottrine e addirittura sono ostili alla chiesa, si forma da se la propria immagine del mondo, del proprio sapere e potere; e in tutte queste immagini individuali del mondo si esprime ogni diversitaÁ individuale. La religione ormai non eÁ piuÁ quel patrimonio in comune di valore intangibile di una comunitaÁ poco differenziata, eÁ piuttosto la conquista del modo di pensare e di sentire del singolo. EÁ diventata una questione privata . La discussione religiosa eÁ cosõÁ vivace perche eÁ l'individuo che prende singolarmente posizione nei confronti dei problemi religiosi; e poi come dice Harnack: «oggi si cerca e ci si interroga sull'essenza e sul valore del cristianesimo piuÁ che trent'anni fa!» Di conseguenza l'uomo moderno pretende che anche l'ordinamento del diritto si adatti a questo livello di coscienza, e che lo stato tratti la religione per quel che essa eÁ ormai diventata, cioeÁ una questione privata; egli non sopporta piuÁ la chiesa come associazione di potere e pretende che la sua attivitaÁ sociale non si estenda al di laÁ della cerchia della comunitaÁ che le appartiene in maniera volontaria e interiore. «La religione eÁ un questione privata» significa che le antiche comunitaÁ religiose si sono disgregate in tanti soggetti, come le antiche comunitaÁ economiche si sono risolte in individui liberi, legati solo da contratto a pagamento in contanti. Di conseguenza anche lo Stato deve risolvere il suo rapporto con le societaÁ religiose e dare libertaÁ agli individui di costituire una federazione volontaria, di tipo con-
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trattuale, di associazioni religiose. Se da questa individualizzazione della religione sorgeranno nuove comunitaÁ religiose, che a loro volta genereranno nuove associazioni religiose, se le societaÁ esistenti si adatteranno alle nuove comunitaÁ, oppure ± se l'arte, la scienza, l'etica, occuperanno il posto della religione, eÁ un problema di speculazione storica, e la risposta per un trattamento di diritto della religione nell'attuale momento evolutivo non ha significato. Questo processo di distacco degli individui dalle antiche rigide comunitaÁ religiose si realizza in modo diverso all'interno di qualsiasi classe e in tutte le classi si realizza come un processo che passa per innumerevoli gradi intermedi. Poiche questo processo coinvolge i vari ceti di ogni classe con forza e velocitaÁ differenziate, all'interno di ciascuna classe esistono contemporaneamente in ogni istante situazioni differenti di coscienza religiosa. Questo naturalmente non puoÁ impedirci di riconoscere in questi contemporanei stati di coscienza i gradi di un processo evolutivo. Di conseguenza anche all'interno del proletariato moderno questo processo evolutivo si realizza solo gradualmente. Il primissimo stadio siamo in grado di constatarlo solo se frequentiamo le masse dei lavoratori dell'economia rurale di una fase capitalisticamente progredita, i villaggi e le cittaÁ minori dove gli artigiani lavorano a domicilio in mini attivitaÁ, le piccole localitaÁ industrializzate dove abitano gli operai anche dell'industria mineraria; o se frequentiamo i lavoratori dell'industria che si sono staccati da poco tempo dalla piccola borghesia o sono emigrati da poco dalla campagna in cittaÁ; e osservando in particolare il proletariato femminile. Tutti questi strati proletari, che costituiscono in Austria sicuramente la maggioranza del proletariato, non si sono ancora staccati dalla tradizione piccolo-borghese e contadina del loro ambiente, e quindi non sono neanche usciti dalla comunitaÁ religiosa. Non vogliono privarsi dei mezzi di salvezza della chiesa nei grandi eventi della loro vita. L'aggressione alla fede della loro infanzia offende i loro sentimenti. Il rimprovero di incredu-
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litaÁ continua ad essere la piuÁ efficace arma dei nostri avversari nella lotta per conquistare queste classi operaie. Che anche questi ceti operai siano ormai coinvolti nel processo evolutivo che disgrega le comunitaÁ religiose eÁ evidente non tanto nella critica della religione, bensõÁ nella critica, mossa dal punto di vista religioso, all'associazione clericale dominante: volentieri essi oppongono le dottrine evangeliche a una chiesa degenerata, confrontano il povero figlio del falegname di Nazareth con i ricchi dignitari della chiesa, si sentono cristiani migliori rispetto ai parroci e ai cooperatori, che banchettano assieme ai padroni delle fabbriche e ai grandi proprietari terrieri. Per la lotta contro il clericalismo anche questi ceti operai sono sensibili; ma vogliono combattere la chiesa in quanto associazione di potere, e non il cristianesimo in quanto comunitaÁ religiosa. Prendono a prestito i loro argomenti contro la chiesa proprio dalla ideologia religiosa. Sono proprio loro che sentono tanto volentieri parlare di GesuÁ quale ``primo socialista''. Un po' alla volta il proletariato si libera dell'ideologia tradizionale. Una dura ed emozionante lotta per il salario strappa i lavoratori alla quiete della loro esistenza. Nella lotta hanno per avversario tutte le autoritaÁ del loro mondo, riconoscendole alleate dell'odiato sfruttatore. Quello che finora hanno creduto e stimato eÁ diventato per loro un problema. La loro critica si rivolge contro ogni tradizione, anche contro la religione. Il totale distacco liberatorio dalla fede della loro infanzia eÁ per loro un'esperienza di vita intimamente significativa, la vittoria di una dura lotta interiore. Disprezzano chiunque non partecipi di questa esperienza. L'opposizione all'ideologia, che hanno dovuto superare in se stessi lottando duramente, la sentono piuÁ fortemente che l'opposizione esteriore alla classe capitalista e allo stato di classe. Non sono soltanto non-credenti, anzi odiano l'antica fede ± come l'amore diventa odio prima di diventare indifferenza. Questi sono i ceti che sentono la critica alla religione piuÁ che la critica al processo produt-
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tivo capitalista, che conducono con maggior passione la lotta al clericalismo, piuttosto che la lotta allo stato classista. Sono loro che vorrebbero ripetutamente spingerci a trasformare la lotta al clericalismo in una lotta contro la religione, che vorrebbero allearsi con odio appassionato, contro il clericalismo, addirittura con i nemici mortali del proletariato. Senza dubbio sono la minoranza del proletariato; ma il loro influsso sulla vita del nostro partito eÁ grande, perche sono un ceto spiritualmente o politicamente ben piuÁ attivo della maggioranza operaia ancora legata alla religione, perche eÁ un ceto ancora molto rappresentato anche nelle nostre organizzazioni e fra i nostri uomini di fiducia. EÁ certo che questo eccesso di odio contro il clericalismo produce fenomeni che per noi sono scomodi, tatticamente pericolosi e talvolta anche spiacevoli. Ma sono inevitabili prodotti di un'evoluzione storica, effetto del dato di fatto che i lavoratori si avvicinano al socialismo non solo assumendo semplicemente alcuni principi economici e politici, ma anche tramite una profonda e sconvolgente rivoluzione di tutta la loro coscienza; essa ha il suo vero fondamento nella legge psicologica generale secondo cui la persona odia al massimo cioÁ che interiormente lo ha al massimo dominato e di cui eÁ stato capace di liberarsi solo con una lotta durissima. Certo la critica di questi ceti operai alla religione manca per lo piuÁ di approfondimento storico e filosofico; ma come potrebbe essere diversamente dal momento che la societaÁ capitalistica esclude i lavoratori dalle grandi conquiste della nostra cultura? EÁ peroÁ segno di presunzione intellettualistica pericolosissima che questi esseri umani, che si sono liberati con aspre lotte interiori dai vincoli delle idee tradizionali, vengano scherniti come accoliti di ``confraternite bigotte atee'', come dice il compagno Strasser. Certo talvolta puoÁ avere un effetto dannoso che qualche compagno non capisca che la lotta al clericalismo eÁ un aspetto particolare della nostra lotta di classe, tanto da subordinare
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a quella almeno per un po' alcune esigenze di questa. Come sostiene il compagno Strasser, in alcune cittaÁ della Boemia il lavoro delle nostre organizzazioni ha sofferto per la partecipazione appassionatamente entusiasta alla ``Freie Schule''; ma bisogna riconoscere che simili fenomeni non possono essere sempre evitati, poiche hanno la loro radice nel sentimento di ampie masse proletarie, perche hanno radici appunto in tutta l'evoluzione della coscienza proletaria. EÁ certamente nostro dovere combattere questi pericoli; ma non siamo in grado di lasciare insoddisfatta una necessitaÁ psicologica della massa proletaria, e addirittura di condurre un'azione di contrasto come consiglia il compagno Strasser. Noi non possiamo condurre una propaganda antireligiosa; tramite questa non scuoteremmo l'autoritaÁ della fede dalla maggioranza dei proletari ancora religiosa (poiche le nostre parole sono inefficaci laÁ dove il mutamento della vita sociale non ha ancora creato la sensibilitaÁ recettiva per la critica ai valori tradizionali), bensõÁ offenderemmo solo i sentimenti di quelle masse che eÁ invece nostro massimo impegno conquistare e le renderemmo preda della demagogia clericale; non abbiamo bisogno, come partito, di campagne antireligiose, poiche non combattiamo per le dottrine riguardanti Dio e il mondo, ma per migliorare le istituzioni sociali e politiche, siamo il partito dei lavoratori e non possiamo negare soddisfazione alla necessitaÁ di centinaia di migliaia di proletari. LaÁ dove ci presentiamo come partito, dobbiamo invitare le masse alla lotta per le nostre rivendicazioni politiche, economiche e sociali, come partito non ci eÁ lecito rappresentare la fede, ma neanche l'incredulitaÁ, ogni confessione ci deve essere sacra. Ma all'individuo non possiamo vietare che cerchi la soluzione dei grandi enigmi, anche all'interno, o all'esterno, delle organizzazioni e del partito, e che comunichi quella che per lui eÁ la soluzione, poiche questo cercare e comunicare eÁ necessitaÁ irrefutabile di centinaia di migliaia di persone, e perche nella lotta politica pare particolarmente importante accentuare in modo speciale
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quell'aspetto che la coscienza volge ai problemi della visione del mondo. Le difficoltaÁ che scaturiscono da questa contraddizione tra l'interesse generale di classe e l'interesse particolare di uno dei suoi ceti componenti, in uno dei suoi stadi evolutivi, non possono essere superate con discorsi o articoli dedicati all'essenza del clericalismo e dei suoi avversari borghesi. EÁ l'evoluzione stessa del proletariato che le supera. Nelle nostre grandi cittaÁ e nelle zone industriali sono sempre piuÁ numerose le fasce di lavoratori che hanno vissuto la loro gioventuÁ in una casa di miscredenti, per i quali la religione non eÁ molto piuÁ che un ricordo di alcune ore scolastiche dedicate alla religione. Non odiano la religione, perche non l'hanno mai veramente amata. La loro coscienza non eÁ piuÁ determinata dalla difficile liberazione dalla propria fede, poiche hanno ricevuto la loro educazione anzitutto nelle nostre organizzazioni, nei nostri sindacati. Il loro interesse va alle mete economiche e politiche. La lotta al clericalismo la conducono come una parte della loro lotta di classe. Non combattono per delle opinioni, bensõÁ per le istituzioni. Forse sono anzitutto una piccola parte, ma certo la piuÁ matura, del proletariato. CioÁ che essi sono giaÁ, gli altri proletari lo diverranno. A questa evoluzione [dell'atteggiamento dei marxisti nei confronti della religione] corrisponde anche un mutamento della nostra teoria. La generazione piuÁ anziana dei teorici marxisti ha condotto la lotta contro la religione anche su base dottrinale e si eÁ servita a questo scopo del materialismo scientifico naturale. In questo modo la nostra concezione storica e la nostra economia vennero collegate al materialismo scientifico naturale con un'unione personale. Noi, piuÁ giovani, non avevamo piuÁ da combattere una dura lotta contro la religione. Il nostro interesse filosofico eÁ stato di gran lunga disgiunto da preoccupazioni metodologiche. PercioÁ abbiamo liberato la nostra scienza da ogni collegamento con un sistema filosofico. La nostra concezione della storia e la nostra economia ci paiono compati-
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bili ormai con le piuÁ differenziate visioni di conoscenza teorica e tuttavia del tutto indipendenti, come, per esempio, la biologia non ha piuÁ bisogno che i risultati della ricerca vengano confermati ne da Kant, ne da Mach, Avenarius, Dietzen, ne dal materialismo scientifico naturale. Per questa fascia, la piuÁ matura, del proletariato, non ci possono essere dubbi circa la nostra tattica nella lotta contro il clericalismo, e neanche sull'opportunitaÁ della partecipazione alla Freie Schule. La nostra tattica sosterraÁ questa associazione laÁ dove si puoÁ sperare di influire su determinate fasce borghesi; se ne ritrarraÁ laÁ dove la speranza di influire non ci saraÁ. Se peroÁ le fasce proletarie non ancora mature, appena emergenti, salutano con troppo favore ogni nuovo mezzo di lotta contro il clericalismo, valutano alcune forme o alcune occasioni di lotta migliori di quel che paia corretto a una stima politica piuÁ sobria, in questo caso non possiamo e non dobbiamo impedire loro di fare quel che eÁ la vera necessitaÁ del loro cuore. La religione eÁ una questione privata: questa affermazione del nostro programma non riassume solo in forma pregnante la tendenza evolutiva della coscienza religiosa, e la disgregazione dei soggetti delle comunitaÁ religiose; non esprime solo una richiesta rivolta allo stato; contiene anche la suprema regola della nostra tattica. Anche noi dobbiamo trattare la religione come una faccenda privata e la nostra lotta al clericalismo eÁ una lotta contro le istituzioni, non contro le idee e i sentimenti religiosi. CioÁ corrisponde alla indifferenza religiosa, agli interessi prevalentemente politici ed economici degli strati piuÁ maturi del proletariato. La nostra lotta esige tutto cioÁ per conquistare le fasce proletarie non ancora libere dalla tradizione e che stanno emergendo gradualmente dal mondo dei valori piccolo-borghesi e contadini. Se peroÁ tra i ceti piuÁ maturi della classe operaia e quelli ancora del tutto impreparati c'eÁ un numeroso gruppo che propone un grande interesse per i problemi relativi alla visione del mondo (Weltanshauung) e conduce con grande passio-
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ne la lotta al clericalismo, non dobbiamo farci sviare dalla via tracciata, non dobbiamo permettere che la religione diventi una questione di partito, che il Klassenkampf, la lotta di classe, diventi Kulturkampf, ma nemmeno eÁ lecito che tentiamo di impedire la soddisfazione di questa esigenza che eÁ radicata in tutta l'involuzione del proletariato, nelle nostre organizzazioni e in seno al partito. La Freie Schule non eÁ un'istituzione di partito e non deve diventarla; ma saremmo in contraddizione con il sentire di molti lavoratori se la volessimo ostacolare, se volessimo impedire la collaborazione laÁ dove vengono raccolte le forze contro il clericalismo. EÁ azione piuÁ intelligente fare in modo che i nostri compagni si presentino proprio come tali anche nella Freie Schule ; e questo eÁ possibile, anche se talvolta non eÁ accaduto. Questa tattica si raccomanda proprio perche ci deve star bene che la lotta al clericalismo venga combattuta anzitutto nell'ambito della scuola. Il cammino dall'associazione dei liberi pensatori alla Freie Schule eÁ nella linea della nostra evoluzione: nella linea progressiva dalla lotta per la Weltanschauung alla lotta per le istituzioni. Non neghiamo che non di rado si commettano errori nella lotta al clericalismo. Ma non possiamo tenerci angosciosamente lontani dal rischio di sbagliare. La nostra tattica non puoÁ essere dettata solo da fredde considerazioni politiche, da esangui astrazioni di una classe politicamente ed economicamente determinata; essa eÁ determinata dalle vive necessitaÁ della massa proletaria. Il lavoratore viene guardato in tutta la sua interezza, non solo dal punto di vista dei suoi interessi politici ed economici; anche la sua ideologia di classe e ogni stadio dell'evoluzione di questo deve potersi esprimere nella vivente realtaÁ del nostro movimento. (da «Der Kampf», anno I, 1ë Settembre 1908, fasc. 12, pp. 537-542, firmato con lo pseudonimo KARL MANN; ora in Werkausgabe, vol. 8, pp. 141-149)
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SOCIALISMO CATTOLICO (1909)
Quando la borghesia divenne classe dominante con lotte violente, le si opposero due avversari: le potenze del passato, che essa aveva detronizzato, e le potenze del futuro, che l'avrebbero detronizzata nel tempo ± la classe dei latifondisti sconfitti, da un lato, e la classe operaia emergente dall'altro. I feudali, cacciati dalla borghesia dalle loro vecchie residenze signorili, tentarono di strumentalizzare la classe operaia come ariete contro il loro avversario. «Per suscitare simpatia l'aristocrazia doveva far finta di perdere di vista i propri interessi per formulare l'atto d'accusa contro la borghesia solo nell'interesse della sfruttata classe operaia. Nacque in questo modo il socialismo feudale, un po' lamentoso, un po' diffamatorio, un po' eco del passato, un po' minaccia del futuro, che talvolta colpiva al cuore la borghesia con valutazioni amare, spiritosamente laceranti, sempre ad effetto spiazzante e comico per la totale incapacitaÁ di comprendere il corso della storia moderna. Per chiamare a se il popolo, sventolavano come bandiera la bisaccia da mendicante del proletariato. Ma il proletariato ogni volta che li seguiva, vedeva sul loro deretano gli antichi stemmi feudali e se la squagliava con sonore e irriverenti risate». Karl Marx, autore di queste frasi nel 1847, ha conosciuto forse ben prima del loro apparire i Belcredi, i Liechtenstein, i Sylva-Taranca, i Vogelsang? Come il socialismo feudale aveva le sue radici negli interessi della classe dominante del passato, in egual modo anche l'ideologia del passato, la mentalitaÁ religiosa, era il suo alleato di sempre. «Come il prete aveva sempre proce-
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duto mano nella mano con i feudali, allo stesso modo il socialismo pretesco aveva fatto con quello feudalistico. Il socialismo cristiano eÁ solo l'acqua santa con la quale il prete benedice la rabbia dell'aristocratico» In questo modo Marx ha definito giaÁ nel Manifesto Comunista l'intima essenza del socialismo cristiano piuÁ antico. Ma eÁ passato il tempo in cui la classe dei latifondisti sperava di rinnovare la propria lotta contro la grande borghesia con l'aiuto dei proletari. Le antiche stirpi del paese hanno fatto pace con i nuovi padroni dell'industria. Si garantiscono a vicenda le loro dogane, i loro benefici, i loro privilegi fiscali. Si proteggono a vicenda dalla ``aviditaÁ'' dei loro operai. Quanto piuÁ la fuga dalle campagne e la miseria della gente costringono anche i proprietari terrieri a concedere migliori condizioni di lavoro, quanto piuÁ anche l'agricoltura viene assoggettata alle leggi della vita economica capitalista e quanto piuÁ energicamente la classe operaia attacca i privilegi degli agrari, tanto piuÁ aspra si fa l'ostitlitaÁ dei proprietari terrieri non solo contro la classe lavoratrice agraria, ma anche contro la classe lavoratrice cittadina. Il socialismo cristiano eÁ morto. E laÁ dove esistono ancora i partiti che portano il suo nome, in veritaÁ essi mutano completamente la loro natura. Gli eredi del socialismo cristiano combattono il diritto di associazione, le cooperative di consumo, l'autogestione delle casse di malattia; predicano l'intangibilitaÁ della proprietaÁ privata, vedono nell'alcolismo e nella leggerezza di pensiero le uniche cause della miseria delle masse. Definiscono la politica sociale un vaneggiamento umanitario. L'alleanza di tutti i padroni contro la classe operaia eÁ la suprema meta del loro desiderio. Tutti gli argomenti usati in passato dalla borghesia liberale per difendersi dalle richieste proletarie, sono sulle labbra degli epigoni del socialismo cristiano. Come movimento di classe, il socialismo cristiano eÁ morto da quando la comune paura di fronte alla classe operaia ha unificato gli sfruttatori delle cittaÁ e delle campagne. Ma vivono ancora uomini solitari che, in tranquilla so-
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litudine, si sforzano mestamente di unificare cristianesimo e socialismo. Nessuno tra i pochi che, in terra tedesca, auspicano un autentico socialismo cristiano, ha una personalitaÁ tanto amabile quanto il sacerdote cattolico, ormai molto avanti negli anni, Wilhelm Hohoff. EÁ un fedele servitore della sua chiesa, uno zelante annunciatore della sua dottrina. Per lui le piuÁ profonde cause della miseria della societaÁ sono il distacco dalla chiesa e la rivolta contro l'autoritaÁ papale. Ma al tempo stesso egli, alla luce della dottrina economica di Marx, osa rivolgere lo sguardo all'ordinamento della societaÁ che, secondo lui, eÁ nato da quelle cause. GiaÁ il suo breve scritto Warenwert und Kapitalprofit [Valore delle merci e profitto del capitale] era una difesa della teoria del valore di Marx; quello piuÁ recente, apparso a Paderborn presso la casa editrice Bonifatius-Drucherei, esalta lo scritto Bedeudung der Marxschen Kapitalkritik [= Il significato della critica marxiana al capitale]. Chi vuol scrivere un'apologia del cristianesimo, rifacendosi alla teoria economica di Marx, deve avere un carattere forte e non aver paura di camminare da solo. Come tale veniamo a conoscere Hohoff dal suo libro. E alla forza si unisce una commuovente ingenuitaÁ (NaivitaÈt) «Sull'orlo della fossa», dice, «non abbiamo piuÁ speranze e desideri terreni di nessun tipo; possiamo percioÁ essere imparziali, senza pregiudizi e spassionati e crediamo che ci sia lecito affermare che lo siamo, se mai qualcuno lo fu. Abbiamo scritto solo e unicamente perche ce lo ha comandato la voce della coscienza. Non eÁ poi tanto difficile compiere un dovere se ne raccogliamo una generale approvazione. Non vogliamo peroÁ dire che saraÁ cosõÁ. Finora, in problemi tanto importanti per il presente e per il prossimo futuro, ha fatto la voce grossa non una scienza profonda e senza pregiudizi; anzi tengono banco con grande prevalenza la superficialitaÁ, il pregiudizio liberal-meschino e la sfrenata parzialitaÁ». Pervaso da autentico amore per le sfruttate masse popolari, il vecchio sacerdote, tuttavia, sa eccellentemente odiare. EÁ un piacere sentire come Hohoff, utiliz-
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zando i ricchi frutti della sua straordinaria erudizione e lo studio approfondito della sottile arte del disputare degli scolastici, sconfigga i professori liberali, che egli odia per un duplice motivo: come cattolico fervente e come convinto marxista. Ma punta le sue armi con non minore sicurezza e precisione contro gli scrittori cattolici che «sono stati capaci di diventare gli apologeti del capitale». Non eÁ lecito prendere per ghiribizzo il fatto che Hohoff tenti di far convergere in una superiore unitaÁ entrambi i mondi del pensiero, che dominano, l'uno accanto all'altro, la coscienza di enormi masse di persone e che combattono l'uno contro l'altro per conquistare le menti. Che un uomo colto e amante della veritaÁ, sappia osare tanto audacemente, rende possibile un piuÁ profondo legame storico. Le dottrine della chiesa cattolica sono state elaborate in un'epoca nella quale nelle campagne regnava ancora un'economia contadina di natura, e nelle cittaÁ una produzione artigianale delle merci. L'artigianato lavorava materie prime nella propria bottega e con strumenti propri, di sua proprietaÁ; e il prodotto del suo lavoro diventava sua proprietaÁ privata. Colui che era apprendista diventava lavorante, colui che era lavorante diventava maestro artigiano. Per tutti quelli che erano attivi restava aperta la via all'indipendenza economica. In una societaÁ di tale tipo nessuna branca artigianale poteva realizzare per il proprio lavoro un compenso piuÁ alto rispetto a qualche altra. In breve: sarebbero affluite nuove leve di lavoratori, sarebbe aumentata l'offerta delle merci e i prezzi sarebbero scesi tanto che l'artigianato per la propria merce avrebbe voluto ottenere in cambio solo il denaro sufficiente per acquistare altra merce e per la cui lavorazione sarebbe stato necessario altrettanto lavoro. Sussisteva quindi nel mondo del vecchio artigianato la tendenza a distribuire i lavoratori tra le singole branche artigianali in modo che l'offerta delle singole merci si adattasse all'azienda, sicche le merci, per le quali era necessaria un eguale tempo di lavoro, avessero anche lo stesso prezzo. In una tale epoca vigeva la legge
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secondo la quale il valore delle merci veniva determinato dal tempo di lavoro necessario alla produzione, che doveva avere una sua forma del tutto propria e palese. Nessuna meraviglia per il fatto che noi troviamo espressa questa teoria anche nei libri degli scrittori ecclesiasti. In questo mondo peroÁ il capitale cominciava giaÁ a diventare capitale commerciale e di usura. Il possesso non dal lavoro dava giaÁ ad alcuni il potere di appropriarsi del ricavo dell'altrui lavoro. LaÁ dove l'artigianato o il contadino veniva a contatto con il capitale, la legge per la quale ``solo il lavoro produce lavoro'' sembrava eliminata; l'artigiano viveva l'eliminazione di questa legge come immorale, illegale. Anche questa visione si rispecchiava nelle dottrine della chiesa. Riferendosi a dottrine assai piuÁ antiche nelle quali prendevano corpo le visioni di una societaÁ che viveva ancora secondo una economia puramente di natura, visioni testimoniate anche nell'Antico Testamento, la chiesa insegnava che solo il lavoro poteva creare valori, che il denaro non poteva generare denaro, e che le entrate non provenienti dal lavoro, ma solo dal possesso del denaro, erano uno sfruttamento illegale. Da queste dottrine, la chiesa, seguendo lo spirito di un'epoca economica alla quale il capitale pareva un corpo estraneo all'interno della societaÁ, trasse la conclusione pratica di vietare il prestito di denaro. Ma il capitale, che un tempo, secondo Marx, «era vissuto nei pori della produzione», ha assoggettato con una violenta rivoluzione tutta la produzione. Ormai lo vediamo ovunque, e alla luce del giorno, che il possesso non derivato da lavoro procura un'entrata al possessore. Quel che alle masse popolari appariva un'eccezione immorale, ormai eÁ una legge per tutta la nostra vita economica e ci appare legale, necessaria, immutabile. Anche la chiesa dell'epoca storica del capitalismo ha da molto tempo dimenticato quel che aveva insegnato all'epoca della produzione artigianale delle merci. In realtaÁ le dottrine della chiesa a proposito del valore e
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dell'usura non sono mai state espressamente eliminate. E come l'organismo conservatore della chiesa trasferisce in tempi recenti tutte le tematiche che hanno avuto origine in passate forme di societaÁ, ecco che, di tanto in tanto, riemergono le antiche concezioni economiche. Esse si sono insinuate perfino nell'enciclica papale Rerum novarum del 15 maggio 1891. Ma quanto esse siano estranee alla chiesa, che si eÁ adeguata all'epoca capitalista, lo dice il dato di fatto che i principi della chiesa tedesca non hanno avuto riguardo a eliminare dalla circolare del papa le tracce dell'antica dottrina economica della chiesa. Leone XIII ha annunciato al mondo cattolico: «Per la produzione dei beni il lavoro piuÁ efficace e piuÁ necessario eÁ quello dei proletari, sia che essi realizzino la loro abilitaÁ e la loro forza nei campi o nelle fabbriche. Anzi, la loro potenza e la loro attiva efficacia sono talmente grandi, che eÁ a s s o l u t a m e n t e v e r o c h e l e r i c chezze degli stati scaturiscano in assoluto solo dal lavoro dei lavoratori».
Questo importante passo, nel quale riecheggia ancora una volta la dottrina del lavoro secondo la chiesa, nell'edizione tedesca ufficiale, eÁ stato reso come segue: «Per la produzione di questi mezzi l'attivitaÁ delle classi lavoratrici subalterne eÁ altrettanto efficace quanto insostituibile. Anzi, eÁ proprio il lavoro nei campi, nell'officina, nella fabbrica che produce il benessere dello stato».
Il travisamento dell'enciclica papale, rivelato dal Conte Sylva-Tarouca al Convegno dei cattolici a WuÈrzburg nel 1893, dimostra con tutta chiarezza quanto le dottrine degli antichi maestri siano divenute scomode per la chiesa. Ma anche se la chiesa da tempo ha concluso la pace col capitale, gli antichi pensieri relativi agli eventi economici continuano a vivere almeno nella mente dei suoi singoli credenti. Un uomo come Hohoff impara dagli scritti dei
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grandi dottori della chiesa medioevale che il denaro non puoÁ generare denaro, che solo il lavoro genera valori. Egli confronta questa dottrina con la quotidiana realtaÁ del mondo capitalista, nel quale pare che il denaro di giorno in giorno crei valori. Egli cerca una soluzione a queste contraddizioni e la trova negli scritti di Karl Marx. Scopre cosõÁ perche possa derivare un'entrata da un possesso non ricavato dal lavoro, e perche dal denaro possa venire altro denaro: perche il capitale sul mercato trova una merce di forma particolare, la merce forza-lavoro, che produce piuÁ valori che valore, in cambio del quale viene essa stessa messa in vendita. Non eÁ il capitale che produce valori, bensõÁ il lavoro umano; ma il capitale trae a se quei valori che sono prodotti della forza lavoro che esso ha preso in uso; poiche il valore della forza-lavoro eÁ inferiore al valore delle merci che essa produce, il p l u s v a l o r e rimane al capitale. La dottrina secondo cui solo il lavoro produce valori viene cosõÁ armonizzata col dato di fatto che il capitale frutti un interesse come utile d'impresa. La dottrina del plusvalore di Marx risolve la contraddizione che in apparenza sussiste tra la dottrina del valore secondo la chiesa e i dati di fatto della societaÁ capitalista. Con gioia Hohoff constata che la scoperta di Marx, quella del plusvalore, giustifica brillantemente la dottrina economica della Scolastica. La conclusione di Hohoff eÁ assolutamente corretta. Quel che i dottori della chiesa medioevale hanno saputo dire a proposito del valore delle merci si basa sull'osservazione della produzione artigianale delle merci, produzione nella quale il valore delle merci era determinato immediatamente ed evidentemente dal tempo necessario di lavorazione per produrle in quel contesto sociale. La dottrina del valore secondo Marx non eÁ altro che la dimostrazione di come la legge del valore della produzione artigianale si faccia strada anche nella produzione capitalista delle merci, sebbene qui molti passaggi intermedi nascondano la sua azione all'occhio inesperto. Di conseguenza il cattolico credente puoÁ trovare nella dottrina del
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valore di Marx la giustificazione delle dottrine di S. Tommaso d'Aquino. Appoggiandosi alla dottrina economica di Marx, Hohoff capisce dunque la grande lotta della classe operaia. Essa tende infatti all'eliminazione del contrasto tra capitale e lavoro, al ricongiungimento tra lavoro e proprietaÁ, all'eliminazione dello sfruttamento capitalista. EÁ in questo che Hohoff vede l'enorme tentativo di realizzare i comandamenti della chiesa medioevale. E certo con qualche ragione. Infatti, sebbene tanto diversa, la societaÁ socialista del futuro deriveraÁ da quella artigianale del passato, del cui spirito sono pervase le leggi economiche del diritto canonico: le due cose sono reciprocamente simili perche in entrambe i lavoratori sono anche padroni dei mezzi di lavoro e dell'introito del lavoro, ± naturalmente nell'una in quanto individui, nell'altra in quanto societaÁ ±; entrambe non conoscono provente che non venga se non dal lavoro; la societaÁ socialista elimineraÁ lo sfruttamento capitalista, che ha constatato la produzione artigianale delle merci come un fenomeno eccezionale, l'ha guardata percioÁ come immorale, e proibita come illegale. Tutto preso da un mondo di idee che viene da tempi pre-capitalistici, Hohoff conquista la comprensione di pensieri che annunciano e preparano un'epoca post-capitalista. Sicche Marx e Lassalle gli appaiono «strumenti in mano alla provvidenza». «Il socialismo in se», dice: «eÁ un alto e nobile ideale; nella sua comparsa concreta, storica, esso eÁ una frusta, un flagello di Dio per questa societaÁ moderna non piuÁ cristiana. Per quanto esso oggi si atteggi in maniera empia, bene o male insegneraÁ di nuovo al mondo a ubbidire ai comandamenti di Dio e della santa chiesa» L'unificazione del socialismo e della chiesa eÁ l'ardente desiderio di Hohoff. «Ma ± cosõÁ conclude le sue dichiarazioni ± purtroppo l'accecamento, l'ignoranza, il pregiudizio sono da tutte le parti egualmente grandi e, almeno per il momento, in apparenza, non eÁ percioÁ possibile sperare in una pacifica com-
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prensione e conciliazione, ci saraÁ invece una lotta all'ultimo sangue».
Sono realmente solo l'accecamento, l'ignoranza e il pregiudizio che contrappongono ovunque la chiesa e il socialismo con tanta ostilitaÁ? Noi crediamo di vedere presenti motivi piuÁ profondi di questa grande lotta. GiaÁ in passato la chiesa, condannando gli introiti non provenienti dal lavoro, ha tratto peroÁ per se ricche quote del ricavo del lavoro altrui. Certo in quel tempo queste entrate della chiesa non potevano essere equiparate al reddito privato; si presentavano come doni pubblici, contropartita di importanti funzioni sociali, statali e culturali che la chiesa doveva svolgere. Quelle funzioni le sono successivamente state sottratte dallo stato, dai comuni, dalle scuole pubbliche e dagli ospedali, dalle societaÁ di assicurazione degli operai, dalle organizzazioni proletarie; ma le sono rimasti l'enorme proprietaÁ fondiaria, il crescente capitale, le grandi entrate non originate dal lavoro. Il suo interesse l'ha portata a fianco dei possidenti. E i privilegi le sono rimasti anche nello stato classista capitalista. Difendendosi, leva percioÁ il suo scudo a difesa delle organizzazioni di potere del capitale. Ma non sono solo gli immediati interessi economici e politici che conducono la chiesa nel campo delle classi possidenti e dominanti. EÁ anche la preoccupazione per il proprio potere sulle anime che la rende avversaria del battagliero proletariato. La classe operaia ha potuto liberarsi solo con una grande rivoluzione della sua coscienza dall'umiltaÁ asservitrice dell'anima, e maturare solo con una grande rivoluzione spirituale una cosciente e mirata conduzione della propria lotta di classe. In questa rivoluzione, che lo stesso sviluppo capitalista ha suscitato, per le masse proletarie fu sconvolto tutto cioÁ che era stato sacro per i loro antenati. EÁ certamente vero che la grande lotta di liberazione del proletariato dai ceppi del capitale puoÁ andare d'accordo con qualsiasi idea dell'ultraterreno. EÁ certamen-
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te vero che i credenti della chiesa potrebbero condurre questa lotta con altrettanto profonda conoscenza dei fini e dei mezzi, con altrettanta fedeltaÁ e disponibilitaÁ al sacrificio, quanto i non credenti e gli indifferenti; ma resta anche vero che questa stessa rivoluzione delle condizioni di vita, mediante la quale il proletariato si eÁ liberato dal timore reverenziale servile al cospetto dei propri sfruttatori, dalla fede infantile nei propri oppressori, ha scosso la fede delle masse popolari negli insegnamenti della chiesa. Quelle stesse grandi esperienze vitali che hanno prodotto nelle masse popolari una nuova mentalitaÁ e una nuova volontaÁ sociale, hanno disgregato anche le loro vecchie rappresentazioni e i loro vecchi sentimenti religiosi. E questi mutamenti nella coscienza delle masse si rispecchiano nelle dottrine del socialismo scientifico, che ci insegna a conoscere che anche cioÁ che agli antenati pareva essere eterno comandamento di Dio eÁ opera dell'uomo e si trasforma con i mutamenti dei modi di esistere dell'uomo. In questi mutamenti del pensiero umano nei confronti delle idee religiose e delle comunitaÁ religiose, la chiesa sente minacciato il proprio potere sulle anime. E poiche i mutamenti della coscienza religiosa accompagnano i mutamenti della coscienza sociale, essa vede nel socialismo il proprio nemico. Se essa stessa dimentica i propri interessi economici e politici, che sono contrapposti agli interessi della classe proletaria, non puoÁ certo mai andare d'accordo con l'ideologia proletaria di classe. A questo modo le leggi della sua esistenza la riportano sempre nel campo dei padroni. Noi austriaci ne sappiamo qualcosa. Gli uomini, che qui un tempo si sono mossi per aprire la via al socialismo cattolico, oggi sono a capo di quel partito che combatte piuÁ di qualunque altro, con odio irriducibile, la classe operaia. Il Signor Scheicher, che un tempo ha accettato nella sua rivista gli scritti di Hohoff sulla dottrina del valore, quando quell'uomo coraggioso non riusciva a trovare nell'intera Germania un editore per il suo lavoro, il Sig. Schleicher, che ancor oggi loda l'ultimo scritto di Hohoff nel Karre-
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spondenzblatt fuÈr den katholischen Klerus, eÁ lo stesso che ha proposto per i lavoratori della campagna quel vergognoso ordinamento schiavistico, di fronte al quale lo stesso governo borghese ha dovuto salvaguardare il piuÁ tormentato fra tutti i ceti dei lavoratori. Nel silenzio del suo studio un uomo religioso sogna un bel sogno. Nell'inesorabile realtaÁ regna invece l'egoismo di classe e infuria la lotta di classe.
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(da «Der Kampf», 1909, vol. 3., pp. 66-70, firmato con lo pseudonimo KARL MANN; in Werkausgabe, vol. 8, pp. 288-296)
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LA
FINE DEL SOCIALISMO CRISTIANO
(1911)
Il grande edificio del partito cristiano-sociale fu costruito con materiali diversi. Fiumi e ruscelli diversi sono confluiti nel suo mare. Colui che voglia oggi comprendere la formazione di questa particolare struttura di partito, deve ricordare l'epoca in cui il liberalismo tedesco dominava l'Austria. Il partito cristiano-sociale eÁ sorto come movimento di difesa delle classi che il capitalismo, scatenato dal liberalismo, minacciava e opprimeva. Dal 1861 al 1878 i liberali furono il partito dominante in Austria. Anche qui il liberalismo fu il principio politico della grande borghesia. Qui come altrove significava: a livello politico, la forma parlamentare di governo, la centralizzazione del potere statale, il Kulturkampf contro la chiesa; in campo economico, la libertaÁ industriale, il frazionamento libero della proprietaÁ contadina, il manschesteriano Laisser faire, laisser passer, il rifiuto di qualsiasi intervento statale a favore dei piuÁ deboli economicamente in nome del ``libero sviluppo delle forze economiche''. Ma, nonostante le molte coincidenze, il liberalismo austriaco fu essenzialmente diverso da quello inglese, da quello francese e perfino da quello prussiano. In assai maggior misura fu estraneo al popolo. Anzitutto fu un fenomeno esclusivamente tedesco; percioÁ alle popolazioni slave il suo regime appariva come un dominio estraneo alla nazione. Ma anche all'interno della popolazione tedesca il ceto che lo sosteneva non poteva che essere esiguo; poiche il capitalismo industriale era ai suoi inizi e la grande bourgeoisie era un'elite poco numerosa della borghesia. Il liberalismo era
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debitore del proprio potere non alla propria forza. L'avevano messo in sella nel 1861 gli uomini di governo, sperando che l'Austria, cambiando colore con il liberalismo, avrebbe piuÁ facilmente vinto la battaglia contro la Prussia per il predominio in Germania. Lo avevano riportato al potere nel 1871 sotto l'influsso ungherese e prussiano. Poiche non doveva il proprio dominio alla propria forza, il liberalismo non poteva che far leva sulla violenza e sulla corruzione: sui privilegi elettorali delle ordinanze regionali di Schmerling; sull'influsso dell'elettorato del latifondo tramite la corte; sull'accaparramento dei voti delle Banche Chabrus; sulle brutali persecuzioni dei Cechi e dei clericali con tutti i mezzi della polizia di stato. Estraneo al popolo per la propria natura, il partito liberale era estraneo al popolo anche a causa delle persone che lo rappresentavano. Poiche nella giovane bourgeoisie austriaca gli ebrei erano assai numerosi, questi nel partito liberale avevano anche un ruolo quanto mai importante. Ad un gruppo ristretto era toccato il predominio proprio in un'epoca nella quale la pioggia dei miliardi francesi e la costruzione delle grandi linee ferroviarie in tutta Europa vitalizzavano le attivitaÁ delle fondazioni, le speculazioni in borsa e tutti i fenomeni connessi. In questo clima, il partito liberale, qui piuÁ che altrove, fu corrotto dalla connivenza con la borsa. Il grande Krach del 1873, mettendo fine a questo periodo di speculazioni, mise in dubbio la credibilitaÁ. Da tutte le parti comincioÁ a farsi sentire l'opposizione; e le correnti piuÁ importanti di queste opposizioni confluirono infine nel partito cristiano-sociale. Anzitutto si fece sentire nella piccola borghesia. La crescita di Vienna e l'aumento degli affitti spinsero gli artigiani nell'oscuro retro delle case dei sobborghi. Ma la clientela non li seguõÁ. Essa cercava le merci offerte dietro le iridescenti vetrine dei magazzini del centro storico e della Mariahilferstrasse. In questa maniera, tra l'artigianato e la sua clientela si inserõÁ il commercio mediato dal capitalismo. L'artigianato decadde al livello di lavoro a domicilio, al ser-
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vizio dei capitalisti. Una profonda insoddisfazione, ben presto esasperata da uno sfrenato rancore, si impadronõÁ dell'artigiano, che appena ieri era ancora un libero imprenditore e oggi eÁ diventato schiavo del capitale. Egli perse la fede nel ``libero gioco delle forze economiche''. Si attendeva la salvezza da un nuovo annuncio: eliminazione della libertaÁ industriale; restaurazione della corporazione artigiana, certificato di abilitazione, eliminazione del commercio intermediario. Divennero queste le sue parole d'ordine. Nel 1883 questo movimento conquistoÁ il primo successo sulle aziende con l'integrazione legislativa. Sebbene il certificato di abilitazione potesse da solo ``salvare'' l'artigianato dallo strapotere capitalistico, tuttavia le cooperative per legge gli offrirono una forte organizzazione. Fu questa che divenne il primo sostegno del partito cristianosociale. Contemporaneamente ebbe inizio un movimento analogo nell'ambiente rurale. Nell'economia rurale la produzione per il consumo locale venne sconvolta dall'espansione delle ferrovie, dal riversarsi sul paese dei prodotti dell'industria e dall'aumento della pressione fiscale. EntroÁ in campo l'economia monetaria. Il contadino divenne velocemente e massicciamente acquirente e venditore di merci. Questa rivoluzione avvenne proprio mentre, a motivo della crescente offerta di grano americano e russo, cominciavano a cadere i prezzi dei cereali. I contadini ne furono tanto piuÁ danneggiati, percheÂ, non ancora abituati ai modi dell'economia monetaria, divennero vittime degli intermediari e degli usurai. L'usura nelle campagne assunse proporzioni enormi, la pressione ipotecaria salõÁ velocemente ovunque, gli speculatori ne fecero di tutti i colori, e molti contadini furono cacciati dalle loro case e dalle loro terre. In questa difficile situazione, anche nei villaggi cominciarono a farsi strada nuove idee di riforma; con la recessione dell'analfabetismo e con la diffusione dei giornali esse trovarono rapida diffusione nelle campagne. Le leggi sull'usura, lo sgravio delle imposte fondiarie, il bloc-
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co delle ipoteche, il diritto privilegiato all'ereditaÁ, l'eliminazione della libertaÁ di frazionamento, la creazione di domicili non pignorabili: furono queste le richieste popolari che un po' per volta trovarono diffusione nell'ambiente contadino. Per difendersi dal commercio intermediario e dall'usura furono fondate delle cooperative agricole, in particolare le Casse Raiffeisen, che organizzarono il nuovo movimento. Anche questo confluõÁ nell'ampio fiume del partito cristiano-sociale. All'inizio il movimento degli artigiani e dei contadini trovoÁ i propri capi nelle file della nobiltaÁ e del clero. Il liberalismo aveva detronizzato entrambi; entrambi intendevano servirsi del movimento degli artigiani, e dei piccoli contadini per rovesciare il liberalismo e ristabilire il proprio potere. La nobiltaÁ se ne mise a capo: i conti Hohenwart e Belcredi, il principe Liechtenstein, il barone Vogelsang svilupparono l'ideologia del ``socialismo cristiano'': formularono l'atto d'accusa contro il ``capitale mobile'', strutturarono le esigenze degli artigiani e dei contadini in un sistema politico ed economico popolare: il superamento del manchesterismo, la rinnovata struttura del corpo sociale sulla base dell'organizzazione per ceti, una gerarchia delle organizzazioni, della quale dovevano costituire un'ampia base le cooperative controllate dei contadini e degli artigiani, mentre le posizioni di comodo erano riservate ai quadri della nobiltaÁ. Dunque una ristrutturazione sul modello della societaÁ feudale che l'assolutismo e il liberalismo avevano distrutto: ecco le idee che in particolare aveva formulato Vogelsang, il vero fondatore in Austria della dottrina del ``socialismo cristiano''. La chiesa mise la propria organizzazione a servizio di queste idee riformatrici. Essa trovava nella parrocchia, finanche dell'ultimo villaggio, il suo fiduciario locale. EÁ istruttivo oggi sfogliare gli scritti di Vogelsang. Nella critica al capitalismo Vogelsang eÁ un autentico allievo di Karl Marx, che egli non di rado cita. EÁ nello spirito di Marx che egli formula l'accusa al capitalismo. Gli rimprovera di
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atomizzare la societaÁ, di sfruttare il lavoratore, distruggere la sua salute, la sua gioia di vivere e la sua famiglia, di gettarlo nelle braccia del crimine e dell'alcolismo e di spingere le sue figlie alla prostituzione, di uccidere l'artigianato con la concorrenza e di trasformare il contadino in uno schiavo per debiti, di istigare gli stati alla politica di conquista e alla guerra mondiale. Egli stesso si sente vicino al socialismo nella lotta contro il capitalismo e il liberalismo: «le vie dei cristiani e dei social-democratici materialisti non divergono del tutto», afferma coraggiosamente contro le denunce della stampa capitalista 1. «La proprietaÁ eÁ un furto, dice il socialdemocratico. Ma ponendo l'accento su un altro vocabolo e dicendo: ``questa proprietaÁ eÁ un furto'', si esprime una veritaÁ cristiana e sociale e si vuol intendere la proprietaÁ come viene percepita oggi: la proprietaÁ assoluta per mezzo della quale non vengono posti obblighi politici e sociali. Questa proprietaÁ del tutto privata, assoluta, che eÁ a servizio dell'arbitrio, eÁ un furto contro Dio, eÁ furto contro la societaÁ e lo stato» 2. Nessuna meraviglia se la stampa capitalista protesta sdegnata che la nobiltaÁ feudale predichi il comunismo rosso! Anche l'antisemitismo agli inizi eÁ colorato di marxismo. Proprio nello spirito della Judenfrage di Marx, Vogelsang scrive: «Se per un qualche miracolo, in un qualche giorno benedetto, ci venissero portati via tutti i nostri ebrei, 1.400.000, ci verrebbe portato via ben poco dal momento che lo spirito ebraico ha contagiato anche noi, si eÁ incarnato nelle nostre istituzioni e ha pervaso tutta la nostra visione della vita, tutti i nostri affari. Non ci importa per niente che siano i battezzati o i circoncisi ad agire come ebrei... Dal momento che noi per effetto del liberalismo siamo eguali agli ebrei, gli ebrei stanno tanto volentieri con noi» 3. Qui si av1. VOGELSANG, Gesammelte AufsaÈtze, Augsburg, 1886, p. 389. 2. Ivi, p. 392. 3. Ivi, pp. 113 ss.
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verte l'antitesi del giovane Marx: «gli ebrei si sono emancipati in quanto i cristiani sono divenuti ebrei» 4. L'accusa al capitalismo era dunque l'autentica essenza del socialismo cristiano. Il socialismo cristiano ha rinfacciato al capitalismo tutto quello che gli rinfacciavano la nobiltaÁ, detronizzata dalla borghesia, la chiesa, limitata nel potere dalla borghesia, il piccolo borghese, divenuto schiavo del capitalismo, il contadino, la cui proprietaÁ eÁ divorata dalle ipoteche, il lavoratore, con la cui carne e le cui ossa il capitalista monetizza il profitto. Certo questa critica non eÁ rivolta al futuro, bensõÁ al passato: il suo sogno non eÁ il socialismo proletario, bensõÁ il diritto feudale e il corporativismo. Essa non combatte il socialismo in nome del f u t u r o , che lo supereraÁ, bensõÁ in nome del p a s s a t o che esso ha superato. Tuttavia questa critica non eÁ stata sterile. Per la prima volta con la sua violenta accusa ha condotto le grandi masse popolari alla vita politica, a cui fino a quel momento avevano preso parte solo un esiguo numero di nobili eccellenti, di ricchi borghesi, di ambiziosi dottori. Essa ha fatto cadere il liberalismo estraneo al popolo, ha scosso la fede nel capitalismo, ha messo all'ordine del giorno i grandi problemi sociali. Questo eÁ un suo merito storico. Nella lotta contro gli eredi degeneri del socialismo cristiano non vogliamo dimenticare l'opera storica dei suoi inizi. Guidati dalla nobiltaÁ e organizzati dal clero, gli artigiani e i contadini hanno portato al potere il partito cristiano-sociale. Ma questo non pote arrivare al governo senza mutare la propria natura. Anzitutto dal campo borghese sotto la sua bandiera si unirono nuove truppe: il borghese di antica tradizione viennese, il proprietario di case, il piccolo e medio produttore e commerciante, il medico e l'avvocato cristiano, gli impiegati e gli insegnanti. Tutti costoro odiavano il libera4. FRANZ MEHERING, Nachlaû 6 I, p. 426.
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lismo estraneo al popolo, che non era assolutamente e genuinamente viennese, che era rappresentato da ``immigrati'' e da ebrei, intrallazzato con le banche e la borsa e che era reso spregevole dal Krach, dal processo Offenheim e dalla ``teoria delle bustarelle'' di Giskras. Tutti costoro erano attratti dalla personalitaÁ di Lueger. Erano affascinati dallo slancio popolare del giovane movimento. Senza di essi non sarebbe mai stata possibile la conquista del secondo e del primo corpo elettorale. Ma il loro afflusso ha profondamente mutato il partito degli artigiani. Le accuse rivolte al capitalismo non avevano significato per loro: essi stessi erano dei proprietari, degli imprenditori, dei ``datori di lavoro''. Quel che cercavano nel nuovo partito non era l'accento crudamente anticapitalista, antiborghese; non era la lotta dei lavoratori contro il capitale. Per essi il partito non era niente di piuÁ che un buon partito viennese della borghesia, un partito viennese con tutte le virtuÁ e tutti i difetti della viennesitaÁ, massimamente un ``partito dalle mani pulite'' (Partei der reinen HaÈnde), che avrebbe dovuto bonificare il paese e il comune dal regime dei liberali non viennesi, estranei al popolo, corrotti ed ebreizzati. Quanto piuÁ strettamente il ceto medio e quello alto della borghesia viennese cristiana si univano al giovane partito, tanto piuÁ scomparivano dai discorsi e dagli scritti dei loro portavoce le espressioni un tempo tanto violentemente anticapitaliste. Il tono si faceva piuÁ indulgente. I modi di dire che i Gregorig e gli Schneider avevano portato con se dalle assemblee degli artigiani, apparivano troppo triviali al borghese colto che preferiva invece il tono da ``uomo di stato'' dei Pottai e dei Liechtenstein. Ma alle tendenze anticapitaliste si oppose non solo la presenza dei nuovi ceti. All'interno di quelle stesse classi che sostenevano e facevano avanzare il partito cristianosociale, presero corpo un po' per volta mutamenti che hanno cambiato sia il mondo del pensiero che quello degli stati d'animo. Il maggior influsso sul partito l'ha avuto l'ascesa della
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classe dei lavoratori. Quando i cristiano-sociali iniziarono la loro campagna, i lavoratori non avevano alcun potere. Non avevano alcun diritto di voto, e non erano percioÁ dei concorrenti nella lotta politica che si combatteva nel chiuso delle classi di censo. Non avevano sindacati e non potevano dare fastidio agli artigiani con richieste salariali. Non avevano cooperative di consumo e non facevano percioÁ concorrenza ai bottegai. I lavoratori erano temuti; e percioÁ erano per il socialismo cristiano oggetto di compassione, puro e semplice materiale dimostrativo per accusare il capitalismo. A quel tempo Belcredi, Liechtenstein, Ernst Schneider sostenevano la legge a difesa dei lavoratori ± naturalmente solo per le fabbriche! A quel tempo Vogelsang con parole appassionate opponeva alle lagnanze liberali a proposito del terrorismo degli anarchici, la contro-lagnanza a proposito «delle provocazioni per il rivoltante abuso del potere economico da parte dei datori di lavoro» 5. Ma poco alla volta il potere dei lavoratori crebbe. Questi divennero troppo potenti per poter ancora essere oggetto di compassione. GiaÁ nella V Curia e proprio sotto il dominio del suffragio universale, la socialdemocrazia eÁ diventata il nemico politico piuÁ pericoloso dei cristiano-sociali. I sindacati, che si stanno rafforzando, esigono anche dagli artigiani salari piuÁ alti e giornate lavorative tempi di lavoro piuÁ brevi. Le cooperative di consumo dei lavoratori sostituiscono il commerciante. L'organizzazione della gioventuÁ ottiene un'efficace protezione per l'apprendista. Il movimento dei lavoratori si fa scomodo per l'artigiano e per il commerciante. I successi del movimento provocano in entrambi uno stato d'animo ostile ai lavoratori. Con la bancarotta del corporativismo artigiano non si fa che rafforzare questo stato d'animo. Tutte le riforme dell'ordinamento industriale non bastano a spezzare la potenza del capitale. L'artigiano non crede piuÁ che l'organizza5. Ivi, p. 12.
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zione cooperativista e il certificato di abilitazione possano ridare all'artigiano un lastrico d'oro. Nella disperata lotta della concorrenza tenta di difendersi dalla concorrenza capitalista; di fronte ad ogni richiesta che i lavoratori della sua officina gli pongono, egli teme che la sua capacitaÁ concorrenziale venga totalmente distrutta. Ogni nuova filiale di una cooperativa di consumo gli si presenta come un nuovo nemico a caccia di clientela. Sombart ha correttamente dimostrato «che oggi l'artigiano, per quanto dia ancora lavoro a degli avventizi, per lo piuÁ costruisce la propria capacitaÁ di esistere sullo sfruttamento della manodopera minorile» 6. Nessuna meraviglia, quindi, che nulla amareggi tanto gli artigiani quanto i nostri sforzi per le organizzazioni giovanili e la protezione degli apprendisti. L'artigianato puoÁ restare a galla nell'impari lotta contro l'impresa capitalista soltanto con l'esasperato sfruttamento dei garzoni e degli apprendisti. I successi del movimento dei lavoratori glielo rendono impossibile. PercioÁ egli vede nel movimento dei lavoratori il suo piuÁ pericoloso nemico. Contemporaneamente si costituiscono le associazioni degli imprenditori. Produttori e maestri artigiani conducono insieme la lotta contro i sindacati. Il produttore entra nell'assicurazione degli imprenditori come capo degli artigiani, come loro difensore contro i lavoratori. Gli artigiani vedono con favore la campagna che i sobillatori dei grandi industriali conducono duramente contro i diritti sindacali, contro l'aumento dei contributi assicurativi per gli infortuni, contro l'eliminazione delle penalitaÁ per la rottura dei contratti e del libretto di lavoro. Ben presto i rappresentanti degli artigiani siedono allo stesso tavolo con i rappresentanti dei grandi industriali per progettare in comune piani di guerra contro la socialdemocrazia e i sindacati. Tutti i datori di lavoro contro la socialdemocrazia ! EÁ lo slogan. 6. SOMBART, Der moderne Kapitalismus, II, p. 569.
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L'opposizione al capitale impallidisce davanti al comune interesse contro i lavoratori. Altri fatti vanno nella stessa direzione. La grande paura del 1873 eÁ dimenticata. EÁ cresciuta una nuova generazione che non ha vissuto il ``venerdõÁ nero''. Le banche e la borsa non sono piuÁ uno spauracchio. Chi lavora nell'industria porta i propri risparmi alla filiale della banca, il commerciante specula sulle azioni Skoda, nella giunta della cooperativa di credito ci si abitua all'acquisto e alla vendita dei titoli di credito. Il ``capitale mobile'' ha perduto le sue paure... Mutamenti del tutto simili avvengono nei paesi di campagna. La Raiffeisenkasse ha cacciato dal villaggio l'usuraio. Il credito ipotecario sa come proteggere il contadino proprietario; gli daÁ la possibilitaÁ di fare delle migliorie che producono un buon aumento del prezzo dei cereali. La cooperativa agricola un po' per volta limita il commercio di intermediazione; e il contadino, che ha imparato a far di conto, non viene piuÁ tanto facilmente imbrogliato dal mediatore come nel passato. Le cooperative agricole investono i loro capitali in titoli e i loro rappresentanti fanno parte del consiglio della borsa dei cereali. Altre cooperative gestiscono latterie, distillerie, zuccherifici e fanno parte con i capitalisti dei comitati dei cartelli. Anche qui l'opposizione al capitalismo impallidisce. Il contadino proprietario ha altre preoccupazioni. Desidera alti prezzi per i suoi cereali, il suo bestiame, il suo latte; qui si scontra con la resistenza dei lavoratori che esigono generi alimentari a buon mercato. Nella lotta contro le dogane e le chiusure dei confini, anche lui vede nella socialdemocrazia il nemico piuÁ pericoloso. Contemporaneamente muta anche il quadro del mercato agricolo del lavoro. I lavoratori dell'industria hanno conquistato salari piuÁ alti e orari di lavoro piuÁ corti. CioÁ attrae verso la cittaÁ i lavoratori agricoli e i figli dei contadini: la ``fuga dai campi'' spopola il mercato agricolo del lavoro. Il contadino eÁ costretto a concedere salari piuÁ alti e un trattamento migliore, se vuole ancora trovare
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servi e serve. Con dispetto nota che anche il lavoratore agricolo non saluta piuÁ con la deferenza di un tempo. Si risveglia in lui l'istinto dell'imprenditore. Egli capisce che l'elevazione dei lavoratori agricoli eÁ l'effetto delle lotte condotte dai lavoratori socialdemocratici della cittaÁ. Anche qui, di conseguenza, il nemico eÁ la socialdemocrazia! Anche qui percioÁ aumenta la rabbia contro i lavoratori nella stessa misura in cui diminuisce l'odio contro il capitalismo. Non diversamente vanno le cose nel castello del n o b i l e . Fa parte del cartello delle distillerie e degli zuccherifici, possiede azioni delle Alpinen: che significato hanno ormai per lui le ostilitaÁ al capitalismo? Ma che i socialdemocratici vogliano eliminare il premio degli alcoolici e gli aizzino centro gli operai forestali, gli fa naturalmente rabbia. E il c l e r o ? Da molto tempo ormai ha fatto pace con le leggi di politica ecclesiastica del 1868 e del 1874, che lo avevano tanto amareggiato; oggi sa che si puoÁ benissimo andar d'accordo con esse. Gli eredi del vecchio liberalismo non lo indispettiscono neanche piuÁ. Con loro si impreca insieme contro i Sozi [socialisti], che «diffondono l'irreligiositaÁ»... Vediamo dunque su tutta la linea lo stesso quadro: un costante indebolimento dell'opposizione al capitalismo e un costante aumento dell'odio contro la classe dei lavoratori. L'ascesa politica accelera questa evoluzione: ministri e consigli regionali, che debbono avere relazioni d'affari con banche e produttori, debbono pur trovare con essi un accordo! A maggior ragione se la prendono con l'opposizione socialdemocratica. Se ci si vuol chiarire tutto questo processo evolutivo, si prendano in mano gli eccellenti scritti di Vogelsang e li si confronti con l'odierna prassi dei cristiano-sociali! Si leggano le invettive di Vogelsang sullo sfruttamento nelle fabbriche e si pensi a come il Signor Dr. Weiskirchner al congresso degli industriali di Linz ascolta la relazione del Signor Gunther, direttore della SocietaÁ austriaca degli stabilimenti minerari e metallurgici. Si leggano le terribili accuse di Vogelsang contro le banche e si pensi come il
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Signor Gessmann, della Baukreditbank, parla con il Sig. Lohnstein della LaÈnderbank! Si legga di Vogelsang la viscerale critica alla borsa e si pensi ai vivaci articoli del giornalino del Sig. Bielohlawek! Si legga come Vogelsang rinfaccia al capitalismo le responsabilitaÁ per il povero vagabondo e ci si ricordi poi dei discorsi del Sig. Bauchinger, carichi d'odio contro gli accattoni! I cristiani sociali costituiscono un potente partito. Ma il socialismo cristiano eÁ morto. Nella loro coscienza esso sopravvive solo come scomodo ricordo del passato. Il capitalismo si eÁ rivelato piuÁ forte dei suoi avversari. Dei suoi oppositori se ne eÁ fatto dei seguaci. Naturalmente qua e laÁ ``vorrebbero recidere'' questa o quella ``escrescenza''. Uno vuole eliminare il commercio a termine, l'altro il commercio ambulante, un altro ancora la dogana sul ferro e un altro ancora vorrebbe tassare le quote di interesse. Ma tutte queste cose non sono altro che riformucce all'interno della struttura capitalista. Non mutano nulla del sistema economico. Il socialismo cristiano eÁ morto. I cristianosociali non sono piuÁ un partito anticapitalista. Le loro armi vengono puntate non contro il capitale, bensõÁ contro il proletariato. Non poteva andare altrimenti. Le classi del passato non sono capaci di superare il capitalismo: hanno dovuto integrarsi e subordinarvisi. Solo la classe del futuro puoÁ superare il capitalismo. Unicamente la classe dei lavoratori non potraÁ mai riconciliarsi col capitalismo: poiche la sua forza eÁ l'impotenza di quello, la sua ricchezza eÁ la povertaÁ di quello. Solo il proletariato puoÁ condurre la lotta contro il capitalismo. Il socialismo cristiano eÁ morto. Il socialismo proletario continua a lottare e ad operare. (da «Der Kampf», 1ë Giugno 1911, fascicolo 9; ora in Werkausgabe, vol. 8, pp. 515-524)
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RELIGIONE
E CHIESA
dal Programma del Congresso del Partito Operaio Socialdemocratico Austriaco-tedesco di Linz
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(1926)
[...] 7. Il capitalismo mantiene grandi masse popolari in uno stato di miseria, d'ignoranza e di sottomissione. Questa condizione determina anche le idee religiose di queste masse popolari. Soltanto in un ordine sociale, che liberi tutto il popolo dalla miseria e dall'ignoranza, che renda accessibili le conquiste della scienza a tutti e riconosca ognuno membro di diritto della comunitaÁ del popolo liberata dal dominio di classe, ciascun individuo saraÁ in grado di conciliare in piena libertaÁ la propria Weltanschauung con i risultati della scienza e con la dignitaÁ morale di un popolo libero. Lottare per un tale ordine sociale eÁ il compito della socialdemocrazia. A questo scopo, la socialdemocrazia deve unire tutti quelli che sono sfruttati dal capitale e dal latifondo, quali che siano le loro idee religiose, e quali che possano essere i modi in cui le loro idee religiose vengono influenzate dallo stato di miseria e d'ignoranza in cui li mantiene il capitalismo. La socialdemocrazia unisce cosõÁ tutti coloro che vogliono prender parte alla lotta di classe della classe operaia e delle classi popolari raccolte intorno a lei, senza differenza di convinzioni religiose. Contrariamente al clericalismo, che fa della religione un affare di partito, per dividere la classe operaia e mantenere grandi masse proletarie al seguito della borghesia, la socialdemocrazia considera la religione come un fatto privato dell'individuo.
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La socialdemocrazia non combatte, dunque, la religione, le convinzioni e i sentimenti degli individui, ma le chiese e le societaÁ religiose che usano il loro potere d'influenza sui fedeli per opporsi alla lotta d'emancipazione della classe operaia e per sostenere, cosõÁ, il dominio della borghesia. La socialdemocrazia combatte il diritto ecclesiastico di Stato attualmente in vigore. Essa esige una regolamentazione del rapporto fra stato e chiesa, che garantisca ad ogni chiesa e societaÁ religiosa il diritto di insegnare e di operare secondo la propria fede, che assicuri ad ogni individuo il diritto di vivere secondo gli insegnamenti della propria chiesa o della propria societaÁ religiosa; ma che non permetta che lo Stato costringa i cittadini a prestazioni economiche a favore della Chiesa, a prendere parte all'insegnamento religioso della Chiesa, alle cerimonie di culto religiose e costringa all' obbedienza ai precetti ecclesiastici. La socialdemocrazia esige, percioÁ, la separazione di stato e chiesa secondo i seguenti principi: Tutte le Weltanschauungen (religioni, dottrine filosofiche e scientifiche d'ogni sorta) sono uguali davanti alla legge. Ognuno ha il diritto di decidere liberamente la propria adesione ad una comunitaÁ ideologica (Chiesa, societaÁ religiosa, comunitaÁ libera religiosa o areligiosa); per i figli fino a quattordici anni decidono i genitori. Tutte le comunitaÁ ideologiche (chiese, comunitaÁ religiose ecc.) sono enti di diritto privato. Esse ordinano e amministrano da se le loro faccende e retribuiscono i loro funzionari senza l'intervento dello Stato. Devono pagare da se le spese della loro amministrazione e del loro esercizio liturgico, le spese dell'insegnamento ideologico (insegnamento religioso) e della formazione e mantenimento dei curatori d'anime e insegnanti di religione. L'impiego di mezzi pubblici per tutti questi scopi eÁ escluso. Tutto il sistema d'insegnamento e d'educazione eÁ secolare. Viene lasciato, tuttavia ad ogni comunitaÁ ideologica,
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al di fuori della sfera dell'istruzione generale, il diritto di provvedere all'istruzione ideologica (insegnamento religioso) e alle pratiche religiose degli scolari. Per la partecipazione dei figli fino ai quattordici anni decidono i genitori. Le facoltaÁ di teologia sono escluse dalle UniversitaÁ. Diritto matrimoniale unificato per tutti i cittadini dello Stato, senza distinzioni confessionali. Celebrazione del matrimonio davanti ad autoritaÁ civili; ma ciascuno rimane libero di sposarsi anche in Chiesa, dopo la celebrazione civile. Gli impedimenti matrimoniali derivanti dalla diversitaÁ di religione, dalle consacrazioni e dai voti religiosi, e l'indissolubilitaÁ del matrimonio cattolico non hanno alcun valore davanti allo Stato. Riconoscimento legale delle dispense matrimoniali. Tenuta dei registri di matrimonio da parte delle autoritaÁ statali. (da Programm der Sozialdemokratischen Arbeiterpartei DeutschoÈsterreichs ± Beschlossen vom Parteitag zu Linz am 3. November 1926 ± in Wekausgabe, vol. 3, pp. 1031-1033)
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SOCIALDEMOCRAZIA RELIGIONE E CHIES A
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Un contributo alla spiegazione del Programma di Linz
Vienna 1927 Edizione della libreria del popolo di Vienna
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PREFAZIONE
Il congresso di Linz ha approvato il nostro nuovo programma. Inserire il programma di Linz nel patrimonio spirituale delle centinaia di migliaia di menti di nostri compagni di partito eÁ il compito piuÁ importante del nostro lavoro educativo all'interno del partito. In questo senso l'illustrazione del Programma di Linz eÁ uno dei prossimi e principali compiti della nostra letteratura politica. Ho iniziato questo lavoro con la spiegazione della sezione del nostro programma, che tratta del rapporto del nostro partito con la religione e con la chiesa. Le idee espresse in questa sezione non hanno incontrato l'approvazione unanime di tutti i compagni. Infatti, nei loro confronti esistono, all'interno del nostro partito, malintesi, passioni e pregiudizi diversi. EÁ per questo che l'illustrazione di questa sezione del nostro programma m'eÁ parsa particolarmente importante e urgente. Uno dei compiti piuÁ importanti del nostro partito eÁ di raggiungere le masse di contadini proletari, che sono ancora lontane da noi. Miravano a questo scopo i miei due ultimi lavori: Der Kampf um Wald und Weide [La lotta per il bosco e il pascolo] (Vienna 1925) e Sozialdemokratische Agrarpolitik [Politica agraria socialdemocratica] (Vienna 1926). Ma la nostra lotta per la conquista delle campagne richiede non soltanto una conoscenza approfondita delle questioni della politica agraria, ma anche il compimento pieno del lavoro di propaganda e di organizzazione secondo lo spirito di quel capitolo del nostro programma di Linz che stabilisce il nostro rapporto con la re-
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ligione e con la chiesa. Anche la spiegazione di questa sezione vuole, quindi, favorire il compito d'importanza vitale, cui cercavano di giovare i miei due ultimi lavori. Il mio opuscolo era giaÁ redatto e composto quando il Consiglio nazionale indisse le nuove elezioni. I tempi della campagna elettorale non sono favorevoli alla discussione delle questioni interne di partito; percioÁ l'opuscolo eÁ stato pubblicato solo dopo la battaglia elettorale. Le esperienze della campagna elettorale gli conferiscono attualitaÁ. La lista unitaria, che in questa campagna elettorale ci siamo trovati di fronte, ha mostrato chiaramente l'alleanza della gerarchia capitalistica con la gerarchia ecclesiastica, la coalizione dei magnati industriali e dei vescovi, della stampa finanziaria e dei predicatori dal pulpito. Il risultato elettorale mostra a tutti i lavoratori che la borghesia puoÁ ancora dominare solo perche la chiesa sfrutta i sentimenti religiosi delle masse popolari allo scopo di mantenere il dominio della borghesia. Il problema del mio opuscolo, quello di sapere come riuscire a sottrarre al capitale questo sostegno, eÁ il problema della nostra lotta per il potere politico. Esattamente quattrocento anni fa, nell'anno 1527, Ferdinando I d'Asburgo promulgoÁ il suo decreto sanguinario contro il gran movimento degli anabattisti, che era diffuso allora tra i minatori, gli artigiani, i contadini della Bassa e Alta Austria e delle nostre regioni alpine. Questi anabattisti erano cristiani di profonda fede. «Avevano l'aria di condurre una vita veramente cristiana, non tolleravano alcun vizio, si prendevano cura dei fratelli e delle sorelle e contro i loro nemici avevano solo parole di pace e di indulgenza. ``Spetta al Signore, non a noi [esercitare] la vendetta'', era uno dei principi della comunitaÁ». Questi anabattisti erano socialisti, che si sforzavano di rivivere il comunismo delle comunitaÁ cristiane delle origini. «Pur separati dagli altri, essi posseggono tutto in comune; nessuno dice che `questo eÁ mio', e per essi ogni proprietaÁ privata eÁ peccato», riferisce di loro Sebastiano Franck.
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Questi anabattisti furono i primi a lottare per la separazione di chiesa e stato. Balthasar Hubmaier, che Ferdinando I fece ardere vivo il 1 Marzo 1528 sulla brughiera nei pressi di Erdberg, nei suoi scritti aveva sostenuto per primo l'idea che la vera chiesa non puoÁ esistere laddove «il potere temporale e la chiesa cristiana sono sottomessi l'uno all'altro». La controriforma cattolica ha sterminato con terribile crudeltaÁ il movimento anabattista. «Possiamo denunciare in veritaÁ», riferiva il governo tirolese, «che in due anni c'eÁ stato raramente un giorno in cui non siano pervenute al nostro Consiglio questioni riguardanti gli anabattisti. In questa contea del Tirolo piuÁ di 700 persone, tra uomini e donne, sono state giustiziate in diverse localitaÁ, una parte eÁ stata scacciata dal paese e un numero ancora piuÁ grande ha dovuto fuggire in miseria, abbandonando i propri beni e certuni anche i propri figli». Se la gente non fosse cosõÁ ostinata, allora «le innumerevoli e crudeli punizioni inflitte a vecchi e giovani, a uomini e donne, alcuni dei quali non arrivano mai alla fine naturale dei propri giorni, per il fatto che quasi tutte le settimane le hanno davanti agli occhi, dovrebbero far nascere giustamente una paura da incutere un terrore tale che nessuno entrerebbe nella setta in maniera cosõÁ insolente, come, in effetti, accade. Non possiamo impedire l'assurditaÁ, che si trova ora comunemente nelle genti, cioeÁ che non solo non hanno alcun orrore della punizione subõÁta dagli altri, ma vanno laÁ dove possono assistervi, perfino dai carcerati, e si autodenunciano come loro fratelli e sorelle; e quando i giudici tendono loro delle insidie e vi cadono, essi confessano liberamente senza tortura, non vogliono ascoltare alcun ammaestramento e raramente uno si lascia convertire dalla sua miscredenza e la maggior parte desidera solo di morire presto». Quando la socialdemocrazia lotta contro il fatto che si abusi della genuina religiositaÁ popolare a sostegno del dominio del capitale, le conviene pensare a quei cristiani e socialisti dalla fede profonda, che piuÁ di quattrocento anni
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fa a migliaia hanno sofferto la tortura nelle carceri degli Asburgo e sono morti sui roghi della controriforma. Desideriamo dedicare questo scritto alla memoria di questi martiri di un socialismo credente. Vienna, Maggio 1927.
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Otto Bauer
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CHIESA E LOTTA DI CLASSE
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CHIESA
E NOBILTAÁ NELLA SOCIETAÁ FEUDALE
I signori terrieri, laici ed ecclesiastici, erano le due classi dominanti della societaÁ feudale. Al vertice dei signori laici si trovava l'imperatore, sotto di lui i principi e sotto di loro i conti, i baroni e la cavalleria. Alla testa dei signori ecclesiastici si trovava il papa, sotto di lui i vescovi e gli abati, e sotto di loro i preti secolari e gli ordini religiosi. La ricchezza e la potenza di queste due classi di signori erano basate sullo sfruttamento dei contadini. I contadini dovevano fornire corveÂes e pagare tasse tanto ai signori laici quanto a quelli ecclesiastici. Entrambe le classi dei signori lottavano l'un l'altra per la supremazia nella societaÁ feudale. I papi, in quanto rappresentanti di Cristo, pretendevano ogni potere sulla terra. Consideravano gli imperatori e i re come loro vassalli. Si arrogavano il diritto di confermare o di respingere l'elezione di imperatori e re, di giudicarli e revocarli. D'altra parte, imperatori e principi rivendicavano per se non solamente il potere temporale, ma anche il potere sulla chiesa. Nominavano e destituivano papi, vescovi e abati. S'impadronivano delle considerevoli ricchezze della chiesa. La lotta tra imperatori e papi si protrasse lungo tutti i secoli del Medioevo. E questa lotta si rifletteva nei singoli paesi nelle lotte tra principi e vescovi. Fu cosõÁ anche in Austria. In questo paese, lungo i secoli, i principi asburgici condussero lotte accanite contro la chiesa, che sfociarono talvolta in faide sanguinose: lotte per l'istituzione di proprie
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diocesi regionali, indipendenti dall'arcivescovado di Salisburgo; lotte per il diritto di nomina dei vescovi, per la delimitazione dei diritti della giurisdizione ecclesiastica e di quella laica; lotte per la tassazione obbligatoria dei beni della chiesa. La storia della societaÁ feudale eÁ la storia della lotta di classe tra la classe dei signori laici e la classe dei signori ecclesiastici: tra i principi e la nobiltaÁ da una parte, e la chiesa, dall'altra.
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LA
CHIESA AL SERVIZIO DELL'ASSOLUTISMO
Ma in seno alla societaÁ feudale si svilupparono a poco a poco le cittaÁ, il commercio e l'industria mineraria. L'economia di natura cedette il posto all'economia finanziaria. Le crescenti imposte delle cittaÁ e i crescenti proventi dall'industria mineraria incrementarono le entrate dei principi. Poterono cosõÁ mettere al loro servizio eserciti mercenari sempre piuÁ numerosi. Poterono cosõÁ affidare la direzione dei loro affari a funzionari sempre piuÁ retribuiti. CosõÁ il potere dei principi, basato sul potere fiscale delle cittaÁ, si rafforzoÁ. Solo allora i principi poterono sottomettere entrambe le classi dominanti della societaÁ feudale, la nobiltaÁ e la chiesa. Gli eserciti mercenari dei principi abbatterono fin dalle fondamenta i castelli feudali. Sbaragliarono gli schieramenti degli stati provinciali dei nobili. Trasformarono la nobiltaÁ feudale, orgogliosa della propria indipendenza, nella nobiltaÁ cortigiana dei principi. Gli eserciti mercenari dei principi fondarono l'assolutismo. Insomma soltanto i principi erano abbastanza forti da ridurre anche la chiesa a strumento del potere principesco. L'occasione venne loro offerta dal formidabile movimento della Riforma che attraversoÁ l'Europa nel secolo XVI. La trasformazione completa dei rapporti sociali tradizio-
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nali, provocata dallo sviluppo del protocapitalismo nelle cittaÁ, nell'industria mineraria, nel commercio, aveva spinto le masse popolari alla ribellione. Esse facevano ricorso agli insegnamenti del Vangelo. Nel nome del cristianesimo, cosõÁ come lo capivano dal Vangelo, ingaggiavano la lotta contro i loro oppressori, i principi, la nobiltaÁ e la chiesa. Il movimento rivoluzionario raggiunse il suo culmine con la guerra dei contadini. Gli eserciti mercenari a servizio dei principi sconfissero i contadini. Ma i principi approfittarono della loro vittoria, non per ristabilire il vecchio dominio della nobiltaÁ e della chiesa, ma per asservire nobiltaÁ e chiesa al potere assoluto dei principi. Nei paesi strappati dalla Riforma alla chiesa cattolica romana, i principi si misero a capo della chiesa. Il re diventoÁ signore della chiesa, la chiesa diventoÁ istituzione statale e i preti furono messi a servizio dello stato. Come gli eserciti mercenari mantenevano il popolo nell'obbedienza al principe, e come i funzionari si occupavano dell'amministrazione pubblica a nome e per conto del principe, cosõÁ i preti avevano il compito di insegnare al popolo che era comandamento divino pagare prontamente le tasse a favore del principe e morire volontariamente per lui. Ma la chiesa diventoÁ istituzione statale anche nei paesi nei quali la Riforma era stata battuta. In Austria, gli Asburgo hanno estirpato il protestantesimo con brutale violenza. Con i mezzi del potere statale hanno sottomesso tutto il popolo ai precetti della chiesa; chi non andava a confessarsi nel periodo di Pasqua, chi non seguiva i precetti festivi della chiesa, perfino chi aderiva a dottrine eretiche, cadeva sotto lo spietato potere punitivo dello stato. Ma gli Asburgo hanno sottomesso il popolo alla chiesa unicamente per trasformare la chiesa in strumento del loro dominio, in strumento dell'assolutismo. L'imperatore Ferdinando II stesso, espellendo i protestanti dall'Austria, ha posto la base per il dominio dello stato sulla chiesa catto-
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lica. I suoi successori hanno continuato, e Maria Teresa e Giuseppe II hanno solo portato a termine quello che egli aveva iniziato. Il giuseppinismo completoÁ cioÁ che la Controriforma aveva cominciato. L'assolutismo ha ridotto sensibilmente il potere del papa sulla chiesa cattolica nei paesi di ereditaÁ degli Asburgo per assoggettarla a se stesso: le bolle papali potevano essere promulgate ormai solo con l'autorizzazione dell'imperatore. L'assolutismo ha ristretto notevolmente la sfera d'azione della chiesa, per allargare il potere della propria burocrazia; ha ristretto un po' alla volta la competenza dei tribunali ecclesiastici. L'assolutismo ha trasformato la chiesa in una semplice istituzione statale: era, infatti, l'imperatore che nominava i vescovi, affidava l'educazione degli ecclesiastici a seminari statali, regolamentava i beni della chiesa, emanava disposizioni generali per collegi e conventi e, infine, sopprimeva quegli ordini che non servivano agli scopi dello stato. Nel corso dei secoli, la chiesa si eÁ opposta tenacemente, ma invano, al potere assoluto che la trasformava in proprio strumento. L'assolutismo, con una brutale violenza costrittiva, ha sottomesso il popolo al monopolio dell'insegnamento ed ai precetti della chiesa. Ma, contemporaneamente, ha ridotto la chiesa stessa a propria serva. CosõÁ il potere della chiesa sul popolo non fu che uno strumento di potere nelle mani dell'assolutismo; la chiesa stessa non fu che una parte integrante del sistema di dominio dell'assolutismo. LA
CHIESA E LA RIVOLUZIONE BORGHESE
Sotto la protezione dell'assolutismo si sviluppoÁ a poco a poco il capitalismo. La borghesia si rafforzoÁ nel numero, nella ricchezza, nell'istruzione e nella coscienza di classe. Quanto piuÁ diventava potente, tanto piuÁ grande diventava la sua ostilitaÁ contro l'assolutismo. La borghesia ingaggioÁ battaglia contro l'assolutismo, rivendicando una costituzione che affidasse a un Parlamen-
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to eletto dalla borghesia il diritto di emanare le leggi e di controllare il governo. Combatte contro i privilegi della nobiltaÁ. Il borghese, diventato ricco, non voleva sottostare al nobile. Combatte contro il regime feudale della proprietaÁ fondiaria, che l'assolutismo salvaguardava. Ma nella sua lotta contro l'assolutismo e il feudalesimo, la borghesia s'imbatte nella chiesa: in quella chiesa che s'era trasformata in istituzione, in strumento di dominio dell'assolutismo, il cui potere sui fedeli serviva a mantenere il popolo nell'obbedienza e nella devozione all'assolutismo; s'imbatte nelle diocesi, nei monasteri e conventi che, essendo essi stessi grandi proprietari terrieri, difendevano, assieme alla nobiltaÁ, il regime feudale della proprietaÁ fondiaria. La borghesia condusse la lotta contro la chiesa innanzi tutto con armi culturali: la filosofia illuminista borghese sconvolse i credenti religiosi dei ceti elevati del popolo. La borghesia intraprese poi la lotta anche con armi politiche: la rivoluzione borghese, assieme all'assolutismo, distrusse dappertutto anche il suo sistema di chiesa statale. Alla costrizione religiosa imposta dall'assolutismo, la rivoluzione borghese oppose la libertaÁ individuale di fede e di coscienza; alla chiesa di stato dell'assolutismo oppose l'uguaglianza dei diritti di tutte le chiese e di tutte le confessioni religiose. In Austria la Dieta Imperiale, eletta nella tempestosa rivoluzione del 1848, accolse, nella costituzione da essa elaborata, i seguenti principi: Ad ogni cittadino austriaco eÁ garantita la libertaÁ di fede e di esercizio pubblico della propria religione. Nessuna societaÁ religiosa (chiesa) beneficia di altro privilegio da parte dello stato. Nessuno, in generale, puoÁ essere costretto dallo stato ad atti e celebrazioni religiosi o, in particolare, essere obbligato a un culto che egli non professa.
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La diversitaÁ di religione non giustifica alcuna differenza di diritti e doveri tra cittadini.
La chiesa oppose resistenza contro questi principi della rivoluzione borghese. EÁ vero, sõÁ, che rivendicoÁ la libertaÁ dai vincoli che l'assolutismo le aveva imposto, ma pretese, tuttavia, il mantenimento dell'antico obbligo di professare la fede religiosa, dei suoi antichi privilegi e del suo vecchio monopolio dell'insegnamento. Vescovi e prelati si schierarono cosõÁ dalla parte della corte e della nobiltaÁ contro la rivoluzione borghese. In questo modo la chiesa benedisse le sciabole e i patiboli della controrivoluzione trionfante. La controrivoluzione ringrazioÁ la chiesa con i decreti del 1850, che le accordarono la sua libertaÁ, sopprimendo la tutela ``giuseppina'' dello stato sulla chiesa; con il concordato del 1855, che assoggettava alla chiesa la scuola elementare statale; e con la legislazione matrimoniale statale. CosõÁ, se prima del 1848 la chiesa era un organo dell'assolutismo, dopo il 1848 l'assolutismo fu un organo della chiesa. CLERICALISMO
E LIBERALISMO
L'assolutismo, cosõÁ risorto, crolloÁ di nuovo sui campi di battaglia del 1859 e del 1866. Le costituzioni del 1861 e del 1867 esclusero le grandi masse popolari dal diritto di voto per le Diete Regionali (Landtage) e il Consiglio Imperiale (Reichsrat). Soltanto la grande proprietaÁ terriera e la grande borghesia furono chiamate da queste Costituzioni a partecipare al potere legislativo. Dal momento in cui le masse popolari vennero escluse, la storia dell'Austria, fondata su queste costituzioni, nel periodo che va dagli anni Sessanta fino agli anni Ottanta, fu la storia della lotta di classe tra la grande borghesia, da una
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parte, e la grande proprietaÁ fondiaria dei nobili e degli ecclesiastici, dall'altra. Da una parte stava il partito liberale: il partito degli industriali, commercianti, banchieri, dei professori e degli avvocati. Dall'altra parte stava il partito feudo-clericale, diretto dall'alta aristocrazia fondiaria e dall'alto clero. Il liberalismo riprese la lotta contro il regime della chiesa di stato, abrogando il concordato e stabilendo, nella Costituzione del 1867, la libertaÁ di coscienza e di culto, nella legge del 1868 il diritto di uguaglianza delle societaÁ religiose legalmente riconosciute, nella legge sulla scuola elementare statale del 1869 la liberazione della scuola dal controllo dei preti. Ma tutti gli altri suoi tentativi urtarono contro la resistenza accanita della chiesa, sostenuta dalla corte e dalla nobiltaÁ. Il tentativo di abolire la congrua e l'obbligo di imporre ai fedeli delle comunitaÁ parrocchiali il mantenimento dei preti, come pure i tentativi legati alla riforma del diritto matrimoniale sono naufragati. La lotta tra il liberalismo e il clericalismo, protrattasi dagli anni Sessanta agli anni Ottanta, fu una lotta tra due classi privilegiate: tra la grande borghesia e la nobiltaÁ fondiaria, tra la nuova aristocrazia del denaro e la vecchia aristocrazia di sangue. In questa lotta, alla fine, doveva vincere la classe che sarebbe riuscita a stringere alleanza con le masse popolari dei lavoratori rimaste ancora fuori della Costituzione, e a lanciarle nella lotta contro l'altra delle due classi dominanti. Gli industriali, i grandi commercianti e i banchieri liberali non ne furono capaci. Spaventati dalle esperienze della rivoluzione del 1848, gli industriali liberali non osarono lanciare i lavoratori nella lotta. Per questo in Austria il Kulturkampf liberale eÁ fallito, per il fatto che l'interesse di classe della grande borghesia liberale non le ha permesso di fare appello alle masse popolari lavoratrici contro la corte, la nobiltaÁ e la gerarchia ecclesiastica. EÁ per questo che ancora oggi in Austria so-
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pravvivono grandi residui del vecchio regime statale clericale dell'assolutismo. CioÁ che il liberalismo non ha osato fare, eÁ stato invece capace di farlo il clericalismo. Esso ha mobilitato, appunto, grandi masse per la lotta contro il liberalismo, suscitando cosõÁ un grande movimento clericale di massa che ha sconfitto per sempre la corrente avversaria.6
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LA
FORMAZIONE DEL PARTITO CLERICALE DI MASSA
La fabbrica capitalistica, con la concorrenza, eliminoÁ i maestri artigiani. Il commercio capitalista trasformoÁ gli artigiani in propri mastri salariati a cottimo. Il capitale commerciale e il capitale usuraio sfruttarono i contadini. Il clericalismo tornoÁ allora verso gli artigiani delle cittaÁ e verso i contadini della campagna [dicendo loro]: l'industriale, il grande commerciante, gli intermediari, l'usuraio che vi sfruttano, sono gli stessi liberali borghesi che combattono i vecchi diritti della santa chiesa. Dei preti cattolici organizzarono gli artigiani delle cittaÁ e i contadini della campagna per la lotta contro la grande borghesia liberale. Difesero gli interessi economici e sociali della classe media borghese e dei contadini contro la grande borghesia e, in cambio, pretesero l'appoggio di queste classi contro la politica del liberalismo in materia ecclesiastica. All'inizio furono degli aristocratici, come il barone Vogelsang, il principe Liechtenstein, il conte Falkenhayn, che cercarono di mobilitare le masse piccolo-borghesi e contadine contro il liberalismo della grande borghesia. Quarant'anni prima, all'epoca in cui si potevano osservare gli inizi di questo movimento in Francia e in Inghilterra, Karl Marx li aveva caratterizzati nella maniera seguente: «Sventolavano la bisaccia proletaria come una bandiera
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nelle mani per radunare il popolo dietro di seÂ. Ma il popolo, ogniqualvolta che li seguiva, scorgeva dietro di loro i vecchi stemmi feudali e [allora] si ritirava con forti e irriverenti risate [...] Come il prete marciava mano nella mano con i feudali, cosõÁ il socialismo clericale marciava mano nella mano con il socialismo feudale. Il socialismo cristiano eÁ soltanto l'acqua santa con cui il prete benedice la rabbia degli aristocratici» 1.
Ma nella misura in cui le masse piccolo-borghesi e contadine si misero veramente in movimento, si liberarono dagli originari capi feudali. Il partito clericale, di ispirazione aristocratico-feudale, che rappresentava l'alleanza della chiesa con la grande aristocrazia fondiaria, subentroÁ al partito popolare cristianosociale, nel cui seno la chiesa si alleoÁ con la classe media borghese e con i contadini. Il potere della chiesa non s'appoggiava piuÁ soltanto sul suo influsso sulla corte, sulla sua proprietaÁ terriera, sui suoi privilegi, ma anche sulla forza di un grande partito di massa, che disponeva di una potente organizzazione e di una forte stampa; s'appoggiava non piuÁ soltanto sui sentimenti, sulle aspirazioni e le tradizioni religiose delle masse, ma sul fatto che le classi popolari consideravano la chiesa come loro alleata contro il loro nemico di classe, come il difensore dei loro interessi economici e sociali. La nuova forza democratica della chiesa ha vinto il liberalismo, che s'appoggiava soltanto sul ristretto ceto della grande borghesia. Ma, mentre il nuovo partito clericale respingeva vittoriosamente il liberalismo della grande borghesia, s'ergeva dietro di lui un nuovo avversario: l'emergente classe operaia.
1. 6 MARX-ENGELS, Das Kommunistische Manifest, Vienna, 1921, pp. 29 ss. (Il manifesto del partito comunista, in MARX-ENGELS, Opere complete, vol. VI, Editori Riuniti, Roma, 1973, pp. 507-508).
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LA
CHIESA ALLEATA DELLA BORGHESIA
La socialdemocrazia, unificata sotto la direzione di Victor Adler, al Congresso di Partito di Heinfeld (1888) organizzoÁ le masse lavoratrici e le condusse alla lotta. Nelle grandi lotte per il diritto di voto dal 1893 al 1907, essa distrusse i privilegi elettorali delle classi possidenti e conquistoÁ il diritto di voto per i lavoratori. Fino a quando gli operai sono stati esclusi dal diritto di voto, ogni lotta elettorale era una lotta delle masse clericali, borghesi e contadine contro la grande borghesia liberale. Con il suffragio universale il liberalismo scomparve; il partito che s'appoggiava soltanto sul ristretto ceto della grande borghesia non pote mantenersi nel corpo elettorale del suffragio universale. Il partito clericale delle masse borghesi e contadine, nelle competizioni elettorali, non aveva piuÁ il problema di attaccare la grande borghesia, ma quello di difendersi dal partito operaio socialdemocratico. Con la socialdemocrazia si svilupparono i sindacati. Il medio e piccolo impresario borghese delle cittaÁ si trovoÁ di fronte al sindacato, che rivendicava con forza salario piuÁ alto e orario di lavoro piuÁ breve. Il grande fattore in campagna si irritava per il fatto che gli aumenti di salario nell'industria obbligavano anche lui ad accordare salari piuÁ elevati ai propri lavoratori giornalieri, se voleva conservare la manodopera necessaria. La massa dei borghesi e dei grandi fittavoli comincioÁ a considerare come suoi avversari di classe piuÁ pericolosi non piuÁ i capitalisti, ma gli operai. Con la socialdemocrazia si svilupparono le cooperative operaie di consumo. Il commerciante si vedeva minacciato dalla concorrenza della cooperativa di consumo. Non temeva piuÁ l'industriale e i grandi commercianti liberali, ma le cooperative di consumo organizzate dai socialdemocratici. La massa borghese e contadina, che proprio in questo
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momento aveva sconfitto la grande borghesia liberale, si rivolse contro la classe operaia che emergeva alle sue spalle. I preti cattolici, che avevano organizzato e guidavano le masse borghesi e contadine, e che ancora fino al giorno prima avevano predicato contro la grande borghesia liberale, ora predicavano da tutti i pulpiti contro i lavoratori socialdemocratici. La grande borghesia aveva detestato e combattuto con passione il partito popolare clericale, quando questo mobilitava i borghesi e i contadini contro il liberalismo. A partire dall'introduzione del suffragio universale e dal rafforzamento dei sindacati, l'atteggiamento della grande borghesia nei riguardi del clericalismo comincioÁ a modificarsi. Gli industriali e i direttori di banca si resero conto che non era piuÁ possibile salvare il liberalismo. Nel corpo elettorale del suffragio universale non si fronteggiano piuÁ clericalismo e socialdemocrazia; rivolgendosi contro la classe operaia, contro i sindacati e la socialdemocrazia, il clericalismo ± essi pensavano ± difende anche la nostra causa. A partire dal 1907 i grandi industriali e i grandi banchieri, fossero essi ebrei, massoni o liberi pensatori, sostennero, con il loro denaro, le campagne elettorali dei clericali contro la socialdemocrazia. Giunse, poi, la guerra e, a suo seguito, la rivoluzione. La rivoluzione scatenoÁ l'impetuoso movimento della classe operaia. Le classi possidenti videro la loro proprietaÁ minacciata dal proletariato. Fino ad allora avevano protetto la loro proprietaÁ con le baionette dell'armata imperiale; ora, contro la vittoria del socialismo, vi era soltanto una forza che poteva difendere la proprietaÁ capitalistica: la chiesa, che esercitava il suo potere su milioni di anime. Quando la svalutazione della moneta spinse alla ribellione le masse operaie, l'alta finanza internazionale temette che la rivoluzione sociale stesse per travolgere anche l'Austria. Nel 1922 i grandi capitalisti di Londra, Amsterdeam, Parigi, sia ebrei, sia calvinisti e massonici, misero
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a disposizione del prelato cattolico Seipel centinaia di milioni, con i quali egli risanoÁ l'economia austriaca e preservoÁ cosõÁ l'Austria dalla rivoluzione sociale. La grande borghesia austriaca salutoÁ come una salvezza la stabilizzazione della moneta. I grandi industriali ± ebrei e massoni ± acclamarono il prelato cattolico come il loro salvatore. Il suo ritratto venne appeso negli uffici e nelle sale di consiglio dei direttori di banca. CosõÁ la grande borghesia eÁ passata nel campo del clericalismo, mettendo interamente a suo servizio il proprio denaro, la propria stampa e le proprie relazioni internazionali. Finche le masse operaie rimanevano escluse dal diritto di voto, la grande borghesia poteva dominare da sola. Il proprio potere assoluto: era questo il liberalismo. Oggi, nella repubblica democratica, in cui eÁ la maggioranza del popolo che decide, la grande borghesia puoÁ comandare soltando appoggiandosi sulla massa dell'elettorato borghese e contadino; puoÁ, quindi, dominare soltanto penetrando nel partito popolare clericale, in cui sono raggruppate le masse elettorali borghesi e contadine, e riducendo questo partito al proprio servizio. E queste masse elettorali borghesi e contadine, la cui precedente generazione aveva rovesciato il potere assoluto della grande borghesia liberale, erano ora diventate mature per porsi sotto la direzione della grande borghesia che passava al clericalismo. Spaventate anch'esse dall'assalto della classe operaia, intimidite dallo sviluppo della sua forza e tremanti di fronte alla rivoluzione sociale, vedevano soltanto un compito ormai: difendere l'ordinamento della proprietaÁ borghese contro il socialismo. Fu cosõÁ che la grande borghesia apparve loro ormai come l'alleato naturale contro il proletariato. Contro il loro pericoloso avversario, non potevano, quindi, piuÁ fare a meno dell'appoggio della grande borghesia: del suo denaro, della sua stampa e delle sue relazioni internazionali. Nelle elezioni del 1923 il partito cristiano sociale, per la prima volta, mise nelle proprie liste
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elettorali i candidati dei grandi industriali e dei grandi banchieri. Il nostro programma di partito dichiara: «Quanto piuÁ l'intera classe operaia si unisce nella lotta contro il capitalismo, tanto piuÁ anche tutte le altre classi, che traggono vantaggio dallo sfruttamento della forza-lavoro altrui, si uniscono contro l'assalto della classe operaia. I conflitti storici tra la borghesia e l'aristocrazia feudale, tra il grande capitale e la classe media borghese, passano in seconda linea, dietro la comune opposizione di tutte le classi padronali contro la classe operaia. L'intera borghesia ± cioeÁ i grandi capitalisti e le classi medie borghesi delle cittaÁ, i latifondisti ed i grandi fittavoli della campagna ± si uniscono contro la classe operaia».
Con questo sviluppo eÁ cambiata la natura del partito popolare clericale. EÁ diventato, come disse una volta Seipel, «il punto di concentrazione di tutti gli elementi antimarxisti», cioeÁ l'organizzazione dell'intera borghesia contro la classe operaia. La sua politica economica e la sua politica sociale vengono comandate dalla borghesia. La sua politica scolastica e la sua politica culturale vengono comandate dalla chiesa. Il partito cristiano-sociale eÁ il partito popolare dei borghesi e dei grandi proprietari che, per quanto riguarda tutte le questioni economiche e sociali, si sono posti sotto la guida della borghesia e, quanto alle questioni culturali, sotto la guida della chiesa. Esso eÁ l'organo dell'alleanza della grande borghesia e della chiesa per la guida in comune delle masse della borghesia e dei fittavoli contro la classe operaia. La grande borghesia sostiene il partito cristiano-sociale con il denaro, la stampa e le relazioni internazionali, consentendo cosõÁ alla chiesa di conservare i propri privilegi: la congrua, l'obbligo dell'insegnamento religioso, il diritto matrimoniale ecclesiastico. La chiesa la ringrazia, mettendo le masse borghesi e contadine, che la seguono, a ser-
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vizio della politica economica e sociale della grande borghesia. EÁ destino della chiesa che debba sempre allearsi con i suoi nemici di ieri contro i suoi nemici di oggi. La grande avversaria della classe dei signori laici nella societaÁ feudale diventoÁ l'alleata della nobiltaÁ feudale contro l'assolutismo, quando quest'ultimo cercoÁ di sottomettere entrambe, nobiltaÁ e chiesa. Dopo aver resistito per secoli contro la propria trasformazione in strumento a servizio dell'assolutismo, essa divenne alleata dell'assolutismo contro la rivoluzione borghese, contro la grande borghesia liberale emergente. Dopo aver mobilitato le masse borghesi e contadine contro la grande borghesia liberale, essa eÁ diventata infine l'alleata delle masse dei borghesi e dei fittavoli, unificate sotto la guida della grande borghesia stessa, contro la classe operaia. Ma essa, grande potenza del passato, resta sempre l'alleata della classe che di volta in volta difende il suo potere contro la classe ogni volta emergente. Come al tempo della rivoluzione borghese, essa ha difeso il potere della corte e della nobiltaÁ contro la borghesia emergente, cosõÁ oggi difende il dominio della borghesia contro la classe operaia. L'alleanza con la gerarchia ecclesiastica eÁ diventata indispensabile alla borghesia. Poiche nella democrazia, con i mezzi della democrazia, la borghesia puoÁ dominare soltanto fino a quando la maggioranza del popolo si lascia guidare dai partiti borghesi. Soltanto il potere della chiesa sui suoi fedeli puoÁ mantenere la maggioranza del popolo sotto la dipendenza del potentissimo partito della borghesia. Il nostro programma di Linz osserva: «Nella repubblica democratica la supremazia politica della borghesia non riposa piuÁ su privilegi politici, ma sul fatto che la maggioranza del popolo ha potuto essere mantenuta sotto la sua influenza spirituale a mezzo della sua potenza economica, della potenza della tradizione, della stampa, della scuola e della chiesa».
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Come i giornalisti hanno bisogno della stampa capitalista, come i professori e i maestri hanno bisogno delle proprie scuole, cosõÁ anche la borghesia ha bisogno dei preti e dei catechisti della chiesa per garantire al proprio dominio sul popolo la benedizione democratica della conferma attraverso la volontaÁ della maggioranza popolare. E come la chiesa eÁ diventata indispensabile alla borghesia per la difesa del suo dominio, cosõÁ proprio per questo anche la borghesia eÁ diventata tutrice della chiesa. Per quanto possano essere sgradevoli al singolo borghese la congrua, l'obbligo dell'insegnamento religioso, il diritto matrimoniale ecclesiastico, la borghesia come classe non puoÁ piuÁ, tuttavia, difendere diversamente la propria supremazia contro l'assalto del proletariato se non appoggiando il potere del partito cristiano-sociale e mantenendo cosõÁ il sistema clericale della chiesa di stato. La supremazia della chiesa, che difende questo sistema di chiesa ufficiale, ormai non puoÁ piuÁ essere superata se non con la vittoria del proletariato sulla borghesia. Come sessant'anni fa il concordato pote essere strappato solo con la vittoria della borghesia sulla curia e sulla nobiltaÁ feudale, cosõÁ nella nostra epoca il dominio della gerarchia ecclesiastica sullo stato puoÁ essere spezzato soltanto con la vittoria del proletariato sulla borghesia.
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ORDINE SOCIALE E RELIGIONE
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CHIESA
E RELIGIONE
Il papa, i cardinali, i vescovi, i prelati: sono questi la chiesa. Il povero piccolo contadino che, quando si sollevano le nuvole e una grandinata minaccia di distruggere i frutti del campo, i frutti di un anno di faticoso lavoro, congiunge le mani e prega: «Dacci oggi il nostro pane quotidiano» ± questa eÁ la religione. La potente organizzazione di potere, i cui diplomatici siedono in tutte le corti, i cui principi dirigono grandi partiti e influenzano i destini degli stati: questa eÁ la chiesa. La madre che, al capezzale del figlio malato, cerca conforto e salvezza nella preghiera ardente alla madre di Dio: questa eÁ la religione. Il sistema di teologia dogmatica costruito con arte nel corso dei secoli: questa eÁ la chiesa. La pia leggenda che la mamma racconta al figlio: questa eÁ la religione. Il formidabile sistema di dominio del diritto ecclesiastico: questo eÁ la chiesa. Il canto devoto che eleva e consola i poveri e gli infelici: questo eÁ la religione. La potenza della chiesa si basa sulla religione del popolo. Se il popolo non fosse religioso, la chiesa non potrebbe guidarlo. Ma, sebbene l'organizzazione democratica della chiesa poggi sulla religione, chiesa e religione non sono, tuttavia, identiche. Ci sono principi della chiesa che, nel loro intimo, ridono della religione; ci sono uomini profondamente religiosi che odiano la chiesa.
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Abbiamo visto quale ruolo giochi la chiesa nella lotta di classe. Vogliamo vedere ora quale rapporto c'eÁ tra la religione e le condizioni sociali di vita degli uomini.1
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CONDIZIONI
SOCIALI DI VITA E RAPPRESENTAZIONI RELIGIOSE
«C'eÁ bisogno di un grande discernimento», domanda Marx nel Manifesto comunista, «per comprendere che con le condizioni di vita degli uomini, con i loro rapporti sociali, con la loro esistenza sociale, cambino anche le loro rappresentazioni, idee e concetti, in una parola, la loro coscienza?» 1. Nel IX secolo il vecchio cantore sassone dell'Heliand rappresenta Cristo come un re popolare germanico che, «il piuÁ eminente a capo di una marcia popolare», circondato dai suoi seguaci, avanza attraverso i paesi alla testa della sua popolazione. Tre secoli piuÁ tardi, Wolfram von Eschenbach ci racconta l'epopea di Parsifal, che custodisce il Gral, simbolo della redenzione, nello splendore di un castello principesco medievale e ci indica la via della beatitudine nella vita del cavaliere, che potraÁ conseguirla solo dopo aver provato, nel corso delle sue avventure e delle lotte cavalleresche, la propria vocazione a servire la chiesa con il braccio secolare, ma nello stesso tempo dopo che, purificato dall'orgoglio e dal dubbio, ha imparato a interrogarsi sui grandi misteri. Ma mentre la cavalleria dell'epoca delle crociate si creava cosõÁ un ideale di santitaÁ cavalleresca, nel popolo viveva un altro cristianesimo. Artigiani e contadini non sognano la coppa meravigliosa in mezzo alla magnificenza feudale, ma si ritrovano nel racconto semplice della sacra famiglia. 1. MARX-ENGELS, Das Kommunistische Manifest, p. 27 (Il Manifesto 1 del partito comunista, cit., p. 504).
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La contadina, in mezzo alle sue pene e ai suoi dolori, prega la madre di Dio, che ha partorito il suo bambinello in una stalla e ha dovuto vedere suo figlio morire in croce. Ma ecco che il protocapitalismo comincia la sua opera di trasformazione. Ecco che i proletari si riuniscono nelle cittaÁ. Ecco che San Francesco, col suo cilicio, una corda attorno alla vita, parla di GesuÁ, salvatore dei poveri; e subito dei monaci mendicanti girano le cittaÁ e parlano ai poveri del figlio di Dio, che non aveva neanche una pietra su cui posare il capo. EÁ cosõÁ che ogni epoca storica, ogni classe si eÁ formata il proprio cristianesimo. EÁ cosõÁ che l'uomo di ogni epoca storica e che ogni classe crea il proprio dio secondo la propria immagine. Le rappresentazioni religiose di ogni epoca storica, di ogni classe, sono il riflesso dei loro bisogni, aspirazioni e ideali particolari, il prodotto delle loro particolari condizioni di esistenza sociali. «Il mondo religioso ± dice Marx ± eÁ soltanto il riflesso del mondo reale» 2. LA
BORGHESIA E LA RELIGIONE
Quando in seno alla societaÁ feudale si formoÁ una borghesia benestante, nelle cittaÁ commerciali dell'Inghilterra, dell'Olanda, della Svizzera, della Germania e della Francia, si sviluppoÁ un nuovo cristianesimo, un cristianesimo borghese. Esso ha trovato la forma piuÁ compiuta nel calvinismo. Il cattolicesimo considerava la vita del monaco come il modo di vivere piuÁ gradito a Dio. La fuga dal mondo peccaminoso e l'ascesi monastica erano ritenute le vie piuÁ sicure per la salvezza dell'anima. Il protestantesimo insegnava diversamente: non la fuga del monaco dal mondo, ma l'adempimento dei doveri nel2. MARX, Das Kapital, I, Volkausgabe, p. 42 (MARX, Il Capitale, Libro primo (1), Editori Riuniti, Roma, 1970, p. 93).
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la nostra situazione sociale, nella professione a cui Dio ci ha chiamati, eÁ il modo di vivere gradito a Dio. Il dio del cattolicesimo richiede ``buone opere''. Il dio di Calvino non pretende digiuni, ne penitenze, ma una ``vita santa'': una vita di zelo borghese, di onestaÁ borghese e di parsimonia borghese. E la benevolenza di Dio si manifesta al commerciante calvinista attraverso il successo economico della sua vita borghese: chi ottiene onestamente alti profitti, chi non spreca con leggerezza i profitti, ma li aggiunge con parsimonia ai propri beni, eÁ sicuro della grazia di Dio. «God blesses his trade», «Dio benedice i suoi affari». E, fiero, il commerciante felice del successo citava il detto di Salomone: «L'uomo che tu vedi attivo nel suo mestiere, saraÁ chiamato al servizio del re» (Proverbi, 22, 29). E gli altri? Quelli che soccombono nella lotta della concorrenza? I proletari? Gli schiavi? Prima della creazione del mondo ± cosõÁ riprende il calvinismo ± Dio ha eletto alcuni e condannato gli altri. Nessuno sforzo umano puoÁ cambiare il destino predeterminato dalla libera scelta di Dio. Il successo economico ottenuto con la condotta di vita onesta e parsimoniosa daÁ ai santi eletti da Dio la certezza della sua grazia. Ma gli altri sono i dannati da Dio. Il dovere dei santi verso Dio eÁ di mantenere sotto una severa disciplina i dannati, i nemici di Dio 3. Questo cristianesimo calvinista borghese fu l'ideologia della prima rivoluzione borghese, cioeÁ della rivoluzione inglese del XVII secolo. Quando i borghesi ed i contadini liberi d'Inghilterra abbatterono il regno e la sua chiesa di stato, ed anche quando vinsero i Livellatori proletari che erano emersi dietro di loro, essi si considerarono i santi di Dio, quelli che avevano vinto i suoi nemici, i dannati fin dal principio. 3. Cfr. M. WEBER, Die protestantische Ethik und der ``Geist'' des Kapitalismus. «Archiv fuÈr Sozialwisenschaft», XX/2 und XXI (L'etica protestante e lo «spirito» del capitalismo, Firenze, Sansoni, 1945).
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Tuttavia il risultato della loro vittoria non fu il sognato regno di Dio sulla terra, ma il sistema sociale capitalista borghese, il dominio della borghesia, che «annegoÁ i fremiti santi del fanatismo religioso, dell'entusiasmo cavalleresco, della melanconia piccolo-borghese nell'acqua ghiacciata del calcolo egoistico», che «al posto dello sfruttamento mascherato delle illusioni religiose e politiche ha sostituito lo sfruttamento aperto, insolente, diretto e arido» 4. CosõÁ scomparve lo slancio religioso del puritanesimo. Al posto dell'entusiasmo religioso dell'epoca della rivoluzione, nel mondo disincantato entroÁ la freddezza della filosofia illuminista borghese. «Cromwell e il popolo inglese avevano mutuato dal Vecchio Testamento lingua, passioni e illusioni per la loro rivoluzione borghese. Appena fu raggiunto il vero scopo, appena fu completata la trasformazione della societaÁ inglese ± scrive Marx ± Locke prese il posto di Habacuc» 5. Nei paesi cattolici e luterani lo sviluppo prese un'altra via. Mentre nell'Inghilterra calvinista, alla chiesa ufficiale del regno la rivoluzione borghese pote opporre le proprie chiese e le proprie sette, alla religione di stato le proprie confessioni cristiane, nei paesi cattolici e luterani la rivoluzione borghese non incontroÁ altra chiesa se non la chiesa di stato ridotta a strumento di dominio dell'assolutismo, non incontroÁ nessun altro cristianesimo se non quello della chiesa ufficiale. In Inghilterra la rivoluzione borghese pote assumere la forma di una lotta del cristianesimo puritano contro il cristianesimo della chiesa di stato, nei paesi cattolici e luterani essa prese, fin dall'inizio, la forma di una lotta della filosofia illuminista borghese contro qualsiasi forma di cristianesimo, contro tutte le forme tradizionali di religione. 4. MARX-ENGELS, Das komunistische Manifest, cit. (Il manifesto del partito comunista, cit. ± citazione molto libera di Bauer ± N.d.T.). 5. K. MARX, Der 18. Brumaie, Stuttgart, 1914, p. 8 (Il 18 Brumaio di Luigi Bonaparte, in MARX-ENGELS, Opere complete, cit., vol. XI, p. 108) ± Locke, il capo della filosofia inglese del XVII secolo; Habacuc, il profeta del Vecchio Testamento.
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La borghesia ruppe con tutte le religioni tramandate. La grande rivoluzione francese oppose al cristianesimo storico il ``culto dell'Essere Supremo'', al dio trinitario del cristianesimo l'idea astratta di «un grande Essere che veglia sull'innocenza e punisce i criminali» (Robespierre). Il deismo della rivoluzione borghese lascioÁ sopravvivere Dio soltanto come un organo celeste di polizia del suo ordine sociale. Quando, nella grande rivoluzione industriale, lo sviluppo della macchina ± filatoio, macchina a vapore, telaio meccanico ± creoÁ il sistema della fabbrica moderna, la borghesia comincioÁ a rappresentarsi il mondo intero come una gigantesco macchinario. Quando la ``libera concorrenza'' del liberalismo eliminoÁ tutte le barriere feudali, corporative e mercantili, la borghesia progettoÁ la sua ``libera concorrenza'' nell'universo. Come nel mondo capitalista l'impresa meglio attrezzata elimina quella che non si eÁ adeguata nella lotta per la concorrenza, e sopravvivono soltanto le imprese che vi si sono meglio adattate; e come da questa lotta delle imprese per l'esistenza nasce il formidabile sviluppo delle forze produttive del lavoro umano, cosõÁ, nella natura, vengono eliminati sempre gli esseri viventi meno adattati all'ambiente e, in questo modo, secondo Darwin, dalla lotta degli esseri viventi per l'esistenza, dalla sopravvivenza di quelli che si sono di volta in volta adattati deriva il perfezionamento delle speci. L'uomo non eÁ piuÁ il centro dell'universo, che un dio ha creato e per il quale un dio eÁ morto in croce . Egli eÁ soltanto l'animale piuÁ perfetto risultato dalla lotta degli esseri viventi per l'esistenza. L'anarchia del mondo della produzione capitalistica si riflette nella rappresentazione di un mondo non piuÁ diretto da un dio, ma che si sviluppa nella lotta cieca della concorrenza di tutti contro tutti. La filosofia illuminista della borghesia liberale del XVIII secolo trova il suo approdo nel materialismo ateo darwinista 6. 6. Cfr. O. BAUER, Das Weltbild des Kapitalismus, in Der lebende
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«La tradizione di tutte le generazioni passate ± dice Marx ± pesa come un incubo sulla testa dei viventi. E questi, proprio quando sembrano impegnati a trasformare se stessi e le cose, a creare qualcosa di nuovo, proprio in tali epoche di crisi rivoluzionaria, invocano ansiosamente in loro aiuto gli spiriti del passato» 7. CosõÁ soltanto i ceti piuÁ avanzati e coraggiosi della borghesia, quelli coinvolti nelle lotte violente contro il mondo feudo-clerico-assolutista, hanno preso parte all'evoluzione della filosofia illuminista borghese fino al materialismo ateo. Larghi strati della borghesia sono rimasti sempre sotto l'influsso delle religioni tradizionali e hanno cercato di stringere dei compromessi tra le tradizioni religiose e l'illuminismo borghese. L'intera storia del pensiero borghese del XVIII e XIX secolo, della sua filosofia e della sua teologia (protestante) eÁ una storia di tali tentativi di compromesso. Il flusso e il riflusso della rivoluzione borghese si riflettevano nel modo in cui gli elementi illuministici e quelli religiosi tradizionali si mescolavano gli uni agli altri in questi sistemi di compromessi. La filosofia illuminista faceva progressi finche il liberalismo borghese restava in lotta contro la curia, la nobiltaÁ e la chiesa. Il compito consisteva nell'illuminare le masse, nel liberarle dalla religiositaÁ tradizionale e, attraverso cioÁ, nella distruzione del clericalismo, cioeÁ il supporto piuÁ potente del feudalesimo e dell'assolutismo. Questa situazione mutoÁ quando, alle spalle della borghesia liberale, si levoÁ la classe operaia. Quanto piuÁ questa si rafforzava, tanto piuÁ venivano superati i contrasti tra la borghesia e la chiesa, a causa del loro comune conflitto contro la classe operaia. Quando la classe operaia divenMarxismus, Jena, s.l. 1924, pp. 420-423 (in Werkausgabe, Europaverlag, Wien, vol. 2, pp. 887 ss). 7. MARX, Der 18. Brumaire, cit., p. 7 (Il 18 Brumaio, cit.).
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toÁ pericolosa per il dominio della borghesia, quest'ultima si gettoÁ fra le braccia della chiesa. A questo punto il borghese si rende conto che soltanto il potere del clericalismo sui fedeli puoÁ difendere il dominio di classe della borghesia contro l'assalto del proletariato. Quindi riconosce come sua necessitaÁ mantenere il popolo nella religione, affinche il clericalismo possa mantenerlo a servizio della borghesia. Fino a quando la borghesia combatteva contro curia, nobiltaÁ e chiesa, la sua parola d'ordine era: illuminismo! Appena la borghesia deve difendersi contro la classe operaia, la parola d'ordine diventa: la religione deve essere mantenuta per il popolo! Dunque, appena la borghesia non puoÁ fare a meno della religiositaÁ delle masse popolari come sostegno al dominio della classe borghese, muta anche la posizione del borghese nei confronti della religione. Il borghese crede nella scienza, in quella che sviluppa le forze produttive sottomesse al capitale. Tuttavia il borghese vuole mantenere la religione per il popolo. I suoi ideologi devono tranquillizzare la coscienza popolare, conciliandole entrambe, scienza e religione. Allora, ecco che gli ideologi della borghesia fanno rinascere la teoria della conoscenza di Kant. Ecco che inventano nuove teorie della conoscenza. Cosa c'eÁ di comune in tutte queste teorie della conoscenza? Esse limitano il diritto della scienza. Il potere della scienza si estende soltanto fin dove arriva l'esperienza. Di cioÁ che sta al di laÁ dell'esperienza essa non puoÁ dire nulla. Non puoÁ dirci nulla, ne in positivo ne in negativo, di Dio, del libero arbitrio, dell'immortalitaÁ dell'anima. Laddove non possiamo sapere niente, noi possiamo credere cioÁ che il bisogno del nostro cuore esige di credere. La filosofia illuminista era l'ideologia della borghesia emergente, rivoluzionaria. Ma la borghesia, quella che eÁ stata costretta in posizione difensiva dall'assalto del proletariato, eÁ diventata controrivoluzionaria e ha rotto con la filosofia illuminista. La sua ideologia ha relegato il deismo,
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come il materialismo, nell'ambito delle illusioni della metafisica. Restringe il diritto della scienza al campo dell'esperienza, dove essa serve allo sviluppo capitalista. Colloca la religione fuori del dominio della scienza ± la religione come «postulato della ragion pratica».
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IL
PROLETARIATO E LA RELIGIONE
La radice piuÁ primordiale della religione eÁ il timore dell'uomo di fronte alle forze sconosciute e incontrollabili della natura: la malattia, la morte, il mistero delle foreste primitive nella notte dei tempi, il lampo e il tuono. L'uomo, impotente, trema di fronte alle forze sconosciute della natura. Non sopporta la propria impotenza e tenta di superarla. Il selvaggio si sforza di esorcizzare le forze naturali ostili con le sue parole e riti magici. La magia deve allontanare la malattia, scacciare gli spiriti dei morti che spaventano gli spiriti nel sogno e deve domare le forze spaventose della natura. Dalla formula magica del selvaggio ha origine la preghiera dell'uomo civilizzato. Con le sue preghiere egli intende implorare la guarigione per suo figlio malato, la protezione per l'anima fuggente di sua madre morente contro i demoni cattivi, per la casa, per la sua fattoria e il suo campo contro le intemperie. Lo sviluppo della scienza ha scosso la fede nella potenza della magia, nella forza della preghiera. La malattia e i temporali procedono secondo leggi immutabili; nessun demone, spaventato dai nostri riti magici, e nessun dio intenerito dalle nostre preghiere, puoÁ mutare il loro corso naturale. Ma la scienza, come ha distrutto la fede in cui centinaia di generazioni hanno cercato consolazione nei momenti di paura e di miseria, cosõÁ allo stesso modo ci ha dato in cambio la certezza di poter estendere sempre piuÁ potentemente il vero potere dell'uomo oltre le forze ostili della natura, attraverso lo studio delle leggi naturali
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e attraverso la loro applicazione pratica nel campo della medicina e della tecnica. La distruzione di quella antica fede, il rafforzamento di questa nuova certezza sono stati il vero risultato della filosofia illuminista borghese, che ha liberato intere generazioni di persone colte da tutte le idee religiose tradizionali. Ma la filosofia illuminista borghese, anche nel periodo della sua massima fioritura, eÁ stata capace di influenzare soltanto il pensiero delle classi colte della nazione, cioeÁ la nobiltaÁ e la borghesia istruita. Gli operai, i piccoli borghesi e i contadini, a causa della loro scarsa cultura e della durata eccessiva del tempo di lavoro, non si sono dedicati alla conoscenza scientifica. CosõÁ nel popolo hanno continuato ad operare ancora vigorosamente i motivi primitivi del pensiero e del sentimento religioso, sebbene essi avessero perso la loro forza in seno alla borghesia che s'era formata sotto l'influsso della scienza e della filosofia illuminista. Il capitalismo ha lasciato che continuassero ad agire i vecchi elementi del pensiero e del sentimento religioso delle masse popolari, riservando la scienza alle classi dominanti e mantenendo le grandi masse popolari nella precedente condizione di ignoranza. C'eÁ ancora di piuÁ! Il capitalismo ha rafforzato ancora gli elementi del pensiero e del sentimento religioso delle masse popolari. Poiche in precedenza la radice della religione era il timore impotente dell'uomo di fronte alle forze spaventose della natura, allora il capitalismo ha sottomesso le masse lavoratrici al giogo delle forze sociali, che sono incomprensibili alle masse popolari, che le masse sono altrettanto poco capaci di dominare e che decidono, allo stesso modo crudele delle forze della natura, il destino di ognuno e delle masse. L'operaio si reca la mattina in fabbrica carico di gravi preoccupazioni. Si dice che l'azienda deve essere sospesa e che forse questa sera lui saraÁ licenziato. Sua moglie se ne sta a casa e prega: Signore, possa tu risparmiare a mio ma-
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rito, al padre, a colui che sostiene la famiglia, la sorte della disoccupazione. Il disoccupato, disperato, va da un imprenditore all'altro in cerca di lavoro. A casa la sua povera mamma si preoccupa: di che cosa vivremo, se mio figlio non trova lavoro? E congiunge le mani: «dacci oggi il nostro pane quotidiano!». La poveretta (Keuschlersfrau) va al mercato. Di mese in mese diventa tutto piuÁ caro. Al crocevia si inginocchia davanti all'immagine della madre di Dio: «fa che il magro salario basti a nutrire i figli!». Il programma di Linz dichiara: «L'anarchia del modo capitalista di produrre provoca sia dei periodi di aumento dei prezzi e di superlavoro, sia dei periodi di crisi economica e di disoccupazione». I movimenti incontrollabili e sregolati del mercato mondiale oggi sfrattano tranquillamente le industrie e buttano fuori dalle aziende milioni di operai, domani fanno salire i prezzi delle merci e, di conseguenza, rendono inaccessibile a milioni di persone lo stretto necessario per vivere. Il rapporto sociale tra i lavori individuali, tra le singole aziende e le singole branche produttive, ha un effetto anarchico nelle crisi del mercato mondiale, che piombano improvvisamente sulle masse come un destino inevitabile. La povera mamma prega Dio affinche dia al proprio figlio lavoro e pane. Sono le forze anarchiche del mercato mondiale quelle che condannano le masse alla disoccupazione e che le riportano poi di nuovo ai posti di lavoro. Lo stesso processo di vita sociale, finche non eÁ regolato e guidato consapevolmente da tutti gli uomini che lavorano, impone le sue necessitaÁ con i movimenti del mercato mondiale, che tolgono e ridanno a milioni di uomini lavoro e pane. L'azione di Dio, che la povera madre dell'operaio cerca di intenerire con la sua preghiera, eÁ l'azione del processo di vita sociale non ancora compreso e non ancora controllato. Finche i lavoratori non sono padroni di mezzi di produ-
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zione che ripartiscano regolarmente il lavoro tra le singole branche produttive, e che adeguino sistematicamente il consumo alla produzione, la ripartizione del lavoro alla ripartizione dei bisogni, la crescita dell'apparato sociale della produzione all'aumento della popolazione, le necessitaÁ sociali non possono manifestarsi se non attraverso le crisi del mercato mondiale, che agiscono fatalmente come le forze cieche della natura sugli individui, la cui impotenza e il cui timore di fronte a queste forze riproducono continuamente il bisogno religioso. EÁ la miseria delle masse sottomesse al capitalismo che insegna loro costantemente a pregare. Finche la classe operaia non osa intraprendere la lotta contro il mondo capitalista, essa trova la propria consolazione nelle idee religiose. Sottomessa in questo mondo a signori insensibili, essa cerca consolazione nella preghiera al Signore misericordioso in cielo. Condannata al bisogno e alla miseria in questo mondo, trova consolazione nella speranza in una vita migliore ultraterrena. Le idee religiose le rendono piuÁ facilmente sopportabile la sua sorte nel mondo capitalista. A proposito di questa fase di sviluppo Marx ebbe a scrivere: «la religione eÁ l'oppio del popolo» 8. Il capitalismo costringe il proletariato alla ribellione. Ma anche quando il proletariato si solleva contro il capitalismo, esso ammanta le sue idee ribelli, le sue prime rivendicazioni rivoluzionarie, con le vesti della religione tradizionale. Le sette cristiane eretiche, come i Valdesi, i Begardi, i Lollardi, i Taboriti, gli Anabattisti, che andavano in giro a proclamare la ``vera parola di dio'' contro il mondo dei ricchi, furono i precursori del socialismo moderno. E ancora oggi possiamo osservare come i boscaioli, i Keuschler, i minatori che vivono nelle vallate isolate, quando comincia 8. K. MARX, Zur Kritik der Hegelschen Rechtsphilosophie, in Aus dem literarischen Nachlass von Marx, Engels, und Lassalle, vol. 1, p. 385 (Introduzione a Per la critica della filosofia del diritto di Hegel, in MARX-ENGELS, Opere complete, vol. 3, Roma, Editori Riuniti, 1976, p. 191).
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a svegliarsi la loro coscienza di classe, si riallacciano alle frasi del Vangelo contro mammona. Ancora oggi, i proletari che si svegliano alla coscienza di classe, associano sempre la promessa del socialismo e quella del Vangelo: «i primi saranno gli ultimi e gli ultimi saranno i primi». «La religione eÁ oppio del popolo», fino a quando il popolo sopporta senza lotta il dominio del capitalismo: ma la religione fornisce la sua ideologia anche alle prime iniziali rivolte del proletariato contro il capitalismo. Tuttavia, nel frattempo, eÁ iniziata una nuova evoluzione che ha staccato grandi strati di proletariato dalla religione. Il capitalismo ha strappato grandi masse proletarie dalla terra dei loro padri, concentrandole in grandi cittaÁ e aree industriali in via di rapido accrescimento. Esso le spinge di cittaÁ in cittaÁ, di paese in paese, a seconda delle proprie congiunture. Le sottomette all'influsso della vita delle grandi cittaÁ, all'influsso della tecnica in via di continua evoluzione, dei suoi modi sempre instabili, delle sue vicende quotidiane. Esso cambia continuamente le loro condizioni di esistenza. Le stacca cosõÁ dall'incantesimo dell'eterno passato, da «cioÁ che sempre fu e sempre ritorna e che ha valore oggi perche aveva valore ieri». Le rende cosõÁ capaci di liberarsi anche della religione tradizionale, come da tutte le altre tradizioni. Il capitalismo immette l'operaio nell'ingranaggio della grande azienda. Nel suo processo stesso di lavoro, nella macchina sempre piuÁ perfezionata, l'operaio sperimenta il trionfo della moderna scienza della natura. Si apre cosõÁ al pensiero scientifico. Con il miglioramento della scuola popolare, con la riduzione dell'orario di lavoro si appropria sempre piuÁ dei risultati della scienza moderna. Il capitalismo spinge l'operaio alla lotta di classe. Ma nella lotta di classe egli si scontra col clero quale difensore del suo nemico di classe. L'operaio trasferisce il suo odio contro i preti e contro quella stessa religione, in nome della quale il prete difende il regime sociale borghese. EÁ cosõÁ che grandi strati di proletariato si staccano dalla
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religione. Essi si appropriano della filosofia illuminista antireligiosa tipica dell'epoca della rivoluzione borghese, nella sua ultima forma piuÁ conseguente e piuÁ rivoluzionaria rappresentata dal marxismo ateo. In seno al proletariato industriale si sviluppa il libero pensiero. Religione e libero pensiero, dunque, si contendono cosõÁ il cervello dell'operaio. Il successo di queste lotte eÁ diverso nei diversi paesi. In Inghilterra, dove la borghesia, giaÁ al tempo della sua rivoluzione, ha opposto le sue chiese e le sue sette alla chiesa di stato, dove la rivoluzione borghese, giaÁ nel XVII secolo, ha conquistato la libertaÁ religiosa e di coscienza per tutte le confessioni religiose protestanti, un gran numero di chiese e di sette cristiane eÁ nato sulla base calvinista e battista. Nella gara per la conquista delle anime queste chiese dovevano cercare di adeguarsi al modo di pensare e ai bisogni spirituali delle masse operaie. PercioÁ il libero pensiero non-cristiano e anticristiano non eÁ riuscito a mettere radici in seno alle masse operaie inglesi. Il movimento operaio inglese non si eÁ mai contrapposto al cristianesimo, anzi si eÁ riallacciato volentieri all'etica cristiana. EÁ diverso sul continente, dove le masse non conoscevano altro cristianesimo se non quello della chiesa ufficiale. In Francia la tradizione della grande rivoluzione ha collegato strettamente il socialismo con il libero pensiero. In maniera analoga questo succede attualmente in Russia. La chiesa ortodossa russa era invisa al popolo in quanto strumento di potere dello zarismo. Il suo clero non ha conosciuto l'intero sviluppo attraverso cui ha dovuto passare il clero cattolico al tempo della lotta della chiesa contro il liberalismo. Il clero cattolico dell'Europa centrale ed occidentale, al tempo della comparsa dei partiti clericali popolari, ha dovuto organizzare importanti funzioni sociali, familiarizzarsi con i bisogni materiali del popolo, mentre il clero della chiesa ortodossa russa, sotto la dominazione zarista, eÁ rimasto molto piuÁ lontano dalla vita materiale delle masse popolari. Il pope ortodosso russo eÁ un ubria-
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cone ignorante, di cui il contadino ha bisogno come dispensatore di sacramenti, alla stessa maniera dell'uomo primitivo che, per i riti magici, ha bisogno dell'esperto stregone, che non gode, peroÁ, della stima e non ha alcuna influenza sulla vita extra-religiosa del proprio villaggio. L'espansione di un libero pensiero aggressivo e ostile alla religione, nella rivoluzione russa, s'eÁ imbattuto in una resistenza relativamente debole. Ma anche in seno al proletariato di uno stesso paese il rapporto dei diversi settori del proletariato nei riguardi della religione rimane molto differenziato. In Austria, il vero rappresentante del libero pensiero eÁ il nucleo intellettualmente piuÁ avanzato del proletariato industriale. La grande potenza della chiesa cattolica, la sua stretta alleanza con la borghesia, il fatto manifesto che eÁ soltanto il potere di influenza della chiesa sui credenti a mantenere il dominio della borghesia nell'ambito dello stato: tutto questo riempie decine di migliaia di operai di un odio sfrenato contro la religione, di cui la chiesa si serve per mantenere la masse sotto il dominio della borghesia. Ma nei piccoli paesi vediamo un quadro del tutto diverso. L'operaio agricolo, il colono, il piccolo contadino coltivano di anno in anno lo stesso pezzo di terra che hanno lavorato i loro padri; il capitalismo non ha trasformato le loro condizioni di vita nella stessa misura in cui ha trasformato le condizioni di vita delle masse che ha strappato alla terra, concentrato nelle sue aree industriali e lasciato in balia dei fatti quotidiani della vita delle grandi cittaÁ. Continuando a vivere nel paese natio alla maniera tradizionale, povera di avvenimenti, essi restano sottomessi all'influenza delle vecchie tradizioni molto piuÁ fortemente degli operai industriali. Essi non sono, come gli operai delle aree industriali, aggiogati al macchinario che eÁ continuamente in trasformazione, grazie ai progressi della tecnica; cosõÁ essi rimangono molto meno accessibili alle idee tecniche, naturaliste e materialiste. La scuola di paese, composta per
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lo piuÁ da una sola classe, fornisce loro soltanto conoscenze molto scarse; in questo modo per loro le conoscenze scientifiche restano difficilmente raggiungibili. PercioÁ le masse proletarie della campagna restano sotto l'influenza della religione tradizionale. Tuttavia i paesi inviano tutti gli anni migliaia di persone nelle cittaÁ e nei centri industriali. L'operaio agricolo ed il figlio del contadino, che si recano in cittaÁ, non possono peroÁ tagliare subito il cordone ombelicale che li lega all'ideologia del proprio paese natio. Molti, in cittaÁ, continuano a perseverare nel modo di pensare del paese d'origine. Solo i loro figli nati in cittaÁ si staccano dalla fede del paese. Altri, nella vita chiassosa quotidiana della cittaÁ dimenticano, eÁ vero, la religione della loro terra, ma in tutti i momenti importanti della loro vita, in occasione del matrimonio, della nascita del proprio figlio, della morte di un caro non vogliono privarsi della celebrazione religiosa e, in momenti di necessitaÁ e di disperazione, si ricordano di nuovo del dio della loro infanzia. Un proletariato incline alla religione non vive, quindi, solo in campagna; il bisogno religioso di larghe masse proletarie non si eÁ spento nemmeno nelle grandi cittaÁ e nei centri industriali. Le moderne teorie della conoscenze hanno delimitato i rispettivi confini della scienza e della religione. Al di laÁ della scienza, che non puoÁ essere nient'altro che raccolta, ordine ed elaborazione dei dati dell'esperienza, esse hanno riconosciuto il diritto a una religione, che, pensata quale rappresentazione di cioÁ che eÁ precluso all'esperienza umana, non puoÁ finire in contraddizione con la scienza, perche essa rinuncia a qualsiasi giudizio su cioÁ che rientra nel regno dell'esperienza. Ma la religione che sopravvive in grandi masse popolari proletarie, eÁ totalmente diversa da quella religione filosofica di cui le teorie moderne della conoscenza affermano il diritto all'esistenza. La stessa Dogmatica della teologia cattolica non si accontenta affatto delle rappresentazioni di cioÁ che eÁ al di laÁ di ogni esperienza e, quindi, al di laÁ della scienza. Ma nella religione
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delle masse popolari, mescolati ad elementi cristiani e cattolici, sussistono delle rappresentazioni religiose dei tempi dell'origine dell'umanitaÁ: la fede nei demoni e i miti magici dei selvaggi, il totemismo, l'animismo, il feticismo degli stadi di sviluppo dell'umanitaÁ che sono stati superati giaÁ da molto tempo 9. Come nelle case dei proletari continuano a sussistere suppellettili domestiche antiche, mentre le conquiste moderne dell'architettura dell'arredamento, della tecnica della casa e del comfort restano loro interdette, allo stesso modo anche nella casa spirituale di larghi strati proletari continuano a vivere miti primitivi, che l'evoluzione culturale dell'umanitaÁ ha superato da molto tempo. Non esiste soltanto una miseria materiale, ma anche una miseria religiosa. Nei paesi protestanti, dove la teologia liberale ha prodotto una forma di compromesso tra religiositaÁ tradizionale e scienza borghese moderna, creando un cristianesimo adatto al modo di pensare dei borghesi, non eÁ raro constatare una vera religiositaÁ anche nella borghesia. Essa eÁ piuÁ rara dove, come da noi, domina la chiesa cattolica piuÁ conservatrice, che ha strangolato il ``modernismo'' giaÁ fin dai suoi inizi. Dopo che la borghesia ha capito che era proprio interesse di classe «mantenere la religione per il popolo», la morale ed il ``bon Ton'' esigono certo anche qui che il borghese si mostri religioso; ma il motivo del suo comportamento religioso raramente eÁ il genuino bisogno religioso, molto piuÁ frequentemente eÁ una pura convenzione sociale. Di gran lunga piuÁ spesso una genuina e non mascherata religiositaÁ la si trova in seno alla classe operaia, non solo tra gli operai agricoli, ma anche in quegli strati della classe operaia industriale delle cittaÁ che non si 9. Parliamo del cristianesimo cattolico in quanto religione piuÁ diffusa in Austria. Ma lo stesso vale per tutte le religioni tradizionali. CosõÁ, per esempio, il Giudaismo eÁ ancora piuÁ ricco, rispetto al cristianesimo, di rappresentazioni totemistiche primitive tradizionali del tempo delle origini dell'umanitaÁ.
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sono ancora staccati del tutto dalla tradizione del paese d'origine. La grande mortalitaÁ infantile nelle case dei proletari, la furia della tubercolosi, l'insicurezza della vita quotidiana, lo stato costante di dipendenza della vita del proletario dal gioco cieco del mercato mondiale, la dura vita della donna proletaria: tutto questo riempie la vita di molti operai, specialmente quella di molte donne operaie, facendo sõÁ che il loro bisogno religioso non muoia. «La miseria religiosa ± dice Marx ± eÁ, da una parte, l'espressione della miseria reale e, dall'altra, la protesta contro la miseria reale» 10. IL
SOCIALISMO SCIENTIFICO E LA RELIGIONE
Quando la borghesia liberale scese in lotta contro la nobiltaÁ feudale e la chiesa, la sua parola d'ordine fu: illuminismo! L'illuminismo borghese considerava la religione come il risultato di un consapevole inganno dei preti, i quali avevano aggirato il popolo ignorante per poterlo dominare. La borghesia pensava che bastasse illuminare il popolo per liberarlo dalla religione e, di conseguenza, anche dal dominio dei preti. Ma mentre la borghesia liberale inneggiava all'illuminismo, l'ordine sociale della borghesia manteneva le masse dei lavoratori in condizioni di miseria, di insicurezza permanente di esistenza, di insufficiente istruzione scolastica popolare, di eccessiva lunghezza dell'orario di lavoro, insomma in uno stato che rendeva l'illuminismo inaccessibile al popolo. L'illuminismo borghese trovoÁ i suoi limiti insuperabili nello sfruttamento capitalista. Il socialismo scientifico comprese che le condizioni economiche e sociali delle masse garantivano continuitaÁ
10. K. MARX, Zur Kritik der Hegelschen Rechtsphilosophie, cit., p. 384 (Introduzione a Per la critica della filosofia del diritto di Hegel, cit., p. 190).
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alle loro idee religiose, per quanto queste idee fossero state superate dalle conquiste della scienza. Il socialismo scientifico trasferõÁ questa sua conoscenza all'intera storia mondiale. «Il modo di produzione della vita materiale ± dice Marx ± determina il processo della vita sociale, politica e spirituale in generale. Non eÁ la coscienza degli uomini che determina il loro essere, ma, al contrario, eÁ il loro essere che determina la loro coscienza». «Con la trasformazione delle basi economiche si sovverte tutta la gigantesca sovrastruttura», con le condizioni di vita economiche degli uomini si trasformano anche le loro idee giuridiche, politiche, religiose, artistiche e filosofiche 11. Con questa conoscenza ± la cosiddetta concezione materialistica ± si raggiunse una nuova concezione della religione. Per il socialismo scientifico la religione non eÁ, come riteneva invece il liberalismo, un mero inganno dei preti, superabile semplicemente attraverso la diffusione dell'illuminismo, ma l'immagine speculare delle corrispettive condizioni di vita, economiche e sociali degli uomini: cioeÁ, una parte di quella sovrastruttura ideologica che muta solo nella misura in cui si trasforma la sua base economica. «EÁ acritica ± dice Marx ± ogni storia della religione che prescinde da queste basi materiali [...] Spiegare le forme divinizzate con i rapporti di vita che di volta in volta si realizzano, eÁ questo l'unico metodo materialistico e, quindi, scientifico» 12. Quando era in lotta contro il clericalismo, il liberalismo diceva al popolo: la vostra ``fede cieca'', che consente ai preti di dominarvi, eÁ la causa della vostra miseria; liberatevi della religione, cosõÁ sarete liberi anche politicamente, socialmente ed economicamente! Il socialismo risponde11. MARX, Zur Kritik der politischen OÈkonomie, Stuttgart, 1907, p. LV (Per la critica dell'economia politica, in MARX-ENGELS, Opere complete, cit., vol. XXX, p. 299). 12. MARX, Das Kapital, I, cit., p. 317 (Il Capitale, cit., Libro primo (2), p. 73).
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va: No, la religione eÁ una conseguenza, una manifestazione della schiavituÁ economica e sociale, in cui la borghesia liberale, non meno della nobiltaÁ clericale, vuole continuare a mantenervi; solo se vi liberate nella vostra esistenza terrena, solo se spezzate il potere dei padroni della vostra vita economica, potete diventare liberi anche spiritualmente. CosõÁ scriveva Marx: «La religione non ci appare piuÁ la causa, ma soltanto la manifestazione 13 della miseria materiale. PercioÁ noi spieghiamo la schiavituÁ religiosa dei cittadini liberi con la schiavituÁ terrena. Non pretendiamo che essi debbano eliminare la loro schiavituÁ religiosa, per eliminare la loro schiavituÁ terrena. Noi pretendiamo che eliminino la loro schiavituÁ religiosa, eliminando la loro schiavituÁ terrena. Noi non trasformiamo le questioni terrene in questioni teologiche. Trasformiamo le questioni teologiche in questioni terrene» 14.
La borghesia liberale credeva di poter liberare il popolo dalla sua religione tradizionale all'interno del mondo capitalista. Marx ci ha insegnato che eÁ proprio il mondo capitalista che riproduce continuamente il bisogno religioso delle masse popolari. Ci ha insegnato che eÁ la dipendenza impotente delle masse popolari dalle incontrollabili forze sociali, eÁ l'impotente dipendenza dalle spietate leggi del mercato mondiale, attraverso cui si realizzano anarchicamente le necessitaÁ del processo di vita sociale nel mondo anarchico del capitale, ad assicurare alla religione delle masse la continuitaÁ nella societaÁ capitalista. E da questa premessa Marx trasse la conclusione:
13. PhaÈnomen = Erscheinung. 14. K. MARX, Zur Judenfrage, in Aus dem literarischen Nachlaû, I, p. 405 (MARX-ENGELS, Sulla questione ebraica, Opere complete, cit., vol. III, 1976, pp. 163-164).
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«Il riflesso religioso del mondo puoÁ in generale scomparire solo quando i rapporti della vita pratica lavorativa degli uomini presentano tutti i giorni in maniera trasparente rapporti razionali tra di loro e tra essi e la natura. La forma del processo di vita sociale, cioeÁ del processo di produzione materiale, perde il suo volto mistico solo quando essa, in quanto prodotto di uomini liberamente socializzati, eÁ posta sotto il loro consapevole e sistematico controllo» 15.
Solo quando la totalitaÁ dei lavoratori saraÁ capace di regolare in maniera cosciente e sistematica il processo di produzione e di redistribuzione sociale, soltanto quando gli uomini non saranno piuÁ dominati da forze sociali incomprensibili e indomabili, soltanto allora essi non proietteranno piuÁ nel cielo queste forze. EÁ nello stesso senso che Engels scrisse: «Ogni religione non eÁ altro che il fantastico riflesso nella testa degli uomini di quelle potenze esterne che dominano la sua esistenza quotidiana, un riflesso nel quale le potenze terrene assumono la forma di potenze sovraterrene. Agli inizi della storia sono anzitutto le potenze della natura quelle che subiscono questo riflesso e che nello sviluppo ulteriore passano nei vari popoli per le piuÁ svariate e variopinte personificazioni... Ma presto, accanto alle forze naturali, entrano in azione anche forze sociali, forze che si ergono di fronte agli uomini altrettanto estranee e, all'inizio, altrettanto inspiegabili, e li dominano con la medesima necessitaÁ naturale delle stesse forze della natura. Le forme fantastiche nelle quali in principio si riflettevano solo le misteriose forze della natura, acquistano di conseguenza attributi sociali e diventano rappresentanti di forze sociali... Noi abbiamo visto ripetutamente che nella societaÁ borghese attuale gli uomini sono dominati, come da una forza estranea, dai rapporti economici creati da loro 15. K. MARX, Das Kapital, vol. I, cit., p. 43 (Il Capitale, cit., Libro primo (1), p. 93).
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stessi e dai mezzi di produzione da loro stessi prodotti. La base reale dell'azione riflessa della religione continua dunque a sussistere e con essa lo stesso riflesso religioso... Si dice sempre: l'uomo propone e dio (cioeÁ il potere estraneo del modo di produzione capitalistico) dispone. La semplice conoscenza, anche se va molto piuÁ lontano e molto piuÁ a fondo di quella dell'economia borghese, non basta per sottomettere le forze sociali al dominio della societaÁ. Per questo occorre anzitutto un'azione sociale. E quando quest'azione saraÁ compiuta, quando la societaÁ, mediante la presa di possesso e l'uso pianificato di tutti i mezzi di produzione, avraÁ liberato se stessa e tutti i suoi membri dall'asservimento in cui essi sono mantenuti al presente da questi mezzi di produzione prodotti da loro stessi, ma che si ergono di fronte a loro come una prepotente forza estranea, quando dunque l'uomo non piuÁ semplicemente proporraÁ, ma disporraÁ, allora soltanto spariraÁ l'ultima forza estranea che oggi ha ancora il suo riflesso nella religione e conseguentemente spariraÁ anche lo stesso riflesso religioso, per la semplice ragione che non ci saraÁ piuÁ niente da rispecchiare» 16.
Marx ed Engels ci insegnano, quindi, che finche gli uomini sono dipendenti dal gioco cieco delle forze del mercato capitalista, che domina come un destino onnipotente sugli individui impotenti, essi personificano questo destino nelle loro divinitaÁ e cercano di addolcirlo con le loro preghiere. PercioÁ, fino a quando esisteraÁ il regime sociale capitalista, le grandi religioni storiche non potranno scomparire. Non potranno scomparire attraverso la diffusione delle conoscenze, ma soltanto grazie alla trasformazione delle condizioni di vita degli uomini. Soltanto in una societaÁ socialista gli uomini non saranno piuÁ dominati impotentemente dalla forza fatale del mercato, ma realizzeranno 16. F. ENGELS, Herrn Eugen DuÈhrings UmwaÈlzung der Wissenschaft, Stuttgart, 1901, pp. 342-344 [in traduz. ital. a cura di V. Gerratana, AntiduÈhring, Roma, Editori Riuniti, 1971, pp. 336-337].
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consapevolmente essi stessi il proprio destino sociale. Di conseguenza, soltanto in una societaÁ socialista non sentiranno piuÁ alcun bisogno di personificare il proprio destino in un dio ne di raddolcirlo con le preghiere. Soltanto in una societaÁ socialista, quindi, saranno superate le grandi religioni storiche. Come saranno superate? CercheraÁ la societaÁ socialista di sopprimere la religione con il divieto dell'educazione religiosa e delle celebrazioni religiose? Marx ed Engels hanno sempre respinto seccamente idee simili. Quando nel 1874 i rifugiati blanquisti della Comune, sull'esempio della grande rivoluzione, accolsero nel loro programma dei decreti antireligiosi, Friedrich Engels replicoÁ loro: «le persecuzioni sono il mezzo migliore per favorire convinzioni indesiderabili. Il solo servizio che oggi si puoÁ fare ancora a Dio eÁ quello di proclamare l'ateismo come articolo obbligatorio di fede» 17. E quando Eugenio DuÈhring, nella sua utopia dell'avvenire accolse misure antireligiose, Engels lo schernõÁ dicendo: «egli aizza i suoi gendarmi dell'avvenire contro la religione, contribuendo cosõÁ a farne una martire e prolungarne l'esistenza» 18. Marx ed Engels immaginavano in maniera completamente diversa il superamento delle grandi religioni storiche. Essi affermavano: «Il bisogno di idee e di celebrazioni religiose deriva negli uomini dalle condizioni economiche e sociali in cui essi vivono. Gli uomini che cresceranno in una societaÁ socialista giaÁ sviluppata non sentiranno piuÁ questo bisogno. La societaÁ socialista non ``toglieraÁ'' a nessuno la sua religione, non proibiraÁ a nessuno di vivere in piena libertaÁ secondo la propria religione; ma gli uomini di una societaÁ socialista, liberati dalla miseria e dall'insicurezza dell'esistenza, vivranno in condizioni in cui il bisogno delle idee religiose
44.
17. F. ENGELS, Internationales aus dem «Volkstaat», Berlin, 1894, p. 18. F. ENGELS, AntiduÈhring, cit., p. 344 [p. 338].
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a poco a poco scompariraÁ. CosõÁ la religione ``moriraÁ'' di propria morte naturale.» 19. In questo senso Marx ha indicato come uno dei compiti del socialismo quello di «liberare la coscienza dallo spettro della religione» 20. Marx non credeva, come credeva invece l'illuminismo borghese, che si potessero liberare gli uomini della societaÁ capitalistica dallo spettro della religione con la sola propaganda illuminista. Una delle idee fondamentali del socialismo marxista eÁ che l'ideologia religiosa delle masse puoÁ essere trasformata solo con la trasformazione della sua base economica; che gli uomini potranno liberarsi dallo spettro della religione solo quando saranno liberati dalla dipendenza dalle forze elementari produttive del sistema sociale capitalistico, se saranno, cioeÁ, capaci di regolamentare i processi della loro vita sociale. Marx non credeva, come credevano invece i giacobini e i blanquisti, che il socialismo potesse e dovesse scacciare lo spettro religioso con la soppressione dell'insegnamento della, propaganda e del culto religioso; al contrario, ci ha insegnato che lo spettro della religione puoÁ scomparire e scompariraÁ solo quando gli uomini vivranno in condizioni economiche e sociali in cui scompariraÁ a poco a poco il loro bisogno di idee religiose. Questa la dottrina di Marx e di Engels. Ma eÁ giusta questa dottrina? Solo la societaÁ socialista renderaÁ possibile a ciascuno il libero sviluppo della propria personalitaÁ. La societaÁ socialista non livelleraÁ, quindi, ma differenzieraÁ gli uomini. In una societaÁ socialista le concezioni individuali del mondo non saranno differenziate alla stessa maniera in cui sono differenziate le loro disposizioni naturali ed i bisogni spirituali degli uomini di cultura? Certamente, in una societaÁ socialista vivranno uomini che non cercano 19. Ivi. 20. K. MARX, Randglosse zum Programm der deutschen Arbeiterpartei, in ``Die Neue Zeit'', IX, p. 1.
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un'idea del mondo diversa da quella che ci fornisce la scienza e un'immortalitaÁ diversa da quella che a ciascuno di noi procura il proprio impegno personale per il patrimonio collettivo dell'umanitaÁ e per l'ereditaÁ delle generazioni future. Ma anche in una societaÁ socialista non ci saranno degli uomini che, davanti al feretro della propria madre, alla tomba di un bimbo morto, alla tomba di un genio strappato via prematuramente per un banale accidente, proveranno profondi momenti di commozione per la potenza della casualitaÁ naturale? ± di una commozione che cerca la propria soluzione nella fede in una razionalitaÁ del mondo che sfugge alla nostra esperienza, in un significato dell'accadere del mondo che sfugge al nostro sapere? Non cercheraÁ questa fede di esprimersi in una interpretazione filosofica del mondo, in fantasie metafisiche, in una sottomissione simbolica all'Inconoscibile? E quando i cittadini della societaÁ dell'avvenire toglieranno alle religioni storiche tutto cioÁ che per essi eÁ mero riflesso delle condizioni di vita delle masse della societaÁ di classe, non si saraÁ cosõÁ messo a nudo cioÁ che nella religione non eÁ temporale, non eÁ socialmente determinato, ma che eÁ un bisogno dell'animo umano indipendente da ogni condizione di esistenza sociale? Quando scompariranno le religioni che i preti, i pastori e i rabbini insegnano, non saraÁ la coscienza libera per una religione nel senso filosofico? EÁ il marxista Max Adler che pone queste questioni e vi risponde in maniera energicamente affermativa 21. Certamente le concezioni individuali del mondo (individuellen Weltanschauungen) degli uomini della societaÁ futura saranno diverse. Il socialismo scientifico non puoÁ e non vuole prevedere come si formeranno le proprie Weltanschauugen gli uomini dei secoli futuri. CioÁ che Marx ed Engels ci insegnano eÁ semplicemente questo: le 21. M. ADLER, Das Soziologische in Kants Erkenntniskritik, Wiener Volksbuchhandlung, Wien, 1924.
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rappresentazioni religiose, che oggi vivono nelle masse popolari, sono un'immagine speculare delle condizioni di vita economiche e sociali di queste masse. Il socialismo, che trasformeraÁ le condizioni di vita economiche e sociali delle masse popolari, trasformeraÁ di conseguenza anche la loro Weltanschauung. La societaÁ socialista libereraÁ gli uomini dall'angoscia quotidiana per il lavoro e il pane. Li renderaÁ padroni del loro processo di vita sociale. RenderaÁ accessibile al popolo intero la scienza, che oggi eÁ monopolio di una minoranza. Come sempre, gli uomini possono formarsi poi le proprie idee personali del mondo, ma in ogni caso queste idee saranno libere da quelle rappresentazioni religiose delle masse, la cui radice eÁ l'angoscia quotidiana per il lavoro e il pane, la cui essenza eÁ la proiezione nel cielo dei poteri sociali incontrollabili, i cui dogmi concernenti l'accadere del mondo sono in contraddizione con i risultati della scienza e la cui etica eÁ una morale di oppressi, di sfruttati e di umiliati. Questo insegnamento del socialismo scientifico eÁ passato nel nostro programma di partito. Il capitolo del programma di Linz che tratta del nostro rapporto con la religione e con la chiesa, comincia con le seguenti frasi: «Il capitalismo mantiene grandi masse di popolo in uno stato di miseria, di ignoranza e di sottomissione. Questa condizione determina anche le idee religiose di queste masse popolari. Soltanto in un ordine sociale che liberi tutto il popolo dalla miseria e dall'ignoranza, che renda accessibili le conquiste della scienza ad ognuno e dichiari ciascuno un membro di diritto della comunitaÁ popolare liberata dal dominio di classe, ciascun individuo saraÁ in grado di conciliare in piena libertaÁ la propria Weltanschauung con i risultati della scienza e con la dignitaÁ morale di un popolo libero. Lottare per un tale ordine sociale eÁ il compito della socialdemocrazia».
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Come il dominio della chiesa sul popolo e sullo stato puoÁ essere eliminato solo con la vittoria del proletariato sulla borghesia, cosõÁ la capacitaÁ delle masse popolari di esaminare in un'autentica libertaÁ spirituale e di superare le idee religiose ricevute in ereditaÁ da millenni, puoÁ essere ottenuta solo con la distruzione dell'ordine sociale capitalista e l'edificazione di quello socialista.
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PARTITO E RELIGIONE
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AFFARE
DI PARTITO O AFFARE PRIVATO?
Nel turbine della rivoluzione del 1918 la classe operaia, guidata dalla socialdemocrazia, ha imposto la repubblica democratica alla borghesia. Ma la borghesia ha saputo impadronirsi del potere nella repubblica democratica. Sebbene sia solo una minoranza del popolo, la borghesia domina la repubblica, dove la maggioranza del popolo elegge la maggioranza dei rappresentanti del popolo ed elegge in questo modo il governo. Come puoÁ la borghesia dominare la repubblica democratica? PuoÁ dominarla solo percheÁ ad ogni elezione centinaia di migliaia di operai e di operaie, di impiegati e piccoli funzionari, di artigiani asserviti al capitalismo e piccoli contadini danno i loro voti ai partiti borghesi, a quei partiti attraverso i quali la borghesia esercita il suo dominio. Con quali mezzi la borghesia mantiene al suo seguito queste centinaia di migliaia di elettori e di elettrici proletari? Il piuÁ importante di questi mezzi eÁ l'appello alle tradizioni e ai sentimenti religiosi di queste masse proletarie di elettori. La lotta tra la socialdemocrazia e i partiti borghesi eÁ la lotta di classe tra la classe operaia e la borghesia. Ma la borghesia deve mascherare la natura di questa lotta per mantenere al suo seguito centinaia di migliaia di proletari e potersi appoggiare su di essi nella lotta contro il proletariato in lotta. Essa deve rivestire la lotta di classe di veli re-
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ligiosi, per poter mantenere sotto il proprio giogo gli strati proletari di sentimenti religiosi. La borghesia deve percioÁ camuffare la sua lotta di classe contro il proletariato come lotta tra cristiani e atei. I partiti borghesi difendono il dominio della borghesia. Ma possono difenderlo solo mascherandolo come dominio della religione. I partiti borghesi difendono il profitto dei capitalisti e la rendita dei proprietari terrieri. Ma mascherano la lotta per i profitti come lotta per la salvezza eterna dell'anima. I partiti borghesi utilizzano la fede di centinaia di migliaia di proletari nel loro signore del cielo per mantenere questi proletari al seguito dei loro signori terreni. EÁ questa la natura del clericalismo moderno. Esso trasforma, come dice Marx «le questioni terrene in questioni teologiche», cioeÁ, la lotta di classe tra borghesia e proletariato nella lotta ideologica tra cristiani e atei. Fa della religione un affare di partito, del partito della borghesia, per appoggiare il dominio della borghesia sulla religione delle masse popolari.21 L'ipoteca, che il contadino possiede sui beni celesti ± dice Marx ± garantisce l'ipoteca che il borghese possiede sui beni del contadino 1.
EÁ contro il dominio della borghesia che si scaglia la classe operaia unita nella socialdemocrazia. Al tempo della formazione della socialdemocrazia si sono raggruppati in essa quegli strati del proletariato industriale, la cui esistenza sociale aveva subito la piuÁ profonda trasformazione, il cui pensiero era stato rivoluzionato completamente, e che, essendosi staccati da tutte le altre loro tradizioni, si erano staccati anche dalla religione tradizio1. 21K. MARX, Die Klassemkampfe in Frankreich, Berlin, 1920, p. 64 (Le lotte di classe in Francia, in MARX-ENGELS, Opere complete, cit., vol. X, p. 90).
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nale. A quell'epoca socialdemocrazia e libero pensiero erano una cosa sola. Ma, se lo sviluppo del capitalismo ha allontanato completamente una parte della classe operaia, tuttavia lo stato di miseria, di insicurezza costante dell'esistenza, di ignoranza, in cui il proletariato vive nella societaÁ capitalista, mantiene larghe masse proletarie sotto l'influsso della religione tradizionale. La socialdemocrazia puoÁ abbattere il dominio della borghesia nella repubblica democratica solo se essa riesce a unificare la maggioranza del popolo sotto le sue bandiere. Essa non puoÁ diventare maggioranza del popolo finche nei propri ranghi si trovano soltanto gli strati della classe operaia liberati dalla tradizione religiosa. Essa puoÁ conquistare la maggioranza soltanto se le riesce di riunire l'intera classe operaia e, sotto la guida della classe operaia, i ceti a lei piuÁ vicini della piccola borghesia, dei piccoli contadini e degli intellettuali. EÁ per questo che essa deve sforzarsi di staccare dal seguito dei partiti borghesi i proletari che nutrono ancora sentimenti religiosi e tirarli a seÂ. Per questo scopo la socialdemocrazia deve strappare le vesti religiose, dietro alle quali la borghesia cerca di nascondere la lotta di classe. La socialdemocrazia, a quegli operai dai sentimenti religiosi, che seguono ancora i partiti borghesi, parla cosõÁ: I partiti borghesi non difendono i principi del cristianesimo; difendono l'ordine sociale capitalista! I partiti borghesi non difendono la religione; difendono il dominio della borghesia! I partiti borghesi non difendono la salvezza della vostra anima; difendono i profitti dei capitalisti e le rendite dei signori latifondisti! La lotta del nostro tempo non eÁ una guerra di religione tra cristiani e atei; eÁ una lotta di classe tra borghesia e proletariato. Noi combattiamo non contro il signore del cielo, ma contro i signori della terra.
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Colui che eÁ un proletario sfruttato, un artigiano asservito al capitalismo o un povero piccolo contadino, si unisca alla nostra lotta contro i padroni terreni, sia egli credente o no nel signore che eÁ nei cieli! Se la borghesia ha necessitaÁ di camuffare la lotta di classe, la socialdemocrazia deve cercare di smascherarla allo scopo di attirare nei ranghi del proletariato i proletari che la maschera religiosa della lotta mantiene al seguito della borghesia. Se la borghesia ha necessitaÁ di trasformare «i problemi terreni in questioni teologiche», la socialdemocrazia deve, invece, ritrasformare le questioni teologiche in problemi terreni. Se la borghesia ha bisogno di fare della religione un affare di partito, per mantenere al seguito del partito borghese larghe masse proletarie, la socialdemocrazia deve, invece, trattare la religione come affare privato, per riunire tutto il proletariato in una lotta di classe comune. Se ai suoi inizi, la socialdemocrazia era composta esclusivamente dagli strati piuÁ avanzati, piuÁ rivoluzionari e piuÁ compiutamente emancipati da tutte le tradizioni del passato, ora noi dobbiamo aggiungere agli operai le operaie, ai lavoratori dell'industria gli operai della campagna e i boscaioli, i Keuschler 2, i piccoli contadini. EÁ cosõÁ che, insieme ai liberi pensatori, si unisce alle nostre file un numero sempre piuÁ grande di proletari, che sono legati alle loro tradizioni religiose. Noi dobbiamo raggiungere questi proletari dai sentimenti religiosi, perche solo se tutto il proletariato eÁ unito, esso puoÁ conquistare il potere nella repubblica democratica. Noi possiamo raggiungere questi proletari dai sentimenti religiosi, se accogliamo come compagno avente gli stessi diritti e lo stesso valore chiunque abbia voglia di condurre insieme a noi la lotta per i nostri scopi terreni, la lotta per il superamento dell'ordine sociale capi2. Keuschler = piccolo e povero contadino [N.d.T.].
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talista e per la realizzazione di quello socialista, qualunque sia la sua opinione sul cielo. Il nostro programma di Linz dichiara che lo scopo della nostra lotta eÁ l'ordine sociale socialista, che renderaÁ ogni singolo individuo capace di «mettere d'accordo in piena libertaÁ la propria Weltanschauung con i risultati della scienza e con la dignitaÁ morale di un popolo libero». Ma per raggiungere questo scopo, dobbiamo, come dice il nostro programma di Linz, «unire e organizzare l'intera classe operaia ± gli operai dell'industria, del commercio e dei trasporti con gli operai della campagna e dei boschi, i lavoratori manuali con gli impiegati e i funzionari»; dobbiamo, inoltre, «conquistare alla classe operaia come alleati i ceti che le sono piuÁ vicini, cioeÁ quelli dei piccoli contadini, della piccola borghesia e degli intellettuali», per diventare la maggioranza del popolo e conquistare il potere dello Stato e usare, poi, il potere statale per il superamento del regime sociale capitalista e l'edificazione di quello socialista. Il nostro programma di Linz continua: «A questo scopo, la socialdemocrazia deve unire tutti quelli che sono sfruttati dal capitale e dal latifondo, quali che siano le loro idee religiose, e quali che possano essere i modi in cui le loro idee religiose vengono influenzate dallo stato di miseria e di ignoranza in cui li mantiene il capitalismo. La socialdemocrazia unisce cosõÁ tutti coloro che vogliono prender parte alla lotta di classe della classe operaia e delle classi popolari raccolte intorno a lei, senza differenza di convinzioni religiose. Contrariamente al clericalismo, che fa della religione un affare di partito, per dividere la classe operaia e mantenere larghe masse proletarie al seguito della borghesia, la socialdemocrazia considera la religione come un fatto privato dell'individuo».
I clericali dicono: non credete ai socialdemocratici! Sono atei, vogliono togliervi la religione. Solo per catturare
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voti, essi si comportano come se volessero trattare la religione come fatto privato dell'individuo. Anche alcuni liberi pensatori delle nostre proprie file la pensano in modo del tutto simile: eÁ soltanto una manovra tattica! In realtaÁ, eÁ soltanto l'ateo il vero, autentico socialdemocratico. Tutti e due, il clericale e il libero pensatore, hanno torto. Che cosa dice il nostro programma? L'adesione al partito eÁ indipendente dalle idee religiose del singolo. Chi professa gli scopi del nostro programma eÁ per noi benvenuto come compagno di partito; che cosa egli pensi delle questioni religiose eÁ suo affare privato. EÁ questa concezione una manovra tattica ? No, eÁ una conseguenza necessaria di due concezioni fondamentali della socialdemocrazia. La prima di queste due concezioni fondamentali eÁ la concezione materialistica della storia fondata da Marx ed Engels. Essa ci insegna che le idee religiose degli uomini sono un riflesso delle loro condizioni sociali di vita; che le concezioni religiose di larghe masse del proletariato possono essere superate non con una semplice propaganda, ma solo attraverso la trasformazione delle loro condizioni sociali di vita. Ci insegnano, percioÁ, che grandi masse proletarie resteranno in balia della religione tradizionale fino a quando esisteraÁ il capitalismo. La seconda delle due concezioni fondamentali su cui si basa questa parte del nostro programma, eÁ la nozione secondo cui noi possiamo raggiungere il nostro scopo solo se conquistiamo dalla nostra parte la maggioranza del popolo; e che noi possiamo, quindi, vincere solo se uniamo non solo gli strati culturalmente piuÁ sviluppati della classe operaia, ma tutti i suoi strati. EÁ da queste due concezioni fondamentali del socialismo che il nostro programma trae la sua conclusione. Se sappiamo che larghi strati del proletariato rimarranno sotto l'influenza della religione tradizionale finche vivraÁ il capitalismo, e se sappiamo che possiamo vincere il capitalismo solo se siamo capaci di riunire tutti gli strati del proletariato
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nelle nostre file, allora la conclusione necessaria eÁ che dobbiamo riunire nella lotta comune i proletari legati alle loro tradizioni religiose, con quelle masse proletarie che si sono emancipate da ogni religione, per abbattere la borghesia e spezzare il dominio del capitale. Il principio di trattare la religione come affare privato eÁ allora una conseguenza necessaria del fatto che noi non siamo una semplice associazione di propaganda per la diffusione di determinate idee su questioni religiose, ma un partito di lotta di classe, che puoÁ vincere solo se riunisce l'intera classe per la lotta comune. Per questo le porte del nostro partito restano aperte a chiunque voglia combattere con noi contro il dominio del capitale, sia egli credente o libero pensatore. PercioÁ dobbiamo dare il benvenuto come compagno dagli stessi diritti a chiunque voglia combattere con noi la nostra lotta di liberazione, qualunque cosa egli pensi di Dio, dell'immortalitaÁ dell'anima e della Bibbia. La classe operaia vinceraÁ tanto piuÁ rapidamente e piuÁ completamente, quanto piuÁ compiutamente saraÁ realizzata tutta la prassi della nostra vita di partito secondo questo principio fondamentale del nostro programma di Linz. LA
SOCIALDEMOCRAZIA E I PROLETARI RELIGIOSI
Il principio del nostro programma di partito di trattare la religione come affare privato, eÁ, innanzitutto, un appello a quelle grandi masse di proletari che stanno ancora fuori dalle file di lotta del proletariato; un appello alle operaie, agli operai agricoli e forestali, ai Keuschler e piccoli contadini, che sono diventati i sostegni del dominio della borghesia, perche i loro sentimenti religiosi li mantengono al seguito dei partiti borghesi. A queste masse proletarie noi diciamo: noi lottiamo per il miglioramento del vostro tenore di vita, del vostro diritto sociale e per la costruzione di scuole per i vostri figli. Ma
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voi sostenete il dominio di coloro che vi opprimono. Staccatevi da costoro! Venite con noi! Lottate con noi! La vostra fede non ci deve dividere. Noi siamo una cosa sola nella lotta comune per i nostri scopi economici, sociali, politici e culturali; ognuno, poi, puoÁ pensare cioÁ che vuole della religione! I proletari religiosi dicono: Non siete voi liberi pensatori? Non siete atei? Come possiamo allearci con voi, che disprezzate cioÁ che per noi eÁ sacro? Noi rispondiamo: certamente, ci sono molti liberi pensatori nelle nostre file. Ma nelle nostre file ci sono anche molti credenti cattolici, protestanti ed ebrei. Noi vogliamo riunire tutti quelli che vogliono condurre insieme con noi la lotta per gli interessi quotidiani del proletariato e per la costruzione di una societaÁ socialista. I liberi pensatori sono una comunitaÁ numerosa all'interno della socialdemocrazia; ma non eÁ mica detto che ogni socialdemocratico deve essere o diventare libero pensatore. Nella discussione interviene un prete. E dice: La prima frase del vostro programma di Linz afferma che voi conducete una battaglia «basata sulle teorie del socialismo scientifico». Il socialismo scientifico: questo eÁ il marxismo. Il marxismo: questo eÁ materialismo. Il materialismo: questo eÁ ateismo. Ora, degli uomini credenti non possono aderire a un partito che professa il materialismo ateo. Noi rispondiamo: Voi confondete due cose fondamentalmente diverse: la cosiddetta concezione materialistica della storia con il cosiddetto materialismo scientifico naturale. La concezione materialistica della storia ci insegna che lo sviluppo delle forze produttive e dei rapporti di produzione determina in generale il processo di vita sociale, politico e spirituale. Con i metodi di lavoro, i mezzi di lavoro, con la divisione del lavoro e con la divisione dei redditi da lavoro si trasforma la composizione della societaÁ, si trasformano Stato e Diritto. Con le condizioni di vita economiche e sociali degli uomini si trasforma anche il loro mo-
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do di pensare, si trasformano i costumi, i valori morali, la scienza, l'arte, la religione. Il cosiddetto materialismo scientifico naturale insegna che dall'eternitaÁ esiste una sostanza, la materia, che eÁ composta di piccolissime particelle invariabili omogenee (atomi o elettroni). Tutto quello che accade nel mondo eÁ il movimento di queste piccolissime particelle. La concezione materialistica della storia eÁ una dottrina della societaÁ umana. Ci assegna il compito di ricercare la dipendenza di tutti i mutamenti della vita sociale, politica e spirituale degli uomini dallo sviluppo delle forze produttive del lavoro umano e dei rapporti di produzione dei lavoratori. Il materialismo scientifico eÁ una teoria del cosmo. Assegna ai suoi seguaci il compito di ricondurre tutti gli eventi del mondo ai movimenti degli atomi o degli elettroni. Il socialismo scientifico non eÁ una filosofia, che cerca di spiegare l'essenza del mondo, ma una scienza dello sviluppo della societaÁ umana. Il fondamento di questa scienza eÁ la concezione materialistica della storia. Il materialismo scientifico, al contrario, eÁ in realtaÁ una dottrina dell'essenza del mondo. Questa dottrina si contrappone, in effetti, ad ogni visione religiosa del mondo. EÁ, di fatto, una dottrina ateistica. In che rapporto sta, quindi, il socialismo scientifico, che si basa sulla concezione materialistica della storia, con il materialismo scientifico ateo? Degli studiosi, che hanno la stessa opinione su questioni di medicina o di biologia, di chimica o di fisica, possono avere, tuttavia, punti di vista molto differenti su questioni filosofiche, su questioni circa l'origine e l'essenza dell'universo, circa il senso degli eventi del mondo. Allo stesso modo, dei teorici, che hanno uno stesso punto di vista sullo sviluppo della societaÁ umana, possono avere punti di vista differenti sull'origine, l'essenza e il senso del mondo. Esistono certamente teorici marxisti che sono contemporaneamente seguaci del materialismo scientifico ateo.
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Lo erano, per esempio, sia il menscevico Plechanov che il bolscevico Lenin. Ma ci sono anche teorici marxisti, che, pur seguaci molto decisi della concezione materialistica della storia, sono allo stesso tempo decisi avversari del materialismo scientifico. Vogliamo portare due esempi. Il marxista austriaco Friedrich Adler eÁ naturalmente ± proprio questo lo fa marxista ± un seguace della concezione materialistica della storia. Ma eÁ un avversario del materialismo scientifico, del materialismo ``meccanicistico''. EÁ un discepolo del grande ricercatore naturalista Mach, la cui opera di tutta una vita fu impegnata nel superamento del materialismo meccanicistico. Il materialismo ha creduto di ricercare l' ``essenza'' degli eventi naturali, riconducendoli tutti a movimenti di atomi e di elettroni invariabili; Mach insegna, invece, che la scienza non eÁ capace di ricercare una falsa essenza della natura dietro i fenomeni che noi osserviamo, ma soltanto di descrivere in maniera coerente ed economica i fenomeni da noi osservati; i movimenti degli atomi e degli elettroni non sono piuÁ per noi l'``essenza'' del mondo, ma soltanto strumenti del nostro pensiero, che ci permettono di rappresentarci ``economicamente'' il rapporto di dipendenza reciproca delle trasformazioni che osserviamo nei corpi. Mach, in questa maniera, restrinse il compito della scienza, ma assunse una posizione diversa nei riguardi della religione. Friedrich Adler cita, approvandolo, cioÁ che Mach dice di essa: «La scienza della natura non si presenta con la pretesa di essere una concezione del mondo giaÁ tutto fatto, ma con la coscienza di lavorare ad una concezione del mondo futuro. La piuÁ alta filosofia del ricercatore naturalista consiste precisamente nell'accontentarsi di una concezione del mondo incompiuta e preferirla a una apparentemente conclusa, ma insufficiente. Le opinioni religiose restano personalissimi affari privati di ciascun uomo, finche egli
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non diventa tutt'uno con esse e non le trasferisce in cose che appartengono ad un altro foro» 3.
Un altro marxista austriaco, Max Adler, ovviamente anche lui un seguace della concezione materialistca della storia, eÁ in filosofia un discepolo dell'idealismo critico di Kant. Egli considera come un bisogno insopprimibile di ogni anima umana il credere che il nostro mondo, che l'esperienza ci media e la scienza ci spiega, sia soltanto il modo di apparire, imposto alla ristrettezza della nostra percezione e del nostro pensiero, di un altro mondo in cui ogni contraddizione tra le leggi cieche della natura ed i valori sensati della vita umana trova la propria soluzione 4. Max Adler si riconosce dunque in una concezione religiosa del mondo. E cerca energicamente di dimostrare che la sua Weltanschauung religiosa eÁ conciliabile con il socialismo scientifico tanto quanto lo sono le concezioni areligiose. «La teoria della regolaritaÁ della storia e, nell'applicazione della stessa, la dottrina sulla natura delle categorie economiche e dello sviluppo economico della societaÁ: eÁ questo il marxismo, ed in quanto tale esso eÁ ± cioÁ che costituisce propriamente il suo orgoglio ± scienza, l'inizio di una nuova teoria esatta della societaÁ [...] Ma questa teoria, i problemi che essa pone e i tentativi di risolverli non hanno niente a che fare con le questioni della Welatanschauung [...] Si possono legare ugualmente bene sia con una che con una altra concezione filosofica del mondo, con una materialistica come con una spiritualistica, con un sistema panteistico o con uno ateistico [...] esattamente, per esempio, come la legge della gravitazione resta la stessa per i teisti e per gli ateisti, anzi addirittura come per il pensatore deista, che prende sul serio la scienza, le leggi biologiche 3. F. ADLER, Ernst Machs uÈberwindung des mechanischen Materialismus, Wien, 1918, p. 25. 4. Cfr. M. ADLER, Das Soziologische in Kants Erkenntniskritik, cit., pp.244 ss.
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diventano un'occasione in piuÁ per ammirare la saggezza del suo creatore, ma vengono, per il resto, considerate non diversamente dall'ateista» 5. Il fondamento e il senso piuÁ profondo dell'espressione Religion Privatsache eÁ precisamente questo: che il marxismo eÁ conciliabile con le diverse concezioni filosofiche del mondo. Naturalmente qui non dobbiamo esaminare quale di esse sia la Weltanschauung piuÁ giusta, se quella dei materialisti (Plechanov, Lenin), dei positivisti (Friedrich Adler) o dei kantiani (Max Adler). Per noi si tratta piuttosto di dimostrare in questi esempi che tra i teorici del socialismo scientifico troviamo dei seguaci di concezioni del mondo differenti: sia i seguaci del materialismo antireligioso che quelli del positivismo indifferente nei confronti della religione e quelli dell'idealismo critico religioso. L'affermazione che l'adesione al socialismo scientifico implichi o supponga un'adesione al materialismo scientifico antireligioso e ateistico, eÁ percioÁ falsa. Il prete ci risponde: questo eÁ un gioco di parole ingannevole. Non ci preoccupa di sapere come voi vi collocate rispetto alle creazioni fantastiche, che i filosofi chiamano religione. Ci preoccupa di sapere piuttosto come vi comportate nei riguardi della nostra religione positiva, nei confronti della fede cristiana cattolica del nostro popolo. PuoÁ darsi che voi non richiediate ai vostri seguaci di giurare sul materialismo scientifico; ma voi stessi non contestate che la concezione materialistica della storia sia il fondamento delle vostre concezioni. Ma questa concezione materialistica insegna, appunto, che la religione positiva del nostro popolo credente cristiano eÁ soltanto un riflesso delle sue condizioni di vita economiche e sociali. CioÁ che per noi eÁ rivelazione di Dio, per voi eÁ soltanto un'immagine speculare dell'ignoranza, della sottomissione e della povertaÁ del nostro popolo! 5. M. ADLER, Marxistische Probleme, Stuttgart, 1913, pp. 62-64.
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E gli operai credenti riprendono il discorso del prete: Voi ci dite che noi possiamo conservare la nostra fede anche nelle vostre file. Ma al tempo stesso considerate la nostra fede soltanto una conseguenza della nostra ristrettezza e della nostra arretratezza. Come possiamo unirci a voi, dal momento che ritenete tanto disprezzabile cioÁ che per noi eÁ la cosa piuÁ sacra? Noi rispondiamo: certamente, noi siamo convinti che l'uomo sazio pensa e sente in modo diverso dall'uomo che ha fame, chi eÁ economicamente sicuro pensa e sente in maniera diversa da colui che ogni giorno deve temere per il suo posto di lavoro, l'istruito in maniera diversa da colui, al quale la societaÁ di oggi ha dato soltanto una scarsa istruzione elementare. Noi siamo convinti che la miseria economica e culturale, in cui vi mantiene il capitalismo, ha influenza anche sulle vostre idee religiose. Ma proprio per questo noi non le disprezziamo. Il borghese liberale puoÁ deridere con superbia la religione del popolo; ma il suo altezzoso disprezzo della religione popolare eÁ soltanto un aspetto del suo altezzoso disprezzo del proletariato, che il borghese disprezza a causa della povertaÁ culturale, in cui la borghesia mantiene il proletariato. Ma il socialismo, il difensore del povero, non deride le piaghe della miseria [riflesse] nella fede popolare. Certamente, noi siamo convinti che i vostri figli penseranno in maniera diversa da voi su Dio e sul mondo, se avremo ottenuto per essi soltanto un migliore tenore di vita, un'esistenza assicurata e una educazione scolastica migliore. Ma questa nostra convinzione non ci deve dividere. Cerchiamo, per il momento, di combattere insieme per una migliore condizione di vita, per l'esistenza assicurata e per una formazione scolastica piuÁ compiuta! Se cerchiamo di ottenerle con la lotta in comune, la futura generazione si formeraÁ in libertaÁ la sua Weltanschauung in maniera conforme ai suoi bisogni spirituali! I proletari religiosi dicono: voi ci invitate a lottare con voi per l'ordine socialista della societaÁ. Ma voi stessi dite
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che nell'ordine socialista della societaÁ le religioni del nostro tempo scompariranno. Lottando per l'ordine socialista della societaÁ, voi volete, poi, togliere di mezzo la religione, se non a noi, almeno ai nostri posteri. Noi rispondiamo: l'ordine socialista della societaÁ non imporraÁ, ne vieteraÁ a nessuno una religione. Piuttosto daraÁ a ciascun individuo la vera libertaÁ spirituale di decidere da seÂ, secondo la propria convinzione interiore. Voi non avete conosciuto questa libertaÁ. Il parroco di paese vi ha insegnato la vostra religione; cioÁ che la scienza ha indagato, cioÁ che i grandi pensatori hanno ideato, non vi eÁ stato comunicato. La societaÁ socialista educheraÁ tutti gli uomini a diventare uomini di cultura e renderaÁ accessibili a tutti le conquiste della scienza; i vostri discendenti dovranno confrontare la religione, che voi tramandate loro, con l'ereditaÁ spirituale dell'umanitaÁ, che saraÁ loro accessibile, e poi devono formarsi da seÂ, in libertaÁ, il loro giudizio. Per voi eÁ il vostro bisogno, la vostra angoscia del giorno che verraÁ che vi insegna a pregare; ai vostri discendenti devono essere assicurati lavoro e pane, ed essi, una volta liberati dalle piuÁ amare preoccupazioni e dall'angoscia quotidiana, devono formarsi la loro visione del mondo. Tuttavia crediamo che la loro visione del mondo appariraÁ, poi, diversa dalla vostra. Ma volete voi rinunciare a lottare con noi perche sia assicurata ai vostri discendenti un'esistenza migliore e piuÁ degna su questa terra, soltanto per il fatto che essi, poi, forse la penseranno diversamente da voi sull'aldilaÁ? Questo eÁ quanto il nostro programma di Linz dice agli operai credenti. Esso non nasconde loro la nostra convinzione scientifica che «lo stato di miseria, di ignoranza e di sottomissione», in cui il capitalismo mantiene le masse popolari, determina «anche le opinioni religiose di queste masse popolari». Non nasconde loro in nessun modo la nostra convinzione marxista che la liberazione economica del proletariato avraÁ come conseguenza anche la sua liberazione spirituale dalle catene delle tradizioni piuÁ antiche, perche solo la liberazione economica renderaÁ ogni indivi-
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duo capace di «conciliare in piena libertaÁ la propria visione del mondo con i risultati della scienza e con la dignitaÁ morale di un popolo libero». Ma proprio perche noi sappiamo che la liberazione spirituale del proletariato puoÁ essere soltanto la conseguenza della sua liberazione economica, noi rifiutiamo di dividere il proletariato nella discussione a proposito delle idee religiose. Proprio per questo noi chiediamo agli operai credenti e non credenti di unirsi innanzitutto nella lotta per la liberazione economica e di lasciare al futuro la questione di come gli uomini, non appena avranno ottenuto la loro liberazione economica, si formeranno la loro visione del mondo. EÁ per questo che il nostro programma dichiara la religione affare privato dell'individuo e garantisce cosõÁ agli operai credenti e non credenti la rigorosa neutralitaÁ del partito nei confronti delle idee religiose e areligiose dei suoi membri. SOCIALDEMOCRAZIA
E LIBERO PENSIERO
Ma il nostro programma non eÁ soltanto un appello ai proletari religiosi, che ora dobbiamo conquistare. Esso determina, nello stesso tempo, anche il rapporto del nostro partito con i liberi pensatori proletari che sono nelle nostre proprie file. La socialdemocrazia eÁ il partito di classe del proletariato. Deve cercare di unire tutta la classe operaia nelle sue file: sia gli operai dell'industria che gli operai agricoli, i Keuschler ed i piccoli contadini; sia l'impiegato, che ha studiato in una scuola media o in una scuola superiore, sia il giornaliero di paese che ha frequentato soltanto la scuola monoclasse del paese; sia i ceti operai, che sono passati giaÁ da decenni attraverso la scuola della lotta di classe, sia i proletari che si stanno svegliando alla coscienza di classe proprio in questo momento. CosõÁ il nostro partito abbraccia i ceti proletari piuÁ diversi: ceti che vivono ad un livello culturale considerevolmente differente e che
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hanno raggiunto gradi di sviluppo della coscienza di classe molto differenti. Il nostro partito deve accogliere nel proprio seno i proletari, come li ha allevati il capitalismo: con tutta l'ignoranza e la carenza culturale in cui l'ordine sociale capitalista li ha condannati a vivere, con tutti i vizi degli oppressi che il capitalismo ha alimentato in essi. Ma nell'organizzazione proletaria, nella prassi della lotta di classe proletaria, una parte sempre piuÁ considerevole del proletariato si libera da quello stato di miseria culturale in cui l'intero proletariato eÁ originariamente vissuto; dal seno del proletariato si sviluppa un'eÂlite intellettuale attiva che lotta con crescente successo per la conquista di una cultura sempre piuÁ grande. Sono gli operai che, nelle loro ore libere, cercano di acquistare una conoscenza superiore, che cercano il loro piacere nel godimento di un'arte autentica e tentano di sviluppare nella loro organizzazione una nuova cultura impregnata dello spirito del socialismo. Questa lotta dei ceti intellettualmente piuÁ attivi e piuÁ avanzati della classe operaia eÁ una parte della lotta di classe. Come la classe operaia, nella lotta di classe, cerca di conquistare una parte sempre piuÁ grande di beni materiali terreni e di raggiungere un tenore di vita materiale piuÁ elevato, cosõÁ il ceto del proletariato piuÁ intellettualmente avanzato e numericamente in crescita costante, conquista a favore dell'umanitaÁ un piuÁ elevato patrimonio spirituale ed una condizione di vita culturale piuÁ elevata. Le conquiste economiche e sociali del proletariato si trasformano in conquiste culturali; la giornata lavorativa di otto ore, le ferie per gli operai, l'aumento dei salari, la riforma della scuola sono il presupposto di una lotta efficace dell'eÁlite intellettuale del proletariato per una cultura superiore. Uno dei compiti della socialdemocrazia eÁ di sostenere vigorosamente questa lotta culturale dell'eÂlite intellettuale, dell'avanguardia intellettuale del proletariato. A questo proposito il programma di Linz dichiara:
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«La socialdemocrazia organizza l'istruzione degli operai e promuove lo sviluppo dell'istruzione popolare e la volgarizzazione dell'arte. Essa sostiene tutti i tentativi dei ceti piuÁ avanzati della classe operaia per appropriarsi delle conquiste della scienza e dell'arte e di fonderli insieme agli elementi culturali che si sviluppano poco a poco in seno alle condizioni di vita della classe operaia stessa e che sono impregnati dello spirito della loro lotta di emancipazione, per farne dei germi della futura cultura proletaria socialista».
CosõÁ il partito operaio ha due differenti compiti da compiere. Da una parte guida la lotta della classe operaia per la conquista del potere; dall'altra, sostiene gli sforzi dei ceti piuÁ progrediti della classe operaia a favore della cultura. Per poter condurre vittoriosamente la battaglia del proletariato per il potere, il partito deve riunire in se tutto il proletariato, non soltanto i suoi settori piuÁ progrediti, ma anche quelli ancora arretrati; per sviluppare «i germi della futura cultura proletaria socialista», deve, d'altra parte, sostenere vigorosamente la lotta per la cultura del ceto piuÁ progredito del proletariato. I quadri del partito devono essere vasti in misura tale che anche i settori ancora arretrati del proletariato possano trovarci posto e soddisfazione per i propri bisogni; ma all'interno dei quadri generali del partito, che comprendono l'intero proletariato, devono svilupparsi delle organizzazioni specifiche che servano alla lotta culturale dei ceti piuÁ avanzati del proletariato. L'alcoolismo, fra tutti i vizi degli oppressi eÁ uno dei peggiori e dei piuÁ nocivi. Ma il partito deve abbracciare tutto il proletariato. Non puoÁ scartare dalle proprie file centinaia di migliaia di compagni di partito, ne dichiarare inferiori quanto a valore e a diritto alcuni membri del partito. Tuttavia, all'interno del partito deve esserci una comunitaÁ piuÁ ristretta che operi per una cultura liberata dalle droghe. Questa comunitaÁ piuÁ ristretta eÁ la nostra associazione operaia degli astinenti. La maggior parte dei genitori operai, nell'educazione
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dei loro figli, adoperano metodi che recano loro gravi danni morali. Ma il partito, che deve abbracciare tutto il proletariato, non puoÁ percioÁ escludere dalle proprie file un padre, perche picchia suo figlio, ne una madre perche mortifica ed umilia sua figlia. Tuttavia, all'interno del partito, deve esserci una comunitaÁ piuÁ ristretta, che si sforzi di far conoscere ai genitori operai i risultati della ricerca psicologica moderna, i metodi della pedagogia moderna, e di adottare questi metodi educativi negli asili infantili e che cerchi di addestrare i proletari nella loro applicazione nell'educazione familiare. Questa comunitaÁ ristretta eÁ la nostra organizzazione degli Amici per l'infanzia. Fino a quando esisteraÁ la societaÁ capitalista, decine di migliaia di proletari delle cittaÁ e centinaia di migliaia delle campagne resteranno attaccati alla religione tradizionale. Il partito, che puoÁ vincere solo se unisce, nel proprio corpo d'armata, tutto il proletariato, deve cercare di conquistare anche questi proletari. PercioÁ, all'interno del partito, l'operaio credente e quello non credente devono potersi sentire alla stessa maniera come a casa propria. PercioÁ il partito non puoÁ escludere nessuno a causa della propria fede, ne trattarlo come un compagno di rango inferiore. Tuttavia, all'interno del partito, deve esserci una comunitaÁ piuÁ ristretta che raggruppi i compagni che si sono staccati dalla religione e soddisfi il bisogno intellettuale di questi compagni di sostituire alla Weltanschauung religiosa perduta una concezione moderna del mondo fondata sulla conoscenza scientifica. Questa comunitaÁ piuÁ ristretta eÁ l'organizzazione dei liberi pensatori (Freidenker-organisation). L'organizzazione dei liberi pensatori ha da svolgere, percioÁ, una funzione importante all'interno della socialdemocrazia. Allo stesso modo delle nostre organizzazioni educative operaie, allo stesso modo della nostra sezione artistica, dei nostri Amici dell'Infanzia, della nostra associazione degli astinenti e dei nostri Amici della natura, anche l'organizzazione dei liberi pensatori ha il compito di soddisfare i bisogni spirituali dei settori intellettualmente
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attivi e sviluppati della classe operaia, di servire alla lotta di questi settori proletari per una cultura piuÁ conforme al loro modo di pensare superiore e di favorire nei settori progrediti del proletariato di oggi lo sviluppo dei germi della cultura socialista di domani. Ma per quanto indispensabili siano le organizzazioni che servono alla vita culturale dei settori operai intellettualmente piuÁ progrediti, i quadri del partito devono essere, tuttavia, molto piuÁ ampi dei quadri di queste organizzazioni. I settori operai, ai cui bisogni intellettuali esse servono, sono solo una parte del proletariato industriale e questo, a sua volta, eÁ soltanto una parte dell'intera classe operaia. Se il partito deve incoraggiare la lotta dei settori piuÁ progrediti del proletariato per la cultura, allora deve, d'altra parte, riunire tutto il proletariato nella lotta per il potere. La socialdemocrazia eÁ il partito del proletariato. I liberi pensatori sono la comunitaÁ ideologica di un settore del proletariato intellettualmente avanzato. A raggruppare gli uomini nei partiti eÁ la volontaÁ di trasformare Stato e societaÁ secondo gli interessi e gli ideali di una classe; ad unire gli uomini in una comunitaÁ ideologica eÁ la concordanza delle loro idee su Dio, sull'universo e sulla sorte dell'anima umana. Le comunitaÁ ideologiche si differenziano le une e le altre per il fatto che interpretano in maniera diversa il mondo; i partiti si differenziano per il fatto che vogliono cambiare in maniera diversa la societaÁ. Le organizzazioni dei liberi pensatori possono riunire solo quegli operai che si sono fatti strada attraverso una Weltanschauung liberata da tutte le idee religiose e fondata sulla base della scienza; il partito deve unire, senza differenze di opinioni, tutti quelli che partecipano alla lotta di classe del proletariato, vogliono conquistare il potere statale al proletariato e condurre sotto la proprietaÁ collettiva del popolo i mezzi concentrati di produzione, sottraendoli alla proprietaÁ privata del capitalismo e dei grandi proprietari. Il partito deve capire che la comunitaÁ ideologica dei li-
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beri pensatori soddisfa un innegabile bisogno di cultura dei settori operai piuÁ progrediti. I liberi pensatori, da parte loro, devono comprendere che il partito deve diventare l'organizzazione di potere di tutta la classe operaia, dei suoi strati credenti come di quelli non credenti, al fine di vincere nella lotta di classe per il potere e di sviluppare cosõÁ liberamente la cultura socialista. Socialdemocrazia e libero pensiero non sono e non possono, quindi, essere allora identici. Tuttavia, non c'eÁ contraddizione tra loro due, ma c'eÁ il rapporto della comunitaÁ piuÁ ampia con una piuÁ ristretta, il rapporto del tutto con una sua parte. Per molti liberi pensatori eÁ certamente molto difficile condividere questa concezione del rapporto tra la socialdemocrazia ed il libero pensiero. Essi pensano: come il libero pensiero combatte la religione, cosõÁ anche il partito deve combattere la religione. Esso non deve trattare le idee religiose dei singoli proletari come un affare privato, ma intraprendere la lotta contro di esse. Questo punto di vista molto diffuso nelle file dei liberi pensatori proletari si basa su due errori: il primo eÁ l'ereditaÁ del vecchio illuminismo borghese; il secondo eÁ quello che, negli ultimi tempi, il bolscevismo sta portando nelle masse dei liberi pensatori. Il liberalismo borghese, quando era in lotta contro la reazione feudo-clericale, vedeva che la fede cattolica manteneva grandi masse popolari sotto l'influenza del partito feudo-clericale. Per questo il liberalismo pensava: noi, con il nostro lavoro educativo dobbiamo liberare il popolo dai suoi pregiudizi religiosi, per renderlo capace di liberarsi politicamente dalla reazione feudo-clericale e liberarsi economicamente dal dominio del grande proprietario terriero. L'illusione del liberalismo fu di credere che l'emancipazione dalla religione fosse il presupposto dell'emancipazione politica ed economica. La borghesia liberale non poteva e non voleva liberare il popolo dalla sua miseria economica. Tuttavia, essa immaginava di poterlo liberare dalla sua miseria religiosa,
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che il suo avversario storico, il grande proprietario terriero, utilizzava invece a sostegno del proprio potere. Marx ha criticato quest'illusione liberale dicendo che la miseria religiosa eÁ soltanto il riflesso della miseria economica e che scompare solo con il superamento della miseria economica. Solo l'emancipazione economica crea i presupposti dell'emancipazione spirituale, e non viceversa. Tuttavia anche oggi molti liberi pensatori vivono ancora nella vecchia illusione liberale. Vedono che i sentimenti religiosi mantengono grandi masse popolari sotto la dipendenza del partito borghese-clericale. PercioÁ pensano che noi dobbiamo liberare queste masse religiose dai loro pregiudizi religiosi per strapparle dalla dipendenza del partito clericale, grazie al quale la borghesia esercita il proprio dominio, per condurle a noi ed ottenere cosõÁ la forza per vincere la borghesia. Questa eÁ, sotto una nuova forma, la vecchia fede del liberalismo [che consiste nel credere] che l'emancipazione dalla religione sia il presupposto dell'emancipazione politica ed economica. In realtaÁ, nelle cittaÁ e nelle aree industriali ci sono larghe masse proletarie che non si sono, certo, ancora liberate del tutto dalle tradizioni religiose che esse hanno portato con se dai paesi d'origine, ma nelle quali hanno perso fiducia, sotto l'influsso della vita delle cittaÁ. Sono questi ceti oscillanti che la propaganda dei liberi pensatori puoÁ raggiungere. Essa puoÁ accelerare il processo giaÁ iniziato del loro distacco dalle tradizioni religiose e forniscono loro una concezione scientifica del mondo. Essa puoÁ sottrarle, cosõÁ, all'influsso del partito clericale. Ma, accanto a questo, nelle stesse cittaÁ, e soprattutto nelle campagne, ci sono grandi masse proletarie, che sono attaccate ostinatamente alle loro tradizioni religiose e sono inaccessibili e refrattarie al lavoro di propaganda dei liberi pensatori. Il clericalismo puoÁ mantenere queste masse proletarie sotto la dipendenza della borghesia soltanto camuffando la lotta di classe tra borghesia e proletariato come lotta re-
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ligiosa tra cristianesimo e paganesimo. Se, come tanti liberi pensatori ci consigliano, noi attaccassimo le idee religiose di queste masse, faremmo precisamente quello di cui il clericalismo ha bisogno: spingeremmo in questa maniera, ora piuÁ che mai, queste masse nelle braccia del clericalismo. Dobbiamo, invece, procedere proprio nella direzione opposta. Se il clericalismo dice alle masse: «eÁ la religione che eÁ in gioco», noi diciamo loro: «sono in gioco gli interessi materiali di classe». Se il clericalismo dice alle masse: «di qua i cristiani, di laÁ gli atei», noi diciamo loro: «di qua i proletari, di laÁ la borghesia». Noi non riusceremmo a strappare le masse religiose, sulle quali soltanto la borghesia mantiene il suo dominio d'influenza, da questa dipendenza, se noi risolvessimo, come vorrebbero alcuni liberi pensatori, la lotta di classe in un conflitto religioso, ma soltanto se, al posto del conflitto religioso, col quale il clericalismo cela la lotta di classe, poniamo la lotta aperta per la difesa degli interessi di classe. Quei liberi pensatori che, con una semplice AufklaÈrung sulla religione credono di poter condurre da questa parte le masse proletarie che seguono ancora il clericalismo, non si sono ancora appropriati dell'elementare nozione marxista secondo cui soltanto la trasformazione rivoluzionaria delle condizioni economiche e sociali degli uomini le rende sensibili alle trasformazioni delle loro idee. Questi liberi pensatori sottovalutano l'importanza del fatto che la rivoluzione dell'ideologia segue soltanto molto lentamente, soltanto molto gradualmente la rivoluzione della sua base economica. Essi sottovalutano la tenacia, con cui, in maniera del tutto particolare, il popolo della campagna eÁ attaccato alle proprie tradizioni religiose, e sottovalutano l'effetto della pura propaganda illuministica laddove il terreno non eÁ ancora reso accessibile ad essa dalle influenze rivoluzionarie della vita cittadina e industriale. Essi disconoscono il carattere di legge sociale della trasformazione morale in cui i singoli settori proletari si svegliano, gli uni dopo gli altri, alla coscienza di classe: l'istinto di
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classe in un primo momento prepara l'operaio a partecipare alla lotta per gli interessi economici e politici di classe; solo piuÁ tardi, cioeÁ solo a gradi di sviluppo molto elevati, si sveglia, nell'operaio, il bisogno di emanciparsi dalle ideologie del suo passato. Il socialismo scientifico non ci ha ancora insegnato che dobbiamo «liberare le coscienze dallo spettro della religione» per rendere la classe operaia capace di conquistare il potere statale e rovesciare il dominio del capitale; Marx ed Engels, al contrario, ci hanno insegnato che dobbiamo liberare gli uomini dalle catene della miseria economica e dall'insicurezza permanente dell'esistenza, e che, quindi, solo allora essi diventano capaci di liberarsi dallo spettro della religione. Alla vecchia illusione liberale, che sussiste ancora nella testa di molti liberi pensatori, il nostro programma di Linz oppone la dottrina marxista secondo la quale eÁ «lo stato di miseria, di ignoranza, di sottomissione», in cui vivono gli uomini, che determina anche le loro concezioni religiose. Da questa teoria si trae la conclusione che noi dobbiamo unire «tutti gli sfruttati dal capitale e dal latifondo» per la lotta comune, «qualunque sia il modo in cui le loro idee religiose possano essere prodotte e qualunque sia la maniera in cui le loro idee possano essere influenzate dallo stato di miseria e di ignoranza in cui il capitalismo li mantiene». EÁ solo nella lotta di classe di tutto il proletariato che noi possiamo raggiungere un ordine sociale che renderaÁ anche tutto il popolo capace di «mettere d'accordo la propria concezione del mondo con i risultati della scienza e con la dignitaÁ morale di un popolo libero». Ma il superamento della vecchia illusione liberale all'interno del libero pensiero eÁ reso piuÁ difficile dal fatto che essa ha trovato un nuovo alleato, che eÁ il bolscevismo. Infatti anche i comunisti insegnano che il partito non deve trattare la religione come affare privato, ma deve combatterla. I bolscevichi sono dei marxisti. Essi conoscono la dottrina di Marx, secondo la quale le idee religiose delle masse
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dipendono dalle loro condizioni di vita economiche. Sanno che gran parte del proletariato resteraÁ sotto l'influsso della tradizione religiosa fino a quando le loro condizioni di vita economiche non saranno sostanzialmente trasformate. Essi non fanno parte dell'illusione liberale, secondo la quale queste masse possono liberarsi dalle loro condizioni religiose prima che siano liberate dalle loro attuali condizioni di vita economiche. E, tuttavia, anche i comunisti si rifiutano di trattare la religione come affare privato. Tuttavia, pensano anch'essi che il partito possa accogliere nelle proprie file soltanto quei proletari che si siano staccati da ogni religione. Infatti i comunisti pensano che il compito del partito operaio non sia quello di unire tutta la classe operaia. Il partito, pensano, deve organizzare nelle sue file soltanto l'``avanguardia'' (die Vorhut) del proletariato; la massa del proletariato deve essere lasciata fuori dal partito, ma guidata dal partito. Nell'anno 1903 la socialdemocrazia russa era ancora composta da piccoli circoli di cospiratori, di ``rivoluzionari di professione''. La massa degli operai della ancor giovane industria russa era senza partito. Come si doveva comportare il partito nei riguardi della massa? Questa questione divise la socialdemocrazia russa in due frazioni. I menscevichi dicevano: il partito deve unire le masse operaie nella sua organizzazione e mirare a trasformarsi in un partito di massa degli operai. I bolscevichi rifiutavano questo. L'ingresso degli operai nei piccoli circoli di partito, dicevano, indebolirebbe il carattere rivoluzionario del partito. Il partito dovrebbe restare anche in futuro una piccola organizzazione segreta composta da ``rivoluzionari di professione'' e da intellettuali formati al pensiero marxista; ma questi circoli avrebbero il compito di influenzare gli operai senza partito, di porsi alla testa della loro lotta e di impadronirsi della loro guida. Una piccola avanguardia rivoluzionaria che guidasse la massa senza partito: fu questo l'ideale del bolscevismo fin dai giorni della sua origine.
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Il bolscevismo ha realizzato quest'ideale nell'Unione Sovietica dopo il 1917. Il partito comunista dell'Unione Sovietica comprende solo una piccola minoranza della classe operaia. La stragrande maggioranza degli operai eÁ senza partito. Il partito comunista vieta loro l'entrata nella propria organizzazione di partito, ma, con la dittatura terrorista, impedisce a tutti gli altri partiti qualsiasi influenza sulla massa senza partito. CosõÁ la minoranza organizzata nel partito comunista eÁ nella condizione di tirarsi dietro, di trascinare con se e guidare la maggioranza senza partito. Quindi i bolscevichi, nel loro partito, non vogliono organizzare tutto il proletariato, ma solo il ceto del proletariato intellettualmente progredito e completamente emancipato dalla tradizione del passato. PercioÁ essi non trattano la religione come affare privato, ma escludono dal loro partito ogni proletario credente. Ma questo esempio russo non eÁ da imitare nel movimento operaio dell'Europa occidentale e centrale. In Austria, dopo tre decadi, tutti i partiti corteggiano il proletariato. Se noi non organizziamo nelle nostre file gli operai agricoli, i Keuschler ed i piccoli contadini, questi non restano senza partito, ma vengono organizzati dai partiti borghesi. Poi, nell'ora della lotta, non saremo capaci di guidarli e di trascinarli dietro di noi, ma li vedremo, comandati dalla borghesia, nelle schiere del nostro avversario. In Russia, una minoranza del proletariato puoÁ pretendere di comandare il proletariato intero senza fare entrare la massa del proletariato nel partito, che esercita il comando, e senza farlo partecipare alle decisioni del partito. In Austria possiamo unire tutto il proletariato nella lotta di classe, solo se ammettiamo nel partito, come di eguali diritti, tutti i proletari. «Nella repubblica democratica le lotte di classe tra borghesia e classe operaia vengono risolte nella lotta di entrambe le classi per la conquista della coscienza delle maggioranza del popolo», dice il nostro programma di Linz.
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Noi possiamo vincere nella lotta di classe solo se uniamo la maggioranza del popolo nelle nostre file. «EÁ finita l'epoca delle rivoluzioni guidate da piccole minoranze consapevoli alla testa di masse inconsapevoli», dice Engels 6. Essa non eÁ ancora finita per la Russia, ma eÁ finita per tutti i paesi democratici. «Dovunque eÁ in questione una completa trasformazione dell'intera organizzazione sociale», prosegue Engels, «devono esserci anche le masse, e devono capire esse stesse di che cosa si tratti». PercioÁ il nostro partito non puoÁ limitarsi ad unire i settori del proletariato intellettualmente piuÁ progrediti e guidare cosõÁ una massa senza partito, ma deve sforzarsi di unire tutta la massa proletaria nelle sue organizzazioni. Certamente, all'interno di ogni movimento, la guida ricade nelle mani dei settori piuÁ avanzati della classe operaia. Tuttavia, la loro guida, nei partiti democratici, non deve essere trasformata nella dittatura di una minoranza avanzata organizzata sulla massa senza partito, ma esercitata soltanto attraverso l'elezione democratica di uomini di fiducia all'interno del partito che unisce la massa stessa. Il contrasto tra socialismo dittatoriale e socialismo democratico risiede in questo: l'uno vuole raccogliere nel partito, che pretende di comandare sulla massa senza partito, solo il ceto intellettualmente piuÁ progredito del proletariato; l'altro vuole raccogliere nel partito tutto il proletariato e realizzare in esso l'autodeterminazione democratica della totalitaÁ del proletariato. EÁ da questo contrasto di principio che consegue la diversa posizione di entrambi sulla religione. I comunisti, che vogliono ammettere nel partito solo i settori della classe operaia intellettualmente piuÁ progrediti, possono tenerne lontano chiunque non si sia liberato dalla religione. La socialdemocrazia, che vuole raccogliere insieme la totalitaÁ 6. K. MARX, Die KlassenkaÈmpfe in Frankreich, Vorwort von Engels, Berlin, 1920, p. 20 (MARX-ENGELS, Opere complete, cit., vol. X, p. 655).
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del proletariato, puoÁ farlo solo se rende l'adesione al partito indipendente dalle idee religiose di ciascuno; solo se considera la religione come affare privato di ciascun individuo. Il pensiero fondamentale del programma di Linz eÁ precisamente questo: che il nostro partito puoÁ vincere nella lotta per il potere soltanto se riesce a unire non solo i settori avanzati del proletariato industriale, ma l'intera classe operaia delle cittaÁ e della compagna e se riesce a raccogliere i ceti dei piccoli contadini e della piccola borghesia vicini alla classe operaia. La dichiarazione della religione come affare privato eÁ una conseguenza necessaria di questo pensiero fondamentale del nostro programma. Il nostro programma si rivolge allora contro il libero pensiero? No. Ma si dirige, da una parte, contro l'illusione che alcuni liberi pensatori hanno ereditato dal liberalismo, dall'altra parte, si dirige contro gli errori che i comunisti portano nelle file dei liberi pensatori. Non si rivolge contro il libero pensiero. Ma cerca di rinforzare, all'interno del libero pensiero, le idee socialdemocratiche contro le idee liberali e quelle bolsceviche. Cos'eÁ che caratterizza il vero libero pensatore socialdemocratico? Il libero pensatore socialdemocratico deve innanzitutto appropriarsi della dottrina marxista secondo cui le idee religiose di tanti proletari sono la conseguenza delle condizioni di vita economiche, in cui il capitalismo condanna a vivere questi operai. Chi s'eÁ appropriato di quest'idea renderaÁ responsabile dell'ostinata sopravvivenza delle concezioni religiose non la ristrettezza mentale dei proletari credenti, ma le condizioni di vita del proletariato nell'ordine sociale capitalista. Il libero pensatore staraÁ percioÁ ugualmente molto lontano sia dalla superbia boriosa con cui il borghese liberale guarda dall'alto in basso gli operai credenti, sia dalla pretesa del comunista che cerca di comandare gli operai credenti attraverso il partito, senza ritenerli degni del diritto di partecipazione all'interno del partito. La
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tolleranza nei riguardi dei compagni di classe credenti eÁ il primo dovere del vero libero pensatore socialdemocratico. Il libero pensatore socialdemocratico, alla volontaÁ rivoluzionaria di conquistare il potere per il proletariato, deve collegare l'idea che l'unificazione di tutto il proletariato eÁ la condizione della conquista del potere. Egli, naturalmente, non rinnegheraÁ mai il suo libero pensiero; ma lotteraÁ per conquistare all'organizzazione di classe, per la lotta di classe, quei settori proletari che restano fedeli alle loro idee religiose. Dovunque egli faccia propaganda per il partito, laÁ diraÁ alle masse: «Io, personalmente, sono libero pensatore, ma anche chi crede nel signore del cielo per noi socialdenocratici eÁ benvenuto come compagno di lotta contro i signori della terra». Dovunque egli lavori nell'organizzazione del partito, laÁ diraÁ al membro credente di partito: «Io sono libero pensatore, ma nel partito tu sei per me un compagno di tutto valore e con gli stessi diritti». Il libero pensatore socialdemocratico eÁ animato dalla forte aspirazione dei settori operai piuÁ progrediti ad una cultura liberata dal fascino del passato. Egli lotta per una visione scientifica del mondo. A questo scopo si unisce a tutti coloro che la pensano in maniera identica a lui nell'associazione dei liberi pensatori. Fra i suoi compagni di partito egli fa propaganda per la sua comunitaÁ ideologica piuÁ ristretta. Ma nel fare propaganda per la propria comunitaÁ ideologica, non diraÁ ai suoi compagni di partito: «chi non eÁ libero pensatore non puoÁ essere un vero, autentico socialdemocratico». Piuttosto diraÁ loro: «tu sei diventato socialdemocratico per lottare con noi contro i signori di questa terra. Io vorrei che tu, ora, dal momento che sei giaÁ socialdemocratico, diventassi anche libero pensatore. Vieni da noi! Ascoltaci! Vogliamo raccontarti cioÁ che la scienza ha ricercato in merito alle leggi naturali e sociali e sull'origine delle idee religiose. PuoÁ darsi che ci riusciraÁ di convincerti, di persuaderti. Tu, diventando socialdemocratico, hai imparato a pensare diversamente da prima a proposito di economia e societaÁ, di Stato e di diritto; se ci riesce di
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convincerti, tu diventerai libero pensatore e, quindi, imparerai a pensare diversamente anche su Dio e sul mondo». In questa maniera il vero libero pensiero socialdemocratico concilieraÁ lo sforzo culturale dei settori operai intellettualmente avanzati verso una concezione del mondo corrispondente ai loro bisogni culturali con la necessitaÁ della lotta di classe della totalitaÁ della classe operaia. Educare, all'interno dell'associazione ideologica dei liberi pensatori, un tale tipo di vero libero pensatore socialdemocratico: eÁ questo il compito che il programma di Linz propone a quei compagni che sono allo stesso tempo socialdemocratici e liberi pensatori.
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STATO E CHIESA
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PARTITO
E CHIESA
La chiesa eÁ diventata l'alleata della borghesia. I prelati regnano a nome e nell'interesse dei capitalisti. I vescovi minacciano gli operai, che si uniscono con i loro compagni di classe per la lotta sindacale e politica, con il rifiuto dei sacramenti. I parroci predicano dai pulpiti contro il proletariato in lotta. Noi consideriamo la religione come affare privato dell'individuo; l'operaio credente, che si unisce a noi, eÁ per noi un benvenuto come compagno di lotta. Ma se siamo neutrali rispetto alla religione, non possiamo rimanere neutrali di fronte alla chiesa, che usa contro di noi tutto il potere di influenza che ha sui fedeli. Il nostro programma di Linz, dopo aver dichiarato che noi consideriamo la religione come affare privato di ciascun individuo, continua: «La socialdemocrazia non combatte, dunque, la religione, le convinzioni ed i sentimenti degli individui, ma le chiese e le societaÁ religiose che usano il loro potere d'influenza sui fedeli per opporsi alla lotta di emancipazione della classe operaia e per sostenere, cosõÁ, il dominio della borghesia».
La socialdemocrazia, quindi, eÁ in lotta contro la chiesa. Ma noi lottiamo contro la chiesa non a motivo della religione che essa insegna e coltiva, ma a motivo del ruolo che
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essa svolge nella lotta di classe tra la borghesia e il proletariato. Noi combattiamo la chiesa non in quanto istituzione religiosa di salvezza, ma in quanto organizzazione di dominio alleata della borghesia. Ma qual eÁ lo scopo della nostra lotta contro la chiesa? Vogliamo forse restringere la libertaÁ di insegnamento e di culto della chiesa, porre la chiesa sotto il controllo del potere statale che dobbiamo conquistare, trasformare o sciogliere l'organizzazione della chiesa? No! Come scopo della nostra lotta contro la chiesa, il nostro programma indica la separazione di chiesa e stato. LA
SEPARAZIONE DI CHIESA E STATO
La rivendicazione della separazione di chiesa e stato eÁ di origine religiosa. Questa rivendicazione eÁ apparsa per la prima volta nelle sette eretiche dei devoti cristiani, che si sollevarono contro la chiesa cattolica dominante, specialmente nel grande movimento rivoluzionario degli Anabattisti di quattrocento anni fa. Secondo la dottrina dei Battisti, la chiesa deve essere una associazione volontaria di veri cristiani rigenerati. Essa non deve avere niente a che fare col mondo peccaminoso, in cui domina l'autoritaÁ terrena. Nella comunitaÁ dei cristiani non c'eÁ altro re che Cristo e non c'eÁ altro giudice che la Sacra Scrittura; l'autoritaÁ deve decidere soltanto sulle cose terrene. Poiche «il mio regno non eÁ di questo mondo», dice il Signore. L'insegnamento dei Battisti passoÁ dalla Germania all'Inghilterra attraverso l'Olanda. AcquistoÁ una forza formidabile nella grande rivoluzione inglese del XVII secolo. Le idee che ispirarono l'armata rivoluzionaria del grande Cromwell furono queste: la religione eÁ affare di coscienza individuale; nessuna potenza terrena puoÁ pretendere di intervenire sulla coscienza dell'individuo, obbligandolo alla
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sottomissione a concezioni religiose che sono in contrasto con la propria convinzione personale. Il vero cristiano eÁ in rapporto personale col suo Dio e cerca una salvezza personale; questo scopo egli puoÁ raggiungerlo non in una chiesa, al cui interno tutti, giusti ed ingiusti, entrano al momento della nascita, e che sottomette tutti con i mezzi esteriori della costrizione statale, ma soltanto nell'associazione volontaria dei veri cristiani di identiche idee. Lo stato si limiti a mantenere l'ordine esterno; la religione, la cosa piuÁ intima dell'individuo, si occupi della chiesa che si fonda soltanto sull'associazione volontaria. La rivendicazione della separazione completa di chiesa e stato non fu in origine, quindi, la rivendicazione di uomini areligiosi, che speravano di danneggiare la chiesa, chiedendo di toglierle il «braccio secolare», con cui essa imponeva i suoi precetti. Del tutto al contrario! La rivendicazione della separazione di chiesa e stato fu la rivendicazione di uomini profondamente religiosi, che s'indignavano perche la Chiesa di Cristo, assoggettata alle potenze terrene ed implicata negli affari mondani, si accontentoÁ di ottenere, con armi terrene, una santitaÁ esteriore, dove faceva difetto la fede interiore; uomini profondamente religiosi, che, attraverso la separazione di Chiesa e Stato, speravano non solo di fondare la loro propria libertaÁ religiosa contro il potere costrittivo della chiesa, ma in generale di poter sostituire il loro cristianesimo interamente interiore al cristianesimo esteriorizzato della chiesa.6 I cristiani dalla profonda fede, che, nei tumulti delle guerre di religione britanniche, lasciarono la loro patria per salvare la loro fede ± Congregazionalisti, Battisti, Quaccheri ± importarono in America la rivendicazione della separazione di Chiesa e Stato. LaÁ, nella seconda metaÁ del XVII secolo, il battista Roger Williams, a Rhode-Island, e il quacchero William Penn, in Pennsylvania, fondarono degli Stati in cui fu realizzata per la prima volta la separazione della Chiesa dallo Stato. Quando le colonie americane si liberarono dall'Inghilterra, esse inserirono la separa-
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zione di chiesa e stato nella costituzione dei nuovi Stati Uniti d'America (1787). Da allora, negli Stati Uniti, il potere statale lascia agli individui la libertaÁ di organizzare la loro vita religiosa, senza alcuna regolamentazione dello Stato. Le chiese e le societaÁ religiose vivono come associazioni ed organizzano i loro beni e le loro istituzioni come fondazioni. Possono elaborare liberamente i loro statuti ed il loro diritto ecclesiastico, prelevare tasse ecclesiastiche dai loro fedeli ed escludere dalle loro comunitaÁ chiunque rifiuti obbedienza al diritto ecclesiastico. Ma lo Stato non regolamenta l'adesione alle comunitaÁ, non impone, con mezzi statali, il rispetto del loro diritto ecclesiastico, non riscuote le tasse ecclesiastiche con la forza. L'adesione a una chiesa o a una societaÁ religiosa eÁ una faccenda del singolo cittadino, irrilevante per il diritto statale. La religione non riguarda per niente lo Stato; questo, in quanto Stato, eÁ areligioso. Ma nei dettagli del sistema giuridico americano, in particolare nella struttura giuridica delle chiese e delle societaÁ religiose del diritto americano, sussiste ancora il concetto di chiesa del congregazionalismo, che discende dal Battismo 1 ± una vivente dimostrazione che lo stato areligioso del Nord America eÁ il risultato di un grande movimento religioso. Lo Stato areligioso non sopprime la religione dei propri cittadini, tratta la religione soltanto come un affare privato, di cui lo Stato non si occupa. Nello Stato areligioso le chiese non sono piuÁ enti regolamentati e privilegiati dallo Stato; ma sono separate dallo Stato e rimangono, tuttavia, delle forze nella societaÁ. La separazione di Chiesa e Stato non intacca la religione e la chiesa, ma libera la chiesa da ogni regolamentazione da parte dell'autoritaÁ statale e libera la religione individuale da tutti i mezzi di coercizione dell'autoritaÁ ecclesiastica. La separazione di Chiesa e Stato, negli 1. 6 ROTHENBUÈCHEN, Die Trennung von Staat und Kirche, MuÈnchen, 1908, p. 147.
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Stati Uniti, non fu una vittoria dell'ateismo sulla religione, ma la vittoria dell'individualismo religioso, che si rivolgeva contro ogni violentamento della coscienza, una vittoria sul potere di costrizione dello Stato e della Chiesa. Ma se la rivendicazione della separazione di Chiesa e stato fu portata originariamente avanti da movimenti religiosi, se furono, cioeÁ, i movimenti religiosi a realizzarla definitivamente negli Stati Uniti, tuttavia, giaÁ molto prima della sua vittoria definitiva negli Stati Uniti, questa rivendicazione [in Europa] era passata nella filosofia della borghesia liberale. E qui, nei ragionamenti degli illuministi, questa rivendicazione entroÁ in nuovi contesti. Nemici delle religioni storiche, i pensatori della filosofia illuministica consideravano la separazione di Chiesa e stato come un mezzo per togliere alla Chiesa il braccio secolare, il sostegno dello Stato, per indebolire, cosõÁ, il suo potere d'influenza sulle masse, di colpire la religione stessa e di facilitare il proprio lavoro educativo nella prospettiva di staccare le masse dalla religione tradizionale. La stessa rivendicazione, che i puritani cristiani avevano portato in America e condotto alla vittoria per esigenza religiosa, in Europa fu, per l'illuminismo liberale, un mezzo di lotta contro la religione. Ma proprio perche questa rivendicazione per il liberalismo non era, come per il Puritanesimo, una rivendicazione della coscienza religiosa, ma un semplice mezzo della sua lotta contro la Chiesa e la religione, esso non l'ha mai di fatto difesa. In tutta la storia della sua lotta contro la Chiesa, il liberalismo borghese ha sempre esitato davanti alla questione di sapere se poteva e doveva disarmare la chiesa attraverso la via della sua separazione dallo Stato o attraverso la via della sua regolamentazione da parte dello Stato. La rivoluzione francese non ha, in nessun modo, pensato di perseguire in primo luogo la separazione di Chiesa e Stato. Al contrario, nel 1789 ha venduto i beni della Chiesa e trasformato i preti in funzionari stipendiati dallo Stato, per organizzare una chiesa nazionale a servizio dello Sta-
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to. Essa ha tentato di trasformare la Chiesa in uno strumento del nuovo stato borghese, allo stesso modo in cui l'assolutismo l'aveva trasformata in proprio strumento. Solo quando questo tentativo, che obbligava la rivoluzione a prendere misure di persecuzioni sempre piuÁ severe, fallõÁ per la resistenza del clero; solo quando, percioÁ, la chiesa, ormai regolamentata dallo Stato, si disgregoÁ interamente, solo allora la rivoluzione si decise alla separazione di Chiesa e stato ± ma una separazione, che fu realizzata interamente in lotta contro la chiesa e legata a misure di repressione poliziesca ed a leggi eccezionali contro la Chiesa, e che, quindi, non ha realizzato in nessun modo quella libertaÁ completa di una vita religiosa non regolamentata dallo Stato, che, invece, aveva realizzato pochi anni prima la legislazione americana sulla separazione tra chiesa e stato. Le stesse esitazioni, che si son potute osservare nella grande rivoluzione francese, si sono ripetute nella storia del liberalismo del XIX secolo. Il liberalismo della grande borghesia cercoÁ di limitare il ruolo dello Stato alla difesa della pace interna ed esterna, di affidare l'intero processo economico e spirituale di vita al libero gioco delle forze, alla libera concorrenza della societaÁ borghese non regolamentata dallo Stato. Esso ha proclamato la libertaÁ della proprietaÁ e del contratto di lavoro, la libertaÁ commerciale e industriale, la libertaÁ dell'usura. Ha proclamato la libertaÁ religiosa e di coscienza ed era disposta a tirare da questa libertaÁ di fede e di coscienza l'ultima conseguenza, cioeÁ, a sottrarre la vita religiosa alla sfera statale e trasferirla nella sfera della societaÁ. «Le idee di libertaÁ di coscienza e di religione», dice Marx, «esprimono solo il dominio della libera concorrenza nell'ambito del sapere» 2. Ma, appoggiato soltanto sul ceto ristretto della grande borghesia, che temeva la forza d'influenza della 2. MARX-ENGELS, Das Kommunistische Manifest, p. 28 (Il Manifesto del partito comunista, cit., p. 504).
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Chiesa sulle grandi masse, il liberalismo credeva tuttavia sempre di non poter fare a meno del potere poliziesco ed indietreggioÁ, sempre, percioÁ, di fronte all'ultima conseguenza del suo proprio pensiero. Soltanto nei dominions inglesi, dove, come negli Stati Uniti d'America, le numerose chiese e sette sorte sulla base del protestantesimo inglese, combatterono il sistema della chiesa ufficiale di stato come un privilegio delle loro chiese anglicane avversarie e dove, di conseguenza, come negli Stati Uniti, furono potenti esigenze religiose a reclamare la separazione di chiesa e stato, soltanto lõÁ, come negli Stati Uniti, il liberalismo ha separato chiesa e stato. CosõÁ in Australia, in Nuova Zelanda e nella Colonia del Capo. Invece, nei paesi cattolici, dove le lunghe e accanite lotte del liberalismo contro la chiesa si sono concluse alla fine con la separazione di chiesa e stato, come in Francia e in Messico, questa separazione, ottenuta con la lotta contro la chiesa, eÁ stata legata a parecchie limitazioni poliziesche della libertaÁ della chiesa. Ma, nella maggior parte dei paesi cattolici, il liberalismo eÁ, in genere, indietreggiato davanti alla separazione di chiesa e stato. Non ha osato imporla alla chiesa. E nello stesso tempo non ha neanche voluto rinunciare a servirsi, all'occorrenza, della regolamentazione statale come arma contro la chiesa. CosõÁ le chiese sono rimaste delle associazioni di diritto pubblico, l'appartenenza ad esse eÁ regolamentata con il diritto statale, lo Stato stipendia i preti, obbliga gli scolari all'insegnamento religioso e, dall'altra parte, sotto molti aspetti, sottomette la chiesa a direttive dello stato. Troviamo analoghi sistemi di compromesso anche in stati che sono venuti fuori dalla rivoluzione liberale, come in Belgio e Italia. Ancora minore fu il ruolo del liberalismo nelle monarchie costituzionali, nelle quali non ha conquistato il potere statale, ma ha ottenuto solamente una modesta partecipazione ad esso. CosõÁ in Germania. La lotta che, negli anni '70, Bismarck ha condotto contro la Chiesa cattolica e
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che lo studioso liberale Virchow ha battezzato come Kulturkampf [lotta ideologica], non ha meritato questo nome. Bismarck voleva sottomettere la chiesa cattolica allo stato poliziesco dei signorotti agrari; la sua politica riprendeva il vecchio tentativo dell'assolutismo di asservire la chiesa. Quando il liberalismo si schieroÁ dalla parte di Bismarck, la borghesia si gettoÁ nelle braccia del suo nemico storico, lo stato autoritario dei signorotti agrari, nell'illusoria speranza, come l'esperienza ha insegnato, di indebolire cosõÁ l'altro suo storico nemico, la Chiesa. Mentre nella Prussia protestante il liberalismo sosteneva le leggi eccezionali e le misure poliziesche della dinastia e dell'aristocrazia agraria contro la chiesa cattolica, il liberalismo austriaco, nella sua lotta contro la chiesa, aveva contro di se la dinastia e la nobiltaÁ feudale; qui, di conseguenza, il Kulturkampf assunse sempre tutto un altro carattere. Ma, anche in Austria, l'ideale della grande borghesia e dei burocrati non era la separazione di stato e chiesa, ma il giuseppinismo, cioeÁ la sottomissione assolutista della chiesa allo stato. Se il liberalismo, in nessuna parte, eccetto nei paesi anglosassoni, tiroÁ le ultime conseguenze del proprio principio ± il principio della libertaÁ di fede e di coscienza ± e se nella maggior parte dei paesi non perseguõÁ la separazione di chiesa e stato e in pochi altri paesi, in cui l'ha attuata, l'ha legata a misure poliziesche ad essa estranee e deformanti, tuttavia, in alcuni paesi ci fu un'altra forza sociale che realizzoÁ la rivendicazione di una vera e piena separazione di chiesa e stato. Questa forza fu la chiesa cattolica! Quando in Francia, dopo la grande rivoluzione, fu restaurato il sistema della Chiesa ufficiale di Stato dell'assolutismo, che sottomise interamente la chiesa al potere statale, tra i cattolici francesi affioroÁ l'idea che la Chiesa potesse riacquistare la sua libertaÁ soltanto attraverso la completa separazione della Chiesa dallo Stato. Al tempo della rivoluzione liberale di Luglio, Lamennais fondoÁ il cattolicesimo liberale. La chiesa ha condannato questa dottrina. Es-
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sa ha combattuto, con l'impegno di tutta la sua forza, la rivendicazione della separazione, dovunque essa era diventata chiesa privilegiata di Stato. Ma dove il sistema della Chiesa di Stato privilegiava le chiese protestanti, laÁ la chiesa cattolica ha agito, in effetti, nel senso del cattolicesimo liberale che essa aveva condannato. Nell'Irlanda cattolica era diventata Chiesa di Stato la Chiesa anglicana. Quando questa situazione diventoÁ insostenibile il governo inglese propose ai cattolici irlandesi di accordare alla chiesa cattolica gli stessi privilegi concessi a quella anglicana, di sostentare i vescovi cattolici con sovvenzioni dello Stato allo stesso modo dei vescovi anglicani. I cattolici irlandesi respinsero questa proposta perche non volevano essere dipendenti dal governo inglese. Preferirono la completa separazione di Chiesa e Stato e la ottennero nel 1869. Nel Cantone di Ginevra, la Chiesa di Stato era la chiesa calvinista. I cattolici, diventati poco a poco la maggioranza della popolazione, si ribellarono contro i privilegi della chiesa calvinista. Per romperli, i cattolici difesero la causa della completa separazione di Stato e Chiesa. Nell'anno 1907 i cattolici, i borghesi radicali ed i socialdemocratici hanno imposto la legge della separazione con un referendum popolare. Qui, dove la separazione veniva reclamata dagli stessi cattolici, essa eÁ stata realizzata in maniera naturalmente libera, nella sua forma classica, senza misure poliziesche antiecclesiastiche. In Austria molti credevano che la separazione della Chiesa dallo Stato fosse la rivendicazione avanzata da parte degli atei, con l'intenzione di distruggere la chiesa ed estirpare la religione. La storia 3 ci documenta un'altra cosa. La separazione di Chiesa e Stato eÁ avvenuta in maniera del tutto libera e completa laddove la incalzavano potenti cor3. Sulla storia della separazione tra Chiesa e Stato cfr. il libro di RothenbuÈcher, giaÁ citato alla n. 28.
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renti religiose; fu cosõÁ negli Stati Uniti, nei dominions britannici e a Ginevra. E dovunque eÁ stata realizzata la separazione, la chiesa, una volta separata dallo Stato, conduce, nella societaÁ, una vita molto intensa ed estremamente efficace.
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SOCIALDEMOCRAZIA E LA SEPARAZIONE DI STATO E CHIESA
Nella monarchia asburgica l'imperatore esercitava antichi e importanti diritti nei riguardi della chiesa. In quanto successore dell'imperatore romano di nazione tedesca, egli aveva lo ius exclusivae, «diritto di esclusione», cioeÁ il diritto di indicare, per l'elezione del papa, un candidato che non doveva essere eletto. In quanto successore dei principi, aveva il diritto di conferma della nomina dei vescovi e dei superiori degli ordini religiosi e dei monasteri. L'amministrazione del patrimonio ecclesiastico era posta sotto il controllo dello stato. Alle prestazioni dello stato a favore della chiesa corrispondeva il grande potere dello stato sulla chiesa. La rivoluzione del 1918 ha effettivamente posto fine a questo stato di reciprocitaÁ. Secondo l'interpretazione di alcuni docenti di diritto ecclesiastico, i diritti, che l'imperatore esercitava nei riguardi della Chiesa, erano diritti personali dell'imperatore, che non potevano essere trasferiti al presidente e nemmeno al governo della repubblica federale. Questa interpretazione contrasta con il diritto della Repubblica. E in effetti, nella Repubblica, questi antichi diritti non hanno lo stesso significato che avevano nella monarchia. L'impero era abituato, certamente, da secoli a mettere i suoi sudditi a servizio della chiesa, ed era percioÁ abituato ad esercitare rigorosamente il suo diritto di tutela nei riguardi della chiesa. I governi parlamentari della Repubblica non sono in grado di esercitare altrettanto rigorosamente questi diritti. Se governano i clericali, allora non si sentono come un po-
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tere indipendente uguale al papato, posto al di sopra dei vescovi, ma come un organo esecutivo dei vescovi. Se un giorno i socialdemocratici governeranno, essi non si sentiranno competenti nell'intervenire nella nomina dei vescovi. La chiesa, allora, grazie alla rivoluzione del 1918, eÁ diventata effettivamente libera dalla vecchia tutela. CioÁ nonostante, continuano tuttavia a sussistere le grandi prestazioni dello stato a favore della chiesa. Esse sono state ancora ampliate anche nella Repubblica con la trasformazione della congrua in un vero e proprio stipendio da pubblico ufficiale. Nella monarchia, le prestazioni dello stato alla chiesa erano la sua contropartita per la propria influenza sul governo della Chiesa, che la Chiesa aveva dovuto accordargli. Ora, quest'influenza eÁ scomparsa, ma la contropartita dello Stato eÁ rimasta e viene ancora ampliata. In Austria, attualmente, la chiesa eÁ libera dall'influenza dello stato quasi come negli altri paesi, dove stato e chiesa sono separati, ma riceve, tuttavia, dallo stato le stesse prestazioni come nei paesi nei quali la chiesa eÁ un organo dello stato. Questa contraddizione interna rende insostenibile l'attuale sistema di chiesa statale. La divisione della societaÁ in classi dominanti e classi dominate si ripete nella divisione della chiesa in gerarchia dominante (vescovi, prelati e clero) e in laici dominati. Il sistema di chiesa statale che sussiste in Austria allarga il potere della gerarchia ecclesiastica in una duplice maniera: da una parte estende la sfera di potere, che ha all'interno sui credenti, ai non credenti ed ai credenti di altre religioni e, dall'altra parte, rinforza, all'interno della chiesa, il potere della gerarchia sui laici credenti. Lo stato usa cosõÁ i proventi dalle imposte, che preleva non solo dai cristiani, ma anche dagli ebrei, non solo dai cattolici, ma anche dai protestanti, non solo dai credenti, ma anche dai liberi pensatori, per formare e retribuire il clero della Chiesa cattolica. Obbliga non solo i figli dei cattolici, ma anche i figli di coloro che non professano alcuna
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religione a frequentare l'insegnamento religioso cattolico. Con la sua legge sottomette al diritto matrimoniale della chiesa cattolica non solo i cattolici, ma anche le persone che hanno aderito ad un'altra comunitaÁ religiosa o che sono diventati aconfessionali. Questo diritto della chiesa di stato eÁ in contrasto con il principio della libertaÁ di fede e di coscienza. Obbliga gli uomini di un'altra concezione del mondo a prestazioni a favore della chiesa cattolica e li sottomette ai precetti della chiesa cattolica. Lo stato paga i preti della chiesa cattolica, mentre tutte le altre chiese e societaÁ religiose devono pagare essi stessi i propri preti. Lo stato organizza l'insegnamento religioso cattolico, protestante, ebraico nella scuola pubblica, ma non riconosce ai liberi pensatori ed ai liberi credenti il diritto che anche i loro figli, nelle scuole pubbliche, vengano istruiti nella loro concezione di mondo. Lo Stato regola il diritto matrimoniale dei cattolici, dei protestanti e degli ebrei secondo le loro idee religiose, ma non gli viene in mente di regolare il diritto matrimoniale dei liberi pensatori nello spirito delle loro concezioni del mondo. Questo diritto della chiesa di stato eÁ in contrasto con il principio dell'uguaglianza di tutti i cittadini di fronte alla legge: esso daÁ alla chiesa cattolica e, in misura minore, ad alcune altre societaÁ religiose legalmente riconosciute dei diritti che, invece, nega a comunitaÁ che professano altre ideologie. La separazione della chiesa dallo stato significa, in primo luogo, la proclamazione della libertaÁ individuale di fede e di coscienza. Essa daÁ a tutti i cittadini completa libertaÁ di appartenenza ad una chiesa, ad una societaÁ religiosa, a una comunitaÁ ideologica secondo la propria convinzione, di formare e pagare preti e insegnanti e di fare istruire i loro figli nella propria religione. Ma essa non obbliga nessuno a pagare tasse per gli scopi di una chiesa a cui egli non appartiene, ne ad ubbidire ai comandamenti di una chiesa che non eÁ la propria.
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In secondo luogo, la separazione di chiesa e stato significa la proclamazione dell'uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge. Essa non daÁ a nessuna chiesa, societaÁ religiosa, comunitaÁ ideologica alcun diritto che non accorderebbe nemmeno ad altre chiese, ad altre societaÁ religiose e ad altre comunitaÁ ideologiche. La socialdemocrazia, lottando per la separazione di chiesa e stato, combatte allora per l'attuazione del principio liberale della libertaÁ di fede e di coscienza e del principio democratico dell'uguaglianza di tutti i cittadini. In questa lotta non combatte per una rivendicazione specificamente socialdemocratica, ma per una rivendicazione democratica in generale. La democrazia proletaria recupera cioÁ che la democrazia borghese ha mancato di ottenere con la lotta. L'attuale sistema di chiesa statale estende il potere della chiesa oltre le file dei propri fedeli. Entra, percioÁ, in conflitto con il principio della democrazia. La separazione di chiesa e stato limita la sfera di potere di ogni chiesa a coloro che volontariamente vi aderiscono, volontariamente le pagano le tasse, volontariamente mandano i propri figli al suo insegnamento religioso e volontariamente si sottomettono ai suoi comandamenti; limita, dunque, la sua sfera di potere a quelli che vi appartengono intimamente per la loro fede. Ma, nello stesso tempo, la separazione di chiesa e stato trasforma anche il rapporto tra la gerarchia ecclesiastica ed i laici credenti all'interno della chiesa stessa. Nei paesi, in cui la separazione di chiesa e stato si eÁ realizzata, ogni vescovo, ogni prete sa bene e dice: se io offendo i sentimenti dei laici credenti, poi essi non mi pagano piuÁ le imposte ecclesiastiche e non mandano piuÁ i loro figli all'insegnamento religioso. In Austria, invece, ogni prete sa e dice: lo stato continua a pagarmi la congrua, anche se la mia comunitaÁ eÁ in disaccordo con me; lo stato obbliga i cattolici a mandare i loro figli al mio insegnamento religioso, anche se essi sono scontenti di me.
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Se chiesa e stato sono separati, la gerarchia viene a dipendere dal modo di pensare e di sentire dei laici credenti molto piuÁ fortemente che sotto il diritto ecclesiastico austriaco. La chiesa eÁ un'istituzione di salvezza religiosa. Ma la chiesa eÁ, nello stesso tempo, anche una forza sociale, che nella lotta di classe del nostro tempo eÁ diventata l'alleata della borghesia. L'operaio credente rimane attaccato alla sua chiesa quale istituzione di salvezza religiosa, ma il suo interesse di classe, la sua coscienza di classe attira l'operaio religioso alla socialdemocrazia, che viene combattuta accanitamente dalla chiesa. L'operaio religioso cerca e trova nella chiesa la soddisfazione ai suoi bisogni religiosi, ma nella lotta di classe egli si schiera contro la borghesia ed in questa lotta vede la chiesa schierata dalla parte della borghesia. CosõÁ l'operaio religioso finisce inevitabilmente in un opprimente conflitto di coscienza. Allora quanto piuÁ ci riesce di sottrarre gli operai religiosi all'influenza dei partiti borghesi e di attirarli a noi, tanto piuÁ considerevole diventeraÁ il numero degli uomini oppressi da questo conflitto di coscienza. Il mezzo per liberale gli operai religiosi da questo tormento della coscienza eÁ la separazione della chiesa dallo stato. Infatti, nei paesi in cui chiesa e stato sono separati, la chiesa non puoÁ intervenire nelle lotte politiche e sociali nella stessa maniera in cui lo fa in Austria. Si osservi come si comportano le chiese dei paesi anglosassoni nelle lotte politiche e sociali. LaÁ, esse si guardano bene con scrupolo dal prendere parte contro il partito operaio, percheÂ, se lo facessero, incorrerebbero nel pericolo che gli operai non paghino loro piuÁ le tasse per la chiesa, non mandino piuÁ i loro figli all'insegnamento religioso. Esse sono piuttosto ben disposte a prendersi cura delle cose degli operai; sperano in questo modo di mantenere le masse proletarie fedeli alla chiesa. Non soltanto le chiese e le sette protestanti, ma anche la chiesa cattolica, in questi paesi, molto spesso cerca di mostrare alle masse degli operai credenti che la
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chiesa sta dalla loro parte nelle loro lotte sociali. Negli Stati Uniti d'America dei preti cattolici, come Mc Glym, Mc Grady e Hagerty, hanno operato attivamente nel e per il partito socialista 4. Si separi, in Austria, la chiesa dallo stato. Si faraÁ in tempo a vedere anche in questo paese che la chiesa dovraÁ cambiare considerevolmente il suo atteggiamento nei riguardi del movimento operaio, dei sindacati e del socialismo, per non allontanare da se i propri laici credenti. Attualmente il potere della chiesa mantiene i proletari religiosi sotto l'influenza di quel partito, attraverso cui esercita il suo dominio la borghesia. Noi vogliamo sottrarre questo sostegno al dominio della borghesia. A questo scopo sono necessarie due cose. In primo luogo dobbiamo conquistare al partito della classe operaia piuÁ proletari credenti possibili, attraverso l'osservanza stretta del principio di trattare la religione come affare privato. In secondo luogo dobbiamo ottenere la separazione della chiesa dallo stato. Quale saraÁ la conseguenza, se ci ciescono entrambe le cose? La chiesa sapraÁ che tanti dei suoi fedeli sono socialdemocratici. Il clero, non piuÁ pagato col denaro delle imposte, sapraÁ che i socialdemocratici credenti non pagheranno alcuna tassa ecclesiastica e non manderanno i loro figli all'insegnamento religioso, se la chiesa si pone in aspro conflitto con i loro interessi e ideali di classe. La chiesa saraÁ obbligata, percioÁ, ad un atteggiamento neutrale verso le lotte politiche e sociali. La ferma decisione di considerare, nel nostro partito stesso, la religione come un affare privato di ciascun individuo e la richiesta che anche lo Stato tratti la religione come un affare privato sono in strettissima dipendenza. Infatti assolvono entrambe al medesimo compito: portare la chiesa ad una posizione in cui saraÁ obbligata, nel suo pro4. K. KAUTSKY, Die Sozialdemokratie und die katholische Kirche, in «Neue Zeit», XXI, 1, p. 9.
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prio interesse, ad assumere un atteggiamento neutrale nei confronti delle lotte di classe della nostra epoca. La chiesa saraÁ costretta a questo soltanto se, da una parte, molti credenti saranno conquistati alla Socialdemocrazia, attraverso il trattamento della religione come affare privato, e se, dall'altra parte, la gerarchia saraÁ portata ad una piuÁ forte dipendenza dai credenti, attraverso la separazione della Chiesa dallo Stato. Noi dobbiamo unire entrambe le cose per ottenere la spoliticizzazione della chiesa. La spoliticizzazione della chiesa eÁ innanzitutto la liberazione del proletario credente dal conflitto di coscienza a cui la politica della chiesa lo porta. Solo se la chiesa saraÁ obbligata ad un comportamento piuÁ neutrale nei riguardi delle lotte di classe, il proletario credente potraÁ restare fedele alla chiesa e, nello stesso tempo, partecipare ugualmente, senza tortura della propria coscienza, alla lotta della sua classe. Solo se la separazione della chiesa dallo stato obbligheraÁ la chiesa alla neutralitaÁ politica, potraÁ essere raggiunto lo scopo di unire tutto il proletariato nelle nostre file. Se eÁ il potere della chiesa di influire politicamente sui suoi fedeli il mezzo di cui la borghesia si serve per mantenere le masse proletarie al proprio seguito, questo strumento di potere viene sottratto alla borghesia attraverso la spoliticizzazione della chiesa. La separazione di chiesa e stato diventa, cosõÁ, nella nostra situazione storica, un mezzo di disarmo della borghesia. La separazione di chiesa e stato eÁ, innanzitutto, una rivendicazione della libertaÁ di fede e di coscienza e dell'uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge; la rivendicazione della separazione, quindi, non eÁ una rivendicazione specificamente proletaria, ma una rivendicazione democratica in generale. Ma se noi riconosciamo la separazione della Chiesa dallo Stato come il mezzo per portare la gerarchia ad una dipendenza maggiore dai laici credenti; se comprendiamo che questa piuÁ rafforzata di-
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pendenza costringeraÁ la gerarchia a comportarsi in maniera neutrale nei riguardi della lotta delle classi; se ci rendiamo conto che questa neutralizzazione politica della chiesa libereraÁ i proletari credenti dal conflitto di coscienza tra le loro coscienze religiose ed i loro interessi e ideali sociali, conflitto che oggi li tiene lontani da noi, e [se ci rendiamo conto] che solo in questo modo [la spoliticizzazione della chiesa] renderaÁ possibile l'unificazione di tutto il proletariato e toglieraÁ alla borghesia la possibilitaÁ di appoggiare il suo dominio sull'adesione dei proletari credenti, allora comprendiamo l'interesse particolare che la classe operaia ha nella realizzazione della rivendicazione democratica in generale della separazione di Stato e Chiesa. Solo cosõÁ la lotta per la separazione della Chiesa dallo Stato diventa una parte necessaria della lotta di classe del proletariato, della sua lotta per la presa del potere. Ma se consideriamo in questo contesto la separazione della Chiesa dallo Stato, dobbiamo allora dedurne anche la maniera con cui la socialdemocrazia deve realizzare la separazione. Ma la separazione puoÁ essere realizzata in maniera completamente differente. Negli Stati Uniti, nei dominions inglesi e nel Cantone di Ginevra viene attuata in maniera del tutto diversa che in Francia o in Messico. Quando Bismarck condusse il suo Kulturkampf contro la Chiesa cattolica con misure poliziesche e leggi eccezionali, la socialdemocrazia tedesca ha previsto giustamente che questa lotta avrebbe soltanto saldato insieme le masse popolari cattoliche e soltanto rafforzato il potere d'influenza del clericalismo. In effetti fu questo l'unico effetto del Kulturkampf. Se ancor oggi, mezzo secolo piuÁ tardi, centinaia di migliaia di operai tedeschi seguono lo Zentrum ed i sindacati cristiani, questo eÁ l'effetto delle misure poliziesche di Bismarck contro la Chiesa cattolica. EÁ per questo che la socialdemocrazia tedesca, giaÁ al tempo del Kulturkampf, e da allora in poi, ha sempre combattuto decisamente tutte queste misure ostili alla Chiesa, come la Legge contro i Gesuiti e le minacce di castighi contro la
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propaganda ecclesiastica. Da allora in poi, nei paesi tedeschi, eÁ una tradizione consolidata della socialdemocrazia [proclamare]: non [vogliamo] la sottomissione della Chiesa al potere dello Stato, ma la completa indipendenza della Chiesa dal potere statale e del potere dello Stato dalla Chiesa! Non vogliamo ne misure poliziesche, ne leggi speciali contro la Chiesa, ma separazione netta della Chiesa dallo Stato. In Austria, possiamo ottenere la forza di realizzare la separazione di Chiesa e Stato solo se riusciamo a guadagnare una parte di proletari credenti alla causa di questa rivendicazione. CioÁ eÁ senz'altro possibile, se noi riusciamo a convincere i proletari credenti che la separazione di Chiesa e Stato non nuoceraÁ alla libertaÁ del singolo individuo di vivere secondo la propria convinzione, e nemmeno alla libertaÁ di ciascuna chiesa e societaÁ religiosa di operare secondo le proprie convinzioni, ma che, anzi, essa realizzeraÁ questa libertaÁ. Ma giammai riusciremmo a conquistare dei proletari credenti alla causa di questa rivendicazione, se volessimo legarla a certe misure poliziesche e a certe leggi speciali contro la Chiesa, che offenderebbero i sentimenti religiosi delle masse credenti. La separazione di Chiesa e stato eÁ, percioÁ, importante per noi proprio perche costringeraÁ la Chiesa ad un comportamento neutrale nei riguardi delle lotte di classe e ci renderaÁ cosõÁ possibile riunire contro la borghesia tutto il proletariato, senza distinzione delle loro idee religiose. Ma se volessimo associare la separazione con misure eccezionali antiecclesiastiche, essa non otterrebbe questo scopo. Tali provvedimenti non ci farebbero conquistare, ma ci metterebbero contro, in maniera accanitamente ostile, le masse credenti. Noi potremo ottenere la separazione della Chiesa dallo Stato solo quando avremo conquistato il potere statale. Ma dopo la conquista del potere statale, dovremo innanzitutto occuparci della soluzione dei nostri grandi compiti economici e sociali. Le nostre misure economiche e sociali faran-
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no infuriare la borghesia. Sarebbe un suicidio, in un momento simile, ferire i sentimenti religiosi dei proletari credenti e, in questo modo, spingerli nelle braccia della borghesia ribelle. Dovremo, percioÁ, realizzare la separazione della Chiesa dallo Stato nella stessa maniera in cui eÁ stata realizzata negli Stati Uniti, nei dominions britannici e a Ginevra, ma non dobbiamo associarla, come in Francia e in Messico, con alcune misure di persecuzione contro la Chiesa. La vita religiosa della Chiesa saraÁ completamente separata dallo Stato; ma la Chiesa conserveraÁ la sua piena libertaÁ nella societaÁ. CosõÁ dice il nostro programma di Linz: «La socialdemocrazia combatte il diritto ecclesiastico di Stato attualmente in vigore. Essa esige una regolamentazione del rapporto fra Stato e Chiesa, che assicuri a ogni chiesa e societaÁ religiosa il diritto di insegnare e di operare secondo la propria fede, ad ogni individuo il diritto di vivere secondo gli insegnamenti della propria chiesa o della propria societaÁ religiosa; ma che non permetta che lo Stato costringa i cittadini a prestazioni economiche a favore della Chiesa, alla partecipazione all'insegnamento religioso della Chiesa ed alle cerimonie di culto religiose e all'obbedienza ai precetti ecclesiastici».
La socialdemocrazia esige, percioÁ, la separazione di Stato e Chiesa secondo i seguenti principi: «Tutte le Weltanschauungen (religioni, dottrine filosofiche e scientifiche di ogni sorta) sono uguali davanti alla legge. Ognuno ha il diritto di decidere liberamente la sua adesione ad una comunitaÁ ideologica (Chiesa, societaÁ religiosa, comunitaÁ religiosa libera o areligiosa); per i figli fino a quattordici anni decidono i genitori. Tutte le comunitaÁ ideologiche (chiese, comunitaÁ religiose ecc.) sono enti di diritto privato. Esse ordinano e amministrano da se le loro faccende e retribuiscono i loro funzio-
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nari senza l'intervento dello Stato. Devono pagare da se le spese della loro amministrazione e del loro esercizio liturgico, le spese dell'insegnamento ideologico (insegnamento religioso) e della formazione e del mantenimento dei curatori d'anime e insegnanti di religione. L'impiego di mezzi pubblici per tutti questi scopi eÁ escluso. Tutto il sistema d'insegnamento e di educazione eÁ secolare. Ma viene lasciato ad ogni comunitaÁ ideologica, al di fuori della sfera dell'istruzione generale, il diritto di provvedere all'istruzione ideologica (insegnamento religioso) e alle pratiche religiose degli scolari. Per la partecipazione dei figli fino ai quattordici anni decidono i genitori. Le facoltaÁ di teologia sono escluse dalle UniversitaÁ. Diritto matrimoniale unificato per tutti i cittadini dello Stato, senza distinzioni confessionali. Celebrazione del matrimonio davanti ad autoritaÁ civili; ma ciascuno rimane libero di sposarsi anche in chiesa dopo la celebrazione civile. Gli impedimenti matrimoniali derivanti dalla diversitaÁ di religione, da ordini religiosi e dai voti, e l'indissolubilitaÁ del matrimonio cattolico non hanno alcun valore davanti allo Stato. Riconoscimento legale delle dispense matrimoniali I registri di matrimonio saranno tenuti dalle autoritaÁ statali».
Il nostro programma esige in primo luogo l'uguaglianza democratica di tutte le Weltanschauungen e di tutte le comunitaÁ ideologiche davanti alla legge. Ogni diritto, che lo Stato accorda alla Chiesa, deve accordarlo anche ai liberi pensatori. Vuole, allora, il nostro programma togliere alla chiesa i mezzi di cui essa ha bisogno per provvedere alla sua amministrazione, per assicurare il culto, la cura delle anime, l'insegnamento religioso? Assolutamente no! Esige soltanto che i credenti coprano essi stessi le spese della loro comunitaÁ ideologica, come attualmente devono farlo giaÁ gli ebrei, i protestanti ed i liberi pensatori. Vuole, forse, il nostro programma impedire ai credenti di fare allevare i loro figli nella loro religione? Assolutamente no! Esso vuole soltanto che la scuola pubblica ge-
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nerale, alla cui frequenza sono tenuti tutti i bambini, sia separata dall'insegnamento religioso. Tutte le chiese e le societaÁ religiose devono avere, al di fuori delle scuole pubbliche, piena libertaÁ di organizzare per i figli dei propri fedeli l'insegnamento religioso. I genitori devono decidere in piena libertaÁ se mandare o no i loro figli all'insegnamento della religione. Vuole, forse, il nostro programma proibire ai credenti di condurre la loro vita matrimoniale secondo i comandamenti della Chiesa? Assolutamente no! Il cattolico credente avraÁ piena libertaÁ di contrarre il suo matrimonio davanti al suo parroco. E chiunque si sente vincolato interiormente ai comandamenti della Chiesa, considereraÁ il suo matrimonio come una unione indissolubile. Ma per lo Stato il matrimonio eÁ un contratto civile. Lo Stato pretenderaÁ, come attualmente fa la maggior parte degli Stati civili, che questo contratto venga registrato da un pubblico ufficiale e, come fanno quasi tutti gli Stati civili, permetteraÁ lo scioglimento del matrimonio in quei casi in cui non vi si opponga alcun interesse sociale. Dobbiamo, tra l'altro, vedere queste richiese del nostro programma in connessione con il suo generale carattere democratico. Nei paesi democratici, dove esiste una libertaÁ illimitata di associazione, di riunione, di stampa, libertaÁ di parola e di scrittura, di ricerca scientifica e del suo insegnamento, la Chiesa separata dallo Stato puoÁ servirsi di tutti questi diritti democratici di libertaÁ per i propri scopi ed organizzare, percioÁ, liberamente la sua attivitaÁ al di fuori dello Stato. Accade diversamente laddove una dittatura sopprime i diritti democratici di libertaÁ. Anche la dittatura sovietica ha separato la Chiesa dallo Stato. Ma nell'Unione sovietica sono stati soppressi tutti quei diritti democratici di libertaÁ. LõÁ si eÁ realizzato, percioÁ, solo l'aspetto negativo della separazione della Chiesa dallo Stato: l'esclusione della Chiesa dalla sfera statale, non il suo aspetto positivo: la piena libertaÁ della vita della Chiesa nella societaÁ. Non eÁ cosõÁ che il nostro programma concepisce la separazione. In-
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fatti, dichiarando che la classe operaia «eserciteraÁ il potere statale nelle forme della democrazia e con tutte le garanzie della democrazia», esso assicura anche alla Chiesa, come ad ogni altra organizzazione, il pieno godimento di tutti i diritti democratici di libertaÁ, che le consentano di organizzare liberamente la sua vita al di fuori dello Stato e senza aiuto dello Stato, cosõÁ come essa fa negli Stati Uniti, nei dominions inglesi e a Ginevra. La separazione della Chiesa dallo Stato, come la richiede il nostro programma, eÁ la stessa che, per la prima volta, i pii credenti Battisti hanno rivendicato quattrocento anni fa, la stessa che i credenti Congregazionalisti, Battisti, Quaccheri hanno realizzato negli Stati Uniti e nei dominions britannici, la stessa che, per ultimo, i cattolici hanno realizzato a Ginevra. La separazione della Chiesa dallo Stato non eÁ in questo modo alcuna rivendicazione ostile alla religione e al cristianesimo. In Austria, tuttavia, la Chiesa combatte questa richiesta. Ma essa la combatte non perche questa richiesta sarebbe antireligiosa, anticristiana, ma perche questa richiesta diminuirebbe il potere della gerarchia ecclesiastica non solo di fronte agli estranei alla Chiesa, ma anche di fronte ai laici credenti della chiesa stessa. Ma proprio per questo noi esigiamo la separazione della Chiesa dallo Stato. Poiche per noi la separazione non eÁ uno strumento di lotta contro la Chiesa. Ma eÁ lo strumento di lotta contro lo sfruttamento della religiositaÁ dei laici credenti per interessi di dominio terreni della gerarchia ecclesiastica alleata con la borghesia. CONFISCA
DEI BENI ECCLESIASTICI
Il potere della gerarchia ecclesiastica si basa non solo sui privilegi, che il sistema attuale di Chiesa statale le accorda, ma anche sulla sua vasta proprietaÁ terriera. Nei secoli di passaggio dal sistema sociale feudale a quello capitalista, il potere statale ha sempre allungato le
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mani sulla proprietaÁ fondiaria della Chiesa. All'epoca della Riforma l'assolutismo ha espropriato la Chiesa in misura grandissima. Marx descrive cosõÁ il fenomeno in Inghilterra: «Nuovo spaventevole impulso ebbe il processo d'espropriazione forzosa della massa della popolazione nel secolo XVI, dalla Riforma e, in seguito, dal colossale furto dei beni ecclesiastici. Al tempo della Riforma, la Chiesa cattolica era proprietaria feudale d'una gran parte del suolo inglese. La soppressione dei conventi ecc. ridusse gli abitanti, i suoi abitanti, a proletari. I beni ecclesiastici vennero in gran parte dati in regalo a favoriti rapaci regi o venduti a un prezzo irrisorio a fittavoli e cittadini speculatori, che scacciarono in massa gli antichi fittavoli ereditari dei conventi e raggrupparono le loro fattorie» 5. La creazione di una nuova ricchezza capitalista, da una parte, la proletarizzazione di larghi ceti contadini dall'altra, furono cosõÁ i risultati di questa confisca dei beni ecclesiastici. Analoghi processi li ripeteva piuÁ tardi l'assolutismo anche nei paesi cattolici. Fu cosõÁ, in Austria, sotto Giuseppe II. I beni dei conventi secolarizzati «vennero dati in affitto per sempre o per un lungo periodo ad un prezzo irrisorio», la loro proprietaÁ mobiliare fu venduta all'asta. «La conclusione fu che il resto fu venduto all'ingrosso all'ebrea Dobruschka, a suo figlio SchoÈnfeldt e a tutta una compagnia di acquirenti» 6. La rivoluzione borghese non procedette diversamente da come aveva fatto l'assolutismo. La rivoluzione francese, nel 1789, confiscoÁ i beni della Chiesa e li vendette all'ingrosso dietro moneta cartacea rapidamente deprezzatasi. OffrõÁ cosõÁ l'occasione ad una speculazione senza scrupoli, a grandi profitti inflattivi, alla formazione di una nuova ricchezza cittadina e contadina, al posto del patrimonio confiscato della Chiesa. 5. K. MARX, Das Kapital, I, p. 652 (Il Capitale, cit., Libro primo (3), p. 179). 6. MITRIFANOW, Josef II, Wien, 1910, pp. 693 ss.
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La confisca dei beni ecclesiastici fu dappertutto un mezzo per la creazione di una grande ricchezza capitalista borghese e di una grande proprietaÁ fondiaria borghese ± una delle forme di accumulazione primitiva del capitale. Nello stesso tempo essa fu dappertutto un colpo mortale contro il regime feudale tradizionale della proprietaÁ fondiaria. «La proprietaÁ ecclesiastica», dice Marx, «costituiva il baluardo religioso dell'antico regime della proprietaÁ fondiaria. Con la sua caduta [della proprietaÁ ecclesiastica] non era piuÁ ulteriormente sostenibile [neppure questo regime]» 7. D'altra parte, sia l'assolutismo che la rivoluzione francese, subito dopo aver confiscato i beni ecclesiastici, hanno accordato ai preti, a ricompensa della perdita del loro patrimonio ecclesiastico, degli stipendi prelevati dalla cassa dello stato, trasformandoli cosõÁ in funzionari di stato. Scopo ed effetto della confisca dei beni ecclesiastici non furono la separazione della Chiesa dallo Stato, ma la trasformazione della chiesa in uno strumento di potere dello Stato. La borghesia si eÁ pronunciata ovunque per l'espropriazione della ``manomorta'', fino a quando eÁ stata in lotta contro il sistema feudale della proprietaÁ fondiaria. Ma da quando la borghesia deve difendere il proprio sistema di proprietaÁ borghese contro gli attacchi del socialismo, essa ha abbandonato questa lotta. Temendo la propria stessa espropriazione, non acconsente piuÁ ad alcuna espropriazione. Attualmente eÁ la classe operaia che eÁ contro la proprietaÁ fondiaria ecclesiastica. Finche la chiesa possiede grandi patrimoni e grandi foreste, uno stretto patto di solidarietaÁ lega la gerarchia ecclesiastica con gli altri grandi proprietari fondiari. La sua grande proprietaÁ fa della Chiesa l'alleata della borghesia, di cui la classe dei proprietari terrieri eÁ diventata una semplice frazione. Soltanto con l'espropriazione della proprie7. K. MARX, Das Kapital, I, p. 653 (Il Capitale, cit., Libro primo (3), p. 180).
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taÁ fondiaria ecclesiastica noi possiamo rompere il patto di solidarietaÁ di interessi che lega la gerarchia ecclesiastica con la borghesia. Solo quando la Chiesa non saraÁ piuÁ un grande proprietario terriero, saraÁ completamente spezzata l'alleanza tra la gerarchia e la borghesia, e saraÁ cosõÁ tolta alla borghesia la possibilitaÁ di mantenere sotto la propria influenza le masse proletarie credenti per mezzo della Chiesa. Ma per questo possiamo, dobbiamo noi riprendere la vecchia rivendicazione borghese dell'espropriazione della manomorta? Dobbiamo confiscare i beni ecclesiastici, lasciando, invece, la loro proprietaÁ ai Rothschild e ai Gutmann, ai Liechtenstein ed agli Eszterhazy? Le masse credenti del popolo proletario della campagna saranno con noi se espropriamo ogni proprietaÁ fondiaria, a chiunque appartenga. Poiche cioÁ corrisponde agli interessi del popolo proletario della campagna. Le masse credenti del popolo proletario della campagna verrebbero gravemente ferite nei loro sentimenti religiosi e, di conseguenza, verrebbero spinte direttamente nelle braccia del clericalismo, se noi espropriassimo la proprietaÁ fondiaria della Chiesa, ma volessimo risparmiare la proprietaÁ fondiaria privata, gestita in maniera molto meno conservatrice, secondo principi molto piuÁ puramente e brutalmente capitalistici. PercioÁ il nostro programma non chiede la confisca dei beni ecclesiastici. Chiede piuttosto che siano ugualmente espropriate tutte le grandi proprietaÁ, quelle degli aristocratici e quelle dei capitalisti, insieme a quella della Chiesa. L'assolutismo e la rivoluzione borghese hanno confiscato i beni ecclesiastici per far nascere dalle rovine della ricchezza feudale della Chiesa una nuova ricchezza capitalista. Noi, al contrario, vogliamo espropriare sia la ricchezza ecclesiastica che quella capitalista, non per far sorgere una nuova ricchezza privata, ma per trasferirle entrambe nella proprietaÁ comune di tutto il popolo.
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EÁ cosõÁ che chiede il nostro programma di Linz: La grande proprietaÁ fondiaria agricola e forestale, sia essa privata che della Chiesa, deve essere condotta sotto la proprietaÁ della collettivitaÁ» 8. L'assolutismo e la rivoluzione francese hanno tolto alla Chiesa i suoi beni per trasformare i preti in funzionari statali. La socialdemocrazia, invece, non vuole trasformare la Chiesa in un organo di Stato, ma separarla dallo Stato. La confisca dei beni ecclesiastici e la retribuzione dei preti da parte dello Stato erano il mezzo per portare la Chiesa alla dipendenza del potere statale. L'espropriazione della grande proprietaÁ fondiaria e la separazione della Chiesa dallo Stato sono il mezzo per portare la gerarchia sotto la completa dipendenza delle grandi masse di operai e piccoli contadini credenti ed in questo modo neutralizzarla politicamente e socialmente. La separazione della Chiesa dallo Stato non ha in se nulla a che fare con l'espropriazione dei beni ecclesiastici. Nei paesi anglosassoni la separazione della chiesa dallo stato eÁ stata attuata senza che la proprietaÁ della Chiesa venisse toccata; anzi, in essi, lo Stato ha dato alle chiese piena libertaÁ di gestire la loro proprietaÁ come proprietaÁ collettiva o come proprietaÁ di opere pie. Noi potremo attuare la separazione della Chiesa dallo Stato probabilmente prima dell'espropriazione della grande proprietaÁ fondiaria in generale. La separazione della Chiesa dallo Stato non toglie alla Chiesa la sua proprietaÁ, le daÁ, invece, la libertaÁ di disporre della sua proprietaÁ, libertaÁ che le manca sotto il vigente diritto ecclesiastico pubblico. Ma appena saremo diventati abbastanza forti per socializzare tutta la grande proprietaÁ fondiaria, insieme con la grande proprietaÁ fondiaria capitalista, sotto la collettivitaÁ del popolo passeraÁ anche quella della Chiesa. 8. Come la collettivitaÁ debba usare questa proprietaÁ, eÁ descritto meglio nel nostro Agrarprogramm. Su questo vedi O. BAUER, Sozialdemokratische Agrarpolitik, Wien, 1926, pp. 147 ss (W., III, pp. 283 ss).
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LA
VIA ALLA LIBERTAÁ
La democrazia borghese considerava la separazione della chiesa dallo stato l'ultimo traguardo della lotta per la libertaÁ di fede e di coscienza. Quando Stato e Chiesa sono separati, quando religione e forme di vita ecclesiali passano interamente nella sfera della vita privata degli individui, non regolamentate piuÁ da alcuna norma statale, allora non si daÁ piuÁ alcun vincolo nelle questioni di coscienza, allora le coscienze sono diventate veramente libere. Ma se lo Stato non esercita piuÁ alcuna coercizione sulle coscienze, di conseguenza, non ne esercita alcuna neanche la societaÁ? La societaÁ di classe mantiene grandi masse in uno stato di sottomissione e d'ignoranza; si formano la propria concezione non in libertaÁ, ma nella cieca fede nell'autoritaÁ tradizionale della societaÁ di classe. Il capitalismo mantiene il proletariato in stato perenne di angoscia per il lavoro ed il pane; non eÁ quindi in libertaÁ, ma nella paura di fronte alle superpotenze sociali, che i proletari si formano la loro immagine del mondo. La separazione di Chiesa e stato libera le coscienze soltanto dalla costrizione statale, non dalla pressione delle condizioni sociali di vita. Essa eÁ un passo importante verso la libertaÁ di coscienza, ma non la sua realizzazione. La vera libertaÁ di coscienza saraÁ realizzata per tutto il popolo solo nella societaÁ socialista. I credenti temono, e alcuni liberi pensatori sperano, che la separazione della Chiesa dallo Stato rechi danno alla religione. Il timore degli uni eÁ giustificato tanto quanto la speranza degli altri. Chi, interiormente, ha giaÁ apostatato completamente dalla Chiesa, puoÁ separarsi anche esteriormente da essa, se l'adesione alla Chiesa suppone anche il pagamento di tasse ecclesiastiche. Ma chi eÁ intimamente credente ± come lo prova l'esperienza di tutti i paesi in cui la separazione s'eÁ completata ± rimarraÁ fedele alla propria religione ed alla propria chiesa anche dopo la separazione della Chiesa dallo Stato.
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Il trasferimento della religione dalla sfera statale a quella privata non reca danno, percioÁ, in alcun modo, alla religiositaÁ delle masse popolari. «La stragrande maggioranza», dice Marx, «non smette di essere religiosa per il fatto che eÁ religiosa in privato». Cosa significa dappertutto la separazione, laddove essa eÁ stata realizzata? «L'uomo non si eÁ liberato dalla religione per il fatto che ha ottenuto la libertaÁ religiosa», dice Marx 9. La separazione dello Stato dalla Chiesa non tocca le concezioni religiose degli uomini. Solo che la trasformazione delle condizioni economiche e sociali degli uomini li renderaÁ capaci di trasformare le loro concezioni religiose. La separazione di chiesa e stato daÁ agli uomini solo la libertaÁ di tutte le Weltanschauungen. Solo la societaÁ socialista li renderaÁ capaci di crearsi una Weltanschauung degna di uomini civili liberi. «Il limite dell'emancipazione politica», dice Marx, «si evidenzia nel fatto che lo Stato puoÁ liberarsi di un limite, senza che l'uomo ne sia effettivamente libero, e nel fatto che lo Stato puoÁ essere uno Stato libero senza che l'uomo sia un uomo libero» 10. L'emancipazione politica del popolo ha fatto dello Stato uno Stato democratico e repubblicano libero; ma lascia gli uomini continuare a vivere nella schiavituÁ del salario. Solo l'emancipazione sociale, solo il socialismo trasforma gli schiavi salariati in uomini liberi. La separazione di Chiesa e Stato, che costituisce soltanto una parte dell'emancipazione politica, libera lo Stato dalla Chiesa, non gli uomini dal gioco delle potenti tradizioni religiose. Solo l'emancipazione sociale, solo il socialismo renderaÁ tutti gli uomini capaci di rinnovare liberamente la loro Weltanschauung e la loro vita. Il nostro programma di Linz rivendica la separazione di 9. K. MARX, Zur Judenfrage, in Nachla , I, pp. 406 e 422 (Sulla questione ebraica, cit., pp. 164-165). 10. Ivi, p. 406 (Ivi, p. 164).
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Chiesa e stato non come una misura antireligiosa, ma come una conseguenza necessaria della democrazia e come un mezzo necessario della lotta contro la borghesia. Non la separazione della Chiesa dallo Stato, ma soltanto la societaÁ socialista, secondo le parole del programma, renderaÁ ciascun individuo capace di «mettere d'accordo, in piena libertaÁ, la propria Weltanschauung con i dati della scienza e con la dignitaÁ morale di un popolo libero». CosõÁ, ormai, abbiamo una visione d'insieme dell'intero cammino verso la libertaÁ, che il nostro programma ci indica. Il nostro programma parte dall'idea che la borghesia nella repubblica democratica puoÁ dominare soltanto perche il potere d'influenza della Chiesa sui suoi fedeli mantiene grandi masse proletarie al seguito del partito della borghesia. Tirare queste masse dalla nostra parte eÁ il nostro primo compito. Noi possiamo fargli fronte solo se, all'interno del nostro partito stesso, trattiamo la religione come affare privato. Solo in questa maniera diventeremo abbastanza forti da imporre anzitutto la separazione della Chiesa dallo Stato. CosõÁ saraÁ indebolita la forza politica della gerarchia ecclesiastica, che, attualmente, viene adoperata contro di noi. CosõÁ otterremo la forza per imporre l'espropriazione della grande proprietaÁ fondiaria e distruggeremo, di conseguenza, anche le basi economiche del potere politico della gerarchia ecclesiastica. Realizzeremo queste riforme senza danneggiare o offendere le concezioni religiose delle masse popolari credenti. Ma, attraverso queste riforme, toglieremo alla borghesia il suo piuÁ potente strumento di dominio. Ma, con la detronizzazione della borghesia e con l'espropriazione della grande proprietaÁ terriera, comincia, nello stesso tempo la costruzione dell'ordine economico socialista. Nella misura in cui essa progrediraÁ, assicureraÁ a tutti gli uomini, dapprima, l'esistenza di uomini civili liberi. Soltanto dopo, cioeÁ quando tutti gli uomini condurranno la vita da uomini civili, arriveranno in piena libertaÁ anche alla Weltanschauung di uomini civili liberi.
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IGNAZ SEIPEL (1932)
L'uomo senz'altro piuÁ importante della borghesia austriaca, l'unico uomo di stato di rango europeo che i partiti borghesi della repubblica abbiano prodotto, il Dr. Ignaz Seipel, eÁ morto ieri. Un antico detto romano avverte che dei defunti si deve dire soltanto bene. Si puoÁ dar credito a questo avvertimento se si parla di privati, di persone mediocri o di gente comune. Ma chi ha inciso il segno del proprio agire tanto profondamente nella storia del proprio popolo e del proprio stato, come il Dr. Ignaz Seipel, anche da morto merita una giusta valutazione e una critica storica. Seipel era un prete cattolico. PercioÁ la sua personalitaÁ politica ha radici in questo suo modo di appartenenza alla chiesa. Non peroÁ come se il mite insegnamento del discorso della montagna fosse stato il filo conduttore della sua attivitaÁ politica. Piuttosto con un significato diverso: servire la gerarchia ecclesiastica, la potente organizzazione di potere della chiesa, la chiesa in quanto grande potenza conservatrice. Di tutto questo egli fece il compito della sua vita. Partendo da questa posizione, la lotta contro il socialismo divenne per lui l'impegno in assoluto, poiche eÁ nel socialismo che egli vedeva il grande e pericoloso nemico storico della sua chiesa. Tutto cioÁ lo indusse, giaÁ in un'epoca nella quale non operava ancora nella vita pubblica, a studiare i problemi sociali; e giaÁ in quegli studi si rivelarono i principi ai quali si dedicoÁ nella vita pubblica con tutta l'energia del suo essere e con tutta la forza della sua volontaÁ.
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Negli anni giovanili scrisse un dotto libro sulle dottrine economiche dei padri della chiesa, libro stimato anche dagli storici, dai protestanti, dagli studiosi di dottrine sociali cristiane, per esempio da Troeltsch. GiaÁ in questo libro si rivelava la sua personale posizione. Tra i padri della chiesa, non pochi nei loro scritti si scagliano con sacrosanta ira contro mammona, la ricchezza; nelle loro dottrine ostili alla ricchezza si sente l'eco del comunismo primitivo delle prime comunitaÁ cristiane. Non di rado il socialismo piuÁ antico si eÁ richiamato ai giudizi di condanna espressi dai padri della chiesa contro la ricchezza e contro i ricchi. La presentazione che Seipel offre delle dottrine sociali dei padri della chiesa va nella direzione opposta. Tutto il suo libro mostra l'evidente tendenza a imborghesire i padri della chiesa e a tracciare una forte linea di demarcazione fra essi e il socialismo. Si rivelava giaÁ in questo il carattere fondamentale del suo pensiero; vedendo nel socialismo il grande avversario della chiesa, pensava che il compito della chiesa fosse quello di difendere dal socialismo l'ordine borghese della proprietaÁ. Vedendo nella chiesa anzitutto la grande potenza conservatrice che aveva il dovere di tener lontano il turbine della rivoluzione, pensava che fosse compito della chiesa proteggere l'ordine della societaÁ dall'assalto del socialismo. L'alleanza tra chiesa e capitalismo, che egli tentoÁ di realizzare nella sua azione pratica, veniva cosõÁ annunciata in anticipo giaÁ nei suoi lavori teorici. EntroÁ nella vita politica all'epoca della guerra. Apparteneva a quel gruppo di patrioti pacifisti che credevano di poter salvare l'antico impero austro-ungarico con una pace tempestiva, con una tempestiva separazione dalla Germania, con un tempestivo accordo con le potenze occidentali e con delle concessioni ai popoli slavi dell'impero. Quando peroÁ Lammasch, per un puro senso umanitario che detestava la guerra, e quando Josef Redlich, strettamente legato alla cultura dei paesi anglosassoni, divennero portavoce di questo gruppo, anche Seipel vi si aggregoÁ
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temendo per le sorti della grande monarchia cattolica che doveva essere salvata nell'interesse della chiesa. Troppo tardi, solo quando ormai la guerra era perduta, l'ultimo Habsburger chiamoÁ nel suo ultimo governo anche Seipel assieme a Lammasch e Josef Redlich. Ormai non c'era altro compito che gestire il conflitto con la rivoluzione, che in quei giorni faceva saltare in aria l'antica monarchia e costituiva le nuove repubbliche. Seipel fu uno degli ultimi consiglieri dell'ultimo Hasburger; ancora nel 1922 ha pubblicamente confessato di aver vissuto come una sconfitta personale la costituzione della repubblica austro-tedesca e di aver abbandonato il 12 novembre 1918 il campo di battaglia da sconfitto. Ma Seipel ben presto continuoÁ la sua lotta su un nuovo terreno. Grazie alle sue superiori qualitaÁ intellettuali, nella repubblica divenne in breve tempo l'indiscusso capo del partito cristiano-sociale. A dire il vero fu un capo sui generis. In lui non vi era nulla dell'antica tradizione del partito cristiano-sociale, del pensiero dei Lueger e dei Gessmann, degli Schraffel e degli Schopfer. Sotto la sua guida il partito cristiano sociale divenne tutt'altra cosa rispetto al partito dell'anteguerra. Lo dominava anzitutto un pensiero :unificare tutte le forze valide della societaÁ borghese contro il socialismo. Fu lui che creoÁ lo stretto legame tra partito cristiano-sociale e l'unione degli industriali, condusse in porto l'inserimento dei rappresentanti della grande imprenditoria industriale nelle liste dei candidati cristiano ± sociali e tentoÁ inoltre di unire in una stretta alleanza il partito cristiano ± sociale con gli altri partiti borghesi per lottare contro il socialismo. Voleva a questo modo forgiare una forza che potesse dominare la socialdemocrazia austriaca. Al servizio di questa politica egli mise nel 1922 il suo straordinario talento nello sfruttare a favore dell'Austria i contrasti di politica estera esistenti tra le potenze straniere. Che nel 1922, all'apice dell'inflazione, gli sia riuscito di avere dalla SocietaÁ delle Nazioni l'aiuto poco prima negato, fu il risultato di una manovra di politica estera temeraria
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e ardita, ma certamente abile. Ma immediatamente ha tentato di mettere questo successo in politica estera al servizio della lotta di classe borghese all'interno del paese. Attraverso l'emarginazione del parlamento per due anni, voleva avere nelle proprie mani un potere dittatoriale. Da salvatore dalla miseria dell'inflazione, credeva di poter sconfiggere il socialismo. Ma il tentativo fallõÁ, perche il socialismo nel 1922 fu in grado di impedire la chiusura del parlamento e le elezioni del 1923 dimostrarono che il Socialismo era intatto. Allora egli tentoÁ di raggiungere il suo scopo formando la ``lista unitaria'', che avrebbe dovuto lanciare tutte le forze borghesi senza eccezioni contro la socialdemocrazia. Quando anche questo tentativo fallõÁ alle elezioni del 1927, ebbe inizio il piuÁ fatale periodo della sua azione; a questo punto comincioÁ a mettere in gioco contro di noi un fascismo da milizia popolare. Seipel era uomo di straordinaria capacitaÁ di controllo di seÂ. La maschera impenetrabile che assumeva dava l'impressione che egli fosse una persona fredda e priva di passioni. Chi lo ha conosciuto piuÁ da vicino, sa quali pensieri di odio lo animavano. Dopo la sanguinosa catastrofe del 15 Luglio 1927, davanti alle bare di novanta morti espresse la propria mentalitaÁ autoritaria con l'infausta frase «non si pretenda da me alcuna mitezza!». Queste parole, proprio perche le aveva dette un sacerdote cattolico, irritarono e amareggiarono le masse proletarie, decine di migliaia risposero uscendo dalla sua chiesa e da quel momento la sua opposizione al socialismo crebbe trasformandosi in odio viscerale. Quando espresse la sua nota testimonianza a favore della milizia popolare, puoÁ anche darsi che si trattasse solo di politica, puoÁ darsi che credesse ancora di impedire con il suo influsso una rivolta cruenta della milizia popolare contro la repubblica, pensando di poterla utilizzare come semplice strumento della propria politica contro la socialdemocrazia. Ma quando piuÁ acuti si fecero i contrasti successivi alla catastrofe del 15 luglio, tanto piuÁ egli stesso si avvicinoÁ al fascismo. Lo si vide giaÁ nell'otto-
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bre del 1928 quando dispoticamente fece fallire un importantissimo tentativo di portare in porto la smobilitazione interna in Austria per restituire al paese la pace. Lo si vide nel 1929 quando con la sua ostilitaÁ alla democrazia diede il segnale della lotta per la costituzione. V'eÁ una profonda tragicitaÁ nella morte prematura di questo importante uomo, poiche eÁ morto sconfitto. L'opera, che ha dato tanta celebritaÁ al suo nome, la stabilizzazione della moneta e la ricostruzione dell'equilibrio del bilancio federale con il trattato finanziario per il prestito del 1922, eÁ stata distrutta in seguito alla crisi economica dell'anno scorso. Il tentativo di servirsi del fascismo contro la socialdemocrazia si eÁ risolto in una terribile vendetta ai danni del suo partito; egli era ancora vivo il 24 aprile 1932 per sapere come le idee antidemocratiche, che egli stesso aveva tanto contribuito a introdurre nelle masse del suo partito, hanno spinto le stesse verso i nazisti, infliggendo cosõÁ una grave sconfitta al suo partito. Egli stesso ha riconosciuto di non essere stato in grado di sconfiggere la socialdemocrazia e che, in una crisi di enorme gravitaÁ, lo stato non potraÁ alla lunga essere governato senza e contro la socialdemocrazia. Egli stesso, dopo tanti anni di accanita lotta contro la socialdemocrazia, un anno fa, dopo che il governo di Emder era fallito per la questione della Kreditanstalt, ha offerto alla socialdemocrazia di formare con lui un governo; ha mal sopportato che la socialdemocrazia abbia rifiutato la sua offerta. Ma ancor peggio ha sopportato che, a causa della sua evoluzione negli ultimi anni anche all'interno del suo partito si sia rafforzata la resistenza alla sua direzione. L'ultima meta politica, che egli si era posta, era di diventare presidente federale per elezione popolare diretta, al fine di poter guidare la repubblica senza dipendere dai partiti, neanche dal proprio. Visse percioÁ come la piuÁ grave sconfitta il fatto che nell'autunno precedente, contro la sua volontaÁ, il suo partito avesse deciso si rinunciare all'elezione popolare diretta del presidente federale e di rieleggere, in assemblea federale, Miklas a presidente della federazione.
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La lotta contro di noi eÁ stata il senso della sua vita. Ma questa lotta senza dubbio egli l'ha condotta con convinzione interiore onesta. Egli era convinto dell'equitaÁ della sua causa, quanto noi lo eravamo della nostra. La sua personalitaÁ era quella di un uomo puro, e come seppe essere un duro combattente nella vita pubblica, fu altrettanto benevolo nei rapporti personali. Delle sue entrate ha donato sempre una gran parte ai poveri; un richiamo alla compassione umana per i bisognosi, un appello per i poveri e per i disoccupati potevano provocare perplessitaÁ nell'uomo di stato ispirato a una concezione autenticamente borghese dei problemi sociali; ma come privato, di fronte a poveri singoli, era buono. Nell'azione pubblica era severo, duro, impenetrabile; nel rapporto privato sereno, gioioso per una bella battuta di spirito, non privo di sensibilitaÁ per le piccole gioie della vita. Ci ha combattuto con tutti i mezzi e tutte le armi; e noi lui. Che non fosse uomo da compromessi, ma un uomo che si sentiva a proprio agio solo nella lotta senza quartiere, puoÁ essere stato, specialmente negli anni successivi al 1927, una fonte di sciagura per il paese; ma chi eÁ un combattente non negheraÁ umana stima ad una autentica natura di combattente in campo avversario. Ora egli eÁ morto; i partiti borghesi d'Austria non hanno piuÁ personalitaÁ capaci di essere delle guide, che siano al di sopra della mediocritaÁ. Accanto alla sua bara anche noi possiamo dire di lui: tutto sommato, fu un uomo! Il soldato non nega al nemico caduto gli estremi onori militari. PercioÁ anche noi spariamo tre salve alla bara del grande avversario. (Da «Arbeiter-Zeitung», 3 Agosto 1932, in Werkausgabe, vol. 7, pp. 466-470)
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CATTOLICESIMO E LOTTA DI CLASSE (1933)
Il nuovo stato austriaco e la nuova costituzione devono essere modellati secondo la dottrina sociale e politica della chiesa cattolica, secondo l'enciclica papale Quadragesimo anno, cosõÁ ci viene sempre ripetuto. Di questi tempi appare peroÁ un curioso libro, che riferendo le interpretazioni dei piuÁ rappresentativi teologi cattolici tedeschi, le dottrine degli uomini come i Gesuiti Gundlach e Nell-Breuning e il noto sociologico politico cattolico Pieper, vuol fornire la prova «che proprio le parole d'ordine piuÁ importanti, che vengono usate nella lotta per la riforma della costituzione, sono in contrasto e inconciliabili con la dottrina ecclesiastica, in particolare come quella esposta nell'enciclica Quadragesimo anno». L'autore del libro eÁ il Dr. Benno Karpeles, una volta socialdemocratico e staccatosi dal partito al tempo della guerra. In seguito eÁ diventato un credente cattolico; la sua testimonianza per il miracolo di Konnersreuth ha fatto un po' scalpore. Il suo libro Lotta di classe, Fascismo e parlamento dei ceti eÁ apparso presso l'editore di quell'azienda tipografica, che eÁ l'editore dei sindacati cristiani. Anche in questo volume Karpeles si pone come un avversario nei confronti di noi socialdemocratici pronunciando un giudizio inesatto e incomprensibile a proposito della posizione del nostro partito sulla guerra. Ma non eÁ questo cioÁ che ci interessa in questo volume. Molto piuÁ interessanti sono le tesi che Karpeles in questo volume vuole dimostrare, basandosi sul testo dell'enciclica papale e sulle interpretazioni dei suoi piuÁ significativi commentatori tra le file degli studiosi cattolici.
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Karpeles dimostra poi che la rotonda scrittura del papa considera la lotta di classe come «il risultato inevitabile» dell'attuale ordine sociale. «La societaÁ attuale, dice il papa nell'enciclica, eÁ costruita proprio sull'opposizione degli interessi di classe e percioÁ sulla contrapposizione stessa delle classi sociali». L'ordine sociale attuale porta inevitabilmente a far sõÁ che nel mercato del lavoro «due classi, cioeÁ due fronti di lotta», come dice il papa, «siano l'un l'altra nemiche». «Di fronte ad una sazia borghesia, che con ingenua spensieratezza ritiene come naturale e soddisfacente ordine delle cose che debba toccare tutto soltanto a lei e che i lavoratori debbano restare a mani vuote, s'erge dall'altra parte un proletariato offeso nei suoi diritti e percioÁ fortemente irritato» ± parole del papa. PercioÁ ± per dirla sempre con le parole del papa ± eÁ una «ingiustizia che grida vendetta se la coalizione di destra nega il diritto di lotta ai lavoratori», che, come prosegue l'enciclica,«hanno bisogno assolutamente di difendersi contro la sua pesantissima oppressione». Fino a quando sta in piedi l'attuale ordine sociale, non puoÁ essere proibito e nemmeno ostacolata la lotta di classe. Si puoÁ solo fare in modo che essa sia svelenita dall'odio cieco e «si trasformi in un aperto confronto tra le classi sostenuto da una voltontaÁ di giustizia, che, certo, non significa giaÁ l'agognata generale pace sociale, ma che, tuttavia, puoÁ e deve servire come punto di partenza, da cui iniziare a costruire concordemente una collaborazione di classe». Tutto cioÁ suona, come si ammetteraÁ, un po' diverso dai discorsi precedenti, che presentano la lotta di classe come una trovata di cattivi capi e istigatori degli operai e chiedono ad ogni bravo patriota e buon cristiano di rifiutare la lotta di classe. A questa tesi, peroÁ, Karpeles ne collega un'altra. Egli vuole dimostrare che «nessun cattolico, per il quale la confessione del cattolicesimo eÁ piuÁ di una mera confessione verbale, puoÁ approvare la dottrina politica fascista e la prassi fascista». A questo scopo egli paragona gli ordini professionali della societaÁ, che il papa rivendica nella
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sua enciclica, con il sistema delle corporazioni del fascismo italiano. In Italia lo stato ha costruito gli ordini professionali dall'alto con il suo potere costrittivo. Le corporazioni, i ceti professionali organizzati, sono dominati e guidati dallo stato. Come si esprime il gesuita Nell-Breunig, eÁ «lo stato nella sua totalitaÁ, con la sua onnipresenza, che, unicamente con le istituzioni corporative, prolunga un braccio dentro l'economia». E accanto a queste corporazioni create dallo stato non vengono tollerati i sindacati liberi. Secondo l'enciclica Quadragesimo anno, l'organizzazione sociale degli ordini professionali deve essere creata in tutt'altro modo. «Secondo la concezione cattolica e la dottrina del papa ± dice il gesuita Gundlach ± gli ordini professionali non nascono attraverso provvedimenti statali, ma dai naturali rapporti sociali stessi, e lo stato deve intervenire solamente per integrare e all'occorrenza far da giudice». Essi devono essere corpi amministrativi veramente autonomi, che amministrano liberamente gli affari e che sono in comune agli imprenditori e agli operai delle singole professioni. E accanto ad essi devono continuare ad esistere liberamente come corporazioni giuridiche pubbliche le organizzazioni libere dei lavoratori e degli imprenditori. Poi, dice il Dott. Pieper, «il soffocamento dell'intero movimento sindacale, che il fascismo eleva a principio, non significa altro che la soppressione violenta del conflitto di classe in generale. Senza distruggere la ragion d'essere dell'idea di classe e della lotta di classe e percioÁ senza permettere che sia portata realmente a compimento la lotta di classe, lo stato fascista ha unificato in maniera forzata entrambe le classi avversarie negli ordini professionali, che non possono essere nient'altro che un velo che copre ± oppure non copre neppure ± l'incomprimibile conflitto di classe». Secondo la dottrina cattolica, una vera struttura sociale degli ordini professionali potrebbe sorgere non per questa via, ma soltanto dallo sviluppo naturale delle societaÁ tariffarie derivanti dai contratti collettivi. L'enciclica non ha niente a che fare con gli stati sociali decretati dallo sta-
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to, tanto piuÁ con una camera degli stati o con un parlamento degli stati. Karpeles cita una frase molto istruttiva del cardinale Piffl: «Bisogna difendere le idee degli ordini professionali dai malintesi» Non sono irrilevanti i gruppi, che reclamano prima del papa l'ordine sociale degli stati professionali nella speranza di poter in questo modo ammazzare le giustificate conquiste sociali dei lavoratori». Il cardinal Piffl medesimo ha chiamato questo una lotta di classe dall'alto. Il papa stesso nell'enciclica non ha parlato meno chiaramente: «Davvero, si trova perfino che si cerca di prendere a pretesto proprio la religione come paravento, dietro al quale qualcuno vuol nascondersi con le proprie ingiuste macchinazioni e vietare proprio le giuste rivendicazioni dei lavoratori. Sono queste persone, che portano la colpa di far cadere sulla chiesa la cattiva luce e il sospetto che lei favorisca i benestanti e al tempo stesso guardi con indifferenza le sofferenze e i bisogni dei diseredati di questa terra». Karpeles accusa coloro che con il richiamo al cristianesimo vogliono impedire ai lavoratori l'uso della lotta di classe, mentre continuano a sussistere le sue ragioni, che l'attuale ordine sociale continua a mantenere in piedi; accusa coloro che, col pretesto del richiamo all'enciclica del papa vogliono assoggettare i lavoratori al fascismo, a questo errore, che vuole prendere a pretesto la religione come paravento, dietro a cui qualcuno vuol nascondersi con le sue ingiuste manipolazioni». La sua raccolta di brani dalla dottrina del papa e dalla sua spiegazione da parte di illustri teologi eÁ in realtaÁ ± cosõÁ tanto distante eÁ il loro punto di vista anche dal nostro ± un totale smascheramento di coloro che sotto il pretesto di voler farla finita con la lotta di classe in forza dei princõÁpi cristiani, in realtaÁ interamente in contraddizione con questi princõÁpi non fanno altro che portare solo la propria lotta di classe contro i lavoratori. (da «Arbeiter Zeitung», 26 nov. 1933, in Werkausgabe, vol. 7, pp. 496-499)
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LA CONTRORIVOLUZIONE E LA CHIESA (1934)
Finisce in fiumi di sangue, in Spagna, la fatale legittimitaÁ della rivoluzione borghese. EÁ stato questo il destino di tutte le rivoluzioni borghesi: i borghesi e i lavoratori, assieme, fanno cadere l'assolutismo e tentano, assieme, di costruire il nuovo stato democratico. Ma appena si mettono all'opera, cominciano tra loro le differenze di classe. La borghesia, non volendo dividere con la classe dei lavoratori l'ereditaÁ dell'assolutismo, si trova in lotta con la classe del lavoratori. Temendo la sollevazione dei lavoratori, cerca appoggio e aiuto presso i potenti reazionari che poco prima aveva sconfitto con l'aiuto della classe dei lavoratori. I conflitti di classe si acutizzano a tal punto che la bourgeoisie finalmente si getta interamente nelle braccia delle potenze reazionarie per schiacciare, in alleanza con esse, la classe dei lavoratori con una sanguinosa controrivoluzione. CioÁ accadde nel 1848. E questo eÁ anche il destino delle rivoluzioni borghesi del nostro tempo. In Spagna, nell'atmosfera controrivoluzionaria che dall'avvento di Hitler domina nell'Europa Centrale e occidentale, si eÁ compiuto nel breve periodo di tre anni quello che in Germania eÁ avvenuto in quattordici anni e mezzo, dal 1918 al 1933, e in Austria in quindici anni e mezzo, dal 1918 al 1934. Nell'aprile del 1931 borghesi e lavoratori spagnoli hanno fatto cadere la monarchia tanto compromessa dalla dittatura di Primo de Rivera e carica di odio delle masse popolari. Fu una vittoria facile e incruenta. EÁ bastata una vittoria dei partiti repubblicani alle elezioni comunali per far cadere la monarchia. Questa non ha osato
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alcuna resistenza. Poiche gli ufficiali dell'esercito, contagiati dalle idee repubblicane dell'intera intellighenzia borghese, non volevano piuÁ combattere per il re. Borghesi e lavoratori, assieme, avevano vinto la monarchia. Borghesi e socialisti, assieme, assunsero il governo della Repubblica. Ma ben presto fra le classi coalizzate sorsero i contrasti di classe. La nobiltaÁ, privata dei propri privilegi e minacciata dalla riforma agraria repubblicana, e la chiesa, privata del proprio dominio dalla legislazione repubblicana, furono in grado di mobilitare contro la repubblica, contro i sindacati e il socialismo, sia i contadini, ridotti alla miseria dalla crisi agricola internazionale e non soddisfatti dall'insufficiente riforma agraria, sia i piccoli borghesi irritati dall'aviditaÁ dei lavoratori che si organizzavano rapidamente in sindacati in seguito alla vittoria politica. Le elezioni del novembre 1933 diedero una grande vittoria alla coalizione tra clericali, fascisti e monarchici. La bourgeoisie repubblicana rimase tuttavia al potere. Ma nella lotta contro le richieste dei lavoratori, si appoggioÁ alle forze clerico-fasciste e monarchiche contro il proletariato. La coalizione della borghesia repubblicana con i clerico-fascisti e i monarchici preoccupoÁ i lavoratori. Vedevano la repubblica minacciata, la reazione clerico-fascista alle porte. Un'ondata di dimostrazioni, di scioperi e di attentati, sconvolse il paese, ma questa continua irrequietezza spaventoÁ la piccola borghesia, disturbata cosõÁ nelle proprie attivitaÁ. Per la reazione della borghesia e per i suoi alleati, i clerico-fascisti e i monarchici, fu sempre piuÁ facile convincere i piccoli borghesi con questa idea: «bisogna farla finita, bisogna schiacciare i sobillatori, ristabilire la quiete e l'ordine». La classe operaia spagnola aveva davanti agli occhi il destino del proletariato tedesco e austriaco. Con sempre maggior forza fu presa da questo pensiero: non attendere troppo a lungo. Non attendere tanto da essere fiaccati e deboli. Piuttosto picchiar sodo, finche si eÁ forti.
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La reazione vide giunto il suo momento. Se finora aveva ancora lasciato i ministeri ai repubblicani della borghesia, ecco che Gil Robles, il capo della clericale Accion Popular, improvvisamente ritiroÁ il suo appoggio al governo di Samper. In questo modo ottenne con la costrizione la presenza di tre clerico-fascisti nel governo di Lerroux. E diede cosõÁ il segnale di lotta aperta. Il proletariato spagnolo non voleva permettere ai clerico-fascisti di utilizzare l'appropriazione del potere di governo per la preparazione sistematica della sconfitta violenta del proletariato. Il proletariato spagnolo diede battaglia. I lavoratori spagnoli non erano isolati come lo erano stati gli austriaci nel febbraio [del 1934]. Il proletariato spagnolo poteva contare su potenti alleati. Una parte dell'intellighenzia repubblicana e anticlericale non aveva partecipato alla conversione reazionaria dei repubblicani della borghesia. Essa era pronta, sotto la guida di AzanÄas, a lottare a fianco dei lavoratori contro il governo di Lerroux. Il proletariato agrario dell'Andalusia, defraudato degli sperati frutti della riforma agraria, disoccupato, affamato, fu l'alleato naturale dei lavoratori dell'industria. Ma anzitutto i lavoratori contavano sulle attese autonomistiche dei Catalani e dei Baschi. In Catalogna il governo della provincia era nelle mani della sinistra; essa era rigorosamente all'opposizione contro il governo centrale reazionario. Aveva accentuato il contrasto tra Catalogna e Castiglia, tra Barcellona e Madrid non solo l'aspirazione della Catalogna all'autonomia statale all'interno di una repubblica federale spagnola, ma anche un problema sociale di primo piano: da quando il governo centrale di Madrid aveva sollevato obiezioni contro la legge catalana degli affitti agrari, per le masse popolari il governo catalano era il propugnatore che si opponeva allo sfruttamento semifeudale. PercioÁ i baschi, che, erano divenuti i sostenitori della piuÁ nera reazione carlista, sebbene in precedenza fossero stati in lotta per i loro fueros, i loro antichi diritti di libertaÁ, a questo punto sempre per i medesimi fueros, per amore degli stes-
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si diritti all'autogoverno, erano passati al piuÁ aspro conflitto contro il governo centrale reazionario ed erano percioÁ diventati gli alleati della classe dei lavoratori. Ma nell'ora della lotta, le grandi speranze, riposte dalla classe dei lavoratori negli alleati, si rivelarono ingannevoli. In poche ore la repubblica catalana fu sconfitta. Con questa cadde anche il contro-governo dell'intelligenza repubblicana formato a Barcellona da AzanÄas. I Baschi si sollevarono; ma la guerriglia tra i monti baschi non fu in grado di influire sulle decisioni delle principali cittaÁ. La rivolta agraria non ebbe le dimensioni auspicate. Il proletariato industriale in realtaÁ poteva contare solo sulle proprie forze. Queste forze erano enormi. La giovane industria spagnola eÁ relativamente poco indebolita dalla crisi dell'economia mondiale, il proletariato spagnolo non eÁ fiaccato, come quello austriaco, da una spaventosa disoccupazione di lunghissima durata. In tutte le cittaÁ importanti e nei centri industriali lo sciopero generale inizioÁ con enorme violenza e continuoÁ caparbiamente anche dopo le sconfitte militari dei lavoratori. Con lo sciopero generale ebbe inizio anche la rivolta armata. Se a Madrid e a Barcellona assunse la forma della guerriglia, tradizionale in Spagna, nelle zone carbonifere dell'Asturia divenne guerra aperta. Con eroico coraggio i minatori dell'Asturia difesero le loro cittaÁ e i loro villaggi contro le truppe governative, indietreggiando, quando le loro posizioni erano insostenibili in campo aperto, per rifugiarsi in trincee velocemente scavate in posizione difensiva contro la superioritaÁ del nemico. Il governo contro i minatori asturiani ha impegnato le truppe coloniali che avevano acquisito esperienza di guerra nella guerriglia marocchina, i soldati della legione straniera, reclutati tra la feccia proletaria di tutti i paesi capitalisti; contro il proletariato in lotta ha impiegato bombardieri, carri armati e artiglieria pesante. Il comportamento della truppa eÁ stato decisivo. L'esercito spagnolo ha una tradizione rivoluzionaria. Dall'epoca delle guerre di liberazione contro Napoleone, lo strumento di tutte le rivoluzioni spa-
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gnole fu la Junta, la congiunzione degli ufficiali con i cittadini rivoluzionari, l'organizzazione, il giuramento militare, la rivolta di un generale contro il potere reazionario del governo. CosõÁ nel 1820, 1840, 1854, 1868. Solo tre anni fa l'alleanza degli ufficiali con i partiti repubblicani ha fatto cadere la monarchia. Ma se gli ufficiali spagnoli hanno una tradizione rivoluzionaria, si tratta peroÁ della tradizione borghese e non della tradizione della rivoluzione proletaria. Ogni qualvolta la borghesia si eÁ sollevata contro il vecchio regime, gli ufficiali hanno messo l'esercito a servizio della rivoluzione. Ora che la borghesia si era alleata con la reazione contro il proletariato, gli ufficiali hanno guidato l'esercito contro il proletariato e i suoi alleati. Gli ufficiali nella controrivoluzione furono a fianco della borghesia anche nella rivoluzione del 1931, come lo erano stati spesso nel XIX secolo. Il proletariato avrebbe dovuto trovare degli alleati nella truppa semplice per poter vincere. Non c'eÁ dubbio che qua e laÁ la truppa si eÁ ammutinata e si eÁ rifiutata di sparare contro i lavoratori. Ma nel complesso l'esperienza dei giorni di lotta in Spagna ha confermato quanto sia difficile rompere il meccanismo d'acciaio della disciplina militare, se non lo hanno distrutto le sconfitte in guerra. I lavoratori sono stati percioÁ sconfitti. Il Signor Lerroux, definito il Dollfuss spagnolo, per il movimento eÁ il vincitore. Ma il Signor Lerroux non eÁ il Dollfuss spagnolo, bensõÁ solo lo strumento del Dollfuss spagnolo. La reazione clerico-fascista-monarchica ha permesso ai repubblicani borghesi di sconfiggere i lavoratori al proprio servizio. A questo punto, poiche essi hanno realizzato il loro ultimo compito, la reazione clerico-fascista si sbarazzeraÁ ben presto di loro per assumere direttamente il potere. Il vero signore della Spagna in questo momento non eÁ piuÁ Lerroux, bensõÁ Gil Robles, il capo dei clerico-fascisti. E dietro Gil Robles stanno minacciosi i Grandi feudatari della Monarchia... Come in Austria, anche in Spagna la sanguinosa contro-
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rivoluzione non eÁ il risultato di un conflitto dei Gesuiti. LaÁ come qua eÁ il risultato dell'evoluzione dei contrasti di classe e della lotta di classe. Ma laÁ come qua la chiesa cattolica ha fortemente influito su questa evoluzione; laÁ come qua ha utilizzato il proprio potere d'influenza sulle masse per rafforzare la reazione; laÁ come qua ha spinto la reazione al colpo decisivo; al passaggio dalla scheda per votare alla mitragliatrice; laÁ come qua essa eÁ la principale usufruttuaria della vittoria della controrivoluzione. La rivoluzione spagnola ha attaccato la chiesa assai meno delicatamente di quanto abbia fatto la rivoluzione austriaca. Essa ha separato del tutto stato e chiesa. Ha eliminato lo stipendio concesso al clero dalle casse dello stato e ha levato di mezzo i privilegi tributari. Ha proibito ed espropriato alcuni ordini religiosi e limitato notevolmente l'attivitaÁ economica di altri. Ha spezzato l'influsso della chiesa nella scuola. La chiesa non lo ha perdonato alla repubblica. La chiesa era stata la forza trainante della controrivoluzione. Ma non eÁ forse stato in egual modo in Austria dove la repubblica non ha mutato quasi nulla nel tradizionale rapporto tra stato e chiesa? Gli avvenimenti di Spagna confermano quel che giaÁ era stato rivelato dagli avvenimenti in Austria: che la chiesa cattolica ha deciso di promuovere il movimento fascista, che pervade l'Europa, per sfruttarlo per la restaurazione di una posizione di potere privilegiato della chiesa. La svolta eÁ avvenuta innanzitutto in Italia. Il fascismo italiano nel 1922 ha conquistato il potere opponendosi alla chiesa. Esso ha combattuto e spezzato il partito cattolico dei Popolari con la stessa brutalitaÁ dei socialisti, altrettanto violentemente ha attaccato e disciolto le organizzazioni cattoliche e i liberi sindacati, in egual modo ha assassinato dei sacerdoti cattolici ed espulso dal paese anche i capi delle associazioni dei lavoratori italiani. Nei primi tempi, successivi alla vittoria di Mussolini, tra la dittatura italiana e la curia romana ci fu una ostile tensione. Ma ben presto i due poteri romani cercarono il riavvicinamento. Il Vatica-
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no tradõÁ i suoi seguaci, i popolari perseguitati, cacciati e abbandonati in massa, ed ebbe in cambio, con i Patti Laternensi, l'appoggio dei nuovi signori del potere, che gli riconobbero la restaurazione del potere temporale del Papa in formato dodicesimo, e, nel concordato, una situazione privilegiata per la chiesa cattolica all'interno del dispotismo italiano. Dopo questa pace tra papato e fascismo italiano nel nuovo cattolico crebbero le simpatie per il fascismo. Fra i capi dei partiti cattolici clericali d'Europa, fu il prelato Saipel il primo ad avvicinarsi al fascismo. L'enciclica Quadragesimo anno, composta dal Cardinale Pacelli presentava ancora delle incertezze. Lodava il sistema corporativo italiano perche promuoveva la pacifica collaborazione delle classi e ``respingeva'' le organizzazioni e le aspirazioni socialiste. Ma esprimeva anche il timore che lo stato fascista limitasse troppo la libera attivitaÁ delle corporazioni e le asservisse alle proprie aspirazioni di dominio politico. Ma dopo la vittoria del nazional-fascismo in Germania la chiesa andoÁ oltre. A questo punto in Austria spinse a favore del fascismo per opporre alla dittatura eretica della Germania una dittatura fascista cattolica. E utilizzoÁ la generale atmosfera contro-rivoluzionaria per portare alla vittoria la controrivoluzione in Spagna. In Germania poi abbandonoÁ il Zentrum cattolico, come in Italia aveva abbandonato i Popolari e cercoÁ un'intesa concordataria col fascismo tedesco. Dapprima, tuttavia, il tentativo fallõÁ. Per il momento tra la chiesa e la dittatura nazional fascista in Germania c'eÁ tensione, come c'era stata in Italia nei primi anni dell'era fascista tra la dittatura fascista e la chiesa. Ma anche in Germania da entrambe le parti si lavora per superare le tensioni. Hitler ha bisogno dei voti cattolici nel territorio della Saar per il plebiscito che in gennaio decideraÁ del destino della Saar, percioÁ eÁ pronto a concessioni alla chiesa. La chiesa poi saraÁ favorita a concludere la pace con Hitler appena questi le garantiraÁ il potere dei vescovi
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e la libertaÁ d'azione dell'Azione cattolica. Non eÁ inverosimile che anche in Germania la chiesa cattolica ben presto diventeraÁ un punto d'appoggio per la dittatura fascista. Ci troviamo evidentemente davanti ad una importante svolta del comportamento della chiesa. EÁ necessario inquadrare nel contesto storico questa fascistizzazione della politica della chiesa. All'epoca della grande rivoluzione francese e poi all'epoca della restaurazione la chiesa era l'alleata dei principi e della nobiltaÁ. Le potenze minacciate dalla rivoluzione borghese si sono alleate contro la rivoluzione borghese per proteggere trono e altare. Ma un secolo fa all'interno della chiesa ebbe inizio una nuova evoluzione. In quel tempo il liberalismo borghese era in grande ascesa. In alcuni paesi la chiesa si serviva del pensiero e delle esperienze liberali per i propri scopi. In Irlanda nel 1829 O'Connel, a capo dell'Associazione Cattolica, rifacendosi alle richieste liberali che invocavano libertaÁ e paritaÁ dei diritti borghesi, ottenne l'eliminazione delle antiche leggi eccezionali contro i cattolici. In Belgio nel 1830 i cattolici presero parte alla rivoluzione che separoÁ la regione cattolica dai Paesi Bassi protestanti e nel 1831, richiamandosi al liberalismo, ottennero una costituzione cha a detta di uno storico francese, garantiva al clero cattolico «la piena libertaÁ come in America, lasciando peroÁ intatti i privilegi come in Europa». In Francia l'ultramontanismo si servõÁ del pensiero liberale contro il gallicanismo che aveva sottomesso la chiesa francese allo stato e voleva i vescovi cattolici indipendenti dal Papa di Roma. La cattolica Polonia condusse la propria lotta in nome delle idee liberali contro il potere straniero zarista che favoriva la chiesa greco-ortodossa. In Italia il clero cattolico venne coinvolto dal potente movimento del Risorgimento nella lotta per l'unitaÁ e la libertaÁ nazionale. La chiesa, servendosi nelle proprie lotte del pensiero del liberalismo borghese, sviluppoÁ cosõÁ nel suo interno il cattolicesimo liberale che basava le sorti della chiesa non piuÁ sui privilegi dello stato assoluto, bensõÁ
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sull'esigenza liberale di una libertaÁ di coscienza e tentava di sostituire all'alleanza con le potenze in decadenza l'assolutismo e la nobiltaÁ feudale, l'alleanza con il nuovo potere in ascesa, quello della borghesia liberale. L'Abbe Lammenais, francese, fu il piuÁ importante interprete di questa corrente che ebbe la piuÁ significativa vittoria nell'elezione di Papa Pio IX in opposizione al candidato della corte austriaca. Ma la rivoluzione del 1848 pose radicalmente fine a questo liberalismo cattolico. Quando i rivoluzionari liberali cacciarono Pio IX da Roma, questi divenne nemico mortale della rivoluzione liberale. Quando in tutta l'Europa la controrivoluzione vinse, la chiesa le si accomunoÁ. Nell'enciclica Quanta cura e nel Syllabus Pio IX condannoÁ tutti i principi fondamentali e le idee del liberalismo borghese. Ovunque, dopo il 1848, la chiesa appoggioÁ la controrivoluzione trionfante. In Francia sostenne il bonapartismo, in Austria l'assolutismo restaurato, dal quale ebbe in cambio il concordato del 1855, in Italia appoggioÁ il dominio austriaco. EÁ di grande interesse ricordare oggi questa svolta del cattolicesimo dall'idea liberale a quella controrivoluzionaria, svolta realizzata dalla chiesa dopo la vittoria della controrivoluzione del 1848/49. Forse oggi non si ripete qualche cosa del tutto simile? La controrivoluzione dopo il 1848 fu un episodio. Dopo un decennio riprese lo sviluppo liberale e democratico. La chiesa, dopo la vittoria del liberalismo, pagoÁ il prezzo per la sua alleanza con le vecchie potenze perdendo molti dei privilegi che l'assolutismo le aveva concesso. Dopo le vittorie del liberalismo in Germania, Austria, Italia, Spagna e Francia, la chiesa lottoÁ aspramente con le nuove forze statali. Ma proprio in queste lotte ha imparato ad usare nuovi strumenti di potere. Non potendo piuÁ far leva sul potere degli stati, cercoÁ sostegno nel popolo dei credenti per opporsi alla forza dello stato. Si formarono i grandi partiti clericali di massa che nella seconda metaÁ del XIX secolo furono gli strumenti di potere piuÁ importanti della chiesa.
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I partiti cattolici di massa avevano la loro base nella grande massa dei piccolo-borghesi, dei contadini e dei lavoratori. Governavano grandi organizzazioni economiche e sociali. Dovevano rappresentare gli interessi economici, sociali e politici di ampie masse popolari attive nel campo del lavoro se volevano poter sostenere la concorrenza dei partiti liberali borghesi e socialisti proletari. Per queste ragioni svilupparono un cattolicesimo democratico a tinteggiature socialiste. Radicati nelle masse popolari assai piuÁ profondamente dei partiti liberali della grande borghesia dei governi autoritari di stampo feudale, talvolta si alleavano alle organizzazioni socialiste di lavoratori contro il liberalismo della grande borghesia e contro lo stato autoritario di stampo feudale-militare. In Germania il Zentrum cattolico assieme alla socialdemocrazia costruõÁ la Repubblica di Weimar. In Austria, nei primi due anni successivi al crollo del 1918, cristiano-sociali e socialdemocratici governarono assieme. Il meccanismo di potere all'interno della Repubblica di Weimar assicurava al centro cattolico la maggioranza e alla chiesa cattolica una posizione anche piuÁ favorevole rispetto a quella che aveva avuto sotto l'impero protestante. Gli interessi della chiesa parevano salvaguardati nel miglior modo nell'ambito della democrazia. Ogni reazione, ogni controrivoluzione minacciava di restaurare il dominio protestante. La chiesa si presentava percioÁ come una potenza democratica che impegnava il proprio influsso sulle masse popolari a favore della repubblica di Weimar, contro il nazionalfascismo e contro la restaurazione monarchica. Ma con la vittoria di Hitler il quadro cambioÁ di colpo. Poiche la democrazia venne sconfitta, la chiesa ripose la propria speranza in un accordo con la dittatura fascista. Se finora aveva basato il proprio potere sulle masse del popolo credente, adesso vuole un accordo con i dittatori e vuole appoggiarsi ai privilegi che spera di aver dai dittatori in cambio del suo appoggio. Se l'interesse della chiesa per il mantenimento della democrazia in Germania aveva
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impedito la fascistizzazione della politica della chiesa anche in altri paesi, allora questo impedimento venne messo da parte dopo la caduta della democrazia tedesca. La chiesa compie ora una svolta del tutto simile a quella compiuta da Pio IX dopo il 1848, come la chiesa quella volta ha abbandonato il cattolicesimo liberale per allearsi con la controrivoluzione assoluta, adesso abbandona il cattolicesimo democratico per diventare forza trainante, alleata e sostegno della controrivoluzione fascista. Ancora una volta, come all'epoca della grande rivoluzione francese, come dopo il 1848, la chiesa cattolica per imporre al popolo un potere dispotico sta dalla parte di coloro che reprimono le masse popolari in fiumi di sangue. Il comportamento politico della chiesa determina anche il rapporto che la classe operaia instaura con essa. Negli anni '80 governava in Austria il governo clerico-feudale di Toaffe. Il clericalismo era il sostegno dello stato autoritario feudale. Tutte le forza di opposizione erano percioÁ fortemente anticlericali: la borghesia tedesca nazionalista e il proletariato socialdemocratico erano forti oppositori della chiesa. Quando negli anni '90 la socialdemocrazia divenne un partito di massa si trovoÁ di fronte ai governi clerico-feudali di Taaffe, BadenõÁ e Thun. L'opposizione borghese dei nazionalisti tedeschi e quella proletaria socialdemocratica avevano ancora in comune l'anticlericalsimo. Se i nazionalisti tedeschi organizzavano il movimento Via da Roma, la classe dei lavoratori ostentava il libero pensiero. E la situazione non mutoÁ affatto quando, in questo periodo, il vecchio partito clerico-feudale fu sostituito dal partito di massa cristiano-sociale. Nelle violente lotte tra cristiano-sociali e socialdemocratici il proletariato si trovoÁ di fronte ovunque parroci e cappellani e il pulpito come avversario. Un appassionato odio contro la chiesa invadeva in quel tempo i lavoratori socialisti. Se Engelbert Pernestorfer portava con se nel partito l'odio contro la chiesa degli intellettuali nazionalisti tedeschi, Franz Schumeier esprimeva nel modo piuÁ eloquente l'odio popolare dei lavoratori contro la chiesa.
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Dal 1899 in poi, peroÁ, in Austria i governi clerico-feudali furono sostituiti da quelli burocratici borghesi. Questi governi non si appoggiarono solo ai cristiano-sociali, ma anche ai nazionalisti tedeschi. Il proletariato si ritrovoÁ come avversari non solo i clericali, ma anche i tedeschi nazionalisti anticlericali. Il conflitto di classe tra il blocco borghese e il proletariato laceroÁ l'antica unitaÁ di lotta anticlericale dei borghesi nazionaltedeschi e dei lavoratori socialdemocratici, mise i borghesi clericali e anticlericali sullo stesso fronte contro la classe operaia. La classe proletaria dovette lottare non piuÁ contro il reazionismo clericale in particolare, ma contro la borghesia in generale, sia clericale che anticlericale. Presto l'opposizione della classe operaia nei confronti dei partiti borghesi dei nazionalisti tedeschi si fece piuÁ aspra di quella nei confronti dei cristiano-sociali. Nella lotta per i diritti elettorali la classe operaia si scontroÁ con la resistenza piuÁ aspra e piuÁ tenace dei nazionalisti tedeschi, mentre i cristiano-sociali, radicati nelle masse assai piuÁ numerose del popolo attivo e lavoratore, in realtaÁ solo in ritardo e discordi, alla fine si schierano tuttavia per il diritto generale e egualitario di voto. All'epoca delle piuÁ accanite lotte nazionalistiche nel periodo anteguerra, il nazionalismo tedesco e, in tempo di guerra, la sua politica di pace vittoriosa, furono il principale nemico del proletariato tedesco. Si presentavano percioÁ ripetutamente situazioni nelle quali socialdemocratici e cristiano-sociali si coalizzarono contro i nazionalisti tedeschi. Fu cosõÁ anche nei primi anni del dopo guerra, quando lavoratori socialdemocratici e contadini cristiano-sociali governarono assieme la repubblica. L'opposizione clericalismo-anticlericalismo non era piuÁ decisiva nella nostra vita pubblica. Dopo la rivoluzione del 1918, la socialdemocrazia ebbe una rapida ascesa. PenetroÁ in classi sociali che avevano interessi economici, sociali e politici ed opinioni coincidenti con quelli della classe operaia, ma che si erano mantenuti fedeli alla fede dei padri. Il partito cercava di aggregare i
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lavoratori della campagna ai lavoratori dell'industria e di conquistare come alleati della classe operaia il ceto contadino e i piccoli borghesi, garantendo ai lavoratori agricoli, ai contadini e ai piccoli borghesi la libertaÁ di fede e di pratica religiosa. Il Programma di Linz dichiarava che il partito voleva raccogliere e unificare tutta la classe operaia, senza riguardo alla religione o alla Weltanschauung del singolo. La nuova corrente dei Socialisti religiosi fu riconosciuta ufficialmente e promossa dal partito. Veramente dal 1927, all'interno del partito, prese maggior forza il movimento del Freidenkertum. Alla parola d'ordine Keine Milde! [nessuna pietaÁ] di Seipel rispose un forte movimento di distacco dalla chiesa. Poiche ovviamente il partito riconosceva il diritto dei liberi pensatori alla propaganda all'interno delle proprie file, riteneva anche che un membro del partito religioso e credente dovesse avere gli stessi diritti del non credente, e percioÁ si guardava bene dal sostituire alla lotta di classe contro le frazioni coalizzate della borghesia una lotta contro la religione e contro la chiesa. EÁ solo segno di ignoranza affermare che l'austromarxismo sia stato di tendenze particolarmente simili a quelle dei liberi pensatori e nemico della chiesa. In realtaÁ proprio l'austromarxismo aveva introdotto, al posto della vecchia linea di demarcazione del Kulturkampf, quella della lotta di classe e, percioÁ, fatto retrocedere quella ostilitaÁ viscerale contro la chiesa, che era stata sostenuta da Parnerstorf e Schumeier. In realtaÁ la socialdemocrazia austriaca del dopoguerra era orientata, assai meno di tutti gli altri partiti socialisti del continente, alla lotta ideologica. Ma oggi la situazione eÁ interamente mutata. C'erano varie possibilitaÁ di collegamento, di comprensione e di cooperazione fra la classe operaia socialista e il cattolicesimo democratico di ieri, che si appoggiava sulle grandi organizzazioni contadine e dei piccoli-borghesi. Tra la classe dei lavoratori e il cattolicesimo fascista di oggi, divenuto l'alleato e il sostegno di un dispotismo controrivoluzionario, non ci puoÁ essere altro che un rapporto di inconcilia-
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bile ostilitaÁ. Il cattolicesimo ha una sua precisa funzione all'interno della dittatura austro-fascista. Dopo che il fascismo ha schiacciato e privato dei suoi diritti la classe operaia, disciolto le sue organizzazioni, distrutto i diritti e le posizioni politiche di potere conquistati con lotte decennali, alla classe operaia si appressano con forza preti, oratori, scrittori, dottori cattolici, che, richiamandosi al contenuto sociale del cristianesimo, le ricordano l'interpretazione sociale delle encicliche papali perche comprendano e cerchino la riconciliazione con i loro oppressori. Conosciamo questo metodo. Allorche sessant'anni fa l'oligarchia feudale dominava l'Austria, il Barone Vogelsang, il Principe Liechtenstein, il Conte Falkenhayn cercavano con egual metodo di conquistare i lavoratori, promettevano loro che avrebbero promosso i lori interessi sociali se in cambio avessero dato solo un seguito politico alla reazione feudale. Allo stesso modo si promette oggi ai lavoratori la protezione dei loro interessi sociali in uno stato cristiano dei ceti (christhicher StaÈndestaat), purche i lavoratori rinuncino soltanto a lottare contro quell'autocrazia della nobiltaÁ, della chiesa e della borghesia ebraica che si camuffa da stato cristiano dei ceti. Il riconciliarismo clericale, consciamente o inconsciamente, non eÁ altro che un tentativo per indurre la classe dei lavoratori ad una codarda sudditanza nei confronti di un sistema di potere dispotico, in cui gli strati piuÁ reazionari e piuÁ violenti delle classi abbienti si sono alleati con la chiesa e hanno cosõÁ fondato il loro dominio illimitato sul proletariato umiliato, privato dei suoi diritti e reso inerme. Il proletariato non si eÁ fatto abbindolare dai demagoghi aristocratici degli anni ottanta. Oggi, assai piuÁ maturo e cosciente di seÂ, si faraÁ ancor meno abbindolare dai demagoghi clericali d'oggi. Allorche all'epoca della grande rivoluzione francese la chiesa era diventata il sostegno principale del potere violento dell'Assolutismo e del saccheggio feudale esercitato sul popolo, dalle file della borghesia tuonoÁ la voce di Voltaire: Ecrasez l'infame ! Se oggi la
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chiesa si allea col fascismo, che schiaccia la classe dei lavoratori con violenza sanguinaria, la priva dei suoi diritti, la sottomette inerme al dominio di classe degli aristocratici e dei capitalisti, allora contro di lei, nelle future decisioni, dalle masse del proletariato rintroneraÁ la stessa parola d'ordine di Voltaire: Ecrasez l'infame !
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INDICE GENERALE
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LA «RELIGIONE PRIVATA» COME VIA ALLA LIBERTAÁ DEMOCRATICA di Tommaso La Rocca
IX
1. L'approccio di Bauer alla questione religiosa ± ± ± ± ± ±
Criteri espositivi L'importanza della religione Gli intelocutori Il metodo d'approccio Il presupposto filosofico Il tema centrale
11 14 16 18 20 32
2. Contro il clericalismo e l'anticlericalismo ± Il contesto storico-politico ± Il cattolicesimo austriaco d'inizio secolo ± Convergenze e divergenze
38 42 49
3. Religione come ``affare privato'' ± ± ± ± ± ± ± ± ± ±
Il nuovo contesto storico-politico Chiesa e religione L'altra religione, l'altro cristianesimo La religiositaÁ popolare del proletariato Marxismo e religione: oltre il materialismo I liberi pensatori e la religione Religion Privatsache come via alla libertaÁ Separazione di chiesa e stato L'ambiguitaÁ del liberalismo L'ambiguitaÁ della chiesa
66 76 83 84 90 99 110 118 121 126
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4. Ritorno all'anticlericalismo? ± Il nuovo contesto ± La deriva nazi-fascista della chiesa ± Socialismo integrale: via alla libertaÁ 5. Alcune considerazioni conclusive
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SCRITTI
SU POLITICA E RELIGIONE
130 134 142 146
di Otto Bauer
Borghesia e clericalismo (1908)
151
Proletariato e religione (1908)
163
Socialismo cattolico (1909)
174
La fine del socialismo cristiano (1911)
185
Religione e chiesa (Dal Programma di Linz, 1926)
197
Socialdemocrazia religione e chiesa (1927) Prefazione
203
Chiesa e lotta di classe ± Chiesa e nobiltaÁ nella societaÁ feudale ± La chiesa al servizio dell'assolutismo ± La chiesa e la rivoluzione borghese ± Clericalismo e liberalismo ± La formazione del partito clericale di massa ± La chiesa alleata della borghesia Ordine sociale e religione ± Chiesa e religione ± Condizioni sociali di vita e rappresentazioni religiose ± La borghesia e la religione
207 208 210 212 214 216 222 223 224
334
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± Il proletariato e la religione ± Il socialismo scientifico e la religione Partito e religione ± Affare di partito o affare privato? ± La socialdemocrazia e i proletari religiosi ± Socialdemocrazia e libero pensiero Stato e chiesa ± Partito e chiesa ± La separazione di chiesa e stato ± La socialdemocrazia e la separazione di stato e chiesa ± Confisca dei beni ecclesiastici ± La via alla libertaÁ
230 239 249 255 263 278 279 287 299 304
Ignazio Seipel (1932)
307
Cattolicesimo e lotta di classe (1933)
313
La controrivoluzione e la chiesa (1934)
317
335
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Finito di stampare nel mese di febbraio 2001 dalla TIBERGRAPH s.r.l. CittaÁ di Castello (PG)
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